S0(-o, 4-5 SC= 7 8 BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI IN NAPOLI VOLUME LXVIII - 1959 PUBBLICATO SOTTO GLI AUSPICI DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE NAPOLI Stabilimento Tipografico Guglielmo Genovese Pallonetto S. Chiara, 22 - Telef. 322-568 1960 BOLLETTINO DELLA IIV NAPOLI VOLUME L X V I ! I - 19 5 9 NAPOLI Stabilimento Tipografico Guglielmo Genovese Pallonetto S. Chiara, 22 - Telef. 322-568 1960 SO(o. 4S 5 l^lt \j. (*<% ~ (o^ Relazione sull’ esame analitico di un’ acqua termale sorgente presso il lido di 66 Lo Grado „ , nell’ Isola d’ Ischia Nota dei soci DIANA LAMBERTINI e RICCARDO SERSALE (Tornata del dì 30 gennaio 1959) L’acqua sorgiva, che è oggetto delle indagini sui risultati delle quali riferiamo qui di seguito, sgorga da un pozzetto scavato all’in- terno di una delle numerose grotte e celle che si aprono nella parete Fig. 1. — Contorno dell’Isola d’Ischia. La freccia indica la spiaggetta di « Lo Grado », ad est di Punta Imperatore, (cfr. tavola fuori testo) tufacea che sovrasta la spiaggetta di « Lo Grado », nei pressi di Sant’Angelo, in territorio del Comune di Serrara Fontana (vedi fi¬ gura 1 e tav. I). gpiHSQNJAN «WsirrimoN ÀUG * iì li» — 4 — Il livello statico dell’ acqua, che varia con la fluttuazione della marea, si trova a cinque metri dal piano di calpestio e corrisponde all’incirca al livello del mare. L’acqua, caldissima, che è sollevata a mezzo di una pompa som¬ mersa, viene adoperata localmente come acqua da bagno, in modo saltuario e servendosi di mezzi di fortuna e di attrezzature rudimen¬ tali. Non esiste cioè a tutt’oggi una conveniente sistemazione di que¬ ste sorgive per tutto quanto ha attinenza con la loro destinazione a scopo idroterapico. Nè di queste acque si conoscono le caratteristiche chimiche e chimico-fìsiche, e di loro non è fatta menzione dai diversi studiosi che, in passato, hanno descritto i caratteri delle sorgenti termali dell’isola d’Isehia, dai quali sono invece rammentate quelle viciniori della spiaggia dei Maronti, di Olmitello e del Vallone di Cava Scura, che si trovano tutte a levante di Sant’Angelo (1). Avendo l’attuale proprietario, sig. Lucio Poerio, incaricato l’Isti¬ tuto di Chimica industriale di questa Università, di eseguire gli esami analitici e tutte le altre rilevazioni d’uso atte a definire la fisionomia di quell’ acqua termale, nel mese di luglio dell’ anno 1958 ci siamo recati sul posto, a più riprese, ed abbiamo proceduto al cam¬ pionamento dell’acqua al pozzetto di raccolta, nonché alla esecuzione dei saggi alla sorgente. I risultati delle indagini da noi eseguite sono riportati nelle ta¬ belle da 1 a 7 e nella figura 2. (1) W. Fkenkel. Ischia : l'isola e le sue sorgenti termali . Torre del Greeo, 1929. — V. Morgera. Le terme delVisola d’Ischia. Napoli. 1890. — M. Denozza. Analisi dell’ acqua di Cava Scura. Atti Ist. Incoragg. s. 6a, 59, Napoli, 1907. — F. Lancellotti. Analisi delle acque di Barano d'Ischia. Napoli, 1835. — V. Vetere. Analisi chimica dell’acqua minerale della sorgente Olmitello, in Barano d’Ischia. Atti 11° Congr. region. Assoc. med. Idrologia, climatologia e te¬ rapia fisica, Napoli, 1927. — G. D’Erasmo e M. L. Benassai Sgadari. Bibliografia geologica d'Italia, voi . Ili, (Campania). Napoli, 1958. o Fig. 2. — Rappresentazione grafica dei risultati analitici di cui alla tabella 7. TABELLA 1 Caratteri generali. L’acqua è limpida, incolore, inodore ed accusa il sapore caratteristico delle acque salse. Ha reazione alcalina se saggiata con la cartina al tornasole. TABELLA 2 Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo fisso a 110°C . . 9,2985 gr/lt. 2) » » » 180°C 9,2536 » » 3) Ammoniaca (NH3) . assente 4) Nitriti (N203) . presenti 5) Nitrati (N205) . presenti 6) Idrogeno solforato (H2S) . assente 7) Durezza totale . . . . 57,42° Francesi 8) » temporanea . 16,30° » 9) » permanente . 41,12° » 10) Alcalinità (CaC03) . 0,1612 gr/lt. 11) Anidride carbonica libera (C02) . assente — 6 — TABELLA 3 Determinazioni chimico- fisiche. 1) Temperatura dell’acqua alla sorgente (ore 13 del 21/7/1958) . . . 65°C 2) Temperatura esterna: (ore 13 del 21/7/1958) . 28°C 3) Densità (20°/20°) . 1,0076 4) Abbassamento crioscopico .... . — 0.53°C 5) Pressione osmotica . 6,38 atm. 6) p H (a 18°C) . 7,96 7) Conduttività (a 25°C) . 1,325.10 2 TABELLA 4 Radioattività . 4,57 unità Mache TABELLA 5 Gas disciolti. (in un litro d’acqua alla temperatura della sorgente e ridotti a 0° e 760 inm Hg) 1) Ossigeno . 2,87 cc 2) Azoto 4- gas rari . 7,85 » 10,72 cc TABELLA 6 Composizione chimica 1) Titolo di silice (SiO„) . 0,0516 gr/lt. 2) » » sesquiossido di ferro (Fe20g) . 0,0054 » » 3) » » tctrossido di manganese (Mng04) . 0,00027 » » 4) » » calce (CaO) . 0,0657 » » 5) » » magnesia (MgO) . 0,1841 » » 6) » » ossido di stronzio (SrO) . 0.00017 » » 7) » » ossido di sodio (Na20) . 4,2810 » » 8) » » ossido di potassio (K20) . 0,1510 » » 9) » » anidride solforica (SOg) . 0,8393 » » 10) » » anidride nitrica (N2CL) . 0,0059 » » 11) » » anidride carbonica semicombinata (C02) . 0,0708 » » 12) » » cloruri (Cl) . 4,5510 » » 13) » » fluoruri (F) . 0,0240 » » 14) » » bromuri (Br) . 0,0157 » » 15) » » ioduri (1) . . 0,00016 » » 16) » » acido borico (HgB03) . 0,0150 » » Non si sono ricercate le tracce di altri elementi eventualmente presenti. I tabella 7 Rappresentazione dei risultati analitici. ] Componenti gr/litro Millimoli/lt. Millivalenze/litro (ioni) cationi anioni Fe+ + 0,0038 0,0675 0,1350 Mn++ 0,0002 0,0036 0,0072 Ca++ 0,0469 1,1710 2,3420 Mg++ 0,1110 4,5655 9,1310 Sr+ + 0,00014 0,0016 0,0032 Na+ 3,1760 138,1500 138,1500 K+ 0,1240 3,1850 3,1850 152,9534 ci - 4,5510 128,4210 128,4210 S°4~“ 1,0075 10,4852 20,9705 HCO/~ 0,1967 3,2230 3,2230 N0,“ 0,0068 0,1106 0,1106 Br“ 0,0157 0,1960 0,1960 1“ 0,00016 0,0012 0,0012 F" 0,0240 1,2630 1,2630 154,1853 I risultati dei quali si è dato conto nelle tabelle che precedono sono stati ottenuti con gli ordinari metodi della chimica analitica. Indichiamo tuttavia che il dosaggio del fluoro lo si è eseguito con il metodo colorimetrico di Sanchis, modificato da Scott (2); quello dell’acido borico: sia per via ponderale, passando attraverso il borato di metile, sia per via volumetrica, seguendo le indicazioni fornite da R. Nasini e C. Porlezza (3). (2) Standard Methods for thè examination of water and sewage. Amer. Public Health Assoc. New York. 1946. (3) Gazz. Chim. Ital., voi. 43, pag. 244 (1913). — 8 — Lo stronzio e gli alcali sono stati dosati spettrofotometricamente mediante spettrofotometro di Beckmann. Riferiamo in fine che per poter dosare lo iodio è stato necessario partire da ben venti litri di acqua e separare per cristallizzazione fra¬ zionata la più gran parte del cloruro sodico. Per le misure di radioattività ci siamo serviti sia del fontacto- scopio della Giinther e Tegetmejer, sia dell’ elettrometro bifilare di Wulf. Si noti la spiccata alcalinità dell’acqua, che è giustificata dalla assenza di anidride carbonica libera; il notevole contenuto di fluoruri: 24 p.p.m. di F, contro 1,3 -f- 1,4 p.p.m. che spetta all’acqua di ma¬ re (4); la presenza di nitrati in quantità decisamente dosabili. Riteniamo dover sottolineare che la presenza di sensibili quantità di nitrati sembra normale per le acque minerali di Ischia. Il prof. B. Visintin, dell’Istituto Superiore di Sanità, in talune relazioni pubblicate recentemente (5) intorno alle caratteristiche chi¬ miche e chimico-fisiche delle acque della fonte nuovissima di Santa Restituta (Lacco Ameno) e di quelle delle Tenne Manzi (Casamic- ciola), trova, rispettivamente: gi\ 0,0037 e gr. 0,00405 di NQ3“ per litro di acqua. Precedentemente, nelle acque del Gurgitello (Casamiceiola), il prof. À. Oglialoro ed i suoi collaboratorio O. Forte e A. Gabella (6) avevano constatato gr. 0,025 per litro; ed il prof. O. Rebuffat (7), per le acque denominate Fornello e Fontana, a Porto d’Ischia, tro¬ vava rispettivamente gr. 0,0011, gr. 0,0024 di N205 per litro d’acqua. Resta pertanto tuttora da chiarire come codesti composti azotati pervengano nelle acque in questione perchè, data l’alta temperatura e le opere di protezione che almeno per talune di dette sorgenti deb¬ bono risultare efficienti ai fini di un eventuale inquinamento, non sembra da ritenersi probabile una loro origine organico-biologica. L’acqua da noi esaminata, come del resto tutte le acque termali di Ischia, è un’acqua salsa, clorurata, bicarbonato-sodica. La presenza (4) H. W. Harvey. The Chemisiry and Fertility of Sea Water. Cambridge, 1957. (5) Collana scientifica del Centro studi e ricerche delle Terme radioattive Regina Isabella e Santa Restituta, in Lacco Ameno, N.ri 4 e 5. Ediz. Centro Studi Lacco Ameno, 1956 e 1957. (6) Alti R. Acc. Se. Fis. e Mat., s. 2a, voi. 9, n° 7, Napoli, 1898. (7) Acque delle Terme di Fornello e Fontana , in Porto d’hckia. Napoli, 1900. Boll. Soc. Nat . in Napoli, 1959. Lambertini D. e Sersale R. Relaz., acqua «. Lo Grado » ecc. Tav. I. $0 2 ó era £ magra ^, /aSarcAett» /a/?q/s j. Arge/o Ange/o F.° 183, IL S.E. della Garta d’Italia a cura dell’Ist. Geograf. Milit., scala di 1 :25.000. Riproduzione parziale con riduzione. — Nel rettangolo in nero la località « Lo Grado ». Parete tufacea sovrastante la spiaggetta di « Lo Grado ». — 9 — dei costituenti minori: ad esempio: il bromo, lo iodio, lo stronzio, l’acido borico, tanto per riferirsi ai costituenti che abbiamo dosato, indica come con ogni probabilità esse derivino dalla miscela, in vario rapporto, di acqua marina e di acque sotterranee, dolci, caldissime. La partecipazione delle acque meteoriche filtranti attraverso il sotto¬ suolo, non può essere che scarsa perchè modesta è l’entità media delle precipitazioni sull’isola. Gli indici di clorinità dei singoli costituenti il residuo solido (i principali), intesi come rapporti, ad esempio: Na/Cl, K/Cl, Ca/Cl, Mg/Cl, HCO3/CI, SO4/CI, confrontati con gli stessi rapporti riportati dalla letteratura per l’acqua di mare (8), ci indicano (tab. 8) che per l’acqua esaminata i rapporti: S04/C1, Na/Cl, HC03/C1 e K/Cl sono più alti di quelli che competono all’acqua marina, mentre le diffe¬ renze per gli altri due rapporti sono lievi. Più accentuata quella del magnesio, che risulta nettamente negativa. TABELLA 8 ! Na/C' K CI Caci Mg/Cl HCOs/Cl so ,/Cl 4 Acqua di mare 0,55 0,019 0,022 0,067 0,007 0,14 Acqua «Lo Grado» 1 0,69 0,027 0,016 0,024 1 0,043 0,22 Sembra pertanto lecito di ritenere che l’acqua esaminata derivi dalla miscela di acqua marina con acqua bicarbonato-solfato-sodica. Sono quindi le acque profonde (juvenili?) che mescolandosi in vari rapporti all’acqua marina infiltratasi attraverso rocce permea¬ bili, spaccature o comunque qualsivoglia altra soluzione di continuità, danno origine alle acque termali ischitane. Qualche diversità nella composizione del vapore endogeno, op¬ pure nelle rocce incassanti e, in definitiva, nell’acqua sotterranea, profonda, caldissima, nonché il differente rapporto di miscela fra l’acqua marina e codesta acqua sotterranea, sono i due parametri che delineano la fisionomia d’assieme comune a queste acque e ne giu¬ stificano le diversità di dettaglio. Napoli , Istituto di Chimica industriale dell’ Università, gennaio 1959. (8) H. W. IIaryey. L. c. Relazione sull’ esame dell’ acqua della sorgente “ La Marchesa „ in Comune di Mercogliano (Avellino) Nota del socio DIANA LAMBERTINI e del doti. GIOSAFATTE MONDELLI (Tornata del dì 30 gennaio 1959) La sorgente denominata « La Marchesa » è ubicata in una piccola valle solcata dal fosso chiamato localmente: « Fenestrelle », e dista circa un centinaio di metri dalla strada nazionale delle Puglie (via Appia). Si raggiunge oggi agevolmente percorrendo un viottolo che si di¬ parte alPincirca dal km 79 della su detta strada nazionale (fìg. 1), a destra, procedendo verso il capoluogo (Avellino) che dalla devia¬ zione su indicata dista appena due chilometri. Appunto nella vailetta (fig. 2), sgorga perenne l’acqua della quale siamo stati chiamati a rilevare le caratteristiche chimiche e chimico-fisiche. La configurazione geologica della zona è caratterizzata dalla coe¬ sistenza dei calcari cretacici con i materiali quaternari, di riporto, provenienti dall’attività eruttiva dei vulcani sia del gruppo flegreo sia del Somma Vesuvio e di Roccamonfina. L’opera di presa è già costruita (fig. 2): in pratica, le polle che Fig. 2. costituiscono la sorgente sono state isolate e circoscritte in una vasca di muratura protetta a sua volta a mezzo di un edilìzio parimente di muratura. Dalla prima, l’acqua sfiora in uno seconda vasca più grande, maio¬ licata internamente. Oppure fuoriesce all’esterno per mezzo di uno scarico munito di saracinesca. La sorgente ha una notevole portata, tanto che bastano pochi minuti per riempire entrambe le vasche, il cui volume complessivo si aggira sui 5 m3. Non abbiamo avuto modo di misurare nè la portata uè le sue flut¬ tuazioni stagionali. Su richiesta del concessionario sig. Capone Alfredo, il 13 Giugno dell’anno passato 1958, uno di noi si è recato sul posto, ed alla pre¬ senza dei sigg. : Gallo dr. Gennaro, medico provinciale di Avellino, e del prof. M. Mazzeo, titolare della cattedra di Igiene dell’Uni- — 12 — versila di Napoli, ha proceduto al prelievo dei campioni per gli esami analitici di laboratorio, nonché ai saggi d’uso che debbono effettuarsi alla sorgente. I risultati delle indagini espletate sono riportati nelle tabelle che seguono. Essi sono stati ricavati mediante i metodi usuali. TABELLA 1. Caratteri generali. L’acqua è inodora ed insapora, perfettamente limpida ed incolora. TABELLA 2. Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo fisso a 110°C . 0,3479 gr/lt 2) » » » 180°C . 0,3443 » » 3) Ammoniaca (NI13) . assente 4) Nitriti (N203) . assenti 5) Nitrati (N20.) . . 0,0172 gr/lt 6) Idrogeno solforato (H2S) . . ... assente 7) Ossigeno consumato in soluzione acida (Kiibel) . 0,00041 gr/lt 8) Durezza totale . 20,30° Francesi 9) » temporanea . 17,80° » 10) » permanente . 2,50° » 11) Alcalinità (CaC03) . . . 0,1996 gr/lt 12) Anidride carbonica libera (C02) . . 0.0170 » » TABELLA 3. Determinazioni chimico- fisiche. 1) Temperatura dell’acqua alla sorgente: (29/4/1958, ore 11,30). 11,5° C 2) Temperatura esterna : (29/4/1958, ore 11,30) . 12° C 3) Densità (18°C/18°C) . . 1.0005 4) Abbassamento crioscopico . — 0,040° C 5) Pressione osmotica . 0,48 atm. 6) pH (a I8°C) . 6,9 7) Conduttività (a 18°C) . 5,96.10 4 TABELLA 4. Gas disciolti. (in un litro d’acqua alla temperatura della sorgente e ridotti a 0°C e 760 min Hg) 1) Anidride carbonica . 8,66 cin3 2) Ossigeno . 3,73 » 3) Azoto + gas rari . . 15.38 » 27,77 cm3 — 13 — TABELLA 5. Composizione chimica. 1) Titolo di silice (Si09) . 0,0447 gr/lt 2) » » sesquiossido di ferro (Fe203) . . . ... . . . tracce 3) » » calce (CaO) ' . . . 0,1016 gr/lt 4) » » magnesia (MgO) . 0,0111 » » |5) » » ossido di sodio (Na20) . .... 0,0270 » » j6) » » ossido di potassio (K90) . 0,0222 » » |7) » » anidride solforica (S03) . . . . . . 0,0181 » » 8) » » anidride nitrica (N20„) . 0,0172 » » 9) » » cloro (Cl) . 0,0212 » » IjD) » » anidride carbonica semicombinata (CO ) . 0,0874 » » TABELLA 6. Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti gr/litro Millimoli/ Millivalenze/litro (ioni) litro cationi anioni Ca++ 0,0726 1,81 3,62 Mg+ + 0,0054 0,22 0.44 Na+ 0,0193 0,84 0,84 K+ 0,0183 0,47 0,47 Cl^ 0,0212 0,60 5,37 0,60 so4^ ~ 0,0181 0,23 0,46 HCO- 0,2424 3,97 3,97 NO,“ 0,0199 0,32 0,32 5,35 — 14 — Fig. 3, — Rappresentazione grafica dei risultati analitici di cui alla tabella 6. TABELLA 7. Classificazione Marotta e Sica. Acqua . medio minerale . fredda. La composizione dell’acqua esaminata è abbastanza vicina a quel¬ la dell’acqua del Serino, salvo un leggero aumento della salinità (residuo). Si tratta, in breve, di un’acqua non molto dura, che è risultata batteriologicamente pura, abbondante, e pertanto ottima per la de¬ stinazione come bibita. Napoli, Istituto di Chimica industriale delV Università, gennaio 1959. Misure di intorbidamento atmosferico mediante l’apparecchio dell’ Owens Nota del socio PIO VITTOZZI (Tornata del dì 30 gennaio 1959) In diverse circostanze ho dovuto eseguire, per incarichi ricevuti, misure di pulviscolo e mi sono servito all’uopo dell’apparecchio del- l’ Owens, assai consigliabile per misure del genere, perchè oltre alla grande facilità d’impiego e di trasporto, ha il vantaggio di fornire dati confrontabili con quelli raccolti non solo in altre città italiane, ma anche in altri Paesi. Sebbene le misure sono state da me eseguite, in generale, quasi sempre in circostanze del tutto particolari e non possono quindi for¬ nire un indice elimatologico, ho tuttavia ritenuto opportuno scrivere questa nota per descrivere i particolari criteri ed accorgimenti speri¬ mentali da me adottati. L’apparecchio poggia sul seguente principio: Un volume noto di aria (50 cm.'!) viene aspirato mediante una pompa P (vedi fig. 1) e passa innanzitutto attraverso ad un cilindro C internamente rivestito di carta bibula umettata (camera di umidifi¬ cazione). Aumenta in generale in tal modo la tensione del vapore contenuto nell’aria aspirata. Nel fondo di questo cilindro è praticata, secondo un diametro di esso, una stretta fenditura, attraverso la qua¬ le Paria passa. Di fronte alla fenditura, ad 1 mm. di distanza da essa, si colloca un sottile vetrino circolare e, tra la base del cilindro nella quale è praticata la fenditura ed il vetrino, resta delimitata una ca¬ mera di espansione di 1 mm. di altezza e di 10 mm. di diametro. Sic¬ ché l’aria, subito dopo aver attraversato la fenditura, subisce una espansione rapida e quindi adiabatica, con conseguente raffreddamen¬ to ed abbassamento della tensione di saturazione del vapore. Tenen¬ do anche conto del fatto che la tensine di saturazione, a . parità di temperatura, risulta più bassa a contatto con la superficie di even- — 16 — luali concavità dei granuli, si può ammettere che attorno ad ogni granulo si forma una gocciolina d’acqua. A questo punto bisogna considerare che, a causa della massa di¬ versa delle goccioline rispetto alle molecole gassose dell’aria, le pri¬ me dopo la fenditura seguiranno pha traiettoria pressocchè rettilinea ed andranno ad urtare pontro il vetrino al quale aderiranno; le mo¬ lecole gassose vicevèrsa seguiranno traiettorie quasi ad angolo retto rispetto alla direzione di provenienza e, aggirando il vetrino, andran¬ no verso la pompa. Cessata la fase di aspirazione, la pressione e la Fig. 1. temperatura nella camera di espansione risaliranno provocando l’e¬ vaporazione delle goccioline sulla superficie del vetrino, sul quale resteranno attaccati solo i granuli di pulviscolo. Il vetrino, estratto allora dall’apparecchio, è pronto per essere esaminato al microscopio. Vediamo ora gli accorgimenti da seguire nelle misure: I) — Prima di introdurre il vetrino nell’interno dell’apparec¬ chio per effettuare la misura, occorre bagnare la carta bibula della camera di umidificazione ed effettuare alcune aspirazioni lasciando alla fine il pistone spinto in dentro, in modo da esser sicuri che il cilindro contenga l’aria da esaminare; II) — 'Nelle aspirazioni occorre tirare indietro lo stantuffo vi¬ gorosamente e decisamente allo scopo di conferire alla corrente d’a¬ ria che penetra attraverso la fenditura una conveniente velocità, dal¬ la quale ovviamente dipende la traiettoria delle goccioline; III) — - Far trascorrere circa 15® «di -tempo tra una aspirazione e la successiva per permettere all’aria di umidificarsi nella camera di umidificazione; — 17 - IV) — Aver cura di regolare il volume di aria aspirata e quin¬ di il numero di aspirazioni a seconda della maggiore o minore pol¬ verosità dell’ambiente in cui si esperimenta. Se difatti l’ambiente è molto polveroso (cementifici) basta una sola aspirazione; diversa- mente sul vetrino si avrà una grande sovrapposizione di granuli e nel- l’effettuare il conteggio al microscopio si avranno valori errati per di¬ fetto. Se viceversa l’ambiente è scarsamente polveroso sarà opportu¬ no effettuare almeno 4 o 5 aspirazioni, altrimenti sarà molto diffi¬ cile rintracciare il deposito al microscopio; V) — Particolare cura va posta per impedire che il vetrino, fino a quando non venga esaminato, possa venire a contatto con qual¬ siasi corpo che possa asportare parte del pulviscolo o che esso sia tenuto all’aperto in modo che polvere dell’ambiente si depositi su di esso. All’uopo è opportuno procedere nel modo seguente: Si pren¬ da (Vedi fig. 2) un comune vetro portaoggetti da microscopio e su di esso si incolli un anello metallico del diametro del vetrino dello Owens; sull’anello si incolli il vetrino, avendo cura, perchè sia più agevole poi l’esame al microscopio, che il deposito che, grosso modo, riproduce nella forma la fenditura, sia disposto parallelamente al lato maggiore del vetro portaoggetti e dalla parte interna; VI) — Per l’esame microscopico, data la natura e le dimen¬ sioni dei depositi, va usato il sistema di osservazione in luce diffratta (sistema di illuminazione ultramicroscopica) (1). In tal caso, com’è noto, si osserveranno i granuli come punti brillanti su fondo scuro. Dall’esame microscopico dei depositi si può desumere, oltre la natura, le dimensioni dei granuli ed il numero di essi contenuto nel¬ l’unità di volume di aria. In casi particolari in cui il deposito si pos¬ sa ritenere prevalentemente omogenea, introducendo una probabile densità, si può risalire all’ordine di grandezza della massa contenuta nell’unit’ di volume. (1) Ringrazio il Dott. Luigi Accardi che nelle prime osservazioni mi suggerì 1 idea e curò la costruzione del classico tronco di paraboloide speculare che si adopera in casi simili adattandolo al microscopio al posto del normale condensatore. — 18 — Per la determinazione del diametro occorre disporre di un ocula¬ re fornito di micrometro reticolare con quadratini di lato noto e di un cc coordinatometro » (ad esempio il tavolinetto traslatore Galilei) adattato al piano portaoggetti, che misura gli spostamenti del pre¬ parato in due direzioni ortogonali. Osservando allora il deposito, tra i tanti punti brillanti ce ne sarà sempre qualcuno che risulti tangente ad uno dei lati dei quadratini del micrometro; seguendo allora quel punto ossia quel granulo, si farà scorrere il vetro portaoggetti fino a quando il lato del quadratino risulterà ancora tangente ma nell’al¬ tra estremità del diametro del granulo; si continuerà lo scorrimento relativamente ad un altro granulo che si trovi nelle stesse condizioni iniziali e così via. Lo spostamento totale diviso per il numero dei granuli osservati darà il valore del diametro medio con tanta mag¬ giore approssimazione quanto maggiore sarà stato il numero dei gra¬ nuli osservati. Per la determinazione del numero di granuli contenuti nella uni¬ tà di voiume di aria, si procederà nel modo seguente: Disposto il deposito, che, come si è detto, riproduce all’incirca nella forma la fenditura, col lato lungo parallelo ad uno degli assi, diciamo X, del coordinatometro, si ruota il micrometro in modo che i lati dei suoi quadratini siano a due a due paralleli o normali ai lati del perimetro del deposito. Fissata poi una striscia del micrometro (è più comoda quella centrale) coi lati normali all’asse X del coordinatometro, si fa scorrere da un estremo all’altro tutto il deposito per tutta la sua lun¬ ghezza cominciando e terminando con lo stesso lato della striscia pre¬ scelta. Dalla differenza Ax delle due letture xx ed x2 al coordinatome¬ tro avremo l’esatta lunghezza in min. del deposito. Fissando poi con l’occhio un punto brillante lo faremo scorrere da un estremo all’altro del micrometro e dividendo lo scorrimento per il numero di strisce contenute nel micrometro stesso, si saprà quanti mm. del deposito sono compresi in una striscia che chiameremo « campo ». Dividendo infine la lunghezza in mm. del deposito per la lunghezza in mm. del (( campo » si saprà quanti campi sono contenuti nel deposito. Si dovranno ora pazientemente ed attentamente contare tutti i granuli contenuti in un campo e ciò in più punti del deposito, effet¬ tuando ad esempio 5 conteggi, opportunamente distanziati, alcuni verso le estremità, altri nelle zone centrali. Si conoscerà così il nu¬ mero medio di granuli per ogni campo e quindi quello di tutto il deposito, ossia in definitiva quello dei granuli contenuti nel volume aspirato. 19 — Col descritto apparecchio e eoo gli accorgimenti di cui si è par¬ lato furono da me effettuate le seguenti osservazioni, di cui accenno ai risultati: I) — Nell’interno dello Stabilimento « ILVA » (Alti forni e acciaierie) di Bagnoli (Napoli). Furono prelevati, in punti diversi dello stabilimento, complessi¬ vamente N°. 19 campioni di aria. I prelievi furono effettuati in due giornate differenti della III decade di settembre 1953 (26 e 28), nel¬ le ore pomeridiane tra le 15h e le 18h 30m circa la prima volta e tra le 15h e le 17h la seconda volta; in entrambe le giornate di osserva¬ zione il vento spirava da WSW ed era debole il primo giorno, rego¬ lare il secondo. Furono per ogni osservazione aspirati 200 cm.3 di aria (4 aspirazioni). Ai numeri ottenuti dalle analisi (numero di granuli di pulviscolo per cm.3 di aria), per poterli rendere tra loro paragonabili, era ne¬ cessario apportare le opportune correzioni per tener conto della va¬ riazione giornaliera del contenuto di pulviscolo delFatmosfera, es¬ sendo state effettuate le osservazioni in ore differenti sebbene di po¬ co, e delle eventuali variazioni dall’ima all’altra giornata di osserva¬ zione. All’uopo si assunse una stazione di riferimento per la quale furono eseguite osservazioni all’inizio e alla fine delle due serie di osservazioni. Ritenendo — come d’altro canto è logico ammettere, tenuto conto della zona relativamente ristretta in cui erano dislocate le varie sta¬ zioni e del relativamente piccolo intervallo di tempo durante il quale furono effettuate le varie osservazioni di una stessa giornata — che la vaziazione diurna abbia presentato un andamento lineare nel corso delle osservazioni e che la variazione dall’una all’altra giornata di osservazione abbia influenzato nello stesso modo tutte le stazioni, si considerò uguale sempre a 100 per semplicità il valore dedotto per la stazione di riferimento indipendentemente dalla giornata e dall’istan¬ te di osservazione, deducendo conseguentemente i numeri indice del¬ l’intorbidamento per le altre stazioni. In tal modo, rendendosi indipendenti dalle variazioni diurne e da giorno a giorno i numeri ottenuti potettero assumersi quali indici dell’intorbidamento atmosferico della particolare stazione presa vol¬ ta a volta in considerazione. La zona nell’ambito della quale si scelse la stazione di riferi¬ mento era quella in cui precumibilmente — e come poi le osserva- — 20 — zioni confermarono — l’intorbidamento poteva ritenersi minimo ri¬ spetto a quello delle altre stazioni in esame, per le quali fu dedotto un intorbidamento fino a oltre 17 volte (indice 1716) quelio della sta¬ zione di riferimento. A titolo di orientamento si precisa che le varie osservazioni effettuate alla stazione di riferimento nelle due giornate all’inizio ed alla fine di tutte le altre osservazioni presentarono uno scarto massimo del 15% sul valore medio che risultò di 18 granuli/cm3. In data 3 novembre 1953 furono effettuate nella stessa zona altre misure di intorbidamento atmosferico, tra le 15h 30m e le 16h 45m: i! vento spirava da SSW. Furono effettuate osservazioni sia nella stazione assunta come riferimento nelle precedenti misure (all inizio ed alla fine delle osser¬ vazioni) sia altrove. Esaminati però i vetrini al microscopio, quelli relativi alla sta¬ zione d riferimento fornirono un numero di granuli considerevol¬ mente aumentato (circa 27 volte) rispetto ai valori precedentemente ottenuti: una tale deduzione potrebbe essere una conseguenza delle mutate condizioni in relazione all’entrata in funzione di alcuni re¬ parti di una nuova cementeria ubicata nelle vicinanze (La cc Cemen- tir »), circostanza della quale si ebbe notizia dopo l’effettuazione del¬ le misure. Stando così le cose non era possibile riferire i dati ricavati alla stazione base e sarebbe stato necessario effettuare misure anche in qualche altra delle stazioni precedenti che si potesse ritenere non influenzata dal funzionamento della cementeria. in ogni modo, dato il cospicuo aumento del dato relativo alla stazione base, supponendo che le altre eventuali cause di variazione (direzione del vento, correnti ecc...) potessero ritenersi trascurabili nel confronti di quella che poteva pensarsi la principale e cioè il fun¬ zionamento della cementeria, fu considerato sempre uguale a 100 il numero che, con queste ipotesi, si poteva presumere che si sarebbe ottenuto per la stazione base prescindendo dalla nuova causa di in¬ torbidamento. Per ottenere poi un dato puramente indicativo di un ordine di grandezza per la massa di pulviscolo contenuta nell’unità di volume di aria, accettando il valore medio, determinato al microscopio, di 5 micron per il diametro dei granuli e una densità variabile tra 1,5 e 2,5 per le varie sostanze costituenti i granuli, si dedusse che nelle con¬ dizioni più sfavorevoli (densità 2,5 e numero di granuli eguale al nu- — 21 mero massimo determinato nelle varie osservazioni e cioè 315 gra¬ nuli/cm.3), la massa superava di poco i 50 mgm/cm.3. II) — Altre osservazioni furono poi da me effettuate con lo stesso apparecchio e lo stesso metodo nel settembre 1954 e nel mar¬ zo 1956 per conto della « CEMENTIR » (Cernente rie del Tirreno), che come si è accennato era da poco entrata in funzione nella zona di Bagnoli (Napoli). Erano sorte da tutte le parti proteste circa l’aumento del conte¬ nuto di polveri nell’aria delle zone circostanti e nel settembre del 1954 si trattò appunto di prelevare numerosi campioni sia nell’interno sia all’esterno dello Stabilimento spingendosi fino al Parco della Rimem¬ branza, al Mausoleo di Posillipo, al Palazzo Donn’Annat Si comprese, in seguito alle misure, la necessità dell’uso di par¬ ticolari filtri elettrostatici da applicarsi ai camini della Cementeria. Dopo la installazione dei detti filtri si procedette ad ulteriori misure nel marzo 1956 e l’influenza di essi risultò netta. Ili) — Nel dicembre 1956, nominato perito in una causa, do¬ vetti confrontare l’intorbidamento atmosferico della zona Mercato di Napoli (precisamente Vico Spigoli al Mercato) e quello della zona di Via Caracciolo (precisamente nei pressi del palazzo segnato col numero civico 10). La giornata scelta (11 dicembre 1956) era particolarmente adat¬ ta per osservazioni del genere, in quanto ii cielo era del tutto sereno ed assente il vento. Le osservazioni nelle due zone furono effettuate successivamente nella stessa giornata, nonché con i medesimi criteri, in modo da poter ritenere confrontabili i risultati. Nelle osservazioni della zona Mercato furono effettuate 5 aspira¬ zioni (250 cm.3) per ogni prelievo; in quelle di Via Caracciolo, 7 aspirazioni (350 cm.3). Si ebbero i seguenti risultali: Prelievo N. 1 effettuato da un balcone che dava su Piazza Mer¬ cato: 82 granuli/cm.3; Prelievo N. 2 effettuato da un terrazzo, della stessa abitazione, clic dava sul Vico Spigoli: 186 granuli/cm.3; Prelievo N. 3 effettuato in Piazza Mercato, sulla strada, nei pres¬ si del numero civico 99: 249 granuli/cm.3; — 22 Prelievo N. 4 effettuato in Via Caracciolo, sulla strada, nei pres¬ si dell’ingresso del palazzo segnato col numero civico 10: 75 gra¬ mi li/cm.3; Prelievo N. 5 effettuato da un balcone che dava su Via Carac¬ ciolo: 81 granuli/cm.3; Prelievo N. 6 effettuato da una finestra della stessa abitazione, la più lontana da Via Caracciolo e prospiciente la Piazza Sannazaro: 130 granuli/cm.3. Ora bisogna tener presente che mentre il prelievo N. 1 fu effet¬ tuato col cilindro di aspirazione delPapparecchio con asse parallelo all’allineamento delle principali sorgenti di pulviscolo della zona di Piazza Mercato (camini di opifici, stabilimenti ecc...), i prelievi N. 2 e N. 3 furono effettuati in direzione normale alla precedente, ossia proprio nella direzione di una eventuale corrente di polveri diretta dalle sorgenti verso la zona esaminata. Per questi motivi il risultato dell’esame del prelievo N. 1 è da ritenersi un minimo relativo ed il risultato dell’esame del prelievo N. 2 è da ritenersi un massimo re¬ lativo nei riguardi del contenuto di pulviscolo nell’aria della zona ad una certa altezza dal suolo. In ogni modo il valore medio dei due prelievi n. 1 e N. 2 è di 134 granuli/cm.3. Il risultato poi dell’esame del prelievo N. 3 è da intendersi qua¬ le massimo relativo per tutta la zona di Piazza Mercato e risulta mag¬ giore di quello del prelievo N. 2, pur essendo stati effettuati i due prelievi nelle medesime condizioni di orientamento del tubo di aspi¬ razione, ovviamente perchè il prelievo N. 3 fu effettuato sulla strada. Sicché un massimo relativo per la zona può ritenersi 249 granuli/cm.3, mentre la media risulta di 172 granuli/cm.3. I risultati delle analisi dei prelievi N. 4 e N. 5 sono pressocchè concordanti: rispettivamente 75 ed 81 granuli/cm.3 e, poiché i due prelievi sono stati effettuati nelle medesime condizioni e con la stessa orientazione del tubo aspiratore, fanno concludere che a Via Carac¬ ciolo tra il campione prelevato sulla strada e quello prelevato dal balcone non c’è quasi alcuna differenza. Risultato diverso si è avuto invece dall’analisi del prelievo N. 6; si sono ottenuti per questo prelievo 130 granuli/cm.3, numero che sta nel rapporto 1,7 col prelievo N. 4 e 1,6 col prelievo N. 5. Il prelie¬ vo N. 6 fu infatti effettuato da una finestra dell’abitazione la più lon¬ tana da Via Caracciolo e col tubo di aspirazione dell’apparecchio del- — 23 — l’ Owens rivolto verso la Piazza Sannazaro col vicino Tunnel della La¬ ziale. Pertanto il risultato del prelievo N. 6 è da ritenersi un massimo relativo per questa seconda zona. Come si vede l’cc Owens’s Apparatus for Dust Examination » può riuscire utile e fornire indicazioni assai importanti in molte circo¬ stanze. E’ ovvio poi che, a prescindere dai descritti usi occasionali, rie¬ sce molto interessante effettuare col detto apparecchio lo studio del- 1 ’intorbidamento dell’aria di una più o meno estesa zona con nume¬ rose misure più volte ripetute nelle stesse stazioni opportunamente disposte e scaglionate nella zona in relazione alle diverse ore del gior¬ no, alle diverse quote sul livello del mare ed alle direzioni dei venti. Ciò fornirebbe un interessante indice climatologico della zona esa¬ minata. Napoli, Istituto di Fisica Terrestre, gennaio 1959. BIBLIOGRAFIA 1) E. Grosso e F. Vivoli. Ricerche sulF inquinamento pulviscolare dell'atmosfera di un centro urbano in rapporto con un cementificio. « L’Igiene Moderna », 1953. 2) Atti del Convegno sulFinquinamento dell’atmosfera a Milano e nelle grandi città tenuto presso il Polit. di Milano il 28-29 giugno 1953. « La Termotec¬ nica », N. 1, gennaio 1954. 3) Atmospheric contamination and purification. Reprinted froin « Industriai and Engineering Chemistry », novembre 1949. Ricerca cromatografica di taluni antifermentativi nei vini Nota del socio GIUSEPPE ROMANO e della dott. FULVIA C ATTAPINICI! (Tornata del dì 27 marzo 1959 ; Parte introduttiva I metodi di conservazione degli alimenti attualmente impiegati dall’industria si possono suddividere, grosso modo, in due gruppi, comprendendo nel primo quelli la cui azione è rivolta ad impedire lo sviluppo di microrganismi già presenti nel prodotto (azione del freddo, essiccamento, concentrazione, mezzi fisici, mezzi chimici, mezzi chimico-biologici), nel secondo quelli la cui azione deve ten¬ dere, oltre che a distruggere i microrganismi presenti, ad evitare reinquinamenti (azione del calore, dell’elettricità, della disintegra¬ zione atomica). Tra i vari metodi citati, quello dell’uso degli antifermentativi chimici è il più soggetto a critiche in quanto viene considerato, per lo più, come una forma parassitaria dell’Industria non solo per la tossicità dei prodotti usati, ma specialmente perchè favorisce lavo¬ razioni meno accurate, permettendo, talvolta, di impiegare a scopo alimentare prodotti di scarto o alterati, che altrimenti non verreb¬ bero utilizzati. In vista di ciò la legislazione italiana vieta espressamente Toso di queste sostanze, facendo eccezione per la sola anidride solforosa (purché non superi i 350 mg/Kg di prodotto) ed alcuni suoi sali. Ciononostante operatori poco scrupolosi ricorrono fraudolente- mente all’impiego di additivi fidando sulla difficoltà del loro riconosci¬ mento negli alimenti incriminati. Da ciò scaturisce la necessità di met¬ tere a punto procedimenti sempre più sensibili e sufficientemente ra¬ pidi in relazione alle necessità pratiche, atti a svelare l’eventuale sofi¬ sticazione. Un esempio tipico di alimento soggetto a tale illecito trattamento ci è fornito dal vino, e particolarmente da quei tipi che, per poca genuinità di produzione o per Io scarso grado alcolico, non hanno suf¬ ficiente possibilità di conservazione. — 25 — Daremo, ora, un rapido sguardo ai metodi già noti per la ri¬ cerca degli antifermentativi nei vini, e passeremo, poi, ad illustrare un metcdo studiato nel nostro Istituto, per consiglio del Direttore, prof. Mario Covello, che permette di rivelare la presenza in un vino di piccole quantità di conservativi, e precisamente di quelli che pos¬ siamo considerare derivati dell’acido benzoico, cioè: acido benzoico, acido salicilico, acido p-ossibenzoico e suoi esteri. La ricerca di questi antifermentativi viene, usualmente, eseguita sull’estratto etereo (raramente benzolico) del vino (1). In particolare l’acido benzoico, uno dei meno usati in quanto privo di azione contro le muffe ed efficace solo in ambiente spic¬ catamente acido (pH 2-4,5), viene svelato per trattamento del residuo dell’estratto etereo con soluzione di cloruro ferrico (precipitato rosa camoscio di benzoato di ferro) e per trasformazione con miscela sol- fonitrica, ad acido nitrobenzoico che, a sua volta, viene rivelato con ammoniaca (colorazione rosso-arancio dell’ acido diamminoben- zoico) (2). Secondo alcuni autori lo si può riconoscere dalle caratteristiche concrezioni cristalline arborescenti ottenute svaporando con parti¬ colari accorgimenti l’estratto etereo (Blarez), o per ossidazione ad acido salicilico con acqua ossigenata in ambiente acetico e saggio con cloruro ferrico (Chelle). Le quantità di acido benzoico rivelabili con questi metodi sono dell’ordine del centigrammo, quantità piuttosto rilevante benché que¬ sto antifermentativo venga usato di solito in dosi piuttoso elevate. L’acido salicilico viene rivelato mediante reazione con cloruro ferrico. La maggior difficoltà consiste nel fatto che l’acido salicilico è un componente normale dei vini e, quindi, bisogna ben valutare l’ec¬ cesso aggiunto. Gli esteri dell’acido p-ossibenzoico sono, attualmente, adoperati molto più frequentemente che non i precedenti. Essi agiscono, in piccole concentrazioni contro i microrganismi come antivitamine bat¬ teriche, nonché contro le muffe, pur presentando un grado di tos¬ sicità inferiore dal 25 al 50%. Vengono rivelati, di solito, dalla colo¬ razione rosso ciliegia che danno con reattivo di Millon. Negli ultimi anni l’analisi cromatografica, specie quella su carta, si è rivelata come un mezzo utilissimo per svelare certe frodi nel campo dei generi alimentari (6). A parte il fatto che questo sensi¬ bile sistema di indagine richiede piccole quantità di sostanza ed un materiale poco costoso, esso presenta, per quanto riguarda il servi- — 26 — zio repressione frodi, il grande vantaggio di consentire la realizza¬ zione di documenti obiettivi, particolarmente utili per gli esperti giudiziari in caso di contestazione. Diversi autori hanno tentato l’applicazione del metodo croma¬ tografico al riconoscimento dei conservativi nelle varie sostanze ali¬ mentari in genere ed in particolare nei vini (3, 4, 5). Essi si ba¬ sano, in generale, sulla seguente tecnica: li vino, acidificato con acido cloridrico, si estrae con una miscela di etere ed etere di petrolio, l’estratto etereo si cromatografa e si rivela con reattivo di Millon opportunamente diluito. I cromato- grammi così trattati danno, in presenza di acido p-ossibenzoico, per riscaldamento, tracce color rosso ciliegia. Per l’acido salicilico la rivelazione può eseguirsi con una solu¬ zione diluita di cloruro ferrico che si dimostra un reattivo cromato- grafico sensibilissimo in questo caso, potendosi rivelare fino ad 1 y di sostanza. Più complesso è il caso dell’acido benzoico, poiché con cloruro ferrico non dà una traccia facilmente visibile ed anche l’ossidazione con acqua ossigenata ad acido salicilico non riesce agevole ad ese¬ guirla sulla carta. Poiché un metodo pratico e di applicabilità generale, che ri¬ sponda alle esigenze di rapidità ed esattezza pur restando molto sen¬ sibile non pare esista in letteratura, si è messa a punto una tecnica che, partendo da piccole quantità di vino, possa mettere in evidenza quantitativi di conservativi derivati dall’acido benzoico di gran lunga inferiori alle quantità minime rivelabili con i metodi fin ora noti. Parte sperimentale Tecnica impiegata. Le sostanze da noi prese in esame sono: Acido benzoico, acido salicilico, Nipagina M (p-ossibenzoato di metile), Nipasolo (p-ossi- benzoato di propile). Di queste sono stale preparate soluzioni alco¬ liche a titolo noto, in modo che, con l’uso di micropipette graduate al centesimo di mi. (pipette per cromatografia Shandon) è stato pos¬ sibile deporre quantità piccolissime al fine di fissare le quantità minime rivelabili cromatograficamente. Si è utilizzata la tecnica di cromatografia su disco di carta, ado¬ perando carta Whatman M N. 1 per cromatografia. 27 Si sono saggiati vari sviluppatori; quelli di tipo acido (pH 1-pH 4,5) e di tipo neutro (butanolo saturato di aequa con aggiunta di etanolo) non hanno dato buon risultato poiché danno valori dell’Rf pressocehè uguali all’unità, ossia le sostanze in esame sono traspor¬ tate sul fronte del solvente. Risponde bene, invece, lo sviluppatore: butanolo saturato con ammoniaca al 20%; con esso si sono avuti i seguenti valori dell’Rf: Acido benzoico ...... Rf = 0,74 Acido salicilico ...... » = 0,73 Nipagina M . » = 0,65 Nipasolo ........ » = 0,25 Anche per ciò che riguarda la rivelazione si sono fatte molte prove. Con soluzione idralcolica di cloruro ferico (all’1% in alcool di 70°) si ha: Ac. benzoico .... y 50 traccia rosa quasi invisibile Ac. salicilico. . y 2 traccia violetta netta Nipagina M .... y 10 traccia violetta appena visibile Nipasolo ..... y 10 traccia violetta appena visibile Si è fatto ricorso ad indicatori vari e gli unici che hanno dato risultato apprezzabile sono: a) Verde di bromocresolo : Ac. benzoico . . lieve traccia gialla molto labile Ac. salicilico . traccia gialla labile Nipagina M . nessuna colorazione Nipasolo . nessuna colorazione Tamponando la soluzione di bromocresolo con acido acetico ed acetato sodico a pH 4,5 rimangono invariati i risultati per acido sa¬ licilico e benzoico, mentre nipagina e nipasolo danno lieve traccia gialla su fondo verde-azzurro. b) Rosso metile : Ac. benzoico . nessuna traccia Ac. salicilico ...... traccia viola su fondo rosso pers. Nipagina . traccia viola su fondo rosso, labile Nipasolo . traccia viola su fondo rosso, labile — 28 — Anche tamponando la soluzione alcolica di rosso di metile i ri¬ sultati non cambiano. D’altra parte, anche senza tener conto della fugacità della colo¬ razione (potendosi contornare a matita la traccia) si hanno colora¬ zioni evidenti per grosse quantità, escluso per l’acido salicilico che è sensibilissimo a tutti i reattivi. Siamo ricorsi perciò alla visualizzazione con la luce ultravioletta, la cui sensibilità è molto spinta e ci ha dato i seguenti risultati: Ac. benzoico . colorazione viola . y 20 Ac. salicilico . fluorescenza bianco-azzurra . y 1 Nipagina . colorazione viola . y 5 Nipasolo . colorazione viola . y 5 Le tracce si possono comodamente contornare con la matita e, volendo, i cromatogrammi si possono eluire per determinazioni quan¬ titative spettrofotometriche. Applicazione pratica. Stabiliti così gli standard delle sostanze da ricercare, si è pas¬ sati alle prove sul vino. Si è fatto uso di un vinello genuino su cui si è eseguita una prova testimone; anche per ciò si son dovuti fare ripetuti saggi per poter trovare le condizioni migliori di esecuzione. Inizialmente si sono estratti 10 cc di vino, acidificati con tre gocce di HC1 al 10%, con 12 cc di etere etilico in imbuto separatore. Si sono formati due strati non nettamente separati sia a causa di un precipitato voluminoso che si forma e sia perchè l’etere dà un’emulsione difficilmente risolvibile; anche la filtrazione dello strato etereo è riuscita difficoltosa e lenta, evidentemente per la presenza della emulsione acqua-etere. Il filtrato etereo, ridotto ad una goccia e croma tografato, ha dato un cromatogramma che, visualizzato all’ultravioletto, rivela molte so¬ stanze che intralciano la netta visione delle sostanze ricercate. Si è tentato di decolorare il vino con carbone animale prima della estrazione: si ha, è vero, un cromatogramma nitido, ma i conser¬ vativi aggiunti vengono trattenuti dal carbone. Identico risultato si è ottenuto decolorando lo strato etereo. Poiché il maggiore intralcio è dato da due anelli bruni a basso valore delPRf dovuti a sostanze tanniche, si è pensato di bloccare queste ultime con l’aggiunta di un sale di calcio. Senonchè tale ag- — 29 — Riproduzione dei cromatogrammi visualizzati all’uv. Rapporto di riduzione 1 :3 Nipasolo — Rf = 0,25 Nipagina M — Rf = 0,65 — 30 — giunta sul vino tal quale ha dato un grosso precipitato di difficile filtrazione e che trattiene anche le sostanze aggiunte. Migliore risultato si è ottenuto raccogliendo l’estratto etereo su carbonato di calcio, ma, anche in questo caso, sia perchè l’aleali- nità del carbonato di calcio non è sufficiente in soluzione eterea a precipitare l’acido tannico e sia perchè le sostanze da ricercare ven¬ gono assorbite, il metodo è risultato inapplicabile. Dopo una lunga serie di altri tentativi tendenti a migliorare il metodo si è trovata buona la seguente esecuzione: In un imbuto separatore da 50 cc si pongono 10 ce di vino, si acidifica con sei gocce di HC1 al 10%, si aggiungono 12 cc di etere e si dibatte tre volte. La maggiore acidificazione dà un precipitato meno voluminoso e facilmente filtrabile, non solo, ma evita il formarsi dell’emulsione nello strato etereo. Si separa Io strato acquoso, si aggiungono 10 cc di acqua distil¬ lata, si dibatte e si lascia separare il doppio strato. Con questo la¬ vaggio la porzione di colorante residua passa nello strato acquoso ed è allontanata con esso. Nel liquido etereo rimangono i conserva¬ tivi, essendo in ogni caso sotto forma di acido libero e, quindi, più solubili nello strato etereo che non nell’acqua, un leggero preci¬ pitato bianco gelatinoso ed un poco di sostanze tanniche che lo colo¬ rano in un lievissimo bruno. Il liquido etereo si filtra attraverso un imbuto cilindrico (si può adoperare una pipetta da 10 cc tagliando una piccola porzione del rigonfiamento e la canna superiore) in cui si dispone del cotone idro¬ filo per l’altezza di 2 cm. La filtrazione così eseguita risulta molto efficace perchè, oltre a trattenere il piccolo precipitato, trattiene anche le goccioline di acqua meccanicamente trasportate. Si lavano imbuto separatore e imbutino due volte con due cc di etere raccogliendo filtrato e lavag¬ gio in un piccolo cristallizzatore di 25 cc di capacità. Si lascia, quindi, evaporare l’etere tenendo inclinato il cristallizzatore in modo da far raccogliere il residuo soltanto in un lato. Il residuo della com¬ pleta evaporazione si riprende con una goccia di soluzione al 12% di CaCL ed una goccia di alcol e si depone su un disco di carta Whatman M N. 1. L’aggiunta di cloruro di calcio non porta nessuna variazione nel liquido alcolico leggermente acido. Ma appena il disco si pone nello apparecchio cromatografico con il solvente butanolo saturato di am¬ moniaca, l’ambiente ammoniacale determina la precipitazione del — 31 — tannato di calcio che non è trasportato dallo sviluppatore, mentre le altre sostanze eventualmente presenti nell’estratto etereo e solubili in alcol non vengono bloccate e sono regolarmente trasportate. In tal modo la visione delle tracce del conservativo è netta al¬ l’ultravioletto e siamo riusciti ad individuare le seguenti (piantila aggiunte: Acido benzoico . y 20 Acido salicilico ....... y 2,5 Nipagina ......... y 5 Nipasolo . y 5 Conclusioni JÌ metodo ci sembra senz’altro efficace, specialmente in consi¬ derazione del fatto che il limite massimo di 20 y di antifermentativo evidenziato, corrispondente ad una concentrazione di conservativo nel vino del 0,002 per mille, è molto inferiore alla quantità minima necessaria per ottenere una sufficiente azione antifermentativa. Bisogna notare, inoltre, che le quantità indicate sono quelle ef¬ fettivamente aggiunte, ma che logicamente quelle visualizzate sono in lealtà minori per inevitabili perdite analitiche. Osserveremo, infine, che per ciò che riguarda la ricerca dell’acido salicilico conviene partire da 5 cc anziché da 10 cc di vino. In tal modo si riduce pressocchè a zero l’influenza della sua presenza come com¬ ponente normale dei vini, come abbiamo potuto osservare con prove eseguite su vari vini, e si può riconoscere quello effettivamente ag¬ giunto. BIBLIOGRAFIA 1) G. P Garoglio. Nuovo trattato di enologia (1953). 2) A. Porretta. Industria conserve, 29, 281, (1954). 3) C. Cunei . Industria conserve, 30, 178, (1955). 4) W. Clemens. Fette u. seifen, 57, 109, (1955). 5) J. L. Joux. Ann. Fals. Fraudes, 205, (1957). 6) E. Bottini. Chim e Industria, 93, (1957). Relazione sull’ esame analitico di un’ acqua termo-minerale rinvenuta in località Arso di Basso (Porto d’ Ischia) Nota del socio DIANA LAMBERTINI (Tornata del dì 24 aprile 1959) In questa nota i risultati delle indagini chimiche e chimico¬ fisiche eseguite su di un’acqua minerale rinvenuta in località Arso di Basso (Porto d’Isehia), sono esaminati e confrontati con quelli relativi alle acque delle vicine Terme comunali (sorgenti: « Fornello » c cc Fontana »). L’ubicazione della sorgente, denominata « Guardiola », è indi¬ cata nella cartina allegata. L’opera di captazione, per il momento allo stato rudimentale, si limita ad una perforazione che raggiunge la profondità di circa metri 12 dal piano di campagna; l’acqua viene sollevata mediante pompa sommersa, di portata limitata (Tav. I). Il prelievo del campione, insieme alle osservazioni ed ai rilievi d’uso, sono stati effettuati nel gennaio del 1959. Si è avuto cura di far precedere queste operazioni da un pompaggio continuato della durata di 24 ore. I risultati delle indagini espletate, sul posto ed in laboratorio, sono riassunti nelle tabelle da 1 a 7. TABELLA 1. Caratteri generali. L’acqua è limpida, incolora, inodora ed accusa il sapore caratteristico delle acque salse. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1959. Lambertini D. Relaz. acqua Porto d’ Ischia etc. Tav. I. Particolare della carta topografica 1:10.000 dell’isola d’Ischia dell’I.G.M. 11 cir¬ coletto indica la ubicazione della sorgente. Attrezzatura di fortuna adoperata per il prelievo del campione d'acqua analizzato. 33 — TABELLA 2. Valutazioni chimiche diverse. 7,9120 gr/lt 7,8515 » » assente 54,50° Francesi 8,60° » 45,90° » 0,4810 gr/lt 1) Residuo secco a 110°C. . 2) » » » 180°C. 3) Idrogeno solforato (H2S) 4) Durezza totale .... 5) » permanente 6) » temporanea 7) Alcalinità (CaCO3) . . Trattandosi di sistema di captazione provvisorio e dovendo l’acqua in que¬ stione essere utilizzata esclusivamente per bagno, si sono omesse le determina¬ zioni : dell’ammoniaca, dei nitriti e delle sostanze organiche. TABELLA 3. Determinazioni chimico- fisiche. 1) Temperatura dell’acqua alla sorgente: (ore 13 del 31/1/59) . 42°C 2) Temperatura dell’aria esterna: (ore 13 del 31/1/59) .... 12°C 3) Densità (15°C/15°C) . 1,0060 4) Abbassamento crioscopico . — 0,47 5) Pressione osmotica . 5,64 atm. 6) pH (a 18°C) . 7,53 7) Conduttività (a 25°C) . . . 1,285.10^2 Radioattività TABELLA 4. trascurabile TABELLA 5. Gas disciolti. (in un litro d’acqua alla temperatura della sorgente e ridotti a 0°C e 760 mm Hg) 2,80 cc 2,00 » 11,70 » 1) Ossigeno .... 2) Anidride carbonica 3) Azoto + gas rari . 16,50 cc 3 — 34 — TABELLA 6. Composizione chimica. 1) Titolo di silice (SiO.,) . 0,0938 gr/lt 2) » » sesquiossido di ferro (Fe203) . 0,00014 » » 3) » » tetrossidò di manganese (Mn304) ...... 0,00048 » » 4) » » calce (CaO) . « 0,1128 » » 5) » » magnesia (MgO) . . . 0,1385 » » 6) » » ossido di sodio (Nao0) . ... 3,5050 » » 7) » » ossido di potassio (K20) . . 0,3020 » » 8) » » anidride solforica (S03) . 0,4740 » » 9) » » anidride carbonica semicombinata (C09) . . . 0,2112 » » 10) » » anidride nitrica (N2Or) . 0,0076 » » 11) » » cloruri (Cl) . 3,8620 » » TABELLA 7. Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti (ioni) gr/litro millimoli/litro inillivalenze/litro cationi anioni Ca + 0,0806 2,00 4,00 Mg- 0,0835 3,45 6,90 Na + 2,6000 113,10 113,10 K+ 0,2510 6,40 6,40 130,40 HCO- 0,5861 9,60 9,60 so4-- 0,5687 5,95 11,90 ci- 3,8600 108,90 108,90 N()3- 0,0038 0,14 0,14 130,56 i N. B. — Sono presenti in piccole quantità altri costituenti minori, non dosati, quali : fluoro, bromo e iodio. L’acqua esaminata, secondo la classifica: Marotia e Sica , deve considerarsi come: minerale, ipertermale, salsa. — 35 — * ❖ ❖ La località in cui è stata rinvenuta l’acqua è raggiunta dalle estreme propaggini delle colate laviche dell’Arso, che costituiscono il letto impermeabile al di sopra del quale fluisce la falda acquifera che alimenta, in parte, il bacino idrotermale di Porto d’Ischia. Per tanto si è ritenuto opportuno di confrontare la composizione analitica dell’acqua esaminata con quelle delle vicine sorgenti: cc Fornello » e « Fontana », delle Terme comunali, le più rinomate e meglio stu¬ diate del bacino su detto. A tal uopo i risultati delle analisi eseguite sulle acque di queste due sorgenti dal prof. Zinno nel 1881 (1), anno di inaugurazione delle Terme, e dal prof. Rebuffat nel 1900 (2), sono riportati nelle tabelle: n.ri 8 e 9; inoltre, nella figura 3, per un confronto omo¬ geneo, di assieme, sono raggruppate le rappresentazioni grafiche delle composizioni analitiche di queste acque insieme con quella relativa all’acqua della sorgente cc Guardiola ». TABELLA 8. Analisi di S. Zinno (1881). Sorgente « Fontana ». Componenti (ioni) gr/litro millimoli/litro millivalenze/litro cationi anioni Ca + 0,9450 25,58 47,16 f Mg+ + 0,1690 6,96 13,92 Na + 1,4600 63,70 63,70 IO 0,0860 2,19 2,19 126,97 hco3- 2,9500 48,36 48,36 s°4 — 0,6600 6,87 13,74 Cl- 0,8110 22,88 22,88 no3— 0,0110 0,17 0,17 85,15 Sìo2 0,1584 Residuo sec¬ ' co a ] 80°C 5,6940 36 Sorgente « Fornello » Componenti (ioni) gr/litro millimoli/litro millivalenze/litro cationi anioni Ca + 0,8309 20,73 41,46 Mg + + 0,1885 7,75 15,50 Na + 1,0243 44,54 44,3 4 I\ + 0,0864 2,21 2,21 103,71 HC03- 4,0690 66,70 66,70 S04“- 0,9837 10,24 20,48 Cl- 0.7365 20,77 20,77 >03- 0,0440 0,71 0,71 108,66 s;o2 0,1492 Residuo sec¬ co a 180°G 6,0027 TABELLA 9. Analisi di 0. Rebuffàt (1900). Sorgente « Fontana ». Componenti J (ioni) gr/litro millimoli/litro millivalenze/litro cationi anioni Ca + + 0,0890 2,22 4,44 * Mg+ + 0,1120 4,60 9,21 Na + 2,6100 113,60 113,60 K* 0,1640 4,20 4,20 . 131,45 Hl03" 0,9328 15,29 15,29 S04 - 0,5562 5,79 11,58 Cl- 3,6938 104,17 104,17 NOf 0,0027 0,04 0,04 SiOg 0,0850 131,08 Residuo sec» co a 180°C 7,7840 ! — 37 - Sorgente « Fornello ». Componenti gr/litro millimoli/litro mi lliva len ze/litro (ioni) cationi anioni Ca+ + 0,0747 1,86 3,73 Mg+ + 0,0766 3,15 6,30 Na + 2,3820 103,60 103,60 K+ 0,1477 3,78 3,78 hco3- 0,8614 14,12 117,41 i 14,12 so4-- 0,4840 5,03 10,06 Cl 3,2952 92,94 92,94 N03- 0,0012 0,02 0,02 Silice (Si02 Residuo sec¬ co a 180°C 0,0871 6,9840 117,14 * * * Dalle tabelle e dai diagrammi su riportati si rileva che la fisio¬ nomia dell’acqua esaminata è molto simile a quella puntualizzata dal prof. Rebuffat per le acque delle Terme comunali, mentre dif¬ ferisce notevolmente con quanto è riportato dal prof. Zinno (*). I (*) Il prof. Zinno, a conclusione della sua noia, raggruppa i dati ottenuti nelle analisi delle acque delle sorgenti: «Fornello» e «Fontana», in quattro ta¬ belle : in due di esse, le composizioni chimiche sono espresse in concentrazioni ioniche; in altre due, negli aggruppamenti salini più probabili. Si è preferito utilizzare i dati delle prime due tabelle che meglio si accor¬ dano con i valori dei residui salini ; nonostante che, per l’analisi dell’acqua della sorgente « Fontana », si rilevi una notevole divergenza fra la somma delle milli- valenze degli anioni e quella dei cationi. Invece il Vinai (3) ed il Messini (4) si riferiscono entrambi ai valori delle seconde tabelle che, peraltro, non si accordano con i residui a 180°C. Il primo — 38 — K + Na* Ca + + Mg++ ' HCOi cr S04" — Na+ Ca+t Mg*+ • HCO3 cr sor 0 10 20 30 40 I - -1 — JL- — L— J Miilivalenze Fig. 3. — Rappresentazione grafica dei risultati analitici di cui alle tabelle n.ri 7, 8 e 9. (1) — Sorgente Fornello - Analisi di S. Zinno. (2) — Sorgente Fontana - » » » » (3) — Sorgente Fornello - Analisi di 0. Rebuffat (4) — Sorgente Fontana - » » » » (5) — Sorgente « Guardiola » - Analisi di D„ Lambertini. riporta i dati tal quali, il secondo trasforma in concentrazioni ioniche le con¬ centrazioni espresse in sali. Si noti che le su dette concentrazioni ioniche risultano diverse da quelle ri¬ portate nelle tabelle del prof. Zinno. — 39 — dati analitici del primo conferiscono alle acque carattere nettamente clorurato-sodico, quelli del secondo invece, carattere bicarbonato- sodico-calcico. Si potrebbe tuttavia pensare che il chimismo delle sorgenti del bacino idrotermale di Porto d’Ischia abbia subito, nel tempo, delle progressive modificazioni con conseguente trasformazione della mi¬ neralizzazione di quelle acque da bicarbonato-sodico-calcica a clo- rurato-sodica. Tenendo conto però che nell’isola, di regola, nelle acque del re¬ troterra prevale il carattere alcalino mentre in quelle prossime alle coste il carattere salso, sembrerebbe lecito di ritenere che la fisiono¬ mia chimica indicata dalle analisi più recenti sia quella attendibile. Le lievi divergenze riscontrate tra i nostri risultati analitici e quelli del prof. Rebuffat potrebbero dipendere dalla diversità delle condizioni di emungimento, in rapporto specialmente alle condizioni stagionali cd alla fluttuazione delle maree. Segnaliamo comunque l’interesse di ripetere a distanza di tempo, e a parità di condizioni ambientali, il controllo analitico di queste acque al fine di seguirne eventuali modificazioni. Napoli, Istituto di Chimica Industriale dell’Università, aprile 1959. BIBLIOGRAFIA 1) Zinno S. Analisi qualitativa e quantitativa delle acque termo-minerali di Ischia, denominate sorgenti del Fornello e di Fontana. Napoli, 1881. 2) Rebuffat 0. Acque delle terme di Fornello e Fontana in Porto d’Ischia. Rela¬ zione deWanalisi chimica. Napoli, 1900. 3) Vinai G. S. - Pinali R. Le acque minerali e gli stabilimenti termali idropinici ed idroterapici d’Italia, voi. II. Milano, 1923. 4) Messini M. Trattato di idroclimatologia clinica, voi. II. Bologna, 1951. Le camere di ionizzazione Nota del socio prof, PIO VITTOZZI (Tornata del dì 24 aprile 1959) § 1 - Introduzione. In un precedente lavoro (1) è stata tracciata una rapida sintesi circa il principio fisico su cui poggiano i contatori nucleari, gli usi principali cui possono essere adibiti e le varie modalità d’impiego a seconda dei compiti loro affidati. Si disse allora che quando la dif¬ ferenza di potenziale elettrico tra gli elettrodi non supera un certo limite, il contatore si comporta come una camera di ionizzazione. Sono appunto le camere di ionizzazione che saranno trattate qui in particolare. Si tratta, in altre parole, di esaminare il funzionamento degli apparecchi di misura della ionizzazione nella prima o più bas¬ sa regione di tensione. In questa regione la ionizzazione prodotta nella camera viene direttamente raccolta e misurata, senza amplifi¬ cazione. Lo schema elettrico è sempre quello della Fig. 1 del citato pre- (1) P. Vittozzi e M. De Martino. I coniatori nucleari . Boll. Soc. Nat. in Na¬ poli, Voi, LXVII, 1958. 41 — cedente lavoro, che qui si riporta (Fig. 1) per comodità del lettore. La variazione AY di potenziale dovuta al numero n di elettroni che raggiungono il filo centrale, sarà data da: AV=^r = 1’60-;0~7ir (*) dove AQ è la quantità di elettricità che provoca la variazione AV di potenziale. Nella (1) AV è espresso in Yolts, C in microfarads e 1,60. IO- 19 è la carica elettrica elementare in coulombs. La ionizzazione da misurarsi ha luogo neirinlerno della camera. La differenza di potenziale applicata fra gli elettrodi del contatore fa sì che gli ioni si dirigano verso il rispettivo elettrodo e siano raccolti su di esso. L’arrivo di ioni produce una variazione AV nel potenziale dell’elettrodo, data dalla relazione (1), Il problema del funzionamento di simili apparecchi è perciò quello di rivelare, mi¬ surare ed eventualmente registrare l’impulso AV così ottenuto. Vi sono due tipi distinti di camere di ionizzazione che raggiun¬ gono questo scopo in maniera del tutto differente. Nel primo tipo che chiameremo cc camere di ionizzazione numeratrici », vengono rivelati gli impulsi provocati dalle singole particelle, mentre nel secondo gli impulsi si sommano e si misura il totale della ionizzazione prodotta in un certo tempo. Teoricamente la stessa camera può adempiere al- l’una o all’altra funzione a seconda della costante di tempo RC del circuito, in cui R è la resistenza e C la capacità elettrica. Se il potenziale dell’elettrodo raccoglitore nell’istante in cui è terminata la raccolta degli ioni è VD, esso, dopo un tempo t, avrà un potenziale V dato da: Y=V0e R° (2) Perciò il ritorno al valore 1/e del suo valore originario, per una ca¬ mera tipica con una resistenza R = IO8 ohms ed una capacità C = IO-11 farads, avviene in IO-3 sec. La raccolta degli ioni deve avvenire in un tempo minore di questo, poiché se la carica abbandona Telettrodo collettore attraverso R con la stessa velocità o quasi con cui si accumula su di esso, 1‘ aumento del potenziale è nullo o tra¬ scurabile. — 42 ! I tempo di raccolta dipende dalla mobilità degli ioni raccolti, che a sua volta dipende dalla natura e dal segno degli ioni, nonché dalla natura e pressione del gas che riempie la camera e dall’intensi¬ tà del campo elettrico. Nell’altro tipo che chiameremo « camere di ionizzazione integra¬ trici », la resistenza R è elevata, dell’ordine di IO15 ohms. Col valore precedente della capacità, la costante di tempo è perciò IO4 sec. ed è possibile una intensità del campo elettrico relativamente piccola. In questo caso è necessario misurare le variazioni del potenziale del¬ l’elettrodo ad opportuni intervalli di tempo. Pertanto, come si è già accennato sopra, il primo tipo di ca¬ mera misura e conta le singole particelle, mentre il secondo tipo misura il flusso o radiazione totale in un determinato intervallo di tempo. Nel primo tipo l’ampiezza dell’impulso registrato è propor¬ zionale al numero di coppie di ioni cui ha dato luogo ciascun evento ionizzante, mentre nel secondo tipo non è possibile accertare, senza l’aiuto di misure ausiliarie, se un dato numero di coppie di ioni è stato prodotto da pochi più intensi eventi ionizzanti o da molti meno intensi. La decisione circa quale dei due tipi adoperare dipenderà perciò dal particolare problema in istudio. Considereremo ora più in dettaglio successivamente le camere numeratrici e quelle integratrici. § 2 - Camere di ionizzazione numeratrici. Consideriamo gli aspetti della produzione e rivelazione di un im¬ pulso AV dovuto ad un evento ionizzante verificatosi nella camera. Un tale evento ionizzante può essere il passaggio di una particella alfa, di una particella beta o di un raggio cosmico, attraverso la laniera. Poiché una particella alfa ha un percorso di solo pochi centi¬ metri nell’aria, essa, in generale, esaurirà il suo percorso nel gas della camera. Poiché le particelle alfa osservate nelle camere sono generalmente emesse da RaA e abitualmente vengono da contami¬ nazione, possiamo assumere che la particella alfa spenda circa 3,5 Mev di energia nella ionizzazione. Poiché ai richiedono circa 35 ev per produrre una coppia di ioni, un totale di IO5 coppie di ioni verrà generato in media da una particella alfa. Trascurando le ricombina- zioni e poiché la carica dell’elettrone è 1,6. 10“ 19 coulomb, si avrà un — 43 — AQ di 1,6. 10“ 14 culombs, carica che, supponendo la capacità pari a IO-11 faradsy produrrà un impulso ÀY di 1,6. IO-3 Volts. Una particella beta produrrà un numero di coppie di ioni molto minore: essa può dar luogo a circa IO3 ioni nell’ attraversare la came¬ ra, mentre un raggio cosmico, lungo un percorso di 10 cm. in aria atmosferica, produrrà circa 300 ioni. Se desideriamo perciò studiare i raggi cosmici, il problema consiste nel rivelare impulsi di ampiezza compresa fra IO-3 e IO"5 volts. In generale, è possibile rivelare tali impulsi solo se essi hanno luogo in un tempo relativamente breve, poiché la maggior parte dei sistemi di amplificazione è basata sulla misura di dV/dt. A titolo di esempio assumiamo che la resistenza R sia IO10 ohms, sicché la costante di tempo, con C uguale al solito a IO-11 farads, risulti IO-1 sec. La raccolta delle cariche prodotte dall’evento ioniz¬ zante, come si è sopra accennato, deve essere esaurita in questo tem¬ po almeno. Tenendo conto delle mobilità ioniche, se disponiamo di una camera di 10 cm. di raggio, funzionante con una differenza di potenziale di 1.000 Volts, quindi con una intensità media del campo di circa 100 Volt/cm., le velocità ioniche saranno circa 100 cm./sec. e gli ioni attraverseranno le dimensioni della camera proprio in IO-1 sec. Ogni camera di ionizzazione è caratterizzata da un certo « fondo » e sono le fluttuazioni statistiche in tale fondo che determinano la limitazione principale alle più piccole quantità di ionizzazione rive¬ labili con ciascun apparecchio. Questo fondo è originato da tre cause: a) contaminazione dell’interno della camera da parte di sostan¬ ze che emettono particelle alfa; ù) raggi cosmici; c ) radioattività naturale dell’ambiente circostante. L’effetto dell’emissione alfa da parte delle pareti può essere ri¬ dotto a piccola entità rivestendo l’interno della camera con nero di carbonio o con altre sostanze chimiche organiche assai pure come il collodio. Anche così una buona camera può emettere circa 10“4 particelle alfa per cm.2 e per minuto. In alcune camere è stata adat¬ tata alla superficie interna una rete metallica caricata a potenziale positivo, allo scopo eli raccogliere la ionizzazione prodotta dalle par¬ ticelle alfa. In verità anche la superficie di tale rete emette essa stessa delle particelle alfa e perciò sarà impossibile ridurre a zero il fondo dovuto a questa causa. Il numero emesso in ogni assegnato contatore sarà, d’altro canto, costante e può agevolmente venire de- - 44 — terminato e detratto. Il numero di particelle alfa non dipende co¬ munque dalla pressione del gas nella carnei a, a meno che il gas non sia contaminato da Radon, che per gas accuratamente purificati è trascurabile. Il contributo al fondo dovuto ai raggi cosmici può essere ridotto adoperando la camera in una profonda cava, ma poiché ciò è spesso poco pratico, anche per essi è preferibile determinarne il numero e detrailo dalle misure. In prima approssimazione può ritenersi che circa 1,5 raggi cosmici per minuto attraversi ogni cm.2 dell’area di una sezione orizzontale al livello del mare. Il numero è maggiore a quota più elevata e può ritenersi intorno a 3, a 5.900 piedi (circa 1.500 m.) e intorno a 6, a 15.000 piedi (circa 4.600 m.). Se devono essere contate particelle alfa o protoni, questi produr¬ ranno una ionizzazione molto grande nei confronti dei singoli raggi cosmici e perciò possono essere distinti misurando l’ampiezza dello impulso. Tale misura dell’ampiezza dell’impulso servirà in genere ad eliminare gli effetti dei raggi beta e gamma provenienti da qualsiasi sorgente e dei raggi cosmici, fatta eccezione, evidentemente, per le camere di ionizzazione integratrici. Nelle camere rivelanti gl’impulsi l’ampiezza dell’impulso crescerà con la pressione del gas nella ca¬ mera, ma naturalmente il numero delle radiazioni cosmiche e con¬ taminanti risulterà costante. Il contributo al fondo da parte dell’ambiente esterno circostante la camera, può essere ridotto costruendo le pareti della camera di spessore sufficiente per assorbire queste radiazioni. Così per esempio, negli abituali misuratori di raggi cosmici, funzionanti con schermi di 10 cm. di piombo, il contributo dovuto a questa causa è trascurabile. Il limite ultimo alle più piccole quantità di ionizzazione rivela¬ bili sarà quella quantità che può appena essere distinta dalle flut¬ tuazioni nel fondo. In prima approssimazione si può applicare la regola della radice quadrata. Per esempio una camera il cui fondo è dato da 10 raggi alfa per minuto può essere adoperata per misurare intensità fino ad un minimo di 3 particelle alfa per minuto con os¬ servazioni della durata di un minuto; ed analogamente per il fondo dovuto ai raggi cosmici ed ai raggi beta. La forma e le dimensioni delle camere sono abitualmente deter¬ minate dalla natura e dal numero delle particelle da rivelare. Così per esempio una camera destinata a contare le particelle alfa deve essere costruita assai piccola, riducendo così il fondo dovuto sia ai — 45 raggi cosmici e sia alla contaminazione. Deve essere praticata una opportuna finestra attraverso la quale possono essere proiettate nella camera le particelle da contare. Questa finestra non deve essere piu grande del necessario, sia per ragioni di robustezza meccanica e sia perchè una tale finestra è trasparente pure alle radiazioni contami¬ nanti che hanno origine nelle vicinanze. Il corpo della camera o vo¬ lume sensibile non deve avere dimensioni maggiori del percorso del¬ le particelle alfa nel gas che essa contiene. Esso non supera ordina¬ riamente alcuni cm. Per i protoni, di energia più elevata, invero, li percorso può essere grande nei confronti delle dimensioni della camera, poiché, per esempio, un protone di 10 Mev ha un percorso di circa 1 m. nell’aria. Quindi nella rivelazione dei protoni, solo una piccola frazione del loro percorso verrà esaurita nell’ attraversare la camera. La disposizione tipica degli elettrodi nelle camere adatte per la rivelazione di particelle alfa o protoni è indicata nella Fig. 2. CAMERA Di IONIZZAZIONE PER PARTICELLE ALFA Una camera differenziale può essere costruita come mostrato nella Fig. 3, ponendo l’elettrodo raccoglitore nel punto centrale del cam¬ po, in modo che gli ioni positivi sono raccolti da un lato e quelli ne¬ gativi dall’altro dell’elettrodo. Pertanto, una particella che attraversa tutta la camera produrrà in effetti un egual numero di ioni (di segno opposto) su ciascun lato della lamina sottile e Fimpulso risultante — 46 — sarà piccolo o nullo, mentre una particella che si ferma senza per¬ correre tutta la camera produrrà ioni dei quali quelli di un solo se¬ gno saranno almeno in prevalenza raccolti e quindi produrrà un im¬ pulso relativamente ampio. Una camera destinata a rivelare neutroni lenti, sarà, in generale, di dimensioni maggiori. Una tal camera può essere rivestita con boro o con un composto di boro e riempita con un gas quale l’Argon, oppure può essere riempita con BF3 e non rivestita. In entrambo i casi, il neutrone può essere catturato dal nucleo B10, nel qual caso viene espulsa una particella alfa. Sono queste particelle alfa che ven¬ gono contate. Poiché le cc efficienze », cioè i rapporti del numero di neutroni rivelati al numero di quelli attraversanti la camera, sono in generale basse, si è soliti costruire grandi le camere per aumentare la velocità di conteggio. Tali camere rivestite di Boro o riempite di BF3 sono state adoperate da vari sperimentatori e sono tipiche in parecchi laboratori. I neutroni veloci sono generalmente rivelati mediante i protoni di rimbalzo che essi possono produrre. Pertanto, nella costruzione delle camere di ionizzazione per la rivelazione di neutroni veloci si è so¬ liti collocare materiali idrogenati come la paraffina neirinterno o all’esterno della camera. Poiché il percorso dei protoni è maggiore di quello delle particelle alfa, tali protoni di rimbalzo possono agevol¬ mente passare attraverso finestre che sono nello stesso tempo sufficiente- mente robuste dal punto di vista meccanico per sopportare le differenze — 47 — di pressione e non troppo assorbenti. Un foglio di alluminio di 1 o 2 mil. (1 mil = circa 0,025 mm.) ha il potere frenante di alcuni cm. di aria; e mentre esso ridurrebbe il percorso di una particella alfa di una quantità tale da renderla non più rivelabile, per i protoni esso non rappresenta un serio ostacolo. Il principale inconveniente in¬ contrato nell’uso di sottili fogli di allumìnio è la probabilità di pic¬ coli fori. Quando la differenza di pressione che si richiede sopportino è trascurabile, un sottile strato di lacca suggellerà adeguatamente tali fori. Per più elevate differenze di pressione fogli più spessi di so¬ stanze quali le leghe « Nickel-silver » sono opportuni. Un foglio di 3 mil di simile materiale sopporterà una pressione di parecchie at¬ mosfere su un’area di parecchi cm.2 è sarà ancora equivalente a solo circa 50 cm. di aria: esso sarà perciò sufficiente per eliminare le par¬ ticelle alfa, ma non per impedire l’entrata nella camera di protoni di 10 Mev. Le camere di ionizzazione sono spesso sensibili ai cc disturbi mi¬ crofonici ». Questi effetti sono spesso imputabili al fatto che se le parti della camera si muovono le une relativamente alle altre, cambia la capacità del sistema. Se la carica sull’elettrodo collettore è costante e la capacità varia, il risultato sarà una variazione del potenziale o, in altre parole, un impulso. Le variazioni non devono essere grandi. Se la capacità di un tale sistema è IO-11 farads e il potenziale dello elettrodo raccoglitore è 300 Volts, la carica Q sarà 3. IO”3 microcou- lombs. Ora se la carica rimane costante e la capacità varia di 1/1.000.000, l’impulso di tensione sarà dell’ordine di IO-4 Volts. Questo impulso è dello stesso ordine di quello prodotto da una par¬ ticella alfa. Poiché da si trae, nell’ipotesi di una costanza di Q, (4) se ne deduce che i disturbi microfonici possono essere ridotti o au¬ mentando la capacità o diminuendo il potenziale, ma entrambo que¬ sti procedimenti sono poco convenienti perchè essi riducono Fani- — 48 — piezza dell’impulso o fanno crescere il tempo occorrente per la rac¬ colta degli ioni. Di conseguenza la risoluzione pratica del problema consiste nel costruire le camere con parti montate rigidamente, pra¬ ticare dei fori per uniformare la pressione all’interno della camera e montare le camere su supporti liberi da vibrazioni e circondarle di gomma o altro materiale assorbente dei suoni. Le camere di ionizzazione frequentemente adoperano un cc anello di guardia ». Questo anello circonda parte dell’elettrodo collettore ed tsplica parecchie funzioni estremamente importanti. Una tipica di- Tubo di riempimento Isolatore di quarzo Anello di guardia Spessore di vetro Involucro metallico esterno FI G. 4 CAMERA 0! IONIZZAZIONE CON ANELLO 01 GUARDIA sposizione può esser vista nella Fig. 4. L’anello di guardia è spesso adoperato a potenziale zero. Ogni fuga di corrente superficiale o di volume attraverso il materiale isolante che separa l’involucro esterno dall’elettrodo raccoglitore, cosi come le fluttuazioni dovute alla pola¬ rizzazione del dielettrico in campi intensi, si arrestano all’anello di guardia. La differenza di potenziale tra l’anello di guardia e l’elet¬ trodo raccoglitore deve essere piccola. Nel caso l’anello di guardia non sia a terra, esso deve essere collegato alla terra attraverso un grande condensatore, sicché il suo potenziale resti costante quanto più è possibile. La seconda e forse la più importante funzione dell’anello di guardia è di servire come uno schermo elettrostatico e preservare ogni parte dell’elettrodo collettore dal risentire l’influenza da parte di ogni punto od oggetto esterno, il cui potenziale non sia costante. Con le correnti alternate fornite oggi alla maggior parte dei labo¬ ratori, ogni parte del sistema dell’elettrodo collettore non schermata — 49 — può ricevere dalla stanza di lavoro irnpuisi facilmente di ampiezza dell’ordine di IO-4 Yolts. Così, per esempio, una ordinaria lampada elettrica funzionante con corrente alternata può agevolmente essere rivelata a distanze considerevoli a causa degli impulsi che da essa partono» Pertanto la geometria dell’elettrodo collettore, dell’involucro esterno e dell’anello di guardia dovrebbero sempre essere tali che nessuna linea retta da un punto qualsiasi dell’elettrodo collettore ad un punto qualsiasi esterno all’involucro della camera possa essere trac¬ ciata senza intersecare l’anello di guardia, anche se una tale linea passi attraverso considerevoli spessori dei materiale isolante che se¬ para l’elettrodo dall’involucro. § 3 - Camere di ionizzazione integratrice Questo tipo di camera, come si è detto, è caratterizzato dal fatto che la costante di tempo RC è grande nei confronti del tempo occor¬ rente per la raccolta degli ioni formati dall evento ionizzante. Man mano che gli ioni formati dai successivi eventi ionizzanti vengono raccolti, l’elettrodo collettore è sottoposto ad una progressiva varia¬ zione del suo potenziale. Il potenziale viene misurato a convenienti intervalli di tempo, e pertanto indica la carica totale Q raccolta du¬ rante l’intervallo. Vi è, tra gli altri, un tipo di camera di ionizzazione integratrice detto « compensato ». In questo tipo si dispone di una seconda ca¬ mera collegata in parallelo con la prima, ma con i potenziali inver¬ titi. Questa seconda camera è di volume pìccolo nei confronti della prima, sicché il suo fondo sarà piccolo nei confronti della camera prin¬ cipale. Essa è munita di una sorgente di radiazioni ionizzanti di un certo tipo, abitualmente dell’uranio su di una bacchetta regolabile, la quale può essere mutata di posizione in modo che l’ammontare di ionizzazione che produce nella camera compensatrice possa venire regolato. L’intero sistema viene quindi equilibrato in modo che la ionizzazione prodotta nella camera principale sia esattamente eguale a quella prodotta nella camera compensatrice. In tal caso non varia il potenziale dell’elettrodo raccoglitore. Questo tipo di apparecchio perciò è un apparecchio di zero, che indica zero in condizioni nor¬ mali e mostra scostamenti dallo zero, in aumento o in diminuzione, se la ionizzazione nella camera principale è maggiore o minore di quella nella camera compensatrice. 4 — 50 Esempi di queste camere di ionizzazione sono i misuratori di raggi cosmici progettati da Millikan, Compton e loro collaboratori. Nell’apparecchio di Millikan viene adoperato un elettroscopio incor¬ porato nella camera, il quale consiste di un filo di quarzo dorato sotto torsione. Quando il sistema elettroscopico viene caricato, il filo viene respinto dal suo supporto e si ferma ad una certa distanza. Pertanto, quando il sistema centrale racchiudente l’elettroscopio è caricato ri¬ spetto all’involucro, ogni ionizzazione prodotta nell’apparecchio vie¬ ne raccolta sul sistema centrale. L’arrivo di cariche parzialmente neu¬ tralizza la carica iniziale del sistema e permette alle forze di torsione che l’indice (filo di quarzo) si avvicini di più al supporto. La posi¬ zione dell’indice è una misura della carica Q del sistema e la varia¬ zione della sua posizione indica perciò l’ammontare di ionizzazione prodotta nella camera. Occorre pertanto soltanto tarare l’apparecchio, sicché la posizione dell’indice possa essere quantitativamente riferita alla ionizzazione prodotta nella camera, determinare lo zero e i con¬ ti ibuti dovuti alle contaminazioni naturali nella camera e automatica- niente fotografare la posizione dell’indice. Lo stesso sistema di oro¬ logeria che cura l’avanzamento della carta fotografica fa funzionare pure un interruttore di ricarica e riporta il sistema elettroscopico alla sua posizione di massima carica ad ogni intervallo desiderato di tempo. Il tipo di misuratore di Compton è di quelli a compensazione ed usa una camera compcnsatrice con una sorgente di uranio che viene regolata fin quando equilibra la normale radiazione cosmica. Le flut¬ tuazioni nell’intensità dei raggi cosmici al disopra e al disotto del valore normale medio saranno perciò messe in evidenza dal sistema collettore che è connesso ad un elettometro di Lindemann. Come nel tipo del Millikan, il sistema collettore viene automaticamente ricari¬ cato ad intervalli uguali di tempo e le letture all’elettrometro vengono automaticamente registrate fotograficamente. Poiché l’intensità della ionizzazione nella camera di compensazione può essere variata adat¬ tando uno schermo al disopra della sorgente di uranio, lo zero ri¬ sulta opportunamente variabile e l’apparecchio può essere predispo¬ sto per misurare la ionizzazione prodotta dai raggi cosmici a varie altezze sul livello del mare. Similmente può venire misurata la ioniz¬ zazione prodotta da un’altra qualsiasi radiazione nell’interno della camera. Il limite alla sensibilità di simili apparecchi è sempre imposto dalle fluttuazioni del fondo. Il valore del fondo può venire detenni- — 51 — nato e detratto; ma le fluttuazioni statistiche in tale valore costitui¬ scono il fattore limitante. Entrambe gli apparecchi descritti impiegano una camera principale nella quale viene rivelata la ionizzazione, riem¬ pita con argon purissimo a pressione da 30 a 50 atmosfere. L’ammon¬ tare della ionizzazione misurata è il totale formato lungo i percorsi di tutte le particelle che passano attraverso la camera. Nel caso di radiazione cosmica, la ionizzazione specifica delle particelle è sensi¬ bilmente uniforme lungo il loro percorso e praticamente nessuna particella esaurisce il suo percorso nel gas della camera. La quantità totale di carica Q dovuta alla ionizzazione prodotta da ciascuna par¬ ticella è perciò data da: Q = ne = slps (5) dove n è il numero totale di coppie di ioni formate, s è la ionizzazione specifica in coppie di ioni/cm.atm. per particelle di raggi cosmici in argon, 1 è la lunghezza del percorso medio attraverso la camera, p è la pressione in atmosfere ed e è la carica elettrica elementare. La camera è di forma sferica; si può agevolmente mostrare che il per¬ corso medio attraverso una sfera è 2/3 del diametro. Quindi il nu¬ mero di ioni formati da ogni particella in una sfera di 15 ern. di dia¬ metro, essendo 1 = 10 cm., supponendo una pressione p di 50 atm. ed ammettendo una ionizzazione specifica di 50 ioni per cm. ed atm., è di 25.000 ioni. La variazione AQ nella carica dell’elettrodo collet¬ tore è 2,5.1,6.10 15 coulombs; ed assumendo la capacità del sistema pari a IO-11 farads, la variazione nel potenziale è circa 4. IO-4 Yolts. Poiché circa 300 raggi cosmici al minuto passeranno attraverso una simile camera al livello del mare, il potenziale dell’elettrodo collet¬ tore varia con la velocità di circa 0,1 volt al minuto, quantità age¬ volmente misurabile. La quantità totale di ionizzazione che si manifesta in una camera integratrice in un dato intervallo di tempo è per lo più riferita ad una corrente di ionizzazione. Ciò in base alla definizione: dQ dt (6) dove la corrente 1 in ampère è considerata come velocità di flusso della carica Q. Dalla relazione (6) si deduce che, dipendendo Q dalla pressione, per avere correnti intense sarebbe desiderabile avere alte 52 — pressioni. Questo è invero il caso per pressioni fino a quella alla quale comincia a manifestarsi il fenomeno della saturazione. A pressioni più elevate le mobilità diventano più basse e diventa maggiore la pro¬ babilità di ricombinazione. La Fig. 5 mostra gli effetti della saturazione per varie pressioni e tensioni. A pressioni ancora più alte la corrente di ionizzazione decresce a causa delle ricombinazioni. Di conseguenza non è desiderabile far funzionare le camere di ionizzazione con pres¬ sioni eccessive. VARIAZIONE DELLA CORRENTE DI IONIZZAZIONE CON LA PRESSIONE La corrente di ionizzazione dipende inoltre dalla purezza del gas nella camera. La Fig. 6 mostra le curve tipiche per la corrente di ionizzazione nell’argon al variare della purezza nel gas. Si osserverà che la purezza ha speciale importanza ad alte pressioni e non ha grande influenza per più basse concentrazioni. Nel funzionamento pratico delle camere di ionizzazione ed anche dei contatori in generale, il fondo o « zero » dell’apparecchio è co¬ stituito di due parli: contaminazione e raggi cosmici. L’ammontare della ionizzazione prodotta nell’interno della camera dalle radiazioni contaminanti è una costante per un particolare apparecchio e può essere determinato facendo funzionare l’apparecchio protetto da uno schermo di 10 cm. di piombo ed in una profonda cava, dove il fondo dei raggi cosmici sarà molto ridotto. Lo scopo dello schermo di piom¬ bo è di ridurre il fondo prodotto dalle radiazioni naturali emesse nel¬ l’ambiente circostante la camera. In pratica è stato trovato che 10 cm. — 53 di piombo riducono le radiazioni esterne raggiungenti l’interno dello apparecchio a pochi per cento. Un tale schermo di 10 cm. di piombo avrà però scarso effetto sui raggi cosmici. Non è possibile eliminare completamente la radia- Pressione in atmosfere FIG.6 VARIAZIONE DELLA CORRENTE DI IONIZZAZIONE CON LA PRESSIONE zione cosmica e il ridurla a pochi per cento richiede considerevoli spessori. Perciò 1.000 piedi (circa 300 m.) di terra o roccia, equiva¬ lenti a circa 30 m. di piombo, eliminano la maggior parte, ma non tutta la radiazione cosmica. Un metodo migliore di eliminare la ra¬ diazione cosmica, applicabile ad un qualunque apparecchio conta¬ tore, è quello di usare una serie di contatori di guardia in anticoin¬ cidenza. Circondando il rivelatore con una tale serie di contatori, — 54 — diventa possibile ridurre gli effetti dei raggi cosmici ad un basso va¬ lore. Questo procedimento però non si applica alle camere integra¬ li ici che non agevolmente si prestano ad esso. Negli ultimi anni sono state costruite molte camere in applica¬ zione dei suddetti princìpi. Così per esempio una camera al trifluoruro di boro (BF3) fu co¬ struita da SegrÈ e Wiegand nella quale l’elettrodo collettore era un cilindro di acciaio con le estremità arrotondate. Il diametro esterno era 5 pollici (circa 13 cm.). Il gas aveva una pressione di 75 o 135 cm. di Hg. Gli osservatori trovarono uno spiccato aumento deH’effìcienza se si operava con alte pressioni a tensioni di raccolta intorno ai 7.000 Volts. A più basse tensioni gli elettroni si muovono più lentamente e venivano osservati marcati effetti di cattura elettronica. Essi riferi¬ rono inoltre che era importante la purezza del BF3. Un’altra camera ad alta pressione fu costruita da Beghian e Helban, nella quale era adoperalo metano purissimo a 35 atm. Il tempo di raccolta degli elet¬ troni fu trovato di 0,7 microsecondi e l’efficienza fu del 12% per neu¬ troni di 2,3 Mev, che venivano rivelati mediante il processo di rin¬ culo dei protoni. Il calcolo del volume effettivo deirinvolucro cilin¬ drico è molto complesso ed una serie di curve è stata preparata in proposito da Blackman. Le camere di ionizzazione, tuttora adoperate, dello Schmidt e del « metodo Aliverti » sono ovviamente del tipo integratore. BIBLIOGRAFIA 1) S. A. Korff. Electron onci nuclear counters. D. Van Nostranrl Company, Ine. New York, 1955. 2) P. Vittozzi e M. De Martino. / contatori nucleari. Boll. Soc. Nat. in Napoli, voi. LXVII. 1958. 3) G. Imbò e P. Vittozzi. Il potenziale di saturazione nelle camere di ionizzazione. Geof. pura ed applicata, Voi. 30, Milano, 1955. Vedi pure: Atti 45 a riunione S.I.P.S. (Napoli, 16/20 ottobre 1954), Roma. 1956: Annali Oss. Vesuviano, vo¬ lume IL serie VI, 1957. 4) P. Vittozzi. U effetto di parete nelle camere di ionizzazione. Geof. pura ed ap¬ plicata, voi. 33, Milano, 1956; Vedi pure: Ann. di Geofisica, voi. IX, Roma. 1956; e Ann. Osservatorio Vesuviano, serie VI, voi. IL 1957. 5) P. Vittozzi e A. De Maio. Comparison betiveen water radioactivity measure- ments by two methods. Geophysical Prospecting, voi. V. N. 1, Marzo 1957. 6) P. Vittozzi e A. De Maio. Confronto tra misure di radioattività di acque con due metodi diversi. Ann. Ist. Univ, Navale, voi. XXVI, Napoli. 1957. Determinazione quantitativa degli alcaloidi nelle foglie di giusquiamo Nota del socio dott. MARIA LUISA BOISIO (Tornata del dì 24 aprile 1959) Al fine di espletare ricerche sulla variazione del contenuto di al¬ caloidi nelle piante, nel corso dello sviluppo vegetativo, in relazione a fattori ambientali di varia natura, si è presentata l’opportunità di mettere a punto una metodologia quantitativa attendibile, semplice e rapida per la determinazione del contenuto di alcaloidi nello Hyosciamus niger. Pertanto si è dovuto prendere in esame la copiosa bibliografia esistente sull’argomento. Tralasciando di elencare i numerosissimi metodi quantitativi esistenti sulla determinazione degli alcaloidi nelle piante i quali, d’altra parte, sono ben noti ai cultori della materia, ci soffermeremo solamente su quelli che si riferiscono allo argomento di studio. Per quanto riguarda la determinazione degli alcaloidi nelle fo¬ glie di Hyosciamus niger in particolare, abbiamo preso in esame spe¬ rimentalmente i seguenti metodi : 1) il metodo indicato dalla Farmacopea Elvetica (3); 2) il metodo di Evans e Partridge consistente nella determi¬ nazione cromatografica degli alcaloidi attraverso celite (4); 3) il metodo di Jndra e Pohorsky che utilizza le resine a scambio ionico (5). Il metodo suggerito dalla Farmacopea Elvetica si fonda svd prin¬ cipio di estrarre con etere etilico la droga previamente inumidita con soluzione di ammoniaca, prelevare un’aliquota di estratto etereo, determinare gli alcaloidi nel residuo sciolto in alcool etilico ed etere di petrolio con acido titolato in presenza di rosso di metile come in¬ dicatore. Questo metodo, in pratica, presenta l’inconveniente di ope- 56 — rare su di un estratto inquinato dalPammoniaca aggiunta e colorato a tal punto da impedire di valutare con esattezza il viraggio dell’in¬ dicatore. Per diminuire l’errore dovuto alla incompleta eliminazione dell’ammoniaca dall’estratto etereo, si è introdotta la modifica di riprendere tre volte con etere etilico, essiccando poi in stufa a 95° per tre ore. Nonostante queste modifiche i risultati ottenuti con que¬ sto metodo si scostano in misura notevole dal valore medio percen¬ tuale di alcaloidi riscontrato normalmente nelle foglie di giusquiamo e sul quale la letteratura è concorde (1) (2) (3). Il metodo fondato sulla determinazione cromatografica attraverso colonna di celite (4) opera lo spostamento degli alcaloidi dai loro sali, con Ca (0H)2 . Il cromatogramma deH’estratlo viene eluito dap¬ prima parzialmente con tetracloruro di carbonio al fine di eliminare la maggior parte delle resine e delle sostanze acide presenti nella droga in esame e successivamente con etere e con cloroformio per estrarre gli alcaloidi sino a reazione neutra al verde di bromocresolo. Applicando rigorosamente il metodo abbiamo» notalo che: 1) adoperando l’idrossido di calcio per spostare gli alcaloidi dalle foglie si ha sviluppo di un’apprezzabile quantità di ammoniaca; 2) il numero delle volte con cui si riprende con il solvente l’estratto etereo è insufficiente ad eliminare quantitativamente l’am¬ moniaca contenutavi ; 3) l’eluizione preliminare con tetracloruro di carbonio, oltre a provocare il mescolamento di sostanze estrattive non alcaloidee contenute nella droga, asporta pure gran parte degli alcaloidi pre¬ senti in essa, ciò che è provato dal fatto che gli eluati successivi eterei e cloroformici non si dimostrano alcalini al verde di bromocresolo. Risultati migliori si possono ottenere usando la stessa quantità di droga, apportando al metodo le seguenti modifiche: 1) eliminazione totale deH’ammoniaea presente nell’estratto etereo mediante distillazione a b.m., ripresa con il solvente per tre volte ed essiccazione del residuo in stufa a 95° per 30 m'; 2) eluizione del cromatogramma prima con etere etilico poi con cloroformio. Il metodo, così modificato, partendo dalla quantità prescritta di droga (g 5) consente di avere valori molto vicini al contenuto me¬ dio percentuale normalmente riscontrato, non così, però, quando si diminuisce la quantità di droga su cui si opera. Per quest’ultimo motivo e per le diverse cause di errore che pre- — 57 — senta, il metodo della separazione cromatografica per celite risulta poco idoneo a risolvere il nostro problema. E’ stato infine preso in considerazione il metodo di determi¬ nazione degli alcaloidi a mezzo di resine a scambio ionico, come suggerito da A. Jndra e j. Pohorsky (5). Questo si fonda sull’estra¬ zione degli alcaloidi con soluto acquoso-etereo-ammoniacale, allon¬ tanamento dello strato acquoso, prelievo di una aliquota pesata della soluzione eterea, soluzione del residuo etereo due volte evaporato a b.m. in etanolo a 90°, soluzione del residuo alcoolico in acido solfo¬ rico 0,1%, spostamento degli alcaloidi dai rispettivi solfati a mezzo di passaggio per colonna a scambio ionico ed, infine, titolazione degli alcaloidi liberi. Dalle nostre esperienze abbiamo notato che questo metodo pre¬ senta i seguenti inconvenienti: 1) quantità di droga troppo grande per micrometodo; 2) spostamento degli alcaloidi con soluzione di ammoniaca la quale non si elimina quantitativamente portando a secco una sola volta l’estratto come suggerisce il metodo; 3) estrazione per sbattimento e non per percolazione a fondo della droga col solvente; 4) prelievo di una aliquota pesata di estratto etereo, operazione che rende i risultati non perfettamente comparabili, data la perdita di etere per evaporazione nel corso delle operazioni di prelievo e pesata. A tali inconvenienti abbiamo ovvialo: 1) partendo da quantità di droga pari alla metà, ad un quarto, ad un ottavo e ad un ventesimo circa di quella suggerita dal metodo; 2) spostando gli alcaloidi con idrossido di calcio anziché con soluzione di ammoniaca, in considerazione del fatto che la soluzione acquosa ammoniacale, come si è potuto constatare, agisce sfavore¬ volmente sulla stabilità degli alcaloidi messi in libertà; 3) estraendo il materiale, trattato con Ca (OH)2 per percola¬ zione totale; 4) operando sull’estratto etereo totale allo scopo di evitare gli errori inerenti al prelievo di aliquote di questo; 5) eliminando tutta l’ammoniaca, liberatasi dalle foglie a se¬ guito del trattamento con idrossido di calcio, per mezzo della di- stillazione dell’etere, riprendendo tre volte col solvente neutro ed infine, riscaldando in stufa a 95° l’estratto etereo per 30 m ' . Ana¬ logamente si è operato dopo aver ripreso il residuo con alcool. 58 — - I risultati ottenuti con questo metodo modificato si sono rive¬ lati concordanti, nel limite dell’errore sperimentale, per ciascuna quantità di droga saggiata e si avvicinano sensibilmente al contenuto medio percentuale. Parte sperimentale Materiale impiegato: foglie di giusquiamo dell’annata fornite dalla ditta Ulrich Umidità: 8,27% Ceneri: 24,84% sul secco Metodo della Farmacopea Elvetica. In un flaccone della capacità di 150 c.c. si mescolano 6 g di droga con 60 c.c. di etere etilico, 4 c.c. di ammoniaca diluita, si agita energicamente e di frequente per mezz’ora; si aggiungono due c.c. di acqua e si agita di nuovo. Si lascia sedimentare, poi si versano 40 c.c. della soluzione ete¬ rea, filtrando per cotone idrofilo, in una beuta a tappo smerigliato della capacità di 150 c.c. e si distilla a b.m. Si riprende ancora due volte il residuo con 5 c.c. di etere etilico e si evapora di nuovo. Per eliminare completamente l’ammoniaca abbiamo notato che occorre tenere poi in stufa a 95° per tre ore. Si scioglie quindi il residuo in 5 c.c. di acool, si aggiungono 10 c.c. di etere di petrolio, 30 c.c. di acqua, 10 gocce di soluzione di rosso di metile e si titola con HC1 N/10 fino a colorazione rosa dello strato acquoso. Un c.c. di HC1 N/10 = 0,0321 di ioscina. Metodo di determinazione cromatografica attraverso celile. g 5 di droga si inumidiscono con tre c.c. di acqua, si lascia in disparte una notte in recipiente ben chiuso. Si tritura con g 1 di os¬ sido di calcio sino a miscela uniforme ; si trasferisce la miscela in im¬ buto separatore chiuso con cotone e si completa il trasferimento con etere etilico. Si chiude il separatore e si agita continuamente per 1 h. Si lascia sedimentare il solido, si scola il liquido supernatante, si com¬ prime il residuo e si percola con etere etilico sino a completa estra¬ zione degli alcaloidi. Il metodo suggerisce di raccogliere 250 c.c. di — 59 — percolato e di confermare la completa estrazione con 0,05 N iodio. Noi abbiamo notato che dopo 350 c.c. di percolato, la reazione con il Dragendorf, più sensibile della soluzione iodo-iodurata, è sem¬ pre negativa e quindi abbiamo aumentato il volume del percolato sino a 400 c.c., eliminando la prova di controllo di estrazione com¬ pleta, in modo da non sottrarre neppure piccola quantità di percolato. Il metodo a questo punto prescrive semplicemente di allontanare l’etere. Abbiamo osservato che, oltre ad allontanare l’etere distil¬ lando a b.m., occorre: — Riprendere il residuo tre volte con etere; — tenere in stufa a 95° per 30 m' affinchè si abbia l’eliminazione quantitativa deH’ammoniaca che, come detto sopra, si libera per trat¬ tamento delle foglie con idrossido di calcio. Fatto questo si scioglie il residuo in 2 cc. di tetracloruro di car¬ bonio. Si prepara la colonna cromatografica come segue: si mesco¬ lano intimamente c.c. 3,2 di tampone fosfatico a pH 6 con 10 g « Hyflo Super-Cel »; si comprime un tampone di cotone in un tubo di vetro del diametro interno di cm. 1,7 e delia lunghezza di circa 35 cm., chiuso con un rubinetto, si versano circa 30 c.c. di tetraclo¬ ruro di carbonio nel tubo e si introducono 3 g di celite mescolata al tampone. Si agita la sospensione, si continua ad ammassare usando quantità da uno a due grammi della rimanente celite. Si lascia sco¬ lare il tetracloruro di carbonio superna lante dalla colonna e si tra¬ sferisce la soluzione del residuo in tetracloruro di carbonio in cima alla colonna, lasciando che la quantità di liquido versata sulla co¬ lonna vi sia assorbita prima di aggiungere la successiva. A questo punto il metodo suggerisce di sviluppare il cromato¬ gramma con circa 30 c.c. di tetracloruro di carbonio, di eluire con etere etilico e poi con cloroformio. Abbiamo osservato che, quando lo sviluppo del cromatogramma viene effettuato secondo queste mo¬ dalità, nessuna frazione dell’eluato etereo nè quello cloroformico presenta reazione alcalina al verde di bromocresolo. Modificando il metodo con lo sviluppare il cromatogramma con etere invece che con tetracloruro di carbonio, si ottengono frazioni di eluato nettamente alcaline al verde di bromocresolo e poi, quando l’eluato non si ma¬ nifesta più alcalino a questo indicatore e si passa ad eluire con clo¬ roformio, si ottengono altre frazioni nettamente alcaiine al verde di bromocresolo. Si addizionano agli eluati eterei alcalini riuniti 5 c.c. di acqua, si titola con H2S04 N/200 in presenza di verde di bro¬ mocresolo. Analogamente si titolano gli eluati cloroformici alcalini. — 60 Metodo di determinazione attraverso resine a scambio ionico. Ap¬ parecchiatura. Consiste in un tubo di vetro con la parte superiore slargata a cono che presenta nella parte inferiore una strozzatura e si chiude con un rubinetto. Per il micrometodo le dimensioni sono: lunghezza totale 21 cm.; diametro 0,8 em.; diametro dell’estremità supe¬ riore 1,7 cm. La resina, Amberlite IR-4 B, è macinata sott’acqua in mortaio e trasferita in un becher con acqua. Le particelle piccole che riman¬ gono sospese si eliminano e il residuo si lava con acqua distillata e si lascia sott’acqua per 48 h. Preparazione della colonna a scambio ionico. Il tubo è fissato verticalmente e la parte inferiore è chiusa con un batuffolo di cotone. Si aggiunge la resina preparata e si mantiene un flusso costante di acqua distillata per evitare le bolle d’aria. Un secondo batuffolo di ovatta si pone alla sommità della colonna. Per la microdeterminazione, l’altezza della colonna di resina è di 2,5 cm. La resina viene prima rigenerata facendola attraversare da una quantità di soluzione di carbonato sodico di circa 5 c.c. La colonna si lava poi con acqua distillata finché il liquido di lavaggio non dà più reazione con la fenolftaleina. Determinazione su foglie di giusquiamo. 20 g di foglie polverate si sbattono vigorosamente con 100 g di etere e soluzione di ammoniaca all’8% per almeno 30 m' e si la¬ scia in riposo per 15 m'. La miscela è filtrata per batuffolo di cotone in un imbuto separatore che contiene 10 c.c. di acqua. Si sbatte nuo¬ vamente e si asporta la parte acquosa. Si pesano 60 g di soluzione eterea in una beuta da 150 c.c. Si distilla sino a ridurre il volume a circa 10 c.c., si riprende due volte con 10 c.c. di etere, si evapora a secchezza. Si addizionano 8 c.c. di etanolo a 90° e si evapora a secco. Si scalda il residuo con 4 c.c. di U2S04 0,1%, mescolando. Si versa la soluzione sulla colonna a scambio ionico, si raccoglie il li¬ quido effluito, si diluisce con 25 c.c. di acqua, si titola con HC1 N/100. Noi invece abbiamo effettuato l’estrazione degli alcaloidi dalle foglie di giusquiamo con la tecnica indicata a pag. 6. Abbiamo sciolto l’estratto etereo ottenuto come detto sopra, in — 61 — alcool etilico a 90°, abbiamo portato a secco e ripreso per tre volte sino cioè ad ottenere alcool distillato non alcalino all’indicatore, si è poi tenuto in stufa a 95° per 30 ni', si è sciolto il residuo in 4 c.c. di H2S04 0,1%, si è versata la soluzione sulla colonna, si è lavalo con alcool a 90° sino a reazione neutra al verde di bromocresolo. I risultati sono raccolti nella tabella qui sotto riportata, nella quale è indicata la percentuale di alcaloidi (ioscina) trovata sul secco (e le rispettive medie) con i tre metodi descritti in riferimento alle diverse quantità di droga sulle quali si è lavorato. Considerazioni sui risultati Riguardo al metodo della Farmacopea Elvetica, la quantità mi¬ nima di droga che si può sperimentare non può scendere al di sotto dei 5 g, perchè già con questa quantità, il fattore di correzione (che indichiamo con b : a in cui b è 0,0670, contenuto percentuale medio normalmente riscontrato nelle foglie di giusquiamo e sul quale la bibliografia concorda, e in cui a (v. Tabella) è il valore medio per¬ centuale trovato) presenta il valore di 0,2278, con T aumentare della quantità di droga a 6 e poi a 7 g, il fattore di correzione tende ad au¬ mentare di poco divenendo rispettivamente uguale a 0,2463 e a 0,2536. Prendendo in considerazione il metodo basato sulla determina¬ zione cromatografica attraverso celite, come si deduce dalla tabella, si nota che, procedendo su 5 g di foglie, come suggerisce Evans e Coll. (4) si ha un fattore di correzione molto vicino all’unità (0,9563). Raddoppiando la quantità di droga il fattore di correzione diviene uguale a 0,7532; in misura molto maggiore si scosta dall’unità quando si diminuisce la quantità di droga a 4 g (1,827) e poi 2,5 g (2,3320). Passando al metodo di determinazione attraverso resine a scam¬ bio ionico (5), come si deduce dalla tabella, i fattori di correzione, per tutte le quantità di droga sperimentate sono molto prossimi alla unità (per g. 10 0,9668; per g 5 1,0464); e vi si scostano poco anche quando si riduce la quantità di droga su cui si opera ad un ottavo (per g 2,5 0,9207) e approssimativamente ad un ventesimo di quella suggerita dal metodo originale (per g 1,2 0,7948). 62 — 63 — Conclusioni Dei tre metodi sperimentati il metodo della Farmacopea Elvetica, pur con le modifiche apportatevi per standardizzare al massimo le condizioni, non consente, come già detto sopra, neppure parziale purificazione dell’estratto contenente gli alcaloidi, suggerisce quindi la determinazione del litoio in una soluzione fortemente colorata, con conseguente errore nell’apprezzamento del viraggio. I risultati otte¬ nuti con questo procedimento, presentano valori che si aggirano sulla quarta o addirittura quinta parte del contenuto medio percen¬ tuale normalmente riscontrato. Come metodo di determinazione ci sembra dunque sconsigliabile e, come micrometodo, assolutamente inadatto dato che la quantità di foglie su cui si opera non si può di¬ minuire al di sotto di 5 g. II metodo che si basa sulla determinazione cromatografica attra¬ verso celite (4), come detto sopra, presenta, anche se modificato come abbiamo proposto, diverse fonti di errore. I valori che si ot¬ tengono si scostano in misura sensibile dal contenuto percentuale medio normalmente riscontrato per quantità di droga di g 2,5 a 4 e inducono a considerare anche questo procedimento non applicabile come micrometodo. Si può quindi concludere affermando che il metodo di deter¬ minazione attraverso resine a scambio ionico, con le modifiche da noi apportate, si presenta preferibile ad altri metodi sperimentati. I vantaggi che vengono dall’impiego di questo metodo sono evidenti e si possono così riassumere: 1) rapidità delle operazioni analitiche; 2) ottenimento di soluti praticamente incolori in cui è age¬ vole apprezzare le variazioni cromatiche dell’indicatore; 3) possibilità di impiegare quantità molto piccole di droga con buoni risultati. Napoli, Istituto di Chimica farmaceutica e tossicologia delVUniversità , aprile 1959. BIBLIOGRAFIA (1) Farmacopea Internazionale, tomo I, pag. 121, 1951, la Ed. Francese. (2) Farmacopea Francese (Codex) VII Ed. 1949, pag. 91. (3) Farmacopea Elvetica, V Ed.. 1949, pag. 472. (4) W. C. Evans, M. W. Partridge: J. Pharm. Pharmacology 4, 769. (1952). (5) A. Jndra, J. Pohorsky : J. Pharm. Pharmacology, 3, 344, (1951). (6) F. Reimers : Quart. J. of Pharm. Pharmacology, 21. 470, (1948). Controllo analitico delle acque sorgive del Serino Nota del socio DIANA EAMBERTINI e del dott. GIOSÀFATTE MONDELLI (Tornata del 29 maggio 1959) In questa nota sono presentali i dati ottenuti dall’esame chimieo e chimico-fìsico delle acque delle sorgenti del Serino, eseguito per conto dell’Acquedotto di Napoli. A scopo di confronto sono anche riportati i risultati delle inda¬ gini similari già svolte da altri sperimentatori sulle acque di queste sorgive. Le sorgenti del Serino, ubicate in una zona circoscritta dall’alta valle del fiume Sabato, costituiscono nell’assieme un gruppo notevole sia per la portata molto elevata ed abbastanza costante nel tempo, sia per le caratteristiche (composizione e potabilità) dell’acqua che da esse sgorga. La potenzialità, la giacitura e l’origine delle sorgenti, nonché le caratteristiche stesse dell’acqua, si spiegano tenendo conto della costi¬ tuzione geologica della regione di Val Sabato (1, 2). Le catene montuose che sovrastano queste territorio, costituite da calcari assai fratturati dell’eia secondaria, spettanti per la maggior parte al periodo cretacico, formano il grande bacino imbrifero di ali¬ mentazione, mentre il fondo valle, che di dette sorgenti forma il ba¬ cino di raccolta, è ricoperto da depositi argillosi del terziario infe¬ riore (sopratutto eocenici) e da importanti formazioni del quater¬ nario, costituite da prodotti vari, di natura alluvionale (argille e materiali sabbiosi) e di provenienza aerea (tufi vulcanici). Le acque meteoriche percolano attraverso le fratture dei calcari montani fino alle sottostanti masse eoceniche impermeabili e creano nei depositi quaternari, costituiti dall’alternanza di materiali per¬ meabili ed impermeabili, una fitta rete di falde idriche più o meno — 65 — profonde, nelle quali l’acqua fluisce prevalentemente in direzione nord-nord-est. Le falde idriche seguono, grosso modo, l’andamento delle for¬ mazioni argillose eoceniche, andamento molto irregolare per i pie- ghettamenti ed i sollevamenti subiti da quelle formazioni a seguito di fenomeni tettonici. Questi sollevamenti ostacolano il cammino delle acque, sbarrandone il deflusso a mo’ di diga: l’acqua preme contro gli strati superiori e fuoriesce, aprendosi un varco nei punti di minore resistenza, e cioè là dove detti strati sono meno spessi ed il materiale che li costituisce è maggiormente disgregato. Si originano in tal modo le sorgenti del Serino, le quali possono pertanto considerarsi come di emergenza o di troppo pieno; esse si distinguono in tre gruppi strettamente collegati fra loro, e precisa¬ mente: Acquaro e Pelosi (sorgenti alte: quota media mt 370 s.l.m.) e Urciuoli (sorgenti basse: quota media mt 320 s.l.m.). In dipendenza di tali ubicazioni le portate d'acqua scaturite dalle sorgenti alte, che in un certo senso rappresenterebbero lo sfioro del bacino di raccolta, sono molto variabili, invece quelle delle sorgenti basse hanno un andamento più costante nel tempo ed al variare de¬ gli eventi meteorologici. Difatti, mentre i valori medi delle portate dei gruppi Pelosi ed Acquaro hanno oscillato negli ultimi anni, rispettivamente tra 350 e 850 lt/sec- e 160 e 650 lt/see., quelli relativi al gruppo Urciuoli hanno subito solo delle oscillazioni comprese fra 1150 e 1400 lt/sec. In origine il gruppo delle sorgenti basse, di potenzialità di gran lunga maggiore degli altri due, era l’unico ad essere utilizzato per l’alimentazione dell’Acquedotto di Napoli (infatti le analisi più an¬ tiche si riferiscono solo all’acqua delle sorgenti Urciuoli); in seguito, per adeguare la portata dell’acquedotto alle accresciute esigenze, fu¬ rono captate anche le sorgenti alte. Le acque di questi gruppi furono raccolte mediante collettori rettilinei alquanto approfonditi, del tipo di quello rappresentato alla tav. 1, e, dopo esser state mescolate in una prima camera di raccolta (tav. II, fig. 1), furono inviate anche esse nella grande vasca di con¬ fluenza delle sorgenti Urciuoli (tav. II, fig. 2) da cui si diparte la con¬ dotta forzata per Napoli. Gli Autori si sono recati alle sorgenti nel Dicembre del 1958 e nel Marzo del 1959 per eseguire le osservazioni ed i saggi sul posto. Prima di effettuare i diversi prelievi delle acque da sottoporre ad 5 — 66 — analisi in laboratorio, si sono eseguite alcune determinazioni isolate di confronto su campioni presi alla testa dei collettori ed agli sbocchi degli stessi nelle camere di raccolta. Non avendo rilevato fra di essi differenze apprezzabili, si è preferito prelevare le acque nei punti di più facile accesso, e cioè, agli sbocchi dei collettori. I risultati ottenuti nelle indagini espletate sono riassunti, per le singole acque, nelle tabelle n.ri: 1, 2, 3, 4, 5. Inoltre, nella tabella 6, sono raggruppati, unitamente ai nostri, i dati analitici pubblicati da vari sperimentatori in epoche diverse; in ques t’ultima tabella, allo scopo di facilitare il confronto, anche i dati relativi alle analisi da noi eseguite vengono espressi in ossidi. Sorgente Urciuoli TABELLA 1. Coratteri generali L'acqua è limpida, incolora ed inodora. TABELLA 2. I abitazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C ... . 2) Residuo secco a 180°C . 3) Ammoniaca (NH3) . 4) Nitriti (N203) . 5) Nitrati (N2CL) . . . 6) Ossigeno consumato in soluzione acida (Kiibel) . 7) Durezza totale . . . . . 8) Alcalinità totale (CaC03) . 9) Idrogeno solforato (H0S) . 10) Ferro (Fe) . 11) Manganese (Mn) . 