co Òc(c » :o€i xsm mm ■Oc FI 3T< 3||yB kÈJ 3S®8@* Hjlj3^!c[r iOH ^Li r^tfSJEC^dli « dei sali biliari (glicocolato e taurocolato di 'sodio) . „ 21 Fedele M. — Sulla nutrizione degli animali pelagici.— ìli. Ricerche sui Salpidae . . . . . . . . „ 49 Augusti S. — La sostanza colorante del mirto . . . . u 119 Fenizia G. — Note biologiche sul Calcinus ornatus (Roux) . „ 129 Augusti S. — Ricerca e dosaggio di minime quantità di acido nitroso nelle acque potabili. . . . 1 . ... „ 143 Majo E. — Il periodo diurno della pioggia a Napoli « . . ,, 153 Covello M. — Contributo alla tecnica di distruzione delle so¬ stanze organiche in analisi tossicologica ... „ 173 Ruggiero P. — La sistemazione idraulica del Platano (Seie) me¬ diante serbatoi ........ M 193 Covello M. — Nuovi sali di basi organiche quaternarie di even¬ tuale impiego farmaceutico. . . . . . „ 217 Majo E. — Un ventennio di osservazioni eliofanometriche in relazione con la nebulosità a Napoli . . „ 225 Augusti S. — La radioattività delle acque termominerali di Lacco Ameno (Isola (Fischia). — Nota IL - Ricerche radio¬ attive Su materiale vario prelevato sulle acque e sul terreno circostante . . . . . . „ 251 Augusti S.— Peso molecolare e costituzione dell’acido mirtitannico. „ 255 Gioffredi L. — Ricerche sperimentali sul metodo della predizione di sesso in gravidanza ej sui reperti istologici dei conigli trattati . . . . . . . . „ 263 Majo E. — Il bradisisma flegreo con particolare riguardo all’in¬ fluenza che esercita sui manufatti che attraversano la collida di Posillipo . . . . . „ 271 Platania G. — Radioattività di alcune sorgenti termali di Lacco Ameno (Isola (Fischia) ...... „ 289 Majo E. — L’altezza delle onde del mare e la velocità del vento nel golfo di Napoli . . „ 295 Majo I. — Analisi di roccia leucitica dell’ Averno. , . „ .309 Andreotti A. — Le sollecitazioni dei fabbricati prodotte da mac¬ chine in movimento (Sismologia applicata). .. . „ 313 Sorrentino S. — Alcune caratteristiche di geo - morfologia del versante adriatico dal fiume Potenza al Pescara. . „ 321 Segue a pag. 3 della copertina. BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI IN NAPOLI VOLUME X L V. — 1 933. ( Pubblicato il IO febbraio 1934) NAPOLI PREMIATO STAB. TIPOGRAFICO N. IOVENE VIA DONN ALBINA, 14 1934 Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli ATTI (MEMORIE E NOTE) Ricerche di genetica sui bachi da seta. del socio Carlo Jucci (Tornata del 1 dicembre 1932) I bachi da seta che nel seno di una stessa specie (Botnbyx mori) presentano una straordinaria quantità di variazioni, molte delle quali già per scopi pratici isolate in razza, ci offrono un materiale particolarmente interessante per lo studio genetico. È un materiale che si presta bene allo studio dinamico della eredità, a seguire i caratteri nello sviluppo deir organismo in tutte le sue fasi per determinare come la potenzialità ereditaria caratteristica trasmessa dai genitori va sviluppandosi, attuandosi neH'organismo figlio. Le varie razze di bachi da seta differiscono tra loro più o meno spiccatamente per i caratteri della ovificazione (numero, grandezza, peso, colore, forma, capacità di sviluppo delle uova), e per i caratteri dello stadio larvale (numero delle mute, capacità di accrescimento, colore e struttura dei tegumenti , colore del sangue). Dal colore del sangue dipende poi il colore del boz¬ zolo ; c' è tutto un complesso di fattori ereditari che regolano nelhorganismo del baco da seta l'utilizzazione dei pigmenti as¬ sorbiti dalla foglia del gelso. Riassumerò nella forma più breve possibile i risultati delle mie ricerche genetiche sui bachi da seta, soffermandomi un po’ più a lungo nel campo dei pigmenti nel quale più specialmente ho lavorato in questi ultimi anni. La curva di sviluppo. Lo sviluppo larvale dei bachi non procede uniforme e con¬ tinuo ma è interrotto di quando in quando (quattro volte nelle - 4 - Comuni razze) da un periodo di sonno cui segue la muta. De¬ terminando per ogni età il peso iniziale e il peso finale costrui¬ sco la curva di accrescimento ponderale. Dalla sua analisi rimane evidente che se col progredire dell' età diviene sempre più im¬ ponente, considerato nel suo valore assoluto, l'aumento di peso, però la capacità e la velocità di accrescimento — che erano mas¬ sime nella prima età — traverso le successive vati degradando sino a scendere nella quinta ad un valore minimo che è appena un terzo o meno del valore iniziale. La muta detergendo l'organismo lo rende capace di un nuovo sbalzo anabolico ; ma non arriva a reintegrarlo nelle sue capacità originarie di accrescimento. Questo in termini generali ; ma poi ogni razza di Bombyx mori ha un suo tipo metabolico particolare che si riflette in una particolare curva di sviluppo. Differiscono più spiccatamente a questo riguardo le razze a tre mute da quelle a quattro e le razze bivoltine da quelle univoltine. Schematizzando in poche parole, i bachi a 3 mute presen¬ tano un accrescimento più modesto, rispetto alle comuni razze a 4 mute , appunto per questo risparmio che fanno di una delle mute, ritardando sinché è possibile il processo di ringio¬ vanimento dell'organismo che si trova così costretto a tirare avanti a velocità ridotta. Le razze bivoltine presentano pure un accrescimento minore in confronto delle univoltine, minore non relativamente, giacché la capacità d'accrescimento è presso a poco la stessa, ma nel valore assoluto, perchè il peso di nascita è basso, dato che le uova sono sempre più piccole nelle razze plurivoltine (che cioè danno più generazioni all'anno). Numero delle mute. Incrociando tra loro reciprocamente razze a 3 ed a 4 mute nella FL gl'ibridi fanno 3 mute ; nella Fz avviene la scissione dei caratteri sicché da ogni ovatura allevata isolata vengono bachi a 3 e bachi a 4 mute, terzini e quartini. Spesso il rapporto di scissione devia largamente dal tipico rapporto 3:1 e la discendenza F3 degli individui riusciti a 4 mute nella F, presenta tra la massa dei bachi a 4 mute anche dei bachi a 3 mute ; ma i reincroci degli ibridi F2 terzini e quar- — 5 — tini con la razza parentale a 3 mute dànno risultati bene corri¬ spondenti alla previsione mendeliana ; e le irregolarità nella Fz vanno spiegate con il fatto che condizioni di allevamento poco favorevoli possono facilmente influenzare il numero delle mute sì da far sviluppare come quartini degli individui genotipicamente terzini. Da studi statistici sui caratteri della ovificazione negli ibridi, in confronto alle razze parentali, risulta che mentre nella FA c'è piena uniformità per numero di uova deposte e grandezza del¬ l'uovo, invece nella F. le farfalle sviluppatesi da bachi terzini depongono uova scarse e pesanti, mentre le quartine depongono uova più numerose e leggere : si che si ritrovano nella discen¬ denza terzina e quartina degli incroci i caratteri peculiari delle razze parentali corrispondenti. Anche per le dimensioni dell’uovo lo studio statistico dimostra una stretta correlazione tra i carat¬ teri dello sviluppo larvale e i caratteri della ovificazione. Capacità di sviluppo dell'uovo. Dai miei studi risulta che il polivoltinismo — o capacità di dare più di una generazione all'anno producendo uova atte allo sviluppo ininterrotto del germe (sinechepidosi in contrap¬ posto alla diapause pidosi, o sviluppo interrotto da diapausa invernale, delle razze univoltine) — è un carattere comune , in varia misura e in modo più o meno manifesto , a tutti i bachi da seta ; che le varie razze posseggono in vario grado questa capacità, in evidente rapporto col tipo metabolico della razza; che in seno ad una stessa razza esiste larga variabilità del ca¬ rattere del voltinismo in intimo rapporto con la variabilità indi¬ viduale del tipo metabolico ; che negli incroci il comportamento ereditario del bivoltinismo — cioè la percentuale di bivoltini nella discendenza degli incroci tra razze uni e bivoltina — ap¬ pare diverso secondo le capacità metaboliche delle razze incro¬ ciate ; che infine quel determinato grado di tendenza al polivol¬ tinismo che ciascuna razza, pura o incrociata, possiede, si rivela non con un determinato costante carattere — di avere due o più generazioni all’anno — ma con una determinata capacità di rea¬ zione alle condizioni estrinseche di sviluppo. L'esame comparato delle capacità di sviluppo dell' uovo — 6 — delle varie razze dimostra una intima correlazione tra attitudine al voltinismo e attitudine allo sviluppo partenogenetico , tra ca¬ pacità di sinechepidosi e capacità di partenogenesi: ambedue, capacità di sviluppo dell'uovo fecondato e capacità di sviluppo dell'uovo vergine, sono ottimi indici delle capacità fi¬ siologiche individuali e di razza. Lo studio della variabilità individuale dimostra che la ca¬ pacità di partenogenesi nei Bombyx, è un carattere regolarmente variabile attorno a un valore medio caratteristico della razza (as¬ sai basso nelle annuali, elevato nelle bivoltine). Esperimenti d'incrocio tra due razze univoltine come Giallo Indigeno e Bianco chinese colla stessa razza bivoltina — anzi con gli stessi maschi per ridurre la complicazione della variabi¬ lità individuale — dimostrano : 1° che queste due razze posseg¬ gono un diverso grado di capacità di sviluppo dell'uovo ; 2° che gli ibridi Fi producono uova a capacità di sviluppo (capacità di sinechepidosi e capacità di partenogenesi) in¬ termedie tra quelle delle razze parentali. D'altra parte studi statistici sui caratteri delle uova (numero, grandezza e peso) di razze pure e dei loro incroci reciproci mo¬ strano che le capacità di sviluppo dell'uovo dipendono dalle co¬ stituzioni dell'uovo stesso (p. es. dal rapporto nucleo-plasmatico determinato a sua volta dalla costituzione fisiologica dell'organi¬ smo materno). Non sono riuscito a dimostrare una influenza dello spermio fecondatore sul tipo di sviluppo dell’uovo ; anzi, dopo gli accor¬ gimenti usati per indebolire il carattere materno ed esaltare il paterno, la possibilità di una tale influenza appare improbabile. Mi sembra si debba concludere che i fenomeni dell’eredità ma¬ terna in due casi come quelli del voltinismo e del colore della sierosa differiscono in quanto nel secondo caso la costituzione citoplasmatica favorisce l'estrinsecazione del fattore potenziale materno permettendogli di prevalere, anche se recessivo, sul pa¬ terno ; mentre nel caso del voltinismo la costituzione citoplasma¬ tica, prodotto fedele della costituzione fisiologica materna , è tutto : e il tipo di sviluppo dell'uovo dipende tanto da essa che non è possibile una influenza della spermio fecondatore e forse neanche degli stessi fattori nucleari dell'uovo. — 7 — Capacità di accrescimento. I bachi da seta presentando, come tutti gli insetti a meta¬ morfosi completa, la disgiunzione netta dell' accrescimento (lar¬ vale) dalla differenziazione (crisalidale) e il periodo dell'accresci- mento nettamente frazionato in più età per l'intercalarsi dei processi di muta, offrono un materiale eccezionalmente favorevole allo studio della eredità della capacità di accrescimento. Giacché è possibile seguirla, negli incroci reciproci in con¬ fronto alle razze parentali, lungo le successive età dello sviluppo larvale, per sorprendere come vada svolgendosi l' influenza ere¬ ditaria paterna progressivamente slontanando l'organismo ibrido dal tipo metabolico materno. Varo e Bianco chinese sono due razze di bachi da seta a tipo metabolico nettamente distinto : la prima tipo delle grosse razze gialle indigene, la seconda tipo delle piccole razze orientali. I pesi a massimo accrescimento dei bachi dei due incroci non coincidono con la media dei valori parentali , sibbene ap¬ paiono spostati in sopra e in sotto della media, rispettivamente, verso la razza materna. Stessa constatazione per molte altre cop¬ pie di incroci reciproci. Appare dunque per i pesi alla fine dello sviluppo larvale uno spiccato predominio del carattere materno. Ma, per ben valutare, occorre tener conto non solo dei punti di arrivo nella corsa dello sviluppo ma ben anche dei punti di partenza. Ora il peso di nascita è diverso nei due in¬ croci reciproci, per ciascuno uguale al peso di nascita della pro¬ pria razza materna (giacché la femmina Varo anche fecondata da maschio Bianco depone uova grosse ; e la femmina Bianco an¬ che fecondata da maschio Varo depone uova piccole). Occorre dunque considerare la capacità di accrescimento che misurata dal rapporto " peso raggiunto alla fine dello sviluppo larvale : peso di nascita „ ci dice di quante volte il peso si è moltiplicato nel corso dello sviluppo. Ora, le capacità di accre¬ scimento dei due incroci reciproci sono diverse tra loro e spic¬ catamente lontane dalla media dei valori parentali. Risulta per la capacità di accrescimento un dominio del carattere paterno sì da poter rappresentare il peso dell'incrocio col prodotto del peso — 8 - di nascita della razza materna per la capacità di accrescimento della razza paterna. Ma allora lo spostamento dalla media che si verifica nel peso alla fine dello sviluppo verso il valore della razza materna, non si costituisce per una prevalenza del carat¬ tere materno — si direbbe — ma si mantiene, malgrado un op¬ posto predominio del carattere paterno, grazie al vantaggio ini¬ ziale dato dal peso di nascita uguale a quello della razza materna. Però lo studio del corso dello sviluppo ci dimostra che nella prima età la capacità di accrescimento dì ciascuno dei due in¬ croci è ancora più vicina a quella della razza materna che della paterna. È soltanto nel proseguire dello sviluppo che la capacità di accrescimento paterna s'impone, superando la resistenza che gli oppongono le condizioni di iniziale prevalenza materna, data dal corredo citoplasmatico dell'uovo, di origine materna, di ca¬ rattere, per qualità e quantità, tutto materno. Il colore del sangue e del bozzolo. Troppo scarse sono ancora le nostre conoscenze pur su un argomento così poco lontano dalla applicazione pratica qual’è la secrezione serica e i processi metabolici che l'accompagnano. Ho voluto riprendere lo studio dei rapporti tra il colore del sangue e il colore del bozzolo anche considerando che il colore del boz¬ zolo è uno dei caratteri più studiati nei bachi da seta dal punto di vista genetico, e niente è fecondo come l'accoppiare alla ri¬ cerca sulla trasmissione ereditaria di un carattere l’ analisi del meccanismo fisiologico per il quale detto carattere si sviluppa nella ontogenesi. Sono partito dalla osservazione da me fatta nel 1921 che i bachi Oro chinese avvicinandosi a maturità presentano una scolorazione del sangue, mentre i bachi di razze Gialle europee, come la Fossombrone, continuano ad avere sangue intensamente giallo. Un esame comparativo del sangue e glandole della seta dalla quarta muta airincrisalidamento dimostra che in ambedue le razze avviene una migrazione del pigmento dal sangue alla secrezione serica. Ma nell'Oro la migrazione avviene nel periodo precedente alla maturazione, mentre nel Fossombrone avviene nel periodo successivo, dalla salita al bosco sino alla trasforma¬ zione del baco in crisalide entro la corteccia serica del bozzolo. 9 — Questo spiega perchè il bozzolo di Oro è giallo dorato negli strati esterni e va man mano impallidendo sinché la fodera in¬ terna è proprio bianca ; mentre il bozzolo di Fossombrone al¬ l'esterno è incoloro o quasi, e poi verso l'interno , sempre più pigmentato. Sicché, nelle due razze studiate almeno , il colore del boz¬ zolo e la distribuzione delle sostanze colorate nei suoi strati di¬ pende essenzialmente dalle condizioni nelle quali avviene la mi¬ grazione del pigmento dal sangue alla seta. Notare che per le due razze la quantità totale di pigmento presente in una stessa quantità di seta è la stessa. Divengono, dopo queste ricerche, più comprensibili i risul¬ tati ottenuti da Uda che, studiando il comportamento ereditario del colore del bozzolo in incroci tra bachi di razza a sangue giallo e bozzolo bianco e razze normali, giunse alla conclusione che il colore giallo del bozzolo dipende da due fattori dei quali uno (Y) non può produrre il carattere se non in presenza deh l'altro fattore (C) che si manifesta col color giallo del sangue. Evidentemente il carattere Y è la " capacità di migrazione del pigmento dal sangue alla seta „ o meglio la 11 capacità delle ghiandole delia seta di assorbire il pigmento dal sangue S'intende che la presenza di questa capacità non può pro¬ durre alcun effetto se nel sangue non vi è pigmento. La capacità di migrazione è dominante sulla incapacità. Quanto al tempo di migrazione, nella dei due incroci reciproci tra Oro e Giallo Indigeno la distribuzione del pigmento nei vari strati del bozzolo è intermedia rispetto a quella carat¬ teristica delle due parentali. Già questo fa pensare che l' ibrido presenti un tempo di migrazione dei pigmenti dal sangue alla seta intermedio fra i parentali. Detta conclusione è confermata dallo studio del colore del sangue dalla quarta muta all'incrisa- lidamento. Incrociando le razze Oro e Gialla con una stessa razza Bianca Giapponese ho voluto studiare nelle due coppie di incroci reciproci il colore del sangue a cominciare dalla nascita lungo tutte le fasi larvali sino alla maturità, con la speranza di poter seguire lo svolgimento progressivo del carattere paterno. Invece i bacolini degli incroci a femmina bianca hanno sin 10 - dalla prima età sangue altrettanto giallo quanto i bacolini degli incroci reciproci a femmina colorata. C'è dunque veramente do¬ minanza spiccata (non assoluta però) e precocissima (senza trac¬ cia apparente della cosidetta eredità materna o predominio del carattere della razza materna nei primi stadi di sviluppo dell' i- brido) del carattere sangue colorato sul carattere sangue incoloro. Questo fatto concorre a farci pensare che il carattere sangue incoloro nella razza Bianca Giapponese Awoijku (e nelle altre bianche comuni) dipenda da assenza della capacità di assorbire i pigmenti gialli : cioè i carotinoidi, giacché i caratteri di solu¬ bilità e le reazioni micro-chimiche dimostrano che i pigmenti gialli del sangue come quelli delle uova sono carotinoidi (caro¬ tine e xantofille evidentemente derivate dalla foglia del gelso). Po¬ trebbe spiegarsi invece con la presenza di un enzima ossidante (che impedirebbe la permanenza nel sangue dei carotinoidi as¬ sorbiti) il carattere sangue incoloro di quelle razze bianche che, come la Bagdad, la Bianca Turca, incrociate con razze gialle si comportano come dominanti. Insisterò per controllare questa ipotesi nei miei esperimenti di introduzione parenterale di carotinoidi (iniezioni, e trasfusioni di sangue). Ma il fatto che la Bagdad incrociata con la Awoijku dà tutti bozzoli gialli ci fa sembrare poco probabile la presenza di un gene " capacità di ossidazione dei carotinoidi „ a meno che non si ammetta in Awoijku un gene “ inibitore della ossidazione Quanto al colore del bozzolo, negli incroci con razza bianca l'ibrido F1 presenta il " tempo di migrazione dei pigmenti dal sangue alla seta „ caratteristico della razza parentale colorata : precoce nell'Oro Chinese, tardivo nella Gialla Europea. Sicché i bozzoli vengono rispettivamente, dorati (negli in¬ croci 9 Oro c? Bianco, 9 Bianco c? Oro) e carnicini (negli in¬ croci 9 Giallo c? Bianco e 9 Bianco c? Giallo). Nei due reciproci, com'è lo stesso il colore del bozzolo così è lo stesso il colore delle uova, anch'esso dato da carotinoidi migrati dal sangue della crisalide nel deutoplasma ovarico. La quantità di pigmento valutata colorimetricamente risulta circa tre volte maggiore negli incroci con Giallo che negli in¬ croci con Oro : differenza analoga a quella che si verifica tra le razze parentali rispettive. Nella F2 degli incroci tra razze a sangue giallo e razze a sangue bianco si verifica con tutta esattezza il rapporto di scis¬ sione caratteristico dei monoibridi mendeliani 3:1. Per il colore del bozzolo però il comportamento è meno semplice. Si ottengono, sì, da ogni ovatura allevata isolata , bozzoli gialli e bozzoli bianchi in un rapporto tutto vicino a quello tipico 3 : 1 ; ma i gialli variano dall'oro acceso al giallo dorato pallido e nei bianchi tra una maggioranza di candidi compaiono spesso dei bozzoli più o meno intensamente soffusi di verdastro. Evidentemente altri fattori, oltre a quello del colore del sangue, intervengono a determinare il colore del bozzolo. La comparsa nella F2 di bozzoli verdastri ci ha spinto a studiare la sostanza colorante dei bozzoli di razza verde Giap¬ ponese. Queste razze Verdi godettero un tempo di grande favore e furono, specie in Italia, tra le più allevate ; ma oggi sono andate completamente in disuso. Già il colore caratteristico di questi Verdi Giapponesi e sopratutto l'essere in essi il pigmento disposto nell' interno del filo di seta, nel cilindro di fibroina cioè, anziché all'esterno, nella corteccia di sericina, come nelle altre razze, ci dice che proba¬ bilmente si tratta di un pigmento speciale. Nello stesso senso parlano le ricerche spettrofotometriche che trovano per gli estratti di bozzoli Verdi una curva di as¬ sorbimento spiccatamente diversa da quelle, assai simili tra loro, ottenute da estratti di bozzoli Oro e Gialli. I caratteri di solubilità ed i saggi chimici dànno la compiuta dimostrazione che si tratta di una sostanza tutta diversa dagli altri pigmenti, una sostanza di natura aromatica, a tipo ossiche¬ tonico, del gruppo dei Flavoni. La chiameremo Bombi¬ ci o r i n a . Stessi caratteri (grande solubilità in acqua, formazione di sali intensamente gialli con gli alcali ecc.) presenta il pigmento di una razza verde polivoltina cinese , il pigmento dei bozzoli bianco verdastri che compaiono nella F2 di incroci tra razze bianche e gialle, il pigmento infine che vela di sporco il color bianco dei bozzoli Bagdad. — 12 — Stesse reazioni presentano le foglie di gelso, gli escre¬ menti dei bachi, gli estratti alcoolici di uova di razze gialle. Dal complesso delle ricerche si giunge alla conclusione che i bachi da seta assorbono dalle foglie del gelso oltre a pigmenti carotinoidi anche Flavoni. Generalmente questi Flavoni passano dal sangue della cri¬ salide nelle uova contribuendo alla pigmentazione del vitello mentre il bozzolo viene colorato da carotine e xantofille che dal sangue del baco maturo migrano alle ghiandole della seta. Se la migrazione è precoce il pigmento colora gli strati esterni del bozzolo che si presenta dorato (Oro Chinese) ; se è tardiva sono gli strati interni del bozzolo i più colorati e dalla loro trasparenza traverso gli strati esterni incolori risulta una tinta carnicina (razze Gialle Indigene). In qualche razza però i Flavoni passano dal sangue alla seta , così nella razza Verde Giapponese, la sostanza colorante del bozzolo, Bombiclorina, è un Flavone. Ricordiamo i nostri esperimenti secondo i quali delle so¬ stanze coloranti somministrate ai bachi da seta con l'alimento solo poche (come l'orceina) passano nel prodotto di secrezione delle ghiandole serigene. Parecchie invece, come p. es. Sudan III e Nilblau, passano nelle uova. Il comportamento dei Flavoni nella razza Verde si può pa¬ ragonare a quello della orceina e nelle altre razze a quello del Sudan III. Sicché il carattere “ bozzolo Verde „ espresso in ter¬ mini fisiologici consiste nella " capacità delle ghiandole della seta di assorbire Flavoni dal sangue „. Se questa capacità sia di carattere mendeliano come la 11 ca¬ pacità delle ghiandole della seta di assorbire carotinoidi dal sangue „ solo la Ft degli incroci potrà dircelo ; ma è ben pro¬ babile che lo sia. Nella Fl il Verde appare dominante sul Bianco : cioè la permeabilità per i Flavoni domina sulla impermeabilità: mentre è recessivo rispetto al limone, arancio, rosa, Giallo Indigeno, (carnicino) e oro. La dominanza però è tutt'altro che perfetta. Nell’incrocio di Verde con Bianco il Bozzolo appare Verde Biancastro, cioè d'un verde spiccatamente meno intenso di quello della razza — Im¬ pura ; nelPincrocio poi della razza Verde con le Gialle i bozzoli Fi spesso si presentano poco uniformi, variando dal tipo della razza Gialla al tipo intermedio tra i parentali. In ogni modo, anche se i bozzoli si presentano a tipo giallo (oro, limone, arancio, carnicino, rosa, rispettivamente) essi conten¬ gono sempre Flavoni : difatti esposti ai vapori di ammoniaca di¬ ventano caratteristicamente rugginosi per formazione d'un sale ammoniacale dei Flavoni. Sicché nelhibrido Fl i due caratteri parentali : “capacità delle ghiandole della seta di assorbire carotinoidi „ e “ capacità di as¬ sorbire Flavoni „ si sviluppano ambedue, se pure cromaticamente il " verde „ rimane recessivo. La reazione di irrugginimento all'ammoniaca potrà mostrarsi preziosa nella FL per determinare secondo quale rapporto si scindono i caratteri parentali ; rapporto che non sarebbe facile stabilire altrimenti dato che la " permeabilità per i flavoni „ ri¬ mane evidente solo in assenza della " permeabilità per i caroti¬ noidi „. La scarsa uniformità della Ft degli incroci tra razza Verde e Gialle probabilmente è dovuta alla presenza in alcuni individui della razza Verde di qualche fattore implicato nella u permea¬ bilità per i carotinoidi „ o alla presenza in alcuni individui delle razze gialle di qualche fattore implicato nella " permeabilità per i Flavoni „. Non essendo sufficienti da soli a produrre l'effetto, questi geni rimarrebbero potenziali, sì da sottrarsi alla selezione ordinaria. Se il reperto di Flavoni nel bozzolo e nelle uova del baco da seta ha interesse sopratutto teorico in quanto apre un nuovo capitolo - forse interessante quanto e più di quello dei carotinoidi - nella fisiologia comparata degli insetti, anzi nella chimica bio¬ logica del regno animale, non è detto che queste ricerche deb¬ bano rimanere destituite d'interesse pratico. Così, p. es., siamo in grado ormai di capire perchè la rug¬ gine dei bozzoli sia un difetto esclusivo delle razze verdi : di¬ fetto che ha costituito uno dei più forti motivi per l'abbandono completo di queste razze che furono un tempo le preferite, specie nella Bachicoltura Italiana. L' opinione dominante sostenuta da Pasqualis è che queste - 14 macchie color giallognolo sporco - la così detta ruggine - si for¬ mino in ambiente umido per emanazione di prodotti ammonia¬ cali dovuti spesso a letti in fermentazione. Verson, notando che i bozzoli rugginosi sono spesso mac¬ chiati anche all'interno e sempre inquinati da micrococchi, sup¬ pone che si tratti di bachi malaticci che continuano a scaricare l'intestino in più volte anche durante la tessitura del bozzolo ; onde sviluppo di vapori ammoniacali e formazione di una mac¬ chia di ruggine. In ogni modo si tratta sempre di sostanze alcaline che, mentre non intaccano i carotinoidi che dànno il colore al bozzolo delle comuni razze, alterano invece i Flavoni, che costituiscono il pig¬ mento delle razze Verdi. Una delle caratteristiche dei Flavoni è appunto quella di dare con gli alcali, a freddo, sali gialli solubili in acqua. Ecco dunque perchè la ruggine del bozzolo è un difetto esclu¬ sivo delle razze Verdi Giapponesi e dei loro incroci. Mentre nella razza Verde i Flavoni passano dal sangue nella seta e nella maggior parte delle altre razze passano dal sangue nelle uova, in qualche caso pare possano raccogliersi nei tegumenti. Secretain è una razza bivoltina Giapponese a pelle gialla. L’esame istologico mostra che le cellule ipodermiche con¬ tengono un pigmento giallo. Saggi microchimici rilevano la presenza dei Flavoni : forse il carattere “ pelle gialla „ che si comporta come un fattore mendeliano recessivo rispetto al “ pelle bianca „ (non legato al colore del sangue nè ai disegni del te¬ gumento larvale) può definirsi in termini fisiologici " la capacità delle cellule dell'ipoderma di assorbire Flavoni dal sangue,,. Incrociando la razza Secretain a pelle gialla con l’ibrido F, di 9 Oro c? Awojiku ho ottenuto bachi a pelle trasparente ed ho portato così la mia attenzione su questo nuovo carattere. I miei studi sono ancora in corso ; ma riassumendo quel che ho visto sinora : il carattere " pelle trasparente „ sembra di¬ pendere da deficienza, nelle cellule dell'ipoderma, dei granuli cristallini di urati ai quali la pelle delle comuni razze di bachi da seta deve la sua caratteristica opacità. — 15 — " Pelle opaca „ è un fattore mendeliano dominante su u pelle trasparente „ e nella F£ dà la scissione nel rapporto classico 3:1. Quando i Bachi a “ pelle opaca „ maturano gli urati con¬ tenuti nelle cellule ipodermali si ridisciolgono, sì che il conte¬ nuto del sangue in acido urico sale a un livello circa tre volte più elevato. Sicché in termini fisiologici il fattore " pelle opaca „ consi¬ ste nella “ capacità delie cellule dell'ipoderma di estrarre urati dal sangue accumulandoli nel loro citoplasma in forma di con¬ crezione cristalline Riassunto L’ A. riassume i risultati delle sue decennali ricerche genetiche sui bachi da seta, su la curva di sviluppo, il numero delle mute, le capacità di sviluppo dell’uovo (voltinismo e partenogenesi), la capacità d’accrescimento ; e si sofferma un po’ più a lungo nel campo dei pig¬ menti nel quale più specialmente ha lavorato negli ultimi anni inda¬ gando la natura fisiologica ed il comportamento ereditario dei fattori che governano il colore del sangue e del bozzolo nelle varie razze di Bombyx mori. BIBLIOGRAFIA Curva di sviluppo. 1922-23. 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Il comportamento ere¬ ditario del tipo di sviluppo larvale nella discendenza di incroci tra razze di bachi da seta a tre e a quattro mute. Boll. Soc. Natur. Napoli, voi. XXXVII, p. 150-63. 1925. — — Reincroci , con la razza dei bachi da seta a quattro mute , della prole terzina e quartina di seconda generazione. Ann. R. Ist. Sup. Agr. Portici, ser. 3a, voi. 1, p. 55-70 e tav. 1925. — — La terza geìier azione di incroci tra bachi da seta a tre e quattro mute. Il « numero delle mute » non è dunque un carattere unitario mendeliano? Rend. Acc. Lincei, voi. II, serie 6a, 2° sem-, fase. 3°, p. 136-39. 1026. JUCCI C e Lo Tito A. — Correlazione tra caratteri dello svi¬ luppo larvale e caratteri dell’ ovificazione {numero e peso delle uova ) nella F2 di incroci tra razze di bachi da seta a tre e a quattro mute. Boll. Soc. Nat. Napoli, voi. XXXVIII, p. 280-86. 1927. Lo Tito A. — Studio sulla correlazione fisiologica nella se¬ conda generazione di incroci tra razze di bachi da seta a tre e a quattro mute fra i caratteri dello sviluppo larvale e i caratteri delle uova deposte. Boll- Staz. Gels. e Bachic. Ascoli Piceno, anno VI, n. 2, p. 41-73, 8 diagr. — 17 1927. CANITANO D. — Studi statistici sulla dimensione delle uova nella seconda generazione di incroci tra bachi da seta a tre e a quattro mute. Boll. Staz. Gels. e Bachic. Ascoli Piceno, anno VI, n. 3, p. 114-129. Capacità di sviluppo dell’uovo. 1924. JUCCI C. — SulV eredità del tipo metabolico nei bachi da seta. Il bivoltinismo. Ann. R. Se- Sup. agr. Portici, voi. XIX e Boll. Lab. Zool. gen. e agr. Portici, voi. XVII, p. 187-318. 1924. — — Bivoltinismo e partenogenesi nei bachi da seta. (Bom- byx mori). Rend. Acc. Lincei, voi. XXXIII, ser. 5a, 2° sem., fase. 9, p. 345-48. 1924. — — Vario grado di tendenza alla partenogenesi nelle varie razze di bachi da seta ( Bombyx mori ) e probabile correlasione col vario grado di tendensa al bivoltinismo. Ibidem, fase. 19, p. 434-47. 1925. — — Sui fenomeni di sviluppo partenogenetico nelle uova di Bombyx mori di rassa bivoltina ( Awojiku ) di prima e di seconda generazione. Ann. R. Ist. Sup. #Agr. Portici, voi- XX, 7 p. e 1 tav. 1925. — — La capacità di sviluppo dell’uovo , vergine o fecon¬ dato, nei bachi da seta ( Bombyx mori). Boll. Ist. Zool- R. Un. Roma, voi. Ili, 14 p. 1925. — — L’ eredità materna studiata nei caratteri dei bachi da seta. I e II Rivista di Zootecnia Portici, anno II, n. 5, p. 15-23, n. 6, p. 21-27. 1925. — — La jecondaBione e V ovificasione nelle far palle del baco da seta. Staz. Sper. Agr. Ital., voi. LVIII, p. 299-306. 1925. — — Fecondasene artificiale e partenogenesi nei bachi da seta. Informazioni seriche, Minist. Econ. Naz., anno XII, n. 11-12, p. 246-49. 1925. — — La pecondità nei Bombyx mori. Studi statistici sui caratteri della ovificasione ( numero , grandessa e peso delle uova ) in varie rasse di bachi da seta. Ann. R, Ist. Sup. Agr. Portici, ser. 3a, voi. I, p. 42-54, e Boll. Lab Zool. gen. e agr., voi. XVIII, p. 225-37. 1926. — — La partenogenesi nei bachi da seta come esponente dalle capacità fisiologiche individuali e di razza. Rend. Acc. Lincei, voi. Ili, ser. 6a, 1° sem., fase. 1°, p. 32-37. 1926. — — La partenogenesi naturale nei bachi da seta. Rivista di biologia, voi. Vili, fase- 1°, 18 p. 1926. — — La capacità di partenogenesi delle uova di seconda generazione di rassa bivoltina di bachi dà seta. Rend. Acc. Lincei, voi. Ili, ser. 6a, 1° sem., fase. 6. - 2 - - 18 - 1926. JUCCI C. — L'eredità materna e paterna nelle capacità di svi¬ luppo dell' uovo. Boll. Soc. Ital. Biol. sper., voi. I, fase. 2°, p. 75-78. 1926. — — Caratteri dell ’ uovo e caratteri del bossolo negli in¬ croci reciproci tra rasse univoltina e bivoltina di bachi da seta. Boll. Soc. Natur. Napoli, voi. XXXVIII, p. 36-46. 1926 — — Il comportamento ereditario di un carattere fisiolo¬ gico nei bachi da seta. Il bivoltinismo . Boll. Soc. Entomol. Ital., anno LVIII, n. 4-5, p. 36-43. 1927. — — Partenogenesi rudimentale e partenogenesi ciclica . Rivista di biologia, voi. IX, fase. 3°, p. 336-42. 1928. — — La variabilità individuale della capacità di parteno¬ genesi in rassa bivoltina di bachi da seta. Boll. Soc. Natur. Napoli, voi. XL. (present. il 28 luglio 1926), p. 88-94, 4 diagr. 1928. — — La variabilità individuale della capacità di parteno¬ genesi nei bachi da seta. Arch. Zool. It-, voi. 13, fase. 3-4. (Rend. Conv. Un. Zool. It. in Torino, sett. 1928). 1929. — — Esperimenti sulla fisiologia dello sviluppo nei bachi da seta. L’eredità materna. (Comunicato al XIII Congresso Intern. di Fisiologia in Boston, agosto 1929). The American Journal of Physiology, voi. 90, n. 2. 1930. — — Esperimenti sulla eredità materna. Influenza del carattere dello spermio fecondatore sulle capacità di svi¬ luppo dell’uovo nei bachi da seta. Studi Sassaresi, voi. Vili. 1930. — — Nuove esperiense sulla eredità materna del bivoltini¬ smo nei bachi da seta. Boll. Soc. Natur. Napoli, voi. XLII, 25 p. e 1 tav. 1925. WEN DARWIN. — Precocità di sviluppo e tendensa alla parte¬ nogenesi nei bachi da seta (. Botnbyx mori) di rassa gialla indigena. Ibidem, voi. XXXV II, p. 135-49. 1926. — — I fenomeni dello sviluppo partenogenetico nell incro¬ cio tra rasse univoltine e bivoltine di bachi da seta. Ibidem, voi. XXXVIII, p. 58-64. 1927. — — Nuove esperiense sul comportamento ereditario delle capacità di sviluppo delVuovo. La partenogenesi in incroci tra rasse univoltine e bivoltine di Bombyx mori. Rend. Acc. Lincei, voi. V, ser. 6, 1° sem., fase. 3°, p. 204-8. 1928. Jucci C. e Wen Darwin. — S ull’eredità delle capacità di sviluppo dell’uovo. Voltinismo e partenogenesi in incroci tra rasse annuali e bivoltine di bachi da seta. Monit. Zool Ital., voi. XXXIX, n. 1, p. 26-30. (Rend. Conv. Univ. Zool. Ital. in Bologna). 1926. ALIBRANDI E. — Ricerche sui caratteri dell’ ovifica sione ( nu¬ mero e peso delle uova) nella prima generazione (F,) di incroci tra varie rasse di bachi da seta. Boll. Staz. Gels. e Bachic. Ascoli Piceno, anno 5°, n. 4, p. 117-33, 12 diagr. - 10 - Capacità di accrescimento. 1925. JUCCI C. — Su V eredità della capacità d' accrescimento in in¬ croci reciproci tra varie razze di bachi da seta (Bombyx mori). Boll. Lab. Zool. gen. e agr., voi. XVIII, p. 116-129. 1927. — — Su l'eredità del tipo metabolico nei bachi da seta; le capacità di sviluppo larvale degli incroci reciproci tra due razze di Bombyx mori . Rend. Acc. Lincei, voi V, 1° sem., fase. 2, p. 47-51, 2 diagr. 1927. — — Lf eredità materna e la paterna nelle capacità di sviluppo larvale degli incroci recìproci tra due razze di bachi da seta. Ibidem, p. 128-32. 1928. — — L * eredità materna e la paterna nelle capacità di sviluppo larvale degli incroci reciproci tra due razze di bachi da seta: Varo e Bianco chinese. Monit. Zool. Ital. , voi. XXXIX, n. 1, p. 30-34. (Rend. Conv. Un. Zool. It. in Bologna, ott. 1926). 1928. — — Come si eredita la capacità di accrescimento negli incroci reciproci fra due razze di bachi ( Bombyx mori) : Varo e Bianco chinese . Boll. Soc. Natur. Napoli, voi- XL, p. 163-95, tav. 2-3-4. Il colore del sangue e del bozzolo. 1930. JUCCI C. — Sui pigmenti del sangue , del bozzolo e delle uova nei bachi da seta (B. m.). Rend. Acc. Lincei, voi. XI, ser. 6a, 1° sem-, fase. 1°, p. 86-90. 1930. — — Sui pigmenti delle uova dei bachi da seta. Boll. Soc. It. Biol. sper., voi. V- 1930. — — La distribuzioYie del pigmento negli strati del boz¬ zolo degli incroci recìproci (F^ tra due razze di bachi da seta: Oro chinese e Giallo indigeno. Rend. Acc. Lincei, voi. XI, ser. 6a, 1° sem., p. 909-915 con 2 diagr. 1930. — — Sul colore del bozzolo e la migrazione dei pigmenti dal sangue alla seta nella di incroci reciproci tra le razze di bachi ( B . m.) Oro chinese , Gialla indigena e Bianca giapponese. Ibidem, voi. XII, serie 6a, 2° sem., fase. 3-4, p. 86-90. 1930. — — Il pigmento del sangue e della secrezione serica nei bachi da seta. Arch. Zool. It., voi. XV, p. 313-20. 1932. — — Sulle sostanze coloranti del sangue e del bozzolo in varie razze di bachi da seta e nei loro incroci. Ibidem, voi. XVI. Atti XI Congr. Intern. Zool. Padova, voi. Ili, p. 1278. 1932. — — Ulteriori ricerche sul pigmento dei bozzoli di bachi da seta di razza verde giapponese. Boll. Soc. It. Biol. sp. voi. VII, fase. 2. 1932. JUCCI C. — Nuove ricerche sui pigmenti dei bossoli e delle uova in varie rasse di bachi da seta . I flavoni. Boll. Soc. Ital., voi. VII, fase. 5. 1932. — — Sul comportamento ereditario del colore del sangue e dell’ abito larvale in incroci tra varie rasse di bachi da seta . Arch. Zool- It., voi. XVII, fase. 3-4, p. 495-502. 1930. Jucci C. e PONSEVERONl N. — Passaggio nel bossolo e nelle uova di sostanse coloranti somministrate a bachi da seta . Boll. Soc. Biol. sper., voi. V, p. 1056. 1930. JUCCI C. e BUYA B. M. — / pigmenti del sangue e del bossolo in rasse pure di bachi da seta e nei loro incroci reciproci . Ibidem, p. 1036. 1932. DUCE W. — Sul contenuto in pigmenti delle uova in varie rasse di bachi da seta e loro incroci. Ibidem, voi. Vi, f. 6. 1932. — — Ricerche spettrofotometriche sulle sostanse coloranti del bossolo di varie rasse di bachi da seta. Ibidem. 1932. Jucci C- e Manunta C. — Sulla sostansa colorante dei bos¬ soli dei bachi da seta di russa verde giapponese. Rend. Acc. Lincei, voi. XV, fase. 6, p. 473-77. Riassunto in Boll. Soc. Biol. sper-, voi. VII, fase. II, p. 163, Finito di stampare il 20 marzo 1933. Sulla digestione e l’assorbimento intestinale dei fosfolipidi. I. — Azione veicolante dell’acido oleico e dei sali biliari (glicocolato e taurocolato di sodio). RICERCHE SPERIMENTALI del socio Pasquale Salvi (Lavoro vincitore del « Premio Tenore » dell’Accademia Pontaniana di Napoli). (Tornata del 21 gennaio 1933) Sommario I. - Cenno sulla natura chimica e sulla importanza biologica dei lipoidi fosforati. II. - Stato della questione riguardante le presenti ricerche e piano delle medesime. III. - Tecnica. IV. - Esperienze del gruppo A) : Digestione " in vitro,, di emulsione lecitinica con preparato di pancreas sec. Willstatter, e, rispettivamente, con succo pancreatico. V. - Esperienze del gruppo B) : Digestione "in vivo,, di emulsione lecitinica in ansa duodenale. VI. - Esperienze del gruppo C) : Digestione " in vitro,, di emulsione lecitinica con preparato di mucosa intestinale , e, rispettivamente , con succo enterico. VII. - Esperienze del gruppo D) : Digestione " in vivo,, di emulsione lecitinica in ansa intestinale (digiuno). Vili.- Esperienze del gruppo E) : Potere solvente della bile, e, rispettivamente, dei sali biliari, sulle emulsioni lecitiniche. IX. - Conclusioni. X, - Bibliografia» — 22 — I. — Cenno sulla natura chimica e sull’importanza biologica dei lipoidi fosforati. È nota da tempo l'importanza che hanno i lipoidi o lipidi complessi nella economia animale e vegetale. Questa eterogenea famiglia chimica , compresa nel termine " lipoide „, creato con criteri piuttosto fisici e farmacologici, che chimici, dal farmacologo Overton (1900), ha assunto, in un ven tennio, un posto di primo ordine nella fisio-patologia degli es¬ seri viventi. Si sa ad es., che i lipoidi , in generale , ed i fosfolipidi in modo particolare, influenzano il fenomeno della permeabilità cel¬ lulare (Overton) ; i processi di auto-ossidazione (Frankel, Ver- non) ; la combustione degli acidi grassi (Loew) ; l’emolisi (Win- daus, Belfanti) ; le reazioni antitossiche , particolarmente anti¬ tubercolari (Calmette, Guerin), etc. Tra i lipoidi, un posto particolare spetta ai fosfatidi o fo¬ sfolipidi, composti assai diffusi sia nel regno vegetale che animale, tanto da potersi ritenere nessuna cellula esserne assolutamente priva. Nei protoplasmi esistono prevalentemente uniti ad altri corpi, principalmente proteici, dai quali è molto difficile separarli. Specialmente abbondanti sono nel tessuto nervoso (cervello 20 °/0 in peso), nel tuorlo dell'uovo, nel miocardio, nel fegato (8 °/0). I fosfolipidi sono dotati di spiccata idrofilia , proprietà che sarebbe in relazione col loro contenuto in basi ed acido fosfo¬ rico solubile. Essi, comportandosi come " elettroliti anfoteri „, danno nel¬ l'acqua ioni colloidali idratabili (alla stessa maniera delle proteine). Sono corpi molto facilmente scomponibili , ed è , appunto, sulla loro instabilità chimica che si fondano le principali loro azioni fisiologiche. Meyer e Schaffer ritengono costante e tipico per ogni organo il contenuto in fosforo lipoideo. Thudicum, secondo il contenuto relativo in azoto e fosforo della loro molecola, distingue: monoaminomonofosfa- tidi; diaminomonofosfatidi; diami nodifosf afidi. — 23 — Erlandsen ha aggiunti i monoaminodifosfatidi e Frankel i triaminomonofosfatidi ed i triamino- difosfatidi. Questo A. distingue, inoltre, secondo la natura dell' acido grasso che entra nella costituzione della molecola : fosfati di insaturi (contenenti acidi grassi insaturi, spec. oleico), e f o - sfatidi saturi. Ai primi appartiene la lecitina, che può essere consi¬ derata come il fosfolipide tipico. Scoperta nel 1847 dal Gobley, è un monoaminomonofosfa- tide, costituito, secondo Thudicum , da acido glicerofosforico, colina (idrato di trimetil-ossi-etil-ammonio), ed acidi grassi. Molto facilmente si unisce ad altri corpi : acidi, basi , glu- cosidi, alcaloidi, tossine, sostanze coloranti , idrati di carbonio, proteine. È molto diffusa nel regno vegetale, ove si ritenne avesse principalmente l'ufficio di fornire il fosforo necessario alla sintesi della clorofilla da parte dei cloroplasti (Stoklasa). Hoppe Seyler credette che la clorofilla entrasse , essa stessa , nella categoria delle lecitine, e Marklewski, Bode e Kohl pure considerarono la clorofilla come una lecitina in cui i radicali degli acidi grassi fossero stati sostituiti da particolari acidi clorofillici. Oggi, però, dopo che si è visto, principalmente per i ma¬ gistrali lavori di Willstatter , che "segnano una tappa nello sviluppo delle cognizioni sulla clorofilla „ (Menozzi), non conte¬ nere i componenti verdi del pigmento dei cloroplasti nè fosforo, nè ferro, come erroneamente si riteneva, ma invece magnesio, come costituente essenziale, si considerano le due clorofille (a e b) come esteri complessi. Hanai considera la lecitina come una sostanza di riserva, che si accumula in particolari organi della pianta (principalmente le foglie ed i semi) per poi, essere ceduta alle gemme neofor¬ mate durante il periodo della crescita. Essa fu rinvenuta nelle piante, per la prima volta, dal Knop nel 1860; e studiata, di poi, molto profondamente dal Topler. L'ufficio importante che assolve nella pianta è dimostrato dall'abbondanza in cui la si rinviene negli organi più giovani e vitali (gemme e germogli). — 24 — Ne sono particolarmente ricchi i piselli, ceci, lupini, funghi etc. Nel regno animale, la lecitina è tanto diffusa , che , come già si è detto per i fosfolipidi in generale, si può ritenere nes¬ suna cellula ne sia priva. È stata dimostrata nel sangue da Hopfe Seyler, Hermann, Manasse, Abderhalden ; nel pus da Miescher, Kossel e Frei- tag, Diamare; nel cervello da Gobley, Thudicum, Koch ; nel miocardio, reni, capsule surrenali, fegato, pulmone, midollo spi¬ nale, da Dunkam, Kubow, Krehl, Nerking, Baskoff, MacLean. Glikin , Kolle , Otolski la rinvennero nel midollo delle ossa ; Thudicum, Long, Gephart, nella bile ; Donath nel liquido cefalo-rachidiano; Willis e Scholberg nel liquido ascitico; Koch, Vageler e Glikin, Dornic nel latte ; Krampelmeyer nel burro. Sull'azione fisiologica di questo importantissimo lipoide esiste una discreta letteratura. Danilewski dimostrò la sua azione stimolante sullo sviluppo somatico e sull'ematopoiesi, che spiegò con un’influenza diretta sui processi dell'assimilazione e moltiplicazione cellulare. Cronheim e Mueller misero in evidenza l'influenza eserci¬ tata sul ricambio materiale dei poppanti , nei quali determina miglioramento dell'assimilazione ed aumento della ritenzione dei sali di calcio e di magnesio ; e Massaciu dimostrò il potere che la sua somministrazione ha di determinare un notevole risparmio nel ricambio dell'azoto ed in quello del fosforo. Ricerche ana¬ loghe, con risultati identici, aveva precedentemente compiute Marfori. Moricheau-Beauchamp , in seguito , in ricerche condotte sopra sè stesso, confermò i risultati di Marfori e Massaciu. Recentemente , pure , si sono avute ricerche confermanti l’azione eutrofica esercitata dalla lecitina sull'organismo animale. Così, è stato visto, che la sua somministrazione ad animali da esperimento ne aumenta l'appetito, il peso , etc. (Desgrez e Zaky) ; Stepp ed Hopkins hanno dimostrato la necessità alimen¬ tare del lipoide per il mantenimento in vita di animali (topi) ; Mac Collum e Davis la sua influenza sull'accrescimento ; Russo sulla prolificità ; etc. Bloor, Okey e Corner hanno dimostrato che il contenuto in lipidi fosforati del corpo luteo è due tre volte più elevato — 25 — del normale nel periodo che precede Y estro e nel corso della gravidanza, per cui ritengono che i fosfolipidi del tessuto lutei- nico prendano una parte attiva alla controversa funzione del¬ l’organo. Una relazione intima sembra esistere tra lecitine e vitamine. Si ritiene , difatti , che il fattore A o fattore lipo-solubile intervenga nel metabolismo dei fosfolipidi ; o, rappresenti , ad¬ dirittura, un elemento costitutivo di alcuni di essi (Randoin e Simonnet). Anche il fattore B accompagna i fosfatidi, dai quali è molto facilmente legato (Cooper) ; mentre se ne mostrano privi i fo¬ sfatidi cerebrali sottoposti a prolungati processi di purificazione. II. — Stato della questione riguardante le presenti ricerche e piano delle medesime. Sulla digestione e l'assorbimento intestinale dei lipoidi fo¬ sforati, come già altra volta ebbi occasione di scrivere, ben poco si conosce e le scarse notizie, che, con molta fatica, si riesce a racimolare quà e là per le riviste di biochimica e di fisiologia sperimentale, sono non molto attendibili e concordanti tra loro. Le prime ricerche suirargomento, come è opinione anche di Aducco e di Clementi, sono quelle compiute nel 1877 dal Bokay, che concluse per una azione idrolitica dell' enzima lipo¬ litico del pancreas (steapsina) sulla lecitina, con demolizione in acido glicerofosforico, colina ed acidi grassi. A queste ricerche, che già al tempo della pubblicazione fu¬ rono criticate (Kutscher e Lohmann) , sopratutto perchè , date le condizioni di esperimento, potevano ingenerare il dubbio che l'idrolisi si fosse potuta attribuire a processi putrefattivi, piutto¬ sto che ad opera di enzimi, fecero seguito, nel 1884, quelle del Politis, il quale, determinando l'azoto ed il fosforo nelle urine di cani trattati con alimenti ad alto contenuto in lecitina (cer¬ vello, midollo spinale, etc.), potette osservare che l'assorbimento procede con ritmo più lento di quello delle sostanze proteiche, ed affermare che esso avviene senza previa modificazione idroli¬ tica, data la presenza di lecitina in notevole quantità nella bile e nel contenuto dei chiliferi. — 26 Alle medesime conclusioni pervennero, nel 1903, Stassano e Billon, che, in varie successive pubblicazioni, affermarono e ribadirono il concetto che la lecitina non viene affatto modificata dal succo pancreatico, anche dopo aggiunta di entero-chinasi ; e, che si rinviene immodificata nella linfa proveniente dai chiliferi. Le ricerche dello Slowtzow, comparse nel 1906, conferma¬ rono pienamente le conclusioni di Stassano e Billon. (Questo A. potette constatare una decomposizione solo nel caso di leci¬ tina di vecchia data, e, quindi, parzialmente ossidata). Del 1906 sono, però, anche le comunicazioni di Mayer, che, facendo agire steapsina Grubler su lecitina Agfa per 20-40 ore (!) in termostato alla temperatura di 37°C., rilevò un aumento del¬ l'acidità delle miscele, e ritenne di poter concludere per un' a- zione idrolitica della lipasi pancreatica sul fosfolipide. Ricerche analoghe con risultati simili furono condotte, nello stesso anno anche da Schoumoff-Simanowski e Sieber. Kutscher e Lohmann studiarono il comportamento di so¬ stanze ricche in lecitina di fronte al succo gastrico ; e trovarono che da cinque tuorli, che, secondo Parke, dovrebbero dare gr. 1.45 di cloridrato di colina , si ottenevano , dopo digestione in termostato, solo minime quantità della base azotata. In seguito, dello stesso argomento si occupò il Mayer , il quale vide che la lecitina non viene affatto idrolizzata dal succo gastrico del cane ; e che la leggerissima e trascurabile lisi dello stesso sarebbe dovuta alla sua acidità. Nel 1909 compaiono le importanti pubblicazioni di Kala- boukoff e Terroine, i quali, mentre da un canto dimostrarono che il succo pancreatico non esercita alcuna azione saponificante sulla lecitina, e che i piccoli valori di aumento dell'acidità delle miscele messe in termostato vanno attribuiti alla scissione di corpi grassi rimasti con ia lecitina nel processo di preparazione l * * 4) ; l) A questo proposito richiamo l’attenzione a quanto recentemente scriveva, su questa sostanza, il farmacologo Eiccholtz : " Die Schwierigkeiten die der Physiologie des Lecithins entgegenstehen, sind sicher zum grossten Teil darin begrundet, das man in keinem Fall eine chemisch restlos identifizierte Sub- stanz vor sich hat. Man schwankt zwischen unreinen Praparaten, die alle mo- glichen Ballaststoffe mit sich schleppen, und zwischen teilweise zersetzen Pra¬ paraten, bei denen die Lecitinwirkung in unubersehbarer Weise durch Spaltungs und Oxydationsprodukte kompliziert wird (Biochem, Zeitschr., CXLIV, 1924). — 27 — dall'altro fecero delle interessanti osservazioni sull'azione eserci¬ tata dai sali biliari sulle emulsioni acquose del lipoide. Essi videro, cioè, che se si aggiunge ad una emulsione di lecitina in acqua, che si presenta con aspetto lattescente, una so¬ luzione di sali biliari (taurocolato e glicocolato di sodio), si ottiene un liquido perfettamente limpido. Questo liquido, all'osservazione ultramicroscopica, si mostra otticamente vuoto, mentre le emul¬ sioni di lecitina, in campo oscuro, presentano dei punticini bril¬ lanti dotati di movimento browniano. Gli AA. concludono, molto giustamente , le loro ricerche, con l'affermazione " cette modification physique importante joue certainement un ròle dans l'absorption de la lécithine „. Dalle ricerche del Clementi (1910), ultime della breve serie, si dovrebbe dedurre che il lipoide in questione subisce nel ca¬ nale digerente, ad opera dell' enzima lipolitico del pancreas e dell'intestino, una notevole demolizione idrolitica ; mentre , poi, con l'esame dei protocolli di esperienza riportati dall'A. stesso, si giunge, a lume di logica, a conclusioni perfettamente oppo¬ ste ; a parte la considerazione, che vale anche per tutte le altre ricerche affermative riportate innanzi (Bokay , Mayer , Schou- moff— Simanowski e Sieber). che le esperienze furono prolungate, con una sostanza della quale è nota la estrema labilità fisico¬ chimica, per un periodo di tempo niente affatto fisiologico (24 ore e più), mentre si sa che il lavorio digestivo intestinale si compie normalmente in un tempo di gran lunga inferiore (tutt'al più le prove, si sarebbero dovute prolungare fino a 6-7 ore 2). Un'altra considerazione da tenere presente, nella critica delle ricerche riportate, è che non si è tenuto affatto conto della rea¬ zione attuale del mezzo ambiente, mentre è noto che il "nu¬ mero di idrogeno,, o pH del mezzo ha un' influenza capitale sulla velocità e sulla entità delle reazioni biologiche in generale ed enzimatiche in particolare. Si sa , per es. che un semplice aumento dell'acidità del mezzo basta ad operare il di¬ stacco degli acidi grassi dalla molecola lecitinica (Rollet). 2) Erlandsen, Heubner e Levene hanno, tra gli altri, dimostrato che la lecitina " ist ein ausserordentlich labiles Molekul vorliegt, das schon bei den harmlosesten chemischen Eingriffen teilweise zersetz wird„. (Eiccholtz, loc. cit.). — 28 - Le ricerche di Ehrmann e Kruspe (1913), eseguite nel campo clinico, depongono pure per la nessuna influenza del pancreas sui fosfolipidi. Difatti, gli AA., avendo visto che mentre nell'individuo nor¬ male il contenuto in lecitina delle feci si aggira intorno a gr. 0.11- 0.50 " prò die „ ; negli ammalati di pancreatite sale a gr. 2.76- 3.61, e negli itterici a 5,69, ne deducono che la lecitina normal¬ mente venga assorbita in massima parte allo stato di molecola intera ; senza, cioè, aver subito precedentemente alcuno sdop¬ piamento. Le stesse ricerche tendenti a dimostrare l'eventuale esistenza di una lecitinasi nell’organismo umano ed in quello dei mammiferi in generale depongono piuttosto negativamente. Così Schoumoff - Simanowski e Sieber videro che la siero- lipasi, l'enzima lipolitico del siero del sangue, non attacca le leci¬ tine, che, invece, vengono idrolizzate da lecitinasi vegetali ; e Tschernoruzki, in ricerche sull' azione lecitinolitica del rene, pulmone, fegato, cervello, su emulsioni di lecitina Agfa, ottenne, del pari, risultato negativo ; mentre Fiessinger afferma di aver trovato nei leucociti un enzima ad azione litica sul monoami- nomonofosfatide in questione ; e Loeb e Guttman riferiscono risultati positivi in ricerche, eseguite sull'ovaia, mettendo a di¬ gerire emulsioni di lecitina Agfa con polvere di ovaia di maiale. Dall’esame dei lavori esistenti sul tema presente si rileva, in definitiva, che il problema è ancora molto lungi dall' essere risolto, per la imperfezione delle tecniche seguite e per la nes¬ suna concordanza dei risultati ottenuti per cui appaiono pie¬ namente logiche e giustificate le presenti ricerche. Nella mia Nota del 1927, studiando le condizioni che influen¬ zano la diffusione del lipoide in esame attraverso membrane animali e vegetali, con un metodo fisico -analitico di rivelazione proposto da Diamare, che ha trovato, di poi, applicazione nei più svariati campi di indagine ad opera di numerosi e distinti ricer¬ catori (Tramontano - Guerritore, Bianchini, D'argenio, Caroli, Lazzarini, Baldi, Cristini, etc.) ho potuto dimostrare che 1 e mieline lipoidee (costituite principalmente da fosfolipidi - 20 - ed eteri oleici della colesterina) hanno nell'acido oleico un loro solvente (nel più stretto senso chimico - fisico della parola), e che i fosfatidi (i quali danno con acqua emulsioni lattescenti formate da cristalli liquidi) riconoscono n e 11’ a c i d o g ra s s o i n s a t u r o , t a n t o f a c i 1 m e n t e ed in tanta copia messo in libertà nella steatolisi digestiva dei grassi neutri, uno dei veicoli che ne provocano l'assorbimento da parte della membrana intestinale. Già precedentemente Diamare aveva richiamato l'attenzione all'influenza esercitata dall' acido oleico sulla diffusione delle mieline lipoidee attraverso membrane semi - permeabili artificiali (gelatina). A questo punto occorre tener presente che dalle esperienze del Friedenthal, confermate, in seguito, da numerosissimi altri AA. (in Italia spec. G. Rossi), è risultato che l'acido oleico può essere, in notevole misura, assorbito dall'intestino anche in assenza di solventi fisiologici dei grassi (bile, etc.) e di basi saponifi. canti ; - donde la illazione logica che anche le soluzioni oleiche lipoidee si comportino allo stesso modo x). Ulteriormente, proseguendo le ricerche, ho cercato di in¬ dagare se ed in che misura il succo pancreatico ed enterico, e, rispettivamente, i relativi fermenti, ottenuti con la tecnica di Willstatter , avessero , eventualmente, modificato nel canale digerente il fosfolipide in esame (lecitina dall'uovo Merck) ; e, se, nell'intestino, oltre l'acido oleico, si fosse potuto dimostrare qualche altro solvente del lipoide stesso. A questo scopo, ho riesaminati i problemi singoli della complessa questione, e cercato di stabilire con quali mezzi, ac¬ certati dall'esperimento, si determina nel canale digerente l’as¬ sorbimento del fosfolipide in questione. *) La spiegazione del passaggio dell'acido oleico, come tale, attraverso la membrana assorbente intestinale, può essere data dalle stesse mie ricerche, le quali, in definitiva, assegnano l’acido grasso insaturo, che tanta importanza ha nel metabolismo dei lipidi in generale, alla categoria dei "solventi dei grassi e li poi di,,, che, coni' è noto, hanno In proprietà di diffondere con grande facilità attraverso le membrane cellulari, e di modificarne, altresì, la permeabilità anche verso altre sostanze. — 30 — III. — Tecnica. La tecnica seguita nelle presenti ricerche ha compreso : A) — Esperienze di digestione artificiale con emulsione a titolo costante (5 °/0) del lipoide (lecitina dall' uovo Merck) in acqua, contro succo pancreatico od enterico A), e preparato di pancreas o di mucosa intestinale (cane) secondo la tecnica di Willstatter z), rispettivamente attivi ed inattivati mediante ebol¬ lizione ; dando al miscuglio un pH intorno a quello del duodeno durante la digestione (8.2 - 8.4) con soluzione di bicarbonato di sodio al 4.2 °/oo; aggiungendo, nel caso del preparato di pan- x) Per ottenere il succo pancreatico, si tentò, in un primo tempo, di ope¬ rare gli animali (cani) secondo la tecnica proposta dal fisiologo russo Pawlow. Però, nonostante la elegante perfezione della tecnica stessa, nella applicazione pratica si incontrarono tali difficoltà da consigliarne l'abbandono. Secondo 1' A. il procedimento operativo dovrebbe consistere nella fissa¬ zione, per sutura, alla pelle, del piccolo frammento di parete enterica in cui sbocca il dotto di Wirsung. Ebbene, nei cani operati come sopra, si ebbe costantemente la peritonite, nonostante le più scrupolose norme di asepsi seguite, per la comunicazione che, durante l’intervento e dopo (data la grande irrequietezza degli animali), si veniva a stabilire tra lume intestinale e cavità peritoneale. Dopo aver escogitate altre tecniche operative, fallite alla applicazione pra¬ tica , si giunse al procedimento originale di Diamare, che descrivo più in¬ nanzi ; il quale, se importa il sacrificio dell’ animale, è, tuttavia, fin’ oggi, il mezzo più pratico e rapido per ottenere sperimentalmente il secreto esterno del pancreas. Dopo aver iniettato all’ animale, secondo il peso, da gr. 0,05 a gr. 0,01 di cloridrato di pilocarpina ; aperto rapidamente l'addome, si escludeva, me¬ diante legatura del coledoco, il versamento della bile nell’intestino, e si pra¬ ticava una legatura a livello dello sfintere pilorico. Legata, ancora, 1' ansa duodenale, dopo averla ripetutamente lavata con soluzione fisiologica, 15-20 centimetri più in basso, si costituiva un "serbatoio,,, dal quale il succo, versato dai dotti pancreatici, veniva prelevato mediante aspirazione con siringa Pravatz. 2) Trattamento della ghiandola pancreatica, dopo pulita e tritata, col dop¬ pio del volume di acetone per due volte, indi acetone ed etere a parti eguali, ed, infine, con etere solo, sempre in quantità doppia della ghiandola. Ogni liquido deve agire per 3-4 ore, agitando frequentemente. Alla fine, si separa l'etere per filtrazione e si lascia seccare la ghiandola all' aria, dopo di che si tritura in mortaio e si ottiene una polvere secca e sgrassata, contenente gli enzimi, che, tenuta in vaso chiuso ed in essiccatore, si conserva attiva per molto tempo (Willstatter Zeitschr. fur physiol. Chemie, Voi. 125, 1922). - 31 - creas o di mucosa intestinale un attivatore dei proenzimi (cloruro di calcio 5 °/0); prolungando la digestione per un tempo legger¬ mente superiore al medio fisiologico (ore 6-8) 9 ; ed , infine, ovviando alle possibili influenze putrefattive batteriche con l'uso di antisettici (toluolo). In tutte le esperienze di digestione era sempre controllato precedentemente e parallelamente il potere steatolitico del succo, e, rispettivamente, del preparato di pancreas su olio di olive o di mandorle dolci, nelle medesime condizioni di tecnica. Il potere litico era, in tutti i casi, valutato, titolando la quan¬ tità di acidi messa in libertà, dopo permanenza di 6 - 8 ore in termostato alla temperatura di 38° C., con soluzione n/10 di idrato sodico. B) — Esperienze di digestione “ in vivo „, col sistema dell'ansa di Vella, - e successivo apprezzamento delle modifica¬ zioni eventualmente intervenute col metodo fisico - analitico di Diamare (per la descrizione, vedi mia Nota del 1927). C) — Esperienze di soluzione del lipoide in bile (cistica), e, rispettivamente, in soluzione di sali biliari (taurocolato e gli- cocolato di sodio purissimi Kahlbaum); - con apprezzamento ma¬ croscopico ed esami al microscopio polarizzatore. Gli esami a luce polarizzata eseguiti, come sopra, su preparati allestiti col metodo fisico - analitico di Diamare. Riporto i risultati delle numerose e concordanti esperienze eseguite pei vari gruppi A), B), C), D), E), per documentare la legittimità delle conclusioni che fin da questo momento ritengo di poter trarre in proposito. x) E noto che, mentre in condizioni fisiologiche i prodotti delle lisi dige¬ stive vengono, man mano che si formano, allontani dal tubo digerente, e le reazioni (trattandosi di equilibri, che seguono la legge delle masse di Guldberg e Waage) procedono spedite ; nell'eventuale digestione, i prodotti della lisi, non essendo allontanati, avrebbero resa la reazione più torpida. - 32 - Tabella l. IV. — Esperienze del gruppo A) - {Pancreas). 1)- Digestione "in vitro,, di emulsione lecitinica con pre¬ parato di pancreas sec. Willstatter *). Succo pancreatico (Potere steatolitico di gr. 0,20 su cc. 10 olio di olive cc. 70 Na OH n / 10). Emulsione acquosa di lecitina dall’ uovo Merck 5% Acidità in Na OH n/10. (indicatore : fenolftaleina) cc. 10 4-cc. 20 sol. bicarb. sodio 4.2 °/0 o T~ cc. 1 clor. 1) gr. 0.20 attivo Ca 5 o/0 cc. 6 : > 0.20 inattivo 2> » cc. 6.5 | 2) gr. 0.20 attivo > » cc. 7 » 0.20 inattivo » > cc. 6.5 3) gr. 0.20 attivo » » cc. 7 i » 0.20 inattivo » » cc. 7 4) gr. 0.20 attivo » > cc. 8 > 0.20 inattivo » » cc. 6.5 5) gr. 0.20 attivo » » cc. 6.5 > 0.20 inattivo » » cc. 6 Permanenza in termos ita to ore 7, a 38° C Risultato : nessuna azione litica. i ) Le esperienze, di cui alle Tabelle 1, 2, 3, 4, furono eseguite, dopo di essermi assicurato della nessuna azione dei fermenti pancreatici ed enterici, in assenza di « puffer » e di attivatori. - 33 - Tabella 2. 2) - Digestione "in vitro „ con succo pancreatico, ottenuto sec. Diamare. Succo pancreatico (Potere steatolitico di ce. 1 su cc. 10 olio di olive cc. 60 NaOH n/10). Emulsione di lecitina dall’ uovo Merck 5 °/0 Acidità in Na OH n/10. (indicatore : fenolftaleina) 1) cc. 1 attivo cc. 10 cc. 20 sol. bicarb. sodio 4.2 °/00 -f- cc. 1 clor. Ca 5 °/0 cc. 5 » 1 inattivo » » » 5 2) cc. 1 attivo » » cc. 6 » 1 inattivo » > » 5 3) cc. 1 attivo » » cc. 4 » 1 inattivo » » » 6 4) cc. 1 attivo » » cc. 5 » 1 inattivo » » » 5 5) cc. 1 attivo > » cc. 6 » 1 inattivo » » » 5.5 Permanenza in termostato oro 7, a 38° C. Risultato : nessuna azione litica. - 3 - 34 - Dalle esperienze precedenti, eseguite nelle migliori condizioni di tecnica finora osservate, risulta che i fermenti pancrea¬ tici non esercitano alcuna azione litica sulla le¬ citina alimentare, — poiché sono stati registrati gli stessi valori di acidità tanto nei preparati con pancreas e succo pan¬ creatico attivi quanto in quelli con pancreas e succo inattivati mediante ebollizione; — nè le piccole differenze riscontrate qua e là possono assumere valore di esponenti di digestione, poiché molto facilmente possono rientrare nei limiti degli errori speri¬ mentali , quando si raffrontino ai valori elevatissimi ottenuti nella digestione col trigliceride di controllo. Accertato il nessun potere digestivo " in vitro „ del pan¬ creas sulle lecitine, allo scopo di studiare “ in vivo „ l'andamento del processo, furono fatte delle esperienze col sistema dell'ansa di Vella, praticata sul tratto duodenale del tenue, in cani tenuti a digiuno. Nell'ansa si immetteva una emulsione acquosa di lecitina al 5°/0, che, dopo permanenza di 6-7 ore, veniva rilevata e studiata col metodo di riconoscimento di Diamare, per metterne in evi¬ denza, alla luce polarizzata, le eventuali modificazioni dello stato chimico - fisico. V. — Esperienze del gruppo B). Digestione “in vivo,, di emulsione lecitinica in ansa duodenale. Esp. n. 21. -Aperto rapidamente l'addome di un cane di media grandezza (Kg. 12), digiuno da 48 ore, si praticò una iniezione di gr. 0.01 di cloridrato di pilocarpina, e si mise allo scoperto l'ansa duodenale. Legatone, con catgut, in alto, l'estremo prossimo al piloro, lasciando, però, integri i rapporti coi dotti coledoco e pancreatico, si introdussero in essa, attraverso un occhiello praticato nella pa¬ rete enterica, cc. 10 di una emulsione 5 °/0 di lecitina dall'uovo Merck. Legato, ancora, restremo inferiore, immediatamente al diso¬ pra dell'occhiello, si suturò la parete addominale. Dopo 6 ore, riaperto l'addome, e tagliata l'ansa in corri¬ spondenza delle due legature, se ne raccolse il contenuto (limpido, con colore verde chiaro). Prosciugato a bagno - maria alla temperatura di 38° C ; — ripreso con alcool a 100°, filtrato, evaporato l'alcool in termostato a 37° C ; il residuo secco, in gomma — sciroppo Apathy, non diedeluogo asviluppodi s f e r o cr i s tal 1 i o forme f 1 u ido - cr is ta 1 li n e. Figure mieliniche (myelinformen di Lehmann) ottenute con la lecitina dall’uovo Merck. - Micr. polarizzatore Reichert. Ocul. 4, obb. 4. Microfot. con tubo e soffietto allungati. Se ne deduce che : la lecitina, nel canale inte¬ stinale (tratto digestivo), viene profondamente m o d i f i c a t a n e 1 s uo stato chimico-fisico, tanto da non essere più rilevabile sotto la caratteri¬ stica forma f 1 u i d o - c r i s t a 1 1 i n a. — 36 — Dimostrata, nelle esperienze di cui al gruppo A), la nessuna azione idrolitica del pancreas sul lipoide in questione, si impo¬ neva indagare se nella esperienza precedente la profonda azione modificatrice rilevata non si fosse dovuta ascrivere alla bile ver¬ satasi neirintestino durante la esperienza stessa. Perciò fu ripetuta la ricerca di cui al n. 21 del gruppo B), preparando, però, l'ansa duodenale in modo da escludere dal versamento il dotto cole¬ doco, lasciando immutati i rapporti col pancreas. Esp. n. 22. - Un cane di Kg. 19, digiuno da 48 ore, venne operato, a differenza della esp. 21, preparando l'ansa duodenale, previa legatura e recisione del dotto coledoco ; - mentre i rap porti col pancreas furono lasciati integri. Lavata ripetutamente con liquido di Ringer, allo scopo di asportare ogni traccia di bile ; si introdusse in essa il lipoide emulsionato in acqua (come nella esp. 21, gruppo B); dopo di che si suturò la parete addominale, e si praticò una iniezione di gr. 0.01 di cloridrato di pilocarpina, Dopo 6 ore, raccolto il contenuto dell' ansa (torbido e di aspetto semoloso : tale, cioè, da ricordare il fosfolipide introdotto, ad un grado di dispersione minore), e, trattato come nella espe¬ rienza precedente, all'esame a luce polarizzata , in gomma - sci¬ roppo Apathy, dopo permanenza di 12 ore in termostato a 38° C, tracce minime rivelarono, nei numerosi preparati allestiti, essere "in toto„ costituito da: sferocristalli liquidi e figure fluido - cristalline, senza la benché minima traccia di acidi grassi od altro prodotto di scomposizione. Ne scaturisce netta la deduzione che : il succo pancrea¬ tico non esercita "in vivo „ alcuna azione litica sul fosfolipide. L' esperienza di cui al n. 22 venne ripetuta 4-5 volte, con risultato costantemente identico. In continuazione degli studi precedenti, si procedette, an¬ cora, a saggiare 1' eventuale attività litica degli enzimi enterici sul fosfolipide in esame ; sperimentando tanto il preparato di mucosa enterica sec. la tecnica di Willstatter (applicazione ori¬ ginale del metodo di Willstatter per il pancreas alla mucosa — 37 — enterica), quanto il succo enterico, ottenuto con tecnica simile a quella seguita nelle precedenti ricerche sul pancreas. Tabella 3. VI. — Esperienze del gruppo CJ - (Enzimi enterici ). 1)- Digestione "in vitro,, di emulsione lecitinica con pre- parato di mucosa intestinale sec. Willstatter. Preparato enterico (Potere steatolitico di gr. 0.20 su ce. 10 olio di olive cc. 30 NaOH n/10). Emulsione di lecitina dall’uovo Merck 5% Acidità in NaOH n/10. (Indicatore: '! fenolftaleina) | 1) gr. 0.20 attivo cc. 10 -f cc. 20 sol. bicarb. sodio 4.2 °/00 + cc- 1 clor. Ca 5 °/0 cc. 6 » 0 20 inattivo » » cc. 5 2) gr. 0.20 attivo » » cc. 5 » 0.20 inattivo » » cc. 6 3) gr. 0.20 attivo » » cc. 5 2> 0.20 inattivo » » cc. 5 4; gr. 0.20 attivo » » cc. 6 » 0.20 inattivo » » cc. 5 . . 5) gr. 0.20 attivo •» » cc. 4 » 0.20 inattivo » » cc. 5 Permanenza in te Risultato : nessun rmostato ore 7, a 38° C. a azione litica , 38 — Tabella 4. 2) Digestione "in vitro,, con succo enterico, ottenuto sec. Diamare. Succo enterico (Potere steatolitico di cc. 1 su cc. 10 olio di olive ec. 20 NaOH n/10). Emulsione di lecitina dall’uovo Merck 5 °/0 Acidità in Na OH n/10. (indicatore: fenolftaleina) 1) cc. 1 attivo ce. 10 — )— cc. 20 sol. bicarb. souio 4.20/00 + cc. 1 clor. Ca.5°/0 cc. 7 » 1 inattivo » » cc. 5 2) cc. 1 attivo > » cc. 6 ■» 1 inatt:vo » » cc. 6 3) cc. 1 attivo » » cc. 6 » 1 inattivo » » cc. 7 4) cc. 1 attivo » » cc. 5 » 1 inattivo » > cc. 5 5) cc. 1 attivo » » cc. 5 » 1 inattivo » » cc. 5.5 I Permanenza in termostato ore 7, a 38° C. Risultato : nessuna azione litica. — 39 — Come risulta dalle esperienze riportate, anche gli en¬ zimi enterici non esercitano alcuna azione litica, o, comunque, modificatrice sul fosfo¬ lipide sperimentato. Anche in questo caso, come per i fermenti pancreatici, si procedette a saggiare il comportamento della emulsione lipoidea di fronte agli enzimi enterici “in vivo,,, col sistema dell; ansa di Vella, ottenuta con un tratto di intestino digiunale. VII. — Esperienze del gruppo D). Digestione “in vivo,, di emulsione lecitinica in ansa digiunale. Esp. n. 23. - Aperto l'addome di un cane di kg. 12, digiuno da 24 ore, si praticò un’iniezione di gr. 0,01 di cloridrato di pilocarpina. Isolato, mediante legatura a monte , un tratto di ansa del tenue (precisamente del digiuno) — dopo averlo lavato accura¬ tamente con liquido di Ringer — vi si introdussero, attraverso un occhiello, cc. 10 di lecitina 5 °/0, e si legò l'ansa a valle della prima legatura. Trascorse 6 ore, si raccolse il contenuto dell'ansa e si esa¬ minò, come nelle esperienze precedenti, con risultato perfet¬ tamente negativo, come per l'ansa duodenale. Se ne deduce che : gli enzimi enterici sono, anche “in vivo,, del tutto inattivi sul fosfolipide in esame. Come per l'ansa duodenale, la precedente esperienza, venne ripetuta parecchie volte, con risultato costantemente negativo. Dimostrata, con l'esperienza di cui al gruppo B) n. 21 “ in vivo,,, la profonda azione modificatrice della bile sull'emulsione lecitinica , allo scopo di indagarne il comportamento anche “ in vitro „, e, per vedere a quale dei componenti della stessa si dovesse attribuire tale azione, vennero fatte esperienze di sola- — 40 - zione con emulsione lipoidea + bile, e rispettivamente, + sali biliari (disciolti in acqua, nelle proporzioni in cui sono contenuti, sec. Hammarsten, nella bile cistica). Vili. — Esperienze del gruppo E) - (Sali biliari). Potere solvente deliabile, e, rispettivamente, dei sali biliari sulle emulsioni lecitiniche. Esp. n. 24. - A cc. 20 di emulsione di lecitina Merck 2.5 °/0 furono aggiunti cc. 25 di bile cistica, prelevata direttamente dalla cistifellea del cane precedente. Agitato il liquido , e, messo in termostato a 38° C , dopo appena 30 minuti *), si notò che aveva perduto l’aspetto lattescente, e si presentava, tinto in giallo, ma perfettamente limpido. Prelevatene alcune gocciole, ed esaminate a luce polarizzata, non solo non mostrarono affatto s f er o c rista 11 i liquidi e figure f 1 u i d o - c r i s ta 1 1 i n e ma si pre¬ sentarono perfettamente isotrope. Prosciugato il liquido a bagno maria a 38° C, ripreso con alcool a 100°, filtrato, evaporato Y alcool, non si riuscì ad otte¬ nere un residuo secco , ma un liquido oleoso, che, in gomma- sciroppo Apathy, non diede luogo a formazione di cristalli fluidi e si mostrò perfettamente isotropo. Se ne deduce che : la bile influenza profonda¬ mente lo stato chimico-fisico delle lecitine fino al punto da modificarne non solo la ca¬ ratteristica forma f 1 u i d o - c r i s t a 1 1 i na ma anche la proprietà fisica della anisotropia; il che, come già ebbi a notare per razione dell'acido oleico, è la prova fisico-chimica più completa della avvenuta soluzione. Esp. n. 25. - A cc. 10 di emulsione di lecitina 2,5 °/0 furono aggiunti cc. 20 di soluzione di taurocolato e glicocolato di 0 In seguito si vide che tale modificazione si può avere anche a freddo, ed in pochi minuti (specialmente con la soluzione di sali biliari). — 41 — sodio Kahlbaum, nelle proporzioni in cui si trovano nella bile cistica sec. Hammarsten (glicocolato gr. 4,9 + taurocolato gr. 1,9 in acqua cc. 90). Agitato il liquido, e, messo in termostato alla temperatura di 38°C, come già nella esperienza precedente, dopo 30 minuti, si presentò perfettamente limpido. Prelevatene delle gocciole, si mostrarono, a luce polarizzata, egualmente come nella esperienza precedente, non costituite da sferocristalli fluidi o corpi mieli nici, ed i s o t r o p e . Se ne deduce che: l'azione solvente sul fosfa- tide messa in evidenza per ìa bile con l'espe¬ rienza precedente, va ascritta ai sali biliari presenti nella stessa. In ricerche ulteriori, i cui risultati analitici furono comuni¬ cati a questa Società nella seduta del 27 luglio 1932, ho voluto sperimentare, ancora, se la bile avesse, eventualmente, influenzato (nel senso della attivazione) gli ipotetici enzimi ad azione litica sui fosfolipidi, la cui esistenza negavano le precedenti esperienze, pervenendo a risultati perfettamente negativi e, dimostrando, altresì, che in esperienze di digestione artificiale, come le presenti , bisogna tenere in considerazione anche le modificazioni a u t o - f e r m e n t a t i ve subite dagli stessi substrati digerenti (preparato di pancreas o di mucosa enterica sec. la tecnica di Willstatter ; e, rispet¬ tivamente, succo pancreatico ed enterico), donde la messa in libertà di sostanze di cui bisogna tener conto per una esatta valutazione ed inter' pretazione dei risultati ottenuti* — 42 — Riassumendo : 1) - La lecitina, nel canale intestinale (tratto d i g e s t i v o - a s s o r b e n t e ) , viene pro¬ fondamente modificata nel suo stato chi¬ mico-fisico, tanto da non essere più identi¬ ficabile sotto la forma fluido-cristallina. 2) - Gli enzimi pancreatici, però, non esercitano alcuna influenza litica sulla le¬ citina alimentare. 3) -Il succo pancreatico, pure, non eser¬ cita, tanto "in vitro,, che "in vivo,, alcuna azione idrolitica sul fosfolipide sperimen¬ tato. 4) - Lo stesso comportamento presen¬ tano pure gli enzimi enterici, sia sotto for¬ ma di preparato secco che di succo ente¬ rico, tanto "in vitro,, che "in vivo,,. 5) - La bile, e, per essa, i sali biliari, influenzano profondamente il fosfolipide in questione, fino al punto da modificarne non solo la caratteristica forma fluido¬ cristallina, ma anche la proprietà fisica della anisotropia, il che, come già fu no¬ tato per l'azione dell'acido oleico, è la più completa prova fisico - chimica della avvenuta soluzione. 6) - L'aggiunta di bile alle miscele di enzimi + emulsione lecitinica, non modifica affatto il comportamento dei primi verso il fosfolipide in esame. — 43 Conclusioni. Dalle ricerche eseguite nel presente lavoro si possono trarre le seguenti conclusioni : 1) - L'acido oleico è un solvente dei fosfolipidi, e, per lo meno in linea induttiva, ne è uno dei veicoli attraverso la mem¬ brana assorbente intestinale. 2) - Oli enzimi pancreatici ed enterici , tanto " in vitro „ che "in vivo,,, non esercitano alcuna azione litica sui fosfolipidi stessi, per cui, molto verosimilmente, 1’ assorbimento di questi importantissimi corpi chimici si compie allo stato di molecola intera *). 3) - 1 fosfolipidi riconoscono nella bile, e per essa, nei sali biliari, un altro solvente (nel più stretto senso chimico - fisico della parola), col quale, come con l'acido oleico, molto proba¬ bilmente sono veicolati, allo stato di molecola integra, attraverso la membrana assorbente intestinale. Sono in corso ricerche sul contenuto in fosforo lipoideo delle feci di cani alimentati con sostanze ad alto contenuto in fosfolipidi, portatori di legatura del coledoco, e, rispettivamente dei dotti pancreatici ; e ricerche istochimiche sull' assorbimento di fosfolipidi da parte delle cellule dell' epitelio intestinale, ri¬ spettivamente in presenza di acido oleico e non. Napoli - dall’Istituto di Istologia e Fisiologia generale della R. Università Maggio 1932. x) Questa ipotesi troverebbe una spiegazione ed un fondamento logico anche nel fatto che molte delle proprietà " biocinetiche,, attribuite alla lecitina ed ai fosfatidi in generale, sono una funzione della molecola integra; più propriamente, della sua particolare fisionomia stereochimica e non dei gruppi atomici costituenti. " Troppo piccole sono le quantità di lecitina capaci di produrre effetti notevoli, perchè si possa supporre, che, in codesti casi, la lecitina agisca sol¬ tanto per la sua massa, e, quindi, per mezzo dei singoli gruppi atomici di cui risulti formata „ (Aducco). — 44 Appendice. Quando il presente lavoro era già pronto per la stampa, sono venuto a conoscenza di ricerche, che, direttamente od indiretta¬ mente, convalidano e confermano, in maniera non indifferente, le precedenti mie conclusioni e la mia ipotesi di un assorbi¬ mento " totale „ dei fosfolipidi da parte della membrana intesti¬ nale, per opera dei sali biliari e dell'acido oleico. Eiccholtz, deiristituto Farmacologico di Friburgo, studiando l'assorbimento intestinale della lecitina, è pervenuto alla conclu¬ sione che la maggior parte della lecitina in¬ gerì tia si ritrova inalterata nel torrente cir¬ colatorio: “ Ein weitaus grosseren Teil des verfutterten Lecithins findet sich als ather - alkoholloslicke, phosphorhaltige Substanz im Biute wieder Egualmente Capri, della scuola di Giaccio, in base a ricerche isto-fisiologiche ed isto-chimiche, conclude per un assorbimento " totale „ delle lecitine da parte della membrana intestinale. Hershey e Soskin, trovano che cani spancreati sopravvivono lungamente se si somministrano loro, insieme ad insulina per via parenterale, zucchero di canna, carne magra di bue e dosi frequenti di lecitina dal giallo d’ovo, per via enterica. King, che ha praticato una ricerca sistematica dell’ enzima lecitinolitico nei vari tessuti animali, trova che questi contengono un fermento debolmente attivo ad un pH di 7. 5. L’attività relativa dei vari tessuti permetterebbe di classifi¬ care il pancreas al sesto posto (!), dopo rene, milza, fegato, testicolo, ecc. - ed immediatamente prima del cer¬ vello, che Page e Schmidt trovano completamente inattivo, dal punto di vista della capacità litica verso il fo¬ sfolipide in parola. L'A. avrebbe osservato, inoltre, che l'enzima stesso è stabile a 38° in mezzo neutro ; e rapidamente distrutto in mezzo debolmente acido od alcalino; donde si trae la logica deduzione, che, ammesso pure che esista, questo fermento troverebbe nell'ambiente duodenale condizioni tutt’altro che adatte per una permanenza efficace agli effetti della digestione dei lipoidi fosforati. — 45 — Riassunto. Nelle presenti ricerche sperimentali VA. ha studiato il problema della utilizzazione alimentare dei lipoidi fosforati da parte degli or ganismi superiori (Mammiferi), pervenendo alle seguenti conclusioni : I fosfolipidi non vengono affatto, o quasi, scissi nel tubo dige¬ rente in composti più semplici. Essi riconoscono dei solventi fisiologici nell’acido oleico e nei sali biliari (taurocolato e glicocolato di sodio), per cui, molto vero¬ similmente, il loro assorbimento si compie allo stato di molecola in¬ tera per opera dei suddetti agenti veicolatori. BIBLIOGRAFIA 1926-32. Abderhalden E. — Handbuch der biochemischen Arbeits- methoden . Abteilung IV, Teil 6, (2 Hàlfte). Berlin und Wien. 1908- Aducco A. — Come si comporta la lecitina introdotta per bocca. Rass. Clin. Terap. Se. aff. XVIII. 1912. Bain W. — Pharmacology and therapeutics oj lecithin and phytin. Lancet CLXXXII, 918. 1907. Bang I. — Biochemie der Zellipoide. Erg. Physiol. VI, 131. 1927. 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III. — Ricerche sui Salpidae del socio Marco Fedele (Tornata del 1 dicembre 1932) Sommario I. - Importanza dei Salpidae per la vita pelagica. II. - Plancton e contenuto intestinale. a) Osservazioni ed esperimenti. 1. Salpa democratica. 2. Cyclosalpa pinnata. 3. Salpa maxima. 4. Salpa confoederata f. bicaudata e Salpa fusiformis. b) Gli alimenti delle Salpe. III. - Meccanica della ingestione a) Cenno anatomico-funzionale. 1. Orifizio ingestivo. 2. Disposizioni sensoriali dell'orifizio ingestivo. 3. Gli organi del cavo faringeo. 4. Innervazione dei visceri per la ingestione. b) Il meccanismo ingestivo. IV. - Riassunto e conclusioni. V. - Bibliografia citata. I. — Importanza dei Salpidae per la vita pelagica. Alcuni fatti sono ancora contrastati e oscuri, altri non sono stati affrontati con osservazioni dirette e sistematiche e nel com¬ plesso non abbiamo una visione completa su quanto riguarda la nutrizione delle Salpe ; finanche il meccanismo della prensione delTalimento non trova nei pochi autori , che ne hanno fatto cenno, una descrizione concordante , sicché noi non sappiamo decidere con quali modalità precise questa funzione si compia. Studioso della biologia di questi animali e della vita pelagica in generale, mi son trovato ad affrontare sul vivo questa attività - 4 - — 50 — anche per le Salpe, come fu da me già fatto per i Dolioli (1921- 1924) ed ho creduto utile di delineare brevemente, ma chiaramente, la funzione ingestiva delle Salpe, assai confusamente nota, non per vano lusso di indagine, potendo sembrare agli ignari funzione di poco interesse questa in un gruppo di animali tanto fuori della comune conoscenza, e non solo per il dovere di esplicità e, quanto più possibile, di precisione che mi viene dalla trat¬ tazione dei Thaliacea per il " Bronn’s Tierreich „ che vado ela¬ borando, ma per la sostanziale enorme importanza che caratte¬ rizza il bisogno e la qualità del nutrimento e le modalità della ingestione delle Salpe nella economia naturale della vita pelagica. Difatti, di questa vita pelagica le Salpe sono elementi im¬ portantissimi, non solo perchè esse vanno noverate fra i più at¬ tivi consumatori di organismi minuti , specialmente protofiti e protozoi, che popolano i mari, ma per il numero grandissimo che possono raggiungere gli individui di questo prolificissimo gruppo di Thaliacea , fino a formare accumuli imponenti, che ci riempiono di giustificata maraviglia, come dinanzi ai fenomeni più singolari e grandiosi che sa apprestarci la Natura. Basterà che diamo uno sguardo alle descrizioni di alcuni di questi accumoli di Salpe notate nelle crociere, in pieno oceano o anche in prossimità delle coste, per rendercene un'idea. Io stesso ho potuto notare, nei non pochi anni di esperien¬ za che ho del mare della mia Napoli, a volte invasioni imponen¬ tissime di Salpe e, ricordo una volta, di Salpa maxima in tal numero da rendere difficile il lavoro dei pescatori di tratta, le cui reti si riempivano di grossi individui aggregati di questa specie e venivano ritirate piene del luccichio gelatinoso di queste Salpe aggrovigliate da per tutto, sui cavi, nelle maglie e in numero enorme nel sacco. In certi anni, come nel 1926, ho rB scontrato enorme abbondanza di Cyclosalpa pianata , in altri di S. confoederata , sempre di S. democratica , che frequentemente forma la preda principale delle nostre rete da plancton, calate anche a qualche diecina di metri dalla superficie, riempiendo a migliaia i vasi delle reti, anche dopo appena qualche minuto di trazione. Anche il Chun (1888) parla per Napoli di abbondanza di Salpa mucronata in superficie e profondità e di Salpa maxima - 51 - alla superficie, e da lui apprendiamo che, durante qualche mese estivo a Napoli, anche in quei tempi veniva osservato che, tal¬ volta, la massa fondamentale del contenuto delle reti dei pesca¬ tori era costituita da individui di S. maxima ; mentre dalla espe rienza del Lo Bianco (1909) sappiamo che anche la Cyclosalpa pianata invade in alcuni mesi il Golfo in numero veramente straordinario. Di invasioni in massa della S. maxima parlano Cori e lo Steuer (1901) per il golfo di Trieste dove , da metà agosto a metà novembre 1899, riscontrarono grandi schiere formate in grandissima parte di individui aggregati di questa specie. Ma più imponenti ancora si presentano i dati che possiamo raccogliere da crociere, per la possibilità che esse hanno avuto di misurare la estensione degli accumuli di Thaliacea attraversati dalle rispettive navi. Un banco di Salpe, attraversato dalla nave italiana Magenta nel 1885, tra l'Africa e le Isole del Capo Verde, non misurava meno di 15 miglia marine, nella direzione percorsa dal basti¬ mento 1). Nella crociera della "Challenger,, (Murray, 1885) nel tratto del viaggio posto fra le Bermude e le Isole Azzorre, verso la fine di giugno, venivano riscontrate parecchie specie di Salpe, e con lunghe catene di individui aggregati, come animali più comuni alla superficie. Di grandi quantità di Salpe atlantiche (special- mente S. fusiformis) invadenti il mare di Norvegia, nei mesi da luglio a settembre, ci parla lo Schmidt (1909). Di un altro spettacolosissimo accumulo di Salpa confoederata e Cyclosalpa pianata ci dà notizia I'Apstein (1906) come riscon¬ trato dalla " Plankton - Expedition dal 20 al 24 agosto, per un tratto di 500 miglia, quasi la distanza da Berlino a Genova, fra il canale e la Spagna ; e un altro più importante ancora di questo, riportato anche dal Vanhoffen, fu riscontrato, in data 15 novembre 1901, costituito da nubi così fitte di Salpe, che gli animali si urtavano l'un contro l'altro. Dall'albero della nave furono notati, in otto ore, quattro ad¬ densamenti paralleli, dei quali uno, più largo degli altri, misurante ]) Vedi Boll, della Società geograf. ital. 1870, p. 120. 52 — più di 100 metri di lunghezza con animali così addensati che l’acqua appariva colorata in giallo dal colore dei nuclei vi¬ scerali. Di una simile colorazione del mare parla anche F Apstein per l'accumulo notato nella crociera della " Tiefsee Expedition nella parte occidentale della corrente del Benguela, costituito da denso ammassamento di Salpa flagellifera i cui individui riem¬ pivano talmente le acque che, all'infuori di essi, non si vedevano altri organismi. E ancora più innanzi, per circa 200 miglia (375 Km. cioè, quale la distanza circa da Napoli a Firenze) si riscon trarono sempre Salpe, e talvolta in accumuli così spessi che la massa si scorgeva direttamente nell'acqua, pur senza che questa apparisse colorata. Gli sciami di S. flagellifera riscontrati dalla " Valdivia „ della " Tiefsee Expedition „ (Apstein, 1906) nell' ottobre 1898, furono riscontrati approssimativamente nella istessa regione del¬ l'Atlantico meridionale il 15 novembre di tre anni dopo dalla " Gauss,, della " Sudpolar-Expedition „. Segno evidente che que¬ sto fenomeno, indice della enorme fioritura in Salpe delFoceano, non era una pura accidentalità. E così pare incontestabile la comparsa regolare e numerosa di Salpldae presso le coste atlantiche della Gran Brettagna, come è incontestabile la presenza di numerosi sciami di questi animali in pieno oceano. Nella carta che Brandii unisce ai Relsberlcht der Plankton Expedition troviamo segnati diversi sciami planctonici, così verso le coste Scozzesi a nord delle Ebridi, come ai limiti fra corrente del Labrador e della Florida; sciami che, secondo Vankoffen (1896), dovrebbero riscontrarsi allo stesso tempo sempre nelle istesse località, così in quelle presso alle coste come in pieno oceano. Anche FHensen (1911) ci parla di sciami, notevoli per esten¬ sione e spessore, di Salpe riscontrabili come costanti per deter¬ minate epoche dell'anno : uno sciame si riscontra costantemente nel ramo settentrionale della Corrente del Golfo , nella Scozia occidentale, fin verso la Norvegia ; altro più notevole, nel quale furono pescate in media 3000 Salpe per mq. fu riscontrato nella parte occidentale della Corrente sud-equatoriale, analoga¬ mente ai notevolissimi casi riscontrati dalla “ Deutsche Sud- — 53 — polar-Expedition „ e della “ Valdivia „ nello Atlantico meridionale, avanti riportati. Apstein ha provato che grandi masse di Salpa fusifortnis sciamano normalmente in luglio - agosto nel ramo settentrionale della Corrente del Golfo, come venne riscontrato ancora dal viaggio dell' " Holsatia „ ; e nel ramo sud della Corrente la 11 Plank- ton-Expedition „ riscontrò, insieme con grandi sciami di Dolioli, grandi sciami di Salpe, rappresentati in modo predominante dalla Salpa democratica. Anche la recente crociera atlantica della " Michael Sars „ (Murray, 1912) riscontra undici specie di Salpidae , alcune delle quali largamente distribuite nell'Atlantico settentrionale, partico¬ larmente a Nord e a Sud delle Azzorre, in vicinanza delle quali, nel giugno 1910, la nave incontrò sciami di migliaia e migliaia di catene iridescenti, della lunghezza talvolta di sei a sette metri ; e in maggiore abbondanza la Salpa fusiformis , che è certo specie fortemente divoratrice di plancton. Molto notevoli ed esplicite sono le notizie che ci fornisce il Bigelow (1909) per questa potenza divoratrice delle Salpe, per gli accumoli da lui notati, e seguiti con attenta osservazione, nella Corrente del Golfo, durante la crociera del " Grampus „ del 1908. Gli sciami osservati nel luglio dal Bigelow erano costituiti da animali in tale abbondanza da superare anche precedenti ri¬ scontri, come quello dei densi sciami notati nella corrente Hum¬ boldt, nel Pacifico, dall' “Albatross „. Lungo il percorso del " Grampus „ da tutti i lati della nave, la superficie del mare era piena di lunghe catene e di individui isolati di Salpa , e per quanto Y occhio cercasse di penetrare verso il fondo, fino a circa 10 metri, queste erano cosi abbon¬ danti che, per diverse ore, l'occhio ne poteva abbracciare molte catene contemporaneamente. Le pescate di plancton, per quanto abbondanti per l'immenso numero di Salpe che si catturavano, si rivelavano dal punto di vista qualitativo, estremamente povere; e questa povertà, che an¬ dava sempre accentuandosi durante la crociera, convinse il Bor- gert che, con il progredire del tempo, le voracissime Salpe di¬ voravano la maggiore parte degli organismi minuti che costituì- - 54 scono generalmente la massa del plancton superficiale, poiché, data il considerevole volume di acqua filtrata dalle Salpe, e privata in tal modo, come vedremo, dagli organismi più piccoli, che passano nel tubo intestinale per l'alimentazione, solo pochi dei piccoli copepodi, pteropodi e protozoi potevano sfuggire alla cattura. In corrispondenza della povertà del plancton sottile, le acque si mostravano insolitamente trasparenti , in modo da lasciare scorgere distintamente la rete, di cinque piedi, fino a circa qua¬ ranta metri di profondità. Potenza di un fattore fisiologico, il consumo di alimento, che giunge fino a determinare il grado di un carattere fisico, così importante per l’ambiente marino, come la trasparenza ! Anche non volendo riportarci a questi spettacolosi casi di accumuli di Salpidei, che si potrebbero sospettare come ecce¬ zionali, ma che lo sono certamente meno di quanto lo facciamo apparire la sporadicità delle nostre indagini negli Oceani, tenuto conto anche delle segnalazioni di sciami nelle istesse appros¬ simative località a distanza di anni, come ho dianzi riportato, noi dobbiamo ritenere le Salpe essere elementi importantissimi della vita pelagica, poiché, alcune specie particolarmente, si pos¬ sono, anche con sporadici saggi , osservare nei diversi mari abbondanti durante tutte le stagioni delFanno L' osservazione fatta dal Bigelow per la Corrente del Golfo, su fortunate e vaste proporzioni, è un indice evidente della po¬ tenzialità consumatrice dei Salpidei a spese del plancton minuto ; ma che il consumo di plancton, specialmente fito- e nannoplan- cton, raggiunga, da parte delle Salpe, cifre enormi ce ne possiamo convincere anche allevando, per non molto tempo, esemplari vivaci di questi animali in acquario, raccogliendone ed esami¬ nandone le feci. In poche ore passano attraverso l'intestino delle Salpe quan¬ tità grandissime di ammassi, costituiti dai più vari organismi pelagici , riuniti a detriti e agglutinati da muco. Non tutto, di questo materiale ingerito, è digerito dalle Salpe, ma il transito attraverso il tubo digerente, ricco di attività chimica per quanto povero di meccanica, essendo il passaggio dei boli alimentari affidato esclusivamente alla notevole attività ciliare del tubo in- — 55 — testinale, è certo letale per la massa essenziale degli organismi ingeriti, anche se non vulnerati fino alla digestione dai succhi chimici. In ogni caso, i piccoli organismi agglutinati nelle feci, men¬ tre isolati godevano in pieno della capacità di sospensione de¬ rivante dalla piccola mole e dai noti adattamenti, così vari per le diverse specie, ammassati insieme entrano a far parte di corpi molto più gravi, per la minore resistenza relativa che incontrano nel mezzo, e perciò rapidamente cadenti verso il fondo, come è facile constatare con osservazioni su animali in allevamento in acquario. Dunque : le Salpe sono grandi distruttrici del plancton mi¬ nuto, tanto fito- quanto zooplancton e l’equilibrio numerico di molte specie pelagiche, non solo consumate , come Coccolito- foridee, Diatomee, Peridinee , Radiolari , Tintinnidi , Copepodi ecc., ma anche concorrenti , ne può essere profondamente di¬ sturbato. Il contenuto del canale intestinale delle Salpe rende evidente, come è concordemente affermato, che questi animali non eserci¬ tano cernita qualitativa nella loro ingestione, e raccolgano orga¬ nismi minuti di ogni specie che entrano nel raggio di aspirazione che esercita la loro cavità faringea e intestinale. Secondo Hjort (Murray ecc. 1912, p. 381) in acque calde la maggior parte del contenuto del loro stomaco consiste in Coccolithophoridae ed altre forme minute, ma non mancano rap¬ presentanti di tutto il plancton algoso e fra questi, raramente assenti, troviamo piccole Peridinee, come p. es. Gonyaulax po - ly grammo,. Ci è noto, del resto, come molte delle nostre conoscenze sulle Diatomee e sulle Peridinee, si basarono sullo studio del contenuto intestinale delle Salpe, con l'aiuto del quale lo Stein potette riunire il materiale che servì a base della sua importante e fondamentale monografia sulle Peridinee e il Castracane( 1873) contribuì alla conoscenza della florula delle Diatomee del Me¬ diterraneo. Durante la crociera atlantica della " Michael Sars „ Hjort esaminò invariabilmente il contenuto dello stomaco delle Salpe ed ottenne in tal modo abbondanza di piccole forme , specie — 56 — Coccolithophoridae ; via via che la nave si avvicinava alle coste dell'Europa, però, il contenuto intestinale prendeva altro carat¬ tere, poiché fra Glasgow e Bergen, 4 agosto 1910, la maggior parte delle forme riscontrate erano diatomee e per una gran parte consistevano nella forma Rhizosolenia alata . In linea ge¬ nerale I'Hjort vide che le Salpe non fanno cernita deH'alimento. Oltre al Castracane, già citato per il riscontro di Diatomee, anche il Lohmann e lo Steuer (1910) esaminando il contenuto intestinale determinano fra i piccolissimi planctonti, ingeriti dalle Salpe, gusci di Coccolithophoridae , Diatorneaeì Peridinea, Radio- lariat Tintinnidae e, in grosse Salpe , si possono riscontrare anche forme di minuti Copepodi. Lo Steuer nota, inoltre, che si possono trovare nell’intestino delle Salpe anche minuti detriti e finanche , come per alcune Salpe da lui raccolte nel golfo di Trieste, polvere di carbone, che mostrano come questi animali non siano in grado di eser¬ citare alcuna cernita, almeno qualitativa. II. — Plancton e contenuto intestinale. Ho esaminato anche io, per diversi anni, a più riprese, ma segnatamente durante l'anno 1922, per il golfo di Napoli, il con¬ tenuto intestinale di cinque specie di Salpidae : la Salpa demo¬ cratica Forsk., Cyclosalpa pianata (Forsk.), 5. maxima Forsk., S. confoederata f. bicaudata (Q. e G.) e S. fusiformis Cuv., accompagnando questo esame con uno studio delle caratteristiche più importanti del plancton pescato contemporaneamente agli individui esaminati, e nei mesi precedenti e seguenti , ed ese¬ guendo, infine, degli esperimenti in laboratorio. Scopo di questa parte delle indagini è stato, da un lato, lo stabilire un confronto sistematico delle specie più importanti introdotte come alimento nell'intestino delle Salpe e quelle che formavano parte essenziale della vita contemporanea nell' acqua ambiente, ed inoltre, portando le osservazioni fino alla pronun- ziazione di visibili caratteri differenziali nella costituzione quali¬ tativa del plancton ingeribile, verificare fino a qual punto le Salpe manifestano una possibilità di adattamento al variato mangime. — 57 — Delle cinque specie esaminate, una, la Salpa democratica , è stata da me seguita per l'intero periodo di osservazioni e alle¬ vata e tenuta in esperimento in acquario, nell'acqua originale in cui veniva pescata, fin dall’agosto 1922, periodo particolarmente favorevole al mio scopo per straordinaria abbondanza di minuto plancton nelle acque; le altre quattro, come comparsa abbondante, e scelte perciò da parte mia come soggetto per le osservazioni, si sono succedute nel tempo nel seguente ordine : Cyclosalpa pianata, settembre-ottobre 1922 ; Salpa maxima , novembre prima metà dicembre ; S. coafoederata f. bicaudata , S. fusiformis se¬ conda metà di dicembre dello stesso anno. Quest'ordine di successione, che ha dato opportunità ad un rispettivo ordine di osservazioni per le diverse specie , non ha nessun significato nei riguardi della comparsa e permanenza delle diverse specie esaminate nel Golfo, poiché esse possono incon¬ trarsi nelle sue acque superficiali anche in tempi molto diversi dell'anno, e non solo in autunno ed inverno, ma anche nei mesi estivi, nei quali spesso si può pescare non solo la S. democra¬ tica, ma anche la S. maxima e la S. coafoederata , come la S. fusiformis, talvolta in grande abbondanza. La data, quindi, della successione è segnata per i riferimenti al plancton pescato nei diversi tempi con le varie specie di Salpa esaminate. a) Osservazioni ed esperimenti. 1. Salpa democratica. Le condizioni nelle quali vengono a trovarsi gli animali pe¬ lagici al momento della cattura per mezzo di reti filtranti, che ammassano molto anormalmente i planctonti, possono creare rap¬ porti molto anormali per la nutrizione, di modo che alcune specie vengono ad ingerirne altre che, normalmente, possono anche non formare parte del loro comune alimento (v. Lebour 1922-1923). Ho cercato di evitare questa causa di errori per la S. demo¬ cratica, che viene comunemente catturata con le reti da plancton, procurandomi, quando era possibile , solo individui presi con bicchieri direttamente dal mare e conservati per le osservazioni nell'acqua raccolta con gli stessi animali. Con individui raccolti — 58 — in tal modo si può dire che ci troviamo in presenza delle con¬ dizioni naturali, sia nei riguardi qualitativi e quantitativi del pian cton che degli animali da esaminare, e la indagine, in tali con¬ dizioni, può riuscire non solo più istruttiva, ma ci permette più legittime conclusioni dallo esperimento alla normalità. In saggi raccolti in tal modo, durante l'agosto 1922, e poi nei mesi successivi, per individui di Salpa democratica, ho con¬ dotto un esame parallelo del plancton (non concentrato per il modo di cattura) e del contenuto intestinale delle Salpe. Nell'agosto si era in un periodo di grande fioritura di fitoplan- cton, con enorme abbondanza di piccoli grumetti mucosi con Chaetoceros socialis Laud. che intorbidavano l'acqua in modo che questa, pure raccolta semplicemente alla superficie, in zoo¬ correnti senza filtrazione, con un bicchiere, appariva torbida per il fitto plancton. L'esame microscopico di quest'acqua centrifugata mostrava, oltre la estrema ricchezza di Chaetoceros socialis ed altre specie, fra cui notevole Chaetoceros Schuettii Cleve, altre meno comuni Bacillariales, fra le quali Hemiaulus Mauckii Grun. In abbondanza enorme le Peridinee con Goniaulax poly. gramma Stein, che, insieme con Chaetoceros socialis, era forma predominante ; abbondanti individui di Ceratium, comune C. inflexum (Gourr.) Kof. Ho potuto inoltre raccogliere dalla istessa acqua diversi Copepodi, larve di Crostacei, specialmente misidiformi e per i Protozoi Acanthometra e, in grande abbondanza, un tintinnide Cyttarocyclis ehrenbergii (Clap. e Lachm). Molte forme nannoplanctoniche, specialmente Rhabdosfaera, Coccolithophora leptopora (Murr. e Bl.) Lohm. e Syracosphaera palerà Lohm. L'esame del plancton, raccolto con retino contemporaneamente nella istessa località, dimostrava grande ricchezza quantitativa e qualitativa e fra le specie più notevoli e meglio significanti del suo complesso : per lo zooplancton i Protozoa, rappresentati in predominanza da Tintinnidae , fra i quali comunissimo Cyttaro¬ cyclis ehrenbergii (Clap. et Lachm.) e Acanthometridae , spe¬ cialmente Acanthometra pellucida Muller ; fra i Metazoi, comuni — 59 — le Meduse idroidi di varie dimensioni e piccole Pleurobratichea; comuni ancora le larve di Echinodermi (Pluteus), piuttosto rare piccole Sagitta, frequenti le larve di Anellidi (Spionidi) ; parecchie larve di Bivalvi ; Copepodi in abbondanza , stadi misidiformi molto comuni e piuttosto frequenti le Zoea di Brachiuri e larve Cyclops , nonché alcuni individui di Setella gracilis e diversi Evadne spinifera ; infine comuni le Appendicularie. La fisonomia del fitoplancton era data, oltre che dalle forme nannoplanctoniche già notate e osservate per sedimentazione e centrifugazione dell’acqua decantata, principalmente dalla enorme quantità di Chaetoceros socialis e di Qonyaulax polygramma , da molte altre piccole Peridinee , da Ceratiam , C. inflexum ; Memiaulux fiauckii e altre Bacillariales non determinate. L'esame del contenuto intestinale delle S. democratica rac¬ colte con l'acqua, di cui si è dato il risultato dell'esame da cen¬ trifugazione, ha dato per risultato la constatazione di una inge¬ stione quasi esclusiva di forme nannoplanctoniche, di Flagellate, Bacillariacee, con esclusione quasi assoluta del plancton animale, se ne eccettuiamo piccoli Acanthometridae. Le forme fitoplanctoniche predominanti nelle acque furono tutte riscontrate in grande abbondanza in tutti gli individui di Salpa esaminati, il cui contenuto intestinale risultava costituito da Rhabdosfaera, Coccolithophora , grandissimo numero di Go- nyaulax polygramma , moltissime Chaetoceros ed altre Diatomee e qualche Radiolario. 