Lta^. SKÌ^tKSÉI mi SDÌ §M pss^ pefc5® M r*' <*? m L&\ d < !S EOv&t Yj, feftSSsfi: tlwi 7 Jp-L. \kJ felli il tsmi Phss$l ' imrjmm PlIIVmjSès %$ $$k ^ §Ét& WÉIS BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI IN NAPOLI VOLUME L X X - 1961 PUBBLICATO SOTTO GLI AUSPICI DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE NAPOLI Stabilimento Tipografico G. Genovese Pallonetto S. Chiara, 22 1962 BOLLETTINO DELLA VOLUME L X X - 19 6 1 PUBBLICATO SOTTO GLI AUSPICI DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE NAPOLI Stabilimento Tipografico G. Genovese Pallonetto S. Chiara, 22 1962 ■ . ■ . . Osservazioni sulla genesi e V età dei « marmi di Vitulano » e sulla paleogeografia del Monte Camposauro O Nota del socio dott. BRUNO D’ARGENIO (Tornata del dì 27 gennaio 1961) Sul versante orientale del Monte Camposauro, nel gruppo del Taburno, esistono numerosi affioramenti di brecce calcaree policrome, di calcari brecciati e, più raramente, di alabastri calcarei che, per le comuni caratteristiche ornamentali (1), prendono il nome complessivo di « marmi di Vitulano ». Questi « marmi » sono stati usati, a scopo decorativo, fin dalla prima metà del secolo XVIII, sotto il regno illuminato di Carlo III di Borbone ; e le cave, con alterne vicende, sono state sal¬ tuariamente coltivate fino a pochi anni orsono, fornendo materiali ornamentali impiegati in Italia e all’estero (2). Dei « marmi di Vitulano » si sono occupati vari autori a comin¬ ciare da Zaccagna nel 1890 [28]. Le sue osservazioni, quasi del * Lavoro eseguito con il contributo del C. N. R. (1) I « m arnii di Vitulano » sono, nel loro genere, tra i materiali ornamen¬ tali più noti in Campania. Tuttavia si conoscono delle brecce analoghe a Pietraroia (Benevento) [1] e nel gruppo del Monte Maggiore (Caserta) [17]. (2) Non è possibile dare un elenco completo dei monumenti, delle chiese e dei palazzi in cui i « marmi di Vitulano » furono usati a scopo ornamentale, a comin¬ ciare dal palazzo reale di Caserta e da quelli di Napoli e di Portici, in cui il Van- vitelli si servì abbondantemente di questi materiali [31, [8], [22]. Anche in seguito i « marmi di Vitulano » furono usati in molte chiese ed edifici di Napoli (Duomo, Chiesa Madre del cimitero, chiesa dei Pellegrini eco., Museo Nazionale, nuovo edi¬ ficio della Borsa) e di Roma (S. Giovanni in Laterano, SS; Apostoli, ecc*)l Inoltre furono esportati in Francia, Inghilterra, Russia, Nord America, Austra¬ lia [29]. SMUHSONIAN ISTITUÌ»» AUG 2 3 1962 4 — tutto inedite, sono le più particolareggiate e, dal punto di vista geo¬ logico, le più complete. Altri lavori, o rivestono un carattere pu¬ ramente descrittivo dal punto di vista tecnico-industriale (Genta, 1906 [8]) o citano soltanto, con poche notizie, i « marmi » in que¬ stione (R. L., 1836 [22], Ufficio Geologico, 1904 [27], Penta, 1933 [19], 1935 [18], Crema, 1934 [3], Federazione Naz. Esercenti Industrie Estrattive, 1939 [6], Pieri, 1960 [21], D’Argenio, 1959 [5]. La descrizione più particolareggiata è in Penta, 1935 [19], con bibliografìa. Qui vengono esposte le osservazioni compiute al Monte Campo¬ sauro (Tav. I, fig. 1) e nelle numerose cave che si aprono nel lato orientale di questo rilievo, cave ubicate tutte in lenimento dei Comuni di Vitulano e Cautano (provincia di Benevento) e tutte attualmente inattive. I fatti osservati permettono di formulare delle ipotesi sulla genesi dei « marmi di Vitulano » e sulle condizioni paleogeografiche del Camposauro durante il Terziario medio-inferiore. I. Come si è premesso, col nome di « marmi di Vitulano » sono indicati almeno tre tipi litologici distinti tra loro. Si tratta di brecce calcaree e di calcari brecciati rinsaldati da un cemento policromo, e di alabastri calcarei. Tralasciando questi ultimi, i cui giacimenti sono quasi completamente esauriti, è interessante osservare la giaci¬ tura e le caratteristiche dei primi, nelle varie cave da cui venivano estratti. Sulla scorta delle notizie fornite da un manoscritto di Zaccagna [28] ed in base ad indicazioni avute sul luogo, è stato possibile identificare sei delle nove cave descritte da questo autore. 1. — Cava Perla (F. 173 Ili NE. VF 694.569), (Tav. I, fig. 2). È, con la cava Uria, la più nota ed è situata a nord di Cautano, sul versante meridionale del Colle della Noce, a quota 550 circa. È composta di due fronti di cava sovrapposti. Il materiale estratto è una breccia calcarea ad elementi eterogenei, di dimensioni variabi¬ lissime da punto a punto: da pochi decimetri a qualche millimetro. Si — 5 — tratta di calcari subcristallini bianchi, calcari marnósi cinerei, a volte riccamente fossiliferi, calcari detritici e calcari pseudoolitici grigi ( 3). Laddove è stato possibile datare questi elementi, sia con macro¬ fossili che con microfossili, è quasi sempre risultata un’età sopra¬ cretacica e, comunque, sempre cretacica. Il cemento è in genere colorato in rosso o in giallo, ma sono frequenti anche i toni cupi che vanno fino al marrone scuro. Più raro un cemento decisamente calcitico, alabastrino, che però è sem¬ pre posteriore al cemento policromo. Quest’ultimo, pur essendo pre¬ valentemente costituito da carbonato di calcio, deve la sua colora¬ zione essenzialmente al dilavamento di sacche bauxitiche, frequenti nella zona, come si dirà in seguito, ma attualmente quasi del tutto svuotate. La breccia si presenta in banchi irregolari di 1-2 metri o più. I rapporti di giacitura con i calcari cretacei sottostanti non sono molto chiari per le vicende tettoniche da questi subite prima e dopo la deposizione delle brecce. A quanto è dato di vedere, i banchi di breccia giacciono più o meno in discordanza sui calcari. Inferiormente il passaggio ai cal¬ cari del Cretacico è quasi sempre mascherato dalle abbondanti discariche su cui si è impiantata la vegetazione; ma è pos¬ sibile osservare degli spuntoni calcarei che presentano, perchè messe in evidenza dall’erosione, delle fratture carsificate e riem¬ pite da alternanze di un materiale calcareo marnoso grigio o roseo. Le microfaune presenti nel calcare permettono di attri¬ buirlo al Cretacico superiore, mentre le microfaune rinvenute nel materiale che riempie le fratture carsificate indicano un’età miocenica. Circa 30-40 metri a monte della cava superiore, si rinvengono altre brecce, questa volta più vivacemente colorate, spesso con masse¬ rei le nodulari di bauxite tra gli elementi. La giacitura di queste brecce è meno chiara delle precedenti e non si riesce a distinguere una strati¬ ficazione, sia pure irregolare. Gli elementi sono del Cratacico superio- <& (3) Nel 1903 le cave del Vitulanese fornivano molti tipi di «marmi», tra cui il « grigio perla » (Tav. II, fig. 2), che non è una breccia, ma un calcare leggermente marnoso, a grana molto fine, con rare fratture riempite da calcite, e spesso riccamente fossilifero, fino a diventare una vera lumachella. Tra le brecce ed i calcari brècciati, vanno ricordati il « grigio roseo », il « brecciato Criscuoli chiaro », il « rosso Uria », il « grigio Uria », il « giallo di Vitulano », il « verde di Vitulano » (probabilmente un alabastro), il « giallo errante », il « rosso fiorito » ecc. [27], [29], — 6 — re; ma nel cemento, a differenza di quello delle brecce topografica¬ mente sottostanti, che a quanto è dato di osservare è sterile, si rin¬ vengono microfaune mioceniche. 2. — Cava San Vito (F. 173 III NE, VF 692.565). Da questa cava, situata presso la Masseria San Vito, a ovest della sommità del Colle della Noce, è stato estratto quasi tutto lo esiguo quantitativo di brecce calcaree ivi esistenti. Zaccagna parla di banchi di due metri di potenza, ma non si riesce, attualmente, ad osservare traccia di stratificazione in queste brecce che hanno, tra gli elementi, frammenti di bauxite e frammenti di un antico mate¬ riale cementante, formato da alternanze di straterelli di color rosso più o meno cupo e di color giallo. Nel cemento non si rinvengono che rari ostracodi, mentre sembrano assenti i foraminiferi tipici del cemento delle brecce di Cava Perla. 3. — Cava Cardinale (F. 173 III NE, VF 633.563). Proseguendo verso la Cava Crìa, poco a nord della sommità del Colle della Noce, in Regione la Marmorea, si incontra la vecchia cava Cardinale, ora completamente irriconoscibile perchè sfruttata in una sola occasione (4) oltre un secolo fa. Anche qui la situazione è analoga a quella della Cava San Vito. Nel cemento si rinvengono rari ostracodi, ma, in un esiguo affiora¬ mento, lo stesso cemento, più arenaceo, presenta una microfauna miocenica e ingloba dei frammenti di un calcare grigio chiaro, gros¬ solanamente detritico, di biofacies tipicamente miocenica. 4. — Cava Tur aldo. Nulla di nuovo si può aggiungere a quanto è riportato da Zac¬ cagna [28] a proposito di questa cava, che è stato possibile ubicare solo in modo alquanto dubbio, poiché le indicazioni date dall’autore sono vaghe e i toponimi sono variati alquanto. È situata a mezza costa del Colle della Noce, su versante ovest, scendendo verso il Vallone Guria. (4) La cava Cardinale fu aperta nel 1844 per estrarvi del materiale che fu usato in lavori di riparazione al palazzo reale di Napoli [28], — 7 — 5 — Cava Urìa (F. 173 III NE, VF 689.575). Insieme con la Cava Perla, è la più nota e la più importante. Si tratta di un grosso banco, della potenza apparente di circa 10-12 metri, costituito da una breccia policroma per gli elementi e per il cemento. Il banco è irregolare e frequentemente fratturato. La cava ha due fronti di attacco, uno superiore a sud ed uno inferiore ad est. Non si riesce a riconoscere il grosso strato ad ippuriti che Zaccagna [28] dice giacere in concordanza sopra il banco di breccia. Si ritrovano calcari con ippuriti a monte della cava : la zona però è molto disturbata perchè, immediatamente a valle della cava stessa, una faglia di direzione ENE-OSO ne incrocia un’altra con dire¬ zione quasi ortogonale alla prima. Lo stesso banco di breccia appare molto fratturato, con grosse venature di materiale alabastrino rosso o giallo. Il cemento ha rare microfaune, non sicuramente databili come mioceniche. 6. — Cava Crescuoli (F. 173 III NE, VF 689-562), (Tav. I, fig. 3). È ubicata sul versante orientale del Monte Camposauro in Re¬ gione Pietra con l’Acqua, a quota 750 circa, sulla destra del Vallone Guria. Il banco di breccia è a franapoggio ed ha uno spessore varia¬ bile, con un minimo di circa due metri. Alla base della breccia si osservano delle cavità carsiche nel calcare, riempite di bauxite in noduli o in ammassi, ricchissimi di pisoliti rosso brune. A volte nella massa rossa bauxitica, sono immersi numerosi gaste¬ ropodi (T ylostoma sp. ( ?)) evidentemente isolati per erosione da cal¬ cari meno resistenti, talché in quel punto la roccia assume l’aspetto di una lumachella (5), in cui le sezioni bianche dei gasteropodi spic¬ cano nettamente. Tra gli elementi della breccia sono presenti fram¬ menti di bauxite in piccoli blocchi. (5) La lumachella di cava Crescuoli, a quanto si sa, è stata usata una sola volta nella balaustra della scala della reggia di Caserta. Attualmente la cava fornisce piccoli blocchi che, frantumati, vengono usati nell’edilizia per la fabbricazione di mattonelle per pavimenti. — 8 IL Il Monte Camposauro (m. 1390) è la seconda cima del gruppo del Taburno da cui lo separano le valli del Torrente Maltempo e del Fosso di Prata-Torrente Ienga, allungate da est ad ovest. La sua ossatura fondamentale è costituita da calcari mesozoici che vanno, probabilmente dal Dogger, certamente dal Titonico al Senoniano. Terreni più antichi invece affiorano al Taburno, dove sarebbe presente anche il Lias [24]. È assente il Paleogene autoctono, e, come avviene di solito nel- P Appennino calcareo, il Miocene trasgredisce sui termini più alti del Cretacico. Al Camposauro, proprio in prossimità della cima, affiorano due lembi di Miocene. Il primo è un calcare grigio chiaro a pettinidi, briozoi, foraminiferi e litotamni di età langhiana ; il secondo è un calcare di un grigio più scuro, a globigerinidi, di età elveziana. Sui margini orientali del Taburno-Camposauro è inoltre presente un Miocene in facies di Flysch [9]. La tettonica dei calcari è caratterizzata da un reticolo di faglie, fittamente intrecciate, che determinano una morfologia spesso vistosa. Le osservazioni eseguite in campagna, consentono alcune conside¬ razioni sull’età e la genesi dei « marmi di Vitulano ». Zaccagna afferma [28] che l’età delle brecce è cretacica, e descrive i « marmi » della cava Uria come un banco su cui giace in concordanza un grosso strato ad ippuriti. Tuttavia, come già si è ac¬ cennato precedentemente, non si riesce a rinvenire tale strato, e la situazione tettonica locale è tale che non sembra possibile rico¬ noscere l’andamento della stratificazione, sia pure in modo dubbio. Si ha ragione invece di ritenere che l’età di queste brecce sia mio¬ cenica e più precisamente elveziana. La datazione si basa principal¬ mente sulle microfaune rinvenute nel cemento. Nelle diverse cave, come in altri affioramenti, sia il cemento delle brecce che il materiale calcareo marnoso grigio o roseo, che riempie le frat¬ ture carsificate, contiene, infatti, microfaune elveziane a volte mollo ricche, con Orbulina universa d’Orb., Orbulina sp. Globoquadrina sp., Globorotalia sp. e spesso ostracodi (Tav. Ili, fig. 1). (6) La presenza di questo Miocene autoctono, che Selli [27] dice mancare al Camposauro come negli altri rilievi a sud del Matese, mi è stata segnalata dallo stu¬ dente S. Paolillo che qui ringrazio. 9 Inoltre, lungo la strada proveniente da Cava Perla, circa mezzo chilometro a valle di Cava Uria (Cava Cardinale) in un tratto in cui, per un centinaio di metri, affiorano le brecce, il cemento è costituito, oltre che dal solito materiale rielaborato dalle bauxiti, anche da una marna molto arenacea, giallastra, la cui microfauna è elveziana e comprende Orbulina universa , Orbulina cfr. suturalis , Globoquadrina quadraria. Questo cemento marnoso ingloba, insieme agli elementi delle brecce, dei frammenti, di dimensioni pugillari, di un calcare grigio chiaro, grossolanamente detritico, con frammenti di rudiste, che con¬ tiene (Tav. IV, fig. 1) una associazione faunistica molto probabilmente langhiana, con ostreidi, pettinidi, briozoi, grossi talli di Lithotham- nium , Amphistegina cfr. lessami, Miogypsina sp., Globoquadrina sp. (7). L’età degli elementi, fatta eccezione per il caso ora citato, è sempre cretacica. In particolare la macrofauna ( Hippurites cornuvac- cinus , Bronn, Hippurites sp. Nerinea schiosensis Pirona, Nerinea sp., Actaeonella sp. ecc.) e la microfauna ( Praealveolina sp., Dicy- elina sp. ecc.) indicano un Turoniano-Senoniano. Il problema della genesi dei cc marmi » va inquadrato nella evoluzione paleogeografica del Camposauro. Tra la fine del Cretacico ed il Miocene le masse calcaree del Cam¬ posauro furono sottoposte ad intensa azione erosiva. I fenomeni carsici dovettero assumere vaste proporzioni, con la formazione di cavità sotterranee e superficiali e con tutte le caratteristiche della morfologia carsica. Durante questa fase di emersione che coincide con la lacuna stratigrafica corrispondente al Paleogene, si formarono forse parte dei giacimenti di bauxite o dei materiali che dettero origine alle bauxiti stesse. Ma il problema della genesi delle bauxiti (7) Confrontando le microfaune del Miocene del Camposauro (Tav. Ili, fig. 2) con quelle del cemento delle brecce, le analogie risulteranno notevoli, particolarmente per l’abbondanza di Orbulina universa d’Orb. e di altre globigerine. Le stesse micro¬ faune, caratterizzate essenzialmente da Orbulina universa , Globoquadrina sp. e Globo- rotalia sp. sono citate da Ogniben [16] per la sua « formazione di Montagnella » (presso Caiazzo, prov. di Caserta), da Selli [27] per la coeva « formazione di Longano » e si rinvengono, infine, nell’alta valle del Titerno, presso Cusano Mutri, in Regione Fi¬ lette di Pietraroia ecc. (v. D’Argenio B. Osservazioni geologiche sulValta valle del Titerno. Tesi di laurea, inedita. Napoli, 1958). Invece le faune degli elementi mio¬ cenici della breccia di cava Cardinale sono analoghe a quelle dei calcari detritici grigio chiari del Miocene del Camposauro (Tav. IV, fig. 2), e ricordano la « forma¬ zione di Mastroianni » di Ogniben [16] e la « formazione di Cusano », del Selli [27], — 10 — e dell’età dei vari giacimenti che si rinvengono nel gruppo del Taburno come nel Matese o nel gruppo del Monte Maggiore (Caserta) esula dai limiti di questo lavoro. Probabilmente esistono giacimenti di età diversa, dal Cretacico al Paleogene. La trasgressione langhiana [27] avviene dunque su di una su¬ perficie carsificata ( 8) ricca di bauxite, spesso in sacche, le quali, a giudicare dallo spessore dei calcari mesozoici sovrastanti e compresi tra le sacche stesse e il Miocene trasgressivo, dovevano essere tutte a piccola profondità. Si osservano difatti al Camposauro (Cava Perla) le fratture della antica superficie carsificate e riempite da calcare miocenico (Tav. II, fig. 1). Analogamente il Galdieri [7] sulla Civita di Pietraroia (Ma¬ lese), rinveniva nei calcari del Cretacico i fori dei litodomi miocenici riempiti da calcare ( 9). A volte queste fratture carsificate hanno dimensioni notevoli (strada in costruzione per Cava Uria, presso il Casino Rivellini) tali da ricordare i cosiddetti « filoni sedimentari », cui per la loro genesi vanno collegate. Contemporaneamente alTingressione miocenica, il dilavamento della superficie topografica, con gli eventuali paleosuoli, e delle bauxiti fornisce materiale colorato che riempie molte cavità carsiche di piccole dimensioni, spesso allungate e sempre molto irregolari. A volte, insieme al cemento varicolore si rinvengono, nelle cavità riem¬ pite, le pisoliti bauxitiche fluitate. Intanto, durante l’evolversi del ciclo carsico, dai calcari del Cretacico superiore si erano formate delle coltri di detrito brecciforme in uno o più grossi banchi. Il mare elveziano elabora appena queste brecce tra i cui ele¬ menti sono rari frammenti di calcari langhiani. Continua invece la loro cementazione con materiali policromi dovuti al dilavamento delle bauxiti e con materiali calcareo marnosi grigi o debolmente colorati con scarsi fossili. ( 8) Nel Matese le sacche bauxitiche sono distribuite come su di una superficie irre¬ golarmente ondulata, con spessori e distribuzioni areali variabili. (9) Dai fori dei litodomi riempiti dal calcare del Miocene il Galdieri [71 riuscì ad isolare un frammento di valva e dei modelli interni così ben conservati da per¬ mettergli la determinazione, sia pure in forma dubitativa, di due generi. — Il — I ce marmi di Vitulano » risentono in seguito di qualche debole azione tettonica, con una ulteriore brecciatura, ma, nel complesso, hanno ormai assunto la loro attuale fisionomia. Napoli, Istituto di Geologia, Geografìa Fisica e Paleontologia della Università, di¬ cembre 1960. Bibliografia [1] Bassani F. Marmi e calcare litografico di Pietraroia in Prov. di Benevento . « Rend. Ist. Incoragg. », s. IV, 5, pp. 43-46. 