rw~f (àrìgi ,8Ht yil VK 1 f (fi m (K uflm n T^ t^^rìy/^Ssr MJL€ fi jpjr| — CciTjEIflii tute dat §p 'C C ZJL, < ^|(fj QCjfcoòS imi ^J|C; K|t3gE hf Sggj pSpela |sSwjìÌ a*. m ij §pi3 ÉX3 rliHSora 9H BOLLETTINO VOLUME XL1X - 1937 - xv (Pubblicato in luglio 1938 - xvi), JM2 f m ' ;1 t ■■■■ NAPOLI STABILIMENTO TIP. NICOLA JOVENE Yia Bonnalbina i4 : 1938 M ATTI (memorie, note e comunicazioni) Ippolito F. — Segnalazione di un pozzo esistente nella antica città di Pompei . . . . . . . . . . pag. Penta F. — Osservazioni sulla evoluzione e la differenziazione del magma somma-vesuviano secondo le vedute dei Rittmann. Le loro basi e le loro conseguenze nella interpretazione della geologia dei territorio fra i Campi Fiegre i e Pesto . u Salii M. — Su di un particolare adattamento ecologico di dona intestinalis nel golfo di Napoli . . . . B Salvi F. -- Studi sull' ofidismo sperimentale. IH. La proteolisi da veleno di viperidi . . . « . . . „ Salfi M. — Ortotteri raccolti in Anatolia dal Prof. Nello Beccari . s Gargano C. — Mitosi del fegato da coccidiosi . . . . • . ,, Paranza» P. — Nuovo apparecchio per pescate planctoniche . „ Augusti S. — Azione del permanganato potassico sui composti mer» curio-ammonici . . . . . . . . . „ Alfano G. B. — Contributo allo studio delle vibrazioni dei fabbri¬ cati per cause esogene . . . . ... • « Gargano C. — Azione delle radiazioni Rontgen e del radio sullo sviluppo di blastomi maligni; . . . . . « a Zirpolo G. — Aggiunta al mio lavoro " Su alcune forme ipoti¬ piche rare di Ofiiiroidi rinvenute nel golfo di Napoli „ . „ Fiatatila G. — La grotta del Sole nell'Isola d'Ischia e il bradisisma Zirpolo G. — Azione dell'acqua pesante sugli organismi. -» II. Ri¬ cerche sulla Discomedusa : Nausithoè panciata . Fedele M. — Nota sistematica su specie rilevanti rapporti Ira gli Infusori Hymenostomata e Astomata Fedele M. — Nota sistematica suììz JScyphòmedusae Seniaeosiomeae del gen. Phacellophora . . . . . . . „ 133 Zirpolo G. -- Ricérche sull'azione dell'acqua pesante sugli orga¬ nismi. - I. Notizie preliminari. . . • . . . 137 Parascandola A. — Il periodo sismico 1927-36 nell'isola d'Ischia . „ 147 9 43 49 57 59 75 81 89 97 111 115 123 129 RENDICONTI DELLE TORNATE (PROCESSI VERBALI Processi verbali delle tornate 1937 Consiglio Direttivo per l'anno 1937. Elenco dei soci. .... Pubblicazioni in càmbio . Pag- in vii IX XII BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ BEI NATURALISTI IINT NAPOLI VOLUME XLIX - 1937 - xv. (Pubblicato in luglio 1938 - xvi). NAPOLI STABILIMENTO TIP. NICOLA JOVKNE Via Donnalbina 14 1938 INDICE b à: 7 % ATTI (memorie, note e comunicazioni) Ippolito F. — Segnalazione di un pozzo esistente nella antica città di Pompei . pag. Penta F. — Osservazioni sulla evoluzione e la differenziazione del magma somma-vesuviano secondo le vedute del Rittmann. Le loro basi e le loro conseguenze nella interpretazione . della geologia del territorio fra i Campi Flegrei e Pesto . „ Salfì M. — Su di un particolare adattamento ecologico di dona intestinalis nel golfo di Napoli . „ Salvi P. — Studi sull' ofidismo sperimentale. III. La proteolisi da veleno di viperidi . . . . . . „ Sai fi M. — Ortotteri raccolti in Anatolia dal Prof. Nello Beccari . „ Gargano C. — Mitosi del fegato da coccidiosi . . . „ Parenzan P. — Nuovo apparecchio per pescate planctoniche . „ Augusti S. — Azione del permanganato potassico sui composti mer- curio-ammonici . . . Alfano G. B. — Contributo allo studio delle vibrazioni dei fabbri¬ cati per cause esogene . „ Gargano C. — Azione delle radiazioni Rontgen e del radio sullo sviluppo di blastomi maligni . „ Zirpolo G. — Aggiunta al mio lavoro “ Su alcune forme ipoti¬ piche rare di Ofiuroidi rinvenute nel golfo di Napoli „ „ . Platania G. — La grotta del Sole nell'Isola d'Ischia e il bradisisma „ Zirpolo G. — Azione dell'acqua pesante sugli organismi. - IL Ri¬ cerche sulla Discomedusa : Nausithoè punctata . * . „ Fedele M. — Nota sistematica su specie rilevanti rapporti fra gli Infusori Hymenostomata e Asto mata ..... w Fedele M. — Nota sistematica sw\\t\Scyphomedusae Semaeostomeae del gen. Phacellophora . „ Zirpolo G. — Ricerche sull'azione dell'acqua pesante sugli orga¬ nismi. - I. Notizie preliminari. Parascandola A. — Il periodo sismico 1927-36 nell'isola d'Ischia . „ RENDICONTI DELLE TORNATE (PROCESSI VERBALI Processi verbali delle tornate 1937 pag. Consiglio Direttivo per l’anno 1937 . „ Elenco dei soci . „ Pubblicazioni in cambio . „ éàk 1 1 3 9 43 49 57 59 75 81 89 97 111 115 123 129 133 137 147 in VII IX XII Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli AT T I (MEMORIE E NOTE) Segnalazione di un pozzo esistente nella antica città di Pompei del socio Felice Ippolito (Tornata del 21 gennaio 1937) Alfredo Rittmann nella sua importantissima opera “Die geo- logisch bedingte Evolution und Differentiation des Somma-Vesuvmagmas,, (1) espone fra l’altro le osser¬ vazioni da lui eseguite su un pozzo cavato nel 1931, per consiglio della rabdomante Mataloni, nel sottosuolo della antica città di Pom¬ pei e precisamente nell’ ambito della " Casa dei Vasi di Vetro „ (vicolo di Mercurio). Il Rittmann fu l'unico scienziato che osservò tale pozzo durante gli scavi , prelevando opportuni campioni dalle pareti. Ricordo qui che la successione dei terreni attraversati in questo scavo, specie per i rapporti stratigrafici delle formazioni Flegree e Somma Vesuviane che ivi direttamente si rilevano, fu appunto una delle basi fondamentali della geniale ma sperimentata teoria che il Rittmann vastamente sviluppò per la prima volta in questo studio (2). Gli strati attraversati dal pozzo e riconosciuti dal Rittmann furono i seguenti : Pomici leucito-fonolito-vicoitiche (3) della eruzione pliniana del 79 d. C. (con cui ha inizio la vita del Vesuvio) m. 3. Materiale di riporto (non naturalmente sedimentato) m. 13. Corrente di lava del Giovane Somma (4) (leucite-basalte o vicoite-basanitica o meglio , secondo la classifica del Niggli , otta- vianite) m. 1,50. Ceneri vulcaniche e sabbia del Giovane Somma m. 0, 50. Corrente di lava della grande eruzione preistorica del Giovane Somma (5) (Ottavianite) m. 4. — 4 - Pomici trachi-vicoitiche della medesima eruzione (6), simili alle pomici di S. Marzano, m. 1,50. Ceneri, sabbia e resti di terreno vegetale m. 0,50. Dopo tracce di denudazione , che dimostrano come sia inter¬ corso parecchio tempo tra la deposizione dei terreni sottostanti e la grande eruzione preistorica, abbiamo : Tufo giallo f< napoletano „ (7) m. 4. Tufo grigio (che il Rittmann chiama campano, ma che dimo¬ stra poi trattarsi di un prodotto esplosivo del Somma Primitivo, " Ur-Somma „) con scorie trachitiche (8) e blocchi di calcare meta¬ morfosato e fluoritizzato, più di m. 4. Importantissimo sarebbe per gli studiosi poter disporre ancora del pozzo ; ma questo, pochi mesi dopo lo scavo, venne rinterrato. Nello stesso aprile però, recatomi a Pompei accompagnando il prof. ing. Penta che vi si recava per suoi studi sulle pomici vesu¬ viane, potei osservare un altro pozzo, sito nelle immediate vicinanze di Porta Vesuvio, a meno di 1 Km. in linea d'aria dal pozzo Ma¬ ialoni osservato dal Rittmann. Questo pozzo risale all' epoca romana e, opportunamente riat¬ tato, viene tuttavia utilizzato per raccogliere alla profondità di circa 35 metri, 1' acqua freatica ; quella stessa acqua che alimenta gran parte delle antiche, ripristinate fontanine di Pompei (Scavi). L'estrazione dell'acqua è fatta mediante una pompa centrifuga mossa da un motorino elettrico. Il pozzo è sufficientemente largo (circa m. 2x2) sì che la discesa è agevole, suddivisa come è in sette pianerottoli di tavole collegati da scalette a pioli di ferro. Apposito impianto, realizzato con tubi di latta e con un ventilatore, assicura 1' areazione delle parti inferiori, ove si dice si riscontrino emanazioni di C02. Il pozzo non è rivestito che per un brevissimo tratto nella parte superiore ; in seguito la compattezza dei terreni attraversati ha reso inutile questa precauzione (9). Per ovvie ragioni non potetti soffermarmi troppo nel prelievo di numerosi campioni. Ho potuto però nettamente distinguere le due effusioni laviche, di cui il Rittmann, separate oltre che da ceneri e sabbia anche da scorie (“ ferruggine „) ; di queste colate e delle scorie ho prelevato campioni che alla osservazione sommaria da me fatta apparvero del tutto simili ai campioni di ottavianite che af¬ fiora, ma molto più alterata, sotto il Foro Triangolare (villa di Giu¬ seppe 11) e ampiamente a Castel Cisterna. 5 — Inoltre , ho potuto osservare il tufo giallo, del quale prelevai anche dei campioni , e il tufo grigio che è al livello della falda freatica la quale scorre anzi attraverso ampie fratture che ne inte¬ ressano la formazione. Come appare da questa descrizione sommaria, il pozzo presenta, come era ovviamente da aspettarsi (10), la medesima successione di terreni osservata dal Rittmann nel pozzo della " casa dei vasi di vetro „ ; e ciò mentre torna a conferma , se ne fosse il caso, delle osservazioni eseguite da queireminente scienziato, può portare un notevole contributo agli studi di stratigrafia somma-vesuviana e alla conoscenza del sottosuolo della antica città di Pompei. Intanto , per queste ragioni , riservandomi di comunicare in seguito i risultati dello studio petrografico che vado eseguendo sui campioni prelevati ed i risultati dell'analisi chimica dell' acqua, ho creduto opportuno segnalare resistenza di questo pozzo, esistenza che da tempo nota agli archeologi non lo sembra , per lo meno esplicitamente, agli studiosi di problemi vesuviani. Istituti di Geologia Applicata e di Arte Mineraria della Facoltà di Ingegneria. R. Università - Napoli, gennaio 1937. — 6 — NOTE (1) In " Zeitschrift fiir Vulkanologie „ 1933. Band XV - Dietrich Reimer, Berlin. (2) Sui risultati di questi studi riferirà dettagliatamente il prof. F. Penta:: Osservazioni sulla evoluzione e dijferenziazione del magma Somma- Vesuviano secondo le teorie del Rittmann. Boll. Soc. Natur. Napoli, voi XLIX, 1937. Ricordo soltanto qui che, secondo il Rittmann, il magma che alimenta il si¬ stema Somma-Vesuviano fu originariamente un magma trachitico, consanguineo al magma delle effusioni dei Campi Flegrei e di Ischia; ma col passare del tempo, net corso della sua evoluzione e differenziazione , questo magma si andò man mano impoverendo in silice e i prodotti relativi arricchendo sempre più in leucite. La storia del Somma-Vesuvio viene pertanto dal Rittmann riferita ai quattro grandi periodi: Il primo produsse trachite, con molte ceneri e scorie pumicee; materiali che costituirono l'apparato del Somma Primordiale ("Tr-Somma ,,). Dopo lungo periodo di riposo incominciò il secondo periodo con produzione di orvietiti e la formazione del Vecchio Somma (" Alt-Somma „). Il terzo periodo, cui il Giovane Somma (" Jung-Somma „) deve la sua origine, è caratterizzato da rocce ottavianitiche. Il recente Vesuvio produce finalmente lave leuci tifiche che da esso prendono il nome di vesuviti. Questa differenziazione del magma primitivo dall' " Ur-Somma „ al Vesuvio fu dovuto, secondo il Rittmann, alla assimilazione della dolomia triasica, sotto i cui strati si troverebbe oggi il tetto del focolare magmatico. (3) Queste pomici, da lui dette " Fonolito-vicoitiche „, il Rittmann (op. cit- pg. 23) così descrive: Pomici altamente porose, giallognole fino a bianco , con rari e piccoli feno- cristalli di sanidino, andesina-labradorite, augite, alcuni prismi allungati di antibolo sodico e biotite. Il vetro incolore contiene numerosi microliti di leucite e alcuni microliti di augite egirinica, alquanta biotite e magnetite. (4) Rittmann (op. cit., pg. 25) così descrive questa roccia : Nella roccia, grigia, bollosa e fluitale compaiono macroscopicamente numerosi fenocristalli di leucite, piccoli cristalli di augite, bitownite e granuli di olivina. La massa fondamentale è a grana molto fine , spesso ha un certo contenuta di vetro. Sanidino, biotite, minerali opachi e apatite completano la paragenesi. Composizione mineralogica quantitativa volumetrica (pg. 30) : Min. Opachi Apatite Sanidino Plagioclasio (bitownite) Leucite Augite Biotite Olivina - 7 — (5) Rittmann (op. cit., pg. 26) così descrive questa ottavianite : Roccia grigio scura con grossi fenocristalli di augite e piccoli granuli di olivina. La massa fondamentale a grana fine consta di leucite, bitownite e augite con alquanta nefelina , sodalite , olivina , minerali opachi e apatite. Manca affatto il sanidino. Composizione mineralogica quantitativa volumetrica (pg. 30): Plagioclasio (bitownite) 35 °/o Leucite 27 „ Nefelina e sodalite 3 „ Augite 27 » Olivina 5 „ Min. opachi 2,5 „ Apatite 0,5 „ (6) Così descritte dal Rittmann (op. cit., pg. 22) : Bianche, altamente porose con natronsanidino e rari microfenocristalli di augite. egirinica, biotite e labradorite. La massa fondamentale di vetro è incolore e povera di microliti di sanidino, augite egirinica con alquanto antibolo sodico, biotite e minerali opachi. (7) La presenza di questo tufo giallo " napoletano „ e delle sottostanti scorie trachitiche attribuite all' " Ur-Somma „ è elemento della più grande importanza perchè permette di desumere che la grande eruzione preistorica del Giovane Som¬ ma (che iniziò quel periodo di attività) fu successiva al secondo periodo flegreo e che le manifestazioni del Somma-Primitivo (" Ur-Somma „) furono invece pre¬ cedenti alla formazione del tufo giallo. Si noti qui che, come il Rittmann stesso precisa , nel pozzo Mataloni ed in questo di porta Vesuvio non si rinviene la orvietite del Vecchio Somma che, posteriore alla formazione del tufo giallo , si rinviene solamente nel canalone di Pollena. (8) Queste scorie furono dal Rittmann (op. cit., pg. 21) così descritte: Pomice grigia con radi fenocristalli di sanidino , labrador-bitownite e augite in una massa fondamentale molto porosa, incolore costituita da vetro. Il "numero di quarzo „ (Niggli) è così debolmente negativo che nello sviluppo cristallino i foidi poterono cristallizzare in quantità appena degne di nota. I " valori di Niggli „ riportati da Rittmann sono : si 198 al 36 fm 18 c 15 Va alk 30 ’/2 k 0,70 mg 0,42 c/fin 0,88 qz -24 — 8 — (9) Si noti al proposito che, sempre a piccola profondità, si rinvengono avanzi di un rivestimento romano in opus reticulatum. (10) La successione di terreni descritta dal Rittmann per il pozzo Mataloni non risulta da altre descrizioni di pozzi di questa plaga napoletana. Riassunto. L’A. segnala la esistenza di un pozzo profondo nella antica città dì Pompei, nei pressi di porta Vesuvio. Ricorda la importanza che ha per gli studi e le deduzioni del Rittmann sulla evoluzione e differenziazione del magma somma-vesuviano, la serie di terreni in un altro pozzo, ca¬ vato nel 1931 nella « casa dei vasi di vetro » (a meno di 1 Km. di di¬ stanza da questo) e subito rinterrato. L’A. si riserva di comunicare ulteriormente i risultati dei suoi studi petrografie!' sulle rocce incontrate in questo pozzo, confrontandoli coi risultati riportati dal Rittmann. Finito di stampare il 10 marzo 1937. Osservazioni sulla evoluzione e la differenziazione del magma somma-vesuviano secondo le vedute del Rittmann. Le loro basi e le loro conseguenze nella interpretazione della geologia del territorio fra i Campi Flegrei e Pesto del socio Francesco Penta (Tornata del 21 gennaio 1937) Sommario I. — Premessa. II. — La teoria del Rittmann sulla causa efficiente dell'attività vulcanica e la trasformazione del bacino magmatico somma-vesuviano. III. — Le basi della teoria del Rittmann. IV. — Conseguenze dei risultati delle ricerche del Rittmann nelle interpretazione della Geologia campana. Riassunto. Bibliografia. I. — Premessa. La scienza che tratta della genesi dei giacimenti minerari metal¬ liferi primari coincide con quella ( Magnialogia ) che studia il complesso dei fenomeni del consolidamento magmatico. Gran parte dei giacimenti metalliferi è legata alle "soluzioni mag¬ matiche resìdue,,, ma in generale è nella chimico-fisica di un bacino magmatico regolata dalla geologia dei terreni interessati che stanno natura e tipo del giacimento metallifero primario. Strano sarebbe voler trattare di tali argomenti geo-minerari continuando ad ignorare lo stato delle scienze che tali complessi geo-chimico- fisici trattano. Fondamentali per queste scienze sono i lavori di Paolo Nig- - 2 - — lo — gli {) e, anche perchè riguardano i nostri terreni, i risultati degli studi di Alfredo Rittmann. Scopo della presente nota è appunto 1' esame dei lavori del Rittmann riguardanti la Campania. Alfredo Rittmann 2), che per lunghi anni dedicò la sua geniale attività allo studio anche delle manifestazioni vulcaniche, attive o non, della Campania e in special modo dei Campi Flegrei e del Somma-Vesuvio, risiedendo nella nostra città all' Istituto Vulcano- logico Friedlaender, dopo alcune pubblicazioni specifiche su vari prodotti del vulcanesimo campano, riassunse in due lavori ormai classici, uno sull'isola d' Ischia e l’altro sulla "Evoluzione e differenziazione del magma somma-vesuviano,,, i risultati delle sue personali osservazioni geologiche; rielaborando quivi altresì tutti gli studi dei suoi predecessori e riferendosi fra T altro allo studio sistematico di tutta la serie di rocce (plutoniti e vulcaniti) fin qui conosciute del Somma-Vesuvio, egli concluse con la ricostruzione compieta dello sviluppo del bacino magmatico di questo centro eruttivo e della storia delle sue manifestazioni esterne, in dipendenza ed in relazione con gli altri fatti geologici che in quella plaga intanto si verificavano. Ritornò successivamente sul¬ l'argomento in altri più particolari lavori 3); al proposito nel 1933 tenne anche una conferenza divulgativa in italiano alla Società Sviz¬ zera di Napoli (Hotel Terminus). Ha comunicato poi, ora è un anno, all' Assemblea generale della Società Geologica tedesca in Francoforte sul Meno, la sua brillante teoria sull'intero ciclo evolu¬ tivo dei focolari magmatici e infine ha recentemente pubblicato un volume di vulcanologia, in cui buona parte del materiale sperimen¬ tale è sempre quello da lui personalmente raccolto nelle nostre regioni durante la sua lunga e proficua permanenza. Riassumerò per ora la teoria del Rittmann, riferendomi, come ordine di esposizione, alla sua comunicazione sintetica alla Società Geologica tedesca ; mi limiterò a chiarire soltanto i punti fondamen¬ tali, sia utilizzando gli altri suoi lavori e i frutti dei lunghi e ripe¬ tuti colloqui avuti con V autore , sia esponendo i più necessari concetti fondamenti relativi al consolidamento di un bacino mag- A) Vedi bibliografia in appendice. 2) Il Rittmann studiò anche lo Stromboli , pubblicando i risultati delle sue osservazioni in lavori che cito in appendice. 3) Vedi in appendice. — 11 — matico quali furono stabiliti dal Nigqli sin dal 1920, in perfetta concordanza con i risultati degli studi di chimico-fisica delle miscele di componenti a molto diverso grado di volatilità. Esaminerò al¬ cune principali basi petrografiche e stratigrafiche, sulle quali il Rittmann ha poggiato le sue conclusioni e segnalerò infine quali conseguenze queste conclusioni portano nella interpretazione della geologia della regione. Spero di poter al più presto esporre le idee alle quali il Ritt¬ mann medesimo è giunto, attraverso questi stessi studii, sulla natura in generale dei magmi originari e delle loro trasformazioni ( " Ge- steinssippen „ ) , e su cui il geniale Scienziato ha in questi ultimi giorni tenuto varie conferenze e vittoriose discussioni nelle Univer¬ sità di Bonn e Colonia, nell' Accademia Mineraria di Essen e in varie Società geologiche tedesche. II. — La teoria del Rittmann sulla causa efficiente dell* attività vulcanica e la trasformazione del bacino magmatico somma- vesuviano. Astraendo, come fa il Rittmann, da tutto ciò che possa riguar¬ dare 1' origine prima del magma ’) e 1' atto intrusivo che porta alla formazione dì un focolaio vulcanico, consideremo il focolare a co¬ minciare dal momento in cui si è costituito e con esso i fenomeni x) Il magma nel senso più generale può definirsi come una miscela fusa (a temperatura iniziale mai superiore ai 1400° e sotto pressione variabile, con la profondità, da varie a poche migliaia e finanche centinaia di atmosfere) di com¬ ponenti numerosi, capaci di dare composti ancora più numerosi, dei quali alcuni miscibili ed in grado vario e variabile fra loro, altri immiscibili a tutte le tem¬ perature attraversate, ma. per concentrazioni varie. Di tali componenti alcuni possiedono temperature di fusione ed . in genere di trasformazioni estremamente elevate, altri estremamente basse. I principali, come contenuto relativo, di questi componenti in ordine di con¬ tenuto sono rappresentati da : Si02 , A1203 , Fe2Os , FeO, MgO, CaO, Na20, K2O, TÌO2, P205 , MnO, BaO, SrO insieme con i volatili H20, H2S, C02, Cl2, F2, CH4 ecc. Sono presenti però nella miscela, ma sempre in minime quantità, tutti gli altri elementi finora conosciuti. Soltanto i fenomeni tutti, insiti nel processo del consolidamento e raffred¬ damento di un bacino magmatico , permettono poi a questi ultimi elementi di concentrarsi in punti e momenti vari per dar luogo specialmente alla formazione dei giacimenti metalliferi utili. — 12 — che conducono alla formazione o meno di un vulcano, i fattori che intervengono nella sua durata e quindi le trasformazioni che il mag¬ ma stesso del focolaio subisce durante la vita del vulcano even¬ tualmente nato. Il comportamento del magma nel focolaio vulcanico dipende da tre fattori essenziali: pressione, temperatura e compo¬ sizione chimica. Dalle ricerche sulla chimico-fisica del magma ri¬ sulta ormai pacifica questa dipendenza. Le conoscenze in questo campo sono però soltanto qualitative; e bisogna riconoscere di essere già abbastanza avanti se si può disporre dei più importanti dati capaci di stabilire gli ordini di grandezza. Il magna dopo il suo arrivo nel focolaio si trova in disquilibrio termico con le rocce di contatto, che sono più fredde, e naturalmente cede calore. In generale il magma sin dal principio della formazione del bacino è già a temperatura tale che ogni ulteriore raffreddamento provoca segregazione di cristalli. I gas, poiché non entrano affatto o in misura molto ridotta nella costituzione degli individui cristallini, che così si vanno se¬ gregando, se non possono liberarsi perchè il bacino si comporta come un serbatoio chiuso, vanno ad arricchire la restante massa fusa ; la pressione di conseguenza aumenta L). Questo aumento di pressione incomincia all' inizio della cristallizzazione e continua finché tutta la parte 2) non volatile della massa magma- ) Questo aumento di pressione con l'aumento di contenuto di gas nel liquido magmatico è una diretta conseguenza della Legge di Henry, in base alla quale " la quantità di gas disciolta in un liquido è proporzionale alla pressione alla quale il gas è soggetto „. Perchè il comportamento dei volatili tenuti disciolti nel magma possa teori¬ camente prevedersi in base alla legge di Henry, bisogna che si supponga, come infatti nella linea generale ed in molti casi si verifica, che il bacino sia perfetta¬ mente chiuso e cioè che le rocce del contatto e specie quelle del tetto possano equilibrare le pressioni salienti con le concentrazioni ed impedire così la libe¬ razione dei volatili, sia sotto forma di evaporazione, che di ebollizione o di distillazione. I casi nei quali ciò non avviene, se non per un primo (e quindi un ultimo) periodo di tempo, sono stati sperimentalmente studiati dal Niggli insieme al caso fondamentale del bacino chiuso qui in esame e con quello opposto dei fenomeni estrusivi o vulcanici. Per questo studio vedi note seguenti. 2) Come si vede dal diagramma T-X della Fig. 1, soltanto una minima parte dei silicati e della silice resta disciolta nei volatili nelle ultime fasi di raffreddamento magmatico e con questi volatili prende parte ai processi di mineralizzazione metallifera di contatto, metasomatismo , sostituzione, impregna¬ zione, formazioni di filoni, ecc. — le¬ tica non si sia consolidata e non si inizino allora i fenomeni di condensazione. L'aumento di pressione si esplica in un largo inter¬ vallo di temperatura e raggiunge il suo massimo alla temperatura relativamente bassa della fase pneumatolitica. Con un ulteriore abbassamento della temperatura la pressione decresce rapidamente; la fase pneumatolitica passa a quella idrotermale. Seguendo il Niggli , nella sua introduzione allo studio dell'origine dei giaci¬ menti minerarii primari, esaminiamo il comportamento di una sostanza fusa sotto la pressione di alcune centinaia di atmosfere , corrispondente cioè alla profondità di un paio di kilometri entro la crosta terrestre. Benché tale pressione possa ri¬ tenersi, per i fenomeni in questione, relativamente bassa, è in genere sufficiente a rendere le sostanze volatili presenti simili, nelle loro proprietà, le une alle altre. Esse coesistono insieme alle sostanze praticamente refrattarie allo stato di so¬ luzione, qualunque sia la temperatura. roSO-100' Stàdio /ifoido-màgnìà hco rfadio pejmtitico e'\ ” " Ano Js pneumatohtìco idrotermale JosfonM facifap/ih Jb$t&n?&non VOlattl t (pi tfoUtil* tei. fi'O} e Si !><à fi' V4 rij Fig. 1. - Diagrammi T-X e P-T di un sistema costituito di un componente non volatile (B) e di uno volatile (A). Curva di saturazione di B (a sinistra) e curva della tensione di vapore corrispondente (a destra). Il fenomeno rappresentato si riferisce al caso di un sistema chiuso, ove cioè la tensione del vapore sia equilibrata dalla pres¬ sione esterna e non sia possibile la evaporazione. (Da P. NiGGLI, op. cit.). Il comportamento di una soluzione ignea nelle condizioni suddette ed alla quale può riferirsi una massa magmatica intrusiva , può desumersi dalla Fig. 1 (parte sinistra) che offre un esempio estremamente semplificato degli effetti delle alte temperature sui fenomeni in questione. Il sistema considerato è binario, dove A è una sostanza volatile (per es., acqua) e B è una sostanza difficilmente vola- tilizzabile (es. silice e silicati vari). La composizione della miscela fusa è indicata dal punto Xt corrispondente a una concentrazione di B di oltre il 90 % (come si riscontra nei magmi reali). Per semplicità si esclude la formazione , durante il raffreddamento di B, di composti o cristalli misti, per modo che la composi¬ zione chimica della fase solida proveniente dalla separazione di B sia costante. Il grafico rappresenta la forma della curva di separazione o curva d'equilibrio — 14 - liquido -f- solido (curva del punto di fusione di B) nella ipotesi suddetta e in¬ dica che, a temperatura decrescente, si verifica quanto segue: 1) La presenza (anche in piccole quantità) di A abbassa il punto di fusione di B; la cristallizzazione comincia, invece che da t0 (punto di fusione di B), da tt intersezione di (rappresentante la composizione del sistema) con la curva del punto di fusione. 2) L' eliminazione di B con la sua cristallizzazione modifica la composizione della soluzione la quale segue perciò la curva. Di tale curva la prima parte, molto ripida, indica che la cristallizzazione nelle prime fasi è lenta. Man mano che la temperatura si abbassa, la composizione della soluzione raggiunge gradualmente la parte meno acclive della curva e a ciò corrisponde un più intenso ritmo di cristallizzazione. Qui variazioni, anche minime, di temperatura sono sufficienti per alterare radicalmente la composizione della soluzione. Questa parte del diagramma segna la fine del periodo di consolidamento delle rocce ignee del tipo abissale. 3) Praticamente qui quasi tutto B s'è cristallizzato e in ultimo non rimane che una miscela ad altissima concentrazione di A, per modo che la natura del liquido residuo è interamente cambiata. Intanto non s’è mai fin qui parlato di sviluppo o separazione di vapore. E difatti una tale fase non potrà sussistere nelle condizioni di pressione supposte, sempre che cioè il sistema si supponga chiuso. La fase gassosa può ovviamente apparire soltanto quando la tensione del vapore divenga maggiore della pressione esterna che agisce sulla soluzione. La metà destra della Fig. 1 è un diagramma supplementare che mostra , per il sistema A-B, la variazione della tensione di vapore al variare della temperatura, nell' ipotesi che la soluzione rimanga costantemente saturata nei riguardi dei due componenti. La pressione P è qui rappresentata dall’ ascissa e la temperatura T di nuovo dall' ordinata. La curva che può per il momento considerarsi continua, è del tutto caratteristica e presenta i seguenti punti interessanti : 1. - Nella prima fase (che in figura è stata chiamata liquido-magmatica o che può dirsi anche orto magmatica) la pressione aumenta , malgrado i abbas¬ sarsi della temperatura. Ciò significa che le soluzioni residue che vanno forman¬ dosi a seguito della cristallizzazione hanno una tensione di vapore più alta della pressione esistente nel fluido originario. E ciò risulta semplice conseguenza del fatto che il componente volatile si va concentrando sempre di più l) ; se A non fosse costretto dalla pressione esterna a rimanere in miscela con B, assumerebbe esplicito lo stato aeriforme. Nella fase, che in figura è stata chiamata pneumatolitica , la tensione di vapore raggiunge un massimo ; diminuisce poi nella fase successiva , allorché predomina l'influenza del raffreddamento. Si dimostra sperimentalmente 2) che nei sistemi con componenti aventi punti di volatilizzazione estremamente differenti, deve esistere uno stato (corrispon¬ dente alla parte punteggiata della curva) nel quale tutta la soluzione residua passa nella condizione supercritica. La separazione di una fase gassosa è così resa *) È costretto cioè a mantenersi disciolto in un liquido di cui massa e volu¬ me diventano sempre più piccoli. 2) Vedi i lavori del Niggli ed anche Eitel W. Physikalische Chenùe der Silikate. Ed. Leopold Voss, Lipsia 1929, — 15 — impossibile, poiché la soluzione residua è in quello stato che comunemente viene chiamato " fluido nel quale, com’è noto, gas e liquido non sono più distin¬ guibili, trovandosi il fluido al disopra del punto critico *). La parte della curva di vapore che si considera è quella rappresentata dal ripiegamento saliente intercetto fra t2 e t3. Le soluzioni fluide si trovano dunque allo stato pneumatolitico plutonitico (plutonitico, per differenziarlo dai fenomeni pneumatolitici nel senso fumarolico), e la soluzione offre qui il minimo valore della viscosità di tutto il processo di consolidamento. In questa fase della conso¬ lidazione le soluzioni residue possono essere paragonate in linea di massima a un gas, purché resti ben stabilito che per nessuna ragione esso deve conside¬ rarsi come una emanazione (uno sviluppo cioè dal liquido). Esse sono, non meno della massa fusa magmatica originaria, delle soluzioni di sostanze diverse 1' una nell’altra e derivano dalla stessa massa con processo di differenziazione continuo. Negli stadi seguenti esse dànno origine, con un gradiente continuo di transizione, a ordinarie soluzioni di tipo idrotermale. Da quanto anzi detto consegue che il magma finché è 11 surri¬ scaldato „ (quando cioè si trova a temperature poste al disopra della curva d’equilibrio solido-liquido) o quando è già troppo raf¬ freddato non è capace di dare un eruzione, poiché in ambedue i casi la pressione decresce con la temperatura. Se perciò magma surriscaldato arriva in superficie (e ve ne sono dei casi) non può trattarsi di una " capacità eruttiva attiva „, bensì di una passiva, do¬ vuta cioè alla compressione del focolare, compressione provocata da movimenti tettonici. La possibilità che il magma rompa la cro¬ sta sovrastante si verifica soltanto durante l'intervallo di tempo compreso fra l’inizio della cristallizzazione e la fase pneumatolitica, e precisamente soltanto quando il peso o la resistenza distribuiti del tetto del focolaio sono inferiori alla massima pressione sviluppata dalla restante massa fusa. In questo caso, nel corso del raffred¬ damento, arriva il momento in cui il magma si crea spazio libero. Ciò può avvenire in vari modi: 1°) La resistenza del tetto è più grande del suo peso; in que¬ sto caso si forma un rigonfiamento a forma di volta. Un esempio tipico è fornito dal primo periodo di sviluppo deir" horst „ dell'isola di Ischia. 2°) La resistenza del tetto è minore del suo peso; i gas vul¬ canici irrompono attraverso il tetto formando un condotto; nasce h Va ricordato qui 1' esistenza delle curve critiche di due componenti e che ricerche piuttosto recenti hanno stabilito anche 1' espressione analitica dell' au¬ mento del valore di temperatura critica di una sostanza A in funzione del conte¬ nuto (x °/0) di un altro componente B. - 16 - un vulcano. Nel caso che fratture vecchie siano presenti, natural¬ mente è attraverso esse che irrompono i gas. Se poi il focolaio è a poca profondità, l'eruzione iniziale può anche avvenire indi¬ pendentemente dalle fratture preesistenti. 3°) Il momento dello squarcio dipende dalla intensità della resi¬ stenza da vincere e quanto più grande è questa tanto più tardi l'esplosione avviene, ma naturalmente tanto più violenta è l' eru¬ zione iniziale. È ovvio come si verifichi frequentemente il caso in cui la resistenza del tetto è così grande da non poter essere vinta dalla tensione di vapore del magma ; in tal caso tutto si riduce alla formazione di un plutone ; non si verifica cioè nessuna mani¬ festazione esteriore e la presenza del focolaio magmatico può essere svelata soltanto da un gradino geotermico enormemente pic¬ colo. Un esempio di caso limite della capacità eruttiva è il campo fumarolico delle maremme Toscane. Si tratta là visibilmente di uno sviluppo di vapore da un un focolare magmatico che nel corso della sua consolidazione non raggiunse la capacità di vincere la resistenza del tetto. Soltanto quando la tensione di vapore della massa restante fusa si avvicinò al valore massimo della fase pneu- matolitica *) si produsse un diffuso sviluppo di gas mediante fughe e getti attraverso le discontinuità delle rocce e con esso la forma¬ zione di un campo fumarolico. In altri termini l'energia raggiunta non fu tale da produrre una vera eruzione iniziale. Purtroppo in questo caso non è possibile stabilire la profondità del focolare; altrimenti, tenendo conto della stratigrafia e tettonica del tetto, si potrebbe avere una idea del valore assoluto della resistenza limite, quindi della tensione massima dei vapori e determinare in tal modo la profondità oltre la quale a parità di condizioni del tetto, in tutti i focolari, la perforazione non è possibile. In generale però i focolari vulcanici contenenti magmi capaci di eruzione sembra che giacciano a piccole profondità. Le ricerche di Backlund, Erdmannsdòrfer, Goldschmidt, Stein- mann ed altri hanno dimostrato che le rocce plutonitiche (cioè di profonda consolidazione) possono infiltrarsi fino alle vicinanze della superficie. La profondità di questi focolari è stata stimata oscillante ]) Quando cioè il magma si era già in massima parte consolidato, lasciando soltanto una soluzione sopracritica ("fluida,,) di volatili -{- silicati e alluminati (" Restdampf „ e non più " Restschmelz „). - 17 - tra i 500 e 1 6000 metri; non sappiamo però se essi abbiano o non alimentato una volta vulcani. Questo dubbio non può essere chiarito salvo casi eccezionali (come per es. nel gruppo Baffelan-Cornetto nell'Alto Adige), poiché 1' erosione che ha denudato il focolare, ha cancellato ogni traccia del vulcano che si era eventualmente costituito. Varie considerazioni ed osservazioni ci permettono di stabilire la piccola profondità dei focolari che alimentano vulcani attivi o da poco tempo spenti e cioè : 1) La coesistenza di molti vulcani indipendenti in una stessa re¬ gione, come per esempio ad Ischia, nei Campi Flegrei e nelPAlvernia. 2) Il fatto che la diminuzione di massa nel focolare viene compensata in superficie con la formazione di una " caldera „ o per lo meno da un lento abbassamento della base del vulcano. 3) Il meccanismo 4) delle eruzioni eccentriche, il quale si com¬ prende soltanto quando si ammette una alimentazione diretta dal focolare e non attraverso una frattura partente dal condotto. 4) La costituzione petrografica delle lave effuse. Mentre le considerazioni di cui ai n. 1 e 2 costituiscono dati di fatto ed il n. 3 è stato chiarito con la nota, bisogna fermarsi alquanto su questo 4° numero, di gran lunga più decisivo dei pre¬ cedenti. ’) Nelle eruzioni eccentriche non si nota risentimento (per lo meno immediato) nell'attività del condotto centrale : ciò è dovuto al grande attrito interno del mag¬ ma ed all’azione smorzatrice effettuata dalla elasticità delle bolle di gas, che ab¬ bondano nel nuovo condotto temporaneo apertosi. Altro fatto che si verifica al Vesuvio grazie alle condizioni chimiche all’uopo eccezionalmente favorevoli e che conferma implicitamente l'alimentazione diretta è la petrografia del prodotto lavico, il quale , pur rimanendo una vesuvite come composizione chimico-mineralogica totale, ha un carattere in genere spiccato di augitofiro. Come lo studio di numerose sezioni sottili ci ha permesso di assodare, quando la massa fondamentale della lava vesuviana è costituita da fenocristalli di augite (e non di leucite) nel feltro (l'eutettico) leucite-augite-plagioclasio (-f- ma¬ gnetite), è evidente che la temperatura e composizione dell' eutettico devono essersi spostate in basso (come temperatura) e verso la leucite, di modo che, pur rimanendo la stessa composizione iniziale della miscela , la fase di segrega¬ zione sotto alta pressione precedente all' eutettico deve essersi sviluppata nel campo d'equilibrio augite-liquido (mentre sotto bassa pressione tale fase si svilup¬ pa nel campo leucite-liquido). Ora, come l'abbassamento di tale eutettico conferma la maggior ricchezza in volatili , avanti cennata , così la facies augitofirica costi¬ tuisce caratteristica delle eruzioni eccentriche ed in genere di tutte le lave vesu¬ viane ricche di volatili. - 3 - - 18 - Petrografia del somma - Vesuvio E DEDUZIONE DELLA PROFONDITÀ DEL FOCOLARE. Le ricerche petrografiche sul Vesuvio hanno dimostrato che la profondità del focolare si può determinare con sicurezza; esso giace fra i cinque e i cinque kilometri e mezzo sotto il livello del mare. I blocchi rigettati durante una esplosione forniscono campioni degli strati attraversati, dal condotto alla base. Al Somma-Vesuvio con una eruzione pliniana del XII secolo a. C. furono rigettati i seguenti blocchi : 1°) antiche vulcaniti costituenti Y apparato stesso del vulcano ; 2°) arenarie marnose completamente inalterate, marne sabbiose ed argillose in parte ricche di fossili del terziario ; 3°) calcari del Cretacico quasi inalterati o profondamente ter¬ mometamorfosati ; 4°) dolomie e calcari del Triasico, contattometamorfosati ; 5°) blocchi mixogeni costituiti da dolomie triasiche metamorfi¬ che per contatto e plutoniti endometamorfosate per assimilazione ; 6°) plutoniti alterate per autopneumatolisi ; 7°) plutoniti normali, derivanti cioè dalla consolidazione del magma così come era alP atto della eruzione (campioni di som¬ ma i t e ) *) ; Altre rocce sedimentarie più antiche delle triasiche non vennero fuori tra i blocchi rigettati. Dal fatto che furono rigettati grandi quantità di blocchi di plu¬ toniti si rileva che Y eruzione svuotò il condotto fino alla superfice superiore del focolare. La mancanza completa degli scisti cristallini e dei sedimenti più antichi della dolomia principale rende verosi¬ mile l’ipotesi che il focolaio giaccia direttamente sotto il Trias su¬ periore. II fatto che il calcare cretacico è niente o poco alterato mostra inoltre che gli effetti del contatto del magma sulle pareti del con¬ dotto sono straordinariamente piccoli. Invece la completa trasforma- *) Va qui ben precisato che il Rittmann poggia le sue osservazioni anche su tutti gli altri blocchi rigettati dal Somma e fra questi sui blocchi sienitici e mon- zonitici, cioè sui corrispondenti plutonitici delle trachiti o scorie trachitiche di cui appresso. — 19 zione della dolomia triasica in rocce a silicati di calcio e magnesio non può essere stata causata dal magma del condotto ; essa deve essere attribuita all' effetto del magma ricco di gas sul tetto del fo¬ colare. Questa conseguenza viene completamente confermata dalle ricerche petrografiche sulle lave. 1 risultati degli studi petrologici e geologici (v. fig. 2) ci inducono a suddividere la storia del Somma- Vesuvio in quattro grandi periodi : Fig. 2. - Curve di evoluzione e di differenziazione del magma somma-vesuviano, riferite al diagramma di classifica del NlGGLl , dettagliato per le rocce a leucite dal RlTTMANN. La linea a tratto pieno (ABCD) rappresenta la curva di evoluzione del magma capace di eruzione. Le linee punteggiate (a,b,c) rappresentano i diversi cicli di differenziazione. Il primo periodo produsse trachite l) con molte ceneri e scorie pumicee ; materiali che costituirono l’apparato del Somma Pri¬ mordiale (" Ur-Somma „). (A queste trachiti corrispondono co¬ me forme plutonitiche i blocchi rigettati sienitici fino a monzonitici avanti ricordati). Dopo un lungo intervallo di riposo incominciò il secondo pe- 9 Per la nomenclatura qui seguita, che in sostanza é quella proposta dal Niggli e dettagliata dal Rittmann per le rocce somma-vesuviane, vedi i miei Ap¬ punti di Petrografia, Ed. J.N.A.Q., Napoli 1934, — 20 — riodo con la produzione di orvietiti (cui corrispondono le plutoniti chiamate “ Sommaiti „ più ricche di feldspati) e la formazione del Vecchio Somma (“ Alt-Somma „). Il terzo periodo, cui il Giovane Somma ("Jung-Somma„) deve la sua origine è caratterizzato da rocce ottavianitiche l). Il recente Vesuvio produce finalmente lave leucititiche, che da esso prendono il nome di “ vesuviti Questa evoluzione magmatica dalla trachite alla vesuvite, altra verso orvietite e ottavianite, non si può attribuire ad una differen¬ ziazione magmatica, nè ad uno apporto di nuovo magma dalle pro¬ fondità o ad una assimilazione esclusivamente additiva. L'unica spiegazione soddisfacente si ha nelhammettere che du¬ rante il periodo del Somma Primordiale il focolare raggiunse la dolomia triasica e che allora intervenne un intenso scambio tra il magma ed i carbonati, di tal che si sommarono gli effetti di una assimilazione e di una differenziazione. A chiarire il complicato processo vale la fig. 3 che rappresenta la trasformazione del magma ottavianitico del Giovane S o m m a nel magma vesuviano. Per questa evoluzione occorsero circa due millenni e mezzo. Tanta assimilazione in così breve tempo può spiegarsi soltanto se tra magma e dolomia triasica esiste un contatto che si 'rinnovi continuamente ; e ciò è possibile, soltanto se la dolomia principale forma direttamente il tetto del focolaio. La stratigrafia e la tettonica dell' Appennino Meridionale lasciano dedurre che nella regione la dolomia principale, e pertanto il tetto del focolaio magmatico, deb- bono giacere a circa 5 km. e mezzo sotto il livello del mare. Un analogo processo di assimilazione e di differenziazione ha trasformato il magma orvietitico del Vecchio Somma in quello otta¬ vianitico del Giovane Somma. Nello sviluppo invece che trasformò il magma trachitico del Somma Primordiale in quello orvietitico la differenziazione gravitativa dovette avere una influenza maggiore della assimilazione. Corrispondentemente anche il grado di desili- cizzazione è minore. Ricaviamo così un criterio che è della più d) Le rocce italitiche dovute alla differenziazione gravitativa del magma del “ Giovane Somma „ (foyaititaliti) e del Vesuvio (italiti) e che rappresentano la facies profonda (puri prodotti liquidomagmatici) insieme con quelle endomorfizzate al contatto con le rocce carbonate del tetto sono state esaurientemente descritte dallo stesso Rittmann nel 1934 nel lavoro specifico citato in appendice. Come rappresentanti plutonitiche deile ottavianiti corrispondono anche le sommaiti più ricche di leucite di quanto non lo siano le sommaiti. dell' Alt-Somma. — 21 — grande importanza per i vulcani con lave trachitico— leucitolitiche 0, e cioè : il grado di silicizzazione, il quale però non de¬ ve confondersi con il grado di acidità. +?;D + i3G -?nM-7DiC.eoV Fig. 3. Tale diagramma rappresenta la trasformazione del magma del Giovane Somma nel magma vesuviano. La composizione del magma primitivo del Giovane Somma è espresso dall’area S, dove sono riportate in °/0 di peso le quantità degli ossidi componenti tale magma. Quando il focolaio raggiunse la dolomia triasica ci fu uno scambio tra i compo¬ nenti del magma e la dolomia D. Le quantità ( in °/0 ) S\ espresse dal diagramma, si combinarono con Cao e MgO della dolomia, formando dei silicati femici (pesanti, M = mafiti) che scesero al fondo, mentre il C02 si liberò verso l’alto. D’altro canto i gas e i vapori (G) provenienti dalle parti più profonde del magma, mentre apportarono del FeO, asportarono le quantità di ossidi (in °/0) di S” del dia¬ gramma : essi produssero e producono minerali di contatto nei sedimenti metamorfosati del tetto o, in piccola misura , incrostazioni nel cratere, e poi, eccezion fatta da quel po’ di Cl, S04, H20 o C02 restato impegnato nei minerali di contatto, si liberarono (e si liberano) verso la superfìcie. Così che in conclusione dal 1 00 °/0 di magma del Giovane Somma (S) nel breve periodo di qualche migliaio di anni (un 2500) risultò una massa di magma che ne è soltanto 1’ 80 °/0 e che è quello alimentante l’attuale Vesuvio. Il Rittmann intende per grado di silicizzazione (Sili- zierungsgrad = Si0) o contenuto relativo di acido sili¬ cico (relativer Kieselsàuregehalt) il quoziente fra l’acido silicico ef¬ fettivamente presente nel magma e quello teoricamente necessario per la massima silicizzazione delle basi presenti. I prodotti del Somma- Vesuvio sono tutti sottosaturi di Si02 e pertanto il loro grado di silicizzazione è sempre minore di uno. ’) Cioè con leucite, senza tener conto della quantità, 22 — I prodotti del Somma Primordiale hanno un Si0 di 0,89, quelli del vecchio Somma da 0,85 a 0,80, quelli del Giovane Somma hanno un Si0 di 0,75, mentre quelli del Vesuvio sono desìlicizzati fino ad un Si0 di 0,67. Questi valori valgono non soltanto per le lave non differenziate che rappresentano il magma capace di eruzione, ma anche per tutti i prodotti di differenziazione gravitativa *). Il Si0 è pertanto la più importante caratteristica degli stadi di sviluppo di un magma che assimila rocce carbonatiche. Lo studio dei prodotti del Somma Vesuvio ha mostrato inoltre che quando il condotto è aperto non si verifica in esso alcuna dif¬ ferenziazione, poiché lo sviluppo dei gas attraverso il condotto provoca un rimescolamento continuo. Quando invece il condotto viene otturato in seguito all' esaurimento di una grande eruzione, finisce lo sviluppo dei gas entro il condotto, e con esso finiscono le correnti di convezione ; incomincia così un processo di differen¬ ziazione gravitativa : verso le parti alte del condotto si accumula la parte fusa più leggera e ricca di gas, mentre nella parte più pro¬ fonda scendono i corrispondenti pesanti e poveri di gas. Meccanismo delle eruzioni. a) Eruzioni a condotto otturato. — D' altro canto in seguito al continuo raffreddamento aumenta la pressione interna dei gas finché essa non vinca poi la resistenza del tappo e non abbia inizio una eruzione pliniana. Allora vengono lanciati fuori i vari prodotti di differenziazione, i quali si depositano in senso contrario a quello costituitosi nel condotto. Appena frantumato il tappo vengono fuori le parti di magma ricche di gas della zona più alta del condotto ; in seguito all'improvviso rilascio della pressione esterna lo sviluppo di gas si verifica quasi sotto forma di esplosione, si propaga a livelli mag¬ matici del condotto sempre più profondi, finché il condotto viene vuotato e la distanza fra la bocca e il livello di sviluppo dei gas diventa così grande che soltanto gas e non più parti sensibili di magma affluiscono alla superficie, siano esse sotto forma di pomici o di ceneri. La pressione idrostatica della colonna magmatica non l) È da notare che autopneumatolisi e assimilazione (endomorfismo) diminui¬ scono localmente il Si0 (Vedi in proposito anche il lavoro sulle rocce italitiche). — 23 - scende ulteriormente, ma lo sviluppo dei gas, man mano smorzan- tesi, perdura finché la pressione interna non si è messa in equilibrio con quella esterna. Il meccanismo di una simile eruzione a tappo chiuso si lascia quindi facilmente comprendere; del resto esso è simile a quello di una eruzione iniziale. &) Eruzione a condotto aperto. — La massima parte delle eruzioni vesuviane si verifica tuttavia e si è verificata a con¬ dotto aperto. Come si genera in tal caso una eruzione ? L' analisi di tutti i fenomeni eruttivi, tenendo conto di tutte le specie di at¬ tività che persistono per un certo tempo 4) (lancio ritmico di scorie e di lava, efflussi d' orlo e di fianco perduranti per mesi) fino alle eruzioni vere e proprie (terminali, laterali ed eccentriche ejettive, esplosive o effusive), ha permesso di stabilire che anche qui l'energia principale dell'attività sta nell'aumento continuo della pressione inter¬ na. In questo caso la pressione esterna è determinata soltanto dal peso della colonna magmatica e dalla pressione atmosferica. Se la pres¬ sione interna aumenta e il magma locale viene soprasaturato di gas, si formano delle bolle di gas, il volume della parte fusa aumenta e quindi il magma sale nel condotto. Aumenta pertanto la pressione idrostatica che cerca di mantenere l'equilibrio con la pressione in¬ terna; e così continuando finché il magma raggiunge la bocca del condotto. Da questo momento in poi la pressione esterna non può più aumentare. Ogni ulteriore aumento della pressione interna con¬ duce ad uno sviluppo di gas che si verifica ad intervalli a causa del ritardo esistente fra la fase di formazione e la fase di sviluppo delle bolle; si genera cioè un periodo d'attività ritmica del vulcano. Esso continua finché 1' equilibrio fra la pressione interna e quella esterna non venga disturbato improvvisamente da una causa e- stranea. Un tale disturbo ha per conseguenza una eruzione che ristabi¬ lisca 1' equilibrio in modo che il ciclo ricominci. Si seguono così ’) La formazione di cupole (" Staukuppen „) come per es. al Merapi (Giava), S. Maria (Guatemala), Taruncai (Giappone), e di " aiguilles „ (Stosskuppen), come per es. la Montagna Pelée (Martinique), costituiscono forma di attività perdurante. Però essa simula l’aspetto di vera eruzione a causa dei gas che si liberano ad intervalli più o meno lunghi e con grande intensità (nubi ardenti). Equival¬ gono agli efflussi lenti di lava, tipo quelli del 1895-99 e del 1933 ad oggi del Vesuvio. — 24 — in varie alternative periodi di incubazione, tempi di attività perdu¬ rante, eruzioni e stadi di esaurimento. Particolare interesse mostrano le cause esterne che disturbano l'equilibrio di pressione e provocano pertanto l'eruzione. Tali disturbi sono di due specie : 1° Quelli che aumentano fortemente e improvvisamente la pressione interna ; 2° Quelli che abbassano fortemente e improvvisamente la pres¬ sione esterna. Fra i primi , che sono molto rari , sono da considerare gli abbassamenti del tetto del focolare o della crosta i quali tendono a diminuire il volume del focolaio medesimo e a far spruzzare quindi il magma attraverso il condotto aperto. Ma ciò non porta ad un' eruzione, bensì ad una abbondante effusione. Invece comuni sono i disturbi del secondo tipo, quelli cioè che diminuiscono la pressione esterna. Al Vesuvio si potettero riscontrare solo questi (dal 1631 ad oggi). La loro causa è da ricercarsi nell'aumento improvviso del vo lume ’) del focolare, aumento che è causato da fratture che si aprono e nelle quali il magma penetra; non ha importanza il fatto se il magma raggiunga o non la superficie esterna. Nel primo caso si verifica soltanto una eruzione effusiva, quando invece la frattura non arriva fino in superficie si ha una eruzione ejettiva * 2). In ambedue i casi la colonna magmatica nel condotto decresce, il livello magmatico si abbassa e la pressione idrostatica in conse guenza diminuisce. Ma poiché il magma in questo caso si trovava fino in profondità sottoposto ad una pressione più elevata, l'abbas¬ samento della pressione esterna porta ad un rapido sviluppo di gas e quindi ad una eruzione che cessa solo quando la pressione interna sia scesa fino ad eguagliare quella esterna. Le eruzioni eccentriche assumono un interesse speciale, in quanto che esse prelevano il magma direttamente dal focolaio. Il condotto centrale non è collegato per nulla a queste eruzioni e pertanto il magma del condotto non reagisce a queste eruzioni, ’) O meglio dello spazio totale a disposizione del magma del focolaio. 2) Il Rittmann chiama “ ejetti ve „ le eruzioni del 1799, seguite cioè da un esaurimento e nelle quali i brandelli si seguono così rapidamente da formare uno " zampillo lavico „ alto più chilometri e della durata di ore. — 25 — lontane da quattro a sei kilometri, se non più tardi e debolmente. Come si è già osservato, è questo un altro indizio della piccola profondità del focolare. Applicazioni ad altri centri e regioni vulcaniche. Orbene, posto come dimostrato che in ogni caso l'attività del Vesuvio è legata al fenomeno di aumento di pressione interna, può questa spiegazione valere anche per gli altri vulcani ? Le ricerche sulle eruzioni dello Stromboli, dell'Etna1), del Me¬ ra pi , del Kilauea ed altri vulcani dello stesso tipo centrale , con¬ dotte in modo da spiegarle con lo stesso meccanismo, sono riuscite positive. Invece le effusioni delle coverture basaltiche dell’ Islanda, della Etiopia, del Dekkan non vanno così spiegate. La causa di queste ultime è da attribuirsi soltanto a movimenti della crosta. Anche i caratteri petrografici delle lave che in parte sono " surri¬ scaldate „ mostrano qui un magma consolidatosi senza differenzia¬ zione e che era incapace di produrre eruzioni. Però anche nel campo di esistenza del magma attivo capace di eruzione i fenomeni eruttivi cambiano con lo stato di sviluppo del magma. Fattore della capacità eruttiva è soltanto la parte ancora fusa del magma; i fenocristalli in tratellurici , eventualmente natanti in esso , si comportano affatto passivamente. Se si vuole pertanto stabilire una relazione fra il meccanismo eruttivo del magma e il suo chimismo ci si deve riferire soltanto alla massa restante fusa. In prima linea ci interessa quindi la massa fondamentale della vulcanite perchè è essa che fissa lo stato di sviluppo del magma al momento dell' eruzione. Per i vulcanologi , ad esempio , un ba¬ salto con fenocristalli di augite e di plagioclasi e con microliti di augite ed andesina in una massa interstiziale vetrosa soprasatura di silice è, nella meccanica eruttiva, equivalente ad una dacite. Agli effetti della capacità eruttiva e del meccanismo d'eruzione di un focolaio è elemento discriminante decisivo il punto del ramo x) A tal proposito di notevole importanza riesce la differenziazione gravita- tiva realizzatasi nel condotto precedentemente all' eruzione etnea del novembre 1928 e che fu riscontrata da Stella Starabba mediante lo studio delle lave ef fuse a differenti altezze del vulcano ed in successivi momenti di quel novembre. (Stella Starabba F. — Sulle lave dell’eruzione dell’Etna del 1928. Le variazioni della composizione chimica durante il periodo effusivo. Bull. Volc. N. 15 a 18, Napoli 1928). - 4 - — 26 - della curva pressione-temperatura (v. Fig. 1) in cui si verifica 1' e- ruzione iniziale. Vengono portati in superficie prodotti basici, neutri o acidi corrispondentemente al chimismo della massa restante fusa. Se l'eruzione iniziale avviene presto, allora vengono in superficie lave basiche, l'energia di eruzione è piccola, ma la capacità erut¬ tiva è grande. Avvengono perciò un gran numero di eruzioni, in predominanza effusive, le quali col tempo costituiscono un vul¬ cano a scudo (Schildvulcan) *). Se l' eruzione iniziale avviene più tardi la massa restante fusa ha una composizione intermedia. L'energia eruttiva, all'incon- tro del caso precedente , è aumentata, mentre l'energia potenziale in rapporto alla massa di magma è diminuita. Anche in tal caso si susseguono numerose eruzioni, ma esse mostrano un carattere mi¬ sto esplosivo-effusivo; si forma così un vulcano a strato (Stratovulcan) 2). Se invece 1' eruzione iniziale avviene tardi, agisce un magma relativamente acido. L'energia di esplosione è grande, ma la ener¬ gia potenziale molto piccola permette soltanto un numero limitato di eruzioni esplosive, alla fine delle quali il magma, che si è frat¬ tanto degassificato, arriva in superficie sotto forma di lava viscosa e forma cupole. Se la rottura avviene molto tardi, allora l'energia del focolaio viene sprecata attraverso una eruzione iniziale gigantesca, altamente esplosiva, che non lascia poi energia sufficiente per la ripetizione di altre eruzioni. Questa legge si può illustrare con numerosi esempi. Naturalmente il volume del focolare magmatico influisce sul quantitativo delle masse eruttate. La legge generale della capacità eruttiva non viene però intac¬ cata nel principio. Invece i movimenti della crosta terrestre, i suoi abbassamenti, i fenomeni di assimilazione possono alterare gli effetti della cennata legge fino a trasformarla del tutto. h Tipo cioè hawaiano e islandico (Colletta-Dingja) (vedi in proposito Mer- calli). ) Come il Vesuvio, cioè misto e stratificato. 27 — L* EFFETTO DELL’ ASSIMILAZIONE SULLA DURATA E VITA DI UN VULCANO E SPECIE DEL VESUVIO. Singolare è l’esempio dell'effetto dell’assimilazione dei calcari al Vesuvio. La quantità di calore che occorre per P assimilazione è fornita dalla cristallizzazione dei minerali mafititici. Con ciò viene immensamente accelerato il processo di consolidazione della massa restante, ma non quello del raffreddamento. Il processo però con¬ corre all' aumento di pressione, mediante produzione di C02 che man mano si libera in seguito alla assimilazione; in conseguenza si ha una intensa attività che si effettua a condotto aperto e pertanto mediante un gran numero di violente eruzioni. Interessante è il fatto che il magma trachitico del Somma Pri¬ mordiale aveva già raggiunto un progredito stato di evoluzione e disponeva quindi di un'alta energia di eruzione, ma di una piccola riserva di energia. Si deve pertanto ritenere che il Vesuvio dopo il periodo del Somma Primordiale riprese la sua attività soltanto perchè raggiunse le dolomie triasiche. A causa di tale contatto si ebbe un rigenerato aumento di pressione del magma già invecchiantesi ; la diffusa degassificazione non fu più sufficiente a equilibrare tale aumento e si verificò quindi nuovamente una rottura degli strati sovrastanti. Si costituì quindi con questa assimilazione evolutiva magmatica una fonte, uno stimolo di vitalità del nostro vulcano, che, trascinato così ad una quasi continua attività, è ridotto a concedersi periodi di riposo sempre più brevi. Ma questa spettacolosa continuità di manifestazioni esterne, che rende il Vesuvio uno dei vulcani più attivi della terra, torna tutto a detrimento delle sue risorse caloriche, che per quanto immense sono sempre finite, e ne affretta P esaurimento. La sclerosi del suo magma lo trascina per una via di splendore, ma di rovina; accelera il consolidanento della massa magmatica sottostante e conduce il bel vulcano ad una morte precoce. Precoce per i tempi geologici, ma non per noi, esseri di breve vita, per i quali P attimo della madre terra rappresenta lungo suc¬ cedersi di generazioni che godranno ancora di questi affascinanti spettacoli di cui il Vesuvio è magnifico protagonista. — 28 — I FONDAMENTI DEL BILANCIO ENERGETICO DI UN BACINO MAGMATICO. Allo stato attuale delle conoscenze possiamo prevedere che non è lontano il tempo nel quale si potrà avere un quadro più preciso dei fenomeni. Comunque nello studio del meccanismo eruttivo biso¬ gna riferirsi all' energia del focolare per rispetto alla massa del magma compresovi, alla temperatura e al contenuto di gas ; inoltre bisogna tener conto : 1) Della quantità di calore, costituita dalla somma della quan¬ tità di calore del magma fuso (nell' intervallo di temperatura fra quella al momento della intrusione e quella della consolidazione definitiva), dal calore che cedono mano mano i cristalli segregatisi gradualmente e innanzi tutto dal calore latente di fusione che si li¬ bera con la cristallizzazione. A questo calore va aggiunto ancora il calore prodotto da rea¬ zioni chimiche esotermiche. 2) Dell'energia meccanica dovuta alla pressione che in gran parte si è trasformata in lavoro di deformazione del tetto durante il tratto saliente della curva di pressione. Si noti però che il corso di tale curva è in massima parte regolato dalla quantità di gas di¬ sciolto nella massa fusa. 3) Delle varie sorgenti di energia intermagmatica, come ad e- sempio il calore radioattivo, le quali però hanno in genere una importanza soltanto secondaria. D'altra parte va tenuto presente che l'energia del focolare viene sprecata principalmente per riscaldare le rocce del contatto, per la perdita di calore dovuta ai gas caldi che si liberano attraverso le rocce incassanti ed alle masse calde comunque eruttate. Come pure va considerata la diminuzione di pressione causata dalla con¬ trazione per raffreddamento e consolidazione e dalla perdita di materia attraverso le eruzioni. Altri influssi debbono esser conside¬ rati in quanto possono aumentare o diminuire l'energia del focolare; ad esempio le pressioni tettoniche e quelle statiche attraverso il tetto possono dare un aumento di energia, così pure come aumento di energia agiscono gli sviluppi di gas risorgenti (" resurgent „): per esempio 1' anidride carbonica proveniente dalla assimilazione. Come spreco di energia funzionano invece le intrusioni di — 29 magma nelle fratture che si vanno aprendo e 1' assimilazione delle rocce di contatto. Certo si è che per le manifestazioni vulcaniche in superficie soltanto una piccola parte dell'energia del focolare è a disposizione, e probabilmente soltanto un 2 % della massa totale del focolaio arriva in superficie; il resto si consolida in profondità. 111. — Le basi della teoria del RlTTMANN. La scoria trachitica nel tufo grigio che si rinvenne nel pozzo Maialoni 4) costituisce uno dei caposaldi essenziali su cui il Rittmann poggia tutto il suo studio sulla differenziazione ed evoluzione del magma somma-vesuviano e dal quale, per via geologica e chimi¬ co-mineralogica, deduce la sua brillante concezione sulla trasforma¬ zione del magma e sulle cause geologiche di tale trasformazione. Importanza ha assunto inoltre negli studi e nelle conclusioni del Rittmann il rinvenimento nello stesso pozzo del " tufo giallo „ flegreo intercalato fra i precedenti tufi grigi a scorie trachitiche, che egli ritenne prodotti del Somma Primordiale (" Ur-Somma „), e le lave pacificamente riconosciute come prodotti del Giovane Somma. Conviene intanto esaminare un po' più da vicino quali siano stati gli elementi che hanno indotto il Rittmann a ritenere: 1° il tufo grigio a scorie nere come prodotto del Somma Pri¬ mordiale e pertanto prova di carattere trachitico del magma origi¬ nario del laccolite somma-vesuviano ; 2° la formazione del tufo giallo posteriore alla attività del Somma Primordiale medesimo. 1 °) Tufo grigio a scorie nere trachitiche. Parlando di questo tufo del pozzo Mataloni, il Rittmann nel suo citato lavoro sulle “Cause geologiche della evolu¬ zione e differenziazione,, così si esprime : “ Questo tufo campano di potenza sconosciuta merita una più attenta considerazione. Nel suo aspetto si differenzia appena dal noto tufo grigio della 4) Ma che si trova anche nel pozzo di Porta Vesuvio segnalato da Ippolito F. : Segnalazione di un pozzo esistente nella antica città di Pompei, boli Soc. dei Naturalisti, voi. XLIX, Atti, p. 1-8, 1937. — 30 " zona fluorifera „ di Arcangelo Scacchi e del quale più tardi si interessò lo Zambonini. Questi venne alla conclusione che i tufi grigi campani fossero stati deposti da nubi ardenti dei vulcani del piperno nei Campi Flegrei. I blocchi calcarei intensamente metamorfosati (con nocerite, fluo¬ rite, calciobiotite, fluosiderite, ecc.), che numerosi si trovano in essi a Nocera, Fiano, ecc. e che mancano completamente nell’ autentico piperno dei Campi Flegrei, sarebbero stati rotolati lungo i pendìi di rilievi calcarei entro le ceneri di fresco cadute e sarebbero stati così, in certo senso, alloctonamente fluorizzati. A questo processo dovrebbe ascriversi anche la neoformazione di diopside, egirinaugite, anfibolo, granato e plagioclasio basico. Contro tali osservazioni genetiche si possono opporre fondate obbiezioni: per prima cosa la natura e le relazioni topografiche dei tufi campani parlano contro la ipotesi di una genesi da nubi ardenti. Non si comprende come a 40 km. di distanza dal supposto centro di eruzione le ceneri fossero ancora tanto calde e tanto ricche di mineralizzatori da poter trasformare in silicati e fluoruri i calcari. La precedente ipotesi dello Scacchi, che si tratti cioè piuttosto di prodotti vulcanici locali che nello squarcio eruttivo asportarono blocchi calcarei metamorfosandoli, viene appoggiata dalla presenza delle scorie trachitiche rigettate (che arrivano alla grossezza di una testa) e dalle pomici che in certi punti si trovano in quantità. II tufo grigio trovato nel sottosuolo di Pompei porta un nuovo argomento in questa contestazione. Esso è un tufo di ceneri fria¬ bile che, come i tufi di Fiano e Nocera, contiene scorie trachitiche rigettate che sono una specie di pomice e grandi come una testa, e blocchi di calcare intensamente metamorfosati, che giungono fino alla grandezza di un pugno Questi non poterono essere rotolati da nessun luogo per depo¬ sitarsi nel tufo, poiché neanche lontano esistono monti calcarei. Essi sono stati indubbiamente lanciati fuori insieme con le ce¬ neri e le scorie da un condotto non troppo lontano „. Una scoria rigettata completamente fresca presa da questi tufi fu analizzata come rappresentante del magma per paragonare il suo chimismo a quello del vero piperno e a quello dei tufi grigi campani. Riporto qui, dal volume del Rittmann, i risultati di queste analisi (espressi in numeri o indici molecolari del Niggli) : — 31 si al fm c alk k mg c/fm qz Pomice trachitica del tufo grigio di Pompei. . . 198 36 18 15 1/2 30 1/2 0,70 0,42 0,88 -24 Piperno di Pianura, fiamme scure .... 223 41 12 1/2 7 1/2 39 0,44 0,18 0,61 -33 Piperno di Pianura, fiamme scure .... 221 41 1/2 12 7 1/2 39 0,43 0,16 0,64 -35 Piperno di Pianura, massa fondamentale chiara 221 40 1/2 12 1/2 8 39 0,42 0,25 0,66 -35 Piperno di Pianura, massa fondamentale chiara 222 44 11 1/2 7 37 1/2 0,48 0,14 0,63 -28 Tufo grigio di Fiano . . 228 41 1/2 15 9 34 1/2 0,50 0,21 0,59 -10 Tufo grigio di Fiano . . 229 42 14 8 36 0,48 0,26 0,56 -15 Pomice trachitica del tufo grigio di Val Tramonti . 208 39 1/2 16 1/2 11 1/2 32 1/2 0,47 0,27 0,70 -22 Questo quadro mostra la costanza del chimismo del piperno e del tufo grigio campano di Fiano; ma anche le differenze chimiche fra questi due, ritenuti fra gli altri, congenetici. Collegando i valori analoghi di tutti i piperni esaminati e dei tufi grigi in un diagramma di differenziazione, questo mostra che coll'aumentare di si scende il valore di alk e sale quello di ftn e c; si ha cioè un comportamento che è in contrasto con tutte le e- sperienze finora fatte. Il Rittmann ritiene perciò d'accordo con Scacchi che il piperno e il tufo grigio campano siano prodotti di diversi centri eruttivi e ciò è anche confermato dal loro diverso " numero di quarzo „ (qz), che qui si mantiene sempre negativo. Il tufo grigio della Valle di Tramonti, sul lato meridionale della penisola Sorrentina, sta un pò vicino al pompeiano; dovrebbe però anche esso possedere un proprio centro di eruzione. La pomice trachitica del pozzo Mataloni devia invece netta¬ mente dalle altre rocce del quadro ed occupa, specie per causa dei valori di k e cjfm, una posizione evidentemente speciale, che con¬ ferma pienamente la tesi posta per via geologica della esistenza di un proprio centro eruttivo. L'alto valore di k ed una serie di affinità col magma somma-vesuviano ]) permettono di concludere che nel tufo grigio di Pompei si ha un prodotto del Somma Pri¬ mordiale (" Ur-Somma „). ’) La roccia rientra completamente nel diagramma di evoluzione e differen ziazione da trachite ad orvietite. mk l&e/tuotf ajv&uoys’ogr fadjviyjmrtfà/f 9 vosT/ft *t /- v tuieo f °v*ir"j » /éww^/ z> VUUlog .2 !f S ó 8 8 1 ~ i r 2 5 « » M . d s > ro 3 IL) 1) — . *■> O 3 — - .3 fi; O •« m 2 ^ C "S C — w w'cs fi"13 a * £? ^ £ 2 — i O | >J g*S g . "73 _2~ ^3gCn£o w — < •« •" J3 m (d ° C „ £ « U .„ > -n « o o °-itz g «* n u H u w 2 '3 S - „ I ^ .„ <8.5<8fi£~0»>> CV«‘» "• .„ 3 d> 04 > • - tO ti 'S -Z z 4 *cti OJ' ctf ZZ a .c co ro OS S E — o w CO s oi.2 E « A O O vujyjrij r ojjs^sifj - 33 — In questa conclusione il Rittmann ricorda Y esistenza di tra- chiti compatte fra i materiali del Monte Somma '), i quali, stando all'aspetto delle sezioni sottili, possono parallelizzarsi con le scorie nere del tufo grigio in esame: egli ritiene pertanto che queste tra- chiti siano prova di correnti laviche poste nelle vicinanze del punto eruttivo dei tufi grigi nel sottosuolo del Somma. Il Rittmann però non si basa solo sui risultati di questo pro¬ dotto effusivo del magma primordiale del Somma per dedurre la natura trachitica del magma primordiale stesso. Egli analizza e stu¬ dia anche i blocchi plutonici rigettati dal Somma e che possono definirsi come sieniti (augitiche) e monzoniti e mostra come queste rocce rientrino completamente in un diagramma niggliano di diffe¬ renziazione , in modo da costituire perfetto un ciclo di differenzia¬ zione (vedi pg. 75 e 76 del lavoro sulle: " Cause della evoluzione e differenziazione „). Come pure va qui notato che , se invece della curva relativa ai prodotti effusivi della Fig. 5 , ci si riferisce a quella delle cor¬ rispondenti facies profonde, si riconferma che da un magma sieni- ') Il Rittmann si riferisce qui ad alcuni campioni, di cui due da lui stesso raccolti e che osservò personalmente, dei prodotti ricordati da A. Scacchi nella sua descrizione del Vesuvio, inclusa anche nel volume " Napoli e le sue vicinanze „ (edito a Napoli nel 1845, voi. II, pag. 383 e 388) che in proposito così si esprimeva: " Prima di dar termine a questa parte, che concerne la struttura del nostro vulcano, stimiamo doverci alquanto trattenere sopra tre qualità di rocce , che abbiamo menzionato trovarsi in pezzi erranti, e delle quali non dob¬ biamo più in seguito tener ragionamento. Son queste le pomici o pezzi di tra- chite con frammenti calcarei, i massi erratici della natura dei conglomerati e le rocce fossilifere. Le prime sono distinte da' raccoglitori delie vesuviane produzioni col nome volgare di lave a breccia, e son formate di massi trachitici assai fragili, con tes¬ situra talmente cellulosa che spesso le diresti vere pomici. I frammenti calcarei che contengono, di rado hanno più di 30 mm. in diametro , sono angolosi , di colore bigio o bianco e sogliono appartenere alle varietà granellose o granelloso- compatte. Il più delle volte sono calcinati nella loro superficie e contenuti in cellette più ampie di quel che richiederebbe la grandezza del frammento, talché, rompendo la trachite, essi escono liberi, ovvero se Y apertura fatta alla celletta è molto stretta da non permettere la loro uscita , vi rimangono mobili in largo spazio. La qual cosa sembra assai naturale che provvenga dal perchè , essendo stati inviluppati dalla trachite in istato di fusione, il gas acido carbonico svilup¬ pato per la temperie molto elevata della medesima , ha dilatato la sua pasta intorno a' pezzetti di calcarea. Ma talvolta questi non dimostrano alcuna alterazione superficiale, nè vi mancano esempi , ne’ quali si veggono strettamente incastonati nella lava trachitica,,. — 34 - tico , tendente all' alcalisienitico , si passa gradualmente nei campi delle rocce profonde corrispondenti alle orvietiti , alle ottavianiti e alle vesuviti. Di tal che in conclusione dobbiamo ritenere ormai come di¬ mostrata la natura originariamente trachitica dei prodotti dei pri¬ mordi dell' attività del nostro vulcano. Data però la eccezionale /omnia /omm a /omma Ve/u-vio (79) Giovane. Vecchio Primordiale Leu-ute fonoVitoiàe Trachifonet . a Itt i Tva.ch.ite/ Vi coi b toide Vicoite /lenite \C 0 ttonionite \/£ 4 ! i 1 1 1 1 T i Sommait Somm&ìce e. Mela -Si e aite i MiSs'ouYttt i 1 1 1 MeUso 1 L m,' mai te i Pivoz/enite Biotit€-?ivoJW »t!e. ■pivcwemte ftìot» te SC 65 70 75 80 RS 90 Fig. 5.- Il grado di silicizzazione (ascisse) e il grado di acidità (ordinate) dei prodotti del Somma- Vesuvio. Linea piena - Curva di evoluzione del magma capace di dare eruzione : 1. Somma Primordiale; 2. Vecchio Somma; 3. Giovane Somma; 4. Vesuvio. a, eruzione pliniana del XII sec. a. C. b, » » del 79 d. C. Linea a tratti - Prodotti differenziati pesanti \ Linea a punti - leggeri ^ semipliniana del 1631. importanza della deduzione, converrebbe confortarla ulteriormente, confrontando (con opportuni diagrammi di differenziazione) special mente le scorie trachitiche del pozzo esistente nel sottosuolo di Pompei , avanti citato, con le scorie cui accenna lo Scacchi e che osservò lo stesso Rittmann e possibilmente con altri esemplari di plutoniti sienitiche rigettate dallo stesso Somma. Ciò per molte ragioni delle quali a noi interessano principal¬ mente due e cioè: 1°) Le deduzioni del Rittmann che il magma delle eruzioni — 35 — del Somma Primordiale fosse di natura trachitica è in contrasto con quanto altre considerazioni potevano una volta lasciar pensare; 2°) Perchè il meccanismo differenziativo-evolutivo così riscon¬ trato al Somma-Vesuvio potrebbe applicarsi per spiegare le accen¬ tuate attività di alcuni centri eruttivi, quando le condizioni geolo¬ giche siano simili a quelle del profondo sottosuolo del Somma- Vesuvio e, in conseguenza, perchè la teoria potrebbe anche esten¬ dersi a indagare sulle trasformazioni che notiamo nei prodotti, variati nel tempo, di centri eruttivi a noi prossimi, come quelli di Roccamonfina e del Vulture ; trasformazioni che già ai principii di questo secolo il nostro De Lorenzo genialmente intuiva attribuibili al contatto coi sedimenti. 