0,2180 gr/lt 0,2120 » » assente assenti presenti 0,00016 gr/lt 17,3° Francesi 0,1715 gr/lt assente 0,023 ingr/lt assente TABELLA 3. D eterni i nazi o ni chi ni i co-fìs ielle. 1) Temperatura delLacqua alla sorgente: — 3/12/1958 - ore 13 . 11,25°C — 9/3/1959 - ore 15 . 11,30°C 2) Temperatura dell’aria esterna : - 3/12/1958 - ore 13 . 5°C — 9/3/1959 - ore 15 . . . 1,0001 3) Densità (15°C/15°C) ... ... . . . 13,3°C — 67 1) Abbassamento crioscopico 5) Pressione osmotica 6) Conduttività (a 25°C) . 7) p H (a 18°C) . — 0,013°C 0,16 atm. 0,368x10- 3 7,4 TABELLA 4. Gas disciolti. (in un litro d’acqua alla temperatura della sorgente e ridotti a 0°C e 760 min Hg) 1) Ossigeno . . 8,00 ce 2) Anidride carbonica . 1,50 » 3) Azoto + gas rari . . 16,70 » 26,20 cc TABELLA 5. Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti (ioni) 1 gr/litro 1 millimoli/litro millivalenze/litro cationi anioni Ca+_+ 0,0569 1,43 2,84 Mg- 0,0074 0,31 0,62 Na> 0,0089 0,39 0,39 K 0,0031 0,08 0,08 3,93 H CO.- 0,2033 3,43 3,43 Cl- 0,0100 0,28 0,28 SO, — 0,0093 0,095 0,19 NO- 0,0040 0,06 0,06 3,96 h2sìo3 1 0,0156 0,20 — 68 — Sorgente Pelosi TABELLA 1/ Caratteri generali. L'acqua è limpida, incolora ed inodora. TABELLA 2/ Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C . 0,2140 gr 11 2) Residuo secco a 180°C . 0,2110 » » 3) Ammoniaca (NH3) . assente 4) Nitriti (N.,03) . assenti 5) Nitrati (N20.) . presenti 6) Ossigeno consumato in soluzione acida (Kiibel) . 0.00018 gr/lt 7) Durezza totale . 17,5° Francesi 8) Alcalinità (CaC03) . 0,1769 gr/lt 9) Idrogeno solforato (H9S) . assente 10) Ferro (Fe) . 0.015 mgr/lt 11) Manganese (Mn) . assente TABELLA 3.' Determinazioni chimico-fisiche. 1) Temperatura dell’acqua alla sorgente: - 3/12/1958 ■ ore 13 . 10,25°C — 9/3/1959 ■ ore 15 . 10,30°C 2) Temperatura dell’aria esterna: - 3/12/1958 - ore 13 . 3°C - 9/3/1959 - ore 15 . 11,8°C 3) Densità (15°C/15°C) . 1.0002 4) Abbassamento crioscopico . — 0,014°C 5) Pressione osmotica . . 0,17 atm 6) Conduttività (a 25°C) . 0,360. 10~3 7) p H (a 18°C) . 7,4 TABELLA 4/ Gas disciolti. (in un litro d’acqua alla temperatura della sorgente e ridotti a 0°C e 760 min Hg) 1) Ossigeno . 7,20 cc 2) Anidride carbonica . 1.90 » 3) Azoto + gas rari . 17,00 » 26,10 cc — 69 — TABELLA 5/ Rappresentazione dei risultati analitici. 1 miìlivalenze/litro Componenti gr/litro nril limoli/litro (ioni) cationi anioni Ca 0,0538 1,34 2,68 Mg+ - 0,0098 0,40 0,80 1 Na + 0,0087 0,38 0,38 K 0,0019 0,05 0,05 3,91 H CON¬ 0,2159 3,54 3,54 CI¬ 0,0068 0,19 0,19 SO, — 0,0075 0,075 0,15 NO- 0,0024 0,04 0,04 3,92 Il,Si03 0,0127 0,16 1 1 Sorgente Aequaro TABELLA 1." Caratteri generali. L’acqua è limpida, incolora ed inodora. TABELLA 2." Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C . 2) Residuo secco a 180°C . 3) Ammoniaca (NH3) . 4) Nitriti (N203) . 5) Nitrati (N20„) . 6) Ossigeno consumato in soluzione acida (Kiibel) . 7) Durezza totale ............ 8) Alcalinità (CaC03) . . 9) Idrogeno solforato (H9S) . 10) Ferro (Fe) . . 11) Manganese (Mn) . 0,2210 gr/h 0,2160 » » assente assenti presenti 0,00020 gr/lt 17,8° Francési 0.1795 gr/lt assente 0,020 mgr/Jt assente — 70 — TABELLA 3." Deter ni inazioni chimico-fisiche. 1) Temperatura dell’acqua alla sorgente: — 3/12/1958 - ore 13 . 10,25°C — 9/3/1959 - ore 15 . 10.30°C 2) Temperatura dell’aria esterna: — 3/12/1958 ■ ore 13 . . . . . 3°C - 9/3/1959 - ore 15 . 11,8°C 3) Densità (15°C/15°C) . 1,0003 4) Abbassamento crioscopico . . — 0,015°C 5) Pressione osmotica . ..... 0,18 atm. 6) Conduttività (a 25°C) . 0,372. 10~3 7) p H (a 18°C) . . 7,4 TABELLA 4." Gas disciolti. (in un litro d’acqua alla temperatura della sorgente e ridotti a 0°C e 760 min Hg) 1) Ossigeno . . 7,50 cc 2) Anidride carbonica . . 1,80 » 3) Azoto + gas rari . . 16,50 » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti gr litro millime li. litro I millivalenzellitro (ioni) cationi 1 anioni Ca 0,0542 1,35 2,71 Mg+ 0,0105 0,43 0,86 Na + 0,0087 0,38 0,38 K 0,0039 0,10 6,10 HCO.- 0,2191 • 3,59 ' 4,05 3,59 ci- 0,0093 0,26 0,26 so4 — 0,0083 0,085 0,27 NO.- 0,0044 0,07 0,07 H3SiO;J 0,0112 0,14 4,09 TABELLA 71 Autori Punzo - 1884 (8) Casoria - 1888 (4) Guareschi - 1901 (5)i | Caro - 1914 (6) Sacco - 1943 (7) f 1 ambertini - Mondelli - 1959 : LO t— IN- © © p*H CO CO - ■ o © j i I © © © o © 1 1 1 1 ©^ © © © © © © © © r- © © © o © LO CSI r-H r— | o © 1 1 1 1 1— 1 r—l r-H 05 o © 1 1 1 1 © ©^ © © © © © © © © 05 05 © © o CO © O O CO CO r-H o « © © o W © © © CB 1 © © « X ©^ © C5 ©^ © ©^ 3> © IN* t— © IN- CS| co CO '5p © © C— © o o © © 1 1 © © © CD © ©^ © © 1 1 © © © © © © © © © © o, © r~ co © © © co © t— CO © r~ IN* © © © © *“ " o © © © © © r—l © © u © © © © © © © © © © © ° © © © © © © r- LO CSI CSI © ■Cfl CS| o CSI © © t- © csi tN- © © bu © © © © © © © © ©^ S © © © © © © © © © CO co LO © © © © co o © CO C- © co © © LO LO t— t- © c~* IN- t- IN* t— IN- u © © ©^ ©^ © © © © © © © © © © © © © © LO © r- © © © © Ot (NI r— 1 © © C~ CM © © o r-H r—l | r—l r—l r— 1 r-H © © © 1 © ©^ © © © © CD © © © © © © © © 3 u © © LO CO © © © © © CSI © © tr~ © CO CS| © r—l o © © oo r-H co r—l © r—| r—| i— | « 2 CSI r—l Cl ’cq CSI r—l CSI CSI N V r"1 © © © © © © © © © PS CB 0 - 0 "S c '© © "o Ut OS 'o CB £ b£ 3 o 3 *5 .2 *3 3 ‘3 3 © (fi o ’3 3 © los Ih u u Ih w © IH O 05 O C#J D D D D < 0- S < Ph — 72 — I dati analitici riportati nelle precedenti tabelle mostrano che le acque delle sorgenti alte (Acquaio e Pelosi) hanno una composizione del tutto identica a quella del gruppo Urciuoli, a riprova che le sor- genti altro non sono che gli sbocchi a varia altezza di una complessa falda acquifera scissa in diversi rami; essi mostrano altresì che le ac¬ que esaminate posseggono una elevata purezza, come era da atten¬ dersi a seguito della prolungata filtrazione attraverso gli strati sab¬ biosi permeabili incontrati nel loro percorso. Esaminando i dati raggruppati nella tabella 6 si nota che le dif¬ ferenze fra i valori riportati nelle diverse analisi si mantengono lie¬ vissime a notevole distanza di tempo. Per tanto il controllo analitico da noi eseguito conferma ulte¬ riormente quelPassieme di caratteristiche chimiche e chimico-fìsiche che rendono l’acqua delle fonti di Serino una fra le più pregiate ac¬ que potabili. Ringraziamo l’ing. Ugo Potenza, della Società per l’Acquedotto di Napoli, per la cortese, efficace collaborazione alle indagini delle quali si dà conto. Napoli. Istituto di Chimica Industriale dell’Università , maggio 1959. BIBLIOGRAFIA 1) Zoppi G. Volturno. Sarno-Tusciano , « Meni, illustr. carta idrogr. d ii. », n. 23, p. 28. Roma, 1896. 2) VernaÙ F. L'acquedotto di Napoli. Napoli. Pellerano, 1907. 3) Punzo P. Analisi chimica dell’acqua del Serino ( presa dal Serbatoio di Capo¬ dimonte). Napoli. Giannini, 1884. 4) Casoria E. Composizione chimica dell'acqua del Serino attinta nella città di Napoli. « Boll. Soc. Naturai. », voi. II, p. 213. Napoli. 1888. 5) Guareschi 1. Nuova Enciclopedia di Chimica, voi. III. p. 349. Torino. Utet. 1901. 6) Caro 0. Analisi dell’acqua di Serino. « L’evoluz. Igien. ». Napoli. 1914. 7) Sacco F. Geoidrologia del Serino. « Geofisi, pura e appi. » p. Ili, Milano, 1943. Fig. 1. — Collettore di Acquaro durante la costruzione. Boll. Soc. Nat. in Napoli. 1959. Lambertini e Mondelli. Acque sorgive del Serino , Tav. I. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1959. Lambertini e Mondelli. Acque sorgive del Scrino, Tav. II. Fig. 1. — Sorgenti alte: gruppi Acquare e Pelosi — Camera di raccolta. Fig. 2. — Sorgenti basse: gruppo Creinoli — Camera di raccolta. Le condizioni geo-petrolifere dell’Italia Meridionale Nota del socio prof. ANTONIO LAZZARI (Tornata del dì 29 maggio 1959) 1. Premessa. — r A chi volesse compilare un elenco delle manifesta¬ zioni di idrocarburi che si rinvengono nelle nostre regioni meridio¬ nali, apparirebbe evidente la notevole importanza che esse assu¬ mono, per numero e per significato, ad un attento e circostanziato esame condotto tenendo conto non solo del loro modo di presentarsi, ma basato soprattutto sulle condizioni geologiche locali, con le quali debbono ritenersi in intimo rapporto. In un mio lavoro su « Le prospettive petrolifere dell' Italia me¬ ridionale », vincitore del Premio Napoli per le Scienze (1957), ed accolto per la stampa dalla Accademia di Scienze Fisiche e Mate¬ matiche della Società di Scienze, Lettere ed Arti di Napoli, ho avuto occasione di passare in rassegna un centinaio di tali manifestazioni, a me direttamente note per indagini sul terreno; ma esse non sono le sole presenti nelle nostre zone. Difatti, di tanto in tanto, altre ne vengono segnalate, sì che non è a maravigliarsi se Scipione Brei- slak [1], trattando degli incendi del Vesuvio, esprimeva l’opi¬ nione che tanto è il petrolio presente nel nostro Appennino, giudi¬ cando dalle manifestazioni superficiali, da essere la causa prima delle eruzioni vesuviane. Secondo l’interpretazione che detto A. dava della attività vulcanica, il petrolio, scorrendo per vie sotterranee, si ac¬ cumulerebbe in vaste cavità esistenti al di sotto del Vesuvio, pren¬ dendo poi fuoco per cause accidentali — quali ad esempio i fulmini che colpiscono quel rilievo — ed alimentando l’attività eruttiva fino a quando non si fosse completamente esaurito il petrolio accumu¬ latosi in precedenza. Il succedersi delle eruzioni e la loro durata, venivano quindi messe in relazione al costituirsi di nuovi, e varia¬ mente importanti, accumuli di quel prezioso combustibile. Gran bella cosa invero, se attualmente si potesse contare su mo¬ vimenti di accumulo del petrolio alla maniera descritta dal Breislak; sarebbe infatti possibile evitarne gli incendi e procedere agevol¬ mente alla estrazione del prezioso liquido dalle sottostanti cavità. Ma questa visione della attività vulcanica vesuviana, frutto della fervida fantasia dello scrittore (e, più ancora dalla assoluta mancanza di conoscenze, in quel tempo, sulla geologia del petrolio) pur essendo ben lungi dallo esprimere la realtà dei fatti, assume ugualmente un suo preciso significato. Dimostra infatti come, già un secolo e mezzo addietro, le manifestazioni petrolifere dell’Italia meridionale richia¬ massero l’attenzione degli studiosi; e ciò indipendentemente dal fatto se sia stato tentato, o meno, procedere alla estrazione del petrolio, come già si praticava nelle zone pedemontane dell’Appennino setten¬ trionale. In prosieguo di tempo si deve giungere agli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale, per vedere indirizzati mezzi scientifici e tecnici alla ricerca petrolifera nelle nostre regioni; ma non è a dirsi eh le aree prese in considerazione siane state varie e vaste; nè che siano stati numerosi, salvo a Tramutola, i sondaggi meccanici esplorativi realizzati, almeno fino a pochi anni addietro; momento in cui si è avuto un frenetico risveglio dell’interesse petro¬ lifero, tradottosi soprattutto in una tale gara nella richiesta dei per¬ messi di ricerca, da ricoprire più volte le aree ritenute promettenti dal puno di vista geo-petrolifero. Si può anzi dire che, nonostante che negli anni precedenti l’ul¬ tima guerra la ricerca petrolifera fosse prevalentemente impostata in relazione alla esistenza di indizi superficiali, due sole aree (Tra- mutola e S. Angelo dei Lombardi) furono oggetto di particolare atti¬ vità di perforazione. Ma di queste ricerche, come pure di quelle con¬ dotte nello stesso tempo nella Fossa Bradaniea, sarà più ampiamente accennato in altra parte della presente nota. Nella sopra indicata mia memoria su « Le prospettive petrolifere delV Italia meridionale », ho avuto occasione di compiere un esame dei risultati conseguiti da tali perforazioni, spiegando le ragioni degli insuccessi pratici; le quali, a mio avviso, sono da ricercarsi soprattutto in una non chiara visione delle condizioni geo-petrolifere delle rispet¬ tive zone, in conseguenza della mancanza di dettagliate conoscenze geologiche, di carattere generale. Tale deficienza va dunque intesa non tanto nel senso stratigrafico, quanto, e soprattutto, in riferimento alla successione degli eventi tettonici che si sono verificati nell’Italia meridionale. E poiché, pur nella spasmodica corsa alla richiesta dei permessi di ricerca, vien fatto di pensare che molte aree prescelte in questi — 75 — ultimi anni non rispondano ad un sano criterio petrolifero inteso in senso industriale; nè tengano conto degli insuccessi del passato, pur se assai ricchi di insegnamenti se attentamente vagliati; così ritengo opportuno esporre qui di seguito un succinto quadro delle condizioni geo-petrolifere delle regioni meridionali, che valga a fornire un orien¬ tamento di carattere generale. Ciò potrebbe indurre a rivedere ta¬ lune impostazioni date dai permissionari al problema della ricerca; il che potrebbe risultare tanto più utile, in quanto molte società (in qualche caso fornite di una certa tradizione petrolifera, in altri casi improvvisatesi) rimangono evidentemente in attesa che altri più intra- p redenti, riescano a trovare la « chiave » del problema petrolifero meridionale. 2. Cenni strati grafici. — Per quanto taluni studiosi di geologia meridionale abbiano, in questi ultimi anni, tentato di dimostrare che gli schemi fissati da De Lorenzo [2] per il Trias, non siano da rite¬ nersi più validi, purtuttavia, in base alla mia diretta esperienza sul terreno, ritengo che quanto fu visto da quel profondo conoscitore delle nostre regioni, non possa essere oggetto di sostanziali muta¬ menti. Dobbiamo, quindi, continuare ad ammettere, conformemente a quanto si può osservare soprattuto in Lucania, e subordinatamente in Campania, che la porzione più bassa del Trias affiorante, costi¬ tuita dai calcari con liste e noduli di selce, rappresenti il Ladinico. Con ciò non si intende dissentire da quanto ha osservato Scarsella [3 J, secondo il quale, al di sotto di tali calcari ad Halobia , vi compare la dolomia, nell’area di S. Fele, a sud del Vulture. E’ logico d if atti ammettere che nell’ambito dei calcari suddeti si verifichino variazioni laterali di facies. Vero è che De Lorenzo ebbe modo di datare il suo Trias medio grazie alle faune rinvenute in taluni affioramenti calcarei che egli diceva « ami gdaloidam ente » inclusi nei calcari con liste e noduli di selce (ad Halobia ) o negli « scisti silicei » soprastanti. In realtà, tali calcari fossiliferi, che De Lorenzo definisce di scogliera, mal trovano il loro posto fra gli scisti silicei se a questi si vuole attribuire un signi¬ ficato di facies molto profonda (1); ed è logico quindi pensare, come ha fatto recentemente Lue ini [4] e come del resto chi scrive ha ripe- li) È noto, difatti, che depositi selciferi si possono formare anche indipen¬ dentemente dalla profondità, per effetto di arricchimento delle acque marine in Si02 , a seguito di eruzioni sottomarine. — 76 — lutameli te discusso con De Lorenzo negli ultimi anni della sua vita, che la loro posizione attuale rappresenti l’effetto della tettonica da cui è affetto lutto il Trias medio. Ma, mentre Lucini non avanza al¬ cuna ipotesi atta a spiegare le condizioni in cui ebbero a sedimentarsi tali calcari organogeni ed il loro inglobamento tettonico negli scisti silicei, o nei calcari con liste di selce, cosi ritengo non privo di inte¬ resse accennare brevemente — in attesa di portare a compimento le indagini da me intraprese su tale argomento — ad una possibile ipo¬ tesi che può essere formulata a tale proposito. Ferma restando la sicura appartenenza dei suddetti calcari di sco¬ gliera al Trias medio, in base alla fauna illustrata da De Lorenzo [5] su materiali da lui raccolti nella zona di Lagonegro e conservati nel Museo di Paleontologia dell’Università di Napoli, nonché la identica datazione dei calcari con liste e noduli di selce per la presenza in essi di varie specie di Halobia , noi possiamo ragionevolmente pensare che i calcari di scogliera si siano depositati qua e là al di sopra degli scisti silicei allorquando questi, conformemente alle vedute di De Lo¬ renzo, andavano emergendo dal bacino sedimentario fino a costituire le pieghe ad andamento meridiano da lui rilevate in Lucania. Ammettendo una tale ipotesi, si può anche pensare che tali scogliere siano poi scivolate lungo il substrato plastico degli scisti silicei ed in questi amigdaloidamente inglobati come voleva De Lo¬ renzo. Le pieghe ad andamento meridiano rilevate da questo A., pos¬ sono ragionevolmente essere interpretate come effetto di un primo inturgidimento del fondo del bacino sedimentario; su tali aree di minore profondità si sarebbero quindi formati i calcari di scogliera. E’ necessario tuttavia mettere in evidenza che in questi ultimi tempi alcuni studiosi hanno segnalato elementi microfaunistici che indurrebbero a considerare il complesso dei così detti scisti silicei come una serie comprensiva che va dal Trias medio al Cretacico supe¬ riore. Lasciando, almeno per il momento, ancora aperto il problema, in quanto non mi sembra che gli elementi acquisiti a tale riguardo siano da accettarsi senza discussione (anche per lo stato di conserva¬ zione), ritengo opportuno richiamare l’attenzione sul fatto che un tale eventuale ringiovanimento della porzione superiore degli scisti silicei non avrebbe alcuna influenza sul problema petrolifero delle nostre regioni, quale è visto dall’autore di questa nota; ed anzi a più forte ragione andrebbe preso di mira il Trias inferiore, non af¬ fiorante, come sarà successivamente indicato alla fine di questo lavoro, 77 — Difatti — come sarà meglio dimostrato nel prosieguo della pre¬ sente nota — la suddetta situazione porterebbe ad accettare in pieno la ipotesi di un grande carreggiamento del nostro Appennino calcareo sulla massa degli scisti silicei, che avrebbero funzionato da lubrifi¬ cante tettonico. Vero è, però, che ovunque sia dato osservare i rap¬ porti fra scisti silicei e dolomia basale della serie calcarea presunta carreggiata, non si notano mai fenomeni di rimescolamento tettonico delle due serie a contatto. Ma ciò sarà oggetto di altro lavoro in cui saranno prese in esame tutte le situazioni atte a chiarire tale pro¬ blema. Tornando ai brevi cenni stratigrafici che è necessario tener pre¬ senti per trattare delle condizioni geo-petrolifere dell’Italia meri¬ dionale, ricorderò che in Lucania, al di sopra degli scisti silicei, si possono osservare le dolomie triassiche, ridotte in frammenti di varia grandezza, e talvolta così minuti da costituire la ragione essenziale del toponimo cc Arena bianca ». Tale tri turamento non deve essere assunto come prova del carreggiamento di cui è stato fatto cenno, ma può trovare la sua spiegazione nel comportamento cc diapirico » che assumono gli scisti silicei, e che si potrebbe essere manifestato nel corso stesso della sedimentazione delle future dolomie. Alle suddette dolomie, che non hanno nulla in comune con quel¬ le sottostanti ai calcari con liste di selce segnalate da Scarsella [3], seguono i calcari dolomitici del Giurassico (in passato cartografati quali dolomia del Trias) od i calcari a crinoidi della stessa età, a seconda delle zone. La successione stratigrafica comprende poi i calcari del Creta¬ cico che in alto della serie appaiono ricchi di piccole rudiste, di acteonelle e di nerinee. Si può qui notare, incidentalmente, che è da ritenersi errato l’uso del termine calcari di scogliera normalmente adottato per i depositi del Cretacico superiore dell’Italia meridiona- nale. In effetti in essi mancano quasi del tutto le vestigia dei coralli costruttori : si tratta, invece, di depositi di melme calcaree, con caratteristiche di ambiente neritico in cui le scogliere sono assoluta- mente subordinate. La serie stratigrafica presenta generalmente una lacuna corri¬ spondente all’Eocene inferiore; vi è da rilevare, però, che esso è stato da me dubitativamente segnalato per le Murge di Spinazzola [6], in facies calcarea. Presente è, invece, con trasgressione bene evidente, l’Eocene — 78 — medio, talvolta calcareo, talvolta flyschioide; e l’Eocene superiore in facies di flysch, nonché l’Oligocene con la stessa facies (1). Per quanto si riferisce al Miocene, i recenti studi di Selli [7] ne ampliano assai le aree di affioramento; il che mi sembra piena¬ mente accettabile in quanto nel passato, con il generico termine di Argille scagliose venivano rappresentate aree nelle quali — ad una pasta fondamentale paleogenica — risultavano largamente diffusi i lembi del Miocene, variamente smembrati e dislocati. Pliocene e Pleistocene sono largamente rappresentati in Italia meridionale; ma è da tener presente che i terreni del terziario supe¬ riore sono, in effetti, assai meno diffusi di quanto risulti dalle vec¬ chie carte geologiche. Ciò dipende dal fatto che le argille del Cala- briano, e le sabbie ed i conglomerati che chiudono il ciclo sedimen¬ tario, si presentano con aspetto così analogo a quello dei depositi pliocenici, da indurre in errore i vecchi rilevatori che frequentemente ricorrevano al criterio litologico per le loro datazioni. Tale dunque, in sintesi, la serie stratigrafica dell’Italia meridio¬ nale, dei cui termini saranno qui di seguito esaminati quei caratteri più intimamente connessi con le questioni petrolifere. 3. Qualche cenno di tettonica. — Facendo astrazione dall’ipote¬ tico, ma ancora non dimostrato, carreggiamento delle masse calcaree (Trias superiore - Cretacico) su un autoctono rappresentato dai cal¬ cari con liste di selce e dalla serie comprensiva degli scisti silicei, la tettonica delle nostre regioni meridionali può essere così breve¬ mente tratteggiata: a) il suddetto complesso, calcari con liste di selce ( ad Halohia ) e scisti silicei, risulta interessato tanto da una tettonica plicativa, quanto da quella disgiuntiva. Le pieghe sono di vario raggio, e ad andamento meridiano; le faglie presentano rigetti fino a 1000 m. circa (come ad esempio a sud del M. Yulturino); data la fondamen¬ tale diversità di comportamento di fronte alle sollecitazioni, si nota frequentemente una vera e propria disarmonia fra le pieghe dei cal¬ cari ad Halobia ed i soprastanti scisti silicei che risultano pieghettati; b) i depositi di facies calcarea (dolomia principale - calcari del Cretacico) sono caratterizzati da una tettonica analoga a quella pre¬ cedente, ma senza disannonia; la direzione delle pieghe risulta ap- (1) Questo schema non è valido per la Puglia ove i depositi si presentano sempre in facies calcarea, come Gignoux ebbe a mettere in evidenza. — 79 penninica. Le faglie si interescano prevalentemente secondo due dire¬ zioni fondamentali (NW-SE e NE-SW, fino a N-S) e rappresentano il motivo fondamentale della evoluzione morfologica delle nostre re¬ gioni. I rilievi montuosi sono generalmente limitati da faglie, anche a notevole rigetto e spesso — in contrasto con la teoria dei cunei com¬ posti del Migliorini — le zone di culminazione tettonica delle pieghe, corrispondono a zolle sensibilmente ribassate per faglia (vedasi ad esempio la Valle del Tanagro, l’alta valle dell’Agri, la grande area corrispondente alla pianura del Seie e Golfo di Salerno ecc.). Si avrebbe, quindi, una sorta di inversione, che potremmo dire tettonica, dal profilo. Tali aree si presentano quasi sempre ricoperte dai depositi in facies di flysch che spesso vi è scivolato per richiamo gravitativo dalle zone circostanti. La doppia serie di faglie che divide, quasi a scacchiera, le masse calcaree mesozoiche, ha determinato, come già detto, le linee mor¬ fologiche fondamentali; ma è da tener presente che tale fenomeno doveva avere già assunto notevole sviluppo all’epoca della trasgres¬ sione meso-eoceniea. Difatti, il flysch paleogenico, trasgressivo, si è deposto su una superfìcie originariamente assai varia; il che spiega anche la tettonica per gravità da cui sono prevalentemente interes¬ sati i sedimenti del Paleogene ed anche quelli del Miocene, sia sul versante tirrenico che su quello adriatico dell’Appennino meridionale. E’ da notare altresì che le cose sono sostanzialmente diverse per quanto si riferisce all’avampaese calcareo (Gargano -f Murge + Pe¬ nisola Salentina) ove la successione dei depositi assume sempre una facies calcarea, salvo che in talune zone settentrionali del Gargano, ove sono presenti depositi di marne calcaree a Glohotruncana , con intercalazione di livelli selciferi, da ricollegarsi probabilmente con la facies di scaglia del dominio umbro-marchigiano. Ma, mentre il Gargano è analogo, per il suo aspetto strutturale al nostro Appennino calcareo, le Murge e la Penisola Salentina mo¬ strano una struttura di gran lunga più blandamente movimentata, al¬ meno per la minore intensità del sollevamento definitivo. Riprendendo brevemente l’argomento della tettonica prevalen¬ temente gravitativa dei depositi del terziario inferiore e medio, mi pare che si possa senz’altro ammettere che essa sia la conseguenza dei fenomeni che dovettero verificarsi alla fine del Miocene, quando si ebbe lo sprofondamento della Tirrenide ed il conseguente quasi deh- — 80 — nitivo assetto dell’Appennino. Come è logico, dai versanti che si andavano sollevando, dovettero ragionevolmente scivolare, per effetto gravitativo, i depositi plastici; si ebbero così quelle che De Lorenzo giustamente chiamò le frane del flysch eo-miocenico , anticipando con mirabile intuito e con acutezza interpretativa il concetto di denuda¬ mento tettonico dei versanti. Tale movimento determinò l’accumulo di cospicue masse di flysch paleogenico e miocenico nelle aree già tettonicamente depresse ed in¬ cise (in cui era avanzato il mare già nell’Eocene medio), provocando il loro ulteriore ribassamento, mentre i rilievi si sollevavano ancor più per presumibile effetto isostatico, e fornivano sui due versanti dell’Appennino, i materiali terrigeni necessari per i potenti depositi delle molasse sopramioceniche. Ove si tenga conto di tale logico succe¬ dersi di fenomeni, è ovvio dedurne che con la fine del Cretacico cessarono nell’Italia meridionale le spinte tangenziali a preva¬ lente effetto plicativo. La tettonica caoti¬ ca del flysch paleogenico e del Miocene (in varie facies) che vi si erano deposti sopra, fu esclusivamente determinata da scivola¬ menti gravitativi lungo i versanti. In tal modo ci possiamo facilmente spiegare la caotica commistione di Paleogene e di Miocene tanto sul versante tirrenico quanto su quello adriatieo dell’Appennino. A questo proposito si veda anche quanto da me espo¬ sto a proposito delle manifestazioni di diapirismo delle A.S. [8]. Tale situazione è particolarmente evidente al margine appenninico della Fossa Bradanica, ove le arenarie mesoinioceniche e lo schlier (Langhiano), in grandi e piccoli esotici, e con frequente struttura a scaglie, risultano imballati tettonicamente nelle A.S. tipiche. E’ ovvio che il Paleogene ed il Miocene del Gargano e della Peni¬ sola Salentina sono esclusi da tale tipo di tettonica. Il Pliocene ed il Quaternario antico, che risultano largamente diffusi nell’Italia meridionale, non hanno generalmente subito mo¬ vimenti plicativi di una certa evidenza, salvo nella Fossa Bradanica, ove una spinta tangenziale si è certamente avuta quale tardivo effetto delle colate gravitative che si addosano, e talvolta localmente si so¬ vrappongono, ai depositi suddetti. In questa breve esposizione non si è fatto alcun cenno alle con¬ dizioni che si verificano in Calabria. Ma è facile convincersi, che in — 81 — quella regione le cose si presentano ancor più semplici che nelle altre regioni meridionali, salvo — beninteso — la interpretazione che si può dare ai massicci cristallini calabresi. Difatti, facendo astrazione dal modo di presentarsi delle A.S. tipiche, ascritte al Cretacico in facies africana per la presenza di una malacofauna tipica, ma forse più propriamente attribuibili al Paleogene (1), il restante della serie stratigrafica, dall’Oligocene al Pleistocene, si presenta con giacitura monoclinaìe sui due versanti ed è interessata da faglie, con rigetto talvolta assai notevole. 4. Le rocce nafto geniche ( rocce madri) e le rocce-serbatoio nelle serie strati grafiche dell9 Italia meridionale. — E’ naturale che, affron¬ tando il problema delle condizioni geo-petrolifere delle nostre regioni meridionali, non si possa prescindere da una disamina delle carat¬ teristiche naftogeniche eventualmente offerte dalle rocce che costi¬ tuiscono le serie stratigrafiche affioranti. Non è qui il caso di entrare in merito al concetto di roccia-madre del petrolio; di sedimento, cioè, in cui gli idrocarburi hanno avuto origine, partendo dalla sostanza organica, prevalentemente jdank to¬ nica e prevalentemente vegetale. Ed è noto che, allo stato attuale delle nostre conoscenze, vi è fondata ragione di ritenere che gli idrocar¬ buri siano generalmente migrati dalle loro rocce-madri, in cui si erano generati, andando a costituire accumuli nelle così dette rocce- serbatoio; là dove, cioè, hanno trovato adatte condizioni di porosità e le caratteristiche strutturali necessarie per potersi separare fra di loro, i gassosi dai liquidi, e questi dall’acqua che quasi sempre li accompagna. Ciò premesso, è logico che si presenti sempre un duplice pro¬ blema : individuare le condizioni strutturali e le caratteristiche lito¬ logiche delle rocce in cui presumibilmente possono rinvenirsi i gia¬ cimenti, intesi in senso industriale; e tentare di riconoscere quali pos¬ sano essere state, nel passato geologico, le rocce-madri da cui gli idro¬ carburi abbiano potuto migrare. Affrontando brevemente tali problemi, per quanto possa avere riferimento con l’Italia meridionale, dobbiamo tenere presente che (1) Tale mia asserzione prende lo spunto da quanto si osserva a Piatì, sul ver¬ sante ionico, ove le ostreadi di facies africana si ritrovano in una marna arenacea imballata nelle A.S. tipiche che offrono, negli strati rossicci, indubbi elementi mi¬ crofaunistici per una loro attribuzione alPEocene. 6 82 — la serie calcareo dolomitica mesozoica (dal Trias medio al Creta¬ cico) può ben essere stata sede della naftogenesi. E’ frequente, di¬ fatti, rinvenire le dolomie supra-triassiche, ed i calcari dolomitici del Giurassico e del Cretacico inferiore, con caratteristiche tali da dovere essere ritenute naftogeniche. Le rocce suddette appaiono spesso scure per la presenza di idrocarburi diffusi nella massa, i quali conferi¬ scono il caratteristico odore empireumatico quando esse siano per¬ cosse. Talvolta, indipendentemente dalla percussione, dolomie e cal¬ cari dolomitici presentano un sensibile odore di idrocarburi. Meno accettabile mi sembra, invece, la ipotesi che i sedimenti paleogenici in facies di flysch, di arcipelago, siano naftogenici. Si tratta, in generale, di depositi terrigeni, continuamente rimaneg- gianti nel corso stesso della sedimentazione, al punto da risultare privi di resti di macrofossili, le cui parti scheletriche (interne od esterne che fossero) sono state sottoposte ad una azione triturante più o meno avanzata. A questo proposito, si vedano le idee di R. Zuber, da me rese note in [9], Analoghe considerazioni possono essere fatte per le formazioni mioceniche le quali, del resto, come quelle del terziario inferiore, appaiono tettonicamente smembrate; di guisa che, anche se esse fos¬ sero state sede della naftogenesi, ben difficilmente si riuscirebbe a definire in quali condizioni, e verso quali rocce serbatoio, potrebbe avere avuto luogo la migrazione degli idrocarburi in esse generatisi. Il Pliocene infine, per il fatto stesso degli ingenti spessori che esso assume al versante tirrenico deirAppennino, denunziando una eccezionale intensità della sedimentazione terrigena, mi pare debba essere ugualmente escluso dalla categoria delle rocce madri. Per quanto si riferisce, invece, alle rocce serbatoio, potenzial¬ mente tali per porosità o per fessurazione, si può dire che molti dei termini stratigrafìci presenti dal Trias medio al Pleistocene, pos¬ sono avere assunta tale funzione, sempre che adatte condizioni di co¬ pertura abbiano assicurata la conservazione degli idrocarburi che in esse fossero pervenuti per migrazione. Così, i calcari con liste e noduli di selce del Trias medio, le do¬ lomie supra-triassiche, i calcari dolomitici, e non, del Giurassico e del Cretacico, talune arenarie poco cementate del flysch paleogenico e del Miocene medio, le molasse del Miocene superiore, i depositi sabbiosi del Pliocene superiore ed i ridotti livelli sabbiosi interca¬ lati alle argille pleistoceniche, sono tutti terreni che presentano ca¬ ratteristiche tali da renderli atti a fungere da rocce-serbatoio, sem- — 83 — precchè siano assicurate le adatte condizioni strutturali e la coper¬ tura impermeabile. Vedremo in un successivo paragrafo, quali possibilità vi siano che detti termini porosi possano effettivamente rappresentare rocce serbatoio in cui si siano determinati accumuli di idrocarburi. 5. Le manifestazioni superficiali di idrocarburi. — Come già ac¬ cennato in precedenza, nella mia citata memoria che sarà pubbli¬ cata negli Atti della Accademia di Scienze Fisiche Matematiche e Na¬ turali della Società di Scienze Lettere ed Arti di Napoli, ho passato in rassegna le manifestazioni di idrocarburi note per l’Italia meridio¬ nale, discutendone singolarmente il significato. Volendo ora accennare brevemente a questo importante aspetto della questione petrolifera delle nostre regioni, si può richiamare l’attenzione sul fatto, che io ritengo profondamente significativo, che le manifestazioni superficiali di idrocarburi possono essere pratica- mente divise in tre categorie: a) manifestazioni direttamente od indirettamente legate alle faglie che suddividono il nostro Appennino meridionale calcareo, in una sorta di scacchiera, determinandone anche gli aspetti morfolo¬ gici essenziali; b) manifestazioni che compaiono lontano dai margini dei mas¬ sicci calcarei, nelle aree di affioramento del flysch o delle argille sca¬ gliose tipiche (1); c) manifestazioni ubicate nell’ambito delle aree ricoperte dai depositi plio-pleistocenici. Il primo di tali gruppi di manifestazioni mostra in modo inop¬ pugnabile che la loro origine è da mettersi in relazione alle faglie che attraversano le formazioni calcaree mesozoiche; e ciò è da ritenersi vero non solo quando siano i calcari stessi a presentarsi spalmati od impregnati di petrolio, ma anche allorché gli idrocarburi liquidi, provenienti lungo le faglie, abbiano impregnato i termini porosi del (1) Ritengo opportuno ricordare che, secondo le mie idee, al termine Flysch deve essere attribuito il significato di depositi formatisi ai margini del bacino sedi¬ mentario, probabilmente in zona di arcipelago ; le A.S. tipiche ritengo siano, in¬ vece, depositi di mare piuttosto profondo in cui possono essere pervenuti, per risedimentazione, i materiali delle brecciole calcaree a macroforaminiferi, che talvolta si rinvengono nelle A. S. — 84 — flysch, che con i calcari viene a contatto. Vi è anche da notare che il petrolio che si manifesta in corrispondenza delle faglie appare sempre ad elevata densità, per perdita dei prodotti leggeri e per ossidazione da parte dell’aria o dell’acqua che penetra nelle fratture, anche fino ad una certa profondità. Anche in quei casi in cui le manifestazioni sembrano piuttosto vistose, si tratta sempre di quantità trascurabili di petrolio, ed i terreni impregnati per migrazione sono sempre di limitata superficie, anche quando si sia in presenza delle arenarie tenere del flysch paleo¬ genico che, per essere abbastanza porose e permeabili, avrebbero potuto ricevere bene, e in estensione, gli idrocarburi. Tale situazione è, a mio avviso, favorevole alla ipotesi che non vi sia stata una cospicua migrazione per adscensum dalle formazioni antiche in cui io ritengo si debba essere verificata la naftogenesi in grande. Per quanto si riferisce alle manifestazioni nell’ambito del flysch o delle argille scagliose, mi sembra ragionevole ammettere che si tratti ugualmente di idrocarburi che migrano dal profondo (attra¬ verso le fratture da cui sono interessati i calcari del basamento), fa¬ cendosi strada attraverso la massa del flysch o delle argille scagliose, anche con notevoli spessori di tali materiali. Questi, difatti, pur es¬ sendo teoricamente impermeabili, a ragione della loro tettonizza- zione che ne ha turbato la continuità, hanno perduto, almeno in parte, la loro impermeabilità. Il ritrovamento di piccoli adunamenti di idrocarburi soprattutto gassosi, ne)le argille scagliose del margine adriatico dell’Appennino, o in esotici porosi tettonicamente inglobati nelle A.S., avvalora l’idea che gli idrocarburi provengano dal profondo. Molto significativi, a tale riguardo, sono da considerarsi i risultati che a suo tempo ( 1933-38) furono conseguiti dall’AGIP nell’area di S. Angelo dei Lombardi, ove il pozzo n. 10, spintosi fino alla profondità di m. 1256, si caricava lentamente di metano fino a raggiungere la pressione di qualche de¬ cina di atmosfere. Tale pressione si abbassava rapidamente, annul¬ landosi, con l’erogazione di un certo quantitativo di gas; ed era poi necessario attendere molte ore perchè il pozzo tornasse alla primi¬ tiva pressione, caricandosi nuovamente di metano che evidentemente fluiva nel pozzo attraverso vie capillari esistenti nella massa delle ar¬ gille scagliose. Anche le manifestazioni riscontrabili nell’ambito dei depositi — 85 — pliocenici e quaternari debbono essere interpretate quale effetto di migrazione dal profondo, attraverso le fratture dei calcari ( 1). Ne risulta pertanto che, a bene interpretare le manifestazioni superficiali degli idrocarburi, quali appaiono nelle regioni meridio¬ nali, appare evidente la generale provenienza da formazioni geolo¬ giche sottostanti alla serie dei calcari con liste di selce (Trias medio). A tali formazioni più antiche, quindi, come sarà successivamente in¬ dicato, dovrebbe volgersi in particolare l’attenzione dei ricercatori. Ma, purtroppo, dall’esame delle aree occupate dai permessi di ri¬ cerca e dei programmi formulati, nonché dalla impostazione delle ricerche sino ad ora adottata da parte di talune società petrolifere, si può dire che per il momento non ci si sia ancora efficacemente incam¬ minati per questa strada. Come vedremo qui di seguito, gli insuc¬ cessi avutisi sino ad ora con le ricerche nellTtalia meridionale, sono da mettersi in relazione alla non sufficiente conoscenza delle condi¬ zioni geo-petrolifere meridionali e al non razionale indirizzo sin qui dato alle ricerche. 6. I risultati dei sondaggi di ricerca . — L’attività di ricerca pe¬ trolifera nell’Italia meridionale si può considerare iniziata nel 1933, ad opera dell’AGIP, che affrontò il problema nelle aree di S. Angelo dei Lombardi (Avellino) e di Tramutola (Potenza), prendendo lo spunto dalle manifestazioni di idrocarburi che si possono osservare in quelle zone. Nel primo di tali permessi di ricerca vennero perforati n. 11 pozzi, con risultati negativi dal punto di vista industriale. Venne però conseguito qualche accertamento assai significativo che, se giusta¬ mente interpretato, potrebbe risultare di utile orientamento nella condotta delle ricerche. Comunque, i già citati risultati del pozzo n. 10, mostrano chiaramente quali siano le condizioni della zona, ed il significato degli idrocarburi connessi con flysch ed argille sca¬ gliose. Più intensa fu l’attività di perforazione nella zona di Tramutola, ove piccoli adunamenti di petrolio denso, misto ad acqua dolce (di provenienza esterna), furono localizzati nel flysch paleogenico, con una produzione iniziale complessiva di poche tonnellate al giorno. (1) Da tale quadro sembrerebbero escluse le manifestazioni della Calabria. Ma per tale regione vi sarebbero da formulare ipotesi complesse che potrebbero prospettare un quadro assolutamente nuovo per le relative questioni petrolifere. — só¬ li te giacimento » di Tramutola, pur nella esiguità del suo interesse pratico, risulta assai significativo se opportunamente inserito nel qua¬ dro delle condizioni stratigrafiche e strutturali della zona. Nello stesso periodo in cui veniva svolta la suddetta attività di ricerca a Tramutola, l’AGIP prese in esame anche talune altre zone vicine (Vallo di Diano, Valle del Melandro) praticandovi fori di li¬ mitata entità, ma senza alcun risultato indicativo. Se si tengono presenti le condizioni geologiche delle zone sud¬ dette, nonché i profili dei sondaggi quali si possono dedurre dai dati pubblicati nelle Relazioni Annuali del Corpo Statale delle Miniere, risulta evidente che la ragione dell’insuccesso è da ricercarsi nelle condizioni delle formazioni attraversate dai sondaggi (prevalente¬ mente fìysch caotico). Sempre ad epoca precedente la fine dell’ultimo conflitto mon¬ diale risalgono i tre pozzi perforati dall’AGIP a Genzano di Lu¬ cania (Potenza). Il programma, impostato inizialmente in base a considerazioni teoriche (che mettevano quasi su uno stesso piano la Valle Padana e la Fossa Bradanica) mirava al ritrovamento in pro¬ fondità delle formazioni mioceniche affioranti al vicino margine ap¬ penninico. Il tema della ricerca venne progressivamente modificato ed i tre pozzi perforati non furono coronati da successo pratico: essi fornirono però importanti dati stratigrafici. Negli ultimi anni l’attività di esplorazione a mezzo di perfora¬ zioni, pur non seguendo di pari passo la corsa alla richiesta di per¬ messi di ricerca, ha avuto un certo ritmo che avrebbe potuto dare risultati soddisfacenti se le esplorazioni fossero state impostate te¬ nendo presenti tutti gli elementi che possono essere dedotti da un attento, circostanziato esame delle condizioni geo-petrolifere meridio¬ nali. Così, i pozzi del Crotonese (Soc. Montecatini) si debbono ritenere pregiudizialmente infirmati dalle non buone condizioni di chiusura delle aree indiziate. Come già accennato, le formazioni post-meso- zoiche si presentano in giacitura monoclinale ; e poiché vi sono abba¬ stanza diffusi i termini porosi, non è facile il verificarsi di efficienti chiusure per faglia. Da ciò la dispersione degli idrocarburi eventual¬ mente generatisi in quei sedimenti o ad essi pervenuti per migra¬ zione. Talune perforazioni effettuate nella zona di Nusco (Avellino) dalla Società Fondedile, hanno accertato condizioni analoghe a quelle già note per la vicina area di S. Angelo dei Lombardi. — 87 — Una ricerca condotta dall’AGIP nella zona di Lavello (Potenza) presso il basso corso dell’Ofanto ha interessato le formazioni cal¬ caree del Cretacico (e dubitativamente del Giurassico) fino ad oltre 2400 ni., al di sotto di una esile copertura di argille plio-pleistoce- niche. Negative sono risultate le perforazioni condotte dalla SAMET nell’ambito delle pianure costiere del Volturno e del Seie, per le quali erano state presumibilmente previste condizioni analoghe a quelle della Valle Padana. In effetti, per quanto non siano noti in dettaglio i risultati conseguiti, sembra accertato un imprevedibile sviluppo della serie pliocenica (con intercalazioni di materiali vul¬ canici di origine flegrea) e la mancanza delle necessarie condizioni strutturali. In queste zone del margine tirrenico dell’Appennino si sarebbe quindi verificata una eccezionale subsidenza, in relazione an¬ che allo sprofondamento della Tirrenide. Ma, come precedentemente esposto parlando della tettonica del Pliocene, non essendosi avute componenti tangenziali, non si sono determinate quelle pieghe ne¬ cessarie al costituirsi di accumuli di idrocarburi. Lo sforzo tecnico notevolissimo compiuto dalla SOMICEM con la perforazione del pozzo di Ugento (Lecce) non ha conseguito alcun ri¬ sultato pratico, ma ha portato all’accertamento di una eccezionale po¬ tenza delle formazioni calcaree cretaciche e giurassiche che sembrano presenti fino alla profondità di circa 4500 m. Anche i pozzi perforati dalla stessa SOMICEM nella zona di Bi¬ saccia (Avellino), nell’ambito delle zone di accumulo tettonico delle A.S., non hanno fornito che risultati di scarsissimo interesse indu¬ striale. E così pure i pozzi della Soc. Terra Apuliae perforati nel fog¬ giano non hanno dato alcun risultalo pratico. Ovunque si guardi, quindi, non si vedono che le prove di in¬ successi, determinati, a mio avviso, da una non sufficientemente ap¬ profondita conoscenza del problema nei suoi vari aspetti esaminati nella esposizione che precede; e ciò pur senza soffermarsi nell’esame delle condizioni geologiche dei vari sondaggi, che sarà oggetto di discussione nella citata memoria di prossima pubblicazione. 7. Conclusioni e prospettive. — Il quadro che ho sinteticamente esposto delle condizioni geo-petrolifere dell’Italia meridionale è frut¬ to della mia personale conoscenza diretta delle nostre regioni e della circostanziata analisi interpretativa degli elementi osservabili sul terreno o acquisiti con i sondaggi. Se può forse trarre una con- — 88 — clusione negativa per le nostre prospettive petrolifere? In tal senso sembrerebbe di dover concludere se non si tenesse conto che nel corso di questa nota è stato sempre, ripetutamente, accennato a venute di idrocarburi « dal profondo », vale a dire da termini stratigrafici sotto¬ stanti alla serie dei calcari con liste e noduli di selce (Trias medio). Difatti tutto indica che gli idrocarburi che si manifestano in corrispondenza delle faglie che interessano le formazioni calcareo- dolomitiche (Cretacico-Trias sup.)sono sicuramente di provenienza profonda, presumibilmente dal Trias inferiore, che deve risultare protetto da un complesso impermeabile posto al di sotto della serie dei calcari ad Halohia (con liste e noduli di selce). E’ ovvio che, in tali condizioni, l’obiettivo della ricerca debba essere indirizzato al raggiungimento del Trias inferiore e che — di conseguenza — si debbano anzitutto affrontare i problemi connessi con quelle aree in cui affiora ampiamente il Trias medio suddetto. Il che vai quanto dire che la chiave di volta della ricerca petro¬ lifera meridionale sta anzitutto e soprattutto in Lucania. Ivi il Trias medio affiora su vaste aree e in condizioni struttu¬ rali favorevoli, anche se non eccellenti. Anche nel salernitano vi sono aree che si presentano in situazioni degne della massima attenzione. Ma poiché tutto porta ad ammettere che non vi sia corrispondenza fra le pieghe del Trias medio e quelle del Cretacico, così mi par lo¬ gico ritenere che sia per ora incauto affrontare il problema della ri¬ cerca in quelle zone ad affioramenti delle serie cretacica in facies calcarea. Ove si tenga conto che parecchi permessi di ricerca si riferiscono ad aree occupate dal fìysch, o dalle argille scagliose, vien fatto di pensare che obiettivo della ricerca possa essere, nel pensiero dei per- missionari, il ritrovamento di accumulo di idrocarburi nelle aree di culminazione morfologica dei calcari mesozoici protetti dal fìysch o dalle A.S. Tale tema di ricerca dovrebbe essere fondato su uno dei due seguenti fenomeni di migrazione degli idrocarburi : a) dal profondo, vale a dire, presumibilmente, dal Trias infe¬ riore ; ma a ciò si oppone la constatazione che la migrazione per adscensum è stata certamente di irrilevabile entità, come ho dimo¬ strato trattando delle manifestazioni superficiali ; ò) dalla massa dei calcari e dolomie (Trias sup. - Cretacico), considerati quali rocce-madri degli idrocarburi ; ma, a parte il fatto che tali formazioni appaiono solo saltuariamente naftogeniche, per convincersi della infondatezza del problema, inteso in senso industria- — 89 — le, basta tener presente che nel corso dell’Eocene inferiore il meso¬ zoico calcareo-dolomitico delle nostre regioni subì, generalmente, un periodo di continentalità ; durante il quale, come si ebbe una prima evoluzione morfologica, si sarebbe inevitabilmente determinata la di¬ spersione degli idrocarburi generatisi nelle suddette formazioni cal- careo-dolomitiche. È da ricordare infine che qualche possibilità di adunamenti di idrocarburi si può avere là dove i depositi plio-pleistocenici hanno potuto assumere qualche ondulazione positiva per effetto della spinta gravitativa delle A.S., vale a dire nell’ambito della Fossa Bradanica. Napoli , Istituto di Geologia dell’Università, maggio 1959. BIBLIOGRAFIA [1] Breislak So, Topografia fisica della Campania . Firenze, 1798. [2] De Lorenzo G., Studii di geologia nell’ Appennino meridionale. Atti Acc. Se. Fis. e mat., Ser. 2a, voi. Vili, n. 7. Napoli, 1896. [3] Scarsella F., Sulla posizione stratigrafica degli scisti silicei attribuiti al Trias medio dell’ Appennino meridionale. Boll. Soc. Geol. Ital., LXXBI. Roma, 1957. [4] Bucini P., Alcune osservazioni sui rapporti fra la formazione del a flysch » e quella degli « scisti silicei » nel territorio di Lagonegro , in Basilicata. Boll. Soc. Geol. It., voi. LXXV. Roma, 1956. [5] De Lorenzo G., Fossili del Trias medio di Lagonegro. Palaentographia ita¬ lica, voi, IL Pisa, 1896. [6] Lazzari A., Sulla probabile presenza dell’Eocene nelle Murge Baresi. Boll. Soc. Natur. in Napoli, voi. LXI, (1952). Napoli, 1953. [7] Selli R., Sulla trasgressione del Miocene nell’Italia meridionale. Giornale di Geologia, Ser. 2a, 26. Bologna, 1957. [8] Lazzari A., Movimenti tardivi delle argille scagliose nella Fossa Bradanica. Boll. Soc. Nat. in Napoli, voi. LXVII. Napoli, 1958. [9] Lazzari A., La sedimentazione dei terreni in facies di Flysch secondo le an¬ tiche osservazioni di R. Zuber ( con alcune considerazioni sul Flysch dell’ Ita¬ lia meridionale). Rend. Acc. Se. Fisiche e Mat. della Soc. Naz. di Se., Lettere ed Arti in Napoli, Ser. 4a, voi. XXI. Napoli, 1954. Il comportamento del quoziente di purezza dei concentrati di pomodoro nelle annate 1950-58 Nota del socio doti. ANGIOLO PIERANTONI (Tornata del dì 27 novembre 1959) Il pomodoro, frutto del Solarium lycopersicum Linn., solanaeea originaria del Perù, ora coltivato in quasi tutte le regioni temperate calde del globo, è coltivato su larga scala in Italia, specie nella Cam¬ pania, dove esistono moltissime industrie per la lavorazione e la con¬ servazione di questo frutto. Infatti la produzione campana rappre¬ senta da sola il 34% di quella nazionale. Si producono in media 5 milioni di quintali con Salerno in testa (3 milioni), Caserta con 1 milione, Napoli con 600 mila, Avellino con 150 mila e Benevento con 50 mila quintali (1). Il pomodoro, come tutti i prodotti della terra è soggetto alle mutevoli condizioni atmosferiche, perciò si sono fatti molti studi atti a migliorare questo prodotto. Ricorderò qui le comunicazioni fatte dal dott. Daolittle (2) nel convegno annuale dell’istituto ame¬ ricano per le scienze biologiche svoltosi a Madison sull’impiego del plasma vegetale del Lycopersicum del Perù; gli studi condotti da Can- ner e Packer (3) sulle polveri di pomodoro essiccate sotto vuoto. Esse mantengono il valore nutritivo, colore e aroma del succo origi¬ nale con l’aggiunta di un disidratante (ossido di calcio) per assicu¬ rare un tenore di umidità inferiore a 1%. Sempre per migliorare il prodotto, Winsor G. M. e Massey D. M. (4) hanno studiato il succo dei pomodori normali e maculati. Un confronto fra quelli normali e maculati ha rilevato differenze di composizione. Così i frutti normali avevano un contenuto in sostanza secca naturalmente più alto; anche gli zuccheri riduttori, i composti azotati e l’acidità sono risultati più elevati che non nei frutti ma¬ culati. 91 — Parte sperimentale Partendo da quanto sopra detto ho pensato di tracciare un qua¬ dro sull’andamento del pomodoro lavorato e precisamente prendendo in considerazione il quoziente di purezza dei concentrati, dato da cui si può meglio apprezzare la qualità. Ho raccolto i risultati relativi alle annate che vanno dal 1950 al 1958 di campioni analizzati da me nel Laboratorio chimico provin¬ ciale. Ho trascurato le annate precedenti perchè sia le coltivazioni del pomodoro sia le industrie conserviere, risentivano ancora dei danni subiti per eventi bellici, e quindi sarebbe stato inutile considerare tali valori. Di ciascuna annata ho preso in esame i quozienti di purezza di 10 campioni, come si può notare dalla tabella I, e per ciascun anno ho calcolato la media aritmetica dei quozienti di purezza. TABELLA I. campioni 1950 1951 1952 1953 1954 1955 1956 1957 1958 1 49,32 54,04 43,43 48.78 54,56 52,45 62,77 49,99 47,02 2 55,41 52,23 54,93 51.58 43,35 54,10 45.06 41,06 47,97 3 56,36 52,37 52,21 45.90 51,25 43,36 42,39 50,40 47,36 4 62.20 40,91 41,04 53,31 44,58 48,96 49,32 50,11 46,67 5 50,71 45,20 52,75 56,88 51,91 49,99 43,91 51,69 50,64 6 56,01 51,99 55.93 44,27 43,18 46.38 45,73 46,16 51,79 7 50,49 45,00 54,54 41.48 47,18 51,74 47,54 42,10 51,86 8 53,80 46,68 46,78 49,18 45,03 51,12 49,38 48,96 48.07 9 40,60 45,52 40,00 41.50 51,03 43,17 46,06 54,73 47,56 10 54,00 44,04 59,47 47,01 40,88 51,17 49,24 40,88 56,34 medie 52,89 47,79 50,01 47,99 47,28 49,24 48,14 47,66 49,52 Come si può vedere dalla tabella 1, l’annata 1950 registra una media molto alta rispetto alle altre. Infatti nella produzione del 1950 l’industria delle conserve raggiunse punte mai toccate (media 52,89) mentre nei mesi degli anni 1951 e 1952 vi è stata una contra¬ zione dovuta alla gran siccità (5). La produzione del 1953 (media 47,99) appare deficitaria, tanto è che si è temuto di non potere far fronte alle richieste sia per il mercato estero che per quello interno. — 92 Trombaia C. (6) afferma che per il 1952 l’andamento stagionale è stato favorevole, specie per la scarsità e la irregolarità delle preci¬ pitazioni atmosferiche. Per quest’annata 1952 la media, in precedenza bassa, risale di poco (vedi tabella 1) e questo fa vedere che, malgrado le condizioni atmosferiche avverse, le industrie conserviere hanno potuto egualmente migliorare il prodotto. Il Vitale (7) ha osservato che dal 1954 al 1955 l’andamento sta¬ gionale dal punto di vista metereologico è stato caratterizzato da sic¬ cità, portando un notevole ritardo dell’inizio della campagna. A que¬ sto periodo di siccità ha fatto seguito un periodo piovoso che è stato ottimo per le coltivazioni. Infatti la media che io ho riscontrato, e che si può vedere nella tabella 1, mentre si mantiene bassa per l’an¬ nata ’54, risale per l’annata ’55 e precisamente il quoziente di pu¬ rezza da 47,28 risale a 49,27. Sempre il Vitale (8) sostiene che per l’annata ’56 le condizioni atmosferiche hanno favorito l’accrescimento della pianta e la ma¬ turazione del frutto. La semina però è stata ritardata, come il rac¬ colto, per le abbandanti nevicate. Il quoziente di purezza, secondo l’autore, si è aggirato intorno ai 60, raramente scendendo al valore di 50. Secondo le mie ricerche la media si mantiene verso un valore di 48,14, inferiore perciò a quello della campagna ’55, come appare nella tabella 1. Nel 1957, sempre come afferma il Vitale (9), l’andamento sta¬ gionale è stato molto avverso in quasi tutte le regioni della Campania. Temperature molto rigide si sono verificate nel periodo della se¬ mina e verso la metà di agosto. Come ultima avversità vi è stato il fenomeno della « necrosi ». Riscontrando la tabella 1 pei il 1957, si vede che la media è discesa (47,66), cosa che conferma l’andan ento stagionale sfavorevole (specie per i pomodori da conserva). Trifiero e Porcu (10) hanno riscontrato per il 1958 che vi sono stati degli scarti. L’abbassamento repentino della temperatura (da febbraio a marzo) ha causato danni ai semenzai. Però le condizioni atmosferiche del mese di aprile sono state più favorevoli. Anche in questo anno, a quanto affermano gli autori, vi sono stati dei fatti gravi come la cc tracheemicosi » che ha fatto avvizzire la vegetazione. Anche la peronospora ha fatto qualche danno. Nella tabella n. 1 si può vedere che, malgrado le malattie delle piante, le sopraggiunte migliorate condizioni atmosferiche hanno fatto salire la media del quoziente di purezza a 49,52 rispetto a quella della campagna ’57 che era di 47,66. 93 — Per maggior chiarezza più appresso seguono due grafici in cui riporto i valori sopra un sistema di assi ortogonali (vedi fig. 1 e 2). Da questi grafici si vede chiaramente come l’annata più favorevole sia stata quella del 1950, toccando la punta massima (quoz. purezza 52,82 di media), mentre il 1954 è stata l’annata più sfavorevole. In quest’ultima campagna si registra la punta più bassa del pe¬ riodo 1950-1958. Conclusione Come si rileva dallo studio dei risultati analitici da me com¬ piuti nel periodo ’950-58, in cui le coltivazioni sono ritornate normali — 94 — dopo il periodo bellico e le industrie hanno ripreso in pieno la loro attività, risulta che: dal 1950 al 1958 la migliore annata è quella del 1950. In questa annata le condizioni atmosferiche hanno permesso flNMRTE Fig. 2. un buon raccolto, sia dal punto di vista qualitativo che da quello quantitativo, mentre nell’annata 1954 il raccolto è stato qualitativa¬ mente scarso a causa della particolare inclemenza del tempo. Per sopperire alle annate sfavorevoli è bene che si metta in pratica e si favorisca al massimo, più di quanto è stato fatto finora, tutto ciò che valorizzi il pomodoro per un incremento sempre maggiore del pro¬ dotto. Laboratorio Chimico Provinciale Napoli, 29 aprile 1959. — 95 — BIBLIOGRAFIA 1) di Pinto V. Agricoltura Napoletana, n. 10 ott. 958, p. 10. 2) Notiziario periodico agrario USIS, 2-39-3 (30 sett. - 6 ott. 953). 3) Canner e Packer. Recenti sviluppi sulla lavorazione del pomodoro, 47-1-34 (1955). 4) Winsor G. M. e Massey D. M. Sci. Food. Agr. 9-943 (1958). 5) Annuario dell’Agricoltura, p. 129 30 (1953). 6) Trombaia G. Esperienze nelle coltivazioni di alcune varietà di pomodori nella Campania nel 1952. Industrie conserve, n. 1 (1953). 7) Vitale. Industrie conserve, p. 317, n. 4 (1955). 8) Vitale. Industrie conserve, p. 311, n. 4 (1956). 9) Vitale. Industrie conserve, p. 303, n. 4 (1957). 10) Trifiero e Porcu. Industrie conserve, p. 301, n. 4 (1958). Su alcune particolari forme di erosione che si rinvengono nelle contrade “Cerro„ e “Cese„ (Comune di Cerreto Sannita, prov* di Benevento) Nota del socio prof. DOMENICO FRANCO (Tornata del dì 27 novembre 1959) Metteremo in rilievo in questo lavoro, che fa sèguito al precedente su cc I fenomeni carsici di monte Cigno (Benevento) » (1), le varie for¬ me di erosione carsica, che interessano maggiormente le contrade cc Cerro » e cc Cese », site nel Comune di Cerreto Sannita (Bene- vento). La prima si estende dalla contrada cc Aia dei Monaci » (o delle Monache, come nella dizione popolare) sino a cc Morgia Sant’Ange¬ lo »; la seconda, partendo dai limiti della contrada cc Cerro », giunge sino ai confini comunali di Guardia Sanframondi, San Lupo, Pon- telandolfo (2). Gli atmosferili con la loro azione fisica, chimica, meccanica han¬ no notevolmente modificato e plasmato in vario modo la primitiva morfologia di questi sedimenti, in prevalenza calcarei, che, nei mil¬ lenni trascorsi, si adagiarono stratificandosi nel mare neogenico cal¬ mo, caldo poco profondo. Tuttavia tali azioni di erosione, di corrosione, di corrasione, di scultura distruttiva e costruttiva ad un tempo, non hanno fatto altro che creare una bellezza ora selvaggia, ora delicata, da noi ammirata nelle due contrade che ci accingiamo a descrivere. Faremo notare, inoltre, come le forme del suolo che a noi sem¬ brano immutabili nel tempo e nello spazio, vadano, invece, inevi¬ tabilmente trasformandosi in modo da modificare lentamente ed in- (1) D. Franco. I fenomeni carsici di monte Cigno. «Boll. Soc. Nat.», Vo¬ lume LXV. Napoli, 1956. (2) La contrada « Cerro » prende il nome dagli alberi di cerro, mentre quella « Cese », forse, dai fitti boschi cedui che ^liticamente ivi si estendevano, oppure, secondo altri, dalla divisione ed assegnazione di un feudo ai vari abitanti della zona. — 97 — visibilmente il rilievo continentale, proprio per l’incessante lavorìo dei fattori esogeni. Lo studio, di tali contrade Cerro e Cese, potrà riuscire alquanto interessante, non solo perchè esse finora erano poco note, ma anche perchè rappresentano un esempio particolare di un fenomeno gene¬ rale che riguarda gran parte del Sannio. Si può accedere alle due contrade attraverso varie strade più o meno comode e più o meno brevi. Noi abbiamo seguito la provinciale Cerreto Sannita-Guardia San- framondi e, dopo circa 700 metri, abbiamo voltato verso sinistra, e, seguendo la strada comunale, ci siamo allacciati, in contrada « Cro¬ ccila », al Tratturo Regio (3), che, proveniente da Sud-Ovest, si snoda attraverso le contrade cc Cesine di Sopra », cc Aia delle Monache », te Cerro », cc Cese » e continua sino a raggiungere Pontelandolfo. I terreni delia contrada « Cesine di Sopra », formati da arenarie e da argille mioceniche sono più o meno fertili e a cultura mista, con prevalenza dell’olivo, della vite e dei fruttiferi in genere. Continuando dalla cc Crocella » a circa 500 metri, sempre per il Tratturo Regio, si lascia sulla sinistra il torrente Cervillo, che raccoglie le acque delle fontane « Arùlo », cc Sant’Angelo » ed altre. Il terreno diventa a ma¬ no a mano più arido e la vegetazione di conseguenza più scarsa. Si raggiunge la contrada cc Aia delle Monache », che si estende quasi in pianura, mentre il Tratturo Regio serpeggia attraverso le arenarie silicee, a grana grossa e sottile, le argille e gli argilloscisti. Questi in alcuni punti risultano profondamente incisi e corrosi dalle acque dilavanti, le quali, specie nell’inverno, precipitano giù tor¬ mentando sempre tali terreni, che in alcune zone (vedi fot. n. 1) presentano curiose e strane forme di erosione. Proseguendo la salita più o meno accidentata e, lasciando le ul¬ time abitazioni (massarie), si arriva in contrada cc Cerro », che pre¬ senta ima fisionomia molto diversa dalle altre già attraversate e che preannunzia tutta quella gamma di fenomeni carsici, che, iniziando (3) Il Tratturo Regio, propriamente detto, è quello che da Boiano, antica capitale del Sannio Pentro, si dirige per Reino verso Buonalbergo ed è antichis¬ sima via pastorizia, tracciata dai Sanniti. Il nostro, invece, impropriamente chia¬ mato regio, è parimenti antico e collegava Boiano alla Campania. Ebbero entrambi grande importanza nei secoli decorsi fino alla costruzione delle ferrovie che de¬ viarono il traffico per nuove strade. — 98 — m essa con alcune forme di carsismo, culmina, poi, ma in modo più spettacolare, nella contrada cc Cese ». CONTRADA CERRO I terreni di tale contrada, in prevalenza argillosi ed arenacei, con colossali spuntoni di rocce calcaree stratificate e notevolmente martoriate dagli agenti fisici, chimici e meccanici, rendono la vege¬ tazione molto scarsa. Essa, infatti, è costituita in special modo da querce e da alcuni alberi di cerro. Soltanto in qualche zona, ricca di acqua, si nota una modesta vita vegetale, come in quella della « Mor- gia degli Ortàli », nonché nelle adiacenze della « Morgia Sant’An¬ gelo ». Gli arbusti, tra cui poche varietà di ginestre e di ericacee, e gli insetti, massimamente ortotteri (grilli), rinverdiscono e popolano al¬ quanto l’arida contrada, specie ai limiti di questa, mentre ad Est della medesima, sulle « Ripe del Corvo », nidifica e gracchia il corvo. Non è difficile ancora rinvenire in tale contrada, e così pure in quella delle cc Cese », spuntoni di rocce e masse calcaree cretacee, ippuritiche, inglobate nei sedimenti fìyscioidi. Notevoli nella contrada sono le forme di erosione che colpiscono maggiormente l’occhio dell’osservatore. Tra le tante curiose e stra¬ ne descriveremo la cc Morgia Sant’Angelo », « la Morgia degli Or¬ tàli » e le « Ripe del Corvo » (o Coste del Corvo), che tra tutte le altre sono quelle di più degno rilievo. — 99 — J - Morgia Sant’Angelo (vedi fot. n. 2). . . . .0 roccia, che da secoli remoti . . . . . testi mori ti rimani .... Ed ora, in mezzo ai tuoi ruderi sparsi per lo contiguo clivo, su cui vedesti un giorno generosa una stirpe propagarsi, e dove or vedi rampollar Votivo, oh come desolata ed in oblio e già quasi in isperpero ci mostri della patria dei nostri maggiori la rovina! (M. Biondi) (4) Ai limiti delle contrade cc Cerro » e « Cese » si erge maestosa, su¬ perba e solitaria la cc Morgia Sant’Angelo », detta anche la cc Leones¬ sa », per la stranissima somiglianza al feroce felino. La cc morgia » (5), impropriamente chiamata così, perchè non costituita da un uni¬ co strato di calcare, ma da diversi e potenti banchi di sedimenti mioce¬ nici, come meglio diremo in seguito, domina non soltanto le contrade su riferite, ma un esteso e vario orizzonte. Ponendosi, infatti, di spalle alla cc Morgia », è possibile animi- tare i massicci montuosi che le fanno corona. In fondo, il solitario monte Acero, a destra monte Erbano con la sua bella e caratteristica valle di erosione, dovuta all’azione del- l’irniente Titerno, mentre a sinistra si scorge l’olivifero massiccio del Taburno, alle cui pendici scorre il tortuoso fiume Calore, il corso del quale si può seguire sino al ponte Torello, presso Amorosi, ed ancora oltre e cioè fino alla confluenza di questo col fiume Vol¬ turno. Infine, alle spalle, monte Coppo, la Defensa di San Lupo, i con¬ fini di Pontelandolfo e di Guardia Sanframondi. (4) M. Biondi. Echi del Secolo : la mia roccia, pag. 50-51. Napoli, Morano, 1883. La poesia non si riferisce alla Morgia Sant’Angelo, ma ad una roccia che si tro¬ vava in un fondo del poeta. È stato un nostro adattamento. (5) Nel gergo dialettale « morgia » è sinonimo di grossa pietra, macigno. — 100 — La « Morgia Sant’Angelo » volge le spalle a monte Coppo e guar¬ da con cipiglio minaccioso le ripide e paurose cc Ripe del corvo » (o coste del corvo) che, delimitando a destra la contrada cc Cerro », pro¬ seguono, quasi in linea retta, in contrada cc Cese ». Non è possibile all’osservatore, specie se questi per la prima vol¬ ta si trova al cospetto della « Leonessa », poter celare quel senso di meraviglia che suscitano la grandiosità e la impressionante rassomi¬ glianza di questa cc Morgia » con il carnivoro omonimo. La posizione e Patteggiamento del felino di pietra poggiato sulle zampe poste¬ riori, la levigatezza degli strati che ne formano e modellano con tanta fedeltà il fianco, l’ampiezza della gola ed ancora una profonda in¬ cisione al di sopra di questa, che contribuisce a dare la strana sensa¬ zione di vedere la bocca ed il muso, accrescono maggiormente la bel¬ lezza e l’incanto dello spettacolo. Inoltre, — quasi naiurae iocus — un alberello di quercia cre¬ sciuto a circa metà altezza della faccia e, spesso, mosso dal vento, imita a perfezione il movimento delle ciglia dell’enorme, ma inerme e freddo felino. Sono molto frequenti, nelle due contrade, frane grandiose, pro¬ fonde ed estese, dovute principalmente alla natura dei sedimenti mar¬ nosi ed argillosi, su cui poggiano i potenti strati calcarei miocenici. « Morgia Sant’Angelo », infatti, risulta isolata dal complesso roc- rioso delle cc Ripe del Corvo », proprio a causa di numerose frane sul lato destro, mentre altre, ancora più vistose, la interessano sul fianco opposto e precisamente quello che guarda la contrada cc Cese ». Si staglia in tal modo il complesso calcareo componente tutta la « Morgia Sant’Angelo », che, in basso, ha preso la forma di una grande ellisse, poco eccentrica, sulla quale si ergono, come su di un enorme piedistallo, gli strati rocciosi che, sagomati così perfetta¬ mente dagli atmosferili, hanno formato la bella cc Leonessa ». Questa enorme piattaforma, mentre ha i due assi rispettivamente di metri 50 e metri 60 circa, presenta ai limiti estremi di essa una altezza variabile dal fondo da quasi zero sino a diversi metri di stra¬ piombo, specialmente nella parte opposta. Si può accedere, infatti, alla cc Morgia Sant’Angelo » soltanto dal lato destro, ove un erto sen¬ tiero vince il forte dislivello che risulta di metri 30 circa di fronte, di oltre 40 metri dal lato sinistro ed inaccessibile, poi, verso il fianco opposto, in cui si nota un precipizio che supera gli 80 metri circa. E’ proprio quasi nel centro di essa che si erge la cc Leonessa », le cui dimensioni sono le seguenti: 101 — Lunghezza del fianco m. 35 Larghezza della faccia » 17 Lunghezza della testa » 18 Lunghezza dalla gola in giù » 17 Altezza totale della cc Leonessa » » 35 Larghezza della schiena (misura media) » 12 Lunghezza dalla fronte alla parte posteriore » 25 Circonferenza totale » 97 Gli strati che compongono la cc Morgia » non sono interi, bensì fortemente litoclasati in vari punti, come è riportato nello schema n. 1, ove sono stati riprodotti solo quelli più rilevanti. Lo studio di essi renderà evidente la strana conformazione cui il complesso roccioso andò soggetto nei millenni decorsi. Una vasta litoclasi, infatti, in senso orizzontale, divide la cc Mor¬ gia » per tutta la sua lunghezza in due grandi blocchi. Quello supe¬ riore raffigura la testa, il collo ed il dorso, mentre l’inferiore ripro¬ duce il restante corpo della cc Leonessa ». (vedi n. 1 dello schema n. 1). Il primo presenta ancora una lunga e profonda fessura che, partendo in direzione quasi degli occhi, prosegue obliquamente in¬ teressando pure il secondo strato sino alla parte opposta ed ante- ro-posteriore di quest’ultimo e delimita, in tal modo, a destra, il lato della cc tettoia » (vedi n. 2 nello schema n. 1). E così, sempre nella parte superiore, sono anche visibili due al¬ tre litoclasi che, originandosi rispettivamente dalla testa e dal collo, convergono entrambe nel punto O e formano una gigantesca V col vertice poggiato sullo strato n. 1 (vedi n. 3 e n. 4 nello schema n. 1). Quelli della parte inferiore, invece, iniziando dalla gola e dal petto, si presentano fortemente inclinati e proseguono sino ad inter¬ rarsi e scomparire completamente (vedi n. 5 e n. 6 dello schema n. 1). E’ da rilevare, infine, lo strato n. 7, che mostra una profonda li¬ toclasi in senso verticale, la quale, partendo in direzione della gola si continua per tutto lo spessore del medesimo e sempre in senso longitudinale. Ad 1/3 circa della lunghezza di esso, a sinistra, guar¬ dando la cc Morgia », si apre una bella grotta, la cui formazione de¬ scriveremo in seguito. Osservando invece il lato opposto, la cc Leonessa » risulta co¬ stituita da enormi ammassi di calcarei, sempre miocenici, ma erosi, frantumati e litoclasati in modo quanto mai vario, così da non presen- — 102 — — 103 — fare più alcuna forma caratteristica degna di rilievo. Facciamo solo notare che l’inclinazione di essi è concordante con quella degli strati che formano la testa del grande felino (vedi fot. 3 e schema n. 2). Lo schema n. 3 mostra poi come questi (vedi n. 1 e n. 2) proseguano anche nella parte opposta ed interessino tutto il complesso roccioso preso in esame. E’ da segnalare ancora, per meglio comprendere quanto diremo, che, sempre dalla parte opposta, si apre ur. profondo ed alquanto vasto cunicolo, ove le acque, penetrando, attraversano tutto lo spes¬ sore della « Morgia Sant’Angelo » (vedi schemi n. 1 e n. 2). Forse, nella notte dei tempi, essa costituiva tutto un banco roc¬ cioso con quello delle « Ripe del corvo ». La natura calcarea degli strati, la loro inclinazione e frattura¬ zione agevolarono l’azione delle acque, che, penetrate nell’interno, hanno creato una fìtta circolazione sotterranea. Questa, poi, con l’an¬ dar del tempo, sarà stata la causa prima dei franamenti e slittamenti degli strati stessi. Alla scarsità dei corsi d’acqua superficiali, infatti, fa riscontro una rete idrografica più o meno profonda che origina le fontane a Arùlo », cc Sant’Angelo » ed altre, dalle acque fredde, cristalline ed alquanto calcaree. Sono però sorgenti di piccola por¬ tata (circa 1/2 1. al sec.) e che si impoveriscono sempre di più, forse, per le continue frane che rompono od incrinano la falda imbrifera. Anche la neve, infine, e l’irregolarità dei corsi d’acqua, durante il periodo invernale hanno contribuito a modificare l’originaria gia¬ citura di questi sedimenti terziari. Tenendo conto perciò dei fattori esogeni su citati, ed esaminando ancora accuratamente la forma degli enormi macigni distaccatisi dal complesso roccioso primitivo e tuttora giacenti nella grande piatta¬ forma, possiamo ricostruire facilmente le varie fasi attraverso cui que¬ sto passò. La conformazione della gola e della parte anteriore delFenorme felino, certamente, sono dovute alla caduta di un grosso macigno del volume di diverse diecine di metri cubi e visibile ancora oggi ai piedi della « Leonessa » (vedi fot. n. 4). Se potessimo avvicinarlo al rimanente, esso si adatterebbe a meraviglia e non lascerebbe vedere più quel gran vuoto che imita a perfezione il feroce animale. La stessa cosa è avvenuta per il lato antero-posteriore, ove il distacco di uno strato, del volume di circa dieci metri cubi, secondo — 104 — la direzione longitudinale, ha creato una grande cc tettoia » (vedi schema n- 1). La frana ha poi influito maggiormente sugli strati n. 5, n. 6, n. 7, i quali, come già abbiamo detto, risultano fessurati in senso obliquo. Ma le meraviglie della « Morgia Sant’Angelo » non sono ancora terminate. Essa rinserra nel suo interno una caratteristica e singolare grotta che ora descriveremo. Grotta Sant’ Angelo (vedi schema n. 4 e fot. n. 5). Lo strato n. 7, come già abbiamo accennalo, mostra tra le altre una notevole litoclasi in tutto il suo senso verticale, in modo da ri¬ manere diviso in due grandi e lunghi pilastri, di cui quello esterno, u guisa di un muro, continua sino a formare il lato destro della grotta. Quivi, esso è interrotto per il distacco e la conseguente caduta di un grosso macigno che ancora si nota sulla piattaforma. Si tenga anche presente che nella grotta sbocca il cunicolo, di cui sopra, proveniente dal lato opposto e che attraversa internamente tutto il banco roccioso in senso quasi normale alla lunghezza degli strati. All’azione erosiva delle acque, unita al cedimento del ter¬ reno franoso, nonché alla fessura dello strato, dobbiamo sicuramente la caduta del macigno che ha, pertanto, lasciato un grande varco e formato cosi l’entrata della grotta in parola. Lo strato n. 6, invece, è rimasto quasi integro ed ora ne forma il tetto. L’uomo, in seguito, ne avrà certamente ampliato e modificato la grandezza e la lunghezza, per adibire la grotta a chiesa. Fu, in¬ fatti, dedicata a S. Michele Arcangelo, a somiglianza di quella del Gargano (6). (6) Eugenio Savino (Vescovo). Libro Magno , pag. 25. Id. in Atti della S. Vi¬ sita 1597 nella Curia Vesc. di Cerreto Sannita. « Ecclesia S. Angeli de Saxo extra terram (Cerreti) in monte constructa, a qua distat per unum milliare ». Essa era una delle nove chiese fuori le mura della vecchia Cerreto. (Cfr. V. Mazzacane. Memorie storiche di Cerreto Sannita, pag. 89 e pag. 130. Tip. Ed. Telesina. Cer¬ reto Sannita, 1911) e per Bolla di Papa Paolo III dell’anno 1544 fu unita alla chiesa di S. Martino (Cfr. A. M. Iannacchino in Storia di Telesia. Tip. D’Alessan¬ dro. Benevenuto, 1900, pagg. 181-182 e 262 e P. A. De Blasio. Il nostro paese , pag. 51-58, Tip. Ragazzi S. Filippo, Cava dei Tirreni, 1957). — 105 — La grotta ha le seguenti dimensioni: Dall’ingresso all’arco m. 12,5 Dall’arco al fondo » 3 Lunghezza totale della grolla » 15,5 Larghezza » 3,5 Altezza della parete di destra » 6 Altezza della parete di sinistra » 3 Nel tetto, che è inclinato, si notano delle concrezioni calcaree e qualche piccola stalattite. La parete di destra presenta la stessa altezza, mentre quella di sinistra è alta all’entrata m. 3 e termina in fondo con m. 4 (7). Uscendo dalla grotta, di fronte, si scorgono alcuni ruderi, avanzi della vecchia torre campanaria (8). Sulla sinistra, invece, si nota una strettissima e profonda inse¬ natura — circa m. 8 — , ove la leggenda vuole sia stata l’abitazione dell’eremita (9). Nei pressi della « Morgia Sant’Angelo » l’antropologo A. De Bla- sio rinvenne alcune tombe sannitiche antichissime, nonché un se¬ polcro dell’età del bronzo, contenente un’urna cineraria e l’avanzo di un femore. (7) Della vecchia chiesetta dei Nostri, purtroppo, nulla resta se si escludono un arco ed un gradino, risparmiati al saccheggio ed al vandalismo dei pastori. Nella parete sinistra, entrando, si nota ancora la nicchia, ove Monsignor Biagio Caropipe, da Cerreto Sannita e Vescovo della stessa cittadina (n. 1461 - m. 1524), volle essere sepolto. Dopo la dissacrazione però della predetta cappella, avvenuta il 30 aprile 1783, per ordine di Mons. Filiberto Pascale, i resti mortali di mons. Caropipe furono traslati nel Duomo di Cerreto nelFanno 1784. In fondo e dietro l’altare — non rimane alcuna traccia neanche di questo — uno stretto e ripido cunicolo porta in alto dove forse si trovava l’organo. A terra vi sono ancora pezzi di marmi lavorati, che certamente arricchivano la caratteri¬ stica cappellina. (8) La rappresentanza e l’amministrazione del Comune (Reggimento dell’Uni¬ versità, come era chiamato) si riunivano per deliberare nella chiesa di Sant’Angelo, dopo « pulsata campana S. Angeli primo ad estensum, deinde per quinquaginta ic¬ tus ». Cfr. Savino, Loc. cit. (9) « In ea », dice mons. Savino, « degit unus heremita ». I pastori chiamano questa piccola grotta la cella di « Fra Giusto » e la rendono più suggestiva aggiun¬ gendo strane e curiose storielle che si tramandano di padre in figlio. 106 — — 107 — Fontana Sant’Angelo. A circa 60 m. e a destra della cc Morgia Sant’Angelo », da uno spuntone calcareo a forma di piramide quadrangolare, quasi rego¬ lare, (m. 3 di altezza per 2,50 di lato di base) sgorga una limpida e fresca sorgente d’acqua che, attraversando le argille mioceniche, scen¬ de giù verso il fondo della contrada Cerro. La portata è, come abbiamo detto, di circa 1/2 1. al sec. e serve al bestiame che ivi pascola nell’estate. 2. - Morgia degli Ortàli (vedi fot. n. 6). Procedendo sempre verso destra, tra gli affioramenti calcarei fa bella mostra di sè quello degli cc Ortàli » il quale si distingue so¬ pratutto per la forma e le dimensioni. E’ quasi simile ad un tronco di cono a sezione ellittica che, come una gigantesca torre, guarda per la parte della sua maggiore altezza la contrada Cerro, mentre la mi¬ nore, ricoperta, in parte, dai terreni alluvionali di riporto, è rivolta verso la contrada Cese. Dista circa 80 m. dalle cc Ripe del Corvo », di cui nei tempi pas¬ sati anch’essa faceva parte insieme con cc Morgia Sant’Angelo ». La roccia miocenica, calcareo-marnosa, è quasi sempre compatta e, sol¬ tanto, nel lato destro, guardando dal punto di maggiore altezza, si notano, verso l’alto, delle discrete litoclasi che hanno determinato il distacco, non ancora completo, di alcuni pezzi di roccia. Si avverte la paurosa sensazione di vederli crollare da un mo¬ mento all’altro, anche per il semplice alitar di vento. Ciò però non avviene perchè, osservando con attenzione l’inclinazione di essi, la verticale, abbassata dal baricentro, cade nella base di appoggio. L’accesso alla roccia è possibile solo dalla parte posteriore, cioè quella di minor altezza, mentre l’altra scende giù a perpendicolo. Il panorama che si può ammirare dalla sommità di cc Morgia degli Ortàli » è quasi identico a quello già iscritto per la cc Morgia Sant’Angelo ». Le misure che interessano la cc morgia » in oggetto sono le se¬ guenti : — 108 Altezza massima Altezza minima Diametri superiori Circonferenza totale di base m. 25 » 11 » 18 e m. 12 » 62 La circostante vegetazione è data da alcuni alberi di frassino, di nocciuolo, di carpino nero e di pioppo; solo qualche zolla di ter¬ reno è coltivata ad orto, da cui, forse, il nome di cc Orlali » dato alla roccia. 3. - Ripe del Corvo o Coste del Corvo (vedi fot. n. 7). Il rilievo di formazione miocenica, in prevalenza calcareo, rima¬ ne, verso settentrione troncato da un lungo ed ampio dirupo che forma le cc Ripe dèi Corvo ». Queste distano dal monte Guardia (m. 821) circa 800 metri e circa 120 m. dalla cc Morgia Sant’Angelo » e delimitano i confini non soltanto della contrada, ma anche del territorio di Cerreto Sannita e di Guardia Sanframondi. Anche qui i sedimenti argillosi e marnosi intercalati a quelli calcarei hanno provocato e provocano tuttora grandiose ed estese frane che contribuiscono a dare alla contrada una fisionomia tutta particolare. Le cc Ripe del Corvo », infatti, costituiscono una enorme e lunga muraglia, dalle pareti rocciose, solcate da erti e profondi canaloni, stranamente conformati dalla furia delle acque e terribil¬ mente tormentate dall’azione del gelo e del rigelo. Le assise calcaree in molti punti superano l’altezza di 100 metri, mentre nella media raggiungono gli ottanta metri. Svettano verso l’alto, ove è visibile maggiormente l’opera devastatrice degli agenti atmosferici che han¬ no sagomato qui un enorme torrione, lì, invece, un immenso bastione, come quello che si nota quasi al centro delle cc ripe », ove gli strati superiori sono stati uniformemente scissi ed erosi tanto da ripro¬ durre, ma in scala molto più grande, le fattezze di un amico ma¬ niero medioevale tutto merlato. Oltre ai paurosi picchi calcarei fortemente litoclasati, notiamo in alcuni punti degli strati rocciosi che, slittando su quelli inferiori, si sono inclinati in modo tale da formare delle vere grotte naturali, ove i pastori della contrada riparano il bestiame. Possiamo dire che nessun punto è uguale all’altro, perchè si ri- — 109 — scontrano sempre nuove e strane forme, alle quali la fantasia dell’os¬ servatore ora avvicina quelle di alcuni animali ora quelle umane. La fotografia n. 8 mostra, infatti, tra due enormi spuntoni di roccia, la stranissima conformazione di alcuni macigni che, distacca¬ tisi dal complesso, si sono disposti in modo tale da raffigurare un enorme uomo seduto con le gambe protese verso l’altro picco. Av¬ vinandosi però ancora di più, l’uomo di pietra scompare o meglio cambia e l’occhio vede al suo posto un grosso prete, seduto col tri¬ corno in testa e con la mano tesa, quasi in atteggiamento di benedire; lo chiamano proprio così i pastori della contrada. Numerose sono le grotte, mentre, di contro, molto scarsa è la vegetazione. Dalle cc Ripe del Corvo » scaturiscono piccole sorgenti, come quel¬ le di Sant’Angelo, già citata, quella dell’Arùlo (in contrada Cese), quella « Fabbricata », che sgorga, insieme ad altre, nel versante op¬ posto ed in tenimento di Guardia Sanframondi. Contrada Cese. Procedendo verso Nord-Est della contrada Cerro, ora descritta, si giunge in quella delle Cese. Questa, per le particolari forme di ero¬ sione, nonché per le imponenti frane che la interessano, si differenzia notevolmente dalla prima. Proprio a causa di queste ultime, la con¬ trada presenta nel centro una discreta depressione, mentre resta cir¬ coscritta a Sud dalla « Morgia Sant’Angelo », ad Est dalla continua¬ zione dei calcari delle Ripe del Corvo, a Nord da monte Coppo (1100 m.) e la Defensa ed, infine, ad Ovest dalla contrada Cerro. Il tratturo regio l’attraversa e lo si può distinguere sino ai con¬ fini di Pontelandolfo. La mancanza di una rete idrografica superficiale dovuta alla na¬ tura del terreno, che è formato in prevalenza da argille, più o meno scistose, e da calcari miocenici, rende la zona molto arida e brulla. La caratteristica però più saliente della contrada Cese è data dal¬ la strana conformazione delle sue rocce, che, oltre a mostrare in modo evidente un forte clivaggio, presentano delle enormi e profonde spaccature che dividono le medesime in due o più parti. E’, possiamo dire, la contrada delle cc morge spaccate ». I pastori della zona, infatti, le individuano e le classificano con una toponomastica tutta loro particolare, a seconda degli usi, della forma o del nome del proprietario del terreno. — 110 — Si notano di frequente erti spuntoni, variamente sagomati, non¬ ché numerosi slittamenti degli strati rocciosi che, anche qui, hanno formato delle grotte aperte. Per non citare tutte le altre rocce, che numerose arricchiscono la contrada Cese, descriveremo soltanto le due più importanti e più caratteristiche: « Morgia Cesco » e «. Morgia Spaccata ». La prima è sita in contrada Cese, la seconda, invece, si trova ai confini col territorio di San Lupo e più verso la Defensa. 1. - Morgia Cesco (vedi fot. n. 9). La più grande di tutte le « morge » è quella Cesco, ad Est e a circa 200 m. dalla « Morgia Spaccata ». Una vasta fenditura che pro¬ segue per tutto il senso della sua trasversale la divide in due enormi tronconi. La « morgia » è visibile da lontano e mostra ancora ad Est una notevole frana che ha fatto staccare dal complesso roccioso pa¬ recchi macigni. La fenditura neirinterno della « morgia » è profon¬ da oltre metri 30 ed in fondo ad essa scorre una discretta vena d’acqua. Presenta una lunghezza, in senso normale alla fenditura, che è di metri 160, mentre quella nello stesso senso ha un valore medio di 130 m. Caratteristiche terrazzine formatesi per lo sfaldamento di massi quasi tutti a forma parallelepipeda (cm. 60 x cm. 50 x cm. 30) atti¬ rano molto l’attenzione dell’osservatore. 2. - Morgia Spaccata (vedi fot. n. 10). Tale « morgia » presenta quasi nel centro la forma di un paral¬ lelepipedo rettangolo. Mostra tre grandi fenditure che la dividono, secondo la lunghezza, in quattro blocchi rocciosi. La prima, quella in direzione Sud, è la più larga e la più profonda, raggiungendo ri¬ spettivamente le dimensioni di 1 metro e di 16 metri. L’acqua che scorre in profondità può raggiungere, nel periodo estivo, l’altezza di cm. 70. Oltre alle tre fenditure, su indicate, la roccia ne presenta un’altra che va da Nord a Sud della medesima e risulta perpendicolare alle precedenti. Il calcare compatto miocenico presenta anche qui, ma in modo meno vistoso, la litoclasatura secondo il parallelepipedo. — Ili — Fontana Arùlo. Quasi nel mezzo della contrada, ma più spostata verso Est, sotto un gran masso calcareo, sgorga la fontana o Arùlo », le cui acque, insieme a quelle della sorgente Sant’Angelo, confluiscono poi nel tor¬ rente Cervillo. Questo, dopo aver raccolto tutti gli sbocchi provenienti dalle varie contrade, passa sotto il ponte omonimo, sulla strada Cer¬ reto Sannita-Guardia Sanframondi, e prosegue per la contrada « Ce¬ sine di Sotto », ove in località (c Acquara », più precisamente in pros¬ simità della cc Madonnella », scorre sotto il ponte sulla via Cerreto- Telese fino a raggiungere quello di S. Elia, presso S. Antoniello e, a pochi metri da questo, sbocca nel torrente Titerno di cui è affluente di sinistra. La fontana ha la portata di circa 1/4 di 1. al sec. e deve il nome alla strana rassomiglianza della roccia ad un cultivar poco pregiato di pero che cresce localmente. La contrada Cese, infine, vista dal cc Passo della Lota » o cc Vado della lota », alle falde del monte Coppo e a Sud-Est di questo, pre¬ senta i seguenti rilievi: in alto, il cc Toppo Resicco » (10), cc Morgia Muschella » con una piccola sorgente, cc Preci alte » (11), tutte site ad Est, mentre cc Morgia Sant’Angelo » e le cc Ripe del Corvo » sono in direzione Sud-Ovest, in basso poi notiamo, cc Morgia Resicco » (12), fontana cc Arùlo, cc Morgia degli Ortàli », cc Morgia e grotta Merca- iuro », cc Morgia Fornariello ». ecc. (vedi fot. n. 11). Conclusione. Gli strati calcarei delle cc Ripe del Corvo », di cc Morgia S. An¬ gelo », dei dintorni di San Lupo, di Pontelandolfo, di Guardia San- framondi e di Morcone, confinanti con le due contrade descritte, ap¬ partengono, secondo il nostro modesto modo di vedere, molto vero¬ similmente al miocene, sebbene lo studio di numerose sezioni sottili non abbia mai messo in evidenza la presenza di microfossili carat¬ teristici. Gli spuntoni e le masse calcaree cretaciche, generalmente ippuri- (10) Toppo = collina. (11) Preci = pietre. (12) Resicco = da rius siccus. — 112 — tiche, sporadicamente inglobati nei sedimenti terziari, possono per¬ ciò ritenersi quali esotici in relazione con le notevoli dislocazioni, su¬ bite dalla regione, durante i successivi fenomeni di orogenesi. Si tenga inoltre presente che i potenti strati calcarei miocenici poggiando su sedimenti marnosi ed argillosi, sono soggetti, come ab¬ biamo già detto, a frane grandiose ed estese. Pertanto, a nostro av¬ viso, la massa calcarea della cc Leonessa », insieme con la cc Morgia degli Ortàli », resta ad attestare una di queste immense slavine, che nei secoli trascorsi, la distaccarono dalle cc Ripe del Corvo ». Infine, il morso edace e continuo delle acque, l’azione disgre¬ gatrice del gelo e del rigelo e di tutti gli altri agenti esogeni, messi insieme, hanno contribuito senz’altro a donare alle due contrade cc Cerro » e cc Cese » quella bellezza, ora delicata, ora selvaggia, che abbiamo tentato di descrivere in questo lavoro. Cerreto Sannita, marzo 1959. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1959. D. Franco. Su alcune particolari forme di erosione , ecc., I, Fot. N. 1. — Forme di erosione lungo il Tratturo regio. (fot. Franco ) Fot. N. 2. — La « Leonessa » o Morgia S. Angelo. ( fot. Franco) Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1959. D. Franco. Su alcune particolari forme di erosione , ecc., 11. Fot. N. 3. — Gli strati della testa. (fot. Franco) — Il masso che distaccatosi ha dato forma alla gola. Notare ancora Finclinazione degli strati, (fot. Brunelli ) Fot. N. 4. à/m&. [Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1959. D. Franco. Su alcune particolari forme di erosione , ecc., III- Fot. N. 6. — Morgia degli Ortàli, (fot. Franco ) Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1959. D. Franco. Su alcune particolari forme di erosione , ecc., IV. Fot. N. 7. — Ripe del Corvo. « 11 grande maniero merlato ». (fot. Franco ) Fot. N. 8. — Notare 1« uomo di pietra » tra i due spuntoni calcarei. (fot. Franco) La separazione cromatografica Nota del socio dott. GIUSEPPE ROMANO Tornata del dì 27 novembre 1959) Sotto il nome di separazione cromatografica o cromatografia, si comprendono una serie di metodi analitici che ci danno la possibilità di separare piccolissime quantità di sostanza, senza sottoporle a trat¬ tamenti che ne possano alterare la costituzione. Sono, quindi, metodi che hanno avuto grande diffusione in tutti i campi di ricerca sia scien¬ tifica che industriale. Indubbiamente il nome di cromatografia non sempre risponde più al suo vero significato di separazione ed identificazione di so¬ stanze colorate, ma è rimasto tale in senso traslato così da ricordarne la origine. In realtà oggi dobbiamo distinguere vari tipi di tecniche cro¬ matografiche che, pur avendo una origine comune, si differenziano a volte anche sostanzialmente e come fondamento teorico e come pratica applicazione. La vera paternità del metodo cromatografico è dovuta ad un bo¬ tanico: Michele Tswett, nato in Italia (Asti) da madre italiana e padre russo nel 1872. Egli nel libro: cc Les chromopliilles dans le monde vegetai et animai » pubblicato nel 1909, descrive i risultati ottenuti facendo passare soluzioni di sostanze colorate vegetali attra¬ verso uno strato di solfato di calcio. Il metodo fu ripreso successivamente da altri autori, che ne svi¬ lupparono la teoria e l’applicazione. Cromatografia in colonna secondo Tswett. Se facciamo passare attraverso una colonna di vetro, riempita di una sostanza con proprietà adsorbenti (solfato di calcio, silice ge¬ latinosa, allumina, ecc.) la soluzione di una determinata sostanza A, 8 — 114 — questa può essere più o meno trattenuta dai solido di riempimento. Al solido dotato di tali proprietà adsorbenti si dà il nome di fase fissa, mentre si dà il nome di fase mobile al solvente. Le condizioni che si possono verificare durante questa filtra¬ zione sono le seguenti: 1) la fase fissa mostra il massimo di adsorbimento nei riguardi della sostanza A, ed in tal caso questa viene tutta trattenuta dagli strati superiori della sostanza adsorbente; 2) la fase fissa non ha un attivo adsorbimento nei riguardi della sostanza A ed essa è portata nella parte inferiore dalla fase mobile; 3) l’attività adsorbente della fase fissa non è molto spinta, ma nemmeno trascurabile, la sostanza A è adsorbita dagli strati inter¬ medi della colonna. Possiamo cioè asserire che, a temperatura costante, lo adsorbi¬ mento avviene secondo una isoterma rettilinea rappresentabile gra¬ ficamente così: poniamo sulle ascisse la concentrazione della sostanza A nella fase mobile e sulle ordinate la concentrazione di A nella fase fissa, il comportamento grafico dei tre casi limiti indicati sarà il seguente: la prima isoterma a riguardante la massima attività dell’adsor¬ bente, si accosterà alle ordinate, la seconda isoterma p che rappre¬ senta l’adsorbimento nullo o quasi, si avvicinerà all’asse delle ascisse, 115 — la terza isoterma v ci rappresenta il caso di una attività di adsorbi¬ mento intermedio e sarà più o meno inclinata sull’asse delle ascisse a seconda che l’attività della fase fissa è meno o più imponente. Ma tale ragionamento è puramente teorico e si verificherebbe sol¬ tanto nel caso di un adsorbimento nettamente totale, nullo o inter¬ medio; ma nella pratica nessun fenomeno può ritenersi assoluto e si dovrà parlare di adsorbimento più o meno spinto, ossia di una par¬ tizione di una sostanza A tra due fasi. Eliminata la primitiva rigi¬ dità teorica, la cromatografia assume il suo vero volto. Stabilito che realmente non esiste un adsorbimento totale o nullo da parte di una delle due fasi, è da ammettersi che la sostanza A, portata sulla parte superiore della colonna a contatto della fase fìssa ad opera della fase mobile, verrà più o meno attivamente adsorbita dalla fase fissa e ceduta dalla fase mobile o, per dir meglio, avverrà una partizione di A tra i primi strati della prima e le prime por¬ zioni della seconda, secondo una isoterma di adsorbimento. Ora quella porzione della sostanza A che rimane nella fase mobile è tra¬ scinata più avanti e portata a contatto di un secondo strato di fase fissa e qui avverrà una seconda partizione, e così via per strati suc¬ cessivi fino a che la concentrazione di A nella fase mobile sarà ri¬ dotta a valori così bassi da non potersi più praticamente parlare di esistenza di essa, per essere stata tutta adsorbita dalla fase fissa. Alla luce di tale concezione, il processo cromatografico in co¬ lonna, va inteso alla stessa stregua di una serie di successive distilla¬ zioni o, per dir meglio, ad una distillazione frazionata con colonna deflemmatrice, con la variante che al posto di n piatti o, anzi, di n corpi di riempimento, vi è un numero grandissimo di granuli, per giunta attivi, della fase fissa. In base a ciò è ben comprensibile come l’adsorbimento croma¬ tografico non darà una zona esatta di egual concentrazione in tutti i suoi punti, bensì il massimo di concentrazione in A, andrà via via degradando in dipendenza del fatto che si stabiliranno una serie di equilibri tra le due fasi, per ogni straterello della fase fissa. Tutto ciò sta ad indicare che in realtà la isoterma di adsorbi¬ mento non è una retta, ma avrà un andamento curvilineo più o meno accentuato e che l’adsorbimento di A da parte della fase fissa, mas¬ simo all’inizio, andrà più o meno velocemente degradando in dipen¬ denza della velocità di adsorbimento di essa fase fissa. Tale ragionamento fatto per una sola sostanza, può applicarsi anche al caso che siano n le sostanze da separare, poiché ognuna di 116 — esse interverrà nel processo di partizione indipendentemente dalle altre, ognuna in base alle sue possibilità di adsorbimento o di solu¬ bilità nell’una o nell’altra fase, ed ognuna di esse si fermerà più in alto se la sua isoterma di adsorbimento si avvicina all’asse deile ordinate (massimo di adsorbimento nella fase fissa) e più in basso mano a mano che la isoterma di ciascuna di esse si avvicina all’asse delle ascisse. Se sospendiamo l’aggiunta della fase mobile non appena il suo fronte ha raggiunto l’estremità della colonna e se le n sostanze sono colorate, noi osserveremo una serie di n zone colorate più o meno ravvicinate in dipendenza della capacità di ripartirsi tra le due fasi. Se le sostanze non sono colorate le zone non sono visibili e per rivelarle è necessario ricorrere alla estrusione del contenuto della co¬ lonna (operazione che va compiuta con estrema cautela per non di¬ sfare la forma cilindrica), quindi, con l’aiuto di un pennellino o di una bacchetta di vetro, applicare un reattivo, anche se non specifico, che dia sostanze colorate con i componenti delle varie zone. Me¬ glio ancora, data la difficoltà di estrudere la colonna, si possono tra¬ sformare i componenti il miscuglio, in sostanze colorate prima della separazione cromatografica. — 117 — Analisi frontale secondo Tiselius. Come ben si può notare, però, questo primo metodo, nonostante il grande risultato di aver raggiunta una separazione dei costituenti il miscuglio, non sempre raggiunge lo scopo di una netta separazione ed individuazione delle sìngole sostanze, nè è di facile applicabilità sempre. Se continuiamo ad aggiungere la fase mobile (eluente) in modo che essa cominci a sgocciolare dall’altra estremità delia colonna, avremo il verificarsi di un processo che è l’inverso di quello prece¬ dente, e cioè, quelle sostanze che avevano dimostrato un minimo di adsorbimento per la fase fissa e che, quindi, si trovano al fondo della colonna, passeranno con faciltà nell’eluente per prime, quindi, mano a mano passeranno quelle più adsorbite dalla fase fissa. Le varie frazioni raccolte separatamente, o in base alla colora¬ zione, oppure ad intervalli eguali di tempo o, anche, per volumi eguali ci danno la possibilità di analizzarle una per una. A tale tipo di analisi cromatografica si dà il nome di analisi fron¬ tale, il che sta ad indicare che l’analisi è eseguita sul fronte del sol¬ vente. Questa tecnica fu iniziata molti anni dopo la prima applica¬ zione dello Tswett (1940), adopera del Tiselius, onde si designa col nome di analisi frontale secondo Tiselius. Cromatografia per spostamento. (Development for deplacement) Ma, come visto al principio, poiché l’adsorbimento di una so¬ stanza da parte della fase fissa non avviene di colpo, non sempre si ha una netta separazione; può accadere che la parte terminale di una zona coincida con la parte iniziale della successiva, tale che una frazione del liquido raccolto (eluato) sia costituita da un miscuglio binario, specie quando si pensa che in generale l’attività di adsor¬ bimento della fase fìssa aumenta col diminuire della concentrazione della sostanza sciolta nella fase mobile. Ma, se, a cromatografia avvenuta, mandiamo in colonna la solu¬ zione di una sostanza che sia adsorbita dalla fase fìssa in quantità maggiore di quella da separare, questa ultima sarà spostata, sarà cioè sostituita completamente dalla nuova sostanza, passerà in soluzione — 118 — nella fase mobile e sarà avviata all’estremità della colonna. Variando così di volta in volta la soluzione eluente, si potranno raccogliere se¬ paratamente i componenti in miscuglio iniziale. Anche questa tecnica fu introdotta dal Tiselius qualche anno dopo la precedente (1943). Cromatografia di partizione. Può ben capitare, però, che l’attività di adsorbimento della fase fissa nei riguardi di una sostanza sia così spinta, da non cedere più all’eluente la sostanza adsorbita, in tal caso qualcuno dei componenti il miscuglio, non viene più ritrovato nell’eluato, Martin e Singe, che notarono per primi questo difetto della cro¬ matografia in colonna (1941), ne modificarono la tecnica. Essi adoperano sempre una colonna di gel di silice ma imbi¬ bita di acqua, in modo che essa silice non funzioni più da fase fissa, ma soltanto da supporto dell’acqua che diventa fase fissa. Con tale variante la partizione fase fissa solida - fase mobile liquida, di¬ venta una partizione liquido-liquido, si crea cioè un equilibrio se¬ condo la formula di partizione del Nernst: C, in cui a è il coefficiente di partizione e tutta la espressione è quella di una isoterma di partizione di una sostanza fra due liquidi. L’ andamento generale del processo cromatografico rimane lo stesso che nella partizione solido-liquido, con la variante che si pos¬ sono separare piccolissime quantità di sostanze. I due liquidi devono essere il più possibile immiscibili tra loro. La fase fissa di solito è acqua, mentre la fase mobile è generalmente costituita da un solvente o una miscela di solventi organici immiscibili con acqua e saturati di essa. Quest’ultimo accorgimento è necessario per evitare sottra¬ zione di fase fissa. Cromatografia su carta. E’ nella cromatografia di partizione che risiede, per così dire, il germe della cromatografia su carta da filtro, o meglio, la sua origine si trova in punto debole della partizione in colonna: usandosi gel — 119 di silice come supporto, benché imbibito di acqua, non si può esclu¬ dere completamente la sua attività adsorbente, specie nei riguardi di talune sostanze come, ad es., alcuni amminoacidi che vengono tena¬ cemente trattenuti. Un tale intralcio venne rilevato da Gordon e Consden (che la¬ voravano presso la « Wool Industries research Associatici! »), i quali pensarono di sostituire alla colonna riempita di gel di silice, sem¬ plicemente una striscia di carta da filtro. Veniva così redatto l’atto di nascita della cromatografia di parti¬ zione su carta da filtro (1944). Gli autori suddetti eseguirono la prima cromatografia usando stri- scie di carta Wathman, adoperando come apparecchio cromatografico una vecchia latta di benzina, riempita di gas illuminante, e durante l’intera nottata sorvegliano il buon andamento, lutando i buchi che mano a mano si rilevavano con sapone molle. Nonostante la rozzezza dei mezzi essi ebbero risultati soddisfacenti. Tecniche adoperate per la cromatografia su carta. La tecnica cromatografica su carta da filtro nelle linee essenziali si suddivide nei seguenti metodi: metodo monodimensionale metodo bidimensionale metodo su disco ascendente discendente ascendente discendente Metodo monodimensionale. — Da un foglio di buona carta da filtro si ricavano striscie della lunghezza di circa 40 cm e della lar¬ ghezza di 2 cm -, 2,5 cm. A circa 2 cm da uno degli estremi si segna a matita una circonferenza di 0,5 cm di diametro, ed ivi, con l’aiuto di una micropipetta si depone la soluzione in esame. È questa una operazione molto importante su cui mi fermerò più avanti. Farò no¬ tare qui che è necessario che il liquido venga lentamente assorbito dalla carta da filtro e non superi il limite segnato dalla piccola cir¬ conferenza a matita, si procederà, quindi per successivi assorbimenti, 120 — curando di non deporre altro liquido prima che la carta non sia com¬ pletamente asciutta. Si può agevolare l’evaporazione con l’aiuto di un asciugacapelli oppure con lieve riscaldamento. Per ciò che riguarda le micropipette, per lavori di non eccessiva precisione si possono usare tubicini capillari ricavati per stiramento a caldo di una canna di vetro; per lavori più delicati, esistono oggi in commercio micropipette graduate in lambda. Così preparata, la striscia è pronta per lo sviluppo. Questo può eseguirsi con tecnica discendente ed ascendente. Con la prima tec¬ nica il lato della striscia sul quale si è deposta la sostanza, si im¬ merge per qualche millimetro nello sviluppatore contenuto in una vaschetta situata nella parte superiore di una vasca o di un cilindro di adeguate dimensioni e già precedentemente saturati con i vapori del solvente adoperato e di vapor d’acqua, cosa che si ottiene ponendo al fondo della vasca un bicchiere contenente acqua saturata con il solvente. La seconda tecnica, l’ascendente cioè, consiste nel porre la va¬ schetta dello sviluppatore in basso, in modo che le striscie, oppor¬ tunamente sospese nella camera cromatografica, siano immerse solo per qualche millimetro nello sviluppatore, di modo che quest’ultimo salga lungo la carta per semplice capillarità. Volendo fare più ricerche contemporanee, converrà usare, al posto di più striscie, un unico foglio sul quale verranno deposte, ad intervalli regolari, le varie sostanze in esame. E ciò viene sempre fatto per determinazioni in serie, principalmente perchè in tal modo si ha la massima possibilità di confronto. Così sistemata la striscia nell’apparecchio, si attenderà che il sol¬ vente scorra o venga assorbito dalla carta fino a pochi cm dall’estre¬ mità opposta. A tal punto la striscia verrà ritirata dall’apparecchio, si segnerà a matita il fronte del solvente e si asciugherà all’aria; il cromatogramma asciutto, verrà rivelato con un reattivo cromatico. Non importa se tale reattivo non è specifico, interessando soltanto localizzare le varie traccie, il necessario è che tale reattivo sia il più possibile sensibile, possibilmente in soluzione alcoolica o idroal¬ cool ic a, ad evitare trasporto della sostanza. Talvolta la rivelazione può eseguirsi con reattivi gassosi come idrogeno solforato, vapori di ammoniaca, vapori di iodio ecc., come anche si può ricorrere alla vi¬ sualizzazione alla luce U.V. Poiché non è possibile determinare il coefficiente di partizione a, si esegue una misura relativa, si fa cioè la determinazione del 121 — valore Rf , il che si esegue facendo il rapporto tra la distanza in centimetri compresa tra il punto di deposizione ed il centro della traccia, ed il percorso (sempre in cm) del solvente. Il valore dello Rf sarà 1 per le sostanze solubili nella fase mobile e 0 per quelle solubili nella fase fìssa, mentre per le altre sarà compresa fra 0 ed 1. Nel caso di sostanze che si spostano poco dal punto di par¬ tenza, bisogna adoperare la tecnica discendente, far scorrere il sol¬ vente fino a che sgoccioli per un po’ di tempo in modo da permettere un maggiore spostamento; in tal caso non sarà più possibile calco¬ lare il valore di Rf e si farà ricorso ad un artificio: si deporrà con¬ temporaneamente una sostanza ad Rf noto, e si riferirà a questo lo spostamento della sostanza incognita, si determinerà un secondo va¬ lore relativo al primo che si denomina con il simbolo Rg (così detto perchè spesso si adopera come sostanza di riferimento il glucosio). Metodo bidimensionale. — Può capitare che due sostanze ab¬ biano un valore dell’Rf molto simile, tale che le due traccie si sovrap¬ pongono. Si ricorre in tal caso ad una determinazione bidimensio¬ nale: cioè la soluzione in esame si depone non più all’estremo di una striscia, ma all’angolo di un foglio quadrato, conservando sem¬ pre la distanza di due cm. dai bordo. Indi si farà scorrere lo svilup¬ patore in un senso, dopo lo sviluppo completo il foglio si lascerà asciugare e si ricromatograferà nel senso ortogonale al primo, gene¬ ralmente con altro sviluppatore. Poiché il valore dell’Rf varia con il variare dello sviluppatore, avremo che le traccie, che si sovrap¬ ponevano con una determinazione monodimensionale, si troveranno sfalsate con la determinazione bidimensionale e facilmente rivelabili. Metodo su disco. — Questo terzo metodo (1948) è dovuto al Rut~ ter. Esso consiste nell’adoperare un disco di carta da filtro. Al cen¬ tro di esso disco viene deposta la sostanza in esame e, sempre ai centro si fa arrivare lo sviluppatore (più avanti si descriverà l’appa¬ recchiatura). Si ha in tal caso uno sviluppo circolare ed in luogo delle macchie si avranno traccie circolari molto visibili. Questo metodo si è dimostrato vantaggiosissimo per la rapidità di sviluppo, per la grande selettività e per la spinta sensibilità. Si pensi che, mentre con i due primi metodi la quantità da adoperarsi oscilla tra i dieci ed i cinquanta gamma, qui con faciltà si rivelano, in taluni casi, anche frazioni di gamma e non conviene mai superare i 10-15 gamma; inoltre per lo sviluppo di un cromatogramma su stri- — 122 scia occorrono un minimo eli sette otto ore fino a dodici ore, con il cromatogramma su disco bastano, generalmente, tre ore. Fondamenti teorici della cromatografia su carta. In realtà il meccanismo della separazione cromatografica non è dissimile dalla partizione in colonna, con la variante che il gel eli silice è sostituito dalla cellulosa della carta. Al momento che la carta da filtro è immessa nella camera cromatografica si imbibisce di ac¬ qua (fase fissa); lo sviluppatore (fase mobile) procedendo per capii larità, scioglierà le sostanze deposte tentanelo di portarle il più lon¬ tano possibile, attuandosi qui, come già visto per la colonna nella cromatografia di partizione, un equilibrio liquido-liquido, ossia du¬ rante il percorso si attuerà una partizione delle varie sostanze tra acqua (fase fissa) e sviluppatore (fase mobile), si genererà, cioè una vera azione competitiva tra le due fasi e le varie sostanze saranno portate più o meno innanzi a seconda che la loro affinità sarà mag¬ giore per lo sviluppatore o per l’acqua e, per riportarci a quanto detto prima, una sostanza sarà portata tanto più verso il fronte sol¬ vente, quanto più la sua isoterma di adsorbimento si accosterà allo asse delle ordinate. Il grande vantaggio consiste qui nell’inerzia quasi assoluta del¬ la cellulosa, nei confronti del gel di silice della partizione in colonna. Inoltre la cellulosa, polisaccaride cristallino, non solo immagazina molta acqua negli spazi intermicellari ma, possedendo gruppi OH, la trattiene saldamente, formando un idrato, tanto più attivo della acqua stessa nei riguardi delle sostanze idrofile, da attuare maggior¬ mente un equilibrio con la fase mobile. Una difficoltà è presentata dall’impossibilità pratica della deter¬ minazione del coefficiente di partizione, ma a ciò si può ovviare con la relazione che si è trovata tra il valore dell’Rf ed a: in cui Al = sezione dell’area della fase solvente As = sezione dell’area della fase acquosa ambedue costituiscono una caratteristica della carta e sono deter¬ minabili sperimentalmente, conoscendo a priori a e Rf. — 123 — Apparecchiatura. Non è qui il caso di considerale gli infiniti tipi di apparecchia¬ ture messe in commercio. Mi limiterò a descrivere un apparecchio tipo valevole sia per le determinazioni su striscia che su foglio. Es¬ so essenzialmente consiste in un grosso cilindro o in una vasca di vetro o di acciaio inossidabile, di altezza minima di 40 cm. e di cu¬ batura varia a secondo delle necessità. In generale tutti gli apparec¬ chi sono costruiti in modo da potersi utilizzare sia per la tecnica discendente che ascendente, potendosi la vaschetta che contiene lo sviluppatore, disporre in alto su apposito sostegno o sul fondo della vasca. Anche per ciò che riguarda i modi di sospensione della carta i sistemi escogitati sono vari; nella tecnica discendente il capo della striscia è trattenuto da lastrine di vetro immerse nella vaschetta del¬ lo sviluppatore; nella tecnica ascendente le striscie sono sospese ad appositi uncini di vetro e sospese a bacchette di vetro per mezzo di fermagli di acciaio inossidabile. Il descrivere tutte le attrezzature in uso non solo ci porterebbe troppo lontano, ma anche si risolverebbe in una inutile elencazione. Maggiore interesse mostra l’attrezzatura per cromatografia su di¬ sco, principalmente perchè non si è diffusa nessuna attrezzatura di tipo commerciale. Inizialmente il Rutter ritagliava una listerella di carta dal disco, secondo un raggio, fin quasi al centro e, piegan¬ dola in giù, la lasciava pescare nello sviluppatore contenuto in una piastra di Petri. Il tutto veniva ricoperto con una campana di vetro. Alcuni autori adoperano grossi essiccatori e fanno sgocciolare molto lentamente, per mezzo di una pipetta, lo sviluppatore sul cen¬ tro del disco. Il Berlingozzi adotta un sistema molto comodo: la¬ scia intatto il disco ed assicura il trasporto dello sviluppatore al centro di esso, per mezzo di un piccolo cono di carta da filtro. Tale sistema risultò un po’ scomodo, per cui nell’Istituto di Chimica Far¬ maceutica e Tossicologica dell’Università di Napoli, si adottò un’ap¬ parecchiatura, che il collaudo di lunghi anni di lavoro ha dimostrato molto comoda e pienamente rispondente agli scopi. Essa è costituita da un telaio in legno, chiuso superiormente da una lastra di vetro smerigliata, sulla quale a matita si può segnare il centro esatto. Nell’interno del telaio è sistemata una lampada, molto utile per la centratura del disco. Al centro della lastra si pone un bicchierino basso da circa 10 cc, contenente lo sviluppatore. In que- I — 125 — sto bicchierino si sistema un grosso capillare con la base svasata, in modo da costituire un comodo appoggio. In tale capillare si in¬ troduce un capillare molto pìccolo, ottenuto stirando a caldo un tubo di vetro di 0,8 cm di diametro (circa la metà dì un tubicino per punto di fusione). Questo capillare- è tagliato secondo una sezione nettamente ortogonale all’asse, in modo che il semplice lieve con¬ tatto con la carta assicura l’assorbimento, per capillarità, dello svi¬ luppatore. Il disco di carta da filtro è sostenuto da un sostegno di vetro ed il tutto è ricoperto da un grosso cristallizzatore in vetro pe¬ sante (vedi tavola annessa). Si adoperano generalmente dischi di carta da filtro di 18 cm di diametro. La tecnica della cromatografia su carta. Deposizione. — È da tenersi presente che la cromatografia su carta, anche se normalmente adoperata per scopi qualitativi non può molto scostarsi dalla tecnica quantitativa, date le minime quantità di sostanze adoperate; quando si pensa che tale indagine incomin¬ cia a dare valori attendibili per quantità inferiori ai 50 gamma, non è possibile adoperare una deposizione del tutto incontrollata. La tecnica della deposizione inizialmente adottata fu quella in banda e cioè la soluzione da analizzare veniva deposta facendo scor¬ rere lungo tutta la larghezza della striscia la micropipetta. Una tale tecnica venne presto abbandonata, poiché non solo la sua pratica at¬ tuazione era scomoda, ma anche i risultati non erano molto esatti. Infatti già si parte da una disposizione della sostanza in esame su una zona ampia ed è innegabile che essa è trasportata secondo una larga serie di direttrici che conducono ad una banda finale, mentre è conveniente che, a sviluppo ultimato, la traccia sia il più possibile tonda ed occupante la minima area e ciò per un più esatto calcolo del valore dell’Rf. Inoltre con un tale tipo di deposizione, la sostali za in esame è distribuita tra un margine e l’altro della striscia e, poi¬ ché i solventi hanno una elevata tensione di vapore, si ha un ar¬ ricchimento di sostanza ai bordi; si può infatti notare che, svi lup pando un cromatogramma con deposizione a banda, si hanno trac- eie con code ai due estremi. Si preferì, quindi, la deposizione loca¬ lizzata in un piccolo cerchio il cui diametro è bene che non su¬ peri i 0,5 cm. — 126 — È di massima importanza deporre la sostanza con estrema len¬ tezza, ponendo la punta della micropipetta a lievissimo contatto con la carta, in modo che il liquido venga assorbito per capillarità, sol¬ levando la pipetta prima ancora che il bordo della macchia raggiun¬ ga il margine del segno a matita. Una ulteriore aggiunta si farà uni¬ camente quando la precedente porzione è completamente asciugata. Si eviteranno pipette a punta aguzza, per far si che la carta non si rompa nel punto di deposizione. Carta da filtro. — Per quanto riguarda la carta da filtro, non sempre si possono dare regole, poiché mi tipo ottimo per talune de¬ terminazioni, non risponde per altre. In realtà la scelta della carta da filtro va fatta con molta atten¬ zione, poiché lo sviluppo del cromatogramma è grandemente influen¬ zato dal tipo di carta adoperata, sia per ciò che riguarda la corsa dello sviluppatore che per il valore dell’Rf. Conviene generalmente adoperare tipi di carta ad assorbimento medio, in modo che la corsa dello sviluppatore non sia troppo veloce, dando così una separazione netta. Lavori tendenti a stabilire Pinfluenza del tipo di carta, furono eseguiti da G. N. Know e coll. Questi autori esaminarono ben 22 tipi di carta, usando, comparativamente, diversi solventi, classificandoli secondo i seguenti gradi: 1) grado di separazione e chiarezza della traccia; 2) grado di formazione del fronte bruno; 3) grado di formazione delle barbe e delle code; 4) velocità di movimento del solvente. Passando in rivista i quattro gradi suddetti si rileva: 1) grado di separazione e chiarezza della traccia: Indubbiamente la carta ha grande influenza sulla netta formazione delle traccie e ciò in base al diverso grado di assorbibilità dei costituenti lo sviluppatore. Ba¬ sandosi sulla teoria dell’equilibrio liquido-liquido, la sostanza da se¬ parare è sotto l’influenza diretta dello sviluppatore che, nel proce¬ dere per capillarità lungo la carta può subire variazioni nella com¬ posizione originaria (si ricorda che lo sviluppatore può essere costi¬ tuito da una miscela di vari solventi saturi di acqua), per cui non si raggiunge un equilibrio definitivo. Questa possibilità d’intralcio può certamente aumentare molto adoperando carta da filtro di spes¬ sore ineguale e contenente impurezze. — 127 — 2) Grado di formazione del fronte brano. Questa è un’altra ca¬ ratteristica del tipo di carta usata. Il fronte brano è una traccia ben visibile, bruna, sinuosa, che attraversa il cromatogramma in tutta la larghezza, a volte sottile, a volte molto grossa. Essa si localizza ad altezze diverse a seconda della carta e dello sviluppatore usati. Il suo originarsi ed il localizzarsi in punti diversi, dipende da tutta una serie di fattori. È da premettere che la formazione del fronte bruno deriva dalle impurezze della carta e, secondo alcuni autori, la impurezza maggiore è costituita da traccie di rame derivanti dal processo di fabbricazione della carta stessa. 