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Sulla trasgressione del Miocene nell’Italia meridionale. « Giorn. di Geol.», s. II, 26, (1954-55), pp. 1-54, tav. 9, bilbl. Bologna, 1957. [27] Ufficio (R.) Geologico. Collezione di pietre decorative. Appendice alla Guida dell’Ufficio Geologico, pag. 58-59. Roma, 1904. [28] Zaccagna D. Giacimento dei marmi di Vitulano ( Perizia nella causa Finanza contro Izzo). Napoli, 1890. Sunto in : « Boll. R. Com. geol. d’It. », 22, pp. 286- 287. Roma, 1891. [29] — Cave e mermi di Vitulano , con segheria idraulica del sig. Luigi Izzo. Opu¬ scolo. Napoli, 1903. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 19 Uano », ecc. Tav. I Fig. 2. — Cava Perla. Si os^1 una sacca carsica il liscione di una piccoli3)* Soc. Nat. in Napoli, 1961. 13. D’ArGENIO. Osservaz. sulla genesi e l'età dei « Marmi di Vitulano », eoe. Tav. I. COLIE ÒEU-4 A/0Ct MomTe CAtAPoSfWRo (/m.13 90) , C^UTVWO ! CAM A P-ERl-R c-AMR tLReScooi i Cam A iil'ilil1 'i' "sibilili1! i »\ 1/ // / //il 1 1 II $/ / / fillillll ll 9 iì6li‘e yr::l unii» Siati !!i ! 1/ ' hi Ih ìli fa' i 1 1 '/ ni! !&!li!i I!l0 «i !ii//,V/"/'//,/'/|( Elisili |lv ■ 4f iy§r’ te» &-£*-! « -? •?/ | V 5 A » /i f $ m y HWtopP %*%***<*& > Boll. Soc. Nat. in Napoli. igr. vulcan. ecc„ Tav. I. Km. 0 0.500 R. Montagna. Stratigr. vulcan. ecc. Tav. I. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1961. Morra itimmt 'f&ÌÒtan,i ( ‘f rrti/tftai>rnà )h-hM„nir V) 'ik'/th/thitifòrh' ' «j. irt. ? 3hm*»*ì C? Trinci lìllrnh Marti! Ctì/rò ut iW '{'.Sartiii*** .Hti*sàI};4ru]tyo >AA " rigiultlrlln AuuHr vfX .V'4 .jCsA? /ll -t tttódr^ ) Aj’-Ajj ùtbiturv 'ititi it/trt* ’ \hVi. mo f * tjfu' ^ ' 7 M ’M/.Ks&flf /fi 1^,— A y; I vmcv ni// netti 'i >?Jl?i/nit/in \ ì n ffy'in,-ilji ?■'* ?! ■ , f HottfiAt bittiìiàrr-C. C. A rulli Vi nrrt/no*',, tr'-ii/M /Sraj'*ì/»,f (t nyrjrjygr ^ Trrrarim 0- \ /! Kuhiana ,. .3 f/v/Aw^ \\^ Konijì^u La zona flegrea compresa tra la Conca di Soccavo e il cratere di Montagna Spaccata. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1961 R. Montagna. Stratigr. vulcan. ecc. Tav. II 5 4 5 2 1 o m. àéijgsm wmmMmBm «ta&Mfò £%0èM4èm\%% -f D -4- a i d h c T b b • C ? > f“ As [ ro ni j Cigliano Pisani > t Montagna Spaccata > D Solfatara > ( A g n a n o B materiali rimaneggiati del periodo di transizione — A tufo giallo napoletano Serie stratigrafica della zona Vomero-Arenella, . Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1961. R. Montagna. Stratigr. vulcan. ecc Tav. Ili Fig. 1. — Successione stratigrafica di Via S. Gennaro ad Antìgnano (rilev. 1958) ? ma t e ri a I e r : maneggiato A s t r o n i Cigliano Pisani M. Spaccata Sol f a rara > ( A g n a n o J Fig. 2. — Successione stratigrafica a monte del Ponte di Soccavo (rilev. 1958). 1 ~ } “ Fig. 3. — Successione stratigrafica del Vallone Spadari (a valle delle briglie). Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1961. R. Montagna. Straligr. vulcan. ecc. Tav. IV. Astroni Materiale franato Successione stratigrafica della Cava all’imbocco della galleria Pisani-Quarto. K. Montagna. Slraligr. v alcun, ecc, Tav. Y Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1961, Successione stratigrafica della Via Pietra Bianca (Pisani-Quarto). Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1961. R. Montagna. Stratigr. vulcan. ecc. Tav. VI. +. B10- — » Li 7* t a4 | Q, Li 1 + oc 4 -J- Q2 dove il valore citato per l’energia si riferisce a QL . In tal caso il nucleo di Litio si ottiene in uno stato eccitato con una energia di eccitazione di circa 0,4 Mev. È noto, indipendentemente, che il nucleo di Litio possiede un livello attorno a questo valore, sicché una tale spiegazione è d’accordo con le proprietà note del nucleo di Li7. Elliot e Bell [7] danno infatti per tale livello nel nucleo di Litio il valore 479 + 2 Kev e per il suo semi-periodo (« half-life ») circa 2 x IO-13 sec. Assumendo il valore Qx di Bethe ed il valore di Elliot per l’eccitazione nucleare 9 otteniamo per Q2 il valore 2,795 Mev. Stebler, Huber e Bichsel [8] stimano che il 92% delle rea¬ zioni danno luogo a Li7 * e l’8% a Li7 . Applicando il principio della conservazione del momento della quantità di moto, è evidente che i 7/11 di questa energia spettano alle particelle alfa e i 4/11 al nucleo di Litio. Nel caso quindi della reazione più probabile la particella x è dotata di 1,474 Mev. cui cor¬ risponde un percorso di 0,72 cm. in aria in condizioni normali di temperatura e pressione. Questo valore per il percorso è in ottimo accordo con l’esperienza. Il nucleo di Litio di rinculo, avendo una energia di 0.842 Mev., avrà un percorso di soli 3 o 4 mm. in aria. Tuttavia le due particelle saranno dirette in senso opposto nel con¬ tatore ed anche se la disintegrazione ha luogo in prossimità di una parete e la particella a ha direzione tale da urtare la parete e perdere la maggior parte della sua energia nella parete stessa invece che nel gas, il nucleo di Litio procederà nel gas e quindi verrà prodotto un impulso rivelabile. Bistline [9] ha misurato l’energia media richiesta per produrre una coppia di ioni nel BF3 ed ha trovato che essa è pari ad 1,33 volte quella richiesta nell’Argon. Se assumiamo quest’ultima pari a 25 eV, quella relativa al BF3 sarà 33,1 eV. Pertanto l’energia Q della rea¬ zione darà luogo alla formazione di circa 6,95 x IO1 coppie di ioni, che producono un impulso di 1,11 x IO 2 volt di ampiezza su un elet¬ trodo raccoglitore la cui capacità sia di 1 micromicrofarad, nell’ipo- — 51 — tesi che il fattore di amplificazione A [4] sia unitario. Pertanto si può far funzionare un contatore proporzionale con un piccolo valore di A ottenendo impulsi di circa 1 volt di ampiezza. Vi sono altri gas, oltre il BF3, che hanno il boro come costituente, ma problemi riguardanti la stabilità delle loro molecole si oppon¬ gono al loro uso nei contatori. Così, ad esempio, il B2H6 subisce decomposizione termica [10] e per effetto della scarica, con conse¬ guente variazione nel numero di molecole per ein3 e quindi del poten¬ ziale di funzionamento del contatore. Il Korff ha sperimentato nume¬ rosi gas, tra cui il B5Hn ed ha riscontrato considerevoli variazioni nelle caratteristiche di funzionamento per ciascun gas con l’uso. Inoltre, se il numero medio degli atomi di boro per molecola varia con l’uso e per effetto della dissociazione, varierà anche l’efficienza della rivelazione. Il gas B(COH3)3 non va incontro a quest’ultimo inconveniente, ma esso, attualmente, non si ottiene agevolmente come il BF3 e inoltre, poiché non contiene un numero maggiore di atomi di Boro per molecola, non presenta efficienza maggiore nei confronti del BF3 . Una reazione analoga alla (1) sussiste anche per il Litio^ cioè (3) Li6 + n = H3 + a4 + Q che dà luogo a particelle a di 2 Mev. In effetti poiché non v’è un gas conveniente che contenga l’atomo di Li nella sua molecola, il Li è stato usato soltanto nella forma solida per rivestire i contatori. Ci occuperemo più avanti dei rivestimenti solidi e la relazione (15) è applicabile ai rivestimenti di Litio come di Boro. Le reazioni nelle quali vengono emesse particelle a non sono numerose: quelle del Boro e del Litio sono le sole con grande pro¬ babilità di verificarsi. In realtà è possibile fare uso di altre reazioni anche se la probabilità non è grande, sebbene ovviamente l’efficienza risulti proporzionalmente ridotta. Ciò non è un grave ostacolo se il flusso di neutroni è assai grande, come avviene, per esempio, nelle vicinanze delle pile atomiche. Così Koontz e Hall [11] hanno usato entrambe le reazioni n, p ed n, a nell’azoto. Per neutroni lenti, la reazione n, p dà luogo a protoni di 0,6 Mev. ed a protoni di 0,6 + E, con E > 0,4 Mev. Essi usarono con successo un contatore riempito con 1/2 atmosfera di azoto più 1,5 atmosfere di argon e con bassi valori di A. — 52 — La seguente Tabella I dà i rapporti isotopici per alcuni elementi, ira cui Boro e Litio TABELLA I Q) Elemento Massa deW isotopo Abbondanza relativa (%) Li 6 7 7,3 92,7 B 10 11 18,83 81,17 F 19 100,0 Cd I 106 i 108 \ 110 i 111 1112 113 114 116 1,22 0,92 12,35 12,76 24,00 12,30 28,75 7,63 11 trifluoruro di boro del commercio è composto di una mesco¬ lanza di isotopi B1() e B11, nelle proporzioni approssimative del 19% e dell’81%. Ma la reazione (1) vale solo per l’isotopo B10. La « sezione efficace » misurata [12] in relazione al processo descritto dall’equa¬ zione (1) e tenuto conto dell’accennato rapporto isotopico, assume il valore dv U è il volume sensibile del contatore; L è il numero di Loschmidt (numero di molecole in 1 cm'3 di un gas ideale a 0°C ed a pressione normale, cioè 2,687 x IO19), p la pressione in atmosfere, i{v)dv il flusso di neutroni che attraversa la sezione unitaria al secondo con velocità compresa tra v e v + dv e (j(u) la sezione efficace per la cat¬ tura. Ma (7) i (v) = p v se p rappresenta la densità, ossia il numero di neutroni per cm3 per ciascuna velocità, ossia nell’ipotesi che si abbia un valore comune di p per tutte le velocità, e v rappresenta la generica velocità. Tenendo conto delle (5) e (7), nella (6) la velocità si elide e quindi integrando si ottiene: (8) il == U L p p Oh Vb se con cu cvj f^^cu O o o o o SNMVa ui jp .001 .01 0.1 1 10 100 1000 — 60 — barns in corrispondenza di 2 eV. Vi sono circa 4,5 x IO22 atomi di Cadmio per cui" nell’ordinario Cadmio metallico. Quindi uno schermo di circa 1 mm. di spessore avrà un potere di trasmissione del 50% a 0,37 eV e sarà del tutto opaco per neutroni termici, mentre sarà del tutto trasparente per neutroni con energia di 1 Volt o più. Usando schermi di Boro e Cadmio la distribuzione delle energie dei neutroni potrà essere parzialmente rilevata. Vi sono inoltre alcune sostanze che hanno grandissima sezione efficace in corrispondenza di particolari energie mettendo in evidenza un « assorbimento di risonanza ». Una completa discussione dell’ar- gomento esorbita dallo scopo di questa nota, ma i lettori che hanno interesse, troveranno un gran numero di grafici circa l’andamento della sezione efficace in varie sostanze, nei lavori di Goldsmith, Ibser e Feld [16], nonché di Adair [15]. Dalla relazione (9) risulta che una maggiore efficienza si ottiene con elevate pressioni di BF3. Il limite pratico delle pressioni per il BF3 è determinato: a) dal fatto che le alte pressioni richie¬ dono alti potenziali di funzionamento del contatore ; b ) dal fatto che gli impulsi dovuti ai raggi g aumentano di ampiezza con l’aumentare della pressione. Sebbene i raggi g hanno percorsi lunghi nei confronti delle dimensioni del contatore, alle alte pres¬ sioni, essendo minore il percorso^ una percentuale maggiore di esso è contenuta nel contatore. Le particelle provenienti da disintegra¬ zione sono d’altro canto completamente fermate nei gas a pressioni moderate e perciò l’aumento di pressione non produce aumenti nel¬ l’ampiezza degli impulsi dovuti ai neutroni. Quindi il rapporto tra i neutroni ed il fondo di raggi g varia con la pressione e si raggiunge il limite pratico allorché gli impulsi dovuti ai ragg g diventano pres¬ sappoco della stessa ampiezza di quelli dovuti ai neutroni. Miglioramenti nell’efficienza dei contatori al BF3 possono essere assicurati usando Boro nel quale il rapporto isotopico è stato modi¬ ficato nel senso di aumento del quantitativo di B10. Negli ultimi anni il Settore Isotopi della Commissione per l’Energia Atomica degli U.S.A. ad Oak Ridge, Tennessee, ha messo a disposizione Boro, nel quale la percentuale dell’isotopo B10 era portata al 96%, col 4% di B11. Esso inoltre dispone di Boro nel quale è stata ridotta la concen¬ trazione del B10 al 10% col 90% di B11. È evidente dalla relazione (8) che il Boro arricchito di B10 consentirà al contatore, a parità delle altre condizioni, di essere circa 5 volte più efficiente di quando viene riempito col BF3 del commercio. Il Boro arricchito viene fornito me- — 61 — diante un composto solido, CaF2BF3 , che, se moderatamente riscal¬ dato, sviluppa BF3 allo stato gassoso. Il gas così ottenuto deve essere accuratamente purificato. Bistline [9] così come i bollettini del- l’A.E.C. (Atomic Energy Commission), che possono essere ottenuti scrivendo alla Divisione Isotopi, Oak Ridge, Ternessee, descrivono i procedimenti di purificazione. Il BF3 depauperato in B10 permette altro tipo di misure. Tutti i contatori che usano BF3 manifestano un fondo causato da eventi altamente ionizzanti, comprese particelle a contaminanti o grandi cc sciami » (« showers ») di raggi cosmici o frantumazioni nucleari. Se la velocità di conteggio di un contatore riempito con BF3 arric¬ chito è di A impulsi al minuto e quella di un contatore delle stesse dimensioni riempito alla stessa pressione con BF3 depauperato è di B impulsi al minuto quando è esposto allo stesso numero di neu¬ troni allora possiamo scrivere: j A = 0,96 N + fi ì B = 0,10 N + fi dove N è la velocità di conteggio di un simile contatore col 100% di B10 e fi è la velocità di conteggio del fondo, assumendosi che il fondo sia lo stesso per entrambi i contatori. La risoluzione del si¬ stema (13) fornisce: (14) ^ N = 1,16 (A — B) j b = B - 0,10 N ottenendosi così i valori delle quantità incognite N e fi. Con un ovvio cambiamento nella costante che moltiplica N nell’equazione che for¬ nisce B, quest’ultima può essere modificata per l’uso con boro ordi¬ nario; in effetti qualsiasi rapporto isotopico può essere adoperato. In cambio del riempimento del contatore con qualche gas nel quale si producono le disintegrazioni sopra esaminate, i contatori sono talora riempiti con gas inerte e rivestiti con una sostanza solida dalla quale vengono emesse particelle dì disintegrazione. Tali par¬ ticelle devono pervenire nel volume del contatore per essere rivelate. La massima efficienza di un contatore di questo tipo per neutroni lenti sarà data dalla relazione: E N p Rb cjb (15) 1 max — 62 — dove N è il numero di Avogadro, p la densità del materiale della parete, p, il suo peso atomico, RB il percorso delle particelle a e * 20 mt. Per tale prodotto vedasi altra mia nota. — 99 — Strato 1° — il — 50 cm. Fascia di « mappamonte », prodotto intermedio tra tufo e poz¬ zolana nel processo di zeolitizzazione di queste ultime. Strato 2° — li 1 2 cm. Al disopra del mappamonte vi è uno strato di color giallo-avana (pozzolana con humus) sgretolabile tra le dita. Gli elementi che lo compongono sono estremamente sottili e danno sotto la mano im¬ pressione di una sostanza finemente granulare. Essi sono essenzial¬ mente costituiti da minutissimi frammenti di pomici bianche di aspetto sericeo, finemente vacuolari, e da elementi cristallini in minute schegge o in individui ben determinati. Questi sono in pre¬ valenza costituiti da sanidino. Segue poi in ordine di frequenza una augite diopsidica di colore verdolino molto chiaro. Si notano pure, ma rari, piccoli frammenti ossidianici. Strato 3° — H = 20 cm. Strato di pozzolana di colore grigiastro, di aspetto cinereo, finissimo e quasi impalpabile al tatto. Del tutto simile allo strato precedente, a differenza di un notevole aumento degli elementi cri¬ stallini in frammenti minutissimi; qui e lì compare qualche p rosseno verde-olivastro, anch’esso frammentato, ma conservante ancora l’habitus prismatico allungato, e frequenti lamelle di mica biotite. Strato 4° — H = 20 cm. Strato pozzolanico di colore grigio chiaro con minuti frammenti pomicei. Come nel terzo strato, anche in questo prevale l’elemento cri¬ stallino feldspatico in frammenti minutissimi. Vi si rileva sempre la presenza di qualche individuo di augite e di qualche lamella di mica biotite. Strato 5° — H — 25 cm. Strato di pozzolana grigiastra con numerosi minutissimi fram- inentini pomicei e filamenti fibrosi sericei; in prevalenza seguono poi, subordinati, gli elementi cristallini rappresentati dal sanidino, da cristalli di augite diopsidica in individui bacillari; è presente qualche lamina di biotite. Strato 6° — il 8 cm. Strato pozzolanico di aspetto cinereo, di colore grigio marrone, con poche e piccole pomici incluse. Le fasi cristalline sono rappre- — 100 — sentate da lamine di biotite (non alterate), da frammentini ossidia- nici e da cristallini di augite diopsidica. Strato 7° — H = 16 em. Agglomerato di colore grigio chiaro di pozzolana e minute pomici, consistente e compatto. Gli elementi pomicei del precedente aspetto si fanno sempre più sottili. Tra le fasi cristalline, subito dopo il sanidino, compare in ordine di frequenza l’augite diopsidica in cristalli prismatici allun¬ gati; seguono poi, subordinatamente, laminette di mica biotite. Strato 8° = Il = 26 cm. Agglomerato di colore grigio chiaro, consistente e compattis¬ simo, costituito da pozzolana e numerosissime piccole pomici. Come il precedente, anche questo strato è sempre ricco di pic¬ colissime pomici e di frammenti sanidinici, di poca augite diopsidica e di frequenti laminette di mica biotite. Sono presenti anche rari frammenti ossidianici. È relativamente abbondante la magnetite. Tutti questi minerali si rinvengono sia isolati sia inclusi nelle pomici. In questo saggio si notano frequenti frammentini di sanidinite con cristallini di magnetite. Strato 9° — H = 27 cm. Costituito da massa cineritica grigia, agglomerante piccole po¬ mici, facilmente sfarinabile al tatto. Rispetto al precedente strato, alquanto più scarso si rileva l’ele- mento cristallino. Rimangono invariati i minerali inclusi nelle pomici. Strato 10° — H = 12 cm. Agglomerato molto consistente e compattissimo, costituito da pozzolana, minutissime pomicette e da fasi cristalline, con certa abbondanza, però, di magnetite rispetto al precedente saggio. Strato 11° — H = 23 cm. Idem come lo strato 10°, tranne che per il colore più chiaro. La massa fondamentale è prevalentemente pomicea e precisa- mente, come già in precedenza notato, a fibre allungate e lucentezza sericea. Frequentissime sono le lamine di mica biotite non alterate. Frequente è pure la magnetite in abito cristallino non ben distin¬ guibile. Pochi pirosseni verde bottiglia chiaro; raro qualche cristal¬ lino di augite diopsidica; diversi frammenti di sanidino; raro qualche — 101 — cristallo dello stesso minerale. Comunque gli elementi cristallini sono subordinati a quelli, ma non molto, pomicei; ed assieme a queste pomici che noi chiamiamo sericee ve ne sono alcune, quantunque non molte, che vanno da una grandezza di un acino di pepe a quella di una