2°) Tufo giallo intercalato fra i prodotti SOMMA- VESUVIANI. Contrariamente a quanto finora si era ritenuto, le osservazioni e conclusioni del Rittmann mostrano che il tufo giallo flegreo non è alla base di tutte le formazioni del Somma-Vesuvio, ma è soltanto intercalato fra i prodotti trachitici del Somma Primordiale e quelli orvietitici del Vecchio Somma. Egli inoltre nel suo citato lavoro sulle "Cause geologiche della evoluzionee differenziazione del magma somma-vesuviano,,, a proposito del tufo giallo rinvenuto nel pozzo Mataloni, notava che dalla stratigrafia riconosciuta nei pozzi profondi della zona si deduce che il livello del " tufo giallo napoletano „ scende dai Campi Flegrei rapidamente verso il Vesu¬ vio, nè è più raggiunto dai pozzi di Ponticelli e S. Giovanni a Teduccio profondi circa 200 m. A sud del Vesuvio esso si trova quasi al livello del mare presso Pompei per scendere nuovamente un pò verso Castellammare ed Angri. La potenza di questa formazione del secondo periodo flegreo diminuisce in genere con l'allontanarsi dai Campi Flegrei: tra Pompei e Castellammare l'andamento è del tutto opposto ; presso Pompei misura quattro metri (pozzo Mataloni e pozzo di Porta Vesuvio), a Castellammare 24 metri. Riferendosi alle osservazioni del pozzo Mataloni, il Rittmann ritenne che la piccolezza della potenza ivi riscontrata è conseguenza di abrasione posteriore. - 36 - Egli attribuisce poi la giacitura riscontrata in questo tufo giallo alle recenti fratture a gradinata con la direzione tirrenica (ENE) in analogia alla tettonica dell' isola d' Ischia, dell' isola di Capri, della penisola Sorrentina e dell’ intero orlo della conca Campana. Ed al Fig. 6. - Schizzo delle isosisme del terremoto irpino del 23 luglio 1930 (Da Rittmann). Sulla piantina è stato segnato l’andamento approssimato delle sole fratture tirreniche interessanti il golfo di Napoli e qualcuna delle trasversali. (Per maggiori dettagli vedi : De Lorenzo, Bòse, Sacco, Rovereto). proposito egli nota che questa tettonica così recente, risulta dallo studio dell'isola d' Ischia, fu confermata dall'andamento delle isosi¬ sme del terremoto Irpino del 1930 ’) ed è testimoniata infine dalle ’) Secondo il Rittmann (vedi lavoro in appendice) il terremoto Irpino del 1930 ebbe non uno, ma tre ipocentri ; le scosse però non furono contemporanee , ma successive e distanziate di tempi piccolissimi. Precisamente il primo impulso (mene efficace) ebbe l’ipocentro nell' area vulcanica del Vulture (e fu dovuto probabil¬ mente a conseguenze del raffreddamento del bacino magmatico) ; ad esso seguì quello con zona epicentrale nel territorio di Lacedonia (più forte del precedente) ed infine si ebbe il più forte tremito in territorio di Villanova. Trattasi dunque di terremoto a relais, come d'altronde confermarono i sismogrammi degli osser¬ vatori di Jena, Wurzburg e Zurigo, a parere dei sismologi relativi, i quali appunto notavano nei sismogrammi stessi complicazioni tali da potersi spiegare soltanto con questa interpretazione. A Napoli e dintorni immediati collinosi il rincrudi¬ mento degli effetti non fu dovuto ad un nuovo ipocentro , come qualcuno voile , bensì alla natura sciolta degli strati più superficiali. he linee isosismiclie tracciate dal Rittmann mostrano infatti un allungamento 37 - fosse di Anton Dohrn e Magnaghi sviluppantisi nel golfo di Na¬ poli nella stessa direzione ENE, indicando appunto recenti linee di fratture e sbilanciamenti (" Kippungen „) verso SSE. Non sembra allora azzardato ammettere che anche sotto il somma-vesuvio vi sia un rigetto tirrenico, il quale giustificherebbe il maggior livello del tufo presso Pompei come dovuto all’orlo solle¬ vato di una zolla. La minore potenza della formazione vulcanica Somma-Vesuviana nella zona OSO trova appunto la sua espressione nelle fratture e nelle numerose bocche sopra Torre del Greco. Altro segno esterno della esistenza di faglie interessanti il ter ritorio in esame è offerto dallo scoglio di Rovigliano, che rappre¬ senta appunto Torlo sollevato di una zolla abbassatasi nelTestremo opposto. Il Rittmann profitta infine delle osservazioni da lui fatte nel pozzo Mataloni per pronunziarsi anche sulla nota questione della origine (se submarina o subaerea) del tufo giallo; egli esplicitamente ritiene per il tufo giallo di Pompei T origine subaerea , rilevando che, se quel miscuglio di ceneri, pomici e lapilli si fosse depositato in acqua, si sarebbe verificata una separazione secondo il diverso peso specifico ; nel pozzo Mataloni invece il tufo mostrava chiara¬ mente che pomici molto porose e lapilli lapidei compatti si trovano mescolati disordinatamente nella massa cinerea. Ma anche qui, perchè i risultati si possano e da tutti assumere con tranquillità d'animo come verità acquisite, sarebbe utile accertare l) che questo tufo di colore giallo che si rinviene nei vari pozzi della zona citata dal Rittmann, e specie in quello Mataloni, o oggi in quello di Porta Vesuvio , siano effettivamente tutti veri '* tufi gialli napo¬ letani „ e non piuttosto di quelli che abbondano nella Campania ENE, parallelamente cioè alla direzione delle fratture tirreniche. Una delle linee o sistema di tali fratture, già ben riconoscibile nell'isola d' Ischia (vedi carta vulca- nico-tettonica allegata al volume che descrive questa isola) ove è caratterizzata dalTallineainento di sette bocche eruttive (in parte attive nei tempi storici) e comunque sede di movimenti tettonici recenti , prosegue attraverso le isole di Vivara e di Procida, tra Posillipo ed i Camaldoli (quivi, andando da Soccavo verso i Camaldoli, è ben visibile anche il rigetto del tufo giallo) e sparisce sotto le alluvioni della pianura per riapparire nelle valli trasversali dell'Appennino tra Arienzo e Benevento. Si noti però che, come già si osserva ai Camaldoli-Posillipo, oltre la frattura vi è stato rigetto e cedimento ineguale in modo da costituire piuttosto una zona di faglie. 0 Dimostrare cioè con altri dati di fatto sperimentali ciò che il Rittmann vide e ritenne giustamente evidente. - 38 — (Mirabella Eclano , Tocco Caudio , Avellino e dintorni, ecc.), per i quali la provenienza dai vulcani Flegrei può essere discussa con gli stessi argomenti che valgono per il tufo grigio Campano . E tanto più la precisazione si rende necessaria, in quanto 1' aspetto e la tinta del tufo giallo rinvenuto nel pozzo di Porta Vesuvio ]) sono altrettanto simili ai tufi gialli della Campania tutta, quanto al tufo giallo delle colline di Napoli e dei Campi Flegrei . D' altro canto per solo rigore di indagini, 1' analisi chimica 2) e più specialmente quella mineralogica dovranno mirare anzitutto ad escludere 1' affi¬ nità di questo tufo giallo con analogo tufo, ma di ben altro aspetto, che si trova per esempio ad Ercolano come prodotto di trasforma¬ zione " nel tempo ed all'aria „ di zone delle colate di fango (a base di prodotti frammentari, da lapilli pumicei e lapidei a ceneri) che nell'eruzione del 79 d. C. seppellirono questa città. IV. — Conseguenze dei risultati delle ricerche del Rittmann nella interpetrazione della Geologia campana. Ho così implicitamente già messo in rilievo, nelle conclusioni riguardanti la trasformazione del magma somma-vesuviano, i diversi periodi di attività del vulcano, la sua età relativa agli altri prodotti vulcanici campani , 1' origine dei tufi grigi campani e la loro indi- pendenza dal piperno della base dei Camaldoli, le grandi e recenti fratture attraversanti i' Appennino a partire dal golfo di Napoli e la origine subaerea del tufo giallo. Debbo però ancora mettere in giusta evidenza come tutti questi studi del Rittmann permettono di ricostruire la storia più recente della regione in linee, che, se pur brevi , si mostrano del tutto nuove e sostanzialmente diverse da quelle che fin qui i precedenti studi avevano tracciato. Da tutti i lavori del Rittmann si può cioè concludere che già da tempo le forze endogene avevano spinto Ischia ad emergere dalle onde e più che mai mantenevano vivo il fuoco nei Campi Flegrei quando, circa dodicimila anni or sono, l’area ancora emersa dell'attuale Somma-Vesuvio veniva per la prima volta perforata da un' esplosione , indubbiamente facilitata dalle fratture già gene* ’) Vedi Ippolito F., op. cit. ~) Interpretata, però, cóme si deve interpretare l'analisi di un materiale ete¬ rogeneo vulcanico quale può essere il tufo in esame. 39 - / ratesi con lo sprofondamento della conca campana. 11 nuovo vul¬ cano così costituito, cioè il Somma Primordiale, dovette essere se de di imponenti manifestazioni, come dimostrano gli enormi accu¬ muli di cenere che esso in breve tempo eruttò. Interessante è il fatto che i prodotti di questo Somma Primor¬ diale furono tutti trachitici, come i prodotti degli altri vulcani Fle- grei. Nel cratere di questo vulcano cupole di lava molto viscosa si formavano per essere di lì a poco lacerate , sconvolte e asportate dalle violente esplosioni che si alternavano agli efflussi. Finché una di tali cupole, in virtù del suo alto grado di resistenza, riuscì ad otturare il condotto condannando il vulcano ad una lunga inattività. In piena attività invece , durante questa tregua del Somma , i vulcani Flegrei con formidabili esplosioni lanciavano ceneri e pomici, le quali, covrendo fra tutte queste terre anche il Somma dormiente, si consolidavano poi per dare il tufo giallo. Intanto uno dei lenti movimenti con cui tutta la pianura Cam¬ pana , con un vario movimento di zolle separate e contrastanti , si andava alzando o abbassando, portò al disotto del mare il Somma Primordiale in una col tufo giallo che l'aveva coperto *). A proposito di questi movimenti di zolle bisogna ricordare che per effetto di essi, e durante i tempi storici, i terreni della co¬ sta occidentale dell'Italia Meridionale assunsero una inclinazione più o meno sensibile, ma con pendenza sempre verso l'interno, di tal¬ ché le acque dei corsi superficiali diventarono stagnanti in prossi¬ mità delle coste , dando origine a numerose paludi , come quelle della Pianura Pontina, del Basso Volturno e della plaga di Pesto * 2). Medesimo destino sarebbe toccato alle contrade circostanti alla foce del Sarno, se intanto il Somma non si fosse risvegliato per ricolmare con i suoi prodotti quelle terre, mali mano che si incli¬ navano contro il mare. A questo risveglio, avvenuto verso i seimila anni a. C., seguì la lunga serie di eruzioni accumulatrici del po¬ tente edificio vulcanico del vecchio Somma che così seppelliva profondamente i ruderi del Somma Primordiale. 1) Per la ricostruzione di questi abbassamenti posteriori alla formazione del tufo giallo, vedi il recente lavoro di Minucci E.: Il mare pliocenico nella Cam¬ pania. Memorie geologiche e geografiche di Giotto Dainelli. R. Istituto Geologico di Firenze, 1933. 2) A ciò si ricollega il bradisismo di Pesto, riscontrato dal De Lorenzo e confermato poi recentemente da D'Erasmo G. (// bradisismo di Paestum. Ente per le antichità e monumenti. Salerno, pubblicazione N. 11, 1935). - 40 -» Il carattere petrografico delle lave di questo Somma rivela che nel frattempo il bacino magmatico, spingendosi lentamente sempre più in alto, aveva raggiunto la dolomia triasica, Tassimilazione della quale perciò già si era iniziata per continuare ognora più intensa e profonda. Si iniziò così la serie delle attività " patologiche come effi¬ cacemente dice lo stesso Rittmann, che attraverso il vecchio Somma, il giovane Somma ed il recente Vesuvio perdura tuttora e durerà ancora lasciando che altre generazioni possano godere dei magni¬ fici spettacoli e che altri vulcanologi si affannino a svelare quei misteri di cui appena fin qui s'è sollevato il velo. Napoli, Istituti di Geologia Applicata e di Arte Mineraria della Facoltà di Ingegneria, R. Università, gennaio 1937-XV. Riassunto L’A. riassume le principali conclusioni del Rittmann sulle trasfor¬ mazioni del magma somma-vesuviano, sulla diversità dei centri eruttivi del tufo grigio campano, sulla tettonica recente della Campania occiden¬ tale, sulla origine subarea del tufo giallo. Esamina specialmente le basi assunte dal Rittmann per addivenire alle dette conclusioni e pone in evidenza le conseguenze che dette conclusioni portano nella interpreta¬ zione della più recente geologia della regione campana da Ischia, Campi Flegrei fino a Pesto. — 41 — ELENCO dei lavori del Niggli e del Rittmann richiamati nel testo. 1920. Niggli P. — Die leichtjluchtigen Bestandteile im Magni a. Preis- schriften der Fiirstl. Jabl. Gesellschaft XLVII, Leipzig. 1920. — — Lehrbuch der Mineralogie , pg. 472 e segg., Gebrùder Borntraeger, Berlin. 1925. — — Ver sudi einer natur lichen Klassijication der im weite - ren Sitine magmàtischen Erslagerstàtten. Knapp, Halle. 1929. — — Ore deposits oj Magni atic origin. Murby, London. 1929. — — Prinsipielle Bemerkungen sum Problem der magma- tischen Dijferentiation. Voi. II, Compte Rendu XV Internatio¬ nal Geological Congress, South Africa. 1932. — — Die leichtjliichtigen Bestandteile im Magma und die Bildung magmatischer Restlòsungen. Ree. des Travaux des Pays-Bas, T. 51, 6, Amsterdam. 1926. Rittmann A. — Beitrag sur Ifenntnis des neapolitanischen Tuffs. Zei tschrift fùr Vulkanologie. Band X. 1928. — — e Salvatore E. — Contributo allo studio dei tufi verdi della Regione Flegrea. Zeitschrift fùr Vulkanologie, Band. XI. 1930. — — Der Vesuvausbruch im Juni 1929. Zeitschrift fùr Vul¬ kanologie, Band XII. 1930. — — Geologie der Insel Ischia. Ergànzungsband VI zur Zeit¬ schrift fùr Vulkanologie, Berlin. 1931. — -- Das Irpinische Erdbeben. Naturwissenschaften, Berlin 16 Januar. 1931. — — Gesteine und Miner alien vom Monte Vulture in der Basilicata. Schweiz. Mineralog., Petrograph, Mitteilung, B. XL, H. 2, Zurich. 1,931. — — Vulkanische Glutwolken und Glutlawinen. Die Natur* wissenschaften; Berlin, 18 dezember. 1932. — — Das Vesuvmagma und seine Entwicklung. Die Natur* wissenschaften, Berlin, 29 aprile. 1933. — — Der Zustand des Vesuv im Jahre 1932. Zeitschrift fùr Vulkanologie, Band XV. 1933. — — Beitrag sur lfenntnis des Stromboli-Kraters . Zeitschrift fùr Vulkanologie, Band XV. — 42 - 1933. Rittmann A. — Die geoio gisch bedingte Evolution und Differen- tiation des Somma-Vesuvmagmas. Zeitschrift fùr Vulkanologie, B. XV. 1934. — — Sulle rocce it alitiche del Somma- Vesuvio. Bulletin volca- nologique VII année, n. 23 à 26. 1934. — — Der Alkalitrachyt der Solfatara und sente Zersetzimg durch Fumarolengase . Schweiz. Min. Petr. Mitt., Band XIV. 1934. — — Der Ausbruchsmechanismus des Vesuvs. Die Naturwis- senschaften, Berlin. 1936. — — Das Magma in den Vulkanherden. Geologische Rund¬ schau, Bd. XXVII, Heft I. 1936. — — Vulkane und ihre Tdtigkeit. Ferdinand Enke, Stuttgart. Finito di stampare il 21 marzo 1937 Su un particolare adattamento ecologico di dona intestinalis nel golfo di Napoli. del socio Mario S a 1 f i (Tornata del 23 aprile 1937) Sul fondo ad ascidie del golfo di Pozzuoli è stato dragato, al¬ cuni giorni fa, alla profondità di 30/40 m. un gruppo di Cione fis¬ sate su un frammento di orcio di argilla. L'aspetto generale di queste Cione è quello della comune dona intestinalis (L.) ; ma le dimensioni appaiono essere in media mag¬ giori sopratutto se ci si riferisce alla loro larghezza. Esse non sono fissate al substrato mediante una piccola porzione della loro su¬ perficie posteriore o basale, ma per buon tratto (metà a due terzi) della superficie latero-ventrale. La caratteristica più appariscente di questo gruppo di Cione è data dall'essere i due sifoni di un bel colore che varia a secondo degl’individui dall' arancione cupo al rosso cocciniglia. La tunica ha lo spessore normale delle comuni C. intestinalis ma il suo colore è giallastro lasciando intravvedere il corpo dell'ascidia che è di un colore chiaro tendente ad un gial¬ lastro lievemente tendente al cedrino. La superficie tunicale aderente al substrato è ricca di brevi prolungamenti ectodermico-tunicali ma in molti tratti l'aderenza della tunica al substrato è completa. Per quanto si riferisce alla disposizione branchiale si nota, contrariamente a quanto si osserva nella tipica dona intestinalis , uno spostamento della massa viscerale in senso anteriore e laterale alla estremità posteriore della branchia in maniera in certo modo simile alla disposizione che si osserva in Ascidiella. Esaminerò ora il valore sistematico e biologico di queste va¬ riazioni di caratteri. 44 — Nel 1886 il Roule *) a proposito dei Cionidi del golfo di Marsiglia descrisse la Ciona edwardsi riferendo questa specie ad un sottogenere, Pleurociona , che egli creò appunto per questa sua nuova specie. Mentre nella Ciona genuina il corpo è fissato al substato " par une région de minime etendue „ in Pleurociona il corpo delbanimale è " fixé par tout un coté entier depuis l'extrè- mité postérieure jusqu'à la base des siphons Inoltre la Pleurociona differisce secondo il Roule dalla vera Ciona oltre che per il suo modo di fissazione anche per i rapporti tra massa viscerale e sacco branchiale ; la massa viscerale e, sopra¬ tutto, la regione ricurva deirintestino essendo proiettata in avanti e sulla faccia ventrale, al disotto dell'estremità posteriore del sacco branchiale, sicché la branchia occupa tutta la regione posteriore del corpo e i visceri sembrano essere respinti in avanti. La tunica di Pleurociona edwardsi è d'un verde giallastro con macchie brune irregolarmente ripartite, tinta però localizzata sullo strato esterno e dovuta ad impurità, essendo, secondo il Houle, le zone profonde dello spessore tunicale trasparenti. I due sifoni non mostrano par ticolarità differenziali degne di nota rispetto a quelli della Ciona intestinalis. II derma, secondo Roule, è d'un giallo dorato. La lun¬ ghezza media degli individui di questa forma provenzale è di 9-10 cm. mentre la larghezza è di 3-4 cm. Al Roule venne il sospetto che si trattasse di un gruppo di individui di Ciona intestinalis adattate a quelle particolari condizioni ecologiche, rinvenendosi le Pleurocione sempre in una zona ben definita del golfo di Marsi¬ glia e cioè sui fondi coralligeni al largo di Saint Henry ad una profondità di 30/40 m. e su resti di anfore ed orci di argilla come su resti di conchiglie e a volte anche sulle Melobesie. Ma, dice il Roule, per ammettere che Pleurociona siano delle Cione ordinarie modificate bisogna ammettere che le larve giunte sul frammento di orcio non si siano fissate normalmente mediante gli organi adesivi, ma che si siano adagiate per tutta la loro lun¬ ghezza, cosa, secondo lui poco probabile perchè le Cione aderenti a superficie lisce moltiplicano i loro prolungamenti basali e assu¬ mono la forma di C. fascicularis Hanck. D'altra parte il Roule stesso nel golfo di Marsiglia oltre alla Ciona intestinalis L. e alla C. savignyi H. , la prima frequente 9 Roule, L. — Révision des espèces de Phallusiadées des còtes de Provence. Ree. Zool. Suisse, Voi. 3, p. 209, Tav. 12-15, 1886. — 45 — nelle acque salmastre dei porti, e la seconda sui fondi di fango sabbioso a 100/150 m. di profondità, raccolse sui fondi coralligeni che si estendono tra la costa di Marsihe-Veyre e risola di Rion, a 45/50 m. " un individu de dona intestinalis sur une Mélobesie. Le caractères presentés par cet individu correspondent tout à fait à ceux des C. intestinalis des eaux saumàtres littorales. La taille est seulement un peu plus petite (5 à 6 cm. de longueur) et les siphons plus courts rélativement à la longueur du corps ; le derme, au lieu d'ètre d'une couleur bleu-jaunàtre presentait una belle teinte jaune que la tunique transparente laissait parfaitement di¬ stinguer Si concluderebbe in base a questa osservazione che sui fondi coralligeni alla profondità di 40 / 50 m. le Cione ordinarie conser¬ vano il loro aspetto normale, a parte le variazioni di grandezza e di colorazione, e che quindi Pleurociona, che ha un habitus così caratteristico e che si trova, se pure in una stazione differente da quella in cui fu rinvenuto l’individuo di vera dona intestinalis1 pur sempre su fondi coralligeni a 40/50 m. di profondità, debba rap¬ presentare una entità sistematica distinta che se non un sottogenere costituisca almeno una specie distinta. Potremo però in base al solo fatto dell'aderenza al substrato e allo spostamento della massa viscerale, che forse è solo una con¬ seguenza della posizione in cui viene a trovarsi durante il suo sviluppo l'animale, e dato che altri caratteri distintivi la Pleurociona non offre in confronto della vera dona intestinalis essere autoriz¬ zati a sostenere la validità sistematica sia pure di sola specie per tale entità? Il parere dell’HARTMEYER (1910) £) in proposito è molto espli¬ cito. Egli pone in sinonimia Pleurociona con Ciona e Pleurociona edwardsi del Roule con dona intestinalis. Ma già Lahille (1890) l 2) notava, a proposito delle variazioni che offrono le Cione in rapporto all'ambiente in cui vivono, che “ en parcourant les gréves de Roscoff, on rencontre, dans les endroits abrités, des dona intestinalis fixées par la partie posterieure cor- respondante aux visceres. Mais dans les endroits où de grands l) Hartmeyer, R. — Ascidien in: Bronn’s Kl. u. Ord. Tierr. 3 Bd. (Suppl.) Tunicata, Leipzig, 1910. ) Lahille, F . — Recherches sur les Tuniciers des còtes de France. Tou - louse, 1890. — 46 — courants existent normalement, les Ciones que Pon trouve sont fixées par tout le coté gauche de leur corps. Cela se congoit, car un individu presque entièrement libre serait très facilement arraché de son support. On voit donc que le mode de fixation provient des conditions differents du milieu et d'une adaptation a ce milieu. Le mème fait se constate chez les Amaroucium pédiculés ou ses- siles. Cette adaptation particulière des Ciones entraine certaines conséquences qu’ il est peut-ètre bon d'indiquer. La branchie, en se developpant, tendra à se piacer plutòt au-dessus des visceres qu’au dessous, afin de pouvoir se dilater plus aisement. En mème temps Pasymétrie de position produira une asymétrie musculaire et les muscles du coté libre se developperont plus que les muscles du coté libre. Chez dona Edwardsi-intestinalis ces tendences se trou- vent indiquées par P obliquité de la lame peritoneale, e cette di- sposition vient constituer un terme de passage vers les Ascidiens à viscères entièrement lateraux à la branchie et fixés par tout un coté de leur corps. La branchie tend en effet chez Pleurociona, à occuper la région postérieure du corp et à refouler les viscères en avant. Les formes de dona intestinalis fixées lateralement sont donc très interessantes au point de vue biologique puisqu'elles mon- trent Pavantage qui à determiné peut-ètre chez les Tuniciers supé- rieure ce mode de fixations. Dès lors, il est naturel de ranger ces formes dans une variété particulière. Les Pleurociona Edwardsi qui ne présentent aucune différence anatomique avec les C. inte¬ stinalis ne peuvent constituer une espece nouvelle, et à plus forte raison un sous genre nouveau; ils doivent, à mon avis former une simple varieté : dona Edvjardsi-intestinalis . Oltre a questa varietà il Lahille accetta l'esistenza di molte altre varietà : quali macrosiphonica Roule, canina O. F. M., fascicu- laris Hanc., le quali in verità offrono una base di caratteri ben più labili di quello offerto dalla var. Edwardsi che se non altro rivela un particolare adattamento ecologico. Mi sembra quindi che l'opi¬ nione delPHARANT (1931) 4) che dona intestinalis “ est une espece cosmopolite pour laquelle on peut admettre seulement la varieté longissima Hartm. (Arctique) , toutes celles invoquées par Lahille (p. 271) étant exactement synonymes de l'espece type „ sia un pò troppo ortodossa e che valga la pena di ricordare nel quadro pur- h Harant, H. — Contribution a Vhistoire naturelle des Ascidie s et de leur s parasites. Ann. Inst. Océàn. Monaco, Voi. 8, p. 231, 1931. - 47 - troppo statico della speciografia un adattamento ecologico assai interessante. Il gruppo di individui della Baia di Pozzuoli differisce da quelli attribuibili alla var. edwardsi della Ciona intestinalis secondo la descrizione del Roule sia perchè essi lasciano il terzo anteriore del corpo ed i sifoni liberi, sia per il colore dei sifoni che come ho già detto in precedenza varia dall'arancione cupo al rosso coc¬ ciniglia. Accettando il criterio seguito dagli ascidiologi prehartmeye- riani e per Ciona dal Lahille che occupa una posizione media tra i polverizzatori di generi e di specie quali I’Hanckoc e il Roule e gli estremisti semplificatori, con i quali si cade nell’errore opposto che porta alla inevitabile dimenticanza di quelli che sono gli at¬ teggiamenti ecologici e biologici delle specie, che in forme così plastiche come le ascidie sono così frequenti e che nel quadro spe- ciografico devono necessariamente essere espressi da un nome quale che sia il valore sistematico da attribuire ad essi, si potrebbe ricordare il peculiare aspetto delle Cione del fondo ad ascidie della Baia di Pozzuoli con la denominazione di Ciona intestinalis var. edwardsi ab. rubrosiphonica. Napoli, aprile 1937 -xv, Finito di stampare il 3G aprile 19 il. Studi sull’ ofidismo sperimentale. HI. — La proteolisi da veleno di Viperidi. del socio Pasquale Salvi (Con la Tav. 1) (Tornata del 30 marzo 1936) La dimostrazione della presenza nel veleno dei Viperidi di principii ad azione litica sulle proteine, risale al 1902, epoca nella quale Launoy osservava che il veleno dei Viperidi è capace di demolire la caseina e le proteine del siero di bue ; mentre le so¬ luzioni filtrate di veleno si dimostrano prive di questo potere. Facendo agire una macerazione glicerica della ghiandola vele¬ nosa di Vipera aspis su di una soluzione acquosa di caseina o su diluizioni di siero di bue , egli constatava che solo una leggera frazione degli albuminoidi era resa solubile, ma non era che rara¬ mente peptonizzata, formandosi delle albumose a reazione biure- tica, precipitabili dall'acido nitrico, dal cloruro di sodio e dal solfato di ammonio. In seguito Delezenne trovò che il veleno di Lachesis è capace di digerire la gelatina , la quale , dopo aver subito la sua azione non può più essere solidificata. Flexner e Noguchi (1902) confermavano questa influenza del veleno sulle sostanze proteiche, cimentandolo con la gelatina, rovo- albumina e la fibrina, e dimostrando che l'azione litica non resiste ad un riscaldamento di 30’ a 74°, ne si modifica in presenza del siero antitossico corrispondente. Di poi, Noe (1904) lavorando sotto la direzione di Calmette, sottoponeva ad un esteso studio sperimentale queste attività litiche dei veleni ofidici, ottenendone i risultati che riassumo nella seguente tabella : I cc. di una soluzione a 1’ 1 % di veleno di : Ancistrodon piscivorus digerisce 30 cgr. di fibrina in 2 ore Ancistrodon contortrix » » » 2 ore - 50 — Lachesis lanceolcitus Lachesis flcivoviridis digerisce 30 cgr di fibrina in 2 ore » » 3 ore 24 ore Vipera russelli Naja tripudi ans Naja nigricollis I non attaccano che molto leggermente \ la fibrina in 24 ore. » » Bungarus coeruleus Sulla gelatina egli trovò un comportamento quasi identico ; come pure notò un parallelismo perfetto tra il potere anticoagulante sul sangue di questi veleni e l'attività proteolitica : per cui avanza l'ipotesi, che l’influenza anticoagulante debba essere messa in rap¬ porto con una digestione della fibrina del sangue, operata dai fer¬ menti proteolitici del veleno. Beaujean (1913) confermava questi fatti, lavorando col veleno di Bitis arietans. Houssay e Negrette (1918) infine, riprendendo lo studio di questi fermenti, constatavano che l'azione proteolitica, chiaramente manifesta coi veleni di Ancistrodon , Lachesis e Crotalus adamati' teus ; meno manifesta con quello di L. jaracussa e di Crotalus terrificasi debolissima coi veleni di Cobra e di Elaps ; si esplica formando " aux dépens des protéines dissoutes des substances biu- rétiques dialysables et une très petite quantité d’acides aminés „. Data l'importanza dell’aYgomento, in se e per le risonanze nel campo della patogenesi della intossicazione da veleni viperidei, ne ho ripreso lo studio servendomi di un metodo di ricerca non an¬ cora applicato in questo campo di indagini da nessuno degli autori precedenti. Ricerche personali. Il veleno studiato nelle presenti ricerche {Lachesis alternatus)} proveniente dall'Istituto Sierologico di Butantan (S. Paulo - Brasile), gentilmente donato dal Chiar.mo Prof. Do Amaral al Prof. Diamare, è stato adoperato nelle stesse dosi delle ricerche precedenti, e dopo accurato saggio " in vivo „ (cavia) del suo potere tossico. Come substrato mi sono servito della gelatina, ovoalbumina e caseina sec. Hammarsten, in prodotti puri per analisi delle case Shering - Kahlbaum e Merck. Il potere proteolitico era messo in evidenza studiando le mo¬ dificazioni fisiche del substrato (gelatina) ; e dimostrando la presenza — 51 dei prodotti della scissione idrolitica (poli peptidi, aminoacidi), nei preparati all'uopo allestiti, col veleno ed il relativo substrato proteico. Quest'ultima ricerca era praticamente condotta tenendo a dia¬ li zzare per 12 ore in termostato alla temperatura di 38° il substrato proteico col veleno (convenientemente protetti da azioni fermenta¬ tive batteriche), in adatti ditali di diffusione (Schleicher e Schull), immersi in acqua distillata ; e ricercando poi la presenza dei pro¬ dotti idrolitici diffusibili nel di ali zzato col reattivo di Abderhalden (ninidrina - idrato di trichetoidrindene) ‘). La reazione si praticava facendo bollire per 1 minuto il dializ- zato , neutralizzato con NaOH O. I N ed addizionato di cc. 1 di soluzione di ninidrina 1 % Shering - Kahlbaum. Parallelamente, per garentirmi da eventuali errori sperimentali, la ricerca delle sostanze capaci di reagire con la ninidrina si faceva pure sul dializzato di due preparati-controllo, allestiti col solo sub¬ strato, e, rispettivamente, col solo veleno, e tenuti nelle medesime condizioni di esperimento. Protocolli delle esperienze. Esp. N. 1. Soluzione di gelatina 10 %. Veleno L. alternatus. Tubo A) — Gelatina cc. 10 -l toluolo - dopo 24 ore, a tempera¬ tura ambiente (10°), la gelatina si mantiene immodificata tanto nel suo aspetto che nello stato fisico (gel). Tubo B) — Gelatina cc. 10 -f veleno cc. 2 toluolo - dopo 24 ore, alla stessa temperatura, risultato come sopra. Si pongono i tubi in termostato alla temperatura di 38°. Dopo 24 ore si nota che mentre nel tubo controllo, allestito con sola gelatina il liquido conserva ancora il suo aspetto unifor¬ memente torbido ; nel tubo allestito con gelatina veleno, il con¬ tenuto presenta 1' aspetto di un liquido limpido, con rare, vaganti x) Mi son servito della ninidrina, come rivelatore dei prodotti della demoli¬ zione proteica , nonostante le critiche mosse alla specificità di questa sostanza come reattivo elettivo dei polipeptidi e degli aminoacidi, per le speciali condi¬ zioni in cui si svolgevano gli esperimenti (corpi reagenti di nota costituzione chimica, assenza di altre sostanze capaci di reagire con l’idrato di trichetoidrin¬ dene, e, sopratutto, garenzia dei controlli). — 52 — massette flocculate. in sospensione, e precipitate al fondo della provetta. Sottoposti i due tubi a raffreddamento, mentre il contenuto del primo (controllo) gelifica, quello del secondo si mantiene liquido e limpido 1). Se ne deduce che il veleno di L. alternatus presenta un evi¬ dente potere litico (fluidificante) sul substrato di gelatina. Esp. N. 2. Soluz. ovoalbumina Shering- Kahlbaum 5%. Veleno L . alternatus. Prep. A) — Ovoalbumina cc. 4 + veleno cc. 2 (+ toluolo) dia- lizza contro cc. 10 acqua distillata. Dopo 12 ore in termostato a 38°, il dializzato si neutralizza con NaOH O. I N, si aggiunge cc. 1 ninidrina 1 % e si sottopone ad ebollizione per V ; con risultato positivo. Prep. B) — Ovoalbumina cc. 4 (-4- toluolo) dializza contro cc. 10 acqua distillata. Dopo 12 ore in termostato a 38°, sottoposto il dializzato al trattamento di cui sopra, si ottiene un risultato negativo. Prep. C) — Veleno cc. 2 (+ toluolo) ; trattamento idem. Risultato negativo. (Vedi tavola a colori). Esp. N. 3. Soluz. caseina sec. Hammarsten 5 %. Veleno L. alternatus. Prep. A) — Caseina cc. 4 + veleno cc. 2 ( + toluolo) dializza contro cc. 10 acqua distillata. Dopo 12 ore in termostato a 38°, il dializzato si neutralizza con NaOH O. I N, si aggiunge cc. 1 ninidrina 1 % e si sottopone ad ebollizione per P; con risultato negativo. Prep. B) — Caseina cc. 4 (+ toluolo), dializza contro cc. 10 ac¬ qua distillata. 0 L'esperienza di cui sopra fu realizzata nelle più perfette condizioni di a- sepsi, sterilizzando all' autoclave tutto il materiale da esperimento, escluso^ natu¬ ralmente, il veleno, — 53 — Dopo 12 ore in termostato a 38°, sottoposto il dializzato al trattamento di cui sopra, si ottiene risultato negativo. Prep. C) — Veleno cc. 2 (+ toluolo) ; trattamento idem. Risultato negativo. Esp. N. 4. Gelatina Merck 5 %. Veleno L. alternatus. Prep. A) — Gelatina cc. 4 + veleno cc. 2 (+ toluolo) dializza contro cc. 10 acqua distillata. Dopo 12 ore in termostato a 38°, il dializzato si neutralizza con NaOH O. I N, si aggiunge cc. 1 ninidrina 1 % e si sottopone ad ebollizione per 1’; con risultato positivo. Prep. B) — Gelatina cc. 4 (+ toluolo) dializza contro cc. 10 ac¬ qua distillata. Dopo 12 ore in termostato a 38°, sottoposto il dializzato al trattamento di cui sopra, si ottiene risultato negativo. Prep. C) - Veleno cc. 2 (+ toluolo) ; trattamento idem. Risultato negativo. Se ne deduce che il veleno di L. alternatus contiene delle pro- teasi capaci di scindere la gelatina e V ovoalbumina ; ma senza azione sulla caseina. Tale scissione arriva, molto verosimilmente, sino alla libera¬ zione degli aminoacidi, data la positività della reazione di Abde- rhalden (ninidrina). Conclusioni. Dalle ricerche compiute nel presente lavoro si possono trarre le seguenti conclusioni : I. - Nel veleno di Lachesis alternatus sono presenti enzimi pro- teolitici ad azione fluidificante sulla gelatina. II. - Tali enzimi hanno il potere di demolire la molecola pro¬ teica della gelatina e della ovoabulmina, con liberazione di corpi — 54 — capaci di reagire col reattivo di Abderhalden (ninidrina) : verosi¬ milmente polipeptidi ed aminoacidi, come dimostrerò *). III. - Gli stessi non esercitano alcuna azione sulla caseina. Sulla entità della proteolisi e sulla sua influenza nei fenomeni locali e generali della intossicazione ofidica ho in corso ricerche che formeranno argomento di successive pubblicazioni. Napoli, dall'Istituto di Istologia e Fisiologia generale della R. Università - Marzo del 1936 - XIV. Riassunto Nelle presenti ricerche FA. continuando nello studio sistematico dei fermenti dei veleni ofidici iniziato con i precedenti lavori, dimostra la presenza nel veleno dei Viperidi di proteasi ad azione sulla molecola della gelatina e dell’ovoalbumina, ma senza influenza sulla caseina. ») In base ai risultati di ricerche in corso (dosaggio del N-formolo sec. Sòrensen), posso affermare che la scissione arriva effettivamente fino agli aminoa¬ cidi, ed è di entità piuttosto discreta — 55 — BIBLIOGRAFIA Per la bibliografia, oltre i miei precedenti lavori: 1935. Salvi P. — ■ Studii sull’ ofidismo sperimentale. - I. Patogenesi della intossicazione da veleno di Viperidae. Rassegna di Te¬ rapia e Patologia clinica, anno Vili, N. 2, Napoli. 1936. — — Studii sull’ofidismo sperimentale. - II. Sulla intima na¬ tura chimica della lecitinolisi da veleno di. Viperidae. Bollet» tino Soc. dei Natur., Napoli, voi. XLVIII. Vedi: 1910. Delezenne C, — Diastases proteolytiques et coagutantes des venins. Bull. Ac. Med., Dee., Paris. 1918. Houssay B. A. et Negrette J. — Estudios sobre venenos de Serpientes. - III. Accion de los venenos de Serpientes sobre la substancias proteicas. Rev. del Inst. bact., avril-aout. Bue- nos-Ayres. 1902. Launoy L. Sur l’ action proteolytique des venins. C. R. Ac. Se. CXXXV, Paris. 1904. Noe F. — Sur quelques propriétés physiologiques de dipférents venins des Serpents. - III. Proteolyse. Ann. Inst. Pasteur, XVIII, Paris. 1922. Puysalix M. — Animaux venimeux et venins. Masson, Paris. Ortotteri raccolti in Anatolia dal Prof. Nello Beccari del socio Mario S a 1 f i (Tornata del 23 aprile 1937) Il Prof. Nello Beccari raccolse nell' estate del 1932 , durante un suo viaggio in Anatolia , un piccolo numero di Ortotteri che volle gentilmente affidarmi per la determinazione. Tutti gli individui della raccolta furono catturati a Scalanova nel settembre, e si riferiscono a specie già note. Elenco sistematico : Blattidae. 1. Polyphaga aegyptiaca (L.). 1 c? e 2 $9 delle quali una giovane. 2. Blatta orientalis L. 19. Mantidae. 3. Iris oratoria (L.). 1 cf, 4. Bolivaria brachiptera Pall. 1 Phasgonuridae. 5. Bucephaloptera bucephala (Br.). 6. Gryllomorpha sp. 1 9 giovane. G r y 11 i d a e. - 7 - — 58 - 7. Gryllotalpa gry Ilo talpa (L). 3 individui giovani. Acrididae. 8. Acrida turrita L. 3 99 e 2 c?C?. 9. Aiolo pus strepens Latr. 2 99 eie?. 10. Oe dipo da miniata Pall. 2 99 e 1 cf. 11. Locusta danica L. 1 9- 12. Acrotylus insubricus (Scop.). 2 99. 13. Anacridium aegyptium (L.). 3 99 e 2 cfcT. 14. Calliptamus italicus (L.). 4 99 decolorate. Napoli, marzo 1937 - XV. Finito di stampare il 31 maggio 1937 Mitosi del fegato da coccidiosi del socio Claudio Gargano (Tornata del 2 marzo 1937) Parecchi anni or sono (1909) ebbi ad occuparmi di un argo¬ mento di sistematica zoologica sui protozoi parassiti. A proposito dei Teleosporidi ebbi a dire che essi si dividono nei Coccidio¬ morfi e nelle Gregarine, e che ai medici interessano solo i Cocci¬ diomorfi, giacché di' Gregarine parassite del!' uomo fin ora non se ne conoscono specie. Le differenze fra i Coccidiomorfi e le Gre¬ garine sono sensibili e ci sono date sia dalla morfologia del loro corpo, che dal loro modo di coniugazione ; infatti nelle Gregarine il corpo è formato di più pezzi, nei Coccidiomorfi da un sol pezzo, nelle Gregarine la coniugazione è isogama, cioè ad essa parteci¬ pano due gameti uguali in grandezza, nei Coccidiomorfi invece è anisogama, cioè i due gameti sono differenti in grandezza e si sono differenziati in macrogameti ed in microgameti. I Coccidiomorfi pre„ sentano inoltre uno stadio vegetativo sempre intracellulare ed hanno le spore ora ravvolte in una cisti, ed ora no, nel primo caso si diranno Coccidi, nel secondo Emosporidi ; i primi sono parassiti dei tessuti, i secondi del sangue : questi sono i due sottordini. Le spore sono prive di flagelli e contenenti un numero variabile di sporozoiti, numero che è carattere molto importante per la classi¬ ficazione. C o c c i d i a . — Nel sottordine dei Coccidi a noi ci interessa di studiare la famiglia Tetrasporocystidae , che contengono in cia¬ scuna cisti 4 spore, ognuna con uno o due sporozoiti. Nella detta famiglia è annoverato il genere Coccidium , che ha il carattere di 9 Comunicazione fatta al Congresso della Società Italiana di Chirurgia tenuto a Roma nel mese di ottobre 1936 — 60 — avere 4 spore, ognuna contenente due sporozoiti. Nei genere Coc- cidiam vi sono forme parassite deir uomo, e di ben distinte non ve ne sarebbero che tre, cioè il Coccidiiitn kominis, il Coccidiutn cuniculi , ed il Coccidiam bigeminum . 11 C. bigeminum si scinde prima per formare due individui- racchiusi in una sola cuticola, carattere che non si riscontra nè nel C. cuniculi , nè nel C. kominis. Inoltre nell' interno della cisti non tutto il protoplasma è destinato a formare spore , ma invece ne resta una porzione per dare origine al nucleo di reliquat o nucleo residuale. La presenza od assenza di questo protoplasma di reliquat è un carattere molto importante per distinguere le specie, infatti del C. kominis se ne voleva fare una sola (per es. il Leuckart ne faceva una, attribuendola al C. cuniculi) , e su questo carattere se ne sono fatte due, vedendosi che il C. kominis ha corpo di reliquat , mentre il C. cunicoli non ne ha. Il C. bigeminum ha anch’ esso corpo di reliquat. Chiamando oocisti la cisti in cui avviene la sporulazione nel C. cuniculi non abbiamo nucleo di reliquat, mentre vi è negli altri due, ed in questi ultimi vi sono forme semplici, come il C. komi¬ nis e forme bigemine o gemelle come il C. bigeminum. Altre differenze fra il C. kominis ed il C. cuniculi sono le se¬ guenti : il C. cuniculi vive nei condotti biliari del fegato, mentre il C. kominis nell1 epitelio dei villi intestinali : nel primo la forma è più ovulare e lo sviluppo delle spore è lento, fino a qualche set¬ timana, nel secondo invece è più celere, al massimo 4-5 giorni. Il C. cuniculi si riveste prima di una cisti e poi si divide in due spore, e ciascuna di esse in altre due, e queste quattro nuove spore prendono il nome di pseudonavicelle ; nel loro interno si produ¬ cono due sporozoiti. Questa varietà di Coccidi possono avere anche una riprodu¬ zione agama, oltre della riproduttiva, ed in quel caso differiscono non poco fra di loro, tanto che molte specie diverse sono state descritte, e poi si è visto non essere altro ehe il medesimo C. cuniculi in uno stadio o nell'altro. Il Leuckart per questi due Coc¬ cidi adottò un’ altra nomenclatura ed il C. kominis lo chiamò per- forans, ed il cuniculi oviforme. Il C. bigeminem o villorum dello intestino si presenta dapprima unico, poi si scinde, come si è detto,, in due individui, che non si possono ritenere come spore, ed ogni individuo a sua volta darà quattro spore, ed un corpo di reliquat appunto come il C. kominis. — 61 Il C. amicali si trova oltre che nei condotti biliari del fegato, anche nel liquido della cistifellea, in modo che, emesse le cisti, la sporogonia può avvenire pure fuori dell' ospite e ci spiega come possa essere introdotto nell' organismo umano sia con le acque, che con altro. Questa è la forma propagativa, mentre la forma moltiplicativa o schizogamica avviene nella stessa cellula. La forma di moltiplicazione schizogamica nel C. catiiculi fu scoperta indipen¬ dentemente dalla sporogonia, tanto che il Coccidio in questo stadio fu creduto un altro parassita, al quale si dette il nome di Pfeipheria princeps (Pfeiferella). Ora resta di assodare la questione del genere, che deve essere sostituito col genere Eimeria , che è più antico di lui come nome, restando inalterati i nomi specifici ; così per essere esatti dovremo d' ora innanzi dire Eimeria canicali, Eimeria hominis ed Eimeria bige min uni. Corcuff (1928) nella recente tesi sulla " Specificità parassitala dei Coccidii „ esamina il ciclo evolutivo di un coccidio del genere Eimeria , che riassume : Il giovine parassita incluso in una cellula epiteliale si accre¬ sce, sospingendo il nucleo, ed alterando profondamente il citopla¬ sma della cellula ospite. Arrivato al termine del suo accrescimento il nucleo del parassita si divide, in un certo numero di nuclei se¬ condari, che si circondano ciascuno di un poco di citoplasma, questi sono i merozoiti che diventeranno liberi per distruzione della cel¬ lula parassitata. Questi merozoiti potranno allora inflettere nuove cellule epiteliali, ed i medesimi fenomeni si riprodurranno : tale è il ciclo asessuale o schizogonico. La riproduzione sessuale o spo¬ rogonia avviene nella maniera seguente : in condizioni d' altra parte poco chiare, il parassita invece di dividersi si trasforma in gameti, cellule sessuate, le une maschie e le altre femmine. La feconda¬ zione si produce; il gamete femmina fecondato è divenuto un zi- gota, che si circonda di una membrana ; si ha così un oocisti. È a questo stadio che il parassita è espulso nel mezzo esterno. Se le condizioni sono allora favorevoli, nell' interno dell' oocisti, la massa unica del zigota si divide in 4 spore ; ciascuna di queste spore darà in seguito due sporozoiti. Questi sono infettivi, e se l'oocisti segmentato è ingerito da un animale ricettivo, i sporozoiti, liberati per la dissoluzione del loro inviluppo, penetrano in una cellula epiteliale e saranno capaci di ricominciare il ciclo schizogonico. — 62 — Nel genere Isospora, tutto avviene lo stesso, ma invece che l'oocisti segmentandosi dà 4 spore con 2 sporozoiti, darà origine a 2 spore e 4 sporozoiti. Al genere Eimeria appartengono i coccidi dal coniglio, 1' uno epatico, T E. stiedai , Y altro intestinale, E. perforans , Y E. zurnei dei bovini, l'Z:. faurei dei montoni e delle capre, VE. avium dei polli e degli uccelli, ed altre numerose specie ripartite fra gli o- spiti i più diversi. Al genere Isospora appartengono 1’ /. belli e Y /. hominis del- T uomo (quest' ultima specie è d’ altra parte poco conosciuta), V /. bigemina , /. rivolta e /. felis del cane e del gatto : esistono ancora altre specie parassite di uccelli e di batraci. È molto importante, sia dal punto di vista zoologico, che della, patologia generale, di determinare la specificità parassitaria di un determinato coccidio e ciò principalmente per precisare una pos¬ sibile profilassi. Infatti è importante a conoscersi se un coccidio albergato in un tale o in un altro animale sia capace di infettare 1' uomo : in questo caso 1’ animale diviene un deposito di virus e deve essere trattato come tale. Si conosce per esempio che nel gatto è ospite un coccidio del genere Isospora, e siccome anche nell’ uomo si è rinvenuto un coccidio analogo, per molto tempo si è creduto che il parassita umano non è altro che quello studiato nei cennati animali domestici. Anche altri casi di coccidiosi umana, descritti in seguito, furono considerati come infezioni accidentali dell’uomo per opera di parassiti di animali. Con la guerra mondiale fu generalizzato 1' esame microscopico delle feci, che spesso hanno presentato, più frequentemente che non si sia pensato, oocisti di coccidi, tanto che nel 1919 Dobell fu portato alla conclusione che tutti i coccidi descritti nell’ uomo fossero verosimilmente patogeni della razza umana e che fin ora non vi fosse nessuna prova per ritenerli di origine animale. Wei- ryon, in seguito (1922), ha studiato i coccidi del cane e del gatto in rapporto a quelli parassiti dell' uomo, ed ha stabilito che essi,, sieno più numerosi, che a prima vista non si pensasse, ma che la Isospora umana presenta caratteri differenziali tali da non potersi confondere con i coccidi del cane o del gatto. Bisogna pertanto riconoscere che in ogni tempo molti autori sostennero una opinione pluralista, e che questa, confortata da re¬ centi ricerche, tende a prevalere ancora oggi. La confusione si spiega facilmente se si considera che nella — 63 — maggior parte, la diagnosi della coccidiosi è stata posta sulla mor¬ fologia degli oocisti rinvenuti nelle feci. Per vero gli oocisti, in questo stadio, si rassomigliano molto, pur potendone osservare al¬ cuni sferici ed altri ovulari, ma nella stessa specie si possono pur¬ troppo vedere forme sferiche ed ovulari, come pure si possono osservare oocisti molto similiari in specie differenti. Si possono notare anche altri tipi di differenze in alcune specie, come nell'Ei- meria del cane, in cui le oocisti, invece di essere semplici, sono doppie. In quanto alla differenza di colorazione, della presenza od as¬ senza del micropilo, sono caratteri piuttosto individuali, di osser¬ vazione incostante, sopratutto difficili, tali da non fare stabilire nulla di preciso. La conoscenza del ciclo evolutivo del coccidio è invece su¬ scettibile di fornire delle precisioni nuove. Il ciclo schizogonico intracellulare, difficile a seguire, è lontano dall'essere interamente conosciuto per tutti i coccidi, e non è stato mai utilizzato come elemento di differenziazione fra le specie : tutto al più si possono citare ai riguardo i lavori di Wawornutu sopra i coccidi del co¬ niglio. Il ciclo sporogonico, per contro, è facile ad osservarsi, per¬ chè si ottiene con facilità la segmentazione completa degli oocisti. Se si segue infatti con cura questa segmentazione, si possono notare nella maniera in cui essa si compie, alcune differenze non soltanto secondo i generi, ma ancora nel medesimo genere, differenze tutte che si portano sopratutto sopra i reliquati della segmentazione, stabilendosi delle masse granulose, che possono persistere nell'oo- cisti dopo la formazione delle spore, o nella sporocisti dopo la formazione degli sporozoiti. Sembra che resti un mezzo di differenziamento delle specie, e questo mezzo è dato dalla immunità che si è sviluppata : tentare cioè di infettare un tale animale con un coccidio proveniente da un altro e reciprocamente. Perchè questo mezzo di differenziazione apporti utili risultati bisogna circondarsi di un grande numero di precauzioni. Non si avrà certamente alcuna difficoltà ad ottenere la maturazione degli oocisti, ma è necessario da principio essere sicuri della specie coccidica, con la quale si lavora : bisogna aspet¬ tare abbastanza per giudicare dell' infezione eventuale dell' animale sperimentato ; bisogna essere sopratutto sicuri, in caso di infezione di non avere a che fare con una coccidiosi già stabilita nell' ani¬ male prima dell' esperienza ; le coccidiosi spontanee sono infatti — 64 — frequenti in quasi tutti i mammiferi, e bisogna eliminare il so¬ spetto che si abbia a che fare con un animale precedentemente infetto, per poter concludere in proposito. E ciò è tanto importante, perchè generalmente una coccidiosi anteriore conferisce un grado di immunità, inducendo quindi dei dubbi sul valore dei risultati. E si debbono anche portare gli esperimenti sopra animali giovani, che sono i più suscettibili ad una infezione ed eliminare il sospetto che questi animali giovani abbiano potuto subire un contagio spon¬ taneo. Il valore di questi esperimenti dipende quindi dal rigore delle condizioni, nelle quali sono eseguite. Volendo discutere più da vicino quanto riguarda la coccidiosi del coniglio è opportuno ricordare che fin dal 1879 Leuckart aveva distinto due specie, 1’ una parassita del fegato, e V altra dell' inte¬ stino ; qualche anno in seguito la maggioranza degli autori rigettò questa opinione per seguire invece Y idea della unicità delle specie: ma più tardi Raillet e Lucet, in seguito a nuove indagini, cre¬ dettero poter stabilire, come Leuckart, la conferma della duplicità, negata da altri autori, e poi novellamente ammessa da Perard. Il cennato autore potette mostrare che fra le due specie vi erano dif¬ ferenze nella forma dell' oocisti, nel modo di segmentazione e nelle lesioni che determinavano, le une a carico dell' intestino e le altre a carico del parenchima epatico. Gli esperimenti di Corcuff (1928), condotti con rigorosa tecnica, hanno permesso di poter affermare che l' ingestione sperimentale eseguita in giovani pulcini di oocisti segmentati di Eimeria siiedai non determina una infezione : si ha solo eliminazione nei primi giorni di cisti non alterate. Non si potrebbero quindi accettare senza discussione i risultati di Uhlhorn che avrebbe realizzato fa¬ cilmente questa infezione. Secondo Corcuff, l' esame dettagliato delle condizioni nelle quali questo autore ha operato mostra infatti che si è lontani dall7 aver eliminato ogni causa di contagio acci¬ dentale. La infezione o infestione di coccidi nel parenchima epatico indurrebbe delie lesioni, che sembrano rispondere a dei tipi non bene determinati di alterazioni : alcuni, per esempio, paragonano queste alterazioni all' evolversi di noduli di colorito bianco, che possono raggiungere la grandezza di una noce e che vengono in generale denominati noduli da coccidi. Questi noduli con¬ tengono una massa molle, bianca o bianco-giallastra, e sono fatti essenzialmente da dotti biliari dilatati, la cui superficie interna è — 65 — occupata da vegetazioni papillari più o meno abbondanti, nel cui lume si contengono quantità straordinarie di coccidi. I coccidi, che sì trovano nei dotti biliari, ora come forme pro¬ toplasmatiche prive di capsule, ora come corpi incapsulati, i più piccoli debbono riguardarsi come forme giovanili, laddove i più grossi mostrano alla superficie esterna granuli regolarmente dispo¬ sti, che si colorano intensamente con l'ematossilina. Le forme in¬ capsulate sono corpi ovali, trasparenti, a doppio contorno, nel cui interno giace una massa diversamente conformata ed anche diver¬ samente granulosa, la quale riempie sempre una parte soltanto dello spazio capsulare. Pfeiffer, studiando 1' argomento, ha potuto osservare che i coccidi granulosi non incapsulati, possono, nel corpo dell' animale, disgregarsi in un gran numero di germi falciformi, ed in tal guisa moltiplicarsi. In tal caso verso un polo, il cui posto è indicato da una piccola massa rotonda “ il nucleo „ si formano setti disposti a raggi, che segmentano il plasma. Molto probabilmente i germi fal¬ ciformi si trasformano in piccole masse ameboidi. Infatti Ziegler insiste su questo fatto: " allorché il tessuto epa¬ tico è leso da un trauma, per esempio, una puntura ; all' interno avvengono anzitutto emorragie e processi infiammatori, che ben presto si risolvono, se non vi si aggiunge una infezione capace di dar luogo a suppurazione. I processi riparatori cominciano già al 2° giorno dopo la lesione, stabilendosi intorno a questa, tanto nel tessuto connettivo, quanto negli epiteli dei dotti biliari, e nelle cellule epatiche, divisioni cellulari mitotiche ed in ultimo il for¬ marsi di tessuto germinale destinato a riparare la perdita di so¬ stanza. Come prodotto definitivo di questa formazione, nel punto della perdita di sostanza, si stabilisce una cicatrice la quale è fatta da tessuto connettivo e da un certo numero di dotti epatici neo¬ formati, talvolta anche da tessuto epatico imperfettamente svi- luppato Per quanto riguarda le alterazioni epatiche da coccidiosi, non esiste un vero accordo fra gli studiosi. Tutti gli autori che si sono occupati di questo importante capitolo di parassitologia, hanno in generale dato maggiore importanza alla parte zoologica, al ciclo di sviluppo del parassita e relativamente poca all' ospite, al tessuto epatico, che è l’organo maggiormente inficiato dai coccidi in parola. Per comune consenso si viene alla conclusione, che il fegato — 66 — è uno di quegli organi, i cui tessuti costituenti hanno un notevole potere proliferativo, sia in rapporto all’ epitelio epatico, che è quello, come si è detto, più colpito, che al tessuto connettivo stro- matico. Le attitudini rigenerative del tessuto epatico avvengono sia in seguito a degenerazioni, sia in seguito a lesioni traumatiche , e si stabiliscono non solo nel territorio della degenerazione, ma anche nelle parti immediatamente limitrofe. Per vero poco studiati sono i processi rigenerativi del paren¬ chima epatico per processi distruttivi , verificatisi per infezioni o per traumatismi. Io [ Gargano (1936) J in una serie di ricerche, eseguite per stabilire le alterazioni del fegato consecutive ad iniezione di bile, potetti constatare che in un periodo successivo alle iniezioni ed in zone viciniori, il fegato presentava un aspetto di notevole floridezza,, con condotti biliari dilatati , circondati da cellule ipertrofiche ed iperplastiche. In tali cellule si osservavano molte inclusioni cito¬ plasmatiche cromatofile ed un ricco reticolo mitocondriale, che evi¬ dentemente è l’ esponente di una attiva secrezione delle cellule istesse. Un grosso nucleo vescicolare, sito talora al centro, talora alla periferia degli acini, è carico di sostanza cromatica. Alla peri¬ feria degli acini è possibile vedere degli elementi appiattiti, con citoplasma più chiaro, che interpetrai come cellule di sostituzione. Per vero in questi elementi non è facile mettere in evidenza delle vere e classiche figure cariocinetiche, sebbene alcune di esse po¬ trebbero interpetrarsi come delle profasi. Si vedono per esempio delle sinaptic Phase, del nucleo, associate ad aspetti speciali del citoplasma, che si dispone a forma di aloni chiari perinucleari. Pro¬ pendo per V idea che effettivamente queste immagini nucleari sieno esponente di una attività rigenerativa del parenchima epatico, rige¬ nerazione che giunge a riparare le zone necrotiche, verificatesi in seguito alle ineizioni di bile. Mostransi del pari evidenti stati di reale floridezza delle cellule, in ispecie intorno alle isole circoscritte del connettivo neoformato. Avendo inoltre prelevato negli animali sacrificati in periodo di tempo variabile da uno a due mesi dalla iniezione, pezzetti di fegato in sede distante dall’ iniezione, si è riscontrato, sebbene in misura minore, processi di ipertrofia ed iperplasia delle cellule e dilatazione dei vasi biliari. Dato lo stato di floridezza epatica riscontrata nelle zone limi¬ trofe alle iniezioni di bile, venni alla conclusione, che esso fosse — 67 — T esponente anatomico di una probabile iperattività funzionale della glandola, iperattività che avrebbe o potrebbe avere un significato definitivo. Anche altri ricercatori non hanno mancato di far rilevare la reazione del tessuto epatico agli stimoli traumatici. Guerriero (1923) in una serie di " ricerche sperimentali sulla contusione diretta dei dotti biliari extraepatici „ ha osservato dei reperti istologici che di¬ mostrano chiaramente la pronta ed intensa reazione intorno al punto traumatizzato. I preparati mostrano oltre la necrosi quasi completa delle pareti schiacciate, V aderenza di qualche tratto di peritoneo, il quale però non si presentava al microscopio in gran parte ne¬ crotico, in parte infiltrato di stravasi sanguigni ed in parte con i segni di una intensa infiammazione (iperemia ed accumulo di leu¬ cociti) ; va da sè che in tal caso la necrosi del tessuto peritoneale circostaute al coledoco deve attribuirsi non allo schiacciamento,, ma alla violenta infiammazione provocata dalla perforazione del dotto. Inoltre nei preparati di tutti gli esperimenti osservò che in primo tempo il peritoneo piglia gran parte alla neoformazione del tessuto di riparazione, ed in seguito, con 1' ulteriore evoluzione di tale processo, il connettivo cellulare sottoperitoneale che circonda il dotto, mentre al di sotto e al di sopra dei tratto schiacciato con¬ serva il suo aspetto di connettivo lasso, pur mostrandosi infiltrato di leucociti o ricco di vasi, in corrispondenza di tale punto, invece, è trasformato in denso tessuto di cicatrice. Le alterazioni del parenchima epatico, per opera di infezione coccidica, non sono state oggetto di molte descrizioni : si accenna solo dagli autori alle lesioni della mucosa intestinale ; per quanto riguarda il parenchima epatico gli anatomisti patologi ricordano solo la presenza di noduli di coccidi, di grandezza varia, potendo raggiungere anche il volume di una nocciuola, e perfino quello di una testa di feto a sei mesi !... Volendo infatti ricordare ciò che gli autori, che ci hanno pre¬ ceduto, hanno riferito sull’ argomento, troviamo che Ziegler, rife¬ risce sulla evoluzione di noduli bianchi, che possono raggiungere la grandezza di una noce, e che vengono denominati noduli da coccidi. I noduli in parola risultano di una massa bianca o bianco¬ giallastra, e sono fatti essenzialmente dai dotti biliari dilatati, la cui superficie interna è occupata da vegetazioni papillari più o mena — 68 - abbondanti, nel cui lume si contengono quantità straordinarie di coccidi. Una descrizione su per giù identica ci fornisce Aschoff, nel celebre trattato di Anatomia patologica. 11 detto autore ci dice, che se si esamina un fegato di coniglio, contenente coccidi, si trovano di solito un grande numero di corpicciuoli ovali ed ellittici, con una membrana a doppio contorno (munita di micropilo), il cui proto¬ plasma riempie interamente tutta la cisti e forma soltanto una sfera centrale, grossolanamente granulosa. Spesso nei conigli gli sporo- zoiti, attraversando il micropilo della membrana, escono nel duo¬ deno, e penetrano nell' epitelio dell' intestino e delle vie biliari. Si possono verificare violenti disturbi, cosichè i conigli muoiono di -enteriti da coccidi, talora in forma epizootica. Nell'intestino si hanno le manifestazioni di un catarro più o meno forte, spesso accom¬ pagnate da abbondante secrezione mucosa. Le scariche diarroiche possono essere sostituite da poliuria. Nel fegato i coccidi si accu¬ mulano nelle vie biliari ; queste si dilatano, il loro epitelio proli¬ fera, dando in parte delle formazioni glandolai in parte tipiche, escrescenze papillari tra le ramificazioni di queste e tra gli epiteli sono racchiusi numerosi coccidi. L' autore ritiene che in queste formazioni non si debbano ri¬ conoscere dei veri tumori, perchè anche nella gonorrea, nella tu¬ bercolosi e nella lue è nota la produzione di una escrescenza pa- pillomatosa, come prodotto di uno stimolo cronico di natura in¬ fiammatoria : la proliferazione papillare non rappresenta, che una delle forme di proliferazione degli epiteli, dovuta ad influenze varie. Tuttavia questa proliferazione epiteliale è sorprendente, perchè essa può superare, specialmente all' inizio, la reazione flogistica. Oltre ai parassiti, nel lume delle vie biliari si possono accu¬ mulare dei detriti, in masse granulose, e il contenuto può in parte calcificare, infine gli epiteli dei dotti possono scomparire per atro¬ fia, mentre gli ammassi contenenti i parassiti, vengono circondati da un abbondante tessuto di granulazione, da cui si formano, an¬ che cellule giganti, che avvolgono i coccidi. A questi processi si accompagna una proliferazione connettivo-cirrotica ed alla fine si trovano al posto, della coccidiosi, delle cicatrici bianche, fibrose, specialmente agli orli del fegato: in certi casi il fegato può avere un aspetto simile al fegato lobato sifilitico. Corcuff fa osservare che nei casi di abbastanza lunga durata, è frequente trovare alcune regioni del fegato occupate da coccidi, — 69 — la maggior parte del viscere restando indenne. Nei punti affetti, i canalicoli sono circondati da una zona fibrosa spessa. Le pareti di queste cisti coccidiche sono quasi lisce, è in alcuni punti è sparito tutto 1; epitelio. Alcune di queste cisti si trovano in pieno parenchima : altre di piccole dimensioni, invece di essere limitate da uno strato con¬ nettivo denso, hanno dato luogo ad una reazione subacuta, e sono circondate da linfociti con corona ininterrotta di cellule giganti. Nelle forme ad evoluzione molto lenta, i focolai consistono in ammassi coccidici, qualche volta incrostati di sali calcarei, e si tro¬ vano delle lesioni molto evidenti di sclerosi parziale e diffusa. Fi¬ nalmente la coccidiosi può portare anche a lesioni epatiche croniche, sclerotiche, con distruzione più o meno estesa della glandola. Le reazioni epatiche, nella coccidiosi, sono abbastanza spesso complesse, e si hanno: 1° le vie biliari non sono le sole affette; 2° i parassiti sembrano vivere in fuori della cellula; 3° la reazione canalicolare non ha il valore di un processo tumorale, ma quello di una semplice infiammazione proliferativa : 1' ipertrofia papilloma- tosa dei canali non costituisce che uno stadio di questa reazione; 4° se invece di constatare i fatti di coccidiosi recenti e poco avan¬ zata, si cerca di fissare i caratteri della coccidiosi cronica si vede che, quasi sempre vi è una fibrosi irregolare del fegato ed una atrofia della glandola, come nella maggior parte dei processi di ordine parassitaria. Nell' uomo si è constatato, in maniera generale, angiocolite ul¬ cerosa, una caseosi multipla ed una sclerosi. Molto discutibile è il caso di Gubles, riportato dall'autore: " un operaio di 45 anni era affetto da disturbi digestivi e da una cloro- anemia profonda. L' individuo morì di una peritonite sopravvenuta in seguito ad una caduta. L' autopsia dimostrò la presenza di una ventina di tumori, riempiti di una sostanza puriforme, più o meno liquida, e rinchiudente un numero immenso di coccidi incistati. Questi tumori erano grossi come una testa di feto di sei mesi. Esso era senza il rivestimento peritoneale per cui 1' ammalato pron¬ tamente morì per la sua coccidiosi (R. Blanchard). Come apparisce da questa breve rassegna bibliografica per opera di chi ci ha preceduti, la coccidiosi del fegato indurrebbe principalmente delle lesioni di poco rilievo a carico dei dotti bi¬ liari e dell' epitelio del tratto duodenale del tenue. Poca o nessuna — 70 — esione del parenchima epatico, se se ne escludono talune trascu¬ rabili a carattere necrotico e necrobiotico a carico delle cellule glandolari. Vere e conclamate infezioni epatiche non sarebbero state riscontrate, nè tampoco generalizzazione deir infezione del fegato all' organismo. Nelle mie presenti ricerche, ho preso come materiale di studio dei fegati di conigli, che, sacrificati per altro scopo, apparvero avere il fegato infarcito di noduli di coccidiosi spontanea. Quel che mi piace fin ora di dire si è che i reperti in parola si verifi¬ cavano quasi sempre in soggetti apparentemente floridi e che non sembrava avessero risentito danno dal cennato parassita. I pezzi di fegato prelevati e fissati in liquido di Zenker, si sono inclusi in paraffina e le sezioni microtomiche si sono colorate con gli ordinari coloranti : ottime colorazioni, per quanto riguarda cariocinesi ha fornito la tinzione con V ematossilina ferrica secondo Heidenhain. Dette sezioni, osservate a medio e forte ingrandi¬ mento, specialmente nelle zone nelle quali sono più evidenti i pic¬ coli noduli di coccidi, mostrano pochissime lesioni epatiche a ca¬ rattere necrotico. Le cellule epatiche prossimiori, voluminose, spesso — 71 — binucleate, contengono condriosomi a forma di filamenti, di grossi granuli, frammisti a gocce lipoidi, a masse di glicogeno, e spesso anche a granulazioni proteiche. Alla superficie di tali elementi si constata una listerella di protoplasma più denso; tale addensamento citoplasmatico, in maggiore misura, esiste in corrispondenza del solco corrispondente alla parete dei canalicoli biliari, che pare si insinuino nell' interno delle cellule, analogamente a quanto si con¬ stata in altre glandole. E sia nelle zone, maggiormente inficiate dal parassita, identificato per coccidium cuniculi , che in zone un poco lontane, numerose appariscono le figure cariocinetiche, e principali fra tutte le prò fasi e le telofasi ; meno frequenti le metafasi. La costanza di questo reperto cariocinetico, osservato nel tes¬ suto epatico di tutti i conigli, mi richiama alcune mie recenti ri¬ cerche, precedentemente ricordate, di iniezioni di bile intera o diluita nel parenchima epatico. In questi esperimenti si sarebbe verificata una necrosi degli elementi epatici nella sede delle inie¬ zioni, e nelle sedi limitrofe una attivazione dei processi mitotici, esponente di rigenerazione epatica. Riassunto. L’autore crede di poter concludere dalle sue recenti ricerche isto¬ logiche, e da quelle precedentemente compiute , che il fegato è un parenchima glandolare dotato di grande potere rigenerativo, e che fra gli attivanti di tali processi, potrebbero principalmente essere anno¬ verati i coccidi, che non pare inducano nell’organo alterazioni dege¬ nerative degne di grande rilievo, nè tampoco infezioni generali. 72 — BIBLIOGRAFIA 1909. Gargano C. — 1. Dei protozoi parassiti. Giorn. Inter. Se. med., Napoli, anno XXXI. 1936. — — 2. Alterazioni del Jegato consecutive ad iniezioni di bile . Sperimentale, Firenze, Voi. 90, p. 540. 1928. Corcuff Ch. Y. V. — Recherches sur la spéci ficité parasitaire des coccidies. Thèse de Paris. 1927. Andrews. — Host-P arasite Specificity in thè Coccidia of Mam- mals. Journ. Parasitol., Voi. 13, p. 183. 1909. Basset J. — La coccidiose intestinale , ; naiadie des jeunes ani- maux. Recueil Méd. Vétér., Tome 86, p. 463. 1920. Bruce E. A. — Bovine Coccidiois in British Columbia. Journ- etner., Vet. Med. Assoc., Voi. 58, p. 638. 1924. Dieben C. P. A. — Over de Morphologie en Biologie van het Raltencoccidium Eimeria nieschulzi n. sp. en zijne Versprei- ding in Neverland. Thèse Doctorat. vétérinaire, Utrecht. 1916. Fautham H. B. — Protozoa in The Animals Parasites of Man . Fautham, Stephens e Theobald, London. 1919. Galli -Valerio C. — Notes de parasitologie et de technique pa= rasitologique. Schweiz. Arch. fur Tierheilk, p. 289. 1909. Neumann L. G. — Parasites et maladies parasitaires des oiseaux domestiques. Paris, Asselin et Houseau, p. 109. 1920. Noe. — Nouveau cas de coccidiose intestinale humaine à Iso- spora. Bull. Soc. Path. exot., Tome 13, p. 785. 1924. Pérard C. — Recherches sur les coccidies et les coccidioses du lapin . C. R. Ac. Se., Tome 178, p. 2131. 1924. — — Recherches sur la coccidies et les coccidioses du lapin. Ann. Inst. Pasteur, Tome 38, p. 953. 1925. — — Recherches sur les coccidies et les coccidioses du lapin. II. Contribution à V étude de la biologie des oocystes de coc¬ cidies. Ibid. , Tome 39, p. 505. 1891. Railliert A. - Lucet A. — Développement expérimental des coc¬ cidies de T épithélium intest inai des lapins et de la poule. (Bull. Soc. Zool. de France, p, 246, 1891). C. R. Soc. Biol. Pa¬ ris, Tome 43, p. 820. 1891. — — Note sur quelques espèces de coccidies encore peu étu- diées. Bull. Soc. Zool. de France, p. 246. 1921. Reichenow E. — Die Coccidieu ; Handbuch des patho generi Pro- tozoen. 8° Lief. Leipzig, Ambrosius Barth., p. 1253. — 73 — 1921. Rodovsky F. — Kie K^okzidioses der Wanderatte ( Mas decuma- ìiius Pali .) — und ihve Bezihung sur Raninchenkokizidiose . Centralblat. Bakt. 1, Oor. 87 Bd., p. 427. 1926. Uhlhorn E. — Uebertragungsversuche von R^anincheìicoccidien auf Huhnerkucken. Arch. iur Protist. 55 Bd.; p. 101. 1923. Van Nedervaen 14. J. — Jnfectieproef vad het Bund met Roni- jencoccidien. Tijdschr. van Vergelijkende Genesi, niz. , Voi. 8. 1923. Wenyon C. M. — Coccidiosis of lats and Dogs and thè Status of Isospora in Man. Ann. Trop. Med. and Par. Voi. 17, p. 231. Finito dì Stampate il 31 maggio 1 937 Nuovo apparecchio per pescate planctoniche del socio Pietro Parenzan (Tornata dell’ 11 dicembre 1936) Da quando, dopo le note grandi Spedizioni oceanografiche, si comprese la necessità di perfezionare i metodi di raccolta dei ma¬ teriali di studio al fine di conferire maggiore importanza ed esat¬ tezza alle complesse indagini faunistiche e particolarmente al pro¬ blema delle migrazioni planctoniche verticali, furono ideati diversi tipi di reti planctoniche e strumenti particolari per la raccolta di saggi a determinate profondità. Però, piuttosto ridotta era la ga¬ ranzia che si poteva avere dai primi strumenti, che, se buoni in mancanza di meglio, lasciavano troppo spesso dei dubbi sul loro funzionamento e quindi sul valore dei reperti scientifici. Sorta T idea delle reti da plancton a chiusura, parecchi studiosi crearono dei tipi più o meno utili, applicandovi man mano le mo¬ difiche dettate dall'esperienza. Si giunse così al tipo di rete a chiu¬ sura per strozzamento, e all’ ultimo tipo, ideato dal Sanzo, ad apertura e chiusura per mezzo di messaggeri. La rete di Sanzo è attualmente usata dalla Stazione Zoologica di Napoli per pesche profonde fuori del Golfo. Però pur essendo il tipo migliore che sino ad oggi si sia avuto a disposizione, questo apparecchio nel suo insieme presenta pur esso qualche lieve inconveniente. Com¬ plessa e pertanto dannosa è la costituzione di tale apparecchio, che per la presenza di una macchina, di tre sagole relativamente lun¬ ghe e di due messaggeri, va soggetto a frequenti irregolarità di funzionamento come ad esempio l'attorcigliamento superiore ed inferiore, cioè nella calata e nello salpamento, dovuto a correnti submarine o a spostamenti del battello, con conseguente ingarbu- gliamento delle tre sagole fra di loro o sulla macchina applicata al cavo metallico. Spesso, per la posizione del cavo, o per altri fatti, o per gioco di correnti o per guasti al cavo (sporgenza di — 76 — fili metallici), I' uno o l'altro dei messaggeri non compie la sua funzione, e può accadere che la rete si apra e si richiuda subito col lancio del secondo messaggero o durante il salpamento. Compresa la necessità di eliminare tali inconvenienti, mi convinsi che sarebbe stato inutile cercar di apportare delle modifiche agli apparecchi già esistenti; pertanto giunsi nella determinazione che bisognava crearne uno nuovo, basato su criteri tecnici diversi. Occorreva quindi eliminare pezzi meccanici applicati di una certa mole e costituzione, eliminare sagole molli, eliminare messaggeri. Il mio nuovo apparecchio plancto¬ nico è un sistema rigido: nessun apprez¬ zabile pezzo di sagola, nè di canapa nè metallica, pertanto assoluta impossibilità di attorcigliamenti di nessun genere. Il cono di seta o di tela è leggermente glo¬ boso. Tutto l'apparecchio si può dividere nelle seguenti parti fondamentali : 1) Asta superiore (/) (inclinabile): con testa girabile (g), e alla quale vengono inseriti un'articolazione a catena (e) ed un tirante metallico (c). 2) Asta inferiore (b) (sempre verticale) : con forcella di liberamento (fi), uncino di comando (m), peso equilibratore (d), e alla quale si attaccano l'articolazione a catena (e), il tirante ( c ) ed il braccio porta-rete (a). 3) Rete : che comprende il braccio porta-rete (a) con relativa ar¬ matura circolare (n), il sacco di raccolta (r), l'apparecchio collet¬ tore ( q ), il lacciolo d'apertura (k) e la palla di chiusura (0). Prima di esaminare le singole parti dirò in poche parole il principio meccanico del funzionamento. Pensai di sfruttare, per l'apertura e la chiusura della rete, i cambiamenti di posizione della rete stessa prima, durame e dopo il funzionamento (o la pescata). — 11 — E per garantire gli effetti naturalmente pensai ai dispositivi di co¬ mando e regolazione dei detti movimenti. L’apertura e la chiusura della bocca del cono, sono determinati dalle posizioni rispettiva¬ mente verticale in su (Fig. 1) (rete chiusa), orizzontale (rete aperta, posizione di pesca) e perpendicolare, in giù (rete chiusa). Certa¬ mente, abbandonati alla loro spontaneità questi movimenti o posi¬ zioni andrebbero soggetti a variazioni, oscillazioni od arresti ; ma a ciò provvidi con dei dispositivi che rendono tali movimenti ob¬ bligati e regolati, come si rileverà dalle delucidazioni che seguono. Il retino è portato da un braccio (a) imperniato su un'asta (b) che durante la pesca si mantiene, per azione di un tirante (c), sem¬ pre in posizione verticale. La detta asta porta inferiormente un peso equilibratore (d) e all'estremità superiore un' articolazione a catena (e), sostenuta da una seconda asta cilindrica (/) a testa gi¬ rante (g) che serve per l' attacco al cavo di bordo. Nella parte superiore dell' asta (b) è fissata una forcella (h) che ha la funzione di trattenere il braccio (a) in posizione circa verticale in sù almeno in un primo momento della calata dell'apparecchio (v. Fig. 1). Il retino è munito alla bocca di un largo imbuto interno (/) di tela forte, al quale è fissato un lacciolo (k) che serve per chiudere per stringimento la bocca di questo imbuto interno, e per conse- — 78 — per mezzo Jì guenza la bocca del retino. Il lacciolo è tenuto stretto di un anello trattenuto dall’uncino di comando (m). Quando, dopo calato l'apparecchio alla pro¬ fondità voluta, a battello fermo, cioè verticalmente o quasi, si vuole iniziare la pesca , è necessario iniziare la marcia per alcuni momenti soltanto a grande velocità, e prendere poi subito una ve¬ locità moderata, adatta alla pesca. Con la breve corsa iniziale le due aste (b) ed (/) si dispongono obbligatoriamente ad angolo ed il braccio porta- rete si porta in posizione orizzontale determi¬ nando lo scioglimento del lacciolo (k) che viene a liberarsi dall'uncino (tu). In questo momento il retino si apre (per pressione dell' acqua stessa) e comincia la pesca (Fig. 2). A pesca finita, per far chiudere ermeticamente il retino prima di salparlo, basta fermare il bat¬ tello ed attendere poco tempo, tanto che Tappa- recchio, aiutato dal suo peso interno (palla piom¬ bata) , si porti in posizione pressoché perpendi¬ colare, indi si può salpare rapidamente senza che possa più riaprirsi (Fig. 3). La chiusura è determinata dalla caduta della palla piombata (o) che prima e durante la pesca era trattenuta presso la bocca del retino da un'asta (p) fissata ad an¬ golo calcolato. Questa palla, di un peso determi¬ nato, è vuota, e attraverso un forellino minutis¬ simo si riempie di acqua (coll'aiuto di una sirin¬ ga) ; ciò per bilanciare le pressioni interna ed esterna pescando a grande profondità. La palla si caccia in un restringimento della porzione api- cale del retino; perciò, non avvenendo la chiusura alla bocca del retino bensì davanti la bocca del- Tapparecchio collettore (q), questo, affinchè vi si accumuli il plancton, deve essere costituito non da un recipiente chiuso, come per esempio da un vaso di vetro, bensì da un recipiente munito fornite di fitta retina metallica onde facilitare la Fig. 3. di alcune finestre filtrazione deH’acqua. A questo nuovo tipo di rete planctonica può venir applicato 79 - un ulteriore dispositivo a orologeria (azionato p. es. da una piccola elica anziché dalla molla) per conoscere il periodo esatto di pe¬ scata ; questo dispositivo dovrebbe venir applicato all' imboccatura dell’apparecchio collettore. L'apparecchio deve venir salpato con rapidità. Proporzioni e dimensioni delle singole parti nel modello ori ginale : Asta superiore (compresa la testa girante), lunghezza cm. 40 diametro. a 2 Tirante . . lunghezza. . n 80 diam. circa . a o,: Articolazione a catena, lunghezza circa. . . a 20 diam. medio dei singoli anelli, circa „ 3 Asta inferiore. ) ... lunghezza „ a 76 larghezza „ n 3 spessore a 0,! Forcella di liberamente, lungh. generale circa . a 14 Uncino di comando, lunghezza, in curva n 15 Peso equilibratore, peso circa 7 kg. Braccio porta-rete . lunghezza circa a 67 Diametro di apertura della rete . . • n 42 Lunghezza del sacco (rete). . a 110 Diametro della palla di chiusura. . . . n 9 Peso della palla di chiusura (piena d'acqua) gr. 800 Riassunto. L’A. descrive un nuovo tipo di rete planctonica, da lui ideato, ad apertura e chiusura automatica, per pescate di plancton a diverse pro¬ fondità. Il nuovo apparecchio è. un sistema rigido che differisce netta¬ mente dagli altri tipi di reti finora ideati, e in molti casi può dare risul¬ tati ottimi, comunque più precisi di quelli che si ottengono con retini d’altri tipi. Finito di stampare il 10 luglio 1937. Azione del permanganato potassico sui composti mercurioammonici Nota del socio Selim Augusti (Tornata del 2 marzo 1937). Nel corso delle mie ricerche sulla formazione dei composti mercurioammonici (1), il prof. R. Ciusa, Direttore dell' Istituto Chi¬ mico della R. Università di Bari, mi fece osservare che per addi¬ zione di una soluzione di permanganato potassico ad un soluto ammoniacale di nitrato di mercurioammonio si forma un precipitato verde, di composizione ignota, consigliandomi di intraprendere uno studio di tale reazione. Scopo del presente lavoro è appunto lo studio della compo¬ sizione del precipitato e della reazione che dà luogo alla sua for¬ mazione. Espongo i risultati da me ottenuti. I. — Azione del permanganato potassico sul nitrato di mercurioammonio A) - Se ad un soluto ammoniacale, caldo, di nitrato di mer¬ curioammonio (2) si aggiunge, a goccia a goccia, una soluzione di permanganato potassico, la soluzione si intorbida e si deposita rapidamente un precipitato verde-bruno, scuro. Se la reazione av¬ viene a freddo, la soluzione si intorbida, formando un precipitato che in un primo tempo è violaceo, poi rosso-bruno, giallo-bruno, e quindi verde-bruno, scuro, dopo qualche minuto. In entrambi questi casi il precipitato, alesarne chimico (3) e microscopico (4), si dimostra formato da una miscela di nitrato di mercurioammonio e di ammonio, 3Hg2 N.N03 . NH4 N03 . 