Ra son) Det RARO TARA IO DE DU i La LIA ATTI DELL’ ISTITUTO BOTANICO DELL'UNIVERSITÀ DI PAVIA REDATTI DA GIOVANNI BRIOSI ProFESsoRE DI BOTANICA NELL'UNIVERSITÀ E DIRETTORE DELLA STAZIONE DI BOTANICA CRITTOGAMICA, II Serie Volume Quinto Con 15 tavole litografate eun ritratto, Seguito dell’ Archivio Triennale del Laboratorio di Botanica Crittogamica. Mm (è «iS I. MILANO TIPOGRAFIA BERNARDONI DI C. REBESCHINI E C. 1899, AFFAE ISTITUTO: BOTANECO DELL'UNIVERSITÀ DI PAVIA REDATTI DA GIOVANNI BRIOSI Volume 1° con 6 tavole litografate 1888. — Lire 20 5 VIETARE INCA! ValgiS - 1892. — —, 40 II. Serie < sf ge pp e È UE SP 0 RARE Vr IA È 189 = Ab CREA: DROGA AI si 1898. — -, "95 Botanica Crit- Sg Sono la continuazione dell'Archivio Triennale del Laboratorio d togamica. Presso la Direzione dell’ Istituto Botanico di Pavia. Cisl DELLE PIANTE COLTIVATE -0D UTILE: ESSICCATI, DELINEATI E DESCRITTI per G. BRIOSI e F. CAVARA - Sono di già usciti 12 fascicoli. 7 Il prezzo per le poche copie complete ancora disponibili è di lire $ al Rene ; colo per l'interno e di lire 10 per l'estero, in oro. Franco di porto. Per l'abbonamento rivolgersi al prof. Ge Briosi, direttore dell'Istituto Botanico di Pavia. ATTI DELL” ISTITUTO BOTANICO DELL'UNIVERSITÀ DI PAVIA REDATTI DA GIOVANNI BRIOSI ProressorE DI BoTANICA NELL'UNIVERSITÀ E DIRETTORE DELLA STAZIONE DI BOTANICA CRITTOGANMICA, II SerIE Volume Quinto Con 15 tavole litografate e un ritratto. Seguito dell’ Archivio Triennale del Laboratorio di Botanica Crittogumnica, AG DE MILANO TIPOGRAFIA BERNARDONI DI C. REBESCHINI E C. 1899. La Laren ia AL di! A POV A IPA RITI pi ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA (Laboratorio Crittogamico Italiano.) E rovo un piacere particolare nel poter ornare il presente volume coll’immagine del dott. Carlo Vittadini, immagine che probabilmente sarebbe andata perduta senza le amorose cure, e le perseveranti ri- cerche del prof. P. A. Saccardo di Padova cui venne in aiuto il collega prof. F. Sordelli di Milano.! Il Vittadini fu, come è noto, un micologo insigne e uno sperimen- tatore geniale, fra i migliori, italiani o stranieri, del suo tempo. Era nato a Monticelli, piccola terra del contado milanese, nel 1800; per quattro anni fu assistente presso l’orto botanico di Pavia, poi, costretto dal bisogno, si era ricondotto a Milano, per esercitarvi la medicina ed ivi moriva nel 1865. Non è questo il luogo di tesserne la biografia, di già scritta con mano maestra nel 1867 dal prof. Santo Garovaglio ?*; ! Il Vittadini morì senza lasciare parenti diretti, il che rendeva assai difficile persino l’ orientarsi in tale bisogna, non sapendosi nè a chi nè ove indirizzarsi per avere notizie. Tanto le ricerche mie che quelle del Saccardo in alcune biblioteche e in alcuni istituti scientifici a nulla avevano approdate; quando al Sordelli venne fatto di sapere come il Vittadini, che era medico dell’ Ospizio degli Esposti di Milano, avesse adottata qual figlia una trovatella di nome Giuseppina, la quale andò sposa ad un bravo scultore ora in America i cui fratelli però, artisti pure valentissimi, vi- vono tuttora in Milano. Ora col mezzo di un comune amico, scrive il Sordelli al Saccardo, potei spingere un po’ più oltre le mie indagini ed ebbi la fortuna di vedere e farmi prestare una fotografia fatta appunto nel 1865 al letto di morte, giacchè in vita non volle mai farsi ritrattare. Trattandosi dell’ unico documento di tal genere riguardante l'illustre micologo, ho chiesto subito la facoltà di farne trarre qualche copia cd un paio ne riceverà insieme a questa mia. Gli occhi chiusi tolgono molto all’ espressione che era tutta di bontà e d’ intelligenza. Del resto per quanto ne assi- cura il cav. Bertini (cui apparteneva la fotografia) la somiglianza è perfetta ed i lineamenti non sono alterati dal sonno estremo. Da un bravo pittore io feci riprodurre in grande questa fotografia e aprirvi gli occhi e dal ritratto così ottenuto fu ricavato l’eliotipia che pubblico, riuscita somiglian- tissima, come precisa è la firma che vi sta sotto, copiata da un documento originale, favoritomi dall’ Ospizio degli Esposti di Milano, ? Notizie sulla vita e sugli scritti del dott. Carlo Vittadini. Nei Rendiconti del Reale Istituto Lombardo, vol. IV, fasc. II, 1867. SEP 14 1902 alito” ib i atriet ti + Dei Mie Mean Didi apt i 1 ARA RT (O TOL Gai LANL dl At a tipi? PAPATO ur hi ivi î “agrari, VI Wufi PA î ORI " sat ff RL st Peaieria;t RD tiri get 5 NI LI. supp sit o uni DE > ÎLa A) CELLA fu dat te gal aa "nol "ai Ud i fi Use NI Ù PI (I ” AME si te 0) dai Su ee ‘ i rita, NO < RA LI i n/a : | ERIN ® LA a Tao; i sd 1A MIA Ad de tan 1 za Rassegna generale delle ricerche fatte nel 1896 dalla Stazione di Bo- tanica Crittogamica in Pavia. RELAZIONE A S. E. IL MINISTRO DI AGRICOLTURA INDUSTRIA E COMMERCIO. L'andamento delle stagioni fu, in quest'anno, oltremodo favorevole allo sviluppo dei fuughi parassiti, e non piccolo fu il lavoro della Sta- zione Crittogamica per rispondere ai numerosi quesiti proposti dai pri- vati e dagli enti morali e per cercare di risolvere i problemi nei quali si imbattè il personale stesso del Laboratorio nelle varie gite fatte, a scopo di studio e di sperienze. Il numero e la natura di tali ricerche, in parte di già consegnate in relazioni speciali, spedite al Ministero, sono riassunte nell’elenco che segue. L'attività del Laboratorio si volse anche a studi particolari in- torno a crittozame, a questioni di fitopatologia e a sperienze dirette a trovare rimedi contro alcune delle malattie che danneggiano le nostre piante coltivate. I risultati di talune di queste ricerche furono già resi pubblici in memorie speciali, che sono citate nella seconda parte del- l’elenco sotto riportato. Anche gli studi di morfologia, anatomia e fisiologia vegetale, non vennero dimenticati. Lo scrivente insieme al dott. Tognini condusse a termine la se- conda parte dello studio anatomico-fisiologico sulla canapa (Cannabis sativa L.), i cui risultati furono consegnati in un’ estesa memoria cor- redata di numerose tavole. Fu pure ultimato il XII fascicolo dell’opera: Briosr e Cavara: I Funghi parassiti delle piante coltivate od utili, essiccati, delineati, descritti. Il dott. Cavara, oltre ad osservazioni minute sopra l’azione di certi parassiti sui nuclei delle radici, illustrò e descrisse una nuova specie di Ciperacea che infesta le nostre risaie e fu probabilmente introdotta dall'India coi semi di qualche nuova varietà di riso. Il sig. Farneti continuò i suoi studi sulla briologia lombarda, ed estese le sue osservazioni ai muschi che formano le torbe del sotto- suolo pavese dei quali fece un elenco e descrisse, in apposita pubbli- cazione due specie nuove. — X — Il dott. Tognini compilò un prezioso manualetto di Anatomia ve- getale che fu inserito nella collezione dei Manwalî Hoepli. Continuò inoltre le ricerche di embriogenia vegetale, iniziate nello scorso anno, e le avrebbe continuate se morte immatura non avesse troncato questa esistenza preziosa. Il dott. Montemartini completò alcune ricerche di anatomia sopra il seme delle Opunzie e altre di fisiologia sovra le leggi dell’accresci- mento delle piante, e sì delle une che delle altre rese pubblici i ri- sultati in memorie speciali. Continuò pure le sue ricerche sopra la ficologia insubrica. Il dott. Pollacci finalmente, oltre a uno studio sopra alcuni pa- rassiti vegetali, completò e pubblicò pregevoli osservazioni sulla mico- logia ligure, Riassunto delle ricerche fatte. Esami Malattie .dellasvite. Vv.» o .0e.00, e MERI RO SIDE Td:x=delle-praminacegs. sauro (Rd at 805 Id. delle piante da frutto . . . tto Sat 8: [ESCI Id. delle piante ortensi ed ornamentali’ i I AIAR RE AMS Td itdispiante diverse; stati eee oa Ricerche diverse. Esame e illustrazione dei Funghi parassiti pel fascicolo XII dell’opera: Briosi e Cavara: I Funghi parassiti delle piante col- LIVALESO RUE Ie rt La PR E E. SIT, ta CATANIA Determinazione di funghi della Liguria . ........... 20 Id. divalcuni fun hiMICroscopici NR NIE 8 Id. CUANDO RA] POR 0 SII Et Si SN) Id. die Mu SChit*; SPREA RE META O 0, SENSO) Id. di Fanerogame . . . . Loto: cer aa 00) Informazioni sui caratteri e coltura della Vatiohi LOCO LO ANONARI RT 1 Esame di un campione di latte proveniente dalla Cascina Torretta. 1 Informazioni sul Chinotto, chieste dalla Camera di Commercio di Pavia . AAA DT 1 Determinazione di Wanciigimie di dai ii SATO LTT, 5 Id. di Funghi mangerecci inviati da privati . . . Il Esame di pezzi di legno e di tessuti rinvenuti nel lago di Nemi. iL Informazioni sull’ Isaria farinosa come mezzo per combattere la irenuola*dellaSviter*ta e: QI, VIVARO I IE E 1 Totale Esami . 689 Pubblicazioni del Direttore e degli Assistenti. Briosi Giovanni. Rassegne Crittogamiche dei mesi di Aprile a Novembre 1896. Id. Esperienze per combattere la peronospora della vite con acetato di rame e altre sostanze (in corso di stampa). Briosi Giovanwi e dott. Cavara. I Funghi parassiti delle piante coltivate od utili. Fasc. XII. — Pavia, 1896. Briosi GIovanNI e dott. TocninIi. Intorno alla anatomia della canapa (CAN- NABIS saTIva L.). Parte seconda: Organi vegetativi. — Milano (in corso di stampa). Farneti RopoLro. Ricerche di Briologia paleontologica nelle torbe del sot- tosuolo pavese appartenenti al periodo glaciale. — Milano, 1896. Cavara dott. Fripiano. Di una Ciperacea nuova per la fora europea. (CyPeRrus arIstATUS. Rottb. var. BicgeLERI Cav.) — Milano, 1897. Id. Ipertrofie ed anomalie nucleari in seguito a parassitismo vegetale. — Pavia, 1896. Id. I funghi parassiti delle piante coltivate od utili. — Fasc. XII . (in collaborazione con Briosi). Toexini dott. FiLipro. Anatomia vegetale — Manuali Hoepli. — Milano, 1896. Id. Sopra un micromicete nuovo probabile causa di malattia nel Fru- mento — Rend. Ist. Lombardo — Milano, 1896. Id. Intorno alla anatomia della canapa (CannaBIS satIva L.), (in col- laborazione con Briosi). MovnremaRmINI dott. Luci. Contributo allo studio dell'anatomia del frutto e del seme delle Opunzie — Milano, 1896. Id. Un nuovo micromicete della Vite (Aurrosasipiom Viris Viala, et Boyer, v. ALBUM). — Milano, 1896. Id. Ricerche intorno all’accrescimento delle piante. — Milano, 1896. PoLtacci doti. Gino. Contribuzione alla micologia ligustica. — Milano, 1896. Id. Micologia Ligustica. — Genova, 1896. Personale del Laboratorio al 31 Dicembre 1896. Briosi prof. Giovanni; Direttore. Farneti Rodolfo, assistente. Ia Prestarono inoltre l’opera loro i Signori: Montemartini dott. Luigi. Pollacci dott. Gino. Vigo dott. Giuseppe. Frequentarono il Laboratorio. Savio Massimiliano, Studente in Scienze Naturali. Chiappari Ernesto. Id. Traverso Giov. Battista. Id. Tambelli dott. Giuseppe. Id. Programma di studi pel 1897. . Continuare le ricerche di parassitologia vegetale. . Continuare le ricerche di micologia, ficologia, epaticologia e briologia. . Continuare gli studi di anatomia e fisiologia vegetale in corso. Riprendere le sperienze per l'applicazione di rimedi contro le malattie delle piante, specie coll’ acetato di rame contro la peronospora. A 0 0 Il Direttore GiovaNnNI BRIOSI. Rassegna generale delle ricerche fatte nel 1897 dalla Stazione di Bo- tanica Crittogamica in Pavia. RELAZIONE A S. E. IL MINISTRO DI AGRICOLTURA INDUSTRIA E COMMERCIO. Come negli anni scorsi, l’attività della Stazione Crittogamica fu rivolta in primo luogo alla risoluzione dei quesiti proposti dai privati e dagli enti morali intorno alle molteplici malattie delle piante, e allo: scrivente gode l’animo di poter rilevare come l’opera del nostro Isti tuto continui ad essere apprezzata tanto in Italia che fuori. RE Nell'elenco che segue sono riassunte le ricerche eseguite nell’anno, le relazioni relative alle quali furono mandate di mano in mano al Ministero d’Agricoltura che ebbe a pubblicarle nel BoMettino di Notizie Agrarie. Altro compito fu quello di sperimentare diversi rimedi proposti a combattere alcune delle principali malattie delle piante; e così vennero continuate le prove coll’acetato di rame contro la peronospora della vite e contro la Phytopthora del pomodoro in confronto all’azione del solfato omonimo. Le risultanze ottenute vennero consegnate in rapporti al Ministero d’Agricoltura che li rese di pubblica ragione. Altre ricerche furono rivolte specialmente a illustrare la flora della regione lombarda. Così l’assistente sig. Rodolfo Farneti continuò i suoi studi sulla briologia e 1’ epaticologia insubrica; il dott. Luigi Monte- martini quelli intorno alla ficologia valtellinese, della quale trovasi d’a- vere quasi condotto a termine una seconda contribuzione che presto vedrà la luce, e l’allievo sig. G. B. Traverso in una nota pubblicò una aggiunta alla flora della Provincia. Ricerche d’indole più generale furono quelle intraprese dal dottor Fridiano Cavara, che anche in quest'anno frequentò durante l’ inverno il nostro Laboratorio, intorno alla struttura dei nuclei delle cellule ve- getali; il dott. Luigi Montemartini compilava un manuale di fisiologia vegetale, e sì accingeva a studiare il raccordo dei tessuti nel passaggio dalla radice al fusto delle piante dicotiledoni. Chi scrive infine ha condotto a termine la pubblicazione del IV vo- lume degli At del? Istituto, volume di circa 400 pagine e corredato di 32 tavole litografate, il quale rispecchia l’attività dell'Istituto durante gli anni 1893-95 e parte del 1896. Riassunto delle ricerche fatte durante l’anno. Esami MalattieYdellegi tele e o ee e e e D dex cerncallgmiiniere gn ep alti afro Ci AA & ALIPIA GOA RR TORRE RT e e Sr 168 x GIMPIANICRONDICO ERANO N McRae e tO 7) 4 dipinte sdiistonzo pome ee sana fi UM SI 18 rs AISPIVILICRONTAIIENTA IRE NA I I RAMO) n di piantesipresta line: 0 gta Sb 7, Lit a 03 £ È AI DIANCENIDA SETA ARTS e e RE RA LS È dipinte AIVetson ene Rei SI EEA AE RADO) Da riportarsi . . 442 — XIV — Ricerche diverse. Riporto . . 442 Determinazione di Funghi macroscopici . . ../..... 20 Id. di. Alghe.s.areie al a A e ORO) Id. di MIChenis mess ih s' USI MASS IS 2 Id. di.-Muschi:.. sce Alia ea Id. di.Fanerogame':. cara RD Id. di semi (di vFanero5aAmM e RR AO Esami di campioni di frumento e di uva. . . . . . .. . 6 Informazioni su diverse malattie vegetali . . /./.... 3 Esame -di Quebracho);. (niro sile RSA e SR RE 1 Totale Esami . 756 Pubblicazioni del Direttore e degli Assistenti. Briosi GrovanNI. Rassegne crittogamiche dei mesi di Aprile a Novembre 1897. Bollettino di Notizie agrarie — Roma, 1897. Id. Atti dell’Istituto botanico della R. Università di Pavia. Serie II, vol. IV, con 32 tavole litografate. — Milano, 1897. MoxremarmNI dott. Luci. Sopra él parassitismo dell'AurroBasIDIUm Vims. — Rivista di Patologia vegetale — Firenze, 1897. Id. Manuale di Fisiologia vegetale. — Milano, 1897. Poniacci dott. Gino. Micologia ligustica. — Parte II. — Atti della So- cietà ligustica di Scienze Naturali e Geografiche. -— Milano, 1897. Id. Appunti di Patologia vegetale. — Atti dell'Istituto Botanico del- l Università di Pavia. — Milano, 1897. Cavara dott. Friprano. Strutture nucleari. IA. Traverso Giov. Battista. L’AcaLypHA vircIinica L. nella Hora della Provincia pavese. — Malpighia. — Genova, 1897. Id. Di una rara malattia del Pomidoro prodotta dal Cladosporium fulvum Cooke. — L'Italia agricola. — Piacenza, 1897. Personale del Laboratorio al 31 Dicembre 1897. Briosi prof. Giovanni, Direttore. Farneti Rodolfo, Assistente. Montemartini dott. Luigi ) dell'Istituto botanico che prestano l’ opera Pollacci dott. Gino \ loro. — XV — Frequentarono il Laboratorio. Savio Massimiliano, laureando in Scienze Naturali. Chiappari Ernesto Id. Id, Traverso Gio. Battista, allievo. Programma di studi pel 1898. Continuare le sperienze coll’acetato di rame contro la peronospora della vite e la Phytophora del Pomodoro. Instituire sperienze contro la Tignuola della vite. Continuare gli studi sui funghi parassiti delle piante coltivate. Proseguire le ricerche sulla briologia e ficologia insubrica, sul rac- cordo dei tessuti nel passaggio della radice al fusto, sulla distribuzione del fosforo nei vegetali e su problemi di anatomia e fisiologia vegetale. Pavia, Marzo 1898. Il Direttore GirovannI BrIosI. La Stazione di Botanica Crittogamica in Pavia. Rapporto sull’operosità del Laboratorio Crittogamico dalla sua fondazione sino al 1897 a S. E. il Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio. Per l’Espo- sizione di Torino 1898. Il Laboratorio Crittogamico venne fondato presso l’Istituto Botanico della R. Università di Pavia, con decreto 26 Marzo 1871. Alle spese d’impianto concorsero il Ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio, la Provincia, il Comune, il Collegio Ghislieri, il Comizio Agrario di Pavia, e diversi privati donatori. Attualmente il Laboratorio si mantiene con assegni del predetto Ministero, della Provincia, del Comune e del Collegio Ghislieri. Viene amministrato da un Consiglio Direttivo del quale fanno parte il Direttore e quattro membri rappresentanti i quattro enti morali che concorrono al suo mantenimento; al presente i signori: Avv. Emilio Pellegrini, grande ufficiale (presidente), comm. Roberto Rampoldi, deputato al Par- lamento, cav. ing. Emilio Franchi Maggi e comm. prof. Giovanni Zoia. — XVI — Il personale del Laboratorio si compone del Direttore, di un as- sistente, e di un inserviente, coadiuvati talora dagli assistenti dell’ Isti- tuto Botanico e da allievi retribuiti coi fondi del Laboratorio stesso. La sede del Laboratorio è nei locali dell'Istituto Botanico del- l Università. Il materiale scientifico di cui dispone consta di parecchi microscopi, di vari altri apparecchi per ricerche scientifiche, di molte collezioni di Essicata e di una biblioteca botanica, certo non completa, ma pure fornita dei periodici scientifici più accreditati e di gran parte delle opere antiche e moderne di micologia, di patologia vegetale e di agricoltura. Il Laboratorio possiede anche una discreta quantità di mo- biglio, come banchi da lavoro, scaffali, tavoli, ecc. Scopo principale del Laboratorio è lo studio delle malattie delle piante prodotte da crittogame, e dei rimedi più atti a combatterle. Tale studio si fa sopra il materiale che viene spedito continuamente dai privati e dagli enti morali, e sopra piante raccolte dal personale nelle ispezioni fatte a tal uopo. i L'elenco delle malattie che si studiano, e le osservazioni e le ri- cerche che sopra di esse si fanno 'nell’interesse degli agricoltori e degli studiosi di questo ramo della botanica, vengono raccolte in apposite relazioni che si mandaro di volta in volta al Ministero di Agricoltura il quale le pubblica nel Bollettino di Notizie agrarie. Il numero di tali osservazioni e ricerche si può dire sia andato via via crescendo dalla fondazione del Laboratorio fino ad oggi, come rilevasi dallo specchietto che segue: Ricerche eseguite nel 1871 . . . . N. 4 s E, 1872 Agr eo 15 n È n 3 LB) a SEE O 52 sa 3 1874 Se 53 L; ni VISSE AMIR 68 5 14 PARI SOLI e E deco 60 L ; Di MST VAR, CARRI 45 È L a 1878: SIRO È si REID (Se PRE AOSTA 51 n 4 y ‘FISSO TAMA 5 ì 5 vie, Sa > E, st. VISS2 hi EE LP 65 R N I 1883 LARE oo e e gi Teganeriria, a rMARGOT 3, L 3 I06) RE NE MEER NOE È 5 , 1886 9897 sas IDA, — Ricerche eseguite nel 1887. . . . N. 190 2 È bh al'S88rodat. aisi 236 AI: 5 a 1001889 10 Viani 303 n) i; A )L890 cute. zie di 288 : n 3° 189003 È iso. amd A h JI 1992 ot A09 5 n ui. 1893. pih 2319 i, È sjcE9 94 ot coda) VAZO 9 5 x 0I8S@mscIE, dot LUG n $ n 18060008 e, 689 È F 20111807 "Ilah o lancesòg 15756 Sono dunque più di settemila le sole analisi eseguite per rispon- dere a quesiti posti dai privati e dagli enti morali. Il numero crescente delle ricerche fatte mostra come sia apprezzata dagli agricoltori l’opera del nostro Laboratorio al quale non di rado si ricorre per consiglio anche dall’ estero; materiale per studio venne infatti a più riprese in- Viato dalla Svizzera, dalla Grecia, dalla Turchia, dall’ Austria, dalla Francia, dalla Russia, dal Portogallo, dalla Spagna, dagli Stati Uniti d'America, dalla Svezia, dall’Algeria, ecc. Oltre a queste ricerche il Laboratorio volge i propri studi alla risoluzione di problemi che interessano l'anatomia e la fisiologia ve- getale, la classificazione e la distribuzione geografica delle Crittogame e altre branche della Botanica generale. I risultati di tali studi sono portati alla conoscenza del pubblico per mezzo di pubblicazioni che trovansi raccolte nell'Archivio Triennale del Laboratorio Crittogamico (5 volumi) e negli Att? dell’ Istituto Botanico dei quali sono usciti di già quattro volumi, corredati di un centinaio di tavole litografiche. In cambio di tali pubblicazioni il nostro Laboratorio altre ne riceve, fra le quali notiamo le seguenti che sono periodiche: Zeitschrift f. d. landw. Versuchswesen in Austria. Botanisches Centralblatt, Cassel. K. K. naturhistorisch. Hof. Museum di Vienna. Notizblatt des K. botanischen Gartens und Museums di Berlino. Jahresbericht iiber die Fortschritte auf dem Gesammtgebiete der Agri- kultur-Chemie, di Monaco. Bulletin de la Société Nationale d' Horticulture de France, di Parigi. p de V Herbier Boissier di Ginevra. Le de la Société R. Botanique del Belgio. de la Société Imp. des Naturalistes di Mosca. Atti dell'Istituto Botanico di Pavia. Serie II, Vol. V. II n — XVII — Bulletin du Museum d' Histoire Naturelle di Parigi. La Feuille des jeunes Naturalistes di Parigi. Acta Horti Petropolitani di Pietroburgo. Jahrb. du Museums von Trimso (Norvegia). The Linnean Society di Londra. Annuario dell’ Istituto Botanico di Roma. Atti dell’Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei di Roma. » del R. Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti di Venezia. » della R. Società Toscana di Orticoltura di Firenze. È frutto del personale dell’ Istituto anche l’opera che ha per titolo I funghi parassiti delle piante coltivate o utili (Briosi e Cavara), che lieta accoglienza ha trovato tanto in Italia che fuori e della quale furono finora pubblicati dodici fascicoli che illustrano trecento delle malattie prodotte da parassiti vegetali. Elenco del personale scientifico del Laboratorio dalla sua fondazione a tutt’ oggi. Direttori. GarovacLio comm. Santo, dal 26 marzo 1871 al 18 marzo 1882: De- funto. Ne fu il fondatore. CattANEO dott. AcHILLE, ff. di Direttore, dal 20 marzo 1882 all’agosto 1883. Briosi prof. Giovanni, dall’agosto 1883, attuale Direttore. Assistenti. GisELLI prof. GIrusEPPE, ora professore di Botanica all’Università di Torino. CartanEO dott. AcHILLE, ora medico-chirurgo in Pavia. Lopr dott. AcHiLLe, ora professore al Liceo di Venezia. SoLLa dott. Ruagero, ora professore all’ Istituto Tecnico di Trieste. FarNnETI RopoLro, attuale assistente. Allievi praticanti gratuiti. SartorIo dott. AcHiLLE, dal 31 gennaio 1871 al 1875, ora professore di Storia Naturale nei Licei. BonasegLA dott. Awprocro, dal 31 gennaio 1872 al 1876. — XIX — Saccni MARIA, dal gennaio 1884 al 1888, insegnante di Scienze Naturali nelle Scuole Normali di Genova. Mariani Ernesto, nel 1884, ora professore al Museo Civico di Milano. GarrurI dott. Dow CesaRE, ora professore nel Seminario di Milano. Zoxcapa Vincenzo, dal 1884 al 1886. Saccni dott. CarLo, per alcuni mesi del 1884. ToLLer dott. N. per alcuni mesi del 1885. . De Maria Grovanni, per alcuni mesi del 1885. PoLnaccr Gino, dal 1889 al 1896, ora assistente all’ Istituto Botanico di Pavia. Traverso Giov. BarTISTA, dal 1897, studente in Scienze Naturali. Allievi praticanti stipendiati. ZavertHAL VLapimiro, dal 29 luglio 1871 al 31 dicembre 1871. FrIeerIio Lurer, dal 5 dicembre 1871 al 3 marzo 1872. GoLei dott. CawiLLo, dal 6 gennaio 1872 al luglio 1872, ora professore di Patologia generale nell’ Università di Pavia. Branconi dott. SrLvio, dal 29 maggio 1872 al 1874. CartANEO dott. AcHILLE, dal 21 gennaio 1871 al marzo 1882. Grirrini Luror, dal 14 agosto 1862 al 31 ottobre 1873, ora professore di Patologia nell’ Università di Genova. Crosro dott. E., dal 30 marzo 1874 al marzo 1876, ora medico chirurgo. Prirorta dott. RowuaLpo, dal 1 dicembre 1873 al 30 settembre 1876, ora professore di Botanica all’ Università di Roma. CorneLLi dott. Ennio, dal 3 marzo 1876 al 1878. Rigoni dott. GartAno, dal 1 novembre 1877 al 30 ottobre 1879, ora professore di Fisica negli Istituti Tecnici. Pereco EucenIo, dal novembre 1874 al 1876. Penzie dott. Orto, dal giugno 1878 al 1879, ora professore di Botanica all’ Università di Genova. Bergonzi dott. CesarE, dal 1 novembre 1879 al 30 ottobre 1880. Bozzi dott. Lurcr, dal 1 novembre 1880 al novembre 1882, ora medico chirurgo in Pavia. BertoLINI dott. AnxigaLe, nel 1880, ora professore di Scienze Naturali nel R. Liceo di Como. De CarLini AnceLo, dal 15 marzo 1883 al 1884, ora professore di Scienze Naturali nel R. Liceo di Pavia. Krucn OsvaLpo, dal 15 marzo 1883 al 1885, ora professore di Botanica nella Scuola Superiore di Agricoltura di Perugia. Toenini dott. FrLipPo, nel 1886. . — XX — Pocuni dott. CarLo, dal 1886 al 1887, ora professore di Scienze Na- turali nell’ Istituto Tecnico di Genova. MoxremartINI dott. Lurci, dal maggio 1889 al 1891, ora Conservatore nell’ Istituto Botanico di Pavia. Prestarono l’opera loro: Dott. PasquaLe BaccARINI, ora professore di Botanica all’ Università di Catania. Friprano CAvara, ora professore nell'Istituto Forestale di Val- lombrosa. Fiuippo Tocxini, defunto. Lurcr MONTEMARTINI. Gino PoLaccr, ora assistente nell’ Istituto Botanico dell’Università di Pavia. : Frequentarono il Laboratorio: GieLi dott. Torquato (1888-89), assistente di Chimica farmaceutica nell’ Università di Pavia, e professore nelle Scuole Tecniche. Massa CamiLLo (1889), delegato antifillosserico governativo. Loverpo ing. JrAn di Cefalonia (Grecia), (1890-91). Curo SaLveTrTI, studente di medicina, (1890). LoprIore dott. GrusePPE (1890), ora professore alla Scuola d’Agricoltura di Catania. Marozzi dott. A. (1891). ProLion dott. Virtorio (1891), assistente nella R. Stazione di Patologia vegetale in Roma. MarcHesini Lurci (1892-93). Curappari ErnESTO (1894-97). Macx Paotro della Dalmazia (1894-95). Savio dott. Massimiano (1895-97). Pubblicazioni del personale del Laboratorio sopra gli. studi e le ricerche in esso eseguiti. 1. Sui microfiti della ruggine del grano, con una tavola, S. GAROVAGLIO. 2. Sullo Sporotrichum maydis, con una tavola, S. GAROVAGLIO, 3. Sul Protomyces violaceus Ces, con due tavole, G. GrsELLI. 21. 22. 23. 24, 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. eo ee . Sulla propagazione artificiale dei corpuscoli del Cornalia, G. GIBELLI, A. MarstrI e G. CoLompo. Di una cameretta umida per la coltivazione dei micromiceti, L. GRIFFINI. . Sulla scoperta di un discomicete trovato nel cerume dell'orecchio umano, S. GAROVAGLIO. . Intorno ad alcuni grani di Zea mays anneriti, S. GAROVAGLIO. . Studi sul parassita delle olive, S. GarovagLio e A. CATTANEO. Sulla causa dell’allettamento del frumento, S. GarovaGLIO. . Relazione sui parassiti delle foglie e dei rami di gelso, S. GAROVAGLIO, . Relazione sulla natura del male d’alcune spighe di frumento. S. GAROVAGLIO. . Due relazioni, luna sulla malattia dei capperi detta il bianco, l’altra su quella dei vitigni, S. GAROVAGLIO. . Notizie bibliografiche sul Oystopus capparidis, S. GAROVAGLIO. . Sulla causa dell’alterazione di un grappolo d'uva, A. MAESTRI. . Esperienze ed osservazioni sulla rugiada, L. GRIFFINI. . Osservazioni sui corpuscoli dei bachi da seta, con una tavola, A. MAESTRI. . Sul carolo o brusone del riso, con due tavole, S. GAROVAGLIO. . Bibliografia del brusone, S. GAROVAGLIO. . Ricerche microscopiche sul sangue carbonchioso dei bovini, L. GRIFFINI. . Di alcuni uccelli raccolti nel territorio pavese, A. MAESTRI. Sull’Uredo betae Per., S. GAROVAGLIO. Sulle principali malattie degli agrumi, con una tavola, S. GAROvAGLIO e A. CATTANEO. Nuove ricerche sul brusone del riso, S. Garova@LIo e A. CATTANEO. Sulla Erysiphe graminis e sulla Septoria tritici, con una tavola, S. GarovaeLio e A. CATTANEO. Sulla ruggine del grano turco (Puccinia maydis), con una tavola, S. GarovaaLio e R. PiroTTA. Sulla ruggine dell’ abete rosso (Peridermium abietinum), con una tavola, S. GarovaeLio e A. CATTANEO. Sull’Acrimonium vitis, nuovo fungo parassita dei vitigni, A. CATTANEO. Sulla ruggine delle malve, con una tavola, R. PrrortA. Sullo Selerotium oryzae, nuovo parassita vegetale del riso, con una tavola, A. CATTANEO. Sull’ Helminthosporium vitis, parassita delle foglie della vite, con una tavola, R. PrRoTTA. Esperienze sulla propagazione dei corpuscoli del Cornalia nel baco da seta, con una tavola, A, CATTANEO, In = MEXXIT = . Sulla epifitia delle viti di Rocca de’ Giorgi e sul gentiluomo 0 spica falsa del riso, con due tavole, A. CarTANEO. . I funghi parassiti dei vitigni, con quattro tavole, R. PrrorTA. . Sui microfiti che producono nelle piante la malattia del Nero, Fumago o Morfea, con una tavola, A. CATTANEO. 5. Sull’annebbiamento del grano, con due tavole, R. PirorTA. ;. Sulle dominanti malattie dei vitigni, S. GarovAGLIO e A. CATTANEO. . Studi sul latte, con quattro tavole, R. Pirorta e G. Rigoni. . Nuove ricerche sul vajolo della vite, S. GARovAGLIO. . I miceti degli agrumi, con due tavole, A. CATTANEO. . La nebbia degli Esperidi, con una tavola, A. CATTANEO. . Elenco delle alghe della Provincia di Pavia, A. CATTANEO. . La Peronospora viticola ed il Laboratorio Crittogamico, S. Ga- ROVAGLIO. . Sulla comparsa del Mildew o falso Oidio degli americani, R. PiroTTA. . Ancora il Mildew o falso Oidio, R. PiroTTA. . Tentativi di cura sopra diverse varietà di viti esotiche infette dalla peronospora, S. GAROVAGLIO. . La Peronospora viticola nella Provincia di Pavia, R. PirottA. . Sulla Peronospora viticola, con una tavola, S. GAROVAGLIO. . Tavola dei risultati ottenuti dalla semina e coltivazione di 15 specie e varietà di viti asiatiche e americane, S. GAROVAGLIO. . L'invasione della Peronospora viticola in Italia nell’anno 1880, S. GAROVAGLIO. . Sul modo di scoprire col microscopio le falsificazioni delle farine, con due tavole, A. CATTANEO. . La nebbia dei fagiuoli, A. CATTANEO. . Mezzi usati nel 1881 per salvare dalla Peronospora le viti del- l'Orto Botanico, S. GaRovaAGLIO. . Della Gangrena secca ed umida dei pomi di terra, con due tavole, A. CATTANEO. . Anatomia e morfologia della vite ( Vitis vinifera), con cinque tavole, O. PENZIG. . L’epidemia della Peronospora viticola nel 1881, S. GarovaGLIO. . La vite ed i suoi nemici nel 1881, con due tavole, S. GAaROvAGLIO. 57. . Sul male del caffè, con una tavola, A. CATTANEO. . Muschi della Provincia di Pavia. Prima centuria, L. Bozzi. . Dei miceti trovati sul corpo umano, con cinque tavole, A. CATTANEO Esame di farina adulterata, A. CATTANEO. e L. OLIVA. . Esperienze per combattere la Peronospora della vite, eseguite nell’anno 1885, G. BrIOSI. 66. 67. 84. 85. = AU — . Intorno ad una malattia dei grappoli dell'uva, con una tavola, P. BACCARINI, . Esperienze per combattere la Peronospora della vite, eseguite nell’anno 1886, G. Briosi. . Sulla vera causa della malattia dei grappoli dell'uva, F. CAvaRA. . Esperienze per combattere la Peronospora della vite, eseguite nell’anno 1887, G. BrIosr. Rassegne delle principali malattie sviluppatesi sulle piante cul- turali delle quali si è occupato il Laboratorio Crittogamico, G. BRIOSI. Intorno al disseccamento dei grappoli della vite: Peronospora vi- ticola, Coniothyrium Diplodiella e nuovi ampelomiceti italici, con due tavole, F. CAVARA. . Muschi della Provincia di Pavia: seconda centuria, R. FARNETI. . Sul fungo che è causa del Bitter-Rot degli americani, F. Cavara. . Intorno alle sostanze minerali nelle foglie delle piante sempre- verdi, G. BRIOSI. . Appunti di patologia vegetale. Alcuni funghi parassiti di piante coltivate, con una tavola, F. CAvARA. . Esperienze per combattere la Peronospora della vite, eseguite nell’anno 1888 (quarta serie), G. Briosi. . Champignons parasites nouveaux des plantes cultivées, con una tavola, F. CavaRA. . Les nouveaux champignons de la vigne, con due tavole, F. Cavara. . La Peronospora ed altri parassiti della vite nell’Alta Italia, F. CAVARA. . Materiaux de mycologie lombarde, con due tavole, F. CavaRA. . Contributo alla conoscenza dei funghi pomicoli, F. Cavara. . Di una rara specie di brassica nell’Apennino Emiliano, con una tavola, F. CAVARA. . Note sur le parasitisme de quelques champignons, F. CAvARA. . Macrosporium sarcinaeforme Cav., nuovo parassita del trifoglio, F. CAVARA. . Funghi pomicoli: contribuzione II, F. CAvaRA. . Contributo allo studio dell'anatomia comparata delle Cannabinee, G. Briori e F. Tocxm. . Su la composizione chimica e la struttura anatomica del frutto del Pomodoro (Lycopersicum esculentum Mill. ), G. Briosi e T. Gioni. Per difendersi dalla Peronospora della vite, G. Briost. Ancora sul come difendersi dalla Peronospora, G. Briosi. SEL 100. 101. 102. 103. 104. 105. 106. 107. 108. 109. 110. Jubit SR . Alcune erborizzazioni nella valle di Gressoney, G. Briost. . Intorno alla anatomia delle foglie dell’ Eucalyptus globulus Labil., con 23 tavola litografate, G. BrIost. . Sopra il percorso dei fasci libro-legnosi primari negli organi ve- getali del lino (Linum usitatissimum L.), con tre tavole litografate, F. ToGxini. . Muschi della Provincia di Pavia, terza centuria, con una tavola litografata, F. FARNETI. . Contribuzione alla Micologia Lombarda, con due tavole itografate, F. CAVARA. . Un altro parassita del frumento (Gibellina cerealis Pass.), con una tavola litogr., F. CAVARA. Ueber einige parasitische Pilze auf dem Getreide, con una tavola litografata, F. CAvARA. . Sopra un microrganismo zimogeno della Durra, F. Cavara. Il corpo centrale dei fiori maschili dei Buxus, con una tavola litografata, F. CavaRA. . Une maladie des Citrovns, F. CAVARA. . Frutti freschi e secchi. Ortaggi, R. FARNETI. . Funghi mangerecci e velenosi, R. FARNETI. . Funghi Longobardiae exsiccati, F. Cavara. I funghi parassiti delle piante coltivate od utili (finora 12 fascicoli), G. Briosi e F. CAVARA. Cenno su Guglielmo Gasparrini, G. Briosr. Ricerche di morfologia e anatomia sul fiore femminile e frutto del Castagno, con tre tavole litografate, F. T'ocnInI. Una malattia dei limoni, con una tavola litografata, F. CavarA. Contribuzione alla micologia Toscana, F. Tonini. Muschi della Provincia di. Pavia, con una tavola litografata, R. FARNETI. Sull’ influenza di atmosfere ricche di biossido di carbonio sopra lo sviluppo e la struttura delle foglie, L. MoNTEMARTINI. Intorno all’anatomia della canapa. Parte prima: organi sessuali, con 19 tavola litografate, G. Briosi e F. Tocxini. Intorno alla morfologia e biologia di una nuova specie di Hyme- nogaster, con una tavola litografata, F. CAvara. Epaticologia insubrica, R. FARNETI. Ulteriore contribuzione alla micologia lombarda, F. Cavara. Contributo all’ organogenia comparata degli stomi, con tre tavole litografate, F. ToGnInI. Seconda contribuzione alla micologia Toscana, con una tavola litografata, F. Toexini, — XXV — 2. Intorno alla morfologia e allo sviluppo degli idioblasti delle Ca- mellie, con due tavole litografate, F. CAVARA. . Contributo alla ficologia insubrica, L. MONTEMARTINI. . Intorno alla anatomia e fisiologia del tessuto assimilatore delle piante, con una tavola litografata, L. MoNTEMARTINI. . Schiden von Warmhauspflanzen durch Protococcus caldariorum (Magnus) verursacht, L. MonTEMARTINI. . Briologia insubrica: Muschi della Provincia di Brescia, R. FARNETI. . Sulla infezione Peronosporica nel 1895, G. Brrost. . Esperienze istituite dal Laboratorio Crittogamico nel 1895 per combattere la peronospora della vite coll’ acetato di rame, G. BRIOSI. . Intorno alla anatomia della canapa. Parte seconda: organi vege- tativi, con 26 tavole litografate, G. Briosr e F. TocxnI. . La brunissure de la vigne en Italie, F. CAvaRA. . Nuova stazione della Solidago serotina, F. CAvARA. . Apercu sommaire de quelques maladies de la vigne parues en Italie en 1894, F. CAvaRA. . Ueber von Heterodera radicicola (Greef.) Mill. verursachten Wurzelk- nollen an Tomaten, con una tavola, F. CAVARA. . Ipertrofie ed anomalie nucleari in seguito a parassitismo vegetale, con una tavola litografata, F. CavaARA. . Ricerche di briologia paleontologica nelle torbe del sottosuolo pavese appartenenti al periodo glaciale, con una tavola litografata, R. FARNETI. . Sulla distribuzione del fosforo nei tessuti vegetali, G. Ponnaccr. . Sulla ricerca microchimica del fosforo per mezzo del reattivo mo- libdico e cloruro stannoso nelle cellule tanniche, G. PoLLaccr. . Caso teratologico nella germinazione di una castagna, F. Tocwm. . Sopra un micromicete nuovo, probabile causa di una malattia del frumento, F. TocxIni. . Manuale di anatomia vegetale, F. TocnxIni. . Contribuzione alla micologia ligustica, con una tavola, G. PoLLaccr. . Micologia ligustica, G. PoLLacct. . Contributo allo studio dell'anatomia del frutto e del seme delle Opunzie, con una tavola litografata, L. MoNnTEMARTINI. . Un nuovo micromicete della vite (Aureobasidium Vitis var. album), con una tavola, L. MoNnTEMARTINI. . Ricerche intorno all’acerescimento delle piante, L. MoNTEMARTINI. . Sopra il parassitismo dell’Aureobasidium Vitis, L. MoNnTEMARTINI. . Manuale di fisiologia vegetale, L. MoNTEMARTINI. TRAV . Appunti di patologia vegetale, con una tavola, G. PoLLaccr. . L’Acalypha virginica L. nella flora della Provincia di Pavia, G. TRAVERSO. . Di una rara malattia del pomodoro prodotta dal Cladosporium fulvum Cooke, G. Traverso. . Intorno ad alcune strutture nucleari, con due tavole litografate, F. CAVARA. 2. Atlante Botanico con 85 tavole colorate, G. Brrosr. Il Direttore GrovanNnI BRIOSI. AGUODHA MITA, y Ne) duro a ato ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA (Laboratorio Crittogamico Italiano) SECONDA CONTRIBUZIONE ALLA MICOLOGIA TOSCANA PER IL Dott. FILIPPO TOGNINI Primo Assistente all'Istituto Botanico della Regia Università di Pavia (CON UNA TAVOLA LITOGRAFATA) Era mio fermo divisamento di non dare alla luce un secondo con- tributo! alla micologia toscana, prima di avere determinato una quan- tità discreta di specie, raggiungente almeno le due centurie. Il caso volle però che m’imbattessi in un numero non trascurabile di forme finora non da altri descritte e che mi sembrano di una certa importanza; non potendo d’altronde, in causa d’altro lavoro di lunga lena cui debbo attendere, raggiungere con quella sollecitudine che desidererei il nu- mero di specie prefisso, così, per non perdere la priorità nella descri- zione dei miceti nuovi rinvenuti, mi son deciso di presentare al pub- blico fin d’ora questa seconda centuria. FEssendomi mancata ogni opportunità di fare lunghe escursioni in Toscana, debbo avvertire che la maggior parte dei funghi dei quali è qui parola, appartiene al territorio di Vellano (Valdinievole) in pro- vincia di Lucca; onde solo per quelli raccolti in siti diversi cito le località. Descrivo sedici specie nuove appartenenti ai generi: Didymella, Microthyrium, Micropeltis, Macrophoma, Sphaeronema, Pyrenochaeta, Ceu- thospora, Sphaeropsis, Diplodiella, Diplodina, Rhynchophoma, Hendersonia, 1 Negli Atti dell'Istituto Botanico di Pavia, Vol. III, pag. 45, si trova pubbli. cata la mia prima contribuzione alla micologia toscana. Atti dell’Istiluto Bot. di Pavia — Nuova Serie — Vol. V. 1 0) Colletotrichum, Coryneum, Alternaria, Epicoccum; per un’altra specie do- vei istituire un genere nuovo (Erzosporina), non permettendomi i suoi caratteri di riferirla ad alcuno dei già noti. Infine, altre forme ho ri- tenuto doversi tener distinte, come varietà, dalle specie tipiche cui si riferiscono. Accompagna questo scritto una tavola, nella quale sono figurati i principali caratteri diagnostici delle più importanti forme descritte. In appendice riporto qualche specie già citata dai signori Ber- lese e Peglion! per la micologia toscana, e raccolta in località dif- ferente. Gli esemplari che hanno servito a questa seconda contribuzione, coi relativi preparati microscopici, si conservano nelle collezioni di questo Istituto Botanico. USTILAGINEAE Tul. 1. Ustilago Vaillantii Tul. Mém. sur les Ustilagin. in Ann. Sc. Nat., Sér. III, t. 7, pag. 90, tav. 3, fig. 15-19; De Toniin Sace. SyU., VII, parte IL pag. 465. Nell’ovario di Muscari comosum. Aprile. UREDINEAE Brongn. 2. Uromyces Pisi (Pers.) De Bary in Ann. Sc. Nat., Sér. IV, t. 20; Winter Die Pilze, I, pag. 163; Aecidium Euphorbiae Pers. in Ra- ben. Fungi europaei, n. 1974; Uredo appendiculata %. Pisi Pers. Sun. Fung., pag. 222; De Toni in Sace. SyU., VII, parte II, pag. 542. Forma ecidiosporica. Sopra foglie di Euphorbia Cyparrissias. Aprile. 3. Uromyces Lupini Sacc. in Nuov. Gior. Bot. Ital., 1873, pag. 274; De Toni in Sacc. Sy2., VII, parte II, pag. 554. Sopra foglie di Lupinus albus. Luglio. 4. Melampsora aecidioides (DC.) Schroet. Pilee Schles., pag. 362; Uredo accidioides DC. FI. Franc., II, pag. 236; De Toni in Sace. Syll., VII, parte II, pag. 590. Sopra foglie di Populus alba. Settembre. 1 Nuovo Gior. Bott. Ital., Vol. XXIV, fase. 3, pag. 97. 9 — dè — Sono stato sulle prime alquanto in dubbio, se proprio trattavasi della M. aecidioides 0 piuttosto della M. Tremulae Tul. o della M. po- pulina (Jacqu.) Lév., tanto più che, mentre queste ultime sono fre- quentissime in Italia, la prima, per quanto so, non venne per anco re- gistrata nella nostra Flora micologica. Dopo uno studio più aceurato, ho dovuto convincermi che i caratteri del mio esemplare coincidevano del tutto con quelli della M. aecidioides; e fra gli altri citerò quello dei sori epifilli (mentre sono ipofilli nella M. Tremulae) e l’altro delle lunghe pa- rafisi (più di quanto lo siano nella M. populina). Del resto il mio esem- plare presenta assoluta identità con quello dato dal Thiimen al n. 188 del suo Herb. myc. oecon., ove si trova indicato col sinonimo di Uredo aecidioides. 5. Puccinia graminis Pers. Disp. Fung., pag. 39, tav. 3, fig. 3; De Toni in Sace. SyM., parte II, pag. 622. Sopra foglie di Tyiticum vulgare. Agosto. 6. Aecidium Aquilegiae Pers. /con. pict., IV, pag. 58, tav. 23, fig. 4; De Toni in Sace. Syll., VII, parte II, pag. 776. Sopra foglie di Aquilegia vulgaris. Aprile. HYMENOMYCETEAE Fr. Agaricineae Fr. 7. Pleurotus striatulus Fr. Syst. Mye., I, pag. 193; Sace. Sy2., V, pag. 382. Sopra tronco putrido di Castanea vesca. Settembre. 8. Panus stipticus (Bull.) Fr. Epicr., pag. 339; Agaricus stipticus Ball., tav. 140, 557, fig. 1; Sace. SylIl., V, pag. 622. Sopra tronco di Corylus Avellana. Aprile. GASTEROMYCETEAE Willd. Lycoperdaceae De Toni. 9. Lycoperdon caelatum Bull. Champ., pag. 130, tav. 430; De Toni in Sace. Syli., VII, parte I, pag. 115. Agosto. DISCOMYCETEAE Fr. Pezizeae Fr. 10. Mollisia cinerea (Batsch) Karst. M. F., I, pag. 189; Peziza cine- rea Batsch Cont., I, pag. 196, fig. 137; Sacc. Sy2., VIII, pag. 336. Sopra schegge di Populus. Aprile. Phacidieae Fr. 11. Pseudopeziza Medicaginis (Lib.) Sacc. Fung. Ard., n. 90; Phaci- dium Lib. Exs. n: 176; Phacidium Lasch in Klote. Herb. Mye., n. 1729; Sace. SyU., VIII, pag. 724. Sopra foglie vive di Medicago sativa. Agosto. Nella SyZoge è data per gli aschi una lunghezza di 75-80 w; nel mio esemplare ho trovato solo 60 v; però anche gli aschi dell’esem- plare dell’ Erbario micologico di Klotsch sopra citato raggiungono appena i 60 u. Patellarieae Fr. 12. Durella commutata Fuck. Symb., pag. 281, tav. 4, fis. 23; Rab. Herb. myc., n. 509; Sacc. Syl., VIII, pag. 790. Sopra legno decorticato di Castanea vesca. Aprile. Ho osservato molte spore continue, altre distintamente 1-settate. Calicieae Fr. 13. Calicium pusillum Flork. Kòrd. Syst, pag. 308; Sacc. M. V., n. 1502; Fung. ital., fig. 1294; SyW., VIII, pag. 835. Sopra legno putrido di Castanea vesca. Aprile. PYRENOMYCETEAE Fr. em. De Not. Perisporiaceae Fr. 14. Antennaria elaeophila Mont. Sy2. Crypt., n. 1067, e Bull. Soc. cent. d’Agricult., Paris, 2.° sér., IV, pag. 767; Sacc. SyU., I, pag. 81. Sopra rametti e foglie di O/ea europaea. Aprile. 15. 16. Lira 18. LOS 20. Sphaeriaceae Fr. Eutypa scabrosa (Bull.) Fuck. Symb, mycol., pag. 213; Hypoxylon scabrosum Bull. Champ. 180, tav. 468, fig. 5; Sace. SyU., I, pag. 171. Sopra fusto corticato di Cornus sanguinea. Agosto. È forma corticola ed a pustole separate. Cryptovalsa ampelina (Nits.) Fuck. Symbd. mycol., pag. 212; Thiim. Herb. mycol. oec, n. 577; Valsa ampelina (Fuck.) Nits. Pyr. germ., pag. 156; Sacc. SyU., I, pag. 187. Sopra sarmenti di Vitis vinifera. Aprile. Diatrype Caricae De Not. Sf. ital., pag. 28, tav. 28; Sace. SyZ., I, pag. 198. Sopra tronco di Ficus Carica. Agosto. Rosellinia ambigua Sacc. F. Ven., Ser. II, pag. 328; SyZ., I, pag. 271. Sopra legno putrido decorticato, probabilmente di Castanea vesca. Aprile. Le setole del mio esemplare sono un poco ottuse. Sphaerella Trifolii Karst. Myc. Fenn., II, pag. 174; Sace. Syll., I, pag. 514. var. Umbelliferarum (mihi) — Differt a specie epidermide haud fusco-nigro tincta, sporulis pluriguttulatis, nec non diversa matrice. Sopra caule di Foericulum vulgare. Aprile. Sphaerella Tassiana De Not. Sfer. ital., pag. 87, tav. 98; Sacc. Sylt., I, pag. 530. Sopra foglie morte di Triticum vulgare. Aprile. Nella figura 1 della tavola citata del De Notaris, gli ostioli ap- paiono un poco umbilicati, nei miei esemplari invece li ho trovati al- quanto prominenti; ciò credo debba essere in correlazione collo stadio piuttosto giovane, in cui raccolsi tale specie. 21. Didymella ailanthina nov. sp. — Perilhecùs crebre sparsis, in cor- tice insidentibus, ostiolo obtuso, *|,"" diam. ; ascis cylindraceis, breviter pedicellatis, deorsum leniter attenuatis, paraphysatis, 80-90 < 11 n; sporidiis distichiis, ad septum constrictis, 16-18 © 7-9 w, loculis bi- quttulatis, extremo altero longiore et aliquantulum angustiore. Been Il Sopra corteccia di Ailanthus glandulosa. Maggio. Vicino alla forma perfetta ho osservato la forma spermogonica, ri- feribile ad un Cylindrosporium a spore curve (45 v 3 v). 22. Diaporthe oncostoma (Dub.) Fuck. Symd. Myc., pag. 205; Sphae- ria oncostoma Duby in K/. Herb. mye., IL n. 253; Sace. SyU., I, pag. 612. Sopra rami di Robinia Pseudacacia. Aprile. ho DI 3. Leptosphaeria clivensis (B. et Br.) Sace. Sy2., II, pag. 16; Sphae- ria clivensis B. et Br. Not. Brit. Fungi., n. 643, tav. 11, fig. 29; Leptosphaeria praetermissa (Karst.) Sace. Sy2., II, pag. 26; Sphaeria praetermissa Karst. Myc. Fenn., II, pag. 89; Leptosphaeria Libanotis (Fuck.) Sace. Sy2., II, pag. 16; Pleospora Libanotis Fuck. Symb. Myc., App. II, pag. 24; Berl. Icon. Fung., I, pag. 63. var. Castaneae (mihi) — Ascis cylindraceis, 7-8 u latis et usque ad 155 w longîs; sporidiis ad septa non constrictis, obscure melleîs. Sopra corteccia di Castanea vesca. Maggio. Il mio esemplare, mentre in generale corrisponde ai caratteri prin- cipali delle tre Leptosphaeria succitate (clivensis, praetermissa, Libanotis) dal Berlese a ragione, parmi, riunite nella L. clivensis, in particolare presenta alcune caratteristiche rispettivamente proprie a ciascuna delle dette Leptosphaeria. Così, i suoi sporidii per non essere ristretti ai setti e per le dimensioni si avvicinano moltissimo a quelli della stessa L. clivensis citata dal Saccardo; per la forma, a quelli della stessa L. cli vensis e L. praetermissa; per la disposizione, a quelli della L. Lidbanotis e L. praetermissa; ecc. 24. Clypeosphaeria Notarisii Fuck. Symd. Myc, pag. 117; Sace. Sy2., II, pag. 90. Sopra sarmenti di udus sp. Aprile. Il Berlese ed il Peglion (Micromiceti toscanini in Nuov. Giorn. Bot. Ttal., 1892, vol. XXIV, pag. 127) annoverano la Clypeosphaeria Notaristi, forma lignicola, tra i funghi raccolti in Toscana dal Beccari. Non co- nosco i caratteri speciali di questa /orma, non essendo stati dati dagli autori; ad ogni modo ritengo dover tener distinto il mio esemplare, perchè questo in tutto esattamente corrisponde a quanto il Fuckel de- scrisse per la sua specie, ed ha caratteri non coincidenti con quelli che il Berlese dà per la C. Notarisii nell’Icones Fungorum (vol. I, pag. 27). Non consento poi col Berlese sull’opportunità di identificare (v. loc. cit., I, pag. 45) la Kalmusia dealbata Sacc. colla :C. Notarisiiù Fuck. Il modo di agrupparsi dei peritecî e la loro forma tengono, mi sembra, Mr i due generi ben distinti; infatti, come è noto, nella C. Notaristi i pe- ritecî, depressi radialmente, trovansi isolati al di sotto di uno stroma clipeiforme, mentre nella Kalmusia dealbata sono raggruppati sotto uno stroma in numero discreto ed allungati nel senso del raggio (rispetto all'organo su cui sono sviluppati). Le figure 10 e 11 della mia tavola rappresentano sezioni di peritecî dell’una e dell’altra specie (della K. dealbata la fig. 10, della C. Notaristi la fig. 11), che ho disegnato to- gliendole dai miei preparati. 25. Kalmusia dealbata Sace. Fungi Ven., Ser. V, pag. 179; Sy0t., II, pag. 143. Sopra legno secco di Castanea vesca. Aprile. 26. Enchnosphaeria Caput-Medusae Sacc. et Sp. in Sace. MicA., I, pag. 405; Berlese con. Fung., I, pag. 113 (col nome di La- siosphaeria Caput-Medusae), tav. CXII, fig. 2; Sace. Sy, II pag. 206. Sopra rami di Erica scoparia. Agosto. 27. Teichospora Vitalbae (De Not.) Sace. Fungi Ven., Ser. V, pag. 177; Sphaeria Vitalbae De Not. Schema Sfer., pag. 221; Sace. Syll., II, pag. 295. Sopra sarmenti putrescenti di C/lematis. Agosto. Microthyriaceae Sacc. 28. Mierothyrium Michelianum nov. sp. — Peritheciîs dimidiatis, spar- sis, hemisphaericis, superficialibus, rotundatis, centro pertusis, circ. 200 p. diam.; ascis obclavatis, apice rotundato-obtusis, basi attenuatis, apara- physatis, 8-sporis, circ. 60 < 13-15 v.; sporidiis obscure monostichiis, oblongis, plurinucleatis, ad septum constrictis, loculo inferiore paullum longiore, 13 < 5-6 v. Sopra rami corticati di Castanea vesca. Aprile. Come si vede dalla fig. 16, i peritecî, perfettamente dimidiati (fig. 17), hanno una struttura parenchimatica non raggiata, a differenza di quanto avviene per moltissimi Microthyrium, anzi per la maggior parte delle M:crothyriaceae. Gli sporidî bicellulari, colla loggia - supe- riore più corta e più larga (fig. 19), sono monostichi nella parte supe- riore dell’asco, quasi distichi nella parte inferiore (fig. 18). Dedico questa specie alla memoria: dell’illustre Micheli, onore e vanto della micologia italiana. 29 Micropeltis Oleae nov. sp. — Peritheciis sparsis, dimidinto-scutatis, modice convexis, atris, 1[,"" latis; ascis octosporis, cylindraceo-clavatis, rectis vel, raro, leniter curvulis, 45-55 » 12 p; sporidiis fusoideis, obscure in spirae modum conglobatis, falcatis, pluriseptatis, ad septa non constrictis, pluriguttulatis, 27-29 v 4-5 ». Sopra rami corticati di Olea enropaca. Settembre. Tutti gli altri Micropeltis si distaccano assai da questa specie, e in particolare il M. aequivoca Pass. e il M. Oleandri Br. et Har., i soli ramicoli fin qui riscontrati. Le fig. 20, 21 e 22 rappresentano rispet- tivamente un asco coi suoi sporidî disposti quasi a spirale, due spo- ridî e una sezione di peritecio. SPHAEROPSIDEAE Leév. reform. Sphaerioideae Sacc. 30. Phyllostieta Asclepiadearum West. Bu. Brux., 1851, pag. 398; Sacc. SyU., III, pag. 52. Sopra foglie di Cynanchum. Settembre. 31. Phyllosticta tremniacensis C. Mass. Coutr. Mye. Ver., pag. 83, tav. II, fig. 9; Sace. Sy2, X, pag. 130. Sopra foglie di Digitalis lutea. Ottobre. 32. Phoma Ruborum West. Exs., n. 1234; Sacc. Sy, III pag. 76. var. avellanense (mihi) — Sporulis quam in specie obtusioribus et brevioribus, 4-5 © 2 1. Sopra sarmenti di Rubdus sp. Ottobre. Mentre nella diagnosi riportata dal Saccardo è detto sporulis obtu- sis, dal confronto dell’esemplare del Westendorp (loc. cit.) le sporule appaiono in generale un po’ acute e lunghe 7-8 . Nella stessa dia- gnosi non sono indicate le dimensioni. 33. Phoma Ailanthi Sacc. S722., III, pag. 95. Sopra picciuoli di Ailanthus glandulosa. Maggio. 34. Phoma linearis Sace. Mich., II, pag. 340; SyU., III, pag. 124. Sopra caule di Phaseolus vulgaris. Settembre. 35. Phoma phyllostietea Sace. et Penz. MicA., II, pag. 618; Sace. Sy0., III, pag. 130. ong Sopra caule di Lilium candidum. Agosto. E una forma a sporule un poco più grandi (4-5 « 2 p) delle tipiche. 36. Phoma punctata Speg. Rev. mye., II, pag. 161; Sace. Sy. III, pag. 135. Sopra caule putrescente di Cucurdita marima. Aprile. Serra (prov. di Firenze). 37. Phoma Asphodeli Sace. Mick, I, pag. 521; Sy0., III, pag. 161. Sopra foglie di Muscari comosum. Agosto. È una forma a sporule un poco più lunghe (spesso 9 p) delle ti- piche, quasi cilindriche, talora leggermente curve. L’ ho identificata colla specie del Saccardo, particolarmente per avere uno stroma nero longi- tudinale. 38. Phoma Karstenii Berl. et Vogl. Add. Sy2., n. 4307; Sace. SyU., X, pag. 178. Sopra caule arido di Foeniculum vulgare. Settembre. Sporule 4-5 < 1 w, quindi un poco più grandi delle tipiche. 39. Macrophoma Clematidis nov. sp. — Perithecws gioboso-depressis, subsuperficialibus, 250 v. diam., major. ; sporulis ovato-oblongis, pla- smate granuloso faretis, hyalino-chlorinis, 20-50 « 5-7 uv; basidiis filiformibus, cir. 20 v longis. Sopra caule di C/ematis. Aprile. Pescia. 40. Macrophoma Oleae (D C.) Berl. et. Vogl. Add. Sy2., n. 667; Sphaeria Oleae DC. FI. Fr., VI, pag. 136; Sace. Sy2., III, pag. 112 (col nome di Phoma) e X, pag. 204. var. minor (mihi) — Sporulis 12-18 (raro 20) © 2-4 p. Sopra foglie secche di Olea europaea. Insieme alla specie tipica. Aprile. 41. Sphaeronema Brassicae nov. sp. — Peritheciis globosis vel globoso- depressis, sparsis, semiimmersis, contextu parenchimatico instructis, atris, 178-220 ». latis; rostro leniter curvato, obtuso, 75-110 « 67 v.; spo- rulis bacillaribus, cylindraceis, rectis vel leniter curvulis, 4-7 < 1 u.; basi- diis tenuibus, circ. 10 vu longis. Sopra caule putrescente di Brassica Rapa. Aprile. Affine allo Sph. Fuckelianum Sacc. Syli., III, pag. 189 (Dothiorae sphaerividis pycnidium Fuck. Symb., pag., 274); se ne discosta però per i peritecî non superficiali, non gregarî, non spur/s ma aventi una tes- situra parenchimatica, per il rostro più corto e ricurvo, per le sporule spessissimo diritte un poco più larghe e talora più lunghe. Ho dise- gnato nella fig. 4 un peritecio, e nella fig. 3 tre sporule. 42. Pyrenochaeta Robiniae nov. sp. — Perithecis epidermide tectis, sparsis, prominulis, obtuse conoiîdeis, atris, 180-260 . latis; setulis rigidulis, atris, septatis, circa ostiolum dispositis, 330 v. longis, 5 1 me- dio, 9 v basi latis; sporulis cylindraceis, rectis, interdum clavatis, prope medium leniter constrictis, granulosis, 11-17 © 3 p. Sopra corteccia di Robinia Pseudacacia. Maggio. Affine alla P. penicillata Fuck. (Symb., pag. 378) per la forma dei peritecî e per quella delle spore; se ne distacca però per avere i pe- ritecî talora più grandi, le sporule un poco più strette, le setole assai più lunghe e più brune — vedi per confronto l'esemplare n. 1941 dei Fungi rhenani di Fuckel —. La fig. 5 rappresenta tre sporule, e la fig. 6 un peritecio colle setole. 43. Vermicularia compacta C. et E. Greo., V, pag. 54; Sacc. SyU., III, pag. 222. Sopra legno putrido. Luglio. Sporule per buona parte 1-settate; quindi, anche per questa ecce- zione al genere, il mio esemplare corrisponde, come in tutti gli altri caratteri, alla V. compacta. 44. Fusicoccum castaneum Sace. Sy%., III, pag. 249; Cytispora casta- nea Sacc. Mich., I, pag. 519. var. avellanense (mihi) — Basidis vermicularibus, curvatis, septa- ts, cir. D0 > 2 p.- Sopra rami corticati di Castanea vesca. Aprile. 45. Ceuthospora Fraxini nov. sp. — Stromate obtuse conico, epidermide cincto, pluriloculari, pustulas longitudinales efformante; perithecis ni- gro-pallidis, oblongis; sporulis bacilluribus, plasmate farctis, rectis, in- terdum curvulis, 6-7 < 2 p.; basidus filiformibus, cire. 13 © 1 v. Su rami corticati di Frarinus Ornus. Agosto. 46. Sphaeropsis Castaneae nov. sp — Perithecis dense gregariis, globosis vel depressis, cortice tectis, prominulis, atris, ![,"" diam.; sporulis el- lipsoideo-oblongis, rarissime fabaeformibus, interdum medio lenîter con- strictis, apicibus rotundatis, 1-nucleatis, fuligineis, 22-27 < 9-12; basidiis hyalinis, sporulam subaequantibus. — lil Sopra ramo di Castanea vesca. Agosto. Miste alla grande maggioranza delle sporule tipiche del genere, ne rinvenni alcune rarissime 1-settate. 47. Coniothyrium olivaceum Bon. in Fuck. Symb., pag. 377; Sacc. Sylt., INI, pag. 305. Sopra vecchio tronco di Robinia Pseudacacia. Maggio. 48. Coniothyrium olivacenm Bon. (loc. cit.). var. Carpini Betuli Sacc. SyU., III, pag. 306. Sopra foglie di Carpinus. Agosto. Pistoja. Sporule diluto-fuliginee. 49. Coniothyrium pallido-fuscum Sacc. Mic4., II, pag. 105; Sy2., III, pag. 314. Sopra foglie di Clematis sp. Aprile. Pescia. 50. Coniothyrium innatum Karst. Symb., XVII, pag. 162; Sace. Sytl., X, pag. 269. Sopra legno putrido di Castanea vesca. Settembre. 51. Diplodia perpusilla Desm. in Ann. Se. Nat., Sér. III, t. 6, 1846, pag. 68; Sace. Sy2., III, pag. 365. Sopra caule putrido di una Monocotiledone. Settembre. 52. Diplodia centrophila Pass. Diagn. F. N., IV, n. 55; Sace. SyU., X, pag. 277. Sopra aculei di Rosa sp. colt. Settembre. Sporule diluto-castanee e di 1 v circa più lunghe delle tipiche. 53. Diplodiella Caricae nov. sp. — Perithectis sparsis vel gregardis, super- ficialibus, globoso-depressis, atris, 90-160 1. latis; sporulis ellipsoidets, medio-septatis et ad septum leniter constrictis, apicibus rotundatis, di- lute fuligineis, cire. 11 v 7 v. Sopra tronco di Ficeus Carica. Agosto. 54. Botryodiplodia Fraxini (Fr.) Sace. Sy, III, pag. 378; Diplodia Frarini Fr. Sum. Veg. Se., pag. 417. Sopra tronco vecchio di Castinea vesca. Agosto. L'identità dei caratteri del mio esemplare col tipo (v. anche n. 510 della Myc. Ven. del Saccardo, nella quale la specie in questione è sotto ROS il nome di Diplodia Frarini Fr.) non permette di distinguere una va- rietà pel Castagno. 55. Ascochyta Hellebori Sacc. F. Ven., Ser. II, n. 28, pag. 310; Sylt., III, pag. 396. Sopra foglie di HeZleborus. Ottobre. Forma a sporule un poco più grandi, in generale, delle tipiche. (Oni Db Diplodina Malvae nov. sp. — Perithecws sparsis, tectis, globosis vel globoso-depressis. ostiolo papillato praeditis, dilute brunneis, 90-145 v. latis; sporulis oblongis, guttulatis, primum ellipsoideis, continuis, dein cylindraceis, apice obtusis, 1-septatis, ad septum leniter constrictis, 6-10 © 3-4 v.; basidiis filiformibus. Sopra caule di Malva moschata. Settembre. 57. Rhynchophoma Alni nov. sp. — Perithecis globosis vel depressis, caespitosis, cortice immersis, dein erumpentibus, atris, '/9-°/,"" diam. ; rostro plus minusve curvo, peritheciù diam. subaequante; sporulis ma- gnis, numerosis, hyalinis, plerisque distinete 1-septatis, plasmate farctis, fusoideo-falcatis, utrinque obtusis, 38-42 11 p; basidiis obsoletis. Sopra fusto corticato di A/nus glutinosa. Agosto. Questa specie si distacca moltissimo dai tre RAynchophoma, soli rappresentanti del genere fin qui conosciuti, per aver i peritecî gregari e le sporule relativamente molto grandi. Ho disegnato nella fig. 14 un gruppetto di peritecî, dei quali i due laterali sono tagliati longitudi- nalmente, e il mediano tangenzialmente alla sua parete; la fig. 15 rap- presenta una sporula isolata. 58. Hendersonia etrusca nov. sp. — Persthecks innatis, globosis vel depressis, atris, cire. */,"" latis; sporulis cylindracco-fusoideis, utrinque obtusis, plerisque rectis, raris leniter curvulis, 7-11-septatis, ad septa non vel vix constrictis, melleis, 40-47 © 6-7 {. Sopra caule putrido di una Monocotiledone. Settembre. Affine all’H. pulchella Sace. Mich., I, pag. 112, var. Xylostei Sace. Sylt., III, pag. 431, ed all’H. hedericola Fautrey (v. Sy2., X, pag. 319); differisce però dalla prima per avere i peritecî non prominuli, le spore più larghe, di color melleo; dalla seconda pure, per avere i peritecî non superficiali, e per le spore in generale un poco più larghe e non ri- strette ai setti o almeno pochissimo. 59. Hendersonia sarmentorum West. Bu. de Brux., XVIII, n. 60, fig. 2. 19 PO ii var. Ailanthi Sace. Sy2., III, pag. 420. Sopra picciuoli di Aanthus glandulosa. Maggio. 60. Hendersonia fusarioides Sace. Mieh., I, pag. 213; Mye Ven. n. 998; Sy4., III, pag. 426. Sopra vecchio tronco di Robinia Pseudacacia. Maggio. Eriosporina nov. gen. Perithecia carbonacea, pertusa, atra; sporulae cylindraceae, olivaceae, pluriseptatae, in fasciculum conjunetae, stipite communi, brevi, crasso praeditae. 61. Eriosporina Tritici nov. sp. — Perithecîis sparsis vel gregartis, erumpentibus, carbonaceis, atris, longitudinaliter elongatis, sectione transversali rotundis vel rotundo-depressis, poro pertusis, circ. 100 v. latis; sporulis cylindraceis, sursum altenuatis, obtusiuscuis, pllerisque 5-6-septatis, ad septa constrictis, dilute fuligineis, in singulis fasciculis saepissime octonis vel denis, 20-28 < 3 w; stipite communi brevi, globoso vel leniter anguloso, 5 pv. diam. Sopra culmi secchi di Triticum vulgare. Estate. I peritecî, visti dal di sopra, appaiono allungati longitudinalmente; in sezione trasversale si mostrano quasi rotondi (fig. 13) o legger- mente depressi; sono ostiolati. Le sporule (fig. 12) riunite in fascicoli, in numero per lo più di otto o di dieci, sono dilutamente fuliginee, 5-6-settate, ristrette ai setti, tanto da sembrare talora torulose, e un poco attenuate all'apice ottusetto. Il pedicello cui si attaccano ora sembra globoso, ora poliedrico. Sebbene i peritecî non abbiano evidentissimo il contesto paren- chimatico, tuttavia il peridio è sempre completo, onde senza dubbio trattasi di una Sferossidea. Tra le Sferossidee fragmospore trovasi il gen. Prosthemium Kunze (v. Myk. Heft., pag. 17 e Sace. Syll., III, pa- gina 444), che ha in comune colla mia forma il fatto di più sporule riunite tra loro alla base; ma questa se ne distacca assai tanto per le sporule raccolte in istretto fascicolo anzichè disposte in istella, quanto per esser sempre presente in essa un basidio non filiforme ma assai grosso. Si confrontino del resto le mie figure con quelle date: dal Kunze pel P. detulinum in Myk. Heft., I, tav. I, fig. 10; dal Riess pel P. stellare in Bot. Zeit., 1883, tav. III, fig. 28-31. Tra le Sferossi- dee scolecospore, nel gen. Eriospora B. et Br. (v. Sacc. Sy0., III, pag. 600), sono pure sporule simili a quelle della mia forma per il loro modo d’unione in fascicoli e per il basidio breve grossetto, ma ne differiscono per essere filiformi, continue, jaline, ben presto staccantesi le une dalle altre; inoltre, carattere delle Eriospora è la presenza di uno stroma —. dd pluriloculato, mentre nella mia forma i peritecî sono isolati (fig. 13). Il cenere Gamospora Sace. (v. Syll., X, pag. 402) ha sporule riunite sull’apice di un comune sterigma; ma si distingue fortemente dalla mia Eriosporina, per i peritecî rivestiti di setole nere divergenti, per le sporule jaline riunite a tre a tre e per la presenza di basidî bacillari, che sopportano gli sterigmi pure disposti a tre a tre. Parmi quindi trattarsi nel mio caso di un genere non ancora stato descritto, e che propongo denominare Er/osporina, per la forma delle sporule ricordante quella delle Eriospora. 62. Septoria Syringae Sacc. et Sp. in Sace. Mich., I, pag. 176; Sace. Syll., III, pag. 495. Sopra foglie di Syringa vulgaris. Settembre. 63. Septoria maculosa Lév. in Roum. F. Gall., n. 416; Sace. SyU., IL pag. 513. Sopra foglie di Cynanchum. Settembre. 64. Septoria aegopodina Sacc. Mich., I, pag. 185; SyU., III, pag. 529. Sopra foglie vive di Aegopodium Podagraria. Settembre. Peritecî un poco più grandi (90 v diam.) dei tipici. 65. Septoria digitalis Pass. Y. Parm, Sept., n. 94; Sacc. Sy0., III pag. 534. Sopra foglie di Digitalis lutea. Novembre. 66. Septoria Antirrhini Desm. XXI Not. PI. Crypt., pag. 3; Sace. Syli. III pag. 535. Sopra foglie di Antirhinum majus. Settembre. 67. Septoria Ebuli Desm. et Rob. 7 Not., 1850, pag. 22; Sace. Sy, III, pag. 543. Sopra foglie di Sambucus Ebulum. Luglio. 68. Septoria Cannabis (Lasch) Sace. Sy2., III, pag. 557; Ascockyta Cannabis Lasch in K/. H. M., 1846, n. 1059, Sopra foglie vive di Cannabis sativa. Agosto. 69. Rabdospora Thiimeniana (Pass.) Sace. Sy, III, pag. 587; Septo- ria Thimeniana Pass. Fungh. Parm. Sept., n. 108. Sopra caule di Lilium candidum. Agosto. E una forma a sporule generalmente più larghe e più corte (20- 30 v 2-3 v). = i = 70. Rabdospora Tunicae Sacc. Mich., pag. 193 (Septoria); Syll., III pag. 587. Sopra caule di Malva moschata. Settembre. 71. Rabdospora nigrella Sacc. var. Antirrhini Sacc. Mich., II, pag. 103; Sy2., III, pag. 588. Sopra caule di Antirrhinum majus. Maggio. Sporule un poco piu grosse di quelle della varietà del Saccardo; peritecî più piccoli; areole allungate grigio-cineree. 72. Rabdospora pleosporoides Sacc. Mick., I, pag. 128 (Septoria). var. Bosciana Sacc. Sy2., III, pag. 588. Sopra caule di un’ Ombrellifera (probabilmente di ClhaerophyMum temulum). Maggio. 73. Cytosporina Staphyleae Cooke in Greo., XVI, pag. 48; Sacc. Syll., X, pag. 403. var. Tritici (mihi) — Stromatibus elongatis; sporulis in cirros tor- tuosos ejectis, interdum quam in specie longioribus, usque ad 31 v longis. Sopra culmi di T'riticum vulgare. Novembre. Leptostromaceae Sace. 74. Leptothyrium Castaneace (Spr.) Sace. Mick., II, pag. 631; Syll. III, pag. 628. Sopra tronco decorticato di Castanea vesca. Aprile. È forma a peritecì subgiobosi. 75. Leptothyrium clypeosphaerioides Sace. Mich., II, pag. 114; $y2., III, pag. 631. var Vitis (mihi) — Perithecis non gregariis, seriatis; sporulis 4-5 Alp: Sopra sarmenti di Vitis vinifera. Luglio. 76. Leptothyrium Passerinii Thiim. Weinst., pag. 152; Sace. Sy2., III, pag. 631. Sopra sarmenti semiputridi di Vitis vinifera. Agosto. Difficilissima l'osservazione delle sporule, attesa la loro ' estrema piccolezza e scarsezza; gli altri caratteri però sono così tipici da ren- dere impossibile la confusione di questa specie con altre di Leptothyrium. Th 78. 80. 81. 82. 83. 84. SA Discosia Artocreas (Tode) Fr. Sum. Veg. Sc., pag. 423; Sphaeria Artocreas Tode Meckl., II, pag. 77; Sacc. SyU., III, pag. 653. Sopra foglie di Oynanchum. Settembre. Entomosporium maculatum Lévy. in Moug. St. Vog., n. 1458; Sace. SyU., III, pag. 657. Sopra foglie di Mespius germanica. Settembre. Excipulaceae Sacc. 79. Dinemasporium decipiens (De Not.) Sace. Mic4., Il, pag. 282; Exrcipula decipiens De Not. Att. Accad. Tor., Ser. II, 10, pag. 170; Sacc. Sy0., III, pag. 685. Su tronchi vecchi di Castanea vesca e di Ailanthus glandulosa. Agosto. MELANCONIEAE Berk. Gloeosporium intermedium Sacc. F. it, tav. 1043; Mich., IL pag. 118; Sy, III, pag. 702. var. hedericolum (mihi) — Conidàs plurinueleatis, 15 © 5 v; bast- diis 14 © 2-3 p. Sopra foglie di Hedera Helix. Settembre. Gloeosporium tortuosum (Thiim. et Pass.) Sace. Mich., II, pag. 117; Fusarium tortuosum Thiim. et Pass. Pile. Weinst., pag. 51; Sacc. Syll., III, pag, 716. Sopra sarmenti di Vitis vinifera. Luglio. Gloeosporium Mollerianum Thiim. Cont. Myc. Lusit., n. 234; Sace. Syt., III, pag. 71€. Sopra caule e rami di Phytolacca decandra. Aprile. Colletotrichum Ailanthi nov. sp. — Acervulis crebre sparsis, pla- mis, atris; setulis acutiusculis, septatis, apice pallidis, 90-135 (interdum longioribus) © 5-9 vu; conidiis falcatis, plasmate granuloso Jaretis, 22 x 4-5 uv; basidus cylindraceo-clavatis, 13-15 © 3 v. Sopra picciuoli di Azlanthus glandulosa. Maggio. Cryptosporium Neesii Corda in Sturm. Kr. F/., III, pag. 109, tav. 51; Sacc., SyU., III, pag. 740. Sopra fusto corticato di Alnus glutinosa. Agosto. 7 = 85. Cryptosporium nigrum Bon. Adlandl. Geb. d. Mykol., II, pag. 130; Mass. Contr. Mic. Ver., pag. 104; Sacc. Syl2., X, pag. 506. Sopra foglie di Juylans regia. Settembre. 86. Coryneum Salicis nov. sp. — Acervulis atris, erumpentibus; coni diis piriformibus vel fusoideis plerumque 2-septatis et tune tantum loculo infimo pallidiore, interdum 3-septatis et tunc loculis extimis am- bobus pallidioribus, 11-16 » 6-7 v; basidiis filiformibus, hyatinis, circ. 25 < 1 vu. Sopra rami di Salix alba. Maggio. Conidî distintamente dimorfi; moltissimi sono bisettati, altri, in numero assai più piccolo, hanno tre setti (fig. 7). Si discosta dai C. salicinum (Corda) Sacc., C. maculicolum Fuck. e C. microstietum B. et Br. sì per il dimorfismo dei conidî, come per altri caratteri: in tutti e tre i conidî sono trisettati, e nel C. salicinum (v. Sace. Syll., III, pag. 777) più corti che nella mia specie; nel C. maculicolum (id.) lun- gamente pedicellati e senza distinzione di loculi pallidi; nel (. miero- stietum (id. pag. 775) hanno il solo loculo inferiore pallido, mentre nei conidî trisettati della mia specie, ambedue i loculi estremi sono subjalini. HYPHOMYCETEAE Martius p. m. p. Mucedineae Link em. 87. Oidium leucoconium Desm. Ann. Sc. Nat., 1829, Sér. I, XIII, pag. 102, tav. 6, fig. 1, 2; Sace. Sy, IV, pag. 41. Sopra rametti e bocci fiorali di Rosa sp. colt. Aprile. 88. Trichoderma lignorum (Tode) Harz Einig. Hypl., pag. 29, tav. 4, fig. 6; Pyrenium lignorum x vulgare Tode Mekl., I, pag. 33, tav. 3, fig. 29; Sace. Syll., IV, pag. 59. Sopra legno putrido probabilmente di Castanea vesca. Maggio. 89. Botrytis vulgaris Fr. Syst. Myc., III, pag. 398; Sace. /. ital, tav. 693; Sy, IV, pag, 128. Sopra selerozî in culmi di Zea Mays. Aprile. Per quanto il mio esemplare sia cresciuto sopra selerozî, per la ra- mificazione assai evoluta delle sue ife, per il conglomeramento dei conidî sui rametti spetta senza dubbio alla B. vw/garis, anzichè alla B. cinerea var. selerotiophila (KI.) Sace. Atti dell’ Istituto Bot. di Pavia — Nuova Serie — Vol. V. 2 91 — 18 — . Acrostalagmus cinnabarinus Corda Ze. /wnyg., II, pag. 15, fig. 66; Sacc. Sy2., IV, pag. 163. E Sopra tronco putrescente di Mcus Carica. Ottobre. Dematieae Fr. Coniosporium aterrimum (Corda) Sace. Mich., II, pag. 293; Gym- nosporium aterrimum Corda Ie. fung., II, pag. 1, tav. VITLDNSA c:A82E Sace. SyU., IV, pag. 240. Sopra legno semiputrido di. Castanea vesca, ove consparge di fi- ° nissima polvere nera serie lineari corrispondenti ai vani messi allo scoperto dei vasi legnosi. Luglio. Conidî da 7 a 9 v di diam., quindi talora un poco più grandi dei tipici. — Questo Coniosporimm è ben distinto dal C. Fuckelid Sace. var. Castaneae Togn. (v. Cont. Mic. Tose., pag. 16) per i conidî più pallidi e più piccoli. 92. 94. 95. 96. Bispora pusilla Sace. Mich., I, pag. 78; YI. ital., tav. 21; Syll., IV, pag. 343. Sopra scheggia di Populus. Aprile. 3. Heterosporium variabile Cooke Greo., V, pag. 123; Sace. Sy2., IV, pag. 480. Sopra siliqua secca di Brassica Rapa. Agosto. Coniothecium effusum Corda Ze. /ung., pag. 2, tav. 1, fig. 21; Sace. Syl., IV, pag. 508. Sopra legno decorticato di Castanea vesca. Aprile. Sirodesmium antiquum Sacc. Mick., II, pag. 362; F. ital., tav. 917; Sy0., IV, pag. 517. Sopra legno semiputrido di Castanea vesca. Aprile. Alternaria sirodesmioides nov. sp. — Caespitulis castaneo-nigris, ro- tundatis vel oblongis, velutinis; fasciculis ex hyphis densis, longis et valde ramosis, pluriseptatis, fuligineis, rugulosis, prope conidia ecrassioribus et creberrime septatis constantibus; conidiis polimorphis, iwrregulariter glo- bosis vel ovatis, dense clathrato-septatis, atris, asperulis, plerumque in catenulas digestis, isthmis interpositis saepissime nullis, 30-45 < 23-32 |. Sopra fusto di. Ardutus Unedo. Aprile. Sono stato alquanto incerto sul genere a cui dovevo riferire que- sta specie. Mentre per le sue lunghe ife (fig. 1), mi pareva doversi =. 19, = includere nel genere A/ternaria, per il modo con cui i conidîì sono ca- tenulati (fig. 2), cioè senza coda e con istmi brevissimi e per lo più nulli, sarebbe stata da catalogarsi fra i Sirodesmium (che, come è noto, hanno ife brevissime). D'altra parte, non sembrandomi che i caratteri dif- ferenziali riscontrati fossero sufficienti per costituire un genere nuovo, ho finito col porre la specie nel genere A/terraria, dando maggiore impor- tanza allo sviluppo delle ife, sempre costante ed accentuato, che al modo di concatenazione dei conidî, carattere meno generale. Il nome specifico sirodesmioides serve appunto per far ricordare il modo d’unirsi dei conidi. Tubercularieae Ehrenh. em. 97. Fusarium Brassicae Thiim. in Medwigia, 1880, pag. 191; Sace. Syll., IV, pag. 701. Sopra caule putrido di Brassica oleracea. Aprile. Conidî generalmente a tre setti; per questo carattere il mio esem- plare si avvicina all’altro Fusarium Brassicae (Lib.) Cooke, i cui conidî possono avere da 3 a 7 setti. 98. Epicoccum Magnoliae nov. sp. — Sporodochiis punetiformibus, ipo- phyllis, sparsis vel confluentibus, aterrimis; stromate depresso, emi- sphaerico, fusco; basidiis fuscis, brevibus; conidiis lentiformibus, brun- neîs, omnino levibus, 8-11 v diam., 4,5-6 v crassis. Sopra foglie putrescenti di Magnolia grandiflora. Settembre. Si distingue dall’£. levisporum Pat. (Pat. et Lagerh. Champignons de l Equateur, in Bull. Soc. Myc. de France, t. IX, 1893, pag. 164), perchè questo ha conidî più grandi e quasi globosi, mentre nella mia specie i conidî (come appare dalla fig. 9) sono marcatamente lentico- lari, con una specie di cercine acuto attorno al circolo maggiore (fig. 9 6). Analogamente si distingue, per la forma e dimensione dei conidî, dai pochi Eprcoccum a conidî lisci, come: E. maculatum Cooke, E. /eve Corda, ecc. Nella fig. 8 è disegnato uno sporodochio. 99. Epicoccum vulgare Corda 7e. /ung., I, pag. 5, fig. 90 ex p.; Sace. SyU., IV, pag. 737. Sopra culmi di Zea Mays e rami di Castanea vesca. Aprile e maggio. 100. Epicoceum neglectum Desm. Ann. Se. Nat., Sér. II, t. 17, pag. 95; Sacc. SyU., IV, pag. 737. Sopra foglie languide di Zea Mays. Agosto. APPENDICE Le seguenti specie da me raccolte a Vellano, furono già riscon- trate in altre località della Toscana dai sigg. A. N. Berlese e V. Peglion. IL [{o) 10. Heterosphaeria Patella (Tode) Grev.; Berl. e Pegl. Mier. tose., in Nuovo Gior. Bot. It., 1892, pag. 156. Sopra caule secco di Foeniculum vulgare. Aprile. . EFutypa ludibunda Sacc.; Berl. e Pegl. op. cit., pag. 106. Sopra ramo di Castanea vesca. Agosto. . Leptosphaeria Rusci (Wall). Sacc.; Berl. e Pegl. op. cit., pag. 127. Sopra cladodî di Ruscus aculeatus. Agosto. . Hysterium pulicare Pers.; Berl. e Pegl. op. cit., pag. 152. opra corteccia di Castanea vesca. Aprile. . Hysterographium Fraxini (Pers.) De Not.; Berl. e Pegl. op. còt., pag. 153. Sopra tronco corticato di Frarinus. Aprile. 5. Phoma herbarum West.; Berl. e Pegl. op. cit., pag. 157. Sopra caule di Phytolacca decandra. Aprile. . Cytospora Salicis (Corda) Rabh.; Berl. e Pegl. op. cit., pag. 161. Sopra rami di Salix alba. Maggio. Cytospora ambiens Sacc.; Berl. e Pegl. op. cif., pag. 161. Sopra sarmenti di bus. Aprile. Diplodia Hederae Fuck.; Berl. e Pegl. op. cit, pag. 165. Sopra rami di HMedera Helix. Luglio. Tubereularia vulgaris Tode; Berl. e Pegl. op. cit, pag. 171. Sopra rametti di Pirus communis. Dicembre. Dal La'oratorio Crittozamico di Pavia, Dicembre, 1894. 0 N Sb SR Wu © 10. 20. ” ” » SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA ” » . Sphaeronema Brassicae (nov. sp.) . Pyrenochaeta Robiniae (nov. sp.) Coryneum Salicis (nov. sp.) » Kalmusia denlbata Sace. Sez. long. ”» » ” Micropeltis ” ”» n ). Microthyrium ca » » ” ” » Oleae n ” ” . Epicoccum Magnoliae (nov. sp.) (nov. sp.) . Alternaria sirodesmioides (nov. sp.) Un fascicolo di ife. Due conidî. Tre sporule. Un peritecio. Tre sporule. Un peritecio. Due conidî. Uno sporodochio ; co, conidio. Due conidî; «, conidio visto di fronte; d, visto di fianco. praticata attraverso uno stroma racchiu- dente tre periteci. . Clypeosphagria Notarisii Fuck. Sez. c. s. attraverso uno stroma e l’unico pe- ritecio ivi contenuto. . Eriosporina Tritici (nov. gen. et nov. sp.) Un fascicolo di otto sporule. Sez. di un peritecio. . Rhynchophoma Alni (nov. sp.) Sez. di un gruppo di peritecî, dei quali i due laterali mostrano la loro cavità, il me- diano è stato colpito dal rasoio solo tangenzialmente alla sua parete. Una sporula isolata. stanicolum (nov. sp.) Un peritecio visto dal di sopra. Sez. di un peritecio. Un asco. Uno sporidio. Un asco. Due sporidî. Un peritecio in sezione. (MPT TALITITOEZ, 1) SSA | dai diga so LU o ti % ® ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA (halioratorio Crittogamico prnliano.), DI UNA CIPERACEA NUOVA FLORA EUROPEA (Cyperus aristatus Rottb. var. Bockeleri Cav.). Nota del Dott. F. CAVARA CON UNA TAVOLA LITOGRAFICA, In una delle mie peregrinazioni nell’ Agro Pavese mi sono imbat- tuto, nel luglio scorso, in una forma minuscola di Cyperus, che pel suo portamento, e specialmente pei caratteri offerti dagli organi di frutti- ficazione, parvemi assai interessante. La osservai poco lungi da Pavia e precisamente lungo un tratto della riva sinistra del Ticino compreso tra le Frazioni Mezzana e Mom- bolone, sotto S. Pietro in Verzolo. Il terreno vi è boschivo e paludoso perchè visitato, nei tempi di pioggie prolungate, dalle acque del Ticino che si soffermano qua e là, più o meno a lungo, nei punti di maggiore depressione i quali, perciò, diventano sede della caratteristica vegeta- zione dei luoghi acquitrinosi. Vi raccolsi infatti varie specie di Carex (C. paludosa, C. vulgaris, ecc.), di Cyperus (C. flavescens, C. fuscus), il Scirpus setaceus, il Butomus umbellatus, il Polygonum amphibium, P. Per- sicaria, P. minus, il Nostoc muscorum, ecc. Il Cyperus che attirò la mia attenzione cresceva copiosissimo fra mezzo a varie Carex ed al Cyperus flavescens, formando con quest’ ul- timo un’ umile ma fitta vegetazione sulla riva a scarpa di una di duello depressioni stagnanti. Per la sterilità del terreno, essenzialmente sabbioso-siliceo, e per la limitata luce, vivendo in mezzo a vegetali più alti, le piantine di DDA questo Oyperus erano poco rigogliose, i culmi avean gracili, talora anzi gracilissimi, setacei e di dimensioni assai ridotte, fino a non sorpassare, alcuni, due centimetri in altezza, mentre quelli di maggiore sviluppo vegetativo raggiungevano appena i dieci centimetri. Potei facilmente raccogliere un buon numero di esemplari di tale umile piantina che portata in Laboratorio e confrontata colle specie italiane del genere Cyperus, non trovò riscontro in alcuna di queste. Colle belle monografie del Bòckeler * e del Pax,° colle opere di zottboll, © di Kunth,* ecc., riuscii a determinarla riferendola al Cype- rus aristatus Rottb., specie fino ad ora non riscontrata in Furopa. Una conferma potei averla di li a poco, nei confronti accurati che mi fu dato istituire con esemplari che di questa specie gentilmente mi inviarono dagli Orti Botanici di Roma, Firenze e Torino i Professori Pirotta, Caruel e Gibelli, ai quali porgo qui le più sentite grazie. Gli esemplari da me raccolti lungo il Ticino, astrazione fatta dalla loro grande gracilità, collimano nei tratti della generale organizzazione con quelli di Cyperus aristatus Rottb. avuti per confronto, al punto da non esservi dubbio alcuno che si tratti di questa specie. Ciò nondimeno un esame minuto portato su tutti gli organi vegetativi e riproduttivi, mise in risalto alcune differenze che mi indussero a chiedere il parere au- torevolissimo del dott. Bockeler, il noto Ciperologo di Oldenburg. Mandai infatti a questi alcuni dei miei esemplari, facendogli rile- vare i tratti differenziali che erano causa della mia incertezza; ed il Signor Bockeler, onorandomi di cortese risposta, confermava piena- mente la mia determinazione, ammettendo con me che si trattasse di una forma discostantesi dal tipo. Ecco le sue stesse parole: «... Ich habe unsere Pflanze mit einem grossen aus verschiedenen Gegenden und Localitàten, stammen- den Material des Cyp. aristatus vergleichen kònnen, und dabei die aus- gezeichnete Beschaffenheit namentlich der Blatter u. Bracteen immer vollig constant gefunden. Gleichwoll kann ich sie nur fiir eine sehr ausgezeichnete Varietit des Cyperus aristatus nehmen. » Aggiunge ancora di avere osservato nella sua collezione alcuni esemplari di una forma di Cyperus aristatus, proveniente da Cuba (Wicetran, PI. Cubens. N. 3355), « die genau mit der Italienischen Pflanzen ibereinstimmt ». 1 BickeLer 0., Die Cyperaceen d. k. Herbar zu Berlin, in Linnaca. Neue folge. Band I, Heft V e VI; Band II, Heft III e IV. ° Pax F., Cyperaceen in Englers Natur. Pflanzenfamulien. I. ° Rorrsori €. F., Descriptiones et Icones Plantarum. Ed. nov. Hauniae, 1786. * Kunta C. S., Enumeratio Plantarum. T. II. Stuttgardiae, 1837. Non vi ha dubbio alcuno, adunque, che la pianta da me raccolta presso Pavia è da ascriversi al Cyperus aristatus Rottb., di cui costi- tuisce una interessante varietà. I caratteri che essa presenta sono i seguenti: Pianta annua; radici fibrose, capillari; culmi gregarî o solitarî, di un verde chiaro nel loro pieno vigore, giallo-ochracei ad innoltrata maturità, misuranti da 2 a 10 centimetri, trigoni, trigono-compressi, 0 setacei, rigidi e diritti i più alti, deboli e flessuosi i più piccoli; foglie 1-3, non sorpassanti i culmi, o di molto più brevi, lineari, carenate, strettissime, flaccide, in alto contorte, interissime nei margini; guaine di colore rosso-violaceo vivo, alquanto dilatate superiormente; foglie fio- rali 3 di cui una lunghissima, le altre più piccole assai od incospicue, lineari o filiformi, patenti; capolini (ombrelle a raggi quasi nulli) ses- sili o di rado peduncolati, globoso-compatti negli individui più svilup- pati, poveri e ridotti anche ad una sola spighetta negli individui più umili, tutti caratteristicamente ricciuti; spighette compresse, oblungo- lineari, con 8 a 16 fiori; glume o squame ellittiche od ovate, termi- nanti in una resta conica, ottusa, curvata all'infuori, alquanto decorrenti sul lembo sulla racheola, e munite di sette nervi salienti, rugosetti, il mediano più robusto e di color verde chiaro anche nelle spighette co- lorantesi in giallo-ocraceo a maturità; cariosside oltrepassante la metà della squama, obovato-cuneiforme, troncata all’apice con residuo dello stilo, a spigoli diritti e ottusi, a faccie finamente tubercolate, con tu- bercoletti oblunghi, disposti regolarmente in serie longitudinali, di colore giallo di miele, quasi traslucida; stilo eserto, trifido; stami 1 a filamento persistente sulla racheola, ad antera basifissa introrsa; racheola della spighetta dilatato-compressa, piegata a 2/9-2ag, con foveola lineare, tra- sversale. I caratteri che ho sottolineati indicano le differenze che questo Cyperus presenta cogli esemplari di C. aristatus Rottb. che ho avuto in esame e provenienti alcuni dall’ Africa (Cordofan, Gafta, Goelleb Coodof, Takazzé — KoscHvI, Iter nubicum; ScampeRr, Iter abyssinicum), altri dal Messico (Oryzaba — ScHaEFFNER, Plant. mezie.), altri infine dalle Indie Orientali (M. Khassia e Himalaya — Hooker rirs et THom- pson, Herb. Ind. Or.).' Tutti questi presentano piante più robuste (an- che nelle forme nane), a culmi più grossi, a foglie più larghe con guaine di un colore rossastro pallido, a capolini più vistosi e spighette più ricche, di colore giallo-rossastro, e cariossidi cenerognole, opache. Fra gli esemplari di Cyperus aristutus Rottb. dell'Orto Botanico di ! Alcune di queste località, trascritte dalle etichette, non ho potuto riscontrarle nel Dizionario geografico del Ritter, (Ediz. di Lipsia, 1883.) 260 — Firenze ne vidi pure alcuni dell’Abissinia (Keren), raccolti dall’illustre Beccari, i quali pel portamento ricordano assai i miei; gli uni di di- mensioni maggiori (15 a 20 cm.), gli altri nani, tutti però di un bel verde glanco, con culmi piuttosto gracili e poco rigidi, a foglie strette, con guaine rossastre, capolini non troppo forniti di spighette lunghe, lineari, assai strette, e con cariossidi di color giallo come nei miei, ma più corte, più grosse ed a spigoli acuti. Questa forma africana è quella che si avvicina di più al nostro Cyperus, però ne differisce per avere capolini meno compatti, spighette più lunghe assai, e cariossidi tozze e più grosse. Da questa breve disamina dei caratteri offerti dalla pianta da me raccolta lungo il Ticino, messi a confronto con quelli del Cyperus ar status Rottb. dell’Africa, dell’ America e delle Indie Orientali, emerge chiaramente come essi sieno sufficienti per tenerla distinta come va- rietà a sè o come importante forma di addattamento. E nel segnalarla ai botanici mi pregio dedicarla con animo grato al Chiaro dottor O. Béò- ckeler, al quale debbonsi così belle contribuzioni alla conoscenza delle Ciperacee. Cyperus aristatus Rottb., Descript. et Icon. Plant. 