nocciola, bigie di colore, vacuolari e che presentano fenocristalli di mica, biotite, piccolissimi cristalli di magnetite, qualche prisma esilissimo di pirosseno diopsidico. Strato 12° — H = 73 cm. Pozzolana quasi bianca « tassificata ». Sempre prevalenza della parte pomicea, minutissima, di aspetto sericeo. L’elemento cristallino è costituito essenzialmente da minuti cri¬ stallini sanidinici, da pochi cristalli di augite diopsidica in sottili individui prismatici allungati. Qualche raro individuo di magnetite. Non si osservano lamine di biotite. Strato 13° — H = 30 cm. Pozzolana sciolta, grigio-chiara, mista a numerose pomici fresche della grandezza che va da un grano di pepe a quella di una nocciola con fenocristalli di mica biotite nera, alcune delle quali con per¬ fetto contorno cristallino, e con qualche fenocristallo di sanidino. Associate a queste pomici grandi si rinvengono pomicette, quale fresca, quale alterata, piccole, di aspetto sericeo, includenti cristalli di magnetite. Frequentissimi sono i frammenti sanidinici, cui se¬ guono in ordine di frequenza, piccoli frammenti ossidianici con porosità tappezzate di formazioni cristalline bianche riferibili alle zeoliti. È pure presente qualche cristallo di pirosseno augitico verde chiaro in habitus prismatico allungato con facce corrose, ma con le forme del prisma verticale, del prisma obliquo e del secondo pina- coide, ben distinguibili. Detta fase cristallina presenta inclusioni di cristallini neri che con tutta probabilità vanno riferiti alla magne¬ tite. È presente pure qualche lamina di mica biotite. Strato 14° — H = 5 cm. Pozzolana, color giallino, impalpabile al tatto con elementi minuti pomicei. Questo strato è come il precedente. Qualche frammento ossidia- nico, ma scarsissimi sono gli elementi cristallini. Rari piccoli granuli di calcite concrezionata. Strato 15° — H = 25 cm. Agglomerato, continuazione dello strato 14°, compatto, costi- - 102 tuito da pozzolana grigio-topo e da pornieette: sotto la pressione delle dita si disfa. Scarsissimi gli elementi cristallini. Appare anche qui qualche elemento di mica biotite e qualche augite diopsidica. Strato 16° — H = 7 cm. Straterello di pozzolana sciolta, mista a numerosissime pomici la cui grandezza va dal grano di miglio a quello di una nocciola. Pomici fresche, presentanti gli stessi fenocristalli dianzi descritti. Strato 17° — H = 8 cm. Pozzolana finissima quasi impalpabile con poche pornieette fre¬ sche della grandezza di un pisello, bigie, e minutissimi frammenti di pomici fibrose sericee; tanto nelle prime quanto nei secondi i fenocristalli più appariscenti sono quelli di biotite. Tubercoli rari di calcite secondaria. Strato 18° — H = 7 cm. Strato di pozzolana giallino-ehiaro, sciolta, con numerose pomi- cette della grandezza di un pisello con fenocristalli di sanidino, mica biotite, magnetite. È presente qualche pirosseno augitico verde chiaro. Strato 19° — H = 6 cm. Pozzolana impalpabile al tatto, sciolta, di colore grigio-perla, con le solite pochissime pomici, di aspetto sericeo, ma estremamente minute, sì da avere le dimensioni che vanno tra i granuli di sabbia e quelli cinerei. L’elemento cristallino è costituito in parte dal sani¬ dino ed in parte dalla augite diopsidica, la quale è più frequente che non negli altri saggi. Questo pirosseno è prevalentemente di colore verde chiaro, ma non manca qualche cristallino verde-bot¬ tiglia alquanto scuro. Per la maggior parte le augiti sono ad habitus prismatico allungato e ben terminato da facce piane con spigoli vivi, altre sono in frammentini sempre conservanti l’habitus allungato. Seguono in ordine di frequenza la magnetite ed alcune lamine di mica biotite ad habitus monoclino ben formato. Con acido cloridrico si nota una lievissima effervescenza dovuta alla presenza di qualche elemento di calcite secondaria. Qualche frammento di trachite ed ancora qualche frammento di ossidiana. Strato 20° — H = 3 cm. Strato di pomici fresche, della grandezza che va da un grano di pepe a quella di un pisello, presentanti fenocristalli di augite verde — 103 - chiaro, sanidino, mica e magnetite, qualche frammento di trafilile sanidinica con fenocristalli di pirosseno e magnetite; quest’ultima per alterazione ha dato al frammento una colorazione rossa. Frammenti e cristalli isolati degli stessi minerali trovantisi nelle pomici si rin¬ vengono commisti agli elementi pomicei. Tra questi cristalli sciolti vi è straordinaria ricchezza di augite verde chiara e di augite tipica diopsidica. Strato 21° — H = 17 cm. Agglomerato alquanto consistente, di colore grigio chiaro, costi¬ tuito da pozzolana e da poche pomicette minutissime, della gran¬ dezza di quelle precedentemente descritte. Gli elementi cristallini sono identici a quelli del saggio precedente, però non vi è quella abbondanza di augite dianzi rilevata. Strato 22° — H = 8 cm. Idem come sopra, con una percentuale inferiore di pomicette della grandezza che va da un grano di pepe a quella di un pisello, presentanti bei fenocristalli di mica biotite ben sviluppati. La fase cristallina è come quella del saggio precedente, ma ancora più povera, costituita dall’augite, dalla mica biotite, in mas¬ sima parte con i contorni ben conservati, e dalia magnetite. Strato 23° — H = 110 cm. Banco di pozzolana detta bianca, consistente e tassificata. Minutissimi frammenti pomicei, sericei. Quasi assenza della ma¬ gnetite. Rari cristalli di pirosseno; pochi quelli di sanidino. Strato 24° — H =11 cm. Strato di pomici bollose, non alterate, della grandezza di una nocciola, con sanidino, augite, mica, magnetite: non molti però questi fenocristalli; i più appariscenti sono dati dalle lamine di biotite che si presentano listiformi. I pochi pirosseni sono di colore verde più scuro. Quasi nulla è la magnetite. Qualche frammento ossidianico. Strato 25° — II == 2 cm. Straterello di pomici fresche, della grandezza che va da un grano di miglio a quella di una nocciola, mista a pozzolana sciolta. Saggio eguale al precedente. Qualche piccolo frammento sa¬ ri idini tiro. — 104 — Strato 26° = H = 2 cm. Pomicette fresche piccolissime, sciolte in una massa pozzolanica incoerente. La fase cristallina è presente con pochissima magnetite. Qualche frammento di trachite con inclusioni di fenocristalli di mica biotite e di sanidino. Strato 27° — H = 11 cm. Strateréllo compattissimo di color grigio costituito da pozzolana e minutissimi elementi cristallini e pomicei. Questi ultimi, in prevalenza, di aspetto sericeo, della grandezza di granuli di sabbia finissima. Gli elementi cristallini sono in pre¬ valenza costituiti da frammenti feldispatici, da sanidino, da poche la¬ mine di mica biotite, da qualche raro pirosseno verde chiaro, e da pochissima magnetite. Strato 28° - — H = 4 cm. Pozzolana sciolta, grigio-chiara, con pomici di grandezza varia¬ bile da un grano di miglio a quella di una nocciola. Rari cristalli di sanidino, ma più frequentemente di biotite in lamine nettamente idiomorfe. Pochissimi cristalli di magnetile. Ancor più pochi, quasi rari, i pirosseni. Piccolissimi frammenti sanidinitici. Strato 29° — H = 20 cm. Strato compatto di pozzolana chiara con pomici, della grandezza di un grosso pisello, ma non molte, con struttura quasi sempre fibrosa, e presentanti fenocristalli prevalentemente di biotite. Frequente è la magnetite in cristalli, non sempre discernibili; qualche frammento ossidianico. Sono presenti laminette di biotite, pochissime augiti verde-bottiglia. Prevalgono frammenti minutissimi di pomici che danno al terreno un aspetto sabbioso. La parte di con¬ sistenza cineritica è formata da minutissimi elementi fibrosi. Strato 30° — H = 8 cm. Straterello di pomici fresche, della grandezza pressocchè uniforme di un acino di pepe, includenti fenocristalli di pirosseno, di lamine di biotite e di magnetite. È presente qualche frammento ossidianico, qualcuno calcareo di origine secondaria e qualcuno sanidinitico Pochi cristalli di magnetite. Cristalli di augite diopsidica di colore verde chiaro con inclusi cristalli probabilmente di magnetite. Fram- mentini di sanidino. Strato 31° — H = 5 cm. Straterello di pomici grigie e non alterate, della grandezza uni- — 105 — forme di una nocciola. Pomici con il carattere del precedente strato. Strato 32° — H =2 cm. Pozzolana sciolta, di colore grigio-chiaro, con piccole e nume¬ rosissime poinicette, di cui molte fibrose, con fenocristalli di mica biotite in lamine ben formate, prevalenti su quelli di pirosseno augitico. Frequente è la magnetite in queste pomici. Strato 33° — H = 93 em. Pozzolana compatta, grigio-chiara, con poche e minutissime pomici della grandezza di un grano di miglio. Notansi frani inerì tini ossidianiei, pochi cristalli di sanidino, rarissimi cristalli di augite. Frequenza di lamine di biotite e di cristalli di magnetite. Strato 34° = 112 cm. Sabbietta finissima, di color grigio topo, quasi impalpabile al tatto. Sabbia costituita da pochi frammenti di pomici, da sanidino, magnetite, qualche lamina di biotite. Rarissimo il pirosseno. Strato 35° — Il = 14 cm. Pozzolana grigiastra compatta. Strato come il precedente ma con abbondanza degli elementi pomieei. Strato 36° — H = 3 cm. Pomicette fresche, come quelle dello strato 30°, miste a pozzo¬ lana grigio-giallastra. Strato 37° — H = 3 cm. Agglomerato di pozzolana grigio-chiara. La massa cineritica presenta frammentini pomieei con pochi fenocrirstalli di biotite e augite verde-chiara, qualche frammento ossidianico, cristalli di magnetite. Strato 38° — H = 52 cm. Pomici grigie non alterate, della grandezza che va da un acino di pepe a quella di una mandorla con fenocristalli di mica biotite in prevalenza, e, subordinatamente, di pirosseno. Strato 39° — H = 3 cm. Straterello di pozzolana chiara, misto a pomicette piccolissime e minutissime, includenti fenocristalli di mica biotite e di augite. - 106 - Strato 40° — H = 18 cm. Pomici grigie della grandezza che va da un acino di pepe a quella di una mandorla. Tutte pomici come quelle dello strato 38°. Strato 41° — H = 3 cm. Agglomerato di pomici, della grandezza media di un acino di pepe, con pochissima pozzolana. Strato 42° — H — 10 cm. Pomici sciolte, fresche, bollose, della grandezza di una mandorla. Strato 43° — H = 2 cm. Straterello di pozzolana commista a pomicette grigie. Strato 44° — H = 6 cm. Strato di pomici sciolte fresche della grandezza di una nocciola, essenzialmente biotitico-augitiche. La biotile in lamine nere allun¬ gate, listiformi. I cristalli di pirosseno augi te sono subordinati, in frequenza, alle biotiti, hanno habitus prismatico allungato, color verde bottiglia e presentano inclusioni cristalline di probabile natura magnetitica. Strato 45° — H = 7 cm. Banco di natura pozzolanica formato essenzialmente da pomici come le dianzi descritte, mentre la parte fina risulta costituita da numerosissimi cristalli di mica biotite prevalentemente allungati, così come si rinvengono nelle pomici. Rari i cristalli di sanidino e pirosseno augite, qualcuno verde bottiglia; la maggior parte in¬ vece è di un verde chiarissimo del tipo diopsidico. Frequente è pure la magnetite; scarsissima la calcite secondaria. Strato 46° — H = 40 cm. Lapilli pomicei chiari, misti a lapilli lavici con colorazione vio¬ lacea. Il lapillo lavico, in prevalenza, è della grandezza tra una nocciola e una mandorla; il lapillo pomiceo, meno frequente, pre¬ senta gli stessi fenocristalli delle pomici dianzi descritte. Strato 47° — H = 4 cm. Banco cinereo, sabbioso, pomiceo. Le pomici sono di grandezza tra il pisello e la nocciola. Nella minuta sabbietta è frequentissimo l’elemento ossidianico; vi sono frammentini minutissimi di pomici, frequentissime laminette di mica biotite, prevalentemente listiformi. Poco il pirosseno augite verde-bottiglia, più frequente il pirosseno 107 diopsidico; ma ambedue in habitus prismatico allungato. Rara la magnetite. Strato 48° — H = 28 em. Pozzolana giallo-grigia, molto minuta, commista a minute po¬ mici. Queste presentano sempre i fenocristalli già descritti. Anche la parte finemente cinerea sabbiosa è costituita dagli stessi elementi, e cioè: detriti minutissimi di pomici, fenocristalli di biotite in pre¬ valenza sugli altri, costituiti, questi ultimi, da pirosseno augite diop¬ sidico verde chiaro, da qualche raro cristallo di sanidino e poca magnetite. Piccoli granuli calcarei. Strato 49° — H = 10 cm. Lapillo pomiceo di colore grigio scuro, delle dimensioni di un acino di pepe, coperto da un velo di calcite. Strato 50° — H = 4 cm. Agglomerato di pozzolana di color grigio, incoerente, costituito da minuti frammenti pomicei, racchiudenti magnetite, pagliuzzette di biotite, e qualche frammento ossidianico. Tra gli elementi cristal¬ lini sciolti si notano pagliuzzette di biotite (qualcuna con alterazione ematitica), cristallini di feldspato (qualcuno intero, qualche altro in frammenti), e poca augite (qualcuna verde-bottiglia, altre verde chiaro). Sovente si rinvengono incrostazioni calcitichc. Strato 51° — Il 2 cm. Lapillo pomiceo minuto della grandezza di un grano di pepe, che non lascia discernere con facilità i fenocristalli; ma taluni, ben pochi, lasciano discernere lamine di mica. Tra i cristalli isolati si nota l’augite verde-bottiglia-chiaro in habitus prismatico allungato con facce e spigoli vitrei; evidenti sono le facce del 1° e 2° pinacoide e del prisma verticale. Le inclusioni sono riferibili alla magnetite. Strato 52° — H = 1 cm. Strato agglomerato, pozzolanifero, formato da minuto lapillo pomiceo. Quest’ultimo si disfa sotto la semplice pressione delle dita; è abbastanza ricco di fasi cristalline tra le quali, ben discernibili, le laminette di biotite frequentissime, pochissima augite, magnetite non molta, e pochi frammenti feldspatiei. Strato 53° — H = 8 cm. Conglomerato di pozzolana sabbiosa con elementi pomicei, della grandezza di un grano di pepe, e con munitissimi lapilli lavici. — 108 — La parte minuta presenta, oltre i frammentini delle pomici stesse, numerosi elementi cristallini riparàbili, in ordine di frequenza, in sanidino, biotite, augite verde chiara, magnetite. Strato 54° — H = 5 cm. Lapillo nero, costituito da frammenti pomicei e da elemenii cristallini. Questi però molto subordinati e rappresentati da frammenti di feldspati, laminette di mica, rara augite, rari granuli di magnetite e da qualche frammentino ossidianico. Strato 55° — li = 22 cm. Strato incoerente sabbioso, costituito da minuti lapilli lavici, da piccole pomicette della grandezza media di un grano di miglio, e da piccoli frammentini pomicei della stessa grandezza; questi ultimi presentano fenocristalli di biotite, ma anche in taluni lapilli lavici si riscontrano delle lamine biotitiche. Si può dire che un fatto comune a tutti i lapilli lavici è dato dalla presenza, nelle piccole cellette della roccia, di una sostanza bianca, probabilmente zeolitica. Strato 56° — H = 5 cm. Formazione sabbiosa costituita prevalentemente da lapillo lavico e da qualche frammento di pomici; il tutto come nel precedente saggio. Come al solito, pochi frammenti di sanidino, qualche raro frammento di augite. Strato 57° — H = 25 cm. Sabbietta, pozzolanica, marrone-violacea, mista a lapillo lavico ed a piccole pomici delle dimensioni di un grano di miglio; il tutto in un conglomerato poco consistente. Come al solito le pomici includono laminette di mica biotite e cristallini di magnetite. Tra i cristalli isolati primeggiano quelli di sanidino; seguono poi, in ordine di prevalenza, gli elementi di calcite secondaria, qualche individuo di ossidiana e alcune laminette di mica biotite. Poca è la magnetite. In generale nelle cellette delle pomici si rileva la presenza di una sostanza bianca di origine zeolitica. Strato 58° = H = 70 cm. Pozzolana giallo-avana, sciolta, mista a pomici, della grandezza di piccole nocciole, che presentano fenocristalli di biotite e pirosseno. Sono presenti frammenti di sanidino, magnetite, lamine di mica biotite, poca augite, qualche frammento di ossidiana. — 109 — Fig. 1. — «Pomici principali» tra Largo Petrone e Due Porte (Arenella, Napoli). OSSERVAZIONI E CONCLUSIONI. Attraverso la minuziosa disamina degli strati rilevati sulle pareti del pozzo, graficamente riportati nella tavola in calce alla presente nota, stabilisco che: 1) la zona presa in esame è ubicata in una delle « caselle », la n. 4 per la precisione, in cui è diviso il piano di rilevamento Strato 59° — H = 52 cm. Agglomerato di color grigio, consistente, costituito da pozzolana grigia-rosata, e da lapillo lavico minutissimo con frammenti pomicei, includenti lamine di mica biotite e magnetite. Sono visibili alcuni frammentini san id. mitici con magnetite. Frequenti sono gli elementi ossidianicì. Fra i cristalli sciolti trovansi il sanidìno, le lamine di mica biotite e Fau gl te. Strato 60° — H — 100 cm. Pozzolane, humus, terreno agrario attuale, probabilmente ri- maneggiato. — 110 — geologico della porzione di territorio comunale di Napoli, apparte¬ nente alla zona flegrea. 2) Alla formazione A appartiene ovviamente il banco di tufo giallo rinvenuto. 3) Alla formazione B, di solito assente, a causa dell’erosione, nella zona più propriamente urbana, appartengono gli strati che vanno dal n. 1 al n. 32 per una altezza complessiva di mt. 6,03. 4) Alla formazione C di Agnano, e, precisamente: al termine a) « Pomici principali » appartengono gli strati: — n. ri 33, 34, 35, 36, 37 (2 H = 115 cm.), letto di pozzolane grigiastre; — n. 38 (H = 52) (pomici a); — n. 39 (H = 3) pozzolana; — n. 40 (Il = 18) (pomici g’); — n. 41 (H = 3) pozzolana; — n. 42 (H = 10) (pomici g”); — n. 43 (H = 2) pozzolana; — n. 44 (H = 6) (pomici g’”); — n. 45 (H = 7) pozzolana; — n. 46 (H = 40) (pomici g e -y); al termine b) « Pozzolane medie-inferiori » appartengono gli strati: n.ri 47, 48 (2 H = 32); al termine e) « Seconde pomici » appartengono gli strati : n.ri 49, 50, 51, 52, 53 (2 H = 25); al termine /) « Lapillo nero » appartiene lo strato: n. 54 (H = 5). Detta formazione ha un’altezza complessiva di mt. 3,18. 5) Alla formazione E (Montagna Spaccata e Pisani) apparten¬ gono gli strati n.ri 55, 56 (« lapillone »), 57, 58, dell’altezza com¬ plessiva di mt. 1,22. 6) Alla formazione F (Astroni e forse, alla base, Cigliano) appartiene lo strato n. 59, di pozzolane rosate e variegate, cui fa da tetto lo strato n. 60. 