2H2 O, di colore bianco (5), di biossido di manganese idrato, Mn02 . H2 O, di colore bruno, e di una sostanza che si comporta come manga- - 82 — nato di mercurioammonio, di colore verde (6) ed al quale io penso di attribuire la formola (Hg2 N)2 Mn04 (7). Ritengo che la formazione di questi composti possa spiegarsi mediante le reazioni rappresentate dalle seguenti equazioni (8). 2 KMn04 + H2 O - > K2 Mn04 + MnQ2 ,H2 O + 02 (a) 2 Hg2 N . N03 + K2 Mn04 - > (Hg2 N)2 MnQ4 + 2 KN03 (b) 3 Hg2 N . N03 + NH4 N03 + 2 H2 O - > - > [3 Hg2 N,N03 . NH4 NQ3 . 2H2 Oj (c) ossia complessivamente : 5 Hg2 N . N03 + 2 KMn04 + NH4 N03 + 2 H2 O - > - > [3 Hg2 N . NQ3 . NH4 NQ3 . 2H2 O] + + (Hg2 N)2 MnQ4 + MnQ2 . H2 Q + 2 KN03 + 02 (d) L’ossigeno svolto secondo l' equazione (a) viene consumato nella ossidazione dell’ammoniaca. Il precipitato, lasciato all'aria, si decompone lentamente, arros¬ sandosi per trasformazione deH'anione manganico in permanganico (Mn04 -- — >► Mn04-). Passa così dal verde-bruno al rosso-bruno, sempre più rosso (9). B) - La soluzione filtrata (dopo eliminazione del precipitato) è perfettamente limpida ed incolora e risulta formata da nitrato di mercurioammonio, Hg2 N . N03 , (10), nitrato di ammonio e nitrato di potassio, in presenza di un eccesso di ammoniaca. Dopo riposo (2-3 ore) si forma un deposito cristallino, giallastro, che all’esame chimico e microscopico risulta formato da nitrato di mercurioam' monio e di ammonio, Hg2 N . N03 . NH4 N03 . H2 O (11). Poiché questo composto si forma dal composto di mercurioammonio e di ammonio precedentemente considerato (c) per dissoluzione in una soluzione di nitrato di ammonio (12), io ritengo che esso debba prendere origine secondo le equazioni seguenti : 3 Hg2 N . N03 + NH4 N03 + 2 H2 O - > - > [3 Hg2 N . NQ3 . NH4 NQ3 . 2H2 O] (c) 3 Hg2 N . N03 . NH4 N03 . 2 H2 O + 2 NH4 N03 + H2 O - > - > 3 [Hg2 N . N03 . NH4 N03 . H2 O] (e) — 83 - ossia complessivamente : h g2 n . no3 + nh;no3 + H2 O - > - > Hg2 N . NQ3 . NH4 NQ3 . H2 O (f) C) - Se si lascia il precipitato nella soluzione da cui esso ha preso origine, imbrunisce lentamente. Dopo 24 ore all’esame chi¬ mico e microscopico si dimostra formato da una miscela di bios¬ sido di manganese idrato, bruno, amorfo, e di nitrato di mercurio- ammonio e di ammonio Hg2 N. N03 . NH4 N03 . H2 O, cristallini ottaedrici, giallastri. Questo composto si forma, evidentemente, se¬ condo la reazione indicata in (e) per dissoluzione del precipitato 3 Hg2 N. N03 . NH4 N03 . 2H2 O in nitrato di ammonio, mentre il biossido di manganese vi si trova preformato secondo l’equazione (a). Poiché nel precipitato si nota assoluta mancanza dell’anione manganico Mn04 — , il manganato di mercurioammonio, formatosi secondo l'equazione (b) deve essersi decomposto, verosimilmente secondo l'equazione : 3 (Hg2 N)2 Mn04 + 6 NH4 N03 + 3 H2 O - > - > 6 Hg2 N . N03 + 3 Mn02 + 6 NH4 OH + 3 O (g) La soluzione contiene nitrato di mercurioammonio, nitrato di potassio ed ammoniaca. II. — Azione del manganato potassico sul nitrato di mercurioammonio A titolo di controllo ho voluto provare quali prodotti si ot¬ tengono se sul soluto di nitrato di mercurioammonio si fa agire il manganato potassico, invece del permanganato. Ho osservato che trattando il soluto ammoniacale di nitrato di mercurioammonio con una soluzione di manganato potassico, si forma subito un precipi¬ tato verde, il quale aU’esame chimico e microscopico risulta for¬ mato da una miscela di nitrato di mercurioammonio, Hg2 N . N03 , (13) e di una sostanza che si comporta come manganato di mer¬ curioammonio (Hg2 N)2 Mn04 . La reazione si svolge, verosimilmente, secondo Pequazione : 3 Hg2 N . N03 + K2 Mn04 - > H g2 N . NQ3 + + (Hg2 N)2 MnQ4 + 2 KN03 (h) — 84 La soluzione (dopo separazione del precipitato) contiene nitrato di mercurioammonio, nitrato di ammonio e nitrato di potassio, ac¬ canto ad un eccesso di ammoniaca. III. — Azione del permanganato potassico sul nitrato mercurico, in presenza di ammoniaca. Trattando un soluto di nitrato mercurico con permanganato potassico (14) ed ammoniaca , fino a reazione alcalina, si forma un precipitato verde che, alesarne chimico e microscopico, risulta formato da una miscela di nitrato di mercurioammonio e di am¬ monio, 3Hg2 N . N03 . NH4 N03 . 2H2 O, biossido di manganese idrato, ed una sostanza che si comporta come manganato di mer¬ curioammonio (Hg2 N)2 Mn04 . La composizione di questo preci¬ pitato risulta quindi identica a quella del precipitato ottenuto per addizione di permanganato potassico al soluto ammoniacale di ni¬ trato di mercurioammonio (I, A.). Ritengo che le reazioni che portano alla formazione di questo precipitato possano spiegarsi nel modo seguente : il nitrato mer¬ curico forma con ammoniaca nitrato di mercurioammonio secondo l'equazione : 2 Hg (NO, )2 + 4 NH 3 - > H g2 N . N03 + 3 NH4 N03 (i) e questo dà luogo alla formazione del nitrato di mercurioammonio e di ammonio secondo l'equazione (c) ed alla formazione del man¬ ganato di mercurioammonio secondo l'equazione (b). La decompo¬ sizione del permanganato come nella equazione (a). Complessiva¬ mente : 10 Hg (N03 )2 + 20 NH3 + 2 KMn04 + 3H2 O - > - > 1 3 Hg2 N . NQ3 . NH4 NQ3 . 2H2 O 1 + (Hg 2 N)2 MnO 4 + + MnQ2 . H2 O 4- 2 KN03 + 14 NH4 N03 + 02 . (1) La soluzione filtrata (dopo eliminazione del precipitato) è per¬ fettamente limpida ed incolora e presenta la medesima composi¬ zione della soluzione B e come questa, dopo riposo, lascia depo¬ sitare del nitrato di mercurioammonio e di ammonio Hg2 N . N03 . NH4 N03 . H2 O, il quale prende origine secondo le equazioni (c) ed (e). Se si lascia il precipitato nella soluzione da cui ha preso origine, esso imbrunisce lentamente, fino ad assumere composizione identica a quella indicata per il precipitato G. 85 — IV. — Azione del manganato potassico sul cloruro mercurico, in presenza di ammoniaca Trattando un soluto di cloruro mercurico con una soluzione di manganato potassico (15) e quindi con ammoniaca, fino a rea¬ zione nettamente alcalina, si forma un precipitato verde, il quale all'esame chimico e microscopico si dimostra formato da una miscela di cloruro di mercurioammonio e di ammonio Hg2 NC1 . NH4 CI (precipitato bianco infusibile) (16) e di una sostanza che si com¬ porta come manganato di mercurioammonio (Hg2 N)2 Mn04 . Ritengo che le reazioni che danno origine alla formazione di questo precipitato debbano svolgersi secondo le equazioni : 2 HgCl2 + 4 NH3 - > H g2 NC1 + 3 NH4 CI Hg2 NC1 + NH4 CI - > Hg2 NC1 . NH4 CI 2 Hg2 NC1 + K2 Mn04 - > (Hg2 N)2 MnQ4 + 2 KC1 ossia, complessivamente : 6 HgCl2+ 12 NH3+ K2 Mn04 - > - >H g2 NC1.NH4 CI + (Hg2 N)2 MnQ4 + 8 NH4 CI + 2 KC1 (p) La soluzione (dopo separazione del precipitato) contiene cloruro di ammonio e cloruro di potassio, accanto ad un eccesso di am¬ moniaca. Ad ugual risultato si perviene se ad un soluto di cloruro mercurico si addiziona prima ammoniaca e poi soluzione di man¬ ganato potassico (17). In conclusione per azione del permanganato o del manganato potassico sui composti di mercurioammonio prende origine una sostanza verde che si comporta come manganato di mercurioammonio, per cui le si può attribuire la formola (Hg2 N)2 Mn04 . Accanto a questa sostanza se ne formano delle altre e cioè bios¬ sido di manganese idrato, nitrato di mercurioammonio, nitrato di mercurioammonio e di ammonio, (18) o cloruro di mercurioammo¬ nio, a seconda del soluto mercurico su cui si agisce (19). (m) (n) (o) — 86 Riassunto L’ A prende in esame le reazioni che avvengono per azione di una soluzione di permanganato potassico o di manganato potassico su com¬ posti mereurioammonici (nitrato di mercurioammonio; nitrato e cloruro di mercurio, in presenza di ammoniaca), dimostrando la formazione di un composto verde che si comporta come manganato di mercurioam¬ monio. Attribuisce a tale composto la formola (Hg2 N)2 Mn04 e studia le equazione chimiche relative alle reazioni che danno origine ad esso composto. NOTE (1) Cfr. mie note riportate su Gazz. Chim. Ital. 63, 849 (1933); 63, 859, (1933); 64, 324, (1934); 65, 117, (1935); 65, 689, (1935); Boll. Chim. Farm. 5, 14, 1, (1935); 5, 3, (1936); Boll. Società Naturalisti, Napoli, 47, 135, (1936). (2) La soluzione ammoniacale di nitrato di mercurioammonio si prepara scio¬ gliendo gr. 10 di nitrato mercurico in cc. 50 di acqua acidulata con cc. 5 di acido nitrico ed addizionando la soluzione ottenuta di cc. 60 di ammoniaca concentrata. (Cfr. R. Ousa ed A. Terni, Gazz. Chim. Ital. 43, II, 86, (1913). (3) All’analisi qualitativa il precipitato dimostra presenza dei cationi NH4+, Mn (-+, e degli anioni NOs— , Mn04— . Le determinazioni quantitative eseguite danno valori molto discordanti, il che è ovvio trattandosi di una miscela. (4) L’analisi microscopica è stata eseguita di confronto con preparati allestiti con i singoli composti preparati al momento dell'esame. (5) 11 composto 3Hg2 N . NO3 . NH4 NO3 . 2H2 O è una polvere bianca che per azione degli idrossidi alcalini svolge ammoniaca e si converte in nitrato di mercurioammonio. È stata preparata da una soluzione diluita di nitrato mercu¬ rico, per addizione di ammoniaca fino a lieve reazione alcalina. (Pagenstecker, Répertoire de Chimie pure de Wurtze Le Blanc, 27, 1, (1860) ; Kane, Ann. de Chimie et de Phys. 72, 242; Mitscherlich, Poggendorf's Annalen 9, 386; 16,41). Pesci ne ha stabilita la formola (Gazz. Chim. Ital. 20, 6 (1890). (6) La presenza di questo composto è stata accertata di confronto con le altre prove eseguite e riportate oltre. (7) Nessun accenno su questo composto trovasi riportato nella letteratura chimica. (8) In queste equazioni e nelle seguenti riporto sottolineati tutti i composti che si separano allo stato insolubile (precipitati), - 87 - (9) Dopo alcuni giorni il precipitato è nettamente rosso e come tale si man¬ tiene anche per un tempo molto lungo (20-30 giorni). (10) Il nitrato di mercurio ammonio prende origine dal nitrato mercurico per azione dell'ammoniaca, secondo l'equazione : 2 Hg(N03)2 + 4 NH3 -> Hg2N.NOs-f-3 NH4NOs e nella soluzione tale composto trovasi in equilibrio con i vari sali di mercurio- ammonio e di ammonio cui esso può dare origine. (11) 11 composto Hg2N . NOs . NH4N03.Tb0 si presenta in forma di piccoli ottaedri microscopici, leggermente colorati in giallo. (Pesci, 1. c.). (12) Mitscherlich 1. c. (13) Il nitrato di mercurioammonio è stato ottenuto, secondo R. Ciusa ed A. Terni (1. c.), per addizione di acqua alla soluzione ammoniacale di nitrato di mer¬ curioammonio. (14) Soluti di nitrato mercurico non danno precipitato per addizione di so¬ luzione di permanganato potassico. (15) Per addizione della soluzione di manganato potassico al soluto di clo¬ ruro mercurico si forma prima un precipitato rosso-giallo, che poi diventa verde per azione delFammoniaca. (16) Il precipitato bianco infusibile è una polvere bianca, ottenuta precipi¬ tando con un leggero eccesso di ammoniaca la soluzione acquosa di cloruro mer¬ curico (Rane? 1. c.). (17) In tal caso si forma prima un precipitato bianco di cloruro di mercu¬ rioammonio e di ammonio Hg2NCl.NH4Cl (precipitato bianco infusibile) per ad¬ dizione dell' ammoniaca, secondo le equazioni (m) ed (n), e poi si forma man¬ ganato di mercurioammonio (Hg2N)2Mn04, per addizione del manganato potassico, secondo l'equazione (o). Complessivamente la reazione si svolge secondo lo sche¬ ma indicato nella equazione (p). (18) 3Hg2N . N03 . NH4N03 . 2H20 oppure Hg2N . NOs . NH4N03. H20. (19) Per ragioni di spazio ho omesso tutti i risultati analitici ottenuti nelle determinazioni da me eseguite. Per quanto riguarda i metodi analitici impiegati, mi riporto a quanto indicato nelle mie precedenti note, già citate. Salerno, Laboratorio Chimico del R. Istituto Tecnico Commerciale Mercantile. Finito di stampare il 18 settembre 1937. Contributo allo studio delle vibrazioni dei fab¬ bricati per cause esogene del socio G B. Alfano (Tornata del 2 marzo 1937) A Napoli, all' angolo formato dalla via Alessandro Poerio e Piazza Garibaldi esiste un edifizio adibito ad albergo sotto il titolo Hotel Nazionale, presso le cui fondamenta, a 10 metri sotto il livello stradale, trovasi la galleria della Ferrovia Metropolitana che, partendo dalla ferrovia centrale, va a Piazza Cavour e poi oltre per sboccare alla Stazione di Mergellina. A piazza Cavour la gal¬ leria è alla profondità di 30 metri circa, e quindi dista sufficien¬ temente dalle fondamenta degli edifizi. Invece le fondamenta dell’Hòtel Nazionale combaciano col pie¬ dritto laterale della galleria; per conseguenza il passaggio dei treni provoca nell' edifizio delle vibrazioni così sensibili che gli ospiti dell’albergo, specialmente di notte, ricevono tutta l’impressione di una scossa di terremoto, e balzano dal letto spaventati ; tanto più che il rumore del treno non viene avvertito, come in generale altrove avviene per il passaggio di auto-trasporti pesanti. In seguito a ciò fui invitato dai direttori e proprietari dello albergo, signori Cav. Antonio e Dott. Alberto del Piero, per accertare l'entità di questi tremiti e riferire in proposito. Mi recai perciò in una prima visita nel detto edifizio e iniziai le mie ricerche. Una prima esperienza procurai di farla con la mia stessa stessa persona, ossia con l’impressione personale che in me avrebbe pro¬ dotto il tremito dell'edifizio per il passaggio sotterraneo di un treno. E difatti non passò poco tempo che si ebbe un passaggio di un treno leggero ; e l'impressione fu senz'altro quella di una scossa sismica locale, sussultoria, di quarto grado della scala Mercalli, i - 90 — cui caratteri sono : “Scossa di IV grado o sensibile: avvertita da molte persone nell'interno delle case; con tremiti di infissi, di cristalli, scricchiolio di impalcature, leggiere oscillazioni di oggetti sospesi Per i treni pesanti la scossa superava di molto il VI0 grado. Passai poi a qualche osservazione con un orizzonte di mercurio, e, prescindendo dal continuo tremito dell'edifizio per il movimento cittadino, potei facilmente rilevare che per. il passaggio dei treni r edifizio subiva un duplice movimento di ondulazione e di vi¬ brazione. Il movimento di ondulazione era intorno al periodo di 1 o 2 secondi; quello di vibrazione era di frazione di secondo, non facile a calcolare per la rapidità con cui esso si verificava, ed a queste vibrazioni era da attribuirsi lo scuotimento dell'edifizio. Dopo queste preliminari osservazioni feci comprendere ai sigg. Del Piero che, per ottenere dati più prossimi alla realtà, occorreva un apparecchio sismico portatile; e poiché era impossibile traspor¬ tare nell'albergo l'apparecchio Wiechert dell' Osservatorio Sismico del Seminario Maggiore di Napoli, sia per il suo notevole peso, sia per la difficoltà di smontaggio e montaggio, così proposi che si fosse chiesto al Chiar.mo Padre Guido Alfani, Direttore del¬ l’Osservatorio Ximeniano di Firenze , il suo ben noto “ Trepido- metro portatile „ ideato e costruito da lui espressamente per tali ricerche e già sperimentato con successo dall 'Alfani e da altri stu¬ diosi in varie simili occasioni *). Ottenuto l'apparecchio (Fig. 1) lo misi a posto nel mezzo di una stanza deH’ultimo piano dell' albergo ; ossia a circa 20 metri dal piano stradale e a circa 30 metri dal binario sotterraneo dei treni. Si obietterà che col mettere l’apparecchio all'ultimo piano del- l'edifizio e nel mezzo della stanza, si andava incontro all'inconve¬ niente di registrare vibrazioni parassite, teoricamente estranee al fenomeno ; ma lo scopo della ricerca era appunto il rilievo della intensità di quelle vibrazioni che arrecavano noia alle persone che frequentano 1' edifizio e che abitualmente si trattengono nel mezzo delle stanze a leggere o a scrivere. Bisognava anche tener pre¬ sente che i piedi anteriori dei letti poggiano proprio nel mezzo delle stanze. *) Alfani G. — Le vibrazioni nei fabbricati prodotte da macchine in mo¬ vimento. L’Ingegneria moderna. Anno XVI, N. 5, pag. 51, Napoli. — 91 — Quando l'apparecchio fu in condizioni di funzionare, subito si potettero rilevare importantissime registrazioni di cui qui riporto i particolari : L’edificio era in continua vibrazione per il movimento cittadino, come già aveva indicato l'orizzonte di mercurio; ma, tali vibrazioni sono insensibili all'uomo, e difatti nell’albergo nessuno le avverte, e rimangono nei limiti del 1° grado della scala Mercalli, ossia nella categoria delle " Scosse strumentali Fig. I. - Ortosismografo «Alfani». Ma quando nella galleria della ferrovia sotterranea passano i treni della Ferrovia dello Stato, si hanno delle registrazioni impor¬ tantissime, mediante le quali si può calcolare 1' accelerazione verti¬ cale media e massima da cui è sollecitato l' edifizio per il pas saggio dei treni. Il periodo strumentale del trepidometro durante 1' esperienza era di secondi 1,3. L' ingrandimento statico esterno ( I ) era circa 450. Feci 1' analisi di trenogrammi prodotti da treni leggeri e da treni pesanti. — 92 - Applicai, come già altra volta L), la nota formola . 4 jc2a in cui A è l’accelerazione in esame ; a l’ampiezza della vibrazione del pavimento su cui poggiava l'apparecchio ; T il periodo com¬ pleto della vibrazione 2). Fig. 2. - Vari trenogrammi. Riferisco soltanto due analisi delle registrazioni ottenute per il passaggio di treni leggeri e due per uno dei treni pesanti. I treni leggeri sono formati di due o tre vagoni e fanno il servizio Napoli-Pozzuoli ; i treni pesanti sono formati di circa dieci vagoni e sono quelli diretti per Roma ; i treni merci sono ancora più pesanti. 9 Alfano Q. B. — Misura dell' accelerazione media e massima del moto vibratorio prodotto nell1 Osserv . di Pompei per il passaggio dei treni della Fer¬ rovia dello Stato. Atti Accad. Nap. Scient. Lett. Napoli, luglio 1919, pag. 76-78. ) Leggansi a tal proposito le mie due voci " Sismografo,, e “ Sismologia „ nel volume XXXI del V Enciclopedia Italiana Treccani. — 93 — la analisi (Fig. 2) (A). - Treno leggero delle 18,11 del 21 X11, 936. Ampiezza media registrata =15 mm. 15 Ampiezza reale — 4r^ 450 T medio 4= 0,22 secondi. = 0,033. T2 — 0,05 A = 40X0,03 1.2 — 24 mm./sec. = 2,4 gals. 0,222 0,05 2a analisi (Fig. 2) (D) - Treno leggero delle 18,15 del 22-XiI, 936. Ampiezza media registrata = 7 mm. Ampiezza reale T medio — 0,22 secondi. T2 . 4 Jt2 a f = iò = 0'015 mm’ 0,05. T2 40 X 0,015 0,60 ln , 10 . -0#“ = (105 ^ 12 mm/SCC* = X'2 gaìS‘ Accelerazione media = (12 x 24) : 2 — 18 mm./sec. •== 1,8 gals. 3a analisi (Fig. 3) (B). - Treno pesante delle 23,20 del 18-X11, 936. Calcolo sulla fase preliminare della registrazione che precede la fase massima. Ampiezza media registrata — 8 mm. g Ampiezza reale = 77-, == 0,017 mm. 1 450 T = 0,15. 40 x 0,017 0,68 0, 155 0,022 T2 = 0,022. = 34 mm./sec. 3,4 gals. 4a analisi (Fig. 2) (B). Calcolo sulla fase quasi massima della precedente registrazione Ampiezza media registrata 20 mm. 20 Ampiezza reale T — 0,15. 450 = 0,044 mm' T2 = 0.022. 40 X 0,044 1,76 QO . QO , —0,15» = p2 = 88 mm-/SeC' " 8,8 ga,S- - 94 — Dimodoché per i treni leggeri (analisi la e 2a) l'accelerazione verticale media è di 18 millim. al sec. (1,8 gals) ; ossia compresa nel IV grado della Scala MercaJli, come mi aveva indicato anche l'impressione personale 1). Per i treni pesanti l'accelerazio ìe media della fase preliminare anche è di 18 millim. al sec. ; poi (analisi 3a) raggiunge il valore di circa 34 mm. al sec. ; ma nella fase quasi massima (analisi 4a) ha raggiunto il valore di circa 88 mm. al sec. ossia il YI grado della scala Mercalli, i cui caratteri sono : “Scossa molto forte: avvertita da tutti nelle case, con spavento e fuga ; caduta di oggetti nelle case, caduta di calcinacci, con qualche lesione leg¬ gera negli edifizi meno solidi Questi valori sono già sufficienti per dimostrare 1' entità dei tremiti in esame, che in realtà si avvertono nell' edificio come se fossero vere scosse sismiche sussultorie comprese tra il IV e il VI grado Mercalli, ossia tra la scossa sensibile e quella molto forte, e che all'inizio dell'esercizio della Metropolitana già produssero lesioni nell'edifizio in esame. Ho detto innanzi a proposito dell’analisi del tracciato ottenuto pel treno pesante di aver calcolato un'accelerazione quasi mas¬ sima (4a analisi) perchè nella fase massima assoluta, durante la regi¬ strazione, la pennina, quantunque opportunamente da me modificata, saltava e vibrava per conto suo, producendo sulla carta affumi¬ cata un groviglio molto complicato (Fig. 2 ; B, C, E,), dovuto alla elasticità del sistema scrivente, e, probabilmente, anche alla mancanza di smorzamento nell'apparecchio. Credetti quindi opportuno prescindere da tale porzione della registrazione, e limitarmi, come ho detto , alle fasi che immediata¬ mente precedevano e seguivano la inevitabile registrazione panto¬ grafica della pennina. l) Scala Mercalli - Omori Grado millim. al secondo gals I 0 - 2,5 < 0,25 - II = 2,5 - 5 0,25 - 0,50 III = 5 - 10 0,50 - 1,0 VI == 10 - 25 1,0 - 2,5 V = 25 - 50 2,5 - 5,0 VI ~ 50 - 100 5 - 10 VII — 100 - 250 10 - 25 Vili = 250 - 1000 25 - 100 IX — 1000 - 2000 100 - 200 X — 2000 - 2500 200 - 250 — 95 — Nondimeno, volendo tener conto di qualche tracciato meno complicato di fase massima assoluta, si perveniva ad un'accelera¬ zione verticale di valore molto alto, ossia di circa 140 millimetri al secondo (14 gals) , valore che corrisponde al VII grado della scala Mercalli ; in verità alquanto superiore a quello che i sensi percepivano, e che avrebbe dovuto essere indicato da altri effetti riferiti dalla scala Mercalli al VII grado. E perciò mi convinsi che tale risultato era dovuto alle vibrazioni proprie della pennina, o ad altre vibrazioni parassite dell'apparecchio 1). Un altro rilievo nello studio delle vibrazioni dell' edifizio in esame fu che la durata dei tremiti era in media tra i 40 e 50 secondi, durata che difficilmente si raggiunge anche nei forti terremoti. Nel terremoto Irpino del 23 luglio 1930 , uno dei terremoti italiani di maggiore durata , il tremito raggiunse appunto i 45 se¬ condi 2), e ciò è riferito come un caso molto raro e molto temi¬ bile per i fenomeni di risonanza, ossia di somma di onde nella stessa fase, che possono arrecare disastri anche se il terremoto non fosse troppo intenso. Concludo con aggiungere che in un altro lavoro analogo pro¬ curai di applicare il principio di Dòppler alle vibrazioni prodotte dai treni sugli apparecchi sismici dell’Osservatorio di Pompei 3). Ma per le vibrazioni di questo edifizio 1' applicazione non è riuscita affatto ; perchè il periodo ha poco variato intorno al valore di 0,22 per i treni leggeri, e di 0 15 per i treni pesanti. Il che mi ha confermato che le vibrazioni in esame sono vibrazioni secon¬ darie esclusive delle diverse parti dell'edifizio, che, eccitate a vi¬ brare dal passaggio dei treni , vibrano per conto proprio e con periodo proprio. !) Si consulti il lavoro di Perri, E. — Alcune ricerche sperimentali sull' ac¬ celerazione verticale del suolo. Boll. Soc. Sismo!. Ital. Voi. XXXIV, 1936, XV, 5-6, pag. 179-190. In uno studio delle vibrazioni prodotte in edifizi dal movi¬ mento tranviario in Roma è dimostrato i limiti fra cui possono usarsi i trepido- metri e il loro disaccordo con i risultati ottenuti dagli accelerimetri. Nondimeno nelle esperienze riferite il trepidometro si era accostato molto più alla realtà che non l’accelerimetro. 9 Alfano, Q. B. — Il terremoto Irpino del 23 luglio 1930. Pompei 1931, pagg. 12 e 25. 3) Alfano, Q. B. — Applicazione del principio del Dòppler alle registra¬ zioni degli apparecchi sismici dell'Osservatorio di Valle di Pompei per il pas¬ saggio dei treni della Ferrovia dello Stato. Atti Accad. Nap. Scientif. Lett. Na¬ poli, luglio 1919, pagg. 68-71. - 96 - Riassunto L’autore, dalle registrazioni ottenute mediante un ortosismografo « Alfani », misura l’accelerazione media delle vibrazioni prodotte dai treni della metropolitana in un edifizio a Napoli, e ne rileva che vi si realizzano scosse comprese tra il IV e VI grado della scala Mercalli. Finito di stampare il 21 gennaio 1938 Azione delle radiazioni Roentgen e del di blastomi maligni. radio sullo del socio Claudio Gargano (Tornata del 20 dicembre 1937) Nella introduzione al Trattato u Sulla Curieterapia dei Cancri „ Madame Simone Laborde fa notare, che in nessuna branca delle discipline mediche vi è tanto confusionismo come nella terapia dei tumori maligni, eseguita con le radiazioni Roentgen o con quelle gamma del radio. Questi due tipi di radiazioni, sebbene molto simili per alcuni caratteri, ne differiscono parecchio per altri, in guisa che non è accettabile il paragone, che il radio rappresenti un apparecchio Roentgen tascabile. Tutti i corpi radioattivi, secondo la classifica di Routterford, emettono tre tipi di radiazioni, alle quali si sono dati i nomi delle prime tre lettere dell'alfabeto greco, e cioè radiazioni a, |3 e y. Le radiazioni a rappresentano il più gran numero di energia emanata dal corpo radioattivo e possono essere ritenute come il 92 % di esse. Queste radiazioni però hanno uno scarsissimo po¬ tere di penetrazione, tanto che anche un foglio di carta potrebbe arrestarle. Secondo le odierne concezioni della fisica e della chi¬ mica rappresentano degli atomi di Elio caricati positivamente e lanciati con una velocità di molte migliaia di chilometri a minuto secondo. I raggi in parola sono anche debolmente deviati dall'ago magnetico. Le radiazioni (3 numericamente sono le minori: si può calco¬ lare che rappresentano il 3,20 della energia totale emessa ed irra¬ diata dal radio ed hanno molta somiglianza con i raggi catodici, - 98 — infatti sono deviate dal campo magnetico e rappresentano elettroni caricati negativamente e proiettati con grande velocità. A scopo didattico e convenzionale i raggi |3 è utile dividerli in raggi p molli ed in raggi p duri. I raggi p molli sono quelli arrestati da una superfie di 2 millimetri di alluminio, laddove i raggi duri non sono arrestati che da una superficie di 7 ad 8 mil¬ limetri di alluminio o da una superficie di tessuti di 14 o 15 mil¬ limetri. I raggi ; , che rappresentano numericamente anche essi una piccola porzione delle radiazioni totali, corrispondono ad una cifra di 4,8 ed hanno la caratteristica di essere molto penetranti e di non essere deviati da nessun campo magnetico e per molti caratteri si possono paragonare ai Raggi Roentgen. Sono a tipo ondulatorio e con una molto breve lunghezza di onda e come i raggi Roentgen sono prodotti dall' anticatode sotto l'azione dei raggi catodici e potrebbero anche paragonarsi al bombardamento prodotto dagli atomi radioattivi. Queste radiazioni, per il loro grande potere di penetrazione, possono attraversare delle superficie di piombo, an¬ che di 30 centimetri ed, a differenza dei raggi Roentgen, si con¬ stata che il potere di penetrazione è molto più considerevole, giac¬ ché i raggi Roentgen non possono attraversare più di un centime¬ tro di lamiera di piombo. Se infatti si volesse con i raggi di Roent¬ gen ottenere un medesimo potere di penetrazione dei raggi del radio, si dovrebbero costruire apparecchi industrialmente rispon¬ denti ad un potenziale di duecentomila ad un milione di Wolts. Anche per i raggi y dal punto di vista didattico e medico , si è adottato l'abitudine di dividerli in due categorie, e cioè in raggi y molli ed in raggi y duri: quelli molli sarebbero arrestati da un filtro dello spessore di un millimetro di piombo , e giova notare che tutti gli apparecchi radiferi sono forniti di filtri di platino dello spessore di 2 millimetri, che permette la filtrazione dei raggi y, che in tal modo e con il cennato dispositivo possono considerarsi come omogenei. Dal punto di vista fisico e terapeutico le radiazioni del radio ed in particolare le radiazioni y che sono quelle maggiormente ado¬ perate in terapia dei tumori maligni, inducono una serie di feno' meni, che sono stati in buona parte bene studiati. Dove invece regna un poco di confusione è nelle azioni irritanti indotte da queste radiazioni sulla superficie cutanea, azioni forse determinate da deficicienza di filtri ed anche da difetti di tecnica di applicazione. Queste irritazioni, indotte dai cennati raggi, che possono con¬ siderarsi di natura fisica e chimica, inducono talvolta alterazioni patologiche, in specie del tegumento cutaneo, alterazioni tutte, che possono preparare il terreno all’ evolversi dei tumori maligni. Fra le lesioni, che più di frequenti, possono essere indotte dalle radiazioni del radio, si deve tener presente la possibilità dello sviluppo di un tumore epiteliale maligno, chiamato anche cancro da raggi, lesione che purtroppo non può essere messa in dubbio e che ha avuto la sua dimostrazione anche in esperimenti eseguiti in animali di Laboratorio. Le lesioni infatti dei professionisti radiologi rappresentano un argomento di grande interesse pratico, che, come opportunamente dice Bellucci, nella sua dotta relazione, si ricollega all'altro argo¬ mento relativo alle dosi minime lesive ed alle dosi massime tolle¬ rate, sia nelle irradiazioni uniche, che nelle irradiazioni frazionate e ripetute, Il detto autore osserva che queste lesioni biofisiche da raggi, possono essere raggruppate in una unica frase: insufficien¬ za di protezione. Siffatto capitolo forse scomparirà dalla patologia, quando gli apparecchi ed i metodi di protezione saranno giunti a tal punto di perfezionamento che il professionista radio¬ logo o radiumterapista, nell'esercizio del suo lavoro non sarà più colpito da essi raggi. In generale MéNETRiER, Legros, e Mallet hanno indotto negli animali di esperimento delle irritazioni croni¬ che con i raggi X e purtroppo nei radiologi spesso tali irritazioni croniche sono state seguite da una evoluzione tumorale e maligna. Gli esperimenti di Laboratorio, praticati sui ratti bianchi sottoposti a numerose sedute di radiazioni, hanno portato a simili conseguenze; evidentemente dicono detti autori : Non vorremmo pretendere di vedere riprodotto il processo neoplastico per intero, ma abbiamo già ottenuto, ci sembra, l'evolversi di due fattori principali di que¬ sto processo, l'iperplasia , per la moltiplicazione cellulare esage¬ rata e la metaplasia, con perdita dei caratteri di differenziazione e di uniformazione dei tipi cellulari. Potendosi quindi considerare tali lesioni come iniziali, come corrispondenti cioè allo stato pa- pillomatoso, stato benigno iniziale di un possibile stadio canceroso, siamo molto lontani dall' ammettere, che la semplice irritazione prodotta da agenti fisici possa essere la causa di tumori maligni : dobbiamo dire soltanto che si può riprodurre sperimentalmente l'aspetto istologico di una proliferazione cellulare, che per molti — 100 — caratteri istologici, ha gli attributi anatomici ed istologici di una proliferazione ma.igna tumorale. La patologia d'altra parte ci inse¬ gna la frequenza del cancro negli spazzacammini, del cancro da catrame e da traumi ripetuti. L'osservazione di Cantelmo è ancora più dimostrativa di quella di Rallo : si trattava di un caso di sar¬ coma della porta hepatis , consecutivo a trauma acuto dopo un brevissimo intervatlo di tempo. Durante la laparatomia eseguita al piccolo paziente si constatò l'epiploon intensamente iperemico e contenente numerose glandole linfatiche, alcune delle quali della grandezza di un fagiuolo, di colorito bianco giallastro, di consi¬ stenza dura, la colecisti appariva distesa con pareti normali, ma a livello della faccia inferiore del fegato, alla porta hepatis si trovò una massa di forma irregolare, di colorito giallastro, che conglo¬ bava tutte le formazioni dell’ilo epatico: innanzi a questa massa ematica si trova una cisti della grandezza di una noce, che sporge dalla superficie della massa istessa. Cantelmo, a proposito di questo caso occorsogli, tratta diffu¬ samente il difficile ed interessante argomento, discutendo i lavori dei suoi predicessori e di questi mettendo in rilievo le parti più degne di nota, ed in ispecie di quello di Pistocchi, di Tavernier, di Villata, di Maggi, di Valdoni e le ricerche sperimentali di Pen- timalli, che ha potuto constatare, che col virus del sarcoma dei polli, lo stato di proliferazione cellulare, che consegue ai traumi, costituisce la condizione più favorevole perchè il virus possa eser¬ citare la sua azione, concezione alla quale sperimentalmente sarebbe pervenuto Beck osservando, che le cellule giovani ed immature prendono il tipo cellulare proprio del sarcoma e lo conservano. Rubens Duval, studiando l'azione delle irradiazioni del radio sul tessuto connettivo stromatico, avrebbe osservato, che si verifica una serie di azioni reattive, di difesa di questo connettivo, che si ispessisce, inducendo anche una obbliterazione dei vasi sanguigni dopo un periodo di ispessimento delle pareti di essi vasi. Quando invece le radiazioni del radio non sembrano indurre favorevoli ef¬ fetti, si hanno a constatare processi degenerativi, dei quali il più importante è quello studiato da Letulle, chiamato necrosi f i - b r i n o i d e . Netevoli ricerche di laboratorio hanno permesso agli studiosi di stabilire, che i raggi del radio, per spiegare la loro azione , si rende necessario, che passi un certo periodo di tempo, al quale i patologi hanno dato il nome di periodo di latenza. Du- - 101 - rante tale elasso di tempo, nel tessuto irradiato, non si osservano apprezzabili modificazioni e si può dire, che esso sia variabile da tessuto a tessuto, ed in tessuti normali o patologici. E' bene per¬ tanto fissare un concetto, di non confondere cioè il periodo di latenza con quello di radiosensibilità: per ra¬ dio sensibilità si deve intendere la elettività specifica di un determinato tessuto rispetto alle radiazioni del radio. Gli studi di parecchi autori, principalmente di Dominici, hanno permesso di poter affermare che i tumori maligni sono tanto più sensibili alle radiazioni del radio, per quanto la loro struttura si avvicina di più allo stato embrionario "allo stato caratte¬ rizzato dalla deficienza di differenziazione del¬ le cellule e d a 1 p r e d o m i n i o della massa del nucleo su quella del protoplasma,,. Si deve concludere che, da un punto di vista istologico , bi¬ sogna con Dominici, ammettere, che i tumori maligni sono tanto più sensibili alle radiazioni, per quanto lo loro struttura si avvi, cina di più allo stato embrionario "stato caratterizzato dalla deficienza di differenziazione delle cel¬ lule, e dal predominio della massa del nucleo su quella dei protoplasma,,. Ma purtroppo non esi¬ stono dei segni che permettano di misurare con precisione il grado della radiosensibilità delle differenti specie di cancri, e sopratutto le differenze di radiosensibilità, delle differenti specie di cancri, e sopratutto le differenze di radiosensibilità che esistono fra i tumori di una medesima specie istologica. I risultati ottenuti sui tratta menti di alcuni cancri hanno solo permesso di rendersi conto del¬ l'ordine di grandezza della loro sensibilità alle radiazioni. Nabias e Forestier hanno pensato alla possibilità di stabilire una scala di radiosensibilità, per le varie specie di neoplasmi in i- specie per quelli epiteliali, basandosi principalmente sulla presenza e sul numero delle cariocinesi, ed hanno dato a queste loro con¬ clusioni il nome di indice cariocinetico, che sarebbe ap¬ punto il rapporto fra il numero di cellule in cariocinesi e quelle delle cellule in riposo. I detti autori hanno pensato, che basandosi su questo criterio dell'indice cariocinetico fosse perfino possibile di stabilire il grado di malignità di un determinato blastoma, in ispecie epiteliale. Le radiazioni X ed i raggi gamma del radio, allorquanto ven¬ gono impiegati, inducono, nell’organismo irradiato, una azione ec- — 102 — citante, che dal punto di vista istopatologico si traduce in uno stimolo cariocinetico, sia a carico delle cellule normali, che pato¬ logiche, in ìspecie quelle tumorali, allorquando si adoperano nella speranza, che possano rappresentare una favorevole terapia dei bla¬ stomi maligni. Non possiamo nel nostro studio, trascurare il fatto importante che detto stimolo possa o potrebbe indurre sui tessuti normali, più che un processo iper plastico, una reale deviazione dei proces¬ si formativi e creare delle condizioni idonee per lo sviluppo dei tumori. D'altro lato i clinici ed i patologi non hanno mancato di met¬ tere in evidenza l'azione indotta sui tessuti da agenti fisici , e da irritazioni chimiche, che talvolta rappresentano la causa determi¬ nante di neoplasmi. Fra i tumori indotti da stimoli irritativi, chimici e meccanici i più notevoli sono il cancro degli spazzacammim ed il cancro da catrame, questo ultimo oggetto di numerosissime pubblicazioni da parte dei ricercatori. 1 clinici infatti non avevano mancato di veder insorgere dei neoplasmi, in ispecie connettivali, in punti dell'organismo che pre¬ cedentemente erano stati sede di traumatismi. Nella Clinica Chi¬ rurgica di Napoli, come si è detto, non mancarono osservazioni importanti di questa azione neoplastica dovuta ai traumi, come in¬ fatti lasciano vedere le dotte monografie di Jemma G., Rallo e Cantelmo. Finzi illustra e studia, dal punto di vista istogenetico e pa- togenetico, due tumori vascolari, i quali, pur presentando notevoli differenze istopatologiche ed istogenetiche, favoriscono entrambe l'ipotesi, che azioni traumatiche possano provocare disturbi di cir¬ colo ed alterazioni anatomiche in speciali soggetti e costituiscono lo stimolo alla formazione di lesioni a tipo neoplastico emo-angio- endoteliomatoso. Il fatto iniziale sarebbe stato, nel primo caso, la formazione di varici traumatiche, mentre nel secondo caso sarebbe stata la formazione di false varici o spurie, sorte nella regione di¬ rettamente traumatizzata. Senza voler dare al trauma un significato di causa neoplastica diretta ed esecutiva, dallo studio di questi casi risulta l'importanza del nesso cronologico esistente fra trauma stesso ed insorgenza del tumore. Pur non volendo per ora trattare il grande argomento della azione dei traumi e delle irritazioni di agenti fisici e chimici sulla 103 — produzione di neoplasmi in genere ed in ispecie di neoplasmi ma¬ ligni, ci piace per ora rivolgere la nostra attenzione e le nostre ricerche chimiche ed anatomo-patologiche al cancro prodotto dalla azione dei raggi X e dei raggi gamma del radio , cancro al quale vanno per solito soggetti i professionisti radiologi e che è anche chiamato cancro professionale. Molti sono i lavori pubblicati sull'argomento, ma la maggior parte risentono deficienze di nozioni di istologia patologica o di notizie bibliografiche complete. Ribbert, occupandosi dell'istogenesi del “ carcinoma Roent¬ gen „, presenta agli studiosi una bella monografia, corredata da alcune figure, che rappresentano i vari gradi della genesi del tu¬ more manifestatosi. Secondo il detto autore l'infiltrazione cellulare manifestatasi, pare provenga dagli strati più profondi dell'epider¬ mide, e, nei casi, in cui nulla traspariva macroscopicamente , l'in¬ filtrazione cellulare si avanzava fin verso l'osso (carcinoma Roent¬ gen di un dito). Qualche volta macroscopicamente non appariva che una cheratosi, oppure microscopicamente il processo carcinoma- toso era rivelato dalla infiltrazione cellulare e da zaffi epiteliali più profondi. Per la pratica è importante la conclusione delle ricerche dell'autore, che cioè si sia in diritto molto prima, per il comporta¬ mento macroscopico, di pensare allo svolgersi di un tumore, là dove non appare che una semplice cheratosi. Fra le lesioni dei professionisti radiologi al certo non si deve trascurare come si è detto la possibilità di uno sviluppo di un tu¬ more maligno epiteliale, chiamato anche cancro da raggi X, reperto istologico che oggi non può essere messo in dubbio e che ha avuto la sua dimostrazione anche in esperimenti eseguiti in a- nimali di laboratorio. Castiglioni infatti, associando l’applicazione dei raggi X alla catramatura, è stato in grado di poter favorire ed acciarare note¬ volmente la formazione di epiteliomi nel topo. Questi tumori a- vrebbero minore tendenza ulcerativa in confronto dei soliti comu¬ ni tumori da catrame nel topo. Di fronte alla questione principale se cioè l'insorgenza sia esclusivamente dovuta allo stimolo locale o a condizioni generali degli animali si deve ammettere, crede l'A. la notevole importanza dovuta al deterioramento delle condizioni generali, che favorisce, che coadiuva, il fattore principale rappre¬ sentato dallo stimolo locale, che induce la proliferazione epiteliale prima tipica e poi atipica. L'organismo reagisce sia localmente, sia — 104 — generalmente con una reazione reticolo-endoteliale, intesa questa in senso lato e che va in seguito esaurendosi. Le esperienze dell'A. infine confermano che i raggi X in op¬ portune condizioni di esperimento (raggi molli, irritanti, non filtrati possono non ostacolare, ma anzi favorire Taccrescimento e la evo¬ luzione di giovani elementi preneoplastici e neoplastici. Roussy fa osservare, che nè l'introduzione di agenti figurati, nè l'iniezione di prodotti chimici, nè l’irritazione da agenti fisici ha permesso di ottenere dei tumori maligni: si è potuto, per vero riprodurre l'aspetto istologico, ma manca la causa efficiente , che indusse la proliferazione. In generale si dice e si afferma dai radiumterapisti e dagli a- natomisti patologi, che i raggi Becquerel ed i raggi X inducono delle alterazioni nei tessuti, sottoposti alla loro azione , dopo un periodo di tempo variabile, a secondo della dose impiegata, della natura del tessuto irradiato e di numerosi fattori biologici diversi, inerenti al tessuto colpito. Questo periodo di tempo è stato chia¬ mato periodo di latenza. Se è pur vero che nella pratica di questa terapia, si tiene conto di un tal periodo di latenza, in realtà ciò non risponde a delle considerazioni di esatti esami istologici. Infatti studi accurati sull'argomento permettono di poter affermare, che l'inizio delle le¬ sioni indotte dai raggi gamma del radio, si verifica immediatamente dopo la loro applicazione, come ha potuto Lacasagne affermare nelle sue ricerche: su taluni tessuti invece, poco radiosensibili , le alterazioni si verificano molti giorni dopo. Bohn ha constatato pure che è sufficiente, che i raggi del radio traversino il corpo di un animale per alcune ore, perchè i tessuti acquistino delle proprietà nuove, che possono restar allo stato latente per lunghi periodi e manifestarsi tutti insieme, nel mo¬ mento in cui l’attività del tessuto istesso possa normalmente au¬ mentarsi. Possiamo spiegare infine questo fenomeno pensando al¬ l'influenza esercitata dallo spermatozoo sulla cromatina dell' uovo e all'organismo che ne deriva, con la rassomiglianza paterna, ecc. Caspari, premessa una rapida rassegna delle varie teorie in¬ tese a spiegare l'azione delle irradiazioni, espone le idee più re¬ centi sull'argomento, e dice che indipendentemente l'uno dall'altro i vari autori, negli ultimi, anni sono giunti alla conclusione, che dal difacimento cellulare si originano sostanze di tipo ormonico, le quali spiegano importanza neH’organismo. Tra i blastomi Haberlandt — 105 — afferma che nelle ferite delle piante si producono sostanze (Wun- d h o r m o n e ) , da cui deriva una azione degli elementi vicini e le distingue da altre (nekrormone), le quali invece si o- riginano spontaneamente da titolisi, senza intervento di fattori e sterni. Analoghe asserzioni per gli animali formulano Bataillon e Freund quest'ultimo attribuisce il fondamento della proteinoterapia ai prodotti di disintegrazione cellulare, a sostanze ormoniche au¬ mentate in condizioni patologiche, che possono essere fornite da tutti i corpi cellulari in lisi e disassimilazione (Zellerfallhi ormone). A vedute analoghe è giunto Caspari nei tentativi di immunizzazione dei tumori maligni; con la prova che si può otte¬ nere una refrattarietà più o meno notevole, quando accade un di- sfacimento di tessuti spontaneo o provocato, ed i prodotti pene¬ trano in circolo. Egli aggiunge che trattandosi di processi autolitici endocellulari, preferisce il termine (Nekroshormone) per le sostanze che ne derivano. Riferendosi alla rappresentazione di Dessauer circa l' effetto delle irradiazioni sul nucleo e sull'intera cellula, progressivo fino alla morte dell’elemento, ne segue, che si producono e liberano dei necroormoni, dalla cui diffusione, in ragione di intensità di dose, si possono avere nuovi effetti di stimolo, dalla proliferazione alla necrobiosi: tra gli elementi più labili sono da compredere le pia¬ strine ed i leucociti. Nella radioterapia dei tumori bisogna assegnare grande impor- ianza ai necroormoni, provenienti tanto da elementi dei blastoma quanto da elementi sopratutto del sangue, la cui labilità conduce, ad una funzione biologica interessante. Naturalmente queste vedute dimostrano anche l'importanza della tecnica della dose dei raggi della sede, del tumore, della quantità e diffusione dei prodotti i- stolitici, della tolleranza e reazione dell'organismo. Fabre Domergue emette a proposito della etiopatogenesi dei tumori una originale concezione, che è opportuno tener presente per le conseguenze, che ne derivano. Egli dimostra, che il processo iperplastico, dal quale per esempio prendono origine i neoplasmi epiteliali, dipende daH’orientamento della direzione cariocinetica della cellula epiteliale negli epiteli di rivestimento, come in quelli glandolari normali, nei quali l’asse di divisione cellulare è sempre perpendicolare allo strato basilare, il piano di divisione sempre parallelo a questo strato ed infine il meccanismo del processo neo- - 106 plastico risulta unicamente da modificazioni anormali della direzione dei piani di divisione cellulare. Queste modificazioni anormali si accentuano dal papilloma all'epitelioma embrionario per i tumori emanati dall'epitelio di rivestimento, dall'adenoma al carcinoma per quelli che derivano dall'epitelio glandolare. Per le loro transizioni insensibili essi mostrano che i tumori epiteliali non sono che ma¬ nifestazioni a gradi differenti di un solo e medesimo processo i- perplastico. Sopra i tagli perpendicolari delle diverse varietà di tumori si possono constatare facilmente le figure di divisioni cellulari e Io orientamento delle loro direzioni, si può vedere il fuso acromatico delle cellule basali dal papilloma impiantarsi per così dire sulla membrana limitante dello strato epidermico, le cellule deH'epitelioma lobulato orientarsi intorno ai centi più o meno spessi. Bisognerebbe ugualmente ammettersi, che si sarebbe in possesso della conoscenza se non della causa prima, per lo meno della causa seconda della iperplasia epiteliale: ora nel caso particolare la causa secondaria non essendo che la manifestazione tangibile di una forza sconosciuta o causa primiera, non si può sperare di agire su di essa, agendo sulle sue manifestazioni ? In altri termini si potrebbero, modificando l'orietamento della divisione delle cellule in un neoplasma, ripor¬ tare questo orientamento al normale, senza peraltro conoscere la causa, che produce la disorientazione. Un certo numero di osservatori hanno già riconosciuto la pos¬ sibilità di agire nel senso della divisione cellulare. D' Arsonval, Dubois, sperimentando sopra i microorganismi, Verwon sopra gli infusori, Hertwig sopra le uova di invertebrati hanno constatato la influenza dei diversi agenti, fra i quali figura in prima linea l'elet¬ tricità. La cellula si orienta longitudinalmente secondo il senso della corrente che la attraversa. Essa ubbidisce in ciò alle medesime leggi che regolano i corpi inerti, ed è permesso di presumere che l'azione direttrice si esercita sopra esse non soltanto nel suo in¬ sieme, ma anche su ciascuna delle molecole organiche che la co¬ stituiscono. Ho avuto l'opportunità di poter studiare un cancro professio¬ nale, originato da insufficiente protezione nell'uso dei raggi Roen¬ tgen: si trattava del caro e defunto amico Prof. Antonio Coppola dirigente il reparto radiologico della Regia Clinica Chirurgica di Napoli, il quale per la sua gioventù non si circondava, nell’ espli- — 107 — cazione del suo mandato di tutte quelle difese oggi considerate in¬ dispensabili. Orbene ebbe ad avvertire all'indice della mano destra una ipercheratinizzazione notevole cutanea, alla quale seguì una ul¬ cerazione a margini induriti e seeregante scarsa secrezione saniosa sanguinolenta. Questa ulcerazione ribelle agli ordinari presidi tera¬ peutici, fu diagnosticata di natura neoplastica epiteliale, per che si consigliò l'amputazione del dito, operazione eseguita dal suo Di¬ rettore On. Prof. Giovanni Pascale. L’esame istologico mi permise di confermare la diagnosi cli¬ nica di epitelioma spinocellulare ed intermediario. Istologicamente infatti il blastoma è caratterizzato dal fatto, che gli elementi, che lo costituiscono, subiscono, in molte zone, l'evo- luzione epidermica e la cheratinizzazione, come le cellule rnalpi- ghiane del rivestimento cutaneo. Gli ammassi neoplastici sono di sposti, sia a lobuli, sia a larghe travate, più o meno cilindri¬ che. Le cellule periferiche sono di ordinario simili a quelle dello strato basale dall’ epidermide. La maggior parte degli elementi hanno il tipo di cellule del corpo mucoso di Malpighi, delle quali assumono il volume: il nucleo vescicolare, il protoplasma facilmente colorabile, e d'ordinario la struttura filamentosa è più o meno at¬ tenuata, ma piuttosto riconoscibile. Si riscontrano infine nel centro dei lobuli, dei rigonfiamente degli ammassi arrotonditi o allungati di cellule cornee, concentricamente appiattiti, ai quali sono stati dati dagli autori i nomi di globi epidermici o di perle epiteliali. Al centro di questi globi non è raro di trovare un elemento glo¬ boso corneificato o in degenerazione jalina. AlPintorno le cellule sono supercaricate di granuli di cheratojalina. La tendenza evolutiva degli elementi malpighiani è conservata. Il punto di partenza della neoformazione è manifesta nei bottoni interpapillari, e frequentemente anche nei follicoli piliferi: è raro che si possano constatare relazioni con le glandole della pelle. In alcune sedi gli ammassi neoplastici cessano di essere limitati da una membrana basale e le cellule infiltrano lo stroma , che può essere costituito da cellule embrionarie, sia più o meno fibrose. Può infine essere detto stroma più o meno ricco di cellule piasma¬ tiche e linfoidi. Nei tessuti sottostanti e nei vasi linfatici si trovano degli ammassi discontinui di tessuti epiteliomatosi con globi epi dermici. Numerose cariocinesi e mostruosità nucleari. Diagnosi istologica. Epitetioma spino-cellulare ed in alcuni punti epitelioma intermediario. — 108 — Il secondo caso osservato, svoltosi su di una ulcerazione del braccio era rappresentato da una ulcerazione a caratteri eczematosi curata con radiazioni gamma del radio. Non verificandosi miglioria si credette utile una biopsia, che fece porre la diagnosi di tumore maligno: infatti in seguito si manifestarono metastasi ascellari e lo- Fig. f. - Caso primo: epitelioma spinocellulare ed in alcune zone epitelioma intermediario. Disegno. Zeiss 3/dD* calizzazioni viscerali, che portarono a morte l'infelice donna. Isto¬ logicamente si tratta di un epitelioma, ma le cellule costituenti sono relativamente piccole e molto colorabili, esse mancano di filamenti di unione e non subiscono la evoluzione epidermica, ls cheratiniz- zazione. Sembrano abbiano più come matrice di origine le cellule basali deirepidermide e dei suoi annessi, conservando abbastanza bene i caraiteri di esse cellule di provenienza. Gli ammassi neoplastici hanno una disposizione molto varia¬ bile, il più spesso ad ammassi compatti poco estesi, di forma lo- — 109 — Fig. 2. - Caso secondo: epitelioma atipico. Microfotografia. Diametri 312. Se questo secondo caso sì può prestare ad una critica, man¬ cando il reperto istologico, prima del trattamento con le radiazioni del radio, per il primo è indubbia l'azione patogenetica dei raggi X nella produzione di un tumore maligno epiteliale* bulata. Ai centri degli ammassi si possono vedere dei piccoli foco¬ lai di degenerazione mucosa o colloide, che possono dar luogo a piccole cisti, che restano di ordinario microscopiche. In pochi punti le cellule subiscono una cheratinizzazione incompleta, una parache- ratosi. Lo stroma variabile, spesso, embrionario, è infiltrato di cel¬ lule giovani. Diagnosi Istologica. Epitelioma atipico svoltosi su di una lesione irritativa cutanea. - 110 - Riassunto. L’Autore discute le varie teorie avanzate dai vari ricercatori e dai clinici per spiegare la insorgenza di tumori maligni, in ispecie di natu¬ ra epiteliale, in seguito agli stimoli esercitati dai raggi Roentgen e dai raggi v del radio, e porta in seguito il contributo clinico ed anatomo- istologico di due osservazioni personali, delle quali, la prima, è special mente molto dimostrativa per accettare la cennata possibilità etiopato- genetica della produzione di blastomi da stimoli fisici. Finito di stampare il 29 gennaio 1938. Aggiunta al mio lavoro “ Su alcune forme ipo¬ tipiche rare di Ofiuroidi rinvenute nel golfo di Napoli „ del socio Giuseppe Zirpolo (Tornata del 2 marzo 1937) A pag. 35 del mio lavoro “ Su alcune forme ipotipiche rare di Ofiuroidi rinvenute nel golfo di Napoli „ presentato nella seduta del 28 novembre 1929 e pubblicato nel voi. 41, p. 35, è scritto : “ Fra mille esemplari normali pescati nel gennaio del corr. anno, rinvenni due esemplari tetrameri ed uno esamero. Di quest'ultimo non posso dare alcuna descrizione perchè esso andò smarrito Dopo alcuni anni l’ho rinvenuto e ne riporto una breve descri¬ zione per completare quel lavoro ed anche perchè di esemplari esameri non se ne sono riscontrati finora altri. Quest'esemplare di Ophiomixa pentagono, Muller e Troschel ha il disco abbastanza grande, regolarmente esagonale, molle, ri¬ coverto da un tegumento senza placche che si estende sulle braccia fino a covrire la base delle spine brachiali, e non lasciando nudo che solamente le placche boccali che si presentano di colore bian¬ castro, mentre il resto del corpo è di colore bruno nerastro. Esso misura mm. 150 per il raggio compreso dal centro del disco alla base di ciascun braccio e mm. 13 per il raggio compreso dal centro del disco all’estremo del bordo interbrachiale. Le sei braccia sono quasi ugualmente sviluppate e sono tutte regolari. In corrispondenza delle sei braccia vi sono sei paia di fessure genitali, che non raggiungono affatto il bordo del disco e sul loro bordo interno presentano piccole placche che raggiungono la pia¬ stra boccale. - 112 - Le placche brachiali ventrali sono appena visibili attraverso Fig. 1 . - Regione dorsale di Ophiomixa pentagono . il tegumento e si presentano grossolanamente pentagonali. Le spine brachiali sono in numero di quattro verso la regione prossimale — 113 — al disco e poi diminuiscono a tre verso le regioni terminali e sono molto regolarmente disposte senza presentare variazione di sorta sono poi molto brevi. Le placche boccali sono sei e regolarmente disposte. Quanto al colore quest’esemplare è generalmente bruno nerastro, ma presenta, lungo le braccia, delle strie bianche che formano una specie di annulazione irregolare : questi anelli sono completi spe¬ cialmente verso la regione terminale delle braccia, poiché in quelle zone più vicine al disco sono ridotti a delle semplici macchie. Nel golfo di Napoli questa specie è abbastanza comune e la si rinviene sui fondi rocciosi. L'anomalia di questo esemplare non dipende da trauma sopravvenuto all'animale e quindi non si tratta di un fenomeno iperrigenerativo, ma è un'anomalia congenita, cioè l’animale si è sviluppato così, per cause a noi ignote. Quello che è certo è che l'esameria è completa e non dà adito a pensare ad un' alterazione di sorta sopravvenuta. È questo il primo esemplare esamero da me raccolto in tanti anni di osservazioni alla Stazione Zoologica, nè di esso viene data registrazione alcuna in bibliografia. Napoli, Stazione Zoologica, aprile 1937 XV. Riassunto Viene descritto un esemplare esamero molto raro di Ophiomixa pentagona rinvenuto nel Golfo di Napoli fra mille esemplari normali. L* anomalia non è dovuta ad iperigenerazione ma è congenita. Finito di stampare il 31 gennaio 1 930 • La grotta del Sole nell’ Isola d’ Ischia e il bradisismo del socio Giovanni Platania (Tornata del 18 maggio 1936) Vidi ego quod fuerat solidissima tellus Esse fretum, vidi factas ex aequore terras. Et procul a pelago conchae iacuere marinae. Ovidio Metamorfosi, XV. Nella costa orientale dell' isola d’ Ischia, a piè della collina di Campagnano, si apre una grotta, la quale, per mezzo di una gal* leria lunga quasi 40 metri, alta 6 e larga 2 m., comunica con un ampio vano lungo una trentina di metri nella direzione N-S, largo 8 metri. La profondità del mare, che nella grotta esterna, in prin¬ cipio dell'andito, è di circa 4 m., nell' interno del vano si riduce a 2 metri. La grotta esterna era ben nota ai pescatori, ai quali serviva di rifugio durante la pioggia, e veniva chiamata grotta del Mago, per un'antica leggenda popolare, secondo la quale si era visto tal¬ volta apparire un vecchio dalla barba bianca, circondato spesso da nereidi danzanti. Nella primavera del 1934 il prof. Vezzuto di Ischia e il pittore Cuccellato di Napoli pensarono di attraversare a nuoto la galleria, e con loro meraviglia riuscirono nell' ampio vano dianzi descritto, dell'esistenza del quale si era perduta la memoria. Il canonico cav. G. G. Sasso, proprietario del terreno sopra¬ stante, chiese allora la concessione governativa per la valorizzazione della spelonca e della galleria di comunicazione, e costruì una rin¬ ghiera e un tavolato per il passaggio, e vi impiantò l'illuminazione — 116 — elettrica e portò una zattera nell'interno dello speco, per il servizio pubblico. 1 giornali diedero notizia della grotta e furono distribuiti dei fogli nei quali essa era descritta e illustrata, con cenni sulla leggenda del Mago ; e per gli effetti di riflessione , sulla superficie dell'acqua, della luce proveniente dalla galleria, fu chiamata Grotta d'argento. Sezione pianimetrica e sezioni verticali della grotta del Sole, da uno schizzo dell’ Ing. CiANNELLl I visitatori furono dapprima numerosi, e fra questi il professor Mario Puglisi, noto per le sue numerose opere di storia e filosofia della religione. Trovandosi egli a villeggiare a Lacco Ameno, nell' Isola d' I- schia, mi narrò che nelle visite da lui fatte alla Grotta d'argento, aveva acquistato la convinzione che quella fosse stata, in tempi preistorici, nell’epoca neolitica, un tempio dedicato al culto solare : la forma, la disposizione, le inconfondibili caratteristiche che essa mostra, lo hanno confermato in questa sua ipotesi enunciata fin dalla prima sua visita. Infatti, egli mi diceva, i culti solari dei ca¬ vernicoli, culti magico-religiosi, domandano un' ara, un obelisco, dei segni incisi sulle pareti delle caverne, ed è sorprendente che questi segni si ripetono identicamente, tanto in India che in Cina, tanto nella Scandinavia che nella Spagna. Lo stesso può dirsi delle grotte, perchè sono disposte verso oriente e divise, generalmente, in tre seioni, nell'ultima dalle quali si accede per via di una lunga e buia galleria. L'ultima sezione, la più profonda, è fornita di una finestra volta verso l'oriente, in modo da accogliere i raggi solari — 117 — nel solstizio che fissa la rinascita dell' anno, il periodo festivo. I segni, o petroglifici magico-religiosi precedono nel tempo, gl'idoli ; quando questi appaiono, il culto solare si è già trasformato in idolatria. Ma in origine si adorò la luce, la potenza, il calore, la vita, una qualità numinosa, come emerge ancora nei famosi inni dell'antico Egitto. I culti del periodo preistorico in Italia sono stati poco studiati : vi è tutto un campo ancora inesplorato che promette importanti scoperte, specialmente su i culti solari dei primi abitatori della Penisola e in particolare della Campania, della Sicilia e della Sar¬ degna. Questi studii potranno probabilmente modificare alcune cor¬ renti opinioni sull’originalità dei culti solari delle popolazioni prei¬ storiche del nord d’Europa. Ma allo stato presente ogni conclusione definitiva, in questo senso, sarebbe prematura. * * * Dopo qualche tempo che la Grotta era stata aperta al pubblico, una tempesta di mare produsse gravi danni nel tavolato della gal¬ leria e nelle condutture elettriche e distrusse la zattera. L’accesso al vano interno divenne molto difficile, e le visite furono sospese. Qualche settimana dopo la tempesta l'Ing. Nicola Ciannelli di Lecco Ameno, il prof. Puglisi ed io, invitati dal cav. Sasso, ci re¬ cammo alla grotta e servendoci di lampade a petrolio visitammo l'interno dello spaco, su di un piccolo canotto, a uno per volta. Osservammo le pareti che scendono verticalmente sul fondo pianeggiante del vano interno, il tempio, i petroglifici e i gra¬ dini dell' ara, indicati dal Puglisi, la piccola spiaggia di ciottoli che si interna in un anfratto della parete, dalla parte verso nord, che PIng. Ciannelli sostiene essere un altro cunicolo avente le stesse caratteristiche di quello di comunicazione. Nella sua pregevole opera Geologi ■: der Insel Ischia A. Ritt- mann *) prende in esame la grotta : dopo aver descritto il mas¬ siccio di trachite del Campagnano e il filone che si trova nell' in¬ terno di esso, parlando della caverna, del tufo, del cumulo di scorie h Rittmann A. — Geologie der Insel Ischia. Ergànzungsband VI Zur Zeit- schrift fur Vulkanologie. Berlin, 1930. - 118 - in vicinanza del filone, egli dice : " il dicco tra le pareti di sodalite — trachite molto resistente, venne dilavato via dal mare, venendosi così a formare la caverna. Per 1' erosione dei tufi meno resistenti, si formarono delle pareti, quasi muraglie „. Ora se si considera tutto insieme, la grotta esternarla lunga galleria, lo speco interno con le pareti verticali e il fondo pianeg¬ giante, non si è portati a ritenere che si tratti di una formazione determinata unicamente dall'abrasione marina, senza l'intervento di uomini, i primitivi abitatori deir isola, che dovettere modificare la cavità preesistente, sì da renderla atta all'esercizio del loro culto. Nè il fatto che la grotta si trova attualmente ricoperta, in pàrte, dall' acqua marina può costituire un argomento contrario a questa ipotesi : l'isola d'Ischia è soggetta a bradisismo positivo, e l'abbas¬ samento annuo è attualmente, secondo il Grablovitz 1), di quasi 5 mm. ogni anno. Il Sac. Dr. O. Buonocore 2), in un fascicolo della rivista “ La cultura „ da lui diretta, dopo aver descritto la grotta ed enunciati gli argomenti favorevoli alle vedute del Puglisi, tratta ampiamente del bradisismo, citando alcuni segni visibili del fenomeno nella plaga isolana: 1 istmo che congiungeva il Castello all'isola, il quale nel 1440 era così ridotto di altezza che fu necessario costruire un ponte; e anche questo, nel 1777, era sceso giù a segno che, con mare mosso, era impossibile il transito; parla dello scoglio di Rienzo ora coperto dalle acque e di una parte della via Giovanni da Precida, il cui lastricato si vede oggi sommerso. Nella magistrale Memoria " Il cratere di Vivara nelle isole flegree G. De Lorenzo e C. Riva 3) descrivono certi caratteri morfologici, marmitte di giganti, zone perimetrali di franamento e, sopra tutto, canali radiali di erosione, i quali, formatisi indubbia mente e in parte nella spiaggia e in parte al di sopra del livello marino, si vedono ora prolungarsi al di sotto di questo. Dalla pro¬ fondità alla quale si scorgono oggi sott’acqua questi canali di ero¬ sione, " deve concludersi, dicono gli Autori, che tale spostamento positivo della spiaggia di Vivara ha certamento raggiunto, e forse ’) Grablovitz Giulio. — Sul sospettato bradisismo appenninico 1900-1908. Boll. Soc. Sismol. Ital., XXIII, Modena, 1922. 2) Buonocore O. — L'isola del Sole (Ischia). " La Cultura „ XV, n. 178, Napoli, 1934. 3) De Lorenzo G. e Riva C. Il cratere di Vivara nelle isole flegree. Memoria. Atti R. Acc. Se. Fisiche e Matem., X, 5, n. 8, Napoli, 1907. — 119 — superato, i dieci metri „. E più oltre osservano che questi abbas¬ samenti non rappresentano un fenomeno locale " ma testimoniano forse del generale e lieve affondamento di tutto il bacino eruttivo di Napoli, insaccantesi e deprimentesi pel peso del nuovo mate¬ riale sovraimpostosi e pel vuoto prodotto dall' extravasazione del magma sgorgante certo da poca profondità al di sotto della super¬ ficie terrestre La Prof. Gina Algranati x), in una sua comunicazione al XI Congresso Geografico in Napoli, « Variazioni della costa dell’Isola d'Ischia negli ult mi secoli attraverso documenti storici „ , prende in esame la cartografia del settecento e dell’ottocento e analizza un manoscritto anonimo inedito * Ragguaglio historico topografico dell’ isola d' Ischia che l'autrice attribuisce al Sac. Domenico Yerd/:, tt appartenente a cospicua famiglia dell’Isola e vissuto fra l'ultimo trentennio del settecento e il primo dell'ottocento „. Sono interessanti le condizioni e i raffronti fatti dall'ALGRANATi, e la de¬ scrizione dei tratti di litorale che lentamente si sono sommersi : il ninfario, un mirabile giardino con frutteto e con luogo per la caccia, la sorgente di acqua potabile zampillante nel giardino, sono tutti scomparsi. L'autrice enumera pure altri casi di edifici già o- struiti sul litorale, " i cui avanzi si trovano oggi sotto il livello marino al largo della costa,,. In una mia breve nota sul bradisismo flegreo * 2), facevo notare che è necessario accertarsi dei moti bradisismici di tutta la regione italica — dei quali avevano anche trattato I'Omori e I'Oddone — e di tenerne conto per le eventuali interferenze col bradisismo della regione flegrea : trattandosi di piccolissime variazioni di livello, proponevo di curare maggiormente la manutenzione delle stazioni mareografiche, e di fare con uniformità di metodo lo spoglio dei mareogrammi, regolarizzando sempre le curve di marea che fossero deformate da sesse marine. Ma da quanto precede, da tutti questi fatti esposti, non è da dubitare che la costa orientale dell'isola si sia lentamente sommersa così che la grotta, in tempi remotissimi, si trovava molto lontana dalla battigia. *) Algranati Gina. — Variazioni della costa dell' isola d’ Ischia negli ultimi secoli , attraverso documenti storici. Atti XI Congr. Geogr. I tal. , voi. II, Napoli, 1930. 2) Platania G. — Aicune considerazioni sul bradisisma flegreo. Atti XI Congr. Geogr. Ital., voi. II, Napoli, 1930. — 120 — Un' altra prova importante è data dall'ing. Ciannelli 1 quale, rilevando 1 fondo del mare in prossimità del Campagnano , ha scoperto ruderi in muratura, ancora verticali in situ , a 7 metri di profondità, a circa 50 metri dalla costa. * # & A proposito della tempesta di mare che prod isse danni nella Grotta, come si è detto dianzi, si noti che, date le dimensioni delle galleria e la profondità attuale del mare nella grotta mede¬ sima, è da attendersi che una mareggiata violenta produca oscilla¬ zioni considerevoli delia superficie dell'acqua nell’ interno dello speco. Le onde di oscillazione prodotte dal vento in alto mare, si vanno trasformando presso la costa in onde di traslazione, e così percorrono il lungo e stretto canale di comunicazione col vano interno, dove, prima che si dissipi l'energia di un’onda, soprag¬ giunge la successiva che provoca contrasto con le onde quivi ri¬ flesse dalle pareti. * * La grotta di cui qui si tratta ha avuto, successivamente, diversi nomi : grotta di terra, di bordo, del mago, di argento ; ma mi sembra opportuno denominarla Grotta del Sole. Il Puglisi, dopo aver segnalato alla Direzione di Monumenti e Scavi, in Napoli, il suo punto di vista su questa grotta e le sue argomentazioni, scrisse un breve articolo (nel “Popolo di Roma,, 28 ottobre 1934 — Xi II) e prepara un esteso studio documentato. Di recente è apparso pure un articolo illustrato di A. E. Roehrle, Etne Sonnenkultstàtte aus vorhistorischer Zeit. Die “ Grotta del Mago „ auf Ischia 1). Il singolare monumento preistorico merita certamente uno stu¬ dio minuto di tutti i particolari, misure e determinazioni dei gra¬ dini dell'ara, delle rocce, dei petroglifici, e principalmente della finestra — di cui alcuni del luogo rammentano 1' esistenza — che doveva, in una certa epoca dell'anno, far penetrare i raggi del sole fino alla parete opposta dello speco. l) Die Umschau in Wissenschaft und Technik. Heft. 9. Frankfurt a. M., 1936. Riassunto. Dopo aver descritto sommariamente la grotta che si trova nella costa orientale dell’Isola d’Ischia, e a cui sono stati dati diversi nomi (grotta di terra, di bordo, del tisichiello, del mago, di argento) l’a. e- spone la osservazioni e le argomentazioni del prof. Mario PUGLISI. Questi sostiene la tesi che la Grotta, in origine naturale , sia stata di poi, nell’epoca neolitica, adattata a culti solari. Poiché il pavimento — diciamo — dello speco interno è attualmente coperto da più di 2 metri d’acqua, l’a. tratta ampiamente dal bradisismo in quella costa dell’Isola; onde si può ritenere che in tempi molto re¬ moti (3000 anni a. C.) la grotta potè trovarsi alPasciutto, a certa distanza dalla riva. L’a. propone che si facciano altre osservazioni sui petroglifici delle pareti, sulla finestra rivolta a oriente, la quale, vista da altri, è adesso interrata, e su diversi particolari di questo importantissimo monumento della ctviltà neolitica. E propone di chiamarlo «Grotta del Sole». Finito di stampare il 2 febbraio 1938. Azione dell’ acqua pesante sugli organismi. II. - Ricerche sulla Discomedusa : Nausithoè punctata. del socio Giuseppe Zirpolo (Tornata del 7 febbraio 1938) Era interessante conoscere il comportamento degli animali ma¬ rini ad alto tenore acqueo in presenza delFacqua pesante. Data la quantità di acqua a mia disposizione ho dovuto sce¬ gliere animali di piccola mole. Fra le Meduse ho studiato una specie comune nel Golfo di Napoli, la discomedusa, Nausithoè punctata , della quale si possono avere esemplari piccoli. Queste meduse le ho messe in vaschette contenenti acqua pesante alla concentrazione di 99, 6%, 75%, 50%, osservando di tempo in tempo il loro comportamento. Ho parimente compiuto esperienze con acqua distillata pura e con acqua distillata mescolata con acqua di mare in proporzioni analoghe a quelle delFacqua pesante. Allorché mettevo le meduse in acqua pesante sia pura che a concentrazioni varie toglievo con carta assorbente le piccole quan¬ tità di acqua aderente al corpo e ciò per evitare la diluizione del¬ Facqua pesante onde avere dati più sicuri. Esperienze con Nausithoè punctata in acqua pesante al 99,6 %. L esemplare messo in acqua pesante al 99,6% si è contratto spasmodicamente. Dopo tre minuti si agita ancora fortemente. Dopo altri tre minuti i movimenti diventano più lenti, ma il corpo rimane trasparente. Dopo otto minuti la contrazione si verifica lo stesso, ma in tempi più lunghi - il corpo rimane sempre trasparente. Dopo — 124 — dieci minuti è fermo, ma, eccitato con ago, ripiglia le contrazioni - è sempre trasparente. Dopo dieci minuti compie ancora contrazioni senza alcuna eccitazione ed il corpo si conserva trasparente. Dopo dieci minuti ancora le contrazioni sono lievi. Dopo quin¬ dici minuti è immota ed è lievemente opaca ed alquanto contratta. L'osservo dopo dieci minuti e noto che s’inizia una breve contra¬ zione che diventa più intensa in seguito ad eccitazione. Dopo venti minuti la ritrovo inerte - la stimolo ma non risponde*, penso che sia morta ; per quanto il corpo si presenti sempre trasparente. Nel giorno successivo - dopo 24 ore - riosservo 1' animale che è vivo ed, eccitato, risponde con contrazioni lente ma continue : il corpo è trasparente. Nel giorno successivo, dopo altre 24 ore, osservo che l’animale vive ancora e si contrae e risponde con vivacità agli stimoli. Il corpo è lievemente opaco. Nel giorno seguente l'animale è inerte, cioè non risponde agli stimoli ma è ancora trasparente. Nel giorno successivo è fortemente contratto, opaco, flaccido. L’animale dunque in acqua pesante a 99,6 è vissuto tre giorni e mezzo. È vero che i suoi movimenti sono stati lenti, ma la cosa è spiegabile ove si consideri la forte densità delPacqua pesante (1,10) su quella dell'acqua di mare (1,028). Ma non si può parlare di abioticità, perchè l'animale è vissuto abbastanza, in questo ambiente mentre gli esemplari tenuti in acqua di mare dopo un giorno li ho trovati sul fondo disfatti, opachi, e contratti. Esperienza con acqua distillata pura. La Nausithoè punctata messa in acqua distillata pura resta subito paralizzata e cade sul fondo della vaschetta, contraendosi fortemente. Il corpo diventa frattanto opaco. Dopo dieci minuti è contratta sul fondo ed il corpo resta opaco; stimolata non risponde. Dopo dieci minuti resta sempre sul fondo e non accenna ad alcuna risposta agli stimoli. Nell’ora successiva l'animale è sempre sul fondo, contratto, immoto, opaco. Lo riporto in acqua di mare, ma non ripiglia le sue contra¬ zione : resta immoto. L'acqua distillata pura è dunque mortale per le Nausithoè. 125 — Esperienze con acqua pesante concentrata al 75 % 1). La Nausithoe punctata messa in acqua pesante alla concen¬ trazione del 75% cade sul fondo, contratta, paralizzata poi lieve¬ mente ricomincia a distendersi. Dopo quattro minuti ripiglia la sua forma, resta trasparente. Dopo sette minuti la ritrovo di nuovo ferma sul fondo della vaschetta, sebbene si conservi trasparente. La stimolo con ago, reagisce con certa vivacità. Dopo dieci minuti osservo che si contrae senza essere stimolata. Dopo dieci minuti si contrae sempre con movimenti lenti ma spontanei. Dopo ancora dieci minuti si contrae e così, nell’ ora successiva, osservata ogni quindici minuti si contrae sempre lievemente ed il suo corpo rimane trasparente. Nel giorno successivo la ritrovo, dopo ventiquattro ore, viva ancora, risponde agli stimoli ed il suo corpo è trasparente. Dopo ventiquattro ore l'animale si conserva ancora vivace - risponde agli stimoli con contrazioni ritmiche, il suo corpo è tra¬ sparente. Nel giorno dopo l'animale giace sul fondo della vasca immoto opaco, contratto. Esperienze con 75 parti di acqua distillata diluita con 25 parti di acqua di mare. La Nausithoe punctata messa in acqua distillata diluita al 75% con acqua di mare si contrae vivamente. Dopo sei minuti appare ancora contratta, poco trasparente, eccitata risponde con movimenti lentissimi. Dopo dieci minuti l'animale è contratto, opaco, immoto. Dopo dieci minuti persistono le condizioni: stimolato non ri¬ sponde. La riporto in acqua di mare, ma l'animale non ripiglia le sue contrazioni : rimane immoto. Esperienze con acqua pesante al 50 % *). L'animale messo nella vaschetta contenente acqua pesante alla concentrazione del 50%, resta paralizzato sul fondo. Dopo tre minuti contrae fortemente i bordi del cappello. Dopo sette minuti è di nuovo paralizzato sul fondo, ma dopo un minuto si contrae debolmente e va riacquistando la trasparenza. Dopo due ’) L'acqua pesante alla concentrazione 99, 6 veniva diluita con acqua di mare. — 126 — minuti vive ancora ed ha esteso il cappello e si contrae sotto sti¬ molo. Dopo venti minuti vive ancora. Dopo mezz'ora non risponde più agli stimoli, vive ancora un giorno, ma poi il suo corpo si disfà. Un'altra Nausithoè si comporta allo stesso modo, ma vive fino al giorno successivo sebbene senza grande vivacità e reagisce sem¬ pre più lentamente agli stimoli. Esperimenti con acqua distillata diluita con acqua di mare (50%). La Nausithoè messa in quest'acqua contrae il suo corpo con vivi movimenti, dopo un minuto resta ferma sul fondo della va¬ schetta ma subito dopo ripiglia le sue contrazioni con forza. Dopo sette minuti si conserva trasparente, ha brevi contrazioni: stimolata risponde con forti contrazioni. Dopo sette minuti la ritrovo sul fondo della vasca immota ma trasparente, e stimolata si contrae ancora. Dopo altri sette minuti ritorna torpida, immota, col cappello sul fondo della vasca e la bocca in alto; la stimolo ma non rispon¬ de, la rimetto col cappello in su ed allora si agita fortemente : è sempre trasparente. Dopo quindici minuti non si contrae più : è trasparente sem¬ pre ma immota. Nel giorno successivo dopo 24 ore il corpo si presenta un pò opalescente ed ha brevi contrazioni spontanee; eccitata risponde debolmente. Nel giorno successivo la ritrovo sul fondo della vasca disfatta. Ho ripetuto altre due volte gli stessi esperimenti, specialmente con acqua pesante al 99,6 % ed ho ottenuto analoghi risultati. * * * Da questi esperimenti eseguiti si possono fare delle deduzioni interessanti. Innanzi tutto si osserva che animali così delicati, il cui orga¬ nismo ha oltre il 90 % di acqua, resistono in acqua pesante alle più alte concentrazioni. E se noi vogliamo pensare che le piccole quantità di acqua che si trovavano sulle varie parti del corpo dell'animale, nel cavo orale e nello stomaco si siano mescolate con l' acqua pesante e ne abbiano alterata la concentrazione, si può approssimativamente pensare che se 1' acqua non era più alla concentrazione di 99,6 %, essa ha potuto abbassare di poco la - 127 - sua concentrazione, date le precauzioni usate, però l'animale è sem¬ pre vissuto in un ambiente ad alta concentrazione. Ora gli animali hanno resistito, si sono fortemente contratti sono vissuti oltre tre giorni. Il loro movimento non è stato però quello che essi di solito compiono nelle vasche, cioè vivacissimi, con forti contrazioni, con nuoto rapido, apertura e chiusura del cappello, movimenti e contrazioni dei filamenti periferici. Ma la cosa non deve meravigliare quando si pensi che Tanimale è passa¬ to da un ambiente a densità 1,028 in uno a densità 1,100, e di più senza sali, il che ha la sua importanza. Questa diminuzione di movimenti, quest'arresto di contrazione trova la sua spiegazione nel fatto che l'idrogeno a peso atomico 1 è sostituito dall' idrogeno a peso atomico 2 lentamente e ciò per la minore mobilità degli ioni d'idrogeno pesante. Ma l'ambiente di acqua pesante sia a 96,6, sia a 75 % non è stato tossico, nè abiotico, perchè gli animali sono vissuti altri tre giorni. Mentre gli animali tenuti in acqua distillata pura od alla concentrazione del 75 % sono morti quasi subito : ciò era da pre¬ vedersi quando si tenga presente la densità del mezzo. L'acqua distillata ha una concentrazione bassa e se gli animali marini messi in acqua di fonte non vivono, a più forte ragione in acqua di- stillata non possono trovare l'ambiente più adatto alla loro vita. In acqua pesante a concentrazione del 50 % o acqua distillata mescolata con acqua di mare in parti uguali gli animali sono vis¬ suti male : e ciò si spiega pure, perchè le condizioni di densità non si sono rese, per la miscela avvenuta, tale, da poter con¬ servare le condizioni di vita degl’animali. L'esperienza però rimane sempre di grande interesse, prima di tutto perchè fu compiuta su animali molto delicati e poco resistenti e poi perchè, nonostante queste difficoltà, essi sono sopravvissuti, il che dice che anche per metazoi di notevole complessità organica le alte concentrazioni di acqua pesante non sono sempre dannose. Napoli, Istituto Zoologico della R. Univ. e Staz. Zoologica - gennaio 1938-XVI. — 128 — Riassunto L’ A. ha compiuto esperienze immergendo tanto in acqua pesante pura che in acqua distillata pura ovvero in concentrazione del 75% e del 50% la discomedusa Nausithoe punctata. Egli ha osservato che le meduse sopportano le varie concentrazioni dell’acqua pesante e vivono circa tre giorni, mentre in acqua distillata pura o mescolata con acqua di mare muoiono quasi subito. Ne deduce che l’acqua pesante non è sempre abiotica per alcuni metazoi. BIBLIOGRAFIA 1937. Zirpolo, G. — L’acqua pesante in biologia. Riv. Fis . Mat. Se. Nat., Voi. 11, n. 7-8. 