1773, pag. 23, t. 6, fig. 1. — Kunth, Enumerat. Plant. II, pag. 23. — Bockeler, Cyperaceen in Linnaea N. F. Bd. I, Heft. V, pag. 500. — Durand et Schinz, Consp. FI. Afr. Vol. V, pag. 548. var. Bockeleri mihi. A typo recedit: Ochreis purpureo-violaceis, squamis subdecurren- tibus, caryopside squamae medium superante, mellea, sub-tran- stucida, stilo exerto, racheola anguloso-contorta. — Ommnino gracilior. Habitat. — In paludosis ad ripas Fluminis Ticini. Mezzana prope Papiam. Il Oyperus aristatus Rottb. è pianta delle regioni tropicali ed ha un’area vastissima di vegetazione. Nell’ Africa ove è maggiormente diffusa, essa ha per limite superiore la Senegambia, il Sudan, V'Abis- sinia non oltrepassando il 20° di Lat. Nord; mentre portasi al Sud fino al Capo di Buona Speranza, cioè oltre il 30° di Lat. Sud. Nell’A- merica del Nord cresce a Cuba e nel Messico (Orizaba), mantenendosi qui pure sotto il 20° di Lat. Nord; e nelle Indie Orientali ove cresce nei monti di Khassia e dell’ Imalaja, oltrepassa il tropico del Cancro spingendosi quasi fin sotto il 30° di Lat. Nord. . È da notare per altro che in queste regioni il Cyperus aristatus sì eleva a notevolissima altezza sul livello del mare; il Beccari lo ha rccaolto, infatti, a Keren a 4500 m.; lo Schimper a Goelleb a 3500 m. Sikor La sua presenza nell’Alta Italia è certamente singolare poichè esso appartiene ad una divisione del genere Cyperus (Div. a Aristati Kunth della Sezione IV Eucyperus Benth.) costituita di elementi tropicali, e che non ha alcun altro rappresentante in Europa. * Ne viene di conseguenza che non è ammissibile il suo indigenato nell’ Insubria, quanto invece è più logico, il pensare ad una natura- lizzazione avvenuta per trasporto dei suoi semi in seguito a speciali cir- costanze. La vallata del Po offre numerosi esempi di simile fatto, e si ha quasi ogni anno a segnalare ivi la presenza di questa o quella pianta originaria dell’Asia o dell'America che si è resa spontanea in questa regione. Non è molto avevo io stesso a richiamare l’attenzione sulla Solidago serotina Ait. trovata copiosa nei boschi paludosi del Po; 1 A- zolla caroliniana W., V Elodea canadensis Michx. sonosi rese addirittura infestanti; ed una lista numerosa d’altre piante potrebbesi citare. Il fatto della naturalizzazione è stato, fra gli altri, stupendamente discusso dal Christ nella sua Flora della Svizzera, il quale ha sottil- mente analizzati gli agenti tutti di questo fenomeno e le condizioni speciali che lo rendono possibile. Uno di questi agenti, come egli fa osservare, è dato dalla introduzione delle specie coltivate le quali trag- gono inevitabilmente con sè le erde dannose. I cereali sopratutto spie- gano l'immigrazione nella Flora delle nostre regioni di una quantità di erbe cattive, le quali sonosi rese spontanee. “ De la Perse et de la Syrie, egli dice, jusque dans les contrées les plus septentrionales, ces plantes accompagnent les céréales avec la fidélité la plus touchante. Elles ne s’arrétent qu'aux abords de la zone subarctique, ou finissent les cultures. , Di speciale interesse per noi, è quanto egli fa osservare per il riso. “ Une plante cultivée (così si esprime il Christ) qui a des mauvaises herbes speciales, c'est le riz. Ce sont surtout des cypéracées qui l’ont certainement accompagné dépuis les Indes, sa première patrie, jusqu'en 1 Vi sarebbe, è vero, il Cyperus Michelianus Lk. il quale venendo dal Bickeler aggregato al Cyperus pygmaeus Rottb. della stessa divisione degli Ardstal?, farebbe parte della Flora Europea, ma la posizione sistematica di questa Ciperacea cosmo- polita è tutt’ altro che fissata, a parer mio, dal momento che lo troviamo dagli autori a generi diversi riferita. Il Nyman nel Conspectus Florae europaeae la dà per Di- chustylis Micheliana Nees, pel Reichembach, 172. germ. excurs., è una Fimbristylis, per l’Arcangeli nella 27. Ital., e per i signori Cesati, Gibelli e Passerini, Comp. F. Ital. è data per Scirpus Michelianus L. ? Cavara F., Nuova stazione della Solidago serotina Ait. Malpighia, 1891. * Carist H, La Flore de la Suisse et ses origines. Édit. franc. par E. Tièche, 1883. MI Italie. De ce nombre sont: Cyperus glaber, difformis, australis; Fimbri- stylis dichotoma; en outre Suffrenia filiformis, Ammania verticillata.* ,, Per quanto io abbia raccolto il Cyperus aristatus lungi da campi coltivati a riso, pur tuttavia, per la grande estensione che ha assunto nella nostra provincia questa coltura, credo che anche questa specie di Cyperus sia immigrata da noi insieme alle sementi di riso; tanto più se si pon mente che sempre nuove varietà orientali di questa im- portantissima pianta colturale, per ragioni molteplici d'ordine agronomico, vengono ogni giorno introducendosi. Dall’ Istituto Botanico di Pavia, 10 gennaio 1896. 1 Carisr H, Op. cit., pag. 518. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA II Fig. 1, 2, 3, 4. Varie forme di Cyperus aristatus Rottb. var. Bockeleri Cav. in gran- dezza naturale. . Una racheola dalla quale sono state asportate le squame e le cariossidi e con- serva residui di filamenti staminali. 10 volte ingrandita. » 6. Una spighetta di fiori. 10 volte ingrandita. CAT È di frutti 3 >LI ” 8. Un fiore aderente alla racheola e privo di squama. 40 volte ingrandito. » 9. Una squama staccata dalla spighetta. 20 volte ingrandita. 10. Un ovario fecondato, con stilo. 50 volte ingrandito. » 11. Un seme. 59 volte ingrandito. ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA (Laboratorio Crittogamico Italiano) CONTRIBUZIONE ALLA MICOLOGIA LIGUSTICA PEL DOTT. GINO POLLACCI (PRIMA CENTURIA) La Liguria, questo gentile tratto di terra, che la natura ha voluto favorire di un suo benevolo sorriso in tutte le svariate forme della creazione, non può non offrire al naturalista un tale campo d’osser- vazioni, da non attrarne la curiosità e 1’ attenzione. Per ciò che riguarda la Botanica, eminenti ingegni non mancarono di occuparsi nei diversi rami in cui questa scienza si divide. Tuttavia rimane presocchè inesplorato un vasto campo che riguarda i micromiceti. E, poichè ebbi occasione di fare diverse gite lungo il littorale li- gustico occidentale e sull’ Appennino ligure, cercai di mettere a profitto il mio tempo dedicandolo allo studio di questa parte della micologia, ri- volgendo le mie investigazioni a località per quanto possibile svariate ed in condizioni tali da offrire terreno adatto alle mie osservazioni ed ai miei studi. Come frutto di tali ricerche presento ora cento specie non ancora riscontrate nella regione, delle quali tredici nuove per la scienza, che lio descritte e per la massima parte figurate in una tavola. A questa prima centuria spero di poter presto fare seguire un più numeroso contributo. Mi è grato in quest'occasione porgere al mio chiarissimo maestro, Professore Giovanni Briosi, i sensi della mia gratitudine per i consigli fornitimi e per la larga ospitalità accordatami nel suo laboratorio, e al- l’egregio Professore Fridiano Cavara, che ha voluto compiacersi di coadiuvarmi in queste ricerche micologiche, attesto pure la mia sincera riconoscenza. Dal Laboratorio Crittogamico in Pavia Maggio 1896. À Dott. Gino PoLnacci. ESSO (= BIBLIOGRAFIA MICOLOGICA LIGUSTICA 1. Viviani D. (1834-38). I funghi d’Italia e principalmente le loro specie man- gierecce, velenose e sospette. Fascicolo 1-6 - Genova, 1834-38 - XV, 64 p. in foglio, 60 tav. color. 2. De Noraris G. (1839-56). Micromicetes Italici novi vel minus cogniti. Decas T-IX - Taurini, 1839-56, tav. 21. 3. Risso A. (1844). Flore de Nice, un vol. in 8. Nice, Société Typographique, 1844. 4. De Noraris G. (1846). Prospetto della Flora ligustica e dei zoofiti del mare ligustico. Genova, 1546. 5. Barra I. B. (1858). Apercu mycologique et Catalogue des Champignons observ. dans les environs de Nice. Nice 1858, 62 pag., con 2 tav. 6. Barra I. B. (1859). Les Champignons de la Province de Nice. Nice, 1859, con 48 tav. 7. Pawizzi F. (1861). Degli Imenomiceti che crescono nel circondario di San Remo in Commentario della Società crittog. italiana, N. 1, Febbraio 1861. 8. De Noraris G. (1861). Nuova specie di Oltaviana in Commentario della Società crittogamica italiana, N. 1, pag. 33 - anno 1861, 9. De Noraris G. (1861). Nuova specie di Coccosporium in Commentario della Società crittogamica italiana, N. 1, pag. 35 - anno 1861. 10. De Noraris G. (1863). Proposte di alcune rettificazioni al profilo dei Disco- miceti in Commentario della Società crittogamica italiana, N. 5, pag. 1 - anno 1863. 11. De Noraris G. (1863). Sferzacci Italici. Prima Centuria. Genova, 1863, pag. 90, 25 tavole. 12. Bagrierro Fr. (1865). Maleriali per la Micologia Italiana in Commentario della Società Crittogamica italiana, Vol. II, pag. 261 - anno 1865. 13. De Noraris G. (1865). Nuove reclute per la Pirenomicetologia Italica in Com- mentario della Società crittogamica italiana, Vol. II, fasc. IT, pag. 477 - anno 1865. 14. Casagona A. (1869). Dei caratteri della maggior parte delle specie dei Funghi che trovansi in Italia e specialmente in Liguria. Genova, in 8, di pag..32 - 1869. 15. Piccone A. (1879). Sulla malattia del fulchetto nei gelsi in Nuovo Giornale Botanico Italiano - anno 1879. 16. Piccoxe A. (1881). Sullo svluppo della Septoria castaneae in Liguria in Nuovo Giornale Botanico Italiano - anno 1881. 17. Pexzie 0. (1882). Funghi Agrumicoli. Contribuzione allo studio dei funghi parassili degli agrumi - Padova, 1882, con 135 tavole. 18. Comes 0. (1883). Lreliguie Micologiche Notarisiane. Napoli, 1883. 19. Pexzia O. (1833). Seconda contribuzione allo studio dei funghi agrumicoli. Venezia, 1883 - con 5 tav. i 20. Penzio 0. (1884). Note Micologiche. Funghi della Mortola - (con 2 tavole) 1884. 21. Bara I. B. (1885). Liste des Champignons nouvellement observés dans le departement des Alpes Maritimes. Bordeaux, 1885. 22. Brriost G. (1886). Rassegne crittogamiche del Laboratorio crittogamico Ita- liano dall'anno 1886 al 96. 23. BaeLIetto F. (1886). Primo censimento dei funghi della Liguria in Nuovo Giornale Botanico Italiano - anno 1886 - pag. 230. ERRO 24. Barca I. B. (1886). Liste des Champignons nouvellement observés dans le de- partement des Alpes Maritimes. Extrait du Bulletin de la Société mycologique de Prance - N. 3, Maggio, 1856 25. Panizzi F. (1886). Nuova spece di Polyporus scoperta e descritta in Nuovo Giornale Botanico Italiano, Fascicolo II - pag. 65 - anno 1886. 26. Barca I. B. (1887). Liste des Champignons nouvellement observés dans le depar- tement des Alpes maritimes. Extrait du Bulletin de la Société mycologique de France, 1887 - pag. 133. 27. Penzio 0. (1887). Studi Botanici sugli agrumi e sulle piante affini - con atlante. Roma, 1887. 28. Boupier E. (1887). Champignons nouveaux ou rares de France. Poligny, 1887. 29. Barca I. B. (1887). Liste des Champignons nouvellement observés dans le de- partement des Alpes maritimes. Extrait du Bulletin de la Société mycologique de France, 3 Fascicolo - pag. 195, anno 1887. 30. Boupier E. (1887). Sur une nouvelle espece d' Helvelle. Paris, 1887. 31. Cavara F. (1888). Appunti di Patologia Vegetale in Atti del R. Istituto Bota- nico dell'Università di Pavia - Vol. I. 32. Bouprer E. (1888). Nouvelles especes de Discomycetes inoperculés de Trance in Bull. Société mycol. de France - anno 1888, pag. 76. 33. Barta I. B. (1888). Z/ore Mycologique illustrés. Nice, 1888-90 - (Fascicolo I-V) con numerose tavole a colori. 34. Barca I. B. (1889). Liste de Champignons nouvellement observés dans le de- partement des Alpes maritimes. Extrait du Bulletin de la Société mycologique de France - Tome V, 2 fascicoli - pag. 1. 35. RoLLanp L. (1891). Une visite au musce Barla in Bulletin de la Société my- cologique de France - Tome VII - pag. 66. COLLEZIONI DI SPECIE DISSECCATE. 36. Briosr G. e Cavara F. I funghi parassiti delle piante coltivate ed utili essie- .cati, delineati e descritti. Fascicolo I-XI - N. 275 specie - Pavia. 37. Erbario crittogamico italiano - per cura G. De Notaris, Baglietto, Ardissone ece., I. Serie I-XXX e Il. Serie I-XXX. 38. Kcorzsca et RasenHorst. Herbariwn virum mycologicum. Berolini, Dresdae. 39. Rasenzorst. Funghi Europaci - Dresdae, 1861. 40. Taiimen, F. Mycoteca Universalis - Bayrenth, Wien. 4l. Taimeyn F. Herbarium mycologicum aeconomicum. Fasc. I-XV Bayreuth, 1872. USTILAGINEAE Tul. 1. Ustilago Maydis (D. C.) Corda, Icon. V, pag. 3 — Sace. Sylloge, vol. VII, pag. 472. Raccolsi sopra Zea Mays nella pianura d'Albenga. UREDINEAE Brongn. 2. Uromyces appendiculatus (Pers.) Lin/. obs., II, pag. 28 — Uredo appendiculata Pers. Syn., pag. 221 — Sace. Syll., vol. VII, pag. 535. Sopra Phaseolus vulgaris a Bardineto (circondario di Albenga). 3. Uromyces Astragali (Opiz.), Sacc. M. S., pag. 208 — Uredo Astra- gali, Opiz. Lerman. pag. 151 — Uromyces punctatus, Schroet. in Abhandl. Schles. Gesellsch. 1867, pag. 10 — Sace. Sy0., vol. VII, pag. 550. Sopra foglie di Astragalus glycophyllos a Loano. 4. Uromyces Trifolii (All. et Schw.) Winter, Die Pilze, pag. 159 — Sacc. Sy12., vol. VII, pag. 534. E comune nei prati in Liguria. L'ho raccolto a Loano, Albenga Genova. 5. Puccinia graminis Pers. Disp. Fung., pag. 39, t. 3, fig. 3 — Sace. SyUl., vol. VII, pag. 622. Sopra grano a Bardineto — Forma uredosporica e teleutosporica. 6. Puccinia malvacearum Mont. in Gay. ist. fis. y polit. de Chile, VIII, pag. 43 -— Sace. SyU., vol. VII, pag. 686. Sopra Malva Sylvestris a Loano. 7. Phragmidium Rubi Idei (D. C.) Karst. Myc. Fenn., n. 4 — Sace. Sy0l., VII, parte II, pag. 748. Sopra foglie di /'ubus-Idaeus in orti di Loano. — Bi, 8. Coleosporium Sonchi (Pers.) Lev. in Ann. Sciene. Nat. 1487, pag. 373. — Uredo Sonchi arvensis Pers. Syn. Fung. 217 — Sace. Syll., vol. VII, pag. 752. Sopra foglie di Inula Salicina in prati lungo il torrente Nimbalto a Loano. HYMENOMYCETEAE Fr. THELEPHOREAE Pers. 9. Stereum ochroleucum Fr. Hym. Eur., pag. 639 — Corticium ochro- leucum Fr. Epicr., pag. 557 — Sace. Sylt., vol. VI, pag. 562. Sopra Quercus Nex alla Villa Rostan in Pegli. Dicembre. 10. Coniophora puteana (Schum.) Fr. Hym. Eur., pag. 657. — Thelephora puteana Schum. Sackl., pag. 397 — Sace. Syl., vol. VI, pag. 647. Raccolsi sopra legno secco a Loano. PoLyPoreaE Fr. 11. Poria emollita, Fr. Hym. Eur., p. 571 — Sace. Syl., vol. VI, p. 307. Sopra legno putrido di Quercus alla Villa Rostan in Pegli. Marzo. AGARICINEAE Fr. 12. Omphalia gracillima, Weinm. Ross., pag. 121 — Agaricus menthe- cola Lasch., n. 205 —.E. Fries Icon. Select. Hym., I, t. 77, £. 86 — Sace. Sy2., vol. V, pag. 332. Sopra Tilia parvifolia nel R. Orto Botanico di Genova. Dicembre. DISCOMYCETEAE Fr. 13. Lecanidion atratum (Hedw.) Rabenh. Crypt. FI., I, pag. 342 — Li- chen atratus Hedw. Sacc. Fungi italici, n. 1372 — Sace. Syll., vol. VIII, pag. 795. Sopra foglie di Yucca filifera morte e rimaste attaccate al fusto, nel R. Orto Botanico di Genova. Atti dell'Ist, Bot. dell'Università di Pavia. — Nuova Serie — Vol. V. 3 PYRENOMYCETEAE Fr. em. De Not. PerIspoRIACEAE Fr. 14. Uncinula Aceris (D. C.) Sace. Erysiphe Aceris DC. (1815) — Unci- nula bicornis (Wallr. 1819) — Lev. Ann. Science. Nat. 1851, XV, 153, t- 7 — Sacc. SyU., I, pag. 8. Sopra foglie di Acer campestre a Loano; dicembre. 15. Erysiphe communis (Wallr.) Fr. Sum. veg. Scand., pag. 406 — Sace. Sy0., vol. I, pag. 18. Sopra foglie di una leguminosa a Loano. SFARRIACEAE Fr. 16. Massalongiella ligustica n. sp. Peritheciis glabris, sparsis, 400-600 u diam., lenticularibus, semplicibus tectis, ostiolo minuto, contextu membranaceo atro; ascis octo sporis, cilin- draceo-subfusiformibus, pedicellatis, aparaphysatis 100-150 v 10-15 p. long. Sporidiis allantoideis hyalinis utrinque biguttulatis 22-25 < 9-10 p long. In ramulis corticatis Pivi — Loano (Genua). Febbraio 1894 (vedi AVE RIbI Tsi 09 ART) La specie che propongo come nuova, non può riferirsi al genere Enchnoa, per i periteci affatto glabri; al Caelosphaeria, per i periteci tecti non superficiali. Dalle sole due specie conosciute, Muassalongiella Bonariensis Speg. e M. pleurostona Starb. differisce anche per forte differenza di dimensione nelle spore. 17. Valsa vitis (Schw.) Fung. rhen., n.° 607. Nits. Pyren. Germ. 190. Valsa vitigera Cooke, Mich., 1, 19 — Sace. Syll., vol. I, pag. 115. Raccolsi sopra sarmenti di Vitis vinifera in orti di Loano. 18. Eutypella Sorbi (Schm.) Sace. — Valsa Sordi Schmidt. — Sace. Sy2., vol. I, pag. 148. Sopra rami di Sordus Aucuparia sopra il monte Carme presso Loano. 19. Eutypa heteracantha Sacc. Mich. I, pag. 504 — Valsa heteracantha Sacc. Mycol. Ven. Spec., t. XIV, pag. 129, fig. 35-42 — Sace. Sy0l., vol. I, pag. 177. — 35 — Sopra rami di Aanthus glandulosa lungo ilj fiume Varratella a Toirano. Ottobre. 20. Diatrype disciformis (Hoffm.) Fr. Summ. Veg. Scand., pag. 385 — Sph. disciformis Hoffm. Veg. Crypt., I, pag. 15 — Sace. Sy, vol. I, pag. 191. Raccolta sopra il Monte Carmo (1300 m.) presso Loano; in rami morti di Fugus sylvatica. 21. Hypoxylon coccineum Bull. Champ. Fr., pag. 714, t. 345, f. 2. Sph. fragiformis Pers. Syn., pag. 9 — Sace. “Syll., vol. I, pae. 353. Assai comune sopra Carpinus, Almus, Populus, Fagus, ecc. Raccolsi lungo il fiume Centa ad Albenga, Bardineto, Loano, ece. 22. Hypoxylon fuscum (Pers.) Fr. Summ. Veg. Scand., pag. 384 — Spi. fusca Pers. Syn., pag. 12 — SpA. fragiformis Hoffm. Veg. Crypt., I. 20 — Sace. Sy4., vol. I, pag. 361. Differisce dall’Hypoxylon coccineum per la dimensione delle spore che nel mio esemplare sono 13 v 6,50; per gli aschi longepedicellati e parafisati. Sopra rami di A/rmus lungo il Nimbalto-Loano. Febbraio. 23. Laestadia Buxi (Fuck) Sace. Sphaerella Buri Fuck. Symb. Myc. 100 — Sph. Buxi Desm. Ann. Science. Nat. XIX — Sace. Syloge, Supplem. univers, vol. IX, pag. 584. Sopra Buxus sempervirens alla Villa Rostan in Pegli. Febbraio. 24. Botryosphaeria Delilei (Dur. et Mont.) Sace. Dothidea Delilei Dur. et Mont. Flor. Alg., pag. 546 — SyU., vol. I, pag. 460. Sopra corteccia di pali di salice in Albenga, Febbraio, 25. Botryosphaeria moricola Cesat. et De Not. bar. crittog. Ital., n. 451 — Schema sferiac. —- Sphaeria moricola Cesati. — Dothidea sycophila v. Mori Montag. Centur. VI, 107 — De Not. Sferiac. ital., n. 91. Sopra rami morti di gelso a Loano, al ponte detto di Napoleone. Febbraio. 26. Sphaerella pusilla Anersw. Mye, Ew. Pyr, pag. 17, fig. 115 — Sacc. SyU., vol. I, pag. 530. Sopra Tritieum a Loano. — 36 — Do SI . Euporthe linearis Nitsche, Pyr. Germ., pag. 277 — Sphaeria linearis Nees. in Fr. S. M. II, pag. 529 — Sace. Sy2., vol. I, pag. 652. Sopra una composita'in Pietra ligure. ro D Sphaerella hedericola (Desm.) Cooke in Grevi2/., II, pag. 96 — Sacc. Syli., vol. I, pag. 481. Sopra foglie di Hedera Helix ad Albenga. 29. Valsaria insitiva Ces. et De Not. Sacc. Myc. Ven. Spec, pag. 148, t. XV, fig. 5-10, Myrmaecium rubicosum (Fr.) Fuck Symb. Mye., pag. 227 — Sace. Syll., vol. I, pag. 741. Sopra Robinia pseudoacacia ad Albenga. Ottobre. 30. Leptosphaeria Rusci (Wall) Sacc. Sphaerella Rusci (Wall.) De Not. Leptosphaeria glauco-punctuta (Grev.) Anersw. — Sacc. Sy0., vol. II, pag. 74. Assai frequente sopra il Ruscus aculeatus — Alla villa Rostan dî Pegli, al R. Orto Botanico di Genova ed alla villetta Di Negro a Genova. 31. Leptosphaeria Briosiana n. sp. Peritheciis maculicolis, globulosis, tectis, seriatim disposttis, 125 < S0, nigris, ostiolo brevi, ascis paraphysatis, cylindraceo-clavatis, breve stipi- tatis, 63 v. long.; sporidiis fusoideis obtusiusculis, 15-18 © 6-8 v, tipice 5-6 septatis, non vix constrictis, loculo medio crassiore, olivaceofuscis (vedi TR OVa LIAsi Ao gONIAo) Habitat in foliis vivis Jubeae spectabilis in R. Horto Botanico Ge- nuae, Decembre 1894. Differisce dalla Leptosphaeria epicalamia (Riess) Ces. et De Not., non per le dimensioni presso a poco eguali, ma per i periteci maeuli- coli, per i loculi che nel mio esemplare non sono mai constrictî, e per il loculo più grosso che non è mai il secondo (consultato Hedwigia, anno 1854, n.° 6, Tav. IV, fig. 6). Differisce dalla Leptosphaeria cirricola Passerini, per i periteci che in questa specie sono superficiali, non maculicoli, nè disposti in serie e per gli aschi longe-stipitati. Le macchie (vedi Tav. III, fig. 10) sono assai caratteristiche per questa nuova specie di Leptosphaeria; sono macchie cenerine che af- fettono tutte le parti della foglia limitate da due soli lati da un orlo rialzato marrone scuro. Dedico questa specie al chiarissimo professore Giovanni Briosi. RT — 32. Ceriospora bicalcarata (Cesat.) Sac. Sphaerella bicalcarata Cesat. in Hedw. 1872, pag. 181, Eb. critt. Ital., n.0 1167 — Sace. Syll., vol. II, pag. 186. Sopra picciuoli di Chamaerops nell’Orto Botanico di Genova. Dicembre. ‘33. Pleospora berbarum (Pers.) Rabh. H7erd. Mye., ed. II, 547. Sphae- ria herbarum Pers. Synonim. Fung., pag. 79. Forma SPARTITI. Peritheciis 100 1.; ascis 70-100 % 20-30 u.; sporidiis elipsoideo ob- longatis 6-7 septatis, 25-27 « 12-13 u. diam. In ramulis exsiccatis Spar. Nel giardino della Villa Acquarone in Genova, Gennaio 1893. 34. Pleospora phragmospora (Dur, et Mont.) Ces. in Radenh. FP. E., n. 1543 — Spl. phragmispora Dur. et Mont. $y22., n. 864 — Sacc. Sy2., vol. II., pag. 269. Sopra foglie dî Agave da molto tempo secche, lungo la spiaggia marina di Borghetto S. Spirito (Albenga). Ho consultato gli essiccati del Rabehorst: il mio esemplare corrisponde perfettamente al m.° 1543. 35. Pleospora vulgaris Niessl. Not. p. 27. Sacc. Sy%., vol. II, p. 243. Lungo la spiaggia di Albenga sopra fusto secco di Cicoria. Ottobre. 36. Cucurbitaria Laburni (Pers.) De Nut. Erb. Critt. Ital., n.° 875 Sphaeria Laburni Pers. Syn., pag. 50 — Sacc. Syl!., vol. II, pag. 308. Raccolsi su rami di Cytisus Laburni sopra il monte Lingo (1000 m.) presso Bardineto (Albenga). HypocreaceAE De Not. 37. Claviceps purpurea (Fr.) Tul. in Ann. Se. Nat. 1853, t.I — Sace. Syli., vol. II, pag. 564. Comune sopra Secale cereale a Bardineto (Albenga). LopHIOSTOMACEAE Sace. 38. Lophiostoma appendiculatum Fuck. S1/m0. Mye., App. II, pag. 29; fig. 8. Sace. Sy0., vol. II, pag. 706. Sopra rami di Salix ad Albenga. — 98 — SPHAEROPSIDEAE Lev. 39. Phyllostieta mahoniaecola (Pass .) in /i/t. Brum. in Rev. Myc. 1886, pag. 140 -— Sacc. SyZ.. Supplem. univers., vol. X, pag. 100. Forma Microspora. Differt a specie sporulis minutissimis 2,25 © 1 vw. In foliis vivis Mahoniae Bealis. Nei giardini pubblici di Genova. Dicembre 1894. 40. Phyllosticta opuli Sace. Mich., I, p. 146 — Sace. Sy7., vol. III, p. 17. Sopra Viburnum in monti sopra Loano. 41. Phyllosticta Chamaeropis n. sp. Maculis oblongis, fusco-marginatis, peritheciis gregartis, lenticularibus ; sporulis, minutissimis, ovoideo-globosis, 4,50 © 2,50 p. In foliis vivis Chamaeropis. Horto Botanico Genuae. Febbraio (vedi Tav. III, fig. 12). 42. Phoma herbarum West. Es. 965 Mick , II, pag. 92 — Sace. Syll., vol. III, pag. 133. Sopra fusti di Dalla. Villa Acquarone Genova. 43. Phoma Pseundoacaciae Sace. 572, vol. III, pag. 69. Sopra rami corticati di robinia pseudoacacia. Raccolsi a Loano. Ottobre. 44. Phoma Chamaeropis Cooke in Grevillea XIII, pag. 95 — Sace. Syll., vol. X, pag. 182. Raccolsi nel R. Orto Botanico di Genova sopra foglie di Chamaerops. 45. Phomadetrusa Sace. Mick., II, pag. 96 — Sacc. Sy2., vol. III, pag. 72. Sopra Berderis alla villetta Di Negro in Genova. Dicembre. 46. Phoma Sophorae Sacc. Fung. Ven. Ser., V, pag. 202 — Sace. Sy0l., vol. III, pag. 67. Sopra rami di Sophora japonica in un giardino di Loano. 47. Phoma Hyppoglossi (Mont.) Sacc. Sphaeropsis Hippoglossi — Mont. Syll., n. 966 — Sacc. Sy2., vol. III, pag. 162. Sopra Ruscus aculeatus alla Porta San Bernardino in Genova. — 99 — 48, Phoma erustosa Sace. Bomm. et Rouss. Fl. Mye. Belg., II, pag. 28 — Sace. Syl., vol. X, pag. 149. Sopra foglie di Ilex aquifolium cadute da molto. Nel R. Orto Bo- tanico di Genova. Febbraio. 49, Phoma Aucubae West. Zxs., n. 1373. Forma Ramunicora Sace. Sy0., vol. INT, pag. 115. Sopra rami di Aueuda japonica in un giardino di Genova. 50. Phoma viticola Sacc. Mick., II, p. 92 — Sace. Sy, vol. III p. 79. Sopra sarmenti di Vitis vinifera a Loano. 51. Phoma cnucurbitacearum (Fr.) Sace. Sphaeria cucurbitacearum Fr., Syst. Myc., II, pag. 602 — Sace. Sy2., vol. III, pag. 148. Sopra frutto secco di Cucurbita a Loano. 52. Phoma quereus (Lamb.) Spaeropsis quercus Lamb. Myc. Belg., III, pag. 60 — Sace. Sy4., vol. III, pag. 108. Sopra foglie di Quercus Ilex. Genova. 53. Macrophoma filamentosa (Cooke), Sace. — Sphaeropsis filamentosa Cooke, Grev., XII, pag. 22 — Sace. Sy2., Suppl. univ., vol. X, p. 202. Sopra brattee di peduncolo fiorale di Yucca filamentosa nel R. Orto Botanico di Genova. 54. Macrophoma Cavarae n. sp. Peritheciis innato-erumpentibus, muscolis, nigris, sparsis, ostiolo pertusis; sporulis elongato elipticis, utrinque hyalinis, granulosis nucle- atis 36-59 = 13,50 { longis. In foliis Yuecae Draconis et in Dasylyrion longifoli. Habitat in Horto Botanico Genuae (vedi Tav. III, fig. 16, 17). La dimensione delle spore la distinguono da tutte le altre specie affini. Le spore si mantengono jaline in ambe le matrici e nei diversi stadi di sviluppo da me esaminati. Dedico questa specie al distinto micologo ed amico Prof. F. Cavara. 55. Vermicularia corvina Karst. et Har, Sour. Bot, 1890, pag. 359 — Sacc. Sy0l., vol. X, pag. 225. Il mio esemplare ha le spore più piccole di quello del Karst. e Har CE MDREE . (15-16 © 2-3;2.) ma corrisponde per il resto alla descrizione data dagli autori; non ho creduto conveniente farne una forma.’ 60. 61. 62. Sopra rami corticati di Salix a Bardineto (Albenga). . Cytospora Salicis (Corda) Rabenh. Deutsch. Flora, Fung., n. 1340 — Naemospora Salicis Corda Ic., IV, fig. 70, pag. 26 — Sace. Sy0l., vol. III, pag. 261. Sopra Salix a Toirano. Ottobre. . Cytospora Chrysosperma (Pers). Fr. S. M. II, pag. 542 — Naemospora chrysosperma expopulina Pers. Synom., pag. 108-109 — Sace. Syl., vol, III, pag. 260. Sopra rami di Popwlus a Bardineto (Albenga). Settembre. 3. Cytospora dolosa Sacc. y2., vol. III, pag. 260. Sopra Salix purpurea ad Albenga. . Cytospora evonymella Pass. Diagn f. 11, IV, pag. 10 — Sace. Sy, vol. X, pag. 244. Sopra Evonymus japonicus nel R. Orto Botanico di Genova. Cytospora atra (Bon.) Sace. Lamyella atra Bon. abhandI., II, pag. 134. Tav. II, fig. 15 — Sacc. Sy., vol. III, pag. 257. Sopra rami di Morus nel R. Orto Botanico di Genova. Cytospora Quercus ilicis Pass. Yung. Gall. Nov. in Journ. d’'Hist. Nat. 1885, n. 4, pag. 55 — Sacc. SyUl., vol. X, pag. 247. Sopra Quercus Ilex. Villa Rostan in Pegli. Ceuthospora Robiniae n. sp. Stromatibus carbonaceis, sparsis, magnis, irregularibus, intus plurilo- cularibus, sporulae oblungo-cylindraceae, curvulae, hyalinae, 14-17 < 1. Hab. in ramis emortuis Robiniae Pseudoacaciae. Loano (Riviera di ponente). Febbraio. 63. Sphaeropsis Peckii Sace. Sphaeropsis anomala — Peck. Rep. of the St. M. Botan., 1872, pag. 86 — Sace. SyM., vol III, pag. 293. Sopra rami di Cerasus. Lungo il Nimbalto (Loano). Febbraio. CSITAM feta 64. Sphaeropsis Coriariae n. sp. Peritheciis sparsis, subglobosis, epidermide tectis, 450 © 335 v, con- textu membranaceo, parenchimatico, olivaceo-fulgineo ; sporidiis, eliptico- cylindraceis continuis, 20-25 « 10-12 wu. Basidiis sporulis brevioribus. In Coriaria myrtifolia. R. Orto Botanico Genuae. Decembre 1894. Associata alla Septoria Coriariae Pass. 65. Coniothyrium hysterioideum Karst. et Har. Journ. Bot. 1890, pag. 359 — Briosi e Cavara. Fung. Paras. Erice. n. 246 — Sace. Syt., vol. X, pag. 267. Sopra Dasylirion acrotichum nel R. Orto Botanico di Genova. Dicembre. 66. Coniothyrium concentricum (Desm.) Sacc. Mich., I, pag. 204 — Phoma concentrica Desm. Ann. Science. Nat. 1840, XIII, pag. 189 — Sace. Sy2., vol. III, pag. 317. Sopra foglie di Yucca Desmetiana, nel R. Orto Botanico di Genova Dicembre. 67. Coniothyrium Montagnei Cast. in Ann. Science. Nat. 1849, pag. 304, Sacc. Sy27., vol. III, pag. 304. Sopra fusto di E/aeagnus nel R. Orto Botanico di Genova. 68. Diplodia Rusci Sacc. et. Th. Michel., II, pag. 625 — Sacc. Sy2., vol. III, pag. 370. Forma MacgospPora. Differt a specie sporulis 20-23 v 10-11,50 p. longis. In foliis usci ipophylli in R. Horto Botanico Genuae. Decembre 1894. 69. Diplodia Pseudo-Diplodia Fuck. Symb. Mye., pag. 393 — Sace. Syl2., vol. III, pag. 341. Sopra Pirus. Nel mio esemplare le spore sono tutte monosettate; trovasi as- sociata alla Massalongiella ligustica. n. sp.; Loano. 70. Diplodia rubicola Sace. Mic4., I, pag. 256 — SyU., vol. III, pag. 339. Sopra Rubus fruticosus. Lungo il Nimbalto, Loano. Febbraio. 71. Diplodia viburnicola Brun. Fung. Gall. nov. in Journ. d’ Hist. Nat. 1885, u. 4, pag. 55. Sopra rami secchi di Viburnum Tinus. In un giardino di Loano. ME 792. Hendersonia Yuccae Kickx. Fl. cr. Mandr. t. I, fig. 390 — Sace. Sy0t., vol. III, pag. 435. Sopra Yucca nel R. Orto Botanico di Genova. 73. Hendersonia Togniniana n. sp. Peritheciis globulosis, subcutaneo-erumpentibus, contextu membranaceo, sporulis oblongo elipticis, fulvis fuligineis, quadrilocularibus, 11-12 % 6-7 u. longis (tav. III fig. 6, 6 A, 18). In foliis vivis Cycadis revolutae. Horto Botanico Genuae. Dedico questa specie all’ egregio amico Dott. Filippo Tognini in attestato di stima e di riconoscenza. 74. Septoria Unedonis Rab. et Desm. Sace. Sy2/., vol. III, pag. 493. Forma VELLANENSIS Briosi e Cavara Funghi parassiti fascicolo V, mo SI2I0 La lunghezza delle spore nel mio esemplare (80 v) corrisponde perfettamente a quella della varietà Vellanensis data da Briosi e Ca-. vara nei Funghi Parassiti delle Piante utili o coltivate. Boschetti fra Loano e Boissano. 75. Septoria arundinacea Sace. Mich., I, 195 — Sace. Sy, vol. III, pag. 564. Sopra Phragmitis communis; Albenga. 76. Septoria Hederae Dufour, Ann. Sc. Nat. 1843, XIX, pag. 340 — Sace. Syt., vol. III, pag. 490. Sopra foglie di Hedera Helix. Orto Botanico di Genova. 77. Septoria Neriicola Pass. Sept. Parm., n. 89 — Sace. Sy2., vol. IL pag. 497. Sopra foglie di Nerixm Oleander. Porta S. Bernardino. Genova. 78. Septoria Citri Pass. Flora 1877, n. 13 ed in Thum, Micoth. univ., n. 495, Mich., II, pag. 173 e 435 — Sace. Sy2., vol. III, pag. 477. Sopra Citrus. Orti di Loano. 79. Septoria Coriariae Pass. Fung. Parm., n. 28 — Sace. Sy0Il., vol. III, pag. 480. Raccolsi sopra Coriaria myrtifolia associata al Sphaeropsis nel R. Orto Botanico di Genova. Dicembre. LAggio 80. Septoria Populi Desmaz. 10 De Not. 5, pag. 11 — Sphaeria frondi- cola Fr. S. M. II, pag. 529. Sopra foglie di Populus nigra. Loano. S1. Septoria Rubi West. Zxs., n. 938, Kickx. Flor., FI. pag. 433 — Sace., SyUt., vol. III, pag. 486. Sopra foglie di Rudus. Borghetto S. Spirito. 82. Septoria Carrvubi Pass. in £r0. critt. Ital. II, n. 1292 — Sace. Syli., Supplem. univ., vol. X, pag. 351. Sopra foglia di Ceratonia siliqua, lungo la riviera fra Borghetto S. Spirito ed Alassio. 83. Septoria Montemartinii n. sp. Maculis nullis, peritheciis sparsis, nigricantibus, immersis, globulosis, ostiolo obtuso latiuscule hiantibus, 110-90 p. diam.; sporulis cilindraceo-ver- micularibus, hyalinis, pluriseptatis, ad septa non constrictis 25-28 v 2-2,50 v. (tav. III fig. 5 A, 14). In petiolis Cycadis revolutacin Horto Botanico Genuae. Decembre 1894. Dedico questa specie all’amico e collega Dott. Luigi Montemartini. 84. Cystoporina Loanensis n. sp. Stromatibus nigris, plurilocularibus, elipsoideis, sub epidermide-elevato- nidulantibus; sporulis filifJormibus, curvatis, hyalinis, continuis 27-1 v, basidiis fasciculatis suffultis 20-21 v. long. In ramis corticatis Cory! Avellanae Loano (Albenga). Agosto 1895. 85. Leptotyrium Penzigi n. sp. Peritheciis scutiformibus, carbonaceis, crebri-sparsis, contextu distinete radiato; sporulis continuis, hyalinis, ovoideo - oblongis 9-10 < 2,25 u, mono- guttulatis, basidiis longis (Tav. III fig. 2 a, 0). In petiolis Chameropis. Horto Botanico Genuae. Decembre 1894. Dedico questa specie al chiarissimo botanico Prof. O. Penzig, che con numerosi lavori tanto contribuì alla conoscenza della micologia ligustica. MELANCONIEAE Berk. 86. Gloeosporium yuccogenum Ell. et Ev. Journ. Myc. 1887, pag. 21 — Sace. SyUoge, Supplem. univ., vol. X, pag. 461. Sopra Yucca. Orto Botanico di Genova. di — 87. Gloeosporium ampelophagum (Pass.) Sace. Mich., I, pag. 217 — Ra mularia ampelophaga Pass. Neb. Moscat. 1876 — Phoma uvicola Arcang. — Sace. Sy4., vol. III, pag. 719. Sopra bacche di Vitis a Loano. Mixosporium Dracaenicolum B. et Br. Ann. n. 1896 — Sace. SyUoge, vol. III, pag. 728. D Sopra Cordilina indivisa. Orto Botanico di Genova. 89. Collettorichum Cordylinae n. sp. Acervulis sparsis, fuscis, plano-converiusculis, magnis, 450 wu longis et 200 vu. latis, setulis, simplicibus, erectis septatis, basi inflatulis, 124 x longis, 7-8 latis, conidiis continuis, hyalinis, dense fascieulatis sub equalilongis. In foliis Cordylinae indivisae in Horto Botanico Genuae, Decem- bre 1894. 90. Colletotrichum Yuccae n. sp. Acervulis numerosis, crebre-sparsis, usque 200 w. latis et 260 longis, epidermide vix centro fissa, tectis, basi cellulis fuligineo-umbrinis parenchi- maticis, setulis rigidulis 60 = 6. vel usque 80 longis, bi-tria septatis fuli- gineis; basidiis hyalinis eylindraceis, conidiis fusoideis continuis 13 = 3,50 (Tav. II fig. 1). In foliis Yuccae filamentosaein Horto Botanico Genuae. l)icembre 1894. 91. Colletotrichum Hibisci n. sp. Maculis orbicularibus irregolaribus bruneis, acervulis sparsis vel sub- gregartis lenticularibus, 225 65 u., setulis brevis, acutis alro-violaceis usque 55 1. longis et 3.50 latis, continuis vel septatis; basidiis hyalinis, brevis; conidiis elongato-subelavatis continuis hyalinis, biguttulatis 11-25 < 4,20 pv. In caulibus Hbisci palustris Horto Botanico Genuae 1894. HYPHOMYCETEAE Martius p. m. p. 92. Aspergillus stercoreus Sacc. Mich., I, pag. 78 — FI. Ital., t.19 — Sace. SyU., vol. IV, pag. 67. In sterco umano a Bardineto (Albenga). 93. Aspergillus candidus Link. sp. pl. Fungi, I, pag. 65 — Sacc. F. Ital. t. 704 — Sace. Sy2., vol. IV, pag. 66. Sopra steli di piante fracide a Bardineto. — 49 — 94. Diplosporium album Bow. Handd., pag. 99 — Lung. Ital., t. 770 - Sacc. SyI., col IV, pag. 178. Sopra corteccia morta di Populus a Toirano (Albenga). Ottobre. 95. Passalora bacilligera M. et Fr. Notice, etc. in Ann. 2, Seiene. Nat., IV, pag. 31, t. 12, fig. 5 — Fries. Betr., t. XI, fig. 55-58 Sace. Sytt., vol. IV, pag. 345. Sopra A/nus glutinosa. Lungo canali delle paludi di Albenga. 96. Cladosporium asteroma Fuck Symd., pag. 355, fig. 48. Forma Microscoprorum, Sace. SyU., vol. IV, pag. 357. Raccolsi sopra Phillirea latifolia. Giardini pubblici della villetta Di Negro a Genova. 97. Cercospora glandulosa Ell. et Kel. Journ. of Micol., I, 1885 — Sacc. Sy. vol. IV, pag. 467. Sopra foglie di Aanthus glandulosa a Toirano presso il Varratella. 98. Coniothecium effusum Corda /c., I, fig. 2, Tav. I, fig. 21 — Spoci- desmium Lepraria Berk. Lepraria Nigra Engl. Bot., t. 2409 — Sace. Sy22, vol. IV, pag. 508. Sopra rami di Corylus. Monte S. Nicolò a Bardineto (Albenga). Settembre. 99. Macrosporium sarcinneforme Cavara /n difesa dei parassiti, n. 4, Mi- lano 1890 — Briosi e Cavara Yung. Parassiti, n. 116 — Sace. Syl. Supplem. univ. X, pag. 675. Raccolsi sopra foglie di 7folium a Bardineto (700 metri) Albenga. 100. Fumago vagans Pers. Myce. Eur., I, pag. 9 — Cladosporium Fumago Link. Sp. pl. Fungi I, pag. 41 — Syncollesia foliorum Ag. — Torula. fumago Chev. I, Tav. III, fig. 4 — Sace. Sy2., vol. IV, pag. 547. Sopra rami e foglie di Salir. Albenga. Fi>. AE SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA III — Massalongiella ligustica n. sp. Porzione ramo di Pyrus attaccato dal fungo. > 5; Asco con spore. Spore fortemente ingrandite. D "i Peritecio in sez. trasv. (schematico). — Leptosphaeria Briosiana n. sp. Peritecio in sez. trasv. (schematico). Asco con parafasi. Porzioni di foglia di Jubea spectabilis af- fette dal parassita. 5 Spore fortemente ingrandite. _ Phyjllosticta Camaeropis n. sp. Porzioni foglia di Camaerops affette dal parassita. Po PA Peritecio, — Macrophoma Cavarae n. sp. Peritecio visto dall’alto. Peritecio con spore in sez. trasversale. » » » » »” » ” ” — Hendersonia Togniniana n. sp. Porzioni di foglia di Cycas affette dal fungo. Peritecio in sez. trasversale. n 5 Spore fortemente ingrandite. — Septoria Montemartinii n. sp. Porzione piccinolo di Cycas revoluta affetto dal fungo. Peritecio con spore. n ” » ”» $ L Spore fortemente ingrandite. — Leptothyrium Penzigi n. sp. Peritecio visto di fronte. 3 Spore attaccate a basidii. ”» — Colletotrichum Yuecae n. sp. Sezione trasversale di acervulo. ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA (Laboratorio Crittogamico Italiano) RICERCHE DI BRIOLOGIA PALEONTOLOGICA NELLE TORBE DEL SOTTOSUOLO PAVESE APPARTENENTI AL PERIODO GLACIALE PER RODOLFO FARNETI (CON UNA TAVOLA.) Nei dintorni di Pavia, sulle rive del Ticino, in prossimità della ferrovia e della cascina Canarazzo in comune di Cava Carbonara, esiste» un considerevole giacimento di torba che in parte viene utilizzato come combustibile specialmente dai lavandai. Procuratomi pareechi pezzi di questa torba, raccolti in diverse po- sizioni del giacimento, li studiai, ed ora pubblico i primi risultati di queste ricerche fitopaleontologiche. In tali torbe il prof. Balsamo Crivelli aveva notato la presenza degli sfagni; ! ed io mi aspettavo di trovarvene in quantità predo- minante, come avevo osservato in alcune torbe del commercio; ma con mia sorpresa non ve ne rinvenni che in piccolissima proporzione. Vi ho trovato predominanti invece le Hypnaceae e fra queste due specie nuove e scomparse dalla flora attuale. Una di esse la denomino Hypnum insubricum, Valtra Hypnum Taramellianum, in omaggio all’ insigne geo- logo pavese che ne ha illustrato il giacimento dal punto di vista special- mente stratigrafico, e l’ha riferito al periodo diluviale, ° ciò che viene pienamente confermato dagli elementi fitopaleontologici da me trovati. Vi ho rinvenuto anche alcuni avanzi determinabili di fanerogame ar- boree ed erbacee, che formeranno l’argomento di altra pubblicazione. ! Barsamo CrivenLi, Notizie naturali e chimico-agronomiche sulla provincia di Pavia, pag. 36. 2 T. TanameLi, Descrizione geologica della provincia di Pavia, pag. 39 e 148. — Milano G. Civelli. Atti dell’ Ist. Bot. dell’ Università di Pavia — Nuova Serie — Vol. V, 4 LE RU RIE Il prof. T. Taramelli ha trovato che questa torba si trova in un piano assai esteso di argilla azzurrognola, verdastra, finamente micacea. Questo piano argilloso che, secondo il dotto geologo, abbraccia forse tutta l’area piana a nord del terazzo del Po, a sinistra del Ticino, è situato a circa 16 metri di profondità dal ciglio dei terazzi, e si estende fino alla confluenza di questo fiume nel Po. Questo strato argilloso presenta molte analogie litologiche colle argille plioceniche di San Colombano al Lambro, per conseguenza astra- zione facendo del criterio paleontologico, si potrebbe essere indotti a ritenerlo quale un sedimento marino; ma secondo il detto geologo non è che una prova di quello stato palustre del bassopiano padano, che doveva accompagnare le prime deiezioni dei confiuenti appenninici e delle fonti glaciali, e che cessò quando queste deiezioni vennero a toc- carsi e sovrapporsi. Stato palustre, dice egli, che non bisogna confon- dere con quell’ altra condizione del pari palustre, ma più dipendente dall'idrografia attuale, che la valle padana ha attraversato nel periodo antropozoico e che la civiltà dei popoli cisalpini s’affrettò a far cessare o per lo meno a localizzare entro limiti sempre più ristretti. Secondo l’autore, questa torba è molto analoga alla lignite torbosa di Leffe in Val Gandino, nella provincia di Bergamo, quantunque meno antica di quest'ultima, ed ha un potere calorifico di 2886 calorie, quindi sensibilmente più elevato di quello delle torbe superficiali. Esaminando attentamente questa torba, la si vede costituita di di- versi strati sovrapposti, variabili per ispessore, per aspetto e consistenza. Alcuni strati sono d'aspetto carbonaceo e di durezza quasi lapidea, altri di color bruno, facilmente sfaldabili, costituiti da muschi meno decom- posti e da pochi altri avanzi vegetali. Gli strati più grossi sono sepa- rati da straterelli tenuissimi formati da sabbia minutissima mista a squamette di mica e da frammenti di foglie e rametti di muschi diffi- cilmente distinguibili ad occhio nudo. Nei grossi strati carbonacei, per le grandi difficoltà, dipendenti dallo stato di decomposizione in cui si trovava la torba, non mi è riescito distinguere che la Meesea triquetra. V Hypnum revolvens, e la Paludella squarrosa, misti a qualche rizoma e foglia di fanerogame. I grossi strati bruni sono costituiti quasi interamente da Hypna- ceae e da pochi avanzi di altri vegetali. Negli straterelli che s’inter- pongono fra i grossi strati carbonacei e gli strati bruni, insieme alla sabbietta si osservano detriti e fogliuzze di sfagni. Le Hypnaceae degli strati bruni fino ad ora da me esaminati, sono rappresentate per nove decimi della niassa dal Hypnum scorpioides; il resto è formato da Hypnum insubricum, H. Taramellianum. H. sarmen- tosum, H. Sendtneri, e da poche foglie, radici, ciuffi di peli di fane- rogame. AT SE È notevole il fatto che le specie di muschi di questa torba non solo non si rinvengono nella flora attuale della bassa valle del Ticino, ma sono tutte specie con tendenza boreale, che hanno il loro limite meridionale nelle Alpi, tranne degli sfagni. ! Le poche specie del genere Meesea abitano luoghi paludosi e tor- bosi, e in Europa non scendono al di sotto della catena alpina. La Meesea triquetra è stata trovata al Cenisio, allo Spluga e nelle paludi di Pinè nel Trentino. Più comune è nell'Europa media e settentrionale fino alla Siberia e alla Groenlandia. Anche nell'America sottentrionale occupa luoghi di analogo clima: il Canadà, la Nuova Jersey, le Mon- tagne Rocciose, l’Jdaho, il Washington, la Colombia inglese. L’ Hypnum revolvens è una specie che vive parimenti nelle tor- biere e nei luoghi paludosi e che ha tendenze boreali nei due emisferi spingendosi fino alla Siberia, alla Groenlandia, al Labrador; e che non scende al di qua delle Alpi lombarde e del Trentino. L’ Hypnum scorpivides, che da noi si trova confinato al Cenisio e al lago di Comabbio, cresce qua e là in Isvizzera, ed è comune nelle tor- biere presso Monaco e nel Salisburghese. Si trova parimenti nella Francia settentrionale, in Olanda, nella Germania settentrionale, nella Svezia, nel Miquelon, nell’ Ohio, a Ter- ranova, nel Canadà e si spinge da una parte fino alla Lapponia e alla Siberia e dall’altra fino al Labrador e alla Groenlandia. L’Hypnum insubricum è affine all’Hypnum polygamum e all’H stel- latum dei quali potrebbe essere una forma antenata; essi vivono in luo- ghi paludosi e torbosi ed hanno eziandio tendenze nordiche tanto in Europa, che in Asia e in America. Si spingono fino alla Siberia, al Labrador e alla Groenlandia. L’'Hypnum sarmentosum vive negli stessi ambienti ed ha le stesse tendenze boreali delle altre specie di muschi fino ad ora trovati in questa torba. Abita i luoghi paludosi delle nostre Alpi ed è comune specialmente in Lapponia, in Scandinavia ed arriva fino alla Siberia, al Labrador ed alla Groenlandia, Anche l HMypnum Sendtneri si spinge fino alla Siberia e al Canadà ed in Europa ha il suo limite meridionale nelle Alpi. La Paludella squarrosa è parimente un musco dei luoghi paludosì e delle torbiere che da noi non discende al di qua delle Alpi, mentre abbonda invece nella Germania settentrionale, nella Svezia e Norvegia e giunge fino alla Siberia, al Canadà, al Labrador e alla Groenlandia. 1 Il Dott. Benedetto Corti vi ha trovate Diatomee alpine. — B. Corti, Ste Torbe glaciali del Ticino e dell’Olona; in Bollettino scientifico, anno XIV, p. 58, Pavia, 1892, no Nel territorio pavese, come nella bassa pianura lombarda, malgrado tanta abbondanza di acque stagnanti, correnti e sorgive, attualmente non si trovano sfagni. Il fatto mi sembra non possa dipendere da ra- gioni climateriche, ma debba attribuirsi invece ai frequenti e consi- derevoli cambiamenti nel livello delle acque; per cui le specie che non possono vivere, per un periodo abbastanza lungo, completamente e pro- fondamente sommerse non vi possono allignare. Se nella torba dei din- torni di Pavia ho trovato la presenza degli sfagni non vuol dire che nel periodo glaciale nel luogo preciso in cui esisteva l'antica tor- biera le condizione idrologiche fossero in allora sostanzialmente di- verse dalle attuali, o che il clima, in realtà molto diverso, fosse la causa sufficiente per cui vi era possibile la vita degli sfagni; impe- rocchè questi evidentemente, per quanto ho potuto osservare fin ora, non crescevano nella torbiera ticinese, ma vi venivano trasportati e depositati dalle acque, sotto forma di detriti, da sfagneti che dovevano esistere più a monte. Infatti, gli sfagni, oltre che a trovarsi nella torba da me osser- vata, direi quasi allo stato sporadico, si rinvengono in straterelli te- nuissimi ed appena distinguibili per la sabbia e le squamette di mica che li costituiscono. Mi sembra evidente che la torbiera, quasi intera- mente ricoperta da un grosso e folto tappeto d’Ippnacee, venisse sommersa, in certi periodi, dalle acque ingrossate dalle piogge o dallo squagliarsi delle nevi e dei ghiacci, e che queste ritirandosi vi abban- donassero detriti di sfagni, asportati altrove, insieme ad un leggero deposito di limo. A questa innondazione doveva seguire una florida ve- getazione d’Ippnacee, indi una nuova innondazione, e ciò per più volte e a periodi più o meno lunghi. Se diamo uno sguardo al territorio in cui esisteva la torbiera, e ci portiamo coll’immaginazione all’ epoca in cui questa veniva forman- dosi, il paesaggio doveva avere, anche dal punto di vista generale della vegetazione, un aspetto ben diverso dall’attuale. Vi era una vasta palude, quasi interamente ricoperta di muschi, disseminata di qualche cespuglio di piante palustri, e di alcune lacune nelle quali l’acqua più profonda era ricoperta dalle foglie natanti dei Potamogeton e di altre piante acquatiche. * Predominava l’ Hypnum scorpioides, che co’ suoi fusti e rami robusti e grossi, per le foglie grandi, abbondanti ed embrieciate, formava un vasto tappeto, di color bruno, non molto compatto, ma di uno spessore ! Negli strati più decomposti e d’aspetto carbonaceo, si osservano numerosi frutti di Potamogeton ed alcuni fusti di piante erbacee, che, in parte almeno, proba- bilmente appartenevano a questo genere. "di 20 a 30 centimetri, che ricopriva quasi l’intera superficie. Qua e là si dovevano osservare chiazze prodotte da ampi cespi di color verde, alti circa 10 cent., di Meesea triquetra, dalle foglie ricurve e disposte sopra tre file; e da altri meno numerosi, di colore giallognolo, della stessa altezza, dovuti alla Pa/udella squarrosa così chiamata per le sue foglie fortemente curvate al basso. L'Hypnum revolvens dalle lunghe foglioline lanceolato-acuminate, circinate, vi formava dei molli cespuglietti di color verde o volgenti al bruno o al: porpora scuro e brillante. Qua e là si dovevano mesco- lare l Hypnum Sendtneri d'un verde cupo, l Hypnum sarmentosum d’ un porpora nerastro, l’ Hypnum Taramellianum dal portamento robusto, e l Hypnum insubricum dai rami lunghi ed esili, e dalle foglioline picco- lissime, rade, lanceolate e lungamente acuminate, aperte quasi ad an- golo retto in ogni senso. Il clima doveva essere molto rigido, se si deve arguire dai muschi che vi crescevano e dall’ispessimento considerevole della parete cellu- lare ciò che distingue tutte le forme che vivevano in quel periodo, da quelle delle stesse specie che crescono attualmente nell’ Europa cen- trale. Attualmente, quantunque fra i muschi primeggino ancora le Ip- pnacee, predominano le Fanerogame, e specialmente le Monocotiledoni: Ciperacee, Graminacee, Tifacee, Idrocaridee, ecc., anche nei luoghi paludosi; senza tener conto delle Amentacee coltivate o sfuggite alla coltivazione. È notevole ancora il fatto che fino ad ora non ho trovato nelle torbe la presenza di Fontinalis, ora invece abbondanti; il che è forse dovuto a ciò che allora le acque erano relativamente poco profonde, 0 più probabilmente che gli altri muschi e le fanerogame a foglie na- tanti formassero un tappeto galleggiante tanto folto da intercettare i raggi luminosi e da non permettere quindi la vita delle Fontmalis. MEESEA TRIQUETRA, (L.) Angstr. Alla superficie di sfaldamento di un blocco di torba compatta e d'aspetto carbonaceo, si osservano appiccicati delle specie di fuscelli compressi che irradiano da un nucleo centrale, prendendo nel loro complesso una disposizione quasi dentritica (Tav. IV, fig. 3). Esami- nandoli con una buona lente si distinguono fusticini e rametti di un musco, compressi per effetto della pressione della massa sovrastante. Tsolato senza non molta difficoltà uno di questi rametti e sottoposto ad un piccolo ingrandimento microscopico, il suo riferimento non lascia più alcun dubbio (lav. IV, fig. 10). Infatti sopra un asse centrale s’inse- riscono delle appendici laminari che, per la loro forma, per la loro strut- tura; in alcuni punti perfettamente visibile come si trattasse d’un esem- plare da erbario, sono indubbiamente riconoscibili per foglioline d’un musco (Tav. IV, fig. 10, 12 e 14). L'insieme di tutti i fusticini (Tav. IV, fig. 3) rappresenta un ce- spuglio alto non meno di 5 a 6 cent., abbastanza rado, perchè, quan- tunque compresso, forma uno strato tenue che in molti punti non ri- copre interamente la superficie sottostante. Nel fusticino, esaminato al microscopio, non è possibile scorgere traccia di feltro tomentoso; ciò che potrebbe anche essere impedito dalle foglie e dai minuti detriti che vi aderiscono. Si scorge però alla base del fusticino, dove è stato spezzato e forma una specie d’ugnatura, la struttura cellulare. Le foglie sono lungamente decorrenti e disposte secondo fillotassi tristica. Esse hanno circa tre millimetri di lunghezza e poco più di un millimetro di larghezza verso la base. Sono ovato-lanceolate acute, piane al margine e seghettate fino verso la base, a denti irregolarmente lunghi e distanti (Tav. IV, fig. 12 e 14), a nervatura che giunge quasi fino all'apice (Tav. IV, fig. 14). Dal modo con cui sono ripiegate e dalla direzione che prende la nervatura nelle foglie vedute dal dorso o di profilo si può arguire che esse eran carenate abbraccianti, erette per un tratto, poscia curvate in fuori. Le cellule di tutto il lembo sono grandi, non papillose, a parete sottile. Quelle della regione apicale sono quadrate brevemente rettan- golari o romboidali (Tav. IV, fig. 14), da 15 a 30 y di lunghezza per circa 15 «x di larghezza. Le cellule della regione inferiore del lembo (Tav.IV, fig. 12) sono rettangolari, da 28 a 38 w di larghezza per 38 a 78 di lunghezza, ed in generale 4 a 6 volte più lunghe che larghe. Il lembo, tranne che nella regione apicale, ha una o due serie di cel- lule marginali più strette. 9, = Per la struttura fogliare è evidente che si tratta di una Bryinea Acrocarpea da riferirsi alla famiglia delle Meescaceae. Confrontando l'esemplare con le diverse specie dei generi di questa famiglia credo poterlo riferire con certezza ad una forma non diversa dall'attuale Meesea triquetra (L.) Angstr. Infatti, per la disposizione tri- stica delle sue foglie, per la loro forma e la loro dentellatura marginale non potrebbe essere confusa con nessuna altra specie di questo genere e tanto meno con specie degli altri generi della famiglia. Paragonando l'esemplare della torba con vari esemplari autentici dell’ erbario, v' ho riscontrato gl’identici caratteri essenziali: le foglie sono delle medesime dimensioni, dell’identica forma ovato-lanceolata-acuta, piane al margine e seghettate fino verso la base, e a denti irregolarmente lunghi e di- stanti. Non ho potuto trovare la presenza di feltro radicolare nel fusto, ed ho dovuto constatare che le cellule della regione inferiore della fo- glia hanno dimensioni maggiori di quelle di alcuni degli esemplari di erbario e di quelle assegnatele da alcuni autori; ma ho dovuto con- statare eziandio che ciò si verifica in molti altri esemplari autentici dell’erbario. PALUDELLA SQUARROSA, Er. In un blocco di torba d’aspetto carbonaceo ed analogo a quello in cui si trovava la Meesea triquetra ho potuto isolare alcuni frammentini nei quali era facile riconoscere pezzi di fusto di un musco rivestito da numerose rizine. Una foglia con lembo completo ed altre con porzioni di lembo sufficientemente visibile e tuttora aderente al fusto mi hanno permesso di identificare i frammenti in discorso come appartenenti alla Paludella squarrosa. Le foglie sono ovali, squarrose, acute, dentate al margine. Le cellule della parte superiore del lembo, chiaramente osser- vabili, erano di forma quadrangolare o sub-quadrangolare ed a parete cellulare ispessita. Fatti gli opportuni confronti con esemplari autentici dell’ erbario, non mi è riuscito scorgere differenze sensibili colla Paludella squarrosa attualmente vivente. HyPNUM INSUBRICUN, 7. Sp. Sfaldando un grosso pezzo di torba, di color bruno e composto d’Hypnaceae poco decomposte, ed esaminandone attentamente la su- perficie con una buona lente, scopersi un frammento di un ramo d’ un musco che misurava circa un centimetro, ma che evidentemente in origine era assai più lungo. Era rivestito di foglioline molto piccole non squarrose, ma patenti in ogni senso (Tav. IV, fig. 6), ovali alla base, poscia grandemente attenuate in un lungo acume canaliculato- subulato, acuto (Tav. IV, fig. 5), lunghe da mm. 1,10 a 1,35 per circa mm. 0,33 di larghezza alla base, senza nervatura mediana. Tutte le cellule fogliari avevano la parete fortemente ispessita, ed erano ver- micolari, tortuose, porose, ottuse all’apice; le intermedie e le superiori lunghe da 68,80 a 88,80 4 e larghe da 4,44 a 6,66 & dei quali una metà rappresentati dallo spessore delle pareti; le basali rettangolari, ad angoli arrotondati, lunghe da 17,76 a 26,644 per 8,88 a 13,52 w di larghezza. Staccata una gemma fiorifera dal rametto ed aperta con molte precauzioni per la sua grande fragilità, vi ho potuto osservare organi maschili perfettamente conservati (Tav. IV, fig. 7), circondati dalle loro parafisi e dalle foglie perigoniali. In questo esame ho potuto constatare la mancanza d’organi femminili nello stesso fiore. Qui trattasi di un Hypnum della sezione CampyZiwm Sull.; per la forma e la struttura degli organi vegetativi, ed in seguito a numerosi confronti, ho dovuto concludere trattarsi di una forma affine all’Hypnum polygamum Schimp. ed all’Hypnum stellatum Schreb. Dalla forma tipica dell’Hypnum polygamum, si distingue per la man- canza delle grandi cellule jaline che formano una regione auricolare ben distinta e caratteristica di questa specie; e dalla forma tipica del- l HMypnun stellatum si distingue facilmente per non avere le foglie squarrose. Però l’ Hypnum fallaciosum Juratzka, delle torbiere delle montagne del Trentino, ha le cellule basali esterne che non formano più l’areola auricolare distinta e caratteristica del tipo; e l’Hypnum stella- tum è tanto variabile che presenta delle forme a foglie non squarrose, come nella forma a/pina N. Boulay, e nella forma gracilis N. Boulay. L'Hypnum stellatum varia anche rispetto alla nervatura fino ad esserne quasi senza, come nella var. profensum Schimp., e per le di- mensioni delle foglie che sono assai piccole nella form. tenuis N. Boulay e nella form. gracilis N. Boulay. Di tutte queste forme dell’ Zunnum polygamum e dell’ Hypnum stellatum, nessuna però vi corrisponde per il considerevole ispessimento della parete cellulare. HyPNUM REVOLVENS, Sw. In un pezzo di torba compatta e carbonacea, per mezzo della tri- turazione potei esaminare al microscopio dei frammenti di fusto con porzioni di foglie circinate, a cellule molto lunghe e strette, flessuose, — ie lineari, a pareti molto ispessite. In alcune porzioni di foglie aderenti allo stesso frammento si osservavano anche cellule basali rettangolari, irregolari, sinuose, strette, a pareti molto ispessite. Evidentemente si tratta di un ZYypnum della sezione Harpidium Sull. Per le foglie circinate e per la forma delle cellule del lembo e basali, credo non errare di molto riferendolo al Hypnum revolvens Sw. o ad una forma affine. Hypnum SENDTNERI, Sch. Nella torba decomposta e compatta, di color bruno, sfaldandola ed esaminandola attentamente con una buona lente, scopersi un rametto di musco che per il suo aspetto attrasse la mia attenzione. Al micro- scopio riconobbi trattarsi di un altro Hyprum della sezione Harpidium Sull. Le sue foglie hanno una forma oblungo-lanceolata, stretta, lunga- mente accuminata e falciforme. Non mi è riescito di potere osservare la regione auricolare mancando quasi interamente. Dopo ossere stato lungamente incerto se doverlo riferire ad una forma dell’Hypnum adun- cum 0 dell’Hypnum Sendtneri ho creduto, in seguito a numerosi confronti, poterlo riferire a quest'ultima specie per la nervatura molto più grossa e penetrante nell’ acume e per il tessuto fogliare formato di cellule a pareti più ispessite. 4 Hypnum scorpioIDEs, L. Gli strati meno compatti e di color bruno sono formati quasi esclu- sivamente da questa specie di musco. Osservando attentamente un pezzo di questa torba è facile rico- noscervi, quale principale componente, un Hypnwn della sezione Cal- liergon Suli. All’esame microscopico si osservano rami con foglie grandi di forma largamente ovale, oblunga ed ottusa (Tav. IV, fig. 9). Queste foglie generalmente sono rotte e lacerate. Per la forma e le dimensioni delle foglie, e delle cellule basali e del lembo non è difficile riconoscervi l'Hypnum scorpioides L. Ho potuto isolare anche l'estremità d’un ramo colle sue foglie, le quali formano una grossa gemma adunca (Tav. IV, fig. 2). Corrisponde alla specie vivente per i caratteri generali della foglia, ma non mi è stato possibile rinvenirvi traccia di nervatura, Confrontato cogli esemplari autentici di Monaco e del lago di Co- mabbio (Angera) nel Comasco recentemente raccolti e gentilmente comunicatemi dal signor Artaria di Milano, vi ho trovato ancora le se- guenti differenze : Cellule tutte a pareti molto più ispessite e porose: quelle della parte superiore e mediana della foglia piu strette, di 76 — 78 = 4 &, compreso lo spessore delle pareti che da solo misura 2 w. Cellule basali più brevi e più strette di 22 — 33,5 >< 11 — 18 #. HyPNUM TARAMELLIANUM, 7. Sp. Misto alla specie precedente ho trovato un altro Hypnum, che per la forma e la struttura fogliare evidentemente appartiene anche alla stessa sezione Calliergon Sull. Per la forma e l’apicolo terminale della foglia (Tav. IV, fig. 8) si ap- prossima all’ Hypnum purum, ma se ne scosta poi per la mancanza della nervatura, per la forma delle cellule della zona basale della foglia, per mancanza di dentellature al margine, ecc. Oltre che per i sopradetti carat- teri si scosta anche per la forma della foglia dall’Hypnum turgescens, dall’Hypnum sarmentosum, dall H. scorpioides, dall’H. cordifolium, dall’ H. giganteum, dall'H. trifarium, dall’H. nivale, dall'H. stramineum, dall’H. Ri- chardsoni. Per la mancanza di nervatura sì approssimerebbe all’ Hypnum cuspidatum e all’H. Screberi, non è però possibile confonderlo con queste specie per la forma delle cellule basali e per l’apicolo. Non potendo riferirlo a nessuna specie vivente ho creduto conveniente distinguerlo con un nome nuovo, e l'ho chiamato Hypnum Taramellianum, in omaggio all illustre geologo dell'Ateneo ticinese che pel primo nella sua “ Geo- logia della Provincia di Pavia , riferì le torbe del sottosuolo pavese al periodo diluviale. Descrizione. — Foglia ovato-apiculata, di mm. 1,5 di lunghezza per 1 mm. di larghezza, enerve, concava, con tre o quattro pieghe lon- gitudinali, a margini piani ed interi (Tav. IV, fig. 8). Tutte le cellule del lembo sono porose ed a parete molto ispessita. L’ispessimento della parete cellulare va aumentando gradatamente pro- cedendo dall’apice alla base della foglia. Le cellule dell’apice della fo- glia sono vermicolari, ottuse, di 25 — 40 w per 3 u. Man mano che si discende alla regione mediana, le cellule vanno accostandosi alla forma lineare coll’ estremità ottuse o troncate obliquamente. Queste ultime misurano in media 66 4 per 6,5 «. Il tessuto a cellule vermicolari e strette, lungo i margini si prolunga fin verso la base della foglia e va gradatamente modificandosi in tessuto a cellule più larghe e lineari verso la parte mediana, dove questa struttura è maggiormente accen- tuata. Alla base si osserva una serie trasversale di cellule lineari che bruscamente si raccorciano, pur conservando la loro forma e la loro larghezza, ed a questa serie seguono due altre serie di cellule brevi e brune, a pareti straordinariamente ispessiste (Tav. IV, fig. 1): quelle della prima serie curve e sinuose, quelle della seconda irregolari e si- nuose. A queste fanno poi seguito cellule lunghe, larghe, jaline, a pa- rete più sottile, rettilinee o curvate in senso opposto a quelle della prima serie delle cellule basali, e che evidentemente appartengono allo strato corticale del fusto. Le cellule sclerose e curve della prima serie basale misurano 20 — 29 u, per 5,5 — 6,6 di lume e la loro parete ha da 5,5 a 6,4 di spessore. HyPnum sarmenTOSUM, Whalend. Fra due strati di torba, dove sono separati da sabbietta e da squamette di mica, colla punta di un ago, ho potuto casualmente isolare alcuni brandelli di foglie di forma lanceolata ottusa, coi margini ri- piegati in dentro verso l’apice, con nervatura grossa e ben distinta. Le cellule della regione mediana del lembo erano vermicolari, e le auri- colari, come mi fu dato osservarne alcune in un pezzetto di foglia, erano grandi e di forma rettangolare. Dall’insieme di questi caratteri credetti ravvisare un Hypnum della sezione Calliergon Sull., e dopo molti confronti con esemplari autentici dell’erbario, l’identificai coll’Hypnum sarmentosum Whalenb. SFAGNI. Come abbiamo detto, negli straterelli sabbiosi che s’interpongono fra gli strati di maggiore spessore della torba, si trovano avanzi di sfagni. Questi detriti di sfagni, facilmente riconoscibili al microscopio per la forma caratteristica delle loro cellule, non si vedono ad occhio nudo, e difficilmente anche con una buona lente. Sgretolando colla punta di un ago alcuni frammentini che per pa- recchi giorni avevo lasciato immersi nell'acqua, mi riescì di potere isolare alcune foglie rameali che riferii alle seguenti specie: SPHAGNUM sQUARROSUM, Pers. Foglia rameale squarrosa (come si può arguire dalla sua forma) (Tav. IV, fig. 15), ovato-lanceolata, dentellata all'apice, con margine composto di due o tre serie di cellule lineari angustissime e molto lunghe. — 58 — SPHAGNUM cUSPIDATUM Hlrh. Foglia angustamente lanceolato-allungata, coi margini rivolti nella parte superiore ed apicale del lembo (Tav. IV, fig. 13). Vi ho ravvisato una foglia terminale dei rami di Sphagnum cuspidatum. I confronti con esemplari dell’erbario hanno convalidato questa mia opinione. SpHaGnuM acuTIFOLIUM E%rh. Foglia rameale ovato-lanceolata, troncata e dentellata all’apice (Tav. IV, fig. 11). Cellule con pori grandi e numerosi (Tav. IV, fig. 4). lp, dl 2 RI È CEE A: si Si EG: quite ANS: 9: DIA10) ap NE UR: pl5: SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA IV. Hypnum Taramellianum; cellule basali ed auricolari. 5 scorpioides; apice di un ramo, Meesea triquetra: cespo aderente ad un pezzo di torba. Sphagnum acutifolium; cellule di una foglia rameale. Hypnum insubricum ; foglia rameale. 5 FS porzione d’un ramo. n » anteridi, parafisi e foglie perigoniali. » l'aramellianum ; foglia. È scorpioides; foglia. - Mescea triquetra; ramo con foglie. Sphagnum acutifolium; foglia rameale. Meesea triquetra; struttura della regione inferiore e marginale della foglia. Sphagnum cuspidatum; foglia rameale. » 14. — Meesca triquetra; struttura della regione apicale della foglia. » 15. — Sphagnum squarrosum ; foglia rameale. ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA (Laboratorio Crittogamico Italiano) CONTRIBUTO STUDIO DELL’ANATOMIA DEL FRUTTO SEME DELLE OPUNZIE Dott. LUIGI MONTEMARTINI. Da alcuni anni vado raccogliendo materiali per uno studio di ana- tomia ed istogenia comparate del frutto e del seme delle Opunzie, ma le difficoltà che ho incontrato in tale raccolta non mi hanno mai per- messo di completare queste ricerche. Il D’Hubert, però, in un suo recente lavoro intorno al sacco em- brionale delle piante grasse, ! è entrato nel campo al quale io avevo messo mano ed ha studiato la struttura, e lo sviluppo degli ovuli delle Opunzie; ora, per non perdere intieramente il frutto delle osservazioni già fatte e anche per completare e correggere, almeno in parte, lo studio del D’Hubert, io mi sono risolto a pubblicare senz'altro quanto è stato da me fin'ora osservato sulla struttura e sullo sviluppo degli organi in discorso nell’ Opuntia Ficus-indica ed in alcune specie affini. Aggiungasi ancora che il D’Hubert non ha tenuto conto alcuno di quanto, molto prima di lui, aveva fatto il nostro Gasparrini, ® e che il merito di molte delle osservazioni che il D’ Hubert dà per sue, va invece a questo attribuito. ! E. D'Hosert: Recherches sur le sac embryonnaire des plantes grasses (Ann. des sc. nat., Ser. VIII, T. I, 1895). 2 G. Gasparrini: Osservazioni intorno alla struttura del frutto dell’Opunzia (Rend. d. l. A. d. Scienze di Napoli, 1842), e Intorno alla struttura delle gemme e del frutto dell’Opuntia (ibidem, 1852). Atti dell’ Ist. Bot. dell’Università di Pavia — Nuova Serie — Vol. V, 5 ==N60) = RIRIU ZIO. L’ovario delle Opunzie è un ramo comune in cui si è scavata la cavità ovarica, lungo la quale sono discesi i cordoni placentarii in forma di decorrenze delle foglie carpellari inserte sui margini del ricettacolo stesso. ! Il frutto che proviene da tale ovario è una bacca ovale, limi- tata superiormente da una grossa cicatrice ombelicata, corrispondente alle parti cadute del perianzio, e piena internamente di una polpa dol- ciastra, entro alla quale trovansi dispersi i semi. Tegumenti. — La parte esterna di questi frutti mostra tutte le particolarità anatomiche dei rami vegetativi, solo che i tessuti vi pre- sentano traccie di disorganizzazione e di schiacciamento dovute ad una forte pressione interna. i Abbiamo quindi, esternamente, un’ epidermide quasi completamente schiacciata, salvo nella parte superiore del frutto ove la pressione in- terna non ha potuto esercitare la sua azione, tanto che sono rimasti i rigonfiamenti sui quali si inseriscono i ciuffetti di peli e di pungi- glioni caratteristici di queste piante. Pochi sono gli stomi, pure in gran parte schiacciati, alcuni di essi anzi trovai per intero turati da grossi fasci di cristalli aghiformi di ossalato di calcio i quali invadevano la camera respiratoria e le cellule stomatiche. Sotto l'epidermide evvi l’ipoderma, meno potente che nei rami vegetativi, il cui strato più esterno è occupato da druse di ossalato calcico che riempiono comple- tamente le cellule, delle quali rompono la membrana, e si spingono fin contro alla parete esterna dell’epidermide, 1 Veggansi a questo proposito, oltre ai sopra citati lavori del Gasparrini: De Caxn- poLLe: Revue de la famille des Cactées (Paris, 1829) — Treviranus: De compositione fructus in Cactearum atque Cucurbitacearum ordinibus (Bonne, mpeccri). — P. Bac- carINI: Osservazioni anatomiche sopra alcuni ricettacoli fiorali. (Ann. d. R. Ist. Bot. di Roma, Anno I). ? Per lo studio di tali particolarità, veggansi: ScaLeImeNn: Beitrdge zur Anatomie der Cacteen (Mem. pres. à VAc. Imp. des Sc. de St. Petersbourg,. T. IV, 1845). — Mou: Ueber das Eindringen der Cuticola in die Spaltòofnungen (Bot. Ztg., 1845). — KaurrMann: Zur Entwickelungsgeschichte der Cacteenstacheln (Moskau, 1859 u. 1868). — DeLBRovox: Die PAanzenstacheln (Hanstein's Bot. Abhandl, aus d. Geb. d. Morph. u. Phystol., Bd. II, 1875). — ArLorne: Recherches anatomiques sur le bouturage des Cactées (Ann. des Sc. Nat., Ser. VI, T. 4, 1876). —- Caspari: Bejtrige zur Kennlniss des Hautgewebes der Cacteen (Halle, 1883). — BaccarInt: Intorno ad una probabile funzione meccanica dei cristalli di ossalato calcico (Ann. del R. Ist. Bot. di Roma, Anno I, 1885). — LaurersacH: Untersuchungen iber Bau un Entiwicklung der Se- cretbehilter bei den Cacteen (Bot. Centralbl., 1889, Bd. XXXVII), ecc. ag — Nella parte più alta del frutto, in corrispondenza alla cicatrice di cui si è detto sopra, epidermide ed ipoderma sono sostituiti da un’ ab- bondante formazione di sughero attraversato qua e là da strati (di uno o più piani di cellule) di sclerenchima a pareti lignificate e ispessite solo verso l'esterno (tav. V, fig. 1 pe). È questo lo seleroderma di cica- trizzazione descritto dallo Schleiden e dall’Arloing pei rami vegetativi, e riscontrato dal Miquel' anche nei Me/ocactus. Secondo questi autori però le cellule che lo compongono sarebbero uniformemente ispessite da tutti i lati, ma ciò non è, perchè è evidente che l’ispessimento delle loro membrane ha avuto luogo solo verso l’esterno. I suddetti istologi furono probabilmente tratti in errore dall'aspetto che queste cellule assumono quando si sovrappongono, mentre la loro vera struttura emerge chiara ai margini della cicatrice suddetta, ove esse si trovano in piani isolati. Una formazione simile si riscontra anche sotto ai ciuffi di peli, i quali non sono infossati come nei rami, ma al contrario, massime nella parte mediana del frutto, sono quasi spinti fuori. Nella parte centrale della cicatrice ombelicata, in corrispondenza del canale stilare (tav. V, fix. 1 ca) abbiamo un fascio di sclerenchima lignificato, che inferior- mente ha un percorso ondulato e che va ad espandersi nella volta su- periore della cavità seminifera. L'asse di questo fascio è occupato dalle papille primitive, le quali, portate a contatto le une colle altre, si schiac- ciarono e deformarono, unendosi tra loro, mentre le loro pareti non si sono nè ispessite, nè lignificate, ed i loro lumi si sono riempiti di tannino. Polpa di origine ovarica. — La struttura dei tessuti interni, spe- cialmente dei frutti maturi, è, come è naturale, alquanto più diversa da quella dei rami vegetativi. Il tessuto corticale che trovasi all’interno del tegumento è formato da serie di cellule allungate nel senso dei raggi, con druse di ossalato di calcio e, qua e là, con cellule mucilagi- nose. Queste file di cellule (tav. V, fig. 1 co) presto si fanno, irregolari, però restano sempre distinte fino ad una certa profondità, fin dove cioè si trovano i fasci vascolari ed i canali mucilaginosi. ? Al disotto 1 MiqueL: Remarques sur la structure anatomique des Melocactus (Ann. des Sc. Nat., Ser. I, T. 19, 1843). 2 Come è noto, i fasci vascolari (Tav. V, fig. 1 fa) formano in questo frutto una cerchia esterna e salgono, anastomizzandosi ed inviando ramificazioni secondarie a tutti i ciuffetti di peli, fin sotto alla cicatrice superiore ed ivi si ripiegano e discen- dono a formare una cerchia interna, orientata in senso opposto (cioè col legno verso l'esterno), ad innervare i semi. I fasci della cerchia esterna spesso sono rinforzati, nella parte inferiore del frutto, = BD — (tav. V, fig. 1 ms), il midollo si mostra rotto e disorganizzato ; le sue cellule sono schiacciate tangenzialmente e si vede solo una zona com- posta da membrane spezzate e incrociantesi, frammiste a grosse druse di ossalato di calcio. In corrispondenza a questa zona disorganizzata, vien meno l’ade- renza fra la parte esterna e l’interna del frutto. Questo tessuto rap- presenta il midollo del ramo ovarico primitivo, il quale non si è unito, come pensa il Gasparrini, alla polpa del frutto, ma ne restò schiacciato e distrutto. Il midollo persiste solo verso la parte superiore del frutto ove, come ho detto, anche gli altri tessuti sono meglio conservati; anzi, nella parte corrispondente alla cicatrice ombelicata, quando è molto profonda, esso invece di essere stato schiacciato, fu fortemente stirato. Infatti la pressione interna, dovuta all'espansione della polpa, agendo sulla parte mediana del frutto e sollevando ivi la corteccia, ha funzio- nato come una leva di secondo genere in cui il fulero era dato dall’at- tacco della corteccia stessa col periderma superiore, e la resistenza dal- l'aderenza del midollo sottostante a tale periderma. Ne è risultata una specie di lacuna di origine meccanica (tav. V, fig. 1 Za) che circonda come canale tutta la parte superiore del frutto. Una lacuna simile e di origine analoga si osserva anche talora nella parte inferiore. La zona schiacciata arriva ad una profondità variabile da frutto a frutto, e, nello stesso frutto, da una regione all'altra. La rete interna di fasci libro-legnosi che scende dall’alto per diramarsi ai semi non è compresa in essa, ma è avvolta da un parenchima di cellule piccole, a pareti sottili e con pochi vani intercellulari, che deve essere ritenuto come un avanzo delle placente primitive. Il passaggio da questo paren- chima alla zona schiacciata non è netto, ma graduale. Deciso invece è il suo limite interno (tav. V, fig. 1 p2). da una zona di fibre legnose che manca in tutto il resto ove lo xilema è sempre più o meno schiacciato. Essi inoltre sono tutti accompagnati da un grosso canale mucilaginoso che ne segue il percorso ed è simile ai canali descritti anche dal De Barv (Very. Anat., pag. 216 e 466) per gli organi vegetativi e trovati di origine lisigenica. Il Laurrersac® (loc. cil., pag. 370) nega l’esistenza di questi canali ed afferma che è il fioema dei fasci, ripieno di mucilagine, quello che in sezioni trasversali, as- sume l’aspetto di falsi canali. Dalle mie ricerche risulta che tali canali esistono realmente nel frutto, perchè essi sono all’esterno del libro, ben distinti da questo e persistono e si vedono chiara- mente anche quando sia stata sciolta la mucilagine. SEME. Polpa d’origine funicolare. -—- La vera polpa che forma la parte centrale del frutto e che viene ad appoggiarsi contro il parenchima placentale testè descritto, deve essere considerata come parte del seme perchè proviene, come ha mostrato Gasparrini, ! dall’espansione funico- lare che ricopre l’ovulo. Le cellule superficiali di questa espansione, infatti, dopo la fecondazione si allungano a guisa di peli e si segmen- tano ripetutamente, e, crescendo ed incontrandosi quelle di un ovulo con quelle dell’ ovulo vicino, si premono a vicenda, spostano i semi, obligano i rispettivi fasci funicolari a contorcersi e spesso anche a rompersi, penetrano le une negli interstizii delle altre sì da attaccarsi e prendere quasi l’aspetto di un corpo unico. È alla forza espansiva: di questa polpa in via di accrescimento che è dovuto lo schiacciamento dei tessuti interni di cui è costituito il ricettacolo fiorale, schiaccia- mento che è molto più accentuato in altri generi della stessa famiglia e che nei Cereus produce anche la spaccatura del ricettacolo medesimo. Quando si esamina il frutto maturo si trova che le cellule della polpa sono a pareti sottili e a contenuto acquoso;? molte di esse con- tengono druse ed anche cristalli isolati di ossalato di calcio. Nella polpa trovai poi moltissime cellule mucilaginose; anzi il senso di freschezza che si sente in bocca mangiando questi frutti potrebbe essere dovuto allo scioglimento della loro mucilagine nella saliva. Formazioni funicolari. — Il seme, spogliato dalla polpa, presen- tasi come un corpo reniforme, alquanto asimmetrico, percorso, lungo la massima circonferenza, da una specie di cordone o cresta giallognola, rotondeggiante, la quale sul lato concavo forma come un corpo più grosso che riempie quasi completamente la concavità medesima. Su que- sto corpo si inserisce il fascio vascolare che innerva il seme. Come hanno mostrato il Gasparrini e il D’Hubert ® e come si può anche rilevare dalle figure 2, 8 e 9 della mia tavola, l’ovulo dell’Opun- tia Ficus-indica è campilotropo. Il funicolo gira tutto attorno all’ovulo stesso e, incavandosi a doccia, viene a formare un nuovo tegumento (oltre alla primina e secondina) che tutto lo ravvolge. ! Il D'Husert (loc. cit., pag. 67), non conoscendo il lavoro del Gasparrini, asserì che la formazione di questa polpa non è mai stata oggetto di studio, 2 Secondo BertHELOT si tratterebbe di una soluzione di mannite. # Anche la struttura dell’ovulo quale è descritta dal D’Hubert risultava già chia- ramente dai lavori sopra citati del Gasparrini. TERA, Il cordone o cresta giallognola che circonda il seme e che ho menzionato sopra, rappresenta appunto il funicolo. Esso è formato da cellule a membrane lignificate e molto ingrossate (tav. V, fig. 7) con lamelle mediane ben distinte, senza vani intercellulari ed allungate nel senso della lunghezza del cordone. In mezzo a queste cellule evvi il fascio libro-legnoso (tav. V, fig. 9 f e fig. 8 7), piccolo, compresso, che percorre, come nell’ ovulo, tutto il cordone finchè, giunto in vicinanza alla parte micropilare, passa alla periferia ove si confonde in mezzo a cellule ad ispessimento irregolare che quivi sostituiscono le cellule ispes- site ordinarie. Dopo essere passato sopra il micropilo, il fascio torna a penetrare nell'interno del seme percorrendo, sempre indiviso, il rafe nel quale si esaurisce. Alla cresta dorsale funicolare, la quale nella concavità del seme dà luogo al grosso nucleo lignificato che si è sopra notato, si attacca lateralmente la parte più esterna e grossa del tegumento: è l’espan- sione funicolare che rivestiva originariamente l’ovulo e che ora (tav. V, fio. 6 ef e fig. 8ef) si è indurita e lignificata. Costituisce uno strato giallo di cellule quasi simili a quelle testè descritte per la cresta fu- nicolare, generalmente allungate in senso trasverso all'asse longitudi- nale del seme, con lume ridotto a semplice canalicolo, talora ramificato e con un rigonfiamento un po’ eccentrico (tav. V, fig. 12). Verso l'estremità micropilare del seme queste cellule diventano più brevi ed a lume più largo (tav. V, fig. 11), ed in corrispondenza del micropilo sono sostituite da altre cellule quasi isodiametriche e ad ispes- simenti irregolari, tanto da assumere talora l’aspetto di cellule munite di spirali. La debole coesione fra tali diverse specie di cellule fa sì che in questa regione il tegumento sia facilmente perforabile e da essa esca, durante la germinazione, la radichetta. KE a notarsi che il processo di ispessimento e di lignificazione delle membrane durante la trasformazione dell’ovulo in seme, non ha luogo contemporaneamente nel cordone e nell'espansione funicolare: i primi centri di ispessimento e di lignificazione si hanno nella parte assile del cordone funicolare e nel grosso corpo centrale. Di qui la differen- zazione si estende al resto del tessuto e avviene spesso che essa non affetti tutto il tessuto, per cui la superficie esterna dello strato giallo è scabra e qua e là ancora coperta da alcuni strati di parenchima non lignificato e sottile (tav. V, fig. 10 pa), lo strato più esterno del quale ha dato luogo alla polpa (stessa figura, po). Tegumento vero. —- Sotto allo strato giallo del tegumento, ne abbiamo un altro rossastro e questo rappresenta i veri tegumenti del- l’ovulo primitivo, IR) — Come ha osservato anche il D’Hubert, l’ovulo delle Opunzie ha due tegumenti ognuno dei quali consta, eccettuato in vicinanza al mi- cropilo, di due strati di cellule, per modo che si hanno complessiva- mente quattro strati. Durante la formazione del seme, il più esterno di questi diventa la sede di un ispessimento cuticolare sempre più marcato ‘tav. V, fig. 3, 4, 5, 6) mentre gli altri vanno progressivamente schiacciandosi. Nel seme maturo si distinguono dunque: uno strato esterno (ta- vola V, fig. 6 te) le cui cellule hanno la membrana superiore ispes- sita molto irregolarmente, quasi a tubercoletti, impregnata di tannino, e lume schiacciato tangenzialmente, ripieno di una sostanza gialla e granulosa; poi due strati, non sempre ben distinguibili, di cellule schiac- ciate e a pareti sottilissime, e finalmente uno strato più interno pure schiacciato, il quale però per un’azione meccanica qualunque (anche per il semplice sfregamento contro il rasoio) si distende e mostrasi come striato per ispessimenti trasversali. ! Questa formazione inviluppa tutto il seme salvo in corrispondenza al rafe, ove è sostituita da una zona semicircolare (in sezione trasver- sale) di parenchima a pareti sottili, con cellule piene di tannino, in mezzo alle quali corre il fascio vascolare fino al suo esaurimento. Perisperma. — Internamente abbiamo gli avanzi della nocella che non è distrutta completamente, ma forma un perisperma ben distinto. Appena avvenuta la fecondazione e durante le prime fasi di svi- luppo dell'embrione, il sacco embrionale si allarga (tav. V, fig. 2 s) e si allunga curvandosi ad arco attorno ad una zona cuneiforme, che si estende a tutto lo spessore dell’ovulo, di tessuto nocellare, che si trova nel prolungamento del rafe e che persiste anche nel seme maturo (ta- vola V, fig. 8a e fig. 9@). Il resto del tessuto nocellare, man mano che il sacco embrionale si allarga e viene riempito dall’embrione (non si ha formazione di un vero endosperma), è in parte distrutto e in parte schiacciato e nel seme maturo appare come uno strato di cellule che rivestono l'embrione e sono ripiene di una sostanza granulosa che dà la reazione delle sostanze albuminoidi e di grosse goccie d’olio. Le pareti esterna ed interna di tali cellule appaiono molto grosse, ma in realtà non sono vere membrane, ma rappresentano una intera zona di tessuto schiacciato fino alla scomparsa dei lumi delle cellule ! Il D'Hoserr (/oc. cit., pag. 66) dice che nel seme maturo non si distingue nel tegumento che la parete considerevolmente ispessita dello strato esterno e che solo qua e là si riesce a vedere alcuni avanzi degli altri strati cellulari. Secondo le mie osservazioni, quello che il D’Hubert chiama eccezione è invece la regola. ==d66 = che lo componevano e alla saldatura delle diverse membrane in una falsa parete cellulare molto ispessita, come vien messo in evidenza coll’ ebollizione delle sezioni in soluzione di potassa (tav. V, fig. 13). In alcuni punti lo strato sopra descritto è doppio; è di solito meglio sviluppato nella parte che circonda la radichetta. Non si trova invece in corrispondenza alla zona di tessuto nocellare a cuneo sopra de- scritta, la quale è quella che comunemente viene designata col nome di albume. Le cellule dell’albume sono quasi isodiametriche, a contorni Îrre- golari e membrana sottile, ripiene di grani di amido semplici e molto piccoli e di altri, composti, molto più grossi. E a notarsi che queste cellule contengono ognuna uno a due cristallini di ossalato calcico in forma di tavolette rombiche o di aghetti. La presenza ii questi cristal- lini non fu rilevata dal Lanterbach, il quale asserì! che nei tessuti dei semi delle Cactee non si trovano traccie di questi prodotti di se- erezione. La verità è che essi non si rinvengono in alcune specie di Opunzie ed io non li potei, per es., riscontrare nei semi di Opuntia vulgaris Mill. coltivata nel nostro orto botanico ed in quelli di Op. me- litrotriche provenienti da Tolosa; mentre si trovano in certa quantità in altre specie, come, oltre all’Op. Ficus-indica, nelle Op. tomentosa Salm. e Op. leucantha Lk. coltivate nelle nostre serre. Embrione. — L’ embrione è curvo, coi cotiledoni piegati su sè stessi, così disposti da riempire completamente il sacco embrionale (tav. V, fig. 9 e). La radichetta è lunga circa la metà di esso ed il cono caulinare è rappresentato unicamente da una piccola prominenza posta tra i cotiledoni. L’embrione consta di cellule poligonali un po’ allungate radialmente, gradatamente crescenti dall’esterno all’interno, fino in vi- cinanza dell’asse, il quale è occupato da un cordone procambiale che si estende dalla punta della radichetta alla punta dei cotiledoni. Le cellule sono ripiene di grani di aleurone. I semi delle Opunzie contengono frequentemente due embrioni, uno grande, con forma e posizione normale che occupa quasi tutto il seme; Valtro, molto più piccolo, di varia grandezza, sta vicino alla ra- dichetta del primo in una posizione che differisce da seme a seme. Anche quando non si vede che un solo embrione, si trovano spesso, vi- cino alla radichetta, embrioni ridotti a semplici mamelloni, dovuti, come è stato osservato anche in altri casi analoghi, ° a gemmazione delle ! Loc., cit. nag. 410. ® E. Srrassurcer: Ueder Polyembrionie (Jen. Zeitschr. f. Nuturw,, Bd. IT, 1878). Pagg — cellule della nocella che rivestono il sacco embrionale (tav. V, fig. 2 ca e fig. 14). Qualche volta tali mamelloni sono schiacciati e si possono o0s- servare solo facendo bollire le sezioni in potassa diluita (tav. V, fig. 15). Insieme ai semi perfetti, nelle Opunzie si trovano, in numero va- riabile, dei semi abortiti, alcuni dei quali evidentemente schiacciati, specialmente quelli che si trovano sotto alla volta della cavità semini- fera. In alcuni semi trovasi differenziata solo una parte dell’espansione funicolare mentre il rimanente dell’ovulo venne più o meno completa- mente distrutto; in altri si è differenziata invece solo la parte esterna del tegumento che proviene da tale espansione; in alcuni in fine, questa parte esterna della testa del seme manca e si ha solo lo strato rosso, proveniente dalla primina e secondina. Dall’ Istituto Botanico dell’Università di Pavia, Dicembre 1896. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA V. Fig. 1. Sezione longitudinale mediana schematica della metà superiore di un frutto; te, tessuto tegumentale; co, parenchima corticale; fa fasci libro-legnosi; ms, midollo schiacciato; p7, parenchima placentare; pe, periderma di cicatrice; ca, canale stilare; p0, polpa; 7, lacuna formatasi per l’ac- crescimento della polpa. Ing. °/,. s 2. Sezione longitudinale mediana (un po’ schematica) di un ovulo poco tempo dopo la fecondazione; fu, funicolo; f, fascio libro-legnoso funicolare ; t, tegumenti dell’ovulo; n, nocella; s, sacco embrionale; e, embrione; ea, embrioni avventizii. Sulla superficie esterna del funicolo si svi- luppa la polpa. Ing. 15/,. 3-5. Sezioni trasversali dei tegumenti di ovuli in diversi periodi dopo la fecon- dazione. Ing. **/, . Sezione trasversale dei tegumenti di un seme maturo; ef, cellule appartenenti all'espansione funicolare; te, strato più esterno dei tegumenti; #s, strati schiacciati; #7 strato più interno. Ing. *‘°/,. 7. Sezione trasversale centrale della cresta funicolare in un seme maturo; in mezzo sta il fascio libro-legnoso schiacciato. Ing. ?4/,. 8. Sezione trasversale schematica di un seme maturo verso la base delia nocella; cf, cresta funicolare; ef, espansione funicolare; , fascio libro-legnoso funicolare; vt. tegumenti del seme (strato rosso); a, albume o peri- sperma. Ing. °/,. . 9. Sezione longitudinale mediana, schematica di un seme maturo; e, embrione; m, micropilo; », rafe ; le altre lettere come nella figura precedente. Ing. 5/,. , 10. Sezione trasversale della parte esterna dell'espansione funicolare in un seme; maturo; po, polpa; pa, avanzo di parenchima non differenziato ; ef, por- zione di tessuto lignificato. Ing. ?4/,. 11. Cellula isolata dell'espansione funicolare in corrispondenza al micropilo. Ing. 155/,. 12, Idem. alla base della nocella. Ing. 18°/,. , 13. Sezione trasversale di perisperma dopo l’ebollizione in potassa. Ing. ?75/,. , 14. Sezione longitudinale mediana dell’estremità micropilare di un seme, cui fu levata la radichetta. Ing. 15/,. , 15. Sezione trasversale di un mamellone rappresentante un embrione avventizio, dopo ebollizione in potassa. Ing. 245/,. SD Tutte le figure furono prese dall' Opuntia Ficus-indica Mill., salvo la 14 che si riferisce all’Opuntia leucantha Lk. ISTITUTO BOTANICO DELLA R., UNIVERSITÀ DI PAVIA (Laboratorio Crittogamico Italiano.) UN NUOVO MICROMICETE DELLA VITE” (AEREOBASIDIUM VITIS Viara et Boyer var. album.) PEL Dott. LUIGI MONTEMARTINI. Nello scorso giugno venivano inviate in esame a questo Laboratorio dal signor Tomasoni di Buttrio (Udine) e, contemporaneamente, dal prof. Calegari di Parenzo (Istria) delle foglie e dei grappoletti di Vite (Pinot noir e Cabernet) colpite da una malattia sconosciuta a quei viti- cultori e che mostravano alterazioni affatto simili fra loro. Le foglie avevano delle zone intieramente secche (Tav. VI, fig. 1), che dall’orlo, arricciato più o meno irregolarmente sulla pagina supe- riore, si estendevano al resto della lamina internandosi specialmente tra le nervature principali, e che erano circondate per lo più da una larga fascia di colore rosso gradatamente decrescente. I grappoletti erano secchi completamente o in parte, e mostravano sui rachidi delle macchiette biancastre e delle specie di escoriazioni. Le viti attaccate da questa malattia, scriveva il signor Tomasoni, erano molto deperite; le nuove cacciate erano piccole ed i grappolini, formatisi in gran numero, seccavano completamente. E il prof. Calegari riferiva che la malattia era apparsa a Parenzo già da alcuni anni, che però mai come nello scorso anno aveva arrecato danni considerevoli. Essa si manifestava da prima con macchie rosse più o meno estese sulla punta dei lobi delle foglie, senza essere mai continue su tutto il contorno; talvolta alcune di queste macchie si spingevano anche lontano 1 La comparsa di questo nuovo parassita della Vite fu già da me annunciata fin dallo scorso agosto nel giornale l’ Italia Agricola, anno XXXIII, n. 15. 27 dai margini fogliari tra le nervature principali, e dopo qualche tempo il parenchima fogliare, in corrispondenza ad esse, seccava, gli orli si arricciavano e si avevano le alterazioni sopra descritte. Il vitigno più fortemente attaccato era il Cadernet, però anche gli altri non ne restavano immuni. Il modo di estendersi della malattia nei vigneti di Parenzo, secondo scriveva il prof. Calegari, era irregolare e senza alcun rapporto colle diverse condizioni fisiche e chimiche del suolo, così che si doveva escludere trattarsi di malattia d’indole fisiologica. Le viti ammalate erano state sottoposte alle irrorazioni colla pol- tiglia bordolese per difenderle dalla peronospora. Nell’esame microscopico degli organi ammalati (esame che il diret- tore di questo Laboratorio, prof. G. Briosi, si compiacque affidare a me) rinvenni, sugli esemplari provenienti da ambedue le località, diversi micromiceti riferibili ai generi PhyMosticta, Cladosporium e Alternaria; però la loro presenza non era costante, e del resto manifestavansi in modo così irregolare, talvolta affatto superficiale; spesso solo sulle parti morte delle foglie, così che non si potevano ritenere come causa del male. Costantemente invece, tanto sui grappoli che sulle foglie, rinvenni (anche su altro materiale che, dietro nostra richiesta, ci fu mandato in diverse riprese da Buttrio e da Parenzo) un fungillo simile all’ Aureobasidium Vitis Viala et Boyer, dal quale però differiva per alcuni caratteri. In sezioni trasversali delle parti secche delle foglie, tale fungillo si presenta (Tav. VI, fig. 2) sotto forma di pustolette che rompono l’e- pidermide, specialmente verso la pagina inferiore delle foglie, e sono costituite da fascetti compatti di corpi fruttiferi obclavati, sull’ apice dei quali si inseriscono, per mezzo di minutissimi sterigmi, 4-7 spore, piccole, ialine e cilindriche. Ognuno di tali corpi fruttiferi, o basidii (fig. 3), termina inferiormente a cuneo, inserendosi così su anastomosi di rami micelici che costituiscono quasi un ganglio. Nelle parti delle foglie in cui il male è più progredito, le pustolette sopra descritte si trovano tanto fitte da dare l'aspetto di uno strato imeniale relativa- mente molto esteso. Nei grappoli gli organi di fruttificazione si mostrano specialmente sui rachidi in corrispondenza alle macchiette biancastre e alle escoria- zioni sopra accennate. I basidi nelle pustolette sono meno compatti (fig. 4) e possono anche allungarsi irregolarmente e ramificarsi. Spes- sissimo poi le pustole si trovano tanto vicine da dare l’aspetto di uno strato imeniale come nelle foglie. Il micelio, che invade i tessuti interni, è simile a quello descritto da Viala e Boyer per l’ Aureobasidium Vitis, è cioè filamentoso (fig. 5), ramificato, settato e a contorno sinuoso, Sotto alle pustolette frutti: er fere forma come un intreccio che è più compatto nelle foglie che nei grappoli. Anche le dimensioni dei basidii e delle spore corrispondono a quelle dell’Au. Vitis. Il fungo da me trovato differisce però da quest’ultimo per gli organi che attacca, per i danni che produce, per la stagione in cui si sviluppa, ! per la forma delle spore che non sono mai curve, e, più specialmente, per essere ialino e mai del colore biondo dorato espresso dal nome del genere. ? Questi caratteri non mi sembrano suffi- cienti per formare una specie nuova, credo però si debba farne una nuova varietà che chiamo a/bum appunto pel suo colore e alla quale spetta la seguente diagnosi: AureoBasiDpiom Vitis Viala et Boyer, var. ALBUM mihi. — Pustudis interdum confluentibus, albidis; basidiis hyalinis, 6-1 u latis (in parte supe- riore), 13-22 w longis; sporis cylindraceis, 6-8 © 1,5-2. In foliis et petiolis fructuum Vitis vinifere. Avuto riguardo ai caratteri particolari dell’imenio filamentoso e alla forma e disposizione dei basidii, Viala e Boyer hanno posto l’ Aureo- basidium Vitis nella famiglia delle Hypochnee del gruppo dei Basidio- miceti. Il Saccardo lo colloca nel gruppo degli Imenomiceti, nella fami- glia delle Telephoraceae. Ora, benchè in realtà tra gli Hypochnus sianvi forme (H. laevis, H. asterophorus, H. granulatus, H. uvidus, ecc. *) con basidii molto irre- 1 L'Aureobasidium Vitis îu descritto per la prima volta da Viala e Boyer (Rev. gen. de Botanique, 1891) i quali lo osservarono nel 1883-85 su acini d’uva provenienti dalla Borgogna. Secondo i suddetti autori questo parassita colpisce gli acini quasi maturi nei mesi di settembre e ottobre, specialmente durante le annate umide, però salvo nel 1882 non ha mai arrecato danni considerevoli. (Veggasi anche: P. Viara, Les maladies de la vigne, III ed., Paris, 1893, pag. 348.) Esso fu nello scorso anno osservato da Guillon sopra tralci erbacei nell’ Hérault (Rev. de Viticolture, 1896, t. V, pag. 617) e da Foex e Viala (stessa rivista, t. VI, pag. 501) su foglie provenienti dalla Crimea. Recentemente Alpine ha segnalato nel- l'Australia un Aureobasidium da lui chiamato Australiensis, sopra acini d’uva a Mel- bourne, e che Viala (rivista sopra citata, t. V, pag. 588) ritiene identico all’Au. Vitis. ? Il nome di Aureobasidium proviene da aureus e dbasidium ed esprimerebbe appunto il colore biondo dorato dei basidii. Senza discutere qui sul criterio usato dai signori Viala e Boyer nel denominare un nuovo genere di funghi basandosi su un carattere così secondario, parmi che per la varietà da me descritta si debba cambiare la diagnosi del genere che il Saccardo (.Sy2., XI, pag. 132) dedusse dalla descrizione del Viala, per levarne il carattere aurezs dato per le ife. Anche il carattere radicicc- lum dato pel genere e l’abitat ad radices Vitis dato per la specie, non possono es- sere applicati a questo micromicete, che, come si è visto, fu rinvenuto solo sui frutti e sugli organi erbacei. ® Veggasi: Bowogpen, Mycologiè, tav. XII. — 70 = golari simili a quelli disegnati dal Viala e in parte anche a quelli da me osservati (fig. 4 e 6), pure l'instabilità nel numero degli sterigmi portati da ogni basidio e la frequenza (fig. 4 e 6) di basidii con pro- duzione di spore laterali, avvicinano secondo me, il fungo in discorso piuttosto agli Ifomiceti. Anche il fatto che mai nel micelio dell’ Aureo- basidium si osservano le anastomosi laterali tra cellule e cellule (ScRnallen- bildungen) che sono caratteristiche del micelio di quasi tutti i Basidio- miceti, legittima, a mio modo di vedere, questo avvicinamento. Tali anastomosi si rinvengono anche nel genere Exobasidium * che sarebbe, secondo gli autori suddetti, affine e che è esso pure foglicolo; mentre non vennero nè figurate, nè descritte, nemmeno nella specie tipica, da Viala e Boyer. D'altra parte la forma costante e caratteristica che assume il fungo nelle foglie lo fa ravvicinare a certi Ifomiceti tubercolariei e ai Micro- stroma, che da alcuni micologi (p. e. Schròter) sono messi tra i Basi- diomiceti. Si tratta dunque probabilmente di una forma intermedia tra Basi- diomiceti ed Ifomiceti, che, insieme ad altre, potrebbe forse costituire un gruppo autonomo. Dal Laboratorìo Crittogamico di Pavia, gennaio 1897. 1 Io le trovai distinte nel micelio dell’ Exobasidium Vaccinii- Uliginosi. Bond. che è dato nei Funghi parassiti delle piante coltivate ed utili di Briosi e Cavara al N. 261. I . Sezione trasversale della stessa foglia nelle parti ammalate; pustola fruttifera JAO Ca VI SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA VI. Foglia di Vite attaccata dall’Aureobasidium Vitis Viala et Boyer, var. album. dell’Aureobasidium. Ing. 94/,. . Basidio isolato. Ing. 599/,. . Pustola fruttifera su un rachide di grappolo. Ing. 5‘/,. . Micelio Ing. 5‘°/,. . Basidii irregolari, presi su un rachide di grappolo, Ing. ‘‘/,. . Conidii isolati. Ing. 5°9/,. PRASSI A amiga uti M n Lib ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA (Laboratorio Crittogamico Italiano) RICERCHE INTORNO ALL'ACCRESCIMENTO DELLE PIANTE PEL Dott. LUIGI MONTEMARTINI. INTRODUZIONE. I primi lavori d’indole rigorosamente scientifica sopra l’accresci- mento delle piante sono quelli del Sachs, il quale (I-VII) riassunse, confermò con metodi scientifici, ampliò e generalizzò i fatti osservati prima di lui, e, aggiungendone dei nuovi, si può dire abbia realmente creato questo ramo importante della fisiologia vegetale !. I risultati dei suoi lavori sono, con poche variazioni, quelli ancora accettati e ripro- dotti sui trattati più stimati, e sarà qui inutile parlarne. Dopo e contemporaneamente ai lavori del Sachs, ne abbiamo una gran quantità che illustrano casi o argomenti tutt’ affatto speciali. Furono, ad esempio, fatte delle misure sulla velocità di accresci- mento degli organi più diversi; fu misurata anche l'energia che può sviluppare un organo in via di accrescimento; fu studiata l’azione dei 1! Per i lavori precedenti al SacHs il lettore può ricorrere ai cenni bibliografici che ne dànno il Sachs stesso (III, e Geschichte der Botanik, Miinchen, 1865, pag. 582) ed il Wiesser e Werrsrein (I). Questi ultimi hanno voluto accuratamente mostrare, ciò che del resto il Sachs ha riconosciuto, che molte delle leggi da questi enunciate si possono dedurre dalle osservazioni di autori precedenti; però al Sachs non si può negare il merito di averle formulate e generalizzate. Così pure è a lui che dobbiamo l'invenzione dei primi auxanometri (veggansi a questo proposito: J. Sachs, Zu Reinke's Untersuchungen iber Wachsthum, in Flora, 1876, N. 7 u. 12; e J. Weiss, Zu den Bemerkungen von Sachs iiber Reinke's Untersuchungen iiber Wachsthum, ibidem, N. 11). Atti dell’ Ist. Bot. dell’Università di Pavia — Nuova Serie — Vol. V, 6 varî agenti esterni (luce, umidità, calore, aria, trazioni meccaniche, ecc.) sul fenomeno ; si sono esaminate le modalità di accrescimento che dànno luogo ai così detti movimenti di stimolo (geotropismo, eliotropismo, ecc.), ecc. E tali osservazioni si estesero a tutti gli organi delle piante, dal tallo delle Tallofite (specialmente dei Funghi), alle foglie, ai frutti, alle ra- dici, e più di tutto ai fusti dei vegetali superiori. Dall'esame dei lavori riguardanti questi diversi argomenti (esame che per brevità ho creduto bene di omettere ') risulta che se noi, ac- cettando le idee del Sachs (VIII), ammesse anche nei trattati più co- muni,? distinguiamo nell’accrescimento in lunghezza delle piante le due fasi dell’ “ accrescimento terminale o embrionale , (periodo morfologico — formazione di nuovi organi) e dell’ “ accrescimento intercalare o se- condario , (periodo fisiologico — allungamento degli organi già formati), vediamo che la prima fase fu poco studiata. * Di qui la ragione della prima parte di questo lavoro. Formano la seconda parte alcune delle osservazioni che son venuto man mano fa- cendo sopra l’attività dei meristemi secondarî (cambio), osservazioni che mi è sembrato potessero completare le prime, le quali riguardano l’atti- vità dei meristemi primarî (coni vegetativi). Ho fatto seguire due appendici in cui, insieme ad altri cenni bi. bliografici, ho esposto alcune idee d’indole generale che parmi si pos- sano dedurre dalle mie osservazioni; e da ultimo, ho raccolto in quadri i risultati di alcune delle esperienze e osservazioni da me fatte. ! Veggasi la Bibliografia in fine del lavoro. ? Basterà qui citare il 7raité de Botanique (II Éd., Paris, 1891) del Van TurecHem, in cui a pag. 281 l’accrescimento apicale è definito come la formazione incessante di nuovi nodi ed internodi alla sommità del bottone e l’uscita simultanea di altrettanti nodi ed internodi alla sua base. ® Anche il Van Tieguem (loc. cit., pag. 232) dice a questo riguardo: “ Quand la croissance terminale agit seule, la tige s’allonge lentement, et son accroissement n'a pas encore ite mesuré avec precision. , Delle poche osservazioni che si hanno sopra l'accrescimento apicale, come anche dei pochi lavori che trattano dell’accrescimento in ispessore, è detto nei capitoli rela- tivi a questi argomenti. PARTE PRIMA. ACCRESCIMENTO TERMINALE. Storia. — Quali siano gli elementi anatomici che dànno luogo a questo accrescimento fu studiato da molti botanici ;* il Sachs (VI e VII) indagò anche le leggi morfologiche che presiedono alla disposizione e divisione di tali elementi e constatò che generalmente i setti divisio- nali si formano sempre in essi in modo da costituire o delle linee pa- rallele (periclinali) alla superficie libera dell'organo, o delle linee ad essa normali (anticlinali).° Quelle che non si conoscono sono le leggi fisiologiche che regolano l’attività di accrescimento e l’attività divisio- nale di questi elementi. Solo il Geleznoff (I) fece alcune osservazioni sull’accrescimento invernale dei bottoni di Ulmus efusa, e da tali osservazioni si può anche dedurre una certa periodicità; ma esse furono poi messe in dub- bio dall’Askenasy (III), secondo il quale nell’inverno si ha quasi sempre un periodo di riposo. L'Askenasy poi in un altro lavoro (IV) ammise per molti casi una certa relazione tra l'accrescimento apicale e il secondario, relazione per cui durante il tempo necessario perchè all'apice si formi un nuovo articolo di fusto (nodo e internodio contiguo) ogni articolo ancora in via di accrescimento assume la lunghezza che aveva prima quello im- mediatamente più vecchio. Riguardo alla durata assoluta di questo tempo (che egli chiama plustocrono), la calcola di circa 48 ore, ma non dice nulla di preciso. Il Westermayer (I) si occupò dell’accrescimento della cellula api- cale del fusto di certe crittogame confrontandolo con quello dei giovani segmenti da essa derivati e prese per unità il tempo che intercede tra ! Ricorderò qui, rimandando ad essi per la bibliografia, i lavori del DouLIor (Re- cherches sur la croissance terminale de la tige des Phanérogames, in Ann. des Sc. Nat., Botanique, Ser. VII, T. 2, 1890, pag. 282; e Recherches sur la croissance terminale de la tige et de la feuille chez les Graminées, ibidem, T. 13, 1891, pag. 93), e le note bibliografiche dell’ HasertAanDT (Physiologische PhHanzenanatomie, Leipzig, 1896, pag. 89 e seguenti). ? Sulla generalità e sulla spiegazione di tale legge, veggansi anche: K. GorBEL, Ueber das Wachsthum von Metzgeria furcata und Aneura, in Arb. des bot. Inst. zu Wirzburg, BA. II, 1879, pag. 285; PrantL, Ueber die Anordnung der Zellen in flii- chenfirmigen Prothallien, in Flora, 1879, N. 32-35; A. Begerorr, Ueber das Verhdlt- niss zwizchen Wachsthum und Zelltheilung in embryonalen Pflanzentheilen nach der neuen Theorie von Sachs, in Arb. der St. Petersburger Narturf. Ges., Bd. XIV, 1883, E Sp la formazione di due setti consecutivi (tempo che egli chiamò passo). Dalle sue osservazioni concluse che il massimo dell’accrescimento in volume alla regione apicale ha luogo generalmente 0 nella cellula api- cale stessa o nei più giovani dei suoi segmenti; però anch'egli nulla dice della durata assoluta del passo. Nè alcun accenno sulla durata assoluta del tempo necessario per le divisioni delle cellule apicali, o per la formazione di nuovi organi nel meristema apicale, si trova nel lavoro dell’Albert (I) che su venti alberi ricercò come e quando si sviluppano le foglioline nei bottoni in- vernanti. Solo il Klein (I), parlando dell’accrescimento apicale delle Felci, osserva che il processo di accrescimento e di divisione della cel- lula apicale è straordinariamente lento, ma, come si vede, non si può, per lo scopo nostro, tenere alcun conto di tale osservazione. Anche riguardo all’influenza delle condizioni esterne sopra il fe- nomeno dell’accrescimento dei meristemi e, si può dire, di tutti i tes- suti si hanno poche e contradditorie osservazioni. Il Sachs, per es. (I), osservò che in generale tutti i processi di nuova formazione hanno luogo anche al buio e che le divisioni cellu- ‘ lari che ordinariamente si verificano in piena luce (come nella forma- zione secondaria degli stomi di certe piante) proseguono anche al buio, laonde si può concludere, secondo lui, che i movimenti del plasma che hanno per conseguenza la divisione cellulare sono indipendenti dalla luce. Anche il Famintzin (I) osservò che la divisione cellulare delle Spi- rogire ha una certa indipendenza dalla luce, mentre secondo il Batalin (I) ed il Kny (III) tale agente potrebbe accelerare il fenomeno in di- scorso. Però la luce agirebbe in questi casì indirettamente modificando le condizioni di nutrizione, ed infatti nei Saccaromiceti il Kny stesso vide che essa non esercita alcuna azione sulla divisione cellulare (IV). Alcune altre osservazioni sopra questo argomento furono fatte dal C. Kraus (IT), il quale pensò che la capacità a dividersi del proto- plasma possa essere anche effetto di uno stimolo esterno; dal Klebs (I), che osservò la divisione cellulare delle alghe anche in cellule plasmo- lizzate; dal Newcomb (I), il quale osservò che sotto forti pressioni i meristemi conservano più a lungo la loro attività, ed ancora dal Kny (VII) che pure studiò l’influenza delle pressioni sopra la segmen- tazione delle cellule nei meristemi. Metodo. — La difficoltà di distinguere se un meristema apicale sì trovi o no in via di accrescimento, secondo il Sachs, si può supe- rare (VI) solo con misure comparate degli stadî finali ed iniziali del meristema e del ramo che da esso si sviluppa. Per es., se noi sappiamo = 9g, che un bottone invernale o un rumo vegetativo di Equiseto contiene già formati circa 50 verticilli e troviamo in autunno un bottone che ne contenga soli 20, possiamo dire che la regione apicale di esso è in via di accrescimento per formare gli altri, e che tale accrescimento durerà tanto più a lungo quanto maggiore è il numero dei verticilli che rimangono ancora da formare. Questa osservazione che ci dà modo di conoscere quando un me- ristema apicale è in attività o in riposo, ci fornisce anche il mezzo per misurarne l’attività. Infatti se a dati intervalli di tempo noi contiamo il numero degli internodî contenuti in una gemma ramifera apicale (o in gemme apicali di rami simili ed in condizioni eguali a quelli che si pren- dono in esame) e di quelli che negli stessi intervalli di tempo ne sono usciti, e tal numero raffrontiamo al numero totale e finale che si può veri- ficare sui rami a completo sviluppo, avremo il numero dei membri o degli articoli che il meristema apicale ha prodotto nei tempi considerati. Osservazioni di simil genere devono essere fatte in piante a fo- glie opposte perchè in queste è facile contare, su sezioni longitudinali mediane, il numero degli internodî contenuti nelle gemme. Dovranno poi preferirsi le piante con rami ad accrescimento molto lungo e quasi illi- mitato, tale che in una stagione esca dalla gemma ùn numero di internodî e nodi molto superiore a quello che si può osservare nella gemma iniziale. Si possono per es. ottenere buoni risultati con varie specie di Clematis, col Sambucus nigra, colla Bignonia grandiflora, Jasminum offi- cinale. Calycanthus odoratus, Chimonanthus fragrans, ecc. Una volta poi fatte le osservazioni su queste piante e constatato che il numero medio degli internodî contenuti nella gemma era, per ogni specie, quasi costante (fatta eccezione di una piccola diminuzione sulla fine e talvolta anche sul principio del periodo di vegetazione), io ho preso in esame anche piante con foglie non opposte (Convolyuli, Vite, Poligoni, Smilaci, ecc.) in cui non consideravo il numero degli articoli contenuti nelle gemme, ma solo di quelli che da queste ultime uscivano in determinati periodi di tempo. Ci si presenta ora ia domanda: sono tutti i singoli internodî for- mati dal meristema apicale equivalenti? Il Moll (I) constatò che il nu- mero delle cellule dei singoli internodî di un ramo è proporzionale alla loro lunghezza, però questo dipende da un fenomeno di divisione cel- lulare posteriore alla formazione degli internodi medesimi nella gemma. Non ho verificato se i singoli internodî formati dal meristema apicale siano composti originariamente dello stesso numero di cellule, ad ogni modo, anche se non lo fossero, per la legge osservata dal Moll e sopra ricordata, tale numero di cellule originarie dovrebbe variare mostrando Lao) una periodicità la quale si aggiungerebbe alla periodicità da me osser- vata e della quale verrò ora a parlare. Andamento generale dell’accrescimento apicale. — Le osserva- zioni furono da me fatte nella primavera e nell’estate del 1895 e del 1896, però delle misure fatte nello scorso anno poche poterono essere utiliz- zate perchè più che ad altro esse mi servirono a scegliere le piante da esaminare. Nel corrente anno misurai anche volta a volta la lun- ghezza dei singoli internodî già usciti dalle gemme, collo scopo di ve- dere in che relazione stesse l’accrescimento apicale col secondario. Le misure furono fatte ad intervalli di sei o sette giorni (rara- mente di tre o di quattro) ed i risultati di alcune di esse sono raccolti nei quadri 1-16 dati in fondo di questo lavoro. Da tali quadri risulta che, se si prendono in considerazione inter. valli di tempo abbastanza lunghi (per es. di 16-24 giorni, con che re- stano ridotti gli errori dovuti alle difficoltà ed alle incertezze del me- todo, e fino ad un certo punto si elimina l’azione delle variazioni nelle condizioni esterne), il numero degli articoli sorti da un meristema api- cale va via via aumentando, dal principio del periodo vegetativo, fino a raggiungere un certo massimo, dopo il quale diminuisce. Nè si può dire che tal peviodicità sia dovuta all'andamento della stagione, perchè considerando parecchi rami della stessa pianta (quindi in condizioni esterne e di nutrizione uniformemente variabili), ma di diversa età, si vede che il massimo della loro attività meristematica non cade nello stesso tempo. Per esempio, per 5 rami di Sambducus nigra crescenti sulla stessa pianta abbiamo i seguenti dati (ricavati dai quadri 1-5): h Numero dei nodi sorti in 21 giorni dal TEMPO meristema apicale dei rami fe _ + rr Ti Pr ii | a b e d e Dal 22 Aprile al 13 Maggio E: 3 — = = =“ » 13 Maggio » 3 Giugno . . . .. 3 3 2 3 TRE DA er n 5 4 4 3 i PZ (Giugno 5 Lupo 4 5 5 5 3 Eee Seggio do e 3 4 3 3 S Po Apostolo I 260A costo nno 1 2 3 3 > » 26 Agosto >» 16 Settembre . . . . — - 1 == 3 | SEI ri ed i seguenti si hanno per 12 rami di Clematis montana (tra cui i rami a e c sono quelli ai quali si riferiscono i quadri 6 e 7): Numero dei nodi sorti in 18 giorni TEMPO I, NA a nc i|tim n Dal 23 Aprile al 11 Maggio |5|—-|7|-|—-|—- = | » 11 Maggio =» 29 Maggio | 6|—|7|-|—-|-|=-|-]|-|-]|-]|- » 29 Maggio » 16! Giugno | 5 70 is = Sira ie (ia — | » 16 Giugno » 4Luglo |7|]9|7|7|/-|-|--|-|8|-|-|9 » 4 Luglio » 22 Luglio | 7 |10|6|9|—|—|—- | —|6l È 791 » 22 Luglio » 9 Agosto |9|8/6/8|7)5 NAZA REI, 9 (ge > 9Agosto © » 27 Agosto |S|7|1|7|6|7{7|s|e|Z|5|— » 27 Agosto » 14 Settem |5|4|—|8|8 8/6 | 7|6 ; E » 14 Settembre » 2 Ottobre |3|-|—|4|3/5|4|1|1} {-|- Così ancora ebbi i seguenti dati relativi a undici rami di Clematis vitalba (tra cui a, 5 ed m sono quelli ai quali si riferiscono i quadri 8-10): Numero dei nodi sorti in 24 giorni dal meristema apicale dei rami TEMPO I Er srl DIO IRE del A e Tie: I I | hia\t|m Dal 30 Marzo. . al 23 Aprile. 4|4/—-|--|-|-|-{-]|3|4|— » 23 Aprile. . » 17 Maggio 5|6|/—|—|-|—-|—-;—-|5|5]|6 » 17 Maggio . » 10 Giugno 6|5|—|/-I|-|-|-|-|6]|4]|4 » 10 Giugno . » 4 Luglio 9|8/8/|6/—-|5|5|—|6|8|9 » 4 Luglio . » 28'Euglio . |8|9|9/6/7/|/7|6|5)|7Z%| 86 ses lurlio ei ia posto 8 ET 78 ec » 21 Agosto . » 14 Settembre | 4|/—-|3]|3/4{—-|-]|=-]|-]|=]|= » 14 Settembre » 2 Ottobre . |1|—-|/—-|—-|1|—-|-|-]|=|-]|-= Altri rami della stessa pianta poi mostrarono il loro massimo di accrescimento apicale dal 26 luglio al 3 agosto e dal 3 al 21 agosto. Per citare qualche altro esempio, ecco i risultati ottenuti da tre rami di Jasminum officinale (per il ramo «a vedi il quadro 13): Numero dei nodi sorti in 24 giorni | dal meristema apicale | TEMPO dei rami | È —TP_ nl | a db e | Dal 16 Giugno al 10 Luglio 7 = 22 | » 10 Luglio » 3 Agosto 8 6 = | » 3 Agosto » 27 Agosto ; 7 6 5 | » 27 Agosto » 20 Settembre . 6 7 6 » 20 Settembre » 14 Ottobre 4 3 4 E tra le specie a foglie non opposte, citerò come esempio i se- guenti dati riferibili a 6 rami di Vite (per i rami « e c vedi i quadri 14 e 15): Numero dei nodi sorti in 18 giorni dal bottone apicale dei rami TEMPO ita it ASI | a db e d e vi Dal 28 Aprile al 16 Maggio . 6 6 6 5 — —_ » 16 Maggio » 3 Giugno . 6 5 6 5 — » 3 Giugno » 9 Giugno . 8 8 7 8 7 8 » 21 Giugno » 27 Luglio . 10 10 5 6 9 9 » 9 Luglio » 27 Luglio . 11 7 3 2, 2 12 » 27 Luglio » 14 Agosto . 3 _ — _ — TORE Ed un altro ramo di Vite, appartenente ad altra pianta e cresciuto in condizioni di esposizione diverse da quelle dei rami @-7, ebbe il suo massimo dal 29 giugno al 15 luglio, Così che rappresentando l’attività di ogni meristema con una curva che abbia per ascissi il tempo e per ordinata il numero degli internodî prodotti in un dato periodo, si potrebbe vedere che le diverse curve che si riferiscono ai singoli rami di una stessa pianta non coincidono, malgrado le condizioni di vegetazione siano identiche, ma le braccia ascendenti delle une possono incrociare le discendenti delle altre. Si deve dunque concludere che l’attività di ogni meristema apicale è soggetta ad una periodicità sua propria, indipendente dalle condizioni esterne în cui il meristema stesso si sviluppa. sigo Pertanto il plastocrono di Askenasy, ossia il tempo necessario per la formazione di un nodo coll’internodio sottostante dal meristema api- cale, non è costante, ma varia entro limiti molto ampî (per es. nella Clematis montana può andare da 18 giorni a un giorno e 19 ore). Relazione dell’acerescimento apicale col longitudinale. — Se contemporaneamente al numero dei nodi usciti dal bottone, si misura di intervallo in intervallo la lunghezza totale del ramo che si studia (0, come è stato fatto nei quadri 1-16, si sommano le lunghezze dei sin- goli internodî visibili) e se ne calcola l’allungamento, si può vedere quali rapporti abbia il gran periodo dell’allungamento totale col periodo sopra descritto dell’attività meristematica. Dalle mie esperienze risulta che sopra 75 rami osservati, presi da piante diverse e di diversa età, in 52 il massimo di allungamento coin- cise col massimo di attività meristematica, in 19 il primo precedette il secondo, in 4 venne dopo di esso. Riguardo a questi ultimi poi, fu tanto piccola la differenza tra i numeri che esprimevano l’attività api- cale dei periodi consecutivi (il massimo ed il seguente) e tra quelli che indicavano il relativo allungamento, che si può ritenere essere do- vuta la discrepanza dei due periodi a inesattezze nelle misure. Lo stesso si potrebbe dire riguardo a parecchi dei 19 rami in cui il massimo di allungamento ha preceduto il massimo di attività meri- stematica, epperò si può concludere che in generale le curve che rappre- sentano l’attività di un meristema apicale e il processo dell’allungamento totale del ramo corrispondente camminano parallelamente ed hanno è loro massimi che coincidono. Tale parallelismo mi è risultato evidentissimo in certi casi, in cui esso era ancora più evidente prendendo in considerazione periodi di tempo relativamente breve. Accrescimento apicale e lunghezza della zona in via di allun- gamento. — In relazione all'attività del meristema apicale, si capisce debba essere anche la lunghezza della zona di accrescimento contata dal numero degli internodî che la compongono. Si può convincersene esaminando i quadri 1-16, in cui è data volta a volta la lunghezza dei singoli internodî fin che hanno terminato di crescere, in modo che si può vedere il numero di essi che in un dato momento sono ancora in via di allungamento. Tenendo calcolo di pe- riodi di tempo lunghi come quelli considerati per lo studio della perio- dicità dell’attività meristemale, e facendo per essi la media del numero degli internodî che ad ogni singola osservazione facevano parte della Roi (Cf zona d’allungamento, si vede che /@ lunghezza di tale zona, contata dal numero degli internodî che la compongono, mostra essa pure benchè meno nettamente, una variabilità periodica. Sopra 71 rami osservati, in 51 la zona di accrescimento era composta del massimo numero di internodi du- rante il periodo del massimo di attività meristematica ; ! e ciò spiega in parte come durante lo stesso periodo si abbia il massimo di allunga- mento totale. Le eccezioni a questa legge si spiegano in parte per il fatto che gli internodî sviluppatisi sul principio della stagione vegetativa hanno spesso una durata di accrescimento maggiore degli altri, il che fa sì che la zona di accrescimento comprenda in principio un maggior nu- mero di internodî, non già perchè ne sia uscito un maggior numero dal meristema apicale, ma perchè i singoli internodî continuano per maggior tempo ad allungarsi. ° Influenza della stagione sopra l'andamento dell’acerescimento apicale. — In generale si può dire che il braccio ascendente della curva che rappresenta l'accrescimento apicale è più corto per i rami che si sviluppano in estate. Ciò vuol dire che in questa stagione î me- ristemi apicali si trovano in condizioni tali da potere più presto espli- care la loro attività e raggiungere il massimo di questa. Il mese poi in cui, nel corrente anno e nel maggior numero dei casi, i meristemi apicali esplicarono la massima attività, è il mese di luglio ed in ciò ha ragione il Douliot il quale (/oc. cit., pag. 291) dalle sue osservazioni anatomiche aveva dedotto che l’accrescimento termi- nale ha la sua massima attività nella stagione più calda. Influenza delle condizioni esterne sopra l'accrescimento api- cale. — Il fatto che nel mese di luglio, che fu il più caldo, ebbe luogo, nel corrente anno, il massimo dell’attività dei meristemi da me osser- vati, mostra che, come è naturale, una temperatura piuttosto elevata favorisce una tale attività. Però per quanto ha riguardo all’ influenza delle condizioni esterne sull’accrescimento apicale, mi devo limitare & 1 La legge si verifica più nettamente sopratutto nei rami in cui la zona di ac- crescimento è composta di molti internodi (vedere gli ultimi dei quadri citati). ? Il Macenrati (1) dice che i primi e gli ultimi internodî hanno una durata di ac- crescimento minore degli altri, però dalle mie osservazioni risulta l’opposto per quanto ha riguardo ai primi. La differenza dei nostri risultati dipende forse dal fatto che nei due rami osservati dal Macchiati (prospetto I e II) erano già a sviluppo completo in P uno 7 e nell’altro 5 internodi, = Ri = semplici congetture perchè non ho potuto realizzare, intorno ai rami studiati, condizioni per lungo tempo costanti sì da potere analizzare la loro azione sul fenomeno di cui mi occupavo. Lo scopo mio principale era di fare osservazioni a periodi di tempo molto lunghi, tanto che fos- sero eliminate le piccole differenze dovute alle variazioni delle condi- zioni ambienti e si potesse scorgere solo l'andamento generale del fe- nomeno. Ora, se si esamina invece l'accrescimento apicale di un ramo non a periodi di tempo lunghi come quelli presi in considerazione fin'ora, ma più brevi, si vede che, pur potendosi scorgere il processo generale del periodo, si ha una gran quantità di oscillazioni. Basti l’osservare che, per es., i rami @ e e di Clematis Montana (quadri 6 e 7) in periodi successivi di 12 giorni darebbero rispettivamente i se- guenti accrescimenti apicali: 3, 5, 3, 3, 4, 5, 5, 5, 0,3, 4,3, 3, e: 5, 5, 4, 5, 6, 4, 4, 5, 3, 1; e in periodi di soli 6 giorni darebbero: 1, 2, BIO 121,9; 2:43; 352 203; dea 1 +29 Apa 12; 3- DA9N2, 2, 3;42:3,8) 3 1,3, 1,230 2;111, 1.4 Queste oscillazioni; | an- che ammesso che siano dovute in parte a errori di misura (errori che, come si è detto, per periodi più lunghi diventano meno significanti), si debbono certamente attribuire in gran parte alle variazioni nelle con- dizioni esterne, tanto più quando si vede che parecchi rami le mostrano contemporaneamente e nello stesso senso. Per esempio una gran parte dei rami, anche di specie diverse, da me esaminati mostrarono tutti una diminuzione di accrescimento terminale durante la terza decade di maggio, nella qual epoca appunto si ebbe a Pavia, nel corrente anno, un notevole abbassamento di tem- peratura ed un periodo atmosferico piuttosto burrascoso. ! Così pure un altro periodo simile si ebbe verso la seconda decade d'agosto e anche allora osservai una diminuzione nell’attività meriste- matica di molti rami. La completa sineronicità di tutte le oscillazioni non si poteva os- servare sia perchè le piante prese in esame non si trovavano tutte nelle stesse condizioni, sia perchè anche i singoli rami non rimanevano nella stessa posizione per tutto il tempo dell’esperienza. Però da quanto ho detto credo sia abbastanza dimostrato, ciò che si poteva dedurre dall’indole stessa di esso, che l'accrescimento apicale è legato a tutte le condizioni esterne precisamente come tutti gli altri fenomeni della vita del protoplasma. 1! Non si potrebbe pensare ad una periodicità spontanea con due massimi, perchè nei rami che hanno cominciato a germogliare dopo il periodo di tempo in discorso non osservai che un massimo solo. DIRI Accrescimento apicale delle radici. — Nelle radici mancano gli elementi per misurare, col metodo descritto sopra, l'accrescimento api- cale: però si può venire a qualche deduzione dall’osservazione dell’al- lungamento totale e della lunghezza della zona in via di accrescimento. Parlando della lunghezza di tale zona nelle radici, il Sachs (IV) dice che essa è variabile, però dichiara di non poter dire, causa la piccolezza generale della zona medesima, se tale lunghezza varî o no periodicamente. Per evitare la difficoltà incontrata da lui, io ho pen- sato di fare delle misure su radici aeree di Philodendron che, come si sa, hanno una zona di accrescimento molto lunga. Presi in esame radici provenienti da uno stesso individuo (P%. pertusum), vegetante in una delle serre di questo Orto botanico, il cui fusto, posto all’altezza di 7-8 metri, mandava verso terra numerose radici di diversa grossezza e lun- ghezza, alcune delle quali avevano già raggiunto il suolo. Le osservazioni mie furono fatte nello scorso agosto, ho misurato , la lunghezza della zona in discorso su radici di diversa età. I risultati delle mie misure sono questi: TULOrO lunghezza totale Allungamento medio Lunghezza della zona Gole asloo ; iniziale della radice | x , TOMATO della radice in 24 ore | di accrescimento | I cm. 31 = cm. 0.8 | cm. O, dopo © giorni » 1.2 | » » » 11 » » 1.0 | LA) » » 18 » pi 251 | » 7 Il DIRI = » 0.9, | » 4 » | » Da: PI | » 4 | » PSI di ALDI ia 09 IMI » 9 _ » 1.2 | » D D, » 6.» p 045 da ed, IV DIRI == 62 » 10 » pitgd4,;fio » 3.0 » 14 Vi » 150 _ » 2.8 >. Gli VI » 232 _ » 4.5 » 14 » »a E24 » 7.8 » 18 VII » 246 = » 51 » 18 » » 60 » 48 PARLO) » ZAN — PIAZAII SESTA ASI Come si può facilmente vedere dunque, anche in queste radici la lunghezza della zona in via di accrescimento varia molto e varia, si può dire, in relazione alla lunghezza delle radici medesime (e quindi alla loro età) e all'intensità dell’allungamento totale. Ora se si osserva che nei rami del fusto tali variazioni corrispon- dono ad una periodicità nell’ accrescimento apicale, e probabilmente ne derivano, si può arguire che anche nelle radici da me osservate si abbia tale periodicità. E, data l'analogia di struttura del meristema apicale, si può anche pensare che pure nelle altre radici, benchè sia per ora praticamente impossibile il constatarlo, l'accrescimento apicale abbia luogo colla stessa legge. PARTE SECONDA. ACCRESCIMENTO IN ISPESSORE. Storia. — Le prime misure sull’accrescimento in ispessore degli alberi sono quelle del Mohl (I) che raccolse i dati delle sue osserva- zioni in un quadro dal quale si potrebbe dedurre, benchè a periodi molto lunghi, una specie di gran periodo con un massimo in luglio e agosto. Secondo lui l'accrescimento in ispessore è legato all’attività delle foglie, e perciò continua anche dopo che è cessato l’accrescimento in lunghezza. È questo il concetto sviluppato anche da Th. Hartig (I), il quale scoperse che collo sfogliamento di un albero si arresta la formazione del legno, senza però avere potuto constatare che (II) la massima quantità di foglie possibili corrisponda al massimo della produzione legnosa. Tale proporzione non fu trovata nemmeno dal Guinier (I) che eseguì in proposito molte misure precise. Dopo il Mohl, fecero altre osservazioni sull’accrescimento in ispes- sore degli alberi il Reinke (II), che applicò a tale studio un auxano- metro speciale e riuscì a verificare delle oscillazioni spontanee e delle oscillazioni dipendenti dalle condizioni esterne, specie dall’umidità ; lo Schroder (I), che ha visto come nel 1878 l’accrescimento di giovani fusti di Pioppo, Quercia, Pino, ecc. era quasi completamente cessato in agosto per riprendere in settembre; il Gr. Kraus (IV, V, VI, VII e XII nel qual ultimo lavoro verificò anche nei vegetali dei tropici i fatti già osservati nei nostri paesi), il Kaiser (I) ed il Baranetzki (II) che illustrarono le variazioni spontanee e periodiche del diametro dei fusti dovute ai cambiamenti nella proporzione e distribuzione del- l’acqua nei tessuti; il Gulbe (I), che determinò le relazioni che pas- sano tra il principio dell’ attività cambiale in primavera e l'apertura dei bottoni; ed il Keuchler (I), secondo il quale la produzione legnose dei fusti (o la larghezza degli anelli d’ispessimento dei singoli anni) dipenderebbe dalle condizioni medie climateriche degli anni medesimi. Il fenomeno della periodicità dell'attività del cambio fu però esa- minato in modo speciale del Mischke, dal Christison e dal Jost. ll Mischke (I) misurò l’attività del cambio facendo in un fusto delle incisioni a diversi intervalli di tempo in modo da levare un pezzo di legno col cambio e la corteccia corrispondente e potere contare le tracheidi prodotte dal principio del periodo vegetativo fino al momento in cui l’incisione era stata fatta: con questo metodo potè constatare che nel Pinus silvestris l'accrescimento in ispessore, cominciato in mag- gio, nel 1888, aumentò gradatamente fino alla fine di giugno, presentò una pausa in luglio e riprese debolmente in agosto. La temperatura e l'umidità avrebbero una grande infiuenza sul fenomeno e probabilmente, secondo l’autore, la pausa del luglio sarebbe stata dovuta alla poca pioggia caduta nel mese precedente. Il Christison (I e III) misurò per 5 anni (1887-91) e a dati tempi di intervallo, la circonferenza del fusto di molte piante legnose ad Edim- burgo e trovò che l'accrescimento in ispessore di quasi tutte le Conifere si può rappresentare con una curva a due massimi, con un minimo nel- l'estate, e pensò che l'andamento della curva fosse, fino ad un certo punto, indipendente dalle condizioni esterne. Le sue osservazioni furono confermate anche dall’ Hall (1). Il Jost finalmente (III) nel 1891 e 92 ha misurato ad intervalli di 10-14 giorni la circonferenza di molti fusti, ed ha visto che l’accre- scimento in ispessore mostrava in tutte due gli anni un gran periodo, come l’accrescimento in lunghezza; però secondo lui (pag. 596), dalle sue ricerche non si può dedurre se questa periodicità dipenda. come quella del- l'accrescimento in lunghezza, da cause interne, 0 sia dovuta al cambiamento periodico delle condizioni esterne. Il Jost anzi accorda una grande in- fiuenza alle grandi variazioni delle condizioni esterne. Prima di passare ad esporre i risultati delle mie ricerche, ricor- derò anche che il Russ (I) trovò che l'accrescimento in ispessore del fusto di Tiglio è molto influenzato dalla temperatura e dall’umidità ; che il Golden e Catharine (I) con un auxanometro speciale illustrarono l’azione della temperatura e spiegarono con essa la periodicità diurna che mostra, per es.; l'accrescimento in ispessore del fusto di Pomodoro; e che anche il Mer (IV) riconobbe l’importanza dell’azione delle con- — gg dizioni meteoriche, studiando l'influenza dannosa dell'estate asciutto del 1893 sulla formazione legnosa di molte essenze della Francia. Metodo. — Per vedere se la periodicità che è stata osservata nel- l'accrescimento in ispessore si debba ritenere come spontanea, ossia dipendente da cause interne, o come prodotta dalla variazione delle condizioni esterne, io pensai di fare osservazioni su piante annuali di diversa età, cresciute in identiche condizioni esterne. Preparata perciò una porzione di terreno, di composizione uniforme e tutta egualmente esposta ed uniformemente inaffiata durante il corso del periodo vege- tativo, vi piantavo, a diversi intervalli di tempo ed a distanze eguali, semi di piante annuali, scelti, per quanto era possibile, della stessa grossezza. In tal modo venivo ad avere in un dato tempo diverse piante che erano di diversa età e si trovavano nelle stesse condizioni esterne, per le quali le singole curve che rappresentavano l’attività di accre- scimento avrebbero dovuto essere parallele se la periodicità di tale attività fosse dipesa dalle condizioni esterne. Le piante adoperate erano a fusto legnoso (Cannabis, Ricinus, He- lianthus) e le osservazioni furono fatte per due estati consecutivi (1895 e 1896), misurando nel primo anno la circonferenza dei fusti e nel se- condo il diametro mediante un istromento simile a quello del Kraus, acquistato presso i signori M. Kaeler e Martini di Berlino. Le singole misure poi erano fatte accuratamente nella stessa regione dei fusti, e nella medesima ora della giornata, onde evitare gli errori che sareb- bero potuti derivare dalla trascuranza di cambiamenti periodici diurni del diametro dei fusti, studiati dal Kraus e dal Kaiser. Andamento generale dell’accrescimento in ispessore. — I dati relativi ad alcune delle mie osservazioni sono raccolti nei quadri 17-20. Da esse è risultato che tenendo calcolo di periodi di tempo abbastanza lunghi (almeno 12 giorni), sì può osservare nell’accrescimento in ispessore di ogni fusto una periodicità, sua propria, indipendente dalle condizioni esterne. E ciò si deduce dal fatto che in piante diverse, benchè crescenti in identiche condizioni esterne, l’andamento del fenomeno è diverso; tanto che, rappresentando con delle curve l'accrescimento in spessore del fusto di alcuni individui di diversa età vegetanti vicini gli uni altri, si potrebbero vedere le braccia ascendenti e discendenti delle varie curve intrecciarsi fra di loro. Relazione tra l’accrescimento in ispessore e quello in lun- ghezza. — Se si esaminano i quadri in cui sono date le misure fatte SA sulla Canapa (19 e 20; lo stesso risultato si deduce da altri quadri che non furono riportati), si vede che questa pianta presenta due mas- simi di accrescimento in ispessore, e precisamente uno nel periodo di allungamento del fusto ed uno (più marcato nelle piante femminili, che hanno vegetazione più lunga) nel secondo periodo, quando si sviluppano irami. Di più se si esamina l’andamento dell’ispessimento nella pianta 5 del quadro 19, si vede che esso fu normale fino al 18 maggio nel qual giorno subì un brusco arresto perchè, per un caso fortuito, il fusto fu rotto fino a 35 cm. di altezza. Tale arresto durò per circa 15 giorni, finchè cominciarono a mostrare forte sviluppo alcuni rami secondarî, dopo di che l'accrescimento in ispessore riprese il suo andamento nor- male presentando il secondo massimo. Si vede adunque che, come aveva osservato anche il Jost, vi è, fino ad un certo punto, una corrispondenza tra l'accrescimento in ispes- sore e lo sviluppo degli organi aerei della pianta. Questa corrispon- denza (come avevano del resto visto anche Th. Hartig e il Guinier) però non è esatta, e ciò si può rilevare anche dall'esame dei quadri sopracitati. Influenza delle condizioni esterne sopra l’ accrescimento in ispessore. — Anche l'accrescimento in ispessore, se si misura a pic- coli intervalli di tempo, pur lasciando scorgere l'andamento del gran periodo, mostra una quantità di oscillazioni che possono dipendere in piccola parte da errori di misura, ma in parte sono certamente esse pure dovute alle variazioni nelle condizioni esterne. Per esempio, osservando l'andamento dell’accrescimento in ispes- sore in parecchi fusti di ;cinus zanzibariensis di età diversa e vege- tanti in parti fra di loro lontane del nostro Orto Botanico, ho visto come essi, pur mostrando il massimo del loro accrescimento in periodi differenti, hanno avuto dei periodi di diminuzione e di aumento di at- tività e diminuzioni ed accrescenti simili e sincroni potei riscontrare pure in altre piante appartenenti anche a generi diversi. Si deve dunque ammettere che tali oscillazioni sono dovute alle variazioni delle condizioni climateriche generali in cui vegetavano tutte le piante che furono oggetto delle mie esperienze. Confronto tra l’attività del cambio e quella del meristema api- x cale.! — Da quanto è risultato dalle mie esperienze, parmi si possa ! Il DerLersen (I) trovò già nel cambio leggi che regolano le variazioni di dimen- sioni delle cellule e che ricordano le leggi riscontrate dal Sacas nei meristemi apicali. aa pr concludere che il cambio ed il meristema apicale sono ambedue tessuti in via di segmentazione, sottoposti alle stesse leggi. Tutte due mostrano nell’esplicazione della loro attività un gran periodo proprio, indipendente dalle cause esterne, ed ambedue sono soggetti nello stesso modo (ben- chè in diverso grado per le differenti condizioni in cui si trovano) al- l’azione delle condizioni esterne. Non è dunque a meravigliarsi se spesso l’attività dell’uno procede di pari passo con quella dell’altro, dal mo- mento che si tratta di due meristemi fino ad un certo punto indipen- denti l’uno dall'altro, ma soggetti alle stesse condizioni esterne. I legami tra un meristema e l’altro, come ho osservato io nella Canapa e come hanno riscontrato in altre piante il Jost ed altri, si spiegano come fenomeni di correlazione. APPENDICE PRIMA. FORMAZIONE DEGLI ANELLI ANNUALI DEL LEGNO. Annessa all’accrescimento in ispessore dei fusti, sta la questione della formazione degli anelli annuali del legno, questione che fn ed è tuttora oggetto di molte discussioni. Già sin dal 1847 l'Unger (I) aveva notato che l'estate dell’anno precedente era stato così caldo da produrre in quasi tutte le piante un secondo germogliamento, una doppia produzione di frutti ed altresì, in relazione a ciò, la formazione di un doppio anello di legno. Però tra le due parti di questo anello non vi erano dei limiti così netti come quelli che separano gli anelli ordinarî; laonde, secondo lui, poichè due germogliamenti consecutivi, pur essendo in essenza eguali, producono fenomeni non identici, si doveva ritenere che la causa della formazione degli anelli annuali non è lo sviluppo dei bottoni, ma che ; due pro- cessi sono indipendenti l'uno dall'altro, benchè concomitanti, ed ambedue dipendenti dalle condizioni climateriche. Il Sachs (II) ed il De Vries (I) pensarono invece che le differenze di struttura tra il legno primaverile e l’autunnale fossero dovute ad un aumento, avvenuto durante l'estate, della pressione esercitata dalla cor- teccia sul cambio; ed infatti il De Vries constatò che aumentando o diminuendo artificialmente (con legature, o con incisioni) tale pressione, la struttura del legno si fa più o meno compatta, e precisamente (IV) il numero delle divisioni cellulari del cambio, quello dei vasi prodotti, ed il diametro radiale dei singoli elementi del legno sono inversamente Atti dell'Ist. Bot. dell'Università di Pavia — Nuova Serie — Vol V, 7 se 0)) —_ proporzionali alle pressioni. ' Anche il Gr. Kraus accettò questa teoria (I e II) e provò che in realtà la tensione della corteccia non è co- stante. Diedero importanza alla pressione anche il Detlefsen (II), che spiegò con essa l’accrescimento inequilaterale di certi fusti (in cui la pressione della corteccia sul cambio sarebbe modificata 0 da incurva- menti, o da formazioni secondarie); il Gehmacher (1), secondo cui an- che la produzione dei tessuti corticali risentirebbe della stessa influenza; e, più recentemente, l’ Hoffmann (I), il quale constatò che una forte pressione laterale può anche produrre un arresto di accrescimento. Il Russow (I) modificò in parte l'ipotesi del De Vries, facendo en- trare tra i fattori della formazione degli anelli la turgescenza, la quale in primavera è certamente maggiore. Secondo lui, la sola pressione non può spiegare tutti i fenomeni che caratterizzano la formazione degli anelli. L'ipotesi della pressione’ e della turgescenza fu però presto abban- donata. Il Krabbe (I e II) mostrò che le esperienze di De Vries non potevano avere molto valore perchè producevano nella pianta dei di- sturbi nella funzione circolatoria. Inoltre provò che nè la tensione della scorza è sempre maggiore in autunno che in primavera, nè le differenze che vi si verificano sono tali da potere esercitare un'azione considere- vole sopra la divisione del cambio. Di più nei fusti e nei rami cre- sciuti eccentricamente la tensione della scorza è maggiore nella zona di massimo accrescimento, mentre, contrariamente a quanto dovrebbe essere secondo l'ipotesi di De Vries, in questa zona il legno è in pre- valenza primaverile. — Il Wieler poi (II e III) provò che nè è diversa, nelle giovani cellule legnose autunnali, la pressione idrostatica da quello che è in primavera, nè in autunno la lignificazione delle membrane è più precoce sì da renderle meno elastiche e meno dilatabili. Si ritornò dunque all'ipotesi originaria che gli anelli del legno fossero un prodotto dell’andamento della stagione ed in questo senso fece le sue osservazioni il Kny (II e V), che, studiando l’accrescimento inequilaterale deì fusti e alcune anomalie nella struttura dei legni, vide che la formazione degli anelli annuali del legno può essere soggetta ad influenze generali e locali, e, fino ad un certo punto, si può anche modificare sperimentalmente. E sempre nello stesso senso, il Kohl (I) ed il Wieler (V) osservarono che le condizioni di umidità hanno in- fluenza sopra la formazione del legno e, mettendo quasi in rapporto la struttura di questo colla funzione traspiratoria, notarono che le piante 1 In altra pubblicazione (Veber Wwndholz, in Wlora. 1876, N. 2-9) il Dr Vries insiste sull’infiuenza della pressione sulla formazione del legno e pensa che condizione per la formazione delle fibre legnose sia una considerevole pressione sul cambio. — 193 — con foglie piccole o crescenti in atmosfere molto umide hanno pochi e piccoli vasi; ed il Mer (I), studiando anche lui il fenomeno dell’acere- scimento eccentrico, trovò che in molti casi lo si può attribuire all’azione del sole che arresterebbe, nel lato da essa colpito, l’attività del cambio, il quale si limita infatti a produrre, in tali casi, il legno primaverile. Il Christison poi (I) e l’Henry (I) misero in rilievo l'influenza dell’umi- dità l’uno studiando negli alberi dell’Uraguay la formazione di molti anelli annuali dovuta all’alternanza di stagioni asciutte con stagioni piovose; l’altro esaminando l’influenza dell’ annata asciutta 1893 sulla produzione legnosa di molti alberi della Francia. Ma anche la semplice alternanza delle stagioni ed i cambiamenti nelle condizioni esterne non potevano essere ritenuti sufficienti alla spiegazione del fenomeno che ci occupa, perchè già il Warring (I) aveva mostrato che la formazione degli anelli annuali non richiede l'alternanza delle stagioni, che anzi essi talora non si formano, e possono invece formarsi anche in serra, in condizioni uniformi; e concluse che essi hanno la loro origine in periodi di attività e riposo, innati nella costi- tuzione della pianta. Partendo da un altro punto di vista, R. Hartig (I) pensò che il legno autunnale sia dovuto ad una migliore nutrizione del cambio, il primaverile ad una peggiore. Accordarono una certa importanza al fattore della nutrizione anche il Kny (I), che illustrando il fenomeno della formazione doppia degli anelli annuali, mettendolo in rapporto collo sfogliamento, concluse che una interruzione nell’afflusso delle sostanze assimilate può modificare ed interrompere l’attività del cambio; ed il TT. Miiller (I), il quale os- seryò che nella parte superiore e meglio nutrita dei fusti sulla cui cor- teccia si sia praticato un'incisione anulare, si ha una maggior produ- zione di legno. Il Wieler invece (II, III e VI), ritenendo anche lui come causa del fenomeno la differenza nelle condizioni di nutrizione del cambio, giunse a risultati opposti: egli provò che cambiando le condizioni di nutrizione di una pianta annuale si possono ottenere nel suo legno delle variazioni analoghe a quelle che si riscontrano negli anelli annuali, e dalle esperienze sue e dall’osservazione del rapporto tra lo spessore degli anelli e quello delle pareti delle loro cellule, coneluse che il legno primaverile è una conseguenza di una buona nutrizione del cambio, l’au- tunnale di una cattiva. ! 1 Anche Briosi e Tognini (Intorno alla anatomia della canapa, Parte seconda: Organi vegetativi; in Atti dell’ Ist. Bot. della R. Università di Pavia, Ser. II, Vol. IV, — 94 — Il Krabbe però (IV) trovò a ridire che il Wieler aveva tenuto conto solo della differenza nelle dimensioni dei singoli elementi del legno pri- maverile e autunnale, ma non della loro diversa natura. Di più osservò che il suddetto autore aveva considerato come effetto di una buona nutrizione solo l'accrescimento in superficie delle membrane e non quello in ispessore, e dopo tutto non aveva provato che in realtà le condizioni di nutrizione del cambio siano in autunno peggiori che in primavera. Secondo lui, il problema è ancora insolubile, la nutrizione però non può che produrre differenze quantitative, non qualitative. Di fronte a tutte queste osservazioni contradditorie, lo Strasburger (I) pensò (come già aveva fatto il Warring) che la formazione degli anelli annuali del legno fosse un fenomeno ereditario sul quale gli agenti esterni hanno un effetto solo qualitativo e quantitativo. Secondo lui, essi sarebbero il risultato dell'equilibrio tra due bisogni opposti della pianta, il bisogno di elementi conduttori e quello di elementi mec- canici; e questa ipotesi spiegherebbe la diminuzione e la mancanza di vasi nel legno autunnale, la prevalenza del legno primaverile nei grossi anelli (siccome il bisogno meccanico della pianta è quasi costante, gli elementi meccanici si formano quasi sempre nella stessa quantità), ed altri fatti che qui è inutile ricordare. Seguendo un altro ordine di idee, il Jost (I) diede importanza alle relazioni che passano tra lo sviluppo del legno e la formazione delle foglie. Egli osservò che la formazione dei vasi è arrestata coll’allonta- namento delle foglie anche quando, per la presenza dei cotiledoni, le condizioni di nutrizione sono ottime, epperò concluse che la foglia agi- sce sulla formazione del legno non come organo nutritore, ma come stimolante, quasi che foglia e traccia formassero un tutto indivisibile le cui parti si sviluppassero in relazione le une colle altre. ! Così es- 1896) constatarono nel legno della Canapa delle zone che ricordano l’aspetto degli anelli annuali, e le attribuirono a variazioni nell’intensità dell’attività cambiale, do- vute a cambiamenti nell’andamento della stagione. Il Lurz (II) avrebbe riscontrato spesso delle stratificazioni analoghe nello stesso anello legnoso di alberi perenni, ele attribuì ad alternanze di pioggie e siccità durante il periodo vegetativo in cui si era formato l’anello. ! Quest'idea del Josr, confermata dai numerosi fatti di correlazione di sviluppo osservati da lui e da altri e sopra menzionati, ricorda la teoria morfologica dell’asse, già sostenuta dal Detpino, dal CeLakowski e da altri e sviluppata recentemente dal Dancrarp (De l’axe en géinéral; in Le Botaniste, 1889, fasc. 5), colla quale si accor- dano anche le osservazioni anatomiche del Liownier (De l’influence que la symetrie de la tige exerce sur la distribution, le parcours et les contacts de ses faisceaua libro- ligneuwz in Bull. de la Soc. Linn. de Normandie, 4 Ser., 1889) e del Toenini (Sopra 9 sendo, gli anelli annuali (che l’autore propone di chiamare semplice- mente anelli vegetativi, perchè corrispondono ai periodi e non agli anni di vegetazione) sarebbero conseguenza della relazione tra lo sviluppo del legno e quello dei rami, ed infatti nelle piante tropicali, in cui lo sviluppo di questi ultimi è continuo, essi non si presentano. Tutti i fatti messi in rilievo dal Wieler, secondo il Jost, ! non starebbero a pro- vare altro che vi è una correlazione tra la formazione degli organi laterali e lo sviluppo del legno. Il Jost dovette sostenere la sua teoria in una vivace polemica (II e IV) contro R. Hartig, il quale (II e III) voleva dare importanza anche alla traspirazione e al bisogno della pianta di formare molte vie acquifere. Egli nell'ultimo dei suoi lavori sopra citati, dopo avere com- battuto con nuovi argomenti la teoria della nutrizione, mise ancora più chiaramente in rilievo i rapporti che passano tra l’attività cambiale e lo sviluppo delle foglie non solo, ma di qualunque nuova formazione. Ammise però ora che, anzichè essere la formazione del legno prima- verile provocata dall'apertura dei bottoni e quella dell’autunnale dal ‘loro chiudersi, il cambio dei nostri alberi ha una attività propria la cui periodicità dipende, come quella dei bottoni, da cause interne, ma è anche sotto l’azione degli agenti esterni. Una spiegazione eguale a quella del Jost, l'aveva già data anche il Mer (II), il quale, ammessa una periodicità innata nell’attività del cambio, pensò che quando tale attività è forte si formino rapidamente degli elementi a grandi dimensioni e a pareti sottili (legno primave- rile), e quando tale attività è debole si formino pochi elementi, più pic- coli ed a pareti grosse (legno d’estate).® Ed a conferma di ciò il Mer citò il caso di piante in stato patologico in cui l’attività del cambio era debole e si formava perciò solo legno d’estate. Sempre sulle relazioni tra lo sviluppo del legno e quello degli or- gani aerei, ricorderò il lavoro di Schilberzky (I), il quale, tagliando in modo speciale l’ipocotile di un Fagiuolo, potè provocare la formazione di fasci supplementari; quello del Graner (I), che studiò il fenomeno il percorso dei fasci libro-legnosi primarii negli organi vegetativi del Lino; in Atti dell’ Ist. Bot. della R. Università di Pavia, Ser. II, Vol. II, 1892) sopra l'indipendenza originaria delle diverse traccie fogliari in molti fusti. i Vedi il referat che il Josr fa nella Bot. Zeèt. (1892, N. 31) dell’ultimo lavoro del Wiecer (VI). ? Siccome la formazione del legno cessa quasi sempre in agosto, il MeR adotta la denominazione, proposta dall’Hartie, di Zegno d'estate per quello che prima si chia- mava legno autunnale. Lo StrAsBuRGER (loc. cit. pag. 501) DOD invece i denomi-' nazioni di /egno tardivo (Spiitholz). de RO G= dal punto di vista del valore tecnico del legno; e finalmente quelli del Lutz (I e II), che, levando da alcuni alberi tutte le gemme (anche, man mano che si formavano, le avventizie), impedì la formazione del legno. L'ultimo lavoro va ricordato anche perchè mostra come, dopo una sfogliazione, in qualunque epoca essa sia fatta, il cambio dà luogo alla formazione di legno tipico primaverile, ciò che l autore attribuisce ad un aumento nel contenuto d’acqua della corteccia e del legno. Dalle osservazioni da me fatte sopra l’accrescimento in ispessore, è risultato: 1.° Che l’attività del cambio mostra una periodicità, indipen- dente dalle azioni esterne, tale per cui cresce dal principio della vegetazione prima lentamente, poi più forte fino ad un certo massimo, raggiunto il quale, a poco a poco decresce fino a ridursi a zero. 2.° Che sull’attività del cambio hanno influenza anche le condi- zioni esterne le quali agiscono su tutte le altre manifestazioni della vita del plasma. 3.° Che sotto questo aspetto il cambio si comporta come tutti i meristemi primarî. Dall'esame delle ricerche degli altri botanici sono poi risultati i seguenti fatti : 1.° Che (Strasburger, I) negli anelli grossi, cioè in quelli for- mati nelle annate in cui l’attività del cambio è molto forte, il legno è in prevalenza con struttura primaverile. 2.° Che quando l’attività del cambio è debole, produce in pre- valenza legno con struttura autunnale (Mer II). 3.0 Che nei fusti e nei rami cresciuti eccentricamente, nella parte del massimo accrescimento, ossia nella parte in cui l’attività del cambio era stata maggiore, il legno è in prevalenza primaverile (Krabbe II). 4.° Che i mesi in cui si ha il massimo accrescimento in ispessore sono quelli in cui si forma la maggior quantità di legno primaverile. Tutti questi fatti ed altri che è inutile ricordare parmi vengano in appoggio dell'idea del .Jost e del Mer, che la formazione degli anelli annuali del legno è dovuta ad una periodicità propria nell'attività del cambio, dipendente da cause interne; e di quella dell’ Hunger che tale periodicità è indipendente da quella dei meristemi apicali, ma è ad essa concomitante e, come essa, soggetta alle condizioni climateriche. L'attività cambiale poi, oltre essere legata, come abbiamo visto, a quella dei meristemi apicali perchè soggetta alle stesse condizioni, è ad essa connessa anche per le leggi di correlazione tra gli organi e di com- penso, e questo ci spiega molti dei fatti osservati dai diversi autori. DET; Riguardo alla causa fissatrice della periodicità di cui sopra, vi sono, come dirò più avanti, varie ipotesi; riguardo alla causa prima della formazione dei diversi tessuti degli anelli, non è possibile, per ora, dire se questi siano semplicemente il risultato di azioni fisiche 0 se abbiano un significato teleologico. ! APPENDICE SECONDA. TEORIE DELL’ACCRESCIMENTO. Le diverse teorie messe avanti per spiegare l'accrescimento delle piante, si possono riunire in due gruppi: le teorie meccaniche, che at- tribuiscono la massima parte del fenomeno alla turgescenza, e le teorie plasmari le quali lo considerano come una manifestazione dell'attività del protoplasma. Le prime si raggruppano tutte intorno alla teoria meccanica della turgescenza, nota sotto i nomi di Sachs e De Vries che ne furono i fondatori. ® Secondo questa teoria, alla quale si attaccano anche i la- vori del Kraus (I-XI) sopra la distribuzione dell’acqua nelle piante e la tensione dei tessuti, la turgescenza è condizione principale per l’ac- crescimento, poichè mediante la sua azione le membrane cellulari dei tessuti in via di accrescimento, le quali sono in massimo grado dilata- bili, subiscono la così detta dilatazione per turgescenza (Turgorausdeh- nung) che è la prima manifestazione dell’accrescimento.* Questo sarebbe dunque dovuto ad una continua produzione, nel succo cellulare, di so- stanze che hanno azione osmotica, e le diverse periodicità nell’attività di accrescimento si spiegherebbero ammettendo delle variazioni perio- diche nella dilatazione per turgescenza delle membrane cellulari. Per il Wotmann (III), tale dilatazione per turgescenza dipende da tre fattori: dalla forza di turgescenza, dalla dilatabilità della mem- 1L’Harervanpr (Veber Jahresringbildung. Zur Wahrung der Prioritiit; in Ber. d. deut. bot. Ges., 1895, pag. 337) avoca a sè la priorità della spiegazione teleologica della formazione degli anelli annuali basata sulla funzione degli elementi legnosi. Egli infatti l’ha esposta fin dal 1884 nella sua Phys. Pflanzenanatomie (I). 2 Il Travge in una polemica sostenuta col SacHs stesso (vedi: Bot. Zéyg., 1878, N. 16, 20, 42, 43 e 44) rivendica a sè la priorità di questa teoria, per avere fatto l’espe- rienza delle cellule artificiali. ® Il De Vries completò la sua teoria dal lato anatomico col lavoro (Plasmolylische Studien iiber die Wand der Vacuolen, in Pringsheims TJahrb. f. w. Bot., Bd. XVI, 1885, pag. 465) sopra le proprietà morfologiche e fisiche della parete delle vacuole del plasma (veggasi in proposito anche: Wenr, Die Vernehrung der normalen Va- cuolen durch Theilung, in Pringsheim’s Jahrb. f. w. Bot, Bd. XIX, 1888, pag. 295). RO brana e dalla quantità di acqua disponibile per le cellule. La dilatabi- lità della membrana, la quale alla sua volta dipende dalla formazione della sostanza di cui essa è composta (Membranbildung), decresce dal- l’apice verso la base dell’ organo; la forza di turgescenza invece au- menta dall’apice fino alla zona del massimo accrescimento, per poi ri- manere costante, il che richiede una periodicità nella produzione delle sostanze osmotiche. Dalla combinazione delle variazioni di questi due fattori, si avrebbe il gran periodo dell’accrescimento. ! A sostegno poi della teoria della turgescenza, così o in altro modo modificata, furono da diversi autori citati molti altri fatti che si trovano quasi tutti anche ricordati sui trattati e che sarà inutile qui riferire. Altri fatti si venivano però a poco a poco scoprendo i quali non potevano essere spiegati colla teoria in discorso e tra questi ricorderò l'accrescimento delle cellule plasmolizzate di molte alghe; la determi- nazione della direzione dell’accrescimento il quale, se fosse dovuto alla turgescenza dovrebbe invece avere luogo in tutte le direzioni; la mon costante corrispondenza tra dilatazione per turgescenza delle cellule e intensità del loro accrescimento, ecc. Sulla base di queste ed altre os- servazioni sue e di vari altri autori, il Klebs (II) concluse che “la teoria del Sachs e De Vries sulla funzione della turgescenza nell’accre- scimento in lunghezza non si deve ritenere giusta. La turgescenza non è causa dell’accrescimento, ma solo una condizione importante di esso nei casi in cui la cellula è rivestita da una membrana resistente ,. Essa sarebbe un fattore come la nutrizione, la temperatura, l’ossi- geno, ecc., ed avrebbe anzi meno importanza di queste. La vera causa dell’acerescimento, secondo il Klebs, risiederebbe nel protoplasma, però egli dice di non poter dare una vera teoria. Siamo dunque condotti alle teorie plasmari, e la parte che fu in seguito attribuita al protoplasma varia dalla semplice formazione della sostanza atta alla costruzione di nuova membrana, ritenndo la deposi- zione di tale sostanza un fenomeno puramente fisico (Kirchner, II, God- lewski, II e III e Scholtz, I), e dalla sola segregazione delle sostanze attive nella turgescenza (Palladin, I), fino al riconoscere ad esso solo ogni parte attiva nel fenomeno (Schwendener e Krabbe, I, Askenasy, VI, Wiesner, II, ecc.). ° 1 La teoria della turgescenza così modificata dal Worrmanwn è anche accettata dal Dermer (Das p/lanzenphysiologische Pralticum, Jena, 1895). è Circa le teorie plasmari applicate all’accrescimento della membrana veggansi, anche per letteratura sull’arsomento, i lavori del BusciLroni (Malpighria, Annate 1894 e 95). Anche il Mayer (Die Ernahrung der griinen Gewiichse, IV Aufl., Heidelberg, 1885, pag. 102) ammette che il fenomeno dell’accrescimento dipenda dal protoplasma. — 99 — Senza passare in rassegna tutti i lavori pubblicati sull'argomento, richiamo soltanto l’attenzione su due recenti lavori dello Pfeffer (I e II) in cui è chiaramente dimostrato che l'accrescimento è in intima rela- zione coll’attività vitale dell'organismo. ' Secondo questo fisiologo, l’ac- crescimento dipende dalla concorrenza di diversi fattori ed è chiaro che il lavoro di accrescimento può essere arrestato o ritardato se è insuf- ficientemente adempiuta anche una sola delle condizioni necessarie. Così dal ritardo subito per diminuzione nella dilatazione di turgescenza non si deve dedurre che sia solo questa a produrre l’accrescimento. Ricorderò da ultimo come tutte le varie teorie dell’accrescimento si rispecchiano nei diversi lavori riguardanti gli incurvamenti per irri- tabilità, i quali altro non sono che casi speciali di accrescimento. Anche qui si va dalle teorie meccaniche che spiegano tutto con un semplice fenomeno di cambiamento di turgescenza, alle teorie plasmari che am- mettono una irritabilità propria del protoplasma vivente. Dalle ricerche da me fatte sopra l’accrescimento tanto dei meri- stemi primarî che dei secondarî, è risultato, come si è visto: 1.° Che essi mostrano il fenomeno del ran periodo quale è stato studiato nell’accrescimento secondario. 2.° Che l’attività di tali meristemi va soggetta alle condizioni esterne, come va loro soggetto l'accrescimento secondario. Se dunque si pensa che, come ammette anche il Wortmann, nei meristemi non si ha dilatazione per turgescenza perchè, non essendovi x vacuole, non si ha turgescenza, si è condotti alla CONCLUSIONE I fatti da me osservati non sono spiegabili colla teoria meccanica della turgescenza, ma costituiscono una nuova prova in appoggio delle teorie plasmari dell’accrescimento. * 1 La prova maggiore di questo fatto si ha nell’intima relazione che si osserva tra accrescimento e respirazione. Tale intima relazione è ammessa anche dal Van TreGnew (Traité de Botamique, Paris, 1889, pag. 147). A questo proposito è anche da ricordarsi che il Pevron (Recherches sur latmo- sphere interne des plantes, Corbeil, 1888) ha osservato anche per la respirazione una periodicità diurna, la quale ricorda la periodicità diurna dell’ accrescimento. ? Le mie osservazioni si riferiscono, veramente, all’attività divisionale dei meri- stemi e non all’accrescimento delle loro cellule, ma è utile qui ricordare (vedi: PrerFEk, Pflanzenphysiologie, Leipzig, 1881, Bd. II, pag. 67) che la divisione delle cellule di- pende dall’accrescimento, perchè questo deve precedere quella. — 100 — Riguardo al fenomeno della periodicità sì generale che diurna, esso, benchè ora indipendente, fino ad un certo punto, dalle variazioni nelle condizioni esterne, si può ritenere dovuto al succedersi, nelle diverse stagioni dell’anno o nei diversi periodi del giorno, di condizioni prima poco favorevoli, poi ottime, poi meno favorevoli a tutti i processi vi- tali. L'effetto di tali variazioni continuatesi, sempre nello stesso senso, per migliaia di generazioni, si sarebbe ormai fissato per eredità. ! Questa idea, già emessa da molti autori (Vines, I, Stebler, I, Ba- ranetzki, I, Koeppen, I, Berthold ,° Detmer,? ecc.), fu confermata spe- rimentalmente prima dal Reinke (II) e poi dal Darwin e Pertz (I) i quali, con cambiamenti orarî nelle condizioni luminose, riuscirono ad indurre sopra fusti in via di accrescimento una periodicità che persisteva per un po’ di tempo al cessare della causa che la aveva prodotta. Dall’Istituto Botanico dell’Università di Pavia, dicembre 1896. ! Per spiegare il fenomeno della periodicità dell’accrescimento furono messe avanti anche altre ipotesi che però non hanno valore generale. Per es. il C. Kraus (II) spiegò la periodicità dell’accrescimento delle ife dei funghi, ammettendo che sul principio esse incontrino una gran resistenza a vincere l'affinità chimica che tiene unite le molecole del substrato nutritizio, e che tale resistenza di- minuisca, una volta cominciata la nutrizione. Secondo GopLewski (I) il gran periodo di accrescimento di ogni cellula sarebbe dovuto a ciò che in principio agisce solo la forza di imbibizione del plasma, l’osmosi verrebbe dopo e la sua azione andrebbe prima au- mentando e poi diminuendo per il successivo ispessimento della membrana. Secondo il Wreswer invece (Z/ementi di botanica scientifica, 1890, Vol. III, pag. 32 e 34) il gran periodo sarebbe dovuto alla traspirazione che, collo sviluppo delle foglie, andrebbe via via aumentando fino a togliere l’acqua alle altre parti della pianta, sì da ritardarne prima, e poi ostacolarne l’ accrescimento, ° Studien iber Protoplasmamechanik, Leipzig, 1886, pag. 83. * Das Pflanzenphysioloyische Pralticum, Jena, 1895, pag. 334. QUADRI RIASSUNTIVI DI ALCUNE OSSERVAZIONI, ‘ ! Per economia di spazio riporto solo, come esempi, alcuni degli specchi delle molte misure eseguite su diversi rami di varie piante. 102 | | 1 ng (9988! og| Gio o “i ceocels sabot ae e ll \co 3sage| o doge e|oh- — — — — — È BREE i « i (rese (IRE ila baie i (Sa 1088 0g, Col Gr e0n9pii a de CSC'WRr Ceti en 9) 2ggl0zLe| T | 08 | € |9 2 sargert— — —— = = a FER e: || --{, (esse (eps 1 100 - e EEEeeee ea x PLVEI 66 | S i) dedi Sgarra = = pic SiR "a — |G 09s08y Vi) ovo eat CANNSGA Mio G 6 69 161 8EI es =. aree ai cas |a 9giel |26| 9 6 6r,8P-06 600 aaa is (1066606 (9| | 3. 6I 980 dle ea n uodezze v ) 36) 9 9 -93. 19; 0LT09] 99 — Eee RR | ecc lee 8 06 Sp 66 0994 Eee I Ì (GISE | e 8 ‘9T PA :68 GI990 — a REN Fl )vazizz0z| 8 \ 08 | G | 9.789 09 Cella — ae | “deal Mer |Coo] & 81 69 96 EI88I— — — — — — — — |ol <« (cs (1691 (LTS du Rae e ela l'/r)ecgleser] € ) At | @ | 9 "ERROR Gale Ilie ea ina [Rate le0gi {ol| UNGAGIO Ne HAS E: | c06 BI | S 9 (0E099A RIE — lede \ eg lio | e \8T| S| L 16 59 46 9RIZIG— —|9 0185vg NLeRorgl Svizzi nell 8 LE 8 OPIOISSHI— |68° € | ILà Tn GA 8° 68 36 ILIOPI 86 | 6 9Ndy | : S 3 da | >| WI | "ULI | ‘UWa #1 i z tai Zi or > Po > n ol a a sla, El_2| "|__| 96 #3 86 ce 13 06 6I 8I 2I 94 SI PI SI 21 IM OT6 8 2998 GI 25105) pa] a SPE |\Fales|eF we|E8|5S da 05 [ge È Noè FG cos VLVA (SEE e a SRG :IPOUI9ZUI ITHOop ezzousbunt |Bulo ®/5e|lsgelort.Zb. 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(piante maschili) 1896. PIANTA @ | PIANTA | PIANTA c | DATA ° sE \eslfa a sE S oa] | (2A e 15 | 5.153, S8|53 835 SS 23,533 46 if i9s 35 iog ff 195 ds {Sg jd 39513 ag | 5°|85° | s8/ES°|2° 80 "| se/52°| 2395" ss\s30 | ina Ta 3338 ie SES Da | | | | | | Aprile 24| 7,3 55! 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Agcrenko W.,I. Notiz diber einen Full'affallend schnellen Wachsthums ; in Serip. bot. Horti Univ. Imp. Petropolitanae, T. II, 1889, pag. 23 (Bot. Centralbl., Bd. XXXVIII, pag. 742). A.xserv P., I Beitroge zur Entwickelungsgeschichte der Knospen ciniger Laub- holzer; in Forst! naturw. Zeitschr., 1894, pag. 346 e 393 (Bot. Centralbi., Bd. LXI, pag. 228). Anperson P. A., I. The grand period cf growth in a fruit of Cucurbita Pepo, determineted by weigh;z in Minnesota Bot. Studies, Bull. Nr. 9, 1895 (Beh. 2. Bot. Cen- tralbl., 1895, pag. 261). ArcanaeLi G., I. Sull’allungamento d_i picciòli nelle foglie di Euryale Ferox Sal.; in Nuov. Giorn. Bot. Italiano, Vol. XXT', 1890, pag. 121 e 299. II. Alcune esperienze sulle foglie di Nuphar; in Boll. d. Soc. Bot. Italiana, Anno 1593, pag. 191. III. Sul allungamento degli organi delle piante aquatiche ; in Bull. d. Soc. Bot. Italiana, 1596, pag. 116. Askenasy E., I. 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UNIVERSITÀ DI PAVIA (Laboratorio Crittogamico Italiano) ESPERIENZE PER COMBATTERE LA PERONOSPORA DELLA VITE COLL’ACETATO DI RAME ESEGUITE NELL'ANNO 1896 RELAZIONE A S. E. IL MINISTRO DI AGRICOLTURA INDUSTRIA E COMMERCIO del Direttore del R. Laboratorio di Botanica Crittogamica di Pavia GIOVANNI BRIOSI. Eccellenza! Le esperienze per combattere la peronospora delle vite con acetato di rame furono, giusta il desiderio di codesto Ministero, ripetute anche in quest'anno, dando loro maggior estensione e impiegando alcuni pro- dotti commerciali che non avevamo sperimentato nell’anno passato. Gli esperimenti, fu già detto altra volta, non hanno per iscopo di mostrare che anche l’acetato di rame agisce contro la peronospora, poichè la sua azione contro tale parassita è già provata, ma sono di- retti a constatare se lo si possa con apprezzabile vantaggio sostituire alla poltiglia bordolese, ora generalmente, anzi quasi esclusivamente, impiegata dai nostri viticoltori. L’'avere nelle mani un rimedio che, come la poltiglia bordolese, di- fende bene le nostre viti, col quale ognuno ha per così dire pratica e dimestichezza, e che giustamente inspira fiducia, parrebbe non dovesse invogliare e spingere a nuove ricerche, tanto più che non è punto fa- cile l'introduzione di metodi nuovi nelle cose agrarie, poichè, come è ben noto, gli operai della campagna s' inducono con molta fatica a mu- lion tamenti. Ma le spese che oggidi importa la coltivazione delle viti, e le difficoltà di assicurarne il prodotto, si son fatte così forti che le sem- plificazioni, i miglioramenti e i risparmi, anche se modesti, vanno cer- cati con diligente cura. La stagione non ha in quest'anno, pur troppo, assecondato che in parte le nostre fatiche, poichè l’estare corse così piovosa che rese diffi- cile una razionale applicazione dei trattamenti, anzi in alcuni luoghi le piogge, lavando via il rimedio appena somministrato, e poi conti- nuando persistenti per molti giorni, impedirono di potere in tempo op- portuno ripeterne l'applicazione, e mandarono a male gli esperimenti, scoraggiando talora anche gli sperimentatori. Le prove si iniziarono in dieci diverse località e cioè: a Monte- leone presso il signor conte Ercole Bolognini, a Miradolo dal signor Luigi Zambelli, a S. Colombano al Lambro nelle vigne del signor in- gegnere Pietro Cattaneo, a Barbianello nei poderi del signor ing. Davide Gambini, a Montubeccaria dai signori Montemartini, a Voghera presso la Scuola pratica d’Agricoltura, diretta dal prof. Bellucci, a Rovescala nelle vigne del signor avvocato Guffanti, a Mairano (Casteggio) nei pos- sedimenti del signor ingegnere Giulio Vandoni, a Moglia (Casteggio) in un vigneto del signor cav. maggiore Montagna e a Broni dal signor ingegnere Saglio !. Le sostanze sperimentate furono: 1.° Acetato di rame in cristalli (acetato neutro puro) fornito dalla casa Erba di Milano al prezzo di lire 2.50 al chilogrammo. 2.° Verdet neutre raffiné dei signori Durand e Galen di St. Jean de Fos (Hérault) messo in commercio a lire 110 al quintale, e che col dazio, il trasporto e l’aggio viene a poco più di 140 lire da noi. 3.° Verdet gris, degli stessi fabbricanti, il cui costo, tutto com- preso, oscilla attorno a lire 130 il quintale. 4.° Verdet agricole del signor E. Bichon di Montpellier che lo dà a lire 80 al quintale, e quindi da noi costa circa lire 110. 5.° Acetato di rame Prinz della ditta enologica A. Stecher di Firenze a lire 65 al quintale. 6.° Poltiglia al carbonato di soda. 7.