3) e 4) Formazione delle barbe e delle code e velocità di movi¬ mento del solvente. È questo un altro fenomeno che accompagna spesso la formazione del cromatogramma, anche qui il tipo di carta non è estraneo a tali difetti. Una carta ad assorbimento rapido da facilmente luogo a cc barbe » e « code ». Indubbiamente con una car¬ ta ad assorbimento troppo rapido, si ha un avanzamento frettoloso, tale che, mentre alcune direttrici avanzano più rapidamente, altre saranno più lente, tanto vero che maggiore è lo sviluppo che diamo al cromatogramma, meno si notano tali formazioni; in altri termini la partizione non raggiunge un equilibrio se non con una certa len¬ tezza, cosa che non si verifica con un tipo di carta ad assorbimento rapido o, peggio ancora, con una carta a spessore non sufficiente- mente calibrato, quindi, vanno valutati insieme i due ultimi gradi di formazione delle code e velocità di movimento del solvente. Se¬ condo Know anche qui le impurezze di Cu * * hanno la loro influenza, dovendosi ritenere che questi ioni danno origine a fenomeni di ri¬ tenzione, più o meno vistosi, in modo che la dove le impurezze sono più abbondanti, la sostanza procede con maggiore lentezza. I tipi di carta più frequentemente adoperati sono la Whatmann e la Schleicher e Schuell. Ognuna di esse è fornita, a seconda delle analisi da eseguire, nei tipi di diversa velocità di assorbimento. Og¬ gi, in realtà, molte insufficienze della carta da filtro sono superate, poiché le case produttrici producono tipi di carta per cromatografia molto pure e di spessore sufficientemente calibrato. Solventi. — È indubbio che nella cromatografia su carta i sol¬ venti hanno un valore predominante. II solvente di sviluppo deve essere tale da sciogliere piccole quantità di acqua; esso inoltre deve essere purissimo e, se del caso, 128 — distillato volta per volta. Oggi le case produttrici preparano solventi per cromatografia con elevato grado di purezza. I più usati sono butanolo, fenolo, collidina, piridina, benzolo, cloroformio. D’altra parte non sarebbe semplice dare un elenco di solventi usati, in quanto il ricercatore di volta in volta adopera il solvente ritenuto più opportuno ed in ciò consiste la maggiore dif¬ ficoltà del metodo cromatografico. II solvente non va mai usato direttamente, ma esso è sempre saturato con la fase fissa e può essere unico o in miscela. Il solvente o la miscela di solventi, saturati con la fase fissa prendono il nome di sviluppatori. Ben spesso allo sviluppatore si aggiungono quantità più o meno grandi di etanolo, il quale agisce nel senso di rendere, in grado di¬ verso col variare della quantità, idrofilo lo sviluppatore. Spesso si può notare che la sua introduzione porta a grandi migliorie ma an¬ che a grandi peggioramenti, principalmente per ciò che riguarda la concentrazione delle traccie. Patton e Foreman, ad es., neutralizzano l’interferenza di prodot¬ ti della idrolisi delle proteine (NH4* principalmente) introducendo nello sviluppatore il 77% di etanolo. E. Beerstrecher nella ricerca di piccole quantità di K,* adopera addirittura una miscela di 80 par¬ ti di etanolo e 20 parli di HC1 N/10. Negli anni di lavoro presso l’Istituto di Chimica Farmaceutica e Tossicologica della Università di Napoli, ho più volte constatato come in talune ricerche, un aumento della quantità di etanolo ha por¬ tato grandi vantaggi, mentre in altri casi è stata necessaria la sua diminuzione. Effettivamente si può notare che l’aggiunta dell’eta- nolo migliora spesso la qualità dello sviluppatore, così piccole quan¬ tità di acqua rimaste sospese dopo la separazione, vengono riportate in soluzione, evitando il formarsi di traccie irregolari, come notato anche da Williams e Kirby. Anche altre sostanze, aggiunte in piccole quantità, possono gran¬ demente migliorare e modificare un cromatogramma, quando sono aggiunte allo sviluppatore. Così Swensen e Jensen aggiungono, nel¬ la separazione dei glucosidi della digitale, al solvente cloroformio saturato con acqua, piccole quantità di metanolo. Qualche volta si aggiungono piccole quantità di sostanze tensioattive, come i polie- tilenglicoli, per migliorare la separazione, specie quando si tratta di separare sostanze da liquidi biologici, come nella ricerca di sol- fonamidi e solfoni (Longenecker). 129 — Spesso si aggiungono piccole quantità di composti organici nel¬ l’analisi dei cationi, come antipirina, benzoil- acetone ecc. ; che, fun¬ zionando da complessanti, conferiscono un valore dell’Rf diverso da quello già posseduto dal catione (Pollard). A seconda dei casi converrà adoperare solventi a reazione basica o alcalina. Spesso una variazione del pH del solvente è molto utile nella separazione di alcune sostanze. In generale si usa un solvente basico per separare sostanze di natura acida, si aggiungeranno in tal caso ammoniaca, etanolammina, piridina ecc., oppure si userà un solvente acido (con aggiunta di HC1, HN03, CH3COOH ecc.) per so¬ stanze di natura basica. Ma tali accorgimenti non sempre sono sufficienti a far raggiun¬ gere buoni risultati; spesso lo sviluppatore, formato di due o tre co¬ stituenti, all’atto del suo impiego risulta omogeneo, ma può variare di costituzione durante lo sviluppo del cromatogramma, in dipen¬ denza della diversa forza di capillarità di ciascun componente. Il Pollard in un suo lavoro sull’analisi dei cationi accenna al fatto che la porzione acida del cromatogramma, usando come sviluppatore butanolo saturato con ac. cloridrico o nitrico, rimane inattiva alla azione dei raggi U.V., mentre il fronte principale del solvente dà una forte fluorescenza: tale diversità di comportamento scompare, se il cromatogramma è previamente esposto ai vapori di ammoniaca. Si ha, quindi, lo stabilirsi di un « fronte bruno » che, in lavori da me eseguiti, fu individuato, anni addietro, con una miscela bu- tanolo/HCl N/10, per mezzo di una linea bruna, sinuosa, del valore dell’Rf 0,70, ciò in perfetto accordo con quanto detto dal Pollard che indica il valore dell’Rf di tale fronte acido oscillante tra 0,50 e 0,90, con il variare del pH dello sviluppatore, egli afferma anche che il fronte acido può variare con l’ascesa del solvente. Indipendentemente da quanto asserito dal Pollard, eseguii, sem¬ pre nel detto Istituto di Chimica Farmaceutica e Tossicologica di Na¬ poli, ricerche atte a stabilire tale variabilità della composizione del¬ lo sviluppatore, durante lo sviluppo cromatografico. Una prima espe¬ rienza fu eseguita sviluppando un cromatogramma su una striscia sulla quale erano state cucite in precedenza, ad intervalli di 5 cm, cartine al pH universale, sviluppatore usato Butanolo/HCl a pH 1. Il valore di pH = 1 si mantenne costante fino ad un valore dell’Rf = = 0,50, oltre tale valore, coincidente con il fronte bruno, il pH ebbe un brusco passaggio ad un valore di pH = 4,5. 9 — 130 — Per dimostrare la gradualità della disomogenizzazione, furono eseguite le altre prove seguenti: si aggiunse allo sviluppatore buta- nolo/HCl pH = 1, una sostanza colorante, il bordeaux brillante S; esso si scioglie in acqua con colorazione bordeaux ed in HCl con co¬ lorazione rosa violacea, mentre è insolubile in butanolo. I cromato- grammi sviluppati con tale sviluppatore risultarono divisi in due zo¬ ne: la inferiore (acida) colorata in rosa-violaceo, terminante con una linea sottile e sinuosa, la stessa con cui terminava il tratto a pH = 1. La zona superiore a pH meno acido risultò colorata leggermente in rosa. Ma tutto ciò non si verifica con tutti i solventi e, quanto meno, una disomogenizzazione avviene a sviluppo inoltrato. Così un sol¬ vente butanolo saturato con acqua 100 parti/etanolo 25 parti, come potetti osservare, rimane inalterato fino ad una corsa di 30 cm, ol¬ tre tale limite, si possono notare nettamente per trasparenza due zo¬ ne, mentre la traccia della sostanza cromatografata, tende a schiac¬ ciarsi in banda. Come si vede, la scelta del solvente richiede un’analisi esatta di tutta una serie di fattori. La sua scelta si complica quando si passa alle determinazioni bidimensionali, in cui i due sviluppatori gene¬ ralmente hanno composizione diversa, e spesso non è indifferente ado¬ perare lo stesso sviluppatore in un senso o nell’altro. Valore deirRf. — Si è già detto che per convenzione il valore del- l’Rf è dato dal rapporto: Tratto percorso dalla sostanza - = Kf Tratto percorso dal solvente Ma anche qui vengono commesse inesattezze; infatti con la e- spressione tratto percorso dalla sostanza, intendiamo la distanza tra il punto di deposizione ed il centro della traccia o, per dire meglio, il centro di una circonferenza in cui è inscritta la traccia. Ma tutto ciò è alquanto convenzionale, portando a variazioni (anche se mi¬ nime) da cromatogramma a cromatogramma. In effetti la traccia, an¬ che se a contorni ben delimitati, non è della stessa intensità in tutta la sua estensione, cioè il punto scelto come centro è soltanto un cen¬ tro geometrico della circonferenza circoscritta alla traccia, ma non il punto equidistante dai punti di eguale concentrazione, il che si¬ gnifica che esso è esatto per traccie piccole e regolari, in casi quasi — 131 — ideali, ma è falsato nella maggior parte dei casi pratici, ed è certo che noi rapportiamo un dato impreciso (tratto percorso dalla so¬ stanza) ad un valore esatto (tratto percorso dal solvente). Sarebbe più giusto considerare come tratto percorso dalla so¬ stanza, quello compreso tra il punto di deposizione e la tangente al limite superiore della traccia. Si è potuto constatare, in prove condotte a questo scopo, che più campioni eguali, cromatografati sullo stesso foglio, davano valori dell’Rf differenti se calcolati al centro geometrico della traccia, mentre si livellano quasi adottan¬ do il criterio della determinazione alla tangente. Errore di calcolo a parte, il valore delPRf è influenzato dai se¬ guenti fattori: 1) Temperatura. — Essa ha molta influenza sul valore dell’Rf, poiché una temperatura più alta, aumentando la tensione di vapore dello sviluppatore, ne accelera la corsa, non permettendo il pieno raggiungimento dell’equilibrio delle forze competitive, facendo sì che la sostanza in esame si fermi prima ed in modo poco chiaro. È necessario, quindi, eseguire le separazioni cromatografiche sempre a temperature oscillanti tra 18° e 22°C. 2) Concentrazione. — La concentrazione ha una grande influen¬ za sul valore dell’Rf. A parità di corsa del solvente, l’Rf è tanto più basso quanto più alta è la concentrazione. In genere per una corsa di 30 cm, il valore dell’Rf non subisce variazioni notevoli per con¬ centrazioni inferiori ai 50 gamma. Per la cromatografia su disco per una corsa di 8 cm di raggio è bene non superare i 10-15 gamma. Ciò si è potuto stabilire con prove eseguite su 18 cationi, quan¬ tità superiori ai 50 gamma (10-15 per i dischi) dettero traccie im¬ precise. 3) Influenza dell’anione. — Nella cromatografia inorganica, lo anione ha una piccola influenza sul valore dell’Rf, come già osser¬ vato dal Pollard. Io ho eseguito prove su vari cationi salificati con Cl'-NCy-SO/ e CHaCOO' notando piccole deviazioni dell’Rf. Conclusione. Con quanto detto, si è voluto dare una vista panoramica delle varie tecniche cromatografiche. Lungi da me l’idea di aver toccato tutti i punti essenziali di es¬ se tecniche: come in tutte le viste panoramiche, si osservano le linee di maggior rilievo, ma molti particolari sono nascosti. 132 — Mi sono particolarmente fermato sulla cromatografia su carta che ha reso nell’ultimo decennio servizi notevolissimi sia nel campo pu¬ ramente analitico, che nei campo biologico e diagnostico. A queste tecniche oggi si affiancano altre ancora, senza superarle, come ad es. la cromatografia in fase vapore i cui principi teorici si discostano da quelli precedentemente, visti, raggiungendo risultati egregi in determinati settori della ricerca chimica. fi Istituto di Chimica farmaceutica e tossicologica deW Università, diretto dal prof. Mario Covello. BIBLIOGRAFIA 1) Gordon^Consden e Martin. Biochem. journ, 38-224 (1944). 2) Tiselius e coll. Archiv. J. Chem. Min., 26 b (1948). 3) Williams-Longenecker. Anal. Chem., 21-11-1402 (1948). 4) Williams e Kirby. Science, 107-481 (1948). 5) Rutter. 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Lo Sperimentale, Il fase. 2-1 (1952). 24) Berlingozzi e coll. Lo Sperimentale, III fase. 3-4-45 (1952). 25) Berlingozzi e coll. Lo Sperimentale, III fase. 5-6-125 (1952). IL movimento di ioni ed elettroni nei gas Nota del socio prof. PIO VITTOZZI (Tornata del dì 27 novembre 1959) § 1. - Introduzione. In due precedenti note mi sono occupato in generale degli ap¬ parecchi rivelatori della ionizzazione (contatori) ed in particolare delle camere di ionizzazione (1). Allo scopo di comprendere appieno il funzionamento di simili apparecchi, occorre considerare il movimento degli ioni ed elettroni nei gas, dal punto in cui essi vengono prodotti a quello in cui ven¬ gono raccolti. Ciò forma l’oggetto della presente nota. § 2. - Mobilità degli ioni. Poiché un ione o un elettrone, muovendosi attraverso un gas sotto l’azione di un campo elettrico, subisce numerosi urti con le molecole del gas, cambiando continuamente la sua velocità, si considera gene¬ ralmente una velocità media, che è definita servendosi di una costante di proporzionalità detta « mobilità ». Precisamente si pone: E (1) v = k — , V dove v è la velocità, k la mobilità, E l’intensità del campo elettrico agente e p la pressione. Abitualmente la velocità è espressa in cm./sec., l’intensità del campo in Volts./cm e la pressione in atm.. La mobilità perciò risulta espressa in (atm.) (cm./sec.) cm.1 2. atm. Yolt./cm. Volt. sec. (1) P. Vittozzi e M. De Martino, « I contatori nucleari », Boll. Soc. Nat. in Napoli, voi. LXVII, 1958. P. Vittozzi, «Le camere di ionizzazione », Ibidem, voi. LXVIII, 1959. — 134 — Pertanto la mobilità rappresenta la velocità dell’ione espressa m cm./sec. in un campo elettrico la cui intensità è di 1 Volt/em. e quando la pressione cui è sottoposto il gas è di 1 atm. Alcune mobi¬ lità di alcuni ioni sono riportate nella Tabella i. Nell’aria in con¬ dizioni normali di temperatura e pressione e nel campo unitario, la mobilità degli ioni positivi è di circa 1,4 cm./sec. e quella degli ioni negativi è un po’ maggiore, intorno a 1,8 cm/sec. Sperimentalmente è stato constatato che la legge (1) è valida en¬ tro un esteso intervallo di variazione dell’intensità del campo e della TABELLA 1. Segno della carica Specie dell’ione k Positivo Idrogeno 6,7 » Elio 5,1 » Argon 1,37 » Aria 1,40 » Alcool 0,34 Negativo Aria 1,78 » Alcool 0,27 pressione e che k si mantiene costante finche E non diventa troppo grande, o troppo piccola p, ossia finche non diventa troppo grande E/p. Tali valori eccezionalmente alti si hanno nei contatori solo nel¬ le immediate vicinanze dell’elettrodo centrale. In pochi gas, quali l’idrogeno, k è maggiore che nell’aria, essendosi osservati valori di oltre 6 cm./sec. I valori di k sono inoltre estremamente sensibili alia purezza del gas attraverso il quale si muovono gli ioni. $ 3. - Libero percorso medio. In un gas un ione od elettrone percorre una distanza media tra due urti chiamata « libero percorso medio ». Il libero percorso me¬ dio classico, per una sfera che si muova attraverso un insieme di¬ scontinuo di altre sfere dello stesso diametro, è dato dalla espres¬ sione : UTl (3) n <7 — 135 dove L è il libero percorso medio in cm., n è il numero delle sfere per cm.3 ed r è il raggio di ciascuna; c — tc r2 è detta la cc sezione retta » (« cross section ») interessata al particolare fenomeno, che,, nel caso presente dell’urto, si identifica con la sezione massima geo¬ metrica di ciascuna sfera. Per alcuni altri processi di interazione che non sono il semplice urto, la sezione retta interessata al fenomeno può essere del tutto differente ed in alcuni casi assai maggiore del precedente valore geometrico. Se consideriamo un cubo con lo spi¬ golo di 1 cm., esso conterrà n sfere e, supponendo di inviare un fascio di raggi luminosi paralleli in direzione perpendicolare ad una faccia, la quantità n 5. )) = 285° C. » 9, » - 290° C. 23 luglio 1949 (1). A destra della strada Matrone, poco dopo la tabella delle guide, lì dove il lapillo per alterazione era bianco giallastro e rosso, con¬ statai la temperatura di 200°C; sempre a destra della strada, più avanti, osservai ancora 200°C; vi si avvertiva odore di cloro. L’acqua sul detto lapillo, altamente termico, evaporava calefa- cendosi. Sull’orlo craterico occidentale la fumarola del corno sinistro della slabbratura di NW nello spacco della lava del 1944 fumava co¬ piosamente; ma il giorno precedente era stato più vistoso lo svol¬ gimento del vapore. Lo spacco da cui emergeva questa fumarola presentava manifesti segni di ulteriore allargamento. Anche la fumarola svolgentesi a 50 m. circa al disotto dell’orlo meridionale (quota 1170) lungo la parete, fumigava intensamente. La fascia piroclastica orlante la parete orientale era anche essa fumigante. Sul pendio esterno occidentale del gran cono, alle spalle del pinnacolo , le fenditure trasversali avevano subito un ulteriore allargamento; la fenditura superiore era larga circa due metri. La domenica precedente tale fenditura non si osservava. Delle fumarole della conoide la A fumava; emetteva vapori an¬ che la fumarola Mercalli, ma poco. Il mascellare dei proietti da frane dall’orlo orientale era continuo, come lo scroscio di una pioggia incessante. La temperatura sull’orlo occidentale nella spaccatura ad alite diede il valore di 265°C mentre ad un metro più oltre fu di 295°C. (1) L’ascensione si iniziò da Nord per l’Atrio del Cavallo, accedendovi per la strada Matrone, von la guida Vincenzo Scognamiglio, ed il dott. Donato Greco; — ]85 — La parete craterica a contatto con la fumarola A della conoide di NW era umida. Umidità traspariva pure dagli spacchi trasversi alle generatrici del Gran Cono alle spalle del pinnacolo. Sul pendio esterno orientale, a pochi metri dall’orlo, trasversalmente alle gene¬ ratrici del Gran Cono, vi erano più sistemi di fratture, profonde oltre un metro. L’odore dell 'acido cloridrico era intenso, specie lì dove erano maggiormente sviluppate le macchie gialle intracrateriche. Suirallineamento di Terziglio, lungo l’orlo craterico, vi erano vasti cedimenti; bastava ficcare il bastone nella sabbia che vi pene¬ trava tutto, e formava imbuti di assorbimento che ingoiavano la cir¬ costante sabbia; erano dei veri rilasciamenti della clinale fra due te¬ state di strati; forte quivi si avvertiva l’odore di acido cloridrico. Sul pendio E-SE del mantello piroclastico impostosi sulla piatta¬ forma craterica del 1944, a quota circa 1210, a distanza di m. 150 dall’orlo, si erge uno sperone, sì come una gobba, ai piedi del quale si era formata una vasta macchia gialla di alterazione (Tavv. VI e VII). Tale sperone turba l’andamento regolare dei fianchi del Gran Cono in questo settore. La macchia gialla è sulla stessa generatrice su cui è il canalone (quota 1244) che è sul pendio interno craterico; ed il suo colore ben si distingue anche da lontano. La proiezione di questo sperone cade sul piano dell’antica piat¬ taforma craterica; esso si presentava crepacciato e non si avvertiva odore di cloro nè di acido cloridrico; ma oltre procedendo, inoltrandoci lungo la china e portandoci sulla chiazza gialla, si avvertiva prima l’odore di cloro e poi quello dell’acido cloridrico; ed il materiale gial¬ lo, inoltre, fortemente odorava di tale acido. Molti cristalli liberi di augite , separatisi dai proietti sotto l’azione dissolvente acida ed idro¬ termale, si trovavano disseminati su tale macchia gialla; alcuni fre¬ schi, altri con una incipiente alterazione, altri in avanzato stato di alterazione, altri ancora totalmente opalizzati; frequentissime erano le sottili patine e le spesse incrostazioni di ossido ferrico che rico¬ privano le augiti. La macchia gialla in discussione, che io chiamerò prima macchia gialla extracraterica , ha un’estensione in lunghezza di circa 30 ni., e la temperatura riscontratavi fu di 405°C. Disceso poi per il pendio meridionale del Gran Cono, sul versante cioè di Boscotrecase, constatai alle falde di esso, a quota 800 circa, che lì dov’era stato il luogo di apertura di una bocca del 1942, e precisamente ad oriente del colle Alfano, la temperatura era di 200°C, — 186 — e la zona tutta alterala in rosso. A questa macchia fa capo una spac¬ catura profonda oltre un metro, la quale segue l’andamento di una delle generatrici del Gran Cono. Erano le 16,45 quando iniziammo le osservazioni su tale luogo. In alto alla collina Alfano, si misurò la temperatura di 455°C. Sul fronte meridionale di detta collina ebbi il valore di 515°C per il punto n. 2 dove la priina volta (27 giugno), rinvenimmo il valore di 550‘C, e pochi metri più a destra la temperatura era di 455°C (n. 3). Quota 800 il 26 luglio 19-19 : N. 1, T = 420°C » 2, T = 470°C » 5, T = 285°C » 6, T = 400°C » 7, T = 370°C N. 8, T = 360° C » 9, T = 290°C » 10, T = 395°C » 11, T = 300°C » 12, T = 310°C Quota 800 il 1 agosto 1949: N. 2, T = 430°C » 3, T = 470°C » 4, T = 400° C » 5, T = 285°C » 6, T = 410°C N. 7, T = 360°C » 10, T = 400° C » 11, T = 29()°C » 12, T = 300°C Quota 800 il 20 agosto 1949: N. 2, T = 430°C » 3, T = 460 °C » 4, T = 370°C » 5, T - 300°C » 6, T = 420°C » 7, T = 375°C \. 8, T = 400 °C » 9, T = 310"C >» 10, T = 410"C » 11, T = 300’C » 12, T = 300°C Quota 800 il 25 agosto 1949: N. 2, T = 440°C » 3, T = 460°C » 4, T = 430°C » 5, T = 300°C N. 6, T = 410°C » 7, T = 370°C » 3, T = 375°C » 10, T = 400°C — 187 — i settembre 1949 (1). Giunti alla quota 800, mi recai sulla collina costituita dalla lava del 1942 che trovasi di fronte al colle Alfano, dove misurai la tempe¬ ratura di 305°C (n. 5). Il termometro, introdotto nel lapillo e scorie del fronte meri¬ dionale del colie Alfano (al n. 4), raggiunse 455 °G. Sullo stesso fronte meridionale di detto folle, a distanza di circa 20 ni. dal n. 4, furono messi due termometri distanti 6 m. circa l’uno dall’altro sullo stesso allineamento, uno più giù verso la base della colina ed uno su; e si potette constatare in quella zona una fascia termica di 510°C. Al n. 2 il termometro a mezzo metro di pro¬ fondità diede la temperatura di 500°C. Faccio rilevare che in tale punto il 27-6-49 la temperatura era di 550°C; la cotunnite quivi ancora si rinviene. La ventarola (n. 1), diede 380°C col termometro appena poggiato in detta buca, poiché essendo il materiale di natura lavica, non vi poteva penetrare il gambo, tranne che non si fosse ricorso al sistema già adottato altrove di ricoprire il gambo con lapillo, ma tale opera¬ zione non era facile, poiché non si poteva stare accanto alla buca, tale era il forte calore che se ne sprigionava. Di tanto in tanto veni¬ vano ondate così forti di calore che bisognava allontanarsi rapida¬ mente per non essere scottati. Lasciata questa zona altamente termica e giunti sul piano della buca a tenorile , notai quivi un sensibile aumento di temperatura. Difatti 37 m. circa prima della buca a tenorite si notò che un punto, che chiamo ora n. 8, aveva la temperatura di 430°C. Tale punto termico non destava per lo passato alcuna attenzione, perché emetteva appena un lieve tepore; ma circa 7 giorni prima dell’at- ’uale ascensione la mia guida A. Vitulano potette constatare un au¬ mento di temperatura e misurare il valore di 350°C (m. 8), mentre pochi metri oltre, (11 m.), al punto termico n. 7, ci diede il valore di 375°C. La buca a tenorite ad un metro circa di profondità diede 475°C, Vicino alla buca a tenorite a circa 20 cm. di profondità, il 25-8 la temperatura era di 400°C; oggi invece ha dato il valore di 455°C. (1) Escursione effettuata col prof. Scherillo nel pomeriggio, dalle ore 15,30 alle 22,30, e con la guida Angelo Vitulano. — 188 — Quota 800 il 16 settembre 1949 : N. 2, T = 440 °C » 3, T = 460°C * 4, T = 420°C » 5, T = 200°C » 6, T = 380°C Quota 800 il 24 settembre 1949: N. 2, T = 435°C » 3, T = 455°C » 4, T = 420°C » 5, T *= 200°C » 6, T = 380°C Quota 800 il 4 ottobre 1949 : N. 2, T = 400°C )> 3, T = 440°C » 4, T = 390°C » 5, T =‘ 200°C » 6, T = 370°C N. 7, T = 365 °C » 8, T = 395°C » 9, T = 365 °C » 10, T k 400°C N. 7, T = 360°C » 8, T ■= 390°C » 9, T = 365°C » 10, T - 400°C N. 7, T = 330°C » 8, T = 360°C » 9, T = 340°C » 10, T := 360°C 5 ottobre 1949 (1). Nelle ore pomeridiane del 5 ottobre ascesi al Vesuvio avendo per mèta la quota 800, sul versante di Boscotrecase. Nei giorni prece¬ denti avevamo avuto violenti copiosi acquazzoni, per cui qui e lì si manifestava qualche debole svolgimento di vapore, ed il suolo si man¬ teneva, a chiazze ben distinte, fortemente umido. La mia guida Angelo Vitulano dopo la pioggia aveva notato un abbassamento generale della temperatura su tutta la zona. Il primo punto che investigammo fu il n. 5, ossia il grosso toppo lavico del 1942; la temperatura misurata nella fenditura di tale lava raggiunse 250°C col termometro introdotto a mezzo metro di profondità, men- (1) Ascensione fatta sul versante di Boscotrecase, quota 800, col gen. Carlo Drago, Comandante dell’Accademia Aeronautica It. unitamente al Maggiore Rosa¬ rio Costa, partendo da Napoli alle ore 14,30. — 189 — ire il giorno 1° settembre la temperatura era di 305°C. 4 50 cm. oltre tale punto, a 20 cm. circa di profondità, si raggiunse la temperatura di 210°C. La temperatura massima riscontrata alla sommità del colle Al¬ fano fu di 480°C. Poi, sul fianco meridionale di detto colle, spostan¬ doci da E ad W, ossia avviandoci alla buca n. 1, furono messi due termometri, uno su, ed uno giù sullo stesso allineamento: il supe¬ riore diede la t. = 480°C a un metro di profondità, e l’inferiore la 1. = 465°C a mezzo metro di profondità, essendo l’uno dall’altro alta distanza di un metro. Più oltre, al n. 2, lì dove il 27 giugno 1949 si riscontrò la tem¬ peratura di 550°C, il termometro, ad un metro di profondità, diede 500°C; 50 cm. più su, lungo il dorso della collinetta, si ebbe il va¬ lore di 450°C a mezzo metro di profondità. Voglio far rilevare che la zona termica del Colle Alfano, che è a circa 820-830 ni., corrisponde sia ad una delle zone d’aperture di bocche del 1906, sia a luoghi di aperture del 1942. La buca n. 1 nella lava ( ventarola ) emetteva, come al solito, vampate fortissime di calore, tal da non poter resistere alla distanza di circa due metri dalla bocca. La buca a tenorite (n. 6) aveva la temperatura di 455°C. Spostan¬ doci verso l’orlo di questa regione, procedendo in direzione del co¬ netto del 1942, rilevai, in punti distanti tra loro circa 10 m., rispet¬ tivamente la temperatura di 455°C e 450°C. La mia guida Vitulano Angelo richiamò la mia attenzione verso il bordo meridionale del pianoro, dove avvertiva da crepe manife¬ starsi del calore. Ivi recatomi constatai su tale fronte la temperatura di 330°C e 420°C. Avendo espletate le osservazioni sulla zona, al ritorno, passando per la ventarola , (ossia buco n. 1), notai che, essendosi cambiato il vento il quale spirava da NE, il calore che sprigionava forte da tale buca n. 1 non usciva più ad intervalli, ma veniva su continuo con forte corrente la quale aumentava di intensità, ma non smetteva. Mi diceva la guida Vitulano che talvolta con vento contrario la buca era cosi fredda che qualcuno vi si era persino introdotto; tale fenomeno ho personalmente osservato altre volte. — 190 6 ottobre 1949 (1). L’ascensione fu fatta per la strada Matrone settentrionale. Le batterie dell’orlo vecchio fumavano copiosamente, come pure i fianchi N del Gran Cono. La giornata era umida e le precipita¬ zioni nei giorni precedenti erano state copiose. La spaccatura del corno sinistro della slabbratura dell’orlo di NW fumava copiosamente. La fumarola Mercalli non emetteva va¬ pori; mentre sulla conoide, all’altezza della sopita fumarola Mer- calli, si notavano delle manifestazioni di vapore. La parete craterica occidentale al di sotto del pinnacolo emet¬ teva copioso vapore. La fumarola A della conoide fumava, come al solito, copiosa. La temperatura dell’orlo occidentale, presso il luogo di arrivo della seggiovia, era di 250°C. Appena giunti sul cratere notammo forte l’odore di cloro; ed ancora più forte l’odore di HC1. Tali odori si avvertivano in particolar modo accentuati dovunque si avevano le macchie gialle sul pendio interno della fascia piroclastica orlante la parete craterica orientale. Ridiscendendo per il lato N, al termine del sentiero proveniente dal Gran Cono, sul pendio a sinistra sottostante la strada, circa 50 m. più giù di questa, vi era una chiazza asciutta del diametro di oltre due metri in mezzo ad una zona umida; tale chiazza asciutta aveva la temperatura di 200°C. 16 ottobre 1949 (2). Giunti all’altezza del toppo lavico del 1941, il vento di levante ci portava, quando più, quando meno intenso, l’odore del Cl, ma sempre persistente, fin quando non arrivammo all’orlo occidentale. Dagli spacchi lavici, che si fanno sempre più ampi, del corno sinistro della slabbratura di NW sfuggiva copioso il vapore. La parete craterica occidentale era anch’essa copiosamente fuman¬ te. Il pinnacolo che erge la sua rupe a formare il corno destro del- 1 ampia slabbratura dell’orlo craterico di NW, si mostrava sempre (1) L’ascensione fu fatta con il gen. Comandante, in quel tempo, dell’Ac¬ cademia Aeronautica Carlo Drago. Partenza da Napoli alle ore 9,30 e ritorno al¬ le ore 19. (2) Col C.E.N., dalla strada Matrone per l’atrio del Cavallo. — 191 — ricco di muschio alla sua base per notevole superficie e protraentesi verso il fondo craterico per tutta la zona della parete interessata dallo svolgimento dei vapori. Dietro il pinnacolo per vasto tratto, enormi fratture, trasversali alle generatrici del Gran Cono, si mostravano più larghe che non nelle precedenti escursioni. La temperatura massima dell’orlo occidentale fu, nello spacco ad olite, di 290°C. Sulla conoide di NW solo la fumarola A era attiva, le altre tace¬ vano; solo qui e lì, nei pressi di B, C e D, la conoide lasciava trape¬ lare emanazioni di vapore. Dal mantello piroclastico sovrastante la parete orientale qualche piccola frana si rilasciò dal canalone durante la nostra permanenza sull’orlo occidentale. Potetti osservare che il luogo da cui si dipartivano con tanta fre¬ quenza le frane, per cui l’orlo craterico si va sempre quivi arretrando, è il suddetto canalone , il quale è sull’allineamento della prima mac¬ chia gialla extracraterica di NE. Potetti notare, già in precedenti giri del cratere, delle forme di terrazzamento, decorrenti trasversalmente alle generatrici del mantello piroelastico, site lungo l’allineamento, tra il luogo del franamento predetto dell’orlo, cioè del canalone , e la prima macchia gialla extracraterica. Tale terrazzamento era molto pronunciato. Analoghi terrazza- menti vi erano lungo l’orlo; taluni di questi, precedentemente da me osservati, già non esistevano più perchè precipitati sul fondo del cra¬ tere. Analogamente avverrà per questo terrazzamento in esame. E’ da tempo che in questo luogo dell’arco craterico si erano loca¬ lizzati i franamenti, e quivi anche si sentiva, stando sull’orlo, l’odore del cloro. La temperatura della prima macchia gialla extracraterica rag¬ giunse in tale giorno 40Q°C, appena a 15 cm. di profondità, e dopo 3 minuti. Non si potette affondare il termometro più giù perchè si era for¬ mata tale una crosta spessa, costituita da cloruri e silice cementante (dovuta questa all’idrolisi dei silicati), che una comune picozza non riusciva a sfondarla. Faccio rilevare che nel 23 luglio del corrente anno raggiunsi nello stesso luogo 405°C, ma a profondità di circa 1 m. Continuando a percorrere l’orlo craterico orientale, l’odore del cloro era assai netto in taluni punti, e in altri invece era l’acido ciò- — 192 — ridrico, che per giunta era così forte, da recare molto fastidio alla respirazione. Come pure, in questa escursione, l’odore di questi gas si fèce sentire lì dove sulla quaquaversale interna più intense erano le mac¬ chie gialle dalle quali si vedevano svolgere fumi densi che si mante¬ nevano molto bassi; cioè non si elevavano che di circa 50 cm. dal materiale piroclastico. L’orlo della piattaforma del vecchio cratere da Nord ad Est si mantenne per tutto il giorno fumigante. 23 ottobre 1949. Giunto nell’Atrio del Cavallo notai che la fumarola, la quale era sulla generatrice del Gran Cono, dove questo si fratturo nella eruzione del 1944 (1), e precisamente pochi metri al di sopra del luogo dove io precedentemente avevo sempre riscontrato alta tempe¬ ratura, alterazione granulinica e acido cloridrico, fumava con grande copia e rapida sfuggita di vapore. Sul pendio settentrionale del Gran Cono a partire dall’orlo cra¬ terico del 1944 si allungava una fascia di vapori fortemente fumi¬ gante per circa un terzo del Gran Cono suddetto. Anche il materiale piroclastico della eruzione del 1944, sovrim¬ posto alla vecchia piattaforma craterica, nel settore di NE fumava copiosamente. Ascendendo al cratere l’odore del cloro non ci lasciava. Giunti sull’orlo la fumarola del corno sinistro della slabbra¬ tura di NW fumava con vistosità. Anche le pareti occidentali presentavano copiosa fumigazione. Delle batterie lungo la conoide proveniente dalla slabbratura di NW fumava solo la A , mentre le altre tacevano; eppure il giorno precedente ed il venerdì la fumarola Mercalli aveva fumato con co¬ piosità. La fumarola A mostrava una certa qual ritmicità nella copia della emissione dei vapori. Persisteva sempre la fumarola copiosa sulla parete craterica sot- (1) Parascandola A. Notizie Vesuviane. Lo stato del Vesuvio nel 15 e 28 marzo 1947. « Boll. Soc. Nat. Napoli », voi. LVI, 1947. Parascandola A. Notizie Vesuviane. Lo stato attuale del Vesuvio (20 luglio 1947). « Boll. Soc. Nat. Napoli », voi. LVI, 1947. — 193 — tostante alla depressione (1) meridionale dell’orlo, presso la « capan- nuccia », Durante la permanenza al cratere, fino alle ore 16,30, poco era il materiale che di tanto in tanto si staccava dall’orlo. La zona ter¬ mica dell’orlo craterico occidentale raggiungeva la temperatura di 263°C. Percorrendo l’orlo craterico per portarmi sul settore meri¬ dionale, si avvertiva debole l’odore dell’idrogeno solforato. Oltre procedendo, ed iniziando il ripido pendio dell’orlo crate¬ rico che dalla cc Capannuccia » sale al canalone, si avvertiva forte l’odore del cloro; quasi giunti presso l’orlo, ossia a quota 1244 (« Ca¬ nalone »), si avvertiva forte l’odore dell’HCl. Da tale quota mi partii per recarmi sulla prima macchia gialla extracraterica. Prima di arrivare a tale macchia incontrai terrazzamenti dovuti a scoscendimenti, sì come quelli che si notavano sull’orlo craterico presso quota 1244 e che si prolungavano trasversalmente alle gene¬ ratrici del Gran Cono, ma che qui erano molto accentuati. In quel giorno su tale macchia l’odore dell’HCl era molestissime. La temperatura di tale macchia già a 20 cm. di profondità rag¬ giungeva 420°C. ; ed alla profondità di 45 cm. era di 432°C. Sul pendio della prima macchia gialla extracraterica si nota¬ vano diverse fratture trasverse alle generatrici del Gran Cono, e qual¬ cuna che seguiva l’andamento delle generatrici stesse. Più in giù della suddetta macchia gialla si nota ben sporgere l’orlo craterico vecchio. 26 ottobre 1949. A monte della strada Matrone, sull’allineamento della spacca¬ tura Nord del Gran Cono nella eruzione del 1944, la temperatura rilevata fu di 200°C; 100 m. prima di giungere alla predetta spac¬ catura, la temperatura fu di 340°C; all’altezza quasi della fumarola ivi esistente si ebbe il valore termico di 300ÙC; pochi metri (3 m.) a destra della predetta, la temperatura misurata fu di 297°C. Da que¬ sta fumarola al ciglio vecchio si stendeva una batteria fumarolica -ull’orlo occidentale: t = 245°C. (1) Luogo di arrivo dei visitatori provenienti da Boscotrecase, nella carta indicato con « Capannuccia ». 13 — 194 — 30 ottobre 1949 (1). In questa escursione, dedicata alla raccolta di minerali e rocce, nulla di notevole fu osservato rispetto alla precedente escursione durante la permanenza sul cratere. 8 novembre 1949. Ore 11,30. Le fumarole della conoide di NW erano fumanti. L’odore del cloro si avvertiva forte. La temperatura dell’orlo craterico occidentale a pochi metri a destra del luogo di arrivo fu di 235°C. La temperatura nella spac¬ catura Nord del Gran Cono era di 340°C., circa 100 m. più in giù dalla detta spaccatura e sullo stesso allineamento, quasi sulla strada Matrone, la temperatura era di 300°C.; ancora più in giù, proseguendo sullo stesso allineamento, ma al disotto della strada, la temperatura era di 260°C., ed oltre, proseguendo sempre sullo stesso allineamento, a circa 60-70 m. dalla precedente, la temperatura era di 200°C. 11 novembre 1949. Ore 13,40. La temperatura sull’orlo craterico occidentale a destra del luogo di arrivo era di 233°C. Le fumarole della conoide di NW fumavano fortemente, come pure fumava tutta la fascia piroclastica orlante le pareti crateriche. Le fumarole dell’orlo vecchio nel settore Nord fumavano tutte forte¬ mente con verghe di fumo diritte e salienti. Sul ciglio occidentale, senza vento, si avvertiva l’odore del cloro. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura era di 436°C. 13 novembre 1949 (Ascensione a quota 800 di Boscotrecase). Sul fronte meridionale del colle Alfano, al n. 2 la temperatura era di 520°C (laddove il 27 luglio era di 550°C); a distanza di metri 18,50 da tale punto, la temperatura era ancora 520°C; e dopo circa 23 metri, lungo la base della stessa collina, la temperatura fu di 450°C ( a mezzo metro di profondità). (1) Ascensione effettuata dalla Strada Matrone settentrionale con il Prof. Fran¬ cesco Mazzarella, — 195 — Sulla collina B, sulle lave del 1942, dove la temperatura fu di 305°C il 1° settembre, il termometro a un metro di profondità segnò 270°C. Ripetuta l'osservazione di temperatura al n. 2, alle ore 13,20, constatai alla profondità di 1 metro la temperatura di 570°C. Nella crepacciatura verso il bordo di questo piano, come in antecedenza ubicato, la temperatura fu di 250°C. 17 novembre 1949. Ascendendo al cratere dalla strada Matrone Nord si avvertiva odore di cloro a metà sentiero. Le fumarole della conoide di NW fu¬ mavano fortemente con denso vapore (li. 13.20). La fumarola del corno sinistro della slabbratura dell’orlo di NW era pure fortemente fumante. Sull’orlo occidentale a destra del luogo di arrivo la temperatura era di 236°C. 20 novembre 1949 (Ascensione a quota 800 di Boseotrecase). La ventarola (n. 1), aveva la temperatura di 310°; al n. 2 (fronte del colle Alfano) al/2 metro la temperatura era di 455°C, mentre a 1 metro di profondità era di 530°C. Ci distanziamo quindi sempre più dal pruno valore di 550°C, trovato il 27 luglio. Dalla ventarola (n. 1) alle ore 13,23 usciva aria calda con notevole violenza, tale da rigettare i ramoscelli che vi si posavano, i quali messi a contatto con quest’aria bruciavano imme¬ diatamente. Nei pressi della buca a tenorile , e cioè al n. 8, la temperatura fu di 570°C (1). 30 novembre 1949. Alle ore 12,15 la temperatura della zona termica dell’orlo cra¬ terico occidentale era di 234°C. Sull’orlo orientale si avvertiva odore di cloro. La temperatura della prima macchia gialla extracraterica era di 437°C. Sulla spaccatura Nord del Gran Cono la temperatura era di 343°C. Circa 100 m. più in giù sullo stesso allineamento, quasi (1) Nella seduta della Società dei Naturalisti in Napoli del 7 dicembre 1949 lessi la relazione delle escursioni da me compiute al Vesuvio dal 27 giugno fino al 20 novembre — 196 — sulla strada Matrone, la temperatura era di 258° C, Al disotto della suddetta strada la temperatura raggiunse 224°C; a circa 20 m., sem¬ pre sullo stesso allineamento, si ebbe il valore di 205°C. Come si vede, i valori termici si mantengano elevati ancora dopo cinque anni su quella che fu la fenditura del Gran Cono con efflusso lavico. Le batterie del ciglio vecchio fumavano fortemente. 6 dicembre 1949. La temperatura della prima macchia gialla extracraterica era di 435°C. La temperatura della zona termica dell’orlo craterico occi¬ dentale era di 233°C. 10 dicembre 1949. La temperatura della spaccatura Nord del Gran Cono misurata alle ore 15,20 diede il valore di 334°C; sullo stesso allineamento, di¬ scendendo lungo il fianco del Gran Cono ed oltrepassando la strada, le temperature, distribuite come già in precedenti escursioni fu detto (8-11-49; 30-11-49), diedero i seguenti valori: 2571 2C; 234°C; 200°C. Le batterie delle fumarole dell’orlo vecchio erano fumanti. Sul sentiero settentrionale che da quota 1050 conduce al cratere si avvertiva odore di cloro. 15 dicembre 1949. Tempo molto nuvoloso; alle ore 10,20 le fumarole della conoide di NW erano fortemente fumanti con denso fumo. La temperatura della zona termica dell’orlo occidentale era di 230°C, mentre la prima macchia gialla extracraterica diede il valore di 437°C. La fumarola del corno sinistro della slabbratura di NW era for¬ temente fumante. Le fumarole dell’orlo vecchio erano tutte fumanti. 20 dicembre 1949 (1). Martedì 20 dicembre mi portai al Vesuvio nella zona di Bosco- trecase, alla solita quota di 800 m., ed avendo ivi condotte le osser- (1) Di questa escursione diedi lettura nella seduta del 28 dicembre 1949 (Boll. Soc. Nat., voi. LVIII, 1949), ragguagliando i soci sullo stato del Vesuvio dopo il 27 giugno e fino al 20 dicembre. — 197 — vazioni, potetti rilevare che la temperatura massima nei pressi della buca a tenorile , cioè al n. 8, era di 580°C; quindi aveva subito un aumento di 10°C rispetto alla temperatura rilevata il 20 novembre. Questa zona continua quindi a presentare un aumento di tempera¬ tura. Le fumarole del ciglio vecchio di NE fumavano fortemente. Le fumarole della conoide di NW fumavano tutte con denso fumo. La temperatura della zona termica dell’orlo craterico occiden¬ tale era di 236°C. La temperatura della spaccatura Nord del Gran Cono, misurata alle ore 14,25, diede il valore di 355°C, e più in giù sullo stesso allineamento, senza oltrepassare la strada, si ebbero i valori di 267°C e 211°C. La temperatura sulla prima macchia gialla extracraterica era di 439°C. 23 dicembre 1949. Sul sentiero settentrionale che conduce al cratere si avvertiva odore di cloro. A partire dalla spaccatura Nord del Gran Cono le temperature rilevate lungo il pendio fino alla strada Matrone furono di 343°C; 259°C; 203°C. La zona termica dell’orlo craterico occidentale aveva la tempe¬ ratura di 230°C. Le fumarole della conoide di NW alle ore 11,30 erano tutte fumanti. La fumarola del corno sinistro della slabbratura di NW era molto attiva. La temperatura della prima macchia gialla extracraterica era di 432°C. 26 dicembre 1949. Alle ore 11,20 le batterie di fumarole del ciglio vecchio setten¬ trionale erano fumanti. La temperatura della spaccatura di Nord dèi Gran Cono era di 327°C, e successivamente, discendendo, 253°C e 215°C fino alla strada Matrone. Sul sentiero che dalla via Matrone settentrionale porta al cra¬ tere si avvertiva forte l’odore di cloro. La temperatura della zona termica dell’orlo craterico occidentale era di 231°C, le fumarole della conoide di NW erano fumanti. La temperatura della prima macchia gialla extracraterica era di 439°C e si avvertiva l'odore del cloro. — 198 — 27 dicembre 1949. Il Gran Cono era coperto di nebbia. Le fumarole della conoide di NW erano fumanti. La temperatura della zona termica dell’orlo craterico occidentale era di 239°C. 28 dicembre 1949. Solo alle ore 16 fu possibile vedere il fondo del cratere; Fatti¬ vità fumaroliea era intensa, la temperatura della zona termica del¬ l’orlo craterico occidentale era di 243°C. 29 dicembre 1949. Alle ore 11, salendo dalla strada Matrone settentrionale, si os¬ servava che le batterie di fumarole del ciglio vecchio non fumavano con copiosità. Sulla spaccatura Nord del Gran Cono la temperatura era di 341°C; spostandosi sullo stesso allineamento, si aveva la tem¬ peratura di 252°C a monte della strada Matrone, e 210°C a cento me¬ tri a valle di detta strada. La temperatura dell’orlo craterico occidentale era di 231°C. Le fumarole della conoide di NW non fumavano, ma venivano fuori vapori dalle rocce soprastanti la conoide. 30 dicembre 1949. Alle ore 16,30, sulla zona termica dell’orlo craterico occidentale, la temperatura era di 232°C. Delle fumarole della conoide di NW solo la C fumava. Lo STATO DEL VESUVIO ALLA FINE DEL 1949. Sull’orlo occidentale del cratere permangono alte termalità, che da 40Q°C si abbassano gradatamente a 232°C. La spaccatura Nord del Gran Cono mantiene elevata la sua temperatura aggirantesi intorno ai 330°C. Come fatto nuovo viene rilevata la prima macchia gialla extracraterica ? con valori termici oscillanti intorno ai 430°C. Si mette — 199 — in luce la zona altamente termica di Bosco trecase, a quota 800, con i valori di 570°C. del colle Alfano, e di una ventarola a 400°C; vi si rinviene tenorile (n. 6), e nei pressi di tale località si riscontrano alte termalità, raggiungenti i 580°C. Notizie vesuviane per l’anno 1950. 1 gennaio 1950. La temperatura della zona termica dell’orlo craterico occiden¬ tale era di 236°C. Sulla prima macchia extracraterica la temperatura era di 423°C. Tutto Torlo craterico interno era fumante. Sull’orlo orientale si avvertiva l’odore di cloro. 2 gennaio 1950. Le fumarole del ciglio vecchio nel settore settentrionale alle ore 15,20 erano fumanti. Sulla spaccatura Nord del Gran Cono ia tempe¬ ratura era di 236°C, e successivamente lungo la stessa generatrice si ebbero i valori seguenti: a monte della strada Matrone, 249°C. ed a valle 205°C. La temperatura della zona termica dell’orlo cra¬ terico occidentale era di 224°C. Le fumarole della conoide di NW non fumavano, ma la parete sovrastante detta conoide emetteva va¬ pori. Quota 800: N. 2, T = 410°C N. 7, T = 370°C » 3, T I 420°C » 8, T = 460°C » 4, T - 390°C » 9, T = 340° C » 6, T 1 400°C » 10, T = 390°C 3 gennaio 1950. Sull’orlo craterico si avvertiva solo odore di cloro: La tempera¬ tura della zona termica dell’orlo craterico occidentale era di 234°G. Le fumarole della conoide di NW erano fumanti. — 200 — 4 gennaio 1950. Ore 10,30, La temperatura della zona termica dell’orlo craterico occidentale era di 241°C. 5 gennaio 1950. La temperatura della spaccatura N del Gran Cono era li 343°C, e successivamente allineati, si ebbero i valori termici di 262°C a monte della strada Matrone settentrionale, e 203°C a valle di detta strada. 7-8-9 gennaio 1950 . Sia la temperatura della zona termica dell’orlo craterico occi¬ dentale, che quella della prima macchia gialla extracraterica non presentavano variazioni nei loro valori, che furono rispettivamente di 230°C per l’orlo occidentale, e di 439°C per la prima macchia gialla extracraterica. 10 gennaio 1950. Ore 13. Le batterie delle fumarole del ciglio vecchio nel settore settentrionale erano fumanti. Sulla spaccatura Nord del Gran Cono la temperatura era di 339°C, ed allineati, a cavallo della strada Ma¬ trone settentrionale, si ebbero i valori di 251°C e 203°C. La tempe¬ ratura della zona termica dell’orlo craterico occidentale era di 237cC. Le fumarole della conoide di NW erano tutte attive. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura era di 439°C. Sull’orlo orientale come al solito si avvertiva odore di cloro; la fascia piro- clastica orlante la parete interna di detto ciglio era fumante. 11 gennaio 1950. Ore 13. La temperatura della zona termica dell’orlo craterico occidentale era di 260°C. — 201 Si avvertiva odore di cloro. Le fumarole della conoide di NW erano poco fumanti. Tutte le paréti erano fortemente fumanti. La temperatura sulla prima macchia gialla extracraterica era di 432°C. 13 gennaio 1950. Quota 800: N. 2, T - 415°C N. 7, T = 360°C » 3, T = 420°C » 8, T = 170°C » 4, T = 380°C » 9, T = 335°C » 6, T = 400°C » 10, T = 395°C 17 gennaio 1950. Quota 800: N. 1, T = 300°C N. 6, T = 400°C (450) » 2, T = 435°C (495°C) (1) » 7, T = 360°C (400) » 3, T = 445 °C (480°C) » 8, T = 470°C (580) » 4, T = 410°C » 9, T = 280°C (300) » 5, T = 230°C » 10, T = 400°C (450) 21 gennaio 1950. Sulla zona termica dell’orlo craterico occidentale la tempera¬ tura era di 210°C. Delle fumarole della conoide di NW erano fumanti nel loro ordine, A, B, e D; la C non emetteva vapore, ma in sua corri¬ spondenza sulla conoide si elevava una fumarola; comunque i vapori di queste fumarole erano densissimi. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura era di 423°C. Discendendo pel versante occidentale si avvertiva a mezza strada l’odore del cloro (h. 16). (1) Le temperature tra parentesi si riferiscono alla profondità di un metro, mentre le altre furono prese alla profondità di 50 cm. — 202 — 22 gennaio 1950. La temperatura della zona termica dell’orlo craterico occiden¬ tale era di 210°C (h. 12,25). Le fumarole della conoide di NW fu¬ mavano tutte come la volta precedente. Sul ciglio si avvertiva odore di cloro. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura era di 437°C. Quota 800 : n. 7, t - 4oo°r: » 8, T = 590°C » 9, T - 300°C » 10, T = 450°C N. 1, T = 300° C ». 2, T I 510°C » 3, T - 490°C » 5, T = 290°C » 6, T = 450°C 23 gennaio 1950. A mezzo sentiero, costeggiando il tracciato della ex-funicolare, si avvertiva odore di cloro. Sull’orlo craterico occidentale alle ore 16,10 la zona termica diede il valore di 208°C. Le fumarole della conoide di NW fumavano nelle stesse condi¬ zioni descritte il 21 gennaio. Sulla prima macchia gialla extracrate¬ rica la temperatura era di 431°C. 27 gennaio 1950. La mia guida Angelo Vitulano, salito al cratere il 27 gennaio da Boscotrecase, constatò sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura di 450°C; ad 80 m. circa al di sotto di tale macchia ri¬ levò la temperatura di 200°C; da tal punto procedendo in giù la temperatura andava sempre abbassandosi. Salito sul ciglio a quota 1244, lì dove vi è il canalone, la mia guida scese sul pendio interno a sinistra del canalone, che poi si interrompe con la precipite parete craterica. Su tale pendio si portò a 25 m. in giù dall’orlo craterico e mi¬ surò la temperatura di 460°C. Qui vicino osservò tre buche del dia¬ metro di circa 10 cm., dalle quali a sbuffi, intervallati da completa — 203 — estinzione, fuoriusciva vapore il quale era denso e si manteneva così nell’atmosfera senza subito dissolversi. Avvertiva su quella zona l’odore dell’acido cloridrico. Dove la temperatura era di 460°C il terreno si presentava asciutto; dove invece erano le buche sbuffanti vapori il terreno era umido. A circa 10 m. al disotto del punto ter¬ mico a 460°C vi era ima poderosa spaccatura trasversale (Tav. XVI). Sulla conoide di NW vi era una fumarola densa centrale. Sulla zona termica di quota 800, versante di Boscotrecase, verso le ore 18,15 effettuò, come di accordo, uno scavo lì dove la tempe¬ ratura era maggiore, cioè al n. 8, osservò che il lapillo estratto era incandescente, di color rosso cupo. La temperatura osservata in tale lapillo, prima di effettuare lo scavo, fu di 585°C. Sulla lingua di lava ferruginosa, dietro al casotto delle guide (quota 800), furono misurati quattro punti termici; i primi due, ri¬ spettivamente di 170°C ad est e di 165°C ad ovest, erano sull’orlo di tale lingua e distavano tra di loro di circa 20 in., gli altri due, rispetti¬ vamente 380°C ad est e 410°C ad ovest, erano spostati verso nord lungo il Gran Cono e distavano dai precedenti di circa 40 m. 30 gennaio 1950 (A quota 800. versante di Boscotrecase) (1). Giornata piovosa fino alle ore 14, indi fortemente ventosa. Giunti alla ventarola , questa era tiepida, le pietre erano fredde mentre altre volte non potevano toccarsi. Aria calda non ne usciva, mentre altre volte impediva l’accostarsi. Le zone ad alta termalità erano asciutte ed il colle Alfano aveva una larga fascia (di due metri, in inedia, di diametro, diretta ovest- est) tutta asciutta. La zona altamente termica, n. 8, ad occidente del colle Alfano, ossia prima della buca a tenorile che andava sempre più manife¬ stando punti ad alta termlità, raggiunse 590°C; l’asta del termometro fu quivi estratta, come era logico, incandescente al rosso-ciliegia per 30 cm. Fra le zone termiche vi erano plaghe freddissime, tra le quali si fermava l’acqua formando effimeri laghetti. (1) Escursione effettuata con la guida Angelo Vitulano. 204 — l febbraio 1950. Quota 800: N. 2, T = 440 °C » 3, T - 440 °C 3 febbraio 1950. Sul versante settentrionale del Gran Cono, a metà del sentiero che conduce al cratere, si avvertiva odore di cloro. Sull’orlo occi¬ dentale la temperatura della zona termica era di 211°C. Sulla conoide di NW la fumarola Mercalli era fortemente fu¬ mante. La temperatura sulla spaccatura Nord del Gran Cono era di 339°C; successivamente lungo la stessa generatrice, a monte della strada Matrone e a circa 100 in, da detta strada, si ebbe il valore di 261°C, ed a valle si osservò la temperatura di 210°C. La zona ter¬ mica dell orlo craterico occidentale aveva la temperatura di 210°C. Lungo la conoide di NW delle fumarole A, B , C, D , solo la A e la B emettevano vapore. Anche le fumarole della parete occiden¬ tale fumavano. Sull’orlo della suddetta parete forte era l’odore del cloro. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura era di 441°C; più giù, 80 m. dopo, la temperatura era di 360°C e si avver¬ tiva odore di cloro. In tale zona si notavano piccoli avvallamenti. 5 febbraio 1950 (1). Iniziata la salita lungo il sentiero della strada Matrone che porta al cratere, ci raggiunse la guida Angelo Vitulano proveniente da Boscotrecase. All’inizio di tale percorso fino al toppo del 1941 si avvertiva odore di cloro. La giornata, iniziata col tempo bello, si mutò subito; sicché il Gran Cono immantinente fu avvolto da nebbia, ed era impossibile la visibilità del cratere, nonché imprudente il procedere per fare il giro dell’orlo, tanto più che veniva giù, mo¬ lesta, una pioggerella. Costretti a discendere, furono condotte le os- (1) L’escursione fu fatta per la strada Matrone settentrionale con le guide Angelo Vitulano e Vincenzo Scognamiglio e gli allievi Giuseppe Morabito da Catanzaro e Piero De Castro da S. Pietro Vernotico. N. 4, T = 340°C » 8, T = 475°C — 205 servazioni termiche sulla spaccatura del fianco Nord del Gran Cono, formatasi nell’eruzione del 1944, determinando l’efflusso laterale. Le temperature registrate dall’alto verso il basso non oltre la strada furono: 336cC; 312°C; e 325°C. 8 febbraio 1950. La zona termica dell’orlo craterico occidentale aveva la tempe¬ ratura di 211°C. Lungo la conoide di NW le fumarole A, B , C. D erano copiosamente fumanti con denso fumo. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura era di 439°C; vi si avvertiva inoltre odore di cloro e di H2S. Sul ciglio orientale forte era l’odore del cloro. 10 febbraio 1950. Quota 800: N. 1, T = 280°C » 2, T = 440°C » 3, T - 450°C » 4, T = 420°C » 5, T = 200°C N. 6, T = 400° C » 7, T = 350°C » 8, T = 510°C » 9, T = 300°C » 10, T = 400°C La zona termica dell’orlo craterico occidentale aveva la tempe¬ ratura di 209°C (h. 10,20). Lungo la conoide di NW delle fumarole A, B, C, D . solo la D non fumava. Sul ciglio occidentale si avvertiva odore di cloro. Sulla prima macchia gialla extracraterica la tempe¬ ratura era di 440°C e vi si avvertiva odore di cloro. 13 febbraio 1950. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura era di 443°C, e vi si avvertiva odore di cloro e di H2S. 16 febbraio 1950. La zona termica dell’orlo craterico occidentale aveva la tempe¬ ratura di 206°C. Lungo la conoide di NW le fumarole A, B , C, D, 206 — non fumavano. Sulla prima macchia gialla extracraterica la tempe¬ ratura era di 437°C. Sull’orlo orientale si avvertiva odore di cloro. 17 febbraio 1950. Versante settentrionale. La spaccatura Nord del Gran Cono era fumante ed aveva la temperatura di 380°C (h. 12,30); in prosieguo sullo stesso allineamento si ebbe il valore termico di 231°C, prima di raggiungere la strada Matrone. Sul sentiero che porta al. cratere si avvertiva odore di cloro. La zona termica dell’orlo craterico occi¬ dentale aveva la temperatura di 209°C. Lungo la conoide di NW le fumarole A, B, C, D fumavano. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura era di 441°C. Sul ciglio orientale si avvertiva odore di cloro e di acido cloridrico. 18 febbraio 1950. La zona termica dell’orlo craterico occidentale aveva la tempera¬ tura di 211°C (h. 12). Lungo la conoide di NW le fumarole non fuma¬ vano. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura era di 438°C. Sul ciglio orientale si avvertiva odore di cloro. 19 febbraio 1950 (1). L’orlo craterico vecchio di NE era copiosamente fumante. Sa¬ lendo lungo il Gran Cono per il sentiero settentrionale non si notava l’odore di cloro. Giunti al cratere, la fumarola del corno sinistro della slabbratura di NW era copiosamente fumante, come anche la parete craterica occidentale; mentre la parete orientale non dava manifestazioni fumaroliche. La fumarola della parete sud, sottostante alla capannuccia (m. 1171) era vistosamente fumante. Altri copiosi vapori si svolgevano sulla fascia piroclastica orlante la parete craterica, per tutto il tratto che dalla capannuccia sale fino a quota 1244. Delle fumarole della conoide di NW, la A dava copiosa fumigazione, la B non emet- (1) L’ascensione al cratere fu fatta dal lato Nord con la guida Angelo Vitulano. — 207 leva vapore, la C fumava ad intervalli e presentava macchie gialle e rosso-arancione; la D non fumava, ma presentava macchie gialle. Anche sulla superficie della conoide si avevano più fumarole varia¬ mente distribuite; è da notare che dall’alto verso il basso la conoide era divisa in due fasce pressocchè eguali: una sabbiosa, sotto la parete craterica settentrionale; l’altra a grosse brecce, sotto l’opposto corno dove si eleva il pinnacolo. Su tale conoide, inoltre, si presentavano più fumarole: una era all’altezza di C, quasi al confine tra la zona sabbiosa e quella brec- ciosa; più in giù altri spiragli fumanti ma un po’ più spostati verso la parete Nord. Proseguendo il giro del cratere, incominciai ad avvertire dal¬ l’orlo Sud l’odore del cloro, e tale odore era fortissimo all’altezza delle macchie gialle intraerateriche; però di tanto in tanto, col cloro in predominanza, il vento ci portava anche acido cloridrico. Sul pendio esterno del mantello piroclastico, tra la prima e la seconda macchia gialla extracraterica, vi era un largo campo fumarolico. In questa zona vi era una lunga spaccatura trasversale alle genera¬ trici del mantello piroclastico. Permanendo sull’orlo craterico corrispondente alla prima mac¬ chia gialla intr acraterica, l’odore di acido cloridrico si sentiva ben accentuato, ma di tanto in tanto venivano folate di cloro. Prima del toppo della prima macchia gialla extracraterica vi era uno scoscendi¬ mento e fenditure attraversanti il toppo stesso, che fumigava. Su tale macchia gialla la temperatura raggiungeva 430°C; il cloro vi era appena sensibile. La guida Angelo Vitulano, dopo che a sera lasciò l’orlo crate¬ rico, discese a quota 800, dove riscontrò la temperatura massima di 585 °C al n. 8. 20 febbraio 1950. Versante settentrionale. Sulla spaccatura Nord del Gran Cono, la temperatura era di 339°C, e successivamente lungo la stessa gene¬ ratrice, a monte della strada Matrone misurai 262°C, ed a valle, 238°C. La zona termica dell’orlo craterico occidentale aveva la temperatura di 211°C. Sull’orlo craterico orientale, odore di cloro; lungo la co¬ noide di NW, delle fumarole A, B , C, D fumava solo la C. Sulla — 208 — prima macchia gialla extracraterica la temperatura era di 439°C e si avvertiva odore di cloro. Quota 800. N. 1, T = 295QC » 2, T = 410°C » 3, T = 450°C » 4, T = 350°C » 6, T = 440° C 21 febbraio 1950. Sul versante settentrionale la spaccatura Nord del Gran Cono aveva la temperatura di 337°C; in prosieguo, e cioè a monte della strada Matrone, la temperatura era di 258°C, ed a valle 215°C. La zona termica dell’orlo craterico occidentale aveva la tempe¬ ratura di 210°C. Le fumarole della conoide di NW non fumavano. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura era di 440°C. Sull’orlo orientale: odore di cloro e di acido cloridrico. N. 7, T = 380°C » 8, T = 490°C » 9, T = 280°C » 10, T = 390°C 22 febbraio 1950. La zona termica dell’orlo craterico occidentale aveva la tempe¬ ratura di 209°C. Lungo la conoide di NW, delle fumarole era attiva solo la C. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura ora di 438°C. Sul ciglio dell’orlo craterico orientale vi era odore di cloro e di acido cloridrico. 23 febbraio 1950 Lungo la conoide di NW le sole fumarole B , C , D , erano attive, La zona termica dell’orlo craterico occidentale aveva la tempe¬ ratura di 211°C. Alla metà del Gran Cono, salendo per il sentiero che costeggiava la ex-funicolare, si avvertiva odore di cloro. Sull’orlo craterico orientale forte l’odore di cloro e di acido clo¬ ridrico. — 209 — 24 febbraio 1950. Alle ore 10,35 sull’orlo craterico vechio di NE le batterie delle fumarole erano copiosamente fumanti. Sulla spaccatura Nord del Gran Cono la temperatura era di 338°C; in prosieguo sullo stesso alli¬ neamento la temperatura era di 250°C; più in giù ancora 221°C (prima di attraversare la strada Matrone). La temperatura della zona termica dell’orlo craterico occidentale era di 211°C. Lungo la conoide di NW le fumarole A , B , C, D erano fumanti. Quota 800. N. 1, T = 300°C N. 6, T = 430°C )> 2, T = 430°C » 7, T = 370°C » 3, T = 440°C » 8, T = 585°C » 4, T - 360°C » 9, T = 260°C » 10, T = 390°C Tali furono le temperature ottenute ad un metro di profondità. 1 marzo 1950. Le fumarole della conoide di NW erano copiosamente fumanti (h. 16,30). La parete craterica occidentale e la fascia piroclastica del settore orientale craterico presentavano forte attività di vapore. Sull’orlo craterico occidentale la zona termica diede il valore di 208°C; sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura fu di 437°C. Sul¬ l’orlo orientale si avvertivano gli odori del cloro e dell’acido clori¬ drico. 6 marzo 1950. -- • ) ; • ' ' Alle ore 13 la zona termica dell’orlo craterico occidentale aveva la temperatura di 205°C. Delle fumarole della conoide di NW fuma¬ vano solo la B e la C. Sulla prima macchia gialla extracraterica la 14 210 temperatura era di 438°C. Sull’orlo orientale craterico, come al so¬ lilo, persisteva l’odore dell’acido cloridrico. 7 marzo 1950. Alle ore 11 le batterie delle fumarole dell’orlo craterico vecchio di NE non fumavano. Anche le fumarole della conoide di NW erano sopite. Sulla prima macchia gialla evtracraterica la temperatura era di 440°C. Sull’orio craterico orientale si avvertiva odore di cloro e di acido cloridrico. 0 marzo 1950. Alle ore 13,40 delle fumarole della conoide di NW fumava solo la C. La zona termica dell’orlo craterico occidentale aveva la tempe- ] atura di 203°C. Sulla prima macchia gialla extracraterica la tempe¬ ratura era di 437°C, con odore di acido cloridrico. Sull’orlo orientale si avvertiva intenso l’odore del predetto acido. 9 marzo 1950. Alle ore 12,20 la batteria delle fumarole dell’orlo craterico vec¬ chio di NE osservato da Nord fumava (1). Sulla spaccatura Nord del Gran Cono la temperatura era di 343°C; in prosieguo, sullo stesso allineamento, a monte della strada Matrone, si ebbe il valore di 251°C, mentre a valle di detta via fu di 202°C. Sull’orlo craterico occidentale la zona termica diede il valore di 204°C. Le fumarole della conoide di NW non fumavano. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura era di 439°C, con lieve odore di cloro che si avvertiva ad intervalli. Sull’orlo orientale forte era l’odore del cloro. 13 marzo 1950. Alle ore 13,20 le fumarole della conoide di NW erano forte¬ mente e copiosamente fumanti. La zona termica dell’orlo craterico (1) Il tempo era asciutto. — 211 — occidentale aveva la temperatura di 205°C. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura era di 439°C, con odore di cloro e di acido cloridrico. 15 marzo 1950. Alle ore 11 la spaccatura del fianco Nord del Gran Cono raggiun¬ geva la temperatura di 236°C; in prosieguo, scendendo lungo il Gran Cono, a monte della strada Matrone si ebbe il valore di 261°C, men¬ tre a valle di detta strada la temperatura era di 205°C. Le batterie di fumarole dell’orlo craterico vecchio di NE erano copiosamente fumanti. La zona termica cleU’orlo craterico occiden¬ tale aveva la temperatura di 208°C. Sulla prima macchia gialla extra- craterica la temperatura era di 439°C e vi si avvertiva odore di cloro e di acido cloridrico. Sull’orlo orientale ancora odore di acido clori¬ drico e di cloro. Le fumarole della conoide di NW erano copiosamente fumanti. Quota 800. N. 1, T = 300°C » 2, T = 500°C » 3, T - 500°C » 4, T - 420°C » 6, T = 430°C Tali temperature furono ottenute ad un metro di profondità. 16 marzo 1950. Alle ore 14,25 la zona termica dell’orlo craterico occidentale aveva la temperatura di 207°C. Le fumarole della conoide di NW erano copiosamente fumanti. Sulla prima macchia gialla extracrate¬ rica la temperatura era di 441°C e si avvertiva odore di cloro. Sull’orlo orientale odore di cloro e di acido cloridrico. Sulla spaccatura Nord del Gran Cono la temperatura era di 341°C; ed in prosieguo, scendendo lungo lo stesso allineamento, a monte della strada Matrone, si ebbe il valore di 253°C, ed a valle 200°C. Le batterie delle fumarole dell’orlo craterico vecchio di NE non fumavano. N. 7, T = 380°C » 8, T = S85°C » 9, T = 250°C » 10, T = 390°C — 212 — 77 marzo 1950. Alle ore 14,10 la temperatura della zona termica dell’orlo cra¬ terico occidentale era di 203°C. Le fumarole della conoide di NW erano tutte fumanti. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura era di 439°C e vi si avvertiva odore di cloro e di acido cloridrico; anche sull’orlo craterico orientale si avvertiva l’odore di questi due gas. 18 marzo 1950. Alle ore 13,40 le batterie delle fumarole dell’orlo craterico vec¬ chio di NE erano fumanti. Sulla spaccatura Nord del Gran Cono la temperatura era di 338°C. Sul sentiero settentrionale che conduce al cratere si avvertiva odore di cloro. Le fumarole della conoide di NW erano tutte fumanti. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura era di 440°C, e si avvertiva odore di cloro. Sull’orlo orientale si avvertiva odore di cloro e di acido clori¬ drico. 20 marzo 1950. Quota 800. N. 1, T = 310°C N. 7, T = 420°C » 2, T ; = 460°C » 8, T = 585°C » 3, T = 480°C » 9, T = 310°C » 4, T = » 6, T = 420°C 510°C » 10, T = 400°C 26 marzo 1950. Tutte le fumarole della conoide di NW erano fortemente fumanti. In direzione della fumarole D, alla base della conoide si presenta¬ vano due fumarole, le quali ad intervalli non precisati davano copio¬ se, dense fumate. La fascia piroclastica orlante la parete craterica orientale era fumante, in specie nel settore di NE compreso tra le due macchie — 213 — gialle inti-acrateriche. Ed altresì nella parte mediana della conoide, al limile della zona sabbiosa con la brecciosa, si osservavano altre due fumarole. La temperatura della zona termica dell’orlo craterico occiden¬ tale era di 210°C. 28 marzo 1950. Quota 800. N. 1, T = 300°C » 2, T = 460°C » 3, T = 475°C N. 6, T = 400’C » 5, T = 2I5°C 3 aprile 1950. Quota 800. N. 1, T = 300°C » 2, T = 460°C » 3, T = 470°C » 4, T = 445 °C » 5, T = 205°C N. » » » » 6, T = 500°C 7, T = 420° C 8, T = 570°C 9, T = 350“C 10, T = 420°C 10 aprile 1950. Quota 800. N. 1, T = 300°C » 2, T = 465 °C » 3, T = 475°C ,, 4. T = 440°C » 5, T = 210°C N. 6, T = 500°C » 7, T = 430°C » 8, T = 560°C » 9, T = 340°C » 10, T = 410°C 25 aprile 1950. Quota 800. N. 1, T = 290°C » 2, T = 470°C » 3, T = 380°C » 4, T = 440°C N. 6, T = 460°C » 7, T = 400° C » 8, 1 = 570=C — 214 — 29 aprile 1950. Quota 800. al N° 1, T = 300°C » 2, T = 460°C » 3, T = 470°C » 4, T = 430°C » 5, T = 210°C 6 maggio 1950. Quota 800. N. 1, T = 300°C » 2, T = 450°C » 3, T = 470°C » 4, T = 430°C » 5, T = 215°C al N° 6, T = 500°C » 7, T = 420°C » 8, T = 565°C )) 9, T = 320° C » 10, T = 400° C N. 6, T = 490° C >, 7, T - 410°C » 8, T = 560°C » 9, T = 370°C » 10, T = 400°C Temperature ottenute alla profondità di circa un metro. 10 maggio 1950. La temperatura della prima macchia gialla extracraterica era di 370°C. Quota 800. N. 1, T = 210°C » 2, T I 300° C » 3, T = 390° C » 4, T = 360°C N. 6, T = 370°C » 7, T = 300°C » 8, T = 380°C Temperature ottenute alla profondità di un metro circa. 215 20 maggio 1950 . Quota 800. N. 1, T = 310°C » 2, T = 460°C » 3, T = 475°C » 4, T = 435 °C » 5, T = 210°C N, 6, T = 480°C » 7, T = 400°C » 8,.T = 550°C » 9, T = 350°C » 10, T = 400°C Temperature ottenute alla profondità di circa un metro. 23 maggio 1950 . Quota 800. N. 6, T = 395°C » 7, T = 300°C » 8, T = 380°C N. 1, T = 230°C » 2,T = 310°C » 3, T = 400°C » 4, T- ■= 360°C 2 giugno 1950 (1). Ascesi al cratere salendo per l’Atrio del Cavallo, sostando prima sul fianco Nord del Gran Cono, lì dove avvenne la spaccatura nell’eru¬ zione del 1944 con efflusso lavico. Avvertii così forte l’odore del¬ l’acido cloridrico, come lo si avvertiva sull’orlo orientale del cratere. Tale odore era così intenso da far tossire violentemente, sicché riu¬ sciva insopportabile. Faccio rilevare che questo odore non lo avevo constatato così forte prima, su questa spaccatura, negli anni 1946-47- 48; anzi si era andato a mano a mano affievolendo. Per quanto riguarda le osservazioni da me condotte, nell’ultima visita fatta a tale località, iì 5 febbraio, non vi avvertii odore nè di cloro nè di acido cloridrico. Pervenuti al cratere, sull’orlo occidentale notai che la fumarola del corno sinistro della slabbratura di NW fumava debolmente. Delle quattro fumarole della conoide di NW solo la A fumava; nè lo svol¬ li) Ascensione fatta con la mia guida Angelo Vitulano e con gli studenti. — 216 — gimento dei vapori era copioso. Le macchie policrome di tali fuma¬ role erano affievolite. La temperatura della zona termica dell’orlo craterico occiden¬ tale non superava 210°C. Circuendo il cratere e procedendo per sud, avvertimmo, iniziata da poco la salita che dal sentiero di Boscotrecase mena all’orlo orien¬ tale, forte irraggiamento di calore, mai avvertito per il passato. L’orlo orientale si faceva particolarmente notare per la forte esalazione di cloro. Si erano allargate sempre più le fenditure trasversali alle generatrici del mantello piroclastico e decorrenti da SE a N, percor¬ rendo l’orlo orientale. Indi mi portai nel settore di Boscotrecase a quota 800, dove trovai la temperatura di 590°C. Ho già altre volte comunicato che, avendo estratta l’asta metal¬ lica del termometro incandescente, mi ero promesso di condurre op¬ portuno scavo per poter constatare l’eventuale incandescenza del ma¬ teriale piroclastico e, al caso, condurre le osservazioni fino a met¬ tere in luce il materiale lavico continuo. Erano le 21,30; iniziammo lo scavo e ci trattenemmo a lavorare fino alle ore 24; a 35-40 cm. di profondità usciva lapillo, scorie e blocchi incandescenti che spalavamo siccome brace da forno. I grandi blocchi, raffreddandosi a contatto dell’aria, si spezzavano. La tempe¬ ratura massima quivi riscontrata fu di 595°C. 10 giugno 1950. Quota 800. N. 1, T = 300°C N. 6, T = 375°C » 2, T = 380°C » 7, T = 340°C » 3, T = 405°C » 8, T = 400°C » 4, T = 370°C » 9, T = 300°C » 5, T = 200°C » 10, T = 310°C Temperature ottenute a circa 20 cm. di profondità. 17 giugno 1950. Quota 800. N. 1, T = 310°C N. 6, T = 375°C » 2, T = 380°C » 7, T = 345°C — 217 N. 3, T = 400°C » 4, T I 370°C », S, T = 200°C 18 giugno 1950. Il Gran Cono era coperto di nebbia; F interno del cratere era chiaro, e per tutta la giornata si potette osservare il frequente ruscel- iare di grossi blocchi rilasciatisi dal materiale piroclastico della por¬ zione orientale della cerchia craterica. Fino alle ore 18 le fumarole A, B. C, D lungo la conoide di NW non fumavano. In tale giorno ancora verso le ore 13 alla Stazione inferiore della ex-funicolare si avvertì una scossa così forte che quasi *utti la percepirono; quelli che l’avvertirono asseriscono che fu ondu¬ latoria. N. 8, T - 400°C » 9, T = 300°C » 10, T = 310°C 26. giugno 1950. Le fumarole A, B, C della conoide di NW nella mattinata erano fumanti, mentre nel pomeriggio fumavano solo la A e la C. Sulla spaccatura Nord del Gran Cono la temperatura era di 324° C, e vi si avvertiva odore di acido cloridrico. 27 giugno 1950 (a quota 800, versante di Boscotrecase) (1). Tale escursione fu condotta allo scopo di continuare le osserva¬ zioni precedenti sulla incandescenza delle scorie in questa zona alta¬ mente termica e di operare uno scavo più vasto e profondo per cer¬ care di raggiungere il materiale eruttivo continuo. Attesi che annottasse. Fu scavato per circa un metro nel mate¬ riale piroclastico e subito vennero fuori blocchi e lapilli incande¬ scenti; la luminosità della luna non ci consentiva di osservare il fe¬ nomeno con la vistosità del 2 giugno, per cui dovemmo alquanto scavare in cunicolo per osservare con continuità la luminosità delle rocce. Ma il lavoro era penoso per l’alta temperatura, per il continuo (1) Ascensione compiuta con la guida Angelo Vitulano e con gli allievi. — 218 — franamento del materiale cavato, per il vento che molestava varia¬ mente le operazioni. Per le suddette difficoltà, e per la constatazione che nel nostro luogo di scavo ci trovavamo con non meno di tre metri di materiale piroclaslico, non credetti opportuno insistere nella rimozionne di detto materiale e portare a termine l’altro scopo del lavoro, quello cioè di mettere allo scoperto il materiale eruttivo continuo e con¬ statare quindi se esso appartenesse al materiale lavico a corde, spet¬ tante al 1941-1942, reso altamente termico da materiale lavico sotto¬ stante, o fosse materiale lavico spettante al 1944 e direttamente affio¬ rante. La temperatura osservata a 35 cm. circa di profondità fu di 540°C., ma in profondità evidentemente era maggiore, come dalle osservazioni comparate, altre volte condotte, è lecito dedurre. Faccio rilevare che siamo a 6 anni e 3 mesi dalFeruzione del 1944 e a un km. circa dall’asse del condotto, e a quasi 100 m. più in basso del fondo craterico. Le osservazioni furono condotte fino alle ore 23,30. Aggiungo ancora che in questo settore non fu avvertito nè cloro nè acido cloridrico durante tali operazioni. Nello stesso giorno 27, la temperatura della prima macchia gialla extracraterica raggiungeva 455°C, e la temperatura sullo spacco lavico del fianco Nord del Gran Cono effettuatosi nel 1944 era di 344°C, con persistenza sempre di acido cloridrico e di cloro. 13 luglio 1950 . Sulla zona termica dell’orlo craterico occidentale la temperatura era di 217°C (h. 17). Sulla conoide di NW erano attive le fumarole A e D. Dall’orlo craterico meridionale franava molto materiale. Alle ore 13, alla fine della strada Matrone settentrionale, fu avvertita una scossa dalle guide Scognamiglio Vincenzo e Cefariello Luigi fu Salvatore. 25 luglio 1950. Quota 800. N. 1, T = 320°C » 2, T = 520°C N. 3, T = 470 C » 4, T = 440 °C — 219 — 3 agosto 1950 (1). Alle ore 13,50 la temperatura della spaccatura del 1944 sul fianco Nord del Gran Cono era di 316°C e non si avvertiva nessun odore di cloro, nè di acido cloridrico. Verso il fondo del cratere solo la fumarola A della conoide di NW fumigava. Le pareti occidentali erano fumanti. Alle ore 18,35 continuava ancora a fumare solo la A delle quattro fumarole della conoide di NW. Il fondo del cratere non presentava mutamenti di sorta. La policromia delle fumarole di detta conoide non era tanto vi¬ sibile. Predominava solo il giallo, ma smorto; lieve si avvertiva l’odo¬ re di S02. Dalla fascia piroclastica orlante la parete craterica orientale si verificavano piccoli franamenti. La fumarola del corno sinistro della slabbratura di NW era sempre fumante, ma non eccessivamente. Dice la mia guida Angelo Vitulano che il giorno 25 luglio alle ore 14 al casotto delle guide di quota 800 (versante di Boscotrecase) fu avvertita una scossa. Sulla suddetta zona termica, la ventarola (n. 1) raggiungeva la temperatura di 320°C. Sul fronte meridionale del colle Alfano le temperature erano le seguenti: al n. 2 (dove il 27-6-49 la tempera¬ tura era di 550°C) risultò il valore di 440°C; oltre un metro a destra la temperatura si rilevò di 520°C; al n. 3 la temperatura raggiunse 470° ed al n. 4 diede il valore di 440°C. 4 agosto 1950. La spaccatura Nord del Gran Cono raggiungeva la temperatura di 357°C (h. 11). La zona termica dell’orlo craterico occidentale aveva la temperatura di 214°C. Delle fumarole della conoide di NW era attiva solo la A. 9 agosto 1950. Sull orlo craterico occidentale, la zona termica diede il valore di 208°C (h. 12). Solo la fumarola A della conoide di NW era attiva. (1) Escursione compiuta con la mia guida Angelo Vitulano. — 220 — 18 agosto 1950 (quota 800, versante di Boscotrecase) (1). La ventarola n. 1 alle ore 19,10 aveva la temperatura di 320°C; la zona termica n. 8 raggiungeva la temperatura di 510°C. La buca a tenorite n. 6, la quale ha circa un metro di diametro, diede in più punti diversi valori termici: 430°C, 420°C, 425°C, con il valore mas¬ simo di 460°C. Si accompagnò a noi l’Ing. Bernardo Spina e il dott. Giovanni Lettieri, il quale mi riferì un particolare dell'eruzione del marzo 1944: per due notti a Torre del Greco non si poteva stare a letto; le odulazioni erano tali da dare l’impressione di esserne cacciato fuori; nè era facile camminare per le stanze. 25 agosto 1950. Quota 800. N. 1, T = 310°C » 2, T = 420°C » 3, T = 450°C N. 4, T = 430° C » 6, T = 450° C » 7, T = 460°C Dati termici ottenuti a 50 cm. di profondità. La temperatura della prima macchia gialla extracraterica era di 461°C. 28 agosto 1950. La zona termica dell’ orlo craterico occidentale diede la tempe¬ ratura di 263°C. 2 settembre 1950. Quota 800. N. 1, T = 310°C » 2, T = 400° C N. 6, T = 430°C » 7, T = 390°C (1) Con la guida Angelo Vitulano. — 221 — N. 3, T =. 430°C N. 8, » 4, T = 400° C Dati riferentisi a 50 cm. di profondità. 10 settembre 1950. Quota 800. N, 1, T = 310°C » 2, T = 400°C » 3, T = 430°C » 4, T = 410°C Dati riferentisi a 50 em. di profondità. 20 settembre 1950. Quota 800. N. 1, T = 310°C » 2, T = 380°C » 3, T = 430°C » 4, T = 390°C Dati riferentisi a 50 cm. di profondità. 30 settembre 1950. Quota 800. N. 1, T = 310°C » 2, T = 400°C » 3, T - 425°C Dati riferentisi a 50 cm. di profondità. 10 ottobre 1950. Quota 800. N°‘l, T = 300°C » 2, T = 380°C N° 6, » 7, N. 6, » 7, » 8, N. 6, » 7, » 8, N. 6, » 7, » 8, T - 460° C T = 420° C T = 390°C T = 450°C T = 420°C T = 380°C T = 470° C T = 430°C T = 395 °C T - 460°C T = 420°C T = 380°C N. 3, T - 410°C » 4, T = 385°C — 222 — N. 8, T = 450° C Dati riferentisi a 50 cm. di profondità. 25 ottobre 1950. Quota 800. N. 1, T = 305°C » 2, T 1 390°C » 3, T = 400°C » 4, T = 385 °C Dati riferentisi a 50 cm. di profondità. 11 novembre 1950. Quota 800. N. 1, T = 310°C » 2, T = 400°C » 3, T = 420°C » 4, T = 410°C Dati riferentisi a 50 cin. di profondità. 26 novembre 1950. Quota 800. N. 1, T = 305 °C > 2, T = 410°C » 3, T = 430°C » 4, T = 415°C Dati riferentisi a 50 em. di profondità. 28 novembre 1950 (quota 800, versante di Boseotrecase) (1). La buca a tenorite, n. 6, aveva la temperatura di 450cC, lì dove al 18 agosto raggiunse il valore di 460° C. Spostandomi a Nord della N. 6, T = 435 °C » 7, T = 395°C » 8, T - 400°C N. 6, T - 425°C » 7, T = 340°C » 8, T = 420°C N. 6, T = 435°C » 7, T - 390°C » 8, T - 440rC (1) Con la guida Angelo ViTULANo. — 223 — buca a tenorile, cioè spingendomi più verso la base del Gran Cono, riscontrai la temperatura di 410°C, sempre nel materiale piroclastico. Ai piedi del Colle Alfano, al n. 2, trovai la temperatura di 410°C. 29 novembre 1950. Giunto sull’orlo craterico potei osservare che tutte le fumarole della conoide di NW fumavano copiosamente, ed anche quelle della superficie della conoide, che in precedenti escursioni ho citato. Persi¬ stevano le fumarole in basso sul sabbione delia conoide, e la inferiore di queste presentava una macchia gialla. I vapori sviluppati dalle fumarole B, C, D della conoide avevano uno spiccato colore azzurrino. La fumarola del corno sinistro della slabbratura di NW era fumante, come anche la parete occidentale. Il fondo craterico non presentava modificazione alcuna ed era freddo, tanto che l’acqua che vi cade ed è assorbita fa restare il suolo sempre umido e non si ha alcuna fuoriuscita di vapori. La prima macchia gialla extracraterica aveva la temperatura di 410°C, mentre il giorno 27 era di 447°C; non si avvertiva nè cloro nè acido cloridrico. Sulla spaccatura del 1944 a Nord del Gran Cono la temperatura era di 320°C, mentre il giorno 26 era di 361°C; spirava forte vento, non si avvertiva nè cloro nè acido cloridrico, ma più in alto del punto a temperatura di 320°C predetto si avvertiva, dove il suolo era umido, odore di acido cloridrico. 5 dicembre 1950. Quota 800. N. 1, T = 300°C » 2, T = 360°C » 3, T = 440° C » 4, T = 400°C Dati riferentisi a 50 cm 20 dicembre 1950. Quota 800. N. 6, T = 420° C 7, T = 330°C . di profondità. N. 6, T = 425°C » 7, T = 350°C » 8, T = 460°C N. 1, T = 300°C » 2, T = 350°C » — 224 — N. 3, T = 440 °C N. 8, T = 465°C » 4, T = 390°C Dati riferentisi a 50 cm. di profondità. 29 dicembre 1950. Quota 800. N. 1, T = 290°C N. 6, T = 430°C » 2, T = 360°C » 7, 1 - 320°C » 3, T = 420°C » 8, T =■ 445 °C » 4, T = 390°C Dati riferentisi a 50 cm. di profondità. Lo STATO DEL VESUVIO ALLA FINE DEL 1950. Si rileva una nuova zona termica in corrispondenza del « cana¬ lone » (quota 1244), sul pendio interno del mantello piroclastico con temperatura di 460°C. Permangono alti i valori termici sull’orlo craterico occidentale (263°C.), come pure persiste l’alta termalità sulla spaccatura Nord del Gran Cono (380°C.). La prima macchia gialla extracraterica rag¬ giunge 461°C. Sul colle Alfano la temperatura è sempre elevata (520°C. max.), ma in lieve diminuzione. Anche la temperatura della ventarola (n. 1) gradualmente si abbassa (320°C. max.), in relazione al graduale abbassamento della termalità del colle Alfano. Così pure il Colle B del 1942, di fronte al colle Alfano, col di¬ minuire la temperatura di questo, diminuisce la sua (290°C. max.). La zona termica ad occidente del colle Alfano, nei pressi della buca della tenorite, dove furono eseguiti, di notte, due scavi di circa un metro di profondità (2 e 24 giugno) nello stesso punto, mostrarono lapillo incandescente. La temperatura massima ivi riscontrata col primo scavo fu di 595°C. — 225 Notizie vesuviane per l’anno 1951. 16 gennaio 1951. 280°C N. 7, T = 300°C 340°C » 8, T = 350°C 400°C 370°C 420° C Dati riferentisi a em. 50 di profondità. 18 gennaio 1951 . Quota 800. N. 1, T = 250°C » 2, T = 330°C » 3, T = 410°C » 4, T = 350°C Dati riferentisi a cm. 50 di profondità. Come si può rilevare dalla esposizione dei dati termici di quota 800, il n. 8, che aveva raggiunto i 595°C il 2 giugno 1950, è quello in cui susseguentemente la temperatura è andata diminuendo, mante¬ nendo pur sempre alti i suoi valori. Uno sbalzo notevole si ebbe il 18 gennaio 1951 (t. = 50°C) dovuto alle forti piogge. Forte, breve, intervallato, è stato questo abbassamento di temperatura, ed altret¬ tanto forte e rapida ne è stata la ripresa in aumento, come vediamo nelle osservazioni: 28 gennaio 1951. N, 1, T = 230°G » 2, T 1 330°C » 3, T = 420°C » 4, T = 375°C Dati riferentisi a cm. 50 di profondità. 15 N. 6, T = 410° C » 7, T = 350°C » 8, T = 450°C N. 6, T = 430° C » 7, T = 310°C » 8, T = 50°C Quota 800. N. 1, T 1 » 2, T = » 3, T = » 4, T = » 6, T = — 226 — 20 febbraio 1951 Quota 800. N. 1, T = 250°C » 2, T = 330°C » 3, T = 420°C » 4, T - 375°C Dati riferentisi a era. 50 di profondità. 28 febbraio 1951. Quota 800. N. 1, T = 240°C » 2, T = 320°C » 3, T = 420°C » 4, T = 360°C Dati riferentisi a cm. 50 di profondità. 6 marzo 1951. Quota 800. N. 1. T = 240°C » 2, T = 320°C » 3, T = 410°C » 4, T = 360°C Dati riferentisi a em. 50 di profondità. 14 marzo 1951. Quota 800. N. 1, T = 245°C » 2, T = 330°C » 3, T = 410°C » 4, T = 370°C Dati riferentisi a cm. 50 di profondità. N. 6, T = 450°C » 7, T = 350°C » 8, T = 450° C N. 6, T = 420°C » 7, T = 340°C » 8, T = 440°C N. 6, T = 405 °C » 7, T = 340°C » 8, T = 440° C N. 6, T = 410°C » 7, T = 320°C » 8, T - 400° C — 227 — 17 marzo 1951 (1). La fumarola del corno sinistro della slabbratura di NW debol¬ mente fumava; anche la fascia piroclastica orlante la parete orientale presentava lieve attività fumarolica. La parete craterica occidentale presentava copioso svolgimento di vapori. La temperatura della zona termica dell’orlo occidentale si era molto abbassata (non superava i 100°C); sicché il tappeto di muschio, che come un manto verde copriva dal basso all’alto per un buon tratto la parete che è sotto il pinnacolo , ossia il corno destro della slabbratura di Nord Ovest dell’orlo craterico, si spingeva fin quasi all’orlo del cratere, indice evidente dell’abbassamento di tem¬ peratura su questo settore. L’orlo occidentale che da Ovest gira per il Sud, ossia il settore Sud-Ovest, che già per buon tratto era crollato nel cratere, presentava vaste fratture trasverse alle generatrici del Gran Cono, e cedimenti con larghe soluzioni di continuità che preludevano ad un nuovo rila¬ sciamento di buona parte di questo orlo. Come pure continuo era il tambureggiare delle pietre, che dall’orlo orientale incessantemente si staccavano; mentre verso il NE del cratere già fresche fette della parete si erano staccate ed altre erano in via di crollare. Attività fumarolica vi era tra la parete craterica N e la conoide di NW, sulla cui superficie ancora due spiragli fumarolici erano fumiganti. La fumarola A della conoide di NW, che era stata sempre quella più fortemente attiva, si riduceva ad una evanescente fumigazione. Le due fumarole sulla superficie della suddetta conoide, come in precedenza citato, invece, pur non sollevandosi in alte colonne, pro¬ ducevano dense fumate che venivano su come se pulsassero. Debole era l’odore dell’idrogeno solforato che si avvertiva sul¬ l’orlo occidentale. Voglio qui richiamare l’attenzione sulla morfologia della parete sinistra della slabbratura di NW. Come appare nella tav. Vili e nella fìg. 1 della Tav. IX, la maggior parte della parete è costituita da ma¬ teriale facente parte della piattaforma del vecchio cratere, la quale è (1) L’ascensione fu effettuata per la strada Matrone Nord con il Barone Luca Massa di Boscoreale, col figlio doti. Salvatore, l’ing. Vittorio Lama e la guida Francesco Cultore. — 228 ricoperta da un mantello lavico effluito nel 1944. Tale mantello nella parte inferiore è formato da lava compatta, fessurata grossolanamente in prismi (Tav. V, fig. 2) e presentante il caratteristico colore bigio. La parte superiore, invece, ha il comune aspetto della superficie della lava del 1944, staccandosi ben evidentemente pel colore ed aspetto dalla sottostante lava compatta, ma risolvendosi gradualmente in essa; questa lava poi mostra almeno in due punti di attingere mediante dicchi verticali ad un piccolo laccolito, il quale a sua volta, con altro dicco, attinge ad un altro laccolito alimentato da un filone-strato che mostra essersi dipartito dal condotto centrale; e più d’uno di questi filoni-strati si notano su detta parete. Questo materiale proveniente dal condotto magmatico è stato quello che, estuberato sulla piattaforma craterica, si è riversato dal¬ l’orlo di NW, accresciuto forse da altre fonti laviche emerse in altri punti della piattaforma stessa. L’intrusione del magma nella compagine lavica di riempimento del cratere del 1906, sotto forma di filoni-strati, dicchi verticali e lac¬ coliti, è stata la causa che faceva ondeggiare la piattaforma craterica, come testimoni che ivi si trovavano mi riferirono. Dall’esame di questi dicchi appare evidente che le estravasazioni terminali, in tal modo nutrite, non possono avere una continuità ed una potenza di efflusso tali da invadere le zone abitate pedemontane, le quali possono essere raggiunte invece da spacchi laterali del Gran Cono, come avvenne nel 1944 con la spaccatura Nord che diede il grande efflusso lavico che raggiunse Massa e S. Sebastiano (1). Queste grandi spaccature costituiscono un potente emuntorio, attingendo per ampia, e forse lunga soluzione di continuità, diretta- mente al tronco della colonna magmatica. Lo spacco, rimanendo beante, consente la fuoriuscita continua del magma per tutto il pe¬ riodo in cui perdura la causa che lo solleva nel condotto. Gli efflussi lavici terminali, come dicevo, è difficile che raggiun¬ gano l’abitato, perchè come l’anatomia dèi monte dimostra in questa sèzione, i laccoliti, i filoni-strati, i dicchi verticali o camini, sono di poca entità, e debbono aprirsi la via attraverso le varie colate di lava che hanno riempito la voragine craterica. Queste, s’intende, sono diramazioni le quali partono dal tronco della colonna magmatica (1) Parascandola A. Notizie vesuviane. Lo stato del Vesuvio nel 18 e 25 marzo 1947. Bollettino Soc. Nat,, voi. LVI. Napoli, 1947. — 229 — mediana, o centrale, che culminerebbe con il suo lume all’apice del conetto eruttivo sul piano craterico. Va da sè, che queste diramazioni si originano nelle zone più alte del condotto. Con questo, però, non dobbiamo intendere che tali intrusioni si dipartano esclusivamente dalle predette zone, per¬ chè la osservazione ne fa rilevare la esistenza anche nelle parti più basse del camino, all’altezza quasi del fondo craterico. Del resto è ovvio che gli efflussi laterali debbono dipartirsi di¬ rettamente dalla colonna magmatica, senza cioè le predette multiple e tortuose insinuazioni nella massa dell’edifizio del vulcano. Le in¬ trusioni, però, della natura anzidetta, o meglio derivazioni dalla co¬ lonna magmatica centrale, debbono vincere la resistenza opposta dai vari strati lavici, e quindi debbono presupporre una spinta od una alimentazione derivante dalle porzioni terminali del condotto; le quali spinte, od alimentazioni, sono in funzione della velocità e co¬ piosità di ascesa della colonna, ed altresì in funzione delle varie in¬ filtrazioni che questo stesso filone-strato, dipartendosi dalla colonna centrale, invia qua e là fra altri gusci lavici, dando luogo a semplici infiltrazioni non venienti a luce, oppure estuberantisi in altri efflussi lavici terminali pullulanti sul piano craterico, od emergenti quali efflussi sub terminali. Per tali condizioni, è ovvio, gli efflussi lavici terminali non pos¬ sono con facilità raggiungere i centri abitati; inoltre le varie oscil¬ lazioni che la colonna magmatica subisce, non ne possono garantire l’alimentazione continua. Per contro se la colonna lavica col suo peso in concomitanza di altre cause, quale, per esempio, la spinta magmatica della colonna saliente pervasa da gas sotto notevole pressione, viene a sfondare il fianco del Gran Cono non più come un semplice filone-strato, ma come un poderoso emuntorio alimentato dal grosso della colonna mag¬ matica, e quindi da una potente diramazione laterale, lo squarcio diviene, così, largo, profondo e persistente. Tali squarci profondi e persistenti possono essere di natura effusiva e di natura esplosiva; nel caso nostro, il primo ha dato lo squarcio di Nord, il secondo l’imbuto craterico occidentale. Ed ora fo ancora alcune considerazioni : Il conetto del 1944 poteva benissimo essere crollato nell’attuale voragine, così come sarebbe crollata qualsiasi apofisi magmatica, direttamente veniente dalla colonna stessa, o da qualche apofisi di essa, senza che quel tale eventuale conetto derivatore rappresen- — 230 tasse necessariamente il luogo di emergenza diretto e stabile della colonna magmatica, la quale dal suo tronco principale manda dira¬ mazioni varie nella sua ascesa alla luce. Ciò sta a dire che il condotto vulcanico vero e proprio, nel suo tronco principale continuo, cioè non ramificato, si trova molto al di sotto dell’attuale piano del fondo craterico, il quale non rappresenta il tappo della colonna magmatica considerata nel suo tronco princi¬ pale; forse il fondo craterico attuale si trova su un condotto secon¬ dario derivato dalla colonna magmatica principale estrinsecante ef¬ flussi lavici, mentre il predetto condotto, spostato ad occidente, era esplodente. Come ho fatto già altre volte rilevare, nella eruzione del 1944 dobbiamo ammettere che la colonna magmatica abbia dato una dira¬ mazione occidentale, dalla quale si è estrinsecato il materiale piro¬ clastico, e sul lume di tale condotto esplosivo si è originato l’attuale cratere. Evidentemente il magma era talmente ricco di vapori da essere indotto ad aprirsi una nuova via. Che straordinaria ricchezza e potenza di vapore vi sia stata, è evidentemente dimostrato da quello che possiamo chiamare il « ponte aereo » della estrinsecazione magmatica; cioè la grande fiumana di lapillo coevo che si è diffuso nel settore di NE - SW. Ed inoltre la evacuazione della parte più profonda e specificamente più pesante del bacino, dando luogo a quella estrinsecazione così ricca di grandi cristalli di augite, come ho detto in un altro lavoro, è la dimostra¬ zione più chiara di così strabocchevole massa di vapori. Il materiale piroclastico, occludendo il condotto secondario, ha formato un tappo il quale forse è disceso, fino all’innesto del camino principale, se non l’ha pure oltrepassato in parte. Questo camino principale comunque è quello che manifesta per ora, quantunque attraverso un filtro piroclastico, le sue condizioni interne. Il fatto che rinveniamo questi laccoliti, con dicchi ed extravasa- zioni, ci sta a dire che il conetto con la sua instabilità di ubicazione è il segno più manifesto delle numerose apofisi magmatiche, le quali possono farsi strada sulla piattaforma craterica, sia per cammino ver¬ ticale, sia obliquato, con o senza piccole formazioni laccolitiche as¬ sociate a filoni-strati. In quest’ultimo caso noi possiamo avere un conetto molto lon¬ tano dall’asse della colonna magmatica, ed in posizione molto vicina all’orlo craterico. Sicché stando alla morfologia craterica, la colonna magmatica, nel suo tronco principale, è al di sotto dell’attuale fondo — 231 — craterico, il quale corrisponde alla parte crollata dell’antica sopra¬ stante piattaforma craterica; quindi la colonna magmatica principale, se pure investe m profondità parte dell’area dell’attuale fondo cra¬ terico, si estende anche sotto il mantello della piattaforma non crol¬ lata attraversandola; solo che sul fondo attuale tale testa non dà nes¬ suna manifestazione esterna, mentre sulla parte centrale dell’orlo piroclastico orientale vi sono le manifestazioni di natura termica e chimica a noi note; ivi il condotto sale nella compagine di riempi¬ mento lavico effettuatosi dal 1913 al 1944, che colmò l’ampia e pro¬ fonda voragine craterica del 1906. 20 marzo 1951. Mi recai sul versante di Boscotrecase a quota 800, e notai che la temperatura massima era raggiunta dalla buca a lenorite (n. 6) col valore di 445°C. Il n. 8 aveva la temperatura di 435 C. La ventarola (n. 1) di questo versante, che, come ho già fatto rilevare, alcune volte era freddissima ed altre volte era calda, rag¬ giunse la temperatura di 250°C. Un fatto che potrebbe avere un notevole interesse in questo versante meridionale è la formazione di una forte ventarola , mani¬ festatasi sulla prima macchia gialla extracraterica e che si udiva a circa 10 m. di distanza con forte sibilo. Tale ventarola era ubicata su di una spaccatura profonda oltre un metro (non vi erano mezzi adatti per accertare la precisa pro¬ fondità), larga circa 10 cm. e lunga circa 15 m. Tale spaccatura era di recente formazione. Il fumo della prima macchia gialla extracraterica usciva copioso ed a intervalli, come se pulsasse. Confermo ancora, in questo versante, il frequente rinvenimento di proietti esclusivamente pirossenici, costituiti da sola augite, i quali, per giunta, erano costituiti da individui ben cristallizzati; ed inoltre frequentissima era l’olivina, sia in cristalli isolati, sia in noduli della grandezza di una grossa noce. 27 marzo 1951. Quota 800. N. 1, T = 230°C » 2, T = 300°C N. 6, T = 380°C » 7, T = 300° C N. 3, T = 390°C » 4, T = 360°C — 232 — N. 8, T = 370°C La temperatura della prima macchia extracraterica era di 350°C. 28 maggio 1951. Giunto sull’orlo occidentale del cratere, potetti constatare che la fenditura trasversa alle generatrici esistenti alle spalle del pinnacolo aveva assunto ormai la larghezza di oltre un metro. La fumarola del corno sinistro della slabbratura di NW era de¬ bolmente fumigante, solo la fumarola A della conoide di NW fumava (ore 14); la mattina però, alle ore 10, non fumigava. La spaccatura della prima macchia gialla exlracraterica , già ci¬ bata nell’escursione del 20 maggio, aveva la temperatura di 340°C (ore 15). Per tutta la lunghezza di tale spaccatura con continuità si svol¬ geva copioso vapore. Proseguendo verso l’alto, questa frattura si di¬ ramava in tante altre, che si intersecavano poligonalmente. Seguendo tale spaccatura e rimuovendo la debole crosta che ricopriva l’allinea¬ mento della fenditura principale, nonché quella delle fenditure dira- mantisi, si osservava che le labbra mantenevano una distanza media di circa 15 cm. La profondità di questa fenditura, dove fu possibile misurarla, giunse fino ad un metro e mezzo, per quanto consentivano i mezzi a nostra disposizione; però ancora più giù si protraeva; sicché se la lunghezza del mezzo ce lo avesse consentito, avremmo ottenuto pro¬ fondità maggiori. Anche lungo il crinale craterico dell’orlo di SE si aveva tutto un andamento di fenditure, e precisamente lungo l’orlo corrispondente alla quota 1244, ed ancora segni di avvallamento tra¬ sversale si protraevano lungo il pendio sottostante che conduce alla prima macchia gialla extracraterica. Qui l’odore di cloro era molto manifesto. Procedendo da E verso N, lungo il ciglio orientale si no¬ tavano tre ordini di terrazze da scoscendimento. Forti e ben distinti si avvertivano gli odori del Gl e dell’HCl. Forte era l’odore di cloro, che avvertii sull’orlo sovrastante la prima macchia gialla intracra- terica. A Sud dell’orlo craterico, presso la capannuccia , si affaccia — sotto il mantello piroclastico con fronte ad occidente — la vecchia — 233 — piattaforma attraversata da filoni della nuova lava. Questa parete, la quale aveva già subito precedenti piccole frane, tende a rilasciarsi ancora di più (Tav. IX, fig. 2 e 3). 1 giugno 1951. Quota 800. N. i, T = 260°C N. 6, T = 410°C » 2, T = 350°C » 7, T = 300°C » 3, T = 410°C » 8, T = 300°C » 4, T = 330°C 11 giugno 1951. Quota 800. N. 1, T = 250°C N. 6, T - 400 °C » 2, T = 340°C » 7, T = 310°C » 3, T = 400° C » 8, T = 300°C » 4, T = 360°C 20 giugno 1951. Quota 800. N. 1, T 1 240°C » 2, T = 350°C » 3, T 1 400°C » 4, T = 350°C N. 6, T = 410°C » 7, T = 300°C » 8, T = 320° C 22 giugno 1951 (1). Dalle fumarole della conoide di NW solo la A fumava copiosa¬ mente; normale, senza accentuazione alcuna, era la fumigazione della fumarola del corno sinistro della slabbratura di NW (ore 12,35). (1) Ascensione da Nord. Di tale escursione diedi relazione nella tornata or¬ dinaria della Società dei Naturalisti in Napoli del 27 giugno 1951. (Boll. Soc. Nat. Napoli, voi. LX, 1951, Proc. Verb., pag VI). — 234 — Sulla fascia piroclastica orlante la parete di SE in corrispondenza del tratto che da quota 1244 declina alla capannuccia, vi erano due fuma¬ role (ore 12,45). Mentre ci avvicinavamo alla prima macchia gialla extracraterica tore 13,45), il vento portava a noi un forte odore di cloro. La sud¬ detta macchia gialla extracraterica al suo apice non presentava odori, ma verso la base (ore 14) era forte l’odore di acido cloridrico. La temperatura ivi riscontrata fu di 350°C. La seconda macchia gialla extracraterica, situata a E-NE, sul fascio di generatrici che condu¬ cono alla prima macchia (quota 1240 circa) che si presenta siccome un rilievo tondeggiante, aveva la temperatura di 150°C. Tutto il fianco del mantello piroclastico che conduce a questa macchia, era attraversato da numerose fenditure lungo le generatrici del mantello piroclastico del 1944. Tali fenditure erano profonde oltre un metro e presentavano una larghezza di 6-7 cm.; vi si avver¬ tiva forte l’odore del cloro e dell’acido cloridrico. Quota 800. N. 1, T = 250°C (ventarola) » 2, T = 380°C » 3, T = 385°C » 4, T = 300°C Come si vede, la termalità più alta è conservata dalla buca della tenorile (n. 6), mentre è in continuo decremento nei valori termici il n. 8, che aveva raggiunto il valore di 595°. N. 6, T = 425°C » 8, T = 330°C 3 luglio 1951. Quota 800. jN. 1, T = 250°C » 2, T = 420°C » 3, T = 400°C » 4, T = 350°C N. 6, T = 400° C » 7, T = 340°C » 8, T •= 350°C — 235 — 10 luglio 1951 Quota 800. N. i, T = 250°C » 2, T = 410°C » 3, T = 405 °C » 4, T = 330°C 20 luglio 1951. Quota 800. N. 1, T = 250°C » 2, T = 420°C » 3, T = 400°C » 4, T = 330°C 27 luglio 1951. Quota 800. N. 1, T = 250°C » 2, T = 425°C » 3, T = 405 °C » 4, T = 280° C 4 agosto 1951. 1 agosto 1951. N. 1, T = 250°C » 2, T = 425°C » 3, T = 405 °C » 4, T = 280°C 12 agosto 1951. Quota 800. N. 1, T = 255°C » 2, T = 420° C N. 6, T = 395’C » 7, T = 345°C » 8, T = 345 °C N. 6, T = 400°C » 7, T = 350°C » 8, T = 350’C N. 6, T = 410°C » 7, T = 350°C » 8, T = 355°C N. 6, T = 410°C » 7, T = 350°C » 8, T = 355°C N. 6, T = 415JC » 7, T 1 355°C — 236 — N. 8, T = 360°C N. 3, T = 410°C » 4, T = 280°C 19 agosto 1951. Quota 800. N. 1, T = 250°C » 2, T = 415°C » 3, T = 405 °C N. 6, T = 420°C » 7, T = 350°C » 8, T = 345 °C 25 agosto 1951. Quota 800. N. 1, T = 250°C » 2, T = 330°C » 3, T = 350°C N. 6, T = 390°C » 7, T = 320°C » 8, T = 310°C 9 ottobre 1951. Quota 800. N. 1, T = 230°C N. 6, T = 380°C » 2, T = 360°€ » 7, T = 300°C » 3, T = 310°C » 8, T = 290 3 C’ 20 ottobre 1951. Quota 800. N. 1, T = 230°C » 2, T = 360°C » 3, T = 320°C N. 6, T = 350°C » 7, T = 300°C » 8, T = 280°C 30 ottobre 1951. Quota 800. N. 1, T = 220°C » 2, T = 365°C » 3, T = 320°C N. 6, T = 340°C » 7, T = 300°C » 8. T = 260°C — 237 10 novembre 1951. Quota 800. N. 1, T = 200°C » 2, T = 350°C » 3, T = 320°C 21 novembre 1951. Quota 800. N. 1, T = 260°C » 2, T = 340°C » 3, T = 300°C » 4, T = 250°C 29 novembre 1951. Quota 800. N. 1, T = 230°C » 2, T = 330°C » 3, T = 290°C 5 dicembre 1951. Quota 800. N. 1, T = 220°C » 2, T = 340°C » 3, T = 300°C 27 dicembre 1951. Quota 800. N. 1, T = 200°C » 2, T = 330°C » 3, T = 310°C M. 6, » 7, » 8. N. 6, » 7, » 8, N. ó, » 7, » 8, N. 6, » 7, » 8, N. 6, » 7, » 8, T = 310°C T = 280°C T = 250"C = 300°C = 280°C = 310°C T = 3003C T = 260°C T = 250°C, T = 300°C T = 270°C T = 230° C T = 320’C T = 300”C T = 250°C — 238 — LO STATO DEL VESUVIO ALLA FINE DEL 1951. Siamo alla fine del 1951, a circa tre mesi per raggiungere l’ottavo anniversario deH’eruzione vesuviana del marzo 1944, e sarà oppor¬ tuno dare uno sguardo alle presenti condizioni del nostro vulcano, che fino ad oggi non ha nè sturato il tappo del materiale piroclastico che è sul fondo del cratere, nè si è aperta altra via sull’orlo del cra¬ tere o sulle pendici. Il Vesuvio riposa ancora, ossia non ci dà segni di quella che noi sogliamo chiamare attività , ma che dovrebbe chiamarsi « attività ma¬ nifesta » per distinguerla da quella « latente » che a noi si rende nota con alte tennalità e vapori acidi e con produzioni minerali con¬ nesse con le elevate temperature. L’orlo craterico si va continuamente rilasciando, in specie da NW a S. La spaccatura del fianco Nord del Gran Cono, che si gene¬ rò nell’eruzione del 1944 con fuoriuscita del magma, mantiene sempre la sua alta termalità aggirantesi intorno ai 360°C, e presenta sempre, vapori acidi. Ho spesso insistito nel richiamare l’attenzione sia sulla prima macchia gialla extracraterica , nel settore di SE, sia sulla venta¬ rola che è su di essa e che sussiste ancora forte. I valori termici di tale macchia gialla sono stati oscillanti da 361°C a 401°C. Sull’orlo craterico orientale i vapori acidi persistono tenacemente e si acui¬ scono. Sulla base meridionale dei Gran Cono, a quota 800. la termalità persiste alta per vasto tratto, ma non ha raggiunto più il valore di 595°C; discende nei periodi piovosi per subito iniziare l’ascesa con notevoli oscillazioni, e la massima temperatura raggiunta in fine di¬ cembre è stata di 330°C. Non mi è stato possibile attuare il piano che mi ero prefisso, ma non abbandono l’idea di fare tentativi di profondo scavo per togliere il mantello piroclastico altamente termico dove esso è probabilmente meno spesso e raggiungere la sottostante sorgente termica a massa continua, per constatarne la natura e quindi dedurne se sono lave del 1942 riscaldate da altra fonte o siano teste dei polloni lavici in¬ trusi. Di fronte a tutta questa manifestazione esterna, che cosa fa il fondo craterico? E’ freddo, ed una sola attività presenta la sua ca¬ vità, cioè, quella fumarolica lungo la conoide di NW. Durante tutto quest’anno, alternativamente le fumarole erano attive o non fumi- — 239 ganti; in quest’ultimo mese tutte le quattro fumarole sono in atti¬ vità. Siamo a più di sette anni e nove mesi di riposo dopo il paros¬ sismo del marzo 1944; è questo, fino ad ora, il periodo più lungo di riposo del Vesuvio nei suoi cicli di attività dopo il 1631. Ha supe¬ rato di sei mesi il riposo (1) intercorso tra l’eruzione del 1906 e la ììapertura del 1913. Mentre in quell’epoca, già due anni prima del 1913, si verifi¬ cavano fenomeni molteplici, come depressioni del fondo, fumarole varie dell’anello del fondo, della piattaforma del fondo e degli im¬ buti di sprofondamento, tutto ciò ora non si verifica sul fondo del nostro cratere. O il tappo è così potente che non ha raggiunto a causa dell’attività magmatica sottostante uno spessore tale da presen¬ tare cedimento, o vi è qualche altro ramo della colonna magmatica che lavora attraverso la massa della porzione dell’antica piattaforma craterica non crollata e che si manifesta, come abbiamo visto, preva¬ lentemente nel settore mediano dell’orlo craterico orientale. Dopo il 1906 tutto il Gran Cono fu decapitato e quindi la co¬ lonna magmatica su di un punto del fondo craterico doveva venire a luce con qualche pollone essendo tutta esposta. Ora che invece non tutta la piattaforma è crollata, ci sono possi¬ bilità che qualche pollone abbia trovato più facile via nella massa della piattaforma craterica orientale che non ha avuto collassi. Ciò, pare, spiegherebbe la maggiore attività termica negli orli craterici, ma non ci induce ancora a concludere sul punto in cui si riaprirà il nuovo condotto. Notizie vesuviane per l’anno 1952. 