1938. — — Ricerche sull'azione dell’acqua pesante sugli organismi. 1° Notizie preliminari- Boll. Soc. Nat. Napoli, Voi. 45. Finito di stampare il 22 marzo 1938* Nota sistematica su specie rilevanti rapporti fra gli Infusori Hymenostomata e Astomata. del socio Marco Fedele (Tornata del 2 marzo 1937) In una breve nota pubblicata nel Bollettino di questa Società, nel 1926, diedi notizia di un Infusorio Olotrico parassita nei ciechi epatopancreatici di Caliphyla mediterranea Costa, che denominai Cryptostoma caliphyllae n. g., n. sp. Avendo constatato, dalla consultazione del Nomenclator ani - malium generimi et subgenerum dell' Hesse pubblicato successiva¬ mente, che il nome generico Cryptostoma era prenotato, lo sosti¬ tuisco con Cryptostomina e la specie da me scoperta rimane Cry - ptostomina caliphyllae mihi. Ho fatto un ulteriore studio di questo infusorio, che è stato da me ritrovato costantemente in tutti gli esemplari di Caliphylla osservati ed anche in vecchio materiale del Trinchese proveniente dal Mare Ligure, mettendone in chiaro le varie particolarità mor¬ fologiche e le attività fisiologiche, la scissione trasversa binaria, la coniugazione, l' incistidamento e l’ infezione dell'ospite. Dal mio studio son risultate affinità sistematiche, degne di nota, che rileverò qui in sintesi. Malgrado la notevole riduzione dell'apparato boccale, l'assenza di un citofaringe, la zona adorale quanto mai semplificata, che non lascia scorgere che la sola piccola membrana ondulante raramente funzionante, per la presenza appunto di questa, noi dovremmo porre Cryptostomina caliphyllae nel sottordine degli Hymenostomata Hickson. Ma non riesce facile decidersi per un'inclusione sicura di que¬ sta specie in una delle attuali famiglie del sottordine ; data qualche — 130 — rassomiglianza con Uronetna (astrazion fatta delle ciglie tattili, che mancano nel nostro infusorio) potrebbe sembrare giustificato, come ha fatto il Kahl, includere il genere Cryptostomina ( Cryptostoma ) mihi nella famiglia dei Frontonidae Kahl, che ha evidenti caratteri di provvisorietà, della quale sembra possedere le essenziali carat¬ teristiche diagnostiche, d'altronde alquanto generiche. Ma se stabilito cosi, come ha fatto il Kahl, il posto da asse¬ gnare al genere da me creato, urtiamo contro difficoltà, che na¬ scono per le rassomiglianze, così strette da convincerci di sicura parentela, che si riscontrano comparando la mia specie, con alcune forme di Astomatea e particolarmente con i generi Perezella , Do - gielella ed Orchitophrya. Tali rassomiglianze sono così intime che, esclusion fatta della presenza di un citostoma rudimentale in Cryp- tóstom ria, nei loro caratteri essenziali, e per la forma del corpo, e per la ciliatura e per 1' apparato nucleare e per la unicità e lo¬ calizzazione della vacuola contrattile posteriore, come per le carat¬ teristiche essenziali del ciclo biologico, le forme indicate e Cryp- tostomina sono perfettamente corrispondenti. Sicché, considerata questa perfetta corrispondenza di caratteri diagnostici e la generale pacifica ammissione che l'astomia è un carattere cenogenetico e di adattamento, non mi pare lecito allonta¬ nare queste forme addirittura in due sottordini diversi. L'esame sistematico da me fatto mi porta alla conclusione che alle forme astome del genere Perezella Cépède 1909, comprendenti le specie Perezella pelagica Cépède, P pneumopsidis Tregouboff, vanno aggiunte, con ogni evidenza, le forme già comprese dal Poljansky (1923) nel genere Degielella , che diventano Perezella (Dogielella) sphaerii Poljansky, P. (Dogiolella) minuta Pol. e P. (Dogielella) globulifera Pol., e che queste forme sono strettamente affini al genere Cryptostomina , che se ne distingue solo per avere una bocca molto ridotta e raramente funzionante. Come la famiglia Anoplophrydae Cépède, riformata dall'HEiDEN- reich (1935) deve comprendere, oltre le sottofamiglie Anoplophryi- dae Cépède e Butschliellinae Cépède, anche la sottofamiglia Pro - toanoplophryinae Cheissin, così la famiglia Perezellidae Cépède, come da me riformata, deve comprendere le sottofamiglie Perezel - linae e Cryptostominae , I legami fra le forme di quest' ultima famiglia dimostrano la derivazione dei Perezellinae da Hy meno stornata liberi, per adatta¬ mento alla vita p&rassitaria. - 13) I Perezellidae finora noti sono forme parassitanti più comu¬ nemente Molluschi e Turbellari, ma sono state riscontrate anche in Copepodi pelagici. Sono state riscontrate o nel celoma o fra gli elementi dei parenchimi o nei canali epatici. A queste forme va , molto verosimilmente , annessa A no pio¬ li tir y a (?) minima Lèger e Dub., che è probabilmente una Perezella f vivente nell' intestino posteriore di Homarus gommarus L. E così Orchitophrya stellarum Cépède si distingue dai Pere¬ zellidae solo per l'assenza della vacuola contrattile. La biologia ed il ciclo di queste forme, dimostrando che esse sono specie monaxene con scissione trasversa binaria ed evoluzione diretta, ci dicono che esse non hanno rapporti con gli Apostomea Chattqn e Lwoff , come non hanno rapporto con questi gli Ano- plophryidae , secondo quando ha dimostrato Tchang Tso Run (1931). Sicché, allo stato attuale, e in attesa di migliori conoscenze e possibilità di più larga revisione di queste specie, insieme con Pe- rezellinae ed Anoplophryinae) raccolte negli Astomatea , vanno stret¬ tamente avvicinate, con la prima, Cryptostomina e con le seconde Protoanoplophrya , che le connettono separatamente a forme di Hymenostomata da identificarsi, per i Perezellidae , nei Frontoni- dae , e particolarmente nel genere Uronema. Napoli 2 marzo 1937. Finito di stampare il 22 marzo 1938- Nota sistematica sulle Scyphomedusae Semaeosto- meae del genere Phacellophora del socio Marco Fedele (Tornata del 2 marzo 1937) Il genere Phacellophora , che insieme con il genere Sthenonia è compreso nella famiglia Stenoninae delle scifomeduse Ulmaridae , comprende specie fra le più rare, pescate solo in singolari oppor¬ tunità e stabilita qualcuna, la Ph. Canitschaticaì e la. Ph. ambigua , solo sui disegni del primo fortunato osservatore. Del genere sono note quattro specie : Phacellophora Camtschatica Brandt descritta da questo autore su figure del Mertens e mai dopo di questi da altri disegnata ; Ph. ambigua Haeckel descritta prima dal Brandt, su due figure del Mertens, con l’attribuzione generica di Cyanea ed Haccaedecomma e poi attribuita da Haeckel, sulla stessa base, al genere Phacellophora ; Ph. ornata Haeckel, catturata in tre esem¬ plari e descritta da Verrill (1869) col nome di Callinema ornata , poi figurata da Fewkens, che ne pescò e descrisse un nuovo esem¬ plare in cattive condizioni, determinata come Phacellophora ornata da Haeckel (1880) in base alla descrizione dei precedenti due au¬ tori, e rivista e descritta in un esemplare anomalo del Braune, mentre il Mayer (1910) ne da una figura sull’ esemplare tipo con¬ servato nel Museo dell' Università di Yale ; infine Ph. sicula stabi - bilita dall' Haeckel (1879) su dati frammentari di O. e R* Hertwig, che ne avevano studiato (1878) gli organi marginali, e disegnata e descritta meglio dal Mayer (1910) su di un esemplare pescato dal Lobianco a Napoli. Materiale di osservazione certo non ricco, per cui ogni ritro¬ vamento di queste belle e rare meduse va tenuto da conto e notato. - 134 — Io ho potuto avere la rara occasione di pescare 1' 11 marzo del 1929 un bell'esemplare di Phacellophora e ne feci uno studio, che non pubblicai subito nella speranza di ottenere qualche altro esemplare, sul quale più largamente appoggiare la convinzione che mi ero formato della inconsistenza di alcuni caratteri, presi a base della distribuzione specifica dagli AA., variabili secondo l'età e la mole dell' animale ; ma non essendo riuscito al mio intento, mi de¬ cido a pubblicare queste mie note, per ora in forma sintetica, ba¬ sate sullo studio diretto del mio esemplare e di quello di Phacel¬ lophora sicula descritto del Mayer e conservato, a quei tempi, presso la Stazione Zoologica di Napoli. L' esemplare da me pescato, misurante 450 mm. di diametro del disco, fra le estremità dei lembi marginali, e 370 mm. fra i ropali, aveva nel mare una chioma di tentacoli lunga più che 10 m., ed era azzurro trasparente nel disco consistente, giallo arancio nella parete gastrica, trasparente attraverso il disco, e giallo chiaro nei canali radiali come nei lembi boccali, arancio bruno nelle sac¬ che genitali e bianco azzurrognolo nei tentacoli. L'animale, tenuto da me per qualche giorno vivo in acquario, ha mostrato, all'oscuro, bella fosforescenza di luce bianca. I sedici lembi marginali erano frastagliati, più o meno accen¬ tuatamente, in piccoli lembi in numero da 4 a 7, percorsi da ca¬ nali marginali a fondo cieco, alcuno dei quali biforcato, in numero da 5 a 6. I sedici canali corrispondenti agli organi marginali si presen¬ tano ramificati e, oltre Fanello marginale, esiste un canale che dà una ramificazione brevissima in direzione dell' organo sensitivo e due rami a forca nei lembi rapolari, uno per lembo. I canali radiali, corrispondenti ai lembi marginali, non ramifi¬ cati, ma alcuni anastomizzati, ed in numero variabile da 3 a 5. I tentacoli in 16 gruppi intercalati fra gli organi sensoriali, in numero variante nei gruppi da 14 a 24. Tralascio, per ora, un più minuto esame statistico di questi elementi base della distinzione specifica , ma già da essi appare la loro variabilità nello stesso animale ed i caratteri di interme- dietà che presenta 1' esemplare da me studiato con le altre specie note. Intanto le dimensioni degli animali, che nel nostro caso hanno un semplice carattere descrittivo per gli esemplari illustrati, nella Ph. sicula sono 155 mm. di diametro, per Ph. ambigua 150-2G0 - 135 — mm., per Ph. ornata 350 mm., per il mio esemplare 450 e Ph. camtschatica da 500 a 600 mm. La comparazione del mio esemplare con quanto è noto per le altre specie, mi ha portato alla convinzione che i caratteri diagno¬ stici hanno una variazione lineare nel loro sviluppo dalle forme di minori dimensioni a quelle maggiori. Così, mentre per la forma e numero delle orlature dei lembi marginali il mio esemplare si avvicina, e quasi corrisponde, a Ph. camtschatica , esso più si allontana, a gradi diversi, dalle altre specie. Per il numero dei canali radiali abbiamo una variabilità nel mio esemplare, che va dal numero più comune di 3, corrispon¬ dente alla formula di Ph. sicula, al numero di 5, corrispondente alle condizioni di Ph. camtschatica. Per i tentacoli abbiamo in Ph. ornata (fu contato in esempla¬ re in cattive condizioni) un numero per fascio da 5 a 9, per Ph . ambigua 9, per Ph. sicula da 9 a 15, per Ph. camtschatica da 20 a 24, mentre nell'esemplare napoletano da 14 a 24. Son già le con¬ dizioni di Ph. camtschatica che si presentano. Per i lembi boccali c' è varietà nelle varie descrizioni, e va¬ rietà anche nelle descrizioni e figurazioni della istessa specie, presen¬ tandosi, per esempio, diversissimi i lembi di Ph. ornata disegnati dal Mayer e quelli disegnati dal Fewkes, pure sulla osservazione degli stessi esemplari. E questo non ci sorprende, data la notevole contrattilità di questi lembi. Tutto considerato, tenuto conto della variabilità dei canali ra¬ diali, dei tentacoli , del numero dei lembi marginali, già note per altri gruppi di Scyfomeduse, in rapporto alla età dei vari animali, e considerato che le forme note di Phacellophora, seriate secondo le dimensioni, presentano appunto una variazione di numero e di¬ sposizioni, che segna chiaramente, dopo la scoperta della forma da me descritta, a caratteri così eloquentemente transizionali, una linea parallela di sviluppo con l'accrescimento della mole e, dimo¬ strerò nel lavoro in esteso, anche delle gonadi, l'unica conclusione che possiamo trarre, per restare aderenti ai fatti, è che le 4 varie forme note di Phacellophora , e la forma da me qui descritta, sono varietà di sviluppo della stessa specie. Essendo la più antica denominazione specifica delle forme di Phacellophora quella di Ph. camtschatica Brandt, rientrano le for¬ me da me studiate e le altre già note sotto questo nome, e le altre denominazioni specifiche cadono in sinonimia. Finito di stampare il 22 marzo 1933 Ricerche sull’azione dell’acqua pesante sugli organismi. I. - Notizie preliminari. del socio Giuseppe Zirpolo (Tornata del 7 febbraio 1938). La scoperta delPacqua pesante ha prodotto una vera rivolu¬ zione nella chimica. Le ricerche compiute in questi ultimi anni sono imponenti. Basta pensare che la sola sostituzione dell' idro¬ geno pesante o deuterio di peso atomico 2 all'idrogeno comune di peso atomico 1,008 moltiplica i già numerosi composti della chimica organica. Quando poi si considera che l'acqua costitituisce il 65 % fino al 92% del peso degli organismi viventi si vede subito quale im¬ portanza assuma lo studio dell' acqua pesante per il biologo. Può l'acqua pesante sostituire l’acqua comune nella costituzione e nel funzionamento degli organismi viventi? Fornisce essa le con¬ dizioni fisico - chimiche necessarie alla vita ? Cioè è essa abiotica ? Altera o favorisce la materia vivente nelle sue funzioni? Problemi di alto interesse ed ai quali si è cercato di dare qualche risposta. L’inchiesta iniziata in America nel 1933 ha scartato l'idea di tossicità ma ha ammesso che essa sia abiotica. Varii autori, infatti H. S. Taylor, W. W. Swingle, H. Eyring, A. H. Frost, Harvey, hanno osservato che a forte concentrazione dal 92 % al 97 % se i batteri rimangono in vita, i protozoi ed i piccoli vertebrati muoiono ed i semi non germinano. Taylor, Swingle e Lewis hanno osservato che le rane (Rana clamitans ) ed alcuni pesci (Lewistes reticulatus ) posti in acqua pe- - 138 - Sante al 92% morivano in 15 minuti, mentre in acqua pesante al 30% vivevano senza grandi difficoltà. Le Planarie ( Planaria maculata ) messe in acqua pesante a 92% erano disintegrate in tre ore, ma in acqua a 30 % vivevano tre giorni Il Lewis trattò le stesse planarie con acqua pesante al 90 % osservando che esse si immobilizzavano, ma dopo tre ore, riportate in acqua normale, vivevano. Anche i Protozoi (Paramecium caudatum ) morivano in acqua pe¬ sante a 92%; vivevano in acqua pesante a 30%. Secondo Harvey i parameci in acqua pesante muoiono in 24 ore se tenuti in acqua pesante al 92 %, mentre in acqua distillata vivono fino a 5 ore. In acqua pesante al 100% muoiono in 6 a 10 ore. Lewis ha somministrato ai topi, durante 3 ore, grammi 0,55 di acqua pesante alla concentrazione 87 % e grammi 0,28 di acqua pesante alla concentrazione 71 %, complessivamente gr. 0,60 di ac¬ qua pesante pura, il che corrisponde ad una quantità di 4-5 litri per uomo adulto. Durante 1' esperienza notò che i topi mostravano in confronto dei controlli grande irrequietezza e sete crescente, ma non osservò segni d’intossicazione. Hevesy e Hofer hanno osservato che soluzioni deboli di acqua pesante non arrecano danno ai comuni pesci rossi delle vasche. I giapponesi Terao, Arata e Yoshio hanno notato che le pulci d’acqua (Moina macrocopa Strauss) messe in acqua pesante alla concentrazione 100% muiono in 2 giorni. Secondo Harvey la Cipridina — un piccolo crostaceo lumi = noso attenua la sua luminosità nell'acqua pesante, come del resto fanno i batteri luminosi. Sugli animali revivescenti — Rotiferi e Tardigradi — si sono occupati in una serie di interessanti ricerche Plantefol e Cham- PETIER. I Rotiferi Philodina roseola Ehrbg. e Rotifer vulgaris Schr., retratti pel disseccamento, rimessi in acqua distillata riprendono la loro attività in circa 10 minuti, così pure in acqua pesante alla concentrazione del 18%; mai in quella da 57 a 98 % , in un tempo così breve. In acqua a 57 % il risveglio è avvenuto in un’ora e 15 minuti, in acqua pesante a 98 % dopo due ore. Inoltre la revivescenza è in dipendenza delle condizioni vitali 139 — degli animali. Cinque animali da lui stesso osservati tenuti a secco per tre giorni sono sopravvissuti 7, 7, 9, 9, 11, giorni nell'acqua pe¬ sante a 98 %. Altri le cui condizioni erano meno buone hanno dato risultati inferiori. Gli autori affermano che in acqua pesante al 18% i Rotiferi ripigliano un comportamento normale, il disco si estende e l'appa¬ rato rotatorio funziona, gli animali nuotano, si riproducono, le uova schiudono. In acqua pesante a 57 % le uova non schiudono; in acqua a 98 % restano contratti e non si riproducono. Questi risultati purtroppo non concordano con quelli di Harvey per il quale Philodina roseola morrebbe da 6 a 12 ore nell'acqua al 97 %, mentre per gli autori suddetti sono vissuti più giorni. I Rotiferi mostrano che l'acqua pesante lascia intatta l'organiz- zione del protoplasma. Animali imbevuti di acqua pesante e dissec¬ cati possono ripigliare a rivivere se messi in acqua normale. II Tardigrado Macrobiotus macronyx Duj. in acqua pesante a 18 e 57 % si risveglia circa 30 minuti dopo il rammollimento, come nell'acqua distillata. In acqua pesante al 98 % il risveglio avviene in un'ora e mezza. Non sono mancate ricerche su cellule ed organi degli animali. Dujarric de la Rivière ha trattato gli eritrociti del sangue dell'uomo con acqua pesante al 0,46%. Non si è avuto emolisi come per 1' acqua distillata. Parimenti si è comportato il sangue del montone. L'acqua fisiologica salata preparata con acqua pesante al 9 % possedeva di fronte ai globuli rossi le stesse proprietà dell'acqua fisiologica ordinaria. Iniettando nei conigli del peso di 3 kg. per vie intravenosa o intraperitoneale 5 cm.3 di acqua pesante questi la sopportavano, come pure una quantità maggiore di 10 cm.3 Sulle cellule seminali di Rana ha eseguito ricerche Rostand. Egli scioglieva il contenuto di un testicolo di Rana in 2 cm.3 di acqua pesante al 99 %, la sospensione seminale era tenuta alla t.a di 15° C. in un tubo ben chiuso. Di ora in ora prelevava una goccia per esaminarla al microscopio per provare il potere fecondante sulle uova di Rana tetn por aria e di Bufo vulgaris . Dopo dodici ore gli spermatozoidi tenuti in acqua pesante vivevano ancora, erano mobili ed atti a fecondare la grande maggioranza delle uova con le quali erano messi a contatto, 140 Dopo 22 ore gli spermatozoidi non erano nè mobili nè fe¬ condanti. In acqua distillata invece gli spermatozoi dopo 9 ore perde¬ vano il potere fecondante e nell’acqua di fonte dopo 24 ore erano mobili e capaci di fecondare ancora le uova. Le uova di Rana temporaria fecondate con spermatozoi tenuti in acqua pesante si sono sviluppati normalmente. Niente polisper- mia, niente ritardo di segmentazione, niente neirembriogenesi. Uova di Bufo fecondate con spermatozoi di Rana , trattate allo stesso modo, arrestano il loro sviluppo allo stadio di blastula, come avviene di regola nella ibridazione. Woglom, Wellem, Lawrence, Weber hanno dimostrato che l'acqua pesante al 0,5% non ha alcuna influenza sull'accrescimento del sarcoma e carcinoma dei ratti. L’aspetto del tumore nell'acqua pesante non mostra nessuna differenza con gli altri tessuti. Fischer ha studiato l' accrescimento dei tessuti in acqua pe¬ sante. Egli ha visto che l'acqua pesante alla concentrazione del 20-25 % non esercita alcuna azione inibitrice sui fibroblasti del cuore di pollo. L' influenza inibitrice incomincia dal 20-25 °/0 fino al 100 °/0 con finale soppressione di accrescimento. Nelle cellule carcinoma- tose dei topi l'accrescimento sparisce totalmente alla concentrazione del 50 °/0. Barnes, Cunliffe e Warren hanno studiata l'azione combinata dell'acqua pesante e della temperatura sul cuore delle testuggini. Essi hanno sostituito nel liquido di Ringer all' acqua comune l'acqua pesante ed hanno misurata la frequenza dei battiti del cuore isolato. L’arresto del cuore in acqua pesante avveniva più presto che in acqua comune. Inoltre Barnes ha studiato gli effetti dei sali marini disciolti nell’acqua pesante su di un crostaceo delle Bermude, la Ligia. Egli faceva evaporare 5 cm3 d'acqua di mare e poi, i sali ottenuti dal¬ l'evaporazione li scioglieva in acqua pesante a 99 °/0. Mentre le Ligia in acqua di mare comune a 38° C. morivano dopo 33 minuti, quelle tenute in acqua pesante a 38° C. morivano dopo 19 minuti. Erlenmeyer e Verzar hanno usata soluzione di Ringer con acqua pesante concentrata a 79,5 e 80 °/0 nello studio della contra¬ zione dei muscoli e del cuore di rana, osservando che le contra¬ zioni ed i movimenti sono abbastanza lenti. - 141 - In realtà facendo una disamina delle varie ricerche compiute *) e sono piuttosto numerose, si può notare che gli autori, in gran parte, si sono fermati su pochi gruppi animali e le ricerche sono state compiute usando acqua pesante a concentrazioni differenti, è vero, ma senza regolarità cioè o si sono usate concentrazioni molto alte o molto basse, senza seguire tutte quelle intermedie, necessarie, tante volte, per potere addivenire a conclusioni soddisfacenti. Ciò ha fatto sì che talvolta sugli stessi organismi si sono ot¬ tenuti risultati opposti. Così ad es. mentre per Harvey il Rotifero Philodina roseola morrebbe da 6 a 12 ore nell'acqua pesante a 97 %, secondo Plantefol e Champetier sarebbe vissuto sette giorni. E evidente che per ricerche che sono all’inizio non è sempre possibile dire una parola definitiva. La tecnica scientifica va sog¬ getta a continui perfezionamenti. D' altra parte l' altissimo costo dell’acqua pesante vieta di poterne usare in grande quantità, onde quel poco che si ha a disposizione ha permesso solo alcune espe¬ rienze parziali e di conseguenza non si è potuto fare una ricerca più estesa e comparativa e dire una parola se non definitiva per lo meno soddisfacente. Era necessario quindi ripigliare le esperienze ed impiantare tutta una serie di ricerche in modo organico, ordinato e passare a rassegna possibilmente il maggior numero di tipi animali, sopra¬ tutto quelli acquatici, onde poter studiare le loro possibilità di vita in questo nuovo ambiente. La scelta fu fatta da me sopra tipi animali varii viventi in ac¬ qua di mare o in acqua dolce. Ho scelto inizialmente animali che avevo precedentemente studiato e dei quali avevo una conoscenza adeguata delle loro possibilità di vita in laboratorio, e su di essi ho fatto agire l’acqua pesante nelle concentrazioni varianti da 99,6% al 25 %, facendoli non solo rimanere in quest'acqua a varie con¬ centrazioni per tutto il tempo in cui sono rimasti vivi, ma ripor¬ tandoli anche, se necessario, dopo un certo tempo, nella loro acqua naturale per osservare gli effetti dell'acqua pesante nella sua azione sia continua che temporanea. ’) Cfr. Zirpolo, G. - L’ acqua pesante in biologia. Riv. Fis. Mat. e Se. Nat., Voi. 11, n. 7 e 8, 1937 XV. In questo lavoro è passato sinteticamente in rassegna quanto era stato fino allora pubblicato sull'argomento ed a mia conoscenza, - 142 — Allo scopo poi di controllare Pandamento dell’azione dell’acqua pesante ed il suo funzionamento ho usata acqua distillata. Se l'ac¬ qua pesante è assolutamente abiotica si dovevano avere effetti evidenti in confronto dell’ac iua distillata, ciò sopratutto per gli animali lacustri, perchè negli animali marini gli effetti devono essere interpretati in diverso modo. Difatti questi tenuti in acqua distillata hanno sop¬ portato poco tali condizioni ambientali ciò che non si è verificato per quelli tenuti in acqua pesante. Così ad es. la Nausithoè panc¬ iata :, una discomedusa del Golfo di Napoli, mentre in acqua distil¬ lata presa alla concentrazione del 75 % (cioè acqua di mare 25 % e acqua distillata 75%) è morta dopo qualche ora, gli esemplari tenuti in acqua pesante al 99,6 % ed al 75 % sono vissuti tre giorni. Non è dunque l’acqua pesante abiotica in senso assoluto per questa spe¬ cie anzi si può pensare piuttosto che essa conservi la vita, quando gli esemplari tenuti in acqua di mare, dopo due giorni, sono morti, pur essendo in vasca più grande mentre quelli tenuti in acqua pesante a 99,6 e 75 %, in una quantità di acqua necessariamente limitata, sono vissuti. Io credo che la cosa si possa spiegare ove si pensi alla densità dell’acqua del mare e dell'acqua pesante. La densità dell'acqua di mare varia da 1,028 a 1 ,030 A) quando nell’acqua è sciolto dal 33 al 39,3 di sali per mille alla t.a di 17,5 C., mentre quella dell'acqua pesante è di 1,100. Si tratta di concentrazioni dovute l'una alla presenza dei sali, l’altra all'idrogeno pesante, ma 1' equilibrio osmotico, pur trattandosi di concentrazioni abbastanza lontane, si è potuto meglio ristabilire che non fra l'acqua distillata a densità 1.00 e l’acqua pesante a densato 1.100. Difatti gli animali messi in acqua pesante inizialmente restano paralizzati , poi inco¬ minciano a muoversi lentamente ed a ripigliare completamente le loro attività vitali, non appena si equilibrano i liquidi dell’ambiente interno ed esterno. Si può al binoculare osservare questa diffusione di liquidi in correnti visibili, specialmente se si fa uso di granuli di coloranti vitali come il bleu di metile o il rosso neutro. Le mie ricerche sono state estese ai protozoi sia d’acqua dolce che marina, ai celenterati d'acqua dolce e d'acqua marina, a mollu¬ schi d’acqua marina, a ostracodi d'acqua dolce, su nematelminti marini e d'acqua dolce, su anellidi, capitellidi, pteropodi, echino- dermi, chetognati, crostacei, su alcune piante, su batterli luminosi. h Joubin, L. - Cours d' Ocèano graphie biologique. Bull. Soc. Océanogr. de France. Anno 16, n. 89, p. 1537, 1936. — 143 — Non penso assolutamente che l'acqua pesante costituisca un ambiente in cui gli animali possano vivere a loro agio : questo evidentemente non è possibile per tante ragioni, ma riesce di grande interesse conoscere i limiti fisiologici per la vita di un organismo animale in un tale mezzo e d’ altra parte, trattandosi di un composto così eccezionale resperimento presenta delle inco¬ gnite verso le quali lo spirito del ricercatore è febbrilmente attratto, onde portare un contributo di chiarificazioni su di una indagine così affascinante. Non ho alcuna pretesa di dire cose eccezionali, ho però la speranza che queste ricerche portino un contributo utile alla co¬ noscenza di un problema di grande attualità e del quale si è ancora lontani per poter dire una parola definitiva. In note successive riferirò sui singoli tipi animali studiati. Napoli, Stazione Zoologica ed Istituto di Zoologia della R. Univ. di Napoli. Gennaio 1938 - XVI. Riassunto L’A. riassume quanto finora è conosciuto circa l’azione dell’acqua pesante sugli organismi animali. Da notizie di sue ricerche originali compiute su varii tipi animali e cioè: Celenterati, Molluschi, Echino- dermi, Vermi, Chetognati, Crostacei, Pteropodi nonché sui batteri luminosi e su alcune piante. L’A. non pensa che l’acqua pesante possa costituire un ambiente atto alla vita, ma considerata la percentuale dell’acqua negli organismi viventi è interessante lo studio degli effetti dell’acqua pesante sugli organismi. - 1 44 - BIBLIOGRAFIA 1937. Arbitrio F., Wolnoff I. — Il deuterio e l’acqua pesante. Riv. Fis. Mat. Se. Nat., Voi. XI, pag. 173, Napoli. 1935. Barbour H. G. — Effects op heavy water on mammalian meta- bolism. Proc. Soc. Exp. Biol. an Med., 32, 1365-69. 1937. Barbour H. G. — The basis op thè pharmacological action op heavy water in mammals.W&V Journ. Biol. and Med., Voi. 9, p. 551. 1933. Barnes T., C., and Larson E. J. — Further experiments on thè physiological effe et op heavy water and op ice water. Journ. Amer. Chem. Soc., 55, p. 5059-5060. 1937. Barnes T. C. and Warren J. — The combined effects op heavy water and temperature on thè heart-rate op thè turtle. Physiol. Zool., Bd. 10, p. 71. 1934. Barnes T. — The eppect op heavy water of low concentration on Euglena. Science N. Y. I, p. 370. 1934. Barnes T. — Alleged stimulation op moulds by parappin in heavy water. Nature. London II, 513-14. 1934. Barnes T., and Gaw, H. Z. — The Chemical basis por some biological eppect s of heavy water. Journ. Amer. Chem. Soc., 57, p. 590-91. 1936. Barnes T. C. — Epeviments on Ligia in Bermuda. IV. The eppeets op heavy water and temperature. Biol. Bull. Voi. 70, p. 109. 1938. Barnes T. C. — Idem. Effects op salts and heavy sea water. Biol. Bull., Voi. 74, p. 108. 1934. Biologie of heavy Water. Nature, p. 620, I. 1936. Brandt W., Reindell H. — Das Elektrokardiogramm des iso- lierten iìberlebenden Froschhersens unter dem Einfluss von leichtem und Schweren Wasser. Klin. Woschschr. Bd. 1, p. 260-65. 1934. Breusch F., Hofer E. — Ueber das Verhàltnis des Schweren Wassers Bum leichten im Or ganismum. Klin. Wochschr. II, 1815— 1816. 1935. Brun J. ad Tronstad L. — Some germination experiments with greas in heavy water. Norske Vidselsk. Forh., 7, p. 171-173. 1936. Caldwel M. L., Doebbeling S. E., Manian S. H. — A study op thè inpluence of heavy water upon thè activity and upon thè stabilily op parure atic amylase. Journ. Amer. Soc.Vol. 58, p. 84-87. 1935, Curry, James, Robertson, Pratt and Sam F., Trelease. — Does diluite heavy water inpluence biological processes. Science, N. Y. I, 275-77. — 145 — 1935. Duj'arric de la Rivjère R. et Roux E. — L’ean lourde a-t-elle une action sur les bactéries ? C. R. Ac. Se. Paris, T. 200, p. 984-85. 1936. Duj'arric de la Rivière R. et Roux E. — L’eau lourde a-t-elle une action sur les bacteries ? Ann. Inst. Pasteur, Tome 56, p. 10-16. 1935. Fox Denis L. — Concerning ensyme reactions in heavy water. Journ. Cellul. Comp. Phys., Voi. 6, p. 405-424. 1934. Hackh I. W. D. and Westling E. H. — A possible cause of old age. Science, 231. 1935. Hansen, Klaus, Erling Rustung und Iohan Hveding. — Un - tersuchungen ilber den gehalt medisinischer Mineralwasser an Schweren Wasser. Klin Woch., I, 684-85. 1935. Hansen, Klaus und Erling Rustung. — Uutersuchungen uber die bioio gischen Wirkungen von Schwerem Wasser bei warmblutigen Tieren. Klin. Wochr., Bd. 2, 1489-1493 e 1523-25. 1934. Harvey E. N. — Biological efjects oj heavy water. Biol. Bull., Voi. 66, 91-96. 1934. Hevesy G., Hofer E. — Diplogen and jish. Nature London, I, p. 495-96. 1934. Hevesy H. von und Hofer E. — Die Varweilseit des Wasser s im menschlichen Kórper , untersucht mit Halje von « Schwerem » Wasser indicator. Klin- Wochschr. II, 1524-26, 1934. 1935. Hevesy G. V., Hofer E. and. Krogh A. — The permeability oj thè skin of frogs to water as determined by Di O and H2 O Skand. Arch. Phys., Bd. 72, p. 199-214, Berlin. 1934. Lewis G. N. — The biology of heavy water. Science N. Y. I. p. 151-53. 1934. Mark H. — Das schwere Wasser. I. voi., pp. 32, 6 figg., Leipzig und Wien. Deutiche. 1934. Me. Dougatl E. J. Verzàr H. und Gaertner H. HeaVy water in thè animai body. Nature, London II, 1006-1007. 1935. Merkelbach O. — Die Infr&rot-Absovfition bis 2,8 des Chole- sterins, des Ergosterins und des schweren Wassers. Schweiz. Med. Wochschr., Bd. 2, 800-802. 1934. Rea Ch. E., Yuster S. — Effect oj deuterium oxide on rate sar¬ coma R. 39. Proc. Soc. exper. Biol. Med. 31, 1058-1060. 1935. Rostand J. Action de Teau lourde sur la semence de grenouille. C. R. Soc. Biol., T. 119, p. 31-32. 1934. Schon. M. — Die biologischen Wirkungen des schweren Wassers. Munch. Med. Wochenschr. II, 1277-79. 1934. Sugiura , Kanematsu and Chesley E. C. — Ejfect of heavy water on viability oj mouse sarcoma and rat carcinoma. Proc. Soc. Exp. Biol. and Med., 31, 1108-1111. — 146 — 1933. Taylor, Swing le, Eyring and Frost. — Heavy water in oigani- sme. Journ. Chem. Phys., voi. I, p. 751. 1934. Terao Arata and Voshiv Inoue. Efject of thè heavy water on thè population growth oj thè water-Jlea. Moina macrocopa Strauss. Proc. Imp. Acad. Tokyo, X, 513-514. 1934. Urey H. C. — Deuterium and its componends in relation to biology. Cold Spring Harbor Symposia on quantitative Biology, Voi. II, p. 47, New York. 1936. Verzàr F. und Haffter C. — Die Wirkung von « Schweren Wasser » ( Deuterium oxyd) auj isolierte Organo. Pflùgers Ardi., Bd. 236, p. 714-16. 1934. Woglom William H. and Lawrence A. Weber. — Heavy water and tumor growth. Journ. Amer. Med. Ass., 102, 1289-90. 1937. Zirpolo G. — L’acqua pesante in biologia. Riv. Fis. Matem. Se. Nat., Voi. IO , p. 372 e p. 406. 1938. Zirpolo G. — Ricerche sull’azione dell’acqua pesante sugli orga¬ nismi. Nota riassuntiva. Ibidem , Anno li, p. 252. Finito di stampare il 22 marzo 1938. II periodo sismico 1927-36 nell’Isola (fischia del socio Antonio Parascandola (Tornata del 23 aprile 1937) La soppressione ufficiale dell'Osservatorio Geofisico nell'Isola d'Ischia non permette più uno studio accurato della fenomenologia, in ispecie endogena, della regione. Inoltre il timore, da parte della popolazione, che i forestieri desertino l'isola, fa si che alcuni fatti vengano passati sotto silenzio e non portati a conoscenza degli studiosi. Affinchè di alcuni di questi fenomeni non se ne perda la trac¬ cia, ma ne resti memoria, e gli studiosi siano agevolati nelle loro ricerche, e poiché ciò è utile alla storia sismica e vulcanica del¬ l'Isola d'Ischia, io ho voluto scrivere la presente nota. Le registrazioni degli apparecchi sismici, in questi ultimi anni, sono state raccolte accuratamente dalla signorina Grablovitz, figliuola del compianto e valoroso sismologo ; essa cura diligentemente le osservazioni alla " Piccola Sentinella „ in Casamicciola, dove attual¬ mente, in forma privata e rudimentale, trovasi l'osservatorio del¬ l'isola d'Ischia. Le dette registrazioni sono inviate all'Ufficio Centrale di Geo¬ fisica in Roma. Io ho potuto raccogliere alcuni dati da persone degne di fede, le quali m'informarono a suo tempo, e con le quali ho avuto cor¬ rispondenza epistolare che documenta maggiormente i fatti. Fui in primo tempo avvertito dal Sig. Prof. Angelo Monti di Casamicciola di una insolita preoccupante manifestazione endogena iniziatasi, nel maggio 1927, con boati, i quali allarmarono la popo¬ lazione costringendola a dormire all'aperto. — 148 — Or non è molto, grazie alla cortesia del Prof. Cristoforo Mennella di Casamicciola, ho potuto avere dati più concreti. Anche egli mi conferma che gli abitanti, nel maggio 1927, furono impressionati e dormirono all'aperto per due notti. Quanti di Casamicciola a me riferirono di questa attività sismica me ne fecero narrazione con parole abbastanza vive, tutti concordemente lamentando la mancanza di un osservatorio locale “ pulsante Da informazioni desunte tali scosse non furono avvertite ad Ischia città ; e pare che, tranne a Barano, non siano state avvertite altrove. Ebbero quindi un tipico carattere locale. Cristoforo Mennella, in data 14-2-32, scrisse al Podestà di Casamicciola, richiamando la sua attenzione ed invocando la sua autorità per il ripristino del locale osservatorio ; in tale lettera egli si esprimeva : “ In presenza di manifestazioni microsismiche che da vari mesi perturbano il suolo di Casamicciola, con ritmo ed intensità crescenti, lo scrivente si permette richiamare l'attenzione della S. V. su quanto, a suo modesto avviso, può tornare utile e vantaggioso, nelle attuali contingenze, per lo studio razionale di detti fenomeni Da queste parole si rivela che ci fu un vero periodo di atti¬ vità abbastanza lungo. Per quanto a me consta, questa attività sismica deir isola d'ischia non è stata da nessuno citata ; nemmeno Cavasino ne fa parola (1). Il locale osservatorio in Casamicciola ha registrato regolarmente questa attività sismica nell'isola d'Ischia che durò dal maggio 1927 fino, per quello che mi consta, al marzo 1936. Il 1 e 2 maggio 1937 vi furono due scosse strumentali. Il 31 maggio 1927, a 5h 32m 50 vi fu una scossa nettamente locale, non avvertita però dalle persone. Nello stesso giorno alle 12h 46 m O vi fu un'altra scossa non avvertita, la quale venne registrata come tremito prolungato, della durata di 1 minuto primo circa. Il 29 giugno, tanto alle 20h 22m 47s che alle 21h 40 Os furono registrate due scosse, non avvertite però dalla popolazione. Il 13 gennaio 1929, alla 19h 54m 53s , vi fu una scossa av- (1) Cavasino A. — / Terremoti d' Italia nel trentacinquennio 1890-1935. Appendice al Voi. IV, ser. II, Memorie del R. Ufficio Centrale di Meteorologia, e Geofisica, Roma 1935. — 149 — vertita in località Maio, proveniente da W, a Km 9, e nello stesso mese, nei giorni 19 e 25, dalla stessa direzione, alla distanza rispet¬ tivamente di 9 e 10 Km, vi furono due scosse che diedero due registrazioni, la prima alle 23h 20m 35s , la seconda alle 3h 19m 50s . Il 5 Ottobre 1929, furono registrate quattro scosse alle 18 h 1 1 m 08 s , 20h 9m14s , 20h 10m 31s , 20h 13m 27s . Le quali furono quasi impercettibili, tranne quella delle 18 h llm08s la quale fu piutto¬ sto leggera ; tutte furono provenienti da W, a Km 8. Il 21 settembre 1930, alla 21h 23m23s s'ebbe una scossa netta¬ mente locale, ma assai lieve. Nel 1931 alle llh30m 43s del 19 giugno, vi fu una scossa leggerissima, avvertita però in località Rita, mentre il 20 dello stesso mese, alle 2h28m47s, ve ne fu un'altra preceduta da rombo. Con il 1932 si inizia un periodo di attività sismica abbastanza pronunciato. Il 7 febbraio, alle 14h 2m15s , s’ebbe una scossa relativamente forte, la quale però non fu avvertita dalle persone. Il 9 dello stesso mese, alle 7 h 44m 38s , vi fu una scossa locale, proveniente da Est. Il giorno 12 però, alle 22h 18m ós , si avvertì una forte scossa, di IV grado proveniente da est, la quale fu preceduta da rombo. Fu questa scossa ben avvertita dalle persone, le quali si riversarono all'aperto. A questo proposito è molto eloquente quanto mi comunica per iscritto il citato Mennella Cristoforo : " Quella scossa fu accompagnata da rombo e avvertita da quasi tutta la popolazione benché dormiente (si era in febbraio 1932). Io ero desto e all'impiedi, accanto al letto di mia madre, e avvertii distintamente la scossa ed il boato che per me (Via Marina) furono simultanei " La popolazione restò all'aperto per quella notte e per quasi tutta la successiva, aspettando la cosidetta replica ad ora fissa, ossia esattamente dopo le 24 ore . „ “ Ricordo benissimo che per l'apprensione, le scuole all'indo- mani furono deserte „. Queste parole bastano a rendere esattamente chiara l'entità del fenomeno. Altre persone autorevoli mi confermarono quanto ho esposto, come il Prof. Dott. Sac. Vincenzo Senese di Casamicciola ed altre ancora. Ho domandato a varie persone di varie località dell'Isola di — 150 — Ischia, se avessero avvertito la scossa di cui tratto ; ma fino ad ora ho potuto sapere solo che fu avvertita a Barano. In merito mi riferisce il Sig. geometra Francesco di Meglio che tanto lui quanto la sua Signora madre l’avvertirono, ma senza apprensione, perchè fu leggera, ed ebbero l’impressione che quella fosse una scossa proveniente da qualche terremoto lontano ; ma i detti Signori erano svegli. Ciò non toglie che in altre località decisola la scossa si sia del pari manifestata, ma non sia stata avvertita dalla popolazione dormiente. il giorno 8 marzo, alle 13h 30m 14s , vi fu una scossa, pre¬ ceduta da fortissimo boato, la quale fu sensibilmente avvertita in lo¬ calità Fango. Alle 14h 27m 20 , del 9 marzo vi fu un'altra scossa la quale fu preceduta da due boati. Per questa scossa debbo riferire quanto mi dice il Prof. Aniello Taliercio; trovavasi questi nell'aula scolastica, verso le ore 14 circa, a Forio, località Monterone, quando si avvertì un colpo secco come uno scoppio di mina che fece tremare il pavimento, talché sembrava che dovesse crollare, il Taliercio si appoggiò al banco mentre un suo collega, Di Lustro Francesco, che trovavasi a spie¬ gare alla lavagna, in seguito alla scossa fu rimbalzato di pochi passi contro il muro. Gli alunni rimasero sbalorditi nell’udire quel colpo secco che sembrava scoppio di mina. La località Monterone, dove questo fenomeno fu bene avver¬ tito, è ben dotata di manifestazioni di vulcanismo secondario , ac¬ que termali e fumarole. Il Taliercio, finita la lezione, nel far ri¬ torno a Barano incontrò il Sig. Mario Castaldi, lo interpellò, ed ebbe da questi conferma che alla stessa ora anche il Castaldi aveva avvertito lo stesso fenomeno. Nel pomeriggio il Taliercio apprese in Casamicciola dal Prof. Vincenzo Dì Meglio che alla stessa ora aveva avvertito an¬ che egli il fenomeno. Il 12 Marzo a Casamicciola 15h 2m Os , vi fu una scossa abbastanza sensibile all'apparecchio proveniente da W. Il 12 Giugno Oh 43m 4S , ve ne fu una, la quale fu preceduta di 30 s da un fortissimo boato, che fu avvertita quasi generalmente. Il 28 Giugno, a 22h 23m, 15s , vi fu una scossa, appena re¬ gistrata dagli apparecchi, accompagnata da rombo. Il 30 Settembre, a 6h 43m 58s proveniente da W, vi fu una scossa abbastanza ampia, ma che le persone non avvertirono. — 151 — Nel 1933 il giorno 4 Gennaio, alle 18h 24m 15s e alle 19h 27m e 9S , vi furono scosse, ma non avvertite dalla popolazione. Nel giorno 18 giugno , dalle lQh g™ 48* ane igh 40 vi furono 17 registrazioni, veri tremiti, tutte non avvertite; quan¬ tunque quella delle igh 15m 36s sia stata una delle più forti del l'ultimo decennio (1). Il 3 agosto a 23h 5gm 26s non fu avvertita una scossa che pur gli apparecchi abbastanza sensibilmente registrarono. Il 4 agosto un altro piccolo treno d'onde, (0h 36m 44s ; 0h 39 m 10 s ; 0h 39m 23s ; 4h 28m 10s ) fu registrato, con carattere locale, di cui le due ultime furono abbastanza forti. Il 24 aprile, 1934, a 16h 37m 50 e 16h 53m 4S , vi furono due registrazioni provenienti da W, non avvertite. Nello stesso giorno, a 17h 21m 38s , vi fu una scossa molto ampia preceduta da altre due lievi a 17h e 17h e 9m; seguirono scosse registrate a 17h 23m 55s , 17h 25m 59s , 17h 27m 10s , 17h 52m 45s , 18h 23 m 2s ; le quali tutte, pare non siano state av¬ vertite dalle persone. Nel 1935, in tutto l'anno, per quel che so, non vi fu nessun fenomeno sismico locale. Nel 1935, nel giorno 22 marzo, vi furono le seguenti registra¬ zioni : lh 2m 43s , lh 36m O lh 37m,7s , lh 38m 3s Nel pome¬ riggio si udirono rombi. Nel 1937, fino ad aprile nessun fenomeno sismico locale fu avvertito. Quindi il periodo sismico si iniziò nel 1927 con lievi scosse le quali andarono sempre crescendo d'intensità, culminando tra il 7 febbraio 1932 ed il 12 giugno dello stesso anno e decrescendo poi salvo un rincrudimento nel 18 giugno 1933. Voglio ora fare alcune osservazioni sull'attività endogena del- l'Isola d'Ischia. Mercalli (1) nella sua memoria in occasione del terremoto di Casamicciola del 1883 fece rilevare che l'attività delle fumarole di Montecito era molto maggiore in quel secolo che nel secolo XVII ; " che dal 1795 in poi la temperatura aumentò in coincidenza od a poca lontananza di grandi terremoti ischiani (del 1796, 1828 e 1883) „ (1) 19 h 9m 48 s; 19 h 10 m 30 s ; 19 h 15 m 36 s ; 19 h 29 m 58 s; 19h 30 m 46 s ; 19 h 33 m 31 s ; 19 h 33 m 57 s ; 19 h 36 m 58 s ; 19 h 37 rn 22 s; 19h 37 in 40 s. - 152 Dice ancora che " Iervis scrive di essere stato assicurato che quando accadde il terremoto disastroso del 2 febbraio 1828, fu visto una grande quantità di vapori uscire dalle fumarole di Mon- tecito, accompagnato da una specie di scoppio. Queste fumarole aumentarono di attività anche in occasione dei terremoti del 30 gennaio e 29 aprile 1863 e del 4 marzo 1881 „. Ancora il Mercalli dice (2): " Nel 13 luglio 1875, dopo una lunga e forte detonazione, si avvertì a Casamicciola una scossa, prima ondulatoria, poi sussultoria di 3" di durata „. " I Casamicciolesi fuggirono dalle case, ma non vi furono danni. La scossa si sentì leggermente anche negli altri paesi dell'Isola Quindi dal 1795 al 1883 i terremoti dell'Isola d'Ischia, aventi per epicentro la zona di Casamicciola, hanno mostrato un continuo crescendo dei loro caratteri. La strettissima area colpita nel 1796 è andata successivamente allargandosi nel 1828, 1881, e 1883. A spiegare ciò Palmieri pensava ad una aumentata profondità dell’ ipocentro, mentre il Mercalli riteneva un'aumentata attività del focolaio. In questo secondo caso, sarebbe aumentata l'attività del magma il quale arricchitosi in vapori, o comunque, pulsa contro le rocce in¬ cassanti, iniettando in queste apofisi filoniane o formando piccole laccoliti. Io farei ancora osservare che le acque minerali, come fa ri¬ levare Grablovitz, asportano una non lieve quantità di sali dall in- terno, per cui io penso che si produrrebbe un alleviamento delle masse rocciose sovraincombenti contro le quali reagirebbe il sot¬ tostante magma per diminuita pressione. Ma siccome l'asporto è graduale, così del pari dovrebbe essere anche graduale la reazione del magma. L’ipotesi, poi, invocata dal von Lasaulx e dal Grablovitz non sembra sufficiente a spiegare da sola la natura di taluni sismi ischia- ni, dovuti secondo questi studiosi a crolli per causa dei vuoti prodotti dall' asporto delle sostanze minerali operato dalle acque termali. E' quindi probabile che le acque nel loro percorso, asportando sali, formino carie in grande ; ovvero, che per zone relativamente (1) Mercalli G. — L1 2 Isola d' Ischia ed il terremoto del 28 luglio 1883. Meni. Ist. Loinb., pag. 109. (2) Op. cit., p. 117. 153 — estese la roccia diminuisca la sua compagine ed aumenti le solu¬ zioni di continuità. Ed allora per l’ aumentata attività cinetica il magma trovando una minore resistenza, pulsando contro le rocce incassanti o digerendole, avrà più facile via alle sue iniezioni, le quali mettendo in vibrazione le labbra e la volta delle fenditure provocheranno la scossa la quale si manifesterà in superficie con tutta una coorte di svariati fenomeni. Le numerose fratture del suolo, quindi verificatesi nei terre¬ moti ischiani, gli scoscendimenti, lo scappamento di vapore, i ru¬ mori a guisa di scoppio o di colpi di martello, ecc. stanno a dimostrare l'urto, il cedimento, la sfuggita di gas. In tutti i terremoti, dal 1796 ad oggi, l'epicentro è sempre Casamicciola. Bisogna osservare che il maggiore addensamento delle acque termali e delle fumarole è precisamente compreso tra la zona che da Casamicciola lungo i fianchi dell'Epomeo, da mare a monte e da monte a mare, va per Forio, Citara, Maronti, come se l’isola fosse quasi divisa in due parti delle quali la maggiore è più intensamente tormentata. Sembra quindi che l’attività dell’Isola d'Ischia siasi spostata verso il quarto quadrante dell'isola. Nel versante di mezzogiorno le manifestazioni termiche sono soltanto accentuate alla spiaggia di Maronti ch’è con Casamicciola nell'allineamento Sud Nord. Dall'esame della carta topografica e geologica dell'Isola d’Ischia si osserva che il versante meridionale dell’Isola, nelle zone di ma¬ teriale più facilmente erodibile, e quindi in ispecìe nella conca di Fontana, è fortemente denudato con formazione di un circoide che molto invita ad essere interpetrato come cratere, ma non lo è: come il Rittmann ha dimostrato (1). È un pendio di disfacimento con canaloni che lo solcano con sfocio ai Maronti. Sono i venti marini piovani che, venendo dal¬ l'ampio mare, incappucciano di nubi l'Epomeo e si risolvono in abbondanti acque diluviali le quali sul versante meridionale, come è ovvio, esercitano maggiormente la loro azione erosiva , la quale è più potente e largamente uniforme lì dove il materiale litologico è relativamente tenero ed omogeneo. Nè differentemente, benché con morfologia alquanto diversa, (1) Rittmann A. — Geologie der Insel "Ischia,,. Berlin, 1930 154 — si manifesta l'erosione nel versante settentrionale sovrastante a Ca« samicciola con il precipite Horst epomeico ; profondi valloni solcano le pendici, e franamenti si susseguono a terremoti ed alluvioni. In conclusione questo sgravio di materiali potrebbe, seconda le idee per altrove avute da qualche studioso (1), essere una delle cause concomitanti, se non la principale (chè parmi troppo spinta nel caso nostro, o talvolta dal sola, tale idea) delle manifestazioni eruttive di talune regioni. Bisogna ancora tener presente che le acque copiose che si versano sulla Isola d'Ischia, in ispecie tra la conca di Fontana ed il versante di Casamicciola, e che vengono assorbite ed avviate nelle sottostanti rocce, non poco contribuiscono alle manifestazioni delTatti vità superficiale del magma ischiano. Sotto forma di vapori, d'acque termo-freatiche, commiste con le termo-iuvenili, queste acque ritornano in superficie alterando, spappolando le roccie al contatto, solvendo, e talora però anche zaffando, contribuiscono a minare, lassandola, la compagine dei terreni sottoposti alla loro azione. Un suolo così marcito non re¬ sisterà molto anche al più piccolo martellamento proveniente dal- l'interno. Se i terremoti del 1881 e del 1883 furono, secondo alcuni, come avanti ho detto, causati esclusivamente dall’asporto del ma¬ teriale dall' interno dovuto alle acque termali, nessuno ci viete¬ rebbe concludere che per i terremoti del 1796 e 1828, vi sia stata la stessa causa. Ma come mai una causa così generale che investe l'isola intera e che non trovasi in nessuna connessione tettonica con la isola (fra l'altro così eterogeneamente impalcata), dal 1796 ad oggi fa sentire i più deleteri effetti nella zona di Casamicciola, irraggiandosi da questa sempre di più, e come una catapulta colpendo sempre la stessa volta ? Come potrebbe la cristallizzazione del magma, come unica causa, essere anch'essa la efficiente dei sismici ischiani, in ispecie di questi citati ? Le ragioni quindi addotte dal Mercalli, in tesi generale, possono benissimo essere accettate e sostenute ; con molta probabilità quindi (1) Rovereto G. - Trattato di Geomorfologia, Hoepli, Milano 1925 pagg. 697-98 Voi. II 155 — sono conati del magma, il quale, anche se mai verrà a luce , si inietta negli spacchi determinando vibrazioni, ovvero potranno essere rapidi svolgimenti di vapori incuneantisi e svolgentisi per luoghi di minore resistenza. Probabilmente la iniezione magmatica a contatto delle rocce incassanti si arricchirà delle acque di queste, le quali possono co¬ stituire così una testa di vapori i quali aggiunti ai gas del magma stesso, e da questo compressi, agiranno dinamicamente e chimi¬ camente (1). Noi dobbiamo, tener presente che l'isola d'Ischia è campo di numerose e svariate manifestazioni endogene che ci testimoniano l'attività sopita, ma non spenta, del sottostante focolare magmatico e che non occorre un nudo osservatorio, rigoroso registratore di scosse, ma un organismo pulsante che irraggi la sua attività per tutta l'isola, vigilando anche sul bradisismo, sulle sorgenti termali e sulle fumarole, sul clima, la radioattività, insomma su tutto que- complesso di manifestazioni geofisiche, sia per quello che riguarda il puro studio del fenomeno endogeno, sia per quello che riguarda le applicazioni terapeutiche. La necessità di un'osservatorio a Ca- samicciola nell'isola d' Ischia fu sentita solo dopo il disastro del 1883: anche questo ebbe segni indubbi precursori, ma era l'e¬ state, ed analogamente furono tacitati per non spaventare i villeg¬ gianti. La catastrofe del 28 luglio 1883 iniziò, come è noto, con l'attività sismica del 1880; il 24 luglio di tale anno si ebbero le prime scosse avvertite dal pubblico (2). Fenomeni preoccupanti venivano fatti rilevare successivamente da qualche studioso locale. Il 4 marzo 1881 si ebbe un terremoto che colpì il territorio di Casamicciola e parte di quello di Lacco Ameno e Forio. Il 18 Luglio dello stesso anno vi fu un'altra scossa violenta con boati, mentre non fuggivano continue alterazioni nella tempe¬ ratura delle sorgenti. Tra il 25 e il 26 luglio 1883 vi fu una scossa avvertita sola¬ mente da poche persone. Il 28 Luglio 1883 avvenne il fenomeno disastroso. (1) Mercalli G. — Op. ci t. , p. 117. (2) Frank A. Perret. — The ascent of lava. The american Journal of Science. Voi. XXXVI, December 1931, pag. 605. — 156 — Anche altri fenomeni si verificarono; alcune sorgenti diminuirono la quantità d’acqua e subirono un abbassamento di temperatura ; altre diminuirono la sola temperatura, altre ancora subirono note¬ vole aumento di temperatura ; oltre a ciò alcune fumarole aumen¬ tarono fortemente la loro attività. Alla spiaggia dei Maronti le acque termali nei giorni precedenti il 28 luglio di disseccarono. In conclusione, prima del terremoto si notò, nella temperatura delle acque e nella loro quantità, una diminuzione nella zona sud e sud-occidentale, mentre nella parte nord-occidentale si constatò un aumento di attività ; quasi come se il magma fluttuando in profondità fosse emigrato verso la parte nord-occidentale come una enorme onda di marea per catapultare la volta sovraincombentegli in que versante. Occorre notare che l’ultima frattura dell'isola d'Ischia, dalla quale venne a luce il magma fu quella ad oriente dell'isola ; lì donde fluì la colata dell'Arso del 1302 preceduta, come riferisce Mercalli (1), da una serie di terremoti che si succedettero l'un l'altro con spaventosa rapidità. Dopo tale eruzione la termicità rimase l'unica manifestazione dell'attività endogena dell'isola d'Ischia. Di manifestazioni sismiche non abbiamo notizie che dal 1762, dal quale anno esse, per intensità e numero frequentissime, cul¬ minarono nel disastro del 1883. Tutte queste scosse, come già detto, fecero sentire i loro de¬ leteri effetti sempre su Casamicciola. Appare evidente che rappre¬ sentano, dall'esame della loro fenomenologia, conati dal magma il quale cerca di aprirsi una via lungo una linea di minore resistenza forse preparata dal dissoluto terreno a causa della diminuita com¬ pagine dovuta alle acque mineralizzate fuoruscenti e trainanti in soluzione le sostanze minerali Dalla figura riportata dal Mercalli nel suo citato lavoro, e che io riporto (v. fig.) schematicamente completandola con quella del Baldacci (2) si nota che l’asse maggiore dell’ ellissoide della zona epicentrale è orientato da nord nord-ovest a sud sud-est ; lungo questo allineamento, dunque, e precisamente nel versante nordico, (1) Vulcani e fenomeni vulcanici in Italia . Milano 1883, p. 49. (2) Baldacci L. — Alcune osservazioni sul terremoto avvenuto nell' isola il 1883. Boll. R. Com. geol. Ital., ser. II, voi. IV, Roma, 1883, p. 157. 157 — il magma interno fa sentire la sua attività manifestantesi attraverso gli spiragli di vapori, le acque termali, i sismi. Carta sismica dell’ isola d' Ischia con le aree colpite nei terremoti del 1795, 1828, 1881, 1883, sec. Mercalli; e con le linee di frattura ABCD, sec. Baldacci. Il Baldacci riporta invece due direzioni di fratture incro- ciantesi nella zona epicentrale ; ma se la direzione della frattura CD concorda con quella del Mercalli, ed è più contamente con la probabilità, la AB invece sembra un poco arbitraria; il Baldacci Tha dedotta dalballineamento delle manifestazioni eruttive costiere. Ora, se mille anni distanziarono la eruzione del 1302 da quella avvenuta tra il 284 e il 287, appena 600 anni fino ad oggi sono trascorsi dalla eruzione del 1302; appena, poi, dal 1762 si è ini¬ ziato il nuovo periodo sismico chiusosi il 1883. E ciò è in perfetto accordo con il comportamento dei vulcani tipo flegreo nei quali le eruzioni sono a lungo periodo. Tutto ciò non autorizza a previsioni, ma ci rende manifesta¬ mente chiaro, come ad intervallo di tempo e di spazio siano da aspettarsi manifestazioni del genere, come quelle che tra il 284 e il 305 al 1883 a raggiera, partendo dall' allineamento della grande faglia tirrenica, si sono manifestati da Nord-Est, a Nord Nord- Ovest. — 158 - Questi piccoli avvertimenti della crosta della terra in un suolo come quello dell’isola d’Ischia non ci debbono lasciare indifferenti, poiché la storia della vulcanologia ci dà continui ammaestramenti che dovrebbero essere a noi di monito, a vigilare più attentamente sulle manifestazioni naturali che più da vicino riguardano la nostra persona. Ma l'uomo dimentica troppo presto non solo, ma si lascia molte volte trasportare dalla ingordigia, e procura poi danni per se e per i suoi discendenti. Difatti come ho riferito, ed è naturale, si è voluto tacitare questa attività alla quale ho accennata, per tema che il forestiero ne venisse impaurito. Lontano dal dire che questi sono i segni precursori di una eruzione! ma non si può sconvenire che sono manifestazioni del sottostante magma. Nel 1887 ci fu uno uno scambio di lettere fra il sindaco di Casa- micciola del tempo ed il Prof. De Rossi. Dopo il terremoto del 4 marzo 1881 il sindaco segnalava al De Rossi il boato del 18 luglio 1881, chiedendo un parere sulla eventualità di pericoli imminenti; la risposta fu imprudentemente rassicurante. Bisogna pur considerare che, purtroppo, per la natura vulca¬ nica dell'isola, i terremoti sono da aspettarsi ; ora se l’Isola d’Ischia fosse meglio studiata, se fossero disciplinate su vasta scala le os¬ servazioni con larghezza di mezzi e di vedute, gran prestigio ne verrebbe alla scienza e, ciò che è lo scopo precipuo, grande vantag¬ gio aH’umanità. Da quanto ho esposto emerge chiara la importanza che avrebbe il ripristino dell' Osservatorio geofisico nell' isola d' Ischia per lo studio della fenomenologia endogena ed esogena in tutti i loro complessi e molteplici aspetti. Io propongo perciò che la Società dei Naturalisti in Napoli, come già altre volte per consimili questioni, faccia voto perchè facendone rilevare alle superiori autorità l'importanza, venga ripri¬ stinato l'osservatorio nell’isola d’ Ischia, in piena efficienza, in ac¬ cordo con le moderne complesse vedute della geofisica. Istituto di Mineralogia della R. Università di Napoli aprile 1937 - xv. — 159 - Riassunto. L’A. in seguito al notevole periodo sismico verificatosi in Ischia negli anni 1926-36 fa notare quanto sia indispensabile un osserva¬ torio in quell’isola, per lo studio dei svariati e importanti fenomeni endogeni che vi si manifestano, non che per la previsione di eventi più o meno preoccupanti. Aggiunge sue osservazioni sulla natura dei terremoti ischiani. Finito di stampare il 10 giugno 1938. Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli Rendiconti deile Tornate ed Assemblee Generali. (PROCESSI VERBALI) PROCESSI VERBALI DELLE TORNATE ORDINARIE ED ASSEMBLEE GENERALI Assemblea generale del 20 gennaio 1937. Presidente : Carrelli. Segretario : Salfi. Soci presenti : Castaldi, Biondi, Romeo, Parascandola, Zirpolo. La tornata è aperta alle ore 18. Il Presidente constatata la mancanza del numero legale dei soci per poter procedere alla elezione del Presidente e del Vice-Presidente, toglie la seduta, rimandandola in seconda convocazione per il giorno 21 gennaio 1937. La seduta è tolta alle ore 18,30 dopo aver letto e approvato il presente verbale. Assemblea generale del 21 gennaio 1937. Presidente : Carrelli Segretario : Salfi. Soci presenti: Castaldi, Parascandola, Gargano C., Biondi, Zirpolo, Platania, Patroni, Romeo, De Lerma, Penta, Longo, Caroli, Pierantoni, Bakunin, Ippolito, Rodio, Maione, Covello. La seduta è aperta alle ore 18,30 in seconda convocazione. Il Segretario comunica il nuovo cambio : Pubblicazioni del Museo Entomologico Pietro Rossi. Il Presidente dà la parola al socio Felice Ippolito che fa una comunicazione : Segnalasene di un posso esistente nell’antica città di Pompei , e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il Presidente dà la parola al socio F. Penta che svolge una co¬ municazione dal titolo : Osservasioni sulla evolusione e dijferen- siasione del magma Somma - vesuviano secondo le vedute del Rittmann, e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Si procede alla elezione del Presidente e del Vice Presidente a norma dell’articolo 11 dello Statuto. IV Vengono eletti quale Presidente del seggio il socio Ernesto Caroli e Scrutatori i soci De Lerma e Rodio. Vengono eletti a Presidente il socio Antonio Carrelli e a Vice Presidente il socio Umberto Pierantoni. La seduta è tolta alle ore 19,30 dopo aver approvato il presente verbale. Assemblea generale straordinaria del 2 marzo 1937. Presidente jf ..* Pierantoni. Segretario: Salfi. Soci presenti : Zirpolo, Gargano, Fedele, Augusti, Ruggiero, Fa- rascandola, Platania e Castaldi. La seduta si apre alle ore 18.15. Il Presidente comunica che il Ministro dell’ E. N. ha approvato la nomina dei soci Carrelli e Pierantoni rispettivamente a Presidente ed a Vice - Presidente. Il socio Zirpolo legge un lavoro del socio Alfano dal titolo : Contributo allo studio delle vibrazioni dei fabbricati per cause eso¬ gene » , e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Gargano C. senior, legge un lavoro dal titolo : Mitosi del fegato da coccidiosi e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Fedele fa due comunicazioni : Nota sistematica sulle Scyphomedusae del gen. Phacellophora\ e Nota sistematica su specie rilevanti rapporti fra gli Infusori Hymenostomata e Astomata e ne chiede la pubblicazione del Bollettino. Il socio Zirpolo comunica una nota aggiuntiva ad un suo pre¬ cedente lavoro su Ofiuroidi anomali rari del golfo di Napoli, e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Sono eletti ad unanimità i soci D’ Erasmo Geremia e D’ Aquino Luigi, quali Revisori dei conti effettivi e Caroli Ernesto a supplente. La seduta è tolta alle ore 19,15. Assemblea generale e tornata ordinaria del 23 aprile 1937. Presidente : Carrelli. Segretario: Salfi. Soci presenti : Augusti, D’Erasmo, Zoleo, Zirpolo, Penta, Salvia Patroni, Castaldi, Maione, Platania, Ruggiero, Gargano, D’ Aquino, Rodio e Trotter. V La seduta è aperta alle ore 17,30 in seconda convocazione. Il Presidente comunica che ha nominato quali componenti del C D. il socio Salti a Segretario, Zirpolo a Redattore del Bollettino, Parascandola a Bibliotecario, De Lerma a Vice Segretario, e Palazzi ad Amministratore. Il Presidente legge il Bilancio consuntivo per l’anno 1936 e dà la parola al socio D’Erasmo, il quale, a nome dei Revisori dei conti, legge la relazione sul Bilancio consuntivo del 1936. Il Presidente mette ai voti l’approvazione del bilancio che è approvato. Il socio Salvi legge una comunicazione dal titolo : Ricerche sperimentali e considerazioni sull' attività della lipasi pancreatica e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Parascandola legge quattro comunicazioni dai seguenti titoli : a) - Osservazioni sull'eruzione del Monte Nuovo del 1938 ; b) - Sulla presenza di magnetite nelle sabbie della penisola Sor¬ rentina ; c ) - Il periodo sismico 1927-1936 nell' Isola d' Ischia ; d) - Attività post-vulcaniche nella zona occidentale di Napoli e ne chiede la pubblicazione del Bollettino. Il socio Salti comunica: Notizia di un adattamento ecologico della dona e di alcuni Ortotteri raccolti in Anatolia e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il Presidente ringrazia gli intervenuti e toglie la seduta alle ore 19, dopo essere stato letto ed approvato il presente verbale. Assemblea generale e tornata ordinaria del 20 dicembre 1937. Presidente : Cakrelli Segretario : Salfi. Soci presenti : Fedele, Gargano, Ippolito, Penta, De Lerma, Pa¬ rascandola, Mazzarelli Gustavo, Mazzarelli Giuseppe, Ranzi e Torelli. La seduta è aperta alle ore 18 in seconda convocazione. Il Presidente da la parola al socio Gargano che svolge la sua comunicazione : Azione delle radiazioni Rontgen e del radio sidlo sviluppo di blastomi maligni ; e ne chiede la pubblicazione nel Bol¬ lettino. Il socio Ranzi fa una comunicazione : Sulla deterninazione nel¬ l'embrione degli Echinodermi ; e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. La seduta è tolta alle ore 18,30. VI Assemblea Generale e tornata ordinaria del 7 febbraio 1938. Presidente : Carrelli. Segretario : Salfi. Soci presenti: Pierantoni, Zirpolo, Punzo, Moncharmont, Palombi* Romeo, Rosenthal, Della Ragione, Gargano, Parascandola, Rodio e Platania. La seduta è aperta alle ore 18 in seconda convocazione. Viene letto ed approvato il verbale della seduta precedente. 11 Presidente comunica che sono confermati per Tanno 1938 il socio Mario Salfi a Segretario, il socio Baldassarre De Lerma a Vice Segretario; ed il socio Giuseppe Zirpolo a Redattore del Bollettino. Comunica inoltre che il C. D. ha stabilito di concedere per Tanno 1938 12 pagine di stampa nel Bollettino a ciascun socio. Comunica ancora che sono stati nominati soci ordinari residenti i Dottori Della Ragione Gennaro, Moncharmont Ugo, Rosenthal Her¬ bert e a socio non residente il sig. Punzo Giorgio. Comunica che la commissione per l’aggiudicazione del premio Antonio e Paolo Della Valle è formata dal Presidente Carrelli dal Vice Peesidente Pierantoni e dal socio D’Erasmo. Circa i premi Cavolini De Mellis, lo stesso C. D. ha stabilito il bando di concorso come per il precedente anno e cioè : 3 premi di L. 1000 ciascuno, rispettivamente per studenti di Scienze Naturali del. 2° 3° e 4° anno, e ne ha dato comunicazione al Ministero dell’Edu¬ cazione Nazionale. Il Presidente dopo aver segnalato ai soci le pubblicazioni venute in omaggio, dà la parola al socio Zirpolo che fa una relazione sul tema : Ricerche sull’azione dell’acqua pesante sugli organismi ; comunicando numerose ricerche che egli va compiendo da tempo sull’argomento e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il Presidente ringrazia il socio Zirpolo della interessante comuni¬ cazione e scioglie la seduta alle ore 19, dopo aver approvato il pre¬ sente verbale seduta stante. CONSIGLIO DIRETTIVO PER L’ANNO 1938 Carrelli Antonio Pierantoxi Umberto Salfi Mario De Lerma Baldassarre Palazzi Eugenio Zirpolo Giuseppe [ Presidente Vice - Presidente Segretario Vice - Segretario ylmministratore Redattore del bollettino ELENCO DEI SOCI SOCI ORDINARII RESIDENTI 1. 6-4-902 2. 12-7-924 3. 4-12-37 4. 28-3-920 5. 8-6-924 6. 22-2-930 7. 5-3-922 8. 30-5-921 9. 6-4-902 10. 15-3-903 11. 17-11-918 12. 6-7-932 13. 25-1-934 14. 8-7-923 15. 28-12-932 16. 26-7-925 17. 16-12-923 18. 20-1-932 19. 20-10-937 20. 16-3-929 21. 14-6-930 22. 13-8-921 23. 25-5-919 24. 5-3-922 25. 26-7-925 Aguilar Eugenio -Vico Neve a Materdei 27 , Napoli . Andreotti Amedeo — Ist. Fìsica terr. R. Univ ., Napoli. Antonucci Achille — Via Cesare Rosaroll 98 , Napoli Arena Ferdinando — Piazza S. Ferdinando , Napoli Augusti Selim — Via Vetreria 12, Napoli. Aurino Salvatore — R. Osserv. Capodimonte , Napoli . Bakunin Maria — R. Politecnico , Napoli. Biondi Gennaro — Corso Garibaldi 109 , Portici. Bruno Alessandro — Rione Fenice a Ottoc. 32, Napoli Caroli Ernesto — Stazione Zoologica, Napoli. Carrelli Antonio — Istituto di Fisica R. Un., Napoli Casaburi Vittorio — Via Foria 76, Napoli. Castaldi Francesco — Aniello Falcone 260 , Napoli Colosi Giuseppe — Ist. Anat. Comp. R. Un., Napoli. Covello Mario — Corso Umberto I, 311 , Napoli. Cutolo Costantino — Tommaso Carovita 10, Napoli. D’Aquino Luigi — Piazza Lattila 23, Napoli. De Lerma Baldassarre — Istit. Zool. R. Un., Napoli. Della Ragione Gennaro — Rita Catalana 9. Napoli. D’Erasmo Geremia — Ist. Geologia R . Univ., Napoli. Dohrn Rinaldo — Stazione Zoologica, Napoli. Fedele Marco — Via Atri 23. Napoli. Fenizia Gennaro — Via Foria 184, Napoli. Fiore Maria— Corso Vitt. Emanuele 466 , Napoli. Foà Anna — R. Suola Sup. Agric., Portici. X 26. 11-1-885 27. 28-3-909 28. 1-12-932 29. 31-12-913 30. 25-5-919 31. 30-12-936 32. 31-12-913 33. 6-6-931 34. 11-5-936 35. 16-3-924 36. 4-2-923 37. 1-12-932 38. 9-6-933 39. 4-12-887 40. 28-10-937 41. 25-1-934 42. 4-2-922 43. 3-4-933 44. 21-8-921 45. 2-5-931 46. 28-12-930 47. 15-6-934 48. 18-3-900 49. 20-1-924* 50. 4-2-922 51. 14-6-930 52. 11-5-913 53. 2-6-925 54. 16-12-92 55. 16-12-92 56. 28-10-937 57. 16-3-929 58. 29-2-932 59. 29-6-919 60. 1-12-928 61. 29-4-923 62. 1-12-932 Forte Oreste — Parco Margherita 3 , Napoli. Gargano Claudio — Via S. Lucia 62 , Napoli. Gargano Claudio — Piazza A. Padovani 2, Napoli Giordani Francesco — Corso Umberto I, 34, Napoli Giordani Mario — Corso Umberto I, 34, Napoli. Ippolito Felice — Egiz. *a Pizzofalcone 41, Napoli. Iroso Isabella — Via Foria 118, Napoli. Longo Biagio — R. Orto Botanico, Napoli. Longo Luigi — R. Orto Botanico, Napoli. Maione Vincenzo — Via Torino 90, Napoli. Majo Ester — Ist. Fisica terrestre R. Univ., Napoli. Majo Ida — Ist. Fisica terrestre R. Univ., Napoli. Maranelli Carlo — Via Luca da Penne 1, Napoli. Mazzarelli Giuseppe — Ist. Zoologia R. Un., Messina. Moncharmont Ugo — Via A. Falcone 88. Napoli. Palazzi Eugenio — Viale delle Acacie - Vomero. Palombi Arturo - 5. Pasquale a Ghiaia 62, Napoli. Pannain Ernesto — Via E. De Marinis 11, Napoli . Parascandola Antonio — Ist. Minerai. R. Un., Napoli. Parenzan Pietro — Via Nuova Bagnoli 78, Napoli. Patroni Carlo — Via Mariano Semmola 45, Napoli Penta Francesco — Politecnico , Napoli. Pierantoni Umberto - Galleria Umberto I, 27 , Napoli Platania Giovanni — Salita Stella 10, Napoli. Pozzi Olimpio — Mergellina 2, Napoli. Quercigh Emanuele — Ist. Minerai. R. Un., Napoli. Quintieri Quinto — Via Amedeo 18, Napoli. Ranzi Silvio — Stazione Zoologica, Napoli. Riccio Raffaele — Via Depretis 114, Napoli Rodio Gaetano — R. Orto Botanico, Napoli. Rosenthal Herbert — Istituto Zoologico, Napoli. Ruggiero Placido — Via L. Morsicano a Materdei 4. Ruggiero Lelia — Via L. Morsicano a Materdei 4. Salfi Mario — Via Mezzocannone 53, Napoli. Salvi Pasquale — Via Luigi Palmieri 14, Napoli. Torelli Beatrice — Stazione Zoologica, Napoli. Trotter Alessandro — R. Istituto Sup. Agr., Portici XI 63. 25-5-890 64. 2-6-925 65. 28-11-912 66. 30-3-936 1. 17-4-913 2. 28-4-919 3. 30-11-924 4. 31-12-916 5. 1 -6-902 6. 1-1-38 7. 16-3-929 8. 14-3-931 9. 6-2-903 10. 20-11-929 11. 31-12-929 12. 22-2-930 13. 22-3-925 14. 2-6-925 15. 1-6-913 16. 1-4-919 17. 21-11-931 18. 1-1-938 19. 31-12-929 20. 31-12-891 21. • 28-10-37 22. 28-7-929 23. 4-2-923 24. 9-6-933 25. 29-4-932 2t>. 5-3-922 27. 6-3-924 1. I 12-7-918 Viglino Teresio — Piazza Dante 41 , Napoli. Volpicelli Mario — Viale Eletta 23, Napoli. Zirpolo Giuseppe — Via Duomo 50 , Napoli. Zoleo Amedeo — Vico Vigne Reclusorio , 77, Napoli SOCI ORDINARI NON RESIDENTI Alfano G. B. — Piazz. Cangi a Materdei 7 , Napoli Califano Luigi — Stazione Zoologica , Napoli. Candura Giuseppe -R. Oss. Fitopatologico, Bolzano . Celentano Vincenzo — Via Veterinaria 7, Napoli. Cerruti Attilio — Via Peripato, Taranto. Costantino Giorgio — Via P. Vasta 159, Acireale. D’Ancona Umberto — Ist. Zoologia R. Univ., Pisa . Eller-Veinicher Isabella Conti — Via dei Mille 16. Foà Jone — Corso Marr acino 154 , Chieti. Gambetta Laura — Corso Galileo Ferraris 138 , Torino . Guadagno Giuseppe — Via Foria 193, Napoli. Guidone Giuseppe — Via L. Giordano 6, Vomero. Imbò Giuseppe — R. Osserv. Vesuviano, Resina. Jucci Carlo — Ist. Zoologia R. Univ., Pavia. Magliano Rosario — R. Ist. Magistrale, Lagonegro . Mazzarelli Gustavo — Ist. Geofts.R. Univ., Messina. Montalenti Giuseppe — Ist. Zoolog. R. Un., Bologna Musmarra Alfio — Via P. Vasta 66. Acireale. Pasquini Pasquale -Ist.Zool. Anat. R. Un., Bologna Piccoli Raffaele - Via Andrea Vaccaro 31, Vomero. Punzo Giorgio — Villa S. Luigi Posillipo-Napoli . Romeo Antonino — R. Scuola Sup. Agric., Portici. Signore Francesco — Via Tasso 199. Napoli. Sorrentino Stefano — G. Parini 8. Milano. Trezza Ugo — Via Tarsia 56, Napoli. Valerio Rosaria — Sala di Caserta. Viggiani Gioacchino — Potenza. SOCI ADERENTI Cutolo Claudia — Villa Claudia, Vomero, Napoli. Elenco dei cambi Acireale Aosta Bologna Bellinzona Brescia Cagliari Cagliari Catania Città del Vaticano Duino Ferrara Firenze Genova EUROPA Italia — Memoria della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti degli Zelanti. — Rendiconti id. id. — Bollettino della R. Stazione Sperimentale di agru¬ micoltura e frutticoltura. — Société de la Flore Valdòtaine. — Rendiconti della R. Accademia delle Scienze. — Società Ticinese di Scienze Naturali. — Bollettino del Laboratorio di Entomologia R. Isti¬ tuto Superiore Agrario. — Commentari dell’Ateneo. — Società dei cultori delle Scienze Mediche e Natu' rali. — Scritti Biologici raccolti dal Prof. Luigi Castaldi. — Accademia Gioenia di Scienze Naturali. — Atti dell’Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei. — Memorie id. id. — Museo Entomologico « Pietro Rossi ». — Accademia di Scienze Mediche e Naturali. — Archivio per l’Antropologia e l’Etnologia. — Nuovo Giornale Botanico Italiano. — Regia Stazione di Entomologia Agraria. — L’Universo. Istituto Geografico Militare. — Società Entomologica Italiana. — Memorie id. id. — Atti della Società di Scienze e Lettere. — Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia com¬ parata della R. Università. — Museo Civico di Storia Naturale « Giacomo Doria » Annali. XIII Milano Modena Napoli Padova Pavia Perugia Pisa Portici Postumia Roma Rovereto Salò Sassari Scafati — Atti della Società Italiana di Scienze Naturali e Museo Civico di Storia Naturale. — Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. — Atti della Società dei Naturalisti e Matematici. — Sezione Autonoma del Genio Civile. Ministero Lavori Pubblici. — Bollettino Orto Botanico. — Rendiconti della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche. — Annuario del Museo Zoologico della R. Università di Napoli. — Pubblicazioni della Stazione Zoologica. — Archivio Zoologico Italiano. — Bollettino di Zoologia. — Rivista di Fisica, Matematica e Scienze Naturali. — Atti della Accademia scientifica veneto-trentino- istriana. — Atti dell’Istituto Botanico Giovanni Briosi. — Annali della Facoltà di Medicina e Memoria della Accademia Medico-chirurgica. — Atti della Società Toscana di Scienze Naturali. — Processi verbali. — Annali della R. Scuola Superiore di Agricoltura. — Bollettino del Laboratorio di Zoologia generale e Agraria. — Le Grotte d’Italia. — Bollettino della R. Accademia Medica. — Atti della Società Italiana per il progresso delle scienze. — Bollettino dell’Istituto del R. Ufficio Geologico Italiano. — Rivista di Biologia Coloniale. — Istituto Internazionale di Agricoltura. — R. Società Geografica Italiana. — Consiglio Nazionale delle ricerche. — Reale Accademia dei Lincei. — La conquista della terra. — Atti dell’Accademia degli Agiati. — Memorie dell’Ateneo. — Studi' sassaresi. — Bollettino techico della coltivazione dei tabacchi. XIV Torino — Atti della R. Accademia delle Scienze. — Rivista del Club Alpino Italiano. — Urania. Trento Trieste — Studi trentini di Scienze Naturali. — Bollettino della Società Adriatica di Scienze Na¬ turali. Venezia Verona — Ateneo Veneto. — Atti e Memorie dell’ Accademia di Agricoltura, Scienze, Lettere, Arti e Commercio. Bruxelles Louvain Belgio — Société Royale Zoologique. — Travaux biologiques de l’institut J. B. Carnoy. Ceco - Slovacchia Bruno Prague — Verhandl. des Naturforsch. Vereins. — Casopis Ceskoslovenske spolecnesti entomologi- cké (Acta societatis entomologicae Cechoslo- veniae). — Bulletin international. Classe des Sciences mathé- matiques, Naturelles et de la Médicine. — Rozpravy ceske akademie ved a umenf. — Societé Royale des Sciences de Bohème ( Memoires ) — Akademie Masaryk du Travail. — « Lotos » Naturwissenschaftliche Zeitschrift. Finlandia Helsingforsiae — Memoranda Societatis prò Fauna et Flora fennica. — Acta Botanica fennica. Helsinki — Societas prò Fauna et Flora fennica. — Societas Zoolog. - Botanica fennica Vanamo. Francia Cherbourg — Société nationale des Sciences Naturelles et Ma- Nancy thématiques (. Memoires ). — Société des Sciences et Réunion biologique (. Bul¬ letin des Séances). Nantes — Société des Sciences Naturelles de l’Ouest de la France (. Bulletin ). XV Nice Paris — Riviera Scientifique. — Mus^um d’Histoire Naturelle ( Bulletta ). — L’ Astronomie. — Société d’Océanographie de France. — Bulletin de la Société Zoologique de France. Germania Graz — Mitteilungen des Naturwissenschaftlichen Vereins fùr Steiermark. Wien — Verh. der K.