° Borol, o borosolfato di soda. 1 A tutti questi signori, che sono dei migliori viticoltori delle nostre plaghe vi- tifere, io con piacere rendo qui pubbliche e vivissime grazie, per la cortesia colla quale ne accolsero e la premura che ne addimostrarono, e al maggiore Montagna debbo un ringraziamento, se fosse possibile, anche più caldo per l'interessamento tutto affatto speciale, l’attenzione e l'amore, coi quali ha voluto egli stesso dirigere e sorvegliare le nostre prove. — 147 — Quest'ultimo preparato non contiene acetato di rame ma venne spe- rimentato egualmente in seguito a viva preghiera del signor Luigi Riva di Milano che ce lo fornì gratis assicurando che era non solo un anti settico molto efficace ma che agiva anche contro la peronospora nella debole proporzione Gel 0,25 per cento. La poltiglia al carbonato di soda parimenti non contiene acetato flî rame, ma venne sottoposta a prove perchè raccomandata dal profes- sore Foex, direttore della scuola di viticoltura di Montpellier. Essa si prepara come la poltiglia bordolese, sostituendo però alla calce, e nelle stesse proporzioni, il carbonato di soda. Il preparato del Prinz infine non è, quando vien messo in com- mercio, in realtà un acetato di rame ma bensi una miscela intima formata con solfato di rame, acetato di calce, e idrato di calce nella proporzione per reagire appena sciolta nell'acqua, secondo l'equazione chimica: 20080'+Ca(CH*C00)? +02 (0H)°=20a80'+200(00 1 C00). Questo preparato fornisce quindi l’acetato di rame (basico) nel mo- mento della sua soluzione, quando l’ossido di rame del solfato viene in eontatto coll’acido acetico dell’acetato di calce; il che, secondo Prinz, dovrebbe aumentarne l’ efficacia, perchè agirebbe come suol dirsi allo stato nascente. Ora, in succinto delle singole sperienze, fatta eccezione di quella di Broni che per circostanze speciali andò completamente perduta. A Monteleone le prove furono affidate al signor conte Ercole Bolo- gnini, che ivi possiede bellissimi vigneti, in aperta e ridente posizione. Si sperimentarono il Verdet gris, il Verdet agricole, e la poltiglia al car- bonato di soda. Tanto cogli acetati (dati all’uno per cento) che colle due poltiglie, poichè nei filari di controllo si diede la poltiglia bordo- lese, si fecero due trattamenti. Le viti alle quali si erano applicati gli acetati si mantennero sempre in buon stato, superiore a quello delle viti trattate colla bordolese, che pure era assai buono; ma le sperienze non poterono essere continuate, perchè la peronospora, attesa forse la località molto areata, non si sviluppò che in debole misura, onde il proprietario non ritenne necessario ulteriori trattamenti nemmeno colla poltiglia bordolese; così vennero a mancare i confronti. A Miradolo le sperienze si fecero nei vigneti del sig. Luigi Zambelli, sindaco del paese. Si provò il Verdet gris e il Verdet neutre raffiné, l'uno e l’altro qui pure in soluzioni all’uno per cento. Atti dell’ Ist. Bot. dell'Università di Pavia — Nuova Serie = Vol, V, ll — 148 — Il primo trattamento si diede ai 22 di Maggio sopra circa 800 viti pel Verdet gris impiegando poco più di un ettolitro di soluzione; e sopra 1600 viti pel Verdet neutre raffiné, con doppia quantità di liquido. Le viti erano ancora immuni da peronospora e appartenevano a diverse varietà fra loro mescolate, come quasi sempre, senza ordine, Bonarda, Bressanello, Moroncina, Trebbiano bianco e Brachetto. Tl secondo trattamento si applicò a queste viti il 22 di Giugno colla dose e nella quantità adoperate prima. Dopo queste due, non si fecero altre applicazioni. Erano viti vecchie di poco prodotto, destinate ad es- sere estirpate, onde si abbandonarono a sè stesse per vedere sino a qual punto sarebbe arrivata l’efficacia dell’acetato. Alle altre viti, che servivano di controllo, furono invece applicati quattro trattamenti con poltiglia bordolese impiegandone in ognuno una quantità relativamente proporzionale a quella data cogli acetati. I resultati furono: nelle viti cui si eran fatte quattro applicazioni di poltiglia bordolese, si salvò tutto il raccolto; in quelle invece trat- tate solo due volte cogli acetati, si ebbe un leggero attacco di pero- nospora e si perdette circa il venti per cento del prodotto. Il signor Zambelli affermava che una terza applicazione di acetati sarebbe bastata per salvare pure in questi filari tutta la vendemmia. Tanto il Verdet gris che il Verdet neutre raffiné produssero leggere scottature sulle foglie, anzi quelle causate dal secondo furono molto sensibili. Ambedue questi Verdet mostrarono una forte adesione alle foglie, maggiore di quella della poltiglia bordolese. Il Verdet gris presentò qualche difficoltà a scio- gliersi, formando da prima una specie di colla, onde per le successive soluzioni si dovette ricorrere all’aqua calda. In questi vigneti dal 22 Maggio sino alla fine di Luglio piovette quasi tutti i giorni; in tale periodo non si ebbero che 8 o 10 giorni di bel tempo; poi nella prima quindicina d’Agosto le piogge ricomin- ciarono di nuovo per continuare sin quasi alla fine di Ottobre. A Miradolo il signor dott. Zanaboni e i fratelli Raimondi tentarono invece il Ferdet agricole, loro fornito per mezzo del signor Zambelli, all’uno per cento, con due soli trattamenti e nella stessa quantità sopra indicata pel signor Zambelli ; e, a quanto ne riferiva quest’ultimo signore, con resultati simili a quelli sopra esposti ottenuti col Verdet gris e col Verdet neutre raffiné. A S. Colombano al Lambro si prestò il signor ing. Pietro Cattaneo, e qui si sperimentarono il Verdet neutre raffiné e la miscela Prinz della ditta Stecher di Firenze. Coll’uno e coll’altra si trattarono circa mille viti poste in diverse aa = località delle colline di S. Colombano e si diedero tre trattamenti; uno ai primi di Maggio, il secondo ai primi di Giugno, il terzo ai primi di Luglio. Il Verdet fu nel Maggio usato in soluzione all’ uno per cento senza alcun inconveniente; nel Giugno si diede all’uno e mezzo per cento, ma produsse gravi scottature su molte foglie; onde nel Luglio si ri- bassò la dose all'uno e venti per cento e questa volta non produsse guai. La miscela Prinz fu usata la prima volta, all’ uno per cento; e nelle altre due, all’uno e mezzo per cento; non produsse mai scottature sulle foglie. Le viti di controllo furono trattate pure tre volte alle stesse epoche con poltiglia bordolese, all’uno per cento di solfato di rame e altret- tanto di calce, salvo l’ultima volta, nella quale la calce fu ridotta a metà. A tutto il vigneto si diedero inoltre solforazioni con solfo ra- meico al tre per cento. La stagione anche qui fu sfavorevolissima; oltre alle piogge insi- stenti si ebbero, tanto in primavera che nell’estate, nebbie oltremodo fitte che sembravano proprio mandate per favorire lo sviluppo della peronospora, onde il proprietario non si peritò di risparmiare un trat- tamento cogli acetati per la tema di una invasione di peronospora molto minacciosa e che avrebbe cagionato danni rilevanti. Gli unici resultati quindi che si poterono constatare furono: che ambedue gli acetati fe- cero buona prova, le viti con essi trattate si presentavano splendide, con foglie di un verde intenso, quasi lucente, specie quelle cui si era dato il Verde neutre raffiné. I grappoli, sani e prosperosi, diedero un raccolto abbondante nelle une e nelle altre, come del resto in tutto il vigneto. A Barbianello le prove furono fatte nei poderi del sig. ing. Davide Gambini, il quale possiede ivi nuovi e bellissimi vigneti tutti in vianura. Si sperimentò il Verdet gris, l'acetato della ditta Erba di Milano, il Verdet agricole, la miscela Prinz, la poltiglia al carbonato di soda e il Boro. I due primi si diedero all'uno per cento, la miscela Prinz e il Verdet agricole invece all'uno e mezzo, e anche al due per cento. La poltiglia si preparò con un chilogramma di solfato di rame e mezzo chilogramma di carbonato di soda per ogni ettolitro d’acqua, e il Borol si diede in soluzione al 0.3 per cento, seguendo l’indicazione data da chi lo aveva offerto. Con tutti i preparati a base di sali di rame si fe- cero tre trattamenti, come colla poltiglia bordolese data alle rimanenti viti del vigneto. Anche qui il proprietario stante l'annata umidissima e pericolosa non credette si potesse risparmiare un trattamento cogli acetati. I resultati furono che il Verdet gris, l’acetato Erba e la polti- -— «di50 — glia al carbonato di soda difesero completamente le viti; mentre il Verdet agricole e la miscela Prinz sembrarono un poco meno efficaci, Il Boro! poi, che era stato somministrato a due lunghi filari verso la fine di Maggio, si palesò assolutamente inattivo; le viti trattate con esso furono subito fortemente attaccate dalla peronospora e benchè si accorresse in loro soccorso con poltiglia bordolese non si riuscì più a salvarle ; la peronospora le travagliò sino alla fine della vegetazione. A Montubeccaria sì sperava di poter fare esperienze su larga scala e in ottime condizioni, invece l'esecuzione loro fini per cadere nelle mani di persone poco adatte per tal fatta di studî, poichè i proprietari, signori Montemartini, avendo dovuto assentarsi, non poterono accudirvi, nè noi potemmo presenziarle, ma solo iniziarle e di poi constatarne in diversi tempi gli effetti. La vigna nella quale si fecero le prove era in colle, tenuta col sistema Bronese; le viti sottoposte alle esperienze scelte in modo che fossero intercalate a quelle tenute per controllo. Si trattarono: 250 viti con acetato della ditta Erba all'uno per cento; 125 viti con Verdet agricole all'1,4 per cento; 125 con Verdet neutre raffiné all'uno per cento; 125 con Verdet gris pure all’uno per cento; e 125 colla miscela Prinz di Firenze pure all’uno per cento, e tutto il resto del vigneto colla solita poltiglia bordolese. La prima irrorazione fu data il giorno 11 di Maggio tanto cogli acetati, che colla poltiglia bordolese; la seconda si eseguì il 25 e il 26 di Giugno, pure generale, cioè tanto cogli acetati sulle viti sottoposte a sperienze che colla poltiglia bordolese, nel rimanente vigneto. Nella seconda quindicina di Luglio si ritenne necessaria una terza applica- zione di poltiglia bordolese alle viti dei vigneto, ma nulla si diede a quelle trattate con gli acetati. Nell’ Agosto, per l’ eccessiva umidità dell'annata, la peronospora si sviluppò fortemente sulle punte dei tralci di tutte le viti cui non era arrivato o solo in scarsa misura il rimedio e non risparmiò nemmeno i grappoli su parecchi dei quali, evidentemente per non essere stati trattati con cura, si sviluppò il così detto negrone. Nell'autunno il corpo della fronda di tutte le viti bene ni dal rimedio era in buon stato; quelle trattate cogli acetati mostravansi d’un verde più intenso di quelle cui si era dato la poltiglia bordolese, benchè avessero ricevuto una irrorazione di meno. Lo stato di quelle cu- rate colla miscela Prinz non era punto inferiore a quello delle viti alle quali si era applicato il Verdet gris e il Verdet neutre raffiné e le viti trattate col Verdet agricole all'’1,4 per cento erano le più belle. Le foglie — 151 — di queste ultime rimasero verdissime e tenacemente attaccate alla pianta sino nel tardi autunno. Tanto il Verdet gris che il Verdet neutre raffiné e l’acetato Erba hanno prodotto non lievi scottature sulle foglie, non così la miscela Prinz e il Verdet agricole, benchè quest’ultimo fosse dato a dose più alta. La poltiglia al carbonato di soda fu provata in altro vigneto ma su piccola scala, e in questo vigneto si rifece anche una piccola prova colla miscela Prinz all’uno per cento. Anche qui ambedue i rimedî di- fesero bene le viti, solo il viticoltore affermò che il miscuglio Prinz stentava a sciogliersi. A Voghera le esperienze furono fatte alla Scuola Agraria Gallini sotto la direzione del suo direttore, egregio professore Bellucci. Si scelse un lunghissimo filare di viti, formato come di consueta di varî vitigni, posto a lato di altri che si sarebbero trattati colla so- lita poltiglia bordolese e che dovevano servire di controllo; gli uni e gli altri in perfetta pianura. A metà del filare scelto per le esperienze si diede la miscela Prinz di Firenze all'uno per cento; all'altra metà Verdet gris, pure all’uno per cento. La prima applicazione si fece sul finire della prima quindicina di Giugno, e la seconda circa un mese dopo. Di poi, atteso le piogge con- tinue, che talora asportarono il rimedio subito dopo somministrato, e la minaccia insistente d’invasione peronosporica, si finì per dover fare altre quattro aspersioni cogli acetati e cinque colla poltiglia bordolese. I resultati furono pressappoco eguali; si difesero cioè perfettamente tutte le viti dal parassita, con questo che cogli acetati si era risparmiate un trattamento. A Rovescala sì ricorse al signor avv. Angelo Guffanti ben noto eno- logo, che ivi possiede molte vigne in collina. Si iniziarono prove col Verdet gris, col Verdet agricole e colla mi- scela Prinz di Firenze. In una visita fatta alla fine di Agosto si trovò che non ostante non si fossero fatte che due sole applicazioni cogli acetati, anzi in alcuni filari una sola, le viti mostravansi in buonissime condizioni, pari se non superiori, a quelle dei filari trattati di già per ben tre volte colla pol- tiglia bordolese. Il signor Guffanti aveva inoltre trattato cogli acetati anche alcune viti di già attaccate dalla peronospora, avendo appositamente aspettate che il male si fosse in esse chiaramente manifestato onde provare anche l’azione curativa di tali rimedî. Al signor Guffanti 1’ efficacia curativa = pa di detti rimedî sembrava provata, giacchè il male, nonostante la sta- gione piovosa e calda, si era completamente arrestato; e noi stessi po- temmo infatti osservare queste viti che presentavano ancora foglie con chiazze secche, prodotte da male antico e soffocato, poichè il rimanente del lembo della foglia era verde e sanissimo. Queste sperienze di Rovescala però, per ragioni che non è qui il caso di riportare, non poterono essere continuate; noi speriamo poterle con maggior tortuna riprendere quest'altro anno. Il signor Guffanti la- mentava che la miscela Prinz presentasse qualche difficoltà a sciogliersi, e inoltre temeva che questi acetati avvelenassero l’erba e le civaie che si coltivano sotto e fra i filari delle viti; mentre in realtà essi non nuociono più del solfato di rame. A Mairano, su quel di Casteggio, ne aiutò il distintissimo viticol- tore signor ingegnere Giulio Vandoni. Su questi colli si sperimentò il Verdet neutre raffiné, il Verdet gris, l’acetato della ditta Erba, il Verdet agricole; e la miscela Prinz di Firenze. Il Verdet neutre raffiné si diede all’uno per cento sopra 72 piedi di filari bronesi (circa 400 viti) somministrando nella prima irrorazione, data il 19 Maggio, circa 150 litri di soluzione, e nella seconda, fatta il 16 Giugno, circa 300 litri. Col Verdet gris si trattarono due lotti; l’uno di metri 68 di filari alla casalese di 70 viti circa con soluzione a 0.50 per cento; dando pure due applicazioni, la prima al 19 Maggio e la seconda al Giugno, impiegando in ambedue circa 100 litri di soluzione. All’altro lotto di 81 metri di filare pure alla casalese si diedero altresì due irrorazioni nelle stesse epoche e colla stessa quantità di liquido, ma all'uno per cento. Il Verdet agricole si applicò in soluzione all’uno per cento, trat- tando circa 200 viti tenute alla bronese, e qui pure facendo due irro- razioni, luna al 19 Maggio con 109 litri, e l’altra al 16 Giugno con 200 litri di soluzione. Coll’acetato Erba si trattarono 126 metri di filare alla casalese, comprendenti 200 viti circa, e impiegando soluzione all'uno per cento. Qui pure furono dati due trattamenti, il primo al 9 di Maggio e il se- condo il 10 Giugno, ognuno di 150 litri. Colla miscela Prinz si fecero due sperimenti. Un lotto di circa 60 viti, tenute alla casalese, si trattò con soluzione all’uno per cento, dan- done 37 litri al 9 di Maggio e 50 litri al 10 di Giugno; per un altro lotto di 45 viti, pure tenute alla casalese, si applicò, presso a poco nelle stesse proporzioni e negli stessi giorni, una soluzione al due per cento. Alle viti tenute per controllo, che come ' sempre si aveva avuto cura di scegliere in condizioni pari di resistenza, tanto per riguardo alla qualità dei vitigni, che allo stato della loro vegetazione, alla loro ubicazione, ecce., si fecero invece quattro applicazioni di poltiglia bor- dolese, uniformandosi a quanto si era ritenuto necessario di fare per tutte le viti del rimanente vigneto. Il prodotto si è salvato completamente, tanto nelle viti sottoposte agli sperimenti come in quelle trattate colla poltiglia bordolese. I tralci di queste ultime però nell'autunno erano molto più sani di quelli delle viti cui si erano applicati gli acetati. I due trattamenti posteriori colla poltiglia bordolese avevano ricoperte, e difese anche le cime dei rami, che nei lotti trattati cogli acetati, rimasti senza rimedio, furono invase dalla peronospora. Se invece di due si fossero, cogli acetati, fatti tre trattamenti, si sarebbero probabilmente avuti resultati eguali a quelli ottenuti colle quattro applicazioni di poltiglia bordolese. In ordine alla efficacia dei diversi acetati non si notò alcuna mar- cata differenza fra loro; tutti agirono bene, compreso il Verdet agricole e la miscela Prinz. Con qualcuno si ebbero leggere scottature. Alla Moglia (Casteggio) è ove le nostre esperienze in quest’ anno poterono essere condotte con maggior cura, per l’opera non solo intel- ligente ma anche indefessa del signor maggiore cav. Giovanni Montagna, proprietario della ‘vigna ove vennero fatte. Il vigneto che misura circa quattro ettari è tutto in colle esposto a mezzogiorno, piantato con filari alla bronese, e, come al solito, for- mato di diverse varietà di viti, più o meno fra loro mescolate. Il vigneto fu diviso in sette parti: la più grossa, che comprendeva circa la metà delle viti e doveva servire per controllo generale, fu trattata con poltiglia bordolese e nelle altre si sperimentarono l’a- cetato della ditta Erba, il Verdet neutre raffiné; il Verdet gris, il Verdet agricole, la miscela Prinz di Firenze e la poltiglia al carbonato di soda. a) Nella prima porzione di 1624 viti si sperimentò l’acetato della ditta Erba. Il primo trattamento si fece al 12 di Maggio impiegando 300 litri di soluzione all’uno per cento. Al 3 Giugno si ripetè nelle stesse pro- porzioni. Ai 24 dello stesso mese si diede una terza irrorazione pure all’uno per cento ma impiegando solo 150 litri di soluzione; e un quarto e ultimo trattamento si applicò ai 27 di Luglio, pure leggero, cioè pari- menti con soli 150 litri di rimedio. Le ultime due irrorazioni furono particolarmente dirette alle foglie novelle ed alle estremità dei tralci, —Mibir— 3) La porzione cui si diede il Verdet neutre raffiné contava 1392 viti, e quivi pure si fecero quattro trattamenti all'uno per cento, im- piegando: nel primo (12 Maggio) 250 litri, nel secondo (3 Giugno) pure 250 litri, nel terzo (24 Giugno) 150 litri, e nel quarto (27 Luglio) 100 litri di soluzione. Parimenti in questo gruppo di viti, le ultime due leggere irrorazioni furono specialmente rivolte alle estremità novelle de’tralci. c) Il Verdet gris fu applicato a un numero uguale di viti, cioè a 1392, facendo ancora quattro trattamenti colle identiche misure e negli stessi giorni cui si diede il Verdet neutre rajfiné. Valgono per esse le stesse osservazioni fatte pel precedente, alle quali bisogna aggiungere che il Verdet gris, forse in causa della natura dell’acqua impiegata, presentò non poca difficoltà a sciogliersi, formando, come a Miradolo, prima una specie di colla che solo con molto tempo e qualche fatica si poteva poi diluire. Si dovette ricorrere anche qui ad acqua calda e allora lo seio- glimento si ottenne facilmente. Le macchie prodotte da questo preparato sulle foglie, aderivano talmente che anche dopo piogge prolungate vedevansi ancora e erano più appariscenti di quelle prodotte dalla stessa poltiglia bordolese. Con tutti e tre questi acetati si ebbero sulle foglie non poche scat- tature, più gravi nel primo trattamento del Maggio, benchè non maneas- sero anche nei successivi, nei quali peraltro presentavansi in minore copia e meno intense. d) Col Verdet agricole si trattarono pure 1392 viti, per ben quattro volte, negli stessi giorni nei quali si applicarono i rimedî precedenti. Queste viti però pel primo trattamento si divisero in due parti, e a 709 si diedero 100 litri «i una soiuzione all’uno per cento, e le rimanenti 692 s'irrorarono con 100 litri di soluzione all'uno e mezzo per cento. Nelle prime viti, cioè nelle 700, parve che la peronospora si pre- sentasse minacciosa facendo qua e là capolino, per la qual cosa, a evi- tare guai, si decise nei trattamenti successivi di somministrare a tutte le 1392 viti indistintamente la soluzione all’ 1.50 per cento, impiegando nel secondo 200 litri, e negli ultimi due, solo 100 litri di solazione. Anche con questo Verdet si ebbe qualche difficoltà per scioglierlo e qualche scottatura nelle foglie. e) La miscela Prinz di Firenze si diede a 1460 viti, che per la prima applicazione si trattarono metà con 150 litri di soluzione al- l’uno per cento, e metà con 200 litri all’ 1.50 per cento. Anche qui parve e si temette che le prime viti corressero pericolo di un attacco di pero- nospora per la qual cosa nei tre trattamenti successivi, fatti negli stessi giorni sopra indicati, si diede a tutte le viti soluzione all’ 1.50 per cento, nella proporzione di 300 litri pel secondo, e di 125 litri pel terzo e pel quarto. dla f) La poltiglia al carbonato di soda si sperimentò sopra 1624 viti, facendo al solito quattro trattamenti negli stessi giorni sopra in- dicati. La poltiglia venne preparata con 600 grammi di solfato di rame e 600 grammi di carbonato di soda per ogni 100 litri d’acqua. Nei primi due trattamenti si diedero 250 litri di poltiglia; negli ultimi due solo 125 litri. Non ostante la tenue dose si ebbero molte scottature sulle foglie; e sebbene formasse sui pampini delle belle macchie, pure non parve che il rimedio aderisse bene, perchè sotto l’azione delle piogge le macchie facilmente scomparvero e qua e là si presentò un poco di peronospora. Tali resultati non concordano con quelli ottenuti negli altri luoghi. g) Al rimanente del vigneto cioè a circa 3900 viti, tante quante erano complessivamente quelle dei sei gruppi precedenti, si diede per controllo poltiglia bordolese, formata con 600 grammi di solfato di rame e 600 di calce spenta per ogni 100 litri d'acqua pel primo trattamento ; e con 800 grammi di solfato e 800 grammi di calce in 100 litri d’acqua pei trattamenti successivi. Colla poltiglia si fecero pure quattro applicazioni, impiegandone 3000 litri nella prima (11 Maggio); 4000 litri nella seconda (2 Giugno); pure 4000 litri nella terza (23 Giugno); e 2000 litri nella quarta (25 Luglio). L'ultimo trattamento fu in modo particolare diretto alle cime dei tralci. In tutto il vigneto sulle estremità delle viti ove per la straordi- naria altezza non arrivò il getto delle trombe, la peronospora si svi- luppò con tale violenza che in pochi giorni distrusse le foglie, lasciando le cime dei rami completamente nude. Ora dall'esame di quanto è stato sopra esposto, risulta: che in com- plesso per la difesa della stessa quantità di viti, cioè per metà vigneto, si impiegò colla poltiglia bordolese circa il doppio d’acqua e di sali e di conseguenza anche di mano d’opera di quanto si fece cogli altri ri- medi sperimentati nell’altra metà del vigneto. E gli effetti furono pres- sochè identici, cioè ottimi in tutti i gruppi. Non solo si salvò il prodotto, ma anche le foglie e le viti sino nel tardo autunno presentavansi verdi e rigogliose. E sì, che in quest'anno anche qui le minacce di invasione di peronospora furono violenti e continue, attese le piogge insistenti e le fitte nebbie. Ovunque non arrivarono col rimedio i getti delle trombe, come nelle ultime cime dei tralci, il parassita rapidamente si diffuse e in pochi giorni distrusse le foglie. E ben peggio avvenne in alcuni vigneti della stessa plaga male trattati o per insufficienza o per ritardo nell’applicazione, i quali furono violentemente invasi e sin da principio ebbero dimezzato il raccolto. — glio I gruppi trattati cogli acetati avevano nell'autunno uu’apparenza anche migliore di quelli cui si era dato la poltiglia bordolese; e i filari ove si era dato la miscela Prinz di Firenze e il Verdet agricole non mostravansi inferiori agli altri. Da tutto quanto siamo venuti esponendo risulta che le nostre spe- rienze in questo anno, ove più ove meno, risentirono gli effetti dell’av- versa e pessima stagione, al punto che parecchie non si poterono con- durre nel modo che erasi prestabilito e alcune si dovettero senza altro interrompere e abbandonare, I resultati che si sono ottenuti non sono quindi così numerosi, decisivi e sicuri quali forse sarebbonsi avuti in condizioni migliori. Questo premesso, sembra di potere, almeno in via subordinata, af- fermare: 1.° Che tutti i prodotti a base d’acetato di rame che si sono da noi sperimentati non solo offrono un rimedio sicuro che si può, senza tema d’andare incontro a perdita del prodotto dell'uva, da chiunque sperimentare, ma altresì un rimedio di maggiore efficacia della poltiglia bordolese ; 2.° Che le soluzioni degli acetati sono efficaci anche a dose molto bassa, anzi che tali si dovranno tenere per non danneggiare le viti con scottature. Per il Verdet gris, il Verdet neutre raffiné, l’acetato della ditta Erba si potrà e si dovrà scendere a 0.8 e forse a 0.5 di sale per cento d’acqua; e per la miscela Prinz e pel Verdet agricole non superare forse l’uno per cento; 3.° Che le soluzioni cogli acetati aderiscono agli organi verdi della vite più tenacemente della poltiglia bordolese, perdurano più a lungo e quindi rendono la difesa più facile e meno angosciosa, specie quando si abbia un'improvvisa minaccia d’invasione del parassita; 4.° Che cogli acetati pare si possa risparmiare almeno un terzo di rimedio, sia facendo un trattamento meno, sia, e meglio, col sommi- nistrare bensì lo stesso numero di trattamenti che si impiegherebbero colla poltiglia bordolese, ma tenendo le irrorazioni molto più leggere, cioè impiegando la metà o poco più del liquido che si sarebbe dato colla detta poltiglia. Ciò produrrà un non picccolo risparmio specie nella mano d’opera, particolarmente in quei luoghi ove, come nelle nostre col- line, l’acqua scarseggia e bisogna trasportarla da lontano; 5.° Che le soluzioni cogli acetati non ingorgano le trombe come facilmente avviene colla poltiglia bordolese; = 6.° Che il rimedio a base di acetato di rame si prepara con grande facilità e senza pericolo di errare, al punto che la sua prepa- razione si può affidare a qualsiasi operaio; specie quando il rimedio venga fornito in dosi pesate come si fa dalla ditta Stecher di Firenze per la miscela Prinz, la quale è messa in commercio in pacchi, ciascuno del peso di un chilogramma. La preparazione invece della poltiglia bor- dolese, come è noto, non è punto cosa semplice, perchè bisogna sciogliere separatamente la calce e il solfato di rame e spesso in proporzioni diffe- renti; poi fa d’uopo non sbagliare nel mescolare le due soluzioni, poichè se in luogo di versare quella della calce in quella del rame, si versa questa in quella, il rimedio perde parte della sua efficacia; come bisogna operare anche con molta precauzione nel procedere alla miscela, e ricor- rere preferibilmente all’uso delle carte di tornasole affine di neutraliz- zare completamente l’acidità del solfato senza eccedere nella calce, onde non menomare l'efficacia del rimedio; 7.° Che intorno alla poltiglia al carbonato di soda, le nostre spe- rienze nulla hanno rilevato, perchè i resultati ottenuti in questo anno sono contraddittorî fra loro e bisognerà ripetere le sperienze. Contro l’uso degli acetati sta invece il loro prezzo, ancora relati- vamente alto, benchè la miscela Prinz di Firenze a 65 centesimi al chilogramma, in dosi di già pesate, non sia poi molto costosa. L’abitudine ora generale di adoperare la poltiglia bordolese sarà, non vi ha dubbio, di non piccolo ostacolo sulle prime all'introduzione degli acetati; ad ogni modo per chi ne voglia fare uso, avvertiamo di raccomandare agli operai di ripartire bene il rimedio su tutti i pampini poichè se esso è più efficace delia poltiglia bordolese, ciò non significa che possa agire anche là ove non arrivi; al quale effetto sarà anche bene di adoperare trombe che polverizzino bene il getto affine di avere irrorazioni leggere e diffuse. II Direttore della Stazione Crittogamica Giovanni: BrIoSI. Pavia, Febbraio 1897. "" bugi- Fata a Miao. tig dova af sind sn td ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA (Laboratorio Crittogamico Italiano.) RASSEGNA CRITTOGAMICA APRILE, MAGGIO E GIUGNO 1896. RELAZIONE A S. E. IL MINISTRO DI AGRICOLTURA INDUSTRIA E COMMERCIO del Direttore del R. Laboratorio di Botanica Crittogamica di Pavia prof. G. BRIOSI. MALATTIE DELLA VITE. Peronospora (Plasmopara viticola (Berk. et Curt.), Berl. e De Toni). — Causa la stagione relativamente fredda, e grazie ai trattamenti pre- ventivi generalmente applicati, la peronospora, lungi dall’ infierire come nella primavera dell’anno decorso, appena ha fatto la sua comparsa in questi ultimi giorni; la sua presenza fu da noi constatata il 23 giugno in foglie raccolte a San Colombano e a Casteggio, e si noti che in quest’ultima località le viti nelle quali si manifestò la peronospora ap- partenevano ad un vigneto che non era stato trattato colla dovuta dili- genza. Di allessamento e di negrone negli acini finora nessuna traccia. Si sono incominciate anche in questo anno, e sopra larga scala, dal nostro Laboratorio, in diverse località, esperienze per vedere di sostituire con vantaggio al solfato di rame, l’acetato, ricorrendo ai di- versi preparati che di questo sale ora si trovano in commercio ; di tali esperienze a suo tempo verrà fatto speciale rapporto. Crittogama (Oidium Tuckeri Berk.). — Si constatò in tre località e cioè in materiale raccolto nei vigneti della scuola Gallini di Voghera e in foglie inviate dal dott. Mussi di Borgotaro presso Parma e dal si- gnor cav. G. Marchese di Milano. Antracnosi (Glocosporium ampelophagum Sacc.). — Sopra tralci e fo- glie, dalla Toscana (Rocca San Casciano). MILE Mal bianco 0 marciume (Dematophora necatriv Hartig). — Dal signor G. Giacobone di Varzi ci vennero ‘inviate in Aprile alcune radici di vite marcescenti ed invase da micelii sottilissimi, costituenti qua e là speciali cordoni longitudinali; si trattava evidentemente del ma? dianco o marciume nei tessuti, causato dalla Dematophora necatrix. Si consigliò l'estirpazione delle piante ammalate, e drenaggio nel terreno. Mal nero. — Si è manifestato nei dintorni di Voghera, a Chiavari e a Varzi producendo ovunque danni considerevoli. Tignuola. — La tignuola della vite costituisce oggidìi uno dei mag- giori malanni, se non forse il più grave, che travaglia alcune delle mi- gliori plaghe vinifere della nostra regione. Da qualche anno i danni di cui è causa quest’'insetto sono veramente straordinari; esso decima e talora dimezza un raccolto prelibato e prezioso nei colli dell’Oltrepò, specie su quel di Canneto, che ci fornisce il famoso vino omonimo, noto e ricercato in tutta la Lombardia, specialmente nella bassa, ove lo si paga a prezzi elevatissimi. Avvertito che da qualche tempo tutte le notti si vedevano a grande distanza i vigneti dei colli di Canneto e dintorni disseminati di lampioncini e che questo si faceva per dar la caccia alla tignuola, il 25 del mese di maggio mi recai in luogo per assumere informazioni su quanto si operava e su quello che si era ottenuto. Le informazioni furono in parte contradditorie, ma il maggior numero, quelle avute direttamente dai vignaiuoli, furono concordi nel fare rite- nere utile ed efficace il metodo di caccia in questo anno iniziato contro tale nemico altrettanto piccolo quanto dannoso. La caccia si fa col mezzo di lanterne particolari che si accendono sull’ imbrunire, poco prima dell’avemmaria e si lasciano accese sin che dura l’olio cioè per buona parte della notte. L'apparecchio consta di un piatto di latta del diametro di circa metri 0.35, leggermente incurvato ad imbuto con margine che si sol- leva per 2 o 3 centimetri; nel mezzo del piatto si innalza un orlo quadrato pure di latta, alto circa tre dita, che serve ad accogliere un lanternino senza fondo e un lumicino ad olio, mentre impedisce al- l’acqua che si metterà nel piatto, di entrare nello spazio centrale, ri- servato al lanternino stesso. Il lanternino non ha sugli angoli che un filo di ferro contro cui vanno ad appoggiarsi i vetri, e ciò per togliere allo espandersi della luce ogni ostacolo. Entro il piatto si mette acqua e una piccola quantità d’olio !. Questi apparecchi si infilzano sopra bastoni alti circa metri 1.50 (altezza media ! Alcuni spalmano il piatto di vischio, ma questo sembra meno efficace. — l6l1 — dei festoni delle viti) che si fissano nel terreno fra i filari delle viti. Le farfalline che, specie in prima sera, si staccano dalle viti e cominciano a svolazzare, corrono al lume e finiscono col cadere nel piatto ove re- stano impigliate nell'acqua e nell’olio. Si mettono ora da 10 a 20 lan- terne per ettaro di vigneto, ma si pensa di aumentare il numero. A quanto mi venne riferito, nelle prime sere, cioè ai primi di maggio, si pigliarono 20, 30 e persino 50 farfallette per piatto; dopo, il nu- mero diminuì, scese a 20, 15, 10 e meno; e quando io feci la visita, cioè ai 25 maggio, se ne prendevano pochissime. Alcuni attribuivano la diminuzione al freddo sopraggiunto, altri al fatto che ritenevano passata la prima generazione della tignuola ; e gli uni e gli altri si pro- ponevano di ricominciare la caccia, al comparire delle farfalle. È il primo anno che si fa una tale prova (nel passato si sono tentati di- versi insetticidi, la caccia con lucignoli sopra piatti comuni, la caccia diretta per mezzo di donne e ragazzi, erc., metodi tutti ora abbandonati per diverse ragioni) e, come è naturale, si trovano gli increduli (che poco o nulla hanno tentato) e gli entusiasti. L’uso non è ancora generale, ma a quanto pare, va molto diffon- dendosi così che si trovano tali apparecchi a diecine di già pronti presso gli stagnini di Broni e Stradella, ecc. e stagnini ambulanti gi- rano per le colline per aiutare quelli del luogo nella loro fabbrica- zione. Sarebbe bene, per poter apprezzare al giusto l’efficacia del metodo, che questo venisse generalmente adottato e con un numero maggiore di apparecchi. La spesa non è ecccessiva, poichè ogni lanterna col suo piatto si trova in commercio al prezzo di lire 1.25 a 1.50 e il consumo dell’olio non oltrepassa la spesa di centesimi cinque per notte. Fitoptosi (Phytoptus vitis Dujard). — Constatata a Vigarolo (Nocca) a San Colombano, a Casteggio e Rovescala. Ehynchites Betuleti Fab. — Rinvenuta sulle foglie a San Colom- bano, a Varzi, ecc. Apate (Sinoxylon sexdentatum Oliv.). — Da una località del Voghe- rese il signor N. N. inviava al nostro laboratorio tralci di viti amma- late e avvertiva che i vigneti, a giudizio avuto da altri, languivano per essere attaccati dall’Apate (Sinoxylon secdentatum). Che l’Apate dovesse essere nei vigneti ammalati ne facevano testimonianza le gal- lerie peculiari di questo insetto che scorgevansi su alcuni de’ tralci spediti, ma non potendomi persuadere che essa potesse essere la causa dei forti guai lamentati, mi recai in luogo ed ebbi a constatare che il vigneto, molto vasto, giovane, ben piantato, ben coltivato e in parte splendido, era fortemente attaccato dal Mal Nero. Il male è così esteso —_ilio2r=- che buona porzione del vigneto può considerarsi come perduta. La parte di vigneto infetto che produceva in media circa 200 quintali d’ uva scelta, nell’anno scorso ne diede soli 30 e per l’attuale si prevede un prodotto anche minore. Gran parte dei tralci destinati a dar frutto in quest'anno, sottili e deboli in causa del male, sono stati uccisi da una brina tardiva; il che non è avvenuto nelle viti contigue non attaccate dal Mal Nero, ciò a prova che l’indebolimento da questo prodotto è stato anche la causa della mancata resistenza al freddo tardivo quan- tunque lieve. L’Apate che il proprietario riteneva causa del male era invero fre- quentissima nel vigneto, ma generalmente trovavasi solo sui tralci sec- chi, sui quali talora vedevansi gallerie quasi ad ogni nodo. Per verità trovai anche qualche tralcio vivo attaccato dall’insetto con pampini tuttora verdi sviluppatisi da gemme sotto le quali vedevansi le gallerie dell’Apate, il che prova, contrariamente a quanto da taluno si ritiene, che questo insetto può attaccare anche i tralci vivi, ma lo fa raramente e solo quando sono languenti o indeboliti per altra causa. L'Apate quindi nel caso presente era causa affatto secondaria nel deperimento del vigneto. Si consigliarono tagli abbondanti sino all’ estirpazione completa delle viti più infette, abbruciamento accurato delle parti tagliate, rico- stituzione del vigneto in altra località più adatta, con talee im- muni, ecc. Il Mal Nero, sul quale ritornerò ex professo in altra occasione, può produrre e produce danni gravissimi. È indispensabile perciò non provvedersi di barbatelle e talee che provengano da vigneti sof- ferenti. Il Mal Nero da principio non produce molto danno e non si av- verte. I proprietari incominciarono a impensierirsi per davvero solo due anni or sono, perchè la diminuzione del raccolto continuava, ma, come spesso avviene, attribuirono i guai a fatti accidentali, gelo in- vernale, brine tardive, mancata fecondazione, ecc., e da ultimo al- l’ Apate. = Nottua (Agrotis sp.). — A Rovescala, a Montubeccaria, a Canneto Pavese, si segnalarono larve d'insetto, le quali, uscendo durante la notte dal terreno, attaccavano, insieme alle fave e ai fagiuoli, le foglie dei giovani sarmenti della vite, in ispecie di quelli prossimi a terra. Recatomi sui luoghi, riconobbi che dette larve appartenevano ad un Agrotis, e allo scopo di determinare la specie ne feci raccolta per se- guirne lo sviluppo in laboratorio entro apposito apparecchio e me ne feci anche spedire dall’egregio e attento viticoltore signor Mombelli. — 163 — Le larve in laboratorio si cibarono con foglie di fava, di fagiuolo ed anche di vite, se queste ultime erano sommistrate separatamente; però se venivano date contemporaneamente le foglie di tutte queste piante, erano mangiate di preferenza quelle di fava e fagiuoli, mentre quelle della vite venivano lasciate quasi intatte o divorate per ultime. Laonde sa- rebbe consigliabile di seminare queste due specie di leguminose, e forse qualche altra, presso le viti, affine di evitarne i danni; i quali però sono limitati, ove non trattisi di viti giovani e basse, specie tenute a vivaio. Fino a qui lo sfarfallamento delle larve in laboratorio non è avvenuto, per cui non mi è possibile ora dire con sicurezza di quale specie di Agrotis si tratti. Colatura. — Constatata su grappoli provenienti da Udine (Mar- chese). Malattie dl’ indole climaterica. — I freddi della metà di aprile dan- neggiarono alquanto le viti, specialmente in collina ove la vegetazione era più avanzata. Parecchi pampini nuovi in certe località (Casteggio) furono, specialmente nelle viti giovani, colpiti in modo irregolare, poi- chè in alcune viti morirono i pampini inferiori e non i superiori e in altre avvenne l’opposto. Malattie di causa non ben determinata. — Da una località dell’Oltre Po furono ai primi di giugno, inviati a questo laboratorio alcuni tralci di viti, i cui internodi erano schiacciati, ricoperti di precoce periderma con lenticelle, ed i nodi invece, al pari delle femminelle su essi svilup- patesi, erano apparentemente rigogliosi e sani. Il midollo, tranne in corrispondenza ai nodi, era annerito e presentava alle estremità degli internodi larghe gallerie, dovute non a larve, di cui non si riscontrò traccia alcuna, ma ad una speciale distruzione del tessuto midollare, il quale in certi internodi era anzi scomparso quasi del tutto. Ciò venne anche riconfermato in una ispezione da me fatta al vigneto, che è gio- vanissimo, in terreno piuttosto umido e ben concimato. Il male finora ha invaso solo alcuni filari a spalliera. La malattia, che, come asserì il proprietario, si presentò quasi istantaneamente, in tre o quattro giorni prendendo solo i giovani tralci dell’anno e non quelli vecchi, si manifestava prima con un leggero imbrunimento del tralcio, il quale poi diventava rosso, si schiacciava a poco a poco e si fletteva, mostrando talora una fessura longitudinale. È notevole il fatto che sopra una stessa vite trovavansi alternantisi tra loro tralci sani e tralci ammalati. Non si riscontrarono parassiti di sorta, e la malattia è ancora 0g- getto di studio. Alcune viti provenienti da Casteggio e altre da Rovescala por- tavano tralci colle foglie più giovani raggrinzate, atrofizzate, tralci che Atti dell’Ist. Bot. dell'Uuirersità di Pavia — Nuova Serie — Vol. V. 12 — 164 — finivano anch'essi coll’avvizzire e seccare. Presso i nodi vedevansi li- vidure e nell’ interno dell’internodio il midollo era compresso e ridotto a setti trasversali che separavano una dall’ altra tante gallerie. Non fu possibile però riscontrare nè traccia d’insetti nè di alcuna comuni- cazione delle gallerie coll’esterno. MALATTIE DELLE GRAMINACEE. Intristimento del Frumento (Fusarium sp. ed Anguillule). — Anche quest'anno il nostro Laboratorio ebbe ad occuparsi di quella malattia del frumento che da alcuni anni infesta le coltivazioni del Cagliaritano. Come già ebbi l'onore di riferire a V. E. con speciale relazione del 16 giugno ultimo scorso, i culmi inviatici dal signor direttore della Scuola di viticoltura di Cagliari, sottoposti a numerose ed accurate ricerche microscopiche, si mostrarono costantemente attaccati da un micelio che ne invadeva la regione basale, unitamente a fruttificazioni di un Fusa- rium, il quale, per la forma e le dimensioni delle spore, era riferibile allo stato conidiale dello Sphaeroderma damnosum Sacc., rinvenuto dal prof. Saccardo e anche da noi, sebben raramente, in culmi esaminati l’anno scorso. Però quasi tutti gli esemplari che abbiamo studiato nei mesi decorsi si mostrarono altresì attaccati da anguillule, talora nume- rose, riferibili probabilmente alla specie T'y/encus sandes Schn.; e lo stesso parassita rinvenimmo anche nei campioni dell’anno passato, con- servati nella nostra Collezione Patologica e sottoposti ora a questo speciale esame. Quindi, come ebbi a dire nella succitata relazione, il frumento in discorso è da ritenersi affetto da varie malattie, delle quali quella cau- sata dalle anguillule non è forse la minore. Acremoniella verrucosa Togn. — In vasti campi di frumento, su quel di Cantalupo e di Zunico, si era manifestata una nuova malattia nei culmi, rimasti piccoli, con mancata produzione della spiga, o quasi, e con foglie che si mostravano più o meno ingiallite. L'esame dei cam- pioni mandatici in due volte dai signori fratelli Sacchi, per mezzo del- l’egregio prof. Alpe, mostrò che la massima parte di essi erano attac- cati, oltrechè da saprofiti diversi, da una specie nuova di ifomicete spettante al genere Acremonziella, ehe descrisse sotto il nome di Acre- moniella verrucosa in apposita pubblicazione il signor dottor F. Tognini, assistente in questo Laboratorio, al quale affidai lo studio della ma- lattia. — 6a — Ingiallimento del Frumento. — Il signor ing. Gambini di Barbia- nello ed alcuni altri agricoltori di altre località furono impressionati dall’ intristimento improvviso, presentatosi verso la fine di maggio nelle ultime foglie del frumento, le cui piante sotto ogni altro rapporto erano in buono stato, alte, robuste, verdi e con spighe ben promettenti. Col- l'esame microscopico non fu possibile scoprire la presenza di alcun pa- rassita vegetale od animale; ciò fece sospettare che l’ingiallimento fosse dovuto a causa esclusivamente climaterica, poichè in quei giorni si era verificato un rapido abbassamento di temperatura. Il freddo im- provviso si arguì che avesse potuto influire sullo sviluppo dell’ ultima foglia ancora tenera e non interamente formata. L’induzione parve poi confermata dal fatto, stantechè, appena ritornate condizioni climatolo- giche favorevoli, scomparve ogni traccia d’ingiallimento e le piante ri- presero il primiero vigore. Ruggine (Puccinia graminis Pers.) (forma uredosporica). — Sopra Frumento a Cagliari (Scuola di Viticoltura). Id. — Sopra Frumento a Voghera (Scuola Gallini). Id. — Sopra piante di Segale (Valle Salimbene): Carbone (Ustilago Segetum [Bull.] Dittm.) — Sopra Frumento a Ro- vescala (Guffanti) e Montubeccaria (Montemartini). Id. — Sopra numerose piante di Avena. Dintorni di Belgioioso. Id. — Sopra Frumento ed Avena. Mairano presso Casteggio (Mag- giore Montagna). Helminthosporium teres Sace. — Sopra piante di Orzo. Cagliari (Scuola di Viticoltura). Erysiphe graminis DC. — Sopra piante di Frumento. Cagliari (Scuola di Viticoltura). Id. — Sopra piante di Bromus mollis. Dintorni di Pavia, di Mira- bello, ecc. Id. — Sopra piante di Agropyrum repens, a Mirabello. Ustilago bromivora Fisch. — Sopra piante di Bromus sterilis. Ba- stioni di Pavia. Esemplari raccolti e consegnati dal prof. Saccardo. Oidium bulbigerum (Bon.) Sacc. et Vogl. — Presso Belgioioso scorsi in una delle mie ispezioni, un campo di frumento che presentava delle grandi chiazze intristite. Raccolti alcuni dei culmi ingialliti, si riscon- trò che erano affetti dall’Oidium bulbigerum, parassita che, a quanto mi so, non era ancora stato trovato in Italia. Cladosporium graminum Corda. — Sopra piante di Avena. Dintorni di Belgioioso. Septoria graminum Desm. — Sopra piante di Frumento a Belgio- ioso e a Voghera (Scuola Gallini). — 166 — Ophiobolus graminis Sace. — Sopra Frumento a Legnago (Associa- zione agraria del, Basso Veronese), e Mantova {Cattedra ambulante). Si consigliò di non adoperare la paglia come lettiera pel bestiame, ma di bruciarla. Colatura del Frumento. — Fu constatata sopra piante prove- nienti da Voghera (Scuola Gallini), che all'aspetto sembravano sane, ma avevano le spighe vuote o solo con qualche cariosside avvizzita o secca. La Septoria graminum ed un Macrosporium saprofita, che si rinvennero sopra foglie, non potevano essere la causa del male. Que- sta era da attribuirsi piuttosto a mancata fecondazione per cause cli- materiche. Ustilago Ischaemum Fuck. — Su Andropogon Ischaemum. Orti di Pavia. MALATTIE DELLE PIANTE DA FRUTTO. Gymnosporangi rm juniperinum (Linn) Er. — Sopra rami di Pero, speditici dal signor comm. G. B. Sella. (Biella). Per combattere questo parassita che aveva infestato forti pianta- gioni, si consigliò: 1.° l'estirpazione delle piante di Ginepro che erano prossime ai peri; 2.° un'abbondante potatura, affine di asportare parte dei giovani rametti ove si annida il parassita; 3.° trattamento con poltiglia bordolese preparata con due chilogrammi di solfato di rame ed un chilogrammo o un chilogrammo e mezzo di calce per ettolitro di acqua. Gloeosporium intermedium Sace. forma Limoniae australis Penzig. — Sopra rami e frutti di Limone. Villa Campeggi (Pavia). Glocosporium intermedium Sacc. — Sopra foglie di Auranziacee (Circolo agrario del circondario di Rimini). Exoascus deformans (Berk.) Fuck. — Sopra foglie di Pesco a Mairano presso Casteggio (Magg. Montagna). La malattia infierì ivi meno del- l’anno scorso, forse in conseguenza ai trattamenti colla poltiglia bor- dolese, che si applicarono nel 1895. Id. — Pure sopra foglie di Pesco in un orto di Pavia (Farneti). Polyporus squamosus (Huds.) Fr. — Sopra una pianta di Fico che ne morì. Vigarolo (Nocca). Ramularia Tulasnei Sace. — Su foglie di Fragola. Orto botanico, Pavia. Phragmidium Rubi-Idaei (Pers.) Wint. — Sopra foglie di Lampone. Monteleone (conte Bolognini). = Ja = Fumago vagans Pers. — Sopra foglie di Fragola. Orto botanico, Pavia. Clasterosporium Amygdalearum (Pers.) Sacc. — Sopra foglie di Pesco. Mairano presso Casteggio (Mage. Montagna). Trichothecium roseum (Pers.) Link. — Sopra frutti di Nespolo del Giappone (Firenze). Rigonfiamenti delle radici di Pesco, causati da Bacteri. In un orto di Pavia (Ingegnere Fratti). Malattia d' indole bacterica. — Sopra foglie di Limone. Piemonte (Marchese). Rinchite delle gemme (Rhynchites Icosandriae Scop.) — Distrusse gli apici vegetativi di parecchi Peri a spalliera in un orto di Pavia (avv. Griziotti). Fitoptosi del Pero (Phytoptus Piri Pag.) — Sopra foglie di Pero. Voghera (Bellucci) e Mairano (Montagna). Insetti indeterminati sopra frutti di Susino. — In un giardino di Pavia (Ing. Fratti). Insetti indeterminati sopra foglie di Susino. — Scuola d’agricoltura di Milaro. Malattia d'indole climaterica. — Sopra piante di Fragola. Ponzate presso Como (Comizio agrario di Como). MALATTIE DI PIANTE DIVERSE. Alternaria Brassicae (Berk.) Sace. — Sopra piante di Brassica Napus, v. oleifera (Travacò). Id. — Sopra foglie di Cavolo. Orto botanico (Pavia). Cludosporium herbarum (Pers.) Link. — Sopra steli di Pisello, Miradolo. Le piante ammalate già adulte, coi baccelli bene sviluppati, erano ingiallite ed avevano le radici disseccate ; il C. Rerdarum fu constatato presso il colletto dello stelo; però non potrei asserire con certezza che esso sia stato la causa, od almeno l’unica causa, dell’ intristimento delle piante. Id. — Sopra piante di Erba medica. Barbianello. Cladosporimn Pisi Cug. et Macch. — Sopra frutti di Pisello (Pavia). Peronospora parasitica (Pers.) De Bary. — Sopra le silique di un vastissimo campo di Brassica Napus var. oleifera. San Martino Sicco- mario (Pavia). —_ 168 = Peronospora effusa (Grev.) Rabenh. — Sopra foglie di Spinacia oleracea. In un orto di Pavia (Farneti). Peronospora grisea (Tub.) De Bary. — Sopra piantine di Veronica arvensis. Meaux (Francia), Dumée. Septoria oleandrina Sace. — Sopra foglie di Leandro. Montubeccaria (Montemartini), Casteggio (Vandoni). Septoria Villarsiae Desm. — Sopra foglie di Limnanthemum nym- phoides. Orto botanico. Pavia. Septoria Petroselini Desm. forma Apîi Br. et Cav. — Sopra foglie di Sedano. Pavia. Septoria Cannabis (Larch.) Sace. — Sopra foglie di Canapa. Orti di Pavia. Cystopus candidus (Pers.) Lév. — Sopra la Capsella Bursa-pastoris (Pavia), pianta che qui si mangia in minestra. Cystopus Tragopogonis (Pers.) Schroet. — Sulla Scorzonera (Cor- nigliano Ligure, Traverso G.). Oidium leucoconium Desm. — Sopra Rose di un giardino a Pavia e sopra il Crataegus oryacanta (Montubeccaria, Rovescala, Canneto Pa- vese e Casteggio). Oidium erysiphoides Fr. — Sopra il Luppolo. Orto botanico di Pavia, e sopra foglie di Hedysarum coronarium in Sicilia, Modica (Gri- maldi). Sopra foglie di Pisello: Villa Campeggi presso Pavia; Orti di Pavia (Farneti); Mairano presso Casteggio (maggiore Montagna). Oidium Violae Pass. — Sopra piante di Viola del pensiero. Di- strusse una forte piantagione. Orto botanico di Pavia. Pestalozzia Guepini Desm. — Sopra Camelie e Rododendri, Pavia. Pestalozzia funerea Desm. — Sopra foglie di Dammara Moori ; Orto botanico, Pavia. , Pestalozzia sp. — Sopra foglie di Anthurium (Pavia). Coniothyrium hystericideum Karst. — Sopra foglie di Dasylirion. Orti di Pavia. Phyllostieta sp. — Sopra foglie di Stanhopea e di altre Orchidee. Orto botanico di Pavia. PhyUosticta nobilis Thiim. — Sopra foglie di Alloro. Casteggio (Vandoni). Phyllosticta nebulosa Sace. — Sopra foglie di Silene coltivata. Orto botanico di Pavia. Phyllostieta sycophila Thim. — Sopra Ficus symphytifolia. Orto bo- tanico di Pavia. — 169 — Phylosticta ilicina Sace. — Sopra foglie di Leccio. Orto botanico di Milano (Ardissone). ; PhyUostictta sp. — Sopra Cladodî di Pungitopo. Orto di Pavia (Avv. Beretta). Fumago vagans Pers. — Sopra il Leandro e l’Agrifoglio. Vigarolo (Nocca). Sopra foglie di Pisum sativum. Orti di Pavia. Protococcus Caldariorum Magn. — Sopra foglie di Piper sp., nel- l'acquario dell’Orto botanico di Pavia. Puccinia Malvacearum Mont. — Sopra la Malva. Montubeccaria, Como e Pavia. Puccinia montana Fuck. — Sopra Centaurea sp. coltivata. Corni- gliano Ligure (conte Raggio). Ramularia pratensis Sacc. — Sopra foglie di Rumer acetosa. Tra. vacò. Ramularia Anchusae Massa. — Sopra foglie di Anchusa. Valle Sa- limbene (Stradella). Vermicularia trichella Fr. — Sopra foglie di Edera. Pavia. Vermicularia Liliacearum West. — Sopra foglie di Cipolla. Orto botanico di Pavia. Ovularia obliqua (Cooke) Oud. — Sopra foglie di Rumer. Valle Sa- limbene e Busto di ferro. Pseudopeziza Trifolii (Bern.) Fuck. — Sopra Trifoglio coltivato. Bo- snasco (Stradella). Pseudopeziza Medicaginis (Lib.) Sacc. — Sopra Erba medica. Bres- sana Argine. Phoma sp. — Sopra foglie di Tasso. Barbianello (ing. Gambini). Le foglie ingialliscono e cadono; insieme al Phoma si rinvennero periteci di un pirenomicete non bene sviluppato rappresentante forse la forma perfetta del fungo. Schlerotium Tulipae Libert — Sulle tuniche esterne dei bulbj di Giacinti, coltivati nell’Orto botanico di Pavia. Aecidium Clematidis DC. —- Sopra Clematis Vitalba, Canneto Pavese. Colletotrichum sp. — Sopra foglie di Chamaerops. Orto botanico di Pavia. Colletotrichum Lindemuthianum (Sace. et Magnus) Br. et Cav. — Sopra piante di Fagiuolo. Dintorni di Pavia. Melampsora aecidivides (DC.) Schroet. — Sopra foglie di Populus alba. Meaux (Francia) Dumée. — 170 — Ustilago Vaillantii Tul. — Nei fiori di Muscari comosum. Meaux (Francia) Dumée. Uromyces Geranii (DC.) Otth. et Warten. -- Sopra foglie di Ge- ranio. Meaux (Francia) Dumée. Uromyces Fabae (Pers.) De Bary. — Sopra foglie di Fava. Mairano presso Casteggio (maggiore Montagna). Heterosporium gracile (Wallr.) Sace. — Sopra piante di Iris ger- manica. Pavia. Phragmidium subeorticium (Scrank) Winter (forma ecidiosporica). — Sopra bocci di Rose. Orto botanico di Pavia. Cercospora mneriella Sacc. — Sopra foglie di Leandro. Orti di Pavia. Macrosporium commune Rabh. — Sopra foglie di Fava a Bosnasco, lungo la strada da Stradella a Piacenza, ove danneggiava considere- volmente interi campi di fave, che apparivano come bruciate per le macchie nere confluenti, determinate sulle foglie dal parassita. Ascochyta Pisi Lib. — Sopra frutti di Piselli. Pavia (Gorla). Id. (Rabbia dei Ceci). — Sopra steli di Cicer. Portalbera. Interi campi di ceci erano danneggiati da questo parassita. Phytophora infestans (Mont.) De Bary. — Sopra Patate. Pegli (Tra- verso G.). Erysiphe communis (Wallr.) Fr. — Sopra piante di De/phinium sp. coltivata. Orto botanico di Pavia. Erysiphe umbelliferarum (forma conidica e ascofora). — Sopra piante di Heracleum (Pavia). Mystrosporium polytrichum Cooke. — Sopra foglie di G/adiolus Orto di Pavia. Malattie prodotte da Acari. — Sopra bulbi di Tulipani e di Gla- dioli. Pavia. Id. prodotte da Anguillule. — Sopra radici di Leontopodium al- pinum (Edelweis), Orto botanico di Pavia. Sopra piante di Fava, Mo- dica (Grimaldi). Fitoptosi. — Sul Populus tremula. Meaux (Francia) Dumée. Malattia d' indole climaterica, sopra molte piante di Hippocastanum. Dintorni di Pavia. RICERCHE ED INFORMAZIONI D’INDOLE VARIA. Determinazione di una Fanerogama, inviata dal signor Balduzzi (Voghera). Determinazione di due Fanerogame, inviate dal signor R. Sansoni. Esame di pezzi di legno e di tessuti rinvenuti nel lago di Nemi. Determinazione del Chaeromyces meandriformis Vitt. (stadio giovane) pel signor N. Panizzi, San Remo. Informazioni sull’ Isaria farinosa come mezzo per combattere la Cochylis della vite al signor prof. Golgi. Pavia, li 10 luglio 1896. DI Varg. sli pis ; Sri ue: "Vr \ IA An a di SE V_ is Md 4 ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA (Laboratorio Crittogamico Italiano) RASSEGNA CRITTOGAMICA DEI MESI DI LUGLIO A NOVEMBRE 1896. RELAZIONE A S. E. IL MINISTRO DI AGRICOLTURA INDUSTRIA E COMMERCIO del Direttore del R. Laboratorio di Botanica Crittogamica di Pavia prof. G. BRIOSI. MALATTIE DELLA VITE. Peronospora. — Plasmopara viticola (Berk. et Curt.) Berl. e De Toni. — Le belle speranze di sano e abbondante raccolto concepite nella primavera, in grazia alla straordinaria messa di grappoli, al vi- goroso rigoglio della vegetazione e alla sicurezza che si aveva quasi assoluta di riescire nella completa difesa contro la peronospora, si man- tennero sino alla fine del giugno, ma poco dopo, nel luglio, cedettero il campo a tormentose apprensioni, le quali si fecero sempre più gravi nei mesi successivi, per le pioggie abbondanti, insistenti e straordinarie, che si ebbero durante quasi tutta l’estate, sino al tardo autunno. Mai come in quest'anno la stagione corse, almeno per alcune plaghe, più favorevole allo sviluppo del parassita e più difficile per una completa difesa. Già negli ultimi di giugno la peronospora aveva fatto capolino, specie nei vigneti poco o male trattati, e incominciato aveva a dar preoccupazioni e travaglio ai viticultori, poichè faceva caldo e pioveva tutti i giorni, costringendo a ripetere le applicazioni dei rimedi, spesso lavati via, in parte o per intero, non appena somministrati. Le pioggie della seconda metà di maggio e della prima quindicina di giugno erano riescite, grazie alla temperatura ancora relativamente bassa, poco dan- nose, ma quelle della fine del giugno e più quelle che, quasi senza inter- ER ruzione, caddero alla fine del luglio e alla fine di agosto, presentaronsi oltremodo pericolose, poichè resero impossibile, o inutile, ogni nuova applicazione del rimedio. Le cime dei tralci che vedevansi ovunque gialle o bruciate e l’in- vasione quasi completa delle vigne mal trattate (da noi poche, per for- tuna) o per scarsità del rimedio impiegato o per ritardata applicazione, attestavano la violenza dell’attacco e l'immenso guaio che si avrebbe avuto su tutte le nostre plaghe viticole, se i viticultori non fossero stati molto attenti e diligenti. Anche i! ripetuto riprodursi di forti nebbie, specie nell'agosto, causa le continue pioggie, favorirono, col moderare l’azione della luce, lo svi- luppo della peronospora, onde solo coloro che opposero oculata previ- denza ed energica difesa riuscirono a vincere, almeno in gran parte, l’avversità della stagione e la tenacia del parassita. Lo si è detto tante volte, ma giova pure sempre ripeterlo, il ri- medio va dato per tempo e razionalmente, non appena cioè la tempe- ratura e il grado di umidità si mostrino favorevoli allo sviluppo del fungo. Chi si culla nella speranza che l'annata possa essere contraria allo sviluppo della peronospora, rimane il più delle volte amaramente disilluso; e ciò è avvenuto anche in quest'anno ai pigri, agli inereduli ed a tutti i ritardatari, i quali hanno dovuto affrettarsi a fare di poi quanto avevano prima risparmiato, anzi hanno dovuto aumentare la mi- sura senza riuscire ad ottenere l’effetto ricavato dai diligenti e dagli avveduti. Quando il rimedio viene somministrato presto e le foglie e î grappoletti hanno per così dire il tempo di appropriarsene una dose sufficiente, la pianta rimane difesa, le pioggie successive la lavano bensì, ma la peronospora non ha più la forza di attaccare le parti bene trat- tate. Di ciò si ebbe una prova ancora nell’estate scorsa, giacchè non ostante la pessima stagione si vedevano pure nell’autunno le foglie vec- chie e i tralci bassi dei vigneti stati convenientemente trattati nella primavera, verdi, sani e rigogliosi. E se la vendemmia non fu splendida come prometteva la cacciata delle viti, ciò non va, almeno per moltissimi luoghi, attribuito per in- tero alla peronospora, ma bensi anche ad altri fattori, quali l’imper. fetta maturazione per deficienza di giornate di sole, e lo sviluppo di muffe e di marciume, specie sulle qualità delicate e fine. Ciò in grazia alla grande umidità lasciata nei vigneti dalle pioggie, che in molti luoghi caddero insistenti perfino durante la vendemmia, la quale venne ritar- data e intralciata in ogni modo. Un unico identico sistema di difesa contro la peronospora, il quale valga per tutte le plaghe viticole del nostro paese, e che, come alcuni pretendono, ciecamente guidi il viticultore, non si può indicare. Lo svi- luppo di questo fungo è strettamente legato alla temperatura, alle piog- gie, alle nebbie, ai venti, all’ubicazione del vigneto, ecc., quindi il nu- mero delle applicazioni del rimedio, la loro intensità e il tempo di farle, dipende dal come si combinano queste diverse condizioni; il che varia per le diverse regioni, e altresì per la stessa plaga, da anno a anno, poichè le stagioni non corrono sempre eguali, quantunque in uno stesso luogo si abbia una relativa uniformità. Ognuno quindi deve osservare e studiare come si svolgono di solito i fenomeni meteorologici nel pro- prio sito, e, guidato dall'esperienza degli anni scorsi, imparare come regolarsi a seconda della piega che piglia la stagione nell’anno, facendo tesoro delle possibili probabilità, e prestando molta attenzione all’anda- mento che prende il manifestarsi del caldo e il ripartirsi delle pioggie. Come guida generale per le plaghe nostre, e per quelle che tro- vansi in condizioni analoghe, potrebbe forse tornar utile seguire il se- guente procedimento. Una prima e leggiera applicazione di sale di rame quando i tralci della vite hanno raggiunto da 10 a 40 centimetri di lunghezza e mostrano i grappolini sviluppati ma non ancora fioriti, non risparmiando questi ultimi, anzi prendendoli di mira in modo partico- lare col getto delle pompe o trombe. Per questo primo trattamento la soluzione del rimedio deve essere piuttosto debole, perchè i tessuti dei germogli primaverili, molto turgidi, sono teneri e delicati e rimangono facilmente offesi e scottati. Poco dopo la fioritura, quando l’acino ha ben legato e il grappo- letto si mostra ben granito (è il momento in generale nel quale la temperatura, elevatasi, comincia a toccare i 24° e 25° c. e si presen- tano le prime minacce d’invasione della peronospora), convien fare con molta sollecitudine una seconda applicazione del rimedio a dose elevata e senza risparmio, aspergendo ogni filare almeno due volte, col ripetere l’aspersione tornando indietro, onde cogliere col rimedio i tralci su tutti i lati. I tralci hanno allora raggiunto una discreta lunghezza, e un buon numero di foglie trovansi di già bene sviluppate, onde con tale abbon- dante applicazione si ottiene di coprire col rimedio, e mettere quindi al sicuro, una quantità di fronda quasi sempre sufficiente a permettere la maturazione dell’uva, qualunque possa essere di poi l'andamento della stagione e la violenza degli attacchi del male. Può avvenire, e pur troppo spesso avviene, almeno da noi, che dopo i pochi giorni di bel tempo che di solito si hanno fra il finire della primavera e il principiare dell'estate, ricomincino le piogge e du- x rino parecchio; allora a chi si è indugiato non riesce più possibile una — 176 — i utile applicazione del rimedio, il quale, appena dato viene lavato via, mentre, causa l’elevata temperatura, il tempo è opportunissimo per una rapida diffusione della peronospora. Quando questo caso, non infrequente, si avvera, chi ha di già trat- tato largamente le proprie viti può dormire tranquillo; il parassita si svilupperà sulle cime dei rami allungantisi rimaste indifese, ma non avrà presa sui grappoli e sulle foglie vecchie coperte dal rimedio, poi- chè questo, ripetiamolo, una volta che ha avuto il tempo di ben sec- carsi sugli organi verdi della vite, per tal modo vi aderisce che la peronospora non riesce più ad attaccarli, o assai difficilmente. Non si riuscirà in tal modo ad avere viti incolumi, ma si sarà salvato egual- mente il raccolto, giacchè si sarà conservata sana alle viti tanta foglia quanta è necessaria per nutrire i grappoli e portarli a maturanza. La malintesa furberia o grettezza di fidarsi sull'andamento della stagione, che molti nel giugno, a naso, giudicano sfavorevole alla pero- nospora, onde aspettano che il fungo sensibilmente si manifesti per correre alla difesa, è sempre la causa principale delle invasioni pero- nosporiche e dei guai che ne susseguono; il soccorso arriva quando il nemico è già entrato nei ridotti, dai quali non è più possibile cacciarlo. Allorchè nel modo sopra esposto si siano salvati i grappoli e si abbia messo al sicuro buona parte di foglie, il rimanente della difesa si può ottenere con minore angustia e con dispendio relativamente pic- colo. Nella maggior parte dei casi potrebbe bastare il lavoro di qualche operaio intelligente cui affidare la sorveglianza del vigneto, operaio il quale potrà, giorno per giorno con attente e continue spruzzature, por tare la difesa ovunque e non appena si manifesti il bisogno, tenendo coperti di rimedio i pampini nuovi di mano in mano che si sviluppano; si arriverà così a mantenere incolume anche tutta la fronda del vigneto sino alla naturale ed autunnale caduta delle foglie. Con pochi operai diligenti e bene istruiti si riuscirà in tale maniera a tenere continua- mente in istato di perfetta difesa anche grandi estensioni di vigneto, poichè si chiude così ogni adito al nemico di penetrarvi. Tale procedi- mento, che a me sembra semplice e razionale, potrebbe nella maggior parte dei casi far risparmiare i grandi e generali trattamenti del luglio e dell’agosto, spesso molto costosi e sempre causa di non piccole an- gustie per la scelta del momento opportuno di eseguirli e per la diffi- coltà di trovare buon numero di operai adatti, in un tempo nel quale urgono altri lavori. In quest'anno, nei mesi di luglio e di agosto la peronospora ci venne segnalata da moltissime località; da Groppello Cairoli (avvocato Albertario); da Bressana Bottarone, da Broni (avvocato Varini), da — 177 — Rovescala (avvocato Guffanti), da Montubeccaria, da Casteggio, da Vo- ghera, da San Pellegrino, da Zogno (Val Brembana), da Bergamo, da Bacchigliero (Cosenza), da Varzi, ecc. Sui risultati delle esperienze intraprese dal nostro laboratorio an- che nella scorsa estate per sostituire al solfato di rame, l’acetato, sarà - detto in speciale rapporto. Crittogama. — Oidium Tuckeri Berk. — Anche la vecchia crit- togama ha quest'anno fatto molti danni in parecchie località. Si è svi- luppata in modo particolare sui moscati e sulle uve bianche delicate, delle quali ha screpolato gli acini e ne ha intristito lo sviluppo, così da dimezzare, e qua e là anzi distruggere interamente, il prodotto. In diversi luoghi si è generalizzata l’usanza di risparmiare le sol- forazioni, o di farle soltanto quando l’O:dium si manifesta e diffonde, nella falsa credenza che i sali di rame che si dànno per la peronospora valgano pure contro l’Oidium. Così a poco a poco l’antica crittogama, che era quasi scomparsa, ripiglia vigore e torna minacciosa. A Montu- beccaria e in altre località dell’Oltrepò, l’Oidium, poco o punto curato, si diffuse nel luglio scorso, così rapidamente e con tale intensità che i viticultori, fortemente impressionati, ricorsero subito ai rimedi; ma le provviste dello solfo furono presto esaurite, comprese quelle dei grossi mercati locali o dei paesi vicini, onde per qualche giorno non fu possibile di trovarne; e il male rapidamente si allargò e il raccolto di molte va- rietà fu in gran parte perduto. La vecchia crittogama non è più temi- bile come un tempo, ma se si seguita a trascurarla, riguadagnerà ter- reno e ritorneremo anche per essa ai guai di prima. Campioni di uve fortemente affette dall’O;divm ci pervennero da Rovescala, da Montubeccaria, da Broni, da Casteggio, ecc., ecc. Antracnosi.. — Gloeosporium ampelophagum Sace. — So- pra foglie e tralci mandate da Milano (Marchese). Aureobasidium vitis Vialà et Baoyer v. album Montemartini. — In alcuni vigneti di Buttrio (Udine) e di Parenzo (Austria) si manifestò una nuova malattia che faceva seccare le foglie ,e i grappoletti delle viti. L'esame dei diversi campioni mandatici in parecchie riprese dal signor Tomasoni di Buttrio e dal professore Calegari di Parenzo, mo- strò in essi, oltre alla presenza di parecchi saprofiti, un micromicete parassita riferibile al genere Aureodasidium. In sezioni trasversali, il fungillo nelle foglie appariva sotto forma di pustolette erompenti dal- l’epidermide nelle quali vedevansi dei basidi obclavati, portanti ognuno da 4 a 7 spore piccole, ialine e cilindriche. Le pustole erano talora riunite in modo da formare una specie di strato imeniale relativamente molto esteso. i — 178 — Tale fungo fu descritto sotto il nome di Aureobasidium Vitis v. al- bum dal dott. Montemartini, assistente in questo laboratorio, cui avevo affidato lo studio della malattia. Fersa. — Campioni di foglie colpite da tale malattia ci furono spediti pure da Parenzo (Austria) e da Sondrio (Comizio agrario). So- pra le une e le altre si sono riscontrate dei periteci di un Phoma ri- feribile probabilmente alla specie negriana Thiim. che accompagna spesso questa malattia, tanto da esserne stato ritenuto la causa. Marciume dei grappoli. — In grappoli d'uva mandatici dalla Li- guria (Italia Agricola) e da San Michele (Austria). Su questi ultimi si rinvennero abbondantissime fruttificazioni di Botrytis acinorum Pers. e anche di Cladosporium, Macrosporium ed altri saprofiti. A quanto ne venne riferito, mai come in quest'anno nei vigneti di San Michele si ebbe così grande diffusione di Bo/ryts, il che devesi, senza dubbio, at- tribuire alla grande umidità della stagione, e specie alle piogge cadute durante la vendemmia. Cladosporium viticolum Cesati. — Su foglie di vite mandate da Mi- lano (G. Marchese). Colpo di sole. — Su viti, da Casale Monferrato. Scottatura. — Sa grappoli mandati dalla Direzione della Cattedra ambulante di agricoltura di Mantova. Colatura. — Im grappoli inviati da Milano (Marchese). Iitoptosi. — Phytoptus Vitis Dujard. — In foglie da Groppello (avvocato Albertario), da Parenzo (professore Calegari), da Bacchigliero (Cosenza), e da diverse località dell’ Oltrepò. Otiorhynchus Girafa Gen. — Si sviluppò a Buttrio di Udine (si- gnor Tomasoni) in quantità considerevole producendo grandi danni alle viti di cui mangiava le foglie. Tignola. — La caccia alla tignola colle speciali lanterne, che ab- biamo descritto nella passata rassegna, è stata ripresa in alcuni colli dell’ Oltrepò, a Canneto, al tempo della seconda muta, cioè nella seconda quindicina del giugno, e, a quanto risulta dalle notizie da me diretta- mente raccolte in luogo, con buon successo, poichè la presa delle far- fallette (appartenenti non vi ha dubbio a diverse specie, e in parte, probabilmente anche innocue) fu straordinaria; alcuni ne contarono per- sino 200 per qualche lanterna in una sola notte. Non tutti ancora sono d'accordo nell’ammettere l’efficacia del me- todo, però coloro che lo hanno applicato, ne sono contenti, alcuni anzi entusiasti, mentre i non credenti appartengono, almeno per quanto mi è sembrato, alla schiera di coloro che non si sono ancora decisi a farne la prova. =. — Certo si è che in quest'estate le uve a Canneto erano quasi prive di tignola, e che a detta di tutti non si aveva la decima parte dell’in- fezione degli anni scorsi; come altresì ne venne assicurato che una differenza rimarchevole si avvertiva pure tra vigneti contermini, poichè quelli ove la caccia colle dette lanterne era stata fatta su larga scala avevano uva molto più pulita e sana dei circostanti non curati. Non va taciuto che parecchi ancora si astengono dall’uso di queste lanterne pel timore di attirare nella propria vigna le farfalle dei vicini e averne maggior danno; e d’altra parte pensano che le illuminazioni dei vicini libereranno anche le proprie vigne. Detto va pure che alcuni attribuiscono la grande diminuzione delle tignole nell’estate scorsa, da tutti riconosciuta e ammessa, alle pioggie insistenti che si sono avute nell'annata e non alla caccia che fu loro fatta. Comunque, è positivo che nell'autunno scorso l’uva era quasi immune e che molte migliaia di farfallette furono in quest'anno uccise cogli apparecchi descritti nell’ul- tima rassegna, onde non pochi vignaiuoli sperano persino di potersi per tal modo liberare in due o tre anni da tanto malanno. MALATTIE DELLE GRAMINACEE. Ruggine. — Puccinia graminis Pers. — Sopra frumento e segale a Trovamala (Pavia). Idem. — Sopra foglie di loglio in prati a Portalbera. Idem. — Sopra culmi e foglie di orzo nell'orto botanico (Pavia). Puccinia Maydis Carradori. — Su foglie di granturco a Montu- beccaria. Puccinia sessilis Schmid. — Su foglie di Phalaris arundinacea nel- l'orto botanico (Pavia). Helminthosporium turcieum Pass. — Sopra foglie di granturco a Montubeccaria e a Casteggio. — Nell'agosto, causa forse l'eccessiva umidità, questo ifomicete si diffuse largamente in quasi tutti i campi di granturco della bassa Lombardia, producendo non piccoli danni col de- terminare un precoce essiccamento delle foglie. Idem. — Sopra sorgo (Sorghum vulgare) a Belgioioso. Piricularia Oryzae Br. et Cav. — Sopra foglie di riso coltivato nelle vicinanze di Pavia (signor Angelo Maiocchi) e su piante manda- teci da Siziano dal signor Bersani (Milano). La Piricularia finora noi non l'avevamo trovata che sulle foglie: in quest'anno nelle piante del signor Bersani, essa aveva attaccato an- che i culmi subito sotto le spighe, determinando l’essiccamento e l’av- Atti dell’ Ist, Bot, di Pavia — (Laboratorio crittogamico) — Serio II, Vol. V. 18 — 180 — vizzimento del gambo, il quale per una lunghezza di uno, due e anche tve centimetri, mostravasi avvizzito, nericcio e livido. Il signor Bersani attribuiva l’intristimento dei propri risi al 9rusone; ora, senza escludere che anche questo malanno avesse la sua parte nel gravissimo deperi- mento di queste risaie, non puossi negare che il sopraindicato paras+ sita, il quale essiccava la base delle spighe, bastasse da solo a compro- mettere il raccolto. Carbone del Granturco. — Ustilago Maydis (DC.) Corda. — An- che questa ustilaginea trovò nell’estate scorsa condizioni favorevoli per un largo sviluppo. Noi abbiamo visitato dei campi di granturco ove forse un quarto e più delle piante ne erano attaccate, e, causa il pa- rassita, erano rimaste rachitiche, colle pannocchie più o meno abortite. Ce ne furono mandate anche da Broni e dai dintorni di Pavia (inge- gnere Fratti). Carbone del grano. — Ustilago segetum (Bull.) Dittm. — Su frumento da Vellano di Lucca (G. Tognini). Epicoccum purpurescens Ehrenb. — Sopra glume di riso nei din- torni di Pavia (signor Angelo Maiocchi). Idem. — Sopra foglie di sorgo a Belgioioso. Alternaria tenuis Nees. -- In foglie di sorgo a Belgioioso. Ascochyta Oryzae Catt. — Sopra spighe di riso ammalato nei din- torni di Pavia (signor Maiocchi). Ophiobolus graminis Sace. — Sopra frumento, da Ferrara (profes- sore Aducco). Gloeosporium sp. — Sopra foglie di Setarie a San Lanfranco, Grano Ghiottone. — Anguillula Tritici Roffr. — Ce ne venne mandato dal comune di Bagno di Romagna (prof. Baldi) ove questa malattia si è manifestata in parecchi poderi, in alcuni dei quali pro- dusse danni considerevoli. I chicchi, piccoli e neri, erano pieni zeppi di larve e di anguillule. Si consigliò una buona selezione pel grano da semina, la distruzione dei semi guasti, ed il trattamento del grano da semina col metodo di Davaine; cioè di immergerlo per 24 ore in una soluzione formata con una parte di acido solforico e 150 di acqua. Sic- come però con tale trattamento una parte dei semi perde la facoltà germinativa, così la semina dovrà essere più abbondante. Brusone del riso. — Fu segnalato nelle risaie di Siziano presso Milano (sig. Bersani), in quelle del signor Maiocchi presso Pavia, e in altre. Colatura del riso. — Su piante di riso provenienti da risaie dei dintorni di Pavia di proprietà del signor Maiocchi, ove il raccolto ri- mase, almeno in alcune, più che dimezzato. Le piante erano completa- — 81 — mente sane, solo avevano la spiga vuota, evidentemente in seguito a mancata fecondazione. In molti luoghi il raccolto del riso in quest’ anno fu assai deficiente, e la deficienza si attribuì quasi da pertutto al brw- sone; ora dalle osservazioni che noi avemmo occasione di fare, parrebbe che in non pochi casi il guaio fosse invero dovuto ad altre cause, quali appunto disturbata fecondazione e attacco della Piricularia. MALATTIE DEGLI ALBERI DA FRUTTO. Fusicladium pirinum (Lib.) Fuck. — Sopra foglie di melo a Ba- gnaria (Varzi) e in orti di Pavia (ing. Fratti). Phyllosticta prunicola (Opiz.) Sace. — Sopra foglie di melo a Milano (Marchese) e a San Lanfranco (Pavia). Idem. — Sopra foglie di pruno alla Moglia di Casteggio (maggiore Montagna). Idem. — Sopra foglie di ciliegio a Montubeccaria. Idem et Septoria piricota Desm. — Sopra foglie di pero a Casteggio (maggiore Montagna). Phyllosticta sicophila Thiim. — Su foglie di fico a Torre d'Isola e San Colombano (conte Bolognini). PhyUosticta pirina Sace. — In foglie di pero a Torre d'Isola. Phyllostieta Persicae Sace. — Su foglie di pesco a Torre d'Isola. Phylostieta Juglandis (DC.) Sace. — Sopra foglie di noce a San Pel- legrino (Bergamo). Phyllosticta Aucupariae Thiim. — Su foglie di sorbo nell’orto bota- nico (Pavia). Phyllostieta maculiformis Sace. — Su foglie di castagno a Monte- piano di Verno (Stazione d’Entomologia agraria di Firenze). Phyllostieta mespilina Montemartini. — Su foglie di nespolo nei dintorni di Pavia. Questa specie nuova di Sferossidea fu descritta dal- l’assistente dott. Montemartini ed inserita nel XII fascicolo dell’opera: I funghi parassiti delle piante coltivate ed utili, per G. Briosi e F. Cavara. Idem et Septoria sp. — Sopra foglie di mandorlo, da Casteggio. Septoria castanaccola Desm. — Sopra foglie di castagno mandate dal Comizio agrario di Pisa, Glocosporium lagenarium Sacc. et Roum. — Su larga scala in an- gurie (Voghera), che aveva interamente deturpate. Colletotrichum oligochaetum Cav. — Su foglie e frutti di meloni a Torre d'Isola. Polystigma rubrum (Pers.) DC. — Sopra foglie di susino, a San Pel- legrino (Bergamo). — e © Marsonia Juglandis (Lib.) Sace. — In quasi tutta la Val Brem- bana, a Zogno, a San Pellegrino, a Fuipiano, a San Giovanbianco, ecc., i noci furono, nell’estate scorsa, attaccati fortemente da questo paras- sita. Agli alberi non era rimasto nn terzo della foglia sana, i frutti erano scarsi e piccoli, e il danno fu rilevantissimo. Entomosporium Mespili (DO.) Sace. — Sopra foglie di nespolo a San Pellegrino (Bergamo). Clasterosporium Amygdalearum (Pass.) Sace. — Sopra foglie e frutti di mandorlo a Casteggio (avv. Giulietti). Oidium leucoconium Desm. — Sopra foglie di pesco a San Pelle- grino (Bergamo). Cercospora cerasella Sace. — Aveva attaccato le foglie di quasi tutti i ciliegi a Fuipiano e dintorni (Bergamo). Puccinia Pruni-spinosae Pers. — Sopra foglie di albicocchi in orti di Pavia. Gymnosporangium juniperiuum (Link.) Fr. — Su foglie di susino a San Giovanbianco. Cladosporium herbarum Link. — Sopra rami e foglie di pero spe- dite dal professore Raffael Roig y T'orres da Barcellona (Spagna). Monilia fructigena Pers. — Sopra frutti di pesco (Farneti) e di mele coltivate nell’orto botanico di Pavia. Bolla del Pesco. — Exoascus deformans (Berk.) Fuck. — L'Exroa- scus deformans è la causa di questa malattia che altera ed accartoccia le foglie del pesco; ed è una delle più gravi cui quest’'albero vada soggetto. Sino dal 1890 nel nostro Orto botanico si era tentato di combat- terla con applicazioni di poltiglia bordolese e si erano ottenuti risultati soddisfacenti. (Vedi: Rassegna crittogamica pei mesi di aprile e mag- gio 1890.) Di poi, altri con vario risultato tentò l'applicazione dello stesso rimedio. Avendo noi in quest'anno a sperimentare l’acetato di rame contro la peronospora della vite, si pensò di provare questo sale anche contro l’Exoascus del pesco, istituendo sperienze di confronto colla poltiglia bordolese, già un tempo da noi sperimentata, ma su piccola scala. Le esperienze cominciarono il 24 aprile in una piantagione di 180 alberi di peschi esistenti nell’orto dell'ex palazzo Botta. Venticinque alberi vennero trattati con poltiglia bordolose all’1 per cento di solfato di rame; venticinque con Verdet Durand (acetato di rame) all’1 per cento e venticinque collo stesso Verdet Durand, al 2 per cento; mentre agli altri peschi intercalati ai sopradetti non si diede, per controllo, al- cun trattamento. oe Ogni pianta venne controdistinta da un cartellino portante un numero, allo scopo di poter notare le osservazioni riguardanti lo stato della pianta nel periodo delle esperienze e gli effetti dei rimedi cuprici. L’allegazione dei frutti, quando si diedero i rimedi, era già avve- nuta, favorita da tempo sereno e da temperatura mite; alcune piante erano già attaccate dalla bolla, ma la maggior parte ne era ancora immune. Otto giorni dopo il trattamento, con dolorosa sorpresa, si videro cadere le foglie degli alberi trattati col Verdet Durand tanto all’1 che al 2 per cento. Alla bella stagione primaverile calda e mite essendo seguite giornate piovose e fredde, nelle quali il termometro era sceso sino a zero, si credette dapprima che la caduta delle foglie fosse effetto del cattivo tempo e si aspettava infatti che cadessero pure quelle delle altre piante. Ai peschi però lasciati senza rimedio per controilo, e a quelli trattati con poltiglia bordolese non caddero, nè allora nè dopo; le foglie. Era quindi evidente che all’acetato di rame dovevasi tale fe- nomeno. I frutti resistettero maggiormente, ma le foglie caddero tutte, e se le piante non ne avessero presto rimesse delle nuove, il danno sarebbe stato molto forte. Si ripeterono subito tali esperienze col detto acetato di rame nelle stesse dosi sopra alcuni peschi dell'orto botanico affine di vedere se il fenomeno si ripeteva. Pur troppo, i risultati furono anche peggiori ; ol- tre le foglie caddero pure i frutti. Il detto acetato di rame quindi, almeno nelle proporzioni da noi adottate, si è mostrato nocivo e non può essere consigliato. \ In quanto all’azione della poltiglia bordolese contro l’Eroascus, poco si potè da queste nostre sperienze ricavare; inquantochè la malattia in quest'anno non si diffuse, e d’altra parte il proprietario impensierito per quanto era avvenuto negli alberi cui si era dato l’acetato, non per- mise che si ripetessero le applicazioni della poltiglia. Shizoneura lanigera Hars. — Sopra rami e foglie di pero spedite dal professore Raffael Roig y Torres da Barcellona (Spagna). Aphis Persicae Kolt. — Sopra foglie e ramoscelli di pesco a Pavia (ing. Fratti). Phytoptus Piri Sor. — In foglie di pero a San Pellegrino (Ber- gamo). Insetti indeterminati. — Sopra rami e foglie di pero molto danneg- giati, inviati da Barcellona (Spagna). Gli insetti erano in decompo- sizione. Male dell'inchiostro. — Radici ammalate di castagno inviate dal- l’Amministrazione forestale di Genova. 