11 rimanente vario ed abbondante zooplancton, fra cui anche i Tintinnidi così abbondanti, era escluso dalla dieta delle pic¬ cole Salpe. Si potrebbe pensare da questo ad una cernita qualitativa esercitata dalle Salpe, ma il risultato di alcuni esperimenti di alimentazione da me eseguiti sulla stessa S. democratica in ac¬ quario ci convingono che questi animali non scelgono in realtà il materiale ingerito per la loro qualità, ma solo la loro organiz¬ zazione non permette che la ingestione di organismi e detriti di mole non oltrepassante certi limiti, in rapporto con la confor¬ mazione del cavo faringeo e dell’apertura esofagea, e di organismi che non siano in grado di opporre alla forza delle correnti in- — 60 — gestive aspiranti generate dalla Salpa e alla resistenza aggluti¬ nante del suo muco, validi movimenti per sfuggire alla cattura o liberarsene. Ho tenuto alcuni individui di Salpa democratica in piccoli acquari con acqua presa direttamente con essi dal mare e in acqua filtrata ; l'acqua era tenuta in leggiera agitazione per mezzo di dischi di vetro del tipo Fabre-Domergue azionati, con lenta rotazione, da un motorino ed areata con areatori a caduta di acqua, e gli acquari posti in una circolazione esterna di acqua dolce, che manteneva la temperatura di essi in limiti sopportabili per gli animali. Negli acquari con acqua ottenuta dal mare contemporanea¬ mente con gli animali e filtrata per privarla di ogni organismo ho tenuto le Salpe per un giorno per far vuotare l'intestino del cibo già ingerito e, raccoltele poi in recipienti più piccoli , ho propinato ad esse, distribuendolo nell'acqua, sia plancton misto già esaminato, sia culture pure di diatomee (Nit se biella closte - rium) sia polvere di carminio o inchiostro di Cina. Per il plan¬ cton misto l'esame successivo del contenuto intestinale mi ha mostrato sempre la cernita fatta in base alla mole e allo scarso o nullo dinamismo degli individui ingeriti , per le culture pure di diatomee o per le particole di carminio o di inchiostro di Cina ho trovato sempre una passiva ingestione di esse , trovan¬ done rimpinzato, dopo non molto, l'intestino degli animali. Ed è notevole, che anche con l'inchiostro e con il carminio, la produzione abbondante di muco da parte dell' animale e le formazioni di trabecole e membrane mucose , che in appresso esaminerò e che sono la espressione di una intensificata attività ingestiva da parte della Salpa, si mostravano attivissime , come nei momenti in cui pare che il senso d' appetito degli animali venga in qualche modo intensificato , cosa che in questo caso non sapremmo attribuire a stimolazioni di natura chimica giun¬ genti dalle particelle ambienti all'animale, ma piuttosto al sop¬ portato digiuno e all'azione meccanica di queste minute particelle, fittissime per le condizioni dell'esperimento. Forse la Salpa, che ha sviluppatissimi gli organi ricettori meccanici specialmente sui margini labiali, ma anche all'esterno del corpo e nella cavità faringea, riceve da questi urti minutis- — 61 — simi stimolazioni adatte a destare , in via riflessa , un' attivata secrezione mucosa dell’endostile, la cui attività , come vedremo, e come fu osservata anche dal Fol (1876) è intermittente, e non è da escludere che sia governata da appropriati riflessi. Da quanto è esposto e dall’ esame che ho fatto di questa specie anche per i mesi successivi, con identici risultati, risulta evidente che la S. democratica non esercita cernita qualitativa nella sua ingestione, ma prende tutto quello che può e che le permettono la mole delle sue aperture di ingestione e la resi¬ stenza degli organismi all'aspirazione delle sue correnti ingestive. Le altre quattro specie da me esaminate (Cyclosalpa pianata , Salpa maxima , S. confoederata f. bicaudata, S. fusiformis) sono di maggiori dimensioni e possono, da questo Iato , avere mag¬ giori possibilità ingestive. Dò appresso un cenno delle forme più comuni riscontrate in condizioni da poter essere determinate nell' intestino delle varie specie e comparativamente un esame sommario del plancton contemporaneo. 2. Cyclosalpa pianata , Settembre-Ottobre 1922. Contenuto intestinale: Le Coccolithophoridae hanno formato, per l'intero periodo, parte considerevolissima del contenuto intestinale, nel quale si riscontravano , oltre a forme ancora bene conservate, quantità innumerevole di individui di¬ sfatti dal chimismo intestinale e coccoliti e tremoliti disseminati. Sempre rappresentati come dominanti i generi Discosphaera con Discosphaera tubifer Murr. e Bl., Rhabdosphaera , Syracosphaera e Coccolithophora e in questo notevolmente Coccolithophora leptpora (Murr. e Bl.) Lohm. Dinoflagellata: Le Peridiniaceae formavano, in tutto il bimestre, insieme con le Coccolithophoridae , la parte essenziale del nutrimento. Molte specie di Dinoflagellata si lasciavano distinguere nel contenuto intestinale, che non è importante per noi determinare : i generi e qualcuna delle specie più notevoli per abbondanza di individui ingeriti sono le seguenti Dinophy - sis con più specie fra cui importante Dinophysis Schùtt. ed Histioneis con molti individui ; Oymnodinium piuttosto abbon¬ dante ; Ceratium , molto comune ; Ceratium pulchellum Scroed, ; — 62 — Peridinium con le due specie Peridinium ovatum Schùtt. e P. divergens Ehr, ; ed , infine , piuttosto frequenti i generi Podo- lampas e Gonyaulax. Per le Bacillariales, oltre al comunissimo, per ab¬ bondanza, genere Chaetoceros , anche Triceratiurn e Coscinodi - scus. Abbondanti microspore. Il plancton superficiale, raccolto fino alla pro¬ fondità di cento metri nella località di provenienza della Salpa pinnataf ed esaminato non allo scopo di un ricco elenco di specie, ma per ricavarne le caratteristiche generali della sua co¬ stituzione, rilevando la presenza delle specie e dei gruppi più riccamente in esso rappresentati, offriva la seguente fisionomia: Zooplancton, Settembre 1922. Fra le forme di Protozoa , abbondanti gli Acanthometridae e notevolmente Acanthometra pellucida J. Muller ; ed Atnphi- lonche elongata J. Muller ; presenti pure , ma non in grande abbondanza, alcune forme di Foraminiphera ; comuni invece i Tintinnidi, che si presentano più spiccatamente in questo periodo con la specie Tintinnopsis b eroidea St. Fra i Metazoi costituenti il microplancton, sono rappresen¬ tati notevolmente sia i Celenterati , come gli Echinodermi , Sa- gitte, Anellidi, Rotiferi, Molluschi pteropodi, come Gasteropodi e Lamellibranchi, riccamente i Crostacei e per i Tunicati, oltre minute forme giovanili di Salpa democratica , con abbondanza le Appendicularie e propriamente : Dei Coelenterata meduse idroidi, che diventano molto comuni, specialmente verso la fine del mese, in particolare no¬ tevoli le piccole meduse di Obelia\ per i Siphonophora prin¬ cipalmente Monophyes irregularis Claus e Diphyes appendicu- lata Esch., oltre Eudoxie ed altri pezzi abbondanti di specie macroplanctoniche, che non è stato facile identificare. Gli Echinodermata rappresentati da ricco numero di forme larvali , specialmente Pluteus e , meno abbondanti , Bra¬ di iolaria e Spatangopluteus. Comunissime le Sagitta con piccoli giovani individui, spe¬ cialmente di Sagitta bipunctata St. ; molte larve di Chaetopoda , rara Mitrariaf qualche Rotifero. - 63 - M o 1 ! u s c a : abbondanti i Pteropoda con Creseis ; qualche individuo giovanile di Atlanta Peronii Les. ; molto comuni larve (anche Glochidium) di Lameilibranchi ; un po' meno, ma sempre notevoli, le forme larvali di Gasteropodi. Fra i Gru stacca: Copepoda , con forme molto varie, comuni ; abbondantissimo Diaptomus e Calanus ; comuni le forme larvali Nauplius e Zoea. Molto notevole, inoltre, il numero di Evadne spinifera P. E. Mùller e Podon ; notevolissimo quello di Penilia Schmackert, che va diventando sempre più abbondante verso la fine del mese. I Tunicata con Salpa democratica Forsk. e numerose Appendicularia : Oikopleura abbondantissime. Anche il macroplancton presenta in questo mese una spiccata varietà ed abbondanza e, fra le specie concorrenti per la C. pianata, che compare verso il 20 del mese, noteremo : Rhizostoma palmo L. , Cotylorhiza tuberculata Ag. comune, Charybdaea marsupiali Per. Les. , piuttosto frequente , Tima Jlavilabris Esch. , Beroè ovata D. Ch. , Beroè Forskalii Chun., Eucharis multicornis Esch., Pterotrachea mutica Les. , Cliono- psis Krohnii Tr., Phyllirhoè bucephala Per. Les., Salpa demo- cratica Forsk., che era già abbondantissima in agosto. Zooplancton, Ottobre 1922. Sempre abbondanti e vari i P r o t o z o a con predominio assoluto degli Acanthometridae, che diventano forme predomi¬ nanti del plancton , verso il 21 del mese , con Acanthometra pellucida J. Mùller, A. tetracopa J. Muller, Amphilonche don - gaia J. Mùller , oltre ad altre forme numerose di Radiolaria, fra le quali notevoli : Aulacantha scolymantha Haeck., comune, ed Eucyrtidium, Sphaerozoum e Collozoum. Comuni i Tintinnidi e più rare di molto le colonie di Zoothamnium. C o e 1 e n t e r a t a sempre con abbondanza di meduse idroidi, fra le quali notevole Obelia ; presenti sempre i Siphonophora già notati ; Ctenophora con molte forme larvali e giovanili , fra le quali Cestus veneris Les. ed Eucharis multicornis Esch. Echinodermata come per il mese precedente e abba¬ stanza comuni le Auricularia. — 64 Sempre comune Sagitta e forme larvali e giovanili di A- nellida ; rari Sillidi, fra i quali un individuo gestante ; qualche Actinothroca e alcuni Nematodi liberi. M o 1 1 u s c a : comunissima sempre Creseis acicula Ranq., qualche Pterotrachea giovanile, alcune forme giovanili di Tiede- mantiia neapolitana v. Ben. e piccole Atlanta. Crustacea: sempre abbondanti i Copepoda con Dla- pttnas e Calanus e, notati ancora, Copilia ed Etnicalanas , Co rycaeus, che è forma predominante nei saggi del 10 ottobre, è riscontrata scarsa in quelli dell'll, ma è certo forma comune nel mese. Sempre abbondantissima e predominante Penilia Schmackeri ; molto comune ed abbondante Evadne spinifera P. E. Muller ; frequente Phronima sedentaria Forsk. nonché larve Zcèa e Nauplius . Tunicata: abbondanti Salpa democratica ed Appendi- c alarie ; Salpa fusiformis , riscontrata il giorno 11 molto comune. Fitoplancton, Settembre-Ottobre 1922. Il fitoplancton fu in parte da me osservato, con pe¬ scate fatte alla istessa profondità che per lo zooplancton , con retino di garza n. 20 e in parte, per le forme nannoplanctoniche, per sedimentazione dopo aggiunta di formolo neutro e centrifu¬ gazione successiva dell'acqua, raccolta nelle medesime località. La fisonomia di esso per i due mesi, settembre e ottobre, non si presenta rilevantemente varia, ne farò, quindi , una sola trattazione, indicando le differenze più appariscenti e trascurando, naturalmente, ogni nota su forme rare che non hanno importanza per la nostra indagine. Coccolithophoridae: grande abbondanza in entram- bo i mesi, con le forme predominanti : Syracosphaera, numero¬ sissima Syracosphaera pulcra Lohm. ; Pontosphaera haxleyi ; Coccolithophora molto abbondante , specialmente con Coccoli- thophora leptopora Murr. e Blachm. ; Rhabdosphaera ; Di- scosphaera tubifer Murr. e Blachm. abbondantissima ; Scypho- sphaera apsteinl Lohm. Frequenti forme che ritengo appartenenti al genere Trochischia, nonché abbondantissimi stadi giovanili non facilmente determinabili. - 65 Dinoflagellata: forme predominanti le Peridiniaceae fra le quali principalmente Peridinium divergens Ehr., che verso il 25 settembre si poteva pescare in numero enorme di indivi¬ dui ; comune anche Peridinium ovatum Schuett nei due mesi, assai comune, specialmente in settembre, Gymnodinium. Il genere Ceratium, molto comune e con varietà di forme nei due mesi, notevoli : Ceratium pulchellum Schroed. , abbon dante in settembre, C. extensum (Gourr.) Cleve, C.furca( Ehr.) Duj. , C. candelabrum (Ehr.) St. ; in settembre, C. fusus (Ehr.) Duj. Frequenti in settembre, ma in diminuzione sensibile in ot¬ tobre , Gonyaulax e Podolampas , presenti anche, ma sempre scarsi , Dinophysis , specialmente Dinophysis ovum Schuett e poveramente Mistioneis. In settembre, notata con una certa frequenza Pyrocystis noc- tiluca Murr., che in ottobre, specialmente dopo il 12, va diven¬ tando molto comune ; ed Halosphaera viridis Schmidt, in scarsi individui in ottobre. Bacillariales. — La florula delle Acontae , che è do¬ minata per ricchezza da quella delle Dinoflagellata nel settembre, va prendendo vantaggio su queste ultime nell' ottobre, e verso la seconda metà di questo mese diventa predominante, insieme con Ceratium , RhizosGlenia. Chaetoceros rimane abbondante nei due mesi, mentre Peridinium perde il suo predominio e va ri¬ ducendosi durante F ottobre. Il comportamento delle forme più notevoli del gruppo, in questo periodo, può notarsi nel modo seguente : oltre ad alcune forme non abbondanti di Pennatae , si presenta comune dal settembre il genere Thalassiotrix, con abbondanza di Thalassiotrix Frauenfeldii (Grun.) Cl. e Gr., che, verso la seconda metà di ottobre, diventa abbondantissima e pre¬ dominante nel fitoplancton. Molto comune ancora Rhizosolenia alata f. gracillima (Cleve) V* H.; abbondantissimo Chaetoceros dalla fine di settembre ai primi di ottobre, con varietà di specie, e che diventa predominante con le specie Chaetoceros sociale Laud. e C. peruvianum Brightw. ; ed, infine, non abbondanti, Cascino discus e Triceratium. - 5 - - 66 - 3. Salpa maxima, Novembre 1922. Contenuto intestinale. — Anche per la Salpa maxima le Coccosphaerales entrano in numero enorme nella ordi¬ naria alimentazione e se ne riscontrano, nell'intestino e nelle feci, individui e frammenti in massa considerevole. I generi ricchissi¬ mamente rappresentati nel contenuto intestinale sono : Coccolitho- phora con predominio di C. leptopora (Murr. e Bl.) Lohm. ; Syracosphaera spinosa Lohm. e S. pillerà Lohm. ; Discosphaera tabifer Murr. e Bl. abbondantissima, e con enorme quantità di tremoliti, nelle feci, in modo che non se ne guarda il più piccolo saggio senza incontrarne in gran numero ; ed insieme, ma meno abbondante, Scyphosphaera apsteini Lohm. Le forme comuni ed abbondanti del fitoplancton ingerito sono da annoverarsi non più nelle Dino flagellata , così varie e predominanti nella alimentazione di Cyclosalpa pianata per il bimestre precedente, ma fra le B a c i 1 1 a r i al e s e segnata- mente Thalassiothrix, molto numerose con Th. Frauenfeldii (Grun.) Cl. e Gr., Rhizosolenia alata f. gracillima (Cleve) V. H. e, più di tutto, Chaetoceros con numerose specie, fra le quali abbondantissima Chaetoceros sociale Laud. Anche il plancton animale contribuisce spiccatamente in questo periodo alla alimentazione di S. maxima e in esso, in primo luogo e abbondantissimi, i R a d i o 1 a r i a , fra i quali predominanti gli Acanthometridae , che si riscontrano in ammassi ed in condizioni poco adatte ad una esatta determinazione nelle feci ; alcuni generi e specie di Radiolaria con individui non abbondanti, ma ben conservati, come : Amphilonche , Lithoptera1 Coelacantha e Litho melissa toracites Haek. I Tintinnidae anche abbastanza comuni e rappresen¬ tati principalmente da Codonella. Fra i componenti dello zooplancton furono riscontrati, tal¬ volta, in abbondanza nell' intestino di S. maxima i Copepoda e particolarmente i Calanidae e il genere Corycaeus. Per il plancton contemporaneo, raccolto con le modalità già usate per i mesi precedenti, possiamo notare la se¬ guente costituzione generale, detratta da una diecina di pescate, tenendo conto naturalmente , come per lo innanzi, delle sole forme predominanti e caratteristiche. Zooplancton, Novembre 1922. Forme unicellulari predominanti i R a d i o 1 a r i a con Acan- thometridae ; molta varietà di forme in generale, fra le quali notevoli Acanthometra pellucida Kaeck., Atnphilonche elongata J. Muller., altre forme notevoli, ma poco abbondanti, Coelacantha ornata Borg. e Lithomelissa thoracites Haeck., riscontrate anche nel contenuto intestinale di S. maxima. Abbastanza comuni ancora i T i n t i n n i d a e , fra i quali Codonella , riscontrato anche nell’intestino delle Salpe contempo¬ ranee ; molto comuni le colonie di Zoothamnium e numerose le associazioni epibiontiche di Vorticella oceanica su Chaetoceros densus Cleve. Fra i Metazoi predominano le piccole meduse idroidi e i Sifonofori, che già si erano pronunziati dalla fine di settembre, diminuiscono le forme larvali di Echinodermi, permangono co¬ muni e numerose le larve di Anellidi e le Sagitta, scompaiono quasi i Molluschi e si attenuano notevolmente le forme di Cro¬ stacei ; i Tunicati permangono con le Appendicularie comuni, con Salpa democratica , e compaiono più frequenti i Dolioli. Ecco le caratteristiche principali di questo periodo , per quanto riguarda la presenza delle forme di Metazoi. Coelenterata: Meduse idroidi, abbondantissima Obelia\ piccoli Siphonophora e comunissima Spaeronedes truncata (Will) Schneider (Monophyes gracilis Cls.). Echinodermata: molto comuni i Plateus come nei mesi precedenti. Comuni le larve di A n e 1 1 i d a ; alcuni stadi giovanili di Magellona papilicornis e larve di Terebellidi. Comunissimi i piccoli individui di Sagitta. 1 Crustacea diminuiscono di importanza e sono meno abbondanti : più notevoli sempre i Copepoda e poi Evadne spi¬ nifera P. E. Muller e Penilia Schmackeri , che verso il 12 ap¬ pariva con individui in cattive condizioni. In ultimo, fra i Tunicata, comuni le Appendicularia , — 68 — sempre in special modo Oikopleurci , la Salpa democratica e; molto meno, Doliolum. La fisonomia del Fito plancton è andata variando, e si sono accentuati i caratteri che si son cominciati a pronunciare verso la metà di ottobre ; le Peridinee perdono il predominio, presen¬ tandosi solo con varietà nelle specie di Ceratiam , e dominano in grande abbondanza le Bacillar iacee. Il Nannoplancton non presenta niente di particolarmente diverso da quello osservato nei mesi precedenti. Bacillariales: Forme predominanti sono le Thalassio- thrix , che si pescano in abbondanza straordinaria, con predominio, come per il mese precedente, di Thalassiothrix Frauenfeldii (Grun.) Cl. e Gr. ; viene poi il genere Chaetoceros con svaria¬ tissime specie, fra le quali molto abbondanti Chaetoceros sociale Laud. ; molto comuni anche le simbiosi fra Chaetoceros densus Cleve e Vorticella oceanica. Numerose Rhizosolenia ; presente ma non abbondante Nitzschia; comune Asteroniella japonica Cleve. Di Peridiniaceae si incontrano come forme comuni, ma non abbondanti come le Bacillariales , variissime specie di Ceratiam , fra le quali predominano C. pulchellum e C. fusas. 3. Salpa confoederata f. hicaudata e Salpa ftisiformis. Dicembre 1922. Contenuto intestinale: Fu esaminato il contenuto intestinale e le feci di diversi individui catturati nella seconda metà di dicembre, e particolarmente verso la fine del mese. Furono esaminati anche individui di Salpa fusiformis , ma tralascio di elencarne i risultati perchè analoghi a quelli di S. confoederata. Per quanto riguarda le forme del Nannoplancton ri¬ scontriamo un comportamento analogo a quello delle altre specie studiate nei mesi precedenti, e cioè : Grandissima abbondanza di Coccolithophoridae e special- mente Coccolithophora leptopora (Murr. e Bl.) Lohm. , Disco - sphaera tabifer Murr. e Bl., Rhabdosphaera e, in quantità molto minore, Scyphosphaera apsteini Lohm. — 69 — Notato Trochischia e, ancora tra le Silicoflagellata , Die - tyocha fibula Ehr. Fra le Bacillariales predomina Chaetoceros) comunis - simo anche Biddulphia , meno Thalassiothrix , ancora meno Cal¬ cioso tenia. Non mancano forme di Pennatae. Notato anche Coc- coneis fimbriata (Brightw.) Gr. Le Dinoflagellata, con scarsissimi individui di Hi- stioneis e Phalacroma , sono rappresentate in modo lussureg¬ giante da Ceratium, che, insieme con Chaetoceros , predomina nel plancton. Forme più comuni di Ceratium si presentano : C. pulchellum Schr., C. arcuatum Gl., C. candelabrum (Ehr.) St., ed altre specie meno rappresentate, fra le quali raro Ceratium gravidum Gourr. Notato qualche Pyrocistis lunula Schùtt. Fra i Protozoa, ingeriti numerosi , infine , i Radiolaria con Acanthometridae , ben determinabile Amphilonche) ed inoltre frequente Lithocampe trapeziana ; Tintinnidi con diverse forme e molti individui, e segnatamente : Tintinnus inquilinus O. F. M., Tintinnopsis campanula Ehr., Codonella ortoceros Haech., Dyc- tyo cista templum FIaech. Corrispettivamente il Plancton esaminato per la zona di provenienza delle Salpe, per il mese di dicembre, presentava i seguenti caratteri : Zooplancton, Dicembre 1922. Fra i Protozoa forme comunissime e predominanti ap¬ paiono i Radiolaria, dei quali alcune specie si presentano in gran numero di individui adulti e giovanili ; abbondantissimi gli Acanthometridae , rappresentati principalmente dalle specie Acanthometra pellucida J. Mull. , Acanthostaurus purpurescens FIaeck. e Amphilonche elongata J. Mùll., Phyllostaurus cuspida¬ ta FIaeck. e Ph. siculus FIaeck. ; abbondante anche, fra le altre forme, Aulacantha scolymantha FIaeck. , specialmente verso la fine del mese, meno Lithocampe trepeziana riscontrato di fre¬ quente nello stomaco delle Salpe , Acanthodesmia vinculata ]. Muller, Lithomelissa e, infine, Maliomma. Abbastanza comuni i Fora min itera con Qlobigerina ; — 70 — molto comuni i Tintinnidae con le specie : Tintinnus inquilinus O. Fr. M., già presente comunemente dal novembre in simbiosi con Chaetoceros Dadayi Pavill., Tintinnus Fraknoii Dad., Tintinno psis campanula Ehr., Codonella orthoceras Haeck., Dyctyocista templum Haeck. Nei Metazoa , i Celenterata frequenti con larve di Attinie e c ..ne Spaeronectes truncata (Will) Schn. ; per gli Echinodermata Spatangopluteus ed Auricularia ; comuni le Sagitta ; per i Crustacea larve di Porcellana , larve mi- sidiformi abbondanti , moltissime larve Nauplius , ed , infine, abbastanza frequenti i Calatiidae e Setella gracilis Dana. Presenti i Thaliacea con Doliolum miilleri Krohn e sempre molto comune la Salpa democratica aggregata e solitaria ; e, fra le specie macroplanctoniche, oltre la S. confoederata , S. maxima e 5. fusiformts. Nel Fitoplancton sono sempre riccamente rappresen¬ tate le forme nan noplanctoniche con Coccolithophora , Discosphaera , Rabdosphaera , Scyphosphaera , ed , inoltre , Tro- chischia) frequente ma non abbondante ; e cioè un complesso, per generi e specie, poco diverso da quello notato per i mesi precedenti. Predominano nel fitoplancton Chaetoceros e Cerai inni, che presentano grande varietà di forme e ricchezza di individui: per le Bacillariales, oltre Chaetoceros , comune Asteroniella japonica Cleve, Thalassiothrix Frauenfeldii (Grun.) Cl. e Gr., divenute rare Rhizosolenia Così pure per le Peridiniaceae, mentre son divenute rare le altre forme, fiorisce Ceratium in abbondanza e varietà, principalmente con le specie : Ceratium pulchellum Schr. , C. arcuatum Cleve, C. cande labrum (Ehr. St.), C. molle Kof., C. pentagonum Gourr., C. furca subsp. eugrammum (Ehr) Joerg., C. reticulatum (Pouch.) Cl. , raramente Ceratium gravidurn Gourr. — 71 b) Gli alimenti delle Salpe. Quanto è stato esposto sul contenuto intestinale e sull'esame delle feci delle varie specie di Salpa esaminate, in comparazione dei quadri fenologici del plancton contemporaneo delineati , ci mostra chiaramente come la massa essenziale del cibo ingerito dalle Salpe non si forma secondo norme di elezione da parte di questi animali, ma si adegua alle maggiori disponibilità of¬ ferte dalla vita pelagica nel momento della ingestione. Abbiamo accompagnate le Salpe attraverso un periodo in cui si notano almeno tre punti critici per la fisonomia di parte del plancton : 1) il predominio delle Peridiniaceae in settembre; 2) il predominio delle Bacillariales in novembre ; 3) ii predo¬ minio misto, a fine dicembre, di due soli generi , appartenenti ad entrambi questi gruppi, Chaetoceros e Ceratium. L'esame del contenuto intestinale delle specie di Salpa esa¬ minate per ciascuno di questi tre periodi ci mostra una perfetta armonizzazione, nei riguardi dei quantitativi ingeriti, con queste preponderanze del fitoplancton esterno. E difatti la parte essen¬ ziale del contenuto intestinale delle Cyclosalpa pianata , esami¬ nate specialmente nel periodo settembrino, è costituito, oltre che da Coccolithophoridae , da Dino flagellata , specialmente Dino- physis, Peridinium, Gimnodinium e Ceratium , che sono i generi che dominano nel plancton di quel tempo ; negli individui di Salpa maxima , esaminati nel novembre , la massa ingerita è formata essenzialmente , per il fitoplancton , da Thalassiotrix , Rhizosolenia e Chaetoceros ; per la Salpa confo ederata) esami¬ nata nella seconda metà di dicembre , Chaetoceros e Ceratium primeggiano, insieme con le Coccolithophoridae , nella costituzione del contenuto intestinale. Un elemento , nonpertanto , come si vede, si mantiene co¬ stante nel suo contributo per la alimentazione in tutto il periodo studiato , ed è costituito dalle Coccolithophoridae , che hanno conservato una fisonomia poco diversa in tutto il tempo, e, cor¬ rispondentemente, il contenuto intestinale mostra una identità di ingestione a loro riguardo, e sia nei grossi individui di Salpa — 72 — maxima e S. confoederata e medi di S. pianata , come nei pic¬ coli individui di 5. democratica. Quest'ultima specie, seguita in tutto il periodo delle ricerche, e fin dall'agosto, conferma e chiarisce completamente con il suo comportamento, in natura e negli esperimenti di alimentazione eseguiti, questa adattabilità di alimentazione delle Salpe, poiché non solo in essa il contenuto intestinale si va armonizzando con le variazioni delle specie planctoniche, ma la ingestione intro¬ duce, senza cernita, anche particelle inorganiche somministrate e inutili agli effetti della alimentazione. In natura i detriti orga¬ nici entrano certamente in gran parte nella alimentazione delle Salpe e parte notevole prenderanno le forme batteriche ; di que¬ sti due elementi non si è eseguita una diagnosi particolare, per le difficoltà di decidere la genesi dei detriti e delle masse or¬ ganiche informi contenuti nello stomaco e nelle feci , ma essi sono riscontrabili in grande quantità nei sedimenti delle acque centrifugate, ed il comportamento di S. democratica ci fa sicuri che non esistono ragioni per escludere le ingestioni di queste parti, che possono portare un ben sensibile contributo alla ali¬ mentazione. Possiamo concludere, quindi, che, nei riguardi del fitoplancton, e dei minuti detriti, di tutte le particelle ingeribili più o meno passive sospese nelle acque, le Salpe non esercitano cernita e vi è perfetta concordanza quantitativa fra il contenuto in sospensione nelle acque e il contenuto intestinale. Ma questa naturale concordanza fra le forme riconoscibili nell'intestino e quelle liberamente viventi nel plancton , se noi guardiamo gli elenchi comparativi esposti nelle pagine precedenti, appare solamente parziale; perchè non tutte le specie del planc¬ ton esterno, per mole, forma e dinamismo ingeribili dalle Salpe, si riscontrano nel tubo intestinale di questi animali ; sono gene¬ ralmente nominate, ed anche le mie osservazioni vedono sola¬ mente, specie che posseggono involucri o parti scheletriche poco o niente digeribili da parte delle Salpe, mentre moltissime specie nude, anche di minute dimensioni e poco attive, non è dato riconoscere nel contenuto enterico e nelle feci. Questo fatto ci lascia alquanto perplessi, e non riusciamo a vedere, attenendoci alla sola sua constatazione, perchè rimareb- bero scartate molte forme adatte, per la piccola mole e la im- — 73 — possibilità di resistere alle correnti ingestive che genera la Salpa, ad essere ingerite e sfruttate come alimento, nello istesso modo e con migliore utilità che non le forme che constatiamo nello stomaco delle Salpe, mentre per queste ultime specie ingerite, per la diversità di esse e la concordanza quantitativa con le forme predominanti nel plancton, constatiamo costantemente che le Salpe non esercitano nessuna cernita qualitativa ; anzi, come aveva costatato lo Steuer per la polvere di carbone, e come constantemente ho potuto provare io con detriti in sospensione nel mare e da me posti appositamente negli acquari sperimentali (inchiostro di Cina, carminio) questi animali catturano, con le loro correnti inalanti e con il muco servente alla ingestione, ogni sorta di particelle poste nel raggio di azione delle correnti generate dairanimale e le ingeriscono, quando la mole non crea impedimento. Il gioco delle probabilità, per cui organismi o particelle in sospensione nelle acque possono venire in quantità più o meno maggiore ingeriti, è affidato, e questo è ovvio, dato il meccani¬ smo ingestivo delle Salpe, in primo luogo alla densità di popo¬ lazione delle diverse forme nell'acqua circostante all'animale, ma anche ad altri fattori in dipendenza dell'organizzazione ed atti¬ vità stessa della Salpa, che impongono certi limiti nelle possibi¬ lità ingestive ; e quindi non possiamo parlare di assenza com¬ pleta di una cernita ; la cernita c'è e si rivela particolarmente nella ingestione numericamente maggiore ed essenziale delle forme minutissime (abbiamo visto che Coccosphaerales , Silico- flagellata non mancano mai e la flora di transito intestinale mostra di esse resti che rispecchiano, per ricchezze di individui e varietà di forme, la ricchezza e varietà della flora esterna) come nella ingestione delle forme meno dotate di efficaci movi¬ menti locomotori. Ecco perchè il plancton vegetale di Silicoflagellate, Bacil- lariacee, Peridinee appare predominante incommensurabilmente nell'alimentazione delle Salpe ; forme che popolano riccamente le acque, resta a noi poi facile ritrovarle per coccoliti, tremoliti o per il loro rivestimento o scheletro indigeribili. Ma le condizioni accennate non escludono la ingestione di altre forme, delle quali non restono tracce nelle feci e che fa- — 74 — cilmente perdono i caratteri per la loro diagnosi, nell' attiva e rapida azione digerente dell'intestino delle Salpe. Difatti, se sono riscontrabili nell'intestino delle Salpe forme animali come i Tintinnidi e i Copepodi e larve di Crostacei, è lecito supporre che altre forme animali, specialmente larvali, largamente rappresentate dal settembre al dicembre nel nostro caso, come Acantometridi, piccole forme medusoidi, larve di Anellidi, di Echinodermi , devono essere state largamente in¬ geriti dalle Salpe, e che non è stato facile o possibile rintrac¬ ciarle nelle feci, perdendosi ogni traccia della loro organizzazione. Nel pelago vivono, ed abbiamo osservato nei nostri esami di plancton, molte forme animali che possono divenire pasto delle Salpe e molte forme vegetali o animali nude o senza for¬ mazione scheletriche, non calcolando l'immensa quantità di forme bacteriche che abbondano nel mare e possono, e sono certamente, a questo scopo sfruttate. Quindi se non possiamo concludere per i Radiolari e Tintin¬ nidi, che si riscontrano nel loro intestino, che le Salpe siano vegetariane, non possiamo nemmeno dire con certezza siano predominantemente vegetariane ; poiché delle forme animali in¬ geritali, che possono lasciare facilmente traccia, noi ne ritroviamo nelle feci e nel contenuto intestinale gli involucri o gli scheletri: come per i Radiolari, i Tintinnidi e perfino i Copepodi, che hanno ben altro valore nutritivo, presi singolarmente, delle forme minute del fitoplancton. Le Salpe si nutriscono a spese di piccole forme vegetali come animali ed ingeriscono anche ogni sorta di detriti : organico ed inorganico ; esse sono spiccatamente onnivore. La cernita qualitativa in tutta questa ricchezza di alimenti non c'è, ma esiste bene una cernita dinamica; poiché le forme attive, che possono facilmente reagire all'aspirazione delle correnti del cavo faringeo e intestinale, o all'agglutinazione del muco, come vedremo, non passano nello stomaco dei Salpidei. Ecco perchè noi vediamo che la base dell'alimentazione è a spese di forme piccole e a locomozione assente o debole, a par¬ tire dalle Bacteriaceae , dalle Bacillariaceae , e dalle Flagellata , come Coccolithophoridae e Peridinaceae e giungere ai Radio- laria , — 75 — E se alcune forme di Oliati, come i Tintinnidi, ad energico movimento ciliare, non sfuggono alla cattura, particolarmente delle grosse specie, questo avviene e per la piccola mole loro e per la facilità con la quale, stimolati, arrestano il loro movi¬ mento, rannicchiandosi e diventando passivi. Io non credo poi che i Copepodi e altre forme di Crostacei adulti o larvali attive, sia pure minuti, entrino nella dieta nor¬ male delle Salpe, quando sono completamente attivi, ma diven¬ tano preda di esse morti o paralizzati da cattive condizioni di vita. Solo i grossi individui come quelli di Salpa maxima o di altre specie hanno possibilità di vincere largamente il dinamismo di queste attive prede, e difatti io ho riscontrato forte abbon¬ danza di Coriceus e di Calanidi solo in grossi individui di 5. maxima esaminati nel novembre, e nemmeno per questi è da escludere che, data la enorme popolazione di questi crostacetti, che brulicava in quel mese nelle acque, non siano stati anche quelli ingeriti individui in declino o morti addirittura. Più facile preda debbono essere Cibati, piccoli Celenterati pelagici, le forme larvali di Anellidi, Molluschi, Echinodermi ; ma di essi, per le ragioni esposte è difficile trovar traccia, ed anche dei Radiolari, così facile pascolo, specialmente in periodi di larga abbondanza di essi, noi in fondo riusciamo a diagnosti- care più facilmente forme rare, e che non formano mai plan¬ cton monotono, come Lithomelissa, Lithocampae , Amphilonche , che le forme più comuni, ma più difficilmente conservabili in forma diagnosticabile, di Acanthometridae che hanno, special- mente nel dicembre, popolato in numero sterminato le acque. La forte sproporzione, dunque, che constatiamo fra fito- planctonti e popolazione animale del plancton, nello esame del¬ l'alimento ingerito dalle Salpe, e, nei riguardi delle forme animali, fra quelle protette e con parti scheletriche a forma perdurante, anche sotto l’azione del chimismo intestinale, e forme facilmente disgregabili in tutti i particolari della organizzazione, va ricercata non solo nella enorme maggiore fioritura delle forme vegetali nel plancton, ma ancora in queste due ragioni, che spiegano la difficoltà di diagnosi di molte forme animali, riccamente rappre¬ sentate nel plancton, nel contenuto intestinale e nelle feci : 1° per¬ dita delle loro tracce per mancanza di parti dure resistenti al- — 76 — l'azione digestiva ; 2° impossibilità dinamica per la ingestione di essi da parte delle Salpe, o per mole, che sopravvanza il calibro esofageo e lo sforzo necessario ad assorbirle in esso , o per la resistenza attiva che possono apporre, con le loro valide risorse locomotorie, all'aspirazione ingestiva delle Salpe. E forse le forme nude e senza parti scheletriche anche dello zooplancton portano un più valido contributo alla alimentazione, che non le forme protette da involucri, che sono un ostacolo alla digestione, che deve svolgersi in rapido passaggio nelhintestino. III. — Meccanica della ingestione. Abbiamo parlato di cernita dinamica e di correnti ingestive : è, quindi, necessario farsi una idea del meccanismo ingestivo delle Salpe, ricordando brevemente gli organi che contribuiscono alla sua estrinsecazione e i rapporti funzionali che essi prendono con l’intero organismo. L'atto ingestivo nelle Salpe è stato ben visto nelle sue parti essenziali, per quanto riguarda la funzione dell'endostile, dal Fol(1876) ma non mancano contrasti e dubbi sulle sue modalità, sicché non sarà superflua una precisazione di esso, che valga a definire alcuni particolari dubbi e a mettere in evidenza i limiti nei quali intervengono in esso altre parti ed attività dell'organismo, finora non prese in esame dai diversi indagatori. d) Cenno anatomico-funzionale. È noto che l'apparato digerente delle Salpe si inizia con un'ampia cavità faringea, la quale, solo virtualmente e senza limiti anatomici visibili, si può distinguere dall'altra parte dell'ampia cavità interna delLanimale, posta dorsalmente al cor¬ done branchiale ed estendentesi fino all' apertura egestiva sotto il nome consuetudinario e non sempre, nei riguardi funzionali, esatto di cavità cloacale. Tutto il corpo dell'animale è attraversato da un'unica capace cavità, che comunica ampiamente con l'esterno, nella parte an¬ teriore attraverso la fenditura boccale, terminale o dorsale, e nella parte posteriore con 1' apertura cloacale o egestiva prolun- — li — gantesi, disolito, a forma di tubo a pareti membranose flessibili, anche essa terminale o dorsale, secondo le forme. Dalla parte medio dorsale anteriore a quella medio ventrale posteriore, questa cavità è attraversata obliquamente dalla bran¬ chia robusta, come un cordone schiacciato sui due lati, che si impianta largamente nella regione neurale da una parte e sul nucleo viscerale dell’altra, avvolgendo qui, in parte, 1' imbuto esofageo sul suo margine sinistro ed incurvandosi dalla parte ventrale, per continuarsi con il setto che porta sulla parte mar¬ ginale dorsale il nastro cibato retrofaringeo, e si connette, a sua volta, con I' e n d o s t i 1 e ventrale. Nella parte faringeo-orale, branchia ed endostile sono con¬ nessi da due cordoni c i 1 i a t i perifaringei, che svi¬ luppandosi dall'estremo anteriore dell’ endostile con direzione antero-posteriore (v. Fig. 3, 11 e 12 cpf) si ripiegano, dopo breve tratto, ai due lati sulla parete faringea, e la percorrono dirigendosi trasversalmente , ma obliquamente , all' indietro, verso 1' attacco branchiale dorsale, sulla estremità orale del quale si ricongiun¬ gono, inferiormente all' organo c i 1 i a to dorsale, che può trovarsi , secondo le specie , più o meno distanziato da questo raccordo a V, con apice inferiore. Sull’area formata al confluire della branchia e del nastro retrofaringeo , e che possiamo ritenere anche funzionalmente come il fondo della cavità faringea, si apre e sporge, su di una specie di collare, l'apertura esofagea, che è in un piano inferiore dell’apertura anale, la quale si apre più o meno discosta, secondo la forma del tubo intestinale, dorsalmente alla branchia nella cavità cloacale, ma può anche, nelle forme aggregate di Cyclo- salpa, sboccare nella parte anteriore della cavità faringea, presso la doccia endostilare. Tutti gli organi nominati in questo rapido cenno partecipano alla meccanica ingestiva delle Salpe ed è necessario, a ben com¬ prenderla, fare un breve esame di ciascuno di essi, per la parte che interessa il nostro assunto, chiarendone e completandone i rapporti. — 78 — 1. Orifizio ingestivo. La cavità faringea si apre all'esterno con un'ampia aper¬ tura in gestiva, la bocca, situata all'estremo anteriore o dorsalmente. L'apertura boccale, oltre a possedere la muscola¬ tura più differenziata di tutto il corpo della Salpa, è riccamente innervata e possiede ricchezza di sensorio veramente singolare ; caratteristiche che sono perfettamente in accordo con la parte molto importante che prende questa apertura sia nelle funzioni inerenti alla meccanica locomotoria e respiratoria, sia per la in¬ gestione degli alimenti. L'apertura è delimitata da due labbra, munite di ap¬ posita muscolatura : un labbro superiore ed un labbro inferiore, che andrebbero in alcune specie meglio denominati labbro po¬ steriore (più prossimo al ganglio nervoso) e labbro anteriore. Il labbro più mobile, anche in grazia dei muscoli longitu¬ dinali retrattori (" muscoli intermediari „ di Metcalf, 1918) è quello posteriore, mentre il labbro anteriore, meno mobile, è munito di un velo labiale fornito di esile muscolatura, che sporge all'interno della cavità boccale e funziona come velo valvolare, rendendo più perfetta la chiusura della bocca nel movimento ritmico di contrazione generale, che segue la introduzione del¬ l'acqua attraverso il cavo orale. La introduzione dell'acqua attraverso 1' apertura orale è re¬ golata principalmente dall’attività ritmica della muscolatura del corpo, che si coordina in modo da funzionare come una pompa aspirante premente : in un primo tempo si ha contrazione della muscolatura dell' orifizio egestivo , espansione della muscolatura dell'orifizio ingestivo, espansione della muscolatura del corpo e contrazione dei muscoli intermediari in modo che , dilatandosi la cavità faringo-cloacale ed aprendosi l’orifizio ingestivo, l'acqua si precipita nell'interno dell'animale; in un secondo tempo pre¬ cede la contrazione dell'apertura boccale e la sua chiusura anche con l'ausilio del velo labiale, e segue poi la contrazione gene¬ rale dei muscoli del corpo, apertura dello orifizio cloacale ed espulsione dell' acqua attraverso questo orifizio. Questi movimenti sono regolati dal sistema nervoso e pos¬ sono, secondo la loro intensità, portare : o ad un semplice rin- v — 79 — novamento dell’ acqua contenuta nella cavità dell' animale , o a spinte sufficienti a compensare la caduta dell’ animale verso il fondo (contrazioni per il galleggiamento) o ad una spinta effi¬ cace per la locomozione. Questa attività ritmica, così coordinata, può subire delle va¬ riazioni e delle regolazioni ; e possiamo avere o una contrazione preceduta da chiusura dell' orifizio egestivo , seguita da contra¬ zione dei muscoli somatici e apertura dell’orifizio orale (riflesso egestivo), o contrazione e chiusura parziale di questo orifizio, creanti spinte laterali e rotazioni in un senso o nell’altro dell'a¬ nimale, tendenti a conservargli la normale posizione nell’acqua. Questi e gli altri movimenti e riflessi sono stati da me stu¬ diati, ma qui ci interessa solo fermare l'attenzione sul fatto che, con l’attività della sua muscolatura, l'animale può regolare la entrata più o meno abbondante dell’ acqua attraverso il cavo orale, come può creare introduzione di acqua in senso inverso e violenti espulsioni, che liberano la cavità del corpo dall’acqua e da quant’altro vi è contenuto. La regolazione di questi movimenti, così importanti per l'a¬ nimale, sono sotto il governo di una complessa innervazione, che è in connessione, per la parte statica e locomotoria, con varie disposizioni sensitive (organi tentacolari, placche tattili ecc.) di¬ stribuite in diverse aree del corpo, specialmente nella metà an¬ teriore della superficie dorsale, e varie secondo le specie, e, per la parte anche locomotoria e per la parte ingestiva, con le ricche formazioni sensoriali labiali. A noi interessa far cenno solo di queste formazioni periboccali. 2. Disposizioni sensoriali dell' orifizio ingestivo. Le disposizioni recettive sono particolarmente abbondanti al margine labiale. Da questo margine sporge il velo labiale in¬ nanzi accennato, che è ripiegato verso l'interno del cavo faringeo, a forma di lamina valvolare e capace di completare la chiusura dell’orifizio orale addossandosi alla parete dorsale del corpo, contro il labbro posteriore ; esso è munito di fibre muscolari trasversali. Il margine orale, dove si origina la ripiegatura del velo, è un ricco orlo sensitivo dove si addossano numerosissime, in formazione quasi continua, cellule sensoriali tattili , che rac- — 80 — colgono i loro prolungamenti centripeti nei cospicui tronchi nervosi anteriori : la Fig. 1 riproduce un piccolo tratto di queste formazioni, appartenenti alla S. maxima , con le sole cellule in rapporto con due tronchicini nervosi ; i due rami più grossi, interrotti nella figura, si continuano anch'essi , e , ramificandosi fino a risolversi in identici rametti e fibre sottili, mettono capo ad un ricchissimo numero di cellule identiche distribuite sul margine labiale. Il numero dei nervi partenti dal ganglio cen¬ trale per la innervazione di questa parte varia secondo le specie. Oltre questi elementi tattili fitti, sono distribuiti al margine labiale, ed in rapporto con il velo, altre formazioni sensitive di¬ sposte alquanto più distanziate e che prendono in alcune specie, fra cui la 8. maxima , aspetto di bulbi o bottoni sensitivi. Una forma molto semplice di questi dispositivi è rappresen¬ tata nella Fig. 2 a, che riproduce per la 5. democratica uno di questi apparati sensoriali a fiasca, con cellule con lungo pro¬ lungamento cellulipeto che percorre il velo labiale, fino al suo margine. Disposizioni analoghe si possono osservare nella S. fusifor¬ mi (Fig. 2 b ) con qualche piccola differenza nel prolungamento tubuliforme della fiasca contenente l’elemento sensitivo, prolun¬ gamento tubuliforme che attraversa il velo fino al margine libero ; formazioni più complesse, e dall'aspetto di veri bulbi, ritroviamo al margine labiale e prolungantisi nel velo di Salpa maxima (Fig. 2 c). Queste formazioni sono da interpretarsi come gli apparecchi ricettori di un senso chimico, che non manca alle Salpe, come ho già accennato in precedenti pubblicazioni, e come provano i vari riflessi contrattivi che si possono ottenere stimolando le Salpe con l'ausilio di varie sostanze chimiche , cercando di eli¬ minare gli stimoli tattili, agendo con soluzioni di cristalli, intro¬ dotti direttamente nell’acqua, neH'ambito delle correnti di aspira¬ zione generate dalla Salpa. Da quanto ho detto, dunque, alle Salpe non manca un senso chimico e sono, al margine labiale e in connessione anche con il velo, riscontrabili le appropriate formazioni ricettive per esso. Le Salpe hanno la possibilità di saggiare le qualità dell'ac¬ qua che deve penetrare nel loro cavo faringeo e posseggono le — 81 — possibilità dinamiche di rifiutare o aumentarne la introduzione, secondo le circostanze ed il bisogno. // Fig. 1. - Salpa maxima. Ramo di uno dei nervi anteriori recantisi ai margini labiali dell’apertura ingestiva. Da un preparato trattato con miscela osmio-acetica. Ingrandita. Rn, rametto nervoso terminale ; Cg, cellule sensoriali del margine orale. Fig. 2. — Dispositivi ricettori per il senso chimico : a, di Salpa democratica - b, di 5. confoederata - c, di S. maxima. Ingrandita. Ns, rametto nervoso sensitivo ; MI, margine labiale ; VI, velo labiale. 3. Gli organi del cavo faringeo. Fra gli organi del cavo faringeo innanzi accennati, il più vistoso, ed anche importante dal punto di vista dinamico, per le correnti alimentari ingestive che genera, è la branchia. Questa travata diagonale, corrente dall'area gangliare dorsale a quella esofagea ventrale, è percorsa da importanti e ricche vie sanguigne (v. Todaro 1884 e 1888), che ne indicano l' impor- - 6 - — 82 — tanza nella funzione respiratoria, ed è rivestita , nella sua parte centrale, da liste vibratili convergenti verso il margine ventrale della travata branchiale, rivolte obliquamente dall' avanti all' in¬ dietro, senza completamente riunirsi in esso, in modo da lasciare, lungo tutto questo margine, un'area lineare continua , che per¬ corre la branchia dal contatto con i cordoni cibati perifaringei fino all'area periesofagea (Fig. 12, Br). Verso la espansione branchiale , che abbraccia l’ apertura dell’esofago, le strie o costolature ciliari si scostano sensibil¬ mente e gradualmente dalla linea mediana , che segna la conti¬ nuazione del margine branchiale ventrale, e vanno via via ridu¬ cendosi, prima la serie delle costolature di destra, poi quelle di sinistra, le quali, percorrendo ad arco un tratto dell'area perieso¬ fagea, avvolgono, in alcune specie, per un tratto il margine del- l'imboccatura esofagea, sulla sua parte sinistra (Fig. 8, cc. br). Sono queste le parti della organizzazione branchiale che ci interessa notare, in rapporto alla dinamica ingestiva, tralasciando gli altri particolari strutturali e le altre funzioni cui partecipa la branchia. 11 movimento delle ciglia delle strie branchiali è continuo e non ho mai osservato, in molti anni di ricerche su Salpe viventi e sezioni di branchia dal vivo, interruzioni o inversioni in queste vibrazioni. Questo diversifica nettamente il meccanismo delle ciglia vibratili branchiali delle Salpe da quello dei Dolioli e degli Ascidiacei, già da me studiati. Quello delle strie branchiali dei Salpidei è un apparato ci¬ liare potente, le cui vibrazioni portano ad una risultante princi¬ pale antero - posteriore , con vertice tendente verso l' imbuto esofageo ; inoltre, una corrente continua si determina lungo il margine ventrale della branchia dall'estremità anteriore , in con¬ tinuazione della confluenza delle correnti laterali dei nastri pe¬ rifaringei, fino all’area periesofagea (v. Fig. 12). Lungo questo margine è distinguibile una fascia epiteliale longitudinale, diversa dal resto della branchia, che corre da un estremo all’altro di quest'organo, allargandosi nella zona perie¬ sofagea ; lungo questo nastro, che si raccorda all’ estremo orale della branchia con i cordoni perifaringei nel loro punto di fu- — 83 — sione dorsale, si muove il muco, proveniente da questi ultimi, in una corrente continua fino all’apertura esofagea. Quest'ultima risultante dinamica è permanente , come l’atti¬ vità ciliare della branchia, ed ha significato esclusivamente inge¬ stivo ; l’altra, generante aspirazione di acqua dalla bocca verso il nucleo viscerale, esercita una funzione respiratoria per il rin¬ novarsi continuo dell’acqua, sia aspirata di nuovo attraverso la bocca , sia rimossa nell' ambito solo della cavità faringea ; ed, inoltre, una efficace ed energica funzione ingestiva temporanea, nei tempi in cui con essa cooperano altre attività adatte alla filtrazione dell'acqua da essa mossa ed aspirata, ed alla penetra¬ zione del filtrato nel cavo esofageo. A questo secondo atto, a cui noi guarderemo in modo par¬ ticolare, cooperano altri organi del cavo faringeo e propriamente : T" endostile „ con la secrezione di muco e con la sua attività ciliare, l’attività ciliare del nastro cibato dorsale (“ nastro margi¬ nale „ del Garstang), dei nastri perifaringei, e del nastro retro¬ faringeo. E n d o s t i 1 e . — L’endostile, la cui vera natura e signifi¬ cato funzionale fu dai primi ricercatori molto contrastata, è inter¬ pretato, dopo le ricerche del Fol (1874-1876) rettamente come un organo muciparo, di essenziale importanza per la cattura del¬ l'alimento in tutti i Tunicati. L' esperimento diretto conferma pienamente la esattezza di questa interpretazione e dimostra come erronea la opinione contrastante del Roule (1884) che ri¬ teneva, nelle Ascidie, che il muco fosse segregato dalla glandola iponeuraie, mentre l’endostile non avrebbe avuto altro compito che lo spostamento di questo muco per mezzo della sua ciliatura. Quest’organo, come è noto, è una stretta doccia, a pareti ispessite formate da tre cordoni cellulari glandolar! longitudinali per ciascun lato, intercalati con fascie longitudinali cibate, esten- dentesi lungo il lato ventrale e medialmente, da un limite ante¬ riore in rapporto con i cordoni vibratili perifaringei , ad un lìmite posteriore molto variabile, secondo le specie, in alcune delle quali giunge fino al nucleo viscerale, all'altezza dell’imbuto esofageo (Cyclosalpa pianata , C. polae) ed in altre si arresta molto innanzi (Salpa democratica) e anche molto prima della metà anteriore del corpo (S. rostrata). - 84 Il fondo della gronda endostilare è formato da cellule vi¬ bratili, munite di lunghi flagelli. Nastri marginali, nastro retrofaringeo ed archi ciliati perifaringei. — Ai lati delle pieghe endo- stilari, sulla superficie ventrale della cavità faringea corrono uno o due nastri ciliati ("nastri ciliati endostilari,,) o “nastri marginali,, del Garstang. Queste formazioni, studiate anche recentemente, mostrano, per le specie da noi prese in esame, un comportamento alquanto diverso. Così per la 5. confoederata (Ihle 1930) sono presenti due nastri ciliati endostilari, ma di questi solo il destro si continua nel “ nastro retrofaringeo „, che va fino alla imboccatura esofagea^ mentre in S. fusifortnis il " nastro marginale „ sinistro scompare e il destro si continua con il nastro retrofaringeo, come avviene anche in 5. maxima , secondo Fol (1876, p. 230) ; in Cyclosalpa pianata il nastro retrofaringeo si origina dal nastro marginale destro , anteriormente all’ estremità endostilare posteriore , alla quale va poi a finire lo stesso nastro marginale (Garstang 1928, p. 332) e, finalmente in S. democratica , mentre il nastro margi¬ nale destro termina innanzi della estremità posteriore endostilare,. il nastro retrofaringeo si origina indipendentemente dal primo dall'estremo posteriore delPendostile. Queste diverse particolarità strutturali, pur avendo il loro valore e significato in altro campo di indagini, non mutano per il nastro retrofaringeo i necessari rapporti per la sua funzione essenziale, che è, come è noto, per tutti i Tunicati , e come ho anche io minutamente descritto per i Dolioli (1923), di condurre, con una corrente continua, muco e particelle aggluti¬ nate dall'estremo posteriore della doccia endostilare all'apertura esofagea. A tale scopo il nastro ciliato retrofaringeo si porta, con percorso più o meno lungo e talvolta lunghissimo nelle specie ad endostile molto breve , come Salpa rostrata aggr.,. verso il contorno ventrale sinistro dell’area periesofagea e, var¬ cando il margine dell'imbuto, in questo lato incavato, penetra in questo per mettersi in rapporto con la ciliatura endoesofagea. Anche le ciglia di questo nastro hanno un movimento con¬ tinuo, sicché la corrente mucosa da esso trasportata fluisce con¬ tinuamente verso il cavo esofageo. — 85 — In connessione con l’estremità orale dell' endostile sono i cordoni ciliati perifaringei, " solco pericoronale „, “ solco branchiale,,, che aH'estremo anteriore dell'endostile lo se¬ guono (Fig. 3) in senso antere posteriore nella sua faccia dorsale Fig. 3. — Salpa maxima. Estremità anteriore dell’ Endostile. Da preparato con colorazione vitale con blu di metilene. E, Endostile ; Cpf, cordone peri faringeo ; Nce, nastro cibato endostilare ; Rne, rete nervosa endostilare. per un certo tratto, divaricando e prendendo direzione trasversale all'inizio dell'apertura anteriore della gronda endostilare, per per¬ correre poi trasversalmente, ed in un giro completo, la parete faringea, dai due lati saldandosi nella linea mediale dorsale, alla origine neurale del cordone branchiale (Fig. 12). Nell'area posta oralmente a questa concavità degli archi periesofagei si trova l'or¬ gano ciliare dorsale (Fig. 10 e 12 oc.). In questo punto, gli archi «dei due lati, continui fra loro, formano una piccola incurvatura a concavità orale, la quale è in connessione con il nastro cellu¬ lare che segue la costolatura ventrale del cordone branchiale, nel- Farea lasciata libera dalla convergenza delle strie ciliate branchiali, e la segue fino all'area periesofagea, dove si espande intorno all'imbuto, nello spazio più ampio formatosi dall'allontanamento delle travate ciliari della branchia. - 86 - Lungo questa costolatura, che ricorda la gronda epibran- chiale di altri tunicati, passa, come si è visto, una corrente mu¬ cosa continua, che, proseguendo il cammino degli archi perifa¬ ringei, confluenti al suo estremo superiore, percorrendo dall'una estremo all'altro il margine ventrale del cordone branchiale, si spinge fino al limitare dell'apertura esofagea, nel quale il muco da essa condotta, con le sostanze agglutinate, penetra attirato dall'aspirazione esofagea. Tutte queste zone nastriformi partenti dall' endostile sono» costituite da cellule con minuta ciliatura , ma non è da esclu¬ dere, come comunemente si fa, anche un’ azione secretrice di questi organi. Io ho potuto nettamente colorare nei cordoni periesofagei cellule secretrici mucipare ; colorazione che è pos¬ sibile ottenere anche nettamente con il blu di metilene o nei preparati trattati con liquidi osmici, specialmente con la miscela osmio acetica da me usata (Fedele 1920, pag. 13-14), che è anche un ottimo fissativo per tutti i tessuti delle Salpe. In tutti i modi adatti per colorare intensamente la mucina, si vedono nei cordoni periesofagei intercalate cellule riccamente piene di secreto che spicca intensamente in azzurro con il blu di metilene o in nero con l'acido osmico. Il modo come queste cellule sono distribuite dimostra un ciclo di attività secretiva in cui si alternano i vari elementi. L'area periesofagea è il punto a rapporti più co¬ stanti, che noi troviamo in tutti il gruppo dei Salpidei, nei ri¬ guardi dell’organizzazione intestinale. Le svariatissime forme e rapporti che noi vediamo prendere al tubo intestinale da specie a specie, ed anche nelle due forme della istessa specie, riguarda sempre la parte postesofagea del tubo intestinale, poiché l'esofago conserva per la sua parte una essenziale omogeneità di forme e di rapporti in tutte le specie, ricordanti perfettamente le condizioni verificantesi in generale nelle altre forme di tunicati. L'apertura esofagea si apre in quello che rappresenta il fonda della cavità faringea, al confluire posteriore della lamina, o meglio, cordone branchiale e del nastro retrofaringeo e dei tessuti che lo sopportano. Essa si apre su di un'area formata dalla saldatura di queste — 87 — parti e dei tessuti stessi periesofagei ; su questa area sporge alquanto l'esofago con una specie di collare, l’ imbuto eso- Fig. 4. — Salpa democratica, aggr. Anatomia del nucleo viscerale e degli organi in rapporto con l'apertura esofagea. Aa, apertura anale ; Ae, apertura esofagea ; Ape, area periesofagea ; Br, branchia; C, cuore; Ccbr , cordoni cibati branchiali; Nrf, nastro retrofaringeo. Questo è più o meno pronunziato, ma sempre presente, ed anche dove pare che manchi, come nella 5. democratica , nella quale branchia e lamina del nastro periesofageo convergono in un imbuto che quasi insensibilmente si continua in quello eso¬ fageo, esiste un cercine che segna la ripiegatura dell' imbuto (Fig. 4). Quest' area periesofagea, vero punto nodale dell' organiz¬ zazione viscerale, si presenta come una superficie incurvata a - 88 — sella, nella cui parte più concava si apre l'esofago sporgente con l'imbuto esofageo (Fig. 5 a 9). Questa formazione è posta sulla superficie destra della lamina branchiale, che possiamo anche considerare come il margine ventrale, che si slarga a formare il fondo della cavità faringea ed abbraccia, sul lato sinistro e an¬ teriore, l'imbuto e il foro esofageo ; sul lato posteriore di questo si innalza, raccordandosi nella curva già nominata con la bran¬ chia, la travata che porta il nastro retrofaringeo, e che va a rag¬ giungere l'estremo aborale dell’endostile, più o meno lontano secondo le specie. Alcune delle disposizioni dell'apertura esofagea sono state ultimamente studiate da Ihle j|ed Ihle-Landemberg (1930) per Salpa democratica , S. fusiformis e S. confo ederata , ma data la mancanza di rappresentazioni che abbiamo delPanatomia di queste parti tratte dal materiale vivo, e quindi nelle migliori condizioni per conservare i rapporti, per la comprensione esatta del meccanismo ingestivo, descriverò molto sommariamente e fi gurerò i tipi più rappresentativi dell' anatomia intestinale delle Salpe, dando un'idea in particolar modo dell’apertura esofagea e dei suoi rapporti, senza considerazione per i particolari strutturali non necessari alla comprensione del meccanismo ingestivo. La Figura 4 rappresenta le disposizioni riscontrabili in 5. democratica aggr., in cui la lamina branchiale e la lista portante il nastro retrofaringeo avvolgono ad imbuto l'apertura esofagea, che in questo caso si trova spostata alquanto più ventralmente alla branchia, come è stato anche visto e descritto dall'lHLE (1930). Questa disposizione di maggiore simmetria è impressa anche nelle travate ciliari della branchia ( Ccbr ), che vanno esaurendosi sim¬ metricamente ai due lati, in modo che in questa specie la stria ventrale della branchia, posta fra le travate ciliate, va allargandosi simmetricamente a triangolo, continuandosi nella parete esofagea, nella sua parte dorsale. Dall'altro lato il nastro retrofaringeo, che proviene da molto lontano, arrestandosi, come è noto, in questa forma 1' endostile molto in su, a livello dell'estremità ventrali del secondo muscolo del corpo, penetra nel margine esofageo, mettendosi in rapporto con la ciliatura di questo organo. 11 margine esofageo non è sporgente in questa specie sopra — 89 - l'area che forma il fondo della cavità faringea, ma anche in essa, nell’imbuto, è visibile il cercine che segna resistenza di questo margine esofageo così pronunziato e prominente in altre specie. Fig. 5. - Salpa panciata aggr. Anatomia del nucleo viscerale e degli organi in rapporto con l’apertura esofagea. Def, deferente; E, endostile; /, intestino con ciechi avvolgenti; T, testicolo. Le altre indicazioni come nella figura precedente. Disposizioni complessivamente simili del nucleo intestinale troviamo nella S. asimmetrica aggr. riprodotte nella Fig. 5 ; ma in questa specie è perfettamente visibile lo spostamento dell'aper¬ tura dell'esofago sul lato destro della branchia, nonché l'evidente collare rilevato sull'area periesofagea, che circonda quest'apertura. Delle due serie di strie cibate della branchia la destra si esau¬ risce prima della sinistra, la quale avvolge alquanto 1’ apertura esofagea parallelamente al margine sinistra il nastro retrofarin- — 90 geo ( Nrf ), corrente quasi per un terzo del corpo isolato dall’en- dostile, raggiunge il margine esofageo sul lato ventrale sinistro- e vi penetra, proseguendosi nella ciliatura intraesofagea. La Salpa panctata aggr., così rassomigliante in tanti carat¬ teri e nella conformazione muscolare alla precedente, fino a non aver la possibilità di distinguerle specificamente da questo lato, pur presentando analoghi caratteri nei riguardi dei rapporti pe¬ riesofagei, ha un nucleo intestinale a conformazione nettamente differente , e particolarmente , mentre il tubo intestinale di 5. asimmetrica aggr. è abbracciato dalla gonade maschile , in S. punctata aggr. è il tubo intestinale che avvolge la gonade. Fig. 6. - Salpa asimmetrica aggr. Parte posteriore dell' animale con nucleo viscerale, organi ad esso prossimali ed apertura egestiva. Dal vivo. M, Tunica ; Mae , Muscolatura dell'apertura egestiva. Le altre indicazioni come nelle figure precedenti. Ma, indipendentemente da questo, che è il carattere specL fico distintivo più netto fra le due forme, troviamo , malgrado una conformazione più massiccia del nucleo e degli organi con¬ nessi nella S. punctata , perfetta corrispondenza di rapporti e comportamento, come si vede nella Fig. 6. — 91 — La branchia avvolge in modo analogo Y imbuto esofageo alquanto sporgente, e il nastro retrofaringeo vi penetra dalla in¬ cavatura marginale di sinistra, continuandosi con la ciliatura che corre, come spiralmente, in corrispondenza della cresta che av¬ volge l'esofago, passando per la parte dorsale e sulla destra. Fig. 7. - Salpa rostrata aggr. Nucleo viscerale ed organi prossimali. Es, esofago. Le altre indicazioni come nelle figure precedenti. Alquanto diversa è la conformazione del tubo intestinale in S. rostrata aggr. (Fig. 7), pur rimanendo nei rapporti esofagei, che essenzialmente a noi interessano, perfettamente analogo a quella delle altre specie esaminate. La Fig. 7 mostra l’intero tratto intestinale in parte avvolto dai ciechi, con V ansa intesti¬ nale molto allungata in senso trasversale , e il tubo esofageo, che, svolgendosi sul Iato destro, va a raggiungere la posizione e i rapporti soliti alle altre specie. Il tubo (Def) che sbocca in prossimità dell'apertura anale e che, continuandosi attraverso il - 92 — nucleo intestinale esce nella parte inferiore della figura, è il de¬ ferente, che va a mettersi in rapporto con la gonade maschile allogata in un'appendice del corpo, come è stato da me rappre¬ sentato nella figura 1 pagina 298 di una mia pubblicazione del 1926, alla quale rimando per la conoscenza dei rapporti con gli altri organi e dell' endostile , particolarmente breve in questa forma, prima delle mie ricerche mal rappresentata. Anche per questa specie (Fig. 7) è chiaramente visibile l'area periesofagea con l'imbuto esofageo rilevato, la sua insenatura sul lato sinistro ventrale, da cui penetra il nastro retrofaringeo e la cresta spirale che l’avvolge, nonché il comportamento della branchia, con la zona branchiale ventrale fra le due serie di strie cibate, quella destra esaurentesi prima di quella di sinistra, e le strie di questo lato avvolgenti l'apertura esofagea sul lato destro. Sensibilmente si discosta il comportamento del “ tractus „ intestinale nelle Ciclosalpe, il cui comportamento varia molto, come è noto, nelle diverse specie, nelle quali l' intestino può seguire nel suo corso diverse vie, molto diverse anche nelle due forme della istessa specie, poiché mentre nella forma solitaria l’intestino si addossa al cordone branchiale, sboccando poi in alto, presso la regione neurale, dorsalmente a questo, nella forma aggregata può seguire la parete ventrale dell'animale, ad¬ dossandosi all'endostile e sboccare in alto nella cavità faringea, nella quale sbocca anche il deferente, per cui funzionalmente è molto difficile distinguere i limiti di una cavità cloacale in questa forma. Essendo sufficientemente note queste disposizioni rappre¬ sentate anche con particolari anatomici per qualche specie da alcuni autori (v., per la C. virgula , Todaro 1902 e per altre specie, le figure sufficienti per il nostro caso del Metcalf 1918) rappresento nella Figura 8 la parte esofagea e le sue connes¬ sioni ritratta da C. polae aggr., il cui comportamento è molto simile a C. pianata (Fig. 9). Malgrado la posizione e il percorso molto diverso dell' in¬ testino, l'area periesofagea non mostra nessuna essenziale diver¬ sità dal solito nei rapporti con la branchia e il nastro retrofa¬ ringeo, ed ha la solita nota conformazione. — 93 — Le strie branchiali si vanno allontanando in prossimità dell'area periesofagea e la fascia epibranchiale, posta fra esse, si allarga, avvolgendo l'imbuto esofageo, il quale, al solito, rilevato Fig. 8.- Cyclosalpa polae aggr. Anatomia del tubo intestinale ed organi viciniori. Ccbr, cordoni cibati branchiali ; Ci, cieco intestinale ; Oi, organo glandulare dell'intestino medio. Le altre indicazioni come per le figure precedenti. col cercine a collare sul suo margine destro, a sinistra si addossa alla lamina branchiale, la cui superficie scivola nell' interno del cavo esofageo, fornendo così, facile accesso alle correnti mucose provenienti dall'alto, lungo la costolatura ventrale della branchia. _ 94 - SI nastro retrofaringeo, Fig. 9. - Cyclosalpa pianata. Anatomia del tubo intestinale ed organi viciniori. Ag , apertura genitale : /e, im¬ buto esofageo. Le altre indi¬ cazioni come per le figure precedenti. che è molto corto, spingendosi l'en- dostile in questa specie molto ado- ralmente , fin oltre il livello della apertura esofagea, varca il margine ventrale sinistro dell' imbuto e pe¬ netra nell'esofago con le solite mo¬ dalità. Sul tubo esofageo è visibilis¬ sima la cresta spirale che ravvolge per lungo tratto. Poco diverse in qualche parti¬ colare, ma in modo essenziale le stesse, si mostrano le aree perieso¬ fagee in Cyclosalpa pianata e C. vir- gala. Innervazione dei visceri per la ingestione. — Un esame minuzioso del sistema nervoso di questi animali, condotto con metodi appropriati, che in parte ho fatto già noti (1920) , ci mostra come questi diversi organi posseggano una ricca innervazione e vie di col- legamento , che possono spiegarci il mutuo armonizzarsi delle loro at¬ tività. Dò nella Fig. 10 una rappre¬ sentazione semischematica di queste disposizioni, costruita da preparati ottenuti specialmente dalla S. con- foederata, che si presta molto bene, come la 5. maxima, la 5. fusiformis del resto, nei piccoli individui, per queste ricerche d' insieme ; questa rappresentazione mi permette di es¬ sere breve , pur essendo comple¬ tamente esplicito. I cordoni perifaringei e l'endo- stile sono riccamente innervati da grossi tronchi che dal ganglio , at- - 95 traverso i cordoni ciliati perifaringei, si recano all'endostile. Alla ciliato perifaringeo ; G, ganglio nervoso centrale con organo oculare ; Nbr, nervo branchiale ; Nc, rami nervosi cardiaci ; Ne, ramo nervoso endostilare ; Npf, nervo perifaringeo ; Oc, or¬ gano ciliato dorsale ; Rna, rete fibro-cellulare del sistema nervoso viscerale autonomo ; Rne, rete nervosa endostilare ; Rnes, rete nervosa esofagea. Le altre indicazioni come per le figure precedenti. zona endostilare, inoltre, si recano, dal lato cardiaco, altri rami nervosi provenienti dal nervo branchiale (Fig. 10). — 96 — Nella Fi g. 3, ritratta da preparato ottenuto con la colora¬ zione vitale con blù di metilene, e nella quale la ricchezza di fibrille è resa semplificata rispetto a quella del preparato, si può osservare il comportarsi dei rami nervosi, provenienti dai due lati, alla estremità orale dell'endostile e la ricca innervazione di quest’organo, che è in rapporto certamente con la sua attività ciliare e secretrice, e ci fa comprendere la possibilità di una regolazione riflessa di esse. Un grosso tronco, proveniente dalla parte posteriore del gan¬ glio nervoso centrale, attraversa la branchia (Fig. 10, Nbr) anche essa fornita di ricca innervazione, specialmente in rapporto con le zone ciliate, e va fino al nucleo viscerale , nel territorio del quale prende rapporti con il sistema nervoso autonomo (Rna), allogato con le sue formazioni principali specialmente in rapporto dell'espandimento della travata branchiale e della zona endostilare posteriore, o del nastro retrofaringeo, nella zona periesofagea. Nella Fig. 10, con le disposizioni constatabili nella S. con- foederata aggr., ma che, a parte le modalità specifiche, si ritro¬ vano essenzialmente in tutte le Salpe, sono rappresentati i rami intestinali, come i cardiaci, di questo grosso tronco, che, bene a ragione, possiamo chiamare il nervo vago delle Salpe, conside¬ rati anche i rapporti che esso prende con il sistema nervoso viscerale nella sua regione di distribuzione, come in parte si può osservare nella rappresentazione molto semplificata che ne ho dato. Del tratto intestinale, particolarmente ricco di nervi è il tratto esofageo, e ricche reti si possono mettere in evidenza, con la colorazione vitale, sull'imbuto esofageo e su tutto il tubo, fino allo stomaco, dove nei grossi individui la osservazione di¬ venta più difficile per la opacità dell'organo e 1' addensamento dei tessuti delle parti circonvicine. Le fibre afferenti, che prendono la via del grosso nervo branchiale, sono certamente la via di quei riflessi viscerali, di cui ci danno sicure manifestazioni questi animali, riflessi che si pos¬ sono manifestare sia negli effettori secretori dell'endostile , così ricchi di minutissimi plessi e reti nervose, mercè i collegamenti centrali e viscerali indicati, sia, per il collegamento viscerale con il ganglio centrale e per il tramite dei nervi motori, nella mu¬ scolatura del corpo. 97 — Nè è da escludere una regolazione riflessa dell’attività inge¬ stiva della ciliatura esofagea delle Salpe, come ci fanno pensare il fenomeno di una più intensa aspirazione esofagea, nel momento ingestivo, e l'arresto della ingestione, nonché la espulsione attra¬ verso l'esofago di sostanze già ingerite, che può allora verificarsi. b) Il meccanismo ingestivo. Tralasciando tutto ciò che riguarda la graduale conquista della conoscenza dello endostile nei Tunicati, dei suoi rapporti e del suo significato funzionale, che possiamo leggere riassunta nella fondamentale memoria del Fol (1876) , così nettamente contrastato dal Roule (1884), negando quest'ultimo l'importanza secretrice riconosciuta dal Fol all'endostile, e ritenendo che il muco per la ingestione sia secregato nelle Ascidie dalla " glan¬ dola iponeurale „ e distribuito sulla branchia dall'organo vibratile, dobbiamo rilevare che non possediamo ancora, delineata chiara¬ mente nei suoi particolari e nel meccanismo complessivo , una chiara visione della funzione ingestiva delle Salpe. Il Fol, al quale dobbiamo le ricerche più complete e il migliore contributo all'argomento, riconosce nelle Salpe (1876, p. 238) disposizioni alquanto diverse dai Dolioli, nel senso che il muco nelle Salpe non forma frange, ma una membrana com patta, che si espande come una cortina (S. democratica ) che va a chiudersi al disotto del ganglio nervoso ; in mancanza della spira cibata dei cordoni perifaringei, il muco raggiunge 1' eso¬ fago per mezzo della branchia e delle sue strie cibate. L’addos¬ samento delle fibre si ottiene mercè l'azione della ciliatura eso¬ fagea, che agisce a spira. Non vediamo in questa descrizione una chiara indicazione delle correnti ciliari ; solo per i Dolioli il Fol ci dice che il muco prodotto dall'endostile esce dalla estremità anteriore di quest’organo e, a mezzo dei cordoni cibati perifaringei, dai quali pende come frange, vien condotto dorsalmente, verso la spira cibata dorsale. Nemmeno chiari sono, se comparati , i risultati di quegli autori precedenti che si sono occupati delle modalità funzionali della ciliatura che partecipa alla ingestione: nel Muller H. (1853) - 7 - — 98 — troviamo che la ciliatura, dai pressi del cuore, va all'endostile e al cordone branchiale ; nel Vogt (1855) che, pur descrivendo bene 1' endostile, ne ignora la funzione , troviamo, all' opposto, che la corrente endostilare, come il movimento delle strie cibati branchiali, si dirige verso l'apertura esofagea. Fig. 11. - Area periesofagea di Salpa con i dispositivi nervosi ad essa pertinenti. Da preparati con miscela osmio-acetica. Ag, apertura genitale ; Ng, nervo genitale. Le altre indicazioni come nelle figure precedenti. Per Brook (1876) il nutrimento viene diretto dal movimento dei nastri ciliari endostilari verso la estremità anteriore di que¬ st'organo, e, attraverso l'endostile, viene condotto posteriormente all'apertura esofagea ; può formarsi , anzi, addirittura un vero canale per la introduzione dell’alimento verso l'esofago quando, con la contrazione dei muscoli somatici, le pieghe endostilari si portano contro la superficie ventrale della branchia. Nè dobbiamo tacere la opinione del Todaro (1888) che in- — 99 — dina ad attribuire al cordone perifaringeo e zona pericoronale essenzialmente una funzione respiratoria , più che la ingestiva riconosciutale dal Fol. Non mancano , quindi, opinioni contrastanti , anche nella parte così essenziale che è la funzione mucipara dell' endostile stesso per la ingestione, negata dal Roule, e per il significato del cordone peribranchiale, e, nel campo della ingestione delle Salpe, i dati sulle correnti ciliari contrastano, nè quanto espone lo stesso Fol ci lascia senza dubbi ; esiste una corrente continua lungo il margine branchiale e quale è il suo comportamento ? quali le correnti endostilari? quali le vie attraverso cui il muco e gli alimenti agglutinati raggiungono l'esofago? sono esse molte¬ plici ? sono esse strettamente legate a vie obbligate ? in quali limiti intervengono nella ingestione le varie attività di questi animali ? Cercherò, sulla base di quanto ho esposto e con alcuni esperimenti che esporrò, di delucidare le modalità con le quali l’ingestione si compie nelle Salpe. Se gettiamo uno sguardo sintetico sulle disposizioni che abbiamo rapidamente passate in rivista nel capitolo precedente, vediamo che esistono fra esofago e cavo faringeo, cioè fra eso¬ fago e gli organi contenuti nelle pareti di quella parte della ca¬ vità del corpo delineata fra branchia e superficie ventrale del¬ l'animale, tali connessioni da farci ritenere che, anche dal punto di vista della coordinazione dinamica, l’una parte è la continua¬ zione dell’altra. Tutte le formazioni ciliari della cavità faringea, che noi ab¬ biamo enumerate, convergono verso l’imboccatura esofagea, anche se esse hanno da attraversare lunghi tratti , e pare debbano, per le correnti da esse generate, allontanarsi da questa. A se¬ crezione moderata del muco, si manifesta, al centro della doccia endostilare una corrente in senso antero-posteriore, ma i nastri, o il nastro, marginali dell’endostile e la lunga ciliatura del fondo della doccia endostilare tendono a vuotare quest’organo dal muco attraverso la sua fenditura longitudinale, quando si intensifica, nei momenti di attiva ingestione, la secrezione. In queste circo¬ stanze, il muco uscente presso la estremità orale dell' endostile si connette con i cordoni perifaringei, il movimento ciliare dei quali lo rimorchia in giro per il faringe, verso la parte dorsale — 100 — di esso, mentre all'estremo adorale la connessione avviene con il nastro retrofaringeo, in qualunque modo questo si origini , o da un solo nastro marginale, o della fusione di due o da con¬ nessioni di nastri partenti dall'estremo posteriore dello endostile, ed il muco fluisce da questa parte, lungo il nastro, verso l'aper¬ tura esofagea, nei punti già da noi esaminati. Ma non solo lungo questo nastro il muco fluisce in dire¬ zione dell’apertura esofagea, ma anche quello che prende la via dei cordoni perifaringei, con un percorso più lungo , attraverso questi cordoni e la corrente del margine ventrale del cordone branchiale, con la quale si raccordano, giunge all'area esofagea e penetra nell'esofago. Tutte le vie citiate, quindi, che partono dall'endostile delle Salpe volgono le loro capacità di trasporto , mediatamente o immediatamente, in direzione dell’ apertura esofagea, e fino a questa. Lo schema della Fig. 12 mostra la direzione di trasporto delle varie formazioni ciliate studiate. Queste correnti sono chiaramente visibili con 1' aiuto di in¬ chiostro di Cina o carminio e si possono seguire minutamente sotto le lenti fino alla loro penetrazione esofagea. Le circostanze descritte, con correnti fluenti dai due estremi dell’ endostile , si accompagnano con una moderata secrezione mucosa da parte dell’endostile, ed in questo caso è discernibile, sul fondo della gronda endostilare, la corrente diretta verso l’estremità posteriore delborgario, oltre il quale si continua poi nel nastro retro-faringeo. Quindi, la ciliatura del fondo della doccia endostilare guida, in questa condizione, il muco verso l'estremità adorale dell’ or¬ gano. L'entità di questo trasporto continuo non basta all'appetito veramente notevole delle Salpe, ed esso ha, nella funzione inge¬ stiva, una importanza nettamente secondaria ; scarsa è la cattura di particelle ed organismi minuti, che può esercitarsi con questi mezzi, rispetto al fabbisogno di alimento delle Salpe, il quale è fronteggiato da questi animali con un ben più attivo e complesso meccanismo ingestivo, che ricorda perfettamente, meno in alcuni particolari, l'analogo meccanismo dei Dolioli, come fu da me descritto (1923). — 101 — Ho studiato questo meccanismo ingestivo particolarmente in Salpa democratica e S. maxima , per gli individui aggregati Fig. 12. — Individuo di Salpa visto lateralmente. Schema per dimostrare i rapporti generali della organizzazione e le correnti cooperanti all'atto ingestivo. Ae, apertura egestiva (cloacale) ; Aes, apertura esofagea ; Ai, apertura inge¬ stiva (boccale) ; Cc, cavità cloacale ; Cf, cavità faringea ; Mus, accenno dei nastri muscolari. - Le frecce indicano la direzione delle varie cor¬ renti. Per le altre indicazioni vedere le figure precedenti. — 102 e solitari delle due specie. Per la corrispondenza delle strutture e per la uniformità di comportamento, credo che tutte le specie di Salpa si comportino essenzialmente nello istesso modo. Le osservazioni sulla ingestione furono da me condotte in acquario parallelamente alle esperienze di alimentazione già espo¬ ste per la 5. democratica. Gli individui di Salpa democratica , messi in opportune vaschette, erano osservati sotto il binoculare, e così pure gl' in¬ dividui di Salpa maxima , per la visione d' insieme del mecca¬ nismo in individui giovani di piccola mole e per le diverse correnti particolari per quelli di grossa mole , nei quali ultimi si poteva chiaramente, anche senza aiuto di lenti, vedere l'in¬ sieme del meccanismo ingestivo in grossi bicchieri , quando al¬ l'acqua erano state opportunatameute mescolate le sostanze atte a rendere evidenti le formazioni mucose, che attraversano il cavo faringeo per penetrare nell'esofago. Ho usato a tale scopo inchiostro di Cina e carminio. Sic¬ come il comportamento è perfettamente identico per le due specie studiate e per le diverse forme , basterà descrivere il comportamento di una sola di questa ; e sceglieremo la Salpa democratica. In tali condizioni sperimentali è facile notare con chiarezza le correnti continue che fluiscono lungo l'endostile, i vari organi cibati ed il margine ventrale della branchia , come ho innanzi esposto. La corrente endostilare percorre la parte centrale della gronda in direzione antero posteriore, e, giunta alla parte poste¬ riore dell'organo, presso il termine della fenditura limitata dalle pliche longitudinali ventrali, fuoriesce dall'endostile, continuandosi lungo il nastro retrofaringeo, seguendo il quale penetra nell’aper¬ tura esofagea. In queste condizioni, quindi, a produzione ridotta di muco, la corrente mucosa del fondo dell' endostile si può osservarla agente in direzione antero-posteriore, in direzione cioè esofagea. Altra corrente continua si allontana dall'endostile alla sua estremità anteriore. Quello che potrebbe sembrare , ad una os¬ servazione superficiale, un comportamento discordante dell' en¬ dostile ai suoi due estremi è invece, osservandone benelastrut- — 103 — tura e il comportamento, il risultato di un'attività perfettamente concordante delle formazioni ciliari che sono in suo rapporto. Osservando, difatti, 1' anatomia delPestremità anteriore del- l'endostile (Fig. 3) comprendiamo che anche nel primo tratto delle formazioni ciliari, che poi si svolgeranno nei cordoni pe¬ rifaringei , la corrente va dall' estremo anteriore dell' organo verso l'indietro ; difatti i cordoni si svolgono dall'estremo orale dell’organo muciparo, ne seguono per qualche tratto la superfi¬ cie dorsale in senso adorale e poi divaricano per attraversare trasversalmente dai due lati (cordoni perifaringei) il faringe ; la corrente, quindi, che prosegue su questo tratto è la continua¬ zione di quella che si era iniziata nell’istesso senso adorale di quella della parte media dell'endostile, e, continuando lungo i cordoni ciliati, segue la primitiva direzione, allontanando dall'en- destile quel muco che entra nel raggio dei suoi contatti iniziali. Ricorderò qui quanto ho detto a riguardo delle cellule se- cretrici mucipare riscontrabili nei cordoni e del contributo di muco che anche questa loro attività, per quanto lontana dalla importanza di quella endostilare, può dare al quantitativo di muco, che su essi scorre verso la branchia. 11 resto del percorso del muco scorrente lungo i cordoni perifaringei è facile seguirlo riportandosi a quanto ho detto pre¬ cedentemente. Le due correnti trasversali, alla loro saldatura sulla parte anteriore ventrale della branchia, proseguono lungo la zona lineare, che si svolge ininterrotta da un estremo all'altro della branchia, fra le due serie di traverse cibate, fino all' area periesofagea. La posizione delle strie cibate inclinate sul mar¬ gine in direzione adorale, e con risultante dinamica in senso esofageo, il perfetto raccordo con i cordoni perifaringei, tutta la organizzazione del margine ventrale della branchia concorre alla regolare progressione di questa corrente che è, in fondo, anche essa diretta in senso antero posteriore, verso l'orifizio esofageo. La varia posizione dell'organo cibato dorsale, il suo netto distanziamento in alcune specie dalle formazioni mucose per la ingestione, la nessuna parte che, specie in tali circostanze, mostra di prendere in tale funzione, rende evidente che quest' organo non è in diretto rapporto con la ingestione deb'alimento. Queste correnti mucose, nelle condizioni sperimentali, si — 104 — mostravano piene di particelle di inchiostro o carminio aggluti¬ nate ; non è dubbio, quindi, che anche molti minuti organismi son catturati e portati a loro mezzo all'esofago. Ma la secrezione mucosa ha momenti di maggiore o minore intensità e non si limita, con il quantitativo prodotto, ad alimen¬ tare le due correnti ora descritte, che si possono ritenere da sole riferibili ad un minimo di attività secretrice ; ma a frequenti periodi, in rapporto a circostanze che non è facile determinare, ma che non si riesce a poter raccordare con stimolazioni adatte esterne, e che meglio si lasciano spiegare in rapporto con stati fisiologici dipendenti dalle condizioni generali e intestinali, il muco è più intensamente prodotto, ed il meccanismo ingestivo va complicandosi e diventando più efficace ad un tempo, deli¬ neandosi condizioni capaci di determinare una più ricca cattura di alimenti dall’acqua ed infine, una vera filtrazione di essa. Questa intensificata produzione di muco, da parte dell' en¬ dostile, si manifesta con la produzione di trabecole mucose che, fuoriuscendo dal solco endostilare, e rimanendo attaccate per una estremità ad esso, o spostandosi con la estremità orale sui cordoni perifaringei, si diriggono e penetrano con l’estremità po¬ steriore, che si ritorce avvolgendo fili diversi in un cordoncino unico, nell'apertura esofagea e lungo l’esofago, dove si possono seguire verso lo stomaco (Fig. 13). Durante il periodo in cui si pronunziano e si formano le trabecole, la secrezione del muco si è intensificata e non abbiamo nel solco endostilare il semplice fluire, in senso posteriore, del muco, come abbiamo già visto, ma una spinta, lungo tutto l'or¬ gano, del secreto dal fondo verso la fenditura, per la quale spinta agiscono i lunghi flagelli delle cellule del fondo, in modo che il muco, non potendo essere contenuto, fuoriesce lungo la fendi¬ tura, e, guidato dalle correnti convergenti verso 1’ apertura eso¬ fagea, ed aspirato dal vortice che forma l'attività ciliare di questa e intestinale, penetra in essa, restando con l'estremo ancora le¬ gato all'endostile, o ai cordoni perifaringei in rapporto con que¬ sto, o, se ha fatto il muco, lungo questi ultimi, altro cammino fino alla branchia, pendono anche, talvolta, trabecole fra il mar¬ gine ventrale di questa e l'esofago. Tutti questi filamenti mucosi creano una rete più o meno — 105 — fitta attraverso la cavità faringea, nella quale rete si impigliano i corpicciuoli penetrati con l'acqua attraverso il cavo orale ; quelli che la resistenza del muco regge, i più passivi, o per lo meno quelli non dotati di mole e movimenti soverchiatiti la resistenza delle trabecole mucose, restano agglutinati e trascinati dalPaspi- razione intestinale, nel tubo esofageo e nello stomaco. Fig, 13. — Salpa democratica aggr., dal lato dorsale, ritratta durante un mo¬ mento di attiva ingestione. Le formazioni mucose sono poste in evidenza con raggiunta di inchiostro di Cina all'acqua ambiente. Cm, cordone mucoso ingestivo penetrante nell' esofago ; Im, Imbuto mucoso; MI, muscolo elevatore del labbro; Mas. e, muscolatura della apertura egestiva ; Mus.o, muscolatura orale; Mus.s, muscolatura soma¬ tica ; Nv, nucleo viscerale. Le altre indicazioni come per le figure prec. Nello schema non è disegnato 1' organo ciliato dorsale. Tutte queste formazioni, con identico comportamento , fu¬ rono da me osservate in tutti gli esperimenti condotti sia in Salpa democratica , sia in S. maxima , e in entrambe le forme •delle due specie. — 106 — A tratti, la produzione e la fuoriuscita di muco raggiunge tale abbondanza che, in un attimo, girano lamine non impervie dalla fenditura endostilare lungo i due cordoni cibati perifaringei e si forma, in un istante, chiudendosi la lamina dalle due parti contro la branchia, un setto mucoso fitto , come laminare , un sacco a forma di imbuto , con 1' orlo del suo largo imbocco aderente al giro dei cordoni perifaringei e l'apice massiccio con¬ torto in un cordone nel foro esofageo, nel quale penetra, e, at¬ torcigliandosi, giunge allo stomaco e vi si accumola (Fig. 13). Negli individui in cui è possibile vedere attraverso le pareti in¬ testinali, trasparenti o quasi, si può seguire questa trazione e questo accumolo in tutti i suoi particolari. La Salpa ha teso la sua rete, anche gli organismi più mi¬ nuti non possono sfuggire ; i più grossi, dotati di movimenti attivi, possono però infrangerla. Ma la cattura, in questi istanti, è certamente ricchissima e la tela mucosa , che la Salpa ritira attorcigliata nel suo stomaco, è colma di preda. L’acqua, che penetra in questi momenti attraversa l'apertura boccale in correnti regolari, per il lento e raddolcito movimento ritmico muscolare e per l'aspirazione delle varie ciliature , pre¬ dominantemente della branchiale e della intestinale, è compieta- mente filtrata attraverso l'imbuto, o, meglio, sacco mucoso. Ci troviamo di fronte ad un momento di intensa ingestione, che rivela una complessa coordinazione di attività delle più sva¬ riate parti del corpo: accentuata secrezione mucosa, intensificata aspirazione intestinale, appropriata regolazione dell' attività mu¬ scolare, che asseconda e non disturba la formazione di così de¬ licata trama, come quella del filtro mucoso. Tutto ciò parla di legami esistenti fra i vari organi cemen¬ tati nell'attività ingestiva e digerente; l’osservazione di alcuni atti, che importano variazioni di chiara apparenza riflessa in tali attività , ci fa vedere come necessari tali legami ; lo studio della ricca organizzazione nervosa collegante questi organi con il centro viscerale e con il ganglio centrale , ed i cui risultati abbiamo sinteticamente rappresentati in un capitolo precedente, ce lo conferma. Ho osservato e descritto fatti analoghi in Doliolum (1923) dove intervengono meccanismi anche più complessi, verificandosi — 107 — in essi anche un riflesso ciliare branchiale ; non possiamo non interpretare in Salpa , come in Doliolam , questi meccanismi coor¬ dinati, e manifestantisi sotto determinati stimoli e condizioni,, come riflessi. Se stimolazioni violenti si producono, anche all' inizio della ingestione, sull’orifizio boccale, o nel cavo faringeo, l'animale o non forma imbuto, o lo disfà e può, con riflesso espulsivo , li¬ berarsi di tutto, attraverso il cavo orale. Vien fatto di domandarci se il determinarsi del momento ingestivo, con l’accentuata produzione mucosa ed aspirazione esofagea, si pronunzi, come appare verosimile, in seguito a de¬ terminate condizioni stimolatrici. Io non penso che le formazioni a sacco e 1' accentuarsi del momento ingestivo siano in rapporto con stimolazioni provenienti dalle qualità degli organismi contenuti nelle acque ; molto spesso le attività secretrice e ingerente si sono accentuate durante i miei esperimenti con inchiostro e carminio; e non sono certo queste due sostanze le meglio adatte a provocare appropriate stimola¬ zioni sui ricettori chimici e sull’appetito di questi animali. Forse stimolazioni meccaniche possono influire in tal senso, e la proie¬ zione dei numerosi corpicciuoli disseminati nell’acqua di esperi¬ mento potrebbe avere stimolato in tal senso l’animale , ma su questo non saprei pronunziarmi con certezza, Ad ogni modo, la impossibilità sperimentale, in cui mi son trovato, di chiarire i rapporti fra qualità o quantità di organismi nelle acque e attività secretrice dell’endostile, e conseguente in¬ tensificata attività ingestiva, non esclude la esistenza di un senso chimico, da me dimostrato sperimentalmente nelle Salpe, met¬ tendone in evidenza anche le probabili disposizioni recettive. È certo che le Salpe respingono alcune sostanze chimiche insolite, sciolte nell'acqua, con il riflesso egestivo e protettivo, e rifuggono da acque in condizioni chimiche per esse non sop¬ portabili, con movimenti riflessi di indietreggiamento. Una sensibilità in tal senso dà, certo, all'animale anche la possibilità di ricercare e permanere in acque con migliori con¬ dizioni di alimentazione. Questo si può dire, ma la ingestione, invero , anche speri¬ mentalmente, mostra di sottostare a fattori eminentemente mec~ — 108 — canici; e Tappetilo delle Salpe, dal punto di vista qualitativo, appare completamente cieco. Non c'è quindi cernita, da questo lato, come abbiamo già visto con lo studio della prima parte di queste ricerche, ma c'è solo selezione, in connessione con la forza delle disposizioni in- gestive possedute dalTanimale. I più minuti planctonti o detriti sono riccamente catturati e dalle correnti mucose continue dei cordoni perifaringei , e margine longitudinale della branchia, e del nastro retrofaringeo, nonché dalle trabecole, che, molto di frequente, sono tese fra endostile , cordoni cibati , branchia ed apertura esofagea ; le prede più attive, o di una certa mole, sfuggono facilmente a questi più deboli mezzi di cattura. Più facilmente, però, incappano nel sacco mucoso formantesi nella piena attività ingestiva, dal quale possono ancora liberarsi gli organismi planctonici anche di pic¬ cola mole, ma con buone risorse locomotorie. Una ulteriore cernita nei riguardi della mole si compie per le dimensioni delTorifizio esofageo. Agglutinati troppo voluminosi, che urtano contro di esso, arrestano Tatto ingestivo, e possono anche provocare una espulsione di parte del cordone mucoso già ingerito. Ho osservato spesse volte che, durante i periodi di intensa attività ingestiva, dopo qualche tempo dalT inizio della penetra¬ zione del cordone mucoso con gli agglutinati, attraverso T eso¬ fago nello stomaco, in seguito o ad ingombro della cavità ga¬ strica o esofagea, o ad ingombri ed intoppi sull'orifizio esofageo stesso, la penetrazione si arresta, l'imbuto mucoso si può dis¬ solvere in brandelli, e la produzione del muco, da parte dello endostile, in quantità di formare membrane o trabecole è arrestata; si arresta l'aspirazione esofagea sul cordone già in penetrazione, e si inizia un movimento di espulsione lento, in senso inverso, dallo stomaco verso T esofago; la massa espulsa si va via via accumulando sul fondo della cavità faringea, nei pressi dell' in¬ testino, e viene poi espulsa violentemente, attraverso T apertura egestiva, con rapide ed energiche contrazioni della muscolatura somatica. Inoltre, se noi prendiamo sotto osservazione T intero tratto intestinale, ci accorgiamo come l'attività ingestiva e le secrezioni — 109 — e formazioni mucose relative si manifestano in rapporto con una più o meno accentuata attività intestinale e, nei periodi in cui il tratto digerente è carico di alimenti, come da un senso di sa¬ zietà nella Salpa, si riduce al minimo la secrezione mucosa, anzi , talvolta, questa si riduce di colpo, quando si manifesta rifiuto da parte dell' esofago di introdurre nuovi ingesti, con la espul¬ sione dei grumi mucosi verso la cavità faringea. Tutto ciò ci fa accorti che le condizioni intestinali e perin- testinali non sono isolate dalle attività di relazione nelle Salpe, le quali posseggono, senza alcun dubbio, una sensibilità interna viscerale. Le numerose formazioni recettive nervose da me messe in evidenza, in precedenti lavori (1923), non solo negli Ascidiacea, ma anche nei ThaLiacea , e, in questa memoria, nelle Salpe in particolare , insieme con le modalità funzionali riflesse ora no¬ tate, ne sono una sicura prova. IV. — Riassunto e conclusioni. Le Salpe sono attivi consumatori del plancton e la loro in¬ fluenza diviene enorme, in frequenti circostanze, per la loro grande politicità, che porta alla formazione di accumoli di miriadi di individui occupanti miglia e miglia negli Oceani, la presenza di tali accumoli porta, talvolta, ad un estremo impoverimento di al¬ cune forme, spezie minute, nel mare e può ripercuotersi finanche sul colore e la trasparenza delle acque. Questo impoverimento deriva non solo dal consumo di mi¬ nuti organismi ingeriti e digeriti dalle Salpe, ma anche dall' e- norme numero di ammassi di plancton minuto , specialmente fitoplancton, che le Salpe introducono, per le caratteristiche della loro organizzazione intestinale, nel loro tubo digerente, pur su¬ perando essi la loro potenzialità digerente e il loro bisogno di alimento, ma che, addensati e cementati dal muco e dal passag¬ gio attraverso l' intestino, diventano aggregati pesanti di forme adatte, quando isolate, per il galleggiamento, e cadono verso il fondo o servono di cibo ad altri animali , perduti per la vita planctonica. Osservazioni fatte su esame del contenuto in¬ testinale di animali raccolti appena dal mare, in bicchieri, ed — no — esperimenti di alimentazione in acquario rendono chiaro che le Salpe non esercitano cernita quali¬ tativa nella cattura degli alimenti. Sono state, in queste ricerche , studiate a tale scopo cin¬ que specie di Salpidae : Cyclosaipa pianata (Forsk.), Salpa de¬ mocratica Forsk., S. maxima Forsk., S. fusiformis Cuv., S. con - foederata f. bicaudata (Q. e G.) , accompagnando l'esame del contenuto intestinale con uno studio delle più importanti carat¬ teristiche del plancton, pescato contemporaneamente e nelle stesse località di comparsa delle Salpe catturate, ed eseguendo, infine, esperimenti di alimentazione in laboratorio, particolarmente con la Salpa democratica. Questo esame dimostra che le Saìpe si nutriscono a spese di organismi planctonici e di detriti di mole non soverchiante il rigido calibro del tubo esofageo , ed i primi anche di scarse possibilità locomotorie, incapaci di resistere alle correnti generate per la ingestione dalle Salpe e liberarsi dalle trame mucose, che queste tendono per la cattura del cibo. Troviamo, perciò, predominante negli alimenti ingeriti il fito— plancton con Coccolithophoridae) Dinofiagellata e Bacillariales , senza elezione di gruppi e di specie, che abbondano più o meno secondo la fisonomia del plancton esterno ; ma per gli organismi dello zooplancton, fra le molte forme presenti del plancton esterno e che, per le loro caratteristiche, sarebbero digeribili, riusciamo a rintracciare nell7 intestino, di tutte le specie esaminate, solo quei minuti organismi che presentano scheletri o involucri non digeriti, come Ra- diolaria) Tintinnidae} e, talvolta, Copepoda (ingeriti forse morti o ridotti in cattive condizioni). Non è da escludere, anzi è molto verosimile, che gran numero di forme minute zooplanctoniche, che non lasciano traccia per mancanza di involucri e parte sche¬ letriche, che rendono facile la diagnosi, passino nell'intestino delle Salpe, subito deformate, e siano da esse largamente sfruttate, come meglio adatte, nella digestione. Ad ogni modo le Salpe si nutriscono a spese di piccole forme planctoniche, vegetali come animali, ed ingeriscono anche ogni sorta di — Ili — detriti, organici ed inorganici; esse sono spiccatamente onnivore. Non esiste cernita qualitativa, riguardante cioè specie più o meno preferite, in questa ricchezza di alimenti, ma esiste bene una cernita dinamica, perchè le forme attive, che possono validamente reagire all'aspirazione delle correnti di ingestione generate dalla Salpa, ed all'agglutinazione delle formazioni mucose di questa, non passano nello stomaco dei Salpidae , ed una cernita quantitativa nei ri¬ guardi delle dimensioni, non potendo passare nel tubo intestinale organismi superiori al calibro boccale prima ed esofageo poi, non possedendo le Salpe possibilità di frammentarli. Le Salpe posseggono recettività chimica, che si manifesta, dietro opportune stimolazioni esercitate, da sostanze in soluzione, sul cavo orale. Sono descritte le disposi¬ zioni sensoriali dell'apertura boccale, dove, oltre a notevolissima ricchezza di elementi sensitivi tattili, sono riscontrate formazioni recettive di varia complessità, ma di natura evidentemente chemorecetti va, che possono essere rappresentate da elementi in forma- zionia fiasca, con lungo collo prendente rap¬ porto con i veli labiali, fino ad aggregati sensoriali più complessi a forma di bulbi. Le Salpe possono scegliere V acqua dove permangono e fuggire stimoli chimici non accetti, ma non pare siano in grado di esercitare una immediata accettazione od esclusione di deter¬ minati alimenti, per stimoli chimici rivelantisi all'atto della inge¬ stione ; e, d' altra parte, anche in presenza di sostanze inerti da questo punto di vista, come inchiostro di Cina e carminio, pos¬ sono manifestare intensa attività ingestiva. Forse appropriate recezioni tattili possono, in questo caso, avere influenza. Nello studio del meccanismo ingestivo sono ri¬ chiamate, ed esaminate brevemente, le disposizioni anatomiche e le varie attività funzionali degli organi cooperanti nell'atto inge¬ stivo, dandone una rapida rappresentazione d'insieme, ferman- 112 — dosi particolarmente sulle parti poco o niente note, e rappresen¬ tando in special modo il tratto intestinale e la zona periesofagea di alcune fra le specie studiate, fra le quali : & democratica , S. asimmetrica , S. punctata , C. polae e C. pianata , per alcune delle quali nulla si conosceva precedentemente su questa parte della organizzazione. La funzione ingestiva si esplica mercè Y azione combinata delle seguenti parti dell'organismo: bocca, con i suoi dispo¬ sitivi muscolari e sensoriali ; organi del cavo faringeo, cioè e n d o s t i 1 e , con la sua secrezione mucosa e attività ciliare, cordoni ciliari perifaringei, non privi di attività secretiva ma agenti principalmente con la loro attività vibratile, cordone branchiale, per la sua attività ciliare, nastro retrofaringeo, anche esso per l'attività ciliare. La superficie interna della cavità faringea ha apparati nervosi recettori, che spiegano la presenza di una sensibilità viscerale in questa importante cavità del corpo dei Salpidei. Grande importanza, inoltre, per la funzione ingestiva hanno l'area periesofagea, l'attività intestinale e, particolarmente, quella vibratile dell'esofago che, con l'aspirazione che provoca nella cavità faringea, determina la trazione, e dirige i cordoni mucosi, con gli alimenti agglutinati, attraverso il suo cavo, nello stomaco. L'endostile secrega muco in minore o maggiore quantità, secondo diversi momenti che, più che con stimolazioni esterne, si mostrano in rapporto con i diversi stati fisiologici dell'animale, specialmente derivanti dalle condizioni di minore o maggiore pienezza intestinale o ingorghi e stimoli anormali sul medesimo. Il muco, nei momenti di produzione rallentata, si allontana dall'endostile in due correnti continue ; la prima iniziantesi al¬ l'estremo orale di esso e continuantesi, con l'azione delle ciglia dei cordoni perifaringei, lungo questi organi, per i due lati, fino al margine anteriore ventrale del cordone branchiale, lungo il quale, per la propulsione generata dalla ciliatura di quest'organo, raggiunge l'area periesofagea ed è aspirata nell'esofago ; la se¬ conda corrente si muove al centro della doccia endostilare, dalla parte orale all'adorale di questa e , fuoriuscendo dal margine 113 — adorale della fenditura endostilare, si segue sul nastro retrofa¬ ringeo, dal quale è portato fin nell'interno dell’esofago, nel quale anche la ciliatura del nastro penetra e si continua. A tratti, il meccanismo ingestivo funziona con modalità molto diverse, e di gran lunga più efficaci : la secrezione endo¬ stilare si intensifica grandemente, il muco, spinto abbondante¬ mente, dalle lunghe ciglia del fondo, fuori tutta la fenditura della doccia, esce sotto forma di trabecole o di lamine, secondo il grado di attività, e si dirige con un estremo verso l’apertura esofagea, nella quale è aspirata. Possiamo così avere trabecole tese fra l'endostile e l’esofago o fra cordoni perifaringei, branchia ed esofago, una rete tesa attraverso la cavità faringea per l' agglutinazione e successiva trazione nell'esofago degli organismi che v'incappano. Di tratto in tratto si forma, fra cordoni perifaringei ed esofago, un imbuto mucoso limitato ventralmente dall'endostile e dorsalmente dalla branchia, generato da lamine mucose fuoriuscenti dalla doccia endostilare, seguenti con la estremità orale i cordoni, e conver¬ genti con l'altra verso l'esofago, nel quale tutto l'imbuto, attor¬ cigliato in un cordone, è tratto, ricco degli organismi e detriti tratti dall'acqua, completamente filtrata attraverso il cavo della Salpa. Abbiamo, quindi, due modalità di ingestione : una ingestione continua, ma di più tenue entità ; ed un momento ingestivo ef¬ ficace, che segna ì periodi più importanti dell' alimentazione delle Salpe. Tutti gli atti manifestante nella esplicazione di questa attività mostrano una evidente coordinazione fra i diversi organi che vi partecipano, coordinazione che ha anche evidenti mani¬ festazioni riflesse: come quelle delle interruzioni sibitanee dell’atto ingestivo, e della secrezione mucosa dietro urti o pienezza inte¬ stinale ; della espulsione esofagea dei cordoni in ingestione, dopo l'arresto di questa per ingorgo gastrico o ostacoli nella zona esofagea ; il riflesso muscolare espulsivo in seguito ad accumoli delle sostanze rifiutate dall'esofago in zona intestinale, portante alla rapida espulsione dei corpi estranei attraverso l' apertura boccale. - 8 - — 114 — A queste coordinazioni manifestamente nervose corrisponde una organizzazione nervosa delle diverse parti, collegate poi al ganglio centrale per il tramite del nervo branchiale e dei nervi che corrono, attraverso i cordoni perifaringei, all'endostile. Questi nervi centripeti, a rapporti manifestamente viscerali, sono le vie dei riflessi secretori, che certamente si manifestano nell'attività ingestiva delle Salpe ; attraverso le fibre centripete del nervo branchiale, che per i suoi rapporti con il centro vi¬ scerale e con i diversi visceri dell'animale, ben si può chiamare il pneumagastrico dei Salpidei, si possono manifestare quei ri¬ flessi a recettori viscerali, che provocano le contratture della mu¬ scolatura somatica, nella espulsione delle sostanze rifiutate attra¬ verso esofago. Riassunto Sulla base di uno studio planctologico, condotto per il golfo di Napoli, e di indagini anatomiche e sperimentali sull’apparato digerente, sistema nervoso e dei vari organi ed attività dinamiche, in rapporto con la ingestione, in cinque specie di Salpidae ( Salpa democratica, S. maxima, S. fusiformis , S. confoederata f. bicaudata , Cyclosalpa pianata), FA. espone in questo studio i risultati riguardanti le qualità delle sostanze ingerite e le modalità della prensione degli alimenti, tracciando, da un lato, un quadro delle varie specie di organismi e detriti ingeriti, in rapporto alla microflora e microfauna contemporanea nelle acque, e precisando, dall’altro, i vari fattori del meccanismo in¬ gestivo, non solo nei riguardi delle disposizioni anatomiche dell’eso¬ fago, endostile, branchia, e delle varie formazioni cibate connesse (per le quali sono esposti nuovi dati anche per altre specie di Salpe, oltre le cinque enumerate) ma illustrando e precisando il contributo ed i rapporti funzionali di queste varie parti, e mettendo in luce i legami funzionali con il sistema nervoso, esaminando i dispositivi ri¬ cettori per gli stimoli chimici e tattili in rapporto con l’apparato di¬ gerente ed i centri autonomi viscerali, e dando di essi una rappresen¬ tazione anatomica. 