-K. Zool. - bot. Gesellschaft. — Annalen des Naturhistorischen Fiofmuseum. Roetock — Archiv des Vereins der Freunde der Naturgeschi- Bonn chte in Mecklenburg. — Naturshistorisches Verein der preussischen Rhein- lande. Berlin — Verhandlungen des Botanisches Vereins der Pro- venz Brandeburg. — Sitz. der Gesellsch. Naturforsch. Freunde. Giessen — Bericht der Oberhessischen Gesellschaft fiirNatur- und Heilkunde. Frankfurt a M. Halle a. S. — Senckenbergiana. — Kaiserlich Deutsche Academie der Naturfoscher. Hamburg (Leopoldina). — Verhandlungen des naturwissenschaftlichen Vereins. — Abhandlungen aus dem Gebiete der Naturwissen- schaften. Inghilterra Cambridge — Philosophical Society ( Proceedings , Transactions) — Biological Review. London — Royal Society (. Proceedings , Reports of thè Slee > ping Sickness Commission). Plymouth — Marine Biological Association of thè United King* dom {Journal). Lettonia. Riga — Acta Orti Botanici Universitatis Latviensis. XVI Lituania Kaunas — Mémoires de la faculté des Sciences de l’Univer- — sité de Lithuanie. Norvegia Tromsòe — Tromsòen Museum. Olanda Amsterdam — Academie Royale ( Mémoires ). Polonia Warszaw — Acta Societatis Botanicorum Poloniae. — Annales Musei Zoologici Polonici. — Fragmenta faunistica Musei Zoologici Polonici. Portogallo Lisbona — Bulletin de la Société Portugaise des Sciences Naturelles. Coimbra — Memorias e estudios do Museo Zoologico. — Socedad Broteriana ( Boletin ). Russia Moscou — Bulletin de la Société des Naturalistes. Spagna Cartuja — Boletin mensuel de la Estanción Sismologica. Svezia Upsala — Geological Institution of thè University of Upsala. — K. Vet. Akadems-Bibliothek (Arkiv fòr Botanik, L und Arkiv fòr Zoologi). — K. Universitets-Biblioteket. — XVII — ASIA Tokyo Giappone — Annotationes Zoologicae japonenses. — Japanese Journal of Zoology ( Transactions and Abstracts). Kyoto — Memoires of thè college of Science. Kyoto impe¬ riai University Series A and Series B. Lima AMERICA Perù — Boletin de la Sociedad Geologica. Stati Uniti Berkeley — University of California ( Pnblications in Zoology , Entomologi Bulletin). Boston Brooklyn Chaphell Hill Cincinnati Minneapolis Urbana — Society of Naturai History ( Proceedings ). — Cold Spring Harbor Monographs. — Elisha Mitchell scientific Society {Journal). — Bull, of thè Lloyd Library of Botany etc. — The University of Minnesota. — Illinois biological monographs. — Bull, of thè State Laboratory of Nat. Hist. Chicago — Academy of Sciences {Bulletin. Annual Report). — Field Museum of Naturai History {Department Madison of Botany). — Wisconsin Academy of Sciences, Arts and Lettres {Transactions). — Wisconsin Geological and Naturai History Survey {Bulletin) Missoula — Bulletin of thè University of Montana {Biological Series). New York Notre Dame Indiana Philadelphia — Botanical Garden {Bulletin). — The American Midland Natur. — Academy of Naturai Sciences {Proceedings Year Book). XVIII Pullman, Washington Saint Loui* — Research Studies of shington. — Academy of Science thè State College of Wa- Transactions ) . — Missouri Botanical Garden (Animai report). Springfiel Massachussets Museum of Naturai History. New-Orleans — Louisiana State Museum. Tufts College (Massachussets). — Studies. Washington Washington Woods Mole, Mass. New Haven, Conn. — United States Geological Survey ( Annual report). — U. S. Department of Agriculture. — Division of Ornithology and Mammalogy ( Bulletin North American Fauna), — Smithsonian Institution ( Annual report). — U. S. National Museum (Bulletin). — U. S. Department of Agriculture ( Yearbook ). — U. S. Department of Agriculture. — Bureau of Animai Industry (Annual report). — Carnegie Institution of Washington ( Publications ). — The Rockfeller Sanitary Commission for thè Era- dication of Hookworm Desease. — United States Bureau of Fischeries. — Bulletin of thè marine biological laboratory. — Tropical Woods. Uruguay Montevideo — Museo de Historia Naturai (Ànales). Per quanto concerne la parte scientifica ed amministrativa dirigersi al REDATTORE DEL BOLLETTINO Prof. Giuseppe Zirpolo presso la Sede della Società Via Mezzocannone - R. Università - Napoli. Direttore responsabile : CLAUDIO GARGANO. Boll. Soc. Natur. in Napoli. - Voi. XLIX. Tav. av. 1. — (semischematica) Substrato proteico -J- veleno. Substrato proteico (controllo). Veleno (controllo). , - wP- team. m 11 ■ ■ ffifj iV;ir : Ul, H mÌ|:\ M IBI?, & WWl . Mmmx. mSiFisMl' li'! <: mm mi Mrnm iÉf;« ìmmmk Pi %mk Hp mfi m !>l? : Un ìm ■■. wMwm ISf NAPOLI VOLUME L. - 1938-39 xvii-xvm. (Con 1 tavola) (Pubblicato il 10 gennaio 1940 ~ xvm). pfVlmlP M é jun ? mim ^§8^ V^: ÌSmSSSmm NÀPOLI STABILIMENTO TIPOGRAFICO N* JOVENE VIA DONNALBINA, 14 1940 INDICE (memorie, note e comunicazioni) Pier Antoni U. ~ Azione delle luci visibili di bassa intensità sullo sviluppo di Aedes (Stegomya) fasciatus Fabricius . pag. 3 Ruggiero P. — Energia geotermica nei Campi Flegrei ed in par¬ ticolare nell'ìsola dTschia . . . . . » . „ >13 Ippolito F. -- Su di un materiale " Zeolitico u Italiano . . „ 17 Penta F. ** Sulla natura delle rocce granitoidì calabresi. . . „ 21 f Gargano C. — Sarcoma mielogeno della tibia. Possibile meta¬ stasi di cellule a tipo mieloplassico ...... 23 Zirpolo G. — Azione dell'acqua pesante sugli organismi. - 5. Ri¬ cerche sull'Anellide policheto Nereis dumerilii . . „ 33 Zirpolo G. — Azione dell'acqua pesante sngli organismi. - 6. Ri¬ cerche su Capiiella capitata . . . . . . „ 41 Ruggiero P. — Cisterne e piccoli serbatoi per acqua piovana, Ia appendice. Isole Partenopee . u 49 Ruggiero P. — Cisterne e piccoli serbatoi per acqua piovana. IIa appendice. Dimensionamento di massima sicurezza. . „ 59 Penta F. — L'attività svolta dal Centro Studi delle risorse natu¬ rali dell'Italia meridionale . „ 75 Zirpolo G. — Nuovo caso di associazione di idroidi e pesci con revisione critica dei casi già noti . . . . . „ 127 Iovene F. — Studio termico sull'Isola dTschia . . . : „ 141 Palombi A. — Studii sugli Idroidi. - 1. L'azione delle radiazioni luminose ....... M 149 Maranelli A. -- I Giacimenti Bauxitici del Sannio . . . M 183 Maione V. — Accertamento d'una frode nel commercio delle uova. „ 195 Maione V. — Un mezzo escogitato per sfuggire al calmiere nel commercio del caffè torrefatto . . . „ 199 RENDICONTI DELLE TORNATE PROCESSI VERBALI }• ir* iti Ìì hi v "i ^ f i V’ * i' ^ ^ ;4r> ^ Processi verbali delie Tornate 1938-39 . , , . pag. III Consiglio Direttivo per l'anno 1939 . . . . „ IX Elenco dei Soci XI Ftalico delle pubblicazioni pervenute in ; càmbio . . . . „ XV Elenco delle pubblicazioni pervenute in dono „ XXIII BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI Ente Morale R. D. 14 luglio 1914, N. 774 BOLLETTINO BELLA SOCIETÀ BEI NATURALISTI IIV NAPOLI VOLUME L. - 1938-39 xvh-xviii. (Con 1 favola) (Pubblicato il 10 gennaio 1940 - xvm). NAPOLI STABILIMENTO TIPOGRAFICO N. JOYENE VIA D0NNALBINA, 14 1940 Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli AT T I (MEMORIE E NOTE) Prof. Umberto Pierantoni Azione delle luci visibili di bassa intensità sullo svilupp o di Aedes ( Stegomyo J fasc/citus Fabricius. (Tornata del 19 dicembre 1938). In un precedente lavoro (1) ho esposto i risultati ottenuti con l'esposizione prolungata, e cioè durante tutto lo sviluppo, di uova, embrioni e larve di Rana alle luci visibili corrispondenti alle dif¬ ferenti regioni dello spettro. In tale lavoro ho esposto le condi¬ zioni precise nelle quali io vado compiendo queste esperienze a mezzo di un apparecchio da me ideato che verifica ambienti uni¬ formi per ogni altra condizione, ma differenti per la qualità della luce blanda che si determina nei varii compartimenti. Ho esposto anche i dati fotometrici sufficienti per realizzare uguali condizioni per chi volesse controllare i risultati o condurre nelle medesime condizioni nuovi esperimenti. Le presenti nuove osservazioni sullo sviluppo di Aedes fascia - tus furono condotte durante la scorsa estate-autunno servendomi del medesimo dispositivo. Rimando quindi a quel lavoro chi vo¬ lesse esatta notizia sulle condizioni in cui si compirono le espe¬ rienze i cui risultati sono qui esposti. (1) Influenza delle luci visibili di bassa intensità sullo sviluppo, di Rana esculenta. Arch. Zool. Ital., voi. XXVII, 1939. — 4 — Aedes fasciatus è un dittero culicide (zanzara) molto comune nelle nostre regioni. Per le sue abitudini diurne ho ritenuto che dovesse essere molto sensibile ai mutamenti delle condizioni di luminosità deirambiente e che costituisse quindi un materiale a- datto per le esperienze che da qualche tempo vo conducendo sul¬ l'azione delle luci visibili sullo sviluppo degli animali. La mia aspettativa non è stata delusa. Questo culicide depone le uova isolatamente. Avrei voluto procurarmi delle uova assolutamente coetanee per poterle porre nei varii compartimenti colorati dell'apparecchio, ma la suddetta ma¬ niera di deposizione rende assai difficile la scelta di un gran nu¬ mero di uova assolutamente coetanee, dato che queste sono de¬ poste in tempi successivi dallo stesso individuo. Ho trovato per¬ tanto più opportuno di iniziare le esperienze invece che dalle uova, da larve di piccole dimensioni e di identica grandezza. La rapidità di sviluppo di queste larve nella stagione estiva dà pieno affida¬ mento che le larve prelevate siano coetanee, quando sono sorte nello stesso ambiente e sono esattamente uguali in lunghezza e grossezza. Lotti di larve così scelte ponevo in vaschette nei varii com¬ partimenti dell’apparecchio a caselle illuminate colle varie luci, ag¬ giungendo eguali somministrazioni di nutrimento e cercando che questo fosse sempre abbondante ed in buone condizioni (batterii e protozoi specialmente). I lotti di larve erano di numero non rilevante : non oltre 20. Ho potuto assodare che l’affollamento fa perdere facilmente la traccia deH’andamento delle esperienze, determinando spesso con¬ dizioni nuove di ambiente a causa specialmente di eventuali spo¬ polamenti che possono intervenire durante le osservazioni. Più efficaci sono invece le osservazioni su piccoli lotti, più volte ri¬ petute. Con tale metodo si possono ricavare percentuali più sicure e si evitano completamente i disturbi, restando le larve sempre in buone condizioni di sviluppo. L'esperienza aveva inizio da gruppi di larve che per i dati di sviluppo e di dimensioni poteva arguirsi che avessero 8 giorni d'età. Esse erano lunghe 5 mm. in media distensione. Ecco i risultati delle esperienze ed osservazioni compiute. o Luce rossa (campo dello spettro compreso fra 7000 e 0150 A). L'inizio della trasformazione delle larve in ninfe si aveva due — 5 giorni e mezzo dopo l'inizio dell'esperienza e cioè quando le larve si poteva supporre che avessero 10,5 giorni d’età (v. diagramma e tabella annessi). La schiusa delle ninfe alla metà del 10° giorno avveniva nella misura dell' 11% delle larve messe in esperimento e procedeva via via nei giorni successivi. La prima schiusa di im¬ magini dalle ninfe avveniva a compimento del 12° giorno, in un 23% del numero totate delle ninfe, e continuava via via nei giorni successivi con ritmo piuttosto lento, perchè la totalità delle larve passava allo stato d'insetto perfetto in altri sette giorni e cioè dal 12° al 10° giorno. Tutte le ninfe si trasformavano. o Luce gialla (campo dello spettro compreso fra 6200 e 5700 A), comprensiva dell’arancione e del giallo. L’inizio della trasforma¬ zione delle larve in ninfe si aveva all' 1 1° giorno di età, e cioè tre giorni dopo l’inizio dell'esperienza. La schiusa delle ninfe dalle larve avveniva a questo termine nel 10% delle larve sperimentate, continuando rapidamente nei giorni successivi. Le prime schiuse di immagini dalle ninfe avvenivano verso il compimento del 13° giorno di età e cioè cinque giorni dopo l’inizio dell’esperienza in una percentuale del 20 % del totale delle ninfe e continuava via via nei giorni successivi con un ritmo lento quasi come quello della stessa fase di sviluppo nella luce rossa e cioè fra il 13° e il 19° giorno. Un giorno quindi di ritardo sull’apparire delle ninfe veniva riguadagnato nella rapidità di sviluppo degli adulti : quindi nello stesso 19° giorno si aveva il 100% di adulti. Luce verde (campo dello spettro fra 5675 e 5100 A). L’effetto di questa luce, più volte sperimentato, si è sempre dimostrato as¬ sai sfavorevole per lo sviluppo delle larve; tanto che non mi è mai riuscito di ottenere adulti dalle larve esposte a questa luce. Una sola volta mi riuscì di ottenere il passaggio da larva a ninfa in un solo individuo e da una larva poco accresciuta, e questa non si sviluppò, morendo allo stato di ninfa. Tutti gli esemplari mori¬ vano non oltre i 18 giorni di età. Per quanto questa luce appa¬ risse poco favorevole alla produzione naturale del nutrimento nel¬ l'ambiente acqueo (riproduzione di batteri e protozoi), fu constatato che esso non mancò mai durante la vita delle larve. Non saprei quindi attribuire ad altro, che ai raggi luminosi la difficoltà di vita di queste e di qualche ninfa prodottasi. — 6 - Luce azzurra (campo dello spettro compreso fra le lunghezze d'onda di 5050 e 4550 A). L'inizio della trasformazione delle larve in ninfe si aveva verso il 13° giorno d'età e cioè cinque giorni dopo l' inizio dell'esperienza. La schiusa delle ninfe avveniva nell'8% delle larve messe in esperimento. Le prime schiuse di im¬ magini si avevano al 16° giorno d’età nella proporzione del 28 % e continuava nei giorni successivi con ritmo più lento di quanto non avvenisse negli altri colori, tanto che solo il 21° giorno si raggiungeva il 100% di adulti. In generale anche qui, come nel caso delle rane, la luce az- zura si è mostrata fra le meno favorevoli nell'acceleramento delle fasi di sviluppo. Luce indaco -violetta (Campo dello spettro compreso fra le o lunghezze d’onda di 4550 e 4000 A). L’inizio della trasformazione delle larve in ninfe si aveva un giorno dopo l'inizio dell'esperienza e cioè al 9° giorno d'età. La schiusa delle ninfe si iniziava con la trasformazione del 9 % delle larve. La prima schiusa di immagini si aveva aH’ll0 giorno d'età e queste si producevano rapidamente tanto che al 13° giorno erano già prodotte al 100%. Anche in questo caso adunque la luce indaco-violetta si è di¬ mostrata la più efficace nello accelerare la metamorfosi. L'andamento dello sviluppo alla luce policromatica artificiale dava le prime schiuse di larve al 10° giorno con un 10 % dischiuse, l'inizio della comparsa delle immagini al 12° giorno in un 25%. di esemplari e la completa metamorfosi del lotto al 15° giorno. Questa luce si dimostra quindi anche acceleratrice e più accelera- trice delle altre, meno l'indaco-violetta. In fine la luce diurna , tenue, si mostrava la meno efficace nell’accelerazione dello sviluppo, dando le prime ninfe e le prime immagini risp. al 15° ed al 18° giorno e la totalità dello sviluppo al 21°. E' però da notare che questa luce, da considerarsi forse come la normale, ha un ritmo di produzione alternantesi fra la notte ed il giorno, con una prevalenza, nel settembre ed ottobre, durante i quali mesi furono compiute le esperienze, del periodo della notte su quello del giorno. — 8 - Nella tabella e nel grafico qui uniti risultano evidenti i risul¬ tati di cui sopra. Comportamento di un lotto di 20 larve di Stegomyia alle diverse luci visibili : . = periodo di larva ; - - — periodo di ninfa ; - = periodo di im¬ magine ; Q — inizio del passaggio da larva a ninfa ; yf — inizio del passaggio da ninfa. a immagine ; Vi = Indaco-violetta ; B — bianca (luce di lampadina) ; R = Rossa : G, = gialla; Ve, =■ verde; A =■ azzurra; D =■ diurna. Discussione e conclusioni. La letteratura non registra altri studii che si siano proposto lo scopo delle presenti osservazioni e che, sopratutto, abbiano rea¬ lizzato condizioni paragonabili. Esperienze su luci colorate ne sono state fatte con varii scopi, ma, in mancanza di ben definiti dati fisici sulle luci usate, vien meno qualunque possibilità di confronto nei risultati. Dovremo perciò contentarci di paragonare i risultati presenti con pochi altri studii oltre a quelli compiuti da me su Rana, e da Terio (1) su Sarco phaga. (1) Terio, B. — Influenza della luce bianca e delle luci monocromatiche sullo sviluppo somatico e sulla funzionalità degli organi genitali. Esperienze su Sarcophaga carnaria. Arch. Zool. Hai, Voi XXV, 1938. - 9 - Che le luci artificiali tendano ad accelerare lo sviluppo è già noto da tempo. Una ricchissima bibliografia esiste già sull’argo¬ mento, degli ultimi cinque o sei anni, sulle modificazioni del ritmo stagionale della riproduzione, provocate negli animali con la sem- lice modificazione, mediante luce di normali lampadine elettriche, del periodo quotidiano della luce solare (1). Sono studii molto interessanti, che hanno dato fra l'altro la traccia per una razionale interpretazione della migrazione degli uccelli. Un simile problema aveva messo nel 1928 anche Marcowitch (2) investigando sugli Afidi. Ma tale sorta di studii, se pure hanno un qualche rapporto coi presenti, ne sono tuttavia totalmente distinti. Per noi non è quistione dell'azione delle luci policromatiche, ma di quelle di determinate regioni dello spettro visibile il cui complesso dà luce di un solo colore. I risultati di Terio su Sarcophaga avevano fermato la nostra attenzione sull'azione notevolissima della luce azzurro indaco-vio¬ letta, capaci di ridurre alla metà il tempo occorrente per io svi¬ luppo di questa specie alla luce diurna. Il mio sospetto che le lunghezze d'onda comprese in una regione così vasta dallo spettro fosse nelle esperienze da scindere in regioni più limitate per arri¬ vare a conclusioni più concrete si dimostra ben fondato se si con¬ siderano i risultati del presente studio, come quelli sullo sviluppo di Rana. I due campi dell'azzurro e dell'indaco-violetto si sono mostrati anche qui quasi come antagonisti nei loro effetti. Un fenomeno strano è stato quello dell’azione della luce verde che per questo dittero è risultata quasi letale. Io avevo da tempo notato un fatto deha normale biologia di Stegomyia che potrebbe essere in rapporto con questo risultato. Fra le molte vaschette di vetro che avevo esposto all'aria in estate per raccolta delle uova e delle larve, io avevo notato che quasi mai io ne trovavo in al¬ cune vaschette il cui fondo e le cui pareti erano riccamente in¬ crostate di dìatomee e di altre piccole alghe verdi. E ciò era tanto più strano in quanto quelle acque davano maggiore possibilità di rinvenimento di sostanze nutritive e di altri necessarii alla vita ed allo sviluppo delle larve stesse. (1) v. a tal proposito il recente lavoro riassuntivo di Rowan W., Light and seasonal reproduction in animals. Biolog. Reviews, voi. 13, n, 4, 1938. (2) Marcowitch S. — Plant lice and ligt exposure. Science, voi. 58 1923. - 10 - Non è raro che i risultati di queste esperienze richiamino qualcuna delle normali maniere di vita di questi insetti : mi piace qui di ricordare la particolare sensibilità contro la luce azzurra che dimostrano le mosche, sensibilità che è stata nell’uso pratico utilizzata in seguito ad empiriche osservazioni per allontanare que¬ sti insetti da luoghi che sono di solito più corrivi a popolare (specialmente cucine) per ragioni che si riferiscono specialmente alla maggiore facilità che ivi trovano nella ricerca dei cibi e di am¬ bienti adatti per la deposizione della uova e per l'alimentazione delle larve da esse schiuse. Hertel nel 1905 ha fatto esperienze con luci colorate sulla azione di luci spettralmente controllate, ma molto intense e per brevi esposizioni. Per quanto queste esperienze compiute con uova di echino siano poco comparabili alle precedenti per il fatto della grande intensità e della brevità della esposizione, pure è da notare che le luci intense agirono come ritardataci dello svi¬ luppo e che la massima azione si ebbe con la luce azzurra. La esposizione all'azione dei raggi era fatta prima che s' iniziasse la segmentazione e dopo avvenuto il processo fecondativo. In ogni modo il maggior ritardo determinato dalla luce azzurra pare trovi una certa corrispondenza in quanto ho potuto osservare in Rana e in Stegomyia in cui questa luce si è mostrata per lo più contra¬ ria al buon andamento dello sviluppo. Anche nel caso di Stegomyia sarà in seguito da sceverare il pos¬ sibile fattore dell’effetto delle luci visibili sulla produzione del nu¬ trimento microrganico nel mezzo liquido in cui avviene lo sviluppo delle larve. Ma il ripetersi oramai per varii animali nelle linee generali le influenze delle diverse luci, dà indiscutibile valore ai risultati, indipendentemente dai fattori che hanno potuto influirvi in linea secondaria. Riassumendo le conclusioni che possono trarsi dalle esperienze i cui risultati sono raccolti nel presente scritto, possiamo affermare che : Le luci visibili artificiali blande accelerano in generale lo svi¬ luppo larvale di Aedes (Stegomyia) fasciatus. La massima accelerazione è data dalla luce indaco-violetta, compresa fra le lunghezze d’onda di 4550 e 4000 A. Accelerazione poco minore dà luce bianca artificiale. La minore accelerazione è data dalla luce azzurra, di lun¬ ghezza d'onda compresa fra 5050 e 4550 A. — 11 — La luce verde (fra 5675 e 5100 A) si dimostra come rallenta- trice dello sviluppo ed in definitiva addirittura letale, non otte¬ nendosi a questa luce lo sviluppo al dilà della produzione della ninfa. Anche in condizioni naturali le femmine di Aedes sembrano evitare la deposizione delle uova in bacinelle il cui fondo sia co¬ lorato in verde. Napoli , Istituto di Zoologia della R. Univ. - dicembre 1938-XVI. Riassunto. Vengono esaminati gli effetti delle luci visibili di determinati distretti dello spettro sullo sviluppo di Aedes (Stegomyia) Jasciatus , riscontrali» dosi che in generale queste luci accelerano lo sviluppo rispetto alla luce diurna, riscontrandosi la maggiore accelerazione per la luce indaco violetta, mentre la verde risulterebbe come rallentatrice e contraria allo sviluppo medesimo. - * ~ Prof. Ing. Placido Ruggiero Energia geotermica nei campi Flegrei ed in particolare nell’ Isola d’ Ischia. Comunicazione verbale (Tornata del 30 maggio 1938-VXI). Durante gli studi che, iniziati nel 1926, ho concretato il 1932 nella compilazione di un piano regolatore per l’alimentazione del¬ l'Isola d'Ischia, ebbi occasione di proporre fra l’altro la costruzione di due centrali geotermiche per la produzione di energia termo- elettrica: La proposta mi fu ispirata oltre che dalla considerazione che l’avere a disposizione energia a buon mercato rappresenta un fattore di particolare importanza per la valorizzazione dell’ Isola, anche dalla particolare circostanza che importanti falde acquifere ad ele¬ vate temperature esistono molto prossime al mare, ed in condizioni quindi ideali per rimpianto di dispositivi per la utilizzazione di piccoli salti di temperatura. Sono noti gli studi del Romagnoli, del Dorning ecc. ed i do¬ lorosi insuccessi del Claude in tale campo di applicazioni, ed è noto del pari che il principale difetto dei sistemi meccanici esco gitati sta nel basso rendimento termodinamico pratico e nella forte quota di energia perduta per i servizi sussidiari. Avevo pertanto fatto studiare in quella occasione un progetto tecnico di pratica attuazione dal Prof. Enzo Carlevaro e succes¬ sivamente, per niente scoraggiato dalle difficoltà frapposte alla - 14 — attuazione del piano per lungaggini burocratiche e dalla sfiducia con cui la mia proposta fu accolta pel confronto che se ne voleva fare con le lussuose e ben diverse applicazioni di Larderello, ri¬ tenni necessario ed utile procedere alla effettiva costruzione di un impiantino sperimentale con caratteristiche industriali. E poiché successivamente il Prof. D'Amelio aveva studiata la convenienza di servirsi di fluidi ed alto peso molecolare in tali tipi di utilizzazione, al Prof. Carlevaro e al Prof. D'Amelio (che hanno lavorato in cordiale collaborazione), ho procurato l'interessa¬ mento della Fondazione Politecnica e della Società Meridionale di Elettricità per finanziare resperimento. Con tale munifico intervento oggi è stato costruito, presso il nostro Politecnico, un impianto sperimentale le cui caratteristiche rappresentano una affermazione della nostra tecnica e della nostra scienza ed un notevolissimo passo innanzi in tale genere di utiliz¬ zazioni non solo pel caso specifico ma per tutti quei casi in cui si disponga di acqua o gas caldi prossimi ad un facile mezzo di raffreddamento. Nel caso deH'Isola d'ischia mentre il mare può dare acqua di raffreddamento ad una temperatura aggirantesi sui 14°, fumarole ed acque utilizzabili hanno temperature dai 60° ai 100°. Quando si pensi che sui 46 Km. dell'Isola, con la piovosità media di 933 mm. annui, cadono circa 42 milioni di metri cubi e si ammetta, in relazione alla natura geologica ed alla conforma¬ zione orografica decisola, che solo almeno 1/4 di tale acqua possa essere utilizzata nella forma di cui sto parlando, si vede che trat¬ tasi di una disponibilità di oltre 300 litri al minuto secondo. Poi¬ ché con i risultati sperimentali raggiunti si può ormai contare su una produzione di circa 10 HP praticamente utili per ogni lit/sec di acqua a 70°, si ricava che è possibile installare complessivi 3000 HP traendone intorno ai 20 milioni di Kwh annui. Tale produzione non può essere accentrata evidentemente in uno o due impianti sia perchè non accentrate sono le fonti di ca¬ lore interno, sia perchè tale utilizzazione deve avvenire senza tur¬ bamento delhindustria termominerale dell'Isola. Ma in un piano oculatamente e bene studiato tale cospicua massa di energia rap¬ presenterà una autarchica fonte primaria di valorizzazione della Isola. La plaga flegrea presenta numerose località in consimili con- — 15 - dizioni favorevoli, e ciò a prescindere dalle eventualità più favo¬ revoli di ricercare con sondaggi profondi il ricavamento di ingenti masse di vapore a cospicue pressioni. Quanto ho detto unisce all'interesse pratico largo interesse scientifico perchè, se fino ad oggi si è scritto parecchio sulla pos¬ sibilità di utilizzare i piccoli salti di energia, specie nei riguardi dei motori solari, poco si è attuato anche all’estero se si eccettui il piccolo impianto in Egitto e gli sfortunati esperimenti del Claude. Riassunto L’ Autore segnala una proposta di utilizzazione di energia geoter¬ mica nell’ Isola d’ Ischia, dando ragguagli delle esperienze eseguite e delle disponibilità esistenti nei Campi Flegrei. Felice Ippolito Studi su un materiale “ Zeolitico „ Italiano. Comunicazione verbale (Tornata del 19 dicembre 1938-XVII). X Fin dal settembre dello scorso anno, ho iniziato ricerche per individuare in Italia un materiale naturale avente potere di scambio e caratteristiche meccaniche tali da essere adoperato per l’addolci- mento delle acque. Come è noto infatti, tra i vari metodi adope rati per eliminare la durezza dalle acque, ha assunto in questi ul¬ timi anni grande importanza il metodo basato sullo scambio - basi. Con questo metodo si sfrutta una delle proprietà che posseggono alcuni minerali naturali (o anche oggi artiticialmente preparati) i quali hanno le loro basi metalliche alcaline (joni Na + e K +) legate in modo del tutto particolare, tanto che possono con facilità scam¬ biarle con le basi metalliche alcalino-terrose (joni Ca++ e Mg++). Facendo quindi filtrare acqua dura, cioè ricca in sali di calcio e magnesio, in un filtro costituito da questi speciali minerali si realizza la trasformazione dei sali alcalino-terrosi in sali alcalini, ottenendo un completo addolcimento. Questa proprietà di scambio-basi è anche indicata col nome di zeolitica , poiché proprio le zeoliti sono state i primi minerali adoperati per l'addolcimento delle acque, specie negli S. U. di America ed in Germania. Pertanto tra i tecnici idraulici d'ogni - 2 - — 18 — paese è invalso l’uso di indicare con il nome di zeoliti tutti i ma¬ teriali adoperati per addolcire le acque, comprendendovi anche quelli che con le zeoliti della Mineralogia nulla hanno da vedere. A questo proposito anzi, e per evitare confusioni, sarebbe op¬ portuno per tutti questi materiali non parlare di “ zeoliti „ (sia pu¬ re tra virgolette), ma di virtù zeolitico , non altrimenti di quanto si è fatto per i leganti naturali, per cui si parla oggi di " virtù pozzolaniche „ invece di pozzolane. Le ricerche, che hanno anche un fine autarchico in quanto di materiali di questa natura siamo importatori, sono state eseguite presso ristituto di Costruzione Idrauliche ed Impianti Speciali idraulici e presso l'Istituto di Geologia Applicata e di Arte Mine¬ raria, inquadrandole qui in quelle che vi svolge il Centro Studi delle Risorse Naturali dell'Italia Meridionale, creato dalla Fonda¬ zione Politecnica del Mezzogiorno. Basandomi dunque su considerazioni di ordine mineralogico e geologico, specie per rispetto alla eventuale genesi di tali minerali, ed a seguito di studi di campagna e di laboratorio sono riuscito ad individuare un materiale che, dalle prime prove eseguite, pare possieda in sufficiente misura le qualità richieste. Esso si rinviene quale minerale essenziale di una roccia appartenente alle formazioni vulcaniche di Roccamonfina, a circa 80 Km. da Napoli ed ha l'aspetto esteriore e l'habitus di una leucite. Senza entrare in merito agli studi ròntgenografici e chimici, ancora in corso, tendenti a definirne la natura mineralogica, accen¬ nerò solo ai risultati fino ad oggi conseguiti. Dallo studio microscopico, chimico e di comportamento termico si può senza altro escludere che si tratti ancora di vera e propria leucite, o già di analcime o di caolinite, minerali questi in cui più facilmente si trasforma la leucite. L’abbondante presenza di Sodio, l'indice di rifrazione ed altre proprietà possono forse far pensare ad una soda-leucite, una leucite cioè in cui per azione esalativa (pneumatolitica ed idrotermale) di vapori ricchi in sodio, questo elemento abbia in parte sostituito nel reticolo cristallino gli atomi di potassio. Comunque agli effetti pratici, ho creduto utile segnalare al Convegno di Genova dei Gruppi Acquedotti e Fognature del Sin¬ dacato Nazionale Ingegneri (ottobre 1938) che, senza alcun proce-, dimento preliminare tendente ad attivare il suo potere discambio questo materiale, frantumato e vagliato tra gli stacci di 100 e 400 — 19 — maglie per cmq., ha un potere di scambio compreso tra 2.9 e 4,2 grammi per 1 Kg., cioè tra circa 4 e 6 gr. per 1 litro (1). )n altri termini 1 litro (od 1 Kg.) di questo materiale, stac¬ ciato e vagliato come si è detto, toglie tra 2,9 e 4,2 (o tra 4 e 6) grammi di durezza valutata in termini di CaCOs dall'acqua. Il problema industriale della utilizzazione di questo materiale si riduce ad un problema di arricchimento ; che in questo caso potrebbe farsi per via magnetica o per levigazione. Su questa via vado eseguendo ulteriori studi mentre altri sono destinati a ricer¬ care un metodo che esalti il potere di scambio e ad investigare se questo materiale possa anche adoperarsi in altri campi, come ad esempio in quello della decolorazione degli oli naturali. (I) Vedi Ippolito F. — Ricerca e studio di una zeolite naturale italiana. Atti del Convegno di Genova dei Gruppi Acquedotti e Fognature del Sind. Naz. Ingegneri Genova, 1939, XVII. Riassunto. L’A. dà brevi notizie sulle ricerche eseguite ed ancora in corso su un materiale naturale italiano atto ad essere adoperato per l’addolcimento delle acque. Francesco Penta Sulla natura delle rocce granitoidi calabresi. Comunicazione verbale r (Tornata del 30 Maggio 1938 XVI0). In uno studio di Geologia della Calabria Orazio Toraldo Di Francia (« L’Universo „, 3 e 4,1937) risolleva apertamente dei gravi dubbi sulla vera petrologia delle rocce cristalline calabresi che fin qui sono state ritenute, quasi pacificamente, pure magmatiche. L'A. interpreta infatti i graniti e le dioriti calabresi alla stessa stregua di kinzigiti, micascisti vari, serpentine e rocce verdi , cal¬ cari saccaroidi, quarziti, filladi, scisti carboniosi, etc. come prodotti di metamorfosismo, s’intende variamente spinto. Per una esatta valutazione di questa idea va tenuto presente anzitutto che spe¬ cialmente in questi ultimi tempi piuttosto frequentemente e su estensioni molto importanti si è potuto riscontrare come delle for¬ mazioni per chimica e mineralogia granitiche, dioritiche ecc., con¬ servando intatta e spiccata la stratificazione, passano gradualmente a roc:e nettamente sedimentarie stratificate (specie arenarie di na¬ tura e cemento vario). Agli effetti poi della estensibilità di tali concezioni a forma¬ zioni calabresi, o per lo meno ad alcune di esse, è da ricordare che noi stessi trovammo difficoltà ad interpretare, alla stregua della ipotesi pura ignea, la presenza di epidoto primario in alcune quar¬ zo-dioriti della prov. di Reggio da noi studiate e che, fra l'altro, passavano dal massiccio allo scistoso. 22 Una volta ammesso il dubbio sulla origine prettamente magmatica di quelle rocce calabresi o di parte di esse, è da indagare se esse non costituiscano invece delle migmatiti o simili nei senso usato la prima volta dal Sederholm J. J. nel 1907, descritte dallo stesso nel 1913 e riconosciute con evidenza per ampie estensioni in Fin¬ landia da lui e da von Bubnoff S. ed anche in Groenlandia dal Rìttmann A. nella estate 1937. Potremmo cioè in conclusione trovarci di fronte ad astenoliti, con la funzione e l'importanza orogenetiche volute dal Van Bem- melen R. W. intese però nel significato che loro attribuisce il Rìttmann A. La necessità anche agli effetti pratici di una indagine chimico- petrografica e stratigrafica al riguardo scaturisce dalla considerazione che, una volta esclusa la origine pura magmatica per quelle rocce, le ricerche sulle aeree indiziate metallifere calabresi non potrebbero es¬ sere più condotte ispirandole a rapporti semplici di minerogenesi primaria. Più complesso cioè diventerebbe lo studio del problema metallifero delle aree cristalline calabresi e più difficile diventereb¬ be la formulazione di idee minerario-economiche in proposito. Sarà pertanto questa della natura delle rocce granitoidi cala¬ bresi una delle questioni pregiudiziali che il Centro Studi delle Risorse Naturali dell’Italia meridionale creato di recente dalla Fondazione Politecnica del Mezzogiorno d'Italia, si propone di affrontare e che spe¬ riamo di potec risolvere con osservazioni sul posto e ricerche di laboratorio. Riassunto. Si segnala l'ipotesi emessa di recente dal Toraldo di Francia sulla natura delle rocce cristalline calabresi fin qui ritenute pure ignee e si rilevano le con¬ seguenze che tale ipotesi avrebbe nell’interpretazione metallogenetica delle aree metallifere Calabresi. f Claudio Gargano Sarcoma mielogeno della tibia. Possibile metastasi di cellule a tipo mieloplassico. (Tornata 19 dicembre 1938 - XVI) Perchè possa verificarsi il trasporto a distanza di cellule neo- plastiche, ed il loro attecchimento in una nuova sede, è necessario che si verifichino due condizioni essenziali, e cioè che la cellula blastomatosa si renda libera e che penetri nella circolazione generale. La patologia generale ci insegna che nelle malattie da infezione si può avere la propagazione a distanza del processo morboso, in seguito allo spostamento e migrazione di focolai morbosi microbici : lo stesso dicasi per la trasmigrazione di elementi tumorali, che originano nuovi focolai neoplastici, ai quali si dà il nome di me¬ tastasi. Fisiologicamente casi similari di migrazioni di cellule sono meno frequenti, si sono pertanto osservate migrazioni di cellule placentari, casi tutti di una grande importanza. D'altra parte non bisogna ritenere che lo spostamento di cellule blastomatose, e la loro immissione nella circolazione generale, sia sempre seguita da metastasi, giacché gli elementi in parola, spesso, nel nuovo habitat , non trovano eccellenti condizioni di vita e d'ac¬ crescimento : infatti, pur non volendo accettare la ipotesi che gli elementi del tumore, spostatisi dalla loro sede, possano svolgere sostanze tossiche, che ne ostacolino la loro ulteriore vita, non si deve trascurare il fatto, che nella nuova sede possano trovare o deb* bano trovare condizioni buone di attecchimento. — 24 — Non voleneo tener calcolo della ipotesi, che gli elementi neo¬ plastici siano suscettibili di svolgere sostanze autolitiche tossiche, che ne ostacolano la ulteriore vita, non si deve trascurare, che nella sede del trapianto possano trovare condizioni non buone di attecchimento. In generale il nodulo metastatico, verificatosi per via sanguigna o linfatica, riproduce la struttura istologica del tumore primiero, anzi gli elementi costituenti appariscono, per la loro morfologia, delineati del tumore da cui provengono, e forse ciò è dovuto alla contingenza che le cellule hanno raggiunto un tipo più differenziato e talvolta anche delle modificazioni regressive. 11 fenomeno della metastasi, da un punto di vista generale, si può interpetrare come un tipo di cultura in vitro in siero fisiologico. Il futuro stroma connettivale è originato dallo stroma vascolare del tessuto od organo invaso : e non si deve del pari trascurare la considerazione, che formatasi la metastasi, cioè a dire verificatesi delle colonie a distanza, si possano andare svolgendo nel tumore primario modifiche notevoli, come per esempio un adenoepitelioma della mammella, può spontaneamente andare incontro ad una me¬ tamorfosi scirrosa, o perdere la sua funzione secretrice mucipara. Le vie, seguite dalle metastasi sono varie, e cioè la via linfa¬ tica, quella sanguigna, la vìa nervosa, ecc. Scolasticamente si dice, che, salvo eccezioni, le metastasi dei tumori epiteliali si verificano per la via linfatica, laddove i connettivari (sarcomi) prediligerebbero la via sanguigna. Fra i blastomi delle ossa i più frequenti sono i sarcomi, i quali hanno come punto di partenza o il midollo o il periostio. Nelle varietà midollari si trovano quasi sempre frammiste agli elementi globo o fuso cellulari, delle speciali cellule, sferoidali, cariche di nuclei, cellule simili ad alcuni elementi, che fisiologicamente rattro- vansi nel midollo delle osse, e cioè gli osteoclasti di Robia o cellule mieloplassiche, che per disposizione dei nuclei al centro deH'elemento si differenziano da cellule similari proprie del processo tubercolare, dalle cellule di Langhans, nelle quali la disposizione dei nuclei più che al centro, è alla periferia cellulare. I sarcomi, che si evolvono dal midollo, detti mielogeni, pre¬ sentano una anatomia patologica ed un andamento clinico abbastanza dissimile dai tumori, che hanno come punto di partenza il periostio o il connettivo sottoperiosteo : in tali blastomi si verifica un doppio — 25 — ordine di processi, e cioè l’evolversi di cellule neoplastiche, che assumono per solito una notevole polimorfia e cioè la morfologia sferica o fusata e contemporaneamente si appalesa una reazione del connettivo stromatico, che induce una distruzione graduale della sostanza ossea, distruzione che non si manifesta uniformemente ma in varie zone e con vario comportamento, il modo che ne risultano isole ossee di varia morfologia e masse di sostanze osteogena amorfe. L'elemento sarcomatoso, come tutte le cellule provenienti dal tessuto mesenchimatoso, ha la proprietà, per metaplasia, di dare origine a cellule varie di natura connettivale : nella cellula sarcoma- tosa, come nella cellula connettivale in genere, non sono distrutte la sue qualità blastiche, di produzione di elementi vari e sempre l'origine mesenchimale, quindi gli elementi blastomatosi in parola possono, indipendentemente dalla sede nella quale vanno evolven¬ dosi, produrre cellule con caratteristiche ossee, cartilaginee, mucose èd anche dare un grande impulso a produzione vasale : sono quindi forme che in omologia assumono il nome di sarcomi osteoblastici condroblastici, angioblastici, ecc. Come esponente della sede, nella quale si svolge il blastoma, si ha sempre una reazione del connettivo stromatico, per opera principalmente degli elementi endoteliali, reazione che si manifesta con la produzione di cellule a tipo mieloplassico, le quali dobbiamo pensare che sono elementi prodottisi per la sede del tessuto di produzione del sarcoma istesso (sede ossea o periostea), ma non come elementi propri del cennato connettivoma. Caratteristica dei tumori in genere, siano essi di natura epite¬ liale o connettivale, è il trapianto di elementi tumorali in sede lontana, trapianto che» si verifica per solito o per la via sanguigna o per quella linfatica, dando origine a produzione di tumori mor- fologicamenie simifiari, attributo questo chiamato dai patologi col nome di metastasi. I noduli metastatici, istologicamente, riproducono la struttura del tumore di origine, anzi la struttura microscopica può ritenersi più pura, perchè scevra di alterazioni, che potrebbero verificarsi per opera del tessuto, nel quale il tumore ha avuto inizio. Volendo limitare il nostro studio a quanto si verifica nei sar¬ comi, che per solito hanno la tendenza di metastasizzare per via sanguigna, gli anatomisti patologi riferiscono di non aver mai os¬ servato, per quanto riguarda i sarcomi delle ossa di origine mie- Jogena, e presentanti anche cellule a tipo mieloplassico, metastasi - 26 — di tali elementi in altra sede. Le cellule che si trapiantano per metastasi sono quelle che hanno la morfologia globare o fusata, e mai le cellule mieloplassiche, che come si è accennato non debbono essere considerate che come elementi di reazione stromatica. Per vero qualche autore ha descritto casi invero eccezionali di metastasi mieloplassiche nei polmoni, casi che non resistono, per alcuni caratteri ad una severa critica. In un caso pertanto di nostra pertinenza, abbiamo avuto occasione d’osservare in un sarcoma mielogeno della tibia, nel quale si trovavano numerose masse di cellule a carattere mieloplassiche, la presenza di un vasellino san¬ guigno di piccole dimensioni, che aveva note istologiche, degne di rilievo. Si aveva cioè l'endotelio disseminato di piccole cellule sarcomatose di morfologia globare, e nell'interno, nel suo lume una grande cellula mieloplassica con numerosi nuclei al centroe questo elemento apparisce in uno stato florido di evoluzione, e non avente legami con l'endotelio alterato del vaso, potrebbe essere una cellula, che avesse la facoltà di trasmigrare in altra sede e riprodurre un nodulo metastatico. Questa nostra osservazione po¬ trebbe interpetrarsi come una possibile futura metastasi di elementi a caratteristica mieloplassica. Riassunto L’Autore, in alcuni preparati di sarcoma mielogeno della tibia, ha messo in evidenza dei vasellini sanguigni, che presentavano sparsi sulla parete endoteliale numerosi elementi globocellulari, e nel lume una grossa cellula a carattere micloplassico libera e florida, cellula che potrebbe rappresentare un elemento, che possa essere trasportato con la corrente sanguigna e dare origine, in altra sede, ad eventuali metastasi mielo¬ plassiche. Dalla Stazione zoologica di Napoli. f Claudio Gargano Etiologia, patogenesi ed istologia patologica dei cosidetti tumori a mieloplassi. (Tornata del 19 dicembre 1938-XVII). Vi sono alcune affezioni morbose delle ossa molto difficili a potersi classificare, sia dal punto di vista anatomo-patologic , che clinico, affezioni che hanno caratteri o di tumori o di processi in¬ fiammatori; anzi, secondo alcuni autori, furono confuse con le cisti delle ossa. Anche la terapia di questi processi morbosi ha permesso di osservare, che si giovino di atti operatori piuttosto lievi, che sono suscettibili di portare alla loro guarigione, senza che mai si sia verificata una recidiva. L'esame istologico dei pezzi asportati chirurgicamente di un reperto microscopico di una notevole importanza, permettendo di mettere in evidenza numerose cellule del tipo mieloplassico e glo¬ buli rossi del sangue, tutto ciò in uno scarso stroma connettivale molto lasco. La presenza di mieloplassi è un carattere abbastanza frequente ad aversi in molti processi patologici delle ossa e dei tessuti a carattere connettivale, e mi pare, secondo gli odierni studi di omo¬ logia, che possa interpetrarsi come un carattere diagnostico. In alcune malattie dei mascellari, come nelle epulidi sarcoma - tose ed anche in quelle fibromatose, i mieloplassi sono frequenti, ma in unione con essi, si riscontrano sempre delle cellule sacco * matose a morfologia spesso fusata. In tali circostanze i mieloplassi — 28 — i n parola più che rappresentare elementi propri d’una determinata neoplasia, sono invece cellule, che possono interpetrarsi come dovute alla sede, nella qnale si è svolto il processo blastomatoso. I sarcomi, secondo il parere di molti anatomisti patologi, si d ividono nelle tre varietà, e cioè sarcomi globo-cellulari fuso cellu¬ lari e sarcomi a mieloplassi. Per vero dai clinici si é attribuita a questa terza varietà un minimo di malignità, giacché si è potuto o sservare, che in seguito ad atti operatori imperfetti od anche in seguito ad un semplice scucchiaiamento, si sarebbe avuta una guarigione efficiente senza recidiva del processo. Molti patologi, tenendo conto di questa osservazione clinica, si sono sentiti autorizzati ad escludere tumori di tal genere dal capitolo dei tumori propriamente detti ed invece hanno accettato solo una sottovarie tà, quella cioè dei sarcomi magnicellulari, che sono elementi di grandi dimensioni, che per la loro morfologia, ed in ispecie per la presenza di numerosi nuclei, possono talvolta confondersi con i mieloplassi, pur presentando invece notevoli dif¬ ferenze. I sarcomi magnicellulari, hanno inflitto una prognosi cli¬ nica meno gravi dei sarcomi globo e fuso cellulari, ma sempre rappresentano tumori di una alta malignità. L’argomento di siffatte lesioni ossee è stato trattato in molte¬ plici discussioni di chirurgi, un’ ultima quella avvenuta nel 1926 a Parigi alla Società Nazionale di Chirurgia, ed in quella importante discussione eminenti cultori di discipline chirurgiche, quali Cuneo, Monchet, Boyer, Ombredanne ecc. e non sembra che si sia potuto venire ad un accordo reale, in ispecie sulla loro etiologia e pato¬ genesi. Riordinando la mia ricca raccolta di preparati istologici, ne ho trovatn alcuni provenienti da un grosso tumore della spalla inizia¬ tosi nell’omoplata, tumore operato dal chiarissimo Professore ed amico Luigi De Gaetano, che non mancò di fornirmi anche alcuni appunti clinici. II tumore aveva avuto un inizio subdolo ed un decorso piut¬ tosto rapido: diagnosticato per sarcoma mielogeno dell' omoplata era stato asportato con exeresi chirurgica. Il chirurgo operatore ebbe l’impressione clinica che il detto tumore non fosse stato in tutte le sue sedi asportato completamente, lasciando quindi il so¬ spetto di possibili future recidive. Viceversa il decorso post-ope¬ ratorio fu dei più lodevoli, si ebbe una rapida e completa guarigione forse anche dovuta alla circostanza che non si era proceduto a — 29 — zaffo della ferita operatoria, tentandosi una riunione per primane. Il tumore non si riprodusse. L’esame istologico, da me eseguito, ha potuto fornire dei lumi sulla sua morfologia e fine struttura, presentandosi costituito in tutte le sedi di grosse cellule mieloplassiche e di corpuscoli rossi del sangue, siti in uno scarso stroma di tessuto connettivo. Gli elementi mieloplassici appaiono adulti e non è facile sta¬ bilirne la loro genesi: ciò che però si può escludere in modo certo si è che in nessuna zona del tumore vi sieno elementi di natura sarcomatosa sia globo che fuso cellulare. Queste forme istologiche sono variamente interpetrate dagli autori e da taluni incluse ora in un tipo ora in un altro il tumore, così per esempio Cuneo le include fra i tumori a mielopassi, ed Obredanne fra le cisti. Se si accetta il criterio di escludere detti processi morbosi dalla grande categoria dei sarcomi, io credo che si potrebbe sta¬ bilire un nuovo capitolo intitolato tumore a mieloplassi, il cui esame istologico darebbe il reperto esclusivo di mielopassi senza alcuna cellula sarcomatosa, e come criterio clinico si avrebbe la guarigione del processo anche praticando incompleti atti operatori. I tumori a micloplassi sono infatti considerati da KoNiETZNy come prodotti di reazione, iniziandosi dalla midolla ossea, allor¬ quando sia lesa ed in alcune determinate condizioni. Essi fin da Nelaton si pensava, che avessero come punto di origine il tessuto scheletrico, sebbene studi più recenti abbiano permesso di riscon¬ trare a livello dei tendini e delle guaine tendinee, della capsula articolare, ed anche del tessuto dermico la presenza di mieloplassi e di cellule xantelasmiche, cioè di elementi con piccolo nucleo, citoplasma spongioso, carico di gocciolette o di cristalli di coleste¬ rina, tanto che, per tale attributo, si è anche pensato che la loro genesi fosse secondaria, dovuta ad una ipercoiesterinemia coesistente o effetto di una locale degenerazione. L'osservazione di cellule xantelasmiche ha fatto dare a tali formazioni patologiche il nome di xantomi o di istiocitomi Xante - lasmici. Si deve tener pure presente una considerazione istologica , e cioè che la cellula mesenchimatosa ordinaria è multipotenziale e può differenziarsi in fibroblasti, in cellula endoteliali, formanti ca¬ pillari o tessuto vascolare come sincizio reticolare, in osteoblast i, in cellule giganti del tipo mielopassico od osteoclastico ed in fagociti. — 30 — Il tumore in generale ha un numero considerevole di cellule giganti del tipo dei mieloplassi od osteoclasti : queste cellule gi¬ ganti sono dei plasmodi molto voluminosi ed a nuclei multipli. I nuclei sono irregolarmente aggruppati in ammassi, molto volumi» nosi al centro della cellula. 11 citoplasma è anfofilo, sopra i margini basofilo, con dei focolai di condensazione acidofilo, finamente spon- gioso, e qualche volta scavato di vacuoli a contenulo incolorabile. L’esame istologico di questi tumori desta interesse proprio per la presenza delle cellule giganti : si parla talvolta di tumori o di sarcomi a mieloplassi, di sarcomi giganti-cellulari di epulidi sarcomatose gigante-cellulari, di tumori bruni dell’osteite fibrosa, di tumori mieloidi o di mielomi. La maggior parte di essi pro¬ vengono dalla midolla ossea o dal periostio, ma le epulidi ed i tumori bruni sì possono trovare anche a livello dei tendini, delle guaine tendinee, della capsula articolare e del derma. L'etiologia dei mieloplassi è tuttosa abbastanza oscura : in ge¬ nerale si osserva che essa è legata al sistema osseo, osservandosi nella cosidetta osteite fibrosa allorché si hanno tali formazioni pa¬ tologiche in sedi non ossee, si è pensato dai clinici e dagli anato¬ misti patologi alla influenza esercitata dai traumi, ed in ispecie dai traumi ripetuti, ed allorché questa spiegazione non sembra del tutto accettabile si è ricorso all’idea di una diatesi individuale, infatti Zeiland in un giovine di 14 anni avrebbe notato una sclerosi molto pronunziata dei precapillari : le pareti ispessite, stenosanti il lume dei vasi cambiano le condizioni circolatorie ed una emor¬ ragia traumatica, male riassorbita, è seguita da un procerso di or¬ ganizzazione patologica avente l’aspetto di un tumore a cellule giganti. 11 tessuto mieloplassico può divenire sempre più sclerotico o trasformarsi in cisti : tali trasformazioni sono state studiate da Rehn e Sauer. D'Antona, fin da tempo, non aveva mancato di richiamare l'attenzione dei chirurgi e dei patologi sul fatto dell’origine ossea dei mieloplassi, dal midollo sebbene talvolta potrebbero rinvenirsi anche in altra sede, come nel periostio o trovarsi in intimo rap¬ porto con i vasi sanguigni, come nelle epulidi sarcomatose. Il detto patalogo napoletano pensava che i mieloplassi come provenienti da cellule uninucleate, site in prossimità dei vasi sanguigni e forse anche degli endoteli vasali stessi, per successivo aumento del pro¬ toplasma e segmentazione del nucleo, assumessero la funzione di — 31 — veri elementi vasoformatorh Le cellule giganti mononucleari, con un nucleo ricco di nucleina, dovrebbeso interpetrarsi, ad un fino esame, come elementi in fase regressiva. Secondo Lubarsch il solo criterio decisivo diagnostico sarebbe la presenza di policromatia dei nuclei. Le cellule giganti dei cosidetti tumori bruni tipici non contengono quasi mai pigmento ematico- s ebbene altre cellule ne siano riempite in eccesso. Stenholm richiama l'attenzione sui vacuoli riscontrati nelle cellule giganti dei veri sarcomi giganto-cellulari, vacuoli che mani uberebbero nei tumori. Zeiland avrebbe sempre osservato vacuoli: secondo il detto autore i tumori a mieloplassi presenterebbero i seguenti caratteri : 1° Le cellule connettivali giovani (fusiformi o stellate) sono ordinariamente numerose e le fibrè collagene, disposte a fasci, sono molto sottili, ma le cellule hanno aspetto regolare e non presentano mai un polimorfismo eccessivo, nè una eccessiva affinità colorante dei nuclei 2° Le cellule giganti hanno aspetto molto variabile nel protoplasma, con nuclei picnotici ; spesso tali elementi manifestano una fagocitosi notevole, anche per i corpuscoli rossi del sangue, e si può così stabilire la loro genesi da trasfor¬ mazione delle cellule endoteliale. Non è possibile confondere le cellule in parola con quelle dei sarcomi polimorfi : ed anche, al¬ lorché si rinvengono in sarcomi, bisogna considerarle come ele¬ menti di reazione banale. Gli elementi grandi dei sarcomi hanno infatti i caratteri di ai nomalie di cellule cancerose, laddove gli elementi mieloplassici non presentano alcun significato speciale : nella modalità sarcoma- tosa si possono avere pure le metastasi, notate da molti ricercatori, e ciò che piace di registrare, si è, che allorquando ciò si verifica, l’esame istologico permette di mettere in evidenza elementi fusiformi inclusi in maglie di un reticolo. Nel caso di Fiuch e Gleave, si sarebbero ritrovate delle cellule osteoclastiche nei polmoni, ma con esse anche numerosi elementi sarcomatosi polimorfi del tumore primitivo con molte mostruosità nucleari ed atipiche carioressi. Metastasi quindi di tumori a cellule giganti non ne sarebbero state registrate. La costante scomparsa, secondo Durante, degli elementi giganti nel sarcoma trapiantato toglie ogni dubbio, che i mielopasi sono una produzione accidentale o che rappresentano l'eftetto della distruzione delTosso. — 32 — Riassunto L’autore è di opinione che alcune affezioni morbose di origine ossea, risultati istologicamente di elementi mieloplassici e di globuli rossi del sangue, siti in uno scarso stroma connettivale, non debbono essere considerate come blastomi, e non debbono del pari essere con¬ fuse con i sarcomi a mieloplassi. Tali tumefazioni sono clinicamente suscettibili di guarigione con exeresi chirurgiche imperfette o con un semplice scucchiaimento, e non danno mai recidiva o metastasi. Le cellule mieloplassiche in simili affezioni morbose, presentano caratteri morfologici un poco dissimili dai mieloplassi dei sarcomi ossei e delle epulidi sarcomatose. L’autore ritiene infine che questo sia un capitolo di patologia chirurgica e di anatomia patologica di grande interesse istologico e clinico, da doversi dai ricercatori accuratamente- studiare. Dalla Stazione Zoologica di Napoli. Prof. Giuseppe Zirpolo Azione dell’acqua pesante sugli organismi. 5. - Ricerche sulFAnellide policheto Nereis dumerilii . (Tornata del 7 febbraio 1938) Taylor, Swingle e Lewis, hanno osservato che le Planarie erano disintegrate in tre ore se messe a contatto di acqua pesante a 92%, mentre erano capaci di vivere se poste in acqua pesante concentrata al 30%. Il Lewis osservò che le Planarie ( Planaria maculata ) messe a contatto di acqua pesante a 90 % si immobilizzavano, ma dopo tre ore, se rimesse in acqua normale, erano capaci di vivere. Oltre che sulle Planarie non è finora a mia notizia che si siano fatte ricerche su altri animali affini. In questa nota, mi occupo delazione dell'acqua pesante su la Nereis dumerilii , un anellide policheto, che vive nel golfo di Na¬ poli, e che si presta bene per queste ricerche, non solo perchè si possono avere individui di varia grandezza, ma anche per la loro grande mobilità, onde si può seguire con facilità Fazione dell'acqua pesante sul loro organismo. Esperienze compiute con acqua pesante a 99,6%. Una prima serie di esperienze è condotta usando acqua pe¬ sante a 99.6%. L'acqua viene messa in una vaschetta e poi l'animale è solle¬ vato con una pinza lievemente dal suo ambiente e messo in acqua 34 pesante. Alio scopo di evitare che 1' acqua, che aderisce al corpo deiranimaie e sulle pinze, alteri la concentrazione dell'acqua pe¬ sante viene eliminata mercè carta assorbente, e subito dopo si im¬ merge l’animale in acqua pesante. L'animale immediatamente reagisce, con movimenti rapidi, con¬ tinui di tutto il corpo, movimenti tortuosi, con spostamenti com¬ piuti in tutte le direzioni oltre la forte contrazione della regione anteriore del corpo. Dopo un minuto, i suoi movimenti appaiono meno vivi. Solamente la regione codale è più agitata, ma anch'essa dopo un minuto mostra qualche lieve spasimo e poi l'animale si posa sul fondo della vaschetta. Dopo un minuto ancora, e cioè dopo tre minuti dalla immersione nell'acqua pesante , i movimenti diventa¬ no lentissimi, e con sola contrazione. La regione cefalica per prima resta paralizzata, e poi tutto il resto del corpo. Dopo dieci minuti, dacché l'animale non dà più segni di mo¬ bilità, anche eccitato con un ago, lo rimetto in acqua di mare pura. Dopo un minuto osservo qualche lieve contrazione, la quale, dopo dieci minuti, persiste ancora ma sempre più lieve. Dopo mezz'ora osservo qualche contrazione alquanto forte, ma poi i movi¬ menti diventano sempre più lenti. Dopo un’ora l'animale muore. Compio un secondo esperimento, lasciando stare l'animale in acqua pesante un tempo minore. Difatti l'animale rimesso con le stesse precauzioni nell’ acqua a 99.60 % subito si contrae e dopo un minuto resta paralizzato. Dopo otto minuti lo rimette in acqua di mare pura ed osservo subito qualche lieve contrazione, che nei tre minuti successivi au¬ menta lievemente, ma non è mai molto forte. Dopo tre ore 1' ani¬ male conserva ancora qualche movimento, ma vive male , e dopo altre due ore muore. In un terzo esperimento, abbrevio ancora il tempo di perma¬ nenza dell'animale in acqua pesante. Non appena l’animale è messo in acqua pesante agita fortemente la regione caudale, mentre la regione cefalica si contrae quasi subito e si ferma. Dopo due minuti l'animale è fermo. Dopo tre minuti di completa immobilità rimetto l’animale in acqua di mare pura. L'animale riprende degli imper¬ cettibili movimenti del corpo, specialmente della regione caudale, 35 — dopo altri tre minuti anche la regione cefalica incomincia a scuotersi. Dopo un’ora noto sempre una mobilità ma lieve. Dopo altre due ore si notano movimenti quasi spasmodici, ma non riappaiono i movimenti serpentiniformi, — caratteristici della specie. — Intorno al corpo si é formato molto muco. Esperienze compiute con acqua pesante al 75%. Un’altra serie di esperienze ho compiuto tenendo esemplari di varie taglie di Nereis damerilii , in acqua pesante alla concentra¬ zione del 75°/0. Le Nereis non appena a contatto dell’ acqua compiono movi¬ menti spasmodici* Dopo dieci minuti i movimenti si rallentano. Dopo sei minuti 1’ animale giace fermo sul fondo della vaschetta. Eccitato, contrae piuttosto sensibilmente la regione cefalica. Dopo dodici minuti appare paralizzato sul fondo della vasca, ma eccitato dà segni di vita. Lo seguo di dieci in dieci minuti per due ore, e 1' animale mostra sempre contrazioni in seguito ad eccitazione. Nel giorno successivo compie qualche lievissimo movimento, ma il colore del suo corpo si presenta sbiadito. Metto un altro esemplare di taglia maggiore (1 cm.) in acqua pesante a 75%. Al solito, l’animale subito si agita fortemente, ma dopo quindici minuti i suoi movimenti sono lenti. Dopo qualche minuto è sul fondo quasi paralizzato : lo eccito, ma non risponde allo stimolo. Dopo trenta minuti riprende lentamente i movimenti, specialmente se eccitato, dopo dieci minuti ritorna immobile sul fondo e risponde scarsamente agli stimoli. Lo riporto in acqua di mare pura. Dopo un minuto si agita di nuovo, e via via, la sua contrazione aumenta dopo trenta mi¬ nuti, dacché è stato riportato in acqua di mare. Nel giorno succes¬ sivo vive bene, e si contrae con certa vivacità, specialmente se provocato. Esperienze compiute con acqua pesante al 50 %. Un’ altra serie di esperienze è compiuta con acqua pesante ai 50 °/0. Metto una Nereis in una soluzione di acqua pesante alla con¬ centrazione del 50 °/0. L'animale si contrae fortemente. — 36 Le osservazioni successive sono compiute di dieci in dieci mi¬ minuti. L'animale è sempre vivo, e si contrae fortemente con i suoi movimenti caratteristici. Non ha perduta nessuna delle sue qualità, nè il colore del corpo è sbiadito. Dopo otto ore l'animale conserva ancora grande attività di movimenti, anzi il suo corpo per il troppo contrarsi si spezza in parte. Analogamente si comportano altri esemplari di taglia differente da 0,5 a l cm , usati in questo esperimento. Esperienze con acqua distillata pura. Metto un esemplare di Nereis in acqua distillata pura. L’ani¬ male ha movimenti lenti, e dopo un minuto si ferma. Dopo due minuti resta sul fondo, immobile, e non reagisce ad alcuna ec¬ citazione. Dopo altri cinque minuti, osservo che l'animale è sempre sul fondo paralizzato. Metto un altro esemplare di taglia maggiore. Dopo un minuto l'animale si ferma sul fondo paralizzato. Qualunque eccitazione non lo turba dalla sua posizione. Così i due esemplari appaiono dopo cinquanta minuti. Li rimetto ambedue di nuovo in acqua di mare pura, ma non scorgo alcun movimento. Gli animali restano sul fondo immoti e non riprendono mai più i movimenti, anche se eccitati. Esperienze con acqua di tonte. Allo scopo di osservare quale azione ha l'acqua di fonte sulle Nereis ho tenuto degli esemplari di taglie varie in acqua di fonte. Gli animali non appena sono messi a contatto dell'acqua di fonte si agitano fortemente, ma poi i loro movimenti si rallentano dopo un minuto. Dopo cinque minuti si arrestano quasi del tutto. Dopo dieci minuti gli animali rimangono paralizzati sul fondo della vaschetta. Li ho lasciati ivi per mezz'ora. Dopo li ho riportati di nuovo in acqua di mare pura, ma gli animali non hanno dato nessun segno di vita. Li ho seguiti di minuto in minuto per vedere se riapparisse qualche movimento, sia anche del corpo senza sposta¬ menti, ma nulla,' gli animali sono rimasti completamente paraliz¬ zati, anzi dopo poco sono morti. - 37 - Esperienze con 25 parti di acqua di mare e 75 parti di acqua distillata. Allo scopo di controllare quale effetto provochi l'acqua di¬ stillata al 75 % sulle Nereis metto un esemplare a contatto di una miscella così formata : l'animale compie movimenti spasmodici, ma dopo dieci minuti resta paralizzato sul fondo della vasca. Dopo sei minuti ripiglia i movimenti vivacemente ; dopo quat¬ tordici minuti ridiscende sul fondo della vasca, paralizzato, non ri¬ spondendo neppure agli stimoli. Metto un altro esemplare di taglia maggiore. Si agita subito fortemente ma dopo sei minuti è immo¬ bile sul fondo. Dopo quattordici minuti è ancora immobile. Dopo trenta minuti non osservo nessun movimento, anche se eccitato. Metto allora i due esemplari in acqua di mare pura. Dopo tre minuti riprendono i movimenti. Dopo dieci minuti riporto un esemplare, l'ultimo sperimentato di nuovo nella miscela suddetta di acqua distillata e acquadi mare. Si agita per mezzo minuto e poi subito si ferma nel fondo. Tutte le osservazioni fatte di quindici in quindici minuti di¬ mostrano che l'animale tenuto in acqua di mare pura vive bene, e l'altro rimesso in acqua distillata a 75 % è sul fondo immobile. Lo eccito ma non risponde allo stimolo. Dopo circa un'ora riappare qualche lieve movimento. Nel giorno successivo — dopo 24 ore — mentre il primo ani¬ male vive bene, l' altro in acqua distillata ha colore sbiadito, ha movimenti lenti solo se eccitato. Esperienze con 50 parti di acqua di mare e 50 parti di acqua distillata. Porto una Nereis in tale miscela e noto che l'animale si con¬ trae con grande vivacità. Successivamente osservato di 10 in 10 minuti l'animale mostra sempre i suoi movimenti caratteristici. Dopo 10 ore l'animale vive ancora bene. Metto nella stessa vaschetta vari esemplari di taglie varie da 0,5 a 45 cm. e noto che gli animali si comportano tutti allo stesso modo. — 38 — Da questi brevi esperimenti compiuti si deduce che : 1) che le Nereis messe a contatto di acqua pesante alla con¬ centrazione di 99.6% dopo due-tre minuti restano paralizzate; 2) la regione cefalica è più vitale di quella caudale in quanto si agita per uno spazio di tempo più lungo : la regione caudale subito si contrae fortemente, ma poi resta paralizzata e si adagia sul fondo ; 3) gli animali rimessi in acqua di mare riprendono lievi mo¬ vimenti quando minore è il tempo in cui sono rimasti a contatto dell'acqua pesante. Anche dopo tre minuti l'animale non riprende più i suoi movimenti serpentiniformi ; 4) gli animali tenuti in acqua pesante a 75 % vivono male ma non muoiono ; 5) gli animali tenuti in acqua pesante al 50% vivono per varie ore ; 6) gli animali tenuti sia in acqua distillata pura sia in acqua di fonte arrestano subito i loro movimenti ed anche se riportati in acqua di mare non riprendono i loro movimenti ; 7) gli animali tenuti in una miscela costituita di 75 parti di acqua distillata e 25 d'acqua di mare si comportano quasi come quelli tenuti in acqua pesante ; 8) gli animali tenuti in una miscela di acqua di mare 50 parti, acqua distillata 50 parti vivono bene per varie ore. Napoli , Stazione Zoologica , febbraio 1938 XVII. Riassunto. L’A. ha sottoposto vari esemplari di Nereis dumerilii in acqua pesante a concentrazioni varie, cioè a 99,6 %} 75 % e 50 %, ed ha po¬ tuto notare che l’acqua pesante nella sua più alta concentrazione, cioè 99,6 % è abiotica per la specie, mentre in quella a 75 % e 50 % vivono alcune. — 39 — BIBLIOGRAFIA 1937. Zi r poi o, G. — L'Acqua pesante in biologia. Riv. Fis. Mai. Se. Nat., anno 11, n. 7-8. 1938. — — Ricerche sull'azione dell'acqua pesante sugli organismi. - 1. No¬ tizie preliminari. Boll. Soc. Nat. Napoli , voi. 49, p. 137. 1938. — — Idem. - 2. Ricerche sulla Discomedusa : Nawsithòe panciata. Ibidem, p. 123. 1938. — — Idem. - 3. Azione sull' Hydra viridis. Boll. Zool., anno IX, n. 1-2. 1938. — — Idem. - 4. Azione sugli elementi germinali di Paracentrotus lividus. Arch. Zool. Ital., voi. 25, p. 437. 1938. — — Studi sulla bioluminescenza batterica. - XIII. Azione dell'acqua pesante. Boll. Zool., anno IX, n. 1-2, p. 49. Prof. Giuseppe Zirpolo Azione dell’ acqua pesante sugli organismi. 6. — Ricerche su Capitello capitata. (Tornata del 7 febbraio 1938). I Capitellidi sono Anellidi che vivono nelle acque del golfo di Napoli. Questi animali si possono avere di ogni taglia : da pochi millimetri a vari centimetri. La vitalità e la resistenza che offrono alle cattive condizioni di ambiente, li rende un eccellente materiale per le ricerche del genere da me prescelte. Ho compiuto osservazioni non solo tenendoli in acqua pe¬ sante a concentrazioni varie, ma ancora come controllo ho tenuto altri esemplari in miscela di acqua di mare e acqua di fonte o di acqua distillata. Istituire un tale confronto mi è parso utile per poter meglio valutare gli effetti dell'acqua pesante sugli organismi marini. Evi¬ dentemente si tratta di animali che vivono in acqua di mare onde il loro organismo è adatto per sopportare le concentrazioni della salsedine marina. Messi in acqua pesante veniva il dubbio se la loro mancata resistenza a viverci dipendesse dalla tossicità dell'ac¬ qua pesante o dalla maggiore o minore concentrazione. La lunga serie di esperienze compiute fa pervenire a conclusioni degne di rilievo. Esperienze con acqua pesante a 99,6 %. In una vaschetta contenente acqua pesante al 99,6 % metto un individuo di Capitello, capitata , dopo d'averne asciugata l'acqua ~4 — 42 — aderente al corpo con carta bibula. L’animale si contrae fortemente, indi i suoi movimenti sono più lievi. Dopo ttre minuti l'animale giace immoto su* fondo della vaschetta, non contorto. È come para¬ lizzato, nessuna contorsione ha alterato la ^sagoma del suo corpo, nè il colore è sbiadito. L'agito fortemente con un ago, ma l'ani¬ male non reagisce affatto, resta immoto. Metto altri due esemplari uno di cm. tre ed un'altro di un cm. Ambedue hanno movimenti vivi inizialmente, ma poi, dopo un minuto li vanno rallentando. L'animale di tre cm. dopo due minuti resta paralizzato, mentre l'altro presenta lentissimi movimenti e dopo un minuto resta anch’esso immoto, sul fondo. Li lascio stare così cinque minuti, e poi li riporto in acqua di mare pura. Passa appena un minuto e gli animali vanno ripren¬ dendo lentamente i movimenti. Dopo undici minuti i movimenti sono ripresi normalmente : il che vuol dire che l'acqua pesante an¬ che nelle sue alte concentrazioni narcotizzato, si può dire, gli ani¬ mali ma non è stata tossica o venefica. Proseguo le osservazioni ogni dieci minuti per due ore e osservo sempre che gli animaci sono vivi — si contraggono con i loro caratteristici movimenti. Così nel giorno successivo osservo ancora che vivono bene, si muovono rapidamente, specie se pro¬ vocati. Per altri due giorni vivono presentando sempre la stessa vivacità di movimenti, e poi si vanno disfacendo. Esperienze con acqua pesante concentrata al 90 %. In una vaschetta contenente acqua pesante alla concentrazione del 90 % metto un esemplare di Capitello, della lunghezza di un cm. Dopo un minuto l’animale ha contrazioni lente. Dopo un altro mi¬ nuto i movimenti della regione caudale si sono arrestati, mentre persistono quelli della regione cefalica. Dopo due minuti noto arre¬ sto completo di movimenti. Dopo nove minuti stimolo fortemente Panimale, ma esso resta immoto sul fondo. Dopo ventisette minuti pungo con ago l’animale, ma resta immoto. Anche il colore del corpo è sbiadito. Lo lascio stare altri venticinque minuti, e poi lo riporto in acqua di mare pura. Dopo qualche minuto vedo iniziarsi qualche impercettibile movimento della regione cefalica. Dopo cin¬ que minuti i movimenti sono ripresi in tutto il corpo, ma lenti. Dopo altri cinque minuti i movimenti si accentuano e si vivifica — 43 — di nuovo il colore del corpo. Nel giorno successivo l’animale vive, ma non ha movimenti molto forti. Dopo ventiquattr’ore l’animale si disfà. Compio un altro esperimento con un esemplare lungo due cm. Dopo un minuto i movimenti si rallentano, solo la regione cefa¬ lica ha contrazioni vive. Dopo due minuti l'animale è quasi pa¬ ralizzato, solo la regione cefalica presenta ancora lievi movimenti. Dopo sei minuti noto assenza di movimenti. Nessuna reazione alle eccitazioni. Osservando successivamente l'animale di venti in venti minuti l’animale resta immobile e il color del corpo va sbiadendosi. Nel giorno successivo lo rimetto in acqua di mare pura. S'ini¬ zia un lieve movimento della regione cefalica, ma poi si ferma. Dopo dieci minuti dacché Jsi è manifestato il lento movimento l’animale arresta ogni attività. Dopo quattro ore è disfatto comple¬ tamente. Esperienze con acqua pesante a 75 %. In una vaschetta contenente acqua pesante alla concentrazione del 75 °/0 metto un esemplare di cm. 1,5 di lunghezza di Capitello, capitata. L’animale si contrae fortemente, si allunga, si contrae, ed i suoi movimenti sono successivamente alquanto limitati in con¬ fronto con gli animali di controllo. Dopo quattro minuti i movimenti si fanno sempre più lenti e l'animale tarda a contrarsi. Dopo altri sei minuti l'animale ha contrazioni e movimenti lentissimi. Dopo un minuto però riprende i suoi movimenti con vivacità. Dopo dieci minuti l’animale si comporta come se fosse nel suo ambiente naturale. Si potrebbe dire di essersi adattato. Vive ancora per altri due giorni e poi si disfà. Ripeto l’esperienza con un altro esemplare lungo quattro cm. Inizialmente i suoi movimenti sono vivaci, ma dopo cinque minuti essi diventano più lenti. Dopo altri cinque minuti l'animale non si muove quasi più, presenta qualche lieve contrazione. Attendo e dopo cinque minuti osservo che l'animale lentamente va riprendendo i suoi movimenti, specialmente la regione cefalica si contrae più vivacemente. Dopo dieci minuti i movimenti sono normali come se l'animale vivesse nel proprio ambiente. Taglio l'animale in due parti, con un colpo rapido di bisturi. — 44 — Le due metà vivono per altri tre giorni, rimarginando le zone lese. Delle due parti la regione cefalica vive male, si contrae poco e va più presto disfacendosi Esperienze con acqua pesante concentrata al 50 %. In una vaschetta contenente acqua pesante alla concentrazione del 50% metto tre esemplari di Capitello, capitata. Al solito i movimenti rallentano, poi subito riprendono, dopo tre minuti, la loro vivacità. Osservo gli animali di 20 in 20 minuti e noto sempre che si muovono con movimenti piuttosto rapidi. Per tutto un giorno osservo movimenti più o meno sem¬ pre vivi. Nel giorno successivo, nelle prime ore, i movimenti sono ral¬ lentati, gli animali si mostrano torpidi. Li stimolo con aghi ed essi rispondono ma senza vivacità. Nel pomeriggio gli animali hanno qualche scatto, ma si vede che sono in condizioni di vita pessime. Difatti dopo un’ora li tro¬ vo adagiati sul fondo, immobili. La loro vita è dunque durata un giorno e mezzo nell’acqua pesante al 50%. Allo scopo di vedere se gli stessi effetti o meno si verifichino adoperando acqua di fonte, o acqua distillata o acqua di mare di¬ luita in proporzioni varie con acqua distillata, ho iniziato una se¬ rie di esperienze di controllo. Tale serie di esperienze ha im¬ portanza in quanto permette di conoscere se l’acqua pesante è per sè tossica per gli animali marini o se verificandosi gli stessi effetti con acqua dolce, in questo caso si tratterebbe non di tossicità dell’acqua pesante, sebbene di un fenomeno dovuto alla differente concentrazione, cioè all'alterazione prodotta dall’ipotonicità delPam- biente esterno con quello interno. Esperienze con acqua distillata. Con acqua distillata gli esperimenti non hanno dato risultati positivi, com’era da prevedersi, data la completa mancanza di sali. Difatti in una vaschetta contenente acqua distillata ho messo 45 — vari esemplari di Capitello, capitata Gli animali subito hanno ral¬ lentato i loro movimenti, sono diventati torpidi, e dopo cinque minuti, ogni movimento è scomparso. Li lascio stare circa mezz'ora in acqua distillata poi li riporto di nuovo in acqua di mare pura. Non osservo nessun movimento. Li lascio stare circa mezz'ora perchè si ristabilisca l’equilibrio fra l’organismo e l'ambiente, ma purtroppo gli animali non ripigliano più i loro movimenti, e restano disfatti sul fondo della vaschetta. Esperienze con acqua di fonte. Con acqua di fonte noto presso a poco gli stessi effetti otte¬ nuti nella precedente esperienza. Gli animali messi nell’ acqua di fonte rallentano i loro movimenti, e dopo cinque minuti restano paralizzati sul fondo della vasca. Li lascio stare al solito una mezz'ora e poi li rimetto in ac¬ qua di mare pura : non appare nessun movimento. Dopo un'altra mezz’ora gli animali giacciono sul fondo della vasca morti. Esperienze con acqua di fonte e acqua di mare. Metto in una vasca acqua di mare nella proporzione di 15 parti e acqua di fonte 85 parti. Vi pongo dentro gli esemplari di Capitello. Gli animali restano quasi immobili, i movimenti sono di contrazione, ma non di spostamento. Dopo sei minuti gli esemplari sono sul fondo, paralizzati. Ec¬ citati non reagiscono. Li lascio stare cinque minuti e poi li riporto in acqua di mare pura. Gli esemplari più grandi incominciano a contrarsi, il più piccolo si muove più lentamente dopo gli altri. Dopo venti minuti tutti hanno ripigliato i loro movimenti e così si osserva nel giorno successivo. Gli animali vivono ancora nel giorno successivo, ma non in buone condizioni. Anche altri esemplari sono immersi in acqua di mare e acqua di fonte nelle stesse proporzioni. Subito arrestano i loro movi¬ menti, solo la regione cefalica presenta qualche movimento spa¬ smodico, ma dopo 5 minuti i movimenti sono arrestati del tutto e dopo altri quattro minuti non danno più segno di vita. — 46 — * * * Altra esperienza compio con acqua di mare nella proporzione di 25 parti e acqua di fonte di 75 parti. Gli animali presentano subito notevole contrazione, ma poi i movimenti si rallentano via via. Dopo 12 minuti gli animali sono paralizzati. Eccitati si muovono. Li lascio stare altri cinque minuti e poi li riporto n acqua di mare pura. Dopo quindici minuti i loro movimenti riprendono con una certa vivacità, ma sempre più rapidi di quelli tenuti in acqua di mare a concentrazione 15 parti e acqua pesante a 85 parti. Ripeto l'esperimento con altri esemplari di taglie varie e os¬ servo al solito che gli animali più piccoli subito risentono 1' am¬ biente e cadono paralizzati sul fondo deila vasca, mentre gli animali di taglia più grande si contraggono per qualche minuto, però subito anch'essi restano paralizzati. ❖ * * Altra esperienza compio mettendo acqua di mare nella propor¬ zione di 30 parti e acqua di fonte di 70 parti. Gli animali si contraggono fortemente. Dopo quindici minuti i movimenti diventano lenti. Dopo altri trenta minuti i movimenti sono lentissimi, ma dopo altri dieci minuti riprendono la loro viva¬ cità. Nel giorno successivo vivono ancora, ma i movimenti sono poco vivaci. Nel giorno seguente qualcuno è morto e gli altri hanno mo¬ vimenti lentissimi e restano sul fondo. Sono vissuti ancora quattordici ore. * * * Altra esperienza ho compiuto mettendo esemplari di Capitella in acqua di mare 40 parti e acqua di fonte 60 parti. Gli animali si contraggono fortemente. Vivono bene. In tutte le ore successive dello stesso giorno vedo sempre che si muovono e reagiscono agli stimoli molto vivacemente. Nel giorno successivo, vivono tutti ma non molto bene, i movimenti sono un pò più lenti, reagiscono meno vivacemente agli stimoli. Nel giorno successivo li trovo paralizzati sul fondo della vasca. Un’ultima serie di esperienze l'ho compiuta mettendo esemplari di Capitella in acqua di mare 50 parti e acqua di fonte 50 parti. Gli animali non mostrano di subire danni: si contraggono allo stesso modo come i controlli. Le osservazioni compiute nei giorni successivi dimostrano che gli animali vivono bene, si adattano perfettamente alle condizioni ambientali imposte. Per circa una settimana vivono ancora, così come i controlli, senza mostrare alcuna modificazione. Da tutte la serie di esperienze eseguite si deduce : 1) Gli esemplari Capitella capitata non sopportano la con¬ centrazione dell’acqua pesante a 99,6 % che per pochi minuti, ma se si riportano in acqua di mare pura riprendono i loro movimenti e vivono alcuni giorni. 2) Quelli tenuti in acqua pesante al 90 % restano paralizzati sul fondo della vaschetta ma non muoiono, difatti qualche esemplare tenuto in essa per 24 ore riportato in acqua di mare pura ha ri¬ preso i suoi movimenti specialmente quelli della regione cefalica, ma dopo poche ore muore. 3) quelli tenuti in acqua pesante al 75 % nei primi venti minuti vanno sempre più rallentando i loro movimenti, ma dopo si adattano e vivono come se fossero nel loro ambiente. 4) Analogamente ed in migliori condizioni di vita vivono gli esemplari tenuti in acqua pesante concentrata al 50 %. 5) Nell’acqua di fonte mescolata con acqua di mare in varie proporzioni gli animali vivono e si adattano solo se la concentra¬ zione è del 50 % di acqua di fonte e del 50 % di acqua di mare. Napoli , St astone Zoologica , febbraio 1938 XVII. Riassunto. L’A. ha compiuto una serie di esperienze sull’azione dell’acqua pesante sulPAnellide Capitella capitata. Ha potuto osservare che mentre in acqua pesante alla concentrazione del 75%, 50 % gli animali si adattano a vivere, in quella al 99,6 % e 90 % non vivono che pochi minuti. — 48 - BIBLIOGRAFIA 1937. Zi r poi o, G. — L'Acqua pesante in biologia. Riv . Fis. Mai. Se. Nat., anno 11, n. 7-8. 1938. — — Ricerche sull'azione dell'acqua pesante sugli organismi. - 1. No¬ tizie preliminari. Boll. Soc. Nat. Napoli, voi. 49, p. 137. 1938. — — Idem. - 2. Ricerche sulla Discomedusa : Nausithòe punctata. ìbidem, p. 123. 1938. — — Idem. - 3. Azione sull' Hydra viridis. Boll. Zool., anno lXt n. 1-2. 1938. — — Idem. - 4. Azione sugli elementi germinali di Paracentrotus lividns. Arch. Zool. Ital., voi. 25, p. 437. 1938. — — Studi sulla bioluminescenza batterica. - XIII. Azione dell’ acqua pesante. Boll. Zool., anno IX, n. 1-2, p. 49. 1939. — — Azione dell’ acqua pesante sugli organismi. - 5. Ricerche sul- l’Anellide policheto Nereis dumerilii . Boll. Soc. Natur. Napoli, voi. 50 p. 33. Prof. Ing. Placido Ruggierò Cisterne e piccoli serbatoi per acqua piovana Ia Appendice Isole Partenopee (Tornata del 19 dicembre 1938-XVII) La larga diffusione delle cisterne in alcune Isole nelle quali esse rappresentano il principale sistema impiegato per Palimenta- zione idrica della popolazione, nonché le frequenti richieste di dati che mi pervengono da parte di chi vuol costruirne di nuove ed importanti, mi hanno indotto ad eseguire i calcoli ad esse relative per le Isole partenopee di Capri, Ischia, Procida, Ventotene e Ponza. Poiché i calcoli sono condotti secondo il metodo ed i criteri esposti in una mia precedente memoria dallo stesso titolo (1) alla quale rimando il lettore che desideri maggiori chiarimenti, ritengo superfluo inserire nella presente tutti i dettagli di calcolo, e riporto invece nelle tabelle seguenti i valori fondamentali adottati, ed i risultati finali cui sono pervenuto. Chiarisco solo che le previsioni sono basate per tutte sulla piovosità media osservata nelle stazioni di osservazione, e su una dotazione media di litri 50 per abitante-giorno essendo per questa ultima evidente che, volendo conseguire dotazioni diverse, basterà variare i risultati in maniera proporzionale. (1) Doit. Ing. Placido Ruggiero - Cisterne e piccoli serbatoi per acqua piovana - Anno 1935 - Tip. Arturo Nappa Napoli. TABELLA I. Medie dei totali annui e dei totali mensili della quantità di precipitazione osservata nelle Isole Partenopee (in m/m). Anno C* Ò' do vò ' vb N cfo VM tò o» tò co ò- iò od d. n O *3- m io G g oo vo oo t>- vo vo 0jqUI0^9g vO in n vo i>. G G co G m cò rt“ *ò ci m ò" inr^m io'O io rt* o^so.3y OO O G ^ G VO c< ro dv ò- od 6 G w in mmNmNmmii oq.§nr] > n g g d\ ci dv di ò* ^ CO N I-H CO CO N CI ©pady TT IO «>■ IO 'O M N N co ò" "ò o d* in ci ió vO O* rf CO IO IO ^ CO OZJBpj o CO Tj-IH O N co cò o ‘d d- <ò 'ò o iò t>- oo r^uot^ o -et- io oiejqq©^ enei m n co co g vo m io G oo cri ci i-I ci G G 00 o. co c^ooo OIBUU0£) covo io Ov m ci O OC 'ò o « o « tò od ocii-iooi->G>o.r^ M M M M 0jqui0Oi(j vq co H-l a 3jqiU3^9S 6 o d d o o o io © ojsoSis G V© n- M © 6 d d © IO PO mD G vo 4— t 1 tì oiiSni d d d d © o o- w Oh M «4-1 «+H © ouSntS o o d d »y% IO o G © G iq M © oiSSboi d o d 6 © -w- o PO o aiudB q 00 tq q o o d o © • vO IO i>- M © G oq iO fi — 1 OZJtfUX d c d 6 cd K> 00 _ M PO f-H © cd cd © s "© S- © S ©4 s © 13 cd s_ ©3 © G 3 UIl © © PH i © i -4-3 G *G cd © © © A © £_ © © <3 N.B. — I valori della, 3a e 4a linea sono rispettivnmenie i 2/3 ed 1/4 di quelli della seoonda. TABELLA III. Totali medii mensili ed annui della quantità di precipitazione che si può presumibilmente raccogliere (in m/m) o o IN y ■3" 00 CO co M M vq ai CI X A A A A o A d A A A q d X ®o IO o 00 N co CJ Oi o Ci ■a r^. < i CO io l-l a» i>. IO M 00 O M IN 'O IO « io TT iq o M r-1 0jqui9^9g A io 00 CO lò IN A lò VO io tj- o CO A io re A CI o 00 vq -3- vO vq cqso.8y M A A A M A N M A di A Oi o vq iq co oo q A qi A a. A M CO A c-> A o M M d A 9JqUI90I(J co A VO o q o * CO d oo io d co oo •'j* o •st 00 qi o 00 CO oo 9jqo|40 d d d d vd (N A A A A A A IN Gì VO M CO o vO e» >o co M M M 1^2 P5 •q P5 12Z r-O o 44 X IE X a; X 05 _ o 05 44 X £ X X X X £ rO 05 4-4 X "x X 05 £ o X X £ S_ X 05 P 05 X 05 X X g 05 05 P X 05 o X X g t_ 05 _p o •44 Ph £ X s-, o 4-4 P £ £ o -44 P £ X £ o CO o o vq 01 Gl U*3 vd ,e* IH q M PÒ th M r~* d pò od rr d< vd pÒ d od PÒ uè d* oi od ih oo H Ol in H* ri o- VO t-H in n PO M VO in PO t~. m m m m Ol m M PO q. M 01 o o- PO q, q G d in PO co . q q q. q. vq 00 q» M vo vq CO q- 01 Gì IH PO Gì vd M th od od M* d* d o ih ‘d* vd d vd ih d* d ih d od Cv ■si" M oo 00 in Oi j.^ vO M vO io PO M 00 m M ■O 00 in vo Gl in cq 'S- « vO. 00 M M in q oq O Gl H ih d vd d vd td M vd PÒ od od od d* Gì od 0© I> in M O o vo 01 Gì 00 in 01 t>. m n r- 1>- IH M •H m M M 00 OO 00 ^j- ih PO PO oq "d PO PO 01 o Gì q* CO vq 6 PO d d vd C^ 00 od M PÒ od ih h o o d Gì d h d 0 Gì VO oi HH !>. M M 0 vO pi Gì Gl vo 01 Gì Gì VO 01 M M M M QO oo n c co CO H* CO vq in • Gl M oo M- in vq vq oq 01 m CO in PÒ -t . m w M M M CO Q\ ^3* d H* VO O vq Gì q 00 M- rq Ol ce E ip« £ a 05 £ 5- i 6- , o Ph