7) La formazione G (Averno?) è presente con lo strato n. 60 di pozzolane grigio chiare, humus e terreno vegetale. Pertanto, dal confronto con la serie strati grafica-tipo dello Scherillo, osservo che nella successione da me rilevata: — le a pomici principali » sono intatte; — le cc seconde pomici » risultano molto ridotte nello spessore (H - 25); Ili — — le erosioni hanno, evidentemente, fatto scomparire nella formazione C i termini delle « pomici intermedie » e delle « poz¬ zolane medie superiori »; — la formazione D manca; — la formazione E da eirea mt. 2 è ridotta a mt. 1,22; — le formazioni F e G del cc terzo periodo recente » sono ridotte complessivamente a mt. 1,52, a causa delle erosioni da parte delle acque meteoriche superficiali, agevolate nella loro azione dalla forte acclività della zona. E posso senz’altro concludere col prof. Scherillo che nella successione stratigrafica dei prodotti del cc secondo e terzo periodo flegreo »: — le variazioni sono minime in senso orizzontale; notevoli, invece, in senso verticale; — le sezioni al medesimo livello stratigrafico sono molto simili, anche se notevolmente distanti; sono invece dissimili se a livello stratigrafico diverso. BIBLIOGRAFIA De Lorenzo G. — L'attività vulcanica nei Campi Flegrei. « Rend. Acc. Se. Fis. e Mat. ». Serie 3a, voi. X. Napoli, 1904, pp. 203-221. D’Erasmo G. — Studio geologico dei pozzi profondi della Campania. « Boll. Soc. Nat. in Napoli », voi. XLIII. Napoli, 1931. pp. 15-143. Penta F. — Il sottosuolo della Città di Napoli in rapporto alla progettazione di una metropolitana. «Atti Acc. Se. Fis. e Mat.». Serie III, voi. Ili, n. 7. Napoli, 1960. Rittmann A., Vichi L., Fauni F., Ventriglia U., Nicotera P. — Rilievo geolo¬ gico dei Campi Flegrei. « Boll. Soc. Geol. It. », voi. LXIX. Roma, 1950. 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La denominazione di Betula alba non è solamente limitata a questa specie (u/bu), come potrebbe intendersi da chi non abbia ap¬ profondito il problema, ma comprende altre specie di « Betulae », come in epoca recente si è fatto rilevare. Fino a circa venti anni fa un grande numero di varietà di¬ verse di « Betulae » era interamente compreso in una specie molto estesa, denominata Betula alba dal colore del sughero ricoprente le sue cortecce. Tale specie è stata sempre genericamente citata con questo nome nei più antichi testi concernenti le piante medicinali. I botanici avevano stabilito, nell’ambito di questa specie, diverse differenziazioni più o meno importanti le quali stavano ad indicare diverse sottospecie. Gli erboristi, i farmacognostici ed i clinici invece non spinsero mai l’indagine analitica fino al punto di differenziare tra loro, dal punto di vista farmacognostico e farmacologico, tutte le sottospecie identificate dai botanici. Continuarono a parlare in senso lato di « Betula alba ». In epoca Successiva a quella da noi precisata una modificazione sostanziale si verificò nella classificazione delle betulacee. I carat¬ teri differenziali che distinguevano tra loro le sottospecie B. pu- bescens , B. verrucosa (o pendala ), B. tomentosa , B. vesiiviensis ecc. furono ritenuti sufficientemente rilevanti per giustificare la soppres¬ sione della denominazione generica di Betula alba , sostituendo ad essa queste ultime specie ormai ben definite. 8 114 — Per conseguenza tali nomi comparvero nelle pubblicazioni più moderne in luògo della designazione generica di B. alba. Va no¬ tato che nei testi a carattere didattico generale, anche relativamente recenti, può trovarsi ancora la denominazione B. alba. Ciò dipende dal fatto di non aver voluto ancora conferire qualificazione ufficiale alla nuova classificazione, dato che rincasellamento di alcune va¬ rietà di Betula (non medicinali, però) nelle diverse nuove specie che hanno preso il posto della Betula alba è tuttora oggetto di controversie e gli Autori più prudenti non hanno voluto ancora sanzionare una nuova classificazione, sotto alcuni aspetti incerta e quindi non completa nè inequivocabile. Da ciò la conseguenza che nelle pubblicazioni più antiche di venti anni orsono si parla di B. alba come di pianta medicamentosa (usata più che altro nella medicina popolare), mentre nelle pubbli¬ cazioni più recenti, e quindi nella stragrande maggioranza di quelle a carattere chimico-analitico, si parla invece delle nuove Specie distinte di « Betulae », le quali hanno sostituito la cc B. alba » di un tempo sul piano di una più precisa classificazione. Delle nuove specie differenziate sono diffuse maggiormente, nel- l’intera Europa e nell’Asia settentrionale, la B. pubescens e la B. verrucosa o pedula , in quanto la vesuviensis cresce unicamente sulle falde del Vesuvio e la tomentosa è rarissima. Il « Handhuch der Drogenkunde » [1,2] attribuisce importanza medicinale solo alle due specie suddette e quindi ad esse assegna le proprietà medicamentose sia tradizionalmente riconosciute, sia più recentemente accertate, delle « Betulae » anche perchè le spcie B. verrucosa (o penduta ) e B. pubescens sono, probabilmente, le sole esistenti in Germania dove le ricerche su questa droga hanno avuto un interessante sviluppo. Non risultano indagate le proprietà medicinali specifiche delle B. vesuviensis e B. tomentosa . le quali, pertanto, data la loro rarità, non entrano nel campo dell’esperienza erboristica e clinica corrente. Tutto questo giustifica ampiamente la sostituzione delle denomi¬ nazioni B. verrucosa (o pendala) e B. pubescens alla denominazione generica B. alba più antica nelle ricerche concernenti quest’ultima, e resta giustificato il fatto di riferire a questa specie antica i risul¬ tati conseguiti su quelle specie nuove che la sostituiscono, agli effetti dello studio dei principi attivi e di ogni altra importante particola¬ rità di interesse terapeutico. Farmacognosta della droga. Cortecce i Le cortecce di Betulla [1] del commercio sono di color castano, in pezzi piatti duri, parzialmente liberati dal sughero bianco che vi aderiva ; i pezzi raggiungono uno spessore di 5-20 mm. Cortecce più vecchie sono prive di valore e pertanto da eliminare. La corteccia, piatta all’interno ed all’esterno, mostra sul libro una struttura granulosa. Sulla parte esterna si vedono quasi sempre fram¬ menti del sughero bianco splendente, che è costituito da varie lamelle. La corteccia, inodore, ha un sapore aspro ed astringente. Foglie: Le foglie di betulla ( B . penduta o verrucosa) [ 2] sono di forma pressoché romboidale, più di rado triangolari oppure ovali, a cime seghettate, lunghe circa 4-6 cin., superiormente verdi scure, inferiormente verdi chiare, mostranti in trasparenza una rete venosa molto fine. Le foglie di B. verrucosa Ehrh. sono glabre ed hanno nervature che non appaiono pronunciate sulla superficie foliare. Le foglie di « B. pubescens » Ehrh., invece, sono finemente tricosate e, special- mente dal lato inferiore, caratterizzate da nervature più spiccata- mente sporgenti. Riguardo alla droga sminuzzata, i pezzi di foglie sono caratte¬ rizzati, visti dall’alto, da nervature principali e secondarie conside¬ revolmente rilevate e nervature collaterali anastomizzate in fini reticoli. Sulla parte inferiore più chiara e un po’ ruvida le nerva¬ ture per la loro omocromaticità col fondo sono meno visibili. Alcuni pezzi di foglia mostrano i denti marginali doppiamente seghettati dove si immettono le nervature secondarie. Su quasi tutti i fram¬ menti foliari vi è da rilevare, mediante lente di ingrandimento, una punteggiatura ghiandolosa fitta, bruno scura, la quale conferisce alla superficie delle foglie una consistenza viscida. Si rinvengono talvolta (insieme ai frammenti di foglia) lunghi picciuoli foliari, scuri di fusto, senza esclusione di amenti di fiori femminili. Le foglie sono quasi prive di odore e sapore. Entrambe le varietà di Betulla hanno struttura anatomica assai simile, ma tuttavia ben differenziabile. L’epidermide superiore consta di cellule rettilineo-poligonali con parete esterna non convessa e parete interna convessa, più o meno penetrante in avanti nel tessuto a palizzata. La superficie superiore non mostra nè stomi nè falde cuticolari. Infine si trova una tipica fila di cellule a palizzata e, — 116 — sottogiacenti, una fila di cellule estese in modo simile a palizzata, ma più corte e spesso coniche. Il parenchima spugnoso consta di cellule convesse. Il parenchima spugnoso di « B. pubescens » è di re¬ gola considerevolmente meno convesso e curvato parallelamente alla superficie foliare. La B. verrucosa possiede invece un tessuto spugnoso di cellule di forma arrotondata. Nel mesofìllo sono sparse alcune druse di ossalato di calcio ( più facilmente presenti in vici¬ nanza delle nervature). Nelle nervature più grandi vi sono deboli strisce collenchimali subepidermali e, da entrambi i lati del fascio vascolare, serie di nervature accompagnate da cristalli di ossalato di calcio. La superficie inferiore si presenta similmente rettilineo¬ poligonale, ma con cellule più piccole e stomi circondati da 4-7 co¬ muni cellule epidermiche. La B . pubescens possiede in aggiunta a quanto descritto peli te¬ gumentali unicellulari appuntiti, a parete spessa. La B. verrucosa ha scaglie glandolari sulle cellule epidermali delle nervature. Farmacologia della droga. La betulla, accanto alla tremula , si può considerare l’albero più diffuso dopo l’ultima era glaciale. Successivamente essa si è localizzata nelle zone più settentrionali della terra e pertanto è stata designata da Plinio con le denominazioni di Gallica Arbor e Albero nordico. I Germani avevano in gran considerazione l’albero in questione sia per la sua chioma verde, abbondante e fresca, usata per la « festa di primavera », sia anche per il suo succo cui veniva attribuita virtù energetica magica. I Greci ed i Romani invece conoscevano poco la betulla, cosicché essa non trovò impiego nella medicina antica. Solo nel Medioevo si ha qualche indizio circa l’attività terapeutica del succo di betulla, impiegato nelle calcolosi e nella itterizia. Per fermentazione del succo che stilla in primavera dalla cor¬ teccia, si ottiene una bevanda vinoso-spumante, il cc vino di betulla », che contiene tartrato acido di potassio e glucosio. Al succo applicato per uso esterno si attribuiscono le proprietà di favorire la crescita dei capelli e di far scomparire le lentiggini. Per distillazione secca del legno si ottiene l’olio etereo di betulla ovvero Yoleum betulinum empir eumaticum o oleum Rusci . chiamato così perchè esso, particolarmente in Polonia e in Russia, viene impie- — 117 — gato nella preparazione del cuoio di Russia. In terapia l’ oleum li asci viene usato per via cutanea nel trattamento delle dermatiti ed allo interno contro artrite e reumatismi, gonorrea e febbri intermittenti. Nell’Europa orientale e in Siberia, dove la betulla è diffusissima, essa è molto impiegata nella medicina popolare come purgativo, sedativo, diuretico e prodotto di bellezza [3]. Inoltre, le foglie di betulla ven¬ gono indicate pure nella terapia della gotta e dei reumatismi articolari. L’omeopatia designa la betulla come un buon diuretico, che si prescrive in dosi normali nelle idropisie, nelle cistiti, nelle malattie della pelle ed anche nelle coliche gastroenteriche. La scuola allopatica conosce le foglie di betulla od altre prepa¬ razioni delle medesime come diuretico innocuo, non lesivo per i reni, straordinariamente efficace. Somministrazioni giornaliere ripe¬ tute di un decotto di g. 25-35 di foglie in circa g. 200 di acqua pro¬ ducono, dopo 24 ore dalla prima somministrazione, un aumento della diuresi senza alcun fenomeno secondario [4]. Allo stesso modo del decotto corretto òon carbonato sodico, agisce l’estratto alcoolico delle foglie. L’attività diuretica più energica viene attribuita però all’e¬ stratto acquoso. L’attività di un grammo di questo estratto corrisponde a quella di g. 30 di foglie secche e di esso non devono essere superate dosi giornaliere di g. 2 [5]. L’uso prolungato di infusi di foglie di betulla agirebbe favore¬ volmente sulla disgregazione di calcoli renali. La cura va praticata ininterrottamente per 6 mesi e successivamente ancora 2-3 volte per 4 settimane di seguito, con una interruzione di un mese ogni volta. In ogni caso, però, una eventuale disposizione organica alla forma¬ zione di nuovi calcoli non ne resta modificata [6]. Le foglie di betulla vengono designate come il miglior diuretico vegetale, senza attività secondarie dannose, indicato nelle nefrosi e nelle nefriti croniche [7]. Si può ancora accrescere l’attività se all’infuso si aggiunge una piccola quantità di bicarbonato di sodio, dato che evidentemente la sostanza attiva, che viene designata come saponina acida, si scioglie meglio in soluzione alcalina [8]. Le sostanze diuretiche possono essere isolate anche per tratta¬ mento degli infusi acquosi con carbone attivo e successiva eluizione dell’adsorbato ad un pH tra 3,5 e 6,8 seguito da evaporazione del solvente. Da un Kg. di foglie di betulla, grossolanamente tagliuzzate, si ottengono in questo modo 6-7 g. di estratto secco di cui 0,1-0, 3 g., — 118 — nell’esperimento su animali, producono un notevole aumento della diuresi [9]. Se da un lato si osservano risultati così incoraggianti per la betulla, dalLaltro, in base alla sperimentazione condotta su pazienti, si traggono conclusioni non probative. Esperimenti clinici condotti con vari preparati ottenuti dalle foglie di betulla somministrati a 17 per¬ sone, di cui 5 sane, le altre ammalate come segue : nefrosi cronica, nefrite, obesità e obesità con deficienza cardiaca, non mostrarono un apprezzabile aumento della diuresi. In esperimenti nei quali i pazienti ricevettero alternativamente infuso di foglie di betulla e, negli inter¬ valli, la medesima quantità di acqua, il risultato fu del tutto negativo, poiché nessuna delle persone in esperimento, dopo la somministra¬ zione del farmaco, eliminò per remuntorio renale un quantitativo di urina superiore a quello eliminato dopo aver consumato un’eguale quantità di acqua. Del pari il contenuto di sostanze disciolte ( azoto- cloruri) non permise di constatare alcuna attività stimolosecretoria. Analoghi risultati si ottennero circa l’influenza di una terapia a base di preparazioni con foglie di betulla sul bilancio idrico gior¬ naliero in 9 esperimenti durati 10-14 giorni [10]. Una valutazione di questo inatteso andamento sperimentale negativo, d’altra parte, fece risultare che nell’uomo sano la diuresi non può in alcun modo essere incrementata a mezzo di somministrazione di preparati di betulla. Semplicemente in alcuni casi di idropisia cardiaca si constatò un'attività molto piccola. In ogni caso questa attività, di scarso valore, non reggeva minimamente al paragone delLeffetto diuretico che si otteneva dopo somministrazione al medesimo paziente di preparati organo-mercuriali [11]. Secondo quanto fin qui riferito l’attività diuretica della belulla non giunge a manifestarsi nell’uomo come ci si sarebbe aspettalo in base agli esperimenti condotti sugli animali. Un estratto di foglie di betulla, iniettato endovena, si sarebbe dimostrato attivo contro il tifo. La prima iniezione endovenosa di 10-15 cc manifestò nei malati di tifo una rilevante caduta della tem¬ peratura. Le successive, ripetute ad intervalli di 1-2 giorni per la durata di una settimana, determinarono nel paziente una favorevole ripresa [12]. Negli esperimenti farmacologici sugli animali (conigli e topi) condotti con infuso di foglie di betulla, si osservò un aumento della secrezione urinaria del 20% circa ed un aumento del cloro nelLurina — 119 — del 40%. Anche nell’animale nutrito in carenza idrica e di cloruri si giunse egualmente ad un aumento dell’urina e del cloro urinario. Nel topo la droga determina un aumento di urina fino al 42% ed un aumento del cloro fino al 128% [13]. In esperimenti in serie su ratti con un estratto di foglie di betulla si raggiunse ugualmente una forte attività diuretica [14]. Da parte di altri sperimentatori, che si servirono ugualmente di ratti, non venne confermata l’azione diuretica nella misura anzi- detta [15]. Fu invece constatato un aumento dell’azoto urinario [16]. In esperimenti con succo di betulla commerciale sul coniglio domestico, dopo somministrazione per via orale di 10 cc di estratto per Kg. di peso vivo, la massa urinaria salì da 1,2 cc per ora a 18 cc. La somministrazione di 15 cc di succo di betulla non migliorò i risul¬ tati [17]. In esperimenti con porcellini di mare, cui vennero date in pasto foglie fresche di betulla, non si constatò attività diuretica [18]. L’attività colagoga delle gemme di betulla venne provata con esperimenti su animali e precisamente su cani con fistola permanente del dotto biliare e simultanea fistola del duodeno e dello stomaco. Un infuso al 10-15% di gemme di betulla somministrato per via orale, ebbe per conseguenza un notevole incremento della secrezione biliare. Contemporaneamente venne osservata una debole stimolazione della secrezione gastrica. Le foglie di betulla in decotto concentrato agirono più debolmente come colagogo, poiché la secrezione biliare raggiun¬ geva al massimo il doppio del normale. La secrezione gastrica venne del pari aumentata, ma, a parità di dose somministrata, meno della secrezione biliare. Sulla base di qrtesti risultati sperimentali, si crede di poter considerare le gemme di betulla dotate di un energico potere colagogo [19]. L’acido betuloretinico, il quale ricopre come tegumento bianco i rampolli delle foglie giovani ed il cui butil-estere è contenuto anche nelle foglie adulte, agisce come lassativo. In seguito alla sommini¬ strazione di g. 0,2 della sostanza resinosa ad un soggetto in esperi¬ mento, due ore dopo il pasto, si manifestò una forte sensazione di fame e, senza alcuna colica o sofferenza enterica, un ripetuto svuota¬ mento intestinale. Per quanto finora sia stato riportato un solo esperimento, si è prescritto il betuloretinato di sodio come lassativo tonico [20]. La letteratura non registra dati degni di particolare interesse sulla tossicologia della betulla sia in campo animale che in campo umano. Risulta soltanto che il catrame di legno di betulla ( Oleum — 120 Rusci ) applicato sulla pelle, come del resto accade per catrami di diversa provenienza, può provocare un’acne che si manifesta con una infiammazione, turgore e simultaneo inizio della depilazione, mentre compaiono dei piccoli noduli. Eventualmente, in individui ipersen¬ sibili, può sopravvenire una dermatite generalizzata [21]. Ricerche chimiche. Una delle sostanze estratte fin da epoca molto remota dalla be¬ tulla bianca ( Retala alba L. = B. verrucosa Thrh. == B. pendala Roth) allo stato cristallino è quella che dà alla scorza dell’albero i! suo aspetto bianco e ceroso e che Lòwtz, il quale la isolò per la prima volta nel 1788, ha denominato betulina per ricordarne l’ori¬ gine [22]. In seguito, molte altre sostanze estratte dalla betulla sono state designate (seguendo l’uso della fotochimica) con nomi che ricor¬ dano quello della pianta a partire dalla quale sono state ottenute per la prima volta. Ciò può prestarsi a qualche confusione, dato che la nomenclatura biochimica non è stata sempre applicata seguendo regole fisse e universalmente adottate. Vogliamo precisare, dunque, preli¬ minarmente il senso di ciascuno dei termini derivati da Betula , i quali sono serviti a designare prodotti differenti. La cc Betulina », C30Hr)0O2, il cui nome corretto è « Betulinolo », è stata chiamata talvolta volgarmente « canfora di betulla » o « pigmento bianco ». Dopo le ultime ricerche di Ruzicka e suoi colla¬ boratori essa risulta essere un dialcool triterpen-pentaciclieo. II « Betulinolo », C15H240, estratto da Soden e Elze nel 1905 dalle gemme di « Betula alba », sarebbe un alcool sesquiterpenico biciclico. Si è talora designato sotto il nome di « Betuloside » un glucoside estratto da « Betula lenta » da Bridel e che questo Autore ha identi¬ ficato con il monotropitoside. Quest’ultimo prodotto è un salicilometil- primaveroside profondamente diverso da quello isolato da Sosa. Secondo le regole attuali di nomenclatura si deve conservare il nome di « monotropitoside » al glucoside della B. lenta , perchè è stato scoperto precedentemente nella Monotropa hypopopitys. Sosa invece designa, secondo le medesime regole, con il nome di « betu¬ loside » (C16H24 0 7) il glucoside isolato da lui per la prima volta dalla Betula alba L. e la cui formula corrisponde a quella di un p-idrossifenil-l-butanol-3-[3-d.glicopiranoside. Sotto il nome di « betu- ligenolo » si designa invece il suo costituente non glicidico. 