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La sostanza colorante del mirto. Comportamento della sostanza colorante con i reattivi più comuni. Saggi del potere colorante della sostanza colorante del mirto su lana e su cotone» Conclusione. Generali tà- Come ho già indicato nelle mie memorie precedenti Se foglie del mirto (Myrtus comm un is L. varietà italica) si utilizzano nella concia delle pelli e propriamente per la preparazione di cuoi che vengono adoperati per selleria (Nota III, Bollettino Società Naturalisti, Voi. XXXIX, anno XLI, 1927). Il cuoio preparato con questo materiale si riconosce dal fatto che esso presenta un bel colore giallo - oro. Questa colo¬ razione è evidentemente dovuta alla presenza, nelle foglie del Mirto, di una sostanza colorante che accompagna il tannino {principio attivo conciante). Ho confermato la presenza di questa sostanza colorante ese¬ guendo Tanalisi qualitativa dei non - tannini che si trovano nelle foglie. Dopo cioè di aver eliminato il tannino per precipitazione — 120 con gelatina, in una soluzione preparata nel modo già indicato (Nota I, Voi. XXXVIII, anno XL, 1926) ho riconosciuto la pre¬ senza di una sostanza colorante che impartisce alla soluzione acquosa una colorazione giallo-oro caratteristica e che preci¬ pita per aggiunta di acetato basico di piombo. Scopo di questo mio lavoro è di isolare la sostanza colorante del mirto e di studiarne le sue caratteristiche e proprietà. Osservazioni sul comportamento della sostanza colorante nella preparazione del tannino puro. Nei saggi preliminari eseguiti allo scopo di scegliere un metodo adatto alla separazione del tannino puro (Nota II, loco citato, pag. 149 - 150) ho potuto osservare : a) Nella preparazione del tannino col metodo indicato dal Pelouze e cioè per estrazione del materiale tannico con etere commerciale a 56°, da me eseguita con un comune estrattore Soxhlet, massima parte della sostanza colorante (mista ad acido gallico, acido ellagico ed altre impurezze) si separa nello strato etereo. b) Nella prova basata sulla solubilità del tannino in ace¬ tone (dovuta al Trimble e cioè macerazione del materiale tannico per 48 h. con acetone ; filtrazione, distillazione del filtrato a b. m. nel vuoto per eliminare il solvente ; trattamento del residuo secco con poca acqua calda o con alcool a 93°, filtrazione, dilui¬ zione con etere acetico ecc., ho potuto osservare che questa soluzione eterea portata a secco lascia un residuo gialliccio, so¬ lubilissimo in acqua, che dà tutte le reazioni dei tannini; mentre la soluzione eterea detannizzata con gelatina passa limpidissima, il che dimostra che la sostanza colorante debba essere insolu¬ bile o lievemente solubile nell'etere acetico e nell'acetone. c) Nel metodo da me prescelto per la preparazione del tannino e cioè : estrazione del materiale con acqua a 50° per percolazione, concentrazione nel vuoto, precipitazione con una miscela di acetato neutro ed acetato basico di piombo ; sospen¬ sione in acqua della parte media del precipitato, precipitazione del piombo con H2 S, filtrazione, concentrazione a vuoto su - 121 - acido solforico concentrato, ho osservato che il precipitato con acetato di piombo contiene tutta o quasi la sostanza colorante e che tutte le operazioni successive alla precipitazione con l'acetato di piombo non valgono ad eliminare la sostanza colorante dal tannino. d) Nella purificazione del tannino preparato col metodo precedentemente indicato (c) ho trattato il residuo tannico (otte¬ nuto per essiccazione nel vuoto) con alcool a caldo : esso vi si scioglie impartendo all'alcool la propria colorazione, il che indica che la sostanza colorante si scioglie per lo meno parzialmente in alcool a caldo. Questa soluzione alcoolica ho dibattuto con etere acetico : quindi ho separato le due soluzioni. La soluzione alcoo lica è ancora colorata in rosso - bruno e portato a secco lascia un residuo giallo - bruno, costituito in massima parte da sostanza colorante, mentre la soluzione eterea (ricca in tannino) non è che lievissimamente colorata il che dimostra che la sostanza è pochissimo solubile nell’etere acetico, confermando quanto già precedentemente indicato (b). e) Nella purificazione del tannino con acetone ho notato che in questo solvente la sostanza colorante non passa in solu¬ zione. In conclusione nelle prove precedentemente indicate, ho potuto osservare quanto segue : 1°) la sostanza colorante del mirto passa in soluzione nell'acqua e nell'alcool per lo meno parzialmente ed a caldo ; 2°) la sostanza colorante si scioglie discretamente nell'etere etilico, è invece pochissimo solubile nell'etere acetico, ed affatto insolubile nell'acetone ; 3°) l'acetato di piombo (e di preferenza l'acetato basico precipita interamente la sostanza colorante, però sempre unita¬ mente al tannino ; 4°) la sostanza colorante è di preferenza legata al tannino, onde occorre allontanare queste due sostanze dalle altre che ad esse si accompagnano nel materiale tannico e quindi eseguire la separazione tra sostanza colorante e tannino per differenza di solubilità. - 9 - Separazione della sostanza colorante. Ho preparato una soluzione tannica dalle foglie del Mirto col solito metodo al percolatore di Procter, a 50° C. Sulla so¬ luzione così preparata ho eseguito le prove seguenti per l'isola- mento della sostanza colorante : I. Prova. - Ho aggiunto alla soluzione tannica una solu¬ zione di solfato di alluminio, Al2 (S04)3, e quindi idrossido di ammonio a gocce : ho ottenuto in tal modo un precipitato ab¬ bondante giallo, mentre la soluzione rimaneva colorata in giallo. Filtrando ed aggiungendo al filtrato ancora soluzione di Al2 S04)3 ho osservato un precipitato giallastro gelatinoso abbon¬ dantissimo. Filtrando nuovamente la soluzione filtrata risulta in¬ colora, il che dimostra che la sostanza colorante è stata intera¬ mente precipitata dal solfato di alluminio ; però in questa soluzione si osserva l'assenza assoluta di tannino. Si ha quindi in tal modo un primo precipitato costituito in massima di tannino accompa¬ gnato da sostanza colorante ed un secondo precipitato costi¬ tuito in massima di sostanza colorante mista a tannino. La separazione non può evidentemente eseguirsi con questo metodo, come ho potuto confermare per precipitazione frazionata con solfato di alluminio in soluzione ammoniacale, ed eliminazione dei successivi precipitati. Il liquido filtrato dopo eliminazione completa del tannino e della sostanza colorante dà con sali ferrici (allume ferrico e cloruro ferrico) precipitato rosso - bruno. II. Prova. — Dalla soluzione tannica ho precipitato quan¬ titativamente il tannino con gelatina, eliminando il precipitato per filtrazione. Il liquido filtrato, detannizzato, di colore giallo-oro ho trattato con Ba (OH)2 fino a precipitazione completa. Il pre¬ cipitato ottenuto è voluminoso, giallo ; la soluzione rimane colo¬ rata in giallo - verde. Ho portato il tutto, senza separare il precipitato, all'ebollizione : nello scaldare la soluzione acquista un colore giallo - arancio, che ritorna giallo - verde per raffred¬ damento, e imbrunisce gradatamente col riposo. Ho filtrato, ed — 123 - il liquido filtrato, acidificato con acido cloridrico (acidificando il liquido ridiventa giallo chiaro) ho concentrato a piccolo volume. Ho filtrato, dopo raffreddamento, raccogliendo il residuo che si forma (A); nel filtrato ho aggiunto H2 S04 per eliminare il bario, fino a precipitazione completa del solfato di bario, eli¬ minando quest’ultimo per filtrazione. Ho concentrato ancora il filtrato, dopo eliminazione del bario, raccogliendo il nuovo re¬ siduo formatosi (B). Il precipitato di Ba S04 ottenuto per aggiunta dall' acido solforico è colorato, il che indica che una parte della sostanza colorante è rimasta incorporata in questo precipitato. Ho lavato questo precipitato con soluzione di ammoniaca calda, ho acidificato lievemente il filtrato con acido cloridrico, ho lasciato depositare e quindi ho raccolto sul filtro il nuovo residuo (C). I diversi precipitati della sostanza colorante (A,B,C) sono stati lavati a fondo con acqua e quindi disciolti in soda. Da questa soluzione ho precipitato la sostanza colorante per aggiunta di acido cloridrico, raccogliendo il precipitato su filtro a pompa. Dopo essiccata, questa sostanza si presenta in granuli bruni, insolubili in acqua a freddo, lievemente solubili in acqua a caldo, con colorazione giallo -- oro, solubili in alcool diluito con la medesima colorazione. La soluzione alcoolica precipita con acetato di piombo in giallo bruno ; con cloruro ferrico dà una colorazione giallo ver¬ dastra, che per riscaldamento passa al rossastro ; imbrunisce per addizione di ammoniaca. La soluzione ammoniacale imbrunisce rapidamente all’aria. Questa sostanza colorante, osservata al microscopio, si pre¬ senta assolutamente amorfa. IH. Prova. — Nell’estratto tannico ho eseguito la precipi¬ tazione con acetato di piombo (miscela di acetato neutro ed ace¬ tato basico, per rendere la precipitazione più completa), eliminando le prime ed ultime frazioni del precipitato. Raccolto il precipitato medio, l'ho messo in sospensione in acqua ; ho spiombato con idrogeno solforato, filtrato, concentrato nel vuoto il filtrato fino — 124 — a consistenza sciropposa, ed ho quindi essiccato il residuo su acido solforico nel vuoto. Ho ottenuto, dopo alcuni giorni, un residuo rosso-bruno scaglioso, contenente tannico, sostanza colorante, e piccolissime quantità di acido gallico (cfr, mia Nota, Boll. Società Naturalisti, Voi. XXXVIII, anno 1926). Ho dibattuto questo residuo con acetone e dopo aver lasciato un certo tempo in riposo, ne ho decantata la soluzione : passa così in soluzione nell'acetone tutto il tannino, mentre rimane un residuo contenente la sostanza colorante, impura per lievi quan¬ tità di acido gallico. Ho trattato questo residuo, a lieve calore, con alcool diluito, sciogliendo gran parte della sostanza. Ho otte nuto così una soluzione alcoolica colorata in rosso - bruno. Ho evaporato leggermente questa soluzione e quindi l'ho abbandonata a sè stessa in un cristallizzatore. Dopo alcuni giorni ho osservato, sul fondo del cristalliz¬ zatore, un deposito che ho riconosciuto essere acido gallico. La soluzione, esaminata, dimostra assenza assoluta di acido gallico. Ho filtrato la soluzione in un altro cristallizzatore, ho concen¬ trato ancora e lasciato in riposo. Ma poiché, dopo diversi giorni pur essendo la soluzione molto concentrata, non si osservava alcun deposito, ho portato a secco, a lievissimo calore nel vuoto. Ho ottenuto così una massa scagliosa, esente da tannino e da acido gallico e che per successive soluzioni in alcool ed es¬ siccazione si presenta sempre allo stesso modo : trattasi perciò di sostanza colorante pura. Questo metodo è quindi quello che mi ha dato il miglior risultato nella separazione della sostanza colorante. La sostanza colorante del mirto. La sostanza colorante del mirto, separata nel modo anzidetto dal tannino e dall'acido gallico, che sono i prodotti che ad essa maggiormente si accompagnano, si presenta sotto forma di pic¬ cole scaglie rosso - brune, lucenti. Esaminata al microscopio non presenta alcuna traccia di cristallizzazione (e di qui la grande difficoltà di separazione dal tannino, che rappresenta anch' essa una sostanza non cristallizzabile). — 125 — È lievemente solubile in acqua a freddo, discretamente so¬ lubile in acqua a caldo, solubile in alcool, discretamente solubile in etere etilico, pochissimo solubile in etere acetico ed affatto insolubile in acetone. Le soluzioni hanno un bel colore giallo-oro. Viene precipitata completamente dall'acetato basico di piombo. Per la sostanza colorante da me preparata in tal modo se¬ parandola dalle foglie del Myrtus communis L. propongo il nome di “mirtina,,. Comportamento della sostanza colorante con i reattivi più comuni. Ho preparato una soluzione di sostanza colorante in alcool diluito, a caldo, l'ho lasciata raffreddare e ne ho quindi osser¬ vato il comportamento con i seguenti reattivi (le reazioni sono state osservate dopo 24 ore) : Reattivi Reazioni osservate 1) ammoniaca. . . . 2) carbonato ammonico 3) acido cloridrico . . 4) idrossido di sodio . 5) allume potassico . . ó) allume di cromo . . 7) cromato potassico . 8) bicromato potassico. 9) solfato di rame . . 10) ossalato di titanio . 11) tartaro emetico . , 12) cloruro stannoso. . forte imbrunimento della soluzione ; lieve deposito gelatinoso giallo-bruno ; n. n. lieve imbrunimento della soluzione ; precipit. gelatinoso giallo-bruno; soluzione gialla; lieve precipitato fioccoso giallastro ; soluzione giallo-verdastra ; precipitato abbondante , gelatinoso, giallo-bruno ; colorazione verdastra ; prec. abbondante gelatinoso bruno ; soluzione giallo-aranciata ; lieve pre¬ cipitato aranciato ; decolorazione della soluzione ; solu¬ zione torbida ; decolorazione della soluzione ; 13) magistero di bismuto . lieve decolorazione ; 14) permanganato potassico forte imbrunimento; deposito fioc¬ coso rosso-bruno. — 126 — Saggi del potere colorante della sostanza colorante del mirto su lana e su cotone. Ho voluto esperimentare il potere colorante della sostanza colorante del mirto ed ho ottenuto i seguenti risultati : Tintura su lana. I. Prova. — Ho preparato per detannizzazione una solu¬ zione di sostanza colorante, l'ho portata all' ebollizione e vi ho immerso un fiocco di lana branca. Dopo 20 minuti di ebollizione ho estratto il fiocco di lana, Tho lavato bene e ne ho osservato la colorazione : colore giallo-oro. Prove di resistenza. — All'aria ed alla luce il co¬ lore non smonta, anche dopo un periodo di osservazione di oltre sei mesi. Sottoposto a ferro caldo, il colore non ha subito varia¬ zione di tono. Per lunga immersione in acqua il colore non scarica. II. Prova. — Ho preparato una soluzione tannica delle foglie del mirto per percolazione: la soluzione titola 1°,5 Bé. Per ebollizione di un'ora in questa soluzione, e successivo lavaggio con acqua corrente, un fiocco di lana bianca assume colore marrone intenso. Prove di resistenza. — Idem. Tintura su cotone. I. Prova. - Con soluzione detanizzata (come per la lana) all'ebollizione per 20 minuti : colore giallo-oro. Prove di resistenza. — Idem. II. Prova. — Con soluzione tannica (come per la lana) all'ebollizione (I h): colore giallo-bruno (molto meno intenso che per la lana). Prove di resistenza. — Idem. In conclusione la sostanza colorante del mirto si presta bene per la tintura su lana e su cotone, dando dei toni giallo-oro molto intensi, e che resistono bene aU'azione dell'aria, della luce dell'acqua e del calore, - 12 1 - In presenza di tannini, la colorazione va al marrone intenso per la lana ed al giallo-bruno per il cotone , per quest' ultimo con intensità di colore molto minore che per la lana. Conclusione. Dalle foglie del mirto (Myrtus comtnunis L., var. Italica) io ho estratto una nuova sostanza colorante, che impartisce alle sue soluzioni un bel colore giallo-oro, e che ha dato buoni risultati nelle prove di tintura su lana e cotone. Il lavoro di estrazione e separazione di questa sostanza co¬ lorante è stato lungo e difficile, sopratutto per la presenza di tannino che ad essa strettamente si accompagna e per il fatto che tale sostanza ha l'inconveniente di non cristallizzare. Alla sostanza colorante del mirto, da me isolata, propongo di dare il nome di "mirtina Questa mia memoria viene così a terminare una serie di ri¬ cerche che hanno avuto lo scopo di far conoscere la composi¬ zione chimica dei vari principi componenti le foglie del Myrtus comniunis L., var. Italica. Dalle foglie del mirto , oltre 1’ olio essenziale ottenuto per distillazione pirogenica, fino all'anno 1926 non si conosceva che il potere tannante, molto utilizzato in pratica. Con la serie dei miei studii su questo materiale ho dimo¬ strato che le foglie del mirto hanno la seguente composizione chimica media : Acqua .... 8,60 Tannini .... 10,60 Non-tannini . . . 15,80 Sostanze insolubili . . 65,00 100,00 e qualitativamente : Acqua Tannino Acido gallico Pirocatechina Sostanza colorante Zuccheri riducenti Sostanze minerali (cationi : sodio, potassio, ferro, allu¬ minio , manganese , calcio ; anioni : acido cloridrico, acido carbonico, acido solforico) Sostanze amare, resine (non ancora determinate bene). — 128 — In merito alle sostanze amare o indifferenti faccio notare che dal Mirtus cheken , appartenente alla medesima famiglia del Myrtus cotnmunis , sono stati estratti e studiati i seguenti prin¬ cipi : a) chekenina , fusibile a 224° - 225°, facilmente solubile nel¬ l'alcool caldo e nell'etere, della composizione incerta C12Hh03 (?) ; b ) chekenitina) della formula CltH706.H20, che dall'acido acetico si separa in cristalli gialli , che non fondono neppure a 300° ; c) chekenone , insolubile in acqua , solubile in alcool, fusibile a 204° - 205°, dalla formula C20 H , 04. È quindi possibile che le medesime sostanze possano ritro¬ varsi nelle foglie del Myrtus cotnmunis L., var. Italica. Riassunto In questo lavoro, che si ricollega e fa seguito a precedenti me¬ morie del medesimo autore (Studi e ricerche sperimentali sul Myrtus communis L., var. Italica (Boll. Soc. Naturalisti in Napoli : Nota I, 22 febbraio 1926; Nota II, 31 maggio 1926; Nota III, 30 genn. 1927) viene riportata la lunga e difficile serie di lavori sperimentali, che hanno portato all’ isolamento e caratterizzazione della sostanza colo¬ rante del mirto , completando così la conoscenza dei principi attivi contenuti in questo materiale tannico , che trova larga applicazione industriale. Finito di stampale il 30 giugno 1933. Note biologiche sul Calci nus ornatus (Roux) del socio Gennaro Fenizia (Tornata del 21 gennaio 1933) Fino a pochi anni or sono (1926) non si conosceva che tra i Pagarmi del golfo di Napoli esistesse qualche rappresentante del genere Calcinus (Dana). Una sola specie, il Calci nus ornatus (Roux), era nota per il Mediterraneo e, immediatamente fuori, per r Atlantico. Il Roux, infatti, la trovò nel golfo di Marsiglia, il Grube, come attesta Bouvier, nell'Adriatico ; il Bouvier la rin¬ venne tra i decapodi raccolti dalla goletta Melita presso le Azzorre. Le prime descrizioni erano un po' superficiali e vaghe. Il Bouvier, invece, ne diede un’ ampia descrizione, determinò anche la posizione sistematica della specie, e cambiò il nome del genere da Pagurus, com'era stato chiamato da Roux e Grube, in Cal¬ cinus. Nel 1926 il Balss fu il primo a indicare che questa spe¬ cie esistesse anche nel golfo di Napoli ; infatti Y aveva trovata fra i decapodi , che gli erano stati inviati da Napoli perchè li determinasse. Desta un po' meraviglia il fatto che questa specie sia sfuggita finora, tranne che al Balss, a tutti quelli che si sono occupati dei paguri del Golfo, mentre essa è molto diffusa. È probabile che sia stata confusa con altre simili. Il Calcinus ornatus, infatti, somiglia molto ad altri Pagurini, specialmente al Clibanarius, col quale deve essere stato confuso. Qualche autore infatti, come il Carus , include nel genere Clibanarius una specie, di cui i caratteri sono quelli del Calcinus. Ma c' è differenza netta fra i due generi in parola, se si tien conto dei criteri, già general¬ mente adottati, per la classifica dei Pagurini. È noto che i - io - - 130 — Mixtopaguri (E. L. Bouvier) si distinguono tra loro per il piano nel quale si muovono le dita delle chele, piano nettamente per¬ pendicolare al piano di simmetria del corpo nei generi Clibana- rius, Paguristes ; obliquo nei generi Calcinus, Pagurust Diogenes . Potrebbe piuttosto il Calcinus sembrare un Pagurus piccolo, ma, a parte la differenza notevole di dimensioni, il genere Pagu¬ rus ha cinque coppie di artrobranchie e quattro pleurobranchie isolate, e le dita delle chele a punta cornea, mentre il genere Calcinus ha cinque coppie di artrobranchie e tre pleurobranchie isolate da ciascun lato, e le dita delle chele calcificate all'estre- mità (v. Perrier, Bouvier). Ma le differenze su riferite erano forse sfuggite agli studiosi dei Crostacei del Golfo. Il Balss, poi, avendo ricevuti animali conservati, senza alcuna notizia riguardo alla biologia di essi, segnalò solo Y esistenza del Calcinus ornatus nel golfo. Niente perciò si conosce della vita di detta specie nel mare di Napoli, e poco anche altrove. Da parecchio tempo ho avuta occasione di occuparmene, grazie all’abbondanza di materiale e di mezzi di ricerca in mare, di cui mi ha fornito la Stazione Zoologica, quindi credo bene darne qui alcune notizie. Ma prima devo rilevare qualche pic¬ cola differenza tra la descrizione del Bouvier, così precisa, ed i caratteri degli esemplari da me esaminati, Note di morfologia. Colore. — La regione del cefalotorace, dietro al solco cervicale non ha “ colore rosso fulvo immediatamente dietro il solco „ e poi " rapidamente giallo molto pallido appena visibile e semplicemente biancastro nelle parti laterali delle regioni bran¬ chiali „ (Bouvier 1892) a); invece nei numerosi esemplari da me osservati la regione suddetta è di colore talvolta bluastro, con macchie color ruggine nelle aree cardiaca ed intestinale, più spesso violaceo. La regione anteriore al solco cervicale è di fondo bleu in tutta l’area gastrica, con macchie rotonde rosse, sparse qua e là, occupanti piccole aree circolari, ove la chitina è più sot- i) Il Bouvier descriveva esemplari conservati in alcool, che quindi , co¬ m’egli stesso notava, probabilmente erano decolorati. - 131 - tile e trasparente; queste macchie formano tutto un contorno rosso, quasi continuo, alla periferia Il colore bleu diviene sempre più carico, fino a formare una macchia bleu scuro o viola, a seconda degli esemplari, nella parte anteriore. Nelle regioni epatiche e in quella frontale il colore predominante è rosso vermiglio con macchie color bleu. Anche nella regione palmare alcune volte è il bleu, che predomina, ma più spesso esso forma come il fondo, su cui le macchie rosse sono così numerose e vive, da dare un insieme rosso vermiglio vellutato. L’addome ha una tinta .violacea di sopra e rosea di sotto, oppure, in altri esemplari, color roseo di sopra con fasce violacee e bianco gialliccio di sotto. Il propodo del II e III paio di pereiopodi presenta una fa¬ scia trasversale color rosso scuro o viola e fasce longitudinali alterne di color arancione e bleu. La cornea, di color nero, nella parte dorsale ha, costante- mente, alcune areole (quattro o cinque) di color bianco, di for¬ ma grossolanamente poligonale, ma a margini frastagliati. Queste macchie bianche scompaiono negli animali conservati. 11 palmo della chela sinistra, nella superficie supero-esterna è convesso, senza creste, — a stento può scorgervisi qualche ruga — ed ha, presso le dita ed i margini superiore ed inferiore, piccoli tubercoli. La chela destra, a sezione quasi triangolare, presenta sulla parte inferiore della superficie supero-esterna del palmo piccole rughe simili a scaglie e qualche tubercolo spinoso, e il margine superiore rilevato e tagliente come una carena, sor¬ montato da tubercoli spinosi, di solito quattro, sempre più grandi a misura che sono più vicini all’articolazione col dattilo. Il propodo del II e III paio di pereiopodi è poco compresso lateralmente. Le zampe sono tutte fornite di setole. L’ addome, là dove s’innesta al cefalotorace è, nella parte dorsale ed ai lati, occupato da un folto rivestimento di peli ramosi, pennati, che si estendono anche al margine del carapace, e che formano un filtro continuo attorno alle branchie. Le differenze su esposte debbono forse attribuirsi a varia¬ zioni locali ? Riguardo alle dimensioni ho constatato che quelle date dal Bouvier corrispondono alla media degli esemplari più grandi. — 132 — Esse sono : lunghezza approssimativa del corpo .... mm. 25 , „ „ del cefalotorace. . . „ 8,5 „ „ della regione gastrica „ 4,7 (fino al bordo frontale) larghezza della fronte . „ 3 lunghezza dei peduncoli oculari . „ 3,6 Ma ho avuti molti esemplari, sessualmente maturi, di di¬ mensioni molto più piccole. Per esempio una femmina con uova aveva all'incirca le dimensioni seguenti : lunghezza approssimativa del corpo .... mm. 14 „ „ del cefalotorace. . . „ 4 „ „ dei peduncoli oculari „ 1,7 larghezza del margine frontale . „ 1,5 Questi individui più piccoli presentano anche una lieve dif¬ ferenza nella forma dei peduncoli oculari, un po' più tozzi, e nei colori che hanno tinte più pallide. Luoghi di dimora - ambienti - modo di vi¬ vere. — Nel golfo il Calcinus si trova in molti posti ed in ambienti vari. Nel porto di Mergellina se ne pescano già a m. 1,50 di profondità; ivi è assieme a Clibanarius misanthropus (Risso), Eupagurus anachoretas (Risso), al Catapaguroides timi dus (Roux), per citare soltanto alcuni altri Pagurini. Innanzi Palazzo Donn'Anna, a distanza di m. 100 a 300 da terra, a pro¬ fondità da 8 a 15 m., ne vivono assieme ad Eupagurus Pri- deauxii (Leach) a qualche Eupagurus anachoretus (Risso) e cuanensis (Thompson) ; così ancora a Posillipo, Pozzuoli, Baia, Torre del Greco, Capri. Ma dove ne ho trovati sempre in grande quantità, con predominio assoluto, quasi esclusivo tra i Pagurini , è in un fondo sassoso poco fuori il porto di Mergel¬ lina, in direzione della Chiesa del Sannazaro, a circa 9 metri di profondità, a distanza di m. 150, circa, dalla costa. Questo fondo è costituito da sassi oramai logorati dal lavoro dell’acqua e quindi a superficie frastagliata, coperti da numerosi nidi di Ba lanus. I sassi ed anche i balani sono a loro volta incrostati di alghe calcaree ( Lithothamnion , Lithophyllurn) e nascosti da fitti 133 — fi feltri di gigartine ; l'ambiente perciò ha un colore complessivo rossiccio. Contribuiscono a rendere più marcata tale tinta nume¬ rosi esemplari di Fusus syracusanus Lam. Tutto T ambiente dun¬ que è intonato al colore del Calcinus, nel quale il rosso è pre¬ dominante. Su questo fondo pochi altri Pagarmi gli si accom¬ pagnano, cioè il Catapaguroides timidas , qualche Eupagurus Prideaaxii , qualche Anapagurus laevis (W. Thompson) e Paguri - stes oculatus (Fabricius). Vi sta nascosto nelle anfrattuosità del fondo, o trascinandovisi sopra lentamente, in modo che quasi non si scorge. Fig. 1. - Conchiglia di Cerithium che ospita due esemplari di Calcinus e su cui è cresciuto un cespuglio di Cystosira. - Grand, natur. Altrove vive però in ambienti differenti, purché trovi come nascondersi. Innanzi Palazzo Donn'Anna è in mezzo alla Caulerpa, dXYUlva , in un ambiente ove predomina il verde. Ma si associa agli eupaguri, specialmente della specie Prideaaxii, che somi¬ gliano un po’ nel colore al Calcinus , e che, conTè noto, sono — 134 — ben protetti dalle loro adamsie. Qualche volta sono nascosti sotto alghe o tunicati , attaccati o cresciuti sulla loro conchiglia. Ne ho trovati, infatti, in conchiglia coverta da Distaplia, Cystosira, Dasycladas. Nel golfo di Pozzuoli, a destra del Castello di Baia, numerosi esemplari del Calcinus orti, erano in conchiglie di Cerithium vulgatum (Brug) completamente coperte da un folto cespuglio di Dasycladus clav. (Ag.), (Fig. 2). Fig. 2. - Conchiglia di Cerithium vulgatum ( c ) coperta da Dasycladus clav. (d) e abitata da Calcinus ornatus ( ca ). Del Calcinus si vedono soltanto le chele e il dattilo di qualche pereiopodo. - Grand, natur. In breve area ne trovai parecchi, sicché il fondo doveva essere quasi coperto da un tappeto delle alghe, che nascondevano completamente i Pagarmi. Preferisce le conchiglie di Cerithium vulgatum, raramente occupa quelle di Gibbuta, Nassa, Natica ; ne ho trovati nasco¬ sti persino in nidi di Balanus e in uno stecco di legno forato longitudinalmente e incrostato in superficie. — 135 Nello spessore della conchiglia abitano quasi sempre anel- lidi di varie famiglie, come Pyliodocidae e Nereidae , che scavano canali in tutti i sensi nella parete, e specialmente dentro la co- lumella, ed affiorano sulla superficie in collaretti fatti di fanghi¬ glia, sempre in cerca di particelle alimentari da fermare e por¬ tare alla bocca. Mi pare che la loro presenza costante, come quella di altri anellidi : le serpule, che covrono con i loro tubi calcarei le conchiglie e frequentemente vanno ad aprirsi verso la bocca di esse, debba far pensare ad un vantaggio scambievole del paguro e degli anellidi. La porzione più alta deir interno della conchiglia abitata dal Calcinus, è sempre occupata da una fanghiglia, entro cui sporgono alcuni di tali anellidi o vi stanno raggomitolati. Gli anellidi con la loro voracità provvedono forse a tenere sgombra la conchiglia sia nell'interno che in superficie, mentre trovano rifugio e alimento. Tra gli inquilini del Calcinus sono frequenti anche gli an¬ tipodi, per lo più nascosti in qualche concavità della superficie e protetti da un debole nido di fanghiglia. Una conchiglia dun¬ que, diventa come l' abitazione comune di numerosi individui tanto differenti, viventi in armonia perfetta, e sempre vigili per consumare ogni piccola particella alimentare, che capiti per caso a tiro degli organi di presa. Sempre ammirabile l'economia dei mezzi di sussistenza : spazio ed alimenti, e la varietà nelle esi¬ genze, che permette la possibilità di vita di esseri numerosi in breve spazio. Il Calcinus, col suo numeroso gruppo di inquilini non ha istinto di attiva ricerca, invece è tardo e restìo a muo¬ versi ; attende pazientemente, anzi torpidamente, la casuale piog¬ gia o F incontro di cibo nei lenti movimenti o rovistando su conchiglie dei suoi vicini : ho potuto constatare che anche gli anellidi non gli dispiacciono. Tutti i Pagurini sono poco vivaci, tranne quando percepiscono odore di cibo ; al cibo infatti sono guidati principalmente da odorato o gusto, più che dalla vista. Ma colpiti da odore di alimento , scattano minacciosi , e non cercano nel fondo, ma tendono ad aggredire i compagni, facen¬ doli rotolare, per strappar loro di bocca la preda. Curiosa lotta che spesso fa allontanare i litiganti dal cibo, finché Findebolimento o F assenza di odore non li induca a tornare sulla traccia della sensazione olfattiva. — 136 — Il Calcinus invece all’ odore del cibo appena mette un po’ fuori della conchiglia le antenne, gli occhi e le zampe, che si muovono quasi oscillando, in cerca di particelle alimentari ; e, se ne capitano, vengono fermate dall'uncino chitinoso di cui è fornita 1’ estremità del dattilo, del II e III paio di pereiopodi. Di solito tende a nascondersi ; oltre le alghe ed i tunicati, cerca vari rifugi. Se trova una conchiglia vuota vi penetra con tutta la sua conchiglia e vi si cela. Se non può, prende con le zampe Torlo di una conchiglia o un ciottolo, o altro oggetto duro, e lo tira fortemente contro la bocca della conchiglia, che egli abita, e così fornisce di una porta la sua dimora (Fig. 3). Fig. 3- - Un Calcinus ornatus in conchiglia di Cerithium vulg. mentre si spinge verso un'altra conchiglia per afferrarla e tirarsela, x 2 4/2. Talvolta uno si chiude con una conchiglia abitata da un altro e questo a sua volta con quella di un terzo, e così for¬ mano quasi dei grappoli. A vederne un gruppo sembra di essere in presenza di un cumulo di conchiglie vuote, soltanto guar¬ dando più attentamente si scorgono i chelipedi colorati, che tengono strette le conchiglie contro la propria porta di entrata. Nel tirarne uno fuori dell’ acqua, se ne sollevano perciò vari aggruppati fra loro. È notevole la tendenza a nascondersi. Pare che abbiano paura di mostrare i loro colori così vivi. In rela- — 137 — zione con questo istinto di celarsi è anche la ricerca di rifugio sul nido di qualche altro Pagurino. La Fig. 3, con il suo dettaglio n. 4, è la riproduzione di un gruppo interessante formato da un Pagurus striatus Latr., una Adamsia Rondeletii D. Ch. e un Calcinus ornatus (Roux), (Fig. 4 e 5). Fig. 4. - Pagurus striatus in conchiglia di Mure x trunculus coperta in parte da un 'Adamsia Rond. Sulla superficie della conchiglia, in un nido di serpulide, sta quasi nascosto un Calcinus ornatus. L’ Adamsia ha l'orlo del piede disposto ad anello, lasciando così libera la via al granchio. Grand, natur. Il Pagurus striatus è nascosto in conchiglia di Murex trun¬ culus (Linné) possiede una sola Adamsia , che non covre col piede tutta la superficie esterna della conchiglia. Nello spazio scoverto esiste un piccolo tubo di serpulide, ove si è rifugiato un Calci¬ nus ornatus di piccole dimensioni. Il gruppo visse in perfetto benessere per sei mesi circa, cioè finché ne potei aver cura, poi, essendomi allontanato per lungo periodo , gli associati mori¬ rono, perchè l'acqua andò a male. Il Calcinus protetto dalle chele del Paguro striato , e, più ancora, dalle armi dell’ Adamsia, libero dalla fatica non lieve di trasportarsi , doveva però guar- darsi dall' espansione del piede dell' Adamsia. Ma anche questa si accomodò alle esigenze del vicino, perchè nell' espandere il piede, forse per le continue molestie dei chelipedi e pereiopodi del Calcinus , gli lasciò libera la via d'uscita : infatti il margine del piede, nel punto ov' era il nido di serpulide, si dispose ad anello quasi completo, attraverso il quale il Calcinus poteva uscire. Nello stato di dipendenza questo non mancava di alimento ; esso anzi era vegeto. Non appena percepiva odore di alimento, si sporgeva fuori Fig. 5. - Dettaglio della Fig. 3. Il Calcinus si spinge con cautela fuori del nido. X 7. del nido con i pereiopodi, che disponeva a fascio divergente, de¬ limitando all' ingrosso uno spazio conico, in attesa che su qual¬ cuna delle zampe venisse a cadere qualche frammento di cibo. La sensibilità e la prontezza di cattura erano notevoli. Quando gli mancava altro, gli giovavano i frammenti lanciati in alto dal paguro durante il pasto. Nei mesi di osservazione il tubo di serpulide fu sufficiente per il Calcinus. Tra il Pagurus e X Adamia questo Calcinus era certamente ospite occasionale, rimasto in quella dimora, ove aveva trovate buone condizioni di difesa. Ma gli esemplari piccoli hanno spic¬ cata tendenza, come ho accennato poco prima, a cercare abita¬ zione presso altri animali, e specialmente presso Pagurini. Ne ho trovati infatti su conchiglia abitata da Paguristes oculatusì ma — 139 — raramente ; spessissimo invece presso un altro Calcinus. In una conchiglia di Cerithiam vulg. mentre un grosso Calcinus ne oc- cupava una metà, un altro occupava l'altra metà : uno dei due usufruiva della bocca della conchiglia per entrare ed uscire, l'altro di un largo foro penetrante nell'interno. Più interessante ancora mi pare il gruppo, eh' è appresso raffigurato (Fig. 6). Un solo Calcinus ornatus adulto ne porta tre in una spor¬ genza calcarea, ove sono tre canali poco curvi. Potrei moltipli¬ care gli esempi, perchè i gruppi di tal genere sono frequentissimi (v. pure Fig. 7). È vero che esemplari di piccole dimensioni stanno talvolta anche ciascuno in una propria conchiglia e sono indipendenti, ma il grande numero di quelli che, invece, si rifugiano a far da inquilini ed in tubi ricurvi o quasi rettilinei mi fa pensare che i piccoli prima dello sviluppo completo, o anche gl'individui di una varietà nana, cerchino un nido presso qualche individuo 140 — grosso della stessa specie o di specie affine. Quando poi non possano più rimanere in quella dimora, cerchino nelle immediate adiacenze, e si diano a vita indipendente, quando abbiano trovata Fig. 7. - Gruppo simile al precedente : Calcinus ornatus più grande ed altri due piccoli abitatori della stessa conchiglia. Anche qui quello che porta il peso della casa cerca un punto d'appoggio per trascinarsi. X 1 l/z- un'altra conchiglia, che, per ampiezza e forma, risponda alle loro esigenze. 11 caso non sarebbe nuovo, almeno per individui non adulti ; infatti il Lo Bianco accenna, in “ Notizie biologiche ecc. „, a simile comportamento che, pare, avrebbero i piccoli del Pagu rus striatus var. callidus Risso. Periodo della maturità s e s su al e. — Dal maggio all' agosto si trovano femmine fornite di uova. Come di solito nei paguri, la madre porta le uova e le larve attaccate ai falsi piedi dell' addome, ed ha cura di farle frequentemente oscillare, per rimuovervi l'acqua circostante. Questi piedi biramosi, in numero di quattro, sul lato sinistro sia nel maschio che nella femmina, sono in questa molto più grandi, ed offrono una larga superficie di attacco. Quando poi le larve sono già in condizioni di mantenersi in acqua, le oscil¬ lazioni dei pleopodi dànno loro il lancio per il nuoto. — 14Ì — Affinità con altre specie. — Il Calcinus ornatus è la specie più settentrionale di un genere, che non è diffuso oltre il parallelo 46° N e 35° S. , e che ha numerose specie nel- 1’ Oceano Indiano, nel Pacifico e nelFAtlantico. Somiglia molto ad alcune specie del Mar Rosso, come il Calcinus rosaceus Heller, cristimanus (M. Edw.) e latens (Ran- dall), meno, mi pare, al C. Herbstii de Man, dell'Oceano indiano. Credo non priva d'interesse questa somiglianza, prova, con tante altre, della somiglianza nelle condizioni di vita e di rap¬ porti faunistici tra il Mediterraneo, il Mar Rosso e l' Oceano Indiano. Riassunto. L’Autore si occupa di un pagurino poco noto nel golfo di Na= poli : il Calcinus ornatus (ROUX). Nota alcune differenze morfologiche tra gli esemplari , che ha studiati, e le descrizioni che AA. hanno date della specie su detta. Passa poi ad esporne i luoghi di dimora, i vari ambienti, le in¬ teressanti abitudini di vita, il periodo di maturità sessuale, e le affinità con altre specie di Calcinus, esistenti nel Mar Rosso e negli Oceani Pacifico e Atlantico. Lavori citati 1905. Alcock A. — Catalogne oj thè Indiali Decapod Crustacea in thè collection oj thè Indiali Museum. Pari. II , Anomura, Fase. I, Pagurides, Calcutta. 1926. Balss H. — Uebereinige Decapoden des goljes von Neapel. Pubbl. Staz. Zool. Napoli, voi. 7, pag. 375. 1896. Bouvier E. L. — Les pagar ine s des mers d’ Europe ( Crustacés ) ( Tableaux dichotomiques des genres et des espèces). Feuille Jeunes Natur. Ili Serie, 2o Année, pp. 125-149. 1892. — — Voyage de la goelette Melita aux Canaries et au Sénégal. 1889-90. Paguriens par Ed. Chevreux et Bouvier E. L. Soc. Zool. France, Tome V, p. 83. 1885. Carus J. V. — Prodromus Fauna e Me diter raneae. Voi. I, p. 495, Stuttgart. 1861. Heller C. — Beitrage sur Crustacten , — Fauna des rothen Meeres. Sitzungsber. Kaiserl. Akad. Wissensch. Bd. 44, p. 253. 1909. Lo Bianco S. — Notisie biologiche riguardanti specialmente il periodo di maturità sessuale degli animali del golfo di Napoli. Mitth. Zoolog. Stat. Neapel. Bd. 19, p. 611. 1848. Milne Edwards M. — Note sur quelques nouvelles espéces du gerire Pagare. Ann. Se. Nat. Zool. Ili Serie, Tome X p. 64, Paris. 1892. Ortmann A. — Die Decapoden- Krebse des Strassburger Mu- seums. Galatheidae and Paguriden. Zool. Jahrb, Bd. 6, p. 241. — Perrier E. — Traité de Zoologie. Libraire F. Savy. Paris. 1828. Roux P. — Crustacés de la Mediterranée et de son littoral. Imprimerie d’Achard. Rue Saint-Ferréol. Marseille. Finito di stampare il 30 giugno 1933. Ricerca e dosaggio di minime quantità di acido nitroso nelle acque potabili. Nota del socio Selim Augusti (Tornata del 21 gennaio 1933) Sommario Metodi generali per la ricerca qualitativa di piccole quantità di acido nitroso nelle acque potabili. I . - Metodo Griess. II . - „ Tromsdorff. III. - „ Armani e Barboni. IV. - „ Zambelli. Metodi per la determinazione quantitativa di acido nitroso nelle acque potabili. Nuova reazione proposta per la ricerca dell'acido nitroso, mediante un reattivo costituito da cloridrato di triaminofenolo e cloridrato di anilina. Preparazione del cloridrato di triaminofenolo. Preparazione del cloridrato di anilina. Tecnica della reazione. Applicazione del reattivo alla determinazione di traccie di acido nitroso. Soluzioni titolate di acido nitroso. Conclusione. Metodi generali per la ricerca qualitativa di piccole quantità di acido nitroso nelle acque potabili. I metodi comunemente in uso nei laboratorii per la ricerca di quantità minime di acido nitroso nelle acque potabili sono i seguenti : I. - M e t o d o Griess. — Questo metodo, proposto da Peter Griess, è quello più generalmente adoperato perchè fondato su di una reazione che non viene data che dall'acido nitroso. La reazione si basa sulla formazione di sostanze coloranti azoiche intensamente colorate - 144 — Il Griess, nella sua reazione originale *) , adoperava come reattivo la fenilendiamina, che forma un colorante giallo (bruno di Bismarck), mentre ora, per la esecuzione di questa reazione, secondo la proposta di llosvay von Ilosva 1 2) , si adopera una soluzione acetica di acido solfanilico e di a-naftilamina. Il reattivo si prepara mescolando 3) una soluzione di gr. 0.5 di acido solfanilico in 150 cc. di acido acetico diluito (al 10°/o circa) con una soluzione preparata facendo bollire gr. 0.2 di a-naftilamina con 20 cc. di acqua, separando per decantazione la soluzione incolora dal residuo azzurro ed aggiungendo 150 cc. di acido acetico diluito. La soluzione risultante si conserva in bottiglie ben chiuse ed oscure 4). Per la tecnica della reazione si versano 50 cc. dell' acqua in esame in un cilindro di vetro, vi si aggiungono 5 cc. del reat¬ tivo preparato come sopra e si lascia in riposo, o meglio si pone in un bagno d'acqua a 70° — 80° C e dopo qualche minuto si fa l'osservazione. In presenza di nitriti si manifesta una colora¬ zione rosso-cremisi , o immediatamente oppure dopo un certo tempo, a seconda della quantità, per formazione di un azocolore della formula : NH2 — C10H6 — N = N — C6H4 — SOsH ovvero per formazione del solfato di azobenzol - a - naftilamina. Se in un litro d'acqua è contenuto gr. 0 001 di acido nitroso la colorazione rossa è già manifesta dopo un minuto. Se si è in presenza di quantità relativamente grandi di acido nitroso (in¬ torno a gr. 0.002 per litro) la soluzione si colora semplicemente in giallo, qualora non si adoperi una soluzione più concentrata di naftilamina. La reazione di Griess è sensibilissima : si può svelare 1 parte di acido nitroso in 100.000.000 parti di acqua. Con tale quantità la reazione si manifesta dopo due ore circa, ma è tale da non lasciare alcun dubbio. 1) Berichte der deutschen chemischen Gesellschaft, 12, 427, (1870). 2) Bulletin de la Société Chimique de France (3), 2, 317. 3) Zeitschrift f. angew. Chemie, 1889, Heft, 23. 4) Zeitschrift f. anorg. Chemie, 1907. 684. 145 — II. -Metodo Tromsdorff. — Questo metodo è basato sul fatto che V acido iodidrico viene ossidato dall' acido nitroso con separazione di iodio, secondo l'equazione : 2 HI + 2 HN02 - > 2 NO + I2 + 2 H20. 11 reattivo di Tromsdorff si prepara nel modo seguente : si stemperano gr. 4 di amido in 100 cc. di soluzione al 20 °/0 di cloruro di zinco, si fa bollire fino ad ottenere soluzione limpida, ripristinando l'acqua che va evaporando. Si aggiungono gr. 2 di ioduro di zinco puro e secco, si diluisce ad un litro e si con¬ serva all’oscuro. Per la tecnica della reazione : a 100 cc. dell'acqua in esame si aggiungono alcune goccie di reattivo di Tromsdorff, alcune goccie di acido acetico e si mescola bene. In presenza di nitriti si ottiene una colorazione azzurra più o meno intensa, la quale aumenta col tempo, per azione deirossigeno dell'aria. Questa reazione è molto meno sensibile di quella di Griess e può condurre facilmente ad errori poiché non è specifica dell’acido nitroso,, ma viene data da molti altri ossidanti. Tracce anche piccole di acqua ossigenata o di sali ferrici, che spesso si trovano nell’acqua potabile, danno luogo alla colorazione azzurra. La reazione può quindi servire per la ricerca dell’acido nitroso soltanto qualora sia assodata l'assenza assoluta di qualsiasi altro ossidante. Qualora l’acqua in esame contenga sali ferrici, ma sia esclusa la presenza anche di traccie di altri ossidanti, si può, secondo Artmann *), eseguire la ricerca dell'acido nitroso trattando l'acqua in esame con un forte eccesso di fosfato sodico, aggiungendo ioduro di potassio ed acidificando con acido solforico : se è esclusa la presenza di acido nitroso non si separa iodo, mentre esso si separa subito se l'acqua contiene acido nitroso, anche in minime quantità. III. - M e t o d o Armani e Barboni. — Una reazione anche molto sensibile per la ricerca di piccolissime quantità di acido nitroso nelle acque potabili è quella di Armani e Barboni. b Chemicher Zeitung, 1913, 591. - 11 - 146 — Secondo questi Autori, 10 cc. dell’acqua in esame si trattano, in un tubo da saggio , con 4-5 goccie di benzidina satura, in acido acetico diluito. In presenza di nitriti si ha subito una co¬ lorazione giallo - aranciata o semplicemente gialla, che va poi man mano intensificandosi. I V. - M e t o d o Zambelli. — Per la preparazione del reattivo Zambelli si disciolgono a b.m., e successivamente, gr. 5 di acido solfanilico e gr. 7,5 di fenolo puro in cc. 260 di acido cloridrico (d=1.18). Si diluisce con acqua distillata a cc. 500 e dopo solu¬ zione e raffreddamento, si completa al volume di un litro con una soluzione satura a freddo di cloruro ammonico. Per la tecnica della reazione si versano in un cilindro di vetro 50 cc. dell’acqua in esame, si aggiungono 2 cc. del reat¬ tivo, si lascia in riposo 10 minuti, quindi si alcalinizza con 2 cc. di ammoniaca. Si ottiene, in presenza di nitriti, una colorazione gialla, d’intensità proporzionale alla quantità di nitriti contenuta nell’acqua. Metodi per la determinazione quantitativa di acido nitroso nelle acque potabili. Dei metodi sopra citati l’unico che si possa seriamente ap¬ plicare per una determinazione quantitativa di nitriti nelle acque, specie quando questi sono contenuti in quantità minime , è il metodo di Griess, poiché, come ho già riferito, il metodo di Tromsdorff può condurre ad errori grossolani per la presenza di acqua ossigenata o di sali ferrici nell’acqua in esame e gli altri metodi riferiti, seppure si prestano per una ricerca qualita¬ tiva, non sono affatto adatti per una determinazione quantitativa. Per la determinazione quantitativa dei nitriti mediante il reattivo di Griess si prepara una soluzione titolata di nitrito sodico o potassico e si esegue la prova colorimetrica per con¬ fronto, sia con l'acqua in esame che con soluzioni a vario titolo noto di acido nitroso, fino ad avere uguale colorazione (metodo colorimetrico). Se l'acqua in esame contiene una quantità relativamente più grande di acido nitroso (es. più di gr. 0.003 per litro) si ottiene — 147 — un colore rosso così oscuro che la determinazione colorimetrica diviene impossibile. In tal caso occorre prelevare un volume esattamente misurato dell'acqua in esame e diluirlo con acqua distillata : si esegue la determinazione quantitativa su questa so¬ luzione diluita e col calcolo si riporta alla soluzione originale. Nuova reazione proposta per la ricerca dell’acido nitroso mediante un reattivo costituito da cloridrato di triaminofenolo e cloridrato di anilina. Per la ricerca di quantità minime di acido nitroso nelle acque potabili io propongo l’impiego di un reattivo formato da una soluzione di cloridrato di triaminofenolo e da una soluzione di cloridrato di anilina. In presenza di acido nitroso questo reattivo impartisce una colorazione azzurra più o meno intensa, a seconda della quantità di acido nitroso presente. La reazione è molto sensibile e pre¬ senta il vantaggio di potersi applicare per la determinazione quantitativa. Il reattivo da me proposto consta di due soluzioni prepa¬ rate nel modo seguente : a) gr. 0.5 di cloridrato di anilina in 100 cc. di acqua distillata purissima e bollita di recente ; b) gr. 0.3 di cloridrato di triaminofenolo disciolti in cc. 10 di acido cloridrico concentrato e portati con acqua a cc. 100. Le due soluzioni a) e b) vanno conservate separate, in bocce oscure e ben tappate per preservarle dall'azione deU’aria. Preparazione del cloridrato di triaminofenolo. La preparazione del cloridrato di triaminofenolo è basata sulla riduzione del trinitrofenolo, mediante Sn ed HC1, secondo l'equazione : 148 — OH OH o2n NO, HoN NH2 H > / NO, NH. Per la preparazione pratica : in un matraccio, della capacità di circa 4 volte la quantità di triaminofenolo da preparare, si versano 15 p. di acido cloridrico fumante e 4 p. di stagno in trucioli, quindi, a piccole porzioni per volta ed agitando, 1 p. di acido picrico (trinitrofenolo). Se si verifica una reazione molto violenta la si modera agitando il liquido sotto una corrente di acqua fredda. Finita la reazione, si forma per raffreddamento una focaccia cristallina, formata da sale doppio di stagno e triaminofenolo. La massa cristallina viene disciolta nella minima quantità pos¬ sibile di acqua distillata e si sposta lo stagno con lamine di zinco. La reazione si considera terminata quando la soluzione assume una colorazione giallo sporca. La soluzione contenente cloridrato di triaminofenolo e clo¬ ruro di zinco viene filtrata ed il liquido filtrato addizionato di acido cloridrico fumante : precipita così il cloridrato di triami¬ nofenolo, sotto forma di un precipitato bianco voluminoso. Questo precipitato viene filtrato alla pompa, lavato con acido cloridrico fumante, raccolto e conservato in bocce oscure. Preparazione del cloridrato di anilina. Il cloridrato di anilina si ottiene puro e secco, in cristalli bianchi, facendo gorgogliare una corrente di acido cloridrico gassoso secco in una soluzione eterea di anilina : HC1 > C6H5 - NH2 - H Cl. Fonde a 198° ed in parte sublima ; bolle inalterato a 245° è solubilissimo in acqua ed in alcool, insolubile in etere. — 149 — Tecnica della reazione. Per la ricerca dell'acido nitroso nelle acque potabili, mediante il reattivo da me proposto, (cloridrato di triaminofenolo — clo¬ rurato di anilina), si opera come segue : " in un cilindro di vetro a tappo smerigliato si versano 100 cc. dell’acqua in esame, lievemente acidulata con acido clo¬ ridrico, quindi vi si aggiungono 2 cc. della soluzione di cloridrato di anilina (soluzione a), si lascia in riposo qualche minuto, quindi vi si aggiunge 1 cc. della soluzione di cloridrato di tria¬ minofenolo (soluzione b), si agita e si lascia in riposo In presenza di acido nitroso si manifesta subito una colo¬ razione azzurra, la cui intensità è proporzionale alla quantità di acido nitroso presente. La reazione è sensibilissima e può svelare la presenza di gr. 0.01 di acido nitroso in 500 litri di acqua (1 : 50.000.000), Fino a questa quantità la reazione è nettissima ; per una quantità minore di acido nitroso, la colorazione azzurra si manifesta molto lentamente, ma in maniera ancora percepibile. È bene eseguire sempre una prova di confronto con acqua distillata purissima, bollita di recente, lievemente acidulata con acido cloridrico. Applicazione del reattivo alla determinazione quantitativa di tracce di acido nitroso. La reazione indicata, e per esso il reattivo proposto si presta bene per la determinazione quantitativa di minime quantità di acido nitroso nelle acque potabili, poiché dà, per le varie minime quantità, una gamma nettissima di toni azzurri, più o meno intensi. A tale scopo occorre preparare una serie di soluzioni tito¬ late di acido nitroso, che possano servire come termine di con¬ fronto per la determinazione colorimetrica. Per la determinazione pratica si versano 100 cc. delle varie soluzioni titolate, esattamente misurati, in altrettanti cilindri di vetro a tappo smerigliato, quindi vi si aggiunge il reattivo, come — 150 indicato precedentemente. Uguale determinazione si esegue su 100 cc.; esattamente misurati, dell'acqua in esame e si confron¬ tano le colorazioni. Se la quantità di acido nitroso è così forte da dare una colorazione troppo intensa, si può misurare esattamente un’ali¬ quota dell'acqua in esame, diluirla con acqua distillata purissima e bollita di recente, eseguire la determinazione colorimetrica e riportare con il calcolo alla soluzione originale (acqua in esame). Si può anche, come termine di confronto, preparare una serie di cartine azzurre che riproducano fedelmente i vari toni di azzurro per le diverse quantità di acido nitroso. La determinazione quantitativa colorimetrica si presta bene fino alla quantità di gr. 0.000002 di acido nitroso (H203) per 100 cc. di acqua = gr. 0.00000002 di N203 per 1 cc. di acqua. Riporto il metodo per la preparazione delle soluzioni tito¬ late campioni di acido nitroso. Soluzioni titolate di acido nitroso. Soluzioni campioni, a titolo noto di acido nitroso, si possono preparare utilizzando il nitrito potassico (o sodico). Le soluzioni titolate di nitrito di potassio si preparano tra¬ sformando prima il nitrito di potassio (che non ha composizione costante) in nitrito di argento (che si può avere purissimo ed ha composizione costante) e trasformando poi una quantità nota di quest’ultimo in nitrito potassico. A tale scopo si tratta una soluzione di nitrito potassico del commercio con nitrato di argento, si raccoglie su filtro il pre¬ cipitato di nitrito di argento ottenuto, lavando con poca acqua distillata fredda. Si discioglie quindi il precipitato in poca acqua bollente e si lascia cristallizzare in luogo oscuro. Si filtra alla pompa, si spreme il precipitato fra carta e si lascia asciugare in essiccatore a cloruro di calcio. Si sciolgono a caldo, in un pallone tarato della capacità di un litro, gr. 0.405 di nitrito di argento, corrispondenti a gr. 0.1 di anidride nitrosa, come risulta dalla seguente proporzione : 2 Ag NO. : N203 : : 0.405 : x 307.78 76.02 — 151 da cui : x 76.02 x 0.405 307.78 = gr. 0.1. Alla soluzione ancora calda si aggiungono gr. 0.3 di cloruro di potassio, cioè una quantità un poco superiore a quella neces¬ saria per far precipitare tutto l'argento allo stato di cloruro e per ottenere il nitrito di potassio (gr. 0.1962) come dal calcolo : Ag N02 : KC1 : : 0.405 : x 153.89 74.56 da cui: 74.56 X 0.405 x = ivraó = Sr- 0.1962. Si lascia raffreddare, si porta il miscuglio al volume di un litro, mediante acqua distillata pura ; si agita per rendere omoge¬ neo il liquido, si fa riposare per qualche tempo, e quando il cloruro di argento si è completamente depositato al fondo del recipiente, si prelevano per mezzo di una pipetta cc. 100 del liquido limpido, corrispondenti a gr. 0.01 di anidride nitrosa, si versano in un pallone tarato da un litro, si aggiunge acqua distillata, si agita e si porta a volume. La soluzione così preparata corrisponde a gr. 0.01 di N203 per litro, ossia gr. 0.00001 di H203 per cc. (soluzione A). Prelevando volta per volta dalla soluzione A rispettivamente cc. 10 - 5 - 3 - 1 - 0.5 - 0.2 di questa soluzione e diluendo, nelle opportune proporzioni, con acqua distillata, fino al volume esatto di 100 cc., si sono preparate le seguenti soluzioni titolate di nitrito potassico, e per conseguenza di acido nitroso : Soluzione A - gr. 0.00001 N203 in 1 cc. & gr. 0.001 N2Os °/0 B - „ 0.000001 a 11 - - II 0.0001 a » C - „ 0.0000005 a II - - Il 0.00005 a n D - „ 0.0000003 a II — Il 0.00003 a a E - » 0.0000001 a il - il o.ooooi a n F - „ 0.00000005 n II == Il 0.000005 a » G - „ 0.00000002 h II == Il 0.000002 » n — 152 — Conclusione. Per la ricerca di tracce di acido nitroso nelle acque pota¬ bili esistono vari metodi, ma di questi l’unico che sia effettiva¬ mente sensibile e sicuro, per cui viene più comunemente ado¬ perato, è quello di Griess (soluzione acetica di acido solfanilico e di a- naftilamina). Per la determinazione quantitativa poi il reattivo di Griess rappresenta l'unico metodo di dosaggio possibile. Scopo di questo mio lavoro è quello di proporre, in ag¬ giunta a quello di Griess, l’ adozione di un nuovo reattivo : (cloridrato di triaminofenolo e cloridrato di anilina) che dà, in pre¬ senza di nitriti, anche in quantità minime, una colorazione az¬ zurra più o meno intensa a seconda della quantità di nitriti presenti e la cui sensibilità di reazione non è inferiore a quella di Griess. Poiché le colorazioni ottenute a mezzo di questo reattivo con minime quantità di acido nitroso formano una gamma esatta e nettissima di toni azzurri più o meno intensi, io propongo l' adozione di questo reattivo anche per una determinazione quantitativa colorimetrica dei nitriti nelle acque potabili, deter¬ minazione eseguita per confronto con soluzioni a titolo noto di acido nitroso. Riassunto. In questo lavoro vengono passati in rassegna i metodi qualitativi e quantitativi più in uso per la ricerca e determinazione di minime quantità di acido nitroso nelle acque potabili. Viene quindi proposta l’adozione di un nuovo reattivo formato da una soluzione di cloridrato di triaminofenolo e da una soluzione di cloridrato di anilina, sia per la ricerca qualitativa che per la de¬ terminazione quantitativa dei nitriti nelle acque potabili. 11 reattivo dà, in presenza di acido nitroso, colorazione azzurra la cui intensità è proporzionale alla quantità di nitriti presenti. La sensibilità della reazione è molto elevata : (1 : 50.000.000). Finito di stampare il 30 giugno 1933. 11 periodo diurno della pioggia a Napoli del socio Ester Majo (Tornata del 1° dicembre 1932) L' Hann *) divide le stazioni in costiere e continentali rite¬ nendo che le prime abbiano la maggior precipitazione nelle ore della notte e nelle prime ore del giorno, col massimo intorno alle 4, e le seconde abbiano la maggiore precipitazione nelle ore del pomeriggio col massimo intorno alle 16. Lo studio dell'andamento diurno della pioggia fu fatto per Milano * 2), per Roma 3), per Napoli 4). In particolare per Napoli ebbi occasione di occuparmi del periodo diurno della pioggia5). In questo lavoro avvalendomi dei valori orari diurni registrati nell’ Istituto di Fisica terrestre della R. Università dal 1909 al 1926, raggruppando i valori in intervalli biorari come già era stato fatto per Roma, potei trarre qualche utile deduzione : i risultati però non si prestavano a semplici conclusioni. Mi è sembrato perciò utile ritornare sul- 1' argomento, elaborando i dati sino al 1931 : raccogliendo per 9 Hann und Sùring — Lehrbuch der Meteorologie; Leipzig, 1915, p. 345 e seguenti. 2) Pini. — Andamento annuale e diurno della pioggia nel clima di Milano. Pubbl. XXXVII R. Oss. di Brera, 1891. 3) Eredia. — Sull' andamento diurno delle precipitazioni in Roma. Min. LL. PP. Mem. e Studii idrografici, Voi. Ili, p. 144. 9 Andreotti. — Variazioni orarie dell andamento pluviometrico di Napoli. Boll. Bini. Soc. Meteor. Ital., 1926. 5) Majo. — Sul periodo diurno della pioggia a Napoli. Boll. Soc. Natur., Napoli, 1927. - 12 - — 154 — ciascun mese ed in ogni anno i totali orari della pioggia caduta (quantità misurata in millimetri di altezza sul suolo) e com¬ putando il numero di volte totale (frequenza) in cui vi fu pioggia in ogni intervallo orario. T ali valori di quantità e di frequenza della p i o g- g i a si riferiscono agli intervalli fra due ore consecutive. Coi dati raccolti furono determinati i valori medi orari del periodo 1909-1931 per ciascun mese, per le stagioni meteorolo¬ giche e per Tanno, sia per le quantità della pioggia (Tabella I) che per la frequenza (Tabella II). Inoltre fu dedotta da essi il valore dell' intensità media della pioggia, inten¬ sità definita dal rapporto tra la quantità di pioggia caduta e il numero di volte in cui vi fu pioggia (Tabella III). Distinguendo nel periodo diurno un intervallo D che va dalle ore 8 alle 19 ed uno notturno dalle 20 alle 7 ho ottenuto i seguenti valori : 1 D N N : D Quantità | ! Inverno 133.0 145.4 1.09 di pioggia in . Primavera 79.2 97.4 1.23 millimetri 1 Estate 42.8 36.4 0.85 Autunno 160.7 170.6 1.06 Anno 414.7 449.7 1.06 D N N : D l Inverno 120.1 130.6 1.09 Frequenza ) , , Primavera 72.9 85.3 1.17 della pioggia 1 Estate 20.1 16.0 0.80 Autunno 86.8 93.6 1.08 Anno 299.9 325.5 1.09 Nell' inverno, nella primavera, nell'autunno, e, complessiva¬ mente nel periodo annuo, i valori della quantità e della frequenza della pioggia sono superiori nell'intervallo not¬ turno. TABELLA I. — Quantità di pioggia (variazioni orarie) in millimetri di altezza. 155 ©4 X r-H O CO ©- 04 00 00 04 o co q q X q o- 04 X q q q CO q oo q x 04 o- CO q LO q d O" 04 un LO CO 04 04 04 r-H d o d cò LO cò X IO y—i O- !>• o LO un CO LO o H* Oi oo q q q q q LO 04 q q co q q q O o id cò d X X CO 04 CÒ 04 04 o CÒ d X Oi LO o> 04 CO 04 co 00 vO X co q q q X q CO q q x 04 q CO q d d d X co 04 04 T— < 04 d d d 04 d un X x X o O' r-H t"- a» LO oo un 00 r-H 04 CO ©] q X q q q q 00 q q q o q q tq d X d un co co 04 cò o 04 d T_l cò d LO q co co vO 04 r— x LO LO o o co r-H O o q q X h< co O' m- vO LO q o o CO q 04 X d cò X - o 04 O q q q t-'- X co co °°. q q 04 q co q q CO X d r_J oi co cò 04 r-H o 04 04 X r-H ©4 LO ©- r—i o O r-H 00 04 t-H ai q o X q q ■'f o q C"- q q q q CO q 04 X X un © CO cò 04 04 1-1 04 04 d 04 LO X 00 CO OL o ©- o O- CO 00 q X q co 04 r-H q co q q 00 co q q q q X cò cò d d cò 04 04 04 r_4 o cò LO —• X o ai LO 00 o O co TT o X X X o 00 q o q q q co O 04 q co 04 X cò d 04 00 d cò cò 04 — o 04* CÒ cò X o LO O r-H r-H h- Ol O 04 o q OL q °q q q LO q q q CO co q q H* X X* cò CN d o- d cò 04 04 d d 04 cò d cò X 00 LO ,-H 00 00 o- O- o- LO o r-H q X X q ai t> ON q o q cò d 04 cò oó d 04 cò cò 04 o o d LO X X LO o 00 t— 04 o o o- 00 r-H co X «-H q in X o q 04 co q oo co co t- q X TjJ d in d co LO 04 d 04 d 04 cò 04 LO d X co V© ai LO 00 o a> LO cn o co 00 04 r-H X q in q X q q q CO LO t>- q d d CO oó 04 ©4 cò cò d cò 04 d r_ 1 LO lÒ r_ ' co o o ai _ o- o 04 LO r-H o o X 04 q X co O' 00 ai OO q LO 04 1-1 1 q o- CN oó 04 d h-I co cò cò 04 d d d d 04 LO d X co c- o Oi 04 04 o O o LO O- CO X r-H q co q q ai oo q q q LO q q 04 cq 04 oó CN cò X © d 04 cò 04 *— 1 1 o o cò LO LO PC X o ’c3 e c .2 5 Vh X) o o N u. JJ ’C o 'So OjO o e ìojo .2 "So o co O Ut X S o; o c Vh 03 Jh 03 > c-J s 03 S o c c a o c ’IZ C/3 E o £ < o < CO O 2 Q c Oh tu < < Tabella II. — Frequenza della pioggia (variazioni orarie) in numero di volte. 156 04 co r-H C- O' r-H _i 04 o c— m o- co co co q r— | X q q oo CO q d 04 co q q q q co d oo o CO CO 04 04 04 o d o 04 cò cò 04 04 00 O O d d , _ _ o _ _ i 00 04 04 X 04 o X q q h- co co d o 04 q o- co q d d rò X 04 co 04* 04 04 d o d 04 cò cò 04 04 r-H o O m m 04 CO o 04 ai r-, 04 X OI X CO IO q q co co in 04 q o co q d d d d _ cò 04 04 04 d d d 1-1 04 04 04 04 c- vO 04 c- d o- 00 O o 00 co X q q q in ON in in q co q q co oo o d td O co CÒ 04 04 r_l d o d 04 cò cò 04 04 cu o i> o in o m o 04 co m o 00 r-H o q co o q co co co co co q q o o X rò cò O cò cò 04 04 T-H d d d 04 cò cò 04 in co Oi in r-* _ o o 00 m r~- 00 o q X q q 00 o co q o co co q co d O r*H tò cò 04 04 04* r_' o d d T-H cò cò CÒ 04 t — oo o 04 co in ON 04 o co ai r-H q X q in q o- 04 q o CO in o q q d o cò cò 04 04 04 r— « d o d 04 04 cò cò 04 O 04 O O- o m _ d CO o o- q q q q co m q co q d co q q co co q cò d tò X o cò 04 04 cò d d d 04 cò cò 04 CJl in 00 oo o o o 04 04 ^-1 04 q o 04 q CO co q 00 q co co q q q q q co d 04 oó X m cò 04 04 1 d d —* 04 cò cò 04 co O 04 o o co m o O co 04 04 CO r-H q q CO in q q q co co q CÒ d rò rò cò 04 04* cò T_ 1 d o r-H cò cò CÒ 04 04 r-H co o o Ov o- co 04 r— 1 r- CO °9 00 q 04 O oo q o d CO q q q q d X r— H d 'ò co CÒ 04 04 cò d o o 04 cò cò 04 00 O in o o 04 Oi o 04 CO o- o q X o q q co co O d 04 CO q 04 q q d X cò 'ò 04 cò 04 04 cò d d o d 04 cò cò 04 o- o Oi lo¬ 00 o- ai r— 04 r-H q h- q x q q q 00 co q q q in o X X d ■ò 1 cò 04 04 cò o o d 1 cò cò cò 04 —1 c- m c- C"— co o- o- co oo 04 00 o X co q 00 x vO 00 q oo m q co q q q d X d cò o cò 04 1 04 — d o d 04 cò cò 04 d 04 o c^ — i Oi i> co ai r— * q q q q in q 1 q q q 1 co q co q o X f-H cò ov cò 04 04 04 d d o 04 cò cò 04 00 O <3 d co co ai 04 oo 00 o q X o q CO co 00 q q q q q _2 d cò d 00 d cò 04 cò — d d o 04 cò cò 04 m o o o co oo oo o Oi oo co X q q q ^-i co co o co q o- co q t— q d od od h* cò 04* cò 1 d d d 04 cò 04 04 in , _ , 04 00 r-4 04 o- o co X o q 04 co q in q o q q q CO q cò d r-H ad od . s d cò 04 cò *-• d d d r_l 04 cò 04 CO 04 m o- 00 in 00 o 00 X q o- q q 00 04 q co — • q co q CO q q d tò co' cò cò 04 cò cò o d o cò cò CN lO 00 o O o o o 00 o 04 co q r-H q o o o~ 04 o 04 q co co q q q r-H 00 od od cò cò 04 CÒ o d d cò cò r-H 04 00 o OI o O o t— o Oi o co q X q q _ q 04 o q q D- in co q q q CÒ od d co CÒ cò cò o d d 04 04 cò r-H 04 o- o~ co co co o O CO co t — O q X oo Oi 00 in q q q co o q q od X od CÒ r\i cò 04 cò cò d d d 04* cò cò 04 ! UN o- O io co 00 04 o oo o _ i o °o q q 00 00 04 q q O' 04 04 q co q q r-H tò X od od cò cò 04 cò o d o cò cò 04 [>- o CO 04 04 in o Oi m _ 00 04 X X 04 q x q q in q o 04 CO co o 04 d tò od tò cò 04 cò cò o o d T— 1 cò 04 o o c5 c c o cS 5— * 03 £ ’C — < r-H p 00 p 3 o m p p p 00 00 p O d 2 2 d co CN CN CN CN 2 2 2 2 CN 2 2 CN o CN _| o co in CO in o oo CN 3 n- 00 p p p O P 3 CN vO p p p p 3 3 p 2 2 2 2 2 >-2 CN 2 CN CN 2 2 2 2 CN 2 2 vO in m 00 'Cf co O r-H 00 CN h- m o r- i>- CN 3 CN p oo p p co ON p O P p p m P p o 2 2 o — CN CO CN r-H 2 2 2 2 2 CN 2 2 o co O -sr vO in O o m m 00 oo co CO CN 3 o 00 p CO o 00 CO 3 p p 3 3 O p CN d 2 d 2 2 CN CN 2 2 2 2 d o 2 CN 2 2 L ^ .—i f— 1 o 00 r-H 3 in 3 3 3 co co in o o 3 o p 3 p r-H m p 00 p CO p 3 3 p p co 1,0 2 d 2 2 CN *2 CN 2 CN 2 d o 2 CN 2 2 CN 00 c- o O t— co 00 m 00 ,-H co o _ i 00 in 3 00 p in 00 p 3 o P p r-H p 3 p If) r-H d 2 2 2 co CN CN CN CN 2 r-H 2 2 co r-H 2 LO 00 00 m h- l>- 3 CO 3 O l>- § O *"2 C" r-H p co p P P p p r-^ r-H p co r-H d r— I r-H —H r-H CN CN 1— H CN t-H r-H r-H r-4 CN r-H r-H N T— 1 3 3 vO co 3 CO o o 3 _H o r-H CN in O CN 00 CO o o p p p p O p p p p O CO *— • d 2 ■ N3 in 2 2 CN 2 2 2 2 N3 2 2 r- H co t'- co o- 3 co , — i 00 CO 3 00 3 r^- r-H co 3 CN p 3 ip co h- o p 00 3 o *-H 1 p CN o 2 — d 2 -2 co CN CN CN 2 d d 2 CN c4 2 o o 00 vO CN CN m — i C^- _ i r-( CN co O- m r-H 00 p p 3 P p CN 00 P p p O O r-H p oq CO f"— * d 2 2 d 2 *■2 CN o 2 CN 2 2 2 2 2 2 2 o m O 00 CO o in r— CO CN CN CN CO 31 p o p *— j p P co r-I r-1 r— H r-H CN d r-H CN CN r-H r-H f-H r-H r-H r-H r— h o — 158 Nel P estate la pioggia dell 'intervallo notturno è inferiore a quello del periodo diurno per quantità e frequenza * * $ Dai valori orari riportati nelle Tabelle I e II, era possibile vedere accenni di periodicità, ma allo scopo di renderla evidente fu prima operata la ripartizione dei dati secondo Io schema: ~2 (a0 + al )’ ~2~ (a' a2 • • • * "2" (a22 + a23^, 2 (a23 + a0 ) per avere i valori corrispondenti agli intervalli : 234 -°T- °T- 1T> 14- 2T---- 22T-234 che vengono semplicemente riferiti alle ore : 0, 1, 2, 3, .... 22, 23 e poi applicato il metodo della perequazione sem¬ plice a tre termini a catena chiusa. Furono così dedotti per ogni ora i valori che si riportano nella Tabella IV per le quantità di pioggia, e nella Tabella V per la frequenza della medesima. Rilievo e discussione dei diagrammi. Coi dati delle Tabelle IV e V vennero tracciati i diagrammi delle Figure 1, 2, 3 e 4 che hanno per ascisse le ore e per or¬ dinate le quantità (Q) o la frequenza (F) della pioggia , i primi sono rilevati con la linea più grossa, i secondi con la linea sottile: la linea orizzontale , con Y indicazione numerica, corrisponde alla media oraria dell' elemento considerato. In generale tra le variazioni della quantità di pioggia e quelle della frequenza si riscontra un relativo parallelismo. Tabella IV. — Quantità di pioggia in millimetri di altezza (valori perequali) (Quantità in m/m.) — 159 — o co-^oo^oint^^ovri tin^h-coo'ooGO-(Ot^v9'-'Nco CN c inr^dN(Nd’oòd^Tj<^^^imnininin'tcòff5^'co,t © \ < cocon’^^^cocococococococococococococococococo co © j; e ifì'00 — cooco(N^ON-inoo"toO'-co^o\cNcnn q a co ^ d \© in ^* -nF* co cn -4 cn cn co co ^* lo* *d co cnÌ co" co" co co 3 < r~,’— ,T_ 'r-— Ir— 1 i V ^m-tcoo-inocooo^o-tMcoa^cooooO'cocO'-H co uj CN oi CO ^ ^ ^ CO CO* ^ ^ ^ cò CO c4 — ' --I — ' co Primav. (N n cm ^ ^ n o 'q(N o < CN _c V J3 iO^OOHOOcnOO'in^vOOO'O'O'O'P'OOifìSNCOM vO e ^t^oifì^O'OoorO'-i^oO'OicnnNO'NoooioNO'^ © Q > N5 LO LO d LO N< N<* N* 's** N<* N<* N<* CO CO CO N< ^ d Tji OONfOOOWOO'^N^OOTf'OCO'OONCO^^CO'tCN o o om-^co t-'- Mf)0(N0Oco-iooinh-t>coocO'-''-'0' co Z intov©'diOiòioir)^n-<^co^t<»dininidini/5uSin' -t in lH in d w: d ici ic in > LO _Q E O'N-iOOO'tCOO'OCNOMO^iDNincOQONN^MCO.? 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L’oscil¬ lazione secondaria, con escursione di mm. 1.0, ha il massimo verso le ore 4-5 e il minimo verso le 23h . La frequenza della pioggia ha una sola oscilla¬ zione, preceduta e seguita da fluttuazione. Il massimo si verifica verso le ore 7, il minimo alle ore 14 e vi intercede N. v. 0,8. Febbraio. — Per la quantità di pioggia s’ identi¬ ficano due oscillazioni: quella principale, di escursione mm. 1,2 ha il massimo alle 9h e il minimo alle ore 15-16. Seguono una fluttuazione e un’ oscillazione secondaria di escursione mm. 0,6. La frequenza della pioggia ha un' oscillazione principale col massimo alle ore 6 e il minimo alle ore 15 e con escursione di N. v. 0,8. Il minimo delle ore 15 è preceduto da una fluttuazione che ha una depressione alle ore 10 e il rilievo alle ore 12. Dopo il minimo vi è l’accenno di fluttuazione depressionale. Marzo. — Per la quantità di pioggia si ha una oscillazione principale con escursione di mm. 1,9 : il massimo si verifica alle ore 2 e il minimo alle ore 11. Il minimo assoluto è preceduto da una fluttuazione che ha il rilievo alle ore 8 ed è seguita da una fluttuazione composta che ha il rilievo verso le 17h e la depressione verso le ore 19-20. La frequenza della pioggia ha una oscillazione di soddisfacente parallelismo con quella della quantità, il mas¬ simo assoluto alle ore 2 e il minimo alle ore Ile l'escursione di N. v. 1,2. Vi s’ inseriscono due fluttuazioni : una, quasi oscil¬ lazione secondaria, ha il rilievo alle ore 16 e la depressione alle ore 19, e l'escursione di N. v. 0,4. Aprile. — Per la quantità di pioggia vi è un'oscil¬ lazione principale con escursione di mm. 1,0 col massimo alle ore 3 e il minimo alle ore 14. Sono inserite due fluttuazioni, una che dà l’accenno di oscillazione secondaria, ha il suo rilievo verso le ore 17. — 163 — La frequenza della pioggia ha un'oscillazione principale, su cui vi è lontano accenno di due fluttuazioni : il massimo si verifica alle ore 3 e il minimo alle ore 15 e l'escur¬ sione è di N. v. 1,1. Maggio. — Per la quantità di pioggia s' identifi¬ cano due oscillazioni: quella principale con escursione di mm. 1,6 ha il massimo alle ore 5 e il minimo alle ore 12 ed ha una lieve fluttuazione. L'oscillazione secondaria con escursione di mm. 0,9 ha il massimo alle ore 15 e il minimo alle ore 20. La frequenza della pioggia ha il massimo alle ore 5 e il minimo alle ore 13 con esecuzione di N. v. 0,8 vi è inserita una fluttuazione. Un' altra fluttuazione che segue ha il rilievo alle ore 15 e la depressione alle ore 21. Giugno. — Per la quantità di pioggia si ha il mas¬ simo principale alle ore 14 e il minimo assoluto alle ore 19 e l'escursione di mm. 2,3. Una fluttuazione, quasi oscillazione secon¬ daria con escursione di mm. 0,7 ha la depressione alle ore 2 e il rilievo alle ore 5, riabbassandosi sino alle ore 8, per poi risalire al massimo principale. La frequenza della pioggia ha il massimo alle ore 15 e il minimo alle ore 20 e l'escursione di N. v. 0,6. Vi è l'accenno a lieve fluttuazione con rilievo verso le 0h e depres¬ sione alle ore 5-6. Luglio. — Per la quantità di pioggia si ha una oscillazione principale con escursione di amplitudine mm. 1,6; il massimo alle ore 4 e il minimo alle ore 23. Sono inserite due fluttuazioni una ha la depressione alle ore 6 e il rilievo alle ore 9, 1' altra la depressione alle ore 13 e il rilievo alle ore 19-20. La frequenza della pioggia ha un'escursione di N. v. 0,3 ; massimo alle ore 7 e minimo alle ore 22. Vi è inserita una fluttuazione che ha la depressione verso le ore 13 e il rilievo alle ore 17. Agosto. — Per la quantità di pioggia s'identifica una oscillazione composta. Il massimo assoluto si verifica alle ore 11 e il minimo assoluto alle 0h con differenza di mm. 1,0. — 165 — Due fluttuazioni inserite, che accennano ad oscillazioni secondarie di escursione mm. 0,4 si verificano : l'una con rilievo alle ore 4 e depressione alle ore 8 e l'altra con depressione alle ore 14 e rilievo alle ore 16. La frequenza della pioggia, con leggere fluttua- zioni, ha il massimo alle ore 16 e il minimo alle ore 9 ed escur¬ sione di N. v. 0,4. Settembre. — Per la quantità di pioggia il mas¬ simo principale si ha alle ore 17, il minimo principale alle ore 12, e l’escursione di mm. 3,0. Un' oscillazione secondaria composta ha il minimo alle ore 20 e il massimo alle ore 2 ed escursione di mm. 0,9. Segue una fluttuazione che ha depressione forte alle ore 5 e rilievo alle ore 9. Per la frequenza della pioggia s'identificano due oscillazioni. La principale, con amplitudine N. v. 0,7 ha il mas¬ simo alle ore 3 e il minimo alle ore 12-13. L’oscillazione secon¬ daria, con escursione di N. v. 0,4 ha il massimo alle ore 17 e il minimo alle ore 20. Ottobre. — Per la quantità di pioggia vi è una oscillazione composta. Il massimo assoluto si verifica alle ore 3 e il minimo alle ore 17 con escursione di mm. 2,6. La prima oscil¬ lazione secondaria, di amplitudine mm. 1,6, si inserisce col minimo alle ore 8 e il massimo alle ore 14. L'altra, di escursione mm. 0,7 ha il massimo alle ore 20 e il minimo alle ore 23. Perla frequenza della pioggia s'identifica un'oscil¬ lazione principale fluttuata, col massimo alle ore 6 e il minimo alle ore 13 e con escursione di N. v. 0,6. Segue una fluttuazione che ha il rilievo verso le ore 16 e la depressione alle ore 20. Novembre. — Per la quantità di pioggia vi sono due oscillazioni : quella principale, che ha lievi fluttuazioni, ha il massimo alle 3h , il minimo alle ore 10 e l'escursione di mm. 2,3. L'oscillazione secondaria, composta, di escursione mm. 0,9 ha il massimo alle ore 17 e il minimo alle ore 20. La frequenza della pioggia ha due oscillazioni : la principale ha il massimo assoluto alle ore 1 e il minimo alle ore 11 con differenza N. v. 0,9. Sull'oscillazione principale è — 167 — inserita una fluttuazione che ha la depressione alle ore 5 e il rilievo alle ore 7. L'oscillazione secondaria, di escursione N. v. 0,4, ha il mas¬ simo alle ore 15 e il minimo alle ore 18. Segue leggera flut¬ tuazione. Dicembre. — Per la quantità di pioggia vi sono due oscillazioni : la principale ha il massimo assoluto alle ore 4 e il minimo alle ore 17 con differenza di mm. 2,0. Vi è una flut¬ tuazione che ha la depressione verso le ore 8 e il rilievo alle ore 1 1-12. L’oscillazione secondaria di mm. 0,7 ha il massimo alle ore 21 e il minimo a 0h . La frequenza della pioggia ha il massimo prin¬ cipale alle ore 2 e il minimo alle ore 17 con escursione di N. v. 1,0. Sull’oscillazione principale vi sono due leggere fluttuazioni. Inverno. — Per la quantità di pioggia vi sono due oscillazioni : la principale che ha una fluttuazione (depressione alle 7, rilievo alle 9) ha il massimo assoluto alle ore 4, il mi¬ nimo alle ore 15-16 e l'escursione di mm. 2,9. L’oscillazione secondaria, di amplitudine mm. 1.2, ha il mas¬ simo alle ore 21 e il minimo alle ore 23h 0h . La frequenza della pioggia ha un'onda principale con tre leggere fluttuazioni : l'amplitudine è di N. v. 2,3 ; il mas¬ simo si verifica alle ore 6, il minimo alle ore 16. Primavera. — Per la quantità di pioggia si verifica un'oscillazione principale, che ha il massimo alle ore 3-4 e il minimo alle ore 11-12, l'escursione di mm. 3,4. L’oscillazione secondaria è ridotta ad una fluttuazione pronunziata per mm. 1,0 che ha il rilievo alle ore 16 e la depressione alle ore 20. La frequenza della pioggia, in sufficiente paralle¬ lismo, ha un’ oscillazione principale con escursione di N. v. 2,3 col massimo alle ore 3 e il minimo alle ore 11-12. La leggera fluttuazione ha il rilievo alle ore 16 e la depressione alle ore 19. Estate. — Per la quantità di pioggia l’ oscillazione principale con escursione di mm. 2.9, ha il massimo alle ore 4 e il minimo alle ore 19. Vi è inserita una lieve fluttuazione mentre - 169 - l'oscillazione secondaria si riduce ad una pronunziata fluttuazione composta, associata all'oscillazione principale : questa fluttuazione di min. 1,0 ha il rilievo alle ore 11 e la depressione alle ore 8. La frequenza della pioggia ha un'oscillazione prin cipale e fluttuazioni. Il massimo alle ore 15-16, il minimo alle ore 21 e l'escursione di N. v. 1,0. Autunno. — Per la quantità di pioggia vi sono due osculazioni lievemente fluttuate. L' oscillazione principale ha il massimo alle ore 3 il minimo alle ore 8 e l'escursione di mm. 4,2. L’oscillazione secondaria con escursione di mm. 2,2, ha il massimo alle ore 17 e il minimo alle ore 20. Per la f r e q u e n za della pioggia Toscillazione prin¬ cipale fluttuata, ha l’escursione di N. v. 1,7; il massimo alle ore 2-3 e il minimo alle ore 11. Segue una fluttuazione che ha il rilievo alle ore 16 e la depressione alle ore 20-21. Anno. — Per la quantità di pioggia vi è una oscil¬ lazione di mm. 9,0 col massimo alle ore 3-4 e il minimo alle ore 19-20. Vi è inserita una fluttuazione di m. 1,5 che ha la depressione verso le ore 8-10 e il rilievo verso le ore 14-16. Per la frequenza della pioggia, in sufficiente pa¬ rallelismo, vi è un' oscillazione con escursione di N. v. 5,2 col massimo alle ore 3 e il minimo alle ore 11-12-13. Segue una fluttuazione di N. v. 0,9, col rilievo alle ore 15 e depressione alle ore 18-19-20. Riassumendo. Per la quantità di pioggia si ha una doppia oscilla¬ zione nei mesi di gennaio, febbraio, maggio, settembre, novembre e dicembre. In ottobre si rileva anzi una triplice oscillazione, nei rima¬ nenti mesi l’andamento orario rivela una sola oscillazione princi¬ pale con accenno ad una o due oscillazioni secondarie. L'escur¬ sione principale è per i vari mesi rispettivamente : G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. m | m 1,3 1,2 1,9 1,0 1,6 2,3 1,6 1,0 3,0 2,6 2,3 2,0 - 13 - — 170 — Per le stagioni : si ha una doppia oscillazione in inverno e in autunno con escursione Onda principale Onda secondaria Inverno m/m 2,9 1,2 Autunno „ 4,2 2,2 Per la primavera e 1' estate si rileva una sola oscillazione principale rispettivamente di escursione m/m 3,4 e m/m 2,9, e l'oscillazione secondaria è ridotta ad una fluttuazione rispetti¬ vamente di mm. 1,0. Nell’ anno complessivamente resta una sola oscillazione con escursione di m/m 9;0. Sull'oscillazione vi è però inserita una fluttuazione di mm. 1,5. Per la frequenza della pioggia, si ha solamente per i mesi di settembre e novembre una oscillazione secondaria con escursione di N. v. 0,4, poi sia per i rimanenti mesi che per le stagioni e l'anno si rileva una sola oscillazione con una o due fluttuazioni. Rispettivamente le escursioni principali sono : G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. n. v. 0,8 0,8 1,2 1,1 0,8 0,6 0,3 0,4 0,7 0,6 0,9 1,0 per le stagioni : Inverno Primavera Estate Autunno N. V. 2,3 2,3 1,0 1,7 e per l'anno complessivamente l’escursione è di 5,2 N. v. — 171 Riassunto Premesso un cenno generale dell’argomento si parla dei dati plu¬ viometrici orari elaborati dal 1909 al 1931. Nelle Tabelle I, li, III si riportano quindi i valori medi orari relativi alla quantità, alla fre¬ quenza e all’intensità della pioggia per mesi, stagioni e anno. Poi si distinguono i valori relativi ad un intervallo notturno e quelli relativi ad un intervallo diurno , determinandone il rapporto. Complessivamente risultano superiori i va¬ lori del periodo notturno. La ricerca della periodicità è effettuata col metodo della pere¬ quazione semplice a tre termini a catena chiusa per la quantità e per la frequenza della pioggia, ottenendo rispettivamente i valori riportati nelle Tabelle IV e V e rilevati nelle Figure 1, 2, 3 e 4. Si discutono e si riassumono i risultati per mesi, stagioni e anno, rilevandone le oscillazioni per l’ora del massimo, del minimo e per l’escursione. Si riscontra un sufficiente parallelismo tra le variazioni della quantità e quelle della frequenza della pioggia. In generale s’identifica una oscil¬ lazione principale dopo la quale è inserita, o vi è 1’ accenno di una o due oscillazioni secondarie. Finito di stampare il 7 luglio 1933 ■ • • ■ ■ ■ - ■ Contributo alla tecnica di distruzione delle sostanze organiche in analisi tossicologica del socio Mario Covello (Tornata del 7 agosto 1933) Nelle analisi tossicologiche per la ricerca dei veleni di ori¬ gine minerale o veleni metallici, come più comunemente si suole indicarli, una delle operazioni fondamentali e necessarie è certa¬ mente la distruzione della sostanza organica e la trasformazione di tali veleni sotto forma salina solubile. Iti epoca non molto remota ci si serviva ancora di un mezzo malsicuro allo scopo di estrarre i veleni minerali dalla sostanza organica sospetta , ci si contentava cioè di esaurire gli organi semplicemente con acqua bollente o con alcool (1). Presto però sorse la necessità di procedere ad una distruzione più o meno completa della sostanza organica e vari metodi furono provati e consigliati. Nell' interesse degli studiosi credo sia molto opportuno far seguire una breve rassegna bibliografica dei metodi più impor¬ tanti proposti e delle modifiche ad essi apportate per renderli di più semplice esecuzione od anche più rispondenti all'oggetto della ricerca. La distruzione per mezzo della calcinazione che, a priori , sembra il metodo più semplice e rapido, nella pratica riesce di difficile attuazione se si pensi che nelle analisi tossicologiche si tratta frequentemente di dover distruggere una quantità di so¬ stanza organica che supera il Kg. A questo inconveniente si ag¬ giunga poi che alcuni metalli importanti dal punto di vista della tossicologia, come il mercurio, l'arsenico e l'antimonio, a quella — 174 — temperatura volatilizzano completamente od in parte, venendo in tal maniera sottratti alla ricerca chimica. Tuttavia ricorderò che metodi fondati sulla calcinazione furono proposti da Orfila, Woeler e Siebold (2) i quali allo scopo di facilitare la combu¬ stione impiegarono il nitrato potassico. Schloesing ed Al- QUiER (3) studiarono un dispositivo speciale per la distruzione delle sostanze organiche che fu più tardi modificato da Breteau e Leroux (4) ; esso era costituito da un tubo a combustione in cui si poneva la navicella contenente la sostanza organica ; se¬ guiva a breve distanza una spirale di platino. Il riscaldamento al disotto della navicella si regolava in modo da far vaporizzare la sostanza organica ed in corrente di ossigeno questi vapori veni¬ vano condotti sulla spirale di platino arroventata al rosso dove bruciavano. Bertrand (5) utilizzò per la completa combustione delle sostanze organiche la bomba calorimetrica di Berthelot senza alcuna perdita di veleni metallici. Monthulé, Geneuil, Gautier, Clausmann e Kohn-Abrest, preconizzarono 1' uso di ossidi ter¬ rosi (barite, calce, magnesia) da incorporare alle sostanze orga¬ niche per facilitarne la combustione nelTaria. Verryken (6) pro¬ pose un metodo consistente nel bruciare la sostanza organica in corrente di ossigeno e nel condurre poi i vapori prodotti in un apparecchio a bolle contenente acqua. In tal modo riuscì a met¬ tere in evidenza fino a gr. 0,00025 di argento, mercurio, piombo, e rame. Questi valori furono poi confermati da altre esperienze compiute da Versowicz (7). Un procedimento che utilizza la calcinazione in presenza di zolfo fu proposto pure dal nostro Selmi (8) che tanta opera rivolse allo studio di problemi di tossicologia. I metodi di distruzione per via secca cui si è accennato, oggi non hanno più che un valore storico essendo esclusi dalla pra¬ tica per varie ed intuitive ragioni. Anzitutto per quanto dianzi si diceva a proposito dei metodi fondati sulla calcinazione, cioè la impossibilità di lavorare con grandi quantità di sostanza, poi per il fatto che nella combustione si generano prodotti di pessimo odore che , anche quando ci si serva di una cappa a buon ti¬ raggio, finiscono sempre per diffondersi nei laboratori di ricerche; inoltre per le inevitabili perdite di alcuni elementi minerali vo¬ latili. — 175 - Tenendo conto di tutti questi inconvenienti presto si impo¬ sero metodi per via umida di più agevole applicazione, più rapidi e, quel che più conta, più sicuri. Con tali metodi si utilizzarono agenti chimici di azione profondamente ossidante, tale da poter energicamente disintegrare gli elementi costitutivi la sostanza or¬ ganica. In un primo tempo l'attenzione si rivolse sugli acidi mi¬ nerali più forti poi su altri agenti di ossidazione, come gli alo¬ geni e loro derivati. Tutti i metodi sperimentati, a secondo dei mezzi di ossidazione che impiegano, si possono far rientrare nei seguenti gruppi : 1) Distruzione con acido nitrico concentrato. 2) Distruzione con acido nitrico ed acido solforico. 3) Distruzione con acido cloridrico ed acqua regia. 4) Distruzione con cloro sia molecolare che allo stato nascente. 5) Distruzione con altri agenti di ossidazione. 1)- Distruzione con acido n i t r ì c o. — L'acido nitrico per il suo notevole potere ossidante è stato impiegato da epoca remota nella distruzione delle sostanze organiche. Gra¬ ham (9) lo impiegò tra i primi a questo scopo. Per operare con l’acido nitrico occorre che la sostanza sia ben essiccata quindi si fa cadere in piccoli pezzi nell'acido nitrico riscaldato a 60°-80°, si ottiene un residuo carbonioso che dovrà poi essere ulterior¬ mente esaurito con acqua bollente. Woeler e Siebold (10), come già si è detto precedentemente, adottarono la calcinazione in pre¬ senza di nitrato potassico, però, fecero precedere questa opera¬ zione dalla ossidazione nitrica della sostanza e successiva neutra¬ lizzazione della massa con carbonato di potassio. Il metodo di Marino -Zuco (11) seguito specialmente in Italia si fonda sul- l' impiego dell' acido nitrico e del biossido di azoto. In pratica la sostanza organica viene messa in un pallone e ricoperta con acido nitrico quindi vi si fa passare una corrente di biossido di azoto e si riscalda il liquido mantenendolo in moderata ebolli¬ zione. Ogni tanto si lascia raffreddare, poi si riscalda nuovamente fino a quando dallo strato superficiale di grasso non si svolgono più bollicine; in ultimo il liquido si fa attraversare da una cor- — 176 — rente di ossigeno o di aria allo scopo di completare la combu¬ stione. O. Gasparini, nel 1904 (12) utilizzando i prodotti di scissione elettrolitica dell’ acido nitrico, forniti di proprietà spiccatamente ossidanti , realizzò un metodo per la distruzione delle sostanze organiche in tossicologia che consiste nel mettere la sostanza in esame, esente di alcool, in un grande bicchiere a precipitazione (cm. 20X10) ed aggiungervi un volume uguale di acido nitrico concentrato e puro. Il bicchiere è ricoperto con un grande vetro da orologio che porta due fori a distanza di 6-7 cm. tra di loro e messi simmetricamente. Per questi due fori passano due bac¬ chette di vetro alle estremità delle quali sono due lamine di platino che servono da elettrodi ; si applica una corrente con¬ tinua di intensità media di 4-6 Amp. e di 8 Volt di f. e. m.. L’Autore suggerisce altri accorgimenti per i quali si rimanda al lavoro originale; il metodo, secondo il Vitali (13), che lo ha sottoposto a controllo in occasione di perizia giudiziaria , dà ri¬ sultati molto precisi. M. Miorandi (14) nel 1908 riprese in esame il metodo Ga- spàrini avendo avuto ragione di dubitare nell'uso degli elettroti di platino, che parte del metallo passasse in soluzione ed anche allo scopo di evitare 1' uso di quantità ingenti di acido nitrico concentrato; ripetè le esperienze sostituendo agli elettrodi di pla¬ tino quelli di carbonio ed impiegando in luogo dell’acido nitrico, acqua ossigenata di diversa concentrazione o persofalto ammo- nico. Potè precisare che 1’ uso degli elettrodi di carbone non è consigliabile e così neanche l'acqua ossigenata si presta bene allo scopo, specie se concentrata (perhjdrol Merk), viceversa ebbe ri¬ sultati ottimi dall'uso di soluzioni acide soprassature (60 °/0 circa) di persolfalto ammonico impiegando elettrodi di platino e con corrente 3,75 Amp. ; la distruzione della sostanza organica effet¬ tuata con quest’ultimo metodo raggiunse il 93,61 °/c del quanti¬ tativo di materiale usato. Gl' inconvenienti che presenta l'uso dell’ acido nitrico sono vari ed evidenti ; se si opera in capsula si ha uno sviluppo di vapori con i quali a temperatura alta si perdono anche veleni me¬ tallici volatili, inoltre verso la fine dell’operazione si ha una no¬ tevole deflagrazione della massa e parte della sostanza è proiettata - 177 — fuori. Con la tecnica consigliata da Marino-Zuco si ovvia a questi inconvenienti, tuttavia rimane sempre sfavorevole Fuso del grande eccesso di acido nitrico. Il metodo Gasparini è molto preciso e sensibile ; occorre però per realizzarlo una istallazione per analisi elettrolitiche che molte volte non si trova in tutti i laboratori, d'altra parte dovendo distruggere grande quantità di materiale la durata dell' operazione è notevole e gli apparecchi devono essere di grandi dimensioni. 2) -Metodi fondati sull' impiego di acido nitrico ed acido solforico. — Fu il Filhol (15) che nel 1848 introdusse nei processi di distruzione degli organi in tos¬ sicologia 1' uso dell'acido solforico insieme all'acido nitrico, tut¬ tavia fin dal 1841, Flandin e Danger (16) avevano consigliato un metodo fondato sull'impiego dell'acido solforico per la distruzione dei reperti e successivo trattamento del residuo carbonioso con acido nitrico ; Orfila (17) e Jacquelin dimostrarono che con questo procedimento una certa quantità di arsenico volatilizza, specialmente in presenza di cloruro di sodio , come accade quando si lavora con reperti organici. Millon, celebre farmacista militare francese, si occupò anche della distruzione della sostanza organica con miscela nitro-solforica nella ricerca dei metalli (18). Bérard (19) propose di lavorare in recipiente chiuso ma ciò è disagevole per la grande quantità di schiuma che si produce ; Chittenden e Donaldson (20) introdussero modifiche nel senso di iniziare F attacco con acido nitrico e poi aggiungere piccole quantità di acido solforico; il riscaldamento della massa raggiun¬ geva però sempre i 200°. Pauchet (21) aggiunse nell’esecuzione di questo metodo il bisolfato potassico ; secondo questo proce¬ dimento la massa è trattata con egual volume di acido nitrico concentrato in presenza del 25 °/0 circa di bisolfato potassico; dopo prolungato riscaldamento si aggiunge acido solforico puro e si continua a scaldare fino a che si svolgono vapori di acido solforico. La massa residua si riprende poi con acqua e si sotto¬ pone, ad analisi. Altre piccole modifiche al metodo di Flandin e Danger sono state apportate da Gaultier de Claubry, Plaff e Selmi. . Tifbfi A. Gautier nel 1876, in un suo studio sulla ricerca dell'ar- - 14 - 178 — senico in tossicologia (2 j, consigliò un metodo che si fonda ugualmente sull'uso di acido nitrico e di acido solforico; secondo questo Autore a 100 gr. di sostanza organica messa in capsula di porcellana viene aggiunta una miscela formata con 4 gr. di acido solforico conc. e puro e 40 gr. di acido nitrico (D = 1,42); il riscaldamento si fa procedere cautamente interrompendolo quando la massa minacci di fuoriuscire ; a mano a mano che l'ossidazione procede si aggiungono ancora a piccole porzioni 42 gr. di acido nitrico. Il residuo carbonioso si riprende con 250-300 cc. di acqua distillata e sul filtrato si procede poi come di consueto. Questo metodo subì alcuni ritocchi specialmente da parte di Bertrand (23) e Lockmann (24). Denigés (25), avendo per oggetto la ricerca dell' arsenico, propose ugualmente Fuso dell'acido nitrico e dell’acido solforico in presenza di una piccola quantità di permanganato potassico e, la tecnica minuziosa e precisa con la quale è raggiunta la distruzione completa di reperti organici è descritta perfettamente nella memoria originale. Meillére (26) riprese in esame i metodi di Gautier e di Pauchet e creò una nuova tecnica fondendo opportunamente insieme i due metodi e rendendo così il pro¬ cedimento enormemente più rapido ed ugualmente sicuro per quanto si riferisce alla distruzione della sostanza organica dal punto di vista quantitativo ; lo stesso studioso perfezionò ancora questo suo metodo operando, in particolari condizioni (27), an- zicchè in capsula di porcellana aperta, in pallone di vetro di Jena. D’altra parte ed indipendentemente da lui anche Kerbosch (28) aveva proposto nel 1908 un metodo molto simile come tecnica. Ma chi porta al metodo nitro-solforico un contributo di esperienza veramente importante è Pierre Breteau (29) che nel 1911 ne fece uno studio molto dettagliato. Egli opera facen¬ do passare una corrente di vapori nitrosi in seno ai reperti sospesi in acido solforico concentrato e scaldati cautamente ; come attivante propone di aggiungere solfato di rame, di man¬ ganese o di mercurio ; i vapori nitrosi sono prodotti comoda¬ mente per azione di una corrente di anidride solforosa sull'acido nitrico. L'apparecchio, di cui la memoria originale reca un disegno schematico molto suadente, è semplice e così pure la tecnica del metodo è agevole. Il tempo impiegato per distruggere 300 — 179 — gr. di organi è di circa 4 ore. Si occuparono dei metodi nitro¬ solforici altri studiosi come Gras e Gintl (30), Breton, Billeter e Marburg (31), M. Safa el Kateb (32), Duret (33), Lehmann, Fagher, Kohn - Abrest (34), ciascuno in ricerche specifiche di singoli veleni metallici. Riassumendo sui metodi che utilizzano l’acido nitrico e l'acido solforico nella distruzione della sostanza organica, dobbiamo riconoscere che sono gli unici che conducono alla distruzione più spinta della sostanza che forma gli organi in esame , tuttavia l'impiego di forti quantità di acido, (Nikitin e Igefski (3fS) im¬ piegano per 200 gr. di organi 2 Kg. di acido solforico conc.) le temperature piuttosto alte necessarie al raggiungimento dello scopo, la durata dell'operazione che in alcuni casi è di molte ore, la produzione di fumi molesti che si producono, ne scon¬ sigliano l'adozione nelle ordinarie indagini chimico-legali, a meno che non si sia costretti a seguirli da particolari esigenze della ricerca. 3) -Distruzione con acido cloridrico od acqua regia. — Procedimenti specifici fondati sull'uso delPacido clo¬ ridrico come mezzo di disgregazione più che di distruzione sono stati suggeriti da Drunty (36), Brandes (37), Duflos e Hirsch (38). L'attacco avviene in una storta tubulata e successivamente la massa si distilla riscaldando a bagno di soluzione di cloruro di calcio ; il residuo è esaurito con alcool di 80°. Secondo Kohn-Abrest (39) l’acqua regia fu usata da Ma- laguti e Sarzeau nel 1841 e successivamente (1861) il procedi¬ mento fu modificato da Bechamp. Mancano i particolari dei metodi nè vi sono riferimenti ai lavori originali. 4) -Metodi che utilizzano il cloro. — Il principio che si fonda sull'impiego del cloro nella distruzione delle so¬ stanze organiche fu indicato da Duflos e Millon (40) nel 1838 ma coloro che legarono i loro nomi ad un metodo che è dive¬ nuto ormai classico furono Fresenius e Babo (41) che lo perfe¬ zionarono e lo resero di pratica attuazione ; giova pertanto entrare in qualche dettaglio relativo al metodo così come lo suggerirono i due citati studiosi. Gli organi sono tritati nella maniera più completa e con i — 180 — mezzi più opportuni, sui quali in seguito ci fermeremo, (questa precauzione è necessaria e da essa dipende l’attacco più o meno profondo della sostanza) poi sono messi in una capsula di por¬ cellana od in un pallone di vetro, addizionati di un peso uguale di acido cloridrico puro e scaldati blandamente a bagno maria. Di tanto in tanto vi si fanno cadere uno o due grammi di clorato potassico puro fino a che non si sia raggiunta una di¬ struzione il più possibile completa il che si constata scaldando il liquido giallo ottenuto per quindici minuti ; non deve assumere colorazione gialla più carica. Con questo procedimento si deve assolutamente evitare la presenza di sostanze organiche come alcool, zucchero, amido : ciò provocherebbe fatalmente delle pe ricolose esplosioni. Il liquido giallo ottenuto è filtrato ; in esso vi si possono trovare l'antimonio, lo stagno, il mercurio, boro, il rame, il bi¬ smuto, il cadmio, lo zinco, il nichel, il cobalto, il ferro, il man genese ed il cromo, come cloruri ; l’arsenico, come acido arse¬ nico, se il cloro vi ha agito in eccesso. Il timore che una parte dell'arsenico andasse perduto come tricloruro, affacciato da alcuni studiosi, è stato dissipato dalle rigorose ricerche di Schacht (42) e Fresenius (43). Al metodo di Fresenius e Babo è stata apportata qualche modifica da Abreu (44) che consiglia la predigestione della massa con acido cloridrico a b. m. per alcune ore. Schneider (45) so¬ stituisce all'acido cloridrico l'acido nitrico: Woeler (46), dopo trattamento degli organi con potassa all'ebollizione, soprassatura con acido cloridrico e fa passare una corrente di cloro ; anche Otto (47) adopera il cloro gassoso. Schneider (48) e Fyfe (49) che hanno compiuto varie e precise ricerche sulla tossicologia dell'arsenico propongono a questo scopo un processo di distru¬ zione che consiste nel mescolare il materiale con un eccesso di cloruro sodico e poi riscaldare aggiungendo acido solforico a poco a poco. L' operazione si compie in una storta od in un pallone collegati con un refrigerante di Liebig , in modo che i vapori che si liberano sono condensati e raccolti in un collettore. Liebig (50), Ludwig (51) e Fischer (52) apportarono varie modi¬ fiche al metodo originale di Schneider e Fyfe , consigliate a quando a quando da casi particolari. 181 Ieserich (53), Kippenberger (54), Mai (55) introdussero det¬ tagli di tecnica e modifiche al metodo di Fresenius e Babo. Villiers-Moriamee (5ò) mostrò il vantaggio che deriva dall'uso dei sali di manganese come fermento minerale nel metodo al cloro. Bruylants (57) sostituì al clorato potassico in cristalli quello in compresse ritenendo che con questo, cadendo la com¬ pressa al fondo del recipiente, si potesse provocare uno svol¬ gimento di cloro più efficace nel seno della massa. Da un ra¬ gionamento pressocchè simile si fecero guidare Ogier e Kohn- Abrest nel consigliare di operare nella maniera che diremo più oltre. Nel metodo ordinario di Fresenius e Babo quando si ag giunge ai reperti sospesi in acido cloridrico il clorato potassico a piccole porzioni, questo appena in contatto col liquido acido si decompone liberando cloro parte del quale va perduto. I pre¬ detti studiosi (58) lavorano in recipiente chiuso e producono a parte Y acido cloridrico gassoso che conducono poi a gor¬ gogliare attraverso i reperti sospesi in un soluto di clorato po¬ tassico. L’operazione è rapida e sicura e di tutte le ttiodifiche al metodo originale questa è quella che si può considerare la più pratica ed è quella seguita da moltissimi tossicologi* I metodi fondati sull'uso del cloro come mezzo di ossida¬ zione degli organi in tossicologia sono indubbiamente i più ra¬ pidi. Si leva loro Fobiezione che non raggiungono una distru¬ zione completa della sostanza organica giacché vi resistono i grassi ed alcuni tessuti cellulari, ma, come molti studiosi hanno dimostrato la disintegrazione è tale che, praticamente, se com¬ ponenti minerali vi sono questi passano nel liquido sotto forma salina. In presenza di argento solo una parte di cloruro rimane sul filtro essendo stato assodato che anche questo è solubile in una certa misura in acido cloridrico e cloruri alcalini (59), tut¬ tavia basta operare sul residuo secondo le indicazioni di Dra- gendorff (60) per mettersi al sicuro contro ogni probabile per¬ dita. Anche l'obiezione di Schneider (61) che una parte del piombo, come cloruro, vada perduta è stata dimostrata infondata perchè questo in ambiente cloridrico è parzialmente solubile ; ad ogni modo sarà buona regola lavare il residuo sul filtro con acqua bollente. — 182 — 5) - Metodi che utilizzano altri agenti di ossidazion e. — Schlagdenhaufen (62) e Pagel(63) hanno impiegato per la distruzione dei reperti organici in tossicologia il cloruro di cromile ottenuto per azione del cloruro di sodio sul bicromato di potassio ed acido solforico, utilizzando i prò dotti cui questo composto dà luogo nel decomporsi : 2 Cr02Cl2 = Cr203 -j- Cl4 -f- O L'uso della bomba calorimetrica di Berthelot o di Mahler (64) con ossigeno sotto pressione, non permette di trattare una quantità notevole di sostanza. Tarugi (65), nella ricerca dell'ar¬ senico, per liberarsi della sostanza organica, ha messo a profitto l’azione ossidante dei persali adoperando il percarbonato potassico e completando poi la distruzione mediante l'acido di Caro. Il bromo, secondo Magnin (66), pare offra vari vantaggi se viene usato in luogo del cloro. L'azione dell'acqua ossigenata di varia concentrazione fino al perhydrol, oltre che da Miorandi, come precedentemente si è detto, è stata utilizzata a questo scopo da Jaunash (67), come attivante dell'acido nitrico fumante, da C. E. Carlson (68) nella distruzione delle sostanze organiche contenute nell urina, da A. Grau (69), (questo studioso la ottiene estemporaneamente per azione dell acido solforico sul perborato sodico) da Mùller (70), da Migault (71), da Kleemann (72) ed infine da G. Magnin (73). Recentemente E. Kahane (74) ha proposto l'impiego della miscela nitro - solfo - perclorica con uno speciale apparecchio particolarmente adatto alla distruzione degli organi. Di questi ultimi metodi, però, nessuno si è imposto nella pratica corrente. — 183 — Un nuovo procedimento per la distruzione degli organi in tossicologia. Tra tutti gli agenti di ossidazione messi a profitto per la distruzione delle sostanze organiche nell'analisi tossicologica quello che si è maggiormente diffuso nelle ordinarie applicazioni è stato il cloro nei vari metodi proposti. Senza entrare in quello che è il meccanismo di ossidazione del cloro, quantunque non sia ri¬ sultato un mezzo di distruzione completo, è certo che ha risposto ottimamente nella pratica per la sua azione disintegrante molto profonda. La piccola quantità di materia grassa e qualche tessuto che resistono all'azione del cloro, alla fine dell'operazione risul¬ tano ridotti allo stato di massima suddivisione. Se si ha cura di lavare il residuo sul filtro con acqua leggermente acidulata anche le minime quantità di sostanza minerale rimastavi aderente sotto forma di cloruro dovranno passare nel filtrato. Heederich (75) che in alcuni suoi studi sulla ricerca dell’arsenico in tossicologia, ha sottoposto ad acuta critica molti metodi di distruzione della so¬ stanza organica, conclude affermando di avere ottenuto i migliori risultati dal metodo di Fresenius e Babo cui ha fatto subire lievi ritocchi. 11 metodo al cloro applicato secondo la tecnica consigliata da Ogier e Kohn-Abrest (76) riesce di semplice esecuzione, ra¬ pido, offre il vantaggio di poter operare a freddo, in recipiente fuori del contatto con T esterno il che evita assolutamente la diffusione di fumi ed odori molesti per il laboratorio. L'unico rilievo che si può fare al metodo al cloro deriva dall'uso del clorato di potassio per cui è necessario eliminare bene ogni traccia di alcool o di altre sostanze (amido, zucchero, ecc.) con le quali si possa determinare il pericolo di esplosione. Il clo¬ rato potassico in soluzione fortemente cloridrica dà luogo alle seguenti reazioni : KC103 + HC1 =*= HCIO3 + KC1 HCIO3 + 5 HC1 = 6 CI + 3 H20 ma 1' acido clorico può decomporsi anche secondo la seguente equazione formando biossido di cloro che come si sa è molto esplosivo : 3HC103 = HC1Q4 + 2 C102 + H20 — 184 Fermata la mia attenzione su questo fatto mi sono dato ad elaborare un metodo che pur utilizzando 1' efficace azione del cloro evitasse Y uso del cloraro di potassio e fosse nello stesso tempo altrettanto rapido e di generale applicazione. Si è già visto precedentemente che Y uso dell' acqua regia non è nuovo (v. pag. 179) tuttavia così come è stato applicato pare sia poco efficace. 11 meccanismo di reazione per cui dall'azione dell'acido ni¬ trico, nelle proporzioni dell'acqua regia si genera cloro secondo Goldschmidt (77) sarebbe il seguente : 9 HC1 + 3 HN03 = 5 CI + NOCI, + 2 NOCI + 6 H20 d'altra parte se si considerano le reazioni che si hanno per azione dell'acido cloridrico sul clorato potassico si riscontrano alcune analogie. In quelle, accanto al cloro si ha la formazione di bios¬ sido di cloro e di perclorato potassico, in questa accanto al cloro si ha la formazione di cloruro di nitrosile. Entrambe le miscele sono di alto potere ossidante. Il vantaggio che offre l' impiego dell’acido nitrico in luogo del clorato di potassio sta innanzi tutto nel potere evitare la for¬ mazione di biossido di cloro esplosivo ; poi nella sostituzione di un mezzo liquido ad un mezzo solido, fatto questo che rende più agevoli le operazioni ; inoltre il cloro prodotto da acido ni¬ trico ed acido cloridrico costa meno di quello prodotto da clo¬ rato potassico ed acido cloridrico. Il procedimento che io propongo si fonda appunto sull'im¬ piego dell' acido nitrico invece che del clorato di potassio e la formazione del cloro si ottiene facendo passare una corrente di HC1 gassoso in seno ai reperti organici sospesi in acido nitrico (D=l,39). Il potere ottenere la formazione del cloro ed altri prodotti ossidanti e cloruranti (NOCI, NOCl2) a diretto contatto con i reperti rende questo procedimento oltremodo efficace. La parte sperimentale che segue serve a chiarire meglio la tecnica del metodo. — 185 — Parte sperimentale. Riduzione dei reperti allo stato di mas¬ sima suddivision e. — Questa operazione preliminare deve essere eseguita con la massima scrupolosità allo scopo di aumen¬ tare la superficie di contatto tra la sostanza costituente gli or¬ gani in esame e Y agente di ossidazione prescelto. Vari mezzi sono stati suggeriti al riguardo ; uno dei più recenti consiste nel trattare gli organi con aria liquida e quindi frantumarli in un mortaio fino a formare poi col ritorno alla temperatura ambiente una poltiglia omogenea. Ho potuto osservare però che anche in questa maniera alcuni tessuti di organi come il cuore, polmoni, intestini non sono ridotti allo stato di completa suddivisione. Un procedimento che mi ha dato ottimi risultati e che per¬ ciò consiglio è il seguente : Gli organi vengono tagliuzzati in pezzetti molto piccoli me¬ diante un paio di forbici, quindi sono messi in una larga capsula di porcellana e ricoperti con aria liquida avendo cura di rime¬ scolarli bene bene ; subito dopo e prima che si ristabilisca l'e- quilibrio termico con 1' ambiente questi organi così resi in pez¬ zetti duri e compatti sono rapidamente passati per una comune macchina tritacarne. 