o o 'O o co ip d ni 1 m 00 00 M Pi o G P N o m cfi Gì ip o o d d o M o UH io CO IP o tuo nt* o io <■ vO 1-4 ci IO M 'et- co IO O io © M G o uS M 6 UH IO o M IO 3 d »o O) G -J io T}- M HI IH ni d IO .*H o ni fi M G G ni d- o d* i M d o M o O lO io j 3 IO co IP IO ! o vO 0J co HI IH co co IO p 1-4 q ih .2 IP G - 00 © M l-l 00 IP G IP o d IP co co 5 © p IO SO io G q g o G 4 4 ni o ni Ó d o M IO o IO IO : > _ M G G IP IH O 2: d -3- ] D i -G G . 00 i> co io d3 03 Oi © G A ^ « cr1 ' ca 00 00 o «2 a , dS 02 g "g a ' 3 G Ph ' cn G © © • 3 1 f> Ph ' CT< Sq . h G 3 ’ ■5 a ds , "g T3 r-P a QJO no : © a • +3 3 ® «2 ^ . QJO © /v P ^ CO © . o ■ 35 ^ . E/2 ^ 4-> • G G 8 .-+3 > a . 3 3 © «2 G O © 'G a. ir- O © ^ ^ O Q ^ A & O G o o o co I! o cT t> 00 © •S o co t— I- > £3 pq E-i o co <4 S ^5 03 © a © Ph a r~o co o CG s_ © Ph 3 02 S- © C8 15 ‘o o v. cu q b ò ò q IO co io o o o o o p p p I P mD m d ni 1 J 00 co co M, IH G io cq 'O o o ni o d* ló o o io d CO CO p p 1 o d d 1 IH co oo M |-| G o G d IO q IO di io UH o xt- o TT M d M io CO p iO co d ^el¬ p p io I-1 i-1 IO io p CO q co M vO P -3- o ■el¬ IH o d P io d 00 iO d IO nt- d IH |-| d o CO IO io o SO IH p d- IP G o* G d o >H nt- io G ni- lO p 00 IO d CO l-l IH co iO G o (d p ò oo •'3- io ló o ió IO o Tt- d o co CO 'et* G M IO G IO IH o io d iq 00 o 00 'Ò 00 lÒ có co* o 00* o o 'O io co o co IO G G o M CO P IO IH cq M p IO CO o co ni G 'Ó o ló o IO P o io oo d IO p G CO CO G M d io IO IH d o io p p o p UH G io G o" 4- G o 00 o ^t" CO IO co d Hi d o IO IO M 00 o co o o q G CO d ló o ló M o o w co G ■er M i— < Hi p G p co p CO CO p c IO CO o o iq o 00 vd P ni o ni d o G o d IO p M G IO p 00 d d 1-1 co o G CO 00 o 00 h-i p id nj- 'T o 'ei- 00 o* IO M 1—4 IO iO P p IO M M UH *3 iS o Cfl IP co 05 o co Oi co o 00 1/2 Ph 1/3 3 a* «tì 03 © Ph 'O © n3 ^ a _ a "3 . 33 © 3 Ph ^ P .© ’© © O O & A © G «3 A * G '"g *52 X & G t> l-H G 73 TS —4 60 © OD n© © H-> •r- hG G a 3 *© C/2 G 3 Ph O G o o Isola di Procida. — Per superficie di raccolta semipermeabili di mq. 45,26 = == arr. 45,3 q cn vÒ Ò Ò ò o iÓ *9 co d o o . Pi H" O O t>. Oh < Oh -3* di di ! 00 oo 00 •-» 1-1 M P co IS CO o o di t N N ■ o o . IO O di. di Oh ij O (M di | co M CO 00 P O P CO O Oh ò> 5" d. vd ci d di o M O uo JO Oh b/D CO di H- IO < O-. VO t-H IO co P» Pi (P o qv O H-i T 4 o •Ò o in M O di 00 Kl Oh ! 3 di 00 VO (N — 1 <© H- di IH N P H- o q o O 3 Hi T pv d> vÓ o in bc di o vO in c-4 3 rf- vO o. P o vO di co i-* 1-1 co O vO 00 vq o vq 6 *9 p ó Oh O Oh bC CO o i-h oo M in vo oS 00 di p di 1! s VO o in M M CO di vO 00 o oo ! -< IO O n o > HH 00 vO o. 00 O £ » di di M 1 0) CO di o- q q- Ih o Ji 'f 00 P p o p 00 O co di di in Oh in m ' o M M M /Ci e S- ÌLh L Lh éi ; ’s s -+n> -U P ' — 1 •— Ì 1 3P :p ì> co 03 co io © G a ^ i— H | c4 1 etì <0* 00 00 pH o a ; CO ■ r~ co oo p . ! _G le xl i ‘55 hJ ? tì Ph Ctì cn © . 3 H t> rv rO Od ■ h-. — £ cd , © <-& rq TJ ^ ^ 15 ■p t.1 . G 6- • — 6jo *23 hh» &c nd 4 cu e QC . © G © £ © — ^ • s '5 £ £ . b>‘ s 4-H • G S f§ p O <« ce o © 'K A A G P, O © O 03 £ ; O 3 » o o > 41 W « <1 Eh «o (N 00 CO 03 © E s-, © Oh #® O Ctì e-, © p- p co f-, © Ph a 12 ‘3 o ó di o ò 6 in di o d d o •cr o in IO IO i o. Hi di di ci 1 00 00 00 t-1 1-1 t-H pi vo -st¬ in o q di elo' » o o in o di o 1 o . IO VO c-1 u-^ vo oo pi Pi o P M 4 oo »n o in M o M p HH 00 di oo VO ci vO -3- ci HH M (N o vq oo o o o l-H M có tò iÓ d tó di o co IO in di vO l>H P VO di CO Hi Hi CO p co d q di p M ó p Pi d P co o 0. co in 00 00 CI p di vO o in i-1 C-1 M o q VO o in di IH 00

- vO H co co vq IO Pi o P di c\ vd 00 • in o in IO o Hi M in P o ro co P CI di vO in l-1 di 00 p (N O ci q HH l_l o p o di in . 00 di CI 1-1 CO IO 00 q CI o q có od od o od oo o Hi N u-> di VO vO in Hi Hi HH M p fc-l L. ’t- t-i 2-i HH ■4H - • 4J 4-> g t> 00' C3 i o cd Ph cd Q TABELLA IX. Tabella riassuntiva della capacità di cisterna (in me.) e dell’area di raccolta (in mq.) da assegnare per ogni abitante nelle Isole Partenopee 57 Procida BUJ9}Sp T?ipp' BjpBdBQ i B! co so 1 n Qi O vd vd o vd bjjooovu ip soipadns à 00 lÒ M 6 co 43-3 vq r-j Ponza Bujgpp ^IPP 1 CO CO vd C5V vd 6.8o co vd B!}|C OOBi jp 9toip9dns cr CO o* co 35-3 1 Os m in 4 o- i-O vO o 9ioijj9dn^ CO vO co 4* in vO rt- -H ISOLA D ’ ISCHIA Ischia media BUJ9}Sp «IPP’ « BjpBdBQ c rj- Oi c-1 O o rt- m rt- 4- o C^ M ro O -2 M <3 o o BU.I9}St9 Bjpp' g B;pBdB0 > ’cf M cn •n oo oo oo 2- vO id vd d c? o ! oo io o in od B^OOOB. TP ? ^ N- * 9pi}j9dns S! o, ro m co ! M S- *o o a s C/3 OS O BUJ9}SIO *IPP* p ^;i9BdB0 0v rj- m vo OD CO 00 00 00 ~d~- vd vd vd vd & B^OOOBJ ip £ 9pi}j9dn§ g vo co in ^ n vd d> vo o (N n n> O OC CT . N HH 00 ro iO 00 ro CI io ro 0 O ro CI VO in r>> r^ Tf iO in io m 0 m n Gì VO Ci O M m. d C O q q q q iO ro ro q iÓ 1 d in d d in ró ró d M d 1 od CI ró 0jqtU9^0g «n 1 CI 00 M Tf- ro ro m ro 1 ro IO CI 0 in 0 q q in q q q Cl 0 o;so.§y lÒ O 06 ! 1 1 ró c d id in d ró I d d in 1 1 J ro M IH Tf 1 n ro -1- O 0 0 O 0 O 0 I i d 1 1 I l 1 m, >n M Tf d ro I oqSnq 1 1 tt in 1 1 1 1 CI Tf Cl 1 c 0 ri q O 0 0 n. CI n CI tt on.oni£) I d 6 d 1 | ró d d io d d n d ci IH 1 1 1 CI CI c| -0 0 0 CI 0 q in q q q r^ 00 tt CI 00 | di 6 ró ró d d ci d ró ró d d M d 1 0 t}~ rO ro CI 1-1 Tf tT CI Gl 0 q 0 IO q q >n Q q 0 00 vO Gì vq 00 9|IJ(ÌY io ró ci M ró d M 4 od io in od id in d M >n CI in M CI CI ro Tf- ro O M 0 ro vO q 0 r^ r . m O q «n q c q q 00 Gl T rq ró d ró M ci d ró ró ró Tf d ró tH ró od ci ozjepj >n 0 rj ro H M CI O ro i>- Tf Tf Gl q in 00 M O q q q Gl CI m, n Gì r^. 0 ró ci ró od M id od T+- ó- id ró yn d in ró d oiBjqq0jj vO Tl- HI OC d 1-1 ro » n iO 00 0 M ro M Gì Gì q q m H M q q O in q q n Tf n n IH 6 06 d c> id ró ci d ró in d ró n ró IH OLBUU0{) ti- in iO TT ro CI IH ro tt in Gì CI HH ro n ro 0 c o- 00 qi Y q in q in (> CI vq Gì n d ci io 6 id d ró ci ó* 'Ó in ró in iJ ró d 0jqui0Oi(q 0 w 0 ti- m 0 M in 0 0 >n 00 » CI r^ Gì vO 0 q 0 rq q 0 io q m M G ro r^ CI IH q Ti¬ in d> IO w ci ró od ci ci id ó- ró ró in ró rò 0jqUI9AO^[ M 0 m in CI CI O 0 w Gì CI tt Tf r^ H 00 n Gì q q in co q 00 q q 00 q q q CI Gl q rq ró 06 ci M Ó- d ró ró io in d in od d od 0jqo^o O Cl 1— 1 CI 1— i Cl in ti- co Tf -t- Tf Cl CI r^ iO c$ 0 60 O rO Tf in vO r> 00 Gì O IH Cl ro Ti¬ «n vO r^ 00 O CI Cl (N C| Cl Cl rO ro ro ro ro ro ro ro ro r© Gì Gl Gì Gì Gì Gl Gì Gl Gì Gì Gì Gì Gì Gì Gì Gl 2—i i-i HI H HI IH HI -1 IH HI Hi HI IH H IH IH HI ci CO Tf n vó P-* oó Òi i 1 IH Cl ro Ti¬ n vÓ tó CI Cl CJ Cl Cl Cl d C| ro ro ro ro ro ro ro ro Cu 4-5 Gl Gì Gì Gl Gì Gì Gl Gl Gì Gì Gl Gì Gì Gl Gì Gl aS Hi 1-1 IH H IH HI M HI M IH HI HI w HI M IH G G <1 Media 68.8 98.6 103.0 78.8 82.6 55.3 35.2 24.7) 12.9I iz.7| 15-2) 44-31 632.1 TABELLA IL ANNO w *ò ri- ò ó 6 ci r? ci ode co o o V0 VO . m io . io vO w cr) M M oiSSboi i>« co ov o\ t>- o o» ■rt- O' • ci tj- io o iò M O M 0\ CJ IO I>- VO Ov Ov LO O rt- M M aiudB 01- rf- o CTI oq O oo »ó ^ cò odo’ o CO ^ CO O “ o <*o C rj- CO M ie Qs to OZJBUI CO vO o Qv Ov O d uò cò d. d o d io o io owocl vO « O' 2? M ^ VO oiBjqqaj 82.6 O.98 80.9 2453-3 12622.0 6350.0 6272.0 oiBuuaS oq Ov 0 ti- i>» q t>- od & ed uò od d od 0 0» vO VO co co co ih ci 0^ w O' 1 r> ■ t}* ajquiaaip 0 IO- 0 co O co cò ^ d od cò d cò 0 e « 0 g> m i-> 0 00 00 CO CO co 3jqiU9AOU vO LO VO M CO O co od ^ cò od io d ló Ov 0 0^ co io e) 00 O- O xn IO ■7" 01 co o Tt- *f io vO co o 3 do 6 A | 1 1 cò d. o A 4 dv 01 1 hi A O s Tt- l 1 1 co ■vr 1 IO CO < vO vO qv OV oo T}- cq o 1 | od cò 1 1 1 1 | t i d o hi ló A 1 "5jo E 1 1 IO 1 1 1 1 1 01 Tf 01 1 3 (N oo co 01 qv rq qv 00 hi o o . Tf Tt- Ov is E M § rj- »i 00 01 CO vq Tf co Ov vq IO co IO oo o o oi d> ri od o A vd M o 4 t cò vò rò ^i ri sS E O co 00 01 Tt- hi o. CO IO vO 00 O co M OV Ov -O E hi w hi hi )-l X! V Cu co IO oo io Tt- vq vq r^ hi iq IO M hi o r-. .2 do ri od ri tt oi o ri cò 4 o ló C) A A dv c C vO Tf- Tt- IO vO TT co 01 CO Tf io OV M co io ri c s r- 1 hi hi M hi 0) O . oo vO o . Tf 00 > ci hi hi O 2 00 tq Oo vo CO vq r^ qv IO 00 hi 01 Tf* oo M uq 3 od o cò od 01 A cò o cò hi od ri. cò d* A A -O o E 00 H; vo 01 io Tf 00 Tf ci- CO CO 01 M M vO vO o • 03 .H ’5b _© co Tt- io VO ri 00 Ov o hi 01 CO Tf- io vO oo o Ol 01 Ol Ol Oi o: 01 co CO CO CO CO CO co co co s- 0> Co Oo Ov Ov ov Ov Qv Ov Cv Ov Ov Ov Ov Ov Ov ■73 hi ri hi hi M hi hi hi hi hi hi hi ri hi 1 | ■ 1 1 1 ■ i 1 1 1 I I • 1 M co Tt" IO vo !>. 00 Ov c hi CO tT IO vO o. cC Oo Oo Ov ov Ov Ov Ov Ov Ov Ov OV Ov Ov Ov Ov cC jg hi w hi hi Ci hi hi hi hi hi hi hi hi hi H a < TABELLA Y. Totali mensili ed annui integrali successivi delia quantità di precipitazione che può affluire alle cisterne da aree intonacate nell’Isola di Ponza o c a ; < E S io 6 vt vO o od vt Gì d 00 o A Gì Vt d td IO vO Gl d CI Gì iO uo CO Vt <0 vi* d Gì vO le* H- Gì I/Ó oo d uo G A 00 uo uq oo Vi¬ vo X) G H l>* io vi- O IO c^ n ci IO vt 00 uo id iO o G IH Vt uo Cd G . 00 G G IO o oo Gì d co co IH CO vO IH o vO cq oo iO s o od Gl UH o od IH o d’ o d ci "i- A G Gl oi vt vt Gì oh 00 o CO uo uo l>* G O d O d ! &o io UH Cd co Gì vi¬ d 00 CO O O Vt O td < M d 0J co vt uo uo vO o* C^ 00 G G o O IO Gì d cq uo M Gì d iO vi¬ cq CO oo uq o g M A d UH r od od IH IH uó A ci ci A od vt c vt li- vt Gì VT 00 vO CI uo vi¬ vO oo iO Cl uo G IO UH td CO G> vi¬ o r- d co co O uo vi¬ G iO -4 M UH d CI co vi- vi- uo uo IO t-v» l>* co 00 G o iO o CO CI co uq M Gì uo l>* uo uo GI uq uo G E U- A A- oo o od od |H IH d vd IH o uó vj- Suo g vt vt 0 co Vt 00 IO d uo CI d 00 Vi- d uo G 3 io UH Cd CO Gi vi¬ o d 00 co o UO vt G iO o N CI co vi- vi- uo U0 iO l>. C^ 00 00 G o o vt CI O d cq 00 Gì o 00 CO iq* ■Vf Gì uo cq "5 c s UH g A O d od uó ci CO A A (\ì A CO có có bc E Vt CO vO co vt oo MD IH vf- c o IO H G uo G IO UH IO CO Gì vi¬ O d 00 CO o uo CO G IO § UH H* d CI co vi- vi- UO UO IO c^ 00 00 G o M vt vt td IH 00 co vi¬ o q Gì q o 00 Gì E UH UH UH Gì uó CI d* !H vi- ci d vt- có od có oo u g vt CO UH 00 O uo uo O d G G d M vi¬ co o io UH V0 d G Vt o r* d r* d O uo co G o < UH 1-1 d CI co vt Vi- UO uo iO t** c^ 00 00 G VT IO o IO i>* co ir Gì co d Gì vt uo o Gì o g od di cu’ 00 Gì có d oo Gì od o iO A od uó o 00 o vO td lo* CO vt io UO CO IH G vt o UO cS 6 vt UH IO N 00 vi¬ o IO |H d o vt d G uo % 1-1 M d CI co vi* vi- uo uo vO l>* C^ 00 00 G .2 IO 01 co oo U0 M d uq G vi¬ IH 00 CO vt m Cd £ «A vd H A od di IO d’ IO co ci d* A vd o od o 3 co vt Gì uo vt |H d vi¬ IO uo o vf UO Q IH Vt JQ G vt o vt d 00 co o vo fc-H IO d G vt d 00 UO 0) • | M M d CI co vi- vi- IO uo vO iO t*. 00 oo G et. o l-l M uo IO CI uo 00 d O 00 i q uo vO Gl Cd Cq g uó A Ci 00 00 G 0) 00 vO c*. IH 00 G CI uq Gì CO d o uo 00 Cd o ja g A di o oo có o Gì có d E * d 00 vf G o d 00 IO d o ’Z l“l (N CI CO cr vi- vi- uo uo IO c^ l>* oo G (Lucania), riconosciuto come marmo ornamentale. (1) Chimica, ottica, strutturale, ecc. — 95 — Si tratta di un campione di Alabastro Calcareo bianco, tran- ‘Slucido, purissimo, costituito cioè esclusivamente di carbonato di calcio (calcite) prevalentemente macrocristallino a grana grossa e senza contenuto tecnicamente rilevabile di sostanze inquinanti. Il campione non offre però alcuna compattezza o tenacità tanto che è facile ridurlo in piccoli frantumi con le sole mani. Esso cioè riflette uno stato di alterazione o meglio di disgre¬ gazione del materiale genuino. Come già l'indicazione che lo ac¬ compagna esplicitamente dichiara, il campione evidentemente pro¬ viene dalle parti superficiali ed esposte pertanto agli atmosferili della formazione alabastrina. Ciò è confermato sia dal confronto con altri campioni più te¬ naci e resistenti che esistono nelle collezioni di questo Istituto, sia dalle descrizioni che ne sono state date in passato (1) e special- mente da quella (del materiale e del suo stato di conservazione, nella sede delle cave di Latronico) che ne dava nel 1912 P Ing. Capo del distretto Minerario di Napoli. Va perciò anzi tutto stabilito che il campione non può costi¬ tuire base di giudizio sulle qualità e proprietà della roccia ; visto poi che, come risulta chiaro, trattasi del noto alabastro di Latro¬ nico, le cui cave o meglio i cui giacimenti furono concessi sin dal 1834 (per decreto di Ferdinando II del 2. VI. 1812) in enfiteusi perpetua al generale Vito Nunziante, marchese di Mottola, ed ai suoi eredi, il parere sulla utilizzabilità o meno del materiale, bi¬ sogna sia espresso riferendolo invece ai caratteri degli altri saggi, fino ad oggi personalmente da noi osservati, e che furono eviden¬ temente prelevati dalle zone meno superficiali e meno degradate ,(o, come vorrebbe il Salmoiraghi, dalle zone di vero alabastro). E poiché tali saggi, oltre le qualità positive avanti riscontrate sul campione, non presentano quelle negative della facile disgre- gabilità, ma sono anzi compatti e resistenti e talvolta di grana così minuta ed uniforme da simulare l'aspetto di un marmo saccaroide (donde il nome di " Alpi Apuane della Basilcata „ attribuito dal De Giorgi al Monte Alpi di Latronico), posso precisare che la roccia, donde fu prelevato il campione, poco giudiziosamente scielto, (1) Va però avvertito che dalle descrizioni del Salmojraghi' risulterebbe che le varietà poco coerenti della roccia non sono attribuibili a fenomeni di degra¬ dazione esterna, bensì alla natura stessa del materiale il quale da un vero ala¬ bastro passerebbe ad un “ tufo calcareo „ inadatto ad ogni lavorazione. - 96 — costituisce un alabastro calcareo adatto per tutti gli impieghi ar~ chitettonici ed ornamentali per i quali tale genere di materiale è generalmente, richiesto. Caratteristica dei campioni da me osser¬ vati di tale roccia è la sua tinta bianca talvolta molto uniforme. Sempre riferendomi al vero alabastro di Latronico, e non alle zone di alterazione d'altronde rapida ed intensa nella sede delle cave per effetto del clima (altitudine principalmente), o comunque non alle zone tipicamente non alabastrino-compatte, e nello stesso tempo per confortare quanto abbiamo potuto fin qui dedurre, ricordo che sbrano favorevolmente pronunziati nei riguardi di questo alabastro alcuni autori del secolo scorso. Così per esempio nel 1853, nel suo rapporto sulla Solenne Pubblica Esposizione di Arti e Manifatture dello stesso anno il Paci osserva che " il marmo bianco di Latronico in Basilicata per la finezza della grana richiama tutta l'attenzione dei visitatori „. Nel 1854 Alessandro Cicca, elencando i prodotti Minerari del Regno delle due Sicilie , ricordava con gli alabastri di Montenero del Gargano anche quelli di Latronico, mentre nel 1855-56 il Moschitti, parlando dei Progressi delle Manifatture e della Agri¬ coltura e delle Industrie nelle provincie continentali del Regno delle due Sicilie , notava : " E’ in Basilicata una miniera di marmo presso il Comune di Latronico, censita da molti anni alla illustre famiglia Nunziante, ma non ancora lavorato, forse perchè, man¬ cando in quel distretto la strada rotabile, dispendioso ed arduo sarebbe il trasporto dei fossili. ,, Un richiamo del materiale si trova pure nel Catalogo Sommario dei prodotti minerari italiani ad uso edilizio spediti dal ministero di Agricoltura , Industria e Commer¬ cio alla esposizione di Vienna del 1873. Nel 1879 De Giorgi, nelle sue Note geologiche sulla Basili¬ cata, richiamava l'attenzione degli industriali del marmo sul Monte Alpi di Latronico che egli chiamò le Alpi Apuane della Lucania. 11 De Giorgi comprendeva sia il materiale nettamente alaba¬ strino, proveniente dalla precipitazione chimica del CaC03 da acque ricche di tale carbonato, sia il marmo vero saccaroide, proveniente cioè dalla intensa trasformazione strutturale (metamorfosi) dei cal¬ cari organogeni preesistenti, che costituiscono i marmi propria¬ mente detti. Il Solmojraghi nel 1903 dava una prima dettagliata descri¬ zione del materiale e delle caratteristiche minerarie delle forma¬ zioni relative, pubblicando anche una cartina ed una fotografia, - 97 — precisando la natura alabastrina del materiale e sfatando Y antica credenza che il M. Alpi racchiudesse un tesoro di marmi preziosi. Finalmente nel 1912 l'ingegnere Capo del Distretto Minerario di Napoli, si recava sul posto riferendo in una nota pubblicata nella Relazione del Servizio Minerario del 1912 eristampata poi in una monografia a parte edita dall'allora Ministero di Agricoltura , In¬ dustria e Commercio nel 1913. Le sue conclusioni sono ben diverse da quelle del Salmoira ghi per la parte che riguarda la natura del materiale e le sue ca¬ ratteristiche di giacitura. (Ing. Ippolito). 11. — Relazione della visita effettuata in tenimento di Avella in località M. Seminario per dare un parere di massima sulla utilizzabilità del locale calcare cretacico come n marmo or¬ namentale „. Il sopraluogo concluse trattarsi di un calcare organogeno a grana fine che avrebbe pregi ornamentali, ma che, compreso come è nelle aree cretaciche più fortemente interessate dalle sollecitazioni tettoniche , non presenta nella sua sede carattere di continuità e compatezza sufficiente ad incoraggiare senz’altro una importante in¬ trapresa estrattiva. Non si escluse a priori però la possibilità di trovare in alcune zone , anche superficiali , la roccia in condizioni favorevoli ad alimentare un esercizio industriale di cava per " marmo ornamentale „ e pietra da taglio. Riportiamo qui integralmente la relazione redatta in proposito: Il 13 luglio 1938 XVI abbiamo visitato gli affioramenti del calcare cretacico del Monte Seminario in tenimento del Comune di Avella (Avellino), ma a brevissima distanza (appena qualche centinaio di metri) dal confine della provincia di Napoli (comune di Roccarai- nola) per consigliare o meno l’apertura di una importante cava in detta zona e con essa rimpianto e l’esecuzione di tutte le opere e di tutti i lavori preparatori per sfruttare il materiale come pietra da taglio e “ marmo ornamentale „. Questa roccia è già nota da lungo tempo col nome di bigio o grigio di Avella e fu saltuariamente impiegata come pietra da taglio e pietrame da muratura , per usi più che altro locali ed in scala molto ridotta, es. basi, pilastri, etc. del campanile di Roc- — 98 — carainola (1). Infatti come comune pietra da muratura in quelle contrade è adoperato il tufo vulcanico (grigio-giallastro) che si cava neirimmediato sottosuolo della pianura, specie nelle adiacenze della frazione Tufino, Fin dal 1899 la tinta calda della roccia, che la rende di aspetto gradevole, e la vicinanza a Napoli (2), indussero il prof. Luigi Del¬ l'erba a studiarne la natura petrografica ed i possibili impieghi, ma egli concluse il suo studio, escludendo la possibilità di ritrarre dalla roccia blocchi monolitici e lastre di grandi dimensioni e ne consigliava pertanto 1' impiego come pietra da taglio e pietrame, utilizzando poi i rifiuti della lavorazione per l’industria della calce. Ma questo studio rimase lettera morta e da quell' epoca ad oggi, per quanto ci consti, soltanto sporadici e locali usi ha avuto il materiate in oggetto. Accompagnati dunque anche dall'Ing. Vito Capolongo di Rocca- rainola, abbiamo effettuato il sopraluogo lungo la costa del Monte Se¬ minario, osservando tutti i punti nei quali affiorano le testate degli strati e talvolta restano denutati i piani di stratificazione. Fra l’altro si sono visitati i fronti di un inizio di scavo eseguito evidentemente da molti decenni. Il calcare, tipico organogeno cretacico deU'Appennino Meridio¬ nale , si presenta in alcuni punti nettamente stratificato , a strati quasi orizzontali potenti un cinquanta centimetri circa , in altri in¬ vece, e specie là dove non è stato eseguito mai scavo di sorta, la prolungata azione degli atmosferili e la conseguente patina scura, offuscano completamente la stratificazione, supposto che essa con¬ tinui ; ma ovunque esso affiora, evidentemente interessato come fu da movimenti tettonici, si presenta più o meno minutamente frat¬ turato . L'effetto delle sollecitazioni tettoniche si riduce spesse volte soltanto ad una facile suddivisibili tà prismatica della roccia, la quale pertanto conserva molte volte anche la sua compatezza e non ri¬ vela tale sua caratteristica struttura, che potremo anche dire “ ca- tachstica „ se non nell’aspetto della frattura. Le fratture e fenditure sono frequentemente riempite da cal¬ cite secondaria e dànno pertanto al materiale un aspetto gradevole (1) Ove la roccia in blocchi soltanto spianati ha assunto col tempo una tinta più calda e conserva perfette le sue superficie non ostante si notino le suddivi¬ sioni, quasi cataclistiche, di cui si dirà, e le venule di calcite. (2) Km. 33,7 e possibilità di raccordo con la Ferrovia Napoli-Noia Baiano. — 99 — € che ne faciliterebbe l'impiego ornamentale conferendo, pregio alle lastre polimentate. La roccia nelle parti più superficiali percossa col martello va piuttosto facilmente in frantumi. Per la presenza appunto di queste numerosissime fenditure, spesso capillari e che sono grossolanamente perpendicolari alla stratificazione, ma che si intersecano ed attraversano capricciosamente, la roccia presenta una frattura raramente concoide e quasi sempre a gradinata, in dipen¬ denza appunto delia suddivisione prismatica accennata. Vari blocchi , sia sul luogo di antichi fronti (E>rse quelli del 1899) sia in altre località della zona più a monte o più a valle, furono saggiati col martello, ma sempre col medesimo risultato. Non sono mancati però punti nei quali la roccia (dopo ripulita dalla patina superficiale) si presentava per estensione di più decime¬ tri continua e scevra di effetti meccanici incidenti la sua compatezza e rivelava soltanto rade ed esili vene di calcite. Nessuno elemento però i fronti degli scavi e le testate degli strati, all'atto del sopraluogo, presentavano che potesse autorizzare a ritenere che nella massa dovesse prevalere questa ultima facies , indubbiamente molto incoraggiante agli effetti estrattivi. E tanto più illecita sarebbe ogni illazione in merito perchè in vari punti visitati appaiono anche fratture più larghe, riempite da brecce tet¬ toniche fortemente cementate, come appaiono anche nelle forma¬ zioni della pietra di Bellona. E certamente in questa plaga forti furono gli effetti del corrugamento, se a breve distanza , sull’ altro versante della valle nei monti di Nola e Visciano (cave in frazione La Schiava) e poco più su sulla stessa costa della catena, nei te- nimenti di Avella e Baiano , in questi calcari cretacici sono attive cave di pietrisco per massicciate stradali e ferroviarie di vasto im¬ piego (1) e^ di facilissima estrazione per la natura cataclastica sciolta del calcare. Per quanto precede, allo stato si deve ritenere che si tratta di un calcare organogeno a grana fine che avrebbe pregi ornamen¬ tali — come lo dimostrano i vari blocchi posti in opera in Rocca- rainola e come saggi di luciditura e pulitura hanno mostrato anche recentemente — , ma che , compreso come è nelle aree cretaciche più fortemente interessate dalle sollecitazioni orogenetiche , non (1) Le cave de " La Schiava ora utilizzate dalla Soc. Ferr. Sec. Merid. for¬ niscono una notevole quantità di pietrisco a tutta la linea Napoli-Noia Baiano ed a buona parte della Ferrovia Circumvesuviana. , 0- * - — 100 — presenta nella sua sede carattere di continuità e compatezza suffi¬ ciente ad incoraggiare senz'altro una intrapresa estrattiva. In definitiva il sopraluogo si è concluso, per le accennate ra¬ gioni, con esito negativo. Non si è escluso però a priori la possi¬ bilità di trovare in alcune zone , anche superficiali , la roccia in condizioni favorevoli ad alimentare un esercizio industriale di cava per " marmo orinametale „ e pietra da taglio. A tal fine si è consigliato agli interessati di far scoprire, sem¬ pre che volessero persistere nell’idea di tentare, un fronte sufficien¬ temente ampio in occasione di prelevamento di materiale per le vicine " calcare „ sì da poter osservare agevolmente gli strati in sede nelle zone più favorevolmente indiziate agli impieghi accen¬ nati. E ciò specialmente ricordando quanto capita nella zona di S. Angelo in Formis, ove due cave poste quasi di fronte e sepa¬ rate dal fiume Volturno, alimentano una la produzione di pietra da taglio e “ marmo ornamentale „ e l'altra (Triflisco) quella di brec¬ ciame per ferrovia (1938) (Ing. Ippolito). 12. — Rapporto sulla visita alle sorgenti minerali di Castellam¬ mare di Stabia. (Ing. Ippolito). 13. — Considerazioni idrogeologiche sulle acque di Castellam¬ mare di Stabia. (30 sett. 1937). Queste " considerazioni „ furono premesse alle analisi chimiche e chimico-fisiche eseguite dai proff. S. E. F. Giordani e sig.ra M„ Bakunin e dai dott. Beretta e Ranaudo. In base alla Geologia e Vulcanologia della regione ed ai risul¬ tati delle analisi chimiche stesse, si concluse col ritenere probabile in queste acque minerali un forte apporto di acque juvenili. (Ing. Ippolito). 14. — Relazione idrogeologica sulle acque del Chiatamone (Na- poli). La relazione, a firma del prof. Ing. F. Penta e dr. Ing. F. Ip¬ polito, inquadra le manifestazioni idriche del Chiatamone nel qua¬ dro di tutta la idrologia di Napoli e dintorni. A seguito di consi¬ derazione di ordine geologico e vulcanologico, ascrive alle attività ignee della regione la mineralizzazione di queste acque che, -anche 101 alle analisi chimiche e chimico-fisiche, rivelano per loro radioatti¬ vità, abbondante presenza di C02, contenuti dì altri elementi e loro rapporti , il carattere nettamente endogeno della mineralizzazione. Infine le ricerche idrauliche, hanno mostrato il netto carattere arte¬ siano della vena acquifera, poiché l'acqua risale dal fondo dei pozzi fino ad oltre 50 cm. sul livello del mare (Ing. Ippolito). 15. — Esame di sabbia e conglomerato della foce del Seie : Pae- stum. (Nov. 1 937). Questo studio riguardava una sabbia ed un conglomerato con¬ tenente resti fossili studiati dal prof. D'Erasmo. In base allo studio microscopico si concluse che tali materiali vulcanici provenivano da eruzioni storiche del Vesuvio (dal 79 d. C. ad oggi). 3 6. — Esame di olivina delle coste dell’Isola di Linosa. Segnalazione del giacimento e determinazione al microscopio della percentuale di molecola fayalitica presente nel minerale. (Ing.. Ippolito). 17. — Studio di un materiale zeolitico del monte Amiata. Trattavasi di due campioni di materiale color verde scuro l'u¬ no, giallo-bigio l’altro. Dallo studio macro e microscopico si con¬ cluse trattarsi per la massima parte di una Zeolite (probabilmente natronite). (Ing. Ippolito). 1S. — Studio petrografie© di un campione di roccia proveniente da un pozzo sondato in Sardegna (Ing. Ippolito e Ing. Fer¬ rara). 19. — Studio di una roccia bianca poco coerente con plasticità e coesione apparenti interposta fra i tufi trachiandesitici di is Canisoms di Porto Palma (Cagliari). Lo studio , fu eseguito in vista di eventuale impiego del ma¬ teriale in oggetto come terra smettica e per refrattari. Esso rivelò invece che la roccia si deve interpretare come deposito di carbo¬ nato di calcio di natura concrezionare, ma a grana estremamente minuta e poco coerente, in modo da simulare una natura plastica. (Ing. Ippolito e Ing. Ferrara). — 102 — 20. - — Studio di due presunti campioni di minerale di Mn. I due campioni ritenuti di Mn. furono riconosciuti invece per vulcaniti perlitiche. (Ing. Ferrara). 21. — Prima relazione su una terra bianca dell’ abitato di Ca¬ poterra (prov. di Cagliari). Da tutto lo studio microscopico col rilievo delle curve termi¬ che e con le prove comuni di plasticità, ecc., si concluse con lo stabilire che questo materiale, oltre un costituente essenziale pro¬ babilmente caolinitico, contiene anche minime quantità di altro mi¬ nerale argilloso eventualmente del gruppo montmorilloniti-nontro- niti-beidelliti. (Ing. Ferrara). 22. — Studio petrografico di rocce laviche (francesi ed italiane) resistenti alla corrosione per opera di liquidi acidi. Questo studio fu eseguito, per la pubblicazione, in collabora¬ zione Malquori e Penta (Rocce laviche resistenti alla corrosione ad opera di liquidi acidi). Lo studio petrografico completo , non pubblicato integralmente, mostrò la grande affinità chimico-mine¬ ralogica e di tessitura fra alcune rocce italiane (Ischia e Ponza) e la lava di Volvic (Francia) fin qui importata per il rivestimento in¬ terno delle torri di Glover e Gay-Lussac. (Ing. Ippolito). 23. — Studio microscopico di serpentine di Pratp i cui risultati furono i seguenti : La roccia osservata nelle quattro sezioni sottili eseguite sul materiale fresco e nelle quattro sezioni sottili eseguite su materiale arroventato, mostra di essere una serpentina tipica. Essa si presenta a struttura grossolanamente reticolare in cui vene di crisotilo più ferrifero racchiudono un feltro anche di crisotilo , ma meno ferri¬ fero. Si nota altresì la presenza di alquanta magnesite secondaria, di una clorite e di rari cristalli di cromite e crompicotite. Da tutto lo studio eseguito deve ritenersi che tale serpentina provenga da una peridotite pirossenica, del tipo delle werbsteriti e harzsburgiti. (Ing. Ippolito). 24. — Primo studio su sostanze ottenute con trattamento chi¬ mico di materiali naturali. (Dell’Istituto chimico della R. Uni¬ versità). — 103 — 25. — Relazione dell’accesso dell’Ing. Ferrara a Valsinni (Luca¬ nia) ove in due valloni rinvenne delle marne con cristallini di pirite che, come di solito , avevano attirato V attenzione dei profani. 26. — Relazione dell’accesso dello stesso Ing. FERRARA a Cersosimo (Lucania) ove nel Canalone, all’ingresso dell’abitato, accanto alla prima pila dei ponte, era stato segnalato del petrolio. Lo scavo eseguito in presenza dell’ Ing. Ferrara ha messo in vista che si trattava soltanto di venute di acque del torrente, le quali, attraversando le argille scagliose impregnate di idrocarburi, se ne arrichivano sviluppandone quindi l'odore caratteristico. (Ing. Fer¬ rara). 27. — Relazione sugli accessi e sulla permanenza dello scrivente e dell Ing. Ferrara in territorio della Calabria ritenuto inte¬ ressante dal punto di vista aurifero, ma non riconosciuto tale in seguito allo esame dei campioni raccolti dai medesimi. 28. — Determinazione di alcuni campioni della Dancalia. Rac¬ colti dall' On. Barbiellini, R. Commissario dell'Istituto Orien¬ tale di Napoli. Esaminati i campioni, provenienti dall'Africa Orientale Italiana; inviati a questo Istituto, fu riscontrato quanto segue : a) Concrezioni di carbonato di Calcio, anche in globuli fi- broso-radiati e granuli di sabbia : b) Concrezioni di carbonato di Calcio con poca sabbia (le concrezioni sono spesso in globuli fibroso— radiati); c) Carbonato di Calcio concrezionato compatto, tipo traver¬ tino, zonato ; d) n. 1: Roccia vulcanica a base vetrosa ricca però di so¬ stanze cripto, micro e macro-cristalline. Tipo retinitico; n. 2: Vetro velcanico devetrificato. Tipo retinitico più devetrificato del n. 1; n. 3: Lava scoriacea, probabilmente autooneumatolizzata e con mi¬ nerali secondari, fra cui calcite ; n. 4 : Lava scoriacea, sostanzial¬ mente come quella del N. 3 ; n. 5 : Sabbia costituita da detriti di feldspati, pirosseni, schegge di vetro (anche pumiceo), carbonato di calcio e rocce , più esili veli di incrostazioni di carbonati solubili, probabilmente di sodio. (Ing. Ippolito). — 104 — 29. — Materiali della provincia di Uccidili (febbraio 1938), (carbone e scisto bituminoso). Breve studio applicativo della lignite picea di Uccialli e di uno scisto bituminoso. I risultanti della indagine furono i seguenti: Lignite picea : fu esaminato un carbon fossile della Piana di Uccialli (1) a poco meno di un centinaio di chilometri da Dessiè ed a qualche chilometro dalla camionabile Dessiè-Asmara. Secondo le notizie fino allora pervenuteci, esso costituisce più strati (accer¬ tati finora tre) ciascuno di potenza variabile da circa mezzo metro ad un metro e mezzo. L’osservazione dei campioni ricevuti accertò che trattasi di un carbone con plendore dal piceo al vitritico ; l'a¬ spetto è del tipo Streifen-kohlen (alternanza di strati di vitrite e strati di durite o fusite) in molti punti. In altri invece predomina la parte matta che i preparati lucidi rivelano essere cenere ; la parte lucente è quella che assume i caratteri picei ; in altri punti infine si ha una struttura fogliettata, dovuta probabilmente alla interposi» zione di strati minerali di varia natura fra i quali predomina la pirite Alcuni saggi presentano una fratturabilità scistoide secondo su¬ peraci però orientate diversamente dai piani originali di deposi¬ zione. Ricorda un pò il carbone di Lagonegro , ma è molto più consistente ed ha molto più spiccato il carattere a strisce. Polvere nero bruna, colore della traccia sulla porcellana non smaltata : nero bruna. La soluzione in HNO;3 (1/10) bollente è giallo-rossa. Il filtrato non reagisce però alla luce Wood. In cambio però la soluzione, in benzolo bollente è fluorescente, distintamente oltre che alla luce Wood anche alla luce ordinaria. Le altre determinazioni, eseguite dall'Istituto di Chimica della nostra Facoltà, hanno dato : S = poco meno di 4%; ceneri = poco più del 13%. Il potere calorifico è risultato di circa 6000 calorie. (1) Una descrizione di questo materiale e dei giacimenti dette poi il Liberti nelle Materie Prime d’ Italia e dell'Impero del Numero speciale del 18 novem¬ bre 1938. — 105 — Da quanto detto, risulta che il materiale presenta caratteri in¬ termedi fra i carboni genericamente, ma impropriamente chiamati lignite e i carboni fossili propriamente detti litantraci (più precisa- mente Streifen Kohlen) , benché il potere calorifico avvicini più al primo che al secondo tipo, per effetto probabilmente più del con¬ tenuto di sostanze minerali, che della natura petrografica del carbone medesimo* Dalle vaghe notizie che si potettero raccogliere al momento dello studio sulle condizioni di giacitura del materiale, risultava che il detto carbone costituisce una formazione abbastanza continua, di cui però non sono ancora conosciuti gli estremi per una valuta¬ zione , sia pure grossolana , di potenzialità. La Geologia generale della zona interessata lasciava presumere che si trattasse di carbone mesozoico, il che confermerebbe i risultati dell' indagine petrogra¬ fica, avanti segnata (1). Scisto bituminoso . Fu esaminato anche un campione di scisto che risultò impregnato di sostanze bituminose, con residui carbo¬ niosi. La perdita alla calcinazione risultò di circa 8 %. Anche questo campione proveniva dalla zona di Uccialli e costituiva uno scisto probabilmente argilloso. (Ing. Ippolito e Ing. Vighi). 30. — Studio di materiale ferro- manganesifero dell’alta valle del Ghibiè (Omo-Bottego)-Bacò (A. O. I.). Il materiale inviato si presentava di due tipi : il primo in masse coerenti dal nero al giallo ruggine con la struttura tipica di ag¬ glomerato di gasteropodi e cioè di una panchina ; il secondo in noduli isolati e distinti, ciascuno di poco più o poco meno di 1 cmc; ogni nodulo è più o meno facilmente riconoscibile come un guscio degli stessi gasteropodi avanti detti trasformato e riempito di ossidi ed idrossidi metallici. I due campioni riguardano dunque uno stesso materiale il primo coerente ed il secondo incoerente. In ambo i casi si riscontra che esso non è tenace : sotto lieve pressione delle dita nella maggior parte dei casi il materiale si sfa¬ rina, tingendo di color ruggine e dando Timpressione di sostanza ocracea. Le analisi eseguite nello Istituto di Chimica Generale del¬ l'Università (an. Pisano) e seguite con le osservazioni microscopiche hanno dato : 0) Oggi si può consultare in proposito il lavoro già citato di Liberti. 106 — Perdita alla calcinazione del grezzo (dovuta alla disitratazione degli idrossidi) 16,33 % Fe203 63,31 % Mn304 11,92% Residuo insolubile portato a 110° e determinato come misto di sostanza argillosa e detriti di mi¬ nerali di trasporto 7,38 % E’ stata assodata l'assenza di carbonati. In modo che si è potuto concludere: " il materiale è un cal- " care fossilifero, tipo panchina , completamente mineralizzato per “ sostituzione con ossidi ed idrossidi di Fe (in prevalenza) e di " Mn „. (Ing. Ferrara). 31. — Esame di un materiale lignifico di Riccia (Campobasso). Furono studiati i campioni di alcune lenticole carboniose in» eluse negli strati terziari nei comuni di Riccia e Tufara. (Ing. Ferrara). 32. — Esame di un'arenaria marnosa di Monteleone (Catanzaro) ritenuta Caolino (Ing. Ferrara). 33. — Esame di un calcare fogliettato e marnoso della Valle del Pescara (Ing. FERRARA). 34. — Esame di campioni di rocce impregnate di idrocarburi di S. Polo Matese (Campobasso) (Ing. Ferrara). H Diamo adesso alcuni ragguagli preliminari sui risultati degli studi che il Centro ha intrapreso da tempo nel campo delle risorse minerarie dell’Italia Meridionale. 1. — Rocce fosfatiche della Puglia (1) La Puglia e , molto più particolarmente , la regione salentina con qualche lembo della provincia di Foggia e forse anche del ter- (1) Di questo studio dallo scrivente fu esposto un breve riassunto all' atto della illustrazione dei giacimenti di S. Maria di Leuca ai soci della Società Geo¬ logica Italiana ivi convenuti il 6 settembre 1938 in occasione della Riunione An¬ nuale della Società. E' in corso di stampa sul Bollettino della stessa Società una nota sullo stesso argomento di Antolini, 107 — ritorio limitrofo, offre, nella immediata superficie o pochissimo pro¬ fonde, delle formazioni sedimentarie le quali hanno attirato ed atti¬ rano maggiormente oggi l’attenzione agli effetti del problema delle materie prime fosfatiche nazionali. Tali formazioni, come vedremo subito, destano interesse non per i loro contenuti percentuali in fosforo , contenuti che si sono rivelati sempre troppo bassi , nè per le loro potenze , anche esse esigue, ma anzitutto per la loro grande estensione e continuità in¬ sieme con le caratteristiche petrografiche, in qualche caso molto fa¬ vorevoli, e specialmente per la loro superficialità o quasi di giacitura. Gli orizzonti fosfatici della regione sono due , nettamente di¬ stinti fra loro per caratteri petrografia, e cioè uno nel Miocene ed uno nel Pliocene (secondo alcuni Pleistocene) o per lo meno fin qui ritenuto tale quest'ultimo. Mentre nel secondo orizzonte le ricerche ed i tentativi di uti¬ lizzazione sono stati molto più frequenti , soltanto da pochi anni si è cominciato a considerare il primo orizzonte dal punto di vista di una eventuale utilizzazione industriale. Daremo qui alcune notizie, sufficienti se non altro a prospet¬ tare il problema nella sua realtà, cominciando dal fosfato pliocenico. a) Fosfati pliocenici del leccese. Nella parte sud-orientale della penisola salentina fra il Comune di Poggiardo a Nord (1) e la frazione Leuca di Castrignano del Capo neH'estremo sud, rivelando una certa continuità, affiora o quasi in più punti o è stata incisa a poca profondità dai tagli naturali (es. Costa di Leuca) o artificiali (strade ecc.) una facies ritenuta fin qui del Pliocene del tutto particolare e sensibilmente fosfatica : trattasi di un sabbione calcareo, fossilifero, cementato in vario grado, e rac¬ chiudente disseminati dei nuclei di grandezza varia (da pochi mil¬ limetri a qualche decimetro) ; questi nuclei rappresentano una per¬ centuale variabile da punto a punto del peso del " tout-venant „ e (1) La segnalazione più settentrionale è quella fatta da De Giorgi nei pressi della Masseria Lame fra Carpignano e Borgagne ; lo strato qui fu rinvenuto a circa 30 m. di profondità ; recenti pozzi di ricerca nella stessa zona hanno incon¬ trato lo strato sempre a profondità del medesimo ordine di grandezza. Allo stato attuale, più che agli effetti di una pronta utilizzazione industriale, il rinvenimento dello strato fosfatico in questa località ha importanza come indice di una possi¬ bilità di estensione dello strato medesimo molto più vasta di quanto gli indizi e le ricerche più meridionali autorizzerebbero a presumere. - 9 - - 108 — che raggiunge anche più del 50% con una media che in base alle prove fin qui eseguite, può ritenersi compresa fra il 30 e il 50 %. In questi stessi nuclei, che in sostanza sono dei noduli di cal care organogeno marino a glauconite, ranalisi chimica e l'osserva¬ zione microscopica rivelano contenuti dì fosfato (sotto forma di piccole e diffuse individualizzazioni di apatite e colofanite) corrispon¬ denti a tenore di P205 che dal 2, 7 % va al 18 % riferito, si intende, al peso del nucleo e non della roccia tutta e che in media può ritenersi di un 12-15%. E sono questi nuclei a fosfati che comunemente vanno intesi come i noduli di a fosforiti „ o anche più semplicemente le “ fo¬ sforiti „ del Salentino. La formazione costituisce uno strato con una potenza variabile da pochi decimetri fino a circa un metro ; talvolta però esso si scinde , come a Leuca (a una decina di metri a nord della grotta Porcinara, dove affiora ed è coltivato sulla costa a circa 20 m. sul 1. m.) in due strati di cui l'inferiore di una cinquantina di cm. di potenza è compatto ed a noduli più grandi (in genere quanto una noce), mentre il superiore di 70-80 cm. di potenza anche esso fos¬ silifero quasi incoerente e con noduli più piccoli e diffusi e che vanno concentrandosi in numero verso la base. In questa stessa località, lo strato a fosfato è ricoperto da una formazione calcareo-concrezionata tenace, che raggiunge anche più di un metro di potenza. Tale coltre però non ha ovviamente uno spessore costante ; essa dai 2-5 metri riscontrati per es. in pozzetti di ricerca a Castro e Torre Mozza si riduce a meno di 1 m. nel¬ l’intero ambito della concessione mineraria Marittima (Comuni di Diso e Ortello) ove, ira l'altro, essa è anche poco tenace perchè costituita dal " tufo „ poco o niente coerente. Questo della covertura è indubbiamente un elemento di deci¬ siva importanza mineraria , quando il problema della utilizzazione di questi fosfati si volesse guardare estensivamente; in tal caso ci saranno da considerare delle vaste zone nelle quali è giuocoforza il ricorso agli scavi sotteranei. Oltre questo della necessità, limitata a parte delle aeree, di ab¬ battere il materiale del tetto (spesso tenace) , gli altri fattori che riducono l'importanza industriale dei giacimenti in esame sono co¬ stituiti dalla poca potenza delle formazioni (di svantaggio questo specie là dove v' è spessa coltre di covertura) e dal basso tenore di P205 , il quale riferito non più al nodulo ma alla massa totale non raggiunge che valori dell'ordine del 4-10% in peso. — 109 — Altra considerazione non trascurabile è che non sempre il sab¬ bione inglobante i noduli è incoerente al punto da permettere la separazione a mano dei noduli stessi, i quali, così isolati, darebbero un prodotto già col 12-15% di P205. La petrografia dei noduli, già avanti schematizzata, a sua volta non permette però un facile trattamento mirante alla concentrazione delhapatite e colofanite contenute nei noduli compatti così separati. Tanto meno è prevedibile tale arricchimento laddove la roccia sterile inglobante i noduli è quasi altrettanto compatta quanto quella dei noduli. Si pensò altre volte alla calcinazione del materiale per ridurre il peso di sterile agli effetti del trasporto, in tal caso però è da considerare la convenienza o meno delPimpiego di combusti- bili siano pure di qualità scadente e di produzione sia pure locale. Altro fattore negativo agli effetti di una utilizzazione integrale di questi fosfati è quello offerto dalla presenza di un discreto con¬ tenuto di silice , dovuto principalmente alla glauconite diffusa co¬ stantemente nei noduli medesimi (1). Tali fattori negativi sono però bilanciati, per lo meno in parte , sia dalla grande diffusione del materiale , sia dalle favorevoli con¬ dizioni geografiche della zona dei giacimenti (molte ricerche sono a piccola distanza dal mare , se non proprio sul mare) , dal basso valore venale dei terreni agricoli che s' andrebbero a interessare con gli scavi, dalla facilità offerta talvolta dai terreni del muro in caso di coltivazione anche in sotterraneo, ecc. Ed è per tutto ciò che V utilizzazione del materiale in esame ha cambiato completamente l’ indirizzo , rivolgendosi verso un im¬ piego diretto del materiale , finemente macinato, nell’ agricoltura come concime fosfatico lento, ma anche calcareo, adatto per terreni poveri di calce, quali sono, per es., le grandi estensioni di aeree a terre rosse, bauxiti ecc. della stessa Puglia. Con queste prospettive, sospese, in vista specialmente della profondità di giacitura dello strato utile, le ricerche di Carpignano nella Masseria Lame, iniziate nel 1922 e riprese verso il 1932, sono stati eseguiti di recente scavi in tutta l’area indiziata con le ricerche di Castrignano del Capo (fraz. Leuca-Torre Mozza), di Gagliano del Capo, di Diso (Marittima e Castro), di Ortello (Marittima e Vigne- carisi) e di Poggiardo ; le quali ricerche hanno prodotto anche per 500 tonn. annue, di cui parte è stata già utilizzata, dopo finissima macinatura, come fertilizzante nella provincia di Brindisi. (1) E ciò agli effetti di una utilizzazione metallurgica. — 110 — Come risultato delle ricerche, che hanno messo in vista quanta si è avanti riassunto, intanto s'è trasformata in concessione di Mi¬ niera la ricerca " Marittima „ estesa per circa 250 ettari nei terri¬ tori dei comuni di Diso e di Ortello , mentre fra breve sarà , se non è stata già concessa anche l'area della ricerca di Castro, dello stesso comune di Diso. b) Fosfati miocenici della Puglia. Per merito di Tarulli e Marcucci e successivamente di De¬ cima e poi di Follador, fu riscontrata la presenza di fosfato in quasi tutte le rocce mioceniche della penisola salentina, non esclusa la nota pietra leccese con particolari arricchimenti nei calcari arenacei direttamente sovrapposti ad esse e che localmente sono conosciuti sotto il nome di “ Mazzaro „ e di “ Piromafo „, e specie in questo ultimo. Astraendo dal contenuto di fosfato presente nella pietra leccese,, che è dell'ordine di grandezza di quello di molti altri sedimenti calcarei comuni, vanno messi in evidenza gli arricchimenti che co¬ stantemente si riscontrano nel " piromafo Tale roccia in sostanza insieme col sovrastante “ mazzaro », dove quest'ultimo è presente, costituisce il materiale di covertura della “pietra leccese,, estratta per costruzioni e perciò-salvo l'impiego piuttosto sporadico del “ piromafo „ per costruzioni di forni da pane domestici locali-rappresenta lo sterile ed il peso morto della colti¬ vazione di detta pietra. Le due varietà di rocce attribuibili con ogni probabilità allo Elveziano , dove (come molto più sovente capita) non esistono gli esigui strati superiori di altro materiale, costituiscono l'immediato sot¬ tosuolo del leccese non coverto dai depositi posteriori del Pliocene. Nel loro assieme raggiungono una potenza globale che si aggira sulla media di 3 rm, variando a seconda delle condizioni locali fino a scomparire del tutto o raggiungere anche più di 6 metri. Poiché il contenuto di P205 finoggi accertato nella varietà «maz¬ zaro „ è sempre molto basso , l'attenzione si è rivolta da qualche anno a questa parte (dal 1931,) principalmente sulla varietà “ piro¬ mafo „ che presenta tenori più sensibili o meno variabili. Nelle aree investigate dal Follador e dal Martelli ed alle quali si accenna subito, il " piromafo „ si trova a poca profondità (4-5 metri Cava Martinara , 2-3 a Cava Grande presso Cursi) e — Ili — costituisce talvolta V immediato sottosuolo coperto da pochi deci¬ metri (40 cm., p. es., a Cava Ciccarese fra Lecce e Maglie) di ter¬ reno vegetale. Esso presenta una potenza variabile da un minimo di 80 cm. ad un massimo di quasi 2 m. con una media di m. 1-1,20. Esso si distingue macroscopicamente , come già osservò Mar¬ telli, dalle altre rocce sovrastanti e sottostanti per la sua struttura distintamente granulare e la tinta verde-brunastra, in conseguenza del suo minutò aggregato di granuli di glauconite e noduletti fo¬ sfatici , oltre che per una maggiore frequenza di fossili particolari come denti di pesci e di cetacei. Tale roccia, disgregabile sotto lievissime pressioni , all' analisi microscopica rivela, nella sua massa, un sedimento essenzialmente biogeno rappresentato da un calcare tenero lievemente argilloso, a base specialmente di globigerine con caratteristiche glauconiti glo¬ bulari miste a poche schegge e residui di terraferma (specialmente di quarzo), piccolissimi detriti di apatite e gocce, diciamo così, di colofanite (1). All'analisi essa rivela contenuti di P205 che vanno da un mi¬ nimo del 4 % ad un massimo eccezionale (sottosuolo di Lecce) del 20%, ma che si aggira più o meno costantemente intorno all'8 %. Le aree riconosciute fosfatiche (per gran parte riferite alla carta geologica del Sacco). dal Martelli, Follador ecc. sono le seguenti: 1) Dintorni immediati di Lecce fino oltre Vernole. 2) Area fra S. Cesarea, S. Donato e Caprarica, con i dintorni di Cursi, i pressi di Zollino e Martano, a Nord, fino a Bagnolo e Maglie, di qui prolungandosi in stretto affioramento fra il Pliocene fino a Nociglio. 3) Fra Palmariggi, Minervino e Poggiardo fra le sporgenze del calcare cretacico. Per il totale di queste aree, Martelli valutava, a scopo però illustrativo, una potenzialità di una sessantina di milioni di tonnel¬ late di " piromafo „ al 7-7, 8 % di P205, cui corrisponderebbe una riserva di oltre 2 milioni di tonn. di fosforo metallico. (1) Secondo il Martelli, il « piromafo » prelevato dal Follador presso Cursi presentava noduli grossi fno a 3-4 cm. di concentrazione , separati dalla ganga -che si presentava pure come modelli di piccole conchiglie mono e bivalvi e con 13, 2 % (riferito al peso del nodulo) di P2 O5 ; in taluni casi si può parlare per¬ ciò anche qui di noduli a fosfati entro il " piromafo „. — 112 — Ma anche qui varie considerazioni, ed anzitutto quella del te¬ nore ancor troppo basso , tolgono alla formazione un' importanza industriale, nonostante il gran numero di fattori favorevoli che in¬ tervengono anche in questo caso. Anzitutto è da considerarsi la facilità di abbattimento della roccia e del materiale di copertura (ambedue poco o niente tenaci), Sa circostanza che anche il tetto è mineralizzato, benché a più basso contenuto, la frequenza delle aree nelle quali tale tetto non esiste o è di piccolo spessore, il minimo costo a mq. per l'acquisto del diritto di scavo (1) e la facile disgregabilità del materiale, il quale, essendo in sostanza di natura incoerente, si presenta nelle migliori condizioni agli effetti del processo di arricchimento (i granuli per quanto piccoli dei vari costituenti mineralogici sono già in parte distinti fra loro). Fattore notevolmente favorevole è anche l’ubicazione delle aree fosfatiche rispetto al mare: esse distano da un massimo di 40 km. ad un minimo di 9 km. dai porti di imbarco e ricadono, più o meno tutti, nella immediata vicinanza della ferrovia locale. Fattori negativi sono invece anzitutto il basso tenore e la pic¬ cola potenza che per una produzione estensiva importerebbe l'im¬ pegno di vaste aree con svantaggio per tutti i servizi. Bisogna poi tener presente per eventuali altri impieghi, (2) oltre quello dei fer¬ tilizzanti, il sensibile contenuto di silice che accompagna il fosfato; tale silice è dovuta in massima parte alla glauconite che si isola per lo più in globuli (dei quali però parte sono ancora racchiusi nei gusci delle globigerine e perciò più difficili a separarsi) sepa¬ rabili per via elettro-magnetica (3). (1) Il prezzo potrebbe essere quello di pochi centesimi, al massimo di lire una a mq. come diritto di escavo della sottostante pietra leccese, diritto che si potrebbe cedere, esaurita T asportazione dell' utile fosfatico. Tale considerazione però perderebbe completamente di valore, quando si dovessero contemporanea¬ mente coltivare grandi aeree, in quanto mancherebbero le richieste contemporanee per grandi aeree di pietra leccese. (2) Come per es. quella per il processo Thomas, di cui fa cenno anche una* Relazione sullTndustria Mineraria Italiana del Ministero delle Corporazioni, Dire¬ zione Generale dell’ Industria , pubblicata nel N. di giugno (1938) delle Materie Prime dell'Italia e dell'Impero. (3) Prove di tale ordine di idee sono in corso anche con la visuale da tenere presente che la glauconite separata potrebbe rappresentare un sottoprodotto utile come materiale del tipo da " Greensand „ naturale. Ma la separazione elettroma¬ gnetica si è rivelata fin qui solo parzialmente efficace date le caratteristiche petro- grafiche avanti accnnate. — 113 - Ispirandoci specialmente al concetto di risolvere questa ultima difficoltà della presenza della glauconite (circa il 10 %), difficoltà tanto più grave in quanto sarebbe oggi, per ragioni autarchiche , necessario adoperare tali fosfati nei processi metallurgici, sono state da tempo iniziate da noi delle prove. Una prima serie di tentativi per la separazione magnetica della glauconite nel nostro separatore magnetico non ha dato buoni ri¬ sultati, a causa specialmente del fatto che la glauconite è molto de¬ bolmente magnetica. Attualmente sono in corso, ad opera dell'ing. Ippolito, delle prove sui separatori magnetici di Ladispoli , della Soc. " Terni „ (1), prove che si spera daranno un criterio defini¬ tivo sulla possibilifà o meno di ottenere una separazione per que¬ sta via. Contemporaneamente il laureando Santovito ha eseguito sullo stesso materiale delle prove di levigazione , previa stacciatu¬ ra, che non hanno però dato i risultati sperati. Comunque, al lume di queste esperienze ancora in corso, si spera di dare prossima¬ mente una risposta definitiva al problema. c) Altre aree segnalate o indiziate. Adiacenze di Gallipoli. — Mantenendoci ancora nell* ambito della penisola salentina è presumibile che risulti altrettanto fosfa¬ tica l'area, geologicamente identica a quella avanti elencata, ripor¬ tata dal Sacco come miocenica, delle adiacenze di Gallipoli. Quivi sarebbero facilitati i trasporti via mare. Area di S. Giovanni Rotondo. — Altra formazione fosfatica del tipo, ma non identica a quella del Leccese, e che in un primo momento sembrava anche più ricca (da 0,80 a 19,50% di P2Or>), era stata segnalata da Checchia Rispoli nel territorio di S. Gio¬ vanni Rotondo (Gargano) ; essa si estenderebbe nel Miocene gar- ganico con una potenza molto più rilevante, visto che si tratta del materiale adoperato per le comuni costruzioni. Senonchè le ulteriori indagini, eseguite dallo stesso Checchia Rispoli, non hanno dato conferma dei lusinghieri contenuti di P , (1) Mi è grata qui l'occasione di ringraziare il presidente della " Terni „ Sen. ing. Arturo Bocciardo che, aderendo alla richiesta di S. E. Giordani, ha voluto accordarci l'appoggio della sua società e l'ing. Carlo Buscaglia , direttore degli impianti di Ladispoli, per le cortesie, i consigli e l’ospitalità prodigatici. 114 — che dai primi campioni esaminati era da aspettarsi ; questi conte¬ nuti erano dovuti soltanto al fatto che. nei frammenti dei campioni esaminati, v'era un' insolita concentrazione di resti fossili di verte¬ brati marini. Altre aree, dove continuano le formazioni mioceniche del tipo leccese, si rivengono anche nella Puglia nord-occidentale e nel li¬ mitrofo territorio molisano ; qualche prova su materiali per es. di S. Croce di Magliano hanno dato però esito negativo. 2. — Manganese del massiccio del Matese. L'anno scorso, il 28 febbraio , comunicai al R. Istituto di In¬ coraggiamento, fra Taltro, un elenco di segnalazioni di minerali di Mn in Campania e Molise (1). Tracciai poi un quadro delle principali segnalazioni di giaci¬ menti minerari dell’ Italia Meridionale, ordinate nello schema geo¬ logico della Regione. Nello scorso anno abbiamo iniziato lo studio in campagna e di laboratorio delle manifestazioni manganesifere della Campania e del Molise (2). Comunico qui i primi risultati dello studio i quali, come era da prevedersi, spostano già sostanzialmente la prima posizione geo¬ mineraria di questi giacimenti, che fu stabilita soltanto in base alla letteratura allora esistente. Con gli accessi sul posto si è potuto anzitutto stabilire che alcune aree ritenute manganesifere, in base alla bibliografia , non si sono rivelate tali; e così per es. a S. Bartolomeo in Galdo non si è rintracciata notizia alcuna sul giacimento già varie volte se¬ gnalato; rinvenimmo soltanto nel “ Vallone Grande „ ciottoli e de- (1) Vedi bibliografia [13J. (2) Si è preferito iniziare lo studio del Mn dei giacimenti del Matese spe¬ cialmente in vista del basso contenuto di silice che in questo minerale si riscontra. Solo Scaini infatti nel 1934 perii minerale del Comune di Campochiaro (lo¬ calità Cannavari) ritiene di aver riscontrato il 14,86% di SÌO2 , ma ciò per via deduttiva basata su analisi incomplete. Il R. Uff. Geologico per S. Polo aveva trovato già il 2,1 % di SÌO2 , con 38% di Mn (vedi Ronza). Abbolito più recentemente trova per il comune di Isernia (?) SÌO2: 1,2 % (Mn 53,44) e per quello di Boiano SiO?: 2,46% (Mn 31,74). Su ma¬ teriale di S. Polo nel nostro Istituto si è trovato (an. Longo) : insolubile in HCl 4,26; 3,65; 3,88%. È inoltre da tener presente che tale SÌO2 pare sia dovuto pre¬ valentemente a sostanza argillosa. 115 — triti di calcare scuro per ossidi di Fe e Mn del tipo però diffuso nel “ Terziario dell’Appennino „ , e a Maiorano dei Monti il giaci¬ mento non è di Mn , ma di bauxite ; esso era stato riconosciuto come di Mn dal Cassetti in un epoca in cui i giacimenti di bauxite italiana non erano stati ancora riconosciuti. Invece che a S. Bartolomeo, ring. Ferrara, insieme con Fallievo Carlo Viparelli rinvennero, in territorio di Montefalcone di Valfor- tore (il 7-VII-1938) e precisamente in località Macchia dell’Abate e Molino Vecchio, uno straterelto di pochi cm. di ossidi di Mn en¬ tro le argille scagliose. Altre aree invece sembravano distinte, ma in effetti si trattava soltanto di nomi diversi dati a una stessa località. E così, per es., probabilmente la località Cannavari, indicata dallo Scaini a Campochiaro, deve coincidere o trovarsi nelle adia¬ cenze di quella detta " I Canaloni „ e la " Valle „ nel territorio dello stesso Comune di Campochiaro. L’ analisi , eseguita e pubblicata dall' Abbolito e riportata per materiale di Boiano, riguarda una delle località da noi visitate di quel Comune, dove nel 1938 si eseguivano lavori di estrazioni. Probabilmente anche a materiale di Boiano , Campochiaro o S. Polo deve riferirsi l'altra analisi deH'ABBOUTO, riportata per ma¬ teriale di Isernia. La segnalazione poi che demmo nel precedente lavoro , nel comune di Fontegreca, è risultata coincidente con quella relativa ad un cantiere in esercizio nel luglio 1938 a valle della rotabile fra Fontegreca e Gallo e compresa cioè-nel territorio di Gallo. In conclusione, delle località campane e molisane da noi se¬ gnalate l'anno scorso , quelle da noi riscontrate manganesifere, e come tali coltivale o ricercate nel 1938 dalla Ditta Mancinelii nella Campania e Molise, sono le seguenti : CONCESSIONI. MINIERA LA FOCE POLO MATESE l dell'abitato). 2) CAMPOCHIARO ’ I Canaloni e La Valle 3) BOIANO S Monte Crocella-Civita, La ( Serra e S. Egidio 116 - PERMESSI DI RICERCHE. 1 e 2) S. Massimo (Colle del Caprio q. 1700 e Selva Piana q. 1300). 3 e 4) Roccamandolfi (Macchialunga e Pasqua Rossa). 5 e 6) Longano (Montecivita e Acqua Buona). Restano ancora da visitare o da accertare le segnalazioni di S. Donato Val di Cornino (Ronza) e di Sora , le quali ovviamente non possono trascurarsi agli effetti dello studio specialmente ge¬ netico. E ciò per quanto riguardi località. Dal punto di vista genetico e geominerario in genere i primi studi ci hanno permesso di stabilire : 1°) La mineralizzazione a Mn è certamente posteriore al Cretacico ; infatti è mineralizzato a Mn anche il calcare cretacico. A Gallo (fra Gallo e Fontegreca) è evidente la mineralizzazione entro il Cretacico. 2°) Essa interessa per Io più la parte inferiore di una forma¬ zione di argilla a globigerine probabilmente eocenica. La detta formazione tipica sedimentaria, argilloso-organogena, è discontinua e forma croste di copertura dei calcari cretacici. Essa per lo più è limitata alla sola parte basale manganesifera. Il resto appare dilavato. Non esiste traccia alcuna di formazione ignea. 3°) La vista d'assieme della zona induce a pensare , che la mineralizzazione si concentri lungo una direzione principale di frat¬ ture trasversali ; e ciò è specialmente delineato nell’ area di Selva Piana (S. Massimo). La complicata tettonica di dettaglio del massiccio del Matese rende però ben difficile formulare delie idee, siano pure schema¬ tiche, in proposito. 4°) Oltre a questo tipo di giacimento in sede, si rinvengono anche tasche ed accumuli di minerali di trasporto, dovuto al dila¬ vamento di affioramenti posti più a monte, che ancora sussistono o talvolta sono andati dispersi. 5°) Ancora non si è potuto stabilire se la mineralizzazione è coeva o posterione alla roccia argilloso-organogena mineralizzata. 117 — 6°) Pur non avendo potuto completare ancora lo studio pe¬ trografia di tutte le manifestazioni e quindi , senza ancora aver precisato la genesi di quei giacimenti, si è potuto arrivare alle con¬ clusioni che le formazioni manganesifere, di cui i lembi oggi col¬ tivati rappresentano soltanto residui di distruzione esterna, debbano con ogni probabilità riscontrarsi o meglio conservarsi sotto la col¬ tre terziaria che ricopre il Cretacico del Molise più occidentale. E ciò sempre che la tettonica della zona non sia quella di ricoprimenti e carreggiamenti, nel quale caso sarebbe troppo azzardata ogni dedu¬ zione in proposito (Ing. Ferrara). 3. — Studio del materiale ” Zeolitico u di Roccamonfina. Partendo da considerazioni di ordine mineralogico e geologi¬ co, specie riguardo alla eventuale genesi di tali materiali, si è riu¬ sciti a rinvenire, nel centro vulcanico di Roccamonfina, presso Or¬ chi, un materiale rispondente alle caratteristiche richieste per il rad- dolcimento delle acque. Lo studio fu oggetto delle tesi di laurea dell' Ing. Felice Ippo¬ lito (tesi che fu ritenuta meritevole di stampa) ed i risultati pratici relativi furono comunicati al Convegno di Genova (ott. 1938) dei Gruppi Acquedotti e Fognature del Sindacato Naz. Fascista Inge¬ gneri (in corso di stampa) ed in riassunto alh Soc. dei Naturalisti di Napoli (1). Lo studio completo corredato di 2 microfotografie e 3 grafici sarà stampato al più presto, non appena cioè sarà opportunamente interpretata la parte mineralogica, ròntgenografica e chimica ese¬ guita allo scopo di determinare esattamente la specie mineralogica costituente la. massa del materiale. 4. — Ricerca e studio di 11 Terre „ per depurare gii olii naturali. La ricerca precedente (materiale " zeolitico „ di Roccamonfina) ha indotto ad estendere lo studio sia dello stesso materiale , che di altri, mano mano raccolti, dal punto di vista delia depurazione degli olii (Ing. Ippolito). I materiali provati sono stati: bentonite S. A. M. I. P. ; 11 terra bianca „ delle isole pontine; " leucite alterata „ di Roccamonfina (Orchi); “ caolino „ di Satriano ; " caolino „ di Rossano. (1) Vedi bibliografia [20] e [21]. 118 - Si è costruito anche un piccolo impianto sperimentale che ci ha dato i primi risultati effettivamente promettenti. La bentonite S. A. M. I* P. ha un comportamento perfettamente analogo a quello del Filtrol (bentonite americana attivata). La " terra bianca „ delle isole pontine e il cosidetto “ caoli¬ no „ di Rossano non hanno quasi effetto. 11 cosidetto “ caolino „ di Satriano e il materiale di Orchi hanno dato buoni risultati anche senza essere stati ancora attivati. Questi risultati sono da interpretarsi sulla base dello studio mineralogico dei materiale, ancora in corso. La bentonite S. A. M. I. P. è infatti una terra a montmorillo- nite (1). La " terra bianca „ di Ponza e la “ terra „ di Rossano sono miche (nettamente sericitica Y una, vera muscovite l’altra). Anche quella di Satriano, giusto uno studio di prima approssimazione, è una mica; è probabile però che essa sia molto più finemente sud¬ divisa. Non ha dato ancora risultati netti e decisivi il materiale sapo¬ naceo rosa-violaceo d’alterazione del Rione delle Mofete a monte del L. del Fusaro (Campi Flegrei). 5. — Aggiornamento dell’Annuario Generale delle Miniere Ita¬ liane. Per incarico della Fed. Naz. Fase. Esercenti Industrie Estrat¬ tive sono stati trattati, per l’aggiornamento dell' " Annuario Gene¬ rale delle Miniere Italiane „ i seguenti argomenti : Petroli, Solfo, Bauxite, Gas naturali, Pirite, Leucite , Asfalti e Bitumi, Terre varie, Magnesite, Fosfati, Farina Fossile , Salgemma e Saimarino, Feldspati, Talco e Steatite, Baritina, Fluorite. Per ciascuno argomento, dopo notizie di indole generale circa gli usi e gli impieghi, si è trattato della genesi dei giacimenti ; si sono descritte le caratteristiche geo-minerarie dei singoli giacimenti italiani e dei principali giacimenti degli altri Paesi europei ed ex¬ traeuropei, con valutazione della loro potenzialità , previsioni sulla producibilità , descrizione degli impianti di trattamento esistenti , previsioni sulla producibilità in metallo (o metalloide) e in genere di minerale finito (2). (1) Vedi bibliografia [/), [12] e [30]. (2) Vedi bibliografia [18]. 119 Si sono compilate tabelle sulla produzione italiana dal 1860 ad oggi dei prodotti di miniera e di officine e sulla produzione mon¬ diale degli ultimi dieci anni. Particolare cura è stati posta nella trattazione delle Terre, dei Petroli, del Solfo e della Bauxite, ove è stato apportato discreto contributo originale. Delle trattazioni è stato mandato alla Federaz. Eserc. Industrie Estrattive Pestratto richiesto, con riguardo specie alla parte mineraria ed industriale ; mentre le trattazioni complete sono ancora inedite e costituiscono utile materiale di consultazione. Hanno quivi collaborato gli Ingg. Ippolito, Ferrara e Ragona ed i laureandi Santovito e Anfosso. 6. — Acque del sottosuolo di Napoli e immediati dintorni. È in corso lo studio affidato all'Ing. Felice Ippolito sulle acque del sottosuolo di Napoli e degli immediati dintorni. L' importanza e la necessità di un tale studio, complesso e difficile per varie ra¬ gioni, non può sfuggire a chi tenga presenta la grande molteplicità di qualità delle numerose manifestazioni di tali acque (termali, ter¬ mominerali e semplici). E stato iniziato il lavoro di inventario e di ricognizione delle varie manifestazioni, lavoro reso arduo dalla trasformazione topo¬ grafica della città proprio nella parte interessata e poi dalla mal¬ trattata toponomastica locale. Non è da nascondersi inoltre che la ricostruzione della idro¬ grafia sotterranea di Napoli finirà forse con l'urtare contro Tosta- colo della oscura tettonica di dettaglio delle formazioni vulcaniche costituenti l'immediato sottosuolo di Napoli e dintorni. Come es. valga l'affioramento della base del tufo giallo a Co- roglio (accennato solo da pochi) e quelli finora sconosciuti o non ben conosciuti alle Fontanelle, M. Echia (?), Parco Grifeo. 7. — Studi sistematici in Calabria. Si è iniziato una campagna geologico-mineraria sulla Sila, per realizzare un primo gruppo di ricerche sulle aree di contatto gra¬ niti-scisti e sedimenti dell’Altopiano silano e delle sue propaggini. Nello stesso tempo si studieranno anche le due aree metallifere già riconosciute, ma non studiate dal punto di vista geominerario, svi- — 120 - luppantisi al contatto cristallino-mesozoico della Sila (Longobucco, Campana, Paduli) e deli'Aspromonte (Olivadi, Davoli e Satriano, Badolato, Guardavalle, Bivongi, Stilo, Pazzano, Placanica, Caulonia, Gretteria, Mammola, Gioiosa, S. Giorgio, Canolo, Ciminà). Pertanto nel settembre u. s., insieme con l' Ing. Ferrara, abbiamo visitato, oltre che alcune aree del territorio di Rossano (a granito-pegmatitico, disfatto rosso, con dicchi di rocce verdi e spaccature riempite di muscovite dilavata dall’aspetto " caolinare „) anche i primi affiora¬ menti delle mineralizzazioni a blenda-galena di Longobucco. Quivi abbiamo riscontrato che il minerale di ganga dei filoni oltre che da quarzo e calcite, è costituito anche da fluorite. Dal 26-111 airi 1 IV 1939 l’ Ing. Ferrara è ritornato a Longo¬ bucco per rilevarvi la zona dei giacimenti di fluorite, galena e blenda, già riconosciuta nella visita del settembre 1938 eseguita insieme con lo scrivente. Quivi 1’ Ing. Ferrara ha rilevato la mine¬ ralizzazione di Pb, Zn, F entro un'area di più chilometri e in una località ha rinvenuto anche minerale di Cu. Si procede intanto allo studio del materiale raccolto. 