13 * ULI Malattie d'origine climaterica. — Sopra frutti di Diospyros Kaki coltivato; mandati dalla Scuola pratica di agricoltura di Sant'Ilario Li- gure, I frutti marcivano all’inserzione del picciuolo e cadevano. MALATTIE DI PIANTE DIVERSE. Peronospora del Pomodoro. Phytophtora infestans (Mont.) De Bary. — Quest'anno la Peronospora del Pomodoro, favorita da stagione umida e piovosa, ha fatto danni gravissimi distruggendo completa- mente questo raccolto, il quale non tanto per la provincia di Pavia come per molte altre dell’ Italia Superiore, a non dir di quella della Media e dell’Inferiore, ha un'importanza culturale assai notevole, che va calcolata a centinaia di migliaia di lire. L'andamento della malattia venne attentamente seguito e studiato dal nostro Laboratorio in una piantagione di più che 4000 piante che si trovava nell’orto dell’ ex- palazzo Botta, affidata alle cure dell'assistente signor Rodolfo Farneti. Le piante erano sostenute in parte da filo di ferro zincato ed in parte da pali secchi, ed appartenevano per un terzo alla varietà Per- fection, per un terzo ad una pregevole varietà nostrale a frutto grosso quasi liscio; le rimanenti, in parti quasi uguali, alla varietà Champion, ad una varietà di Pomodoro comune nostrale a frutto costato, e ad un’altra varietà pure nostrale a piccoli frutti ovoidali ed a grappolo. Di tutte queste varietà, quelle che si mostrarono più resistenti alla Pero- nospora furono la Perfection e la nostrale a frutti piccoli a grappoli, mentre più sensibile all'attacco del parassita fu la varietà Champion, la quale, pel rigoglio della vegetazione, è invece una delle più robuste. La malattia si manifestò verso la metà di luglio nel centro di al- cuni filari della varietà Champion; in due o tre giorni l'infezione si diffuse irradiando circolarmente fino a raggiungere i filari non molto distanti dei Pomidori Perfection. Questi ultimi però non vennero attac- cati, ma la malattia continuò a propagarsi in senso longitudinale sopra i filari Champion. Subito, mozzati i rami e asportate le foglie attaccate, si procedette ad un'abbondante irrorazione con poltiglia bordolese al due per cento di solfato di rame e altrettanto di calce; e la irrorazione venne limitata al lotto nel quale si era di già manifestato il male. Il rimedio si rivelò molto efficace, poichè arrestò la corsa dell'infezione, che non passò ai filari vicini. Assai notevole si manifestò anche come rimedio curativo, giacchè nelle piante parzialmente attaccate, le por- zioni dei frutti già infette si atrofizzarono, ma le parti sane continua- rono a svilupparsi e giunsero a perfetta maturazione. — 185. — Più tardi la malattia ricomparve in un altro lotto non trattato, composto di varietà di Pomodoro nostrale. Anche qui, tolti e asportati i rametti e le foglie fortemente attaccate, si diede un’ abbondante irro- razione con poltiglia bordolese, estendendola questa volta a tutta la piantagione. Il male qui pure venne arrestato, e così, che ogni pericolo sembrava scongiurato. Sopraggiunsero però nuove ed insistenti pioggie che durarono più giorni di seguito, e queste, mentre lavarono via il rimedio di recente applicato, non permisero in alcun modo di ripetere i trattamenti. Come ritornò il bel tempo, con sorpresa, si dovette constatare che il male si era fatto irrimediabile, poichè, non solo le foglie ed i frutti acerbi e quelli quasi maturi erano irreparabilmente perduti, ma anche gli steli delle piante i quali trovavansi, tanto erasi estesa l'infezione, anneriti fino alla base; e dopo pochi giorni infatti quasi tutti morirono. I pochi piedi rimasti in vita si trattarono ancora con forte dose di poltiglia bordolese, la quale, avendo potuto aderire alle piante, in grazia ad al- cuni giorni di bel tempo, riuscì, non ostante ricominciasse di poi la stagione cattiva, a salvare una parte del prodotto, mentre negli orti e nelle campagne circostanti, ove nessun rimedio si era tentato, tutto andò completamente perduto. Ciò mentre prova che ai trattamenti coi sali di rame si dovrebbe ricorrere con maggior frequenza anche per combattere questa Perono- spora, indica che anche pel Pomodoro, come per la vite, il rimedio, per riescire efficace, deve essere applicato in prevenzione, o almeno non appena si abbiano i primi sentori dell’attacco del parassita. Nell'estate ultima la stagione è corsa da noi sfavorevole in modo veramente eccezionale, ma non v'ha dubbio che, se fossimo stati più attenti, e avessimo applicato il rimedio rapidamente in quei pochi giorni di sole che pur si ebbero anche durante le prime pioggie, e non lo avessimo limitato agli appezzamenti già attaccati, ma esteso sino da prima a tutta la piantagione ancora immune, si sarebbe con ogni pro- babilità salvato il prodotto, divenuto prezioso essendo triplicato di prezzo. Phiytophtora infestans (Mont.) De Bary. — Sopra foglie di patata mandate da Bardineto Ligure (prof. Pollacci). Bremia Lactucae Regel. — Sopra foglie di Cynara Scolymus nel- l'Orto botanico (Pavia). Peronospora parassitica (Pers.) Tul. — Sopra Soa di Violaciocca nell’Orto botanico (Pavia). Phyllosticta globulosa Thiim. — Sopra foglie di Quercus Suber a Loano (Liguria, Pollacci). — 186 — Phyllosticta Lauri West. — Sopra foglie di Alloro a San Pelle- grino (Bergamo). Phyllos'icta osteospora Sace. e Ph. moricola E. — Sopra foglie di Gelso a San Pellegrino (Bergamo). Phyllostieta crataegicolu Sace. — Sopra foglie di Crataegus oxrya- cantha a San Pellegrino e a Montubeccaria. Phylost'eta fuscozonata Thim. — Sopra foglie di Rovo a Torre d'Isola. PhyMosticta Quercus Ilicis Sace. — Sopra foglie di Leccio a Me- naggio. Phyllostieta sp. -- Sopra foglie di Lagenaria vulgaris nell’ Orto bo- tanico (Pavia). Phoma Mahoniana Sace. — Sopra foglie di Mahonia japonica nel- l'Orto botanico (Pavia). Septoria Polygonorum Desm.-- Sopra foglie di un Polygonum (Varzi), Septoria Lycopersici Speg. v. europaea Br. et Cav. — Sopra foglie di Pomodori (ing. Fratti). Septoria cornicola Desm. — Sopra foglie di Cornus sanguinea a San Pellegrino (Bergamo) e a Miradolo (Pavia). Septoria Clematidis-rectae Sace. — Sopra foglie di C/lematis recta @ Loano (Liguria), Pollacci. Septoria Crataegi Kixh. -- Sopra foglie di Craetegus oxyacantha San Pellegrino e a Casteggio. Septoria Cytisi Desm. — Sopra foglie di Cytisus Laburnum a San Pellegrino (Bergamo). Septoria curvata (Rab. et Br.) Sace. — Sopra foglie di odinia Pseudoacacia a San Lanfranco (Pavia). Septoria Rubi West. — Sopra foglie di rovo a Miradolo. Fersa del Gelso. — Septogloeum Mori (Lév.) Br. et Cav. — Si sviluppò su vasta scala sopra le foglie di seconda gettata dei gelsi dei dintorni di Pavia, di Cava Carbonara, di Belgioioso, della Val Brem- bana, di Loano (Liguria), ecc. Coniothyrium olivaceum Bon. — Sopra foglie di Elleboro a San Gio- vanbianco (Val Brembana). Leptothyrium alneum (Lev.) Sace. — Sopra foglie di ontano a Zo- gno (Val Brembana) e a Torre d'Isola. Glocosporium Venetum Speg. — Sopra foglie di rose selvatiche a Fuipiano (Bergamo). Gloeosporium sp. — Sopra foglie di Ortensia a San Pellegrino. Colletotrichum Lindemuthianum (Sace. et Mag.) Br. et Cav. — Su legumi di fagiolo a Bardineto Ligure (Pollacci) e a Legnano (Associa- zione Agraria Basso Veronese). — 187 — Leptothyrium acerinum (Kunze) Corda. — Sopra foglie di acero a Bardineto Ligure (Pollacci). Ascochyta sp. — Sopra foglie di lauro a Menaggio e a Cadenabbia. Dendrophoma Convallariae Cav. — Sopra foglie di mughetto nel- l’Orto botanico (Pavia). Hendersonia sarmentorum West. var. Lauri Sace. — Sopra foglie di alloro a San Pellegrino. AscochytaCrataegi Fuk. — Sopra foglie di Crataegus oxyacantha a Miradolo. Cercospora Resedae Fuk. — Sopra foglie di reseda nell’Orto bota- nico e in diversi giardini di Pavia. Cercospora microsora Sace. — Sopra foglie di tiglio a Zogno e a San Giovanbianco. Cercospora beticola Sace. — Sopra foglie di beta nell’Orto botanico (Pavia). Cercospora rosaecola Pass. — Sopra foglie di rosa nei dintorni di Como. Isariopsis griseola Sace. — Sopra foglie di fagioli in Orti di Pavia (Farneti) e nei dintorni. Helminthosporium sp. — Sopra foglie di /beris nell’Orto botanico (Pavia). Oidium leucoconinm Desm. — Sopra foglie di Rose coltivate alla Cascina San Spirito presso Pavia (Gennari). Macrosporium Solani EN. et Ev. — Sopra foglie di patate. Da Mi- lano (G. Marchese). Macrosporium comune Rabh. — Sopra foglie di Gentiana lutea a Bardineto Lieure. Idem. — Sopra frutti-di Pomodoro a Pavia (ing. Fratti). Ramularia Parietariae Pass. — Sopra foglie di Parietaria a Can- neto Pavese. Idem. — Sopra foglie di Petasites a Rovescala. Botrytis infestans (Harzs].) Sace. — Sopra steli di canapa man- dati da Cesena (regia Scuola pratica di agricoltura). Polythrincium Trifolii Kunze. — Sopra Trifoglio nei campi di Al- baredo Arnaboldi. Cladosporium herbarum Link. e Fumago vagans Pers. — Sopra fo- glie di Hvonymus japonicus a Lodi (R. Stazione di Caseificio). Puccinia Gladioli Cast. — Sopra foglie di Gladiolus segetum a Varzi. Puccinia poavum Nielsen, forma ecidiosporica (Aecidium Composita- rum Mart. v. T'ussilaginis (Pers.) Cook. — Sopra foglie di Petasites a Rovescala. — 188 — Puccinia Buri DC. — Sopra foglie di Bosso a Castel Carnasino di Como (signor Pedroni). Uromiyces Trifolii Fuck. — Sopra Trifoglio nei campi di Varzi e a Torre d’Isola. Uromyces Fabae (Pers.) De Bary. — Sopra foglie di fava a Vo- ghera. Uromycestriatus s Schroter. — Su piantine di Erba medica nei din- torni di Vog e ahera Bressana Argine. Uromyces Phaseoli (Pers) Wint. — Sopra foglie di fagiuolo a l'orre d'Isola. Phragmidium violaceum (Schultz.) Wint. — Sopra foglie di rosa a Montubeccaria e in giardini di Pavia (Farneti). Phragmidium Rubi (Pers.) Wint. — Sopra foglie di rosa a Torre d'Isola. Phragmidium sp. forma uredosporica. — Sopra foglie di rosa a Bergamo. Melampsora Carpini (Nees.) Fuck. — Sopra foglie di carpino a Miradolo. Pseudopeziza Trifolii Fuck. — Sopra trifoglio nei campi di Varzi e di Albaredo Arnaboldi. Pseudopeziza Medicaginis (Lib.) Sace. — Sull’erba medica a Torre d'Isola, a Bressana Argine e nei dintorni di Mantova (Cattedra ambu- lante di agricoltura). Exoascus Ulmi Fuck. — Sopra foglie di Olmo a Rimini (Comizio agrario). Helminthosphaeria clavariarum Desm. — Sopra fruttificazioni di Cla- varia cinerea da Meaux in Francia (signor Dumé). Sclerotinia Kaufmanniana Trich. e Sclerotium Kaufmannianum Trich. — Sopra foglie di Canapa a Ferrara (prof. Aduceco) Sclerotium Libertianum Fuck. — Sopra fusti, foglie e frutti di Fa- giuoli coltivati a Bardineto Ligure (Pollacci). Stegia Lauri (Cold.) Sace. — Sopra foglie di alloro a San Pelle- grino (Bergamo). Fusarium oxysporium Schlecht. forma Lycopersici Sace. — Sopra frutti di Pomodoro coltivati nell’Orto botanico (Pavia). Fusarium Solani (Mart) Sace. — In tuberi di patata mandati dal Comizio agrario di Monza. Cotonello. — Philippia follicularis Sarg. — Sopra frutti di Ceratonia a Genova (G. Rubino). Anguillule. — In radici di Garofano mandate dalla Scuola pratica d’agricoltura di Sant’ Ilario Ligure. — 189 — Insetti indeterminati. — Sopra piantine di Geranii, Garofani e Ver- bene a Como (ragioniere Andreani). Giunte in via di decomposizione. Suberosi. — Cioè produzioni anomale di periderma in foglie di Ca- mellia, mandate dalla Scuola pratica di agricoltura di Sant'Ilario Ligure. RICERCHE ED INFORMAZIONI VARIE. Informazioni sui caratteri e sulla coltura della Victoria Regia date al signor G. Arini (Milano). Determinazione di due Fanerogame inviate dal signor Del Corno (Voghera). Esame di un campione di latte proveniente dalla Cascina Torretta (Pavia). Informazioni sul Chinotto, chieste dalla Camera di Commercio e dalla Prefettura di Pavia per una controversia doganale. Laboratorio di Botanica. — Dicembre 1896. atleta tantra 3:14} Sattrà 5 veotteare Mega ine it iti Gira ta vet dafan “0 it, sgeipgpg Gi iene sata gior i anorgsron RI sd piani iL Ni Musiri sdigft mic innky0b. dleveranal Sietnie potendo sara 906 Bott bit atun9 if cristi Abbia I : È - sli PIV s0081. arde ad A ui sula: 3 ati e E SI. (°° — ppi ea e, sel PT VE TE VOLE vaoitAtoti i: Gra ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA (Laboratorio Crittogamico Italiano) APPUNTI I PATOLOGIA VEGETALE. (Funghi nuovi, parassiti di piante coltivate.) NOTA DEL Dott. GINO POLLACCI (con una tavola litografata) In alcune località favorite da dolce clima e riparate dai freddi venti invernali, una delle principali risorse per gli agricoltori è la col- tivazione ed il commercio dei fiori. La violetta mammola, per esempio, oltre ad essere usata in medicina, è uno dei prodotti sopra il quale mag- giormente si concentra l’attenzione dei floricoltori, come fiore d’orna- mento e anche per l’estrazione della gratissima essenza. Nella provincia di Nizza, nel circondario di San Remo, nella pro- vincia di Firenze ed in altre regioni, la violetta è coltivata su vasta scala, tanto che il suo commercio si caleola a diverse centinaia di mi- gliaia di lire. Nel marzo dell’anno scorso le coltivazioni delle violette in questo Orto Botanico, si mostravano ammorbate da un parassita che intristiva le piantine assai rapidamente. Questa malattia, che assai presto si è propagata attaccando intere aiuole di viole, se riuscisse ad invadere regioni dove detta pianta è largamente coltivata e forma uno dei pochi prodotti rimunerativi, porterebbe danni non certo indifferenti. Avendo il prof. Giovanni Briosi, Direttore del Laboratorio Critto- gamico, affidato a me lo studio di questa malattia riferisco qui quanto ho potuto osservare. Atti dell’Ist, Bot. di Pavia — (Laboratorio crittogamico) — Serie II, Vol. V. 14 Midgar Le foglie si mostravano piene di macchie con buchi, le quali ad un semplice esame con occhio armato di lente apparirono ricoperte da tanti piccoli ciuffettini di ife fruttifere di color olivastro, appartenenti ad un micete della famiglia Dematicae. Le macchie che esso produce sono rotonde, bianchiccie, ben nette, aride ed assomigliano moltissimo a quelle comunemente prodotte sulle foglie del gelso dal Septogloeum Mori (Lev.) Br. et Cav. Il micelio del fungo attacca il mesofillo delle foglie e lo uccide, spesso la parte morta si distacca dalle rimanenti ancor vive, produ- cendovi dei fori. Il moltiplicarsi di quelle macchioline e di questi fori menoma e disturba naturalmente le funzioni della foglia al punto che dopo non molto tempo essa intristisce e muore. Il micelio, assai invadente, è jalino, mentre le ife fruttifere hanno colore fuligineo e portano alla loro estremità conidii dello stesso colore ed abbastanza grossi, settati trasversalmente ed anche longitudinal- mente e la cui forma in generale è a clava, ma che può variare sen- sibilmente come vario è il numero dei setti. (Vedi Tav. VII, fig. 1-4.) Il fungo appartiene al genere Macrosporium, e, per quanto a me consta, ad una specie non ancora studiata. Ho trovato pure spesso associato a questa nuova specie di Macro- sporium la Periconia pyenospora Fries., ma soltanto come saprofita in macchie già precedentemente prodotte dal sopradescritto ifomicete. Dif- ferisce dalla specie Macrosporium commune Rabl. per la forma e dimen- sioni delle spore, che è molto diversa, e per la forma e colore delle macchie caratteristiche, Eccone la diagnosi : (Tav. VII, fig. 1-5.) MACROSPORIUM VIOLAE N. Sp. Maculis circularibus, regularibus, ochraceis; micelio jalino et toto parenchima invadente; hyphis olivaceis, rigidiusculis, erectis, septatis, septis trasver- salibus et longitudinalibus, rare nodulosis, in fasciculos minutos conge- stis, hyphis basi inflatulis, 60-70 nu. longis; contidis clavatis, oblongis et basi attenuatis, magnitudine variis 40-90 * 16 u. septato-murifor- mibus, olivaceo-fuscis, initio surcineformibus dein ad septa non con- strictis. In foliis vivis Violae odoratae in Horto Botanico Ticinense. — ie II. Sopra foglie di Iveris, coltivati per ornamento nell’Orto Botanico, trovai un fungo che determinava delle macchie rotonde, regolari e bru- niccie, aventi tanti piccoli cerchi concentrici fra di loro, di colore più SCUro. Le foglie attaccate, dopo non molto tempo, intristivano e si distac- cavano dallo stelo. Il micete appartiene al genere He/minthosporium ; le ife fruttifere si vedono disposte in circoli concentrici e sono appunto quelle che carat- terizzano la forma e l'aspetto delle macchie; appariscono piuttosto corte e robuste, settate ed hanno un micelio sottile, ma che invade e distrug- ge tutto il mesofillo. Lo spore, che variano sensibilmente di grossezza, sono settate trasversalmente, hanno forma di clava e stanno attaccate alle ife per la parte più rigonfia; nelle spore molto mature si nota che l’ultimo setto è assai acuto, a forma di pedicello e jalino; mentre il resto della spora è fuligineo e dello stesso colore delle ife. I conidii hauno da 5 a 11 setti e le ife sporifere sono associate a fastello in numero da tre a sei. I caratteri morfologici, e la natura nettamente parassitaria, che ha riscontro nelle specie già descritte del genere, fanno che tale specie sia da considerarsi pure come nuova. (Tav. VII. fig. 18-20.) HELMINTHOSPORIUM IBERIDIS N. Sp. Maculis rotundis; mycelio effuso fusco; hyphis fascieulatis fuscis, brevibus, interdum inflatulis et septatis (20-30 um. longis); contidis subelavatis, 5-11 septatis, fuscis, 177,50 — 55,50 « 11-20 m., interdum loeulo extremo acuto hyalino pedicelliforme. Habitat in foliis vivis Iberidis Horto Botanico Ticinense. Junio 1896. III. Una collezione di Cereus, che si trova nell’Orto Botanico di Pavia, veniva fortemente danneggiata da un fungo, il quale produce sul fusto delle macchie cenerine, dapprima piccole ma che col tempo interessano — 194 — ed attaccano, facendolo avvizzire ed accartocciare, tutto il fusto della pianta stessa. La malattia, come risulta dalle osservazioni al microscopio, è do- vuta ad una sferossidea e precisamente ad un Leptothyrium. I periteci di questo fungo, numerosissimi e di color carbone, occu- pano tutta la macchia e si formano man mano che il micelio ha invaso il tessuto ancora verde della pianta. Sezionando i periteci, essi appaiono scudiformi, monoloculari, più raramente biloculari e ripieni di fitti basidii strettamente addossati, portanti spore ovoidee jaline. Nelle macchie già da molto tempo formatesi, ho trovato pure dei periteci di Phoma torrens Sacc., ma rarissimi, in modo da non aver dubbio alcuno che il Leptothyrium sia la vera causa della malattia. (Tav. VII, fig. 8,9, a.) LEPTOTHYRIUM PARASITICUM N, Sp. Maculis magnis, griseo-ochraceis, in plantis initio vivis, magis et magisque diffusis; peritheciis magnis, gregartis, carbonaceis, scutiformibus ; basi- diis 22,50 n longis; sporulis hyalinis, ovoidev-oblongis, biguttulatis, 8-11 » 3-4 u. Habitat in caulibus vivis Cerei stellati et in Cerei triangularidis in Horto Botanico Ticinense. Maius 1896. VE Pure sopra piante di Cereus stellatus si sviluppò un altro parassita, con caratteri però morfologici ben diversi da quelli della specie sopra descritta, appartenendo esso al genere Cytosporella. Le macchie pro- dotte da questo fungo non sono molto estese; i periteci appaiono sotto forma di tanti corpiccioli neri sollevantisi dall’epidermide, sparsi irre- golarmente per tutta la macchia e di dimensioni più grandi di quelli del Leptothyrium parasiticum n. sp. Il peritecio inoltre è verrucato, abbastanza immerso e diviso in varie loggie, entro le quali stanno numerosissime spore minute di forma ovoidale. La dimensione delle spore, la loro forma e la natura strettamente parassitaria del fungo permettono tenere distinta questa specie di Cytosporella dalle poche sinora descritte. CYTOSPORELLA CEREI N. Sp. Stromatibus innato-erumpentibus, verrucosis, atris, intus pallidis, magnis, plurilocellatis, locellis irregularibus; basidiis bacillaribus, sporulis mi nutis, ovoideis, copiosissimis, hyalinis, 6-9 v 3-4 wu. In Cerei Stellati Horto Botanico Ticinense. Maius 1896. V. Sopra foglie di Pandanus utilis, pure coltivate in serre dell'Orto Botanico di Pavia, si sviluppò un micromicete che attrasse la mia attenzione. I suoi periteci numerosi e minuti sono fittamente sparsi per tutta la foglia, specialmente alla base, e si trovano in ambedue le pagine del lembo fogliare. Per la quantità molto considerevole di questi periteci, la foglia ne risulta assai danneggiata. Il micromicete appartiene al genere Pirostoma, come facilmente si può rilevare dalla forma del peritecio scudiforme, identico a quello del genere Leptothyrium; solo ne diversifica per il colore delle spore, che nel genere Pirostoma è di colore fuligineo, come costantemente si mo- strano colorate nel parassita che descrivo. I periteci sono talora monoloculari, tal’altra biloculari e ripieni di spore fuliginee di forma elissoidale. Questa specie distinguesi dalle poche di questo genere descritte, sia per la forma delle spore come per le loro dimensioni assai diverse. (Tav. VII, fig. 11, 15, 16.) PIROSTOMA FARNETIANUM N. Sp. Peritheciis scutiformi-oblongis, gregariis, migris, ‘mono vel bilocularibus ; basidiîs hyalinis, densibus ; sporulis numerosis, elipsoidei - oblongis, 7-9 © 2,50-4 mu. fuligineis. Habitat in foliis vivis Pandani utilis in Horto Botanico Ticinense. Dedico questa specie al carissimo amico e collega Rodolfo Farneti. Sar VI. Anche sopra foglie di una conifera, la Dammara Moori, ho rinve- nuto un fungo decisamente parassita, il quale per i caratteri suoi mor- fologici si distingue dalle altre specie descritte fino ad ora e che perciò propongo come nuova. i Appartiene al genere PhyMostieta; produce macchie sopra le foglie, dapprima puntiformi che poi, facendosi confluenti, diventano irregolari ed abbastanza grandicelle ed il micelio finisce per uccidere gran parte del mesofillo della foglia attaccata. I periteci sviluppansi abbastanza numerosi sulla pagina inferiore ed hanno l’aspetto di punticini scuri, rotondeggianti; sezionati appaiono globosi, nerastri; essi determinano la rottura dell’epidermide. Le spore sono piccole, jaline, di forma elissoidale, per lo più a con- tenuto omogeneo. In alcune macchie ho trovato associati ai periteci di questa nuova specie di PhyZostieta quelli della Pestatozzia funerea Desm., ma solo in piccolo numero. Molte foglie di questa utile conifera cadevano, a causa di tale mi cromicete, raggrinzite e secche in modo che la pianta ne ebbe danni assai forti. (Tav. VII, fig. 6, 7, 10.) PHYLLOSTICTA DAMMARAE ll. Sp. Maculis ellipsoideis, irregolaribus, ochraceis, linea obscuriore limitatis; peritheciis sparsis, 200-220 u diam., ostiolo impresso pertusis, con- textu stromatico carbonaceo, sporulis hyalinis, ellipsoideis vel eliptico- cylindraceis, 4,50-5 © 2,25 pu. Habitat in foliis vivis Dammarae Moorii in Horto Botanico Ticinense. Junio 1896. VII. Fra le piante dell'Orto Botanico di Pavia state danneggiate da parassiti vegetali, va menzionata pure la Zunaria biennis. Un fungo appartenente al genere Helminthosporium, produceva sopra le foglie ancor verdi di questa pianta delle macchie circolari areolate, molto numerose, sparse irregolarmente per tutta la foglia. — 197 — Le macchie hanno colore giallastro e sono circondate da un orlo bruniccio; il micelio uccide tutto il parenchima, e le macchie allar- gandosi e moltiplicandosi sempre più finiscono per produrre la caduta della foglia, con non lieve danno per la pianta. Il micelio forma ife fruttifere corte, semplici, arrotondate all’apice, unicellulari, ovvero 1-2 settate. Producono all'estremità delle spore, oli- vastre, fusiformi, clavate, diritte, grandi, settate per lo più trasversal- mente soltanto. Tutti questi caratteri fanno classificare il parassita come apparte- nente al genere Melminthosporium ; si diversifica però assai, tanto per la forma delle spore, come per le dimensioni ed altri caratteri morfo- logici dalle specie fin qui descritte. (Tav. VII, fig. 14-12.) HELMINTHOSPORUM LUNARIAE N, Sp. Maculis circularibus regolaribus; hiyphis brevibus fasciculatis, simplicibus, fuscis, continuis, mono vel biseptatis, apice rotundis; conidiis clavatis, fuscis, 88-120 * 10-15,50 u. In foliis vivis Lunariae biennidis in Horto Botanico Ticinense. Junio 1896. Dal Laboratorio crittogamico in Pavia. Febbraio 1897. SPIEGAZIONE DELLA TAV. VII. . Spora di Macrosporium Violae n. sp. fortemente ingrandita, . Ife fruttifere con spore di Macrosporium Violae n. sp. . Spora della medesima specie. Idem. . Foglia di Viola odorata attaccata dal Macrosporium Violae n. sp. . Spore ingrandite di PhyMosticta Dammarae n. sp. . Foglia di Dammara Moori attaccata dalla PhyMosticta Dammarae, n. sp. . Porzione fusto di Cereus Stellatus attaccato dal Leptothyrium parasiticum n. sp. . Sezione trasversale di peritecio della medesima specie. a) Basidii con spore fortemente ingranditi. . Sezione di peritecio di Phy2losticta Dammarae n. sp. . Sezione di peritecio di Pirostoma Farnetianum n. sp. . Ife fruttifere con spora di Helminthosporium Lunariae n. sp. . Spora fortemente ingrandita di Helminthosporium Lunariae n. sp. . Foglia di Lunuria biennis attaccata dallo stesso He/minthosporium. . Frammento foglia di Pandanus utilis affetto dal Pirostoma Farnetianum n. sp. . Basidii con spore di Pirostoma Farnetianum n. sp. . Spore fortemente ingrandite dello stesso. 13. . Spore fortemente ingrandite dello stesso. . Foglie di Iberis con macchie prodotte dall’ Helminthosporium Iberidis n, sp. Ife fruttifere con spore di Helminthosporium Iberidis n. sp. ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA (Laboratorio Crittogamico Italiano) AD ALCUNE STRUTTURE NUCLEARI RICERCHE DEL Dott. F. CAVARA PROF. NEL R. ISTITUTO FORESTALE DI VALLOMBROSA, Con Tav. VIII-IX. Scopo di questo mio lavoro è di mettere in rilievo alcune parti- colarità da me osservate in nuclei di cellule vegetali, che mi parve o non fossero state bene messe in vista da altri o non avessero avuto finora una esauriente spiegazione. Siccome le mie osservazioni, ini- ziate da qualche anno, si riferiscono a nuclei di elementi svariati, e nel loro insieme tendono a chiarire punti assai controversi di cito- logia, credei opportuno non attendere più oltre per la presentazione dei risultati, sia perchè il succedersi di sempre nuovi mezzi tecnici di fissazione e di colorazione imponeva a me l'obbligo di controllare ad ogni momento le cose osservate qualche anno fa, sia perchè lo straor- dinario moltiplicarsi di pubblicazioni intorno ai nuclei da parte di bo- tanici e di zoologi rendono sempre più immane il lavoro di ricerca bibliografica. Fortunatamente per parte di eminenti investigatori, che primeg- giano nel campo citologico, sono state con molta cura riassunte in questi ultimi anni le più importanti questioni relative alla struttura ed ‘alle chimiche e fisiologiche proprietà del nucleo cellulare e delle sue parti costituenti. Così che dalle pregevoli loro pubblicazioni è dato di potersi orientare nella moltiplicità di difficili problemi, e si può trovare in esse una guida alla storia dello sviluppo di ogni questione. È prin- Atti dell’Ist. Bot. dell'Università di Pavia — Nuova Serie = Vol. V. 15 — 200= cipalmente negli scritti di Strasburger, ! Guignard, ° Zacharias, ° Zim- mermann 4 nel campo botanico, di Flemming ° e di Hertwig ° nel campo zoologico, che tutte le controversie relative alla struttura ed alla pro- prietà dei nuclei sono esposte, pesate e vagliate. Ora dopo la lettura delle opere di questi sommi, mi parve che non ostante il grande lavorio di questi ultimi vent'anni, e tutta l’abi- lità spiegata da investigatori forniti di potenti mezzi di osservazione, alcune questioni non fossero allo stato presente ancor bene chiarite, anzi ancor molto controverse. Così senza dire qui della tanto discussa questione della riduzione dei segmenti cromatici, di quella delle discusse centrosfere, della così detta cromatofilia, ecc., ecc., un problema che reclama ancora una soddisfacente soluzione è quello della origine della cromatina, del suo organizzarsi in seno al nucleo, delle sue migra- zioni e trasformazioni durante le fasi di sviluppo di questo. A tale problema altro se ne connette, a parer mio non meno im- portante, ed è quello della evoluzione del nucleolo o dei nucleoli, con tutto che vi sia una tendenza quasi generale a negare qualsiasi rap- porto fra nucleoli e cromosomi. Studiando, tuttavia, nelle opere sopracitate, ed in molte altre pub- blicazioni recenti, mi sono fatta la convinzione che anche dagli stessi sostenitori della indipendenza dei cromosomi dalla sostanza nucleolare, non si possa recisamente negare un rapporto qualsiasi che ha per co- stanti una certa comunanza di tingibilità e la correlatività funzionale nelle varie fasi di sviluppo del nucleo, cioè scomparsa e ricomparsa, aumento volumetrico e diminuzione delle rispettive sostanze del nucleolo e dei cromosomi, È vero che particolari mezzi di colorazione, appropriati a speciali mezzi di fissazione, hanno reso possibile un differenziamento della sostanza nvcleolare e della cromatica, nè vi è bisogno ch'io ricordi i classici me- todi del Flemming, del Guignard, del Zacharias, dello Zimmermann, ete., ! Srrassurcer E., Kern- und Zelltheilung, Jena, 1838. Karyokinet. Probleme, in Pringsheim’s Jahrb. 1895. B. 28; p. 151. — Cytolog. Stud. aus d. Bonner Inst. Ibid. 1897. B. 30, p. 155. — Das botanische Practicum, 1897. III Auflage. ? Guienarp L., Nouvelles recherches sur le noyau, in Ann. d. Sc. Nat. Bota- nique. VI Sér., Tom. 20. 1385. Nouv. étud. s. la fecondation, Ibid. VII Sér. T. 14. 1891. $ Zacgzarias E., Ueber das Verhalten des Zellkerns in wachsenden Zellen, in Hlora 1895. 4 Ziumermann A., Die Morphol. u. Physiol. der pflanz. Zellkernes. Jena 1896. 5 FLemune W., Bericht iiber die Fortschritte der Zellenlehre, in Merkel u. Bon- net's Ergebnisse der Anat. u. Entwicklungsgesch. fir 1893-94-95 Wiesbaden, 5 HerrwIG O., Die Zelle u. die Gewebe. Jena 1893. — Gi pei quali si mette in evidenza la tendenza dell’eritrofilia per parte del plasma nucleare e dei nucleoli, e della cianofilia o clorofilia per parte dei cromosomi; ma non è meno vero che vi hanno notevoli eccezioni a questa legge di comportamento non solo, ma che gli stessi buoni me- todi hanno dato risultamenti opposti, contradditorii, nelle mani dei di- versi investigatori. E ciò deve dipendere, secondo me, dal fatto che le proprietà intrinsiche della sostanza nucleolare e cromatica non sono costanti, nè le stesse nei diversi momenti di evoluzione degli organi 0 delle parti costituenti il nucleo; onde non sempre possono rispondere a quei differenziamenti che si sono voluti generalizzare come tipici per esse. Sonvi, è vero, proprietà chimiche che avvalorano l’opinione dei sostenitori del dualismo delle suddette sostanze, ma stando al parere espresso da non pochi investigatori, e che in appresso esamineremo, non si può al momento attuale dare un soverchio peso a tali proprietà, pel fatto che sono desunte da reazioni microchimiche che non sono sufficienti a determinare nè in modo assoluto la natura chimica delle sostanze in discorso, nè il grado di loro differenziamento, rispetto sem- pre ai diversi gradi di evoluzione. Le belle ricerche di Zacharias ! e di Frank Schwarz, ? non sempre fra loro in accordo, possono, invero, fornire buoni elementi per una distinzione, in via generica, e sono di forte sussidio nella interpretazione di molti fenomeni; ma nelle graduali trasformazioni che avvengono nel nucleo, dallo stato di riposo a quello di divisione, in molte delle quali va scomparendo questa o quella parte costituente, allora le proprietà chimiche perdono del loro assoluto valore. Siccome le mie osservazioni contemplano appunto i rapporti che intercedono fra nucleoli e cromosomi, così io ritengo indispensabile l’accennare alle varie opinioni che si hanno oggi intorno alla natura ed alla essenza di dette parti del nucleo, ed in ciò mi valgo delle di- scussioni svolte con copia di argomenti principalmente dal Flemming e dallo Strasburger nelle opere sopracitate. Il Flemming ?. designa per cromatina quella sostanza che si trova nella impalcatura (Kerngeriist) del nucleo, la quale si colora con spe- ciali mezzi coloranti, negli oggetti fissati e per conseguenza morti, e che, pare, si trovi in essi allo stato granulare. Non si sa, dice egli, 1 Zxczarias E., Ueber den Nucleolus, Bot. Zeit. 1835. p. 257. — Ueber die che- mische Beschaffenheit des Zelllierns. Bot. Zeit. 1881, p. 169. — Ueber Eiweiss, Nuclein u. Plastin. Ibid. 1883, p. 209. 2 Frank Scawarz., Die morphologische und chemische Zuzammensetzung des Pro- toplasma, in Cohn’s Beitr. B. 5, Heft. 1. ® FLemuna W., in Merkel u. Bonnet’s Ergebnisse ete., 1893, III B., p. 84. — 202 — come essa si comporti nei nuclei viventi, come anche non si sa di sicuro, se ed in quanto la sostanza pur capace di colorarsi che contengono i nucleoli, sia specificamente diversa dalla cromatina dell’impalcatura. Le note reazioni e colorazioni differenziali che si fanno stabilire fra nucleoli e impalcatura, e che egli pel primo in parte ha descritto, possono bensì avere per causa una differenza fra le dette sostanze co- lorabili, ma possono anche dipendere dalla compartecipazione di un substrato di sostanza cromatica nei nucleoli. Perciò, egli dice, una distinzione fra sostanza colorabile dei nucleoli e dell'impalcatura è perlo- meno troppo precipitata, se pur generalmente concessa. Avendo O. Hertwig ! distinte le due sostanze dei cromosomi e dei nucleoli per nucZeina e paranucleina, il Flemming osserva che se si potesse affermare con fondamento «che la nucleina della chimica e la sostanza cromatica dell’impalcatura dei nuclei morti sono assoluta- mente la stessa cosa, e che tale sostanza in forma chimicamente eguale si trova nei nuclei viventi, allora si potrebbe abbandonare il nome di cromatina per ritenere quello di nucleina.? Ma egli osserva che a ri- sultati opposti giunsero in proposito i due fitochimiei E. Zacharias e F. Schwarz. Quindi ritiene il Flemming che intorno a ciò non si possa dire l’ultima parola e che rispetto alla sostanza dei nucleoli sia inutile chia- marla paranucleina perchè non sappiamo finora se essa sia un’ unica sostanza o non consista invece di una sostanza fondamentale di natura cromatica. * Queste riservate dichiarazioni del Flemming, al quale pure dob- biamo uno dei migliori metodi pel differenziamento della sostanza nu- cleolare e della cromatica, sono poi confortate da non poche osserva- zioni che vengono a contestare il valore assoluto della pretesa indipen- denza dei cromosomi dai nucleoli. Ed il Flemming nella citata opera passa in rivista le opinioni di Riickert, di Hicker, di Holl, di Moll, pei quali, nei casi speciali da essi studiati, la sostanza nucleolare viene adibita tutta o in parte alla formazione od alla nutrizione dei cromo- somi. Lo Strasburger è fautore deciso della assoluta indipendenza dei cromosomi dai nucleoli, i quali ultimi non servono, secondo lui, che alla formazione del fuso. Egli con quell’autorità, che gli è universalmente ri- conosciuta, discute le opinioni che sono state emesse in senso contrario. ! Herrwi6 0, Die Ze'le u. die Gewebe. Jena 1593, p. 36 e 206. ? FLemmina W., Op. cit. p. 85. ® FLemmna W., Op. cit. p. 86. e =. —- °° 9 ro = n —_ —_par, vo =" ana —- Confuta le ricerche di Tangl il quale nei nuclei di Hemerocallis fuira aveva ottenuto colorati in verde i nucleoli, ed aveva osservato che la loro colorazione scompariva mano a mano che la impalcatura aumentava. Lo Strasburger attribuisce in tal caso la colorazione verde dei nueleoli all'essere essi rinchiusi nell’impalcatura che si tinge in verde, ed alla maggiore rifrazione dei nucleoli stessi. * A proposito delle osservazioni di Moll, sulla Spirogyra, nei cui nuclei tutta, o quasi, la sostanza cromatica sarebbe fornita, secondo questo autore, dal nucleolo, ciò che il Flemming cita come cosa di molto ri- lievo, lo Strasburger invece non. vi annette importanza ed attribuisce a differenza di densità ed alla presenza di vacuoli la struttura par- ticolare osservata pei nucleoli da Moll. Riguardo a quella particolare sostanza che si accumula alla peri- feria di certi nuclei nel così detto Sichelstadium, ritenuta dal Zimmer- mann ? di natura nucleolare e da Humphrey * piuttosto della cromatina, lo Strasburger opina o che sia itn nucleolo spinto dal gomitolo contro la parete, o che si tratti di una sostanza analoga alla cromatina disciolta nel succo nucleare e sottratta dai cromosomi. Circa l'origine dei cromosomi lo Strasburger non può ammettere che essi derivino la loro sostanza cromatica dal nucleolo, perchè in molti casi, egli dice è fuori di dubbio che i cromosomi sono completamente formati quando anche il nucleolo è del tutto inalterato. Circa questa asserzione vedremo come vi abbiano delle indiscutibili eccezioni. E lo stesso Strasburger cita le sue osservazioni sui nuclei dello strato di rivestimento del sacco embrionale (Embryosackwandbeleg) di Amaril- lidee, ove il grosso nueleolo si frammenta e le sue porzioni si adagiano spesso sui cromosomi. Si osserva nel tempo stesso una sensibile di- minuzione di colorazione nella sostanza nucleolare. Ma egli afferma che in realtà la sostanza nucleolare non viene assorbita dai cromosomi. Il fatto era stato osservato nei Lilium dal Guignard, e nei nuclei delle Epatiche dal Farmer 4 e per cellule animali dal Hertwig, e confermato dal Reinke, onde resta a spiegare quale sia veramente l'ufficio di tali nucleoli frammentati ed accollantisi ai segmenti cromatici. Lo Strasburger condivide l'opinione di Zacharias che il nuc]eolo sia costituito di sostanza albuminoide insolubile (plastina) e che non ! Srrassurcer E., Karyokinetische Probleme, p. 157. ? Ziumermann A., Morph. und Physiol. d. pfianz. Zellkern, p. 69. * Humparey I. E., Nucleolen u. Centrosomen, Ber. d. deuts. bot. Gesell. XII, p.113. * Farmer J. B., On Spore formation and Nuclear Division in the Hepaticae, in Ann. of Botany, IX, 1895, p. 477, 485. = contenga affatto nucleina. Egli inclina a ritenere che i cromosomi pren- dano la cromatina dal succo nucleare e non dai nucleoli, e suppone con Schewiakoff che questa passi, allo stato di soluzione, dal citoplasma nel nucleo ingrossandone così il volume, mentre la sostanza nucleolare serve alla nutrizione del fuso. Però altrove (Karyok. Probl. p. 172) si dichiara d’accordo con Zacharias il quale dice che non si può nulla argomentare dalla scom- parsa del nucleolo, del destino della sostanza nucleolare e dei suoi rap- porti cogli elementi della placca o del fuso. Il Guignard ' che ha, rispetto alla funzione della sostanza nucleo- lare, opinione alquanto diversa da quella dello Strasburger, osservò nelle cellule madri delle spore dello /si/otum, durante la formazione della placca, dei corpicciuoli che si comportavano come nucleoli, dapprima sparsi poi raccoglientisi più tardi ai lati della placca. Ora se i nucleoli veri avessero dovuto fornire materia al fuso, non si comprende bene la presenza di questi corpicciuoli secondarî, e lo Strasburger ne trae argomento a ritenere che vi è forse una relazione fra la sostanza della placca e la sostanza nucleolare. Notiamo intanto che il Guignard con- sidera il fatto come una pura eccezione. Lo Zimmermann ? avrebbe portato in tale questione un argomento molto a favore della nessuma relazione fra sostanza nucleolare e so- stanza cromatica, pel fatto che coll’uso del verde di Jodio e Fucsina, è riuscito a dimostrare, durante la mitosi, dei nucleoli i quali si porte- rebbero anche fuori dell'orbita nucleare e quindi nel citoplasma circo- stante. Mentre non si comprende bene la ragione d’essere di tali nu- cleoli, che nemmeno avrebbero servito alla formazione e nutrizione del fuso, ciò costituisce un fatto che secondo Flemming? non ha valore assoluto, mentre la scomparsa dei nucleoli durante la mitosi è un fatto da lungo tempo acquisito alla scienza. D'altra parte le osservazioni dello Zimmermann sono state contraddette da Humphrey e Strasburger. * Onde cade anche l’architettata ipotesi dello stesso Zimmermann che il nucleolo sia un organo permanente di analoga significazione del nucleo per cui si possa ritenere omnis nuceleolus e nucleolo in senso analogo all’enunciato del Flemming: omnis nucleus e nucleo. ! Guienanp L., cit. da Strasburger, Op. cit. p. 194. ? Zimmermann A., Veber das Verhalten der Nukleolen wihrend der HaryeWineni Beitr. z. Morph. ; BAIRO der LPfanzenzellen. B. 2, p. BI. 3 FLEMMING W, In Merkel u. Bonnet®s Ergebnisse ete., B. IV, 1594, 313. ‘ Hvmpurry I. E. On Some Constituents of the Cell. in Ann. of Botany, IX, 1895, p. 162, 163. — Srrassurgcer E., Karyok. Probl., p. 154. : Ue Secondo altri autori non si tratterebbe già di nucleoli che per- mangono durante il processo di cariocinesi, ma di nuovi corpicciuoli che si formano dopo la scomparsa dei veri nucleoli, analogamente a quanto aveva osservato Guignard per lo Psi/otum. Ed in tal modo opina il Belajeff ! le cui osservazioni vennero in gran parte confermate dallo Strasburger il quale ritiene che i grani di citoplasma osservati da Belajeff esternamente al fuso, e che si colorano come i nucleoli, non sieno altro che sostanza nucleolare condensata. Osserva però lo Stras- burger che il fatto di nucleoli extranucleari è assai raro, cosicchè anche qui siamo di fronte a fenomeni che non assumono carattere di gene- ralità. Ma circa, poi, il momento della dissoluzione e scomparsa del nu- cleolo o dei nucleoli, durante le fasi mitotiche, non vi ha nulla di asso- luto. Alle volte il nucleolo scompare dopo la dissoluzione della membrana nucleare, altre volte durante la formazione del fuso, in alcuni oggetti (archespora del Psz/otum) esso comincia a diminuire, in volume, al tempo della placca equatoriale; lo Strasburger afferma soventi che i nucleoli scompaiono soltanto quando i cromosomi sono interamente formati; mentre d’altra parte Schewiakoff ? ha osservato la dissoluzione dei nu- cleoli, in nuclei in divisione di Euglypha alveolata, già nello stadio di gomitolo. Anche nel processo di formazione del fuso, spiegato da Be- lajeff, ® la scomparsa dei nucleoli avverrebbe quando il corpo centrale del nucleo per la pressione del reticolo citoplasmatico assumerebbe un’apparente tri-otetrapolarità, cioè prima della definitiva bipolarità del fuso e quindi prima della costituzione di qualsiasi placca. Anche Farmer, 4 che ha pure osservata questa pluripolarità primitiva, dice che quando la parete del nucleo si scioglie anche il nucleolo è scomparso ed allora il citoplasma, che penetra, induce la riunione nei filamenti dei cromosomi; quindi contrariamente all'ammissione dello Strasburger, i nucleoli sarebbero scomparsi prima della completa formazione dei cro- mosomi. Il Farmer,” nel suo studio sui nuclei delle Epatiche discute a lungo i rapporti fra nucleoli e cromosomi, ma si mostra molto incerto nei suoi enunciati. Dopo avere notato a pag. 471 e 472 che vanno di pari passo ! Betaserr, cit. da Strasburger Karyok. Probl. p. 155. ? ScHEwiaKorg, cit. da Strasburger Karyokin. Probl., p. 171. ® BeLaserr, cit. da Strashurger, Ibid., p. 163. 4 FarMER, cit. da Strasburger, Ibid., p. 168. ® Farmer J. B., On Spore-formation and Nuclear Division in the Hepaticae, in Ann. of Botany, IX 1895. — 206 — la dissoluzione dei nucleoli e la costituzione dei cromosomi, e che i nucleoli sono spesso “ connected with several of the chromosomes,. Dice “ This does not necessary imply that the chromatin passes, as such, into the nucleoli (alla fine della cariocinesi). Indeed all the more recent results obtained from microchemical examinations of the cell, so far as they afford any evidence at all, are against it. But it may very well be that some constituents of chromatin find their way ulti- mately into this body, since both chromatin and the nucleolus readily yield albumen on appropriate treatement ,. Ed a pag. 483. “ The close connexion of the linin with the nucleolus, and their relative alterations in staining capacity suggest that in theese cases the chromatin itself or some nearly allied substance may have been stored in the nucleolus and is now passing into the linin ,. E nelle sue conclusioni, dopo aver affermato che Zacharias ha chiaramente dimostrato che la chimica co- stituzione dei cromosomi non è affatto identica a quella del nucleoio, e dopo avere accennato che lo stesso Zacharias ha rilevato essere i nuclei maschili ricchi in nucleina, mentre i femminili lo sono in sostanza nucleolare, viene a questa un po’ oscura deduzione: “The in- ference ho be drawn from this observation seems to be that the nu- cleolus, though not in itself containing chromatin, is able to furnish at least one, and that probably the albuminous constituent of this sub- stance, and that when the chromatin diministes, as happens during the final stage of karyokinesis, it again decomposes, and then the albumi- nous matter contributes to the rehabilitation of the nucleolus. , Abbiamo poi le interessanti osservazioni di Miss. E. Sargant ! che mettono in rilievo la graduale diminuzione e soluzione del nucleolo nelle cellule sessuali del Lilium Martagon in relazione colla costituzione dei fili cromatici. Questa diligente osservatrice rileva che una parziale so- luzione del nucleolo si può osservare nei quattro nuclei del sacco em- brionale nella seconda cariocinesi, ed aggiunge che ciò è probabilmente un indizio di divisione. Miss. Sargant riferendo di preparati fornitile da T. E. S. Moore di nuclei in divisione con granuli o gocciole di natura nucleolare applicati ad ogni cromosoma nella placca, osserva che da ciò sarebbe certo da indurre che il nucleolo ha una parte nell’accrescimento ‘ dei cromosomi, Ed a tal proposito si dichiara molto disposta a ritenere che i cromosomi sono di nuovo disciolti ad ogni periodo di riposo, ed una parte della loro cromatina riappare in forma amorfa per la ridistri- buzione del nastro spiremico. ! Ssrcant E, Zhe formation of the sexual nuc'ei in Lilium Martagon. in Ann. of Botany. Vol X, 1897, p. 476. = ei Nella seconda parte del suo lavoro (Spermatogenesis) ! E. Sargant mette in evidenza ancora la graduale dissoluzione del nucleolo durante le diverse cariocinesi, ed è curioso il fatto che nei due modi di cario- cinesi, definiti per omotipica ed eterotipica, si ha un comportamento di- verso dei nucleoli. Nella prima, infatti, essi, unitamente alla membrana, scompaiono alla fase seconda, cioè di spirema, nella seconda invece scompaiono solo nella quarta fase quella cioè di fuso iniziale. A pag. 217 di questa seconda parte del lavoro Miss . Sargant così si esprime: “ his row (of chromatin granules) is divided longitu- dinaly, just before the contraction begins, and during that contraction the linin-ribbon which separates the two rows of granules in the spi- rem-nucleus is formed at the expense of the Malf-dissolved nucleolus. , Evidentemente le vedute di Miss Sargant sono in opposizione con quelle di E. Strasburger e di altri. Nemmeno un grande accordo sembra esservi a proposito della fisica costituzione del nucleolo o dei nucleoli. È vero che la più gran parte degli istologi non annettono nessuna struttura a questi corpi nucleari, caratteristici sopratutto per la loro forte rifrangenza. Lo Zimmermann ? dichiara in modo esplicito che essi appariscono completamente omogenei anche coll’uso dei più forti ingrandimenti, tanto nelle cellule vive che in quelle fissate e colorate. Aggiunge che soli inclusi dimostrati con sicurezza hanno a citarsi dei vacuoli la cui grande diffusione fu prin- cipalmente osservata da Rosen e da Schotlander. Lo Zimmermann in- clina a credere che tali vacuoli preesistano nei nucleoli, non escludendo però che possano essere dei prodotti artificiali. Lo stesso autore combatte le osservazioni di Mann, Macfarlane ed altri, riferentisi alla presenza di speciali corpi (Wndonueleoli, Nu- cleololi) nel nucleolo, come pure si mostra contrario alle idee esposte da Schmitz, Krasser, Biitschli sopra le strutture punteggiate, reticolate, fibrillari di certi nucleoli, adducendo di non avere egli potuto contral- larle, ovvero riferendole a di prodotti artificiali (Awnstproduete). Nel caso di un numero più o meno grande di nucleoli il Flemming * ha distinto nucleoli principali e nucleoli secondari. Ora sopra tale distinzione sono insorte molte contestazioni peroe- chè, bene spesso, i nucleoli secondari vengono considerati dei globuli di ! Sang\wr E, Formation of the sexual nuclei in Lilium Martagon. IT Sperma- togenesis, in Annals of Botany, Vol XI, p. 199 e seg. ? Zinmermana A., Die Morph. u. Physiol. der Phanzlichen ZeUkernes. Tera, 1895, pp. 39-42. * Fuemuing W., Zellsubstanz, Kern, u. Zellteilung. Leipzig 1882, p. 146. =" 4008: cromatina, e lo stesso Zimmermann ! ritiene verosimile che in molti casi abbiano a considerarsi come dei veri e propri globuli di cromatina. Ora se pensiamo che lo stesso Zimmermann dispone di un metodo, così squisito, per il differenziamento delle sostanze nucleolare e cromatica, sembra abbastanza incerta la suesposta distinzione. Se a ciò aggiungiamo i così detti Binnenkòrper di Rumbler,? i macrosomi e microsomi di Korschelt, ® senz’oltre entrare in altri critici particolari, emerge di per sè, come un certo grado di incertezza esista in simile materia. Nè gli ultimi lavori fatti quest'anno nel Laboratorio botanico di Bonn sotto la direzione dello Strasburger, ' aggiungono, in ordine alla questione dei nucleoli, alcunchè di nuovo alle idee manife- state precedentemente da questo eminente istologo, come dall'esposizione che segue potrà risultare. Ecco la ragione perchè credo non inutile pubblicare i risultati delle mie osservazioni, che potrebbero contribuire ad elucidare una questione abbastanza controversa e, se non altro, a togliere del valore assoluto a certe generalizzazioni. MerTODO. Molti miei preparati furono tratti da parti di piante fissate o con alcool assoluto, o con soluzione alcoolica di sublimato corrosivo, 0 con miscela di sublimato ed acido picrico. Un mezzo di colorazione mono- cromica impiegato spesso per questi è il violetto di genziana preparato secondo la formola di Ehrlich ed usato alla maniera del Bizzozero, 5 che permette di fare in brevissimo tempo preparazioni eleganti, con netta colorazione dei cromosomi e dei nucleoli. Le sezioni si mettono per 5-10 m' nel liquido Ehrlich, si asportano indi con spatoletta di platino portandole in alcool assoluto, ove debbono essere rapidamente lavate e passate in soluzione di acido cromico all'uno per mille; si rimuovono per 30-40 m° e si trasportano di bel nuovo in alcool as- soluto, e dopo 30-40 m'” si passano all'olio di garofano. Qui debbono sostare per cedere ancora, se vi è eccesso di colorazione, quindi pas- sate ancora in altro olio di garofano e dipoi al balsamo del Canadà. I Zimmermann A., Op. cit., p. 40. 2 Rumgter, cit. da Flemming in Merkel u. Bonnet’s Ergebnisse. 1V, 1894. p. 314. Korscne.r, cit. da Flemming, ibid. p. 316. Srraspurarr, Cytol. Studien aus d. Bonner Instit. 1597. ° Bizzozero G., in Zeitschr. fiir wissenschaft. Mikroskopie. Bd. III, Heft. I. — 209 Questo metodo di colorazione, rivela le ben che minime traccie di cromatina ed è utilissimo per i casi cariocinesi ed anche per seguire la dissoluzione dei nucleoli. Buone colorazioni monocromatiche ottenni, su materiale fissato coi liquidi succitati, con ematossilina Bihmer e Delafield, con saffranina, con carmallume, e con nigrosina pei nuclei dei funghi. Per colorazioni multiple mi servii di materiale fissato coll’alcool, col sublimato ed acido picrico, col liquido di Carnoy, quello di Rath, e di Merkel. Feci uso dei metodi di doppia colorazione di Guignard (fucsina e bleu di metilene) di Flemming (violetto di genziana, saffra- nina e orange), di Zacharias (metilverde e fucsina), di Biondi (metil- verde, eosina, orange), di Zimmermann (verde di jodio e fuesina). Quest'ultimo eccellente metodo ba il doppio vantaggio di procurare una buona doppia colorazione in brevissimo tempo. Non è indifferente l’uso di fucsina comune e fucsina acida; la cromatina diviene verdastra nell’un caso, bleuastra nell’altro; il citoplasma si colora in rosso, e più o meno i nucleoli. Se il liquido fissatore fosse molto acido (acido ace- tico in eccesso), allora il metodo Zimmermann serve meno bene al diffe- renziamento, onde da ciò forse la ragione delle discrepanze di risultati ottenuti da diversi investigatori. Con questo metodo del Zimmermann io ho controllato molti dei risultati ottenuti coi precedenti, come si rileverà dalla esposizione che segue tra poco. Ho osservato che si prestano per tale metodo di colo- razione egualmente bene i materiali fissati col liquido Merkel, che col- l’alcool assoluto; si hanno decise e quasi identiche colorazioni; mentre con altri liquidi fissatori, specialmente quelli con acido acetico in pro- porzione rilevante, si hanno risultati cattivi o nulli. Non vi è bisogno che aggiunga parola sulle manipolazioni di questo metodo, essendo ‘ormai, così largamente impiegato. Molte sezioni sono state da me fatte a mano, ed è già da molti rilevato il fatto, che per certi oggetti le sezioni a mano valgono assai più di quelle fatte al microtomo, specialmente per sacchi embrionali. Ho fatto però spesso uso del microtomo a slitta di Schanze e di quello Reichert, di recente modello, a manovella, con fune d’acciaio gi- rante. Con questi microtomi si riesce ad ottenere buone sezioni, dai 5 ai 10 «, anche da semplici inclusioni in sambuco, così per ovari di Lilium Martagon, L. candidum, Fritillaria imperialis, meristemi, ete. Ma quasi sempre ricorsi alle inclusioni in celloidina, la quale certo ha un potere di compenetrazione di molto inferiore a quello della parafina, ma in compenso non ha bisogno degli apparati speciali e della scrupolosa at- tenzione che richiede quest’ultima perchè il contenuto degli elementi AZ non abbia ad essere guastato. Io però mi servo della celloidina in guisa da ottenere, in tempo relativamente breve, delle buone inclusioni, ed ecco come opero. Preparate mediante tre soluzioni di celloidina (etere anidro ed al- cool a 100° in parti eguali) di diversa densità talchè la prima sia as- solutamente fluida e scorrevole, la terza sia di consistenza sciropposa, gli oggetti vanno messi in una boccetta a tappo smerigliato contenente la prima soluzione, e la boccetta si cala nel fondo di un essiccatore di vetro, a tappo smerigliato, ed intinto anche di vasellina. La celloidina è in tal modo riparata completamente dall’ aria e si conserva così di uniforme densità. Il tempo necessario per la imbibizione varia natural- mente da oggetto a oggetto, ma avendo certe cautele si può di gran lunga abbreviare l'operazione. I pezzetti debbono esser piccoli, tagliati in più versi e spogliati di parti aecessorie, inutili alla osservazione, così gli apici vegetativi vanno spogliati dalle perule od altri organi in- volucranti, antere ed ovari liberati dai pezzi perigonali. Per gli ovari, in special modo, io ricorro alla recisione della parte superiore o della stilare, così da mettere le loggie ovariche in comuni- cazione coll’esterno. In tal modo la celloidina penetra nelle cavità ed avvolge direttamente gli ovuli che potranno così in breve essere com- penetrati. Se ciò non avvenisse in modo assoluto, resterebbero sempre pei successivi passaggi, gli ovuli completamente circondati dalla cello1- dina e quindi facilmente sezionabili. Il secondo passaggio dei pezzi si fa rapidamente con una pinza od un ago, e il vasetto può essere messo senza tappo nell’essiccatore, del quale si intinge, o no, l'orlo di vasellina. In tal caso qualche lievis- simo ricambio di aria può avvenire ma non da determinare il consoli- damento della celloidina. Il terzo passaggio, che è il decisivo, si fa in vasetto cilindrico, alla base del quale si adattano i pezzetti a tale di- stanza che permetta, dopo il consolidamento della celloidina, di fare dei quadretti abbastanza grandi da essere presi dalla morsetta del mierotomo. Vi si versa sopra la soluzione sciropposa, avendo cura di rimettere in posto, con un ago, quei pezzi che si fossero spostati e di dar loro l’o- rientazione voluta. Ciò fatto. si cala nell’ essiccatore il vasetto, che si lascia scoperto, e di più si fa sollevare di qualche millimetro il coper- chio dell’essiccatore mediante una listerella di carta compiegata. L’aria penetra a poco a poco e determina un graduale essiccamento della cel- loidina. Bisogna però stare attenti, di non lasciarla troppo consolidare, e la massa deve cedere sotto la pressione del dito. Allora, dopo aver fatto penetrare un bisturi fra il vetro e la celloidina tutto all’ ingiro, si rovescia il vasetto e con colpetti delle dita assestati alla parte esterna ie — della base si riesce a staccare tutto un disco di celloidina coi pezzi inclusivi; e per la trasparenza stessa della celloidina si può praticare la divisione di questa in tanti prismi di un centimetro quadrato di base, ognuno dei quali contiene il pezzo da sottoporsi alle sezioni mi- crotomiche. Ma prima di fare questo bisogna, come è noto, immergere i prismi in alcool a 85°, il quale impartisce ad essi una relativa consistenza. Le sezioni si fanno agevolmente quando si abbia cura di tenere bagnati i pezzi chiusi dalla morsetta con alcool a 85°, ed anche la lama del rasoio. Ogni sezione viene asportata dalla lama con un pennello e portata in alcool a 85°. Secondo il metodo di colorazione le sezioni si passano od in alcool assoluto, ovvero in alcool a 70°, 50°, 25°, ed in acqua distillata. Se occorre, possono disporsi in serie sopra il coprioggetto con glicero-albumina. Dopo colorate e convenientemente lavate e passate agli alcooli, esse non possono essere passate all'olio di garofano, perchè questo scioglie la celloidina e sposta le parti inclusevi, ma si fa uso deil’ olio di ori- gano, nel quale la celloidina non si scioglie, ovvero della miscela alcool xilolo, poi in xilolo puro, in fine si montano in balsamo. Quasi tutte le preparazioni che mi hanno servito per questo lavoro sono montate in balsamo; solo alcune, colorate col metilverde, le con- servai in glicerina. Le mie ricerche furono, per la massima parte, fatte al Laborato- rio di Botanica di Pavia, diretto dal Ch.®° professor Briosi. Nello scorso inverno le continuai all’ Orto Botanico di Bologna, diretto, allora, dal Ch.mo professore O. Mattirolo; e furono proseguite a Vallombrosa. Ri- volgo perciò ai due professori le mie piu vive grazie, come anche rin- ringrazio i Ch.mi professori R. Pirotta dell’Università di Roma, G. Gibelli dell’ Università di Torino, E. Baroni del)’ Istituto Superiore di Firenze, che cortesemente mi trasmisero libri per ricerche bibliografiche. NUCLEI IN RIPOSO. La espressione “ nuclei in riposo ,, (rulende Zellkerne) che viene così comunemente impiegata per designare nuclei che non sono in via di divisione, implica stati realmente ben diversi di questi organi ele- mentari, onde essa non è sempre esatta e meriterebbe di essere sosti- tuita da più di una frase per ogni modalità di nuclei, così detti, in riposo. Non vi ha dubbio che altro è il significato del nucleo, ad esem- pio, in riposo di una cellula meristematica, il cui stato è precario, ef- En fimero, ed è chiamato da un momento all’altro a compiere il fenomeno di moltiplicazione; altro è il significato del nucleo appartenente ad elemento non più suscettibile di moltiplicazione, ma capace pertanto di accrescersi in superficie od in ispessore; diverso è il significato di nuclei di cellule serbatoi di sostanza nutrizia, da quello di nuclei dî tessuti definitivamente formati e che s’incamminano verso la morte. D'altra parte anche in nuclei di cellule di massima vitalità, quali le cellule madri del polline, o del sacco embrionale, in cui hanno luogo tre o quattro divisioni indirette in modo quasi vertiginoso, si hanno delle soste nell’esuberante attività nucleare, di una durata assai varia- bile e, durante le quali, il nucleo dallo stato di energia cariocinetica si ricompone allo stato di riposo. Onde se per alcuni di questi nuclei allo stato di quiete si addice l’ espressione di nuclei In riposo, a molti altri converrebbe meglio l’altra di nuclei A riposo, la quale ultima espres- sione designerebbe bene quei nuclei, i quali per legge di natura per- corrono la china discendente della parabola, in via di continua dege- nerazione. È naturale, per ciò, che a tali stadi o periodi funzionali, in ordine anche alla destinazione degli elementi di cui i nuclei fanno parte, debbano corrispondere peculiari strutture e piani diversi di organiz- zazione. Se noi prendiamo in esame i nuclei di elementi speciali destinati ad uno straordinario accrescimento o ad assumere forme peculiari in relazione con determinata funzione, vediamo che tali elementi sono fino dal loro esordire distintamente caratterizzati da nuclei che risaltano all'occhio, non fosse altro che per la loro mole rispetto a quella dei nuclei circostanti. Io ho già avuto occasione di richiamare l’attenzione su questo fatto a proposito di uno studio sullo sviluppo degli idioblasti delle Camelliee, !* dimostrando come questi giganteschi elementi mec- canici traggano origine da cellule meristematiche di organi diversi, le quali, appena o punto, si distinguono da principio dalle circostanti, solo che in esse si contiene un nucleo vistoso fortemente colorabile coi reattivi in uso nella tecnica microscopica. Le mie osservazioni vennero benevolmente interpretate dal Zacharias © e dal Molliard, * il primo ! Cavara F., Contributo alla Morfologia ed allo sviluppo deyli idioblasti delle Camellice, in Atti Ist. Bot. di Pavia, Ser. II, Vol. IV, 1895. ? Zaczarias E, Ueber das Verhalten des Zellkerus in Wachsenden Zellen in Flora 81 Bol. Heft. 2. 1893, p. 226. ® Moruarp M., Hypertrophie pathologique des cellules végitales, in Rev. genér. de botanique dirigée par G. Bounier. T. IX, 1897, p. 11 dell’estratto. — a che citò i miei risultati a conforto della tesi da lui validamente soste- nuta che esista un diretto rapporto fra il nucleo e la cellula in via di accrescimento; il secondo il quale rilevò l'analogia che corre fra i nu- clei di elementi ipertrofici, in casi patologici, e quelli di cellule che subiscono normalmente un accrescimento considerevole; ed a lato delle cellule terminali dei peli glandulosi del Geranium dissectum e delle cel- lule dello strato nutritizio dei sacchi pollinici, il Molliard citava i nu- clei degli idioblasti da me studiati. Esiste, come dimostrò il Zacharias, un rapporto fra il volume del nucleo, fra la quantità di sostanza plastica, in esso contenuta, e l’ac- crescimento delle cellule; ha luogo, come concluse il Molliard, un ac- crescimento di attività nel citoplasma e nel nucleo, in tutte le cellule che presentano per cause normali od anormali una speciale attività. Il Zacharias, nella citata pubblicazione ed in altre precedenti, mette in rilievo la grandezza dei nuclei ed il volume considerevole dei nucleoli degli articoli giovani dei vasi di Zea Mays, dei tubi cribrosi di Cucurbita Pepo, di Urtica dioica, ete. e della graduale degenerazione di tali nuclei durante il periodo di accrescimento di detti elementi. Le figure 10, 16, 17, 18, 20, 21 della sua memoria, rappresentano gradi diversi di tale degenerazione ed i nucleoli grossissimi hanno più o meno numerose vacuole. Avendo fatto anch'io parecchi preparati sopra germogli di Cucur- bita maxima, ho riscontrato in modo evidente tali grossi nuclei, tanto degli elementi vasali che dei tubi cribrosi. La loro forma non è sem- pre regolare, ma spesso presenta o dei processi di distendimento nel senso del maggior asse, o delle angolosità. Hanno d’ordinario un nu- cleolo cospicuo, pur esso di forma irregolare e, cosa strana, talora orientato in un piano diverso da quello del nucleo (fig. 12, 13, tav. VIII). Talvolta frammenti minori di nucleolo si trovano a lato di questo, ed un certo numero di globuletti sparsi nelle maglie del reticolo, il quale ultimo è ineoloro e quasi esclusivamente costituito di linina. I globuletti minori potrebbero essere considerati dei granuli di cromatina, si colorano però in egual modo del nucleolo col violetto di genziana, metodo di Bizzozero (vedi pag. 208) ed in bleu con verde di jodio e fucsina. Debbo fare subito notare che la colorazione bluastra ottenuta con quest’ultimo reattivo (metodo di Zimmermann) non è intensa e la ragione è data dalla osservazione dei nucleoli stessi, i quali negli elementi giovani vasali delle Cucurdita e di altre piante, come vedremo, non si presentano omogenei ma distintamente alveolati. Se dovessimo adottare il linguaggio fin qui in uso, tali nucleoli si direbbero forniti di vacuole; ma io ritengo che sia inesatto il parlare qui di vacuole — 214 — porchè se fossero tali le discontinuità che si osservano in questi nu- eleoli, esse dovrebbero occupare la parte centrale. Ora sembrano piut- tosto superficiali e dovute a soluzioni di continuo nella parte colorata la quale forma come un rivestimento alla sostanza nucleolare. Una prova di ciò si ha nelle figure 13 e 14 della tavola VIII che danno a vedere due nucleoli sezionati dal rasoio, l’uno (fig. 13), che mostra una parte centrale a contorno circolare non coloratasi, ed una parte colorata addossata alla prima in modo irregolare, sì che la sezione fa vedere porzioni angolose in quattro punti distinti di sostanza colorata. La fig. 14, ove il taglio è obliquo, mostra bensì una parte interna incolora, ma, per la forma stessa, del nucleolo, essa ha limiti irregolari. Negli altri nuclei di Cucurbdita (fig. 12 a 15) i nucleoli, integri, mostrano semplici alveoli dovuti sempre ad ineguale distribuzione della materia colorata. Ora siccome, tanto con sostanze monocromiche, quanto colla miscela Zimmermann, si ottiene colorazione identica per i globuli che si trovano sparsi nel reticolo e per questa parte di rivestimento del nucleolo, parmi si sia autorizzati a ritenere che in questi nuclei in riposo, gran parte della cromatina, che si trovava nei filamenti, si è disciolta an- dandosi a concentrare attorno il nucleolo. Fatto questo che io avevo già notato, a proposito di certe ipertrofie nucleari osservate nelle cel- lule del parenchima corticale delle radici di WVariZ/a planifolia attaccate dal micelio di un fungo parassita, ! ipertrofie conformi a quelle di poi studiate dal Molliard, # per altre piante. D'altra parte, per nuclei di così grandi dimensioni, sarebbe certa- mente non spiegabile la povertà di sostanza cromatica che si rivela, pur coll’aiuto di eccellenti reattivi coloranti, nei nuclei stessi. Negli articoli giovani dei tubi cribrosi della Cucurbita (C. maxima, C. Pepo, etc.) i nuclei sono assai sformati, allungati nel senso dell’ar- ticolo ed adagiati spesso sulla parete di questo (fig. 15, tav. VIII); il nu- eleolo è, pur qui, di notevole volume, ed in alcuni casi si osserva come in via di strozzarsi trasversalmente; cosa puramente accidentale e per la quale non c'è da pensare menomamente a diretta divisione, perchè questi nuclei come quelli degli elementi vasali sono in via di degene- razione e la loro materia plastica va a contributo dell’ incremento del tubo cribroso. Non è solo nella Zex Mays, nelle Cucurdita e nelle Camelliee che è dato riscontrare tali grandi nuclei, ma in molte altre piante e citerò ! Cavara F., Ipertrofie cd anomalie nucleari in seguito a parassitismo vegetale. Pavia, 1836, ed in Rivista di Patolog. veget., Anno V, N. 5-8, 1896. 2 MorLiaro M., Op. cit., p. 10. — 2lb — fra le altre le Orchidee epifite, nelle cui radici aeree si osservano ana- loghi fatti. Facendo delle sezioni longitudinali nell’apice delle radici aeree di Aerides odoratum, e convenientemente colorate, spiccano subito per grandezza e per intensità di colorazione i nuclei degli elementi vasali in via di formazione. Tali nuclei sono ancor più grandi (Fig. 1-6, Tav. VIII) che nelle Cucurdita, di forma affatto irregolare, con reticolo sprovvisto del tutto di globuli cromatici, dei quali alcuni pochi trovansi sparsi qua e là nelle maglie. Il nucleolo che è circondato da un’area priva di filamenti (of dei Tedeschi) è vistoso, di forma variabile e con alveoli che non hanno costanza di forma nè di numero, talora uno (Fig. 1), ta- lora molti (Fig. 2-3), tal’altra con disposizione tale da fare apparire il nucleolo in via di segmentazione, quasi in forma di diaster (Fis. 5), od a volte con una specie di reticolo (Fig. 6). Anche per questi nucleoli c'è da stabilire il fatto del rivestimento di cromatina, come lo compro- vano non solo le strutture alveolate succitate, ma alcuni di essi che, sezionati, lasciano vedere (Fig. 4) la parte centrale costituita di so- stanza prettamente nucleolare incolora o debolmente colorata. Così anche l’apice radicale della Vanilla planifolia dà a vedere nuclei giganti nei giovani elementi vasali, poverissimi di cromatina nei filamenti, con nucleoli alveolati (Fig. 7, 8, 10, 11, Tav. VIII), che si colorano intensamente, ed in alcuni con distribuzione reticolata della cromatina di rivestimento (Fig. 9). In tutti questi casi, nei quali si tratta di cellule non più suscetti- bili di moltiplicazione o di divisione, ma dotate di una speciale atti- vità di accrescimento e destinate a trasformarsi od in vasi a membrana variamente ispessita, od in tubi cribrosi a forte deposito di callosa nelle placche, riscontriamo adunque nuclei allo stato di riposo, di rile- vanti dimensioni, con nucleoli vistosissimi, nei quali alla forte quan- tità di sostanza nucleolare o plastina di Zacharias, si associa un rivesti- mento di cromatina o di una modificazione di questa. Non è a credere però che la specializzazione di elementi implichi sempre l’anzidetta struttura nucleare. Contro le facili generalizzazioni che si possono fare, sonvi delle notevoli eccezioni che stanno a dimo- strare come in natura i medesimi effetti sieno ottenuti con mezzi di- versi. Difatti nel costituirsi degli elementi vascolari dei fasci, che in- nervano le pareti ovariche e gli stessi ovuli (vasi spirali e tracheidi) di molte Gigliacee, si riscontra una palese eccezione a quanto sopra si è visto. I nuclei di tali giovani elementi non presentano dimensioni gigantesche, come si può osservare nei Tulipani (Tulipa Gesneriana) ed altre Gigliacee, ma tuttavia è notevole un forte sviluppo di essi nel Atti dell’ Ist, Bot. dell'Università di Pavia — Nuova Serie — Vol, V. 16 ilo senso della lunghezza dell’elemento istologico, ed assumono una forma ci- lindracea, vermiforme, talora un po’ clavata (Fig. 33. 34, Tav. VIII). Hanno una distinta membrana ed un reticolo denso, a filamenti relativamente grossi e ricchi in cromatina, in parte sciolta entro i filamenti, in parte sotto forma di granulazioni visibili. Qui non abbiamo un nucleolo vistoso, anzi o manca assolutamente, o è rappresentato solo da minuti corpic- ciuoli sparsi qua e là fra mezzo i filamenti cromatici. Non vi ha dubbio che mentre si tratta di una struttura nucleare, al tutto diversa da quella riscontrata nelle Cucurdita e nelle radici di Orchidee, lo stesso scopo, la stessa finalità fisiologica è raggiunta egualmente, poichè in questo caso la materia plastica, formativa, necessaria per gli ispessimenti spi- rali di quegli elementi, è fornita non più dalla sostanza del nucleolo, ma dalla nucleina e dalla linina dell’abbondante reticolo che costituisce la impalcatura nucleare. Nelle fibre librose della Cannabis sativa, dell’ Urtica dicica, ecc. ove pure si richiede, per la funzione meccanica di tali elementi, notevole contributo di sostanza formativa, si hanno altre disposizioni, altre strutture nucleari. Anzitutto la grandezza dei nuclei è qui compen- sata dal numero di questi organi cellulari, numero variabile, ma rag- guardevole sempre; quanto alla forma e struttura loro, non hanno nulla a comune con quelli dianzi esaminati. È noto come in queste fibre, i numerosi nuclei abbiano forma fusata, con uno o più grossi nucleoli, e riduzione grandissima in linina e cromatina. Trattando con miscela di verde di jodio e fucsina delle sezioni longitudinali del 3° o 4° inter- nodio dall’apice di giovane fusto di Cannabis sativa, si mettono bene in evidenza le fibre polinucleate, i cui nuclei fusiformi presentano i nu- cleoli colorati in rosso. Nel processo di diretta divisione tali nucleoli hanno parte attivissima, e sostituiscono per così dire i cromosomi dei nuclei a divisione indiretta. Una struttura pure particolare osservai nei nuclei dei vasi laticiferi di Ficus carica. Sezionando dei giovanissimi germogli di questa pianta e colorando le sezioni con violetto di genziana riuscii a mettere bene in evidenza i nuclei dei vasi laticiferi. Essi sono assai minuti e di molto semplice organizzazione, sparsi in numero grande nel contenuto denso dei vasi, qua in modo fitto, là radi, e consistono (Fig. 28, 29, Tav. VIII) di globuletti di natura verosimilmente cromatinica circondati da una distinta membranella, senza che si possa scorgere traccia alcuna di filamenti e di corpuscoli cromatici all’ingiro. Il fatto della grande ca- pacità a colorarsi, unito al modo di divisione, che si effettua per via diretta, come alcuni dei nuclei disegnati dànno a vedere, nei quali il globulo centrale si allunga e poi si strozza a metà, fa ritenere che tali = MR globuli, formanti il costituente essenziale del nucleo, sieno di nucleina. Si avrebbero perciò immedesimate in tali formazioni il nucleolo e la sostanza cromatica o la sostituzione di questa a quello. Fatto questo non diverso da quanto si verifica nei funghi i cui ridottissimi nuclei hanno molta analogia con quelli testè descritti dei vasi laticiferi del Ficus Carica. Io ho fatto numerosi preparati da materiale ben conser- vato e fissato in alcool assoluto di corpi fruttiferi di T'erfezia Leonis, ed ho riscontrato che nella cellula ascogenica della Terfezia i due nu- clei, cui dal Dangeard! si dà significato di organi sessuali, sono pure formati di un globuletto centrale assai rifrangente e che debolmente si colora coi reattivi in uso, ma meglio con nigrosina; tale globuletto che non si può stabilire se sia di plastina, ovvero di cromatina, od un mi- scuglio delle due sostanze, è circondato qui pure da una membranella abbastanza rimarchevole, ma non si riesce a distinguere alcuna strut- tura fra tale membranella ed il globulo centrale. Visibilissimi pure sono nuclei con tale struttura nei giovani gambi di Coprinus atramentarius e ‘ di Lepiota denudata. In alcuni di questi sono riescito anche ad osser- vare degli inclusi, che attesa la esiguità degli organi in questione non è facile decidere se sieno vacuole o nucleoli. In tutte queste varie strutture nucleari, siamo lungi dal riscontrare un medesimo piano di organizzazione, non solo, ma è evidente la so- stituzione funzionale delle sostanze nucleolare e eromatica, sia nel caso che il nucleo fornisca sostanza formativa all’elemento istologico di cui fa parte (Tulipa, Cannabis) sia che debba presiedere a fenomeni di moltiplicazione ( Ficus, T'erfezia, Coprinus). L’affinità e mutualità che legano le dette due sostanze, indipenden- temente dai fenomeni che emergono durante le fasi cariocinetiche, si possono anche mettere in evidenza da una serie di altri particolari casi di nuclei in riposo. Se ci facciamo ad osservare sacchi embrionali di Gigliacee ed Ama- rillidacee, colle loro effimere o definitive formazioni endospermatiche, noi troviamo le più interessanti particolarità in ordine al punto di vi- sta dal quale qui esaminiamo la struttura del nucleo in riposo. L’endosperma del Ga/anthus nivalis, lo strato di rivestimento ( Em- bryosackwandbeleg) della Fritillaria imperialis, del Lilium Martagon of- frono spiccati esempi di nuclei in riposo, principalmente caratterizzati dalla grande quantità di sostanza nucleolare, che si trova in essi distri- buita, in numero grande o ristretto di corpuscoli. 