11 materiale ottenuto risulta molto omogeneo e si presta bene per l'applicazione della tecnica da me proposta. Descrizione dell'apparecchio. — L'apparecchio nel suo insieme è quello illustrato dalla Figura. Essenzialmente consta di un pallone A della capacità di 1500 cc. con tappo smerigliato a cui è innestato un imbuto a rubinetto ed un tubo laterale ; in questo pallone si produce acido cloridrico gassoso facendo venire a contatto dell' oleum che scende dall’ imbuto a rubinetto detto con l'acido cloridrico concentrato in esso conte¬ nuto. B e C sono due bocce di lavaggio, la prima contenente una soluzione diluita di HC1, la seconda acido solforico concen¬ trato avente lo scopo di rendere secca la corrente gassosa. Sul tubo laterale della boccia di lavaggio C si nota un piccolo tubo di sicurezza a che ha l'ufficio di offrire più facile via di uscita alla corrente gassosa ove mai si ostruisce il tubo che conduce — 186 — 1' HCL nei reperti. Il pallone D della capacità di 2500 cc„ è quello dove si pongono i reperti ; esso è munito ugualmente di tappo smerigliato a tre vie di cui una è quella adduttrice dell' HC1 gassoso, la seconda, opposta, è messa in comunicazione con una terza bottiglia di lavaggio avente lo scopo di raccogliere i pro¬ dotti volatili che eventualmente dovessero liberarsi durante la operazione ; la terza, media, è collegata con un imbuto a rubi¬ netto da cui scende l'acido nitrico. Tecnica. — Il materiale da esaminare ridotto in sottilis¬ sima poltiglia, come si è detto, è introdotto nel pallone grande D per mezzo di un imbuto speciale a collo molto largo; quindi è chiuso col suo tappo smerigliato. Dall' imbuto a rubinetto si fa scendere una quantità di acido nitrico (D = 1,38) pari a circa la metà del peso complessivo degli organi da distruggere. Si rimescola bene la massa facendo subire un lievo movimento cir¬ colatorio al pallone. Si aspetta che la reazione che si manifesta 1 m. circa — 187 — si attenui, poi s'incomincia a mandare l'acido cloridrico gassoso; Questo, come si è detto si produce nel primo pallone A, facendo scendere a poco a poco F oleum dall'imbuto a rubinetto e rego¬ landone l’efflusso a seconda della intensità della corrente gassosa che si desidera. Intanto occorrerà sorvegliare il procedere dell' operazione badando a che la corrente di HO sia regolare e che la tem¬ peratura nel pallone D non si elevi eccessivamente nel quale caso si consiglia di raffreddare mediante una vaschetta con tubo di carico e sifone. La massa da un colore giallo - zolfo che ha in principio lentamente andrà assumendo un colore più intenso fino ad aran¬ cio. L'acido cloridrico è perfettamente assorbito ; se si liberano fumi al disopra della superficie del liquido è segno che si è in difetto di acido nitrico ed allora se ne aggiunge dell'altro facen¬ dolo pervenire dall'imbuto a rubinetto come si è fatto preceden¬ temente. In media dopo trenta minuti l'operazione è bene avviata il liquido ha assunto un aspetto molto omogeneo e la sostanza biancastra che vi galleggia è costituita solamente da poco grasso ; la distruzione degli organi in ogni caso si completa in meno di un'ora. Se l'operazione è ben condotta e l'acido nitrico è usato nella quantità strettamente necessaria, la quale non è rigorosa e quindi non se ne può stabilire il quantitativo preciso, in defini¬ tiva il liquido risultante non dovrà contenere un grande eccesso di acido nitrico libero. Per procedere oltre si filtra ; sul filtro rimarrà quel poco grasso non distrutto il quale viene lavato con il liquido contenuto nell'ultimo flaccone di lavaggio previamento acidificato con poco HCl ; in ultimo si lava ancora con acqua bollente raccogliendo il filtrato in una beuta a parte dove, dopo raffreddamento è separato dalla materia grassa che vi galleggia ed aggiunto al precedente filtrato. In tutto il liquido raccolto con la filtrazione si fa passare una corrente di S02 allo scopo di ridurre l'acido arsenico che potrebbe esservi ed eliminare il cloro presente ; quindi si sottopone a procedimento sistematico così come è indicato in tutti i buoni trattati di chimica analitica tossicologica (78). Napoli 1933- Istituto di Chimica Farmaceutica e Tossicologica della R. Università. — 188 — Riassunto Dopo una rassegna bibliografica dei principali metodi di distru¬ zione delle sostanze organiche in analisi tossicologica si precisa lo impiego di una nuova tecnica che si fonda sull’uso dell’acido nitrico e dell’acido cloridrico gassoso in un apparecchio particolarmente adatto allo scopo. Con tale tecnica si guadagna sugli ordinari metodi oggi in uso in semplicità ed in rapidità; d'altra parte la disintegrazione raggiunta è molto profonda. Finito di stampare il 18 agosto 1933. BIBLIOGRAFIA (1) Ogier-Kohn- Abrest. — Traité de chimie toxicologique. Paris, (1924). (2) — — Loco citato, p. 464, (3) Fremy. — Encyclopedie chim. - Chimie agric., p. 224. (4) Breteau et Leroux. -- Bull. Soc. chim. de France IV, t. Ili, N. 15. (5) Bertrand. — Ann. de Chimie et Physique, 1904. (6) Verryken. — Journ. de Pharm. d’Anvers, p. 193 e 241 (1872). (7) Versowicz. — Arch. f. Pharm. t. IV, p. 348 (1872). (8) Selmx — Gazz. Chim. Ital. voi. II, p. 583 (1872). 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Soc. chim. de Fr. (Ili) t. 77, p. 678 (1895). (57) Bruylants. — Ann. de Pharm. de Louvain. Aout 1902. (58) Ogier- Kohn - Abrest. — Traité de chimie toxicologique , Il Ed., t. 1, p. 475 (1924). (59) Dragendorff. — Loco citato, p. 362. (60) — — Ibidem. (61) Schneider. — Die gerichtliche Chemie-Wien-Braumuller (1852). (62) Schlagdenhaufen. — Ann. Hyg. Med. leg. (3), t. XL, p. 5. (63) Pagel. — Pharm. Post. 33, 489 (1900). (64) Mahler. — Journ. de Pharm. et de Chimie (7), IV (1911). (65) Tarugi. — Gazz. Chim. Ital., t. 32, p. 380. (66) Magnin, G. — Journ. de Pharm. et de Chimie (7), IV, 305 (1911). (67) Jaunàsch. — Berichte d. D. Chem. Ges., p. 605 (1912). (68) Carlson, C. E. — Swents. Pharm. Z., p. 63 (1915). (69) Grau. — Journ. de Pharm. et de Chimie (8), III, p. 58 (1926). — 191 (70) MUller. — Pharm. Nachrichten, n. 3 (1924). (71) Migault. — Chem. Zeitung, 34, 337 (1910). (72) Kleemann. — Zeit. ang. Chem. XXXVI, 494 (1923). 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Nota del socio Placido Ruggiero (Tornata del 7 agosto 1933) Il nubifragio del 21 settembre 1929, durante il quale, in meno di 8 ore, caddero fino a 317 mm. di pioggia su quasi tutto il bacino in destra del fiume Seie, determinò una piena di entità e veemenza così catastrofiche che non se ne ricorda 1' e- guale a memoria d'uomo. Oltre alle ubertose campagne, i molti abitati disseminati nel bacino e la fitta rete stradale , ebbero a subire rilevantissimi danni e lunghe interruzioni di esercizio i tronchi ferroviari Eboli- Potenza e Sicignano-Lagonegro che corrono lungo la valle del Seie e dei suoi principali affluenti Platano-Bianco e Tanagro. Apparve pertanto oltremodo urgente il problema della si¬ stemazione idraulica di questi bacini, indispensabile a garentire i forti e molteplici interessi che ne dipendono , essenzialmente pel gravissimo onere che rappresenterebbe lo spostamento delle difficili linee ferroviarie esistenti. Com'è noto, la sistemazione idraulica dei corsi di acqua può conseguirsi per due vie ; quella forestale e quella della co¬ struzione di opere nell'alveo atte a regimarne le pendenze, con¬ tenerne le sezioni, proteggere le opere d’arte ecc. Ma la siste¬ mazione forestale è un provvedimento a lunga scadenza e di efficacia certa soltanto per quanto riguarda il consolidamento di pendici e la degradazione superficiale, causa prima dei notevoli trasporti di materie, ma non è sempre efficace al ritardo ed alla limitazione dei deflussi in quanto nei nubifragi violenti ed in- - 15 » — 194 — vernali, specie nei terreni permeabili, la cotica erbosa produce aumento dei coefficienti di deflusso. La oro-geologia del bacino di questo corso d'acqua deter¬ mina corrivazioni a carattere essenzialmente torrentizio, tanto più accentuate quanto più si risale verso i tratti montani. Ma dall'e¬ same degli andamenti di numerose piene ho potuto affermare che queste sono pericolose non per i deflussi integrali delle relative intumescenze , ma bensì per gli alti valori che raggiungono le massime portate nei colmi, valori che non possono essere smal¬ titi attraverso le luci libere di numerose opere d'arte , o conte nute entro alcune sezioni dell'alveo latistante alla attuale sede ferroviaria. Ho ritenuto pertanto che ad un' efficace e più immediata sistemazione idraulica del Seie, potesse provvedersi piuttosto con la creazione di opportuni e bene studiati serbatoi artificiali coi quali, trattenendo i non eccessivi deflussi dei colmi di piena, è possibile abbassare nei limiti della sopportabilità i valori peri colosi delle portate di punta, salvo a restituire al fiume tali de¬ flussi trattenuti quando, col decrescere della piena, essi possono lasciarsi defluire impunemente. Il problema naturalmente va studiato come un vero piano regolatore in quanto occorre tener presente : 1) le possibilità oro-geologiche per la creazione di serba¬ toi convenienti sia per capacità che per ubicazione ; 2) lo effetto che la inserzione di tali serbatoi può deter¬ minare nella idrografia del corso d'acqua, effetto che deve essere posto in relazione alla consistenza dell'evento piovoso (distribu¬ zione, ubicazione ed intensità) ed alla reciproca influenza che hanno fra loro le varie piene affluenti all’ asta principale del fiume ; 3) la convenienza economica della soluzione che è evi¬ dentemente collegata alle dimensioni ed al numero dei serbatoi necessari. Alla prima esigenza ho provveduto con 1' attenta ricerca e l'esame, fatto eseguire da competenti Geologi , delle possibilità di creazione di serbatoi che si riscontrano nella zona in esame, sia dal punto di vista della stabilità delle sezioni su cui impian¬ tare le dighe, sia per la natura ed estensione dello invaso. — 195 — Alla seconda esigenza ho provveduto con un esame attento e minuzioso delle corrivazioni dei vari tronchi principali ed af¬ fluenti e della distribuzione dei vari bacini , raffrontandone la reciproca influenza e discriminando i numerosi aspetti sotto cui può presentarsi lo evento piovoso sia per distribuzione che per intensità, e gli effetti conseguenti. Per la terza esigenza ho impostato il problema sulla con dizione di conseguire la massima sicurezza, cioè il massimo ab¬ bassamento delle portate di piena, col minimo di opere neces¬ sarie cioè col minor numero di serbatoi delle più limitate ca¬ pacità possibili. Evidentemente dunque il problema s'impernia sulla cono¬ scenza del massimo valore di piena che può verificarsi nelle varie sezioni prese in esame, e su quello che invece può la¬ sciarsi liberamente defluire attraverso le sezioni stesse che , nel caso in esame, sono quelle vincolate dai livelli della sede ferro¬ viaria. In quanto alle portate massime che possono lasciarsi defluire attraverso le sezioni del corso, mi sono riferito alle sezioni che l'esperienza del precedente nubifragio del 1929 ha dimostrato le più critiche, considerandole sezioni di tratti di corsi d'acqua nei quali, determinando la pendenza, fosse possibile in via di larga approssimazione applicare le note formule del Bazin e del Kutter ed assumere le medie dei risultati così ottenuti. Per quanto riguarda , poi , i valori probabili di massima piena, non possedendosi rilievi diretti dell'entità di essi, occorre determinarli con i metodi indiretti suggeriti dalla teoria , sussi¬ diandoli con tutti quei rilievi pratici locali ed analogici che ci si può procurare, ed in base alla conoscenza del massimo evento piovoso probabile sulle varie zone. A tale fine e per la determinazione anche dei deflussi in¬ tegrali di piena, ho adottato la formula del prof. Turazza H • S q = n X k X 11,57 x 24 Z r" T servendomi della formula del Ventura r = Pj — 196 e del Pasini 3 per ricavare i tempi di corrivazione afferenti alle varie aste ed ai loro punti più interessanti. Nella applicazione di tali formule, per conseguire risultati quanto più possibile prossimi ai reali dei bacini in questione, ho fatto le seguenti considerazioni ed ipotesi : 1°) il nubifragio avvenga quando i terreni sono di già inzuppati da precedenti piogge ; 2°) poiché i coefficienti di deflusso sono anche funzione della natura geologica dei terreni, per tenerne debito conto, an¬ ziché introdurre tanti coefficienti di deflusso variabili con essa, ho adottato il coefficiente di deflusso relativo ai terreni imper¬ meabili, riferendomi invece nei singoli calcoli ad una superficie di bacino virtuale ragguagliato ed impermeabile e risultante dal considerare le aree dei terreni permeabili per una superficie pari ad 1/4 della effettiva, e quelli semipermeabili, o permeabili molto acclivi, per una superficie 2/3 della effettiva ; 3°) ho assunto per il rapporto \i fra colmo e modulo di piena, il valore più sfavorevole 2, cioè nella ipotesi che la du¬ rata t della pioggia sia pari al tempo di corrivazione. In verità nel nubifragio preso in esame, il tempo t di durata della pioggia, di 8 ore, è stato di gran lunga maggiore dei t di corrivazione propri dei piccoli bacini considerati. Ma com' è noto in tali casi, si potrebbe supporre che la pioggia totale H del nubifragio distribuita uniformemente nel tempo t, determini il colmo di piena alla fine del tempo t cui sussegue una stanca ed un periodo di decrescenza della durata 0-t. In effetti poiché la pioggia H non ha avuto distribuzione uniforme, ma andamento analogo a quello segnalato dai diagrammi pluviografici della Fig. 4, ci si pone in condizioni di aderenza al vero critico sup¬ ponendo che dall' inizio della pioggia alla fine del tempo t sia caduta una precipitazione pari a quella che nel diagramma delle massime intensità in funzione delle durate corrisponde alla du- — 197 — rata t e che determinerà una portata di piena più critica , dalla formula del Turazza per t x e quindi \x = t t + T = 2. data Naturalmente nella piena in tali ipotesi si annulla il periodo di stanca e per il successivo tempo t la piena avrà andamento sempre decrescente. 4°) In merito alle piogge mi sono riferito allo evento massimo verificatosi nel periodo di osservazione e cioè al nubi¬ fragio Lucano del 1929, supponendo che tale evento possa av¬ venire parimenti per estensione ed intensità anche su altre zone del bacino da esaminare. E mi sembra indubbio che ci si debba riferire ad un tale massimo eccezionale , in quanto qui trattasi di assicurare la efficienza di una linea ferroviaria importantissima, e di una rete stradale di prim'ordine per le quali non è possibile limitarsi a considerare eventi di una tollerabile periodicità, come si fa nelle progettazioni ordinarie. Dopo di aver tracciata la carta delle isoiete del nubifragio Lucano del 1929 ho anche ricavato la curva delle massime in¬ tensità in funzione delle durate per la stazione pluviografica di Senerchia, che è quella che meglio rispecchia l'andamento della pioggia nel tempo pel detto nubifragio, ed infine la curva isoie* tografica per tutta la estensione del bacino investito. Con tali elementi, di volta in volta ho applicato quel valore di pioggia massimo che risulta corrispondente per Senerchia alla durata pari al tempo di corrivazione proprio della porzione di bacino considerato, modificandolo nel rapporto fra il totale verificatosi in detta stazione e quello indicato dalla curva isoietografica co¬ me afferente alla superficie del bacino cui ci si riferisce. 5°) Per la determinazione dei vari tempi di corrivazione ho assunto la media dei valori che risultarono, come ho detto, dalla applicazione delle due note formule : del Ventura ^ s t == p. e del Pasini t = (32 — 198 — introducendo per V i il valore ricavato con 4 ~+- 4 + 4 + ... 4 ^ 1 = l . k ~ ZL ^~ ! ' " vi: dove 4 , 4 » ••• 4 ed 4, 4» ••• 4 sono rispettivamente le lun¬ ghezze e le pendenze dei vari tronchi. Ma poiché per avere valori più aderenti alle condizioni specifiche dei bacini in esame occorreva determinare i valori più appropriati da assegnare ai coefficienti che appaiono in dette formule, li ho determinati con cammino inverso dallo esame dei diagrammi forniti dall’idrome- trografo di Ponte S. Cono (alla chiusura del tronco di Platano qui considerato) e dei pluviografi di Picerno e di Muro Lucano ricadenti nel bacino di domino. Dal confronto dei detti diagrammi per alquante piene prese in esame (vedi Tab. II) rilevando i tempi e discriminando quelli da scegliere per ricavarne un valore medio, avendo determinato per il bacino di dominio di Ponte S. Cono la S, la L e la V i relative, ho ricavato il valore di e |32 rispettivamente in 0,00141 e 0,00117 che ho assunto pei calcoli successivi. Fissati così gli elementi essenziali, per ognuna delle porzioni di bacino considerate, come ho detto, con la formula del Tu- razza ho determinato la massima portata ed il deflusso integrale di piena ed in base a tali valori ho tracciato il diagramma del più probabile andamento delle piene stesse nelle sezioni esami¬ nate rispondente ai seguenti concetti : a) che la durata delle piene sia eguale alla somma del tempo di corrivazione proprio del bacino e della durata di piog¬ gia, presa pari a quella del nubifragio del 1929 ; b) che nella sezione considerata la portata massima di piena venga raggiunta alla fine di un tempo pari a quello di corrivazione ; c) che l'area totale contenuta fra l'asse delie ascisse e la curva rappresentativa dell’onda di piena, nella scala scelta, rap presenti l'intero deflusso di piena. — 199 — Quando più affluenti concorrono a costituire il deflusso in una data sezione è evidente che l'andamento dell'onda di piena risulterà dalla somma dei valori instantanei delle portate delle singole piene affluenti considerate nello istante in cui esse giun¬ gono alla sezione di confluenza. L'andamento dell'onda di piena risultante è quindi facilmente ricavabile con l'operazione grafica rappresentata dai diagrammi delle Figg. 5 e 6. Si perviene così a poter determinare facilmente il volume da invasare nel serbatoio di ritenuta che sarà rappresentato , nella scala del grafico, dall’area racchiusa fra la parte superiore della curva che rappresenta l'onda di piena totale ed una parallela al¬ l'asse delle ascisse condotta alla distanza da questo pari al valore della piena massima che può essere tollerata nella sezione per la quale si è istituito il calcolo. Le conseguenze e le modalità tecniche da adottare sono ovvie poiché occorrerà soltanto, quando alla sezione del corso d'acqua considerato la piena ha raggiunto il valore che non si deve oltrepassare, (con manovra di opportune paratoie), trattenere nello invaso il supero fino a che la portata totale non ridiscen¬ da al valore stesso ; lo smaltimento dello eccesso accumulato potrà poi farsi a secondo di quanto consentono l'andamento del nubifragio e la influenza che può prevedersi sia risentita dalle portate a valle. Accorgimenti tecnici costruttivi devono eviden¬ temente essere presi per assicurare la sicurezza delle manovre, ed evitare l'interrimento del serbatoio che deve essere garentito dal pericolo solido così temibile in bacini tanto dissestati come quello in esame. 4-. * * Premessa così la succinta enunciazione del metodo che ho seguito per risolvere il problema, darò ora conto rapidamente della applicazione pratica conseguita e che suffraga le previsioni con la bontà dei risultati. La porzione di bacino del Sete che qui si esamina è quella del torrente Platano, affluente di 2° ordine del fiume Seie, della estensione di Kmq. 911 e che comprende i bacini di terzo or¬ dine, per citare i più importanti delle Fiumare Isca , Picerno e - 200 - di Muro, del Lago di S. Gregorio Magno , delle Fiumare della Corte, del Melandro, fino a valle della stazione ferroviaria di Buccino dove il Platano, che da Romagnano prende il nome di Bianco, si versa nel Tanagro. Esso interessa il tronco ferroviario maggiormente investito dal nubifragio del 1929, e che si è rivelato il più vulnerabile per la angustia della gola in cui scorre il Platano-Bianco. I ri¬ lievi eseguiti dalle Ferrovie dallo Stato segnalano in alcuni che punti la piena ha raggiunto livelli fino a 4 metri al disopra del piano del ferro, cioè per portate oltre che doppie di quelle che sarebbero potute passare senza danno attraverso le opere d'arte. Nella corografia della Fig. 1 e nei profili della Fig. 2 è schematizzata la idrografia della regione considerata. Esistono nella zona le stazioni pluviometriche di Avigliano, Castelgrande, Bella, Baivano, Brienza, Buccino e quelle pluvio- grafiche di Picerno e Muro Lucano; ma fino a pochi giorni or sono non esisteva che una sola stazione idrometrografica a Ponte S. Cono poco a monte della chiusura del bacino. La natura geologica può cosi riassumersi : calcari permea¬ bilissimi del cretaceo nelle parti più alte e nella gola in cui il Platano ha inciso il suo corso fra le stazioni di Bella Muro e Ponte S. Cono ; nelle parti più vallive del bacino della Fiumara dell'Isca, Picerno e Muro, conglomerati e sabbie gialle del plio¬ cene superiore e lungo il loro contatto con Feocene (argille variegate) : nella Fiumara di Bella scisti argillosi (veri galestri) duri grigio-cerulei la cui metamorfizzazione ha dato origine ad argille variegate scagliose; la Fiumara di Muro, abbandonati i calcari scende al contatto col pliocene ; il Melandro che nasce nel trias (scisti silicei e calcarei dolomitici) scorre nelle argille variegate e poi nelle sabbie gialle plioceniche, proseguendo lungo il contatto fra argille e sabbia, e dopo un ultimo tratto nelle argille sotto S. Angelo, rientra nel trias sotto Vietri. Per l'acclività però delle pendici, terreni che in altre condizioni sarebbero eminentemente permeabili, si comportano come semi¬ permeabili agli effetti dei deflussi di piena. La denudazione di bosco rilevantissima, e la facile disgregazione dei materiali argil¬ losi, rendono anche cospicuo e pericoloso il trasporto di materie solide. — 201 — PLANIMETRIA 6ENERALE Fig. 1. - 16 - <3 O CJ <3 *o OO o CJ ÙJ a O Dw f- 202 — I — arsa I I -qIimw -“«oobi 8 ocr* Rara -ooai I 1 — oow 3 I fi i . Fig. 2. — 203 - L'esame oro-geologico della regione ha indicato due sole possibilità di creazione di convenienti invasi per serbatoi che rispondessero bene sia per la capacità da costituire, sia per la ubicazione e la stabilità della sezione di impianto delle dighe ; tali località ricadono l'una sulla fiumara di Muro alla stretta di Ripaterra poco a monte della confluenza col Marmo, e l'altra sul Melandro sotto Vietri poco a monte della sua confluenza col Platano. Delle due dighe, quella della fiumara di Muro ver¬ rebbe impiantata nei calcari in riva destra e nelle arenarie mar¬ nose a grana fine della riva sinistra, e quella del Melandro nei calcari compatti del trias che, sebbene pendono a valle, sono però immersi sotto le argille plioceniche impermeabili. Con solo tali due serbatoi possibili , il problema andava affrontato esaminando per primo le eventualità della distribuzione della pioggia critica e furono pertanto discriminati i seguenti casi : a) Pioggia temporalesca estesa a tutto il bacino; b) c) d) „ e) » V localizzata ad uno o due soli dei vari bacini ; estesa ai bacini dell'Isca, Picerno e di Bella Muro ; estesa al bacino in destra del Platano ; ,, ,, in sinistra „ Scartati gli eventi delle pioggie localizzate ai bacini della fiumara di Picerno e dell'Isca, sia contemporaneamente che iso¬ latamente, in quanto per esse nessuna moderazione della piena potrebbe conseguirsi col solo serbatoio possibile sulla fiumara di Muro non resta che prendere in esame gli altri casi. Per l'evento delle pioggie estese a tutti i bacini è stato eseguito lo spoglio nelle effemeridi pluviometriche dal 1921 al 1932, da cui si sono rilevati i seguenti eventi più gravi (vedi Tabella I) : Tabella 204 CO CN 1 CO CN CD © co o ©^ ©^ o co in CN co 00 d CD « t"Z d o N ed 6 o e cd CU 3 QJ T3 C cd • r> o c n .2 -J bf cd N O c Vi c /) cd jd 13 s cu "vZ ’cu cu 3 , CL < u CQ CQ CQ — 205 per i quali una verifica, anche sommaria, ha condotto a risultati niente preoccupanti, poiché notevolmente più bassi di quelli che si ricavano con la considerazione degli eventi critici localizzati. Si è avuto infatti l'esempio del nubifragio del 1929 che si è scatenato con maggiore intensità sui due bacini delle fiumare Isca e di Muro e specialmente su quella di Muro. Le conseguenze sui deflussi sono state, com'è noto, le più catastrofiche che si ricordino su quella zona e pertanto per la prima porzione dei bacini (dominio della stretta a valle della stazione di Bella Muro) ho ritenuto opportuno riferirmi a tale evento critico per la determinazione delle dimensioni da assegnare allhnvaso modulatore di Muro. Fra le due combinazioni Fiumara di Picerno - Fiumara di Muro e Fiumara d'Isca - Fiumara di Muro, ho prescelto quest'ul- tima come la più catastrofica poiché, mentre sono pressoché eguali le superfici dei bacini imbriferi delle fiumare di Picerno e dell'Isca, è maggiore il tempo di corrivazione di quello rispetto a questo e quindi per il maggiore sfasamento delle piene si ha in quel caso minore portata massima. Sorgerebbe inoltre il dubbio se fra gli eventi della combinazione binaria che qui consideriamo sia da dare la preferenza a quello in cui la pioggia sia stata più intensa sul bacino di Muro anziché sull'altro oppure al caso con¬ trario ; ma è facile vedere che agli effetti delle previsioni pru¬ denziali, senza eccedere di molto in esse, è preferibile considerare il caso che risulta più efficacemente modulabile nel serbatoio di Muro e che è quello della pioggia più intensa su tale bacino. Sarebbe stato più semplice proporzionare l'invaso alla capa¬ cità massima occorrente a trattenere tutto il deflusso di piena relativo alla fiumara di Muro ; ma come si vedrà meglio da quanto segue, tale invaso risulterebbe eccessivo, data la possi¬ bilità di smaltire alquanti dei suoi deflussi durante il periodo di crescita e di decrescenza della piena dell'Isca. Per il secondo serbatoio di Vietri , ho invece supposto che un nubifragio pari a quello Lucano del 1929 si sia scatenato sul bacino in sinistra del Platano, col centro di maggiore inten¬ sità sul Melandro, ma esteso anche ai bacini di monte con una distribuzione isoietografica analoga a quella del nubifragio sud¬ detto. Ho però tenuto debito conto della coesistenza del serba- 206 — toio che si creerebbe a Ripaterra, escludendo dalla considerazione dei deflussi, in tal caso, tutta la fiumara di Muro. Impiegando il metodo che abbiamo descritto precedentemente ho per primo determinato i coefficienti ^ e (32 delle due formule del Ventura e del Pasini da adottare pei bacini che consideriamo, ed all'uopo, esaminate alquante piene a Ponte S. Cono (vedi Fig. 3) dal confronto dei diagrammi idrometrografici di questa stazione con quelli pluviografici di Muro Lucano e Picerno, ho ricavato direttamente i tempi di corrivazione che appaiono nella Tabella II : Fra questi tempi, ho mediato quelli più prossimi fra loro ed attribuibili a pioggie che le carte delle isoiete relative all'uopo tracciate, hanno dimostrato essere state le meglio distribuite uni¬ formemente sul bacino. Poiché la superficie S del bacino di dominio di Ponte S. Cono è di Kmq. 911 la lunghezza massima del bacino L = Km. 53.350 e la è risultata di 0,11 si è ottenuto rispet¬ tivamente (3a = 0,00141 P, = 0,00117. Introducendo tali coefficienti nelle formule in cui, per ogni singolo bacino si applicano i valori degli elementi caratteristici propri ad ognuno di essi, ho calcolato i vari tempi di corrivazione (colonne 8, 9, 10 della Tab. III). Contemporaneamente, avendo tracciato (vedi Fig. 4) la carta delle isoiete del nubifragio Lucano del 1929, il diagramma delle massime intensità in funzione delle durate della stazione di Se- nerchia (che , come si è detto , può assumersi quale tipica del- randamento delle pioggie nel tempo sul bacino investito) e la curva isoietografica di tale nubifragio, abbiamo potuto ricavare gli elementi per determinare il valore di pioggia critica da in¬ trodurre nella formula del Turazza. Per tale valore, come si è detto, si è assunto quello massimo caduto alla stazione di Se- nerchia nel tempo pari a quello di corrivazione propria di ogni singolo bacino, e corretto nel rapporto tra il totale che dalla curva isoietografica corrisponde ad un bacino pari a quello cui si riferisce la ricerca, ed il totale caduto durante il nubifragio a Senerchia. Tali valori appaiono sulla Tabella III, alla colonna 11. 207 Fig.L;3. — 208 — Tabella II. Piena del Tempi di corriva- zione - ore Caratteristiche delle piene 1931 30/3 al 6/4 1 i 'O La precipitazione ha una di¬ stribuzione abbastanza uniforme per cui i dati possono accettarsi. 6/4 al 13/4 14,30 Da scartare perchè le pioggie sono state più abbontanti nella zona più lontana del bacino. 20/4 al 27/4 7,30 -10-10 Dalla carta delle isoiete si nota che il temporale ha avuto la di¬ rezione sud-nord per cui le mas¬ sime precipitazioni si sono avute sulla parte alta dei bacini della fiumara di Picerno e sul Melan- dro. Quindi i due ultimi valori della corrivazione debbono at¬ tribuirsi alle piene di questi due corsi d’ acqua, sia per la forma allungata dei due bacini, sia per la loro minore pendenza media, sia per l’andamento regolare del diagramma idrometrico. 1932 1/3 al 7/3 8 - 7 - 7,30 Dal diagramma idrometrico si nota che è giunta prima la piena del Melandro ed è sopravvenuta quella dell’Isca ad attenuarne la discesa. Si è preso in conside¬ razione solo il primo ed il terzo valore e si è scartato il secondo. 28/3 al 4/4 11 Dovuta principalmente alle precipitazioni sui bacini delle fiumare di Muro e dell’ Isca. Tempo medio di corrione = ■ ' 0+9+9+ 10+1 0+8+7,30+11 = 9,31 ore 8 — 209 — NUBIFRAGIO LUCANO del ZI SETTEMBRE 4Q2S Bacino F.5L£o! Muro >025 79400 100-125 125450 150-475 225250 1250 275 Kmq 25300 300 Kmq - » — 020 3.80 44,40 45.70 [2050 27.70 32,00 24,20 6.50 235,4 EeaItTjca 820 3.90 9ÀÒ1 42.M 48.40 25^0 1 33.30 2320 43,90 — — *94,4 F ss oi Marmo 0.70 4.50 4.40 4.80 2,40 3.00 1 4,80 850 8,70 3.60 2467 CARATTERE T|(X£ OP ’Vl06P,AflPi! ;-Lf±LS.£JlLA - y f\ / // J t l 1 i- \ ' ^ i L "V.. ORE 7 8 9 40 <1 42 43 44 C PlCERNO ORE 6 7 8 9 40 4) 12 43 _ — LEGGENDA CURVA DELLE MAXIME PREC-S1 !N FUNZIONE DELLE DURATE _ CURVA INTEGRALE DELLE PREC.11 CURVA DELLE PRECIPITAZIONI 250 4V Hr,,q 500 Fig. 4. Preparati così gli elementi essenziali necessari, si è potuta calcolare la portata massima di piena ed il deflusso integrale per ognuna delle porzioni di bacino considerate nella ipotesi cui si è accennato e che appaiono nelle colonne 14 e 15 della Tabella riassuntiva III. Questi ultimi valori, con i criteri di cui alle premesse, ho preso a base per tracciare i diagrammi di cui alle Figg. 5 e 6 che si riferiscono, il primo alla stretta di Ripaterra a valle della stazione di Muro, e Faltro al Platano dopo la confluenza col Melandro, — 210 — Tabella ELEMENTI CARATTERISTICI Superficie : di bacini in Kmq. Lunghez¬ Corso d' acqua Porzioni permea¬ bili Porzioni semiper¬ meabili Porzioni imper¬ meabili Totale S Superfici raggua¬ gliate ad imper¬ meabili St za del corso d’acqua L in Km. (1) (2) (3) (4) (5) (6) Fiumara di Muro 71,5 6,7 60,8 139,0 83,15 17,3 „ d’ Isca. 81,5 35,2 22,3 139,0 66,14 23,8 „ di Marmo . 28,7 — 7,3 36,0 14,48 8,7 „ di Picerno . 36,0 9,3 100,7 146,0 115,90 27,3 Pantano S. Gregorio Magno fiumara della Corte e tratto intermedio .... 132,6 — 12,4 145,0 45,55 Torrente Platano (escluso Me- landro e fiumara di Muro) . 278,8 44,5 142,7 466,0 242,07 47,5 Torrente Melandro . 69,3 61,3 153,0 283,6 211,19 34,7 Torrente Platano a Ponte S. Cono .... — — — 910,9 — 53,3 211 III. — D EL BACINO Altezza di pioggia critica 0 di durata pari alla corn¬ er vazione e per il bacino considerato - H in m. Altezza di pioggia per la S durata totale del nubi¬ fragio - H, in m. _ Durata totale della intu¬ ii* mescenza di piena <£> o 1210 0,1262 3,15 3,33 3,24 0,140 0,194 11,24 11.547.360 714 0,1744 1,16 1, 9 1,12 0,074 0,217 9,12 2.827.900 238 0,1093 3,71 4,00 3,85 — — — — — 0,0836 8,60 9,40 9,00 0,182 0,178 18,00 38.737.000 1220 0,1568 3,61 3,83 3,72 0,185 0,242 7,44 < 15.999 000 2620 0,11 9,31 9,31 9,3.1 0,191 0,191 18,62 — — — 212 — DIAGRAMMI DI PIENA A K1PATERRA ye^ATOlO Di (RIDATE 09 A CuQy& OELLt aQEE £ DEI VOLUMI yVLLA FIVAAAf^A D» nVQO ìtzmt OEUA STRETTA Fig. 5. - 213 - DIAGRAMMI Of PIENA DI PLATANO DOPO LA GQNfLUENZA COL MALANDRÒ 40on VOLUME. D'INVASO del SERBATOIO 19.000.000 me MEL ANDRO al SERBATOIO PLATANO E^CL.r.^piflURO 1500 mc/;ec. 0 1 2 3 4 5 6 7 8 OPRATA del DEfLU^O in ORE IO li 12 13 14 15 16 17 18 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 16 DURATA pel OEftM) in ORE SERBATOIO miQ VI&TRi pi POTENZA CUKVA oei VOLUMI t delle AREE. PIÀNTA pel SERBATOIO }tzmt della j>t rètta Fig. 6. — 214 — Dagli andamenti delle intumescenze complessive di piena alle due sezioni considerate, si vede quali valori pericolosi e straordinari assumono le portate massime che ivi diventano ca¬ tastrofiche. Si è fissato indi che per la prima sezione tale portata massima non debba superare gli 830 mc/sec che è pari alla massima piena non modulabile ed afferente ai bacini di Isca e Marmo e che può essere tollerato nel tratto di corso fra le stazioni di Muro e Romagnano, mentre per la seconda sezione può consentirsi una portata massima di 1500 mc/sec che si è verificato possa essere sicuramente smaltita attraverso i ponti ferroviari e quello della provinciale di Ponte S. Cono posto sul Bianco a valle della confluenza Melandro - Platano. Nei grafici delle Figg. 5 e 6, come si è detto, si è tracciata ad una distanza dall'asse delle ascisse, che nella scala delle ordinate risulta pari ai suddetti valori delle piene, le parellele che debbono separare nei diagrammi dell' onda di piena quella porzione che rappresenta il volume da assegnare agli invasi. Risultarono rispettivamente così necessarie le capacità di 11 milioni di me. pel primo e di 19 milioni di me. pel secondo dei serbatoi. Avendo eseguito il rilievo di detti invasi, dai diagrammi dei volumi di cui alle Figg. 5 e 6 si è facilmente ricavata l'altezza da assegnare alle dighe, e la sezione della stretta rilevata serve ad indicare le dimensioni di queste. Lo studio della parte economica , condotto in via di largo orientamento , indica una spesa di circa ó milioni per il primo serbatoio e di 8 milioni per il secondo, che mi sembra perfetta¬ mente conveniente e tollerabile in quanto con essa si consegue in breve tempo il risultato di abbassare rispettivamente da 1840 a 830 e da 2980 a 1500, mc/sec le portate di piena massima, assicurando così contro il più critico degli eventi la completa incolumità delle opere scaglionate lungo il tronco di Platano che va dalla stazione di Bella Muro a quella di Ponte S. Cono. L’Autore espone uno studio di sistemazione idraulica di un corso d’acqua mediante serbatoi artificiali, ed il metodo con cui, utilizzando i pochi elementi idrologici posseduti, ha calcolato la minima capacità necessaria per ottenere la massima limitazione delle portate dei disa¬ strosi colmi di piena. Del metodo egli fa un’applicazione al torrente Platano (influente del Seie) riportando, riassunti in 3 Tabelle e 6 Figure i risultati dello studio. Finito di stampare il 18 agosto 1933. . ■ Nuovi sali di basi organiche quaternarie di eventuale impiego farmaceutico del socio Mario Covello (Tornata del 7 agosto 1933) L'impiego in terapia di sali di basi organiche quaternarie non è recente. Fin dal 1906 Vanzetti (1) ottenne il formiato di tetrametilammonio che studiato dal punto di vista farmacolo¬ gico da Piccinini (2) potè essere usato con successo come car¬ diaco di buona azione sui centri vasomotori. Il trijoduro di tetrametilammonio (CH3)4 N .J3 e quello di tetraetilammonio (C2H5)4 N.J3 sono stati proposti come antisettici (3) succedanei del jodo- dormio. Recentemente gli studi di FIunt (4) fatti con criterii comparativi su di una serie di basi ammoniche quaternarie hanno gettato nuova luce sull'azione che queste hanno sul sistema ner¬ voso autonomo. La Bayer nel 1925 brevettava (5) alcuni procedimenti di preparazione di bijoduri di “ esalchildiaminoisopropilalcool „ tra i quali doveva in modo particolare riuscire di vantaggio alla terapia il dijoduro di esametildiaminoisopropanolo al quale com¬ pete la seguente struttura: j CHj. N ■ (CH3)3 CHOH I CH2. N : (CH3)3 I J e che va considerato come il sale di una base quaternaria bia- - 17 - — 218 — cida. La sua sintesi parziale a partire dalla glicerina si può rico¬ struire co CH2OH CH OH CH2OH Glicerina Diiodoesametildiaminoisopropanolo ma i dettagli della preparazione, in parte sconosciuti, fanno parte, come si è detto, di privative industriali. Dal punto di vista far¬ maceutico si deve però mettere in rilievo il felice impiego che questo sale ha trovato in varie forme morbose rivelando proprietà veramente particolari che nessun joduro finora poteva vantare. A conferma delle eccellenti qualità terapeutiche di questa so¬ stanza stanno una serie di belle ricerche farmacologiche. Tra queste giova ricordare quelle di Boden (ó) e Leitloff (7) che lo hanno utilizzato per via endovenosa nell' asma, nella bronchite, nella scrofola, nel linfatismo, nella lue secondaria; di Elbstern (8); di Bix (9) che ne ha messo in evidenza Fazione sulla pressione sanguigna ; di Retzlaff (10) che nel somministrarlo anche ad alte dosi ha constatato Y assenza assoluta di fenomeni secondari (iodismo); di Kuhn (11), di Lange (12), di Ouggenheimer e Fi¬ scher (13), di Bussem (14) ed altri. Jacobs (15) lo ha sperimentato come coadiuvante nella cura del cancro con i raggi X trovandolo di notevole efficacia. Il dibromuro di esametildiaminoisopropanolo è stato pure studiato e sperimentato su animali da Fischer (16). I risultati incoraggianti ottenuti da tanti studiosi lavorando in questo speciale gruppo di sostanze organiche mi hanno spinto •me segue : HC1 ch2. Ci 1 CH,. I CH. OH KI j CH OH j ch2 ci CH..I dicloridrina a - a diiodidrina J CH2N ; (CH3)3 CH OH ch2n ; (CH3)3 N(CH3)3 — 219 - ad estendere le ricerche su altri complessi salini derivanti dal¬ l'idrato di esametildiaminoisopropanolo ed acidi di riconosciuta azione terapeutica. Gli acidi prescelti sono stati l'acido formico, l’acido glice- rofosforico, l'acido cacodiiico e l’acido canforico. I prodotti ot¬ tenuti sono stati analizzati e sono state determinate le loro pro¬ prietà chimico-fisiche. Gli studi farmacologi in corso lasciano sperare che questi prodotti analogamente a quelli di altre basi organiche del genere debbano dimostrare buone proprietà tera¬ peutiche. Parte sperimentale. Formiato di esametildiaminoisopropanolo: C9H2402N2 : (H.COO)2 Preparazione. — Gr. 43 di biioduro di esametildiamino¬ isopropanolo furono sciolti in q. b. di acqua distillata quindi addizionati di un eccesso di ossido di argento umido di recente preparato. Si dibattè energicamente quindi si filtrò. In tal modo si ottenne in soluzione l'idrato di esametildiaminoisopropanolo. Questo neutralizzato esattamente con acido formico purissimo fornì il formiato di esametildiaminoisopropanolo. La soluzione venne evaporata a b. m. fino a formazione di una massa pastosa che rapidamente si separò in piccoli grumi bianchi di consistenza cristallina. Forma cristalli bianchi molto igroscopici, solubilissimi in acqua, solubili a caldo in alcool, insolubili in etere e cloroformio. Fondono a Ó3°-Ó4° e tra 140°-200° si decompongono comple¬ tamente. La sostanza ben secca è stata analizzata con i seguenti ri¬ sultati : per CiiH26N205 trov. °/0 : N 10, 96 cale, : 10,52 — 220 — Glicerofosfato di esametildiaminoisopropanolo: CH2OH Il glicerofosfato di esametildiaminoisopropanolo si preparò facendo reagire la quantità calcolata di ioduro di esametildiami¬ noisopropanolo con un piccolo eccesso di glicerofosfato di argento di recente preparato. A questo scopo gr. 43 di ioduro di esa¬ metildiaminoisopropanolo vennero sciolti nella minima quantità di acqua distillata, quindi il soluto fu dibattuto con glicerofo¬ sfato di argento ottenuto precipitando gr. 30,60 di glicerofosfato sodico cristallizzato: (HO)2 : C3H50. PO (ONa)2 5H20, sciolto in 50 cc. di acqua distillata , con 38 gr. di AgNOs sciolto in altri 50 cc. di acqua distillata. Si notò un lievo rialzo termico nella massa reagente. Il prodotto venne filtrato ed il liquido concen¬ trato a b. m. abbandonò un residuo pastoso che presto si rap¬ prese in granuli che raccolti vennero messi in essiccatore a vuoto su cloruro di calcio. Questo sale costituisce una polvere bianca di aspetto amorfo, avida di acqua. Riscaldato non fonde ma intorno ai 198° inco¬ mincia e decomporsi trasformandosi in una massa fortemente rigonfiata e di colore bruno intenso. Si scioglie bene in acqua, è insolubile in alcool a freddo ma a caldo vi si scioglie bene ; è insolubile in etere ed in cloroformio. Essiccato ed analizzato fornì i seguenti risultati : trov. °/0 : N 8,42 ; P 9,31 per C12H3iN207P cale. 8,09 8,95 Cacodilato di esametildiaminoisopropanolo: (CH3)2As0.02 : C9H24ON; Gr. 21 di idrato di esametildiaminoisopropanolo, preparati con le stesse modalità impiegate per il formiato, furono neutralizzati con gr. 32 di acido cacodilico sciolti in cc. 50 di acqua distil¬ lata. Il liquido di reazione neutra venne filtrato ed evaporato a b. m. fino a secchezza. Si separò una massa bruniccia molto deliquescente che raccolta rapidamente e tenuta in essiccatore fino a completa disidratazione fu analizzata : trov. °/0 : N 6,71 As 32, 98 per C13H36N205As2 cale. 6,22 33,29 Questo sale si scioglie in acqua ed in alcool, è insolubile in etere etilico ed in cloroformio. Si decompone senza fondere al disopra dei 240°. Canforato di e s a m e t i 1 d i a m i n o i s o p r o p a n o 1 o : CH2 - C - - eoo CH3 . C CH3 1 ch2 - c - eoo ch3 Gr. 21 di idrato di esametildiaminoisopropanolo, preparati con la solita tecnica furono neutralizzati con gr. 20 di acido canto- rico sciolto a caldo nel minimo necessario di acqua distillata. Il liquido ottenuto venne evaporato cautamente a b. m. fino a secchezza. Si ottenne in tal modo una massa compatta di aspetto ceroso, bianca la quale venne polverizzata e messa in essiccatore a vuoto su cloruro di calcio. Questo canforato è solubilissimo in acqua più a caldo che a freddo, si scioglie ugualmente bene in alcool bollente, è inso¬ lubile in etere etilico, acetone, cloroformio. Riscaldato si decompone senza fondere al disopra dei 200°. All'analisi fornì i seguenti risultati : trov. °/0 : N 7,81 Per C18H38N205 cale. 7,48 Napoli 1933 - Istituto di Chimica Farmaceutica e Tossicologica della R. Università. — 222 — Riassunto Constatata l’importanza che hanno dimostrato, dal punto di vista farmaceutico, alcuni complessi salini derivanti da basi organiche qua¬ ternarie , si estende lo studio ad altri di essi ottenuti dall’ idrato di esametildiamoisopropanolo. Di questi sali si determinano le proprietà chimico-fisiche mentre dall’ altro lato proseguono le ricerche sulla attività terapeutica. Finito di stampare il 18 agosto 1933. * BIBLIOGRAFIA (1) Vanzetti. - Boll. Chim. Farm. 45, 593 (1906). (2) Piccinini. — Ibidem, 45, 995 (1906). (3) Lebeau et Courtois. — Traité der Pharmacie chimique. Masson, Paris, 1929. (4) Hunt. — Journ. Pharm. and exper. Therap. 28, 367 (1926). (5) A. P. 1526627, vorm 17-4-24 ausg. 17-2-25. Z. B. 25, I, 2409. (6) Boden. — Klin. Wchschr. 4, 1402 (1925). (7) Leitloff. — Therapia d. Gegenwart, 69, 140. (8) Elbstern. — Ibidem, 67, 46. (9) Bix. — Wien. klin. Wchschr. 38, 1856 (1925). (10) Retzlaff. — Deut. mediz. Wchschr. 51, 1159 (1925). (11) Kuhn. — Miinchen mediz. Wchschr. 72, 11 Seit. (1925). (12) Mediz. Klinik, n. 44, Seit. 2 (1926). (13) Guggenheimer u. Fischer, — Ztschr. f. d. ges. exp. Medizin 54, 114, 58, 196 (1927). - Archiv exp. Pathol. Pharm., 126, 104 (1927). (14) Bussem. — Ibidem, 63 (1927). (15) Jacobs. — Pharmaz. Ber. 3, 42. (16) Fischer. — Zeit. ges. exp. Medizin, 54, 114 (1927). ■ - ■ ' . ' Un ventennio di osservazioni eliofanometriche in relazione con la nebulosità a Napoli ’’ del socio Ester Majo (Tornata del 1° dicembre 1932) È nota l'importanza di tutte le ricerche che si riconnettono alla radiazione solare per V influenza che essa esercita su tutti i fenomeni meteorologici * 2). A parte lo studio dell'intensità calorifica dei raggi solari è di grande interesse la statistica della presenza effettiva del sole sull'orizzonte. L'eliofanometro è il più antico e il più semplice strumento che serve a registrare le ore di splendore di sole o di soleggiamento su apposite carte sensibili, divise in ore, che vengono bruciate per effetto della concentrazione dei raggi solari attraverso una lente sferica di vetro. Nelle Tabelle B sono riportati i dati relativi al totale diurno delle ore di sole, da me dedotti dallo spoglio delle registrazioni dell'eliofanometro. Il periodo esaminato va dal 1912 al 1931 3). I totali decadici, mensili e annuali, per ciascun mese e per ciascun anno sono rilevati nelle Tabelle A, insieme con le me¬ die decadiche, mensili e annuali del 1° decennio, del 2° decennio e del ventennio. Coi risultati ottenuti si sono tracciati i diagrammi delle fi¬ gure : sull’ asse delle ascisse sono segnati le decadi e i mesi, ) I calcoli sono stati eseguiti con la " Bruswiga nova 13 2) Rizzo Ci. B. -- La durata dello splendore del sole sull' orizzonte di Torino. Atti R. Acc. Se. Torino, Voi. XXXI, 1896. 3) I dati relativi al periodo 1925-1929 furono già pubblicati e riassunti. Boll. Soc. Natur. Napoli, Voi. XLIII, 1931. - 18 - .Vi * 'O ; ) 'là s <1 — 227 — sull'asse delle ordinate le ore di sole (eliofania assoluta). Per le inedie decadiche il diagramma li' si riferisce ai risultati del 1° decennio, II II’ ai risultati del 2° decennio, e VV' ai ri¬ sultati dell' intero ventennio. Il diagramma MM' si riferisce alle medie mensili del ventennio considerato. L'andamento decadico normale annuale del primo decennio è di ore di sole 71.9, quello del 2° decennio è di ore di sole 73.2 e quello del ventennio è di ore di sole 72.5. Inoltre 14 decadi (da maggio a settembre restano al disopra del normale annuo e le rimanenti 22 restano al disotto. Nell'andamento mensile notiamo che il normale annuale men¬ sile è di ore di sole 217.6 ; restano al disopra i mesi da maggio ad agosto, al disotto gli altri otto, però, i mesi di aprile e di settembre si scostano poco dal normale annuale. Dallo sguardo comparativo dei vari diagrammi risulta un aumento di ore di sole da aprile a maggio, mentre si ha una sensibile riduzione da agosto a settembre e da ottobre a no¬ vembre. Eliofania giornaliera ed eliofania relativa Tenendo conto del numero dei giorni di ciascun mese si ricava 1’ eliofania giornaliera, ovvero il numero medio giornaliero di ore di sole corrispondente ai vari mesi e propria¬ mente : G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. 4.14 4.84 5.54 6.72 9.36 10.65 11.72 10.90 7.70 5.95 4.30 3.81 normale giornaliero annuale 7,15 cioè dicembre è il mese a cui competono minor numero di ore di sole, luglio è il mese che ne ha più del triplo di dicembre. I mesi che superano il normale giornaliero annuale sono: maggio, giugno, luglio, agosto e settembre; gli altri mesi restano al disotto. Tenendo poi conto del numero totale di ore che il sole sta sull'orizzonte in ciascun mese si ricava 1' eliofania relativa: G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. 0.45 0.47 0.47 0.50 0.64 0.69 0.78 0.78 0.62 0.54 0.45 0.43 normale annuale 0,57. - 228 — Dicembre è il mese a cui compete la minore eliofania rela¬ tiva, luglio ed agosto ne hanno la maggiore. Notiamo che, da un mese all' altro, Y eliofania relativa è in aumento da dicembre ad agosto, in diminuzione da agosto a dicembre. Dati stagionali. Per le stagioni meteorologiche : Inverno (dicembre anno pre¬ cedente, gennaio, febbraio), Primavera (marzo, aprile, maggio), Estate (giugno, luglio, agosto), Autunno (settembre, ottobre, no¬ vembre) ho calcolato i valori stagionali deli' eliofania assoluta, però per l’ inverno ho trascurato i valori di gennaio e febbraio 1912 relativi a quell' inverno e ho tenuto conto dei valori di gennaio e febbraio 1932 rispettivamente di ore 183.1 e 140.2. Inverno Primavera Estate Autunno 849 1225 1360 1000 e i valori dell’ e 1 l i o f a n i a g i o r n a 1 i er a in ore : Inverno Primavera Estate Autunno 4,3 7,2 11,0 6,0 e 1’ eliofania relativa: Inverno Primavera Estate Autunno 0,46 0,54 0,75 0,54 Considerando il valore giornaliero invernale di ore 4,3 si deduce che quello primaverile lo supera dell' 1 f7°/0 , quello estivo del 2,6 °l0 e quello autunnale dell’ 1,4 °/0. Dall' eliofania relativa si deduce che alla primavera e all'autunno competono lo stesso valore. Dall' eliofania relativa poi si rileva che nell' autunno e nel¬ l'inverno e nella primavera si resta al disotto del normale an¬ nuale di 0.57, la sola estate resta al disopra, però l'autunno e la primavera si scostano di poco e il difetto dell' inverno si scosta quindi, meno dell'estate, dal normale annuale. 229 — Massimi e minimi valori mensili e annuali delF eliofania assoluta. Nel seguente specchietto, rilevato dalla Tabella A, vengono posti in evidenza i massimi e i minimi valori dell'eliofania asso¬ luta in ore : Massimo Anno Minimo Anno Gennaio 189,2 1916 78,0 1917 Febbraio 211,9 1920 74,2 1930 Marzo 212,0 1923 96,2 1931 Aprile 272,5 1914 147,1 1913 Maggio 341,5 1923 241,5 1928 Giugno 394,8 1917 269,2 1921 Luglio 403,8 1929 319,8 1913 Agosto 369,6 1917 271,5 1921 Settembre 276,9 1920 166,6 1912 Ottobre 246,1 1921 130,4 1930 Novembre 174,7 1922 101,4 1925 Dicembre 166,1 1924 81,2 1927 Anno 2870,2 1917 2330,0 1912 Valori successivi decennali. È interessante esaminare i valori medi, dedotti dalla Tab. A, pei successivi decenni. Per P eliofania assoluta mensile e annuale : G. F. M. A. M. G. L. 1912-1921 121 146 172 199 291 312 355 1913-1922 121 145 175 204 295 319 361 1914-1923 123 145 177 211 301 320 369 1915-1924 125 139 179 203 308 322 374 1916-1925 135 139 183 203 303 329 372 1917-1926 130 134 183 205 299 326 373 1918-1927 136 139 185 205 295 322 370 1919-1928 134 141 180 209 292 326 371 1920-1929 136 145 183 213 294 325 375 1921-1930 137 131 179 210 287 323 370 1922-1931 135 126 171 204 290 327 371 — 230 — A. s. O. N. D. Anno 1912-1921 328 235 183 128 116 2587 1913-1922 333 240 183 134 122 2630 1914-1923 335 240 187 132 116 2655 1915-1924 340 246 190 134 120 2680 1916-1925 342 245 195 132 119 2696 1917-1926 343 250 197 134 124 2697 1918-1927 341 244 195 130 118 2679 1919-1928 342 238 196 132 117 2677 1920-1929 334 237 199 131 119 2691 1921-1930 339 231 197 130 119 2653 1922-1931 347 227 186 130 120 2635 Per r eliofania relativa mensile e annuale: G. F. M. A. M. G. L. 1912-1921 0,41 0,49 0,47 0,50 0,65 0,69 0,72 1913-1922 0,41 0,49 0,47 0,51 0,66 0,70 0,79 1914-1923 0,42 0,49 0,48 0,53 0,67 0,71 0,81 1915-1924 0,43 0,47 0,49 0,51 0,69 0,71 0,82 1916-1925 0,46 0,47 0,50 0,51 0,68 0,73 0,81 1917-1926 0,44 0,45 0,50 0,52 0,67 0,72 0,82 1918-1927 0,46 0,47 0,50 0,52 0,66 0,71 0,81 1919-1928 0,46 0,48 0,49 0,53 0,65 0,72 0,81 1920-1929 0,46 0,49 0,50 0,54 0,66 0,72 0,82 1921-1930 0,47 0,44 0,49 0,53 0,64 0,72 0,81 1922-1931 0,46 0,43 0,46 0,51 0,64 0,72 0,81 A. S. O. N. D. Anno 1912-1921 0,77 0,63 0,54 0,44 0,41 0,58 1913-1922 0,78 0,65 0,54 0,46 0,43 0,59 1914-1923 0,79 0,65 0,55 0,45 0,41 0,60 1915-1924 0,80 0,66 0,56 0,46 0,42 0,61 1916-1925 0,80 0,66 0,57 0,45 0,42 0,61 1917-1926 0,81 0,67 0,58 0,46 0,44 0,61 1918-1927 0,80 0,64 0,57 0,44 0,42 0,61 1919-1928 0,80 0,64 0,57 0,45 0,41 0,60 1920-1929 0,79 0,64 0,58 0,45 0,42 0,61 1921-1930 0,80 0,62 0,58 0,44 0,42 0,60 1922-1931 0,82 0.61 0,54 0,44 0,42 0,60 Per Y eliofania assolut a la differenza mensile tra successivi valori si riduce a poche ore ; per r e 1 i o f a n i a re — 231 1 a t i v a la differenza mensile tra i successivi valori si riduce a pochi centesimi. Nebulosità ed Eliofania. La nebulosità, definita come quantità di cielo coperto e stimata in decimi, è legata com’è noto all'eliofania. Mi è sem¬ brato quindi interessante calcolare i valori medi della nebulosità, servendomi delle osservazioni delle ore 9 e 15. Ho ottenuto i seguenti valori per i successivi decenni. G. F. M. A. M. G. L. 1912-1921 6,7 6,2 6,2 6,3 5,4 4,8 4,0 1913-1922 6,8 6,2 6,1 6,4 5,3 4,8 3,6 1914-1923 6,7 6,3 6,3 6,4 5,3 4,8 3,4 1915-1924 6,7 6,5 6,3 6,6 5,1 4,7 3,1 1916-1925 6,3 6,3 6,2 6,6 5,1 4,4 3,2 1917-1926 6,3 6,4 6,1 6,5 5,1 4,4 3,0 1918-1927 6,2 6,2 6,0 6,5 5,0 4,4 2,9 1919-1928 6,1 6,1 6,1 6,4 5,1 4,2 2,9 1920-1929 5,9 5,9 5,9 6,2 5,1 4,1 2,6 1921-1930 5,9 6,4 5,9 6,1 5,1 4,0 2,7 1922-1931 5,7 6,5 6,0 6,1 5,0 4,0 2,6 A. S. O. N. D. Anno 1912-1921 3,9 4,8 5,7 6,8 6,9 5,6 1913-1922 3,5 4,6 5,8 6,6 6,8 5,5 1914-1923 3,4 4,6 5,8 6,7 7,0 5,6 1915-1924 3,3 4,5 5,7 6,6 6,8 5,5 1916-1925 3,0 4,5 5,5 6,7 6,6 5,4 1917-1926 2,8 4,3 5,4 6,6 6,4 5,3 1918-1927 2,8 4,4 5,3 6,6 6,5 5,2 1919-1928 2,8 4,6 5,2 6,5 6,5 5,2 1920-1929 3,0 4,5 4,9 6,5 6,3 5,1 1921-1930 3,1 4,5 4,8 6,5 6,3 5,1 1922-1931 2,9 4,5 5,0 6,5 6,2 5,1 e per il ventennio : O. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. Anno 6,2 6,3 6,1 6,2 5,2 4,4 3,3 3,4 4,6 5,3 6,6 6,5 5,3 — 232 — I massimi e i minimi valori mensili e annuali della nebulosità media delle ore 9,15 e 21 sono : Massimo Anno Minimo Anno Gennaio 8,2 1917 3,4 1925 Febbraio 7,5 1930-31 3,7 1920 Marzo 7,5 1931 3,9 1929 Aprile 6,7 1918 3,7 1919 Maggio 5,5 1928 2,3 1919 Giugno 5,1 1915 2,3 1928 Luglio 5,3 1912 1,2 1929 Agosto 5,9 1912 1,5 1925-30 Settembre 6,5 1919 3,0 1924-26 Ottobre 7,0 1918 2,8 1921 Novembre 7,1 1919 3,9 1922 Dicembre 7.5 1919 4,8 1924 Tenendo conto dei valori medi mensili dal ventennio della eliofania relativa : G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. Anno 0,45 0,47 0,47 0,50 0,64 0,69 0,78 0,78 0,62 0,54 0,45 0,43 0,57 ho calcolato il coefficiente di correlazione tra la nebulosità e l'eliofania relativa ed ho ottenuto il valore r — -0,29 cioè una debole correlazione negativa. La relazione stabilita dal Coeurdevache £) tra la nebulo¬ sità (N) e r e 1 i o f a n i a relativa (S) è : 10 N + 100 S = 100 (1) Nel nostro caso sostituendo i valori ottenuti per N ed S abbiamo : G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. Anno 107 110 108 112 116 113 111 112 108 107 111 108 110 0 Coeurdevache. — L' héliographie de Campbell et la nébulosité. An- nnaire de la Societé Météorologique de France. Paris, 1904. Eredia. — La Nebulosità in Italia. Annali R. Uff. Centrale di Meteor. e Geofis., Voi. XXXV, parte I, 1915. Palumbo. — Eliofania e Nebulosità. “ La Meteorologia Pratica „ N. 2, 1931. — 233 - cioè in inedia 108 per l'inverno e l'autunno, 112 per la prima¬ vera e P estate. Intanto tenendo conto del 2° membro della (1) e del valore di S (eliofania relativa) ricaveremo i valori della nebulosità N, cioè : G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. Anno 5,5 5,3 5,3 5,0 3,6 3,1 2,2 2,2 3,8 4,6 5,5 5,7 4,3 valori che risultano - tutti in difetto rispetto a quelli già riportati e calcolati per il ventennio dalle osservazioni delle ore 9 e 15. Ho allora eseguito per il ventennio i valori medi della ne¬ bulosità delle ore: 9, 15 e 21 e qui riportati: G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. Anno 5,8 5,8 5,5 5,5 4,5 3,7 2,7 2,8 4,1 4,9 6,1 6,2 4,8 e tenendo conto dell'eliofania relativa ho avuto : G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. Anno 103 105 102 105 109 106 105 106 103 103 106 105 105 cioè 104 per l’inverno e l’autunno, 105 per la primavera e 106 per l'estate. La relazione (1) adottata non è che la nota formula di Angot. 1 -s = -m- (2) E per la determinazione dell' eliofania assoluta si tiene presente che : S = , cioè che P eliofania relativa S è espressa dal quoziente dell'eliofania assoluta h (numero effettivo delle ore di sole) per la durata h\ pure in ore, del sole sull'o¬ rizzonte, perciò la (2) ci darà : h = -0,10 Nh' + K (3) Il numero h 1 Il in cui il sole astronomicamente sta sull’ oriz¬ zonte si determina mediante la formula : cos T = - tg (p tgb in cui T rappresenta la metà del numero di ore di permanenza del sole sull'orizzonte, qp la sua declinazione nello stesso giorno, ò la latitudine del luogo. Moltiplicando per 2 il valore di T si — 234 — avrebbe la durata del sole sull' orizzonte in ore. I risultati do¬ vrebbero essere ancora corretti per 1; effetto della rifrazione at¬ mosferica sul nascere e tramontare del sole. Nel nostro caso, avvalendoci dei dati riportati dalle Tabelle ad uso degli Osservatori *) per h' ho calcolato i valori di h (eliofania assoluta) secondo la formula (3) e secondo le altre : h = — 0,10 N h' + 1,04 h' h = — 0,10 N h' + 1,05 h' h = — 0,10 N h' + 1,06 h' rispettivamente per : l'inverno-autunno, primavera ed estate tro¬ vate nel nostro caso ed ho ottenuto i seguenti valori calcolati di contro a quelli rilevati dalle registrazioni eliofanometriche : Eliofania assoluta in ore: Formula Angot (3) (valori calcolati) Formule MAJO (3)' (valori calcolati) Valori effettivi rilevati Differenze (A) (M) E E-A E- M Gennaio 119 131 135 — 16 — 4 Febbraio 122 134 126 — 4 + 8 Marzo 166 184 171 — 5 + 13 Aprile 195 215 205 — 10 _L i 10 Maggio 250 273 290 — 40 — 17 Giugno 290 313 327 — 37 — 14 Luglio 342 363 371 — 29 — 8 Agosto 310 374 347 — 37 i 27 Settembre 221 236 227 — 6 + 11 Ottobre 173 187 186 — 13 + 1 Novembre 112 123 130 - 18 — 7 Dicembre 104 115 120 — 16 — 5 Inverno 345 380 382 — 37 + 2 Primavera 611 672 664 — 53 + 8 Estate 942 1050 1021 — 79 + 29 Autunno 506 546 545 — 39 — 1 l) Erkdia. Tabelle ad uso degli Ossservatori Meteorologici. Roma 1030, — 235 — Si rileva che anche i valori dedotti dalla formula Angot, sono soddisfacenti, però si avvicinano meglio quelli dedotti dalle formule (3)', per cui sarebbe preferibile applicare per Napoli le formule : 1,04 — S = 1,05 — S = 1,06 - S = N 0,10 N 0,10 N 0,10 rispettivamente valide per rinverno-autunno, per la primavera e per l'estate. Dall'elaborazione dei dati relativi alla nebulosità, si rileva che si avvicinano meglio alla formula di Angot i valori dedotti dalla media delle 3 osservazioni: 9, 15, 21, comprendenti anche l'os¬ servazione della sera, anziché i valori dedotti dalla media delle due osservazioni : 9 e 15 relative alle ore diurne, mentre avrebbe potuto pensarsi al contrario L). l) Zach. — Circa il valore della formala di Angot per la determina¬ zione della eliofania assolata. " La Meteorologia Pratica „ N. 4, 193L Tabella A. — 236 — III SOjOOlfìOOOrHOOco ^o^tNcocn'tiNiniri OO'blr-OJ'tbKN-'O lOOppCNpCNOJO-'CN od td od -d td cd io o o cd CNOO— < Ov CM CN 04 — 00 116.0 9*01 1 co cd o qinioi>coNo^iniN O p LO co p co — p p LO p co c tdcdcdodcdtdcd''3H’— >ed cd cd cd cd od — od od O vd o LO cd bjo 00 O — < 00 — mNOOCNOOOO O C?V — < — 'Or— 1— (3 000 o o o a l . ’ J T 1 r“H 1—1 ^-1 r-l r— 1 — . r— < _ 5 incoo^ojoq-^tNNt-N p p CO 04 — 1 "tOONiO oq o p H 'HN«o6od't(Nfóo!d r-d lo o od -cd i> o od — * — • LO »— I cd OOOONONO'O'O'CO OlOOl' — Ir— ti — 1 O "-1 00 ' — 1 OV r—, o r-H^H,____I_,,_ _ LO r-. r-, ^ N IO 3 rH rH rH O LO CO N CO p C~ p « od o lo od od — o od -d — T LO - N o Ov 00 00 ’ 1 *“"* ”"H — r-H — . cooo— 'Oi^-co^fcoiOLn vq — ^cNooooot^oo r-H p o jzj oócdocd^LÒ^O'd — od cd td od td lo — od vd td td ,d ifìinoooo'd'irioN ooioooLOr-oor^o~t>- vO e- -xfONd'Od'coina'N 't'^iOO p O 00 vO lO p p oq L_I co d d d ^ d a. d d lo o cd vd co od od cd od cd vd 'tdH0',d,NNiniot^N oooOLOLO^fC-t'-r'-ioio VQ vO o G. < osh-aoinoo-iN LO O O^ N 3| i> 00 N p CO p p p « co o — ■ c4>d'--ido'ONod d 04 -d rd co o co td rd © od cd LO o^a)f-ooj)0^oo 'tNiOOO -OOOO vO o o o;Od;oq tp p o p co p ooooocooinin^H vO p idod'dcdtdcd^dcdcdcd od td od io vd LO od od © ed 'd cd t- o o ^ n in oo c c- p co p , , -d cd td 04 04 td ed 00 LO d — cddodd-^cd^odod c> td od ^COO^OMOOCONM 'toiimo^OLON^'t h; O; cn o oq o oo in o CO O CO O O QO LO Ol CO io Qv t-H ►— « cd'doooidood'dr^o d d d od cd i^’ d d d id td vd cd OlCOLOOlNCOh-CNOlO COOOOOOO^^iO LO LO c <0 00 vO tp LO 00 lO •— CO lO ov lo lo oo — co — r^- ^ o p a o vO cd I j oóvdodcdcdcd'dcdidod od [d d lo — ed td td o d rd d cd C c 'd' co r-^ co IO - rf LO CO M cococotc-cocNco^rioco co co o O p p p — ; p — ; p p p o; co n o n co in o) vO p , , d d id d d d od in lo* d td od od d -d od od td 'd od vd vd vd CO^^CnIlOCNCOCOCNICO coo^co^LO^coco^r— • co co co e e •2 C'ICOd'LOvONOOO'O'H OlCO^iOONOOCO- e e SS - - - - - Ir - - - - - - - - - .CS| o p p H— 1 iniDNMoi' co h- ci ò Ninoin o X oo X lo X co X d ■t'tcocotNino^co^ LOr— cOCN^CN^LO^fCO co OOOOnOrf iflONOO p co X ^còoocòd'-' dodd X d o CO^COCMCO^COCOXCO O ’t ’t OJ O O O IN CO CO co Z , , X w— 1 —.d--'dXXXXXd XxxXXXXdXx X X X co co co ^ co m co ^ co in i'w^oooooinoo'i' ppppxppppiq p O^f _ o i >— 1 CM^Nt^CTiCOiON^ON dXodcdodddcddX X X d LOxx^fi^t-'-coxxO' xr--xr^r-LOLOXLOt'- X X X , , vqin^oqoqat^oqq LO O p p * — ' co p p p o p p XxXdXdxXXd X d X X d d d oo io* X od OD oó D co t' o o in ^ o o 0"0 t'-00O''tflXLOLOXXX X X X U. 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F. M. A. M. ! G. L. A. S. O. N. D. 1 5.8 8.3 2.6 0.1 8.4 12.4 12.7 10.9 7.3 8.3 0.0 0.0 2 5.8 2.4 2.5 6.0 8.3 6.1 12.6 10.8 7.0 6.8 78 0.2 3 4.2 22 1.2 0.0 12.1 7.0 12.3 9.8 4.3 6.0 5.7 0.5 4 3.6 0.5 4.0 8.7 10.9 10.9 15.3 11.5 4.5 7.1 5.3 1.0 5 1.0 3.0 76 9.8 11.0 12.8 12.5 6.0 10.5 5.8 7.3 7.2 6 2.0 8.8 1.2 9.5 5.7 13.0 12.2 10.9 5.1 3.5 0.0 7.4 7 0.0 6.0 0.7 9.1 9.4 6.5 1 1.4 | 11.1 0.8 0.6 1.2 7.0 8 6.0 2.0 6.5 9.7 2.5 11.5 10.3 10.7 10.3 0.5 2.8 7.2 9 7.0 0.9 9.8 5.2 12.0 9.1 11.7 11.1 8.5 6.6 4.0 7.7 IO 0.0 7.0 7.0 5.8 10.2 12.2 10.4 11.0 8.1 7.3 7.0 6.8 11 8.1 0.6 3.5 4.5 11.2 6.3 10.3 10.2 6.8 5.7 2.8 6.0 12 3.2 7.0 0.0 8.5 8.5 1.2 9.6 10.7 3.0 7.0 0.0 6.4 13 5.6 0.2 0.0 0.0 8.3 9.1 12.0 11.6 6.3 6.6 4.1 7.0 14 8.0 0.4 5.6 0.7 12.2 5.0 10.3 9.0 0.7 2.6 0.5 6.5 15 2.7 2.5 5.9 5.5 13.0 12.6 11.8 11.5 8.0 8.0 1.6 5.0 16 1.5 7.7 2.5 9.2 9.3 11.9 12.0 11.2 6.8 8.0 2.7 0.0 17 4.0 8.7 1.4 4.5 12.0 5.4 12.2 10.5 8.2 7.7 7.2 1.2 18 6.7 9.3 4.3 1.0 12.8 11.0 7.5 9.7 8.1 6.5 4.1 5.4 19 0.0 6.5 6.0 3.7 11.0 12.8 6.7 11.1 7.9 6.1 5.0 0.0 20 3.2 8.0 2.6 5.8 9.2 11.7 10.8 8.0 5.8 8.1 3.7 2.0 21 0.4 2.5 7,8 6.2 6.6 6.0 6.9 8.1 1.0 3.1 7.5 0.8 22 0.1 7.3 5.1 1.3 0.8 10.7 10.0 10.2 0.6 1.8 0.0 0.6 23 5.3 8.2 3.1 8.5 11.4 10.6 9.8 8.8 0.0 3.5 1.4 0.0 24 5.1 5.0 8.0 10.4 7.5 12.2 11.0 10.0 6.7 4.5 0.5 0.3 25 0.0 1.9 8.5 5.2 8.9 7.4 9.9 8.1 7.9 2.4 6.1 4.2 26 3.0 0.0 9.6 10.9 6.5 12.4 10.2 10.9 1.4 7.5 6.4 3.3 27 0.0 9.5 9.6 11.1 7.4 6.6 11.5 10.3 7.8 8.2 5.5 0.0 28 4.3 8.8 7.0 0.0 4.2 11.0 11.3 10.0 8.5 8.6 3.1 4.9 29 0.0 7.3 8.7 4.7 6.5 12.8 9.8 10.0 3.2 8.8 7.1 0.0 30 5.5 0.8 0.0 2.1 12.0 9.7 10.2 1.5 8.5 4.0 0.0 31 0.0 7.7 8.6 11.3 7.5 0.5 i 1.2 1913 ì 4.3 0.3 0.3 2.8 9.5 12.6 10.6 6.6 10.8 8.0 8.5 8.4 2 0.0 1.6 8.2 0.2 7.3 12.7 12.5 13.1 9.5 2.6 6.8 8.0 3 0.0 3.8 7.7 6.5 6.5 12,0 2.9 11.4 10.8 7.0 8.4 2.8 4 0.0 8.7 8.5 4.6 5.4 8.9 4.5 12.6 9.0 3.2 3.2 2.0 5 4.8 8.7 8.6 4.8 5.2 11.8 12.6 11.8 8.1 2.8 2.9 4.2 6 4.6 6.3 8.2 8.6 0.0 11.6 10.7 12.5 11.2 5.5 1.7 7.2 7 7.0 0.0 6.7 1.7 11.5 4.9 9.6 10.0 9.5 7.2 3.0 0.3 8 6.2 0.0 5.0 3.2 11.0 4.0 8.2 10.1 8.3 7.5 8.1 0.4 9 7.6 2.6 0.9 3.1 4.8 9.3 12.7 11.8 6.9 3.1 2.2 4.5 10 7.2 7.9 6.5 5.2 12.5 9.5 10.2 12.2 7.6 7.2 0.2 7.5 segue: TABELLA B. — 240 — segue 1913 G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. 11 6.8 3.4 8.4 2.0 10.) 9.8 5.0 9.8 3.6 8.7 5.0 8.2 12 0.0 7.8 8.2 2.0 6.6 12.6 8.0 10.9 7.5 8.2 4.4 7.6 13 7.7 8.2 6.5 9.3 10.2 12.0 12.9 7.5 7.5 8.0 3.0 8.0 14 5.8 7.5 7.5 09 12.2 9.0 12.8 8.8 9.6 2.7 0.7 0.8 15 0.0 2.8 5.6 0.5 11.7 12.9 11.7 12.0 9.0 3.3 0.2 7.8 16 2.0 8.1 0.8 8.1 5.3 12.2 0.4 11.6 8.5 8.5 7.9 8.4 17 5.8 4.8 4.3 4.8 9.4 12.8 7.9 12.5 8.2 4.3 1.1 3.3 18 0.0 0.0 7.0 4.9 6.5 10.7 7.7 11.9 6.0 8.4 8.4 3.7 19 7.5 2.6 1.2 6.1 11.4 4.8 9.6 11.7 3.7 8.3 7.8 3.8 20 1.2 8.0 8.1 8.0 12.3 6.7 11.0 10.8 7.8 8.0 7.9 5.7 21 3.2 0.3 7.4 10.4 12.1 9.4 12.4 11.2 9.0 8.1 8.0 7.5 22 5.0 0.0 8.3 7.7 11.3 10.8 12.5 7.4 7.7 8.5 7.2 0.0 23 7.9 0.0 0.7 7.6 7.7 11.8 9.5 10.9 8.8 8.2 2.1 0.6 24 4.7 0.6 7.8 2.5 0.4 12.4 10.9 12.2 8.7 8.3 4.0 5.5 25 5.0 4.0 1.3 4.7 11.4 4.3 12.0 11.5 7.2 7.5 7.4 3.5 26 0.0 6.0 6.5 2.5 12.3 6.8 12.7 11.2 4.6 8.0 3.9 8.1 27 8.0 7.2 6.4 2.6 12.5 5.3 12.8 8.8 9.3 7.9 8.0 8.4 28 0.8 0.0 6.5 3.7 9.8 7.7 12.4 11.6 8.0 8.0 6.4 0.5 29 0.3 5.0 7.5 11.2 12.3 12.7 11.5 9.0 6.1 3.6 0.2 30 0.0 9.1 10.6 12.1 9.4 10.8 9.2 4.2 2.0 7.3 0.8 31 0.0 9.0 11.3 10.6 9.3 8.5 0.0 1914 i 0.0 8.8 0.3 9.8 9.6 5.2 12.8 12.9 8.2 8.8 1.7 8.1 2 7.7 7.9 9.4 8.2 8.1 11.6 7.0 12.8 11.0 5.7 4.3 8.2 3 7.3 7.6 0.7 7.6 12.3 6.0 6.8 12.6 11.5 8.7 6.7 7.0 4 1.5 8.4 0.1 4.2 11.8 13.8 10.3 12.2 11.0 8.6 2.3 4.7 5 8.1 8.2 9.8 8.0 10.4 11.4 9.2 12.1 8.7 1.2 3.5 0.0 6 4.8 7.4 0.1 8.4 6.2 4.0 12.2 8.9 5.6 5.2 0.0 0.9 7 1.7 7.1 3.7 8.8 11.3 2.1 10.1 12.8 10.5 8.4 6.2 7.5 8 6.8 7.0 4.3 7.5 11.0 11.9 12.3 9.5 9.7 7.7 5.0 0.2 9 7.2 0.4 4.8 8.5 8.5 13.3 12.2 12.9 9.1 9.0 4.5 0.4 10 0.0 4.9 6.4 10.7 3.0 2.6 6.2 12.5 2.2 4.0 7.2 0.9 11 0.8 2.7 1.8 10.6 5.3 14.0 11.5 12.7 4.0 5.3 4.8 4.7 12 0.0 1.8 7.7 8.8 13.2 11.2 10.0 12.3 7.3 8.2 4.7 0.3 13 1.6 0.0 8.7 7.0 9.3 8.0 12.4 12.1 3.1 9.3 3.7 2.4 14 0.1 8.0 6.2 7.1 5.8 10.5 9.3 11.2 8.4 8.5 6.6 0.0 15 1.7 9.3 0.0 10.5 12.0 11.2 13.6 11.5 8.6 2.0 0.3 4.5 16 0.0 8.5 7.4 7.0 12.8 12.8 9.0 11.7 7.5 5.5 4.2 5.2 17 0.1 9.6 1.8 9.1 3.5 13.7 11.0 11.5 9.0 5.9 3.0 0.0 18 4.8 8.8 8.5 9.2 8.0 9.5 7.1 11.3 3.0 0.5 2.1 7.6 19 7.9 4.5 3.1 11.0 10.9 9.5 13.8 11.8 5.2 6.6 1.2 4.8 20 1.6 3.2 7.0 10.4 4.4 12.1 12.5 2.2 8.3 2.7 5.5 0.3 - 241 -• segue : TABELLA B. segue 1914 G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. 21 0.6 2.8 0.9 12.2 9.5 11.5 12.5 4.0 2.3 6.5 0.0 5.3 22 2.3 4.5 6.3 12.5 10.5 8.0 10.3 7.8 9.8 8.4 4.5 0.0 23 5.7 0.0 0.4 12.0 12.0 13.9 7.7 1.5 9.2 2.8 1.4 6.6 24 7.8 7.0 7.2 10.3 12.6 13.1 11.6 10.5 0.6 8.7 3.3 0.0 25 8.7 0.3 0.0 11.1 2.2 10,2 9.0 9.0 8.0 9.0 0.5 5.4 25 8.7 4.6 6.7 11.3 2.7 14.0 10.5 12.2 7.2 8.0 0.5 5.5 ! 27 0.0 0.9 7.7 11.9 2.0 13.0 11.0 11.0 8.1 0.0 8.4 8.1 ! 28 0.0 6.9 9.2 5.7 11.3 13.4 12.6 10.5 7.9 5.6 6.7 8.3 29 0.5 9.4 12.5 12.5 13.2 12.3 1.0 6.0 2.0 7.8 0.0 1 30 8.3 7.0 0.6 5.0 11.5 12.5 5.6 6.0 4.7 7.7 5.0 31 7.5 9.6 7.8 10.8 7.2 2.0 6.7 1915 1 0.0 9.0 0.8 7.5 9.0 13.4 0.4 13.0 9.0 0.0 3.2 0.4 2 0.0 5.5 3.2 4.3 9.6 0,0 2.0 13.1 0.0 3.1 1.7 0.5 3 0.0 7.6 8.1 9.2 13.0 8.1 3.7 10.8 0.0 5.3 2.8 2.5 4 0.0 5.0 6.2 7.5 12.8 9.9 12.0 12.7 9.3 1.2 7.7 5.7 5 1.7 6.0 4.1 10.6 10.7 5.8 12.1 12.6 10.1 5.2 7.6 5.2 6 7.2 2.0 0.0 10.8 11.2 5.2 13.6 11.7 9.3 5.3 8.8 0.6 7 8.5 5.8 2.1 7.5 12.3 12.0 13.0 11.0 10.5 5.8 7.9 4.3 8 4.0 0.1 3.8 5.6 12.4 8.6 13.4 13.1 10.2 8.5 1.6 4.5 ! 9 0.0 1.5 0.3 5.9 9.0 7.9 14.0 12.7 7.7 3.6 5.1 8.2 10 3.3 0.0 4.6 3.1 5.9 8.0 13.7 12.9 9.8 9.0 3.5 o.3 ; 11 5.7 0.0 0.7 1.5 10.9 5.0 13.5 12.7 7,1 6.4 4.8 1.5 12 0.6 2.0 9.3 0.6 0.7 13.6 12.9 12.5 6.7 7.5 3.2 0.1 13 4.1 6.0 9.4 8.1 8.8 13.3 13.2 11.1 8.1 3.1 1.6 0.2 14 8.6 0.4 3.6 10.3 10.0 7.4 10.6 12.0 10.4 0.0 2.2 0.0 15 8.5 8.1 9.0 6.9 10.2 3.2 12.7 12.4 10.0 7.6 4,3 2.6 16 2.6 0.0 9.0 0.0 12.9 8.1 13.4 11.6 9.6 5.2 0.0 5.6 17 2.5 8.4 9.4 1.5 13.0 9.8 13.5 8.5 9.5 8.6 9.0 5.5 ! 18 0.0 7.4 7-1 8.4 8.1 12.0 13.6 9.8 9.8 9.0 3.3 5.1 19 0.0 0.0 0.0 1.3 8.3 9.2 13.0 12.3 9.4 I 8.0 0.0 0.0 20 0.1 0.0 0,0 5.8 2.8 7.1 13,8 11.6 9.6 1.3 1.0 4.2 21 0.0 2.5 7.2 7.9 11.3 11.2 13.7 12.5 2.3 3.6 2.3 0.3 22 4.2 0.3 5.6 7.4 6.6 10.7 13.5 7.0 8.2 8.8 0.0 0.6 23 2.3 3.9 2.5 0.0 1.2 12.8 13-8 1.4 8.4 9.0 6.4 8.1 24 0.0 5.6 0.0 8.7 13.5 13.6 13.5 4.8 9.0 9.0 7.0 0.0 25 0.8 0.8 0.0 7.6 13.0 7.7 12.6 8.7 3.3 0.0 4.7 0.2 26 2.0 7.1 4.4 0.0 12.7 13.6 12.6 12.0 8,5 6.1 6.4 7.5 27 4.2 5.5 0.2 9.4 13.2 9.0 13.5 12.9 8.0 1.4 6.5 7.1 28 0.0 9.0 6.0 9.7 11.1 10.8 13.0 11.9 7.6 4.5 8.8 2.5 29 3.0 1.6 0.0 9.2 11.1 13.0 11.8 8.1 0.5 5.0 3.8 30 2.5 6.1 11.5 12.4 12.0 12.2 7.0 6.4 5.9 0.0 5.1 31 9.3 9.2 9.9 12.7 10.8 7.0 | 6.8 - 19 - segue : TABELLA B. — 242 — 1916 G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. 1 6.5 7.6 5.2 8.7 9.2 2.9 13.8 5.5 8.2 8.8 9.0 1.7 2 5.6 5.2 2.8 8.5 5.0 3.5 10.0 7.8 8.4 9.6 8.5 6.6 3 5.7 8,6 4,0 9.5 12.0 12.0 11.6 12.0 10.3 8.8 7.2 4.2 4 8.4 8.8 1.2 9.2 10.2 11.8 12.4 11.4 10.4 7.4 8-5 LO 5 7.5 9.0 6.0 7.8 4.5 11.2 9.3 12.2 7.2 5.6 53 2.0 6 6.6 3.0 0.0 1.4 8.7 13.4 13.5 11.5 2.8 8.3 0-2 4.0 7 3.2 8.4 6.6 4.4 10.1 14.0 13.9 13.2 3.2 9.1 5-0 0.9 8 3.0 8.0 2.0 1.5 7.0 13.8 13.8 12.7 9.5 5.3 6-4 0.1 9 4.4 0.0 7.0 5.2 6.0 12.8 13.0 13.0 8.2 9,1 1.8 0.5 10 8.2 3.5 8.2 9.1 7.9 13.4 12.7 13.2 0.0 7.7 2-7 1.3 11 8.4 8.8 2.0 3.2 12.1 11.3 12.1 10.8 7.2 9.2 0-0 1.9 12 8.4 9.0 8.5 9.4 12.0 12.1 12.0 2.2 4.8 9.0 03 13 13 8.7 3.5 6.0 9.5 11.3 ILO 13.2 12.8 8.8 8.5 5.2 6.0 14 1.6 9.1 8.6 7.5 13.5 3.7 12.6 12.6 6.3 8.6 8.2 0.1 15 4.6 6.4 2.5 9.5 10.4 14.0 11.9 12.0 9.9 5.0 5-0 23 16 7.6 7.0 8.8 5.0 13.1 13.8 13.3 12.0 7.2 7.2 33 7.0 17 8.2 1.8 1.4 9.6 5.1 14.0 6.8 12.5 8.0 6.7 2.6 0.3 18 0.0 9.6 8.2 1.0 4.2 11.0 14.0 3.0 8.1 5.2 03 0.6 19 3.8 2.4 9.4 8.1 13.0 10.1 13.4 9.6 5.2 0.0 4.2 1.6 20 1.2 7.8 9.0 8,8 9.0 12.3 9.2 8.8 6.8 0.0 2.5 1.2 21 0.2 6.2 0.4 2.4 13.4 13.6 11.0 12.8 4.5 7.2 2.4 7.5 22 8.3 7.4 5.2 5.2 14.5 9.7 13.4 10.4 7.4 8.5 4.7 0.2 23 9.0 4.2 8.5 3.0 13.6 11.4 13.5 10.7 9.4 0.8 1.3 5.8 24 8.8 4.4 8.0 5.1 14.1 12.8 13.6 11.8 8.8 6.6 5.5 0.2 25 8.5 6.1 8.8 2.2 13.2 13.3 12.7 12.2 1.6 0.1 LO 4.4 26 8.4 9.2 1.6 6.2 11.4 6.8 11.4 12.3 8.7 0.0 6.6 4.0 27 7.3 4.0 9.8 6.0 7.9 13.2 9.7 12*4 6.6 8.6 1.8 2.5 28 5.2 8.5 9.4 10.5 9.8 14.1 4.1 12.0 1.2 8.2 5.6 4.0 29 7.6 0.4 6.2 11.6 6.1 14.0 4.2 10.2 0.3 6.4 7.7 73 30 7.2 10.0 12.5 11.7 14.1 2.0 11.2 5.5 4.2 3.0 2.2 31 6.6 9.8 9.8 7.2 10.4 9.4 7.5 1917 i 8.0 6,5 8.0 9.2 3.2 11.2 13.5 13.0 12.1 7.3 8.5 6.7 2 2.5 7.0 7.5 1.4 0.0 2.2 10.6 12.7 11.9 5.5 0.0 4.9 3 0.2 1.4 4.7 5.2 0.2 13.5 13.5 12.8 12.0 9.7 8.0 7.8 4 0.0 1.0 3,5 11.4 9.0 13.6 13.1 12.2 10.2 10.0 6.6 8.4 5 0.0 7.0 3.8 3.6 1.8 13.5 12.0 12.8 9.6 7.2 4.8 8.3 6 0.8 1.0 0.1 4.1 10.0 13.9 9.2 12.5 11.5 8.7 4.6 8.2 7 1.6 0,1 0.2 9.4 8.5 13.1 14.0 5.3 9.8 8.6 5.4 7.3 8 3.5 0.0 3.0 7.4 9.0 13.8 13.5 11.5 1.5 3.6 4.2 5.6 9 1.4 1.8 8.6 6.8 12.4 9.7 11.7 12.4 6.2 ! 5.4 5.0 0.1 10 3.4 1.4 8.0 9.0 13.0 13.6 13.0 12.7 5.4 1 7.6 1.6 0.0 243 — segue: Tabella B. segue 1917 G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. 11 0.0 9.0 9.0 7.0 11.1 12.0 11.6 12.8 8.0 4.8 0.3 0.1 12 1.3 2.2 5.2 10.4 12.5 11.5 12.5 13.0 9.4 9.0 0.2 4.2 13 1.6 9.5 1.6 10.7 13.4 11.0 12.0 12.3 7.0 10.1 1.3 0.0 14 0.5 3.8 7.7 5.0 13.2 5.6 14.0 11.4 8.1 6.4 0.6 6.7 15 0.3 9.0 2.5 8.3 5.8 12.4 13.2 11.2 11.5 8.0 7.0 7.2 16 1.5 8.8 7.4 5.0 0.5 11.5 12.6 11.3 10.6 2.6 9.0 0.4 17 3.0 1.2 9.3 8.5 8.0 13.0 13.0 12.0 10.7 6.2 8.8 2.6 18 1.5 1.1 9.2 8.2 13.2 10.5 12.5 13.1 10.1 4.9 9.0 5.2 19 1.4 0.2 0.0 30 7.2 13.1 13.1 13.0 10.6 9.1 6.4 8.0 20 8.7 4.3 6.0 11.3 3.6 10.4 13.2 13.0 9.4 3.0 5.6 2.7 21 8.2 9.6 0.8 11.1 1.2 13.5 13.5 12.4 10.6 5.0 7.2 5.1 22 3.0 4.5 3.0 11.0 1.8 8.6 13.8 12.0 7.2 2.2 1.8 7.0 23 0.0 8.9 5.4 10.4 2.7 8.7 13.1 11.5 7.8 9.5 8.4 8.0 24 4.0 9.2 1.0 12.4 13.5 1.3 13.5 12.4 7.0 0.0 8.6 6.6 25 0.8 9.7 8.0 7.0 13.8 13.5 13.6 12.0 8.7 8.1 2.5 5.4 26 8.0 9.8 0.8 8.0 11.6 14.0 13.4 11.9 9.8 9.6 0.4 1.0 27 0.1 6.2 7.2 4.8 6.0 10.2 8.4 11.8 10.0 7.7 4.8 o.o 28 2.2 0.4 4.2 10.8 12.4 13.2 13.4 8.1 9.9 6.8 7.7 1.5 29 7.2 2.6 12.6 5.4 13.6 13.0 12.0 7.0 6.4 6.0 6.1 30 3.2 9.6 7.2 12.0 13.5 13.4 11.5 1.0 5.8 5.0 0.0 31 0.1 9.8 9.2 13.9 12.0 6.7 6.8 1918 ì 0.0 7.2 1.4 6.8 3.8 13.1 2.2 12.8 12.3 0.9 0.4 8.5 2 3.0 8.7 8.1 0.0 10.6 13.3 1.1 13.2 6.6 6.0 6.2 8.5 3 7.4 8.8 2.7 5.5 9.5 13.2 14.0 5.8 10.0 3.2 4.2 8.4 4 0.8 9.0 7.0 9.8 12.8 9.4 12.7 8.0 11.7 5.3 3.0 6.2 5 8.5 8.5 0.4 9.9 3.5 11.2 7.5 12.8 12.1 0.5 8.4 5.4 6 6.2 8.4 0.4 0.1 6.0 2.4 12.4 11.6 11.6 0.0 6.6 8.3 7 0.0 8.8 2.5 0.0 8.4 4.8 9.2 11.0 11.7 2.0 7.2 7.6 8 1.3 8.7 3.4 9.0 7.2 7.2 14.0 12.7 11.2 9.3 3.0 2.0 9 2.4 8.2 2.2 3.7 0.0 13.0 13.0 13.0 11.3 2.4 1.2 7.8 10 8.5 6.0 1.6 10.8 7.8 4.6 12.Q 12.8 9.8 5.6 3.4 5.7 11 7.8 4.1 7.8 11.3 11 2 5.6 11.7 6.8 6.0 4.0 7.3 4.6 12 2.4 7.7 9.2 7.7 12.7 2.2 9.8 12.5 0.4 9.4 6.8 0.0 13 1.6 0.3 10.3 5.9 10.0 9.4 13.3 11.6 7.8 8.3 0.4 3.2 14 0.1 0.2 2.0 6.0 3.5 9.0 13.2 3.0 10.4 u.l 8.1 6.9 15 7.8 0.0 5.7 7.2 12.4 13.0 13.4 11.0 10.8 3.0 1.9 8.0 16 5.4 7.7 7.6 1.5 13.4 11.8 12.6 13.1 i 11.2 6.5 0.0 7.4 17 7.0 0.5 10.5 7.0 9.5 9.2 13.6 11.5 10.6 0.1 0.0 0.0 18 7.0 0.0 6.0 4.2 8.5 10.1 13.5 12.4 10.4 4.5 5,0 4.4 19 6.1 0.3 10.2 0.3 11.6 1.1 13.1 12.6 9.7 6.6 1.4 0.0 20 1.3 0.8 4.0 8.2 9.0 12.2 13.4 12.7 10.0 8.1 0.0 5.7 segue : TABELLA B. — 244 — segue 1918 G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. 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F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. 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F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. 11 0.1 3.7 1.0 11.4 4.3 5.9 1.0 11.4 6.3 9.6 2.5 5.0 12 3.6 0.0 1.5 9.8 3.0 12.9 11.4 8.3 10.4 8.6 3.1 6.5 13 4.0 6.0 8.9 6.4 6.1 12.8 13.2 11.2 9.3 7.9 0.0 0.0 14 6.4 9.4 9.2 10.8 9.2 8.7 12.6 10.6 11.0 8.6 5.0 0.0 15 0.0 5.6 10.6 7.5 3.8 2.8 12.2 10.2 11.0 8.9 0.6 0.0 16 0.6 5.2 10.6 0.1 3.4 6.0 13.0 Q.6 10.6 8.5 3.8 1.8 17 0.7 5.4 10.4 6.1 2.4 12.4 13.0 10.5 10.7 9.0 8.1 6.3 18 6.8 3.0 10.6 4.0 6.8 13.0 13.0 10.8 9.6 9.0 6.2 7.7 19 2.8 7.4 10.5 5.0 11.5 6.3 12.8 11.0 9.2 9.2 6.3 5.3 20 3.5 9.5 7.5 10.6 7.7 2.4 10.4 8.0 9.2 9.0 1.8 3.2 21 8.8 9.0 6.0 5.6 11.1 3.0 7.5 3.4 8.3 8.4 7.1 0.0 22 7.8 9.0 5.8 9.2 11.4 9.6 10.8 8.4 4.6 9.2 8.2 7.5 23 4.8 9.3 0.2 7.0 10.4 11.5 12.5 11.0 4.0 8.7 7.4 0.0 24 7.4 9.2 1.3 8.4 12.3 12.6 12.4 1.1 9.3 0.5 8.0 0.2 25 2.8 5.5 0.0 10.0 9.8 7.0 12.8 3.0 10.0 0.0 4.8 0.0 26 0.2 7.6 0.0 8.3 9.7 11.4 11.3 4.0 7.6 0.0 6.4 5.2 27 1.8 4.5 3.3 6.4 11.6 12.7 9.0 4.2 8.0 3.5 0.0 0.0 28 6.6 9.6 0.5 7.5 12.4 12.5 10.3 4.3 8.1 6.2 0.5 6.4 29 7.8 3.0 8.6 2.0 12.5 12.5 9.0 1.5 7.0 6.4 1.7 30 7.7 9.5 0.5 6.4 12.5 10.0 10.2 7.6 5.7 6.0 0.0 31 1.2 0.0 9.0 9.2 8.0 9.2 3.2 1922 i 5.4 0.8 8.3 6.5 11.0 13.0 10.6 8.9 2.2 7.8 0.0 8.2 2 7.2 6.5 1.4 7.6 1.2 13.6 14.0 8.2 10.8 9.0 9.0 3.8 3 0.2 3.2 4.0 3.7 0.6 13.5 13.9 12.0 0.3 5.0 0.0 5.2 4 0.0 8.8 9.9 1.2 10.5 12.4 13.8 11.6 8.0 6.0 0.0 8.4 5 3.5 5.4 10.0 4.4 13.0 9.3 13.7 11.8 6.2 9.8 9.2 8.5 6 3.0 0.0 3.0 0.5 8.5 12.7 13.7 11.7 8.8 5.0 9.0 5.6 7 3.2 1.2 10.1 8.9 2.0 11.6 14.0 5.4 11.5 6.2 0.0 0.0 8 7.6 0.0 8.6 0.8 3.0 12.8 13.4 8.8 6.0 6.7 8.8 8.0 9 0.0 6.1 1.8 5.7 12.3 11.3 12.6 10.0 10.6 3.3 1.3 6.6 10 7.8 9.2 8.2 8.2 11.6 11.4 13.7 12.2 10.0 6.2 0.8 3.2 11 2.0 5.8 8.6 11.0 124 10.2 13.8 12.4 3.2 3.0 8.8 8.2 12 0.2 1.4 7.5 8.4 12.8 9.0 13.6 12.0 0.4 6.6 6.8 8.0 13 2.2 0.0 7.6 11.8 10.3 8.2 12.8 12.2 7.4 9.2 2.2 8.1 14 8.1 0.3 4.2 10.1 9.6 13.6 13.2 11.2 4.2 7.2 8.5 8.1 15 0.0 2.6 1.2 12.0 7.7 6.0 13.4 12.2 5.0 6.8 5.6 7.8 16 2.2 5.2 0.0 9.5 9.7 12.0 13.0 11.0 8.0 9.5 7.6 3.5 17 5.2 9.8 6.9 9.7 7.0 14.0 13.2 10.7 10.0 9.5 9.5 0.0 18 4.4 8.8 9.7 6.8 6.0 11.2 13.8 12.6 10.2 8.8 3.4 4.6 19 2.0 1.6 9.3 3.5 10.6 10.8 5.8 12.6 9.6 8.6 3.8 7.0 20 6.6 9.8 5.0 2.6 13.7 7,0 14.0 11,8 10.0 8,5 9.2 0,0 segue : TABELLA B. — 247 — segue 1922 G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. 21 5.2 6.7 8.0 8.5 13.8 9.7 14.0 11.7 10.4 8.3 8.3 0.5 22 6.3 0.6 0.4 9.6 13.8 14.0 13.8 11.4 0.8 1.0 8.8 7.3 23 5.0 0.0 4.7 8.2 11.6 13.8 12.7 12.7 10.0 3.6 8.5 1.0 24 8.0 4.0 6.8 8.8 14.0 10.7 5.0 12.7 8.6 4.5 8.4 5.8 25 o.o 9.9 3.0 0.0 13.0 14.0 12.0 12.6 8.0 0.0 8.7 0.0 26 1.2 10.0 1.6 10.6 13.2 11.6 13.6 12.6 9.7 0.0 8.4 6.4 27 4.0 9.9 0.0 11.7 13.3 13.8 13.7 13.2 6.2 0.0 3.4 6.0 28 0.3 9.2 2.0 7.6 12.3 13.5 8.9 13.3 5.2 7.7 6.6 0.0 29 5.2 8.6 9.4 13.3 13.4 12.8 12.0 0.0 9.2 8.3 6.2 30 0.0 7.6 8.2 13.0 14.0 13.5 12.2 5.6 3.2 1.8 1.6 31 0.1 10.1 6.8 13.6 12.9 1.5 5.8 1923 1 0.0 4.0 7.2 9.9 13.0 10.6 14.0 13.4 5.2 9.6 7.6 2.8 2 0.0 1.0 9.0 9.8 13.2 12.4 13.0 12.6 11.8 9.8 5.8 0.0 3 0.3 0.0 0.3 11.5 13.2 6-2 14.0 12.5 10.6 8.4 2.0 0.0 4 0.0 2.5 0.0 8.0 12.7 12.3 9.8 12.4 9.0 5.0 3.0 1.4 5 0.3 0.4 5.5 10.2 12.0 10.0 13.3 13.0 4.0 2.0 3.8 0.4 6 0.3 0.0 6.6 6.2 12.8 7.5 10.7 12.7 1.2 9.1 6.0 0.6 7 7.2 3.5 9.2 2.0 13.0 13-2 12.8 12.5 3.0 2.5 0.0 1.0 8 2.4 4.2 1.3 4.4 8.4 6-6 13.0 12.8 10.2 8.5 0.0 1.4 9 6.6 1.6 4.8 0.0 12.4 14-0 9.9 12.6 11.0 7.2 2.4 3.8 10 6.2 5.8 4.0 10.0 9.7 12-7 13.7 12.7 10.5 9.3 5.8 4.2 11 0.4 0.2 0.0 11.8 12.4 14.0 14.2 12.8 10.6 5-4 7.4 0.4 12 0.9 2.2 4.8 9.0 7.4 12-3 14.1 12.6 10.0 6-4 7.8 o.o 13 0.5 8.5 7.7 1 1-0 10.0 2.0 14.0 11.3 7.2 8.7 8.5 1.4 14 4.2 5.2 9.3 o.o 12.8 10-3 13.8 11.8 0.4 3.6 0.0 3.3 15 8.0 9.5 1.6 9.8 12.2 3-8 13.7 U.2 7.5 4.4 0.5 5.2 16 1.3 5.4 7.0 8.2 12.8 9.7 11.4 9.4 10.4 8.7 8-7 0.8 17 2.0 8.5 8.0 8.5 12.6 10-4 13.7 9.0 10.0 7.2 8.2 7.8 18 7.2 5.3 9.6 8.4 8.8 10.2 13.8 10.3 7.8 9.7 2.7 0.0 j 19 5.0 0.0 10.2 6.2 13.0 13.2 13.0 10.8 7.7 9.4 5.2 0.2 20 8.0 2.0 8,3 7.5 13.0 7.2 13.5 11.8 9.6 9.2 0.0 4.6 21 0.7 0.0 ! 5.2 0.0 11.8 8.5 13.7 11.5 6.4 8.4 4.4 2.0 22 2.2 7.4 8.9 0.5 8.0 11.8 12.4 12.5 4.5 8.8 1.0 2.8 23 8.0 1.3 4.7 7.3 14.0 13.4 11.4 12.0 9.8 7.7 6.8 0.0 24 8.6 7.3 10.2 8.8 13.8 10.2 11.8 9.7 7.0 9.0 4.8 7.0 25 8.7 6.7 10.5 10.5 1.2 10.8 12.8 7.4 9.4 3.4 5.2 0.1 26 8.6 9.8 9.3 8.2 1 1.7 12.0 13.4 6.8 9.7 9.9 6.2 4.3 27 5.7 1.3 9.4 0.9 9.6 9.0 12.2 12.7 9.8 9.8 0.2 4.6 28 8.6 7.2 9.3 12.0 5.2 6.8 12.7 12.0 10.0 9.5 6.8 6:0 29 8.7 9.8 0.2 9.8 13.0 12.6 12.2 8.8 9.0 0.4 1.0 30 1.0 9.6 10.7 12.4 11.5 12.8 12.4 9.6 9.4 7.2 7.0 31 8.8 10.7 8.6 13.6 12.1 9.0 5.0 segue : Tabella B. — 248 — 1924 G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. 1 7.7 8.8 8.8 2.0 11.2 11.2 13.4 13.0 9.9 1.6 0.5 7.1 2 7.0 8.0 2.6 2.8 11.6 13.5 14.0 13.4 10.6 4.7 1.0 3.0 3 7.8 9.2 6.0 0.7 12.5 12.3 13.6 n.o 9.4 7.0 42 4.2 4 1.7 9.0 9.8 9.0 11.4 10.0 13.6 11.5 4.6 9.8 6.6 0.1 5 0.8 44 9.3 7.0 12.6 13.0 13.8 13.5 8.5 0.8 8.8 4.8 6 4.5 0.2 8.7 9.2 12.3 12.0 13.7 13.3 10.5 7.2 8.2 7.0 7 8.0 9.3 2.7 8.6 10.4 13.8 13.8 13.4 9.7 9.5 2.0 1.0 8 1.2 3.5 3.6 4.7 3.3 13.8 12.6 13.0 9.6 9.6 3.2 1.0 9 0.0 7.2 9.5 3.8 5.0 7.2 13.2 12.7 9.5 9.4 0.0 1.0 IO 0.0 0.0 3.2 5.4 11.4 13.5 0.6 12.8 8.8 9.2 2.0 7.5 11 2.2 1.2 5.9 5.2 13.4 13.8 12.0 12.5 8.6 8.8 7.0 7.9 12 1.5 0.8 8.6 9.5 7.3 12.5 12.6 10.6 8.8 9.2 2.7 7.4 13 8.0 0.0 9.0 6.7 13.3 8.0 13.7 7.0 10.6 9.3 6.8 2.2 14 6.0 3.3 8.0 9.0 12.8 13.6 13.6 11.2 9.6 9.4 0.5 5.7 15 5.6 1.0 9.8 9.2 11.6 10.7 9.6 11.4 9.7 9.2 8.5 4.3 16 4.0 8.6 8.8 8.5 10.4 11.2 12.7 7.2 4.4 9.7 0.0 2.6 17 0.0 0.0 7.5 1.0 12.5 14.0 13.0 12.5 9.5 9.6 0.0 7.6 18 4.0 0.0 3.0 1.6 11.8 14.0 12.9 12.3 10.0 8.0 6.6 8.0 19 8.2 1.0 6.0 1.7 13.5 12.9 13.6 12.8 10.2 4.0 4.0 8.0 20 0.0 3.8 6.7 1.0 11.5 8.8 13.8 12.6 10.0 3.8 5.0 8.0 21 5.6 0.2 0.0 7.0 9.1 6.7 12.6 11.5 9.6 5.0 7.8 8.1 22 8.4 3.7 3.8 7.8 9.2 7.4 13.4 7.2 10.0 7.8 8.0 8.0 23 5.5 1.6 5.4 10.0 13.4 6.6 9.2 6.8 10.2 3.0 8.4 8.0 24 7.8 2.4 0.0 11.0 13.3 5.2 12.5 11.4 9.3 2.0 7.7 7.5 25 4.8 1.0 3.2 12.6 11.2 5.9 13.0 12.3 8.7 3.4 8.0 7.9 26 8.3 0.0 0.0 12.2 8.0 12.8 11.7 12.6 9.3 7.0 7.9 7.8 27 8.2 0.0 3.8 10.0 3.3 13.2 10.6 10.8 7.4 8.0 7.8 4.0 28 4.8 1.0 2.8 7.5 13.6 13.8 13.2 11.2 8.0 6.2 4.6 1.8 29 0.0 4.0 0.5 9.0 7.2 13.6 13.5 12.6 10.0 8.4 0.0 6.4 30 3.4 6.4 0.3 13.6 13.5 8.7 12.2 9.7 4.4 8.2 1.2 31 0.5 6.1 13.5 13.2 11.0 9.5 i 7.0 1930 i 0.0 0.0 7.4 7.4 9.1 11.4 11.0 12.0 11.2 6.0 0.0 5.7 2 7.7 1.2 8.6 9.2 9.2 7.1 7.0 11.7 11.1 7.5 6.2 5.0 3 8.0 3.1 9.0 3.8 6.4 3.2 9.5 10.2 9.2 8.0 0.1 2.2 4 8.1 4.0 4.7 0.0 7.2 9.9 12.7 11.0 9.4 7.5 0.0 1.2 5 7.8 0.8 7.0 1.8 7.0 8.0 12.4 11.8 9.8 3.7 7.2 2.5 6 7.6 0.0 7.8 5.0 9.6 9.2 12.2 12.2 9.2 1.4 0.8 8.1 7 3.8 2.4 5.4 3.0 3.0 7.8 12.8 12.1 6.9 7.4 1.2 7.0 8 0.3 4.2 3.2 6.5 9.2 9.0 11.0 9.2 8.6 7.6 2.4 7.8 9 0.0 2.4 5.6 8.6 5.2 6.2 9.8 12.0 7.9 3.0 8.5 1.6 10 0.9 0.1 7.2 8.2 11.1 9.9 12.0 12.2 9.9 3.2 8.5 4.1 segue : Tabella B. - 240 - segue 1930 G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. 11 4.9 1.3 1.4 9.6 9.9 11.8 9.8 12.3 8.2 7.2 0.8 7.6 12 1.9 8.0 4.1 8.8 10.6 12.4 12.4 12.0 7.5 7.4 0.0 5.4 13 8.0 8.0 7.4 6.1 7.4 10.8 10.2 11.2 0.4 1.2 8.1 2.4 14 7.1 3.0 6.8 4.2 5.8 6.2 12.6 Q.l 1.0 7.7 7.6 0.0 15 6.0 0.3 5.2 1.2 2.2 8.4 10.2 11.3 7.7 6.1 7.8 0.0 16 0.0 0.2 4.0 6.4 8.1 6.8 12.0 9.2 4.5 7.2 4.9 1.2 17 1.8 2.8 4.4 5.8 12.1 4.2 11.8 12.0 6.8 7.1 0.3 3.6 18 7.7 5.3 6.1 4.2 11.6 10.1 9.2 12.0 8.6 5.4 6.2 0.0 19 6.4 3.0 2.4 0.0 10.2 6.8 11.8 11.0 8.5 1.1 0.1 0.0 20 6.6 0.3 6.3 6.2 6.6 9.4 12.5 11.8 8.1 24 0.1 2.8 21 7.4 4.4 8.2 00 10.8 8.1 12.5 11.6 4.2 1.9 0.4 7.2 22 7.0 0.2 4.1 10.0 5.4 12.0 12.7 12.0 8.6 1.1 6.8 4.0 23 1.2 1.6 0.5 9.0 7.2 11.9 11.9 11.8 7.1 3.4 3.5 1.5 24 2.2 6.2 1.2 9.2 10.2 12.8 5.2 12.0 5.2 1.6 4.0 0.2 25 7.1 1.8 6.0 7.4 0.0 12.9 11.8 11.2 5.1 1.5 1.0 6.6 26 4.1 0.0 2.2 10.7 0.0 11.8 10.9 11.9 8.4 2.2 5.6 2.2 27 0.4 7.6 8.3 8.6 12.2 7.2 12.0 11.5 4.2 1.6 1.5 1.4 28 0.8 2.0 8.0 11.1 12.1 12.2 12.2 11.6 7.6 2.8 7.3 7.1 ! 29 1.1 7.8 4.6 12.2 11.6 12.4 11.4 8.1 1.6 7.5 4.9 ; 30 4.0 7.0 6.0 12.0 9.9 12.2 11.5 7.2 3.1 8.1 2.2 31 6.0 7.1 12.6 10.0 10.7 1.5 0.0 1931 ì 0.0 7.5 0.0 2.4 10.6 6.1 12.6 12.5 9.6 7.8 6.0 2.0 2 3.5 7.6 9.2 7.2 0.0 13.0 10.4 12.0 11.0 7.1 8.1 6.8 3 2.1 0.2 0.2 1.3 0.0 10.2 10.1 7.2 10.8 7.0 7.8 5.6 4 3.0 1.5 0.0 0.1 11.1 13.1 6.0 9.4 8.8 7.8 8.1 0.0 5 2.4 7.7 2.2 8.8 7.0 12.2 12.0 8.6 8.5 7.9 8.2 6.0 6 0.2 1.2 2.1 6.6 12.0 10.8 12.4 10.1 10.4 7.4 6.6 3.4 7 0.0 8.4 3.2 3.4 11.6 10.4 10.4 10.4 10.8 6.6 2.0 0.5 8 0.3 0.1 1.0 1.5 7.1 12.2 12.1 11.8 6.0 7.2 3.2 6.0 9 0.0 0.0 0.2 9.2 5.0 11.5 11.4 10.1 7.4 6.8 4.1 0.2 10 0.6 8.5 4.1 9.8 5.1 12.0 12.0 12.0 7.8 5.4 2.5 0.6 11 0.0 4.2 0.5 8.6 100 11.2 12.0 10.2 4.0 6.1 6.1 6.8 12 4.0 4.6 0.0 8.6 104 11.0 9.1 12.0 3.6 7.4 1.2 0.0 13 0.5 0.0 4.6 5.6 11.7 10.8 12.6 11.2 5.6 4.4 3.0 5.0 ! 14 1.0 0.1 5.2 2.0 11.6 12.0 12.3 12.2 0.0 1.2 1.2 7.2 15 0.0 1.5 2.4 1 0-4 12.2 12.0 11.6 11.5 3.8 1.1 3.3 5.4 16 6.4 3.2 0.4 8.4 12.1 11.0 12.2 1 1.0 i 6.4 0.2 1.0 1.4 17 4.7 1.6 1.6 1.2 9.2 10.6 11.6 11.4 4.2 0.0 4.5 2.6 18 6.4 0.1 7.1 4.1 1.8 3.0 12.2 11.6 7.8 7.2 3.0 7.0 19 8.1 3.2 4.0 3.6 12.1 12.4 12.3 11.2 7.2 7.2 7.8 0.0 20 7.9 1.2 6.1 0.0 10.4 12.4 12.3 11.4 2.0 6.9 7.0 3.1 - 20 - — 250 — segue : TABELLA B. segue 1931 G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. ! N. D. 21 4.2 0.0 0.3 5.2 10.2 9.1 8.4 11.0 7.4 1.2 5.1 3.4 22 7.6 1.1 3.4 6.9 11.7 7.6 8.5 8.6 7.2 0.3 1.0 6.8 23 7.5 6.2 5.1 9.0 12.2 6.9 12.3 7.4 6.0 0.4 5.8 7.8 24 1.2 3.2 0.3 4.7 12.8 10.4 11.6 12.0 6.8 0.0 2.8 7.8 25 0.0 6.2 0.7 6.8 10.6 6.8 12.0 12.0 8.0 2.4 7.2 5.6 j 26 7.5 5.4 6.0 8.2 12.5 10.4 12.0 10.5 8.0 2.8 4.5 6.2 27 2.5 3.0 6.3 8.9 9.4 8.2 12.6 10.8 6.4 4.6 0.5 0.1 28 7.6 0.2 7.5 10.0 8.3 12.4 12.0 11.4 8.0 1.0 0.0 1.2 29 6.5 5.6 9.6 9.0 11.4 11.4 11.6 3.0 1.4 0.0 0.0 30 5.2 6.1 8.5 11.6 0,0 12.5 11.2 6.2 7.8 3.0 2.4 31 5.7 0.8 3.0 11.9 9.5 6.6 1.0 Riassunto Si prendono in esame i totali diurni delle ore di sole dal 1912 al 1931 dedotti dalle registrazioni deH’eliofanometro dell’ Istituto di Fisica terrestre della R. Università e si calcolano i totali de¬ cadici, mensili stagionali e annuali rispettivamente per il 1° e 2° decennio e per l’intero ventennio, rilevandone in figura i risultati. Si passa quindi al calcolo dell’ eliofania giornaliera e relativa, si rilevano i massimi e i minimi mensili e annuali dell’eliofania assoluta. Si calcolano i valori successivi decennali, per mesi e anni, dell’eliofania assoluta e dell’eliofania relativa. Le medie successive così determinate, mostrano rispettivamente differenze di poche ore e di pochi centesimi. In corrispondenza l’A. dà i valori successivi decennali della nebu¬ losità (media delle osservazioni delle ore 9 e 15) e i massimi e i minimi rilevati. Coi valori della eliofania e della nebulosità si trova il coeffi¬ ciente di correlazione, ottenendo il valore r == — 0,29, corrispondente ad una debole correlazione negativa. L’A. si serve della formula di Courdevache e trova che i valori calcolati in base a tale formula risultano tutti in difetto rispettò a quelli effettivamente rilevati. Si avvale per ciò dei valori medi della nebulosità dedotti dalle osservazioni delle ore 9, 15 e 21 e introduce tali valori nella formula di Angot, pervenendo a valori dell’eliofania in soddisfacente accordo con quelli ef = fettiva mente rilevati. Finito di stampare il 18 novembre 1933 La radioattività delle acque termominerali di Lacco ameno Nota IL — Ricerche radioattive su materiale vario prelevato sulle acque e sul terreno circostante del socio Dott. Selim Augusti (Tornala del 3 aprile 1933) In una mia precedente nota, presentata alla Società dei Naturalisti nella tornata del 30 dicembre 1925 1), ho richiamato all’attenzione degli studiosi la presenza in Lacco Ameno (Ischia) di sorgenti fortemente radioattive, riconosciute come tali dall'EN- oler 1905-1906 2) e studiate in seguito, sempre con il medesimo esito positivo, da varii sperimentatori (Porlezza, Scarpa, ecc.) e dalla stessa M.me Curie. Sulle acque di queste sorgenti, e propriamente le sorgenti “ Greca “ Romana „ e “ Regina Isabella „ appartenenti alle Terme Regina Isabella, ho eseguito una serie di prove qualitative mediante metodo fotografico, esponendo i risultati e le radiogra¬ fie ottenute nella memoria sopra ricordata, alla quale mi richiamo completamente per ogni dettaglio. Nella medesima memoria ho indicato un programma di lavoro sperimentale da eseguire non solo sulle acque delle sor¬ genti, ma anche su materiali varii (fanghi, incrostazioni saline ecc.) del bacino idrico di Lacco Ameno (Terme Regina Isabella) 9 Augusti S. — La radioattività delle acque te mio minerali di Lacco Ameno ( Isola d’ischio). - Nota I: Notizie bibliografiche e ricerche prelimi¬ nari. Boll. Soc. Natur. Napoli, voi. XXXVIII, anno XL, 1926. 2) Engler C. — Beitrdge zar kenntnis der Radio-activitàt der minerai quellen. Karlsruhe 1906. 252 — e con la possibilità di estendere le mie ricerche anche in altri punti della medesima zona. Per gentile concessione del proprietario delle Terme Regina Isabella, rag. A. Mastrorillo, al quale rivolgo i miei ringrazia¬ menti non solo per aver messo a mia completa disposizione tutto quanto mi occorreva, ma anche per l'aiuto materiale pre¬ statomi nel prelevamento dei campioni, nel gennaio 1926 ho potuto prelevare i seguenti campioni : a) incrostazioni saline sul decorso delle sorgenti " Romana „ e “ Regina Isabella „ (la sorgente " Greca „ non presenta incro¬ stazioni saline) ; b) materiale fangoso lungo le medesime sorgenti. Tali mate¬ riali sono stati prelevati da me personalmente, inoltrandomi nei cunicoli di copertura delle sorgenti, anche per varii metri, come nel caso delle incrostazioni e fanghi prelevati dalla sorgente 11 Regina Isabella „ ; c) campioni di terreno a breve distanza dalle sorgenti, prelevati nello spiazzo attiguo al locale delle sorgenti, nella di¬ rezione del mare, mediante escavazione. Il campione a è stato prelevato alla profondità di un metro, il campione b alla pro¬ fondità di tre metri ; d) campioni di sabbia della spiaggia marina. I campioni a e b sono stati prelevati a varia profondità, ma nel punto più prossimo alle sorgenti, mentre il campione c è stato prelevato alla distanza di metri otto da detto punto ed alla profondità di un metro. Quest'ultimo campione, prelevato a maggior distanza dalle sorgenti e più vicine al mare, è risultato non radioattivo. Detti campioni sono stati da me trasportati a Napoli il giorno seguente al loro prelevamento (28 gennaio) ed analizzati nei giorni 29, 30 e 31 gennaio. L'apparecchio da me adoperato è quello di Schmidt, costruito dalla casa Spindler e Hoyer. I valori sono stati calcolati in Unità Mache R’X IO3), appli¬ cando la formola i — 300 » *n cu* * = intensità di cor¬ rente ; Ricaduta di potenziale in Volta, per ora; C— capacità dell’apparecchio ; 3600 = minuti secondi in un'ora ; 300 = numero di Volta corrispondente ad una unità assoluta elettrostatica. — 253 — Per le determinazioni ho adoperato sempre lo stesso peso di terra, di fango, di sali (gr. 1), ridotto in polvere perfettamente asciutto e disposto in strato sottile. Ad ogni determinazione ho applicato la correzione per la perdita normale e per l'attività indotta. I risultati ottenuti sono i seguenti : Materiale esaminato Luogo e data del prelevamento Data della determinaz. Discesa del poten¬ ziale in Volta, con la correzione della perdita normale e dell’attività indotta Unità Mache /X IO3 Incrostazioni saline lungo il decorso della sorgente " Romana „ 27 gennaio 1926 29- 1-1926 30- 1-1926 1298 216 10.2 1.68 » n sulle acque della sorgente " Romana „ 27 gennaio 1926 30-1-1926 500 3.92 ; n a sulle acque della sorgente "Regina Isabella,, 27 gennaio 1926 31-1-1926 145 1.12 Fanghi sorgente " Romana „ 27 gennaio 1926 29- 1-1926 30- 1-1926 4270 501 33.6 3.92 99 sorgente "Regina Isabella,, 27 gennaio 1926 31-1-1926 718 5.6 Terreno a breve distanza dalle sorgenti 27 gennaio 1926 A B 31-1-1926 31-1-1926 500 715 3.92 5.6 Sabbia spiaggia marina 27 gennaio 1926 A B C 29- 1-1926 30- 1-1926 30-1-1926 1072 364 8.4 2.8 — 254 — Questi risultati, che per ragioni indipendenti dalla mia vo¬ lontà vengo a pubblicare con tanto ritardo, confermano la forte radioattività della zona. Dopo tali mie ricerche non mi consta siano stati da altri eseguite ricerche del genere ed è quindi mia intenzione ripeterle, continuarle ed estenderle. Sulla radioattività delle acque appartenenti alle tre sorgenti delle Terme Regina Isabella sono state eseguite determinazioni radioattive dal Prof. Francesco Signore, docente di Geofisica nella R. Università di Napoli, ed i risultati sono stati esposti in una nota da lui presentata al Congresso di Idrologia, Climatolo¬ gia e Terapia Fisica, tenuto in Milano dal 3 al 6 ottobre 1927 1). ] *' . ■ - . 1 •- ; ■' I : Riassunto In questa nota, che fa seguito ad una precedente presentata alla Società dei Naturalisti in Napoli, nella tornata del 30 dicembre 1925, vengono esposti i risultati ottenuti nelFesame radioattivo eseguito su incrostazioni saline e fanghi, prelevati dalle sorgenti appartenenti alle Terme Regina Isabella in Lacco Ameno (Isola d’Ischia) nonché su terreno e sabbia della spiaggia marina, prelevati a breve distanza dalle sorgenti stesse. Tali materiali sono stati riscontrati radioattivi. Finito di stampare il 18 novembre 1933 9 Signore F. — La radioattività delle acque termo-minerali delle Terme Regina Isabella di Lacco Ameno {Ischia). Atti del XVIII Congresso di Idrq* logia. Climatologia e Terapia Fisica in Milano, ottobre 1927, Peso molecolare e costituzione dell’ acido mirtitannico Nota del socio Dott. Selim Augusti (Tornata del 9 giugno 1933) Sommario Generalità. Determinazione del peso molecolare dell'acido mirtitannico. Struttura molecolare dell'acido mirtitannico. Conclusione. Riassunto. Generalità. In alcune mie precedenti memorie *) ho dato relazione degli studi e delle ricerche sperimentali da me eseguite sul Myrtas communis L.f var. Italica. Dalle foglie del mirto ho separato un tannino, per il quale ho proposto il nome di acido mirtitannico. Per questo composto la composizione centesimale media datami dal¬ l'analisi organica elementare è la seguente : C . 48,24 H . 4,53 O . 47,23 100,00 In base a questi valori ho calcolato una formula (C15H17Ou)n cui J) Nota I. - V estratto conciante del mirto. Bollettino della Società dei Naturalisti, Voi. XXXVIII, 1926. Nota II. - Il tannino del mirto. Ibidem. Nota III. - La concia al mirto. Ibidem, Voi. XXXIX, 1927. — 256 — corrisponde un peso molecolare teorico : p. m. = 373 od un multiplo di esso (373)n> In questa mia nota espongo il lavoro sperimentale da me eseguito per la determinazione del peso molecolare del tannino del mirto ed indico le considerazioni teoriche e pratiche, mercè le quali si può giungere alla determinazione della formula di struttura del composto indicato. Determinazione del peso molecolare dell’ acido mirtitannico. La determinazione pratica del peso molecolare dei tannini ha presentato sempre grandi difficoltà dal punto di vista speri¬ mentale. Infatti la determinazione del peso molecolare dell'acido gallotannico o acido tannico propriamente detto, che rappresenta il tannino meglio conosciuto, ha dato valori molto differenti da sperimentatore a sperimentatore ed anche per un medesimo spe rimentatore come ad esempio per il Walden (1893) che per questo composto ha trovato un peso molecolare, per via ebul- lioscopica, variabile fra 760 (circa C35 . . . ) e 1560 (circa C70 . . . ). Il Paterno ha dimostrato (1907 e 1913) che il tannino in solu¬ zione acquosa si comporta come un colloide ed ha potuto giun¬ gere alla determinazione del peso molecolare, per via crioscopica, in soluzione di acido acetico. Io, seguendo questo concetto, ho determinato il peso mo¬ lecolare dell'acido mirtitannico, per via crioscopica, in soluzione di acido acetico. Ho eseguito una prima determinazione adoperando gr. 0,3 di sostanza disciolta in gr. 15 di acido acetico, che mi ha dato un abbassamento del punto di congelamento di O0.2C. Da cui applicando la formula : in cui : m — peso molecolare ricercato ; K = costante del solvente adoperato = 39.0 per l'acido acetico ; s = quantità del solvente adoperato ; A — abbassamento del punto di congelamento ; p = quantità di sostanza adoperata ; si ricava : 390. — 25 1 — m = 39 0.3 . 100 0.2 . 15 Aggiungendo, in una seconda prova, gr. 0.1 di sostanza, ho osservato un abbassamento del punto di congelamento di 0°.27 C., da cui, applicando la formula sopra riportata : 0.4 . 100 0/27 . 15 = 385. I due valori così ricavati per il peso molecolare, 390 e 385, tenendo conto degli errori sperimentali per così piccoli abbas¬ samenti nella temperatura di congelamento, sono assai prossimi al valore teorico , p. m. = 373 , ricavato in base alla formula Cl5H17014, da me proposta per l'acido mirtitannico. Si può quindi ammettere senz'altro per il tannino del mirto (acido mirtitannico) la formula bruta C^H^O^. II peso molecolare e la formula così calcolati sono assai prossimi ai valori calcolati ordinariamente per gli altri tannini, quali ad es. l'acido gallotannico, l'acido quercitannico , l'acido morintannico ed il tannino del sommacco, come risulta dal se¬ guente confronto : Forinola Peso molecolare acido gallotannico c14h10o9 322 tannino del sommacco c13h32o12 380 acido quercitannico OlgMjgOjQ 404 acido morintannico c13H12o, 380 acido mirtitannico Clr,H„Ou 373 Struttura molecolare dell 'acido mirtitannico. In una mia precedente memoria ho proposto per l'acido mirtitannico una formula di struttura analoga alla seguente : - o- HO ho< _ > I c^o HO - CH - - HC- - -O HCOH I I HOCH I O O I HOCH | | HCOH 1 > HC - 1 1 - CH HCOH HOCH h2c - o - ch2 OH I o = c I OH risultante dalla condensazione di due molecole di glucosio (forma y semi-acetalica) di cui l'una contenga un gruppo " galloile „ e - 21 - — 258 — l'altra un gruppo " protocatechile „ e per cui si avrebbe la com¬ posizione centesimale : c = . . . . . . 49.52 H = . . . . . 4.76 O — . . . . . 45.72 100.00 Il tipo della formula è stata inspirata dalla considerazione dei prodotti che l'acido mirtitannico forma per scissione (azione del calore, azione dei microrganismi, azione degli acidi diluiti) , ri¬ cavati dalle mie operazioni sperimentali. Tale tipo di formula risulta d'altra parte in accordo con le conclusioni ricavate dagli ultimi lavori di Fischer e Freudemberg (1909—1919) sulla costi¬ tuzione degli acidi tannici. Fischer e Freudemberg (1912), in seguito all’ idrolizzazione di un tannino puro, conclusero che esso risulta formato dalla condensazione di cinque molecole di acido digallico ho _ OH OH HO< _ >> - CO -0< _ > HO COOH con una molecola di glucosio *). Fischer ha poi preparato sinteticamente un composto simile al tannino ed avente la seguente costituzione: oh oh _ OH << _ > -o-co< _ >OH - CH— O-OC OH j OH OH OH < _ >> — o- CO< _ >OH CH-O-OC OH O OH OH OH — OCO< ^>OH CH-O-OC OH - CH OH OH OH — 0-C0OH CH-O-OC OH OH OH OH — o-cooh CH2-0— OC OH d) Fischer E. und Freudemberg K. — Uber das tanniti und die Synthese àhnlicher Stoffe. Ber 1912, XLV, 915. — 259 — da cui risulterebbe essere un penta-m-digalloil-glucosio, formato da una miscela di due stereoisomeri, corrispondenti agli isomeri a e p glucosio. Per l'acido mirtitannico, che, come ho indicato precedente- mente, ha una formula bruta ed un peso molecolare simile al¬ l'acido gallotannico, si può quindi ammettere la possibilità di una struttura molecolare analoga a quella indicata. Si noti che sulla vera grandezza molecolare dei tannini re¬ gna tuttora grande incertezza, poiché pare vi siano tannini a peso molecolare molto diverso l'uno dall'altro, più o meno poli- merizzati, a seconda del materiale da cui vengono ricavati. Per quanto riguarda i prodotti che si ottengono nella scis¬ sione dell'acido mirtitannico essi sono, a seconda dei vari agenti di decomposizione : , , , t pirocatechina scissione per azione del calore ì pirogallolo (?) t acido gallico scissione per azione di microrganismi ( [anidride carbonica] . acido gallico scissione per azione degli acidi diluiti acido ellagico flobafeni Questi prodotti giustificherebbero , secondo la formula di struttura riportata, la presenza, nella molecola del tannino del mirto, di un gruppo “ galloile „ che dà origine alla formazione di acido gallico e di un gruppo “ protocatechile „ che dà origine alla formazione di pirocatechina. Dall'acido gallico si avrebbe formazione, per azione del ca¬ lore, di pirogallolo e, per azione degli acidi diluiti, di acido el- lagico, attraverso il passaggio ad acido digallico ed acido luteico. Dall'acido protocatechico si avrebbe formazione, per azione del calore, di pirocatechina e, per azione degli acidi diluiti , di flobafeni, considerati come anidridi degli acidi tannici. Questo comportamento dell'acido mirtitannico può riassu¬ mersi nello schema seguente : - 260 — Prodotti di scissione dell* acido mirtitannico. co. HO HO<_ > pirocatechina 4) HO HoCOOH condensazione disidratazione Ci5H„Ou ^ acido mirtitannico acido protocatechico v flobafeni L) HO > ho<; > — eoa HO > HO<_ > HO acido gallico *) HO pirogallolo *) HO OH OH co-o\ HO< _ > CO-O > HO COOH acido digallico > HO< _ > HO OH -< _ >OH COOH CO-OX OH ^ HO<^ _ >> - < _ j>OH ^ HO XO— CO/ acido ellagico £) acido luteico -h2o Conclusione. In base ai prodotti di scissione sopra considerati , V acido mirtitannico può considerarsi un tannino misto pirocatechico- gallico ed ascriversi al gruppo dei "tannini idroliz¬ za b i 1 i „ * 2), gruppo costituito dagli eteri degli acidi fenolcar- ■) I prodotti contrassegnati sono quelli da me effettivamente isolati. 2) Secondo la classificazione di Freudemberg , i tannini si dividono in due gruppi principali : I) tannini idrolizzabili, in cui i nuclei benzenici sono uniti, per mezzo di atomi di ossigeno, a dei complessi più voluminosi ; II) tannini condensati, in cui i nuclei benzenici sono le¬ gati fra di loro per mezzo di atomi di carbonio. Per la bibliografia riguardante i tannini e la loro classificazione rimando a qualsiasi trattato di Chimica riguardante l'industria del Cuoio, — 261 — bonici combinati con fenoli, con carboidrati o con alcoli polivalenti ed anche dagli eteri degli acidi fenolcarbonici fra di loro o con altri ossiacidi, oltre ai glucosidi formati dalla combinazione di semiacetali di zuccheri (glucosio, ramnosio, ecc.) con alcoli, fenoli e loro derivati. Infatti l'acido mirtitannico può considerarsi come un glucoside formato dalla combinazione di un semiacetale del glucosio con gli acidi fenolcarbonici (acido gallico ed acido protocatechico). Ad ogni modo l'ultima parola sulla costituzione molecolare dell'acido mirtitannico non è ancora detta ed è opportuno che questo studio venga continuato ed ampliato. Riassunto In alcune precedenti memorie l’ autore di questa nota ha dato relazione delle sue ricerche che gli hanno permesso : a) di caratterizzare l’estratto tannico delle foglie del Myvtus communis L. var. Italica , e dare l'analisi completa delle foglie ; b) di estrarre dalle foglie del Mirto un tannino per il quale ha proposto il nome di « acido mirtitannico » ; c) di estrarre, sempre dal medesimo materiale , una sostanza colorante per la quale ha proposto il nome di « mirtina ». Nella presente nota viene data relazione del metodo usato e dei risultati ottenuti nella determinazione del peso molecolare dell’acido mirtitannico e nella determinazione della costituzione chimica di questo composto. Finito di stampare il 18 novembre 1933. Ricerche sperimentali sul metodo della pre¬ dizione di sesso in gravidanza e sui reperti istologici dei testicoli dei conigli trattati del socio Livinio Gioffredi (Tornata del 7 agosto 1933) Due assistenti della Scuola di Ostetricia e Ginecologia del- TUniversità di S. Francisco di California, e, precisamente i Dot¬ tori Iohn H. Dorn ed Edward Sugamman, mentre lavoravano su conigli maschi, per cercare di ottenere in essi la reazione di Ascheim - Zondek per la diagnosi di gravidanza, ebbero a rile¬ vare che, inoculando urina di donna incinta negli ultimi due mesi di gravidanza in conigli di tre o quattro mesi di età, in alcuni casi si avevano alterazioni macroscopiche nei testicoli dei conigli in esame, ed in altri no. Sacrificando i conigli, che presentavano le alterazioni macro scopiche suddette, dopo 48 ore dall' iniezione di urina, che ino¬ culavano nelle vene auricolari, notarono in questi casi una iper¬ trofia dei testicoli con superficie congesta e ricca di vasi dilatati. Studiando istologicamente i pezzi suddetti, rilevarono una neoformazione vasale ed una grande proliferazione cellulare, ma ciò che doveva considerarsi più importante era un' incipiente spermatogenesi. Questa differenza di comportamento nei vari animali , trattati tutti allo stesso modo , fece ritenere ai detti Autori che qualche fattore dovesse produrre questa disparità di effetto nei conigli in esperimento. Perciò attribuirono alla presenza di qualche ormone sconosciuto nell'urina di una parte delle donne gravide, lo sviluppo precoce sessuale dei conigli sessual¬ mente immaturi. — 264 — Questa ipotesi fu avvalorata dal fatto che le donatrici di urine, che avevano prodotto le accennate alterazioni nei testicoli dei conigli in esame, partorirono figli di sesso femminile, mentre le donne, le cui urine non avevano prodotto alterazione di sorta, partorirono figli maschi. Allora i due ricercatori emisero l'ipotesi che le urine di donne gravide di temine dovessero contenere qualche ormone, che sti¬ molasse lo sviluppo precoce del testicolo e specialmente la sper- matogenesi. Partendo da questa premessa, i due medici di San Francisco intensificarono le loro ricerche nella speranza di poter emettere qualche giudizio sicuro e definitivo sulla diagnosi di sesso in gravidanza. I due AA. cominciarono con lo stabilire che i co¬ nigli dovessero essere fra il terzo e quarto mese di vita, in un’ epoca di sviluppo in cui i conigli non erano nè troppo giovani, ne già sessualmente completi. Come segno di certezza, circa l'età degli animali da esperimento, si servivano di conigli, in cui i testicoli avevano già abbandonato la cavità addominale, ma non avevano ancora raggiunto la cavità scrotale, e precisa- mente nel periodo, in cui i testicoli si trovano lungo il canale inguinale. Inoltre i detti ricercatori si servivano di conigli della razza belga , di una razza dallo sviluppo corporeo abbastanza no¬ tevole. In una prima serie di esperimenti riuscirono a stabilire con precisione la diagnosi di sesso in 57 casi dei 61 trattati, attribuendo i pochissimi errori al fatto di aver usato, in detti casi conigli troppo adulti. Intrapresero subito una seconda serie di esperienze cercando di ottenere una maggiore esattezza nelle ricerche ; all'uopo prelevarono un testicolo ad ogni coniglio prima dell'iniezione endovenosa di urina, per poter stabilire un esame comparativo fra questi ed i testicoli, prelevati dopo della inoculazione. In questa serie di 24 conigli, gli Autori, anche ammettendo che le modificazioni non fossero così evidenti, come nella prima serie degli esperimenti , riuscirono a pronosticare con esattezza il sesso in 23 dei 24 casi trattati. L'unico errore in cui incorsero non fu in alcun modo giustificato. Mi sono preposto di ripetere questi importanti esperimenti non solo per poter realizzare queste geniali ricerche ; ma spe- — 265 — cialmente per poter seguire istologicamente tutte le evoluzioni e le modifiche di sviluppo dei testicoli trattati. Ho cercato di met¬ termi nelle migliori condizioni sperimentali, e perciò ho usato conigli che, a dire dall'allevatore erano certamente di 90 giorni ; come elemento probativo ho tenuto presente il fatto a cui i due Americani attribuiscono grande importanza e che cioè i testicoli fossero sicuramente nel canale inguinale. Inoltre, per non incorrere in eventuali errori ho proceduto negli esperimenti, eseguendo sempre la emicastrazione prima delle iniezioni endo¬ venose di urina. Ho adoperato per le mie ricerche i conigli, che abitualmente si usano nei nostri laboratori, non riuscendomi in alcun modo di acquistare conigli della razza belga. Il giorno dopo del primo atto operativo, procedevo alla inoculazione di urina nei conigli per via endovenosa e, dopo 48 ore precise, toglievo agli animali in esame il secondo testicolo. Il primo fenomeno che ha colpito la mia attenzione, nella serie di dodici animali messi in esperimento, è stata la mancanza co¬ stante di quelle alterazioni macroscopiche messe in evidenza dai due ricercatori americani. Non mi è stato possibile infatti, , in nessuno dei casi, osservare fenomeni di ipertrofia dell'organo in esame o una più intensa vascolarizzazione parietale. Credevo di avere miglior fortuna, osservando istologicamente i testicoli prelevati, specialmente dallo esame comparativo ese¬ guito fra i testicoli sottoposti all'azione del probabile ormone ed i testicoli primitivamente prelevati per controllo ; ma anche da questo accurato esame non sono riuscito a dedurre conclu¬ sioni probative. Dagli esami istologici, infatti, dei testicoli fissati in liquido di Zenker, disidratati con la serie degli alcooli , chiarificati in olio di cedro, e colorati con le colorazioni di contrasto , dopo la inclusione in paraffina ; ho potuto notare che le sezioni mi¬ croscopiche dei testicoli trattati, rispetto a quelle dei controlli, presentavano pochissime alterazioni, che non mi sembrano suffi¬ cienti a poter stabilire un decisivo giudizio diagnostico. Tenendo presente la istologia del testicolo normale, si può senz'altro affermare che i principali elementi, su cui si deve por¬ tare l’attenzione, sono i tuboli seminiferi e la sostanza intersti¬ ziale. Nei tuboli seminiferi bisogna rilevare l'epitelio di rivesti- - 22 - - 266 mento o cellule parietali, e, frammiste a queste tre tipi cellulari : le cellule di Henle, quelle di Kolliker e quelle di Sertoli. Questi tre tipi cellulari rappresentano la successiva evoluzione germi¬ nativa nel tubolo seminifero, evoluzione che si concluderà con la formazione degli spermatozoi. Nei miei esperimenti, mentre nei testicoli-controllo si nota quasi sempre uno stato di riposo dei tuboli seminiferi , nei te¬ sticoli invece, esaminati dopo di aver sottoposto i conigli alle iniezioni endovenose di urina di donne gravide, si nota, nei casi in cui si sarebbe dovuta attivare la spermatogenesi, qualche fat¬ tore differenziale. Si osserva infatti un certo rigoglio delle cel¬ lule di Kolliker anziché di quelle di Henle ; ed in tutti e due questi tipi cellulari sono abbastanza numerose le figure carioci netiche. Non mi è riuscito in nessun caso di osservare però una successiva trasformazione di queste cellule in spermatoblasti e tanto meno in spermatozoidi. Ad ogni modo per maggiore sicu¬ rezza ho voluto paragonare questi preparati ad altri di organi prelevati da animali in attività secretoria ed ho potuto convin¬ cermi dell'assoluta assenza nei primi degli spermatozoi. Una più notevole attività invece l'ho potuto constatare nel tessuto connettivo interstiziale fra i vari tuboli seminiferi. Le cellule interstiziali, infatti, sono in evidente attività riproduttiva, e si nota altresì un certo rigoglio del tessuto connettivo stromatico con qualche lieve neoproduzione vasale. Nei testicoli-controllo invece, ed in quelli sottoposti ad iniezione di urine di donna, che poi hanno dato alla luce figli maschi, i fenomeni di esaltazione cellulare dei tuboli seminiferi si presentano meno intensi, sebbene non assenti del tutto. Anche in questi casi, infatti, mi è occorso qualche volta di osservare la presenza di poche cellule di Kolliker e di rare cellule di Henle. Anche in questi casi infatti ho potuto qualche volta constatare una lieve proliferazione del tessuto cellulare ed anche la pre¬ senza di qualche neoproduzione vasale ; ad ogni modo in questi casi i fenomeni in esame si presentavano meno cospicui. È da tenere nella giusta considerazione che i conigli erano tutti della stessa figliata, e che quindi non son potuto incorrere in eventuali errori dipendenti dalla differenza di sviluppo. I reperti istologici insomma dei preparati da me allestiti — 267 - non mi autorizzano ad accettare incondizionatamente le ricerche degli osservatori americani, ma mi spingono tuttavia ad essere guardingo a negarle del tutto. Effettivamente alcuni reperti isto¬ logici tenderebbero ad orientarmi per una incipiente attività sper- matogenetica, mentre altri, e precisamente quelli che avrebbero dovuto dare risultato negativo, dimostrano invece che anche in questi casi c'è un certo risveglio, sebbene più lieve, dell'attività testicolare. Quello però che ho potuto constatare di sicuro è stata l'assenza costante delle cellule di Sertoli e degli spermato¬ zoo che rappresentano la fase ultima della spermatogenesi. Avevo in animo di continuare le mie ricerche, sottoponendo altre serie di animali al trattamento suddetto, ma avendo ottenuto dei ri¬ sultati così vaghi ed incerti, ho creduto di soprassedere, perchè non mi sentivo in dritto, in base ai risultati ottenuti, di avva¬ lorare l'ipotesi dei due studiosi americani. Avendo seguito infatti le 12 donne, donatrici delle urine ne¬ cessarie agli esperimenti, ho potuto constatare che 8 di esse hanno dato alla luce figlie femmine e 4 figli maschi. Stando aile affermazioni dei due medici di San Francisco, avrei dovuto trovare quindi in 8 conigli una spiccata attività sessuale ed in 4 una inerzia di sviluppo dei tuboli seminiferi e della sostanza interstiziale, proporzionali all'età dei conigli stessi. Ma, da quanto ho innanzi esposto, traspare chiaro che non ho ottenuto risultati, tali da poter confermare le asserzioni dei miei predecessori in tali ricerche. A che cosa attribuire allora questa notevole diffe¬ renza di risultati? Il primo fattore che mi sembra degno di essere preso in considerazione è la razza dei conigli da esperimento. I due AA. americani si son serviti di animali della razza belga , dallo svi¬ luppo corporeo molto notevole ; a me, invece, non è riuscito di entrare in possesso di tale ceppo di conigli, e quindi mi son dovuto accontentare di eseguire le ricerche sugli animali, che abitualmente si trovano nei nostri laboratori. Potrebbe am¬ mettersi che gli animali adoperati dagli Americani siano più precoci nello sviluppo sessuale rispetto ai nostri , e che quindi fosse sufficiente per i primi uno stimolo alla maturazione testi¬ colare meno intenso, che per i nostri conigli. Altro fattore da tenere nel giusto conto è il sistema di ali- — 268 — mentazione. Benché i due Autori non facciano cenno al modo di alimentare i loro soggetti da esperimento, credo tuttavia che poca disparità possa esistere tra i loro sistemi ed i nostri. Terzo ed ultimo coefficiente da essere preso in esame è la notevole differenza di clima. È ovvio infatti, accennare a quali grandi differenze di svi¬ luppo e di recettività possa dar luogo la differenza di clima, sia pure non moito notevole. Oltre alle cennate cause non saprei supporre altre ragioni capaci di chiarire la divergenza dei risultati da me ottenuti ri¬ spetto a quelli dei due ricercatori americani. Allo stato penso che ulteriori esperimenti potranno ancora arrecare maggiore dimostrazione per comprovare o meno i risul¬ tati ottenuti finora intorno a tale argomento interessante sia dal punto di vista scientifico, che da quello pratico. Conclusione. Mi son proposto di ripetere le geniali ricerche di due stu¬ diosi americani che sono riusciti, mercè le iniezioni endovenose nei conigli di 10 cm3 di urina di donne gravide , a predire il sesso dei futuri neonati. La prova diagnostica era data dal fatto che le urine di donne, che poi partorivano figli di sesso femmi¬ nile, acceleravano la maturazione sessuale dei testicoli dei conigli sessualmente immaturi, mentre le urine di donne, che davano alla luce figli maschi, non producevano alcuna modificazione nei testicoli in esame. Ho cercato di mettermi nelle identiche condizioni sperimen¬ tali, ma i risultati da me ottenuti sono molto incerti, poiché non sono riuscito in nessun caso ad osservare una marcata attività sessuale sugli animali da esperimento. Non vorrei negare Y at¬ tendibilità delle ricerche degli americani ; credo pertanto che la divergenza di risultati debba attribuirsi alla diversità di razza dei conigli da esperimento, alla differenza di clima e di sistema di alimentazione. 