121 Nel corso delle ricerche effettuate da Sosa sono stati affrontati e risolti due problemi : il primo ha relazione con le variazioni di composizione della betulla durante il ciclo annuale nonché con Fatti¬ vità diastasica dei diversi organi di questa pianta rispetto ai glucidi. Da queste ricerche si possono trarre, fra l’altro, alcune indicazioni sulla genesi e l’idrolisi del betuloside nella pianta ed inoltre sulle migliori condizioni di estrazione di questo principio. Il secondo è quello che ha portato alla definizione della formula del betuloside. Lo studio intrapreso in tal senso ha condotto questo sperimen¬ tatore a studiare la serie completa degli alcooli secondari p-metossi- fenil-butilici a cui appartiene il metilbetuligenolo, derivato metilato dell’aglicone del betuloside. Questo complesso di ricerche ha permesso non solo di stabilire una formula definitiva ed incontrovertibile del betuloside, ma anche di preparare svariate sostanze di cui alcune sono state ottenute per la prima volta, mentre altre, già note, sono state fatte poi oggetto di ricerche complementari. Nella letteratura, inoltre, si trovano notizie di ricerche effettuate sul potere antibiotico della B. alba; gli studi effettuati sulla B. alba si possono perciò articolare nei seguenti punti : 1) ricerche biochimiche; 2) estrazione del betuloside e determinazione della sua struttura ; 3) potere antibiotico. Ricerche biochimiche sulla « Betula alba ». Questi studi sono in relazione con il contenuto in glucidi della betulla e con la sua variazione quantitativa nel corso del ciclo vege¬ tativo annuale. La ricerca dei glucidi ed il loro dosaggio sono stati effettuati seguendo il metodo Bourquelot. Il materiale fresco, ridotto in pic¬ coli pezzi, viene immerso in cinque volte il suo peso di alcool etilico a 90° bollente, allo scopo di inattivare le diastasi il più rapidamente possibile e impedire qualsiasi ulteriore modificazione nella compo¬ sizione della pianta in esame. L’ebollizione viene mantenuta per tre minuti. Si decanta l’alcool e si finisce di esaurire il vegetale a mezzo di altri due trattamenti similari, rispettivamente con 4 e 3 parti di alcool. I glucidi solubili passano nel liquido, da cui si scaccia l’alcool _ 122 _ per distillazione. Dopo distillazione dell’alcool il betulinolo, solubile nell’alcool caldo, ma insolubile nell’acqua, precipita nell’estratto. Esso viene allontanato per filtrazione ed i filtrati si distillano sotto pres¬ sione ridotta, quasi a secco. Il residuo, ripreso con acqua distillata, filtrato ed addizionato di toluene, riportato a 100cc(100g di mate¬ riale trattato), viene sottoposto all’azione della diastasi in un ter¬ mostato regolato a 33°C. Le polveri diastasiche, impiegate al fine di evidenziare i glucidi attraverso la loro idrolisi selettiva, sono: l’invertina. che agisce sul legame glucosio-fruttosio, quale esso esiste nel saccarosio, e l’emul- sina, che stacca la molecola di glucosio dai [3-glucosidi. L’aumento di zuccheri riduttori, come anche il cambiamento della deviazione pola- rimetrica del liquido, provocati dall’idrolisi dei glucidi che hanno analogia di costituzione, ci informano sulla natura e la quantità di tali glucidi esistenti nella pianta. L’indice di riduzione enzimolitico, definito da Bourquelot: «La quantità in mg di glucosio formatasi in corrispondenza di un cam¬ biamento di 1° della variazione polarimetrica al tubo di 2 dm », dà una cifra che, per comparazione con i valori ottenuti per i glucidi già conosciuti, limita il campo di investigazione. Prima di ciascun esame si defeca il liquido con acetato basico di piombo, al fine di eliminare le sostanze che possono danneggiare l’esame polarimetrico o provocare delle riduzioni estranee a quelle dovute agli zuccheri sul reagente cupro-alcalino. Dopo agitazione dell’estratto e filtrazione si aggiunge alla soluzione solfato sodico al 10% e il liquido si agita nuovamente e nuovamente si filtra. L’esame polarimetrico ha luogo in tubo da 2 dm, utilizzando una lampada a sodio. Il dosaggio delio zucchero riducente ha luogo secondo il metodo di G. Bertrand. Queste ultime procedure si svolgono prima di ogni operazione diastasante. Successivamente si fa agire l’invertina e si ricomincia con la defecazione ed il dosaggio su una nuova porzione di estratto. Non appena l’invertina ha terminato di agire (nella misura voluta) la si inattiva immergendo il recipiente contenente il campione in esame in un bagno-maria bollente. La soluzione, una volta raffred¬ data, si addiziona di emulsina e si ripetono le operazioni precedenti. Ci si assicura che la diastasi impiegata abbia cessato di agire per mezzo di due dosaggi successivi che diano eguale risultato. Nelle tabelle che seguono, a indica la deviazione polarimetrica ; S. R., la quantità di zucchero riduttore espressa in grammi di glucosio — 123 — per 100 cc d isoluzione corrispondente a g 100 di materiale trattato; Agc e A(S. R.) indicano le rispettive variazioni dei suddetti dati pro¬ vocate dalla diastasi. I. R. è l’indice di riduzione enzimolitico. Queste diverse operazioni, effettuate sulla corteccia di tronco di betulla, hanno dato i risultati seguenti : Valore iniziale Per azione delbinvertina Per azione deH’einulsina dopo quella dell’invertina Sulla base di questi esperimenti si constata nella betulla la esistenza : 1) di zuccheri riducenti liberi; 2) di uno o più glucidi idrolizZabili con l’invertina; 3) di uno o più glucidi idrolizzagli con Pemulsina (proba¬ bilmente di un jB-glucoside). a = — 0°,940 S. R. - 1,553 Aa = — 1°,60 A(S. R.) = 0,995 I. R. = 622 Aa 1 — 1°,74 A(S. R.) = 0,606 I. R. = 348 Composizione dei diversi organi della « Betula alba ». . . V . \ V i ; . ' ‘ > • \ ' .'i . Uno studio accurato è stato anche effettuato sulla composizione delle diverse parti della pianta per quanto concerne i glucidi ed il betulinolo. Sostanzialmente si è constatato che le parti più ricche di glucidi solubili sono la corteccia e le foglie. Ma mentre nella corteccia si trovano quantità ragguardevoli di principi idrolizzagli dalla emul- sina, gli stessi non si trovano che in piccola quantità nelle foglie. Per contro il legno del tronco contiene quantità apprezzabili dei suddetti principi, benché in misura molto inferiore alle quantità contenute nelle cortecce. Gli indici di riduzione enzimolitica forniti dall’invertina corri¬ spondono, con una certa approssimazione, all’indice del saccarosio. Questi dati relativi all’emulsina sono notevolmente diversi da prova a prova e spesso non corrispondono a quelli ottenibili in presenza — 124 - di betuloside da solo. Malgrado questi risultati l’estrazione non ha condotto ad altri glucosidi cristallizzabili. Se si analizza nella corteccia la zona esterna (sughero) e la zona interna, si trova che la prima non contiene che tracce ( dell’ordine dello 0,01%) di zucchero riduttore e, praticamente, non contiene nè saccarosio nè betuloside. Al contrario, è molto ricca di bendinolo (se ne è trovato fino al 25%) che, invece, risulta totalmente assente dal resto della corteccia. Per quanto riguarda il betulinolo, quest’ultimo esiste esclusiva- mente nel sughero della betulla. La sua quantità varia a seconda della età della corteccia, a seconda della località, a seconda degli individui in esame. In effetti le cortecce di betulla di età media hanno dato il 4,5% di betulinolo (25% se questo valore si riporta al peso del solo sughero), mentre negli alberi e nei rami giovani questa sostanza non si rinviene in quantità apprezzabile. La presenza di betulinolo sembra corrispondere ad uno stato di vetustà del sughero. Cortecce prelevate in località diverse da alberi di età similare e nelle stesse condizioni hanno fornito tassi di betulinolo differenti (1,7-2, 6%). Anche le scorze di alberi pressappoco simili, prelevate nella medesima località, alla medesima altezza, dànno cifre variabili. Le proprietà del betulinolo permettono di spiegare il debole tenore in acqua del sughero. Questa sostanza infatti è insolubile in acqua e ricopre la massima parte della superficie dell’albero di un rivestimento impermeabile. Il betulinolo sembra manifestare la funzione di isolare le parti attive della betulla, ricche di plasma vivente, dall’ambiente esterno. A parte questa funzione, esso non sembra intervenire attivamente nel metabolismo della pianta. Appare come un prodotto diretto della attività vitale del sughero e resta nella zona dove si è formato. Una volta sintetizzato, non interviene più nel metabolismo della pianta e si perde irrimediabilmente allorché il sughero si desquama. Il batulinolo, dunque, non sembra entrare nè nella categoria delle secre¬ zioni nè in quella delle riserve. Secondo una proposta di Sosa queste sostanze si possono chia¬ mare « sostanze inattive » per distinguerle da quelle che sono inti¬ mamente connesse al metabolismo vitale e senza le quali la cellula non potrebbe funzionare. 125 — Fattori che influenzano il contenuto in principi attivi della BETULLA. I fattori che inducono una variazione del contenuto glucidico della pianta sono, essenzialmente, l’essiccamento, il modo secondo cui esso viene effettuato e la stagione in cui viene raccolto ed esa¬ minato il materiale. Nella tabella che segue (Tab. I) vengono riportati i risultati otte¬ nuti dall’esame di campioni appena raccolti e dello stesso materiale dopo prolungato essiccamento (quattro mesi) in stufa a 32°C. Come ben si vede il contenuto in glucidi della droga essiccata è notevol¬ mente diminuito, circa la decima parte di quello che si trova nel materiale fresco; il saccarosio è pressoché inesistente. TABELLA I. Scorza del tronco Scorze di grossi rami Droga (zona interna) (intere) essiccata fresche secche fresche 1 ' secche Valore iniziale a — 1°,18 — 0°,98 — 0°,74 - 0°,84 — 0°,04 S.R. 1,460 1,151 1,545 1,178 0,167 Dopo l’azione l’invertina del- Aa A (S.R.) VO Tfi 00 © o*>N© o © { — 0°,99 0,589 — 1°,39 0,860 — 0°,63 0,267 0,005 Dopo l’azione l’emulsina del- Act A (S.R.) + 1°,02 0,456 j + 1°,09 0,302 + 1°,77 0,574 + 1°,37 0,441 0,065 Dopo l’azione la diastasi del- S.R. 2,610 2.042 2,979 1,986 0,237 L’essiccazione rapida del materiale conduce ad una perdita molto più piccola dalla totalità dei glucidi trovati rispetto a quanto si rin¬ viene con l’analisi immediata. Questa perdita è dell’ ordine del 5-10%, ma differisce a seconda che si dissecchi a 37° o a 100°C. L’essiccazione a 100°C pro¬ voca un’idrolisi più pronunziata del saccarosio e del betuloside. Si constata, nei confronti dei risultati trovati a 37°, un aumento dello zucchedo riduttore iniziale di oltre il 20% ed una diminuzione del saccarosio (50%). La perdita totale di zucchero è solo del 5% in rapporto alla prova condotta a 37°. TI metodo di essiccamento così come la durata di conservazione — 126 — hanno dunque un’influenza importante sulla composizione del materiale. La composizione della betulla in glucidi, come abbiamo accen¬ nato, varia anche nel corso del ciclo vegetativo. Questi cambiamenti forniscono informazioni sul ciclo chimico dell’albero e possono servire di base per uno studio fisiologico. Un’indagine completa riferita alle varie parti della pianta esa¬ minate quasi ogni mese e per un anno è riassunta nelle tabelle li, III e IV. TABELLA IL Cortecce del tronco. 1 1 Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio Giugno Iniziale 1 (X S.R. — 0°98 1,554 — 0°94 1,553 — 1°20 1,510 — 1°23 0,724 — 0°06 0,235 — 1°25 0,723 ! Per azione delPinver- tina Aa A(SJL) I.R. — 1°20 0,850 710 — 1°60 0,995 620 — 1°12 0,712 640 — 0°85 0,513 600 — 0°42 0,250 600 + 0°12 0,172 1400 Per azione dell’emul- sina Aa A(S.R.) I.R. + 1°79 0,456 255 + 1°74 0,606 350 + 1°12 0,421 375 + 0°77 0,209 270 -f 0J32 0.166 520 + 0°76 0,351 460 Luglio Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre Iniziale a S.R. — 2°92 1,296 — 1°38 1.880 — 0°64 1,216 — 1°18 1,460 — 0°18 1,832 — 1°32 1,967 Per azione delPinver- 1 tina Aa A(S.R.) I.R. — 0°23 0,149 650 — 1°38 0,703 510 — 1°21 0,453 370 — 0°86 0,694 810 — 1°59 0,942 595 — 1°65 1,051 635 Per azione delPemul- sina A oc A(S.R.) I.R. 0°79 0,190 240 + 1°50 0,446 310 + 0°59 0,263 459 + 1°02 0,456 450 -4- 1°02 0,355 350 1 -1- 1°86 0,466 250 Gli zuccheri riduttori, in quantità notevole in gennaio-febbraio, diminuiscono molto fortemente in primavera. I principi idrolizza- bili con l’invertina appaiono, secondo l’indice prossimo a 604, costi¬ tuiti principalmente da saccarosio. Quest’ultimo diminuisce ugual¬ mente da febbraio (0,99%) a maggio (0,25%). Le sostanze idroliz- zabili con Temulsina, essenzialmente costituite da betuloside, subi¬ scono pure una diminuzione molto notevole da febbraio (0,6) a mag- TABELLA III. 127 © PO o rH r! © io 1/5 ° ja o evi J3 O IO o co. so ^*10^00 . © O pH1' ^ o" rH d' 6 1 1 + « OS «SI VO ° o o evi o OS co wHCO (M PO co 8 o co O o" 0 ^ ^ © cT 0 co ©1 rH o" © 1 i : + co rH O ^ o Hf< ^ © © r — CS H °s rr1 SQ C"* IO F=^H o se o «co O lO^ PO fefj PO pH © © rH 0‘ J 1 1 + io Ir e-s «O io SVI o SO © ©1 se ^ PO t- s o k. b£ r— 1 O 1 O Hp IO © o o io. eo ^ d 6 1 1 + «5 co o teO s© © Hfi ©> ©1 CO © V OS PO vÓ Cs rH r j IO © o VO o PO so o ©1 PO "0 S, o o' © © © © 0) « 1 1 + h. © £ ce © CO rH © so IO O © IH ©\ SO CO H os © evi N ce 0 HJ^ O ^ t> © d o ^ © © S 1 7” 1 + 1 Q O' ©> rH © O so rH O fC so © -i" ©ì ^ CO CO 1 e o «M O r-T o SS] so CSI r4 o VO ©1 ©1 © © 0 ■M 1 + cri <« ® -r,p2 c/i 1-1 eri 'w' <1 <1 i a © £_h « no © ^0 © © s 5 « © o «j *5 .= C3 Z3 .2 B 7s !h s ’n H > H Z © © ’c Oh Ph — 128 — > <1 hJ w D3 CM O VO © © c O CO 1— 1 co oo Tf< g o co SO o co © 8 Q co T + r_‘ M d 1 ° © + i> t— i oo p— i o © PI © s hjn i— i 0O CO SO PI t"- CO § ° <> o CO so O © PI > o rH o ° d' Z + 1 + t - © PI t- o © U rH O r-~ oo vo p- 1 o t- O VO t"* o I 1 o <=T ° ©■ ® 1 1 © + 1 + CO IO PI 1— i o Tft PI o ! £ io oo o o HOC V o IO 0 IO C-— o i— i i CO ° o* °d' ° ©' & + 1 + © © co SO © O © PI © 00 o oo © © h pi a o io O TP 1— 1 O © rH P ° d' 0©'rH ° © 1 1 + © © hH r- oo © pi t-* © tì PI t- ve © © © VO l-H b£ o O ^ © o PI OO P °£ ® © ° d' o i 1 + o © SO PI PI © PI © © CO © Hf< 1— 1 TP 1— 1 HjH © o IO O CO f- o PI © Cd ° sa ° d © d' C'* PI © PI IO rH O cd u o © o co © ° oo io -Q ,4 4) + ® PI ^ 1 + ed fa 1 O CO OS «2 se © rH Tfl © 1— oo co © 2 vo r- © 2 o Ir-* 0 hS o vo © a °© ^ d °©^ p © + 1 + 1 « g S 4) __88c0, — 45°70 — 81°94 — 131 — Solubilità a 16°: Grammi di betuloside in: 100 g di soluz. sat. 1 litro di solvente Alcool metilico 2,3600 19,200 Acqua 0.5580 5,610 Alcool etilico 0,5350 4,250 Acetone 0,0980 0,780 Acetato di etile 0,0178 0,160 Etere etilico 0,0070 0,050 Benzene 0,0000 0,000 All’ebollizione g. 1 di betuloside si sciolgono in 6,5 cc di acqua ed in 18 cc di alcool etilico; a freddo si scioglie facilmente in ammo¬ niaca concentrata ed in soluzione acquosa di soda, potassa e carbonato sodico ; meno in quelle di fosfato bisodico e molto poco in quelle di bicarbonato sodico; è poco solubile in solfuro di carbonio, in tetra- cloruro di carbonio ed in acido acetico. Proprietà chimiche. Il betuloside non contiene azoto. È neutro al tornasole e non riduce nè il liquido di Fehling nè il nitrato d’argento ammoniacale. L’emulsina e gli acidi lo idrolizzano facilmente dando glucosio e betuligenolo. Si scioglie a freddo in HC1, H2S04, HN03 ; con gli ultimi due si ottiene rispettivamente una colorazione rosso aranciata e gialla, e quest’ultima vira al rosso per alcalinizzazione con potassa. In solu¬ zione acquosa dà, con soluzione di cloruro ferrico, una colorazione azzurra che scompare per agitazione con etere. L’identico colore si ottiene col reattivo di Jungmann; questo colore scompare per ebollizione. Il betuloside non viene precipitato dal colesterolo ; con acqua ossigenata e reattivo di Nessler non produce colorazione. Scaldato per 10 ore in acqua a bagnomaria in tubo saldato non si altera. Viene attaccato dalla barite nelle stesse condizioni: la soluzione riduce allora 11 Fehling. Peso molecolare. 