8. — Studio della Bauxite di Maiorano dei Monti e Dragoni (ex prov. di Caserta). L; interesse della ricerca fu suscitato dalle condizioni di abban¬ dono di questi e di tutti gli altri giacimenti bauxitici della Cam¬ pania. • Scopo della ricerca era quello di cercare se fosse possibile un arricchimento economico ed eseguibile in sede. Da un primo studio della natura del materiale è risultato l'alto contenuto in ossidi ed idrossidi di Fe e l’esclusione dell’ idrargillite come componente essenziale ; si tratta di bohemite o diasporo. Si sono tentate delle prove di separazione per molitura e le¬ vigazione (eseguite dall’ Istituto di Chimica-Farmaceutica) ; le ana¬ lisi delle varie frazioni (analisi eseguite dal dr. De Rubertis dello stesso Istituto), non hanno messo in vista separazione degna di nota, specie della silice. I risultati infatti furono i seguenti : 121 — Risultati delle analisi della Bauxite di Maiorano dei Monti. Deposito Materiale allo Deposito nel canale Parte Ossidi stato originario nel cilindro a a levigata monte valle % % % % % SÌO2 puro 2,08 2,69 2,09 3,25 4,40 ai2o3 50,58 n. d. 52,90 55,76 57,02 •Fe*Os 38,17 35,49 33,90 26,90 24,33 Somma (1) 90,83 88,89 85,91 85,75 Tanto meno si è riusciti a riscontrare ancora un effetto di si¬ curo arricchimento con la separazione magnetica. E' da avvertire che, mentre duravano le ricecche, molti degli affioramenti bauxitici di quelle zone sono stati rimessi in coltiva¬ zione. (Ing. Ferrara e all. Formisano). 9. — Studio del carbon fossile di Lagonegro. Lo studio petrografico del detto carbone è da tempo completo ; manca ancora quello delle rocce di muro e di tetto. Comunque al più presto sarà dato conto dei risultati dello studio petrografico e delle osservazioni eseguite sul posto. 10. — Studi di Geofisica Applicata. Si è iniziata la preparazione teorico-culturale, perchè sia questo Centro, che quello Geotecnico possano essere in grado al più presto, se non di eseguire direttamente ricerche geofisiche, per lo meno di interpretare i risultati forniti da tecnici o società specia¬ lizzate. (1) Si tenga presente che manca qui la determinazione dell’ Ha O di idrata¬ zione sia dell' AI2 O3, che del Fe2 O3. E' probabile inoltre che il Si O2 sia combinato sotto forma di silicato idrato di Al ed altri metalli. — 122 — L' Ing. L. Cangia ha iniziato per ora lo studio dei metodi elet¬ trici e magnetici. LMng. Ferrara cura Io studio dinamico (sismico e quello gravimetrico. In programma v’è anche di eseguire, al più presto, misure elet¬ triche e magnetiche, più semplici su terreni locali di caratteristiche già note , in modo da avere una pratica idea dei limiti di utilizza¬ bilità pratica dei vari metodi in uso. 11. — Aggiornamento delle teorie orogenetiche e delle origini dei SiaL 12. — Edizione italiana aggiornata del volume di RlTTMANN su “ / Vulcani e loro attività „. 13. — Stereochimica e struttura dei silicati. (Già pubblicato il riassunto, vedi [n. 15] della Bibliogr.). 14. — Petrografia delle terre. 15. — Preparazione delle lezioni di Giacimenti Minerari. 16. — Terre bianche delle isole Pontine (fine). 17. — Diabasi dell' Italia Meridionale e diabasi in genere. Di altri lavori iniziati e specialmente di ciò che riguarda le ri* cerche dei vapori per forze endogene si dirà non appena qualche elemento raccolto potrà risultare di interesse per gli studiosi. Napoli , R. Università 13 luglio 1939-XVII. Istituto di Geologia Applicata e di Arte Mineraria. Centro Studi delle Risorse Naturali dell * Italia Meridionale della Fondazione Politecnica del Mezzogiorno d’ Italia. — 123 — LETTERATURA Risultati già editi delle ricerche e degli studi eseguiti presso 1* Istituto di Geo¬ logia Applicata e di Arte Mineraria e dal Centro Studi delle Risorse Naturali dell'Italia Meridionale (1). [1] Penta F. — Marmi pietre e graniti dell ' Italia Meridionale. Marmi, pietre e graniti, 1936, 37, 38. [2] — — Le rocce usate nelle costruzioni e alcune loro caratteristiche mec¬ caniche. Annali dei Lavori Pubblici 1937 (con speciale riguardo alle rocce italiane). [3] — — Osservazioni sulla evoluzione e differenziazione del magma somma¬ vesuviano secondo le vedute del Rittmann. Le loro basi e le loro conse¬ guenze nella interpretazione della geologia del territorio fra i Campi Flegrei e Pesto. Bollettino della Soc. dei Naturalisti di Napoli, Volume XLIX, 1937. [4] — — Su uno studio delle pozzolane flegree. La Ricerca Scientifica. A. Vili, voi. I, n. 3-4, 1937. [5] — — Relazione sullo studio delle risorse naturali delV Italia Meridio¬ nale. Atti della Fondazione Politecnica per il Mezzogiorno d'Italia, Voi. I, 1937 XV. [6] — — Relazione della Commissione per lo studio dei materiali da co¬ struzione. Ibidem. 17] — — Sulla « Terra bianca » delle isole Pontine. La Ricerca Scientifica. A. Vili, voi. 1937. [8] — — Appunti delle lezioni di Geologia Applicata alle Colonie, tenute al Corso di Ingegneria Coloniale, presso Pisi Col. Fase, di Napoli nel¬ l’anno 1937 e nell'anno 1939. [9] Penta F. e Ippolito F. — La Pietra di Bellona (ex prov. di Caserta) Marmi pietre e graniti n. 2, 1937. [10] — — — — Marmi e pietre ornamentali adoperati nel nuovo pa - lazzo delle Poste di Napoli. Marmi, pietre, Graniti n. 1, 1937. [11] Penta F. — Sulla classificazione dei materiali dell' Isola di Ponza. L'In¬ dustria Mineraria d'Italia e d’Oltremare, Fase. 11, Novembre 1937-XVI. [12] — — Le terre bianche delle isole Pontine. Industria Mineraria d’ Italia e d'Oltremare, Fase. 1-3, A. 1938. [13] — — Sguardo minerario sull Italia Meridionale. Atti del R. Istituto di Incoraggiamento, Anno 1938 e riassunto ed aggiornato nell' Ind. Min. d’Italia e d'Oltremare, Fase. 6, 1938. (1) In questo elenco bibliografico sono riportati i lavori pubblicati dal 1937 alla data di pubblicazione della presente nota. Per la produzione completa ante¬ riore a tale data vedi Atti della Fondazione Politecnica del Mezzogiorno, Voi. I, Napoli, E. P. 3. A., 1937, pag. 217 e segg. - 10 - 124 - [14] — — Sulla natura delle rocce granitoidi calabresi. Atti della Soc. dei Naturalisti in Napoli, 1938. 1 1 5] — — Stereochimica e classifica dei silicati. Annali di Chimica Applicata, Roma 1939. ] 16 — — Aggiornamelo dei capitoli Molise , Campania , Puglie , Lucania e Calabria dell’Annuario. I Marmi italiani. Ed. Confederazione Fascista Industriali, Roma, 1939, pg.58, 126 e segg. [17 — Le Ricerche e gli studi geominerari eseguiti nei territori deir A. O. nei primi due anni dell ’ Impero. Risultati e verità acquisite. Atti del Congresso di Studi Coloniali dell' I. F. A. I (Sez. di Napoli, nov. 1938), Napoli, 1939. [18] — — Aggiornamento delle voci petroli , solfo , bauxite , gas naturali , pirite , leucite , asfalti e bitumi , terre varie , magnesite , fosfati , farina fossile , salgemma e saimarino , feldspati , talco e steatite , baritina, fluo - r/fe /7£r Ì Ann. Le Miniere Italiane . Ed. Confederazione Fascista Indu¬ striali, Roma (in corso di stampa). [19] Ippolito F. — Segnalazione di uh pozzo esistente nell’antica città di Pompei. Boll. Soc. Natur. in Napoli 1937. [20] — — Ricerca e studio di una " zeolite „ naturale in Italia. Atti del Convegno di Genova dei Gruppi Aquedotti e Fognature del Sind. Naz. Fase. Ingegneri. (Ott. 1938), Genova, 1939. [21] — — Studio di un materiale zeolitico italiano. Atti Soc. dei Naturalisti in Napoli. 1938. i 22] — — I materiali da costruzione in A. O. Atti del Congresso di Studi Coloniali dell' I. F. A. I. (sez. di Napoli nov. 1938), Napoli, 1939. ]23] Ferrara A. — Sali vari ed altre materie prime in A. O. Atti del Con¬ gresso di Studi Coloniali dell'I. F. A. I. (sez. di Napoli nov. 1938), Na¬ poli, 1939. [24] Vighi L. — La petrografia dei Romani. Riv. di Fis. Mat. e Scienze Natu¬ rali, n. 6, Napoli, 1937. [25] — -- Combustibili solidi in A. O. Atti del Congresso di Studi Coloniali dell’I. F. A. I. (sez. di Napoli, nov. 1938), Napoli, 1939. [26] Anfosso A. Risorse di minerali di ferro e manganese in A. O. Ibidem. ]27] — — Società ed istituzioni per la ricerca e lo sfruttamento minerario in A. O. Ibidem. [28] Santovito L. — Platino , minerali di rame , di piombo , di zinco , di stagno e di altri metalli in A. O. Ibidem. [29] Viparelli C. — Lo stato delle ricerche di Petrolio in A. O. Ibidem. [30] Penta F. — Riassunto dei lavori riguardanti le terre bianche delle isole pontine. In; Curzi E. La Letteratura sopra i caolini e le argille italiane Ceramica e laterizi, 1938. — 125 — RIASSUNTO Si dà conto dell’attività svolta dal Centro Studi delle Risorse Natu¬ rali dell’Italia Meridionale creato dalla Fondazione Politecnica del Mez¬ zogiorno presso ì’Istituto di Geologia Applicata e di Arte Mineraria della R. Università di Napoli (Facoltà di Ingegneria). Si comunicano i risultati fin qui inediti di diverse indagini già da tempo espletate e si annunciano in via preliminare i primi risultati di varie ricerche ancora in corso. Giuseppe Zirpolo Nuovo caso di associazione di idroidi e pesci con revisione critica dei casi già noti. (Tornata del 13 luglio 1939 - XVII). I casi di associazione fra Celenterati e Pesci sono molteplici. È ben noto che molti pesci vivono sotto il cappello delle Meduse e ne escono solo nel momento in cui hanno bisogno di cibo e poi, dopo, ritornano a prendere il posto che li tiene difesi dagli attacchi di altri predatori. Non voglio in questo studio occuparmi delle associazioni fra Scifozoi e Pesci, voglio piuttosto riferire i casi di associazioni fra Idrozoi e Pesci, sotto forma di epibiosi, di inquilinismo, simbiosi, pseudoparassitismo e parassitismo. Descriverò per primo il caso nuovo da me rinvenuto, e dopo riferirò dei varii casi dei quali sono venuto a conoscenza nella di¬ samina bibliografica, raccogliendo e valutando i varii dati per una conoscenza più profonda deirargomento. * * * Epibiosi. — Intendo per epibiosi la possibilità di vita di Idro- zoi sul corpo dei pesci, senza ricevere da questi alcun vantaggio diretto. L'esemplare da me studiato fu pescato nel golfo di Napoli nel passato anno. È un Hippocampus gattulatus piuttosto piccolo, non raggiungendo più di sei cm. a partire dalla regione cefalica alla estrema punta codale, e nella spire della sua coda attorcigliata si trova aderente l'idroide Obelia geniculata. — 128 - Si sa che YHippocampus è un Lofobranchio il cui corpo è fortemente compresso e la coda è priva di pinna. Il suo corpo è coperto da larghi scudi su cui si elevano rilievi conici, di natura coriacea. Esso nuota in posizione verticale con la coda prensile atta ad attorcigliarsi intorno alle alghe, su cui cerca il cibo che general¬ mente è formato di piccoli crostacei, molluschi invisibili ad occhio nudo. Ha occhi mobili e va soggetto a variazione di colore. E' un animale un pò tardo, dai movimenti lenti, e lo si trova ade¬ rente alle alghe ed ai rami corallini. Fig. 1 . — fiippocampus guttulatus con Obelia geniculata. L’Obelia geniculata è un idroide caratteristico del golfo di Napoli per la sua abbondante ed elegante ramificazione. Esso ade¬ risce su quasi tutta la regione codale del pesce. A partire dalla regione interna della parte più attorcigliata della coda fino alla re¬ gione basale del corpo presenta un notevole sviluppo, più denso airinterno, meno denso verso la regione basale. Esso presenta una ramificazione caratteristica lungo i varii rilievi che si riscontrano lungo la regione codale deirippocampo. Dai rami aderenti alla su- - 129 - perficie del corpo si elevano poi altri rami con i polipi e le go* noteche. Tutti i polipi, contrariamente a quello che si osserva nelle forme parassite, presentano tentacoli ben distesi ed atti alla cattura del cibo. I rami striscianti sul corpo dell’ ippocampo sono semplice- mente appoggiati, e non gli hanno arrecata alcuna lesione, segno evidente che l'animale vive non da parassita, sebbene da sem¬ plice ospite. Nelle due figure riportate, nella prima viene (v. Fig. 1) rap¬ presentato l'animale con il ciuffo di Obelia sviluppatosi nelle spire della coda : Y idroide presenta un rigoglio di sviluppo forse più bello delle colonie che vivono fisse. Ciò dice della possibilità per YObelia di trovare più facilmente cibo e ossigeno, cioè condizioni di vita migliori, onde acquista maggior forza di sviluppo. Fig. 2. - Porzione del corpo dell* Hippocampus con rami di Obelia. Nella Fig. 2, è rappresentato un pezzo della regione basale della coda &t\Y Hippocampus, su cui si vedono i rami che scivolano sul corpo che fa da semplice punto di sostegno. Uno studio accu¬ rato microscopico dimostra, infatti, che l’animale non ha leso per nulla la pelle dell’ospite, mentre in altri casi si è osservata una le¬ sione profonda della pelle in cui si erano infiltrate le idrorizie dei — 130 - Celenterati affondate nel tessuto sottostante per ricavarne l’alimento necessario. E' evidente che nel caso da me rinvenuto trattasi di un epi- biosi fra Obelia su Hippocampus con vantaggio evidente àzWObe- lia , ma senza alcun danno o lesione da parte dell' Hippocampus. Un altro caso simile descrisse nel 1873 Newmann. Egli notò in un acquario un Hippocampus ramulosus che aveva sulla testa, sul collo e sulla parte anteriore del corpo numerosi rami di Se¬ riola lendigera. Egli ritenne l'idroide quale parassita, ma in realtà non poteva trattarsi di parassitismo, considerato che la superficie del corpo dell’ Hippocampus è coriacea, e le idrorize delle Seriola non avevano preso contatto intimo con i tessuti. Un caso di epibiosi fu ancora descritto nel 1931 dal Leloup fra l’idropolipo Laomedea geniculata ed il pesce Gadus minutus , come pure ad una stessa associazione si può ascrivere, quello os¬ servato e descritto da Hovasse (1930) di Attinie adagiate sul capo di Scorpaena porcus. Inquilinismo. — Non mancano esempi di pesci inquilini di Celenterati, nel senso che vivono in essi senza danneggiarli, ma servendosi della cavità del corpo di questi come di un rifugio. E' noto che il pesce del genere Trachichthys (Amphipriorì) vive fra i tentacoli di una grande attinia. Il Plate ha osservato quest'associazione nel Mar Rosso, dove l’Attinia è la Crambactis arabica larga più di 30 cm. Ora quando l’attinia contrae i suoi tentacoli il pesce entra temporaneamente nella cavità digestiva. E' evidente che il pesce ha acquistato una immunità contro i cnido- blasti dell'Attinia, perchè ogni altro animale che s'avvicini all' At¬ tinia resta paralizzato dalla scarica di cnidoblasti che questa gli scaraventa contro. Il pesce è in questo modo difeso. Difatti Sluiter ha potuto avere viventi per molti mesi esem¬ plari di Trachichthys in un acquario dove egli aveva immessi pesci carnivori e Attinie. Ora il Trachicthys restò sempre nel corpo del- TAttinia finché vi furono nella vasca i pesci carnivori. Tolte le Attinie e messi i Trachicthys con i pesci carnivori ne furono divorati. Dimostrazione evidente che 1’ Attinia offriva sicuro rico¬ vero ai Trachicthys. Kato riferisce di un pesce Nomeus gronoi che vive da in- - 131 — quiiino nella Physalia, un Sifonoforo che ha nematocisti particolaf- * mente urticanti. Ora il Notneas ha acquistato l’immunità contro i veleni degli organi urticanti. Associazioni analoghe sono state osservate da Coutière a Gibuti. Un pontonide, Periclymenes , trasparente, si tratteneva nella zona di protezione dei tentacoli di una grande Attinia. Gohar (1934) ha osservato ancora casi di inquilinismo fra Pesci ed anemoni di mare. Il Verwey (1930) riferisce di aver osservato cinque specie di pesci Premnas biaculeatus (Bloch.); Jlmphiprion ephippiatn (Blo¬ ch) A. polimnus (L.); A. percula (Lacèpède) , A. Akollopisus (Beeker), tutti inquilini di anemoni di mare, delle quali non indica la specie. Simbiosi. — Numerosi sono i casi di simbiosi fra pesci e i- droidi, gli animali si uniscono per uno scambievole aiuto. Alcok ha descritto in più riprese vari casi di simbiosi osser¬ vati fra Stylactis minoi e Minous inermis . Nel 1889, infatti, furono pescati fuori il delta di Godovari, sulla costa di Coromandel, due esemplari di un scorpenoide , il Minous , di cui uno era coperto da una colonia di idroidi che egli assegnò al genere Podocoryne) ed il pesce descrisse come specie nuova Minous inermis (n. sp.). Più tardi questo idroide fu identi¬ ficato come Stylactis minoi. Nel 1891 fuori delle coste del Malabar furono raccolti su di un fondo di sabbia, su cui erano ciottoli e frammenti di conchiglie e di echinodermi, nove esemplari di Minous inermis di cui tutti, meno uno, erano infestati sulle branchie, sulla gola , sul corpo, delle stesse colonie carnose di idroide. In questa dragata furono raccolti anche altri molluschi ed altre specie di Minous , ma nessuno aveva sul corpo traccia dell’idroide. Nel 1892 Alcock parla per la terza volta di Minous inermis trovato in una collezione di pesci offerti alP Indian Museum dal Dr. Row. Questi trovò, fra il delta del Gange e quello di Makad- dì, numerosi esemplari di Minous coccineus, Lophius indicus , Tri già hemisticta} Lepidotrigla spiloptera e Laeops guntherit in nes¬ suno dei quali trovò attaccati idroidi, eccetto per il solo esemplare di Minous inermis coperto dall’drozoo. L' Alcock credette prima ad una forma di commensalismo, ma più tardi stabilì trattarsi di simbiosi, notando che non solo l'i- - 11 - — 132 — droide si avvantaggiava di essere portato in giro , onde trovava maggiore quantità di cibo e di ossigeno, ma anche il pesce era di¬ feso, in quanto l’abbondanza degli idroidi cresciuti sul corpo lo facevano apparire come un ciottolo incrostato. i K Fig. 3. - Una figura molto ingrandita di una piccola porzione di una colonia di Stylactis minoi rimossa dal suo ospitante, h, h idranti nutritivi (alcuni non completamente rap¬ presentati); h’ un idrante nutritivo riempito di cibo ; g, individuo riproduttore. (Secondo Alcock 1892). Successivamente, per la quarta volta, nel 1899, T Alcock, narra che sulle coste Malabare, furono pescati non meno di 15 esem¬ plari del pesce Minoas inermis , sui quali viveva l'idroide Stylactis minoi. Nel 1902 I'Alcock nel suo libro " Un naturalista nei Mari indiani „ riporta una figura del pesce e degli idroidi che lo incro¬ stano ed osserva che quasi tutti gli scorpenidi viventi sui fondi si nascondono nei crepacci delle rocce, dove, a causa del loro colore screziato e di una profusione di filamenti di cui è ornato il loro corpo, difficilmente si distinguono dalle pietre e dalle rocce, dove, a causa del loro colore screziato e di una profusione di filamenti di cui è ornato il loro corpo, si distinguono difficilmente dalle pietre e dalle rocce che generalmente si trovano incrostate di alghe e di zoofiti. Ora Minous inermis é rivestito sempre di polipi idroidi e sempre della stessa specie Stylactis minoi. Questa costante asso¬ ciazione egli non la considera come un parassitismo dell' idroide sul pesce, perchè gl'idroidi conservano i loro caratteri, cioè la bocca ed i tentacoli conservano la loro forma, grandezza e numero, onde possono catturare la preda e poi perchè numerosi individui furono trovati con lo stomaco riempiti di cibo. — 133 — La costanza poi del ritrovamento esclude che si possa trattare di un'epibiosi occasionale. Inoltre nel 1903 il prof. Doflein raccolse nelle acque della costa Orientale Giapponese tre esemplari di Minous inermis tutti coperti sulla regione pettorale e parti adiacenti a quelle anale dello stesso idroide. Franz e Stechow, nel 1908, fecero uno studio accurato del- l’idroide, classificandolo come Stylactis rninoi , senonchè nel 1911 lo Stechow nella sua Monografia sugl’idroidi raccolti sulle coste del Giappone dal Doflein classifica l’idroide rinvenuto sul Minous iner¬ mis come Podocoryne minoi , notando che i tentacoli sono alquanto ridotti e qualche volta assenti. Egli non parla di parassitismo, per¬ chè non vi era degenerazione dei polipi e nessun pesce mostrava che i suoi tessuti fossero serviti da cibo per gl’idroidi. Si trattava di una simbiosi in cui per le più facili possibilità di trovar cibo da parte del polipo qualche breve modifica era pur da osservarsi. Fig. 4. - Porzione dell’xdroide Perigonìtrus pugetensis che mostra l’idroriza, gli idranti e le meduse nascenti. Altro caso di simbiosi è stato descritto da Heath (1910) fra Perigonimus pugetensis e Hip sago nus quadricorns. II Prof. Starks dragò nel Puget Sound 37 esemplari di un pesce agonide Hypsa- gonus quadricornis di cui 10 erano coperti dall'idroide Perigoni - - 134 - mas pugetensis sulla superficie ventrale del corpo, sulle pinne pet¬ torali, ventrali e meno estesi su quelle anali e caudali. L’idroide non aveva contratta nessuna aderenza con l’interno deiranimale e d'altra parte gl'idranti erano normali onde non si poteva parlare di parassitismo. Qui, poiché non tutti gli esemplari di Hypsagonus erano coverti dall'idroide non si può parlare che di simbiosi oc¬ casionale o accidentale e forse di epibiosi. Fig. 5. - Un pesce Agonide Hypsagonus quadricornis, dello stretto di Puget, che porta colonie sparse di Perìgonimus pugetensis. Komai nel 1931 trovò presso la Marina di Misaki Podocorella minoi (Alcock) sul pesce scorpenoide Minous inermis e nell’aprile 1932 presso il litorale di Seto l'idroide Stylactis piscicola sul pesce scorpenoide Erosa erosa. Pseudo-parassitismo. — Non mancano casi di pseudo-paras¬ sitismo o preteso parassitismo fra idroidi e Pesci. Fig. 6. - Seriola zonata. Un pesce Carangoide con la sua colonia attaccata di Hydricthys mirus preso nelle acque di Naragansett Bay U. S. A. (Secondo Fewkes, 1886). Fewkees nel 1887 pubblicò in “ Nature „ uno scritto prelimi¬ nare e successivamente, nel 1890, il lavoro esteso in cui narra che 135 — nelle pescate di superficie fatta dal laboratorio di Marina di New- port furono catturati tre pesci Seriola zonata Cuv. dei quali uno era infestato lateralmente al corpo e vicino all'apertura anale di un ciuffo di Hydrichthys mirus, che dette successivamente numerose meduse. Fig. 7. - Un gruppo di gonofori del Hydricthys mitus separato dalla zona basale con la quale l’intera colonia è sostenuta sul pesce ospitatore (Secondo Fewkes, 1886). Studiando la struttura dell'idroide egli notò che la convivenza con il pesce aveva apportato modifiche al suo corpo. Vi era as¬ senza di tentacoli la cui funzione è la cattura del cibo, ciò che fa¬ ceva pensare che trovando l’animale più facilmente cibo per le sue nuove condizioni di vita, i suoi tentacoli si erano atrofizzati o non sviluppati. Sulla pelle del pesce, nel punto dove l’idroide era fis¬ sato, i muscoli sembravano alquanto consunti, ma Tanimale appa¬ riva di star bene. Tutto questo però non prova che l'idroide sia vissuto da parassita sul pesce in esame. Un altro caso di preteso parassitismo è quello descritto da Lloyd (1907) di una Nudiclava che cresce su di un pesce Mona - canthus. Il pesce misurava 18 mm. Il carattere dell'idroide era di avere un gran numero di idranti sprovvisti di tentacoli. L'idroide era cosi aderente alla pelle del pesce che lo strappo provocò una lesione della pelle, ma dalle sezioni eseguite non fu possibile no¬ tare alcuna relazione intima contratta dalTidroide coH’interno del corpo del Balistide. Nonostante che il titolo del lavoro di Fewkes porti il nome di parassitismo, pure egli nel suo scritto ne deduce che da tutte le osservazioni compiute non può dire che l'idroide viva da paras¬ sita sul Monacanthus. — 136 — Casi parassitismo. — Pochi sono i veri casi di parassitismo osservati fra idroidi e pesci. Un primo caso di notevole interesse è quello notato fra l'idroide Polypodium hydrifortne sulle uova ovariche di Acipenser ruthenus , uno storione che vive nel Volga. L’osservazione risale al 1872 per opera deH'embriologo russo Vasilievich Ovsyannikov. Tale idroide fu successivamente studiato dall'Ussov il quale lo determinò col nome di Polypodium hydriforme. Che l’idroide sia un parassita lo dimostrano, secondo Ussov, i seguenti fatti : a) la presenza dell'idroide nell' interno del guscio dell'uovo ; b) che l'idroide si nutrisce del giallo dell’uovo attraverso le cellule ectodermiche ; c) che se l'uovo ed il parassita non sono disturbati il processo continua fino a che tutto il giallo dell' uovo non sia completamente assorbito dal parassita e non vi è lasciato dentro il guscio che un'escrezione bruna prodotta dal parassita. Più tardi di questo stesso parassita si occuparono altri biologi russi come Lipin (1909-1915); Dershawjn (1910) e Behning (1910). Vari casi di parassitismo (Warren 1916) sono stati dimostrati fra Hydrichthys boycei e numerosi individui di tre specie di pesci Fig. 8. - Un idroide cresciuto sulla pinna caudale di un pesce Teleosteo della Baia di Durbun. Sud- Africa, Hydryctis boycei. H, la colonia con l’idroriza ; h, gli idranti ; hg, gli idranti che portano le meduse ; hs, gli idranti che succhiano sangue ; mg, gruppo che porta i grappoli di meduse, (da Warren, 1916). Ambassis natalensis ; Mugli sp. e un glifidontide della baia di Durban. I parassiti erano attaccati nelle varie parti del corpo dei pesci ed in particolar modo sulle pinne. L’idroide emetteva dei rami 137 - àustori con ì quali penetrava nei muscoli e nei vasi sanguigni dai quali ritraeva Talimento per la colonia. Nessuno degl’idranti aveva i tentacoli, nè mai fu trovato cibo nel loro corpo. Altro caso di parassitismo è quello descritto ultimamente (1933) da Dames di un Hydricthys cyclothonis n. sp., idroide pa¬ rassita del pesce Ciclothone signata. Napoli , Stazione Zoologica , giugno 1939 -XVII Riassunto Viene descritto un nuovo caso di epibiosi fra il pesce Hippocampus guttu- latus e T idroide Obelia geniculata. Si riferiscono poi i varii casi finora noti di epibiosi, inquilinismo, simbiosi, pseudoparassitismo e parassitismo fra idroidi e pesci. — 138 — BIBLIOGRAFIA 1868. Cornish, T. — Picked Dogfish with Coralline attached. Zoologista Voi 3, p. 1222. 1872. Ovsyannikov, F. V. — Ueber einem neuen Parasiten Welcher sich in den Eiern (Rogen) des Sterlets ( Acipenser ruthenus ) fand. Zeitschr. Wiss .# Zool. , Voi. 22, p. 292. 1872. — — Ueber einen neuen Parasiten in den Eiern des Sterlet. Bull Ac. Imp. Se. Petersbourg, Voi. 17 , p. 104-108. 1873. Newmann, E. — Seriola growing on Hippocampus. Zoologista Voi. 8, p. 3494. 1873. Grimm, O. - A parasite of thè Sturgeon Eggy. Trav. Soc. Nat. Peter¬ sbourg. Voi. 14, p 99-113 , pi. 2, figg. 3 3-38. 1883. Lunel, G. — Sur un cas de commensalisme d'un Caranx et d’une Cram- bessa. Arch. Se. Phys. Natur., Voi. 10, p. 271-81. 1885. Ussov, M. M. — Polvpodiuin hydriforme, a new form of freshwater Coe- lenterate. Imp. Kuzan Univ., Voi. 14, p 1-24, 2 pls. 1887. Fewks, J. W. — A Hydroid parasitic on a Fish. Natura, voi. 36, p. 604- 605. 1892. Alcock, A. — A case of commensalism between a Gymnoblastic Antome- dusoid ( Stylactis mitioi) and a Scorpenoid fish ( Minous inermis) Ann Mag. Nat. Hist., Serie 6, Voi. 10, o. 207-214. 1898. Coutière, H. — Notes sur la faune des récifs madréporiques de Djibouti. Bull . Muse uni. 1898. — — Observations sur quelques animaux des récifs madréporiques de Djibouti Ibidem. 1899. Alcock, A.- Exhibition of an interesting instance of Commensalism between a Fish and a Zoophyte. Proceed. Asiat. Soc. Bengal, p. 37. 1901. — — Zoological Gleanings from thè Royal Indian Marine Ship " Inve- stigator „. Scient. Meni. Med. Offic. Arni, India, Calcutta, Voi. 12, p. 47. 1902. — — A Naturalist in Indian Seas, or Four Years with thè Royal In- dian Marine Survey Ship " Investigator „. London, p. 12L 1907. Lloyd, R. E. — Nudiclava monacanthi, thè type of a new Genus of Hy¬ droid parasitic on Fish. Records Ind. Mus. Voi. I, p. 281-289, 2 pls. 1908. Stechow, E. — Symbiose zwischen einem Fisch und einem Hydropolypen. Zool. Anz., Voi. 32, p. 752-54. 1908 — — Neue Genera und Species von Hydrozoen und anderen Everte- braten. Arch. Naturgesch. Iahrg. 87, p. 248-249. 1909. Lipin, A. — Ueber den Bau des Susswassercoelenteraten, Polypodium hydriforme Uss. Zoolog. Anz. Voi. 34, p. 340-50, 7 figg. 1910. Dershawin, A. — Zwei beachtenswerte Funde, Hypania und Polypodium im Wolga Delta. Zool. Anz., Voi. 36, p. 408-10. — 139 — 1910. Heath Harold. — Association of a Fish with a Hydroid. Biol. Bull. ÌVoods Hole, Voi. 19, p. 73-78. 1913. Behning., A. — Freilebendes Polypodiam hydriforme Uss. un der Volga bei Saratow. Zool. Anz., Voi. 12, p. 172. 1916. Warren, E. — On Hydriehthys boycei, a Hydroid parasitic on Fishes. Ann. Durban Maseum , Voi. I, pp. 172-87 , 4 pls. 1916. Freund, L. — Polypen auf Fischen. Naturwiss. Wock ., Voi. 15, p. 248. 1922. Caullery, M. — Le parasitisme et la Symbiose. 1 voi., pp. 400, 53 figg. Paris. 1922. Lipin, A. — Zur frageiiber die Zahl und Lage der Gonaden bei Polypodiiim hydriforme Uss. Russiche Hydrob. Zeitschr., Voi. 1. p. 43-47-91-96. 1928. Gudger, E. V. — Association between Sessile Colonial Hydroids and Fis, ches Ann. Mag . Nat. Hist. {Serie 10), Voi. 1, p. 17-48, pi. 1-2. 1930. Verwey, J. — Coral Reef Studies. I The Symbiosis between Damselfisches and Sea Anemones in Batavia Bay. Treubia Buitenzorg, Voi. 12, p. 305, pi. 15-16. 1930. Hovasse, R. — Association inomentanée entre actinies et rascasses. Bull. Soc. Zool. Fr., Voi. 55, p. 45. 1931. Leloup, E. — Un cas d'epibiosi de 1’ ydropolype Laomedea geniculata. Bull. Mus. Misi. Nat. Belg., Voi. 7 , p. 1, 3 figg. 1932. Komai, T. -- On two species ot Athecata Hydroids associated with Scor- paenoid Fisches. Ann. Zool . Jap ., Voi. 13, p. 445, 3 pian. 1933. Kato, K. — Is Nomens a harmless inquilinus of Physalia? Proc. Imp. Acad. Tokyo, Voi. 9, p. 537. 1934. Gohar, H. H. J. — Partnership between Fish and Anemona. Nature, London, Voi. 134, p. 291. 1934. Damas, H. — Hydriehthys cclothonis (n. sp.) hydroide parasite du pois- son Cyclothone signata. Bull. Mus. Hist. Nat. Belg., Voi. 10, n. 7, p. 1. 4 figg. 1936. Lucas, C.. E. Henderson, G. T. D. — On thè Association of Jelly-fish and other organisms with catches of Herring. lourn. Mar. Biol. Assoc. Plymouth , N.S., T. 21, p. 293. - 12 - Dott. Francesco Iovene Studio termico sull’ Isola d’ Ischia. (Tornata del 13 luglio 1939-XVII) Tra i vari problemi che si propone l'autarchia c'è lo sfrutta¬ mento delle forze naturali. Le esalazioni fumaroliche si annoverano tra le manifestazioni di tali energie. Per dare un modesto contributo alle ricerche preliminari che si conducono allo scopo di esaminare la possibilità di un tale sfruttamento nell'Isola d'Ischia ho costruito la carta termica della Isola, ricca di manifestazioni idrotermiche e fumaroliche. Nello studio delle fumarole ho seguito il criterio adottato dal Ch. mo ProL Imbò per le fumarole a vapore acqueo. Il Prof. Imbò basandosi sul comportamento termico , divide le fumarole in due categorie a secondo che le esalazioni proven¬ gano direttamente dalla sorgente primaria oppure costituite pre¬ valentemente od esclusivamente di vapor acqueo proveniente dalle evaporazioni di ebollizione dell'acqua nelle particolari condizioni fisco-chimiche in cui essa si trova. La temperatura massima di queste è quindi quella delle acque del sottosuolo. Le temperature massime, infatti, riscontrate da Imbò alle fu¬ marole di Lentia (Isola di Vulcano), dell'Atrio del Cavallo (Vesu¬ vio) , del Vulcarolo (Etna), rispettivamente situate all’incirca al li¬ vello del mare a M. 750 e 3000 di altezza sono 100°, 98°, 91°. Questa costatazione estesa per moltissimi altri gruppi furna- rolici permise a sua volta di concludere, senza eventualità di errori, che l’acqua da cui ha origine il vapore acqueo sia quello del sot¬ tosuolo. — 142 — Le numerose serie di osservazioni termiche alle fumarole ve¬ suviane e dell'Isola di Vulcano, analizzate dallo stesso Imbò, di¬ mostrano che la temperetura viene regolata dalla distanza dalla superficie dell'acqua. La variazione termica, nel corso dell'anno, presenta così un andamento parallelo a quello della variazione del livello dell'acqua del sottosuolo. Inoltre le escursioni termiche decrescono al crescere della detta distanza ossia al ridursi della temperatura media. Così lo stesso Imbò, in tre fumarole vesuviane situate a quota diversa , lungo il fianco esterno prospiciente l'Atrio del Cavallo*, per la prima, pros¬ sima all'orlo del cratere, la temperatura media 39°, 3 e l’escursione 5°, 5; per una intermedia i due valori erano 56°, 9 e 10°, 0; per la più bassa, a circa 1000 m. di altitudine si aveva 75°ó e 18°, 8. Dall’esposizione dei dati dei fatti si dedurrà che le fumarole isolane seguono un comportamento conforme a quello esposto. # * * Dalle osservazioni termiche eseguite nell’Isola d’Ischia appare evidente che le fumarole possono raggrupparsi in sei distinti gruppi aventi caratteristiche termiche comuni. Questi gruppi, denominati dalla fumarola principale, sono rac¬ chiusi nel seguente specchietto, ove per ogni singola fumarola è indicata l’altezza sul livello del mare e la temperatura ; Tamburo . . h. 250 T. 86° 200 1 — o o o 0 65° 1. Monte Cito . 330 45° 250 67° 1Ò0 o o 0 2. Monte Vico . 90 56° 70 65 55 U- o 0 30 35° 19 43° 0 67° 2. Monte Vico . — 143 - III) Monte Nuovo . IV) Bellomo . V) 1. Maronti 2. Succhivo VI) 1. Cremato 2. Curci . 450 61° 325 91» 310 92» 300 OO 00 o 270 78° 225 98° 370 00 c* 0 330 87° 238 92° 250 100° 190 102° 69 76° 60 o OO 55 85° 45 98° 300 61° 250 65° 137 77° 100 98° 25 Ò O 0 102° cm. 50 105° 150 101° 140 100° 100 o 00 80 58° 0 98° 220 o O CO 138 46° 20 50° 0 72° 230 19° 163 27° 93 29° 87 35° 0 42° 175 52° 68 67° 55 56° 0 72° 3. Rotare. — 144 — Questi sei gruppi fumaroliche emergono da sei bacini embri- feri distinti, che corrispondono ai seguenti: I) Casamicciola limitato dalle creste del Monte Rotaro e del Ta- bor ad est dalle colline Maio, Gran Sentinella e Neso ad Ow. II) Lacco che ha come limite ad E. Maio, Gran Sentinella e Neso come limite ad Ow. Marecocco e Zara. Ili) Forio incomincia con lo spartiacque di Marecocco e Zara e termina con quello dei Rioni Caruso, Martola e Piellero IV) Citara circoscritto dallo spartiacque precedente e da quello di Panza, Ciglio, e Punta Imperatore. V) Maronti va dal limite Ow. del precedente bacino imbrifero fino al Monte cotto al Sud. VI) Ischia inizia a Nord dello spartiacque del Monte Rotaro, del Tabor e del Castiglione, e si estende in tutta l’area com¬ presa nelle gran fossa limitata a Sud dai Monti Cotto, Vezza e Campagnano. * * * Le temperature dei singoli aggruppamenti fumarolici, in ge¬ nerale, iniziano con una massima press’a poco uguale a 100° e de¬ crescono col crescere il livello del mare. In diversi bacini si osservano più di un aggruppamento fu¬ maroliche con temperature massime iniziali molto inferiori ai 100° Ciò è spiegabile con la distanza della superficie dell'acqua del sottosuolo dal piano di campagna e con la temperatura stessa delle acque che alimentano le dette fumarole. Le poche fumarole a temperatura superiore ai 100° trovano spiegazione in sali sciolti in dette acque. Così la fumarola dei Maronti ha una temperatura massima di 102° dovuta certamente alla mineralizzazione delle acque del sottosuolo: si è infatti sulla riva del mare e la tempera¬ tura di ebollizione della sua acqua è appunto 102°. Un’altra spiegazione potrebbe essere data dalla eventuale ten- zione cui è soggetta la falda, come dimostrò pienamente il Prof. Imbò in uno studio termico nell’Isola di Vulcano. 145 — * * * Nelle fumarole isolane anche l’escursione termica va secondo i criteri deH’lMBÒ. a) Ve ne sono alcune a temperatura quasi costante, il che mostra la vicinanza dell’acqua del sottosuolo. b) Altre sono influenzate dalle precipitazioni e dalla pressione ma specialmente dalla prima, presentando nel corso dell’anno un andamento termico sfasato rispetto ai massimi e minimi delle pre¬ cipitazioni. c) Le escursioni termiche di queste fumarole e la tempera¬ tura media decrescono al crescere della distanza della superficie dell’acqua al piano di campagna. Così le fumarole di S. Gerolamo, del Cremato e del Belvedere, poste a 20,138,200 m. sul liv. mare, hanno le prime un’escursione di 15°, con temperatura media 42°5 per le seconde i due valori sono ò°,0 e 43°, 0 e per le terze 1°,0 e 29°, 5. La Lanfreschi, la Cuomo e la Curci, a 87,93,195 m. sul mare subiscono un’escursione di 5°,0 ; 3°,0, 1°,0 con le rispettive tem¬ perature medie di 32°5; 28,5 e 26,5. d) Le fumarole sulla riva sono soggette all’influenza della marea. * * * Un’altra particolarità delle fumarole insclane e che esse trovansi allineate lungo particolari allineamenti, che corrispondono a linee di fratture tettoniche. Il Monte Nuovo, secondo il Rittmann, po¬ trebbe ritenersi centro d'irragiamento di diverse linee di fratture tettoniche che intersecano i fondi di differenti bacini imbriferi. Le linee secondo le quali si riscontrano fumarole sono : 1° La prima va in direzione Punta Cumana, Cava Tamburo e Piano S. Paolo intersecando il bacino di Casamicciola. Su que¬ sta direzione si allineano le fumarole del primo gruppo. 2° La seconda è in direzione della Montagna della Frana, Monte di Mezzo e Monte Cito, interseca il secondo bacino imbri¬ fero ad est. In questa direzione sbucano le fumarole del primo sottogruppo del secondo gruppo. — 146 — 3°) La terza in direzione Marecocco Monte Vico, taglia il bacino imbrifero di Lacco al lato est. In questo senso emergono le fumarole del secondo sottogruppo del secondo gruppo. 4) ° Il terzo gruppo affiora lungo il margine di Monte Nuovo. 5) ° La quarta linea è in direzione Rione Bocca, Bellomo, Monte Corvo e taglia il fondo del bacino imbrifero di Citara. Sulla medesima direzione sbucano le fumarole dei quarto gruppo. 6°) La quinta più a sud della precedente segue la direzione Bocca di Sezza, Vagnuolo. Sul medesimo allineamenlo esalano le fumarole del secondo sottogruppo del quinto gruppo. 7° Il bacino embrifero dei Maronti è anch’esso intersecato da una linea di frattura in direzione Chiarito, Sant'Angelo Sorgenti Nitruoli. Sullo stesso allineamento si trovano le fumarole del primo sottogruppo del quinto gruppo. 8° Nel bacino imbrifero d’ischia il primo sottogruppo fuma- rolico affiora sulla frattura su cui si allineano i crateri Vateliere Cava Nocella, Curci, S. Michele. Oli altri due sottogruppi sulla fattura su cui si allineano il Castiglione, il Rotaro ed il Tabor. * * * Concludendo, le fumarole isolane appartengono tutte alla se¬ conda categoria della suddetta divisione proposta dall’ Imbò e cioè sono tutte a vapore acqueo. Esse affiorano in gruppi da diversi bacini embriferi. I differenti gruppi hanno una termicità in relazione alla di¬ stanza del piano di campagna dalla lama freatica, con escursioni termiche decrescenti al crescere di detta distanza , e con sfasa¬ menti rispetto ai massimi e minimi delle precipitazioni. Tutte le furamole sentono l’influenza della pressione e quelle in vicinanza del mare anche della marea. Le temperature massime si trovano a livello del mare e su di una zona fra 150 ed i 200 m. di altitudine, parallela alla faccia dell’Isola rivolta a nord. I gruppi fumarolici infine, com'è stato precedentemente notato risultano allineati lungo linee di fratture tettoniche. 147 Riassunto L'A., dopo aver esposto il criterio adottato dal Prof. Imbò per le fumarole a vapor d'acqua dimostra che le fumarole isclane seguono il suddetto comporta¬ mento. Esse sono a vapor acqueo, si raggruppano in sei gruppi principali allineati fungo linee di fratture tettoniche ed emergenti da sei bacini imbriferi: Casamic- ciola, Lacco, Forio, Citara. Maronti, Ischia. I differenti gruppi iniziano con una temperatura massima press'a poco uguale a 100 ’. Che decresce col crescere il piano di campagna dalla lama featica, ed ha escursioni termiche decrescenti al crescere di detta distanza, e sfasamenti rispetto ai massimi e minimi delle precipitazioni. - 13 - 148 — BIBLIOGRAFIA 1927. Imbó G. — Fumarole vulcaniche a vapore acqueo. Boll, del Coni. Naz. Ital. per la Geodesia e la Geofisica. II Serie, Anno II. n. 6. Studio termico di fumarole vesuviane. Bull. Voi. n. 11 - 12, 1927. 1933. — — Sulle osservazioni termiche di fumarole nell isola di Vulcano . Ann. Oss. Ves. IV Ser. Volc. Ili, 1931-1932-1933. 1937. Platania G. — Radioattività di alcune sorgenti termali di Lacco Ameno (Isola d'Ischia). “ Boll. Soc. dei Naturalisti „ Voi. XLV. p. 289. 1930. Rjttmann A. Geologie der Insel Ischia. Er gànzugsband VI zur “Zeit. fùr Vulk „ 1930. Prof. Arturo Palombi Stazione Zoologica - Napoli Studii sugli Idroidi. I, — L’azione delle radiazioni luminose. Sommario J. — Scopo del lavoro e materiale di studio. II. — Dispositivi e filtri adoperati. III. — Temperatura dell’acqua sottoposta all'azione delle varie radiazioni. IV. — Brevi notizie sui fenomeni di differenziamento e sdifferenziamento degli idranti di alcuni Idroidi. V. — Risultati ottenuti colle radiazioni usate : a) Luce bianca. b) Infrarosso. c) Tutto lo spettro eccettuato l’infrarosso. d) Luce rossa. e) „ gialla. t) „ verde. g) „ azzurra. h) „ indaco-violetta. i) Tutto lo spettro eccettuato l’ultravioletto. /) Ultravioletto. m) Oscurità. VI. — Riassunto, discussione e conclusioni. I. — Scopo del lavoro e materiale di studio. Invogliato ed incoraggiato dai risultati conseguiti dal Prof. U. Pierantoni al quale mi è gradito esternare i sensi della mia sin¬ cera ed immutata affezione, ho provato anch’io — sugli Idroidi — 150 l’azione delle radiazioni visibili e non visibili dello spettro al fine di portare qualche utile contributo a questo suggestivo argomento che, se vecchio nella concezione, è nuovo nell'attuazione (1). La scelta degli Idroidì quale materiale di esperimento, fu de¬ terminata dalla grande plasticità che dimostrano questi organismi i quali, già per mie osservazioni precedenti sul loro comportamento fisiologico, tanto in condizioni normali, che in soluzioni saline di varia concentrazione, mi avevano non solo permesso di rendermi edotto delle loro manifestazioni vitali, ma mi avevano anche con¬ sentito di osservare con quanta rapidità percepivano gli stimoli, reagivano ad essi con i ben noti fenomeni di sdifferenziamento, e si adattavano alle nuove condizioni plasmando la loro sostanza ce- nosarcica in nuove e più consone forme. Nei primi giorni dei mese di aprile iniziai gli esperimenti. Per lo scopo, mi servii di due specie di Idroidi : Eudendriutn ratneutn (Pallas) rappresentante del gruppo degli Atecati ed Obelia geni- culata (L.) appartenente al gruppo dei Tecati. La scelta di Eudendrium fu determinata, oltre che dall'abbon¬ danza di questa specie nel golfo di Napoli, dalla considerazione che una specie vicina, Eudendrium racemosum (Cavolini) era stata usata, per ricerche analoghe, dal Loeb il quale però aveva agito in maniera da non discriminare esattamente l' azione delle varie luci, delimitate, nella gamma delle radiazioni, in base alla loro lun¬ ghezza d’onda. II. — Dispositivi e filtri adoperati. In dieci vaschette cilindriche (Fig. 1, a), in seguito ne fu ag¬ giunta un’altra in serie, per l’ultravioletto, ed una a parte per l’o¬ scurità completa, della capacità di 250 cc., dipinte all'esterno prima con smalto bianco e poi con vernice nera, furono messe le colonie degli Idroidi citati in ottime condizioni vitali. (1) La bibliografia sull'argomento è esposta, discussa e ragionata nel lavoro del Pierantoni : “ Antichi e nuovi studii sul problema dell’azione delle radiazioni visibili sullo sviluppo degli animali „. Riv. di Fisica Mat. e Se. naturali, A. 13° (II) n. ó, Napoli 1939. 151 In ogni vaschetta, riempita per oltre tre quarti di acqua di mare, prelevata giornalmente a distanza dalla costa, filtrata e rin¬ novata, fu messo un ramo di ciascun idroide fissato mediante un filo di seta, ad un piccolo vetrino in maniera che potesse essere fratto dalla vaschetta ed osservato agevolmente. Fig. 1. — Vaschetta adoperata per gli esperimenti: a, vaschetta; b, discodi piombo visto dalla parte inferiore ; c, il medesimo disco visto obliquamente dall’alto: al centro tro¬ vasi la finestra quadrata su cui si fa aderire, col mastice, il filtro, mentre inferiormente è saldato il nastro circolare ; d, la vaschetta col disco, pronta per gli esperimenti. Come uno scatolo col suo coperchio, ciascuna vaschetta fu coperta mediante un disco di piombo (Fig. 1, h d ) di forma cir colare e di diametro più ampio della vaschetta stessa munito, nella parte inferiore, di un nastro di piombo, anch'esso circolare, saldato -- 152 — al disco e perfettamente aderente al vetro della vaschetta in maniera da evitare che radiazioni estrànee potessero penetrare neirinterno Nella parte centrale di ciascun disco di piombo fu ritagliata una finestra quadrata di mm. 75 di lato e su ciascuna fu attaccato, me¬ diante mastice, il filtro in maniera da lasciar passare solo le radia¬ zioni della lunghezza d'onda desiderata. Le vaschette furono poste una di seguito all’ altra in maniera che il centro di una vaschetta fosse distante dal centro della suc¬ cessiva, cm. 16. Le lampadine, di 5 candele ciascuna, inserite sopra un circuito di 150 volts a corrente alternata, erano poste anch'esse alla distan¬ za di cm. 16 l'una dall’altra e venivano perciò a trovarsi perpen¬ dicolarmente su ciascuna vaschetta. Furono aggiunte inoltre, alle estremità della serie, altre due lampadine allo scopo di fornire anche alle due vaschette terminali, la medesima quantità di energia che giungeva alla vaschetta mediana. Non furono separate le varie va¬ schette colle corrispondenti, sovrastanti lampadine, mediante schermi per evitare che lo spazio ristretto potesse produrre un eccessivo riscaldamento della limitata porzione di aria stagnante intorno alla vaschetta la quale, a sua volta, avrebbe influito riscaldando l'acqua contenuta nell'interno ed avrebbe turbato il buon andamento degli esperimenti. I filtri adoperati che, mediante l’efficace interessamento del Prof. R. Dohrn e del Dott. Kramer della Stazione Zoologica di Napoli, ho potuto usare, sono i seguenti : a) Luce bianca. — È quella di una lampadina smerigliata di 5 candele, attenuata da un vetro, anch’ esso smerigliato, di 3 mm. di spessore senza assorbimento selettivo. b) Infrarosso. — Comprende tutto l'infrarosso e solo una lieve sfumatura rossa, molto attenuata, compare all’ esame spettroscopico. Corrisponde al filtro riportato nel catalogo indicato della Casa Schott di Jena sotto l’indicazione : R G 10, Rodvu, di 3 mm. di spessore. c) Tutto lo spettro eccetto l'infrarosso. — Com¬ prende tutto lo spettro visibile e porzione dell'ultravioletto fino a 2750 À. Corrisponde al filtro indicato dalla Casa Schott di Jena con: B G 19, Sifax, di 2 mm. di spessore. — 153 — d) Rosso.— Comprende radiazioni fra 6200 e 6700 À. Si ot¬ tenne mediante un filtro unico preparato dalla Casa Kodak con uno strato di gelatina spalmato fra due vetri. è) Giallo-arancio. — Il campo dello spettro è compreso fra 5650 e 6200 A. Si ottenne inserendo fra un vetro bianco ed uno verde , 2 fogli di cellofane rossa ed 1 di cellofane verde. /) Verde. — Comprende radiazioni fra 5150 e 5650 A. Si ottenne mediante un filtro unico della Casa Kodak preparato nel medesimo modo del filtro rosso. o g) Azzurro. — Comprende radiazioni fra 4700 e 5150 A. Si ottenne mediante un filtro unico della Casa Kodak preparato alla stessa guisa dei filtri rosso e verde. h) Indaco-violetto. — Comprende radiazioni fra. 4100 e 4700 A. Si ottenne sovrapponendo ad un vetro viola, il filtro B G 3, Blau-uviol, di 3 mm. di spessore, della Casa Schott ed il B G 23, Lubik, di 2 mm. di spessore, della medesima Casa e di due vetri bianchi trasparenti. i) Tutto lo spettro eccettuato l'ultravioletto. — Abbraccia tutto lo spettro visibile e l'infrarosso. Restano però escluse le radiazioni, più estreme, dell’ indaco-violetto. Cor¬ risponde al filtro indicato dalla Casa Schott con : G G 5, Gehell, di 2 mm. di spessore. I) Ultravioletto. — Comprende solo radiazioni inferiori a 4000 À. tri) Oscurità. — Fu realizzata capovolgendo sulla vaschetta, posta in luogo semioscuro, una cassettina di legno sprovvista del coperchio. — 154 — L'aggiunta dei filtri " infrarosso „ ed “ ultravioletto „ fu de¬ terminata dalla considerazione che essi potessero avere influenza sulle estreme radiazioni visibili dello spettro (rosso e violetto) e che potessero influire con questi, inibendo od accelerando i feno¬ meni vitali. Vedremo che niente di tutto questo si avverò durante le esperienze, anzi il rosso ed il violetto ebbero azione del tutto opposta a quella dei filtri infrarosso ed ultravioletto. La sorgente luminosa ottenuta mediante le lampadine, fu, in tempi successivi, portata a distanza sempre minore dall* oggetto delle ricerche : inizialmente fu posta a distanza di cm. 50, in se¬ guito fu avvicinata a cm. 40 ed infine le lampadine furono poste distanti cm. 30 dal piano del tavolo sul quale poggiavano le va¬ schette. III. — Temperatura dell’acqua sottoposta all’azione delle varie radiazioni. Ad ogni esame, compiuto giornalmente, in generale al mattino, ma talvolta anche nelle ore pomeridiane, fu sempre misurata la temperatura dell'acqua della vaschetta. Dai protocolli dei dati ri¬ levati, risulta che la corrispondenza fra la temperatura dell’ acqua delle varie vaschette si mantenne pressoché costante, in maniera che, conosciuta la temperatura dell'acqua di una delle vaschette era possibile prevedere quale fosse quella dell’acqua delle altre, che inoltre, la differenza di temperatura dell’acqua delle varie vaschette, non oltrepassò mai 1° C. La più bassa temperatura fu misurata nella vaschetta a luce bianca mentre la più alta si ottenne netla vaschetta con filtro verde. I filtri verde ed azzurro inoltre, lasciano passare la medesima quan¬ tità di energia quando le lampadine si trovano alla distanza di cm. 50; avvicinando invece la sorgente luminosa a 40 ed a 30 cm., il filtro verde lascia passare una maggiore quantità di energia ca¬ lorifica rispetto a quello azzurro. I filtri rosso, giallo e violetto presentano presso a poco il medesimo comportamento rispetto alla energia calorifica trasmessa e ciò senza distinzione di distanza. — 155 — Il comportamento accennato può essere facilmente rilevato dal grafico (Fig. 2) nel quale sono distinte e chiaramente visibili le variazioni di temperatura riscontrate nell’acqua delle vaschette co¬ perte dai vari filtri. — ' - - - lampade a cm. 50 - medie cenerà i i Fig. 2. - Temperatura dell’acqua delle vaschette sottoposte all’azione delle radiazioni dei vari filtri. Ciascun grafico rappresenta la temperatura in rapporto alla distanza della sorgente luminosa. Ho infine osservato che l'acqua contenuti nelle vaschette co¬ perte dai filtri rosso e giallo presenta una differenza di tempera- — 156 — tura fra lo strato superficiale e quello profondo di circa 1°C. Non dubito che ciò debba accadere anche per l’ acqua delle altre vaschette. IV. — Brevi notizie sui fenomeni di differenziamento e sdifferenziamento di alcuni Idroidi. Allo scopo di rendere più chiare ed intelligibili le manifesta¬ zioni presentate da Eudendrium rameum (Pall.) ed Obelia geni- calata (L.) in rapporto all'azione delle radiazioni luminose, esporrò alcune mie osservazioni compiute sulle attività vitali di queste due specie di Idroidi tenute per alcun tempo in condizioni ambientali diverse : in acqua di mare corrente, oppure in vaschette nelle quali l'acqua di mare era rinnovata ogni 24 ore. Aggiungerò inoltre qualche altra osservazione relativa ai fenomeni di differenziamento e sdifferenziamento ricavata dall’ esame di Tabularla mesetnbryan- themam, Allm., Campanularia caly calata Hincks, ed Eudendrium racemosum (Cavolini). In Eudendrium rameum un preludio al differenziamento degli idranti viene offerto sia dall’aspetto dei rami della colonia che da quello della sostanza cenosarcica in essi contenuta. I primi infatti presentano, alla loro estremità, un bottoncino, dapprima sferico e poi claviforme mentre la sostanza assume un aspetto denso e ros¬ siccio. In Obelia geniculata la formazione degli idranti si manifesta colla presenza, all'estremità del moncone del ramo, della sostanza cenosarcica densa. Questa, in principio, si presenta sotto forma di un bottoncino che gradatamente si gonfia assumendo la forma di una sfera. Da questa sfera si liberano a guisa di tenui fili, i ten¬ tacoli i quali, un pò alla volta, si ingrossano a spese della sostanza cenosarcica che costituisce la sfera la quale, alla fine, risulta di aspetto claviforme e si trova, come una calatide coi fiori ligulati alla peri¬ feria, circondata dai tentacoli. L’abbozzo sferico e la clava presen¬ tano una punteggiatura rossiccia. Interessante è la formazione delle gonoteche. Al di sotto di una teca, completamente vuota dell’idranto e della indifferenziata sostanza cenosarcica, si forma una coppa rotondeggiante. Nell' in¬ sieme, la teca e la sottostante coppa, assumono l'aspetto allungato - 157 — proprio della gonoteca. Longitudinalmente, nella parte centrale di questo involucro si forma, a spese della sostanza cenosarcica esi¬ stente nel peduncolo che collega la gonoteca al resto della colonia , un cordone di colorito bruno. Lungo questo cordone si organiz¬ zano delle sfere della medesima tinta le quali, successivamente, si differenziano in medusine. Queste hanno l'aspetto circolare, pre¬ sentano il margine non intero ma fornito di piccoli lobi periferici e posseggono otto litocisti, il manubrio coll'apertura boccale a forma di croce ed i canali radiali e quello circolare. I lobi che orlano il margine deH'ombrella si differenziano, nel corso dello sviluppo, nei filiformi tentacoli esistenti nelle meduse di Obelia. L'aspetto preliminare presentato dai rami di Eudendrium ra¬ me urti ed Obelia geniculata prossimi a differenziarsi, non è affatto esclusivo di essi ma, come è noto da tempo, è comune ad altri Idroidi come del resto io stesso ho potuto constatare. In Tubularia mesembryanhemum Allm., i rami prossimi a dif¬ ferenziare gli idranti, presentano, in prossimità della porzione estrema, una zona di sostanza cenosarcica densa, granulosa, di colore bruno,, talvolta rossiccio, tal'altra rosso bruno, quasi violaceo, molto spesso striata. Questa porzione della colonia, eminentemente attiva, si presenta distinta in due zone : di queste, l'anteriore, differenzia i tentacoli, mentre la posteriore dà origine al resto del polipo. Nella zona prossima a differenziarsi ho spesso osservato un incessante movimento vibratorio delle cellule rotondeggianti che si trovano nell’interno. Ed ogni qual volta l'attività della colonia deve svolgersi più intensamente, la sostanza cenosarcica affluisce in quel punto e là presenta l'aspetto denso, granuloso ed il colorito bruno o rossiccio osservato continuamente. Istologicamente questa porzione risulta costituita, tanto in Eudendrium rameum che in Obelia geniculata , dei medesimi ele¬ menti : cellule periferiche con nucleo ben evidente e con contorno lineare, giustaposte le une alle altre ed allungate in senso longi¬ tudinale in maniera da formare uno strato continuo ; e cellule in¬ terne, rotondeggianti, con protoplasma denso, non collegate fra loro e perciò in condizioni di potersi spostare determinando il movimento vibratorio osservato. Anche il colore delle due por¬ zioni è dissimile : lo strato esterno, che costituisce l' ectoderma della colonia, in Eudendrium è giallo chiaro e chiara è anche la tinta delle cellule periferiche esistenti in Obelia . Le cellule interne invece, a contorno ovale e di dimensioni non uniformi, sono di 158 — colore rosso bruno in Eudendrium e verde bruno in Obelia. Ho ricevuto anche l’impressione che ^intensità della tinta sia in rela¬ zione colla grandezza degli elementi cellulari : le cellule grosse sono più intensamente colorate. Inoltre le più grosse cellule della porzione centrale talvolta mostrano alla periferia un contorno chiaro a guisa di alone che allunga e ritrae, come un amebocito, la sua porzione marginale. Nella stessa Obelia geniculata ed in Campanularia caly culata ho potuto inoltre osservare l'allungamento dei rami stoloniferi. La porzione estrema di queste lunghe e filiformi formazioni talvolta diritta e sferica, tal’altra ricurva e terminante con un rigonfiamento a guisa di mamellone, contiene abbondante sostanza cenosarcica di aspetto denso. L’estremità dello stolone, destinata airallungamento, dovendo esplicare maggiore attività, presenta nel suo interno la densa sostanza cenosarcica osservata. Ugualmente la formazione degli stoloni in Eudendrium race- mosum è preceduta da un afflusso di sostanza cenosarcica che va a riempire interamente la porzione estrema del ramo. Il contenuto denso, l'aspetto spesso claviforme da esso presentato, nonché la posizione assunta, indicano che la maggiore attività è appunto esplicata in quella parte della colonia. Come già è stato altre volte osservato, ad un esteso sdiffe¬ renziamento segue una più attiva formazione di rami e di stoloni. 11 Cotronei , a proposito di Corydendrium parasiticum (1) pensa che tra i due processi vi sia un rapporto causale. Ho anch'io potuto constatare l'interdipendenza fra i due fenomeni durante il corso delle mie ricerche sugli Idroidi. Tanto le osservazioni sulla loro permanenza in acqua di mare non rinnovata continuamente, che quelle sull'azione degli elettroliti e le presenti, sulle radiazioni lu¬ minose, hanno confermato quando scriveva il Cotronei (1925 p. 175) che “ la vita latente degli idroidi che culmina colla scomparsa dei polipi è in rapporto a complesse condizioni sfavorevoli di am¬ biente „ e che “ in condizioni sfavorevoli ambientali tutti i polipi della colonia possono sdifferenziarsi e ridursi a sostanza cenosarcica che, rappresentando la parte indifferenziata e quindi materialmente meno attiva , risente meno le condizioni nocive di ambiente sfavorevole sia per condizioni fisiche che chimiche (1) Cotronei, Q. — Osservazioni sullo sdUferenziamento nel Corydenciriuni parasiticum. Boll. Soc. Nat. Voi. 37, pp. 167-176. Napoli. — 159 — V. Risultati ottenuti colle radiazioni usate. Gli effetti delle radiazioni di qualsiasi lunghezza d’onda sulle colonie di Eudendrium rameurn e di Obelia geniculata , sono chia¬ ramente visibili già dopo alcune ore dall'inizio degli esperimenti. La loro azione sulle colonie degli Idroidi sperimentati, si manifesta da una parte con riduzione e sdifferenziamenio parziale o totale degli idranti nonché con fuoriuscita della sostanza cenosarcica e disorganizzazione e disfacimento di questa ; dall'altra, con processi organizzativi rappresentati dalla emissione di rami e stoloni e dalla formazione degli idranti. Profondamente diversa è l'azione delle varie radiazioni ado¬ perate sulle colonie di Eudendrium e di Obelia . $ Obelia geniculata reagisce molto più energicamente di Euden¬ drium rameurn non solo con uno sdifferenziamento più accentuato, ma anche con un palese rallentamento nei processi formativi. L'ini¬ bizione di questi processi varia in rapporto alle radiazioni usate, ed in relazione con queste, variano anche gli altri fenomeni pre¬ sentati dalle colonie. a) Luce bianca. — Molto diverso è il comportamento di Eudendrium rispetto a quello di Obelia. In Eudendrium rameurn , dopo il primo, iniziale, pressoché generale sdifferenziamento, segue un processo di ricostruzione che si manifesta colla formazione di stoloni e di rami e con differen¬ ziamento degli idranti tanto sui rami della vecchia colonia che sugli stoloni ed i rami di nuova formazione. Gli alternati processi di formazione e di sdifferenziamento dei polipi, frutto dell' inces¬ sante attività della sostanza cenosarcica della colonia, attestano ra¬ zione favorevole di queste radiazioni a differenza di quanto si ve¬ rifica in Obelia geniculata in cui, al generale e totale sdifferenzia¬ mento tanto degli idranti che delle gonotiche, segue una parziale formazione degli idranti. Nel processo di riduzione, parte della sostanza cenosarcica si contrae nell'interno del ramo principale ove si riduce spesso ad un sottile cordoncino, mentre un’altra porzione fuoriesce dal ramo e subi¬ sce il processo di disorganizzazione al quale segue il disfacimento. 160 — Nel processo formativo invece, l'indifferenziata sostanza ceno- sarcica, rappresentata dal citato cordoncino, riprende la sua atti¬ vità, si organizza e forma i pochissimi idranti riscontrati. Fig. 3. - Grafico rappresentante il comportamento delle colonie degli Idroidi sottoposte all’azione della « luce bianca ». • - « Eudencrium rameum (Pall.); o - - - o O bella geniculata (L.). Il descritto comportamento delle due specie di Idroidi alle radiazioni della luce bianca, può facilmente essere seguito osser¬ vando il grafico riportato (Fig. 3), nel quale è stato segnato sul¬ l'asse delle ordinate, come del resto è stato fatto anche per la costruzione degli altri grafici successivamente riportati, il numero — 161 — dei polipi delle colonie, mentre sull'asse delle ascisse è stata indicata la successione dei giorni di esperimento. Va infine rilevato che l'ordinata zero indica l'assenza degli idranti e lo stato di vita la¬ tente della sostanza cenosarcica delle colonie. Fig. 4. - Grafico rappresentante il comportamento delle colonie degli Idroidi sottoposte all’azione dell’ « infrarosso ». • - » Eudendrium rameum (Pall.); o . — • o Obelia genicututa (L.). b) Infrarosso. — Allo scopo di evitare l'assorbimento delle radiazioni dell'infrarosso da parte dell'acqua della vaschetta, — 162 — fu diminuito il quantitativo di essa portando il suo livello prima a due centimetri e successivamente, nel corso degli esperimenti, ad 1 cm. soltanto dal fondo detla vaschetta Per conseguenza, le co¬ lonie degli Idroidi legate sul vetrino, venivano a trovarsi coperte da un sottile strato di acqua inferiore ad 1 cm. e tale perciò da eliminare il dubbio che l’azione di questo filtro potesse essere an¬ nullata dall'acqua. Gli effetti riscontrati sugli Idroidi sottoposti all' azione delle radiazioni di questa parte non visibile dello spettro, sono buoni e tali da non lasciare il minimo dubbio sulla loro attività che si manifesta determinando sviluppo di rami, di stoloni e di polipi. L’azione energica dell’ " infrarosso „, come si può verificare seguendo il grafico riportato (Fig. 4) , è dimostrata non solo da¬ gli attivi processi di sdifferenziamento alternati da altrettanti fe¬ nomeni costruttivi che in Obelia sono evidentissimi e si svolgono a brevissima distanza di tempo gli uni dagli altri, ma anche dalla attività formatrice che dimostra di possedere a lungo la sostanza cenosarcica di Eudendrium e che determina il differenziamento di parecchi idranti. A misura che si procede nel corso degli esperimenti, si nota che l'attività formatrice della sostanza cenosascica subisce un ral¬ lentamento e che la capacità differenziatrice di essa si esplica dopa intervalli di riposo sempre più lunghi, quasi che la sua azione fosse inibita dai prodotti tossici accumulatisi nel corso del tempo. c) Tutto lo spettro eccettuato l’infraros¬ so. — L'azione immediata di questo filtro si manifesta con un esteso sdifferenziamento. La sostanza cenosarcica derivante da que¬ sta larga riduzione di polipi si raccoglie nei rami ove determina o l'allungamento di essi, o la fuoriuscita di stoloni. Rametti e stoloni inoltre assumono, inizialmente, nella loro porzione termi¬ nale, un aspetto più o meno contorto. Le manifestazioni determinate da queste radiazioni sono invero alquanto peggiori di quelle prodotte dalla luce bianca. E' molto probabile che la loro azione meno favorevole debba imputarsi alla presenza di porzione dell’ ultravioletto. Anche per queste ra¬ diazioni, come per quelle determinate dalla luce bianca, le colonie di Eudendruim reagiscono più attivamente di quelle di Obelia manifestando la loro maggiore attività con uu più accentuato dif¬ ferenziamento di idranti. Ugualmente le colonie di Obelia aitraver- — 163 — sano lunghi periodi di rallentata attività o di vita latente durante la quale ogni processo formativo resta inibito. Fig. 5. - Comportamento delle colonie degli Idroidi sottoposte all’ azione delle radiazioni di « tutto lo spettro, eccettuate quelle dell’ infrarosso . © - - © Eudendrium rameum (PALL.); o . -|Éipr o Obelia geniculata (L.); In una colonia di Eudendrium , all’inizio delPesperimento, da uno dei rami, non però il principale, come accade normalmente, è fuoriuscita abbondante sostanza cenosarcica che si è raccolta sotto forma di globulo. La emissione degli stoloni, rallungamelo dei rami e la fuoriuscita della sostanza cenosarica non è fissa e - 14 - — 164 — determinata sulla colonia ma avviene invariabilmente in un punto qualsiasi di essa. La plasticità di questa sostanza è tale che spesso, dallo stesso globulo, si organizzano degli stoloni sui quali possono differenziarsi gli idranti. Obelia infine, oltre a dare idranti, ha ancora formato, durante il corso degli esperimenti, una gonoteca provvista della sostanza cenosarcica che però non è riuscita a differenziare le medusine. Fig. 6. - Comportamento delle colonie degli Idroidi sottoposte alle radiazioni dello spet¬ tro «rosso». • - - 9 Eudenarium rameum (Pall.); o o Obelia geniculaia (L). d) Luce rossa. - * Non molto favorevoli sono le con¬ dizioni deterininate^dalle radiazioni di questo filtro. 165 — A differenza di Eudendrium che reagisce più lentamente collo sdifferenziamento graduale dei polipi delle colonie, Obelia risente immediatamente e reagisce fortemente sdifferenziando tutti gli idranti ed emettendo dall'estremità del ramo principale, sotto forma di globulo, la sostanza cenosarcica che viene in parte disorganizzata. Alla periferia del globulo infatti, è presente un alone granuloso, indice dell'avvenuto disfacimento. Dopo afcuni giorni dall' inizio degli esperimenti, durante i quali si verifica un processo di orga¬ nizzazione che si manifesta con remissione degli stoloni, dapprima contorti ed in seguito diritti, segue la emissione degli idranti. Questi non persistono a lungo sui rami delle colonie : i processi di sdifferenziamento da una parte e la contrazione della sostanza cenosarcica nei rami dell'altra, attestano le condizioni poco buone dell'ambiente. Tali precarie condizioni sono ulteriormente confer¬ mate dalla sottigliezza degli stoloni di nuova formazione, dai ten¬ tacoli degli idranti molto più corti del normale, nonché dai pro¬ cessi organizzativi che alcune volte hanno subito un arresto nel corso del loro sviluppo. Dopo un certo tempo dell’ inizio degli esperimenti , Obelia sdifferenzia totalmente i suoi idranti ed entra in uno stato di vita latente a differenza di Eudendrium che conserva a lungo, sebbene ed intervalli, ed in condizioni di vita precarie, la sua attività for¬ matrice che si manifesta con remissione degli idranti. g) Luce giallo-arancio. — Precarie sono le condi¬ zioni determinate dall'azione di queste radiazioni e, come per gli altri filtri, anche per questo, l’azione di esse è più energica su Obelia che su Eudendrium. L'azione inibitrice, se pure non si manifesta come in Euden¬ drium, colla riduzione fortissima degli idranti o colla loro totale scomparsa, è però sempre ben manifesta dall'aspetto precario delle colonie che non presentano rami e stoloni molto lunghi e, se por¬ tano degli idranti, questi sono piccoli di mole, posseggono tenta¬ coli cortissimi e neppure tutti della medesima lunghezza. E’ però da rilevarsi che i rami e gli stoloni, specialmente di Eudendrium , sono pieni di sostanza cenosarcica densa e tale da far pensare che se non vi fosse un'azione inibitrice, la formazione degli idranti avverrebbe, ed in larga misura. Che tale forza inibi¬ trice esista, e che essa, in alcuni casi, si manifesti con un'azione veramente deleteria, lo dimostrano non solo la frammentazione della — 166 — sostanza cenosarcica nell'interno dei rami, ma anche la disorganiz¬ zazione ed il disgregamento di essa all’ estremità dei rami pur es¬ sendo talvolta già prossima a differenziarsi nell’idranto. Fig. 7. - Comportamento delle colonie degli Idroidi sottoposte all’ azione delle radiazioni del filtro « giallo arancio ». • - « Eudendrium rameum (Pall.). o o Obelia geniculata (L.). La reazione della sostanza cenosarcica all* azione di questa parte dello spettro, nel corso degli esperimenti, subisce un rallen¬ tamento nella sua attività formativa; dopo i primi, più accentuati fenomeni di disorganizzazione e di differenziamento infatti, essa 167 — entra in uno stato di vita latente interrotta solo da brevi e lente manifestazioni di attività. /) Luce verde. — Sfavorevole è l'azione di questa luce specialmente nelle colonie di Obelta le quali, dopo il primo Fig. 8. — Grafico rappresentante il comportamento delle colonie degli Idroidi sottoposti all’azione delle radiazioni del filtro « verde ». • - • Eudendrium rameum (PaLL.); o o Obelia geniculata (L.). totale sdifferenziamento, restano per lungo tempo in uno stato di vita latente interrotto solo dalla emissione di rami e di stoloni ma senza differenziamento di idranti. La formazione di questi in- — 168 — vece si manifesta ben presto in maniera accentuata sulle colonie di Eudendrium che, fra l’altro, emettono anche rami e stoloni più o meno contorti. Dopo l'energica reazione da parte di Eudendrium manifestatasi coll’ accentuato processo organizzativo riscontrato, la sostanza cenosarcica entra in una fase di minore attività durante la quale i fenomeni si riducono da una parte, alla contrazione, nei rami, della sostanza cenosarcica; dall'altra, all'allungamento di qual¬ che ramo o dello stolone ed al differenziamento di uno o due idranti. In Obelia ho riscontrato, in più di un caso, che lo sviluppo degli stoloni, spesso filiformi, si verifica lungo il margine del ve¬ trino, ciò che potrebbe spiegarsi ammettendo che la reazione della sostanza cenosarcica porti ad evitare queste radiazioni che non agiscono certo favorevolmente. g) Luce azzurra. — Fortemente inibitrice è l'azione della luce azzurra che determina le peggiori condizioni rispetto a tutte le altre radiazioni visibili dello spettro. L’attività che essa svolge è così energica e rapida e lo sdiffe¬ renziamento degli idranti è così affrettato che questi, dopo appena un giorno, già si trovano ridotti ad un bottoncino claviforme, neppure globoso, come accade quando lo sdifferenziamento è lento e regolare. Inoltre spesso, qualcuno di questi polipi mostra segni ben manifesti del suo disfacimento col presentare, sul vetrino, la solita granu¬ losità, indice dell'avvenuta disorganizzazione. Contemporaneamente, la sostanza cenosarcica abbandona l'estremità delle ramificazioni e fuoriesce dalla base del ramo principale ove ben presto si di¬ sorganizza quasi interamente mentre i pochissimi rametti ed i bre¬ vissimi stoloni di nuova formazione, sono contorti in ogni senso. Dovremmo meravigliarci nel constatare la formazione di nuovi rami e la emissione di stoloni dopo la constatazione dell’ azione sfavorevole determinata dalle radiazioni di questo filtro se non considerassimo l’interdipendenza dei due processi: anzi, dopo il generale sdifferenziamento, se non vi fosse stata disorganizzazione della sostanza cenosarcica per opera di queste radiazioni, rami e stoloni avrebbero dovuto essere molto più lunghi di quelli ri¬ scontrati. Anche l’azione di qnesto filtro si. è dimostrata più deleteria su Obelia che su Eudendrium. A differenza di Obelia che reagi¬ sce sempre più debolmente riducendo gradatamente la sostanza — 169 - cenocarica neirinterno dei rami, in Eudendrium, dopo le prime sfavorevoli manifestazioni, si determina un'attività che, se per un verso apporta riduzione, sempre più estesa, della sostanza ceno- sarcica neirinterno di alcuni rami, per l'altro, allunga parte dei Fig. 9. - Grafico rappresentante il comportamento delle colonie degli Idroidi sottoposte all’azione della « luce azzurra ». ® - - » Eudendrium rameum (Pall.) ; o . . o Obelia ginecutata (L.). rami e degli stoloni di nuova formazione e differenzia persino qualche polipo. Ma con tutto questo differenziamento , le condi¬ zioni sono e restano ugualmente precarie e l’azione della luce az- 170 — zurra, se pure in alcuni casi può apparire discreta, effettivamente si rivela sempre sfavorevole. h) Luce indaco-violetta. — Profondamente di¬ versa è l’azione di queste radiazioni rispetto a quelle azzurre che pure confinano con queste ! Fig. 10. - Grafico rappresentante il comportamento delle colonie degli Idroidi sottoposte all’azione delle radiazioni « indaco-violette ». • - « Eudendrium rameum (Pall.) ; o . ;■ . o Obelia geniculata (L.). Energica, immediata ed attivatrice è la reazione degli idroidi alla luce indaco-violetta. Infatti, già dopo 24 ore dall’inizio della 171 esperienza, si trova, alla base del ramo principale, la solita sostanza cenosarcica sotto forma di globulo circondato dalTaione di granu¬ losità indice del disfacimento di quella. Ma già dallo stesso globulo si organizzano gli stoloni e di¬ versi ne partono in vario senso. Il differenziamento e V accentuata formazione degli idranti, tanto sulle colonie di Eudendrium che su quelle di Obelia} atte¬ stano le buone condizioni determinate da queste radiazioni le quali inoltre agiscono beneficamente determinando formazioni di gonoteche sui rami di Obelia ed emissione di polipi talvolta molto più grossi di quelli normali sui rami di Eudendrium. L'azione favorevole della luce indaco-violetta si esplica sulle colonie di Obelia in misura di gran lunga superiore a quella eser¬ citata da tutte le altre radiazioni visibili dello spettro. i) Tutto lo spettro eccettuato 1' ultravio¬ letto. — Energica è stata la reazione delle colonie degli Idroidi sottoposte alle radiazioni di questo filtro. Se pure lo sdifferenzia- ziamento degli idranti non è stato generale, tuttavia la parziale di¬ sorganizzazione della sostanza cenosarcica, l'estesa contrazione di essa neH'interno di molti rami, nonché la distorsione delle estre¬ mità dei nuovi rametti emessi, e l'assottigliamento della loro so¬ stanza cenosarcica, attestano che le condizioni determinatesi, sono abbastanza precarie. Obelia risente, molto più fortemente di Eudendrium , l'azione di questo filtro che talvolta si manifesta con fortissima riduzione della sostanza cenosarcica dei rami, tal'altra si esplica addirittura colla contrazione e la successiva disorganizzazione della sostanza formativa dell'intera colonia. Sembrerebbe strano il comportamento delle radiazioni di que¬ sto filtro che si distacca sensibilmente, nella sua azione, da quello della luce bianca e dall'altro che lascia passare tutto lo spettro ad eccezione dell'infrarosso, se non mi fossi assicurato che il filtro adoperato per queste esperienze non solo non lascia passare l'ul¬ travioletto, ma ancora trattiene alcune radiazioni, le più estreme, del violetto. Come abbiamo già avuto occasione di osservare , sono pro¬ prio le radiazioni violétte quelle che agiscono favorevolmente nei processi vitali, ed è proprio all’assenza di queste radiazioni che de- vonsi attribuire i processi inibitori sopradescritti. — 172 — Le osservazioni compiute con questo filtro ci permettono per¬ ciò di precisare meglio l'azione delle radiazioni violette ed io ri¬ tengo che siano appunto quelle più prossime al limite di questa Fig. 11. — Comportamento delle colonie degli Idroidi sottoposte all’azione delle radiazioni di « tutto lo spettro eccettuate quelle deU’ultrovioletto e di porzione del violetto » . . - • Eudentrium rarneum (PalL.); o . : . o Obelin geniculata (L.). porzione dello spettro e specialmente quelle intorno a 4100 A. che determinano le condizioni più favorevoli. I) Ultravioletto. — Potente e deleteria è l'azione del l'ultravioletto. Oltre alla fortissima contrazione della sostanza ce- — 173 — nosarcica dall'estremità dei rami, la sua attività disorganizzatrice si manifesta in maniera ancora più palese per lo spezzettamento stesso che la sostanza subisce nell'interno dei rami. L'azione di queste radiazioni determina effetti diamentralmente opposti a quelli prodotti dalle altre luci adoperate perchè, mentre esercita un'azione fortemente inibitrice sulle colonie ò\ Elide ndrium t su quelle di Obelia agisce meno energicamente. Quest'ultimo Idroide infatti, pur subendo forte rallentamento (in qualche caso e per qualche tempo, si è verificato invece accelerazione) nei suoi processi Fig. 12. - Aspetto di due idranti di Obelia genicutata (L.) sottoposti all’ azione delle ra¬ diazioni dell’ultravioletto. Notisi l’assenza della teca le dimensioni del polipo e quelle sproporzionate dei tentacoli X 32 circa. vitali, differenzia ancora qualche idranto che non solo è di mole ridottissima, ma possiede un aspetto anormale sia per la sua costi¬ tuzione, poi chè è privo di teca, che per la lunghezza dei tentacoli. La Fig. 12, a rappresenta uno di tali polipi coi tentacoli enorme¬ mente allungati rispetto ai normali e rispetto alla mole esigua del polipo stesso. Dopo un solo giorno dalla sua formazione, esso scomparve del tutto per ricomparire nel medesimo punto quattro giorni dopo conservando il medesimo aspetto, ma di dimensioni un pò più esigue. 174 — 2- h ò-o~g 90009 -<£KsHs>-^-* “1 — r~1 — r- 1 — r— l — 1—1 — ì — 1 — r~ s' '««éà» 10 15 20 Distanza della sergente luminosa cm.30 Fig. 13. - Comportamento delle colonie degli Idroidi all’azione delle radiazioni dell’ « ul¬ travioletto ». • - - • Eudendrium rameum (PaLL.); 0'4v . v— o Obelia geniculata (L.). 