269 — Riassunto. L’Autore riferisce di aver ripetuto le ricerche di due Assistenti dell’Università di San Francisco di California sulla «Predizione di sesso in gravidanza» e di aver ottenuto risultati poco sicuri e non tali certamente da poter accettare con sicurezza le con¬ clusioni degli Americani. Attribuisce la disparità dei risultati probabilmente alla differenza di ceppi dei conigli adoperati, alla differenza di clima e di sistema di alimentazione. ' , Il bradisisma flegreo con particolare riguardo all’influenza che esercita sui manufatti che attraversano la collina di Posillipo del socio Ester Majo (Tornata del 9 giugno 1933) I. — Configurazione flegrea. Mi sembra utile premettere un brevissimo cenno illustrativo della regione flegrea e delle sue speciali configurazioni vulcaniche. La tipica regione flegrea (Faggettivo vuol dire: ardente, bruciante) è rappresentata da un insieme di vulcani non ancora compieta- mente spenti. Il complesso dei monti e dei colli che la compon¬ gono si appoggia sopra una grande piattaforma sottomarina e continentale che ha la stessa costituzione geologica del vicino Appennino e che da una massima profondità di circa 500 metri sotto il livello del mare, nei pressi dell'Isola d’Ischia, gradatamente si eleva fino all’anfiteatro Campano. In fondo, sopra antichi de¬ positi di tufi trachitici grigi vengono le grandi e caratteristiche masse di tufo giallo compatto che costituiscono le colline dei Camaldoli ; quelle di Capodimonte e di Napoli e che formano quasi P impalcatura dei Campi Flegrei e i Crateri di Soccavo, Pianura, Fuorigrotta, Piano di Quarto, Nisida, il grande Gauro, Baia, Bacoli, Miseno , e parte dei monti di Cuma e di Procida e su cui si stende un sottile strato di tufo grigio e pozzolana sciolta eruttate dai vulcani più giovani come Astroni, Agnano, Solfatara, S. Teresa, Cigliano, Averno, ecc. fino al Monte Nuovo. La regione, incomparabilmente bella per la varietà del paesaggio, è caratterizzata dalla molteplicità e dalla mobilità dei centri erut- — 272 — tivi con larga successione nel tempo ; vi sono coni più o meno regolari e ben conservati di vulcani e cerehie di crateri più o meno dimezzati e slabbrati. I vulcani più antichi, demoliti dalle azioni erosive degli agenti esterni, secondo quanto ha dimostrato il De Lorenzo, sono stati sventrati dai vulcani più recenti. Inoltre è noto che le manifestazioni eruttive inferiori (eruzioni di tufo giallo) furono di origine sottomarina e avvennero verso il finire del Pliocene e il principio del Pleistocene mentre si sollevava la catena appenninica. Alle eruzioni del tufo giallo seguì un sollevamento e una denudazione ; dopo di che ebbe origine, all'aria aperta, una serie di eruzioni di ceneri, lapilli, pomici, tufi grigi, lava tranchiandesitica. Le eruzioni di questa seconda serie subaerea si svolsero in un'area più limitata e più interna e furono molto intense. A volte, però, le esplosioni si limitarono a squarciare l'anteriore compagine formata dal tufo giallo, pro¬ ducendo crateri di esplosioni ai cui margini si accumulò pochis¬ simo materiale. In particolare la collina di Posillipo rappresenta gli avanzi laterali di due vulcani contigui di cui i crateri si aprivano sul piano di Bagnoli e di Fuorigrotta e di cui i fianchi occidentali furono distrutti da posteriori eruzioni, probabilmente di Agnano; mentre le falde orientali sono quelle che attualmente formano la collina. II. — Livellazioni geometriche di precisione eseguite nei Campi Flegrei. Tra gli interessanti e suggestivi argomenti di cui si occupa la Fisica Terrestre uno mi è stato particolarmente caro: lo studio del bradisisma flegreo di cui il Serapeo dà una testimonianza di alterne vicende e di cui si vedono indubbie tracce sul litorale da Nisida a Miseno. In relazione a diversi voti, espressi nei Congressi Geografici e della Società Italiana pel Progresso delle Scienze, deH'Accademia delle Scienze di Napoli e della Società dei Naturalisti pure in Napoli, furono eseguite dall'Istituto Geografico Militare diverse livellazioni geometriche di precisione per località dei Campi Flegrei - 173 negli anni 1905-1907-1919. Un'altra ne venne poi eseguita nell'anno 1922, sempre a cura dell'Istituto Geografico Militare, e promossa dall'Istituto di Fisica Terrestre della R. Università di Napoli. Nel 1905 fu eseguito il collegamento del Tempio di Serapide alla rete fondamentale del Regno e la livellazione da Napoli (Riviera di Chiaia) proseguiva per Bagnoli, Pozzuoli e relativo Serapeo. Nel 1907 si protrasse la livellazione da Pozzuoli (Arm¬ strong) per Baia, Bacoli, Miserie fino a capo Miseno. La livellazione eseguita nel 1919 riguardava la zona Sud flegrea : dalla Riviera di Chiaia, per Piedigrotta, Fuorigrotta, Bagnoli, Pozzuoli, Lucrino, Baia, Bacoli, Miseno, intorno al Mare Morto, oggi lago Miseno, per Cappella, Torregaveta, ad est del lago Fusaro raggiungeva Villa Germanese presso Cuma, poi compiva un giro ad est del lago craterico di Averno e attorno al Monte Nuovo dove venivano collocati due capisaldi sismici. La livellazione eseguita nel 1922 comprendeva le strade principali della parte Nord della regione flegrea. L’attacco del lavoro del 1922 partì dalla Chiesa Parrocchiale di Melito che fa parte della rete fondamentale di livellazione del Regno e propria¬ mente fa parte della linea n. 63 Cajanello-Napoli e si scelse tale punto di partenza, perchè situato fuori dei Campi Flegrei. Venne così a formarsi una vasta rete di strade livellate con quattro grandi poligoni chiusi e con nu¬ merose deviazioni verso i punti più importanti, in fondo ai cra¬ teri e sulle sommità dei colli. Il primo grande poligono era formato dalla linea 64 bis (linea attorno alla Città di Napoli), da una porzione della linea 63, e, da Melito, per Marano, Pianura, Tavernola arrivava alla Chiesa Parrocchiale di Fuorigrotta (già battuta negli anni 1905- 1919). Il secondo poligono : Fuorigrotta, Tavernola, Agnano, Bagnoli (già battuta negli anni 1905 e 1919). Il terzo poligono : Bagnoli, Agnano, Tavernola, Montagna Spaccata, Pozzuoli (battute 1905-1907-1919). Il quarto poligono : Pozzuoli, Montagna Spaccata, Licola, Cuma (Villa Germanese) (battuta 1919). - 23 - — 274 — Vennero inoltre allacciate alla rete principale le località : Eremo dei Camaldoli, il cratere del Capiglione, il cratere degli Astroni, la Solfatara e l'alveo di Agnano. Venne rifatta la livellazione che da Miseno va al capo Miseno e vennero eseguite le livellazioni tra il porto e il faro di Nisida e tra Bagnoli e Coroglio. Inoltre vennero situati otto capisaldi sismici a : Marano, Camaldoli, Agnano, Astroni, Solfatara, Campiglione, Montagna Spaccata e Licola. Tale disposizione dei capisaldi fu studiata in modo che, in qualunque tempo si facessero ricerche, permanesse la possibilità di eseguire profili in qualsiasi direzione. Recentemente, sempre a proposito delle vicende del Serapeo, che ha attirato in tutti i tempi l'attenzione degli scienziati ita¬ liani e stranieri, ebbi occasione di compiere uno studio, elabo¬ rando il materiale di osservazione e i dati relativi alle anzidette livellazioni di precisione, eseguite dall'Istituto Geografico Militare (Divisione Geodetica). Una livellazione attuale al Serapeo si rese necessaria e potei 10 stessa eseguirla coi mezzi del mio Istituto. Dai Capisaldi della regione flegrea, tutti importanti e facil¬ mente rintracciabili, battuti più di una volta, ho desunte le re¬ lative altitudini ortometriche e ne ho calcolato la variazione av¬ venuta (differenza di quota, corrispondente ad una diminuzione di quota relativamente al livello medio del mare - bradisisma negativo) pei diversi periodi determinati dalle varie livellazioni. 11 valore del rapporto di tale variazione, rispetto alla durata di anni, del periodo stesso, mi ha dato, per ogni singola località, l'abbassamento medio annuale in millimetri. Nel seguente specchietto, con l indicazione della località ove è situato il caposaldo, riporto i dati medi dell' abbas¬ samento annuale in millimetri e i relativi periodi. vnaqv 275 — in co 0 03 co ON v-H Os co O' 0 03 r-l 2 0 in 0 0 C« 1— ' cc 0 i i i i i rj i i mimi N CS (N MIMMI I I M | | 1 1 O ON C> 1 1 1 I 3 -3 Ti « u a o T3 - - - - &J0 QJ O "c5 0 0 a .2 .5 QQ ^ ^ • OOO 0 O 0 O O • • o o O Circolo inciso del diametro di circa 2 millimetri. I segni che si riferiscono ai capisaldi sono: q Disco di bronzo impiombato del diametro di circa 2 millimetri. | Piastrina di metallo murata nelle pareti degli edifizi. Per Vimportanza a cui mira il presente lavoro riporto i dati fondamentali fino a Bagnoli. — 276 — Tabella II. — QUOTE DI CAPISALDI comuni alle livellazioni del 1905, 1907, 1919 e 1922, eseguite nei Campi Flegrei. Altitudine ortometrica MONOGRAFIE 1905 1907 1919 1922 £ Torretta di Ghiaia — Sulla soglia della porta, a destra di chi entra nella casa Amodio, in fondo alla via omonima .... 2,6222 2,6222 O Nuova Grotta. — Piedigrotta sopra un paracarro all’ imbocco verso I Napoli a sinistra del binario 18,9527 — 18,9522 O Chiesa di Fuorigrotta. — Sull’ estre¬ mità a sinistra di chi entra del sesto gradino davanti alla porta della Sagrestia della Chiesa par¬ rocchiale . 34,8010 34,7880 34,7389 O Bagnoli - Stazione Ferroviaria. — Sul l’estremo a destra del primo gradino della scaletta al sotto passaggio, presso lo spigolo del fabbricato . 8,7216 8,6538 8,6336 | in una bozza del fabbricato della stazione allo spigolo adiacente a detta scaletta .... 10,5470 _ 10,4805 10,4604 O Stabilimento del balneolo. — Sul ba samento della colonna a destra dell’ ingresso .... 3,8051 3,7104 — 277 — a) — Primo periodo (1905-1919). Dalla Tab. II risulta che rimbocco verso Napoli della Nuova Grotta (Piedigrotta) ebbe uno spostamento di solo mezzo millimetro in 14 anni (1905- 1919); Fuorigrotta (Chiesa Parrocchiale) ne ebbe tredici millimetri e Bagnoli (Sta¬ zione ferroviaria) ne ebbe settantasette millimetri e 8/10 sempre per lo stesso periodo di 14 anni. y - Secondo periodo (1919-1922). Dalla Tab. II risulta che Fuorigrotta (Chiesa Parrocchiale) ebbe un abbassamento di ben quarantanove millimetri e 1/10 in tre anni (1919-1922) e Bagnoli (Stazione ferroviaria) ne ebbe uno di venti millimetri e 2/10 per lo stesso periodo di tre anni. c) — Confronto dei valori dell'abbassamento medio annuo. Più agevole riesce il confronto in base ai dati della Tab. I. Dalla inedia generale del periodo 1905-1922 si rileverebbero i seguenti abbassamenti medi : millimetri 0,9 per Fuorigrotta „ 4,8 „ Bagnoli „ 13,4 „ Pozzuoli „ 12,6 „ Pozzuoli (Serapeo) e per il periodo 1907-1919: millimetri 6,2 per Baia „ 5,6 „ Bacoli „ 5,5 „ Miseno e per il periodo 1907-1922 : millimetri 2,9 per il faro di Miseno. Dal confronto dei diversi valori di Pozzuoli, si nota un salto di valori con diminuizione di circa un millimetro per il Serapeo, rispetto ai valori di Via Napoli e S. Maria delle Grazie antistanti pochi metri. — 278 — Un'altra sorpresa ci riserva V esame del valori dello abbas¬ samento medio annuo relativamente al periodo 1919-1922 e cioè: millimetri 16,4 per Fuorigrotta „ 6,7 „ Bagnoli „ 17,4 „ Pozzuoli „ 24,8 „ Cuma (Villa Germanese). I valori del secondo periodo (1919-1922) danno un maggiore abbassamento annuo rispetto a quelli del primo periodo (1905- 1919) e cioè si passa per Fuorigrotta da millimetri 0,9 a millimetri 16,4 Bagnoli „ 4,8 „ 6,7 Pozzuoli „ 13,4 „ 17,4. I dati concordano nel mostrare maggiore abbassamento nel secondo periodo, anzi per F u o r i g r o 1 1 a c i mostrano un salto enorme. III. — Risultati conclusivi relativi al bradisisma. Ho voluto soffermarmi su uno sguardo d’ insieme generale dei Campi Flegrei , perchè la sintesi poi ne emerga chiara e sicura. I mezzi di cui possiamo disporre : livellazioni di precisione eseguite dall' Istituto Geografico Militare, racchiudono essenzial¬ mente lo scopo stesso per le quali vennero promosse dall'Istituto di Fisica Terrestre ; rendere cioè conto dell'entità del movimento con un ordine di grandezza proprio delle mi¬ sure di precisione (decimo di millimetro). I risultati ai quali si perviene sono indi¬ scutibilmente utili e preziosi in quanto ci dicono cioè che essenzialmente è: ciò che essenzialmente è stato. In un altro mio lavoro mi era riuscito concludere che i maggiori valori dell' abbassamento nell'ultimo periodo (1919-1922) competono a Fuorigrotta e a Cuma (Villa Germanese) mentre competono valori minori alla regione costiera (Bagnoli, Miseno). Inoltre rilevavo che, sullo — 279 - allineamento Fuorigrotta-Cuma , vi sono quasi tutti i principali crateri flegrei. Dalle misure si poteva pure accertare che il bradisisma non veniva ad interessare sensibilmente la città di Napoli ( P i e d i g r o 1 1 a). IV. — In dipendenza del bradisisma i manufatti che attraversano la collina di Posillipo si lesionano. Mi resi subito conto dell' importanza tecnica alla quale si poteva pervenire con tali deduzioni. Esiste una netta correlazione tra il fenomeno bradisismico e le inevitabili sue conseguenze sui manufatti attraversanti la collina di Posillipo, manufatti che allacciano, nel più breve per¬ corso, una regione non perturbata (Piedigrotta -Napoli) ed una regione perturbata (Fuorigrotta). Nel 1923 scriveva il Guadagno : " Sono quindi ben sette manufatti attraversanti questo “ speciale tratto della collina di Posillipo che si lesionano cioè " quattro Gallerie : la Romana, la Grande dei Tram, la piccola " dei Tram e la Direttissima; due importanti collettori, il Cuma 11 e il Coroglio, ed un grosso fognone, quello di Posillipo A questo si può aggiungere che anche la Galleria Laziale (inaugurata nel 1925) ha presto seguito la stessa sorte. Le opportune considerazioni del Guadagno, relativamente al livello sul quale sono situati i vari manufatti in relazione al carico incombente per la roccia tufacea della soprastante collina, e, in relazione al variare della resistenza allo schiacciamento del tufo, nei vari punti della stessa collina, riuscirono ad accertare, con dati sperimentali, che la collina ha un ricoprimento di tufo ad alta resistenza ed un nucleo a resistenza debole. F>LANtMFTf?/A 3£LLA COLLINA J>ì F&ó/ILJPO 7&a FjFDJ&PoTtA e Fu o&s GROTTA > , > - . « _ _ — 281 — V. — I manufatti si lesionano nell’epoca attuale. Mi piace subito accennare che la piccola Galleria della Cu- mana che passa più a monte ; ha un percorso più lungo ed è ubicata sensibilmente nella parte Nord della regione flegrea, attraversando la città di Napoli, in traforo fino a Fuorigrotta; attraversando cioè i massi tufacei di Montesanto, del Corso, del Vomero vecchio (Via Manzoni). La Grotta di Seiano poi interessa V estremo lembo della collina di Posillipo, attraversa il tufo nel suo rivestimento ad alta resistenza ed è ubicata in pendenza tra il Capo propriamente detto e Coroglio nello stesso ammasso roccioso (promontorio). Le altre grotte interessano - come più volte dirò - l'imbasamento della collina , collina che ha ad oriente una zona della città di Napoli per la quale nulla è anormale, e, ad occidente, una zona (Fuorigrotta) evidentemente perturbata dal bradisisma. Il Guadagno scriveva a proposito della Galleria Romana: “ Secondo il modo mio di vedere in questi continui abbassamenti " del livello ed allargamenti post-Romani sta in buona parte la “ spiegazione del fatto surriferito, cioè di una Galleria che per 11 duemila o più anni non dà notevoli noie e poi si deteriora “con un crescendo preoccupante, in modo da di- “ ventare pericolosa al transito È utile qui tener presente che, il Serapeo, che ci dà precisa testimonianza del bradisisma, era integro fino al secondo e terzo secolo della nostra èra , poi andò gradualmente abbassandosi ; al principio del XVI secolo emergevano dalle acque le famose tre colonne di marmo cipollino (si calcola che tale abbassamento massimo di 12 metri sia avvenuto in dodici secoli). Non si sa con precisione quando cominciò il sollevamento: quello che è utile rilevare è che la nuova fase di abbassamento che tuttora è in corso, si è iniziata verso il 1822 Le varie vicende del Serapeo ci sono ben note per gli studi del Napoletano Niccolini, del De Lorenzo e Simotomai, del Mer- calli, del Suess, del Bàbbage, del Lyell, ecc. Dalle livellazioni di precisione si è pure potuto stabilire che nel periodo 1919—1922 il fenomeno bradisismico 282 — veniva ad aumentare in valore assoluto, e per di più; interessava notevolmente Fuorigrotta. Non si dispongono di dati di livellazioni successive al 1922 ma i dati rilevati da me stessa alSerapeo nel 1933 dimostrano una naturale continuazione del fenomeno sebbene con ritmo meno celere. VI. — Perchè i manufatti che attraversano la collina di Posillipo si lesionano. Esistenza di una permanente condizione di squilibrio statico. Innanzi tutto rilevo, come dianzi ho detto, che la collina di Posillipo rappresenta gli avanzi laterali di due vul¬ cani contigui di cui i crateri si aprivano nel piano di Bagnoli e di Fuorigrotta. Fermo restando tutte le utili conclusioni alle quali perven¬ nero il Guadagno e il Dainelli per la collina di Posillipo, una risultanza di grande portata, che interessa il geologo ma che è imprescindibile al tecnico ; dà la considerazione del fenomeno essenzialmente fisico. Le considerazioni bradisismiche ci fanno rilevare, che da Piedigrotta non perturbata si va a Fuorigrotta, regione notevolmente perturbata: viene cioè ad essere interes¬ sata la collina di Posillipo, il suo imbasamento e le varie Gallerie. Il versante verso Piedigrotta può considerarsi fisso : il versante verso Fuorigrotta è invece soggetto a sollecitazioni verso il basso, poiché il bradisisma, rilevato alla Chiesa Parrocchiale, interesserà la regione circostante e quindi in particolare l'imbasamento del versante di Posillipo che guarda i Campi Flegrei. 11 Dainelli perviene alla conclusione di coincidenza tra re¬ sistenze minime e imbibizione massima presso il centro del nucleo interno e così pure rileva la mancanza o l’estrema assot¬ tigliamento della zona esterna, a resistenza alta ; nelle più basse pendici di Mergellina in confronto di quella verso Fuorigrotta : tutto ciò in corrispondenza del locale andamento delle superficie di imbibizione. Inoltre da trivellazioni eseguite il Guadagno rileva : “ È notevole che mentre ad oriente della collina di Posillipo (Piazza — 283 — Sannazzaro) il tufo giallo è cominciato a quota -88,5 e si è ar¬ restato a quota -105,5, ad occidente della stessa collina, cioè a Piazza G. Leopardi (S. Vitale) esso è invece cominciato a quota -69 e si è protratto fino a quota -252 senza che la trivella in¬ contrasse la fine del banco , il quale , avrebbe al disotto del livello del mare uno spessore superiore a 183 metri ed una potenza totale di circa 400 metri se si considera la collina su¬ periore. Congiungendo la quota -105,5 e l’altra -252 risulta che da Piazza Sannazzaro , andando verso Fuorigrotta si inizia nel sottosuolo una fossa a notevole pendenza,,. Qualsiasi altra utile deduzione che finora si sia avanzata rientra in un più ristretto ambito, in uno di quegli ambiti in cui la Tecnica moderna e la sapiente mano dell’Uomo possono pensare di avere i mezzi atti ad eliminare gli inconvenienti, ma la entità, e più di tutto la modalità di distri¬ buzione del fenomeno, così come è stato possibile ri¬ levare, con mezzi precisi, ci lascia perplessi dinanzi alla immane forza della Natura, senza che però esista alcun mistero. Da un punto di vista di Fisica pura, se non di Tecnica, ci appare chiaro ciò che si è verificato ineluttabilmente in ben otto manufatti: ci appare chiaro in una semplice relazione di causa ad effetto : Causa: Il bradisisma. Effetto: Lesioni nei manufatti. Ora, una qualsiasi Galleria (che per altro a stento, con mi¬ racolo di Tecnica, per le condizioni speciali già studiate dal Guadagno, può mantenere la sua compagine) o, un qualsiasi altro condotto, verrà a trovarsi in condizioni specialissime. Il suolo non è fisso; poi non solo il suolo si abbassa (il che di¬ stribuito quasi uniformemente, non darebbe forse molestia alle Opere) ma cede da un lato solo. Da un lato, cioè, può considerarsi fisso (il lato di Piedigrotta), dal¬ l’altro lato (verso Fuorigrotta) cede per bradisisma negativo. Viene così ad essere perturbato l'equilibrio: forze elastiche e reazioni si manifestano nel materiate sollecitato, ma¬ teriale che tende a raggiungere una nuova posizione di equilibrio ; — 284 — ma la causa permane, l'equilibrio non si può raggiungere, si ge¬ nerano via via le rotture (lesioni, sfaldamenti, scarpinameli, ap panciamento dei pilastri, scalzatura dei piedritti, compromissione della stabilità del volto, ecc...) e tutta la stabilità ne esce com promessa. Per rendercene conto consideriamo le sezioni AB CD— a di una Galleria praticata in collina, per esempio verso Piedigrotta, sia A'B'C'D1 = b la sezione verso Fuorigrotta. La sezione a po¬ tremo supporla fissa, la sezione b sarà sollecitata a spostarsi verso il basso. Lungo la linea di contorno A1 B} C} (che è quella di taglio) i punti materiali saranno sollecitati ad allontanarsi fra di loro. Il movimento si verifica pure negli strati contigui, e così via fin dove esiste la perturbazione bradisismica e fin dove può propagarsi il movimento. Il fenomeno descritto sarebbe preva- — 285 - lenternente fenomeno di trazione elastica. La teoria dell'elasticità ci dice che dovremo avere scorrimenti e pres¬ sioni uniformi per cui risulterà un allungamento longi¬ tudinale (direzione Z?’D') ed un accorciamento trasversale (in direzione perpendicolare alla precedente). La sezione mediana tri è quella sulla quale agiranno azioni e reazioni: trazione da un lato (sezione b ), condizioni di riposo dal¬ l'altro (sezione a ) ; essa rappresenterà l'inevitabile sezione di rottura. Prima e dopo di essa le sezioni n ed n ' delimi¬ teranno la zona di maggiore risentimento. A queste considerazioni sono pervenuta direi casualmente con un processo di causa ad effetto e non col procedimento inverso come in generale avrebbe potuto avvenire. Riferendoci alla Galleria Laziale il raccorciamento laterale ci è dimostrato dal distacco del rivestimento e dallo sfaldamento per scarpine. Per la Galleria della Direttissima, che va in curva le modalità del fenomeno danno luogo a ulteriori complicazioni. Si potrebbe osservare che la parete eccentrica presenterà, rispetto all' altra, maggiore lunghezza, perciò le lesioni della prima saranno meno fitte di quelle che si riscontreranno nell'altra, avranno però, nei punti di massima curvatura, senso radiale (da una parete all'altra). Inoltre la contrazione in un senso e l'allungamento nell’altro investono e scalzano i piedritti. Continui lavori di riparazione si rendono necessari. Alcune Gallerie sono chiuse al transito. La Galleria Laziale ha in atto castelletti di legno per sostegno. In quella della Direttissima recentemente furono eseguiti lavori di rinforzo in mattoni. Identificato il fenomeno ho voluto rilevare gli effetti che si spiegano in una maniera indiscutibile e che sono "quel che sono,,. In possesso dei dati precisi, pei quali un'opera dovrebbe poter resistere al lento degradare da un lato £), alle azioni e alle q Con un minimo di abbassamento medio annuo di almeno 4 millimetri ; corrispondenti per ogni periodo decennale a quattro centimetri almeno. Biso¬ gnerebbe tener conto, nei calcoli di sicurezza di progetti di 16 millimetri annui corrispondenti a sedici centimetri per decennio, quindi introdurre una... va¬ riabile, funzione del tempo.... — 286 — reazioni elastiche concomitanti, ci dirà poi la Tecnica se è pos¬ sibile, se non costruire Gallerie, almeno riparare, o meglio direi nel caso specifico, "corazzare o reazionare,, quelle già esistenti e sulle quali incombe l'attuale sorte. Conclusioni. 1°) - Da misure di livellazioni di precisione eseguite dallo Istituto Geografico Militare negli anni 1905-1907-1919-1922, e promosse dallTstituto di Fisica Terrestre della R. Università di Napoli, risulta che il bradisisma, ben noto fenomeno testimoniato del Serapeo di Pozzuoli, è esteso a tutta la regione flegrea, che si estende da Napoli sino a Miseno ed a Cuma. Il bradisisma ha attaccato in un periodo recentissimo in modo degno di particolare nota, F u o - rigrotta mentre non si appalesa per Napoli (Piedigrotta). 2°) - Il movimento generale di discesa della plaga flegrea (bradisisma negativo) si è appalesato da poco più di un secolo (dal 1822), e ripeto, solo in epoca recentissima (periodo 1919- 1922) si è manifestato in modo spiccato anche a Fuorigrotta. 3°) -La collina di Posillipo è una riunione di due pareti crateriche, antichi vulcani del periodo del tufo giallo, sfiancate da successive esplosioni. Di essa ne hanno detto autorevolmente il Dainelli, il Guadagno, ecc. La collina di Posillipo, per quanto io ho rilevato, è al confine, o limite, tra una zona sensi¬ bilmente fissa (Napoli) e una zona in continuo movimento di di s ce sa (Fu o r i g r otta e tutti i Campi Flegrei). 4°) - I manufatti che attraversano l'anzidetta collina, cin¬ que Gallerie e cioè : la Romana, la Grande e la Piccola dei Tram, la Laziale, la Direttissima; due collettori cioè il Cuma e il Co- roglio, ed un grosso fognone, cioè quello di Posillipo, inte¬ ressano tutti la stessa zona. Manufatti antichi e moderni, dove la Tecnica ha posto in atto tutti i potenti mezzi di difesa per resistere al — 287 — carico , si trovano, per effetto del bradisisma, in una permanente condizione di squilibrio statico. 5°) -La continua sollecitazione genera forze elastiche ed azioni sempre più cospicue, che agi¬ scono sino alla rottura: le lesioni tendono sempre più inesorabilmente a prodursi e a pro¬ gredire per effetto della gigantesca ed immane forza della Terra. L'Uomo, dal potente cervello, l'Uomo, che ha tanti mezzi, deve solo rendersi conto, che la sua opera grandiosa, ma pur sempre umana, è fissa da un lato ; ma pog¬ gia dall'altro sulla terra che cede, cede . cede ineluttabilmente inesorabilmente: terra fertile e bella, ma perfidamente insidiosaper le Gallerie di comunicazione. E la sintesi non riguarda più l' Uomo, ma apre la lotta, se lottare si può, tra l’Uomo e le occulte forze della Terra. Riassunto Il presente lavoro ha per base lo studio del bradisisma f 1 e g r e o desunto dai dati di livellazione di precisione appositamente eseguite dall’Istituto Geografico Militare, negli anni 1905, 1907, 1919 e 1922, e più volte promosse dall’Istituto di Fisica Terrestre della R. Università di Napoli e auspicate in diversi Congressi e in Accademie. Viene studiata la varia distribuzione bradisismica in particolare per Napoli (Piedigrotta) e Fuorigrotta. Si rileva che il movimento é dell’ epoca attuale e che nel periodo 1919-22 ha avuto un notevole incremento con un salto enorme per Fuorigrotta. Si spiega l’esistenza di una permanente condizione di squilibrio statico, dovuto alla trazione elastica, per cui i manufatti che attraversano la collina di Posillipo si lesionano ineluttabilmente dopo brevissimo tempo. BIBLIOGRAFIA. 1919. Cantone M. — Fisica Sperimentale. Voi. I. (Elasticità, pag. 194-241), Napoli. 1905. Cesàro E. — Elasticità. Napoli. 1930. Dainelli G. — Guida della Escursione ai Campi Flegrei. Atti XI Congr. Geogr., Napoli. 1904. De Lorenzo G. — History of vulcanic action in thè Phe- graen fields. Quart. Journ. Geol., Voi. LX, Londra. 1904. — — L'attività vulcanica nei Campi Flegrei. Rend. R. Acc. Se. di Napoli, Voi. X. 1909. — — I Campi Flegrei. Bergamo. 1902. De Lorenzo G. e Riva C. — Il Cratere degli Astroni nei Campi Flegrei. Atti R Acc. Se. di Napoli, Voi. XI. 1923. Guadagno M. — Le perturbazioni statiche nei manufatti che attraversano la collina di Posillipo e la loro causa. Atti R. Istit. d’Incoragg. di Napoli, ser. VI. 1928. — — Il tufo giallo tr achilleo nel sottosuolo della Città di Napoli. Ibidem. 1933. Majo E. — I Campi Flegrei. (Sintesi geofisica). 1933. — — Il bradisismo flegreo. Annali R. Oss. Vesuviano, Napoli (in corso di stampa). Finito di stampare il 9 dicembre 1933 Radioattività di alcune sorgenti termali di Lacco Ameno (Isola cT Ischia) del socio Giovanni Platania (Tornata del 3 aprile 1933) Dimorando per alcune settimane, durante i mesi di vacanza, nell'Isola d'Ischia, ho potuto eseguire diverse ricerche geofisiche sulle numerose sorgenti termali e ipertermali ivi esistenti, sia su quelle che sono largamente utilizzate per cure idroterapiche, sia su altre o abbandonate o non mai sfruttate. Con questa comunicazione dò conto dei risultati da me ot¬ tenuti determinando la radioattività di alcune sorgenti di Lacco Ameno , fra le quali sono conosciute quelle con elevato potere radioattivo delle Terme Regina Isabella. Per queste misure ho adoperato l'elettrometro del Prof. H. W. Schmidt, tipo di viaggio (N. 245) della Casa Spindler e Hoyer di Gottinga, posto gentilmente a mia disposizione dal Direttore dell'Istituto di Fisica Terrestre in questa Università, il Chiar.mo Prof. G. B. Rizzo. Sono riportati nel seguente quadro i valori ottenuti: Sorgente Data della misura Corrente di ioniz¬ zazione per litro (Unità Mache) Contenuto di Radon p. litro (IO-9 curie) Pozzo Calise 25-IX-31 0,3 0,11 nella “ palude „ 27-IX-31 2,6 0,95 Pozzo - sorgente di S. Montano 18-X-31 3,8 1,38 Capitello 27-IX-31 6,4 2,33 - 24 - 290 — Sorgente Sorgente Romana (Terme Regina Isabella) Fonte Greca (Terme Regina Isabella) Data della misura Corrente di ioniz¬ zazione per litro (Unità Mache) Contenuto di Radon p. litro (10 * 9 curie) 30-IX-31 99 36 25-IX-31 164 60 28-IX-31 370 135 19-IX-32 399 145 È da notare anzitutto che ho adoperato Y apparecchio di Schmidt ricorrendo al metodo dell'agitazione nell’ apposito reci¬ piente metallico. L’acqua dev'essere pertanto raccolta con grande precauzione, per evitarne l'agitazione, prima della misura, e questa dev' esser fatta immediatamente dopo avere attinto il campione di acqua. Un'altra norma molto importante è quella di esaurire dapprima 1' acqua stagnante nel pozzo-sorgente e di raccogliere quella che sgorga subito dopo questa operazione. Sicché si ri¬ chiede una grande abilità sperimentale per ottenere valori con¬ cordanti da misure successive con acqua della medesima sor¬ gente, dopo aver riportato l'apparecchio in condizione normale, dissipando l'attività indotta nel vaso di dispersione. Così dei due valori del quadro per l'acqua del pozzo Calise, che si trova nel¬ l'orto (chiamato localmente " palude „) a S. della piazza S. Re- stituta, il primo si riferisce all’acqua stagnante, il secondo si ottenne dopo aver tirato su, con la noria, circa 3 m3 di acqua (temperatura 34°). Forse si troverebbero valori meno bassi se si ricorresse a un metodo più razionale per raccogliere l’ acqua senza agitarla. Dei tre valori per la Fonte Greca il primo si ot¬ tenne con acqua stagnante, gli altri due dopo 1' erogazione : il secondo con misure eseguite in una stanza a circa 70 m. dalla sorgente, il terzo in una stanza appartata dalle stesse Terme, dopo aver determinato, anche qui, la dispersione dell'aria *). Anche per la determinazione della temperatura e della portata di una sorgente bisogna superare talune difficoltà sperimentali e tener conto delle cause di errore, particolarmente se si tratta di x) Ringrazio il proprietario delle Terme Regina Isabella, il Sig. Rag. Ar¬ cangelo Mastrorillo, che mi ha permesso di eseguire diverse misure anche nel sotterraneo del suo Stabilimento. - 291 — un pozzo - sorgente. Il 5 settembre 1931 il Ch.mo ing. Placido Ruggiero volle cortesemente eseguire una misura della portata della fonte Greca, utilizzando i mezzi di cui si poteva disporre in quel giorno. Mentre si faceva agire, con regolarità per 65 minuti, la pompa a mano situata nel pianterreno delle Terme, e il Ruggiero determinava, ogni cinque minuti, il livello raggiunto dall’acqua nella vasca di raccolta, io misuravo, nello stesso istante, la temperatura e il livello dell’acqua entro il pozzo - sorgente. Questo livello che dapprima era di 80 cm. dal fondo del poz¬ zetto, si abbassò, in 25 minuti , di 20 cm. , e così rimase sen¬ sibilmente sino alla fine della misura. La portata , che col battente di 80 cm. era nulla, con un battente di 60 cm. si man¬ tenne di litri 0,25 al secondo nelle condizioni deH’esperimento. Per una più precisa determinazione della portata sarebbe stato necessario un mezzo di estrazione più efficace della pompa non adatta a tal fine. Ciò perchè da una parte non si è riusciti ad estrarre tanta acqua quanta ne arrivava, in modo da porre a secco il pozzetto, e dall’altra la pompatura non si è potuta protrarre per una durata sufficiente ad assicurarsi che la portata raggiunta potesse mantenersi senza determinare l’impoverimento della falda di alimentazione. In quel giorno la temperatura dell'acqua stagnante entro il pozzetto era di 55°, mentre quella dell’aria nel sotterraneo era intorno a 28°. Cominciato il funzionamento della pompa, la tem¬ peratura dell’acqua aumentò, raggiungendo un massimo di 62°, 2 in 50 minuti. Da misure precedenti in questa sorgente (12 settem¬ bre 1929) , avevo ottenuto la temperatura di 45° dopo lungo riposo e di 63° dopo avere estratto una certa quantità di acqua. A ponente di Lacco Ameno, in fondo a una piccola inse¬ natura con una bellissima spiaggia chiamata San Montano, tra il Monte Vico e la Punta Cornacchia, si trova, a destra di chi guarda il mare una vasca in muratura rozza, dove si raccoglie l'acqua di piccole vene sgorganti dalla trachite del M. Vico. Dell’acqua di questo pozzo - sorgente determinai, nell’agosto del 1930, la temperatura, 66°, e la portata a pozzo vuoto, litri 0,15 al secondo, e nell'ottobre del 1931, la radioattività, 3,8 U. M., dell'acqua di una piccola vena laterale, presso il fondo, dopo aver vuotato il pozzo. — 292 - Più facile è determinare la temperatura e la portata di una sorgente ad erogazione libera. Per esempio, per la sorgente Romana delle Tenne Regina Isabella ho trovato 62° nel set¬ tembre del 1929, allo sbocco entro il sotterraneo, 59° nel set¬ tembre del 1930. La portata di questa sorgente, nel settembre del 1931 fu trovata dallo stesso ing. Ruggiero di litri 0,33 al secondo. Al Capitello, in un piccolo filo d'acqua sgorgante dalla roc¬ cia tufacea, ottenni nel 1930 la temperatura di 84° durante l'alta marea, di 88° durante la bassa marea; nel 1931, 80° in a. m., 81° in b. m. È ben noto il fatto che in alcune sorgenti termali presso la spiaggia la temperatura è in relazione con le oscillazioni del mare prodotte dalla marea 1). Questa sorgente del Capitello, che dal Rittmann 2) è considerata come una fumarola, merita un particolare studio, perchè esistono, oltre ai filetti sgorganti dalla roccia, polle termali sottomarine nell' immediata vicinanza. La temperatura dei campioni delle acque durante le osser¬ vazioni con l' apparecchio di Schmidt erano inferiori a quelle indicate, per la perdita di calore nel tempo trascorso tra la rac¬ colta del campione e la misura. L' elettometro di Schmidt della Casa Spindler e Hoyer (N. 245) da me adoperato in queste misure è un ottimo ap¬ parecchio da viaggio, con isolamento perfetto, come ho potuto costatare nelle mie indagini, eseguendo misure di confronto con acqua a temperatura ambiente o riscaldata fino a 60°, come quella più elevata dalle acque su dette, nel tempo delle osser¬ vazioni. Dell'acqua della Fonte Greca inoltre eseguii delle misure su di un campione da me attinto (29-X-931) e portato a Napoli. Trovai che l'emanazione diminuisce col tempo : dopo 10 giorni 9 Cfr. gli studi del Prof. Grablovitz. — Sulle sorgenti di Porto d’ Ischia, e le mie Osservazioni intorno ad alcune sorgenti delVIsola di Vulcano (Eolie). Boll. Soc. Sismol. Ital., Modena, 1922. " Dalle misure da me eseguite , in diversi tempi, dalle sorgenti termali dell' isola d' Ischia e dei confronti con determinazioni di altri Autori, darò conto prossimamente. 2) Rittmann A. — Geologie der Insel Ischia. Ergànzungsband VI zur Zsitschrift tur Vulkanologie, Berlin, 1930, 293 — la radiottività era ridotta a 16,4 U. M; dopo 40 giorni non rimaneva quasi alcuna traccia di attività. 11 Dr. C. Engler dell' Istituto Chimico di Karlsruhe, deter¬ minando la radioattività di molte sorgenti italiane per confrontarle con quelle già da lui studiate in Germania, fu il primo, nel 1906, a richiamare l’attenzione sul grandissimo potere radioattivo di alcune acque di Lacco Ameno. Egli trovò, per la Fonte Greca 372,2 U. M. , per la sorgente Romana 44,9. Da allora diversi altri sperimentatori, Madame Curie, i professori Scarpa, Porlezza, eseguirono sulle acque medesime, delle misure, i cui risultati non furono mai pubblicati *). Più di recente il Prof. Francesco Signore ottenne per la Fonte Greca 390,4 U. M., per la sorgente Romana 161,8 1 2). È stato proposto (Nasini, Porlezza) di chiamare ororadio¬ attività il prodotto della portata oraria in litri per la radioattività. Coi valori dianzi indicati si ottiene : per la sorgente Greca 130 microcurie „ „ Romana 43 „ Mi propongo di continuare le indagini in questa zona sin¬ golare, nella quale si ritrovano sorgenti termali così fortemente radioattive. 1) Cfr. una comunicazione del Prof. Selim Augusti a questa Società, nel Boll. voi. XXXVIII, 1926. 2) X Vili Congresso Nazionale di Idrologia, Climatologia e Terapia fisica. Milano, 1927, Si dà conto delle ricerche di radioattività, di temperatura e di portata eseguite su di alcune sorgenti termali di Lacco Ameno (Isola d’ Ischia), fra le quali è nota, per la sua elevatissima radioattività, la Fonte Greca delle Tenne Regina Isabella. Si accenna al metodo di misura adottato e al modo di evitare cause di errore. Finito di stampare il 15 dicembre 1933. L’altezza delle onde del mare e la velocità del vento nel golfo di Napoli del socio Ester Majo (Tornata del 9 giugno 1933) Com'è noto le acque del mare possono muoversi sotto l'a- zione di forze interne, variazioni di densità, temperatura, pressione), e di forze esterne (correnti dell'aria sovrastante al mare, variazioni della pressione atmosferica), oppure sotto l'azione di forze accidentali (eruzioni vulcaniche, movimenti sismici). A queste forze, che si chiamano dirette, si aggiungono azioni secondarie come sono l’attrito e l'azione deviatrice della ro¬ tazione terrestre l). Le forze esterne producono nelle acque del mare oscillazioni ritmiche le quali sono denominate onde. In tale moto ondoso le particelle d'acqua, fino ad una certa profondità oscillano in piani verticali normalmente alla direzione nella quale si propaga il movimento alla superficie delle acque e sono visibili a cagione dei sollevamenti e degli abbassamenti periodici della superficie stessa. Queste onde trasversali si presentano in tre forme principali: onde capillari o lievi increspature della superficie in dipen¬ denza della tensione superficiale dell'acqua; onde progres¬ sive prodotte dal vento; onde stazionarie nei mari chiusi e nei laghi. Vi sono ancora le onde solitarie o di tra¬ slazione, le quali sono formate da sollevamenti isolati, che b Rizzo G. B. — Lezioni di Fisica Terrestre (1929-30). Fisica della sfera solida e della idrosfera. Napoli 1930. - 206 - sì spostano sulla superficie del mare , senza essere preceduti o seguiti da avvallamenti. Il moto ondoso propriamente detto è quello delle onde progressive che si manifesta colla maggiore frequenza alla su¬ perficie del mare per effetto del vento. La figura geometrica che rappresenta meglio il profilo di un'onda è la t-rocoide o la cicloide allungata. I caratteri delle onde marine nelle linee generali erano già noti a Leonardo da Vinci che aveva enunciato le seguenti pro¬ prietà : 1. - Il sollevamento della cresta sopra la superficie di equi¬ librio è uguale all'abbassamento della parte depressa. 2. - La lunghezza della parte elevata è minore della lunghezza della parte depressa. 3. - Il sollevamento dell’onda è generalmente dovuto all'a¬ zione del vento, l'abbassamento è dovuto alla gravità. 4. - Al moto progressivo della forma ondosa è connesso un movimento orbitale delle particelle d’acqua. * * B Lo studio del mare inteso come osservazione del suo stato di calma o delle onde che ne increspano la superficie è stato sistematicamente eseguito per il golfo di Napoli fin dal 1864, nella Specola Universitaria che divenne poi l’Istituto di Fisica Terrestre della R. Università di Napoli. La scala convenzionale adottata *) è la seguente : 0 — calmo perfetto 1 — quasi calmo 2 — leggermente mosso 3 — mosso 4 — agitato 5 — molto agitato 6 — tempestoso. *) Osservazioni meteorologiche fatte negli anni 1924 e 1925 ne W Istituto di Fisica Terrestre della R. Università di Napoli , pag. 4. Tip. dei Combat¬ tenti, Napoli 1926. — 297 — 11 segno ? indica che non si è potuto avere, per la nebbia, una indicazione esatta dello stato del mare. Per la mia ricerca mi sono avvalsa delle osservazioni delle 15, perchè quelle delle 9, che pure venivano giornalmente ese¬ guite, avevano diverse segnature: [?] nel senso anzidetto. Dai dati relativi al periodo 1922- 1927 (2191 osservazioni), isolai, per ciascun mese e anno il numero di volte corrispondente a ciascuno stato del mare e ne riporto i valori : Stato 0. G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. 1922 2 7 4 5 7 1 — 14 9 10 10 9 1923 11 1 2 3 3 2 4 8 — 7 7 9 1924 6 3 5 5 — 3 6 5 9 9 9 9 1925 10 2 6 2 4 — — — 5 — 6 — 1926 5 11 — 3 2 — — 1 1 1 6 1 1927 2 2 1 — 3 3 — — 1 1 3 5 Stato 1. G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. 1922 8 4 5 2 8 6 7 4 4 10 10 9 1923 8 7 15 8 21 16 17 18 19 20 4 7 1924 15 9 13 9 21 9 14 9 16 15 15 14 1925 17 12 13 12 18 7 13 6 6 11 8 11 1926 11 11 4 5 4 4 1 3 8 6 8 12 1927 6 6 6 2 4 5 7 1 10 13 9 14 Sta t 0 2. G. F. M. A. M. G. L. A. s. O. N. D. 1922 13 10 6 8 16 17 18 12 6 8 3 4 1923 5 10 11 9 7 9 9 4 8 1 5 8 1924 5 11 8 7 8 15 8 14 4 7 5 6 1925 3 7 5 5 6 18 14 15 5 9 5 9 1926 11 6 16 9 12 11 18 20 11 12 3 12 1927 9 11 13 15 7 15 11 19 10 9 5 5 - 25 - — 298 Stato 3. G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. 1922 6 5 6 10 — 6 6 1 10 2 6 3 1923 4 7 1 4 — 3 1 — 2 1 9 4 1924 2 4 5 8 2 3 1 2 1 — 1 — 1925 1 4 5 9 3 2 3 10 14 10 4 9 1926 3 — 8 6 12 14 11 6 8 5 2 3 1927 8 4 9 11 17 7 10 Stato 4. 11 6 6 9 4 G. F. M. A. M. G, L. A. S. O. N. D. 1922 2 2 7 4 — — — — 1 1 1 6 1923 3 2 2 3 — — — 1 1 1 5 3 1924 2 1 — 1 — b — 2 1 — — • — 2 1925 — 2 1 2 — 3 1 — — 1 4 — 1926 1 — 2 5 1 1 1 1 2 6 9 3 1927 5 4 1 1 - — 3 Stato 5. 1 1 2 2 G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. 1922 — — 2 1 — 1923 — 1 — 3 — — — — — 1 — — 1924 1 1 1925 — 1 1 — — — — — — — 3 2 1926 — — — 2 — — — — — 1 2 — 1927 1922 1926 1927 1 1 1 1 volta » 1 in Stato 6. marzo aprile febbraio. 2 1 2 1 La media dei valori dei sei anni ci dà la frequenza per i vari stati del mare e cioè : Stato del mare - 299 — G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. (totale) , 0 6.00 4.33 3.00 3.00 3.17 1.50 1.67 4.67 4.17 4.67 6.83 5.50 48.5 ) 1 10.83 8.17 9.50 6.17 12.67 7.83 9.83 6.83 10.50 12.50 9.00 11.17 115.0 2 7.67 9.17 9.83 8.83 9.33 14.17 13.00 14.00 7.33 7.67 4.33 7.33 112.7 3 4.00 4.00 5.67 8.00 5.67 5.83 5.33 5.00 6.83 4.00 5.17 3.83 63.3 J 4 2.17 1.83 2.17 2.67 0.17 0.67 1.17 0.50 0.83 1.67 3.50 2.67 20.0 f 5 0.33 0.50 0.67 1.17 0.00 0.00 0.00 0.00 0.33 0.50 1.17 0.50 5.2 I 6 0.00 0.17 0.17 0.17 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.5 Ho tenuto conto della velocità e della direzione del vento coi dati desunti dall' anemometro registratore posto a circa 55 metri sul livello del mare sulla torretta dell'Osservatorio che ha dintorno un largo giro di orizzonte e che guarda il Golfo. Isolando i dati della velocità del vento in corrispondenza dei singoli valori dello stato del mare ne ho calcolato i valori medi, espressi in metri a secondo : G. F. M. A. M. G. L. A. S. O. N. D. 0 1.7 1.4 1.8 1.9 1.6 1.9 1.5 2.1 1.7 1.6 1.9 2.0 1 1 2.0 1.9 2.2 2.2 2.3 2.3 1.9 2.4 2.1 1.9 2.3 2.2 1 2 2.6 2.6 2.9 3.0 2.9 2.9 2.5 2.8 2.6 2.4 2.9 2.5 o j 3 3.4 3.6 4.0 4.0 3.7 3.9 3.3 3.3 3.2 3.2 3.8 3.2 ar> f 4 4.4 5.0 5.5 5.5 4.8 5.4 4.5 3.9 3.8 4.1 5.0 4.2 1 5 6.0 7.8 8.3 9.8 6.9 — - — - 5.0 — 6.2 Inverno Prim. Estate Autunno Anno ; 1.6 - o o h- o -rt< o o vq in cq *-< *— 1 q in q q q co in cq CO CN d —< o d ni CN in in d O T-ì *U o o N< n* o n- o o o 1 ^ c n o CO q CO CO co m CO CO »— « q m o 1 io co CN d d d o CN d in co tU CN* d — ; h- N* o o o c- o o o O o o cq co CO LO in q q q o LO q in q o < d d d d o d CN — < — i CN d U t-4 o t— o l ° o o n- o o rf 00 m >h m co 1 q o q q 00 o m 0O CO OO •— J 1U d o d co ni CN ni o d n- | o t" n- o o n- o n- d 00 co o 1 in q q q q q co cq q m q d o d d o ni co in ni — 1 —■ 1 ni 1 1 o o o o o o n- o cq in LO co m m 00 in cq o cq q q q q T~ ^ U O *-4 d o d d ni LO *-< r-H r^- o o n- n- o o n- o o < vO q m ’— 1 — CO cq q q ’— 1 q q q q q d d o o o ni in ni N- n- o o 1 n- n- o n- o o o • cq >— < o in 1 r— 1 co vO q co q q q co o q ni ni d d ni d co 1 o 1 1 o n- o t — rh o o h- f- o td q q ni ni q d CO o co d q q co 00 LO ni q vO o cq q q co o t>- r-> i>- q q q q co co t*- h» h- O q q q o d o o CN t"- n- n- o o h h q CN OÌ CS t" ^ O O vq q p in o ^ co ^ UJ tu tu tu Z in tu CD Z tu tu tu co cn co 3}U124pBnb II 3)UBJpBUb III a^uBjp^nb M — 301 Nella Figura 1 sono rilevate, con questi valori, le frequenze delle varie direzioni del vento per i singoli mesi e complessiva¬ mente per Tanno. 302 — Andamento annuo del vento e dello stato del mare. Stato del mare (scala convenz.) Frequenza (giorni) Vento velocità m /sec 0 48.5 1.8 1 115.0 2.1 2 112.7 2.7 3 63.3 3.6 4 20.0 4.7 5 5.2 7.0 6 0.5 ? Per la frequenza relativa alle direzioni in media nell'anno : !1° quadrante per giorni 69 9° Af\ 3° „ „ „ 178 v 4° „ „ „ 72 cioè i venti del 3° quadrante hanno una frequenza che rappre¬ senta il 48 °/0 del valore complessivo annuo. Applicazioni pratiche. In pratica riesce utile esprimere mediante una relazione l'al¬ tezza delle onde del mare in funzione del vento. Le relazioni finora trovate sono le seguenti : (Cornish) H =0,33 v (per v > 2,5 e v < 25,9 m/sec) (Antoine) H = 0,30 v0,50 (Barbou) H = 0,25 v (Krùmmel) H = 0,50 v (Americani) H — 0,85 v (Hiroi) H = — v2 (per v in miglia inglesi e H in piedi). L'Hiroi l) per il Giappone ha trovato assai vicini tra loro i valori delle osservazioni dirette e quelli dedotti dalla formula anzidetta. *) Journal of thè College Engineering. Tokio Imperiai University 1919. Voi. X, N. 1. — 303 — Per gl'importanti lavori che si eseguono nel nostro Porto A), in base a larghi studii teorici e anche sperimentali , si è adot¬ tato, con risultati attendibili, in mancanza di altro, quelli basati sulla formula dell'HiROi ricorrendo però a qualche giustificata correzione del coefficiente numerico. Mi è sembrato quindi interessante, anche per le richieste dei dati nei progetti di utilizzazione industriale del moto ondoso, di venire ad una facile relazione tra la velocità del vento e lo stato del mare, servendomi dei dati raccolti già detti. Misure dirette dell'altezza delle onde vennero eseguite me¬ diante l'apparecchio di Paris, situato al largo (Fig. 2). Fig. 2. L'apparecchio consta di una lunga pertica di legno, e, per effetto di un contrappeso immerso che funziona di massa sta¬ zionaria, galleggia verticalmente senza seguire il moto ondoso. Lungo questa pertica graduata scorre un leggero galleggiante anulare di cui si leggono le posizioni lungo la pertica al pas¬ saggio dell’onda. Le misure eseguite nel golfo (sull'allineamento Capri - Poz- h Greco L — La nuova opera a difesa della bocca del Porto di Napoli con infrastruttura di massi artificiali ciclopici. Annali LL. PP., 1926. — — La nouvelle digue à V entrée du port de Naples. Alto Commissa¬ riato per la Provincia di Napoli. Napoli, 1927. — — The port of Naples and iis important Improvement Yorks, 1924. 304 — zuoli) dal 1923 al 1925, in confronto dei dati rilevati con la scala convenzionale, sono le seguenti : Stato 1. Anno 1923 Anno 1924 Anno 1925 22 gennaio m. 0,20 21 febbraio 0,08 14 gennaio 0,08 23 marzo „ 0,09 23 maggio 0,20 16 marzo 0,10 20 ottobre „ 0,25 27 settembre 0,12 28 aprile 0,12 24 dicembre „ 0,18 23 settembre 0,16 29 dicembre 0,22 Intervallo 0,08 - 0,25 Media = 0,15. Stato 2. Anno 1923 Anno 1924 Anno 1925 2 gennaio m. 0,24 16 gennaio 0,28 18-21 agosto 0,32 14 marzo „ 0,47 24 marzo 0,25 9 ottobre 0,43 16 settembre „ 0,40 29 „ 0,35 18 novembre „ 0,31 24 novembre 0,41 1 1 dicembre 0,38 Intervallo 0,24 - 0,48 Media = 0,36. Stato 3. Anno 1923 Anno 1924 Anno 1925 8 aprile m. 0,58 4 aprile 0,77 24-25 aprile 0,48 16 „ „ 0,65 24 agosto 0,56 23-26 novem. „ 0,68 Intervallo 0,48 - 0,77 Media = 0,62. Stato 4. Anno 1923 Anno 1925 14 aprile rn. 0,74 15 febbraio 0,88 6 dicembre „ 0,79 26-27 giugno 0,94 26 novemb. 1,10 Intervallo 0,74 - 1 10 Media : == 0,89. 5 *- 30o — Stato Anno 1924 Anno 1925 Il febbraio m. 1,31 16 febbraio 1,88 Intervallo 1,31 - 1,88 Media = 1.55. Fig. 3. — Mareggiata del 4 aprile 1924. Fig. 4. — Mareggiata del 15 febbraio 1925. 26 — 306 Fig. 5. — Mareggiata del 16 febbraio 1925. Le relazioni esistenti tra la scala convenzionale in uso nel- T Istituto di Fisica Terrestre relativamente allo stato del mare, rattezza d’onda in metri, la velocità del vento in mjsec. sono le seguenti : Stato del mare Altezza in metri Media Velocità del vento in mjsec. 0 0 0 1.8 1 0,08-0,25 0,15 2,1 2 0,24-0,48 0,36 2,7 3 0,48-0,77 0,62 3,6 4 0,74-1,10 0,92 4,7 5 1,31-1,88 1,60 7,0 Indicando con H Y altezza d’onda in metri nel golfo e con v la velocità del vento in rn/sec. relativamente ai dati dell’Osser¬ vatorio dell' I. F. T. si ha la relazione lineare: //= 0,3 v - 0,5. per v >, 2,7 rn/sec. 307 — Riassunto Dalle osservazioni dello stato del mare, della direzione e della velocità del vento dal 1922 al 1927 si ricavano le frequenze mensili dello stato del mare in corrispondenza della velocità e della direzione del vento. Si determina l’andamento annuo del vento e la frequenza degli stati del mare. Da misure dirette di altezza delle onde, in corrispon¬ denza dei vari stati, si determina una relazione pratica in funzione della velocità del vento. Finito di stampare il 20 dicembre 1933. ' Analisi di roccia leucitica dell’ Averno del socio Ida Majo (Tornata del 21 gennaio 1933) Vengono chiamate rocce gli ammassi geologici composti di uno o più aggregati minerali. Tutte le rocce ignee hanno la loro origine nel magma, materiale incandescente e fuso. Le diverse circostanze di pressione e di raffreddamento in cui il magma solidifica, danno luogo a rocce: plutoniche, filoniane ed effusive o vulcaniche. Diversi tipi si hanno a seconda che predomina il silicio e l'alluminio o il ferro e il magnesio. Tra le rocce vulcaniche abbiamo le leucititi, caratteriz¬ zate dall' associazione della leucite con pirosseno mo¬ no c 1 i n o . Nei basalti leucitici, oltre questi due minerali, vi è l'olivina. È noto che particolari indagini rivolsero il Prof. Zambonini e i suoi Collaboratori per le analisi dei prodotti dell'attuale at¬ tività del Vesuvio e dei minerali vesuviani e dei Campi Flegrei : in particolare nei Campi Flegrei per la roccia leucitica deH'Averno, In un banco L) si riscontrano leuciti alterate, mentre in un altro banco, individuato dai Professori Zambonini e De Lorenzo nella “Tenuta Maglione „ presso il Lago d’Averno si riscontrano bellissimi cristalli di leuciti visibili ad occhio nudo. ') Der Leucitoplyr vom Averner See. Neues Jahrbuch fiir Miner. Qeolog. u. s. 1878, pag. 727. 310 — Particolari ricerche chimiche e cristallografiche vennero ese¬ guite in laboratorio e qui mi è possibile riferire i risultati di una mia accurata analisi sul materiale che mi venne affidato. Preparazione della sostanza per l’analisi. Scelte alcune schegge di minerale vennero prima ridotte in polvere grossolana con martello di acciaio indurito su una piastra di acciaio, con anello di protezione, per impedire che pezzettini del materiale da esaminare saltassero via; e poi in polvere finis¬ sima, battendo in un mortaio di agata e quindi conservato in una boccia a tappo smerigliato. Pesata della sostanza. Ho seguito il metodo di Hillebrand che consiglia di seccare albaria la sostanza da analizzare. In un campione a parte si determina poi il suo grado di umidità. Per eseguire l'analisi sono necessarie due porzioni, ciascuna di un grammo. Nella prima porzione si determina Si02, A1203, Fe203, CaO e MgO ; nella seconda gli alcali. Analisi eseguita l). La determinazione della silice fu effettuata col metodo del carbonato sodico. Il ferro totale fu determinato volumetricamente con permanganato potassico e quindi, per differenza, il sesqui- ossivo di alluminio. Il calcio, com’è consuetudine per le rocce, venne determinato come ossido precipitandolo prima come os¬ solato e avendo cura di separare l'ossalato di calcio da quello di magnesio. Il magnesio venne determinato come pirofosfato: il bario e il ferro ferroso vennero ricercati col metodo di Hillebrand. Il manganese venne ricercato col metodo colorimetrico di Marshall e Walters *). ’) Treadwell. — Trattato di Chimica Analitica. Milano, 1924. z) Marshall. — Chem News, 83, 76, 1901. Walters. — „ „ 84, 239, 1901. - 311 - La determinazione del titanio venne eseguita col metodo colorimetrico. Per la determinazione dell’acqua di costituzione, che si libera oltre ; 110° feci uso del metodo Penfield. Gli alcali vennero determinati col metodo dello Smith, ot¬ tenendo il cloroplatinato di potassio, e, per differenza, quello di sodio. L’acido fosforico fu ricercato col metodo di Woy. La deter¬ minazione del vanadio, sotto forma di ossido, col metodo di Hillebrand 1). Per ricercare qualitativamente il bario, nell’ossido di calcio, venne sciolto quest’ultimo in acido nitrico, tirato a secco la soluzione, seccato il residuo a 140°, estratto il nitrato di calcio con miscela alcool-etere, e, in quest'ultimo, nel residuo, ricercato il bario con lo spettroscopio. In notevole quantità di bario si determina il calcio nella so¬ luzione etero-alcoolica, tirando perciò a secco, sciogliendo il residuo in un pò d'acqua precipitando con ossalato ammonico. Dopo ore di riposo il precipitato viene filtrato, calcinato e pesato. Nella sostanza primitiva vi può essere una quantità di bario che invece può sfuggire nel filtrato della doppia pricipitazione del calcio. Col magnesio precipita il fosfato di bario che può essere ricercato spettroscopicamente. (Riferendoci alla riga X = 5535,5). Analisi spettroscopica. Lo stronzio venne determinato spettroscopicamente (Spet- trometo EI della Casa Hilger) riferendoci alla scomparsa e alla ricomparsa della riga X — 4007,3. Il confronto venne fatto con una soluzione a titolo noto di cloruro di stronzio. Lo stronzio, espresso in ossido, venne dato in percentuale. Anche il litio venne ricercato spettroscopicamente riferendoci alla scomparsa e alla ricomparsa della riga X — 4602,2. Il con¬ fronto venne fatto con una soluzione a titolo noto di cloruro di litio, operando in presenza delle stesse quantità di potassio e di l) Hillebrand. — Journ. Chem. Soc. (4), VI, 209, 1898. — 312 — sodio di quelle contenute nella roccia. Per eseguire questo do¬ saggio i cloruri alcalini provenienti da V, gr. di roccia vennero concentrati a 4 CC. Si operò su di un mezzo CC. di soluzione, il risultato venne espresso in ossido. Risultato delle analisi. 1 vari risultati possono riassumersi : Si02 — 51,01 Na20 — 2,26 Alo03 — 19,08 K.,0 - 9,92 Fe203 — 3,60 H20(+)~ 0,93 FeO — 2,62 HoO(-) - 0,50 MnO — 0,42 Ti02 — 1,05 CaO — 6,27 "0 O 1 tracce BaO - 0,18 Li20 - 0,0002 SrO — 0,01 VA - 0,02 MgO — 2,15 Totale 100,02 Riassunto. Per leucititi dei Campi Flegrei (Averno), dopo accurata prepara¬ zione, esegui le analisi coi noti metodi di ricerca. Oltre ai componenti abituali ne ho identificato altri come il man¬ ganese, il titanio e il vanadio. Lo stronzio e il litio vennero ricercati col metodo spettroscopico. Finito di stampare il 20 dicembre 1933 Le sollecitazioni dei fabbricati prodotte da macchine in movimento. ( Sismologia applicata ) del socio Dott. Ing. Amedeo Andreotti (Tornata del 20 novembre 1933) In pratica era fortemente sentita la necessità dello studio delle vibrazioni prodotte nei fabbricati dalle macchine in movi¬ mento, dello studio delle sollecitazioni a cui viene sottoposto il materiale stradale, ferroviario, marittimo, ecc. Delle vibrazioni nei fabbricati prodotte dalle macchine in movimento e sulla stabilità della Torre di Palazzo Vecchio a Firenze ebbe ad occuparsene I'Alfani * *) ; recentemente TOddone 2) studiò le conseguenze degli spari di mine sulla stabilità della lanterna di Genova ed il Thoma 3) si occupò delle sollecitazioni delle rotaie sotto i treni rapidi. Le ricerche dell’ALFANi e dell'ODDONE vennero eseguite me¬ diante speciali apparecchi appositamente costruiti (apparecchi sismografici). 9 Alfani G. — Comunicazione Congresso Ingegneri e Architetti italiani, Firenze 1909. Giornale dei Lavori Pubblici e delle Strade Ferrate, N. 47, 1909, Alfani G. — Le vibrazioni nei fabbricati prodotte dalle macchine in movimento. Il Monitore Tecnico, N. 14, 1915. *) Oddone E. — Per la determinazione della conseguenza degli spari di mine sulla stabilità della lanterna di Genova. Boll. Soc. Sism. It. , voi. XXX, 1930-31. “) Thoma. — Autzeichung der Schinenbeanspruchung unter Scneillfah * renden zuegen. V. D. I. agosto 1933. - 27 - — 314 - Le ricerche del Thoma vennero eseguite mediante un di¬ spositivo ad alta frequenza che permetteva misurare gli sposta¬ menti relativi di due placche di condensatore mosse dalla defor¬ mazione della rotaia al passaggio di un convoglio. Il dispositivo ideato dal Thoma consiste in due robuste mascelle che abbracciano la suola della rotaia e che portano ciascuna un paio di armature di condensatore isolate per poter accordare 1' apparecchio ad alta frequenza, le armature sono mobili a mezzo di vite micrometrica con arresto. Inoltre, per rendere più stabile l'apparecchio, sulle mascelle sono disposti dei prigionieri a punta temprata che, una volta serrati, assicurano l'invariabilità della lunghezza della rotaia sottoposta a misura. È inoltre possibile regolare l’apparecchio in modo che il suo " zero „ rimanga invariato anche dopo i più forti colpi. Un apparecchio pratico è quello del Navarro Newmann *). Con indicazioni gentilmente favorite dall'A. è stato possibile far costruire una coppia di apparecchi allo scopo di rilevare contemporaneamente registrazioni orizzontali in direzione or¬ togonale. Ogni apparecchio consta essenzialmente di una lamina vi¬ brante sulla quale scorre una massa che si può fissare mediante viti. La lamina vibrante è munita di un sistema scrivente (penna di alluminio) che poggia su un cilindro, a rapidissimo movimento di orologeria, dov’è situata una striscia di carta affumicata * 2). Se l è la lunghezza della lamina vibrante, compresa tra il suo punto di attacco e il centro di gravità della massa M, E il modulo di elasticità, a la lunghezza, b lo spessore, tutto espresso nel sistema (C. G. S.) il periodo sarà : 5 Con una lamina di acciaio di 35 cm. di lunghezza per 6 cm. di larghezza e cm. 0,2 di spessore munita di una massa di ’) Navarro Newmann. — Un appareil pratique de sismologie appliquée . " Ciel et terre 1925. 2) Precisamente carta bianca laccata, leggermente affumicata. L’affumicatura si ottiene mediante apparecchi ad acetilene con "becco a farfalla,, 315 - 5000 grammi si sono ottenuti periodi compresi fra 0,015 e 0,50 secondi (cioè sintonizzazione con motori che compiano da 120 a 3850 giri a minuto). Ebbi occasione di eseguire alcune ricerche in un fabbricato soprastante una segheria, qui in Napoli (Via S. Paolo). Potei compiere una serie di misure nel salone di lavorazione della segheria e nei locali sovrastanti corrispondenti ad un primo ad un secondo piano ordinarii, collocando lo strumento su una apposita piattaforma, fornita di viti di livello, in modo da registrare la componente in direzione parallela alla macchina segatrice e la componente normale. Nel seguente specchietto dò i risultati ottenuti dalle varie registrazioni deducendo l'ampiezza reale l) come rapporto tra l'am¬ piezza effettivamente registrata e P ingrandimento strumentale : Esperienze Periodo Ampiezza reale pian¬ terreno .i l piano i » i piano ) Componente Parallela Os- 41 inni. 0-045 » Normale * » 0.051 » Parallela » » 0.054 /> Normale » » 0.062 » Parallela » » 0.058 » Normale » » 0.069 La relazione : 4 ji 2 a j-* 2 ove a è Pampiezza reale del movimento, T è il periodo, permette ricavare il valore a dell'accelerazione. L’amplitudine dell'oscillazione orizzontale dell'edificio è più grande in alto che in basso. La componente normale ha valore più grande della componente parallela. [) Galitzin Furst B. — Vorlesungen iiber Seismometrie. Leipzig, 1914. — 316 — Nelle Figure 1 e 2 riporto alcune registrazioni ottenute. wwvwwvwwv + lo-tm-t Fig. 1. — I Piano. - a componente normale; b componente parallela. Fig. 2. — II Piano. - a ' componente normale ; b} componente parallela. Il valore massimo che si ricava per l'accelerazione è di circa 18 millimetri a secondo, cioè si ha una accelerazione tale per cui il movimento sia direttamente percepibile. Altre misure ho potuto eseguire per il passaggio dei tram, di automezzi e autotreni in Via Foria (via basolata), sempre col locando lo strumento sulla piattaforma e ho ottenuto, per abi- — 317 — tazioni del IV piano (di fronte al R. Orto Botanico) i seguenti valori dell'accelerazione orizzontale : Tram . . rnm. 6 a secondo Automobili . • , 9-10 Camion • ■ 14-15 Autotreni . • » 12 Quando la corsa è regolare gli oscillogrammi che si ricavano sono regolarissimi ed hanno la forma sfusata (Fig. 3 e 4). Fig. 3. — Componenti orizzontali. Registrazioni al passaggio di camion. Fig. 4. -- Componente orizzontale. Registrazione al passaggio di camion — 318 — Modificando la disposizione di un apparecchio, in modo da adattarsi ad una piastra murata e realizzare uno strumento atto alla registrazione delle vibrazioni verticali , ho ottenuto oscil¬ logrammi (Fig. 5) di minore ampiezza, ma di più breve periodo. Fig. 5. — Componente verticale. Registrazione al passaggio di camion. I valori dell'accelerazione verticale, ottenuti in media sono : Tram . . mm. 8 a secondo Automobili . .. „ 10-15 Camion . „ 18-21 Autotreni • a 1 ^ n Notevoli perturbazioni si hanno nella irregolarità della corsa. La massima ampiezza di registrazione si rileva per i camion a notevole velocità. I risultati sono interessanti ai fini della tecnica stradale ed è da aspettarsi risultati di diversa entità per le vie di diversa pavimentazione. - 319 — Riassunto. Si riferiscono i mezzi d’indagine atti a porre in rilievo le solle¬ citazioni prodotte nei fabbricati dalle macchine in movimento (fisse o mobili). Alcune misure eseguite per una segheria elettrica e per abitazioni di Via Foria, permettono dedurre i limiti di accelerazione: tali risul¬ tati sono interessanti ai fini dell’edilizia e della tecnica stradale. Finito di stampate il 30 dicembre 1933. Alcune caratteristiche di geo-morfologia del versante adriatico dal fiume Potenza al Pescara del socio Dott. Stefano Sorrentino (Tornata del 20 novembre 1933) La regione compresa fra le falde dell’Appennino Centrale ed il mare è formata da una fascia di terreni del terziario re¬ cente (neogene), che nel tratto racchiuso fra i fiumi Pescara e Potenza, presenta la sua massima ampiezza. Infatti malgrado che la media larghezza si mantenga sui 30 Km., nelle valli del Tronto e del Vomano, essa oltrepassa tale cifra per raggiungere talora anche i 70 Km. e più. In questa nota tuttavia si considera solo il territorio neogenico che si allunga seguendo il litorale, esclu¬ dendo del tutto il tratto neogenico sviluppato ad Ovest della Montagna dei Fiori. Così delimitato, il territorio si presenta a carattere collinoso, distinto in varie fasce (o settori) dalle ampie e profondi valli trasversali che si addentrano verso TAppennino. Su questo pae¬ saggio, i cui maggiori rilievi non superano la media dei 500 m., dominano due forme orografiche caratteristiche : il monte del- T Ascensione (q. 1103) e la Roccafinadamo (q. 927). Il monte dell'Ascensione è costituito dai sedimenti argillosi e arenacei (molassici) del miocene superiore, coperti in alto dai terreni, a facies conglomeratica sabbiosa, del pliocene basale, i quali ultimi poggiano a monoclinale sul versante nord orientale e con pendenza abbastanza accentuata (30° a 40°). La sagoma del rilievo, che è anche la sua caratteristica principale, si presenta a balze scaglionate, sul versante sud occidentale, e con salti che — 322 — superano talora anche i 100 m. All’opposto, il versante nord- orientale, presenta una china più dolce ed omogenea , con un andamento generale di pendenza press’a poco eguale a quello degli strati. Questa caratteristica forma " a cresta di gallo,,, che permette di distinguere molto bene la montagna dell'Ascensione dagli altri rilievi ; è dovuta, oltre che all’altezza del monte, spe¬ cialmente agli effetti degli atmosferili ed a quelli del lavorio delle acque, sul diverso comportamento degli strati rocciosi. Fig. 1. — Il MonteJdell’Ascensione visto da Sud. Il fenomeno erosivo è pertanto evidente su tutti i versanti del monte (per quello nord-orientale, molto meno importante si stavano completando i provvedimenti di sistemazione di imbo¬ schimento) ma si accentua molto di più sul versante sud-occiden¬ tale, dove i sedimenti si presentano con le testate; e l’acqua, per opera del diverso comportamento dei tipi litologici costituenti il fianco, determina importanti fenomeni d'erosione resi maggior¬ mente evidenti dal franamento dei banchi resistenti. Il rilievo di Roccafinadamo , formato esclusivamente dai terreni del miocene superiore (marne e molasse con strati rad¬ drizzati quasi alla verticale), si eleva sulle altre alture a forma di poggio. Questa forma orografica pressoché conica è però addos¬ sata alla regione montana, con la quale è collegata da una serie di rilievi più bassi. La cima del Roccafinadamo risulta formata da un conglomerato sub - orizzontale, riferibile forse all'età dei pianalti di travertino. I contatti fra la formazione arenaceo - marnosa della regione — 323 — in esame ed i calcari mesozoici dell' Appennino avvengono di solito mediante ripidi pareti che si estendono da Nord-Ovest a Sud-Est e che costituiscono come un gigantesco baluardo tra la fascia collinosa pedemontana e le cime della massa appenninica. Fig. 2. — Contatto fra il paesaggio miocenico e quello cretacico (lato Est dei Sibillini meridionali). Il modellamento di questo paesaggio collinoso è stato es¬ senzialmente opera dei corsi d'acqua, che scorrono numerosi alla superficie mercè il grande sviluppo dei terreni impermeabili. Le condizioni strutturali e morfologiche, del territorio hanno determinato una complicata rete idrografica con caratteristico allineamento di valli che (quelle provenienti dall' Appennino), di¬ ventano trasversali appena entrano nella fascia neogenica. Tale disposizione porta necessariamente allo sviluppo degli affluenti, di massima, secondo percorsi longitudinali e con predominio di valli monoclinali benché non mancano anche esempi di valli di anticlinali. Le valli minori, cioè quelle sviluppate tutte nel neogene, rispecchiano in generale anch’esse l’andamento trasversale, ma in vero presentano maggiori eccezioni : ciò non pertanto può valere anche per esse il concetto che il corso superiore è in generale longitudinale rispetto a quello medio ed inferiore che tende al trasversale. Questa disposizione idrografica sviluppata in terreni a comportamento erosivo così diverso può agevolare catture o deviazioni dei corsi d'acqua specialmente se a queste — 324 — si aggiungano quelle relative al fatto che i corsi minori , co¬ munque orientati, presentano aH’origine una estesa ed attiva rete di calanchi. Un altro fattore, che certamente ha influito e che dev'essere considerato anch'esso, è la costituzione litologica nei rapporti della stratificazione ; giacché l'alternanza di rocce im¬ permeabili, ma soggette a spappolamento, con altre permeabili e compatte, può anche influire sulla deviazione di un corso di acqua in un senso piuttosto che nell'altro, determinando così una cattura più o meno grandiosa. L’erosione, per quanto molto attenuata, si verifica ancora oggi, per i fenomeni su accennati, ma intensa dovette essere nell'alto quaternario, come si rileva dagli estesi ed imprevisti ter¬ razzati che si riscontrano un pò dovunque, nel territorio. A tale proposito basti considerare soltanto quelli descritti dal Bonarelli e limitati al torrente Nora. Sviluppi simili però presentano anche le valli del Tavo, Fino, Vomano, ed in generale tutti i maggiori corsi d'acqua compresi nella regione in esame. Questi terrazzati offrono talora, spessori rilevanti ; ad es., quelli su cui sono co¬ struite le cittadine di Ganzano, Castellali, ecc., inoltre molti di essi si trovano abbastanza alti rispetto all’attuale corso d'acqua. Per i due citati le altezze sono comprese da 350 a 400 m. sul livello del Vomano, il quale a sua volta è a 108 m. su quello marino. L'erosione non è stata esclusiva al quaternario, perchè già doveva avere un'attività apprezzabile fin dai tempi in cui cominciò la sedimentazione del Piacenzano. Ciò si rileva dal semplice fatto che alla base di questo terreno si trovano passaggi a facies conglomeratiche, talora anche grossolane, come quelli che si trovano sviluppati sotto Rosciano, Cellino Attanasio, M. Ascensione, ecc. Tutti questi depositi denotano però una for¬ mazione di spiaggia in stretta relazione col forte apporto di materiali trasportati dall'interno. Per l'Astiano, la cosa è ancora più evidente, perchè la quasi totalità dei sedimenti di questo piano è costituita da sabbie grossolane e da conglomerati ciot¬ tolosi (Chieti, Atri, ecc.). 1 caratteri geo-morfologici d'insieme del pliocene, giustificano Finterpretazione data, di pianoro costiero, alla superficie iniziale sulla quale si sono esercitate le azioni erosive delle acque. Ciò sia perchè esso risulta di una estesa monoclinale a pendio piut- — 325 — tosto dolce verso mare (pendenza che si può constatare benis¬ simo anche nei sedimenti dell' Astiano, malgrado che questi vengano considerati orizzontali), ma anche perchè l'insieme dei rilievi pliocenici presentano un'altimetria degradante quasi omo¬ geneamente verso mare. Per la fascia miocenica, sviluppata a morte della precedente, non si può dire lo stesso, e ciò per il piegamento da essa subito e per le azioni erosive che ne hanno dovuto necessariamente interessare la superficie, nel tempo in cui si sedimentava il plio¬ cene stesso. Inoltre per il sollevamento del pliocene, la fascia miocenica ha dovuto nuovamente offrire la sua superficie alle azioni erosive, e ciò fino a quelle intese del quaternario, perchè al di sopra della sedimentazione pliocenica non si ha discon¬ tinuità di termini. Fig. 3. — Paesaggio miocenico ad Est di Amandola. Rapportando la distribuzione idrografica alla superficie strut¬ turale del miocene, paragonabile a fasci di anticlinali sfioccate agli estremi secondo un senso laterale, possiamo ritenere che la iniziale idrografia abbia profittato molto di questa superficie strutturale, e, dopo il miocene, essa si è imposta, di massima, anche nel pliocene, con quelle variazioni derivanti dal nuovo equilibrio delle acque. Ad appoggiare maggiormente questa sup¬ posizione, sta la constatazione che le facies conglomeratiche sviluppate alla base del pliocene (zone di passaggio laterale fra 326 — il più profondo pliocene) e quelle dell’Astiano, sono localizzate e distribuite maggiormente sempre lateralmente agli assi trasversali degli attuali corsi d'acqua. Infatti lungo il Pescara attuale si ha facies conglomeratica al contatto fra miocene superiore e pliocene (Turrivalignano e Rosciano), facies conglomeratica fra il Piacen- zano e l’Astiano (Chieti e Spoltore); per il Vernano si ha lo stesso al passaggio fra miocene e pliocene a Cellino Attanasio e sotto il quaternario di Castellali ; fra il Piacenziano e Astiano (Atri) ; e così negli altri corsi ; mentre nelle zone intermedie alle citate, il pliocene basale, pur essendo in parte sabbioso, è de¬ cisamente argilloso, come per esempio a Penne, S. Restituta ecc. Fig. 4. — Paesaggio miocenico a S. O. della Montagna dei Fiori. In conclusione quindi, la evoluzione morfologica del territorio in esame ha determinato una superficie costituita da una spiaggia recente quasi tutta completamente sviluppata, legata, mediante una scarpata (falaise), ad un pianoro costiero a larghe ondula¬ zioni, ma fortemente eroso (pliocene), che si continua verso l’asse appenninico con una superficie strutturale (miocene) già quasi spianata e nuovamente interessata dalle fasi erosive del quaternario. Il sistema collinoso, che come si è detto è trasversale, può anche considerarsi longitudinale, e cioè allungato da nord a sud con una successione di poggi e dossi secondo la medesima di¬ sposizione che rilevano i complessi litologici che lo formano. Ciò in considerazione che i rilievi della fascia miocenica dipen- — 327 — denti dalla tettonica (sia di anticipali, che di sinclinali), mostrano con evidenza tale loro originario allineamento. Inoltre, come si è detto, anche l’altimetria dei rilievi ha una disposizione longi¬ tudinale ed i rilievi si trovano allineati da Nord a Sud con quote presso a poco eguali. Ciò del resto è anche spiegabile, per il fatto che i sedimenti sono disposti a fascie sovrapposte. Fig. 5. — Spiaggia presso staz. Nereto-Tortoreto (in parte coltivata). Fig. 6. — La ripa costiera come si presenta a Pedaso. Per questo fatto e per la sistemazione trasversale delle maggiori valli la distribuzione degli abitati presenta una disposizione a reticolo poligonale con maglie predominantemente strette. Se tale disposizione si considera in senso longitudinale si ottiene un caratteristico allineamento a festone, che, al quanto — 328 — modificato, si ritrova però anche in senso trasversale. Questa tipica distribuzione dei centri abitati, risente quindi anche delle condizioni stratigrafiche ; poiché se la disposizione trasversale è in dipendenza delle possibilità di facile comunicazione tra monte e mare, lungo gli assi vallivi, anche la disposizione longitudinale può trovare rapporti nella tipica disposizione dei tipi litologici, di cui gli abitati hanno dovuto usufruire per la loro stabilità. Infatti, le maglie del reticolo sono più strette lì, dove predomi¬ nano rocce resistenti (molasse, terrazzati, sabbie) : ed inoltre le maggiori direttrici di allineamento longitudinale degli abitati cor¬ rispondono proprio ai sedimenti rocciosi più resistenti ; ed anzi, vi sono degli allineamenti longitudinali più continui degli altri, i quali rilevano il passaggio fra la serie cronologica dei termini sedimentari. Così per es. il limite miocene-pliocene può benissimo considerarsi lungo la direttrice che si inizia da Pollenza e passa per Urbisaglia, Loro Piceno, Massa Fermana, Montappone, Monte Vidon Corrado, Servigliano, ecc. ecc. raggiunge Penne, Nocciano, Rosciano e Turrivalignano. Altri allineamenti principali si trovano lungo la linea marit¬ tima e lungo quella delle colline litorali. Fra il più importante di questi ultimi è certamente quello che corrisponde approssimati¬ vamente al limite occidentale dell'Astiano ; e cioè che da Loreto Marche, Potenza Picena, Civitanova, S. Elpino, Fermo, Monte- rubbiano, Ripatronsone, Nereto, Notaresco, Atri, Città S. Angelo e Spoltore passa il Pescara spostandosi verso Chieti. Secondo il loro sviluppo, i centri abitati di questa regione possono dividersi in diversi gruppi, ma la gran maggioranza di essi è da riportarsi al tipo di nuclei addensati su colline (San Ginesio, Amandola, Fermo, ecc., Canzano, Cellino, Atri, Penne), o di sperone fluviale (Ascoli Piceno, Teramo, Tossicia, ecc.): non mancano però tipi d'agglomerati su nodi stradali (Villanova, Cappelle, Vallemare, ecc.) o marginali a strade (Mutignano, Ce- pagatti, Gabella, e tutti i piccoli centri costieri). Molti di quelli di sperone fluviale presentano la tipica disposizione reticolata (Teramo), disposizione che, un pò modificata, si trova anche in taluni centri di poggio (Loreto Aprutino, Loro Piceno, ecc.). Questa disposizione a reticolo però risulta con maggiore evidenza in alcuni abitati del litorale marittimo (Castellammare — 329 — Adr., Porto S. Giorgio, ecc.) dove è per altro anche molto sviluppato il tipo a doppio (Montesilvano, Montesilvano-spiaggia, Silvi, Silvi-spiaggia, S. Elpidio, Porto S. Elpidio, ecc.). Circa le condizioni dominanti di origine quasi tutti gli abi¬ tanti rilevano, molto bene, quella di organizzazione a difesa ; a tale concetto, da tempo totalmente superato, si oppone oggi quello economico, inteso nel suo significato più largo ; mentre concorrono ad aumentare il valore di questo fattore, le difficoltà d'ordine tecnico che si presentano a proposito delle costruzioni di strade su crinali marnosi. Le dette condizioni moderne che dominano sullo sviluppo dei centri abitati favoriscono gli spostamenti a valle delle popo¬ lazioni di poggio, portando al risultato lo sviluppo di centri doppi, ovvero di nuovi gruppi abitati ; come se ne hanno nelle ampie vallate, comunicanti tra il monte ed il mare, e sul litorale. Per quest’ultimo il fenomeno presenta un ritmo sempre crescente per il sorgere di continue stazioni balneari. Allo stesso fattore economico devonsi attribuire alcune fra le principali fiere periodiche, concentrate in località originaria¬ mente non abitate, ma su importanti nodi stradali od a valle di un gruppo di paesi di poggio. Queste fiere favoriscono sempre rimpianto di un primo nucleo di abitazioni, il cui progredire è strettamente legato alle caratteristiche della fiera stessa (periodi¬ cità, importanza, affluenza, ecc.). Un caso simile è la fiera che si ha in località Ponte Vomano (Teramo) dove il primo gruppo di case è sorto per l'incremento che questo importante nodo stradale va acquistando per la periodicità di una importante fiera che agevola lo scambio tra i circostanti paesi di poggio. A questo tipo di sviluppo riferisco il centro di Chieti Sta¬ zione, di Monte Silvano-spiaggia, ecc. Per quest'ultimo infatti non può invocarsi il fattore di climatologia perchè non è centro balneare, ma invece esso deve il suo sviluppo alla esistenza della Stazione Ferroviaria ed alla sua posizione di testa di strada, (attraverso la vallata del Saline-Tavo e Fino) per i paesi interni dell'antico circondario di Penne. Molti altri abitati che per le loro precarie condizioni di po¬ sizione non possono spostarsi a valle, tendono allo sviluppo marginale, lungo l'arteria di maggiori comunicazione. Ne sono — 330 — esempi Comunanza, Cermignano, Sant'Angelo in Pontano, Loreto Aprutino, Pianella, ecc., i quali tutti dal nucleo addensato antico fanno seguire un allungamento marginale moderno sull’ arteria di comunicazione provinciale. Lo sviluppo stradale risente di queste speciali condizioni ed infatti esso è paragonabile ad un intrecciato reticolo irregolare, corrispondente ad una stretta disposizione poligonale, inserita fra le due comunicazioni più importanti tra valle e monte. Appendice. Ho già accennato in questo breve sguardo geo-morfologico la importanza che assume il fenomeno delle catture d’ acqua, credo quindi opportuno tratteggiarne in appendice una, trala¬ sciando quella già conosciuta del Salinello e Vibrata (Teramo). La cattura in parola interessa i torrenti Fiastra e Fiastrone (prov. di Macerata), entrambi affluenti di destra del fiume Chienti. Il Torrente Fiastra trae la sua origine dai numerosi ruscelli che scendono dalle alture del Convento di S. Liberato e dalle Colline di Borghetti. Col nome di Fiastrella si individualizza nel Piano di Pieca, dove i due tronchi principali arrivano con direzione press'a poco sud-nord. Da questa località il corso si inflette ad est e con direzione dominante nord-est si continua raccogliendo gli scarsi e poveri rivoli delle colline circostanti. Con la denominazione di Fiastra passa quindi ai piedi delle colline di S. Ginesio ed indi piegando decisamente a nord, (presso Macchie) raggiunge e si versa nel Chieti all' altezza di Pausula. Il Torrente Fiastrone trae la sua origine dai diversi torrenti che confluiscono nella stretta località sotto le pendici del monte Coglia, in regione Fiastra. Tra colle Santo e Podalla si indivi¬ dualizza col nome di Fiastrone e scende in direzione nord-est fin quasi a Caraffa. Continua quindi il suo corso con direzione ovest-est fino a raggiungere la forra incisa sotto Col di Pietra e prima di raggiungere il Piano di Pieca. Da qui, volge d'un tratto a nord e conserva tale direzione fino a raggiungere il Chienti, in cui si versa, sotto la cittadina di Beiforte. — 331 — Visto così l'andamento dei corsi d' acqua in parola, sarà bene esaminare le caratteristiche morfologiche delle valli e del Piano di Pieca , località che si rivela come punto di partenza della cattura avvenuta tra i suddetti torrenti. Più propriamente il fenomeno si è compiuto a spese delle acque del Piastra, il quale ha perduto il suo vero bacino montano che invece è pas¬ sato a far parte di quello dell'attuale Fiastrone. Fig. 7. — Il Piano di Pieca. La valle del Fiastra è una valle molto ampia, trasversale, a fondo piatto che rivela, in tutte le sue caratteristiche, molto bene, l'avanzato stadio di sviluppo, specialmente a valle de Piano di Pieca. Queste condizioni di completa maturità non trovano nes¬ suna corrispondenza nei fatti della idrografia del Fiastra, essendo il bacino di questo corso (specialmente a monte del Piano di Pieca) del tutto trascurabile. Ma oltre alla mancanza di relazione tra il bacino montano e quello vallivo, è da notare anche la inispiegabile presenza di forti ed estesi depositi conglomeratici, sviluppati sul fondo valle e specialmente sulla sponda sinistra a più di trenta metri elevati sull'attuale corso. Questi conglomerati sono molto evidenti nel tratto che da Pieca va a Villa Ficcardi, a Casa Lambertucci e Santa Croce, per citare solo quelli immediatamente a valle del Piano di Pieca. I citati conglomerati inoltre presentano una decisa predominanza di ciottoli calcarei, mentre tali rocce non — 332 - si riscontrano nell'attuale bacino montano del Fiastra, che è quasi interamente sviluppato nei terreni del Terziario recente. Fig. 8. — La valle del Fiastra dopo il Piano di Pieca. Nè, trova ragione il piano alluvionale detto Piano di Pieca, gè- neticamente appartenente alla valle del Fiastra. Inoltre V attuale sviluppo montano del Fiastra, non è neppure sufficiente a spie¬ gare le forti azioni erosive necessarie a costituire l'andamento vallivo, in avanzato sviluppo, attraverso una serie di potenti banchi arenacei e marnosi variamente piegati, come quelli quasi verticali che si hanno subito dopo il citato Piano di Pieca, tra le alture di Morichella, Pieca e Colle. La geologia dei margini del Piano di Pieca è molto semplice. Il terreno geologico è del miocene superiore, (serie arenaceo - marnoso - gessosa) che sotto Col di Pietra e Presso Rocca Co- lonnalta , si appoggiano alle marne cineree calcaree del miocene medio. Ad est di questa linea, si hanno le arenarie (molasse) delle colline di Caccia Piersanti, di Molinaccio e Cadigiorgio, cui seguono forti banchi marnosi, qua e là gessosi che si alter¬ nano con quelli arenacei ora detti. Questo complesso è sviluppato predominantemente sotto la coltre alluvionale del Piano di Pieca, mentre al nord, si insinuano nella valle del Fiastrone ed al sud sono coperte dal terrazzato di Casa Costantini, e del gruppo di case denominate Cerqueto. A queste marne segue il complesso arenaceo già accennato di Morichella, Pieca, Colle e così via. — 333 — Da questo breve esame delle condizioni geo-morfologiche della località che ci interessa e dello sviluppo attuale del bacino idrografico del Fiastra stesso, si rileva con evidenza che il corso d'acqua ha dovuto necessariamente avere una maggiore impor¬ tanza in relazione naturalmente ad un bacino montano molto più ampio e sviluppato in terreni cretacei. Ciò anche allo scopo di giustificare l'importanza e gli spessori dei conglomerati di cui si è parlato. Ora se si ammette che Fattuale corso del Fiastrone a monte del Piano di Pieca non è altro che l'antico corso montano dell’attuale Fiastra, restano giustificate tutte le elencate anomalie che si presentano attualmente lungo la vallata del Fiastra. Ammessa tale cattura il Piano di Pieca è il risultato di una confluenza fra l'antico corso superiore del Fiastra (Fiastrone at¬ tuale) ed i vari affluenti di destra (attuali corsi superiori del Fiastra) allo sbocco della regione montana e davanti un complesso arenaceo molto più resistente di quello marnoso sul quale av¬ veniva la confluenza stessa. Tale sbarramento arenaceo ha de¬ terminato in un primo momento condizioni favorevoli ad una abbondante sedimentazione dei materiali trasportati da questi — 334 — corsi (coltre alluvionale) ed a quelle di un forte allargamento della valle in questo punto. Allargamento dovuto anche in parte allo sbarramento offerto dai banchi arenacei, per cui le acque formarono una specie di piccolo bacino dove la deposizione dei materiali era più abbondante e più regolare. Intanto il Pia¬ strone avanzando sempre più le sue sorgenti a sud, agevolato in ciò dal fatto che queste si sviluppavano su sedimenti marnosi, e dal sopraelevarsi del letto del Piano di Pieca (per l’abbondante sedimentazione che qui avveniva) raggiungeva l'apice nord del Piano di Pieca, con fenomeni di erosione progressiva, catturando tutte le acque che in questo punto affluivano. Il nuovo equilibrio determinava una fase erosiva energica, ed il Piastrone, arricchito d’acqua, si incassava fortemente nei sedimenti alluvionali, talché oggi il Piano di Pieca è a circa 60 m. in alto sul corso del Piastrone. Le caratteristiche di questo corso sono specialmente date dall’avere una valle molto stretta ed incassata, mentre il corso presenta fenomeni erosivi ancora attivi; giustificati perfettamente dallo sviluppo del suo nuovo bacino montano che è sviluppato tutto in terreni cretacei ed eoceni. Il Fiastra invece impoverito di tutto il suo corso montano, si restringeva nel suo vecchio alveo e, lento raggiungeva il Chienti, attraverso una serie di meandri ora abbandonati, ora rifatti e raccogliendo le poche acque del bacino limitato ora quasi esclusivamente alla sua valle, le versa nel Chienti. Nota . — In attesa del turno di stampa del presente articolo , è uscito una comunicazione del prof. CASTIGLIONE B. - Valli sovrai- lnvionate e deviazioni fluviali in Abruzzo e Piceno. « Boll. R. Soc. Geografica», Ottobre 1933. In questa sono, fra l’altro, prese in esame anche le valli del Pia¬ strone e del Fiastra. Il CASTIGLIONE è del parere che tali diversioni fluviali sono dovute a tracimazione. Nel presente scritto non si esclude tale processo, ma esso viene considerato come uno dei fattori ad azione concomitante , nel caso particolare qui descritto. — 335 — Riassunto. Si espone, in un esame generale, la morfologia dei terreni neo¬ genici del versante adriatico tra i fiumi Potenza e Pescara, facendo seguire alcune considerazioni sullo sviluppo e distribuzione degli abitati. In appendice è descritta la cattura avvenuta fra i due torrenti Fiastrone-Fiastra. Finito di stampare il 10 gennaio 1934. Gli autori assumono la piena responsabilità dei loro scritti. Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli Rendiconti delle Tornate ed Assemblee Generali (PROCESSI VERBALI) PROCESSI VERBALI DELLE TORNATE ORDINARIE ED ASSEMBLEE GENERALI Tornata ed Assemblea generale del 3 aprile 1933. Presidente: Carrelli. Segretario ff.: De Lerma. Sono presenti i soci: Casaburi, E. Majo, C. Gargano jun., L. Quintieri, C. Gargano, Trotter, Pellegrino, P. Ruggiero, Platania, Caroli, Forte, Covello, Maione, Pierantoni, Bakunin, Rodio, Ranzi, Salti. La tornata si apre alle ore 18 in seconda convocazione. Si legge e si approva il processo verbale della seduta precedente. 11 Presidente comunica che il socio Cerone è stato colpito da grave lutto per la morte del fratello e che la Società ha inviato un telegramma di condoglianze. Il Segretario comunica le pubblicazioni pervenute in dono alla Società e legge la relazione dei Revisori dei Conti sul bilancio con¬ suntivo 1932. Il Presidente pone in votazione il bilancio consuntivo 1932. Dopo alcune osservazioni dei soci Casaburi, Quintieri, Pierantoni e Ranzi circa i criteri amministrativi, il Presidente pone alla votazione jl bilancio consuntivo 1932 che è approvato con uno astenuto, dopo di ciò espone il bilancio preventivo 1933 che, messo a votazione, viene approvato. Il socio Platania fa una comunicazione su la: Radioattività di alcune sorgenti termali di Lacco Ameno (Isola d1 Ischia) e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il Segretario legge la comunicazione del socio Augusti : La ra¬ dioattività delle acque termo-minerali di Lacco Ameno - Nota IL Ricerche radioattive su materiale vario prelevato sulle acque e sul terreno circostante e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino a nome dell’Autore. Si passa alla votazione per l’ammissione a soci ordinari residenti dei Sigg. Luigi Imparati ed Ernesto Pannain ed a socio ordinario non residente dal Sig. Francesco Farina, che vengono ammessi. La seduta è tolta alle ore 19,10. — IV Tornata ordinaria del 9 giugno 1933. Presidente : Carrelli. Segretario : Parascandola. Sono presenti i soci: Zirpolo, E. Majo, L. Quintieri, C. Gargano senior, Salti, Ranzi, Pierantoni, Farina, Imperati, Fedele, Palombi, Caroli, Torelli, D’ Erasmo, C. Ruggiero, P. Ruggiero, Pannain, Co- vello, Maione, Trotter. Si apre la seduta alle ore 18 in seconda convocazione. Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. Il Segretario comunica il nuovo cambio pervenuto: « Archives suisses d’ornithologia » Berne. La socia E. Majo legge due lavori : V altessa delle onde del mare nel golfo di Napoli e la velocità del vento e II bradisisma flegreo con particolare riguardo all’ influenza che esercita sui manufatti che attraversano la collina di Posillipo e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Chiedono la parola, in merito ai detti lavori, i soci Ruggiero e Carrelli per chiarimenti. Viene letto il lavoro: Peso molecolare e costituzione dell acido mirtitannico del socio Augusti e ne viene chiesta la pubblicazione nel Bollettino a nome dell’Autore. Si passa alla votazione per l’ammissione a socio ordinario resi dente del Prof. Carlo Maranelli e a socio ordinario non residente del Dott. Francesco Sorrentino ; entrambi vengono ammessi. La seduta è tolta alle ore 19,30. Tornata ordinaria del 7 agosto 1933. Presidente ff.: Zirpolo. Segretario: Parascandola. Sono presenti i soci: C. Gargano sen., Platania, Imperati, Romeo, Quintieri, Farina, L. Ruggiero, Covello, Maione, Caroli, De Lerma, Pierantoni, Pellegrino, P. Ruggiero, Salti, Ranzi. Si apre la seduta alle ore 18 in seconda convocazione. Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. Il Presidente comunica che i premi Cavolini-De Mellis saranno banditi con un po’ di ritardo per ragioni di bilancio. Il socio Covello legge i seguenti lavori : 7. Contributo alla tecnica di distruzione delle sostanze organiche in analisi tossicologiche. - — V IL Nuovi sali di basi organiche quaternarie di eventuale applica¬ zione farmaceutica e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Chiede la parola il socio Ranzi per alcuni chiarimenti sul primo lavoro del Covello. Il socio Gargano riassume il lavoro del socio Gioffredi, dal titolo : Ricerche sperimentali sul metodo della predizione di sesso in gravidanza e sui reperti istologici dei testicoli dei conigli trat¬ tati e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino a nome dell’Autore. Il socio Ruggiero legge un lavoro : La sistemazione idraulica del Platano (Sete) mediante serbatoi e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Platania chiede la parola per una sua comunicazione verbale sull’argomento: Radioattività delle sorgenti termali del¬ usola fischia. Da questa seduta, la quale è tolta alle ore 19, s’iniziano le vacanze sociali. Tornata ordinaria del 20 novembre 1933. Presidente ff.: Zirpolo. Segretario : Parascandola. Sono presenti i soci : C. Gargano, Maranelli, Trotter, L. Ruggie¬ ro, P. Ruggiero, Signore, Forte, Platania, Imperati, Caroli, Maione, Covello, Salfi. La seduta si apre alle ore 18,20 in seconda convocazione. Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. Si comunicano i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Il Segretario legge il lavoro del socio non residente Sorrentino dal titolo : Alcune caratteristiche di geomorfologia del versante adriatico dal fiume Potenza al Pescara e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino a nome dell’Autore. Essendo pervenute in ritardo, dopo la pubblicazione dell’ordine del giorno, tre domande di ammissione di nuovi soci, il Presidente domanda se vi siano difficoltà circa la votazione di questi, pur non essendone fatta l’inserzione nell’ordine del giorno. I soci Gargano e Forte ritengono opportuno rinviarla alla pros¬ sima seduta. La seduta è tolta alle ore 18,40. VI Assemblea generale del 25 gennaio 1934. Presidente : Carrelli . Segretario : Parascandola. Sono presenti i soci : Farina, Gargano C. jun., D’ Erasmo, De Lerma, Covello, Trotter, Maratielli, Romeo, Gargano C., Pierantoni, Ruggiero L., Ruggiero P., Forte, Pellegrino, Ranzi, Patroni, Salti, Zirpolo, Fedele. La seduta è aperta alle ore 18 in seconda convocazione. Il Presidente comunica il decesso del socio Milone Ugo, avve¬ nuto il 24 dicembre scorso e legge una lettera del defunto socio, in cui egli chiedeva al Prof. Pierantoni che in caso di morte non vo¬ leva nè fiori, nè manifestazione alcuna di funebri onori, nè che fosse stata fatta la commemorazione, bastando a tal uopo, le semplici pa¬ role del Presidente ai soci nel darne il triste annunzio. Il Presidente invita i soci a pochi minuti di raccoglimento, rivol¬ gendo un devoto pensiero all’antico ed affezionato socio scomparso e ch’era uno degli ultimi rimasti del nucleo dei soci fondatori. 11 Presidente comunica ancora il passaggio dell’ amministrazione dei beni De Mellis dall’ Avv. Roberto Cerone al Comm. Eugenio Pa= lazzi, Economo della nostra Università. Il Segretario comunica le pubblicazioni pervenute in dono. Vengono ammessi a soci ordinari residenti i signori : Comm. Eugenio Palazzi e Dott. Francesco Castaldi. Costituitosi poi il seggio per le elezioni del Vice-Presidente e due Consiglieri nelle persone dei soci Pierantoni Presidente, e Covello e De Lerma scrutinatori, vengono eletti ad unanimità il socio D’Aquino a Vice-Presidente, e i soci Platania e Rodio a Consiglieri per il bien¬ nio 1984-35. La seduta è sciolta alle ore 18,50, dopo aver approvato il presente processo verbale. CONSIGLIO DIRETTIVO PER L’ANNO 1934 Antonio Carrelli Luigi D' Aquino Antonio Parascandola Platania Giovanni Gaetano Rodio Ernesto Caroli Mario Salfi ‘ Presidente Vice - ‘Presidente Segretario Consiglieri Incarichi del Consiglio Direttivo Eugenio Palazzi Mario Salfi Baldassarre De Lerma Giuseppe Zirpolo Antonio Parascandola jdmministratore - Cassiere jdiuto - Cassiere Vice - Segretario Redattore del bollettino bibliotecario ' . ELENCO LEI SOCI (31 dicembre 1933) SOCI ORDINARII RESIDENTI 1. 6-4-902 2. 13-7-924 3. •28-3-920 4. 8-6-924 5. 22-2-930 ó. 5-3-922 7. 30-5-921 8. 6-4-902 9. 28-3-919 10. 30-11-924 IL 21-1-933 12. 15-3-903 13. 17-11-918 14. 6-7-932 15. 20-11-929 16. 8-7-923 17. 14-6-930 18. 28-12-932 19. 26-7-925 20. 21-11-931 21. 16-12-923 22. 30-11-924 23. | 20-1-932 24. 14-6-930 25. 16-3-929 26. 28-7-889 Aguilat* Eugenio — Vico Neve a M ater dei 27. Andreotti Amedeo — Ist. Fìsica tevr. R. Univ ., Napoli. Arena Ferdinando — Piazza S. Ferdinando. Augusti Selim — Via dei Mille 1. Aurino Salvatore — R. Osserv. Capodimonte, Napoli . Bakunin Maria — R. Politecnico, Napoli. Biondi Gennaro — Portici. Bruno Alessandro — Nuovo Rione Fenice a Ottoc. 32. Califano Luigi — Vico Forino a Foria 7 . Candura Giuseppe — R. Oss. Fitopat ., Domodossola. Carretto Nicola — R Istit. Sup. Agrario, Portici. Caroli Ernesto — Ist. Zoologia R. Univ., Napoli. Carrelli Antonio — 5. Domenico Soriano 44. Casaburi Vittorio — Via Foria 76. Catanzaro Pietro — V. Massimo Stanzione 9, Vomero. Colosi Giuseppe — Ist. Anat . Comp. R. Un., Napoli. Coniglio Luca — R. Ist. Chimico Farmac., Napoli. Covello Mario — Corso Umberto I, 381. Cutolo Costantino — Via Tommaso Carovita 10. D’Alessandro Alessandro — Vico Tre Re 60 D’Aquino Luigi — Piazza Latilla 23. De Fiore Otto — Ist. Geografico R. Univ., Messina. De Lerma Baldassarre — Is'it. Zool. R. Un., Napoli. De Mennato Mario — Matteo Renato Imbriani 219. D’Erasmo Geremia — Ist. Geologia R. Univ., Napoli. Della Valle Antonio — Via Aniello Falcone 112 X 27. 4-6-922 28. 14-6-930 29. 13-8-921 30. 25-5-919 31. 5-3-922 32. 26-7-925 33. 11-1-885 34. 2-5-931 35. 28-3-919 36. 1-12-932 37. 12-8-930 38. | 31-12-913 39. 25-5-919 40. 3-4-933 41. 31-12-913 42. 6-6-931 43. 16-3-924 44. 4-2-923 45. 1-12-932 46. 9-6-933 47. 4-12-887 48. 1-1-929 49. 4-2-922 50. 3-4-933 51. 21-8-921 52. 2-5-931 53. 28-12-930 54. i 16-12-923 55. 18-3-900 56. i 20-1-924 57. 4-2-922 58. | 14-6-930 59. j 9-6-895 60. 11-5-913 61. 2-6-925 62. 16-12-923 63. 16-12-923 64. 29-2-932 | Del Regno Washington -lst. FisicaR. Univ., Messina. Dohrn Rinaldo — Stazione Zooio gica, Napoli. \ Fedele Marco — Villa Vallante alla Conocchia. \ Fenizia Gennaro — Vico V Avvocata a Fovia 5. j Fiore Maria — Corso Vittorio Emanuele 466. \ Foà Anna — R. Scuola Sup. Agric., Portici. | Forte Oreste — Via Posillipo 223 , Villa Fehse. ! Gaetani Livio — Camera dei Deputati , Roma. Gargano Claudio — Via S . Lucia 62. I Gargano Claudio — Via Carlo Poerio 98. j Gioffredi Livinio — Via Costantinopoli 94. Giordani Francesco — Corso Umberto I 34. Giordani Mario — Corso Umberto I 34. Imperati Luigi — 5. Domenico Soriano 34. Iroso Isabella — Via Foria 118. Longo Biagio — R. Orto Botanico , Napoli. Maione Vincenzo — Via Torino 90. Majo Ester — lst. Fisica terrestre R. Univ ., Napoli. : Majo Ida — lst. Fisica terrestre R . Univ., Napoli. Maranelli Carlo — Via Luca da Penne 1. Mazzarelli Giuseppe — lst. Zoologia R. Un., Messina. Monticelli Nunziante d’Afflitto G.na- V. Monter odimi 16. Palombi Arturo — 5. Pasquale a Chiaia 62. Pannai n Ernesto — 5. Giovanni Maggiore 25. Parascandola Antonio — lst. Minerai. R. Un., Napoli. Parenzan Pietro — Stazione Zoologica , Napoli. Patroni Carlo — Via Mariano Semmola 45. Pellegrino Luigi — Via Roma 404. Pierantoni Umberto — Galleria Umberto I, 27. Platania Giovanni — Salita Stella 10. Pozzi Olimpio — Mer gellina 2. ' Quercigh Emanuele — lst. Minerai. R. Un.y Napoli . Quintieri Luigi — Via Amedeo 18. Quintieri Quinto — Via Amedeo 18. Ranzi Silvio — Stazione Zoologica , Napoli. Riccio Raffaele — Via Depretis 114 Rodio Gaetano — R. Orto Botanico , Napoli. 1 Ruggiero Lelia — Corso Umberto I, 259. XI 65. 16-3-929 66. 29-6-919 67. 31-12-928 68. 4-2-921 69. 27 -7-932 70. 7-3-906 71. 29-4-923 72. 1-12-932 73. 16-3-924 74. 25-5-890 75. 2-6-925 76. 28-11-912 1. 17-4-913 2. 1-12-932 3. 29-2-932 4. 31-12-928 5. 31-12-916 6. 1 -6-902 7. 29-8-909 8. 16-3-929 9. 3-4-933 10. 6-2-903 11. 20-11-929 12. 31-12-929 13. : 22-2-930 14. 22-3-925 15. 2-6-925 16. 1-6-913 17. 20-11-913 18. 4-2-919 19. 21-11-931 20. 2-6-928 21. 31-12-929 22. 31-12-891 23. 28-7-929 Ruggiero Placido — Corso Umberto I, 259. Salfi Mario — Via Montesilvano 30. Salvi Pasquale — Via Luigi Palmieri 16 . Sbordone Domenico — Via Roma 404. Scaini Giuseppe — Via S. Giacomo dei Capri 39. Schettino Mario — Via Raff. DeCesare a S. Lucia 31. Torelli Beatrice — Stazione Zooio gicaì Napoli. Trotter Alessandro — R. Istituto Sup. Agr., Portici. Viggiani Gioacchino — Potenza. Viglino Teresio — Piazza Dante 41. Volpicelli Mario — Viale Elena 23. Zirpolo Giuseppe — Via Duomo 50. SOCI ORDINARI NON RESIDENTI Alfano G. B Oss. Meteor . Geodin., Valle di Pompei. Bilotta Raffaele — Via Ferri Vecchi 11. Bonanno Giuseppe — Viale 20 Sett. 56, Catania. Carobbi Guido — Ist. Mineralogia R. Un., Modena. Celentano Vincenzo — Via Veterinaria 7. Cerruti Attilio — Via Peripato, Taranto. Cotronei Giulio — Istit.Anat. Comp. R. Univ., Roma. D’Ancona Umberto — Ist. Zoologia R. Univ., Siena. Farina Francesco — Parete - (Napoli). Foà Jone — Corso Marrucaio 154 , Chieti. Gambetta Laura — Ist. Zoologia R. Univ., Torino. Guadagno Giuseppe — Via Foria 193. Guidone Giuseppe — Largo Avellino 15. Imbò Giuseppe — R. Osserv. geofisico, Catania. Jucci Carlo — Ist. Zoologia R. Univ., Modena. Magliano Rosario — R. Liceo, Potenza. Malladra Alessandro — R. Osserv. Vesuviano, Resina. Mingioli Paolo — Via Stella, 124. Montalenti Giuseppe — Ist. Zoologico R. Un., Roma. Morgoglione Ferdinando — Cai .S.Giac.5 ,Cast.Stabia . Pasquini Pasquale — Ist. Zool. Anat.R. Un., Perugia. Piccoli Raffaele — Corso Marrucino 154, Chieti. Romeo Antonino — R. Scuola Sup. Agric., Portici, — XII 24. 12-5-917 25. 4-2-923 26. 9-6-933 27. 29-4-923 28. 5-3-922 29. 30-12-923 1. 2-6-925 2. 12-7-918 3. 