4 gennaio 1952. Quota 800. N. 1, T = 195°C N. 6, T = 320°C » 2, T = 330°C » 7, T - 305 °C » 3, T = 300°C » 8, T - 240°C (1) Di due mesi ha superato il riposo che si ebbe dopo l’eruzione del 1737. — 240 — 12 gennaio 1952 , Quota 800. N. 1, T = 280°C » 2, T = 325°C » 3, T = 300°C » 4, T = 250°C 20 gennaio 1952. Quota 800. N. 1, T = 190°C » 2, T = 320°C » 3, T = 300°C N. 6, T = 330°C » 7, T = S]0°C » 8, T = 290°C N. 6, T = 335°C » 7, T = 320°C » 8, T = 330°C 29 gennaio 1952. Volendo conoscere la temperatura della prima macchia gialla intr acraterica e non essendovi facile l’accesso, nè scevro da pericoli (ora le guide per condurvi i forestievi vi hanno fatto un comodo sentiero), la mia guida di fiducia Angelo V itujlano, altrettanto desi¬ deroso di conoscere le cose come stessero e per giunta sollecito di soddisfare il mio desiderio, si prestò a scendere lui, con le dovute precauzioni, non appena possibile, studiando il modo più sicuro di accedervi. Difatti il giorno 29 gennaio discese sul pendio interno di tale macchia che è sulla generatrice del Gran Cono comprendente anche la seconda macchia gialla extracraterica. Ivi constatò che la fascia superiore della zona della macchia era calda, ma a temperatura non elevata presentandosi umida; invece la fascia sottostante, quella cioè più vicina all’orlo della parete verticale affacciantesi nel cratere, pre¬ sentava la temperatura di 450°C, alle ore 11,30 e a 35 cm. di profon¬ dità. Si è avuta così la possibilità di rilevare, e susseguentemente stu¬ diare, una zona altamente termica fino ad ora sconosciuta. Sulla prima macchia gialla extracraterica , lì dove è la ventarola la quale tutt’ora permane (e che già presentava una fenditura lungo la generatrice che contiene tale linea termica), si era prodotto un — 241 — accasciamento di materiale piroclastico a forma di imbuto, del dia¬ metro di circa un metro. La profondità di tale fenditura non era individuabile; solo si può dire che un bastone di circa 2 metri in essa calcato fu del tutto assorbito. La temperatura della suddetta macchia gialla era di 300°C. Sulla zona termica di quota 800 nella buca della tenorile (n. 6) la temperatura riprendeva ad aumentare raggiungendo 375°C, dopo aver subito un graduale abbassamento dal 19-8-51 (420°C) al 5-12-51 (300°C). Sulla restante parte della zona il massimo valore era di 340° C. Sul colle Alfano (n. 2) (1) gli altri valori della zona furono: N. 1, T = 180°C (ventarola) N. 7, T = 320°C » 3, T = 300°C » 8, T = 310°C (osservazioni condotte intorno alle ore 14). Mi riferisce la guida Vitulano che il giorno 22 corrente, verso le ore 20,30, fu avvertita a Boscotrecase una scossa di natura ondu¬ latoria; il padre e i familiari stando a letto l’avvertirono; così anche in tutto il paese fu avvertita. 4 febbraio 1952. Quota 800. N. 6, T = 390°C » 7, T - 340°C » 8, T = 250°C N. 1, T = 140°C » 2, T = 340°C » 3, T = 280°C 6 febbraio 1952. La prima macchia gialla extracraterica aveva la temperatura di 360°C. (1) Dove il 27 giugno si raggiunse la temperatura di 550°C. 16 — 242 — 10 febbraio 1952. Quota 800. N. i, T - 160°C N. 6, T = 400°C » 2, T - 340°C » 7, T = 330°C » 3, T = 280°C » 8, T = 60°C Il punto termico n. 8 era umido ed emetteva molto vapore. 12 febbraio 1952. Pochi minuti dopo mezzogiorno (circa le ore 12,12) iniziò nella parete Nord un movimento franoso, che si accentuò verso le ore 13,30, la qual cosa provocò gran panico tra i visitatori. 13 febbraio 1952. Dalla stessa parete sovrastante alla fumarola Mercalli avvenne una frana verso le ore 8,15. Il materiale di queste frane ricoprì il fondo craterico. La roccia dalla quale fuoriusciva la fumarola del corno sinistro della slabbratura di NW si presentava con le fenditure molto allar¬ gate. La spaccatura trasversale alle generatrici del Gran Cono, che decorre da un capo all’altro della slabbratura ad U interessando la zona retrostante al pinnacolo , si era allargata ancora di più. Inoltre le spaccature che sono lungo il sentiero sull’orlo craterico che per ovest e sud porta alla capannuccia (quota 1170), si erano di molto approfondite. 14 febbraio 1952. Delle 4 fumarole della conoide di NW che avevano sempre fu¬ mato, ora essendo coperte del materiale delle frane, nella mattinata del 14-2-1952 solo la C fumava. — 243 — Quota 800. N. 1, T = I80°C N. 6, T = 410°C » 2, T = 320°C » 7, T = 320°C » 3, T = 280°C » 8, T = 60°C (umida) 19 febbraio 1952. Il Vesuvio, osservato da Napoli, essendo coperto di neve, mostrava come sempre ben visibile l’orlo vecchio settentrionale sul quale la neve non si depositava, per cui appariva come una vasta fascia nera. Il mantello piroclastico, poi, del 1944, che si adagia sulla vecchia piattaforma, mentre era tutto coperto di neve lasciava vedere al nord una macchia nera, la quale era circondata dalla rimanente parte tutta ammantata di bianco. Questa macchia veniva a trovarsi presso a poco sullo stesso settore della frana caduta il 12-2-52. Sulle interne pendici crateriche di sud-est, lì dov’è il canalone delle frane (quota 1244), e che è sullo stesso allineamento della prima macchia gialla extracraterica , si andava formando un’altra zona di macchie gialle; e ciò su zona completamente asciutta. Sulla prima macchia gialla intr acraterica, dove il 29 gennaio fu riscontrata la temperatura di 450°C, si era formata una fenditura dalla quale si vedeva uscire un fumo abbastanza denso e copioso. Bisogna ricordare che tale macchia gialla intracraterica è lungo lo stesso settore di generatrici (o lungo la stessa generatrice) dove tro¬ vasi la seconda macchia gialla extracraterica. Quando dall’orlo che sovrasta la prima macchia gialla intracraterica vogliamo arrivare alla seconda macchia gialla extracraterica di E-NE dobbiamo attraversare p$ù fratture trasversali alle generatrici del mantello piroclastico (come feci già rilevare in una precedente relazione). Qualcuna di queste fenditure era relativamente larga e profonda, per lo meno oltre il metro. Da queste fenditure usciva dove cloro, dove acido cloridrico, e mentre la temperatura della prima macchia gialla intracraterica dianzi detta era così elevata, quella della se¬ conda macchia gialla extracraterica di E-NE invece superava di poco 100°C. A quota 800, versante di Boscotrecase, nella buca della tenorite (n. 6), la temperatura andava sempre aumentando e dai valori di — 244 — 390°C e 4Q0°C, rispettivamente il 4-2 e il 20-2, era salita a 410°C oel dì 14-2-1952. Il luogo dove invece, constatai la temperatura massima di 595°C, vale a dire al n. 8, non presentava più valori così elevati, poiché la sua attività si risolveva a sviluppo di vapore: non era quindi asciutta ed il valore termico era bassissimo, perchè raggiungeva ap¬ pena 60°C. 20 febbraio 1952. L’ascensione al Vesuvio fu ostacolata dalla grande nevicata, che aveva mascherato del tutto il sentiero Nord, e dal forte vento di tra¬ montana, che ostacolava le osservazioni e rendeva pericolosa la per¬ manenza sul cratere. Strisciando, mi fu possibile giungere sull’orlo e constatare il fondo coperto di neve. Fu possibile altresì constatare da vicino quanto il giorno precedènte avevo osservato da Napoli; cioè il vecchio orlo craterico settentrionale spiccante col suo color nero per l’assoluta mancanza di neve (zona termica), e la macchia nera (altra zona termica) sul mantello piroclastico del 1944 (Tav. X, fìg. 1). 27 febbraio 1952 (ore 12). Asceso al cratere per la strada Matrone settentrionale, osservai che le pareti occidentali e sud-occidentali crateriche erano copiosa¬ mente fumiganti ed il pinnacolo era molto lesionato. La fumarola, che è a 50 m. circa al di sotto dell’orlo interno craterico meridionale, in corrispondenza cioè della capannuccia , e che è stata sempre quando più, quando meno attiva, in tal giorno era particolarmente copiosa e violenta e si manifestava come un getto quasi normale alla parete interna craterica. Sotto la spaccatura della fumarola del corno destro della slab¬ bratura dell’orlo di NW si era stabilita la vegetazione di muschio, siccome già osservammo al pinnacolo. Bisogna rilevare che la parete occidentale presentava macchie gialle; ed anche le lave del 1944 al di sotto del mantello piroclastico si trovavano già policrome per alterazione acida; e così anche incominciava a diventare policromo il materiale vecchio, in qualche zona sottostante all’anzidetta lava nuova alterata. Dalla parete orientale craterica si erano distaccate per frana- — 245 — menti, tre nuove fette, che per la loro irregolarità determinavano forme alquanto cavernose le quali facilitavano l’ulteriore precipi¬ tazione delle pareti soprastanti. La prima macchia gialla intracraterica diede, per tutto il periodo della osservazione, piccole colonne di fumo ad intermittenza, ossia si presentava un poco quiescente e un poco fumigante. La batteria di fumarole sita lungo la frattura che dall’orlo cra¬ terico, quota 1244, scende sulla prima macchia gialla extracraterica , lasciava sfuggire con violenza il vapore. Per constatare se la fenditura avesse o meno continuità, pensai di immettere sostanze fumogene e profumate (1) sullo sprofonda¬ mento a scodella ch’è sulla prima macchia gialla extracraterica; constatai così che tale fenditura raggiungeva quasi l’orlo del cratere. Ciò fatto, a maggior conferma, allargai le labbra della fenditura in tutta la sua lunghezza, ossia per tutta la linea fumante, cioè a par¬ tire dalla macchia gialla sino all’orlo del cratere, e maggiormente confermai la continuità della fenditura stessa (Tav. XI, fig. 1). Dalla suddetta macchia gialla extracraterica proseguendo oltre a salire per le pendici fino a giungere sull’orlo a quota 1244, quota del canalone, si avvertiva sempre l’odore del cloro che si acuiva sulla prima macchia gialla intracraterica, mentre appena vi si avver¬ tiva l’odore dell’acido cloridrico. L’orlo craterico vecchio di NE fu¬ mava fortemente (Tav. X, fig. 2). 29 febbraio 1952. Quota 800. N. 1, T = 110°C » 2, T 3 320°C » 3, T = 310°C 12 marzo 1952. Quota 800. N. 1, T = 100°C » 2, T = 310°C » 3, T = 300°C (1) Vi immisi copioso incenso. N. 6, T = 380°C » 7, T = 520° C » 8, T = 330°C » 9, T = 350°C N. 6, T = 390°C » 7, T - 320°C » 8, T - 320°C » 9, T = 380°C — 246 — 17 marzo 1952 (1). Le fumarole della fascia piroclastica orlante la parete craterica orientale erano molto attive. Fra tutta questa attività fumarolica la prima macchia gialla intracraterica non manifestava fumigazione a causa dell’alta tempertura; si aveva fumigazione, invece, al confine tra la zona gialla della macchia e la zona marrone di lapillo, che era umida, per il riscaldamento che subiva dalla sottostante zona alta¬ mente termica; i vapori uscivano con copiosità, violenza ed inter¬ mittenza; forte era l’odore del cloro; così anche non fumava la se¬ conda macchia gialla intracraterica. La zona delle guglie (Tav. XI, fig. 2) era fortemente umida e fumante. Qui cade acconcia una osservazione morfologica: a sinistra guar¬ dando la prima macchia gialla intracraterica , si notano delle guglie, le quali a prima vista hanno Paspetto di piramidi d’erosione; ma in realtà non sono tali, bensì costituiscono la parte superiore di un magma estremamente fluido, che, come un mare ribollente ad onde successive rincalzantisi per un continuo apporto endogeno, davano, dilagando per la piana craterica, creste e guglie, sprigionando co¬ piosi vapori che rendevano molto aerata, porosa, sarei per dire, la parte superiore di detto magma. Basta osservare una comune sezione di tale lava o al cratere o lungo i tagli di talune cave (non sempre così eloquenti come al cratere) per convincersi come gradualmente da questi cc cimoni » lavici (così vengono localmente chiamati) si passi al magma compatto sottostante. Nel caso in parola si tratta del magma della eruzione del 1914 estuberantesi dal camino o dai vari polloni. La fumarola A della conoide di NW fumava; superiormente a questa, lugo la stessa conoide, si osservava un'altra sfuggita di vapore; attiva fumigazione manifestavasi dalla parete sud presso la capan - miccia , al confine tra il materiale lavico e quello piroclastico. Tale fumigazione si estendeva per una fascia di circa 10 m. al di sotto di tale mantello, attraverso il materiale lavico. Alle ore 15,30, perlustrando l’orlo craterico che da sud presso la capannuccia culmina a quota 1244 dov’è il canalone, si notava sul sottostante pendio interno uscire, tra i densi fumi che pervadevano questa fascia piroclastica, uno sbocco ritmico di vapori. (1) L’escursione fu fatta con il barone Luca Massa, il figlio dr. Salvatore, Ting. Vittorio Lama e le guide Vitulano e Scognamiglio. — 247 — A partire dal canalone tutta la fascia di materiale piroclastico dell’orlo sull’interno pendio, fino alla prima macchia gialla intra- craterica, si divideva in due zone; una asciutta: la inferiore; l’altra umida: la superiore. L’asciutta corrispondeva a zona ad alta ter- malità. Sulla seconda macchia gialla extracraterica fortissimo era l’odore del cloro. La temperatura della prima macchia gialla extracraterica fu di 300° C. 24 marzo 1952 (1). La spaccatura del corno sinistro della slabbratura di NW era poco fumigante; debolissima addirittura; e così era anche debole tutta la fumigazione sul pendio della fascia piroclastica orlante la parete craterica orientale. A partire dall’orlo craterico, a quota 1244, cioè dal canalone , e scendendo giù passando per la prima macchia gialla extracraterica, fino all’orlo vecchio del 1944, perdurava tutto un allineamento fuma- rolico, come già osservato il 27-2-1942. Faccio rilevare che la fascia piroclastica del pendio interno che parte dalla capannuccia e va al canalone era pure attivamente fu¬ mante. Anche le pareti occidentali presentavano ben accentuata attività fumarolica. La prima macchia gialla intrac r ater ica verso le ore 13 era fumante, ma verso le ore 16 non mostrava attività fumarolica. Persisteva l’attività fumarolica sulla parete sud sottostante alla capan¬ nuccia. La parete a sinistra della conoide, tanto nella zona di contatto tra il materiale lavico vecchio e nuovo, quanto sul materiale pirocla¬ stico del 1944, sovraincombente tali lave, presentava una vasta vege¬ tazione di muschio. La temperatura della prima macchia gialla intra- craterica fu di 510°C. La temperatura della prima macchia gialla extracraterica fu di 300° C. La parete craterica sottostante al canalone a circa metà della sua altezza presentava sub-escavazioni in due punti: segno di pros¬ simo distacco. Lieve odore di idrogeno solforato si avvertiva sull orlo occiden¬ tale all’altezza della zona solfatarica del fondo craterico. (1) Ascensione effettuata dal versante Nord con gli studenti della Facoltà di Agraria. — 248 — 27 marzo 1952. Quota 800. N° 1, T = 120°C » 2, T = 320°C » 3, T = 320°C N° 6. T = 390°C » 7, T = 310°C » 8, T = 310°C » 9, T = 380°C 30 marzo 1952. In tale data salii al Vesuvio, accompagnando il prof. Wagner di mineralogia e geologia dell’Università di Tiibingen ed i suoi stu¬ denti. Salimmo prima da Nord e poi ridiscendemmo; ci portammo da Sud per Boscotrecase alla zona termica di quota 800. Nulla di note¬ vole vi era da segnalare rispetto alla escursione precedente. 5 aprile 1952. Quota 800. N° 6, T = 380’C » 7, T = 310°C 13 aprile 1952. Quota 800. N° 6, T = 380° C » 7, T = 300°C 21 aprile 1952. Quota 800. N° 6, T = 370°C » 7, T = 300°C N° 8, T = 340°C » 9, T = 360°C N° 8. T = 330°C » 9, T = 360°C N° 8, T = 250°C » 9, T = 350°C — 249 — 1 maggio 1952. Quota 800. N° 1, T = 140°C » 2, T = 330°C » 3, T = 320°C » 6, T = 370°C N° 7, T = 300°C » 8, T = 300°C » 9, T = 350°C 15 maggio 1952. Quota 800. N° 1, T = 140°C » 2, T = 300°C » 3, T = 310°C » 6, T = 380° C N° 7, T = 320°C » 8, T = 300°C » 9, T = 350°C 21 maggio 1952. Quota 800. La temperatura della spaccatura Nord del Gran Cono fu di 282°C. 22 maggio 1952. Quota 800. N° 1, T = 145°C » 2, T - 320°C » 3, T = 330°C » 6, T = 380°C N° 7, T - 310°C » 8, T = 300°C » 9, T = 360°C 23 maggio 1952. La temperatura della spaccatura Nord del Gran Cono fu di 237°C, e vi si avvertiva odore di cloro. — 250 — 27 maggio 1952 (1). Ascendendo al cratere per il lato settentrionale, ad un centinaio di metri prima di raggiungere la spaccatura a Nord del Gran Cono dalla quale uscì l’efflusso lavico sub-terminale del 1944, notai una chiazza sterile di tre metri quadrati dove il lapillo non si poteva assolutamente toccare con mano; tale punto era proprio dove la strada descrive la prima curva, dopo quella che inizia con il tabellone indi¬ catore che porta la dicitura « Valle dell’Inferno ». Qui la temperatura massima riscontrata fu di 245°C a 80 cm. nel lapillo; a 30 cm. di profondità la temperatura fu di 230°C. Il mantello piroclastico del 1944 in questo settore presentava diverse batterie di fumarole, ed altre ancora erano localizzate al con¬ tatto tra la vecchia piattaforma ed il materiale piroclastico del 1944 su di esso imposto. Sulla prima macchia gialla intr acraterica persisteva una fumarola che emetteva ad impulso i suoi vapori (2). Persisteva la fumarola sulla parete Sud a circa 50 m. al di sotto dell’orlo, a quota 1170, presso la capannuccia. Piccoli franamenti si verificarono dall’orlo Nord durante la nostra permanenza sul cratere. Al limite della pa¬ rete Sud, a contatto con il fondo craterico, c’era una macchia bianca, in qualche punto più viva, ma che, a quanto mi veniva detto, talvolta appariva di bianco intenso. Circa 20 giorni prima era stata avvertita una scossa sussultoria verso le ore 14, mentre circa un mese prima nella capannuccia sull’orlo Sud si avvertì uno stesso tipo di scossa; e dal mese di marzo in poi altre due o tre scosse ondulatorie si erano avvertite, che facevano tintinnare i bicchieri del piccolo bar della capannuccia. Sull’orlo craterico sovrastante la prima macchia gialla intracraterica si avvertiva solo l’odore del cloro, mentre più in giù, sulla detta macchia dove la temperatura raggiunse i 520°C, si avver¬ tiva anche l’odore dell’acido cloridrico, così forte da non poter resi¬ stere, e da rendere difficoltoso il procedere delle sperimentazioni. Più a Nord del punto a 520°C della suddetta macchia gialla, la tempera¬ tura a circa 10 cm. di profondità raggiungeva i 350°C dopo 3 minuti; & cm. 2 dopo 2 minuti raggiungeva 200°C. In questa zona il vapore (1) La mattina ascesi al cratere per riferire nel pomeriggio alla seduta della Soc. dei Naturalisti in Napoli. (2) Quella stessa citata il 19 febbraio 1952. — 251 — esce ad impulsi. Lì dove, come si è detto, il termometro segna 500°C in soli 3’30. Di particolare interesse su questa macchia gialla intraeraterica fu il rinvenimento dì abbondante eritro siderite, giallo-arancione, che come è noto, è un minerale di formazione su fumarole ad alte tempe¬ rature, acide per acido cloridrico; questo minerale fu rinvenuto in belle forme cristalline, alcune delle quali subito svanirono per la forte deliquescenza alla quale è soggetto il minerale. A 10 m. circa sotto l’orlo craterico vecchio, sull’ allineamento della Punta del Nasone, su una generatrice distante, in media, una cinquantina di metri dalla frattura nord del Gran Cono, con emana¬ zioni di acido cloridrico, così come avevamo avvertito e ritrovato sulla macchia gialla intraeraterica, rinvenni copiose formazioni di eritrosiderite. Queste formazioni erano più estese di quanto a prima vista apparivano, si protraevano fin sulla generatrice lungo la quale si aprì il Gran Cono nel 1944. La temperatura di uno di questi luoghi di cristallizzazione di eritrosidero era di 223°C appena in superficie, non potendo penetrare in profondità per la natura scoriacea della roccia. Tale fascia di eritrosidero lascia dedurre che il mantello piro¬ clastico è come un enorme coperchio il quale, imbasato sulla vecchia piattaforma, lascia sfuggire dal piano di contatto gli interni gas pro¬ venienti dai magma saliente. E’ opportuno che io ancora faccia rile¬ vare come ad 8 anni e 2 mesi di distanza dall’eruzione del 1944 la temperatura in questo punto si mantenga ancora così forte, e quindi maggiormente conferma la vasta spaccatura originatasi in questo fianco con l’efflusso lavico che raggiunse i paesi di Massa e San Se¬ bastiano. Debbo far notare ancora (28 maggio) che sul versante Bo- scotrecase vado sempre più rinvenendo abbondanti nuclei augitici, ed ora diventano ancor più frequenti i nuclei olivinici di questa zona. Ciò è di grande interesse, perchè conferma sempre più quanto Sche- rillo (1) per primo ha asserito ed io subito dopo ho confermato e vado confermando con nuovi dati durante le mie frequenti perlustra¬ zioni vesuviane, per cui ormai non può esservi più dubbio alcuno al primitivo asserto che il Vesuvio nell’eruzione del 1944 extrava- sando il suo magma riuscì ad attingerlo perfino a notevole profondità, come i prodotti dimostrano. Sarebbe questa una delle ragioni per cui il magma vesuviano ancora fa attendere la sua venuta alla luce. (1) Scherillo A. Nuovo contributo allo studio dei prodotti delVeruzione ve¬ suviana del 1944. Bull. volcanoL, s. 2a, voi. XIII, pag. 139-140. Napoli, 1953. — 252 — Oliata 800. N° 2, T = 280°C » 3, T - 320°C » 6, T = 340°C N° 7, T = 300°C » 9, T = 400 C 11 luglio 1952. Quota 800. N° 1, T = 120°C j) 2, T = 270°C » 3, T = 300°C » 6, T = 350°C N° 7, T = 300GC » 8, T = 320°C » 9, T = 330°C 13 luglio 1952. L’escursione di questo giorno fu estesa al cratere salendo da Nord, e poi a quota 800 per il rinvenimento di minerali di questa zona (1). La macchia gialla intracraterica aveva la temperatura di 530°C, men¬ tre nel 27 maggio precedente era 520°C. Delle fumarole della conoide di NW solo la A fumava. 31 luglio - 10 agosto 1952. Il 31 luglio la temperatura della macchia gialla intracraterica aveva raggiunto 550°C. Il giorno 7 agosto, alle ore 18,05, a quota 800 sul versante di Boscotrecase si avvertì una scossa accompagnata da un boato. I forestieri che ivi si trovavano scapparono terrorizzati. Si avvertì prima un boato siccome una interna esplosione, e quasi contemporaneamente tintinnarono le bottiglie nella casetta del pic¬ colo bar che è a quota 800 di questo versante. Il boato fu avvertito anche vicino alla ventarola (n. 1); però sulla buca a tenorile (n. 6), ossia 200 m. oltre, verso occidente, una guida e due turisti che vi si trovavano, non avvertirono boato alcuno o tremito del suolo. Questo fenomeno fu anche avvertito da Santomartino Giuseppe che ha il (1) Per il cratere erano con noi le guide Angelo Vitulano e Vincenzo Scogna- migilio; per la quota 800 rimase con noi la gu'da Vitulano, — 253 — bar della capannuccia sull’orlo craterico meridionale, a quota 1170, e dovette essere avvertita da lui con intensità tale da indurlo a scap¬ pare. Domenica 3 agosto, il citato uomo, al predetto posto, cioè sul¬ l’orlo Sud del cratere, avvertì alle 6 del mattino una scossa ondula¬ toria. Il giorno 8 agosto, la temperatura della macchia gialla intra- craterica era di 560°C, alle ore 10,30. Anche nella notte tra il sabato e la domenica del 10 agosto sul cratere fu avvertita una scossa. Il 10 agosto, alle ore 10 e pochi mi¬ nuti, fu avvertita a quota 800 sul versante di Boscotrecase una scossa come quella che si verificò alle ore 18,05 del giorno 7 agosto. Questi dati riguardanti le scosse mi furono fomiti dalla guida vesuviana An¬ gelo V itulano da Boscotrecase. Poi la guida Vincenzo Scognamiglio mi confermò che la mattina del 10 agosto, alle ore 10 e pochi mi¬ nuti, nel bar della Stazione inferiore dell’ex-funicolare le guide ave¬ vano avvertito una scossa fortissima. La guida Vitulano mi dice che 11 19 agosto, alle ore 5, fu avvertita sull’orlo del cratere una scossa ondulatoria più forte delle precedenti. 12 agosto 1952 (1). In tale giorno giunto al cratere alle ore 10,30, notai che la spac¬ catura del corno sinistro della slabbratura di NW era debolmente fumante. Dalla parete craterica orientale si erano rilasciate in più punti fette rocciose. Le pareti dell’orlo occidentale erano debolmente fumanti. La temperatura della prima macchia gialla extracraterica fu di circa 290°C. Sul pendio del canalone, a quota 1244 circa, si nota¬ vano plaghe con segni di alta termalità, e sull’orlo di tale quota vi erano fenditure profonde che preludevano a distacco di masse dalla crinale craterica, rispetto alla quale tali fenditure erano trasverse e raggiungevano due metri di profondità. La temperatura della prima macchia gialla intracraterica a 50 cm, di profondità diede il valore di 560°C, mentre ad un metro di profondità la temperatura fu di 570°C. Furono raccolti numerosi campioni di cotunnite sulla zona a temperatura di 570°C. Vi erano fortissime esalazioni di acido cloridrico da rendere quasi del tutto (1) Con le guide Vitulano e Scognamiglio. — 254 — impossibile la respirazione e eostringerci ad abbandonare il prosieguo delle investigazioni. Sull’orlo craterico, in corrispondenza della prima macchia gialla intraeraterica, il vento portava folate di cloro, ma deboli, mentre più copioso era l’acido cloridrico; ma faccio osservare che circa tre metri all’interno del predetto orlo alcune fumarole umide erano debol¬ mente acide per acido cloridrico; mentre debolissime qui e lì, presso queste fumarole, erano quelle di cloro. E’ opportuno ricordare, per lasciarne memoria, quanto la guida Scognamiglio mi raccontò in tale giorno, ascendendo al cratere. Egli mi riferì che in una ascensione al Gran Cono, con una numerosa comitiva di turisti svizzeri, all’avvieinarsi di un temporale tutti i capelli si drizzarono in testa. Questo avvenne l’ultima volta che aveva piovuto sul Vesuvio, forse intorno al 26 luglio. Nella stessa escursione il sig„ Cav. Matrone Antonio, concessio¬ nario della strada Nord pel Vesuvio, mi riferì che la sera precedente, alle ore 21,30, a quota 640, una statuetta della Madonna del Vesuvio, sita presso la sua abitazione, cadde a terra. Anche la lampada della Cappella dondolò parecchio. 20 agosto 1952. Quota 800. N° 1, T = 150°C » 2, T = 270°C » 3, T - 350°C N° 6, T = 390°C » 7, T = 330cC » 8, T = 210°C » 9, T = 370°C 24 agosto 1952 (1). Giunto sull’orlo del cratere, constatai che la fumigazione uscente dagli spacchi lavici del corno sinistro della slabbratura di NW dava debolissima emissione di vapore; così anche le altre fumarole lungo ia parete occidentale erano debolissime. Delle quattro fumarole lungo la conoide di NW solo la A fumava attivamente. L’orlo occidentale, poco oltre la Stazione superiore della seg¬ giovia, mostrava segni, in più punti, di recenti franamenti; anche (1) Escursione effettuata con i miei allievi dell’Accaclemia Aeronautica. — 255 — presso l’orlo craterico meridionale, prima di giungere alla capannuc- cia , vi era stato un recentissimo franamento. Vi sono stati altri frana¬ menti che hanno prodotto sub-eseavazioni sulla parete sottostante al¬ l’orlo meridionale, tendendo a portare più l’orlo stesso. La parete sotto la prima macchia gialla intracraterica aveva segni di recenti franamenti e andava progressivamente disponendosi a stra¬ piombo. Disceso su tale macchia gialla, rilevai a 70 cm. di profondità, una temeratura di 600°C. Fu raccolta cotunnite bianca e verde. For¬ tissima la quantità di acido cloridrico, la quale però non molestava eccessivamente, perchè dissipata dal forte vento di un sopravveniente temporale, che non ci permise di giungere a quota 800 sul versante di Boscotrecase. Più debole era la percezione del cloro. Constatai pure la presenza dell "’eritrosidero, come le precedenti volte. 30 agosto 1952. Quota 800. N° 1, T | I50°C » 2, T = 260°C » 3, T = 330°C N° 6, T = 388°C » 7, T = 330°C » 8, T = 200°C » 9, T = 350°C 20 settembre 1952. Quota 800. N° 1, T | 110°C » 2, T - 210°C » 3, T = 320°C N° 6, T = 380 'C » 7, T = 300°C » 8, T = 210°C » 9, T = 330°C 29 settembre 1952. Quota 800. N° 1, T = 100°C » 2, T = 250°C » 3, T - 300°C N° 6, T = 360°C » 7, T 1 300°C » 8, T - 200°C » 9, T = 330°C — 256 — 12 ottobre 1952. r&tfe Sulla prima macchia gialla intracraterica a 25 cm. di profon¬ dità si riscontrò la temperatura di 584°C. 13 ottobre 1952. Sulla prima macchia gialla intracraterica la temperatura a 60 cm. di profondità in circa 4 minuti raggiunse i 600°C e si dovette quindi togliere subito il termometro (1). Intenso era lo sviluppo di acido cloridrico. La fumarola A della conoide di NW fumava fortemente, e così anche la parete craterica occidentale. La spaccatura Nord del Gran Cono non aveva più la temperatura primitiva; questa andava sempre abbassandosi. Il giorno 9-10-52 era di 171°C, e vi si avvertiva odore di cloro, ora più ora meno forte; più giù, invece, all’ultimo gomito della strada Matrone prima di giungere allo stazionamento guide, la temperatura era di 230°C. Quota 800 (2). N° 1, T = 100°C » 2, T = 270°C » 3, T = 300°C N° 6, T = 360°C » 7, T = 290°C » 8„ T = 180°C » 9, T = 330°C 18 ottobre 1952. Quota 800 (3). N° 1, T = 100°C » 2. T = 200°C » 3, T = 270°C N° 6, T = 360°C » 7, T = 310®C » 8, T = 200° C » 9, T 1 320°C (1) Poiché il termometro non andava oltre i 600°C. Quel giorno era salito al cratere anche un olandese, il quale osservò e prese nota della temperatura da me rilevata. (2) e (3) Valori termici rilevati a 50 cm. di profondità. — 257 — 23 ottobre 1952. Quota 800 (1). N" 1, T = 80°C » 2, T = 240°C » 3, T = 280°C N° 6, T = 340°C » 7, T =-300°C )> 8, T - 240° C » 9, T 1 310°C 29 ottobre 1952. Quota 800 (2). N° 2, T = 90°C » 2, T = 230°C » 3, T | 280°C N° 6, T = 340°C » 7, T - 300°C » 8, T = 220°C » 9, T I 330°C 4 novembre 1952. Sulla prima macchia gialla intr acraterica, appena affondato il termometro, si ebbe rapidamente il valore di 600°C; anche se non si potè, con tale mezzo, avere valori maggiori, si potette arguire che la termalità dovesse essere notevolmente superiore. Sulla prima macchia gialla intracraterica la temperatura era di 320°C. Quota 800 (3). N? 1, T = 100°C » 2, T = 250°C » 3, T = 300°C N° 6, T =- 390°C » 7, T = 330°C » 8, T = 230°C » 9, T = 360°C (1) e (2) Valori termici rilevati a 50 cm. di profondità. (3) Valori termici rilevati a 1 m. di profondità. 17 — 258 — 12 novembre 1952. Quota 800 (1). al N° 1, T = 100°C » 2, T = 320°C » 3, T = 330°C al N° 6, T = 400°C » 7, T = 320°C » 8, T = 200°C » 9, T = 350°C 18 novembre 1952. Sulla prima macchia gialla intrac raterica, a 15 cm. di profon¬ dità, si ebbero i seguenti valori termici: In minuti 1, T = 400° C v> » 2, T = 480°C » » 3, T = 520°C » » 4, T — 540°C » » 10, T = 580°C Invece ad un metro di profondità, dopo sette minuti, il valore termico fu di 600°C; ma la temperatura tendeva a salire, come po¬ tetti constatare con altri mezzi (2). Forte era lo sviluppo di acido cloridrico su tale zona. La prima macchia gialla extracraterica presentava continui rila¬ sciamenti, cioè affossamenti: la temperatura era di 300°C. La seconda macchia gialla extracraterica aveva la temperatura di I50°C. Sulla zona termica di Boscotrecase, a quota 800, la temperatura nella buca a tenorile (n. 6), presa in vari punti, dava valori fra 350°C e 400°C; alla ventarola (n. 1) la temperatura fu di 150°C; al colle Alfano (n. 3) la temperatura era di 340°C. Nella seduta del 26-11-1952 diedi notizia dello stato del Vesuvio dal 28 maggio al 18 novembre 1952 (3). (1) Valori termici rilevati cd un metro di profondità. (2) Furono usati coni di Seger e bacchette di alluminio. (3) Boll. Soc. Nat. in Napoli, voi. LXI, 1952, Proc. Verb., pag. VII. — 259 — 10 dicembre 1952. La temperatura della prima macchia gialla extracraterica era di 290°C. La temperatura della prima macchia gialla intr acraterica raggiun¬ ge 600°C a circa un metro di profondità, come nel 18 novembre; però la temperatura era evidentemente maggiore, poiché la bacchetta di alluminio, introdotta alla stessa profondità, diede segni di fusione. Quota 800 (1). N° 2, T = 250°C » 3, T = 280°C » 6, T = 370cC 20 dicembre 1952. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura era di 280°C. Sulla prima macchia eialla intracraterica la temperatura, ad un metro di profondità, come già al 10 dicembre, diede il valore di 600°C. Del pari la bacchetta di alluminio presentava segni evidenti di fusione. Quota 800 (2). N° 2, T = 220°C N° 6, T - 320°C » 3, T = 250°C » 7, T = 260°C » 9, T I 280 C LO STATO DEL VESUVIO ALLA FINE DEL 1952. Nei primi di questo anno, e precisamente il 29 gennaio, si viene a conoscenza di un’altra zona termica, che poi si segue ininterrotta¬ mente: precisamente quella che è chiamata « prima macchia gialla intracraterica », corrispondente alla quota 1281, nel punto mediano N° 7, T = 300°C » 8, I = 150°C » 9, T = 300°C (1) e (2) Valori termici rilevati ad un metro di profondità. — 260 — dell’arco craterico orientale. Vi si notti la temperatura di 450°C, la quale raggiunge poi, nello stesso anno, livelli superiori ai 600°C ( 10 die. 52). Vi si nota odore forte di acido cloridrico e produzioni di cotunnite e tenorile , nonché salgemma ed eritrosidero. La spaccatura Nord del Gran Cono si mantiene ad elevato valore termico, che però è sempre in diminuzione, da 282 a 230°C. La prima macchia gialla extracraterica ha avuto una punta massima di 360°C (6 feb. 52) ed un valore minimo di 280°C. alla fine dell’anno. In quest’anno è stata rilevata anche la temperatura della seconda macchia gialla extracraterica, che ha dato il valore di 100°C. il 19 feb. 52, e 150°C. il 18 nov. 52. A quota 800, il colle Alfano continua a segnare valori decrescenti, che da 330°C. nel gennaio, vanno a 250°C. nel dicembre. Analogamente anche la ventarola (n. 1) va diminuendo i suoi va¬ lori termici, i quali da 195° C. nel gennaio, vanno a 150°C. verso la fine dell’anno. La zona termica ad occidente del colle Alfano ha il valore termico più alto nella buca della tenorite, con un massimo di 400°C. ed una decrescenza che porta la temperatura a 320° C. il 30 di¬ cembre 1952. Notizie vesltviane per l’anno 1953. 9 gennaio 1953. Il fondo craterico era tutto coperto di neve, segno evidente di assenza ivi di termalità; anche il Gran Cono era tutto bianco, solo sulle macchie gialle la neve non si era depositata. La temperatura della prima macchia gialla extracraterica fu di 295°C. Sulla prima macchia gialla intr acraterica si raggiunse, a 20 cm. di profondità, la temperatura di 560°C. La bacchetta di allu¬ minio, introdotta a circa mezzo metro di profondità, non si fuse. Quota 800. N° 1, umida N° 6, T = 300°C » 2, T = 200°C » 7, T = 220°C » 3, T = 220°C » 8, T = umida » 9, T = 280°C — 261 — 8 febbraio 1953 (1). La neve caduta era copiosissima e nascondeva totalmente il sen¬ tiero che da quota 1050 mena al cratere; un vento impetuoso e freddo ostacolava l’ascensione. Mi limitai ad alcune osservazioni morfolo¬ giche e rivolsi la mia attenzione alla zona della spaccatura del 1944 sul fianco Nord, la quale era del tutto priva di neve e spiccava per il suo colore sulla circostante massa bianca nevosa. Così pure erano prive di neve due chiazze vicine: una più in giù ed una a sinistra della suddetta zona. 24 febbraio 1953. Sulla prima macchia gialla intracraterica fu raccolto eritrosidero , che si mostrava copioso, ed anche cotunnite , la quale pure abbon¬ dava. Inoltre si rinvenne una sostanza bianca, di aspetto spumoso, la quale è di materia silicea, vale a dire è il prodotto spinto della de¬ composizione idrolitica e pneumatolitica esercitata dai gas vulcanici; mostravasi come costituito da perline rotte e cave, come se avessero contenuto acqua. Si tratta di una scoria lavica alterata e che ho in istudio. Sulla prima macchia gialla intracraterica a 20 cm. di profondità si ebbe la temperatura di 550°C. Sulla prima macchia gialla extracraterica la fenditura già esi¬ stente andava sempre più allargandosi, inghiottendo il sovrastante materiale, piroclastico; tale fenditura il 4 febbraio aveva la tempe- i atura di 320°C. Continuavano i distacchi di materiale dalla parete orientale. Quota 800. - La buca della tenorile (n. 6) aveva la temperatura di 330°C. 28 febbraio 1953. La temperatura della prima macchia gialla extracraterica fu di 200°C. Continua l’avvallamento della fenditura esistente su tale mac¬ chia, che funziona da ventarola. A monte della seconda macchia gialla (1) Ascensione al Vesuvio nel pomeriggio per l’Atrio del Cavallo. — 262 — extracraterica si notava una lunga fenditura trasversale, profonda più di un metro e mezzo, che andava allargandosi. Sulla prima macchia gialla intr acraterica la temperatura superava 600°C. Sulla parete Nord si notavano nuove e numerose crepe, e sul fondo del cratere nuovi blocchi di lava delle ultime frane. Quota 800 (1). N° 2, T = 230°C » 3, T = 270°C » 6, T - 390°C N° 7, T = 330°C » 8, T = 290°C » 9. T = 280°C 14 marzo 1953. Nella buca della tenorite (n. 6) si era installata una piccola ven¬ tarola, dove in pochi secondi si accendeva la carta. Sulla prima mac¬ chia gialla extracraterica continuava l’avvallamento della fenditura sita sulla ventarola; e la temperatura quivi non superava 300°C. Sulla prima macchia gialla intracraterica la temperatura superava, come precedentemente, 600°C. Quota 800 (2). N° 2, T = 200°C N° 7, T - 330°C » 3, T = 250°C )> 8, T = 280c€ » 6, T - 380°C » 9, T = 280°C 22 marzo 1953 (3). Delle fumarole della conoide di NW fumava solo la 4. Dagli spacchi lavici del corno sinistro della slabbratura di NW la fumiga¬ zione era debolissima. Furono condotte esclusivamente osservazioni mineralogiche e petrografiche. (1) Valori termici rilevati a metri 1,50 di profondità. (2) Valori termici rilevati a m. 1,50 di profondità. (3) Escursione effettuata con i miei allievi della Facoltà di Agraria, — 263 — 23 marzo 1953 . Quota 800 (1). N° 1, T = fredda » 2, T = 230°C » 3, T = 240°C 26 aprile 1953 (2). Quota 800. N° 1, T = fredda » 2, T = 230°C » 3, T = 240°C i maggio 1953. Alle ore 15,30 si avvertì una della seggiovia (3). 27 maggio 1953. Quota 800 (4). N° 2, T = 240°C » 3, T = 220°C » 6, T = 350°C N° 6, T = 380 C » 7, T = 310cC » 8, T = 260° G » 9, T = 270°C N° 6, T m 380°C » 7, T = 310°C » 8, T = 260°C » 9, T - 270°C scossa alla Stazione inferiore N° 7, T = 300 3 C » 8, T = 250°C » 9, T = 260°C (1) (2) (4) Valori termici rilevati a m. 1,50 di profondità. (3) Tale notizia mi fu comunicata per telefono lo stesso giorno dalla guida Vincenzo Scognamiglio, che aveva avvertito tale scossa con sensazione tale da far¬ gli dire che in precedenza di tal sorta non ne aveva notato. — 264 16 giugno 1953. Quota 800 (1). 2, T = 280°C » 3, T = 260°C » 6, T = 355°C ]N° 7. T = 300cC » 8, T - 250°C » 9, T = 270°C 30 giugno 1953. In tale giorno la guida Angelo Vitulano, dietro mie istruzioni, alle ore 2,30 si trovava sulla prima macchia gialla intracraterica dove effettuò uno scavo di 10 cm. circa di profondità. Uscì il lapillo incan¬ descente, di colore rosso vivo, per poi divenire rosso ciliegia. L’asta del termometro, appena poggiata su detto lapillo, in cinque minuti segnò 550°C; e a 20 cm. di profondità la temperatura salì a 600°C in soli quattro minuti. L’asta di alluminio alla profondità di 50 cm. in quattro minuti diventò molle, rosso-viva, con inizio di fusione. Su tale zona l’odore di HC1 si sentiva forte. La prima macchia gialla extracraterica aveva la temperatura di 250°C, ad un metro di profon¬ dità. Sulla porzione di parete craterica compresa tra la prima e la seconda macchia gialla intracraterica si erano verificate nuove piccole frane. Quota 800 (2). S° 2, T = 320°C N° 7, T = 310°C d 3, T = 280°C » 8, T = 250°C » 6, T = 360°C « 9, T = 270°C 1 luglio 1953. Quota 800 (3). N° 2, T = 240°C N° 6, T = 390°C » 3, T = 250°C » 7, T = 320°C » 8, T = 200°C (1), (2), (3) Valori termici rilevati a m. 1,50 di profondità. 15 luglio 1953. — 265 — Quota 800 ( 1). N° 2, T = 240°C » 3, T = 240°C 31 luglio 1953. Quota 800 (2). N° 2, T = 230°C » 3, T = 240°C 13 agosto 1953. Quota 800 ( 3). N° 2, T = 230°C » 3, T - 230°C 29 agosto 1953. Quota 800 (4). N° 2, T = 210°C » 3, T - 220°C N° 6, T = 370°C » 7, T = 320°C » 8, T = 190°C N° 6, T = 350°C » 7, T = 310°C » 8, T = 190°C N° 6, T =: 330°C » 7, T - 300°C » 8, T = 180°C N° 6, T - 310°C » 7, T = 280°C » 8, T = 180°C 1 settembre 1953. Solo la fumarola A della conoide di NW era fumante. La parete orientale presentava segni di frane recenti. Sulla prima macchia gialla extracraterica vi erano segni di note¬ vole ingrandimento della fenditura già precedentemente citata, la quale aveva raggiunto oltre due metri di profondità. Sulla spacca¬ tura che si trova sul pendio esterno orientale del mantello pirocla- (1), (2), (3), (4) Valori termici rilevati a m. 1,50 di profondità. — 266 — stico del 1944 si osservava una scollatura; sembrava come se la parte superiore del mantello piroelastico stesso si fosse abbassata, per cui l' altro labbro della fenditura appariva rialzato come un ciglio. Giunto sulla prima macchia gialla intracraterica, la mia atten¬ zione fu volta ad indagare i vari minerali formatisi ed a raccogliere le varie croste saline. La temperatura della suddetta macchia fu di 600°C alla profondità di 20 cm. (in quattro minuti). Osservazioni dal 2 settembre al 17 novembre 1953. L’odore di HC1 sulla prima macchia gialla intracraterica persi¬ steva forte. La scollatura della spaccatura sul pendio esterno orien¬ tale dei mantello piroclastico del 1944, da me osservata il 1° settem¬ bre, si era allargata fino a 10 cm. in qualche punto. La parete orien¬ tale sottostante alla prima macchia gialla intracraterica preesntava segni di piccole frane avvenute. Da sei mesi circa si era potuto constatare che la porzione della pa¬ rete craterica orientale sottostante alla prima macchia gialla intra¬ craterica, osservata dopo le piogge, si presentava asciutta ed alquanto alterata fra le restanti parti della parete craterica, le quali erano umide e fumiganti. La prima macchia gialla extracraterica debolmente traspirava acido cloridrico ; la fenditura che essa presentava andava allargandosi ed era di 40 cm. di larghezza, profonda circa ni. 3,50; ma non si può dire a quale precisa profondità scendesse, perchè, come dall’alto della fenditura si osservava, questa in basso faceva un gomito, sul quale la sonda si appoggiava ed oltre non poteva approfondirsi. La tempe¬ ratura misurata sulla prima macchia extracraterica diede il valore di 310°C: in aumento, quindi, rispetto alla precedente osservazione del 30 giugno, che aveva dato 250°C. A quota 800, sul versante di Boseotrecase, la temperatura andava diminuendo; il valore più alto era mantenuto sempre dalla buca della tenorile (n. 6), la quale presentava i seguenti dati termici in questo periodo : 16 Settembre 1953 2 Ottobre 1953 10 Ottobre 1953 4 Novembre 1953 T - 290cC T = 270°C T = 240°C T I 220°C — 267 — 23 novembre 1953 (1). In taìe giorno notai che la fumarola del corno sinistro della slab¬ bratura di N¥ era appena debolmente fumante, talché a mala pena vedovasi uscire il vapore, non più come valido pennacchio, dagli anfratti della lava del 1944. Segni di recenti frane si notavano tutto intorno alle pareti cra¬ teriche, in ispecie nella metà orientale; sicché, anche quando alle ore 16,45 lasciammo il cratere, una se ne staccò dallo sperone della parete sinistra della slabbratura di NW, il quale sperone è così sgra¬ nato che non tarderà a crollare giù e modificare ancora la morfologia di questo angolo craterico. Difatti quivi il dente che forma il corno destro della slabbratura di NW mostrava segni di scalzamento progressivo, gravitando così a strapiombo neH’interno, mentre in corrispondenza del dente stesso sulle pendici esterne si presentavano sempre più larghe le fenditure, che di continuo si vanno amplificando, ingoiando il materiale piro¬ clastico sovraincombente. La parete craterica settentrionale presentava efflorescenze bian¬ che. La vegetazione muscosa andava sempre più prendendo piede sulla suddetta parete al contatto non solo tra il vecchio ed il nuovo materiale, ma anche estendosi in alto sulle interne pendici del man¬ tello piroclastico di tale settore. Questa parete, così infestata di vege¬ tazione, come veniva a contatto con quel settore della fascia piro¬ clastica interna corrispondente alla seconda macchia gialla intraera- terica, dal quale settore è divisa da un solco di erosione che lascia defluire le acque di pioggia lungo la parete craterica fino al fondo, ivi scompariva, e così si manteneva assente tale vegetazione fin dove fini¬ scono le forme di erosione (canaloni), inbasate sul materiale pirocla¬ stico interno, che hanno inciso dette pendici. A partire poi dal cana¬ lone (quota 1244) incomincia la restante parte della fascia pirocla¬ stica del 1944, che si prolunga intatta fino alla sella cui fa capo il sentiero proveniente da Boscotrecase, ossia all’altezza della Capan- nuccia (quota 1170). Su questa fascia riprendeva la vegetazione mu¬ scosa, che si può dire la ricopriva nella sua quasi totalità. La zona della prima macchia gialla extracraterica, sulla quale (1) Escursione effettuata per la strada Matrone Nord, con Clemente e Giovanni Vacca, Mario Mancinelli e la guida Vituilano. — 268 — ho richiamato l’attenzione, non mostrava anni or sono, nei primi tempi che la osservavo, che solo segni di alta termalità, la quale rag¬ giunse 461 °C e manifestò forte sviluppo di acido cloridrico. Susseguentemente era andata ivi formandosi qualche fenditura, la quale andò sempre più affossandosi ed ingoiando il materiale so¬ vrastante; al 23 novembre raggiungeva la profondità di due metri circa. La ventarola ivi istallatasi era sempre fortemente spirante. Que¬ sta fenditura non era la sola; in una settimana già se ne era formata una vicina, distante un metro e mezzo e che, cimentata in vario modo, oltre a mostrarsi ventarolica, tendeva a rilasciarsi anch’essa spro¬ fondando lentamente, come potemmo osservare percuotendo con la picozza. Inoltre queste fenditure non erano semplici accidentalità ristrette a piccole zone, ma salivano lungo il mantello piroclastico fin verso l’orlo craterico, e da esse si vedevano svolgere i fumi delle sostanze fumogene opportunamente introdotte nello sprofondamento sovra¬ stante alla suddetta macchia. La temperatura, come dianzi ho detto, era scesa quasi a 200°C, mentre il 30 giugno era salita a 250°C. Ciò evidentemente è connesso con la natura stessa della fenditura, la qua¬ le, costituitasi in ventarola, subisce variazioni termiche in relazione con le condizioni meteorologiche: direzione del vento, temperatura delle masse d’aria infìltr antisi, ecc. 14 dicembre 1953. Dopo il 23 novembre piccoli franamenti delle pareti crateriche si erano verificati qua e là per la fascia che da NW va per Nord ed Est fino al canalone. Le pareti crateriche occidentali fumavano abbon¬ dantemente. Sulla prima macchia gialla extracraterica la spaccatura continuava ad allargarsi ed a risucchiare materiale; la ventarola ivi si manteneva costante. La tempertura misurata fu di 220°C. Sull’orlo da SE verso Nord, al di sopra della terrazza di avval¬ lamento già esistente da molto tempo, si era formata una seconda ter¬ razza, la quale andava a congiungersi con la spaccatura che era sul pendio esterno orientale del mantello piroclastico del 1944. Dalla sud¬ detta spaccatura veniva fuori acido cloridrico. La prima macchia gialla intr acraterica emanava forte odore di HC1: la temperatura superava 600°C, poiché la bacchetta di alluminio dopo una diecina di minuti dall’immersione presentava segni di fu¬ sione. — 269 — A quota 800 la temperatura continuava a diminuire. Sulla buca della tenorile esisteva sempre una debole ventarola; tale quota pre¬ sentava la seguente distribuzione delle temperature: N° 1, T = fredda N° 6, T = 230°C » 2, T = 150°C » 7, T = 190°C » 3, T = 160°C » 8, T = 170°C La ventarola (buca n. 1) era fredda: l’ultimo valore termico ele¬ vato fu quello di 150°C, il 18 novembre 1952: in tale data il Colle Alfano raggiungeva la temperatura di 340°C. Lo STATO DEL VESUVIO ALLA FINE DEL 1953. Riallacciandomi alle precedenti comunicazioni sullo stato del Vesuvio quasi mensilmente tenute nelle sedute della Società dei Na¬ turalisti, tengo a riassumere in breve ed a notificare quale sia lo stato presente del nostro vulcano. La temperatura è in continuo au¬ mento quasi nel punto mediano dell’arco costituente l’orlo pirocla¬ stico craterico orientale. La termalità più alta del Vesuvio è quindi in quella zona che io ho chiamato prima macchia gialla intr acraterica. Su tale zona io richiamai l’attenzione dei soci fin dalla seduta del gennaio 1952. Si è andato quivi verificando un crescendo termico, che dal gennaio 1952 ad oggi ci ha dato valori, i quali da 450°C, a mano a mano raggiunsero i 600°; e tale temperatura, nel 1° settembre di quest’anno, si raggiungeva ad appena 20 cm. di profondità, come ho potuto constatare, in 4 minuti. A 50 cm. la temperatura è ancora molto più elevata. Il 30 giugno, scavando a 10 cm. di profondità, è uscito lapillo incandescente al rosso vivo, e persisteva tale manifestazione per di¬ versi minuti. Ora, invece, l’incandescenza è a profondità minore. Co¬ me sempre, in questa zona l’odore di HC1 è fortissimo; questa volta ancora più insistente. La cotunnite , da me sempre rinvenuta, continua a formarsi. Men¬ tre qui la termalità è in aumento, invece sulla prima macchia gialla extracraterica — manifestante ad intervalli la presenza dell’acido clo¬ ridrico, ma non molesto — la temperatura è andata scemando, dal valore massimo di 461°C (nell’agosto del 1950), al valore di 200°C (nel 23 novembre del 1953), presentando però qualche salto. E’ venuto — 270 — a formarsi a mano a mano, su questa prima macchia gialla extracra¬ terica, un piccolo bacino di sprofondamento, o piccolo imbuto, che ingoia volta per volta il materiale piroclastico sovraincombente, es¬ sendosi determinata quivi una fenditura, prima stretta e poi più larga e profonda. La ventarola , fortissima, che nel 20 marzo 1951 fu ivi osservata, persiste ancora, e talora si ode un forte sibilo. Questa fen¬ ditura si approfondisce per oltre due metri e fa parte di una spacca¬ tura la quale, salendo per il mantello piroclastico del 1944 impostosi sulla restante vecchia piattaforma craterica non crollata nella eru¬ zione del marzo 1944, si spinge fin quasi all’orlo, come ho potuto sperimentare. Mentre tutta questa attività termica si è, per così dire, localizzata sull’orlo craterico, il fondo del cratere stesso si mantiene freddo, se si esclude la fumarola A della conoide di NW. Questa fuma¬ rola non interessa peraltro il fondo, bensì la parete; probabilmente non deve essere cloridrica, altrimenti l’alterazione del materiale piro¬ clastico e lavico ce lo avrebbe rivelato, non soìo, ma l’odore di questo acido sarebbe avvertito anche dai visitatori che si affacciano all’orlo di questo settore craterico. Inoltre il 1° settembre ho notato un note¬ vole cedimento, che abbraccia vasto tratto del mantello piroclastico orientale, interessandone la quaquaversale esterna. Questo cedimento si osserva ancora prima di giungere alla prima macchia gialla intra- craterica e prosegue fino all’allineamento con la seconda macchia gialla inir acraterica. Tale cedimento mostra netto il salto di 30 crn. fra le due labbra. Ve ne sono stati altri da me osservati in altri set¬ tori dell’orlo craterico orientale. Per essere tale cedimento localizzato fra le predette macchie, potrebbe, collegato con l’alta termalità della zona, essere un inizio di ulteriori cedimenti preludenti al futuro risveglio magmatico in quel settore. Del resto tutti i fenomeni che il Vesuvio sta manife¬ stando dimostrano che la colonna magmatica è sita nel materiale della vecchia piattaforma di riempimento del cratere del 1906, e che sale per l’antico camino per venire alla luce: è vero che non vi sono fuma¬ role di fondo e di anello, come nei fenomeni preludenti al risveglio del 5 luglio 1913. Ma, come feci rilevare nel Congresso Geologico del 1950, non tutta l’antica piattaforma craterica è crollata, per cui ci troviamo di fronte ad un cratere extraassialc, il quale perciò, non essendo il tampone della colonna magmatica che potremmo chiamare principale, o assiale vulcanica, non può presentare i fenomeni fuma- rolici ed i collassi che dovrebbero pur verificarsi se il magma giacesse sotto tale tampone. — 271 — Perciò, i fenomeni che sul fondo dovrebbero verificarsi, si veri¬ ficano invece sull’orlo orientale dell’attuale cratere e nelle zone peri¬ metrali del mantello piroclastico inbasantesi sulla vecchia piattaforma, sempre nella metà orientale, nella porzione, cioè, ad oriente dell’asse maggiore dell’attuale cratere. A questa manifestazione potremmo eollegare l’attività termica a vapor d’acqua della fumarola che interessa la porzione centrale della parete craterica meridionale poco sotto l’orlo craterico stesso. L’anello fumarolico esterno potrebbe così, forse, essere completo. Questa zona, quindi, altamente termica da me segnalata sull’orlo piroclastico orientale potrebbe forse rappresentare il luogo di ria¬ pertura del lume del condotto magmatico, o nelle immediate vici¬ nanze, poiché tra le macchie gialle intracrateriche ed extracrateriche sono localizzati i fenomeni più importanti che se noi volessimo pen¬ sare che le fumarole della conoide di NW, e in ispecie la A rappre¬ sentano una emanazione diretta magmatica, data la persistenza e la copiosità di A e la temperatura che si è rilevata in questo settore evi¬ dentemente pare debbano provenire da una sorgente profonda in piena efficienza. Solo però questa è molto lontana dall’asse del vul¬ cano. Ciò tuttavia non deve fare meraviglia, perchè, come facevo os¬ servare nella seduta del dicembre 1951, lungo la parete sinistra cra¬ terica della slabbratura a NW si trovano dicchi e laccoliti riferentisi alla eruzione del 1944. Un altro fatto da prendersi in considerazione è il prolungato pe¬ riodo di riposo: il più lungo fino ad ora da che, con il 1631, il Ve¬ suvio si ridestò da un lunghissimo periodo di riposo. La ragione noi ìa vogliamo trovare nel fatto che in quest’ultima eruzione il Vesuvio ha attinto il suo materiale a notevole profondità, e quindi si è, di¬ ciamo, così svuotato di molto. Sta bene; però non è da trascurarsi un altro fattore. Nella eru¬ zione del 1906 il Vesuvio perdette 145 m. di altezza (1) e si formò una voragine di 600 m. circa di profondità; quindi, nelbaltezza totale del Vesuvio di 1335 m. la colonna magmatica si abbassò di 780 m. nel suo totale, a partire dall’antico lume del condotto sino al fondo del cratere. Ammettendo che il magma fosse sceso a quota zero, esso (1) L'altezza de* 1 Gran Cono, che prima della eruzione del 3906 era di 1335 m. circa, perdette 145 ni secondo le misure rilevate dall’ing. De Luise subito dopo 1 eruzione, essendo il punto più alto del Gran Cono divenuto di circa 1223 m. Perret calcolò la voragine craterica dopo l’eruzione profonda circa 700 metri. 272 — doveva, dal 1906 al 1931, superare un dislivello di circa 600 m. Ora che il condotto del Vesuvio, permanendo nella vecchia piattaforma craterica non crollata, attraversa tutto l’edifizio per un’altezza di circa m. 1280 (quasi il doppio di quella del 1906), dovrà impiegare un numero doppio di anni almeno. Questo calcolo è peraltro fatto con molta ampiezza, e nemmeno ci può essere di lume. Comun¬ que, con i vulcani, almeno per ora, non possiamo fare pronosdci. Il calcolo del ritardo della ripresa di attività manifesta del Ve¬ suvio, basato esclusivamente sul dislivello da superare tenendo conto deH’abbassamento della colonna magmatica e anche della profondità del cratere, potrebbe non essere tanto soddisfacente; poiché sulla profondità originaria del cratere del 1906 vi sono valori non con¬ cordanti (1). Se volessimo aspettare che il fondo del cratere dia i segni pre¬ cursori del 1913, credo che l’attesa dovrebbe ancora prolungarsi, poi¬ ché, come ho detto innanzi, l’attuale fondo craterico è su di una po¬ tente diramazione della colonna magmatica: la quale diramazione, essendo ora occlusa e non sul camino diretto della colonna magma¬ tica principale, non può essere così sollecitamente attraversata da apofìsi magmatiche del camino. Il condotto, che è nell’interno dell’antica piattaforma craterica, essendo un condotto esclusivamente lavico, probabilmente non deve aver avuto un grande lume, per cui non gli si possono attribuire, com’è stato fatto, forme di sprofondamento. Con l’abbassarsi della colonna magmatica a causa degli efflussi e delle estrinsecazioni piroclastiche di magma coevo, tale condotto è rimasto libero da magma; perciò le manifestazioni termiche, gassose e minerali, hanno potuto e possono pervenire in alto e salire tra spac¬ chi della coltre piroclastica, e permeare in questa. Comunque, il dislivello da superare in questo periodo di ri¬ poso è di 1281 m, se noi consideriamo la zona della prima macchia gialla intracraterica come il luogo del lume del condotto. Il ritardo va in massima parte attribuito, oltre che al dislivello da superare, anche all’attingimento profondo del magma effettuatosi in questa eruzione, come fanno fede gli innumeri grandi cristalli, isolati, esplosi in questa eruzione, e la stragrande quantità di proietti, (1) Perret la stima 700 m: Matteucci 600-700 m; Fiechter 450 m; Mercalli 250 ; Lacroix 300 metri. — 273 — esclusivamente o prevalentemente pirossenici, costituiti anche da grandi individui, che sono stati proiettati. Nel dicembre 1946 (1) mi domandavo dove il condotto si sarebbe aperto, se sul fondo dell’imbuto craterico o sulla vecchia piattaforma ingombra di materiale piroclastico, poiché vedevo ivi una manifesta¬ zione più attiva e consideravo la porzione non crollata della vecchia piattaforma craterica come quella che racchiudeva il condotto mag¬ matico. A distanza di 7 anni circa da quella comunicazione del 1946, permango sempre più rafforzato nella convinzione che l’apertura debba avvenire sulla porzione non crollata dell’antica piattaforma. Le continue osservazioni per ora militano ancora in favore di questo asserto, tranne eventuali nuovi fenomeni. Notizie vesuviane per l’anno 1954. 11 gennaio 1954. Il fondo del cratere, come anche le pareti, erano coperte di neve. Le continue osservazioni per ora militano ancora in favore di questo dove è la fumarola A. La prima macchia gialla extracraterica aveva la temperatura di 200°C. La temperatura ivi esistente persisteva ad ingoiare materiale piroclastico; la neve, com’è logico, non vi si era depositata, come anche sull’orlo sottostante del vecchio cratere. La temperatura della prima macchia gialla intracraterica era sempre elevata. La cupola, o crostone, soprastante al punto ad aita termalità, e che era sempre coperto di cristalli di cotunnite, aveva assunto una colorazione gialla, o giallo-arancione, per incrostazioni saline sovraimpostesi alla formazione di cotunnite sottostante. Come infatti si potè osservare tirando pezzi di crostone e scavando in pro¬ fondo nella piccola volta citata, tale formazione non si presentava solo come crostone, ma anche come gocciolamenti stalattitici raggiun¬ genti le dimensioni di 10 cm. di lunghezza e di 1 cm. di larghezza all’apice, e 2 cm., o più, alla base. La bacchetta di alluminio, lunga un metro, fu affondata per circa (1) Notizie Vesuviane. L’attuale fase solfatarica del Vesuvio. « Boll. Soc. Naturai. », voi. LV. Napoli, 1944-46. 18 — 274 — 60 cm.; dopo circa 10 minuti, estratta, si osservò che essa era ridotta a 50 cm. e mostrava all’estremo i segni di fusione, per cui IO cm. di detto metallo rimasero imprigionati nel materiale piroclastico. Poiché l’alluminio fonde a 670°C circa, è da dedursi che tale fu la tempe¬ ratura quivi raggiunta. A quota 800 si notava che tutte le zone sulle quali si conduce¬ vano le osservazioni fumigavano, eccezion fatta per la buca a tcnorite , dove la temperatura risultò più alta. N® 1, T = fredda N° 6, T - 240°C » 2, T = umida » 7, T = 200° C » 3, T = 180°C » 8, T = 150°C » 9, T - 160 C 25 gennaio 1954. La spaccatura sulla prima macchia gialla extracraterica aveva an¬ cora assorbito materiale; a sinistra della ventarola si era formato un imbuto di circa un metro di diametro per uno di profondità. La temperatura aveva subito una sensibile diminuzione; l’aria calda che veniva fuori era umida; non si avvertiva alcun odore di acido clori¬ drico. Tutta la macchia gialla fumigava abbondantemente. La terrazza già precedentemente notata, esistente sull’orlo cra¬ terico a quota 1244 (canalone) e procedente lungo tale crinale fino all’altezza della prima macchia gialla intracraterica, mostrava più marcato il suo avvallamento; ed i vapori che si elevavano lungo que¬ sta depressione, solo in direzione della prima macchia gialla intra¬ craterica, contenevano acido cloridrico. Sulla prima macchia gialla intracraterica, ad un metro di distanza a sinistra della cupola ad alta temperatura, forando la crosta per 10 cm. di profondità, si ori¬ ginò una piccola ventarola ad aria fortemente termica ed asciutta. Immesso in tale foro un bastone, dopo due minuti circa esso bru¬ ciava. Tutte le pareti crateriche, come anche la fumarola A della co¬ noide di NW, fumavano abbondantemente, escluse le due macchie gialle intracrateriche (1). (1) Non si potettero premiere dati termici per sovraggiunte impossibilità. — 275 — 18 febbraio 1954. Sulla prima macchia gialla extracraterica non si avvertiva odore di acido cloridrico; la temperatura era ancora bassa, e l’aria uscente da questa ventarola era umida. Sulla prima macchia gialla intracraterica forte si avvertiva l’odore di acido cloridrico, e la bacchetta di alluminio, introdotta al solito posto, altamente termico, alla profondità di 40 cm., dopo 10 minuti si fuse. Al di sotto della sopra citata macchia gialla notavasi una spacca¬ tura, larga circa 30 cm. per il tratto osservato di circa due metri di lunghezza. Non fu possibile seguirla oltre per le precipiti forme del pendio interno dell’orlo craterico; nè fu possibile misurarne la pro¬ fondità, dato il forte calore che si sprigionava: poiché tale spacca¬ tura funzionava anche da ventarola, la cui alta termalità impediva di accostarvisi. La parte superiore della parete craterica sottostante e ristretta alla prima macchia gialla intracraterica si manteneva sempre asciutta, mentre le adiacenti zone erano umide; ed inoltre presentava segni progressivi di alterazione e numerose lesioni. Il giorno 17, verso le ore 17,30, vi furono due frane, e precisa- mente una a sud, alle spalle della capannuccia, e l’altra a N-NW della parete sovrastante alla conoide. 4 marzo 1954. A quota 800, versante di Boseotreease, proseguendo per la strada che dal piazzale porta al poligono di tiro, prima di arrivare alla curva, a pochi metri a valle della strada, si è resa manifesta una spac¬ catura (Tav. XII), corrispondente ad una bocca del 1906, in seguito al progressivo inghiottimento di materiale piroclastico del 1944 che la aveva ricoperta, e che ha determinato una forma ad imbuto. Essa, nella sua parte visibile, è larga circa 50 cm. e profonda quasi 20 metri. Le temperature di quota 800 erano in diminuzione, rimanendo però sempre più alta quella della buca della tenorile (220° C). I valori termici di questa zona furono quindi: N° 1, T = fredda N° 6, T = 220°C » 2, T = fredda » 7, T = 200°C » 3, T = 180°C » 8, T = 180°C » 9, T = 180° C — 276 — Al cratere la fumarola A della conoide di NW, come anche le pareti crateriche, fumavano copiosamente; soltanto una fascia della parete orientale si presentava asciutta e non fumigava, e precisa- mente nella zona immediatamente sottostante alla prima macchia gial¬ la intracraterica, come fu altre volte in precedenza riferito. Sulla pa¬ rete orientale, nella zona sottostante alla suddetta macchia gialla, si notava dall’alto verso il basso la seguente successione: 1) mantello piroclastico; 2) colata lavica del 1944; 3) banco di materiale piroclastico attraversato da un dicco ver¬ ticale che partendo dalla colata predetta attinge a: 4) un altro banco lavico del 1944. Sulla prima macchia gialla intracraterica si ebbero i seguenti dati termici : a 10 cm. di profondità T = 500° C a 15 cm. di profondità T =g 560°C a 20 cm. di profondità T = 600°C La bacchetta di alluminio a 40 cm. di profondità si fuse per 5 cm. della sua lunghezza; invece, immessa la bacchetta di ottone ed estrat¬ tala, la sua punta si spezzò. Vi si avvertiva forte l’odore di acido clori¬ drico. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura fu di 200°C e non vi si avvertiva odore di acido cloridrico. Tutta la spac¬ catura di tale macchia e le zone adiacenti fumavano abbondantemente. Come si vede, ritorna ad elevarsi la temperatura su tale zona. 16 marzo 1954. Tutte le pareti crateriche presentavano attivissima fumigazione, compresa la fumarola A della conoide di NW. La fumarola della pa¬ rete meridionale sottostante alla capannuccia fumava con maggiore intensità che nelle precedenti escursioni. L’unico punto di parete cra¬ terica asciutta era sempre quella porzione immediatamente sotto¬ stante alla prima macchia gialla intracraterica. In questa zona di pa¬ rete asciutta, l’alterazione gialla andava sempre più estendendosi. Nel canalone delle frane (quota 1244) si notava una zona che, malgrado le forti piogge dei giorni precedenti, si presentava completamente asciut¬ ta; affondata in essa il termometro (a 20 cm. di profondità), la tem- — 277 — pelatura risultò di 550°C. Non si conoscono le temperature prece¬ denti, perchè questa fu la prima volta che si potette scendere in questo canalone. E’ stato possibile avere tale interessante dato termico, grazie alla guida Angelo Vitulano, che con non poco ardimento si recò su quel pericolosissimo punto. Egli, visto il mio desiderio di conoscere le condizioni termiche del canalone, volle, con il suo entusiasmo, sod¬ disfare questa curiosità. A partire dalla parete di Nord-Ovest, e girando per Nord fino ad Est, si notavano segni di piccole frane; e precisamente una sulla pa¬ rete settentrionale sovrastante la conoide della slabbratura di Nord Ovest; un’altra sulla parete sottostante alla seconda macchia gialla intraeraterica, ed un’altra ancora sulla parete che è tra la prima macchia gialla intraeraterica ed il canalone. Sulla prima macchia gialla intraeraterica la bacchetta di allu¬ minio si fuse, mentre quella di ottone, ad 80 cm. di profondità, dopo circa 30 minuti, fu estratta accorciata di 15 cm., e la porzione venuta fuori era assottigliata alla estremità. Da questo esperimento rileviamo un aumento di temperatura che si avvicina agli 800°C. Scavando in detta zona, a circa 40 cm. di profondità, fu rinve¬ nuta cotunnite fusa. Si avvertiva, come al solito, forte odore di HC1. Fu fatto uno scavo, togliendo tutta la cotunnite, e fu rimesso del la- pillo esente da tale minerale, per vedere in quanto tempo esso si sarebbe formato. L’orlo craterico orientale, nella porzione che corrisponde allo allineamento della prima macchia gialla intraeraterica con la seconda extracraterica, presentava segni di continuo assestamento; infatti la fenditura trasversa, che è qui presso l’orlo, e che taglia il predetto allineamento, presentava più alto l’orlo inferiore che non il superiore, vale a dire più distaccato il colletto che diventa sempre più accen¬ tuato. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura era circa 200°, e tutta la zona fumava copiosamente. Quota 800. N° 1, T = fredda N° 6, T = 210°C » 2, T = fredda » 7, T = 190°C » 3, T = 150°C » 8, T = 170°Q » 9, T = fredda — 278 — 20 marzo 1954. Quota 800. N° 3, T = 150°C » 6, T = 200°C N° 7, T = 170°C » 8, T = 150°C 26 marzo 1954 (1). In corrispondenza della prima macchia gialla intracraterica la colata lavica sottostante, a causa di una frana, aveva messo in evi¬ denza macchie gialle. La fascia di materiale piroclastico del settore craterico di Sud-Est, che da questa zona va a quota 1244, pur fumi¬ gando qua e là, mostrava sul suo pendio macchie di musco. Al di sopra della prima macchia gialla extracraterica si era formato un notevole scoscendimento con diverse crepe. 2 aprile 1954. Quota 800. N° 7, T = 190° C » 8, T = 160°C N° 3, T - 140°C » 6, T = 190°C 15 aprile 1954 (2). Sul versante di Boscotrecase, a quota 800, furono eseguiti scavi sul colle Alfano e zone circostanti, per raccogliere le produzioni mi¬ nerali ivi formale. Sotto il « eimone » della collina in parola comin¬ ciò ad uscire materiale tale che preludeva una lava compatta. Rac¬ cogliemmo molto cloruro sodico, il quale faceva da cemento al la- pillo e quindi costituiva crostoni abbastanza consistenti; tale cloruro sodico si presentava in masserelle cristalline, o come veli. Dalle mas- serelle cristalline si partivano forme arborescenti ritorte, come se (1) Tale escursione fu rivolta alla ricerca dei vari minerali e dei proietti la¬ vici. Giunti alla Stazione inferiore della seggiovia, ascendemmo al cratere, dove si giunse alle ore 12,45. Erano con me un gruppo di studenti e le guide Vitulano C ScOGNA MIGLIO. (2) Escursione effettuata con un nucleo di allievi. — 279 — fossero ad uncino, che richiamavano nel loro aspetto l’aragonite co¬ ralloide. Esse erano abbondantissime e si rinvenivano ad un metro di distanza al di sotto del cimone, dove la temperatura era elevata, per cui non era comodo lavorare nello scavo, e di tanto in tanto bi¬ sognava sospendere. Esaminati i saggi del salgemma, si notavano, oltre quelle croste o masse cristalline, cristalli cubici perfetti, che coprivano la super¬ ficie del lapillo. Non si rinvennero, nei saggi esaminati, cristalli cubici combinati con l’ottaedro che avrebbero rivelata la presenza di silvina in cristalli. I dati termici prelevati sulla zona di quota 800 furono: Nr 3, T = 100°C » 4, T = 130°C (1). 25 aprile 1954. Quota 800. N° 3, T - 90°C » 4, T = 150°C N° 6, T = 200°C » 7, T = 180°C » 8, T = 140°C N° 6, T = 200°C » 7, T = 180°C » 8, T = 140°C 28 aprile 1954 (2). Si continuò lo scavo sul colle Alfano, a quota 800, e si rinven¬ nero le stesse produzioni minerali rinvenute nella escursione del 15 aprile. Per quanto protratto ed approfondito lo scavo, pur ostaco¬ lalo dalle condizioni termiche della zona, non si potette rinvenire tra i prodotti esaminati alcuna novità. 1° maggio 1954 (3). Sulla prima macchia gialla intracraterica fu fatto uno scavo, ma vi fu rinvenuta poca cotu rinite . Il termometro, già a 20 cm., dopo circa tre minuti misurava 600°; non fu possibile fare i soliti esperimenti (1) Luogo dello scavo sul colle Alfano. (2) L’escursione ebbe per mira la quota 800, versante Boscotreease. (3) Vitulano eseguì le esperienze in questa zona dietro mie indicazioni. — 280 — con le bacchette di alluminio e di ottone a causa di un forte tempo¬ rale sopravvenuto. Sulla prima macchia gialla extracraterica, la ventarola si era completamente ostruita, e se ne era formata un’altra più piccola a circa quattro metri di distanza. Nella spaccatura di questa ventarola il termometro, a circa 20 cm. di profondità, dopo quasi dieci minuti segnò 200°C. Dopo il temporale furono prese a quota 800, versante di Bosco- trecase, le seguenti temperature: N° 3, T - 60° C N° 6, T - 190°C » 4, T = 160°C » 7, T = 160°C » 8, T - 120°C Il massimo valore raggiunto fu di 190° sulla buca della tenorile (6); il colle Alfano presentava terni alita elevata solo nella zona dello scavo (160° al n. 4). 5 maggio 1954 (1). Fu fatta tale escursione a quota 800, sul versante di Boscotrecase, per continuare lo scavo sul colle Alfano e raccogliere le produzioni minerali ivi e sulla zona circostante. 8 maggio 1954. Quota 800. N° 4, T = 150°C » 6, T - 200°C 17 maggio 1954. Quota 800. N° 4, T = 160°C » 6, T = 180°C N® 7, T - 170°C » 8, T - 110°C N° 7, T = 170T » 8, T = 120 °C (1) Escursione effettuata alle ore 13,30 con un nucleo di studenti. — 281 — 26 maggio 1954. Quota 800. N° 4, T = 170°C N° 7, T = 160°C » 6, T = 190°C )) 8, T = 130°C 27 maggio 1954. Sulla prima macchia gialla intracraterica la temperatura era co¬ stante. La bacchetta di alluminio, introdotta nel lapillo, si fuse; il termometro, a 5 cm. di profondità, dopo 6 minuti raggiungeva 600°C; forte era l’odore di acido cloridrico. La cotunnite non fu rinvenuta. La parete che da SE va a NE presentava piccoli distacchi di mate¬ riale franato di recente. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura non superava i 200°C; non vi si avvertiva odore di acido cloridrico. A quota 800 gli scavi sul colle Alfano furono continuati, ma nulla di notevole dal punto di vista mineralogico venne fuori. La temperatura su tale colle era di 170°C. Altri valori furono: Ne 6, T = 180°C » 8, Ti 120°C 4 giugno 1954. Quota 800. N* 4, T = 180°C » 6, T = 200°C N° 7, T = 180°C » 9, T = 70°C N° 7, T = 170°C » 8, T = 100nC » 9, T = 60 °C 8 giugno 1954 (1). Sulla prima macchia gialla extracraterica alcune fenditure si erano occluse, e se ne erano aperte delle nuove. La temperatura di tale macchia il 27 maggio era di 200°C. (1) Escursione compiuta con gli alunni delle Facoltà di Agraria e di Scienze. — 282 — La fenditura con depressione sul pendio esterno orientale del mantello piroclastico del 1944, a circa 6 metri di distanza dall’orlo, lasciava avvertire forte odore di cloro. Tale depressione era così ac¬ centuata da riprodurre, in miniatura, un piccolo monte Somma che circonda un piccolo Gran Cono. Essa s’inizia là dove sull’orlo giunge 10 strade! lo proveniente dalla prima macchia gialla extracraterica, e precisamente da quota 1244; continua oltre la zona della prima mac¬ chia gialla intracraterica per quasi tutto il mantello piroclastico, ma affievolendosi gradatamente. Sulla prima macchia gialla intracrate¬ rica, in 4 minuti, la temperatura raggiunse i 600°C. 11 giugno 1954 . Quota 800. N° 4, T f 180°C » (5, T = 200° C N° 7, T = 170°C » 3, T = 100°C » 9, T = 70°C 18 giugno 1954. Quota 800. N° 4, T = 170°C » 6, T = 210°C N° 7, T = 160’C » 8, T = 90°C » 9, T = 70°C 26 giugno 1954. Quota 800. N° 4, T =■ 180°C » 6, T = 220°C N° 7. T = 150°C » 8, T = 100°C » 11, T = 260°C (1) 6 luglio 1954. La temperatura sulla prima macchia gialla extracraterica era di 200°C; l’odore di acido cloridrico era scomparso completamente. La fumarola del corno sinistro della slabbratura di NW e la fumarola (1) Nuovo punto termico nei pressi della buca a tenorite. 283 A della conoide fumavano abbondantemente. Sulla prima macchia gialla in iracraterica l’acido cloridrico si avvertiva sempre più forte; come anche era forte tale odore sprigionantesi dalla spaccatura tra¬ sversale esistente sul pendio esterno orientale del mantello pirocla¬ stico del 1944. Persisteva l’assenza di cotunnite sulla prima macchia gialla intra- c* rate rie a. Sulle pareti crateriche che dal canalone girano a Nord-Ovest si notavano segni di recenti piccole frane. A quota 800, versante di Boscotrecase, i valori termici furono i seguenti: N° 4, T = 200°C N° 7, T = 140°C » 6, T = 210°C » 8, T = 100°C » 11, T = 210°C 14 luglio 1954 (1). Sulla prima macchia gialla intracraterica, malgrado un forte vento di tramontana, alle ore 3,30, sotto la cupola dove abitualmente si prendono le temperature, il Vitulano potè vedere molto bene il la- pillo incandescente, mentre nelle precedenti osservazioni per poter vedere l’incandescenza bisognava fare uno scavo di almeno dieci cen¬ timetri; ciò stava a dimostrare che la temperatura era in aumento. Furono raccolti campioni di diversi minerali. La spaccatura sul pendio esterno orientale del mantello pirocla¬ stico del 1944 andava allargandosi, continuando ad assorbire mate¬ riale; detta spaccatura andava altresì allungandosi sempre più. A quota 800, versante di Boscotrecase, i valori termici furono i seguenti: N° 4, T = 200° C N° 7, T = 130°C » 6, T = 200°C » 8, T = 100°C » 11, T = 260°C (1) Osservazioni condotte dalla mia guida Angelo Vitulano per raccogliervi dati e produzioni di minerali formatesi in luglio, come ho precedentemente se¬ gnalato. — 284 — 17 Luglio 1954. Quota 800. Nelle zone di lapillo alterato, dove era cresciuta la vegetazione, scavando a circa 50 crn. di profondità, detto lapillo si presentava sempre umido, ma caldo; la temperatura variava dai 20 ai 50 gradi. La massima temperatura raggiunta in questa zona fu alla buca a tenorile , col valore di 200°. Però tale elevato valore non era il solo, poiché ad oriente di tale buca, a circa quindici metri di distanza (al n. 11), si ebbe lo stesso valore termico; e poco oltre il valore cl i 180°, mentre la buca (n. 8), che aveva raggiunto il 2 giugno 1950 il valore di 595°, diede il valore di 80°C circa. Sul colle Alfano, ossia al limite orientale di questa zona termica, nel luogo di tale colle ove fu effettuato lo scavo, la temperatura rag¬ giunta fu di 180° (n. 4). Come si vede, i valori si mantenevano alti, con qualche lieve di¬ minuzione. 28 luglio 1954. N° 4, T - 190°C » 6, T = 220°C 15 agosto 1954. Quota 800. N° 4, T = 190°C » 6, T = 210°C 3N° 7, T = 130° C » 8, T = 90° C » 11, T = 200° C N° 7, TB 140cC » 8, T = 90° C » 11, T = 180cC 24-26 agosto 1954. Il mattino del 24 agosto ci portammo nel settore di Boscotrecase con il Prof. Houtermans, direttore dell’Istituto di Fisica della Uni¬ versità di Berna, ed il giorno 26, con lo stesso professore ascendemmo al cratere per visitare in particolar modo la zona a cotunnite , che è — 285 — sulla prima macchia gial la in tracraterica, e prendere gli opportuni accordi per le osservazioni su tali minerali. In questo giorno (26 agosto) potetti constatare che la fenditura iransversa, sul pendio esterno orientale del mantello piroclastico del 1944, si era approfondita di più, ed altre crepe parallele a questa si manifestavano. Sul labbro dell’orlo craterico orientale, al di sopra della prima macchia gialla intracraterica, si osservavano efflorescenze saline di cloruro sodico. L’odore del cloro era quanto mai intenso. 30 agosto 1954 . Quota 800: N. 4, T = 200°C » 6, T = 220°C N. 7, T = 130°C » 8, T = 80° C Come si vede, la zona della tenorite e quella del colle Alfaìno per¬ sistono nella termalità elevata, mentre gradualmente decresce quella che aveva raggiunto l’alto valore di 595° il 2 giugno 1950, mettendo in evidenza il lapillo incandescente negli scavi eseguiti il 2 e il 27 giugno 1950. 6 settembre 1954 L’ascensione al cratere ebbe per iscopo di accompagnare gli as¬ sistenti del Prof. Houtermans, i Dr. Begemann e Geiss, e far cono¬ scere la zona della cotunnite , giusta gli accordi presi con il predetto professore, ai fini di uno studio sistematico da esplicarsi nei giorni successivi. La parete orientale presentava segni di vasto sviluppo di frane, per cui andava facendosi sempre più a strapiombo. Prima di giungere sull’orlo corrispondente alla prima macchia gialla intracraterica, si avvertiva fortissimo l’odore di HC1, mentre debolissimo era quello del Cloro. — 286 — 10 settembre 1954 (1). Quota 800. Fu intesa tale escursione al fine eli continuare lo scavo sul colle Alfano, approfondendolo ed estendendolo con mezzi più efficaci. In uno scavo fatto ai piedi del colle Alfano trovammo le lave del 1942 arrossate; e la temperatura, misurata in uno spacco di tali lave, era di 230°. Scopo dello scavo era quello di rimuovere il banco di la- pillo ricoprente il toppo lavico del colle Alfano, vedere la soluzione di continuità e, quindi, il contatto tra il materiale lavico del 1942 e quello del 1944. Si sperava, cioè, di mettere a nudo la viva roccia lavica, e di avere maggiori lumi sulla fonte termica che aveva originato le alte termalità della zona in quel settore. 11 settembre 1954. In tale giorno la mia guida Angelo Vitulano, per mio incarico, accompagnò gli assistenti del prof. Houtermans affinchè, secondo gli accordi con me presi, si recassero nella zona della cotunnite sulla prima macchia gialla intracraterica, al fine di sperimentare la ve¬ locità di formazione di tale minerale. Raccolta quindi della cotunnite sotto la volta di una cavità ivi esistente, furono messi in tale cavità un tubo di eternit ed alcuni fili metallici. Poi si chiuse bene tale buca della cupola con delle pietre prelevate da zone fredde. Dopo due giorni fu trovata della nuova cotunnite formata sulle pietre, e precisamente sulle superfici di con¬ tatto di dette pietre; mentre sui fili metallici e nel tubo ben poca fu la cotunnite. Eliminata tutta la cotunnite formatasi in tale zona, fu ri¬ petuto l’esperimento. Ritornati sulla zona dopo ventiquattro ore, fu trovata la cotunnite di fresco formatasi, ma in quantità minore. Il 14 settembre vi furono due frane abbastanza grandi. Una si verificò sulla parete Nord, al di sotto della seconda macchia gialla intracraterica, e l’altra al di sotto del canalone. In questa stessa zona, al di sotto del canalone, nel pomeriggio del 16 ed al mattino del 17, si verificò un’altra frana. Sulla parete fresca, che è venuta fuori in seguito a questa frana, si notavano alcune zone alterate. (1) Escursione effettuata con il Barone Luca Massa di Boseotreease. — 287 26 settembre 1954 . Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura non su¬ perava i 200°C. Sulla prima macchia gialla intracraterica, come al solito, la bacchetta di alluminio si fuse. La bacchetta di ottone, la¬ sciata nel lapillo per parecchi giorni, si presentava molto corrosa, con parecchi cristalli di cotunnite attaccati ad essa. Ancora piccole frane si erano verificate, incominciando dalla parete sovrastante la conoide di NW, lungo tutta la parete settentrionale fino a quella orientale. A quota 800 i dati termici furono: N. 4, T = 160°C » 6, T = 250°C 10 ottobre 1954. Quota 800. N. 4, T = 150°C N. 7, T = 160°C » 6, T - 230°C » 8, T = 90°C » 11, T = 200°C 11 novembre 1954. Dopo le forti piogge, tutte le pareti del cratere fumavano abbon¬ dantemente. La parete sovrastante la conoide di NW presentava no¬ tevole distacco di blocchi. Da settentrione ad oriente di continuo pic¬ cole quantità di materiale si staccavano dalle pareti. La parete cra¬ terica orientale era tutta bagnata; solo la porzione sottostante alla prima macchia gialla intracraterica aveva la solita zona asciutta, ed inoltre in questa zona si andava accentuando uno sgrottamenlo. La prima macchia gialla extracraterica, e la vasta zona circostante, fu¬ mavano abbondantemente; la temperatura di tale macchia era di 170°C. Sulla prima macchia gialla intracraterica era forte l’odore di acido cloridrico. Il termometro, a 20 cin. di profondità, in un minuto segnò 450°C., ed in 3 minuti 600°C. Forte sviluppo di acido clori¬ drico si aveva dalla spaccatura trasversale, sul pendio esterno orien- N. 8, T = 90°C » 11, T = 200°C — 288 — tale del mantello piroelastieo del 1944, ma solo lungo l’allineamento con la prima macchia gialla intracraterica. A quota 800 la buca a tenorile (n. 6) aveva la temperatura di 180°C; al n. 11 il termometro segnava 110°C., e al eolie Alfano (n. 4) raggiungeva i 120°C. 7 dicembre 1954. Sulla prima macchia gialla intracraterica, a 10 em. di profondità, la temperatura raggiungeva 600°C. in quattro minuti. 22 dicembre 1954. Persistevano gli stessi dati precedenti. Lo STATO DEL VESUVIO ALLA FINE DEL 1954. Nel canalone si rileva la temperatura di 550°C, in aumento su quella trovata il 27 gen. 1950 a sinistra di esso. I valori termici della prima macchia gialla extraerateriea si mantengono bassi (200°C). Sulla prima macchia gialla intracraterica la temperatura supera 600°C. Il colle Alfano va gradatamente scemando di temperatura, raggiungendo valori da 200°C. a 120°C. La ventarola (n. 1) è già fredda nel gennaio. La zona termica ad occidente del colle Alfano presenta il più alto valore di 260°C al n. 11, dove fu fatto uno scavo. La buca della te¬ norile ha toccato i 250°C per poi decrescere a 180°C. Gli scavi al colle Alfano, iniziati al principio di quest’anno, vennero fortemente incrementati nel settembre, ma i lavori purtroppo non potettero essere condotti a termine. L’idea di effettuare lo scavo sul colle Alfano, o meglio, ai suoi piedi, aveva uno scopo ben preciso. Come ebbi già occasione di dire, fu ivi che la prima volta, il 27 giugno 1949, trovai la temperatura di 550°C; mentre di fronte, ai piedi del piccolo toppo lavico del 1942, si apriva una ventarola al¬ tamente termica ed a termalità variabile, secondo le condizioni atmo¬ sferiche; inoltre in tale ventarola era stata osservata l’incandescenza, come già detto. Man mano che la temperatura del colle Alfano è andata diminuendo, così è andata diminuendo la temperatura della — 289 — ventarola (n. 1), e del punto termico n. 5 sulle lave dei 1942 costi¬ tuenti il toppo di fronte al colle Alfano. Evidentemente l’aria, passando tra le discontinuità laviche così frequenti, e talvolta abbastanza ampie, del materiale del 1941-42, e trovando una zona fortemente termica, assumeva l’alta termalità da me notata. Quindi era vera l’asserzione della mia guida, e di altri, di aver visto attraverso tale buca l’incandescenza. Questo colle, col suo fronte così altamente termico incandescente, con la sua cima del pari alterata, e la temperatura elevata (361°C) ne¬ gli spacchi del toppo del 1942, mi spingevano ancora qui, dove cre¬ devo, per eseguire uno scavo, di trovare migliori condizioni che non in quello effettuato nella zona della tenorile , per tentare così di scru¬ tare in profondità. Yale a dire, io volevo mettere a nudo il contatto tra il materiale del 1942 e quello del 1944 che, rompendo il primo, era venuto a luce, per studiarne non solo la morfologia, ma la termalità ed i prodotti minerali (1). ! Notizie vesuviane per l’anno 1955. 7 maggio 1955. Sulla prima macchia gialla extracraterica 1’ avvallamento della ventarola continuava; la temperatura era di 150°C. Sulla prima mac¬ chia gialla intracraterica il termometro, a 20 cm. di profondità, dopo 3 minuti raggiunse i 600°C. L’odore di cloro e di acido cloridrico era sempre intenso. La spaccatura trasversa, distante circa 6 m. dall’orlo craterico sul pendio esterno orientale, continuava ad allargarsi, in¬ goiando sempre più materiale. Detta spaccatura doveva essere abba¬ stanza profonda, perchè un’asta di circa 4 m. vi fu introdotta facil- (1) Non nego che il lavoro aveva dell’arduo, ma non dell’infruttuoso. Era un piccolo esperimento, che ben poteva farsi, ma non con le forze di una sola per¬ sona; se mai anche da una sola persona, ma con solide basi finanziarie, per cui il lavoro intrapreso con tanto entusiasmo e sacrifizio dovette poi essere abban¬ donato, perchè al « buon volere mancò la possa ». Il lavoro era fatto a mie esclu¬ sive spese, e nell’entusiasmo dell’indagine non badai ad economie. Ma non me ne dolgo! Perchè tante interessanti osservazioni (costose purtroppo!) potetti fare in quella operazione. Debbo ringraziare il barone Luca Massa di Boscoreale, il quale, sempre entu¬ siasta per le mie indagini vesuviane, e visto Limbarazzo mio, volendo io solleci¬ tamente risolvere il problema, mise a disposizione il suo camion per trasporto degli operai, e mi diede anche la collaborazione assistenziale del figliuolo Sal¬ vatore, ora dottore in Agraria, offrendo gli attrezzi del mestiere. 19 — 290 — mente. Questa spaccatura emanava odore di cloro, ma solo sull’alli- neamento con la prima macchia gialla intracraterica. Le pareti crateriche, per una larga fascia estendentesi da SE (canalone, quota 1244) per E fino a .N-NW (parete sovrastante alla conoide di NW), presentavano segni di recente distacco di materiale. La fumarola A della conoide di NW fumava debolmente. A quota 800, sul versante di Boscotrecase, le temperature erano in sensibile diminuzione. Difatti il n. 6 (buca della tenorité) raggiun¬ geva la temperatura di 120°C.; il n. 7 raggiungeva 170°C.; il n> 8 (scavo un tempo a 595°C.) dava la temperatura di 40°C. Il colle Al¬ fano nel luogo dello scavo aveva 40°C. di temperatura. 22 maggio 1955 (dopo la pioggia). Tutte le pareti del cratere fumavano copiosamente; vi era stato periodo piovoso anche nei giorni precedenti. Sulla parete di NW sovrastante la conoide, si notavano maggiori distacchi di blocchi lavici, che avevano accentuato la nicchia ivi for¬ matasi per i precedenti franamenti. Durante la permanenza sul cra¬ tere, di continuo piccole frane si staccavano, a partire dalla parete so¬ vrastante la conoide di NW e proseguendo per Nord e per Est fino al canalone (quota 1244). Le pareti crateriche erano tutte bagnate; solo la porzione sotto¬ stante alla prima macchia gialla intracraterica si presentava, come al solito, asciutta; su questa zona asciutta continuava ad accentuarsi la subescavazione. La zona circostante la ventarola, che è sulla prima macchia gialla extracraterica, fumava copiosamente; la temperatura di tale ventarola era di 170°C. Sulla prima macchia gialla intracraterica si avvertiva forte odore di cloro e di acido cloridrico. Quivi in un minuto, alla profondità di circa 20 cm., il termometro raggiunse la temperatura di 450°C., e dopo tre minuti 600°C. Mancando di altri mezzi di osser¬ vazione, non fu possibile accertare un eventuale maggiore valore termico. Lo stato termico di quota 800 presentava i seguenti valori: N. . 4, T = 40°C » 7, T = 160°C N. 6, T = 120°C » 8, T = 40°G 5 giugno 1955. -- 291 ■— ( Sulla prima macchia gialla extracraterica la ventarola manteneva costante la sua efficienza; la sua temperatura era di 150°C. Sulla prima macchia gialla intracraterica, sempre allo stesso punto, cioè sotto la cupola, la bacchetta di alluminio, dopo circa 20 minuti, fu estratta fusa; quindi la temperatura si avvicinava ai 700°C. (L’allu¬ minio fonde, come è noto, a 675°C.). Si dovette ricorrere all’espe¬ diente della bacchetta di alluminio, perchè anche questa volta il ter¬ mometro raggiunse rapidamente i 600°C. L’odore dèi cloro e dell’acido cloridrico giungeva sempre fortis¬ simo, anche dalla spaccatura trasversa sul pendio esterno orientale del mantello piroclastico del 1944. Sulla conoide di NW la fumarola A fumava copiósamente; dalle pareti crateriche era continuo staccarsi di materiale. A quota 800 lo stato termico era il seguente: N. 4, T = 40°C (colle Alfano) » 6, T - 130°C N. 7, T = 90°C Gli altri punti termici erano freddi. 17 giugno 1955. Dalla parete craterica, per tutto il fronte che da Nord va a Sud, continuava, quantunque in modo ridotto, a distaccarsi materiale. La fumarola A della conoide di NW era attiva. Sulla prima macchia gialla extracraterica non si avvertiva odore di cloro, nè di acido cloridrico, e la temperatura raggiungeva 140°C. Sulla prima macchia gialla intracraterica il termometro, a 20 cm. di profondità, dopo un minuto raggiungeva 500°C., e dopo circa tre minuti 600°C. Disponendo di coni di Seger, si volle con questi sperimentare; perciò, preparata la platea nella cavità esistente sul pendio della prima macchia gialla intracraterica (che poi si è manifestata tipicamente ventarolica), vi furono intromessi vari coni di Seger e poi fu chiusa l’apertura. Dopo circa 40 minuti, il cono di Seger corrispondente a 750°C. presentava debolmente incurvata la sua punta. Facendo uno scavo nei pressi del punto a 600°C., fu rinvenuta — 292 — copiosa la tenorile, in lamine abbastanza grandi. Gli odori di ( loro e di acido cloridrico erano fortissimi. Lo stato termico di quota 800 presentava i seguenti valori: N. 4, T = 40° C N. 6, T = 120°C » 7, T = 60° C Gli altri punti termici erano freddi. 20 giugno 1955. In tale giorno la mia guida Angelo Vitulano perlustrò tutta la zona di quota 800, ed eseguì uno scavo nei pressi della buca a teno¬ rile , seguendo le mie indicazioni; alla profondità di circa mezzo me¬ tro rilevò la temperatura di 170°C. Tutte le altre zone quindi anda¬ vano raffreddandosi. La sera dello stesso giorno egli salì al cratere con due turisti, e ne trasse profitto per recarsi sulla prima macchia gialla intracra- terica per osservare l’incandescenza della zona, come già altre volte aveva fatto, riferendomi quanto segue: cc Alle ore 22,30 ero sulla prima macchia gialla intracraterica, e questa volta ho avuto la gra¬ dita sorpresa di osservare l’incandescenza senza fare nessuno scavo, perchè, come vi giunsi, sia nella buca a ventarola, che sotto la cu¬ pola, si manifestava l’incandescenza; e non di un rosso-ciliegia come in precedenza, ma di un rosso tendente al bianco ». Quindi è da dedurne un aumento di temperatura, come del resto fanno fede le precedenti osservazioni. 22 giugno 1955 (1). Recatomi sulla prima macchia gialla extracraterica, notai che si era verificato un notevole avvallamento, con franamento dei banchi piroclastici, i quali avevano colmato Tavvallamento stesso. La temperatura, a 20 cm. di profondità, era di 135°C. ; non si avvertiva nè odore di cloro, nè di acido cloridrico. Arrivato sulla punta più alta dell’orlo craterico (quota 1281), fortissimo si avver¬ tiva l’odore di cloro. Sulla prima macchia gialla intracraterica la temperatura era di (1) Ascensione da Nord; sul elatere ci attendeva la fluida Angelo Vitulano. — 293 — óOOcC., a circa 20 cui. di profondità. La cotunnite qui formatasi fu rinvenuta in saggi cospicui, i quali si presentavano fusi. Accanto a tale minerale fu rinvenuta anche tenorile. In questa plaga a cotunnite e a tenorile , introdotto il termometro, si ottennero le seguenti misure: in un minuto, 450° C a 15 cm. dì profondità: in due minuti, 510°C » » » in tre minuti, 550° C » » » e, subito dopo, 580°C. Tre metri sotto Torlo craterico interno fu rinvenuto erilrosidero , il quale segue una spaccatura limitante al confine superiore tutta la prima macchia gialla intracraterica. Questa spaccatura è umida e for¬ temente cloridrica. 30 giugno 1955 . A quota 800 furono prelevati profondità: N. 4, T = 40°C » 6, T = 100°C » 7, T = 95°C 15 luglio 1955. Quota 800. N. 4, T = 40° C » 6, T = 100°C 30 luglio 1955. Quota 800. N. 4, T = 40°C » 6, T 1 110°C i seguenti dati termici a 20 cm. di N. 8, T = 50°C » 9, T = 30°C » 11, T = 120°C N. 7, T = 100°C » 8, T = 40°C N. 7, T = 100°C » 8, T = 30°C — 294 — , 20 agosto 1955. Quota 800. N. 4, T = 40°C » 6, T = 100°C N. 7, T = 80°C )) 8, T = 40°C » 11, T = 110°C 15 settembre 1955. Quota 800. N. 4, T = 40°C N. 7, T- = 80°C » 6, T - 100°C » 8, T =' 40° C » 11, T = 110°C 2 ottobre 1955. Quota 800. N. 4, T = 40°C » 6, T - 100°C N. 7, T = 100°C )) 8, r = 50°C )) 11, T = 130°C 22 ottobre 1955. Quota 800. N. 4, T = 40 °C N. 8, T = 40°C » 6, T = 80°C » 4,5 T = 80 3 C » 11, T = 130°C 10 novembre 1955. Al cratere si notava il continuo rilascio del materiale dalle pareti. Le fumarole, come al solito, in seguito alle precedenti piogge,, fuma¬ vano abbondantemente. Sulla prima macchia gialla extracraterica l’odore di acido clori¬ drico era scomparso completamente, e anche la temperatura andava — 295 diminuendo; il termometro dopo circa 15 minuti segnava 85°G. La spaccatura sul pendio esterno orientale del mantello piroelastico del 1944 emanava un lieve odore di acido cloridrico e lasciava sfuggire debole quantità di vapore. La prima macchia gialla intracraterica in circa 3 minuti, alla profondità di 20 cm., diede 600° C. Introdotta la bacchetta di alluminio, a mezzo metro di profondità, dopo circa 20 minuti fu estratta non fusa. L’odore di acido cloridrico su questa zona era sempre forte. Quota 800. N. 4, T - 85°C N. 8, T ' = 25°C » 6, T = 80°C » 9, T = 20°C » 7, T = 80°C » 11, T = 100°C 30 novembre 1955. Quota 800. N. 4, T - 30°C N. 7, T = 70°C » 6, T = 80°C » 8, T — 30°C » 11, T = 100*0 10 dicembre 1955. Intensa attività fumarolica al cratere. Una vasta porzione della parete craterica orientale, nella zona immediatamente sottostante alla prima macchia gialla intracraterica, permaneva tuttora asciutta, come è stato osservato in precedenza. La prima macchia gialla extracraterica emanava debole quantità di vapore. Sulla suddetta macchia gialla la ventarola era diminuita di intensità; la temperatura era in decre¬ mento, pur essendo il suo valore di 75°C.; l’aria che veniva fuori dalla ventarola era umida. Percorrendo la crinale craterica orientale da Est verso Nord si avvertiva odore di acido cloridrico; tale odore aumentava man mano che ci si avvicinava alla prima macchia gialla intracraterica. È an¬ cora da osservare, come, a partire dal canalone (quota 1244) per giungere alla prima macchia gialla intracraterica, si notava una fascia — 296 — completamente asciutta decorrente orizzontalmente, la quale partiva dalla vecchia piattaforma ed impegnava, da sotto a sopra, metà del mantello piroclastico del 1944 sovraincombente alla suddetta piatta¬ forma. Ciò in relazione ai valori termici di 550°C. del canalone, e di 600°C. ed oltre, della prima macchia gialla intracraterica; tra questi due valori altamente termici ve ne debbono essere di elevati anche nella zona intermedia, dove non è possibile assolutamente accedere; ma che sia così è tuttavia deducibile dalla presenza della fenditura, già altra volta citata, che parte dalla prima macchia gialla intracra¬ terica e si avvia verso il canalone; lungo la quale fenditura e fascia si notano ben evidenti i moti convettivi dell’aria, che su tale fascia si riscalda. È da osservare, quindi, sia l’assenza di termalità, che l’umidità del fondo del cratere e della generalità delle pareti di questo; dimo¬ strata dalla permanenza della neve su dette pareti e dall’umidità che esse presentano, in contrapposto alle fasce altamente termiche e di conseguenza asciutte. Ciò lascia dedurre che la colonna magmatica ascenda attraverso la pila di letti lavici dell’antico cratere nella por¬ zione mediana della sua parete orientale e tenti di culminare sulla prima macchia gialla intracraterica, sia con il suo tronco principale, sia con apofisi, le quali evidentemente influenzano, in modo qualun¬ que, anche il settore che volge al canalone. Quota 800. N. 4, T = 30°C N. 7, T =f 40°C » 6, T = 60°C » 8, T = 20°C » 11, T = 80°C 23 dicembre 1955. Sulla prima macchia gialla intracraterica la temperatura era sem¬ pre alta. Il termometro, a 20 cm. di profondità, dopo un minuto, se¬ gnava 500°C., e in circa 4 minuti segnava 600°C. Su detta macchia si incominciava a formare di nuovo cotunnite , e, scavando a circa 20 cm. di profondità, si trovavano strati di lapillo con tenorile , — 297 — Lo STATO DEL VESUVIO ALLA FINE DEL 1955. La temperatura della prima macchia gialla extracraterica è an¬ data sempre decrescendo da 170°C (max.) a 75 °C (min.). La prima macchia gialla intracraterica ha raggiunto circa 750° C. Qui la incan¬ descenza al 20 giugno sì osservava direttamente senza bisogno di al¬ cuna escavazione. La temperatura del colle Alfano è sempre in di¬ minuzione, mantenedosi sui 40°C. Di conseguenza erano freddi tanto la ventarola (n. 1), quanto il colle />, (n. 5). Anche la zona termica ad occidente del colle Alfano presenta valori in diminuzione, con temperature tra 100°C e 170°C; la mas¬ sima temperatura di questa zona è al n. 7 e al n. 6 (buca della te¬ norile). Notizie vesuviane per l’anno 1956. 4 gennaio 1956. La prima macchia gialla extracraterica aveva la temperatura di 70°C ed emetteva copioso vapore; fortemente umida era tutta la zona circostante. La ventarola ivi esistente aveva diminuito la sua potenza; non vi si avvertiva odore dì acido cloridrico, nè di cloro. Tutte le pareti del cratere fumavano abbondantemente. Sulla prima macchia gialla intracraterica, malgrado le forti piogge, la temperatura era sempre elevata; difatti a 15 cm. di profondità il termometro in un minuto diede il valore di 500°C, e dopo 4 minuti raggiunse * 600°C. Sotto la cupola della suddetta macchia gialla intracraterica inco¬ minciava a formarsi di nuovo la cotunnite, ma non ancora in indi¬ vidui cristallini ben nutriti; bensì piumosi. A circa 3 m. di distanza dalla detta cupola feci effettuare uno scavo dalla guida Angelo Yitu- lano. Togliendo il crostone di lapillo, si rinvenne della splendida cotunnite , ben cristallizzata, che tappezzava la superficie inferiore di detto crostone. Procedendo nello scavo in profondità, a circa 15 cm. si rinvenne abbondante tenorile. L’odore del CI e dell HC1 era, come al solito, molto forte. Anche dalla spaccatura sul pendio esterno orientale del mantello pirocla¬ stico del 1944 si avvertivano tali odori, ma la temperatura era quivi quella ambiente, A quota 800, date le forti piogge, vi era copioso sviluppo di vapore, — 298 — 1° marzo 1956 , Da quota 1170, in corrispondenza della capannuccia, a quota 1244, in corrispondenza del canalone, sia le pendici interne dell’orlo craterico, sia la precipite parete immediatamente sottostante, fuma¬ vano abbondantemente. Al pari era fumante con la stessa copiosità 3 a parete craterica occidentale. Su tale parete occidentale persisteva ancora la neve, la quale ricopriva anche tutto il fondo del cratere. Alcune frane si erano verificate nei giorni precedenti; una era caduta sulla conoide di NW ; un’altra era caduta dalla parete sotto¬ stante alla seconda macchia gialla intracraterica. Alcune zone della parete orientale sottostante alla prima macchia gialla intracraterica erano completamente asciutte e mostravano segni di alterazione. Nella fig. 1 della Tav. XIII esse appaiono come chiazze più chiare. La prima macchia gialla extracraterica era tutta umida, la sua temperatura non superava i 50°C; il suo avvallamento si mostrava più accentuato, ma non si avvertiva odore alcuno. Sulla prima macchia gialla intracraterica la temperatura aveva subito una diminuzione; dopo avere fatta una buca con una trivella a circa un metro di profondità, la temperatura raggiunse 580°C. L’odore di HC1 si avvertiva molto debole. Sotto la cupola della cotunnite furono immessi grossi pezzi di scorie laviche, sbarrette di ottone e di alluminio allo scopo di speri¬ mentare sulla formazione della cotunnite; poi fu chiusa tale cupola. La spaccatura sul pendio esterno orientale del mantello piroclastico del 1944 emanava odore di. HC1; l’avvallamento vi era più marcato; la temperatura quivi raggiunta a 50 cm. di profondità era di 90°C. 2 aprile 1956. Alle ore 13,07 fu avvertita una scossa sull’olio craterico, secondo quanto fu affermato da coloro che ivi si trovavano. Anche ó. quota 800 sul versante di Boseotrecase si avvertì la scossa, la quale fu di brevissima durata ed ebbe senso ondulatorio. 19 aprile 1956. Ancora una scossa si avverti sull’orlo del cratere alle ore 14,15, ma più debole di quella del 2 aprile. Comunque, l’uomo che ha la capannuccia sull’orlo del cratere la avvertì benissimo. — 299 — 20 aprile 1956. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura era in diminuzione, raggiungendo 30°C in 20' circa. Non vi si avvertivano odori di manifestazioni gassose. Debole era lo svolgimento di vapore. Sulla prima macchia gialla intracraterica la temperatura tendeva a risalire; il termometro, a 20 cm. di profondità, dopo 10 minuti se¬ gnava 600°C; anche l’odore di HC1 si avvertiva più forte. Scarsis¬ sima quantità fu rinvenuta sia di cotunnite che di tenorile ; di questo ultimo minerale non fu possibile trovare formazioni altrove, mal¬ grado avessi fatto eseguire scavi nelle vicinanze; esso è sempre, in frequenza, subordinato alla cotunnite. A quota 800 la buca della te¬ norile (n. 6) aveva la temperatura di 20°C; nella zona circostante la temperatura massima fu raggiunta al n. 11 con 40°C. Come si vede, la zona va raffreddandosi. 20 maggio 1956. Al cratere si notava copiosa attività fumarolica. La fumarola A della conoide di NW era completamente sepolta dalle frane. Da SE a NE, durante la permanenza al cratere, era continuo il rilascio del materiale piroclastico, .con maggiore frequenza nella zona del cana¬ lone. La temperatura della prima macchia gialla extracraterica era di 40°C; c’era emanazione di vapore d’acqua, ma non vi si avvertiva odore di Cl, nè di HC1. Sulla prima macchia gialla intracraterica si notava più forte l’odore dell’HCl; anche la temperatura era ivi in aumento, e non soltanto nella ventarola e sotto la cupola, ma anche su tutta la zona circostante. La formazione della cotunnite e della tenorile era ancora scarsissima. Non si potette constatare ciò che era avvenuto sulle scorie e sui pezzi di metallo nello scavo, a ino’ di forno, sotto la cupola tamponata il 1° marzo, come si è detto dianzi, perchè era stato tutto rimosso da profani. Evidentemente i visitatori, curiosi delle produzioni del nostro vulcano, avevano tutto guastato. In questi ultimi tempi è più facile ai visitatori turbare gli esperi¬ menti in atto, e più diffìcile allo studioso condurli a termine, poi¬ ché con un nuovo sentiero praticato dalle guide di Resina si è reso facile l’accesso alla zona. Sarebbe tanto utile se una intelligente in¬ tesa consentisse agli studiosi di condurre con tranquillità le proprie — 300 ricerche sulle produzioni del nostro vulcano (1), con grandissimo van¬ taggio per la scienza. A quota 800, la temperatura massima riscontrata fu al n. 11, con il valore di 60°C. 15 giugno 1956. Mentre le restanti zone permanevano fredde come in precedenza, al n. 11 di quota 800 ricominciava l’ascesa termica, raggiungendosi gli 85°C. 23 giugno 1956. Tutte le pareti crateriche erano fumanti. Dalla parete craterica meridionale, e precisamente da quella corrispondente alla Capannuc- cia, si staccò una frana abbastanza voluminosa; mentre una di lieve entità si staccò dal canalone. Sulla prima macchia gialla intracraterica vi era forte sviluppo di HC1 e di Cl. A quota 800 permaneva, al n. 11, la temperatura di 85°C (unico punto termico). 29 giugno 1956. La temperatura al n. 11 di quota 800 era salita a 150°C; quindi un aumento abbastanza notevole si era verificato rispetto al valore precedentemente misurato. 3 luglio 1956. La giornata era ventosa e Torlo del cratere coronato di nuvole. Le pareti crateriche e le fumarole della conoide di NW non fuma¬ vano. Da quasi tutte le pareti si staccava materiale, ma in maggior quantità nel settore da Nord ad Est. Sulla prima macchia gialla extra¬ craterica si notava debole manifestazione di vapore; dal punto di vista (1) Ciò sta a dimostrare quanta pazienza e perseveranza occorrono in tali ricerche (e quanto sacrificio, poiché ho condotto e conduco tali ricerche esclusi¬ vamente a mie spese). Sarebbe opportuno che le guide impedissero ai visitatori di fare scempio dei minerali; ma temo che... « quis custodii custodem »? — 301 — termico era da considerarsi fredda. La spaccatura sul pendio esterno orientale del mantello piroclastico del 1944 presentava segni di as¬ sorbimento di materiale e lasciava sfuggire, in alcuni punti, odore di HC1, in corrispondenza dei quali il lapillo si presentava alterato e di colore bianco. Sulla prima macchia gialla intracraterica il termometro, a 20 cm. di profondità, raggiunse in circa 5' la temperatura di 600°C. Tutto intorno a tale punto termico si erano formate spaccature, nelle quali il termometro raggiungeva 500°C. Gli scavi eseguiti per la ricerca della tenorite risultarono infruttuosi. Nelle predette fenditure invece si andava formando abbondante cotunnite capillare, che però fu diffi¬ cile raccogliere; ma sotto il crostone di materiale piroclastico, che copre vasta parte della zona in parola, ve ne era di ben cristallizzata, ma poca. La guida Angelo Vitulano, attendendo per mio incarico alla ricerca di nuove formazioni minerali e di eventuali altre mani¬ festazioni termiche, volle attardarsi sul cratere fino a che si facesse buio per osservare l’incandescenza sulla prima macchia gialla intra¬ craterica. Difatti alle ore 20.30 potette osservare benissimo l’incan- descenza nella piccola buca ventarolica che è vicino alla cupola. Nelle crepe di questa zona l’incadescenza, invece, non si notava. A quota 800 solo il n. 11 presentava temperatura elevata (210°C), cioè un aumento notevole rispetto ai precedenti dati, mentre gli altri punti termici erano freddi. 10 luglio 1956. A quota 80 il n. 11 t aggiungeva i 220°C. 20 luglio 1956. A quota 800 il n. 11 misurava 220°C. 28 luglio 1956. A quota 800 il n. 11 presentava una temperatura di 230° C. Come si rileva, i valori termici sono in continuo aumento su tale punto. — 302 — 30 luglio 1056. Potetti notare, giunto sul cratere che l’attività della fumarola A della conoide di NW era appena sensibile. La subescavazione della pa¬ rete craterica orientale si presentava accentuata. Sul pendio interno dell’orlo craterico orientale, lì dove si parte il sentiero che conduce alla sottostante prima macchia gialla intracraterica, a circa 5 m. al di sotto di tale orlo, notai la formazione di vasta fascia d* eritro- sidero , da cui emanava forte odore di Cl. Discesi sulla zona della cotunnite , che prima era ricca di tale materiale, e la trovai comple¬ tamente devastata dalla ingordigia degli inesperti ; peraltro a destra del canale, dalle varie fenditure ad alta termalità, si notava che si era formata, ancora copiosa, la cotunnite. Difatti la temperatura massima segnata su questa zona era di 575°C. Forse il diminuito valore termico di detta zona deve essere messo in relazione eoi numero delle fenditure verificatesi. 10 agosto 1956. A quota 800 il n. 11 misurava 230°C. 12 agosto 1956. Sulla prima macchia gialla extracrateriea la temperatura era di circa 100'C; si notava quindi un forte aumento rispetto alla tempera¬ tura di 40°C osservata il 20 maggio scorso. Non vi si avvertiva al¬ cun odore di acido cloridrico o di Cl. Al cratere continuava il rilascio di materiale dalle pareti da Est a Nord. Sulla prima inacetiva gialla intracraterica la temperatura era di circa 600°C. Molta cotunnite capillare si era formata nelle varie crepe circo¬ stanti; ma non fu possibile toglierla per cause varie che ne ostacola¬ vano la raccolta, ed anche per l’alta temperatura di queste crepe che raggiungeva circa 500°C. L’odore di HC1 e Cl era sempre forte. La spaccatura sul pendio esterno orientale del mantello piroclastico del 1944 presentava accentuata Alterazione del materiale. 20 agosto 1056. A quota 800 il n. 11 raggiungeva la temperatura di 235°C. 2 settembre 1956. A quota 800 il n. 11 misurava ancora 235°C. 18 settembre 1956. A quota 800, la temperatura del n. 11 era di 230°C. 20 settembre 1956. La terrazza di cedimento formatasi lungo l’orlo craterico imme¬ diatamente dopo il canalone delle frane (quota 1244) e proseguente verso E, senza raggiungere la quota 1281, andava sprofondandosi sem¬ pre più, e il suo materiale smottava verso il cratere. Sulla prima macchia gialla extracraterica permaneva la temperatura osservata pre¬ cedentemente. Sulla prima macchia gialla intracraterica la tempera¬ tura raggiungeva 600DC éd emanava forte odore di HC1. Fatto uno scavo in tale posto ed introdottavi la bacchetta di alluminio, a circa' un metro di profondità, non si ebbe fusione alcuna. 25 settembre 1956. A quota 800 il n. 11 presentava la temperatura di 220°C. 1 ottobre 1956. A quota 800 si raggiunsero di nuovo, al n. 11, i 230°C. 15 ottobre 1956. A quota 800 la temperatura del n. 11 era di 225°C. 23 ottobre 1956. A quota 800 la temperatura del n. 11 era risalita a 240°C. >, • jjV; ' • 27 ottobre 1956. Al cratere vi era debole attività fumarolica; piccoli rilasci di ma¬ teriali si verificavano dall’orlo e dalle pareti di SE a NE. — 304 — La prima macchia gialla extracraterica aveva la temperatura di 85°C. La spaccatura sul pendio esterno orientale del mantello piro- elastieo del 1944 emanava odore di HC1, ed il suo approfondimento era più marcato. Sulla prima macchia gialla intracraterica la tempe¬ ratura era di 600° C, a circa un metro di profondità. 7 novembre 1956. A quota 800 il n. 11 raggiungeva i 210°C 18 novembre 1956. A quota 800 il n. 11 misurava 200°C. 27 novembre 1956 A quota 800 il n. 11 conservava la temperatura di 200°C. 7 dicembre 1956. A quota 800 la temperatura del n. 11 era discesa a 1803C. 22 dicembre 1956. A quota 800 la temperatura del predetto n. 11 si era ullerior- mente abbassata Imo a 150°C. 28 dicembre 1956. Al cratere niente di nuovo; come al solito, rilaseio di materiale dalle pareli, ma poco. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura raggiungeva 40°C. La temperatura della prima macchia gialla intracraterica era di 600°C, a cirea un metro di profondità. A quota 800, il n. 11 aveva subito una ulteriore diminuzione di temperatura, raggiungendo 90°C. Fatto uno scavo ad un metro di profondità, il lapillo si rinveniva sempre umido. Come si vede, dal 23 ottobre la temperatura è andata quivi sempre scemando col procedere della stagione invernale. 