1°) Partendo dal tenore in glucosio (54.65%; idrolisi acida e diastasiea) del betuloside : per una molecola di glucosio si avrebbe M - 329,7. — 132 — 2°) per crioscopia in canfora (metodo di Jouniaux-Rast), in base alla relazione : M = IC 100 • 5 L • A ove s e L rappresentano in mg le quantità di sostanza e di canfora usate, rispettivamente ; A è Fabbassamento del P. F. e K la costante crioscopica della canfora. La canfora come solvente crioscopico si comporta, nei confronti del betuloside e del suo aglicone, in un modo affatto diverso: nel primo caso essa è fortemente associante, mentre che per il betulige- nolo è leggermente dissodante. Questi fenomeni sono nettamente espressi dalla curva A /c — /( c) (c essendo la concentrazione 100 8 L ' Calcolando la costante crioscopica o abbassamento molecolare K alForigine si ha per il primo caso 460 e 349 per il secondo. Assumendo per K il valore di 400 (2) si può trovare per il glucoside un peso molecolare normale operando a delle concentrazioni c il più possibile prossime al 6%, vale a dire 15 mg di canfora per un mg di betu¬ loside, il che equivale ad un rapporto molecolare di 35 a 1. Nel caso che la sostanza disciolta sia il betuligenolo si trova che la costante crioscopica media della canfora è 369 per concentra¬ zioni c comprese tra 7,5% e 11%, ciò che corrisponde a 13,3 9, — mg di canfora per un mg di betuligenolo, oppure a 14,5 9,9 moli di canfora per una mole delTaglicone. Dai risultati sperimentali elen¬ cati nella Tabella V si può rilevare che il p. m. del betuloside viene trovato per concentrazioni inferiori al 7% come è stato precedente- mente indicato. TABELLA V. s. Betuloside in mg L Canfora in mg 100 s L A M 11,9 221 5,38 6°, 6 326 16,7 222 7,52 03 o co 342 20,3 228 8,90 o 0\ 379 18,6 168,0 11,00 11°, 0 405 20,9 153.1 13,60 12°, 0 455 23.2 123,1 18,80 15°0 503 31,7 130,6 24,20 14°, 0 660 — 133 — Prodotti di idrolisi del betuloside. Il betuloside può essere idrolizzato dalPemulsina ad una tem¬ peratura di 32°C, oppure dagli acidi minerali diluiti a 100°C, in un tempo compreso tra quattro e sei ore. In tutti i casi si ottiene lo stesso aglicone indicato come « betuligenolo ». Tra i due metodi di idrolisi quello diastasico sembra preferibile. Si opera su 10 g di betuloside ed 1 g di emulsina che vengono mesco¬ lati a 200 cc di acqua. Il tutto viene mantenuto a 32°C per 5 ore sotto forte agitazione. Dopo raffreddamento si liscivia la miscela con etere e si ottiene in tal modo un liquido acquoso contenente il glucosio ed una soluzione eterea contenente il betuligenolo. Il d-glucosio viene identificato attraverso misure polarimetriche, con reazioni partico¬ lari attraverso l’osazone che fonde a 229°C. Il betuligenolo polarizzò Tattenzione degli studiosi, i quali si sforzarono di definirne formula e struttura. Si tratta di una sostanza debolmente acida al tornasole, che non riduce il liquido di Fehling, nè la soluzione ammoniacale di nitrato d'argento; non libera anidride carbonica da una soluzione acquosa di bicarbonato sodico satura, quindi non è un acido. Possiede una funzione fenolica libera. Per quanto concerne il peso molecolare del betuligenolo, par¬ tendo dal peso molecolare del betuloside (330) e dal contenuto in aglicone ed in glucosio del glucoside si ottiene rispettivamente 166 e 168. Misure crioscopiche in canfora ed in acido acetico anidro danno rispettivamente valori di 166,2 e 168. L’indagine effettuata sulla presenza di gruppi funzionali caratte¬ ristici portò a concludere che nella molecola non vi fossero gruppi metossilici. Sono invece presenti due gruppi ossidrilici, di cui uno alcoolico, l’altro fenolico. La posizione dell’ossidrile fenolico, rispetto alla catena alifatica contenente l’altro ossidrile, fu oggetto di una indagine che seguì due vie, una spettrofotometrica e l’altra chimica. La prima, attraverso lo studio degli spettri di assorbimento nel¬ l’ultravioletto del betuloside e del betuligenolo, giungeva alla con¬ clusione che la posizione dei due sostituenti fosse in para. La seconda utilizzò l’eterificazione dell’ossidrile fenolico con un gruppo metilico, ottenendo successivamente acido anisico mediante ossidazione con per¬ manganato. Si giunse così alle medesime conclusioni circa la posi¬ zione dei sostituenti. Nel betuloside, il glucide risulta legato all’agli- cone mediante l’ossidrile alcoolico. Allo scopo di chiarire, dunque, la formula di struttura del betu- 134 — ligenolo, il Sosa preparò tutta una serie di derivati del betuloside e del betuligenolo tra cui il più importante, ai fini della definizione della struttura da assegnare al betuligenolo, era il prodotto metilato: il metilbetuligenolo. Inoltre vennero sintetizzati tutti gli isomeri pos¬ sibili della catena butilica contenente la funzione ossidrilica. Di tali composti si studiarono le proprietà fisiche e chimiche, che sono rias¬ sunte nella Tabella VI [22]. Dal loro confronto con il mono- metilbetuligenolo si giunse alla conclusione che la struttura da asse¬ gnare a questo derivato è quella con l’ossidrile alcoolico nella posi¬ zione 3 della catena n-butilica : H) (2) (3) (4) •CHg—CH — CH— CH OH. Di conseguenza, la struttura del betuloside è quella del p-idrossi- fenil-l-butanolo-3-|3-d-glucopiranoside : U) (2) (3) (4) PARTE SPERIMENTALE Ricerche sul potere antibiotico. La letteratura riporta indagini, in verità non approfondite, sulla presenza di sostanze ad azione antibiotica nelle foglie di Betula alba L. [23, 24]. L’antibiosi è stata riscontrata nei riguardi di microrga¬ nismi del genere coli e stafilococcus. Le indagini effettuate da vari sperimentatori sul potere antibio¬ tico di estratti di Betula alba L. non risultano sufficientemente appro- TABELLA VI. — 135 — I II V' o QJ e _ o e * _ , IO H v© O ©0 co io *o >o (M £ & ò l-H IO CO (M lO*^ e— «SI rH co io h '^O © © 3 33 o rH IO OD io o o o LO rH po' IO ^r® ® ■ «"• IO t—* CS| 45 hQ cò IO N 00 ^ Cr 33 Cr 33 CO 00 io O IO o io CO o' co CO 1-1 c-l 1-1 rH i io ©C PO co i i PO IO t— rH rH =0 ®. CM LO O ©0 «si co po H3 <1 Z o ■s § w OS — 136 — fondite per quanto concerne una gamma più estesa di ceppi batterici, non solo, ma anche per quanto concerne il valore assoluto antibiotico da attribuire agli estratti. Di conseguenza, partendo da tali considerazioni, si è ritenuto opportuno intraprendere uno studio più approfondito in tal senso, estendendo da un lato il numero di ceppi saggiati e cercando, dallo altro, di paragonare Fattività antibiotica degli estratti con quella di sostanze a potere antibiotico conosciuto. Il materiale su cui abbiamo effettuato le nostre indagini è costi¬ tuito dalle foglie della Betula verrucosa Ehr., cortesemente fornitoci dal Sig. G. Carati. Determinazione dell’attività antibiotica. Tecniche qualitative. L’attività antibiotica è stata determinata sugli estratti della droga. Sostanzialmente sono stati seguiti due metodi: 1) Metodo per diffusione , basato sul principio seguente: in un terreno solido, permeabile, intorno ad una sorgente di antibiotico si forma un campo di diffusione nel quale la concentrazione dell’anti¬ biotico decresce con l’aumentare della distanza. 2) Metodo delle diluizioni , in cui l'estratto viene aggiungo a diluizioni scalari direttamente all’agar, saggiandone l’attività contro una quantità standard di germe. La soluzione di agar usata è stata quella di « Agar Inoculo » o di Pennasay, della seguente composizione : Estratto di carne Autolisato di lievito di birra Idrolizzato di caseina Peptone Glucosio Agar Acqua distillata g. 1,5 » 3, — » 4, — » 6, — » 1 — » 20,— q. b. a » 1000 Il pH della soluzione di agar è compreso tra 4,6 e 6,8, corretto con KOH al 50% prima della sterilizzazione in autoclave. Dopo la sterilizzazione il pii è compreso tra 6,4 e 6,5. La sterilizzazione è stata effettuata tenendo la soluzione a 120°C per 20’; successivamente può essere conservata in frigorifero per lungo tempo, allo stato solido. All’atto della utilizzazione si riscalda a 90°C, temperatura alla quale — 137 — ha consistenza liquida e, successivamente, si porta a 40°C in termo¬ stato (temperature superiori inibirebbero di per sè la crescita batterica). Metodo di diffusione. Sono state preparate delle striscioline di carta Whatman N° 1, della larghezza di cm 1 e della lunghezza di cm 8-9. Le striscioline sono state deposte sulla superficie dell’agar solidificato, dopo essere state imbevute delle soluzioni campioni opportunamente diluite. Per questa prova abbiamo preso in esame gli estratti tal quali ed altre due soluzioni di diluizioni IO-1 e IO-2 rispetto all’estratto di par¬ tenza. Si è provata quindi l’attività antibiotica rispetto a vari ceppi, di cui diamo l’elenco : Batteri Gram-positivi : 1) Sarchia lutea 2) Stafilococcus aureus Batteri Gram-negativi : Funghi : 3) Bacillus subtilis 4) Klebsiella pneumoniae 5) Escherichia coli 6) Bacillus cereus 7) Candida albicans 8) Aspergillus niger. L’inoculazione di questi ceppi è stata effettuata col metodo dello striscio. Il materiale di partenza, costituito dallo cc slant », cultura del germe in agar, è stato conservato in frigorifero. È bastato asportare una piccola parte dello strato superficiale con un’ansa sterile e dibat¬ terla quindi in acqua distillata per ottenere una sospensione del bat¬ terio in esame. Con Fansa, sterilizzata su fiamma di volta in volta, si è eseguito quindi sulla superficie dell’agar uno striscio della sospensione voluta. Gli strisci sono stati numerati e dopo un periodo di permanenza in termostato a 37°C, variante da 14 a 16 ore, se ne è osservata la crescita (Fig. 1). L’attività antibiotica è stata rilevata da una inibizione più o meno marcata della crescita batterica, in rela¬ zione alla concentrazione ed al grado di diffusione della sostanza inibitrice. — 138 — Fig. 1. — Schema del metodo di diffusione per la determinazione dell’attività anti¬ biotica. S — Striscia di carta Whatman n. 1 1) Sarcina lutea 2) Klebsiella pneumoniae 3) B. subtilis 4) Escherichia coli 5) Staf. aureus 6) B. Cereus 7) Candida albicans 8) Aspergillus niger Metodo delle diluizioni. Le piastre sono state divise in otto parti (tante quanti sono i ceppi in esame) mediante delle righe sul fondo delle piastre, le quali osservate per trasparenza davano una visione netta dei vari campi. Sono state quindi preparate delle diluizioni scalari della solu¬ zione in esame, ponendole nelle varie piastre sterili prima dell’ag- giunta delFagar. Quest’ultimo è stato pipettato, in quantità opportuna, alla temperatura di 40°C, ancora liquido. Si è lasciato raffreddare, dopo aver mescolato bene i due liquidi, tenendo le piastre in un piano perfettamente orizzontale per evitare l’accumulo della soluzione di antibiotico in un solo punto. Una volta solidificato Pagar, è stato eseguito l’inoculo con la stessa tecnica già esaminata per il metodo di diffusione, praticando cioè strisci delle varie sospensioni sulla superficie del terreno di cultura ( Fig. 2). Questo metodo, a differenza del precedente, si presta solo per saggiare antibiotici estraibili con acqua ; il metodo per diffusione, invece, può servire anche per estratti alcoolici o d’altro genere, dove il solvente già di per sè inibisce la crescita batterica ; naturalmente questi solventi vengono accuratamente allontanati mediante evapora¬ zione sotto vuoto. I due metodi adottati permettono di formulare un rapido giudizio sulFattività antibiotica di una sostanza sconosciuta offrendo la possi- — 139 — bilità di un saggio contemporaneo su vari batteri e funghi. Al con¬ trario, altri metodi, anche se più precisi, come quelli, ad esempio, di diffusione orizzontale mediante dischetti o pozzetti scavati nello strato di agar, permettono la valutazione del potere antibiotico verso un solo microrganismo per volta. 1) Sarcina lutea 2) Klebsiella pneumoniae 3) B. subtilis 4) Escherichia coli 5) Staf. aureus 6) B. Cereus 7) Candida albicans 8) Aspergillus niger Fig. 2. — Schema del metodo delle soluzioni per la determinazione dell’attività anti¬ biotica. I metodi adottati permettono, quindi, con un solo saggio, di osservare tutto lo spettro di azione batteriostatica della sostanza in esame. Preparazione degli estratti. La nostra indagine è stata iniziata prendendo in esame estratti acquosi della Betula verrucosa Ehr. Essi sono stati preparati partendo da 50 g di foglie (contenuto di umidità: 10%), che venivano sottoposte a soluzione estrattiva con 100 cc di acqua dist. mediante sminuzza¬ mento delle foglie stesse in mortaio ; dopo sufficiente triturazione, le foglie sono state spremute. Il liquido estratto è stato poi centrifugato e conservato in frigorifero per evitare lo sviluppo di muffe che facil¬ mente attecchiscono in soluzioni acquose a temperatura ambiente. Le foglie hanno subito una ulteriore macerazione, della durata di 24 ore, sempre con acqua distillata. Anche per questa seconda estrazione si 140 — è fatto ricorso alla centrifugazione per allontanare l’abbondante sedi¬ mento. In totale 50 g di foglie sono stati trattati con 200 cc di acqua distillata; il liquido ottenuto dalle due estrazioni, però, non ha supe¬ rato i 50-60 cc. Dopo riposo in frigorifero si è osservata la formazione di altro sedimento che veniva allontanato per filtrazione attraverso imbuto di vetro a setto poroso del tipo G4 ; con questa operazione si provvedeva anche alla contemporanea asepsi meccanica della solu¬ zione, necessaria quando si adoperano solventi acquosi. I risultati di questa prima prova furono tutti negativi. La crescita batterica si sviluppava regolarmente, sia saggiando Fattività antibio¬ tica dell’estratto col metodo per diffusione, sia con quello delle dilui¬ zioni. Questo risultato poteva far supporre o che l’antibiotico estratto dall’acqua fosse stato perduto nel corso delle varie manipolazioni, in particolare durante la filtrazione, oppure che l’acqua non fosse il sol¬ vente adatto per quella data sostanza. Per dare una risposta a questi dubbi sono state ripetute varie esperienze, preparando gli estratti acquosi delle foglie in varie con¬ dizioni e riducendo al minimo le manipolazioni. In particolare: si aumentò il tempo di estrazione e questa operazione fu effettuata mediante macerazione della durata di 24 ore, procedendo poi ad estrazioni successive fino ad esaurimento della droga. Si è tentata anche un’estrazione per infusione a 60°C, ricorrendo per lo sminuz¬ zamento delle foglie ad un frullino. Infine si sono evitate filtrazioni che potessero trattenere per adsorbimento l’antibiotico. Tutti gli estratti preparati con questi accorgimenti dettero, tutta¬ via, sempre risultati negativi. L’attività antibiotica è stata saggiata per queste prove con i due metodi citati e contro i ceppi precedente- mente enumerati. Questi risultati, quindi, limitatamente ai ceppi impiegati, face¬ vano escludere l’acqua come solvente utile all’estrazione dell’antibio¬ tico, indipendentemente dalle varie tecniche che sono state messe a profitto. Le ulteriori indagini rivolte alla ricerca di un solvente capace di estrarre la sostanza ad azione antibiotica ci hanno condotti a pren¬ dere in esame: il benzolo, l’etere etilico, l’acetone e l’alcool di 95°. Per ciascun solvente l’estrazione è stata effettuata tre volte, impie¬ gando sempre 50 g di droga, (v. Tabella VII). L’estrazione è stata effettuata per digestione, evitando la torchiatura, ma con semplice e modica pressione. Il materiale usato è stato sempre sterilizzato in stufa alla temperatura di 160°C per la durata di oltre un’ora. — 141 TABELLA VII. Solvente cc impiegati cc estratti Benzolo 150 30 Etere etilico 150 50 Acetone 150 70 Alcool di 95° 300 150 Per queste ultime prove sono state usate striscioline di carta Whatman N° 1, imbevute della soluzione e quindi lasciate in essic¬ catore sotto vuoto per la durata di 12 ore. Ogni campione è stato saggiato su tre piastre, inoltre per controllo sono state sempre ese¬ guite prove in bianco con il solo solvente. Sono stati usati i ceppi precedentemente elencati. Dopo incubazione per 14 ore in termostato a 37°C, si sono registrati i risultati riassunti nella Tabella Vili: TABELLA Vili. Esratto Benzolo Etere etilico Acetone Alcool etilico a 95° Risultato su tre piastre leggera inibizione su tre piastre nessuna inibizione su tre piastre evidente inibizione su tre piastre evidente inibizione Ceppi inibiti 1) Sarcina lutea 2) Staf. aureus 3) B. subtilis 1) Sarcina lutea 2) B. cereus 3) B. subtilis 4) Staf. aureus Una volta constatato che l’inibizione della crescita batterica si manifesta in maniera più netta per l’estratto alcoolico, rispetto agli altri estratti, abbiamo studiato una tecnica migliore per l’estrazione con questo solvente. Innanzitutto abbiamo indagato sull’influenza del pH del solvente — 142 — ai fini dell’estrazione della sostanza antibiotica, preparando a tale scopo tre estratti a pH diverso, e cioè con : 1) etanolo a pH naturale (6,5) 2) » » » acido (3,5) 3) » » » alcalino (8,5) I diversi pH sono stati regolati esattamente aggiungendo all’alcool (100 ce) rispettivamente 1 ce di HC1 diluito 1 : 4 per l’estratto acido, e 1 ce di NaOH diluito 1 : 9 per quello alcalino. L’estrazione è stata effettuata mediante percolazione dopo una macerazione di 12 ore. Anche in queste prove sono state preparate piastre per diffusione, usando striscioline di carta imbevute delle soluzioni e lasciate in essic¬ catore sotto vuoto per 12 ore. Il risultato, uguale per tutte le prove, tre per ciascuna soluzione, ha permesso di escludere una variazione dell’attività antibiotica degli estratti in funzione del pH. L’inibizione della crescita si è manifestata in maniera più evidente per la Sarcina lutea, batterio Gram-positivo; seguivano quindi il B. cereus, batterio Gram-negativo, il B subtilis, batterio Gram-negativo e infine lo stafi- loeoecus aureus, batterio Gram-positivo. Abbiamo quindi già sche¬ matizzato un probabile spettro di azione batteriostatica della sostanza estratta con alcool. Per completare questa prima parte della nostra indagine, abbiamo ritenuto opportuno studiare anche Linfluenza della gradazione alcoo- lica sull’attività antibiotica degli estratti. L’inibizione più netta otte¬ nuto con alcool di gradazione 60 ha indicato questa soluzione come il migliore mezzo estrattivo. Determinazione quantitativa. Allo scopo di poter effettuare una determinazione quantitativa del potere antibiotico degli estratti alcoolici della « Betula verru¬ cosa », abbiamo pensato di paragonare questo potere antibiotico con quello di sostanze ad azione antibiotica nota. A tale scopo era necessario scegliere un metodo per la misura degli aloni di inibizione e la scelta è caduta sul metodo di diffusione orizzontale, impiegando dei dischetti di carta da filtro (09 mm) del tipo Seitz, con cui era più facile la determinazione degli aloni. L’estratto è stato preparato partendo sempre da 50 g di foglie, macerate per 24 ore con 200 cc di alcool di 60°. A percolazione avve¬ nuta sono stati ottenuti 90 cc di estratto. Le piastre usate per queste determinazioni sono state preparate — 143 — con un doppio strato di agar; il primo, detto di base, era costituito da semplice soluzione di « Agar Inoculo », il secondo, invece, da una soluzione di cultura in agar. Ovviamente ogni piastra è stata impie¬ gata per un solo microrganismo ed i saggi sono stati effettuati con tutti i ceppi che avevano fornito in precedenza un risultato positivo. I dischetti sono stati imbevuti delle soluzioni, diluite con opportune quantità di acqua distillata, e lasciati poi, come di norma, sotto vuoto in essiccatore. Ogni prova è stata ripetuta su tre piastre e gli aloni sono stati misurati per mezzo di un visore tipo Zeiss (2,5 x). I valori riportati nella Tabella IX rappresentano la media dei diversi aloni misurati con tale apparecchio. Nella prima colonna sono ripori ate le concentrazioni degli estratti. TABELLA IX. Estratto Cenni usati Sarcina Cereus Subtilis Stafilococco Tal quale 36 30 32 31 io-1 — — — — Questi risultati indicano una maggiore attività, sia pure in misura ridotta, nei riguardi della Sarcina ; si rileva tuttavia, in relazione ai risultati ottenuti, che la concentrazione degli estratti è troppo scarsa. Per ottenere risultati più evidenti è stata ripetuta una prova analoga alla precedente, impiegando un minore quantità* tivo di alcool. I risultati sono riportati nella Tabella X. TABELLA X. Estratto Ceppi usati Sarcina Cereus Subtilis Stafilococco Tal quale 43 36 36 32 ! 