175 — Il nuovo idranto (Fi g. 12) persistette sei giorni e , durante questo tempo, l'aspetto dei tentacoli che erano molto più corti di quelli del polipo precedente, subì varie modificazioni. Si verificò infatti una riduzione nella loro lunghezza, successivamente essi su - birono un allungamento e contemporaneamente divennero sottili, quasi filiformi, poi si accorciarono fino a scomparire del tutto, riassorbiti dalla esigua sostanza cenosarcica indifferenziata esi¬ stente. m) Oscurità. — Le condizioni determinate dall’oscurità sono sfavorevoli A differenza di quello che accade alle colonie degli Idroidi colpite dalle radiazioni visibili e non visibili dello spettro, l'oscurità completa non apporta il rapido sdifferenziamento tante volte osservato, ma la scomparsa degli idranti si verifica gradualmente e, dopo qualche giorno dall'inizio degli esperimenti, non si osserva più alcun polipo. In alcuni di essi, dopo la totale scomparsa degli idranti, ho osservato una breve ripresa di attività, con differenziamento di polipi (Fig. 14). Obelia genicalata è sempre l’idroide che dimostra , in con¬ fronto alle colonie di Eudendrium rameurn , maggiore sensibilità e manifesta più forte reazione. VI. — Riassunto, discussione e conclusioni. Le radiazioni di qualsiasi lunghezza d'onda vengono immedia¬ tamente percepite dai polipi tanto di Eudendriutn ratneum (Pallas), che di Obelia genicalata (L.). Essi reagiscono fortemente con ma¬ nifestazioni varie che vanno dalla riduzione dei tentacoli, allo sdif¬ ferenziamento parziale di questi ; dal riassorbimento totale degli idranti con conseguente fuoriuscita della sostanza cenosarcica, alla disorganizzazione ed al disfacimento di questa sostanza formativa. Le reazioni delle colonie dei due Idroidi citati, il primo Ate- cato, l'altro Tecato, pure trovandosi nelle identiche condizioni spe¬ rimentali, si manifesta in maniera differente. Indubbiamente è alla costituzione piasmatica delle cellule costituenti le colonie, ed alle capacità ricettive e reattive dei loro plasmi che deve ascriversi il diverso comporlamento osservato. il differenziamento degli idranti si manifesta, a seconda della specie di Idroide, con modalità diverse; in tutte però la porzione — 176 — prossima a differenziarsi è riconoscibile per l'aspetto denso e per Fig. 14. - Comportamento delle colonie degli ldioidi poste in « oscurità». • - • Eudendrium rameum (PalL.) ; o o Obelia gcniculatcì (L.). — 177 — il colorito più scuro della sostanza cenosarcica la quale si distingue anche per la sua costituzione istologica. L'azione delle radiazioni luminose si manifesta inizialmente con largo e pressoché generale sdifferenziamento degli idranti: succes¬ sivamente la sostanza cenosarcica della colonia sembra che subi¬ sca un adattamento alle nuove condizioni determinatesi per cui questa riprende il suo processo formativo con differenziamento di nuovi idranti. La varia attivazione del fenomeno è però sempre in rapporto alla qualità delle radiazioni. Fra i vari filtri adoperati, l'ultravioletto è quello che apporta effetti più deleteri. Va notato che Fazione nociva di que¬ ste radiazioni è meno risentita dalle colonie di Obelia che da quelle di Eudendrium , a differenza di quanto si verifica per tutte le altre radiazioni che agiscono più fortemente su Obelia che su Eudendrium. Effetti generali non molto dissimili, se pure non peggiori, si verificano nelle colonie poste nell’oscurità. Anche in queste condizioni lo sdifferenziamento degli idranti è generale, ma, a dif¬ ferenza di quanto accade per F ultravioletto e per tutti gli altri filtri, esso non è immediato, ma si verifica gradatamente. All'ultravioletto fa riscontro la luce azzurra (compresa fra o 4700 e 5150 A.) la quale determina affrettato sdifferenziamento degli idranti e disorganizzazione della sostanza cenosarcica. Seguono, in ordine decrescente, le luci verde e giallo- arancio le cui radiazioni vanno, per ambedue le luci, da 5150 a o 0200 A. Esse agiscono celeremente determinando dapprima un ac¬ centuato sdifferenziamento degli idranti i quali si riducono a bot¬ toncini claviformi più o meno allungati, e successivamente colla emissione di brevi stoloni e piccoli idranti. Neppure favorevoli sono le condizioni determinate dalla luce rossa (compresa fra Ó200 e 6700 A). Questa, pur apportando un parziale sdifferenziamento, agisce successivamente provocando Fe. missione di sottili stoloni e di idranti con corti tentacoli. Energiche ed attivatrici si comportano invece le radiazioni indaco-violette comprese fra 4100 e 4700 A. Allo sdif¬ ferenziamento immediato, segue un accentuato altrettanto rapido differenziamento con formazione di rami, stoloni, grossi idranti e finanche di gonoteche sulle colonie di Obelia. Le osservazioni sulle attività del filtro che elimina quella parte dello spettro che comprende F ultravioletto — 178 - e la porzione più estrema del violetto, sono state utili per meglio precisare l'azione delle radiazioni violette : le più attive, quelle che determinano le condizioni più favorevoli, sono o quelle prossime a 4100 A. L' infrarosso agisce energicamente ed in maniera favo¬ revole. La sua azione si manifesta inizialmente cogli attivi processi di sdifferenziamento e successivamente coll'accentuata formazione di idranti e con emissione di rami e stoloni che attestano le buone condizioni determinate da queste radiazioni non visibili dello spettro. La luce bianca, e quella che comprende tutto lo spettro, ad eccezione dell'infrarosso determinano azione favorevole e non molto dissimile l'una dall'altra. Le radiazioni di questi filtri e quelle di tutto lo spettro eccet¬ tuato l'ultravioletto, sono state le sole che hanno permesso lo svi¬ luppo delle alghe verdi nelle vaschette; tali alghe, com'era logico attendersi, erano anche presenti nella vaschetta posta alla luce dif¬ fusa mentre in tutte le altre vaschette ricoperte dagli altri filtri esse mancavano. In rapporto all’azione che esercitano sugli Idroidi posti in esperimento, le radiazioni dei filtri adoperati, queste si possono classificare nel seguente ordine, osservando che l'attività inibitrice decresce dall'ultravioletto all'infrarosso. Oscurità — Ultravioletto — Azzurro — Verde — Giallo — Rosso — Tutto lo spettro eccettuato l'infrarosso — Luce bianca — Vio¬ letto — Infrarosso. Degna del massimo rilievo è l'azione antagonista delle radiazioni dei filtri infrarosso - rosso; violetto - ultravioletto e violetto - az¬ zurro così confinanti nei loro campi spettrali. Come Pierantoni ha posto in evidenza per la parte che ri¬ guarda le luce violetta ed azzurra e che io qui, in seguito ai miei esperimenti su Eudendrium ed Obelia, confermo, tale antagonismo, si verifica anche per le altre due coppie citate, poiché all'azione attivatrice e formatrice dell’uria corrisponde l'azione rallentatrice e disgregatrice dell'altra. L’azione dell’infrarosso e della luce indaco - violetta si mani festa inoltre col determinare un accrescimento maggiore degli ani¬ mali a differenza di quanto accade per i filtri giallo e verde che inibiscono e per 1 quali l'azione rallentatrice si manifesta con una riduzione di parte o di tutto l’idranto. La mole degli organismi rappresenta appunto un indice delle — 170 — condizioni favorevoli, ed infatti, le buone condizioni determinate dalla luce violetta, apportano ingrossamento nei polipi i quali tal¬ volta assumono l'aspetto di otri. Il turgore degli idranti e la flac¬ cidezza spesso riscontrata nei polipi sottoposti alla luce violetta, mi fanno pensare alla interpetrazione data dal Cotronei (1) nei processi di sdifferenziamento i quali, egli dice, " sono collegati a fenomeni di perdita d'acqua che si verificano negli idranti, ossia degli individui differenziati che rappresentano la parte metabolica¬ mente più attiva della colonia Durante il corso degli esperimenti ho avuto occasione di os¬ servare parecchie volte il comportamento di alcuni idranti di Eu- d endrium allorché, prelevati dalla vaschetta in cui erano posti per subire razione delle varie radiazioni, venivano osservati al binocu¬ lare. Essi dapprima incurvavano e ripiegavano in fuori i tentacoli, suc¬ cessivamente li riportavano verso l’interno e, con movimento ritmico, dilatavano e restringevano l'apertura boccale che, in alcuni idranti assumeva l'aspetto di un disco o di un collare i cui margini veni¬ vano persino rovesciati in fuori. A che è dovuta tale energica, anormale reazione ? Forse allo stimolo prodotto dalla differente temperatura dell’acqua di mare della vaschetta rispetto a quella della bacinella usata per le osservazioni, oppure a quello determi¬ nato dalla luce diffusa del giorno ? O erano i prodotti tossici, come ad esempio CQ2, che venivano esplusi ? O piuttosto erano determi¬ nati da fenomeni di idratazione attestati dalla conseguente flaccidezza dei polipi ? Comunque, è probabile che i fattori fisici abbiano non lieve influenza nel determinare i fenomeni. L'azione luminosa dei vari filtri adoperati si è rivelata diversa da filtro a filtro ed in accordo con quanto Pierantoni ha dimo¬ strato per Rana esculenta e per Aedes (Stegomia) fasciatus. Ma è lecita la domanda : è solo il colore che agisce ? E gli altri fattori, quali la temperatura e la quantità di energia luminosa che in maniera diversa passano attraverso i vari filtri non hanno influenza alcuna ? Da solo, il fattore temperatura sembra che non abbia in¬ fluenza. E' bensì vero, come tante volte ho potuto constatare, che la temperatura, purché non oltrepassi un certo limite — e durante il mese di aprile e maggio non l'oltrepassava affatto, anzi era nel- (1) lav. cit. p. 170 - 15 - — 180 — l’optimum della sua azione — apporta vantaggi nello sviluppo e determina un più attivo differenziamento di idranti ; ma questo non si accorda con quanto ho potuto constatare per le radiazioni usate. Infatti le vaschette coperte coi filtri azzurro e verde, pur lasciando passare maggior quantità di calore rispetto agli altri filtri e per conseguenza, le colonie di Idroidi, pur ricevendo un quan¬ titativo di calore superiore a quello delle colonie sottoposte alle altre luci, e sopratutto a quella violetta, presenano peggiori con¬ dizioni. Ugualmente accade coi filtri rosso e giallo, in antitesi con- quello violetto : le colonie di Eudendrium e di Obelio , sottoposte all’azione delle radiazioni rosse e giallo-arancio, presentano un rallentamento nei processi vitali, mentre quelle colpite dalla luce indaco - violetta che pure ricevono un'identica quantità di energia calorifica, mostrano un' accelerazione. Se a determinare i fenomeni di sdifferenziamento o di formazione degli idranti fosse stato sola¬ mente il fattore temperatura, avremmo dovuto logicamente avere in tutti inibizione o accelerazione : il diverso comportamento con¬ statato indica invece che non è questo il fattore che determina i fenomeni riscontrati e, se anche esso agisce attivando, l'azione della luce influisce inibendo. Comunque, senza voler diminuire l'impor¬ tanza grandissima del fattore temperatura, bisogna ritenere che esso, in questi fenomeni, non svolge un'azione prevalente. Napoli , Stazione Zoologica , settembre 1939 - XVII . — 181 — Riassunto» Dall'esame del comportamento di Eudendrium rameum (Pallas) e di Obelia geniculata (L.) all’azione delle radiazioni luminose di determinati campi dello spettro in rapporto alle loro condizioni normali, di cui sono anche descritte alcune manifestazioni, si osserva che Obelia reagisce più fortemente di Euden¬ drium e, ad eccezione delle radiazioni deU'ultravioletto, i fenomeni di sdifferen¬ ziamento di questo Idroide sono superiori a quelli dell’altro. L'oscurità, le radiazioni ultravioletti e quelle azzurre apportano effetti più deleteri mentre le radiazioni indaco - violette e quelle dell’infrarosso si rivelano o attivatrici. Le più favorevoli sembra che siano proprio quelle prossime a 4100 A. L’azione benefica di queste ultime radiazioni influisce sulla mole degli idranti che perciò risulta superiore a quella degli individui normali, mentre gli effetti inibitori delle radiazioni delle luci giallo - arancio e verde determinano riduzione degli idranti. Interessante è l'azione antagonista di alcune radiazioni confinanti nel campo spettrale : infrarosso - rosso ; violetto - azzurro e violetto - ultravioletto. All'azione attivatrice e formatrice dell’una, fa riscontro l’azione rallentatrice e disgregatrice dell’altra. Viene infine esaminata e discussa l'azione della temperatura nei fenomeni descritti. Tale fattore sembra che non abbia influenza; è ovvio però che esso agisca, i suoi effetti però vengono rallentati da altri fattori, di guisa che la sua azione non si manifesta in maniera preponderante. Résumé. En examinant le comportement d 'Eudendrium rameum (Pallas) et d' Obelia geniculata (L.) sous l'action des radiations lumineuses de déterminés champs du spectre en comparaison avec leurs conditions normales,dont on on décrit aussi quel- ques manifestations, l'A. observe que Obelia réagit plus fortement que Euden¬ drium et, exceptées les radiations de l’ultraviolet, les phénomenes de dédifférentia- tion de cet hydroide sont supérieurs à ceux de l'autre. L’obscurité et les radiations ultraviolettes et bleues produisent des effets plus délétères, tandis que les radiations indigo-violettes et infrarouges se révèlent ac- tivatrices. Il semble que les radiations les plus favorables soient celles proches de 4100 A. L'action favorable de ces dernières influe sur la taille des hydrants, qui par conséquent résulte supérieure à celle des individus normaux, tandis que les effets inhibitoires des radiations jaune-orangées et vertes déterminent une réduction des hydrants. Bien intéressante est l'action antagoniste de quelques radiations confinantes dans le champ spectral : infrarouge-rouge , violet-bleu et violet - ultraviolet. À l'action activatrice et formatrice des unes fait pendant l'action ralentissante et désagrégeante des autres. L'A. examine et discute enfin l’action de la température dans les phénomè- nes décrits. Il semble que ce facteur n'a aucune influence; c'est naturel cepen- dant qu’il doit avoir sa part, mais ses effets sont ralentis par d'autres facteurs, de fagon que son action ne se manifeste pas, d'une manière prépondérante. 182 — Summary. The behaviour of thè hydroids Eudendriiim rameum (Pallas) and Obelia geniculata (L.) under thè action of different lenght radiations has been studied and compared to thè some behaviour under normal conditions, wich is also de- scribed in some details. Obelia reacts stronger than Eudendriiim, and, excepting for thè ultraviolet radiations, thè phenomena of thè dedifferentiation of thè former are higher than those of thè latter. Darkness, and ultraviolet and blue radiations produce more injurious effects,. while thè indigo - violet and infrared radiations show an activating effect. It o seems that thè more favourable radiations are those near 4100 A. The furthering action of thè latter radiations influences thè size of thè hy- drants, wich therefore result larger than those of thè normal individuai; on thè other hand thè inhibitory effects of thè yellow-orange and green radiations de¬ termine a reduction of thè hvdrants. It is interesting to note thè antagonisti action of some radiation wich are contiguous in thè spectral field : infrared-red, violet-bleu, violet-ultraviolet. The activating and thè forming influence of thè one finds his counterpart in thè retarding and injurying influence of tne other. Finally, thè A. examines and discusses tne action of temperature in thè phe¬ nomena described. This factor seems to have no influence; obviously he does act, but as its action is retarded by other factors, it does not manifest a prevailing effect. Ztisa mmenf assun g. Die Priifung des Verhaltens von Eudendrium rameutn (Pallas) und Obelia geniculata (L.) unter der Einwirkung von Lichtstrahlen definierter Felder des Spektrums im Vergleich zu ihrem Normalverhalten, von dem auch einige Erschei- nungen beschrieben werden, fuhrte Verf. zur Beobachtung, da$s Obelia stàrker reagiert als Eudendriunu und dass, die violetten Strahlen ausgenommen, zugleich die Entdifferentzierungs erscheinungen bei diesem Hydroid bedeutender als beim ersteren sind. Dunkelheit, ultraviolette und blaue Strahlen haben mehr zerstòrende Wir- kungen, wàhrend die indigo-violetten und infraroten Strahlen sich als aktivie- O rend erweisen. Es scheint, dass die Strahlen in der Nàhe von 4100 A die gùn- stigsten sind. Die fòrdernde Wirkung der letzteren Strahlen beeinflusst die Masse der Hydranten, welche sich daher als der normalen Individuen iiberlegen erweist, wàhrend die hemmende Wirkung der gelborangen und griinen Strahlen eine Reduktion der Hydranten bestimmt. Bemerkenswert ist die antagonistische Wirkung einiger. Aneinandergren- zender Spektralbereiche : Infrarot-roteinerseits, Violett-Blau und Violett-Ultra- violettandererseits. Die fòrdernde Wirkung des einen bildet das Gegenstiick zur verlangsamenden und desintegrierenden Wirkung des anderen. Verf. priift und erlàutert endlich den Einfluss der Temperatur bei den be- schriebenen Erscheinungen. Dieser Faktor scheint wirkungslos zu sein ; es ist aber offenkundig, dass er wirken muss jedoch werden seine Effekte dabei durch andere Faktoren gehemmt, so dass seine Wirkung nicht iiberwiegend zum Vor- schein kommt. Dott. Adolfo Maranelli I Giacimenti Bauxitici del Sannio. (Tornata de! 13 luglio 1939 XVII) Nel Sannio sono noti due distretti bauxitici : quello del Ta- burno e quello del Matese. Il distretto del laburno, assai limitato e di nessuna importanza è più noto per i marmi di Vitulano, che hanno preso larga parte neirornamentazione della Reggia di Caserta, e che sembrano con¬ nessi con la presenza della bauxite. Di questo null'altro potrei dire, che se ne indicano tre giacimenti a Sud di Vitulano, lungo la strada che da questo centro va a Tocco Caudio, passando alle falde del Monte Camposauro. Per il distretto del Matese cercherò, invece, di dare una de¬ scrizione della distribuzione geografica dei giacimenti per quanto mi è possibile dettagliata. Il Matese è nettamente delimitato tutto intorno dalle profonde incisioni del Volturno e dei suoi affluenti per la maggior parte del perimetro, e per un breve tratto verso NE del Biferno, le sole acque che scendono all'Adriatico dal Matese. I fianchi della mon¬ tagna si levano ripidi e compatti dal fondo degli avvallamenti pe¬ riferici, innalzandosi subita con assai forti pendenze a notevoli altezze dalle basse quote nelle , quali il paesaggio si affossa tutto intorno, salvo nel versante orientale verso Pontelandolfo, fra Tam¬ maro e Calore, dove verso l'arcuata confluenza di questi, per un breve tratto, si estende invece un lembo di tipico paesaggio d’al¬ topiano, raccordato allo spartiacque principale dell’Appenino. • Verso SO il fianco del Matese scende ripidissimo e brevissimo {in una larghezza di appena 2 o 4 Km.) da oltre 1000 m. alla piana del Volturno a 100-120 m. L’azione delle acque ha qui — 184 — completamente distaccato dal massiccio del Matese un'ampia zolla collinosa, che resta limitata e racchiusa dal medio Volturno, dal¬ l'ampio meandro che questo forma alla confluenza col Calore fino al Ponte di Annibaie, dalla pianura Campana fino a poco più a N. di Calvi Risorta e dalla depressione a NO fra Teano e Vairano, che separa questa zona collinosa dalla massa vulcanica di Rocca- monfina. Possiamo denominare questa zona collinosa o dal monte maggiore (1037 m.) nel quale culmina, o da Formicola, che ne è il paese più importante e centrale. Benché geograficamente ne sia distinta, essa geologicamente va considerata insieme col Matese, cosa del resto che ha già fatto Dainelli (1) per la terrazza di Caiazzo, che ne è l’estremo lembo di SE. Il Matese costituisce anch’esso una grande ellissoide di calcari cretacei duri e resistentissimi. Culmina con un’ampia groppa, quasi spianata, orientata da NO a SE, come le due sinclinali, che la percorrono fra i due margini esterni sopraelevati, e le danno l’a¬ spetto di un altopiano, longitudinalmente bipartito dalla serie di leggeri rilievi interposti fra i due solchi delle sinclinali. Tutto intorno dai margini esterni dell’ altopiano scendono i fianchi dalla montagna, verso le bassure fluviali che la delimitano, ma con varia intensità di pendenza in relazione con una irregola¬ rità del sollevamento : intensissimo lungo il fianco Sud occidentale or ora ricordato, che scende al Volturno, e poco meno intenso lungo il fianco di NO, che scende pure al Volturno e ai suoi af¬ fluenti di sinistra Cavaliere-Carpino ; più attenuato, invece, lungo il fianco NE, che scende al Biferno e al Tamaro, e a quello di SE che scende al Calore. La pendenza media del fianco SO si può calcolare di circa il 40 % ; quello del fianco NE di circa il 20 %. Sui fianchi opposti i solchi torrentizi si partono dalle linee mar¬ ginali di alture e scendono, seguendo la linea di massima pen¬ denza, fino al vicino piano. La massa dei calcari più resistenti, che costituiscono l'impal- catura di tutto il Matese, è messa a nudo soprattutto nel ver¬ sante di SO, dove i solchi torrentizi sì presentano brevi , dritti, e semplici, in relazione con la ripidità del versante, dal quale sono stati dall’acqua quasi per intero asportati i terreni eocenici, assai (1) Guida della escursione al Matese. Napoli, 1930, Atti XI congresso geo- grafiuo it. (Napoli 22*29 Aprile 1930), IV, p. p. 99-174 con ili. e tav. 185 — meno resistenti, e che vi appaiono attualmente appena con qualche lembo isolato. Nel versante NE invece i corsi d’acqua sono più lunghi e complessi, spesso riuniti in piccoli reticoli, in relazione con la mi¬ nore ripidità e con il più largo ammanto di rocce terziarie facil¬ mente e variamente erodibili. Questo mantello terziario già esteso e quasi continuo nel tratto che defluisce al Biferno, man mano che si procede verso SE, cioè nel tratto che defluisce al Tamaro, diventa sempre più esteso e continuo fino a non lasciare affiorare i sottostanti calcari cretacei, se non nelle parti più elevate del fianco stesso. Per il fianco meridionale che cade sul Calore si può ripetere la stessa cosa. L'altopiano, in relazione alla grande uniformità altimetrica e allo sviluppo in lunghezza, presenta un ruscellamento tardo, una scarsa azione erosiva delle acque correnti e quindi su di esso predomina ogni forma di incertezza idrografica. Solo dove l’alto¬ piano termina alle due estremità settentrionale e meridionale del¬ l'intero massiccio — dove questo declina verso le sue prossime basi di pianura — lì le valli sono favorite dalla duplice loro con¬ dizione, di essere cioè longitudinali e di aprirsi sopra superfici topografiche inclinate : ed infatti in quei due brevi fianchi terminali del Matese settentrionale e meridionale, sono le maggiori valli periferiche di tutta quanta la montagna, quella del Titerno al Sud, quella del Carpino al Nord. Con l'ottima guida del Dainelli, i principali caratteri geolo- gico-orografici del Matese spero di essere riuscito a riassumere in modo sufficiente per mettere in rilievo le relazioni fra quei carat¬ teri e la distribuzione dei giacimenti bauxitici, purché naturalmente si tenga anche presente quanto abbiamo detto precedentemente circa il livello geologico delle bauxiti (1) in questo massiccio mon¬ tuoso. I giacimenti conosciuti del Matese possiamo considerarli, riu¬ niti in quattro gruppi, compreso uno di Monte Maggiore. Gli altri tre sì trovano riuniti proprio sui fianchi esterni della montagna spioventi al Tamaro e al Calore, che abbiamo visto più ampiamente coperti dal mantello di rocce terziarie, il quale nelle falde più basse (l) Maranelli A. Il livello geologico delle bauxiti italiane. Riv. Fis. Mat Scienz. Nat. Voi. 13 n. 7. p. 351. Napoli 1939. — 186 - non lascia neppure affiorare i sottostanti calcari. Dobbiamo quindi attenderci di trovarli tutti e tre nelle valli più alte di questo fianco esterno orientale del Matese, laddove siano posti a nudo i calcari Turoniani. Nè per i restanti fianchi esterni del massiccio montuoso, nè per l'altopiano che ne forma coinè il tetto, abbiamo notizia di altri giacimenti di bauxite ; ma non saprei dire, nè alcuncpotrebbe dirlo, se ciò dipenda da reale assenza di giacimenti o da mancate ricerche nelle aree calcaree, che potrebbero presentare condizioni favorevoli alla loro presenza. Il gruppo più settentrionale è quello di Monte Mutria, che ha per la maggior parte i suoi giacimenti raggruppati lungo un alli¬ neamento, nel quale Dainelli ravvisa una specie di prosecuzione, sul fianco esterno orientale, della più settentrionale delle due sin¬ clinali dell’altopiano: " Dal vallone dell' Aqua Calda (bacino alto Titerno) — egli scrive — una specie di lunga e sottile appendice di queste argille eoceniche risale il principale ramo sorgentifero di quel vallone, con direzione longitudinale, al piede dell’aspro cre- stone del Monte Mutria, e passa in un altro prossimo vallone, pure lungitudinale, e ancora al piede del Monte Mutria, dove sono le fontane Sparago e Paola. Innalzandosi le superfici topografiche, questo nucleo eocenico della sinclinale cessa ; ma è notevole che in sua esatta prosecuzione sia una sella orografica, la Bocca della Selva, oltre la quale si affossa la valle di Cusanara, longitudinale „ che sbocca poi nel bacino del lago di Matese sull’altopiano. Senza che possiamo trarre per ora alcuna deduzione, annotiamo il fatto che la maggior parte dei giacimenti bauxitici del monte Mutria coincidono con questi allineamento. Appunto al piede dell’ aspro crestone del Mutria (versante sud) là dove tra le quote 1350 m. ad Ovest e 1100 ad Est, si ha una specie di altopiano o terrazzo, profondo in media 2 Km., essi si raggruppano fra Fontana Tasso, quota 700 allo sbocco dei Tre Valloni, Pizzo Iosazzo, Fontana Sparago e Fontana Paola, tutti fra i 1000 e 1350 m. I più noti di questi giacimenti sono quelli di Regia Piana e di Pecorareccia. L'Ing. Franco (1) ne enumera così i principali, procedendo da Est ad Ovest : Regia piana, Pecorareccia , Costa del Monaco, (1) Il Giacimento Bauxitico di Cusano Mutri. - Benevento, Riv. econ. San¬ nita, Vili, 1921, n. 1-2 pag. 8 (estr. n. 4). 187 — Fontana Paola Macchietelle, Macchie, Punta di Macchia, Crocelle, M. Porco, Padule, Rappateglie a Bocca di Serra. L'affioramento scoperto di Regia Piana è lungo circa 700 m. e forma una fascia larga da 4 a 6 m. diretta da SE a NO, cur¬ vando poi verso il N, dove a quota 1075 scompare sotto il brec¬ ciame. A SE, a quota 1072, presenta una rottura e prosegue, una ventina di metri più in basso, per scomparire però ben presto sotto il brecciame di Calcari. La potenza dei banco è da 1 a 2 m. Nelle trincee che sono state tagliate si rileva la direzione Nord qualche grado Est e l'inclinazione di circa 15°. Il giacimento ha dato luogo soltanto a lavori preparatori per lo sfruttamento, e si prò gettava di collegare i cantieri col piano di carico della teleferica di Pecorareccia. La lente che costituisce il giacimento di Pecorareccia, presenta una fascia di affioramento, che si estende da SE a NO per circa 300 m. da quota 1050 a quota 1120 e termina alle due estremità con un taglio netto. Anch’esso ha una potenza di uno o due m. La direzione è Nord qualche grado Est; l’inclinazione da 10° a 15°. Tanto a Pecorareccia, quanto a Regia Piana il ricoprimento cal¬ careo al ponte d'affioramento presenta uno spessore al massimo di 2-3 m. Verso Sud fra Pecorareccia e le Crocelle, che dista circa 2 Km., la bauxite appare ora più in alto, ora più in basso con intervalli più o meno grandi, sui fianchi degli speroni montuosi, che a guisa di horst , scendono a picco fra i profondi valloni. Quello di Pecorareccia può dirsi l'unico giacimento che abbia dato luogo ad un vero e proprio sfruttamento industriale, i cui impianti non è mio compito illustrare tanto più che dal 1928 sono inoperosi. Rileverò soltanto che le gallerie avevano raggiunto uno sviluppo lineare di circa 500 m., che in cantieri erano serviti da un piano inclinato di 106 m. di lunghezza con una inclinazione del 30 % e da una teleferica, capace di 30 tonnellate all'ora, lunga 3370 m., interamente metallica, che trasportava il minerale dalle tramoggie alla strada rotabile dì Cusano Mutri, coprendo un di¬ slivello di 650 m. circa. Il giacimento delle Crocelle, già ricordato, benché situato alle falde di M. Pescolombardo, ad un migliaio di m. d'altitudine, può considerarsi come una continuazione dei precedenti. È un affiora¬ mele lungo diverse centinaia di metri, ma si presenta in modo discontinuo, nascosto interrottamente da brecciame e da terriccio. Sembra però che abbia gli stessi caratteri dei precedenti. — 188 — Al gruppo del M. Mutria dobbiamo anche riconnettere due giacimenti in territorio di Pietraroia, l’uno quello di Fontana Pe- scorosito a 1200 m. sul versante settentrionale del Palombaro, l’altro a 1150 m. sul fianco settentrionale di M. Moschiaturo, dei quali però non ho altre notizie all'infuori della loro segnalazione. E’ da tener presente, ad evitare equivoci, che all’ infuori di questi due, i giacimenti del M. Mutria, che per la loro posizione, seguendo la consuetudine (Riv. Ser. Min.) abbiamo considerato in un gruppo a se, appartengono amministrativamente al territorio del comune di Cusano Mutri, il quale dà il nome ad un secondo gruppo di bauxiti del Matese. Ma, per verità, i due gruppi, almeno con i loro giacimenti principali, presentano tale comunanza di caratteri di posizione, che varrebbe forse la pena di riunirli in uno solo. Anche qui, nel 2° gruppo, i giacimenti paiono connessi con l’inizio della più meridionale delle due sinclinali dell’altipiano, che il Dainelli pone appunto su questo fianco esterno nella valle lon¬ gitudinale del Fosso Reviola, la cui testata è nella Serra di Pietra Spaccata, oltre la quale la sinclinale si affossa nel Vallone dell’In¬ ferno, tronco superiore del Torano, per continuare verso N. W. con un serie di tronchi di valli, tutti con direzione longitudinale. E lungo la valle del Fosso Reviola, ad altitudini intorno ai 1000 m., troviamo appunto tre giacimenti, uno nel versante nord del M. Crosco, un altro presso Guado Portella ed un terzo proprio alla Serra di Pietra Spaccata. Questi giacimenti restano però finora intatti, nè si posseggono notizie sui loro caratteri. A sud di Cusano sono altri tre giacimenti, due dei quali noti appena nella loro esistenza, uno ad occidente di Civitetla Licinia, lungo la mulattiera per il M. Monaco di Gioia, a circa un mi¬ gliaio di m., ed un altro a circa 1100 m. d’altitudine fra Colle dei Santi e M. Monaco di Gioia. Il terzo, molto più vicino al paese e a più modesta altitudine, è alle falde orientali del M. Erbano. Si tratta di un affioramento di superficie, discontinuo, lungo circa un Km., con l’ordinario spessore di uno o due metri. Il terzo gruppo di giacimenti è quello che di solito si deno¬ mina di Cerreto Sannita, ma che forse sarebbe più logico chiamare di Faicchio. E costituito da affioramenti lungo il Titerno, a valle di Cerreto Sannita, là dove il fiume fa un ampio gomito circuendo M. Acero. — 189 — Sulle falde orientali di questo monte, a poco più di 200 m. d'altitudine, a poca distanza dalla rotabile che da Cerreto scende direttamente a S. Salvatore Telesino, sono due affioramenti in frazione Massa. A Faicchio stesso, proprio nell'abitato si ha un affioramento alla Chiesa di S. Pasquale, del quale pare che sia stato anche ten¬ tato lo sfruttamento, e altri due a poca distanza dal centro a Fontana Vecchia ad oriente, e alla frazione Massari Visanti verso Ovest, tutti fra i 200-300 m. d'altitudine. Altri due sono lungo la strada carrozzabile da Faicchio a S. Salvatore Telesino, uno a destra (località Lombardi) e l’altro a sinistra (Masseria Nicolai), sempre a modeste altitudini. Prescindendo dai pochi giacimenti a bassa quota di quest'ultimo, si può dire che tutti gli altri dei tre gruppi finora ricordati sono ad altitudine tale da presentare condizioni climatiche svantaggiose per il proprio sfruttamento, durante molta parte dell’anno. L'osta¬ colo al lavoro non proviene tanto dalla neve, che non cade in grandi quantità e disgela presto, quanto dai venti e dalle tempeste, che rendono molto di frequente impossibile il lavoro durante l’in¬ verno. In ogni modo però, il periodo lavorativo resta sempre ab¬ bastanza lungo per non presentare gravi inconvenienti economici. Carattere favorevole, invece di posizione geografica è che tutti e tre questi gruppi, benché da diverse altitudini, vanno tutti a far scalo per l’unica valle del Titerno, ad una delle ferrovie principali del Mezzogiorno, la Napoli-Foggia, presso Telese. La qual cosa significa che il distretto bauxitico del Matese, unico del Tirreno, trova a Telese una prima località dove è possibile - ammesse suf¬ ficienti tutte le altre condizioni - concentrare quasi tutta la sua produzione, poiché non ne rimarrebbe esclusa che quella dei gia¬ cimenti di M. Maggiore. Condizione che può rendere più facili ed economici i servizi di trasporto per camion lungo la strada rotabile, che con un per¬ corso di una ventina di Km. congiunge Cusano Mutri a Telese. Lungo quella ventina di Km. la rotabile deve però superare un dislivello di oltre 400 m. ed è naturale che, costruita in altri tempi, presenti pendenze e svolte eccessive, gravando sui trasporti; ma son questi inconvenienti eliminabili. Mentre è assai difficilmente eliminabile quello del cambiamento del mezzo di trasporto, quando il minerale debba proseguile per ferrovia, oltre questa ventina di Km. È difficile immaginare nella — 190 — valle del Titerno un tale sviluppo economico, da giustificare la costruzione di una ferrovia; e quindi se il minerale deve raggiun¬ gere con le Ferrovie dello Stato il porto di Napoli per imbarcarsi, oppure Napoli stessa, o qualunque altro punto, per una trasfor¬ mazione all'interno, quella rottura di carico è inevitabile. Nè la distanza di una settantina di Km., che separa Telese da Napoli, è tanto breve da pensare che sarebbe senz'altro più eco¬ nomico un trasporto esclusivamente per camion da Cusano Mutri a Napoli. Questo potrebbe anche verificarsi, ma richiede ipotesi che non è qui il caso di esaminare. Tutto sommato, pertanto, la posizione dei giacimenti di Cusano Mutri non può dirsi buona, tanto che sul prezzo della bauxite di 69 lire alla tonn. al porto di Napoli, il trasporto generale gravava da solo per 60 lire. Alquanto migliore sembra quella dei giaci¬ menti di Faicchio, che dista da Telese appena una decina di chilo¬ metri, con modesto dislivello. Il quarto gruppo di giacimenti è quello delle colline di M. Maggiore. Nel versate dell'ampia vallata del Volturno, interposta fra questa zona collinosa e il Matese propriamente detto, la serie dei giacimenti incomincia a monte con quello di Trevolischi, as¬ sociato ai noti marmi di questo paese, ad occidente del quale il giacimento trovasi a circa 350 m. A Dragoni Ylbi ha coltivato due giacimenti : una lente in re¬ gione Maiorano o colle S. Giovanni, della potenza di circa 3 m., della quale abbandonò la lavorazione per concentrare il suo sforzo nel giacimento della regione Castello. Questo è costituito da una lente, che presenta sulla ripa rocciosa lungo il fianco d’ una col¬ lina, a circa 250 m. d'altitudine, una faccia di affioramento di 6 m. d'altezza, lunga una settantina di metri e con uno spessore non misurato ma certo notevole, se una galleria, scavata normalmente alla faccia di affioramento dopo 12 metri non raggiungeva ancora alcuna limitazione rocciosa. La lente di bauxite, in concordanza con i calcari del tetto, di più d'un metro di spessore, con direzione N. E. e inclinazione di 25° verso E., è una per le più notevoli, ed abbiamo avuto occasione di parlarne più volte. >■&. Procedendo lungo la strada che da Dragoni va a Formicola, sempre in salita fino a Villa, s'incontra sulla sinistra presso Maiorano un giacimento a circa 400 m. d'altitudine, affiorante sempre su una ripa rocciosa della collina, con una faccia alta un paio dì metri, ma di limitata lunghezza. 191 Più a sud, presso Liberi, ad una altitudine pure intorno ai 400 m., e sempre sulla ripa rocciosa d’una collina, si presenta un altro giacimento con una faccia d'affioramento di 1 - 1,50 m., ma con un grande sviluppo in lunghezza - varie centinaia di metri - e sormontato da uno strato di calcare di circa 1/2 metro. E' da notare, però, che tanto nell’uno, quanto nell’altro caso non si può parlare dell'altezza reale presentata dalle facce di affio¬ ramento, poiché l'altezza percepita è quella fra il calcare al tetto, e il livello della spianata, o del declivio del fianco collinoso, nel quale va ad immergersi tutta la ripa calcarea, e con essa la lente di bauxite, che non sappiamo se e fin dove prosegua. Al comune di Liberi pure appartengono i giacimenti, dei quali si segnalano gli affioramenti su M. S. Angelo e M. Etna, che, ad altitudini al¬ quanto maggiori, possono essere raggiunte dalle mulattiere che partono dalla frazione Profeti. Qui siamo già nella zona che il Cassetti (1) fin dal momento della rilevazione geologica attribuiva al Turoniano. E al M. Etna appartiene un compione assai notevole di b. bianca, compreso fra le analisi da me raccolte. Ultimo giacimento del versante orientale di questa zona col¬ linosa di M. Maggiore è quello di Castel di Sasso, nelle falde oc¬ cidentali di M. S. Nicola, ad oltre 400 m. d’altitudine. Sul versante occidentale della zona stessa non conosco altri che la semplice segnalazione di due affioramenti bauxitici nelle vicinanze immediate di Formicola. Tranne gli ultimi due, dunque, tutti i giacimenti di questa zona collinosa di M. Maggiore, si presentano con omogeneità di caratteri quasi monotona nel versante orientale della zona, lungo l'orlo convesso col quale le colline formano la sponda sinistra della larga vallata del Volturno. Essi son tutti incastrati nei calcari, che formano ripe verticali, o quasi, lungo le falde delle colline, e che si immergono in piccole spianate o piccoli piani inclinati sulle falde stesse. Sono tutte ripe rocciose e accidentalità collinose d'una zona peneplanata sovrincombenti di qualche centinaio di metri all'ampia valle dèi Volturno, e testimoni eloquenti di condizioni idrografiche ben diverse da quelle attuali. Appare assai probabile che il Vol¬ ti) Appunti Geologici sul Matese. Roma, Bell. Comm. Geol., 23, 1893 . pp 329-342 con tav. sez. 192 — turno, invece, di incanalarsi per il tratto di valle del quale ci oc cupiamo si versasse direttamente nel mare per Fampio avvallamento trasversale di Presenzano, prima che il vulcano di Roccamonfina venisse a sbarrarlo, e che, per il tratto di valle fra Caiazzo e Ponte d’Annibale, si dirigesse direttamente al mare anche il Calore. Le acque del nostro territorio, a un livello di base ben diverso dal¬ l'attuale, avranno molto probabilmente portato il loro contributo parte al Volturno, parte al Calore, scavando le loro valli nelle rocce più tenere, ma incidendo anche la massa più resistente dei calcari cretacei. Quanto alla posizione di questo gruppo di giacimenti rispetto alle comunicazioni, essa può dirsi realmente privilegiata rispetto a quella di tutte gli altri giacimenti dell'Appennino ; ma sempre di grande inferiorità rispetto a quella dell’Istria ed anche della Puglia, quando si pensi ad una esportazione del loro minerale per via mare. Napoli per la ferrovia Napoli-Piedimonte d'Alife, dista, in¬ fatti, dalla stazione di Dragoni 69 Km., e la condizione sfavorevole di una tale distanza è aggravata dal fatto che non è allacciata al porto, e quindi impone al minerale che debba asportarsi per mare, tutte le spese inerenti al carico e scarico ed al trasporto per ca¬ mion dai depositi della ferrovia al piroscafo. La ferrovia, passata sulla destra del Volturno al Ponte d'An- nibale, risale la larga valle, mantenendosi aderente alle ultime pen¬ dici dell’orlo collinoso di destra, dove sono i giacimenti, che di¬ stano così pochi chilometri dalla ferrovia, però con dislivelli no¬ tevoli se non in senso assoluto certo rispetto alla brevità delle distanze. Queste per giunta non possono per ora essere separate che a dorso di mulo, mancando le strade camionabili, così che la loro costruzione darebbe la prima opera richiesta il giorno in cui i giacimenti si volessero mettere in valore. Tutto sommato, però, mi pare che si possa con sicurezza af¬ fermare che questi giacimenti godano di condizioni favorevoli di posizioni rispetto agli altri del Matese ed anche dell'Abruzzo, quando si pensi per il loro minerale ad una destinazione industriale alFin- terno ; sia a Napoli, sia in qualche altro centro, lungo la linea, (per es. S. Maria Capua Vetere) dove si incontrano anche altri fat¬ tori industriali favorevoli, e specialmente con disponibilità di energia elettrica a buon mercato. Napoli però presenta anche il vantaggio che potrebbe consen¬ tire 1’ accentramento delle bauxiti sia del Matese, sia del M. Mag- — 193 — giore, e tanto di quelle eventualmente da esportarsi per mare, quanto di quelle da lavorarsi alFinterno. Napoli, giugno 1939. N VII. Riassunto. Nel Sannio sono noti due distretti bauxitici: quello dello del Taburno e quello del Matese. Del primo molto limitato e di scarsa importanza , T autore si è limitato a darne una descrizione sommaria; del secondo, invece, ha ricordato i principali caratteri geologico-orografici per mettere in rilievo le relazioni fra quei caratteri e la distribuzione geografica dei giacimenti, dei quali tratta con una certa lar¬ ghezza di dettaglio facendo alcune considerazioni di carattere economico. ■ - ■ . f . Dott. Prof. Vincenzo Maione Direttore del Laboratorio chimico provinciale di Napoli. Accertamento d una frode nel commercio delle uova. Ia Comunicazione verbale. (Tornata del 13 luglio 1939). Dopo qualche tempo dalla pubblicazione del D. M. 15 gennaio 1933, che dispone che le uova provenienti dall' estero debbono portare sul guscio la marcatura col nome del paese di origine, parecchi venditori truffaldini han cercato il mezzo di cancellare questa marcatura per vendere le uova come nostrane, a prezzo più vantaggioso; e sono riusciti allo scopo, avvalendosi dell’acido cloridrico commerciale. Questa frode fu scoperta in seguito alla constatazione che, mentre centinaia di migliaia di uova, provenien¬ ti dall'Albania, dalla Turchia, dall’Egitto, ecc., vengono sbarcate nel nostro porto, si era reso difficile trovare in vendita uova con la marcatura recante l'indicazione di tale provenienza. Constatai che i gusci di tati uova presentavano una zona per lo più quasi ellissoidale allungata, con margini abbastanza netti, di colore più bianco o meno pigmentato del resto della superficie del gusto, e lievissimamente ruvida al tatto. In qualche caso po¬ tetti accertare il trattamento subito con acido cloridrico e con¬ fermai sperimentalmente che, in effetti, l'acido cloridrico cancella appieno e rapidamente la marcatura, sia fatta con l’inchiostro nero che con l'inchiostro di altro colore, asportando dalla superficie del guscio uno straterello sottilissimo. Conoscendo poi che era stata impiegata la luce di Wood per cercare di stabilire l'età delle uova, ebbi l'idea di vedere come si — 196 — comportassero a tale luce i gusci in tal modo trattati e constatai che, tanto per le uova relativamente recenti, che per quelle di uno a quattro o più mesi di età (conservate, naturalmente, in frigori¬ fero o diversamente), la zona trattata si presentava di colore rosso violaceo-bruno, che risaltava molto sul colore assunto dal resto della superficie del guscio, variante dal rosso-porpora al lilla pal¬ lidissimo, secondo l'età. In base a tali constatazioni ed a numerosi esperimenti di controllo, denunziai all’Autorità giudiziaria la prima frode del genere, accertata sul campione di uova registrato nel 1937 al N° 4950 del registro generale del Laboratorio, chimico d’igiene e profilassi della provincia di Napoli, e feci seguire altre denunzie per parecchi altri campioni simili, pervenuti nello stesso anno e negli anni se¬ guenti. Edotti dalle relazioni di perizie, che io mi fondavo special- mente sulla evidente differenza di colore riscontrata alla luce di Wood, i frodatori pensarono di trattare tutto il guscio con acido cloridrico con consecutivo lavaggio. Constatai che i gusci in tal caso assumevano un aspetto come marmoreo, perchè perdevano lo straterello superficiale, che li fa¬ ceva apparire lievissimamente lucidi e lisci, e diventavano quindi, al¬ quanto ruvidi al tatto ; che, inoltre, esaminati con lente di ingran¬ dimento o meglio col binoculare di Zeiss, presentavano dei lievi brevissimi solchi, che nei gusci normali mancano o quasi. Notai altresì che alla luce di Wood, le uova totalmente trattate, anche se freschissime, (che quando sono normali appaiono di color por¬ pora), si presentavano uniformemente di color rosso-violaceo-bruno, e che se uno delle uova in esame veniva immerso di nuovo in acido cloridrico, tale colore restava inalterato e non differiva per nulla da quello dei gusci delle altre uova del campione. Ciò pro¬ vava, quindi, che un trattamento era stato eseguito; ed anche in tal caso la frode veniva scoperta. I venditori disonesti si sono anche preoccupati dell' aspetto marmoreo assunto dal guscio e tentano di dissimularlo, sporcan¬ doli con sterco di polli o altrimenti; ma ciò nonostante, le carat¬ teristiche rilevate permettono di accertare la frode. I sanitari comunali, preposti al servizio d'ispezione in questo Capoluogo, si sono oramai resi così pratici della cosa, che ba~ — 197 — sandosi sull'aspetto dei gusci, difficilmente si sbagliano nel prele¬ vare i campioni e nel procedere al sequestro preventivo. Di queste ricerche sulle uova feci menzione nelle relazioni inviate alla Direzione Generale di Sanità con le statistiche degli anni 1937 e 1938. Autorità ed amici, cui ho dimostrato il modo di accettare la indicata frode, nella visita fatta al Laboratorio in vario tempo, mi hanno indotto a rendere di pubblica ragione i risultati ottenuti. Numerose ricerche ho eseguito e tuttora ho in corso, circa l'influenza della luce di Wood sulle uova, e forse in qualche altra seduta tedierò di nuovo i Chiarissimi Signori Consoci con tale argomento. Dott. Prof. Vincenzo Maione Direttore del Laboratorio chimico provinciale di Napoli Un mezzo escogitato per sfuggire al calmiere nel commercio del caffè torrefatto. IIa Comunicazione verbale. (Tornata del 13 luglio 1939). In quest’anno alcuni venditori grossisti di caffè hanno trovato il mezzo di eludere il calmiere, mettendo in commercio solo caffè tostato, di cui, però, la cottura non aveva raggiunto il punto giu sto, ma era stata arrestata quando i chicchi presentavano appena un colore marrone chiaro. Ciò provocò proteste e ricorsi alle Au¬ torità tutorie. In conseguenza pervennero al Laboratorio parecchi campioni di caffè incompletamente torrefatti, e nei verbali si accennava ad un’eventuale frode in commercio. Com'è noto, la legge ed il regolamento sulla vendita del caffè torrefatto (1) non stabiliscono nulla circa il grado di cottura. lo mi occupai subito della cosa; ed, esperimentando sulle po¬ che qualità disponibili di caffè crudo, constatai che 1' incompleta torrefazione rendeva ai grossisti un risparmio di caffè impiegato, che veniva determinato in gr. 30 a 55 per chilogramma , ed ap¬ portava, naturalmente, ai rivenditori, o ai consumatori, una perdita corrispondente, se avessero voluto continuare la cottura al giusto punto, per poter preparare una buona tazza di caffè. Dalla determinazione dell’umidità del caffè torrefatto, che la (1) R. D. L. 15-10-925, N. 1929; R. D. 16-12, 1926, N. 2415, — 200 — legge fissa al 5 %, ebbi a dedurre che non solo nessuno dei cam¬ pioni esaminati presentava umidità eccedente, ma che alcuni ne presentavano persino meno di quello che poi davano col protrarsi della torrefazione fino al punto giusto. Ciò si spiega con la formazione di prodotti volatili, per ef¬ fetto della più alta temperatura, prodotti che vengono poi ad eli¬ minarsi nella determinazione dell’umidità. Attualmente, quindi, non si ha ancora il mezzo di colpire lo accennato abuso. Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli Rendiconti delle Tornate ed Assemblee Generali (PROCESSI VERBALI) PROCESSI VERBALI DELLE TORNATE ORDINARIE ED ASSEMBLEE GENERALI Processo Verbale e Assemblea Generale 30 maggio 1938. Presidente : CARRELLI Segretario ff. : De LERMA Sono presenti i Soci : Zirpolo, Pierantoni, Forte, Rosenthal, Pa¬ troni, Augusti, Antonucci, Platania, Maione, Moncharmont, Penta, Ip¬ polito, Ruggiero, Rodio, Trotter, Palazzi. La seduta è aperta in seconda convocazione alle ore 18. Viene letto ed approvato il verbale della precedente seduta. Il Presidente espone come il Consiglio Direttivo nella seduta del- j’il marzo u. s. abbia deliberato di proporre all’Assemblea la vendita della proprietà edilizia di Posillipo e spiega le ragioni che lo hanno indotto in tale proposta leggendo il parere del legale della Società Prof. Avv. C. M. Jaccarino. « Ho guardato attentamente la perizia giurata dell’ Ing. Prof. G. Nebbia, in ordine alla progettata vendita dello stabile in Napoli, a Posillipo, e concordo nelle conclusioni cui essa giunge ». Il Presidente mette in discussione la proposta del C. D. perchè l’Assemblea deliberi in ordine alla vendita di cui sopra. Dopo breve discussione l’Assemblea all’unanimità approva la seguente deliberazione: Vista la perizia giurata del signor Prof. Ing G. Nebbia e la pe¬ dissequa relazione tecnica : Uditi i chiarimenti oralmente forniti dal relatore della proposta ritenuta per le ragioni prospettate nell’anzidetta perizia ed illustrati dai su ricordati chiarimenti che è opportuno addivenire alla alienazione dei beni immobili, fabbricati di proprietà dell’Ente, in Napoli, Posil¬ lipo, di cui alla descrizione fattane in detta perizia, e che a mente dell’articolo 15 dello Statuto occorre quindi provvedere alll investi¬ mento delle somme ricavatene in Titoli dello Stato; ritenuto che tale vendita deve avvenire ai sensi e per gli effetti della legge e del re¬ golamento per la contabilità generale dello Stato, e che vi si debba IV procedere con il sistema dell’asta pubblica a candela vergine con au¬ mento del sesto. DELIBERA — alienare i seguenti immobili di proprietà dell’ente Stabile in Napoli discesa Posillipo, procedere a tale alienazione in Napoli, nello studio del notaio Comm. Ambrosio Tavassi, Via Costantinopoli 104, con il sistema dell’asta pubblica a estinzione di candela vergine e co aumento del sesto, entro il 20° giorno successivo alla la aggiudicazione, — fissare come prezzo base dell’asta la somma di Lit. 250,000, spese a carico del compratore, — mandare al Consiglio per l’esecuzione di tali deliberati per gli ulteriori adempimenti è formalità, inerenti al bando di vendita. Il Presidente dà informazione all’assemblea riguardo alla transa¬ zione intervenuta fra la Società, il Genio Civile ed il Comune per i danni arrecati dall’alluvione al Fondo di sua proprietà in contrada Posillipo. Il segretario legge la relazione dei Revisori dei conti del bilancio consuntivo 1957. Dopo breve discussione il bilancio viene approvato all'unanimità. Il presidente comunica ai soci i risultati del Concorso Cavolini De Meli is a borse di studio per gli studenti di Scienze Naturali del 11°, III° e 1V° anno. Le borse di studio sono assegnate agli studenti Vergara Anna 2° anno. Fedele Giuliana, Cappello Lidia e la Greca Marcello di 4° anno. Il presidente riferisce sul Premio Antonio e Paolo Della Valle per Lanno 1937 che su giudizio della Commissione, approvata dal Con¬ siglio Direttivo, è assegnato al Prof. Baldassarre De Lerma. Dopo aver segnalato ai soci le pubblicazioni pervenute in dono, 1 Presidente dà la parola al socio Ing. Ruggiero Placido che svolge una comunicazione verbale « Sui nuovi studi per la trasformazione iti forza motrice del calore prodotto dalle fumarole ». Il presidente, dopo aver ringraziato il socio Ruggiero Placido dà la parola al socio Penta che svolge una comunicazione dal titolo : « Sulla natura delle rocce granitoidi calabresi » . 11 prof. Giovanni Platania riferisce su recenti pubblicazioni sulla Grotta del Sole dell’Isola d’ Ischia. Il presente verbale è letto ed approvato seduta stante. La seduta è tolta alle ore 20. V Assemblea generale del 17 dicembre 1938 - XVII Presidente : CARRELLI Segretario : SALFI Soci presenti : Pierantoni, De Lerma, Salti, Zirpolo, Palazzi, An¬ tonucci, Moncharmonth. La seduta è aperta alle ore 18. Il presidente constatata la mancanza del numero legale dei soci per poter procedere alla elezione del Presidente e del Vice presidente toglie la seduta rimandandola in seconda convocazione per il giorno 19 dicembre 1938 -XVII. Letto e approvato seduta stante. Tornata e Assemblea generale del 19 dicembre 1938 -XVII Presidente : Carrelli Segretario : Salfi Sono presenti i soci : Gargano, Maione, Forte, Della Ragione, Moncharmont, Antonucci, Rodio, Caroli, Pierantoni, Palazzi. La seduta è aperta alle ore 17,45 in seconda convocazione. Il presidente comunica che per il prossimo Bollettino vi sarà maggior larghezza nella concessione di slampa i soci. Il presidente presenta le pubblicazioni pervenute in dono e dà notizie dei nuovi cambi. Il presidente dà la parola al socio Pierantoni che svolge una co¬ municazione dal titolo : « Azione delle luci visibili di bassa intensità sullo sviluppo di Aedes fasciatus ». Il presidente ringrazia il socio Pierantoni per la sua interessante comunicazione che apre nuovi oriz¬ zonti alla ricerca pura e lascia intravvedere possibilità applicative. Il socio Gargano legge due comunicazioni : 1. « Enologia , pato¬ genesi ed istologia, patologia dei cosidetti tumori a mieloplassi ; 2. « Possibile metastasi di cellule a tipo mieloplassico ». Il socio Ippolito fa una comunicazione verbale : « studi su un materiale zeolitico italiano ». Il socio Ruggiero presenta un lavoro « Cisterne e piccoli serbatoi per acqua piovana »; 2a Appendice : « Dimensionamento di massima sicurezza » e ne chiede la pubblicazione. Si passa alla elezione del presidente e del Vice presidente per il biennio 1939—1940. VI Il socio Caroli domanda la parola e propone all’ Assemblea che vengano confermati nelle cariche il presidente e Vice presidente ri¬ spettivamente gli attuali soci che occupano dette cariche e cioè : il socio Carrelli Antonio quale presidente e il socio Pierantoni Umberto quale Vice presidente. La proposta del socio Caroli è approvata all’ unanimità dall’As¬ semblea per acclamazione. Restano quindi eletti per il biennio 1939-1940 quale presidente ie socio Carrelli e quale Vice presidente il socio Pierantoni Umberto. La seduta è tolta alle ore 18,45 dopo essere stato letto ed appro¬ vato il presente verbale. Tornata ordinaria e Assemblea generale del 13 luglio 1939 -XVII Presidente : Carrelli Segretario : Salfi Sono presenti i soci : Antonucci, De Lerma, Ruggiero, Pierantoni, Parascandola, Moncharmont, Ippolito, Rodio, Maione, Della Ragione, Caroli, Zirpolo, Patroni, Platania, Maio E., Maio I., Andreotti. La seduta è aperta alle ore 18 in seconda convocazione. Il Presidente comunica ai Soci che con lettera ministeriale del 4 maggio 1939, N. 6184, il Ministero ha trasmesso il R. D. 6 febbraio 1939 che autorizza la vendita dell’immobile alla discesa di Posillipo. Comunica altresì che è stato redatto il relativo Bando di vendita del detto immobile che il Consiglio Direttivo ha approvato nella se¬ duta del 11 luglio c. a., delegando il Notaio Francesco Oreste d’Ales¬ sandro affinchè provveda ai relativi atti di vendita, dandovi la maggiore diffusione con manifesti murali e inserzione nei giornali. Il Presidente poi riferisce all’Assemblea sulla necessità di prov¬ vedere anche alla vendita del fondo attiguo all’immobile a Posillipo, vendita già approvata dal Consiglio Direttivo in base a considerazioni che si riferiscono allo stato attuale del fondo in via di deperimento ; infatti in seguito alla sistemazione a Piazza e strada della parte a monte di detto fondo si è alterato il regime idrico della zona pro ¬ vocando gravi erosioni nel terreno verso il fondo valle. Per tale ra¬ gione è in atto un giudizio tra la Società e il Comune per i danni e per l’onere della sistemazione del displuvio del corso d’acqua che raggiunge cifre rilevantissime. Inoltre la progettata alienazione dell’ immobile, dovendosi conservare la casa colonica per il fondo, prevede l’istaura- zione di un regime di comunione col detto immobile che non può VII certo riuscire gradito nè al futuro acquirente delPimmobile, nè alla Società. Per tali considerazioni il Presidente pone ai voti la proposta di alienazione del fondo di Posillipo, ed ancora propone analoga alie¬ nazione del fondo di Piscinola, considerando che per il buon mante¬ nimento di entrambi occorrono spese relevantissime per lavori, pei quali occorerebbe costituire un ufficio tecnico ed un amministrazione speciale, cosa che la Società non è in grado di poter costituire. L’Assemblea approva all’unanimità le suddette proposte. Il Segretario comunica due nuovi cambi e i titoli di varie pub¬ blicazioni pervenute in dono. Il socio Ippolito legge a nome del socio Penta una comunica» zione di quest’ultimo, su « L’attività svolta dal Centro Studi Risorse Naturali dell1 Italia Meridionale nel campo della Geologia e Petro¬ grafia locali » e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino Il socio Parascandola legge due note : la Sulla sorgente Mine¬ rale di Valle di Pompei » ; 2a Osservazioni sul Rione delle Mofete e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Zirpolo comunica una nota : « Nuovo caso di associa¬ zione fra Idroidi e Pesci con revisione critica dei casi già noti » e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Maione fa due comunicazioni verbali : la Accertamento diina frode nel commercio delle uova\ 2a Un mezzo escogitato per sfuggire al calmiere nel commercio del caffè torrefatto » e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il Presidente dà la parola ai Revisori dei Conti che svolgono la loro relazione sul Bilancio consuntivo 1938, relazione che col Bilancio relativo è approvato dall’Assemblea. La seduta è tolta alle ore 19,30 dopo esssere stato letto e ap¬ provato il presente verbale. ' . ■ CONSIGLIO DIRETTIVO per l’anno 1 938 Carrelli Antonio Presidente Pierantoni Umberto Vice-Presidente Salfi Mario Segretario De L.erma Baldassarre Vice-Segretario Palazzi Eugenio Amministratore Zirpolo Giuseppe Redattore del Bollettino I ELENCO DEI SOCI (1° gennaio 1940-XVI1I) SOCI ORDINARI! RESIDENTI 1. 6-4-902 2. 12-7-924 3. 20-12-938 4. 4-12-37 5. 28-3-920 ò. 8-6-924 7. 22-2-930 8. 5-3-922 9. 30-5-921 10. 6-4-902 11. 15-3-903 12. 17-11-918 13. 25-1-934 14. 28-12-932 15. 26-7-925 16. 16-12-923 17. 20-1-932 18. 20-10-937 19. 16-3-929 20. 14-6-930 21. 20-12-938 22. 25-5-919 23. 5-3-922 24. 31-12-913 25. 25-5-919 Aguilar Eugenio -Vico Neve a Materdei 27 , Napoli Andreotti Amedeo — Ist. Fisica terr . R . Univ ., Napoli. Anfosso Attilio — Politecnico , Napoli. Antonucci Achille — Via Cesare Rosaroll 98 , Napoli Arena Ferdinando — Piazza S. Ferdinando , Napoli Augusti Selim — Via ‘Vetreria 12 , Napoli. Aurino Salvatore — R. Osserv. Capodimonte , Napoli . Bakunin Maria — 7?. Politecnico , Napoli. Biondi Gennaro — Corso Garibaldi 109 , Portici. Bruno Alessandro — Rione Fenice a Ottoc. 32, Napoli Caroli Ernesto — Stazione Zoologica, Napoli. Carrelli Antonio — Istituto di Fisica R. Un., Napoli Castaldi Francesco — Aniello Falcone 260 , Napoli Covello Mario -- Corso Umberto I, 311 , Napoli. Cutolo Costantino — Tommaso Car avita 10, Napoli. D’Aquino Luigi — Piazza Latilla 23, Napoli. De Lerma Baldassarre — Istit. Zool. R. Un., Napoli. Della Ragione Gennaro — Rua Catalana 9 . Napoli. D’Erasmo Geremia — Ist. Geologia R. Univ., Napoli. Dohrn Rinaldo — Stazione Zoologica, Napoli. Ferrara Alberto — Politecnico, Napoli. Fenizia Gennaro — Via Fovia 169, Napoli. Fiore Maria — Corso Vitt. Emanuele 466, Napoli. Giordani Francesco — Corso Umberto 1 , 34, Napoli Giordani Mario — Corso Umberto 1 , 34, Napoli. — xii — 26. 30-12-936 l 27. 31-12-913 28. 6-6-931 29. 11-5-936 30. 16-3-924 31. 4-2-923 32. 1-12-932 33. 9-6-933 34. 4-12-887 35. 28-10-937 36. 25-1-934 37. 4-2-922 38. 3-4-933 39. 21-8-921 40. 28-12-930 41. 15-6-934 42. 18-3-900 43. 20-1-924 44. 4-2-922 45. 11-5-913 46. 20-12-938 47. 16-12-92 48. 16-12-92 49. 16-3-929 50. 29-2-932 51. 29-5-919 52. 20-12-938 53. 29-4-923 54. 1-12-932 55. 25-5-890 56. 2-6-925 57. 28-11-912 j Ippolito Felice — Egiz. a Pizzofalcone 43, Napoli. Iroso Isabella — Via Foria 11 3, Napoli. Longo Biagio — R. Orto Botanico , Napoli. Longo Luigi — R. Orto Botanico , Napoli. Maione Vincenzo — Via Torino 90, Napoli. Majo Ester — Ist. Fisica terrestre R. Univ., Napoli. Majo Ida — Ist. Fisica terrestre R. Univ., Napoli. Maranelli Carlo — Via Luca da P etnie 1, Napoli. Mazzarelli Giuseppe — Ist. Zoologia R. Un., Messina. Moncharmont Ugo — Via A. F'alcone 88. Napoli. Palazzi Eugenio — Viale delle Acacie - Vomero. Palombi Arturo - Viale Elena 21, Napoli. Pannai n Ernesto — Via E. De Marinis 11, Napoli. Parascandola Antonio — Ist. Minerai. R. Un., Napoli. Patroni Carlo — Via Mariano Sernmola 45, Napoli Penta Francesco — Politecnico, Napoli. Pierantoni Umberto - Galleria Umberto I, 27 , Napoli Platania Giovanni — Salita Stella 10, Napoli. Pozzi Olimpio — Mer gellina 2, Napoli. Quintieri Quinto — Via Amedeo 18, Napoli. Ragona Mario — Largo Donnaregina, 4. Riccio Raffaele — Via Depretis 114, Napoli Rodio Gaetano — R. Orto Botanico, Napoli. Ruggiero Placido — Via L. Mar sicario a Materdei 4. Ruggiero Lelia — Via L. Mar sicario a Materdei 4. Salfi Mario — Via Mezzocannone 53, Napoli. Santovito Attilio — Politecnico , Napoli. Torelli Beatrice — Stazione Zoologica, Napoli. Trotter Alessandro — R. Istituto Sup. Agr., Portici Viglino Teresio — Piazza Dante 41, Napoli. Volpicelli Mario — Viale Elena 23, Napoli. Zirpolo Giuseppe — Via Duomo 50, Napoli. XIII — SOCI ORDINARI NON RESIDENTI 1. 17-4-913 2. 28-4-919 3. 30-11-924 4. 31-12-916 5. 1 -6-902 6. 30-11-938 7. 8-7-923 8. 1-1-38 9. 16-3-929 10. 14-3-931 11. 13-8-921 12. 31-12-929 13. 22-2-930 14. 22-3-925 15. 6-2-939 16. 2-6-925 17. 1-6-913 18. 20-1-939 19. 1-4-919 20. 21-11-931 21. 1-1-938 22. 31-12-929 23. 31-12-891 24. 28-10-37 25. 2-5-931 2t>. 2-6-925 27. 28-7-929 28. 4-2-923 29. 9-6-933 30. 29-4-932 31. 5-3-922 32. 6-3-924 Y | 12-7-918 Alfano G. B. — Piazz. Cangi a Materdei 7, Napoli Califano Luigi — Stazione Zoologica, Napoli . Candura Giuseppe -R. Oss. Fitopatologico , Bolzano. Celentano Vincenzo — Via Veterinaria 7, Napoli. Cerniti Attilio — R. Istit Biologia Marma, Taranto Cocurullo Oreste — Corso Littorio. Meta di Sorrento Colosi Giuseppe — Istituto Zoologia R. Univ ., Pisa. Costantino Giorgio — Via P. Vasta 159, Acireale. D’Ancona Umberto - Ist. Zoologia R. Univ., Padova Eller-Veinicher Conti Isabella — Via dei Mille 16. Fedele Marco — Istituto Zoologico R. Univ. Cagliari Guadagno Giuseppe — Via Foria 193, Napoli. Guidone Giuseppe — Via L. Giordano 6, Vomero. Imbò Giuseppe — Ist. Fisica terr. R. Univ . Napoli Jovene Francesco R. Seminario di Ischia, Jucci Carlo — Ist. Zoologia R. Univ., Pavia. Magliano Rosario — R. Ist. Magistrale, Lagonegro. Marànelli Adolfo — Museo Geologico, Albania. Mazzarelli Gustavo — Ist. Geofis. R. Univ., Messina . Montalenti Giuseppe — Ist. Zoolog. R. Un., Bologna Musmarra Alfio — Via P. Vasta 66. Acireale. Pasquini Pasquale -Ist.Zool. Anat. R. Un., Bologna Piccoli Raffaele - Via Andrea Vaccaro 31, Vomero. Punzo Giorgio — Villa S. Luigi Posillipo-Napoli. Parenzan Pietro — Aprica Orientale. Ranzi Silvio — Istituto Zoologico R. Univ. Milano. Romeo Antonino — R. Scuola Sup. Agric., Portici. Signore Francesco — Via Tasso 199. Napoli. Sorrentino Stefano — G. Parini 8. Milano. Trezza Ugo — Via Monte santo 56, Napoli. Valerio Rosaria — Sala di Caserta. Viggiani Gioacchino — Potenza. SOCI ADERENTI Elenco dei cambi EUROPA Italia Acireale Aosta Bologna Bellinzona Brescia Cagliari Catania — Città del Vaticano — Ferrara — Firenze — Genova Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti di Acireale. Rendiconti id. id. Bollettino della R. Stazione Sperimentale di agru¬ micoltura e frutticoltura. Société de la Flore Valdótaine. Rendiconti della R. Accademia delle Scienze. Bollettino dell’ Istituto di Entomologia Agraria. Società Ticinese di Scienze Naturali. Bollettino del Laboratorio di Entomologia R. Isti¬ tuto Superiore Agrario. Commentari dell’Ateneo. Società dei cultori delle Scienze Mediche e Natu¬ rali. Scritti Biologici raccolti dal Prof. Luigi Castaldi. Accademia Gioenia di Scienze Naturali. Atti dell’Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei. Memorie id. id. Accademia di Scienze Mediche e Naturali. Archivio per l’Antropologia e l’Etnologia. Nuovo Giornale Botanico italiano. Regia Stazione di Entomologia Agraria. L’Universo. Istituto Geografico Militare. Società Entomologica italiana. Memorie id. id. Atti della Società di Scienze e Lettere. Bollettino dei Musei di Zoologia e Anatomia com¬ parata della R. Università. Museo Civico di Storia Naturale « Giacomo Po ria » Annali, XVI Milano Modena Napoli Padova Pavia Perugia Pisa Portici Postumia Roma Resina Rovereto Salò Sassari Scafati — Atti della Società Italiana di Scienze Naturali e Museo Civico di Storia Naturale. — Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. — Atti della Società dei Naturalisti e Matematici. — Sezione Autonoma del Genio Civile. Ministero Lavori Pubblici. — Bollettino Orto Botanico. — Rendiconti della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche. — Annuario del Museo Zoologico della R. Università di Napoli. — Pubblicazioni della Stazione Zoologica. — Archivio Zoologico italiano. — Bollettino di Zoologia. — Rivista di Fisica, Matematica e Scienze Naturali. — Atti della Accademia scientifica veneto-trentino- istriana. — Atti dell’Istituto Botanico «Giovanni Briosi». — Annali della Facoltà di Medicina e Memoria della Accademia Medico-chirurgica. — La Meteorologia pratica. — Atti della Società Toscana di Scienze Naturali. — Processi verbali. — Annali della R. Scuola Superiore di Agricoltura. — Bollettino del Laboratorio di Zoologia generale e Agraria. — Le Grotte d’ Italia. — Bollettino della R. Accademia Medica. — Atti della Società Italiana per il progresso delle scienze. — Bollettino dell’ Istituto del R. Ufficio Geologico Italiano. Rivista di Biologia Coloniale. — Istituto Internazionale di Agricoltura. — R. Società Geografica Italiana. — La conquista della terra. — Bulletin Vulcanologique, R. Osservatorio Vesu¬ viano. — Museo Civico. — Memorie dell’Ateneo — Studi sassaresi. — Bollettino tecnico della coltivazione dei tabacchi, XVII Torino — Atti della R. Accademia delle Scienze. — Roma - Centro Alpinistico Italiano. — Urania. Trento Trieste — Studi trentini di Scienze Naturali. — Bollettino della Società Adriatica di Scienze Na¬ turali. Venezia Verona — Ateneo Veneto. — Atti e Memorie dell’ Accademia di Agricoltura, Scienze, Lettere, Arti e Commercio. Belgio Bruxelles Louvain — Société Royale Zoologique. — Travaux biologiques de l’ Institut J. B. Carnoy. Finlandia Helsinki — Memoranda Societatis prò Fauna et Flora fennica. — Acta Botanica fennica. — Societas prò Fauna et Flora fennica. — Societas Zoolog. - Botanica fennica Vanamo. Francia Cherbourg — Société nationale des Sciences Naturelles et Ma thématiqués ( Memoires ). Nancy — Société des Sciences et Réunion biologique (Bul- letin des Séances). Nantes — Société des Sciences Naturelles de l’Ouest de la Nice Paris France ( Bulletin ). — Riviera Scientifique. — Museum d’Histoire Naturelle ( Bulletin ). — L’Astronomie. — Société d’Océanographie de France. — Bulletin de la Société Zoologique de France. Germania Berlin — Verhandlungen des Botanisches Vereins der Pro- venz Brandeburg. — Sitz der Gesellsch. Naturforsch. I reunde. Bonn — Naturshistorisches Verein der preussischen Rhein lande. XVIII — Brunn Frankfurt a M. Giessen — Verhandl. des Naturforsch. Vereins. — Senckenbergiana. — Bericht der Oberhessischen Gesellschaft fiir Natur- und Heilkunde. Graz — Mittheilungen des Naturwissenschaftlichen Vereins fiir Steiermark. Halle a S. — Kaiserlich Deutsche Academie der Naturfoscher. Hamburg (Leopoldina). — Verhandlungen des naturwissenschaftlichen Ve¬ reins. — Abhandlungen aus dem Gebiete der Naturwissen- schaften. Prague Casopis Ceskoslovenske spolecnesti entomologi- cké (Acta societatis entomologicae Cechoslo- veniae). — Bulletin international. Classe des Sciences mathé- matiques, Naturelles et de la Médicine. — Rozpravy ceske akademie ved a umenf. — Societé Royale des Sciences de Boheme ( Memoires ) — Akademie Masaryk du Travail. — « Lotos » Naturwissenschftliche Zeitschrift. Rostock — Archiv des Vereins der Freunde der Naturgeschi- chte in Mecklenburg. Wien — Verh. der K.-K. Zool. - bot. Gesellschaft. — Annalen des Naturhistorischen Hofmuseum. Cambridge Inghilterra — Philosophical Society ( Proceedings , Transactions) — Biological Review. London — Royal Society ( Proceedings , Reports of thè Slee- ping SLkness Commissioni Plymouth — Marine Biological Association of thè United King- dom {Journal). Lettonia Riga — Acta Orti Botanici Universitatis Latviensis. Lituania Kaunas — Mémoires de la faculté des Sciences de !’ Uni¬ versità de ithuanie, — XIX — Tromsòe Amsterdam Warszaw Lisbona Coimbra Cartuja Upsala Lund Ljubljana Tokyo Kyoto Norvegia — Tromsòen Museum. Olanda — Academie Royale (Mémoires) . Polonia — Acta Societatis Botanicorum Poloniae. ~ Annales Musei Zoologici Polonici. — Fragmenta faunistica Musei Zoologici Polonici. Portogallo — Bulletin de la Société Portugaise des Sciences Naturelles. — Memorias e estudios do Museo Zoologico. — Socedad Broteriana ( Boletin ). Spagna Boletin mensuel de la Estanción Sismologica. Svezia — Geological Institution of thè University of Upsala. — K. Vet. Akadems-Bibliothek (Arkiv fòr Botanik, Arkiv for Zoologi). — K. Universitets-Biblioteket. — Prirodoslovno o razprave. ASIA Giappone — Annotationes Zoologicae japonenses. — Japanese Journal of Zoology ( Transactions and Abstracts). — Memoires of thè college of Science. Kyoto impe- rial University. Series A and Series B. XX AMERICA Perù Lima — Boletin de la Sociedad Geologica. Berkeley Stati Uniti — University of California (Publications in Zoology , Boston Entomology Bulletin). - Society of Naturai History ( Proceedings ). Brooklyn — Cold Spring Harbor Monographs. Chaphell Hill — Elisha Mitchell scientific Society (Journal). Cincinnati — Bull, of thè Lloyd Library of Botany etc. Minneapolis — The University of Minnesota. Urbana — Illinois biological Monographs. Chicago — Bull, of thè State Laboratory of Nat. Hist. — Academy of Sciences (Bulletin Annual Report ). Madison — Field Museum of Naturai History ( Department oj Botany). Wisconsin Academy of Sciences, Arts and Lettres ( Transactions ). — Wisconsin Geological and Naturai History Survey (, Bulletin ). New York — Botanical Garden ( Bulletin ). Notre Dame Indiana — The America Midland Natur. Philadelphia — Academy of Naturai Sciences ( Proceedings Year Book ). Pullman, Washington-- Research Studies of thè State College of Wa¬ shington. Saint Louis — cademy of Science ( Transactions ). — Missouri Botanica Garden (Annual report). Springfiel Massachussets — Museum of Naturai History. New-Orleans — Louisiana State Museum. Tufts College (Massachussets) - Studies. Washington — United States Geological Survey (Annual report ). — U. S. Department of Agriculture. — Divisimi of Ornithology and Mammalogy (. Bulletin North American Fauna). — Smithsonian Istitution ( Annual report). — U. S. National Museum (Bulletin). — U. S. Department of Agriculture ( Yearbook ). XXI Washington Woods Hole, Mass. New Haven, Conn. Montevideo Buenos Aires U. S. Department of Agriculture. — Bureau of Animai Industry ( Annual report). Carnegie Institution of Washington ( Publications ). The Rockfeller Sanitary Commission for thè Era- dication of Hookworm Desease. United States Bureau of Fischeries. Bulletin of thè marine biological laboratory. Tropical Woods. Uruguay Museo de Historia Naturai ( Anales ). Argentina Anales de la Sociedad Cientifica Argentine. — iòél — Elenco delle pubblicazioni pervenute in donò. Penta F — Sguardo minerario sull’ Italia Meridionale. Estr. Atti R. Istituto d’ Incoragg. di Napoli, 1938. CORDERÒ E. H. — Nerocila fluviatilis yotros isòpodas paràsitos de las familias Cymothoidae y Bopyridae del Uruguay y del Bra- sil. Montevideo. Imprenta Nacional, 1937. Ruggiero P. — Considerazione per la diffusione dei pluviografi. Tip. Rivoluz. Fase. G. Donnini, Perugia, 1938. — — Un ventennio di servizio idrografico e le possibilità autar¬ chiche nel Compartimento di Napoli. Tip. A. Nappa, 1938, Napoli. Negri G. — Pier Antonio Micheli, Botanico, in Colombaria «l’A¬ vido ». Estr. Atti Soc. Colombaria Fiorentina Tip C. Mori, 1938, Firenze. Alzona C. & Jola Alzona Bisacchi — Malacofauna Italica. Voi. I, 1937, Voi. I, pag 93-128, 1938 Tip. F. Ili Pagano, Genova. MAZZARELLI G. — I Vortici, i «Tagli » e altri fenomeni delle cor renti dello stretto di Messina. Estr. Atti Reale Acc. Peloritana. Voi. XL, Messina, 1938. CANDURA G. L. — La mosca domestica, Vita, danni, lotta e osserva¬ zioni nella Venezia Tridentina. Tip. Ed. Elettra, 1939, Bolzano. — — Osservazioni biologiche sul tonchio dei faglioli. ( Acantha - scelides obtectus Say), nella Venezia Tridentina. Ramo edito¬ riale degli Agricoltori, 1939, Roma. — — I risultati di un quadriennio di esperienze con fitofarmaci economici ed autarchici. Trento, Arti Grafiche Saturnia, 1939. SATYti Yamaguti Studies on thè Hetminth Fauna of Japan. Part. 21 Trematodes of Fishes, IV. Kyoto, Iapan, 1938. Nobre A. — IV. Crustàceas Decàpodes e Stomapòdes Marinhos de Portugal. Edit. Companhia do Minho. Barcelos, 1936. — — Moloscus marinhos de Portugal. Ibidem, 1936. Max Egon Thiel. — Festschrift zur Hundertjahrfeier, Hamburg, 1937. Karl Keissler — Siegfried Stockmayer. Ein Nachruf mit einem Bield. Sonderabdruck aus Verhandlungen der Zoologisch. Bo- tanischen Gesellschaft in Wien. 1937, — xivx — Ministero Educazione Nazionale. — Accademie e Istituti di Cultura. Cenni Storici. Edit. Fel. Palombi, Roma, 1938. L’autarchia Alimentare — Rassegna dei contributi alimentari dell’ Im¬ pero. N. 1 e 2. Camera Fascista. Senato del Regno — Sul bilancio dell’ Educazione Nazionale 1937-38-39. Relazioni e discussioni. Tip. Camera Fascista. GL Incurabili - N. F. — - Periodico Mensile di Medicina-Chirurgia- Specialità-Igiene e vita Ospedaliera, Napoli, 1937. The Sino-Swedish Expedition — Reports from thè scientific expedition to thè north-western provinces of China under leadership of dr. Sven Hedin. Bokfòrlags Aktiebola et Thule. Stockholm, 2 Schweden, 1937. INDICE ATTI (memorie, note e comunicazioni) Pierantoni U. — Azione delle luci visibili di bassa intensità sullo sviluppo di Aedes ( Stegomya ) fasciatus Fabricius . pag. 3 Ruggiero P. — Energia geotermica nei Campi Flegrei ed in par¬ ticolare nell'Isola dTschia . *#13 Ippolito F. - Su di un materiale " Zeolitico „ Italiano . . „ 17 Penta F. — Sulla natura delle rocce granitoidi calabresi. . „ 21 f Gargano C. — Sarcoma mielogeno della tibia. Possibile meta¬ stasi di cellule a tipo mieloplassico . ,,23 Zirpolo G. — Azione dell'acqua pesante sugli organismi. - 5. Ri¬ cerche sull' Anellide policheto Nereis dumerilii . . „ 33 Zirpolo G. — Azione dell'acqua pesante stigli organismi. - 6. Ri¬ cerche su Capiiella capitata . . . . . „ 41 Ruggiero P. — Cisterne e piccoli serbatoi per acqua piovana. Ia appendice. Isole Partenopee . „ 49 Ruggiero P. — Cisterne e piccoli serbatoi per acqua piovana. IIa appendice. Dimensionamento di massima sicurezza. . „ 59 Penta F — L’attività svolta dal Centro Studi delle risorse natu¬ rali dell 'Italia meridionale . ,,75 Zirpolo G. — Nuovo caso di associazione di idroidi e pesci con revisione critica dei casi già noti . „ 127 Iovene F. — Studio termico sull’Isola dTschia . . . „ 141 Palombi A. — Studii sugli Idroidi. - 1. L'azione delle radiazioni luminose ....... „ 149 Maranelli A. — I Giacimenti Bauxitici del Sannio . . . „ 1 83 Maione V. — Accertamento d’una frode nel commercio delle uova. „ 195 Maione V. — Un mezzo escogitato per sfuggire al calmiere nel commercio del caffè torrefatto . „ 199 RENDICONTI DELLE TORNATE PROCESSI VERBALI Processi verbali delle Tornate 1938-39 . pag. Ili Consiglio Direttivo per l’anno 1939 . „ IX Elenco dei Soci . „ XI Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio „ XV Elenco delle pubblicazioni pervenute in dono „ XXIII Per quanto concerne la parte scientifica ed amministrativa dirigersi al REDATTORE DEL BOLLETTINO Prof. Giuseppe Zirpolo presso la Sede della Società Via Mezzocannone - R. Università - Napoli. Direttore Responsabile : Prof. UMBERTO PIERANTON! Stab. Tipografico N. JOVENE - Napoli. (Printed in Italy) >» >¥ QE S^StlSP ^>Il53P )Tys^ KglSp 'Sfrm)$w& OÉI ùTSpa S)^l ggi ìt3ìM)1Ss yfi I j»l» iv/ìgM rjoQjp je> * jBE y ^V^-fiì 0|pi3irji>r EmIDl CSpJlQ^ ^ jrS3 ~111B> y>MEM jrp ;i J^EZ2^ ” Jmt ))^|j ■LS 3^ ìdr aS71> ) ryy Hj > tJD1 », sgasa wP_p*\y>r f IBP ”3' '5>=^Bi5vì)1 ^:».3 ISXU y!y fb JAi ; >>: SJseÉJÈ llpil IJSgE