305 — Lo STATO DEL VESUVIO ALLA FINE DEL 1956. Decrescono le temperature sulla prima macchia gialla extracrate¬ rica, che presenta due valori massimi di 100°C. La prima macchia gialla intraerateriea lascia ancora vedere l’ incandescenza, e la tem¬ peratura vi si mantiene sui 600° C. A quota 800, il colle Alfano è freddo, al pari della ventarola e del eolie sovrastante del 1942. Sulla zona termica ad occidente del colle Alfano, l’unico punto termico è quello al n. 11, che dal valore di 40°C ha raggiunto progressivamente il valore di 240°C, per poi decrescere a 150°C. Notizie vesuviane per l’anno 1957. 15 gennaio 1957. Il Gran Cono del Vesuvio era tutto pieno di neve; solo sulla prima e seconda macchia gialla extracraterica la neve non si era ancora posata; e su ambedue queste zone la temperatura era di circa 60°C. Il fondo del cratere era tutto coperto di neve, come anche parte della parete occidentale (Tav. XIII, fig. 2). L’attività fumarolica di tutte le pareti crateriche era vistosa. Sulla prima macchia gialla intraerateriea il termometro, a 2-3 cm. di profondità, segnava 350°C, mentre a 50 cm. raggiungeva 600°C. A quota 800 l’unico punto termico era dato dal n. 11, con 50°C. Lo stesso punto termico ha dato, nell’intervallo dal 21 gennaio al 28 febbraio, i segmenti valori: 21 gennaio 1957 : 30 gennaio 1957 : 12 febbraio 1957 : 20 febbraio 1957 : 28 febbraio 1957 : T = 20°C T = 20°C freddo T = 25°C T - 40°C Come si vede, nella stagione invernale le temperature vanno dimi¬ nuendo, come già ho fatto osservare verso la fine dello scorso anno. 19 gennaio 1957. La neve ricopriva il Gran Cono, lasciando vedere, come sempre, la fascia nera esente da neve, corrispondente all’orlo della vecchia piat¬ taforma craterica (Tav. XIV). 20 306 — 8 marzo 1957. Al cratere vi era un’aria satura di umidità; le pareti crateriche fumavano abbondantemente, in special modo la parete di E-SE (Tav. XV, fig. 2). Sulla conoide di NW solo la fumarola A fumava debolmente. Continuo era il ruscellare del materiale sul fondo, che si staccava dal mantello piroclastico da NE a S. La prima macchia gialla extra¬ craterica era completamente fredda. La prima macchia gialla intra- craterica emanava forte odore di cloro e di acido cloridrico; la temperatura quivi raggiunta fu di 550°C, a circa 50 cm. di profon¬ dità. La cotunnile non fu rinvenuta al solito posto sotto la cupola a sinistra della ventarola, ma solo nelle fenditure circostanti, dalle quali peraltro non fu possibile raccoglierla, sia per l’alta termalità che per la scomoda ubicazione. A quota 800 tutte le zone di alterazione, ossia i vari punti ter¬ mici, si presentavano umide, ad eccezione del n. 11. che era l’unica zona emanante vapore ed aveva la temperatura di 45°C. Lo stesso punto termico n. Il ha dato, neH’intervallo dal 15 marzo al 15 maggio, i seguenti valori termici: 15 marzo 1957 : 20 marzo 1957 : 25 marzo 1957 : 5 aprile 1957 : 15 aprile 1957: 30 aprile 1957 : 15 maggio 1957 : T = 70°C T = 90° C T = L30°C T = 120°C T = lUr& T = 130°C T - 120°C Come si rileva, con la fine della stagione invernale la tempera¬ tura del punto termico n. 11 va di nuovo aumentando, mentre tutte le rimanenti zonve permangono fredde. 26 maggio 1957. La guida Angelo Vitulano, operando con molta accortezza, si calò nel canalone dell’orlo craterico di quota 1244 (dove nella prima discesa effettuata il 16-3-54 aveva constatato la temperatura di 550°C a mezzo metro di profondità), e dopo aver rotto il durissimo crostone — 307 — dei pendio, introdusse il termometro nel lapillo sottostante: dopo 10 minuti (a 20 cm. di profondità) la temperatura i aggiunse 500°C. Fece una raccolta di incrostazioni, che io esaminai e che risultarono composte da alile e da *Uvite. Per ricristallizzazione da soluzione si formarono cristalli cubici spettanti alla alile , e cubi combinati con l’ottaedro, ed ottaedri semplici, spettanti alla silvite. Saggi al fil di platino, e microchimici sui predetti cristalli, riconfermarono quanto sopra. Erano assenti carbonati e solfati. Sulla prima macchia gialla intracraterica fu determinata la tem¬ peratura a diverse profondità. Poggiato il termometro sul lapillo, in cinque minuti si raggiunse la temperatura di 110°C. Successivamente, dopo raffreddamento, affondato il termometro per 10 cm., nello stesso intervallo di tempo raggiunse i 300°C; con lo stesso procedi¬ mento, affondato a 20 cm., diede 400°C. E quindi a mezzo metro di profondità, dopo 10 minuti, raggiunse 560°C. Sperimentando con i coni di Seger neila ventarola della suddetta macchia, non fu notata temperatura superiore all’ultima predetta. Furono raccolti quivi i minerali formatisi. Sulla prima macchia gialla intracraterica fu fatto uno scavo e vi si depositarono scorie e mattoni di terracotta per provocare la formazione della cotunnite. L’odore di cloro e di acido cloridrico era abbastanza forte, come al solito. Sul pendio esterno orientale del mantello piroclastico del 1944 si notava sempre più marcato Pavvallamento del materiale. Sulla prima macchia gialla extracraterica la temperatura si an¬ dava sempre più abbassando, ed il termometro, dopo circa 10 mi¬ nuti, segnò 40°C. In tutta questa zona si notava solo emanazione di vapore, ma non si avvertiva più cloro, nè acido cloridrico. A quota 800 la temperatura del n. 11 raggiunse il valore di 120°C. 28 maggio 1957. Al cratere si avvertiva continuo ruscellamento di materiale piro¬ clastico dall’orlo di N e di SE. Le pareti fumavano abbondantemente. La prima macchia gialla extracraterica era completamente umida ed emetteva solo vapor d’acqua. La prima macchia gialla intracraterica emanava forte odore di acido cloridrico e di cloro. La temperatura a 50 cm. di profondità, dopo circa 15 minuti, raggiunse 550°C; come precedentemente detto, — 308 — penso che il calore, oltre che per nuove fratture, si disperda an¬ che in seguito ai numerosi scavi fatti su detta zona per la raccolta dei minerali; per cui non furono più trovate nè le scorie, nè i pezzi di mattoni che ivi si collocarono il 26 maggio 1957 per la formazione della cotunnite. A quota 800 permaneva l’alta termalità del n. 11 con 130 ’C, men¬ tre le circostanti zone erano fredde, come in precedenza. Altri valori del predetto n. 11 nei giorni seguenti furono: 7 giugno 1957 : T = ]30°C 15 giugno 1957: T = 130°C 23 giugno 1957 : T = 115°C 10 luglio 1957. Al cratere la parete orientale presentava segni di recenti distac¬ chi. L’attività fumarolica era oltremodo debole, appena percettibile. La temperatura sulla prima macchia gialla extracraterica era in lie¬ ve aumento. Sempre a mezzo metro di profondità, dopo circa 15 mi¬ nuti, la temperatura raggiunse 580°C. L’odore di cloro e di acido clo¬ ridrico era sempre forte. La spaccatura sul pendio esterno orientale del mantello piroclastico del 1944 non presentava mutamento nella sua morfologia. A quota 800 permaneva l’unico punto termico n. 11, i cui valori fino al 4 agosto furono i seguenti: 10 luglio 1957 : T - 125°C 18 luglio 1957 : T = 120°C 28 luglio 1957 : T = 135°C 4 agosto 1957 : T m 130°C 10 agosto 1957. La guida Angelo Vitulano, dietro mia indicazione, si recò sul cratere di notte per osservare l’incandescenza del lapillo; e giunse sulla prima macchia gialla intracraterica alle ore 23,30. Egli osservò che, a differenza delle altre volte, sotto la cupola della prima macchia gialla intracraterica l’incandescenza non si notava, mentre nella piccola buca a ventarola si vedeva appena un rosso cupo. Scavando alquanto nel lapillo della buca, il rosso diventava più chiaro e l’in- — 309 — candescenza si vedeva benissimo per circa tre minuti e poi man mano tornava a diventare rosso cupo. Sotterrò di nuovo delie scorie prive di coturnate, portate da quota 800 per essere maggiormente sicuri dell’assenza di tale mine¬ rale, come pure vi fu immesso un pezzo di mattone refrattario per ripetere l'esperimento del 28 maggio 1957 (1). Quota 800. 14 agosto 1957. n. 11: T = 130°C 21 agosto 1957. n. 11: T I 120°C 30 agosto 1957. n. 11: T I 110°C 10 settembre 1957 . Le fumarole sulla parete occidentale fumavano abbondantemente. Sulla parete settentrionale sottostante alla seconda macchia gialla intracraterica erano evidenti i segni di un nuovo distacco di materiale avvenuto nei giorni precedenti. Sulla prima macchia gialla intracraterica forte era l’odore del¬ l’acido cloridrico e del cloro; la temperatura nella piccola buca a ventarola, dopo circa 10 minuti, raggiungeva 550°C. A destra di detta cupola, a circa mezzo metro di profondità, dopo circa 10 minuti si raggiungevano 580°C. Pochissima cotunnite si era formata, per cui riusciva impossibile raccoglierla. Sulla prima macchia gialla extracraterica, dopo circa 10 minuti, il termometro segnava 20°C. A quota 800, poiché il n. 11 si presentava bagnato e freddo in superficie, ed emanava appena un poco di vapore, fu necessario sca¬ vare alquanto, e poi approfondire il termometro; si scavò quindi per circa m. 1,20 di profondità e si ottenne la temperatura di 135°C. Ancora a quota 800, il 17 settembre fu fatto un altro scavo di un metro di profondità, e alla distanza di poco più di un metro dal n. 11, si raggiunse la temperatura di 120°C, a 20 cm. di profon¬ dità. Il 27 settembre la temperatura del n. 11 era di 110°C. (1) Fallì ancora questo esperimento, perchè il Vitulano, recatosi sul posto il giorno 15-8-57, trovò di nuovo sconvolto il terreno, probabilmente da notturni visitatori. — 310 — 1 ottobre 1957. Al cratere si verificava continuo distacco di piccole quantità di materiale dalle pareti e dai canali dell’interno pendio. Le fumarole erano in vistosa attività, specialmente la occidentale. Sulla prima macchia gialla intracraterica la temperatura massima raggiunta fu di 560°C, a 20 cm. di profondità, ed in 10 minuti L’odo¬ re del cloro e quello dell’acido cloridrico persistevano sempre forti. La prima macchia gialla extracralerica era completamente fredda e presentava solo manifestazioni di vapore. Aon vi si avvertiva alcun odore di sostanze gassose. A quota 800, al n. 11, la temperatura a 20 cm. di profondità rag¬ giunse 110°C. Lo stesso valore si ebbe l’8 ottobre. 17 ottobre 1957. Attività fumarolica al cratere, abbondante ed estesa a tutto il circuito; anche la prima macchia gialla extracraterica fumava abbon¬ dantemente e la sua temperatura era di 40°C. Sulla prima macchia gialla intracraterica forte era l’odore del cloro e dell’acido cloridrico, che attaccava fortemente la gola. La temperatura, a 20 cm. circa di profondità, fu di 570°C, rag¬ giunti in 10 minuti. Fu raccolta cotunnite ben cristallizzata sotto il crostone di lapillo a destra della buca a ventarola; non vi si rinvenne però tenorite. La spaccatura sul pendio esterno orientale del mantello pirocla¬ stico del 1944 si era riempita di materiale, tanto da far quasi scom¬ parire l’avvallamento; non vi si avvertiva più l’odore di cloro, nè si notava alterazione del materiale piroclastico. A quota 800 la temperatura del n. 11 era di 90°C. 8 dicembre 1957. Il tempo era nuvoloso, con piogge intermittenti. Il Gran Cono era completamente incappucciato. Fu fatto uno scavo sulla prima macchia gialla intracraterica, per osservare se eventualmente si fos¬ sero formati in profondità minerali non ancora rinvenuti, ma fu tro¬ vata la sola tenorite. La cotunnite era presente in diversi punti della zona, ma si presentava con i segni della dissoluzione, a causa delle — 311 — forti piogge. La temperatura, osservata in diversi punti deila stessa zona, variava da 520°C a 560°C, a 20 cm. di profondità. Fortissimo si avvertiva l’odore dell’acido cloridrico. A quota 800 tutta la zona si presentava fredda in superficie, per cui fatto uno scavo di circa un metro di profondità nei pressi della buca a tenorite, a metà distanza tra questa e il n. 11, il lapillo era umido ma caldo, e la temperatura raggiunta fu di 25°C. 11 dicembre 1957. Il tempo era nuvoloso; il Gran Cono era incappucciato; di tanto in tanto qualche breve schiarita. Tutta la prima macchia gialla extracraterica emanava vapore. La temperatura della suddetta macchia gialla era appena di 20°C, e non si avvertiva alcun odore di sostanze gassose. Anche la seconda macchia gialla extracraterica emanava vapore ed aveva la tempera¬ tura di 15°C. In seguito ad una schiarita si potette constatare che non soltanto le predette due macchie gialle fumavano, ma tutto il materiale piroclastico sovrastante la vecchia piattaforma craterica; e precisamente detta fumigazione iniziava dal lato Sud, proseguendo per Est fino a Nord. Sulla spaccatura del pendio esterno orientale del mantello piro¬ clastico del 1944 si avvertiva odore di acido cloridrico, che si fa¬ ceva sempre più intenso ed era insopportabile alla fuoriuscita della spaccatura stessa; anzi veniva da detta spaccatura a sbuffi. Nel discendere sulla prima macchia gialla intracraterica si avver¬ tivano forti e distinti l’odore del cloro e dell’acido cloridrico. La temperatura misurata fu di 550°C. Vi si raccolsero le produzioni mi¬ nerali formate. Sulla spaccatura, al di sotto della suddetta macchia gialla, persi¬ steva sempre una forte ventarola; l’aria che ne usciva era ad altis¬ sima temperatura ed umida. Qui non fu rinvenuta cotunnite. La guida Vitulano scese nel canalone delle frane (quota 1244) e potette constatare che la temperatura vi si manteneva con lo stesso valore del 26 maggio 1957, cioè di 500°C, a circa 20 cm. di profondità; ebbe cura di raccogliervi le produzioni minerali. Nessun odore di acidi si avvertiva nel canalone. Una grande quantità di vapori veniva dalla fumarola, che è sulla parete S, e sottostante alla capannuceia (quota 1170). Anche le rima- — 312 — nenti pareti fumavano, ma non così copiosamente come la predetta fumarola. La parete orientale craterica nella parte immediatamente sotto¬ stante alla prima macchia gialla intracraterica presentava vasta super¬ fìcie fresca di distacco di materiale. Inoltre tale superficie di distacco mostrava bene la zona in permanenza asciutta, rispetto alle adiacenti che erano umide; era anche da notarsi il suo stato di alterazione, 26 dicembre 1957. In tale giorno si cercò di raccogliere l’eventuale vapore uscente dalla zona altamente termica della prima macchia gialla intracraterica. Le condizioni più adatte per poggiare l’apparecchio erano date dalla buca a ventarola; la mia guida Angelo Vit ulano vi adottò opportu¬ namente l’imbuto raccoglitore, ma dal serpentino refrigerato non fu possibile raccogliere che ben poca acqua in circa sei ore. Si raccol¬ sero le produzioni minerali. La temperatura della prima macchia gialla intracraterica rag¬ giunse, sotto la cupola, 580°C a circa 20 cm. di profondità in circa 15 minuti. La prima macchia gialla extracraterica presentava forte emana¬ zione di vapore; la sua temperatura era di 20°C. Il liquido raccolto sulla prima macchia gialla intracraterica aveva reazione acida ed il vapore aveva asportato con sè della cotunnite , la quale si era depositata sul fondo del recipiente di raccolta. Lo STATO DEL VESUVIO ALLA FINE DEL 1957. Sulla prima macchia gialla intracraterica permane la tempera¬ tura di 600°C; il 10 agosto fu possibile vedere ancora l’incandescenza, effettuando uno scavo di 20 cm. La prima macchia gialla extracra¬ terica aveva la temperatura di 60°C. La seconda macchia gialla extra¬ craterica, che al principio dell’anno presentava una temperatura di 60°C, è andata poi raffreddandosi, fino a non dare più segni di tor¬ ma i ita. Il te canalone » (quota 1244) mantiene la sua temperatura di 500°C. A quota 800 l’unico punto termico è ancora quello al n. 11, con il valore di 135°C, trovato effettuandovi uno scavo profondo 120 cm. il 28 luglio 1957; alla fine dell’anno la temperatura era di 25°C. Notizie vesuviane per l’anno 1958. 1° gennaio 1958. Cielo nuvoloso, con qualche schiarita di tanto in tanto. Alle ore 11 tutte le pareti crateriche erano fumanti; con maggiore intensità fumava la parete che da Sud va al canalone (quota 1244). La prima macchia gialla extracraterica emanava copioso vapore e la sua temperatura non superava 10°C. Sulla prima macchia gialla intracraterica molto forte si avver¬ tiva l’odore del cloro e dell’acido cloridrico. La zona più altamente termica di detta macchia gialla diede la temperatura di 580°C., a circa venti centimetri di profondità. Fu¬ rono raccolti alcuni campioni di minerali. A quota 800 (versante di Boscotrecase), solo nei pressi della buca della tenorile fu riscontrata la temperatura di 20°C. 5 gennaio 1958. Solo nei pressi della buca a tenorite di quota 800 si ebbe la tem¬ peratura di 10°C a 30 cin. di profondità. Tale zona emanava vapore. 13 gennaio 1958. Durante la notte aveva nevicato sul Vesuvio ed al mattino il Gran Cono era tutto coperto di neve; però si poteva notare che sulla prima macchia gialla extracraterica la neve non si era depositata. 24 gennaio 1958. Nevicata durante la notte; in mattinata il cielo era nuvoloso ed il Gran Cono del Vesuvio era ammantato di neve. Verso le ore 11, il cielo si schiarì, come anche il Vesuvio; così si ebbe la possibilità di osservare il suo fianco meridionale ricoperto di neve. Solo sulla prima macchia gialla extracraterica la neve non si era depositata. 26 gennaio 1958. Sul Gran Cono del Vesuvio persisteva la neve in diversi punti. Ascendendo al cratere per il sentiero di Boscotrecase, poco prima — 314 — di arrivare alla « capannuccia » sull’orlo craterico meridionale si av¬ vertiva forte 1’ odore di HC1, portato su quel versante dal forte vento. Alle ore 12 si poteva notare che tanto il fondo del cratere quanto la parete Sud e quella Ovest erano coperte di neve. Escludendo la prima macchia gialla intracraterica ed una porzione di parete sotto¬ stante a tale macchia, tutta la cerchia craterica fumava intensamente, compresa la seconda macchia gialla intracraterica. L’orlo della parete craterica settentrionale, al pari del pendio interno, era coperto di neve. Questa fascia di neve, comij rendente tutta la parete Nord, si estendeva sino a pochi metri prima della prima macchia gialla intra¬ craterica. La temperatura della prima macchia gialla extracraterica alle ore 13 diede il valore di 30°; nessun odore di acido si avvertiva su detta macchia, la cui distanza dall’orlo craterico (quota 1244, cana¬ lone) è di circa 150 metri. Sulla spaccatura trasversa, sul pemlio esterno orientale del mate¬ riale piroclastico del 1944, alle ore 13,45 l’odore del cloro era appena avvertibile. La temperatura di questa spaccatura fu di 100°C. a circa 50 cm. di profondità, in dieci minuti. Sulla prima macchia gialla intracraterica l’odore del cloro e dell’acido cloridrico era debole; vi fu misurata la temperatura del¬ l’aria, a cinquanta centimetri dal suolo, e si ebbe il valore di 10°C; il termometro a contatto con il lapillo sotto alla volta altamente ter¬ mica dopo circa cinque minuti diede la temperatura di 100°C; affon¬ dandolo a due cm, diede il valore di 200°C dopo ancora cinque mi¬ nuti; ancora a trenta centimetri di profondità si ebbe la temperatura di 550°C dopo circa venti minuti; ed a 45 cm., dopo dieci minuti, raggiunse la temperatura di 600°. Nello stesso punto fu fatto uno scavo di circa 40 cm. di profon¬ dità e vi furono messi due coni Seger, uno segnato con il numero 22 che corrisponde a 600°, l’altro con il numero 21 uguale a 650°; indi fu chiuso lo scavo con un pezzo di lamiera e coperto di lapillo. Dopo venti minuti, riaperto lo scavo, fu rinvenuto il cono di Seger segnato con il numero 22 con la punta spezzata, ed il numero 21 era diven¬ tato nero, ma non curvato. L’aria della ventarola all’imbocco di essa diede la temperatura di 355°C, in circa dieci minuti; introdotta l’asta ancora per 15 cm., dopo altri cinque minuti diede il valore di 370°C. — 315 — 1° febbraio 1958. A quota 800, versante di Boscotrecase, nei pressi della buca della tenorite (n. 11), in uno scavo di circa un metro, il termometro dopo circa venti minuti diede la temperatura di 25°C. 14 febbraio 1958. A quota 800, versante di Boscotrecase, la temperatura dello stesso punto n. 11, a circa un metro di profondità, diede il valore di 30°. Solo nei pressi di questa zona si notava emanazione di vapore; i restanti punti termici erano freddi. 20 febbraio 1958. Il Vesuvio si presentava tutto ammantato di neve sino alle pen¬ dici; per la prima volta la neve si depositò anche sulla prima macchia gialla extracraterica. 9 marzo 1958. Il Gran Cono era ammantato di neve sino a quota 800; solo sulla prima macchia gialla extracraterica la neve non si era depositata. 10 marzo 1958. Durante la notte nevicò sul Vesuvio. La mattina non fu possibile osservare sino a che quota la neve si era depositata, perchè il Vesu¬ vio era coperto di nebbia. 15 marzo 1958. Alle ore 12 il fondo del cratere si presentava tutto umido ed in alcuni punti si notava ancora qualche chiazza di neve; dal fondo del cratere non si notava nessuna emanazione di vapore, come anche le fumarole della conoide di Nord-Ovest erano completamente so¬ pite. La parete occidentale fumava copiosamente. La parete orientale e quella settentrionale emanavano abbondan¬ te vapore; ma questa fumigazione si notava solo sul materiale piro- — 316 — clastico orlante le predette pareti. La parete sud emetteva vapore solo dalla fumarola ad essa sottostante. La parete sottostante alla pri¬ ma macchia gialla intracraterica conservava sempre una zona asciutta, come già altre volte ho citato. Segni di recenti frane si notavano sulle pareti orientale e settentrionale. La prima macchia gialla extracraterica aveva la temperatura di 20°C e presentava debole manifestazione di vapore. Alle ore tredici, sulla prima macchia gialla intracraterica, ap¬ poggiato il termometro sul lapillo sottostante alla cupola, dopo sei minuti, la temepratura raggiunse 135°; a 20 cm. di profondità dopo dieci minuti diede il valore di 545°C., ed a 50 cm. dopo dieci minuti la temperatura rilevata fu di 600°C. La bacchetta di alluminio, introdotta alla stessa profondità di 50 cm,, non si fuse. Misurata l’aria della ventarola della predetta macchia gialla, la temperatura fu di 310°C. Fu raccolta tenorite, ma non fu possibile rinvenire cotunnite (forse sciolta dalle forti piogge dei giorni precedenti); fu raccolta anche sublimazione dalla volta della cupola. Il punto dove fu rinvenuta la tenorite (cioè a circa quattro metri a sinistra della cupola, a cinquanta cm. di profondità) diede la tem¬ peratura di 600° in circa dieci minuti. Sulla detta macchia gialla l’odore dell’acido cloridrico era forte. La spaccatura trasversa sul pendio esterno del mantello pirocla¬ stico del 1944 aveva la temperatura di 70°. Le osservazioni al cratere furono terminate alle ore 16,30. A quota 800. versante di Boscotrecase (al n. 11), la temperatura fu di 25°. Tale zona presentava debole ma¬ nifestazione di vapore. 30 marzo 1958. A quota 800, versante di Boscotrecase, il punto termico n. 11 diede la temperatura di 60°; tutta la zona circostante emanava vapore. 20 aprile 1958. Debole attività fumarolica dalle pareti crateriche. La prima mac¬ chia gialla extracraterica era completamente fredda. La prima mac¬ chia gialla intracraterica si presentava tutta umida, con emanazione di vapore. Solo a sinistra della ventarola di detta macchia gialla si no- — 317 — tava una piccola zona asciutta. L’aria che emetteva la ventarola era scottante, ma umida, e la sua temperatura era di 240°. A sinistra della ventarola, e cioè sotto alla cupola, a 50 cm. di profondità, la temperatura fu di 500°. Non fu rinvenuta cotunnite , forse sciolta dalle forti piogge, come già altre volte notato. L’odore di HC1 si avvertiva debolmente. A quota 800, sul versante di Boscotrecase, tutti i punti termici erano freddi. Solo sulla zona tra il n. 6 ed il n. 11 si notava lieve emana¬ zione di vapore, e la temperatura era di 15°. 25 aprile 1958 . Alle ore dieci le pareti crateriche e la fascia piroclastica orlante parte di dette pareti, comprese tra la prima e la seconda macchia gialla intracrateriche, fumavano copiosamente. Solo la porzione di parete sottostante alla prima macchia gialla intracraterica non fumava. Sulla parete Nord si notavano segni di recenti piccole frane. La prima macchia gialla extracraterica presentava una debole emanazione di vapore. Sulla prima macchia gialla intracraterica forte era l’odore di HC1 e cloro. La temperatura della ventarola della detta macchia gialla fu di 280°C, sotto alla cupola a sinistra della ventarola. Il termometro a cinquanta centimetri di profondità diede la temperatura di 540°C: cioè un aumento di 40° rispetto alla temperatura del 20 aprile 1958. Anche questa volta non fu rinvenuta cotunnite. A quota 800, versante di Boscotrecase, nei pressi del punto ter¬ mico n. 11, si notava emanazione di vapore, ed a circa un metro di profondità si ebbe la temperatura di 20°. 13 maggio 1958. A quota 800, versante di Boscotrecase, nei pressi del punto ter¬ mico n. 11, a circa un metro di profondità la temperatura fu di 35°. Tutte le altre zone erano fredde. 24 maggio 1958. A quota 800, versante di Boscotrecase, nei pressi del punto ter¬ mico n. 11, a circa un metro di profondità la temperatura fu di 30p o il lapillo si presentava umido. — 318 Z° giugno 1958. A quota 800, versante di Boscotrecase, nei pressi della zona ter¬ mica, al n. 11 fu fatto uno scavo per vedere a quale profondità il lapillo si trovasse asciutto; ma, scavato fino a circa due metri di pro¬ fondità, il lapillo si presentava sempre umido ed emetteva vapore. La temperatura riscontrata fu di 40°. 8 giugno 1958. Osservazioni al cratere di notte. Alle ore 2, sulla prima macchia gialla intracraterica, sotto la volta a sinistra della ventarola, si osservava la incandescenza. Sca¬ vando a sinistra della cupola, ad un metro di distanza, a venti centi- metri di profondità, si osservava pure l’incandescenza, come anche era visibile nella ventarola; però anche qui operando uno scavo. Poggiato il termometro sul piano della ventarola, si ebbe il va¬ lore di 420° in circa quindici minuti. Sotto alla volta, come anche ad un metro a sinistra, la temperatura fu di 540°C a venti cin. di profondità, ed in 15 minuti circa. Una piccola ventarola si era formata a destra, a circa 10 metri da quella già esistente; il lapillo di tale ventarola diede la tempera¬ tura di 400° a circa 40 cm. di profondità. Fu rinvenuta lenorite in un piccolo scavo a sinistra della cupola. Non fu possibile rinvenire cotunnite, malgrado i diversi scavi fatti sulla zona. Quando si raggiunse la suddetta macchia gialla, e cioè alle ore due, non si avvertiva nesun odore di acido, ma verso le ore cinque l’odore del cloro e dell’acido cloridrico era abbastanza in¬ tenso. Le pareti crateriche non emettevano vapori. Sulla parete crate¬ rica settentrionale si notavano segni di recenti frane, e questo fu con¬ fermato dall’uomo della « capannuceia » sita sull’orlo meridionale, il quale, stando tutti i giorni sul cratere, potè notare che durante i gior¬ ni precedenti vi erano state piccole frane. La prima macchia gialla extracraterica emetteva lieve vapore; fu fatto uno scavo per mettere in luce la spaccatura dove una volta vi era stata la fumarola, e a circa due metri di profondità fu rinve¬ nuto un vuoto, più a forma di canale che di spaccatura. Tale canale aveva due curvature; una verso l’orlo craterico, ed una in giù verso — 319 — la base del Gran Cono ; non si potette osservare bene tale condotto, in quanto era in parte riempito di materiale piroclastico, caduto du¬ rante lo scavo. Questo condotto emetteva vapore alla temperatura di 50°; furono raccolte anche formazioni di sali nel predetto canale. A quota 800, nel solito scavo (effettuato il 1° giugno 1958) nei pressi della buca a teno- rite, la temperatura fu di 40°C. 12 giugno 1958. Alle ore 13 sulla prima macchia gialla inti acraterica non si av¬ vertiva odore di cloro, nè di HC1. Solo la parete craterica occiden¬ tale fumava. 15 giugno 1958. Alle ore diciotto la zona esistente fra le due macchie gialle in- tracrateriehe fumava con intensità; anche la fascia umida sovrastante la prima macchia gialla intracraierica fumava copiosamente, e quivi forte si avvertiva l’odore di HC1. Segni di recenti frane si notavano sulla parete settentrionale, le quali incominciavano a convogliare giù anche parte della seconda macchia gialla intracraterica. 20 giugno 1958. Alle ore 6, sia le pareti crateriche che le fumarole della conoide di Nord-Ovest non emettevano vapori. Sulla prima macchia gialla in¬ tracraterica l’odore del cloro era debole. La ventarola della suddetta macchia gialla diede la temperatura di 430°C a sinistra della venta¬ rola; sotto alla cupola la temperatura fu di 560°, a circa 40 cm. di profondità. A destra della ventarola si notava un inizio di forma¬ zione di eritrosiderite , ed anche cotunnite : quest’ultima non ancora ben cristallizzata. La prima macchia gialla extracraterica emetteva debole vapore, e la temperatura misurata fu di 20°C. A quota 800, versante di Boscotrecase, nei pressi della zona termica n. 11 la tempe¬ ratura era di 35° ed il lapillo si presentava umido. 10 luglio 1958. Alle ore 4 la parete craterica occidentale fumava debolmente. Anche la fascia piroclastica orlante la parete che dalle spalle della — 320 — c( eapannuccia » sull’orlo meridionale va fino a quota 1244 (cana¬ lone) emanava debole vapore. La parete orientale presentava segni di recenti frane, e sulla zona asciutta di essa si notavano subescavazioni. La prima macchia gialla extracraterica alle ore 4,30 emetteva lieve vapore. Sull’orlo orientale soprastante la prima macchia gialla intracraterica si avver¬ tiva forte l’odore di CI e di HC1. La temperatura della ventarola esistente sulla suddetta macchia fu di 480°. A sinistra della ventarola, sotto alla cupola, la tempera¬ tura fu di 540° a circa 20 cm. di profondità; mentre ad un metro di distanza dal predetto punto fu di 590° a circa 40 cm. di profondità. Furono raccolti diversi minerali, tra cui cotunnite ben cristallizzata; di tale minerale non se ne rinveniva più dal 15 marzo 1958. Le os¬ servazioni su tale zona furono terminate alle ore 8,30. A quota 800, versante di Boscotrecase, solo nei pressi del punto termico n. 11 per¬ sisteva una zona che emanava lieve vapore ed aveva una temperatura di 30° circa. 17 agosto 1958. Durante la giornata si verificarono tre frane, e precisamente una dalla parete sud, alle spalle della eapannuccia, un’altra dalla parete sottostante il « canalone » (quota 1244), la terza dalla parete setten¬ trionale sottostante alla seconda macchia gialla intracraterica. 18 agosto 1958. Alle ore 17 la prima macchia gialla extracraterica emetteva lieve vapore. Dalla parete craterica settentrionale, come anche dalla fascia di materiale piroclastico sovrastante, si notava forte emanazione di vapore. Sulla prima macchia gialla intracraterica si avvertiva forte odore di cloro e di acido cloridrico. 20 agosto 1958. Alle ore 11 si notava una lieve emanazione di vapore dalla cer¬ chia craterica. La prima macchia gialla extracraterica emanava aria calda, ma fortemente umida, tanto da bagnare. — 321 — Sulla prima macchia gialla intracraterica si avvertiva forte odore di CJ e di HC1. La temperatura della ventarola ivi misurata fu di 500°; a sinistra della predetta ventarola la temperatura fu di 560° a circa 50 cin. di profondità. 27 agosto 1958. Alle ore 3,30 sulla prima macchia gialla intracraterica non si ve¬ deva l’incandescenza, che era stata altre volte osservata; solo scavando nella ventarola si notava un rosso cupo. Su tale macchia l’odore di cloro e di HO era molto debole, ma all’alba esso si fece molto forte. Fu raccolta cotunnite e tenorile di recente formazione. Misu¬ rata la temperatura della ventarola, diede il valore di 500°. A sinistra, dopo la cupola, si ebbe il valore di 560° alla stessa profondità. A 10 metri circa di distanza, a destra della ventarola, fu raccolta cotunnite , ed in questo punto la temperatura fu di 540°. Alle ore 7 si notava emanazione di vapore dalla zona sovrastante la prima macchia gialla intracraterica, come anche dalla fascia piroclastica or¬ lante la parete che dal canalone (quota 1244) va alle spalle della capannuccia sull’orlo craterico sud. Segni di recenti frane si notavano sulle pareli Nord, Est e Sud. 20 settembre 1958. Alle ore 8,30 la cerchia craterica fumava debolmente. La prima macchia gialla extracraterica emanava debole vapore. Sulla prima macchia gialla intracraterica si avvertiva forte odore di CI e di HC1. La ventarola della suddetta macchia gialla aveva la tem¬ peratura di 540°; sotto alla cupola, a sinistra della ventarola, la tem¬ peratura fu di 600° a circa 50 cm. di profondità. Su tale macchia gialla fu raccolta tenorile. 24 settembre 1958. Recatomi a quota 800, versante di Boscotrecase, da uno scavo su un nuovo tratto di strada in costruzione, a quota 900 circa, potetti rinvenire ematite, e di questo minerale anche laminette basali di colore rosso-sangue. 21 — 322 — 23 ottobre 1958. Alle ore 10,30 le pareti crateriche fumavano lievemente. Segni di recenti frane si notavano su di esse, a partire dalle spalle della « capannuccia », fin quasi alla zona sottostante la seconda macchia gial¬ la intracraterica. La prima macchia gialla extracraterica emanava aria tiepida ed umida. Sulla prima macchia gialla intracraterica si avver¬ tiva forte l’odore di cloro e di HO. Furono effettuati diversi scavi sulla predetta macchia gialla, ma fu rinvenuta ben poca cotunnìte. La temperatura della ventarola ivi esistente fu di 530°; sotto alla cupola a sinistra della ventarola si ebbe la temperatura di 600°, a 50 cm. di profondità. A quota 800, versante di Boscotreease, solo nei pressi del punto termico n. 11 vi era emanazione di vapore. 19 novembre 1958. Osservazioni al cratere alle ore 12. Tutte le pareti crateriche fumavano copiosamente; e con mag¬ giore intensità fumavano le pareti orientali ed occidentali. Il fondo del cratere si presentava tutto umido, e nessuna emana¬ zione di vapore si notava su di esso; solo sulla conoide di Nord-Ovest, sullo stesso allineamento delle vecchie fumarole, si notava un debole spiraglio di vapore. L’orlo craterico meridionale alle spalle della capannuccia presentava segni di recenti frane. La prima macchia gial¬ la extracraterica emanava deboli vpori, mentre il pendio esterno orientale, in direzione della seconda macchia gialla extracraterica, dava forte fumigazione. Sul sentiero che dall’orlo craterico porta giù sulla prima macchia gialla intracraterica si avvertiva forte odore di cloro e di HO. La temperatura della ventarola della suddetta macchia gialla fu di 400°. Sotto alla volta a sinistra della ventarola, misurata la temperatura a 50 cm. di profondità, si ebbe il valore di 590°; a due metri di di¬ stanza, a sinistra della cupola, la temperatura fu di 600°: ciò sta a dimostrare che, malgrado le forti piogge dei giorni precedenti, le temperature si mantenevano costanti. A destra della ventarola, dove il 23 ottobre fu raccolta cotunnìte , la temperatura fu di 550°; ma questa volta di tale minerale non se ne rinvenne, Da una fessura esistente su questa zona si avvertiva mol- 323 — to intenso l’odore di HC1; tale odore era così molesto da ostacolare il lavoro per raccogliere eritrosidero, che si era formato nella pre¬ detta spaccatura. Nelle vicinanze fu raccolta anche alile in abbondanza. A quota 300, sul versante di Boscotrecase, tutti i punti termici erano freddi. 29 dicembre 1958. Osservazioni al cratere alle ore 10,40. Niente da notare sul fondo del cratere; le fumarole della conoide di N¥ tutte inattive. La parete craterica occidentale, come anche la fumarola tra gli spacchi lavici del corno sinistro della slabbratura di NW, erano lie¬ vemente fumanti. La fumarola sottostante la parete meridionale era appena visibile. Molta fumigazione si sprigionava dal materiale piro¬ clastico sovrastante la parete di NE, e precisamente nella zona tra le due macchie gialle intracrateriche. Forte attività fumarolica si no¬ tava anche sulla fascia piroclastica orlante la parete di SE che dal « ca¬ nalone » (quota 1244) declina alle spalle della cc capannuccia » (quo¬ ta 1170). Una porzione della parete craterica orientale sottostante alla prima macchia gialla intracraterica, come già altre volte avevo osser¬ vato, era asciutta; anzi questa fascia si era estesa fin sotto al canalone. Le macchie gialle di alterazione su questa fascia asciutta si erano ingrandite e risaltavano per il loro colore completamente giallo. Nella parte mediana della predetta parete si notavano subescavazioni. Segni di recenti frane si notavano sulla parete settentrionale. Alle ore 11,20 sulla prima macchia gialla intracraterica l’odore del Gl e dell’HCl era appena percettibile. La temperatura della ventarola della suddetta macchia gialla fu di 420°; a sinistra di detta ventarola, nei pressi della cupola, la temperatura fu di 600° a circa 50 cm. di profondità. Quindi, malgrado le forti piogge verificatesi durante questo mese, la prima macchia gialla intracraterica conservava la sua alta terma- lità, come dimostra il confronto con le temperature misurate il 19 novembre 1958. Alle ore 15, forte attività fumarolica lungo tutta la fascia piro¬ clastica orlante la parete craterica che dalle spalle della capannuccia (orlo meridionale, quota 1170) e girando per il canalone (quota 1244) giunge ai corno sinistro della slabbratura di NW. — 324 — Anche la zona circostante alla prima macchia gialla intracrate- rica era fumante. In attività fumarolica era altresì la zona delle cc gu¬ glie » (Tav. XVII). La spaccatura trasversa esistente sul pendio orientale esterno del Gran Cono non presentava nessun particolare di rilievo. La prima macchia gialla extracraterica, come anche la zona cir¬ costante, emettevano lieve vapore. Nello scavo effettuato l’8 giugno 1958 il materiale, appena tiepido, era umido ed emetteva vapore. A quota 800, solo nei pressi della buca a tenorite , a 50 cm. di pro¬ fondità il lapillo era appena tiepido. Durante questa escursione sulla prima macchia gialla intracraterica, sulla zona della cotunnite, fu¬ rono sotterrate lamine di rame e di ottone. Lo STATO DEL VESUVIO ALLA FINE DEL 1958. La temperatura della prima macchia gialla extracraterica decre¬ sce fino a non dare segni di termalità, tanto da consentire — il 20 febbraio — la persistenza della neve. Sulla prima macchia gialla intracraterica permane l’alta tempe¬ ratura di 600° C. La zona termica di quota 800 continua a dar segni di termalità solo al n. Il (40°C il 30 maggio, effettuando uno scavo); successiva¬ mente la zona dall’ottobre al dicembre si va raffreddando e presenta debole emanazione di vapore. Riepilogo. Dal marzo 1944 a tutto il 1958 sono trascorsi ben 14 anni e 9 mesi di riposo dall’attività esterna del nostro Vesuvio, durante i quali il vulcano lentamente ha lavorato e lavora per disostruire il lappo che occlude il lume del suo condotto. È questo il riposo più lungo che il nostro Monte attraversa dal 1631 ad oggi, avendo supe¬ rato del doppio il riposo interceduto tra l’eruzione del 1906 e la riapertura del camino (5 luglio 1913). Durante questo periodo sono state condotte, e si conducono tut¬ tora, osservazioni termiche, mineralogiche, petrografiche e morfo¬ logiche, ed ancora sull’insediamento della vegetazione. Sarà opportuno dare, in questo riepilogo, uno sguardo generale — 325 — alla morfologia del Gran Cono precedente alla eruzione del 1944 ed a quella posteriore. Purtroppo bisogna lamentare che, pur posse¬ dendo noi il Vulcano più classico della terra, ai piedi del quale è nata la Vulcanologia, difettiamo di iniziativa e di organizzazione, che consentano di poter seguire il variare delle forme con l’avvicen¬ darsi dei fenomeni. Mancano aggiornamenti razionali topografici del cratere; man¬ cano sistematiche fotografìe pianimetriche aeree che possano mettere in rilievo le varie posizioni del conetto, i vari espandimenti e colate laviche: insomma tutto il complesso della variabile morfologia di un vulcano attivo. Sarebbe pure opportuno che appropriate leggi stabilissero che anche ciò che è affidato alla iniziativa privata, come le fotografìe del Vesuvio che vengono fatte dalle varie case a fini commerciali, fosse esattamente datato; ciò sarebbe utile alla scienza, al turismo, alla economia. Altri inconvenienti sono rappresentati dal sorgere di nuovi no¬ mi, mai prima indicati, senza una ragione documentante la neces¬ sità di tali innovazioni. Ciò produce confusione tra le antiche e le nuove carte. Un nuovo nome introdotto nella toponomastica vesuviana è, ad esempio, la cc Valle del Gigante », che comprende le antiche deno¬ minazioni, tuttora riportate sulla nuova carta topografica, di Valle delV Inferno e di Atrio del Cavallo : ossia tutta la valle abbracciante il Gran Cono (1). Per far risaltare i mutamenti verificatisi con la eruzione del mar¬ zo 1944 riporto, alle figure 2 e 3, le carte topografiche relative al Gran Cono, nelle edizioni 1936 e 1956, dell’Istituto Geografico Mili¬ tare (F° 184 II NE) (2). (1) Probabilmente ciò è dovuto ad un fatto: il Cav. Matrone Antonio, con¬ cessionario della strada Nord, appose una targa indicatrice « V alle del Gigante ». In conseguenza di tale indicazione, nel rilevamento, è stata introdotta la deno¬ minazione predetta. Non capisco però perchè debba chiamarsi del « Gigante », quando il Vesuvio è stato denominato « vulcano da gabinetto » dallo Spallanzani, e da altri « gingillo da salotto ». Prima di apportare modifiche toponomastiche, quando non sono intervenuti fatti nuovi, bisognerebbe interpellare studiosi della regione, e fra questi in par- ticolar modo i geografi, ai quali più che ad altri compete la esattezza delle carte. (2) La fig. 2 è con gli aggiornamenti pel cratere al 1920 e le ricognizioni parziali del 1936. La fig. 3 è tratta dal rilievo aerofotogrammetrico del 1954. £1152 — 326 — 327 Il Gran Cono, alla scala di 1:25.000 (dalla carta top. dell’Ist. Geogr. Mil., ediz. 1956). — 328 — La comparazione dei due rilevamenti dà un’idea chiara delle modificazioni avvenute. Come si nota nella fig. 2, l’aspetto del cra¬ tere dopo l’eruzione del 1906 è ben diverso da quello originatosi con l’eruzione del 1944; il Gran Cono è interessato da solchi radiali effet¬ tuatisi nel suo mantello piroclastico, come feci notare in un altro mio lavoro (1). Tali solchi mancano nella fig. 3, rappresentante il Gran Cono dopo la eruzione del 1944, poiché le lave riversatesi dal¬ l’orlo craterico, ed il materiale delle fontane laviche cadenti lungo le pendici, hanno determinato una eterogeneità nella compagine strut¬ turale del Gran Cono, per cui non si possono osservare i caratteristici solchi simmetrici che si generarono sul Gran Cono dopo la eru¬ zione del 1906. Con la eruzione del 1944 venne ricoperto il colle Margherita a nord del Gran Cono; il luogo di tale colle è stato da me contrasse¬ gnato in questa carta (fig. 3) con la lettera M, ed un punto nero. Scompaiono sulla nuova carta le bocche del 1906, poiché risul¬ tano coperte dal materiale lavico e piroclastico dei successivi periodi eruttivi (2). Nel versante di mezzogiorno io ho segnato con i punti neri e con le lettere A e C rispettivamente il « Colle Alfano », e il conetto del 1942. È opportuno rilevare che alcune colate laviche del 1944, pur essendo riportate sulla carta, non sono indicate come tali. Così, ad esempio, manca la dicitura a quella lava del 1944 che è sotto la Stazione della seggiovia. Il Gran Cono mostra in questa carta notevole simiglianza, nella sua forma e struttura, con una serie di gusci o paralumi sovrapposti. Vi si nota anche la eccentricità del nuovo cratere, e l’orlo del vec¬ chio, che è stato qui opportunamente rimarcato. Dalla comparazione delle carte topografiche passiamo ora a quel¬ la delle fotografie dall’aereo. (1) Parascandola A. Notizie Vesuviane. Lo stato del Vesuvio dal 9 novem¬ bre 1947 al 15 febbraio 1948. Boll. Soc. Nat., voi. LVII (1948), Napoli. 1949. (2) Sarebbe opportuno indicare sulle nuove carte, dove è possibile, i luoghi di precedenti bocche. Però su questa nuova carta sono segnate le bocche del 1906 in un luogo dove di tali bocche non ce ne sono state; ma anche se ci fossero state avrebbero dovuto essere coperte, come le altre simiglianti che più non esi¬ stono ; non vedo perciò la ragione di tale segnalazione di bocche effettuata su detta nuova carta. — 329 — La tav. XVIII ci dà una visione aerea del Gran Cono nel settore settentrionale, dove appaiono visibili : 1) la slabbratura di NW, con la conoide defluente sul fondo ed anastomizzantesi con le altre conoidi che da Nord vanno a Sud- Ovest; 2) la prima macchia gialla intracraterica, spiccante verso Nord- Est per il suo colore chiaro; 3) la seconda macchia gialla extracraterica, spiccante sul pen¬ dio del Gran Cono, alla sinistra della precedente; 4) il vecchio orlo craterico settentrionale; 5) al di sotto dell’orlo vecchio, ed attraversante la strada Matrone, appare una fascia chiara a tratti, secondo generatrici del Gran Cono, corrispondente a zone termiche: è il luogo della frat¬ tura Nord, dalla quale fuoriuscì la grande colata lavica settentrionale; 6) la colata predetta che, fluidissima, dilagò di poco verso le estinte fumarole dell’Atrio del Cavallo, battendo contro la parete del Somma, e defluì lungo questa, riversandosi nel « Fosso della Vetrana », raggiungendo Massa e S. Sebastiano, e inviando un ra¬ mo che raggiunse la stazione di S. Vito. Osservando bene in fotografia questa colata lavica, e percor¬ rendola nei pressi del luogo di venuta a luce, e nella immediata effusione nell’Atrio, si ha l’impressione di due luoghi di fuoriuscita, cioè di due rami lavici. Questa zona vastamente termica settentrionale, che investe il Gran Cono al disotto dell’orlo vecchio, fa netto contrasto con i ri¬ manenti fianchi nord-occidentale ed occidentale dell’edifizio vulca¬ nico, dove pure si riversarono lave, ma non vi si notano emergenze termiche; queste appaiono nel versante diametralmente opposto, o meridionale, come si vedrà in altra fotografia aerea (Tav. XX). Per avere un’idea chiara della parte superiore del Gran Cono e della voragine craterica è opportuno dare uno sguardo alla foto¬ grafia aerea prospettica della Tav. XIX. Vi si nota evidente l’altezza maggiore dell’orlo craterico orien¬ tale con la sua precipite parete di colate laviche stratificate, che han¬ no colmata la voragine craterica del 1906, nell’intervallo interce¬ duto tra la riapertura del condotto (5 luglio 1913) ed il parossismo del marzo 1944. Al di sopra di questa parete, delimitato da una zona ben visibile, s’imbasa il materiale lavico e piroclastico del 1944. Dietro di essa si protende la rimanente massa della piatta- 330 — forma craterica, che non è crollata nel parossismo del 1944, e che invece nella parte antistante fu divelta e, sprofondata. Sull’orlo occidentale si nota la Stazione superiore della seggio¬ via, a destra della quale vi è una casetta; da questa, tirando una visuale in linea retta, si giunge all’opposto orlo, nella parte me¬ diana del suo arco; ivi è la zona della prima macchia gialla intracra- terica; al di sotto di tale macchia, ed attraversante la parete orien¬ tale, vi è il camino vulcanico ora rimasto termicamente efficiente. A sinistra della prima macchia gialla intracraterica sulla foto aerea corrisponde, per un tratto di 2 cm. circa, la zona delle « gu¬ glie » (figurata anche alla Tav. XI, fig. 2 e alla Tav. XVII); proce¬ dendo, subito a sinistra, segue la seconda macchia gialla intracra¬ terica. Le due frecce a destra ed a sinistra della figura alla Tax. XIX segnano, col loro allineamento, il diametro Nord-Sud del cratere. In corrispondenza della freccia di sinistra si scorge la parte terminale del sentiero di Nord che conduce al cratere. A metà strada sull’allineamento freccia-Stazione della seggiovia si nota il corno sinistro della slabbratura di NW, nella quale vi sono i dicchi lavici, già dettagliati nella Tav. Vili e nella Tav. IX, fig. 1, che fanno scorgere il materiale del 1944, estravasatosi in questo settore al di sopra della parete craterica spettante al materiale di riempimento tra il 1913 ed il 1944 della voragine del 1906. In corrispondenza della freccia a destra giunge il sentiero che da Sud conduce al cra¬ tere. Qui è l’altra sezione di fronte craterico citata nel testo e vi¬ sibile nel particolare della Tav. IX, figg. 2 e 3. In corrispondenza della stessa freccia si nota un puntino bianco, che è la « Capan- nuccia », Per avere, infine, un’idea generale del Gran Cono si può osser¬ vare la foto aerea della Tav. XX, la quale è un esatto commento fotografico della carta topografica 1:25.000 alla fig. 3. Si nota a NW la slabbratura dell’orlo. Da Nord-Ovest ad Est è ben visibile l’orlo craterico vecchio del 1944; al di sotto di questo, lungo le pendici nordiche si nota il deflusso lavico laterale del 1944, che raggiunse Massa e S. Sebastiano. A Sud-Est, ad 1 cm. di di¬ stanza dall’orlo, spicca, sulla figura, lo sperone della prima macchia gialla extracraterica. Sull’orlo inferiore della stessa figura appare, come linea serpeg¬ giante bianca, la strada Matrone; e a due cm. a nord del termine superiore di essa si scorge la zona termica di quota 800 di Bosco- trecase. — 331 — A SW si notano i rami di una lava nera fluida defluente verso Torre del Greco, e poi arrestatasi; mentre al di sopra di uno di questi si vede una grande lingua costituita di lava cosiddetta « fer- rugginosa » (sulla quale si rinvennero, il 3 luglio 1949, temperature tutte superiori a 100°C, con la massima di 205°C), che presenta, nel suo fronte e nei suoi lati, un aspetto morenico. Chi l’ha vista avan¬ zare notava benissimo, man mano che si apriva il sacco di scorie antistante, l’interna incandescenza. Nel suo decorso essa si presenta depressa nel mezzo, e con due cordoni laterali rialzati, normalmente ai quali decorre un sistema di creste parallele tra loro ed al fronte lavico, come tante onde; tali creste si presentano di colore rosso, ed erano, come ho già detto, un tempo altamente termiche. La stessa Tav. XX lascia ancora osservare il Colle Umberto, in basso e a destra. Osservando il fondo del cratere si nota ancora che ampie co¬ noidi di materiale franato e tuttora franante vanno sempre più in¬ gombrandolo (Tav. XV, fig. 1). La esposta morfologia è conseguenza del dinamismo del vulcano, il quale è in funzione del chimismo del suo magma e delle condizio¬ ni chimico-fisiche che regnano al momento della estrinsecazione. Non è quindi inutile fare qui cenno di qualche modalità del meccanismo eruttivo, che ha dato luogo alle forme ed ai fenomeni esposti. Sarà opportuno passare prima in rassegna la termalità che ha presentato e presenta il nostro Vulcano. Per anni sono rimaste altamente termiche le seguenti zone: 1) sui fianchi del Gran Cono, a nord, il luogo della spaccatura laterale che oltrepassava per un lungo tratto la strada Matrone, pro- traendosi più in giù di questa: i valori registrati vanno fino al 13 ottobre 1952 (T = 230°C). È evidente che tale termalità si sarà an¬ cora prolungata; 2) altra zona fortemente tèrmica di questo versante, verso NE, era al contatto tra l’orlo dèi Gran Cono ed il materiale sovraimpo- sto del 1944 nei pressi della frattura Nord (il 27 maggio 1952 T = = 223°C); 3) da Sud-Ovest a Sud, nella regione di quota 800 di Boscotre- case, le manifestazioni termiche per anni si sono insediate con i valori elevati che nel corso di questo lavoro ho citato, raggiungendo il massimo di 595°C. Alla fine di quest’anno possiamo ritenere, almeno — 332 — per ora, raffreddata la zona, a meno che ulteriori osservazioni non dimostrino il contrario; 4) sull’orlo craterico i punti termici da me presi in esame so¬ no in ordine di tempo: a) l’orlo occidentale craterico, subito a destra del luogo di arrivo dal sentiero della seggiovia: l’ultimo valore termico quivi re¬ gistrato fu di 100°C il 17 marzo 1951; b) la prima e la seconda macchia gialla extracraterica. Queste tre manifestazioni allo stato attuale non sono più appa¬ riscenti: è rimasta evidente una fumarola sotto il labbro craterico occidentale; c) la zona più altamente termica dell’orlo orientale, in quel¬ le parti dove è stato possibile accedere, è costituita dalla prima mac¬ chia gialla intracraterica, sulla quale per primo richiamai l’atten¬ zione (29 gennaio 1952), e la cui temperatura ha raggiunto massimi valori per poi decrescere, pur mantenendosi sempre elevatissima; d) altra zona fortemente termica di tale settore, orientale è quella che corrisponde alla zona del canalone (quota 1244), la quale ha raggiunto il valore di 550°C; e) un fatto evidente è che in più punti la parete craterica orientale manifesta segni di termalità con zone che rimangono asciut¬ te dopo i periodi piovosi. Tali zone sono andate sempre più esten¬ dendosi, e comprendono anche la parete sottostante alla prima mac¬ chia gialla intracraterica. Di fronte a tutta questa vasta fascia termica, il fondo del cra¬ tere non dà segno alcuno di termalità; rimane freddo, la neve vi si poggia e vi permane. Qual’è allora il tappo del condotto magma¬ tico tacitamente attivo, silenziosamente operante? È quello che ha colmato l’imbuto craterico? A quale profondità il sottostante magma ha la testa della colonna sollevantesi o da sollevarsi nel condotto? Che cosa rappresenta questa termalità cosi elevata, manifestantesi a 1280 metri circa sul labbro craterico orientale, con la massima fa¬ scia termica nella zona mediana di tale arco craterico? Quali ra¬ gioni d’essere hanno le zone termiche della parete orientale? In definitiva: con un cratere extrassiale come quello che attual¬ mente presenta il nostro vulcano, qual’è il luogo dèi condotto magma¬ tico attualmente efficiente? Quello occupato dall’attuale cratere, o quello che dovrebbe attraversare nella parte mediana la parete orien¬ tale e manifestantesi termicamente, chimicamente e mineralogicamen¬ te in alto, presso l’orlo, in corrispondenza della parte mediana di tale orlo? Qual’è il luogo dello scomparso conetto? — 333 — Fig. 4. — Figura schematica del Malladra mostrante il cratere prodotto dall’eru¬ zione del 1906 ed il graduale riempimento della grande voragine, a partire dall’apertura della bocca del 5 luglio 1913. La figura del Malladra è aggiornata fino all’agosto del 1920. Si nota l’orlo più basso nel settore orientale. La colonna magmatica saliente con le sue dirama¬ zioni ha successivamente colmato la voragine. Con la eruzione del 1944 si è avuto lo sprofondamento della platea craterica in corrispondenza del tronco magmatico grosso a sinistra culminante nel conetto. La parte sprofondata è segnata in figura da un imbuto a tratteggio. La parte orientale della piattaforma craterica non è crollata; attraverso di essa passa un ramo della colonna magmatica che ho indicato con una freccia. In corrispondenza di tale ramo, in alto, sull’orlo in a si hanno le manifestazioni termiche, minerali e gassose, che sono state descritte. Il tratteggio superiore al- l orlo antico rappresenta presso a poco l’andamento dell’orlo attuale. Già precedentemente mi sono espresso almeno in parte, a tale riguardo; ma a maggior chiarezza delle cose voglio ancora aggiun¬ gere qualche parola. Se noi teniamo presente la magistrale sezione schematica del cratere del Vesuvio fatta dal Malladra (fig. 4) nel suo pregevolis¬ simo lavoro dal titolo: Sul graduale riempimento del cratere del — 334 — Vesuvio (1), possiamo notare che la colonna magmatica egli l’im¬ magina suddivisa in due grandi rami: uno, più grande, a sinistra, corrispondente alla bocca del luglio 1913, ed uno, più piccolo, a destra, ma ambedue ramificati ed invianti polloni magmatici. Come il primo è salito, nella successiva evoluzione della platea craterica c del connesso conetto eruttivo, del pari saranno salite le altre di¬ ramazioni fino a raggiungere le quote dei successivi piani craterici, sino alla risultante piattaforma del 1944, e ad estravasarsi su di essa. Stando così le cose, da questo tronco grande si saranno forse dipartite le prime estravasazioni laviche terminali, sia per diretta fuoriuscita dal lume di tal condotto, sia anche per diramazioni di esso, come abbiamo potuto constatare sul corno sinistro della slab¬ bratura di NW ; susseguentemenle tale condotto dovette diventare esplosivo. Il secondo ramo, il quale probabilmente dovè salire concorde¬ mente al primo, fu quello che dovette costituire un’altra estrinseca¬ zione magmatica terminale, esclusivamente effusiva. Questa soluzio¬ ne è quella che potrebbe darsi nel caso che si volesse ritenere che il conetto fosse esistito sull’area della piattaforma craterica spro¬ fondata; ma pur esistendo ivi non voleva significare che il condotto fosse in verticale con esso. Comunque, la esistenza di due lumi eruttivi, uno principale di esplosione ad occidente, ed uno di effusione ad oriente, che io riten¬ ni probabile nella eruzione del 1944 (2), è convalidata dalle ulte¬ riori osservazioni frequentemente da me condotte: morfologiche, chimiche, mineralogiche, petrografiche e geologiche. La freddezza del fondo craterico, l’assenza di quelle manifesta¬ zioni termiche, gassose e minerali che nell’orlo orientale culminano sulla prima macchia gialla intracraterica, la parete craterica orien¬ tale con le sue vaste chiazze asciutte nelle adiacenze e nelle zone sottostanti alla prima macchia gialla intracraterica, fanno ritenere che un camino salga attraverso la compagine lavica che ha colmato la voragine del 1906. La morfologia craterica originatasi dalla eruzione del 1906 è ben diversa da quella verificatasi nella eruzione del 1944. (1) Atti Vili Congresso Geogr., Voi. II, Firenze, 1922. (2) Parascandola A. L'eruzione Vesuviana del marzo 1944. I prodotti piro- clastici. Rend. Acc. Se. fis. e mat., serie 4ia. voi. XIII, Napoli, 1942-1945. — Io. Lo stato attuale del Vesuvio (30 agosto 1950). Boll. Soc. geol. it., voi. LXX. Roma, 1951 — 335 Allora il Vesuvio perdette 150 metri circa d’altezza dando ori¬ gine ad una cavità craterica di circa 600 metri di profondità; sim¬ metricamente venne decapitato il Gran Cono, costituendo un cratere coassiale al condotto, per cui tutti i fenomeni del risveglio dovevano di necessità manifestarsi sul fondo della piattaforma craterica, la quale non era di leggeri accessibile. In quest’ultima eruzione, in¬ vece, è crollata solo una parte della piattaforma craterica: quella occidentale; perciò dalle osservazioni esposte si deve dedurre che un condotto è rimasto nella porzione di detta piattaforma n,on crollata. Di necessità, quindi, le manifestazioni termiche elevate, e le produzioni minerali, rilevanti l’origine diretta magmatica, deb¬ bono presentarsi sull’orlo anzicchè sul fondo, il quale, come ho detto, fino ad oggi rimane freddo, senza esalazioni gassose, nè pro¬ duzioni minerali. Ciò è spiegato dal meccanismo della eruzione del 1944, nella quale dalla colonna magmatica si dipartì un ramo occidentale, che nella estrinsecazione del suo magma diede prodotti piroclastici, con focacce laviche e materiale lapilloso coevo, mentre il tronco saliente attraverso la compagine degli efflussi lavici intercraterici 1913-1944, lasciava defluire il magma in forma continua. In corrispondenza del ramo occidentale avvenne lo sprofonda¬ mento della piattaforma craterica sovrastante; il materiale occluse tale lume obliquo, fino alla sua dipartita dal tronco orientale, che ne sarà stato forse in parte otturato. Ciò spiegherebbe, riassumendo: 1) la freddezza del fondo; 2) la manifestazione della termalità e della minerogenesi sull’orlo, a circa 200 metri di dislivello dal fondo, anzicchè sul fondo craterico; 3) il graduale aumento della tempe¬ ratura della zona della prima macchia gialla intracraterica, la quale è sul prolungamento del condotto magmatico. Il condotto di effu¬ sione orientale citato doveva avere una non grande sezione, per cui anche se vi fu zaffatura da parte del materiale piroclastico, questo non dovette penetrare così profondamente com’è stato pel cratere di sprofondamento ed effusione; quindi ne consegue l’assenza di depressione craterica sull’orlo orientale. Dall’osservazione della sezione della parete della slabbratura di NW (Tav. Vili e Tav. IX, fig. 1) si possono fare alcune conside¬ razioni sul probabile andamento del magma in profondità. Il nostro Vesuvio con il suo condotto attingerà ad un serbatoio, il quale a sua volta farà capo ad uno più grande; nè questo secondo è detto che debba trovarsi simmetricamente al primo; può essere — 336 — spostato verso occidente e forse a sua volta attingerà ad una grande macula protraentesi in parte sotto la penisola sorrentina ed in parte sotto il nostro golfo. Questa ubicazione di serbatoio spiegherebbe anche come l’antico asse eruttivo del Somma si sia spostato, dando luogo, con l’apertura del 79 d. Cr. e con i susseguenti atti eruttivi, alla formazione del Gran Cono Vesuviano; altre consgeuenze sono ia maggiore fragilità del settore meridionale e sud-occidentale del Gran Cono, i sollevamenti del fondo marino in occasione di eru¬ zioni, il riflesso di eruzioni vesuviane sulla zona flegrea, come nel 79 (1), il lento affossarsi della penisola sorrentina con fratture a gradinate e relative controspinte, lo sprofondarsi od affossarsi nel mare di buona parte della penisola stessa, di cui sono buona testi¬ monianza gli scogli di Vervice e di Revigliano (2). Questa disposizione del bacino magmatico spiegherebbe non solo il facile fratturarsi del monte nel versante sud-occidentale e meri¬ dionale, ma potrebbe anche dar luogo a macule locali alimentanti i piccoli efflussi di tale zona (3). Dopo le esposte considerazioni d’ordine generale, dedotte sem¬ pre dalla osservazione dei fatti, delle forme e dei fenomeni, passo ora, con lo stesso criterio, ad esporre alcune considerazoni su quella parte del versante meridionale, che ho chiamato « quota 800 di Bo- scotrecase ». La morfologia del Gran Cono è qui ben diversa da quella che osservasi guardandolo da occidente: in effetti tale morfologia varia con la visuale. Le lave nere a corde del periodo precedente al parossismo del 1944, e quelle nere fluide di detto parossismo sono in netta contrap¬ posizione con le lave dette (c fermgginose » sovrapposte alle prece¬ denti e formanti la platea di quota 800. Termicamente fredde le prime (tranne quelle della collina B), calde queste ultime, ma non (1) Plinio. Epist., VI, 16. (2) Parascandola A. Osservazioni geologiche sui Monti di Cava. Boll. Soc. Nat., voi. LV,I, Napoli, 1947. (3) ImbÒ, per spiegare un piccolo efflusso lavico laterale alla base del Gran Cono nel versante meridionale, ha invocato la presenza di masse magmatiche a vita indipendente, quasi episuperficiali, dislocate nella zona esterna sud-orientale (ImbÒ G. Manifestazioni effusive subterminali nella primavera del 1942 e feno¬ meni termici attuali interessanti la medesima zona del versante meridionale Vesu¬ viano. Rend. Acc, Se. fis, e mat., serie 4:a, voi. XVII. Napoli, 1950). — 337 — di un calore trascurabile ed effimero, sibbene notevole ed a lungo perdurante. Evidentemente dall’orlo, e forse anche dal fianco, vi è stato un riversamento di lave; e, nel primo caso, comunque dette lave si siano riversate. Un osservatore che si trovava nei pressi e che aveva già visto fluire la lava che giunse nelle vicinanze della casa Sorren¬ tino, vide anche, susseguentemente, riversarsi dall’orlo meridionale, quasi interessandolo tutto, una colata a guisa di « brodaglia che si riversa da una pignatta ». Un ramo di questa estravasazione si fermò a quota 800, circuendo una collina del 1942, sicché formò un ramo orientale, che è quello che sovrasta la casetta delle guide esistente fino a qualche anno fa; l’altro, occidentale, ha costituito il piano della tenorite affacciatesi sul conetto del 1942. Dai fatti osservati deduco che qui, contemporaneamente a que¬ sta colata biforcatasi e circuente il colle del 1942, si formò una larga spaccatura, dalla quale ebbe origine il colle Alfano. Dall’esame morfologico, litologico e termico della zona si è tentati ad ammettere che alla base del Gran Cono si siano formate altre fratture, dalle quali si sia affacciato il magma, dando forse an¬ che qualche effusione. Se il colle Alfano rappresentasse — con il suo pendio ripido ed altamente termico, rivolto al piccolo colle antistante di lave del 1942 (1) — il fronte di una colata discesa dall’orlo del cratere o dai fianchi del Gran Cono su questo versante, resterebbero da spiegare, oltre alla morfologia e alla distribuzione della termalità, la persisten¬ za di un fronte cosi altamente termico per anni: difatti dobbiamo ricordare che ben 550°C potevano misurarsi al suo fronte, a oltre cinque anni di distanza dalla eruzione del 1944 (27 giugno 1949), mentre freddo era il retrostante suo corpo, e che la temperatura si è conservata elevata fino a tutto il 1954, con valori compresi tra 120 e 200°C, mentre nel successivo 1955 si mantenne sempre su 40°C, con una punta massima di 85°C nel novembre. Evidentemente ivi c’è stata una frattura, la quale ha fatto sor¬ gere un ramo lavico dipartitosi dalla colonna magmatica. La frat¬ tura però è rimasta beante; forse avrà anche subito un ulteriore al¬ largamento. Da questo pistone lavico si irradiava il calore all’anti¬ stante toppo lavico del 1942, attraverso le fenditure di questo, fa- (1) Colle B della tavola IV. 22 — 338 — cendogli raggiungere la temperatura di 361°C (n. 5), come ho os¬ servato alla cima di detto colle. La termali tà di questo, come quella della ventarola ai suoi piedi (n. 1), andava abbassandosi col dimi¬ nuire della temperatura del colle Alfano, come in precedenza ab¬ biamo rilevato. Nell’eruzione del 1944 dovettero partire diversi rami lavici dal¬ la colonna magmatica. In un primo momento il magma si riversò dall’orlo craterico Nord e Ovest, e anche dall’orlo di mezzogiorno. In un secondo tempo si partirono apofisi dalla colonna magmatica a varie quote: quella della frattura del settore Nord, essendo più vi¬ cina alla parte terminale del Gran Cono e, trovando perciò una pa¬ rete meno spessa, ebbe più facile gioco e defluì fino alle cittadine di S. Sebastiano e Massa. Le apofisi del versante meridionale si di¬ partirono probabilmente da una parte più bassa della colonna; ma essendo aperto l’emuntorio nordico, alcune di queste potettero solo affiorare all’orifizio della frattura, così come è accaduto pel colle Alfano. Ma anche qui forse qualche frattura con deflusso dev’essere pure avvenuta, al contatto quasi della base del Gran Cono con la piatta¬ forma craterica del Somma, come ho già accennato. D’altra parte destano anche interesse la diffusione di punti al¬ tamente termici, distribuiti su tutta questa vasta superficie, e la per¬ sistenza di queste elevate temperature anche dopo i periodi piovosi, in sèguito ai quali, dopo oscillazioni, essi tendono subito a rialzarsi e produrre minerali dimostranti esistenza di spaccature comunicanti con la fonte magmatica principale. Tutto ciò non è fenomeno co¬ mune a tutte le superfici laviche. Dopo la fuoriuscita di colate laviche dall’orlo craterico, od anche dai fianchi, è probabile che si siano, qua e là, generate fenditure determinate da polloni lavici affioranti o quasi: veri tentativi di estra- v asazi one. L’alta termalità di quota 800, persistente per anni, lascia pen¬ sare che ivi si siano formate delle fratture e che tali fratture siano rimaste beanti, ossia non zaffate dal magma che ile ha tentata l’usci¬ ta; altrimenti non avremmo potuto spiegarci una termalità cosi alta, per lungo tempo protrattasi, nè la formazione di minerali di diretta provenienza magmatica potrebbe trovare la sua ragione. D’altra parte, una lingua lavica, saliente a guisa di dicco verti¬ cale, non avrebbe tardato a raffreddarsi. Quindi, per riscontrare nel lapillo, materiale discontinuo, tanta termalità, deve supporsi una sor- — 339 — gente ignea continua, manifestantesi attraverso il lapillo rinvenuto incandescente; od, anche se non incandescente, dove non lo era, sem¬ pre però altamente termico. 10 ritengo che nell’eruzione del 1944 il magma, fluidissimo, por¬ tato nella forte corrente ascensionale dai vapori che l’hanno spumeg¬ giato e frazionato a tal punto da dare quella imponente manifesta¬ zione di materiale piroclastico coevo, non abbia dato di necessità una spinta così forte al settore meridionale dell’edifizio vulcanico; bensì il forte prevalere delle correnti gassose verso Nord abbia sollevato la colonna magmatica nel suo condotto ed abbia susseguentemente dato un colpo d’ariete alla parete settentrionale del Gran Cono. Esaurita la riserva gassosa sotto forte pressione, ma continuando il flusso magmatico sotto il tiraggio, direi così, iniziale, questa po¬ derosa onda di magma, diretta verso Nord ed incalzante sempre più dalla spinta del magma affluente da Sud, ha fatto forza come una poderosa onda di marea montante contro i già indeboliti fianchi me¬ ridionali, aprendosi un varco in più punti; forse in qualcuno affio¬ rando e riversandosi, ed in altro affacciandosi infine, come al colle Alfano, da una frattura: cosa già avvenuta, in questo settore, nella eruzione del 1906, e nel 1942 (1). Tale frattura dovette di necessità aprirsi un varco attraverso il materiale superficiale del 1942, non solo venendo a luce, ma solle¬ vandolo in qualche punto ed aumentando le soluzioni di continuità e forse anche iniettandovisi (2). 11 baluardo del Somma oppone un ostacolo all’ulteriore intro¬ dursi ed estravasarsi del magma, il quale, incalzato sempre dal con¬ tinuo flusso, e non bastando il lume del condotto al rapido smalti¬ mento di esso, urterà contro baluardi rigidi, provocando conseguenti riflessioni che mettono in oscillazione le porzioni dell’antico edifizio, come si è avvertito alla collina dei Canteroni, a Boscotrecase e a Torre del Greco. Ne deriva che la compagine del monte, così minata, finisce per essere di facile penetrazione al magma; e difatti tutto ciò è avvenuto nel piano dell’antico cratere del Semina, a quota 800 nel versante meridionale, luogo di minima resistenza delTedifizio vul¬ canico. Desidero infine rilevare la costante presenza, nelle manifesta- (1) Imbò G. Op. cit. Rend. Acc. Se. fis. e mat. Napoli, 1950. (2) Ne fanno fede altre consimili iniezioni nella zona del eonetto del 1942, quantunque non spettanti al magma del 1944. — 340 — zioni vesuviane, del eloro, che non era stato precedentemente osser¬ vato e che non ha mai abbandonato le esalazioni di questo vulcano da quando l’ho per primo avvertito (1) ad oggi. Siamo alla fine del 1958, cioè alla distanza di 14 anni e 9 mesi dalla eruzione del 1944: ossia innanzi ad un periodo di riposo già più che doppio di quello 1906-1913, come in precedenza ho rilevato. Ciò conferma sempre più che il Vesuvio dovette attingere il suo mag¬ ma a zone profonde del proprio bacino, come ne fanno fede i pro¬ dotti eruttivi: quindi il tempo per venire a luce viene di necessità aumentato. Vi sono però anche altri fatti, dei quali occorre tener conto. Queste mie osservazioni dal 1946 ad oggi hanno permesso di gettare maggior luce sulle modalità del dinamismo eruttivo del mar¬ zo 1944, mettendo per la prima volta in evidenza i punti di elevata termicità e la loro distribuzione e probabile connessione con il con¬ dotto centrale; ed inoltre correlando la natura dei prodotti col di¬ namismo. Esse permettono inoltre di seguire il chimismo del nostro vul¬ cano, studio che è tanto necessario per la intelligenza della vitalità di queste oscure e luminose forze della Natura (2). Napoli, Istituto di Mineralogia dell’Università, dicembre 1958. (1) Parascandola A. Notizie vesuviane. L’attuale fase solfatarica del Vesuvio. Boll. Soc. Naturalisti, voi. LV (1944-46), pp. 135-139. Napoli, 1947. (2) Dopo aver esposto, in questo riepilogo, la morfologia e la dinamica ve¬ suviana dell’ultimo decennio, avrei desiderato trattare ancora dell’insediamento della vegetazione sulle lave del 1944, argomento che considero di particolare in¬ teresse. Già nel corso di questo lavoro e di altri precedenti — dal 1946 in poi — ho avuto occasione di richiamare l’attenzione degli studiosi sull’apparire della vegetazione, fra gli strati di lapillo di quest’ultima eruzione, sopra gli alti fianchi del Gran Cono. Ho poi condotto ulteriori osservazioni sulle modalità di altera¬ zione dei prodotti vulcanici e del successivo impianto e sviluppo della vita ve¬ getale. Poiché, tuttavia, queste osservazioni a carattere fitoecologico e geologico- agrario appesantirebbero il presente lavoro, già di per sè lungo, ho creduto oppor¬ tuno — come ho già fatto per tutte le osservazioni mineralogiche, che verranno esposte a parte — di trattare questo argomento in un successivo, distinto lavoro. Boll. Soc. Naturalisti Napoli, 1959. A. Paràscandola. Notizie Vesuviane, Tav. I. Fig. 1. — Conoide di Nord Ovest, mostrante una fascia di materiale più arenoso sotto la parete, ed una più brecciosa in primo piano. Si nota la fusione del suo materiale con quello proveniente dalla conoide della parete settentrionale (21 marzo 1948). Fig. 2. — Cratere del Vesuvio. Parete occidentale con pinnacolo, a destra, fumante dalla base (15 maggio 1949). Boll. Soc. Naturalisti Napoli, Issandola. Notizie Vesuviane , Tav. 11. a) Parete del co^ b) Zona dei pin c) Prima macchi d) Canalone. e) Punto corrispi f ) Parete (da e g) Pinnacolo del Sulla parete o| Boll. Soc. Nati Napoli, 1959. A. Pahascandola, Notizie Vesuviane, Tav. 11. Visione panoramica del cratere presa dalla slabbratura di Nord-Ovest (15 maggio 1949). n) Parete del corno sinistro della slabbratura di NW, con dicchi, lava del 1944 e spacco di detto corno, con fumarola attivissima. b) Zona dei pinnacoli. c) Prima macchia gialla intracraterica. (1) Canalone. e) Punto corrispondente alla Capannuccia (quota 1170). () Parete (da e ad /), che da sud va ad ovest. g) Pinnacolo del corno destro della slabbratura di NW, con fumarola sottostante. Sulla parete orientale si not tano cavi da smottamento. ioli. Soc. Naturalisti Napoli, 1959. A. Parascandola. Notizie Vesuviane , Tav. TII. Fig. 1. — Sul Colle Alfano, a sinistra, si preleva al n. 2 la temperatura di 550°C. In primo piano, ai piedi della collinetta di lava del 1942, è la ventarola n. 1, che diede la tem¬ peratura di 400°C e che mostrò un tempo l’incandescenza nel fondo del suo cunicolo (27 giugno 1949). Fig. 2. Colle Alfano, a sinistra, con la vailetta che lo separa dal rilievo del 1942, a de¬ stra. La zona più chiara ai piedi del colle Alfano è la fascia altamente termica di detto colle (27 giugno 1949). ►li. Soc. Naturalisti Napoli, 1959. A. Parascandola. Notizie Vesuviane, Tav. IV. Litografìa aerea della zona termica di quota 800, versante di Boscotrecase. Sono indicati con i numeri 1-12 i vari punti utilizzati per le misure della temperatura (27 ott. 1955). 1! foglio trasparente mostra i limiti della zona termica, il conetto del ]942 ed i materiali del 1944. A monte del colle B (1942), i quattro cerchietti si riferiscono ad altrettanti punti termici. Le linee tratteggiate indicano spaccature ad alta termalità. oli. Soc. Naturalisti Napoli, 1959. A. Parascandola. Notizie Vesuviane, Tav. IV. Fotografia aerea della zona termica di quota 800, versante di Boscotrecase. Sono indicati con i numeri 1-12 i vari punti utilizzati per le misure della temperatura (27 ott. 1955). Il foglio trasparente mostra i limiti della zona termica, il conetto del 1942 ed i materiali del 1944. A monte del colle B (1942), i quattro cerchietti si riferiscono ad altrettanti punti termici. Le linee tratteggiate indicano spaccature ad alta termalità. Boll. Soc. Naturalisti Napoli, 1959. A. Parascandola. Notizie Vesuviane, Tav. V. Fig. 1. — Conetto del 1942 alla base del Gran Cono, sul versante meridionale di quota 800 al di là della zona termica del piano della tenorile (3 luglio 1949). Fig. 2. Corno sinistro della slabbratura di nord-ovest, con particolare della colata lavica del 1944 e spaccature della lava, ad una delle quali attinge la fumarola che si nota in alto (17 marzo 1951). A. Parascandola. Notizie Vesuviane, Tav. VI. Boll. Soc. Naturalisti Napoli, 1959. Veduta aerea generale del cratere, con la prima e la seconda macchia gialla extracraterica, e la prima e seconda macchia gialla intracraterica. Ben visibi¬ le, a Nord, l’orlo della vecchia piattaforma craterica del 1944. In basso, a destra, nell’angolo, la zona termica di quota 800 (23 luglio 1949). — . Boll. Soc. Naturalisti Napoli, 1959. A. Parascandola. Notizie Vesuviane, Tav. VII. Figura schematica del cratere visto dall’aereo (23 luglio 1949). B C D E F G H I L M N O orlo craterico antico, orlo craterico del 1944. canalone. conoide di nord-ovest, conoidi della parete orientale. prima macchia gialla extracraterica. seconda macchia gialla extracraterica. prima macchia gialla intracraterica. seconda macchia gialla intracraterica. colle Alfano. buca della tenorite. zona termica dell’orlo craterico occidentale. spaccatura. Parete del corno sinistro della slabbratura di nord-ovest, mostrante i materiali del vecchio cratere del 1906, le colate di riempimento del periodo 1913-1944 ed i laccoliti e dicchi emergenti ed alimentanti la colata intercraterica estravasatasi dall’orlo di nord-ovest (17 marzo 1951). ili. Soc. Naturalisti Napoli, 1959. A. P arascais'dola. Notizie Vesuviane. Tav. Vili. 53 JWe cràfert ifyìb. EH Uve rial J914 {m poi. f* + *! file « . - stirar ì, Uc<«l<’f*i {, d»’e* ch\, celò S-c 5944. [' - -1 Waferiale pirotla&IVctf sh oli. Soc. Naturalisti Napoli, 1959. A. P 4RASCA.\dol.\. Notizie Vesuviane. Tav. Vili. Parete del corno sinistro della slabbratura di nord-ovest, mostrante i materiali del vecchio cratere del 1906, le colate di riempimento del periodo 1913-1944 ed i laccoliti e dicchi emergenti ed alimentanti la colata intercraterica estravasatasi dalForlo di nord-ovesl (17 marzo 1951). I Boll. Soc. Naturalisti Napoli. 1959. A. Parascandola. Notizie Vesuviane , Tav. IX. Fig. 1. — Parete craterica del corno destro della slabbratura di nord-ovest, mostrante una delle colate laviche che si espansero sulla piattaforma craterica del 1944 e, alimentate da laccoliti e dicchi, si riversarono per nord-ovest (17 marzo 1951). Fig. 2. — La vecchia piattaforma, attraversata da filoni della nuova lava, che si affaccia sotto il mantello piroclastico, a sud dell’orlo craterico presso la Capannuccia, con fronte ad occidente. È ben visibile il contatto fra piattaforma e mantello, con franamenti (28 maggio 1951). Fig. 3. — Partieoi are della figura precedente, con materiale franato. Boll. Soc. Naturalisti Napoli, 1959. A. Parascaadola. Notizie Vesuviane , Tav. X. Fig. 1. — Si vede l antico orlo craterico del 1944, senza neve (indice di zona termica). Al di sopra di tale orlo nero, appare il mantello piroclastico del 1944 come una chiazza nera, esente da neve (altra zona termica). Sul pendio N-NW si nota il toppo lavico del 1941, proiettante ombra (20 febbraio 1952). Fig. 2. — Il cratere, con la fascia lavica e piroclastica del 1944 in forte attività fumarolica (27 febbraio 1952). •11. Soc. Naturalisti Napoli, 1959. A. Parascandola. Notizie Vesuviane. Tav. XI Fig. 1. — - Visione parziale della spaccatura sulla prima macchia gialla extracraterica, pro¬ fonda, larga e saliente verso l’orlo (27 febbraio 1952). Fig. 2. — Parete craterica orientale mostrante la zona delle « guglie » o dei « cimoni » lavici del 1944: efflussi fluidissimi e ricchi di vapori, dilaganti e fluenti pel piano craterico. Si nota in basso il prosieguo risolventesi nella roccia lavica compatta. Tali guglie sono comprese tra la prima e la seconda macchia gialla intracralerica. nella parte centrale della figura (17 marzo 1952). 1)11. Soc. Naturalisti Napoli, 1959. A Parafandola. Notizie Vesuviane , Tav. \1I. Spaccatura nelle lave del 1906 sul versante di Boscotrecase (quota 800). È visibile la forma ad imbuto, determinata dal progressivo inghiottimento del materiale piroclastico del 1944. In alto il Gran Cono, con la prima macchia gialla extracraterica (4 marzo 1954). oli. Soc. Naturalisti Napoli. 1959. A. Parascandola. Notizie Vesuviane, Tav. XIII. Fig. 1. — Parete orientale del cratere, mostrante le stratificazioni degli efflussi lavici inter- craterici del periodo eruttivo 1913-1944 che hanno colmato la voragine craterica del 1906. La freccia indica la prima macchia gialla intracraterica. Le macchie più chiare nella parte inferiore della figura si riferiscono a zone asciutte, tra zone bagnate nei periodi piovosi (1° marzo 1956). Fig. 2. — Parete occidentale craterica, in parte coperta di neve. Si nota la fumarola in alto, nei pressi dell’orlo, e la subescavazione del labbro craterico, che prelude a successivi di¬ stacchi (15 gennaio 1957). Boli. Soc. Naturalisti Napoli, 1959. A. Parafandola. Notizie Vesuviane, Tav. XIV. li Vesuvio, visto dal terrazzo dell’Istituto di Mineralogia in Napoli, alle ore 15 del dì 19 gennaio 1957. Alla sommità del Gran Con. è visibile, a sinistra, la fascia nera, esente da neve, all orlo della vecchia piattaforma craterica. Boll. Soc. Naturalisti Napoli. 1959. A. Pakascandola. Notizie Vesuviane, Tav. W Fig. 1. — Conoide della parete orientale. È appena visibile una ristretta zona del fondo craterico, alquanto libera dai materiali franati, verso il piede della parete Sud. (15 maggio 1949). Fig. 2. — Parete craterica di E-SE in forte attività fumarolica (8 marzo 1957), A. Para scardola. Notizie Vesuviane. Tav. XVI, Boll. Soc. IN a tur alisti INapoli. 1959 Il « canalone ». Il cerchietto indica il punto termico, dove il 27 gennaio 1950 si rilevò la temperatura di 460°C. (30 agosto 1958). Boll. Soc. Naturalisti Napoli, 1959. A. Parascandqla. Notizie Vesuviane , Tav. XVII. Attività fumarolica nella zona delle « guglie », dietro la quale si nota la progressiva demolizione del mantello piroclastico ruscellante sulla sottostante conoide del fronte craterico orientale (29 dicembre 1958). ■ . Naturalisti Napoli, 1959. A. Pàrasc.- ila. Notizie Vi '. Tav. XVIII. Veduta aerea della sommità del Gran Cono con la voragine craterica (anno 1955). Naturalisti Napoli, 1959. A. PaìMSCANDOLA. Notizie Vesuviane, Tav. XX. Veduta aerea del Gran Ci le varie eolate laviche (27 ottobre 1955). Ricordo di Alessandro Humboldt nel centenario della Sua morte (6 maggio 1859) parole del socio ELIO MIGLIORINI (Tornata del dì 21 aprile 1959) Ricorre il 6 maggio prossimo il centenario della morte del Ba¬ rone Alessandro Humboldt, uno dei maggiori naturalisti e viaggia¬ tori di tutti i tempi e di tutti i paesi ed è opportuno che la data sia ricordata anche ai nostri soci, data l’importanza della sua opera in molti campi. Oltre ad arricchire con le sue raccolte numerose scienze, come la botanica (dato che delle 6.000 piante riportate dal viaggio ame¬ ricano una buona metà risultarono nuove), la geologia, la zoologia ecc., ne rinnovò dalle fondamenta varie altre. Così a lui molto deve la morfologia terrestre (specie per il lavoro cc sopra l’altezza media dei continenti », apparso nel 1843, nel quale illustra montagne e al¬ tipiani di varie regioni, addivenendo ad una orografia comparativa dei continenti); la fi to geo grafi a, cioè, secondo la sua definizione, la scienza che considera i vegetali in relazione alle loro associazioni lo¬ cali nei diversi climi; come pure la climatologia: basterà accennare alla prima applicazione delle isoterme (Des lignes isothèrmes , 1817) in una carta che in origine si basava soltanto su 56 temperature, alle misure per la determinazione del variare della temperatura in rap¬ porto all’altezza e alle differenze tra clima dell’aria e del suolo; in questo campo si può dire che egli precorra Kòppen. Ma non è age¬ vole farsi un’idea della sua genialità. Fu lui che per primo mise in luce l’importanza della terza dimensione studiando i limiti alti¬ metrici delle piante, degli animali, degli insediamenti; misurò e descrisse la corrente fredda del Perù, che ora porta il suo nome; nuove misure astronomiche permisero di localizzare esattamente la posizione di varie città, fornendo le basi per costruire una carta dell’America più esatta di quelle che si possedevano finora; il ma- — 342 — gne tismo terrestre fece notevoli progressi, dato che per la prima volta venne riconosciuta la diminuzione della sua intensità dal polo ma¬ gnetico all’equatore; il clima tropicale, pressoché sconosciuto, venne chiarito spiegando le modalità con cui soffiano gli alisei, misurando le escursioni giornaliere ed annue e così via. Nel campo geologico vennero spiegati i rapporti tra vulcani e terremoti; fu lui che dette il nome alla formazione giurassica, che riconobbe la natura vulca¬ nica delle trachiti, che chiarì le modalità secondo le quali si svolge il metamorfismo di contatto. Anche la Geografia politica (per il saggio: Essai politique de la Nouvelle Espagne. Parigi, 1811) e la storia della Geografia ( Examen critique de Vhistoire de la Géographie du Nou- veau Continent. Parigi, 1814-34) sono a lui debitrici d’opere impor¬ tanti: ha infatti la capacità di muoversi sul piano del tempo con al¬ trettanta sicurezza che sul piano dello spazio e la sua descrizione del Messico è per di più un modello di Geografia regionale. Egli ha felicemente riassunto nella sua persona doti molteplici di te¬ nace ricercatore e di acuto e geniale osservatore con quelle di ma¬ gnifico coordinatore, che cerca di stabilire continui rapporti tra i fatti osservati, anche se apparentemente insignificanti, in modo da mo¬ strare, come fossero visti in trasparenza, i legami che hanno tra loro, per cui la luce degli uni illumina gli altri; addiviene così a consi¬ derazioni di carattere generale, che alla loro volta sono utili alle ricerche analitiche. Egli indaga poi la distribuzione spaziale dei fe¬ nomeni e le leggi che la regolano risalendo daH’esame delle condi¬ zioni nelle quali si verifica un fenomeno alla ricerca di altre regioni nelle quali lo stesso fenomeno compare. La sua tendenza alla trattazione sintetica di fatti analitici ben ac¬ certati — che negli ultimi anni della sua lunga esistenza lo spingerà a comporre la sua opera piu nota, il Cosmos — si manifesta anche nello studio dei vulcani, intorno ai quali egli scrisse uno dei saggi più originali. Già nell’agosto 1805, poco dopo il suo ritorno dal viaggio americano, essendo venuto a Roma per incontrarsi col fra¬ tello Guglielmo, ben noto anch’esso nel campo degli studi filologici e linguistici, aveva avuto occasione di salire al Vesuvio, in compa¬ gnia del geologo Leopoldo von Buch e del chimico Gay-Lussac, e di compiervi varie misure. Vi ritornò di nuovo alla fine del novembre 1822 compiendovi tre escursioni e il materiale raccolto e le osserva¬ zioni compiute lo spinsero a trattare il problema del vulcanismo applicando al tema il suo metodo analitico-sintetico con una lar¬ ghezza di vedute considerevole per i suoi tempi e che in gran parte — 343 — derivava da osservazioni dirette raccolte, oltre che al Vesuvio, a Te- nerifa nelle Canarie e visitando le regioni vulcaniche deH’America Centrale e Meridionale. Ne risultò la memoria « Intorno alla strut¬ tura e alle manifestazioni dei vulcani nei diversi paesi » ( liber den Bau und die Wirkungsart der Vulkane in der verschiedenen Erdstri - chen) che, letta il 24 gennaio 1823 all’Accademia di Berlino, venne poi inserita (alle pp. 249-89) nella seconda edizione delTopera Ansi- chten der Natur (1894). Humboldt fa sfoggio in essa di conoscenze larghissime di prima mano, cita una quantità di esempi derivanti da paesi e da epoche diverse e soprattutto si sofferma a parlare della altezza del Vesuvio, che poco prima della sua seconda visita era di¬ minuita in seguito ad una violenta eruzione, che aveva fatto scom¬ parire il cono (22 ottobre 1822) e per 12 giorni aveva lanciato in quantità stragrandi lapilli, ceneri e lava. Egli riferisce ampiamente su questa eruzione nella parte centrale della sua memoria, ripor¬ tando anche le opinioni dei dotti del tempo con cui aveva avuto occasione di intrattenersi, primo tra tutti Teodoro Monticelli (1759- 1846); prosegue quindi nel suo esame comparativo applicando inte¬ gralmente il suo metodo analitico-sintetico. Lavoratore instancabile, quando un secolo fa Humboldt si spense, circondato dalla venerazione dei contemporanei, potè dire d’aver chiuso bene la sua giornata. E forse, presago dell’era atomica, nell’ora suprema, avrà ripensato una frase del suo Cosmos : cc Tempo verrà che alcune forze tranquillamente operanti nella natura ele¬ mentare e nelle cellule delicate dei tessuti organici, adesso ancora impercettibili ai sensi nostri, riconosciute una volta, messe a profitto e recate a più alto grado di attività, entreranno nella smisurata ca¬ tena dei mezzi che ci guidano a dominare i singoli campi della Natura, a meglio estrinsecarsi nella cognizione del complesso del mondo ». Il suo insegnamento è ancora vivo ed è bene che anche i naturalisti di Napoli onorino la sua memoria. « • w . < : 9 ' ; ■ STUDI SPELEOLOGICI E FAUNISTICI SULL’ITALIA MERIDIONALE SUPPLEMENTO AL BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI IN NAPOLI N. 24 Novembre 1959 Rinvenimento di manufatti litici nella grotta di Castelcivita e di pitture rupestri nella grotta di Fra Liberto (Versante occidentale del M. Alburno, prov. di Salerno) Nota del socio SERGIO PERICOLI (Tornata del dì 27 novembre 1959) La presente comunicazione preliminare ha lo scopo di segna¬ lare il rinvenimento di manufatti litici nella Grotta di Castelcivita (Salerno) e la presenza di pitture rupestri nella Grotta di Fra Liberto degli Alburni ; il tutto è emerso nel corso delle esplorazioni condotte durante il 1958, in collaborazione con il Dr. Picciocchi, ì signori Ago¬ ne e De Castro. Grotta di Castelcivita. In questa grotta ho avuto occasione di rinvenire abbondanti ma¬ nufatti litici in parte all’ingresso, in parte alLaltezza del braccio Orrido si tratta di materiali prevalentemente silicei, di piccole di¬ mensioni, che presentano, a volte, alcune analogie coi reperti « pon- tiniani » descritti da A.C. Blanc (1). Ingresso. — Ho qui rinvenuto diverse selci alcune delle quali disordinatamente sparse in superficie; altre provengono invece da uno scavo di cm. 50 operato a scopo esplorativo a m. 5 dall’attuale cancello, sul lato sinistro; si presentavano frammiste ad humus, ter¬ riccio e ciottoli calcarei, senza traccia di regolare stratificazione e con tutto Faspetto di materiale rimaneggiato (la qual cosa è molto pro¬ babile giacche l’ingresso della grotta è stato in questi ultimi decenni, (1) Blanc C. A., Il giacimento musteriano di Saccopastore nel quadro del Pleistocene laziale. « Rivista di Antropologia », 32, pp. 223-235. Roma, 1938. Industrie musteriane e paleolitiche superiori nelle dune fossili e nelle grotte litoranee del capo Palinuro. « Rend. Acc. d’It. », Cl. se. fis., 7°, 1, pp. 602- 613, figg» 4, tav. 1. Roma, 1940, — 346 — ed anche in tempi più antichi, ripetutamente ampliato e livellato con lo stesso materiale di sterro). I manufatti (bulini, raschiatoi, lame, punte ecc.) hanno dimen¬ sioni variaibli fra cm. 1 e cm. 9, sono a spigoli vivi, e ricavati da scisti silicei, selce piromaca, quarzite, calcedonio ed ossidiana (figg. 1, 2, 5). Orrido. — Più abbondanti, anche se di dimensioni più ridotte, sono gli oggetti rinvenuti all’altezza del braccio Orrido, in questo punto anche Boegan ed Anelli (2) avevano trovato tre selci atipiche per le quali il Chiar.mo Prof. Battaglia aveva ammesso la « possi- sibilità » che fossero dei manufatti. L’abbondanza di selci da me rinvenute e le indiscutibili traccie di lavorazione confermano che si tratta realmente del prodotto di una industria umana. Questi ma¬ nufatti sono associati a ghiaie, sabbie e materiali piroclastici inter¬ stratificati a marne argillose giallognole a grana minutissima; è tutto materiale di trasporto che ha subito una differenziazione granulo¬ metrica in seguito alle variazioni di regime idrico della grotta nel corso della stagione e degli anni. I reperti si presentano lucidati, a spigoli un po’ arrotondati, ed in pezzi molto piccoli, (da 1 a 3 cm.) per evidente selezione in se¬ guito a fluitazione; sono prevalentemente ricavati in caldeconio, quar¬ zite e selce piromaca, c’è anche qualche frammento di corno con probabili tracce di lavorazione. Come caratteristica generale presen¬ tano una faccia liscia senza ritocco e l’altra accentuatamente ritoc¬ cata. (Figg. 3, 4, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12). II braccio « Orrido » della grotta di Castelcivita si trova a circa Km. 2 dall’attuale ingresso e trae il suo nome dalla presenza di di¬ versi pozzi, abbastanza profondi, formatisi per più intensa dissolu¬ zione del calcare in corrispondenza di incroci di faglia a direttrici quasi ortogonali. Grotta di fra Liberto. La grotta di Fra Liberto, visitata a seguito di segnalazione, si apre a circa m. 1250 ad Est di Controne, e più precisamente nel punto (2) Boegan E ed Anelli F., La grotta di Castelcivita nel Salernitano. « Le grotte d'Italia », a. IV, pp. 215-217 », fot. 15, piante 2, bibl. Trieste, 1930. — 347 — 33 T WE 186845 (F° 198, Campagna, della caria topografica al 100.000 dell’I.G.M.), ad una quota di circa m. 650 s.l.m.; la sua lunghezza massima non supera i m. 15, l’ingresso è ampio e si apre su una pa¬ rete di faglia, pressoché verticale, che ne rende difficile l’accesso. Subito dopo l’ingresso la grotta si restringe, e si innalza per una sorta di gradino alto quasi 2 metri che sfalda il piano di base, fino a terminare in uno stretto cunicolo ingombro di materiale sabbioso e polvere; la volta è data dalla superficie inferiore di un grosso strato calcareo. Lateralmente all’ingresso abbiamo resti di muretti e di altre opere di costruzione la cui ubicazione induce a ritenere che la zona antistante doveva essere più spaziosa e contenere una specie di rozza capanna; esternamente, sulla destra, erano state ricavate due vasche intonacando con la massima cura un solco d’erosione presente sulla parete di faglia. Entrando nella grotta, sulla parete di destra, a circa m. 6 dal¬ l’ingresso, si nota una pittura in ocra rossa, alta circa 30 cm. che, pur essendo molto obliterata dagli agenti atmosferici, rappresenta chia¬ ramente una figura umana; si riconosce parte della testa, del busto e gli arti molto schematizzati. In fondo alla grotta, sulla parete di sinistra, colpisce per il suo colore rosso cupo su sfondo leggermente roseo la figura di un uomo portante, ai lati della testa un po’ ovale, due grandi padiglioni auricolari. Il busto è eretto, staccato dal capo da un lungo e sottile collo, un braccio è ricurvo in avanti mentre l’al¬ tro è meno netto e termina con una enorme mano. L’organo genitale è raffigurato di profilo e si contrappone ad una specie di grossa coda. Sembrerebbe un uomo camuffato da animale, perciò Eabbiamo chia¬ mato « Lo Stregone ». Sopra e sotto sono alcune figure di difficile interpretazione. Sempre in questa parte della grotta, ma dipinta sulla volta, ab¬ biamo una terza figura umana, affine alle precedenti ma con linea¬ menti più rotondeggianti ed un certo senso di movimento: sono qui messi in particolare evidenza la capigliatura, le mani ed i piedi. L’ultima e più interessante figurazione si trova ad un metro di distanza dalle precedenti, sempre sulla stessa volta; rappresenta un uomo schematizzato e privo di particolari eccezion fatta per un og¬ getto ricurvo portato a mo’ di arco (da cui l’uomo con l’arco). Rispetto alle figure precedentemente descritte c’è una notevole differenza di stile e tonalità di colore; il tratto è più netto e sicuro, — 348 — maggior vivacità di figurazione; nel complesso c’è armonia nella for¬ ma e grande potenza rappresentativa. Alcuni scavi esplorativi hanno messo in evidenza l’assoluta man¬ canza di regolare stratificazione; il terreno all’ingresso è stato rimosso dalle acque e rimaneggiato e livellato dall’uomo ed i cunicoli, troppo stretti per poterci entrare, contengono solo finissimo materiali eolico. Nella zona centrale, alla base del gradino, abbiamo rinvenuto una selce lavorata simile ad alcuni manufatti rinvenuti nella vicina grotta di Castelcivita. I lavori speleologici intrapresi in questa zona nella primavera del 1958 sono tutt’ora in fase di svolgimento; mi sono limitato perciò a comunicare succintamente i risultati fino ad oggi raggiunti, riser¬ vandomi di tornare sull’argomento qualora scaturissero nuovi ele¬ menti atti a dare una più ampia visione sull’insediamento umano in queste interessanti grotte del Salernitano. Riminì, Ottobre 1959. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1 — -- Raschiatoio parzialmente lavorato (Scisto siliceo). » 2 — Raschiatoio e lama (Selce piromaca). » 3 — Raschiatoio e lama (Ftanite). » 4 — Raschiatoio? (Selce bruna). » 5 — Lama (Selce piromaca). » 6 — Punta (Selce bruna). » 7 ■ — Lama (Ftanite). » 8 — Frammento? (Calcedonio). » 9 — Lama (Selce bruna). » 10 — Raschiatoio (Calcedonio). » 11 — - Punta (Selce piromaca). » 12 — Punta (Selce bruna). a) Le Figg. 1, 2, 5 si riferiscono a materiali rinvenuti all'ingresso della Grotta di Castelcivita: tutte le altre a materiali rinvenuti all'altezza del braccio «Orrido « della stessa grotta. b) Tutte le figure sono in grandezza naturale. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1959, S. Pericoli. Rinvenimento di manufatti litici, ecc. Fig. 1 Fi g. 5 Fig. 4 Hg. 7 Fi g. 8 Fig. 9 Fig. 10 Fi g. 11 Fi g,12 STUDI SPELEOLOGICI E FAUNISTICI SULL' ITALIA MERIDIONALE SUPPLEMENTO AL BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI IN NAPOLI jy 25 Novembre 1959 Segnalazione di una stazione del paleolitico superiore ali’ ingresso della grotta di Castelcivita (Salerno) Nota del socio prof. ANTONIO LAZZARI (Tornata del dì 27 novembre 1959) Anelli e Boegan, accennando, in una nota descrittiva della Grotta di Castelcivita [1], al rinvenimento di piccoli manufatti litici, a m 1680 dall’ingresso, esprimevano la « ipotesi probabile che almeno l’atrio della grotta, comodo e di facile accesso, e le sue immediate adiacenze, abbiano potuto rappresentare una stazione umana ». I materiali reperiti all’epoca delle prime sistematiche esplora¬ zioni della grotta (1926-30), presentavano evidenti segni di fluita¬ zione; sì che era logico pensare che fossero pervenuti al luogo del ritrovamento a sèguito di trasporto dall’esterno, operato dalle acque percolanti attraverso la massa dei calcari, unitamente a materiali piroclastici di presumibile origine flegrea e vesuviana, ed a fram¬ menti di ceramica apparentemente neolitica. È singolare il fatto che, per circa 30 anni, nessuno abbia mai preso l’iniziativa di praticare qualche saggio di scavo in quella grot¬ ta, la quale effettivamente, per la facile accessibilità del suo in¬ gresso e per le favorevoli condizioni generali della zona, dovette certamente attrarre l’attenzione dell’uomo preistorico. A sèguito dei suggerimenti da me dati ad alcuni appassionati di speleologia, il dr. Sergio Pericoli, già Assistente incaricato nell’Isti¬ tuto di Geologia della Università di Napoli, prese interesse a quella grotta, visitandola ripetutamente insieme ad altri (dr. Piciocchi, Aco- NE, De Castro ecc.). Pervenne così al ritrovamento di altri manufatti litici fluitati (nel luogo stesso segnalato da Anelli e Boegan) nonché di uno strumento litico, presumibilmente in posto, poco oltre l’in- — 350 — presso della grotta. Tale manufatto rappresenta quindi la prima te¬ stimonianza della permanenza dell’uomo preistorico in quella cavità naturale. Di tali materiali Pericoli [2] ha dato notizia in una breve nota apparsa in questo Bollettino. Ma tale isolato reperto, per la sua incerta giacitura, non poteva ancora rappresentare la prova sicura della presenza di una vera sta¬ zione preistorica nella grotta di Casteleivita. Inoppugnabili elementi di giudizio vengono invece ora acquisiti per il ritrovamento di ben più abbondanti ed importanti materiali, grazie ai lavori di sistema¬ zione effettuati (viabilità ed illuminazione) per iniziativa della locale Associazione Pro Grotte, sotto l’egida dell’Ente Provinciale per il Turismo di Salerno e con il finanziamento della Cassa per il Mezzo¬ giorno. Nel quadro di tali lavori, ed allo scopo di meglio assicurare la stabilità della volta presso Pingresso, è stato provveduto alla costru¬ zione di un pilastro, per il cui appoggio sulla roccia in posto è risul¬ tato necessario praticare uno scavo fino alla profondità di m. 1.80 circa. Vi è purtroppo da rilevare che nel corso di tale lavoro, affidato a semplici operai senza la sorveglianza di persona qualificata, nes¬ suno si è reso conto della importanza del materiale di risulta dello scavo, che è stato utilizzato per appianare alcuni punti del piazzale antistante la grotta. In occasione di una gita di istruzione effettuata con gli allievi di Scienze Naturali e di Scienze Geologiche dell’Uni¬ versità di Napoli (2 maggio 1959) e poi ancora in altri successivi sopraluoghi, ho potuto raccogliere un certo numero di manufatti li¬ tici, accompagnati da un notevole quantitativo di materiali di risulta della lavorazione compiuta dall’uomo preistorico, da qualche grosso nucleo di selce, nonché da molti frammenti di ossa di mammiferi, fra cui un lungo tratto di ramo mandibolare di cervide, che porta evidenti segni dell’azione del fuoco. Come è logico, dopo il disordinato rimaneggiamento dei mate¬ riali di scavo, le testimonianze dell’industria umana, da me raccolte, non possono fornire alcun elemento utile per stabilire la successione tipologica; e pertanto, in attesa di potere quanto prima intrapren¬ dere uno scavo sistematico, allo scopo di stabilire la esatta strati- grafia del deposito, ritengo opportuno dare qui solo qualche notizia preliminare sul ritrovamento. Questo appare, a mio avviso, tanto più importante in quanto — a quel che mi risulta — non sono ancora note, per la provincia di Salerno, stazioni del Paleolitico nelle zone — 351 — interne, lontane dalla costa, lungo la quale, come è noto, si aprono numerose cavità naturali già note per insediamenti umani del Pa¬ leolitico. Nel materiale da me raccolto è rappresentato un buon numero di manufatti ben definiti, alcuni dei quali risultano figurati nel¬ la tavola allegata. È da notare, però, che di gran lunga più nume¬ rosi sono i rifiuti di lavorazione la cui abbondanza deve probabil¬ mente essere posta in relazione alla non buona qualità delle rocce utilizzate. Fra queste sono rappresentati vari tipi litologici, quali ad esempio i diaspri della serie dei così detti scisti silicei del Trias, talune arenarie grigiastre, fini, silicifere e le selci normalmente pre¬ senti nei calcari del Cretacico superiore. Lo scarso numero di reperti ben definiti, e con caratteristiche tali da consentire la definizione del tipo dell’industria litica, in con¬ fronto con la grande quantità di schegge di lavorazione e di manu¬ fatti evidentemente mal riusciti, è da mettersi in rapporto, a mio av¬ viso, con la qualità della materia prima usata dall’uomo paleolitico di Castelcivita. Le rocce silicee sono, difatti, piuttosto intensamente tettonizzate; essi hanno già in sè stesse, predisposte, molte irrego¬ lari superfici di frattura che non consentivano, in generale, di otte¬ nere buoni strumenti. Ciò mi pare anche dimostrato dalla presenza di qualche grosso nucleo di lavorazione, che mostra evidenti tali caratteristiche, come si può osservare nella fig. della tavola allegata. Senza entrare in merito al tipo dell’industria rappresentata, mi pare che si possa genericamente parlare di Paleolitico superiore, in attesa che nuovi, più importanti, ed ordinati reperti consentano di procedere a confronti e deduzioni. Tale riserva è anche giustificata dal fatto che il materiale da me raccolto si trovava, come già accen¬ nato, disordinatamente sparso sul piazzale d’ingresso alla grotta. Nel quadro di queste brevi notizie preliminari riguardanti il de¬ posito paleolitico della grotta di Castelcivita, ricorderò anche che i manufatti litici si trovano probabilmente mescolati ad abbondante de¬ trito calcareo, che dobbiamo ritenere si staccasse dalla volta della cavità per effetto di disfacimento crioclastico. Al di sopra del mate¬ riale di risulta dello scavo vi sono, in regolare stratificazione, i ma¬ teriali piroclastici — di provenienza vesuviana o fìegrea, che le ac¬ que trasportavano lungo il pendio sovrastante l’ingresso e si deposi¬ tavano presso di questo con conoide a doppia pendenza. Nei periodi, presumibilmente lunghi, di interruzione dell’attività vulcanica, o co¬ munque di mancato arrivo dei relativi materiali, si sono potuti for- — 352 — mare più livelli stalagmitici, che risultano intercalati ai materiali piroclastici. Tale successione appare sia a destra che a sinistra del¬ l’ingresso, in sezione di scavo praticata al tempo della prima siste¬ mazione dell’accesso alla grotta. Lo studio di questi materiali, come quello del deposito sottostante all’attuale piano di calpestio, saranno oggetto di successive comunicazioni, non appena — dopo aver con¬ dotto un primo scavo sistematico — sarà possibile disporre di dati precisi sulla stratigrafia di tutto l’insieme. A questo proposito mi pare si possa sin da ora avanzare l’ipotesi che esso rappresenti la testimonianza dell’attività di lavorazione delle rocce per ricavarne i manufatti litici, una sorta di officina, quindi, più vicina all’ingresso ed in adatte condizioni di illuminazione; il vero deposito rappresen¬ tante la « stazione » umana nella grotta, dovrebbe trovarsi, presu¬ mibilmente, un pò più all’interno. Napoli , Istituto di Geologia delVUniversità, novembre 1959. NOTA BIBLIOGRAFICA [1] Anelli F. e Boegan E., La grotta di Castelcivita nel Salernitano. Le Grotte d’Italia, Anno IV, n. 3, luglio-settembre 1930. Milano, 1930. [2] Pericoli S., Sul rinvenimento di manufatti litici nella grotta di Castelcivita e di pitture rupestri nella grotta di Fra Liberto ( versante occidentale dell’ Al¬ burno. provincia di Salerno). Bollettino Soc. Natur. in Napoli. Napoli, 1960. Boll. Soc. Naturalisti Napoli, 1959. Lazzari A. Segnalaz. paleolitico sup . Castelcivila. Processi uemaìi delle tornale e delle assemblee generali Verbale della tornata ordinaria del 30 gennaio 1959 Presidente: G. D’Erasmo Segretario: V. Minieri Sono presenti i soci Covello, D’Erasmo, Imbò, Merda, Mezzetti, Monchar- mont-Zei, Napoletano, Orrù, Parisi, Pierantoni A., Romano, Scherillo, Sersale, Signore, Sinno, Torelli, Vittozzi. La seduta è aperta alle ore 17. Il Segretario legge il verbale della seduta del 19 dicembre 1958, che viene approvato. Il Presidente comunica la circolare-programma della Celebrazione Spallan- zaniana, che avrà luogo a Reggio Emilia e a Pavia dal 2 al 7 maggio 1959 e Linvito di quel Comitato organizzatore a presenziare alla cerimonia con un mes¬ saggio, e possibilmente anche con un delegato. La Società invierà il messaggio desiderato e sarà rappresentata dalla Socia prof. Valeria Mozzetti Bambaoioni. Fra le pubblicazioni recentemente pervenute in omaggio si segnalano il vo¬ lume degli Annali dell’Istituto Superiore di Scienze e Lettere di S. Chiara e due note del Socio prof. S. Maini, rispettivamente dal titolo : Sulla presenza di Ento- physalis rivularis in una piccola cavità della Solfatara di Pozzuoli, e Ricerche sperimentali sulla resistenza al calore umido delle diatomee del Lago d' Averno. Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche. Il Socio prof. R. Sersale, anche a nome della dott. Lambertini, presenta ed illustra una nota dal titolo : Relazione sull' esame analitico di un acqua termale, sorgente presso il Lido di « Lo Grado », nelVIsola d’Ischia. Presenta inoltre, a nome dei doti. Lambertini e Mondelli, una nota dal titolo: Relazione sulVesame delV acqua della sorgente « La Marchesa » in comune di Merco gliano [Avellino). 11 Socio prof. P. Vittozzi presenta ed illustra una nota dal titolo: Misure d" intorbidamento atmosferico mediante V apparecchio delVOwens. Si passa infine, secondo l’ordine del giorno, alla elezione dei nuovi Soci. Il Consiglio Direttivo, nella sua riunione del 30 gennaio 1959, ha espresso unanime parere favorevole alle domande dei candidati appresso elencati, che perciò presenta all’approvazione dell’Assemblea : a) per la nomina a socio ordinario residente : dott. Franco Badolato, Assist, ordinario nell’Istituto di Fisiologia Generale; dott. Teodoro De Leo, Assist, ordinario nel medesimo Istituto; dott. Maria Luisa Boisio, Assist, ordinaria nell’Istituto di Chimica Farmaceutica e Tossicologia; dott. Teresa De Cunzo, assistente straordinaria nell’Istituto di Geologia ; b ) per la nomina a socio ordinario non residente ; dott. Bruno d’Argenio, Assistente incaricato nell’Istituto di Geologia. Si procede alla votazione a scrutinio segreto dei candidati predetti, con il seguente risultato: dott. Badolato, eletto con voti 19 su 20; dott. De Leo, eletto 23 — 354 — con voti 19 su 20; dott. Boisio, eletta con voti 17 su 20; dott. De Cunzo, eletta con voti 20 su 20; dott. D’Argenio, eletto con voti 20 su 20. Tutti i candidati vengono pertanto proclamati soci nelle categorie rispettiva¬ mente sopraindicate. La seduta è tolta alle ore 18,30. Verbale della tornata ordinaria del 27 febbraio 1959 Presidente: G. D’Erasmo Segretario: V. Minieri Sono presenti i soci : Badolato, Covello. D’Argenio, De Cunzo, De Leo, D’Era¬ smo, Minieri, Moncharmont-Zei, Orrù, Parisi, Pierantoni A., Romano, Scherillo, Signore, Vittozzi. La seduta è aperta alle ore 17,30. Il Segretario legge il verbale della tornata del 30 gennaio 1959, che viene approvato. Il Presidente dà il benvenuto ai nuovi soci eletti nella seduta di gennaio, presenti per la prima volta all’adunanza. Comunica poi notizie relative alla pub¬ blicazione, ormai prossima, del Bollettino 1958. Legge ed illustra quindi il bi¬ lancio preventivo 1959. L’Assemblea lo approva successivamente all’unanimità, e decide di nominare revisori dei conti i soci proff. Sinno e Sersale, revisore sup¬ plente il socio Maini. La seduta è tolta alle ore 18. Verbale della fornata ordinaria del 27 marzo 1959 Presidente: G. D’Erasmo Segretario: V. Minieri Sono presenti i soci : Covello, De Cunzo, D’Erasmo, De Leo, Lazzari, Minieri, Moncharmont-Zei, Parascandola, Romano, Sersale, Signore, Sinno. La seduta è aperta alle 17,30. 11 Segretario legge il verbale della tornata del 27 febbraio 1959, che viene approvato. Il Presidente comunica le lettere di ringraziamento dei nuovi soci Badolato, De Leo, Boisio, De Cunzo, e D’Argenio. Indi presenta il volume LXV1I del Bol¬ lettino relativo all’anno 1958, in corso di distribuzione ai Soci, e dà notizia del suo personale interessamento destinato ad ottenere la erogazione di qualche as¬ segno straordinario per far fronte alle accresciute spese di stampa. Segnala infine, fra le pubblicazioni recentemente pervenute in omaggio, al¬ cuni lavori di carattere antropico e gecgrafico-morfologico del dott. Gastone Im¬ brighi, dell’Istituto di Geografica dell’Università di Roma. Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche. Il socio prof. G. Romano, anche a nome di F. Cattarinich, presenta ed illu¬ stra una nota dal titolo : Ricerca cromatografica di taluni antifermentativi nei vini. La seduta è tolta alle ore 18. — 355 — Verbale della tornata ordinaria del 24 aprile 1959 Presidente: G. D’Erasmo Segretario: V. Minieri Sono presenti i soci : Boisio, Covello, D’Erasmo, D’Argenio, Imbò, Mezzetti, Migliorini, Minieri, Moncharmont-Zei, Parascandola, Parisi, Ruocco, Sersale, Sinno, Vittozzi. La seduta è aperta alle ore 18. Il Segretario legge il verbale della tornata del 27 marzo, che viene approvato. Il Presidente comunica : 1) la lettera del presidente della S.I.P.S., relativa alla 47a Riunione, che si terrà a Trieste nel maggio prossimo : la Società sarà in quella occasione rappresentata dal consocio prof. Covello ; 2) la concessione, da parte dell’Università di Napoli, di un contributo di lire 25.000, in aggiunta a quello precedentemente assegnato. Fra le pubblicazioni recentemente pervenute in omaggio, il Segretario segnala un gruppo di lavori del prof. Salvatore Dell’Oca, a carattere speleologico, ed una nota del presidente prof. D’Erasmo, dal titolo : II vulcanismo meridionale nelV opera di G. De Lorenzo. Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche. La socia dott. Maria Luisa Boisio presenta ed illustra una nota dal titolo : Determinazione quantitativa degli alcaloidi nelle foglie di giusquiamo. Il socio prof. R. Sersale presenta, a nome della dott. Diana Lambertini, una nota dal titolo: Relazione sull’esame analitico dell’acqua termo-minerale rinvenuta in località Arso di Basso ( Porto d’ Ischia). Il socio prof. E. Migliorini espone una comunicazione sopra II centenario del¬ la morte di Alessandro Humboldt, uno dei maggiori geografi di tutti i tempi e di tutti i paesi, del quale illustra brevemente i caratteri essenziali della perso¬ nalità e della intensa attività scientifica, che si estrinsecò in quasi tutti i campi della geografia. E della sua opera somma, il Cosmos, richiama una frase, che è un mirabile presagio delle attuali ricerche atomiche. Il socio prof. P. Vittozzi presenta ed illustra una nota dal titolo: Le camere di ionizzazione. Si passa, infine, all’ultimo punto dell’ordine del giorno. Il Socio Sinno, revi¬ sore dei conti, legge, anche a nome del socio Sersale, il bilancio consuntivo 1958, proponendo l’approvazione, L’Assemblea approva all’unanimità. La seduta è tolta alle ore 19. Verbale della tornata ordinaria del 29 maggio 1959 Presidente: G. D’Erasmo Segretario: V. Minikri Sono presentì i soci: De Cunzo, D’Argenio, D’Erasmo, Lambertini, Lazzari, Minieri, Moncharmont-Zei, Parenzan, Parisi, Sersale, Sinno, Sommaruga. La seduta è aperta alle ore 18. Il Segretario legge il verbale della tornata del 24 aprile, che viene approvato. — 356 — Il Presidente ricorda la scomparsa — avvenuta nel corrente mese di maggio in Napoli — del venerando prof. Monsignor Luigi D’Aquino, che fu già per molti anni soeio residente della Società dei Naturalisti, e che, apprezzato cultore di Fi¬ sica sperimentale e di Fisica superiore, spese nobilmente la sua lunga esistenza per il progresso della scienza e per la diffusione della fede. Egli si dice sicuro interprete delFunanime sentimento dei Colleghi, inviando alla cara memoria del buon Amico defunto il mesto omaggio del comune rimpianto. Comunica quindi che per la partecipazione al concorso al premio Cavolini De Mellis, la cui scadenza è fissata al 30 maggio 1959, è pervenuta finora una sola domanda. Il Consiglio Direttivo nominerà nel prossimo mese la Commissione giudicatrice. Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche. La socia dott. Lambertini, anche a nome del dott. G. Mondelli, presenta ed illustra una nota dal titolo : Controllo analitico delle acque sorgive del Serino. Il socio prof. A. Lazzari presenta ed illustra una nota dal titolo : Le condi¬ zioni geo-petrolifere dell’Italia meridionale. Sui risultati ottenuti in seguito alle perforazioni effettuate dalFA.G.LP. riferisce il socio dott. Sommaruga. La seduta è tolta alle ore 19. Verbale della tornata ordinaria del 26 giugno 1959 Presidente: G. D’Erasmo Segretario: V. Minieri Sono presenti i soci: Bodolato, D’Erasmo, Mazzarelli, Minieri, Napoletano, Parascandola, Parisi, Romano, Signore. La seduta è aperta alle ore 18,30. Il Segretario legge il verbale della tornata del 29 maggio 1959, che viene approvato. Il Presidente comunica che la Facoltà di Scienze si occuperà in una delle prossime adunanze dell’attribuzione del premio Cavolini-De Mellis. Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche. Il socio prof. A. Parascandola espone, in una comunicazione verbale, alcune sue Osservazioni sullo stato attuale del Vesuvio e della Solfatara, che rappresen¬ tano la continuazione di analoghe comunicazioni precedentemente fatte al Soda¬ lizio e recentemente presentate nella loro definitiva stesura al Consiglio Direttivo per la inserzione nel Bollettino. Egli si ferma particolarmente sulle sue esperienze, dirette ad ottenere sinteticamente particolari minerali (tenorite, cuprite ecc.) fa¬ cendo agire i gas naturali del Vesuvio su sostanze poste localmente dall’uomo; e tratta quindi dei fenomeni, più o meno vistosi, osservati alla Solfatara, con osservazioni sulla formazione dello zolfo rombico bipiramidale, del realgar e del- rorpimento e sulla evoluzione della maggiore bocca e della classica fangaia. Prean¬ nunzia la presentazione, alla riapertura dell’attività sociale dopo le ferie estive, di una nota, che tratterà della correlazione della fenomenologia endogena flegreo- vesuviana. La seduta è tolta alle ore 19,30. — 357 — Verbale della tornata ordinaria del 27 novembre 1959 Presidente: G. D’Erasmo Segretario: V. Minieri Sono presenti i soci Antonucci Nicola, D’Argenio, De Cunzo, D’Erasmo, Fio¬ rio, Lazzari, Minieri, Moncharmont-Zei, Napoletano, Parisi, Pierantoni Angelo, Sersale, Sinno, Vittozzi. La seduta è aperta alle ore 17,15. Il Segretario legge il processo verbale della tornata 26 giugno, che è approvato. Aprendo la seduta, il Presidente ricorda anzitutto, con profonda commozione, le recenti perdite che ha subito il Sodalizio nel periodo di sosta estiva della sua attività, considerando particolarmente dolorosa la scomparsa di due nobili fi¬ gure, legate alla Società da antichi vincoli di fedeltà e di attiva partecipazione ai lavori. Egli dice : « Il giorno 24 agosto chiudeva serenamente la sua lunga vita — attivamente dedicata per mezzo secolo alla preparazione delle giovani generazioni nella co¬ noscenza delle scienze naturali — il prof. Carlo Patroni, che era il decano del Sodalizio, al quale apparteneva fin dal 25 gennaio 1891. Nato a Napoli nel 1870, egli si era formato alla scuola di Francesco Bassani, insieme con quella schiera di giovani naturalisti, che da Giuseppe De Lorenzo a Raffaele Vittorio Matteucci, da Pasquale Aldinio a Edoardo Flores, da Agostino Galdieri a Raffaello Bellini ed altri, aveva dedicato principalmente alle scienze geologiche, ma in realtà a tutte le discipline naturalistiche, fervido entusiasmo e intelligenza rigogliosa : schiera che alla Società dei Naturalisti di Napoli s’era legata subito con grande affetto e fedele consuetudine, partecipando alle sedute e contribuendo attivamente con le discussioni e con i propri lavori alla vita di essa. Assistente presso l’Istituto geo¬ logico di Napoli nel biennio 1895-1896, egli pubblicò lavori d’interesse zoologico e lasciò, fra i contributi paleontologici, un notevole studio riguardante i fossili miocenici di Baselice in provincia di Benevento raccolti da O. G. Costa ed ora conservati nel nostro Museo di Paleontologia ; ma la massima attività fu dedicata, come si è detto, con zelo ed efficacia aHinsegnamento secondario. « Pochi giorni or sono, il 16 novembre, si è spenta in Napoli, dopo brevis¬ sima malattia, in età di 83 anni, la nobilissima esistenza di Umberto Pierantoni, nostro socio residente dal 18 Marzo 1900 ed uno dei più autorevoli ed affezionati di questo Sodalizio, che lo accolse giovanissimo e lo ebbe per un sessantennio socio attivissimo e più volte segretario (1902, 1903, 1905), consigliere (1935), vice- presidente (1912-1913, 1920-1922, 1936-1944) e presidente (1915-1916, 1928-1931, 1944-1950). Attaccatissimo a questa Società, della quale egli seguì con fedelissimo zelo le fortunose vicende e ne resse — con tatto, signorilità e gentilezza insupera¬ bili — le varie forme di attività, non solo riserbò al Bollettino numerosi lavori (una quarantina), ma vi inserì i risultati di alcune fra le sue ricerche d’importanza capitale, quali, ad esempio, quelle sulla simbiosi fisiologica ereditaria degli in¬ setti, che hanno aperto alla scienza un nuovo campo d’indagine, trovando in Italia e all’estero successivo ampio sviluppo. Colui che vi parla non ha la capacità, nè la possibilità di tratteggiarvi oggi adeguatamente l’importanza scientifica di Um¬ berto Pierantoni, la quale spazia nei più svariati campi della zoologia, dalla mor¬ fologia alla fisiologia, dallo sviluppo all’ecologia e alla sistematica di numerosi — 358 — tipi animali (protozoi, archianellidi, oligocheti, molluschi, insetti, tunicati ece.) e lo ha reso noto e stimato nel mondo internazionale della cultura, procurandogli riconoscimenti molteplici (Premio Reale dei Lincei 1923, Premio Napoli per la Biologia 1955, ecc.) e meritate nomine nei più importanti Sodalizi italiani e stranieri. Altrettanto lungo sarebbe Pelenco dei titoli didattici e delle cariche da Lui degnamente ricoperte, con Pinsegnamento della Zoologia ed Anatomia com¬ parata a Sassari, a Torino, a Napoli, con la presidenza delle Facoltà di Farmacia e di Scienze, con l’ufficio di pro-rettore dell’Università, ecc.). « Con questo breve disadorno cenno, sgorgato spontaneamente dal cuore, il vostro Presidente : — lasciando ad altri colleghi più adatti di lui il compito di una degna commemorazione — ha voluto semplicemente rievocare per un istante il nome, la figura e l’opera di due cari Colleghi scomparsi, a lui particolarmente legati da vincoli di antica e salda affezione, ed è sicuro di interpretare l’unanime sentimento vostro, mandando alla loro venerata memoria il mesto omaggio del comune rimpianto e rinnovando alle rispettive famiglie il sentimento di cordoglio della Società dei Naturalisti di Napoli ». Ripresa — dopo una breve interruzione in segno di lutto — l’adunanza, il Presidente comunica : 1) la lettera 4 agosto 1959 del Presidente del Consiglio Naz. delle Ricerche, che dà notizia dell’assegnazione di un contributo di L. 500.000 per spese di pub¬ blicazione del Bollettino della Società, su proposta del Comitato per la Geografia, Geologia e Mineralogia, il quale ha accolto la domanda della Presidenza perchè vi venga inserita una voluminosa memoria del socio Parascandola, che sotto il titolo: Notizie, vesuviane. Il Vesuvio dal marzo 1948 al dicembre 1958 riassume le numerose comunicazioni da lui fatte alla Società nell’ultimo decennio ; 2) la concessione, avvenuta nel mese di ottobre, di un contributo di Lire 90.000 lorde da parte della Presidenza del Cons. dei Ministri, sui fondi che l’Ente per la Cellulosa e per la Carta riserba alle riviste di elevato valore culturale; 3) la nuova circolare della stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri e la richiesta fatta dalla Società di un ulteriore contributo straordinario sui fondi dell’Ente predetto ; 4) la lettera 18 sett. 59 dell’Associazione Ital. per le Biblioteche, relativa al concorso al premio di L. 1.000.000, con scadenza 30 aprile 1960, su tema riguar¬ dante i problemi delle biblioteche e la diffusione del libro ; 5) la decisione presa dalla Facoltà di Scienze di Napoli, nella sua adu¬ nanza 14 ottobre, di assegnare una delle borse di studio Cavolini-De Mellis per l’anno 1958-59 alla signorina Immacolata Caccia Perugini, allieva di quarto anno per la laurea in Scienze naturali. La Società prende atto di tutte le precedenti comunicazioni. Fra le pubblicazioni recentemente pervenute in omaggio, è segnalato un la- voto del professore G. D’Erasmo Sopra alcuni avanzi ittiolitici delle arenarie di Harrar. Si stabilisce quindi il seguente calendario per le tornate ordinarie dell’anno 1960: Gennaio 29, Febbraio 24, Marzo 25, Aprile 29, Maggio 27, Giugno 24, No¬ vembre 25, Dicembre 30. Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche. Il Presidente presenta una nota del socio dott. Angiolo Pierantoni dal titolo : — 359 Il comportamento del quoziente di purezza dei concentrati di pomodoro nelle annate 1950-58, illustrandola brevemente. Il Segretario presenta una nota del socio prof. Domenico Franco dal titolo: Su alcune particolari forme di erosione che si rinvengono nelle contrade « Cerro » e « Cese » ( Comune di Cerreto Sannita, prov. di Benevento). Il socio prof. G. Romano presenta e illustra una nota dal titolo: La separa¬ zione cromatografica. Il socio prof. A. Lazzari presenta e illustra una nota del socio dott. S. Peri¬ coli dal tìtolo: Sul rinvenimento di manufatti litici nella grotta di Castelcivita e di pitture rupestri nella grotta di Fra Liberto ( versante occidentale dell' Alburno, prov. di Salerno ), e successivamente una sua nota : Segnalazione di una stazione del paleolitico superiore all’ingresso della grotta di Castelcivita (Salerno). Il socio prof. P. Vittozzi presenta ed illustra una sua nota dal titolo: Il mo¬ vimento di ioni ed elettroni nei gas. La seduta è tolta alle ore 19. Verbale della tornata ordinaria del 18 dicembre 1959 Presidente: G. D’Erasmo Segretario: V. Min ieri Sono presenti i soci : D’Argenio, De Cunzo, D’Erasmo, De Leo, Mazzarelli, Minieri, Napoletano, Moncharmont-Zei, Orrù, Parascandola, Parisi, Quagliariello, Romano, Scherillo, Sersale, Torelli, Vittozzi. La seduta è aperta alle ore 17. Il segretario legge il verbale della tornata del dì 27 novembre 1959, che viene approvato. Il Presidente prende la parola, all’inizio della seduta, per « ricordare ai col¬ leglli il nuovo lutto che ha colpito la Società con la improvvisa perdita, avve¬ nuta il 30 novembre in Napoli, del consocio prof. Francesco Signore, che rico¬ priva altresì da alcuni anni la carica di componente del Consiglio Direttivo del So¬ dalizio. « Legato a Lui da antica, più che quarantennale amicizia affettuosa e da co¬ munità di sentimento e di propositi manifestatasi nella diuturna consuetudine di lunghi anni passati nei due contigui Istituti del chiostro di S. Marcellino, il pre¬ sidente si dice commosso ed incapace di mettere per ora in efficace rilievo le qualità dello studioso, sempre attento e scrupoloso nelle osservazioni, prudente nelle conclusioni, accurato nella valutazione dell’opera altrui, diligentissimo nella ricerca bibliografica, ed esprime la fiducia che una degna commemorazione del compianto Collega sia tenuta, in altra adunanza, dal consocio prof. Imbò, che per affinità di indagini e cordialità di rapporti appare il più indicato alla rievo¬ cazione dello scomparso Amico. « Tutti conoscono, del resto, nella Società dei Naturalisti, l’attività scientifica e didattica esplicata da Francesco Signore e ricordano tanto le numerose sue pub¬ blicazioni nelle varie branche della geofisica (studio di fenomeni termici, di con¬ ducibilità elettrica, di radioattività, di meteorologia, di sismologia ecc.), quanto gl’insegnamenti di matematica e fisica nei licei e quelli universitari prima di fi¬ sica terrestre (a completamento dei corsi o in sostituzione del suo direttore prò- — 360 — fessor Ciro Chistoni) e poi di vulcanologia, di cui egli tenne per molti anni l’in¬ carico ufficiale, dall’entrata in terna nel relativo concorso (1934) fino al colloca¬ mento a riposo per raggiunti limiti di età. E tutti sanno altresì lo zelo scrupoloso ch’egli metteva nell’adempimento di ogni suo dovere, zelo che gli valse lusinghieri meritati apprezzamenti fra i vulcanologi d’ogni nazione, con la nomina, più volte confermata, di Segreteario generale dell’Associazione Internazionale di Vulcano¬ logia. In tale qualità Francesco Signore curò con somma diligenza la pubblica¬ zione del Bulletin Volcanologique, giunto ormai al volume 21° della serie se¬ conda, e partecipò alle assemblee dell’Unione Geofisica Internazionale, l’ultima delle quali ha avuto luogo a Toronto, in Canadà, appena due anni or sono. Ancora più recentemente (settembre 1959) aveva presenziato al Simposio di Vulcanologia organizzato a Parigi dal prof. Gèze. « All’unanime rimpianto che la sua scomparsa ha destato in quanti — scien¬ ziati, colleghi, amici, discepoli — ebbero rapporti con Lui, la Società si associa con animo commosso, rinnovando alla vedova dott. Lollini le più sentite condo¬ glianze e mandando alla venerata memoria del caro Consocio un mesto e reve¬ rente saluto ». Quindi il Presidente comunica che: 1) Il Ministero della Pubblica Istruzione ha concesso un fondo di L. 300.000 lorde per la pubblicazione del Bollettino ; 2) l’Università di Napoli ha accordato, per lo stesso scopo, un fondo di L. 50.000 ; 3) è pervenuta una lettera di ringraziamento da parte della signorina Caccia Pe¬ rugini per la borsa di studio conferitale ; 4) il Consiglio Direttivo, nella seduta del 18 dicembre 1959, ha deciso di radiare alcuni soci morosi (4 residenti e 4 non residenti), che non hanno più accolto i numerosi inviti della Società a met¬ tersi in regola con la quota sociale. Il Presidente presenta poi le domande, già istruite dal Consiglio Direttivo, che sono state avanzate, per la nomina a socio ordinario residente, dal prof. Fran¬ cesco Scarsella, Direttore dell’Istituto geologico dell’Università di Napoli, dal pro¬ fessor Valerio Giacomini. Direttore dell’Istituto di botanica dell’Università di Na¬ poli, dal dott. Enrico Franco, assistente straordinario dell’Istituto di Mineralogia e dal dott. Eugenio Piscopo, assistente ordinario dellTstituto di Chimica farma¬ ceutica. A norma dell’art. 5 dello Statuto e dell’art. 9 del Regolamento, indice lo scru¬ tinio segreto per l’elezione dei nuovi soci. Risultano così eletti il prof. Scarsella all’unanimità, il prof. Giacomini con voti 13 su 14, il dott. Franco all’unanimità, il dott. Piscopo con voti 13 su 14. Si passa infine alle comunicazioni scientifiche. Il socio dott. DArgenio presenta una nota dal titolo: Osservazioni geomor¬ fologiche sul gruppo del Taburno, illustrandola con la proiezione di numerose diapositive. Il socio prof. A. Parascandola, proseguendo le sue comunicazioni verbali sulla fenomenologia della Solfatara di Pozzuoli, parla di due sprofondamenti recente¬ mente verificatisi sul piano di essa. La seduta è tolta alle ore 18,30. ELENCO DEI SOCI AL 31 DICEMBRE 1959 SOCI ORDINARI RESIDENTI L Andreotti Amedeo - Ingegnere. Napoli, Piazza Nicola Amore, 2 (tei. 321.702), 2. Antonucci Achille - Preside nel Liceo di Isernia. Napoli, Via Benedetto De Falco, 14 (tei. 342.818). 3. Augusti Selim - Ord. di Scienze nei Licei. Napoli, Via Cimarosa, 69 (tele¬ fono 377.855). 4. Badolato Franco - Assistente Istituto di Fisiologia generale Università Napoli. Napoli, Via Mezzocannone, 8 (tei. 323.411). 5. Boisio M. Luisa - Assistente Istituto di Chimica Farmaceutica. Napoli, Via Leopoldo Rodino, 22 (tei. 322.038). 6. Califano Luigi - Prof. ord. Patologia generale Università. Napoli, Via Roma, 368 (tei. 312.784). 7. Capaldo Pasquale - Dottore. Napoli, Traversa Giacinto Gigante, 36 (tei. 370.184). 8. Carrelli Antonio - Dirett. Ist. di Fisica, Università di Napoli. Piazza d’Ovi- dio, 6 (tei. 373.890). 9. Casertano Lorenzo - Libero docente in Vulcanologia. Oss. Vesuviano. Re¬ sina, Napoli (tei. 355.882). 10. Castaldi Francesco - Libero docente di Geografia. Napoli, Via Aniello Fal¬ cone, 260 (tei. 373.890). 11. Catalano Giuseppe - Prof. ord. f. r. di Botanica Università. Napoli. Via Luigia Sanfelice, 5 (tei. 375.959). 12. Covello Mario - Dirett. Ist. Chimica Farmaceutica Università. Napoli, Via Leopoldo Rodino, 22 (tei. 322.038). 13. Cutolo Costantino - Ingegnere. Napoli, Via Salvatore Di Giacomo a Mare¬ chiaro, 24 (tei. 384.470). 14. D'Argenio Bruno - Assistente Istituto di Geologia Università. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 321.075). 15. De Cunzo Teresa - Assistente Istituto di Geologia Università. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 321.075). 16. De Leo Edoardo - Assistente Istituto di Fisiologia generale Università. Napoli, Via Mezzocannone, 8 (tei. 323.411). 17. Della Ragione Gennaro - Ord. di Scienze nel II Liceo Scientifico G. Mer- calli. Napoli, Via S. Pasquale a Ghiaia, 29. 18. D Erasmo Geremia - Prof. ord. f. r. di Geologia Università. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 321.075). 19. Desiderio Carlo - Prof, di Scienze Naturali. Napoli, Viale Augusto, 79 (te¬ lefono 305.493). 20. Dohrn Rinaldo - Dirett. Emerito della Stazione Zoologica. Napoli, Villa Co¬ munale (tei. 391.705). 21. Florio Armando - già Prof. ord. Liceo Scient. Statale 2° di Napoli. Via S. Al- tamura. Parco Mele, isolato B. Napoli (tei. 366.575). — 362 — 22. Franco Enrico - Assistente Istituto di Mineralogia Università. Napoli, Via Mez¬ zocannone, 8 (tei. 323.388). 23. Galgano Mario - Dirett. Ist. d’istologia e di Embriologia, Università. Na¬ poli, Via Latilla, 18 (tei. 343.798). 24. Giacomini Valerio - Direttore Istituto di Botanica Università. Napoli, Via Fe¬ ria. 223 (tei. 341.842). 25. Giordani Francesco - Dirett. Ist. di Chimica generale Università. Napoli, Via Michelangelo Schipa, Pai. Carola (tei. 383.806). 26. ImbÒ Giuseppe - Dirett. Ist. di Fisica terrestre Università e Direttore del¬ l’Osservatorio Vesuviano. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 324.935). 27. Ippolito Felice - Dirett. Ist. di Geologia Appi. Università Napoli. Via Xime- nes, 12. Roma. 28. La Greca Marcello . Dirett. Ist. di Zoologia. Università. Catania. 29. Lambertini Diana - Assistente Ist. di Chimica Industriale, Università. Na¬ poli, Via G. Santacroce, 5B (tei. 343.267) 30. Lazzari Antonio - Prof. ine. di Geografia Fisica. Via Aniello Falcone, 56. Napoli (tei. 379.312). 31. Ma.jo Andreotti Ester - Lib. Doc. di Geografia fisica Università. Napoli, Piazza Nicola Amore, 2 (tei. 311.702). 32. Majo Ida - Ord. di Scienze Naturali nei Licei. Napoli, Via Monte di Dio, 74 (tei. 397.699). 33. Malquori Giovanni - Dirett. Ist. di Chimica Industriale. Napoli. Largo S. Mar¬ cellino, 10 (tei. 322.904). 34 Maranelli Adolfo - Preside Ist. Tecn. Comm. di Torre del Greco. Via Miche¬ langelo da Caravaggio, 76, Napoli (tei. 389.205). 35. Mazzarelli Gustavo - Ine. Topografia e Cartografia Università. Napoli, Via Cimarosa, 50 (tei. 366.555). 36. Merola Aldo - Libero doc. di Botanica, Assistente Ist. Botanica Università. Napoli, Via Foria, 148 (tei. 341.842). 37. Mezzetti-Bambacioni Valeria - Dirett. Ist. e Orto Botanico. Facoltà di Agraria. Portici (tei. 334.967). 38. Migliorini Elio - Dirett. Ist. di Geografia Università. Napoli, Largo S. Mar¬ cellino, 10 (tei. 324.301). 39. Minieri Vincenzo - Ordinario di Scienze nei Licei. Napoli, Via Blundo, 4 (tei. 365.789). 40. Mirigliano Giuseppe . Prof. ine. di Oceanografia nell’Università di Bari. Na¬ poli, Via E. De Marinis, 1 (tei. 328.846). 41. Moncharmont Ugo - Ord. Scienze nel Liceo « Vitt. Em. II ». Napoli, Via A. Falcone, 88 (tei. 375.003). 42. Moncharmont-Zei Maria - Lib. doc. di Paleontologia, Università. Napoli, Via A. Falcone, 88 (tei. 375.003). 43. Montalenti Giuseppe - Dirett. Ist. di Genetica Università. Napoli. Via Mez¬ zocannone, 8 (tei. 324.261). 44. Napolitano Aldo - Metereologo delTAeronautica. Napoli, Prolungamento Viale Malatesta, 20 (tei. 361.871). 45. Nicotera Pasquale - Assistente nellTst. di Geologia appi. Università. Napoli, Vi*. Mezzocannone, 16 (tei. 323.818). — 363 46. OrrÙ Antonietta - Dirett. Ist. di Fisiologia generale Università. Napoli, Rione Beisito a Posillipo, Palazzina D’Onofrio (tei. 389.818). 47. Palombi Arturo - Prof. ine. di Zoologia gen. agraria Università. Ispett. Min. P. I. Napoli, Via Carducci, 29 (tei. 391.825). 48. Pannain Papocchia Lea - Preside negli Educandati di Napoli. Napoli, Via G. Carducci, 29 (tei. 391.725). 49. Parascandola Antonio - Prof. ine. Petrografia Università. Napoli, Via Mez¬ zocannone, 8 (tei. 323.388). 50. Parenzan Pietro - Lib. doc. di Idrobiologia Università. Napoli, Via Cesare Rossaroll, 95 (tei. 356.364). 51 Parisi Rosa - Prof. ine. di Fisiologia vegetale Università. Napoli, Via Giu¬ seppe Zurlo, 13 (tei. 358.631). 52. Pellegrino Oreste - Assistente Istituto Botanica Università. Napoli, Via Gae¬ tano Donizetti, 5. 53. Pescione Adelia in Messina - Prof. Scienze naturali. Ist. tecnico G. B. Della Porta. Napoli, Via Nevio, 102 (tei. 385.672). 54. Pierantoni Angiolo - Chimico Laboratorio Igiene e Profilassi della Provin¬ cia. Napoli, Galleria Umberto I, 27 (tei. 321.076). 55. Piscopo Eugenio - Assistente Istituto di Chimica Farmaceutica Università. Na¬ poli, Via Leopoldo Rodino, 22 (tei. 322.038). 56. Quagliariello Teresa - Assistente Istituto di Fisica terrestre Università. Na¬ poli, Via Salvator Rosa, 299 (tei. 342.844). 57. Rippa Anna - Ord. di Scienze nel Liceo Umberto I. Napoli, Piazzetta Mar- coniglio, 4 (tei. 352.616). 58. Salfi Mario - Dirett. Ist. di Zoologia Università. Napoli, Corso Umberto I, 118 (tei. 329.092). 59. Sarà Michele - Libero doc. Zoologia. Assistente nell’Istituto di Zoologia Uni¬ versità. Napoli, Riviera Ghiaia. 92 (tei. 388.175). 60. Scarsella Francesco - Direttore Istituto di Geologia Università. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 321.075). 61. Sch brillo Antonio - Dirett. Ist. di Mineralogia Università. Napoli, Via Mez¬ zocannone, 8 (tei. 323.388). 62. Sersale Riccardo - Assistente Ist. Chimica Industriale Università. Napoli. Via Mezzocannone, 16 (tei. 322.595). 63. Sinno Renato - Assistente Ist. Mineralogia Università. Napoli, Via Caiazzo, 5 (tei. 379.259). 64. Sommaruga Claudio - Dirett. Sezione di Napoli AGIP Mineraria. Parco Ma¬ ria Cristina di Savoia, Isolato A. Napoli (tei. 389.267). 65. Tarsia in Curia Isabella - Ord. Scienze nel Liceo « Sannazzaro ». Napoli, Corso Umberto I. 106 (tei. 324.568). 66. Torelli Beatrice - Lib. doc. di Zoologia. Napoli, Via Luca da Penne, 3 (tei. 385.036). 67. Viggiani Gioacchino - Lib. docente di Ecologia agraria Università. Napoli, Via Posillipo, 281 (tei. 384.325). 68. V ittozzi Pio <- Lib. docente in Fisica terrestre, Assistente Ist. Fisica terrestre Università. Napoli, Via Arenella, 79 (tei. 372.206) — 364 — SOCI ORDINARI NON RESIDENTI 1. Antonucci Nicola - Prof, di Scienze naturali. Corso Trieste, 36. Caserta. 2. Arena Vittorio - Dott. in Scienze Naturali. Napoli, Via Gesù e Maria, 3 (tei. 340.446); 347 N.E. Glisan Portland. Oregon. 3. Buonanno Giuseppe - Prof, di Scienze Naturali. Brindisi, Piazza S. Dionisio. 2. 4. Bruno Alessandro - Lib. doc. Napoli, Via Fenice a Ottocalli, 34. 5. Candura Giuseppe - Facoltà di Agraria. Università, Bari. 6. Capone Antonio ■ Dott. in Chimica. Napoli, Vico Bagnara, 11 (tei. 343.202). 7. Cocuzza Silvestri Salvatore - Assistente nell’Istituto di Vulcanologia. Uni* versità. Catania. 8. Costantino Giorgio - Lib. doc. Entomologia agraria. Direttore dell’Osserva- torio di Fitopatologia per la Calabria. Catanzaro, Via Giuseppe Sensales, 26. 9. Cotecchia Vincenzo ■ Prof. ine. di Geologia applicata dell’Università di Bari. 10. D’Ancona Umberto - Dirett. Ist. di Zoologia Università. Padova, Via Loredan, 6. 11. De Lerma Baldassarre - Dirett. Ist. di Zoologia Università Bari. Napoli, Via Latilla, 18 (tei. 343.798). 12. De Nisco Bruno - Dott. in Scienze Geologiche - Agip Mineraria. S. Donato Milanese. 13. Franco Domenico - Liceo Classico « P. Giannone ». Benevento. 14. Giordani Mario - Prof. ord. di Chimica Università. Roma, Piazza Mazzini, 27. 15. Jovene Francesco - Prof, di Scienze Naturali. Ischia, Via Acquedotto. 16. Jucci Carlo - Prof. ord. di Zoologia Università. Pavia. 17. Lucchese Elio - Prof. ine. di Entomologia Agraria Università. Perugia, Via Assisana, 22. 18. Maini Padre Dante - Rettore Istituto Sup. Scienze e Lettere Santa Chiara. Napoli (tei. 320.332), 19. Maino Armando - Docente in Fisica, Ufficio Geologico Roma, Largo S. Su¬ sanna, 13. 20. Mancini Fiorenzo - Istituto Geologia Applicata, Piazzale delle Cascine. Firenze. 21. Mendia Luigi - Assistente nell’Istituto Idraulico Fac. Ingegneria Università. Napoli, Via Mezzocannone, 16. 22. Miraglia Luigi - Dottore in Scienze Naturali, (attualmente in America). 23. Omodeo Pietro - Prof, di Zoologia Università. Siena. 24. Pasquini Pasquale - Direttore Ist. di Zoologia Università. Roma, Via Regina Elena, 326. 25. Penta Francesco - Prof. ord. di Geologia Applicata Fac. Ing. Università. Ro¬ ma, Via dei Laterani, 36. 26. Perconig Enrico - Micropaleontologo. Agip Mineraria. S. Donato Milanese. 27. Pericoli Sergio - Dott. in scienze geologiche - Cattolica (Forlì). Via Antonini, 1. 28. Rodio Gaetano - Prof. ord. f. r. di Botanica Università. Catania, Via Antonino Longo, 19. 29. Romano Giuseppe - già Assistente Istituto di Chimica Farmaceutica. Univer¬ sità Napoli, Via Gerolomini. 11 (tei. 212.153). 30. Ruffo Sandro - Lib. doc. Zool. Assistente nel Museo Civico Storia Naturale. Veruna, Lungadige Porta Vittoria, 9. — 365 — 31. Ruocco Domenico - Prof, di Geografia. Napoli, Via Aniello Falcone, 428 (tei. 387.352). 32. Scorza Vincenza - Assistente nell’Istituto di Chimica Industriale Università. Napoli, Via Mezzocannone, 16 (tei. 322.595). 33. Sicardi Ludovico - Dott. in Chimica. Torino, Corso XI febbraio, 21. 34. Tosco Uberto - Torino, Piazza Galimberti, 17. 35. Trotta Michele - Dott. Veterinario. Salerno, Via Michele Conforti, 13. 36. Trotter Alessandro - Prof, emerito di Patologia vegetale. Vittorio Veneto (Treviso), Via Cavour, 15. 37. Vichi Luciano - Libero doc. in Giacimenti minerari. Soc. Montecatini, Set¬ tore Miniere. Milano, Via Turati, 18. 38. Zavattari Edoardo . Prof. ord. f. r. di Zoologia Università. Roma. Viale Re¬ gina Margherita, 326. . . . INDICE MEMORIE, NOTE E COMUNICAZIONI Lambertini D. e Sersale R. — Relazione sull’esame analitico di un’ac¬ qua termale sorgente presso il lido di « Lo Grado », nell’isola di Ischia ( con 1 tavola ) .......... pag. 3 Lambertini D. e Mondeijli G. — Relazione sull’esame dell’acqua della sorgente « La Marchesa » in Comune di Mercogliano (Avellino) . » 10 \ mozzi P. — Misure di intorbidamento atmosferico mediante l’apparec¬ chio dell’ Owens » 15 Romano G. e Cattarinich F. — Ricerca cromatografica di taluni antifer¬ mentativi nei vini ............ 24 Lambertini D. — Relazione sull’ esame analitico di un’ acqua termo¬ minerale rinvenuta in località Arso di Basso (Porto d’Ischia) ( con 1 tavola ) » 32 V ittozzi P. — Le camere di ionizzazione . » 40 Boisio M. L. — Determinazione quantitativa degli alcaloidi nelle foglie di giusquiamo t ........... 55 Lambertini D. e Mondelli G, — Controllo analitico delle acque sorgive del Serino ( con 2 tavole ) . . . » 64 Lazzari A. — Le condizioni geo-petrolifere dell’Italia meridionale . . » 73 Pierantoni A. — Il comportamento del quoziente di purezza dei concen¬ trati di pomodoro nelle annate 1950-58 ........ 90 Franco D. — Su alcune particolari forme di erosione che si rinvengono nelle contrade « Cerro » e « Cese » (Comune di Cerreto Sannita, prov. di Benevento) ( con 5 tavole ) ........ y> 96 Romano G. — La separazione cromatografica ....... 113 V ittozzi P. — Il movimento di ioni ed elettroni nei gas .... » 133 D’Argenio B. — Osservazioni geomorfologiche sul gruppo del Taburno ( con 5 tavole) ............ » 151 Parascandola A. — Notizie vesuviane. Il Vesuvio dal Marzo 1948 al Dicembre 1958 ( con 20 tavole) ........ » 161 Migliorini E. — Ricordo di Alessandro Humboldt nel centenario della sua morte (6 maggio 1859) . » 341 — 368 — STUDI SPELEOLOGICI E FAUNISTICI SULL’ITALIA MERIDIONALE Pericoli S. — Rinvenimento di manufatti litici nella grotta di Castel- civita e di pitture rupestri nella grotta di Fra Liberto (versante oc¬ cidentale del M. Alburno, prov. di Salerno) (con 1 tavola ) . . pag. 345 Lazzari A. — Segnalazione di una stazione del paleolitico superiore all’in¬ gresso della grotta di Castelcivita (Salerno) (con 1 tavola) ...» 349 PROCESSI VERBALI DELLE TORNATE E DELLE ASSEMBLEE GENERALI ED ELENCHI DEI SOCI Processi verbali delle tornate e delle assemblee generali .... pag. 353 Elenco dei soci ordinari residenti al 31 dicembre 1959 .... » 361 Elenco dei soci ordinari non residenti al 31 dicembre 1959 ...» 364 Indice 367 Finito di stampare il 28 aprile 1960 Direttore responsabile : Prof. MICHELE FUIANO Autorizzazione della Cancelleria del Tribunale di Napoli - n. B 649 del dì 29-11-1960 i BOLLETTINO SELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI I3V NAPOLI VOLUME L X I X - 1960 PUBBLICATO SOTTO GLI AUSPICI DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE NAPOLI Stabilimento Tipografico G. Genovese Pallonetto S. Chiara, 22 1961 BOLLETTINO VOLUME L X I X - 19 6 0 PUBBLICATO SOTTO GLI AUSPICI DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELIE KICL R< HE NAPOLI Stabilimento Tipografico G. Genovese Pallonetto S. Chiara, 22 1961 Il Chenopodio antelmintico Nola del don. GIUSEPPE CIAMPA, presentata dal socio prof. M. COVELLO (Tornata del dì 27 maggio 1960) Il nome di Chenopodi comprende una varietà di piante appar¬ tenenti alla famiglia delle Chenopodiacee, la cui denominazione de¬ rivante dal greco (yr)V — oca e tzqÙc, = piede) è dovuta alla speciale forma della pianta stessa. I Chenopodi attualmente conosciuti sono piuttosto numerosi, ma il numero di essi che riveste un interesse nella farmacoterapia umana e veterinaria è piuttosto limitato. Tra questi, il più importante dal punto di vista terapeutico è il Chenopodium ambrosioides le cui varietà forniscono un olio essenziale abbastanza utile e pregiato. II Chenopodium ambrosioides è anche conosciuto attraverso nu¬ merosi sinonimi, tra i quali ricordiamo: Chenopodium ambrosioides Linneo ( Species plantarum , 1753, p. 219); Chenopodium anthelmin- ticum L. ( Ibidem , p. 220); Chenopodium suffruticosum Wildenow (1). A. Chevalier (2) cita come altri sinonimi: Chenopodium Sanela Maria Vellozo de Miranda; Chenopodium retusum Moquin-Tandon; Chenopodium spathulalum Siebert; Chenopodium vulpinum Wall; Chenopodium variegatum Gouan. Sono ancora sinonimi del Chenopodium ambrosioides : Atriplex ambrosioides Crantz; Orthospermum ambrosioides Kostel ; Ambrina ambrosioides Spach (3); Blitum ambrosioides G. Beck (4). Le sottospecie e varietà del Chenopodium ambrosioides sono nu¬ merose. Qualche chenopodio enumerato nei sinonimi come specie particolare dovrebbe essere riferito all 'ambrosioides come semplice varietà; questo è il caso del Chenopodium anthelminticum L. ( Che¬ nopodium ambrosioides var. anthelminticum Gray), coltivato indu¬ strialmente negli Stati Uniti d’America per l’estrazione dell’essenza di Chenopodio commerciale. A. Chevalier (2) collega al Chenopodium ambrosioides come 4 — varietà; Chenopodium spathulatum Siebert e Ch. retusum Moquin- Tandon. Tutti questi chenopodi, ed altri ancora che qui non numeriamo (5, 6, 7), sono ricchi in olio essenziale, e tutti utili e pregiati dal punto di vista terapeutico; tuttavia essi non presentano le peculiari proprietà antelmintiche del Chenopodium ambrosioides var. anthel- minticum. Nel nostro studio ci soffermeremo su questa varietà, che chia¬ meremo più brevemente Chenopodium anthelminticum, riferendoci alla pianta dotata di quelle caratteristiche peculiari sottolineate dal¬ lo stesso nome latino. Caratteri della specie ambrosioides (8). Origine : Piante erbacee, originarie del Messico, che abitano tutte le regioni calde e temperate del nuovo mondo e che sono dive¬ nute spontanee nella regione mediterranea. Descrizione : Il fusto, che raggiunge i 40-60 cm. di altezza, è ramificato e scanalato; è ricco di foglie alterne, lievemente piccio- late, oblunghe, attenuate alla base, acuminate all’apice, di colore verde bianco. 11 lembo che misura 4-5 cm. di lunghezza, 1,5-2 cm. di larghezza presenta denti profondi e disuguali che mancano so¬ vente sulle foglie più strette, sistemate alla sommità; è ricco di peli che sono soprattutto evidenti sulle nervature e presentano una quan¬ tità di ghiandole esterne, brillanti, di colore giallo. Dall’ascella del¬ le foglie partono dei rami più lunghi di esse che portano dei fiori poligami, molto piccoli, raggruppati in glomeruli di cui il centro è occupato da un fiore maschile o ermafrodita e la periferia da fiori femminili. Questi fiori, molto piccoli, sono sessili e formati da un calice di 4-5 divisioni ovali-ottuse, di 5 stami e un ovario monolocu- lare e monoovulare. I frutti sono piccoli acheni che restano avvolti dal calice che contiene dei semi lisci, di un bruno nero con l’em¬ brione orizzontale. Le piante hanno odore molto forte e gradevole, un pò canforico, sapore amaro e aromatico. Distillate danno un olio essenziale che ricorda un pò quello della menta piperita. Caratteri anatomici: Le piante sono caratterizzate dalla forma dei peli protettori e ghiandolari che le ricoprono. I peli protettori 5 Ap, Pelo giovane sull’epidermide inferiore; Bp, Pelo adulto sull’epidermide in¬ feriore; C, Taglio trasversale dell’estremità; e.s., epidermide superiore; t.ch., Tessuto cavitoso; e.i.. Epidermide inferiore; p., Pelo « èclatè »; p' , Pelo normale; D.p Pelo con qualche goccia di essenza; E.p., Pelo secretore vuoto sull’epidermide inferiore di una nervatura; F, Epidermide inferiore con stomi e peli secretori; p.p.. Vista di fronte: qualche gocciolina di essenza, Ingran¬ dimento; 1/10 di mm. in 10 parti, — 6 — presentano due forme differenti. Alcuni sono costituiti da una lunga cellula di forma clavata che è situata vicino all’estremità assottigliala su un pedicello conico, pluricellulare, più o meno lungo. Gli altri più corti e meno appariscenti sono costituiti da una serie di 5-6 cel¬ lule larghe press’a poco quanto lunghe: questi ultimi sono general¬ mente ripartiti sul parenchima del lembo. Quanto ai peli glando¬ la ri, hanno forma ovale, sono unicellulari, sessili, si trovano ripie¬ gati sulla superficie del lembo, in modo che il punto di attacco delle ghiandole sembra eccentrico. Gli stami sono circondati da quattro cellule che non presentano nessuna direzione regolare. Varietà Chenopodium ari th elmin ticum L. Pianta originaria del¬ l’America che non è se non una varietà della specie precedente da cui si riconosce per le infiorescenze fogliate e i fiori giallo-verdastri. Tutta la pianta e particolarmente la sua sommità fiorita possiede odore forte che molti trovano ripugnante. I frutti, che sono iscritti nella Farmacopea degli S. U., sono dei piccoli acheni verdastri, glo¬ bosi, appiattiti e circondati da calice persistente. Sotto questa guaina si trova una membrana sottile, costituente il perciarpo. Strofinando fra le dita queste due guaine friabili, si scopre il grano molto piccolo, nero, lenticolare lucente, a bordi ot¬ tusi che racchiude sotto l’episperma un embrione quasi anulare. Questi frutti hanno sapore aromatico, acre, odore canforico e tre- mentinico. Per distillazione in corrente di vapore danno un olio es¬ senziale giallastro o giallo-bruno, di odore e sapore sgradevole im¬ piegato come antelmintico. Riportiamo in Fig. 1 un disegno dei peli secretori delle foglie di Chenopodium ambrosioides var. 4 (9). Tecniche estrattive. La tecnica estrattiva che normalmente si impiega per ottenere l’olio di Chenopodio è quella della distillazione del materiale in cor- lente di vapore d’acqua. L’apparecchiatura è piuttosto semplice. Essa consiste in un ge> neratore di vapor d’acqua che convoglia il vapore in un altro reci¬ piente entro cui è messa la droga da estrarre. Da quest’ultimo reci¬ piente il vapore viene allontanato, condensato e raccolto in recipien¬ ti adatti a svuotamento continuo. Alla sua superficie si separa l’olio di Chenopodio, che viene allontanato mediante una pipetta od un imbuto separatore. Questa tecnica estrattiva è stata ampiamente discussa nella let¬ teratura a proposito dell’opportunità o meno di lavorare con vapor d’acqua sotto pressione. Secondo taluni autori la pressione del vapor d’acqua inviato sulla droga influenza il rendimento. Infatti tentativi effettuati inviando il vapor d’acqua senza pression sul vegetale hanno portato ad un rendimento molto basso in olio essenziale. Effettuando l’estrazione utilizzando vapore sotto pressione il rendimento aumen¬ tò notevolmente. Questo risultato a prima vista potrebbe essere confortevole e indicare la via da seguire nel processo estrattivo. Purtroppo, Casca¬ ndolo, come perossido, è una sostanza facilmente decomponibile, per cui già alla temperatura che si può raggiungere lavorando in corrente di vapore sotto pressione, si ha una notevole perdita di questo componente (10, 11). Altre tecniche da seguire potrebbero essere basate sulla estra¬ zione in apparecchi adatti (Soxhlet, Kumagawa) con solventi basso¬ bollenti. I risultati da noi ottenuti con questa tecnica sembrano es¬ sere confortanti. Area geografica del Chenopodio. L’essenza di Chenopodio commerciale proviene maggiormente dall’America del Nord, dove viene ottenuta a partire dal Chenopo- dium anthelminticum L. L’ottenimento di questo olio essenziale è relativamente re¬ cente, ma le proprietà terapeutiche della pianta stessa sono cono¬ sciute da lungo tempo. AI tempo della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Co¬ lombo, gli indiani la impiegavano di già come vermifugo: essi la pressavano ed il succo ottenuto veniva somministrato da solo o me¬ scolato con latte. Più tardi si utilizzò di preferenza il seme. Chalmers (12) raccomanda particolarmente un elettuario pre¬ parato con i semi di Anserina antelmintica L., ben polverizzati ed incorporati nel miele che, secondo Chalmers, è un vermifugo eccel¬ lente ed in qualche caso infallibile. Numerosi ricercatori si sono preoccupati di ottenere l’essenza di Chenopodio tentando l’acclimatazione della pianta in siti diversi da quelli originari. Nel 1918, nelle Indie olandesi, il dott. TiJSSER, — 8 — a causa della penuria di questo olio essenziale e del suo prezzo ele¬ vato, ha tentato egli stesso la estrazione. A Sumatra egli ha seminato semi di origine americana (probabilmente Chenopodium anthelmin- ticum) ed ha raccolto i semi da cui ha estratto l’olio essenziale; que¬ sto, impiegato in terapia contro l’anchilostomosi, si è rivelato effi¬ cace (13). Successivamente le colture di Chenopodio si sono estese ad altra regione delle Indie olandesi e forse delle stesse Indie inglesi. Notiamo tuttavia un dettaglio curioso: l’essenza di Chenopodio col¬ tivata in India possiede un potere rotatorio (vicino a 0°) nettamente differente dall’essenza commerciale che oscilla tra — 4° e — 8°. La deviazione ottica dell’assenza di Chenopodio indonesiano non sod¬ disfa più alle esigenze commerciali, tuttavia essa è antielmintica. Buone rese in olio essenziale si sono ottenute da Chenopodium am- brosioides coltivato in Giappone (14). In Francia GattefossÈ (15) ha tentato di ottenere dell’assenza di ambroisio. Egli ha distillato prima di tutto il tipo Chenopodium ambrosioides L. coltivato in Francia; egli ha ottenuto un olio essen¬ ziale rosso, con odore di geraniolo e non rassomigliante che da lon¬ tano a quello dell’ascaridolo; una buona essenza di chenopodio è gialla, con odore molto marcato di ascaridolo che costituisce il 70% dell’esssenza in media; dunque questa essenza estratta dal Cheno¬ podium ambrosioides L. non sembra corrispondere ad una essenza di Chenopodium vermifugo. Egli, inoltre, ha distillato Chenopodium suffruticosum Willd (' Chenopodium ambrosioides var. suffruticosum ) coltivato in Francia. L’essenza ottenuta avrebbe un forte odore di ascaridolo (il dosaggio non è stato effettuato), densità = 0,0996, [a]D — — 15°, nD = 1,5260. Evidentemente è difficile, senza il dosaggio dell’ascaridolo e senza il saggio fisiologico, di farsi un’idea del potere antielmintico di que¬ sta essenza. Nè il potere rotatorio nè l’indice di rifrazione corri¬ spondono a quelli commerciali; ma il potere rotatorio è di scarso valore. La distillazione del Chenopodium ambrosioides dei dintorni di Marrakech ha fornito allo stesso autore un olio essenziale con forte odore di ascaridolo. Saggi fisiologici realizzati nel laboratorio da Perrot non sembrano essere stati soddisfacenti (16). Nel 1933 Dafert e Capesius (17) hanno coltivato il Chenopo¬ dium ambrosioides L. a Kornenburg, stazione riparata e calda della Austria. I semi raccolti, distillati con vapor d’acqua a 4 atmosfere hanno fornito un olio essenziale contenente da 65 a 73% di ascari- — 9 — dolo corrispondente ad una essenza di chenopodio officinale; solo il potere rotatorio vicino a 0° è differente. Nella regione meridionale della Russia, in Ucraina, è stata estrat¬ ta un’essenza di Chenopodium contenente più del 50% di asearidolo. Sembra che risultati analoghi siano stati ottenuti in Eritrea. A. Marty (18, 19) ha coltivato in Svizzera semi forniti da diffe¬ renti giardini botanici e provenienti da piante indicate come Cheno- podium ambrosioìdes var. anthelminticum Gray. L’area di coltivazione del Chenopodio e delle sue varietà è piut¬ tosto estesa; i tentativi di acclimatazione in definitiva si possono considerare riusciti, anche se le caratteristiche chimico-fisiche dello olio ottenuto sembrano essere tra di loro non concordanti. In conclusione l’unico dato sul quale si possa fare affidamento per decidere sulla attività farmacoterapica dell’olio, è il contenuto di asearidolo cui viene attribuita l’attività antelmintica (20). Costituzione chimica delV olio di Chenopodio. La composizione chimica dell’olio di Chenopodio è stata oggetto di studio da parte di vari sperimentatori. Kremers (21), Schimmel (22) e Nelson (23-26) furono concordi nell’ affermare che 1’ olio era costituito principalmente da asearidolo e da una miscela di idrocar¬ buri liquidi. Maggiori precisazioni sono state fornite da Henry e Paget (27, 28), i quali mediante distillazione a 15 mm. di pressione separarono un campione di olio di Chenopodio in tre frazioni. La prima frazione, bollente al di sotto di 84°C, era costituita principalmente da idrocarburi. Fu anche identificato l’acido butir¬ rico isolato come sale d’argento. Inoltre erano presenti salicitato di metile e piccole quantità di acido salicilico formatosi evidentemente per idrolisi del salicilato. Dopo di aver separato questi componenti, la parte rimasta, pur presentando un punto di ebollizione costante, si rivelò all’analisi costituita da una miscela di a-terpinene, p-cimene e 1-limonene. La seconda frazione bollente fra 84 e 104°C era costituita da una miscela di idrocarburi ed asearidolo. Riscaldando la miscela a rica¬ dere si ottenne l’isomerizzazione dell’ascaridolo ad ascaridol-glicol- anidride e per distillazione in corrente di vapore si separarono gli idrocarburi che formavano il 30% dell’olio. La terza frazione, bollente fra 104-108°C era costituita da asca- — 10 — ri dolo il cui ammontare, tenendo conto di quello contenuto nella frazione più basso bollente, era di circa il 60% nell’olio. Struttura dell’ ascaridolo . Nelson (23-25), che per primo si era interessato della costitu¬ zione chimica dell’ascaridolo, aveva affermato che si trattava di un perossido organico di natura terpenica la cui isomerizzazione ad ascaridol-glicol-anidride (V) poteva ottenersi esplosivamente al di sopra dei 160°C. Questo stesso isomero egli l’ottenne facendo goc¬ ciolare l’ascaridolo nel cintene riscaldato a 150°C mentre otteneva il glicol da esso derivato dibattendo l’ascaridolo con soluzione di solfato ferroso o trattandolo con acido solforico diluito. Henry e Paget confermarono il modo di vedere di Nelson, ma ottennero l’anidride con un metodo nuovo, diluendo l’ascaridolo con un solvente indifferente quale lo xilolo e distillando il solvente a reazione ultimata; trattando l’anidride con vapore la trasformarono in glicol. La formula attribuita da Nelson all’ascaridolo fu la (I), men¬ tre il Wallach (29) successivamente propose la formula (II): — 11 — in seguito alla considerazione dei prodotti di idrogenazione in pre¬ senza di palladio. Wallach, difatti, dimostrò che esso assorbiva due molecole di idrogeno trasformandosi in cis l:4-terpina (III) che per deidratazione con soluzione di acido ossalico formava A^p-menten- 4-olo ed l:4-cineolo (IV). Quantunque l’ascaridolo in presenza di palladio assorba la quan¬ tità calcolata di idrogeno per la trasformazione in l:4-terpina, esso non reagisce in modo quantitativo con agenti riducenti quali il clo¬ ruro di titanio (30) o l’ioduro di potassio (31). Difatti un metodo di dosaggio dell’ascaridolo basato sull’uso di questi reagenti richiede l’applicazione di un fattore empirico. Il consumo di cloruro di ti¬ tanio è del 34,7% della quantità calcolata e quello di ioduro di po¬ tassio il 63%. Questi fatti suggeriscono o che l’ascaridolo è una mi¬ scela di due sostanze che non possono essere separate mediante di- stillazione o che l’azione dei suddetti agenti riducenti sul ponte pe- rossidico porti alla formazione di una miscela complessa di prodotti. Sulla base della prima ipotesi, si cercò di effettuare una sepa¬ razione di questi vari componenti, mediante raffreddamento con ani¬ dride carbonica, partendo da soluzioni in differenti solventi ma non si riuscì nell’intento. L’esame dei prodotti finali della riduzione con cloruro di tita¬ nio in soluzione acida portò alla identificazione del propano e del p-cresolo il che indicò le avvenute reazioni complesse pur non es¬ sendo stato possibile isolare nessun prodotto intermedio a causa del¬ la loro instabilità. Lo svolgimento di un gas combustibile era già stato notato da Nelson (23) durante la titolazione con solfato fer¬ roso e da Wallach (29) durante l’isomerizzazione a biossido (V) col riscaldamento. Si eseguì allora l’idrogenerazione parziale con una molecola di idrogeno in presenza di nero di palladio come ca¬ talizzatore, ottenendosi il A2 - p - men tene -1- 4 - di o lo che non presentava più il ponte perossidico e non reagiva con cloruro di titanio (32). Accanto al suddetto prodotto fu isolato un olio costituito da diidro-ascaridolo formatosi per idrogenazione del legame etilenico, lasciando intatto il ponte perossidico. Operando l’idrogenazione parziale in presenza di ossido di pla¬ tino al posto del palladio si ottiene solo diidroascaridolo. Esso non contiene gruppi idrossilici ma come il mentendiolo per ulteriore idro¬ genazione dà cis-1 :4-terpina. Per riduzione con cloruro di titanio esso dà origine al propano (90%) e ad una sostanza C7H1202 che contiene un gruppo idrossilico e forma un mono-p-nitrobenzoato. Il — 12 — secondo atomo di ossigeno non è nè idrossilico nè chetonico ed è probabilmente simile al gruppo ossidico della forma isomera dello ascaridolo. La sostanza è stabile in presenza di permanganato di potassio in soluzione neutra ma è facilmente ossidabile dalla miscela cro¬ mica di Beckmann al lattone dell’acido g-idrossi-^-metiladipico (33). Si ritiene che perciò esso sia ri-metilcicloesan-l-ol-3-4-ossido. L’insieme di tutte queste reazioni (vedi schema n. 1), unita¬ mente alla sintesi effettuata da Halpern (34) non lascia dubbi su quella che è la formula di struttura dell’ascaridolo proposta da Wallach. Dosaggio dell9 ascaridolo. Dato l’interesse che riveste l’olio di Chenopodio, nella farma¬ coterapia umana e veterinaria, è di estremo interesse il determi¬ nare quantitativamente l’ascaridolo, principio attivo cui viene de¬ mandata l’azione antelmintica dell’olio stesso (20). I metodi proposti sono stati numerosi, ma nessuno fino ad ora è esente da manchevolezze e può perciò essere considerato perfetto. Schimmel e collaboratori (22) determinarono il contenuto di ascaridolo nell’olio di chenopodio mediante distillazione nel vuoto, ma nonostante le precauzioni prese non riuscirono ad impedire la alterazione di una parte dell’ascaridolo. Il metodo inoltre è lento e dà un contenuto più basso del reale anchè perchè non si riesce a separare tutto l’ascaridolo dalle frazioni con punto di ebollizione inferiore, Nelson (46) suggerì un metodo di determinazione fondato sulla solubilità dell’ascaridolo in acido acetico al 60% e sulla insolubilità degli altri componenti in tale mezzo. In pratica si portano 10 cc. di olio di chenopodio in un pallone col collo graduato in decimi, si aggiunge acido acetico al 60% fino al segno, si determina l’altez¬ za della colonna di olio, che, essendo più leggero, si trova nella parte graduata del pallone; poi si agita energeticamente, si lascia depositare e si centrifuga e si legge di nuovo. La differenza fra l’al¬ tezza della colonna prima e dopo l’agitazione con acido acetico in¬ dica la quantità di ascaridolo. Il metodo è semplice e rapido ma poco preciso, innanzitutto perchè non fa distinzione fra l’ascaridolo e i prodotti di trasformazione intramolecolare (ascaridolglicol e la sua anidride) (26) che sono solubili in acido acetico e non tiene conto - Vò \ MEISlOtlOESAMO A C^bO fi~lDQOSSl L RIDICO 1 OLO ò-A OSSlùO — 14 — che il cinedo, altro componente dell’olio (35), è anch’esso solubile in acido acetico. Poi perchè il tempo di agitazione e di riposo, la opportunità o meno della centrifugazione e il metodo di lettura della colonna sono lasciati all’arbitrio dello sperimentatore (36). Sono stati proposti poi alcuni metodi chimici fondati sulle pro¬ prietà ossidanti dell’ascaridolo (30). E’ noto che l’ascaridolo in pre¬ senza di un catalizzatore assorbe 2 molecole di idrogeno trasforman¬ dosi in 1-4 terpina. Quando però si tratta l’ascaridolo con sostanze riducenti (TiCl3 , KI ecc.) avvengono delle reazioni ben più comples¬ se e non facilmente identificabili per cui è necessario introdurre dei fattori empirici. Come riducente Paget adoperò una soluzione di TiCl3 stabiliz¬ zata con acido cloridrico e stabilì il fattore empirico facendo la media dei valori ottenuti in una serie di determinazioni su ascari- dolo puro. L’andamento della reazione può esprimersi come segue (37): ATI CL% -V » 4Ti CIA L’eccesso di TiCL , che non ha reagito viene ossidalo a TiCl4 dall’allume ferrico che si riduce a sale ferroso; l’eccesso di sale ferrico reagisce a sua volta col solfocianato dando la nota colora¬ zione rosso-sangue: Fe2 (S04)3 + 2TiCl3 + 2HC1 - 2FeS04 + 2TiCl4 + H2S04 Fe2(S04)3 + KCNS - 2Fe(CNS)3 + 3K2S04 Se si pone come base del calcolo la formula di struttura propo¬ sta da Wallach (29) e si suppone che la reazione procede nel modo sopra schematizzato si vede che i g. di TiCl3 effettivamente occor- — 15 — renti sono solo un terzo della quantità calcolata. In realtà si è po¬ tuto stabilire che anche l’acido cloridrico reagisce sull’ascaridolo, difatti aumentando la quantità di acido diminuisce proporzionata¬ mente la quantità di TiCl3 consumata. C’è inoltre da tener presente che la riduzione con TiCl3 non sembra porti a 1-4 Terpina e che nel liquido di riduzione non si trovino nè ascaridolglicol nè la sua ani¬ dride. Pur con le sue manchevolezze questo metodo dà risultati che anche se non molto precisi, possono considerarsi soddisfacenti per la determinazione di piccole quantità di ascaridolo contenute nello olio di Chenopodio. Le limitazioni del metodo furono riconosciute dallo stesso autore e risultarono dalla comparazione con il metodo di Nelson (38); pur tuttavia fu considerato più accurato di quello proposto da Cocking e 11 y mas (31) e adottato dalla farmacopea bri¬ tannica. Quest’ultimo consiste nel preparare una soluzione di ioduro di potassio in una miscela 1 a 2 di acido cloridrico e acido acetico, aggiungere, dopo raffreddamento a — 3°, una aliquota di olio di Chenopodio diluita con acido acetico al 90%, tappare il recipiente e lasciar stare per 5' a bassa temperatura, infine titolare l’iodo messo in libertà con soluzione 0, IN di tiosolfato. Anche in questo caso fu necessario impiegare un fattore empi¬ rico e fu trovata la seguente relazione: 1 cc. di Na2S203 0,1N = == 0,00665 gr. di ascaridolo. Il metodo iodometrico è stato riesaminato da H. Bohme e K. VAN Emster (39). Essi hanno trovato che avvengono diverse reazioni simultaneamente : 1) Il ponte di natura perossidica è spezzato dall’HI con for¬ mazione di p. mentendiolo : C10H16O2 + 2HI - C10H18O2 + I2 2) Il p. mentendiolo perde acqua per formare p. ciinolo • Ci0H18O2 — > CìoHh + 2H20 3) L’HI riduce l’ossidrile terziario: Ci0H18O2 -h 2HI — C10H18O + H2O + I2 Pertanto è necessario calcolare Cascandolo separatamente per le reazioni 1-2-3; se si indicano con X i cc. di Na2S203 usati nelle reazioni 1 e 2 e con y i cc. di Na2S208 usati nelle reazioni 1 e 3 si ha: 16 — 8,4 X + 4,2 y = mg. di ascaridolo Nel tentativo di trovare un metodo più esatto Halpern (35) stu- dio il comportamento dell’acido ascorbico in presenza di ascaridolo. Infatti la quantità di acido ascorbico ossidata damascandolo può essere calcolata per differenza fra l’acido ascorbico messo a reagire e quello ritrovato dopo la reazione mediante titolazione con diclo- rofenol-indofenolo. La ossidazione dell’acido ascorbico ad opera del- l’ascaridolo non procede però, secondo una relazione di mole a mole e bisogna anche qui stabilire previamente l’ammontare di acido ascor¬ bico ossidato da 1 millimole di ascaridolo. Inoltre l’autore, con¬ frontando i risultati ottenuti col suo metodo con quelli ottenuti con altri metodi sugli stessi campioni, si accorse che erano notevolmente più alti. Ciò sta ad indicare la presenza nell’olio di un’altra sostan¬ za, probabilmente il p. cimene, capace di ossidare l’acido ascorbico. Il metodo pertanto non essendo specifico non è applicabile. Esclusivamente di natura qualitativa si possono considerare vari metodi colorimetrici suggeriti (40-42). Per il semplice riconoscimento dell’ascaridolo nell’olio di Chenopodio, Erich Wegner (43) propone la sua riduzione ad ascaridol-glicol con FeS04 seguita da esterifica¬ zione con cloruro di benzile e identificazione come ascaridol-glicol inonobenzoato. Un metodo di determinazione quantitativa è invece quello pro¬ posto da Sanna e Marchi (37), fondato sulla formazione di un pro¬ dotto di condensazione tra l’ascaridolo e l’acetato (I) o il cloruro mercurico ai). c-HgcoocHj C-Wg COOCHj CW I C-Hg Cl. C— Hg C L / \ CHj CHa, 11 — 17 — Impiegando l’acetato di mercurio si scioglie l’olio di Cheno¬ podio in acido acetico glaciale ed alla soluzione così ottenuta si ag¬ giunge una soluzione di acetato di mercurio anch’essa in acido ace¬ tico glaciale. Si ottiene un precipitato insolubile in acqua ed in molti solventi organici; solubile invece in acido acetico dalla cui soluzione si può precipitare il mercurio sotto forma di solfuro. Im¬ piegando il cloruro di mercurio la tecnica è la stessa, varia solo il solvente che è alcool etilico. Da una serie di esperienze preliminari sono stati determinati dei fattori di correzione che per il metodo all’acetato è risultato di 0,936 e per quello al cloruro di 0,98. Questo metodo nella sua semplicità è risultato abbastanza ve¬ loce e sicuro. Difatti i risultati da noi ottenuti lavorando su cam¬ pioni di olio di Chenopodio commerciale di provenienza americana sono stati abbastanza soddisfacenti. In questi ultimi anni gli autori Beckett, Dombrow e Jolliffe (44, 45), avendo osservato che l’ascaridolo dà un’onda polari grafica ben definita e che esiste una relazione lineare tra altezza dell’onda e la sua concentrazione, hanno tentata una determinazione polaro- grafica del contenuto di ascaridolo nell’olio di Chenopodio. Non sono mancate le critiche nemmeno a questo metodo, che tuttavia è quello che finora ha permesso di raggiungere la maggior approssimazione Caratteristiche chimico-fisiche dell’ ascaridolo . L’ascaridoìo è un liquido oleoso giallo chiaro, di odore aroma¬ tico, insolubile in acqua, solubile in acido acetico (60% in acqua), solubile nella maggior parte dei solventi organici e negli oli. Molte pubblicazioni sono apparse sulla determinazione delle costanti chi¬ mico-fisiche dell’ascaridolo (54). I risultati sono piuttosto discor¬ danti, come si può vedere dalla tabella n. 1. La maggior parte degli sperimentatori ha impiegato la distilla¬ zione frazionata a pressione ridotta per la purificazione (22, 23, 38, 44, 45, 47), mentre altri hanno impiegato la cristallizzazione frazio¬ nata a bassa temperatura (30, 33, 48). Nel primo procedimento vi è la possibilità di un riarrangia¬ mento dell’ascaridolo durante la distillazione (27) e perciò una con- 2 TABELLA N. 1. Rif. P. E. in °C P.P. nD° a> Densità Wd g © .5 ù ®OTo © £ 09 a 22 115/15 mm _ 1,4743 d 13° 13' 1,011 [o^d — 4° , 23 80/81/4 mm — — d 1,008 [a] p” +0,6° — 30 — 1,4732 d 20° 1,0134 [alp ° +1,36» 98 33 115/15 mm — 1,4736 d 25° 25° 1,0050 2,14 — 35 113-114/20 mm 2 — d 18° 18° 1,0114 [alD -0,03° 106,4 38 83/4-5 mm — 1,4743 d 15° 1,0079 [gJd — 4,14° — 44 84/3 mm — 1,4733 - — . — 45 96-97/8 mm — 1,4769 d 0 o o o ) >? cloruri (Cl) ........ . 0.1371 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti (ioni) gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro cationi anioni Na+ 0,2597 11,30 11,30 K+ 0,1056 2,70 2,70 Fe++ 0,0257 0,46 0,92 Ca++ 0,0757 1,89 3,78 Mg++ 0,0271 1,11 2,22 20,92 hco3- 0,8643 14,16 14,16 so4— 0,1450 1,50 3,00 Cl- 0,1372 3,86 3,86 21,03 — 35 — CAMPIONE N. 2. Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a I10°C ....... 0,8788 gr/litro 2) Alcalinità totale (CaC03) ....... 0,3512 » » 3) Durezza totale .......... 51° Francesi 4) » permanente .... .... 15° » 5» » temporanea . 36° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) . . 0,0480 gr/litro 2) » » tetrossido di manganese (lMn304) . iracce 3) » » calce (CaO) . . 0,2150 » » 4) » » magnesia (MgO) . . 0,0586 » » 5) » » ossido di sodio (Na90) . . 0,0812 » » 6) » » ossido di potassio (K20) . 0,0424 » » 7) » » anidride solforica (S03) . 0,1510 » » 8) » » anidride carbonica semicombinata (C02) . . 0,1544 » » 9) » » anidride nitrica (N20.) . . presente 10) » » cloruri (Cl) . . 0,1055 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti 1 gr/litro ! Millimoli/litro Milli valenze/litro (ioni cationi anioni Na+ 0,0602 2,62 2,62 K+ 0,0352 0,90 0,90 Ca++ 0,1537 3,83 7,66 Mg+4 0,0353 1,45 2,90 14,08 hco3- 0,4286 7,02 7,02 so4— 0,1848 1,92 3,84 Cl- 0,1055 2,97 2,97 N03- presenti — 13,83 — 36 — CAMPIONE N. 3. Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C . 0,8272 gr/litro 2) Alcalinità totale (CaC03) . 0,3550 » » 3) Durezza totale . 44,7° Francesi 4) » permanente . 10,3° » 5) ® temporanea ......... 34,4° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) ........ 0,0484 gr/litro 2) » » tetrossido di manganese (Mn304) .... 0,0010 » » 3) » » calce (CaO) . 0,1820 » » 4) » » magnesia (MgO) ....... 0,0415 » » 5) » » ossidi alcalini i(Na20) ... . . 0,1410 » » 6) » » anidride solforica (S03) ...... 0,0960 » » 7) » » anidride carbonica semicombinata (C02) . . 0,1561 » » 8) « » cloruri (Cl) ........ 0,1456 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti àoni) gr, litro Millimoli/litro 1 Millivalenze/litro cationi ! anioni Na+ 0,1045 4,54 4,54 Ca++ 0,1408 3,50 7,00 Mg++ 0,0250 1,03 2,06 13,60 hco3- 0,4330 7,10 7,10 so4- - 0,1152 1,20 2,40 Cl- 0,1456 4,10 4,10 13,60 — 37 — CAMPIONE N. 4. Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C .... gr/litro 2) Alcalinità totale (CaC03) . 0,3976 » » 3) Durezza totale ...... . . 48,7° : Francesi 4) » permanente ..... . 9,2° » 5). » temporanea ..... Composizione chimica del residuo. . 39,5° » 1) Titolo di silice (Si02) .... 2) » » sesquiossido di ferro (Fe203) . 0,0436 tracce gr/litro 3) » » calce (CaO) .... . 0,2100 » » 4) » » magnesia (MgO) . 0,0474 » » 5) » » ossidi alcalini (Na20) . 0,1525 » » 6) » » anidride solforica (S03) . . 0,1410 » » 7) » » anidride carbonica semicombinata (C02) . . 0,1744 » » 8) » » cloruri (Cl) » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti gr/litro | Millimoli/litro Millivalenze/litro (ioni) cationi anioni Na+ 0,1139 4,92 4,92 Ca++ 0,1550 3,75 7,50 Mg++ 0,0286 1,17 2,35 14,77 hco3- 0,4853 7,95 7,95 so4— 0,1692 1,76 3,52 Cl- 0,1164 3,30 3,30 1 14,77 — 38 — CAMPIONE N. 5. Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C . . . . ■ . 0,7812 gr/litro 2) Alcalinità totale (CaC03) . . • . 0,3976 » » 3) Durezza totale . . . . . 32,8° Francesi 4) » permanente ........ . 0° » 5) » temporanea . . . . . . .• . 32,8° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) ....... . 0,0466 gr/litro 2) » » sesquiossido di ferro (Fe203) . 0,0054 » » 3) » » calce (CaO) ....... . 0,1210 » » 4) » » magnesia (MgO) . . 0,0450 » » 5) » » ossidi alcalini (Na20) ..... . 0,1209 » » 6) » » anidride solforica (S03) ..... . 0,0075 » » 7) » » anidride carbonica semicombinata (C02) . 0,2562 » » 8) » » cloruri (CI) . . 0,0820 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro (ioni) cationi anioni Na+ 0,0894 3,78 3,78 Fe++ 0,0037 0,065 0,13 | Ca++ 0,0864 2,15 4,31 Mg++ 1 0,0271 1,11 2,23 10,45 1 HCOa 0,4853 7,95 7,95 so4— 0,0090 0,09 0,18 Cl- 0,0820 2,31 2,31 10,44 — 39 — CAMPIONE N. 6. Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C .... . 0,8172 gr/litro 2) Alcalinità totale (CaC03) . 0,3973 » » 3) Durezza totale ...... . 43,2° Francesi 4) » permanente . 5° » 5) » temporanea . ... . 38,2° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) . . 0,0616 gr/litro 2) » » sesquiossido di ferro (Fe203) tracce 3) » » calce (CaO) . . 0,1795 » » 4) » )) magnesia (MgO) .... . 0,0453 » » 5) » » ossido di sodio (Na20) . . 0,1018 » » 6) » » ossido di potassio (K20) 0,0500 » » 7) » » anidride solforica (S03) . 0,0397 » » 8) » » anidride carbonica semicombinata (CO,) . . 0,1747 » » 9) )) anidride nitrica (N2Os) 0,0766 » » 10) » » cloruri (Cl) ..... . 0,0920 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti gr/litro Milliraoli/litro Millivalenze/litro (ioni) cationi anioni Na+ 0,0758 3,30 3,30 K+ 0,0415 1,06 1,06 Ca++ 0,1281 3,20 6,40 Mg++ 0,0273 1,12 2,24 13,00 HC(V 0,4849 7,94 7,94 SOR¬ 0,0477 0,49 0,99 CI¬ 0,0920 2,59 2,59 NO,- 0,0879 1,41 1,41 12,93 * — 40 — CAMPIONE N. 7. Valutazioni chimiche diverse. 1) Resìduo secco a 110°C 2) Alcalinità totale (CaC03) 3) Durezza totale 0,8162 gr/litro 0,2590 » » 40,1° Francesi 4) » permanente ........ . 12,5° » 5) » temporanea . . 27,6° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) . . . 0,0554 gr/litro 2) » » calce (CaO) ....... . 0,1647 » » 3) •» » magnesia (MgO) ...... . 0,0466 » » 4) » » ossido di sodio (Na20) . . 0,0710 » » 5) » » ossido di potassio (K20) .... . 0,0382 » » 6) » » anidride solforica (S03) ..... . 0,1100 » » 7) » » anidride carbonica semicombinata (C0o) . 0,1139 » » 8) » » anidride nitrica (N20_) ..... . 0,0762 » » 9) » » cloruri (Cl) ....... , 0,0800 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti (ioni; gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro cationi anioni Na+ 0,0519 2,26 2,26 IC+ 0,0317 0,81 0,81 Ca++ 0,1178 2,93 5,86 Mg++ 0,0281 1,15 2,30 11,23 hco3- 0,3039 4,98 4,98 so4— 0,1320 1,37 2,74 Cl- 0,0800 2,25 2,25 N03- 0,0875 1,40 1,40 11,37 — 41 — CAMPIONE N. 8. Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C 2) Alcalinità totale (CaC03) 3) Durezza totale . 4) >> permanente . 5) o temporanea . 0,5480 gr/litro . 0,3771 » » 27° Francesi 0° » . 27° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) ...... 2) » » sesquiossido di ferro (Fe203) 3) » » tetrossido di manganese (Mn304) . 4) » » calce (CaO) . 5) » » magnesia (MgO) . 6) » » ossidi alcalini (Na20) .... 7) » » anidride solforica (S03) .... 8) » » anidride carbonica semicombmata (C0o) 9) » » cloruri (Cl) ...... 0,0486 gr/litro 0,0030 » » 0,0042 » » 0,1018 » » 0,0352 » » 0,1240 » » 0,0142 » » 0,1658 » » 0,0530 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti vioni; gr/litro Na+ 0,0917 Fe++ 0,0020 Mn++ 0,0030 Ca+i" 0,0727 Mg++ 0,0212 hco3- 0,4602 so4— 0,0170 Cl- 0,0530 Millivalenze/litro Millimoli/litro cationi anioni 3,97 3,97 0,035 0,07 0,055 0,11 1,81 3,62 0,87 1,74 9,51 7,55 7,55 0,17 0,35 1,50 1,50 9,40 — 42 CAMPIONE N. 9. Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C 2) Alcalinità totale (CaCO, 3) Durezza totale . 0,5350 gr/litro 0,2500 » » 23,2° Francesi 4) » permanente ........ 0° » 5j » temporanea ........ . 23,2° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) ....... . 0,0554 gr/litro 2) » » sesqoiossido di ferro (Fe203) tracce 3) » » calce (CaO) ....... . 0,0784 » » 4) » » magnesia (MgO) . . 0,0371 » » 5) V) » ossido di sodio (Na20) ... . 0,1022 » » 6) )) » ossido di potassio (K20) .... . 0,0518 » » 7) )) » anidride solforica (S03) . . . . 0,0380 » » 8) » » anidride carbonica semicombinata (C02) . 0,1100 » » 9) )) » anidride nitrica (N205) ..... . 0,0693 » » 10) )) » cloruri (Cl) . . 0,0630 » » Rappresentazione dei insultati analitici Componenti gr/litro Millimoli/litro Milli valenze/litro (ioni) cationi anioni Na+ 0,0758 3,30 3,30 K+ 0,0430 1,10 1,10 Ca++ 0,0560 1,40 2,80 Mg++ 0,0223 0,92 1,84 9,04 hco3- 0,3050 5,00 ai o o S04 0,0456 1 0,47 0,94 Cl” 0,0630 1,78 1,78 N03- 0,0796 1,28 1 1,28 9,00 1 — 43 — CAMPIONE N. 10. Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C .... . 0,6195 gr/litro 2) Alcalinità totale (CaC03) . 0,3196 » » 3) Durezza totale ...... 31° Francesi 4) » permanente ..... » 5) » temporanea . . 31° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) .... . 0,0518 gr/litro 2) » » sesquiossido di ferro (Fe203) . tracce 3) » » calce (CaO) .... . 0,1024 » » 4) » » magnesia ((MgO) . 0,0432 » » 5) » » ossido di sodio (Na20) . . 0,0790 » » 6) » » ossido di potassio (K20) . 0,0439 » » 7) » » anidride solforica (S03) . . 0,0340 » » 8) » » anidride nitrica (N205) . presente 9) » » cloruri (Cl) . 0,0774 )) » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti gr./litro Millimoli/litro Millivalenze/litro ioni) cationi anioni Na+ 0,0586 2,55 2,55 K+ 0,0365 0,94 0,94 Ca++ 0,0805 2,00 4,00 Mg++ 0,0286 1,17 2,34 hco3- 0,3844 6,30 9,83 6,30 so4— 0,0408 0,42 0,84 Cl- 0,0774 2,18 2,18 no3- presente — 9,32 — 44 — CAMPIONE N. 11. Valutazioni chimiche diverse* 1) Residuo secco a 110°C . 0,6140 gr/Iitro 2) Alcalinità totale (CaC03) . 0,2065 » » 3) Durezza totale . 30,5° Francesi 4) » permanente . . 10,2° » 5) » temporanea . . 20,3° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) . ... . . 0,0574 gr/litro 2) » » sesquiossido di ferro (Fe203) . 0,0037 » » 3) » » calce (CaO) . . 0,1340 » » 4) » » magnesia (MgO) . . 0,0274 » » 5) » » ossido di sodio (Na20) . . 0,0742 » » 6) » » ossido di potassio (K 0) . 0,0338 » » 7) » » anidride solforica (S03) . 0,1016 » » 8) » » anidride carbonica semicombinata /< tufo con frammenti ,avici 52.00 ’• ,r.*- lapillo scuro con sabbia (acquai 55 00 v. À3” sabbia argillosa 60.00 lapillo pomiceo 65.00 i.Vj.'f": lapillo scuro con arqilla 83.00 86 00 ;> A«r sabbia argillosa e cenere vulcanica !0f N argilla azzurra 94.00 105.00 JjCV'-x-. " jA-AV frammenti lavici. y-r?-*- lapillo e argilla ■ lapillo scuro (acqua) 111.00 . ! ì lapillo scuro con ‘ argilla 6 8 0.00 piano di campagna 3,50 6,70 a so 11.00 16,00 24.10 %'S-t-* terreno vegetale berrà scura con lapillo pozzolana i^z/Z pozzolana chiara _ pozzolana con lapillo fUf° 25.30 t ufo con pomici 3380 -4^2) rocc'a lavica 5400 ìr=r-Jr£ pozzolana color cenere 58,50 AìJtÀ pozzolana con rtArrir- detriti vulcanici 70,40 Ih 78,00 lapillo e pozzolana (acqua) 82,00 84,00 87,00 y-.'/./ sabbia con lapillo sabbióne "vuTcanTco ' sabbia fine (acqua) sa4Q. :j tassodi pozzolana 93,00 lapillo minuto 96,60 Vi.' sabbione vulcanico 106,00 HE 0.00 piano di campaqna 1,30 terreno veqetale 41,00 2. rj A'_> ' . -, ’ ■J.. J- \ pozzolana sabbiosa t.-.-i ì con tracce di lapillo r'S & 66.00 pipe.no 68,50 " pozzolana grigia 79,00 ''/Tv tuf0 9'a**° fi 85,00 l/r") (aPjUo m‘nuto 89.00 sabbia e lapillo (acqua) 93,00 tufo verde 100,00 sabbia melmosa Cacquai 111.00 lapillo e sabbione A- ’/y Acque del sottosuolo dei Campi Flegrei utilizzate a scopo industriale Nota del socio DIANA LAMBERTINI e della dott. ANNA MARIA ESPOSITO (Tornata del 24 giugno 1960) In questa nota vengono prese in esame alcune acque del sotto¬ suolo della zona occidentale alla città, le cui caratteristiche ne hanno consentito l’utilizzazione ai fini industriali. Da qualche tempo, a seguito del continuo sviluppo delle attività industriali della città, che si sono estese anche in questa zona, si è sentita la necessità di ricercare acque non troppo mineralizzate che potessero essere utilizzate dall’industria locale, senza eccessiva spesa per trattamenti. Come è noto, in questo territorio a carattere eminentemente vul¬ canico, mentre sono numerose ed abbondanti le sorgenti di acque termali e minerali (1), scarseggiano le acque dolci o debolmente mi¬ neralizzate. Inoltre nessun criterio può guidare nella ricerca di tali acque perchè in questi terreni sconvolti da vulcanesimo recente, la cir¬ colazione idrica assume caratteri del tutto accidentali, di guisa che non si può andare al di là della constatazione della esistenza di sva¬ riati piccoli bacini indipendenti, potenzialmente capaci di fornire mo¬ desti quantitativi di acque di composizione diversa, a secondo del rapporto fra acque meteoriche filtranti ed acque profonde minera¬ lizzate. Qualsiasi tentativo di ricostruzione della idrografia sotterranea dei Campi Flegrei urta inevitabilmente contro l’ostacolo costituito (1) O. Rebuffat, M. Aloe e A. De Rubertis. Analisi di alcune acque minerali della zona flegrea. Atti Ist. Incoragg., s. 6, 7-8 (1926), pp, 183-188. Napoli, 1926. G. D’Erasmo, M. L. Benassai-Sgadari. Bibliografìa geologica d’Italia, voi. Ili {Campania). Napoli, 1958. 4 — So¬ cial disordine stratigrafico delle formazioni vulcaniche che detta zona caratterizzano. Possono comunque essere di interesse i risultati di un lavoro si¬ stematico che delinei delle situazioni locali e segnali i punti più favorevoli per la ricerca di acque poco mineralizzate. Ciò è stato realizzato in collaborazione con diverse industrie, le quali avevano da risolvere il problema del loro approvigionamento idrico. È stato possibile eseguire rilievi in diverse località, distri¬ buite lungo tutta la zona dei Campi Flegrei, e precisamente: Fuori- grotta, Coroglio, Agnano, Bagnoli, Pozzuoli, Arco Felice, Bacoli e Pianura, (vedi tavola annessa, alla scala di 1:50.000). Le acque prese in esame provengono per la maggior parte da pozzi di profondità limitata, infatti i materiali incontrati nelle per¬ forazioni sono quasi tutti prodotti di copertura del terzo periodo flegreo ; solo alcune perforazioni si sono spinte a ritrovare acqua a profondità maggiore (fino a 100 mt dal piano di campagna). Non si spingono i sondaggi a forti profondità temendo Tinten- sificarsi della mineralizzazione delle acque oltre i limiti massimi tol¬ lerabili per le utilizzazioni cui esse sono destinate. Come già detto, i Campi Flegrei sono tuttora sede di fenomeni post-vulcanici di carattere solfatarico, fumarolico, mofetico e vi ab¬ bondano sorgenti di acque profonde fortemente mineralizzate. Nell’elenco seguente sono indicati i pozzi da cui provengono i campioni analizzati, unitamente alla loro ubicazione ed alla profon¬ dità. Boti. Soc. Naturai, in Napoli, lampi Flegrei, ecc. - Tavola. Napoli, voi. LXTX, 1960. Tavoi.a. Boll- Soc. Not'lra'' Lambertini D. ed Esposito A. M. Acque del sottosuolo dei Campi Flegrei. ec — 51 — Campione prelevato dal pozzo UBICAZIONE Quota della falda (riferita al piano di campagna) 1 Soc. « I.R.G.O. » — Fuorigrotta, via Bagnoli, 19 — mt 100 2 Villa « ADRIANA » — Villanova (mt 163 s.l.m.), via Manzoni, 177 — mt 175 3 Scuderia dell’ « ISTITUTO SIEROTERAPICO ITALIANO » — Pianura (mt 153 s.l.m.), Strada Comunale : Marano-Pianura — mt 170 4 Soc. « CEMENT1R » Coroglio, via Coroglio, 71 — mt 15 5 Centro Radar « AERONAUTICA » — Pozzuoli, San Gennaro — mt 27 6 Soc. « PIRELLI » — Pozzuoli, Arco Felice — mt 5 7, 8, 9 Soc. « OLIVETTI » — Pozzuoli, Arco Felice — mt 9 10 Proprietà « SARDO » — Pozzuoli, via Solfata¬ ra, 16 — mt 50; * — mt 70 11 Soc. « NOVO PAN » — Agnano, via Nuova Agna- no, 11 — mt 27 12 Soc. «FERRIERE ED ACCIAIERIE NAPOLE¬ TANE » — Agnano, via Comunale Pisciarelli — mt 100 13 Albergo «APOLLO» — Agnano, via Nuova Agna¬ no, 5 — mt 36 14 Soc. « ETERNIT » — Fuorigrotta, via Campe- gna, 48 — mt 22 15 Soc. « MICROLAMBDA » — Bacoli, Fusaro — mt 8 16 Soc. « DISNA » DISTILLERIE DI NAPOLI — Bacoli, Fusaro — mt 8 Nelle tabelle e nei grafici corrispondenti (figg. 1, 2, 3, 4 e 5) sono riportati i risultati dettagliati dell’esame chimico dei campioni di acqua, contradistinti con i numeri di cui al precedente elenco. — 52 CAMPIONE N. 1 Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C ........ 0,5650 gr/litro 2) Alcalinità totale (CaC03) . 0,2200 » » 3) Durezza totale .......... 13,3° Francesi 4) » permanente . 0° » 5) » temporanea . 13,3° » Composizione chimica del residuo. D Titolo di silice (Si02) . 0,0293 gr/litro 2) » » calce (CaO) .... . 0,0448 » » 3) » » magnesia (MgO) . 0,0214 » » 4) » » ossido di sodio (Na20) . . 0,1800 » » 5) )) » ossido di potassio (K20) . 0,0600 » » 6) » » anidride solforica (S03) . . 0,0692 » » 7) » » anidride carbonica semicombinata (CO,) . . 0,0967 » » 8) » » cloruri (Cl) .... . 0,1230 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti (ioni) gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro cationi anioni Na+ 0,1330 5,80 5,80 K+ 0,0498 1,27 1,27 Ca++ 0,0320 0,79 1,58 Mg++ 0,0129 0,53 1,06 9,71 Hcor 0,2685 4,40 4,40 so4-- 0,0831 0,86 1,72 ci- 0,1230 3,47 3,47 9,59 — 53 — CAMPIONE N. 2. Valutazioni chimiche diverse . 1) Residuo secco a 110°C .... . . 0,5810 gr/litro 2) Alcalinità totale (CaC03) . 0,2386 » » 3) Durezza totale ...... 13° Francesi 4) » permanente ..... 0° » 5) » temporanea . . . 13° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di l silice (Si02) .... . 0,0356 gr/litro 2) » » calce (CaO) .... . 0,0550 » » 3) » » magnesia (MgO) . 0,0150 » » 4) » » ossido di sodio (Na20) . . 0,1891 » » 5) » » ossido di potassio (Ko0) . 0,0471 » » 6) » » anidride solforica (S03) . . 0,0792 » » 7) » » anidride carbonica • semicombinata (C02) . . 0,1050 » » 8) » » cloruri (Cl) .... » » Rappresentazione dei nsultati analitici. Componenti (ioni) gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro cationi anioni Na+ 1 ! 0,1403 6,10 6,10 . K+ 0,0390 1,00 1,00 > Ca++ 0,0393 0,98 1,96 Mg++ 0,0090 0,37 0,74 9,80 HCOa~ 0,2912 4,77 4,77 so4— 0,0950 0,99 1,98 ci- 0,1110 3,13 3,13 i 9,88 — 54 — CAMPIONE N 3. Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C . 0,2650 gr/litro 2) Alcalinità totale (CaCO/) ...... . 0,1523 » » 3) Durezza totale . 4ì » permanente . . . 0° » 5) » temporanea . . . 4,7° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) . . 0,0120 gr/litro 2) V) » sesquiossido di ferro (Fe203) . 0,0029 » » 3) » » calce (CaO) . . . 0,0225 » » 4) » » magnesia (MgO) ...... . 0,0027 » » 5) )) » ossido di sodio (Na20) ..... . 0,0950 » » 6) » )) ossido di potassio (K.,0) .... . 0,0270 » » 7) » » anidride solforica (S03) . . 0,0285 » » 8) » » anidride carbonica semicombinata (C0o) . 0,0669 » » 9) » cloruri (Cl) ....... . 0,0255 » » Rappresentazione dei risultali analitici. Componenti 1 gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro (ioni) cationi anioni Na+ 0,0704 3,06 3,06 K+ 0,0224 0,57 0,57 Fe++ 0,0020 0,03 0,07 Ca++ 0,0120 0,30 0,60 Mg++ 0,0024 0,10 0,20 4,50 HC03- 0,1859 3,04 3,04 so4— 0,0342 0,35 0,71 Cl- 0,0255 0,71 0,71 1 4,46 — 55 — CAMPIONE N, 4. Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C . . 11,84 gr/litro 2) Alcalinità totale (CaC03) . 0,9610 » » 3) Durezza totale ......... 4) » permanente ........ Cn CO o » 5) » temporanea . 96° » Composizione chimica del residuo. I) Titolo di silice (Si02) ....... . 0,0844 gr/litro 2) » » sesquiossido di ferro (Fe203) 0,0170 » » 3) » » calce (CaO) ....... . 0,8297 » » 4) » » magnesia (MgO) . . 0,4272 » » 5) » » ossido di sodio (Na20) ..... . 4,2000 » » 6) » » ossido di potassio (K20) .... . 0,4700 » » 7) » » anidride solforica (S03) . . 0,5710 » » 3) » » anidride carbonica semicombinata (C02) . 0,4224 » » 9) » » cloruri (Cl) . . 5,8700 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti (ioni) gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro cationi anioni Na+ 3,1160 135,50 135,50 K+ 0,3900 9,98 9,98 Fe++ 0,0118 0,21 0,42 Ca++ 0,5936 14,80 29,60 Mg++ 0,2578 10,60 21,20 196,70 HC(V 1,1720 19,21 19,21 so4— 0,6850 7,13 14,26 Cl- 5,8700 165,53 165,53 - | 199,00 — 56 — CAMPIONE N. 5. Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C 2) Alcalinità totale (CaC03) 3; Durezza totale • 4) » permanente . 5) » temporanea . 11,15 gr/litro 0,6197 » » 63,9° Francesi 5,9° » 58,0° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) ....... . 0,0820 gr/litro 2) » » sesquiossido di ferro (Fe203) . 0,0162 » » 3) » » calce (CaO) . . 0,1768 » » 4) ■» » magnesia (MgO) . . 0,1302 » » 5) » » ossido di sodio (Na20) . . 5,2360 » » 6) » » ossido di potassio (K20) .... . 0,4500 » » 7) » » anidride solforica (S03) ..... . 0,9330 » » 8ì » » anidride carbonica semicombinata (C02) . 0,2725 » » 9) » » cloruri (Cl) . . 5,5300 » 9 Rappresentazione dei risultali analitici. Componenti (ioni) gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro cationi anioni Na+ 3,8880 169,36 169,36 K+ 0,3736 9,55 9,55 Fe++ 0,0113 0,20 0,40 Ca++ 0,1265 3,15 6,30 Mg++ 0,0785 3,23 6,46 192,07 HC03- 0,7563 12,40 12,40 so4— 1,1200 11,65 23,30 Cl- 5,5300 156,00 156,00 191,70 — 57 — CAMPIONE N. 6. Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C . 10,25 gr/litro 2) Alcalinità totale (CaC03) ....... 0,3357 » » 3) Durezza totale . 180° Francesi 4) » permanente . . . . . . . . .147° » 5) » temporanea . 33° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) ........ 0,0720 gr/litro 2) » » sesquiossido di ferro (Fe203) .... 0,0102 » » 3Ì » » calce (CaO) ........ 0,5357 » » 4) » » magnesia (MgO) . 0,3460 » » 5) » » ossido di sodio (Na20) ...... 3,6110 » » 6) » » ossido di potassio (K20) ..... 0,6854 » » 7) » » anidride solforica (S03) . 1,0300 » » 8) » » anidride carbonica semicombinata (C02ì . . 0,1477 » » 9) » » cloruri (Cl) . 4,9100 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti (ioni) gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro cationi anioni Na+ 2,6700 116,50 116,50 K+ 0,5688 14,50 14,50 ' Fe++ 0,0071 0,12 0,24 Ca++ 0,3829 9,55 19,10 Mg++ 0,2087 8,58 17,16 167,50 hco3- 0,4097 6,71 6,71 so4 — 1,2360 12,87 25,74 Cl- 4,9100 138,50 138,50 170,95 — 58 — CAMPIONE N. 7. Valutazioni chimiche diverse. I) Residuo secco a I10°C .... . 0,7190 gr/litro 2) Alcalinità totale (CaC03) . . 0,3200 » » 3) Durezza totale . 20° Francesi 4) » permanente . 0° » 5) » temporanea ..... . 20° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di [ silice (Si02) .... . 0,0383 gr/litro 2) » calce (CaO) .... . 0,0760 » » 3) » » magnesia (MgO) . 0,0249 » » 4j » » ossido di sodio (Na.,0) . . 0,2197 » » 5) » » ossido di potassio (K20) . 0,0578 » » 6) y) » anidride solforica (S03) . . 0,0723 » » 7) » » anidride carbonica semicombinata (C02) . . 0,1407 » » 8) » » cloruri (Cl) . . 0,1456 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti (ioni) gr/litro Millimoli/litro Millivalenze litro cationi anioni Na+ 0,Ì630 7,08 7,08 K+ 0,0480 1,24 1,24 Ca++ 0,0543 1,35 2,71 Mg++ 1 0,0150 0,61 1,22 ì 12,25 hco3- 0,3905 6,40 6,40 so4 — 0,0867 0,90 1,80 Cl” 0,1456 4,10 4,10 12,30 — 59 — CAMPIONE N. 8. Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 1I0°C . 2) Alcalinità totale (CaC03) 3) Durezza totale • 4) » permanente . 5) » temporanea . 2,285 gr/litro 0,3537 » » 88° Francesi 52° » 36° » Composizione chimica del residuo . 1) Titolo di silice (Si02) . 2) » » calce (CaO) ...... 3) » » magnesia (MgO) ..... 4) » » ossido di sodio (Na.aO) .... 5) » » ossido di potassio (K,,0) 6) » » anidride solforica (S03) . 7) » » anidride carbonica semicombinata (C02) 8) » » cloruri (Cl) . 0,0472 gr/litro 0,3556 » » 0,0943 » » 0,5579 » » 0,1130 » » 0,1555 » » 0,1556 » » 0,9539 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti (ioni) ; gr/litro ! Millimoli/litro Millivalenze litro cationi anioni Na+ 0,4139 18,00 18,00 K+ 0,0938 2,40 2,40 Ca++ 0,2541 6,34 12,68 Mg++ 0,0568 2,33 4,67 37,75 HCO3- 0,4317 7,07 7,07 so4 — 0,1866 1,94 3,88 Cl" 0,9539 26,91 26,91 37,86 — 60 — CAMPIONE N. 9. Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C 2) Alcalinità totale (CaC03) 3) Durezza totale • 4) » permanente . 5) )> temporanea . 3,815 gr/litro 0,3530 » » 110° Francesi 76° » 34° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) . ... 2) » » calce (CaO) . 3) » » magnesia (MgO) . 4) » » ossido di sodio (Na20) .... 5) » » ossido di potassio (K20) 6) » » anidride solforica (S03) .... 7) » » anidride carbonica semicombinata (C02) 8) » » cloruri (Cl) . 0,0582 gr/litro 0,4489 » » 0,1230 » » 1,1200 » » 0,1710 » » 0,4816 » » 0,1554 » » 1,5290 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti (ioni) gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro cationi anioni Na+ 1 0,8300 36,14 36,14 K+ 0,1419 3,63 3,63 Ca++ 0,3208 8,00 16,01 Mg++ 0,0741 3,05 6,10 61,88 HC03- 0,4300 7,06 7,06 so4— 0,5779 6,02 12,04 Cl- 1,5290 43,13 43,13 62,23 — 61 — CAMPIONE N. IO. Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C . . 3.015 gr/litro 2) Alcalinità totale (CaC03) . . 1,091 » » 3) Durezza totale • . 23,8° Francesi 4) » permanente . 0° » 5) » temporanea . . 23,8° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) .... . 0,0920 gr/litro 2) » » calce (CaO) .... . 0,0956 » » 3) » » magnesia (MgO) . 0,0360 » » 4) » » ossido di sodio (Na20) . . 1,1800 » » 5) » » ossido di potassio (K20) . 0,2300 » » 6) » » anidride solforica (S03) . . 0,5443 » » 7) » » anidride carbonica semicombinata (C02) . . 0,4844 » » » » cloruri (Cl) .... . 0,4653 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti (ioni) gr/litro Millimoli/litro Milli valenze/litro cationi anioni Na+ 0,8760 38,09 38,09 K+ 0,1910 4,88 4,88 Ca++ 0,0683 1,70 3,41 Mg++ 0,0247 0,98 1,96 48,34 hco3- 1,3300 21,80 21,80 so4— 0,6530 6,80 13,60 Cl- 0,4653 13,10 13,10 ' 48,50 — 62 — CAMPIONE N. 11. Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C ........ 1,800 gr/litro 2) Alcalinità totale (CaC03) . 0,8010 » » 3) Durezza totale . 68,3° Francesi 4) » permanente . 2,3° » 5) » temporanea . 66,0° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) . 0,0840 gr/litro 2) » » sesquiossido di ferro (Fe203) .... 0,0300 » » 3) » » calce (CaO) ........ 0,2485 » » 4) » » magnesia (MgO) . 0,0978 » » 5) » » ossido di sodio (Na20) ...... 0,3900 » » 6) » » ossido di potassio (K20) ..... 0,1070 » » 7) » » anidride solforica (S03) . 0,2970 » » 8) » » anidride carbonica semicombinata (C02) . . 0,3522 » » 9) » » cloruri (Cl) . 0,2124 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti (ioni) gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro cationi anioni Na+ ! 0,2890 12,58 12,58 K+ 0,0888 2,27 2,27 Fe++ 0,0209 0,37 0,75 Ca++ 0,1776 4,43 8,86 Mg++ 0,0590 2,42 4,85 29,31 hgo3- 0,9775 16,00 16,00 so.*-- 0,3564 3,71 7,42 Cl- 0,2124 5,99 5,99 29,41 — 63 ~~ CAMPIONE N. 12. Valutazioni chimiche diverse. D Residuo secco a I10°C . 2) Alcalinità totale (CaC03) 3) Durezza totale . 1,810 gr/litro 0,9850 » » 35° Francesi 4) » permanente . . 0° » 5) » temporanea . . 35° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) ....... . 0,0688 gr/litro 2^ » » calce (CaO) ....... . 0,1368 » » 3) » » magnesia (MgO) ...... . 0,0400 » » 4) » » ossido di sodio (Nao0 ) ..... . 0,6700 » » 5) » » ossido di potassio (K20) .... . 0,1400 » » 6) » » anidride solforica (S03) . . 0,2199 » » 7) » » anidride carbonica semicombinata (C02) . 0,4332 » » 8) » » cloruri (Cl) . . . . . . . 0,2285 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti (ioni) | i gr/litro 1 Millimoli/litro Millivalenze/litro cationi anioni Na+ 0,4970 21,62 21,62 K+ 0,1162 2,97 2,97 Ca++ 0,0977 2,44 4,88 Mg++ 0,0241 0,99 1,98 31,45 HC03“ 1,2000 19,70 19,70 sor¬ 0,2639 2,74 5,49 ci- 0,2285 6,44 6,44 31,63 — 64 — CAMPIONE N. 13. Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C . 0,9250 gr/litro 2) Alcalinità totale (CaC03) ...... . 0,4610 » » 3) Durezza totale . 50° Francesi 4) » permanente . . 10° » 5) » temporanea ........ . 40° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) ....... . 0,0560 gr/litro 2) » » sesquiossido di ferro (Feo03) ... . 0,0058 » » 3) » » calce (CaO) . . 0,2100 » » 4) » » magnesia (MgO) . . 0,0500 » » 5) » » ossido di sodio (Na20) ..... . 0,1240 » » 6) » » ossido di potassio (K00) .... . 0,0471 » » 7) » » anidride solforica (S03) . . 0,1206 » » 8) » » anidride carbonica semicombinata (C02) . 0,2027 » » 9) » » cloruri (Cl) . . » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti (ioni) gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro cationi anioni Na+ 0,0920 4,00 4,00 K+ 0,0391 1,00 1,00 Fe++ 0,0040 0,07 0,14 Ca++ 0,1501 3,74 7,49 Mg++ 0,0301 1,24 2,48 | 1 15,11 HCO3- 0,5626 9,22 9,22 so4— 0,1448 1,55 3,01 Cl- 0,1080 3,04 3,04 15,27 — 65 — CAMPIONE N. 14. V illutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C ....... . 1,855 gr/litro 2) Alcalinità totale (CaC03) ...... . 0,2820 » » 3) Durezza totale ......... . 42° Francesi 4) » permanente ....... . 15° » 5) » temporanea . . 27° » Composizione chimica del residuo. lì Titolo di i silice (Si02) ....... . 0,0364 gr/litro 2) » sesquiossido di ferro (Fe203) . 0,0068 » » 3) » » calce (CaO) . . 0,1096 » » 4) » » magnesia (MgO) . . 0,0793 » » 5) » » ossido di sodio (Na20) ..... . 0,6800 » » 6) » » ossido di potassio (K20) .... . 0,0700 » » 7) » » anidride solforica (S03) ..... . 0,1359 » » 8) » » anidride carbonica semicombinata (C02) . 0,1240 » » 9) » » cloruri (Cl) . . 0,8010 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti (ioni) gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro cationi anioni Na+ 0,5045 21,93 21,93 K+ 0,0581 1,48 1,48 Fe++ 0,0048 0,08 0,16 Ca++ 0,0783 1,95 3,90 Mg++ 0,0478 1,96 3,92 31,39 HC03- 0,3441 5,64 5,64 so4— 0,1630 1,69 3,39 Cl- 0,8010 22,60 [ 22,60 I : 31,63 5 — 66 CAMPIONE N. 15. Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C . 1,651 gr/litro 2) Alcalinità totale (CaC03) ....... 0,1952 » » 3) Durezza totale .......... 46° Francesi 4) » permanente . . . . . . . . .21° » 5) » temporanea ........ 19° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) . . ..... 0,0586 gr/litro 2) » » calce (CaO) ........ 0,1861 » » 3) » » magnesia (MgO) . 0,0514 » » 4) » » ossido di sodio (Na20) ...... 0,4421 » » 5) » » ossido di potassio (K20) ..... 0,0940 » » 6) » » anidride solforica (S03) . 0,1688 » » 7) » » anidride nitrica (N205) ...... 0,0294 » » 8) » » anidride carbonica semicombinata (C02) . 0,0858 » » 9) » » cloruri (CI) . 0,6040 » » Ruppi esentazione dei risultati analitici. Componenti (ioni) gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro cationi anioni Na+ 0,3264 14,20 14,20 K+ 0,0780 1,99 1,99 Ca++ 0,1331 3,31 6,62 Mg++ 0,0310 1,27 2,54 25,35 HGO.- 0,2382 3,90 3,90 so4-~ 0,2025 2,11 4,22 N03- 0,0338 0,54 0,54 Cl- 0,6040 17,03 17,03 25,69 67 — CAMPIONE N. 16. Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 110°C ........ 1,003 gr/litro 2) Alcalinità totale (CaC03) ....... 0,1048 » » 3) Durezza totale • . . . . . . . . 36,2° Francesi 4) » permanente ......... 27° » 5) » temporanea ......... 9,2° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) ........ 0,0880 gr/litro 2) » » calce (CaO) . . 0,1374 » » 3) » » magnesia (MgO) . .... 0,0465 » » 4) » » ossido di sodio (Na20) ...... 0,1920 » » 5) » » ossido di potassio (K.20) ..... 0,0439 » » 6) » » anidride solforica (S03) ...... 0,2410 » » 7) » » anidride nitrica (N20_) ...... 0,0460 » » 8) » » anidride carbonica semicombinata (C02) . . 0,2080 » » 9) » » cloruri (Cl) ........ 0,0154 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti (ioni) gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro cationi anioni Na+ 0,1424 6,19 6,19 K+ 0,0364 0,98 0,98 Ca++ 0,0982 2,40 4,80 Mg++ 0,0280 1,15 2,30 14,27 hco3- 0,1279 2,09 2,09 so4— 0,2881 3,00 6,00 N03- 0,0177 0,28 0,28 1 Cl- 0,2080 5,86 5,86 1 14,23 — 68 — 1 2 3 Fig. 1. 4 5 6 Fig. 2. — 69 8 7 Fig. 3. 9 — 70 — 10 11 12 13 Fig. 4, ~n - Dai dati su riportati si nota che non è possibile eseguire nessuna coordinazione comparativa dei risultati delle ricerche idrografiche Si vede infatti che nella stessa località si rinvengono acque molto diverse le une dalle altre e che, viceversa, lo stesso tipo di acqua si ritrova in punti situati a grande distanza nella zona. Nell’esaminare i risultati delle esperienze si è preferito raggrup¬ pare i campioni per tipo e non per località, al fine di semplificare l'esposizione. Campioni : 1-3. — - Il campione n. 1 proviene da un pozzo ubi¬ cato in via Bagnoli a Fuorigrotta ; si tratta di un’acqua dolce e poco mineralizzata, unica della zona, che presenti la stessa fisionomia chi¬ mica che caratterizza le acque delle falde sottostanti la parte cen¬ trale della città. È stato possibile controllare la composizione di quest’acqua fin dall’anno 1951, notando che è molto costante nel tempo; in partico¬ lare essa è simile a quella dell’acqua proveniente da un pozzo tri¬ vellato in via Manzoni, a Villanova (campione n, 2), — 72 — Il campione n. 3, proveniente da un pozzo profondo trivellato a Pianura, è un’acqua ottima, del tipo oligominerale, leggerissima. Ma la falda, probabilmente alimentata dalle acque meteoriche pro¬ venienti dalle vicine alture, è di portata molto limitata e variabile con la stagione. Campioni: 4-9. — Questi campioni, provenienti da pozzi poco profondi perforati in prossimità della costa, sono tutte acque forte¬ mente mineralizzate (residuo ^ 10 gr/lt) e salse, a seguito di infiltra¬ zione di acqua marina. Inoltre la loro composizione non è costante data la variazione dell’entità di codeste infiltrazioni con l’emungi- mento e la stagione. Per alcune perforazioni, è accaduto che mentre all’inizio della utilizzazione del pozzo si era ottenuta un’acqua con buone caratteri¬ stiche chimiche, col progredire dello sfruttamento della falda l’acqua è degradata lentamente nel senso di un aumento della salinità, fino a divenire del tutto inutilizzabile per scopi industriali. Come esempio si riportano le diverse composizioni presentate da tre campioni di acqua prelevati in tempi diversi da un unico pozzo perforato per conto della Soc. Olivetti in Pozzuoli (campioni: 7, 8, 9). Campioni : 10-16. — Questi campioni provengono tutti, tranne il 10 e il 12, da pozzi di profondità limitata. La loro mineralizzazione è abbastanza costante nel tempo, ma mal si presta ad una utilizzazione industriale delle acque stesse. Cioè questi campioni presentano caratteristiche chimiche di vere e pro¬ prie acque minerali, per le quali è evidente che la mineralizzazione non dipende esclusivamente dal tipo dei terreni attraversati, ma an¬ che dall’apporto dovuto ai fenomeni post-vulcanici tuttora in atto in questa zona. Rivelatore di una tale origine è il contenuto di fluoro: nella ta¬ bella seguente si riportano le concentrazioni di fluoro delle diverse acque, incluse quelle salmastre. Campione VO _ j ir? rf 7 9 10 11 12 14 15 16 Fluoro (ppm.) 3,5 5,0 3,5 4,0 3.5 3.0 2.5 2,5 5,0 4,5 2,5 Sotto questo riguardo è anche indicativa la temperatura di que¬ sti campioni, in genere elevata, e che raggiunge, nelle acque più profonde, circa 50°C. — 73 — In particolare i campioni n. 15 e 16 provengono da pozzi pro¬ fondi pochi metri ubicati in prossimità del lago Fusaro ed è interes¬ sante rilevare che, nonostante l’elevata salinità dell’acqua del lago, entrambe queste acque sono poco salmastre. Pertanto anche le acque di questi due pozzi, come le altre ac¬ que riunite in quest’ultimo gruppo, possono essere considerate quali manifestazioni particolari della varia situazione idro-minerale flegrea. I risultati delle indagini espletate attestano la assoluta deficien¬ za, in loco, di acque utilizzabili a scopo industriale, deficienza che costituisce certamente un ostacolo di rilievo per l’impianto di nuove industrie nella zona in questione. Napoli, Istituto di Chimica Industriale dell’Università, maggio 1960. I contatori proporzionali Nota del socio prof. PIO VITTOZZI (Tornata del dì 24 giugno 1960) 1. — Introduzione. Continuando la serie di note sugli apparecchi più moderni per la misura della radioattività fi], [2], [3] (*), ci occuperemo in que¬ sto lavoro del funzionamento dei contatori nella regione proporzio¬ nale, ossia quando ad essi si applica una differenza di potenziale compresa nell’intervallo che ha per suo estremo inferiore la più pic¬ cola tensione alla quale si verifica il fenomeno di amplificazione da parte del gas e per suo estremo superiore la soglia di Geiger. La parte di questo intervallo corrispondente alle tensioni più elevate costi¬ tuisce più propriamente la regione di limitata proporzionalità. Come si accennò [1], l’ampiezza in Volts, V, dell’impulso di tensione che si manifesta sull’elettrodo centrale del sistema è data dalla relazione: (1) dove A è il fattore di amplificazione del gas; n è il numero di elet¬ troni primari generati daH’evenlo ionizzante; e è la carica dell’elet¬ trone in microcoulombs e C è la capacità dell’elettrodo centrale in microfarad. Nella (1) si assume che gli ioni positivi siano stati rac¬ colti ed è assente quindi la carica spaziale positiva. Più precisamente, non appena ciascun elettrone primario pene¬ tra nella regione circostante l’elettrodo centrale, dove, a causa della simmetria cilindrica del contatore, il campo elettrico è sufficiente- (*) I numeri tra parentesi quadre si riferiscono alla bibliografia in fonde» alla nota. — 75 mente intenso, esso acquisterà energia sufficiente per produrre ioni secondari per urto ed i nuovi elettroni così generati, possono a loro volta generarne degli altri. In altre parole ciascun elettrone primario dà luogo ad una cc valanga » di elettroni. Il fattore di amplificazione A si definisce appunto come il numero di elettroni secondari pro¬ dotti da ciascun elettrone primario e da quelli da esso originati lungo tutto il percorso dal punto in cui è stato esso stesso generato fino all’elettrodo centrale. Di conseguenza possiamo dire che A misura le dimensioni della valanga cui dà origine in definitiva ciascun elet¬ trone primario e si assume che le valanghe siano indipendenti l’una dall’altra. Il fattore A è manifestamente eguale all’unità quando la differenza di potenziale tra gli elettrodi è minore dell’estremo infe¬ riore della regione proporzionale, ossia quando il contatore è ado¬ perato come camera di ionizzazione [2]; mentre A diventa assai grande quando la differenza di potenziale supera la soglia di Gei¬ ger, nel qual caso il contatore è un « Geiger ». Scopo principale di un contatore proporzionale è di fornire un dispositivo capace di consentire ad un dato evento ionizzante di dar luogo ad un impulso di tensione, all’uscita dal contatore, di am¬ piezza sufficiente per il funzionamento di un meccanismo di regi¬ strazione. È inoltre necessario che altri eventi ionizzanti meno in¬ tensi e la cui intensità stia in rapporto noto con quella dell’evento da registrare, non diano luogo invece ad impulsi di ampiezza suffi¬ ciente alla registrazione. Ciò è essenziale, se gli impulsi da studiare devono essere distinti da un considerevole cc fondo » di impulsi pili piccoli, come quando ad esempio si tratta di distinguere impulsi do¬ vuti a particelle a da quelli dovuti a particelle g, oppure quelli do¬ vuti a protoni o altre particelle nucleari accelerate da un ciclotrone in presenza di un fondo molto elevato di raggi y prodotti dalla stessa apparecchiatura. È evidente che ogni impulso può essere amplificato, fino a rag¬ giungere una desiderata ampiezza, o nell’interno del contatore, in¬ fluendo sul fattore A, o mediante il circuito elettronico di conteggio collegato al contatore. In questo lavoro discuteremo i limiti pratici dell’amplificazione nell’interno del contatore. In generale solo una li¬ mitata amplificazione è possibile nei contatori proporzionali : difatti se si cerca di rendere A maggiore di un certo valore, che si aggira nor¬ malmente intorno a IO4, il contatore diventa un Geiger e perde quindi la possibilità di distinguere i vari eventi ionizzanti, in quanto in un Geiger gl’impulsi hanno tutti presso a poco la medesima am- — 76 — piezza, qualunque sia la causa ionizzante. D’altro canto si deve dire che una amplificazione agevolmente raggiungibile è sufficiente per permettere che un evento ionizzante iniziale molto debole possa es¬ sere, ad esempio, rivelato e studiato sullo schermo di un oscillo¬ scopio. 2. — Teoria del funzionamento dei contatori proporzionali. Consideriamo un elettrone che si sia formato in un punto interno al contatore per un evento ionizzante iniziale. Esso sarà convogliato verso l’elettrodo centrale per effetto del campo elettrico dovuto alla tensione applicata fra gli elettrodi. Durante il percorso l’elettrone urterà gli atomi e le molecole del gas che riempie il contatore. Poiché il contatore è a simmetria cilindrica, l’intensità del campo cresce man mano che l’elettrone si avvicina all’elettrodo centrale e pertanto l’elettrone acquisterà man mano sempre maggiore energia per ogni unità di percorso. Possiamo inoltre assumere che le collisioni siano, almeno in parte, anelastiche e che gli elettroni perdano la maggior parte se non tutta la loro energia in ciascuna collisione. Con tale ammissione ne viene di conseguenza che quando l’elettrone per¬ viene ad una distanza dall’elettrodo centrale alla quale il campo elet¬ trico ha una intensità tale da permettergli di acquistare in un li¬ bero percorso tra due urti l’energia sufficiente per produrre la ioniz¬ zazione, esso ionizzerà gli atomi urtati. Ha inizio così il processo di ionizzazione cumulativa, che è la base del funzionamento del conta¬ tore proporzionale. Sia l’elettrone primario, sia il nuovo elettrone generato, si dirigeranno verso l’elettrodo centrale e poiché, come si è detto, attraverseranno regioni in cui il campo è via via più intenso, a più forte ragione, saranno capaci di produrre la ionizzazione nei successivi liberi percorsi. Da quando si è detto emerge chiaro il concetto di (c soglia di tensione » per un contatore proporzionale, ossia il concetto di estremo inferiore della regione di proporzionalità. Una tale soglia è infatti costituita dal valore della tensione occorrente affinchè l’elettrone acquisti energia sufficiente per la ionizzazione, almeno durante l’ul¬ timo libero percorso prima di essere raccolto dall’elettrodo centrale. Evidentemente se la differenza di potenziale applicata al conta¬ tore diventa man mano maggiore di tale soglia, cresce via via la di¬ sianza dall’elettrodo centrale alla quale l’elettrone primario diventa — 77 — capace di ionizzare, ossia cresce il volume circostante l’elettrodo centrale interessato al fenomeno della ionizzazione da parte degli ele i troni. Cresce pertanto man mano il numero totale di elettroni prodotti e si forma la ben nota valanga di Townsend. Se indichiamo con 7 il numero di coppie di ioni formate da un elettrone in ogni cm. di percorso verso l’elettrodo centrale, il nu¬ mero dN di nuovi elettroni generati da N di essi lungo un percorso c/.v, sarà dato da: (2) dN — a N dx ; a è detto primo coefficiente di Townsend ed è una funzione dell’in¬ tensità del campo e della natura e pressione del gas che riempie il contatore. Ammettendo che 7 sia indipendente da x, integrando la (2) si ottiene: (3) N = No eax dove No rappresenta il numero degli elettroni primari, cioè degli elettroni generati dall’evento ionizzante. I valori di 7 relativi ad una grande varietà di problemi di sca¬ rica nei gas, per diversi gas, per diversi valori della intensità del campo e della pressione, sono stati determinati da molti sperimen¬ tatori e la dipendenza di 7 dalle diverse grandezze indicate si trova dettagliatamente analizzata e discussa nei trattati sulla scarica nei gas [4], [5], Sarà sufficiente qui dire che Townsend ha trovato la seguente relazione empirica: Bp (4) a = Ape ' ~e~ dove A e B sono costanti determinate della particolare esperienza che si effettua, E è l’intensità del campo e p la pressione. I valori di A e B sono stati determinati per molti differenti gas. Appliche¬ remo ora questa teoria al problema di un contatore. In questo caso E varia in ragione inversa della distanza dal¬ l’elettrodo centrale e, per assegnate condizioni sperimentali, possiamo calcolare il numero di elettroni che arrivano sul detto elettrodo. Prima però è opportuno soffermarsi a considerare il ruolo degli ioni positivi. Ogni volta che si verifica un urto con effetto ioniz- — 78 — zante, insieme ad un elettrone si forma ovviamente anche un ione positivo. Questi ioni positivi si dirigono verso l’elettrodo esterno e poiché man mano che avanzano l’intensità del campo dminuisce, non contribuiscono in maniera apprezzabile al processo di ionizzazione cumulativa. D’altra parte, poiché viaggiano con minore velocità nei confronti degli elettroni, può dirsi che la intera valanga elettronica si forma prima che gli ioni positivi abbiano percorso una distanza apprezzabile. Pertanto la presenza di questi ioni positivi nello spa¬ zio compreso tra i due elettrodi dà luogo ad una carica spaziale che altera l’andamento del campo, nel senso, in definitiva, di una di¬ minuzione dell’intensità di esso, diminuzione che determina l’in¬ terruzione della scarica nel contatore. In realtà se questi effetti as¬ sumono grande importanza per un contatore di Geiger, sono poco importanti nel funzionamento di un contatore proporzionale ed as¬ sumeremo perciò, in quanto segue, di poterli trascurare. Bisogna fare inoltre qualche ulteriore assunzione semplifieativa nei riguardi della natura della scarica. Assumeremo, in primo luogo, che non si verifichino ricombinazioni in maniera apprezzabile. In verità date le basse pressioni e le alte intensità del campo che si ri¬ scontrano nei contatori, le ricombinazioni sono assai poco probabili. La formazione poi di ioni negativi ad opera di elettroni si veri¬ fica solo in gas spiccatamente elettronegativi quali ossigeno, cloro, fluoro. Ovviamente la produzione di ioni negativi altererebbe sostan¬ zialmente la valanga e, in verità, l’intero carattere della scarica, in quanto gli ioni negativi hanno velocità molto minore nei confronti degli elettroni. Supponiamo pertanto che i contatori non contengano gas elettronegativi come quelli citati. Assumeremo in altre parole che la valanga elettronica sia l’unico mezzo mediante il quale la ca¬ rica negativa raggiunge l’elettrodo centrale e che non si formi un numero apprezzabile di ioni negativi. Trascureremo inoltre le fluttuazioni. Ciò equivale a dire che la ionizzazione prodotta lungo il percorso di un qualsiasi elettrone si considera costante ed uguale al valore medio. A causa delle fluttua¬ zioni statistiche, ogni singolo elettrone può, naturalmente, produrre una ionizzazione maggiore o minore rispetto a detto valore medio, ma i procedimenti analitici per tener conto di ciò sarebbero assai complessi e d’altra parte il fatto che, trascurando le fluttuazioni, si ottiene un buon accordo tra gli esperimenti e la teoria, dimostra che una tale ammissione è lecita. Assumeremo ancora che i fotoni even¬ tualmente formatisi nella valanga non giochino alcun ruolo impor- — 79 — tante. È evidente che tale assunzione non è verificata sotto certe condizioni e che in presenza di fotoni la ionizzazione cresce più ra¬ pidamente e gli impulsi ottenuti sono più ampi; ma in verità remis¬ sione di fotoni può trascurarsi in parecchi casi, particolarmente quan¬ do il gas che riempie il contatore è costituito da molecole complesse. Trascureremo infine l’emissione di elettroni secondari quale effetto di ricombinazione o di bombardamento del catodo da parte degli ioni positivi. Come si è accennato l’accordo tra la teoria e gli espe¬ rimenti, oltretutto, giustifica le assunzioni fatte. Consideriamo dunque la formazione di una valanga di elettroni. In un contatore abbiamo due elettrodi cilindrici concentrici, il ca¬ todo esterno e l’anodo interno, costituito in genere da un filo me¬ tallico. Sia rx il raggio del filo, r2 il raggio interno del catodo e V la differenza di potenziale applicata. Allora l’intensità del campo E alla generica distanza r dall’asse del filo e internamente al contatore (rj < r < r2) sarà data da: V (5) E = - — r • log. - T\ Man mano che la differenza di potenziale viene elevata, come si è accennato all’inizio, si raggiunge un valore per il quale il pro¬ cesso moltiplicativo che dà luogo alla valanga ha inizio. Detto valore costituisce la tensione di soglia per il funzionamento proporzio¬ nale del contatore. Il significato fisico di tale tensione sta nel fatto che essa rappresenta la minima tensione alla quale un elettrone viag¬ giante verso l’elettrodo centrale acquista energia sufficiente per la ionizzazione solo nel suo ultimo percorso libero prima di raggiun¬ gere l’elettrodo centrale. Chiamiamo r0 la distanza dall’asse dell’elettrodo centrale alla quale ha inizio la valanga. In corrisopndenza della tensione di so¬ glia, r0 e uguale al raggio rx del filo centrale. Poiché rQ nella re¬ gione proporzionale non diventa mai, al crescere di V, molto mag¬ giore di rx , possiamo ammettere una relazione lineare tra r0 e V, cioè: r, V (6) — 80 — In tal modo r0 viene definito in termini di quantità direttamente misurabili: tensioni e raggio del filo. Il fattore di amplificazione A che compare nella (1) rappresenta il numero di elettroni generati da un elettrone mediante il descritto fenomeno di valanga, durante il suo percorso verso l’elettrodo centrale. Tale numero è deducibile dalla (2), che, nel caso più generale di a non indipendente da x, in¬ tegrata fornisce: (7) N = N0e Sadx e considerando un solo elettrone primario (N„ = 1), si ottiene: (8) A — e fadx Il numero di urti ionizzanti, da cui dipende a è funzione del libero percorso medio, che, a sua volta, è funzione dell’energia. Vediamo allora qual’è la dipendenza del libero percorso medio dal¬ l’energia. Tale dipendenza è stata studiata da molti ricercatori [6]. Essi trovarono che per bassi valori della tensione, la sezione retta (« cross section ») per la ionizzazione cresce linearmente con l’ener¬ gia. Come è noto il termine sezione retta è usato per indicare quel¬ l’area, in cm.2, che, moltiplicata per il numero di atomi per cm.3 dà il reciproco del libero cammino medio; in formula, se indichiamo con <7 la sezione retta, con N il numero di atomi per cm.3 e con L il libero percorso medio, si ha: (9) oN = 17 Il libero percorso medio per la ionizzazione, poi, esprime la di¬ stanza media che un elettrone deve percorrere nel gas, tra un urto ionizzante e l’altro. Per valori più elevati della tensione e quindi dell’energia, la legge di dipendenza di $ dall’energia, non è affatto lineare ed in molti casi sono state trovate sperimentalmente curve non facilmente esprimibili con una sola equazione [7]. Nel caso nostro però, in un comune contatore, il libero percorso medio è dell’ordine di IO 3 cm.; se l’elettrone comincia ad avere ef¬ fetto ionizzante circa 10 liberi percorsi prima di raggiungere l’elet¬ trodo centrale, il fattore di amplificazione A avrà un valore di circa — 81 — 1.000 e ima valanga di tal genere occuperà in tutta la sua eslensione solo un decimo di mm. in prossimità dell’elettrodo centrale. In altre parole l’elettrone compie quasi interamente il suo percorso nel con¬ tatore prima di acquistare una velocità tale da conferirgli l’energia corrispondente al potenziale di ionizzazione che è di circa 15 eV. Man mano che l’elettrone si avvicina sempre più al filo, esso ac¬ quista maggiore accelerazione, ma perde energia in ciascun urto. L’esame della (5) mostra che l’elettrone non acquista nell’ultimo decimo di millimetro di percorso energia che differisca, quanto al¬ l’ordine di grandezza, da quella acquistata nel decimo di millime¬ tro precedente. Si può assumere che le energie elettroniche in gioco non superino ordinariamente i 30 50 eV. In tale intervallo di ener¬ gia, le esperienze dimostrano che la sezione retta per la ionizza¬ zione a varia linearmente con l’energia e. Si può scrivere perciò: (10) a == a e — B essendo a e B due costanti. La costante a in particolare esprime la rapidità con cui cresce la sezione normale al crescere dell’energia. Essa è stata determinata da vari sperimentatori ed alcuni valori sono riportati nella Tabella I. TABELLA I. i “ ~ Gas a (IO17 cm.2/Volt) A 1,81 Ne 0,14 He 0,11 h2 0,46 °2 0,66 N3 0,70 NO 0,74 CO 0,83 c2h2 1,91 ch4 1,24 Poiché i vari liberi percorsi avvengono in varie direzioni, dob¬ biamo considerare un’energia media em . Se consideriamo poi N afo- 6 — 82 — mi o molecole per unità di volume, tenendo presente il significato di a (numero di coppie di ioni formate da un elettrone in ogni cen¬ timetro di percorso), risulterà: (11) e, ricordando la (9), si ottiene: (12) a = Na=aN £m - BN Si presenta ora il problema di determinare l’energia media zm : essa può ricavarsi solo mediante approssimazioni, poiché un calcolo rigoroso condurrebbe a notevole complessità matematica. Difatti se indichiamo con N(r) il numero di elettroni ad una di¬ stanza r dall’asse del filo centrale, se r diminuisce di dr, N cresce di c?N e tale variazione di N, indicando al solito con a il numero di coppie di ioni generate da un solo elettrone per ogni centimetro di percorso, è manifestamente data da: (13) — rfN = N (r) a dr Si tratta ora di esprimere teoricamente a. Alla distanza gene¬ rica r alla quale si riferisce la (13), gli elettroni, il cui numero to¬ tale è espresso da N(r), essendo stati generati a distanze dall’elet¬ trodo centrale maggiori o uguali ad r, ma diverse tra loro, non avranno tutti la stessa energia, ma questa varierà da zero (per quelli generati proprio a distanza r ) ad smax (per quelli nati alla maggiore distanza da r), essendo £max la più grande energia posseduta dagli elet¬ troni a distanza r, che ovviamente sarà non minore di quella corri¬ spondente al potenziale di ionizzazione. Poiché d’altro canto il nu¬ mero di coppie di ioni generate da un elettrone nell’unità di per¬ corso è dato, in base alla (11), dall’inverso del libero percorso, che a sua volta è funzione dell’energia, indicando con /( s) quest’ultimo e con n(s, r ) dz la percentuale degli N(r) elettroni che a distanza r hanno energia compresa fra e ed £ + c?