18-6-905 Sbordone Annibaie — S. Domenico Maggiore 3. Signore Francesco — R. Osserv .Vesuviano , Resina. Sorrentino Stefano — Ist. Geologico R. XJniv Roma. Trezza Ugo — Via Duomo 64. Valerio Rosaria — Sala di Caserta. Vessichelli Nicola — Istituto Tecnico , Caserta . SOCI ADERENTI Cerone Roberto — Domenico Morelli 24 Cutolo Claudia — Villa Claudia , Vomero, Napoli. Filiasi Giuseppe — Riviera di Ghiaia 263. Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio ed in dono Elenco delle pubblicazioni pervenute lo cambio EUROPA Italia Acireale — Memorie della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti degli Zelanti. — Rendiconti id. id. — Bollettino della R. Stazione Sperimentale di agru¬ micoltura e frutticoltura. Aosta — Société de la Flore Valdòtaine. Bologna — Rendiconti della R. Accademia delle Scienze del¬ l’Istituto. — Bollettino del Laboratorio di Entomologia R. Isti¬ tuto Superiore Agrario. Brescia — Commentari dell’Ateneo. Cagliari — Atti della Società fra i cultori delle Scienze Me¬ diche e Naturali. Città del Vaticano — Atti dell’Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei. — Memorie id. id. Ferrara — Accademia di Scienze Mediche e Naturali. Firenze — Archivio per l’Antropologia e l’Etnologia. — Nuovo Giornale Botanico Italiano. — « Redia » Regia Stazione di Entomologia Agraria. — L’Universo. Istituto Geografico Militare. Genova — Società Entomologica Italiana. — Memorie id. id. Genova — Atti della Società Ligustica di Scienze Naturali e Geografiche. — Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia com¬ parata della R. Università. — XVI — Milano Modena Napoli Padova Pavia Pisa Portici Postumia Roma Rovereto Salò Sassari Scafati — Atti della Società Italiana di Scienze Naturali e Museo Civico di Storia Naturale. — Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. — Laboratorio di Zoologia Agraria e Bachicoltura. — Atti della Società dei Naturalisti e Matematici. — Sezione Autonoma del Genio Civile. Ministero Lavori Pubblici. Servizio Idrografico. — Bollettino Orto Botanico. — Rendiconti della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche. — Annuario del Museo Zoologico della R. Università di Napoli (N. S.). — Pubblicazioni della Stazione Zoologica. — Archivio Zoologico Italiano. — Bollettino di Zoologia. Rivista di Fisica, Matematica e Scienze Naturali. — Annali del Reale Osservatorio Vesuviano. — Bulletin volcanologique. — Atti della Accademia scientifica veneto- trentino - istriana. — Atti dell’Istituto Botanico Giovanni Briosi. — Atti della Società Toscana di Scienze Naturali. — Processi verbali id. id. — Annali della R. Scuola Superiore di Agricoltura. — Bollettino del Laboratorio di Zoologia generale e Agraria. — Le Grotte d’Italia. — Bollettino della R. Accademia Medica. — Atti della Società Italiana per il progresso delle scienze. — Bollettino dell’ Istituto del R. Ufficio Geologico Italiano. — Bollettino dell’Istituto di Zoologia della R. Uni¬ versità. — Istituto Internazionale di Agricoltura. — Bollettino della R. Società Geografica Italiana. — Atti dell’Accademia degli Agiati. — Memorie dell’Ateneo. — Studi sassaresi. — Bollettino tecnico della coltivazione dei tabacchi. XVII Torino Trento Trieste Venezia Verona Graz Wien Bruxelles Louvain Brno Brunn Ljubljana Prague — Atti della R. Accademia delle Scienze. — Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia Comparata. — Urania. — Studi trentini di Scienze Naturali. — Bollettino della Società Adriatica di Scienze Na turali. — Ateneo Veneto. — Bollettino della Società Veneziana di Storia Natu¬ rale. — Atti e Memorie dell’ Accademia di Agricoltura, Scienze, Lettere, Arti e Commercio. Austria — Mitteilungen des Naturwissenschaftlichen Vereins fur Steiermark. — Verh. der K.-K.Zoologisch.-botanisch.Gesellschaft. — Annalen des Naturhistorischen Museum. Belgio — Société Royale Zoologique, — Travaux biologiques de l’ institut J. B. Carnoy. Ceco-Slovacchia — Faculté des Sciences de l’Université Masaryk. — Verhandl. des Naturforsch. Vereins. — Prirodoslovne Razprave. — Casopis Ceskoslovenske spolecnesti entomologické (Acta societatis entomologicae Cechosloveniae). — Bulletin International. Classe des Sciences mathé- matiques, Naturelles et de la Médicine. — Rozpravy ceske akademie ved a umenì. — Societé Royale des Sciences de Bohème ( Memoires ). — Akademie Masaryk du Travail. — << Lotos » Naturwissenschaftliche Zeitschrift. - 30 - — XVIII Quito Heisingfors Helsinki Cherbourg Nancy Nantes Nice Oloron S. Maria Paris Rostock Bonn Berlin Giessen Equatore — Anales de la Universidad Central. Finlandia — Memoranda Societatis prò Fauna et Flora fenilica. — Acta Botanica femica. — Acta Zoologica femica. — Annales botanici Societatis Zoolog. - Botanicae fennicae Vanamo. Francia — Société nationale des Sciences Naturelles et Ma- thématiques (Mémoires). — Société des Sciences et Réunion biologique (Bul- letin des séances). — Société des Sciences Naturelles de V Quest de la France (Bulletta). — Bulletin de l’Association des Naturalistes. Riviera Scientifique. — Bulletin de la Société Palassou. — Muséum d’ Histoire Naturelle (Bulletta). — L’Astronomie. — Société d’ Océanographie de France. — Bulletin de la Société Zoologique de France Germania — Archiv des Vereins der Freunde der Naturgeschi- chte in Mecklenburg. — Naturshistorisches Verein der preussischen Rhein- lande. — Verhandlungen des Botanisches Vereins der Pro- venz Brandeburg. — Sitz. der Gesellsch. Naturforsch. Freunde. — Bericht der Oberhessischen Gesellschaft fur Natur und Heilkunde. — Xltf — Frankfurt a M. — Senckeribergiana. Halle a. S. — Kaiseiiich Deutsche Academie der Naturfoscher. Hamburg (Leopoldina). — Verhandlungen des naturwissenschaftlichenVereins. — Abhandlungen aus dem Gebiete der Naturwissen- scaften. Cambridge Inghilterra — Philosophical Society ( Proceedings , Transactions) . — Biological Reviews. Plymouth — Marine Biological Association of thè United King- dom (Journal). Lettonia Riga — Acta Orti Botanici Universitatis Latviensis. Lituania Kaunas — Mémoires de la faculté des Sciences de l’Univer- sité de Lithuanie. Tromsòe Norvegia — Tromsòe Museum. Warszaw Polonia — Acta Societatis Botanicorum Poloniae. — Annales Musei Zoologici Polonici. — Fragmenta faunistica Musei Zoologici Polonici Portogallo Lisbona — Bulletin de la Société Portugaise des Sciences Na turelles. Coimbra Perm Saratov Kiew Leningrado Ussa Kieff Moscou Barcellona Cartuja Madrid Upsala Lund Berne Chur — XX — — Memorias e estudios do Museo Zoologico. — Sociedad Broteriana ( Boletim ). — Arquivos da Seccao de Biologia e Parasitologia. Russia — Bulletin de l’Institut des recherches biologiques à TUniversité de Perm. — Station regionale d’agriculture. — Biologische Wolga-Station. — Société des Amateurs des Sciences Naturelles. — Société des Naturalistes. — Société Entomologique de Russie. — Biblioteca Orti Botanici-Petropolitani. — The Lenin Academy of Agricultural Sciences in Ussa-of Grain Farmiogin. — The Ukrainian Botanical Review. — Bulletin de la Société des Naturalistes. Spagna % — Iunta de ciénces Naturals. — Boletin mensuel de la Estaciòn Sismologica. — Sociedad espanola de Historia Naturai {Anale s. Boletin). — Servicio sismologico (Instituto geografico y ca¬ tastai. — Rivista Espanola de Biologia. — Instituto Forestal de Investigaciones of Experiencias. Svezia — Geological Institution of thè University of Upsala {Bulletin). — K. Universitets-Biblioteket. Svizzera — Archives suisses d’ Ornitologie Schweizerisches. — Naturforschendende Gesellschaft Graubunden’s (Jahresbericht). XXI Ungheria Budapest — Botanikai Kòzlemenyck. Venezuela Caracas — Revista Colegio de Ingenieros de Venezuela. ASIA Nanking China — Metropolitan Museum of Naturai History. Acade- mia Sinica. Tokyo Giappone — Annotationes zoologica japonenses. — Japanese Journal of Zoology ( Transactions and Abstracts). Kyoto — Memoires of thè college of Science. Kyoto impe¬ riai University Series A and Series B. AFRICA Cairo Egitto — Société Entomolog. d’Égypte (. Bulletin , Memoires). AMERICA Buenos-Ayres Argentina — Museo nacional ( Anales , Comunicaciones). — Sociedad Cientifica Argentina. La Piata — Edicion Oficial de las Obras y Correspondencia Cientifica de Fiorentino Ameghino. XXII Brasile Rio de Janeiro — Archivos do Museu Nacional. Canada Halifax — Proceedings of thè Nova Scotian Institute of Science. Chili Santiago — Société scientifique du Chili (Actes). Colombia Bogotà — Museo Nacional. Messico Messico — Sociedad Cientifica Antonio Alzate ( Memoiras , Revista). — Instituto Geologico ( Boletin , Pevargones). — Revista Mexicana de Biologia. — Anales del Instituto da Biologia. — Anales y Boletin del Museo Nacional de Arqueo= logia, Historia y Etnografia. Perù Lima — Boletin de la Sociedad Geologica. — Pubblicaciones de la Sociedad Geografica. Stati Uniti Berkeley — University of California (. Publications in Zoology , Entomology). Boston Brooklyn Chaphell Hill Cincinnati Minneapolis Urbana — Society of Naturai Hi story (Proceedings). — Cold Spring Harbor Monographs. — Elisha Mitchell scientific Society (Journal). — Bull, of thè Lloyd Library of Botany etc — The University of Minnesota. — Illinois biological monographs. — Bull, of thè state Laboratory of Nat. Hist, — XXIII Chicago — Academy of Sciences ( Bulletin , Annual Report). — Field Museum of Naturai History (Department oj Botany). Madison — Wisconsin Academy of Sciences, Arts and Lettres (Transactions). — Wisconsin Geological and Naturai History Survey (Bulletin) . Missoula — Bulletin of thè University of Montana (Biologica Series). New-York - - Botanical Garden (Bulletin). NotreDame Indiana— The American Midland Natur. Philadelphia — Academy of Naturai Sciences (Proceedings Year Book). Pullman, Washington — Research Studies of thè State College of Wa¬ shington. Saint Louis — Academy of Science ( Transactions ). — Missouri Botanical Garden (Annual Report). Springfiel (Massachussets) — Museum of Naturai History. New-Orleans — Louisiana State Museum. Tufts College (Massachussets) — Studies. Washington — United States Geological Survey ( Annual Report). — U. S. Department of Agriculture. — Division of Ornithology and Mammalogy (Bulletin North American Fauna). — Smithsonian Institution (Annual Report). — U. S. National Museum (Bulletin). — U. S. Department of Agriculture (Yearbook), — U. S. Department of Agriculture. — Bureau of A- nimal Industry (Annual Report). Washington — Carnegie Institution of Washington (Publications). — The Rockfeller Sanitary Commission for thè Era- dication of Hookworm Desease. — United States Bureau of Fischeries. Woods Mole, Mass. — Bulletin of thè marine biological laboratory. New Haven, Cono. — Tropical Woods. Uruguay Montevideo — Museo de Historia naturai (Anale s) ’ PUBBLICAZIONI PERVENUTE IN DONO Benedetti E. — Il cervello e i nervi cranici del Proteus Anguineus Laur. Casaburi V. -- Uni - Dea — Contributo alla Battaglia del Grano. Napoli. — — La scienza conciaria per la Battaglia del Grano. Parte gene¬ rale. Torino. — — La scienza conciaria per la Battaglia del Grano. Parte spe= ciale. Torino. De Blasio A. — Appunti di Antropologia. V edizione. De Toni G. B. — L'opera Lichenologica di Abramo Massalongo. Verona 1933. Guilherme E. - Hermsdoff. — Zootecnica Especial. Un esemplare de Equideos (Equinos, Asininos e Muares). Tomo I. Jovine F. — Note geologiche sull’Isola d’Ischia. Napoli 1928. Mastrolilli De Angelis A. — La recente esplorazione della Somalia. — — Rivendicazioni zoologiche. — — Aggiunta a le note di Zoologia su la Somalia. Paglioli R. — Trattamento a secco del seme grano. Napoli. Romeo A. — Contributo alla Biologia Fiorale dell’ « Aranzia Serici» fera» Brot. (Estratto degli Annali del R. Istituto Superiore di Portici). — — Ricerche sull’ « Aborto » del nocciuolo. (Ibidem). — — Contributo alla conoscenza del « Cimiciato » del Pistacchio. (Nota). — — Il « Cimiciato ». — — Osservazioni su alcuni Pentatomidi e Coreidi nei dintorni di Randazzo (Catania). Rovf.sti G. — Il Rosmarino officinale e le sue essenze italiane. Ruggiero P. — Studio fisico sulLAlto Tanagro. Considerazioni pre¬ liminari. (Estratto della Rivista di Fisica, Matematica e Scienze Naturali, fase. 10, luglio 1933). Vèlaz de Medrano L. - Jesus Ugarte — Estudio Monogràfico del Rio Manzanares. Madrid. — XXVI — V ig GIANI G. — La questione meridionale e il Fascismo. (Conferenza tenuta a Potenza il dì 11 maggio 1933. Viglia A. — Il nostro contributo alla Battaglia del Grano. Napoli. — — R. Stazione Sperimentale per V Industria delle pelli e delle materie concianti, fase. 3 e 4. — — Bollettino dell’Istituto Sieroterapico Milanese. Pubblicazione Italiana di Batteriologia ed Immunologia, Milano. Voi. XII, fase, da 1 a 10. INDICE ATTI (memorie, note e comunicazioni) Jucci C. — Ricerche di genetica sui bachi da seta. . . . pag. Salvi P. — Sulla digestione e l'assorbimento intestinale dei fo¬ sfolipidi. — I. Azione veicolante dell'acido oleico e dei sali biliari (glicocolato e taurocolato di sodio) . „ Fedele M. — Sulla nutrizione degli animali pelagici. — III. Ricerche sui Salpidae . . Augusti S. — La sostanza colorante del mirto „ Fenizia G. Note biologiche sul Calcinus ornatus (Roux) . „ Augusti S. — Ricerca e dosaggio di minime quantità di acido nitroso nelle acque potabili . „ Majo E. — Il periodo diurno della pioggia a Napoli 1 Covello M. — Contributo alla tecnica di distruzione delle so¬ stanze organiche in analisi tossicologica Ruggiero P. — La sistemazione idraulica del Platano (Seie) me¬ diante serbatoi ........ w Covello M, — Nuovi sali di basi organiche quaternarie di even¬ tuale impiego farmaceutico. ...... Majo E. — Un ventennio di osservazioni eliofanometriche in relazione con la nebulosità a Napoli „ Augusti S. — La radioattività delle acque termominerali di Lacco Ameno (Isola d'Ischia). — Nota IL - Ricerche radio¬ attive su materiale vario prelevato sulle acque e sul terreno circostante . . Augusti S. — Peso molecolare e costituzione dell'acido mirtitannico. „ Gioffredi L. — Ricerche sperimentali sul metodo della predizione di sesso in gravidanza e sui reperti istologici dei conigli trattati . . Majo E. — Il bradisisma flegreo con particolare riguardo all'in¬ fluenza che esercita sui manufatti che attraversano la collina di Posillipo . „ Platania G. - Radioattività di alcune sorgenti termali di Lacco Ameno (Isola d'Ischia) . . Majo E. — L'altezza delle onde del mare e la velocità del vento nel golfo di Napoli . „ Majo I. — Analisi di roccia leucitica dell'Averno. „ Andreotti A. — Le sollecitazioni dei fabbricati prodotte da mac¬ chine in movimento (Sismologia applicata). . . „ Sorrentino S. — Alcune caratteristiche di geo - morfologia del versante adriatico dal fiume Potenza al Pescara. . „ 3 21 49 119 129 143 153 173 193 217 225 251 255 263 271 289 295 309 313 321 RENDICONTI DELLE TORNATE ( PROCESSI VERBALI ) Processi verbali delle tornate 1933 . pag. iii Consiglio Direttivo per Panno 1934 VII Elenco dei soci .... . . „ IX Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio . 4 xv Elenco delle pubblicazioni pervenute in dono „ xxv Per quanto concerne la parte scientifica ed amministrativa dirigersi al REDATTORE DEL BOLLETTINO Prof. Giuseppe Zirpolo presso la Sede R. Università - Via Mezzocannone - Napoli. Direttore responsabile : Claudio Gargano. RENDICONTI DELLE TORNATE (PROCESSI VERBALI) Processi verbali delle tornate 1933 ....... pag. Consiglio Direttivo per l'anno 1934 ...... H Elenco dei soci . . . . . . . . „ Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio „ Elenco delle pubblicazioni pervenute in dono „ : , ì ( hi VII IX XV XXV BOLLETTINO “DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI NAPOLI VOLUME XLVI. — 1934, Con 3 X avolo (Pubblicato il 10 febbraio 1935). NAPOLI PREMIATO STAB. TIPOGRAFICO N. JOVENE VIA DONNALB1NA, 14 1935 INDICE ATTI (memorie, note e comunicazioni) Jucci C, — Contributi critici alla storia della sericoltura . . pag. 3 Imperati L. -- Tentativi sperimentali di trapianti di cute su tes¬ suto osseo ......... w 15 Majo E. — I sismi vesuviani del febbraio 1933 .... w 29 Augusti S. — Studi ed osservazioni sul comportamento dei sali di cromo in analisi . „ 35 Alfano G. B. — Gli epicentri sismici dell'Italia con particolare riguardo a quelli rovinosi , disastrosi e disastrosissimi (Con la Tav. 1) . . „ 51 Sorrentino S. — Considerazioni sulla variabilità dei caratteri di Alveolina e Flosculina dal punto di vista del loro rag¬ gruppamento e determinazione (Con 2 grafici fuori testo). „ 121 Penta F. — Incrostazioni calcitiche in vecchie grotte cavate nel “ tufo giallo napoletano „ (Con la Tav. 2). . , u 153 Castaldi F. — Forme di erosione eolica nei Campi Flegrei (Con la Tav. 3) . . 171 Scaini G. — Nuovi giacimenti di pirolusite nel gruppo del Matese. „ 191 RENDICONTI DELLE TORNATE (PROCESSI VERBALI) Processi verbali delle tornate 1934 . pag. ih Consiglio Direttivo per l'anno 1935 . . „ ix Elenco dei soci . . „ xi Elenco delle pubblicazioni pervenute in dono „ xvn BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI IN NAPOLI VOLUME XL VI. — 1934. Con 3 Tavolo ( Pubblicato il 10 febbraio 1935). NAPOLI PREMIATO STAB. TIPOGRAFICO N. jOVENE VIA DONN ALBINA, 14 1935 Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli ATTI (MEMORIE E NOTE) Contributi critici alla storia della sericoltura. I poptpdxia di Aristotele del socio Carlo Jucci (Tornata del 27 agosto 1932) Uno dei passi più famosi della " Storia degli animali „ di Aristotele è quello nel quale il grande filosofo parla de' bom¬ bici di Coo. ex Sé tivog Gxa)hr\xog ^eydÀoi), og e/ei olov negata xal SiaqpeQei ttbv à'Mxov, yLyvetai jtqóqtov pèv petaPdÀÀovtog tot) axcoÀrixog xapjtr], oretta PoppoÀtg , ex Se todtoo vexvSalog. èv si; Se pr)aì perapdÀÀei xavxag rag poptpàg jtdcrag. ex Se to'uto'u tot) |(pov xal tà (3op|3i)xia, « a » a vaÀdooat tóuv yovatxóov tiveg dvajrT]vi^6[xsvat xajteita LKjpaivovcnv ; jcpootT] Se Àéyetai ùcprjvai ev Kco IlapqpiÀr] TlXdteo} ^oydtrjQ. “ C è un certo verme grande che ha come delie corna e differisce dagli altri. La sua prima metamorfosi produce un bruco che diviene bombilio e si cangia quindi in uccidalo. Subisce queste diverse metamorfosi nello spazio di sei mesi. Dai bozzoli di questo animale traggono certe donne la seta : la filano e ne fanno tessuti. Si attribuisce questa invenzione a Panfila, figlia di Piasteo, abi¬ tante di Coo || . Questa è la versione più generalmente accettata. Ma non mancano dubbi e fondati. Su (3o[tfhjxia tutti sono d'accordo : sono i bozzoli “ bombices ipsas lanificio oppletas „ come dice Salmasio, " le fila o sia tele prodotte dal bombice, in quella guisa che àgdyy ia significa le tele del ragno „ come dice Giorgetti ( “ Il filugello „ p. 179, Venezia 1752). % — 4 — Ma il pojxpiAig e il vBxijSaÀog che cosa sono ? Per i più par che non vi sia dubbio possibile : quello è la crisalide e questo è la farfalla* Così per il Giorgetti (p. 180). Si capisce che è comodo identificare i tre stadii successivi xd^uiT], popPuÀig, vexvòcdog che Aristotele descrive per il bom¬ bice di Coo con i tre stadi che gli entomologi, a cominciare dallo stesso Aristotele, distinguono nello sviluppo dei Lepidot¬ teri in genere : bruco, crisalide, farfalla. Ma , a mio debole parere , il vsxvòuÀog di Aristotele non può esser che la crisalide : da vbxvs morto, certo per l'inattività e più ancora per l'aspetto di mummia che ha la crisalide. Un diligente storico della seta, il De Termeyer, ammette, senza discussione, che il necidalo sia la crisalide. Il bombice, egli dice, " entro il detto bozzolo si trasforma in necidale, ossia cri- salide quiescente (usando l'espressione linneana) per un certo tempo. Quindi il filosofo si sporge bene chiamandola in questo stato invalida, impotente, “ invalidam dixerim „, perchè si trova immobile o quasi immobile, essendovi immantigliata o fasciata e quindi impotente a difendersi da sè, dai pericoli che possongli sovrastare, insinché non arriva all'ultimo suo stadio di 11 insetto perfetto „ (p. 85). Veramente il filosofo stagirita non dice che vexxtèodo?: " inva¬ lida, per così dire l'aggiunge „ a spiegazione del vocabolo greco, il traduttore latino ".... eruca; deinde quae bombyx appellatur, ex quo necydalus, invalidam dixerim : quae ... „. Evidentemente il De Termeyer non ha consultato l'originale greco, ma solo la versione latina, probabilmente nell'edizione di Roma, Bernabò 1668. Certo il traduttore, Silvestro Mauro ge¬ suita, ha riconosciuto, senza esitazioni, nel necidalo la crisalide. Ma i più non sono di questo avviso, ripeto. Così Fabbroni spiega vexitèuÀog “ cioè rinato da morte, il chè disegna l'ultimo stato, vale a dire quel di farfalla „ (p. 71). L'interpretazione si presenta ingegnosa, e sarebbe comoda soprattutto. Ma l'A. non ne porge giustificazione alcuna ed a me sembra arbitraria. Conosco un solo composto di vewus che s’ avvicini al si- — 5 — gnificato accennato da Fabbroni : è ^woaaóog (da vekvc; e aóog = sano, vivente) — che sana, cioè richiama alla vita i morti : ma non ha niente a che fare col nostro vocabolo. Che vgMj§cdo<; derivi da vexvg e ataxóg (da a privat. e Àdco vedo) che non vede, cieco, caliginoso, oscuro ? 01 dktoi fu usato metaforicamente per i morti. Ho pensato anche ad d^gg (rad. àk , serrare, stringere) rac¬ colto, stretto insieme che può alludere all'aspetto di cadavere fasciato, mummia. Assai più probabile mi sembra una derivazione da vgxù? ftodóg Secondo Henr. Van Herwerden (Lexicon graec. suppl. et dialect. Lugduni 1910 Sijthoff) 8aÀóc; — 8avÀog. Ora significa densamente coperto, nascosto, segreto, spesso (connesso al lat. darus secondo Gemoll, al latino densus secondo Boisaqq). Insomma anche senza arrischiarci a delle etimologie troppo fantasiose, a me sembra che vsxdSodog vada inteso crisalide. Così dovette interpretarlo anche Plinio. Ma se vsxdScdog è la crisalide, che cosa è il ? La farfalla dicono alcuni i quali non posson supporre che Aristotele abbia dimenticato lo stadio d’insetto perfetto. Sono così obbligati a supporre che sia avvenuta, nel testo, una trasposizione dei termini. 11 Dittmeyer, p. es., del quale ho seguito, citando la descri¬ zione aristotelica nell'originale greco, 1' edizione critica, segue la lezione ordinaria, ma annota : " (3op|3. e vgwu8. invicetn transponi tnalitn „. Ma la concordanza dei codici parrebbe dover fare escludere la possibilità di una trasposizione. Esclusa questa , popfMfe mi par debba significare il baco che si chiude nel bozzolo. Opinione simile manifesta il De Termeyer quando dice: " Questo bruco senza veruna metamorfosi rimane tutto il tempo d' eruca in questo stato . allora diventa bombice perchè della propria sua sostanza fabbrica un bozzolo di seta. Indi entro il detto bozzolo si trasforma in necidale „ (p. 85). Ma allora Aristotele non avrebbe menzionata la più vistosa delle metamorfosi, quella per la quale dalla crisalide sboccia la farfalla. - 6 - Può supporsi che non ne facesse esplicito cenno per il bombice di Ceo, perchè ne aveva poco sopra parlato dettaglia¬ tamente per gli insetti in genere e per le farfalle in ispecie. Similmente per i Geometrini, dei quali parla immediatamente prima che dell’insetto serigeno, non accenna che allo stadio di bruco : “ Le cosidette iperie e le penie - egli dice - vengono da bruchi che si muovono a onda : la parte anteriore del corpo resta ferma; ad essa ravvicinano, contraendosi, la parte posteriore e così inarcandosi (ed alternatamente deprimendosi) vanno avanti Evidentemente una volta enunciati (nei precedenti capoversi del 19° cap.) i caratteri generali degli insetti, specie dei lepidot¬ teri (diffusamente e con molta esattezza scientifica) nel passare poi in rivista i vari generi Aristotele si limita a menzionare ciò che in essi vi è di più peculiare. Non dobbiamo dimenticare del resto che gli scritti dello Stagirita, anche i più genuini, e la “ Storia degli animali „ è certo tra questi, ci sono arrivati in una forma che è poco paragonabile a quella di un trattato moderno. Si dura fatica a trovare in questi scritti tracce di quell'eloquenza e quelle doti stilistiche che gli antichi magnificarono in Aristotele. Stile semplice sino al trasandato, molto spesso oscuro, frequenti ripetizioni e digres¬ sioni inutili ; accanto ad osservazioni geniali che rivelano talento naturalistico e spirito critico e rigoroso metodo scientifico, qua e là errori di una ingenuità infantile. Pare probabile che quelli che scrisse Aristotele fossero non trattati , destinati senz' altro alla pubblicazione (sia pure nel senso ristretto che la parola può avere riferita a quei tempi) ma quaderni d’appunti, dei quali si serviva nelle sue lezioni al Liceo d' Atene. Questi appunti dovettero passare nelle mani di suoi scolari (in forma paragonabile alle dispense delle Università moderne) ; forse costituirono la base di preparazione dei corsi tenuti dai primi successori di Aristotele e così più o meno completati, rimaneggiati e aggiornati furono redatti nella forma sotto la quale ci son pervenuti. Da queste considerazioni mi sembra risultare ammissibile che, nella sua descrizione del bombice di Coo, Aristotele abbia tralasciato di accennare esplicitamente allo stadio di farfalla. — 7 — * * * Portiamo ora la questione sul terreno etimologico. E un ter¬ reno molto infido, purtroppo soprattutto per chi non abbia la competenza necessaria. Mi perdonino i " letterati „ questa “ scor¬ reria,, che ha lo scopo di richiamare la loro dotta attenzione sul- l'argomento. I codici Vaticani 1339 e 262 hanno Pop,puÀiog (trad. bombi- lus) ma |3o^|Mi£ sembra a critici come il Dittmeyer lezione più accettabile tanto più che trova riscontro in Aristofane. (Hist. anim. epit. 1, § 36). Da che deriva la parola popPuÀig ? Certo da Poppéco in ultima analisi ; ma per quale via esat¬ tamente è problema dei più difficili da risolvere. Tutto uno stuolo di termini affini è derivato da PopPécn : pópPog, póppul, popPuÀog, popputo;, PoppuÀig, popPuxia, popPwuag. Vediamo quali si trovino usati da Aristotele e come. poppuÀióg è usato a I43 per indicare degli imenotteri che fabbricano sorta di alveari e vi elaborano qualche cosa di simile a miele. A I40 l'appellativo popPuÀiog ricorre per indicare un insetto dello stesso genere, pare. Così anche a E24 se la lezione corretta anziché poppwucov è pojipvÀicov , come sospetta il critico della edizione tedesca del 1868 (Aristoteles Tierkunde, Leipzig, En- gelmann). La derivazione diretta di poppuXióg da (3opt/3éco è evidente. Lo attestano anche Tzeze e Suida *). Considerando questo parrebbe doversi ammettere che (o addirittura popj3vXióg ) nella descrizione aristotelica dell’insetto 1 ) Isaaco Tzeze nei suoi scolii sopra Licofrone (p. 110 dell'ed. di Basilea) |3op|3uÀióg èori ^orucpiov ojxoiov peÀioari péÀav òè cf| zQ<*)hx ^ xrjQOJiÀa- oà)v. Àé^Exai 8è jSofiP'uÀióg rcagà tò |3ojx|3eìv. Il bombilio è un animaletto somigliante all'ape nero di colore, e che fa la cera nel fango. Vien chiamato |3op|3uA,ióg da |3opf3eìv cioè dallo strepitio che fa. Suida alla lettera B : |3op|3vÀicjg. eiSog peÀT]a0r]Q. xaì 8qy™u no-QÙ tò |3o|j,petv... JtaQÓgov pèv po^pv- faòg eoi fX8ÀiGOT]q et8og ex jrr]Àcò Ji?MZZ(óor)g zà xì)q la. Una specie di ape che vien così detta da |3op|3eìv o sia dallo strepito . perchè il bombice è una specie di ape che forma i suoi favi nel fango. — 8 serigeno di Coo, sia la farfalla che ha comune con i popp^ioi l'essere insetto perfetto, alato e più o meno ronzante. Ma Aristotele usa anche il termine Pop^wia. In E24 (se la lezione è corretta) stata ad indicare imenotteri, insetti tipicamente ronzanti. In E19 indica i bozzoli dell'insetto serigeno di Geo. C' è chi crede che il termine (BojiSwia possa riferirsi anche nel primo caso ai bozzoli. Mahudel , a pag. 220:... " il n'y a pas de doute que ce terme n'ait été un nom générique que les Grecs donnaient aux coques des differentes insectes . . . Ma non pare probabile. Anche Salmasio (In notis ad lib. Tertulliani De Pallio p. 331 ed. Lugdun. Batav. 1656) ritiene che il nome venga attribuito non già in grazia del nido, ma della trasformazione in ninfa o crisalide. Giorgetti , notato che Aristotele dà lo stesso nome di bombici ai bachi da seta dell'isola di Geo e ad altri insetti che sono simili a Vespi ed Api (egli non sta a sottolizzare tra 3opi- Qvhog e j3o|x(3wia) deriva il nome per questi ultimi da (Sopisco, per quelli da (3opj3vXov. "Della prima specie somigliante alle Vespe ed alle Api la propria e vera etimologia si è quella che è deri¬ vata dallo strepito, solito farsi da somiglianti insetti con il mo¬ vimento delle ali, jiagà tò (3 opSetv , ed alla seconda specie asse¬ gnar si deve la propria e vera etimologia derivata del greco termine (BopfriAióg o sia popjS'uÀov con il quale solito era chiamarsi il vaso già mentovato, somigliante di molto nella figura a quel¬ l'invoglio nel quale soleva rinchiudersi, che ottenne eziandio nei seguenti tempi il nome di mmoAiov e xcmaov „ (p. 176) l). Senonchè subito dopo affaccia l'ipotesi che Aristotele abbia chiamato bombice il baco per averne trovato la farfalla simile a quell'insetto affine alle Vespe, benché pare — egli stesso osserva — 4) Giorgetti si basa sulla autorità di Esichio e di Suida. Suida : f3o^p'uA.ov axeìog oTQoyyuÀetdèg. Vaso di rotonda figura. Esichio : po|x(3uÀióg è una specie di vaso che versa il liquore a goccia ; per la qual cosa vien chiamato con questo nome un animale che fa un certo rumore del genere delle vespe, oppur Ape grande, o sia mosca. fiónpvxeg una specie di tibia ed una sorta di animale alato come la vespa, animale che fa un certo rumore del genere delle vespe ; oppure Ape grande e ancora Mosca. — 9 — che glielo dia quand’ è nello stadio di crisalide. È chiaro che queste due ipotesi sono contradittorie, anzi esattamente opposte : secondo V una il nome di bombice appropriato al bozzolo si estende alla farfalla (la farfalla del bombice viene a chiamarsi bombice) ; secondo 1' altra il nome di bombice appropriato alla farfalla si estende ad indicare lo stadio di crisalide. Voglio accennare alla possibilità di un’ altra interpretazione ancora. È noto che quando si è completata la trasformazione del bruco in crisalide, un 5 giorni dopo l'inizio della tessitura, il bozzolo, scosso, risuona (per lo sbattere contro le pareti del corpo crisalidale, rattrapito ed indurito). Potrebbe anche pensarsi che questo risuonare dei bozzoli maturi abbia valso ad essi il nome di Qo\i^vxm (da Sopj3éoo). Ma questa ipotesi mi sembra molto stiracchiata, anche più forse che quella della derivazione da 6opj3vk>v, vaso di rotonda figura. Mi pare più probabile l’ipotesi secondo la quale il nome di bozzoli sarebbe derivato dal nome dell’insetto filatore. " Il greco termine (3opj3'ikia significar vuole soltanto le fila o sia tele prodotte dal bombice, in quella guisa che dpaxvia signi¬ fica le tele del ragno „ disse appunto il Giorgetti (p. 179). Ma questa derivazione presuppone il nome di f3óp|3if£ applicato alla farfalla del baco da seta, il che dal testo di Aristotele non risulta. Vero è che se è esatta l'interpretazione da me suesposta del passo di Aristotele, egli non fa menzione dello stadio di farfalla. Supponendo che questo stadio venisse chiamato [3óp,fii^ (come troveremo in AA. posteriori) è ragionevole supporre che da questo termine derivasse quello di (Bop.jS'ikia (invece della lezione comune (3op(3akia il codice Marciano 208 ha /SopfBiUia ; in questo caso è anche più agevole la derivazione da iSopfruÀóg). Noto a questo proposito che c = bombyces ebbe, presso i greci ed i latini, anche un altro significato, oltre quello di insetti ronzanti (come (3op(3'uAioi) : significò una certa sorta di flauti, tibie ; ed in questo significato venne usato dallo stesso Aristotele e da Plinio. — 10 — Teofrasto, come Plinio riferisce (cfr. Salmasio) distingue due sorta di Calami o canne palustri : ^o'uyfr'ns e (3o\i&vkio«; ; il primo così chiamato perchè da un internodio se ne tagliavano due tibie a costituire la coppia, il lofiyos ; mentre col secondo da un internodio si faceva una tibia sola, lunghissima, chiamata Sóf ipvl (evidentemente da j3op,(3éo'). Così la chiamano Aristotele Teofrasto, Polluce, Arcadio grammatico, Plinio (bombycia le canne da bombyces le tibie). Sembra potersi affermare che come si chiamava (Bopifruxias il calamo dal quale si fanno i (Sónfruxeg, i flauti, così chiamò Aristotele |3op,j3i>xia i bozzoli dai quali sbocciano i {30^x8$, le farfalle. S. Clemente Alessandrino al cap. 10 del suo 11 libro Del Pedagogo, dopo d'aver insinuato alle fanciulle la noncuranza ed il dispregio per il lusso e l'ambizione, e particolarmente per le vesti d'oro e seriche, soggiunge, a proposito del bombice che ne forma la materia, la descrizione seguente (p. 221 ed. Stàhlin Leipzig Hinrich, 1905): " oxoo (poetai tò jtqcotov , eira sì; uirtoi) Òaaeia avacp caverai xaprr], fxeft’rjv eie; t(oitt]v ^etaiiÓQcpcooiv veo/paurai [Bop.S'uÀiov (ocì 8è vexu8aM.ov auto xaÀoDoiv), èì; ov pax^òg rixtstcxi cm'i^ov, xaddxceQ ex tfjg apa/vr^ ó rrjs apa/vr^ pitog ,, che Giorgetti traduce : 11 È il bombice in prima un verme e poscia un peloso bruco e quindi, nella terza metamorfosi, una farfalla che detta vien comunemente necidalo ; dal quale si tragge un lungo filo come dal ragno la sua tela „. " Ognuno può vedere „ - soggiunge - “ come nella descrizione di questo Padre vi sono manifesti contrassegni onde asserire che abbia avuto veramente contezza del nostro Indiano verme ; e quantunque la somiglianza che attribuisce al medesimo con il ragno, sia del tutto al nostro inconveniente, dessa però non è capace di persuadere ad un intendente persona che voglia de¬ scrivere un' altra sorta d’ insetto diverso dal nostro ; siccome sembra di crederlo il P. Arduino che cita questo testo mede¬ simo in comparazione del lavoro dei bombici descritto da Plinio nel suo undecimo libro. L'unico essenziale difetto ch'essere si scorga nel medesimo si è di non aver parlato della trasformazione del filugello di — 11 bruco in ninfa, la quale si fa dopo d'essersi rinchiuso nel bozzolo, oppure, come pretende il Salmasio (in Notis ad Tertulliani De Pallio p. 231) dall'aver questa confusa con la terza trasforma¬ zione in farfalla (Giorgetti, p. 194). Ora a me pare che S. Clemente segua parola per parola la descrizione di Aristotele del baco di Coo e che, come Aristotele, non menzioni la trasformazione in farfalla. Di questa opinione sembra C. Cessi secondo il quale (p. 591 Att. Ist. Veneto) : " Clemente Alessandrino ci parla dello che òaasta avaqpaivetai udfxjrr] e, dopo una terza metamorfosi, diventa un (3o\i3v\iov (bozzolo) che altri — egli aggiunge — chiamano — e questo certo con riferimento al bruco — anche vexuòodÀov, cioè crisalide S. Clemente non ha mai visto un bombice del gelso. Però erano ormai divenute sicure, spogliandosi della loro veste fan¬ tastica, le notizie deli' origine della seta presso i Seri da un insetto i connotati del quale rispondevano a quelli del bombice di Coo descritto da Aristotele. Probabilmente anzi S. Clemente e i più colti dei suoi con¬ temporanei hanno senz’altro identificato i due insetti serigeni ed in ogni modo hanno utilizzato per quello dei Seri la descrizione di Aristotele, la sola scientifica esistente. È interessante confrontare il passo succitato di S. Clemente con quello di S. Basilio che dice : " Quid dicitis vos qui fidem non habetis Paulo circa eatn quae in resurrectione fiet mutat io netti , cani multa aeria formas commutantta videaris ? Qualia etiam de Indico verme cornigero narrantur , qui primum in erucam transmutatus , deinde tetnporis progressu bombylis fit : nec in hac forma manet , sed laxas et latas bratteas prò alis suscipit „. Il jBop.jS'uÀióg di S. Basilio è il bozzolo dal quale il baco esce trasformato in farfalla. Per la prima volta è esplicitamente accennata questa trasformazione a proposito del baco da seta. Neanche in Aristotele lo era. Pure si direbbe che S. Basilio, come S. Clemente, non abbia alcuna conoscenza diretta del bombice del gelso. E che la descrizione di S. Basilio sia ispirata a quella di Aristotele — 12 — pare chiaro dall'attributo cornuto dato al baco, a meno che non si cerchi nel cornetto del penultimo segmento addominale la giustificazione dell' appellativo xeQduKpoQog anziché nelle xé^ara attribuite dallo Stagirita al bombice di Coo. Ma, mentre quel che importava a S. Clemente era chiarire l'origine della seta dall'insetto, si che non gli interessa - se pure ne ha una idea chiara - seguire la sorte dell'insetto dopo la fi latura del bozzolo : a S. Basilio invece preme di mettere in evi¬ denza proprio l' ultima metamorfosi, quella per la quale dal bozzolo esce la farfalla : questa metamorfosi, il passaggio dallo stadio inerte, di crisalide racchiusa nel bozzolo, allo stato alato, è il simbolo della resurrezione: Cam igitur vos tnulieres sede tis horum opera nentes , fila sciliscet dico qaae ad vos transmit - tunt Seres ad molles vestes concinnandas , tum animalis huius mutai ionem in memoriam revocantes manifestam resurrectionis notionem accipiatis neque fidem ei mutationi quam Paulus om¬ nibus anhuntiat) denegetis. Onde il nostro Poeta mirabilmente : Non v’accorgete voi che noi siam vermi nati a formar l'angelica farfalla che vola alla giustizia senza schermi ? Riassunto. L’ A. dà una nuova interpretazione del passo aristotelico sui Bombici di Coo e della sua applicazione da parte dei Padri della Chiesa al baco da seta. — 13 — ELENCO BIBLIOGRAFICO 1668. Aristoteles. — De animalibus bistorta. (L. Dittmeyer) Teub- ner, Lipsia, 1907. - (Silvestro Mauro) Bernabò, Roma. — Basilius S. — Esamerone. 8a Omelia. 1905. Clemens S. — Alexandrinns Paedagogus. (Otto Stahlin) Hin rich, Leipzig. 1919. Cessi C. — Per la storia della Sericoltura nell’antichità. Atti R. Ist. Veneto Se. Lett. Arti, T. XXXIX, p. 11, 1752. Giorgetti G. F. — Il filugello ossia il baco da seta. Venezia, Valdarenza (dopo il «Poemetto» a pagg. 165-207 «Dis¬ sertazione sopra l’origine della seta»). 1729-1754. Mahudel. — ■ De l’origin de la soie. Mém. de l’Acad. des Inscript. T. V, (altra ediz.: Groppa, Venezia). 1629. Salma sius Cl. — Plinianae exercitationes in Cali Juli Solini Polhistoria. Parisi is. 1808. Terme yer (De) — Opuscoli scientifici d’entomologia , di fisica e di agricoltura. Dova, Milano (T. II e III « Intorno al se¬ rico degli antichi ». Finito di stampare il 30 agosto 1934. Tentativi sperimentali di trapianti di cute su tessuto osseo del socio Dott. Luigi Imperati (Tornata del 13 aprile 1934) Per colmare i cavi ossei, esiti spontanei od operatori di processi osteomielitici, è stata proposta ed attuata da alcuni chirurgi la pratica degli innesti cutanei alla Thiersch - Reverdin» Questi tentativi non sono di data recente ; già se n'era occupato Durante; successivamente Ingianni comunicò nel 1917 al Con¬ gresso Italiano di Chirurgia i risultati di una sua vasta casistica di guerra. Egli ha impiegato il metodo sopratutto in casi di estese perdite di sostanza ossea : prelevava con un rasoio dalla coscia lembetti dermo - epidermici di 2-3 cm. di lato e li applicava sulla superficie ossea, che veniva preliminarmente cruentata. L’A. ha riferito che tali innesti in gran parte attecchivano e con svi¬ luppo progressivo andavano a riunirsi ai margini della cute li¬ mitante, sì da tappezzare in qualche settimana ampie cavità ossee e seni fistolosi. “ La cutizzazione delle superficie ossee, oltre che sollecitare la guarigione, offrirebbe, - scrive Ingianni - anche il grande vantaggio di assicurare la nutrizione e la vitalità dei tessuti neoformati del letto osseo, creando una nuova via di circo¬ lazione che va dalla superficie e dai margini ad alimentarli „. Il metodo dei trapianti alla Thiersch-Reverdin per colmare queste superficie ossee scoperte non è stato in genere seguito : “ tali innesti - dice il Leriche - attecchiscono molto difficilmente sul cattivo sostrato osseo, e il procedimento è stato giustamente abbandonato „, dandosi la preferenza alle autoplastiche pedun¬ colate. — 16 — Il dubbio che l'innesto di un lembo cutaneo potesse difficil¬ mente trovare in seno a tessuto osseo le condizioni di nutrizione e di vitalità sufficienti per attecchire durevolmente pareva avere un fondamento teorico. Si è per un certo tempo ritenuto infatti che la condizione più favorevole e spesso essenziale per l'attecchimento di alcuni tessuti fosse rappresentata dalla introduzione in seno a tessuti eguali, e non soltanto perchè la identità o l'affinità di struttura fra i tessuti abolirebbe o attenuerebbe la reazione da parte dell’ospite dovuta alla diversità di costituzione piasmatica, che oggi si ammette esistere oltre che tra i diversi individui anche fra i diversi tessuti, ma anche perchè il tessuto innestato solo in tale sede può provare le condizioni funzionali adatte e sufficienti a promuoverne la nutrizione e lo sviluppo (Fasiani). Gli studi successivi sul movimento immunitario relativo alla pratica degli innesti hanno però modificato notevolmente questi concetti. Per quanto riguarda gli innesti omoplastici si è visto che negli innesti fra tessuti eguali (es. cute) si manifestano fe¬ nomeni immunitari locali (Stropeni) e sopratutto generali (Tinozzi) tali che annullano la possibilità dell'attecchimento, e si è trovato invece che omotrapianti di cute dentro il sottocutaneo (Velo) o nel peritoneo (Antonioli e Villata) sopravvivevano più a lungo che se venivano eseguiti sulla superficie cutanea. Per i trapianti autoplastici, nei quali l’attecchimento è la regola, le manifestazioni di queste incompatibilità immunitarie sono meno appariscenti : comunque le condizioni migliori per l'attecchimento degli autotrapianti cutanei sono realizzati dall'in- troduzione nel tessuto sottocutaneo, che, e per la esistenza di spazi nutritizi ampi e numerosi e perchè esso sembra appartenere alla classe dei tessuti indifferenti sotto l' aspetto immunitario (Fasiani), garentisce la costanza del successo. Da quanto è stato più sù accennato appare chiaro che non è lecito affermare a priori l’impossibilità che il tessuto cutaneo trovi in seno a tessuto osseo - per la discordanza delle reciproche strutture -un habitat sufficiente per la continuazione della sua vitalità. Mosso dall'interesse che questa questione desta sopratutto dal punto di vista puramente biologico, prescindendo per ora — 17 — da tutto quanto può riferirsi ai riflessi pratici di essa, ho voluto sperimentalmente ricercare come si comportino gli innesti auto- plastici di cute su tessuto osseo. Ho perciò cercato di realizzare le condizioni più favorevoli per rattecchimento. Ho scelto cioè cani molto giovani di due o tre mesi, in piena fase di sviluppo somatico ; come sede del trapianto ho scelto le regioni metafisarie del femore o della tibia in cui appunto l'indice dì fertilità è notevolissimo (bulbo osseo di Lannelongue). Descrivo brevemente la tecnica seguita , premettendo che non sono piccole le difficoltà che s'incontrano nel trattare cruen¬ tamente cuccioli di età così giovane, per cui alcuni degli animali operati sono morti spesso precocemente per lo shock operatorio o per sepsi consecutiva. Ho perciò dovuto limitarmi a praticare l'intervento sempre su un solo arto per non accrescere il rischio operatorio. Prima dell'operazione sull'arto, si prelevava dall'addome dell'animale un lembo di cute, di cui si preparava un quadratino di alcuni millimetri di lato a costituzione dermoepidermica : questo veniva lasciato in soluzione fisiologica sterile tiepida per tutto il tempo necessario a mettere a nudo l'epifisi ossea. Il lembo dermoepidermico nell'acqua si distendeva e si detergeva delle tracce di sangue ad esso aderenti. La piccola ferita addominale veniva subito chiusa con una Michel e rapidamente in pochi giorni cicatrizzava. Indi si procedeva all'intervento sull'osso : come ho già detto, ho scelto le regioni epifisarie inferiore del femore e superiore della tibia che sono come si sa le zone fertili delle due ossa. Fra le due ossa ho in generale preferita la tibia per ragioni puramente chirurgiche. Incisi i piani superficiali e le masse muscolotendinee si giungeva sull'estremo epifisario, che si cercava di mettere sufficientemente a nudo senza aprire la capsula arti¬ colare ; l'eventuale apertura di questa non costituisce però un serio inconveniente date le condizioni di sterilità in cui si agisce. Sull'epifisi ossea scoperta si cercava di apprezzare, per la sen sazione di minore resistenza, il piano della cartilagine di coniu gazione, che nella tibia di un cane di due mesi si trova in media 6-7 mm. a distanza dalla superficie articolare : subito al disotto di tali piani nella porzione di diafisi lievemente rigonfia compresa - 2 - — 18 - fra il canale midollare centrale e la cartilagine di coniugazione, in corrispondenza cioè del bulbo osseo, che è il luogo della massima fertilità, si incideva e si staccava il periostio. L’ osso così denudato veniva con un cucchiaio o una sgorbia raschiato in guisa da potervi modellare un letto per il lembo da impiantare. Occorre sapersi fermare appena dopo aver superato il sottile strato di tessuto compatto corticale, senza andare troppo pro¬ fondamente per non cadere nella cavità midollare, ma rendendo d'altronde il letto dell'innesto sufficientemente ampio e comodo per impedire distacchi precoci. Modellato bene il letto vi si adatta il lembetto di cute, esercitandovi una modica compressione; è necessario evitare od eventualmente estinguere con cura anche la più piccola emorragia, che può provocare il distacco o favorire l’infezione. Infine si suturavano al disopra del trapianto i piani muscoloaponevrotici e cutanei ; e si copriva la ferita con una striscia al collodion. Una semplice e breve fasciatura dell’arto è preferibile ad ogni apparecchio immobilizzante, che non è tollerato e può aumentare la mortalità operatoria. L’operazione nei casi favorevoli, che sono i più, viene ben sopportata ; la riparazione delle parti molli si ottiene dopo alcune settimane e anche la funzionalità dell'arto suole completamente ripristinarsi. In altri casi invece il trauma operatorio o l'infezione uccidono il piccolo animale o quanto meno l'innesto. Dopo il tempo di osservazione necessario , il cane veniva sacrificato e se ne prelevava l'epifisi ossea, che, dopo avere ap¬ prezzati gli aspetti macroscopici del trapianto, si fissava in liquido di Bouin (acido picrico in soluzione satura 75, formalina 20? acido acetico 5). Decalcificato il pezzo in soluzione HCl al 5 °/0 si includeva in paraffina e si coloravano le sezioni con emallume - eosina, con emallume - Van Gieson, e con Weigert. Riporto solo gli esperimenti riusciti, perchè i risultati degli altri sono incompleti o inattendibili : essi sono stati in numero di 8, oltre uno eseguito in condizioni particolari come più oltre illustrerò; il periodo di osservazione è andato da 15 a 52 giorni. — 19 Protocollo degli esperimenti. E s p . I. — Cane di poco più di 2 mesi. Si procede con la tecnica sù descritta alPinnesto di un lembetto di cute sulla epi¬ fisi femorale inferiore di destra. Dopo 15 giorni si sacrifica l'animale e si preleva la regione epifisaria; si trovano ancora chiare ed estese le tracce dell'in¬ tervento ; sul luogo dell'innesto si riscontra un addensamento di tessuto dall'apparenza fibrosa, ben aderente all'osso. All'esame istologico di nota : una fitta infiltrazione parvicellulare nel porta- innesto, più abbondante entro i limiti segnati dalla scontinuità ossea, che si è parzialmente ricoperta di tessuto connettivale osteoide, cioè a struttura fibroblastica con evidente componente osteoblastica. Il lembo innestato è quasi completamente degene¬ rato con tendenza al distacco dal substrato : la morfologia epite¬ liale cutanea non si ravvisa più, una scarsa attività infiammatoria si scorge negli strati più profondi del derma. Gli annessi cuta¬ nei sono scomparsi ; nessuna traccia di vasi. Esp. II. — Cane di circa 2 mesi. Con la tecnica su espo¬ sta si procede al trapianto di cute sulla epifisi femorale inferiore destra. Dopo 20 giorni si sacrifica il cane e si preleva l'epifisi che presenta ancora le tracce dell'intervento : sul luogo dell' innesto si trova come nel reperto precedente un tessuto fibroso cicatri¬ ziale ben aderente e rilevato sull'osso, al quale lassamente ade¬ riscono le parti molli più superficiali. L' esame microscopico dimostra nelle ossa l' esistenza di infiltrazione cellulare estesa al disotto della cartilagine sedata di coniugazione e sotto il periostio ; la riparazione ossea è più avanzata e regolare, il tessuto osteoide più denso e sviluppato. Il lembo cutaneo innestato non è più riconoscibile in mezzo ad una ganga connettivale costituita dal derma, dal periostio proli¬ ferato e dei tessuti più superficiali aderenti. Nessuna traccia di epitelio, di vasi, di annessi cutanei ; molto spiccata la tendenza al distacco dalla stratificazione ossea e osteoide sottostante. Es p. III. — Cane di poco meno di 3 mesi. Con la tecnica consueta si procede all'innesto di un lembo di cute sulla epifisi tibiale superiore sinistra. Dopo 26 giorni si uccide l'animale e si preleva l'epifisi, che mostra sul sito dell'innesto praticato un tessuto dall' apparenza fibrosa, aderente all'osso per mezzo della continuità periostea. All'esame istologico (Fig. 1) si trova un reperto non molto dis¬ simile dal precedente : cioè la riparazione ossea progredisce Fig. 1. — Sezione di tibia di cane. Si vede V osso in via di rigenerazione nel sito del trapianto e i residui dell' innesto cutaneo che è stato eliminato. sotto lo strato osteoide, il lembo cutaneo è degenerato e in gran parte distaccato dal suo sostrato, senza che in esso si possa riconoscere nulla della sua primitiva struttura. La reazione par- vicellulare dell'innesto non si ravvisa più , anche nell’ ospite è molto attenuata. E s p . IV. — Cane di poco più di 2 mesi di età. Con la solita tecnica si procede all'innesto di un lembetto di cute su una epifisi tibiale superiore. — 21 — Dopo 32 giorni si uccide l'animale e se ne preleva l'epifisi, che sul luogo dell'innesto fa notare un tessuto di aspetto non diverso dai reperti precedenti, cioè duro compatto, ben aderente in profondità e rilevato sul piano osseo. Fig. 2. — Sezione di tibia di cane. - Koristka ob. apocr. 16 nini, oc. I (semischematica). I. Cartilagine di incrostazione. - II. Cartilagine di .coniugazione III. Lembo di cute trapiantato. - Un bulbo pilifero. All’esame istologico (Fig. 2) si trova che la superficie ossea ha ricostituita la sua continuità in parte per mezzo di giovani trabecole ossee che appaiono intensamente colorate e ricche di corpuscoli ossei molti dei quali ricordano la morfologia delle cellule cartilaginee, in parte maggiore per mezzo di un fitto tessuto osteoide, cioè a prevalenza fibroblastica con tendenza alla metaplasia osteogenica. Questo speciale tessuto di reazione blastica si continua alla periferia coi piani periostali che gli sono 22 — intimamente connessi e che l'hanno in prevalenza generato ; in superficie va modificando alquanto i suoi caratteri divenendo meno fitto e più nettamente connettivale ; la colorazione col Weigert non riesce a mettere in evidenza V esistenza di fibre elastiche ; è facile scoprire alcuni vasellini sopratutto alla perife¬ ria, spesso a tipo di vasi embrionali. Al di sopra di questi piani connettivali descritti si scorge una tenue e breve lista epiteliale, pluristratificata a morfologia nettamente malpighiana ; mancano gli strati superficiali della comune epidermide, vi si possono solo ravvisare lo strato unicellulare basale molto sviluppato e lo strato spinoso di Malpighi, in cui le cellule sono variamente modificate, più rotondeggianti, più grosse, spesso vacuolizzate, con tendenza cioè alla discheratosi ; in qualche punto si rinvengono come abbozzi di globi cornei. Molto interessante è la presenza, al disotto di questa trama epiteliale che è in fondo il corpo mucoso di Malpighi, di alcune formazioni, che molto facilmente si riescono ad interpretare come annessi cutanei ; cioè qualche fondo di ghiandola sebacea, qualche bulbo pilifero. Già Bertone aveva sostenuto che in tutti gli in¬ nesti cutanei autoplastici è costante la conservazione degli annessi cutanei. Il tratto epiteliale così impiantato sull'osso appare di dimen¬ sioni molto piccole : è a pensare che la maggior parte dell’epi¬ telio cutaneo innestato si sia eliminato, e solo un’isola di esso abbia trovato le condizioni opportune per attecchire. Il derma ha preso intimi ed estesi contatti col tessuto connettivo neofor¬ mato di origine prevalentemente periostea ; non è facile ricono¬ scerlo. I suoi pochi annessi sono impiantati in seno al descritto tessuto osteoide e non mostrano alcuna sostanziale alterazione morfologica. Questi in riassunto i dettagli del reperto istologico veramente interessante di questo esperimento ; quali dall’osservazione ma¬ croscopica nessuno avrebbe potuto prevedere. E s p . V. — Cane di 2 mesi e mezzo : con la nota tecnica si procede all'innesto di un lembetto cutaneo sull'epifisi tibiale superiore destra. Dopo 40 giorni, sacrificato il cane, se ne preleva la epifisi — 23 — che mostra ancora evidenti le tracce dell' intervento. Sul sito dell'innesto si trova un nucleo fibroso, duro, rilevato e aderen tissimo. All'esame microscopico si nota che nella superficie ossea è molto progredita la rigenerazione osteoblastica ; si riescono ancora a scoprire dei caratteri flogistici. Del lembo cutaneo tra¬ piantato non restano che alcuni frustoli di connettivo lamellare fibroso, nettamente distaccato dai piani sottostanti di pertinenza ossea e che aderiscono solo lassamente al periostio limitante. Fig. 3. — Sezione di tibia di cane Si vede V osso quasi completamente riparato e in alto il piccolo lembo di cute innestato, coi suoi annessi. E s p . VI. — Cane di circa 2 mesi, in cui con la solita tecnica si pratica l'innesto di cute su una epifisi tibiale superiore. Dopo 44 giorni si uccide l'animale e se ne preleva la epi¬ fisi, su cui si scorge bene la sede delPinnesto : in corrispondenza di essa si trova un tessuto che mal ricorda il lembo trapiantato, ma che tuttavia non ha l’aspetto fibrocicatriziale di alcuni reperti precedenti. All'esame microscopico (Fig. 3) si nota che si è compieta- mente ripristinata la continuità dell'osso : lo spessore delle lamelle — 24 ossee è però aumentato sulla regione del trapianto, dove esse sono ricchissime di cellule e circondate alla periferia da uno o più orletti osteo-blastici ; la struttura della cartilagine coniugale è perfettamente conservata nella sua zona seriata e nelle zone di calcificazione e ossificazione : forse la linea di ossificazione sembra alquanto disordinata e festonata. Al disopra della descritta su¬ perficie ossea si scorgono, come neiresperimento n. IV, alcune stratificazioni di tessuto connettivo che in profondità ha l'aspetto tipicamente osteoide, mentre in superficie appare più lasso e fibrillare ; il periostio dalla periferia della zona di innesto sembra continuarsi più o meno modificato con questi strati connettivali. Procedendo infine con l'osservazione al di là di tali piani con¬ nettivali s'incontra una linea epiteliale discretamente lunga , il cui profilo si delinea in profondità precisamente secondo le si¬ nuosità dermoepidermiche. I caratteri di questo epitelio sono riievabili con maggiore chiarezza di dettagli e su maggiore esten¬ sione di superficie che nella osservazione n. IV : si ravvisa uno strato basale ben evidente e una filiera pluristratificata di cellule piatte che ricordano quelle spinose di Malpighi ; anche gli strati più superficiali dell'epidermide sono in qualche punto ben rico¬ noscibili. Al disotto di questa lista epiteliale si scorgono evidenti e numerose formazioni glandolari da interpretarsi come annessi cutanei : fondi di ghiandole sebacee e bulbi piliferi. Col Weigert si riesce a mettere in luce nella sede dell' innesto anche una tenue trama elastica. Si scorgono piccoli vasi più numerosi nel derma che in profondità ; la reazione connettivale profonda è carattere piuttosto blastico che flogistico. L’osservazione di questo reperto è stata come si comprende molto interessante e per la discreta estensione dell’innesto at¬ tecchito e per i numerosi dettagli che essa riesce a scoprire. Esper. VII. — Cane di oltre 2 mesi di età; si pratica secondo il solito l’innesto di cute sull'epifisi tibiale inferiore destra. Dopo 50 giorni si sacrifica l’animale e se ne preleva l'epifisi che mostra appena le tracce dell'innesto eseguito ; nel sito si scopre solo come un nodo fibroso. All'esame istologico si trova l'osso quasi completamente reintegrato nella sua continuità, solo 25 — presentando esso nella zona rigenerata alcune differenze strutturali quali già sopra sono state illustrate. Il periostio sembra già ri¬ coprirlo in toto e presenta nel sito dell'innesto come un ispes¬ simento superficiale costituito da una stratificazione lamellare di connettivo, debolmente aderente e che non è altro che il residuo del lembo di cute innestato e progressivamente distrutto e al¬ lontanato. Esp. Vili. — In quest'ultimo esperimento ho voluto far ricorso ad uno dei numerosi tentativi proposti per agevolare Eattecchimento degli innesti , dato che questo attecchimento si è dimostrato possibile in due casi. Essendo stato dimostrato (Uffreduzzi, Tinozzi) che la simpaticectomia ha appunto la capa¬ cità di favorire l'attecchimento, ho pensato di adottare questo espediente nella tibia di un lato, mentre che nell' altro arto si procedeva all'innesto senza alcun trattamento locale preliminare. In un cane di 3 mesi di età si è messo a nudo 1' arteria femorale destra e se n'è raschiata delicatamente l'avventizia per asportare il plesso simpatico in essa distribuito. Chiusa la ferita inguinale si praticava nelle due epifisi tibiali superiori il trapianto del lembo cutaneo secondo le note modalità. Dopo 52 giorni si è sacrificato il cane e si sono prelevate le due epifisi : non si è trovata alcuna sensibile differenza fra loro all'osservazione ma¬ croscopica. La sede dell’ innesto era ancora ben riconoscibile sotto l'aspetto di un nodulo fibrocicatriziale rilevato, che si ap¬ prezzava sulla superficie liscia della tibia. All'esame microscopico Tosso era quasi completamente riparato con nuove più spesse e numerose trabecole e ricoperto da una stretta lista di tessuto osteoide, che più in superficie assumeva i caratteri soliti del periostio : in corrispondenza della sua metafisi si riscontrava come una sovrastruttura connettivale disorganizzata ed amorfa con tendenza alla eliminazione spontanea e senza alcun carattere che facesse riconoscere la natura cutanea dell' innesto eseguito. Nessuna differenza essenziale era dato apprezzare nel comporta¬ mento dell’innesto nelle due tibie, in una delle quali si era pra¬ ticata la simpaticectomia periarteriosa onde cercare di produrre delle condizioni ambientali più acconce per l'attecchimento. — 26 — * * $ Alla fine di questa breve ed obbiettiva esposizione dei risultati degli otto esperimenti da me praticati per studiare la possibilità deirattecchimento dei trapianti di cute in seno ad un habitat così diverso com’è il tessuto osseo, è possibile formulare qualche conclusione. Preliminarmente pongo alcune riserve derivanti e dalla ese- guità del numero delle esperienze dovute in parte alle difficoltà tecniche che ne hanno ridotto notevolmente il numero e dalla incompletezza delle indagini dirette allo studio dei fenomeni os¬ servati. Sarebbe stato infatti conveniente per meglio valutare la portata dei due risultati positivi ottenuti poter disporre della colorazione vitale che avrebbe chiariti molti dettagli e ne avrebbe eventualmente rivelati altri. Lo scopo di questa nota sperimentale è quello di illustrare la possibilità di una evenienza che sembra a prima vista molto poco probabile e la cui realtà viceversa è una premessa essen¬ ziale per orientare verso utili applicazioni pratiche : sviluppi successivi di questo ordine di ricerche che altri o io stesso voglia eseguire potranno meglio chiarire il fenomeno biologico e disciplinarne anche la regolarità dei risultati. Io su 9 tentativi ho registrati 7 insuccessi. Però i due risul¬ tati positivi dimostrano chiaramente che esiste ben la possibilità che un piccolo lembo inserito su un tratto cruentato di epifisi ossea di un animale giovane vi trovi le condizioni adatte e suf¬ ficienti per la sua vita e vi cresca stabilmente , durevolmente, conservando anche i suoi normali attributi anatomici (annessi cu¬ tanei). Questa è dunque una possibilità reale se pure non frequente ; probabilmente altri più fortunati tentativi, diretti a creare con speciali accorgimenti tecnici condizioni più favorevoli airattecchimento dell’innesto cutaneo, riusciranno ad aumentare questa frequenza e renderanno così meno discutibile il fenomeno e più facili le sue pratiche applicazioni. Allo stato delle presenti ricerche io, con le riserve già in precedenza formulate, sono d'avviso che il fenomeno dal punto di vista biologico è ben comprensibile e degno del maggiore interesse. Però che da tale fenomeno, singolarmente incostante ed aleatorio, possano derivare conseguenze di sicura utilità pratica è molto prematuro affermare, anzi appare oggi ancora ben dubbio. Un altro fatto suscettibile di riflessi pratici, che a me è parso in qualche esperimento di notare e che meriterebbe di essere messo in luce con studi ulteriori, è che il tessuto osseo scontinuato va per effetto del trapianto cutaneo - anche quando questo si elimina - incontro ad una riparazione sollecita, più che se fosse allo scoperto : una specie di guarigione di ferita sotto crosta. Se ricerche comparative di proposito eseguite giungessero eventualmente a documentare questo fatto, si troverebbe in esso un nuovo elemento a favore deil'utilità dei trapianti di cute su osso nella pratica clinica. Dall ' Istit. di Clinica Chirurgica della R. Università di Napoli. Riassunto. L’ A. ha eseguito alcuni (9) tentativi di autotrapianti di tessuto cutaneo su epifisi ossee (tibia, femore) di cani molto giovani, scegliendo il punto di loro maggiore fertilità (bulbo delTosso). Solo in due casi è riuscito a mettere in evidenza un vero attecchimento del lembo cutaneo innestato , nel quale si scorgevano anche abbozzi di annessi cutanei. Questo fatto dimostra che esiste la possibilità — se pur molto rara — che un lembo cutaneo, innestato autoplasticamente nelle con= dizioni più favorevoli in seno a tessuto osseo, vi trovi un ambiente adatto alla continuazione della sua vita. — 28 — BIBLI OG RAFIA 1928. Antonioli e Villata. — Archivio Scienze med. n. 2. 1914. Bertone. — Giorn. R. Acc. med. Torino, 11 die. 1923. Fasiani. — Trapianti in generale e trapianti della pelle in particolare. (Relaz. al XXX Cong*. Ital. Chir.). 1917. Ingianni. — Atti Soc. Ital. Chir. pag. 250. 1926. Leriche. — In Lecène-Leriche. Thérapeutique chir. Masson. 1925. Stropeni. — Giorn. R. Acc. med. voi. 88, Torino. 1926. Tjnozzi. — Rass. intern. Clin. e Terap. n. 9. 1928. — — Annali Ital. Chir. n. 7. 1925. Uffreduzzi. — Atti Congr. Ital. Chir. 1928. Velo. — Annali Ital. Chir. n. 2. Finito di stampare il 30 agosto 1934. I sismi vesuviani de 1 febb raio 1933. (Relazione col gradiente barometrico) del socio Ester Majo (Tornata del 15 giugno 1934) Tra i pochi casi di terremoti di origine vesuviana dobbiamo ricordare quelli recenti del febbraio 1933 che formano oggetto del presente studio. In generale l'attività vulcanica del Vesuvio prevale sulle ma¬ nifestazioni sismiche, sì che queste ultime possono considerarsi come un caso rarissimo. Intanto il giorno 3 febbraio 1933 alle ore 13, 34 min. e 10 sec. una scossa agitò tutti i paesi vesuviani e passò inosservata a Napoli, il giorno successivo alle ore 11, 16 min. e 6 sec. una scossa più forte di quella del giorno prima fu avvertita ancora nei paesi vesuviani. Tutte e due furono registrate a Napoli dagli apparecchi Wiechert impiantati nell’ Istituto di Fisica Terrestre della R. Università (Figg. 1 e 2). Dalle registrazioni stesse appare chiaro che si tratta di una serie di scosse che hanno interessato la componente verti¬ cale e le due orizzontali, in particolare la componente Est-Ovest che è la più cospicua. La distanza tra il cratere e Napoli (Istituto Fisica Terrestre) è di Km. 14 ; inoltre la quota della platea del Cratere supera i mille metri. Il carattere delle registrazioni ci lasciano subito capire che l’epicentro cade nella regione del Gran Cono vesuviano, che — 30 — Tipo centro è relativamente profondo e che gli urti sono stati forti e a brevissimi intervalli. At B4 Q Fig. 1. — Registrazioni del 3 febbraio 1933. At = componente verticale Bt = componenle nord-sud C{ = componente est-ovest. È interessante osservare la grande somiglianza che si ri¬ scontra, per ogni singola componente, tra la registrazione del 3 e quella del 4 febbraio successivo. Più che un movimento solo vi è chiaramente dimostrato una serie di scosse generalmente decrescenti in ampiezza e in- tervallatamente rinforzate. Genericamente però ogni registrazione si suddivide in una prima parte più ampia e in una seconda di ampiezza minore. Dalle notizie raccolte in provincia dopo il terremoto vesu¬ viano del 4 febbraio ho tracciato le i s o s i s m e (Fig. 3). Si hanno ellissi con l'asse maggiore in direzione NE-SO. L'area centrale è rappresentata dal sistema vesuviano e dalle sue falde. Avevo seguito con interesse questi terremoti di origine vul¬ canica e subito mi colpì il fatto che le scosse del giorno 3 febbraio si verificarono con una salita barometrica di mm. 5 e quelle del giorno successivo, più intense e direi di riassetta¬ mento, si verificarono con discesa barometrica di mm. 6. U IV Ili BTT“ i- _ _ -4— »•■ jlL ... fi ili 4 àUJ ÉBiiS i r ■ JL^ . i. — ...„. ..... - . ■ -,• ì : >X' 1 *! - !..l..;j. :P . . ..!< 1' ~~4— 4- - : i-j£ O v 'g cj « u I H X3 X5 JQ T. c «w aj " 11 OJ (M (M c£ < cq u Ù) [£, — 32 — È risaputa l’influenza che gli agenti atmosferici esercitano nel meccanismo dei fenomeni vulcanici ; perciò , pei terremoti vesuviani del febbraio 1933, la causa concomitante è certamente nel gradiente di pressione baro¬ metrica, gradiente che si forma in condizioni cicloniche e anticicloniche. Fig. 3. — Isosisme del terremoto vesuviano del 4 febbraio 1933. Difatti l'esame del quadro sinottico del tempo dedotto dal Bollettino Meteorologico e Aerologico del Ministero dell’Aeronau¬ tica n. 4 del febbraio 1933 -XI (Figg. 4 e 5) dà per il giorno 3 febbraio un'area di alta pressione a NE di Napoli mentre per il giorno 4 una saccatura include Napoli. Nelle figure si rilevano le isobare tracciate nel Bollettino anzidetto per la regione a noi circostante. — 33 — Tali configurazioni isobariche non sono eccezionali in se stesse separatamente, però si rileva che mentre una configura¬ zione per lo più tende a persistere e si trasforma più o meno lentamente , in questo caso si verifica un cambiamento totale di configurazione con un considerevole squilibrio barico. Fig. 4. Isobare sull'Italia del 3 febbraio 1933. Fig. 5. Isobare del 4 febbraio 1933. Sicché le condizioni barometriche generali del tempo in Italia e in particolare per Napoli ci dimostrano una variazione brusca da un giorno all'altro: innalzamento rapido prima e successivo abbassamento dopo , tali variazioni possono considerarsi come causa concomitante dei due terremoti aventi l’epicentro al Vesuvio in fase rispettiva di salita e di discesa, tendendo il secondo sisma a ristabilire le condizioni di equili¬ brio interno turbate dal primo. - 3 - — 34 — Riassunto. Si confrontano le registrazioni sismiche del 3 e 4 febbraio 1933, con epicentro al Vesuvio e se ne riconosce la somiglianza. Seguono le isosisme del terremoto vesuviano del 4 febbraio anzidetto. Dalla configurazione isobarica esistente sull'Italia e in particolare su Napoli nei giorni 3 e 4 febbraio emerge una variazione brusca con considerevole squilibrio barico e notevole gradiente : in questo si riconosce la causa concomitante dei due terremoti, tendendo il se = condo a ristabilire la condizione di equilibrio interno. Finito di stampare il 30 agosto 1932. Studi ed osservazioni sul comportamento dei sali di cromo in analisi. NOTA PRELIMINARE Comportamento del cromoione Cr + + + di fronte ai comuni reattivi del sodo Selim Augusti (Tornata del 13 aprile 1934) Sommario Sali cromici e loro soluti. Cloruri e solfati di cromo. •Precipitazione sotto forma di idrossido. Fenomeno di olazione. Precipitazione dell'idrossido di cromo per mezzo di altri reattivi. Precipitazione dell'idrossido di cromo per azione del tiosolfato sodico. Precipitazione del cromo sotto forma di fosfato. Condizioni per la precipitazione quantitativa dell'idrossido di cromo da soluti cromici. Bibliografia. Scopo del presente lavoro è di osservare il vario comporta¬ mento dei sali di cromo, dal punto di vista dell’analisi, in rela¬ zione alla loro formola di struttura e tentare sopratutto una spie¬ gazione di tale comportamento in base alla teoria di Werner ed in rapporto agli studii recenti eseguiti sulla " composizione mo¬ lecolare dei sali di cromo Sali cromici e loro soluti. I sali di cromo normali, aventi la formola generale Cr R3 (R = radicale acido) sono composti cristallini violetti o grigio¬ violetti , i cui soluti hanno colore azzurro - violaceo. Questa 36 — colorazione va ancora generalmente attribuita al catione Cr+ + +^ mentre è oggi dimostrato che rione Cr+ + + non esiste nelle so¬ luzioni dei sali cromici se non sotto forma di " ione complesso I sali di cromo anormali sono spesso incristallizzabili ed il loro colore, come quello dei loro soluti è verde. Le soluzioni che si possono ottenere dai sali cromici sono: a) soluzioni violette dei sali normali ; b) soluzioni verdi ottenute facendo bollire le soluzioni normali violette; c ) soluzioni verdi ottenute sciogliendo i sali verdi, isomeri dei sali violetti. Ad ogni sale violetto solido corrispondono effettivamente dei composti solidi isomeri verdi, le cui soluzioni posseggono proprietà differenti da quelle delle soluzioni verdi, ottenute per ebollizioni delle soluzioni violette normali. II comportamento di queste soluzioni di fronte ai reattivi adoperati in chimica analitica è diverso a seconda del colore che esse posseggono. Ad es. nella precipitazione del cromo sotta forma di idrossido per azione dell' idrossido di ammonio (am¬ moniaca) in presenza di cloruro ammonico, come avviene al III Gruppo analitico, si osserva : a) da soluti violetti : precipitato azzurro-grigio, facilmente solubile, a freddo, in eccesso di reattivo ; b) da soluti verdi : precipitato verde-grigio, alquanto so¬ lubile, a freddo, in eccesso di reattivo. Come si nota, i precipitati differiscono sia per il colore che per la relativa solubilità in eccesso di reattivo, a freddo. È questo comportamento in relazione alla composizione chi¬ mica o, meglio, alla struttura molecolare dei varii sali cromici e quindi delle loro soluzioni ? È appunto tale fenomeno che io cerco di spiegare nel seguito di questa mia nota. Cloruri e solfati di cromo. I sali di cromo più comuni sono il cloruro, il solfato e l'allume di cromo. Prenderò in esame particolarmente il cloruro cromico, che è il sale di cromo più comune ed il meglio studiato. — 37 — Il cloruro cromico è conosciuto in tre diverse forme : a ) una forma a (alfa), di colore violetto, corrispondente alla formola CrCl3.5H20 ; b) una forma (3 (beta), di colore verde, corrispondente alla formola CrCl3.5H20; c) una forma y (gamma), di colore verde, corrispondente alla formola CrCl3.4H20. Poiché una soluzione di nitrato di argento pruduce la pre¬ cipitazione completa del cloro solo nella forma a, mentre nelle forme (3 e y si ha la precipitazione rispettivamente di 2/3 ed 1/3 del cloro in esse contenuto, a questi composti si possono, se¬ condo la teoria della coordinazione di Werner, attribuire le for¬ inole di struttura : Cl3 - Cloruro esa-aquo-cromico, violetto (forma a) Cl2 — Cloruro cloro-penta-aquo- cromico, verde (forma (3) CI - Cloruro dicloro-tetra-aquo- cromico, verde (forma y). Il cloruro esa-aquo-cromico ed il cloruro dicloro - tetra- aquo-cromico sono stati isolati da Recoura , mentre il cloruro cloro-penta-aquo-cromico è stato isolato da Bjerrum. Secondo la teoria di Werner, si può ancora prevedere re¬ sistenza di un quarto cloruro, che non darebbe alcun precipitato con il nitrato di argento, ossia non avrebbe cloro allo stato di ione. A questo composto, non ancora isolato, ma di cui si conosce il corrispondente alcòl-composto, compete la formula di struttura: T ricloro-tri-acquo-cromo. — 38 — Per il solfato di cromo e per l'allume di cromo esistono anche forme violette e forme verdi, per le quali si ammette una composizione chimica analoga ai corrispondenti cloruri. Si vuole quindi oggi ammettere che i s a 1 i violetti di cromo contengano un cromoione [^Cr(H20)6j ^ esaidrato, ed un residuo acido completamente ionizzato (R3 - ); mentre i sali verdi ne conterrebbero un altro parzialmente ionizzato, o non ionizzato affatto : Cr. ,(H,CU ,,(Ht0)s Cr. X R. Precipitazione sotto forma di idrossido. Trattando il cloruro cromico con idrossido di ammonio o con idrossidi alcalini , si ha formazione di un precipitato di idrossido di cromo, secondo le equazioni : CrCl3 + 3 NH4OH - - > Cr(OH)3 + 3 NH4C1 CrCL + 3 NaOH - >► Cr(OH)3 + 3 NaCl equazioni che, in rapporto alle formole strutturali del cloruro cromico sopra esposte, si potrebbero, a mio parere, esprimere con quest'altra esposizione ionica : + 3 OH - - > Cr(OH)3 + 6 H2Q precipitato azzurro-grigio sale violetto H t0-.. .. Ht0 HtO-"Cr; . Ht0 HjO- 'Ht0 Ht(K /CI Ht0 :Cr;— H*0 Ht0"' '"•H-.O sale verde ~r + 20H H»(X /CI HtO'"'Cr.Z-Cl Ht0 "'"Hz0 "saie verde”4 + > Cr(OH)3 -f- 4 H;0 + HCI precipitato verde-grigio > Cr(QH)3 +4H.O + 2HC1 + OH- precipitato verde-grigio — 39 — Per l'interpretazione di questa precipitazione, che interessa la chimica analitica, in base alla teoria di Werner, occorre tener presente quanto segue. I cloruri neutri cromici tendono ad idrolizzarsi con forma¬ zione dei cloruri basici (idrossosali), secondo lo schema: In questo schema sono indicate in senso orizzontale le rea¬ zioni di idrolisi (formazione di sali basici o idrossosali) favorite dalla diluizione, dal riscaldamento e da un incremento in alcali ; in senso verticale sono indicate le reazioni di trasposizione o migrazione (entrata nel complesso ionico di radicali acidi e for¬ mazione di acido-sali) favorite da un aumento di concentrazione e dall’aggiunta di anioni alla soluzione. L'aggiunta di alcali favorisce il processo di idrolisi, fissando l’acido minerale che si libera : HC1 4- NaOH > NaCl h2o Poiché la precipitazione dell'idrossido di cromo avviene in soluzione diluita ed a caldo , per trattamento del soluto con idrossidi alcalini, occorre ammettere nella soluzione la predo¬ minanza del composto H 0 Ko- ^fl ::Cr-OH r Cl~ e quindi la preci- Xd pitazione potrebbe, a mio parere , venire indicata nel modo seguente : /OrI no oh] H10--:;Cr— OH 1 Cl‘+ NaOH—* H 0-:.Cr^0H j Oli0-" H lo- \0H (I) U (IT) J * KaCl + H^O - »CrC0H^t-3 Hp — 40 — Resta ammesso in tal modo il passaggio da un cloruro basico (1) ad un complesso cromico non ionizzato (II) e quindi ad idrossido di cromo. Il precipitato di idrossido di cromo è solubile in acido cloridrico con formazione di soluzione verde, soluzione che io penso si possa interpretare nel modo seguente : yQH Cr £ OH f ^OH Hx0- h5o- H> n .OH •Cr^-OH |C1- ' X-HcO] «ce H 2,0 /OH *S-H z 0 verde Gl, La soluzione verde a lungo andare diventa violetta, ma per ebollizione ritorna verde, il che si potrebbe interpretare secondo lo schema : H-0-... .OH H'20—’''Cr.— -H t0) verde GL ^ce Gl, violetto Il precipitato di idrossido di cromo , ottenuto per azione degli idrossidi alcalini, è solubile in eccesso di reattivo , per formazione di cromito alcalino, secondo l’equazione : Cr (OH):J + NaOH < - - NaCrO, + 2 H20 e che, nella mia interpretazione secondo la teoria di Werner, si potrebbe rappresentare secondo lo schema : /OH Cr OH ^OH /OH /OH. H.O Cr^-OH + NaOH HaO- • Cr— OH H,0- " ^OH OH ^ ^ ^OH (I) ^ (II). -1 Ha*: >KaCr0^4 H?0 ossia ammettendo il passaggio del Cr (OH)., ad un complesso cromico non ionizzato (1) e quindi ad un cromoione negativo (li), per giungere poi alla soluzione di cromito alcalino. Essendo l’equazione reversibile, Y equilibrio della reazione risulta tanto più spostato verso sinistra (formazione di Cr (OH)3, insolubile) quanta maggiore è la quantità di acqua e quanto più elevata è la temperatura. Quindi all'ebollizione riprecipita l'idros- sido di cromo e la precipitazione è tanto più completa quanto più la soluzione è diluita, ossia quanto maggiore è la quantità di acqua. — 41 Il cromo figura nel composto NaCr02 quale acido debole, comportamento giustificato dalla formazione di un cromoione negativo (II) da me indicato nello schema precedente. Per quanto riguarda resistenza del complesso H2CK /OH KtO-CrrOH 0HX n0H a carattere negativo, e cioè il passaggio del complesso cromico da catione ad anione, si tenga presente che, secondo la teoria di Werner, oltre ai quattro cloruri precedentemente indicati ICr(H2OH)(.]Cl3 ; r ,; Cr‘ CI J Gl, ,.(h2oL L ^ ci Gl si considera l'esistenza di cromati del tipo e,'(HeO)- r%Cl3 Na* Na ♦ 4-4 3 tetra-cloro-di-aquo-cromato di sodio; penta-cloro-aquo-cromato di sodio; esa-cloro-cromato di sodio ; formati per azione di acido cloridrico e cloruro di sodio ed esistenti in presenza di un grande eccesso di acido cloridrico. La formazione di questi composti è però meno facile di quella dei corrispondenti ossalato-composti e simili. Si tenga ancora presente che l'idrosso-gruppo (OH) è sempre nel complesso cromico e mai con legame ionogeno. L'idrossido di cromo ottenuto per precipitazione con am¬ moniaca è solubile in eccesso di reattivo, per formazione di complessi cromo-ammoniacali. Da questa soluzione riprecipita all'ebollizione l'idrossido di cromo, mettendo in libertà ammo¬ niaca. Questo comportamento si potrebbe interpretare secondo lo schema reversibile : 42 — tri OH -•'CrJ-OE idrosso» aquo-cromo ^ _ kRÌ0:.. XH ®l 2Z^T §H 2 0— -.Crf— OH «1 ~ mt°" '-.RjO “disidrosedS^ te tra«aquo «cromo [rosso «peni a- a quo «o roso H40\ $ H ,0*“Cri;:-'-KH 3 Ht . . .-.Cr- . HH '••EH aquo=penta« ara ino «cromo .-•EH iRHv-Cr-r-KH {EHy"" "EH esa®amìno cromo q* HIi Fenomeno di olazione. Quando si aggiunge lentamente un alcali ad una soluzione di un sale cromico si formano dei nuclei molto complessi, poiché gli atomi di cromo hanno la tendenza ad unirsi fra di loro per mezzo di idrossogruppi. Il passaggio di un idrossogruppo, in cui l'ossidrile è legata per valenza principale al cromo (Cr — OH), ad un composto in cui l'ossidrile si lega per valenze secondarie ad un secondo atomo di cromo (Cr - OH'^’Cr) si dice “ ol-t rasformazione „ od “olazione,,. Il composto ottenuto prende il nome di ,L ol-composto La olazione, ossia passaggio da idrosso -composto ad ol- composto, si può ritenere avvenga secondo lo schema : h,o :c X°H . .-H1° --QH' H , 0 ''•HjO 2 H, 0 Se l’alcali viene aggiunto gradualmente la ol-trasformazione progredisce lentamente, mentre un eccesso di alcali, ossia mag¬ gior copia di idrossogruppi e quindi di idrossocomposti, accelera e favorisce la olazione. La reazione viene inoltre favorita dal riscaldamento. Negli ol-composti la olazione può continuare, poiché questi composti tendono a dare dei prodotti di condensazione sempre più complicati, sostituendosi gli aquo-gruppi (HzO) con idrosso- — 43 — gruppi (OH), il che conduce a complessi cromici con un numero sempre crescente di nuclei, che portano a poco per volta le molecole nell'ambito delle particelle colloidali. In chimica analitica, per favorire la precipitazione dell'idros- sido di cromo, occorre evitare la formazione di particelle colloi¬ dali, ossia ostacolare quanto più possibile la olazione. Occorre invece cercare di favorire la “ d e o 1 a z i o n e „ od " o 1 - i n - versione,, (passaggio da ol- ad idrosso-composto), trasfor¬ mazione che viene agevolata dal raffreddamento. In questi processi di precipitazione occorre inoltre evitare un eccesso di alcali ed un riscaldamento prolungato, poiché in questo caso gli ol-composti, formati per azione degli alcali, si idrolizzano e danno “osso-composti,,, che sono caratte¬ rizzati dalla loro stabilità di fronte agli acidi. La trasformazione dei sali normali in sali basici si può con¬ siderare avvenga secondo lo schema : Il passaggio dei sali normali agli idrosso-, ol- ed osso¬ composti avviene per effetto del riscaldamento, della diluizione e dell'aggiunta di alcali ; inversamente per il passaggio dai sali basici ai neutri. Agli effetti pratici della nostra precipitazione analitica occorre: — 44 — '‘eseguire la precipitazione dell’ idrossido di cromo in soluto diluito ed a caldo per fa¬ vorire la trasformazione dei sali normali in i d r o s s o - c o m p o s t i , ma evitare assolutamente un forte eccesso di alcali ed un riscaldamento troppo protratto per impedire la trasforma¬ zione degli idrosso-composti in ol- ed osso¬ composti, c h e p o r t e r eb b e r o i sali cromici ad allontanarsi sempre più dal tipo degli idros¬ so-composti e quindi dalla precipitazione deiridrossido di cromo e porterebbero le molecole nell'ambito delle particelle col¬ loidali. E cioè: Sale neutro calore - > Idrosso-composto diluizione calore eccessivo eccesso di alcali forte diluizione V > Idrossido di cromo osso-composto v particelle colloidali. Precipitazione dell’ idrossido di cromo per mezzo di altri reattivi. Il solfuro ammonico, il carbonato ammonico, i carbonati alcalini, il carbonato di bario, producono nelle soluzioni dei sali di cromo un precipitato di idrossido di cromo, e non dei sali corrispondenti (carbonato, solfuro), il che è dovuto a fenomeni di idrolisi, come appare dell’esempio seguente : ( 2 CrCl3 + 3 Na3CO;} - > Cr2(C08)8 +' 6 NaCi I Cr2 (C03)8 + ó H20 - > Cr(OH).. r 3HX) + 3 CO,. In base a queste equazioni il fenomeno si può considerare avvenga secondo il modo già indicato per la precipitazione con idrossido di ammonio o con idrossidi alcalini, in quanto la — 45 idrolisi dei reattivi indicati (solfuro ammonico, carbonato amino- nico, carbonati alcalini, carbonato di bario), produce nelle solu¬ zioni cromiche un ambiente nettamente alcalino, quindi ioni OH” in eccesso, il che favorisce la trasformazione : . H , di H f 0 ■■Cr; - R i'0 H 1 0 ■*’ " H : OJ IgjO.,. 0H~1 Cl3— * IH , 0- -*.C r 1 0 I cu -> H 2 0 — -vp r ~-OH CI - > Se la soluzione viene resa fortemente alcalina, tendono a formarsi complessi carbonato-cromici, secondo l'equazione: 2 CrCl3 + 2 Na2C03 + H20 —> Cr ^OH ^ 2 Cr(OH)3 + 3 S + 3 S02 + 6 NaCl. Questa precipitazione si può spiegare con lo schema già pre- H*Ck. ,,HZ0 cedentemente indicato del passaggio da Hx0 OH H.O-^Cr^OE H*0-' ^OH tO..... .. . Ht0- r0 '-H.0 CI. /OH e quindi a Cr _oh. Ma l’anidride sol- \OH — 46 — forosa che si forma nella reazione darebbe alla soluzione una acidità che, per quanto debole, è tuttavia sufficiente per far retro¬ cedere l'idrolisi e quindi per impedire parzialmente la precipita¬ zione delTidrossido di cromo. La precipitazione è quindi completa solo dopo che sia stata scacciata per ebollizione tutta l'anidride solforosa, ma poiché anche in questo caso l’idrolisi decorre come nei casi precedentemente esaminati , occorre evitare una ebolli¬ zione troppo prolungata. Precipitazione del cromo sotto forma di fosfato. I fosfati alcalini producono nei soluti dei sali di cromo un precipitato di fosfato di cromo, verde, amorfo, secondo l'equa¬ zione : CrCl3 + 2 Na, HPO, - > CrP04 + NaLLPO, +3 NaCl che, nella interpretazione secondo la teoria di Werner, si può am¬ mettere avvenga secondo lo schema : ,.H*< Ih.o . ■•Cr-/.: H*( H>-"‘ --HJ Gl, Nao HPO4 KC1 H,0 ... H,0 R.O-- ’ . Il precipitato di fosfato cromico è facilmente solubile negli acidi minerali e nell'acido acetico, a freddo, ma per ebollizione riprecipita il fosfato. La solubilità in acido cloridico può essere spiegata dalla reversibilità della reazione sopra indicata. La solubilità in acido acetico potrebbe interpretarsi secondo lo schema: Ht0-. ,.Ht0 Ht0- ~Cr; --H .0 Ht(K -fi 0 (O.CO.CH3) 3 o probabilmente con formazione di acetati basici del tipo : r (O.CO.CH3)5 I Cr3 L (OH), (O.CO.CH3). La formazione di questi acetati basici giustificherebbe anche la precipitazione del cromo a mezzo degli acetati alcalini. — 47 — Condizioni per la precipitazione quantitativa deiridrossido di cromo da soluti cromici. La precipitazione del cromo dai suoi soluti sotto forma di idrossido, per azione deH'ammoniaca (in presenza di cloruro am- monico) del carbonato ammonico o del solfuro ammonico, deve essere eseguita : a) in soluzione diluita, ma non eccessiva¬ mente diluita; b) a caldo, ma evitando un riscaldamento molto prolungato; c) in ambiente alcalino, ma evitando con cura ogni eccesso di alcali; rf) evitando un eccesso di ioni NH4jfc La precipitazione deiridrossido di cromo per azione degli idrossidi alcalini, dei carbonati alcalini , del carbonato di bario, deve essere eseguita : a) in soluzione non eccessivamente di¬ luita; b) a caldo, ma evitando un riscaldamento molto prolungato; c ) in ambiente alcalino, ma evitando ogni eccesso di alcali. La precipitazione deiridrossido di cromo per azione del tiosolfato sodico deve essere eseguita : a) in soluzione neutra o lievemente alca¬ lina; b) a calore sufficiente per scacciare l’ani¬ dride solforosa che si forma, ma evitando con cura un riscaldamento troppo prolungato. In conclusione non pare affatto privo di interesse il far rilevare alla fine di questa nota, se pure preliminare, il compor¬ tamento caratteristico che hanno i sali di cromo ed i loro soluti — 48 — nello svolgersi di fenomeni singolari che possono essere seguiti attraverso cambiamenti di colore. E ciò è tanto più interessante nel campo della comune pratica analitica, ove così frequente¬ mente è dato incontrarli. Riassunto. In questa nota l’A. prende in esame il comportamento caratteri stico dei sali di cromo e dei loro soluti, dal punto di vista delPanalisi chimica, e tenta una spiegazione dei fenomeni che a tal riguardo si osservano, basandosi sulla teoria della coordinazione di Werner ed in relazione agli studi i recentemente eseguiti sulla composizione mole¬ colare dei sali di cromo. BIBLIOGRAFIA 1887-1922. Recoura. — Ann. Chim. Phys., 1887, 10; 1895, 40; C. R. 1886, 865; 1899, 1237; 1922, 1460. 1901-1906. Werner. — Berichte, 1901, 1579; 1906, 1823. 1923. Werner - Pfeiffer. — Neviere anschanungen auf dein gebiete der Anor ganischen Chemie. F. Wieveg & Solin, Braunschweig. 1913. Sénéchal. — Elude physico-chimique des sels de chrome. 1916. Procter e Wilson. — Collegium, 58. 1921. Meunier. — J. S. L. T. C., 103, 222. 1928. Spiers C. H. — The Leather Trades Revew. 1923. Seymour Jones F. L. — Ind. Eng. Chem., 15, 75. 1932. Casaburi. — Boll. Tecnico R. Staz. Sperim. Ind. Pelli e Mat. Conc. Napoli. 1927. Britton. — Industr. Chemist, 452. 1925. Stiany, Lochmann, Mezey. — Collegium, 660, 190. 1928. Stiasny, Balanyi. — Collegium, 694, 22. 1920. Wilson. — J. Am. Chem. Soc., LXII, 715. 1924. Gustavson. — J. A. L. C. A., XIX, 447. 1923. Burton, Wood, Glover. — J. S. L. T. C, VII, 37. Finito di stampare il 20 settembre 1934. Gli ep icentri sismici de 11’ Italia con particolare riguardo a quelli rovinosi, disastrosi e disastrosissimi del socio Prof. Giovanni Battista Alfano Con la Tav. 1. (Tornata del 15 giugno 1934) L’ Italia, sia peninsulare che insulare, ha un triste primato nella storia dei terremoti. In questo lavoro intendo riassumere le notizie dei principali epicentri sismici italiani secondo le diverse regioni sismi¬ che cui appartengono, nonché le date dei più importanti terremoti dei singoli epicentri, con maggiore riguardo ai terremoti r o v i n o s i (Vili), disastrosi (IX) e d i s a s t r o- s i s s i m i (X). Il lavoro è, in massima parte, desunto dalla classica opera del Baratta : "I terremoti d'Italia,,, (Torino, Bocca, 1901) e dai suoi lavori : “Sulle aree sismiche italiane,, (Voghera, Gatti, 1901) e "Carta sismica d'Italia,, (Pavia, Tacchinardi e Ferrari, 1901). Ho anche consultato le più importanti memorie per le sin¬ gole regioni sismiche, le principali memorie posteriori alle opere del Baratta, ncn che le Notizie dei Terremoti ita¬ liani pubblicate dalla Società Sismologica Italiana, i Bollet¬ tini settimanali ed i Cataloghi dei Macro¬ sismi italiani elaborati dal R. Ufficio Centrale di Meteo¬ rologia e Geofisica di Roma. — 52 - Ho diviso le regioni sismiche dell'Italia nel seguente modo: I) Piemonte; II) Liguria; III) Lombardia; IV) Veneto; V) Emilia; VI) Marche ; VII) Toscana; Vili) Umbria; IX) Lazio; X) Abruzzi; XI) Napoletano; XII) Beneventano ed Avellinese; XIII) Basilicata e Salernitano (Lucania); XIV) Capitanata e Pu¬ glie ; XV) Calabria ; XVI) Sicilia ; XVII) Isole Eolie ; XVIII) Sar¬ degna. Ogni regione sismica è divisa in distretti sismici: ciascun distretto comprende uno o più epicentri. Agli epi¬ centri seguono le date dei principali terremoti di cui si ha no¬ tizia ; ma soltanto dei terremoti di notevole intensità ; ossia di quelli avvertiti dalla popolazione. Le date di quelli di Vili grado sono in carattere corsivo ; e per quelli di IX e X grado sono in carattere forte. Sono contrasegnati d a un asterisco gli epicentri che ebbero terremoti dall' Vili al X grado, e d a un punto quelli che ebbero terremoti con intensità non oltre l’VIII grado. Le notizie sono stampate in modo che lo studioso può ag¬ giungere altre date a quelle già riferite, le quali cominciano dal¬ l’inizio dell'Era volgare e si limitano a tutto il 1930. Nella carta che accompagna il lavoro sono segnati soltanto quegli epicentri che nel periodo suddetto furono scossi da ter¬ remoti disastrosi (e disastrosissimi), indicando con segno con¬ venzionale il numero di volte che ebbero terremoti della detta intensità. Sono segnati anche i vulcani attivi, semiattivi e spenti nel¬ l'epoca storica. Le curve da cui sono circondati alcuni epicentri non in¬ dicano isosisme ; m a contemporaneità di azione degli epicentri in esse rinchiusi. Gli epicentri in mare sono indicati da curve aperte. I) - Regione sismica del Piemonte. 1. - Distretto di Val Vevmenagna . Epicentri : Tenda 1849, » Vernante 1885, 1892, » Boves 1824, 1835, 2. - Distretto di Valdieri o di Val di Gesso. Valdieri 1879, 1885, 1894, 3. - Distretto del Bacino della Stura (affluente dal Tanaro). Vinadio 1889, 1890, 1891, 1893, 1895, 1897, Demonte 1844, 1858, 1889, Cuneo (?) 1301, 1502, 1550, Non si è sicuri che Cuneo sia un epicentro a sè ; forse le sue scosse provengono dagli epicentri vicini. 4. - Distretto del Bacino dell' Ellero. Centro presso Mondovì 1871, 1872, 1887, 5. - Distretto della Val Maira. Cartignano 1878, Dronero 1588, 1887, Prazzo 1887, 1888, 6. - Distretto di Val Wraita. Casteldelfino-Sampeyre 1873, 1878, 1879, 1880, 1885, 1887, Villamovetta 1883, 7. - Distretto di Salasso o delV Alta valle del Po. Saluzzo 1878, Crissolo 1878, 1888, 1889, 1890. Paesana 1878, 1887, 1888, 1891, 8. - Distretto del Pinerolese. * Torre - Luserna - S. Germano 1311, 1449, 1507, 1542 (?), 1611 (?), 1759 , 1808 , 1812, 1858, 1878, 1881, Torre (come epicentro isolato) 1818, Luserna ( » » » ) 1895, Alta Valle del Chisone 1753, 1808, — 54 — Susa 1785, 1890, 1898, Condove - Pinasca - Volvera 1886, * Savoia 1248, (L'epicentro di Savoia politicamente appartiene alla Francia, ma ha dato scosse disastrose al Piemonte). 9. - Distretto del Bacino della Stura (affluente del Po). Ceres 1874, Lanzo 1767, 1886, 1892, Balme 1887, 10. - Distretto del Bacino della Dora Balte a. Piccolo S. Bernardo 1871, 1873, 1877, 1880, 1882, 1891, Monte Bianco 1803, 1804, Gran S. Bernardo 1855, 1868, 1881, 1882, Aosta 1807, 1867, 1869, 1873, 1879, Cogne-Chatillon 1840, Bard-Donnaz 1875, 1892, * Ivrea 1676, 1824, 1875, 11. - Distretto di Biella. Biella-Graglia-Oropa 1873, 1875, 1880, 12. - Distretto dell'Alto Bacino della Sesia. Alagna-Riva 1872, 1878, Varallo-Vocca 1888, 1892, 13 - Distretto dell’Ossola. Baceno-Moggio 1891, Domodossola-Varzo 1885, 1895, Ornavasso 1882, 1883, 1885, 14. - Distretto di Wisp nel Valles. Wisp 1885, 1891, Sempione 1880, 15. - Distretto di Alba. Alba 1549, 1771, 1774, 1786, 1889, Bra 1774, 1775, 1889, 16. - Distretto dell' Astigiano. S. Damiano 1275, Castel Alfero 1765, Asti (Quando mancano le date trattasi di epicentri che ebbero scosse poco importanti). — 55 — 17. Distretto di Acqui . Acqui 1893, 18. - Distretto di Ovada-Gavi. Ovade 1823, 1897, Gavi 1680, Capriata 1891, 19. - Distretto del Tortonese. Carbagna 1845, 1858, Tortona 801, 1222, 1346, 1780, 1845, 1867, Terremoti più notevoli della regione sismica del Piemonte rovinosi 2, disastrosi 3, totale 5. 1248 nella Savoia (IX-X) 1564. 20-VII - Alta valle del Vesubio, con disastri a La Bollena e Belvedere (IX) (E riferito fra i terremoti della Liguria, ma estese le sue rovine al Piemonte). 1676. 17-VI - Nell’epicentro di Ivrea (VIII-IX) 1759. 30— III - Nell’epicentro Torre Luserna-S. Germano (Vili) 1808 . 2-IV - Nell’istesso epicentro (Vili). Epicentri più importanti rovinosi • 1, disastrosi * 2, totale 3. * Ivrea 1676, * Torre Lu serri a- S. Germano 1759 , 1808, * Savoia (quantunque in territorio francese, ha prodotto danni al Piemonte) (1248) 4). II) - Regione sismica del Nizzardo e della Liguria. 1. - Distretto sismico dei bacini della Tinea e del Vesubio (affluente del Varo). Epicentri * La Bollena : 1556, 1564, » Lantosca 1617, . . . 1348, 1499, 1644, » Roccabigliera 1612,. . 1348, 1499, 1644, » U tei le 1564, ‘) Torino è sotto gli urti degli epicentri del Pinerolese e della Savoia. — 56 2. - Distretto del Bacino della Roia. Saorgio 1618, 3. - Distretto delle Alpi Liguri. Pieve di Teco 1891, Cairo-Montenotte 1878, Alture 1890, 1895, 4. - Distretto del Nizzardo. * Epicentro in mare, presso Nizza 1227, 1348, 1494, 1536, 1556, 1617, 1618, 1644, 1752, 1771, 1806, 1861, Dolceacqua 1806, 5. - Distretto della Riviera Ligure Occidentale. * Epicentro in mare tra S. Remo ed Oneglia 1752, 1806, 31— III; 1806, 19-VI; 1807, 5-IX; 1818, 23-11; 1819, 8-1; 1854, 29-XII; 1895, 24-1; 1887, 23-11; 1896, 16-X; * S. Remo-Taggia 1831 , 1894, * Imperia (Porto Maurizio-Oneglia) 1854, 29-XII ; 1885 , 1887, 23-11 ; Alassio 1884, 1889, Savona 1537, 1540, 1547, 1767, 1887 (replica) ; Cogoleto 1813, * Genova 1536, 1767, 6. - Distretto tra VAntola e l'Ebro. Dova-Mongiardino 1751, 1882, 1886, Berga-Vegni 1885, 7. - Distretto della Riviera Ligure Orientale. Recco-Rapallo 1892, Chiavari 1893, Varese Ligure 1861, Orero-Bargona 1893, 8. - Distretto di Borgotaro. Borgotaro 1545, 1825. Bardi 1801, 1802, 9. - Distretto di Spezia. Coggiola 1890, 1899, Sarzana — 57 — Terremoti più notevoli rovinosi 4, disastrosi 4, totale 8. 1227 - Nel Nizzardo (X) 1536. 10 e 11 agosto, a Genova (Vili) 1556. 20-IV - Nizzardo (X) 1564. 20-VII - Alta Valle del Vesubio, La Bollena, Belvedere (IX) 1818. 23-11 - S. Remo-Oneglia (Vili) 1831. 26-V - S. Remo-Taggia (Vili) 1854. 24-XII - Oneglia-Bordighera (Vili) 1887. 23-11 - Liguria Occidentale (VIII-IX). Epicentri più importanti rovinosi 2, disastrosi 4, totale 6. * La Bollena 1556, 1564, * Il Nizzardo 1227, 1556, * Epicentro in mare tra S. Remo ed Oneglia , 1818 , 23-11 ; 1887, 27-11; * Epicentro in mare innanzi ad Imperia 1854, 1885, 1887, 23-11; * Genova 1536, * S. Remo-Taggia 1831, Genova fu intensamente colpita anche da terremoti esocentrici, quali quelli di Voghera-Bobbio (1828) e di Diano-Marina (1887). Altri terremoti ricordati dagli storici (951, 1104, 1136, ecc.), come avvenuti a Genova, probabilmente provennero dalla Riviera Occidentale, dall'Emilia e dalla Lombardia. III) - Regione sismica della Lombardia. 1. - Distretto sismico di Pavia. Epicentri: Pavia 1926, 11— XI ; » Casorate 1898, 4-1 II ; » Garlasco 1891, 2-IX ; 1892, 14-VII ; 2. - Distretto sismico dell Oltre Po pavese o di Voghera. • Roccasusella 1824, 1828, 1829, 1894, Voghera-Bobbio 837 (?) ; 1828, 3. - Distretto sismico di Bor ghetto. Borghetto S. Giovanni Borgonave 58 — 4. - Distretto sismico di Trevigtio. T reviglio 1781, 1884, Martinengo Cassano Caravaggio 5. - Distretto di Lecco. Lecco 1894, 5— III ; Maggianico 1595, 27-III ; 1894, 5-III ; Valmadrera 1877, 20-V ; 6. - Distretto di Albino (Bergamo). * Albino 1295, 1397, 1576, 1593, 1606, 1642 (?), 1661, 1857, Valzoglio Castione 1882, 7. - Distretto di Sondrio. Sondrio 1891, Tirano 1895, Bormio 1874, 1887, (Forse gli urti di tali epicentri irragiano dallo Stelvio). 8. - Distretto dell'Alta Valle delVOglio (Lago d’ Iseo) e di Brescia. * Brescia 1064, 1222, 1223, 1471, 1540, 1601, 1615, 1774, 1839, 1984, Lovere 1724, 1888, elusone Ospitaletto Chiari Soncino-Orzinovi 1786, 1789, 1802, (Questo epicentro interessa anche Crema). 9. - Distretto del lago d’Idro. Idro 1825, 10. - Distretto di Mantova. Marmirolo 1693, Mosio 1889, 11. - Distretto di Cremona. ’ Cremona 1287, 1439, 1522, 1529, 1741, 1829, — 59 - 12. - Distretto del lago di Garda ( o di BenacoJ. a) sulla riva lombarda Cargnano 1873, * Salò 1901, Desenzano 1866, b) sulla riva veneta M. Baldo 1703, 1809, 1866, 1868, 1876, 1882, Bardoli 1885, Peschiera 1891, Somma Campagna c) nella valle del Sedro Riva 1873, Terremoti più notevoli rovinosi 3, disastrosi 4, totale 7. 890 .... Milano (Vili) di incerto epicentro 1064, 11-IV - Brescia (VIII-IV) 1222. 25— XII - Alta Italia, con epicentro presso Brescia (X) 10.000 morti 1276 . 28 o 29— VII - Milano (Vili) (di incerto epicentro) ’) 1397. 26-XII - Nel Bergamasco, con epicentro presso Albino, (VIII-IX) 1439. 2 1 —VI - Cremona (Vili) [1473. 7-V ; con danni a Milano, a Pavia, (VIII-IX) : ma Pepi centro fu nell’Emilia]. 1901. 30-X - Salò (Brescia) (Vili— IX) . 9 Milano non è epicentro a sè, ma, oltre che per scosse esocentriche, ha risentito terremoti di epicentri vicini : 890, 940, 1249, 1276, da incerti epicentri. Le più importanti scosse esocentriche furono : 1473, 3-V ; probabilmente dall’Emilia, o dagli epicentri di Pavia. 1810, 25— XII ; da Novellara. 1855, 26-11 ; dagli epicentri reggiani dell'Emilia. 1877, 21-11 ; dagli epicentri di Piacenza, nell'Emilia. 1898, 4— III ; dall' Appennino Parmense. Monza partecipa ai terremoti da cui è colpita Milano ; e risente anche di epicentri piemontesi. Lodi non pare che sia epicentro a sè, risente dagli epicentri piacentini, e molto più dal vicino epicentro di Borghetto, nè è estranea ai terremoti che interessano anche Milano. Como anche non è epicentro a sè, ma risente degli epicentri vicini. — 60 - Epiceyitvì più importanti rovinosi 2, disastrosi 3, totale 5. * Roccasusella 1828 , * Albino 1397, * Brescia 1064, 1222, * Cremona 1439 , * Salò 1901, IV) - Regione sismica del Veneto. 1. - Distretto del Veronese e del Vicentino. Sanguinetto 1841, * Badia Calavena e Tregnano (sulle fratture della valle d’ Ilasi) probabilmente 243 o 245, 254, 793, 894, 1001, 1095, 1183, 1277, 1298, 1334, 1367, 1403, 1410, 1445, 1487, 1492, 1670, 1683, 1891, tutti più o meno dannosi a Verona. Crespadoro 1891, Recoaro 1897, S. Orso 1815, Arsiero 1892, Valli dei Signori 1895, Ala 1897, Nove 1887, Di questi centri, (situati su notevoli fratture delle Prealpi venete), forse ha risentito Vicenza negli anni 238, 260, 261, 1242, 1303, 1373, 1375-1376, 1385, 1520, 2. - Distretto del Trevigiano . Bussano 1756, 1822, 1836, 12-VI ; * Asolo 1695, 25-11; 1836, 12-VI; 1861, 1887, Maser-Cornuda 1897, 1 1— VI ; Collabo 1859, Valdobbiadene 1860, Folline 1895, Da questi centri (sulla frattura del Monte Grappa), in diverse occasioni, è stata colpita Treviso, negli anni 1695, 1756, 1859, 1860, 1895; e da quelli di ignoto epicentro 778, 974, 1268 o 69. 3. - Distretto sismico del Bellunese. Fonzaso 1894, Arsiè 1892, — 61 — Feltre (M. Somatico) 1851, Busche 1878, • Farra nell’Alpago 1873, 1875, 1885, 1892, Longarone 1884, 1890, 1893, Da tali epicentri, che si trovano sull'incrocio di d ie fratture, è colpita Bel¬ luno, specialmente dall'Alpago; i terremoti del 1401, 1404, forse provengono dall’istesso epicentro. 4. - Distretto del Friuli. CI au t 1892, 1895, 1896, 1898, • Tolmezzo 1788, 1790, 1841, 1870, 1889, 1928, Tramonti 1776, 1789, 1794, 188Q. Dierico 1889, • Moggio 1389, 1889, 1908, • Sequals 1812 , Emenongo 1700, Fiume Pordenone 1750 • Spilimbergo 1451, 1455, Amaro 1853, Gemona 1511, 1514, • Cividale 1279, 1511, 1872, 1898, Orsaia 1746, Pontebba 1879, 1896, • [Villaco] 1278, 1279 (?), 1348, 1690, [Villaco è nella Carinzia ma è stato epicentro funesto per il Veneto]. Da tali epicentri, (di cui molti sulla frattura del Tagliamento), è colpita Udine; di incerto epicentro sono i terremoti del 1278, 1279, 1301, 1472, 1511, 1529. 5. - Distretto dt Trieste. Trieste 1794, La città è colpita piuttosto da centri della Camicia e della Dalmazia. 6. - Distretto di Rovigo. Villanova-Marchesana 1857, 1895, Terremoti più notevoli rovinosi 17, disastrosi 14, totale 31. 243 - Badia Calavena (X) 254 - » » (X) 260 - Vicenza (IX) 745 - Venezia (Vili) — 62 778 - Treviso (Vili— IX) 793 - Badia Calavena (X) 894 - Verona (Vili) 1001 - Badia Calavena (X) 1004 - Padova (Vili) 1006 - Epicentro ? (VIII-IX) 1117 - » » (IX-X) 1183 - Verona (Vili) 1212 - Venezia (Vili) 1277. 20— VII - Verona (IX) 1278. 7-IV - Friuli (IX) [a Villaco] 1279 24-VI - Friuli (IX) 1298 - Verona (Vili) 1303. 23-X - Vicenza (Vili) 1348. 25-1 - Villaco (IX-X) 1410. 10-VI - Verona (Vili) 1429 - Venezia (Vili) 1455. 3-II - Spilimbergo (Udine) Vili 1690. 22-XII - Villaco (Vili) 1695. 25-11 - Asolo (VIII-IX) 1836. 12-VI - Asolo (Vili) 1873. 29- VI - Alpago (IX-X) 1887. 14-IV - Asolo (Vili) 1891. 7-VI - Tregnano (Vili) (Epicentro di Badia Calavena- Tregnago) 1898. 20-11 - Cividale (Vili) 1908. 10-VII - Moggio Udinese (Vili) 1928. 27— III - Tolmezzo e Gavazzo Gamica (IX). Epicentri più importanti rovinosi 4, disastrosi 4, totale 8. * Badia Calavena-Tregnago 243, 254, 793, 894, 1001, 1183, 1277, 1298, 1410, 1891, * Asolo 1695, 1836, 1887, Venezia non è epicentro a sè. Si hanno notizie di terremoti avvertiti a Venezia negli anni 745, 840, 1093 (?), 1105, 1106, 1212, 1233 (?), 1275, 1282, 1283 o 1286, 1321, 1373, 1410, 1429, 1457, 1516, 1522 (?), 1523, 1622, Ma non è facile individuarne gli epicentri o dire se siano esocentrici. Padova non è epicentro a sè. Si hanno notizie di terremoti avvertiti a Padova negli anni 802 (?). 1004, 1487, 1533, 1606, 1646, 1662, 1756, È difficile individuarne gli epicentri, perchè non corrispondano a date di terremoti noti per gli epicentri riscontrati. Padova ha risentito di vari ter¬ remoti esocentrici. - 63 — • Farra nelPAlpago 1873, • Tol mezzo 1928, • Moggio 1908, • Sequals 1812, '• Spilimbergo 1455 , • Cividale 1898, (*) [Villaco] 1278, 1279, 1348, 1690, Villaco, come già si è detto, è nella Carinzia (Austria), ma danneggia il Veneto. V) - Regione sismica dell’ Emilia. 1. - Distretto sismico di Borgo S. Donnino ( Parma ). • Borgo S. Donnino 1438, 1586, 1885, 1872, 1896, 2. - Distretto di Torrechiara. Torrechiara 1886, 1898, S. Vitale 1834, Langhirano 1818, 1886, 3. - Distretto di Palancano. Palanzano 1844, 1893, Berceto 1856, Borgotaro (e Pontremoli in Toscana) 1545, Da questi centri fu colpita Parma più o meno nelle epoche già indivi¬ duate, e in altre epoche il cui epicentro è incerto, 1104, 1383, 1409, 1438 , 1545, 1572, 1628, 1638, 1732, 1738, 1774, 1818, 1831, 1857, 1886. 4. - Distretto di Novellava. Novellara 1806, 1810, • Bibbiana 1831, 1832, 1833, 1948, 1857, 1885, • Marola 1904, Da questi centri è colpita Reggio Emilia. 5. - Distretto di Carpineti. Carpineti 1892, Sologno 1889, 6. - Distretto dt Sassuolo. • Sassuolo 1501, 1671, 1811, 1850, 1869, 1873, • Fanano 1904, L’epicentro di Sassuolo agisce su Modena. A tale epicentro forse si pos¬ sono riferire altri terremoti di Modena: 1344, 1471, 1660, 1753, 1793. 64 — 7. - Distretto del Monte Cimone. M. Cimone 1648, 1895, 1896, Interessa anche Sestola, Fanano, e Fiumalbo. 8. - Distretto di Bologna. * Bologna 1174, 1229 , 1323, 1365, 1408, 1433, 1455 , 1504, 1666, 1779, 1801, 1834, 1889, Zola 1898, 9. - Distretto deir Appennino Bolognese . Vergato 1470, Savignano-Zocca 1864, Porretta 1830, 1864, Granagliene 1896, Castiglione 1771, 1897, Questi epicentri colpiscono anche Bologna. Forse da uno di questi epi¬ centri Bologna ebbe il terremoto del 1455. 10. - Distretto del Ferrarese. * Ferrara 1234, 1285, 1365, 1379, 1425, 1483, 1495, 1508, 1561, 1570, 1678, 1743, 1787, Bondeno 1843, 1897, Comacchio 1895, * Argenta 1467, 1624, 1898, Portonovo-Medicina 1796, Questi epicentri colpirono anche, il Veneto, specialmente Venezia. 11. - Distretto della Romagna tra il Savena ed il Senio. 1° gruppo di epicentri : Loiano 1878, 1881, 1893, Firenzuola 1771, 1864, 1874, 1892, Pietramala 1767, 1874, 2° gruppo : Quaderna 1881, Castel S. Pietro 1878, 1881, 3° gruppo : Castel del Rio 1874, 1892, 1893, Palazzuolo 1879, 1880, 1881, Tossignano 1874, 1877, 1878, 1881, — 65 — Marradi 1874, 1892, 1893, Vainera 1892, 1893, 4° gruppo : * Brisighella-Montecchio 1781, 1880, 1881, 1887, 12. - Distretto di Imola e Faenza. Imola 1687, 1813, 1854, * Faenza 1279, 1509, 1700, 1813, 13. - Distretto di Forlì. (F{) Epicentro a nord di Forlì 1781, * (F2) Epicentro a sud di Forlì presso Meldola 1227, 1424, 1505, 1661, 1725, 1828, 1870, 1887, * Predappio Fiumana 1661, * Forlimpoli 1911, 19-11; * S. Piero in Bagno 1584, Da questi epicentri forse è stata colpita Forlì in altre date di cui è in¬ certo l'epicentro: 1279, 1323, 13S5, 1337, 1396, 1397, 1402, 1479.7483, 1619, 1701, 1778, 1828, 1844, 1887, 14. - Distretto del Cesellate . Cesena 1331, 1334, 1337, 1688, 1828, 1881, Bertinoro 1881, Questi epicentri interessano anche Forlì. 15. - Distretto del Ravennate. Russi 1811, * Russi-Bagnocavallo 1591, 1688, 1891, Interessarono anche Ravenna; colpita anche nel 467, 492,813, 1561, 1780 da incerti epicentri. 16. - Distretto della Romagna Toscana. Querciolano 1.655, 1826, 1895, Premilcuore-Portico 1888, * S. Sofia-Mortano 1768, 1861, 1898, 1918, In questo distretto vi sono molte sorgenti termali. 17. - Distretto costiero. Cervia 1484, 1641, 1875, * Rimini 1308, 1468, 1473, 1621, 1625, 1672, 1786, 1875 , 1916, * Riccione-Cattolica 1916, - 5 - 66 — Terremoti più notevoli rovinosi 15, disastrosi 11, totale 26. 1227 - Meldola (IX) 1229 - Bologna (Vili) 1279, 20-VI - Cagli (provincia di Pesaro Urbino, nelle Marche) Forlì, Faenza, Camerino, (IX) 1308. 25-1 - Rimini (Vili) 1438. 10-V1 - Borgo S. Donnino (Vili) 1455. 20-XII - Bologna (Vili) 1483. 11 -VI II - Forlì (Vili) 1501. 5- VI - Sassuolo (VIII-IV) 1561. 24-XI - Ferrara (VIII) 1570 - Ferrara (IX) 1584. 10-IX - S. Piero in Bagno (Vili) 1624. ? IH - Argenta (IX) 1661- 22— I II - Mei dola-Predappio-Fi umana (IX) 1672. 14-IV - Rimini (IX) 1688. 11-IV - Russi-Bagnocavallo-Ravenna, Forlì (IX) 1768. 