1 Daxcearp P. A., La reproduction seruelle de la Truffe. Le Botaniste. Sér. IV, p. 73. i — i Nel Galanthus nivalis si ha in un certo stadio un endosperma in cui i limiti divisionali delle cellule sono di già contrassegnati da una ini- ziale membrana, ed i nuclei di mediocre grandezza e di forma abba- stanza regolare emergono, come già fece rilevare lo Strasburger ! sopratutto per l'enorme nucleolo che contengono, il cui volume si può stimare quasi un terzo del volume del nucleo (Fig. 21-23, Tav. VIII); in alcuni si osservano due grossi nucleoli di grandezza diseguale. At- torno a questi nucleoli si ha un alone, cui fanno capo all ingiro le ri- torte di un reticolo assolutamente povero di cromatina, la quale è rap- presentata da alcuni pochi granuli sparsi tra i filamenti. Col violetto di genziana (metodo citato) si colorano egualmente bene e globuli cro- matici e nucleoli; questi ultimi però lasciano vedere qua e là degli alveoli, identicamente a quanto vedemmo pei nuclei di Cucurdita, Aerides, Vanilla. La ragione di tanto accumulo di sostanza nucleolare, in questo caso di nessun straordinario aumento cellulare, è poco spiegabile, se non si ammette una concentrazione della cromatina sulla sostanza nu- cleolare. Fatti analoghi si osservano nello strato di rivestimento del sacco embrionale della Fri&l/aria imperialis e del Lilium Martagon, dove i nuclei, in luogo di uno o due grossi nueleoli, ne presentano un numero grande, dei quali una parte sono di mediocre grandezza (Fig. 18, Ta- vola IX) un’altra parte sono piccoli assai, tanto da essere paragonabili ai globuli di cromatina. Le reazioni colorate, del resto, non riescono a risolvere bene la questione, poichè, ad esempio col violetto di genziana si colorano con pari intensità tutti i globuli; col verde di jodio e fuce- sina (metodo Zimmermann) tanto gli uni che gli altri si colorano in bleu, i più grossi un po’ meno intensamente. Or dunque, se con que- sv ultimo eccellente metodo non si riesce ad ottenere un deciso diffe- renziamento, parmi che si possa inclinare a considerare questi globuli ‘costituiti almeno in parte di cromatina. Verosimilmente si tratta anche qui, per i grossi nucleoli, di un rivestimento di sostanza cromatica. Assai interessanti particolari si possono pure osservare nell’endo- sperma del Narcissus poeticus, N. odorus, ecc. ove dagli strati più perife- rici a quelli interni si hanno sott'occhio i più svariati casi di nuclei attivi ed in riposo. Negli strati interni, per la tumultuosa moltiplica- zione cellulare, da un lato, e la diminuzione di spazio dall’altro, i nuclei subiscono degli stiramenti in senso radiale per cui tanto in istato di ca- riocinesi, quanto in quello di riposo presentano delle figure fuor di modo ! Srrassoncen E., Uedber Kern-und Zelltheiluns. Jena, 1888, p. 139. tal allungate ed abnormi (Fig. 9, 11, 12, 13, 14, Tav. IX), che si prestano assai allo studio delle diverse parti costitutive. Alcuni hanno forma quasi rettangolare, altri ovato-acuminata, altri irregolarmente fusata. In questi nuclei i filamenti, seguendo la distensione dell’intero nucleo, hanno perduta la disposizione reticolata; si trovano disposti per il lungo ed in modo sparso, ed è perciò facile scorgere il loro minimo tenore in cromatina. Scarsi globuletti di questa sostanza si trovano qua e là impigliati nei filamenti di linina il cui doppio contorno è visibi- lissimo. I nucleoli sono invece molto grandi ed appariscenti, si colorano intensamente col violetto di genziana e mostrano, come nei casi già esaminati una struttura spugnosa od alveolata. Nelle maglie della impalcatura nucleare (Kerngerist dei Tedeschi) non si hanno granulazioni e il plasma nucleare stesso vi è scarsissimo, onde anche in questi casi viene spontanea la domanda, ove siasi cac- ciata la cromatina. La Fig. 14, Tav. IX, dà adito ad una considerazione. E un nucleo, di questi lungamente stirati dell’endosperma di Narcissus poeticus, che fa vedere un sensibile restringimento verso la metà e contiene due grossi nucleoli in ogni parte allargata. Potrebbe questo caso, essere citato come esempio di una tendenza alla transizione fra divisione diretta e indiretta? Francamente ritengo di no, poichè la condizione di anormale sviluppo in questi nuclei degli strati più profondi dell’endosperma dei Narcissus e di altre piante rende possibili forme assai aberranti dei nuclei stessi, senza che pertanto si possa stabilire alcuna legge, alcuna costanza nel fenomeno. Onde io credo del tutto infondato il riferimento che dallo Zimmermann si fa ad un tipo di transizione fra diretta ed indi- retta divisione del caso osservato nella Vicia Fuba dal Buscalioni e riprodotto nel suo recente libro. ! Tali nuclei che così frequentemente si osservano negli endosperma in dissoluzione debbono essere ascritti ad anomalie di sviluppo facilmente spiegabili, rilevate, del resto, anche dal Dixon. ? Un esempio di queste anomalie, o come meglio si ponno chiamare, degenerazioni nucleari, lo si può avere esaminando la Fig. 36, Tav. VIII che ci rappresenta dei nuclei in isfacelo dell’endosperma di Polyanthes tuberosa nei quali è scomparsa quasi interamente la mem- brana, è avvenuto uno stiramento del corpo nucleolare che assume pro- cessi diffusi e sfumati alle estremità, si è disciolto il reticolo di linina 1 Ziuvermana A., Die Morphol. u. Physiol. des pflanz. Zelllernes. Jena, 1896, P. 77. ? Dixox H. H., Abnormal nuclei in the endosperm of “ Fritillaria imperialis ,,; in Ann. of Botan. Vol, IX. 1895, p. 665. OA nel succo nucleare, nel quale stanno immersi più nucleoli. Ora è qui pure interessante il fatto della completa scomparsa della sostanza cro- matica dalla impalcatura (se pure si può ancora parlare qui di impal- catura), mentre essa si rivela nei nucleoli, attorno ai quali forma un rivestimento, od un alone, che col verde di jodio e fucsina si colora in bleu, mentre tutta la restante massa granulare del nucleo si colora in rosso, e la parte centrale dei nucleoli resta incolora o debolmente co- lorata in roseo. La formazione di un alone di cromatina attorno ai nucleoli si 0s- serva anche in altri casi affatto normali. Così nell’Orrithogalum Ecklonii che trovai coltivato nelle serre dell'Orto botanico di Pavia, si hanno, nell’endosperma, cellule e nuclei assai piccoli, ma non meno per questo istruttivi. Essi presentano forma abbastanza regolare, con un reticolo povero assai di cromatina, ed a maglie larghe che avvolgono i nucleoli, i quali sono in numero da 1 a 3, di forma globulare, e presentanti un di- stinto rivestimento di sostanza colorabile, ben che di tenue spessore (Fig. 24-27, Tav. VIII), attorno ad una parte centrale incolora. Vi è da escludere affatto, che si debba ciò ad un effetto ottico nell’osservazione, come spesso si vogliono interpretare fatti di simil genere. Tali nuclei erano stati fissati al sublimato e acido picrico e presentavano il fatto sopraccennato con straordinaria costanza. Interessanti strutture poi si osservano nei nuclei secondari del sacco embrionale di varie piante. Un fatto di rilievo è anzitutto la gran- dezza del nucleolo che contraddistingue il nucleo secondario od i due nuclei separantisi dalle due tetradi per convergere insieme a costituire il nucleo secondario. I sacchi embrionali di Lilium sp. var., Hritillaria imperialis, Ornithogalum umbellatum, Veratrum album, Crocus sativus, Cri- num giganteum, Zea Mays, ecc. offrono materiali eccellenti per lo studio del sacco embrionale. La Fig. 35, Tav. VIII, riproduce la porzione cala- ziale del sacco embrionale di Crinum giganteum, e cioè due grosse an- tipodi (la terza non si è potuta rappresentare perchè copriva, in parte, le due qui figurate) e i due nuclei che debbono dare, fondendosi insieme, il nucleo secondario. Le due antipodi sono evidentemente, coi loro grossissimi nuclei, nello stadio di anafasi: tutta la cromatina sta ancora nel reticolo di linina. I due nuclei pre-secondari hanno un nucleolo vistosissimo, inten- samente colorato dal violetto di genziana che aveva parimenti colorato, lo spirema delle antipodi. Ma tutt’attorno ai suddetti nucleoli dei nu- clei secondari sta un ‘fine reticolo di linina, assolutamente privo di cromatina, ed il succo nucleare è affatto jalino. Anche in questi nuclei in istato di riposo si ha perciò completa assenza di cromatina nell’im- palcatura. Il sacco embrionale del Crocus vernus è pure assai interessante, L'apparato calaziale o antipodico è sviluppatissimo qui, come nel Crinwum giganteum, anzi, non so spiegarmi la ragione di tale forte sviluppo, trattandosi di organi destinati ad una degenerazione. Le antipodi del Crocus sono vistose per la grandezza loro, per la densità dell’ impal- catura e la mole del nucleolo, il quale si presenta di forma irregolare e scavato da molti alveoli. Più che un distinto reticolo nell’impalcatura vi ha una sostanza densamente granulare e che assume una colorazione come diffusa; la cromatina o vi è povera od in uno stato di dissolu- zione. Il nucleo secondario che generalmante è situato in prossimità delle antipodi, ha forma per lo più allungata o falcata‘(Fig. 32, Tav. VIII) ed emerge sopratutto per un grosso nucleolo nel quale, come in quelli dell’Ornithogalum Ecklonii, sopradescritti, si osserva un alone vistoso di sostanza colorabile tutt’attorno ad una parte incolora. Perciò anche in questi nucleoli si ha la sovrapposizione di due sostanze diverse, e si noti che, anche qui, il reticolo è quasi completamente sfornito di cro- matina. Di maggiore interesse ancora sono le osservazioni fatte sul nucleo secondario del sacco embrionale dell’Ornithogalum umbellatum. Tale nu- cleo trovasi d’ordinario quasi a contatto dell'apparato micropilare od ovarico, anzi sovente a contatto dell’oosfera medesima; però alcune volte lo osservai distanziato ed anche vicino alle antipodi. Esso spicca sopratutto per le notevoli dimensioni del nucleolo, il quale è circondato da un’area (Hof) senza struttura, limitata dal reticolo di linina, il quale anche qui, è eccessivamente povero di cromatina. Stante la grossezza stessa del nucleolo, questo può presentarsi, in una sezione, intero ovvero sezionato. Nel primo caso esso dà a vedere una reale e particolare struttura; nel secondo caso si possono rile- vare i dettagli di detta struttura. Se il nucleolo si presenta integro, cioè non tagliato dalla lama del rasoio, esso appare distintamente di struttura alveolato-reticolata (Fig. 16, 19 e 20, Tav. VIII). Le maglie del reticolo possono essere abbastanza uniformi (Fig. 16,°20) e poligonali, ovvero assai disformi, con tendenza alla disposizione raggiata (Fig. 19). I lati delle maglie, abbastanza grossi appariscono più intensamente co- lorati, mentre lo spazio che sta fra i lati è debolmente colorato. Non si tratta qui di vacuole, certamente, anzitutto per la natura stessa di queste strutture, e poi da quanto si può rilevare dagli esem- plari che presentano nucleoli sezionati. Infatti, questi ultimi danno a vedere (Fig. 17 e 20, Tav. VIII) in modo ‘irrefutabile, che la massa del nucleolo, per sè stessa omogenea ed inco- lora, è rivestita di altra sostanza colorabile, formante come un alone, pp non continuo, ma interrotto qua e là, e come scavato da piccoli vani, il che dà ragione dell’aspetto alveolato o spugnoso della superficie dei nucleoli. Il materiale che servì alle preparazioni molteplici di ovari di Or- nithogalum umbellatum era in parte fissato coll’alcool-assoluto, in parte colla miscela di sublimato corrosivo e di acido picrico. Parecchie se- zioni colorate col violetto di genziana (metodo Bizzozzero sopracitato), facevano vedere, nei nucleoli sezionati, soltanto l'alone o le porzioni visibili di questo colorate in violetto, mentre tutta la massa nucleolare interna restava incolora o quasi. Volli controllare questi risultati col verde di jodio e fucsina (me- todo del Zimmermann) ed ottenni parimenti colorata la parte alveolare- reticolata in bleu, ed in rossastro la parte interna. Aggiungasi che qui pure, il reticolo di linina era sprovvisto in tali nuclei di cromatina. Onde non deve sfuggire ad alcuno la importanza che si deve annettere a questa particolare struttura dei nucleoli in discorso, rivelandosi qui, meglio ancora che nei sopracitati esempi, il fatto della condensazione della cromatica attorno al nucleolo. Struttura nucleolare del tutto analoga a quella testè descritta pei nuclei dell’Ornithogalum umbellatum è stata riscontrata dallo Swingle! pei nucleoli delle Sphacelariacee, senza, per altro, che questo autore ne dia alcuna ragione. Egli disegna nelle Fig. 11, Tav. XV e Fig. 13 e 14, Tav. XVI della sua memoria, nucleoli a strut- tura alveolata con alone più scuro periferico nel quale ci sono dei pic- coli vani ed internamente una massa omogenea, ma lo Swingle dà per questi nucleoli la solita interpretazione: ! “ Zur Beginn dieser Verzinde- rungen in dem Chromatingeriist ist das Kernkòrperchen beinzihe homogen, wird aber allmihlich mehr und mehr vacuolisirt und scheint an volumen zuzunehmen. ,,î Resta a domandare, allora, per quale ragione egli abbia disegnato più scuro l'alone che circuisce il nucleolo, e che corrisponde a quello da me disegnato pei nucleoli di Orzithogalum umbellatum (Fig. 17, 18, Tav. VIII), se non si tratta di una differenziazione esterna del nucleolo. NUCLEI IN DIVISIONE. Come per i nuclei in riposo si hanno a rilevare diverse modalità, secondo la loro sede, la loro destinazione od il momento di evoluzione della cellula, così pure i nuclei in via di divisione presentano differenze 1 Swincre W. T., Zur Kenntniss der Kern- u. Zelltheilung bei Sphacelariaceen, in Phringhseim?s Jahrbiicher, 1897, T. XXX, p. 297. ” 2 SwinaLe W. T., Op. cit. p. 816. NR ; strutturali rilevanti, difficilmente spiegabili, ma di un alto interesse dal punto di vista della filogenesi. È indubitato che vi ha un comporta- mento differente nelle fasi iniziali del processo cariocinetieco, non solo fra nuclei di cellule vegetative e cellule riproduttive, ma anche fra nuclei di cellule riproduttive appartenenti a classi ed anche a famiglie diverse. Il periodo, per così dire di preparazione cariocinetica, ossia di profasi, è certamente uno dei più importanti quando si vogliano ricercare i rap- porti che intercedono fra alcune delle parti costituenti il nucleo, ad esempio fra nucleoli e cromosomi, e tale periodo presenta di per se no- tevoli variazioni che desumeremo dalle nostre e dalle altrui osservazioni. Per lo studio dei nuclei vegetativi mi sono servito egregiamente dei primissimi stadii di sviluppo delle foglie dei Narcisi (Narcissus Taa- zetta, N. odorus, N. poeticus), cogliendole in primavera non appena uscite dal terreno ed insieme al bulbo, fissandole poi od in aleool assoluto od in miscela di sublimato corrosivo ed acido picrico. Le sezioni longitu- dinali praticate in porzioni di bulbi, passanti per l’asse mediano di dette foglie, e debitamente colorate, lasciano vedere serie di cellule con nuclei in tutti i gradi possibili di evoluzione. Allo stato di riposo questi si presentano di forma quasi sferica con un grosso nucleolo limitato dal reticolo di linina mediante un’areola incolora e senza struttura (il so- lito Hof) ed il reticolo è assai povero di cromatina. (Fig. 15, Tav. IX, cel- lula super.). Il plasma nucleare è finamente granulare. Quando i nuclei entrano in profasi, si nota subito una deformazione del nucleolo e la sua frammentazione, mentre vi ha contrazione del reticolo nel quale la cro- matina si designa a tratti fra di loro discontinui. Tutto all’ingiro della membrana nucleare si addensa il citoplasma sotto forma di corti filamenti tortuosi e fra di loro aggrovigliati, e non tesi in modo da collegare la membrana nucleare alla parete, ma costituenti nel loro insieme come uno strato denso e di spessore variabile attorno al nucleo, onde in alcuni punti si ha maggiore quantità di citoplasma con accenno a quella che si è chiamata pluripolarità; però non si differenziano mai in tali accumuli di sostanza citoplasmatica delle fibre iniziatrici di fuso extranucleare, nè tanto meno si possono distinguere, anche nei punti di massimo accu- mulamento di materia, centrosfere o centrosomi. Quando i nucleoli si sono consunti, e di loro non rimane traccia, si vede il reticolo di linina sempre più contratto e grosso, ed al completo di cromatina, allo stato di spirema (Fig. 15, Tav. IX, cellula infer.). Allora anche la membrana nucleare è scomparsa e si inizia la formazione del fuso i cui due poli corrispondono a due opposti punti del nucleo nei quali si aveva maggiore addensamento di citoplasma. Durante la costituzione della placca e nelle successive fasi di diaster e dispirema non si notano più nucleoli o cor- piccioli che si colorino alla guisa di questi, e solo se ne constata la ricomparsa nell’anafasi quando i nuclei figli si sono circondati di mem- brana propria, ed il reticolo di linina va impoverendosi di cromatina. Emerge, adunque che in questi nuclei delle giovani foglie di Narcissus i nucleoli si sformano, si frammentano e si disciolgono completamente durante la formazione dei cromosomi; anzi prima ancora che questi si dividano, e cioè prima della costituzione del fuso, i nucleoli sono scom- parsi dalla cavità nucleare senza la pretesa fuoruscita (Ausstossung) da questa. Onde è presumibile che la loro sostanza sia stata adibita tutta od in parte alla costituzione definitiva dei cromosomi od all’inere- mento di questi, mentre il fuso si sia formato a spese del plasma nu- cleare a sua volta accresciuto o alimentato dal citoplasma addensatosi, nella forma fibrillare sopra descritta, attorno alla membrana nucleare e penetrato nel nucleo dopo la dissoluzione della membrana stessa. Il fuso potrebbe, solo in questo senso avere in parte origine dal cosidetto cinoplasma (Strasburger), indipendentemente da esterna costi- tuzione di fibre, come è stato invece osservato in molti nuclei sessuali, in relazione col fenomeno della pluripolarità. Ma non vi è qui argomento sicuro che possa suffragare l'opinione dello Strasburger circa la desti- nazione della sostanza nucleolare, che essa venga, cioè, adibita alla nu- trizione del fuso dal momento che essa viene tutta consumata durante la costituzione dei cromosomi. Fatti analoghi a quelli osservati nelle giovani foglie di Narcissus, si riscontrano nell’endosperma di queste stesse piante, là dove abbiamo già incontrato quei speciali nuclei abnormi negii strati interni di tale tessuto in via di formazione. Qui pure è dato seguire tutta l’evoluzione del processo cariocinetico e ci limiteremo solo ad indicare i punti più salienti. All’inizio della profasi il nucleo trovasi fornito (Fig. 10, Tav. IX) di un filamento di linina nel quale la cromatina trovasi qua e là distribuita, con grandi spazii intermittenti, jalini. I nucleoli sono parecchi, di diverse dimensioni e fortemente colorabili col violetto di genziana. Attorno alla membrana nucleare il citoplasma si è addensato in uno strato di notevole spessore, e qui c'è da osservare la disposi- zione di alcune fibre, tese in senso radiale e congiungenti la parete cel- lulare al nucleo, analogamente a quanto fu osservato da Belajeff e da Strasburger ! nelle cellule malri del polline di Pinus Laricio. Qui pure la graduale degenerazione dei nucleoli, che vanno anche perdendo della I capacità di colorirsi, è seguita dalla contrazione della linina e dall’ au- ! Straseorcer E., Karyokin, Probl., p. 166 e seg. ove è citato pure il Belajeff. — 225 — mento in essa della cromatina. ed al momento della dissoluzione della membrana nucleare, non si osservano più nucleoli. In tale stadio perciò si ha il gomitolo di cromatina circondato dal citoplasma nel quale si accennano, a due opposti punti, i poli del fuso. Durante la formazione di questo e della placca (Fig. 11, Tav. IX)i nucleoli sono scomparsi e ricompaiono solo nello stadio di dispirema, quando i nuelei figli sonosi circondati di membrana. Anche l’endosperma del Crinum giganteum-mi ha fornito chiari esempi del processo cariocinetico quale abbiamo visto aver luogo nei Narcisi, e le Figure 1 a 8 della nostra Tavola IX rappresentano altrettanti stadii di tale processo. È evidente nelle fig. 1 a 3 il graduale incremento e l’organizzarsi dei cromosomi, di confronto colia scomparsa dei nucleoli. Gli stadi di aster e diaster sono molto istruttivi, anche per la strut- tura del cinoplasma che nella fig. 5 mostra evidente una tetrapolarità la quale in definitiva si converte in bipolarità, e si nota che mentre alle estremità del fuso bipolare il cinoplasma irraggia da punti rifran- genti che si potrebbero considerare per centrosomi (se in verità aves- sero più costanza nel numero e nella forma), ai poli del fuso trasver- sale, ossia ai due poli spurii, tali granulazioni rifrangenti non si osser- vano affatto. L'anafasi è caratterizzata qui pure da nuclei figli in cui dapprima i cromosomi ricompostisi a spirema sono al completo di cromatina, poi si impoveriscono intanto che ricompaiono i nucleoli e la membrana nu- cleare. Il tessuto nucellare di moltissime piante, le stesse pareti ovariche offrono frequentemente nuclei in divisione con comportamento eguale a quello sopra descritto, sì che il fatto mi sembra assumere carattere di generalità per nuclei di cellule vegetative. Eccellenti materiali sono offerti dai Lilium (L. candidum, L. Martagon, L. croceum, L. elegans), dalla Fritillaria imperialis, Tulipa Gesneriana, Hyacinthus orientalis, H. candicans, Narcissus poeticus, N. odorus, Phajus grandiflorus Vanilla aro- matica, etc. Nella parete ovarica del Phajus grandiflorus si hanno nuclei forniti di numerosi nucleoli (Fig. 30, 31, Tav.VIII) di dimensioni svariatissime e che farebbero pensare ai macrosomi e microsomi di Korscheit che il Flemming per altro ritiene di ordinaria struttura.! Ma è sopratutto da rilevarsi il fatto della graduale scomparsa degli uni e degli altri durante la contrazione della linina e l'incremento dei cromosomi. La fig. 31, 1 FLemmina W., in Merkel u. Bonnet’s Ergebnisse, 1894, p. 306. — 226 — Tav. VIII, fa vedere appunto i filamenti di linina che contengono solo qua e Jà dei tratti di sostanza colorabile. Il Guignard, il quale insiste pur tanto sulla differente costituzione dei nucleoli e dei segmenti cromatici, richiamò più volte l’ attenzione su fatti analoghi a quelli da me analizzati, ed a proposito dei nuclei del tessuto dell’albume di Clematis recta sosp:tta una relazione fra nu- cleoli e sexmenti cromatici quando dice “il semble qu’ après la dispa- rition de la membrane, et au fur et à mesure que le nucléole se resorbe, la quantité de chromatine augmente, si on la compare, à ce moment, è celle qui était contenue auparavant dans les granu!ations, ce qui provient sans doute d’une nutrition très active, accompagnante la contraction des segments ,. ! E nei nuclei deil’albume di Nothoscordum, ove i nucleoli sono anche più grossi di quelîi dei Li/iwm, osservò il Guignard “ qu'au moment de l’apparition des fils achromatiques les segments sont assez écartés les uns des autres; plusieurs sont manifestement aplatis, sans qu'on puisse y voir des granulations distinetes. A ce stade, on ne trouve plus de nucléoles; mais il arrive parfois que quelqu'uns des segments se colorent en rose, par le mélange de vert de méthyle et de fucsine, sur quelques points et sur un còté seulement, où se montre un faible épaississement. Faut-il en conclure que les nucléoles, après avoir perdu de leur aptitude à se colorer, et diminués de volume peuvent s’incorporer directement à la substance des segments chromatiques? , * Ed avendo osservato nei nuclei figli di Nothoscordum dei nucleoli ad intimo contatto dei segmenti cromatici (Fig. 51, Tav. XVII del citato lavoro), il Guignard si fa altre domande: « naissent-ils dans le sue nucléaire indépendamment du filament chromatique, et leur adhérence aux replis est-elle un effect des réactifs, ou bien se séparent-ils de l’hyalo- plasma du filament? C'est ce quon ne saurait décider d'une fagon absolue, méme avec l’aide des agents qui les colorent d’une facon spéciale dès leur apparition. ,, ? E viene alla conclusione che « les nucléoles peuvent ètre consi- dérés comme une substance de reserve qui se sépare à un moment donné de la charpente nucléaire, pour ètre reprise par elle ultérieure- Mento. E. 1 Guranarp L., Nouvelles recherches sur le noyau cellulaire, in Ann. d. Sc. Nat. Ge Sér,, T. XX, p. 343. 2 Guiewarp L., Op. cit., p. 345. s Guienarp L., Op. cit., p. 346. 4 Guianarp L., Op. cit, p. 347. — 227 — Lo Strasburger, per contro, dopo aver osservato fatti analoghi nel rivestimento parietale ( Wandbeleg) del sacco embrionale di Ga/anthus mivalis, e pur essendo stato disposto un tempo a ritenere che la sostanza nucleolare disciolta nel sueco nucleare potesse fornire nutrimento ai filamenti del nucleo, afferma che “ eine directe Aufnahme der Nucleol- arsubstanz in die Kernfiden die um jene Zeit in aufeinander folgende Chromatin-und Lininscheiben bereits differenzirt sind, war ich trotzdem nicht geneigt anzunehmen ,,. ! Egli combatte i risultati delle osservazioni di Went il quale col- l'uso del verde di Jodio e Fucsina avrebbe dimostrato nel Narcissus Pseudonarcissus come vi abbia per parte dei filamenti assorbimento della sostanza nucleolare colorandosi questi nella profasi in verde-bluastro mentre i nucleoli si coloravano in rosso, ed in seguito col discioglimento di questi ultimi i filamenti si coloravano in rosso-violetto. Lo Strasburger sostiene che questi fatti debbono avere altra spie- gazione, ed in seguito alle sue osservazioni sul Lewcojum aestivum, dice che il cambiamento di colorazione, rilevato dal Went è indipendente dallo scioglimento dei nucleoli e collegato invece col fatto della con- trazione dei filamenti stessi. “ Es ist nun zu constatiren, dass diese Farbeninderung mit dem Kiirzer-und Dickerwerden der Kernfiden ver- bunden und unabhingig von der Auflòsung der Kernkòrperchen ist, welche oft stark verzògert werden und erst auf diese Farbeninderung folgen kann. , © Con tutto il profondo rispetto verso l’eminente Professore di Bonn, parmi che tale controversia non sia in tal guisa efficacemente tolta di mezzo. Anche le ricerche di Rosen? sui nuclei vegetativi degli apici radicali di varie monocctilodoni e dicotiledoni, ci dicono poco circa la destina- zione della sostanza nucleolare durante le fasi mitotiche. Secondo le osservazioni di questo autore mentre è lento il processo-di scioglimento dei nucleoli nel Hyacinthus orientalis, nell’ Aspidistra elatior, nel Phaseolus multiforus che possono offrire resti di sostanza nucleolare fin durante la formazione del fuso, si compie invece più rapidamente nel Lilium lancifolium, nella Faba vulga is var. megalosperma, cosichè non si avver- tono più nucleoli nello stadio di fuso. Da un lato le osservazioni di 1 Srraseuroer E., Ueber Kern-und Zelliheilung in Pflanzenreiche. Jena, 1888, p. 136. 2 Srr:ssurcer E., Op. cit., p. 138, 139. ® Rosen F., Kerne u. Kernkirperchen in meristematische u. sporogonen Gewebe. Cohn’s Bzitr., VII, p. 226. 2998 — Pep tosen si oppongono alle idee di Zimmermann circa la continuità orga- nica dei nucleoli quando afferma “ Unzweifelhaft sind auch bei Phaseolus multiflorus die Nucleolen der Tochterkerne Neunbildungen. Wenn auch die Nucleolarsubstanz moglicherweise bei der Karyolyse erhalten bleibt und sich in den Tochterkernen nur wieder auf neue sammelt, so besteht doch keine von Generation zu Generation sich fortspinnende Continuàt in den Nucleolen als solchen und von einen omnis nueleolus e nucleolo kann keine Rede sein. , ! D'altra parte la permanenza, in alcuni casi, dei nucleoli durante lo stadio di fuso, notata dal Rosen, non va d’accordo colla ipotesi dello Strasburger che la sostanza nucleolare venga adibita alla nutrizione del fuso. A me preme intanto notare come anche il Rosen ammetta che nel- l’iniziarsi del processo di divisione i nucleoli comincino a diminuire di volume ed a disciogliersi. “ Wahrend der Herausbildung des Kernfadens aus dem Geriistwerk des sich zur Theilung vo: bereitenden Kerns beginnt der Nucleolus sich zu verkleinen, indem seine Masse abschmilzt und in Lòsung offenbar aus dem°Kernraum herausgefihrt wird. , # Perchè poi offenbar? Anche il Rosen osservò che la ricomparsa dei nucleoli sia in rap- porto colla fase regressiva di detto processo. “ Die Nucleolen erschei- nen in den Bogengigen zwischen den sich ritckbildenden Kernfaden- segmenten. ,, © Astraendo ora dalle divergenze che vi sono circa il momento della completa dissoluzione dei nucleoli fra le mie osservazioni sui nuclei vegetativi di Narcissus Tazzetta (foglie), N. poeticus (endosperma) Cri- num giganteum, Phajus grandiflorus, etc. ete.; e quelle degli autori sopra- citati fatte sopra altri materiali, parmi che una relativa uniformità vi sia circa la struttura che caratterizza la fase iniziale del processo cario- cinetico, ossia la profasi. Il nucleo passa dallo stato di riposo a quello di attività con graduali e poco sensibili modificazioni struttucali. All'esterno si nota uno strato di citoplasma che si addossa alla membrana nucleare, senza peraltro differenziarsi in quelle speciali strutture filamentose o fibrose che caratterizzano così bene 'l’arcoplasma o cinoplasma dei nuclei sessuali o sporogeni, talchè non si può parlare di fuso esterno, di pluripolarità, di orientazioni cinetiche, all'infuori dell’ accumulo, secondo due opposti punti della massa citoplasmatica la quale collo scomparire ! Rosen F., Op. cit., p. 283-264. ? R.sen F., Op. cit., p. 256. 3 Rosen F., Ibid. n della membrana entra in giuoco al momento della costituzione del fuso. D'altra parte all’interno della cavità nucleare le modificazioni che preludono alla costituzione dei cromosomi, e che insieme costituiscono lo stadio di gomitolo, sono insensibili, graduali, e non mai così tumul- tuose e salienti come nei nuclei sessuali. La contrazione dei filamenti di linina e la distribuzione ed addensamento in essi dei granuli di cromatina vanno di pari passo coll’ineccepibile diminuzione di volume dei nucleoli, collo sformarsi e frammentarsi di questi ed anche colla graduale perdita di capacità tinzionale. Forse la semplicità ond’è caratterizzata la fase iniziale del processo cariocinetico nei nuclei vegetativi è in rela- zione colla costanza d-l1 numero dei cromosomi durante le successive divisioni. Poichè il singolare fenomeno della riduzione del numero di questi, che si verifica nelle quattro divisioni dei nuclei di cellule madri del polline e nelle tre del nucleo del sacco embrionale, è ancora annun- ciato da speciali strutture del nucl:0 iniziale, che sono state messe in chiara luce, pel regno vegetale, dai classici lavori di Strasburger e di Guignard. Nè io entrerò perciò qui in particolari, ma mi limiterò a qualche accenno in ordine sempre ai nucleoli nei loro rapporti coi cromosomi. Il materiale che meglio si presta per lo studio della profasi è certo quello dei Lilium, ed il L. candidum e L. Martagon mi hanno procurato dei preparati molto istruttivi. Differenziatasi la cellula del sacco em- brionale, che come ognun sa, in queste piante si trova immediatamente al disotto dello strato epidermico del mammellone nucellare, nè si divide ulteriormente, essa risalta molto all’occhio fra le circostanti cellule per la sua grandezza (Fig. 19, Tav. IX), per la quantità e la densità del citoplasma e per il grossissimo nucleo (Fig. 17, 19, 20, 21, Tav. IX), il quale è di forma globulare, spesso sferica, ed ha sul principio uno, due e, talora, anche più nucleoli, la cui massa volumetrica è enorme, come dalle figure citate si può ricavare. Anzi debbo qui far rilevare che a me risulta assai maggiore il volume del nucleolo o dei nucleoli in rispetto alla grandezza del nucleo di quello che sia stato figurato nelle: bellissime figure del Guignard e di altri citologi. Ora essendo state prese colla camera lucida di Zeiss le mie figure, non so veramente spiegare questa differenza di rapporto, che per me ha molta importanza. I nucleoli, di forma globulare o varia, sono anche nei primissimi stadi vacuolati, o meglio, come notai anche per i nuclei vegetativi, alveolati; presentano cioè delle areole in cui la colorazione è debolis- sima, rispetto alla circostante superficie. E che non si tratti di vacuole, che per loro natura dovrebbero trovarsi nell’interno della massa nucleo- lare, lo dimostra, anche qui, il fatto presentatomi da vari, preparati, — 230 — della continuità di questa interna massa, quando il nucleolo, che è così voluminoso, viene tagliato dal rasoio, ed allora si osserva una massa centrale incolora o debolmente colorata circondata regolarmente o no da un alone di sostanza colorabile (Fig. 19 e 21, Tav. IX). Non è da confon- dersi questo alone col!a specie di areola (7707) in cui sta immerso il nu- cleolo e la quale secondo Debski ! sarebbe dovuta a contrazione (Schrump- fungsproduct) del nucleolo (?). Tale areola non è affatto colorabile. Abbiamo per conseguenza anche nei nucleoli del sacco embrionale dei Lilium la stessa struttura già rilevata per quelli dei nuclei vege- tativi, e la presenza in essi di due sovrapposte sostanze l'una colora- bile, l’altra punto o poco. L'inizio della profasi è segnato anzitutto dal fondersi insieme dei nucleoli, se erano più di uno, ed il nucleolo che ne risulta occupa dap- prima la parte centrale del nucleo, il quale fin’allora aveva la strut- tura dei comuni nuclei in riposo, fornito cioè, di un finissimo e mal per- cettibile filamento di linina disposto ad irregolare reticolo nella massa densa e granulare di plasma nucleare. Tale reticolo è quasi privo di cromatina, a giudicarne dal comportamento rispetto le sostanze co- loranti. Viene anzi spontanea la domanda, sotto quale forma si possa trovare in questo stadio la cromatina. Gli stessi reattivi che colorano bene le granulazioni cromatiche degli altri nuclei in riposo, quali ad es. quelle dello stesso mammellone nucellare, della parete ovarica, dell'epidermide perchè non debbono spiegara analoga azione sulle strutture cromatiche del nucleo del sacco, nello stadio sopra indicato, se realmente strutture vi sono, se veramente la cromatina è allora sotto forma microsomatica ? Sta di fatto che il violetto di genziana, il verde di jodio, che mettono così bene in evidenza le granulazioni cromatiche nei nuclei circostanti in riposo e le figure cariocinetiche in quelli in divisione, danno invece una debolissima colorazione dell’ impalcatura nucleare nel nucleo del sacco embrionale nello stadio suaccennato. Mentre poi col primo di questi reattivi si ha, in tale stadio del nucleo, una intensa colorazione violetta del nucleolo, e col secondo (metodo Zimmermann) una non intensa ma abbastanza manifesta colorazione verdiccia. Ma passiamo ad altro stadio, a quello cioè di gomito!o ( Knawuel- stadium Strasburger, Stade de pelton Guignard), il quale per le strut- ture che nel Lilium ed in altre piante presenta, è stato distinto con ! Desski B., Beobactungon iiber Kerntheilung bei “ Chara fragilis , «Cytolog. Studien aus dem Bonner bot. Inst., in Pringsheim’s Jahrb. Tom. XXX, p. 227. pl nomi speciali, quali quelli di Synapsis (Moore), Dolichonema (Rosen), Sichelstadium (Zimmermann). Non che veramente queste tre espressioni indichino le stessa cosa, ma si riferiscono a strutture presentate nello stadio iniziale della profasi da nuclei appartenenti a cellule sessuali 0 o sporogene di varie piante. La contrazione e differenziazione del filamento nucleare non av- viene d’ordinario uniformemente attorno al nueleolo, ma spesso accade che in un determinato punto della cavità nucleare tale processo di dif- ferenziamento si faccia così attivo e tumultuoso da indurre una pressione sul nucleolo il quale viene così spinto, dal gomitolo di linina, da un lato. Anzi continuando il processo di sviluppo del filamento, il nucleolo viene cacciato contro la membrana nucleare ed anche deformato e reso di forma lenticolare (Fig. 22, Tav. II). Questo fatto si è voluto interpre- tare come condizione non normale, come prodotto artificiale ossia un effetto dell’azione dei reattivi. Ma se si pensa che esso è abbastanza generale, e che viene offerto da nuclei fissati in varia guisa, bisogna indurne che esso rappresenta un vero e proprio stadio di questi nuclei e bisogna ricercarne la ragion d’essere. Ora i preparati di Lilium candidum che ho sott'occhio mi presen- tano molteplici fasi di questo fenomeno di spostamento del nucleolo indotto dalla pressione del gomitolo lininico in via di differenziazione. E senza, per ora, indagare come mai il gomitolo nucleare si origini in un punto piuttosto che in altro della cavità nucleare, va notato che il filamento colle sue strette anse si addossa, si appiccica al nucleolo. E ciò si può osservare anche quando quest’ultimo è nel mezzo della cavità nucleare. Ora in tale stadio, o in quelli immedia- tamente successivi va pure rilevato il fatto, sopra enunciato, che il nucleolo è straordinariamente grosso ed eminentemente cromofilo, mentre il filamento nucleare lo è pochissimo. È naturale perciò pensare che al differenziamento della cromatina, alla sua completa evoluzione, alla costituzione dei dischi cromatici (Chromatinscheiben) occorra una sostanza di nutrizione, la quale trovasi in copia accumulata nel nucleolo, ‘e deve essere sostanza della stessa natura della cromatina od a questa estre- mamente affine. Ecco perchè il nucleolo si mostrerebbe così voluminoso, così ricco di sostanza cromofila, ecco perchè il filamento nucleare in quello stadio, al quale ben s'addice la denominazione di Synapsis, tro- verebbesi a così intimo contatto del nucleolo ed eserciterebbe su di esso quella pressione per cui esso è costretto ad abbandonare la posi- zione centrale. Tale mia congettura è avvalorata dalle metamorfosi del nucleolo come anche dal suo comportamento rispetto alle sostanze coloranti. Agti dell’ Ist. Bot. dell Università di Pavia — Nuova Serie — Vol. V. 17 > fogge Difatti esso va perdendo via via la sua forma globulare, diviene sensibilmente più piccolo, si va facendo alveolato e perde manifestamente la sua capacità a colorirsi. E quando esso è spinto verso la parete ed assume forma depressa o lenticolare, tali alterazioni sono sempre più manifeste; cosichè la struttura alveolata passa a quella reticolata, come mi fa vedere un preparato di Lilium candidum colorato col carmallume, e che ricorda perfettamente i nucleoli a struttura reticolata del nucleo secondario di Ornithogalum umbellatum, che abbiamo sopra descritta (Fig. 16, 19,20, Tav.I). In tale siato il nucleolo non è più che debol- mente colorabile, e coi reattivi a doppia colorazione, non mostra più che traccie di sostanza cromatica; così col verde di Jodio e Fucsina esso è colorato in roseo, con leggera intonazione verdastra, dovuta a residuo di cromatina o di sostanza analoga non ancora utilizzata dal filamento. Spesso in tali nuclei di Lim si nota il fatto dell’ accumulo di una particolare sostanza la quale è parimenti colorabile e si dispone od a lato del nucleolo quando questo si trova presso la membrana, ovvero dalla parte opposta, ed allora acquista la forma di semiluna (Mondsichel). A tale cumulo di sostanza venne data dallo Strasburger, da prima, la denominazione di Sekretkòrperchen, poi quella di Paranuleleolen. Lo Zim- mermann definì per Sichel/stadium questo fase del nucleo. Ora ci sono state molte discussioni in proposito. Lo Zimmermann * ritiene di natura nucleolare la sostanza in discorso; Humphrey, basandosi sul compor- tamento di essa rispetto alla miscela verde di jodio fuesina (proprio col metodo di Zimmermann!) dubitò che si trattasse di sostanza nu- cleolare, ma che fosse invece una sostanza molto affine alla cromatina e si trattasse di un prodotto artificiale. Lo Strasburger ® spiega in due modi la cosa: o si tratta di nucleolo spinto dal gomitolo verso la parete, ed a lui è occorso anche di osservare talora fuoruscita del nucleolo da questa, ovvero si tratta di una vera e propria sostanza in cui il nucleolo sta immerso alla quale si addossa. Quanto alla natura di tale sostanza lo Strasburger dice che essa presenta le reazioni della cromatina, ed osserva inoltre che siccome l’accumula- mento diminuisce nella stessa proporzione in cui aumenta la cromatina nei cromosomi, così è naturale la supposizione che Za cromatina si trovi 1 Ziumermann A., Die Morphol. u. Physiol. des pflanzichen Zellliernes. Jena, 1396, p. 69, ove è citata la fonte, 2 Humraney I. E., Nukleolen u. Centrosomen. in Bericht. d. deutsch. bot. Gesellsch. 1594, p. 108, © Srraspuncer E., Waryokinetische Probleme, p. 159. STO ea disciolta nel succo nucleare 0 diversamente sparsa, e che vi venga sottratta dai cromosomi. ! Se questa seconda spiegazione, data dallo Strasburger, è la vera, essa è di un alto interesse, poichè mette molta luce sulla questione abbastansa oscura dell'origine della cromatina. Però le mie osservazioni sul nucleo del sacco embrionale del Li- lium candidum, se da un lato vengono in appoggio di questa veduta dello Strasburger e di Humphrey (perciò che riguarda il giudizio dato da quest’ultimo sulla chimica natura della sostanza in questione), dall’altro lato confermano piuttosto l'opinione dello Zimmermann. Io ho osservato in alcuni di questi nuclei di Lin allo stadio di Symapsis, accanto proprio al nucleolo fortemente colorato col violetto di genziana un nodulo risultante da una sostanza amorfa in cui stavano immerse le anse del gomitolo ; il tutto aveva forma globulare ed era discretamente colorato in violetto ma meno intensamente del nucleolo. Simili nuclei trattati col verde di jodio e fucsina presentavano tale accumulo di sostanza e i filamenti in essa immersi colora. i in verde-bluastro ed il nucleolo in verde assai chiaro. Emerge da ciò che in tali nuclei ha avuto luogo un addensamento di sostanza cromatica, la quale potrebbe benissimo essere stata secreta dal plasma nucleare, come pensa lo Strasburger e venire adibita alla nutrizione dei cromosomi, ma potrebbe anche essersi liberata dal nucleolo nella fase di Symapsis, quando questo viene spinto dalle anse del gomi- tolo verso la membrana. D'altra parte altri nuclei, pure di Lz/wm, mi hanno presentato due grossi nucleoli in opposta direzione e quasi accollati alla membrana nucleare, ma uno era di forma globulare ed intatto, con areola (Hof) circostante, l’altro di forma falcata, accollato o quasi, alla parete e com- presso dai filamenti del gomitolo. Il comportamento dei due diversi nucleoli rispetto ai reattivi coloranti, era però quasi lo stesso, o solo si notava minore capacità a colorirsi in quello a forma semilunare. Ora questi casi sono in accordo con quelli osservati nel Lilium Martagon e Fritillaria imperialis dallo Zimmermann, di cui uno è dato dalla Fig. 36 del suo libro sopracitato Comunque, io tengo a richiamare l’attenzione sopra il fatto del- l’addossarsi dei filamenti di linina al nucleolo in tale particolare stadio, così da indurre una forte pressione su di lui e farlo spostare verso la parete ed ivi comprimerlo tanto da renderlo di forma navicolare od ellissoidale. 1 Srrasevi:cer E., Op. cit., p. 160. — 234 — Che avvenga sempre in questo modo non si può affermare con sicu- rezza, perchè in alcuni miei preparati di Lilium candidum ho verificato la condizione inversa e cioè l’iniziale gomitolo addossato alla parete e contiguo ad esso il nucleolo che occupava una posizione quasi centrale e con forma globulare. Resta però sempre il fatto del reciproco contatto di queste due parti e non si può, con assoluto fondamento, negare il possibile assorbimento di sostanza nucleolare per parte dei filamenti di linina, tanto più che questi stadii cominciano a dimostrare capacità colorativa, mentre si accentua sempre più il fatto inverso nel nucleolo, che va anche diminuendo di volume, e deformandosi. Col completarsi del filamento nucleare, e avvicinandosi il momento della segmentazione trasversale, il nucleolo si frammenta o se resta intero, come ha osservato anche Guignard,* esso ha perduto di molto la sua attitudine a colorirsi. E ciò concorda pienamente colle osserva- zioni di Tangl® sui nuclei dell’Hemerocallis fulva, nei quali la capacità colorativa dei nucleoli diminuisce in proporzione dell’ incremento del- l’impalcatura. Parziale soluzione del nucleolo nella fase di Synapsis è stata pure osservata da Miss Sargant, per il nucleo del sacco embrionale di Lilium Maztagon, non solo nella prima cariocinesi, ma anche nei quattro nuclei della seconda cariocinesi. * Ed il Farmer nei nuclei delle Epatiche trova egualmente che il nucleo “ becomes angular, and in extreme cases, al- most star-shaped, whilst af the same time the linin begins to exhibit a very striking increase in the amount of chromatin which it contains. ,,° Tutte queste osservazioni fatte su oggetti diversi, male si accor- dano invero, coll’opinione dello Strasburger ° il quale per l’origine dei cromosomi non può ammettere che essi derivino la loro sostanza cromatica dal nucleolo, perchè, egli dice, 722 molti casi è fuor di dubbio che i cro- mosimi sono al completo di sostanza cromatica, quando anche il nucleolo è del tutto inalterato; quantunque egli stesso ammetta che nel Wand- beleg del sacco embrionale di Amarillidee il grosso nucleolo si fram- menti e le sue porzioni consunte si adagino sui cromosomi, e si osservi al tempo stesso una sensibile diminuzione nella capacità a colorirsi, della sostanza nucleolare. E conclude che, in realtà però, anche in questi 1 Guienarp L., Nouvelles recherches sur le noyau cellulaire. Ibid., p. 320. ° TangL, citato da Strasburger, Karyok. Probl., p. 160. © Sargant E, The Formation of the sexual Nuclei in Lilium Martagon. Ann. of Bot., X, p. 470. * Farmer I. B., On the spore-formation, ete. Ann. of Bot. IX, p. 471. © Srraspurcer E., Op. cit., p. 161. casi la sostanza nucleolare non viene assorbita dai cromosomi e continua anzi a disciogliersi, e fin che ciò non è avvenuto del tutto, i suoi resi- dui si trovano spinti dal nucleo nel circostante citoplasma sotto forma di nucleoli. * Questa spiegazione potrebbe avvalorare la ipotesi della continuità della sostanza nucleolare sostenuta dallo Zimmermann, avendo questi osservato dei nucleoli durante la fase di fuso e di dispirema, cosa con- traddetta da molti ed, in ogni caso, ritenuta come eccezionale da Stra- sburger e da Flemming. Mentre invece la totale scomparsa dei nucleoli viene dalla maggior parte degli osservatori confinata al momento della dissoluzione della membrana, secondo alcuni poco prima di questo fatto, secondo altri poco dopo. E la presenza di nucleoli avvertita nella fase di fuso e di dispirema in nuclei di cellule madri del polline, in sacchi embrionali, in cellule madri di spore (Larix, Fritillaria Lilium Martagon. Psilotum) come risulta dalle osservazioni di Belajeff, di Stra- sburger e Guignard va attribuita a nuova condensazione di sostanza nucleolare e non a nucleoli preesistenti. Questo argomento è stato, d’altra parte così magistralmente svolto dallo Strasburger nei suoi Karyokinetische Probleme, che mi dispenso dall’insistervi più oltre. A me basta il rilevare che nei molteplici preparati di Lilium can- didum. L. Martagon, L. croceum, Fritillaria imperialis, ete., non osservai mai frammenti di sostanza nucleolare dopo la dissoluzione della mem- brana e durante la metacinesi, e mi parve sensibilissimo invece il fatto della graduale diminuzione in capacità colorativa del nucleolo, della sua metamorfosi durante lo stadio di gomitolo e la sua completa scom- parsa prima della formazione del fuso. Nei nuclei figli che succedono alla prima cariocinesi nel sacco em- brionale di Lilium candidum ed in quelli della seconda e terza, la ri- comparsa dei nucleoli non ha luogo prima della costituzione della loro membrana, e ciò si accorda pienamente con quanto si è visto per i casi osservati sopra di divisione di nuclei vegetativi. La fase di dispi- rema (fig. 23, tav. II) presenta un filamento ad anse strette e quasi uniformemente colorantisi. Solo quando le anse si allargano e si vedono allontanarsi le granulazioni di cromatina nel filamento riappariscono i nucleoli in numero di tre, quattro ed anche più (fig. 24 tav. II); essi hanno contorno dapprima piuttosto angoloso pel contatto coi filamenti di linina. 1 Srrassercer E, Karyokinet. Probl., p. 162. — 236 — Questo contatto è stato rilevato anche dal Guignard, ! quantunque egli osservi che i nucleoli non fanno parte all'origine loro dei filamenti nucleark Circa il comportamento dei nuovi nucleoli nei nuclei figli, ho notato che essi, appena costituitisi sono molto cromofili, così che facendo uso del violetto di Genziana essi se ne impadroniscono sensibilmente mentre la impalcatura rimane quasi incolore. Col metodo di doppia colorazione, verde di jodio e fucsina, non si ottiene sempre la tipica colorazione rossa dei nucleoli, ma sovente essa volge al lilla od al rosso violaceo. Questo fatto, verificato da me in molti preparati di Lilium Martagon e Fritillaria imperialis (materiale fissato all'alcool assoluto, od al liquido di Carnoy), viene in favore del- l’opinione che mi sono fatta della sovrapposizione di due sostanze nel nucleolo, una delle quali, la più superficiale, sarebbe sottratta od assorbita dai cromosomi in via di regresso. Naturalmente, il rilievo di tali cromofile proprietà dei nucleoli, non può essere fatto ad ogni mo- mento di loro evoluzione, ragione per cui un giudizio in proposito non può essere generalizzato. Certo questa mia osservazione è in ac- cordo coi fatti osservati nella fase progressiva del processo cario- cinetico. - i Noterò da ultimo che questa tendenza alla cianofilia l'ho osservata anche contemporaneamente nei nucleoli del nucleo maschile e del fem- minile nell’ oosfera di Lilium Martagon poco avanti la fecondazione (fig. 16, tav. IX). Questa osservazione contraddice anche la presunta diversa croma- tofilia dei nuclei sessuali e dimostra come in fondo, il comportamento degli uni e degli altri sia lo stesso. RIEPILOGO. Da quanto ho fin qui esposto di mie personali osservazioni messe a confronto con quelle di altri investigatori, mi sembra resti sufficien- temente chiarito. almeno, lo scopo clie mi sono prefisso con questa pubblicazione: quello, cioè, di indagare quale sia la natura e l’ ufficio dei nucleoli, e quali rapporti esistano fra questi corpi di transitoria ap- parizione nella cellula, ed i cromosomi, parti attive della divisione cellulare. 1 Grignarp L., Op. cit., p. 330. OR Lo scopo delle ricerche era naturalmente suggerito dalla moltipli- cità di opinioni che si hanno in proposito, alcune delle quali assoluta- mente discordanti. Di fronte alla generalità e diffusione dei nucleoli nei nuclei delle cellule vegetali, alla loro massa notevole, talora saliente, al loro com- portamento rispetto i reattivi e le sostanze coloranti, alle metamorfosi che subiscono, alla loro scomparsa e ricomparsa in certi momenti della evoluzione cellulare, dobbiamo ammettere che non vi è tuttora un de- finitivo accordo sopra la parte che i nucleoli hanno nella cellula, e sulla destinazione della loro sostanza durante la cariocinesi. Molte infatti sono le opinioni che si hanno in proposito, e le prin- cipali si possono dire le seguenti: 1.° Che i nucleoli sieno corpi senza struttura costituiti di un'unica sostanza (plastina di Zacharias, pirenina di Schwarz). 2.° Che possano servire di substrato ad altra sostanza (cromatina od affine a questa). 3.° Che la sostanza nucleolare serva unicamente alla formazione del fuso. 4.° Che sia una sostanza di riserva la quale si separi ad un dato momento dalla impalcatura per essere ripresa di nuovo da questa. 5.° Che essa serva alla formazione od alla nutrizione di cro- mosomi. 6.° Che essa venga sottratta per l’ accrescimento della cellula. 7.° Che i nucleoli sieno in relazione coi centrosomi e rappre- sentino delle forze cinetiche della cellula. 8.0 Che essi sieno organi permanenti del nucleo ed abbiano eguale dignità di questi. La prima di queste ipotesi, la quale considera il nucleolo dal lato morfologico ed è ammessa da un gran numero di istologi, non vale a spiegare le strutture vacuolari, alveolate, reticolate, granulari messe avanti da molti osservatori fra cui citerò Mann, Macfarlane, Lavdowsky, Rosen, Krasser, Schmitz, Butschli, e quelle che risultano dalle mie ri- cerche. Dal lato chimico, la unicità di sostanza è messa in dubbio da Flemming, Guignard, Hertwig ed altri, e tale concetto male si presta alla interpretazione dei reciproci fenomeni di regressione e progres- sione dei nucleoli e dei cromosomi. La seconda ipotesi, che ha minori fautori, non è però così facil- mente impugnabile, ed essa può invece dare ragione delle obiezioni che si muovono alla prima. Dal lato morfologico, la condensazione o compenetrazione di due sostanze nel nucleolo rende accettabile il con- cetto di una qualsiasi struttura di questo corpo, struttura varia, ma che è costante per ogni specie e perciò di non dubbio interesse filo- genetico. Dal lato chimico e delle reazioni colorate, sarebbe così spie- gata la degradazione ammessa dai più nell’ attitudine a colorirsi dei nucleoli durante la formazione dei cromosomi Anche la diminuzione in volume e le deformazioni che il nucleolo subisce durante tale processo si spiegherebbero con questa seconda ipotesi alla quale tendono Flem- ming, Hertwig Went e in parte il Guignard. La terza ipotesi è oggi sostenuta con indiscutibile competenza dallo Strasburger, i cui studî e quelli della sua scuola portano all’am- missione che la sostanza nucleolare venga impiegata nella formazione del fuso, e l’argomento principale dello Strasburger è che vi sono non dubbi casi nei quali i filamenti nucleari sono al completo di cromatina quando il nucleolo è ancora inalterato. Ora dovrà ammettere l’ emi- nente professore di Bonn, che la cosa non ha carattere di generalità, e che la degenerazione del nucleolo, la graduale perdita di capacità a colorirsi, la sua parziale dissoluzione durante la profasi, costituiscono dei fatti accertati per moltissimi nuclei. D'altra parte è pure dimostrato, che in molti casi la dissoluzione dei nucleoli avviene completa durante la formazione dei cromosomi, prima o contemporaneamente alla scomparsa della membrana. Non è da escludere certo che parte della sostanza nucleolare discioltasi o spar- sasi nel succo nucleolare possa essere sottratta per la formazione del fuso, ma è difficile anche escludere che parte di tale sostanza venga: in- corporata dai cromosomi. La permanenza di resti nucleolari durante la metacinesi, non costituisce, come lo stesso Strasburger osserva, un fatto generale, ed ammesso anche che i corpicciuoli che si colorano come i nucleoli e che appaiono durante la fase di fuso risultino da condensa- zione di sostanza nucleolare, questo fatto male si accorda coll’ altro della scomparsa dei nucleoli a totale beneficio delle fibre del fuso. Non va dimenticato inoltre che la sostanza costitutiva di queste ultime non sembra essere identica alla plastina dei mucleoli se, come osserva Guignard, * vi ha un comportamento diverso rispetto a certi agenti, ad es., rispetto all’acido cloridrico, il quale scioglie le granulazioni del fuso ma non i nucleoli. Il Guignard osserva inoltre che della plastina, o della sostanza ana- loga a quella dei nucleoli si trova pure nel citoplasma che attornia il nucleo. Perciò alla formazione del fuso potrebbe prendere parte anche la 1 Guienaro. Nouvelles recherches sur le noyau cellulaire, in Ann. d. Sc. Nat., G.r° Série: T.UXX.'p. 361. MI: 1:) Je plastina del citoplasma o meglio del cinoplasma. Ma comunque, possa essere distribuita la sostanza nucleolare, colla ipotesi dello Strasburger non si spiegano nè la capacità colorativa di certi nucleoli, nè le loro me- tamorfosi durante le prime fasi del processo di divisione. Onde, in considerazione anche dei casi speciali sopra esaminati, riferentisi allo stadio di Syrapsis 0 al Sichelstadium, fa ipotesi suddetta, perde del suo valore assoluto. L' opinione che il nucleolo rappresenti una sostanza di riserva che si separi dall’ impalcatura per venire poi ripresa, è stata emessa dal Guignard; e per quanto essa sia indeterminata in quanto non definisca bene la natura dei rapporti fra nucleoli ed impalcatura, se cioè la so- stanza dei nucleoli vada ad incorporarsi coi filamenti di linina o coi cromosomi, pure essa si connette colla seconda delle ipotesi sopra enunciata nello spiegare la vicendevole degradazione dei nucleoli e l’incremento dei filamenti nucleari. Essa però è, ripeto, troppo vaga. D'altra parte male si comprende come la sostanza dei nucleoli per sè stessa particolarmente colorabile, passi nei filamenti di linina che restano sempre refrattarii agli agenti coloranti, nè come la mede- sima che è dell’albumina insolubile si trasformi in nucleina od albu- mina solubile. Quest’ ultimo appunto insieme a quello della differente elettività per gli agenti coloranti si può muovere all’altra ipotesi che cioè i nu- cleoli servano alla formazione od alla nutrizione dei cromosomi. Ipotesi di molto valore che viene messa in rilievo dalle osservazioni di Riickert, Rumbler, Holl, Moll ed altri, la cui generalizzazione però è non solo azzardata ma difettosa. Le reazioni chimiche dei nucleolì e dei eromo- somi e sopratutto le reazioni colorate dànno sufficienti criteri per non ammettere la identità di composizione di queste due parti del nucleo ed il passaggio dell’ una nell’ altra durante le fasi cinetiche. Bisogne- rebbe per lo meno ammettere una scomposizione delle rispettive so- stanze costituenti, per opera di speciali agenti (diastasi, enzimi) ed una successiva ricomposizione. La sesta ipotesi, sostenuta principalmente dal Zacharias, che cioè la sostanza nucleolare venga adibita all’accrescimento della cellula ed alla formazione della membrana e degli ispessimenti di questa, per quanto concerne le cellule la cui moltiplicazione è confinata, merita ogni considerazione perchè è fuori di dubbio che esiste un rapporto fra le dimensioni degli elementi, lo spessore delle loro membrane ed il volume dei nuclei e dei nucleoli. Questa legge tuttavia soffre qualche eccezione, così abbiamo visto come negli elementi tracheali che innervano le pareti ovariche (7u- lipa, etc.) vi sia quasi completa assenza di sostanza nucleolare. — 240 — Ma nelle cellule in divisione è meno facile la constatazione di un rapporto fra nucleoli e nuova membrana, per quanto non sia stato ne- gato nemmeno dallo Strasburger, il quale, per altro, ritenne che solo una tenue quantità di sostanza nucleolare potesse essere impiegata nella formazione della membrana. * Non ha incontrato favore la* settima ipotesi che fa dei nucleoli dei centri cinetici delle cellule e lineette in stretto rapporto coi centro- somi. Tale ipotesi sostenuta da Lawodowsky° e qualche altro, è stata contradetta dalle osservazioni di Rosen le quali dimostrano come quando anche i nucleoli che permangono allo stato di frammenti durante lo stadio di fuso, si dirigono verso i poli di questo, ciò è puramente ca- suale ed i frammenti nucleari che si osservano ai lati del fuso ed in prossimità dei poli non si trovano che eccezionalmente al posto dei centrosomi, dei quali non presentano nemmeno le reazioni colorate. D'altra parte il frazionamento del nucleolo avviene senza legge, ossia in modo irregolare, non costante. Come pure non si può dare valore assoluto, anzi come dice lo Strasburger, è insostenibile la opinione dello Zimmermann, che i nu- cleoli debbano essere considerati come organi permanenti del nucleo. Abbiamo visto quale interpretazione si sia data dallo Strasburger alla cosa, la quale se sussistesse in linea generale, non lascierebbe troppo capire la funzione del nucleolo stesso nella cellula. Questo corpicciuolo, dopo essersi frammentato, non servirebbe nè alla nutrizione dei fila- menti nucleari, nè a quelli del fuso, nè alla membrana, ma soltanto a ricostituire i nucleoli dei nuclei figli. Le mie osservazioni non possono dare alcun appoggio a tale teoria dello Zimmermann, del quale riconosco l’ alto valore scientifico, ma d’ altra parte i fatti da lui osservati, non hanno a detta del Flemming e dello Strasburger carattere di generalità. Da questa breve disamina delle opinioni attuali sulla natura e sul valore funzionale del nucleolo, emerge una volta di più la indetermi- natezza della questione. Le mie ricerche hanno un modesto compito, quello di far meglio conoscere le morfologiche proprietà di questa parte del nucleo e di mettere un certo accordo fra talune delle sopradiscusse ipotesi. Esse hanno messo in chiaro, intanto, come non si possa, in modo assoluto, negare una struttura ai nucleoli, e ritenerli, come si è fatto dai più, dei semplici ammassi di sostanza passiva. ! Stuaspurcer E., Veber Nern-und Zelltheilung. Jena, 1838, p. 186. ? Lavpowsky, citato più volte da Rosen in Op. cit. Du Le mie ricerche hanno mostrato come i nucleoli allo stato di ri- poso appartenenti a cellule capaci di moltiplicarsi, o a quelli non più suscettibili di divisione, ma di solo accrescimento, siano costituiti di due sostanze, l’ una interna, che forma la massa maggiore, omogenea, di speciale rifrangenza, poco colorabile, la quale corrisponde alla pla- stina di Zacharias, o pirenina di Franck Schwarz; l'altra periferica, e come addossata alla precedente, con spessore variabile, talora molto esiguo, e molto più colorabile, con caratteri che la fanno rapportare alla cromatina o ad una modificazione di questa. Il modo di associazione delle due sostanze nel nucleolo è pure vario; talora quella che ha i caratteri della cromatina è uniformemente distribuita attorno all’ altra che fa da sostegno, e ciò si rileva da una specie di «Zone più colorato che è dato scorgere in certi nucleoli (0r- nithogalum Ecklonii, Lilium candidum, ete.). Più spesso essa non è in modo uniforme distribuita, ma presenta delle soluzioni di continuo che danno il carattere di struttura alveolata al nucleolo (Cucurbita, Aerides, Vanilla, Phajus, Narcissus, Lilium etc.). In altri casi si ha una distribu- zione a grandi maglie e quindi una vera e propria struttura reticolata (Ornithogalum umbellatum, Crocus sativus, Lilium candidum, ete.). I nuclei in divisione presentano anch’ essi, nei primi stadi del fe- nomeno, dei nucleoli con strutture alveolate o reticolate e forte attitu- dine a colorirsi, ma ben presto queste strutture vengono meno, e la capacità alla colorazione diminuisce, i nucleoli decrescono alquanto di volume ed alla fine si frammentano. Queste notevoli alterazioni avven- gono nei nuclei vegetativi ed in quelli sessuali o sporogeni, di pari passo colla contrazione del filamento di linina e la formazione dei dischi cromatici, cioè durante la costituzione dei cromosomi. E se per- mangono i nucleoli od i frammenti di questi, più o meno a lungo, dopo la definitiva costituzione dei cromosomi, essi non hanno più i ca- ratteri che presentavano al principio del processo cariocinetico, sopra- tutto hanno perduto di volume, di integrità, di attitudine a colorirsi. Ciò vuol dire che durante la profasi è stata sottratta al nucleolo della so- stanza che ha servito alla nutrizione dei cromosomi, e non resta che la plastina la quaie viene impiegata in altro modo. I nucleoli sono, secondo il mio modo di vedere, dei corpi conden- satori di materiali di nutrizione, nel nucleo, e cioè di plastina che viene adibita alle formazione di alcune parti (fibre del fuso, ispessi- menti della membrana divisionale), e di cromatina o di una sua chi- mica modificazione, la quale viene sottratta per la costituzione e nu- trizione dei cromosomi, 0, nel caso di cellule non più suscettibili di divisione, adibita alla nutrizione generale dell’ elemento istologico. 490 Morfologicamente i nucleoli ricordano, perciò, assai i granuli di clorofilla (cloropasti, eloroleuciti) nei quali si distingue pure una specie di stroma dato da una sostanza incolore, e la sostanza verde che com- penetra in modo non uniforme tale stroma. Ricostituendosi i nucleoli nell’ anafasi essi si fanno dei centri di attrazione non solo della plastina che trovasi disciolta nel succo nu- cleare, ma così pure di parte della eromatina dei filamenti nucleari. Nei nuclei che non si dividono più ulteriormente si può dire che tutta o quasi la cromatina dell’ impalcatura venga ad addossarsi al nueleolo (Cucurbdita, Aerides, Idioblasti delle Camelliee). La cromatina perciò passa allo stato disciolto dalla impalcatura nucleare ai nucleoli. Questo mio modo di vedere sulla costituzione dei nucleoli si ac- corda colla seconda delle ipotesi, prese in esame più sopra, circa la duplicità di sostanze che entrano e far parte di questi corpi, deter- minando meglio la natura delle sostanze medesime, i loro reciproci rapporti morfologici, ed il loro valore funzionale. D’ altra parte esso non si oppone alle ipotesi di Strasburger, Guignard, Zacharias, chè anzi le completa. Infatti esso dà ragione della forte attitudine a colorirsi dei nu- cleoli e delle loro particolari reazioni colorate; poichè non vi ha dubbio che avendosi la sovrapposizione di due sostanze di per sè eminente- mente cromofile, ma con potere elettivo diverso, i nucleoli debbano reagire in modo alquanto differente dei cromosomi rispetto agli agenti coloranti. Tale comportamento dei nucleoli non può essere costante, dipen- dendo dal diverso grado di compenetrazione delle due sostanze che entrano a far parte della loro costituzione, e che le mie ricerche di- mostrano essere vario nei diversi momenti dell’ evoluzione cellulare. La sovrapposizione di due sostanze nei nucleoli, spiega altresì il fatto ammesso dai più (Guignard, Went, Farmer, Sargant, ecc.), della graduale diminuzione della loro capacità a colorirsi durante la prima fase della cariocinesi, dovuta a sottrazione della sostanza periferica la quale, probabilmente scindendosi, va ad incorporarsi ai filamenti nu- cleari contribuendo alla nutrizione dei dischi di linina e di cromatina, e ciò sarebbe in appoggio dell’ opinione del Guignard; d’altra parte la sostanza interna del nucleolo rimane a disposizione delle costituentisi fibre del fuso e della placca divisionale, in armonia colle vedute dello Strasburger. Nelle cellule non più suscettibili di divisione, ma dotate di forte accrescimento, le sostanze plastiche accumulatesi nei grossi nucleoli, non potendo più venire partitamente sottratte per la nutrizione delle 249 parti cinetiche della cellula, vengono adibite unicamente alla nutrizione generale di questa ed al suo acerescimento, in conformità delle vedute più volte citate dello Zacharias. Il concetto della condensazione di cromatina, e di una modifica- zione di questa nel nucleolo porta con sè, evidentemente l’ altro della possibile dissoluzione della cromatina dell’impalcatura, il quale concetto è in opposizione alla quasi generale ammissione della struttura granu- lare della sostanza cromatica ed alla individualità dei cromosomi. Riguardo alla individualità dei cromosomi, la quale è stata messa innanzi dallo Strasburger ! per il comportamento dei nuclei in profasi di Lilium bulbiferum, trattati convenientemente con acqua di Javelle, sono sorti molti dubbi, anzitutto perchè il fenomeno non sarebbe ge- nerale, come ha osservato il Guignard, ? il quale, pei nuclei del sacco embrionale dei Lilium, e per quelli delle cellule madri del polline delle Cicadee, è venuto a conclusioni opposte. Lo stesso Strasburger nell’ul- tima edizione del Botanische Practicum, si mostra incline all'ammissione di un filamento unico allo stato di gomitolo. In questo filamento sa- rebbero inclusi e sparsi i granuli di cromatina, i quali durante la con- trazione della linina sempre più si avvicinerebbero e finirebbero per formare i dischi di cromatina separati da dischi di linjna. ° Ora intorno alla formazione di questi ed a quella definitiva dei segmenti cromatici, o cromosomi, non è ancora tutto ben chiarito, spe- cialmente per ciò che riguarda la origine di tutta la sostanza cromatica della quale essi son forniti a sviluppo completo. Intanto il concetto della fusione dei granuli di cromatina, della nutrizione dei segmenti a spese di materiali esistenti nel nucleo e nel citoplasma, si va facendo generale. Abbiamo visto, più sopra, come lo Strasburger, a proposito del così detto Sichelstadium, ammetta che la cromatina possa organizzarsi in seno al nucleo nel cui succo si trovava disciolta. Ho pure accen- nato alla opinione di Miss Sargant che la cromatina dei cromosomi possa venire disciolta nella fase regressiva dei nuclei di Lilium Mar- tagon per essere in seguito ridistribuita nel filamento nucleare alla ri- presa della cariocinesi. Ora senza ricordare qui, di nuovo, opinioni analoghe di altri inve- stigatori sull'essenza della cromatina e sulle sue possibili migrazioni, 1 Srrassuncer E., Ueder Kern-und Zelltheilung. Jena, 1888, p. 35 e seguenti. 2 GuionarD L., Nouvelles études sur la ficondation, p. 253 e seguenti. 2 Srrassurcen E., Das Votan. Practicum. III Aufl. p. 609 e seguenti. CARLI ma stando ai risultati delle mie ricerche, parmi che il concetto della dissoluzione della cromatina nei nuclei in riposo, nella profasi e nel- l’anafasi dei nuclei in divisione, emerga abbastanza chiaramente. Si avrebbe perciò nei nuclei normali il fatto della cromatolisi, il quale è stato messo in evidenza in molti casi patologici nelle cellule animali e vegetali e normalmente anche nei nuclei speciali degli idioblasti delle Cameliee.* Egli è certo che in determinati stadii dei nuclei in divisione, e sopratutto in molti nuclei in riposo, la cromatina manca del tutto o quasi nell’ impalcatura di linina. Resta dunque ad appurare se essa si sia disciolta nel succo nucleare, ovvero se venga, in istato sempre di dissoluzione, incorporata od addossata ai nucleoli. Le mie ricerche tendono ad avvalorare questa seconda ipotesi, non nel senso di una fusione della cromatina colla pirenina o plastina, ma della sovrapposizione, dell’addensamento di quella su questa. Tlea questa che in certo qual modo è stata ventilata dal Guignard ° e dal Flem- ming, il quale ultimo si è depresso nel senso che i nucleoli si costi- tuiscano sede di un vero accumulamento della nucleina (Ansammlungs- stellen des umucleins). 3 Se i risultati di queste mie ricerche avranno una riconferma per parte di altri investigatori, il fatto della cromatolisi non sarà più da relegarsi fra i fenomeni di deviazione e fra i casi patologici, ma esso rappresenterà una normale condizione, sine qua non dell'evoluzione della cellula. Non sarebbe poi un fatto così strano se si pensa che tante sostanze le quali assumono in determinati periodi delle cellule vegetali, forme e strutture ben definite, talora abbastanza complesse, e con elevate fun- zioni come i cromoplasti, l’amido, l’aleurone, gli elaioplasti, i pirenoidi, ecc., si decompongono, si disciolgono per prestare i loro elementi costi- tutivi a contributo dell’ incremento dei tessuti e degli organi, per poi ricostituirsi di nuovo con costanza di forma e di struttura. Senza impugnare la costanza dei caratteri dei nucleoli, nè quella dei cromosomi, non vi ha dubbio che gii uni e gli altri siano organi di una certa mutualità e transitorietà, e che come avviene dissoluzione di nucleoli 0 pirernolisi in seno al nucleo, altrettanto si possa dire di ! Cavara F., Contrib. alla Morfol. e allo Svilup. degli Idioblasti delle Camelliee. Pavia, 1895. — Ipertrofie cd Anomalie nucleari in seguito a parassitismo vegetale. Pavia, 1896. ? Quiexarp L., Nouvelles recherches s. le Noyau, p. 399. ° Fremmino W., Zellsubstanz. Kern., u. Zelltheilung, p. 10. — 245 — dissoluzione della cromatina, o di cromatalisi. Può darsi che si tratti di una parziale dissoluzione, riguardante solo quella sostanza cromatica che, durante la costituzione dei cromosomi va ad aumentare la mole dei granuli di cromatina ed a formare i dischi. Con ciò rimarrebbe inal- terato il conceito della individualità, se non dei segmenti cromatici, sibbene dei granuli di cromatina; concetto il quale, senza dubbio, si presta all’ interpretazione dei fenomeni di ereditarietà. Certo è che l’ultima parola sui rapporti della sostanza nucleolare e della cromatica non è ancora detta e piacemi concludere colle seguenti parole di Oscar Hertwig che rispecchiano il mio concetto: “ Nuclein und Paranuclein (sostanza dei nucleoli) betrachte ich als die wesentlichen Substanzen des Kerns, auf denen Vorhandensein seine physiologischen Leistungen in erster Linie beriihen. Beide scheinen mir in irgendwelchen Beziehungen zu einander zu stehen.,, ‘ Vallombrosa, dicembre 1897. 1 Herrwie O., Die Zelle u. die Gewebe. Jena, 1893, p. 37. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA VIII. Fig. 1-6. — Aerides odoratum. Nuclei di elementi vascolari dell’apice radicale, 1) nu- cleolo con un solo alveolo, 2, 3) con più alveoli, 4) tagliato dal rasoio, 5) stroz- zato a metà e simulante una figura di diaster, 6) a struttura reticolata. Microse. Koristka, Ob. 9, Oc. 4. i 7-11. — Vanilla planifolia. Nuclei di elementi vascolari di estremità di radici, 7, 8, 10, 11) nucleoli alveolati, 9) nucleolo reticolato. Microse. Koristka, Ob. 9, Oc. 4. 12-15. — Cucurbita maxima. Nuclei di elementi vasali e di tubi cribrosi di gio- vani getti, 12) nucleolo alveolato, 13) nucleolo sezionato che fa vedere l’ir- regolare accumulo di sostanza cromatica, 14) altro nucleolo sezionato, 15) nu- cleolo di tubo cribroso, alveolato. Microsc. Koristka, Ob. 9, Oc. 4. 16-20. — Orrithogalum umbellatum. Nuclei secondari del sacco embrionale con nucleoli reticolati, 16) reticolo a maglie regolari, 17 e 18) nucleoli sezionati che fanno vedere la distribuzione inegua'e della cromatina, 19) nucleolo reti- colato a maglie irregolari, 20) due rucleoli che stanno per fondersi insieme nel nurleolo secondario ed ambidue a struttura reticolata, l’inferiore tagliato dal rasoio. Microse. Koristka, Ob. 9, Oc. 4. 5 21-22-23. — Galanthus nivalis. Nuclei dell'endosperma con nucleoli alveolati, Microsc. Koristka, Ob. 9, Oc. 4. » 24-27. — Ornithogalum Ecklunii. Nuclei dell’endosperma con nucleoli forniti di alone cromatico, Microsc. Koristka, Ob. 9, Oc. 4. 28-29. Ficus carica. Nuclei di vasi laticiferi, da un apice vegetativo. Alcuni di sinistra sono in divisione diretta. Microse. Koristka. Ob, Immers. !/; Oc. 4. 30-31. — Phajus grandiflorus. Nuclei della parete ovarica con numerosi nucleoli di diverse dimensioni e filamenti nucleari con cromatina scarsamente distri- buita. Microse. Koristka. Ob. 9, Oc. 4. 32. — Crocus vernus. Nucleo secondario del sacco embrionale con nmucleolo for- nito di alone alveolato. Microse. Koristka, Ob. 7, Oc. 3. 33-34. — Tulipa Gesneriana. Nuclei degli elementi vasali dei fasci che inner- vano l’ovario. Microse. Korislka, Ob. 9, Oc. 4. — 247 — Fig. 35. — Crinum giganteum. Due delle 3 antipodi, con vistosi nuclei in anafasi, senza nucleoli. Sopra vi sono i due nuclei che debbono dare fondendosi il nu- cleo, secondario del sacco embrionale, con nucleoli fortemente colorati, e fila- mento nucleare privo di cromatina. Microse. Koristka, Ob. 7, Oc. 3. . — Polyanthes tuberosa. Nuclei in degenerazione del sacco embrionale. Sono fusi fra di loro e solo restano i nucleoli alveolati o con alone di cromatina. Microse. Koristka, Ob. 7, Oc. 3. TAVOLA IX. Fig. 1-8. — Crinum giganteum. Nuclei dell’endosperma, 1) con reticolo incolore e » nucleolo alveolato, 2) con due nucleoli alveolati e reticolo che comincia ad arricchirsi in cromatina, 3) stadio di gomitolo con scomparsa di nueleoli e di membrana, filamento ricco di cromatina. 4) figura di aster, con cinoplasma ir- raggiante ai poli, 5) figura di diaster, con tetrapolarità, 6) altro diaster con due soli poli, 7) dispirema senza traccia di nucleoli e di membrana, 8) nuclei figli con nucleoli e membrana. Microse. Koristka, Ob. 9, Oc. 4. 9-14. — Narcissus pocticus. Nuclei dell’ endosperma, 9, 12, 13, 14) di forma cilindrica od allungata con grossi nucleoli alveolati, e filamento di linina po- vero di cromatina, nella fig. 14 si ha una pseudo strozzatura, 10) nucleo allo stato iniziale di profasi con nucleoli frammentati ed alveolati; 11) citoplasma a briglie, circostante. Microse. Koristka, Ob. 9, Oc. 4. 15. — Narcissus Tazzetta. Due cellule del mesofillo di foglia appena uscita dal terreno ; la superiore con nucleo a reticolo incolore e nucleolo vistoso; la in- feriore con nucleo allo stato di gomitolo senza nucleoli e senza membrana. Microse. Koristka, Oh. 9, Oc. 4. 16. — Lilium Martagon. Oosfera con nucleo maschile e femminile in via di fon- dersi assieme. Nucleoli grandi egualmente colorati, filamento con poche granu- lazioni cromatiche. Micerose. Koristka, Ob. 7, Oc. 4. 18. — Lilium Martagon. Nuclei dell’ endosperma con citoplasma irraggiante; numerosi nucleoli di varie dimensioni, filamento povero di cromatina. Microse. Koristka, Ob. 9, Oc. 4. 17-19-24. — Lilium candidum. Nuclei del sacco embrionale in diversi stadii, 17, 19-21) prime fasi con grossi nucleoli alveolati o forniti di alone di sostanza cromatica, 20) Citoplasma e succo nucleare densi, granulari, 22) Nucleo in profasi con nucleolo spinto verso la parete ed a contatto del filamento, 23) Nuclei figli dopo la prima divisione, allo stadio di dispirema senza traccia di nucleoli, 24) Nuclei figli dopo la seconda cariocinesi, con ricomparsa di nucleoli, con reticolo povero di cromatina. Microse. Koristka, Ob. 7, Oc. 4. 17 bis. Qi x plat \orea 40 da de oa () Labi ea ie Dl I A A] < de MA SIVE, dl PE Labragi Lp ta Ri RSA PO a È pin ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA (Laboratorio Crittogamico Italiano) CLOROFICEE DI VALTELLINA, SECONDO CONTRIBUTO ALLA FICOLOGIA INSUBRICA! PER IL Dott. LUIGI MONTEMARTINI. Nella sua pregevole memoria bibliografica sopra la Valtellina ed i naturalisti, il Cermenati, dupo avere accennato ad un lavoro del- l’Anzi® e ad uno del Briigger ?, così si esprime ‘: “ Con questo breve lavoro (del Briigger) e con quello già accennato dell’Anzi si chiude la monografia delle alghe valtellinesi, monografia su cui il botanico trove- rebbe ancora una lunga occupazione. , E lungo davvero ed interessante deve essere lo studio delle alghe della Valtellina, poichè tante e sì varie sono le condizioni che tale regione presenta per lo sviluppo di questi esseri. Basta per convincersene che noi pensiamo all’estensione della valle considerata, alle differenze di temperatura, di umidità, di altezza, di esposizione e di composizione del sottosuolo che si hanno nelle diverse plaghe del bacino valtellinese e sopratutto all’abbondanza delle sue acque che per numerosissimi rigagnoli e torrenti scendono, con corsi irregolarissimi, dalle cime perpetuamente nevose a confon- dere le loro acque nell’Adda. La lacuna accennata dal Cermenati nello studio della flora valtel- linese fu, in seguito, riempita solo in parte, per quanto riguarda le 1 Veggasi L. MonremartINI: Contributo alla ficologia insubrica (Atti dell’Istit. Bot. di Pavia, Ser. II, Vol. IV). ? M. Anzi: Catalogus algarum aquae dulcis Longobardiae et Etruriae. ® G. Briiacer: Buùndner Algen (Coira, 1863). In questo lavoro sono elencate circa 180 specie, tra cui 60 Cloroficee raccolte nel Canton de’ Grigioni, nel bacino di Bormio e nella Valle di Poschiavo. 4 M. Cermenari: La Valtellina ed i Naturalisti (Sondrio, 1888), Cap. III (Bo- tanica), pag. 148. Atti dell’Ist. Bot. dell'Università di Pavia — Nuova Serie — Vol. V. 18 = ZI = 1 Diatomee, da una quantità di osservazioni del Pero*® e del Bonardi ?, il primo dei quali ha anche determinato circa 60 Desmidiacee da lui raccolte nei laghi di quella regione. Molto resta dunque ancora da farsi, così che, avendo avuto occasione di fare diverse gite nella valle, ho raccolto Cloroficee delle quali presento ora un primo elenco, riserban- domi di dare in uno studio più completo, anche la parte bibliografica della flora ficologica valtellinese. Le specie da me raccolte sommano a circa un centinaio: per al- cune di esse ho aggiunto alcune osservazioni che reputo non del tutto prive di interesse. Quasi tutte potei conservare benissimo con acqua canforata preparata come è detto nel mio primo contributo alla ficologia insubrica. Feci anzi con quest'acqua molti preparati microscopici che chiusi poi con balsamo e che ancora si trovano in buon stato. Nell’ enumerazione che segue, per la distinzione dei grandi gruppi ho seguito il Wille *, le cui divisioni sono adottate anche nel recente sistema naturale dell’ Engler'. Ho però lasciato ancora insieme alle Cloroficee le Conjugate, le quali benchè per lo sviluppo e l’organizza- zione loro costituiscano, ormai non v'è dubbio, un gruppo a sè, pure pel modo e per le condizioni di vita, come anche per la distribuzione geografica, stanno in stretta relazione con quelle. Pel raggruppamento delle specie e dei generi, come pure per la sinonimia, ho seguito, la Sy2- loge del De Toni? e di questa, oltre che di altri lavori che ho citato per le singole specie, mi sono valso specialmente per la determinazione. Il materiale ed i preparati che hanno servito a questo studio sono depositati nelle. collezioni dell'Istituto botanico di Pavia. Alcune specie furono essiccate e inserite anche nella Phycotheca Universalis del prof. P. Richter. — Mi è grato esprimere qui la mia riconoscenza a questo insigne ficologo, cui ricorsi per schiarimenti nella determinazione di alcune specie dubbie. 1 P. Pero: I laghi alpini Valtellinesi (Nuova Notarisia, 1893-94). —: Le Diatomee dell’’Adda e di altre acque nei dintorni di Sondrio (Malpi- ghia, 1893). —: Cenni oroidrografici e studio sulle Diatomee del lago di Mezzola (Malpi- ghia, 1895). ? E. Bonarpi: Intorno alle Diatomee della Valtellina e delle sue Alpi (Bollett. Scientifico di Pavia, 1883). —: Sulle Diatomee di alcuni laghi italiani (ibidem, 1888). 3 N. Wire: Conjugatae e Chlorophyceae: (Engler s Natirl. Pflanzenfamilien, I Th., II Abth., Leipzig, 1897). ! A. EneLer: SyMlabus der Pfanzenfumilien; eine iibersicht iiber das gesammte Pflanzensystem (Berlin, 1898). ° G. B. De Toni: SyWoge Algarum omnium hucusque cognitarum. Vol. I: Syt- loge Chlorophycearum (Patavii, MDCCCLXXXIX). — Hal = CONJUGATAE (Link.) De Bary. Desmidiaceae (Kuetz.) De Bary. 1. Closterium lanceolatum Kuetz. Phycol. germ., p. 130; De Toni Sylt., I, p. 826. Fra ciuffi di Fontinalis, in fossi di Sondalo: aprile. Alcuni degli esemplari da me osservati giungono fino alle dimen- sioni di oltre 400 w., pur presentando tutti gli altri caratteri perfetta- mente eguali a quelli della specie tipica. 2. Closterium acutum (Lyng.) Bréb. in £a/fs. Brit. Desm., p. 177: Desmaz. Crypt. d. Fr., éd. II, n. 1353; De Toni $y2., I, p. 836. In mezzo ai filamenti di altre alghe, a Sondrio: settembre. A questa specie va riferito, per quanto risulta dalla figura e dalle citazioni bibliografiche, anche il Closterium subulatum Bréb., di cui parla il De Notaris!. 3. Closterium Ehrenbergii Menegh. in Linn., 1840, p. 232; Desmaz, Cr. d. Fr., 6d. II, n. 1356; De Toni SyZ., I, p. 844. In mezzo ad altre alghe, in fossi scolatori del piano di Sondrio: novembre. 4, Closterium moniliferum (Bory) Ehrenb. Infus., p. 91; De Not. Element., p. 60, n. 60, tav. VI, fig. 62; De Toni Sy2., I, p. 845. Fra altre alghe in fossi scolatori a Sondrio, Sondalo e Tirano: aprile-novembre. 5. Closterium Leiblenii Kuetz. Synops. in Linn., 1833, p. 596; De Toni Sy2., I, p. 846. Fra altre alghe, a Sondalo: novembre. 6. Penium Naegelii Bréb. in Pritch. p. [nf., 751; De Toni Sy2., I, p. 861. In mezzo a filamenti di Conferva, in fossi di Sondalo: ottobre. 7. Pleurotaeninm Ehrenbergii (Ralfs.) Delponte Spec. Desm. Subalp.: p. 228, tav. 20, fig. 1-7; De Toni Sy2., I, p. 896. Con altre alghe in fossi, a Bianzone: settembre, 1 G. De Noraris: Zlementi) per lo studio delle Desmidiacee Italiche (Ge- nova, 1867), p. 62, n. 63, tav. VI, fig. 64. pi 8. Cosmarium nitidlulum De Not. Z/ement., p. 42, n. 25, tav. III, fig. 26; De Toni SyU., I, p. 935. Fra altre alghe nel lago di Fraele: agosto. 9. Cosmarium pseudobotrytis Gay ss. Mon. Conjug., p. 61; De Toni Sylt., I, p. 962. Fra altre alghe in fossi sul monte Mara (a 3000 m. s. m.) sopra Sondrio: agosto. 10. Cosmarium Botrytis (Bory) Menegh. in Linz., 1840, p. 220; De Not. Element., p. 43, n. 27, tav. IV, fig. 28; Delp. Spec. Desm. Subalp., p. 118, tav. VIII, fig. 31-39; De Toni Sy2., I, p. 979. In mezzo ad altre alghe in fossi scolatori ad Arquino (Val Ma- lenco) ed a Sondalo: ottobre e dicembre. 11. Cosmarium tetraophthalmum (Kuetz.) Bréb. var. Lundelli Wittr. Om Gotl. och Oelands Séttvattersalger, p. 56; De Toni Sy0.. I, p. 982. In mezzo a ciuffi di Cladophora, in fossi scolatori di Sondalo: agosto. 12. Cosmarium reniforme (Ralfs.) Archer in Journ. of Bot, 1874, p. 93; De Toni Sy, I, p. 982. Fra altre alghe nel lago di Fraele: agosto. 13. Staurastrum punctulatum Bréb. in £a/fs. Brit. Desm., p. 133; De Not. Element., p. 51, n. 43, tav. IV, fig. 44; Delp. Spec. Desm. Subalp., p. 142, tav. XI, fig. 33-38; De Toni Sy, I, p. 1190. In mezzo a filamenti di Vaucheria, sul margine di fossi, a Son- dalo: settembre. ‘Zygnemaceae (Menegh.) Rabenh. 14. Zygnema eruciatum (Vauch.) Ag. Syst., p. 77; De Toni 6y2., I, p. 732. In fossi sul Monte Mara, sopra Sondrio: agosto. 15. Spirogyra arcta (Ag.) Kuetz. Tad. Phyc., V, tav. 21; De Toni SyU., I, p. 744. In fossi ad acqua corrente, a Sondalo: agosto. 16. Spirogyra decimina (Muell.) Kuetz. var. laxa Kuetz. Phye. germ., pi. 1223: Delon sg SR pa750: Sul fondo di fossi ad acqua corrente, a Cosio: luglio. o 17. Spirogyra majuscula Kuetz. Spec., p. 441, e Tab. Phyc., V, tav. 26; De Toni Sy2., I, p. 756. Nel lago di Triangia, sopra Sondrio ed in fossi del piano di Co- lico e di Bianzone: novembre e febbraio. 18. Spirogyra bellis (Hassall) Crouan 7. Finist., p. 121; De Toni SyUi., I, p. 762; Spirogyra subaequa Kuetz. Tab. Phye., V, tav. 26; Rabenh. Fl. Eur. Alg., III, p. 244. Su terra bagnata lungo rigagnoli, a Bianzone: settembre. Gli esemplari da me trovati corrispondevano perfettamente alla figura del Kuetzing e alla diagnosi della specie, non avevano però cellule fruttifere molto rigonfie, ciò che non giustifica la classificazione del De Toni che colloca questa specie tra quelle con cellulae fructiferae distinete inflatae. PROTOCOCCOIDEAE (Menegh.) Kirchn. Volvocaceae (Cohn.) Kirchn. 19. Pandorina Morum (Muell.?) Bory Enceyel. Méth.; De Toni S7y02., tp. 539% In mezzo ad altre alghe, in fossi a Sondrio: gennaio e aprile. 20. Chlamydomonas pulvisculus (Muell.) Ehr. /nf., p. 64; De Toni SyU., I, p. 549. In pozze d’acqua, nel piano di Colico: agosto. 21. Cylindromonas fontinalis Hansg. Prodr. Algenfl. v. Bohmen., p. 707; De Toni Sy%., I, p. 559. In mezzo ad Hormiscia su sassi nel Mallero, a Sondrio: novembre. Tetrasporaceae \Wille. 22. Tetraspora stereophysalis (Menegh.) Kuetz. Spec., p. 225; De Toni Sy22., I, p. 648. Attaccata ad erbe acquatiche in fossi, a Cosio: luglio. 23. Tetraspora gelatinosa (Vauch.) Desv. var. mierococca Kuetz.; De Toni Sy2., I, p. 650. Formava estese lamine di gelatina in un fosso irrigatore a Mos- sini, sopra Sondrio: dicembre. — 204 — Pleurococcaceae \ille ‘. 24. Scenedesmus bijugatus (Turp.) Kuetz. Syn. Diat., p. 607; De Toni Syl., I, p. 563; Scenedesmus obtusus De Not. Element., p. 77, n. 85, tav. IX, fig. 87. In mezzo ad altre alghe, nei fossi di Cosio :,luglio. 25. Scenedesmus bijugatus (Turp.) Kuetz. var. alternans (Reinsch.) Hanse. Prodr., p. 114; De Toni Sy2, I, p. 564. Col precedente. Gli esemplari da me trovati hanno dimensioni un po’ maggiori di quelle comunemente note. 26. Scenedesmus obliquus (Turp.) Kuetz. Syn. Diat., p. 679; De Toni Sy2l, I, p. 566; Scenedesmus acutus Meyen Beob. ii. Algenfl., p. 175. Coi precedenti. Gli esemplari da me trovati rassomigliano molto per la loro forma alle figure 86 (Tav. IX) date dal De Notaris (Elementi ecc.) per un Scenedesmus da lui lasciato indeterminato (pag. 75, n. 84). La variabi- lità di questa forma cui accenna il De Notaris e che ultimamente fu messa bene in rilievo da Chodat e Malinesco °, fa dubitare che le tre specie sopra menzionate, trovate insieme tra loro, non siano che forme di una sola specie molto polimorfa. Non avendo potuto fare ricerche in proposito, io le ho tenute distinte soltanto perchè corrispondono @ tre diagnosi ancora accettate nei trattati di ficologia. 1Ò) degno di nota il fatto che insieme ai cenobii di Scenedesmus trovai colonie speciali di cellule rotondeggianti, a guisa di Daetylo- coccus e Pleurococeus, la cui presenza mi pare venga in certo modo a confermare le relazioni genetiche esistenti, secondo i sopracitati bota- nicì Chodat e Malinesco, tra i generi Scenedesmus, Dactylococcus, Pleu- rococcus e Glococystis. ! Aggiungo qui in nota un'alga che ora è posta tra le Feoficee in seguito agli studî fatti sui suoi organi di riproduzione, ma che nei vecchi libri di ficologia è con- siderata come una Cloroficea e delle Cloroficee ed in particolar modo delle Pleurococ- cacee ha l’aspetto ed il modo di vita: Hydrurus foetidus (Wiu..) Kurcr. Alg. Schles., p. 106; De Toni S72., III, p. 596. Attaccata a sassi sulle rive dell'Adda, a Regoledo: febbraio. Gli esemplari da me trovati corrispondono all’Hydrurus penicillatus Ag., Ra- BENE Ml. Eur. Alg., III, p. 50; Kuerz. Tab. Phye., I, tav. 33. ° R. Cmopar et 0. Matinesco: Sur le polymorphisme du Scenedesmus acutus Mey. (Bull. de V' Herb. Boissier, 1893, p. 184). Do 55 — 27. Gloeocystis gigas (Kuetz.) Lagerh. Bidrag till Sver. Algfl., 1883, p. 63; De Toni Sy0., I, p. 670. In mezzo a filamenti di Cladophora, in fossi del piano di Sondrio novembre. 28. Palmella mucosa Kuetz. Phye. gen.. p. 172; De Toni Sy/2., I, p. 678. Attaccata ad erbe acquatiche in fossi, a Cercino: luglio. 29. Stichococcus bacillaris Naeg. Einzell. Alg., p. 76; De Toni SyIl.. I, p. 687. Dentro il legno (del quale aveva riempito le fibre) su cui scola l’acqua solfurea alle Prese di Poschiavo: agosto. 30. Pleurococcus vulgaris Menegh. var. minor (Kuetz.) Kirchn. Ag. Schles., p. 115; De Toni Sy4., I, p. 688. Su corteccie di alberi nel piano di Colico: agosto. 31. Pleurococcus minutus (Kuetz.) Naeg. var. roseolus Hangs. Prodr., p. 134; De Toni Sy2Z., I, p. 690. Sopra sassi lungo un rigagnolo, a S. Anna sopra Sondrio: novembre. Protococcaceae \Ville. 32. Protococcus viridis Ag. Syst., p. 13; De Toni Sy2., I, p. 699. Sulle vasche dell’acqua potabile a Sondrio e Tirano: gennaio e agosto. 33. Protocoecus viridis Ag. var. pulcher (Kuetz.?) Hansg. Prodr p. 141; De Toni Sy2/., I, p. 700. Sulle corteccie di diversi alberi, nel piano di Sondrio: marzo. 34. Protococcus glomeratus Ag. in Flora, 1827, p. 69; Te Toni Sy/Z., ISpaizo1. Su terra e su muri umidi lungo le strade, a Sondrio: novembre e dicembre. 35. Protococcus infusorium (Schrank.) Kirchn. 479. Sehles., p. 103; De Toni Syll., I, p. 702; Protococcus Meneghinii Kuetz. Tab. Phyc., 1, tav. 3. In acqua abbandonata in un vaso, a Sondrio: dicembre. 36 — 256 — . Protococeus botryoides (Kuetz.) Kirchn. Aly. Schles., p. 103; De Toni Sy2., I, p. 703. Su terra umida lungo fossi a S. Anna, sopra Sondrio ed a Campo Cologno, sopra Tirano: novembre e dicembre. 37. Protococeus botryoides (Kuetz.) Kirchn. è inerustans Rabenh. FI. Eur. Alg., III, p. 58. Attaccato a sassi su cui scorre l’acqua potabile, a Sondrio: no- vembre. Ho tenuto distinta questa varietà accennata dal Rabenhorst, spe- cialmente per l'habitat particolare suo e per il modo di presentarsi. Gli individui da me esaminati hanno un diametro di circa 7 w. I Do 39. 40. 41. Hydrodictyaceae \Wille. . Hydrodictyon reticulatum (L.) Lagerh. Bidrag. till Sv. Algf., PAZ edonSg 8 Mpto622 Sulle rive del lago di Como, vicino allo sbocco dell'Adda: agosto. Pediastrum Boryanum (Turp.) Menegh. Synops., p. 244; De Toni Syll., I p. 576. In mezzo ad altre alghe in fossi, a Cosio: Pediastrum selenaea Kuetz. Phye. gen., p. 143; De Toni Sy22., I, p. 577. Col precedente. CONFERVOIDEAE (Ag.) Falk. Ulothrichiaceae (Kuetz.) Borzì. Hormidium murale (Lyngb.) Kuetz. Phyec. germ., p. 183; De Toni Sylt., I, p. 156. Sulle tegole di un tetto, ad Arquino, in Val Malenco: gennaio. . Hormiscia subtilis (Kuetz.) De Toni var. stagnorum (Kuetz.) Kirchn. Alg. Schles., p. 77; De Toni Sy2., I, p. 160; Ulothrix sta- gnorum Kuetz. Tab. Phyc., II, tav. 87. In fossi ad acqua stagnante, a Bianzone: settembre. 43. 44. 46. 47. 48. 49. 50. — 257 — Hormiscia fiaccida (Kuetz.) Lagerh. var. varia (Kuetz.) De Wild. Not. s. Vl Ulothrix flaccida, p. 4; De Toni Sy2., I, p. 162; Ulothrix varia Kuetz. Tab. Phyc., II, tav. 96. Su terra bagnata lungo la strada di Mossini, a Sondrio: novembre. Hormiscia zonata (Web. et Mohr.) Aresch. in Acta Soc. Upsala, 1866, p. 12; De Toni Sy%., I, p. 163. Su sassi nel letto del Mallero, a Sondrio: novembre. . Hormiscia zonata (Web. et Mohr.) Aresch. a genuina (Kuetz.) Hansg. Prodr, p. 57; De Toni Sy0., I, p. 163. Attaccata a sassi sulla riva del lago di Poschiavo: agosto. Hormiscia zonata (Web. et Mohr.) Aresch. var. attenuata (Kuetz.) Rabenh. £?. Eur. Alg., III, p. 362; De Toni Sy2. I, p. 163. In cascate d’acqua ad Arquino, in Val Malenco: dicembre. Gli esemplari da me raccolti misuravano circa un decimetro di lunghezza ed avevano cellule con un diametro di soli 20—30 wu. Hormiscia zonata (Web. et Mohr.) Aresch. var. pectinalis (Kuetz.) Rabenh. FI. Eur. Alg., INI, p. 362; De Toni Sy2., I, p. 163. Nei sassi del piano di Sondrio. Hormiscia zonata (Web. et Mohr.) Aresch. var. inaequalis (Kuetz.) Rabenh. F/. Eur. Alg., III, p. 362; De Toni Sy2., I, p. 163; Ulo- thrix inaequalis Kuetz. Tab. Phye., II, tav. 91. Insieme alla precedente ed in fossi a Bianzone: settembre. Hormiscia aequalis (Kuetz ) Rabenh. 7. Eur. Alg., III, p. 363; De Toni Sy2., I, p. 165; Ulothrix aequalis Kuetz. Tab. Phyc., II, tav. 89. In fossi, ad Albosaggia: gennaio. Hormiscia aequalis (Kuetz.) Rabenh. var. cateniformis (Kuetz.) Rabenh. 2. Eur. Alg., III, p. 363; De Toni Sy2., I, p. 165; Ulo- thrix cateniformis Kuetz. Tab. Phye., II, tav. 89. In cascatelle dei fossi del piano di Sondrio: novembre e gennaio. . Hormiscia tenuis (Kuetz.) De Toni S72., I, p. 165; Ulothrix tennis Kuetz. Tab. Phyc., II, tav. 89. Attaccata a sassi sulle rive dell'Adda, a Regoledo: febbraio. ut bo 57. 60. 61. — OS . Hormiscia moniliformis (Kuetz.) Rabenh. YZ Ew-. Alg., III, p. 361: De Toni Sy22., I, p. 166; Ulothrix moniliformis Kuetz. Tab. Phye., II, tav. 88. Attaccata alla sponda dell'Adda, a Sondrio: gennaio. . Hormiscia oscillarina (Kuetz.) De Toni Sy22., I, p. 167; Ulothrix oscillarina Kuetz. Tab. Phyc., II, tav. 88. In fossi, ad Albosaggia: gennaio. . Conferva bombycina (Ag.) Lagerh. Z. Entw. ein. Conf., p. 412; Kuetz. Tab. Phyc., III, tav. 44; De Toni SyU., I, p. 216. In fossi, nel piano di Sondrio e a Sondalo: settembre-dicembre. 5. Conferva bombycina (Ag.) Lagerh. var. genuina Wille Om. Conf. tab. I-II; De Toni Sy2., I, p. 216. In fossi lungo le strade nel piano di Sondrio: gennaio e febbraio. 56. Conferva bombycina (Ag.) Lagerh. var. pallida Kuetz. Tab. Phye., III, tav. 44; De Toni Sy2., I, p. 216; Conferva bombycina e. pallida Rabenh. FI. Eur. Alg., III, p 324. In canali irrigatori, a Sondrio: settembre. Conferva bombycina (Ag.) Lagerh. var. sordida Kuetz. Tab. Phye., III, tav. 44; De Toni Sy2,, I, p. 216; Conferva bombycina b. sordida Rabenh. FI. Eur. Alg., III, p. 324. In fossi ad acqua corrente, a Sondalo: agosto. . Conferva bombycina (Ag.) Lagerh. var. elongata Rabenh. Krypt. FI. Sachs., I, p. 246; De Toni Sy2., I, p. 216; Conferva bombycina d. elongata Rabenh. FI. Eur. Alg., III, p. 324. In fossi ad acqua stagnata, a Bianzone e Sondrio: settembre 59. Conferva bombycina (Ag.) Lagerh. var. minor Wille A/gol. Mittl., p. 467; De Toni Sy2, I, p. 216. In fossi irrigatori, a Mossini sopra Sondrio: dicembre. Conferva utricolosa Kuetz. car. minor mihi. A specie differt cellulis diametro minore et uno ex latere tumidis. In fossi ad acqua corrente a Sondalo: agosto. Conferva glacialis Kuetz. Phyc. germ., p. 202; De Toni Sy2/., I, p. 217. In fossi sul Monte Mara, sopra Sondrio: agosto. — 09 — 62. Conferva hyalina Kuetz. 