£, si otterrà per a. l’espres¬ sione: o n (s, r) l (e) de (14) a — 83 — e perciò la (13) si scrive: (15) — (2N = N (/*) dr n (£, r) l (e) d £ A tuttoggi non è stata fornita una soluzione esatta eli questa equa¬ zione integrale e quindi non è conosciuta la funzione che dà la di¬ stribuzione di n(s, r) al variare di £ per una data distanza r. È ne¬ cessario pertanto, come si è detto, ricorrere ad alcune approssima¬ zioni, che conducono, in verità, a risultati accettabili sperimental¬ mente. Innanzitutto, da quanto si è detto, emerge che n(s, r) ha le dimensioni dell’inverso di una energia e pertanto, in maniera del tutto generale, si può scrivere: (16) n (e.r> = f ®(f) dove 0 è una funzione priva di dimensioni e la dipendenza di ti(e, r) da r si ha tramite Em(r). Supponiamo ora che il numero di elettroni a distanza r sia gran¬ dissimo. A causa dell’effetto di moltiplicazione (valanga), è chiaro che più della metà di essi si è formata nell’ultimo percorso medio e poiché più lontano è il punto in cui si è formato l’elettrone, mag¬ giore è la sua energia, mentre più piccola è la relativa percentuale n(s, r), la funzione h(e, r) per una data r al variare di s sarà mo¬ notona rapidamente decrescente. In altre parole la più elevata per¬ centuale di elettroni si ha in corrispondenza di e = O. Potremo quindi, in prima approssimazione, trascurare le percentuali relative ad energie diverse da zero e considerare solo quella relativa agli elet¬ troni aventi s compresa tra g = 0 ed s = 0 + de, che, come si è detto, sono la maggior parte, indicando con 0 (0) il valore assunto nella (16) da 0 ( - ) per £ = 0. \ / Nel tratto elementare dr, il numero di coppie di ioni (ossia di elettroni) generate per unità di percorso sarà perciò: — r- • (0) — UH dr — 84 — Consideriamo ora che l’acquisto de di energia da parte di un elettrone che viaggia per un tratto dr nella direzione di un campo elettrico di intensità E è dato da (18) de — — E ed?' se e è la carica elettrica elementare. Poiché il valore dell’intensità del campo neH’interno del conta¬ tore è data da: (19) essendo C il doppio della capacità per unità di lunghezza, la (18) si scrive: (20) de CYe dr r oppure misurando V in eV : (21) de _ CV dr r In definitiva si avrà perciò: (22) 0(0) CV r Tenendo presente, d’altro canto, la (12), nella quale nel no stro caso B = 0, possiamo scrivere: (23) aN em = 1 0(0) CV r da cui : / d> (O)CV \1/2 \ aNr / (24) — 85 — Da quanto si è detto sopra, in base alle precedenti ammissioni, possiamo porre (25) O (0) = 1. Di conseguenza dalla (12) si ottiene (26) aNCV y/» Dalla (3) si desume che il coefficiente di amplificazione A sarà per¬ ciò dato da : (27) A = eaAr essendo A r il percorso dell’elettrone. Nel caso nostro, ovviamente (28) \r = r0 — rY ricordando che iq è il raggio dell’elettrodo centrale, ed r0 è la di¬ stanza alla quale ha inizio la valanga. Si ha perciò: (29) A = ea{r = e l aNCV V'2, \ r ) A = e(“NCnV),/' (v" ) " ( v7 - 0 che si può facilmente ricondurre alla forma: e poiché in parentesi tonde vi è la somma di due numeri reciproci poco diversi dall’unità, possiamo scrivere: A" e 2 (aNC/qv) ha (^r ~ i (32) — 86 — Risulta così definito il coefficiente di amplificazione A in fun¬ zione di quantità direttamente misurabili. L’espressione di em data dalla (24), con 0 (0) = 1 si può otte¬ nere anche più semplicemente col seguente ragionamento. L’acqui¬ sto s di energia da parte di un elettrone lungo un libero percorso medio l è dato da: (33) CVe r e ricordando le (11) e (12): (34) CVe N re Ma dalla (10), ponendo in essa B = 0, risulta: (35) £ CVe\1'2 N ra ' che è essenzialmente la stessa rispetto alla (24), se V nella (35) è espresso in Volt, mentre nella (24) si esprime in eV. 3. — Confronto della teoria con gli esperimenti. La (32) prevede che il fattore di amplificazione A del gas di¬ pende dal raggio rx dell’elettrodo centrale, dalla capacità del con¬ tatore ( C = 2c essendo c la capacità per unità di lunghezza), dalla differenza di potenziale V applicata agli elettrodi, dalla pressione del gas (tramite N) e dalla natura di esso (tramite a). Una serie di esperimenti è stata condotta per verificare la di¬ pendenza di A da ciascuna di queste grandezze. Il fattore di ampli¬ ficazione fu determinato applicando la (1) e misurando l’ampiezza dell’impulso, in funzione della tensione applicata agli elettrodi per un contatore in cui la pressione veniva variata. Si ottennero linee rette riportando in ordinate i log A ed in ascisse le V e le pendenze e i segmenti staccati sugli assi da tali rette erano in accordo con la (32). — 87 — In effetti la (32), prendendo i logaritmi di ambo i membri in base e, si scrive: (36) (V x1/* ~ 1 dove (37) ossia (38) con (39) m — 2 (aNOj)1/'2 y — riST — mV1/2 m n VJ'* Perciò a stretto rigore la rappresentazione grafica di log A in fun¬ zione di V non è una retta. Lo studio però della funzione (38) con l’uso delle derivate porta alle seguenti conclusioni: 1) la curva taglia l’asse delle tensioni nell’origine e nel punto m2 di ascissa V = — — = V„ ; cioè: nl 1 2) 3) y = O e perciò A = 1 per V = O V = V, y < O e perciò A < 1 per O < V < Vp y > O e perciò A > 1 per Yp < V < oo y = minimo — per Y = mi 4 n m 2 Yt 4 n 4 — m 4) di conseguenza la curva è monotona decrescente da V = 0 V V a V = — - ; ed è monotona crescente da V = - a V = og 4 4 — 88 — 5) ai nostri fini interessa solo l’intervallo Yp ^ V ^ 00 essendo Vp la minima differenza di potenziale (soglia) da applicarsi agli elettrodi perchè il contatore funzioni in regime proporzionale ; 6) in tale intervallo e quanto più Y è grande, tanto più l’ an¬ damento di y = log A si può confondere con quello rettilineo. Di- fatti, differenziando la (38), si ha: dy=(n+ « YÒf) d V cioè al crescere di V, con sempre maggiore approssimazione: dy — ndY e perciò: y = nY + C (C = costante) Ora considerando il tratto della curva che in prima approssima¬ zione può confondersi con una retta, esso estrapolato dalla parte dei potenziali decrescenti, deve incontrare l’asse delle ascisse in un punto che individua il potenziale di soglia Yp . Alcune curve caratteristiche mostranti la dipendenza di A da V al variare della pressione sono riportate nella Fig. 1. Furono poi sperimentate le mescolanze metano-argon. Ciò servì allo studio della dipendenza di A da a , in quanto a assume valori differenti per il metano e per l’argon come si rileva dalla Tabella I. Anche in questa sene di esperienze fu ottenuto l’accordo con quanto previsto dalla (32). Come pure servirono a conferma della teoria le esperienze effettuate con varie mescolanze di gas poliatomici. Fu anche verificata la dipendenza di A dal diametro del filo e, d’accordo sempre con la (32), si trovò che l’amplificazione cresce al diminuire del diametro del filo centrale. Il limite pratico per il diametro del- l’ elettrodo centrale è approssimativamente 3 cc mils » (1 mil = = 0,002540005 cm.) per contatori da adoperarsi normalmente in la¬ boratorio. Mentre infatti contatori con filo centrale di 1 mil hanno, come si è accennato, un fattore di amplificazione più elevato, data l’enorme fragilità del filo, l’uso di un simile contatore diventa assai poco pratico. Pertanto, salvo alcune eccezioni che discuteremo più oltre, può — 89 — concludersi che sussiste un buon accordo tra la teoria e gli esperi¬ menti e che perciò il quadro teorico precedentemente tracciato, no¬ nostante le semplificazioni ed ammissioni fatte, riesce a descrivere soddisfacentemente il fenomeno della scarica in un contatore pro¬ porzionale. Fig. 1. D’altro canto proprio le accennate eccezioni all’accordo con la (32) portano nuova luce sul meccanismo di scarica. Consideriamo in primo luogo quel che avviene a tensioni rela¬ tivamente elevate. Man mano che la tensione viene aumentata l’ac¬ cordo tra teoria ed esperimenti si conserva fino a quando A rag¬ giunge approssimativamente il valore di IO4. Per differenze di po¬ tenziale maggiori l’ampiezza dell’impulso cresce con la tensione più rapidamente di quanto previsto dalla (32). Si riscontra che ciò si verifica allorché il contatore entra nella regione di limitata propor¬ zionalità, l’attraversa ed entra nella regione di Geiger. Il significato di un aumento di A più rapido di quello previsto dalla relazione (32) è che intervenga qualche altro fenomeno oltre la valanga di Townsend. In altre parole le nostre assunzioni semplificatrici non sono più ve- — 90 — ri fica te. Supponiamo per esempio che fotoni ultravioletti si formino nella valanga e raggiungano il cilindro esterno. Qui essi possono estrarre fotoelettroni che, a loro volta, si dirigeranno verso il filo centrale e daranno inizio ad altrettante valanghe. L’ampiezza dello impulso sarà in questo caso più grande di quella prevista dalla (32), la cui deduzione non prende in considerazione simile fenomeno. Il risultato sarà analogo se remissione di nuovi elettroni è provocata da ioni positivi all’atto in cui pervengono sul cilindro esterno. Insomma lo scostamento rispetto all’andamento teorico di A nel campo delle alte tensioni si verifica in un senso tale da indicare che qualche altro meccanismo, in aggiunta alla valanga di Townsend, entri in funzione. Per amplificazioni maggiori di IO4 sembra probabile inoltre che anche le ammissioni nei riguardi della carica spaziale comincino a cadere in difetto. In effetti la principale caratteristica della regione di limitata proporzionalità è che l’ampiezza dei grossi impulsi non cresce, al crescere della tensione, così rapidamente come quella dei piccoli impulsi. Questa caratteristica può essere attribuita all’effetto della carica spaziale, in quanto un grosso impulso darà luogo alla produzione dì un numero maggiore di ioni positivi e quindi di una maggiore carica spaziale nei confronti di un piccolo impulso. Poi¬ ché l’intensità del campo elettrico in vicinanza dell’elettrodo cen¬ trate viene ridotta dalla carica spaziale, la grandezza della valanga tenderà anch’essa a diminuire e di conseguenza l’effetto sull’am¬ piezza dell’impulso sarà più cospicuo per i grossi impulsi. Altra importante causa di scostamento dall’andamento teorico si verifica quando si adoperano mescolanze di gas, aumentando man mano la percentuale del gas monoatomico costituente la mescolanza. Anche in questo caso è evidente che si verifichi qualche altro feno¬ meno in aggiunta alla valanga di Townsend, tendente a produrre più elettroni e quindi impulsi più ampi di quelli dovuti alla sola va¬ langa. La relazione (32) comincia a cadere in difetto per valori di A intorno a 100 quando il contatore è riempito con gas monoatomici o biatomici, mentre con gas poliatomici si possono raggiungere va¬ lori di A anche intorno a 10.000 prima che la (32) cessi di descri¬ vere adeguatamente il fenomeno. Si può dire che ciò è dovuto agli ioni positivi che raggiungono il cilindro esterno: mentre infatti gli ioni positivi di molecole mono o biatomiche provocano l’emissione di elettroni da parte del cilin- — 91 — dro colpito, gli ioni positivi di molecole poliatomiche non provocano tale emissione. Pertanto i gas puri monoatomici e biatomici e le mescolanze di monoatomici con poliatomici, quali argon e metano in parti eguali, daranno luogo ad un aumento di A al crescere di Y, più rapido di quanto prevede la (32). Se dunque il bombardamento del catodo da parte di ioni positivi di molecole monoatomiche, provocante remis¬ sione di elettroni da parte del catodo stesso è presumibilmente il principale fattore del rapido aumento di A al crescere di V per bassi valori di A, un tale effetto però viene limitato o eliminato dalle mo¬ lecole più pesanti. Così aggiungendo metano all’argon è necessario che si giunga al 75% di metano prima che l’eliminazione di un tale effetto sia completa, mentre l’aggiunta all’argon di solo il 10% di molecole ancora più grosse quali quelle di etere, dà luogo già ad un buon accordo con quanto previsto dalla (32). La conseguenza pra¬ tica di tale circostanza è che un qualsiasi gas (o mescolanza) può essere reso adatto per il riempimento di un contatore proporzionale. In realtà, i contatori che adoperano gas monoatomici e biatomici sono caratterizzati da una molto più rapida variazione di A con V, ri¬ spetto a quelli riempiti con gas poliatomici. La marcata dipendenza di A da V richiede ovviamente una più scrupolosa stabilizzazione e un rigoroso controllo della tensione di funzionamento. Di conse¬ guenza è più conveniente usare gas poliatomici. D’altro canto gli svantaggi di questi ultimi consistono: a) nel fatto che le molecole poliatomiche si dissociano e con¬ seguentemente il contatore cambia le sue caratteristiche con l’uso; ù) nel fatto che i potenziali di soglia e di funzionamento dei contatori a gas poliatomici sono generalmente più elevati di quelli dei contatori riempiti con gas monoatomici. Come Spatz [9] ha dimostrato, ci si può attendere la registra¬ zione di circa IO10 impulsi prima che un Geiger, riempito di gas po¬ liatomico, diventi inutilizzabile a causa della dissociazione dei co¬ stituenti, mentre per un contatore proporzionale si può prevedere una vita alquanto più lunga, a causa della minore ampiezza della valanga e quindi del minor numero di molecole dissociate in ciascuna scarica. I potenziali di soglia dei contatori riempiti con gas puri polia¬ tomici possono ridursi alquanto aggiungendo un gas monoatomico; così, per esempio, per un contatore riempito con metano puro si po¬ trà in effetti abbassare il suo potenziale di funzionamento aggiun- — 92 — gendo il 10% di argon (lasciando invariato il contenuto di metano) mentre anche l’efficienza risulterà alquanto migliorata da simile ac¬ corgimento e le altre caratteristiche del contatore non ne riceveranno danno. Oltre agli effetti dovuti agli ioni positivi, dobbiamo considerare gli effetti dovuti ai fotoni, prodotti nella scarica. La deduzione della relazione (32) presuppone assenza di fotoni e gli scostamenti del fe¬ nomeno sperimentalmente osservato da quello previsto teoricamente possono anche indicare che una tale assunzione, in alcuni casi, non è valida. I fotoni producono ionizzazione addizionale e conseguente¬ mente anche per questo motivo si può prevedere un più rapido au¬ mento di A al crescere di V. Nella valanga i fotoni presumibilmente si formano perchè gli urti provocano stati eccitati negli atomi urtati, che per lo più per¬ deranno poi l’energia corrispondente a tale stato eccitato, mediante radiazione, prima che un altro urto intervenga: difatti la vita me¬ dia di tali stati è dell’ordine di IO-8 sec., mentre il tempo occor¬ rente per un libero percorso fra due urti è alquanto superiore a questo valore. L’emissione di radiazione può però verificarsi pure all’atto della ricombinazione. Come si è detto sopra le ricombinazioni non sono probabili nella valanga stessa, a causa della bassa pressione e dell’elevata in¬ tensità del campo. Tuttavia le ricombinazioni si verificano al ca¬ todo quando gli ioni positivi lo raggiungono e diventano neutri. Dobbiamo inoltre considerare l’azione dei fotoni. Bisogna tener presente che i fotoni emessi dagli atomi eccitati di un generico gas monoatomico o biatomico normalmente adoperato nei contatori, hanno energie che sono per lo più maggiori della soglia fotoelettrica del catodo. Così, per esempio, nell’idrogeno la serie di Lyman inizia in corrispondenza dell’energia di 10 Volt; e la radiazione da parte di un atomo di elio che ritorna allo stato normale, per esempio dal livello 2P, corrisponde all’energia di circa 20 Volt. D’altra parte le soglie fotoelettriche del rame e dell’ottone sono intorno ai 3 Volts e conseguentemente se i fotoni emessi dagli atomi eccitati raggiun¬ gono il catodo, ci si può attendere che provochino emissione di foto¬ elettroni. Similmente, i fotoni che vengono emessi al catodo quali radia¬ zioni di ricombinazione, sono anch’essi, per lo più, tutti di energia considerevolmente superiore alla soglia fotoelettrica. Intanto è noto che gli ioni di molecole poliatomiche si dissociano prima di emettere — 93 — radiazione per effetto di neutralizzazione: di conseguenza non de¬ vono essere presi in considerazione fotoni quali effetto di radiazione per ricombinazione nel caso di molecole poliatomiche. Con molecole monoatomiche e biatomiche, tali fotoni saranno presenti e si riscon¬ trerà, come si è detto, un aumento di A, al crescere di V, più ra¬ pido di quanto previsto teoricamente. I fotoni generati in seguito ad eccitazione, nel caso di gas mo¬ noatomici e triatomici sono anch’essi presumibilmente presenti. Anzi vi sono prove sperimentali che confermano la presenza dei fotoni nella scarica. Una di queste è l’esperimetno sulla « localizzazione della scarica » attuato da Welkening e Kanne [10] ed altri. È stato anche condotto da Rose e Korff [8] un esperimento su catodi perfo¬ rati: A veniva misurata in funzione di V con catodi interi e perfo¬ rati e fu riscontrata una differenza tra i due casi per impulsi di grande ampiezza per contatori a gas mono o biatomico. La differenza era nel senso di impulsi più piccoli per catodi perforati, suggerendo l’ipotesi che alla possibilità da parte di alcuni fotoni di sfuggire attraverso i fori, era da attribuirsi la causa della minore ampiezza. Anche que¬ sta volta non fu riscontrata alcuna differenza quando il contatore era riempito con gas a molecole poliatomiche. II fatto che i fotoni fanno sentire la loro influenza solo per im¬ pulsi di grande ampiezza è presumibilmente da attribuirsi alla bassa efficienza fotoelettrica. Solo pochi fotoni saranno generati in una piccola valanga e di essi solo una piccola frazione (circa IO-4 per i catodi più comunemente adoperati) darà luogo alla emissione di fo¬ toelettroni da parte del catodo. Conseguentemente il fattore A di amplificazione deve raggiungere l’ordine di grandezza di IO4 prima che i fotoni di eccitazione comincino a contribuire apprezzabilmente alla grandezza della valanga. Il comportamento dei contatori proporzionali per bassi valori di A è stato studiato da Rose e Ramsey [11]. Essi hanno sottoposto ad esame il tratto del grafico di A in funzione di Y in corrispondenza della soglia per il funzionamento proporzionale del contatore, sia al di qua che al di là della soglia. Come è da aspettarsi in base a considerazioni sulla natura sta¬ tistica dei processi di valanga, la soglia non è netta, ma le curve osservate tendono gradualmente al parallelismo all’asse delle ten¬ sioni. La figura 2 mostra le curve ottenute per valori elevati di A per mescolanze CH4 — A a varia concentrazione relativa e a pressione di — 94 — 10 cm. I punti segnati nel grafico sono ottenuti sperimentalmente, mentre le curve tracciate sono quelle teoriche ottenute in base alla (32) e passanti per uno dei punti sperimentali. I numero indicati in corrispondenza di ciascuna curva danno la concentrazione relativa di CH4 in percento. Le dimensioni del contatore erano: diametro dell’elettrodo centrale mm. 0,075; elet¬ trodo esterno di Cu di lunghezza cm. 3 e diametro cm. 1 [8]. Gli andamenti sperimentali si discostano dalle curve teoriche in quanto la teoria trascura le fluttuazioni ed assume energie me¬ die per gli elettroni della valanga. Tali fluttuazioni sono percentual¬ mente più grandi per valori di A appena maggiori di 1 e diventano trascurabili per valori di A maggiori di 10 o 20. 4. — Ulteriori considerazioni sui fattori che influenzano il coef¬ ficiente DI AMPLIFICAZIONE. Data l’importanza di A, non meraviglia che molti ricercatori abbiano indirizzato le loro esperienze su tale argomento negli ul¬ timi anni, sicché disponiamo oggi di molti valori del fattore di am¬ plificazione per vari gas. Per l’Argon questo problema è stato studiato da Colli, Faccini e Gatti [12] che ottennero grafici di A in funzione di V per valori — 95 — di A compresi tra 10 e 1000, al variare di V tra 2600 e 3600 Volt. In questo intervallo essi ottenero linee rette, come si vede nella Fig. 3. Gli impulsi erano dovuti a particelle g; il diametro del con¬ tatore era di 90 mm. ; la pressione di 76 cm. di Hg; la costante di tempo del circuito 1,5 g, sec. Rose e Korff [8] misurarono A in un miscuglio di BF;J — A, 2000 3000 V0LTS Fig. 3. il cui uso si è sviluppato nei contatori per neutroni ed in un miscu¬ glio metano-idrogeno che è stato trovato adatto per contatori basati sull’effetto di rimbalzo, come pure in un miscuglio di Argon-etere, spesso usato in normali contatori Geiger auto-interruttori. Nell’in¬ tervallo studiato tutti questi miscugli danno linee rette. Le curve ottenute nei tre casi sono riportate nella Fig. 4. Più recentemente, Rossi e Staub [13] hanno dedotto curve di A con esperienze effettuate in idrogeno, metano, argon, azoto spet- Funere di amplificazion e — 96 — troscopicamente puro, trifluoruro di boro e in mescolanze: del 90% H2 + 10% CH4 ; 98% A + 2% C02 ; 90% A + 10% CO* ; 84% A + 16% di propano. Spesso in tali grafici si nota l’andamento li¬ neare di log. A in funzione di V per valori di A compresi tra 10 e 1000. Scostamenti daH’andamento lineare si verificano sempre nel senso di una curva concava verso l’alto, cioè che tende, per piccoli valori di Y alla retta A = 1, mentre dalla parte dei valori maggiori Fig. 4. di V indica un aumento di A più rapido rispetto all’andamento li¬ neare. Quest’ ultimo scostamento si nota spiccatamente per l’idrogeno a bassa pressione ed indica che, come si è precedentemente accen¬ nato, sono in atto altri processi fisici oltre quelli supposti nella de¬ duzione della (32). Ad esempio, si è trascurata l’azione dei fotoni; in realtà invece, proprio nell’idrogeno ed azoto a bassa pressione, ciò non è possibile. Nei gas più complessi, per esempio nel trifluo¬ ruro di Boro si hanno linee rette fino a valori di A di circa 1000: ciò dimostra un più intenso assorbimento dei fotoni, sicché essi possono S cala per A-ETERE - 8^ — 97 — in tali gas aggiungere alla valanga un numero trascurabile di fotoe¬ lettroni nei contatori di gas semplici. Contatori proporzionali con elevati valori di A sono stati ado¬ perati con buoni risultati da Hanna, Kirkwood e Pontecorvo [14]. Essi impiegarono miscugli di xeno e metano, di xeno, argon e me¬ tano e di argon e metano. Ringrazio il Dott. Raffaele Montagna per la collaborazione nella traduzione dei testi inglesi e per qualche utile discussione avuta con lui. Napoli s Istituto di Fisica terrestre dell9 Università, 21 maggio 1960. BIBLIOGRAFIA [1] P. V ittozzi e M. De Martino. I contatori nucleari. Boll. Soc. Nat. Napoli, Voi. LXVII, 1958. [2] P. V ittozzi. Le camere di ionizzazione. Ibidem. [3] P. V ittozzi. Ioni ed elettroni nei gas. Boll. Soc. Nat. Napoli, Voi. LXVIII, 1959. [4] L. B. Loeb. Fundamental Processes of Electrical Disellar ges in Gases . Wi- ley, 1939. [5] K. K. Darrow. Electrical Phenomena in Gases. Williams and Wilkìns, 1932. [6] K. T. Compton and I. Langmuir. Revs. Mod. Phys., 2, 191, 1930. [7] P. V ittozzi. L'effetto di parete nelle camere di ionizzazione . Geof. Pura e Appi., Voi. 33, Milano 1956; Ann. Oss. Ves. s. VI, Voi. il, Napoli, 1957. [8] M. E. Rose and S. A. Korff. Phys. Rev , 59, 850 (1941). [9] W. D. B. Spatz. Phys. Rev., 64, 236 (1943). [10] M. H. Wilkening and W. R. Kanne. Phys. Rev., 62, 534 (1942). [11] M. E. Rose and W. E. Ramsey. Phys. Rev., 161, 198 (1942). [12] L. Colli, U. Faccini and E. Gatti. Phys. Rev., 80, 92 (1950). [13] B. Rossi and H. Staub, Ionization Chambers and Counters. McGraw * Hill (1949). [14] C. G. Hanna, D. H. W. Kirkwood and B. Pontecorvo. Phys. Rev., 75, 985 (1949). [15] S. A. Korff. Electron and nuclear counter. New York, D. Van W ostrand Company, 1955. 7 Herba passiflorae incarnatae *) Stato attuale delle ricerche sulla droga e contributo sperimentale su quella coltivata presso la Stazione Sperimentale per le Piante Officinali annessa all’Orto Botanico dell’Università di Napoli. Nota del socio MARIO COVELLO e del dr. GIUSEPPE GIAMPA (Tornata del 25 novembre 1960) Farmacognosia della droga . La Passiflora incarnata L. è una passifloraeea originaria delle regioni tropicali e sub-tropicali dell’ America. Principalmente per la sua azione sedativa, esplicata sul sistema nervoso centrale, questa droga ha trovato un largo impiego nella far¬ macoterapia umana, sia da sola, sotto forma di estratto fluido e di tintura, sia contenuta in numerose specialità medicinali. Le parti della Passiflora incarnata usate in terapia sono quelle aeree. La droga [1] è formata da fusti cilindrici di differenti lunghezze, di 6-8 min. di spessore, la cui corteccia giallo-bruna o rosso-bruna è rigata longitudinalmente. I fusti sono lisci o lievemente pelosi, inter¬ namente cavi, e possiedono un legno molto poroso e una corteccia sottile; le foglie, colorate in verde-bruno sono fragili. I singoli elementi foliari sono ovalilanceolati, appuntiti ante riormente e seghettati al margine. La superficie foliare appare li¬ scia; la sottile tricosi è visibile solo con la lente. Caratteristico è il picciolo foliare con due calici nettarii vasco- lariformi. Essi risiedono di lato ed inferiormente alla superficie foliare; sono lunghi 1-2 mm. un po’ ellittici e colorati in tinta scura quasi nera. Alla base del picciolo foliare sono situate due piccole foglie lan- :) Lavoro eseguito con il contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche. — 99 — ceciate sottili, collaterali, la cui forma differisce fortemente dalle foglie collaterali della Passiflora cerulea L., la più coltivata in Eu¬ ropa, la quale invece possiede tali foglie grandi e reniformi. I vi¬ ticci che spuntano nelle ascelle foliari sono a forma di spirale, e rappresentano una caratteristica peculiare della droga. Non si possono quasi evidenziare nella droga fiori in piena fio¬ ritura (perfettamente aperti); viceversa, si vedono boccinoli (o ger¬ mogli fiorali) sui quali la caratteristica struttura floreale della Fa¬ miglia è facilmente riconoscibile. Nella droga sono contenuti nu¬ merosi frutti. Le bacche, originariamente gialle, lunghe 4-5 mm., seccate, sono fortemente appiattite con superficie increspata verde¬ giallastra. Nel loro interno, si trovano tre placente parietali con numerosi semi. La droga tagliuzzata è facilmente riconoscibile per i viticci molto evidenti, organi che di rado si presentano nelle droghe. Oltre a pezzi di viticci vecchi, si trovano anche pezzi giovani molto sottili e teneri. La massa principale della droga tagliuzzata è formata però di fusti e foglie. I pezzi di foglie sono sottili, spesso faldati. Il margine follare seghettato è raramente ben discernibile. Pezzi della base fo¬ llare, con le nervature decorrenti secondo un disegno digitiforme, lasciano riconoscere i due calici nettarei situati lateralmente. I pezzi di fusto possono raggiungere otto mm. di spessore; essi sono per lo più cavi. Più abbondantemente si vedono anche pezzi delle radici fittili rivestiti di sughero bruno. Mollo appariscenti sono i semi, appiattiti, che si ravvisano, evi¬ denti, in alcuni campioni. Essi sono lunghi 4-5 mm. Di essi, si vede la corteccia seminale giallastra, punteggiata di opercoli; essi sono ricoperti ancora da un ai ilio cuticolare. Si possono riconoscere anche frammenti della parete fruticale di color bruno, spessi un po’ spugnosi. Pezzi di fiori sono veramente rari. Occasionalmente si rinviene qualcuna delle caratteristiche fo¬ glie pericarpellari con terminazione cornicolare alla cima, un pezzo della corona debolmente colorata in violetto, oppure un carpello del frutto, fortemente impelato, e perciò apparentemente grigio-verde. I principi attivi della droga. Diversi sono stati i lavori di ricerca eseguiti sulla Passiflora incarnata per individuare i vari costituenti chimici in essa contenuti, — 100 — allo scopo di ricercare la relazione intercorrente tra questi e l’at¬ tività farmacologica della droga. Questi studi, iniziati da Dakker [2] e Guignard [3], sono con¬ tinuati fino ai nostri giorni. È stata anche tentata una separazione dei vari costituenti chimici della Passiflora incarnata a mezzo di vari solventi organici, quali etere etilico, etere di petrolio, alcool. Fellows e Smith [4], che studiarono questa droga sia dal punto di vista chimico che farmacologico, trovarono che una parte dei suoi costituenti viene estratta da etere etilico, un’altra invece solo da alcool etilico: TABELLA N. 1. Parte estratta con etere etilico P. saponificabile solubile in H20 calda, insolubile in etere di petrolio ac. formico ac. butirrico alcool metilico cera P. solubile in etere di petrolio ac. miristico ac. paimitico ac. oleico ac. linoleico ac. linolenico Passif. incarnata, droga secca polverizzata P. insaponifi¬ cabile Sitosterolo: con il 13% di stigmasterolo (5) Idrocar¬ buri ^ n. nonacosano \ triacontano ' dotriacontano Parte estratta con alcool etilico ins. in etere etilico. Tannini Glucosio Ac. gallico Glucoside tanninico 0,048% (3) Fellows e Smith negano la natura alcaloidea del principio fisiolo¬ gicamente attivo. Di ciò per primo si occupò il De Nito [6] nel 1931. In seguito al risultato positivo delle reazioni caratteristiche degli alcaloidi, questo sperimentatore affermò che la sostanza fisiologica¬ mente attiva doveva essere senz’altro o un alcaloide o un complesso di sostanze alcaloidee. — 101 — Peckolt [7] isolò da specie americane di Passiflora due sostanze di sapore amaro : la passiflorina e la maracugina. Mentre egli ottenne la passiflorina in forma cristallina, la ma¬ racugina invece fu ottenuta sotto forma di una massa gialla amorfa. Fellows e Smith [8] stabilirono che il principio idrosolubile batotono, riconosciuto da essi come attivo, non era un alcaloide, e così neanchè la sostanza isolata da Ruggy e Smith; la sua suppo¬ sta natura glicosidica non poteva però essere dimostrata. Ruggy e Smith [9] prepararono da foglie e fusti un estratto da cui essi pre¬ cipitarono con soluzione alcalina di cloruro mercurio una sostanza dalla presumibile formula C10H22O8NHgCl2 . Spesso vennero trovati, nelle varietà di Passiflora glucosidi cia¬ nogenetici cui fu demandata l’attività farmacologica della droga. Poi¬ ché però anche nelle varietà di Passiflora prive di acido cianidrico si nota un’attività distensivo-sedativa, questo composto non fu con¬ siderato allora come principio attivo. Neugebauer e Brunner [10] condussero dal 1940 al 1942 ri¬ cerche sul contenuto di questi glucosidi nella Passiflora ; i risultati non concordavano completamente con quelli della precedente let¬ teratura. La ragione era da ricercarsi nel fatto che Neugebauer spe¬ rimentò su piante di serra o su colture di campo controllate, mentre le analisi di altri autori furono condotte con materiale selvatico. Cuignard [11] comunicò sul contenuto di glucosidi cianogenetici nelle foglie di Passiflora cerulea , P. tuberosa , P. racemosa , P. bryon- noides , P. capsularis e P. digitata. La dimostrazione della loro pre¬ senza fu negativa nella Passiflora incarnata , P. edulis , P. gracilìs , P. alba. Le ricerche vennero riprese tre anni dopo e si trovarono gli stessi risultati. Ma le piante prive di glucosidi cianogenetici avevano la stessa attività sedativa di quelle che li contenevano. La sostanza effettivamente sedativa, che può essere identificata nelle sue soluzioni attraverso la sua attività, è, in forte dose, anche tossica; essa si rivelò solubile in acqua, alcool, alcool amilico, inso¬ lubile in etere, difficilmente solubile in cloroformio. Le difficoltà incontrate nella identificazione e separazione dei principio farmacologicamente attivo, pose in dubbio l’esistenza di questa sostanza. — 102 — Secondo Neugebauer e Irrgang [12] però la presenza di una sostanza sedativa è fuori di dubbio, e secondo Neugebauer [13] essa è probabilmente identica alla maracugina trovata da Peckolt [7]. Peckolt, a cui dobbiamo per primo una sperimentazione chi¬ mica sistematica dei principi attivi, trovò una sostanza cristallina in forma di aghi incolori di sapore amaro; ciò dopo preparazione del- Pestratto alcolico delle foglie fresche ed estrazione del relativo re¬ siduo secco con acqua acidulata e poi alcalinizzata ed ancora estrat¬ ta con miscela etere-cloroformio. La sostanza fonde per riscaldamento in capsula di platino ed è completamente fluida. Con H2S04 si ha una colorazione rosso-sangue, che poi scompare. I cristalli sono molto difficilmente solubili in etere di petrolio, benzolo ed acqua, solubili in cloroformio, etere etilico, estere acetico ed acqua acidulata. Pre¬ cipitati si formano con cloruro platinico, cloruro palladoso, solu¬ zione iodo-iodurata, reattivo di Meyer, acido picrico ed acido fo- sfomolibdico. Una caratterizzazione per mezzo del punto di fusione della base o del cloridrato manca. Che si tratti però di una base, dopo i citati lavori, è da tenersi per certo. L’estratto acquoso che non diede alcun precipitato col tannino, reagiva tuttavia con cloruro mercurico formando un precipitato, dal quale per decomposizione con H2S venne ottenuta una sostanza gialla e amorfa, che Peckolt chiamò maracugina. I suoi tentativi di otte¬ nere la sostanza allo stato cristallino furono infruttuosi. Le caratte¬ ristiche vennero descritte così: inodore, di sapore amaro disgustoso, insolubile in etere di petrolio, benzolo, cloroformio, etere etilico; solubile in metanolo, etanolo, alcool amilico ed acqua. Cloruro au¬ rico, cloruro mercurico e acido fosfomoiibdico danno precipitati. Anche della maracugina mancano costanti specifiche. I dati depon¬ gono più per una miscela inseparabile che per un composto omo¬ geneo. Peckolt ottenne dal precipitato piombico dell’estratto alcolico un acido cristallino con le caratteristiche dell’acido salicilico. Come ulteriori costituenti furono descritti da Peckolt: una resina insa¬ pore, che per riscaldamento dà un odore aromatico ed è solubile in etere di petrolio, benzolo, cloroformio, etere etilico ed etanolo assoluto; un acido resinico con uguali solubilità del precedente e in più quelle in acido acetico ed in alcali; inoltre un altro acido resinoso inodoro, di sapore nauseante, solubile solo in acetone, acido — 103 — acetico, etanolo ed alcali. Infine è presente ancora un tannoide pas- siflorico che dà con FeCl3 una colorazione nera. Da quanto si è detto si inette in evidenza il grande numero di costituenti chimici della Passiflora , dei quali non molto si può dire, per la completa assenza ili caratteristiche specifiche. Un quadro rias¬ suntivo delle sostanze che secondo Peckolt sono contenute nelle va¬ rie Passiflore è riportato in tabella n. 2. TABELLA N. 2. Sostanze contenute nella passiflora secondo Peckolt Principio attivo Pianta Organo % Passiflorina P. alata Ait. foglie 0.082 99 99 99 99 radici 0.128 99 „ edulis sims. foglie - 99 „ actinea Hook foglie 0.005 99 „ quadrangularis L. radici — 99 „ Eichleriana Mast. foglie 0.05 Maracugina amorfa „ alata Ait. foglie 0.49 99 99 99 9" >> radici 0.152 99 „ edulis Sims. foglie 0.196 99 99 „ actinea Hook 99 0.119 9» 99 „ Eicleriani Mast. „ 0.5 Tannide passif. „ alata Ait. „ 0.32 « » „ edulis Sims. 99 0 42 Da nessuna delle ricerche che seguirono quelle di Peckolt ri¬ sulta che altri sperimentatori abbiano incontrato la plassiflorina o Ja maracugina, perchè queste sostanze non sono mai più state de¬ scritte o definite attraverso loro costanti. Neugebauer [13] non ha — 104 — trovato la plassiflorina descritta da Peckolt, ma ha accettato ciò che riguarda la maracugina, che venne riconosciuta attraverso rea¬ zioni qualitative. La colorazione rossa descritta da Peckolt per la passiflorina, con H2S04 cone., fu trovata da Neugebauek per la sua base precipitata e isolata con cloruro mercurico. Riguardo dunque alla definizione dei principi attivi e delle loro reazioni particolari non c’è concordanza alcuna. È inevitabile, almeno a giudicare cri¬ ticamente in base alle pubblicazioni, dubitare che alcunché sia stato effettivamente trovato. Fellow e Smith [4] hanno trovato nella Pas¬ siflora incarnata una sostanza ipotensiva, che però non deve essere un alcaloide. Ruggy e Smith [9] hanno ottenuto il sale di mercurio di una sostanza fisiologicamente attiva da un estratto alcolico della Passiflora incarnata , allontanando l’alcool, precipitando con acetato di piombo basico dopo aver ripreso con acqua, e operando sul fil¬ trato con sale di mercurio. Secondo le indicazioni dei due autori però non deve esser pre¬ sente alcun alcaloide; inoltre, la forma glucosidica è discutibile. Come formula bruta per il sale di mercurio viene riportata la seguente: C10H22O8NHgCl2 . Neugebeauer [ 13 j ha preparato un estratto alcolico da parti aeree di piante, sia secche che fresche, di Passiflora bryoinoides, capsularis , edulis , incarnata , in proporzioni 1:5 in peso e l’ha trat¬ tato con acetato neutro e basico di piombo a pH 7,7. I precipitati formatisi, dopo adatta decomposizione, non mostravano attività al¬ cuna sui topi. Il filtrato della precipitazione piombica, previo op¬ portuno trattamento, era dotato invece di attività sedativa. Esso non conteneva zuccheri o glucosidi, ma bensì una base. Questa base, che si comportava peculiarmente riguardo a svariati reagenti, come la maracugina di Peckolt, spinse Neugebauek all’ammissione di avere per le mani una sostanza identica. Oltre a ciò, la maracugina doveva essere ancora uguale alla sostanza trovata da Ruggy e Smith. Secon¬ do Neugebauek [13], la base debole contenuta nella Passiflora in¬ carnata poteva essere estratta con cloroformio, anche a debole rea¬ zione acida, dalla sua soluzione acquosa. La base trovata da Peckolt, la passiflorina, era stata isolata da soluzione alcalina. In tabella n. 3 sono esposte le reazioni date da Peckolt (P) per la passiflorina e maracugina e da Neugebauek (N) per la maracugina. — 105 — TABELLA N. 3. Passiflorina Maracugina Cloruro platinico + (P) 0 Cloruro di palladio + (P) 0 Sol. iodo iodurata + (P) + P) Reattivo di Mayer + (?) + (S) Ac. picrico + (P) + (N) Ac. fosfo inoli bdico + (P) + (?) Cloruro d’oro 0 + (P) Cloruro mercurico 0 + (P,N) Tannino 0 + (N) Ac. fosfotungstico 0 + (N) Ac. silicotungstico 0 + (N) Reatt. di Nesler 0 + (N) La comparazione dei dati di entrambi gli autori circa il com¬ portamento nei riguardi dei vari reagenti, mostra che in un sol caso, quello del cloruro mercurico, vi è una concordanza. Altre reazioni di identificazione con altri reagenti non furono mai comunicate. Neu- gebauer aveva proposto di concentrare l’estratto a reazione neutra, su bagno ad acqua, estrarre il residuo della soluzione con clorofor¬ mio e trattare il residuo stesso, ripreso con acqua, con acido picrico o con reagente di Meyer, dopo di che devono comparire intorbidi- inenti chiaramente visibili. Un’estrazione della sostanza basica dovrebbe essere possibile an¬ che da una soluzione debolmente acida mediante cloroformio. L’au¬ tore successivamente richiamava l’attenzione sulla possibilità di un adattamento quantitativo del metodo. Neugebauer ha stabilito, in sèguito, che la sostanza ad attività sedativa non può essere allontanata dalla soluzione alcalina per estra¬ zione con etere etilico. Per contro la base può venire precipitata con etere dalle soluzioni alcoliche. Secondo Peckolt la passiflorina venne isolata come frazione cristallina e la maracugina come frazione — 106 amorfa, ma entrambe le sostanze danno le medesime precipitazioni con gli stessi reagenti. Quello che emerge evidente dal lavoro di Neuegebauer, è che la sua sostanza deve corrispondere alla ma- racugina e particolarmente a quella trovata da Rugby e Smith; ma poiché non sono stati fomiti dati sul suo comportamento, questa so¬ stanza non fu presa in considerazione. Come ben si vede ancora una volta, il problema della presenza di sostanze basiche nella droga non fu risolto. Bisognava giungere al 1954 per avere una chiarificazione nel senso che, almeno uno sperimentatore, riuscì ad imbattersi nella pas- sifìorina, isolarla ed identificarne la struttura. Ricerche chimiche recenti. Estrazione della cc Passiflorina ». Neu [14, 15], nel tentativo di portare un contributo chiarifica¬ tore alla conoscenza dei costituenti chimici della Passiflora , si è in¬ teressato di mettere a punto un sistema estrattivo che potesse esser applicato a qualunque tipo di Passiflora. La ripetuta estrazione con soluzione all’ 1 % di HC1 portò rapi¬ damente ad una estrazione della base quasi libera da impurezze. La fuorescenza U.V. del composto indica quante volte l’estrazione deb¬ ba ripetersi; nei primi estratti la fluorescenza bleu può vedersi chia¬ ramente anche alla luce diurna naturale. Meno convincente fu l’e¬ strazione con metanolo acquoso (1:9) col 2,5% di HCL Dalla tintura, addizionata di acqua e libera dall’alcool, alcali¬ nizzata con Na2C03 venne estratta, sia con etere etilico, che con clo¬ roformio, una base che, mediante l’acido cloridrico diluito, poteva da questo esser riestratta con solventi organici. Da una soluzione de¬ bolmente acida l’estrazione della base con solventi organici avveniva in misura trascurabile ; da soluzione neutra 1’ allontanamento era solo parziale. Queste differenze nell’isolamento della base da soluzione acida neutra ed alcalina, si sono potute dimostrare cromatograficamente in modo definitivo. Dalla soluzione cloridrica debolmente fluorescente in azzurro alla luce diurna poteva venire isolato un cloridrato cristallizzato in aghi che incomincia a sublimare tra i 120-130°, 11 cloridrato può 107 — cristallizzare da etanolo e da HC1 al 20% (in cui è solubile con dif¬ ficoltà) e forma allora aghi bianchi disposti in fasci. Il cloridrato, in soluzione, mostra all’U.V. una splendida fluorescenza in bleu. Con alcali la fluorescenza non viene accresciuta, ma indebolita. Con H2S04 conc. il cloridrato non dà reazioni colorate mentre la fluore¬ scenza resta inalterata. Per la mancanza della reazione colorata con H2S04 la sostanza trovata si distingue dalla passiflorina trovata da Peckolt e dalla sostanza chiamata da Neugebauer maracugina. Nell’analisi cromatografica con solvente butanolo-ac. acetico gla¬ ciale + acqua (4:1:5), il cloridrato migra omogeneamente e si la¬ scia rilevare con sicurezza: 1) attraverso la sua fluorescenza azzurra; 2) attraverso la reazione colorata arancione col reattivo di Dragendorff ; 3) a mezzo di un valore di Rf compreso tra 0,70 e 0,86. Le tecniche impiegate per l’estrazione della base furono le se¬ guenti : A) 4 Kg. di Passiflora incarnata , che erano stati stabilizzati con 800 gr. di etanolo, vennero ripresi ed estratti a freddo con 20-30 litri di HC1 1% a freddo. Gli estratti cloridrici complessivi vennero portati a Ph 10 con idrossido di potassio (al 42%), concentrati ed estratti esaurientemente per agitazione con etere eliìico. Un controllo delle estrazioni veniva effettuato prelevando una aliquota dell’etere, trattandola con HC1 2N ed osservando la soluzione acida sotto la lampada U.V. L’etere si colorava debolmente in giallo. Previa con¬ centrazione della soluzione eterea veniva aggiunto HC1 al 25% evi¬ tando un eccesso; il resto dell’etere veniva evaporato sotto vuoto, ed il residuo cristallizzato parzialmente. Previa dissoluzione in acqua ed aggiunta di etere, la soluzione venne alcalinizzata con idrossido di potassio; l’etere venne allontanato ed evaporato. Il residuo venne cautamente acidificato con HC1 al 25%. Il cloridrato grezzo dopo il completo allontanamento dell’etere, venne sciolto a caldo in HC1 analiticamente puro e filtrato. Il filtrato è colorato fortemente in bruno; il cloridrato cristal¬ lizza subito sotto forma di aghetti e viene ripetutamente purificato da HC1. Nel corso delle cristallizzazioni, con la purificazione pro¬ gressiva, si formano in ultimo lunghi fascetti di aghi. Nella deter¬ minazione del P.F. il cloridrato incomincia a sublimare a circa 12(P fino a 130°. Il sublimato mostra dapprima cristalli incurvati; per — 108 — aumento della temperatura, si formano aggregati cristallini ad or¬ dinamento raggiato. B) 200 cc. di tintura alcolica (secondo HAB) vengono liberati dall’etanolo sotto vuoto a 40-45° e concentrati fino a 25 cc. Il residuo viene trattato con 25 cc. di soluzione 2N di carbonato sodico e ripe¬ tutamente agitato con etere. Dall’etere la base viene estratta senza perdite con HC1 N, e ridiseiolta in etere previa alcalinizzazione. La soluzione eterea finale viene distillata e il residuo ripreso con acqua acidulata. Dopo lungo riposo si separano gli aghi cristal¬ lini del cloridrato. Invece di etere etilico si può usare anche clo¬ roformio. C) Da soluzione acida la tintura alcolica venne concentrata per evaporazione come in B); la soluzione residua venne acidificata con 25 cc. di HC1 2N ed estratta tre volte con 100 cc. di etere per volta. L’etere venne trattato due volte con 100 cc. di soluzione N di Na-2C03 ; questa fu acidificata con HC1 e nuovamente estratta con Letere. L’etere, previa essiccazione su Na2C04 , venne distillato e il residuo ripreso con HC1 diluito. La valutazione delle soluzioni riguardo alla presenza dell’alcaloide veniva effettuata per via cro¬ matografica. D) Da soluzione neutra (secondo Neugebauer) 200 cc. di tin¬ tura alcolica, previa neutralizzazione vengono evaporati sotto vuoto a 20 cc., lavorando alla temperatura di 60° C, e addizionati a 20 cc. di acqua perfettamente neutra e poi estratti con 30 cc. di CHC13 sot¬ to vuoto, il residuo venne ripreso con 5 cc. di acqua e separato per filtrazione dalla parte indisciolta. Il filtrato servi alla cromatografia. La valutazione dei diversi estratti, ottenuti con i diversi tipi di estrazione precedentemente descritti, diede i risultati riportati in tabella n. 4. La cromatografia fu effettuata su carta Whatman N. 1 in acqua¬ ne, acetico-butanolo (4:1 :5). Dal quadro riassuntivo delle tre diverse lavorazioni (tabella 4) appare evidente che l’isolamento della base praticamente è piena¬ mente possibile solo dalla soluzione alcalina; è possibile solo in parte da soluzione neutra ci è infine impossibile da soluzione acida. Con un tale schema viene definito il procedimento per la prepara¬ zione dell’estratto. Inoltre dalla tabella 5 si evidenzia il fatto sicuro che un procedimento analitico può fondarsi solo sulla separazione della base dalla soluzione alcalina (mediante adatto solvente). Con gli acidi diluiti la base può essere sottratta ai solventi or- — 109 — TABELLA N. 4. Materiale di partenza Metodo di lavoro Luce UV R/ Secondo B soluzione alcalina estratta con etere soluzione alcalina del prodotto della prima estra- + + + 0,70 „ zione con etere estratta nuovamente con etere — — 99 99 estratto etereo dopo estrazione con HC1 — — 99 99 alcaloide in etere + + + 0,73 99 ,9 soluzione alcalina estratta con CHC13 + + 0,85 99 99 soluzione alcalina. dopo estrazione con CHC13 — 99 residuo del CHCI3 evaporato, sciolto in H20 + fl¬ 0.81 secondo C soluzione acida estratta con etere it: — „ soluzione acida dopo estrazione con etere + + 0,75(*) 99 99 soluzione eterea dopo estrazione con Na2C03 — — secondo D soluzione neutra in CHC13 + 0,85 99 99 soluzione acquosa neutra + fl- 0,84 99 99 residuo del CHC13 fl~ 0,86 (*) Valore dedotto da macchie troppo grandi. Le intensità della fluorescenza vengono indicate dal numero dei segni (+). ganici e precipitata mediante reagenti che abbiano un adatto fat¬ tore di corrispondenza come per es. il sodio-tetrafenilborato (Kali- gnost). In tal modo è possibile effettuare anche la determinazione quantitativa della base nell’estratto. Struttura della « Passi fiorina ». Basandosi sull’analisi elementare effettuata sulla base isolata allo stato puro, sui derivati che si possono ottenere e sulla fluore¬ scenza dei suoi sali in soluzione acquosa, il Neu [16] inquadrò la passifìorina tra le basi carboliniche. Più precisamente l’alcaloide iso- — no — iato dalla passiflora incarnata è il 2-metil- (piridino-3',4' : 2,3 indolo) o più semplicemente, 3-metil-4-earbolina. L’idrocarburo fondamentale costituente l’alcaloide della Passi¬ flora incarnata , la 4-carbolina, è un triplice anello condensato, con un anello benzenico, uno pirrolico e uno pirìdinico. Malgrado l’in¬ sieme di questi tre anelli, la 3-metil-4-carbolina appartiene alle basi semplici perchè gli altri alcaloidi dello stesso gruppo contengono almeno un anello in più. La 3-metil-4-earbolina appartiene al grande gruppo degli alcaloidi indolici, i quali, si fanno derivare dall’am- minoacido triptofano e più precisamente dalla triptammina. Ai mol¬ teplici derivati delle basi earboliniehe si ascrivono, p. es. l’ armano, Larmina, l’armalina, la leptocladina e la calicantidina e quelli a struttura più complessa, contenenti più di tre cicli, p. es. gli alca¬ loidi dello Yohimbe, Pseudocinchona , Gelsemium, Secale e Rau- wolfia. La multiformità di sostanze farmacologicamente attive deri¬ vanti da un solo elemento strutturale albuminoide è sorprendente¬ mente grande [17] e mostra chiaramente come proceda il processo biochimico nella pianta in confronto alle circostanziate e circoscritte sintesi di laboratorio. Sotto condizioni fisiologiche, anche al di fuori del dominio cellulare, possono condursi sintesi eleganti e con buone rese se si usano materiali di partenza che probabilmente sono in dotazione anche alla pianta. La sintesi degli alcaloidi sotto le condizioni cellularmente com¬ patibili, raggiunse attraverso i lavori di Robinson [18-22], i risul¬ tati fondamentali per la chiarificazione della loro costituzione, at¬ traverso anche una teoria ben supportata dei concatenamenti bio¬ genetici di essi. Senza entrare in dettaglio sulla teoria di Robinson, ci appare no¬ tevole la concordanza con il lavoro di Schòpf [23], secondo il quale le frazioni di aminoacidi presenti nella pianta hanno un significato fondamentale per la biogenesi degli alcaloidi. Questa supposizione si è rilevata molto felice in varie sintesi. Sotto condizioni fisiologiche, non solo ha luogo trasformazione quasi completa, ma i prodotti di trasformazione si ottengono con lo stesso — Ili orientamento spaziale degli atomi secondo il quale essi sono dispo¬ sti nelle sostanze naturali corrispondenti, anche se teoricamente c’era da aspettarsi la formazione di altri stereoisomeri. La gramina o dimetil-triptammina è un alcaloide indolico che si rinviene nell’orzo ( Hordeum ) e nella varietà di canna Arundo donax [24] . K. Bowden e L. Marion [25] hanno mostrato che il 14C-triptofano nell’orzo viene trasformato nell’indol-derivato, gramina. Può essere dato per certo quindi che un aminoacido, il tripto- fano per es., è la pietra di costruzione per la biogenesi della gramina. Le prospettate trasformazioni devono potersi trasportare anche alla 3-metil-4-carbolina della Passiflora incarnata. La 3-metil-4-carbolina, allorché la sua costituzione non era an¬ cora conosciuta, veniva riportata nella letteratura sotto vari nomi, come armano, aribina e loturina. È degno di attenzione il fatto che la 3-metil-4-carbolina fu trovata finora solo in due piante, e precisamente, nel 1861, da Rieth [26] nella corteccia della Rubiaeea Brasiliana, Araribra ruba Mart., e, nel 1878, da Hesse [27] nelle cortecce di loto derivante dalla Siplocacea, Symplocos racemosa. Ma solo nel 1919-1920 Spath [28] poteva dimostrare che tanto la aribina come la loturina sono un unico identico composto, e precisamente la 3-metil-4-carbolina. Dopo più di 75 anni fu stabi¬ lita una nuova presenza dell’alcaloide attraverso la sperimentazione di Neu [16] sulla Passiflora incarnata. Conoscenze esaurienti sulle basi carboliniehe apportarono i lavori di W. H. Perkin Jr., Robin¬ son e coll, negli anni 1912-1927 [29]. Sintesi per la preparazione della tetraidro-4 e della tetra idro- 5-cai bolina vennero inizialmente condotte da Spath e Leverer [30], Tatsui [31], Akabori e Saito [32] ed anche da Cook e Reed [33]. Mentre il derivato idrogenato nell’anello piridinico, il tetra i- droarmano, fu trovato nel 1951 simultaneamente da Badger e Ree- cham [34] nella leguminosa australiana Petalosiylis labicheoides, e da Menshikov, Gurevich e Samsonova [35] nell* Eleagnus augu- stifolia, Hahn e Ludyig [36] ottennero sinteticamente la sostanza nel 1934, sotto condizioni fisiologiche, da triptammina e acetaJ.deide ad un pH da 5 a 7. Tanto il tetraidroannano sintetico che quello naturale sono otticamente attivi. La presenza della triptammina come componente naturale nelle piante venne documentata da White attraverso l’isolamento del- 1’ Acacia sp. [37]. 11 tetraidroarmano secondo Akabori e Saito [32] — 112 — può, per es., essere trasformato in armano per deidrogenazione con nero di palladio. La via di sintesi è evidenziata dalle seguenti formule: L’altra possibilità di sintetizzare la 3-metil-4-carbolina sotto con¬ dizioni fisiologiche, è data, secondo Kermack, Perkin e Robin¬ son [38], dal triptofano. Il trip tofane viene trasformato con acetal- deide in acido 3-metiJ-3,4,5,6 tetraidro-4-carbolin-5-carbonico che per deidrogenazione viene trasformato in 3-metil-4-carbolina secondo il seguente schema: ch3 ch3 Le sintesi che decorrono sotto condizioni fisiologiche, mettono in gioco per lo più particolari sostanze di partenza. Nel caso prece¬ dente trattasi di triplammina e triptofano, che sono disponibili co¬ me tali, ma che possono essere facilmente preparate, perchè sono note sintesi ben elaborate che lasciano una grande possibilità di scelta per quanto concerne le sostanze di partenza. Queste sintesi furono descritte da Hellmann [39]. Partendo dalla yohimbina si può giungere con reazioni di demo¬ lizione alla 3-metil-4-carbolina. Questa via, secondo Hahn, Kappes e Ludewig [40], conduce dalla yohimbina, attraverso 1 ossidazione con acetato di piombo (IV), all’acido tetradeidroyohimbico, come prodotto intermedio; questo per scissione alcalina fornisce la base carbolinica ed acido meta-toluico. Impiegando apo-yohimbina, Witkop [41] ha sperimentato la stessa demolizione che conduce all’acido tetradeidroyohimbico ed ha portato alla chiarificazione della formula di struttura di questo aci¬ do. La distillazione su polvere di zinco mostra la presenza della struttura carbolinica nella yohimbina; si formano come prodotti di scissione 3-metil-4-carbolina e p-cresolo, secondo Winterstein, Walter [42] e Witkop. — 113 — Per il confronto con l’alcaloide isolato dalla Passiflora incarnata vennero effettuate sia la sintesi da triptammina e triptofano che la demolizione da yohimbina. La 3-metil-4-carbolina, ottenuta per que¬ sta via, era identica alla base ottenuta da fonti naturali, ciò che potè essere stabilito dalla corrispondenza delle caratteristiche fisiche e chimiche e, in particolare, dalla identità degli spettri nell’infrarosso. Così venne anche trovata una coincidenza del P.F. a 238° tanto per la 3-metil-4-carbolina sintetica quanto per quella naturale. I cristalli ottenuti da Passiflora incarnata sono bianchi, contra¬ riamente ai dati di Akabori e Saito [32 j ed a quelli di Harvey e Robson [43], che attribuiscono alla sostanza sintetica, da loro pre¬ parata, una colorazione debolmente gialla. La 3-metil-4-carbolina sin¬ tetica venne ottenuta in cristalli bianchi dalla soluzione madre per ripetuta cristallizzazione da cicloesano ed eptano. La cristallizza¬ zione da benzolo e alcool, secondo i precedenti autori, diede per contro un prodotto cristallizzalo colorato in giallo. L’impurezza co¬ lorata in giallo rimase nel solvente estraendo la 3-metil-4-carbolina con cicloesano o eptano. Anche il cloridrato della base è bianco. II gruppo delle basi carboliniche analogamente ai loro sali si distingue attraverso la fluorescenza in luce U.V. ; lo stesso compor¬ tamento rivelano anche i prodotti di scissione della yohimbina. La 3-metil-4-carbolina può venir riconosciuta anche per cromatografìa su carta attraverso la sua fluorescenza bleu, senza l’impiego dei rea¬ genti degli alcaloidi. Ma mentre l’idrocarburo azotato 3-metil-4-car- bolina e i suoi sali si manifestano per la loro fluorescenza bleu, il cloridrato dell’armalina, appartenente allo stesso gruppo, ne mostra una gialla. I colori sono anche meglio distinguibili nella cromato- grafia di partizione. La fluorescenza che compare in luce U.V. è più facilmente visibile che non la macchia, visibile a luce naturale, che si forma per spruzzatura con i reagenti degli alcaloidi. Si lasciano così riconoscere, mediante cromatografia su carta, anche solo 0,1 gr. di 3-metil-4-earbolina con perfetta sicurezza. 8 — 114 — La certezza della identità della 3-metil-4-cai bolina isolata dalla Passiflora incarnata e di quella sintetica viene fornita particolar¬ mente dagli spettri all’infrarosso. Marion, Ramsay, e Jones [44] hanno condotto per primi una ricerca sistematica sugli spettri infrarossi degli alcaloidi nel campo da 3700 a 1450 cm 1 , impiegando cloroformio come solvente; sono stati così rivelati gli spettri I.R. di 47 alcaloidi; tra questi si trovano 16 alcaloidi con imminogruppi di cui 8 con anelli indolici. Gli al¬ caloidi indolici: gramina, isoevod iantina, yohimbina, ergotimina, ar¬ malina, evodiamina e rutaearpina, mostrano una forte banda di as¬ sorbimento nel campo da 3480 a 3440 cm-1. Per la 3-metil-4-carbo- ìina i precedenti autori trovano una banda a 3475 cm'1 ed altre a 1625, 1602 e 1575 cm1. Ulteriori dati intorno agli spettri I.R. spe¬ cifici dei composti contenenti gruppi indolici, p. es. ossitriptammina e corrispondentemente ossitriptofano, vennero pubblicati da A. Eku e B. Witkop [25]. I due autori danno per il gruppo 7> NH indolivo 2,82; 2,90 e 2,93 micron. Peckolt [7] ha designato come « passiflorina » la sostanza di sapore amaro isolata dalle passiflore sud-americane, che deve risul¬ tare: insolubile in acqua, benzolo, etere di petrolio e solubile invece in cloroformio, etanolo, estere acetico e acqua acidulata. L’alcaloide isolato da Neu [16], la 3-metil-4-carbolina, è difficilmente solubile in benzolo a freddo; la stessa constatazione venne fatta anche da Spath [28] nella sperimentazione sulla base carbolinica. Poiché dopo Peckolt nessuno degli sperimentatori successivi, ha più descrit¬ to una sostanza basica definita, oltre la « passiflorina », nè potè ri¬ trovare questo principio attivo [13], non rimane alcun dubbio che la 20,73 % Lagenidae 250 » » » 2,49 % Nonionidae 1052 » » » 10,45 % Buliminidae 1242 » » » 12,32 % Rotalidae 1969 » » » 19,56 % Cassidulinidae 650 )) » » 6,45 % Globi gerinidae 1667 » » » 16,56 % Anomalinidae 630 » » » 6,25 % altre famiglie 73 » » » 0,72 % 10071 Dalle cifre sopra riportate si può rilevare come la percentuale maggiore, anche per numero di individui, sia rappresentata dalle Mi- liolidae , a cui seguono, in ordine decrescente, Rotalidae , Globigerini- dae , Buliminidae , Nonionidae , Cassidulinidae , Anomalinidae. Anche per questa via viene quindi chiaramente dimostrato il carattere co¬ stiero della microfauna in cui, pertanto, la bassa temperatura delle acque, permetteva la sopravvivenza di numerosi individui delle fami¬ glie Buliminidae , Cassidulinidae e Glohigerinidae. Ho ritenuto opportuno eseguire un confronto della microfauna e della malacofauna studiata con quelle già segnalate per altre località della Sicilia, quali Acqua dei Corsari, Valle del Belice e INizzeti. Per la località Acqua dei Corsari sono elencati separatamente i fora- miniferi rinvenuti nelle argille giallastre, nelle argille azzurre, nelle sabbie e nei tufi. Nel livello delle argille azzurre è presente il maggior numero di specie (67), di cui 35 in comune con la microfauna di Siracusa. Fra queste forme è da segnalare la presenza di Anomalina balthica e Loxostomum karrerianum, quali specie più significative; è comune l’abbondanza delle Buliminidae , Cassidulinidae e Nonionidae. Non v’è invece corrispondenza per le Miliolidae , particolarmente abbon¬ danti nel materiale siracusano, poco rappresentate nell’ altro. Nel complesso, però, le due faune mostrano le medesime caratteristiche: associazione di forme piuttosto litorali con altre di habitat più pro¬ fondo. Anche per la Valle del Belice sono stati elencati separatamente i foraminiferi dalla fascia superiore detritico-organogena e quelli delle argille azzurrastre. Più ricco di specie è il primo di questi livelli. — 149 — nel quale sono state determinate 77 specie, di cui 45 sono comuni con la microfauna di Siracusa. Il livello argilloso comprende invece 59 specie, di cui 38 comuni con Siracusa. Con il livello tufaceo vi è maggiore corrispondenza per quanto riguarda la frequenza delle Mi- liolidae , delle Nonionidae e delle Rotalidae , mentre con il secondo livello, quello argilloso, vi è più riscontro per le specie ad habitat più profondo, quali Bulini inidae e Cassidulinidae . É da presumere quindi che il nostro deposito equivalga ad un livello intermedio fra quello detritico-organogeno, più decisamente litorale, e quello argilloso di sedimentazione più profonda. Descrizione delle nuove specie. Rectuvigerìna cylindroides n. sp. (Tav. IV, fig. 14-17) Guscio allungato, inizialmente triseriale, nelle ultime camere uni¬ seriale, arrotondato in sezione trasversale; camere rigonfie; suture depresse. La parte uniseriata può presentare fino a cinque camere e conserva la stessa larghezza di quella triseriata; quest’ultima si assot¬ tiglia leggermente soltanto nella porzione iniziale. L’apertura è al termine di un corto ed esile collo con labbro fialino. Le camere a tassia triseriale sono ornate da sottilissime strie irregolarmente in¬ terrotte, alle quali si sostituiscono, sulle camere a disposizione unise¬ riale, numerose ed esili spine. La specie a cui più si ravvicina è la Rectuvigerina siphogeneri- noides (Lipparini). da cui peraltro si distingue sia per la forma ge¬ nerale del guscio meno affusolata, sia per la diversa ornamentazione delle camere. I cotipi sono depositati presso l’Istituto di Geologia dell’Univer¬ sità di Napoli. Rectuvigerina raricosta n. sp. (Tav. IV, fig. 18-20) Guscio allungato, a sezione trasversale tondeggiante, con camere a tassia triseriale nella porzione iniziale, uniseriale in quella termi¬ nale. Il guscio è ornato, in tutta la lunghezza, da costicine ben rile¬ vate, che si protendono oltre il margine inferiore di ogni camera quasi a formare delle spine, 150 — Questa specie presenta una certa affinità con la Rectuvigerina multicostata Cush. e ancor più con la var. opliina Gusti., per l’aspetto coartato delle camere; se ne distingue tuttavia nettamente per le coste molto più rade e salienti. I cotipi sono depositati presso l’Istituto di Geologia dell’Univer¬ sità di Napoli. MOLLUSCHI. Le conchiglie dei molluschi rinvenute nelle sabbie argillose della contrada Critazzu sono in ottimo stato di conservazione, ben svilup¬ pate e con ornamentazioni sempre riconoscibili. Alcuni degli esem¬ plari più grandi sono rotti, ma ciò è dovuto alla frantumazione subita dai fossili durante il lavoro di scavo del pozzo. L’associazione faunistica è la seguente: Fam. T ROGHI DA E Gibbuta magus (L.) Gibbuta fanulum (Gml.) Gibbuta turbinoides Desh. Calliostoma cingulatum Br. Calliostoma conulum (L.) Fam. Turritellidae Turritella tricarinata Br. Turritella communis Risso Turritella biplicata Brn. Fam. Cerithiidae Bittium reticulatum Da Costa Cerithium varicosum ( Br.) Fam. Scalidae Scala ( Spiniscala ) spinifera Seg. Scala spinosa ( Bon.) brugnonei De Boury Fam. Calyptraeidae Calyptraea chinensis (L.) Calyptraea chinensis (L.) depressa Wood Calyptraea chinensis (L.) squamulata Ren. Crepidula crepidula (L.) Fam. Aporrhaidae Apurrhais pes-pelecani (L.) Fam. Naticidae Natica (Nocca) millepunctata Lk. Polynices ( Naticina) fusca (Blainv.) Polynices ( Naticina ) pulchella Risso Polynices josephinia Risso Fam. Gypraeidae Trivio europaea Mtg. Fam. Cassidae Cassidaria echinophora (L.) Fam. Muricidae Hadriania craticulata (Br.) Fam. Columbellidae Colombella turgidula Br. Fam. Nassidae Nassa semistriata Br. edwardsi Fischer Nassa clathrata Born. ficaratiensis Mont. Nassa limata Chemn. — 151 — Fam. Mitridae Mitra atava Bell. Fam. Cancellar! idae Cancellarla coronata Scacchi Fam. Conidae Daphnella gracilis (Mtg.) Philbertia purpurea (Mtg.) Fam. Ringiculidae Ringicula ventrìcosa Sow. Fam. ScAPHANDRIDAE Scaphander lignarius (L.) Fam. Nuculidae Nucula nucleus (L.) Nucula nitida Sow. Nucula piacentina Lk. Fam. Ledidae Leda pella (L.) Fam. Arcidae Arca diluvii Lk. Arca tetragona Poli Fam. Glycymeridae Glycymeris glycymeris (L.) Glycymeris pilosus (L.) Fam. Mytilidae C renella sericea Bromi. Fam. Pectinidae Chlamys opercularis (L.) Chlamys opercularis (L.) audouini Payr. Chlamys opercularis (L.) lineolata Wootl Chlamys opercularis (L.) laevigatoides Sacco Chlamys flexuosa Poli Chlamys flexuosa Poli biradiata Tib. Chlamys inflexa Poli Chlamys multistriata Poli Pecten ( Vola ) jacobaeus L. Fam. Anomiidae Attornia ephippium L. Attornia ephippium L. boritesi For. Monia patelliformis (L.) Fam. Ostreidae Ostrea edulis L. Ostrea latti eliosa Br. Fam. Astartidae Astarte fusca Poli Fam. Isocardiidae Isocardia cor L. Fam. Cyprinidae Cyprina islandica (L.) Fam. Lucinidae Lucina transversa Brn. Lucina fragilis Phil. Lucina borealis L. Myrtea spinifera (Mtg.) Fam. Ungi LiNiPAE Diplodonta rotundata Montg. Fam. Cardiidae Laevicardium oblongum Chemn. Laevicardium norvegicum Spengi. Corculum papillosum Poli Corculum papillosum Poli dertonense Micht. Corculum papillosum Poli transversum Cerulli Cardium erinaceum Lk. Cardium paucicostatum Sow. Cardium deshayesi Payr. — 152 — Curdium aculeatum L. Cardium tuberculatum L. muticum B. D. D. Cardium mucronatum Poli Fam. Veneridae Dosinia lupinus (L.) Dosinia lupinus ( L.) fìcaratiensis Gignoux V enus fasciata Da Costa Venus ovata Penn. paucicostata B.D.D. Venus casino L. Venus verrucosa L. Venus lamellosa De Rayn. Meretrix chione Lk. Meretrix chione Lk. elongata B.D.D. Meretrix rudis (Poli) Gouldia minima Mtg. Tapes rhomhoides Penn. Fam. Petricolidae Mysia undata (Penn.) Fani. Mactridae Mactra suhtruncata Da Costa Lutraria lutraria ( L.) Fani. PsAMMOBllDAE Psammohia faeroensis Chemn. Solenocurtus strigillatus (L.) Solenocurtus antiquatus Pultn. Fam. Tellinidae Tellina serrata Ren. Tellina compressa Br. Tellina incarnata L. Arcopagia halaustina L. Fani. Aloididae Aloidis gibbo (Olivi) conglobata Monter. Fam. Clavagellidae Clavagella bacillum Br. Fani. Dentaludae Dentalium rectum L. Dentalium variabile Desìi. Dentalium vulgare Da Costa Dall’ elenco riportato si rileva che la malacofauna è piuttosto varia; infatti i gasteropodi sono presenti con 21 generi e 34 specie; i lamellibranchi con 31 generi e 66 specie e gli scafopodi con 3 spe¬ cie: complessivamente sono state determinate 103 specie. In generale quasi tutte le forme sono rappresentate da diversi in¬ dividui ; particolarmente abbondanti sono: Turritella tricarinata . Nassa limata , Chlamys opercularis , Meretrix rudis , Meretrix chione . Venus ovata paucicostata , Cardium mucronatum , Laevicardium oblon- gum , Corculum papillosum , Cyprina islandica , Nudila piacentina , So¬ lenocurtus antiquatus , Dosinia lupinus fìcaratiensis , Tellina serrata , Diplodonta rotundata , Lucina horealis , Glycymeris glycymeris. Le forme più significative sono le seguenti : Nassa clathrata ficaratiens — forma estinta, caratteristica del Ca- labriano e del Siciliano. Nassa limata — non vive attualmente al di sopra dei 70 m. Nassa semistriata edwardsi — è una forma quasi tipica del Sici¬ liano. Attualmente le stazioni meno profonde nelle quali è citata sono — 153 — quelle riportate da Locard al largo del Portogallo (80-100 m di pro¬ fondità). Glycymeris glycymeris — specie attualmente atlantica. Nucula piacentina — specie estinta, ritenuta in regressione nel Siciliano, invece assai abbondante anche nelle altre località, ma limi¬ tatamente alla facies argillosa. Cardium deshayesi — specie rara attualmente nel Mediterraneo, dove ebbe la massima diffusione nel Siciliano. Cardium mucronatum — attualmente è raro nel Mediterraneo. Cyprina islandica — caratteristica forma immigrata dal Nord. Dosinia lupinus ficaratiensis — forma ad affinità atlantiche, che assume sviluppo numerico e dimensioni maggiori nel Siciliano, spe¬ cialmente nelle facies profonde. Diplodonta rotundata — attualmente in via di decrescenza nel Mediterraneo. Arca diluvii — è attualmente in via di estinzione; si trova gene¬ ralmente confinata nelle zone profonde. Crenella sericea — è una forma estinta molto caratteristica e rappresenta una delle specie più interessanti delle faune calabriane e soprattutto siciliane. Abbondante nel Pliocene, è ancora frequente nel Calabriano, diventa rara nel Siciliano. Clavagella bacillum — specie estinta. Dentalium rectum — specie scomparsa dai nostri mari. Dal confronto con le malacofaune delle già note località della Sicilia (Ficarazzi, Belice, Acqua dei Corsari. Monte Pellegrino), si rileva che il nuovo giacimento non mostra niente di sostanzialmente diverso ; infatti le caratteristiche della fauna sono : 1) Le specie rappresentate sono, per la maggior parte, ancora viventi. 2) Abbondanza di forme settentrionali e presenza di qualche specie tipica del Siciliano. 3) Presenza di specie ritenute estinte con il Calabriano. 4) Presenza di specie di habitat relativamente profondo, miste ad altre più tipicamente litorali. Concordemente a quanto si è già osservato per la microfauna si può ritenere che anche i molluschi abbiano portato il loro habitat più prossimo alla superficie a causa della più bassa temperatura me¬ dia delle acque. Considerando tutti gli elementi precedentemente esposti si può dedurre che la formazione sabbiosa-argillosa della contrada Critazzu 154 — si sia depositata in un ambiente di mare poco profondo e caratteriz¬ zato da un clima piuttosto freddo; condizioni che, com’è noto, si sono verificate nel Calabriano e nel Siciliano. Ad analoga conclusione si giunge tenendo conto del significato stratigrafico delle faune: di¬ fatti quasi tutte le specie determinate sono tutl’ora viventi, anche se, per la maggior parte, compaiono fossili fin dal Miocene. In parti¬ colare è da rilevare la presenza di alcune specie che non sono state mai segnalate prima del Calabriano, come: Anomalina balthica , Glo- bigerina pachyderma , Globorotalia truncatulinoides , Uvigerina medi- terranea fra i foraminiferi ; e di Nassa clathrata ficaratiensis , Nassa semistriata edwardsi , Cyprina islandica , Dosinia lupinus ficaratiensis per i Molluschi. Elementi più significativi, al fine di una datazione cronologica della formazione, si desumono maggiormente dalla malacofauna, che corrisponde a quella dei classici giacimenti di età siciliana. I forami¬ niferi, invece, non ci consentirebbero di precisare tale appartenenza, tranne che non si voglia tener conto della particolare frequenza con cui si rinvengono le forme nordiche e quelle che generalmente hanno un habitat più profondo, in un deposito a carattere decisamente litorale. BIBLIOGRAFIA 1) Baldacci L., Descrizione geologica dell’isola di Sicilia. Mem. descr. Carta geol. Italia, voi. I. Roma, 1886. 2) Boucquoy, Dautzenberg, Dollfus, Les mollusques marins du Roussillon. Paris, 1882, 1898. 3) Brocchi G. B., Conchiologia fossile subappennina. Milano, 1814. 4) Buchner P., Die Lagenen des Golfes von Neapel ecc. Nova Acta Leopoldina, voi. 9, n. 62. Halle, 1940. 5) Cerulli Irelli S., Fauna malacologica mariana. Palaeontographia italica, voi. 13- 18, 20, 22. Pisa, 1907-1916. 6) Cipolla F., Sopra due interessanti località del Siciliano dei dintorni di Palermo. Boll. Soc. Nat. ed Econom. di Palermo. 7) Cushman J. A., Foraminifera. Cambridge, 1950. 8) De Stefani T.. Molluschi del giacimento del pozzo di Mezzo Monreale ( Palermo ) appartenenti al piano Siciliano. Boll. Soc. Geol. Italiana, voi. 60. Roma, 1941. 9) Di Napoli Alliata E., I foraminiferi di un nuovo giacimento del piano Siciliano nei dintorni di Palermo. Boll. Soc. Se. Nat. ed Econom. di Palermo, voi. 19. Palermo, 1937. 10) In. Contributo alla conoscenza dei foraminiferi pleistocenici della Conca d'Oro ( Pa¬ lermo ). Boll. Soc. Geol. Italiana, voi. 56. Roma, 1937. — 155 — 11) Floridia G. B., Bibliografia geoio giro-mineraria della Sicilia. Giorn. Soc. Se. Nat. ed Econom., voi. 47, Palermo, 1950. - Bibl . geol.-miner. della regione Siciliana. Prima appendice. Centro Sperim. per Fimi, minér. d. reg. Sicil. Palermo, 1956. 12) Fuchs Th. e Bittner Al., Le formazioni plioceniche di Siracusa e Lentini. Boll. Comitato geol., voi. 6. Roma, 1875. 13) Giannini G., / foraminiferi del giacimento calabriano di V allebiaia (Pisa). Alti Soc. Toscana di Scienze Naturali, voi. 55. Pisa, 1948. 14) Io. Nuovo giacimento fossilifero calabriano presso Bagni di Casciana (Pisa). Atti Soc. Toscana di Scienze naturali, voi. 58. Pisa, 1951. 15) Gicnoux M., Les formations marines pliocènes et quaternaires de V Italie du Sud et de la Sicile. Ann. Univ. Lyon. fase. 36. Lyon, 1913. 16) Malatesta A., Faune a Cyprina islandica tra Piazza Armerina e Mazzarino (Si¬ cilia centro meridionale). Boll. Serv. Geol. d'Italia, voi. 77. Roma, 1955. 17) Monterosato (di). Catalogo delle conchiglie fossili di Monte Pellegrino e Fica- razzi presso Palermo. Boll. Comit. Geol., voi. 8. Roma, 1877. 18) Id. Relazione fra i molluschi del Quaternario di Monte Pellegrino e di Ficarazzi e le specie viventi . Boll. Soc. Scienze nat. di Palermo. Palermo, 1891, 19) Roger J.. Le genre Chlamys dans les formations néogenes de V Europe. Meni. Soc. Geol. de France. Paris, 1939. 20) Ruggieri G.. Terrazzi quaternari e faune siciliane nel golfo di Squillace. Gior¬ nale di Geologia, voi. 15. Bologna, 1941. 21) Id. Il Calabriano ed il Siciliano nella Valle del Santerno (Imola). Giorn. di Geologia, voi. 17. Bologna, 1944. 22) Id. Il terrazzo presiciliano della penisola di Crotone. Giornale di Geologia, voi. 20. Bologna, 1949. 23) Scalia S., Revisione della fauna postpliocenica dell’ argilla di Nizzeti, presso Acicastello (Catania). Atti Accad. Gioenia Se. Nat., s. 4a, voi. 13. Catania, 1900. 24) Id. Il post-pliocene di Poggio di Cibali e di Catira presso Catania. Ibidem, s. 4a, voi. 14. Catania, 1901 25) Id. Sopra una nuova località fossilifera del post-pliocene subetneo. Ibidem, s. 4a, voi. 14. Catania, 1901. 26) Id. Sul Pliocene e il post-pliocene di Cannìzzaro. Boll, delle Sedute delFAccad. Gioenia di Se. Nat., fase. 72. Catania, 1902. 27) Seguenza G.. Prime ricerche intorno ai rizopodi fossili delle argille pleistoceniche dei dintorni di Catania. Atti Accad. Gioenia di Se. Nat., s. 2a, voi. 18. Catania. 1862. 28) Seguenza G., Studi stratigrafici sulla formazione pliocenica dell9 Italia meridio¬ nale. Il Pliocene di Siracusa. Boll. Comitato Geologico, voi. 6. Firenze, 1873. 29) Id. Le formazioni terziarie della provincia di Reggio. Mem. Accad. dei Lincei, voi. 6. Roma, 1879. 30) Id. Il Quaternario di Rizzolo. Il naturalista Siciliano. Palermo, 1882. 31) Tamajo E., Il piano Siciliano e le sue relazioni paleontologiche col Calabriano in base allo studio di un nuovo giacimento del bacino di Palermo. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. 56. Roma, 1937. 32) Thiele ,L. Handbuch der W eichtierkunde. Jena, 1931. — 156 — ELENCO COMPARATIVO DEI FORAMINIFERl STUDIATI E DI QUELLI SEGNALATI PER ALTRE LOCALITÀ COEVE DELLA SICILIA Fam. Textulariidae Spiroplectammina wrighti (Silv.) Textularia aciculata cTOrb. Textularia agglutinans d’Qrb. Textularia eandeiana d’Orb. Textularia concava (Karrer) Textularia conica d’Orb. Textularia gramen d’Orb. Textularia marine d’Orb. Textularia sagittula Defr. Textularia trochus d’Orb. Textulariella barrettii (J. e P.) Bigenerina irregularis Phl. e Par. Bigenerina nodosaria d’Orb. Fam. Miliolidae Quinqueloculina bicornis (W. e J.) Quinqueloculina biondi Seg. Quinqueloculina bradyana Cush . Quinqueloculina brogniarti d’Orb. Quinqueloculina contorta d’Orb. Quinqueloculina costata d’Orb. Quinqueloculina disparilis d’Orb. Quinqueloculina dutemplei d’Orb. Quinqueloculina duthiersi Schlumb. Quinqueloculina intricata Ter. Quinqueloculina lamarckiana d’Orb. Quinqueloculina linneana d’Orb. Quinqueloculina longirostra d'Orb. Quinqueloculina padana Pere. Quinqueloculina pulchella d’Orb. Quinqueloculina quadrilateralis d’Orb. Quinqueloculina reticulata d’Orb. Quinqueloculina seminulum (L.) Quinqueloculina seminulum ( L.) jugosa Cush. argille — 157 — (segue) Sira¬ cusa C c ► n c a d ’ o sabbie argille gialle argille azzurre sabbie Quinqueloculina stelligera Schlum. Quinqueloculina undulata d’Orb. — Quinqueloculina vulgaris d’Orb. ■ - - Hauerina bradyi Cush. — - Sigmoilina celata Costa Sigmoilina rotundata Moni. Sigmoilina schlumber gerì Silv. Sigmoilina tennis Czjzek — Massilina inaequalis Cush. — — Spiroloculina antillarum d’Orb. ___ _ Spiroloculina affixa Ter. — Spiroloculina canaliculata d’Orb. - - Spiroloculina depressa d’Orb . — Spiroloculina elegans Silv. _ Spiroloculina grata Ter. _ Spiroloculina grateloupi d’Orb. _ Spiroloculina impressa Terquem _ Spiroloculina limbata d’Orb. _ Spiroloculina planulata (Lk.) Spiroloculina soldanii Forn. _ Triloculina circularis (Born.) _ Triloculina circularis (Born.) sublineata Brady _ _ Triloculina exigua Costa Triloculina gibba d’Orb. Triloculina laevigata d’Orb. _ __ Triloculina oblonga (Moni.) — _ — Triloculina rotunda d’Orb. _ _ Triloculina tricarinata (d’Orb.) _ Triloculina trigonula Lmk. Triloculina valvulinaris Reuss Triloculina venusta Karrer Pyrgo anomala (Schlum.) Pyrgo borchi (Silv.) Pyrgo bulloides (d’Orb.) Pyrgo constricta (Costa) Pyrgo depressa (d’Orb.) ~ — Pyrgo elongata (d’Orb.) — - - argille — 158 — (segue) Pyrgo inornata (d’Orb.) Pyrgo murrhina Schwager Pyrgo ringens Lmk. Pyrgo vespertilio (Schlum.) Articulina tubulosa (Seg.) Farti. Ophthalmidiidae Cornuspira carinata Costa Cornuspira joliacea (Phil.) Cornuspira involvens (Reuss) Wiesnerella auriculata (Egger) Planispirina sphaera (d’Orb.) Vertebralina striata (d’Orb.) Fani. Lagenidae Robulus calcar L. Robulus cultratus Montf. Robulus gemellarli Seg. Robulus orbicularis d’Orb. Robulus rotulatus (Lmk.) Lenticulina navicula d’Orb. Marginulina costata Batsch Marginulina glabra d’Orb. Marginulina fìlicostata Forn. Dentalina communis (d’Orb.) Dentalina aciculata (d’Orb.) Dentalina consobrina d’Orb. emaciata Reuss Dentalina decepta (Bagg) Dentalina farcimen Sold. Dentalina fasciata Seg. Dentalina pyrula d’Orb. Dentalina roemeri Neug. N odosaria perversa Sch. TSodosaria simplex Silv. Saracenaria italica Defr. Vaginulina pliocenica Cush. e Gray Lagena acuticosta Reuss Sira¬ cusa Con d ’ o £ $ Belici Niz- zeti argille — 159 — (segue) Lagena apiculata Reuss Lagena castanea Flint Lagena clavata d’Orb. Lagena crenata Parker e Jones Lagena fasciata (Egger) Lagena formosa Schw. Lagena gracilis Will. Lagena hexagona Will. Lagena inaequilateralis (Wright) Lagena laevis (Mont.) Lagena marginata W. e B. Lagena orbignyana (Seg.) Lagena orbignyana ( Seg.) lacunata ( Burr. e Holl.) Lagena semistriata Will. Lagena squamosa (Mont.) Lagena staphyllearia (Schw.) Lagena striata (d’Orb.) Lagena sulcata (W. e J.) Lagena trigono-marginata P. e J. Lagenonodosaria scalaris (Batsch) Fani. PoLYMORPHINIDAE Guttulina problema d’Orb. Globulina amigdaloides Reuss Globulina gibba d’Orb. tuberculata d’Orb. Globulina gibba d’Orb. Globulina gibba d’Orb. myristiformis Will. Glandulina laevigata d’Orb. Glandulina radicala (L.) Ramulina globulifera Brady Fam. Nonionidae Nonion boueanum (d’Orb.) Nonion depressulum (W. e J.) Nonion excavatum (Seg.) Sira¬ cusa Con d ’ o Beli Niz- zeti argille — 160 — (segue) Nonion granosum (d’Orb.) Nonion grateloupi (d’Orb.) Nonion perforatum (d’Orb.) Nonion pompilioides (F. e M.) Nonion soldanii (d’Orb.) Nonion subcarinatum ( Seg.) Astrononion stelligerum (d’Orb.) Nonion umbilicatulum Mont. Nonionella turgida (Will.) Elphidium aculeatum (d’Orb.) Elphidium advenum Cush. Elphidium articulatum (d’Orb.) Elphidium complanatum (d’Orb.) Elphidium crispum (L.) Elphidium decipiens (Costa) Elphidium earlandi Cush. Elphidium flexuosum (d’Orb.) Elphidium macellum (F. e M.) Elphidium macellum (F. e M.) aculea¬ tum (Silv.) Elphidium subnodosum Miinster. Fam. Peneroplidae Peneroplis planatus Fich. Fani. Heterohelicidae Bolivinoides decussata Brady Amphimorphina tetragona (Costa) Fam. Buliminidae Buliminella multicamerata Cush. e Parker Bulimina aculeata d’Orb. Bulimina buchiana d’Orb. Bulimina elegans d’Orb. Bulimina elongata d’Orb. subulata Cush e Parker — 161 — (segue) Bulimina etnea Seg. Bulimina fusiformis Will. Bulimina fusiformis Will. marginata Forn. Bulimina infiala Seg. Bulimina marginata cTOrb. Bulimina ovata d’Orb. Bulimina ovula d’Orb. Bulimina pupoides d’Orb. Bulimina pyrula d’Orb. Virgulina complanala Egger Virgulina compressa (Bailey) Virgulina schreibersiana Czjz. Virgulina tennis (Seg.) Bolivina aenariensis (Costa) Bolivina alata Seg. Bolivina beyrichii Reuss Bolivina catanensis Seg. Bolivina dilatata Reuss Bolivina italica Cush. Bolivina pseudoplicata Her. All. e Earl. Bolivina punctata d’Orb. Bolivina pygmaea Brady Bolivina rhomboidalis (Millett) Bolivina spathulata (Will.) Bolivina tortuosa Brady Loxostomum adrianae Longinelli Loxostomum karrerianum (Brady) Reussella spinulosa (Reuss) U viger ina canariensis d’Orb. Uvigerina mediterranea Hofker Uvigerina peregrina Cush. Uvigerina pygmaea d’Orb. Uvigerina tenuistriata Reuss Rectuvigerina cylindroides n. sp. Rectuvigerina raricosta n. sp. Hopkinsina bononiensis (Forn.) Hopkinsina pacifica Cush. Siphonodosaria monilis (Silv.) 11 — 162 — (segue) SiphoTioclosaria monilis (Silv.) laevigata (Silv.) Siphonodosaria pyrula (d’Orb.) Angulo gerirla anguiosa ( Will.) Tri far ina hradyi Cush. Fam. Rotali idae Spirillina lateseptata Terquem Spirillina vivipara Ehrem. Patellina corrugata Will. Discorbis araucana d’Orb. Discorbis baconica (Hantken) Discorbis globularis d’Orb. Discorbis isabelleana d’Orb. Discorbis opercularis d’Orb. Discorbis orbicularis (Terquem) Discorbis patelliformis Brady Discorbis rosacea d’Orb. Discorbis simplex (d’Orb.) Valvulineria bradyana (Forn.) Gyroidina orbicularis d’Orb. Gyroidina soldanii d’Orb. Gyroidina umbonata (Silv.) Eponides haidingeri ( Brady) Rotalia beccarii ( L.) Rotalia beccarii ( L.) in fiata Seg. Rotalia papillosa Brady Rotalia orbicularis (d’Orb.) Epistomina elegans d’Orb. Cancris aurìculus F. e M. Eponides tenera Brady Siphonina reticulata Czjz. Fani. Calcarinidae Calcar ina calcar d’Orb. Fam. Cymbaloporidae Tretomphalus bulloides d’Orb. Sira¬ cusa Conca d’oro £ 4) Bel sabbia — 163 — (segue) Fam. Cassidulinidae Cassidulina crassa cTOrb. Cassidulina laevigata cTOrb. Cassidulina laevigata d’Orb. carinata Silv. Cassidulina subglobosa Brady Pseudo par r ella exigua ( Brady) Fam. Chilostomellidae Chilo stornella ovoidea (Reuss) Pullenia quinquelnba (Reuss) Pullenia sphaeroides d’Orb. Sphaeroidina bulloides d’Orb. Fam. Globigerin.dae Globigerina bulloides d’Orb. Globigerina concinna Reuss Globigerina inflata d’Orb. Globigerina pachiderma (Ehrem.) Globigerina quadriloba d’Orb. Globigerina regularis d’Orb. Globi gerinoides elongatus ( d’Orb.) Globi gerinoides ruber (d’Orb.) Globi gerinoides sacculifer ( Brady) Globigerinoides trilobus ( Reuss) Orbulina universa d’Orb. Orbulina bilobata (d’Orb.) Hastigerina pelagica (d’Orb.) Fam. Globorotaliidae Globorotalia micheliniana d’Orb. Globorotalia truncatulinoides (d'Orb.) Fam. Anomalinidae A nomai ina balthica (Sch.) Anomalina complanata (d’Orb.) Planulina ariminensis (d’Orb.) Sira¬ cusa Conca d’oro Belice Niz- zeti sabbia argille gialle argille azzurre sabbia tufi argille tufi argille — — — _ — — 164 — (segue) Sira¬ cusa Conca d’oro B e 1 i c e Niz- aeti sabbie argille gialle argille azzurre sabbie % argille 3 argille Planulina wiillerstorfi (Schw.) Laticarinina pauperata (Park, e Jon.) Cibicides bellincionii Giannini e Tavani Cibicides boueanus (d’Orb.) Cibicides dutemplei d’Orb. Cibicides floridanus (Cush.) Cibicides haidingerii d’Orb. Cibicides lobatulus (W. e J.). — — Cibicides praecinctus Karrer Cibicides pseudoungerianus (Cush.) Cibicides refulgens Montf. Cibicides ungerianus (d’Orb.) Cibicidella variabilis d’Orb. Farri. Planorbulinidae Planorbulina mediterranensis d’Orb. Acervulina inhaerens Schultze Gypsina vesicularis (P. e L.) 165 — ELENCO COMPARATIVO DEI MOLLUSCHI STUDIATI E DI QUELLI SEGNALATI PER ALTRE LOCALITÀ COEVE DELLA SICILIA Sira¬ cusa Acqua dei Corsari Belice : Palermo Nizzeli argille ■ argille gialle [azzurre GASTEROPODI Fani. Haliotidae Iialiotis lamellosa Lk. — Fani. Scissureillidae Scissurella aspera Ph. — Scissurella costata d'Orb. - — — Scissurella crispata Fieni. — Fani. Fissurellidae Emarginala conica Schum. Emarginala fissura ( L.) Emarginala elongata 0. G. Costa _ Emarginala solidula 0. G. Costa __ Diodora graeca (L.) Diodora italica Defr. __ Diodora gibherula (Lk.) Fani. Patellidae Patella caerulea L. Patella tarentina von Salis ___ Patella lusitanica Gml. Patella ferruginea Gml. Patella rouxi Payr. - Patella subplana Pot. e Mieli. — Fam. Acmaeidae Acmaea virginea ( Miill.) — Fani. Trgchidae Calliostoma conulum (L.) — - j - — 166 (segue) Sira¬ cusa Ac( dei C argille gialle ]ua orsari argille azzurre Belice Balenilo Nizzeti Calliostoma zizyphinum L. dilatata Monts. — Calliostoma cingulatum Br. — Calliostoma conuloides (Lk.) Calliostoma granulatum ( Born.) laeve Brugn. — - - ! Calliostoma jniliare (Br.) - - — Callistoma dubium (Ph.) Calliostoma laugieri (Payr.) — Calliostoma matonii Payr. - — Calliostoma exiguum Pulì. Calliostoma gravinae Mont. Calliostoma montagni (Woocl.) - - Cantharidus ( Jujubinus ) exasperatus (Penn.) — - - - Cantharidus ( Jujubinus ) striatus (L.) — - - - — Cantharidus depictus (Desh.) — Gibbula ( Forskalia ) fanulum (Gmel.) _ ■ . - ■ - Gibbuta magus (L.) — - - Gibbula magus (L.) fdiformis De Rayn. — - - Gibbula magus ( L.) producta B. D. D. — Gibbula turbinoides Desh. _ Gibbula guttadauri (Ph.) _____ Gibbula ardens (von Salis) _ Gibbula richardi Payr. _ Gibbula adriatica (Ph.) Gibbula villica (Ph.) _ _ _ Gibbula adamsoni (Payr.) _ ' Gibbula umbilicaris (L.) _ Gibbula varia (L.) Gibbula divaricata (L.) Gibbula racketti Payr. Cdanculus corallinus (Gml.) Clanculus cruciatus (L.) __ Clanculus jussieui ( Payr.) - _ 1 Clanculus tinei ( Cale.) — Monodonta turbinata ( Born) Monodonta articulata Lk. 1 _ I — 167 — (segue) Sira¬ cusa Acqua dei Corsari Bel ice : Palermo Nizzeti argille gialle argille azzurre Fani. Turbinidae Astraea ( Bolma ) rugosa (L.) ..... Astraea (Bolma) rugosa (L.) spinosa Brn. Turbo peloritanus Cantr. carinatus Cantr. — Turbo sanguineus L. - - Tricolia pullus L. — - _ Tricolia speciosa Miihlf. — Tricolia punctata Risso Fani. Rissoidae Rissoa variabilis ( Miihlf.) Rissoa similis Scacchi _ _ Rissoa oblonga Desm. — Rissoa pusilla Ph. — Rissoa ventricosa Desm. _ _ — Alvania cancellata (Da Costa) — _ — Alvania reticulata Mtg. — — - Alvania cimex (L.) — Alvania lactea Mich. _____ Alvania sarorcula Gran. _ Alvania weinkauffi (Schw.) — Alvania montagui Payr. - - Alvania subcrenulata (Schw.) — Alvania carinata Da Costa — Alvania rugosula Aradas — Manzonia costata (Adanis) Cingala obtusa Cantr. Pisinna punctulum Ph. _ _ Rissoina bruguierei ( Payr.) — Barleeia rubra Adams Fani. Hydrobiidae Truncatella subcylindrica (L.) Fam. Adeorbiidae Adeorbis subcarinatus (Mtg.) - - , 168 — (segue) Fam. Siceneopsidae Skeneopsis planurbis (Fabr.) Fam. Turritellidae Turritella biplicata Brìi. Turritella biplicata Brn. abystronicu Crema Turritella breviata Brug. Turritella communis Risso Turritella extincta frigida Monts. Turritella tricarinata Br. Turritella tricarinata Br. pliorecens Monts. Fam. Solariidae Solarium ( Torinia ) obtusum Bronn. Solarium fallaciosum Tib. Fam. Vermetidae V ermetus arenarius L. Vermetus arenarius L. dentiferus Lk. V ermetus semisurrectus Biv. Vermetus subcancellatus Biv. Vermetus horridus Montrs. Tenagodes anguina (L.) Fam. Caecidae Caecum trachea (Montg.) Fam. Cerithiidae Bittium reticulatum Da Costa Bittium reticulatum Da Costa conicum Cer. Ir. Bittium reticulatum Da Costa paludosum B. D. D. Sira¬ cusa Acqua dei Corsari argille gialle argille azzurre Belò Palermo Nizzeti — 169 — (segue) Bittium jadertinum (Brus.) Bittium lacteum (Ph.) Bittium latreillei ( Payr.) Cerithium submamillatum De Ray. e Ponzi Cerithium varicosum ( Br.) Cerithium varicosum ( Br.) pyramidalis Sacco Cerithium varicosum ( Br.) transiens Sacco Cerithium vulgatum Brug. Cerithium vulgatum Brug. alucastra Br. Cerithium rupestre Risso Cerithium pusillum (Jeffr.) Fam. Cerithiopsidae Cerithiopsis tuhercularis (Montg.) Cerithiopsis concatenata (Conti) Fam. Triphoridae Triphora perversa (L.) Triphora conoidalis Cer.-Ir. Fam. Scalidae Scala communis Lk. Scala spinifera (Seg.) Scala spinosa Bon. brugnonei De Boury Scala subtrevelyana Brugn. Scala gregorioi (De Boury) Scala frondiculaeformis Brug. Scala turtonae Turton Fam. Melanellidae Melanella bipartita Cer.-Ir. Strombiformis subulatus Donov. Fam. Pyramidellidae Chrysallida interstincta Mtg. Sira¬ cusa Acqua dei Corsari argille : argille gialle : azzurre Bel ice Palermo INizzeti — 170 — (segue) Acqua dei Corsari sira- : cusa ^ ... : argille : gialle argille azzurre Bel ire Palermo Nizzeti j Chrysallida interstincta Mtg. hicingulata Brug. 1 Phasianema costatum Br. Odostomia conoidea Br. Odostomia excavata (Ph.) — Odostomia turbonilloides Brus. - - Odostomia polita (Biv.) — Eulimella scillae Se. — Eulimella scillae Se. graciliturrita Sacco — - ! Melanella distorta (Desh.) — Turbonilla rufa (Phil.) — Turbonilla pusilla Ph. — Fani. Fossaridae Fossarus ambibuus (L.) - - Fam. Capui.idae Capulus hungaricus (L.) - - — — Fani. Calyptraetdae Calyptraea chinensis ( L.) i ’ Calyptraea chinensis (L.) depressa Wood — : Calyptraea chinensis (L .) squamulata Ren. - : — - Crepidula crepidula (L.) — Crepidula unguiformis Lk. Crepidula moulinsii Mich. Fani. Xenophoridae Xenophora crispa Konig trinacria Fisch. Fam. Aporrhaidae Aporrhais pes-pelecani (L.) — - - : — - - - - Aporrhais pes-pelecani (L.) alterutra Monts. - » Aporrhais mac-andreivi Jeffr. Aporrhais uttingerianus Risso — — 171 — (segue) Sira- : cusa Acqua dei Corsari argille : argille gialle : azzurre Bel ice Palermo 1 Nizzeti Fam. Naticidae Natica ( Nacca) millepunctata Lk. - — - - _ — — Natica (Nacca) millepunctata Lk. magno- panciata Sacco Natica (Nacca) millepunctata Lk. sangui- nolenta Brus. - - — Natica montacuti Forb. Natica undata Phil. * - ^ - Natica dillwyni Payr. — Natica guillemini Payr. ■ - Polynices (Naticina) catena subtruncata Sacco : - - - — Polynices (Naticina) fusca ( Blainv.) ; - : - - - Polynices (Naticina) helicina (Br.) - Polynices (Naticina) pulchella Risso - Polynices (Naticina) macilenta (Ph.) — Polynices (Payraudeautia) intricata (Do- nov.) - - — Polynices josephinia Risso . - - - - — — - Fam. Cypraeidae Erato laevis Donov. — — — - - I T rivia europaea (Mtg.) — - - « — Trivio europaea (Mtg.) major Phil. - — Trivia europaea (Mtg.) minor Mts. - - - Trivia pulex Gray. Amphiperas carnea Poir. “ — - Talparia (Luria) lurida (L.) — - Simnia spelta (L.) Fam. Cas.sididae : ; Cassidaria echinophora (L.) ; — - _ . _ _ _ | Cassidaria echinophora ( L.) dubia Cer.-Ir. — Cassidaria echinophora (L.) mutica B. D. D. _ Cassidaria echinophora (L.) suhnodulosa B. D. D. - - - 172 — (segue) Sira¬ cusa Acqua dei Corsari Belice : Palermo Nizzeti argille j argille gialle : azzurre Phalium sahuron Brug. ì Phalium sahuron Brug. platystomum Fani. Cymatiidae Argobuccinum giganleum Lam. — Cymatium c oftll ^attuti Ticini. Charonia nodifera (Lk.) — - - Charonia reticulata Blainv. — Cymatium cutaceum (L.) Fani. Bursidae Bursa ( Ranella ) gigantea Lk. — Fam. Muricidae Murex hrandaris L. ; - — - Murex pseudobrandaris D’Ano. : - Murex squamulatus Br. : - ivi ut ex trunciiiiis Lj. Murex trunculus L. conglobatili Mioht. : - - Murex vaginatus Jan. : - Murex eristatus (Br.) — Tritonalia erinacea (L.) — Tritonalia edivardsi Payr. — Tritonalia aciculata (Lk.) — Tritonalia aciculata Lk. minor Mts. — Pisania maculosa Lk. — Pisania d’Orbignyi (Payr.) — Hadriania craticulata ( Br.) ___ Trophon muricatus (Montg.) Trophon multilamellosus (Ph.) — Muricidea blainvillei Payr. inermis Phil. ; - Falli. COLUMBELLIDAE Columbella turgidula Br. Columbella suhulata Br. subcarinata Cer.-Ir. : — 173 {segue) Sira¬ cusa Acqua dei Corsari argille : ar»hle gialle j azzurre B eli ce Palermo Nizzeli Columbella decollata Brus. Columbella scripta (L.) — Columbella rustica (L.) — Columbella gervillei (Payr.) Columbella minor (Scacchi) — Fam. Magilidae Coralliophila lamellosa (Jan.) - - Fam. Buccinidae Neptunea sinistrorsa (Desh.) ; « - - . - Euthria cornea (L.) - - - - — - - — Buccinum humphreysianum Benn. i - — Buccinum striatum Ph. — Fam. Nassidae Nassa asperula Br. — Nassa clathrata Born. ficaratiensis Mts. - : - - - — — Nassa limata Chemn . - - : - - — — Nassa musiva Br. crassesculpta Brugn. — — Nassa mutabilis (L.) — Nassa mutabilis (L.) in fiat a Lk. - — _ — Nassa mutabilis L. subinflata Cer.-Ir. — Nassa semistriata Br. — Nassa semistriata Br. edwardsi Fischer ■ - - — — — Nassa serrata Br. ; - Nassa serraticosta Brn. — Nassa costulata (Ren.) — Nassa reticulata (L.) - - Nassa varicosa (Turton) — Nassa subdiaphana Riv. — Nassa corniculum Olivi - - Nassa incrassata (Stròm.) - - Nassa monterosatoi Loc. - - Nassa gibbosula (L.) — Nassa ( Cyclope ) neritea (L.) — 174 (segue) Acqua dei Corsari Sira- 1 tUSU : argille : argille : gialle : azzurre Beliti© • Palermo Nizzeli Fani. Fasciolariidae Fasciolaria lignaria (L.) — - Fusus longiroster Br. - - Fusus pulchellus Phil. - — Fusus rostralus Olivi - - - Fusus lathyroides Di Bl. - - - Fusus rudis Ph. — Fani. Mitridae Mitra atava Bell. — — — Mitra ebenus L. plicatula Br. : - Mitra ebenus L. pyramidella Br. Mitra marini Lib. - Mitra turricula Jan. ■ - Mitra cornicula ( L.) — Mitra tricolor (Grill.) — Mitra savignyi Payr. — Mitra olivoidea (Cantr.) - - — Fam. Cancellariidae Cancellaria coronata Scacchi _ _ _ Cancellaria cancellata ( L.) — Fam. Marginellidae Persicula miliaria L. bifasciata Mts. — Cryptospira clandestina (Br.) — Cryptospira philippii Montrs. — Cryptospira secalina Ph. — Fam. Conidae Conus mediterraneus Brug. _ Drillia maravignae (Biv.) _ _ Turris undatiruga (Biv.) _ Cythara ambigua Brugn. j Cythara attenuata (Mtg.) _ Cythara attenuata ( Mtg.) tenuicosta Forb. j - __ 175 — {segue) Sira¬ cusa Acqua dei Corsari Belic-e- | Palermo Nizzeti argille- gialle argille- azzurre Cythara sccibriuscola Brugn. Cythara taeniata (Desh.) - - Philbertia anceps (Eichw.) ' - Philbertia cordieri Payr. — - Philbertia gracilis (Mtg.) — Philbertia hystrix Cristof. e Jan. — Philbertia purpurea (Mtg.) - - Philbertia stria Calcara _ Philbertia turritelloides Bell. __ Daphnella columnae Se. - =— Daphnella gracilis (Mtg.) — Daphnella stria Cale. — — Daphnella fuscata (Desh.) Daphnella gracilis (Montg.) - - Mangelia vanquelini (Payr.) Mangelia costata (Donov.) Mangelia derelicta (Rev.) __ : Mangelia fieldeni Montrs. __ i Mangelia leufroyi (Mich.) -- ; Mangelia reticulata (Ren.) - Mangelia cordieri (Payr.) — Mangelia linearis (Montg.) _ Mangelia infinta De Crist. e Jan. - Mangelia rufa (Mts.) Mangelia secalina (Ph.) — Fam. Ringiculidae Ringicula auriculata Men. _____ Ringicula auriculata Men. buccinea Br. Ringicula auriculata Men. iuvenilis Sacco _ Ringicula ventricosa Sow. Ringicula conformis Montrs. — Fam. Actaeonidae Actaeon tornatilis (L.) — : _ — — 176 — {segue) Sira¬ cusa Acqua dei Corsari argille gialle argille azzurre Bel ice Palermo Nizzeti Fani. Tornatinidae Tornatina umbilicata (Montg.) Tornatina mamillata (Ph.) — Fam. Retusidae Volvula acuminata Brug. Fani. ScAPHANDRIDAE Cylichna cylindracea (Penn.) Sabatia utriculus Br. Scaphander lignarius (L.) SCAFOPODI Fam. Dentaliidae Dentalium brugnonei Monts . Dentalium dentale L. Dentalium vulgare Da Costa Dentalium novemcostatum Lk. Dentalium novemcostatum Lk. duodecim- costatum Sacco Dentalium novemcostatum Lk. tredecim- costatum Sacco Dentalium rectum L. _ _ _ Dentalium variabile Desh. Dentalium agile M. Sars Dentalium entalis ( L.) Siphonodentalium quinqueangulare (Forbes) LAMELLIBRANCHI Fani. Nuculidae Nucula decipiens Phil. Nueula nitida Sow. Nucula nucleus (L.) — 177 — (segue) Sira¬ cusa Acqua dei Corsari argille : argille gialle : azzurre Bel ice Palermo Nizzeti Nucula nucleus (L.) radiata Forbes _ Nucula piacentina Lk. — — - — — — Nucula piacentina Lk. perelliptica Sacco Nucula sulcata Brn. Fani. Ledidae Leda commutata Ph. - — Leda fragilis Chemn. : - - — Leda fragilis Chemn. calatabianensis Seg. — Leda fragilis Chemn. consanguinea Bell. — Leda pella (L.) — Fam. Arcidae I Arca barbata L. _ _ _ - Arca diluvii Lk. - - - — — Arca imbricata Poli — - Arca lactea L. — — - Arca noae L. ; — - Arca pectunculoides Scacchi Arca polii Mayer Arca subantiquata d’Orb. Arca tetragona Poli - : - — Fam. Glycymeridae Glycymeris bimaculata Poli __ _ Glycymeris glycymeris (L.) — - - — Glycymeris insubricus ( Br.) __ Glycymeris lineatus (Ph.) __ Glycymeris transversa Lk. _ Glycymeris violacescens Lk. _ _ L__ _ _ Glycymeris pilosus ( L.) — Fani. Limopsidae Limopsis aurita (Br.) : _ Limopsis minuta (Ph.) — 12 178 (segue) Acq dei Ci Sira- : cusa : ■ argille : gialle [ua orsari argille azzurre Bel ice Palermo Nizzeli Fani. Mytilidae Crenella sericea Bronn. - - : Mytilus gallo provincialis Lam. - — - — — Mytilus galloprovincialis Lam. herculea Monts. Modiola barbata Lk. — - - Mytilaster minimus Poli — Lithophaga lithophaga ( L.) — Fani. PiNNIDAE Pinna pedinata L. Pinna pedinata L. brocchi i cTOrb. — Fam. Pectinidae Chlamys clavata Poli Chlamys opercularis L. ____ : _ — — Chlamys opercularis L. audouini Payr. _ _ _ _ - Chlamys opercularis L. laevigatoides Sacco Chlamys opercularis L. lineolata Wood _ Chlamys opercularis L. sanguinea Se. Àequipeden hystrix Dod-Meli tricostulata Tarn. Chlamys flexuosa Poli Chlamys flexuosa Poli biradiata Tib. — — Chlamys flexuosa Poli percolligens Sacco Chlamys flexuosa Poli pyxoidea Loe. _ Chlamys inflexa Poli — Chlamys inflexa Poli dumasii Payr. _ _ Chlamys inflexa Poli subseptemradiata Sacco Chlamys multistriata Poli — _ Chlamys multistriata Poli binicostata Sacco _ Chlamys multistriata Poli striatura Wood Chlamys incomparabilis Risso — 179 — (segue) Acqua dei Corsari Sira- : i> i : : Belice CUSa : argille : argille ! : gialle : azzurre; Palermo Nizzeti Chlamys septemradiata Muli, subclavata Cantr. : - Chlamys varia L. — Pecten (Vola) jacoboeus L. - : : — - — ; - - - Pecten striatus Miill. Spondylus gaederopus L. — Fam. Anomiidae Attornia ephippium L. - i - ! - - — - Attornia ephippium L. aspera Phil. Attornia ephippium L. cepa L. — — — Attornia ephippium L. electrica L. — Attornia ephippium L. hórnesi For. - ' ■ Attornia ephippium L. membranacea Lk. — Anomia ephippium L. patellaris L. - _ Anomia squamula L. - - Monia patelliformis (L.) LJ-» Fam. Ostreidae Ostrea cochlear Poli Ostrea cristata Borri. — Ostrea cyrnusii Payr. — Ostrea edulis L. - ; - - Ostrea lamellosa Br. — Lopha stentina Pr. — Fam. Limidae Lima lima (L.) - - — Lima subovata Jeffr. — Limatala nivea Br. — Limatula hians Gml. — Mantellum inflatum (Chemn.) - - - Fam. Astartidae Astarte bipartita (Ph.) — - A starle fusca Poli 1 - : - ! {segue) Sira- : cusa Acqua dei Corsari Belici© • Palermo N izzeti argille • argille gialle | azzurre Astarte sulcata (Da Costa) __ Astarte digitarla (L.) — — - Fam. Carditidae Cardita aculeata Poli : _ — _ Cardita corbis Phil. — Cardita elata B. D. I). Cardita sulcata Brug. - - — _ Cardita calyculata (L.) — - Fani. IsOCARDIIDAE Isocardia cor L. - Fam. Cyprinidae Cy prilla islandica (L.) - — Fam. Ungulinidae Diplodonta apicalis Ph. — Di.plnd.nnta rntii.ndat.a Mnntg i - - ! Fam. Erycinidae Galeomna turtoni Sow. Scucchia elliptica Scacchi i Solecardia recondita Fisch. ; - Fam. Lucinidae : Divaricella divaricata (L.) Loripes lacteus Poli : _____ Myrtea spinifera (Montg.) _ _ Lucina tranversa Brn. _ _ Lucina fragilis Phil. _ Lucina ( Dentilucina ) borealis L. _ , _ _ : _ _ _ Lucina bipartita Phil. : - — — 181 — (segue) Fam. Chamidae Chama gryphoides L. Chama piacentina Defr. Chama piacentina Defr. unicornaria Lk. Fam. Cardiidae Laevicardium norvegicum (Spengi.) Laevicardium norvegicum Spen. gibhum Jeffr. Laevicardium norvegicum Spen. mediter- raneum B. D. D. Laevicardium norvegicum Spen. rotun- dum Jeffr . Laevicardium ohlongum Chemn. Cardium erinaceum Lk. Cardium paucicostatum Sow. Cardium deshayesi Payr. Cardium aculeatum L. Cardium tuberculatum L. muticum B.D.D. Cardium echinatum L. Cardium echinatum L. propexum Monts. Cardium mucronatum Poli Cardium obliquatum Aradas Cardium ( Ringicardium ) hians Br. Corculum minimum Phil. Corculum papillosum (Poli) Corculum papillosum (Poli) dertonense Micht. Corculum papillosum Poli pertransver- sum Sacco Corculum papillosum (Poli) transversum Cer. Fam. Veneridae Gouldia minima Mtg. Goul dia minima Mtg. elongatella Sacco : Sira¬ cusa Acq dei Ci argille gialle [ua arsari argille azzurre Beli ce Palermo Nizzeti - - - — - - — — i - | . . . 182 (segue) Sira¬ cusa Acq dei Ci argille gialle [ua orsari argille azzurre Bel ice Palermo Nizzeti Gouldia minima Mtg. rotondula Cer.-Ir. Meretrix ( Pitar ) rudis (Poli) — — - - - - — - Meretrix (Pitar) rudis (Poli) radiata B. D. D. — Meretrix (Pitar) rudis (Poli) rugata Loc. — - Meretrix (Pitar) rudis (Poli) scripta Bru- sina - - — Meretrix (Callista) chione L. - - - - - - - - Meretrix (Callista) chione L. elongata B. D. D. — Dosinia linda (Pult.) — Dosinia exoleta (L.) Dosinia lupinus (L.) - _ Dosinia lupinus (L.) ficaratiensìs Gign. — - - - — - — - - — Venus (Clausinella) fasciata Da Costa — - — - - — Venus fasciata Da Costa hrogniarti Payr. — Venus fasciata Da Costa raricostata Jeffr. — Venus fasciata Da Costa scalaris Bronn — Venus (Timoclea) ovata Penn. — — - - Venus (Timoclea) ovata Penn. trigona Jeffr. - - Venus (Timoclea) ovata Penn. paucico- stata B. D. D. — - — Venus (Timoclea) ovata Penn. transversa B. D. D. — Venus (Ventricolo) cosina L. — - Venus (Ventricolo) casino L. aradasii B. D. D. Venus (Ventricolo) verrucosa L. — - - - - - Venus (Ventricolo) multilamella Lk . — — — Venus multilamella Lk. horyi Desh. — - - Venus multilamella Lk. perlamellosa Sacco — — Venus ( Ventricolo) lamellosa De Rayn. — Venus (Chamelaea) gallina L. — Venus (Chamelaea) gallina L. laminosa Laskey - - — Venus (Chamelaea) gallina L. striatula Da Costa - - — ■ — 183 — (segue) Sira¬ cusa Acqua dei Corsari argille argille B elice Palermo Nizzeti gialle azzurre Tapes rhomboides Penn. Tapes rhomboides Penn. edulis Chemn. Tapes rhomboides Penn. major B. D. D. Tapes rhomboides Penn. calabrensis Gign. Tapes ( Pullastra ) aureus Gm. major — — ■ - B. D. D. — - Tapes ( Pullastra ) aureus Gm. pulchel- la Lk. - — Fam. Petricolidae Mysia undata (Penn.) - - Fam. Mactridae Mactra subtruncata Da Costa Mactra subtruncata Da Costa longecauda- - - — — ta Cer.-Ir. Mactra subtruncata Da Costa triangula - — Ren. - — Lutraria lutraria (L.) Lutraria elliptica Lk. _ — Fam. Mesodesmatidae Ervilia castanea (Montg.) — ~ Fam. Donacidae Donax venustus Poli Donax politus (Poli) — Fam. Psammobiidae Psammobia faeroeensis Chemn. Psammobia faeroeensis Chemn. elongata — - - — — Jeffr. Psammobia depressa Penn. Psammobia tellinella Lk. — Solenocurtus strigillatus ( L.) _ Solenocurtus antiquatus Pultn. — - — — - — 1 — 184 — (segue) : Sira¬ cusa Acq dei C argille gialle [ua orsari argille azzurre Beli ce : Palermo Nizzeti Solenocurtus antiquatus Pultn. transversa B. D. D. : - Solenocurtus candidus Ren. - : - - Solenocurtus multistriatus Scacchi - - Fam. ScROBICULARIDAE Syndesmya alba Wood — Syndesmya alba Wood apesa De Greg. — Syndesmya anguiosa Ren. — Syndesmya longicallus Scacchi — Syndesmya prismatica Montg. : - — Fam. Tellinidae Tellina cumana Da Costa aroda De Greg. - - Tellina serrata Ren. - — — — ! - — — Tellina pulchella Lk. Tellina distorta Poli : - — Tellina distorta Poli prismaticopsis De Greg. - - Tellina incarnata L. • — — - - - Tellina donacina (L.) : — - — Tellina compressa (Br.) : - : - Tellina perf rigida De Greg. - — — - - : Tellina planata L. - : Tellina crassa (Penn.) plioitalica Sacco - 1 Tellina pusilla Ph. — Arcopagia balaustina L. — — . . Fani. Solenidae Ensis ensis L. : ; — — — - Ensis ensis L. minor Réq. " - : Fam. Saxicavidae Panopaea glycymeris (Born) faujasi Mén. _ Panopaea norvegica Spengi. - - Saxicava arctica (L.) — — (segue) Sira¬ cusa Acq dei C< argille; gialle : ua arsari argille azzurre Belice : Palermo ^izzeti Fani. Aloididae Aloidis gihba (Olivi) - - __ — __ Aloidis gibba (01.) conglobata Mts. — — - ; - Aloidis gibba (Oì.) curia Loc. ; - — Aloidis gibba (01.) rosea Brown Aloidis mediterranea (Costa) — Fam. Myidae Mya truncata L. — - Fam. Gastrochaenidae Gastrochaena dubia Penn. : — — Fam. Pandoridae Pandora obtusa Leach. Fam. Thraciidae 1 | Thracia convexa Wood Thracia pubescens (Puit.) — : - — Thracia papyracea Poli — Fam. Laternulidae ! Cochlodesma praetenue ( Pult.) — Fam. Clavagellidae Clavagella bacillum Br. - - ; _ 1 Clavagella bacillum Br. bacillaris Desìi. — 1 Fam. Pholadidae ; i Pholas dactylus L. Fam. Cuspidariidae Cuspidaria cuspidata (Olivi) — Tav. I. Fig. 1 » 2 » 3, 4 » 5 » 6 » 7 » 8 » 9, 13 » 10 >.- 11 » 12 » 14 » 15 » 16, 17 — Textularia sagittula Defr. ( x 28) — Bigenerina nodosaria d’Orb. ( x 38) — T extulariella barrettii (J. e P.) ( x 30) — Textularia aciculata d’Orb. ( x 40) • — Textularia concava Karrer ( x 55) — Textularia trochus d’Orb. ( x 28) — Spiroplectammina wrighti (Silv.) ( x 60) — Cornuspira foliacea Phil. ( x 30) — Hauerina bradyi Cush. ( x 75) — Cornuspira involvens Reuss ( x 33) — Wiesnerella auriculata (Egger) ( x 55) — Planispirina sphaera (d’Orb.) ( x 62) — Quinqueloculina stelligera Schl. ( x 60) — Spiroloculina grata Terq. ( x 62) Boll. Soc. Naturai, in Napoli, 1960. Monch\rmont Zei M. Contriti. Pleist. Sic., Tav. I. 9 3 4 5 6 7 8 10 11 12 Tav. 11. — Quinqueloculina duthiersi Schl, ( x 20) — Quinqueloculina contorta d’Orb. ( x 20) — Quinqueloculina disparilis d’Orb. ( x 45) - Quinqueloculina seminulum ( L.) ( x 20) — Quinqueloculina longirostra d’Orb. ( x 28) — Quinqueloculina lamar chiana d’Orb. ( x 28) — Quinqueloculina ondulata d’Orb. ( x 38) — Quinqueloculina vulgaris d’Orb. ( x 20) Quinqueloculina padana Pere. ( x 50) — Massilina secans (d’Orb.) ( x 18). Fig. 1 » 2 » 3 » 4 » 5 » 6 » 7 » 8 » 9 » 10 « 1] » 12 » 13 » 14 » 15 Tav. III. — Quinqueloculina seminulum ( L.) jugosa Cusli. ( x 35) Quinqueloculina reticulata d’Orb. ( X 54) — Sigmoilina celata Costa ( x 35) — T riloculi na circularis Boni sublineata Brady ( x 50) — Triloculina laevigata d’Orb. ( x 28) — Pyrgo vespertilio (Sebi.) ( x 20) — Spiroloculina affixa Terq. ( x 35) — Pyrgo depressa (d’Orb.) ( x 50) — Triloculina circularis Boni. (x40) — Triloculina trigonula (Lk.) ( x 35) — Spiroloculina canaliculata d’Orb. ( x 40) — Spiroloculina depressa d’Orb. ( x 40) — Byrgo borchi (Silv.) ( x 20) — Pyrgo elongata (d’Orb.) ( x 30) — Spiroloculina excavata d’Orb (x27) * Boll. Soc. Naturai, in Napoli. 1960. Moncharmont Zei M. Contrib. Pleist. Sic.. Tav. ITI. Tav. IV. Fig. 1 » 2, 7 » 3 » 4 » 5 » 6 » 8. 9 » 10 » 11 » 12, 13 » 14-17 » 18-20 Bulirnina elegans d’Orb. marginata Forn. ( x 60) B liliali nella multi camerata Cush. e P. ( x 60) Bulirnina fusiformis Will. marginata Forn. ( x 80) — Bulirnina ovata d’Orb. ( x 75) Angulo gerirla anguiosa Will. ( x 60) Bolivina aenariensis ( Costa) ( x 65) — Uvigerina peregrina Cush. ( x 60) — V irgulina complanata Egger ( x 65) — Uvigerina tenuistriata Reuss ( x 75) — Hopkinsina bononiensis Forti. ( x 80) Rectuvigerina cylindroides n. sp. ( x 80) — Rectuvigerina raricosta n. sp. ( x 75) . *£ Boll. Sor. Naturai, in Napoli, 1960. Monc.harmont Zei M. Contri!). Pleist. Sic., Tav. IV Tav. V. FU » » » « » » » » » » » » 1 Marginulìna filicostata Forn. ( x 35) 2 — Lagena crenata P. e J. ( x 73) 3 — Lagena striata (d’Orb.) ( x 55) 4 — Dentalina aciculata (d’Orb.) ( x 65) 5 — Lagena fasciata (Egger) ( x 60) 6 — Lagena acuticosta Reuss (x70) 7 — Lagena pseudorhignyana Burli. ( x90) 8 — Lagena staphyllearia (Schw.) ( x 65) 9 — Lagena orhignyana Seg. laciniata Burr. e Holl. ( x 80) 10 — Lagena inaequilateralis ( Wriglit) ( x 55) 11 — Elphidium decipiens (Costa) ( x 70) 12 — Elphidium articulatum (Costa) ( x 80) 13 — Globulina gibba d’Orb. tuberculata d’Orb. ( x 73) 14 — Globulina gibba d’Orb. myristiformis (Will.) ( x 68) 15 — Guttulina problema d’Orb. ( x 35) 16 — Bulimina costata d’Orb. ( x 68) 17 — Bulimina marginata d’Orb. ( x 80) 18 Bulimina ovula d’Orb. ( x 58). Boll. Soc. .Naturai, in Napoli, i960. Moncharmont Zei M. Contrib. Pleist. Sic., Tav. V. Tav. VI. Fig. . » » » » » » » » » » » » » 1 2 . _ 3, 10 - 4, 5 — 6 8 - 9 - 11 — 12 — 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - Discorbis globularis ( d’Orb.) ( x 60) Discorbis baconica (Hantken) (x80) Spirillina vivipara Ehremb. ( x 90) Epistomina elegans (d’Orb.) ( x 65) Siphonodosaria pyrula (d’Orb.) ( x 35) Cassidulina laevigata d’Orb. carinata Silv. (x70) Cibicides bellincionii Gian, e Tav. ( x 40) Cibicides lobatulus (W. e J.) ( x 30) Globigerina infiala d’Orb. ( x 25) Globi gerinoides sacculifer (Brady) ( x 55) Anomalina balthica Schr. ( x 45) Globorotalia truncatulinoidcs (d’Orb.) ( x 72) Planorbulina mediterranensis d’Orb. ( x 60) Globigerinoides elongatus (d’Orb.) ( x 65) Acervulina inhaerens Schi, ( x 65) Boll, Soc. Naturai, in Napoli, 1960. Moncharmont Zei M. Contri!). Pleisl. Sic., Tav. VI Tav. VII. Pi or. )) )) )) « )) )) » )) » 1 — Gibbuta magus (L.) ( x 1,3) 2 — Gibbuta fanulum (Gml.) ( x 1,3) 3 — Calliostoma cingulatum Br. (gr. nat.) 4 — C'Miostoma conulum (L.) ( x 1,7) 5 — Turritella communis Risso ( x 1,4) 6 — Turritella tricarinata Br. ( x 1,4) 7 — Scala spinifera Seg. ( x 1,7) 8 — Scala spinosa Bon. brugnonei De Boury ( x 1,7) 9 — Calyptraea chinensis L. squamulata Ren. ( x 1.5) 10 — Aporrhais pes-pelecani (L.) ( x 1,2) 11 — Cerithium varicosuni (Br.) ( x 1,4) 12 — Crepidula crepidula (JL.) ( x 1,5) 13 — Polynices josephinia Risso ( x 1,5) 14 — Polynices fusca (Blain.) ( x 1,4) 15 — Polynices pulchella Risso ( x 1,5) Boll. Soc. Naturai, in Napoli. 1960. Moncharmont Zei M. Contrib. Pleist. Sic., Tav. VII. Tvv. VITI. Fig. » » » » » » h » 1, 2 • — Natica millepunctata Lk. (gr. nat.) 3 — T rivia europaea Mtg. ( x2) 4, 6 — Cassidaria echinophora (L.) (gr. nat.) 5 — Hadriania craticulata (Br.) ( x 1,5) 7 — Nassa clathrata Born. ftcaratiensis Mont. ( x 1,4) 8, 9 — Nassa limata Chemn. ( x 1,4) 10 — Cancellaria coronata Scao. (xl,7) 11 — Mitra atava Bell. ( x 1,4) 12 — Scaphander lignarius (L.) ( x 1,4) Boll. Soc. Naturai, in Napoli. 1960. Moncharmont Zei M. Contriti . Pleist. Sic., Tav. Vili. Tav. IX. Glycymeris glycymeris ( L.) (gr. nat.) Glycymeris pilosus (L.) (gr. nat.) Arca diluvii Lk. ( x 1,3) Chlamys multistriala Poli ( gr. nat.) Cldamys flexuosa b ir ad iuta Tib. ( x 1.5) Chlamys flexuosa Poli ( x 2) Boll. Soc. Naturai, in Napoli, 1960. Moncharmont Zei M. Contrib. Pleist. Sic., Tav. IX Tav. X. Fig. 1 — Clilamys opercularis ( L.) (gr. nat.) » 2 — Chlamys opercularis (L.) laevigatoides Sacco (gr. nat » 3 — Astarte fusca Poli ( x 1,5) » 4 — Lucina borealis L. ( x 1,3) » 5 — Cardium deshayesi Payr. (gr. nat.) » 6 — Dosinia lupinus (L.) ( x 1,2) » 7 — Lucina fragilis Phil. ( x 1,2) » 8 — Corculum papillosum Poli transversum Cerulli ( x 1,5 Boll. Sor. Naturai, in Napoli. 1960. Moncharmont Zei M. Contri]). Pleist. Sic., Tav. X Tav. XI. » » » » » 1 — Ostrea lamellosa Br. (gr. nat.) 2 — Venus ovata Perni, paucicostata B.D.D. ( x 2) 3 — Venus fasciata Da Costa ( x 1,5) 4 — Meretrix rudis (Poli) ( x 1,5) 5 — Arcopagia balaustina L. ( x 1,5) 6 — Laevicardium oblongum Chenm. ( x 1,2) Boll. Soc. Naturai, in Napoli, 1960. Moncharmont Zei M. Coni rii). Pleisl. Sic., Tav. XI. Tav. XII. Cyprina islandica ( L.) ( gr. nal Tav. XIII. Fig. 1 Cardium tuberculatum L. muticum B.D.D. ( gr. » 2 Cardium mucronatum Poli (gr. nat.) » 3 - Aloidis gibba Olivi conglobata Monter. ( x2) » 4 — Meretrix chiane Lk. elongata B.D.I). (gr. nat.) » 5 V enus casino L. ( x 1,2) 6 ■— V enus verrucosa L. ( x 1,3). nai. ì Boll. Soc. Naturai, in Napoli. 