19-20-X - Santa Sofia (IX) 1781. 4-IV e 1 7— VI I - Brisighella-Montecchio (Vili) 1832. 1 3—1 II - Bibbiana-R. Emilia-Parma (Vili— IX) 1870. 30-X - Meldola (Vili) 1875. 18— III - Rimini-Cervia (Vili) 1904. 25-11 - Marola (Reggio Emilia) (Vili) 1904. 10-VI - Fanano (Vili) 1911. 19-11 - Forlimpopoli (VILI) 1916. 17-V - Rimini (Vili) 1916. 16-VIII - Riccione-Cattolica (Forlì) (Vili— IX) 1918. 10-XI - S. Sofia-Mortano (IX). Epicentri più importanti rovinosi 7, disastrosi 11, totale 18. • Borgo S. Donnino 1438, * Bibbiana 1832, • Marola 1904, * Sassuolo 1501, • Fanano 1904, • Bologna 1229, 1455, * Ferrara 1561, 1570, * Argenta 1624, • Brisighella 1781, * Faenza 1279, — 67 — * Meldola 1227, 1661, 1870, * Predappio-Fiumana 1661, * Forlimpopoli 1911, ' S. Piero in Bagno 1584, * Russi-Bagnocavallo 1688, * Santa Sofia-Mortano 1768, 1918, * Rimini 1308, 1672, 1875, 1916 , * Riccione Cattolica 1916, VI) - Regione sismica delle Marche. Vi sono epicentri interni (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,) ed epicentri costieri, o meglio sottomarini, per sprofondamento dell'Adriatico (8, 9, 10, 11). 1. - Distretto sismico di Urbino. Urbino 1502, 1744, 1828, 1853, 1867, Fossombrone 1865, Risentono molto anche per i terremoti di Cagli. 2. - Distretto di Cagli. * Cagli 1279, 1781, 1843, 1884, Cantiano 1897, Apecchio 1897, S. Angelo in Vado 1896, Mercatello 1810, 1898, Borgo Pace 1899, L'epicentro di Cagli è alle falde orientali del Monte Nerone. 3. - Distretto di Camerino (in dipendenza dei Monti Sibillini). * Camerino 821, 1279, 1785, 1799, 1873, 1877. L'epicentro è ad Est di Camerino. Serravalle di Macerata 1795, 1898, Questo epicentro è a S W di Camerino. * Fabriano 1741, 1873, S. Ginesio 1730, 1873, S. Severino Marche 1898, Caldarola 1871, 1889, 1894, 4. - Distretto di Macerata. Epicentro presso Macerata 1626, 1809, 18! 3, 1873, Osimo 1892, — 68 - 5. - Distretto di lesi. Iesi 1887, 6. - Distretto di Osirno . Osimo 1892, 7. - Distretto di Ascoli Piceno. Pansola-Magliano 1883, Mogliano-Fermo 1540, 1892, S. Vittoria 1897, Ripatransone 1888, Spinetoli-Monteprandone 1840, 1898, Quest'ultimo epicentro urta Ascoli Piceno. 8. - Distretto sulla costa di Fano. Pesaro 1744, 1826, 1859, Fano-Cartoceto 1389, 1572, 1688, 1692, 1728, 1788, 1838, * Senigallia 1303, 1826, 1838, 1890, 189 7 , 1930, 9. - Distretto della costa di Ancona. Ancona 973, 1268, 1474, 1502, 1755, 1756, 1813, 1818, 1869, 1870, * Ancona-Sirolo-N umana 558, 1298, 1690, 10. - Distretto della costa di Macerata. Potenza Picena 1874, Civitanova 11. - Distretto della costa di Ascoli Piceno. Cupramarittima-Grotta 1892, S. Benedetto del Tronto 1882, Terremoti più notevoli rovinosi 5, disastrosi 5, totale 10. 558 - Ancona-Sirolo-Numana (IX-X) 1279- 30-IV - Risveglio di quattro epicentri : Forlì e Faenza (Emilia) Cagli e Camerino (Marche) (IX) 1298 - Ancona (Vili) 1690. 22-XII - Ancona (Vili) 1741. 24-1 V - Fabriano (VIII-IX) 1781. 3-VI - Cagli (IX) 1799. 28-VII - Camerino (Vili) 1873. 12— III - Camerino-Fabriano (Vili) 1897. 21-IX - Senigallia (Vili) 1930. 30-X - Senigallia (IX). Epicentri più importanti rovinosi 0 disastrosi 5. * Cagli 1279, 1781, * Camerino 1279, 179 9, 1873, * Fabriano 1741, 1873, * Senigallia 189 7, 1930, * Ancona-Sirolo-Numana 558, 1298 , VII) - Regione sismica della Toscana. 1. - Distretto sismico Borgotaro - Pontremoli. Borgotaro 1545, 1834, 1835, 1842, 1843, 1844, 1849, 1888, Pontremoli 1545, 1641, 1790, 1834, Epicentro probabile : Monte Molinatico. 2. - Distretto di Bagnone. Bagnone 1889, 1894, 3. - Distretto delle Alpi Apuane . * Fivizzano 1481, 1920, Soliera 1878, * Argigliano-Ugliancaldo 1778, 1837 , Epicentro probabile di tale duplice località: Pizzo Uccello. * Barga 1740, 1746, 1793, Colpisce la Garfagnana. 4. - Distretto della Riviera tra Spezia e Massa. Spezia 1860, 1875, Gaggiola 1890, Sarzana 1898, Massa 1730, 5. - Distretto del Pistoiese. S. Marcello-Cutigliano 1779, ■ Epicentro a Nord di Prato, nel Bacino del Bisenzio 1899, Pistoia fu colpita dall'uno e dall'altro epicentro nel 666, 1169, 1196, 1289, 1293, 1298, 1527, 1649, 1731, 1759, 1779, 1815, 1899. 6. - Distretto di Lucca. Pescia 1244, 1306, 1840, 1845, 1891, Da tale epicentro è colpita anche Lucca. — 70 — 7. - Distretto del Mugello o Val di Sieve. * Vicchio 1542, 1835, 1919, * Scarperia 1542, 1597, 1611, * Barberino 1542, 1843, 1890, * Sant’Agata 1542, 1762, * Ronta 1542, 1731, 1874, Borgo S. Lorenzo 8. - Distretto di Firenze. Epicentri a Sud di Firenze : * Percussina 1895 , * Grassina-S. Martino 1895, Pontassieve 1895, Cerbaia-Montespertoli 1697, 1737, 1812, 1877, 1896, Da questi epicentri probabilmente fu colpita Firenze nel 1148, 1325, 1383, 1408, 1426, 1453, 1463, 1531, 1551, 1554, 1600. Epicentri a Nord di Firenze : * S. Gallo-Vincigliata 1453, 1839, 1898, Epicentri a S-W : Castelfiorentino 1893, 1894, S. Miniato-Fucecchio 1897, 9. - Distretto del Senese. a Nord di Siena . a N N E a E ». a S E » a S S E » a SSE a S ». a SW a N W » » » » » » . Vagliagli 1866, 1871, 1883, 1893, . * Osservanza 1798, 1859, 1869, . . . 1909 . • Castelnuovo Berardenga 1895, 1911, Asciano di Siena 1851, 1898, Torrita Sinalunga 1849, 1861, Montepulciano 1783, 1851, 1861, . M. Oliveto 1678, 1726, 1781, Binari 1848, 1882, Poggibonsi 1890, 1894, 1895, S. Geminiano 1820, 1838, 1869, 1896, Barberino 1890, Gambassi 1768, Questi ultimi quattro epicentri appartengono alla regione dell' Elsa. — 71 Di questi centri colpiscono Siena: Osservanza (fortemente) S. Colombo (leggermente) Vagliagli » Tra vai e » Donde i terremoti del 1294, 1320, 1361, 1420, 1430, 1436, 1456, 1467, 1486, 1496, 1530, 1603, 1638, 1697-98, 1705, 1/41, 1787, 1854, 1867 - 1909, 10. - Distretto dell’Orda. Rocca d’Orcia 1888, San Quirico 1897, Quest’ultimo epicentro è ricco di sorgenti minerali (46°). 11. - Distretto dell’ Annata e Radico/ani (avanzi di regione vulcanica che arse nella fine del pliocene). Abbadia S. Salvatore 1776, 1778, * Radicofani 1777, 1919, 12. - Distretto di Lìvovìio. Livorno (epicentro a mare) 1642, 1646, 1717, 1742, 1771, 1808, 1814, 1894, 13. - Distretto del territorio Pisano o dei colli Pisani . * Orci ano 1597, 1846, 1883, 1896, Ponsacco 1897, Bagni S. Giuliano 1850, 1851, 1898, Orciano agisce a preferenza di altri epicentri su Pisa e probabilmente sono di Orciano i terremoti di Pisa del 1168, 1322, 1494. Tali epicentri pare siano in relazione col Monte Pisano, molto dislocato; notare anche le sorgenti termali di Bagno San Giuliano (40°). 14. - Distretto del bacino del Cecina o di Volterra. Volterra 1472, 1853, 1897, 1898, Pomerance 1846, 1893, Quest'ultimo epicentro è ricco di sorgenti termali (50°). Guardistallo 1871, Travale 1413, 1724, In relazione, forse, coi locali soffioni boraciferi. 15. - Distretto a N W di Grosseto. Monterotondo 1320, 1897 , Massa Marittima 1849, 1851, 1878, 1880, 1886, 1891, Follonica 1850, — 72 - 16. - Distretto di Are s so. * San Sepolcro 991, 1243, 1277 , 12 92, 1345, 1352, 1358, 1389, 1414, 1416, 1456, 1489, 1694, 1772, 1778, * Giovi-Subbiano 1796, Tale epicentro colpisce Arezzo e forse da esso provennero i terremoti del 678, 1005. 1192, 1298, 1427, 1448, 1810, Bibbiena 1505, Poppi 1787, Camaldoli 1895, 1898, Terremoti più notevoli rovinosi 17, disastrosi 13, totale 30. 678 - Arezzo, di epicentro incerto (Vi 1 1— IX) 991 - S. Sepolcro 1005 - Arezzo (Vili) 1148 - Firenze (Vili) 1192 - Arezzo (Vili) 1277 - S. Sepolcro (Vili) 1289 - Pistoia (Vili) 1292 - S. Sepolcro (Vili) 1293. 11-VII - Pistoia (Vili) 1298 - Pistoia (Vili) 1320 . 16-XII - Siena (VITI) 1345. 1 2— IX - S. Sepolcro (VIII-1X) 1352 '> » 1358 1389 1413. 8-VIII - Siena (Vili) 1414 - S. Sepolcro (Vili) 1453. 28-IX - San Gallo, Vincigliata, colpendo anche Firenze (IX) 1456 . - S. Sepolcro (Vili) 1481. V - Fivizzano (Vili) 1542. I3-VI - Scarperia , Vicchio, Barberino, S. Agata, Ronta (VIII-IX) 1740. 6—1 1 1 - Barga (Vili) 1837. 1 1 — I V - Pizzo Uccello (Vili) 1846. 1 4— VII I - Orciano (IX) 1895. 18-V - Firenze (Vili) 1909. 25— Vili - Osservanza, Abbadia S. Salvatore (VIII-IX) 1911. 13— IX - Casteluuovo Berardenga (Vili) 1919- 29-VI - Vicchio, nel Mugello (IX-X) 1919. 10-IX - Radicofani, Piancastaio (IX) 1920. 7-IX - Fivizzano (IX) — 73 — Epicentri più importanti rovinosi 6, disastrosi 12, totale 18. * Fivizzano 1481, 1920, * Argigliano-Ugliancaldo 1837 , * Barga 1740 , * Epicentro che colpisce Pistoia 1289, 1293, 1298, 1527, * Vicchio 1542, 1919, * Scarperia 1542, * Barberino 1542, * Sant’Agata 1542, * Ronta 1542, * Percussina 1895, * Grassina-S. Martino 1895, * San Gallo-Vincigliata 1453, Quest’ultimi tre epicentri colpiscono Firenze. * Osservanza 1909, * Castelnuovo-Berardenga 1911 , Colpiscono Siena. * Orciano 1846, Colpisce Pisa. * Radicofani 1919, * S. Sepolcro 991, 1277, 1292, 1345, 1352, 1358, 1369, 1414, 1456 , * Giovi-Subbiano 678, 1005, 1192... 1796. Colpiscono Arezzo, specialmente Giovi Subbiano. Vili) - Regione sismica dell’Umbria. 1. - Distretto sismico dell’ Alta valle del Tevere (sulle falde del Monte Nerone e della Serra Maggio). Fraccano 1892, * Città di Castello, 1352, 1448, 1457, 1691, 1752, 1789, 1865, 1891, 1892, 1897, Pietra Lunga 1897, Morra-S. Leo 1457, 1865, 1891, 2. - Distretto di Gubbio. Gubbio 1465, 1466, 1471, 1786, 1897, 3. - Distretto del Bacino del Topino (affluente dell’Alto Tevere). * Gualdo Tadino 1751, 1897, . . . colpisce anche Nocera ed Assisi Casenuove-Foligno 1791, 1819, 1838, - 6 - — 74 * Cannara-Bevagna 1831, 1832, Spello 1866, 1891, 1897, Bastia 1884, 1897, 4. - Distretto di Perugia , * Perugia-Castel del Piano 801, 1604, 1854, 1891, 1898, * Citerna-Monterchi 1917, * Poggiodomo-Roccatamburo 1910, 5. - Distretto del Clitunno e della Maroggia . Montefalco-Castelli Ritaldi 1740, 1878, 1881, Trevi 1592, 1831, 1832, 1878, 1889, 1890, 1891, 1898, Le Vene (sorgenti del Clitunno) 1866, 1891, 1897, Giano 1890, 1895, 1897, 6. - Distretto di Spoleto . * Spoleto 355, 801, 1246, 1277, 1298, 1496, 1571, 1594, 1616, 1667, 1703, 1704, 1745, 1767, 1786, 1853, 1876, Pare che Spoleto sia colpita da due epicentri : uno a N W della città, presso M. Martano ; e l'altro a S E della città, presso M. Luco. 7. - Distretto dell’ Alto Bacino della Nera. * Visso 1884, 1898, * Norcia 1328, 1567, 1703, 1719, 1730, 1766, 1812, 1859, 1860, * Cascia 1599, 1600, 1703, 1716, 1871, 1879, 1882, * Città Reale-Leonessa 1703, 1730, Cerreto 1838, 1897, Sellano 1891, 1898, Mucciafora 1897, 8. - Distretto di Acquasparta. Acquasparta 1871, 9. - Distretto del basso bacino della Nera. Strettura 1792, S. Gemini 1753, * Narni 1714, 1751, 10. - Distretto di Orte. Orte 1896, 11. - Distretto del Velino. Piediluco 1785, * Rieti 1298, 1703, 1776, 1821, 1898, — 75 — • Città Ducale 1502, 1582, 1842, 1853, 1856, 1881, 1891, 1898, • Terni 1917, Morro Reatino 1885, Posta 1703, 1851, Pescorocchiano 1892, 12. - Distretto di Poggio Catino. Poggio Catino 1889, 1897, 1898, 13. - Distretto della Città di Pieve. • Città di Pieve 1753, 1861, Cetona 1861, Terremoti più notevoli rovinosi 15, disastrosi 11, totale 26. 801 - Perugia (IX-X) 1246 - Spoleto (Vili) 1277 - Spoleto (IX) 1298. 30- XI - Spoleto (Vili) 1328. 1— XII - Norcia, Roccanolfi (IX) 1457. 26-VI - Città di Castello (Vili) 1567. 27— VII I - Norcia (VIII-IX) 1604 - Perugia (Vili) 1667 - Spoleto (Vili) 1703. 14-1 - Norcia, Cascia (X) 1703. 16-1 - Città ducale, Accumoli, Amatrice, Leonessa (X) 1714 - Narni (Vili) 1730. 12-V - Norcia, Accumoli, San Pellegrino (Vili— IX) 1730. 12-VI - Leonessa (Vili) 1751. 26- VII - Gualdo Tadino (Vili) 1767. 4- VI - Spoleto (Vili) 1789. 30- IX - Città di Castello (Vili) 1831. 13-1 - Foligno, Cannara, Bagnara (Vili— IX) 1854. 12-11 - Perugia (Vili) 1859. 22— Vili - Ancarano-Norcia (VIII-IX) 1861. 9-V - Città della Pieve (Vili) 1898. 28- VI - Rieti (Vili) 1898. 12-IX - Visso (Vili) 1910. 29-VI - Poggiodomo, Mucciafora, Roccatamburo (IX) 1917. 26-IV - Citerna, Monterchi, Alta Valle del Tevere (IX-X) 1917. 12-V - Terni (Vili) — 76 Epicentri più importanti rovinosi 7, disastrosi 9, totale 16. * Città di Castello 1352, 145 7 , 1759, * Gualdo Tadino 1751, * Cannara-Bevagna 1831, * Perugia 801, 1604, 1854, * Citerna-Monterchi 1917, * Poggiodomo-Roccatamburo 1910, * Spoleto 1246, 1277, 1298, 1667, 1767, Visso 1898, * Norcia 1328, 1567, 1703, 1730, 1859, * Cascia 1703, * Città Reale-Leonessa 1703, 1730, ■ Narni 1714, Rieti 1898, * Città Ducale 1898, * Terni 1917, * Città della Pieve 1861, IX) - Regione sismica del Lazio. 1. - Distretto sismico al Nord di Bolsena (forse in relazione con gli avanzi vulcanici Vulsini). Latera 1881, 1882, 1890, 1896, Farnese 1889 Grotte di Castro-Acquapendente 1755, 1853, Grotte di Castro-S. Lorenzo 1888, 2. - Distretto delVEst di Bolsena (anche questo distretto è in rela¬ zione probabile coi vulcani Vulsini). * Bagnorea 1695, 1738, S. Michele 1759, Celleno 1881, Montefiascone 3. - Distretto del Viterbese . Viterbo 306, 1114, 1320, 1458, 1881, Toscanella-Roccarespanpani 1881, In relazione al Bulicame (56°), ai vulcani Cimini e alle sorgenti di Caio (239- 51°). 4. - Distretto del lago di Vico. Caprarola 1881-82, Vetralla 1877, — 77 — 5. - Distretto di Corneto. Corneto-Civitavecchia 1819, 1869, (L'epicentro probabilmente è in mare). 6. - Distretto di Roma. * Epicentro situato probabilmente in mare : da esso sarebbero provenuti i terremoti degli anni : 2, 3, 7, 15, 20, 25, 11, 85, 94, 116, 191, 223, 258, 304, 392, 441, 443 o 455, 477, 508, 553, 896, 1170, 1227, 1229, 1231, 1348, 1350, 1353, 1355, 1408, 1425, 1448, 1463, 1484, 1624, 1672, 1678, 1703, 1712, 1730, 1735, 1748, 1750, 1755, 1778, 1782, 1800, 1806, 1811, 1812, 1819, 1836, 1857, 1858, 1860, 1869, 1893, 1895, Prescindendo, s’intende bene, dai terremoti esocentrici provenienti dai colli Laziali: 1748, 1751, 1752, 1782, 1800, 1806, 1829, 1855, 1873, 1891, 1897, 1899, dal Viterbese 1695, dairUmbria 1348, 1703, 1712, 1730, ecc. (Baratta p. 777) dall’Abruzzo aquilano 1461, dalle Marche da! Molise 1456, 1805, dal Beneventano ; dal Chietino ; dalla Capitanata ; dal Ferrarese; e dalle Romagne. 7. - Distretto di Tivoli. Tivoli Sambuci Subiaco * Palombara Sabina 1901 , 24 -IV ; 1901, 11-V. 8. - Distretto dei colli Laziali (in relazione con i vulcani Laziali). Colonna 1897, Montecompatri 1809, Monte Porzio 1792, 1861, 1873, Frascati-Marino 1748, 1773, 1855, 1895, 1899 Rocca di Papa 1877, 1898, Albano 1829, Ariccia 1763, 1773, 1781, 1784, 1810, 1829, 1884, 1886, 1892, 1893, * Nemi 1873, 1927, Genzano 1829, 1892, Civitalavinia 1892, 1897, Velietri 1800, 1806, 1888, 9. - Distretto di Pale strina, Palestrina 1844, 1876. Artena 1876, 1881, — 78 — Rocca Massima 1874, Montelanico 1894, 10. - Distretto delle Paludi Pontine. Giulianello-Cori 1889, Sezze 1756, 1864, 1889, 1894, Torre Tre Ponti 1885, 11. - Distretto di Anagni. Anagni 1256, 1765, 1880, 12. - Distretto di Fr osinone* ■ Frosinone 1877 , • Ceccano 1170 , 1200, 1886, 13. - Distretto di Ver oli. Veroli 1160, 1877, 1897, 14. - Distretto del Sorano . * Sora 1654, 23-VII ; 1873, 1891, * Isola Liri 1654, 1777, 1879, 1891, 1897, * Alvito 1120, 1813, 1874, 1901, 15. - Distretto di Cassino. S. Elia 1367, 1827, M. Cassino 1004, 1120 , 1135, 1140, 1152, 1231, 1369 (?), 1642, 1646, 1650, 1658, 1692, 1703, 1705, 1720, 1723, 1731, 1745, 1759, 1761, 1806, 1835, 1837, 1863, 1872, 1891, * S. Germano 1231, 1-VI 16. - Distretto di Migliano . Migliano 1873, Epicentro molto isolato. 17. - Distretto di Roccamonfina. Roccamonfina 1723, 1728, 1888, 18. - Distretto di Gaeta . Centro in mare tra Gaeta e Formia 1881. Terremoti più notevoli rovinosi 21, disastrosi 7, totale 28. 15 - 25 - 27 - Roma (Vili) (X) ? (X) 79 - 85 - Roma (X) (Vili) 94 — » » » 116 (?) » 191 - 258 - » » (IX) 455 - » » » 477 - » (Vili) 508 - » » 553 - » » 896 - 1004 - M. Cassino e dintorni (Vili) 1120 - » » » 1170 - Ceccano (Vili) 1227 - Roma (Vili) 1229 - » (Vili) 1548 - » (IX) 1350 - » (Vili) 1654. 23-VII - Isola Uri, Sora, Alvito, Atina (VIII-IX) 600 morti 1695. 1 1— VI - Bagnorea e dintorni (IX) 50 morti 1812 - Roma (Vili) 1873. 12-VII - Alvito, Sora, Atina (Vili) 1877. 24- VI II - Frosinone (Vili) 1901. 11-V - Palombara Sabina (Vili) 1901. 31-VII - Alvito (Vili) 1927. 26-XII - Nemi (Vili) Epicentri più importanti rovinosi 6, disastrosi 5, totale 11. * Bagnorea 1695, * Roma 25, 27, 85, 94, 116, 191, 258, 455, ecc. * Palombara Sabina 1901, - Nemi 1927, * Frosinone 1877 , * Ceccano 1170, * Sora 1654, 1873, * Isola Liri 1654, * Alvito 1873, 1901, * M. Cassino 1004 , 1120, * S. Germano 1231, — 80 — X) - Regione sismica degli Abruzzi e Molise. A) - Regione sismica degli Abruzzi. 1. - Distretto sismico deir Alto Bacino del Tronto e dell’ Aterno (regione eminentemente fratturata). * Amatrice 1639, 1703, 1859, 1883, * Accumoli 1627, 1703, 1730, 1883, * Montereale 1703, 1893, 1897, Tali epicentri si trovano a Nord di Aquila , cui hanno prodotto danni notevoli; forse sono in rapporto con il Gran Sasso, che presenta una profonda frattura. 2. - Distretto del Basso bacino del Tronto. Ci vitella Ancarano 1894, E un epicentro costiero. 3. - Distretto del bacino del V ornano. Pietra Camela 1889, Teramo 1348, 1822, 1881, 1884, 1888, Mosciano-Città S. Angelo 1884, Sono epicentri costieri. 4. - Distretto dell’ Aquilano (a S E del Gran Sasso). A Sud di Aquila : * Roio 1461, 1703, 1887, 1897, Lucoli 1786, A S. S. E. di Aquila : Poggio Vicenze 1762, 1895 S. Demetrio nei Vestini 1884, S. Nicandro 1850, S. Pio delle Camere 1871, Sono questi epicentri che colpirono Aquila (1315, 1349, 1456, 1461, 1498r 1646) ; e da due o più di tali epicentri, che agirono contemporaneamente, prò. vennero forse terremoti di incerto epicentro (1703, 1750, 1762, 1786, 1791, 1803, 1809, 1874, 1887. 5. - Distretto di Acciano sull’ Aterno. Acciano 1889, 6. - Distretto della Maiella (ad W della Maiella). Torre dei Passeri 1841, 1843, 1844, * S. Valentino 1706, 1897, * Caramanico 1706, 1841, — 81 — * Sulmona 1456, 1706, 1789, 1841, 1881, Taranta-Palena 1841, * Castel di Sangro 1706, 1889, Questi epicentri sono in rapporto con la Maiella e col Monte Morrone; anzi la Valle di Caramanico è una frattura che divide la Maiella dal Monte Morrone. Tali epicentri hanno sempre colpito Chieti. * Ortona 1506, (terremoto o frana?) * Torricella 1841, 7. - Distretto di Gasoli e di Or sogna (ad Est della Maiella ). Casoli 1863, 1864, 1871, * Orsogna-Lanciano 1881, 8. - Distretto del Fucino . * Avezzano-Trasacco 1904, 1915, Terremoti più notevoli rovinosi 2, disastrosi 12, totale 14. 69 a C. (X) Aquila 1349. 9-IX (IX-X) Aquila 1456. 5-XI (X) Aquila-Sulmona 1461. 27-XI (VIII-IX) Aquila-Roio 1506- 6— III (IX) Ortona (provincia di Chieti) 1639 (Vili) Amatrice 1703. 14-1 (IX-X) Norcia-Cascia 1703. 16-1 (IX-X) Amatrice, Accumoli, Leonessa, Montereale, 1703. 2— II (IX-X) Aquila-Roio (250 morti) 1706. 3-XI (X) Sulmona, Castel di Sangro 1841. 10-VI (Vili) Torricella 1881. 10-IX (Vili) Orsogna-Lanciano 1904. 24-11 (IX) Avezzano-Aquila 1915. 13-1 (XI) Avezzano. Epicentri più importanti rovinosi 2, disastrosi 10, totale 12. * Amatrice 1639, 1703, * Accumoli 1703, * Montereale 1703, * Roio 1461, 1703, * S. Valentino 1706, * Caramanico 1706, * Sulmona 1456, * Castel di Sangro 1706, - 7 - — 82 — * Ortona 1506, * Torricella 1841, * Orsogna-Lanciano 1881 , * Avezzano-Trasacco 1904, 1515, B) - Regione sismica del Molise. Epicentro principale. * Monte Matese-Boiano (Baranello, Spinete ecc.) 853, 1294, 1305, 1307, 1309, 1456, 1805, 1831, 1850, Epicentri secondari. * Isernia 847, 1825, 1882, 1914, Venafro 1786, Campobasso 1712, 1885, Frosolone 1891, Monteroduni 1807, 1882, * Vinchiaturo 1885, L'epicentro principale è il Monte Matese; circondato da valli originate da frattura verticali; Boiano è una conca di sprofondamento; i vari epicentri se¬ condari è da ritenere siano in relazione con i contrafforti del Matese. Terremoti più notevoli rovinosi 3, disastrosi 5, totale 8. 847 - Isernia (X) 853 - Boiano (X) 894 - Sannio (Vili) 1294 - Boiano (VIII-IX) 1305 - Boiano (Vili) 1309 (?) - Boiano (IX) 1805. 26-VII - Boiano, Baranello, Cantalupo del Sannio (X) 1885. 26-XII - Vinchiaturo (Vili). Epiceìitri più importanti rovinosi 1, disastrosi 2, totale 3. * M. Matese-Boiano 853, 1294, 1305, 1309, 1456, 1805, * Isernia 847, * Vinchiaturo 1885, — 83 XI) - Regione sismica dei Napoletano. 1. - Distretto sismico di S. Maria di Capita . S. Maria di Capua 1297, 1895, 2. - Distretto del Nolano. Nola-Marigliano 1867, Forse in relazione ai Monti di Cancello. 3. - Distretto del Vesuvio. * Vesuvio 63,79, 1631 , 1632, 1697, 1698, 1758, 1767, 1776, 1794, 1861, 1867, 1906, 4. - Distretto dei Campi Flegrei. ' Pozzuoli 1198 (?) 1488, 1537, 1538 , 1564, 1569, 1570, 1582, 1594, ... 1887, 1889, 1890, 1891, 1892, ... 1930, 5. - Distretto delle Isole Flegree . * Ischia (Casamicciola) 1228, 1762, 1799, 1828 , 1841, 1852, 1863, 1867, 1880, 1881, 1883, 1889, 1904, 6. - Distretto delle Isole Pontine. Ventotene-S. Stefano 1793, 1848, 1880, 1899, Ponza-Zannone 1755, 1781, 1827, 1892, Terremoti più notevoli rovinosi 3, disastrosi 6, totale 9. 63 - Vesuvio (VIII-IX) 79 - Vesuvio (VIII-IX) 324 - Campania (epicentro ignoto) (X) 344 - » » » » 1228 - Ischia (IX) 1538. 29 settembre - Pozzuoli (VIIP 1828. 2-11 - Ischia (VIII-IX) 1881. 4— III - Casamicciola (Vili) 1883. 28-VII - Casamicciola (IX) Epicentri più importanti rovinosi 1, disastrosi 2, totale 3. * Vesuvio 63, 79, 1631, * Ischia (Casamicciola) 1228, 1828, 1881, 1883, * Pozzuoli 1538, 84 — XII) - Regione sismica del Beneventano e dell’ Avellinese. 1. - Distretto sismico di Alife (deve i suoi terremoti al versante meridionale del M. Matese). * Alife 1688, 1699, * Cerreto 1688, 1927, 1928, * S. Martino Valle Gaudina-Arpaia 1895, 1903, 2. - Distretto di Apice. * Apice 1095, 1125, 1140, 1158, 1456, 1688, 1702, 1886, 1892, 1902, 1903, 1904, 1906, 1924, * Paduli 1456, 1688, 1702, 1885, 3. - Distretto di Ariano (trovasi dentro una conca riempita da de¬ positi pliocenici). * Ariano 369, 990, 1 180, 1456, 1550, 1694, 1702, 1732, 1733, 1794, ... 1922, * Flumeri 1732, * Caritè 1732, 4. - Distretto di S. Angelo dei Lombardi. * S. Angelo dei Lombardi 1694, 1897, 1902, 1906, 1913, * Teora 1694, 1853, * Caposele 1694, 1853, * Calabritto 1233, 1732, .... 1910, Sant’Andrea di Conza 1900, 1903; 1905, 1909, 1910, 1911, 1916, * Guardia Lombardi 1694, 5. - Distretto di Calitri. * Calitri 1694, 1910, 6. - Distretto di Villanova. * Vi il anova 1930, * Trevico 1930, * Lacedonia-Aquilonia 1930, Terremoti più notevoli rovinosi 3, disastrosi 15, totale 18. 369 - Ariano (IX-X) 847 - Ariano (X) 990 o 991 - Ariano (1X-X) 1095. 14-1 - Apice (Vili) — 85 — 1125. 1 1 -X - Apice (IX) gravi danni a Benevento, Larino, Termoli, 1139 o 1140 - Apice (Vili) 1158 - Apice ? (Vili) 1456. 5-XII - Aquila, Sulmona, Isernia, Boiano, Ariano, Apice, Paduli, Melfi, Brindisi (X) 1550 - Ariano (IX) 1688. 5-VI - Alife, Cerreto, Vitulano, Apice, Paduli (X) 1694. 8-IX - Guardia, Lombardi , S. Angelo dei Lombardi, Teora, Caposele, Calibri, Tito (X) 1702. 14— III - Apice, Paduli, Ariano (IX) 1732. 29-XI - Ariano, Flumeri, Caritè (XI-X) 1794. 12-VI - Ariano (VIII-IX) 1853. 9-IV - Caposele (IX) 1903 . 4-V - Arpaia (Vili) 1910. 7-VI - Calitri (X) 1930. 23- VII - Villanova, Trevico, Lacedonia, Aquilonia. Epicentri pili importanti rovinosi 1, disastrosi 16, totale 17. * Alife 1688, * Cerreto 1688, * S. Martino Valle Caudina-Arpaia 1903, * Apice 1095 , 1125, 1456, 1688, 1702, * Paduli 1456, 1688, 1702, * Ariano 369, 990, 1456, 1550, 1694, 1702, 1732, 1794, * Flumeri 1732, * Carife 1732, * S. Angelo dei Lombardi 1694, * Teora 1694, * Caposele 1694, 1853, * Calabritto 1732, * Guardia Lombardi 1694, * Calitri 1694, 1910, * Villanova 1930, * Trevico 1930, * Lacedonia-Aquilonia 1930, Benevento risente specialmente degli urti che provengono dagli epicentri di Alife, Apice, Ariano e Paduli ; come avvenne nelle seguenti date : 369 - Ariano (XI-X) 847 - (X) ? — 86 — 990 o 991 - Ariano (I -X) 1095. 1 4—1 - Apice (XIII) 1125. 1 1 -X — Apice (IX) (?) 1140 o 1139 - Apice (IX) (?) 1158. ? ? Apice (Vili) (?) 1456. o-XII - Ariano ed Apice (X) 1688. 5-VI - Alife ed Apice (X) 1702. 1 4-1 II - Apice (I) 1782. 11-1 - Apice (Vili) (?) 1885. 17-IX Paduli (Vili) 1903. 22-V - (VII) ? 1905. 14— Vili - Epicentro tra Benevento ed Avellino (VII). Avellino è sotto gli urti degli epicentri non solo di Alife, Api¬ ce, Ariano, ma anche di Buccino e Montemurro che sono epicentri della Lucania, come avvenne nelle seguenti date : 990. ? ? - Ariano (IX-X) 1550. ? ? - Ariano (X) 1561. 3 1 —VII - Buccino (X) 1688. 5-VI - Apice (X) 1694. 8-IX - Ariano (X) 1702. 1 4—1 1 1 - Apice (IX) 1732. 29-XI - Ariano (IX-X) 1794. 12- VI - Ariano (VIII-IX) 1805. 26— VI I - M. Matese (X) 1857. 1 6— XII - Montemurro (X). XIII) - Regione sismica della Lucania e del Salernitano. 1. - Distretto sismico di Melfi. * Melfi 300, 1456, 1654, 1813, 1851, 1905, * Atella 300, 1654, 1813, In relazione al Vulture. Sarebbero terremoti di subsidenza del vulcano ; o degli strati mesozoici e cenozoici sottoposti. 2. - Distretto sismico del Vallo di Diano. (È una frattura di un’an- ticlinale dei monti mesozoici e terziari che sono ai fianchi della Valle del Tanagro). * Buccino 1273, 1461, 1466, 1561, Vietri 1896, 1897, Baivano 1887, 1897, Picerno 1893, 1918, * Tito 1561, 1694, 1826, 1857, 1905, 1908, * Caggiano 1561, 1857, 1893, 1919, * Auletta e Petina 1561, 1857, 1867, 1893, * Sala Consilina 1561, 1857, — 87 — 3. - Distretto di Piaggine. Piaggine 1873, 4. - Distretto di Lagonegro. * Lagonegro 1831, 1836 , 1890, 1898, Lauria 1831, 1890, Maratea 1831, Tali epicentri sono a S. W. del Monte Pollino. 5. - Distretto di Castelluccio (o del Monte Pollino). * Castelluccio Inferiore 1858, 1894, Rotonda Episcopia Viggianello 1894, Sulle falde settentrionali del Monte Pollino. 6. - Distretto di Potenza. Potenza 1861, 7. - Distretto di Craco. * Craco 1688, 1836, 1846, * Pisticci 1688, 8. - Distretto di Saponar a- Tramuto La. * Saponara-Tramutola 1807, 1857, 1895, Marsiconuovo 1759, 1895, Moliterno * Montemurro 1857, 1874, 1906, 1908, 1910, * Viggiano 1803, 1857, 9. - Distretto di Muterà. Matera 1634, 1845, 1885, 1893, 10. - Distretto della Penisola Sorrentina . Salerno 1466, 1685, 1714, 1912, Amalfi-Positano 1687, Sono epicentri nel mare. Terremoti più notevoli rovinosi 3, disastrosi 8, totale 11. 300 - Atella (Vili) 1273 - Lucania (epicentro ?) (VIII-IX) 1456 - Aquila, Boiano, Ariano, Melfi, Brindisi (X) — 88 — 1561. 1 9— Vili - Vallo di Diano: Buccino, Auletta, Petina (IX) 1688. ? 1 - Pisticci (IX) 1694. 8-IX - Ariano, Caposele , Calitri, Tito, Buccino, Melfi, Montemurro, 1826. l-II - Tito (VIII-IX) 1836. 20-XI - Bagonegro, Montesano (Vili) 1851. 14-VIII - Melfi, Tito, (terremoto di Melfi) (IX-X) 628 morti 1857. 1 6— XII - Auletta, Tito, Tramutala, Saponara (X) (terre¬ moto della Lucania) 1858. 6-1 - Castelluccio inferiore (Vili). Epicentri più importanti rovinosi 3, disastrosi 11, totale 14. * Melfi 1456, 1851, Atella 300, * Buccino 1273, 1561, * Tito 1561, 1694, 1826, 1857, * Caggiano 1561, 1857, * Auletta-Petina 1561, 1857, * Sala Consilina 1561, 1857, Lagonegro 1836, * Castelluccio Inferiore 1858, * Craco 1688, * Pisticci 1688, * Saponara-Tramutola 1857, * Montemurro 1857, * Viggiano 1857, XIV) - Regione sismica delie Puglie. 1. - Distretto della costa adriatica Jra Ortona e Peschicci. Vasto 1895, Termoli 1854, Lesina 1657, 1894, 1898, Punta Miletto 1871, 1872, 1873, 1874, * Rodi Garganico 1646, 1855, 1857, 1858, 1860, 1892, Vico 1853, 1887, 1889, 1892, 1897, 2. - Distretto delle Isole Tremiti (da tremere ?) (per terremoti di data sconosciuta ?). Epicentro sottomarino fra le isole, 1883, 1854, 1889, 1895, 89 — 3. - Distretto della costa adriatica tra Vieste e Manfredonia . * Vieste 1414 , 1646, 1892, * Mattinata 493, 991, 1223, 1646, 1876 , 1893, 1896, * Manfredonia 1223, 4. - Distretto della costa tra Barletta e Bari. ■ Barletta-Bisceglie 1560, 1731, * Bari 1689, 1856, 5. - Distretto della costa tra Brindisi ed Otranto. Brindisi 1088, 1777, 1858, * Otranto 1661, 6. - Distretto della costa ionica. Gallipoli 1745, Nardo 1245 (?), 1396 (?), 1890, 7. - Distretto di Larino. Larino-Cuglionesi 1300, 1856, 8. - Distretto di S. Severo. * S. Severo-Torremaggiore 1621, 1627, 1656, 1668, 1783, 1852, 9. - Distretto di S. Marco in Lamis. S. Marco in Lamis 1841, 1869, 1875, * S. Giovanni Rotondo 1646, 1869, 1875, 1892, 10. - Distretto di S. Nicandro. S. Nicandro Garganico 1864, 1886, Gli epicentri dei distretti 9 e 10 pare siano dovuti a sprofondamento dell’ Adriatico. 11. - Distretto di Foggia. * Foggia 1731, 1739, 1812, 1866, 1882, 1892, Lucerà 1627, 1892, (L’epicentro di Foggia è connesso agli epicentri di Bari e di Barletta). 12. - Distretto di Ascoli Satriano. * Ascoli Satriano 1361, 1856, 1883, Cerignola 1691, 1881, 13. - Centri secondari . Canosa 1851, Spinazzola 1857, 1800, 90 - Triggiano 1893, Locorotondo 1890, Monteparano 1833, Massafra 1713, 1893, Mottola 1898, Terremoti più notevoli rovinosi 5, disastrosi 7, totale 12. 1087 - Epicentro ? (IX-X) 1223 - Manfredonia (X) 1361. 17-VII-Ascoli Satriano (IX) 1414 - Vieste (Vili) 1560. 11-V - Barletta (Vili) 1627. 30-VII - S. Severo - Torremaggiore (X) (5000 morti) 1646. 31-V - Vieste, Rodi, Cagnano, Mattinata, S. Giovanni Rotondo (X) 1661. 2-VII - Otranto (Vili) 1689. 21-IX - Bari (Vili) 1731. 20-1 II - Foggia (VIII-IX) 1876. 29- V - Mattinata (Vili) 1893. 10-VIII - Mattinata (VIII-IX). Epicentri più importanti rovinosi 4, disastrosi 7, totale 11. Rodi Garganico 1646, Vieste 1414, 1646, Mattinata 1646, 1876, 1893, Manfredonia 1223, Barletta-Bisceglie 1560, Bari 1689, Otranto 1661, S. Severo-Torremaggiore 1627, S. Giovanni Rotondo 1646, Foggia 1731, Ascoli Satriano 1361, XV) - Regione sismica delia Calabria. Distretto di Castr ovili ari. Castrovillari 1841, 1845, 1854, 1857, 1898, Mormanno-Verbicaro 1889, 1890, 1894, — 91 2. - Distretto di Valle Cosentina (o Valle del Crati) (grande frattura). * Bisignano 1887, * Montaldo Uffugo-Paterno 1184, 1835, 1854, 1886, * Cellara-Rogliano-Mangone 1870, * Castiglione di Cosenza 1835, 1854, Questi epicentri colpiscono Cosenza, e probabilmente anche negli anni : 1784, 1785, 1833, 1835, 1836, 1854, 1870, 1873, 1877, 1886. 3. - Distretto di Rossano. * Rossano 968, 1556, 1824, 1836, 1867, S. Giovanni in Fiore 1854, 1889, 1890, 1891, 1893, 1894, 1897, Belvedere Umbriatico 1882, 4. - Distretto del Cotronese. * Cutro 1638, 1832, 1842, 1855, 1857, 1894, 5. - Distretto di Nic astro. * Nicastro 1609, 1638, 1728, 1821, 1826, 1853, 6. - Distretto della Stretta Catansaro (altra grande frattura). * Borgia Girifalco 1626, 1659, 1783, 1889, 1893, * S. Onofrio 1928, Catanzaro è tra questi due distretti sismici. 7. - Distretto di S. Eufemia o del Capo Vaticano. * Tropea 1687, 1735, 1886, * Monteleone 1783, 1791, 1869, 1884, 1886, 1892, 1905, Briatico 1865, Pizzo 1886, 8. - Distretto di Soriano (Alta Valle dei Mesima) (Soriano , Gero- carne, Monteleone, Piscopio , Briatico, Stefanaconi, Mileto, quindi si estende anche nel distretto precedente). * Soriano 1659- 1662, 1743, 1783, 1791, 1895, 1905, * Pollia 1659, 1783, 9. - Distretto della Piana di Calabria (Palmi , Bagnara , Oppido, Gioia, Polistena, Messenia) (probabile epicentro in mare). * Palmi 1509, 1702, 1783, 1806, 1828, 1851, 1852, 1876, ISSI, 1894, Messenia 1886, — 92 — 10. - Distretto di Scilla. * Scilla 1724, 1783, 1894, Epicentro in mare, in fase di sprofondamento. 11. - Distretto di Reggio. * Reggio 1230, 1310, 1559, 1561, 1702, 1743 , 1747, 1770, 1783, 1785, 1836, 1841, 1876, 1892, 1894, 12. - Distretto delle coste Ioniche. Montauro 1783, 7— III ; Davoli 1836, * Badolato 1640, Stilo 1679, 1712, Roccella Ionica 1784, Tali epicentri sono sul versante ionico del Monte Ieio. Gerace 1720, 1783, 29- VII ; 1784, 1854, 1855, 1889, Versante ionico dell'Aspromonte. Africo 1889, * Ferruzzano 1907, 13. - Distretto tra Mar atea e Messina . Epicentro tra lo Stromboli e la Calabria 1879, 1881, 1889, 1891, 1892, Terremoti più notevoli rovinosi 10, disastrosi 21, totale 31. 968. 10-XII - Rossano (Vili) 1184. 24-V - Valle del Crati (IX) Distruzione di Cosenza 1230. 5-1 V - Reggio Calabria (Vili) 1556. ? ? - Rossano (Vili) 1559. 8- VI - Reggio (Vili) 1609. 16-IX - Nicastro (Vili) 1626. 27-1 li - Girifalco (VIII-IX) 1638. 27— III - Nicastro (IX-X) 1638. 8-VI - Cotronese (IX-X) 1640. 19-VI - Badolato (VIII-IX) 1659. 1 0— XI - Valle del Mesima e Stretta di Catanzaro [Soriano, Vallelonga, Briatico, Badolato] (X). 1662. 6-XI - Soriano (Vili) 1702. 15-11 - Reggio (Vili) 1743. 7-X1I - Reggio (Vili) — 93 — 1783. la scossa, 5-II (6 poni, e 48 m.) - Palmi, Seminara, Op- pido, (X) 1783. 2a scossa, 6-II (1 a. m.) - Scilla (X) 1783. 3a scossa, 7-II (8 pom.) - Soriano (X) 1783. 4a scossa, 1 -III (2,15 a. ni.) - Monteleone-Vallelonga (X) 1783. 5a scossa, 28-111 (1,16 a. m.) - Girifalco-Borgia (Stretta di Catanzaro) (X) 1791. 12-X - Monteleone (X) 1832. 8— III - Cotronese (VIII-IX) 1835. 12-X - Castiglione di Cosenza (IX) 1836. 24-IV - Rossano (IX) 1841. 4-1 - Reggio Calabria (Vili) 1854. 12-11 - Cosenza (VIII-IX) epicentro Montaldo Uffugo, Rende e Castiglione 1870. 5-X - Valle Cosentino, Cellara-Rogliano (VIII-IX) 1887. 3-XII - Bisignano (Vili) 1894. 16-XI - Palmi (VIII-IX) 1905. 8-IX - Monteleone (X) 1907. 23-X - Ferruzzano (X) 1928. 7— III - S. Onofrio (Catanzaro) Vili. Epicentri più importanti rovinosi 4, disastrosi 14, totale 18. * Bisignano 1887 , * Montaldo-Uffugo-Paterno 1184, 1854, * Cellara-Rogliano (Vallo Cosentino) 1870, * Castiglione di Cosenza 1835, 1854, * Rossano 968, 1556, 1836, * Cutro 1638, 1832, * Nicastro 1609, 1638, * Borgia-Girifalco 1626, 1659, 1783, * S. Onofrio 1928, * Tropea 1687 , * Monteleone 1783, 1791, 1905, * Soriano 1659, 1662, 1743, 1783, 1791, 1905, * Pollia 1659, 1783, * Palmi 1509, 1783, 1894, * Scilla 1783, * Reggio 1230, 1559, 1702, 1743, 1841, * Badolato 1640, * Ferruzzano 1907, - 94 — XVI) - Regione sismica della Sicilia. 1 . - Distretto sismico del Messinese. Faro 1889, * Messina 1390, 1448, 1493, 1494, 1499 , 1500, 1513, 1538, 1635, 1720, 1817, 1851, 1875, 1889, * Stretto di Messina 18, 362, 1509, 1549, 1562, 15 9 9, 1724, 1770, 1780, 1783, 7,11 (22 ore), 1839, 1908, Larderia-Tremestieri 1898, e forse: 1390, 1448, 1493, 1499, 1513, 1538, 1635, 1720, 1813, 1851, In queste date è stata colpita anche Messina. Scaletta 1823, Ali-Fiumedenisi 1780, 1782, Taormina 1740, 1891, 2. - Distretto di Milasso-Naso. Rometta 1893, 1898, ■ Milazzo-Castroreale 1717, 1783, 1823, 1831, Monte Albano Elicona 1893, * Naso 1598, 1613, 1736, 1739, 1786, 1823, Mistretta 1867, 1880, 3. - Distretto dell’Etna. Linguaglossa 1844, 1879, Moio 1893, ■ Randazzo 1566 , 1874, Adernò-Bronte-Miletto 1758, 1763, 1832, * S. Maria di Licodia 1850, 1892, 1898 , 1899, Paterno 1886, 1892, * Beipasso 1832, 1842, 1850, * Zerbate 1894, 1907, * Nicolosi 1633, 1669, 1763, 1766, 1818, 1832, 1842, 1883, 1885, Trecastagne 1634, l76o, Acireale 1818, 1875, 1879, 1889, 1894, 1896, * Mangano 1911, * Zafferana-Pisano-S. Venerina 1865, 1879, 1883, 1886, 1892, 1894, 1914 , * Macchia 1805, 1855, 1865, 1879, 1881, Giarre-Riposto 1879, Non si conoscono bene gli epicentri dei terremoti del 1285, 1323, 1329, 1381, 1444, 1536, 1566, 1603, 1651, che colpirono vari paesi di questo distretto. — 95 — 4. - Distretto di Troina-Nicosia. Troina 1643, 1731, Nicosia 1718, 1773, 1822, 5. - Distretto del Siracusano. * Lentini (Val di Noto) 225, (è di Lentini ?) , (fu IX a Catania) ; 1140. 1 — II ; 1169,4-11; 1542, 1693, 1707, 1718, 1719, 1738, 1757, 1848, • Augusta 1694, 20-III ; 1848, Epicentro a mare. • Noto 1528, 1718, 1727, 1896, 1897, Fu distrutta completamente dal terremoto di Lentini del 1693. Licodia-Vizzini 1895, 13-IV; * Vizzini— Militello 1698, 12-IV; • Mineo 1624, 1731, 1818, 1820, 1878, 1898, Vittoria 1717, Ni scemi 1790, Siracusa è colpito dall'epicentro di Lentini. 6. - Distretto di Mazzarino. Mazzarino 1691, 7. - Distretto delle Salse (Caltanissetta e Xirbi). 8. - Distretto delle Maccalube di Girgenti. 1777. 29-IX ; 9. - Distretto di Cammarata e S. Giovanni Gemini. 1895. 16-IV ; 10. - Distretto di Sciacca. Sciacca 1578, 1652, 1724, 1727, 1740, 1831, 11. - Distretto dell’Isola di Pantelleria. Pantelleria 1831, 1890, 1891, 1894, 12. - Distretto di Trapani. * Trapani 1259 (IX); 1709, 13. - Distretto di Marsala. Marsala 1828, 1890, 14. - Distretto di Salerai. Salemi 1891, — 96 — 15. - Distretto di Favignana. Favignana 1823, 16. - Distretto di Palermo. * Palermo 1301, 1726 1-IX ; 1823, Epicentro connesso a quello di Ustica. 17. - Distretto di Misilmeri. Misilmeri 1843, 18. - Distretto di Ustica. Ustica 1827, 1893, 1897, 19. - Distretto di Cor leone. Corleone 1593, 1845, 1876, 20. - Distretto delle Madonie (Petralia, Castelbuono, Cangi). Madonie 1818, 1919, Terremoti più notevoli rovinosi 21, disastrosi 25, totale 46. 18 - Stretto di Messina (X) 177 - Sicilia-Epicentro ignoto (X) 255 - Lentini ? (IX a Catania) 326 - Sicilia. Epicentro ignoto (X) 362 - Stretto di Messina (IX) 659 - Sicilia. Epicentro ignoto (IX-X) 963 - Sicilia. Epicentro ignoto (IX) 1140. 1 .II - Lentini (distruzione di Siracusa) (IX) 1169. 4. II - Lentini (distruzione di Siracusa e di Catania) (X) 1259 - Trapani (IX) 1301 - Palermo (Vili) 1494. 28-V - Messina (Vili) 1499. 19-X1 - Messina (Vili) 1500. I. - Messina (Vili) 1509. 25-11 - Stretto di Messina (Vili) 1542. 10-XII - Lentini (VIII-IX) 1566. 30-XI - Randazzo (Vili) — 97 — 1599. Vili - Stretto di Messina (VITI) 1613. 25— Vili - Naso (VIII-IX) 1624. 3-5-X - Mineo (Vili) 1633. 22-11 - Nicolosi (Vili) 1669. 1 1— Il I - Nicolosi (Vili) 1693. 1 1— I - Lentini (X) 1698. I2-IV - Vizzini— Militello (IX) 1699 - Nicolosi (Vili) 1718 - Noto (Vili) 1726. 1-IX - Palermo (VIII-IX) 1727 - Noto (Vili) 1739 - Naso (VIII-IX) 1757- 6— Vili - Siracusa (epicentro di Lentini?) (X) 1786. 10-III - Naso (VIII-IX) 1818. 20-11 - Nicolosi, Acireale, Tremestieri (IX) 1818. 28-1 ì - Mineo (Vili) 1823. 5— II I - Naso e Palermo (IX) 1832. 24-XI - Nicolosi (Vili) 1848. 1 1 — I - Augusta (Vili) 1850. - Beipasso (Vili) 1865. 19-VIi - Macchia (IX) 1879. - S. Venerina (IX) 1886 - Zafferana (VHP 1894. 7— 8— VII I - Zerbate (IX) 1898 - S. Maria di Licodia (Vili) 1907- 7-XII - Zerbate e Pennisi (IX) 1908. 28— XII - Stretto di Messina (X) 1911. 15-X - Mangano (Vili) 1914. 26-V - Zafferana (Vili). Epicentri più importanti rovinosi 9, disastrosi 10, totale 19. * Messina 1494, 1499, 1500, 1509, * Stretto di Messina 18, 362, 1509, 1599, 1908, * Milazzo-Castroreale 1717, * Naso 1613, 1739, 1786, 1823, ' Randazzo 1566, * S. Maria di Licodia 1898, * Bel passo 1850 , * Zerbate 1894, 1907, * Nicolosi 1633, 1669, 1818, 1832, * Mangano 1911, * Zafferana-S. Venerina 1879, 1886, 1914, * Macchia 1865, — 98 — Lentini (Val di Noto) 255, 1140, 1169, 1542, 1693, 1757, Augusta 1848, Noto 1718, 1727 , Vizzini— Militello 1698, Mineo 1624 , 1818, Trapani 1259, Palermo 1726, 1823, Catania non è epicentro a sè, ma ebbe notevoli terremoti dai seguenti epicentri nelle seguenti date : 1693 - Val di Noto (X) (a Catania fu di X) 1698 - Vizzini— Mil itello (XI) (a Catania fu di X) 1718 - Noto (Vili) 1719 - Siracusa (?) 1727 - Noto (Vili) 1731 - Mineo (VI) 1738 - Noto-Siracusa (VII) 1783 - Messina-Calabria (X) 1810 - Oriente-Malta (?) 1818. 20— 1 1 - Nicolosi-Acireale (X) 1818. 28.11 - Mineo (Vili) 1819 - Chiaromonte-Etna (Vili) 1823 - Naso-Palermo (IX) 1832 - Etna (Vili) 1846 - Candia (?) 1848 - Augusta (Vili) 1850 - Biancavilla-Belpasso (Vili) 1870 - Oriente 1879 - S. Venerina (X) 1883. 22-1 II - Nicolosi-Zafferana (VII-VIII) 1886. 5-VI - S. Severina (Vili) 1886 - Messenia (V) 1887 - Candia 1889 - Linera-S. Tecla (VII-VIII) 1892 - Alicuri (Vili) 1892 - Zafferana Etna (VI) 1893 - Viagrande (VI) 1894 - Zerbate-Fleri (X) 1894 - Calabria (X) - a Catania forte 1895 - Vizzini-Licodia (VII) 1897 - Noto (VI) 1897 - Grecia-Malta (IV) 1898 - S. Maria di Licodia (Vili) 1898 - Tripolizza (?) 1898 - Messinese (VI) 1898 - Palagonia, Mineo (VI) — 99 — XVII) - Regione sismica delle Isole Eolie. • Alicuri 1892, 16-III; (Vili) Il più violento terremoto della storia sismica delle Eolie. • Filicuri 1892, 16-111 (Vili); 1894 27-XII ; 1895 9-1: 1899 30- VI (VII) • Salina 1885, 1891, 1894, 1897, 1926 17-VIII; Lipari 1731, 1841, Stromboli 1888, 1891, 1893, Un epicentro è tra lo Stromboli e la costa tirrenica 1891 22-IX ; Un altro epicentro è tra lo Stromboli e Milazzo 1892 4-VII. Terremoti più notevoli rovinosi 2. 1892. 1 6— III - Alicuri e Filicuri (Vili) 1926 . 17-VIII - Salina (Vili). Epicentri più importanti • Alicuri 1892, • Filicuri 1892, • Salina 1926, XVIII) - Regione sismica della Sardegna. Epicentro a SW 1615, 1771, 1835, 1855, Epicentro a S E (S. Vito) 1898, Epicentro a Nord (a Ittireddu) 1870, Seguono dei riassunti sulla sismicità delle regioni sismiche italiane. — 100 — Riassunto 1°. Regione sismica Epicentri Epicentri rovinosi Epicentri disastrosi li 9IB?°1 i Terremoti rovinosi Terremoti disastrosi Totale I) Piemonte 52 1 1 2 2 3 5 II) Liguria 27 2 4 6 4 4 8 III) Lombardia 39 2 3 5 3 4 7 IV) Veneto 37 4 4 8 17 14 31 V) Emilia 55 7 11 18 15 11 26 VI) Marche 32 — 5 5 5 5 10 VII) Toscana 59 6 12 18 17 13 30 Vili) Umbria 40 7 9 16 15 11 26 IX) Lazio 49 6 5 11 21 7 28 X) Abruzzi e 25 2 10 12 2 12 14 Molise 7 1 2 3 3 5 8 XI) Napoletano 7 1 2 3 3 6 9 XII) Beneventano e Avellinese 18 1 16 17 3 15 18 XIII) Basilicata e Salernitano 29 3 lì 14 3 8 li XIV) Puglie 32 4 7 11 5 7 12 XV) Calabrie 32 4 14 18 10 21 31 XVI) Sicilia 52 9 10 19 21 25 46 XVII) Eolie 7 3 — 3 2 — 2 XVIII) Sardegna 3 — — — — — — Italia 602 63 126 189 151 171 322 Riassunto 2°. 101 Ordine delle regioni sismiche dell’Italia secondo il numero degli epicentri Sardegna 3 Eolie 7 Molise 7 Napoletano 7 Benevento e Avellino 18 Abruzzi 25 Liguria 27 Basilicato e Salernitano 29 Marche 32 Puglie 32 Calabrie 32 Veneto 37 Lombardia 39 Umbria 40 Lazio 49 Piemonte 52 Sicilia 52 Emilia 55 Toscana 59 Ordine delle regioni sismiche dell’Italia secondo il numero degli ep. rovinosi e disastrosi Sardegna — Piemonte 2 Napoletano 3 Eolie 3 Molise 3 Liguria 6 Marche 5 Lombardia 5 Veneto 8 Lazio 11 Puglie 11 Abruzzi 12 Basilicata e Salernitano 14 Umbria 16 Benevento e Avellino 17 Calabria 18 Emilia 18 Toscana 18 Sicilia 19 Ordine delle regioni sismiche deiritalia secondo il numero di terremoti rovi¬ nosi e disastrosi Sardegna — Eolie 2 Piemonte 5 Lombardia 7 Liguria 8 Molise 8 Napoletano 9 Marche 10 Basilicata e Salernitano 11 Puglie 12 Abruzzi 14 Benevento e Avellino 18 Emilia 26 Umbria 26 Lazio 28 Toscana 30 Veneto 31 Calabria 31 Sicilia 46 — 102 — Riassunto 3° in base al quale è costruita la Tavola sismica annessa al presente lavoro. Epicentri italiani notevoli per terremoti di grado: Vili; Vili— IX ; IX ; IX-X ; X. I) - Regione sismica del Piemonte. * Ivrea 1676, . . . . . 1 * Torre Luserna 1759, 1808. II) - Regione sismica della Liguria. * La Bollena 1556, 1564, ..... 2 * Nizza 1227, 1556, ..... 2 * Epicentro in mare tra S. Remo e Oneglia 1818, 1887, . . 1 * Epicentro in mare innanzi a Imperia 1854, 1885, 1887, . 1 * Genova 1536, S. Remo-Taggia 1831, III) - Regione sismica della Lombardia * Roccasusella 1828, * Albino 1397, ...... 1 * Brescia 1064, 1222, ..... 2 * Cremona 1439, * Salò 1901, ...... 1 IV) - Regione sismica del Veneto. * Badia Calavena-Tregnago 243, 254, 793, 894, 1001, 1183, UH, 1298, 1410, 1891 (epicentro dei terremoti di Verona) . . 5 * Asolo 1695, 1836, 1887 (epicentro dei terremoti di Treviso) . 1 * Alpago 1873 (epicentro dei terremoti di Belluno) . . 1 * Tolmezzo 1928 (epicentro dei terremoti di Udine) . . 1 * Spilimbergo 1455, * Cividale 1898, * Sequals 1812, * Moggio Udinese 1908, ') Terremoti di grado IX o X. V) - Regione sismica dell' Emilia Bibbiana 1832, ..... Sassuolo 1501, ..... Ferrara 1561, 1570, .... Argenta 1624, ..... Meldola 1227, 1661, 1870, .... Russi-Bagnocavallo 1688, .... S. Sofia-Mortano 1768, 1918, Rimini 1308, 1672, 1875, 1916, Faenza 1279, ..... Predappio-Fiumana 1661, .... Borgo S. Donnino 1438, S. Piero in Bagno 1584, Marola 1904, Brisighella 1781, Riccione-Cattolica 1916, .... Fanano 1904, Bologna 1229, 1445, Forlimpopoli 1911, VI) - Regione sismica delle Marche. Ancona-Sirolo-Numana 558, 1298, Cagli 1279, 1781, .... Camerino 1279, 1799, 1873. Fabriano 1741, 1873, .... Senigallia 1930, ..... VII) - Regione sismica della Toscana. Fivizzano 1481, 1920, .... Argigliano-Ugliancaldo 1837, Barga 1740, Epicentro presso Pistoia 1289, 1293, 1298, 1527 , Vicchio 1542, 1919, .... Scarperia 1542, ..... Barberino 1542, ..... Sant’Agata 1542, ..... — 104 — * Percussina 1895, (colpisce Firenze) * Grassina - S. Martino 1895, (colpisce Firenze) * S. Gallo - Vincigliata 1453, ( „ „ ) . . . 1 * Osservanza 1909, (colpisce Pisa) .... 1 * Castelnuovo-Berardenga 1911, (colpisce Pisa) * Orciano 1846, (colpisce Pisa). I * Borgo S. Sepolcro 991, 1277, 1292, 1345, 1352, 1358, 1389, 1414, 1456, 4 * Giovi Subbiano 678, 1005, 1192, .... 1 * Radicofani 1919, . . . . . 1 Vili) - Regione sismica dell’Umbria. * Città di Castello 1352, 1457, 1789, ... 1 * Gualdo Tadino 1751, * Cannara-Bevagna 1831, . . . 1 * Perugia 801, 1604, 1854, . . 1 * Citerna-Monterchi 1917, . . . 1 Poggiodomo-Roccatamburo 1 9 S 0 , . . . 1 * Spoleto 1246, 1277, 1298, 1667, 1767, 1 * Visso 1898, * Norcia 1328, 1567, 1703, 1730, 1859, ... 5 * Cascia 1703, . ... . . 1 * Cittareale- Leonessa 1703, 1730, 1 * Narni 1714, * Rieti 1898, Città Ducale 1898, * Terni 1917, * Città di Pieve 1861, IX) - Regione sismica del Lazio. • Bagnorea 1695, ...... 1 • Roma 15, 20, 25, 11, 85, 94, 258, 455, 508, 553, 896, 1170, 1227, 1229, 1231, 1348, 1350, 1812, ... 4 • Palombara Sabina 1901, • Nemi 1927, • Frosinone 1877, • Ceccano 1170, • Sora 1654, 1873, ..... 1 • Isola Liri 1654, ..... 1 • Alvito 1873 , 1901, • M. Cassino 1004, • S. Germano 1231, . • - — 105 — X) - Regione sismica degli Abruzzi e Molise. A) Abruzzi. Amatrice 1639, 1703, ..... 1 Accumoli 1703, ..... 1 Montereale 1703, ..... 1 Roio 1461, 1703, .... 2 S. Valentino 1706, ..... 1 Caramanico 1706, ..... 1 Sulmona 1456, 1706, ..... 2 Castel di Sangro 1706, . . . . 1 Ortona 1506, ...... 1 Torricella 1841, Orsogna-Lanciano 1881, Avezzano-Trasacco 1904, 1915, .... 2 B) Molise. M. Matese-Boiano 853, 1294, 1305, 1309, 1456, 1805, . . 5 Isernia 847. ...... 1 Vinchiaturo 1885, XI) - Regione sismica del Napoletano. Vesuvio 63, 79, 1631, ..... 2 Ischia 1228, 1828, 1881, 1883, .... 2 Pozzuoli 1538, XII) - Regione sismica del Beneventano e delFAvellinese. Alife 1688, ...... 1 Cerreto 1688, ...... 1 S. Martino Valle Caudina - Arpaia 1903, Apice 1095, 1125, 1456, 1688, 1702, .... 4 Paduli 1456, 1688, 1702, ..... 3 Ariano 369, 990, 1456, 1550, 1694, 1702, 1732, 1794, . 8 Flumeri 1732, ...... 1 Caritè 1732, ...... 1 S. Angelo dei Lombardi 1694, : Teora 1694, ...... 1 Caposele 1694, 1853, ..... 2 Calabritto 1732, ...... 1 Guardia Lombardi 1694, ..... 1 Calitri 1694, 1910, .... 2 — 106 — * Villanova 1930, ...... 1 * Tre vico 1930, ...... 1 * Lacedonia - Aquilonia 1930, .... 1 XIII) - Regione sismica della Lucania e del Salernitano. * Melfi 1456, 1851, ...... 2 * Atella 300, '* Buccino 1273, 1561, ..... 2 * Tito 1561, 1694, 1826, 1857, .... 4 * Caggiano 1561, 1857, ..... 2 * Auletta - Petina 1561, 1857, .... 2 * Sala Consilina 1561, 1857, .... 2 Lagonegro 1836, ■ Castelluccio Inferiore 1858, * Craco 1688, ...... 1 * Pisticci 1688, ...... 1 * Saponara - Tramutola 1857, ..... 1 * Montemurro 1857, ...... 1 * Viggiano 1857, ...... 1 XIV) - Regione sismica delle Puglie. * Rodi - Qarganico 1646, ..... 1 * Vieste 1414, 1646, ...... 1 * Mattinata 1646, 1 876, 1893, ..... 2 * Manfredonia 1223, . ... 1 * Barletta - Bisceglie 1560, * Bari 1689, * Otranto 1661, * S. Severo - Torremaggiore 1627, .... 1 * S. Giovanni Rotondo 1646, 1 * Foggia 1731, * Ascoli Satriano 1361, ..... 1 XV) - Regione sismica della Calabria. * Bisignano 1887 , * Montalto Uffugo - Paterno 1184, 1854, ... 2 * Castiglione di Cosenza 1835, 1854, ... 2 * Cellara Rogliano 1870, ..... 1 * Rossano 968, 1556, 1836, ... 1 * Cutro 1638, 1832, ..... 2 — 107 — * Nicastro 1609, 1638, ..... 1 * Borgia- Girifalco 1626, 1659, 1783, .... 3 * S. Onofrio 1928 , * Tropea 1687, * Monteleone 1783, 1791, 1905, . . . 3 * Soriano 1659, 1662, 1743, 1783, 1791, 1905, ... 5 * Pollia 1659, 1783, ..... 2 * Palmi 1509, 1783, 1894, ..... 2 * Scilla 1783, ...... 1 * Reggio 1841, * Badolato 1640, ...... 1 * Ferruzzano 1907, ..... 1 XVI) - Regione sismica della Sicilia. * Messina 1494, 1499, 1500, 1509, * Stretto di Messina 18, 362, 1509, 1599, 1908, ... 4 * Naso 1613, 1739, 1786, 1823, . ... 4 * Randazzo 1566, * S. Maria di Licodia Ì898, * Zerbate 1894, 1907, ..... 2 * Beipasso 1850, * Nicolosi 1633, 1669, 1818, 1832, 1 * Mangano 1911, * Zafferana - S. Severina 1879, 1886, 1914, 1 * Macchia 1865, ...... 1 * Lentini (Val di Noto) 255, 1140, 1169, 1542, 1693, 1757, 6 ' Augusta 1848, ’ Noto 1718, 1727, * Vizzini - Militello 1698, ..... 1 * Mi neo 1624, 1818, * Trapani 1259 ...... 1 * Palermo 1726, 1823, ..... 2 XVII) - Regione sismica delle Isole Eolie. ' Alicuri 1892, * Filicuri 1892, * Salina 1926, XVIII) - Regione sismica della Sardegna. Nessun epicentro con scosse rovinose o disastrose. 108 Riassunto 4°. Gli epicentri di alta intensità possono aggrupparsi secondo la frequenza delle scosse di IX e X nel seguente modo : 1) Epicentri con 1 sola scossa di IX o X (dal 1° dell’Era volgare al 1930). (indicati nella Tavola con un cerchietto). Ivrea; epic. tra S. Remo e Oneglia ; epic. innanzi a Imperia, Albino ; Salò, Asolo, Tolmezzo, Alpago, Bihbiana, Sassuolo, Ferrara, Argenta, Russi, Rimini, Faenza, Predappio, Riccione, Ancona, Camerino, Fabiano, Senigallia, Fivizzano, Scarperia, Barberino, Sant’Agata, Ronta, S. Gallo, Osservanza, Orciano, Giovi - Subbiano, Radicofani, Città di Castello, Cannara - Bevagna, Perugia, Citerna, Poggiodomo, Spoleto, Cascia, Cittareale, Leonessa, Bagnorea, Sora, Isola Liri, S. Germano, Amatrice, Accumoli, Montereale, S. Valentino, Caramanico, Castel di Sangro, Ortona, lsernia, Alile, Cerreto, Flumeri, Carife, S. Angelo dei Lombardi, Teofa, Caposele, Calabritto, Guardia Lombardi, Vil- 1 anova, Trevico, Lacedonia, Craco, Pisticci, Saponara, Montemurro, Viggiano, Cellara - Rogliano, Rossano, Nicastro, Scilla, Badolato, Fer- ruzzano, Nicolosi, Zafferana, S. Severina, Vizzini - Militello, Trapani. 2) Epicentri con 2 scosse di IX o X (indicati nella Tavola con un cerchietto e un punto). La Bollena, Nizza, Brescia, Meldola, S. Sofia - Mortano, Cagli, Vicchio, S. Sepolcro, Roio, Sulmona, Vesuvio, Ischia, Calitri, Melfi, Buccino, Caggiano, Auletta - Petina, Sala Consilina, Montalto-Uffugo, Castiglione di Cosenza, Cutro, Pollia, Palmi, Zerbate, Palermo. 3) Epicentri con 3 scosse di IX o X (indicati nella Tavola con due cerchietti concentrici). Paduli, Borgia-Girifalco, Monteleone. 4) Epicentri con 4 scosse di IX o X (indicati nella Tavola con due cerchietti e un punto). Borgo S. Sepolcro, Roma, Apice, Tito, Stretto di Messina, Naso. 5) Epicentri con 5 scosse di IX o X (indicati nella Tavola con un cerchietto e grosso punto). Badia- Calavena, Norcia, M. Matese-Boiano, Soriano. — 109 6) Epicentri con 6 scosse di IX X (indicati nella Tavola con un cerchietto forte). Lentini (Val di Noto). 7) Epicentri con 7 scosse di IX o X Nessuno. 8ì Epicentri con 8 scosse di IX o X (indicati nella Tavola con un grosso punto nero). Ariano Irpino. Elenco delle date dei terremoti dall’ Vili al X grado in Italia dal] ’ inizio della Era volgare al 1930. Anni d. C. Località Intensità 1) 15 - Roma .... Vili *2) 18 - Reggio Calabria e Messina X 3) 20 - Roma .... Vili ? 4) 25 - Roma .... X? 5) 27 - Roma .... X? 6) 63-5 febbraio Campania. IX 7) 69 - Abruzzo .... X? 8; 79 - Vesuvio .... . VIII-IX 9) 85 - Roma .... Vili 10) 94 - Roma .... Vili 11) 116 - Roma .... Vili 12) 177 - Sicilia .... X ? 13) 191 - Roma .... Vili 14) 243 - Verona (Badia Calavena) X? 15) 253 - » » » IX? 16) 255 - Catania .... IX? (epicentro di Lentini ?) 17) 258 - Roma .... IX 18) 260 ? - Vicenza .... IX 19) 300 - Atella (Basilicata) . Vili 20) 324 - Campania. X 110 — 21) Anni d. C. 326 - Località Sicilia .... Intensità X 22) 344 - Campania IX? 23) 362 ? - Reggio Calabria e Messina X 24) 365 ? - 21 luglio Alta Italia IX-X 25) 369 - Benevento IX-X 26) 455 ? - (epicentro di Ariano?) Roma .... IX 27) 467 o 477 ? - Roma .... VIII ? 28) 508 - Roma .... Vili 29) 553 - Roma .... Vili 30) 558 - Ancona .... IX-X 31) 659 - Sicilia .... IX-X 32) 678 - Arezzo .... . VIII-IX 33) 745 - Venezia .... Vili 34) 778 - Treviso .... VIII-IX 35) 793 - 30 aprile Verona (Badia Calavena) VIII-IX 36) 801 - Perugia .... IX-X 37) 847 - Ariano ? Isernia? . X 38) 853 - Boiano (Campobasso) X 39) 890 - Milano .... Vili 40) 894 - Sannio .... Vili 41) 894 - Verona .... Vili 42) 896 - Roma .... Vili 43) 936 - 22 luglio Sicilia .... IX 44) 968 - 10 die. Rossano .... Vili 45) 990 o 991 - Ariano Irpino . IX-X 46) 991 - Borgo S. Sepolcro . IX 47) 1001 - Verona (Badia Calavena) IX 48) 1004 - Cassino .... Vili 49) 1004 - Padova .... Vili 50) 1005 - Arezzo .... Vili 51) 1006 - Veneto .... VIII-IX 52) 1064 - 11 aprile Brescia .... VIII-IX 53) 1087 - Puglie .... IX-X 54) 1095 - 14 genn. Apice (Benevento) . Vili 55) 1106 - Veneto .... VIII-IX 56) 1117 - 3 genn. Veneto .... IX-X Ili Anni d. C. Località Intensità 57) 1120 - M. Cassino . Vili 58) 1125 - 11 ottobr. Benevento (Apice?). ... IX (forse epicentro nel M. Matese) 59) 1139 o 1140 - Apice? . IX 60) 1140 - 1 febbr. Siracusa . IX (epicentro di Lentini) 61) 1148 - Firenze . Vili 62) 1158 - Beneventano (Apice?) . . . Vili 63) 1169 - 4 febbr. Siracusa e Catania. ... X (epicentro di Lentini) 64) 1170 - Ceccano e Roma .... Vili 65) 1183 - Verona . Vili 66) 1184 - 24 magg. Cosenza . IX (epicentro nella Valle del Crati) 67) 1192 - Arezzo . Vili 68) 1212 - Venezia . XIII 69) 1222 - 25 die. Brescia . X 70) 1223 - Manfredonia . X (epicentro nel Gargano) 71) 1227 - Meldola . IX 72) 1227 - Nizzardo . X 73) 1227 - Roma . Vili 74) 1228 - luglio Ischia . IX 75) 1229 - Roma . Vili 76) 1229 - Bologna . Vili 77) 1230 - 5 aprile Reggio Calabria .... Vili 78) 1231 - 1 giugn. S. Germano (Cassino) ... IX 79) 1231 - Roma . Vili 80) 1246 - Spoleto . Vili 81) 1248 - Savoia ...... IX-X 82) 1259 ? - Trapani . IX 83) 1273 - Basilicata . VIII-IX 84) 1276 - 28 29 lugl. Milano . Vili 85) 1277 - S. Sepolcro . Vili 86) 1277 - 20 luglio Verona . IX 87) 1277 - Spoleto . IX 88) 1278 - 7 aprile Friuli . IX 89) 1279 - 24 aprile Friuli . IX 112 — Anni d. C. Località Intensità 90) 1279 - 30 giugn. Emilia e Marche IX (attività contemporanea degli epicentri Faenza, Cagli e Camerino) di Forlì, 91) 1279 - Bologna ..... Vili 92) 1289 - Pistoia . Vili 93) 1292 - S. Sepolcro .... Vili 94) 1293 - 11 luglio Pistoia ..... Vili 95) 1294 - Boiano ..... VIII-IX 96) 1298 - Pistoia , Vili 97) 1298 - Verona ..... Vili 98) 1298 - Ancona . > Vili 99) 1298 - 30 nov. Spoleto . Vili 100) 1301 ? - Palermo ..... Vili 101) 1303 - Vicenza ..... Vili 102) 1305 - Boiano . Vili 103) 1308 - 25 genti. Rimini ..... Vili 104) 1309 - Boiano ..... IX 105) 1320 - 16 die. Siena ..... Vili 106) 1328 - 1 die. Norcia ..... IX 107) 1345 - 12 nov. S. Sepolcro .... VIII-IX 108) 1348 - Roma ..... IX 109) 1348 - 25 genn. Villaco (Veneto) . IX-X 110) 1349 - 9 sett. Aquila ..... IX-X 111) 1350 - Roma ..... Vili 112) 1352 - 25 die. S. Sepolcro e Città di Castello VIII-IX 113) 1358 - S. Sepolcro .... VIII-IX 114) 1361 - 17 lugl. Ascoli Satriano IX 115) 1389 - Borgo S. Sepolcro . VIII-IX 116) 1397 - 26 die. Albino (Bergamo) . VIII-IX 117) 1410 - 10 giug. Verona ..... Vili 118) 1413 - 8 agost. Siena . Vili 119) 1414 - S. Sepolcro .... VII! 120) 1414 - Vieste (Foggia) Vili 121) 1429 - Venezia ..... Vili 122) 1438 - 10 giug. Borgo S. Donnino. vili 123) 1439 - 21 giug. Cremona . vili 124) 1453 - 28 sett. Firenze . IX (epicentro di S. Gallo-Vincigliata) 113 — Anni d. C. 125) 1455 - 3 febb. 126) 1455 - 20 die. 127) 1456 - 5 die. 128) 1456 - 129) 1457 - 26 giug. 130) 1461 - 27 nov. 131) 1473 - 7 giug. 132) 1481 - 133) 1483 - 11 agost. 134) 1494 - 28 ma gg. 135) 1499 - 9 nov. 136) 1500 - genn. 137) 1501 - 5 giug. 138) 1506 - 6 marzo 139) 1509 - 25 febb. 140) 1511 - 26 marzo 141) 1536 - 10-11 ag. 142) 1538 - 29 sett. 143) 1542 - 13 giug. 144) 1542 _ 10 die. 145) 1550 - 146) 1556 - 20 aprile 147) 1556 - 148) 1559 - 8 giug. 149) 1560 - 11 magg. 150) 1561 - 19 agost. 151) 1561 _ 24 nov. 152) 1564 - 20 luglio 153) 1566 _ 30 nov. 154) 1567 - 27 agost. 155) 1570 - 17 sett. 15ó) 1584 - 10 nov. 157) 1559 - agost. Località Intensità Spilimbergo ..... Vili Bologna . Vili M. Matese, Ariano, Apice, Melfi . X S. Sepolcro ..... Vili Città di Castello .... Vili Aquila . , VIII-IX Milano . VIII-IX (ma l'epicentro fu nell’Emilia) Fivizzano ..... Vili Forlì ...... Vili Messina . Vili Messina . Vili Messina . Vili Sassuolo . VIII-IX Ortona (Chieti) .... IX Messina e Reggio .... IX Friuli . VIII-IX Genova . Vili Pozzuoli . VIII-IX Mugello . VIII-IX (attività contemporanea degli epicentri di Scar¬ peria, Barberino, S. Agata, Ronta, Vicchio) Lentini . VIII-IX Ariano Irpino . IX Nizzardo . VIII-IX Rossano . Vili Reggio Calabria .... Vili Barletta . Vili Vallo di Diano .... IX (attività contemporanea di vari epicentri : Buc¬ cino, Caggiano, Auletta, Petina, Tito, Sala) Ferrara . Vili Alpi Marittime . IX (epicentro alta Valle del Vesubio) Randazzo (Etna) .... Vili Norcia . VIII-IX Ferrara . IX S. Piero in Bagno .... Vili Reggio e Messina .... Vili - 9 - 114 — Anni d. C. Località Intensità 158) 1604 - Perugia .... . Vili 159) 1609 - 16 MOV. Nicastro .... . Vili 160) 1613 - 25 agost. Naso (Messina) VIII-IX 161) 1624 - 19 marzo Argenta (Ferrara) . . IX 162) 1624 - 3=5 ott. Mineo .... Vili 163) 1626 - 27 marzo Girifalco .... . VIII-IX 164) 1627 - 30 luglio Gargano .... X (epicentri in S. Severo e Torre Maggiore) 165) 1633 - 21 febb. Nicolosi .... . Vili 166) 1638 - 27 marzo Nicastro .... . IX-X 167) 1638 - 8 giug. Cutro e Cotrone . IX-X 168) 1639 - 7 ott. Amatrice (Aquila) . VIII-IX 169) 1640 - 19 giug. Badolato .... . VIII-IX 170) 1646 - 31 magg. Gargano .... . . IX-X (risveglio contemporaneo di vari epicentri : Vieste, Rodi, Cagnano, Mattinata, S. Giovanni Rotondo) 171) lo54 - 23 luglio Sora e Isola Liri VIII-IX 172) 1659 - 10 nov. Stretta di Catanzaro X (epicentri di Briatico, Vallelonga, Badolato, Soriano) 173) 1661 - 22 marzo Meldola (Forlì) IX (epicentri di Meldola, Predappio, Fiumana) 174) 1661 - 2 luglio Otranto .... . Vili 175) 1662 - 6 nov. Soriano .... . Vili 176) 1667 - Spoleto .... . . Vili 177) 1669 - 11 marzo Nicolosi .... . Vili 178; 1672 - 14 aprile Rimini .... IX 179) 1676 - 17 giug. Ivrea .... VIII-IX 180) 1688 - genn. Pisticci (Basilicata) . • . IX? 181) 1688 - 11 aprile Bagnocavallo (Forlì) • IX 182) 1688 - 5 giug. M. Matese X (epicentri d’Alife, Cerreto, Vitulano, Apice, Paduli) 183) 1689 - 21 nov. Bari . . . vili 184) 1690 - 22 die. Villaco .... . . vili 185) 1690 - 22-23 die. Ancona .... . . VII! 186) 1693 - 11 genn. Lentini (Siracusa) . . X 187) 1694 - 8 nov. Avellinese e Basilicata . . IX (epicentri di Guardialombardi, S. Angelo dei Lombardi, Teora, Calitri, Tito, Potenza) — 115 Anni d. C. Località Intensità 188) 1695 - 25 febb. Asolo . VIII-IX 189) 1695 - 11 giug. Bagnorea . IX 190) 1698 - 12 aprile Vizzini e Militello . IX 191) 1699 - Nicolosi . . Vili 192) 1702 - 16 febb. Reggio Calabria . Vili 193) 1702 - 14 marzo Benevento . IX (epicentri di Apice, Paduli, Ariano) 194) 1703 - 14 genn. Abruzzo . . IX-X (epicentri di Norcia e Cascia) 195) 1703 - 16 genn. Abruzzo . . IX-X (epicentri di Montereale. Accumoli , Ama- trice, Leonessa) 196) 1703 - 2 febb. Abruzzo . IX-X 197) 1706 - 3 nov. M. Maiella . X (epicentri di Sulmona e Castel di Sangro) 198) 1714 - Narni . Vili 199) 1718 - Noto . Vili 200) 1726 - 1 nov. Palermo . VIII-IX 201) 1727 - Noto. . Vili 202) 1730 - 12 magg. Abruzzo ..... VIII-IX (epicentri di Norcia, S. Pellegrino, Accumoli) 203) 1730 - 12 giug. Abruzzo (Leonessa) Vili 204) 1731 - 20 marzo Foggia . VIII-IX 205) 1732 - 29 nov. Beneventano . IX (epicentri di Ariano, Flumeri, Caritè) 206) 1739 magg. Naso . VIII-IX 207) 1740 - 6 marzo Barga . Vili 208) 1741 - 24 aprile Fabriano . VIII-IX 209) 1743 - 7 die. Reggio Calabria Vili 210) 1751 - 26 luglio Gualdo Tadino Vili 211) 1757 - 6 agosto Siracusa . X (epicentro di Lentini) 212) 1759 - 30 marzo Torre Luserna .... Vili 213) 1767 - 4 aprile Spoleto . Vili 214) 1768 - 19-20 ott. Santa Sofia . IX 215) 1781 - 3 giug. Cagli (Marche) IX (epicentro di onte Nerone) 216) 1781 - 4 aprile Brisighella e Montecchio Vili 217) 1781 - 17 luglio » » Vili 116 Anni d. C. Località Intensità 218) 1783 - 5 febb. Palmi, Seminara, Oppido X 219) 1783 - 6 febb. Scilla, Reggio, Messina . X 220) 1783 - 7 febb. Soriano .... X 221) 1783 - 1 marzo Monteleone-Vallelonga . X 222) 1783 - 28 marzo Stretta di Catanzaro X 223) 1786 - 10 marzo Naso (Messina) VIII-IX 224) 1789 - 30 nov. Città di Castello Vili 225) 1791 - 12 ottob. Monteleone Calabro X 226) 1794 - 12 giug. Ariano .... VIII-IX 227) 1799 - 28 luglio Camerino. Vili 228) 1805 - 26 luglio M. Matese IX-X (epicentri di Boiano, Baranello, Cantalupo del Sannio) 229) 1808 - 2 aprile Torre Luserna. VITI 230) 1806 - Roma .... Vili 231) 1818 - 20 febb. Nicolosi-Acireale IX 232) 1818 - 23 febb. Liguria .... Vili 233) 1818 - 28 febb. Mineo .... Vili 234) 1823 - 5 marzo Naso e Palermo IX 235) 1826 - 1 febb. Tito (Basilicata) VIII-IX 236) 1828 - 2 febb. Ischia .... VIII-IX 237) 1831 - 13 genn. Foligno .... VIII-IX (epicentri di Foligno, Cannara, Besagna) 238) 1831 - 26 magg. Taggia (Liguria) Vili 239) 1832 - 8 marzo Cutro e Belcastro . VIII-IX 240) 1832 - 13 marzo Reggio Emilia. VIII-IX (epicentri di Reggio Emilia e Bibbiana) 241) 1832 - 24 nov. Nicolosi .... Vili 242) 1835 - 12 ottob. Castiglione di Cosenza . IX 243)' 1836 - 24 aprile Rossano .... IX 244) 1836 - 12 giug. Asolo .... Vili 245) 1836 - 20 nov. Lagonegro e Montesano. Vili 246) 1837 - 11 aprile Pizzo Uccello (Toscana). Vili 247) 1841 - 4 genn. Reggio Calabro Vili 248) 1846 - 14 agosto Colli Pisani IX (epicentro di Orciano) 249) 1848 - 11 genn. Augusta .... Vili 250) 1850 - Beipasso .... Vili 117 Anni d. C. Località Intensità 251) 1851 - 14 agosto Melfi . rx-x 252) 1853 - 9 aprile Caposele e Teora . IX 253) 1854 - 12 febb. Perugia . . Vili 254) 1854 12 febb. Cosenza ..... VIII-IX (epicentri di Montalto Uffugo, Rende e Ca¬ stiglione) 255) 1854 - 29 die. Oneglia . Vili 256) 1857 16 die. Lucania . X (epicentri di Montemurro , Auletta , Sala , Viggiano, Polla, Saponara , Tramutola) 257) 1858 - 6 genn Castelluccio Vili 258) 1859 - 22 agosto Norcia e Ancarano. VIII-IX 259) 1861 - 9 magg. Città della Pieve Vili 260) 1865 - 19 luglio Macchia (Etna) IX 261) 1870 - 5 ottob, Cosenza . (epicentri di Cellara, VIII-IX Mangone, Rogliano) 262) 1870 - 30 ottob. Meldola (Forlì) Vili 263) 1873 - 12 marzo Camerino e Fabriano Vili 264) 1873 - 29 aprile Bellunese .... (epicentro dell'Alpago) IX 265) 1873 - 12 luglio Sora e Alvito .... (epicentri di Sora, Alvito, Atina) Vili 266) 1875 - 18 marzo Rimini e Cernia Vili 267) 1876 - 29 magg. Mattinata (Gargano) Vili 268) 1877 - 24 agosto Prosinone Vili 269) 1879 - S. Severina IX 270) 1881 - 4 marzo Casamicciola . vili 271) 1881 - 10 sett. Orsogna-Lanciano . Vili 272) 1883 - 28 luglio Casamicciola . IX 273) 1885 - 26 die. Vinchiaturo Vili 274) 1886 - Zafferana . Vili 275) 1887 - 23 febb. Liguria VIII-IX 276) 1887 - 14 aprile Asolo (Treviso) Vili 277) 1887 - 3 die. Bisignauo Vili 278) 1891 - 7 giu g. Tregnago VII! 279) 1892 - 16 marzo Alicuri Vili 280) 1893 - 10 agosto Mattinata (Foggia) . VIII-IX 281) 1894 - 7*8 agost. Zerbate . IX 282) 1894 - 16 nov. Palmi VIII-IX 118 — Anni d. 3. Località Intensità 283) 1895 - 18 magg. Firenze .... Vili 284) 1897 - 21 sett. Senigallia. Vili? 285) 1898 - 28 giug. Rieti .... Vili 286) 1898 - 14 magg. S. Maria di Licodia Vili 287) 1898 - 12 sett. Visso (Macerata) Vili 288) 1898 - 20 febb. Cividale .... Vili 289) 1901 - 24 aprile Palotnbara Sabina . VIII-IX 290) 1901 - 30 ottob. Salò (Brescia) . VIII-IX 291) 1901 - 31 luglio Alvito .... Vili 292) 1901 - 11 magg. Palombara Vili 293) 1904 - 4 magg. Arpaia .... Vili 294) 1904 - 24 febbr. Avezzano e Aquila . IX 295) 1904 - 10 giug. Fanano .... Vili 29b) 1904 - 25 febbr. Marola (Reggio Emilia) . Vili 297) 1905 - 8 sett. Monteleone (Catanzaro) . X 298) 1907 - 23 ottob. Ferruzzano X 299) 1907 - 7 die. Zerbate e Pennisi (Etna) IX 300) 1908 - 10 luglio Moggio Udinese Vili 301) 1908 - 28 die. Messina e Reggio . XI 302) 1909 - 25 agosto Osservanza (Firenze) Vili 303) 1909 - 25 agosto Abbadia S. Salvatore VIII-IX 304) 1910 " 29 giug. Umbria . IX (epicentri di Poggiodomo, Mucciafora, Roc* catamburo) 305) 1910 - 7 giug. Calitri .... . X 306) 1911 - 19 febb. Forlimpopoli . . Vili 307) 1911 - 13 sett. Castelnuovo Berardenga . . Vili 308) 1911 - 15 ottob. Mangano (Etna) . Vili 309) 1914 - 26 magg. Zafferana (Etna) Vili 310) 1915 - 13 genn. Avezzano .... . AI 311) 1916 - 16 agosto Riccione e Cattolica (Marche) VIII-IX 312) 1916 - 17 magg. Rimini .... Vili 313) 1917 — 26 aprile Citerna e Monterchi (epicentro alta Valle del Tevere) IX-X 314) 1917 - 12 magg. Terni .... Vili 315) 1917 - 5 nov. Fano-Rimini . . Vili ? 316) 1917 - 5 nov. Numana (Marche) . . Vili? 119 — Anni d. C. Località Intensità 317) 1918 - 10 nov. Marche . VIII-IX (epicentri di Bagno della Romagi na e di S. Sofia) 318) 1919 - 29 giu g. Vicchio (Mugello) . IX-X 319) 1919 - 10 sett. Sienese . IX (epicentri di Piancastagnaio e Radicofani) 320) 1920 - 7 sett. Fivizzano (Marche) . IX 321) 1924 - 2 genn. Senigallia .... Vili? 322) 1926 - 17 agosto Salina . Vili 323) 1927 - 26 die. Nemi . Vili 324) 1928 - 7 marzo S. Onofrio (Catanzaro) . Vili 325) 1928 - 27 marzo Tolmezzo e Gavazzo (Udine) IX (epicentri di Cavazzo Gamico, Tolmezzo, Vezequi) 326) 1930 - 23 luglio Alta Irpinia .... X (epicentri di Villanova, Lacedonia, Trevico) 327) 1930 - 30 ottob. Senigallia .... VIII-IX (epicentri di Senigallia e Ancona). Conclusione. Come rilevasi r Italia è tormentata dell'attività di almeno 609 epicentri sismici. Tra essi 63 hanno dato terremoti rovinosi, 126 hanno dato terremoti disastrosi o disastrosissimi. I terremoti di grado tra 1' VII! e il X e XI , dall'inizio del¬ l’èra volgare possono computarsi a circa 322; di cui 151 rovinosi e 171 tra il IX e XI grado. Nondimeno le date di terremoti ro¬ vinosi, disastrosi e disastrosissimi possono computarsi 327, per¬ chè alcuni terremoti sono di epicentro dubbio. Molte volte, con¬ temporaneamente, si ebbe l'attività di epicentri distinti. Questo concetto è fondamentale per poter comprendere una delle forme esplicative del fenomeno sismico ; ed è stato base e scopo del presente lavoro. Sulla carta sismica che riferisce soltanto gli epi¬ centri disastrosi e disastrosissimi, con indi¬ cazioni secondo il numero di terremoti da cui furono scossi , possono farsi varie osservazioni : — 120 — 1) Gli epicentri di più alta sismicità sono distribuiti lungo lo schienale dell' Appennino, specialmente di quello cen¬ trale e meridionale. 2) La linea sismotettonica degli epicentri è parallela alla linea di distribuzione dei vulcani tirrenici spenti , semiattivi e attivi. 3) I vulcani attualmente più attivi sono pros¬ simi agli epicentri anche attualmente più attivi (Vesu¬ vio - Ariano) ; (Stromboli-Soriano) ; (Etna - Lentini). 4) La linea dei vulcani è parallela alla linea costiera tir¬ renica, lungo cui si ritiene esistere una linea di frattura per lo sprofondamento del Tirreno. 5) Anche la costa adriatica presenta epicentri, ma in mi¬ nor numero e di minore intensità; in corrispondenza, forse dello sprofondamento della conca adriatica, che ha meno importanza di quella tirrenica. 6) I vulcani spenti: Berici ed Euganei (ma ancora con acque termo-minerali) (Abano, ecc.) anche sono prossimi al¬ l'unico centro sismico più importante dell’Italia settentrionale : Badia - Calavena. Insomma il fenomeno vulcano-sismico appare sempre unico, ed in connessione col sollevamento delle masse continentali e con lo sprofondamento delle fosse marine. Riassunto. L’A. dà l’elenco degli epicentri italiani affinchè si possa subito individuare un epicentro in occasione di terremoto in Italiane se ne conoscano le date delle più intense scosse. Si potrà così rile¬ vare se in occasione di grave terremoto siasi formata una nuova frattura nell’Appennino, nel caso che l’epicentro non sia tra quelli elencati. Risulta anche dal lavoro una scala di sismicità delle varie regioni Italiane. La carta sismico-vulcanica dà contemporanemente la distribuzione degli epicentri più intensi e dei vulcani italiani e ne mostra la relazione. Chiude il lavoro l’elenco dei terremoti rovinosi e disastrosi in Italia dall’inizio dell’Era volgare al 1930. Finito di stampare il 31 ottobre 1934. Considerazioni sulla variabilità dei caratteri di Alveolina e Flosculina dal punto di vista del loro raggruppamento e determinazione. I Contributo del socio Stefano Sorrentino (Tornata del 13 aprile 1934) Le numerose determinazioni eseguite per Io studio e il ri¬ conoscimento di questi fossili, mi hanno offerto la possibilità di raccogliere una quantità di fatti che credo bene riassumere in questa nota. Generalmente è considerato facile poter distinguere, sia dall'aspetto esterno che in sezione , una Alveolina da una Flosculina. Tuttavia però sorgono spesso dubbi e difficoltà nella determinazione di alcune forme, per le quali necessita un esame più che accurato, seguito da un minuzioso confronto , fra i di¬ versi caratteri delle alveoline con quelli delle flosculine ; special- mente basandosi su quelli rilevabili dalle sezioni longitudinali. Ciò naturalmente è dovuto ad una serie di forme di passaggio che dalla più tipica forma d'Alveolina porta ad una forma al¬ trettanto tipica di Flosculina : e se nel concetto generale le al¬ veoline sono considerate forme allungate, mentre le flosculine si considerano globoidi, anche questo carattere si dimostra varia¬ bile nei due gruppi esaminati. Infatti in entrambi i gruppi si hanno delle variazioni continue, lineari, che dalla forma tipica¬ mente allungata, fanno passaggio alla forma perfettamente sferica, od addirittura discoidale. Lo stesso si dica per tutti gli altri caratteri distintivi dei due gruppi, come per esempio lo spessore della lamina calcarea, dei muri sagitali, la forma e dimensioni delle cellette, lo spessore calcareo ai poli, ecc. - 10 - — 122 — Questi fatti hanno dato appoggio ad alcuni autori , anche recenti, di considerare i due gruppi, Alveolina e Flosculina, come non distinguibili genericamente, ma solo specificamente (vero è che si ricorre spesso, per la Flosculina , alla istituzione di un sottogenere) *), in base specialmente al fatto che i due gruppi non hanno, dal punto di vista strutturale, nessuna differenza so¬ stanziale. Io credo però che la separazione generica di questi due gruppi possa essere giustificata e convalidata dalle seguenti considerazioni : La esistenza di forme tipiche, dei due gruppi , nei terreni della stessa età geologica fin dal loro più antico ritrovamento, mostra come dette forme non possono essere considerate specie diverse di uno stesso genere, nè tampoco forme di una stessa specie. Ciò perchè si dovrebbero avere successioni di variazioni solo rispetto al carattere dello spessore della lamina, mentre in¬ vece le forme flosculinizzate, oltre a questo carattere, mostrano anche variazione della forma, aspetto dei giri di spira, dimen¬ sioni, muri sagittali, ecc. ; il che darebbe, al genere Alveolina (comprese le flosculine) , un campo troppo esteso di variazioni e di variabilità multiple. Inoltre la coesistenza di forme dei due gruppi appoggia la supposizione che le due serie di raggruppamenti siano dovuti a mutazioni morfogeniche acquisite ed evolutesi, in senso quasi parallelo, da un'unica forma ceppo (mesozoica?). In tal caso è evidente come le due serie in evoluzione siano da classificarsi sotto due generi distinti. Del resto tutti i generi di uno stesso raggruppamento più estensivo (famiglia) hanno forme transitorie, specialmente se si tratta di due generi molto affini ; non è il caso quindi, solo per le Alveolinidi, fare eccezione a tal riguardo ; e cioè volerle te¬ nere riunite in un solo genere, in base alla esistenza di forme intermedie fra Fasciolites e Alveolina. Inteso poi come unico genere (Alveolina), queste forme re¬ sterebbero troppo isolate dagli altri generi della famiglia in cui ’) Qualche altro autore non solo riunisce i due gruppi sotto un solo ge¬ nere, ma non li distingue neppure come specie ; però, in effetti, questi autori aggiungono al nome della specie il termine flosculinizzate. Inutile dire come questo procedimento senta troppo di artificioso. — 123 — si sogliono includere ; talché costituirebbero un gruppo di forme del tutto separate. A meno che non si volessero, in una conce¬ zione ardita, ritenere come genere aberrante della famiglia delle perforate fusuline, con cui, non si può disconoscere, il genere Alveolina D’Orb. ha grande rassomiglianza. Questo naturale isolamento quindi delle alveoline , nell’ Or¬ dine degli Imperforati, giustifica molto bene anche la istituzione della famiglia Alveolinidae , nella quale così resterebbero chiusi ed individuati i campi delle accennate variazioni !). $ * # I caratteri della famiglia Alveolinidae possono riassumersi nei seguenti : Imperforati calcarei formati da una lamina avvolta a spirale intorno ad un asse, e formante un nicchio chiuso, globoso o cilindroide, costituito da segmenti , rilevabili per la esistenza di solchi paragonabili a spicchi. Questi spicchi sono successivamente sempre più grandi e suddivisi internamente da serie di concamerazioni disposte a palchi di cellette e sviluppate nel senso deH'avvolgimento. Il numero delle concamerazioni aumenta generalmente con l’aumentare della grandezza dello spicchio (camera principale) ; grandezza che corrisponde ad un maggiore sviluppo dell'individuo. Forme macrosferiche inizian¬ dosi con una camera centrale ben sviluppata ed una prima se¬ riale, le microsferiche invece hanno inizialmente, per due o tre giri di calcare , uno sviluppo paragonabile a quello delle tri- loculine. Forme fossili e viventi. Compaiono nel Mesozoico (molto rare) e sono diffusissime nell'Eocene. Vivono nei mari tropicali o subtropicali delle zone a sabbie Coralline. II carattere d'evoluzione geologica finora ben chiaro nella famiglia, può definirsi ; 11 castello calcareo costituito a serie di ’) Come famiglia è, dei resto, già considerata da altri autori moderni. Adotto la denominazione di Alveolinidae, anzicchè quella di Fasciolitidae , oltre tutto, anche perchè ormai il solo nome - Alveolina - basta a determi¬ nare le forme di cui si parla. E poi, anche il concetto di priorità può , qui, non valere, perchè il termine Alveolina D’Orb. non è che un emendamento di quello di Alveolites Bosc. (1803). — 124 — palchi di cellette, che da palchi semplici tendono a palchi mul¬ tipli di cellette Il che conferma ancora di più la netta distin¬ zione dei due generi ; poiché il carattere preso a base per la distinzione fra Alveolina e Flosculina, è definitivamente acquisito da una serie dì forme, le quali poi subiscono, a loro volta, una evoluzione nel senso della complicanza dei palchi di cellette. Evoluzione che si rileva essere parallela a quella delle forme dell'altro gruppo. Da quanto si è accennato sopra e dalla definizione data, tutti questi caratteri sono suscettibili di una complessa serie di variazioni continue, ma oscillanti nella famiglia. Di ognuna di esse si può ricavare uno schema diagrammatico , più o meno complicato, che rappresenti l'andamento del fenomeno evolutivo relativo al carattere preso in considerazione. Diagrammi che di¬ mostrano maggiormente la esistenza di numerose forme inter¬ medie. Data quindi questa grande variabilità di forme, per una classificazione della famiglia occorrerà tener presente questi svi¬ luppi seriali, allo scopo di confrontarli e controllarli con la suc¬ cessione cronologica dei terreni in cui essi si trovano. Questo criterio cronologico, pur qualche volta considerato, non è ancora per ora ben accertato nei riguardi della distribuzione geologica nelle specie o dei gruppi di specie, per cui si rende necessaria una precisa e netta determinazione specifica in modo che si possa poi verificare se un dato stadio di variazione è o no legato ad una successione geologica ]). Fanno eccezione i gruppi distinti in Flosculinella ed Alveolinella, il cui carattere distintivo è le¬ gato alla successione geologica come sopra detto , e di cui fin da alcune forme eoceniche si hanno accenni verso questo ca¬ rattere. Accettando quindi di seguire in parte lo schema di classi¬ ficazione dato dal Silvestri, ritengo opportuno portare qualche piccola modifica, e di non seguire per ora il criterio cronologico, che come ho accennato non può ancora guidarci, nè dare un ca¬ rattere di distinzione. h Recenti autori, riunendo il gen. Flosculinella con quello di Alveolinella e il gen. Flosculina col gen. Fasciolites, ricavano che le Fasciolites floscu- linizzate sono solo forme dell'Eocene (Tert. a degli olandesi). - 125 — Famiglia Alveolinidae D'Orbigny (1826). Gen. Fasdolites Parkinson (1811). Alveolinide a lamina calcarea sottile , spessore sempre ac¬ centuato ai poli, disposizione della serie di cellette a palchi di una sola fila, zona polare asimetrica rispetto al piano della sezione, muri sagittali piuttosto grossi, cellette a sezione subret¬ tangolari, aspetto esterna più spesso fusiforme, più o meno cilindroide, senza ombelico ai poli, solchi poco profondi, lamina calcarea senza risalto sul bordo esterno. Gen. Flosculina Stache (1880). Alveolinide a lamina calcarea molto spessa, senza eccezionale aumento ai poli, disposizione delle serie di cellette a palchi di 1 sola fila, zone polari simmetriche rispetto al piano della sezione, muri sagittali sottili, cellette subcircolari, esternamente i solchi sono molto profondi, gli ombelichi molto marcati e la lamina calcarea fa forte risalto sul bordo esterno. Forme generalmente globose. Sottogen. Eoalveolinella SILVESTRI (1928). Caratteri come nei sopraindicati, ma con presenza di altre cellette nello spessore del calcare interposto fra la serie di palchi. Queste cellette in soprannumero non sono regolari, ma si accentuano specialmente negli ultimi giri di spira ed ai poli. Forme ancora scarsamente conosciute. Sottogen. Neoalveolina SILVESTRI (1928). Costituzione generale di Fasciolites , ma a caratteristico stadio embrionale paragonabile a quello delle Triloculine. Gen. Alveolinella Douvillé H. (1906). Costituzione generale di Fasciolites, ma molto complessa per la esistenza di molteplici serie di cellette nello spessore cal¬ careo interposto tra i palchi di cellette normali , e complicato ancora da fitte cellette sparse inregolarmente in tutto lo spessore calcareo. 126 — Gen. Flosculinella SCHUBERT (1910). Costituzione generale di Flosculina ma con struttura com¬ plicata dalla presenza di altre serie di cellette sviluppate nello spessore calcareo interposto fra i palchi di cellette normali. * * * Il sottogenere Neoalvelina Silvestri lo includo provvisoria¬ mente perchè seguendo lo Chapman , ritengo che il carattere preso come distintivo di esso sia piuttosto da ritenersi dovuto a forme microsferiche di specie già note. Questo mio modo di vedere è basato sul fatto che questo caratteristico stadio giovanile triloculinare, si accorda perfetta¬ mente con le vedute del Lister e dello Schaudin a proposito del dimorfismo dei foraminiferi. È fuor di dubbio che la forma¬ zione di uno stadio triloculinare è conseguenza di una quantità di protoplasma minore di quella occorrente per formazione di un nucleo interno tipicamente alveolinico. D'altronde questo spe¬ ciale nucleo d'inizio, che presentano alcune alveolinide, non può ritenersi un carattere giovanile latente e perdurato in forme aber¬ ranti nè può essere tampoco considerato carattere acquisito solo dalle forme recenti , se fu già osservato in forme fossili dalla Osimo, la quale raffigura anche, se pur in maniera non troppo evidente, alcune di queste forme per es. nell 1 Alv. bulloide. Anche lo Schubert osservò questo caratteristico stadio iniziale in alcune forme; tanto che, in base a ciò, ricavava la parentela delle al¬ veoline con le biloculine. Lo stesso Altpeter figura qualche e- semplare con questo carattere, che il Silvestri descrive e raffi¬ gura in maniera evidente a proposito della Alveolina Bradyi. Riconosco perfettamente che queste forme microsferiche sono ancora troppo scarsamente rappresentate per poter stabilire dei criteri definitivi, talché occorrono ancora altre ricerche per poter chiarire il fatto. Ciò nonostante però ho avuto agio di vedere personalmente come sia possibile aumentare il numero degli esemplari microsferici. Praticamente si rende un po' difficile, ri¬ spetto agli altri fossili, arrestare in tempo la sezione onde avere la parte microsferica; ciò per la struttura calcarea delle Alveolinide stesse. 127 — Infatti anche a me è avvenuto di aver oltrepassato spesso la camera embrionale, malgrado tutta l'attenzione posta nel mo¬ mento di raggiungerla. D'altro canto l'esame continuo eseguito nel fare il preparato, mi ha convinto di essere in presenza talvolta di forme microsferiche. Fra le tante però e lavorando con estrema cautela sono riuscito a ricavare alcune sezioni di individui mi¬ crosferici di cui uno ho già raffigurato in un precedente lavoro. Con ciò ho voluto solo accennare al fatto che le forme mi¬ crosferiche possono aumentare di molto, qualora si disponga di numeroso materiale e si faccia molta attenzione nell’eseguire i preparati. Per il il sottogen. Eoalveolinella bisogna tener presente che il carattere preso a base per la sua separazione può essere del tutto occasionale. Infatti le cellette che si interpretano come cel¬ lette in soprannumero, possono non essere tali , semplicemente per il fatto che la sezione, avendo interessato il setto delle ca¬ mere principali, mostra, sopra il lume delle cellette stesse , una altra concamerazione che è il lume del canale postsettale. Il fatto poi che queste cellette, in più delle normali, sono sparse in ma¬ niera irregolare confermerebbe tale possibilità, che sarebbe ancora maggiormente confermata dalla loro frequenza negli ultimi giri di spira; giacché la sezione, in questi ultimi giri, è più obligua (forma angolo maggiore) rispetto alla lamina calcarea. Nè vale, per la distinzione, la grandezza e la forma delle cellette stesse, perchè il piano della sezione può interessare in modo diverso il piano del setto e dare quindi luogo a diversi aspetti di questi vuoti *). * * * Definita la famiglia Alveolitiidae e determinati i caratteri dei singoli generi, bisognerà esaminare alcune caratteristiche speci¬ fiche allo scopo di facilitare la determinazione delle specie. Già si è detto avanti che la famiglia Alveolinidae offre una complicata successione di serie ad evoluzione lineare, serie pos¬ sibili di essere schematizzate. Infatti se dalle Fasciolites tipiche si (1) Per maggiori particolari sulla costituzione dei setti e sulla struttura delle Alveolinide consultare specialmente i lavori di Altpeter, Sorrentino e Reichel. — 128 - passa alle flosculine tipiche, è anche vero che nello stesso ge¬ nere Fasciolites , si passa da forme perfettamente distinguibili per esempio allungate, a forme tipicamente arrotondate , e ciò attraverso tutta una serie di stadi successivi. Tale successione comporta anche una graduale variazione delle specie nei confronti dei loro caratteri qualitativi. L'insieme dei caratteri qualitativi su cui si basa la distinzione delle specie, possono raggrupparsi nel seguente quadro : I. — Aspetto e forma esterna ; (Carattere in stretta dipendenza dallo stato di conservazione. II. — Numero e forma delle camere principali ; (idem). III. — Aspetto dei solchi e dei poli del nicchio; (idem). IV. — Spessore della lamina; (non sempre rilevabile dall'esterno). Caratteri della Sezione tangenziale. I. — Aspetto e forma dei giri di palchi delle cellette. II. — Grandezza e forma generale delle cellette. III. — Spessore dei muri sagittali. IV. — Aspetto e forma delle camere embrionali e della prima seriale. V. — Legge ed accrescimento della lamina secondo Schwager. VI. — Aspetto e forma del nucleo giovanile. VII. — Dimensioni tra l'ultima spira di cellette ’). Il concetto di variabilità qualitativo, offre senza nessun dub¬ bio ottimi caratteri per la distinzione di una nuova forma od addirittura di una nuova specie. Esso però è sempre un po' vago, e quindi troppo largo per poter dare effettivamente un carattere che sia, più possibilmente , stabile nelle specie. Ciò anche indipendentemente dal fattore di apprezzamento personale, il quale esiste sempre, malgrado tutta la buona volontà dello studioso ; e di quello dipendente dalla forma presa a base per il riferimento specifico. Si intuisce facilmente come solo questi due siano sufficienti a fare apprezzare una stessa forma in due ]) La grandezza e forma delle cellette, lo spessore dei muri sagittali e l’aspetto della prima camera seriale, sono caratteri da ritenersi secondari e vanno considerati in senso largo, perchè suscettibili di variazione a secondo del modo con cui vengono interessati dal piano della sezione. — 129 — modi diversi. Per es. per un osservatore una forma può essere ovale allungata, mentre per un altro la stessa forma può essere considerata fusiforme, elissoidale, ecc.: una forma subcilindroide può essere anche apprezzata per fusoide, cilindro-ovale, ecc. Lo stesso si dica per l'aspetto dei giri di spira, la forma delle cel¬ lette, ecc. Caratteri tutti molto bene apprezzabili quando però sono forme estreme l'uno dell'altro ; esempio la forma allungata con la forma rotonda. Molti studi già fatti hanno messo in rilievo anche per altri fossili, come numerose specie ritenute l'una di¬ versa dalPaltra, dovevano essere invece raggruppate sotto un solo nome specifico, pur presentando tutta una serie di minute variazioni morfologiche, esistenti fra i singoli individui. Infatti è perfettamente naturale che una forma specifica sia leggermente diversa da un'altra della sua stessa specie , e quindi tanto più, può essere diversa, se è una forma a tendenza di variazione verso una specie vicina. Con ciò voglio dire che l'istituzione di una specie nuova in base solo a piccole differenze od a caratteri suscettibili di diverso apprezzamento, sia per la forma presa a base del con¬ fronto. sia per la parziale cattiva conservazione, ecc., non porta un miglioramento, nè facilita la classificazione naturale (a cui dovrebbero tendere le determinazioni delle specie). All'opposto, esse complicano e generano spesso confusioni non sempre evi¬ tabili anche col raggrupparle in sinonomia. Ben è vero che pur¬ troppo non si è ancora in grado di distinguere con rigore una forma dall'altra, qualora si tratta di individui susseguentesi sulla stessa variabilità lineare. Ma se per queste forme, oltre ai ca¬ ratteri qualitativi , determinanti la specie, si contrappongono quelli quantitativi, il compito della determinazione specifica è facilitato, non solo, ma si rende anche possibile fare confronti con altre forme della stessa specie, in quanto si può determinare tutto un campo di esistenza specifica per ogni carattere in va¬ riazione continua e progressiva. Con questo artificio si ha la possibilità di rendere la determinazione molto meno soggettiva. Il primo che intuì, per questi fossili il valore sistematico della relazione esistente tra un carattere qualitativo ed un carattere quantitativo, fu lo Schwager. I rapporti da lui calcolati sullo — 130 — avvolgimento della lamina nelle Alveolinide vanno sotto il nome di " semissodistanten Radien „ ’). Avverto subito che il carattere quantitativo malgrado sembri a prima vista un carattere del tutto artificiale non è poi essen¬ zialmente tale, perchè intanto esso è rilevabile, in quanto è una manifestazione numerica di un carattere qualitativo. In altri termini invece di dire che una forma A è più evoluta, rispetto ad un carattere considerato di una forma B ; si dirà che la forma A ha evoluzione a: (espressione numerica), maggiore del valore di y, che rappresenta il coefficente d’ evoluzione della forma B rispetto al medesimo carattere. Così facendo qualunque altro studioso dovendo confrontare un'altra forma C, non avrà che ricercare il valore determinato da C (z), ed avrà la possibilità di confrontarlo con j, x, che sono gli indici di B e di A. Così facendo egli ha anche confrontato la nuova forma con le forme già conosciute A e B, evitando così le possibili impressioni personali. Lo stesso vale naturalmente nel caso che i valori x, yt ecc., siano rappresentati da una serie più o meno continua di valori, anziché costituiti da uno solo. Se dai confronti fatti si ha un valore che non è graduabile r o non è incluso nella serie di quelli considerati, e comprensivi del campo di variazione della specie in esame, si è certamente più vicini alla realtà ammettendo che la forma che ha fornito il nuovo valore è una varietà ben determinata od è addirittura una specie nuova. l) La legge d'avvolgimento della lamina spirale data dallo Schwager, può chiaramente rappresentarsi con una serie di raggi vettori : cioè con le distanze, dal centro della concamerazione iniziale, alle singole spire delle cellulette (che naturalmente sono le successive superficie esterne della lamina). Questi valori sono calcolati, sulla sezione assiale-centrale, ad ogni mezzo giro (180°). A questa serie di numeri si premette, fra parentesi, il valore del raggio della camera centrale, calcolato sullo stesso asse. Recentemente il Bakx ha calcolato due successioni di numeri ; una relativa all'aumento dell' ampiezza delle cellette, e l' altra allo spessore della lamina calcarea interposta alle cellette considerate. Queste due successioni numeriche sono poi legate fra loro da una terza, che esprime i coefficienti relativi ai raggi delle singole spire ; raggi calcolati in maniera che, per ogni giro di spira, si hanno due numeri ; l'uno escludente il valore del lume delle cellette (che è già noto dalla prima successione di numeri) , e l'altro comprensivo di questo valore. La successione di questi ultimi valori non è altro che quella calcolabile secondo il concetto dello Schwager. — 131 — In altri termini supponendo di essere di fronte ad una nuova specie, dobbiamo assicurarci che i caratteri distintivi di essa, non siano compresi nell'ambito di variabilità delle specie con cui quei caratteri sono confrontabili, o ciò che è lo stesso, non sia una variazione apparentemente saltuaria di una specie con cui più si può confrontare Y esemplare di esame L). Così facendo non si esclude un errore di determinazione, ma questo errore che si commette sarà della stessa grandezza di quello che nei calcoli matematici costituisce la probabilità. Inoltre la raffigurazione gra¬ fica del campo delle oscillazioni di variabilità specifica , che è data proprio da una linea che può paragonarsi forse alla curva di probabilità o curva degli errori ovvero di Calton (applicato la prima volta in biologia dal Heinke) ; permetterà una visione più chiara e comprensiva del fenomeno evolutivo. Per noi questa curva può indicare l'ambito in cui è compresa una data specie, ma ci può esprimere anche con evidenza la evoluzione del ca¬ rattere, sulla cui evoluzione quantitativa è stata costruita la curva. Così facendo per diversi caratteri, relativi però sempre alla stessa specie, si mettono con chiarezza e con facilità di confronti in rapporto i caratteri in evoluzione da quelli in regressione (od in involuzione). Volendo tracciare uno di questi campi di oscillazione della variabililà specifica, basta riferirsi alle coordinate cartesiane, avendo accortenza di segnare lungo l’ascissa i valori numerici ottenuti dairapprezzamento quantitativo del carattere qualitativo, e sulla ordinata i valori numerici relativi al numero degli individui a coefficiente numerico eguale. I punti così ottenuti, riuniti da una congiungente, daranno la figura di variabilità numerica, della qualità considerata, in rapporto al numero dei campioni confron¬ tati. Se i campioni risultano disposti lungo una curva simmetrica e continua, rispetto alla massima elevazione della curva stessa, il carattere considerato è pendolare, e la specie resta ben defi¬ nita perchè è ben isolata: malgrado che le forme poste nei due ]) Il che capita spesso qualora non si ha a disposizione numeroso mate¬ riale. A quest'ultimo inconveniente si può ovviare, anche avendo un solo esem¬ plare, qualora studi di riordinamento comprensivi di specie, riescono a deter¬ minare l’andamerito evolutivo di ogni singola e determinata specie a carattere di transazióne. 132 — punti estremi (es. apice e base della curva) siano ben distingui¬ bili l'uno dall'altra, nei confronti della qualità considerata. Ogni altro campione invece non compreso nell'andamento della curva è da tenersi separato. Con ciò però non sono eliminate le difficoltà della determina¬ zione di specie perchè bisognerà scegliere un carattere qualitativo non solo possibile di essere ridotto a quantitativo, ma che non separi nel contempo le forme appartenenti o ritenute della stessa specie. Questo carattere inoltre dovrà essere quanto più possibile indipendente dai minimi fattori ambientali, cioè dai diversi agenti che potrebbero determinare tropismi saltuari o trascurabili, per il deficiente apprezzamento delle variazioni stesse. Dalle considerazioni suesposte si ricava facilmente che, nel- l'applicare questi concetti a foraminiferi, bisognava eliminare tutte quelle possibili influenze personali che sarebbero venute qualora avessi operato solo sul materiale da me classificato. A tale scopo quindi, e per limitare lo studio, ho esaminato due specie di Al- veolinide di facile riconoscimento e di cui si hanno numerose figure e descrizioni, specialmente nei lavori del Checchia-Rispoli, Osimo, Silvestri, Altpeter, Nuttan (subpyrenaica pars ) ecc. e e cioè V Alveolina miliurn Bosc. e la Flosculina pasticillata Schw. Avrei voluto in un primo momento utilizzare come carattere di applicazione la legge ricavata dallo Schwager, ma ho preferito utilizzare il rapporto fra gli assi, ottenuto dividendo l'asse polare per quello equatoriale, riservandomi usare quella dello Schwager come controllo, dando essa una linea spezzata d'ordine diverso (v. avanti). I cento rapporti ricavati dalle dimensioni date o trascritte dagli autori citati a proposito dall'Alveolina ( milium-ellipsoidalis ) danno il grafico A, in cui si vede chiaramente come sotto questa specie siano state comprese forme appartenenti ad altri gruppi, malgrado che l'aspetto della sezione, dei muri sagittali, ecc., cioè malgrado che i caratteri qualitativi rilevabili all'osservazione, abbiano consigliato gli autori a riferire tutte queste diverse forme come appartenenti alla medesima specie. Nel grafico os¬ serviamo un gruppo limitato di individui che si staccano dalla massa e tendono, in linea ascendente, verso il rapporto 3, ve¬ dremo come questo rapporto è, forse, da assegnarsi al V Alveo lina — 133 — Schwageri ? E due raggruppamenti ben distinti di cui uno su! rapporto oscillante intorno a 2 e l'altro intorno a 1,50. Natural¬ mente nel fare i rapporti e per semplificare , sono arrivato soltanto alla seconda cifra decimale, cifre che ho arrotondato poi in eccesso a secondo del valore della 3 decimale. Tra questi due rapporti vi è un termine intermedio il quale può avere significato vario, come per esempio , riunire forme aberranti dipendenti dalla discontinuità tra le due successioni di forme in evoluzione ; ovvero forme a scarsi rappresentanti , in parte dovute al numero limitato di campioni esaminati. Nel primo caso si tratterà di una forma o gruppi di forme possibili di essere riunite in una varietà, anche se essa è artificiale. Nel secondo invece può non avere importanza, anche se in rapporto numerico più estensivo (mille individui) quelle forme intermedie non restassero isolate, perchè allora si potrebbero momentanea¬ mente confrontare con una forma a rapporto ed a caratteri paragonabili. Nel caso del grafico si tratta verosimilmente della varietà lepidula o di stadi a questa vicini. Quello che mostra il grafico è ben chiaro e non lascia dubbi di sorta : cioè che al- l 'Alveolina miliani , ben distaccata, sono state riportate e descritte come tali, forme appartenenti ad altra specie. A riprova di ciò possiamo, nel grafico dato, aggiungere tutti i valori dei rapporti inerenti alle forme della milium varietà lepidula , che più si av¬ vicina alla specie considerata. Ci si accorge facilmente come pur variante la curva, essa non dà luogo a nessun cambiamento sostanziale, nel senso che le tre gobbe (rapp. 2; 1,5; 1,75) non subiscono spostamento. Inoltre anche qui vediamo come alcune forme siano state scambiate ; infatti alcuni valori della lepidula fanno salire l'apice anche del rapporto 1,5 e 2. Siccome però addizionando i valori della varietà lepidula , ad eccezione delle poche scambiate come lepidule, la maggioranza di essi si addensa intorno al rapporto 1,75 malgrado che l'apice si sposti un po' : si può dire quindi che se ai caratteri qualitativi propri del gruppo dell' Alveolina tnilium , si associano quelli del rapporto dimensionale compreso nella curva tra il rapporto 1,5 e 2, i campioni in esame debbono essere ritenuti per lepidula . Se invece si addensano nel rapporto 1,5 saranno classificati sotto la specie milium . A prova di ciò ricordo che lo Schwager di- — 134 — stinse la varietà lepidula specialmente per un allungamento un po' più accentuato di quello della milium. Se al grafico riportiamo ancora i valori della specie Alv. oblonga, che è quello più possibile di confronto con la milium (dopo la Lepidula ) si vede come, tolto qualche esemplare, che fa salire l'apice della milium e sposta un po’ quello della lepidula, la maggior parte dei campioni si addensa intorno al rapporto 2, il cui apice sale ancora. Qualcuno fa anche aumentare la curva verso il rapporto maggiore di 2, rapporto che come si è detto, tende verso, per esempio, la sp. SchwagerL Quest' ultimo ver¬ tice naturalmente si sposterà, come si è spostato quello della lepidula , con una maggiore quantità di campioni in esame. 11 grafico in ogni modo ci dimostra con evidenza che vi sono raggruppamenti di specie possibili di confronto, e raggrup¬ pamenti i cui caratteri oscillano leggermente ; di conseguenza una determinazione specifica per portare ad un buon risultato, deve determinare prima a quale raggruppamento, le forme in esame, possono essere incluse, dopo ciò si potrà passare all'esame delle forme comprensive del ragguppamento. Per es. si potrebbe nei grafici dati, dire che le Fasciolites oblonga , lepidula, milium ecc., sono serie di forme possibili di essere raggruppate sotto il termine ellipsoidalis. Questo raggruppamento , che può sem¬ brare a prima vista artificiale, non è tale perchè anche gli altri caratteri specifici sono confrontabili ed anzi i grafici costruiti sui valori ricavati secondo lo Schwager mostrano chiaramente come esse siano strettamente in relazione. Anche la legge ricavata dallo Schwager può essere rappre¬ sentata in diagramma cartesiano, mettendo per esempio lunga la coordinata i valori progressivi dello Schwager e sulla ascissa i numeri progressivi di spira. Il grafico così ottenuto mostra in modo evidente come le tre specie in esame siano ben distingui¬ bili, ma anche ben confrontabili tra loro (grafico C). * * * L'altro grafico (B) si riferisce alla Flosculìna pasticillata. La scelta di questa è stata fatta oltre che per quanto detto in prece¬ denza, anche per dimostrare maggiormente la effettiva separazione che esiste tra le Fasciolites e le Flosculine. Infatti la pasticillata 135 — pur distinguendosi nettamente dalla milium per il carattere quali¬ tativo determinante il genere, presenta perfettamente il medesimo rapporto (1,50), come si rileva dal grafico riportato. Nello stesso tempo un confronto tra la Flosculina globosa (rotonda) con la Flo- sculina allungata agrigentina mediante il grafico che si ricava per il rapporto dello Schwager, fa vedere come tale aumento si com¬ porta in maniera pressocchè uguale. Ciò conferma con evidenza quanto già si poteva dedurre dall’esame delle forme appartenenti al genere Fasciolites od a quello Flosculina : e cioè che le varia¬ zioni dimensionali dei due generi sono due variazioni lineari e parallelle. Questo, come si dirà in seguito, ci permette anche di ricavare una curva del campo di oscillazione della variabilità relativa al genere stesso. Ma ritornendo alla curva della F. pasticillata , anche qui notiamo come un gruppo di individui si distacchi completamente dal rapporto proprio di questa specie, per tendere verso un rap¬ porto 1. Vedremo poi che è il rapporto forse della Flosculina globosa. L'apice 1,50 è anche qui da considerarsi dovuto a di¬ scontinuità della serie (in parte anche dipendente dalla quantità dei campioni esaminati) e tendente alla F. decipiens. I pochi esemplari che tendono al rapporto 2 fanno passaggio alle floscu- line allungate [agrigentine, pillai, ecc.). * * * Questo stesso criterio, applicato a tutte le forme comprese per es. nel genere Fasciolites , danno una curva comprensiva delle variazioni dimensionali sul genere, portando al risultato già noto, cioè di una successione graduale sviluppantesi fra le forme allungate e quelle rotonde. Infatti dalle Fasciolites tipicamente allungate p. es. elongata, oblonga, ecc. si arriva alla milium, sub- pyreanica, e quindi bradyi, melo, rotella . Se a queste variazioni continue e sviluppantesi in un senso , confrontiamo anche gli altri caratteri generici, grandezza delle cellette, spessore dei muri sagittali, ecc. si osserva come alcuni di essi presentano un me¬ desimo senso di variazione, altri invece mostrano una variazione sviluppata in senso opposto, ed altri ancora non mostrano una successione continua di variazione, ma solo caratteri irregolari. Lo stesso si può ricavare nell'esame del genere Flosculina, giacché — 136 - anche qui dalla specie tipicamente sferoidale ( globosa ) si passa per la pasticillata , ecc. alla F \ daunica che è la forma allungata. Se si tenta ora di fare un confronto fra le due serie paral¬ lele di variazione e relative ai due generi esaminati, si resterà sorpresi certamente nel vedere come le forme di Fasciolites a caratteri intermedi fra due specie nettamente distinguibili , pre¬ sentano una tendenza verso le forme intermedie, ma nella stessa posizione di evoluzione, del genere Flos:ulina. Cioè per esempio alcune forme estreme di milium e di oblonga per tramite della baldacci , per le flosculine , ciofaloi , decipiens , tendono alle flosculine tipicamente globulari. Lo stesso ci rivela Y esame delle Fasciolite ; giacché dalla specie Di Stefanoi , festuca , ecc., per tramite della crema , pillai , agrigentina , si arriva alla daunica . In altri termini riusciamo a ricavare , se pure un po' artifi¬ ciosamente, le relazioni esistenti tra i due gruppi esaminati. Ciò porterebbe a ritenere come il carattere di rapporto di¬ mensionale grande (forme allungate) sia più proprio del Gen. Fasciolites , mentre il carattere globulare è relativo al gen. Flosculina. Qualora uno studio sul gen. Flosculinella ed Alveo - lineila porterebbe allo stesso risultato , si potrebbe tentare la ricostruzione dei fattori ambientali dipendenti dai tipi estremi di forma *). In altri termini le Fasciolites mostrerebbero una variazione (evoluzione) verso le forme globose, mentre nella Flosculina detta variazione si avrebbe nel senso delle forme allungate. II che si può esprimere così : “ Le variazioni tra Fasciolites e Flosculina sono evoluzioni lineari e parallele, ma dirette in senso opposto In altri termini le Flosculine allungate sarebbero da ritenersi Alveolinide a maggiore evoluzione delle globose ; mentre le Fasciolites globoidi potrebbero essere con¬ siderate più evolute di quelle allungate. Naturalmente non es¬ sendo ciò ancora stabilmente accertato, si potrebbe anche avere perfettamente il contrario. In ogni modo, quanto è stato detto sopra ci rende perfettamente conto del valore e del gran nu¬ mero di forme alveolinide a caratteri oscillanti intorno a forme ]) È noto che vi sono calcari a Fasciolites e calcari a Flosculina ; in ge¬ nerale le forme dell’altro gruppo sono molto scarse e limitate a poche forme specifiche. Ciò può far supporre la esistenza di un fattore ancora sconosciuto. 