4/9. exs., n. 53; De Toni Sy2., I, p. 217; Gloeotila hyalina Kuetz. Tab. Phyc., III, tav. 32. Attaccata a sassi nelle rive dell'Adda, a Regoledo: febbraio. 63. Conferva tenerrima Kuetz. A4/y. ag. dule., n. 55, e Tab. Phye., III, tav. 42; De Toni SyU., I, p. 218. Nel lago di Triangia, sopra Sondrio: novembre. 64. Conferva tenerrima Kuetz. forma subtilis (Kuetz.) mihi; Conferva subtilis Kuetz. Tab. Phyc., III, tav. 42, fig. VI. Pallide viridis; cellulis 3-3,5w erassis, diametro 5-6 - plo longioribus. Nel lago di Fraele: agosto. Questa forma, per quanto risulta dalla figura, pare identica a quella rappresentata dal Kuetzing nella fig. 6, tav. 42, vol. ITI delle sue tavole. 65. Conferva tenerrima Kuetz. var. rhypophila (Kuetz.) Hansg. Prodr.. p. 74; De Toni Sy2Z., I, p. 218; Conferva rhypophila Kuetz. Tab. Phyc., III, tav. 42. In fossi irrigatori a Mossini, sopra Sondrio: dicembre. 66. Conferva Nubecula Kuetz. Tab. Plye., III, tav. 42; De Toni Sy/., Ipa219: In canali irrigatori, a Sondalo e nel lago di Triangia sopra Son- drio: settembre-novembre. 67. Conferva vitteliensis Mont. VIII Cent. pl. cell. nouv. (Ann. Se. Nat., 1858), p. 153; De Toni Sy2., I, p. 221. In fossi a Sondrio: settembre. 68. Microspora vulgaris Rabenh. Krypt. Fl. Sachs., p. 245, e FI. Eur. Alg., III, p. 331; De Toni Sy2., I p. 226. 69. Microspora fontinalis (Berk.) De Toni Sy2., I, p. 230, Conferva fontinalis Kuetz. Tab. Phyc., III, tav. 45. Nel lago di Triangia, sopra Sondrio: novembre. Gli esemplari da me trovati rassomigliano perfettamente alla fi- . gura data dal Kuetzing, però sono di dimensioni un po’ superiori a quelle generalmente conosciute: le loro cellule possono cioè raggiun- gere fino 22 v. di diametro ed una lunghezza di 12 diametri. — 260 — Chaetophoraceae (Harn.) Hass. 70. Draparnaudia plumosa (Vauch.) Ag. Syst., p. 58; Kuetz. Tad. Phyc., III, tav. 14; De Toni SyZ., I, pag. 190. Attaccata a corpi sommersi in stagni, a Cosio: luglio. 71. Draparnaudia glomerata (Vauch.) Ag. 3 distans (Kuetz.) Hansg. Prodr., p. 72; De Toni SyU., I, p. 192; Draparnaudia distans Kuetz. Tab. Phye., INI, tav. 14. In mezzo a muschi in fossi, a Triangia sopra Sondrio: novembre. 72. Draparnaudia glomerata (Vauch.) Ag. forma longearticulata Montemartini Contr. Fic. Ins, n. 71. In canali irrigatori a Morbegno: luglio. 73. Stigeoclonium tenue (Ag.) Rabenh. a genuinum (Kuetz.) Kirchn. Alg. Schles., p. 68; De Toni Sy2., I, p. 197; Stigeoclonium tenue Kuetz. Tad. Phyc., III, tav. 3. Aderente a corpi sommersi in fossi scolatori del piano di Son? drio: dicembre. 74. Stigeoclonium protensum (Dillw.) Kuetz. var. subspinosum (Kuetz.) Rabenh. . Eur. A4lg., II p. (378; De Non Sy, I pmi995 Stigeoclonium subspinosum Kuetz. Tab. Phyc., III, tav. 2, fig. 2. In una sorgente sopra Sondalo: luglio. Oedogoniaceae (De Bary) Wittr. 75. 0edogonium puncetato-striatum De Bary Ued. 0ed. u. Bulb., p.47; De Toni Sy2,, I, p. 72. Nel lago di Fraele: agosto. In grazia alla punteggiatura elegantissima e caratteristica delle membrane cellulari e alle dimensioni delle cellule, potei identificare questa specie anche su esemplari senza organi di riproduzione. 76. Oedogonium catenulatum Kuetz. Sp. 4/9., p. 368; De Toni Sy0l., IRPRSS Comunissimo in tutti i canali di scolo, da Sondrio a Colico, ove forma spesso dei cordoni lunghi parecchi metri: gennaio-agosto. PRI Cladophoraceae (Hassall.) Wittr. 77. Rhizoclonium tortuosum Kuetz. Plyc. germ., p. 205, e Tab. Phye., III, tav. 68; De Toni Sy2., I, p. 280. Attaccato a sassi sulla riva del lago di Como, a Colico: agosto. 78. Cladophora fracta (Dillw.) Kuetz. var. genuina Kirchn. forma sub- simplex Kuetz.; De Toni SyU., I, p. 289. In canali irrigatori nel piano di Sondrio: novembre. 79. Cladophora fraeta (Dillw.) Kuetz. var. patens Ag. forma gossypina (Draparn.) Rabenb. FZ. Eur. Al9., III, p. 335; De Toni Sy2., I, p. 289; Cladophora gossypina Kuetz. Tab. Phyc., IV, tav. 51. In fossi lungo le strade, a Sondrio: febbraio. 80. Cladophora globulina Kuetz. Tab. Phye., IV, tav. 56, fig. 1; De Toni Sy2., I, p. 301; Cladophora fracta f. globulina Rabenh. FY. Eur. Alg., III, p. 336. In fossi ad acqua stagnante, a Sondrio ed a Sondalo, ove i suoi filamenti si trovano aggrovigliati a formare una specie di stoppa verde che ricopre la superficie dell’acqua e scende fino al fondo: novembre- agosto. Siccome il De Toni colloca questa specie tra le specie dubbie, ne mandai molti esemplari al Prof. Richter il quale ne potè constatare l'identità confrontandoli anche con un esemplare originale del Kuetzing. 81. Cladophora putealis Kuetz. Phyc. germ., p. 217, e Tab. Phye., IV, tav. 53; De Toni Sy, I, p. 291; Cladophora crispata b. virescens form. putealis Rabenh. FI. Eur. Alg, III, p. 338. In fossi ad acqua corrente, a Sondalo: agosto. 82. Cladophora insignis (Ag.) Kuetz. var. genuina (Kuetz.) Rabenbh. forma rivularis (Vauch.) Rabenh. sub/. abbreviata Kuetz. Tab. Phyc., IV, tav. 38; De Toni Sy., I, p. 294. In fossi ad acqua corrente, a Sondalo: agosto. 83. Cladophora glomerata (L.) Kuetz. Plye. germ., p. 212, e Tab. Phye., IV, tav. 33; De Toni Sy2., I, p. 295. In fossi a Sondrio: febbraio. 84. Cladophora glomerata (L.) Kuetz. var. fasciculata Rabenh. forma fasciculata Rabenh. F7. Eur. Alg., III, p. 340; De Toni Sy2, I, (0 0) (or 87. (0) (0 0) 89. — 262 — p. 295; Cladophora fasciculata Kuetz. Tab. Phyc., IV, tav. 34. f 5 In fossi a Sondalo: aprile. 5. Cladophora glomerata (L.) Kuetz. var. fasciculata Rabenh. forma fasciculata Rabenh. * elongata Rabenh. FI. Eur. Alg., III, p.340; De Toni Sy2., I, p. 295; Cladophora fasciculata e'ongata Kuetz. Tab. Phye., IV, tav. 33. In fossi nel piano di Colico: febbraio. 3. Cladophora glomerata (L.) Kuetz. var. genuina (L.) Rabenh. forma glomerata (Kuetz.) Rabenh. Fl. Eur. A40g., III, p. 341; De Toni Sy2., I, p. 296. In fossi lungo le strade, a Grosio: novembre. Cladophora glomerata (L.) Kuetz. var. genuina (L.) Rabenh. forma glomerata (Kuetz.) Rabenh. ** cartilaginea (Kuetz.) Rabenh. 7%. Eur. Alg., III, p. 341; De Toni Sy, I, p. 296. In fossi a Sondalo: settembre. 8. Cladophora glomerata (L.) Kuetz. var. genuina (L.) Rabenh. forma glomerata (Kuetz.) Rabenh. *** rivulavis Rabenh. Fl. Ewr. Ag. III, p. 341; Da Toni Sy22., £, p. 296. Attaccata a roccie su cui scola dell’acqua, a Sondrio: gennaio. Cladophora glomerata (L.) Kuetz. var. genuina (L.) Rabenh. forma glomerata (Kuetz.) Rabenh. ***** simplicior (Kuetz) De Toni Syll., I, p. 296; Qladophora glomerata e. glomerata form. simplicior Rabenh. HM. Eur. Alg., III, p. 341. Attaccata a marmi su cui scola dell’acqua, ad Arquino in Val Ma- lenco ed a Sondrio: dicembre e gennaio. 90. Cladophora glomerata (L.) Kuetz. var. genuina (L) Rabenh. forma flavoscens (Ag.) Rabenh. FI. Ewr. Alg., III, p. 342; De Toni Sy, TRPP IZ06! In fossi, nel piano di Colico: febbraio. 91. Cladophora callicoma Kuetz. Spec., p. 406, e Tab. Phyc., IV, tav. 37; De Toni Sy2., I, p. 297; Cladophora glomerata ce. glomerata form. callicoma Rabenh. Fl. Eur. Alg., III, p. 341. Attaccata a roccie con stillicidio, ad Ascheri sopra Sondrio: di- cembre. 92. Cladophora declinata Kuetz. var. fluitans (Kuetz.) Hansg. Prodr., n. 115; De Toni Sy2., I, p. 298; Cladophora fluitans Kuetz. Tab. dd. — 268 — Phye., IV, tav. 39: Cladophora' glomerata b. fluitans form. fluitans Rabenh. FZ. Eur. Alg., INI, p. 340. In cascate d’acqua, a Castione: gennaio. 3. Cladophora sudetica Kuetz. Spec., p. 409 e Tab. Phye., IV, tav. 44; De Toni Sy0., I, p. 298; Cladophora crispata b. virescens form. su- detica Rabenh. Fl. Eur. Alg., INI, p. 338. Sulle rive dell'Adda, a Sondalo: agosto. Cladophora canalicularis (Roth.) Kuetz. Phyc. germ., p. 214, e Tab. Phyc., IV, tav. 43; Rabenh. 7/2. Eur. Alg., III, p. 342; De Toni Sy p-®299! In cascate in Rio Valdone (Val Malenco) e in fossi scolatori, ad Albosaggia: gennaio. 95. 96. di 98. SEL Cladophora canalicularis (Roth.) Kuetz. var. genuina De Toni SylI., I, p. 299; Cladophora canalicularis form. canalicularis Ra- benh. Y/. Eur. Alg., III, p. 342. Sulle rive dell'Adda, a Regoledo: febbraio. Cladophora canalicularis (Roth.) Kuetz. var. Kuetzingiana (Grun.) Rabenh. F7. Eur. Alg., III, p. 342; De Toni Sy2., I, p. 299; Cla- dophora macrogonia Kuetz. Tab. Phyc., IV, tav. 36. In fossi, a Castione: gennaio. SIPHONEAE Grev. Vaucheriaceae (Gray) Dumont. Vaucheria sessilis (Vauch.) DC. Flor. Fr., II, p. 63; De Toni S722., TWpat398% Strisciante sulle rive dei fossi lungo le strade, a Sondrio: novembre. Vaucheria geminata (Vauch.) DC. var. verticillata (Kuetz.) Ra- benh. FZ. Eur. Alg., III p. 270; De Toni Sy%., I, p. 400; Vau- cheria verticillata Kuetz. Tab. Phyc., VI, tav. 64. Su terra umida lungo canali irrigatori, a Sondrio: settembre. Vaucheria terrestris Lyneb. Hydroph., p. 77; Walz in Prings. Jahrb., V, t. XIII, fig. 18; De Toni SyU., I, p. 401. Sul fondo di fossi asciutti, nel piano di Sondrio: dicembre. Dal Laboratorio (rittogamico di Pavia, 12 Settembre 1898, bIdIg TRIO DT tei PIA 9 (08 214 Ie hi, MF DIRI. = agi PAR vir alata ae baldini tc i RE SE rea 20 3116 7 clvddotizolzione)t a sidrtr a al reg c OE = \ ea ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA (Laboratorio Crittogamico Italiano.) STUDI SUL THE. RICERCHE INTORNO ALLO SVILUPPO FRUTTO DELLA “ THRA CHINENSIS,, Sus, COLTIVATA NEL R. ORTO BOTANICO DI PAVIA PEL Dott. FRIDIANO CAVARA. Con tav. X a XV. Una pianta la cui coltivazione ha assunto uno sviluppo notevolis- simo in China, Giappone, Coccincina, India Or., Giava, Brasile, ed al- trove, e che in vista del crescente uso del suo particolare prodotto, va ‘ogni dì più allargandosi, è, non vi ha dubbio, la Thea ehinensis Sims. La decozione delle sue foglie, preparata dopo una serie di minu- ziose manipolazioni, quali certo, meglio di qualsiasi altro, può fare il paziente ed industrioso abitante della China e del Giappone, va sosti- tuendosi agli alcoolici ed allo stesso caffè anche presso le popolazioni dell'Europa centrale e meridionale. Questo diffondersi, adunque, dell’uso del The, e per conseguenza della coltura della pianta, farebbe supporre che tale vegetale fosse stu- diato sotto ogni punto di vista. Ora invece la Tea chinensis non è stata finora oggetto di uno studio botanico completo, ma solo di contribuzioni di carattere affatto unilaterale. A parte qualche lavoro di indole gene- rale nel quale del The sonosi studiate alcune questioni vuoi di morfologia degli organi vegetativi e de’ riproduttivi, vuoi della loro interna strut- tura, ovvero di distribuzione geografica, o delle condizioni inerenti alla sua biologia, come risulterà dalla citata bibliografia, le contribuzioni più vaste e più specializzate sono state date o da farmacopee e testi di bo- tanica medica e di chimica, o da pubblicazioni d’indole agraria o tecno- logica, riferentesi le une alla morfologia ed interna struttura delle fo- glie e alla natura dell’alcaloide che contengono, le taltre alla coltura Atti dell’Ist. Bot. dell'Università di Pavia — Nuova Serie — Vol. V. 19 — 266 — della pianta del The ed al modo di preparazione del prodotto commer- ciale. Ho dovuto convincermi di questo che dico fin da quando, qualche anno fa, intrapresi lo studio di particolari elementi istologici, sparsi in quasi tutti gli organi di tale pianta, e pel quale dovetti attingere prin- cipalmente a opere e lavori di indole applicativa. ! Le ragioni di ciò sono forse due: la naturale tendenza dell’uomo a ricercare la ragione dei fatti, in quanto da questi ne viene a lui un diretto beneficio, ed è questo il lato utilitario della questione; poi vi è la seconda ragione porta dall’occasione più o meno propizia alla intra- presa di ricerche speculative, e cioè, il fatto della poco estesa, anzi ristrettissima, coltura della Thea chinensis ne’ paesi d'Europa, anche i più meridionali. Per le ragioni del Nord ed anco del centro d'Europa, è questione di ostacoli di indole essenzialmente climatologica, il non potersi colti- vare all'aperto questa pianta, la quale vivendo stentatamente nelle serre, non vi dà che raramente fiori, e più raramente, ancora, vi matura frutti. Ciò spiega benissimo la penuria di studi scientifici sugli organi fiorali della Thea chinensis. E già il Payer fece, appunto, questo stesso rilievo nel suo classico trattato di organogenia. “ Il n°y a qu'un petit, nombre de Ternstroemiacées qui fleurissent dans nos serres, et, quand elles flenrissent, c'est en si petite quantité, qu'il est bien difficile d’en étudier l’organogénie de la fleur, qui exige toujours le sacrifice d’un grand nombre de boutons. , ? Alle condizioni di clima possono aggiungersene altre, quale, ad es., la natura poco confacente del terreno, ed una conferma di questo si ha nelle notizie, con tutta cortesia fornitemi recentemente dal signor D. Bois, Assistente alla Cattedra di coltura al Museo di Storia natu- rale di Parigi. Dopo avermi detto che il The ivi fiorisce raramente e non vi fruttifica mai, il Bois aggiunge: “ Cette plante serait certaine- ment cultivable en plain air dans le climat de Paris, à la condition de la couvrir d'un chassis pendant l hiver, si notre sol n’était pas aussi calcaire et l’atmosphère aussi sèche. Ces raisons nous obbligent è tenir la plante en serre froide, plantée dans un compost silicio-argileux. Malgré cela, nous n’obtenons qu’ une végétation mediocre, les eaux d’arrosage dont nous disposons étant très calcaires. ,, ! Cavara F., Contributo alla Morfologia ed allo sviluppo degli Idioblasti delle Camelliee, in Atti dell’Ist. Bot. di Pavia, Nuova serie, Vol. IV. 1895. * Paver, Trailé d’organogenie, pag. 532. — 267 — La latitudine elevata di Parigi (48,50 Lat. N.) rispetto a quella dei paesi di origine del The, e le inerenti condizioni climatiche val- gono del resto, anche astraendo dalla natura mineralogica del terreno, a spiegare l'insuccesso della coltura di questa pianta; tanto più se si tien conto delle precipitazioni atmosferiche (579 mm. per Parigi, 650 circa per il centro della Francia), assai inferiori a quelle del Giappone che sorpassano i 1000 mm. Le basse temperature invernali, quando non sono eccessive, non hanno forse l’importanza che a prioré si potrebbe loro attribuire. E questo risultami da dati che ho potuto raccogliere in proposito, per ciò che riguarda l’Italia. Auzitutto sul Lago Maggiore, a Pallanza, poco di sotto il 46° L. N. il The viene coltivato in piena terra, senza riparo alcuno, dal signor Uberto Hillebrand e alle isole Borromeo, e le piante vi fioriscono e por- tano frutti a maturanza. Ma le condizioni climateriche delle rive dei Laghi subalpini sono tali da assicurare lo sviluppo di una vegetazione di carattere essenzialmente mediterreneo, onde non fa meraviglia che anche il The vi possa prosperare. Le temperature medie invernale ed estiva, come si scorge dallo specchietto che dò più sotto, è press’a poco quella dei paesi dell’Italia centrale. Nella valle del Po, caratterizzata da inverni rigorosi e da molto caldo in estate, con minima invernale che può essere fin — 15°, si direbbe . che il The non potesse vegetare in piena terra. Eppure a Pavia esso vi è coltivato nell’Orto botanico, dal prof. Briosi, il quale ha saputo dare, convien dirlo subito, così buone disposizioni circa 1’ esposizione, la natura del terreno, e la tutela contro le basse temperature inver- nali, che le piante di The, e son parecchie decine ora, hanno raggiunto un notevole sviluppo vegetativo e sono fioridissime: portano ogni anno fiori in copia e vi maturano regolarmente frutti perfetti. Ora se le con- dizioni pluviometriche di Pavia (veggasi sotto) non sono sfavorevoli, come anche la natura del terreno, abbiamo però un clima rigoroso, con minima invernale talvolta assai bassa. Le condizioni di coltura del The, all’Orto botanico di Pavia, non sono realmente tali da fare presagire una possibile coltura in grande di questa preziosa pianta nella regione, perchè di carattere artificiale ed inerenti ad un numero relativamente ristretto di piante. Tuttavia siccome la coltivazione vi si fa all’aperto, merita se ne parli. Tl The è coltivato a Pavia in una aiuola a ridosso del grande fab- bricato dell'Istituto botanico, con esposizione perfetta di settentrione, e riparato tanto dai venti che dalla forte radiazione solare, usufruendo per l’ombra proiettata dal fabbricato, di sola luce diffusa. Il terreno è dato, in parte dalla terra naturale di natura alluvionale, sabbiosa, leg- ORS= gera e fresca, cui s'aggiunge terriccio misto di castagno e di brughiera che forma lo strato superiore. ! All’avvicinarsi dell'inverno si ricopre il terreno con foglie secche e si applicano su quattro lati dell’area, occupata dalle piante, dei telai impagliati, affidandoli a colonnette di ferro sopportanti un tetto a due spioventi, parte coperto da stuoie, parte da vetri. Quando la stagione invernale va abbastanza mite, si suole aerare ed illuminare di più que- sta specie di serra temperata improvvisata, coll’alzare vetri e stuoie, per riabbassarle, tuttavia, ogni giorno sull’imbrunire. È certo che tale sistema atto a proteggere a sufficienza le piante di The dell’Orto botanico di Pavia, le quali hanno il beneficio dell’attiguo fabbricato, non sarebbe forse bastevole per piante poste in aperta cam- pagna, e d’altra parte poco economico nel caso di una coltura su vasta scala. Comunque, è certo che ivi il The vive prosperoso, vi si mol- tiplica anche spontaneamente per semi caduti al suolo, ed i semi sono distribuiti a tutti gli Orti botanici che ne fanno richiesta. A Torino, ove il clima è ancor più sfavorevole, per minime inver- nali bassissime, il The non è coltivato altro che in vasi e vive sten- tatamente come a Parigi. A Padova, si coltiva all’ Orto botanico in terra di castagno, ma non fiorisce, nè dà frutti. All’Orto botanico dei Semplici, a Firenze, ho visto alcune piante di Thea chinensis coltivate all'aperto insieme a T%. assamica ed a Ca- mellia japonica in un’aiuola presso un muro, con esposizione di N. E., e nell’Ottobre scorso potei osservarle in fiore e con grossi frutti presso a 1 Circa la natura del terreno confacente o meno alla coltura del The vi è da no- tare qualche discrepanza di pareri. L° Heuzé nella sua opera: Les plantes industrielles, ‘ Tome IV, pag. 212, osserva, che il The richiede terreni leggieri o di consistenza media, che esso vegeta in suoli calcari ferrugginosi, e in terreni provenienti da decompo- sizione di roccie granitiche e feldispatiche, ma teme i suoli rocciosi e sopratutto umidi e pantanosi, bassi e freddi e che i terreni aridi o poco fertili sono pure poco favorevoli. Da quanto è sopra citato del Signor Bois si rileva invece che il suolo calcare è sfa- vorevole affatto alla coltura del The. Il Comm. Enea Cavalieri che è stato al Giap- pone mi riferiva, desumendolo anche da uno scrilto di R. Fortune, che al Giappone il The si coltiva senza riguardo alla qualità delle terre. Tuttavia le condizioni più favo- revoli sono offerte dai terreni di ricchezza media, di colore rossastro, con traccie di detriti di roccie, tenuti in un conveniente stato di frescura sia dalla loro composizione sia dall’ abbondanza delle acque sorgive, e di quelle di precipitazione, specialmente le primaverili e quelle in principio dell’ estate. Il professore Arcangeli mi scriveva non è molto che tentativi di coltura del The fatti in una sua villa a S. Giuliano (Pisa), in un terreno argilloso-calcareo, assai ricco di ferro, proveniente dal disfacimento di rocce del Lias, ebbero esito sfavorevole. = Zi maturazione. Si fanno, coi semi ottenuti, delle seminagioni in vivai @ parte. e le piantine trapiantate cominciano a fiorire dal 2.° o 3.° anno. Firenze risente già del clima mediterraneo, e vi prosperano tut- t'attorno l’olivo e l’alloro. Le medie invernali e l’ estive si avvicinano a quelle di alcune parti della China e del Giappone, se non clie, pos- sono aversi in alcune annate abbassamenti di temperatura non lievi. E ciò costituisce forse un ostacolo erave alla coltura libera del The. A Pisa, ove il clima è ancor più mite che a Firenze, e la minima temperatura invernale oscilla fra -39,5 e -89,2, il The è coltivato all’orto botanico, a ridosso di un muro, con esposizione di settentrione. Fiorisce in Ottobre e Novembre, ma abbonisce pochi frutti. Il prof. Arcangeli ritiene che ciò derivi da che l’impollinazione e la fecondazione hanno luogo difficilmente , forse a cagione della circostanza che la fioritura di questa pianta avviene nell'epoca delle pioggie più abbondanti. | TEMPERATURA PRECIPITAZIONE , Latitud.e | LOCALITÀ (9) | Molia | stodîa | stinimo | assimo | Periodo | dad | Gennaio | Luglio | mensile | mensile | estivo | Ù — “5 Pallanza (Lago Magg.) 45.52] 30 | 23.8 |-8 350 c° — Torino. . 45.4 0.2 23.2 | —15.5| 32.5 233 807 Pavia . | 45.11 0.4 24.5 di 33.9 —_ 935 PAdGya. 0 è 45.24 | 1.8 23.8 |(-134| 35,3 217.4 861 | Hinenze i io 6) 110.0 Don (FLI9) 39,5 132 902.5 || Pisa gaia t | eigio aga —. | 1050.9* || Napoli . 40,50 82 | 243 |— 4.2| 378 80 827.5 ' Palermo. 387 OL 26.5 |— 0.9| 45.5 30 895 Genova: "0. 44,24 1,3 21.5 | — 48 347 166 1500,8 Baniplet: tt. 48.50] 2.0 18.3 —10.0 | dl 174 579 Zi-ka-wei (Sciangai) . .| 3113| 2.1 | 278 |— 8.6| 365 | 512 1616 Molo. fai 39.4L| 2.8 25,5 | — 6.7| 34.1 573 1860 Colombo (Ceylan). . . .| 6.56] 26.5 | 286) 20.6) 328 767 2224 Buitenzorg (Giava) - .| 6.36] — _ Di, ES 871 4455 # Media della due annate 1894 e 1896. — 270 — A Napoli si coltivarono al tempo del Tenore, e più tardi, la Thea viridis L., la Th.. Bohea L., Th. latifolia Lodd., e risulta dai cataloghi del 1845 (Tenore) e del 1867 (Pasquale) come esse fiorissero per quanto non si sia certi che esse fruttificassero come mi riferiva il dott. Bal- samo. Queste specie, ora, non si coltivano più. A Palermo, mi scriveva il prof. Borzi, non è possibile coltivare il The, e tutti i tentativi da lui fatti sono riesciti vani. Egli, più che ad altro attribuisce ciò all’influenza deleteria dello scirocco che spira forte e insistente contro le coste della Sicilia. D'altra parte le precipitazioni atmosferiche, non forti, sono assai inexualmente ripartite cosicchè cor- rono molti mesi dell’ estate estremamente asciutti. Queste due sfavo- revoli condizioni rendono nullo affatto il beneficio di un clima meri- dionale, ed impossibile la coltura del The in un paese che trovasi a pochi gradi di differenza in latitudine col Giappone. L'influenza sfavorevole dei venti deve essere pur quella che im- pedisce un rigoglioso sviluppo di questa pianta anche nella riviera ligure, il lembo pieno d’incanto nel quale trovano propizie condizioni di vita gli aranci e le palme. Tanto a Genova che alla Mortola (Ven- timiglia, Villa Hambury) il The vive stentatamente e se dà rari fiori, non vi matura frutti. E ciò non ostante che il clima vi sia mitissimo e le precipitazioni atmosferiche abbondanti. Confrontando i dati da me raccolti, risulta evidente come le con- dizioni climatologiche sfavorevoli alla coltura del The sieno da ricer- carsi nell’influenza dei climi asciutti, dominati dai venti piuttosto che nelle basse temperature, le quali se non sono eccessive possono essere meglio sopportate da questa pianta che le condizioni implicanti una soverchia traspirazione. Da quanto ne serive l’Heuzé,! le contrade più favorevoli al The in China, nel Giappone e nell'India hanno una temperatura media che non sorpassa -} 26°, e la temperatura più bassa, in queste regioni oscilla fra + 6° e + 12°, ? La zona più favorevole alla coltura del The sarebbe compresa, secondo l’ Heuzé, fra il 29° e il 35° Lat. N. ed il miglior The sarebbe raccolto nella provincia di Yamashino (Giappone) il cui clima è ad un tempo mite e umido. Che l'umidità sia una condizione sommamente favorevole allo svi- luppo di questa pianta lo prova il duplice fatto della sua resistenza da un lato a temperature relativamente basse ed a latitudini piuttosto ! Heuzîé G., Les plantes industrielles. Paris, 1895, t. IV. ° In queste cifre deve esservi equivoco, poichè a Tokio e a Sciangai si hanno minimi molto più bassi (veggasi lo specchietto più sopra). A elevate, come a Firenze e Pavia, che hanno pioggie abbastanza ab- bondanti, e d’altro lato a temperature elevate di regioni tropicali come Ceylan e Giava, compensate come sono da copia straordinaria di pre- cipitazioni. In queste, due isole, però, come mi scriveva in proposito, reduce da un suo recente viaggio d'istruzione il prof. Penzig, la coltura del The si fa, su vastissima scala, in posizioni elevate, fino 1800 m. È assai interessante, perciò, dal lato della geografia botanica, lo studio della diffusione della coltura di questa preziosa pianta la cui capacità di adattamento non è grande, ed ha esigenze ben determinate in ordine ad alcuni fattori del clima. Difatti da specie eutermica essa passa con facilità ad essere ipertermica, con qualche difficoltà invece diventa mesotermica. Il passaggio di regione ! può essere, in ogni caso, sopportato solo a condizione che il fattore termico non vada disgiunto dalla umidità, ed in tal caso i limiti areali della possibile coltura s’ al- largano per la Thea clinensis in modo da occupare circa 40 gradi di Latitudine dal 6° cioè al 46° Lat. N., da Giava a Pallanza! Il clima essenzialmente littorale-mediterraneo sembra essere sfa- vorevole allo sviluppo del The, non ostante che nelle parti più meri- dionali le condizioni termiche sieno del tutto analoghe a quelle dei luo- ghi di origine di questa pianta; ma si tratta di clima asciutto. La questione, perciò; dell’acclimatazione del The nella nostra Italia non è così facile a risolversi. E stando, difatti, ai risultati di tentativi fatti in questo senso, pochi invero e scoraggianti, vi è luogo a credere che s' avesse ad abbandonarne addirittura l’idea. Questo almeno risulterebbe da una relazione consegnata in una pubblicazione del Ministero di Agricoltura, molti anni fa, # nella quale è riferito di tentativi fatti a Palermo, prima dal prof. Todaro, già di- rettore di quell’Orto botanico, poi dal Maccagno della R. Stazione Agraria, e che diedero risultati sconfortanti. Il Todaro informandone il Ministero soggiungeva: “ Le varie spe- cie e varietà del genere Thea non attecchiscono bene in Sicilia, per i calori eccessivi; è un genere di piante che vuole condizioni specialis- sime per poter prosperare, ed è più facile di attecchire nell’Italia cen- trale da Firenze a Napoli, che in altri climi meridionali. 1 Si assume qui il concetto di regione conformemente a quanto ne ha testè scritto il prof. Derrino nella sua dotta memoria: Studi di geografia botanica secondo un muovo indirizzo, in Mem. della R. Accad. di Sc. dell’ Ist. di Bologna, Serie V, Tomo VII, pagg. 330-358, 1898. 2 Bollettino di notizie agrarie, del Ministero di Agricoltura Industria e Com- mercio, Anno V, pag. 1206. Roma, 1883. —. 272 — “In nessun catalogo di semi che si pubblica nei vari giardini di Europa, si vede annoverato il genere Thea, indizio certo che dapper- tutto non rende semi fecondi, ciò che dimostra che non attecchisce da nessuna parte. “I saggi di colture fatti finora in Italia, Francia e Spagna, sono riusciti sempre del tutto vani. ,, Astraendo dalle due ultime conclusioni che sono state smentite dai fatti, in seguito, poichè a Pallanza, a Pavia ed a Firenze, come ho sopra detto, si hanno ogni anno frutti con semi fecondi, tanto che in queste località si alimentano vivai e la Thea chinensis figura anche nel Catalogo dell'Orto di Pavia, a parte ciò, va tenuto conto dei risultati sfavorevoli, di cui riferisce il prof. Todaro, rispetto a Palermo, confer- mati come sono tuttodì da quanto mi ha riferito il prof. Borzi, e che ho sopra ricordato. Ma in detta relazione è dato anche il giudizio di un altro autore- vole botanico, il Caruel, in perfetta opposizione a quello del Todaro. Il prof. Carnel che, all’epoca dei primi tentativi fatti dal Mini- stero, era Direttore del R. Orto botanico di Pisa, interpellato in pro- posito asseriva che: “ sull’esito della coltivazione del The in Italia non potessero sorgere dubbi attesochè l’esperienza fatta da molto tempo nei nostri giardini botanici, aveva già dimostrato che il The vuol essere trattato come la Camellia, a cui è tanto affine. Quindi, considerando le condizioni di clima e di terreno in cui la Thea viridis prospera nella China, se in qualche luogo d’Italia si voleva tentarne la coltivazione, si dovesse farlo nelle vallate molto riparate ed ombrose dell’Italia meri- dionale e delle due isole maggiori. , Come vedesi, in tale materia le idee son ben discordi; però credo che, al momento in cui siamo, con dati intanto più sicuri, col fatto in- discutibile della produzione di frutti e di semi fecondi in alcune loca- lità italiane, di differente latitudine e di condizioni climatologiche di- verse, quali Firenze, Pavia, Pallanza, non sarebbe forse opera infrut- tifera il riprendere lo studio della questione e gli esperimenti di col- tura del The, aiutando magari le condizioni naturali con disposizioni che vengono suggerite da quanto si pratica a Pavia. Queste notizie sull’ acclimatazione del The, per quanto estranee affatto all’indole delle ricerche che sono oggetto del presente lavoro, io ho voluto dare anzitutto per prevenire uma facile obbiezione sul va- lore delle medesime trattandosi di una pianta che si è ritenuto fino ad oggi, si può dire, non possa vivere da noi e dare fiori e frutti con semi appieno formati e fecondi: in secondo’ luogo perchè dal restare provato dalle mie ricerche, che il The compie in Italia le sue fasi evo- — Ai i lutive e che i suoi frutti vengono dopo fasi ben definite a completa maturazione, si possa pensare a riprendere lo studio della questione dal lato agronomico, la quale alla nostra Italia potrebbe da:e, se riso- luta, ben maggiore lustro di quello che ne possa venire dalla modesta mia contribuzione scientifica. D'altra parte se scarsa è la letteratura botanica sull'argomento da me scelto a scopo d'indagine, può darsi che in gazzette od in pub- blicazioni di speciali istituti scientifici od agrari chinesi o giapponesi, difficilmente reperibili, possa essere stato lo stesso argomento con mag- giore o minore diffusione, con questo o con quell’indirizzo, trattato. Non sarebbe perciò privo d’interesse un esame di confronto fra quanto avviene, circa lo sviluppo dell’ovulo e del seme da noi e nelle regioni di origine del : The od in quelle calde ove attualmente si coltiva su vasta scala. E se differenze vi fossero in qualche punto di quelli da me investigati, potrebbero avere una ragion d’essere nella diversità di condizioni di sviluppo inerenti alla differenza di latitudine, di clima, di terreno, di coltura; condizioni appunto che ho voluto fin dal prin- cipio sottoporre al lettore. Lo scopo del presente mio lavoro è studiare la fruttificazione del The quale si effettua nelle piante coltivate nell’Orto botanico di Pavia; seguire lo sviluppo delle diverse parti costitutive del fiore e partico- larmente dell’ovario dal primo apparire dei mamelloni carpellari, alla definitiva maturazione de’ semi, aggiungendo anche qualche osservazione sulla germinazione di questi, che verificandosi in modo regolare elimini i dubbi sul perfetto stato di loro sviluppo e sulla cosidetta loro fe- condità. Le ricerche mie furono incominciate fin dal 1893 all'Istituto bota- nico di Pavia, e non ostante ch'io potessi usufruire di abbondante ma- teriale di bottoni fiorali, di fiori e di frutti nelle diverse stagioni, tut- tavia per potermi rendere conto esatto dei fenomeni tutti dalla costi- tuzione dell’ovulo, alla fecondazione dell’oosfera, e conseguente forma- zione dell'embrione, per potere procurarmi tutta la serie dei graduali stalli di tali processi ontogenetici, dovetti rimandare d’anno in anno fino al oggi il riassunto delle ricerche, perchè se è possibile presen- tare una parte di ricerche nel campo dell’anatomia e della fisiologia, non è più così nella embriologia, ove una lacuna nel corso di uno studio, arresta d'un tratto il filo della interpretazione dei fatti. Sento poi il dovere di rivolgere i miei vivi ringraziamenti al Direttore dell'Orto botanico di Pavia, prof. Giovanni Briosi, che dopo avermi concesso il materiale per le ricerche, ed incoraggiatomi con consigli e con ogni mezzo a proseguire in così lungo studio, mi per- — op mette la pubblicazione dei risultati negli Att? dell’ Istituto Botanico di Pavia ove il lavoro fu concepito e per la massima parte elaborato. Per ciò che riguarda notizie ed informazioni intorno alla Thea chi- nensis sono lieto di poter qui esprimere i sensi dell'animo mio grato ai signori dott. Bois di Parigi, prof. Delpino e dott. Balsamo del R. Orto botanico di Napoli, prof, Borzi di Palermo, prof. Arcangeli di Pisa, prof. Penzig e prof. Pollini di Genova, prof. Saccardo di Padova, dott. Belli di Torino, dotti. Montemartini, Pollacci, Farneti e prof. De Marchi di Pavia, dott. Giovannini di Bologna, dott. Paratore di Mes- sina, prof! Ardissone, Alpe e dott. Soresi di Milano, comm. Enea Ca- valieri di Roma, principe Ginori, sigg. Stephen Sommier, O. Beccari e dott. Baroni di Firenze, sigg.! Hambury e Alwin Bergen della Mor- tola (Ventimiglia), sig. Umberto Hillebrand di Pallanza, sig. H. Cor- revon di Ginevra, e quanti altri si interessarono a questo mio studio. METODO DELLE RICERCHE. In queste ricerche, per la massima parte d’indole organogenica, mi sono servito quasi sempre di materiale fissato all'alcool assoluto. I bottoni fiorali, gli vari fecondati ed i grossi frutti venivano lasciati per un certo tempo nei vasetti con alcool assoluto, poi formandosi in questo un deposito di sostanza bruno-ocracea, ceduta dai tessuti ed a base di tannino, veniva ricambiato il liquido, ed all'alcool assoluto so- stituivo un alcool debole, cosicchè i pezzi si rendevano meno fragili. Quando, per lo studio di piccoli ovarii e per la fragilità stessa degli ovuli, troppo facilmente distaccabili dalle placente, dovevo prati- care delle inclusioni, facevo di nuovo il passaggio per gradi all’ alcool assoluto e di qui alle graduate soluzioni di celloidina la quale mi ha reso di assai buoni servigi, permettendomi sezioni al microtomo di bottoni, con tutte le loro parti perfettamente a posto. Per l’uso della colloidina rimando a quanto ne dissi in altro mio recente lavoro. * Aggiungerò solo che le sezioni ottenute al microtomo, le applicavo in serie sul portoggetti colla glicero-albumina di Mayer, altre volte se- guendo il metodo di Gravis ? che è pur buono. In ogni caso lasciando stare le sezioni per qualche tempo in una miscela di parti eguali di alcool ed etere, ottenevo l’ asportazione della celloidina, la quale pur- troppo assorbe molte delle sostanze coloranti e toglie ogni chiarezza ed eleganza al preparato. Dopo, le sezioni possono sottoporsi alla colorazione. 1 Cavara F., Intorno ad alcune strutture nucleari, in Atti dell’ Ist. Bot. di Pavia 1897, pag. 12 dell'estratto. ? Gravis A., Referat., in Botan. Centrabl., Bd. LXXIII, n. 7, pag. 212. — 275 — Debbo notare qui che, specialmente per lo studio degli embrioni, i quali, forniti nel The di lunghissimo sospensore, stanno immersi in un tessuto di nutrizione che è di una relativa durata, ma ricco di so- stanze granulari e di grossi nuclei che occultano spesso l’ embrione stesso, mi fu spesso necessaria la immersione delle sezioni in acqua di Javelle a più o men forte concentrazione, con che ottenevo 1’ imbian- chimento assoluto delle sezioni che, levate a tempo debito dalla solu- zione perchè non si guastassero, passavo in acqua distillata e poi in miscela di acqua e glicerina. In tal modo tanto da sezioni fatte a mano che col microtomo ottenevo buoni preparati. Essendo gli embrioni orientati secondo un piano normale all’ asse di simmetria dell’ovulo, le sezioni praticate trasversalmente sugli ovari davanmi con più sicurezza preparati buoni di embrioni, non così le lon- gitudinali, le quali mi furono tuttavia indispensabili pei primissimi stadi di sviluppo degli ovari. Mentre l’acqua di Javelle si rese spesso indispensabile per l’accer- tamento degli stadi di sviluppo del sacco embrionale e di segmenta- zione dell’ embrione, siccome essa distrugge completamente o quasi il contenuto cellulare, doveva essere sostituita da altri mezzi di rischia- ramento quando si trattava di seguire le fasi che precedono l’inizio del- l'embrione e sopratutto per colpire i fenomeni che accompagnano la fecondazione. I metodi di colorazione mi diedero buoni risultati, spe- cialmente con Saffranina, Violetto di Genziana, Verde di Jodio, Fucsina, Carminii, Ematossilina, ecc., però per essere impregnati i tessuti di prodotti tannici e di sostanze oleose, ed essendo di dimensioni assai ridotte in questa pianta gli elementi sessuali e quelli che li circondano, meglio delle colorazioni trovai sovente il rischiaramento ottenuto sempli- cemente coll’uso degli alcoli e degli olii eterei (garofano, origano, ber- gamotto e lavandula). Le preparazioni più istruttive, con sezioni al microtomo le ottenni appunto senza colorazione di sorta, montate al balsamo di Canadà dopo il passaggio dagli alcoli all'uno e l’altro dei detti olii eterei. Altri mezzi di rischiaramento tentai più volte, oltre i sopracitati, quali idrato di potassio, ammoniaca, idrato di cloralio, cloruro di cal- cio, acido cloridrico, acido nitrico, acqua di cloro, fenolo, ece., con ri- sultati più o meno buoni. Le figure che accompagnano la presente memoria furono disegnate alla camera lucida. Molte volte mi fu necessario ridurre i disegni ot- tenuti alla camera lucida per ragione di spazio nelle tavole, e ciò feci con un pantografo, come è detto nella spiegazione delle tavole. — aaa INFIORESCENZA DELLA THEA CHINENSIS! Sis. Non vi è in verità un grande accordo fra fitografi e morfologi sulla natura dell’infiorescenza del The, ed anche recenti pubblicazioni sfug- gendo ad un esame accurato della quistione confermano errori prece- denti sulla interpretazione dei fatti, non tenendo presente che un’ au- torevole botanico, l’Eichler, aveva richiamata l’attenzione sulla imper- fetta conoscenza che si aveva intorno al modo di disposizione dei fiori del The. Infatti a pag. 248 della sua opera: Bluthendiagramme, egli dice: “ Ich muss es mit diesen spàrlichen Notizen geniigen lassen; es fehlt mir auch hier an umfangreichen Beobachtungen. , Ora di questo non sembrano aver tenuto conto nè il Wossidlo, ? nè lo Szyszylowiez, * l’Heuzé * ed altri, come ora dimostreremo. Per la maggior parte dei fitografi, i fiori della Thea (inclusa o no nel genere Camellia) sono ascellari. Flores azillares, solitarii v. ag- gregati, sessiles v. breviter pedicellati, saepe speciosi, così Bentham et Hooker ° per citare dei più autorevoli ed accurati sistematici, e per ri- sparmiarci la citazione lunga di numerosissime opere, ove tale inter- pretazione è data, spesso con maggiore oscurità di concetto. Chi veramente, senza per altro svolgere troppo la sua idea, ha mostrato di colpire nel segno, è stato il Payer che nel classico suo trattato di Organogenia così si esprime per il The: Un dourgeon axillaire avec deux bcutons, lun à garche et Vautre à sa droite.® Dun- que per il Payer, ascellare non è il fiore od i fiori, come la maggio- ranza degli autori, ma sibbene il germoglio che porta i fiori. Il Baillon, il quale contrariamente a Bentham ed Hooker include come sezione la Camellia nel genere Thea, pur mettendo in evidenza che nei peduncoli vi sono delle brattee al disotto del calice interpreta ! La pianta del The, è data com’ è noto, da arbusti della famiglia delle Tern- stroemiacee riferibili a tre forme che per alcuni hanno valore di specie e cioè: 7%. vi- ridis L., Th. Bohea L., Th. stricta Hayne; per altri sono tre varietà della 7%. chi- nensis Sims. (Vedi Leunis- FranKk., Synopsis d. Pflanzenkunde, II, p. 402-403.) Le piante che servirono a questo studio appartengono alla 7. viridis L ? Wossipro, in Strassurcer, Nott, Scexck vu. Semmper's, Lelrbuch der Botanik, ediz. ital. dell’Avetta 1896, pag. 545. ® SzyszyLowiez I, Theaczae, in ExeLer vu. Pianru's, Nat. Pflanzenfamilien v. Lief. 82. Leipzig, 1893. ' Heuzi G., Les plantes industrielles. Paris 1895, T. IV, pag. 209. ® Bevxrmaw et Hooker, Genera Plantarum, Vol. I, pag. 177. © Payer, Organogénie, pag. 532. — AM a le infiorescenze del The come delle piccole cime, senza insistere sulla natura di queste cime. “ Les fleurs, egli dice, occupent l’ aisselle des feuilles, surtout supérieures, solitaires (riferendosi certo alla Camellia) ou réunis en petites cymes (riferendosi alla Thea); leurs pédicelles portent une ou quelques bractées, plus petites que les sépales, aux- quels elles sont analogues. ," L'idea di cime, che potrebbe connettersi ad un concetto d'ordine filogenetico, espressa come è, dal Baillon, è erronea. L’Eichler, di cui abbiamo sopra esposto l’ opinione sulla indeter- minatezza della questione, fa tuttavia per rispetto alla famiglia delle Ternstroemiacee dei rilievi che appunto dal lato filogenetico, sono di no- tevole interesse. Dopo aver rilevato che la Camelia japonica * trigt die Blithen einzeln sitzend in den Achseln der obersten Laubblitter , e che 4“ bei Thea ist dieselbe (Stellung) geradeso , ? ciò che in realtà non è vero, osserva che presso parecchie Ternstroemiacee si hanno i fiori in grappoli od in gruppetti (Sauranja), e nelle Visnea, per rametti ori- ginantisi dai profilli ( Vorblétter) che stanno di sotto il calice, hannosi delle cime di 2 a 3 fiori. L’Eichler poi aggiunge: “ Vorbliitter, zum mindesten die beiden sei- tlichen (die eigentlich Vorblitter) sind wohl stets vorhanden, an den ge- stielten Blitthen von Ternstroemia und Gordonia dicht unter den Kelch geriickt und steril; auch bei Thea und Camellia findet aus den Achseln der Bliithe voraufgehenden Blàtter keine Verzweigung statt, bei Visnea sind jedoch, wie so eben bemerkt, die Vorblitter òfter fructbar. ,, Nel genere Visnea si avrebbe adunque secondo l'Eichler un pas- saggio fra le Ternstroemiacee a fiori ascellari e quelle a cime od a grappoli, in quanto i profilli in questo genere di piante possono portare sovente fiori. | Astraendo dalla interpretazione della natura morfologica di queste disposizioni fiorali vedremo che nelle stesse Theaceae, nel The, ad esem- pio, i profilli possono pure in qualche caso farsi produttori di fiori come nelle Visnea. i La monografia dello Szyszylowicz ® non isparge maggior luce in- torno al modo di infiorescenza della Thea, anzi la figura di Thea chi- nensis L. che vi è data, e quanto vi è detto, al riguardo, nel tésto, dimostrano come l’autore non si sia affatto interessato della questione, 1 Barucon, H., Histoire des plantes, Vol. IV, pag. 229. ? Ercurer A. W., Blithendiagramme, Vol. II, pag. 247. ® SzyszyLowicz I., Theaceaz in ExaLer vu. PrantL. Nat. Pflanzenfamilien, Liefe- rung 82. Leipzig. 1893, — 97902 (V0 ed abbia accettato senza discussione quanto la maggior parte dei fito- grafi hanno asserito in proposito, senza curare le buone osservazioni di Payer, Baillon, Eichler. Il Wossidlo, del quale non ho potuto in aleun modo conoscere l’opera dalla quale lo Schimper! ha ricavato la figura che dà per il The, nel noto trattato di botanica, dà alla infiorescenza di questa pianta la in- terpretazione di una cima unipara in cui i fiori, stando alla figura del Wossidlo, sarebbero disposti, non più solitari od a 2 o 3 all’ascella delle foglie, ma in veri e propri, per quanto poveri, simpodii elicoidi. Tale disposizione di fiori, negli innumeri rami fioriferi di The che ho avuto opportunità di osservare per più anni nelle piante coltivate a Pavia, non riscontrai mai, epperò la figura del Wossidlo, non risponde al caso normale, secondo me, e rappresenta una difficilmente spiega- bile anomalia. In molti altri trattati di botanica, quali quelli di Mahout et De- caisne, Van Tieghem, Leunis e Frank, Luerssen, ete. si dànno per la Thea fiori ascellari. Così anche nel “ Kéhler's, Medizinal Pflanzen,, ed in altre opere di botanica applicata. Le mie osservazioni mi conducono a modificare, almeno in parte, le opinioni che si avevano fino ad oggi sulla infiorescenza del The ed a chiarirne la natura morfologica. Esaminando rami fioriferi di questa pianta in autunno, quando i bottoni fiorali, ingrossati si preparano all’antesi, ovvero quando questa è già avvenuta (ed in uno stesso ramo si possono avere esemplari in grado diverso di sviluppo come fa vedere la fig. 1 della tavola X), si scorge a prima vista, che nel maggior numero dei casi all’ascella delle foglie superiori di un ramo fiorifero, stanno due fiori; qualche volta tuttavia se ne osserva uno, più di rado tre o più, coi loro peduncoli reflessi in basso e sui quali si notano due o tre profilli, od in mancanza di questi, due o tre cicatrici che ne accusano la avvenuta caduta. Ora un attento esame portato Specialmente su bottoni giovanissimi mette in chiaro che in realtà all’ascella di una foglia si ha un germoglietto, il quale consta di un asse occupante la parte mediana e due bottoncini laterali. Ciò fanno vedere le mie figure 2, 3, 4, 5, 6, tav. X, nelle quali « indica l'apice del germoglio, 5° e d' i due bottoni fiorali, f la foglia ascellante che è stata tutta o in parte recisa per rendere più evidente ciò che sta all’ascella. In alcune poi (fig. 2 e 5) è stato reciso ! SrrassurGeR, [Norr, ScHENnk v. Scarmper, LeRrbuch der Botanik. Ediz. ital. dell’Avetta 1896, pag. 545. Sung e anche uno dei bottoni, per mettere allo scoperto l’asse che lo porta. Ogni fiorellino nasce all’ascella non della foglia /, ma sibbene di una bratteola propria, visibile sopratutto nella fig. 3 ed appartenente al germoglio fiorifero. Tale bratteola si stacca appena il bottone comincia a svilupparsi ed il peduncoletto si allunga. Questo peduncolo, come si scorge a completo suo sviluppo, è fornito di un certo numero di brat- teole o profilli, tutte decidue, ed alle volte qualcuna di esse è fiorifera, dà, cioè, alla sua,ascella, al pari della terminale, un bottoncino fiorale, come fa vedere la fig. 7 rappresentante porzione di rametto con tre bottoni 5, 8’, 0”. Due ci essi d, l'' sono alla sinistra dell’asse «, ed all’ascella di due rispettivi profilli, di cui l’inferiore più grande e reflesso, l’altro 2° è alla destra di detto asse, ma di esso si vede solo la sezione del peduncolo, perchè fu appositamente reciso. Ecco adunque un caso in cui si osservano tre fiori, e talvolta se ne osservano anche quattro o cinque, cosa analoga a quanto l’Eichler osserva avvenire nel genere Visnea. Ove, invece, se uno dei due peduncoletti che porta il germoglio ascellare, non si sviluppa o si atrofizza, si ha allora un sol fiore, ed il caso non è infrequente. Durante la evoluzione dei bottoni fiorali l’asse del germoglio che porta i loro peduncoli, non si sviluppa di pari passo, anzi esso si ar- resta più o meno fino alla avvenuta fecondazione degli ovuli; e la fig. 8, tav. X fa vedere appunto un rametto di The con quattro fiori reflessi e dai quali la corolla è caduta insieme agli stami, ed è rimasto il ca- lice persistente da cui escon fuori gli stili. In tale ramo il germoglio « che sorge ad ogni nodo, riprende il suo sviluppo, e ciò avviene in pri- mavera quando anche gli ovari cominciano ad ingrossarsi. L'’aceresci- mento di questi e l’allungamento dei germogli continuano tutta l’estate fino all'autunno, epoca dell’anno in cui si completa la maturazione dei frutti, mentre simultaneamente lo stesso ramo che li porta in basso, dà luogo in alto a novelli germogli fioriferi. Ciò appunto dimostra la figura 9, nella quale i due rami @, @ che sorgono all’ascella di due foglie, por- tanti frutti maturi, e che sono la continuazione dei due germogli portanti i fiori dell’anno precedente, 'dànno origine all’ascella delle loro foglie superiori a nuovi germoglietti con nuovi bottoni. Non è certo nè nuovo, nè raro nel regno vegetale, il caso di questa simultaneità di fiori e frutti sulla stessa pianta, ma non è men vero però, che il fatto non era stato messo in rilievo per il The, ed io l’ ho voluto precisare a schiarimento della floritassia di questa pianta. Resta perciò manifestamente chiarito, a mio parere, che i fiori della Thea chi- nensis non sono solitari o abbinati all’ascella delle foglie superiori dei rami come vogliono i più dei fitografi e morfologi, non sono in cime = 430) = ridotte, come descrisse il Baillon, e come figura il Wossidlo, ma na- scono sopra germogli laterali i quali prendono nella pianta ulteriore e definitivo sviluppo dopo la fecondazione dei fiori, e meglio anzi alla ripresa del lavorio di accrescimento degli ovari fecondati. Il professore Delpino, cui sottoposi queste mie osservazioni, definiva anche in modo morfologicamente più preciso i fatti da me accennati. “I fiori del The, mi scriveva colla nota sua cortesia nel maggio scorso, stando alla sua esposizione, dovrebbero essere considerati come soli- tarii, individui cioè sessuali di terz’ ordine isolati, prodotti da un in- dividuo vegetativo di second’ ordine, ascellare alla foglia di un indivi- duo, pure vegetativo, di primo ordine. , Analogamente per la Camellia japonica lo Sterns! ha osservato che non si tratta di fiori ascellari o terminali, ma sibbene di fiori la- tero-terminali o latero-ascellari producentesi 2 a 2 ai lati di germogli ascellari o vicini all’apice, potendosi avere anche qui modificazioni per aborto e più spesso riduzioni. La legge, adunque, deil’unità dei germogli ascellari, esposta dal Russell, ? viene confermata pienamente da quanto ho sopra esposto per la Thea chinensis, e sono erronee le interpretazioni date dalla maggior parte dei fitografi e sbagliate le figure date in tanti testi di botanica pura ed applicata. FIORE DELLA THEA CHINENSIS Sms. Contrariamente alla opinione di quelli che fanno del genere ZWea una sezione della Camellia o viceversa, sembrami che la separazione dei due generi s'imponga sopratutto pei caratteri offerti dal fiore. Mentre nella Camellia si ha una successione distica di brattee che tra- passano insensibilmente nei sepali, i quali hanno prefoliazione quincon- ciale, così bene dimostrata dal diagramma dell’ Eichler, * nella Thea, invece, all'infuori di due o tre profilli distanzati nel peduncolo e che concorrono all’incurvamento di questo, non si hanno brattee di sorta ad immediato contatto del calice. Questo è formato da cinque pezzi perfettamente liberi disposti in quinconce, di forma ovale, scavati a cucchiaio, con base larga di inserzione ed ivi carnosetti, mentre sono ! Sierx E. E., Note on the inflorescenze of Camellia japonica, in Bull. of the Torr. bot. club. Vol. XIV, pag. 32. ? RusseL W., Recherches sur les bourgeons multiples, in Ann. d. se. nat, Serie VIL T. XV, pag. 95-202, 1892. 3 ElcaLer A. W., op. cit., pag. 245. = rage assottigliati anzi taglienti al margine che è integro o solo fesso per compressione del boccio durante l’antesi. I sepali 1 e 2 sono un poco più piccoli degli altri, od almeno più arrotondati all'apice, ed abbrac- ciano gli altri tre, di cui due (3 e 4) completamente interni, l’altro, il 5.9, semiabbracciante. Orientato il fiore secondo il piano mediano della foglia ascellante, togliendogli la posizione anormale che assume per ripiegatura in basso e laterale del peduncolo, si trovano più o meno disposti i sepali, come descrive il Payer,! e cioè il 1.° ed il 3.° anteriori, il 4.° e 5.° laterali, il 2.° posteriore, quindi il diagramma del calice rispetto ai suoi pezzi susseguentisi in quinceonce, ed alla foglia ascellante, riesce alquanto di- verso da quello che dà l’Eichler ? per la Camellia. Sovente poi si ha una modificazione nel numero e nella disposizione dei sepali nella Thea, si osservano, cioè, soli 4 sepali dei quali uno anteriore è esterno, i due laterali semi abbraccianti, il posteriore interno. Anche ammettendo che il 5.° siasi trasformato in petalo, ed altrettanto frequente è infatti nel The una corolla esamera, non si spiega bene questa particolare dispo- sizione dei pezzi del calice quando il loro numero è solo di quattro. Il calice è persistente, i suoi pezzi si avvicinano cogli apici dopo la caduta della corolla e proteggono l’ovario per tutto il periodo di sosta tra la fecondazione e la ripresa dello sviiuppo dell'embrione, ac- compagnando poi fino a completa maturazione il frutto. La corolla consta d’ ordinario di 5 petali, i quali susseguono in ordine spirale ai sepali, ma con forma ed aspetto essenzialmente diversi, quindi calice e corolla sono distinti, mentre ciò non avviene nella Camel- lia. I petali del The sono vistosi, ma non tanto ornamentali; hanno lembo ovale, ondulato nel margine ed ivi, anzi, ripiegati in alto (fig. 1). Essi sono liberi fin dalla base, ma per un connascimento della base dei fila- menti staminali cci petali, questi figurano riuniti fra di loro, tanto che dopo la fecondazione la corolla si stacca tutta d’un pezzo e con essa gli stami (fig. 10 e 11, tav. X). Conformemente alla riduzione sopra accennata dei pezzi calicini, vi ha spesso una corolla di sei pezzi, in cui il petalo più esterno tiene, per la consistenza e pel colore meno accentuato, un po’ della natura del calice. Accenna forse questa ano- malia ad un tratto di unione fra i due generi Thea e Camellia. L’androceo è spiccatamente polistemone e risulta costituito di un numero grande di cicli che per essere fittamente riuniti non è possi- bile determinare, tanto più che come si disse, i filamenti contraggono 1 PayER, Op. cit., pag. 532. ? EicaLer A. W., op. cit., pag. 245. Atti dell’Ist. Bot. dell’ Università di Pavia — Nuova Serie — Vol. V. 20 —. o per un certo tratto della loro base aderenza coi petali e fra di loro. La successione per cicli degli stami si può desumere solo dal fatto, che un certo numero di stami liberi, o quasi, si sviluppano nella parte interna dell’androceo e 5 più interni di questi sono opposti ai petali. Essi si riconoscono bene, non solo perchè non hanno nessuna ade- renza fra loro o solo debolissima, ma anche per la forma dei loro fila- menti i quali sono rigonfi verso la metà, mentre sono cilindrici 0 leg- germente appiattiti gli altri tutti. Inoltre sono più brevi e più tozzi. To ne ho contato a volte 10, a volte 15, quindi evidentemente due o tre verticilli, che si rendono liberi, verso il centro, da ogni aderenza. Gli autori dànno invece 5 soli stami interni liberi per la Tea, e 10-15 per la Camellia. D'altra parte osservando gli stami esterni essi risultano disposti in un certo numero di gruppi delineati da lievi soluzioni di continuità nell’adelfia che caratterizza secondo alcuni questo genere di piante. Si avrebbe perciò un numero di adelfie, cinque o sei, corrispondenti al numero dei petali contro cui sono disposti. L’ aderenza degli stami in tali adelfie è maggiore in corrispondenza della linea mediana di ogni petalo. Questo fatto avvicinerebbe le Thea alle Gordonia ove le adelfie sono più accentuate. Il modo di prendere origine degli stami sopra la piattaforma del- l’asse peduncolare è secondo Payer* centrifugo. È difficile però stabi- lirlo organogenicamente, come egli stesso ammise, e mentre è agevole ottenere preparati di bottoni giovanissimi ne’ quali non vi è ancora traccia di differenziazione di mammelloni staminali o carpidiali (veggasi fig. 1, tav. XI), non riesce di potere seguire tale graduale differenzia- zione, cosicchè si passa dalla semplice ed ancor nuda piattaforma, a stadii che presentano già più o meno formati detti mammelloni (fig. 1, 2,3, 4, 5, 6, 7, tav. XI). Si direbbe quasi che si trattasse di una simultanea formazione, atteso l’accorciamento, anzi la depressione del talamo fio- rale. Tuttavia esaminando le fig. 2, 5, 6 che dànno delle sezioni di bottoni, spoglie più o meno degli organi involucranti, si scorge in fatto che i mammelloni staminali più evoluti sono anche i più prossimi al centro, mentre i meno sviluppati sono i periferici. Siccome poi la piat- taforma dell’apice peduncolare, come vedesi dalla fig. 1, tav. XI, ha un rilievo annulare a, così i mammelloni che sorgono sulla parte più con- vessa di tale rilievo annulare vengono portati più in alto che i centrali ed i periferici, e tale rapporto si mantiene anche negli stami appieno SPRAVER: OCCHIO, Vee eo_r-,e- . = — sviluppati. Oltre questa ragione d’indole organogenica, ve ne deve essere un’altra che a me sfugge, perchè in realtà gli stami interni liberi ed anche quelli più esterni sono più piccoli dei mediani, e ciò non in di- pendenza solo del rilievo suddetto, ma in seguito a vero e proprio al- lungamento dei filamenti degli stami mediani, maggiore che negli altri. Le antere hanno un connettivo reniforme, ossia piegato ad ansa, piuttosto sviluppato, che separa quasi completamente le |]oggie in due paia che si dispongono lateralmente, ossia nè contro il pistillo, nè in- teramente contro i petali, onde non sono che in minima parte estrorse, come le definisce il Baillon.! L'inserzione del filamento si fa nel punto mediano dell’ansa connettivale, onde le antere della Thea sono versa- tili, ma mai basifisse, come dànno Bentham et Hooker? ed altri; quanto mai, si potrebbero dire medifisse. Ricordo qui ancora che nel connet- tivo vengono e formarsi elementi meccanici, e cioè degli idioblasti; * curiosa localizzazione, invero, trattandosi di organi di così effimera du- rata che si staccano dal fiore insieme alla corolla subito dopo la fecon- dazione. Il polline è globulare, ma i tre pori germinativi che stanno all'equatore gli danno un contorno triangolare; l’esina è liscia e forte- mente ispessita, poco invece in corrispondenza dei pori. La differen- ziazione delle cellule madri del polline avviene assai di buon ora, cosicchè vi ha precessione degli elementi sessuali maschili su quelli femminili. La germinazione del polline avviene assai facilmente ed in breve tempo nell'acqua di fonte e meglio ancora in acqua acidulata con acido citrico. Del resto la stessa sola umidità di una camera umida la pro- muove. Il tubetto germinativo ha dapprima membrana alquanto ispes- sita, la quale va via via assottigliandosi colla distensione che subisce. Da cilindrico il budello pollinico si fa varicoso, e si notano, nelle col- ture, dei rigonfiamenti sia lungo il decorso, sia all’ estremità (fig. 1-7, tav. XV). Questa si foggia veramente a bolla o vescica, ed il citoplasma vi si dispone alla parete e verso il centro con briglie irradianti. Il nucleo vegetativo viene a situarsi spesso in questa specie di ampolla terminale o talora poco lungi da essa, l’altro, il generatore, resta ge- neralmente verso la metà del budello od anche vicino alla base (fig. 6, tav. XV). Talora anche il generatore si osserva nell’ampolla. La.strut- tura di questi due nuclei, che sono piccoli assai e di forma ellisoidale, è quella di nuclei normali; notai per altro che essi non sembrano for- niti di una membrana propria, protetti, come sono, dalla citoplasmatica 1 BarcLon H., op. cit., pag. 228 e 252. ? BenrHam et HooxEr, 0p. cit., pag. 177. % Cavara F., op. cit., pag. 10. = Ri — membranella delle rispettive cellule; inoltre il nucleo od i nuclei genera- tori sono sforniti di nucleoli, come già fece notare il Guignard, * mentre il nucleo vegetativo ne presenta uno o due. Quando questo nucleo va in degenerazione e si sforma sembra che la sostanza cromatica e la nu- cleolare si fondano insieme prima di scomparire definitivamente. Nei budelli a decorso tortuoso osservai che il protoplasma si rac- coglie sempre in una striscia dalla parte concava, compiendo, cioè, il tratto più breve della curva, come recentemente ha dimostrato anche il Mitschka per altre piante. ? Questo ho potuto verificare in polline germinante fissato coi vapori di acido osmico, col liquido di Flemming, di Merkel, e col sublimato corrosivo e acido acetico, e colorato colla miscela di verde di iodio e fuesina, col metilverde e con emallume. Il pistillo, tricarpellare, consta di un ovario di forma globoso-conica (fig. 12 e 13, tav. X), con tre leggere scanalature velate dalla con- gerie di peli sericei ond’è rivestito; ha uno stilo più o meno lungo che si divide in tre branche stimmatiche le quali si rendono tanto più ma- nifeste quanto più è aperto il fiore, così la fig. 12, riferentesi a fiore che sta per sbocciare, dà a vedere le tre divisioni ancora aderenti fin quasi in alto, nella 13.2 fig. invece presa da fiore completamente sboc- ciato, esse sono divaricate fin quasi all’ ovario; le dette tre divisioni dello stilo sono cilindriche, tubulose e scavate da una fine fenditura longitudinale dalla parte interna; in alto terminano in punta piuttosto ottusa e sono rivestite di papille stigmatiche; mentre in basso la loro scanalatura va ad immettere in un canale meandriforme rivestito dalle glandole septali. L’ovario è triloculare (fig. 10, tav. XI) e per ogni loggia si hanno, inseriti sull'angolo interno quattro ovuli completamente anatropi, orizzontali o lievemente discendenti, due superiori e due in- feriori ed ogni coppia disposta in guisa da toccarsi dalla parte del rafe. Non so come mai il Baillon ® abbia potuto chiamare gli ovuli del The incompletamente anatropi dal momento che la torsione loro è completa ed il micropilo viene a guardare Vilo. Così egli parla di corto rafe, il quale invece non potrebbe essere più lungo, e dice che gli ovuli sono più o meno discendenti mentre sono quasi del tutto orizzontali. Si noti per altro che egli stesso più avanti, nella diagnosi del genere, mette “ ovula subhorizontalia v. plus minus descendentia ,,.* Anche Bentham ! Guienarp L., Nowvelles études sur la fécondation in Ann. d, Sc. Natur., Se- rie VII, T. XVI, pag. 177. ? Mirscara E. Ueber die Plasma-Ansammlung an der concaven Seite gekrii- nunter Pollensehlaiiche. Bericht. d. deutsch, bot. Gesellschaft, 1898, Heft 7. 3 BarLLon H., op. cit., pag. 228. 4 BarLLon H., op. cit., pag. 282. — 285 — et Hooker dànno pel genere CameZlia (Thea inclusa) ovuli penduli. L'or- ganogenia chiarisce bene anche questo punto. A giudicare dalla natura del talamo fiorale nei primissimi stadii, (fig. 1, tav. XI) la formazione dei mammelloni carpidiali sarebbe pre- ceduta da quella dei mammelloni staminali; l'estremità dell’asse fiorale infatti è avvallato al centro. Però, pur stando questo di fatto, quando i mammelloni carpidiali hanno preso origine, essi si portano presto al livello di quelli staminali (fig. 2 e 5 e), ed anzi li sorpassano di li a poco (fig. 3, 4, 6, 7, c.), Da principio hanno semplicemente forma co- nica, ma poi si accentua per tempo quella differenziazione per la quale viene a designarsi la loro natura fogliare, allargandosi alla base ed acuminandosi in alto. Contemporaneamente a tale espansione avviene pure il ripiegarsi dal lato interno dei loro margini, sì da limitare in basso tre cavità (fig. 6 e 7, tav. XI) ed in alto la scanalatura stilare (fig. 4, 6, 7). Avvenuto ciò, che è l’inizio delle logge ovariche, e dopo il concrescimento delle pareti carpellari e la fusione dei loro margini interni, su di questi ultimi, organizzatisi in placente, compariscono gli abbozzi o mammelloni ovulari, in ordine basipeto, e cioè dapprima la serie superiore, poi la inferiore (fig. 11, tav. XI). I mammelloni ovulari sono delle emergenze emisferiche, dapprima impiantate normalmente sul cordone placentare, poi, coll’allungarsi, spostantisi in modo diverso le 2 superiori dalle 2 inferiori di ogni log- gia, e cioè in alto le prime, in basso le seconde (fig. 16). Mano mano che si sviluppano ulteriormente vanno subendo tutte una torsione se- condo un piano trasversale normale all'asse dell’ovario, ma rispettiva- mente di destra e di sinistra per ognuno dei due mammelloni contigui (fis. 10, tav. XI). Intanto compaiono successivamente i due cercini che preludono alla formazione della primina e della secondina (fig. 14 e 15, tav. XI) con che si limita il mammellone nucellare. Quando questo è sormontato o quasi all’apice dai due cercini accresciuti, ogni ovulo tro- vasi col suo asse di simmetria in un piano quasi interamente normale all'asse dell’ovario e quasi orizzontale e non discendente (fig. 8, tav. XI). FORMAZIONE DEL SACCO EMBRIONALE. Una cellula subepidermica del mammellone nucellare si rende al- cunchè distinta dalle altre, sopratutto per il maggior suo diametro (fig. 4, tav. XI). Questo criterio è quasi l’unico che possa essere addottato, poichè, per essere il tessuto della nucella e quello dei. suoi tegumenti, nel The, costituito di assai piccoli elementi, a contenuto fortemente granulare ed impregnato di sostanze che lo colorano in giallo bruno, = pong è difficile, anche col sussidio dei mezzi di colorazione, colpire il primo accenno alla formazione del succo embrionale, e cioè la cellula iniziale. È mestieri perciò ricorrere ai mezzi chiarificanti, e fra questi il mi- gliore, senza dubbio, è l’acqua di Javelle. Dopo il trattamento delle sezioni per 12 o per 24 ore con una soluzione semiconcentrata di que- sto reattivo, si riesce a stabilire l’inizio del sacco e le successive sue modificazioni. Nelle figure della tavola XI che vi si riferiscono, è tracciata, in parte schematizzata, la cellula o le cellule relative al sacco embrionale; sono state cioè disegnate con nucleo e citoplasma, per farle meglio risaltare, mentre nei preparati, in realtà, esse non sono messe in evi- denza che dal loro contorno, essendo stato tutto il contenuto asportato dell’acqua di Javelle. La cellula iniziale del sacco embrionale, è, come si disse, subepi- dermica ed alquanto più grande delle altre. Dapprima isodiametrica (fig. 9, tav. XI) essa si allunga nella direzione dell'asse della nucella e subisce una prima divisione tangenziale o trasversale (fig. 12) e delle due cellule figlie, la superiore diventa la cellula madre del sacco. In- fatti, anche prima che succedano altre divisioni alla prima, la cellula superiore manifesta un notevole ingrandimento (fig. 13, tav. XI) rispetto alla inferiore che resta piccola e stretta. Si direbbe anzi che col dif- ferenziamento di detta cellula figlia superiore che è indice del costi- tuentesi sacco embrionale, dovesse cessare l’attività della cellula figlia inferiore. Invece non è così, e quest’ultima di nuovo si segmenta, mentre simultaneamente la cellula madre continua ad accrescere, e si costitui- scono così due, tre (fig. 17, 18. 19, tav. XI), talvolta anche quattro cellulette anziclini, disposte in serie al disotto della cellula madre la quale va assumendo sempre maggiori dimensioni, sacrificando via via nel suo sviluppo per compressione e per ragione di nutrizione le circo- stanti cellule del mammellone nucellare (fig. 19). E evidente perciò la ragione delle successive divisioni della cellula figlia inferiore anche du- rante la differenziazione della cellula superiore; e sta nella necessità di attingere nuovi materiali di nutrizione per la cellula madre del sacco evolventesi, da strati più profondi della nucella, i tessuti laterali es- sendo stati via via sfruttati. Che non si tratti di cellule della nucella casualmente orientate nel piano di simmetria dell’ovulo ed in direzione perciò della cellula madre lo dimostra non solo l’orientazione loro, la forma cilindracea e le dimensioni gradatamente decrescenti, ma ancora il loro contorno, designato come quello della cellula madre del sacco, da linee più marcate, più rifrangenti dovute a membrana alquanto più spessa di quella delle circostanti cellule della nucella. — Cp Lo scopo e la funzione adunque delle cellule anticlini è, secondo me, quello di attingere materiali di nutrizione e di trasmetterli alla cellula madre del sacco embrionale. Stabilito, così, il modo di prendere origine di questo, che, come vedesi non è dei più comuni, anzi piuttosto raro e riscontrato con qualche variante nei generi Endymion, Agraphis, Rosa, ‘Pyretrum, Loranthus,® vediamo ora quali sieno le ulteriori modi- ficazioni che conducono alla costituzione definitiva del sacco. La cellula madre che da una forma isodiametrica passa a quella via via sempre più allungata, finisce per sostituirsi completamente a tutte le circostanti della nucella, che rimangono non solo compresse contro la secondina, ma addiritura digerite, tanto che quando il sacco embrionale ha raggiunto le sue dimensioni massime esso poggia per ogni parte, all’ infuori del micropilo, contro la secondina, e non si riscon- tra più traccia alcuna delle cellule della nucella, o solo dei frammenti delle membrane degli ultimi strati. Non mi è riuscito sorprendere le fasi che precedono la costituzione definitiva degli apparati micropilare ed antipodico e cioè le tre divisioni cariocinetiche, anche perchè gli ovuli non sono esattamente perpendicolari all'asse dell’ovario, e la incli- nazione per quanto piccola fa sì che nelle sezioni, non vengano quasi mai simultaneamente presentate le due estremità del sacco embrionale coi rispettivi nuclei che dànno origine ai due speciali apparati. L'apparato micropilare od ovarico come si può osservare in ovuli appartenenti a bottoni non anco sbocciati, ma molto grossi, risulta co- stituito sul solito tipo generale, e cioè di due sinergidi fornite ciascuna di un vistoso nucleo con grosso nucleolo, con denso protoplasma ed un grande vacuolo al disotto del nucleo; di un oosfera la quale ha pure un gran nucleo, protoplasma denso ed un vacuolo situato al disopra del nucleo. Negli ovuli appartenenti a bottoni che sono in procinto di aprirsi, le sinergidi si presentano stirate per il lungo ed occupano la parte più alta e più ristretta del sacco embrionale, mantenendo però tra i loro costituenti interni i medesimi rapporti (fig. 1, tav. XII) e si addossano colle loro basi arrotondate all’ oosfera. Al disotto dell’ appa- rato ovarico, a distanza variabile dall’oosfera, si osservano i due nuclei (fig. 1 ns, tav. XII) che debbono dare origine, colla loro fusione, al nucleo secondario del sacco embrionale. Questi due nuclei che si osser- vano in questa fase del sacco ad intimo contatto, si trovano immersi in una aureola di citoplasma, la quale procedendo dall’apparato ovarico e staccatasi, per l’azione dei reattivi, dalla parete del sacco, forma come 1 Van Tmecnem Pu., Tra'té de Botanique, II édit., 1891, pag. 893. CONIEsi un invoglio columnare attorno ai detti nuclei, spesso anche con stria- ture longitudinali, corrispondenti a serie di microsomi immersi nelle duplicature dell’invoglio. L'apparato calaziale o antipodico è regolarmente costituito di tre grosse cellule di forma obovata o clavata (fig. 5 «), a contenuto den- samente granulare ed a nuclei discretamente grossi, con nucleoli più o meno vistosi. AI disotto delle tre antipode si osserva una specie di colonnetta che fa loro quasi da piedestallo ed è costituita da un certo numero di strati di piccole cellule cubiche, le quali (fig. 5 #c) hanno ancora ab- bondante citoplasma e un nucleo, al pari delle cellule della secondina. Questo corpo piramidato, da esse formato e che si avanza nella cavità del sacco embrionale portando in alto le tre antipodi sembra essere un residuo della nucella, e rappresenta infatti il punto d’attacco di quest’ultima al tegumento interno o secondina. | Per altro la regolarità di disposizione che si osserva in tale tes- suto columnare sottostante alle antipode e costituente più serie di cel- lule in piena attività, almeno fino ad un certo tempo, ed i cui setti si corrispondono, come quelli di certi meristemi, induce a pensare che non si tratti di un tessuto residuale della nucella, ma di una neofor- mazione. A questo proposito va rammentato che sopra analoghe for- mazioni richiamò di già l’attenzione il Vesque nelle sue ricerche sul sacco embrionale, ed anzi egli diede il nome di perianticlini alle cellule di uno speciale cuscinetto o cilindro di tessuto calaziale che nel Crocus vernus, nella Clvia miniata, Ribes malvaceum sta attorno alle così dette anticline di questo autore 0 cellule madri speciali che non intervengono nella formazione del sacco embrionale. * A Senza accettare minimamente le idee di questo botanico sul modo di costituirsi del sacco embrionale, idee combattute dapprima da Strasburger e da Guignard, ed ora assolutamente inammissibili, va tenuto conto delle di lui osservazioni sopra questo particolare tessuto calaziale protrudente nel sacco embrionale, del quale però il Vesque non spiegò la funzione che, secondo me, è quella «di facilitare la trasmissione delle sostanze di nutrizione dai tegumenti al sacco. In seguito, e cioè dopo avvenuta la fecondazione e la distruzione delle antipodi, le cellule di quel tessuto muoiono, perdono il loro con- tenuto e le membrane si imbruniscono senza per altro suberificarsi. ! Vesque J., Nouvelles recherches sur le développement du sac embryonnaire, in Ann. d. sc. nat.; VI Série, T. VIII, pag. 300 e 301. =iaggi= FECONDAZIONE. Debbo premettere che io non studio qui la fecondazione del Te da un punto di vista strettamente biologico; rilevo i fenomeni della fecondazione dalle modificazioni che intervengono nell’apparato ovarico in fasi successive, tralasciando per ora di occuparmi di quanto concerne la impollinazione, dei mezzi coi quali si compie, delle disposizioni di forma e di struttura che possono favorirla. Ciò potrà essere oggetto di ulteriori investigazioni. Come anche le mie ricerche non portano sulle critiche questioni sollevate in questi ultimi anni concernenti la presenza delle sfere di attrazione nei nuclei sessuali, la formazione del fuso, le fasi cariocine- tiche, la riduzione dei segmenti cromatici, ecc. Se tali quistioni sono di difficile risoluzione per piante ove gli elementi sessuali e tutti gli apparati che vi si annettono, sono per sè stessi vistosi e si prestano alla fine osservazione, figuriamoci quanto malagevoli divengano nel caso del The, ove i piccoli elementi istologici sono anche impregnati di so- stanze diverse che rendono frustranei i tentativi della più rigorosa tecnica. Da quanto si è detto nel precedente capitolo si rileva come l’in- sieme degli apparati micropilare e calaziale, nella Thea chinensis sia con- forme allo schema tipico delle Angiosperme, e che soltanto la differen- ziazione della cellula madre in sacco embrionale costituisca uno dei casi meno frequenti finora osservati nel regno vegetale, in quanto è la cel- lula figlia superiore risultante dalla 1.