1 : 2 42 31 34 — 1 : 3 37 30 32 , — — 144 — Come ben si vede dall’esame della tabella i valori dell’alone di inibizione sono, per tutte le concentrazioni in esame, più elevati per la Sarcina, analogamente a quanto rilevato nella prova prece¬ dente limitatamente all’estratto tal quale. Una maggiore concentra¬ zione dell’estratto alcoolico porta quindi a risultati più evidenti. In base ai risultati delle suddette prove di orientamento l’inda¬ gine è stata sviluppata ulteriormente. Dalla consueta quantità di foglie ( 50 g) con 300 cc di alcool di 60° e mediante due successive macerazioni di 24 ore seguite da perco¬ lazione sono stati ottenuti 180 cc di liquido. Quest’ultimo è stato diviso in due porzioni eguali, di cui la prima veniva portata a secco (frazione A) sotto vuoto in bagno a 42°C, mentre la seconda era con¬ centrata solo fino a consistenza fluida (circa 30 cc) dopo evaporazione dell’alcool. Si è ottenuta in tal modo una parte solubile (frazione C) ed un residuo insolubile in acqua (frazione B). In definitiva, l’estratto iniziale è risultato suddiviso in tre frazioni : A) Estratto secco, solubile in alcool di 60°. B) Residuo insolubile in acqua, solubile in alcool di 95°. C) Residuo solubile in acqua. Le frazioni sono state portate allo stesso volume di 30 cc, otte¬ nendo quindi per ciascuna frazione una concentrazione tre volte superiore a quella iniziale. Lo schema seguito è stato perciò il seguente : Droga g 50 Estratto, con alcool di 60°, cc 189 90 cc — > A) Secco (solubile in alcool di 69°, 30 cc) 90 cc — > Concentrato a 30 cc B) Residuo insolubile C) Solubile in acqua in acqua Da queste soluzioni di partenza sono state ottenute tutte le altre per diluizione. I saggi sono stati effettuati sui quattro ceppi che meglio avevano risposto nelle altre prove. Naturalmente anche in questi saggi i dischetti, imbevuti nelle soluzioni, sono stati lasciati in essiccatore in modo da escludere una inibizione dovuta ai solventi. Nelle Tabelle XI e XII sono rassunti i valori degli aloni di ini¬ bizione ottenuti lavorando sugli estratti A e B e sulle loro diluizioni. — 145 — L’estratto C non presentava alone di inibizione con nessuno dei microrganismi impiegati. Questo risultato è interessante perchè, con la tecnica adottata, è possibile allontanare dall’estratto A un'aliquota di impurezze solubili in acqua e che non sono dotate di alcuna attivila antibiotica. D’altra parte questi risultati confermano quanto abbiamo riscontrato all’inizio della nostra sperimentazione e cioè che la sostan¬ za dotata di potere antibiotico non è solubile in acqua. I valori della Tabella XI sono rappresentati nel grafico alla fig. 3 ; sulle ascisse è riportato il valore delle concentrazioni dell’estratto considerando pari al 100% l’estratto tal quale, mentre sulle ordinate V C ] Sarcina lutea 2 B. cereus 3 B. subtilis 4 Staf. aureus Fig. 3. — Alone di inibizione D (inni. X 2,5) in funzione della con¬ centrazione C per l’estratto idroalcolico (Tali. IX). sono riportati invece gli aloni di inibizione. Come ben si vede, la curva N° 1 relativa alla « Sarcina lutea » è più spostata verso l'alto con un asintoto che può essere raggiunto per concentrazioni ancora più elevate. Questo andamento è invece meno evidente per le altre curve il cui asintoto sembra già raggiunto per quelle concentrazioni dell’estratto. 10 — 146 — TABELLA XI. Risultali degli aloni di inibizione del residuo secco (A) ripreso con alcool di 60° (30 cc ) e delle sue diluizioni . i (A) Residuo solubile in al¬ cool di 60° (30cc) Sarcina lutea B . cereus B. subtilis Staf. Aureus Tal quale 48 42 36 40 1 : 2 42 36 33 38 1 : 3 40 34 32 37 1 : 4 38 32 — 36 1 : 5 — — ' TABELLA XII. Risultati degli aloni di inibizione dell’ insolubile in acqua (B), solubili in alcool di 95°, e delle sue diluizioni. (B) Residuo secco ripreso con alcool di 95° (30cc) ! Sarcina lutea B. cereus B. subtilis Staf. Aureus Tal quale 42 38 36 40 1 : 2 34 34 34 36 1 : 3 31,5 32 32 34 1 : 4 — 32 32 33 1 : 5 — — — — A conclusione di questa indagine restava ancora da comparare il potere antibiotico dell’estratto idroalcoolieo con quello manifestato da un antibiotico conosciuto. A tale scopo abbiamo preso in esame la tetraciclina il cui dosaggio biologico viene generalmente effettuato impiegando come microrganismo la Sarcina lutea. Varie prove, effettuate con quantità variabili di tetraciclina, hanno permesso di constatare che una soluzione di 70 gamma/ oc manifesa un alone di inibizione, nei riguardi della Sarcina, quasi eguale a quello dell’estratto idroalcoolico. Per quest’ultima indagine è stata seguita Ja stessa tecnica schema¬ tizzata in precedenza, ottenendo : un estratto secco A, una frazione solubile C ed un frazione insolubile in acqua B, Fig. 4. Nelle figure 4-7 vengono mostrati gli aloni e le varie diluizioni degli estratti, comparati sempre con un campione di tetraciclina. Al centro della piastra è situato un dischetto imbevuto di tetraciclina ; superiormente il dischetto imbevuto della frazione solubile in acqua ( C) ; inferiormente a destra quello imbevuto dell’estratto B e, sempre inferiormente, a sinistra, il dischetto trattato con l’estratto A. Fig. 6, — - 149 Conclusioni. Le ricerche effettuate sulle foglie di Belala verrucosa Ehr., ai fini di indagare sulla presenza in esse di sostanze ad azione antibiotica, hanno messo in evidenza l’esistenza di uno o più componenti dotati di una tale azione. Fig. 7. Dette sostanze non sono praticamente estraibili con acqua, ma vengono solubilizzate dalbacool di 60°, dal benzolo e dall’acetone. L’azione antibiotica saggiata nei riguardi dei microrganismi: Sarcina lutea , B . cereus , B. subtilis , St. aureus , è rivolta prevalente¬ mente verso i Gram-positivi ( Sarcina , Stafilococco), e particolar¬ mente in modo più accentuato verso la Sarcina. Un’indagine svolta per paragonare il potere antibiotico dello estratto idroalcoolico, ottenuto da una determinata quantità di droga, con il potere antibiotico di una sostanza conosciuta, ha permesso — 159 — di stabilire che le sostanze antibiotiche contenute in 25 g di droga (umidità = 10%) posseggono all’incirca la stessa azione batteriosta¬ tica di una soluzione di 70 gamma/co di tetraciclina. Come ben si vede dall’esame della Fig. 1, lo spessore delFalone circolare del dischetto imbevuto dalla soluzione di tetraciclina è molto vicino a quello degli estratti A e B. Dai risultati sperimentali da noi ottenuti in merito alla note¬ vole attività antibiotica della Betula verrucosa e da quelli relativi alle ricerche chimiche che hanno potuto mettere in evidenza la strut¬ tura del betuloside [22], dal quale per idrolisi si libera un aglicone, il betuligenolo ( p-idrossifenil-l-butanolo-3), con caratteri¬ stiche chimiche strettamente legate ad una sicura azione criptotossica, appaiono ben chiarite le azioni farmacologiche attribuite ai prodotti farmaceutici ottenuti dalla Betula alba . Siamo perciò vivamente grati al Signor G. Carati dei Labora¬ torio cc La Fagocina » di Oggiono, produttore del « Betul » e del ccDermobetul », il quale, fornendoci la droga e l’estratto secco otte¬ nuto da essa, ci ha dato la possibilità di riordinare il notevole mate¬ riale bibliografico esistente sull’argomento e di condurre ricerche sistematiche sperimentali sul potere antibiotico della Betula. Napoli , Istituto di chimica farmaceutica e tossicologica delVUniversità, novembre 1961. BIBLIOGRAFIA [1] F. Berger, Handbuch der Drogenkunde. Mandrich (Wien), Voi. 1, pag. 89 (1949). [2] F. Berger, Ibid., Voi. 2, pag. 53 (1950). [3] H. Kobert, Hist. Stud. aus d. Pharmacol. Instit. Dorpart. Halle (1894). [4] H. Winterniz, Bl. f. Hydrotherap., N. 1, 7 (1897). [5] F. Huchard, Journ. des Praetic., N. 51 (1897). [6] J. Janicke, Kon. Bl. d. Ver. d. Arzte v. Reichenberg, 6, 18 (1904); Brit. med. Journal, 2261, 71 (1904). [7] E. Meyer, Pflanzl. Ther. Leipzig, 53 (1935). [8] E. Meyer, Hippokrates, N. 9 (1934). [9] D.R.P. 350/326, Chem. Ztg, 29, 50 (1938). [10] W. Marx e E. R. Buchmann, D. Med. Wschr., 10, 384 (1937). [11] H. Braun, Fortschr. Med., 9, 114 (1941). [12] H. Dessey e A. Mangrini, Giorn. Clin. med., 11, 934 (1933); Ref. E. Merck's Jb, 53, 103 (1939). [13] H. VollMer, Arch. exp. Path. Pharm., 186. 584 (1937). [14] F. Hildebrandt, Munch. med. Wschr., 49, 1999 (1936). — 151 — [15] H. Kruse, Diss. Braunschweig, 1940. [16] H. Vollmer e G. Hubner, Arch. exp. Patii. Pharm., 186, 592 (1937). [17] H. Cremer, D. Apoth. Ztg, 80, 1277 (1934). [18] A. Madaus, Lehrbuch d. biol. Heilmittel. I, Heilpflanzen, Leipzig, 1938, I, pag. 710. [19] N. Petrowa e F. Ryss, Z. exp. Med., 83, 32 (1932). [20] M. Kosmann. J. Pharm. et Chini., 26 (3), 197 (1854). [21] J. Lewin, Gifte und Vergiftungen, Berlin, 1929, pag. 578. [22] A. Sosa, Ann. Cheni., 14, 5 (1940). [23] M. L. D’Amico, Fitoterapia, 1, 77 (1950). [24] G. Mela, Xbid., 2, 98 (1950). Nota preliminare sulla presenza del Lias negli scisti silicei di Giffoni Vallepiaua nel Salernitano Nota del socio PIERO DE CASTRO [Tornata del dì 29 Dicembre 1961] § 1. - Introduzione. Lo studio di una campionatura effettuata nella formazione degli scisti silicei della zona Giffoni Vallepiana ha messo in evidenza microfaune del Lias. Questo risultato presenta una duplice importanza. Paleontologica, per la segnalazione di un piano non ancora ritro¬ valo in questa formazione. Geologica, per le deduzioni che se ne possono trarre conside¬ rando che gli scisti silicei sono sottoposti ad un complesso dolomitico datato dal Galdieri [1] come Gamico in base alla presenza di macro¬ fossili caratteristici ( Myoplioria vestita , Avicula decipiens , etc.). De¬ duzioni, quindi, di ordine tettonico che portano all’ affermazione del¬ la sovrapposizione tettonica della dolomia triassica sul complesso de¬ gli scisti silicei. Questo fatto, messo in evidenza dall’esame paleon¬ tologico, è riscontrabile in maniera, spesso, molto evidente, anche sul terreno (1). Dell’ età degli scisti silicei si interessò per primo il Tchiha- tcheff [2] nel 1842 che li attribuì, per analogia di facies, all’cc Ox- (*) (*) ■ NB. La presente nota si inquadra nei lavori di rilevamento ed aggiorna¬ mento della Carta Geologica d’Italia — foglio Salerno — eseguiti per il Servizio Geologico d’Italia sotto la direzione del professor Francesco Scarsella. (1) Situazioni di campagna che mettono ciò in evidenza sono state riscontrate dal dott. Antonino Ietto che sull’argomento ha curato la stesura di una nota in corso di pubblicazione. — 153 — ford-clay ».' De Lorenzo [3] e Galdieri [1], successivamente li ascris¬ sero al Trias medio, ritenendoli, come anche recentemente ArdigÒ [4], sottoposti stratigraficamente alla dolomia triassica. Tacoli e Zoja [5] attribuiscono gli scisti silicei affioranti nella zona di S. Fele al Cre¬ tacico inferiore, per estrapolazione dell’età di un unico livello con microfauna caratteristica. Scarsella [6] li paragona, sepure con riserva, ai diaspri giurassici dell’Appennino settentrionale. Righet¬ ti [7] segnala in essi il Titonico. Lucini, Masperoni e Spada [8], avvalendosi di considerazioni stratimetriche, parlano di una proba¬ bile non triassicità non solo degli scisti silicei ma anche dei sottoposti calcari a liste e noduli di selce . § 2. - Descrizione della serie campionata. La serie studiata, della potenza di circa 80 metri, è stata cam¬ pionata nel cpiadretto 90-09 (2) della tavoletta 175-II-SE S. Cipriano Picentino, esattamente lungo il sentiero che con andamento grossola¬ namente NW-.SE descrive un arco concavo verso Sierra Perillo. Le successioni in essa riscontrate sono schematicamente le seguenti : Ad un piccolo complesso marnoso grigio-verdastro, contenente abbondanti resti di Chondrites , di circa 3 metri, concordante sui calcari con liste e noduli di selce, succedono per una trentina di me¬ tri di potenza calcari marnosi molto scistosi, ad alternanze di colori diversi ma prevalentemente vinaccia e verdastri; letti di selce e di calcari dividono questi ultimi in banchi di spessore variabile dai 30 al 100 centimetri. Procedendo nella serie non si rinvengono più le intercalazioni calcaree e si fanno sempre più rari i letti di selce, ad eccezione di un locale addensamento nella parte medio superiore dell’intera se¬ rie campionata. I materiali marnosi, sempre scistosi, presentano prevalentemente colorazioni grigio-scure, rosso mattone, verdastre. L’ultimo tratto della serie, di circa 5 metri di potenza, è costi¬ tuito da calcari marnosi vinaccia, che nella parte superiore sottoposta alla dolomia triassica risultano notevolmente laminati. Nella parte inferiore, dello spessore di circa 150 centimetri, la roccia non è laminata ma solo alquanto scistosa. Essa presenta una nitida, sot- (2) Coordinate riferite al reticolato chilometrico. — , 154 tile, interstratificazione ed ingloba amigdale calcaree grigio chiare allineate lungo l’asse maggiore. E’ questo l’unico livello della serie che abbia fornito microfauna; le note paleontologiche che seguono, solo ad esso, perciò, vanno riferite. § 3. - Micropaleontologia. Lo studio su sezioni sottili del materiale del livello fossilifero ha permesso di accertarvi la presenza di generalmente numerosi spon- giari e radiolari, rari resti di alghe e molluschi, foraminiferi per lo più non troppo frequenti. Tra i foraminiferi predominano le forme a guscio arenaceo; me¬ no rappresentate sono quelle a guscio calcareo perforato. Tra le for¬ me più significative per la datazione del livello come Lias, ho riscontrato : Orbitopsella praecursor (GÙmbel). Uno dei due esemplari da me rinvenuti è una forma megalosfe- rica A. 2 [9] messa in evidenza da una sezione passante per la camera embrionale. Vidalina mar tana, Farinacci, 1959. La specie istituita da Farinacci su materiali del Lias medio dei Monti Martani (Umbria) [10], è stata rinvenuta anche nel Lias del Monte Soratte (Lazio) [10] e nel Lias medio del Marocco [11]. Dentalina sp. Franke, 1936. Quinqueloculina sp. D’orbigny, 1826. BIBLIOGRAFIA [1] Galdieri A., Sul Trias dei dintorni di Giffoni. Atti Acc. Pont., voi. XXXVIII. Napoli, 1908. [2] Tchihatcheff P. de, Coup d'oeil sur la constitution géologique des provinces meridionales du Royaume de Naples. Berlin, 1842. [3] De Lorenzo G., Le montagne mesozoiche di Lagonegro. Atti R. Acc. Scienze di Napoli. Mem., voi. VI, n. 5. Napoli, 1894. Fossili del Trias medio di Lagonegro. Palaeont. Italica, voi. IL Pisa, 1896. [4] Ardigò G., Osservazioni geologiche sulValta valle del Tusciano e sulla media valle del Seie. Considerazioni generali sulla evoluzione geologica dei Monti Picentini ( Appennino meridionale ). Boll. Soc. Geol. Ital., voi. LXXVII, fase I. Roma, 1959. 155 — [5] Tacoli M. L. e Zoja L., L’età degli scisti silicei di S. Fele. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. LXXVI, fase. I. Roma. 1957. [6] Scarsella F., Sulla posizione stratigrafica degli scisti silicei attribuiti al Trias medio nell' àppennino meridionale. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. LXXVI, fase. 3. Roma, 1957. [7] Righetti G., Geologia del nucleo mesozoico di Pignola ed Abriola (Potenza). Da una comunicazione alla LXI adunanza estiva della Società Geologica Italiana. Pavia, 1961. [8] Lucini P., Masperoni L., Spada L., Dati micropaleontologici sul flysch del versante tirrenico della Basilicata. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. LXXVI, fase. I. Roma, 1957. [9] Maync W.. Morphology and occurrence of thè foraminiferal genus O rbitopsella. Riv. Ital. di Paleont., voi. LXVI, n. 4. Milano, 1960. [10] Farinacci A., Le microbio facies giurassiche dei Monti Martani (Umbria). Pubbl. Ist. Geol. Paleont. Univ. di Roma, anno Vili, n. 41. Roma, 1959. [11] Rey M. e Nouet G., Microfacies de la Région Préri faine et de la moyenne Moulouya. Leiden, 1958. Su alcuni minerali della Grotta dello Zolfo (Miseno) Nota ilei socio ENRICO FRANCO (Tornata del dì 29 dicembre 1961) Nel corso del lavoro di rilevamento stratigrafìco della zona dei Campi Flegrei, compresa tra Lucrino e Capo Miseno, ho avuto modo di visitare la Grotta dello Zolfo a Porto Miseno, di raccogliere al¬ cune incrostazioni saline sulle pareti interne di essa, ed iniziarne lo studio sistematico. Di questa grotta si occuparono precedentemente diversi studiosi, taluni dal punto di vista mineralogico ed altri dal punto di vista geologico; cito così: Gioeni, Breislak, Scacchi, De Lorenzo. Zam- bonini, ecc. Tuttavia, dopo il 1907, non si hanno più notizie sulle produzioni mineralogiche che ivi si formarono, probabilmente ciò dovuto alla sua ubicazione che la metteva fuori dei comuni itinerari. La Grotta dello Zolfo, cui si accede solo dal mare, è sita nella parte Nord-Ovest del bacino di Porto Miseno, ed è un’insenatura naturale nel tufo giallo che costituisce la parete meridionale della collina di Bacoli. Il suo ingresso è costruito da blocchi tufacei ca¬ duti dal fronte della volta ed il fondo è ricoperto completamente da sabbia accumulatavi dal mare (Tav. 1); nella parte più interna vi è è oggi una pozza d’acqua marina in cui gorgogliano i gas emananti dal sottosuolo, ed altre manifestazioni gassose a temperatura am¬ biente si hanno poi, nell’acqua del mare all’ingresso e, un po’ do¬ vunque dalle pareti interne. Dalle analisi di questi gas naturali, fatte da Guiscardi ( 5) e Georceix (6), risultò la presenza di idro¬ geno solforato ed anidride carbonica. Poiché, come risultò dalle analisi dei predetti autori, il rapporto tra i componenti gassosi è soggetto a vaziazioni, si è tentati a pensare che diversi potrebbero essere, nel tempo, i tipi di minerali prodotti. — 157 — In questa nota vengono prese in considerazione le incrostazioni più abbondanti isolate dalla volta della grotta, mentre successiva¬ mente verranno studiati quei minerali che, presenti in quantità mi¬ nime, richiedono uno studio più lungo ed accurato. Un’altra ragione, poi, che ha suggerito la compilazione di que¬ sta nota è la ricerca della Misenite K8H6[SO,]7, che per la prima volta in natura, fu rinvenuta nella Grotta e studiata da A. Scacchi nel 1849, In seguito lo Scacchi stesso non riuscì più a ritrovarla, come, del resto, accadde nel 1907 a Zambonini, che, per studiarla, dovette ricorrere all’unico saggio allora esistente nel Museo di Mi¬ neralogia di Napoli. 