1960. Moncharmont Zei M. Contrib. Pleist. Sic., Tav. XIII. Tav. XIV. Fig. 1 « 2 » 3 » 4 » 5 » 6 » 7 — Solenocurtus ariti quatus Pultn. (gr. nat.) — Tapes rliomboides Perni. ( x 1,3) — Solenocurtus strigillatus (L.) ( x 1.2) — Tellina serrata Ren. ( x 1,5) — Lutraria lutraria ( L.) ( gr. nat.) — Dentalium r ectum L. (gr. nat.) Dentai ium vulgare Da Costa ( gr. nat.). Boll. Soc. Naturai, in Napoli, I960. Moncharmgnt Zei M. Contrih. Pleist. Sic., Tav. XIV. Su alcuni ittiodontoliti rinvenuti nei calcari terziari a Pettinidi di Pietraroia (Benevento). Nota del socio DOMENICO FRANCO (Tornata del dì 2f> novembre i960) « La Terra è un vasto cimitero, in cui le rocce sono pietre tombali, sulle quali i morti stessi, che sono sepolti, hanno scritto la loro epigrafe ». L. Agassiz Introduzione. Da qualche anno seguo con interesse i lavori di scavo che la Ditta P. Massarelli, da Cerreto Sannita, pratica in una cava di pie¬ tra da taglio, sita in contrada Canàio , a pochi metri dall’abitato di Pietraroia (Tav. I). Mi è stato alquanto facile raccogliere, durante gli scavi stessi o dopo l’esplosione di numerose mine, diversi denti di pesci, insieme con altri avanzi fossili. L’aver rinvenuto, tra questo materiale, in mi¬ sura prevalente degli ittiodontoliti, appartenenti alle Fam. Lamnidae , Carchariidae ed alcune piastre dentarie di Myliobatidae , tra gli Elasmob ranchi, ed altri ancora di Chrysophrys, tra i T eleostorni, mi ha indotto ad approfondire gli studi ed ha reso più proficue e più fruttuose le mie ricerche paleontologiche. Lo scopo che intendo raggiungere con il presente lavoro è quello di illustrare la piccola ittiofauna da me rinvenuta, augurandomi nello stesso tempo che il mio modesto contributo possa riuscire utile a far stabilire meglio l’ambiente di deposito e l’orizzonte geologico dei cal¬ cari terziari a Pettinidi di Pietraroia. Formerà oggetto, poi, di un’altra mia nota la descrizione dei ri¬ manenti avanzi fossili, rinvenuti in località Canàio , e che non sono stati da me ancora bene identificati, dato il loro cattivo stato di con¬ servazione. — 188 Infine, aggiungo che il prol. G. D’Erasmo, informato da me circa il ritrovamento di tali avanzi fossili, mi ha invogliato, come sempre, alla ricerca e, con affettuosa premura, mi è stato ricco di suggeri¬ menti e di preziosi consigli. Compio, perciò, il gradito dovere di rendergli i sensi della mia stima e di esprimergli nel contempo la mia viva gratitudine. I. - Generalità. a) Cenni storici. In una delle più elevate posizioni alpestri dei contrafforti del M. Mutri, all’estremo Sud-Ovest del complesso montuoso del Matese, quasi vigile sentinella della bella ed aprica valle di Cusano Mutri, sorge, a 857 m s. 1. m., il paesello di Pietraroia, così chiamato per gli strati rocciosi calcarei riccamente impregnati di ossidi di ferro (Pietra-roja = Pietra-rossa). La valle è profondamente incisa dal tor¬ rente Titerno, il quale raccoglie le acque degli impetuosi e ripidi valloni che vengono alimentati dalle varie ed abbondanti sorgenti, confluenti non solo dalle pendici meridionali del M. Mutri, ma anche dalle alture circostanti Pietraroia, dai Monti Palombaro, Crosco, San- tangiolillo, nonché dai Colli siti a meridione ed ad oriente della citta¬ dina stessa. Tali monti, insieme ad altri vicini (Erbano, Cigno, Mon- talto, Cipponeto, Pescoramando, ecc.), circoscrivono la vallata, che mostra, in alto, le assise calcaree mesozoiche e, digradando verso il fondo, un vero mosaico di terreni terziari (1). (1) La singolare conformazione del bacino idrografico nel primo tratto di tale corso d’acqua spiega, secondo me, la etimologia del nome Titerno. Esso, infatti, è originato dalla confluenza di tre terne (ter terna) di valloni che precipitano con corso torrentizio, alquanto accentuato, dai monti Palombaro, Santa Croccila, Defensa e da quelli a nord di Pietraroia. Più precisamente i nove valloni costitui¬ scono i tre seguenti gruppi, ognuno dei quali, a sua volta, è formato da tre corsi d’acqua, confluenti tutti nel medesimo punto. Così il primo gruppo è costituito dai valloni Torta, Pesco Rosito (dalle contrade omonime) ed Agno di Ferro (dalla sor¬ gente omonima), che provengono dal M. Palombaro e confluiscono formando un corso solo detto dei Tre Valloni. I valloni Santa Crocella e Lavina (dalle contrade omonime) e la Fontana Petrosa (dalla sorgente omonima), poi, scendendo dal Passo di Santa Crocella, si immettono nei Tre Valloni. I sei corsi d’acqua, in tal mòdo — 189 — La contrada Canàla si estende a Nord-Est della contrada le Caverò, da cui dista circa 500 metri ed ad Ovest della contrada Valle Antica (Tav. I, figg. 1 e 2). Gli strati dei calcari terziari della cava, in parola, appartenenti alla formazione « Cusano » del Selli, sono inclinati di circa 25°, in direzione Sud-Est, e sono dello spessore, quasi costante, di metri 4-5. Nel versante sinistro della contrada, invece, prevale la formazione di « Pietraroia » del Selli, caratterizzata da potenti ammassi di argille verdastre e da scisti argillosi che, spesso se non sempre, sono la causa dei vasti franamenti che si verificano nella zona. La formazione di « Longano » del Selli, infine, è visibile più presso Cusano Mutri che a Pietraroia, ove gli atmosferili l’hanno quasi completamente asportata. Numerosi autori si sono interessati, sia dal punto di vista geo¬ logico che da quello paleontologico e stratigrafico, di Pietraroia. Ci¬ terò, per brevità ed in ordine cronologico, i nomi di Breislak, di Pilla, di A. Scacchi, di 0. G. Costa, del Di Stefano, del Bassani, del Cassetti, del Parona, del De LorExNzo, del D’Erasmo, che si sono interessati prevalentemente dei calcari mesozoici ; mentre il Selli, il Manfredini, lo Jacobacci, il Marchesini, lo Scarsella, il Lazzari, il Lipparini ed altri ancora hanno apportato con i loro lavori nuova luce al vasto « hiatus » esistente tra il cretacico medio inferiore ed il miocene medio (2). b) Proprietà chimiche della roccia della « Canàla ». La composizione chimica percentuale, determinata su diversi cam¬ pioni di calcare terziario a Pettinidi, prelevati nella cava, ha dato i seguenti valori medi : ottenuti, originano un grande vallone che è più noto col nome di Vallone Camposcia- ro. Infine in quest’ultimo confluisce il terzo gruppo, dato dai Valloni Rio Fosco (dalla sorgente Acqua dei Gamberi), Colle della Corte (contrada omonima). Rio Selva (dalla sorgente Moroncelli). Dalla confluenza di queste tre terne di Valloni nasce il Titerno , che, lungo il suo percorso nella valle di Cusano, riceve altri affluenti, tra cui i più importanti sono: Acqua Calda, Torbido, Reviola, Valle Antica. — Cfr. anche il mio lavoro « 1 fenomeni carsici di M. Cigno, in Boll. Soc. Nat., Voi. LXV. Napoli, 1957. (2) Per una bibliografia completa sugli studi fatti nella zona di Pietraroia confr. Bibliografia geologica d’Italia, Voi. Ili: Campania. Tip. Genovese, Napoli, 1958, di G. D’Erasmo e M. L. Benassai Sgadari. 190 — Residuo insolubile . . , . 0,50 Fe2G3 . 0,08 A1203 . . 1,60 CaO . 53,68 MgO . 1,40 C03 . 42,60 H20 . 0,18 Totale 100,04 L’bLO è stata ricercata con il metodo di Brusch-Penfield, men¬ tre la C02 è stata calcolata con la perdita al fuoco e dosata con il ealcimetro ERBA. Calcolando i rapporti molecolari si ha : CaO 0,958 co2 0,958 MgO 0,035 co2 0,035 co2 0,992 C02 totale 0,993 La roccia, perciò, risulta costituita dal 95,80% di CaC03 e dal 3,50% di MgC03. Il biossido di titanio è stato ricercato colori metricamente, ma non ba dato reazione positiva. c) Caratteri litologici. La pietra della contrada Canàla è un calcare compatto, lieve¬ mente marnoso e poco magnesifero, di colore prevalentemente bianco grigiastro o bianco avana, molto fossilifero per gli abbondanti macro- e microfossili fortemente cementati alla massa calcarea e talvolta spa- tizzati (Tav. II). Essa presenta ottimi requisiti, come la compattezza, la durevolezza, la resistenza alLazione meccanica ed agli atmosferili, nonché una frattura scheggiosa. Può essere facilmente pulimentata (3) e perciò viene molto richiesta dall’industria che la usa in sostitu- (3) Infatti, la roccia acquista la pulitura dopo la I'a, la IIa, la IIIa mola, formata da SiC e cemento Lafarge. Per la maggior parte delle altre rocce, come è noto, occorre ancora la IVa mola, costituita da segmenti di gomma lacca. Ciò vale in special modo per i marmi verdi, che sono sempre di difficile pulitura. Esteticamente la pietra della Canàla somiglia molto al « periato di Sicilia ». Cfr. per quest’ultimo: I marmi d’I¬ talia e la Scala delle qualità e varietà dei marmi italiani di Pieri M.. U. Hoepli. Milano (ediz. del 1950 e del 1954). — 191 zione del marmo, alquanto più costoso (4). Il peso specifico è di 2,8 e la durezza corrisponde a circa 3. d) Risultati micropaleontologicì. L’osservazione microscopica di numerose sezioni sottili, ottenute dai calcari terziari a Pettinidi della Canàla, mette chiaramente in evidenza una associazione microfaunistica che rientra fra le facies considerate di scogliera, comune alla base della trasgressione medio¬ miocenica dell’Abruzzo, del Matese e di altre zone dell’Italia meri¬ dionale. La presenza costante e frequente deWAmphistegina lessonii (d’Orb.) (5) (Tav. V, fig. 4), specie tipica di acque poco profonde e calde, denota un ambiente di scogliera corallina ed induce a cre¬ dere che il calcare miocenico debba probabilmente ascriversi al piano Langhiano e, forse, al livello superiore. Si notano ancora grossi Lilho- tamni e, fra i Briozoi (6), prevalgono i Cheilostomi ( Cellepore ), mentre non è sempre presente la Globoquadrina quadraria (Cush. e Eli.). Riassumo, come segue, i risultati ottenuti dall’osservazione mi¬ croscopica di numerose sezioni sottili : Briozoi ( Cheilostomi ) ff. Lithotamni (grossi) fi. Amphistegina lessonii fi'. Globoquadrina quadraria non sempre presente (4) Molte richieste vengono da Pietrasanta, Roma, Napoli, Barletta, Benevento, Bari, ed anche da alcune Ditte estere, in particolare dal Belgio e dalPAmerica. Il pavimento della monumentale e storica basilica di S, Sofia di Benevento, nonché alcuni saloni dell’Archivio storico e del Palazzo della Provincia della medesima città sono stati rifatti con la pietra della Canàla. (5) Per V Amphistegina Lessonii, cfr. principalmente i lavori seguenti: D’Or- bigny A. D. in Annales Se, Nat. sér. I, t. 7, p. 304, modéles n. 98, L’Ile de France (Mauritius), 1926. — Phleger F. B. and Parker F. L., Gulf of Mexico foraminifera , part. 2, foraminifera species. Mem. 46. Geol. Soc. American, p. 26, tav. 13-14; tav. 14, fig. 1, 1951. — Brada 0. L. Ecology of foraminifera in northeastern gulf of Mexico. Geol. Survey Professional Paper n. 274-G, p. 181, 1956.. — Ellis B. F. and Mes¬ sina A., Catalogue of foraminifera. Am. Mus. Nat. Hist. New York, 1940-1954. (6) Per i Briozoi, cfr. Buge F., Les Briozoaries du Néogene de VOuest de la France et leur signification stratigrafiqiie et paléontologique. Thése et mém. Mus, Hist, Nat., sér. C, tav, VI, p. 435, fig. 53, tav, 12, 1957, — 192 Macroscopicamente, poi, il calcare terziario a Pettinici! della Ca¬ llàia presenta resti di coralli e di echinidi, valve di grosse e piccole Ostree e di Pettinidi, gusci di qualche gasteropodo e qualche ittio- dontolito, tra cui, alquanto frequenti, quelli di Chrysophrys cfr. cincta Agassiz, che furono i primi ad attirare la mia attenzione. Tralascio per ora la descrizione degli altri resti fossili, soffer¬ mandomi di più sugli ittiodontoliti, perchè li ritengo di maggior rilievo. Le specie ittiolitiehe da me riscontrate e descritte nel presente lavoro sono le seguenti : ELASMOBRANCHII. Fani. L a m n i d a e. 1. Carcharodon megalodon Agassiz. 2. Odontaspis cuspidata Agassiz sp 3. Odontaspis contortidens Agassiz. 4. Oxyrhina Desori Agassiz. 5. Oxyrhina hastalis Agassiz. Fam. Myliobatidae. 6. Myliohatis crassus Gervais. Fam. Care li arii da e. 7. Hemipristis serra Agassiz. TELEOSTOMI. Fani. S p a r i d a e. 8. Chrysophrys cincta Agassiz. N. B. Non intendo affermare che questi siano i soli resti fossili che si possono trovare nei calcari terziari della contrada cc Canàla ». Sono convinto, invece, che un continuo controllo potrà mettere in luce documenti ancora più importanti o per lo meno più decisivi per la cronologia di questi terreni. Ho tralasciato la bibliografia delle specie descritte, perchè molto lunga ed ormai ben nota, mentre mi sono stati di grande ausilio i lavori delLAGASSiz, del Gervais, del Leriche, del Bassani, del Gem¬ ivi e ll aro M., del De Stefano, del D’Erasmo. — 193 - IL - Descrizione delle specie fossili. Fani. Lamnidae. Gen. Carcharodon Miiller et Henle. Carcharodon megalodon Ag. [L. Agassiz, Poiss. foss., voi. III. pag. 247, tav. XXIX, 1843]. (fig. 1 e 2 nel testo e Tav. Ili, figg. 1 e 2). L’esemplare che riproduco nella tav. Ili, in ottimo stato di con¬ servazione, è lungo mm 103. Conserva nella parte anteriore ancora Dente di Care harodon prospetto anteriore i 'H Fig. 1. intatto lo smalto, mentre, in quella posteriore, solo verso la punta un poco di esso è mancante. Si è conservata quasi interamente la seghettatura laterale, che presenta i denticelli alla distanza di 3/4 13 — 194 — di mm l’uno dall’altro. La radice, nel punto medio, è lunga mm 35 e larga, alla base della corona, mm 82, Lo spessore del dente decresce dalla radice alla punta: da mm 22 alla radice, a mm 18 al colletto, a mm 11 alla punta della corona. Questa, poi, presenta una lunghezza di mm 50 ed una larghezza variabile da mm 61, a mm 23, fino ad ar¬ rivare alla punta (vedi schizzo alle figure 1 e 2). Sezione trasversale A 0 1 Csl csj E u t Sezione trasversale C D - r oo £ l_s _ L Sezione trasversale E F Fig. 2. Il rinvenimento dei denti dello squalo in parola non è raro ; difficile, invece, è trovarli in buono stato di conservazione ed interi. L’esemplare riprodotto mi è stato gentilmente concesso per lo studio dal Dottor Bruno D’Argenio, da Benevento, al quale sono molto grato per avermi dato la possibilità di fotografarlo e misurarlo. Conservo ancora nella mia raccolta altri tre denti, però non in così buono stato e tutti da me rinvenuti nella cava della Canàla, — 195 — Gen. Odontaspis Agassiz. Odontaspis cuspidata Ag, sp. [L. Agassiz, Poiss. foss., voi. Ili, pag. 290, tav. XXXVII a, figg. 43-50, 1843]. (Tav. Ili, figg. 3 e 4). Il frammento, che riproduco nelle figg, 3 e 4 della Tav. Ili, ha la punta della corona mancante e la radice in parte visibile, mentre lo smalto è molto deteriorato. I margini non sono taglienti. Esso misura : Lunghezza mm 19 Larghezza massima » 65 » minima » 3 Spessore massimo » 4 » minimo » 2,9 Odontaspis contortidens Ag. [Agassiz L., Poiss . foss voi. Ili, pag. 294, tav. XXXVII a, figg. 33-34 eoe.]. (Tav. Ili, figg. 5 e 6). Il dente, acutissimo, lesiniforme, lievemente ondulato, con mar¬ gini taglienti e privo di radice, conserva integro lo smalto ed ha le seguenti dimensioni : Lunghezza mm 20 Larghezza massima » 6 Spessore massimo » 3,5 Nella cava della Canàla se ne trovano frequentemente, ma sem¬ pre in cattivo stato di conservazione e privi di radice. Gen. Oxyrhina Agassiz. Oxyrhina Desori Agassiz. [Agassiz L., Poiss. foss., voi. Ili, pag. 282, tav. XXXVII, figg. 8-13, 1843]. (Tav. IV, figg. 1 e 2). Gli scavi eseguiti nella cava della Canàla hanno messo in luce qualche dente di Oxyrhina Desol i, come quello delle figg. 1 e 2 della Tav. IV, che si presenta alquanto slanciato, lievemente ondulato, ingrossato presso il colletto e che va, poi, via via assottigliandosi verso l’apice della corona ed ai margini. La radice è saldamente in¬ fissa nella roccia e pertanto non ben visibile. Le misure riguardanti l’esemplare raffigurato sono : Lunghezza dal colletto alla punta della corona Spessore massimo alla base mm 21,5 » 6,5 » 1 » 6,5 » 2,5 Spessore alla punta Larghezza massima » minima Oxyrliina hastalis Agassiz. [Agassiz L., Poiss. foss., voi. Ili, pag. 277, tav. XXXIV, figg. 4-7, 1843]. (Tav. IV, figg. 3 e 4). Il dente, di cui alle figg. 3 e 4 della Tav. IV, è privo di radice e presenta i margini laterali della corona acuti, taglienti, pellucidi e quasi uguali tra loro. Appartiene alla parte posteriore della mascella e presenta molta analogia con quello rinvenuto e descritto dal Gem- Mellaro M. nel calcare di Burgio (7). La faccia interna dell’ittio- dontolito è piatta, mentre quella esterna è convessa. Lo smalto è ben conservato e nel mezzo di quest’ultima. presso la base, si nota una discreta depressione. Le dimensioni sono le seguenti: Lunghezza Spessore massimo » minimo Larghezza massima » minima mm 17 Fam. Myliobatidae. Gen. Myliobatis Cuvier. Myliobatis crassus Gervais. [Gervais P., Zool. et Pai . frane., 2a Ed., pag. 518, tav. LXXIX, figg. 5 6, 1859], (Tav. V, figg. 1 e 2). (7) Gemmellaro M. lttiodontoliti del mioc. medio di ale. regioni delle provv. di Palermo e di Girgenti. Giorn. di Se. nat. ed econ., voi. XXIX, tav. IV, figg. 11-12. — 197 — Nel calcare terziario a Pettinidi della Canàla ho trovato due frammenti di una placca dentaria del Myliobatis crassus ( Gerv.), specie molto affine al Myliobatis aquila (Linneo), che attualmente popola i mari della zona torrida e di quella temperata (8). I frammenti misurano rispettivamente mm 31,5 e mm 25 di lun¬ ghezza e mm 52 e mm 28 di larghezza massima. In essi sono visibili le linee suturali parallele. La faccia superiore è infissa nella roccia, mentre quella inferiore è alquanto convessa. Mancano, inoltre, i den- ticelli laterali. Fam. Carchariidae. Gen. Hemipristis Agassiz. Hemipristis serra Agassiz. [Agassiz L., Poiss. foss ., voi. Ili, pag. 237, tav. XXVII, figg. 18-30]. (Tav. IV, figg. 5, 6 e 7). Gli esemplari riprodotti nella Tav. IV, figg. 5 e 6 sono al¬ quanto incompleti, ma sufficienti per poter individuare la specie. La radice è incassata nella roccia, mentre la corona manca della punta. La seghettatura laterale è regolare, ben visibile, e così anche lo smalto è ben conservato. Le dimensioni del dente alla fig. 5, sebbene non precise, dato il cattivo stato di conservazione del campione, sono le seguenti : Lunghezza totale mm 15 Larghezza massima » IO » minima » 6 Nella cava mi è stato alquanto difficile rinvenire denti di Hemi¬ pristis serra interi. Essi si trovano sovente rotti o molto deteriorati. Ho notato, inoltre, delle impressioni di questi nella roccia, come quelle che riproduco nella fig. 7 della Tav. IV. (8) Brehm A. E. La vita degli animali , IIa ed., voi. III. I pesci , pagg. 539-540. U.T.E.T., 1903. 198 — Fam. Sparidae. Gen. Chrysophrys Cuvier. Chrysophrys cincta Agassiz sp. [Agassiz L., Poiss. foss., voi. Ili, pag. 214, tav. LXXI11. figg. 68-70 ( Spliaerodus cinctus ).] (Tav. V, fig. 3). Numerosi denti di Chrysophrys si rinvengono nei calcari terziari a Pettinidi della Canàla. Essi, dai profani, sovente, vengono chia¬ mati occhi ( occhi di pernice ) per la caratteristica forma, che in pre¬ valenza è sferica, talvolta depressa e di grandezza variabile. La mas¬ sima parte di essi è costituita da denti molari, mentre più scarsi sono i denti canini. I primi hanno una radice breve, con un piccolo col¬ letto o strozzatura ; i secondi, invece, hanno forma più o meno conica, diritti alcuni, lievemente incurvati altri, e sono provvisti di un’am¬ pia cavità interna e di un colletto più o meno appariscente. Trovano riscontro, come forma, con i denti dell’Orata dei nostri mari ( Chrys . aurata , Sparus auratus , S. scriptus). Sebbene sia alquanto difficile la esatta determinazione della spe¬ cie, essi presentano alcune caratteristiche analoghe a quelle della Chrys. cincta (Agassiz), specie miocenica; altri rassomigliano a Chrys. Agassizi , depressa ed annularis , ed altri ancora allo Spliaerodus di - scus (Agassiz). Le dimensioni dei denti molari sono: Molari di maggiori dimensioni diametro mm 11 » » » altezza » 7 Molari di minori dimensioni diametro mm 2,5 » » » altezza » 2 Conclusione. Dopo la sommaria descrizione delle precitate specie ittiolitiche, che vissero rigogliose prevalentemente nel Miocene medio, dopo aver constatato la presenza delle medesime anche in altri giacimenti rite¬ nuti dalla maggior parte dei paleontologi appartenenti alla stessa età, ma soprattutto dopo l’osservazione di numerose sezioni sottili che mo¬ strano una particolare associazione microfaunistica, prettamente mio- 199 cenica, sono quasi sicuro di non essere molto lontano dal vero nel- l’affermare che il giacimento della pietra della Canàla debba attri¬ buirsi a tale livello geologico. La costante ed abbondante presenza, poi, del VAmphistegina les- sonii , nonché dei Lithotamni e dei Briozoi , testimonia senz’altro un ambiente di deposito litoraneo o di mare poco profondo. Tali speciali condizioni di sedimentazione e di biofacies si ebbero, in prevalenza, nel piano Langhiano. A maggior riprova, inoltre, dirò che la pietra della Canàla non solo riproduce tutte le caratteristiche, ma costituisce anche il livello più basso della formazione miocenica di « Cusano », descritta dal Selli ( 9) per gli altri giacimenti e dallo stesso studioso ritenuta appartenente al piano Langhiano. Infine, pur ritenendomi soddisfatto per aver ottenuto dallo studio delle specie fossili dei dati alquanto precisi che confermano con molta probabilità che il calcare a Pettinidi della Canàla appartiene al Mio¬ cene medio e, forse, più esattamente, al Langhiano superiore, non posso, d’altra parte, pretendere di aver fatto il punto su tale delicato argomento. Molto ancora si dovrà fare; perciò dico con Seneca: « multimi adhuc restat , multumque restabit : nec ulti nato post mille saecula, praecludetur occasio aliquid adhuc adjiciendi ». (Epistola N° 64) Cerreto Sannita, ottobre 1960. (9) Selli R., Sulla trasgressione del miocene nell'Italia merid., Giorn. di Geol., Ann. del Museo Geol. di Bologna, s. 2a, voi. XXVI (1954). Bologna, 1957. 200 — SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE (Le dimensioni degli esemplari riprodotti sono riportate alle rispettive voci). Figure 1 e 2. Tavola I. — Blocchi di calcare a Pecten della contrada Canàla già squadrati e pronti per partire. Tavola IL Il calcare a Pettinidi della contrada Canàla dopo la levigatura. Tavola III. Figure 1 e 2. — Carcharodon megalodon Ag. : dente laterale della mascella supe¬ riore, visto dalle due facce. » 3 e 4. — Odontaspis cuspidata Ag. sp. : dente anteriore dèlia mascella, visto dai due lati. » 5 e 6. — Odontaspis contortidens Ag. : dente anteriore della mascella, visto dai due lati. Figure 1 e 2. Tavola IV. — Oxyrhina Desori Ag. : dente anteriore della mascella inferiore, visto dai due lati. » 3 e 4. — Oxyrhina hastalis Ag. : dente della parte posteriore della mascella, visto dai due lati. » 5 e 6. Figura 7. — Hemipristis serra Ag. : denti mediani della mascella superiore. — Impressione sul calcare di dente di Hemipristis serra Ag. Tavola V. Figure 1 e 2. — Myliobatis crassus Gerv.: frammenti di placche dentarie. Figura 3. » 4. — Chrysophrys cincta Ag. sp.: denti molari (laterali interni). — Sezione sottile del calcare a Pettinidi della contrada Canàla, con Amphistegina lessonii (d’Orb.). Tutti gli esemplari figurati nelle Tavole III a V, ad eccezione del dente di Carcharodon megalodon, sono conservati nella mia raccolta privata. Boll. Soc. Naturai, in Napoli, 1960. D. Franco, Su alcuni ittiodontoliti ecc. - Tav. I, 2 Boll. Soc. Naturai, in Napoli, 1960 D= Franco, Su alcuni ittiodont oliti ecc. - Tav. II, 6 5 7 Boll. Soc. Naturai, in Napoli, 1960. D. Franco, Su alcuni ittiodontoliti ecc. Tav. V 2 4 Qualche considerazione sulla età e sulla provenienza della 64 terra rossa,, della Penisola Salentina Nota del socio ANTONIO LAZZARI (Tornata del dì 30 dicembre i960) Circa due anni addietro, Cortesi, riprendendo i suoi studi sedi¬ mentologici e geochimici sui depositi pleistocenici di Grotta Roma¬ nelli, presso Castro, in provincia di Lecce, ha pubblicato un circo- stanziato lavoro (1) nel quale vengono resi noti i risultati delle ri¬ cerche condotte su quelle che dall’Autore vengono chiamate « terra rossa pleistocenica » e « terra rossa attuale » prelevate rispettivamente nel livello C del deposito paleolitico suddetto (secondo la stratigrafia di G. A. Blanc (2), ed all’esterno, presso S. Cesaria Terme, a qual¬ che chilometro da Castro, non lontano dalla costa. Tale lavoro, condotto indubbiamente con rigore di metodo e mi¬ nuziosità di indagini, dimostrerebbe, secondo l’A., la identità delle due terre rosse « in ogni loro unità costitutiva e per profilo ». In realtà, però, non mi sembra che una tale affermazione possa essere senz’altro accettata; e basta difatti esaminare le tabelle I e II del citato lavoro (pag. 364), per rendersi conto che la « terra rossa » di Grotta Romanelli e la « terra rossa » locale, rappresentano in realtà due cose distinte, anche se qualitativamente identici risultano essere i costituenti mineralogici dei materiali esaminati. Gli elementi di¬ scordanti che, a mio avviso, e già ad un esame sommario, mostrano chiaramente che in realtà si tratti di cose diverse, sono rappresentati (1) Cortesi C. — Studio sedimentalo gico e geochimico fra la « terra rossa » plei¬ stocenica di Grotta Romanelli ( Terra d’Otranto ) e la locale « terra rossa » attuale. « Period. di Min. », a. XXVII, n. 2-3, pp. 353-405, figg. 3, bibl. Roma, 1958. (2) Blanc G. A. — Grotta Romanelli. Stratigrafia dei depositi e natura e origine di essi, « Arch. per l’Antrop. e l’Etnol. », 50, pp. 65-103, tavv. 7. Firenze, 1921. — 202 — tanto dalle ben dilferenti percentuali del complesso solubile in HC1 1%, quanto dal contenuto in sabbia ed in limo della parte inso¬ lubile delle due terre rosse. Non è il caso di intraprendere qui un esame critico del più re¬ cente lavoro di Cortesi, che segue e completa altre pubblicazioni sullo stesso argomento (3) (4), anche perchè penso che in prosieguo di tempo, e sulla base della presente nota, da qualche specialista possa essere affrontato lo studio di quella che io ritengo si debba con¬ siderare la vera ed originaria « terra rossa », pervenuta per effetto di trasporto eolico sulla Penisola Salentina. Ma non posso trascurare di notare, in questa sede, come del lutto infondata ap¬ pare la conclusione cui Cortesi giunge a proposito di una succes¬ sione di tre fasi paleoclimatiche che risulterebbero testimoniate dalla successione : 1. Terra rossa pleistocenica (di Grotta Romanelli); 2. — Terra bruna (di Grotta Romanelli); 3. — Terra rossa così detta attuale. A me pare difatti, che il lavoro suddetto, pregevolissimo senza alcun dubbio per la minuziosa perfezione delle indagini condotte in laboratorio, lascia in certo® qual modo a desiderare solo in quanto non tiene nel dovuto conto i fatti geologici che scaturiscono dall’e- same della situazione locale e si limita alla semplice indagine sedi¬ mentologica e geochimica, in sè stessa completa, ma insufficiente per la esauriente conoscenza del problema. Ritengo infatti che, in un caso del genere, non si possa assolutamente fare astrazione dalle condi¬ zioni di giacitura dei materiali studiati, dalla eventuale evoluzione da essi subita, per cause varie, nonché dagli agenti che ne debbono avere effettuato il trasporto. Già in altra occasione ( 5) ho avuto modo di richiamare l’atten¬ zione sul fatto che la così detta « terra rossa » di Grotta Romanelli (3) Blanc G. A., Cortesi C., Curotti M. C. — Interpretazione geochimica della formazione quaternaria di Grotta Romanelli. IV. I complessi detritici. « Actes du IV Congrès Int. du Quaternaire », I, p. 325. Roma. 1956. (4) Cortesi C. — Studio geochimico comparativo fra la « terra rossa » pleisto¬ cenica di Grotta Romanelli ( Terra d’Otranto ) e la locale « terra rossa » attuale. « Actes du IV Congrès Int. du Quaternaire », I, p. 329. Roma. 1956. (5) Lazzari A. — Segnalazione di un livello di pomici in Grotta Romanelli, presso Castro ( prov . di Lecce). Boll. Soc. Nat. in Napoli. LXIV. Napoli. 1955. 203 — (per seguire la terminologia di G. A. Blanc), in precedenza chia¬ mata a bolo » da Stasi e Regalia (6), altro non è che il prodotto del dilavamento della terra rossa che compare all’esterno della grotta, e sui calcari della Penisola Salentina in generale. Ancor oggi, difatti, le acque che scendono dall’impluvio che sovrasta Grotta Romanelli, trasportano le frazioni meno grossolane e meno pesanti della terra rossa esterna e, fermandosi in una certa misura nelle concavità of¬ ferte dal suolo della parte anteriore della grotta, ora libero dal de¬ posito preistorico, vi depositano, per decantazione, il materiale con¬ vogliato. Ed alla stessa guisa quotidianamente si osserva, nella sta¬ gione piovosa, lungo i sentieri che corrono per le campagne od in corrispondenza delle cunette stradali, per le quali scorra l’acqua di pioggia proveniente dalle campagne circostanti. Vi è inoltre da no¬ tare che tale fenomeno di levigazione esercitato sulla terra rossa dalle acque di dilavamento superficiale, ha fatto sì che in talune zone de¬ presse si siano andate costituendo, attraverso il tempo, cospicui depo¬ siti di « bolo » (Stasi e Regàlia) in tutto analoghi a quello di Grotta Romanelli, successivamente indicato come terra rossa da Blanc (1. c.). Del resto, la Grotta « Le Striare », assai prossima a Grotta Roma¬ nelli, mostra con chiara evidenza, che il suo riempimento totale è stato determinato solo ed esclusivamente da] materiale di dilava¬ mento delle pendici esterne cadente su una piattaforma ora demo¬ lita dalla azione delle onde e disposto a doppia pendenza, verso l’in¬ terno della grotta e verso il mare. Lo stesso si dica per numerosi altri casi analoghi lungo la costa da Otranto a S. Maria di Leuca. Ma, indipendentemente da una tale questione, sulla quale mi ri¬ prometto di tornare in altra occasione con tutte le valide prove che si possono raccogliere localmente, varrà la pena di ricordare che in tutta la Penisola Salentina non esiste alcun luogo in cui si rinvenga la « terra bruna » di Grotta Romanelli, secondo la dizione di G. A. Blanc. Pertanto, l’affermazione di Cortesi (Le., pag. 397) che «la serie dei due palesuoli pleistocenici di grotta Romanelli conservati intatti è forse unica » non può essere ritenuta valida. Difatti, come già €la me messo in evidenza, la così detta terra rossa di Grotta Ro¬ manelli non è quella originaria, mentre la « terra bruna » si potrebbe anche ragionevolmente ritenere il risultato di una particolare evolu- (6) Stasi P. E. e Regalia E. Grotta Romanelli ( Castro , Terra d' Otranto). Sta¬ zione con faune interglaciali calda e di sleppa. « Arch. per FAntrop. e FEtnol. », 34, pp. 17-81, tavv. 4. Firenze, 1904. -- 204 — zione subita dalla terra rossa in contatto con le sostanze organiche che l’uomo vi lasciava, con eccezionale abbondanza, durante i periodi della sua stazione in grotta (ossa con resti di tessuti muscolari, ner¬ vosi ecc.). Con ciò non intendo escludere che tale terra bruna vi sia stata accumulata dal vento e provenga dalla antistante pianura nel corso della regressione wurmiana. Ho ritenuto opportuno accennare a tutte le precedenti conside¬ razioni (riservandomi di tornare a discuterne in altra occasione) prima di esporre in sintesi il frutto di talune mie osservazioni, i cui risul¬ tati mi pare debbano essere tenuti presenti da chi si voglia occupare del problema della terra rossa della Penisola Salentina, e fors’anche del problema della terra rossa in generale. Sono ben noti i termini entro i quali, ancor oggi, i vari autori intendono il problema della terra rossa , e pertanto ritengo superfluo richiamare, in questa nota a carattere preliminare, le varie teorie con le quali si è cercato di spiegare la presenza di questo particolare tipo di terreno che è proprio del bacino mediterraneo. Pur tuttavia mi sembra opportuno accennare al fatto, direttamente connesso con l’argomento che qui viene trattato, che in molti pregevoli libri di geologia si legge ancor oggi che la terra rossa altro non è che il resi¬ duo insolubile della dissoluzione dei calcari ; e nulla sembra sia valso quanto ebbe a dimostrare chiaramente Galdieri (7), confermato an¬ che recentemente da Cortesi (Le.), che volse la sua attenzione in particolare sulla terra rossa dell’Italia meridionale, giungendo alla esatta conclusione che « in base ai suoi caratteri stratigrafici , mine¬ ralogici e morfologici deve ritenersi , in generale , derivante dal limo atmosferico depositatosi sul suolo calcareo quando questo era già stato modellato presso a poco nella sua forma attuale e le parti che sovra¬ stano alle superfici di deposizione erano state già erose e fluitate ; e deve la sua peculiare composizione specialmente a processi chimici determinati , fra V altro , dalla presenza del carbonato di calcio e dalla elevata temperatura che i luoghi ove la troviamo avevano quando essa si è depositata ». Nel riportato passo del Galdieri è contenuta, almeno per quanto si riferisce alle modalità di arrivo della terra rossa nella Penisola (7) Galdieri A. — L'origine della terra rossa . «Annali Se. sup. d’Agr. », s. 2a, 1.1, pp. 1-46, bibl. Portici, 1913. — 205 — Salentina per apporto eolico, una esatta visione del problema, anche se risulti implicitamente che la T. R. altra cosa era al momento del suo giungere da noi ; nelle nostre zone essa avrebbe quindi subito una evoluzione a causa della elevata temperatura dei luoghi ; ed è da notare che anche Cortesi, fors’anche con maggiore ricchezza di dati, arriva alla stessa conclusione. Ma poiché nel corso delle mie ricerche geologiche lungo la fascia costiera che va da Otranto a S. Maria di Leuca (che fu già oggetto anche della mia dissertazione di laurea) ho avuto modo di potere diffusamente e dettagliatamente osservare le condizioni di giacitura della T.R., con modalità che ritengo debbano essere considerate origi¬ narie, e pertanto atte a chiarire taluni aspetti del problema, cosi penso che quanto forma oggetto della presente nota assuma un significato ed una importanza del tutto particolari. A tale affermazione mi sembra di potere giungere anche tenendo conto del fatto che sino ad ora gli studi su quel nostro terreno si sono sempre limitati a qualche analisi, senza tenere conto delle condizioni generali della zona e senza avere mai avuto la possibilità di effettuare i prelevamenti in quelli che deb¬ bono essere considerati i depositi originari della terra rossa . Ma, prima di esporre le notizie preliminari sulla questione che mi riserbo di trattare assai più ampiamente in altro lavoro più cir¬ costanziato e ricco di dati, ritengo opportuno richiamare qualche notizia sulle condizioni geologiche generali della zona, con qualche dettaglio sulle testimonianze morfologiche e stratigrafiche del Pleisto¬ cene, in merito alle quali potranno essere assunti maggiori dettagli consultando la mia monografia sulla grotta « La Zinzulusa » (8). Tali cenni geologici mi appaiono tanto più necessari in quanto la que¬ stione della T.R. della Penisola Salentina è strettamente legata agli eventi geologici che si sono succeduti nel corso del Quaternario. La porzione più meridionale della Puglia, limitata a nord dalla congiungente Brindisi con Taranto, è costituita essenzialmente da una impalcatura di calcari del Cretacico, con la saltuaria presenza — spe¬ cialmente lungo la fascia costiera del Canale d’Otranto, da Capo Pa¬ lasela a S. Maria di Leuca — di lembi di eocene medio, in facies genericamente calcarea, e talvolta con estese biohertnes, e di oligocene, di cui due lembi assumono particolare interesse per essere rispetti- (8) Lazzari A» — La Grotta Zinzulusa presso Castro , prov. di Lecce. Osservazioni geomorfologiche con notizie storico-bibliografiche e due appendici. « Annali Ist. sup. di Se. e Lett. S. Chiara », n. 8, pp. 237-295, fig. 1. tavv. 6, bibl. Napoli, 1958. — 206 — vamente assai ricchi di corallari costruttori (presso la Marina di Ca¬ stro) e per contenere una ricca fauna a Lepidocyclina , Saltella, Echi- nocyamus ecc., in facies detritica grossolana (presso Porto Badisco, fra Otranto e S. Cesaria Terme). Su tali termini stratigrafici, francamente calcarei, giacciono al¬ cuni lembi di sedimenti miocenici rappresentati dalla « pietra lec¬ cese » (calcare finemente detritico, a volte magnesiaco, tal’altra mar¬ noso e persino glauconitico) e, sebbene su aree più limitate, da una « lumachella » (Gagliano del Capo) o da un deposito marnoso abba¬ stanza ricco di denti di squali (Castro, Poggiardo, ecc.). Su un tale substrato che, a ragione della citata successione stra¬ tigrafica, è stato evidentemente sottoposto a ripetuti periodi di con¬ tinentalità e pertanto profondamente earsificato, manca il Pliocene, nonostante le affermazioni di taluni Autori. Difatti, le ricerche di Moncharmont Zei (9) per la zona di Cutrofiano, e di Lazzari (10) per quella di Nardo, nonché i risultati di molte altre indagini micro¬ faunistiche condotte dagli stessi autori, ma non pubblicate, hanno portato all’accertamento che il presunto Pliocene è, in realtà, assente e che i tufi e le sottostanti argille sono di pertinenza del Calabriano inferiore, che portò il livello marino a circa 100 m al di sopra di quello attuale. È difficile dire se vi siano deposti i sedimenti del Siciliano, del quale abbiamo però chiare prove morfologiche a circa 65-70 m sul livello del mare ; ma bene evidenti sono, invece, le testimonianze del Tirreniano I, con vasti lembi terrazzati all’altezza di circa 30-35 m e con depositi di calcareniti di colore giallastro, del tipo dei « carpari », presenti soprattutto in corrispondenza delle incisioni che scendono al mare. Il Tirreniano II è, infine, rappresentato da lembi di terrazzi, fasce di fori di litodomi e depositi calcarenitici ( anche con sottili intercalazioni marnose) che si portano fino all’altezza di 10-12 m sul livello marino. La indiscutibile presenza di questi depositi del Tirreniano II è (9) Moncharmont Zei M. — La microfauna delle argille pleistoceniche di Cutrofiano (Lecce). « Boll. Soc. Naturai. », 63 (1954), pp. 3-28, tav. 1, Libi. Na¬ poli, 1955. (10) Lazzari A. — Contributi alla conoscenza del pleistocene della prov. di Lecce. 1) La microfauna delle argille sabbiose di Nardo . « Annali Ist. sup. Se. e Lett. S. Chiara », n. 6, pp. 345-362, tav. 1. Napoli, 1956. __ 207 — di particolare importanza ai fini del nostro problema, in quanto ci fornisce la possibilità di datare l’arrivo della terra rossa in provincia di Lecce. Difatti, è appunto per la presenza della T.R. in giacitura originaria, in corrispondenza del terrazzo del Tirreniano II, o sovrap¬ posta ai rispettivi depositi, che si può asserire — come meglio ve¬ dremo qui di seguito — che la T.R. non esisteva ancora, anteriormente a quel momento dei tempi pleistocenici. Intanto è da ritener per certo che, prima della trasgressione ca- labriana (la quale, come già accennato, portò il mare a +100), la terra rossa non si era andata ancora accumulando sulle rocce cal¬ caree preesistenti, nè per trasporto eolico, nè per una eventuale — ma assolutamente inammissibile — dissoluzione di tali rocce. A tale conclusione si perviene tenendo presenti i seguenti fatti : a) la non esistenza di una terra rossa al contatto fra i calcari (cretacico, eocene, oligocene e miocene) ed i tufi inferiori di età cala- briana. È ragionevole supporre, difatti, che nel caso di preesistenza della T.R., prima della trasgressione calabriana, di essa dovremmo trovare le testimonianze al contatto fra i calcari ed i tufi, almeno allo stato di rimescolamento con il materiale calcareo. b) la mancanza di elementi provenienti dalla terra rossa , nella composizione dei tufi di età calabriana : evidentemente, se tale forma¬ zione fosse stata presente sui calcari dei rilievi, il cui detrito si an¬ dava depositando frammezzo all’arcipelago di isolotti che rappresen¬ tavano la Penisola Salentina, anche quel materiale sarebbe entrato a far parte dei sedimenti in via di formazione. Vi è da notare infine, che questa situazione, da me citata per la Penisola Salentina, si verifica anche nelle altre zone in cui ci si trova in presenza dei tufi calcarei quaternari ( Calabriano), quali ad esem¬ pio il margine bradanico delle Murge (Spinazzola, Gravina, Altamura, Matera ecc.). Per quanto si riferisce ad un eventuale apporto della « terra rossa », per via eolica, nel corso del Siciliano con livello del mare a 65-70 m, dobbiamo rilevare che sulle aree che ne dovevano risultare emerse si rinvengono depositi di quel terreno climatico, in giaci¬ tura originaria, ma non sotto forma di dune. D’altra parte, l’os¬ servazione dei fatti quali si presentano nella Penisola Salentina mo¬ strano che il Tirreniano I (con livello a + 30 + 35) non può rappre¬ sentare il momento geologico nel quale si ebbero i prevalenti apporti della terra rossa. Tale deduzione scaturisce logicamente considerando il fatto che sui rispettivi terrazzi si rinvengono potenti lembi di T.R, — 208 — che, pur non rappresentando delle dune vere e proprie, offrono tali caratteristiche da farli ritenere prodotti dal diretto apporto eolico e non dovuti al deposito per dilavamento del soprastante rilievo. La situazione « chiave », per rendersi bene conto delle modalità e del tempo di apporto della terra rossa in provincia di Lecce, è os¬ servabile, nella sua completezza, lungo la strada litoranea che dalla Marina di Castro porta alla Marina di Tricase, a circa 1 Km di di¬ stanza da quest’ultima. La sezione stradale praticata in tal luogo ha messo in evidenza che ivi il deposito assume la potenza di alcuni metri, e si trova sovrapposto ad un lembo di tufo calcareo del Tir- reniano II, di cui si rinvengono numerose testimonianze lungo tutto il suddetto tratto di litorale, che scende abbastanza gradatamente al mare, senza essere interrotto da tratti di costa a falesia, che sono in¬ vece presenti più a nord e più a sud. Lo schema riportato qui sopra, nella schematica fig. 1 indica chia¬ ramente quali sono i rapporti fra terra rossa e formazioni marine nella suddetta località. Il deposito che qui ci interessa si presenta con aspetto assolutamente inconsueto per queste zone litoranee e l’anda¬ mento del versante, lungo il quale scendono le acque, fa apparire ancor più strano questo accumulo di terra rossa in posizione poco conciliabile con il complesso delle azioni di dilavamento che le acque stesse debbono avere esercitato ed esercitano tutt’ora, anche se le con¬ dizioni di carsificazione superficiale dei calcari situati a monte, fanno pensare ad un coefficiente di deflusso non molto elevato. — 209 — Rimandando ad altro lavoro l’esposizione dettagliata dei carat¬ teri offerti dal suddetto deposito, che non esito a definire come una vera e propria duna da ostacolo, nonché della sua minuta stratigrafia, ritengo interessante accennare sin da ora al fatto che la terra rossa di cui trattasi si differenzia sensibilmente da quella normalmente pre¬ sente nelle nostre zone, e che sino ad ora è stata l’unica presa in esame, con le conseguenti deduzioni ed interpretazioni genetiche e climatiche. Da un primo studio sommario effettuato, è possibile dedurre i seguenti caratteri, che vengono messi a confronto con i rispettivi dati riferentisi agli analoghi materiali di Grotta Romanelli ( terra rossa pleistocenica) ed a quella che Cortesi ha chiamato terra rossa locale : Solubile in 1 n s o 1 u b i 1 e HC1 lo/o Sabbia Limo -f- Argilla Duna fossile . ■'T1 co 23.17 85.49 Terra Rossa di Gr. Romanelli . . 7.24 21.07 71.69 Terra Rossa locale . . . 20.92 24.53 54.55 È evidente che il semplice confronto di questi dati è sufficiente per giungere alla conclusione che si tratta di cose sostanzialmente diverse e per riconoscere, soprattutto, che il materiale della duna fos¬ sile rappresenta un qualcosa di originario, da cui si è pervenuti ai seguenti prodotti : a) terra rossa diffusa sui calcari compatti (la così detta T.R. locale di Cortesi) per apporto di minuto detrito calcareo che eleva il valore della porzione solubile in HC1 1% sino al 20.92 %i; b) terra rossa — o più propriamente « bolo » — di Grotta Ro¬ manelli, o terra rossa pleistocenica (come a Cortesi è piaciuto chia¬ marla), per levigazione della T.R. che giungeva sulle pendici di quei rilievi e veniva dilavata, con maggiore trasporto delle frazioni più fini (limo + argilla) che raggiungono il valore del 71.69 %. La duna fossile di T.R. esistente a nord del Porto di Tricase, non rappresenta il solo caso di deposito eolico originario di quel ma¬ teriale. Nello stesso senso deve essere difatti interpretato quanto è dato osservare presso la Zinzulusa e presso la Palombara, in corri¬ spondenza del terrazzo del Tirreniano I, ove i depositi di T.R., abba¬ stanza potenti, appaiono quasi come sospesi sull’orlo delle falesie, e non possono certo derivare da accumulo per trasporto effettuato dalle acque dilavanti le pendici della collina di Castro, le quali, se mai. 14 — 210 — l’avrebbero trasportata in mare. Analoghe condizioni di giacitura dob¬ biamo poi riconoscere alla T.R. esistente sul lato meridionale di Porto Badisco, su un basso terrazzo, ed in altre situazioni che ver¬ ranno prese in attenta considerazione allorché verrà affrontato un lavoro a carattere generale sulla terra rossa della Penisola Salentina, secondo un progetto di cui sarà fatto ampio cenno in altra parte della presente nota. Ma, per meglio chiarire la situazione, e per fornire qualche ele¬ mento anche al di fuori dell’area che qui viene particolarmente con¬ siderata, varrà la pena di accennare anche al latto che nei pressi di Gaeta, quasi all’inizio della strada litoranea per Sperlonga, si pos¬ sono ugualmente osservare depositi di T.R. che si presentano, per aspetto generale, in tutto analoghi a quelli originari della Penisola Salentina, e che formeranno presto oggetto di qualche indagine preli¬ minare intesa appunto a stabilire tale analogia. Dimostrato così che la Terra Rossa della Penisola Salentina è pervenuta, per trasporto eolico, successivamente al Tirreniano II, pos¬ siamo domandarci quali siano stati i processi chimici e climatici che ne hanno determinato la genesi e quali le aree in cui tali processi si sono svolti, mettendo così a disposizione i materiali che dovevano poi subire il trasporto eolico. Certo è che il colore rosso, che così caratteristicamente la di¬ stingue, richiama decisamente la nostra attenzione sui terreni lateri- tici e quindi sui processi di laterizzazione che, come sappiamo, si verificano in condizioni ambientali, climatiche e di substrato che ben conosciamo in quanto tutt’ora in atto in talune regioni del globo. Si può quindi pensare che la T.R. delle nostre zone salentine, e credo anche la T.R. in genere, ovunque sia presente nel suo vero in¬ confondibile aspetto, altro non sia che una laterite, o almeno una parte di essa, e precisamente quella che per azione eolica ha potuto raggiungere le nostre terre? È, questa, una domanda che non possiamo non formulare, spe¬ cialmente ove si consideri che le varie teorie sino ad ora formulate non possono essere ritenute valide per spiegare l’origine della terra rossa ; ed ogni considerazione riconduce ad ammettere senz’altro la sua alloctonia. Nelle condizioni attuali noi vediamo che i terreni tipicamente lateritici sono diffusi in larghe zone corrispondenti alla fascia equa¬ toriale (intertropicale); e non è, quindi, azzardato avanzare Tipotesi — 211 — che nel corso del Tirreniano I, per le diverse condizioni climatiche, le aree favorevoli al processo della laterizzazione possano essersi spinte più a nord, fino a raggiungere le coste meridionali del Medi- terraneo, dalie quali poi, per trasporto eolico, una frazione delle la¬ tenti, quella più fine e più leggera, sarebbe stata spinta verso l’Italia meridionale. In riferimento alla eventuale derivazione della nostra terra rossa da terreni lateritici, assai significativo mi sembra essere un dato che scaturisce dallo studio di Cortesi (Le.), secondo cui nel complesso sabbioso dei campioni analizzati sono presenti, fra l’altro, la titano- magnetite e la titanite in granuletti arrotondati ed opacizzati per evidente trasporto eolico. Tale elemento assume, a mio avviso, una notevole importanza in quanto — come è noto — il titanio è un tipico componente delle la¬ tenti e delle bauxiti, ed anzi, la sua mancanza nella terra rossa , gene¬ ralmente ammessa, rappresentava una delle più valide ragioni per tenere geneticamente separate T.R. e bauxiti. La segnalazione di mi¬ nerali di titanio, mentre accomuna decisamente laterite, terra rossa e bauxite, allontana qualunque idea che potesse ancora esistere circa ipotetici rapporti genetici, ancor oggi ammessi da molti autori, fra terra rossa e calcari. A questo proposito ritengo opportuno richiamare l’attenzione sui fatto che la Penisola Salentina offre le condizioni ideali per lo studio dell’influenza esercitata dal substrato sulla evoluzione della T.R. ori¬ ginaria, pervenuta, come già dimostrato, per via eolica. Il che vai quanto dire che nella Penisola Salentina si possono essere verificati i seguenti tre casi : a) Terra rossa su substrato di calcari compatti, di età creta- tica, eocenica od oligocenica ; b) Terra rossa su substrato di pietra leccese (miocene medio); c) Terra rossa su substrato costituito da tufi calcarei pleisto¬ cenici, soprattutto ealabriani; ai quali 3 casi debbono necessaria¬ mente corrispondere intensità e modalità di influenza assai diverse nei confronti della terra rossa messa a contatto con tali tipi di rocce. Per rendersi conto di questa che io avanzo come semplice ipotesi di lavoro, basterebbe pensare che la pietra leccese (miocene medio) può intervenire con eventuale apporto di Mg o di sostanze argillose, di cui in taluni casi è abbastanza ricca, o di glauconite quando si tratti di quella varietà che è detta, localmente, piromafo. — 212 — Tenendo presenti tali idee, verrà prossimamente sottoposto al¬ l’Amministrazione Provinciale di Lecce un vasto piano di lavoro, nel- l’intento appunto di studiare a fondo e con grande dettaglio, le carat¬ teristiche geochimiche, granulometriche e sedimentologiche della terra rossa della Penisola Salentina, ovviando così ad una deficienza che ri¬ tengo tanto più sentita, in quanto tutta l’economia agricola della zona è in stretto rapporto con la natura del suolo, caratterizzata appunto dalla diffusa presenza della T.R. in vari stadi di evoluzione pedolo¬ gica, in rapporto alla diversa natura del substrato. Sarà così possibile realizzare una carta dettagliata della distribuzione dei terreni agrari, di quella zona, che tenga conto di tutte le variazioni e sfumature del profilo pedologico e delle caratteristiche geochimiche e granulome¬ triche in relazione alla natura della roccia costituente il substrato. Se ora volgiamo la nostra attenzione a quelle che dovevano es¬ sere — assai presumibilmente — le condizioni locali al momento in cui ebbe inizio l’apporto eolico della terra rossa , si giunge a conclu¬ sioni le quali, pur potendo apparire alquanto strane e rivoluzionarie, rispondono pienamente alla logica degli eventi geologici verificatisi nelle nostre zone. L’esperienza dimostra, difatti, che al di sotto della terra rossa , a contatto con i calcari in posto, non vi è alcun altro terreno, inteso in senso pedologico, che stia ad indicare un preesistente substrato su cui la vegetazione si sia potuta insediare; non abbiamo, cioè, al di sotto della T.R., alcun paleosuolo ; ed i calcari della Penisola Salen- lina, dovevano essere spogli di mantello vegetale fino a tutto il Tir¬ reni ano II, al cui termine segue, appunto, l’inizio dell’apporto eolico di quel materiale. Gli abbondanti resti faunistici che in Grotta Romanelli caratte¬ rizzano i livelli della così detta terra bruna (termine di G. A. Blanc) non solo parlano in favore dell’esistenza di una pianura costiera, pre¬ sumibilmente acquitrinosa, la quale, in base all’andamento della Lo¬ bata dei — 100 m, sul canale d’Otranto raggiungeva l’ampiezza di circa 20 Km, ma trovano altresì la naturale spiegazione nelle condi¬ zioni propizie che intanto si erano andate determinando nei vari ba¬ cini chiusi, di origine carsica, che ad un certo momento caratterizza¬ rono la Penisola Salentina, quali ad esempio quelli di Nociglia, di Poggiardo, di Chiusure Chiese presso Castro, ecc. In taluni di questi, difatti, i depositi di terra rossa - — direttamente perventa o dilavata dalle circostanti collinette allungate — avevano impermeabilizzato il — 213 — fondo, di guisa che le acque potevano ristagnarvi alquanto, favorendo la vegetazione e quindi la vita animale. E’ naturale d’altra parte supporre che nelle aree ad affioramenti dei tufi calcarei calahriani, per la natura detri tica di questo, la vege¬ tazione si possa essere regolarmente insediata anche indipendente¬ mente dalla terra rossa e prima che questa vi giungesse, trasportata dal vento. Napoli, Istituto di Geologia deWUniversità. Acque sotterranee nell’ ambito del centro urbano della città di Napoli Nota del socio DIANA LAMBERT1N1 (Tornata del dì 30 dicembre 1960) Nella prima parte eli questa nota, facendo sèguito a precedenti lavori sulle acque sotterranee di Napoli e dintorni, si riferisce sui risultati ottenuti dallo studio analitico di quattro campioni prove¬ nienti da pozzi profondi di recente trivellati in punti diversi della città. Nella seconda parte, questi risultati, e quelli ottenuti in altre indagini, sono esaminati e discussi con l’intento di riassumere le conoscenze finora acquisite sulla idrologia sotterranea della città, limitatamente al centro urbano, così come fu fatto a suo tempo per la zona orientale (zona industriale). A tal fine si richiamano anche le notizie sulla geologia del sottosuolo quali si rilevano dagli spac¬ cati dei pozzi. Le ubicazioni dei nuovi pozzi vengono riportate qui di seguilo unitamente alle indicazioni fornite dalle ditte che hanno eseguito le perforazioni. Ubicazione 1 Quote, in metri, del | piano di campagna | (riferite al 1. m.) Quote, in metri, cui si rinviene la acqua (riferite al 1. m.) Portata massima del pozzo 1) Centrale del lat¬ te (corso Mal¬ ta 152) + 32 — 82 40 me /h. 2) Ospedale Loreto (via Nuova Ma¬ rittima) + 3 — 82 54 me li 3) Palazzo Grimal¬ di ;(via Marche¬ se Campodisola) + 4 — 86 15 mc/h 4) Villa Adriana + 173 S -87 ) 15 me /h (via Manzonif 177) 1 ì + 3 ) — 215 1 0,00 piano di campagna 2.20 !mmwr m at e'r ittrai riporto -a ?0 òrrt-: pozzolana r sabbione ir pozzolana e lapilli c r :.:r: sabbione. 22,50 pozzolana dura ;r- 28,00 W.vi*4 sabbione e lapilli 32,00 pozzolana melmosa 34.00 twm lapilli acquiferi 36.60 lapilli e sabbione 39.00 sabbione grosso 44,00 pozzolana e lapilli 53,00 sabbia sottile 68,00 ’ sabbia 100,80 0 • »>0'[ '"•oV VJ*0 sabbione misto a pomici .‘•o •o.% . voV.o. m 103.20 '#%%%% tufo grigio scuro 105.70 */>.&VVs sabbione e lapilli 109.40 llfflSI pozzolana sabbiosa ir, 00 ’Q-X-vPk f. sabbia con conchiglie 2 0,00 piano di campagna 2,20 materiale di riporto 8,50 H8Ì ,ine 18,00 irffigT sabbia limosa 25,00 ‘.•'Ò'/v.v- sabbia ' • • • 34,00 sabbia e argilla 40,00 pozzolana sabbiosa 44,00 y cappellaccio tufaceo 75,00 tufo giallo É, 84,00 pozzolana con tracce di torba 88,00 lapil o e sabbione =r.v..xvVt acgua) 92,30 ;l^ÌÌft Pozzolana sabbiosa 97,00 sabbione e detriti lavici (acgua) Fi?. 1. Per i pozzi n.ri 1 e 2 si sono anche avuti i rilievi stratigrafici rappresentati in fig. 1. Nelle tabelle e nei relativi diagrammi di figura 2 si riportano i risultati ottenuti dallo studio analitico dei quattro campioni di acqua. Dai risultati analitici appresso riportati si nota che le acque esa¬ minate sono leggermente mineralizzate e debolmente carboniche. Relativamente a ciascun campione si può osservare, in particolare, quanto segue: Il campione n° 1 è un’acqua non molto dura, del tipo di altre, — 216 — Fig. 2. già esaminate, provenienti da pozzi ubicati in quelle località che vengono a trovarsi al limite tra il centro urbano e la zona industriale della città (11). Il campione n° 2 è un’acqua di ottime caratteristiche chimiche, cioè dolce e con basso residuo salino. Acque simili sono state rin¬ venute, all’ineirca alla stessa profondità, in precedenti trivellazioni eseguite lungo la via che costeggia il porto (9, 22). Il campione n° 3 è un’acqua di media durezza, contradistìnta da un notevole contenuto di ferro ferroso, il quale tende ad ossidarsi e precipitare. Infatti, al fondo dei recipienti, poco dopo il prelievo, si nota la comparsa di un deposito ocraceo. Per tale elevato contenuto di ferro questo campione ricorda i tipi di acque minerali della zona (acqua ferrata) (5, 10). Il campione n° 4, rinvenuto approfondendo fino a quota di m — 260 dal piano di campagna un pozzo esistente in via Manzoni, è un’acqua dello stesso tipo di quella rinvenuta, nello stesso pozzo, a quota di m — 170, e da noi precedentemente analizzata (14), Si tratta di acqua leggerissima, simile a quelle ritrovate in altri punti del centro urbano della città. — 217 — CAMPIONE N° I. Valutazioni diverse . 1) Residuo secco a 110°C . . . 0,6022 gr/litro 2) Alcalinità totale (CaC03) . . 0,3070 » » 3) Durezza totale . . 20° Francesi 4) » permanente . 0° >> 5) » temporanea . 20° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si09) . . 0,0528 gr/litro 2) » » sesquiossido di ferro (Fe903) . tracce » » 3) » » calce (CaO) . . 0,0787 » » 4) » » magnesia (MgO) . 0,0237 >; » 5) » » ossido di sodio (Na90) . 0,1370 » » 6) » » ossido di potassio (K20) . 0,0446 » » 7) » » anidride solforica (S03) . 0,0275 » » 8) » » anidride carbonica semicombinata (C09) .... 0,1350 » » 9) » » anidride nitrica (N.90_) . 0,0382 » » 10) » » cloruri (CI) . . 0,0645 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti gr/litro 1 | Millimoli/litro * Milli valenze/litro (ioni) cationi anioni Na+ 0,1041 4,42 4,42 K+ 0,<>370 o, ■o&°- - sabbia e pomici a sfrati :tufo grigio ■ tufo giallo m W^tufo ver » de - - - - >!>>?>• tasso di sabbia duro RlM^argjlla sabbia e pomici 18) Via Gen. Cosenz. Il) Pii in Napoli. I960. •a Municipio. 14) Ex Centr. El. Porto. 15) Porta di Massa. D. Lambertini. Acque sotterranee nell'ambito del centro urbano della città di Napoli - Tav. III. Soc. Nat. in Napoli, 1960. urbano della città di Napoli - Tav. IV. 19) Ospedale Loreto. i.m 23,0 21.0 18.7 16.6 11.8 terra di riporto yjc-3^' lapilli e pozzolana I.m. 1.3 — • “ 0.0 fec- pozzolana — lapilli e pozzolana g'g /•///; pozzolana sa bti'osa sabbia fine 5.0 36.3 44.2. 46.8 49,5 56.3 60.2 65,1 6,8.6 76.4 pozzolana e lapilli i£T>r tufo giallo t I ^^tufo verde piperno argilla e pozzolana \ sabbia e lapilli sabbione e brecciolino • X>.’Ol pozzolana bianca ~ e lapilli /•‘..••.■•sabbia fine >’■ -i} sabbione e lapilli /: -.f:: ^■~rny ~ brocce e sabbia §0,2 sabbia, pozzolana argilla,. 89,3 • 96.7 107.2 113.0 f;o:: •jy.'Q: sabbione con brecce tufo* verde (o. •/£ sabbia, brecce e lapilli -acqua ~ ì^ede. 24) \ ia Arenacela. pozzolana sabbiosa ìHru cappellaccio tufaceo tufo giallo 50? pozzolana l9) Ospedale Loreto. 20) Piazzi a Duca Abruzzi. 21) Opificio Gas. D. Lambertini. Acque sotterranee nell'ambito del centro urbano della città di Napoli - Tav. IV. - 227 — Le considerazioni innanzi riportate sono quanto è possibile dire a lutt’oggi intorno alla geoidrologia del centro urbano della città di Napoli; comunque le indagini proseguono e l’eventuale esame di nuovi risultati permetterà di acquisire ulteriori informazioni e, di coordinare meglio quelle di cui già si dispone. Napoli, Istituto di Chimica Industriale. BIBLIOGRAFIA 1) Cangiano L. Riflessioni sulle acque potabili della città di Napoli. Stamperia Parigina d’Ales Lebon, 1818. 2) Cangiano L. Breve ragguaglio del perforamento dei due pozzi artesiani recen¬ temente compiuti nella città di Napoli. Napoli, 1859. 3) D’Erasmo G. Studio geologico dei pozzi profondi della Campania. Boll. Soc. Naturai., 43, Napoli, 1931. 4) D’Erasmo G. e Benassai - Sgadari M. L. Bibliografìa geologica d'Italia, voi. Ili (Campania). Napoli, 1958 (Pubbl. a cura del Com. di Geologia del Cons. Naz. Ricerche). 5) Gauthier V. Le acque minerali della provincia di Napoli . Atti Acc. Med. chir., a. LX, Napoli, 1906. 6) Guadagno M. Notizie sul pozzo artesiano recentemente trivellato nella piazzai S. Maria la Fede in Napoli. Contributo alla conoscenza del sottosuolo cittadino e delle sue acque sotterranee. Boll. Soc. Naturai., 36, Napoli, 1925. 7) Guadagno M. Il pozzo artesiano della centrale elettrica del Volturno. Boll. Soc. Naturai., 38, Napoli, 1926. 8) Guadagno M. Il tufo giallo trachitico nel sottosuolo della città di Napoli. Atti Ist. tncoragg., 80, Napoli, 1928. 9) Ippolito F. Su alcuni pozzi profondi del napoletano. Boll, Soc. Naturai., 53, Napoli, 1942. 10) Ippolito F. Studio idrogeologico delle acque del Chiatamone in Napoli. Atti Food. Polit. Mezzog. d’It., 2, Napoli, 1942. 11) Lambertini D. e Scorza V. Le acque delle falde sotterranee nella zona indu¬ striale sud-orientale della città di Napoli. Boll. Soc. Naturai., 64, Napoli, 1956. 12) Lambertini D. e Scorza V. Relazione sull’esame dell’acqua di un pozzo arte¬ siano esistente nell’interno del nuovo palazzo del Banco di Naopli, a via Roma (Napoli). Boll. Soc. Naturai., 65, Napoli, 1956. 13) Lambertini D. Ancora sulle acque sotterranee della zona orientale della città di Napoli. Boll. Soc. Naturai., 66, Napoli, 1958. 14) Lambertini D. ed Esposito A. Acque del sottosuolo dei Campi Flegrei utiliz¬ zate a scopo industriale. Boll. Soc. Naturai., 69, Napoli, 1960. 15) Lambertini D. Le acque del sottosuolo di Napoli e dintorni utilizzate a scopo industriale. La Termotecnica, 14, Milano, 1960. 228 — 16) Lambertini D. e Cardinale A. Le acque delle falde sotterranee della zona a nord della città di Napoli. Boll. Soc. Naturai., 69, Napoli, 1960. 17) Maddalena L. Il pozzo eseguito dalle FF. SS. per il nuovo palazzo postale di Napoli. Boll. Soc. Geol. It., 53, Roma, 1934. 18) Mazzeo M. Passeggiata geo-idrosanitaria partenopea. Napoli, 1955. 19) Meo F. Relazione sull’esame dell’acqua di un pozzo trivellato durante gli scavi di fondazione dei nuovi fabbricati nelle adiacenze della chiesa dei Fio¬ rentini , in Napoli. Boll. Soc. Naturai., 61, Napoli, 1953. 20) Palmieri P. Il pozzo artesiano dell’ Arenaccia del 1880 confrontato con quello del Palazzo Reale di Napoli del 1847. Lo spettatore del Ves. e dei C. Flegrei, 1, Napoli, 1887. 21) Penta F. Il sottosuolo della città di Napoli in rapporto alla progettazione di una metropolitana. Atti Acc. Se. Fis e Mat., s. 3a, 3, n. 7, Napoli, 1960. 22) Rebuffat 0. Sulle acque del sottosuolo di Napoli. Atti Ist. Incoragg., s. 6a, 78, Napoli, 1926. 23) Scherillo A. Petrografia chimica dei tufi, flegrei. 1) Il tufo giallo. Nota I. Rend. Acc. Se. fis. e mat., s. 4a, 17, Napoli, 1950. 24) Scherillo A. Sulla revisione del foglio « Napoli » della carta geologica d’Italia. Boll. Serv. Geol d’It., 75. Roma, 1953. 25) Scorza V. e Lambertini D. Esame di calcestruzzi in opera in acque mineraliz¬ zate, fortemente carboniche. Industria Ital. del Cemento, 20, Roma, 1950. Acque minerali carbonico-ferruginose esistenti nel territorio del Comune di Torre Annunziata Nota dei soci DIANA LAMBERTINI e GIOSAFATTE MONDELLI (Tornata del dì SO dicembre 1960) Nell’ambito di uno stabilimento industriale (Soc. p. Az. Dalmine), nel territorio del comune di Torre Annunziata, sono stati trivellati dei pozzi artesiani per utilizzare le acque del sottosuolo. NelTottobre di quest'anno abbiamo avuto occasione di esaminare tali acque in quanto esse davano luogo a taluni inconvenienti (depo¬ siti e corrosioni) nella rete di distribuzione. In questa nota diamo conto soltanto dei risultati delle indagini analitiche eseguite sulle acque in questione. La località in cui sorge lo stabilimento della Dalmine si trova a sud-est della città, a circa 500 mt dal mare (vedi piantina), in area pianeggiante. Tutta la zona è eminentemente vulcanica ed il sottosuolo è for¬ mato da materiali incoerenti, provenienti dalle eruzioni del Somma- Vesuvio, costituiti per la maggior parte da sabbie e lapilli, più o meno alterati. Per dare un’idea dei terreni attraversati nelle trivellazioni, di uno dei cinque pozzi dai quali si sono prelevati i campioni di acqua, riportiamo in figura 1 la sezione stratigrafica, secondo i rilievi ese¬ guiti dalla società perforatrice. I pozzi sono profondi una trentina di metri ; essi, nonostante siano abbastanza vicini tra loro, presentano delle portate notevoli di acqua, le quali vanno da un minimo di 70 mc/h ad un massimo di — 230 160 mc/h. Ciò sta ad indicare la ricchezza della falda acquifera alla quale si attinge. 0,00 piano di campagna 2,50 ?ti§§É terreno di riporto 5,00. ••■'•v-Vx'-' sabbia granulosa 8,60 • • ’t * 8* .8 1 #’ •* sabbione vulcanico y;\ 15,00 ‘ sabbia e lapillo S-'&vC . . 17.80 limo argilloso 21,30 •o o' ° l* laPill° Pomice© puro 27,00 limo sabbioso at V • - * Fig. 1. Nelle cinque tabelle seguenti, una per ciascun pozzo, e nei gra¬ fici corrispondenti di fig. 2, riportiamo i risultati ottenuti dalFesame analitico delle acque studiate. — 231 — TABELLA 1 a. Valutazioni diverse. 1) pH . . 6,9 2) Temperatura dell’acqua al pozzo . . 18,5°C 3) » esterna . . 22°C 4) Ossigeno disciolto . . 0,54 cc/litro ridotti a 0°C e 760 mm di Hg 5) Durezza totale . . . 71,8° Francesi 6) Residuo secco a 110°C . 1,090 gr/litro 7) Anidride carbonica libera . 0,140 » » 8) Alcalinità (CaC03) . 0,682 » » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si09) . 0,0452 gr/litro 2) » » sesquiossido di ferro (Fe.,03) . 0,0485 » » 3) » » calce (CaO) . 0,2379 » » 4) » » magnesia (MgO) . 0,1153 » » 5) » » ossido di sodio (Na20) . 0,0688 » » 6) » » ossido di potassio (K20) . 0,0612 » » 7) » » anidride solforica (S03) . 0,1217 » » 8) » » anidride carbonica semicombinata (C02) . . . 0,3010 » » 9) » » cloruri (Cl) . 0,0790 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro (ioni) cationi anioni Na+ 0,0510 2,22 2,22 K 0,0508 1.30 1,30 Fe — 0,0339 0,6 L 1,22 Ca + + 0,1710 4,24 8,48 Mg- 0,0698 2,88 5,76 18,98 hco3- 0,8320 13,64 13,64 so4-- 0,1460 1,52 3,04 Cl- 0,0790 2,22 2,22 18,90 — 232 — TABELLA 1 b. Valutazioni diverse. 1) pH . 6,9 2) Temperatura dell’acqua al pozzo . 17,5°C 3) » esterna . 22 °C 4) Ossigeno disciolto . . 0,48 cc/ litro ridotti a 0°C e 760 mm di Hg 5) Durezza totale . . 69,4° Francesi 6) Residuo secco a 110°C . 1,069 gr/litro 7) Anidride carbonica libera . 0,128 » » 8) Alcalinità (CaC03) . 0,672 » » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) . 0,0500 gr/litro 2) » » sesquiossido di ferro (Fe203) . 0,0228 » » 3) » » calce (CaO) ) . . . . . 0,2588 » » 4) » » magnesia (MgO) . 0,0942 » » 5) » » ossido di sodio (Na20) . 0,0852 » » 6) » » ossido di potassio (Ko0) . 0,0664 » » 7) » » anidride solforica (S03) . 0,0769 » » 8) » » anidride carbonica semicombinata (CO„) . . 0,2957 » » 9) » » cloruri (Cl) . 0,1170 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti gr/litro Millimoli/litro Millivalenze /litro (ioni) cationi anioni Na- 0,0632 2,75 2,75 IC’ 0,0555 1,42 1,42 Fe- 0,0160 0,28 0,57 Ca+ + 0,1850 4,61 9,23 Mg+ + 0,0568 2,34 4,67 hco3- 0,8200 13,40 18,64 13,40 so4-- 0,0923 0,96 1,92 ci- 0,1170 3,30 3,30 18,62 — 233 — TABELLA 1 c. Valutazioni diverse. 1) pH ....... . . . . 6,8 2) Temperatura dell’acqua al pozzo . . 18,5°C 3) » esterna . 22 °C 4) Ossigeno disciolto . . 1,24 cc/litro ridotti a 0°C e 760 mm di Hg 5) Durezza totale . 65,3° Francesi 6) Residuo secco a 110°C . 0,981 gr/litro 7) Anidride carbonica libera . . 0,200 » » 8) Alcalinità (CaC03) . . 0,616 » » Composizione chimica del residuo . 1) Titolo di silice (Si02) . . 0,0440 gr/litro 2) » » sesquiossido di ferro (Fe203) . 0,0114 » » 3) » » calce (CaO) . 0,3036 » » 4) » » magnesia (MgO) . . 0,0479 » » 5} » » ossido di sodio (Na.,0) . . 0,0642 » » 6) » » ossido di potassio (K20) . 0,0541 » » 7) » » anidride solforica (S03) . • . . 0,0798 » » 8) » » anidride carbonica semicombinata (C02) . . . 0,2717 » » 9) » » cloruri (Cl) . . 0,0820 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti gr/litro Millimoli/litro Milli valenze /litro t (ioni) cationi anioni Na + 0,0476 2 07 2,07 K+ 0,0449 1,15 1,15 Fe+ + 0,0080 0,14 0,28 * Ca + 0,2170 5,42 10,85 Mg- 0,0289 1,19 2,38 hco3- 0,7520 12,33 16,73 12,33 so4 - 0,0959 0,99 1,99 ci- 0,0820 2,31 2,31 16,63 j — 234 TABELLA 1 d. Valutazioni diverse. 1) pH . 6,9 2) Temperatura dell’acqua al pozzo . . 18,5°C 3) » esterna . . 22°C 4) Ossigeno disciolto . . . . 0,98 cc/litro ridotti a 0°C e 760 mm di Hg 5) Durezza totale . 60,8° Francesi 6) Residuo secco a 110°C . 0,950 gr/litro 7) Anidride carbonica libera . . 0,160 » » 8) Alcalinità (CaC03) . . 0,550 » » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) . 2) » » sesquiossido di ferro (Fe203) ...... 3) » » calce (CaO) . . . 4) » » magnesia (MgO) . 5) » » ossido di sodio (Na20) . 6) » » ossido di potassio (K20) . . . 7) » » anidride solforica (S03) . 8) » » anidride carbonica semicombinata (C02) 9) » » cloruri (Cl) . Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti gr/litro Millimoli/litro Milli valenze/litro (ioni) cationi anioni Na + 0,0413 1,80 1,80 K + 0,0410 1,05 1,05 Fe4 + ' 0,0100 0,17 0,34 Ca + + 0,1670 4,17 8,34 1 Mg+ + 0,0464 1,91 3,82 hco3- 0,6760 11,08 15,35 11,08 s » 0,0769 » » 0,0558 » )> 0,0494 » )) 0,0958 » » 0,2438 » » 0,0630 » » — 235 - TABELLA 1 e. Valutazioni diverse. 1 ) pH . . . . 6,8 2) Temperatura dell’acqua al pozzo . 17,5°C 3) » esterna . . . . 22°C 4) Ossigeno disciolto . . 0,10 cc/litro ridotti a 0°C e 760 nini di Hg 5) Durezza totale . 91° Francesi 6) Residuo secco a 110°C. . . 1,278 gr/litro 7) Anidride carbonica libera . 0,636 » » 8) Alcalinità (CaC03) . 0,990 » » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si09) . . 0,0530 gr/litro 2) » » sesquiossido di ferro (Fe903) . 0,0068 » » 3) » » calce (CaO) . 0,3036 » » 4) » » magnesia (MgO) . 0,1475 » » 5) » » ossido di sodio (Na^O) . 0,1318 » » 6) » » ossido di potassio (K90) . 0,0857 » » 7) » » anidride solforica (S03) . 0,0916 » » 8) » » anidride carbonica semicombinata (C09) . . . 0,4360 » » 9) » » cloruri (Cl) . 0,0810 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro (ioni) cationi anioni Na + 0,0977 4,25 4,25 K 0,0711 1,82 1,82 Fe+ + 0,0048 0,09 0,18 Ca + + 0,2170 5,42 10,84 Mg- 0,0892 3,67 7,34 HCO3- 1,2090 19,81 24,43 19,81 so4-- 0,1100 1,14 2,29 ci- 0,0810 2,28 2,28 24,38 25-h 1 Zj 1 • <• o co i m ' o £ + -f z +£ + . + »0 o + + 0/ O LT) O C\J T in Millivalenze/litro Fig. 2, — 237 — Dai dati su riportati si rileva che le acque in questione sono molto dure, ricche di silice, di anidride carbonica e di ferro (ferroso) e quindi povere di ossigeno disciolto. Esse sono caratterizzate da una notevole instabilità dovuta alla presenza dei bicarbonati : calcico e ferroso. Infatti i campioni, pur presentandosi limpidi all’atto del prelievo, dopo breve tempo si in¬ torbidano notevolmente, con formazione, al fondo dei recipienti, di un deposito ocraceo. Dato il tipo della mineralizzazione e la temperatura rilevata (t2 0,0610 36,45 Residuo sec- 1 co a 180°C 2,2050 — 240 — TABELLA 6. Acqua minerale « Nunziante ». [Analisi di L. Garzia (1948) (2)]. Temperatura = 24° C Componenti gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro (ioni) cationi anioni Na" 0,2641 11,48 11,48 K + 0,0205 0,70 0,70 Fe+ + 0,0033 0,07 0,14 Ca + 0,2810 7,01 14,02 Mg+ + 0,2412 9,91 19,82 hco3- 1,1130 18,50 46,16 18,50 so4-- 0,1193 1,24 2,48 ci- 0,9265 26,13 26,13 Si02 0,1981 47,11 I Residuo sec¬ co a 110°C 4,2020 TABELLA 7. Acqua minerale « Minerva ». [Analisi di Piutti e Comanducci (1912) (3)]. Temperatura = 24° C Profondità = 11 m Componenti ( gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro (ioni) cationi anioni Na- 0,3785 16,46 16,46 K+ 0,1891 4,83 4,83 | Ve 0,0076 0,14 0,28 Ca + + 0,3516 8,83 17,66 1 Mg+ - 0,1391 5,66 11,32 HCO, 2,2131 36,28 50,41 36,28 so4-- 0,1156 1,20 2,40 ci- 0,4423 12,48 12,48 SiO, 0,0728 51,16 Residuo sec¬ co a 110°G 2,8760 • 241 — TABELLA 8. Acqua minerale « Oplontina ». [Analisi di E. Casoria (1)]. Temperatura = 30° C Componenti gr/litro Millimoli/litro Milli valenze /litro (ioni) cationi ! anioni Na- 0,5060 22,00 22,00 K+ 0,7968 20,43 20,43 Fe tracce — Ca + 0,1551 3,87 7,74 Mg- 0,2544 10,46 20,92 hco3- 2,0859 34,18 71,09 34,18 Uì O i 0,4501 4,68 9,36 ci- 0,9774 27,56 27,56 Si(>2 0,0798 71,10 Residuo sec- co a 180°C i 4,2555 TABELLA 9. Acqua minerale a Molino Daunia », già Montella. [Analisi di E. Casoria (1889) (1)]. Temperatura = 31° C Profondità = 30 m Componenti gr/litro Millimoli/litro Milli valenze /litro (ioni) cationi anioni Na h 0,7171 32,45 32,45 K + 0,5490 14,05 14,05 Fe 0,0061 0,11 0,22 Ca 0,1241 3,10 6,20 Mg + + 0,2220 9,17 18,34 hco8- 1,9410 32,78 71,27 | ' 32,78 so4- 0,4820 5,01 • 10,02 ci- 1,0050 28,50 28,50 SiO, 0,0860 71,30 Residuo sec¬ co a 110°C 4,5930 16 — 242 — Dando uno sguardo d'assieme a queste tabelle si rileva che nelle acque prese in considerazione il residuo salino oscilla da un minimo di 2.10 gr/litro ad un massimo di 4,60 gr/litro; l’ione bicarbonico prevale in genere sugli altri ioni ed arriva ad un massimo di 2,20 gr/litro ; l’ione cloro e quello solforico sono presenti in quantità va¬ riabili ; la silice è in tutti i campioni elevata ed il ferro (ferroso), è quasi sempre presente. Si tratta pertanto, ovunque, di acque minerali, prevalentemente di tipo carbonico ; da punto a punto variano però sia l’entità della mineralizzazione, sia i rapporti tra le concentrazioni dei singoli ioni. La diversità della composizione di queste acque, tra le quali alcune anche calde, è un fenomeno legato alla natura vulcanica del territorio dove abbondano manifestazioni post-vulcaniche, come ad esempio le emanazioni carboniche. Stante la elevata mineralizzazione e la instabilità, che in genere caratterizzano le acque del sottosuolo nell’ambito del territorio di Torre Annunziata, volendo utilizzarle ai fini industriali (ad esempio, per refrigerazione), si rende necessario sottoporle ad opportuni tratta¬ menti di condizionamento. Napoli , Istituto di Chimica industriale delVUniversità. BIBLIOGRAFIA 1) Vinaj G. S. e PiNali R. — Le acque minerali e gli stabilimenti termali idropi- nici ed idroterapici d'Italia, voi. II. Milano, 1923 2) Garzia L. — Analisi chimica delVacqua denominata « V esuviana-N unzianie » sorgente in Torre Annunziata (Lido). La Clinica Termale, s. II, n. 3. Roma, 1948. 3) Piutti A. e Co man Ducei E. — Analisi chimica delVacqua minerale « Minerva » in Torre Annunziata (Napoli). Atti Acc. Se. fis. e mat., s. 2a, n„ 9. Napoli, 1912. 4) Piutti A. e Comanducci E. — Analisi chimica delVacqua minerale « Fortuna » in Torre Annunziata (Napoli). Atti Acc. Se. fis. e mat., s. 2a, n. 13. Napoli, 1916. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1960. rel Comune di Torre Annunziata . Soc. Nat. in Napoli, 1960. D. Lambertini e G. Mondelu. Ac erali carboni io- ferru pinose esistenti nel territorio del Comune di Torre Annunziata. 1, Dalmine; 2, Ilva; 3, Fortuna; 4, Filangieri; 5, Santa Lucia; 6, Nunziante; 7, Minerva; 8, Oplontina; 9, Montella. Ricerche idrologiche alla base del Monte Olibano (Pozzuoli) Nota dei soci DIANA LAMBERTINI e GIOSAFATTE MONDELLI. (Tornata del dì 30 dicembre 1960) Lungo il tratto di costa che congiunge Bagnoli con Pozzuoli, una delle zone più interessanti dal punto di vista geologico è quella del Monte Olibano. La formazione di questo monte ebbe luogo nel terzo periodo fle- greo, dopo la deposizione dei prodotti di Agnano e prima della esplo¬ sione vulcanica della Solfatara ( 1). L’attività eruttiva, iniziatasi con l’emissione di ceneri e di scorie, si chiuse con la fase lavica, durante la quale si formarono : prima, verso la costa, la cupola di Villa Cariati, e poi, più all’interno, la cupola della Campanola. Queste due colline pur costituite della stessa lava trachitica, ap¬ paiono strutturalmente molto diverse. Infatti l’esplosione della Solfatara sconvolse la cupola lavica della Campanola disgregando meccanicamente la trachite, la quale, oggi, si ritrova sotto forma di blocchi frammisti ai prodotti della Solfatara stessa e, per di più, notevolmente alterati per il tormento determi¬ nato dall’esposizione continua ai vapori che da essa si sviluppano. Al contrario, la cupola lavica di Villa Cariati non ha risentito degli effetti della esplosione della Solfatara, e si è per tanto conser¬ vata come un unico ammasso di lava trachitica compatta. (1) Sinno R. — Studio geologico e petrografico della zona Monte Olibano-Poz- zuoli. Rend. Acc. Se. Fis. e Mat., s. 4a, 22. Napoli, 1956. — 244 — Su questa seconda collina (Villa Cariati) delimitata, grosso modo,, a sud dal mare, a nord dalla via Domiziana, ad ovest dalla località. Gerolomini e ad est dalla contrada Perrone, è in costruzione la nuova: sede dell’Accademia Aeronautica (vedi Tavola annessa). Nella suddetta località sono stati trivellati dei pozzi allo scopo di rinvenire nel sottosuolo delle acque da utilizzare sia per la costru- — 245 — zione dei fabbricati, sia, in seguito, per i servizi idraulici del complesso. La prima perforazione, eseguita a livello della Domiziana (m. 130 s.l.m.), fu arrestata alla profondità di m. 70, essendosi incon¬ trato uno strato di lava trachitica molto duro e molto caldo (fig. 1). L’elevata temperatura (70°C) riscontrata sta ad indicare l’intima connessione esistente con l’adiacente centro eruttivo della Solfatara. Le altre tre perforazioni sono state eseguite più in basso (m 20 s.l.m.), a poca distanza tra di loro, su di un fianco della collina pro¬ spiciente il mare, nell’ambito di una vecchia cava denominata « Cava Regia ». Delle prime due, profonde una ventina di metri, non siamo riu¬ sciti ad avere notizie riguardanti gli strati attraversati. Le acque rinvenute in questi due pozzi, al livello di poco diverso da quello del mare, sono acque salse, termo-minerali (tab. 1 e 2 e fig. 2). L’analisi ha mostrato che esse bene si inquadrano nel gruppo di acque minerali, sorgenti nella zona litoranea tra La Pietra e Poz¬ zuoli, esaminate dal Rebuffat nel 1926 (2). In particolare esse sono molto simili alle acque delle sorgenti « Gerolomini » e cc Le Migliori Acque » ubicate nelle vicine Terme di Pozzuoli (tab. 3 e 4 e fig. 2). Secondo il Rebuffat, il fatto che nelle acque rinvenute in questo punto del litorale (tra La Pietra e Pozzuoli) si riscontrano le tempe¬ rature più elevate ed il maggior grado di mineralizzazione, è da porre in relazione con la vicinanza al cratere della Solfatara, in quanto queste sorgenti vengono a trovarsi sulla linea più breve che congiunge la Solfatara col mare. Man mano che ci si allontana da questo punto del litorale, sia a destra che a sinistra, diminui¬ scono, infatti, sia la temperatura che l’entità della mineralizzazione. Della terza perforazióne, profonda ni 275, riportiamo in fig. 3 la sezione stratigrafica (3). Da essa si rileva che, nonostante la pro¬ fondità della trivellazione, non si sono incontrati strati di trachite, il che sta a dimostrare che l’area considerata, per ragioni meramente (2) Rebuffat O., Aloe M. e De Rubertis A. Analisi di alcune acque minerali della zona Flegrea. Atti Ist. Incoragg., s. 6a, 78. Napoli, 1926. (3) Tanto in questa sezione quanto in quella precedente riportata alla fig. 1, la nomenclatura relativa ai materiali attraversati è quella adottata da sondatori. 246 — topografiche, non fu raggiunta dalla colata lavica; la quale, in altre direzioni, e non molto lontano, arrivò al mare. La perforazione, dopo aver attraversato strati di diversa natura e potenza, si è arrestata su di uno strato di tufo verde compatto, la cui struttura richiama le analoghe formazioni, incontrate nelle tri¬ vellazioni eseguite dalla Società Anonima Forze Endogene Napole¬ tane (S.A.F.E.N.) (4), nel Rione delle Mofete; e, più precisamente, sul versante verso il Fusaro della zona suddetta, in prossimità delle numerose fumarole della località Gavone delFInferno. In genere questi tufi verdi si rinvengono al disotto del tufo giallo e secondo l’opinione espressa dal D’Erasmo nel suo studio sui pozzi profondi della Campania (5), sono da attribuirsi anche essi al secondo periodo dell’attività flegrea. Dall’esame della sezione stratigrafica si rileva ancora che, anche in questa perforazione a circa — 20 m dal piano di campagna, è stata incontrata la stessa acqua che alimenta gli altri due pozzi; essa però è stata esclusa per l’elevata mineralizzazione e si è proceduto oltre nella trivellazione, con la speranza di rinvenire, a profondità mag¬ giore, acque di caratteristiche chimiche migliori. Approfondendo il pozzo sino a quota di — 275 m dal piano di campagna, è stata ritrovata ancora acqua a quote diverse, ma, sotto¬ posta ad analisi, essa ha mostrato una composizione analoga a quella dell’acqua di mare. Si segnala però che l’ultimo strato acquifero indicato nella stra¬ tigrafia, non è stato repertato, in quanto il pozzo, all’atto del pre¬ lievo del campione da sottoporre ad esame, era alimentato solo dai due strati acquiferi intermedi. Sarebbe stato interessante poter seguire le eventuali variazioni nel tempo, sia della fisionomia chimica, che della temperatura; ma questo non è stato possibile finora perchè il pozzo attualmente è stato posto fuori servizio. (4) Ippolito F. Su alcuni pozzi profondi del Napoletano. Boll. Soc. Naturai., 53. Napoli, 1942. (5) D’Erasmo G. Studio geologico dei pozzi profondi della Campania. Boll. Soc. Naturai., 43. Napoli, 1931. — 247. — Ci ripromettiamo, per quanto concerne questa trivellazione, di completare, appena ne avremo l’occasione, le osservazioni. Le indagini, delle quali si è riferito nel corso della nota, atte¬ stano l’improbabilità di rinvenire acque scarsamente mineralizzate in località che furono sconvolte da intenso vulcanesimo e dove sono tuttora in atto manifestazioni post-vulcaniche di tipo solfatarico (6). Napoli, Istituto di Chimica industriale delVUniversità. (6) Lambertini D. ed Esposito A. Acque del sottosuolo dei Campi Flegrei uti¬ lizzate a scopo industriale, boli, Soc, Naturai., 69. Napoli, 1960, — 248 — TABELLA 1. (Temperatura = 50°C) Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 180°C 2) Alcalinità totale (CaC03) 3) Durezza totale . 4) » permanente . 5) » temporanea . 11,15 gr/litro 0,619 » w 63,9° Francesi 5,9° » 58,0° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) . . . 0,0820 gr./litro 2) » » sesquiossido di ferro (Fe203) . . 0,0162 » » 3) » » calce (CaO) . . 0,1768 » » 4) » » magnesia (MgO) . . 0,1302 » » 5) » » ossido di sodio (Na,,0) . . 5,2360 » » 6) » » ossido di potassio (Ko0) . . . 0,4500 » » 7) » » anidride solforica (S03) . . 0,9330 » » 8) » » anidride carbonica semicombinata (C0o) . . . . 0,2725 » » 9) » » cloruri (Cl) . . 5,5300 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro (ioni) cationi anioni Na + 3,8880 169,36 169,36 K + 0,3736 9,55 9,55 Fe 0,0113 0,20 0,40 Ca++ 0,1265 3,15 6,30 Mg- 0,0785 3,23 6,46 HCOg- 0,7563 12,40 192,07 12,40 so4-- 1,1200 11,65 23,30 Cl- 5,5300 156,00 156,00 • a». 191,70 — 249 — TABELLA 2. (Temperatura = 50°C) Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 180°C . . . . . 15,94 gr/litro 2) Alcalinità totale (CaC03) ............. 0,644 » » 3) Durezza totale . 96,0° Francesi 4) » permanente . . 31,0° » 5) » temporanea . 65,0° » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) . i . 0,1310 gr/litro 2) » » sesquiossido di ferro (Fe203) . 0,0160 » » 3) » » calce (CaO) . 0,2710 » » 4) » » magnesia (MgO) . . 0,1940 » » 5) » » ossido di sodio (Na20) 7,0510 » » 6) » » ossido di potassio (K20) . 0,6800 » » 7) » » anidride solforica (S03) . 1,1670 » » 8) » » anidride carbonica semicombinata (C02) .... 0,2833 » » 9) » » cloruri (Cl) . 7,8020 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti (ioni) gr/litro Millimoli/litro Milli valenze/litro cationi anioni Na+ 5,1510 225,94 225,94 K+ 0,5620 14,32 14,32 Fe— 0,0110 0,20 0,40 Ca + + 0,1930 4,82 9,64 Mg- 0,1170 4,82 9,64 259,54 HCOg- 0,7860 12,90 i 12,90 so4- - 1,4020 14,56 J ! 29,12 ci- 7,8020 220,00 220,00 262,03 ! — 250 — TABELLA 3. (Temperatura = 62°C) Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 180°C , 2) Alcalinità totale (CaC03) 3) Durezza totale .... 4) » permanente . 5) » temporanea . . 12,60 gr/litro 0,572 » » 61°, 5 Francesi 4° » 57°, 5 » Composizione chimica del residuo. 1) Titolo di silice (Si02) . gr/litro 2) » » calce (CaO) . » » 3) » » magnesia (MgO) . » » 41 » » ossido di sodio (Na90) . . . 5,5274 » » 5) » » ossido di potassio (K20) . . . 0,5083 » » 6) » anidride solforica (S03) . . . . 1,2045 » » V) » » anidride carbonica semicombinata (C02) . . 0,5039 » » 8) » » cloruri (Cl) . . . . . . . . 5,4549 )> » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro (ioni) cationi anioni Na- 4,1008 178,31 178,31. i IO 0,4220 10,79 10,79 Ca - 0,1374 3,43 6,85 Mg-- 0,0662 2,72 5,44 HCQg- 0,6987 11,45 201,39 11,45 so4-- 1,4155 14,73 29,47 ci- 5,4549 153,84 153,84 194,76 — 251 — TABELLA 4. (Temperatura = 62°C) Valutazioni chimiche diverse. 1) Residuo secco a 180°C . . 16,36 gr/litro 2) Alcalinità totale (CaC03) . 0,922 » » 3) Durezza totale . 59,6’ Francesi 4) » permanente . . 0° » 5) » temporanea . . . 59,6° » Composizione chimica del residuo . 1) Titolo di silice (Si02) . gr/litro 2) » » calce (CaO) . » » 3) » » magnesia (MgO) . . . . 0,0401 » » 4) )) )) ossido di sodio (Nao0) ........ . . 7,3488 » » 5) » » ossido di potassio (K20) . . . 0,6601 » » 6) » » anidride solforica (S03) . . . 1,2597 » » 7) » » anidride carbonica semicombinata (C0o) . . 0,8181 » » 8) )) » cloruri (Cl) . . . 7,5700 » » Rappresentazione dei risultati analitici. Componenti gr/litro Millimoli/litro Millivalenze/litro (ioni) cationi anioni Na + 5,4521 237,00 237,00 K + 0.5480 14,01 14,01 Ca + + 0,1991 4.97 9.93 Mg- 0,0242 1,00 2,00 HC 1 » » Renato Sinno » 1 » » Antonio Lazzari » 1 » » Ugo Moncharmont » 1 » dott. Bruno D’Argenio » 1 Consiglieri : prof. Mario Salfi » 31 w » Ugo Moncharmont » 31 » » Antonietta Orrù » 30 )> » Mario Covello » 29 » » Francesco Scarsella » 6 » » Antonio Lazzari » 3 » » Pio Vittozzi » 3 )) » Giuseppe Imbò » 2 » dott. Teresa Quagliariello » 2 » prof. Antonio Parascandola » 2 » dott. Teresa De Cunzo » 1 » prof. Aldo Merola » 1 » » Lea Pannain Papocchia » 1 » » Antonio Scherillo » 1 — 304 — Proceduto al controllo delle schede, esse sono risultate in numero di trentasei, corrispondentemente alle firme dei votanti. Si è proceduto altresì al controllo dei voti, che sono stati trovati corrispondenti al numero dei votanti. Il seggio proclama pertanto il seguente risultato . Presidente : V ice-P residente : Segretario : Consigliere : » » » prof. Geremia D’Erasmo » Antonio Scherillo » Pio Vittozzi » Mario Co vello » Ugo Moncharmont » Antonietta Orrù » Mario Salii Il P residente del seggio : Finn. Gustavo Mazzarelli Gli scrutatori: Firm. Aldo Merda, Pio Viitozzi. La seduta è tolta alle ore 20. Verbale della tornata ordinaria del 24 giugno 1960 Presidente: G. D’Erasmo Segretario ff.: T. Quagliariello L’adunanza è aperta alle ore 17,30, essendo presenti i soci Badolato, D’Erasmo, Franco E., Lambertini, Moncharmont-Zei AL, Orrù, Pierantoni, Quagliariello, Ro¬ mano, Scarsella, Scherillo. Scusa l’assenza il Segretario prof. Pio Vittozzi, impegnato in esami di Stato fuori Napoli. Letto ed approvato il verbale della adunanza del 27 maggio, il Presidente rin¬ grazia, anche a nome del Consiglio Direttivo, i colleghi tutti per la nuova prova di fiducia che vollero accordargli con la plebiscitaria votazione del mese scorso e promette che dal canto suo adopererà ogni energia perchè il Sodalizio continui con la migliore fortuna nell’opera efficacemente intrapresa e condotta, in un glorioso ottantennio di vita, a beneficio delle Scienze Naturali nel mezzogiorno d’Italia. Comunica quindi che i risultati della votazione riguardanti il Presidente ed il Vice-Presidente per il triennio 1960-1963 furono già inviati al Ministero per la Pubblica Istruzione a norma del vigente Statuto sociale e che il Ministero ha già risposto prendendone atto. Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche. La Socia Diana Lambertini presenta ed illustra le tre note seguenti destinate alla pubblicazione nel Bollettino: 1) Lambertini Diana ed Esposito Anna Maria « Acque del sottosuolo dei Campi Flegrei utilizzate a scopo industriale » ; 2) Lambertini Diana e Cardinale Anna « Le acque delle falde sotterranee della zona a Nord della Città di Napoli » ; 3) Lambertini Diana e Mondella Giosafatte « Valutazione del potere calorifico superiore di campi di lignite repertali a seguito di un esteso ed intenso campiona¬ mento effettuato per il bacino lignitifero del Mércure ». La socia Teresa Quagliariello presenta, a nome del socio P. Vittozzi, la nota dal titolo « I contatori proporzionali », e ne discorre. — 305 — A norma delle disposizioni vigenti, le 4 note predette restano a disposizione dei Soci in Segreteria per il periodo prescritto c saranno successivamente passate in tipografia per la stampa. L’adunanza è tolta alle ore 19,30. Processo verbale dell’ adunanza del 25 novembre 1960 Presidente: G. D’Erasmo Segretario: P. Vittozzi L’adunanza è aperta alle ore 17,15. Sono presenti i soci ordinari residenti Badolato, Covello, D’Argenio, De Cunzo, Della Ragione, D’Erasmo, Franco E., Imbò, Lazzari, Mazzarelli, Moncharmont U., Moncharmont-Zei M., Parascandola, Quagliariello, Romano, Scarsella, Scherillo, Sinno, Vittozzi. Letto ed approvato il precedente verbale dell’adunanza del 24 giugno, il Presi¬ dente dà la parola al prof. G. Imbò, il quale legge — alla presenza della vedova Dott. Livia Lollini e di alcuni parenti ed estimatori — la Commemorazione di Fran¬ cesco Signore , per molti anni apprezzato consocio e Consigliere della Società. Alla fine della lettura chiede la parola il prof. Guido Piccinini, già titolare della cattedra di Farmacologia nell’Università di Napoli, per associarsi alla commemo¬ razione di Francesco Signore, tanto personalmente quanto a nome del prof. Mariano Messini, titolare di Idrologia Medica all’Università di Roma e Presidente dell’Asso¬ ciazione Medica Italiana di Idroclimatologia, e anche a nome del prof. Leonardo Donatelli, attuale titolare di Farmacologia neH’Università di Napoli. Il Presidente a sua volta aggiunge : « sono assai grato al collega Imbò, che con la sua ampia, precisa, affettuosa commemorazione, ha fatto oggi rivivere in mezzo a noi la cara figura di Francesco Signore, mettendone in giusto rilievo la sua pregevole attività didattica e scientifica. Tale rievocazione troverà degno posto nel nostro Bol¬ lettino e costituirà il migliore tributo di affetto e il più imperituro ricordo dello studioso e dell’amico che tutti avevano carissimo per le sue doti di mente e di cuore. Ringrazio tutti coloro che, intervenendo a questa nostra riunione, hanno accre¬ sciuto l’importanza di essa, e rinnovo le condoglianze del nostro Sodalizio alla dott. Lollini ed agli altri familiari del compianto Collega ». Dopo una breve sospensione della seduta, il Presidente comunica : 1) la Ministeriale 7 luglio 1960, che approva la conferma, per un altro trien¬ nio, del Presidente e del Vice Presidente della Società; 2) la lettera 22 luglio 1960 del Presidente del Cons. Naz. delle Ricerche, la quale comunica la concessione, su proposta del Comitato per la Geografia, Geologia e Mineralogia, di un contributo di lire 500.000 per la stampa del Bollettino; 3) la lettera 1° agosto 1960 dell’Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta, che dà notizia dell’avvenuta concessione di un contributo di L. 80.000 lorde sui fondi riservati alle riviste di elevato valore culturale. Parla poi delle nuove domande avanzate alla stessa Commissione Interministe¬ riale per i contributi Ente Cellulosa e Carta, nonché al Ministero della Pubblica Istruzione, e degli affidamenti ricevuti finora. Tra le pubblicazioni recentemente presentate in omaggio, è segnalato un gruppo 20 — 306 — di lavori di Geofisica offerti dal consocio Vittozzi, e uno studio recente del consocio D’Erasmo sopra Nuovi ittioliti della serie di Lugli in Somalia. Si passa quindi a fissare il calendario delle tornate ordinarie per l’anno 1961, che risulta il seguente Gennaio 27 ; Febbraio 24 ; Marzo 31 ; Aprile 28 ; Maggio 26 ; Giugno 30; Novembre 24; Dicembre 29. Successivamente, il socio prof. Mario Covello presenta un lavoro, scritto con la collaborazione dei Dott. Giuseppe Ciampa, sopra La Passiflora incarnata e ne discorre. La socia Maria Moncharmont Zei presenta un lavoro dal titolo Contributo alla conoscenza del Pleistocene della Sicilia e ne parla. il Presidente presenta, a nome del Consocio Domenico Franco, che scusa Fas- senza, una nota Su alcuni ittiodontoliti rinvenuti nei calcari terziari a Pettinidi di Pietroia ( Benevento ). A questo punto chiede la parola il prof. Giuseppe Imbò. Egli, in relazione a quanto ha scritto il Parascandola nelle « Notizie Vesuviane » apparse nel voi. LXVIII del Bollettino della Società dei Naturalisti, e precisamente a proposito delle parole « Non capisco però perchè debba chiamarsi ” Gigante „ quando il Vesuvio è stato denominato ” vulcano da gabinetto ,. dallo Spallanzani, e da altri ” gingillo da sa¬ lotto „ , chiarisce che la vallata situata tra il gran Cono vesuviano ed il Monte Somma è stata da lui denominata ” Valle del Gigante „ in considerazione del fatto che il profilo tra Punta del Nasone e quota 1068 con quota 1057 ricorda un Gigante dormiente ». L’adunanza è tolta alle ore 19. Verbale dell’ adunanza del 30 dicembre 1960 Presidente: G. D’Erasmo Segretario: P. Vittozzi L’adunanza è aperta alle ore 16,30. Sono presenti i soci ordinari residenti Covello, Moncharmont U., Imbò, Qua- gliariello, Sersale, Lambertini, Moncharmont Zei VI., De Leo, Scarsella, D’Argenio, Lazzari, De Cunzo, Scherillo, Mazzarellì, Parascandola, Malquori. Il Segretario dà lettura del processo verbale dell’adunanza del 25 novembre, che è approvato. Il Presidente comunica la Ministeriale 17 dicembre N. 7675, la quale dà affi¬ damento circa la concessione di un contributo straordinario per la stampa del Bol¬ lettino. Dà quindi notizia della decisione adottata dal Consiglio Direttivo circa le borse di studio Cavolini-De Mcllis, le quali vengono portate, per l’anno 1961, a L. 25.000 ciascuna e destinate rispettivamente agli studenti di III e di IV anno per la laurea in Scienze Naturali o Biologiche o Geologiche, che abbiano la migliore carriera sco¬ lastica, avendo superato tutti gli esami consigliati dalla facoltà. 11 concorso verrà chiuso il 31 maggio 1961 e giudicato secondo le norme consuete. L’Assemblea approva. Vengono successivamente prese in esame le seguenti nuove domande a socio presentate durante l’anno 1960 e preventivamente approvate dal Consiglio Direttivo, che le sottopone alla votazione dell’Assemblea ; — 307 1) Dott. Bonasia Vito, assistente presso l’Osservatorio Vesuviano, presentato dai soci Imbò o Vittozzi; 2) Dott. Ciampa Giuseppe, assistente presso l’Istituto di Chimica Farmaceu¬ tica, presentato dai soci Covello e Romano; 3) Dott. Di Leo Lucia, interna presso Llstituto di Geologia di Napoli, pre¬ sentata dai soci Moncharmont Zei e D’Erasmo; 4) Dott. Gianfrani Alfonso, assistente ine. presso l’Osservatorio Vesuviano, pre¬ sentato dai soci Imbò e Vittozzi ; 5) Dott. Mondelli Giosafatte, assistente presso Llstituto di Chimica industriale, presentato dai soci Malquori e Sersale ; 6) Dott. Montagna Raffaele, assistente volontario presso l’Istituto di Fisica Ter¬ restre, presentato dai soci Imbò e V ittozzi ; 7) Dott. Oliveri del Castillo Alessandro, assistente ine. presso l’Istituto di Fi¬ sica Terrestre, presentato dai soci Imbò e Vittozzi; 8) Dott. Patella Maria Luisa, assistente straordinaria presso Llstituto di Fisica Terrestre, presentata dai soci Imbò e Vittozzi; 9) Dott. Pappalardo Albina, assistente volontaria nell’Istituto di Geologia, pre¬ sentata dai soci D’Erasmo e Moncharmont Zei ; 10) Sig. Parenzan Paolo di Pietro, laureando in Scienze Naturali, presentato dai soci Tosco e Vittozzi; 11) Prof. Radina Bruno, aiuto nell’Istituto Geologico dell’Univ. di Bari, pre¬ sentato dai Soci D’Erasmo e Scarsella ; 12) Dott. Vitagliano Vincenzo, assistente presso l’Istituto di Chimica Fisica di Napoli, presentato dai soci D’Erasmo e Lazzari. Tutte le domande predette sono accolte all’unanimità dall’Assemblea. Si passa alle comunicazioni scientifiche. 11 socio Lazzari presenta una nota dal titolo « Qualche considerazione sull’età e sulla provenienza della « terra rossa » della penisola Salentina », esponendone un largo riassunto. Dopo alcune informazioni richieste dal socio Parascandola sulle zone di rinve¬ nimento della predetta terra rossa e dopo le precisazioni fornite dal prof. Lazzari, il lavoro s’intende approvato per l’inserzione nel Bollettino. La socia Lambertini presenta ed illustra brevemente le seguenti tre note, ugual¬ mente destinate alla stampa nello stesso periodico : 1) Lambertini D. Acque sotterranee nellambito del centro urbano della Città di Napoli ; 2) Lambertini D. e Mondelli G. Acque carbonico-ferruginose rinvenute nel territorio del comune di Torre Annunziata ; 3) Lambertini D. e Mondelli G. Ricerche idrologiche eseguite alla base del Monte Olibano nei Campi Flegrei. Il socio Parascandola espone le osservazioni da lui compiute nell’ultimo bien¬ nio sul Vesuvio, le quali completano ed aggiornano il precedente lavoro inserito nel Bollettino del 1959. Il titolo dell’odierna comunicazione è il seguente: Notizie vesu¬ viane, Il Vesuvio dal gennaio 1959 al dicembre I960. L’adunanza è tolta alle ore 18,30. ELENCO DEI SOCI AL 31 DICEMBRE 1960 SOCI ORDINARI RESIDENTI 1. Andreotti Amedeo - Ingegnere. Napoli, Piazza Nicola Amore, 2 (tei. 321.702). 2. Antonucci Achille - Preside del Liceo di Isernia. Napoli, Via Benedetto De Falco, 14 (tei. 342.818). 3. Augusti Selim - Ord. di Scienze nei Licei. Napoli, Via Cimarosa, 69 (tei. 377.855). 4. Badolato Franco - Assistente lst. di Fisiologia generale Università. Napoli, Via Mezzocannone, 8 (tei. 323.411). 5. Boisio Maria Luisa - Napoli, Via Francesco Cilea, 117 (tei. 378.121). 6. Califano Luigi - Prof. ord. Patologia generale. Napoli, Via Roma, 368 (tele¬ fono 312.784). 7. Capaldo Pasquale - Napoli, Traversa Giacinto Gigante, 36 (tei. 370.184). 8. Carrelli Antonio - Dir. Ist. Fisico Università. Napoli, Piazza D’Ovidio, 6 (tei. 313.844). 9. Castaldi Francesco - Lib. doc. di Geografia. Napoli, Via Aniello Falcone, 260 (tei. 373.890). 10. Catalano Giuseppe - Prof. ord. f. r. di Botanica Università. Napoli, Via Luigia Sanfeiice, 5 (tei. 375.959). 11. Ciampa Giuseppe - Assistente lst. Chimica farmaceutica Università. Napoli, Piazza Bovio, 33 (tei. 324.033). 12. Covello Mario - Dir. Ist. Chimica farmaceutica Università. Napoli, Via Leopoldo Rodino, 22 (tei. 322.038). 13. Cutolo Costantino - Ingegnere. Napoli, Via Salvatore Di Giacomo a Marechiaro, 24 (tei. 301.470). 14. D’Argenio Bruno - Assistente Ist. di Geologia Università. Napoli, Largo S. Mar¬ cellino, 10 (tei. 321.075). 15. De Cunzo Teresa - Assistente Ist. di Geologia Università. Napoli, Largo S. Mar¬ cellino. 10 (tei. 321.075). 16. De Leo Teodoro - Assistente Ist. Fisiologia generale Università. Napoli, Via Mezzocannone, 8 (tei. 323.411). 17. De Lerma Baldassarre - Dir. Ist. di Biologia generale Università. Napoli, Via S. Strato a Posillipo, 25 (tei. 301.099). 18. Della Ragione Gennaro - Ord. di Scienze nel II Liceo Seientif. « G. Mercalli ». Napoli, Via S. Pasquale a Ghiaia, 29 (tei. 235.821). 19. D'Erasmo Geremia - Prof. ord. f. r. di Geologia Università. Napoli. Largo S. Mar¬ cellino, 10 (tei. 321.075). 20. Desiderio Carlo - Prof, di Scienze nat. nei Licei. Napoli, Viale Augusto, 79 (tei. 305.493). 21. Dì Leo Lucia - Napoli, Via Traccia. 181 (tei. 225. 758). 22. Dohrn Rinaldo - Dir, emerito della Stazione Zoologica. Napoli. Villa Comunale (tei. 391.705). 23. Florio Armando - già prof. ord. II Liceo Scient. Napoli, Via Simone Martini, Parco Mele, isolato B (tei. 366.575). — 309 — 24. Franco Enrico - Assistente Ist. di Mineralogia Università. Napoli, Via Mezzo¬ cannone, 8 (teL 323.388). 25. Giacqmini Valerio - Dir. Istituto di Botanica Università. Napoli, Via Feria, 223 (tei. 341.842). 26. Imbò Giuseppe - Dir. Ist. di Fisica Terrestre Università e Dir. Osservatorio Vesuviano. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 324.935). 27. Galgano Mario - Dir. Ist. d’istologia e di Embriologia Università. Napoli, Vico Latilla, 18 (tei. 313.635). 28. Lambertini Diana - Assistente Ist. di Chimica Industriale Università. Napoli, Corso Umberto I, 228 (tei. 226.071). 29. Lazzari Antonio - Prof. ine. di Geografia fisica Università. Napoli, Via Aniello Falcone, 56 (tei. 379.312). 30. Majo Andreotti Ester - Lib. doc. di Geografia fisica Università. Napoli, Piazza Nicola Amore, 2 (tei. 321.702). 31. Majo Ida - Ord. di Scienze Naturali nei Licei. Napoli, Via Monte di Ilio, 74 (tei. 397.699). 32. Malquori Giovanni - Dir. Ist. di Chimica Industriale Università. Napoli, Largo S. Marcellino,- 10 (tei. 322.904). 33. Maranelli Adolfo - Preside Ist. Tecn. Comm. di Torre del Greco. Napoli, Via Michelangelo da Caravaggio, 76 (tei. 389.205). 34. Mazzarelli Gustavo - Ine. Topografia e Cartografia Università. Napoli, Via Cimarosa, 50 (tei. 366.555). 35. Merola Aldo - Lib. doc. di Botanica e assistente Ist. Botanico Università. Napoli, Via Foria, 223 (tei. 341.842). 36. Mezzetti Bambagioni Valeria - Dir. Ist. e Orto Botanico Fac. Agraria. Portici (tei. 334.967). 37. Migliorini Elio - Dir. Ist. di Geografia Università. Napoli, Largo S. Marcel¬ lino, 10 (tei. 324.301). 38. Minieri Vincenzo - Ord. di Scienze Nat. nei Licei. Napoli, Via Blundo, 4 (tei. 365.789). 39. Mirigliano Giuseppe - Prof. ine. di Oceanografia nell’Università di Bari. Napoli, Via E. De Marinis, 1 (tei. 327.846). 40. Moncharmont Ugo - Ord. di Scienze Nat. nel Liceo « Viti. Eman. II ». Napoli, Via Aniello Falcone, 88 (tei. 375.003). 41. Moncharmont Zei Maria - Lib. doc. di Paleontologia nelFUniversità. Napoli, Via Aniello Falcone, 88 (tei. 375.003). 42. Mondelli Giosafatte - Assistente Ist. di Chimica Industriale Università. Portici, Via Libertà, 245 (tei. 333.006). 43. Montagna Raffaele - Assist. Ist. di Fisica Terrestre Università. Napoli, Via Altamura, 1 (tei. 372.895). 44. Napoletano Aldo - Meteorologo dell’Aeronautica. Napoli, Prolungamento Viale Malatesta, 20 (tei. 361.871). 45. Nicotera Pasquale - Assist. Ist. di Geologia Applicata Fac. Ingegneria. Napoli, Via Mezzocannone, 16 (tei. 323.818). 46. Oliveri del Castello Alessandro - Assist. Ist. di Fisica Terrestre Università. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 321.805). 47. Orrù Antonietta - Dir. Ist. di Fisiologia Generale Università. Napoli, Via Rocco Galdieri, 16 (tei. 301.818). — 310 — 48. Pacella Maria Luisa - Assist. Ist. di Fisica Terrestre Università. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 321.805). 49. Palombi Arturo - Prof. ine. di Zoologia gen. agraria Università. Ispettore Cen¬ trale Minist. P.I. Napoli, Via Carducci, 29 (tei. 391.825). 50. Panini ain Papocchia Lea - Preside negli Educandati di Napoli. Via Carducci, 29 (tei. 391.725). 51. Pahascandola Antonio - Prof. ine. di Mineralogia e Geologia nella Fac. di Agraria. Napoli. Via Mezzocannone, 8 (tei. 323.388). 52. Parisi Rosa - Già prof. ine. di Fisiologia vegetale Università. Napoli, Via Pier delle Vigne, 14. 53. Pellegrino Oreste - Assist. Ist. di Botanica Università. Napoli, Via Gaetano Donizetti, .5 (tei. 366.710). 54. Pescione Adelia in Messina - Prof. Scienze Nat. Ist. Tecn. G. B. Della Porta. Napoli, Via Nevio, 102 (tei. 385.672). 55. Pierantoni Angiolo - Chimico nel Laboratorio Igiene e Profilassi della Provincia. Napoli, Galleria Umberto I, 27 (tei. 233.255). 56. Piscopo Eugenio - Assist. Ist. di Chimica Farmaceutica Università. Napoli, Via Leopoldo Rodino, 22 (tei. 322.038). 57. Quagliariello Teresa - Assist. Ist. di Fisica Terrestre Università. Napoli, Via Salvator Rosa, 299 (tei. 340.692). 58. Rippa Anna - Prof, di Scienze nat. nel Liceo Umberto I. Napoli, Piazzetta Marconigìio, 4 (tei. 352.616). 59. Romano Giuseppe - Già assist. Ist. di Chimica farmac. Università. Napoli, Via Gerolomini, 11 (tei. 212.143). 60. Salfi Mario - Dir. Ist. di Zoologia Università. Napoli, Corso Umberto I, 118 (tei. 329.092). 61. Sarà Michele - Lib. doc. Zoologia Università. Napoli, Via Posillipo, 102 (tele¬ fono 300.294). 62. Scarsella Francesco - Dir. Ist. Geologia Università. Napoli, Largo S. Marcel¬ lino, 10 (tei. 321.075). 63. Scherillo Antonio - Dir. Ist. di Mineralogia Università. Napoli, Via Mezzo¬ cannone, 8 (tei. 323.388). 64. Sersale Riccardo - Prof. ine. di Chimica applicata e industriale nella Fac. d’ingegneria. Napoli, Via Mezzocannone, 16 (tei. 322.595). 65. Sinno Renato - Lib. doc. di Mineralogia Università. Napoli, Via Caiazzo, 9 (tei. 379.259). 66. Tarsia in Curia Isabella in Del Giudice . Prof, di Scienze nat. nel Liceo San- nazzaro. Napoli, Corso Umberto I, 106 (tei. 329.368). 67. Torelli Beatrice - Lib. doc. di Zoologia Università. Napoli, Via Luca da Penne, 3 (tei. 385.036). 68. V iggiani Gioacchino - Lib. doc. di Ecologia agraria Università. Napoli, Via Posillipo, 281 (tei. 300.002). 69. V itagliano Vincenzo - Assist. Ist. Chimica fisica Università. Napoli, Via Man¬ zoni, 30. 70. V ittozzi Pio - Lib. doc. in Fisica terrestre Università. Napoli, Via Battistello Caracciolo, 93 (tei. 215.660). — 311 — SOCI ORDINARI NON RESIDENTI 1. Antonucci Nicola - Prof, di Scienze nat. Caserta, Corso Trieste, 36. 2. Arena Vittorio ■ Dott. in Se. nat. Napoli, Via Gesù e Maria, 3 (tei. 340.446); 347 N. E. Glisan Portland (Oregon). 3. Bonasia Vito - Assist. Osservatorio Vesuviano. Resina (Napoli). 4. Buon anno Giuseppe - Prof, di Se. nat. Brindisi, Piazza S. Dionisio, 2. 5. Bruno Alessandro - Lib. doc. di Merceologia coloniale Università. Napoli, Rione Felice a Ottoealli, 34. 6. Candura Giuseppe - Lib. doc. di Zoologia agraria. Università. Bari, Facoltà di Agraria. 7. Capone Antonio - Dott. in Chimica. Napoli, Vico Bagnara, 11 (tei. 343.202). 8. Casertano Lorenzo - Lib. doc. in Vulcanologia. Osserv. Vesuviano. Resina (Napoli) (tei. 334.969). 9. Cocuzza Silvestri Salvatore - Lib. doc. di Vulcanologia Università. Catania. 10. Costantino Giorgio - Lib. doc. Entomologia agraria. Dir. Osservatorio di Fito- patologia per la Calabria. Catanzaro, Via Giuseppe Sensales, 26. 11. Cotecchia Vincenzo - Prof. ine. di Geologia applicata Fac. Ingegneria Univer¬ sità. Bari, Corso Cavour, 2. 12. D’Ancona Umberto - Dir. Ist. di Zoologia Università. Padova, Via Loredan, 6. 13. De Nisco Bruno - Dott. in Scienze geologiche. Agip Mineraria. S. Donato Mi¬ lanese (Milano). 14. Franco Domenico - Prof, di Scienze nat. nel Liceo classico di Benevento. 15. Gianfrani Alfonso - Assistente nell’Osservatorio Vesuviano. Resina (Napoli). 16. Giordani Mario - Prof, di Chimica analitica Università. Roma, Via Bressanone, 3 (tei. 815.834). 17. Ippolito Felice - Segr. Gen. Com. Naz. per l’energia nucleare. Roma, Via E. Ximenes, 12 (tei. 879.156). 18. Iovene Francesco - Prof, di Scienze nat. Ischia (Napoli), Via Acquedotto. 19. lucci Carlo - Dir. Ist. di Zoologia Università. Pavia, Viale XXI Febbraio, 2 (tei. 25.740). 20. La Greca Marcello - Dir. Ist. di Zoologia Università. Catania. 21. Lucchese Elio - Prof. ine. di Entomologia agraria Università. Perugia, Via Assisana, 22. 22. Maini Padre Dante - Rettore Pontificio Ist. Sup. Scienze e Lettere « S. Chiara ». Napoli (tei. 320.332). 23. Maino Armando - Geofisico nel Servizio Geol. d’It. Roma, Largo di S. Susanna, 13. 24. Mancini Fiorenzo - Dir. Ist. Geologia applicata Fac. di Agraria. Firenze, Piaz¬ zale delle Cascine. 25. Mendia Luigi - Prof. ine. di Ingegneria Sanitaria Fac. Ingegneria. Università. Napoli, Via Mezzocannone, 16. 26. Miraglia Luigi - Prof, di Scienze nat. nei Licei (attualmente in Asuncion, Paraguay, Casilla de Correo N. 792). 27. Montalenti Giuseppe - Dir. Ist. di Genetica Università. Roma, Via Cola di Rienzo, 297 (tei. 352.261). 28. Omodeo Pietro - Prof, di Biologia e Zoologia generale Università. Siena. — 312 — 29. Pappalardo Albina - Assist. Ist. Geologia Università. Torre del Greco (Napoli), Corso Vittorio Emanuele, 63 (tei. 861.655). 30. Parenzan Paolo - Istituto Talassografico di Taranto, Via Roma, 3. 31. Parenzan Pietro - Lib. doc. di Idrobiologia Università Napoli, Istituto Talas¬ sografico di Taranto, Via Roma, 3. 32. Pasquini Pasquale - Div. Ist. di Zoologia Università. Roma. Viale Regina Elena, 324 (tei. 450.686). 33. Penta Francesco - Prof, di Geologia applicata Fac. Ingegneria Università. Roma, Via dei Laterani, 36 (tei. 776.796). 34. Perconig Enrico - Micropaleontologo. Agip Mineraria. S. Donato Milanese (Milano). 35. Pericoli Sergio - Dott. in Scienze geologiche. Cattolica (Forlì), Via Antonini, 1. 36. Radina Bruno - Lib. doc. Geol. applicata. Aiuto Ist. Geologia Università. Bari, Via Fratelli Rosselli, 32. 37. Rodio Gaetano - Prof. ord. f. r. di Botanica Università. Catania, Via Antonino Longo, 19. 38. Ruffo Sandro - Lib. doc. Zoologia. Assist, nel Museo Civico Storia Nat. Verona, Lungadige di Porta Vittoria, 9. 39. Ruocco Domenico - Prof. ine. di Geografia econom. nella Fac. di Econ. e Comm. Napoli, Via Aniello Falcone, 428 (tei. 387.352). 40. Scorza Vincenza - Assist. Ist. Chimica industriale Fac. Ingegneria Università. Napoli, Via Mezzocannone, 16 (tei. 322.595). 41. Sicardi Ludovico - Dott. in Chimica. Torino, Corso XI febbraio, 21. 42. Tosco Uberto - Dir. Laboratorio Crittogamico Uff. Igiene e Sanità. Torino, Corso Giovanni Agnelli, 107 (tei. 366.840). 43. Trotta Michele - Dott. in Med. Veterinaria. Salerno, Via Michele Conforti, 13. 44. Trotter Alessandro - Prof, emerito di Patologia vegetale. Vittorio Veneto (Treviso), Via Cavour, 15. 45. Vighi Luciano - Lib. doc. in Giacimenti minerari. Soc. Montecatini, Settore Miniere. Milano, Via Turati, 18. 46. Zavattari Edoardo - Prof. ord. f. r. di Zoologia Università. Genova. Via Cirenaica, 8/7. INDICE MEMORIE, NOTE E COMUNICAZIONI Ciampa G, — Il Chenopodio antelmintico ...... Lambertini D. e Mondelli G. — Valutazione del potere calorifico supe¬ riore di campioni di lignite repertati a seguito di un esteso ed intenso campionamento effettuato per il bacino del Mercure Lambertini D. e Cardinale A. — Le acque delle laide sotterranee della zona a nord della città di Napoli (con 1 tavola ) . Lambertini D. ed Esposito A. M. — Acque del sottosuolo dei Campi Flegrei utilizzate a scopo industriale ( con 1 tavola ) . Vittozzi P. — I contatori proporzionali ...... Covello M. e Ciampa G. — Ilerba passiflorae incarnatae. Stato attuale delle ricerche sulla droga e contributo sperimentale su quella coltivata presso la Stazione Sperimentale per le Piante Officinali annessa allo Orto Botanico dell’Università di Napoli ...... ImbÒ G. — Francesco Signore. Commemorazione . Moncharmont Zei M. — Contributo alla conoscenza del Pleistocene della Sicilia (con 14 tavole ) ......... Franco D. — Su alcuni ittiodontoliti rinvenuti nei calcari terziari a Pet- tinidi di Pietraroia (Benevento) (con 5 tavole ) . Lazzari A. — Qualche considerazione sulla età e sulla provenienza della « terra rossa » della Penisola Salentina ...... Lambertini D. — Acque sotterranee nell’ambito del centro urbano della città di Napoli (con 4 tavole ) ........ Lambertini D. e Mondelli G. — Acque minerali carbonico-ferruginose esistenti nel territorio del Comune di Torre Annunziata (con 1 tavola ) Lambertini D. e Mondelli G. — Ricerche idrologiche alla base del M. Olibano nei Campi Flegrei (con 1 tavola ) . . . . . Scherillo A. e Franco E. — Rilevamento stratigrafico del territorio comunale di Napoli (con 2 tavole ) ....... Parascandola A. — Notizie Vesuviane. Il Vesuvio dal gennaio 1959 al dicembre 1960 (con 10 tavole ) ........ pag. 3 » 23 » 32 » 49 » 74 » 98 » 123 » 141 » 187 » 201 » 214 » 229 » 243 » 255 » 263 PROCESSI VERBALI DELLE TORNATE E DELLE ASSEMBLEE GENERALI ED ELENCHI DEI SOCI Processi verbali delle tornate e delle assemblee generali .... pag. 299 Elenco dei Soci ordinari residenti al 31 dicembre 1960 .... » 308 Elenco dei Soci ordinari non residenti al 31 dicembre 1960 ...» 311 Ìndice .............. » 343 Finito di stampare il 29 aprile 1961 Direttore responsabile : Prof. MICHELE FUI ANO Autorizzazione della Cancelleria del Tribunale di Napoli - n. B 649 del 29-11-1960