* divisione della cellula primor- diale che va a costituire il sacco, mentre ordinariamente, nelle diali- petale, essa è una delle inferiori. Così costituito il sacco embrionale, è pronto per la fecondazione. Ora dalle ripetute osservazioni da me fatte risulta che mentre è lungo il periodo preparatorio, che in sè comprende le fasi di sviluppo fin qui esa- minate, altrettanto è breve anzi rapido il processo od atto fecondativo. Anzitutto va rilevato che all’Orto botanico di Pavia le piante di Thea cominciano a fiorire verso la fine di settembre od in ottobre ! e 1 È abbastanza curioso che per la pianta del The non si conosca ancora bene l'epoca della fioritura; basti il dire, che nel KéuLrr's Medizinal-PAanzen, Atlas, loc. cit., il tempo della fioritura è espresso in modo interrogativo: B/uthenzeit 2 In Italia non vi ha dubbio che la fioritura del The va dal Settembre al Febbraio o Marzo. Il Signor Hillebrand di Pallanza mi scriveva che essa avveniva colà in Aprile e Maggio, ma forse egli si riferiva a fiori tardivi, non tenendo presente il momento di prima fioritura che è l'autunno. — 290 — continuano ad aprir fiori per tutto l’autunno e anche in primavera; sono dapprima i fiori inferiori dei rametti che sbocciano e via via i su- periori, Questa legge però non è costante, nè si verifica per tutti i rami di una stessa pianta, alcuni de’ quali hanno fiori o tutti precoci o tutti tardivi, e le cause di simile disordine sfuggono alla nostra induzione. Ciò premesso, l’esame di un ovario appartenente ad un fiore com- pletamente sfiorito, dal quale cioè si sia da poco staccata la corolla cogli stami che vi aderiscono, fa vedere subito notevoli modificazioni nell’apparecchio micropilare. Le sinergidi hanno perduta ia loro forma e la loro turgescenza (confr. fig. 1 e 2, tav. XII), si sono distanziate e come schiacciate contro la parete del sacco embrionale. Il loro cito- plasma s'è fatto nebuloso, sono scomparsi i due grossi vacuoli ed i loro nuclei deformati e stirati per il lungo. L’oosfera invece si è fatta più grande e più manifesta; interpo- stasi fra le due sinergidi, il suo contorno è più netto, la sua forma è ovale od ovato-conica, il contenuto suo dato da citoplasma densamente granulare, in parte addossato alla membrana, in parte raccolto verso il centro, ove è dato osservare in determinati momenti non più un solo nucleo, ma due: uno più grande che le è proprio, uno più piccolo a lato che presumibilmente è il nucleo maschile proveniente da un budello pollinico insinuatosi a traverso il micropilo e le sinergidi. In qualche preparato, infatti ho potuto discernere ancora, di mezzo alle masse delle sinergidi, una parte residuale del budello medesimo, così quello da cui ho tratta la fig. 3 della tav. XII, nella quale le due sinergidi sono anche più degenerate e il loro nucleo è stato distrutto, mentre nell’oo- sfera i due nuclei sessuali sono messi ad intimo contatto. Va notato che è avvenuta qui come una rotazione da destra a sinistra del nucleo maschile, perchè mentre il budello pollinico, od il suo plasma residuale è a destra, il nucleo maschile è posto a sinistra, contrariamente anche a quanto si osserva nella figura 2. Attorno ai due nuclei sessuali si notano delle granulazioni molto rifrangenti, ma confesso che non seppi riconoscervi in alcuna di esse gli attributi di centrosfere, tanto più che i preparati da cui trassi i disegni, non erano stati assoggettati a ve- runa colorazione, ma solo al trattamento dell’alcool, dell'olio di origano e montati al balsamo di Canadà, quindi assai chiari per lasciar distin- guere i nuclei sessuali, ma senza valore differenziale dei loro rispettivi costituenti. Se ora si esaminano ovari di fiori che sieno sfioriti da qualche tempo, e si riconoscono da vari caratteri, principalmente dai sepali che sonosi raccolti attorno al pistillo, e poi dagli stili più divaricati, contorti ed = gol — avvizziti, si trovano ovuli con ulteriori modificazioni. Anzitutto le siner- gidi sonosi vieppiù sformate ed anche rimpicciolite (fig. 7, tav. XII), e a contenuto senza struttura alcuna; l’ oosfera con contorno più defi- nito presenta un nucleo solo immerso in un citoplasma, che spesso per l’azione dei reagenti si mostra dalla membrana. Ora la presenza di un solo nucleo sta a dire dell'avvenuta fusione dei due nuclei sessuali e cioè dell'avvenuta fecondazione. E che sia realmente così se ne ha una conferma in un altro fatto. Mentre negli stadi precedenti si notavano ancora al disotto dell’appa- recchio ovarico i due nuclei, polari, ovvero il nucleo secondario del sacco embrionale (poichè la fusione dei due avviene, a quanto pare, quasi con- temporaneamente a quella dei nuclei sessuali, e poco prima o poco dopo, vedi figure 1 e 2, tav. XII), nello stadio che or ora esaminavamo, non si ha più traccia di nucleo secondario nel sacco embrionale, ma invece si hanno numerosi nuclei scaturiti evidentemente da ripetute divisioni del nucleo secondario stesso (fig. 7, ce); si ha cioè l’inizio della for- mazione dell’ endosperma. La fecondazione, adunque, si effettua ad intervallo breve dall’an- tesi del fiore, e ciò si osserva con eguale costanza tanto nei fiori pre- coci quanto in quelli tardivi. Prima di descrivere ciò che avvenga in seguito alla fecondazione, piacemi riferire di un caso di anomala costituzione di sacco embrionale osservato in un preparato con sezioni fatte al microtomo e trattate nel modo sopradetto, e rappresentato nella fig. 6, tav. XII. La semplice ispezione di detta figura, per chi ha l’occhio assuefatto all’osservazione di sacchi embrionali, parla subito nel senso di una anomalia. Un nu- mero rilevante di grossi nuclei forniti di vistosi nucleoli, occupano la cavità del sacco embrionale, e di essi, sette, sono situati nella regione micropilare, dove siamo soliti a vederne solo tre od al più quattro. Più sotto sonvi due altri nuclei che per la loro posizione e pel modo di loro adesione si possono ritenere i due nuclei polari del sacco; ed in fondo vi sono altri nuclei, che per essere riuniti da briglia cito- plasmatiche ricordano nuclei endospermali. Ora dai rapporti di posizione e da qualche altro carattere fra i numerosi nuclei della regione micropilare si possono riconoscere due sinergidi ss, un’oosfera o, un nucleo maschile nm che potrebbe pro- venire dal budello pollinico 8p; ma restano sempre altri due nuclei di cui non è possibile spiegare l'origine. Quanto ai nuclei che si trovano in basso, è probabile si sieno originati per divisione delle stesse anti- podi, mentre i nuclei secondari sono tuttavia distinti. gole Ho voluto accennare a questa anomalia perchè potrebbe forse dare luce nella interpretazione di altri fatti anomali dei quali sarà detto più avanti. Abbiamo accennato più sopra alla fusione dei nuclei sessuali ed alla contemporanea o consecutiva fusione dei due nuclei polari. Ora, men- tre da quest’ultima ne consegue la divisione nucleare indiretta che con- duce all’inizio di un’endosperma, dopo avvenuta invece la fecondazione dell’oosfera null’altro intravviene che preludii alla formazione dell’ em- brione. Negli ovari tanto di fiori apertisi sul principio di autunno, quanto di quelli tardivi, dopo avvenuta la fusione dei nuclei sessuali l’oosfera. si dispone a riposo; si fa quiescente, e coll’oosfera s’arrestano nello sviluppo-tutte le parti costitutive dell'ovario, il quale di minuscole di- mensioni e protetto dai pezzi del calice accartocciatisi, passa così l’ in- verno e parte della primavera. Vi ha conseguentemente una sosta fra la fecondazione dell’oosfera e la formazione dell'embrione, sosta che può essere più o meno lunga secondo che l’antesi dei fiori è stata più o meno precoce. E pel nostro clima, e per l'epoca della fioritura del T'%e, non po- teva essere altrimenti, perchè il periodo lungo nel quale si compie la evoluzione dell'embrione avrebbe dovuto essere interrotto dal soprav- venire dei freddi invernali, con certo danno della pianta i cui frutti non raggiungerebbero il completo loro sviluppo. Se tale arresto nello sviluppo degli ovuli e dei semi, abbia luogo anche ne’ paesi di origine del The od in quelli della grande sua coltura, è ciò ch’ic non ho po- tuto finora sapere. Può darsi benissimo che la mitezza della stagione invernale sopprima al Giappone ed in China, e tanto più a Giava ed a Ceylon, questa sosta di riposo, ovvero che essa sia ridotta ad un pe- riodo molto più breve di quello che si verifica nell’ Italia superiore. Resosi intanto stazionario lo sviluppo dell’oosfera dopo la fecon- dazione, di poco rilievo sono le modificazioni che avvengono nel sacco embrionale. La formazione dell’endosperma la quale sembra iniziarsi tu- multuosamente durante il processo fecondativo, s'arresta anch'essa ben presto. Anzitutto converrebbe stabilire bene il momento in cui il nucleo secondario si dispone alla divisione che è il punto di partenza della costituzione dell’endosperma. Ho detto, più sopra, che i due nuclei po- lari, staceatisi dalle due tetradi, si portano verso il centro del sacco embrionale, ora più ora meno vicini all’apparecchio micropilare, e quivi si dispongono negli ovari di bottoni, non anco sbocciati, a mutuo con- tatto (fig. 1, tav. XII), contraendo poi la loro intima unione contem- poraneamente o quasi all’atto fecondativo. La fig. 2, tav. XII sembre- rebbe indicare che vi fosse stata una certa precedenza per parte dei — 293 — nuclei polari, il che sarebbe conforme alle osservazioni di altri autori. Il Guignard !, infatti, nei suoi nuovi studi sulla fecondazione osserva che in generale “ l’union des deux noyaux polaires précède de très peu la pénétration du noyau male dans l’oosphère ., ed aggiunge ancora “ mais quels que soient le degré de cette union et l’aspect extérieur de la masse nuceléaire constituant le noyau secondaire, la division de ce dernier commence déès que le noyau male pénètre dans l’oosphère. Le phénomène est d’une constance remarquable ,. Non sono stato così fortunato, ad onta di numerosissime prepara- zioni, di osservare questo punto di partenza, ma è certo che negli ovuli fecondati di The a lato dell’oosfera fornita di nucleo risultante dalla fusione dei due nuclei sessuali, si ha nel sacco embrionale un numero più o meno grande di nuclei endospermali (fig. 7, tav. XII) scaturiti dalla divisione del secondario, ed in breve tutta la cavità del sacco ne è ripiena. Attorno a tali nuclei si nota un’areola di citoplasma forte- mente granulare e fra l'uno e l’altro delle linee contrassegnate da gra- nulazioni assai rifrangenti che accennano a formazioni divisionali, alla costituzione, cioè, di un albume (fig. 4, tav. VII). Però, tanto in questa fase del sacco embrionale quanto in ulteriori, tali formazioni divistonali restano allo stato di inizio, e non viene mai secreta in corrispondenza di esse una membrana cellulosica. * Esaminando un ovario sul finire dell'inverno, quando cioè si è certi che è cessato qualsiasi lavorio di formazione, si trova negli ovuli fecondati, i quali sono d’ordinario tre per ogni ovario e per lo più del piano superiore mentre gli altri nove sono rimasti sterili, un’ oosfera (fi. 8 tav. XII) a contorno ovale col suo citoplasma più o meno contratto dall'azione de’ reattivi, ed un nucleo piuttosto grande im- merso in quest’ultimo, quindi la stessa condizione di cose che si av- vertiva appena avvenuta la fecondazione. Le sinergidi sono quasi com- pletamente scomparse, e solo pochi residui di esse si notano in alto a destra ed a sinistra dell’oosfera. La cavità del sacco embrionale è occupata da traccie di grandi cellule, segnate da pallidi contorni di gra- nulazioni citoplasmatiche ed anche da nuclei che però sono in via di degenerazione, sformati ed in parte anche distrutti. Sta per ciò, di fatto, ! Goronarp L., Nouvelles études sur la fécondation, in Ann. d. sc. nat., VII Série, T. XIV, pag. 204. ° Tale formazione di nuclei endospermali avviene senza regolarità di sorta con- trariamente a quanto si verifica in altri casi, ove pur non formandosi setti cellulosici si ha tuttavia una distribuzione regolare dei nuclei separati da linee citoplasmatiche. Veggasi in proposito Briosi e ToaxinIi, Anatomia della Canapa, parte I, pag. 80. — 294 — che di endosperma vero non se ne è formato. Questo stato di cose si mantiene fino alla ripresa dell’attività dell’oosfera e cioè fino a prima- vera inoltrata. FORMAZIONE DELL’EMBRIONE. Nel The coltivato nell’Orto botanico di Pavia soltanto verso il principio di maggio, dopo cioè un periodo di riposo che può variare, secondo che l’antesi fu precoce o tardiva, da 2 a 8 mesi circa, si ha la ripresa dell'attività dell’oosfera fecondata. Moltissimi ovarii esaminati verso il 10 ed anche il 15 di questo mese mi presentarono ovuli fecondati col sacco embrionale nelle stesse condizioni in cui lo trovammo in novembre o dicembre, coll’ oosfera mononucleata e citoplasma fortemente granulare (fig. 1, tav. XIII). In alcuni si cominciano, tuttavia, a rilevare i primi segni di risveglio, an- nunciati da un primo setto trasversale, conseguente alla prima divi- sione del nucleo dell’oosfera. Per osservare questo, come i successivi stadii dello sviluppo del- l’embrione, ebbi ricorso sempre a mezzi rischiaranti e sopratutto all’acqua di Javelle che in convenienti diluizioni mi permetteva di scorgere il costituirsi di sempre nuovi segmenti, talora asportando quasi intera- mente il contenuto, tal’altra lasciando residui del citoplasma ed anche frammenti di nuclei. Dalla orientazione che presenta loosfera durante questo primo stadio, che è quella indicata dalle figure 2 e 3 della tav. XIII, è dato indurre che la prima divisione di essa è preceduta da un lieve spostamento del suo asse, in modo che la cellula figlia superiore viene a poggiare sopra la parete di destra del sacco (talora anche di sinistra, come ri- levasi dalle fig. 7, 8, 9, ecc.), e ad accollarvisi. Detta cellula assume perciò una forma che le è caratteristica e quasi costante, come si può rilevare dall’ esame di molte delle figure della tavola XIII. Essa presentasi difatti assai più grande della inferiore, rigonfia a vescica e con forma che va via via avvicinandosi alla globoso-conica, più o meno assimetrica. È la prima cellula del proembrione, quella cui l’Hanstein ! dà il nome di cellula basale del proembrione (Basalzelle des Vorkeimes). La cellula inferiore più piccola, di forma globulare dapprima, poi un po’ cilindracea, è quella che va soggetta ad ulteriormente dividersi con setti trasversali che conducono alla formazione del sospénsore. ! Hansrein J., Botanische Abhandlungen, Bonn, I, 1870, pag. 100. sù di ll — 295 — Nel The questo organo assume uno speciale sviluppo con una fun- zione di nutrizione evidente. Le sue cellule difatti si riempiono di so- stanze proteiche ed oleose le quali vengono trasmesse poi al costituen- tesi embrione. Particolarmente resistenti all’azione dei reattivi sono le sostanze grasse, che permangono nelle cellule del sospensore anche dopo una prolungata azione dell’acqua di Javelle, sotto forma di goc- cioline sferoidali molto rifrangenti, le quali se da un lato possono ser- vire di traccia alla-ricerca dell'embrione nell’ osservazione dei prepa- rati, dall'altro occultano sovente le segmentazioni, la forma ed il nu- mero delle cellule di cui ci si vuole accertare. Sono perciò spesso necessari ulteriori trattamenti con speciali sol- venti, fra i quali molto addatto trovai il cloroformio. La divisione della cellula inferiore del proembrione che si fa per successivi setti trasversali, spesso anche obliqui (fig. 6, 11, 12, 14, tav. XIII), di rado longitudinali (fig. 17), avviene assai lentamente e si protrae sino alla fine di Giugno od al Luglio prima che si abbia la cellula madre dell’embrione; così il sospensore va allungandosi ed assumendo forma cilindracea, tutt’ altro, però, che costante; alle volte esile diritto e abbastanza regolare, altre volte grosso, bitorzoluto e con- torto. Le sue cellule sono talora cilindracee, conformi; tale altra discoi- dali, compresse ed anche cuneiformi. Osservai di più che a cellule mo- nonucleate se ne intercalano alle volte delle plurinucleate (fig. 23, tav. XIII), contenenti fino a sei nuclei. Ciò è dovuto a divisioni nu- cleari che non sono state seguite da formazione di tramezzi cellulosici. Si ha quindi per alcune cellule, quanto su più vasta scala il Guignard * ha osservato in sospensori di Leguminose. L’allungamento del sospensore sembra essere dovuto unicamente alle ripetute divisioni della cellula inferiore; essa difatti è talora glo- boso-conica, tal’altra cilindracea (figure 7 a 12, tav. XIII), quest’ultima forma essendo quella che precede immediatamente la divisione nucleare. Si costituisce così un sospensore di un numero rilevante di cellule che può variare dalle 14 alle 18. La cellula madre dell’ embrione non si differenzia gran che dalla normale cellula inferiore da cui si è originata, e mai vidi l’ estremità di un proembrione più rigonfia avanti che si notassero delle segmenta- zioni d'ordine diverso di quelle da cui procedette il sospensore. Come pure non mi è riuscito mai di verificare per prima, nella Thea, la di- 1 Guienarp L., Recherches d’embryogénie végétale, in Annales d. Se. Natur.,. Serie VI, T. XII, 1881. e visione longitudinale (meridiana) che si è voluto dare per il caso più tipico di inizio dell'embrione. Sembra invece che nella cellula madre la prima divisione sia equatoriale e ad essa succeda la divisione me- ridiana. Ciò si rivelerebbe almeno dalla fig. 13, tav. XIII la quale dà a vedere la divisione in quadranti della cellula madre e fa escludere che il primo setto sia stato il meridiano, in quanto che i setti longi- tudinali sono in piani diversi. Si ha perciò una eccezione alla regola generale che si è voluto fare del caso della Capsella Bursa-pastoris, studiata dall’ Hanstein.! Dalla fase di sfera divisa in quadranti comincia un lavorìo più attivo di segmentazione nel costituentesi embrione ed in breve dopo altre divisioni trasversali e longitudinali, si manifestano setti pericli- nali (fig. (4-17, tav. XIII) che preludono alla formazione del der- matogeno. Intanto l’ultima cellula del sospensore (penultima del pro- embrione) che s'addatta alla calotta embrionale e corrisponde alla cosidetta ipofisi degli Autori, si segmenta anch’essa prima longitudinal- mente (fig. 14, 15, 18), poi trasversalmente. Sovente anche la cellula immediatamerte superiore partecipa a questa segmentazione (fig. 20 e 21). Il fatto del sesmentarsi dapprima longitudinalmente anzichè tra- sversalmente dell’ipofisi, toglie valore anche qui alla generalizzazione che si è voluta fare di quanto l’ Hanstein ha osservato nella CapseZla Bursa pastoris ed in altre piante da lui studiate. Tale precedenza del setto longitudinale sul trasversale, l’ho avuto a notare come fatto di non dubbia costanza e ne fanno fede le fi- gure 14, 15, 16, 17, 18, tav. XIII, di cui alcune rappresentano se- zioni ottiche, altre la superficie superiore di embrioni in diverso grado di sviluppo. Come pure le fig. 19, 20, 22, che presentano ulteriori segmentazioni, e fra esse delle trasversali che sono ancora scomplete ossia unilaterali, confermano la primitiva costituzione del setto longi- tudinale. Ciò che le mie preparazioni mettono fuor di dubbio si è che nel costituentesi embrione del The dallo stadio di sfera a quadranti a quella di corpo multicellulare pel quale già si cominciano a delineare i mammelloni cotiledonari (fig. 20 e 21, tav. XIII) la ipofisi segmentandosi prima longitudinalmente poi trasversalmente va a costituire una specie di calotta, a due piani circa di cellule, sovrastante all’embrione ma di- stinta da questo, almeno fino ad un determinato momento. Intanto le ulteriori divisioni che sono avvenute nel corpo sferoidale embrionale, 1 HaxsrEln J., op. cit. = lasciano scorgere distintamente una linea di demarcazione equatoriale o quasi, limitante in alto la parte radicale dell’ embrione, in basso la parte cotiledonare (fig. 17, 18, 19), linea di demarcazione la quale scompare quando più ancora accentuati si fanno i mammelloni cotiledo- nari. Tale linea equatoriale si vede spesso intersecata da altra pari- menti spezzata meridiana, che serba le traccie delle prime divisioni in quadranti della sfera embrionale. Coll’ abbozzarsi dei mammelloni cotiledonari non si ha ancora traccia percettibile di differenzazione di parti istogeniche nel corpo embrionale, come lo dimostrano le fig. 20 e 21 le quali in sezione ot- tica ed in proiezione superficiale danno a vedere un meristema indif- ferenziato. E gli è solo quando i cotiledoni sonosi annunciati quali due pro- cessi emisferici combacianti per le rispettive loro faccie piane (fi- gura 3, tav. XIV) che una vera, per quanto non del tutto completa, differenziazione di tessuti si può verificare. La fig. 4 della tav. XIV che rappresenta una porzione della parte superiore dell’ embrione, a questo stadio, dà ragione di queste sopravvenute modificazioni di strut- tura. Si ha, in questa figura, abbozzata l'estremità della radice con parte di un cotiledone e della regione iniziale del fusticino. Il gruppo delle iniziali della radice è ben distinto; esso è costi- tuito di tre piani ad immediato contatto. Non altrettanto ben distinta, a questo stadio, è la demilitazione dei tessuti della radice, e se poco lo è quella fra pleroma e periblema, meno ancora quella fra quest’ ul- timo ed il dermatogeno. Le cellule di questo tessuto, astrazion fatta dalle periferiche a divisioni radiali manifeste, si distinguono tuttavia per essere più stipate e di assai minore grandezza di quelle degli altri tessuti. La differenziazione di queste in elementi seriati longitudinal. mente non ha decisamente avuto luogo a questo stadio, ciò che sta a dire dello sviluppo tardivo dei suddetti tessuti iniziali, contrariamente alla generalità dei casi studiati. Quanto all’ origine della cuffia o pi- leoriza, dal modo come presentasi iniziato questo tessuto e dai rap- porti che esso ha coll’epidermide della radice e col piano superiore delle iniziali, si ha ragione di credere, che essa abbia luogo secondo il processo comune alla maggioranza delle dicotiledoni e riferibile al ben noto terzo tipo dello Janezewski. Non vi ha dubbio poi che a completare la cuffia nella regione apicale vi concorrano le cellule di chiusura (ScAlusszellen dell’Hanstein) originatesi per divisione ripetuta della ipofisi, la quale per altro non si fa mai molto rientrante rispetto al globo embrionale, ed anzi in alcuni casi la osservai completamente estranea al globo stesso (fig. 20), così chè non si può generalizzare Atti dell’ Ist. Bot. dell’Università di Pavia — Nuova Serie — Vol. V, 21 29868 che sempre il gruppo delle iniziali, proceda dalle divisioni ultime della ipofisi*. Tali divisioni poftano, in verità, le cellule che ne risultano a mi- schiarsi intimamente con quelle della parte superiore del corpo em- brionale (fig. 21) ed è allora che si differenzia il gruppo delle iniziali di cui forse il piano superiore ha origine proembrionale. Nello stadio rappresentato dalla fig. 4, tav. XIV, non è ancora accentuata, come si disse la differenziazione di elementi allungati nel pleroma e quindi non si ha alcun accenno a formazioni procambiali. Una manifesta orientazione degli elementi, secondo l’asse dell'embrione, si osserva tuttavia fino ad una certa regione nella quale perdendosi o sfumando per così dire tale orientazione, si passa alla regione ipoco- tilica ad elementi monoassi che aumentano di grandezza man mano che ci si innoltra nei cotiledoni. Nel tratto poi che sottostà al seno lasciato da quest'ultimi, le cellule sono più piccole, più regolari ed a contenuto fortemente granulare. Tali cellule (fig. IV, 17) comprendono il gruppo delle iniziali dell’apice caulinare il quale in tale stadio non si è accen- nato con alcuna gobba o rilievo. I cotiledoni anch'essi, ben che abbiano assunta la forma, se non le dimensioni, loro abituale (fig. 3) non presentano all'infuori di una epidermide distinta, e di un tessuto meristematico uniforme ad ele- menti poliedrici, piuttosto grandi, altra differenziazione. Ciò avviene più tardi, quando da formazioni procambiali che si originano verso la loro base, vanno a prendere origine dei plessi di elementi vascolari che ramificandosi si distribuiscono alle due masse cotiledonari (fig. 5, tav. IV). POLIEMBRIONIA. Anche nella Thea chinensis, a lato di un embrione che procedendo da divisioni dell’oosfera fecondata, compie intero e regolare il suo svi- luppo nel sacco embrionale, altre formazioni analoghe si iniziano talora che hanno più o meno a lungo il carattere di altrettanti embrioni. Non è il caso certamente di insistere sopra fatti, osser- vati da tempo in piante diversissime e dei quali sono state date anche buone interpretazioni in questi ultimi tempi, massime per opera ! Veggasi in proposito Srrassurcer E., Das dot. Practicum, INI Auflage, 1897, pag. 568. — 299 — dello Strasburger ! e Chauveaud., ? Ma siccome nel The il fenomeno della poliembrionia ha, secondo le mie osservazioni, assunte delle mo- dalità svariate, alcune anche da non potersi giudicare alla stessa stregua dei fatti fin qui osservati, così credo opportuno di dirne qualche cosa. Non rari, ho osservato dei casi di apparente poliembronia, dovuti a proliferazione delle cellule più interne della secondina, dei quali al- cuni del tutto analoghi a quello descritto dallo Strasburger per la Funkia ovata, ove per altro si tratta di proliferazione di cellule della nucella. Le cellule prossime all’apertura micropilare, in seguito al passaggio del budello pollinico hanno acquistata particolare attività ed incominciato a segmentarsi tangenzialmente protrudendo con una delle cellule figlie verso la cavità del sacco embrionale, ed ivi con setti meridiani e trasversali iniziando dei corpi che hanno tutta l'apparenza di embrioni. Non mi accadde però di veder raggiungere il loro completo sviluppo a questi corpi avventizii, quindi non si tratta qui nè di par- tenogenesi, nè di apogamia ma di pura e semplice proliferazione cel- lulare. Se in ciò abbia influenza, come causa di stimolo e di irritazione del citoplasma di queste cellule, il passaggio del budello pollinico, e se essa sia di natura semplicemente fisica, ovvero fisiologica, è assai dif- ficile a stabilire, perchè se da un lato ho potuto constatare, più di una volta, che di simili proliferazioni, con segmentazioni che accennano a formazioni avventizie di embrioni, hanno luogo lungo il passaggio del budello pollinico ed anche al di fuori del sacco embrionale medesimo, da parte di cellule dell'angolo interno della loggia ovarica (fig. 6, tav. XIV), caso questo abbastanza singolare; così da un altro lato esse proliferazioni non sono infrequenti anche da parte di cellule sulle quali non può avere in aleun modo agito il passaggio del ‘tubo polli- nico come causa di stimolo. Così nella fig. 7 della tav. XIV, è rappresentato un embrione normale (allo stato di proembrione) che occupa colle sue cellule supe- riori il canale micropilare, e contemporaneamente alcune cellule dello strato interno della secondina che hanno proliferato, a destra, a note- vole distanza dal micropilo. Fatti consimili furono già osservati anche in specie di Citrus? e di Opuntia'. E d’altra parte lo Strasburger ® 1 Srrassurcer E., Ueber Polyembryonie, Jen. Zeitschr. f. Naturw., Bd. XII. pag. 647, e Das botan. Practicum, III Aufl., pag. 581-584. 2 Crauvraup G., in Compt. Rendus de lAcad. d. Sciences, T. CXIV, pag. 504-506. 8 Srrassurcer E., Das botan. Practicum III Aufl., pag. 584. 4 Moxnremagtini L., Contributo allo studio dell'anatomia del frutto e del seme delle Opunzie, in Atti Ist. Bot., Pavia 1896. 5 Srrassurcer E., Ueber Polyembryonie, pag. 664. — 4300 osservò formazione di embrioni avventizii in ovarii di Nothoschordum frigrans non impollinati. E certo pertanto che non ostante i molti casi analoghi verificati in piante diverse, una spiegazione esauriente non è stata ancora data e sarebbe desiderabile che il fenomeno venisse assoggettato a nuove indagini d’indole anche sperimentale. Sono stati descritti casi di embrioni avventizii originatisi dalle sinergidi, ® nei quali la infinenza del budello pollinico, per quanto in- diretta, non può essere messa in dubbio. Si tratti poi del passaggio di uno dei nuclei generatori del tubo pollinico che effettuò una vera e propria unione col nucleo di una delle sinergidi, ovvero si tratti di una particolare influenza fisiologica, conseguenza della quale è uno stato d’irritazione del citoplasma di queste cellule sorelle dell’oosfera d’onde ne viene loro la capacità a dividersi, questo non si può decidere così agevolmente. ; Intanto a questo ordine di fatti, potrebbe riferirsi un caso di vera e propria poliembrionia osservata nel The e discostantesi per l’effetto finale da quelli più sopra accennati. Si tratta di un sacco embrionale appartenente ad un ovario raccolto nel Luglio, ed occupato nella sua parte superiore o micropilare da due embrioni in via di sviluppo (fi- gura 8, tavola XIV), forniti ambedue di due sospensori regolarmente formati e di due giovani embrioni in cui sono già avvenute divisioni trasversali, longitudinali e periclinali. Le estremità dei sospensori sono perfettamente libere, quindi ciò esclude che uno degli embrioni possa aver preso origine da cellule della secondina; esse inoltre sono accol- late l’una all’altra, edi due sospensori ravvolti reciprocamente a spira, con sviluppo eguale e sopportano due sfere gemelle. Non vi ha dubbio adunque che qui ci troviamo di fronte ad un vero caso di biembrionia sulla quale è lecito fare due ipotesi: o è avvenuta la fecondazione oltre che dell’oosfera di una delle sinergidi, e questo sarebbe un caso ana- logo a quelli osservati nell’Iris sibirica e nel Lilium Martagon; ovvero, si tratta dell’ anormale costituzione dell’ apparato ovarico, cosa che avrebbe un riscontro con quanto ho descritto a pag. 29i e rappresen- tato colla fig. 6 della tav. XII. È possibile cioè che una quarta ca- riocinesi abbia portato nell’apparecchio micropilare il numero dei nuclei a sei, anzichè a tre, ed in questo caso due avrebbero funzionato da oosfere e 4 da sinergidi. Può darsi pure che la diembrionia sia dovuta ad uno sdoppiamento dell’oosfera, come ha cercato di interpretarla, in casi analoghi, lo Stra- 1 Srraseurcer E., Das dot. Practicum, III Aufl., pag. 584. #30 sburger.! Sarebbe difficile, in tale ipotesi, spiegare la indipendenza cellulare dei due embrioni e dei due sospensori. . Potrebbe anche entrare in campo l’ opinione del Chauveaud, ? il quale vede nella poliembrionia una condizione primitiva dello sviluppo delle angiosperme, e il caso da me osservato sarebbe, in tale ipotesi, un esempio di atavismo. Comunque, dalla costituzione in via eccezionale di due embrioni perfetti, od almeno di pari sviluppo, è lecito indurre che a volte i due nuclei generatori del budello pollinico, che d’ordinario accompagnano quest’ultimo fino all'atto della fecondazione, entrino in campo entrambi e vengano adibiti l’uno alla fecondazione dell’oosfera, l’altro a quella di una delle sinergidi, o di cellula sopranumeraria dell’apparato ovarico. E ciò dimostra una volta di più quante mirabili disposizioni sieno create in natura atte a sopperire, nel caso di mancati sviluppi normali, alla conservazione della specie. SVILUPPO DEL PERICARPO. Ebbi già occasione di accennare, in altro mio lavoro? come nel The, non procedano di pari passi lo sviluppo dell’ embrione e quello del pericarpo. La ripresa dell’attività, dopo il periodo di sosta che ab- biamo rilevato esservi in seguito alla fecondazione dell’oosfera, si an- nuncia molto prima per parte del pericarpo di quello che dell’ oosfera fecondata stessa. Già nella seconda metà di Marzo nelle annate ad inverno buono, o al principio di Aprile, esaminando dei fiorellini il cui sviluppo era sospeso, si cominciano a scorgere dei segni di incremento degli ova- rietti, i quali oltre un sensibile per quanto lieve aumento in grossezza presentano più rado il tomento che li ricopriva all’ epoca dell’ antesi. Altro segno caratteristico della ripresa del lavoro attivo, è la caduta degli stimmi che avevano persistito fino a tale momento in istato di completo avvizzimento. Resta tuttavia aderente all’ovarietto un mon- cone di stilo, lungo 1 mm. o poco più destinato anch’esso a scomparire. Quando l’ovario si è ancor più accresciuto esso fa capolino dai lembi calicinali pur essi persistenti, ed allora tutto o quasi il tomento è scomparso, la superficie dell’ovario si mostra bianco-gialliccia e ni- tida, e la forma dell'organo da globoso conica, comincia a farsi obco- 1 Srraseurger E., Veber Polyembrionie, pag. 665. ? ChauveauD G, op. cit., loc. cit. ® Cavara F., Idioblasti d. Camelliee, pag. 16. = 3028 nica e tetraedrica, ad angoli assai ottusi. I sepali vi aderiscono com- pletamente, e vanno via via divaricandosi col crescere del fruttino, senza mai abbandonarlo. Col rendersi in seguito libero dai pezzi cali- cinali, quest’ultimo riprende di nuovo un color verde carico, e la super- ficie da liscia e nitida va facendosi lievemente zigrinata o papillata fino a divenire in seguito anche rugosa per formazioni suberose. Intanto seguendo con sezioni trasversali lo sviluppo anche dell’in- terna struttura del pericarpo, si osserva che esso dapprincipio e cioè al momento della fecondazione o subito dopo questa, presenta all’esterno una epidermide di cellule schiacciate tangenzialmente, piuttosto pic- cole, a parete esterna di poco più spessita delle radiali e dell’interna, e di esse molte si sono trasformate in robusti peli unicellulari protru- denti all’infuori non solo, ma che si espandono ed internano anche nel ‘ tessuto subepidermico con una parte più grossa angolosa e che tra- passa nella esterna cilindrica mediante uno strozzamento più o meno sensibile. Tali peli robusti per forte ispessimento della membrana hanno per molto tempo citoplasma denso ed un distinto nucleo di forma per lo più allungata, talora fusoide. Di sotto all’epidermide si notano due o tre strati di cellule, più grandi delle epidermiche, ma pur esse depresse tangenzialmente (7po- derma?) che trapassano poi in un parenchina erbaceo ad elementi più grandi, più lassamente congiunti, forniti ancora di nuclei, di citoplasma, di cloroplasti. Alcune di queste cellule sonosi fatte cristallifere e con- tengono grosse macle di cristalli d’ossalato di calcio, il qual sale si forma precocemente in tutti gli organi del the, e specialmente in quelli a funzione meccanica o di protezione. Verso la metà dello spessore della parete ovarica o più verso l'interno, si osservano fasci fibro- vascolari di maggiore o minor sviluppo secondo che si riferiscono a sezioni di nervature primarie o secondarie delle foglie carpellari, ed i cui elementi xilematici sono dati interamente da trachee o da tracheidi a ispessimenti spirali. All’avvicinarsi del limite interno si incontrano di nuovo due o tre strati di cellule appiattite tangenzialmente poi la epidermide interna, la quale non presenta affatto peli ed ha cellule pic- cole non molto schiacciate e ricche ancora di contenuto. Tale è la struttura della parete dell’ovario al momento della fecon- dazione, e tale si conserva anche durante un sensibile incremento del- l'organo che si avverte al principio della primavera precedendo qualsiasi differenziazione interna del sacco embrionale. Tuttavia esaminando ovari nella seconda metà d’aprile ed al principio di maggio quando essi hanno raggiunto le dimensioni di un seme di veccia comune, con 4 a 5 mm. = sile di diametro, mentre resta ancora indifferenziato il sacco embrionale, la parete dell’ovario comincia a presentare delle importanti modifica- zioni. Difatti osservando attentamente il tessuto subepidermico della parte periferica si cominciano a scorgere gli inizii di quegli elementi speciali (idioblasti) su cui ebbi in altro mio lavoro a richiamare l’at- tenzione, riconoscibili non solo alla forma ed alle dimensioni loro, ma sopratutto al loro contenuto citoplasmatico più ricco e densamente gra- nulare, ed al loro grande nucleo !. Questi elementi compaiono a deter- minata distanza l'uno dall’altro, dapprima verso la parte esterna, poi nel mezzo ed infine nella parte interna. Alle volte quelli di mezzo sono gli ultimi a differenziarsi, e si co- stituiscono dapprima due cinture di elementi meccanici verso le due epidermidi della parete ovarica. Comunque sia, sta di fatto che fino ad un certo punto le differenziazioni della parete ovarica, ossia del peri- carpo, precedono quelle dell'embrione. Difatti in ovari del maggio si hanno già gli accenni a formazione di idioblasti nella parete di un certo spessore, mentre l’oosfera è ancora indivisa. Dissi più addietro che le divisioni di questa e le successive del proembrione si compiono con estrema lentezza. Ora il pericarpo pro- cede relativamente meno lento nel suo incremento cosicchè ai primi di agosto esso ha raggiunto quasi il completo suo sviluppo mentre l’em- brione non è ancora completato (veggansi fig. 1 e 2, tav. XIV). In tale stadio lo spessore del pericarpo è di 1 millimetro e mezzo circa, la sua esterna superficie si è fatta di un color verde oliva scabra e come zigrinata. Riguardo ad altre modificazioni di struttura vi è da osservare quanto segue. L’epidermide si presenta sfornita di peli, solo qua e là si notano le basi a contorno poligonale ed a membrana ispessita, di alcuno di ! Non intendo di ritornare sopra, qui, alle particolarità di struttura del nucleo degli Idioblasti delle Camelliee. To ho già fatto rilevare come questi particolari elementi meccanici, pur traendo origine da cellule comuni degli strati subepidermici, mostrino fin dal loro inizio un caso notevole di ipertrofia nucleare e citoplasmatica che ha un riscontro in altri elementi normali quali i vasi e i tubi cribrosi di Zea mays, di Cu- curhita ete., ed anche in casi patologici studiati da me e da altri (Molliard, Dan- geard) provocati dall'azione di micelii o di insetti. Dal modo di comportarsi di questi nuclei ipertrofici rispetto ad alcuni reattivi, è parso a me che si verificasse in essi un fenomeno cromatolitico, un addensamento cioè di cromatina o di sostanza sot- tratta ai cromosomi sul nucleolo, il quale mostrasi infatti particolarmente avido di sostanze coloranti ed è di grosse dimensioni. Si è voluto da taluni criticare questo mio modo di vedere. Però, pur non negando che i diversi mezzi di fissazione possono dare risultati talora divergenti, io non recederò dalle mie vedute fin che altri impiegando i metodi da me usati non mi persuada del contrario. — 304 — essi, la cui parte libera si è distrutta durante lo sviluppo del pericarpo. Si notano con una certa frequenza delle formazioni suberose della stessa natura delle lenticelle. E non può parer strano il fatto se si pon mente che anche gli organi fogliari delle Camelliee ! presentano di tali for- mazioni. Le lenticelle sono uniformemente sparse sulla superficie del pericarpio, piccole, a contorno rotondeggiante, poco rilevate. Ad esse si deve l'aspetto ruvido che i frutti presentano ad una certa età. Osser- vando tuttavia attentamente colla lente un frutto si notano, inoltre, delle linee tortuose rilevate che irraggiando dalla regione basale ossia d’inserzione del frutto si estendono fin l’equatore ed oltre, intersecandosi ed anastomizzandosi fra loro. Sono delle linee di tessuto peridermico formatesi in corrispondenza di soluzioni di continuo dell’epidermide per pressioni dall'interno. Il parenchima sottostante, che quasi invariato si mantiene fino all’epidermide interna, presenta ancora delle cellule cristallifere, ma le macle cristalline sono in via di corrosione, più piccole e smussate sugli angoli, ciò che farebbe pensare ad una possibile utilizzazione dell’os- salato di calcio. La membrana delle cellule parenchimatiche sono al- quanto ispessite, ma non soverchiamente ed in tale ispessimento lasciano dei piccoli vani a sezione ellittica o lenticolare; di più sonosi impre- gnate di una sostanza che le colora in giallastro. Il contenuto loro è quasi interamente scomparso e raramente vi si osserva un nucleo, delle granulazioni citoplastiche e qualche altro incluso. Gli Idioblasti che, con forme svariate e curiose attraversano in ogni senso lo spessore del pericarpo, hanno raggiunto il loro massimo sviluppo, e l’ispessimento della loro membrana è tale che del vano cellulare resta piccola porzione, una striscia che segue la sinuosità e le ramificazioni dell’ elemento istologico e nella quale non vi è più traccia di protoplasma e di nucleo. ? La disposizione degli idioblasti è tale da impartire al pericarpo non solo grande consistenza, ma un forte grado di resistenza sia per evitare l’afflosciamento dei carpelli, sia contro la pressione interna esercitata 1 Borzì A., Di alcune lenticelle fogliari. Malpiglia I, 1896, pag. 217-227. ? Circa l'evoluzione di questi idioblasti nella parete ovarica e nel pericarpo ri- mando a quanto ne dissi nel mio lavoro: Contributo alla Morfologia ed allo sviluppo degli Idioblasti, ecc., ricordando qui solo come il citoplasma è la sostanza nucleare vengano via via adibiti alla formazione della potente loro membrana, e come la cro- matina e la pirenina vengano a poco a poco sottratte dal nucleo; e della prima non resti più, verso la fine, che un piccolo globuletto centrale, che si può mettere in evidenza con particolari reattivi. Fig. 18 e 19, tav. XXXI del mio precitato lavoro. 3.050 dai semi quando hanno raggiunto notevole sviluppo. ! Gli uni, al disotto delle due epidermidi, mandano i loro processi ramosi sia parallela- mente alle rispettive superficie, sia normalmente a queste; gli altri, sparsi nella regione interna pericarpica, si dirigono in parte vertical- mente ossia secondo i meridiani, in parte obliquamente o secondo l’e- quatore. Tanto apparato di elementi meccanici è reso necessario dal lento, ritardato e non contemporaneo sviluppo sia dell'embrione che dello spermoderma, il quale ultimo, come vedremo in appresso, pur se- guendo in ordine di superficie l'incremento del pericarpo (fig. 1 e 2 tav. XIV) raggiunge però più tardi il definitivo suo sviluppo di du- rezza e consistenza; per cui è necessaria l’accennata solidità del peri- carpo a difesa dei tegumenti ancor teneri e dello svolgentesi embrione. La medesima struttura si osserva oltre che sulle pareti periferiche, anche sulle radiali del pericarpo, fino alla congiuntura interna dei carpelli. SPERMODERMA. Abbiamo visto come il mammellone nucellare venga ben presto circondato dai due accrescenti cercini che divengono i due tegumenti dell’ovulo, il quale nella Tea come nella maggior parte delle diali- petale è, perciò, diclamidato. Quando il sacco embrionale è ancora allo stadio di cellula madre in seno alla nucella (fig. 19, tav. XI), i due tegumenti ovulari hanno di già assunto notevole sviluppo tanto da sorpassare lo stesso apice della nucella. I margini della secondina dilatatisi sopra quest’ultima determinano l’inizio del canale micropilare. In tale stadio i due tegumenti sono, si può dire di pressochè eguale valore: entrambi delimitati da cellule compresse tangenzialmente, e che si segmentano in senso radiale, sono internamente costituiti da più strati di cellule a membrane sottili, ed allungate nella stessa di- rezione dell’asse della nucella Durante l’incremento del sacco embrionale il tessuto nucellare è a poco a poco distrutto, cosicchè ad un dato momento la secondina ! Che sia forte la tensione che si stabilisce internamente per parte dei semi in via di accrescimento, lo si può desumere dalle fig. 11, 12, 13, tav. XV, che rappre- sentano tre frutti ne’ quali il pericarpo è stato parzialmente intaccato da qualche ani- male (specie di Myoxus forse) e dai fori o soluzioni di continuo i semi coi loro tegumenti ancor suscettibili di distensione, hanno protruso all'infuori sotto forma di emergenze più o meno salienti. Di questi frutti così alterati ne raccolsi parecchi nel set- tembre 1895 all’Orto botanico di Pavia. —- 306 — o tegumento interno viene a costituire anche la parete del sacco em- brionale e seguita ad esserla per moltissimo tempo, e si può dire fino a completo sviluppo dell’ embrione. I tegumenti perciò dell’ovulo divengono decisamente i tegumenti del seme in via di formazione e la secondina non è qui di quella effimera transitorietà che si è voluto dare come carattere di tale tessuto, ! per quanto tuttavia essa venga ad essere molto ridotta durante il definitivo sviluppo del seme. Durante le seementazioni del proembrione e dell’ embrione essa resta sempre costituita di un’epidermide interna e di una esterna, limitanti un tes- suto proprio ad elementi poliedrici equiassi, epperò non più allungati come in principio di sviluppo. Gli elementi di questo tessuto vanno ingrandendo poi in seguito, ed anche stirandosi tangenzialmente ; il loro contenuto si esaurisce poco a poco durante l’evoluzione dell’ embrione che sembra attingere anche da questi strati il necessario nutrimento. Nella parte superiore essa si è completamente ravvicinata e come saldata nella regione micropilare; l'embrione per mezzo del sospensore vi aderisce in guisa che spesso nei tagli e nelle manipolazioni delle sezioni esso si stacca trascinando con se la secondina, o si verifica l’ inverso. Inferiormente l'epidermide interna è interrotta da reliquie di quel tessuto calaziale sul quale richiamai più sopra (pag. 288) l’attenzione. La secondina è poi assolutamente priva di vasi, come anche di ele- menti meccanici; si mette solo in comunicazione colla parte vascolare dello spermoderma mediante breve tratto della sua parte più profonda ed esterna. La primina o tegumento esterno è suscettibile di assai maggiori differenzazioni che la secondina. Dotata di maggiore attività moltipli- cativa per parte dei suoi elementi, essa prende in breve un sopravvento sul tegumento interno per numero di strati e quindi per spessore pre- prio. È costituita anch'essa da epidermide esterna ed interna, la prima a cellule tabulari, irregolari, le cui membrane hanno delle areole cir- colari (fig. 20, tav. XI), forse per agevolare i processi osmotici e di diffusione de’ gas; la seconda con cellule meno appiattite quasi isodia- metriche. Fra le due epidermidi si comprende da principio un tessuto parenchimatico ad elementi assai minuti, isodiametrici, ricchi di cito- plasma e forniti di nucleo, i quali restano indifferenziati per un tempo più o meno lungo e si può dire fino alla ripresa dell’attività dell’oosfera ! Le MonwmeRr, Recherches sur la nervation de la graine in Ann. Sc. Nat., Série V, T. XVI, pag. 243. — 0307 — fecondata. Allora nella parte mediana o interna della primina si accentua una formazione di natura procambiale a cellule allungate, fra le quali alcune, le centrali, non tardano a differenziarsi in elementi conduttori, mentre le circostanti costituiscono attorno a questi una guaina (fig. 21, tav. XI). Sono i vasi del rafe che vanno formandosi e che debbono costituire la nervatura del seme. In una sezione assile, mediana, secondo il piano di simmetria dell’ovulo, o del seme, si osserva un cordone di trachee robusto che dalla placenta percorre la parte mediana della primina fin sotto alla regione calaziale, al punto cioè diametralmente opposto al micropilo, ed ivi il cordone del rafe o s’interrompe o dimi- nuisce di spessore, e di esso, lungo tutta l’altra metà di tegumento risalendo all’apice dell’ovulo, non si osservano più che de’ tratti discon- tinui, ove gli elementi tracheali si mostrano per di più obliqui. Ciò accenna naturalmente a modificazioni avvenute nel rafe in corrispondenza della regione calaziale. Per darsi ragione del decorso delle nervature nel tegumento esterno o primina, più che dalle sezioni praticate in vario senso nei semi in via di sviluppo, vale una semplicissima preparazione alla quale ebbe ricorso anche il Le Monnier ! che studiò la nervazione del seme della Camellia japonica, che è identica a quella della Thea. Tale preparazione consiste nel fare con un bisturi nel seme maturo una incisione circolare in senso equatoriale, dopo di averlo orientato secondo che si trova nel frutto. 1l testa coriaceo salta via in due calotte e resta la mandorla cui aderisce una parte esile dello spermoderma sotto forma di una pel- licola color giallo-castano, che costituita da parte della primina e re- sidui della secondina, porta impresso nitidamente il cordone vascolare del rafe e le sue ramificazioni, che del resto si osservano egualmente nella superficie interna delle calotte spermodermiche. Si vede in tal modo come il cordone di elementi conduttori del rafe, si mantenga intero dal micropilo fin sotto alla regione calaziale, ed ivi si divida in più rami di cui due poderosi a destra ed a sinistra, uno meno valido che prosegue nella direzione corrispondente al piano di simmetria dell’ovulo. Tutti i rami poi si suddividono ripetutamente distribuendosi a tutto il tegumento di cui vanno ad innervare fin le più alte regioni. È da notare che le due maggiori divisioni del cor- done vascolare si ripiegano indietro e formano due anse, che decorrono almeno con parte dei loro rami a ritroso e parallelamente al cordone unico del rafe anastomizzandosi anche con qualche piccolo ramo che 1 Le Monsisr, loc. cit. — 13908 —- qua e là si stacca dal cordone stesso. Perciò tutte le ramificazioni che si originano in corrispondenza della calaza sono nello stesso piano del cordone del rafe, e questo perciò non costituisce un secondo piano esterno sovrapposto al primo come vorrebbe il Le Monnier. ! Questo autore ha creduto di poter dedurre dal modo di nervazione della Camellia, che il tegumento vascolare, o primina, rappresenta una fogliolina di cui il cordone del rafe rappresenterebbe il picciuolo, ap- plicato sulla primina vascolare che costituirebbe il lembo. Ciò non mi sembra corrispondere a verità. Prima di tutto non si comprende per quale ragione si debba supporre la foglia carpellare composta e non semplice, ma poi l’osservazione dei fatti anatomici fa escludere assolutamente questa induzione del Le Monnier. La. sezione trasversale del rafe fa vedere che il cordone vascolare che lo innerva non ha simmetria dorsiventrale ma sibbene centrica od almeno bilate- rale. Esso è composto di un certo numero di cordoni minori costituiti di elementi ad ispessimenti spirali che lasciano dei tratti di tessuto fon- damentale fra di loro (fig. 17!" , tav. XV) e l’insieme loro ha contorno ellissoidale, mentre ai lati si hanno gruppetti di libro (fig. 17 1) ben distinti che quasi completano il circuito. Anche la sezione longitudinale mette bene in evidenza questo rapporto di bilateralità fra elementi floematici e xilematici del rafe, e cade per ciò l’architettata ipotesi del sunominato autore. Oltre i cordoni vascolari, nella primina si differenziano più tardi altri elementi e precisamente degli elementi meccanici che contribui- scono a dare la dovuta consistenza allo spermoderma, La loro differen- ziazione è assai più tardiva di quella degli elementi meccanici del pe- ricarpo, ed hanno anche un modo diverso di formazione. Anzitutto non sono delle particolari cellule designate a trasformarsi in elementi scle- rosi, ma tutte le cellule che stanno all'infuori della rete vascolare, co- stituita dai vasi, cioè, e dagli elementi che li accompagnano fino alla epidermide del tegumento seminale, ingrossano la loro membrana la quale diventa liquificata e fittamente punteggiata (fig. 22 tav. XI). Mentre adunque nel pericarpo si hanno ancora gli stessi idioblasti che sono caratteristici sopratutto delle foglie delle Camelliee, nel seme invece si ha una differenziazione di tutte le cellule in elementi sclerosi, il cui accrescimento è limitato. Si ha quindi nel seme un sistema meccanico, nella forma degli elementi e nel loro modo d’origine, assolutamente di- verso da quello del pericarpo. Questa distinzione che io feci già in altro 1 Le MosniER, loc. cit, pag. 298. — 309 — mio lavoro, ! ha qui una particolare importanza, perchè individualizza meglio la tunica vascolare dell’ovulo e del seme, facendola considerare come produzione propria del mammellone ovulare e non come diretta dipendenza della foglia carpellare, come vorrebbe il Le Monnier. Il tegumento esterno, cioè, è una emergenza propria del mammellone ovu- lare nel senso spiegato da Celakowski,? che questa parte dello sper- moderma come anche il funicolo provengano dalla parte inferiore di_ quella porzione di foglia carpellare che deve trasformarsi in ovulo. Ma una volta individualizzatesi queste parti esse assumono strutture e dif- ferenziazioni che loro sono proprie, indipendenti cioè da quelle della foglia carpellare dalla quale prendono origine. Così la nervazione del seme nel The, è a tipo palmato, mentre quella dei filloni di questa pianta è pennato. I suoi elementi meccanici sono delle cellule selerose e non degli idioblasti come nelle foglie in genere, nelle carpellari in ispecie. Differenziatesi in sclereidi le cellule della parte extravascolare della primina, lo spermoderma si può dire abbia raggiunto quasi il suo completo sviluppo. La sua consistenza è ossea; la superficie esterna è liscia e opaca. All’interno, di sotto ai cinque, sei o più strati di elementi meccanici (fig. 22, tav. XI) presenta i cordoni vascolari dati da trachee o tracheidi circondate da cellule parenchimatose proprie e da elementi librosi fortemente compressi, poi vengono alcuni strati, pure schiacciati, di cellule, limitati dall’epidermide interna. A questa succede la secondina, la quale trovasi presente anche durante le suaccennate differenziazioni della tunica vascolare, benchè diminuita di spessore per lo schiacciamento e svuotamento delle sue cellule. Va notato tuttavia che anche a questo stadio, che precede quello del definitivo sviluppo dell’ embrione, nelle cellule della secon- dina si nota ancora una striscia di protoplasma parietale nella quale sta immerso un nucleo fornito di nucleolo. ULTERIORE SVILUPPO DEL SEME. Da quanto ho sopra esposto risulta come l’evoluzione dello sper- moderma, e tanto più quella del pericarpo precedano quella dell’ em- brione. Le strutture di questi organi, quali sono state su descritte, si riferiscono, nella fase ultima ad ovari della seconda metà di Agosto, o 1 Cavara F., Op. cit., pag. 11, 23 e 26. ® Cevagowsgy L., Vergl. Darstellung d. Placenten in d. Fruchtknoten d. Pha- nerogamen, in Abh. d. k. bihm. Ges. d. Wiss., Sez. VI, T. VIII. — 30h di Settembre, le sezioni trasversali di due di questi ovari, riprodotte in grandezza naturale colle fig. 1 e 2 della tav. XIV mettono in ri- lievo i rapporti di sviluppo fra embrioni (e, e), spermoderma (sp), e peri- carpo (p). Emerge perciò che a tale epoca per ognuno degli ovuli resti ancor tutta la cavità del sacco embrionale, ingrandita, a disposizione del crescente embrione. Abbiamo visto infatti (pag. 291) come contemporaneamente all’atto fecondativo dell’oosfera, proceda la riunione dei nuclei polari e la di- visione del nucleo secondario che inizia la formazione dei nuclei endo- spermali. Notammo, pure, che questa formazione, succedentesi rapida- mente, non conduca punto alla costituzione di setti cellulosici, e con- seguentemente a quella di un albume qualsiasi. Epperò la cavità del sacco embrionale che va ingrandendo in armonia coll’acerescersi delle logge ovariche, si mantiene sede di una lenta ed inconcludente molti- plicazione nucleare; ed i nuovi nuclei che vanno via via formandosi, sono tenuti in posto dalle briglie citoplasmatiche che li collegano ai labili setti di natura proteica (fig. 4 e 7, tav. XII). L'insieme di questi elementi citologiei, iniziati e non completan- tisi, risultano alla sezione macroscopica dell’ ovario, come una massa, mucida, diafana, appena un po’ più densa in prossimità dell’angolo in- terno che presenta il sacco embrionale, o cavità seminale, adattantesi alla forma della loggia ovarica. Tale maggiore densità è dovuta a più copiosa formazione di nuclei endospermali ed anche a più regolare di- sposizione di questi colle rispettive masse citoplasmatiche; tantochè, embrione e sospensore, in via di sviluppo si trovano come immersi 0 circondati da una guaina di queste imperfette cellule endospermatiche. La formazione di queste perdura fino a che il pericarpo, e conseguen- temente lo spermoderma, abbiano raggiunto il definitivo loro sviluppo. La moltiplicazione nucleare che si fa da principio in modo regolare e per via tipicamente indiretta, avviene poco a poco con evidente irregolarità, tanto che dalle forme di nuclei che si possono osservare nella massa mucida che riempie la cavità seminale, in semi vicini a maturità, è lecito indurre come dal processo cariocinetico od indiretto, si passi a quello di divisione diretta o per strozzamento (fig. 9 e 10, tav. XIV). In uno, anzi, di questi nuclei (fig. 10 super.), si ha un notevole caso di tran- sizione fra divisione diretta ed indiretta, in quanto, pur strozzandosi a metà il nucleo, i segmenti cromatici si dispongono benchè irregolar- mente all'equatore. È pur degna di nota la forma lobulata che assumono molti di que- sti nuclei disponentisi a dividersi direttamente. Ed è un fatto, il quale, mentre si riscontra in casi normali, ad es. nei peli ed altre cellule degli organi vegetativi delle 7radescantia, ! si verifica spesso in nuclet ipertrofici di tessuti patologici, o di tessuti in via di degenerazione. La forma di rene da me? riscontrata nei nuclei delle cellule delle ra- dici di Vanilla planifolia, e verificata pure dal Molliard,® per cellule epidermiche di Geranium sanguineum attaccato da Phytoptus, ha un riscontro in quella rappresentata dalla fig. 9 infer., tav. XIV, riferen- tesi ad un nucleo del sacco embrionale del The. Piacemi di richiamare pure l’attenzione degli studiosi, sopra altri fenomeni di degenerazione che presentano i nuclei endospermali del The. Questi nuclei, ai quali non si può tuttavia negare una certa atti- vità moltiplicativa, che si esplica come ho detto in modo anche ano- malo, si presentano nelle fasi ultime con caratteri abbastanza singo- lari. Anzitutto, la forma loro non ha più alcuna costanza (fig. 9 super. e 15, tav. XIV); globulari alle volte, stirati altre volte, sovente lobu- lati. Si mettono in relazione fra di loro, mediante un citoplasma che assume disposizioni diverse, talora raggiata, tal’altra di cordoni 0 plessi che tengono riuniti tra loro due o più nuclei (fig. 9 sup. 12, 13, 14,15). A tali stiramenti della sostanza citoplasmica prende parte sovente il nucleo, il quale mantiene però netto il suo contorno delineato più che da una vera membrana, dal reticolo di linina. La cromatina in questi nuclei vi è povera; ed il nucleolo deformato, è in molti parzialmente intaccato o corroso (fig. 9, 11, 12, 15). Si vede adunque che parte della sostanza nucleolare viene asportata dalla periferia al centro, durante il processo di degenerazione che colpisce questi nuclei. Ritornando al nostro argomento, quale è la durata e la funzione della sostanza molle, flaccida, che, costituita dei suddetti nuclei e di ci- ‘toplastina, riempie la cavità seminale durante un intervallo non breve di tempo? Quanto alla durata, il suo limite è segnato dallo sviluppo com- pleto dell'embrione. I cotiledoni, i quali assumono una forma emisfe- rica, vanno accrescendo di tanto da riempire completamente la cavità seminale. In corrispondenza, perciò, di tale accrescimento, il quale si compie in un tempo piuttosto breve, relativamente al lento sviluppo delle fasi precedenti dell'embrione, si ha un graduale spostamento della massa mollissima dell’endosperma verso i tegumenti seminali, e quando i co- 1 SrrassurcerR E., Das botan. Practicum, III Aufl., pag. 624. 2 Cavara F., Anomalie e Ipertrofie nucleari, pag. 6, fig. 14 e 15. ® MorLiaro M., Hypertrophie pathologique des cellules végétales, pag. 10, tav. I, fig. 9. — 312.— tiledoni hanno raggiunto questi ultimi e vi si applicano strettamente, la detta massa viene compressa, schiacciata e ridotta ad uno strate- rello difficilmente apprezzabile anche nelle stesse sezioni trasversali. Sembra inoltre che, durante la invasione dei cotiledoni, si abbia come una progressiva digestione degli elementi costitutivi dell’ endosperma, dei nuclei, cioè, e del citoplasma, poichè, a completo sviluppo del seme, l’esile straterello a cui è ridotta la massa endospermatica, non rivela più alcun residuo citologico, sia che si osservi in sezioni trasversali che in tangenziali. Essa si riduce ad una tenuissima pellicola giallastra fragile, senza struttura, o solo con più o meno velate striature, che sono deboli contrassegni dei setti divisionali di natura proteica che separavano i nuclei, striature che s'incontrano fra loro ad un certo angolo e che ricordano molto la struttura diaclastica di certe roccie sedimentari in seguito a pressioni laterali. I nuclei e le granulazioni citoplastiche vi sono completamente scomparsi. Questo tenae straterello di natura amorfa aderisce intimamente ad altro di spessore maggiore, incoloro, compatto, ma che lascia intravvedere una certa struttura. Difatti già nella sezione trasversale si notano delle striature in senso tangenziale che ad un attento esame si risolvono in porzioni amigdalari con evidenti granulazioni limitate da strie lucide. E facendo bollire le sezioni in soluzione diluita di potassa caustica, od adoperando qualche altro mezzo risolvente, si mette in chiaro che le porzioni amig- dalari e le relative strie. corrispondono a cellule fortemente compresse che ancora serbano parte del loro contenuto. Questo secondo strato è, in una parola, la secondina, la quale non viene punto riassorbita o di- strutta durante lo sviluppo definitivo del seme, ma permane con tutti i suoi elementi. Soltanto le sue cellule restano fortemente schiacciate e stirate tangenzialmente. La secondina, nei semi appena maturati, si può agevolmente staccare coll’aiuto di una pinza, e risulta allora come una pellicola abbastanza resistente, elastica e diafana, che osservata, anche senz’alcuna preparazione, al microscopio fa vedere ancora abba- stanza distintamente i contorni delle cellule, non solo, ma eziandio gra- nulazioni citoplastiche e piccoli nuclei. È da notare, ora, che lo strato amorfo sopradescritto, di natura en- dospermica, insieme allo strato costituito dalla secondina e a tutta quella porzione di primina che dall’epidermide interna va fino alla rete va- scolare, formano un tutto che aderisce nel seme maturo all’ embrione più di quello che possa aderire al resto dello spermoderma di cui sono tuttavia parte integrale. E ciò si rende tanto più manifesto quando il seme ha abbandonato il pericarpo ed ha perduto una certa quantità d’acqua. Allora l'embrione — 313 — coi suoi due grossi cotiledoni si contrae più o meno, e nella contra- zione trascina con sè i suddetti tre strati, endosperma, cioè, secondina e parte della primina. In quest’ultima, perciò, avviene una dilacera- zione e conseguente scissione per cui la porzione lignificata, coriacea, esterna, insieme a parte della rete vascolare, resta a costituire da sola lo spermoderma o meglio la buccia del seme, la parte interna colla secondina ed i residui dell’endosperma rimangono addossati all’embrione formando una sottile e fragile pellicola di color rosso-castano ad aspetto suberoso molto simile alla sanza delle castagne, la quale per altro ha tutt'altro valore morfologico. * Durante l'evoluzione dei cotiledoni, avvengono nelle loro cellule notevoli modificazioni, quelle, cioè, che portano alla formazione dei ma- teriali di riserva. Il contenuto di queste cellule, fino ad un certo mo- mento, che corrisponde al medio loro sviluppo, quando colla loro mole non hanno occupato che la metà circa del volume della cavità ovulare. è dato dal citoplasma e dal nucleo, il primo forma uno strato parietale che si mette in relazione con altro strato circumnucleare mediante nu- merose briglia le quali limitano, perciò, degli ampi vacuoli, Gli è pre- cisamente nello strato circumnucleare di citoplasma ed anche nelle briglia che appaiono i primi grani d’amido (fig. 16 4, 5, tav. XV), i quali sono tanto piu minuti quanto più iniziale è il loro processo di forma- zione; hanno forma globosa e non lasciano scorgere differenziazioni in- terne, strie od altro, attesa appunto la loro minutezza. Soltanto la ti- pica loro reazione li mette bene in evidenza. Il maggior numero di essi si osserva nel citoplasma che circonda il nucleo, altri più rari sono sparsi nelle briglia. Seguendo lo sviluppo dei cotiledoni si assiste all’ accre- scimento ed alla moltiplicazione di tali granuli tanto da osservarli nu- merosissimi quando i cotiledoni hanno raggiunto il massimo loro svi- luppo. ai Allora se ne può apprezzare la forma e le dimensioni loro. Sono in prevalenza dei grani semplici di forma globosa, ovale ed ellittica misuranti da 4 a 9w (fis. 15 tav. XV) quasi omogenei, talora segnati da un piccolo ilo allungato. Molti poi sono composti, presentandosi co- stituiti di due, tre, o più granuli semplici, la cui aderenza però è tenue, e sotto lieve pressione del coprioggetti si isolano facilmente. Quando sono abbinati, i singoli granelli possono essere conformi ovvero di diffe- rente forma e grandezza (fig. 15 tav. XV). ! Veggasi in proposito: ToGnini F., Iticerche di morfologia ed anatomia sul fiore femminile e sul frutto del Castagno in Atti Ist. bot. di Pavia. N. Ser., Vol. IIT. Atti dell’Ist. Bot. dell'Università di Pavia — Nuova Serie — Vol. V. 22 — 314 — L’amido è la sostanza di riserva che si forma in maggior copia nel seme del The, anzi assolutamente preponderante. Oltre all’amido si forma una sostanza grassa che si raccoglie in gocciole di particolare rifrangenza e di apparenza madreperlacea, che misurano da 2 a 25 & di diametro. Tale sostanza resiste assai ai reattivi al pari di quella che ebbimo ad osservare nelle cellule del sospensore (pag. 31) per quanto sembri più fluida di quella. Essa resiste all’azione degli alcooli dell’i- poclorito di potassio, e scompare solo dopo una prolungata azione del cloroformio. Le sostanze proteiche si riducono a minute granulazioni, che ancor può rilevare il reattivo di Millon, ed il nucleo, di ridotte dimensioni ed in via di degenerazione, resta ancora nelle cellule che sono tuttavia ripiene di amido e di grasso. i I tessuti della radichetta e del fusticino sono privi di amido, ed in compenso sono ricchi invece di sostanze proteiche e della stessa sostanza oleosa che accompagna l’amido nei cotiledoni. Ho tentato anche colle reazioni del Molisch * la ricerca del prin- cipio speciale del The, cioè della theima che si vuole identica alla caffeina. Le sezioni vengono trattate sul porta-oggetti con goccie di acido cloridrico, e per brevissimo tempo (1 minuto 0 poco più) e successiva- mente con cloruro d’oro al 3°/,, poi si lascia lentamente evaporare, alla temperatura ordinaria, il liquido. Quando le sezioni sono asciutte si vede attorno ad esse un’aureola sfumata, la quale è costituita di fini cristalli allungati, più spesso raggruppati in fascetti disposti od a piuma od a zig-zag, dovuti, secondo il Molisch, ad un cloroaurato di theina. Osservando al microscopio le sezioni, si trova che anche all’in- terno delle cellule si sono formati cristalli che dalla parete irradiano, aggregati variamente, verso il centro. Che si tratti qui del suddetto sale di theina, o di un composto più complesso, non mi è dato stabilire, microchimicamente. Se si trat- tano le sezioni dopo l’evaporazione del cloruro d’oro con potassa caustica in soluzione diluita si ha una marcata colorazione violetta. Ho pure tentato l’altra reazione del Molisch ? col benzolo, dopo avere trattate le sezioni con acqua distillata, e lasciate evaporare. Con questa i cristalli di theina, piccoli, incolori, aghiformi, si formano copiosi alla periferia delle sezioni e normalmente impiantati su di questa. E li os- servai tanto sulla sezione della piumetta embrionale che dei cotiledoni. ! Riferite dallo Zimmermann, in Die botan. Mikrotechnik, pag. 123, Tubingen, 1892. 2 (0 itato dallo Zimmermann, loc. cit. — 315 — Tenendo conto principalmente del reperto di questi due processi del Molisch, si deve indurre che anche ne’ semi del The vi ha il prin- cipio attivo, e se esso sia incorporato nelle granulazioni proteiche che sì osservano ne’ semi maturi, o nelle più abbondanti gocciole di sostanza grassa non mi riuscì decidere. GERMINAZIONE DE’ SEMI. Ho di già accennato fin dal principio di questo lavoro che dai semi raccolti ogni anno dalle piante di The coltivate negli Orti botanici di Firenze e di Pavia si ottengono piantine che in capo a due o tre anni sono capaci di dare fiori. Hv rilevato ancora come a Pavia la molti- plicazione spesso avvenga spontaneamente per semi caduti al suolo. Non vi ha dubbio, adunque, che la loro maturazione si fa completa non ostante che la fioritura avvenga per massima parte in autunno nel pe- riodo, cioè, delle pioggie ed anche delle prime brinate, e possa essere per ciò grandemente ostacolata la fecondazione. Non influisce poi sfa- vorevolmente sull’ oosfera fecondata il freddo invernale, di poco atte- nuato dai mezzi di difesa praticati e di cui ho più sopra parlato. La germinazione dei semi del The avviene poco tempo dopo la loro caduta al suolo. Per semi fatti germinare da me in arena d'Arno, mantenuta umida, potei verificare che l'intervallo di tempo occorso alla loro germinazione oscilla tra i 15 o 20 giorni ed i due mesi. Va tenuto conto peraltro che la germinazione fu promossa in laboratorio nell’in- verno! e quindi in alternative diurne e notturne di caldo e di freddo, essendo l’ambiente riscaldato di giorno soltanto. La temperatura più elevata che si verificava di giorno nell’ am- biente oscillava tra i 18° e 20° O. All’Orto botanico di Pavia ebbi ad osservare la germinazione di semi di The avvenuta in vasi a tappo di vetro, non ben smerigliato, te- nuti in locale a pian terreno, piuttosto umido. Bastò dunque a promuo- vere la germinazione l’umidità dell’aria per cui è da ritenersi che non occorrano nel substrato sostanze particolari atte ad intaccare lo sper- moderma e basti la sola umidità ambiente per fare rigonfiare le masse cotiledonari e determinare la spaccatura del testa. La massa del seme, attesa la consistenza legnosa dello spermo- derma, non aumenta sensibilmente di volume durante il periodo prepa- ratorio della germinazione. Il primo accenno di questa è dato da una ! Anche al Giappone la semina si fa dopo il periodo delle pioggie, e cioè dal gennaio al marzo. Vedi Heuzé, Op. cit., pag. 212. —iBlo — screpolatura del tegumento in corrispondenza dell’ilo ed in direzione del piano di combaciamento dei cotiledoni. Non havvi nello spermoderma alcuna disposizione, d'ordine mortologico od istologico, che favorisca tale screpolatura; la regione dell’ilo che si presenta a contorno circolare, ed a superficie rugosa, come una soluzione di continuo nella superficie liscia del tegumento, non è meno consistente e robusto in confronto del rimanente di questo; anzi in corrispondenza dell’ilo lo spessore dello spermoderma è maggiore che altrove. In prossimità dell’ilo, vi sono, è vero, delle areole irregolari depresse prodotte da ovuli non fecondati e le cui vestigia (tegumenti parzialmente evoluti e fra di loro com- pressi) hanno determinata una impronta crescente sullo spermoderma. Ma anche in tali areole la struttura di questo è affatto normale e d’al- tra parte nei molti semi germinati, non trovai che ci fosse un rap- porto qualsiasi fra le depressioni in discorso, e la fenditura che si opera all'atto della germinazione. Ciò che la determina è in realtà la pressione esercitata delle due masse cotiledonari in seguito a turge- scenza dei loro tessuti e di quella della radichetta e del fusticino. Dall’accennata screpolatura dello spermoderma, la quale ha un de- corso tortuoso, irregolare e devia dall’ilo, viene a sporgere l’apice della radichetta che in armonia colla varia orientazione del seme e per ra- gione di geotropismo, s'incurva più o meno dirigendosi verso il basso. Quando la curvatura è forte e l’ apice radicale deve strisciare sulla superficie del seme (fig. 9), allora dopo breve decorso di esso, viene a sporgere dalla fenditura del testa anche parte della piumetta. La radichetta è dapprincipio cilindro-conica, bianco-gialliccia, molto robusta e consistente, e si presenta tortuosa e sensibilmente angolosa, compiendo talora curve da farla piegare da 45° fino a 90°. E ciò, quando non è dovuto a ragione meccanica, deve essere senza dubbio in rela- zione a spiccate sue proprietà termotropiche in antagonismo col geo- tropismo positivo. La zona pilifera, che occupa un tratto di 2 a 3 millimetri, si riscontra ne’ giovanissimi apici radicali (fig. 9) a brevissima distanza dall’apice, di poco più del tratto occupato della pileoriza; poi per suc- cessivo accrescimento localizzato anch'esso in una zona assai prossima alla estremità, viene via via spostandosi fino da allontanarsene di qualche centimetro. Osservai frequentemente due zone pilifere talvolta quasi a contatto, tal’altra parecchio distanti, che si debbono ritenere come uno sdoppiamento della zona primordiale in seguito ad accrescimento loca- lizzato a parte di questa stessa zona. Sulla radice principale che ha raggiunto qualche centimetro di lun- ghezza, compariscono le radicelle laterali a distanza più o meno note- — SL — vole, spesso in vicinanza della zona pilifera, talora nel tratto che in- tercede fra le due zone quando vi è stato sdoppiamento, tal’altra nella stessa zona pilifera. Tali radicelle si originano senza manifesto ordine, e più spesso assai ravvicinate sì da formare dei gruppi o pseudover- ticilli (fig. 11); esse sono assai esili, con direzione pressochè orizzontale. L'asse ipocotile è pochissimo sviluppato e non raggiunge che di rado, almeno pei semi germinanti che ebbi ad esaminare, un centime- tro di lunghezza. Non comprendo, perciò come il Lubbock ! vi assegni la lunghezza di 1-5 cm. Le radici laterali e la stessa zona pilifera si portano spesso fin sotto ai cotiledoni, a distanza di pochi millimetri da questi. Così ridotto com'è l’asse ipocotile presentasi un poco più grosso della radice principale, egualmente consistente, ma a superficie del tutto glabra. I due cotiledoni, che sono d’ordinario quasi perfettamente emisfe- rici, un poco incavati nella faccia di combaciamento, ed un poco gib- bosi nella parte convessa, si divaricano nella germinazione, mantenen- dosi aderenti al testa per parecchio tempo, fino a che per sottrazione, cioè, di acqua e di materiali di nutrizione necessari allo sviluppo della pian- tina il loro volume viene a subire una lieve diminuzione ed allora le due calotte tegumentali li abbandonano. E si nota che raramente la pellicola interna (vedi pag. 313) resta aderente ai cotiledoni, ma più spesso questi rimangono completamente nudi. La diminuzione della massa di questi, durante l'ulteriore processo germinativo, è assai lenta e poco cospicua, e non sembra in realtà che vi possa essere completa utiliz- zazione dell’abbondante materiale di nutrizione che essi immagazzinano. Difatti in semi germinanti la cui radice ha raggiunto parecchi centi- metri in lunghezza, con radicelle laterali numerose e l’asse epicotile presenta di già parecchie foglioline che incominciano ad inverdire, i cotiledoni sono ancora turgidi, nè mostrano segni di avvizzimento; una loro sezione trasversale in corrispondenza dei picciuoli, fa vedere ad occhio nudo una limitata zona sfumata, semicircolare, indice di un in- cipiente impiego dei materiali di riserva; e sottoposta al microscopio la sezione rivela una diminuzione di amido nelle cellule di detta zona, senza peraltro che esso sia da queste completamente scomparso. La maggiore rarefazione sembra essere non in corrispondenza dell'arco che cinge il picciuolo cotiledonare, ma sui due lati piani di combaciamento dei cotiledoni stessi. 1 Luspock I., A new contribution to our knowledge of seedlings. London. 1892. Vol. I, pag. 236. — tale — L'asse epicotile che si libera dai cotiledoni relativamente più tardi della radice primaria è da principio più esile di questa, un poco com- presso, glabro nel primo internodio, poi pubescente nei successivi. Le due prime foglioline, quando l’asse ha ancor piccole dimensioni, sono opposte ed in un piano perpendicolare a quello dei cotiledoni. Il loro punto di eserzione non è esattamente allo stesso livello; le due suc- cessive sono pure opposte ed in un piano quasi normale a quello delle sottostanti. Nell’ ulteriore sviluppo del fusto tale disposizione va sensi- bilmente modificandosi, sì da aversi in seguito foglie alterne. Il Lubbock, nella citata opera, ! non ha avvertita questa diversa fillotassia presentata dall'asse epicotile ne’ primissimi stadi del suo svi- luppo, e della quale mi occuperò in altro lavoro. Il Lubbock dice che l’asse epicotile del The ha “ leaves simples, cauline, alternate ,. Questo autore inoltre riferisce della diversa forma che assumono le successive foglie dell’asse e delle loro dimensioni. Non avendo potuto avere a mia disposizione piantine ulteriormente sviluppate, non posso controllare i di lui risultati. Per l’indole e lo scopo del mio lavoro, parmi sieno suf- ficienti i dati sopra riportati, per ciò che riguarda la capacità germina- tiva dei semi della Thea chinensis coltivata nell’Orto botanico di Pavia. CONCLUSIONI. Dal fin qui esposto di mie osservazioni sulla morfologia degli or- gani fiorali e sul frutto della 7hea chinensis, si possono trarre le se- guenti conclusioni : 1.° I fiori del The non sono isolati od aggruppati all’ascella delle foglie degli assi di 1.° generazione, ma sibbene formansi in numero va- rio (1 a o°) sopra un germoglio (od asse di 2.° generazione), destinato a svilupparsi ulteriormente. 2.9 I fiori del The, almeno nella media ed alta Italia, comin- ciano a sbocciare nell'autunno e proseguono nella primavera susse- guente, 3.0 La formazione del sacco embrionale non avviene sul tipo più generale delle dialipetale, ma è invece la prima cellula, che risulta dalla divisione della iniziale, che diviene la cellula madre del sacco em- brionale. 4.° Avvenuta la fecondazione dell’oosfera vi ha una sosta più o meno lunga (fino di 8 mesi) in ordine al tempo di apparizione e ! Luesock J., Op. cit., loc. cit. = sbocciamento dei fiori, durante la quale sosta l’oosfera fecondata si com- porta come una spora ibernante. 5.° La ripresa dell’attività dell’oosfera fecondata non coincide esattamente col periodo di risveglio della vegetazione, ma avviene al- quanto più tardi; tanto che essa è preceduta da differenziazioni più 0 meno spiccate del pericarpo e dei tegumenti seminali. 6.° Avvenuta la divisione con un setto trasversale dell’ oosfera la cellula superiore, per reiterate divisioni, va a costituire un lunghis- simo sospensore. 7.0 Quest’organo che può constare di 18 0 20 cellule, è rieco in materiali nutritizi di natura proteica ed oleosa. Le sue cellule ori- ginatesi per setti trasversali ed anche longitudinali od obliqui, sono talora polinucleate. 8.° L’embrione prende origine per segmentazioni della cellula madre, ed il primo setto, non è longitudinale, come è la norma, ma equatoriale, a questo setto due altri ne succedono in senso meridiano che dividono la sfera embrionale in 4 cellule dalle quali per setti pe- riclinali ed anticlinali procede il corpo dell’ embrione. 9.° L'ipofisi o prima cellula del sospensore che si trova a con- tatto coll’embrione non si segmenta, contrariamente alla generalità dei casi osservati, trasversalmente, ma sibbene longitudinalmente per costi- tuire le cellule di chiusura dell’apice radicale. 10.° La caliptra ed i tre strati istogenici fondamentali (derma- togeno, periblema, pleroma) provengono da iniziali situate in tre strati sovrapposti posti all'estremità dell’apice radicale. 11.° La differenziazione ulteriore dell'embrione è conseguente a quella degli organi di protezione, tegumenti e pericarpo. Durante tale differenziazione l’endosperma costituito di cellule nucleate, non limitate da setti cellulosici, viene spinto verso la parete del sacco, di- gerito e ridotto a tenuissima pellicola senza struttura. 12.° I cotiledoni del The elaborano come sostanze nutritive di riserva in massima parte dell’amido unitamente a sostanze grasse, ad albuminoidi, e ad una base organica (theina). 13.° La secondina o tegumento interno del seme permane du- rante l'evoluzione dell'embrione e si riscontra ancora quale esile stra- terello ad elementi compressi nel seme maturo. 14.° La nervatura del seme è a tipo palmato ; il rafe forma un cordone unico dall’ilo fino alla regione calaziale, e tale cordone è co- stituito da parecchi fasci non disposti a canale o a doccia, ma a circolo depresso; tali fasci hanno xilema all’interno, fioema all’esterno, quindi l’intero cordone ha struttura centrica o bilaterale e il rafe, perciò, non rappresenta il picciuolo di una fogliolina, come vuole il Le Monnier. — 1320 — 15.° Lo spermoderma, costituito dalla primina o tunica vascolare e dalla secondina, si scinde nel seme maturo in due parti, ed il piano di divisione è la rete vascolare, onde una porzione di esso (parte in- terna della primina, e secondina cui aderiscono i resti dell’endosperma) rimane aderente all’embrione. 16.° Gli elementi meccanici che contribuiscono a dare consistenza allo spermoderma sono delle cellule sclerose ad ispessimento tardivo e di limitato accrescimento, mentre nel pericarpo (come nelle foglie ye- getative) sono degli idioblasti a precoce ispessimento e ad accresci- mento irregolare, tutto speciale. 17.° La maturazione de’ frutti del The, almeno per le piante col- tivate a Pavia, avviene nell’autunno successivo, cosicchè hannosi sulla stessa pianta, ed anzi sullo stesso ramo, simultaneamente fiori e frutti. 18.° La germinazione dei semi avviene poco tempo dopo la loro caduta e bastano a promuoverla, un certo grado di umidità ambiente ed una temperatura dai 18° ai 20° C. 19.° Nella germinazione i cotiledoni sono ipogei, la giovane ra- dice presenta una o due zone pilifere. 20.° Il fusticino è fornito da principio da coppie di piccole fo- glie a disposizione decussata che si converte in seguito in alterna. APPENDICE. Mentre correggevo le ultime bozze di questo lavoro mi è occorso di leggere nel fascicolo di Dicembre del Bu/lettino del Laboratorio ed Orto botanico di Siena, redatto dal D. Flaminio Tassi, una notizia assai postuma, di tentativi di coltura del The, fatti in quest’'Orto botanico nel 1885. Di venticinque semi avuti dal Ministero d’Agricoltura, provenienti dalla China, e seminati nel marzo, due soli nacquero nel luglio successivo! L'autore della breve notizia, che è il Prof. Attilio Tassi, riferisce che fu seguitato con eura lo sviluppo dei due germogli fino all’epoca della fioritura e, fatto uno studio diligente dei fiori e delle loro parti, riprodotte in una tavola a colori, che conservasi, egli non ha riscontrato notevoli differenze dalle antiche piante di Thea; solamente le foglie molto più allungate e acuminate e i fiori invece di essere solitari sono pìù spesso 2-3 geminati (?). Come si scorge da questa breve notizia, la quale conferma una volta ancora che la Thea chinensis possa vivere e dar fiori da noi, l’interpretazione del modo di dispo- sizione dei fiori del The non è meno oscura di quelle da noi discusse. Fra i pareri esposti da botanici circa l’acelimatazione del The in Italia e riportati nella introduzione del presente lavoro, mi sfuggì per un mero equivoco quello autore- volissimo dato dal Dottor Beccari, al Ministero di Agricoltura che ne lo aveva richiesto or sono parecchi anni e pubblicato nel Bollettino di notizie Agrarie del 1884. L’emi- nente botanico basandosi sopra quanto aveva veduto a Giava ove il The è pur este- samente coltivato e sulle sue cognizioni per ciò che riguarda la China ed il Giappone, osserva che se si vuole che la coltura del The riesca da noi, ci si deve provvedere di semi o di piante provenienti da regioni il cui clima sia assai affine a quello di altre parti d’Italia, e così dalle parti più mediocre del Giappone, e non mai di semi dall’ India o di altre regioni tropicali ove pur crescendo rigoglioso il The ha assunto le proprietà speciali. Secondo il Beccari non è necessario il terriccio di scopa o di castagno, e l'ombra perchè il The prosperi, poichè le colture di The da lui visitate erano interamente allo scoperto ed in terreni pingui sebbene di varia natura. Egli ritiene che il The possa prosperare da noi nella regione dell’ olivo coltivato magari sotto questa pianta 0 presso le viti per una più moderata radiazione. Osserva inoltre che difficilmente i semi che provengono dai paesi d'origine o di grande coltura del The, conservano la loro capacità germinativa e volendo fare dei tentativi di coltura varrebbe meglio provve- dersi di piante vive dal Giappone, debitamente condizionate in casse vetrate come si usa fare per tanti altri vegetali, od almeno far spedire col mezzo più celere i semi senza estrarli dalle loro capsule, ed in cassette di sabbia o involti in una camicia di argilla, Ritiene poi che valga la pena di tentare la coltura di questa preziosa pianta. Ma il saggio consiglio è rimasto, purtroppo, lettera morta. Le piante di The che ho riviste all’ Orto dei Semplici di Firenze, forse perchè troppo addensate insieme alle Camellie ed altre piante vigorose, non sono così prospere come quelle dell'Orto botanico di Pavia ed abboniscono un numero assai più ristretto —a opr — di fiori. Ed ancor meno poi quelle di Pisa. In tutti questi Orti il The è coltivato vicino a muri od a fabbricati. Ora si direbbe @ prior: che a Firenze ed a Pisa si dovesse avere, per ragione di clima una più abbondante fruttificazione che a Pavia, mentre si verifica il contrario. Ho riferito a pag. 269 del presente lavoro il parere del Chiar. Prof. Arcangeli, il quale attribuisce la mancata fecondazione alle pioggie di autunno, epoca nella quale si ha la massima fioritura del The. Ma ciò non si concilierebbe col fatto che a Pavia nella stessa epoca, nelle stesse condizioni, un numero assai più rilevante di fiori abbo- niscono frutti. Ora io credo che si debba ricercarne la ragione in una condizione che il Beccari stesso, l’ Heuzè e altri riconoscono necessaria al buon sviluppo del The, e cioè nell’umidità del suolo, massime nel periodo estivo. Ora la siccità in estate è for- tissima a Firenze, talchè quelle stesse piante di The che fioriscono a ridosso del muro perirebbero se venissero piantate a pochi metri da questo, non più riparate, cioè, dal- l'ombra proiettata da esso; così, almeno, mi diceva il signor Aiuti, custode dell’ Orto botanico. Noterò da ultimo come da anni anche l'Orto botanico di Firenze esibisca semi di The nel suo Catalogo di semi. Ora se si utilizzassero a scopo di esperienza, i semi che possono fornire gli orticultori di Pallanza e gli Orti botanici di Pavia e di Firenze si potrebbero iniziare delle prove di confronto con sementi fatte venire da regioni nordiche della China e del Giappone, e stabilire meglio di quello che si sia fatto finora, le norme per una razionale e proficua coltura da noi di questa tanto utile pianta. Fig. ” Fig. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE. Tavora X I. — Rametto fiorifero di Thea chinensis con un fiore sbocciato, due bottoni chiusi e tre fiori sfioriti coi calici persistenti e gli stili avvizziti. In grandezza naturale. 2-7. — Porzioni di rametti fioriferi per fare vedere il germoglio portafiori. In tutti il germoglio è indicato colla lettera a; i bocci fiorali con db, d'. d'; la foglia ascellante con f; in tutti questa foglia è stata recisa a maggiore o minor altezza per mettere meglio in evidenza il germoglio fiorifero; talora anche uno dei bottoni fiorali è stato reciso. In grandezza naturale. 8. — Rametto fiorifero con 5 fiori fecondati, e che mette meglio in evidenza il . germoglio «a. Tutte le parti sono indicate colle solite lettere. In gran- dezza naturale. 9. — Ramo di due anni che si continua con un rametto dell’ annata e porta anche un rametto laterale dell'annata (a, a). I due rametti dell’ annata che sono la continuazione di un rispettivo germoglio fiorifero, portano alla loro base uno o due frutti (, 0’) ed in alto portano fiori (visibili in uno solo, nel terminaie, perchè l’altro è stato mozzato) In grandezza naturale. 10. — Sezione di un fiore per far vedere il modo di unione dei filamenti sta- minali. In grandezza naturale. 11. — Corolla staccatasi, insieme agli stami, da un fiore fecondato. Grand. natur. 12. — Fiore dal quale è stata tolta la corolla e gli stami per mettere in evidenza il pistillo, il cui stilo ha ancora le sue divisioni stimmatiche riunite. In grandezza naturale. 13. — Fiore sbocciato dal quale sono stati asportati il calice e gli stami per far vedere il pistillo colle divisioni dello stilo divaricate. In grandezza naturale. 14-15. — Due semi visti in due differenti posizioni per mettere in evidenza la loro forma e l’ilo. In prossimità di questo si notano due depressioni dovute ad impronte di ovuli non fecondati ed abortiti. In grandezza naturale. Tavora XI. 1. — Sezione longitudinale di un bottone fiorale quando ancora non si sono differenziati nel talamo a gli abbozzi degli organi sessuali. Soltanto sono visibili due rialzi, ossia le due sezioni del cercine, su cui si origineranno gli stami. Ingrand. 10 volte. 2. — Porzione! del talamo fiorale di bottone giovanissimo coi mammelloni sta- minali a e carpellari c. Ingrand, 50 volte circa. Fig. ”» n Fig. n» » » — 324 — 3 e 4. — Due bottoni fiorali in grado successivo di sviluppo e spogliati degli organi involueranti: a, mammelloni staminali, c carpelli. Ingr. 10 a 12 volte. 5 e 6. — Due sezioni di bottoni florali: © mammelloni staminali, e carpelli. Nella fig. 6 si ha un carpello di già ripiegatosi e limitante la loggia ovarica. Ingrand. 50 volte circa. 7. — Porzione di talamo fiorale con mammelloni staminali a e carpidiali c, i quali ultimi sonosi di già compiegati e cominciano a saldarsi per la loro base- Ingrand. 60 volte circa. 8. — Un ovulo visto dalla sua parte interna coi suoi due tegumenti i quali non hanno ancor raggiunto l’apice della nocella. Ingrand. 150 volte circa. 9, 12-13, 17, 18, 19. — Diversi stadii di formazione del sacco embrionale, s cellula madre del sacco embrionale, « anticlini. Ingrand. 250 volte. 10. — Sezione di un ovario, con mammelloni ovulari m, 22°, mm, nei primi gradi di loro sviluppo. 11 e 16. — Due stadi di sviluppo degli ovuli in sezione longitudinale di giovani ovari. Ingrand. 80 volte circa. 14 e 15. — Due ovuli in successivo grado di sviluppo, il primo con un tegumento il secondo con due tegumenti. Ingrand. 250 volte circa. 20. — Frammento di epidermide dello spermoderma, con cellule irregolari a membrane areolate, « areole. Ingrand. 200 volte. 21, — Sezione trasversale praticata nello spermoderma per mettere in evidenza la tunica vascolare: e epidermide con sottostante tessuto meristematico ; c cellule accompagnatrici dei vasi; # vasi spirali; /% epidermide della secondina. Ingrand. 300 volte. 22. — Sezione trasversale nello spermoderma a più avanzato sviluppo: s sele- reidi del testa a lume ridotto e pareti lignificate; c cellule accompa- gnatrici dei vasi; tr vasi spirali. Ingrand. 350 volte. Tavora XII. 1. — Apparato ovarico della Z&Zea chinensis prima della fecondazione : s sinergidi; o oosfera; xs nuclei polari. Sngrand. 500 volte. 2. — Apparato ovarico durante la fecondazione: s sinergidi; m7 nucleo maschile; o nucleo femminile; ns nucleo secondario del sacco embrionale. 3. — Altro apparato ovarico durante la fecondazione: s sinergidi; 7 nucleo maschile che ha girato attorno al nucleo femminile 0. 4. — Porzione di sacco embrionale con nuclei provenienti da divisione indiretta del nucleo secondario del sacco embrionale; linee granulari di citoplasma che non segregano una membrana cellulosica. 5. — Apparato antipodico: a antipodi; tc tessuto calaziale formatosi per pro- liferazione delle cellule del tegumento interno pr. Ingrand. 500 volte. 6. — Apparato ovarico anomalo: s, s sinergidi; 707 nucleo maschile (?); 0 oosfera; ns nuclei polari. Ingrand. 500 volte. 7. — Parte di sacco embrionale di ovulo fecondato; s sinergidi; o oosfera fe- fondata; ce incipiente endosperma. Ingrand. 500 volte. 8. — Parte di sacco embrionale di ovulo sezionato a tardo autunno con residui di sinergidi in alto: o oosfera; co nuclei endospermali. Ingrand. 500 volte. Fig. » Fig. Tavora XIII. 1 — Oosfera osservata nel principio di Maggio, cioè dopo la sosta di riposo dal periodo della fecondazione. Ingrand. 450 volte. 2 e 3. — Prima segmentazione dell’oosfera: e cellula destinata ad ulterioramente segmentarsi; s prima cellula del sospensore. Ingrand. 300 volte. 4 a 12. — Stadii successivi dovuti a ripetuta segmentazione della cellula e, dai quali risulta la formazione del lungo sospensore s. Il contenuto delle sue cellule è pressochè nullo perchè sonosi trattate le sezioni coll’ acqua di Javelle. Ingrand. 300 volte. 13. — Divisione della cellula madre dell'embrione e in quattro cellule per setti equatoriale e meridiani. Ingrand. 300 volte. 15, 16, 17. — Stadii successivi della sfera embrionale, con setti tangenziali in sezione ottica: s sospensore; % ipofisi con segmento longitudinale. In- grand. 300 volte. 18-19. — Stadii dell'embrione con primo accenno alla divisione in parte radi- colare e parte cotiledonare determinate dai setti meridiani ed equatoriali s sospensore; 7 ipofisi con setti longitudinali ed anche trasversali; % parte radicale; c parte cotiledonare. Ingrand. 300 volte. 20, 21, 22. — Ulteriori stadii nei quali non è più manifesta la distinzione in parte radicale e parte cotiledonare, per quanto i cotiledoni comincino ad accennarsi; 7 divisioni dell'ipofisi; c mammelloni cotiledonari. Ingrand. 300 volte. 23. — Una cellula polinucleata del sospensore. Ingrand. 500 volte. Tavona XIV. 1 e-2. — Due sezioni praticate in ovari per mettere in evidenza la disparità di sviluppo esistente fra il pericarpo ed i tegumenti seminali da un lato e l'embrione dall’altro: p pericarpo; sp spermoderma; e embrione. 3. — Sezione di embrione; e caliptra; c' cotiledoni. Ob. 2, Oc. 2, Koristka. Ridotto di metà col pantografo. 4. — Porzione di detta sezione ingrandita: ce caliptra; i iniziali del derma- togeno e della caliptra; i’ iniziali del periblema; i'' iniziali del pleroma; dy dermatogeno; pò periblema; pl pleroma;