137 — intermedie. Infatti le maggiori sinonomie tra forme specificamente ritenute diverse, dai vari autori, si verificano proprio in questo gruppo compreso fra la Flosculitia Ciofaloi e i' Alveolina Bai * dacci } che possono considerarsi i due termini intermedi , del complesso, a caratteri evolutivi tra i generi Fasciolites e Flo- sc alina. Volendo quindi limitare le variazioni dei due generi, onde arrivare ad una più facile determinazione, si può stabilire un sot¬ togenere di Fasciolites , in cui si possono includere tutte le forme di Fasciolites g 1 o b o i d a 1 i ( Borelia ) ; mentre per le Floscu- line il sottogenere ( Checchiaites ) !) includerebbe tutte le Fiosca- lina allungate. Naturalmente anche facendo così troveremo raggruppamenti di forme in cui i caratteri per la distinzione dei due sottogeneri sono intermedi 2). Così facendo le forme di transazione saranno certamente numericamente minori e più facilmente distinguibili, onde potranno essere riunite in poche specie, a caratteri transitori di variabilità, delimitate dalle singole curve risultanti in base ai rapporti dimensionali messi a con¬ fronto e a quelle ricavate in base ai valori sec. Schwager. In conclusione possiamo stabilire una specie di schema a confronto in maniera tale da arrivare, per una successione di esclusioni alla determinazione delle specie. Essa per quanto artificiale permette di poter classificare in modo più che sod¬ disfacente le forme della famiglia alveolinide, così come accenno nel quadro che riporto : T) In omaggio al prof. Checchia-Rispoli che per primo descrisse e figurò una tipica Flosculina allungata ( F . Daunica). ~) In relazione alla forma esterna, sta anche il carattere interno della forma dei palchi delle cellette: quindi volendo precisare il carattere dei due sottoge¬ neri istituiti, si darà: Sottogen. Borelia ; organizzazione di Fasciolites , ma a forma esterna glo¬ bulare e a palchi di cellette a forma tendente subcircolare. Sottogen. Checchiaites ; organizzazione di Flosculina , ma a forma esterna fusoide-cilindrica, con palchi di cellette tendenti ad ellissi allungata. - Il - — 138 — Schema esempio per la determinazione delle Alveolinidae. Caraiteri p r una prima suddivisione generale delle Alveolinide . Caratteri esterni. Alveolinide a forma globosa - Flosculina » » allungata - fasciolites. Flosculine senza risalto esterno della lamina calcarea - Borelia » con » » » » » Flosculina Fasciolite senza » » » » » Fasciolites » con » » » » » Checchiaites Caratteri interni essenziali per la determinazione 1). Alveolinide a lamina calcarea molto spessa » » » sottile Fasciolites a serie di palchi multipli » » » semplici Flosculine » » multipli » » » semplici » » » subcircolari Fasciolites - Flosculina - Fasciolites - Alveolinella - Fasciolites - Flosculinella - Flosculina - Flosculina ellittici o subcilindrici - Checchiaites a forma subcircolari - Borelia ellittici o subcilindrici - Fasciolites. Alveolinide non confrontabili con la chiave ; forme riunibili in un gruppo a parte, su cui applicare il metodo grafico relativo al rapporto dimensionale fra eguali numeri di spire e separabili Funo dall’altro a seconda i caratteri complessivi da essi presen¬ tati. A comprova applicare il grafico che si ottiene dalla serie dei valori ricavabili secondo lo Schwager. Genere Flosculina Stacke. Flosculina a nucleo tipico di Flosculina - serie di forme F. globosa » » » Fasciolites » » F. pasticillata ') Sono esclusi i sottogen. Eo alveolinella e Neoalveolina , sia perchè fa¬ cilmente riconoscibili, sia per quello che ho accennato al principio della Nota. — 139 — Checchiaites a nucleo tipico Flosculina - serie di forme F. daunica » » » Fasciolites » » F. agrigentina Serie di f. globosa a ultimi giri di Flosculina - Gruppo sp. globosa » » » » » Fasciolites » » n. n. » » pasticillata » » Flosculina » » pasticillata » » Fasciolites » » decipiens » » daunica » » Flosculina » » daunica » » » » # Fasciolites » » n. n. *) » » agrigentina » » Flosculina » » agrigentina » » » Fasciolites » » pillai N.B. - Per ogni gruppo specifico si riconerà poi alla scelta di altro carat¬ tere. che fer metterà di distinguere le varie iorme del gruppo, seguendo lo stesso sistema. Conseguentemente allo schema dato, si dovrà avere una serie di Flosculina a caratteri intermedi tra la sp. globosa , sp. n. n., sp. pasticillata e sp. decipiens , le quali devono rivelare anche un carattere di passaggio alle Fasciolites del sottogenere, Borelia ~). Queste forme di Flosculine non confrontabili con la chiave data, sono da raggrupparsi forse intorno alla Flosculina ciofaloi , dolioliforme , ecc., a seconda del loro rapporto dimen. sionale. Per questi gruppi quindi è necessario stabilire la pro¬ babile curva di variabilità , come ho mostrato innanzi , qualora non si riesce a trovare un carattere ben determinante. Altret¬ tanto si deve avere per la serie intermedia tra la Checchiaite s daunica , n. n., agrigentina e pillai. Anche questa serie inter¬ media mostra passaggio alle alveolinide del genere Fasciolites , e anche per queste quindi è possibile raggrupparle intorno alle Fasciolites del tipo Fasciolites crema , a seconda del rapporto dimensionale che potranno rivelare le curve di variabilità. ') Posto che potrebbe occupare la Fasciolites ellittica geheel geflosculi - niseerd raffigurata dal Bakx. Tra la sp. daunica e quella or ora citata vi de. v'essere una forma intermedia ed appartenente alle serie di forme della Flosc. daunica, il cui carattere potrebbe essere definito: "daunica a giri in prevalenza di tipo Fasciolites,,. Una di queste forme potrebbe essere la forma della fig. 16 della tav. Ili del Bakx, le figure del Nuttal (pars) Fasciolites ellittica, ecc. 8) Vedi per esemp. la Fasciolites ovicula geflosculiniseerde (fig. 12, tav. II del Bakx, Mi limito per ora solo a queste citazioni, dovendo l'argomento essere svi- uppato nel secondo contributo. — 140 — * * * In una prossima nota spero poter perfezionare e completare questo contributo alla classificazione delle forme alveolinide e di poter dare un quadro generale del sistema qui accennato in uno alla numerosa sinonimia che esiste per ogni data specie. Solo sistemando ciò potrà sorgere la possibilità di utilizzare al massimo le varie forme di alveolinide per gli scopi geologici. E cioè quando si potrà stabilire che lo stadio di una data specie d'alveolinide è comprensiva in un dato piano o livelli geologici,, ovvero le date alveolinidi sono limitati ad un determinato nu¬ mero di livelli stratigrafici. Si rende naturalmente evidente come tale fatto, unito alla determinazione delle Nummulitidi, possa stabilire un buon riconoscimento del Paleogene, ed in linea di massima del Cenozoico . Specchio riassuntivo sulla divisione delle Alveolinidi. Famiglia Alveolinidae . Gen. Fasciolìtes. Sottogen. Borelia » Neoalveolina (provvisorio) ’) » Eoalveoiinella (provvisorio). Gen. Flosculina. Sottogen. Checchiaites. Gen. Alveolinella. Gen. Flosculinella. ’) In base alle considerazioni svolte al principio della nota. Riassunto. Nella Nota sono presi in considerazione alcuni caratteri di va¬ riabilità delle Alveolinidi ed in base ad essi specialmente, si precisa e si giustifica l’istituzione della «Famiglia». Si dimostra inoltre la possibilità di tradurre in — quanti¬ tativi — i caratteri qualitativi allo scopo di tracciare dei grafici che permettono e rendono più evidente la distinzione di forme af¬ fini e dubbie. BIBLIOGRAFIA 1913. ALTPETER O. — Beitràge sur Anatomie und Physiologie von Alveolina. Neuen Jahrs. Stuttgart. 1869. Bayan F. — Sur les terrains de la Vénétie. Bull. Soc. Géol. France, serie II, 70, Paris. 1922. BOUCART J. — Les Confins albanais. Rev. de Géographie, tome X. 1800. 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Si rileva pure che l'andamento della Alv. varietà lepidula è quasi uguale all’andamento della linea della Alv. festuca. Finito di stampare il 3 novembre 1934. 27 26 25 24 23 22 2i 20 i9 18 fì 16 15 n i'5 12 li io 9 a 7 6 5 4 3 2 1 100 10 20 30 40 50 50 70 SO 90 200 ; 59 60 61 62 63 64r Incrostazioni calcitiche in vecchie grotte ca vate del socio Francesco Penta (Con la Tav. 2) (Tornata del 30 ottobre 1934) Non si hanno , a quanto io sappia , cenni , per lo meno espliciti sulle incrostazioni calcitiche , che talvolta si riscontrano sulle pareti e più spesso sui volti ( “ cieli „ ) delle gallerie che attraversano il “ tufo giallo „ del sottosuolo di Napoli L) e adia¬ cenze. Tali concrezioni si estendono anche per metri quadrati e raggiungono spessori di più centimetri fino a qualche decimetro, formando alFingiro delle fratture di permeazione dei costoloni spesso a drappeggio: quando poi tappezzano il volto delle grotte, dànno luogo anche a piccole stalattiti, siano pure di pochi cen¬ timetri. !) Vaste e spesse croste di calcite alabastrina notai , per es. , anche sul volto e sulle pareti della grotta attraversante il sottosuolo dell'abitato di Villa S. Stefano (prov. di Frosinone) in adiacenza alla zona di qualche decina di mq. crollata nell'aprile 1932, e che trascinò nella caduta il fabbricato su di essa poggiato. L’interessante qui, come a Napoli, è che le acque attraversano nella loro discesa terreni non calcarei, ma formazioni esclusivamente piroclastiche. Nel caso di Villa S. Stefano al disopra del " cielo „ della grotta , scavata in un tufo coerente, in corrispondenza delle incrostazioni v’è uno strato di appena 2-3 m. di tufi vulcanici incoerenti : va ancora notato che le acque superficiali stradali quivi si disperdevano liberamente nel sottosuolo. D’ altronde sono note le incrostazioni di CaCOs che si rinvengono nelle fratture delle lave e nelle cavità in genere esistenti nei prodotti del Somma. - 12 154 — Nelle ispezioni o durante rilievi topografici di sotterranei, mi è capitato di notare di simili incrostazioni ; mai però avevo osservato il fenomeno in atto. Perciò, quando durante il rilievo del sotterraneo in esame, potetti assistere allo stillicidio delle ac¬ que che producevano le incrostazioni, cercai di analizzare il mec- Fig. 1. canismo del processo; il quale a prima vista potrebbe sembrare strano, più che per il deposito, per la provenienza del CaO tra¬ sportato da acque attraversanti rocce esclusivamente silicate e senza tracce sensibili di CaC03. 155 — * * * Le grotte, nelle quali ho notato tali incrostazioni, fanno parte di una rete di gallerie di cave in sotterraneo abbandonate. Questa rete di sotterranei si sviluppa a Nord della strada delle Fontanelle, mantenendosi col pavimento ad un livello infe¬ riore a quello stradale ed inoltrandosi probabilmente anche al di là della strada detta " delle Catene alle Fontanelle „. L'ingresso diretto alle gallerie si trova nello spiazzo, non edificato, posto a sinistra entrando nel vicolo " S. Nicola alle Fontanelle „ ; altra verosimile via di accesso fu creata dai lavori di coltivazione di una cava con una fossa iniziata pochi anni or sono in adiacenza alla strada delle " Catene „ , attualmente però abbandonata ed in gran parte colmata. Durante questi lavori fu scoverto infatti il cielo di una gal leria (con andamento presso a poco E-O) facente parte proba¬ bilmente della rete sotterranea in esame. Intanto da circa un anno il passaggio dallo spiazzo sul Vico S. Nicola alle Fontanelle è stato chiuso: resta come unica possi¬ bilità di accesso la discesa attraverso le cantine della " Villa Al¬ iarla „ sovrastante ; la quale discesa però è ben lungi dal costi¬ tuire una facile entrata al sotterraneo. Come dalla unita planimetria 1), Fig. 1, si può rilevare, la galleria d'ingresso al sotterraneo è attraversata dal “ fognone,,, che, partendo da Piazza delle Fontanelle (A in pianta), si inoltra sotto la collina di Capodimonte; una prima caditoia in detto fo¬ gnone si può osservare poco a Nord dell'imbocco della galleria ed è segnata in planimetria con la lettera B. Incrostazioni. ì depositi in esame si riscontrano nei punti indicati con C e D nella planimetria; mentre in C è ancora attivo lo stillicidio delle acque incrostanti, in D non si nota più permeazione di acqua. ’) Il rilievo del sotterraneo l'estesi fino alla zona delle incrostazioni per poter riferire tale zona alla superficie esterna. 156 Questi depositi sono indicati localmente dal volgo col nome di “ ghiaccio „ , perchè il fenomeno incrostante, insieme con la temperatura fresca dell’acqua sgorgante, richiama alla mente di quei profani l'idea della congelazione, piuttosto che di una pre cipitazione chimica; processo quest'ultimo che ancora non è en¬ trato nella mentalità comune. Va subito notato che, come risulta dal rilievo da me ese¬ guito, mentre la zona del deposito C cade al disotto di un pozzo nero assorbente (vedi sezione MNO) e le relative acque incro¬ stanti attraversano una decina di metri di tufi grigi incoerenti del " 3° Periodo Flegreo „ , il deposito D capita nel fronte, pa¬ reti e platea di una traversa del sotterraneo, la quale si spinge fino a pochi metri dal “ fognone „ ed a pochi metri al disotto del suo fondo; le acque incrostanti di questa seconda zona (D) attraversavano cioè soltanto " tufo giallo Nella zona C l'acqua percola attraverso litoclasi (" scarpine „) del “ tufo giallo „ e sgorga a gocce sia dalle pareti, ove genera dei cordoni discendenti dì calcite £) , sia dal cielo, ove ha for¬ mato una crosta di vari metri quadrati di superficie ; le gocce cadenti dal “ cielo „ hanno incrostato e vanno incrostando il pa¬ vimento, che in questa zona è diventato completamente lapideo ed impermeabile. La nota più caratteristica del processo sta appunto nella maniera come il pavimento è incrostato e nel materiale origina rio, le cui superfici vanno coprendosi di concrezioni calcitiche. 11 pavimento infatti qui è costituito da materiali di rifiuto della demolizione di murature : dalle notizie assunte risulta che durante i lavori del “ Risanamento „ di Napoli, furono scaricati in queste grotte, una volta 1 2) quindi molto più profonde di quanto non siano oggi, calcinacci e detriti di tufo giallo, in mag gioranza. Ora tali materiali si sono rivestiti di una crosta a strati suc- 1) Le incrostazioni di CaCCh sono costituite da calcite, come ho potuto accertare con la reazione di Meigen. 2) Va ricordato che, indipendentemente dai discarichi posteriori , il pavi¬ mento dei sotterranei nel nostro " tufo giallo „ non riposa sul " tufo giallo ma sui riempimenti che d'ordinario si eseguono con il materiale minuto di risulta dalle coltivazioni adiacenti del sotterraneo stesso. — 157 — cessivi; ciascuno di essi strati presenta tessitura fibroso-parallela, ed è formato da calcite più o meno impregnata di idrossido di ferro, il quale ultimo imprime alle concrezioni una tinta giallastra (alla luce del giorno) ; le concrezioni poi si sono saldate fra di loro in più punti e sul fondo per costituire così un conglomerato ad elementi sempre a spigoli arrotondati e dalla superficie limite superiore pianeggiante, ma ricca di piccole cavità (di qualche de¬ cimetro quadrato di estensione e pochi centimetri di profondità), nelle quali si riuniscono 4) le acque che vi arrivano dall' alto in gocce più o meno frequenti. Le forme esterne che assumono le varie concrezioni sono delle più varie : si può affermare, senza tema di esagerare, che non si trovano due campioni eguali e ciò indipendentemente dalla forma originaria del nucleo incrostato. Nelle fotografie (Tav. 2, Fig. 1 e 2) possono vedersi alcuni di questi calcinacci incrostati disposti con la stessa giacitura che ave¬ vano nella loro sede ; alcuni di essi sono incrostati soltanto sulla superficie superiore, altri sono completamente inglobati nei depo¬ siti calcitici. Importante è notare come talvolta questi depositi determinano delle forme che possono ricordare gli oggetti più strani: così, per es., uno di essi simulava Y aspetto esteriore di una vertebra al punto di far pensare chi sa a che, se, spaccan¬ dola, non si fosse accertato che trattasi di una crosta di pochi millimetri deposta intorno ad un calcinaccio di forma qualunque. Altri simulano valve di molluschi, altri hanno superficie spugnosa, altri ancora aspetto mammellonare e così via * 2). Questa ricca congerie di forme concrezionate in fase di at¬ tuale formazione, costituisce pertanto ottimo esempio della neces¬ sità di essere molto guardinghi nella interpretazione di molte concrezioni, che si riscontrano in terreni geologici vari, come per es. quelli di FeS2 (più probabilmente marcasite) che si rin- 4) Per il prelievo di queste acque disposi dei recipienti di vetro sul pa¬ vimento nei punti ove cadevano con maggior frequenza le gocce d’ acqua : ciascun recipiente di 1 litro si riempì (nel periodo delle prove : marzo 1932) in sette giorni. Va notato che la goccia d'acqua non cade costantemente nello stesso punto, ma oscilla di circa 1 dm. intorno ad un punto medio. 2) La forma esterna della concrezione è dovuta alla variabilità di indole alternativa del punto di caduta della goccia. ■ 158 — vengono negli scisti silicei eocenici di Pago Veiano (prov. di Benevento *) e fra i quali alcuni veramente ingannatori. Prima di accennare alle relazioni intercedenti fra questi de¬ positi, le acque incrostanti, la loro origine ed i terreni attraver¬ sati, va ricordato che, mentre i depositi di questa zona C, ove l'azione incrostante perdura, sono scevri di polvere o d'altro in¬ quinamento superficiale, i depositi della zona D, del resto iden¬ tici ai primi, sono coperti da un velo grigio sporco fisso che,, penetrando per un certo spessore neH’interno della superficie, le rende un aspetto polveroso, visibile però alla luce del giorno. Filtrazione. Come già si è accennato , le formazioni di questi depositi si riscontrano in prossimità rispettivamente di un pozzo nero assorbente e del “ fognone Sarebbe stato interessante assodare quindi , con rigore di metodo , la provenienza del CaO, che in tanta copia le acque depositano o hanno depositato nelle due zone osservate, e l'eventuale contributo di CaO fornito dai ma¬ teriali attraversati nella “zona di ossidazione,, 2) ; come interes¬ sante sarebbe stato conoscere il grado di epurazione raggiunto dalle acque dopo attraversato il materiale filtrante, del quale con grande approssimazione erano riconoscibili potenza, natura ed altre caratteristiche. Tale studio avrebbe dovuto comprendere perciò : 1) l'analisi completa del liquido all'inizio della filtrazione,, in essa analisi compresa la determinazione del CO, libero o co¬ munque capace di reagire, oltre quello già combinato ; 2) lo studio dei materiali attraversati , la determinazione cioè dei vari materiali incoerenti, che sovrastano il “ tufo giallo loro grana e costituzione chimica ; 3) l'analisi completa dell'acqua sgorgante nella grotta. h A Nord dell'abitato, nella fiancata destra della vallata del Calore e pre¬ cisamente nella proprietà del Marchese Orlando. 2) Conservo qui il termine geominerario di " zona di ossidazione „ per la zona nella quale le acque superficiali ricche di O, COo ecc.. attaccano i ma¬ teriali, asportandone i prodotti resi in definitiva solubili, per depositarli poi nella zona sottostante - “ zona di cementazione „ - ove le condizioni d' am¬ biente fisico-chimico variano, fino ad invertire i processi. — 159 — Ma le ricerche iniziate appunto sulla base di questo pro¬ gramma furono interrotte dal nuovo fatto della chiusura del sot¬ terraneo ; debbo limitarmi perciò a comunicare i primi risultati ottenuti, i quali, benché incompleti , costituiscono sempre delle notizie sul processo particolare della filtrazione in esame. Stratigrafia dei materiali filtranti. (Vedi Sezione MNO della Fig. 1) I terreni attraversati dalle acque filtranti sono rappresentati superiormente dai " tufi grigi incoerenti del 3° Periodo Eruttivo Flegreo „ , i quali, come s'è detto, nella zona in esame raggiun¬ gono una potenza di mi. 8-r Q, ed inferiormente dal " tufo giallo del 2° Periodo Eruttivo Flegreo „ per uno spessore di mi. 18 circa. I tufi grigi incoerenti sono costituiti , come al solito, da al¬ ternanza di strati di pozzolane, di grana, aspetto e grado di costi¬ pamento vari, di sabbie e di pomici. Nelle parti inferiori di tale formazione incoerente, durante lo sbancamento di essa (in un punto a nord del fabbricato Al- laria) , ho riscontrato F intercalazione di due formazioni succes sive di materiale bruno-scuro fino a nero, plastico e sporcante, che insieme ad altri materiali hanno riempito un forte avvalla¬ mento nella superficie limite superiore del " tufo giallo „ , ada¬ giandosi nella concavità L) e seguendo talvolta con la loro stra¬ tificazione 1' andamento della concavità medesima (v. Fig. 2, e Tav. 2, Fig. 3). Di tali due formazioni l'inferiore fa parte effettivamente del riempimento della concavità nel tufo giallo e precisamente si presenta come uno strato scuro plastico sporcante di 7-8 cm. di potenza perfettamente orizzontale per un primo tratto (poi si ripiega in alto e si perde) , che s'adagia su una pozzolana gial¬ lo - brunastra, che si continua poi in basso come chiazze piuttosto l) Fra gli altri materiali accumulati nel fondo della concavità ho riscon¬ trato un pezzo di tufo giallo delle zone superiori ; il che conferma la verità già acquisita che i depositi del 3° Periodo Flegreo cominciarono quando già il " tufo giallo „ era completamente coerente. — 160 — lenticolari orizzontali diffuse nella stessa pozzolana ; al tetto di detta prima formazione si riscontra uno strato di pozzolana gri¬ gio-chiara. Fig. 2. — Cava di " tufo giallo „ alle Fontanelle (Napoli) nella proprietà Allaria (a via S. Nicola alle Fontanelle). Vista prospettica dei fronti di sbancamento e di taglio con gli strati di terreno vegetale (A, B e C) interclusi nel materiale piroclastico (D ed E), colmante una concavità del "tufo giallo,,. Il terreno superiore è posto a circa mi. 2.50 sul tufo (punto più basso), ha una potenza che da pochi millimetri va a qualche cm., è orizzontale e continuo (per un certo tratto e poi anche — 161 esso si scinde in più strati e si disperde) ed è compreso fra pozzolana fortemente intasata (“tasso,,) a muro, e pozzolana e- gualmente intasata con intercalati straterelli di sabbia fina, a tetto. il materiale costituente questi due strati risulta rappresentato da una massa pulverulenta, impregnata di sostanze organiche *), le quali la rendono, oltre che bruno scura, plastica e sporcante (perde facilmente l'acqua e con essa la tinta tipicamente scura , diventando del tutto sciolta) ; in questa massa sono disseminati detriti vulcanici vari , fra i quali prevalgono piccole pomici, schegge di vetro, frantumi di augiti, sanidino, plagioclasio, ma¬ gnetite e scaglie di biotite, oltre che piccole brandelli sempre a spigoli arrotondati di rocce vulcaniche locali. La massa pulverulenta (" scheletro „), che, fra l'altro, è anche impregnata di ossidi di Mn, al microscopio si rivela costituita da vetro vulcanico, pumiceo, minutamente suddiviso ed impre¬ gnato di colloidi organici ed inorganici (specialmente di idros- sidi di Fe) misto ad abbondanti frustoli di diatomee. Per quanto abbia insistito nella ricerca , non mi è riuscito rintracciare in questo materiale pezzi di carbone, benché a prima vista tutto l'aspetto di carbone presentino i piccoli detriti di scorie nere, tipo quelle di S. Maria del Pianto e che abbondano nel materiale in esame. Devesi perciò escludere che su questo terreno abbiano mai vegetato piante legnose e legnosette. Circa le diatomee, non è il caso più di indagare sull'impor- h Oltre la ricerca delle sostanze organiche (con l'acqua di barite, previa eliminazione del C02 dei carbonati e bicarbonati, con il permanganato e fi¬ nalmente con la colorazione bruna caratteristica del filtrato dalla soluzione in carbonato alcalino) è riuscita positiva anche la ricerca dell'ammoniaca ; è stata però riscontrata l’assenza di nitrati e di nitriti. Debbo qui ringraziare la signorina Doti Teresa Maresca, assistente alle •cattedre di Elettrochimica e di Impianti di Industrie Chimiche del nostro Isti¬ tuto, la quale gentilmente mi ha riconfermato questi risultati di ricerche chi¬ miche : risultati che permettono di definire con sicurezza come avanzi di ter¬ reno vegetale gli strati in esame. L’assenza dei nitrati, oltre che con la loro facile solubilità , è giustifica¬ bile con l'azione dei bacilli denitrificanti, i quali grande sviluppo dovettero 3-vere, non appena i primi arrivi di ceneri, colmando gli stagni o acquitrini, ne resero poco e poi niente areato il terreno del fondo. 162 — tanza o meno della loro presenza in rapporto specialmente alla età che gli strati vegetali potessero avere al momento del loro seppellimento, età che dovrebbe dedursi dalla presenza, fin qui accertata, di sole diatomee, visto che, contrariamenle a quanto si è per lo passato ritenuto in base ai lavori del Licopoli *) e del Comes 2), il Rossi 3) dalle sue constatazioni sui terreni vesuviani, logicamente deduce che non si può confermare "resistenza di una successione determinata qualsiasi, nel succedersi dello impianto di diversi tipi vegetali e molto meno delle classi e delle famiglie „ (pag. 12) e che " nel ripopolamento botanico delle lave e degli altri terreni sterili o sterilizzati, agiscono i ma¬ gisteri delle disseminazioni delle specie così come in qualsiasi altra località ecc . „ (pag. 14). Soltanto si può osservare che un certo periodo di tranquil¬ lità (di eruzioni vulcaniche) dovette verificarsi, perchè l'ambiente si popolasse di diatomee , visto che, come ha osservato il Lo Bianco 4) , anche le diatomee vengono soffocate non appena nel bacino , che le contiene , precipita una discreta quantità di cenere vulcanica. Questi due strati, pertanto, nonostante lo " scheletro evi¬ dentemente altissimo 5) , debbono interpetrarsi come due piani 6 Licopoli Q. — Storia naturale delle piante crittogamiche che nascono sulle lave vesuviane. Atti della R. Acc. Se, Fis. e Mat., Voi. V, N. 2, pag. 41-42, Napoli 1873. £) Comes O. — Le lave , il terreno vesuviano e la loro vegetazione. Lo Spettatore del Vesuvio e dei Campi Flegrei. Nuova Serie. Anno 1887, Napoli. a) Rossi G. — Il Vesuvio e la biologia. L' Italia Agricola, N. 11, Novem¬ bre 1928, N. 3 e 8, Marzo-Agosto 1929. In proposito vedi pure : Rossi G. e Riccardo S. — / terreni della regione del Vesuvio e la fis¬ sazione delVazoto. Atti IV Conferenza Internazionale di Pedologia, pag. 30, Roma, 1924, e : Rossi G. e Gesué G. — Di un nuovo indirizzo nello studio biologico del suolo. Annali di Tecnica Agraria, Anno III, fase. II, pag. 220, Roma 10 Aprile 1930 -VII. 4) Lo Bianco S. — L' azione della cenere caduta durante V eruzione del Vesuvio nell’aprile 1906 sulle specie commestibili marine. Atti R. Ist. d' In- coragg. di Napoli, serie VI, voi. Ili, Napoli 1907. 5) Lo " scheletro „ ancora altissimo è dovuto al breve tempo intercorso fra la eruzione dei materiali e lo sviluppo biologico realizzatosi fino all'istante — 163 — successivi di vegetazione (a bassa flora, con carattere piuttosto di stagni o acquitrini) *) , che interrompono le formazioni infe¬ riori (i primi 2-3 m.) dei depositi del 3° Periodo d'attività vulcanica flegrea. Nè questi strati di terra vegetale interclusi nei 11 tufi grigi „ incoerenti più profondi, sembrano una particolarità della zona in esame, chè anche all'Arenella, nel materiale di sco¬ verta di una cava di tufo a Cupa Gerolomini, rinvenni strati con aspetto simile ed in condizioni quasi identiche e che perciò met¬ terebbe conto di esaminare più dettagliatamente (v. Fig. 3). Tutto ciò starebbe a significare che l'attività vulcanica del 3° Periodo, specialmente al principio, dovette in uno o più mo¬ menti subire degli intervalli di riposo, siano pure brevi, ma suf¬ ficienti a lasciar iniziare la costituzione di terra vegetale, anche se limitato al rigoglio di sole specie inferiori ; delle quali, d'al¬ tronde, non restano tracce di forme, se non anorganiche, come i frustoli silicei di diatomee : intervalli che si successero anche nelle manifestazioni posteriori, come dimostrano gli strati di sabbie vulcaniche, ma evidentemente alluvionali, che si riscontrano fra i prodotti piroclastici superiori. E perciò tali strati, se riconosciuti in più punti della regione, ed accertati anche nei livelli superiori potrebbero costituire un riferimento per la suddivisione stratigrafica dei prodotti dell'atti¬ vità vulcanica del “ 3° Periodo „, oltre che un materiale interes¬ sante per lo studio dello sviluppo dei terreni agrari flegrei, visto del seppellimento degli strati stessi ; nè tanto alto contenuto di scheletro deve meravigliare dal momento che esso si mantiene ancora altissimo nei terreni agrari vesuviani della " zona alta „ e di buona parte della " zona pianeggiante come, sulla base di circa 100 analisi meccaniche e quasi altrettante chimiche, ha riscontrato il Bottini, al punto di osservare che per questi " terreni „ non si può parlare di terre nel vero senso " agrario della parola, ma piuttosto di « " rocce „ che hanno raggiunto un disfacimento più o meno spinto e che « sono diventate capaci di ricettare la vita solo per aver raggiunto una co- « stituzione meccanica adatta senza aver per nulla modificato la loro compo- « sizione chimica ». Vedi: Bottini O. — La Regione vesuviana. Studio chi- mico-geo-agrologico. La Zona Aita. Annali di Tecnica Agraria. Anno V, fase. V-VI, Portici 1932, e La zona pianeggiante. Annali della Sperimentazione Agraria. Voi. XII, Portici 1933. l) Balsamo, F. — Sulla Storia Naturale delle alghe d' acqua dolce del Comune di Napoli. Atti della R. Acc. Se. Fis. e Mat., Serie II, Voi. 1, n. 14, Napoli 1888. — 164 — che essi formavano piccole oasi in un deserto (di sabbie e ce¬ neri sterili) che s’estendeva per tutta l’area della conca campana, nella quale abbastanza dubbie erano la presenza e finanche la vicinanza dell’ uomo. Fig. 3. — Cava di " tufo giallo „ all’Arenella (Napoli) a Cupa Gerolomini, nella proprietà Varriale. Prospetto del fronte di sbancamento con gli strati di terreno vegetale (A, B, e C) interclusi nel materiale pozzolanico colmante una cavità del " tufo giallo „. A = primo straterello vegetale di 3 -f- 4 cm. di potenza poco più scuro del materiale incassante (" tasso „ e pozzolane grige). B = strato vegetale continuo di 7 -f 8 cm. (fino a 10 cm.) di potenza, lie¬ vemente ondulato con a muro pozzolana giallo-marrone. (Da questo strato furono prelevati i campioni). C — strato come B, ma discontinuo tanto che, immerse nel materiale pozzo¬ lanico del muro , si riscontrano piccole masse lenticolari (D) allungate orizzontalmente (di 4 -f- 5 cm. di potenza e di una decina di centimetri di lunghezza) dello stesso materiale C e B. Prima di chiudere questo cenno sui materiali incoerenti attraversati dalle acque filtranti, conviene richiamare una circo¬ stanza da me altrove constatata, e che può avere interesse, oltre 165 - che nella Geologia della regione, anche nell'Igiene Applicata, qua¬ lora, a proposito dei nostri terreni, si voglia definirne lo spessore filtrante sufficiente ad una completa epurazione delle acque. In¬ tendo accennare cioè al fatto che i litoclasi *) , che attraversano il “ tufo giallo „ , talvolta si continuano anche negli strati dei " tufi grigi „ incoerenti superiori, come ho potuto rilevare nelle " scoverte „ della cava di " tufo giallo „ a Cupa Gerolomini alla Arenella nella proprietà Varriale, già avanti cennata. Tale continua¬ zione di fratture però non è sempre ben visibile, in quanto che dette fratture sono molto strette e vanno chiudendosi compieta- mente verso le parti più alte: nella cava indicata queste fratture nei 11 tufi grigi „ si appalesavano nettamente soltanto quando il fronte di avanzamento dello scavo era parallelo alle fratture medesime. Ora, se da una parte ancora non è chiaro l'origine di que¬ ste fratture e cioè se esse si siano verificate contemporaneamente a quelle del sottostante “ tufo giallo „, il che non è probabile in considerazione specialmente dell'origine da tutti accettata dei li¬ toclasi del " tufo giallo „ 2), o si siano costituite per opera delle acque - le quali, chiamate verso le " scarpine „ del 11 tufo giallo „ si sono scavata una via anche a monte del tufo medesimo, - è invece indubbio che la presenza di queste più facili vie entro i banchi di tufi grigi incoerenti riduca sensibilmente 1' effetto fil¬ trante e quindi depurante dei banchi stessi : il potere filtrante dei quali, per lo meno nelle parti più profonde, non potrà per¬ ciò essere sempre commisurato semplicemente alla loro potenza. Nella regione delle incrostasioni tale continuazione di frat¬ ture nei “ tufi grigi „ non ho accertato, può darsi anche, in man¬ canza di tagli freschi condotti nelle volute direzioni, cui ho ac¬ cennato; ciò non esclude però che anche qui di tali superficie di facile decorso delle acque possano esistere. ’) Quelli verticali o quasi che localmente sono chiamati " scarpine ■) I litoclasi verticali del " turo giallo „ sono attribuiti alle contrazioni delle masse tufacee prosciugantisi ; la contemporaneità delle fratture nel " tufo gial¬ lo „ e della loro continuazione nei "tufi grigi,, sovrastanti importerebbe in¬ vece l’attribuzione di esse a dislocazioni tettoniche, posteriori ai " tufi grigi „ (per lo meno ai più profondi) che non sono state finora altrove riconosciute. Visibili invece sono nella collina dei Camaldoli faglie interessanti il " tufo giallo „ rilevate dal Dr. Alfredo Rittmann. - 166 - La potenza totale dei materiali incoerenti già indicata e lo spessore di essi interessato dalla filtrazione li ho accertati, ri¬ levando tutti gli affioramenti di “ tufo giallo „ della zona, com¬ presi in essi i sotterranei del caseggiato e tenendo conto di un cavo di assaggio eseguito nel punto F. Va avvertito però che la superficie limite superiore 4) del “ tufo giallo „ nella zona in esame presenta un andamento molto ondulato con valli e conche ripide al punto da aversi frecce di oltre dieci metri su estensioni orizzontali di poco più di una ventina di metri ; ed è perciò che nella zona tutta è difficile e spesso impossibile prevedere * 2) Y andamento della superfici limite, anche a poche decine di metri di distanza. Tale movimentato andamento non è però proprio della zona in esame, in quanto è comune in questa ed altre località; qui però è molto spiccato. Esame delle acque filtrate. Le determinazioni eseguite 3) sull' acqua sgorgante dalla grotta C hanno dato i seguenti risultati: C02 totale, in volume a p = 760 e t = 0° . 11,35 °/0 (determinata col metodo di V. Slyke e Cullen) cui corrisponde in composizione ponderale: C02 = g. 0,217 per litro 0 In generale la parte superficiale del " tufo giallo „ viene indicata con il termine di " mappamonte „ ; va però ricordato che ciò nonostante non trat¬ tasi della varietà di tufo, cui compete il nome di "mappamonte,,, che fu de¬ scritta ed inequivocabilmente definita dal Dell’Erba L. {Il tufo giallo napo¬ letano. Napoli 1923). Tale varietà nella zona in esame manca quasi del tutto, probabilmente perchè abrasa appunto con le incisioni delle valli e conche succennate. 2) È questo uno degli inconvenienti che presentano gli scavi del " tufo giallo „ in galleria, nei quali, se l'operaio addetto allo avanzamento del " cie¬ lo „ non è più che sensibile al suono, fora il cielo, mettendo a nudo i " tufi grigi „ incoerenti con pericolo specialmente della sicurezza avvenire del sot¬ terraneo. 3) Le determinazioni, delle quali qui riporto i risultati, furono eseguite da mio fratello, Dr. Pasquale, Assistente presso la Clinica delle Malattie Mentali e Nervose della nostra Università. — 167 — K (determinato col met. di Kramer e Tiisdall) cui corrisponde K2 O = Ca (determinato come per il K) cui corrisponde CaO = CI (determinato col metodo di Vohlard) NH3 (determinato col reattivo di Nessler) Solfati terrosi . alcalini . Sostanze organiche: ossigeno necessario all’os- sidazione . Fosfati g. 0,182 per litro „ 0,218 „ u 0,225 „ „ 0,315 „ „ 0,360 I assente tracce abbondanti scarsi mg. 1 per litro. Nelle culture allestite, oltre rari germi banali, si riscontrò la presenza di germi acidificanti i terreni speciali di Endo e Dry- galski — Conradi. Tali constatazioni non sono però sufficienti a ritenere l'acqua sgorgante batteriologicamente non pura, anche se si astrae dalle condizioni del prelievo, le quali, benché molto accurate, non potettero essere tali da escludere la probabilità di inquinamenti; visto che le acque furono raccolte in recipienti poggiati sul pavimento, in modo cioè che le acque stesse, prima di arrivare nel recipiente sterilizzato, dovevano attraversare l'atmo- sfera. del sotterraneo; la quale atmosfera, d’altronde, benché sensi¬ bilmente inquinata dai gas esalanti dalla fogna (la quale fra l'altro ha una luce aperta nel punto E del sotteraneo) non può certo normalmente contenere in sospensione batteri asportati dal li¬ quame cloacale. Conclusioni sulla filtrazione. Se questi risultati si pongono in confronto con quelli delle analisi eseguite su acque di fogna e precisamente con i risul¬ tati, che appresso riporto, delle analisi delle materie disciolte in un liquame cloacale a sistema promiscuo , si nota che le acque sgorganti nella grotta C rivelano un alto grado di purificazione. Dal punto di vista dell'eventuale azione chimica del liquame filtrante sui terreni attraversati va osservato che , mentre il con¬ tenuto di CI rientra largamente fra i limiti di contenuti normali, — 168 - quelli di CaO e di K20 eccedono sensibilmente i limiti mas¬ simi riportati nella Tabella seguente. L’eccesso però non è tale da costringere a ritenere che ad arricchire l'acqua filtrante, specie in K20, abbiano dovuto necessa¬ riamente contribuire i materiali alcalitrachitici (tufi grigi incoerenti e " tufo giallo „ ) attraversati. Contributo, che, se è possibile grazie alla facile disgregabilità del sanidino sotto l'azione delle acque cariche di C02, non sarà provato, se non dopo accertato un minor contenuto iniziale di K20 nel liquame del pozzo nero assorbente in esame. Risultati di 156 analisi di acque di fogna di varie città : in milligrammi per litro (vedi : Macé E. et Imbeaux Ed. - Hygietie des Villes. Traité d’Hy- giene, voi. XII, pag. 126, Parigi 1910). Materie in sospensione fVÌ ; b t. e r i & < d i S C i < z> 8 t e minerali organiche azoto contenuto nelle materie organiche totale materie organiche (perdita al fuoco) azoto delle materie organiche azoto ammoniacale acido fosforico potassa calce magnesia acido solforico cloro acido nitrico azoto totale Massimo 382 1 806 45 2794 589 59 89 43 180 232 21 326 715 0.03 183 Medio 271 445 41 1161 365 24 67 26 89 122 19 114 252 0 107 Minimo 86 200 38 1 722 161 11 53 19 44 77 14 24 30 0 91 Napoli, Gabinetti di Geologia Applicata e di Arte Mineraria del R. Istituto Superiore di Ingegneria.- Giugno 1934. - XII. — 169 — Riassunto. Si segnalano ed esaminano alcuni tipici depositi calcitici, che vanno incrostando il volto, le pareti ed il pavimento di un sotterraneo abbandonato attraversante il « tufo giallo » e che ha imbocco dal vico S. Nicola alle Fontanelle (Napoli). Senza escludere che anche le acque comuni superficiali producano simili incrostazioni, si attribuiscono i depositi in esame ai sali già disciolti nelle « acque luride» di un pozzo nero assorbente e del « fognone», le quali acque trasportano le solu¬ zioni attraverso le fratture («scarpine») del « tufo giallo » . Si segnala inoltre, per incidenza, il caso riscontrato di fratture del « tufo giallo», che si continuano nei materiali grigi del 3° Periodo sovrastanti ; si comunica quindi il rinvenimento di piccoli strati di terra vegetale intercalati nelle dette formazioni del 3° Periodo e si dà qualche cenno infine sulle particolarità dell’andamento altimetrico della super¬ ficie limite superiore del «tufo giallo». - 13 - — 170 — Spiegazione della Tav. 2. Fig 1. — Detriti di tufo e di calcinacci, i quali rivestiti di croste calcitiche, hanno assunto forme esterne caratteristiche. Circa 1/3 del vero. „ 2. — Detriti di tufo e di calcinacci, i quali, rivestiti di croste calcitiche, hanno assunto forme esterne caratteristiche. Circa 1/4 del vero. „ 3. — Cava di " tufo giallo „ alle Fontanelle (contrada " Catene „ nella propr. Allaria), vedi pure Fig. 2 nel testo. Fronti di sbancamento e taglio con T andamento della superficie limite superiore del " tufo giallo „ e le sue concavità. A destra, ove è l'uomo sulla scala, si vede il punto, donde fu prelevato il materiale riconosciuto come terreno vegetale. Finito di stampare il 20 novembre 1934. Forme di erosione eolica nei Campi Flegrei. Nota II del socio Francesco Castaldi (Con la Tav. 3) (Tornata del 13 aprile 1934) Durante le mie passeggiate a scopo scientifico nei Campi Flegrei, hanno destato in me vivo interesse numerose forme di incisione alveolare sulle pareti dei vari apparati vulcanici, sia di tufo giallo, sia di tufo grigio e persino su cupule costituite da roccia trachitica. Di alcune di queste incisioni osservate sulle pareti interne di porto Miseno ho già riferito in un altro arti¬ colo *); nella presente comunicazione ho cercato di estendere la indagine a tutti i Flegrei. Fonte principale di studio per questa ricerca è la Memoria del Dainelli e Marinelli * 2), ove sono riferite le indicazioni da- teci, per ordine cronologico, da molti scrittori. Così il Beck 3) nota alcune sculture alveolari sulle pareti verticali d’ arenaria cretacea della Svizzera Sassone e ne attribuisce Torigine al di- sfaciamento meteorico. Il Walter 4) e posteriormente il Kayser riproducono una figura del Gilbert, rappresentante simili forme su alcune pareti arenacee dell’ Arizona ; ma il primo considera queste sculture alveolari comuni nelle arenarie e nei calcari delle h Castaldi F. — Forme di erosione eolica nei Campi Flegrei. Rivista di Fisica, Matem. e Se. Natur., Vili. 3) Dainelli G. e Marinelli O. — Sculture alveolari in arenarie ecc. Meni. Geogr. di G. Dainelli, N. 32, (1916), p. 289 e sgg. 3 ) Beck R. — Ueber die corrodirende 'Nirkung des Windes Quadersand- stein-Gebiet der Sàchsischen Schweiz. Zeitschr. Geol. Ges., 1894, p. 537 e sgg. 4) Walter J. — Das Gesetz der Wiistenbildung in Gegenwart und Vor- zeit , Berlin, 1900, tav. fig. 12. — 172 — regioni a clima desertico, e le accosta ai gruppi di cavità a forme differenti che si osservano nei graniti, mentre il secondo le crede di origine eolica. Il Ratzel *) accenna a queste sculture nelle regioni deser¬ tiche e le pone in relazione * 2) con la formazione di una crosta indurita superficiale , anche in regioni non desertiche , che si conserverebbe parzialmente, mentre la parte sottostante sarebbe erosa dalle intemperie. Altri esempi nelle arenarie variegate dei Vosgi sono riferiti dall' Haug 3) ; in quanto all' origine aderisce più o meno a quanto aveva detto il Ratzel. Il De Martonne 4) , che riporta una figura rappresentante erosioni eoliche del tipo delle prece¬ denti che si osservano nelle rovine di Beaux in Provenza, avverte che sono simili a quelle delle pareti rocciose dei deserti e le pone in rapporto col disfacimento meccanico causato dalla forte inso¬ lazione e da una rapida e violenta escursione diurna. Ma più innanzi attribuisce gli alveoli alla deflazione 5). Anche notevoli sono le forme di disfacimento della arenaria cretacea di Tyssa in Boemia, di cui parla il Lozinski 6) , a somiglianza di una spugna. L'autore mentre pone in relazione questi alveoli con la struttura dell'arenaria, affaccia 1' ipotesi che siano causate dalla caduta di qualche ciottoletto incluso. Delle stesse sculture alveolari e della medesima regione parla, ponendole in dipendenza con la struttura della roccia, il Petrascheck 7), mentre 1' Obst 8), riferendosi a tali forme su- q Ratzel F. — Die Erde and das Leben. Voi. I, Lipsia, 1901, pp. 491-92, -) — — Ibidem, p. 515. а) Haug E. — Traité de Géologie I. Les phénomenes géologiques, Paris, 1907, p. 378. 4) De Martonne E. — Traité de Géographie phisique. Paris, 1909, tav. 32, fig. B, p. 653. 5) — — Ibidem, p. 654. б) Lozinski W. — Ueber die mechanische V erwitterang der Sandsteine im gemdssigten Klima. Bull. Ac. Se. de Cracovie. Class. Se. e Mat., Gennaio 1909, p. 5. 7) Petrascheck W. — Die Oberjlàchen and Verwitterangsjormen im Kreidegebiet von Adersbach und 'Nekelsdorf. Jahrb. d. K. Geol. Reichsans- talt, 1908, III, p. 616 e sgg. 8) Obst E. — Die Oberflàchengestaltang der schlesisch-bòhmischen Krei- de-Ablagerungen. Mitteil. Geogr. Ges. in Hamburg, XXIV, 1909, p. 85 e sgg. - 173 — perficiali dei terreni cretacei della zona montuosa fra la Slesia e la Boemia, pensa che 1’ attuale disfacimento meteorico abbia un' azione poco intensa e che piuttosto sia da ritenersi conse¬ guenza di un clima assai più arido dell’attuale , durante il pe¬ riodo diluviale. Altre sculture alveolari nell'arenaria rossa eocenica di Giulfa sull'Arasse nell'Armenia sono state personalmente osservate dal Frech *) e da lui poste in relazione con le croste silicee che si formano sulle rocce nei climi desertici; assai particolareggiato è, invece, lo studio del Cayeux 2) su queste forme nell' isola di Deio, sviluppate in gneiss e graniti e limitate alla costa set¬ tentrionale ed a quella orientale dell'isola maggiore e a Chero- neso. Come nella maggior parte delle erosioni nei Campi Flegrei anche queste si estendono dal livello del mare all'altezza di circa 20 metri su questo, ma sempre al disopra della linea battuta dalle onde. Le dimensioni degli alveoli sono variabilissime e la profondità è spesso maggiore della larghezza. Circa la origine, il Cayeux crede che siano dovuti soltanto ad un processo di di¬ sgregazione meccanica col contributo delle alternanze di tempera¬ tura e di imbibizione e disseccamento della roccia, con formazione di cristallini di sale nei pori. In Liguria (Riviera di Levante), in vicinanza della Punta del Mesco, 1' Issel 3) ha notato che in vicinanza di un banco di arenaria la superficie della ripa marina, fino ad una altezza di 30-35 metri, si mostra gremita di piccoli alveoli emisferici e ci¬ lindrici, diretti orizzontalmente dall'esterno all'interno da lui de¬ nominati “caldaie dei pigmei,,, e mette a confronto con altre erosioni a ponente di Colle Ligure (Savona) e Capo di Sant'Am- pelio (Bordighera). Sarebbero state originate, come scrive l'Autore, dall'azione erosiva dei vortici di acqua, suscitati dai moto ondoso sopra una roccia arenaria. Come indizio di clima desertico considera 1' Hògbom 4) le b Frech F. — Aus der Vorzeit der Erde. V. Steinkohle, Wiiste und Klitna der Vorzeit. II ed., Lipsia, 1911, p. 55. 2) Cayeux L — Description physique de Vile de Délos. Paris, 1911. 8) Issel A. — L evoluzione delle rive marine in Liguria. Boll. Soc. Geogr. Ital., 1911. 4) Hògbom B. — W ustenerscheinungen auf Spitzbergen. Bull, of thè Geol. Institut of thè Univ. of Upsala, Voi. XI, 1912, p. 249-251. 174 — forme alveolari nello Spitzberg e più precisamente nell' isola Axels, allo sbocco del Belsund, al Capo Conwentz nel golfo Braganza e nella Advent Bay, sempre in arenarie in vicinanza del mare o a contatto del suolo salato ; onde egli crede neces¬ sario Tintervento di soluzioni marine. Esclude, invece, l'influenza del mare sulle incisioni alveolari il Negris *), il quale riferisce che un'antica torre, costruita di scisto cristallino, nell' Isola di Sifno , presenta assai accentuata l'erosione alveolare in tutta la superficie esterna, specie verso mezzogiorno ed oriente. La torre è situata a 234 m. sul mare, dal quale dista qual¬ che chilometro, e lo stesso fenomeno si presenta parimenti svi¬ luppato sulle rocce della costa, superiormente al livello di m. 10, avanti il porto di Faro, in un promontorio scistoso della mede¬ sima isola. Durante un viaggio del 1905 nella Colonia Eritrea , il Dai- nelli e Marinelli * 2) osservarono un caso tipico di scultura al¬ veolare nell’altipiano arenario dell'Acchelè Guzài. Ivi le sculture si presentano su pareti verticali e le dimensioni delle cavità sono varie, e addossate l'una all'altra in modo da far pensare ad un graticolato irregolare senza alcuna corrispondenza con la strati¬ ficazione; il diametro è inferiore a un decimetro. Uno di essi, nel 1912, ebbe modo di osservare in una parte della regione arenacea dell'Arizona, fra tipiche e notevoli forme di disfaci¬ mento dovute alle intemperie, alcuni esempi di sculture alveolari che già richiamarono l’attenzione del Gilbert , di forma subcir¬ colare in quelle poco sviluppate, quadrangolare in quelle maggiori, in pareti verticali o addirittura a strapiombo. A tal proposito, osservano gli AA. che quelli alveoli fan pensare alle condizioni speciali e localizzate della roccia. Lungo la costa toscana, fra Livorno e Castinglioncello, nel tratto a mezzogiorno della torre di Calafuria , le rupi arenacee *) Negris Ph. — L'érosion alvéolaire dans V espace et dans le temps . C. R. de la Soc. Géol. de France, n. 1-2, 1915, p. 15-16. 2) Dainelli G. e Marinelli O. — Di alcune grotte nella Colonia Eritrea. Estr. "Mondo Sotterraneo,,, V, 1909, p. 4, tav. 1, fig. B., Risultati Scientifici di un viaggio nella Colonia Eritrea. Pubbl. R. Istit. di Studi Sup. in Firenze, 1912, p. 58-59, tav. V, fig. B. — 175 — in vicinanza del mare presentano così evidente il fenomeno delle incisioni alveolari, da far meritare a quella località il nome di " Sassoscritto „. Il Dainelli e Marinelli l) osservano che gli al¬ veoli non sono ovunque ugualmente addensati, perchè talvolta sono separati da spazi intatti, mentre altre volte sono così addos¬ sati che restano esili setti fra l'uno e l'altro. Le cavità più fitta¬ mente costipate sono di dimensioni minori, con contorno più regolarmente tondeggiante e meno profonde: le altre, di figura più irregolare, si spingono profondamente nella roccia. Gli Autori annotano ancora che sembra per nulla aver influito sulla forma, disposizione e frequenza degli alveoli, l'orientazione e le inegua¬ glianze di struttura visibili nella roccia. Non si ha, quindi, motivo di credere che i setti intatti tra alveolo e alveolo siano formati di roccia più resistente di quella che ne costituisce il fondo. Indicazioni di alveoli, per superfici limitate, nei Campi Fle- grei, sono date, in ordine cronologico, dallo Zambonini, dal D'Erasmo, e recentemente dal Penta. 11 primo 2) descrive queste forme di erosione nella trachite fonolitica di Cuma, in una larga parte del lato settentrionale, mentre nel versante occidentale appaiono limitate solo ad alcune porzioni di roccia. Il D'Erasmo 3), in un suo pregevole lavoro sui crateri di poz¬ zolana nei Campi Flegrei, discutendo dell' importanza delle forze esogene sul modellamento degli apparati vulcanici, scrive: “ Più appariscente è invece l'azione combinata del vento, che porta e fa battere con forza le goccioline d'acqua, sia marina che pluviale, contro le rocce che si trovano presso la costa o lungo i pendìi, e delle alternanze di temperatura a cui esse vanno soggette quando vengono ora bagnate dall' acqua e ora disseccate. Si formano così, in rapporto con le diverse condizioni di resistenza che offrono le masse rocciose, tanto laviche che tufacee, nelle loro singole parti, superfici svariate e strane di b Dainelli G. e Marinelli O. — Sculture alveolari nelle arenarie ecc . cit. p. 299 e sgg. 2) Zambonini F. — Fenomeni di erosione nella trachite fonolitica di Cuma. Annali R. Oss. Vesuviano, Ser. Ili, voi. II, 1925, p. 127 e sgg. 3) D’ Erasmo G. — / crateri della pozzolana nei Campi Flegrei. Atti R. Acc. Se. Fis. Matem. di Napoli. Voi. XIX, Ser. II, n. 1, p. 48-49 dell'Estratto. — 176 — degradazione meteorica, più o meno profondamente cariate. Sculture alveolari caratteristiche, quasi a maglie rotondeggianti ovoidali o allungate, che danno un aspetto bucherellato alla superficie rocciosa, si osservano, per esempio, nella rupe di tratiche fonolitica di Cuma, sul lato occidentale che guarda il mare; ed alveoli più o meno grandi, di solito ben separati l'uno dall’altro, si riscontrano tanto nei tufi grigi e gialli della stessa rupe di Cuma, quanto in quelli che affiorano nei diversi punti del territorio da noi esaminato, e cioè alla Sella di Baia, nelle varie cave, ed ancora lungo la costa orientale, dalla punta di Cannito al Castello , e poi qua e là nel golfo di Baia , e pure più a nord, dalla punta dell'Epitaffio al monte della Ginestra.... Se questi sono i più visibili effetti delazione che l’atmo¬ sfera esercita sulle rocce costiere delle nostre zone, non va di¬ menticata quella, prevalentemente meccanica, che essa manifesta sia con lo spirare dei venti, che mediante l'acqua di pioggia, sulle ceneri e sui mobili detriti superficiali, spostandoli lungo le linee di maggiore pendenza,,. Recentemente il Penta l) in suo studio sulla trachifonolite cupolare del cratere di Quarto, fa parola di sculture alveolari sulla superficie del fronte di questa cupola trachifonolitica, sculture che ricordano quelle osservate dallo Zambonini nella trachite fonoli¬ tica di Cuma e quelle da me osservate sul fronte della cupola trachitica dell'Olibano. A tal proposito l’A. afferma l’eguaglianza petrografica delle due rocce, quella di Cuma e quella di Quarto, eguaglianza che coinciderebbe con le altre formazioni simili dei Campi Elegrei, come, per es., secondo le vedute del Rittmann, con quella dell’Olibano. Se nei riguardi della trachite di Cuma, lo Zambonini richia¬ mava la terza delle condizioni (deserti, alte montagne, litorali), indicate da Dainelli e Marinelli come particolarmente adatta a provocare il disfacimento meccanico delle rocce, per spiegare la causa delle erosioni alveolari da lui descritte, cioè l'intensa azione erosiva delle gocce d’acqua marina sollevate dal vento e battute x) Penta F. — Studio pirografico sulla trachifonolite cupolare e sul banco di breccia di Quarto (Campi Flegrei). Annali R. Oss. Vesuviano, Ser. IV, voi, lì (per gli anni 1929-30), Napoli 1931, p. 235-260. — 177 — con forza contro la roccia , questa non può ritenersi causa ef¬ ficiente delle sculture sul fronte lavico di Quarto, data la grande lontananza del mare. È più evidente, invece, la relazione fra l'erosione e l'azione mineralogica per la presenza della sodalite, “ di cui, più che la disgregabilità molecolare stessa, addirittura la facile asportabilità della molecola NaCl è una diretta conse¬ guenza della struttura molecolare stessa, del reticolo spaziale cioè, quale lo ha potuto accertare il Pauling, secondo cui la mo¬ lecola alitica riempie soltanto gli spazi delle maglie già com¬ pletate dalla costituzione della molecola (Al0 Si6 024) Na6, senza che perciò 1' NaCl sia legato comunque ad atomi della cellula unitaria Ecco finora quanto è stato detto nei riguardi dell'erosione alveolare nei Campi Flegrei. Vengo ora alle mie osservazioni personali. 1) Erosioni nei tufi di porto Miseno i). — È questo il centrale dei tre apparati vulcanici situati all' estremo limite del golfo di Napoli, “ a nord e a sud del quale rispet¬ tivamente si attaccano i crateri di Bacoli e di Capo Miseno. L'orlo del cono craterico di questo ultimo si eleva a 168 ni. sul mare, mentre quelli dei crateri di Porto Miseno e Bacoli non superano i 40 m., in guisa che tra il cono di Capo Miseno e quello in cui si apre il cratere distoma dei Fondi di Baia par quasi che intercorra un' unica depressione, nella quale tra gli specchi rilucenti del mare vivo e del mare morto, a mala pena si abbozzano i tenuti e pittoreschi rilievi che cingono il Porto di Miseno e le case di Bacoli „ 2). Le forme di erosione da me notate si riscontrano essenzial¬ mente nel tufo giallo, mentre nel tufo grigio noto in massima parte gli effetti del ruscellamento delle acque piovane, che di¬ scendono dalla sommità delle colline e si abbattono direttamente contro le pareti delle rocce. Infatti, nei crateri di Miseno, il tufo giallo costituisce la massa fondamentale, come in un gran nu- f) Castaldi F. — Op. cit. 2) De Lorenzo G. — I crateri di Miseno nei Campi Flegrei. Atti R. Acc. Se. Fis. Mat. di Napoli, voi. XIII, Ser. 2, n. 1, p. 5 dell'Estratto. - 178 — mero di apparati Flegrei, cioè in tutte le colline tra Capodimonte e Posillipo e nella zona che si estende sulla sommità e sulle pendici settentrionali dei Camaldoli ; ricompare ancora nel mae¬ stoso cratere del Gauro, in quelli già citati di Miseno, qua e là presso Cuma e intorno alla pianura di Quarto, a Pozzuoli, a Bagnoli, nel Monte di Procida, nel minuscolo vulcano di Santa Teresa ed in quello insulare di Nisida. Il tufo grigio, composto di materiali incoerenti, ammanta il tufo giallo, spesso in istato di erosione avanzata da parte degli agenti esogeni, mentre co¬ stituisce la parte essenziale dei crateri più giovani cioè di quelli del terzo periodo delle eruzioni flegree. Nei vulcani di Miseno, il tufo giallo affiora sul mare alla base della rupe delle Cento Camerelle, quindi, eroso dal cratere di Bacoli, soccombe alla massa di tufo grigio. Nel Porto di Miseno, il tufo giallo ricom¬ pare nella parte interna della Pennata e nella rimanente costa che si estende da Punta Scarparella fino a punta Terone, sot¬ toposto al tufo grigio ; quindi si erge nella grande massa del Promontorio di Miseno. Tanto il tufo giallo che il grigio hanno una stratificazione ben distinta, ma concordante l’un V altra ed hanno anche somiglianza di materiali. Precipua differenza è nel colore e nella coerenza, che nel primo è compatta ed abbastanza tenace, nel secondo è disciolta. Nè la costituzione mineralogica delle due specie di tufo è dissimile : infatti, in entrambi, la massa fondamentale è costituita da un impasto di ceneri e po¬ mici trachitiche, in cui sono sparsi altri elementi, quali cristallini di feldspati, di augite, di biotite, magnetite, opalite, e piccoli lapilli. L’elemento fondamentale, dunque, è dato dalle pomici formate da vetro chiaro, bolloso e filamentoso, disciolte nel tufo grigio o cementate nel giallo. Specie nella massa di tufo grigio si notano pomici di di¬ mensioni maggiori, ma della stessa natura delle piccole. Notevoli sono, nel Porto di Miseno, le inclusioni nel tufo giallo e grigio di scorie trachitiche, che, attraversando una lunga scala di di¬ mensioni, variano dalla piccolezza di lapilli alla grandezza di bombe di circa un volume di mezzo metro cubico. Che i fenomeni erosivi eolici siano più frequenti ed evidenti nelle masse di tufo giallo è facilmente spiegabile, avendo pre¬ sente la maggiore coerenza di questo rispetto al tufo grigio, 179 — che, per la sua incoerenza e mollezza, è più facilmente asportato dal ruscellamento delle acque dilavanti; tuttavia, anche nel tufo grigio, ho notato forme di erosioni eoliche, specie sulla parete che scende a strapiombo nel Porto di Miseno , appartenente al cratere di Bacoli, alla cui base è scavata la Grotta dello Zolfo. Queste cavità hanno un contorno esterno variabilissimo, ora rotondeggiante , ora ovoidale, o allungato, che ricorda quelle notate dal D'Erasmo sulle pareti della Sella di Baia, o addirittura un contorno del tutto irregolare. Anche le dimensioni sono variabilissime; vi sono sculture del diametro di 3-4 centi - metri, mentre altre raggiungono il diametro di 40-50 cm. ; ve n' è qualcuna del diametro di persino m. 1,60. Non mancano quindi, tutte le dimensioni intermedie. Anche le profondità sono variabili da cm. 4 ll2-5 a cm. 50-60 e persino di m. 1,80. Molto spesso in una cavità se ne sono formate delle altre, o se ne son formate alcune così vicine che il setto intermedio è andato distrutto, per cui è venuto fuori un alveolo di propor¬ zioni molto più grande e di forma irregolare. La superficie interna degli alveoli talvolta è scabra e vi sporgono frammenti di scorie trachitiche più o meno resistenti. Nella parete N, ancora appartenente al cratere di Bacoli, si notano precipuamente alcune infossature a pareti abbastanza liscie ed internamente ad angoli quasi retti, seguenti V inclina¬ zione degli strati. Anche qui le dimensioni sono molto varie, come quelle precedentemente descritte. È da notarsi anche in queste incisioni longitudinali alcuni alveoli dovuti ai distacco di proietti trachitici, che il vento, la salsedine e l’insolazione hanno lentamente estratti dalla parete tufacea in cui erano intrusi. Notevole è il parallelismo con cui sono allineati questi proietti. A proposito di forme consimili il D'Erasmo l) scrive : " Se nella lava trachitica flegrea queste forme di erosioni dipendono in generale da speciali esalazioni di sostanze gassose del magma, che resero la roccia ove più, ove meno resistente, nei tufi gli alveoli o i vacuoli rappresentano il più delle volte, lo spazio occupato da inclusi diversi, che la !) D’Erasmo G. — Op. cit., p. 48 e sgg. — 180 - degredazione meteorica finì con lo staccare della massa inglo¬ bante, ingrandendo le cavità in tal modo originatesi Interessantissime ancora altre forme erose sulla parete SW della penisoletta terminante con la Punta Pennata. Oltre le in¬ cisioni longitudinali già notate, destano vivo interesse altre forme somiglianti a degli uncini, ma di proporzioni molto ampie, che dimostrano chiaramente l'effetto delle violenti raffiche che si ab¬ battono frequenti sulla roccia. Notevoli gli effetti del ruscella- mento sul tufo grigio che , trasportato via dalle piogge , segue la traccia, sul tufo giallo, delle acque dilavanti che confluiscono nel mare. Continuando a percorrere il piede della rupe in di¬ rezione di Punta Pennata, si nota una superficie abbastanza este¬ sa, ricca di sculture alveolari. Si hanno negli alveoli gli stessi caratteri già descritti. Man mano che le pareti di divisione fra gli alveoli sono abrase, questi si uniscono insieme in un unico vacuolo più grande, ma di forma più irregolare, in cui appena si scorgono le tracce dei setti che costituivano gli alveoli primitivi. E pro¬ cedendo ancora in direzione della Pennata, gli alveoli si susse¬ guono con le forme di ruscellamento nel tufo grigio che, talvolta seguendo il deflusso delle acque, ricopre l'orifizio degli alveoli stessi. Altre forme di erosione si osservano procedendo sempre più oltre: distrutta una parte delle rocce più friabili, la denuda¬ zione ha risparmiate delle pile di tufo, che hanno opposto una maggiore resistenza : fra queste ve n'è una che suscita maggiore interesse : erosa all'intorno fin quasi a prendere forma di corpo avanzato, lascia scorgere sulla superficie anteriore rivolta al mare e quindi al soffio demolitore del vento, una serie di alveoli, che con le loro incisioni, costituiscono, vorrei dire, un ornamento, una specie di tappeto naturale. Infine nuove forme di incisioni longitudinali e di alveoli nel tufo giallo, con evidenti effetti di ruscellamento nel tufo grigio, concludono la serie delle erosioni nella penisola di Pennata. Simili vacuoli nel tufo grigio e nel tufo giallo si notano sulla parete della penisoletta della Scarparella, ove il tufo giallo pre¬ senta ancora delle forme di incisioni longitudinali, che in alcuni punti rendono evidentissima la linea di sovrapposizione del tufo grigio. Interessante è l’erosione, da parte dei venti, della testata 181 meridionale della Scarpella, che ha assunta una strana forma, rassomigliante per alcuni tratti ad una testa di tigre. Scarse forme erosive e di poco interesse presenta la parete della pe¬ nisoletta Terone. 2) Cratere di Torregaveta. — Questo antico cra¬ tere 4) oggi è in gran parte demolito dal mare; se ne indi¬ vidua bene parte della cerchia a NE e ad E e culmina a 145 m. col M. Grillo. È costituito essenzialmente di tufo giallo, mentre nella parte basale compaiono le “ brecce museo „, cioè strati di costituzione varia, rappresentati da ceneri, lapilli, pomici, ossidiace, di carattere breccioso e conglomeratico più o meno grossolano. Poco oltre Punta di Torre Fumo, ove termina con una modesta banchina la rotabile che proviene dal centro di Monte di Procida, il mare ha formato una breve spiaggia, detta 11 Acquamorta delimitata ad E da una ripida parete montuosa, che s'eleva per circa 90 metri sul livello marino. Su questa le incisioni alveolari sono frequenti. Alquanto più rade di quelle della Penisola Pennata di Porto Miseno, hanno forma piuttosto oblunga, ad oltre 50 m. di altezza dal bacio dell’acqua e pre¬ sentano le solite dimensioni. Alcune sono molte ben conservate, altre slabbrate, in via di formazione. Ma dove termina la strata ferrata della Cumana ed un mo¬ desto pontile si protende nel mare per dar modo ai viaggiatori diretti alle isole flegree, di discendere nella barca che li condurrà al vaporetto che attende al largo a causa dei bassi fondali, la rupe di Torregaveta si protende con un erto e ripido sprone alto m. 33, tutt' intorno eroso dal mare. È appunto in questo sprone che si notano bellissimi e numerosi esemplari di alveoli. Di particolare interesse quelli che adornano la parte superiore di un antro inciso nel tufo, ove sbocca una foce del Fusaro. Numerosi alveoli si sono formati a breve distanza fra di loro, A) Mercalli G. — Vulcani e fenomeni vulcanici in Italia. Geologia di Italia, Parte III, 1881-1883. — — I vulcani della Terra , Milano, 1907 p. 248. Cfr. pure Parascandola A. — Note geo morfologie he su alcuni crateri insulari e continentali flegrei. Atti XI Congresso Geogr. Ital. Napoli 1930, Voi. II, p. 140. — 182 non sempre allineati ; il vento, erodendo i setti di divisione, ha formata una specie di gola contorta, quasi a naturale ornamento del selvaggio dirupo. 3) Monte di Cuma (Trachifonolite). — Già illustrata dallo Zambonini. 4) Cuma. — Erosioni nella parete di tufo giallo, al disopra dell'antico antro della Sibilla e sulla parete opposta, cioè di fronte ad Arco Felice. 5) Crateri di Baiae d’ Averno 1). — L' ossatura fondamentale di questi crateri è costituita di tufo giallo, mentre superficialmente sono ammantati dai materiali frammentari di colore grigio, cioè dal classico " caementum baianum che nella zona di Baia raggiunge uno sviluppo tanto considerevole, da formare da solo il cratere distoma dei Fondi di Baia. 11 tufo giallo appare lungo le sponde del golfo, tanto a N, cioè a punta deir Epitaffio, quanto a S, ove forma parte dello sprone su cui s'eleva la mole grigiastra del Castello medioevale. Anche nello arco intermedio affiora sovente fra le maestose rovine di edifizi Romani. Il tufo giallo costituisce anche la base dell’ Averno, forse di un' estensione maggiore di quanto oggi appaia masche¬ rato sovente da una densa copertura di materiali incoerenti. “ Più incerta è l’origine dell’affioramento di tufo giallo, che sta alla base dello sperone meridionale, il quale, partendo dal Monte della Ginestra, giunge fin presso le così dette stufe di Nerone. In questa collina ad occidente del Lucrino gli strati di tufo giallo s'immergono verso nord-ovest e stanno ad un livello in¬ feriore a quello che essi raggiungono presso l' imbocco meri¬ dionale del cratere dell'Averno. Tale posizione e la pendenza verso nord-ovest li collegano ai tufi gialli del tratto di strada Punta dell’ Epitaffio - Stufe di Nerone, cioè alla parete esterna del vulcano di Baia 2) „. Le più interessanti forme di erosione nel cratere di Baia, oltre quelle della Sella già descritte e fotografate dal D’Erasmo, -) D' Erasmo G. — Op. cit. , p. 11 e sgg. 2) — — Op. cit., p. 13. — 183 — sono state da me osservate sulla parete esterna dell' apparato, lungo il tratto di strada Punta dell' Epitaffio -Stufe di Nerone. Alcune di queste sono evidentissime, dalle dimensioni più varie e ricordano molto le incisioni già descritte di Porto Miseno e della rupe di Torregaveta. Spesso i setti intermedi che separano un vacuolo dall'altro sono erosi : risulta in molti casi un unico alveolo dal contorno irregolare e dalle dimensioni più ampie. Altre sculture si osservano sulla parete a destra della strada che dalla marina si dirige alla Sella, poco prima di quest'ultima. Presso l'imbocco meridionale del cratere si notano alcuni solchi longitudinali, scavati nel tufo giallo, che procedono con un an¬ damento irregolare e contorto a somiglianza degli altri di Porto Miseno. Altre incisioni notevoli si osservano ancora nelle seguenti località : 6) Strada Agnano-Solfatara. — Nella parete a destra di chi proviene da Agnano , in materiali eruttati dagli Astroni. 7) Strada Bagnoli-Gerolomini. — Nei tufo giallo e nella trachite dell' Olibano. 8) PosillipoiConca Trentaremi e Mare¬ chiaro. — Nel tufo giallo. 9) Napoli, Corso Vittorio Emmanuele. — Nella parete di tufo giallo della collina del Vomero, all'inizio della strada carrozzabile che mena all'albergo Bertolini (Parco Grifeo). 10) Napoli. — All'inizio della collina di Posillipo, nel tufo giallo, fra Mergellina e villa Chierchia. 11) Napoli. — Nel tufo giallo all'estremità della collina di Posillipo, in località detta Gaiola. 12) Isola d'ischi a. — Lacco Ameno, nella parte supe¬ riore dello scoglio noto col nome di “ fungo „. 13) Posillipo. — Nel tufo giallo e nei materiali incoerenti all’inizio della discesa di Coroglio, subito dopo la piazza di nuova costruzione. 184 — Per quanto si riferisce all'origine di queste forme di erosione, bisogna distinguere le sculture che si riscontrano nei tufi, da quelle osservate nella trachite ed in ultimo dalle altre che il Penta ha descritte nell’affioramento che è indicato localmente come " pietra del sale „ per le abbondanti incrostazioni bian¬ castre di cloruro di sodio e che costituisce la base dello sperone chiamata Punta di Marmolite nel cratere di Quarto. In proposito è da notare che le sculture alveolari, che mostrano caratteri ve¬ ramente tipici nei Campi Flegrei, si presentano soltanto nei tufi gialli e grigi. Ponendo in relazione queste forme di erosione con le altre consimili in regioni italiane e straniere e delle quali ho fatto cenno , si nota subito che , data la varia distribuzione geografica , è impossibile volerle limitare a determinate zone climatiche ; essenziale per la formazione delle sculture è la presenza di superfici rocciose scoperte , le quali , come bene osserva il Dainelli , sono più frequenti nei deserti e nelle de¬ solate regioni antiche: e da ciò, senza dubbio, è derivato che, il maggior numero di esempi ed i primi a richiamare l'atten¬ zione degli studiosi , riguardino i paesi aridi. " In regioni a clima umido, spazi denudati si trovano quasi solo in corrispon¬ denza a ripe continentali, in paesi ad idrografia in stadio assai giovane di sviluppo, ovvero a ripe marittime „ l). Il secondo caso è rappresentato, oltre che dagli alveoli della costa di Deio e del Sassoscritto, anche dalle incisioni in parola nei tufi dei Campi Flegrei. Ed ora, venendo ad esporre la causa di queste forme di disfacimento, da taluni 2) è stato osservato che, quando si tratta di coste marittime, nel processo di formazione degli al¬ veoli, assume qualche importanza il sale marino. Ma questo può avere influenza solo nell' accelerare il processo, non nel determinarlo. Senz'altro è da escludersi anche la probabile azione delle onde nel precesso formativo degli alveoli, perchè questi ultimi Ù Dainelli G. e Marinelli O. — Op. cit. , p. 309. 2) Anche Dainelli e Marinelli (Op. cit., p. 310) discutono tale ipotesi ; recentemente il Dell' Erba (Il tufo giallo napolitano, Napoli, 1923, p. 44), riteneva che gli alveoli fossero dovuti ai sali disciolti nel polverio acqueo che, aumentando di volume col cristallizzare, distaccano le fini particelle di tufo, le quali sono poscia rimosse dalla pioggia e dal vento. — 185 — sono sviluppati per lo più sulle roccie alte e non direttamente colpite dai flutti. Il Dainelli e il Marinelli sono d'opinione, ripeto, “ che la causa fondamentale del processo sembra doversi ricercare sempre nel disfacimento meteorico e principalmente in quel tipo preva¬ lentemente meccanico, che assume particolare intensità nei deserti e nell'alta montagna per i forti sbalzi di temperatura, nei litorali per le alternanze cui va soggetto il suolo ora bagnato dall’acqua salata ed ora disseccato „. Indubbiamente quanto afferma il Dainelli risponde a verità per le erosioni che si osservano sul litorale toscano, ma mi per¬ metto osservare che riguardo alla causa delle sculture nei nostri tufi vulcanici le cose potrebbero andare differentemente. Certo non è da escludere l’azione esercitata dalle alternanze cui va soggetto il suolo, ora bagnato dall'acqua salata, ora disseccato, però tutti gli alveoli sono scavati nelle pareti tufacee sempre quanto più alto è possibile dal livello del mare, cioè nelle zone investite in pieno dalle raffiche di vento. Nè le gocce d'acqua in sospensione potrebbero originare simili sculture, perchè in caso la roccia dovrebbe presentare in un primo momento pic¬ colissimi e numerosi fori, che, ingrandendosi successivamente, darebbero luogo agli alveoli in questione. Il processo di forma¬ zione, invece, è differente. Questi alveoli, anche se, sulle prime, superficiali, presentano una grandezza abbastanza considerevole, grandezza che s'accresce con la scomparsa del setto divisorio eroso gradatamente e sempre di forma arcuata. Lo Zambonini, riferendosi alle incisioni alveolari da lui os¬ servate nella roccia fonolitica di Cuma, scriveva: “ Secondo me, appare molto più probabile che il vento agisca nel senso di spianare gli alveoli... Quanto al formarsi degli alveoli, anzicchè nella forma di erosione la causa è da cercarsi nella struttura della roccia, la quale, con le sue Schlieren presenta, appunto, parti con resistenza diversa,,. Tralasciando la discussione relativa alle Schlieren, messe in dubbio da vari studiosi, la spiegazione dello Zambonini si riferisce soltanto al processo che ha originato gli alveoli nella trachifonolite di Cuma, che è di natura mine¬ ralogica e chimica ben diversa da quella dei tufi dei due ultimi periodi eruttivi dei Flegrei. - 14 - — 186 In ultimo il D’ Erasmo indica , quale origine , la caduta di inclusi, che la degradazione meteorica finì con lo staccare dalla maglia inglobante, ingrandendo, in tal modo, le cavità originatesi. Secondo il mio punto di vista, se i vacuoli si fossero originati sempre dalla caduta di inclusi nel tufo, la grandezza in genere dovrebbe rimanere invariabile : una volta scalzato e caduto l'in¬ cluso, sarebbe bello e fatto l'alveolo, ma rari sono questi casi. Basta, invece, osservare le sculture sulla parete della Penisola Pennata di Porto Miseno, ove si osserva chiaramente tutto il processo di formazione dell'alveolo per convincersi del contrario. Tralascio, per la tirannia dello spazio, le opinioni del Fleu- ry j) e di altri che affermano esclusivamente dovute all'erosione eolica le incisioni alveolari. Io credo di poter attribuire la causa che ha provocato simili alveoli alla forza di erosione meccanica del vento, per le seguenti ragioni : 1) Osservando meglio da vicino e ripetutamente le scul¬ ture nella Penisola Pennata nel Porto Miseno, si notano alveoli così vicini, come già del resto ho ricordato, che hanno formato un unico alveolo o stanno per formarlo. In quest'ultimo caso il setto divisorio fra un alveolo e l'altro presenta un’erosione a forma arcuata, che denota la caratteristica azione distruggitrice della raffica del vento. 2) Quasi all'estremità della penisola Pennata in una specie di incavo, facilmente provocato dall'azione erosiva del mare, che ha abrasa la parte inferiore di sostegno della roccia, là dove sporge un grosso proietto trachitico a forma di fungo, si notano alcuni alveoli caratteristici. La parte inferiore interna di questi è di forma tondeggiante, ma irregolare ; la parte superiore, invece è arcuata e dimostra palesemente l'azione erosiva della raffica che s’abbatte e si ripiega violentemente su se stessa. La con¬ ferma ci è data da altre forme di erosione, di cui ho fatto cenno, sulla parete SW della Penisoletta Pennata, rassomiglianti ad un- *) Fleury E. — Formes des désagré gatto ns et d’ usure en Portugal. Mém. publiés par la Soc. Port. des Se. Nat., Sèrie géol. n. 1, Lisbonne 1919; Brunhes J., Erosion tourbiUonarie éoLienne. Memorie Acc. Pont. Nuovi Lincei, voi. XXI, 1903, p. 141. — 187 — cini , ma di proporzioni molto ampie , che dimostrano chiara¬ mente l'effetto delle violenti raffiche, che si abbattono sulla roc¬ cia, effetto che si denota ancora sulla testata meridionale della penisola della Scarparella, anch'essa appartenente a Porto Miseno, che ha assunta, come dicevo poc'anzi, la strana forma, rassomi¬ gliante, per alcuni tratti, a una testa di tigre. 3) La durezza della roccia influisce moltissimo sulla facile incisione da parte del vento. In genere, il tufo resta fisicamente nella categoria delle rocce tenere, ma, come in tutte le rocce, anche nel tufo la gradazione di durezza è diversa secondo le varietà : così abbiamo un tufo arenoso, un tufo cima di monte, un tufo selvaiolo, duro, giallo, comune, giallo fino comune, giallo fine propriamente detto, pomicioso, e ciascuna di queste varietà si può suddividere singolarmente in altre varietà diffe¬ renti ; quindi la resistenza che tale roccia vulcanica oppone alla azione erosiva del vento differisce da zona a zona , onde varia è la distribuzione delle erosioni alveolari sulle pareti degli ap¬ parati dei Campi Flegrei. Ma l'elemento decisivo è dato dalla direzione del vento do¬ minante. Riguardo ai dati riporto quelli riferiti nel mio prece¬ dente lavoro. Recentemente la Granata *), disponendo dei dati della Sta¬ zione Meteorica del Consorzio Agrario di Pozzuoli pubblicati per gli anni 1894 - 1898 ; 1905- 1912, e di quelli successivi ine¬ diti a fine di disporre di un ventennio di osservazioni ininter¬ rotte, ha compilati i calcoli occorrenti all' elaborazione dell'anno 1913 ed ha intrapreso lo studio del clima di Pozzuoli per il periodo 1894- 1913. In relazione alla frequenza dei venti ha compilato la seguente tabella riassuntiva secondo le varie dire¬ zioni, che credo opportuno riportare per maggiore chiarezza. ') Granata E. — Sul clima di Pozzuoli. Atti XIX Congresso Nazionale nei Campi Flegrei (10-15 giugno 1928), Napoli, p. 233 e sgg. 188 . CN co q t" , q Ov q 00 0- q ■ co fi rd co -d vd 0 cd O vd cd cd cd > 1 1 04 04 04 -I I2 o Q q oi co 10 LO LO q IO-" O co* q td Ov O q 04 q 'd q d q d q LO O z *—* »— 4 <— ■ 1 r— 1 *— 1 04 04 04 p— O 04 T— H co O 0 O r— , Ov q q in O- Q O 'd 10 vd 04 O ON 04 vd — ’—l ’ 1 04 04 04 »— • 1 00 n O _ IO vq r- , q q 04 q co q 4; > 04 co 'd N* cd in ■d 04 04 04 cd o Q lD co in O 04 CN q Ov q Ov q 00 O 1—1 04 O 0“ — m Q q 0 LO t>- — — q — q q q q q LO cd td vd vd t'-" cd td cd d 04 « 0- O CO O co q r—, q q q i>* q fi O 0 co cd 0 q td CO •0 cd td cd id > ’ ' 01 04 04 co co CO co 04 04 04 co o ci CO 0 q O q q q rd 04 vd O q vd cd Ov 04 0 cd ( I ) *—* *— < 04 CO CO co co co co CO 04 04 04 CO co ri t'- 04 _ q q 04 q vO q O- 00 q 04 IO O td td vd . o-' O cd O od r— « 04 04 04 04 co co co 04 CN T— H av 04 e Ol q t> CO q q q q q in 00 V— q cd 0 1 04 0 0 LO co Q 04 10 co co 04 q q _ 04 q = O 0 0 0 O 0 >— • 1 0 O 0 0 cd ID. 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Anche il Platania *) ri¬ ferisce i medesimi dati relativi alla frequenza per un ventennio di osservazioni a Pozzuoli (C. A.) ed i dati raccolti a Capodi¬ monte sempre relativi alla velocità per il medesimo ventennio. Ne riporto Tandamento annuale. Osservazioni N NE E SE S SW 1 W NW Pozzuoli (C. A.) 68,5 237,7 13,6 208,8 15,9 315,4 43,4 193,3 Capodimonte 178,6 141,9 86,2 53,5 143,2 219,2 172,6 100,1 Dalla riferita tabella si rileva che nelle due stazioni pre¬ domina il SW, seguono il NE e poi il SE e il NW a Pozzuoli, il N e l’W a Capodimonte ; rari sono il SE a Capodimonte e il S e I' E a Pozzuoli. Dalle medie mensili si vede pure il pre¬ dominio del SW in tutti i mesi da marzo a settembre, mentre nella stagione invernale predomina il NE a Pozzuoli e il N a Capodimonte. Sommando le frequenze dei venti ordinati in tre gruppi, SW + W -f- NW (venti occidentali), NE + E + SE (venti orientali) e N + S, si ottengono valori che per brevità il Pla- tania non riporta, dai quali risulta che a Pozzuoli la frequenza dei venti orientali ha un andamento opposto a quelli dei venti occidentali e quasi sempre la frequenza di entrambi i gruppi è superiore a quella di Napoli (Capodimonte), laddove in questa stazione i venti N -j- S hanno sempre maggiore frequenza. x) Platania G. — Contributo allo studio del clima dei Campi Flegrei. Atti XIX Congr. Nazionale nei Campi Flegrei (10-15 giugno 1928), Napoli, 1928, p. 274 e sgg. Anche il Signore [Osservazioni meteor. eseguite all' Osser¬ vatorio Geofisico di Agnano Terme, Atti XIX Congresso Nazionale nei Campi Flegrei, p. 348 e sgg.) riferisce alcuni dati riguardo al regime dei venti, ma per noi hanno scarsa importanza, perchè l'A. espone il riassunto delle osser¬ vazioni solo per l'anno 1927. Il vento predominante durante l'anno fu il SW, al quale seguì il NW ; nel 1926 invece il predominio spettò al NW. Avviene spesso anche per Napoli che questi due venti si scambiano da un anno all’altro. Il vento di E fu rarissimo. La velocità media annuale fu di km. 9 all’ora, cioè quasi la metà di quella dell'anno precedente. La massima velocità oraria (km. 95) fu raggiunta dal vento NW il 23 maggio alle ore 21. Durante tutto l’anno si è avuto 12 volte la calma. — 190 — L'andamento annuale dei venti orientali e occidentali (a parte il valore assoluto) è quasi sempre identico a Pozzuoli e a Napoli ; sicché la differenza anemologica tra i due luoghi sta nella prevalenza dei venti N + S a Napoli. Per quanto concerne la velocità del vento, il Platania ac¬ cenna solamente ad uno dei risultati dello studio del prof. Au¬ rino per Capodimonte (1900-1925), cioè che la curva di varia¬ zione della media velocità oraria del vento nel corso dell’anno rispetto alle varie direzioni, è con due massimi e con due mi¬ nimi; il massimo principale (Km. 14,9) capita nel terzo quadrante, fra SW e WSW, il secondario (Km. 11.0) nella direzione NNE; dei minimi il principale (3,3) trovasi nel secondo quadrante e il secondario (1,0) nelle direzioni intorno a N. Dai dati riferiti risulta evidente che nei Campi Flegrei il predominio spetta al SW e al NE ; così anche dallo schema gra¬ fico costruito dal De Lorenzo circa l'azione erosiva esercitata dal vento e dall'acqua sui coni vulcanici dei Campi Flegrei, appare che l'erosione è stata subita maggiormente da lati SW e NE dei singoli apparati. Tale esposizione, per l'appunto, presen¬ tano le pareti tufacee, sulle quali gli alveoli sono più numerosi. Riassunto. Si riferiscono le osservazioni di numerosi studiosi italiani e stranieri circa le sculture alveolari in vari tipi di rocce, in Italia e all’estero. Si segnalano e si esaminano, quindi, i più caratteristici esempi di tali forme di erosione nei Campi Flegrei e si ricercano nell’azione meccanica del vento le cause efficienti. Dall’elaborazione dei dati relativi alla intensità e alla frequenza del vento, risulta che il predominio spetta al SW e al NE ed appunto tale esposi¬ zione presentano le pareti tufacee, sulle quali gli alveoli sono più numerosi. Finito di stampare il 10 dicembre 1934. Nuovi giacimenti di pirolusite nel gruppo del Matese del socio G . S c a i n i (Tornata del 30 ottobre 1934) Recentemente sono stati individuati nel gruppo montuoso del Matese due affioramenti di giacimenti di minerali di man¬ ganese. Il primo affioramento è compreso nei calcari bianchi del Cretaceo e si trova sul crinale che separa la valle della Sava inferiore dalla conca di Gallo e Letino. Questo affioramento taglia più volte la strada carrozzabile da Capriati a Gallo ed è stato individuato dall'Ing. M. Grossi e M. Cassetti (Carta geologica d’ Italia 1 : 100.000 Foglio 161 : Isernia 1934). Il secondo affioramento, che è descritto nella presente nota, è in località Cannavari , circa 300 metri più alto del centro del comune di Campochiaro nel solco di una vailetta pensile sul versante destro del Vallone del torrente La Valle che più in basso traversa l’abitato di Campochiaro ; si trova quivi pirolusite grigia scura compatta o terrosa associata a noduli e noduletti di calcare silicifero e a spalmature di limonite. Il minerale descritto costituisce degli straterelli di 10 o 15 cm. di potenza alternati con strati di qualche decimetro di potenza di argilla gialla non scistosa e non mineralizzata. Il tutto è compreso entro i calcari bianchi del Cretaceo. Un frammento preso nella località Cannavari è stato intera¬ mente frantumato e polverizzato e su una porzione della polvere il Signor Dottor Renato Curti nei laboratori dell’Istituto di — 192 Chimica Generale della R. Università di Milano ne ha fatto gentil¬ mente Tanalisi coi seguenti risultati: Mn 02 36,20 7, Mn O 7,53 „ Fe* 03 7,35 „ CaO 14,25 „ c 02 7,38 „ h2o 11,07 „ residuo insolub. 14,86 „ 100,05 (Si 02) Si tratta prevalentemente di Mn02 cioè di pirolusite, mentre la presenza del Ca, del C02 e di una parte della silice costi¬ tuente il residuo insolubile è dovuta alla mescolanza della ganga di calcare silicifero al minerale metallico, e infine la presenza di Fe203, MnO e di H20 alla limonite. La presenza della limonite è confermata anche dai risultati delia determinazione della perdita di peso col riscaldamento che è: a 105° 4,99 °/0 a 500° 15,— °/0 a 800° 21,42 °/0 Dirò infine che non ho potuto giudicare l'importanza (in ogni caso assai modesta) del giacimento perchè l'affioramento è limitato a pochi metri quadrati mentre all'intorno il materiale detritico e la vegetazione nascondono gli straterelli mineralizzati. Riassunto. Si enumerano i giacimenti di minerali di manganese di cui sono stati recentemente individuati gli affioramenti nel Gruppo montuoso del Matese e si identifica colla pirolusite il minerale costituente uno di questi giacimenti. BIBLIOGRAFIA CONSULTATA 1893. Cassetti M. — Appunti geologici sul Matese. Boll. R. Com. Geologico d’Italia, Voi. XXIV, Roma. Finito di stampare il 10 dicembre 1934. Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli Rendiconti delle Tornate ed Assemblee Generali (PROCESSI VERBALI) PROCESSI VERBALI DELLE TORNATE ORDINARIE ED ASSEMBLEE GENERALI Tornata ordinaria del 13 aprile 1934. Presidente: A. Carrelli. Segretario ff.: B. De Lerma. Sono presenti i soci: Salti, Imperati, Scaini, Coniglio, Rug¬ giero P., Castaldi, Pierantoni, Zirpolo, Rodio, Gargano C., Quin- tieri L., Maione, Covello, Trotter. La seduta si apre alle ore 18, in seconda convocazione. Si legge e si approva il processo verbale della seduta precedente. Il Presidente riferisce sull’ attuale posizione economica della Società. Il socio Pierantoni propone la vendita dei beni immobili, data la difficoltà che la loro amministrazione finanziaria presenta per uomini che si occupano di scienze. Il Presidente, pur associandosi in massima alla proposta del socio Pierantoni, fa rilevare che, prima di procedere alla vendita dei beni, occorrerebbe completare i lavori di sistemazione, già ini¬ ziati, anche per aumentarne il valore. Il socio Quintieri fa osser¬ vare altresì che l’attuale crisi edilizia non sarebbe affatto favorevole ad una vendita immediata e pur aderendo alla proposta Pierantoni, si associa a quanto propone il Presidente. Nello stesso senso parla il socio Gargano. Il Segretario legge il riassunto del lavoro del socio Sorrentino assente : Considerazioni sulla variabilità dei caratteri dì Alveolina e Flosculina dal punto di vista del loro raggruppamento e determi- nazione , e quello del socio Augusti : Studi ed osservazioni sul comportamento dei sali di cromo in analisi -Nota preliminare . Comportamento del cromoione O.+++ di fronte ai comuni reattivi, chiedendone la pubblicazione nel Bollettino a nome degli Autori. Il socio Imperati legge un lavoro : Tentativi sperimentali di trapianti di cute su tessuti ossei, e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. IV il socio Castaldi legge un lavoro: Forme di erosione eolica net Campi Flegrei - Nota //, e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino Il Presidente, in ultimo, riferisce sulle recenti ricerche sull’acqua pesante. La seduta è tolta alle ore 19. Tornata ordinaria del 15 giugno 1934. Presidente: A. Carrelli. Segretario: A. Parascandola. Sono presenti i soci : Farina, Platania, Quintieri, Ruggiero P.„ Ruggiero L., Castaldi, Salii, Alfano, Ranzi, Rodio, Caroli, Covello, Torelli, Zirpolo, Pierantoni, Scaini, Gargano C., Trotter. La seduta si apre alle ore 18 in seconda convocazione. Letto ed approvato il processo verbale della seduta precedente, il Presidente comunica che il bilancio non è stato presentato a causa del passaggio di amministrazione e pel decesso dell’amministratore Avv. Cerone. Accenna poi, alla questione dei danni arrecati al fondo di Posillipo ed alla vertenza con l’Alto Commissariato, sempre rima¬ nendo nei termini, per ora, di un amichevole componimento. Passa poi, ad esporre i fatti della causa Marino dalla Società non provocata essendo essa stata citata in giudizio dai signor Ma¬ rino; per queste contingenze il Presidente prega i soci di pazientare ancora per la presentazione del bilancio. Il socio Ranzi chiede la parola per indirizzare un plauso al Presidente ed al Consiglio. Il Presidente ringrazia e fa presente che tale plauso potrebbe aver luogo alla fine delle vertenze in corso espletate, per le quali egli ed il Consiglio tutto unanime lavora, col valido aiuto del socio amministratore E. Palazzi. Circa le borse di studio da assegnarsi in numero di due si chiede il parere dei soci. Il socio Pierantoni propone di stabilire due borse di studio da L. 500 ognuna per studenti di primo anno di Scienze Naturali ed una di L. 1000 per quelli di terzo e quarto anno. La proposta viene accettata con riserva di elaborarla in Con¬ siglio. Il socio Gargano chiede di sapere se il testamento della Baro- V nessa De Mellis permette la possibilità di assegnare i premi ai cul¬ tori oltre che agli studenti di Scienze Naturali. Il Presidente risponde che il testamento chiaramente stabilisce che l’assegnazione di queste borse sia dovuta agli studenti di Scienze Naturali. Il socio Aliano legge il suo lavoro : Gli epicentri sismici rovi¬ nosi e disastrosi in Italia, e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. La socia Majo Ester legge un lavoro : Sui sismi Vesuviani , e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Viene ammesso, in seguito a votazione , il Dott. Francesco Penta a socio ordinario residente. La seduta è tolta alle ore 19,15. Assemblea generale e Tornata ordinaria del 30 ottobre 1934. Presidente : A. Carrelli. Segretario : A. Parascandola. Sono presenti i soci : Parenzan , Platania , Penta, Coniglio, Covello, Guidone, Majo E., Fedele, Dohrn, Ranzi, Ruggiero P., Caroli, Zirpolo, Pierantoni, De Lerma, Forte, Gargano C., Rodio. La seduta si apre alle ore 18, in seconda convocazione. Si legge e si approva il processo verbale della seduta precedente. Il Presidente fa presente che contrariamente alle nostre spe¬ ranze non è stato possibile effettuare un amichevole componimento con l’Alto Commissariato riguardo ai danni del nostro fondo di Posillipo, e che si è costretto quindi a seguire la via legale. Il Segretario legge le pubblicazioni pervenute in dono. Il Presidente presenta il bilancio consuntivo del 1933, facendo rilevare come il capitolo di maggiore importanza sia quello delle tasse erariali. I Revisori dei Conti leggono la relazione del Bilancio in parola che viene approvato ad unanimità. II Segretario legge il lavoro del socio Scaini : Nuovo giaci¬ mento di pirolusite nel gruppo del Matese , e ne chiede la pubbli¬ cazione nel Bollettino. Il socio Penta legge il suo lavoro : Incrostazioni calcitiche in vecchie grotte scavate nel tufo giallo napoletano , e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. — VI Il socio Penta chiede la parola per una comunicazione verbale circa : Un probabile affioramento di roccia lavica a Tvipergola . Egli dice : « A proposito di Tripergola, debbo segnalare una citazione ri¬ portata da Mosca L. nel suo lavoro su Napoli e l’Arte ceramica (Atti R. Ist. Incoragg. Napoli 1907) a pag. 273 che è la seguente : « .... Re Roberto nel 1317 ordinò accomodarsi e lastricarsi « tutte le strade della città di Napoli con le selci e, perchè di selci « eravene bisogno di immensa quantità, cosi ordina che si cavassero « dai luoghi di: Tripergola, del Golfo e di Pozzuoli e sue adia- « cenze ». (Reg. Ang. : fol. 1841, n. 214, anno 1317-18). Metterebbe conto di indagare se questo Tripergola coincida con il Tripergola, sepolto nel 1538 dal M. Nuovo ; si stabilirebbe cosi l’affioramento di una roccia probabilmente lavica capace di dare « selci », così come quelli di Pozzuoli (che deve evidentemente interpetrarsi per la trachite della Solfatara o del M. Olibano) nel 1317, e quindi precedente alla eruzione del M. Nuovo. Circa poi la località che qui è chiamata del Caldo sarebbe anche il caso di indagare per accertare che eventualmente non si tratti di altra lava non conosciuta attualmente ». Il socio Pierantoni riferisce su: « Esperienze da lui compiute le quali dimostrano che i Triconinfìdi protozoi flagellati di Termes lu - cijugus compiono la digestione del legno, in favore dei loro ospi- tatori , mediante batterii che sono contenuti in gran numero nel plasma cellulare dei protozoi. Questi batterii appartengono a due forme, che sono state già ottenute in colonie pure nell’Istituto da lui diretto. Si chiarisce per tal modo un punto ancora oscuro della simbiosi fra Termiti e Flagellati ; quello cioè della maniera come i Triconinfìdi agiscono sul legno per renderlo assimilabile». La seduta è tolta alle ore 19. Assemblea generale del 28 gennaio 1935. Presidente Jf.: E. Caroli. Segretario: A. Parascandola. Sono presenti i soci : Penta, Fedele, Signore, Augusti, Pieran¬ toni, De Lerma, Covello, Coniglio, Ruggiero L., Platania, Califano> Castaldi, Rodio, Pellegrino, Zirpolo, D’Erasmo, Gargano. La seduta si apre alle ore 18 in seconda convocazione. — VII Non potendo il Presidente Prof, Carrelli intervenire alla seduta, tiene la presidenza il Prof. Caroli, quale consigliere anziano. Il Presidente comunica ai socii la morte del socio anziano Prof. Antonio Della Valle avvenuta la notte del 5 gennaio 1935. Ricorda le benemerenze di questo illustre Consocio nei vari campi della sua attività. Ricorda che la Società, nel 1925, in occasione del suo allontanamento dall’ insegnamento Universitario per limiti di età istituì una borsa di studio intitolata a Lui ed al suo figliuolo Paolo, morto nella grande guerra, in Albania. Dice che la Società non ha mancata di inviare fiori, e che molti socii sono stati ai fu¬ nerali per onorare il Della Valle che amò molto la nostra Società. Legge infine una lettera di ringraziamenti inviata dal figliuolo Prof. Guido Della Valle. Il Presidente inoltre comunica che per le condizioni attuali della Società un nucleo di socii anziani propone all’ Assemblea che il Prof. Carrelli sia riconfermato nella carica di Presidente , carica che ha egregiamente esplicata a vantaggio della Società, acciocché possa portare a termine le questioni legali che pendono tuttora. L’ Assemblea per acclamazione riconferma il Prof. Carrelli a Presidente della Società. Il Segretario legge le pubblicazioni pervenute in dono. Si passa alla votazione delle cariche sociali, di Segretario, di due Consiglieri e di due Revisori dei conti. Costituitosi il seggio elettorale, quale Presidente : Califano — Segretario : Rodio — Scrutatore : Signore, vengono eletti per il biennio 1935-36 : Segretario : Zirpolo Giuseppe ; Consiglieri : Pierantoni Umberto e Augusti Selim ; Revisori dei conti : Forte Oreste e D’ Erasmo Geremia. La seduta è tolta alle ore 19. . . CONSIGLIO DIRETTIVO PER L’ANNO 1935 Antonio Carrelli Luigi D' Aquino Zirpolo Giuseppe Pierantoni Umberto Augusti Selim Platania Giovanni Gaetano Rodio ‘Presidente Vice - Presidente Segretario Consiglieri Incarichi del Consiglio Direttivo Eugenio Palazzi Mario Salfi Baldassarre De Lerma Giuseppe Zirpolo Antonio Parascandola Jlmministratore - Cassiere Jdiuto - Cassiere Vice - Segretario Redattore del bollettino bibliotecario ' ELENCO DEI SOCI (31 dicembre 1934) SOCI ORDINARII RESIDENTI 1 1 . 6-4-902 2. 12-7-924 3. 28-3-920 4. 8-6-924 5. 22-2-930 6. 5-3-922 7. 30-5-921 8, 6-4-902 9- 28-3-919 10. 30-11-924 11. 21-1-933 12. 15-3-903 13. ì 17-11-918 14. 6-7-932 15. ! 25-1-934 16. 20-11-929 17. 8-7-923 18. 14-6-930 19. 28-12-932 20. 26-7-925 21. 21-11-931 22. ! 16-12-923 23. 30-11-924 24. | 20-1-932 25. j 14-6-930 26. ! 16-3-929 Aguilar Eugenio — Vico Neve a Materdei 27. Andreotti Amedeo — Ist. Fisica terr. R. Univ ., Napoli. Arena Ferdinando — Piazza S. Ferdinando. Augusti Selim — Via Vetriera a Ghiaia 15. Aurino Salvatore — R. Osserv. Capodimonte , Napoli. Bakunin Maria — R. Politecnico , Napoli. Biondi Gennaro — Portici. Bruno Alessandro — Nuovo Rione Fenice a Ottoc. 32. Califano Luigi — Vico Forino a Foria 7. Candura Giuseppe -R. Oss. Fitopatologico, Bolzano. Caretto Nicola-/?. Sc.Avv. Agr. Pontecorvo-Fr osinone Caroli Ernesto — Stazione Zoologia , Napoli. Carrelli Antonio — S. Domenico Soriano 44. Casaburi Vittorio — Via Foria 76. Castaldi Francesco — Largo S. Marcellino 10. Catanzaro Pietro — V. Massimo Stanzìone 9, Vomero . Colosi Giuseppe — Ist. Anat. Comp. R. Uhi., Napoli. Coniglio Luca — R. Ist. Chimico Farmnc ., Napoli. Covello Mario — Corso Umberto I, 311. Cutolo Costantino — Via Tommaso Caravita 10. D’Alessandro Alessandro — Vico Tre Re 60 D’Aquino Luigi — Piazza Latilla 23. De Fiore Otto — Ist. Geografico R. Univ., Messina. De Lerma Baldassarre — Istit. Zool. R. Un., Napoli. De Mennato Mario — Matteo Renato Imbriani 219. D’Erasmo Geremia — Ist. Geologia R. Univ., Napoli. — XII 27. 28-7-889 28. 14-6-930 29. 13-8-921 30. 25-5-919 31. 5-3-922 32. 26-7-925 33. , | 11-1-885 34. 2-5-931 35. | 28-3-909 36. 1-12-932 37. 12-8-930 38. 1 31-12-913 39. 25-5-919 40. 31-12-913 41. 6-6-931 42. 16-3-924 43. 4-2-923 44. 9-6-933 45. 4-12-887 46. 1-1-929 47. 25-1-934 48. ; 4-2-922 49. 3-4-933 50. 21-8-921 51. 2-5-931 52. 28-12-930 53. 16-12-923 54. 15-6-934 55. 18-3-900 56. 20-1-924 57. 4-2-922 58. ! 4-6-930 59. 9-6-895 60. ; 11-5-913 61. ! 2-6-925 62. 16-12-923 63. 16-12-923 64. : ; 16-3-929 | Della Valle Antonio — Via Aniello Falcone 112 Dohrn Rinaldo — Stazione Zoologica , Napoli. Fedele Marco — Villa Vallante alla Conocchia. Fenizia Gennaro — Via Fovia 215. j Fiore Maria — Corso Vittorio Emanuele 466. Foà Anna — R. Scuola Sup. Agric., Portici. Forte Oreste — Via Posillipo 223 , Villa Fehse. Gaetani Livio — Camera dei Deputati , Roma. Gargano Claudio — Via S. Lucia 62. Gargano Claudio — Via Carlo Poerio 98. Gioffredi Livinio — - Via Costantinopoli 94. Giordani Francesco — Corso Umberto /, 34. Giordani Mario — Corso Umberto /, 34. Iroso Isabella — Via Foria 118. Longo Biagio — R. Orto Botanico , Napoli . ■ Maione Vincenzo — Via Torino 90. Majo Ester — Ist. Fisica terrestre R. Univ ., Napoli . Maranelli Carlo — Via Luca da Penne 1. Mazzarelli Giuseppe — Ist. Zoologia R. Un., Messina. Monticelli Nunziante d’Afflitto G.na- V.Monteroduni 16. Palazzi Eugenio — Viale delle Acacie Palombi Arturo — 5. Pasquale a Chiaia 62. Panna in Ernesto — 5. Giovanni Maggiore 25. Parascandola Antonio — Ist. Minerai. R. Un., Napoli. Parenzan Pietro — Stazione Zoologica , Napoli. Patroni Carlo — Via Mariano Semmola 45. Pellegrino Luigi — Via Roma 404. ! Penta Francesco — Politecnico, Napoli. Pierantoni Umberto — Galleria Umberto /, 27 . Platania Giovanni — Salita Stella 10. Pozzi Olimpio — Mer gellina 2. Quercigh Emanuele — Ist. Minerai. R. Un ., Napoli. Quintieri Luigi — Via Amedeo 18. Quintieri Quinto — Via Amedeo 18. Ranzi Silvio — Stazione Zoologica , Napoli. Riccio Raffaele — Via Depretis 114 Rodio Gaetano — R. Orto Botanico , Napoli. i Ruggiero Placido — Via L. Marsicano a Materdei 4 XIII — 65. 29-2-932 66. 29-6-919 67. 31-12-928 68. 4-2-921 69. 27 -7-932 70. 7-3-906 71. 29-4-923 72. 1-12-932 73. 16-3-924 74. 25-5-890 75. 2-6-925 76. 28-11-912 1. 17-4-913 2. 1-12-932 3. 22-2-932 4. 31-12-916 5. 1-6-902 6. 1 29-8-909 7. 16-3-929 8. 4-6-922 9. 14-3-931 10. 3-4-933 11. 6-2-903 12. : 20-11-929 13. 31-12-929 14. 22-2-930 15. 22-3-925 16. 2-6-925 17. 1-6-913 18. 20-11-913 19. 4-2-919 20. 21-11-931 21. 2-6-928 22. 31-12-929 23. 31-12-891 Ruggiero Lelia — Via L. Marsìcano a Materdei 4 Salti Mario — Via Mezzocannone 53. Salvi Pasquale — Via Luigi Palmieri 16 . Sbordone Domenico — Via Roma 404. j Scaini Giuseppe — Via S. Giacomo dei Capri 39. | Schettino Mario — Via Rafj. DeCesare a S. Lucia 31. !' Torelli Beatrice — Stazione Zooio gica, Napoli. Trotter Alessandro — R. Istituto Sup. Agr., Portici. Viggiani Gioacchino — Potenza. Viglino Teresio — Piazza Dante 41. Volpicelli Mario — Viale Elena 23. Zirpolo Giuseppe — Via Duomo 50. SOCI ORDINARI NON RESIDENTI Alfano G. B. — Piazzetta Cangi a Materdei 7 Bilotta Raffaele — Via Ferri Vecchi 11. Bonanno Giuseppe — Viale 20 Sett. 56, Catania. Celentano Vincenzo — Via Veterinaria 7. Cerruti Attilio — Via Peripato, Taranto. Cotronei Giulio — Istit.Anat.Comp.R. Univ., Roma. D’Ancona Umberto — Ist. Zoologia R. Univ., Siena. Del Regno Washington -Ist. Fisica R. Univ., Messina. Eller - Veinicher Isabella Conti — Lipari. Farina Francesco — Parete - (Napoli). Foà Jone — Corso Marrucino 154, Chieti. Gambetta Laura — Ist. Zoologia R. Univ., Torino. Guadagno Giuseppe — Via Foria 193. Guidone Giuseppe — Largo Avellino 15. Imbò Giuseppe — R. Osserv. Vesuviano , Resina. Jucci Carlo — Ist. Zoologia R. Univ., Pavia. Magliano Rosario — R. Liceo , Potenza. Malladra Alessandro — R. Osserv. Vesuviano, Resina . Mingioli Paolo — Via Stella 124. Montalenti Giuseppe — Ist . Zoologico R. Un., Roma. Morgoglione Ferdinando — Cal.S.Giac.5 ,Cnst.Stabia. Pasquini Pasquale — Ist. Zool. Anat.R.Un ., Perugia. Piccoli Raffaele — Corso Marrucino 154, Chieti. — XIV 24. 28-7-929 25. 12-5-917 26. 4-2-923 27. 9-6-933 28. 29-4-923 29. 5-3-922 30. 30-12-923 Romeo Antonino — R. Scuola Sup. Agric., Portici. Sbordone Annibaie — 5. Domenico Maggiore 3. Signore Francesco — R. Osserv. Vesuviano, Resina. Sorrentino Stefano — Ist. Geologico R. Univ., Roma. Trezza Ugo — Via Tarsia 56. Valerio Rosaria — Sala di Caserta. Vessichelli Nicola — Istituto Tecnico , Caserta. SOCI ADERENTI 1. 2. 12-7-918 18-6-905 Cutolo Claudia — Villa Claudia, Vomero, Napoli. Filiasi Giuseppe — Riviera di Chiaia 263. L’ ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI CHE PERVENGONO IN CAMBIO È STATO RIPORTATO NEL VOLUME DEL PASSATO ANNO. . • ' PUBBMCAZIOHI PEHVEJÌUTE IH BONO dal socio Arturo Palombi. 1. (1923) Diagnosi di nuove specie di Policladi della R. N. « Ligu¬ ria ». Boll. Soc. Naturai. Napoli, Voi. 36, pp. 33-37. 2. » Sulle percarie del genere Gymuophallus ODHNER dei Mi¬ tili. Rend. Un. Z. Ital. Genova , pp. 21-23. 3. » Le cercarie del genere Gymnophallus ODHNER dei Mitili. Pubbl. Staz. Z. Napoli , Voi. 5 , pp. 137-152 , 1 tav. 4. (1924) Policladi Pelagici. Raccolte Planctoniche fatte dalla R. Nave « Liguria ». Pubbl. Ist. Sup. Firenze, Voi. 3, pp. 1-28, 2 tvv. '! 5. » Di un nuovo ospitatore della cercaria deir Echinostomum secundum NlCOLL 1906 : Mytilus galloprovincialis LAMK. Boll. Soc. Naturai. Napoli, Voi. 37, pp. 49-51. 6. (1926) Digenobothrium inerme nov. gen. nov. sp. ( Crossocoela ). Considerazioni sistematiche sull’ordine degli Alloeocoela. Arch. Z. Ital. Napoli, Voi. 11, pp. 143-177 , 1 tav. e 3 figg- 7. » Nuova cercaria di Mytilus galloprovincialis Lamk. — Cer- caria megalophallos n. sp. Annuar. Mus. Z. Napoli (N. Sfi Voi. 5, pp. 1-3, 2 figg. 8. (1927) Notizie faunistiche sul Canale di Suez. Annuar. Liceo Scient. Avellino, pp. 1-9 e 1 carta. 9. (1928) Report on thè Turbellaria. Trans. Zool. Soc. London, Part 5, pp. 579-631, 28 figg . e 1 tav. 10. (1929) Le specie del genere Helicometra esistenti nella Colle¬ zione Elmintologica Centrale Italiana. Annuar. Mus. Z. Napoli (N. S.), Voi. 5, pp. 1-19 , 6 figg. 11. » Ricerche sul ciclo evolutivo di Helicometra fasciata (RUD.). Revisione delle specie del genere Helicometra ODHNER. Pubbl. Staz. Z. Napoli, Voi. 9, pp. 237-292, 33 figg. e 1 tav. 12. » Gli apparecchi copulatori della famiglia Polyposthiidae (Policladi Acotilei). Ricerche sistematiche e considera¬ zioni sulle affinità dell’ordine dei Policladi. Boll. Soc. Naturai. Napoli, Voi. 40, pp. 196-209. XVIII 13. (1929) Il ciclo biologico di Diphterostomum brusinae STOSSICH (Trematode digenetico : fam. Zoogonidae ODHNER). Rend. Accad. Lincei ( 6 ), Voi. 10, pp. 274-277 , figg. 1-9. 14. (1930) Il ciclo biologico di Diphterostomum brusinae STOSSICH . (Trematode digenetico : fam. Zoogonidae Odhner). Con¬ siderazioni sui cicli evolutivi delle specie affini e dei Trematodi in generale. Pubbl. Stas. Z. Napoli, Voi. 10, pp. 111-149, 24 figg. e 1 tav. 15. » Il ciclo evolutivo di Diphterostomum brusinae STOSSICH. Riv. Fis. Mat. e Se. Nat. (2), Anno 4 , pp. 3 e figg. 16. (1931) Il polimorfismo nei Trematodi. Ricerche sperimentali su Helicometra fasciata (RUD.). Annuar. Mus. Z. Napoli , (N. S.), Voi. 6, pp. 1-8 e figg. 17. » Rapporti genetici tra Lepocreadium album STOSS. e Cer¬ caria setifera (non J. MilLLER) MONTICELLI. Boll. Zoo¬ logia Napoli, Anno II, pp. 165-17 1 , 2 figg. 18. » Per una migliore conoscenza dei Trematodi endoparas¬ siti dei pesci del golfo di Napoli. I. Steringotrema diver- gens (RUD.) e Haploporus Benedeni (STOSS.). Annuar. Mus. Z. Napoli, (N. S.), Voi. 6, pp. 1-15 , 9 figg. 19. » Faune et Flore de la Mediterranée. Paris Planches : Po- licladida\ Trematola . 20. » La copulazione nei Trematodi. Ricerche sul significato fisiologico del canale di Laurer. Arch. Z. Ital., Voi. 17 , pp. 123-151, 9 figg. 21. » Stylochus inimicus sp. nov. Policlade acotileo commen¬ sale di Ostrea virginica Gmelin delle Coste della Flo¬ rida. Boll. Zoologia Napoli , Anno II , pp. 219-226, 4 figg. e 1 tav. 22. » Turbellari della Nuova Guinea. Mém. Musée Hist. Nat. de Belgique (H. S.J, Voi. II , Fase. 8, 2 figg. e 1 tav . 23. (1932) Rapporti genetici tra Cercaria seti fera MONTICELLI (non Joh. MuLLER) ed alcune specie della famiglia Allocrea- diidae. Boll. Soc. Naturai. Napoli , Voi. 44 , pp. 213-216 . 24. » Bacciger bacciger (RUD.) NICOLL 1914 forma adulta di Cercaria pedinata HUET 1891. lbid., pp. 217-220. 25. (1933) Cercaria pedinata HUET e Bacciger bacciger (RUD.). Rapporti genetici e biologia. Boll. Zoologia Napoli, Anno IV, pp. 1-11 e 6 figg. 26. » Una parola di risposta a C. RUTH SHAW su Cercarieum Unioni Miller and Northup. Ibid.‘ pp. 117-119. XIX 27. (1934) Bacciger bacciger (RUD.). Trematode digenetico: fam. St erin gophoridae ODHNER. Anatomia, sistematica e bio¬ logia. Piibbl. Stas. Z. Napoli, Voi. 13, pp. 438-478 , 33 figg. 28. » Gli stadi larvali dei Trematodi del golfo di Napoli. 1° con¬ tributo allo studio della morfologia, biologia e sistema¬ tica delle cercarie marine, Ibid., Voi. 14, pp. 51-94, 34 jjgg . INDICE ATTI (memorie, note e comunicazioni) Jucci C. — Contributi critici alla storia della sericoltura . . pag. Imperati L. — Tentativi sperimentali di trapianti di cute su tes¬ suto osseo . „ Majo E. — I sismi vesuviani del febbraio 1933 „ Augusti S. — Studi ed osservazioni sul comportamento dei sali di cromo in analisi . „ Alfano Q. B. — Gli epicentri sismici dell'Italia con particolare riguardo a quelli rovinosi , disastrosi e disastrosissimi (Con la Tav. 1) . „ Sorrentino S. — Considerazioni sulla variabilità dei caratteri di Alveolina e Flosculina dal punto di vista del loro rag¬ gruppamento e determinazione (Con 2 grafici fuori testo). „ Penta F. — Incrostazioni calcitiche in vecchie grotte cavate nel " tufo giallo napoletano „ (Con la Tav. 2). . . n Castaldi F. — Forme di erosione eolica nei Campi Flegrei (Con la Tav. 3) . „ Scaini G. — Nuovi giacimenti di pirolusite nel gruppo del Matese. „ RENDICONTI DELLE TORNATE (PROCESSI VERBALI) Processi verbali delle tornate 1934 . . pag. Consiglio Direttivo per l'anno 1935 . „ Elenco dei soci . „ Elenco delle pubblicazioni pervenute in dono . „ 3 15 29 35 51 121 153 171 191 in ix XI XVII TAVOLE Boll, della Società dei Naturalisti , Voi. XL.VI. Tav. I . Boll. d. Società d. Naturalisti, Voi. XL VI. Tav. 2 Fig. 3 i: r-H,' ' ' ■ ' . ' Boll, della Società dei Naturalisti, Voi XLVL Tav. Neg. Castaldi. Neg. Castaldi. Erosioni alveolari sulla parete tufacea fra Bagnoli e Pozzuoli (Terme Pepere). Particolare degli alveoli incisi sulla precedente parete. Boll, della Società dei Naturalisti , Voi. XLVI. Tav. 3. Erosioni alveolari sulla parete tufacea dello sperone di Torregaveta. Erosioni alveolari sulla parte superiore del " fungo „ di Lacco Ameno. Per quanto concerne la parte scientifica ed amministrativa dirigersi al REDATTORE DEL BOLLETTINO Prof. Giuseppe Zirpolo presso la Sede R. Università - Via Mezzocannone » Napoli. Direttore responsabile: Claudio Gargano. Il r i >> jg >» )>J ■» >>ng gg JPJMJJP JLè > li 03 nt€WEM»XQrSWl w$?^m mmm > 3§Efe-“^ lm lESEj ® JSXiS òj$i ^ipìr^r^ iSadEHI iSjoQ)|