1) Allume Potassico : KAl[SO,]2 ■ 12 HLO. Si riferiscono i dati analitici delle incrostazioni saline che co¬ prono larghi tratti delle pareti interne della Grotta dello Zolfo e che si presentano sempre in aggregati con aspetto cristallino mal definito mancando del tutto la forma ottaedrica abito più frequente neH’Allume potassico. R.M. aia 11,02 1,08 1 K20 8,31 0,87 j 0,96 Na20 0,98 0,16 so3 34,06 4,28 3,97 h20 45,25 25,14 23,28 Res. Ins. 0,24 99,86 I rapporti molecolari ben s’accordano con quelli teorici I : 1 :4:24 per l’Allume Potassico, corrispondente a: S03 = 33,7; A1203 = 10,8; K20 = 9,9; H20 = 45,6. 2) Pickeringite : Mg A12[S04]4 • 22 H20. Questo minerale si presenta in agglomerati di colore bianco neve costituiti da innumerevoli ciuffi di cristalli aciculari esilissimi che raggiungono una lunghezza massima di 3-4 mm., con lucentezza tipi¬ camente sericea. — 158 — I dati analitici sono : R.M. ai203 12,16 0,119 1 MnO 0,25 0,0352 0,29 CaO 0,02 MgO 4,17 0,104 0,873 so3 36,62 0,457 3,84 h20 46,21 2,567 21,57 Res. Ins. 0,20 99,63 Per i dati rapporti molecolari si calcola una relazione: A1,03 : :Mg0:S03:H20 assai prossima a ([nella teorica per la Pickeringite che è : 1:1:4:22 con A1203 11,9; MgO = 4,7; S03 = 37,3 ; H2Q = 46,1. È questo il secondo rinvenimento di questo minerale per i Campi Flegrei dopo quello del prof. A. Parascandqla ai Piscia¬ tili (11) sulla parete esterna della Solfatara che affaccia sulla conca di Agnano. A. Ferrari e G. Scaini (10) in uno studio su alcuni solfati di alluminio e magnesio o ferro stabilirono che un campione di Alo- trichite della Solfatara fosse invece da considerare Pickeringite. Dai dati analitici si osserva che l’Allume e la Pickeringite si presentano allo stato quasi puro. Non è stata presa alcuna precau¬ zione particolare nella separazione dell’Allume potassico, salvo per quanto riguarda la eliminazione di qualche frammento di tufo giallo che costituisce il substrato naturale per il minerale. Per la Pickeringite sono stati separati i piccoli ciuffi di aghetti bianchi più superficiali dalla massa più compatta degli aggregati bianco-neve. 3) Allumogeno : A12[S04]3 • 18 ILO. Questo minerale non è stato possibile determinarlo per via chimica perchè si presenta in piccoli aggregati costituiti da innume¬ revoli cristallini bianchi con abito lamellare completamente rico¬ perti da ciuffi di cristallini aghiformi di Pickeringite e perciò diffi¬ cilmente scindibili da questa, sì da non poterne ottenere una suffi¬ ciente quantità analizzabile senza compromettere l’esito dell’esame stesso. — 159 Si è, pertanto, preferito eseguire, di una piccola massa isolata, sufficientemente pura, uno spettro di polvere usando una camera di Debye-Scherrer del diametro di 114,6 mm. e la radiazione CuK filtratala su Ni con una tensione di 40 KV ed una intensità di 15 ni A . Il fotogramma ottenuto è stato posto a confronto con uno avuto nelle stesse condizioni da polvere di Al2[SOt]3 18 H20 puro per analisi, risultando del tutto identico (Tav. 2). Si è preferito far ricorso ad un prodotto chimico puro per ana¬ lisi per la difficoltà di ottenere Allumogeno puro tra i campioni naturali disponibili. L’Allumogeno fu già riscontrato tra i minerali della Grotta dello Zolfo da A. Scacchi (3) e da F. Zambonini (8). Per ulteriore conferma ai dati analitici sono stati eseguiti foto¬ grammi di Debye, con la tecnica già descritta, su campioni di Allume e di Pickeringite, confrontandoli con analoghi di KA1[S04 ]2 • 12H20 puro per analisi e di Pickeringite dei Pisciarelli rispettivamente, risultando del tutto simili (Tav. II). Altri aggregati cristallini uniti in piccole masse globulari bianche disseminate sulle pareti della Grotta, che ai saggi chimici risultano essere solfati, sono stati sottoposti ai Raggi X, rivelando la presenza di almeno due minerali non separabili, data la fitta compenetrazione di essi, nè si è riscontrata analogia alcuna al confronto con altri fotogrammi di Debye eseguiti su : Epsomite, Thenardite, Mascagnina, Kieserite, Aftitalite e Glauberite. Infine si rinvengono delle piccole masse di colore verde oliva, che si presentano umide e molli e che, disseccando, dopo qualche giorno mostrano essere un fitto aggregato di laminette a contorno esagonale, di colore giallo olio. Alcune determinazioni analitiche ed ottiche eseguite su di esse permettono di dire con una certa sicu¬ rezza trattarsi di Metavoltina K5Fe[OH( S04)3]2 • 8 H20, già segna¬ lata da F. Zambonini. Mi riserbo di approfondire le ricerche e mi auguro di poter dissipare i dubbi odierni. Conclusione. Da quanto è stato fin qui osservato si può dire, riguardo alla genesi dei minerali ritrovati, e preseniantisi come efflorescenze, che si possono ritenere dovuti alFimbizione della roccia trachitica da parte di soluzioni saline. La presenza di questi solfati, come avviene per la Solfatara — 160 — di Pozzuoli, può essere spiegata ammettendoli come facenti parte delle soluzioni idrotermali del vulcanismo residuo della zona, o cau¬ sati dall’ossidazione dello H2S, che, successivamente, agendo sulle rocce circostanti, ne produce l’alterazione. La preponderanza dei solfati di alluminio e potassio su quelli di ferro e magnesio rispecchia esattamente il chimismo della roccia alterata. Per vero risulta evidente l’improprietà della denominazione « Grotta dello Zolfo », a meno che non abbia preso tal nome dal¬ l’odore di idrogeno solforato, che volgarmente è inteso come odore di zolfo. Napoli, Istituto di Mineralogia dell’ Università, dicembre 1961. Gruppo di ricerca del C. N. R. per la mineralogia dei sedimenti. BIBLIOGRAFIA 1) Gioeni G., Saggio di litologia vesuviana, pag. 22. Napoli, 1791. 2) Breislak S., Topografìa fisica della Campania, pag. 295. Firenze, 1798. 3) Scacchi A., Memorie mineralogiche e geologiche della Campania. Mera. 3a. Rend. Acc. Se., 8, pagg. 317-335. Napoli, 1849-1850. 4) Stoppani, Negri e Mercalli, Geologia dTtalia, P. Ili, pag. 42. Milano, Vai- lardi, 1883. 5) Guiscardi G., Note sur les émanations gazeuses des Champs Phlégréens . Bull. Soc. Géol. de France, 2a serie, t. XIV, p. 633. Paris, 1857. 6) Gorceix H., On thè composition of thè vapours or gas escaping in thè Phlae - grean Fields and other places near Vesuvius. American Journal of Science ed arts, III ser., voi. IV. New Haven, Comi., agosto 1872. 7) Bellini R., La Grotta dello Zolfo nei Campi Flegrei. Boll. Soc. Geolog. it., voi. XX, p. 470. Roma, 1901. 8) De Lorenzo G., I crateri di Miseno nei Campi Flegrei. Atti R. Acc. Se. Fis. e Mat. s. II, voi. XIII, n. 1. Napoli, 1905. 9) Zambonini F., Su alcuni minerali della Grotta dello Zolfo a Miseno. Rend. Acc. Se. ser. Ili, voi. XIII-XIV. Napoli, 1^07. 10) Ferrari A. e Scaini G., Studio di solfati di Alluminio e di un metallo biva¬ lente ( Ferro o Magnesio). Period. di Mineralogia, anno XIX, n. 2-3. Roma, 1950. 11) Parascandola A., Contributo alla Mineralogia Flegrea. Boll. Soc. Geol. it., voi. LXX. Roma, 1951. 12) Sinno R., Trono Thenardite e Mirabile nei Campi Flegrei. Period. di Min., anno XXVI, n. I. Roma, 1957. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1961 E. Franco. Su alcuni minerali della Grotta dello Zolfo. Tav. I Poli. Soc. Nat. in Napoli, 1961. E. Franco. Su alcuni minerali della Grotta dello Zolfo. Tav. II Fig. 1. — a) KA1[S04]2 • 12H„0 puro per analisi; b) Allume della Grotta dello Zolfo. Fig. 2. a) Pickeringite dei Pisciarelli ( Agnano) ; b) Pickeringite della Grotta dello Zolfo. Fig. 3. a) A12[S04]3 • 18H20 puro per analisi; b) Allumogeno della Grotta dello Zolfo. La montmorillonite della u Punta dell’ Epitaffio „ Nota dei soci RENATO SINNO ed ENRICO FRANCO (Tornata del dì 29 dicembre 1961) Gli studi compiuti dall’Istituto di Mineralogia della Università di Napoli sulla stratigrafia flegrea, dettero la possibilità ad uno di noi (1) di rinvenire nella zona a monte del Lago Lucrino, e preci¬ samente nei pressi di Villa lannon, un tipo particolare di tufo tanto alterato da assumere oltre che l’aspetto, tutte le proprietà tipiche di una roccia argillosa, quali il « ritiro », la « grassezza » e, prima tra tutte, la « plasticità ». L’impiego di questo prodotto quale materia prima in una pic¬ cola fabbrica di ceramiche, successivamente distrutta dagli eventi bellici, testimonia la presenza di queste proprietà nella roccia in questione. Questa formazione locale, messa peraltro in relazione con le fumarole esistenti nei pressi della Villa lannon, alla luce di nuove ricerche condotte nella zona che si spinge anche al di là della Punta dell’Epitaffio, è risultata molto più diffusa e costante, in quanto in tutta la zona compresa tra Lucrino e Baia e, precisamente in quella parte dei Flegrei denominata « Rione delle Mofete », si è potuto individuare, al disopra del tufo giallo dell’Epitaffio, tutto un livello tipico di pozzolane, fortemente alterate. La diffusione di questo prodotto, la costanza di questo livello, l’aspetto, i requisiti tecnici ci hanno spinto alla ricerca dei costi¬ tuenti mineralogici, sia per sanare una precedente lacuna (infatti all’epoca della pubblicazione del lavoro innanzi citato, circostanze di varia natura non consentirono un approfondito studio), sia per ini¬ ziare uno studio sistematico di queste tipiche « argille » fiegree, la cui esistenza mai era stata messa in evidenza, o riscontrata nella quantità e nella estensione con le quali le abbiamo rinvenute noi. Essendo la genesi di queste « argille » indiscutibilmente legata alla 11 — 162 azione delle acque mineralizzate sui silicati primari, principalmente sanidino e plagioclasi, oltre che sulla parte vetrosa dei tufi e delle pozzolane, allo scopo di distinguerle da altri tipi di argilla di altra origine, chiameremo questo prodotto « piroclastico argilloso ». È no¬ stro proposito di fornire, parallelamente ai nostri studi di stratigrafia, notizie circa nuovi rinvenimenti analoghi; per ora, avendo ritenuto opportuno restringere il campo del nostro studio alla zona di Punta Epitaffio, in questa che vuole essere la prima di una serie di note, illustreremo i risultati delle nostre ricerche che ci hanno condotto ad individuare nella montmorillonite il costituente mineralogico fonda- mentale di questo <( piroclastico argilloso », che, anche se solo limi¬ tatamente ai caratteri macroscopici, si presenta tanto simile ad altri tipi che pur hanno un costituente diverso, come studi in corso stanno dimostrando. Aver rinvenuto la montmorillonite tra i minerali del piroclastico argilloso dell’Epitaffio rappresenta un notevole contributo non solo perchè questo minerale è nuovo per i Flegrei, ma anche e soprattutto perchè, mettendo in relazione la presenza di questo minerale con la relativa genesi, è stato possibile ricostruire, nei limiti delle ipotesi convalidate dalla conoscenza di esperienze di laboratorio condotte da altri studiosi, le condizioni di ambiente e le relative variazioni, in cui il minerale stesso si è potuto formare. La letteratura flegrea non parla della montmorillonite, almeno tra i minerali di superficie, se si eccettua una citazione di Penta (2) del 1941, che ebbe modo di osservarla quale « costituente di una vulcanite argillificata rinvenuta a metri 270 di profondità in un foro di sonda a monte del Lago Fusaro, in prossimità delle fumarole del Rione delle Mofete ». L’Autore afferma infatti, successivamente, che le ricerche roentgenografiche e termoponderali fecero conclu¬ dere che « trattavasi di un minerale siallitico di alterazione della massa fondamentale della vulcanite, da ascriversi al gruppo delle montmorilloniti-beidelliti. Tutti i nostri campioni in esame sono stati prelevati da vari punti dello stesso livello. Il trattamento per levigazione, durato al¬ cuni giorni, ha inizialmente permesso distinguere le due frazioni costituenti il piroclastico argilloso. La prima frazione, che si deposita con una rapida velocità di sedimentazione, costituisce circa il 45% e conserva le caratteristiche ed i costituenti mineralogici originari della pozzolana. Al micro¬ scopio polarizzatore sono stati osservati : — 163 sanidino in minuti frammenti, cristalli piuttosto rari di pla- gioclasio, mica biotite e rarissimi cristalli di magnetite. La seconda frazione, che resta in sospensione anche dopo diverse settimane o si deposita sotto forma di colloide nettamente differen¬ ziato dalla parte sabbiosa, costituisce la rimanente parte. Al micro¬ scopio sono state osservate piccole masse di color bianco latte, biri- frangenti, ma senza alcun carattere di cristallinità, se si eccettua quello dovuto alla presenza di lamine sottilissime di mica biotite, non staccate dalla massa fondamentale. Questa frazione ottenuta per levigazione è stata successivamente sospesa in soluzione acquosa nel separatore di Andreasen, dal quale dopo 72 ore è stata prelevata la sospensione compresa tra cm. 10 e cm. 20. Applicando la formula di Stokes sulla velocità di sedimen¬ tazione : t == 18 h rt • IO8 (Ti — Ta) 9 d'2 e ricavando il valore di h yj • IO8 (ri - 9 1 si è conosciuto il diametro dei granuli costituenti la frazione in esame, che è risultato uguale a 0.7 *jl. Si è separato per centrifugazione il solido sospeso, che, essic¬ cato all’aria, a temperatura ambiente, ha fornito il materiale per la analisi all’infrarosso. La frazione compresa tra cm. 0 e cm. 10, sottoposta allo stesso trattamento, ha fornito il materiale (con dimensione dei granuli inferiore ai 2 y4 di diametro) per l’analisi chimica, roentgenografica e per lo studio al microscopio elettronico. Allo stesso trattamento di purificazione si è ritenuto opportuno sottoporre campioni di montmorillonite dei due noti giacimenti di Montmorillon e del Wyoming, i quali sono stati sottoposti agli stessi metodi di indagine dei campioni di Punta Epitaffio oggetti del pre¬ sente studio, e, quindi considerati, quali sicuri termini di riferi¬ mento. L’insieme dei risultati ottenuti attraverso le diverse vie di inda¬ gine ha quindi condotto ad individuare nella montmorillonite, il costituente essenziale del piroclastico argilloso in esame. — 164 — 1) Analisi roentgenografiche. Sono state eseguite con apparecchio Isodebyflex su diversi cam¬ pioni. Dimensioni dei granuli 7 : ■ f’/| md 3.98 d 3.60 m 3.38 d 3.32 d 2.98 dd 2.92 dd 2.92 dd 2.82 m 2.57 mf 2.57 mf 2.59 dd 2.49 dd 2.34 d 2.25 dd 2.26 dd 2.00 md 1.70 d 1.69 md 1.70 mf 1.50 mf 1.50 mf 1.50 d 1.37 d 1.29 md 1.30 md i 1.30 d 1.25 md 1.25 md 1.25 dd 1.13 dd 1.13 1 I valori di d segnali con asterisco sono quelli presenti nella montmorillonite espansa, dopo trattamento con glicol etilenico. — 167 2) Analisi termiche differenziali. Queste analisi sono state eseguite su campioni naturali che non avevano subito alcun trattamento per levigazione. Il materiale in esame è stato fatto passare attraverso un setaccio a 4450 maglie per cm.2, corrispondente ad un valore del diametro massimo dei granuli pari a mm. 0.090. La relativa curva ottenuta ( fig. 1) mostra un primo effetto endo- 0 200 400 600 800 *C Fig. 1. — Curva termo-differenziale relativa alla montmorillonite di Punta Epitaffio. termico che va da 45°C a 300°C, con una punta massima a circa 200°C. Un secondo effetto endotermico si registra nell’intervallo di tempera¬ tura tra 640°C e 725°C, con punta massima alla temperatura di 700°C. Il primo corrisponde alla perdita di nH20 « interlayer il se¬ condo alla perdita dell’H20 ossidrilica. Entrambi sono quelli presenti nelle montmorilloniti tipiche [Beliankin (4), Kerr e Kulp (5)]. 3) Analisi nell’infrarosso. Queste analisi sono state eseguite su frazioni del mineiale con un valore del diametro dei granuli < 1 jx. Nelle fìgg. 2 e 3 sono riportati gli spettri infrarossi rispettiva¬ mente della montmorillonite del Wyoming e della montmorillonite VA — 168 — di Punta Epitaffio. Gli spettri sono stati eseguiti per mezzo di uno spettrografo a doppio raggio Perkin-Elmer, Mod. 136 con ottiche di NaCl e KBr. Per quanto Easpetto generale degli spettri sia molto simile, l’intensità relativa delle bande di assorbimento mostra variazioni apprezzabili nei due casi. Infatti, mentre nello spettro della montino- rillonite pura (fig. 2) si osservano due bande molto intense a 1117 e 1041 cm/1 ed una banda debole a 787 cm;1, nello spettro della mon- tmorillonite dell’Epitaffio (fig. 3) quest’ultima banda è praticamente assente, mentre la banda a 1100 cm;1 è notevolmente ridotta di inten¬ sità rispetto a quella a 1041 cm.1. D’altra parte nello spettro della montmorillonite in studio si osservano due bande a 1011 e 886 cm."1 169 — che sono decisamente più intense delle corrispondenti bande della montmorillonite del Wyoming. Questa variazione dell’intensità rela¬ tiva delle bande di assorbimento può essere spiegata solo ammettendo che le bande a 1117, 1041, 915 e 787 cm.1 2 3 sono caratteristiche dei minerali montmorillonitici [Hunt (6)], mentre quelle a 1011 e 886 cm.1 sono dovute ad impurezze presenti in misura maggiore nella montmorillonite dell’Epitaffio. 4) Analisi chimiche. Anche le analisi chimiche quantitative sono stale eseguite, oltre che sui nostri campioni, su quelli della montmorillonite di Montino- rillon e del Wyoming. L’H20 igroscopica è stata determinata ponendo in stufa a 110°C i campioni centrifugati ed essiccati a temperatura ambiente. L’H20 totale è stata determinata con il metodo di Brusch-Penfield, dalla quale è stata successivamente sottratta l‘H20 igroscopica. Il Cl“ è stato determinato volumetricamente con il metodo di Volhard. Nella tabella vengono riportati i valori analitici rinvenuti: 1) Analisi della montmorillonite di Montmorillon (An. Sinno); 2) Analisi della montmorillonite del Wyoming (An. Sinno); 3) Analisi della montmorillonite di Punta dell’Epitaffio (An. Sinno). 170 — TABELLA III 1 2 3 Si02 47.60 | 1 52.98 45.80 Ti02 4.40 0.40 0.40 AIA 21.96 23.10 21.02 ^2^3 3.26 3.66 5.42 FeO 0.28 0.24 0.26 MgO 1.14 1.62 1.24 CaO 3.10 1.46 2.42 MnO 0.08 0.04 0.10 K20 0.10 0.08 1.02 Na20 0.06 0.10 1.40 h2o- 12.90 10.28 11.72 h2o+ 9.20 5.92 8.64 co2 — — 0.20 so3 — 0.12 0.10 CI¬ - — 0.20 0.70 100.08 100.20 100.44 OCCI — 0.07 0.25 100.08 100.13 100.21 Passando ora al calcolo dei rapporti molecolari, limitatamente ai componenti principali, si ottengono i seguenti valori : — 171 — Si02 ALA MgO CaO H20+ 47.60 21.96 1.12 3.10 9.20 Analisi n. 1 Rapporti Molecol. 0.793 0.215 0.028 0.054 0.510 Rapporto A1203 : Si02 0.198 x - 0.198 H2c 0.198 x 2i/2 Si02 ai203 MgO CaO H20+ Si02 ai203 MgO CaO H20+ Analisi n. 2 Rapporti Molecol. 52.98 0.883 23.10 0.226 1.62 0.040 1.42 0.025 10.28 0.571 Analisi n. 3 Rapporti Molecol. 45.80 0.764 21.02 0.206 1.24 0.030 2.42 0.043 8.64 0.480 Rapporto A1203 : Si02 : H20 0.220 x 0.220 4 0.220 x 21/2 Rapporto A1203 : Si02 : H20 “ 0.191 x 4 0.191 0.191 x 21/2 Se si eccettuano i valori dei rapporti molecolari ottenuti per la montmorillonite del Wyoming, con i quali ben si accorda il rapporto A1203 : Si02 : H20, per la montmorillonite di Punta Epitaffio, come anche per quella di Montmorilion, il rapporto A120 : Si02 = 1:4, non è raggiunto, a causa di una deficienza di Si02. Tenendo però presente che tale rapporto nella caolinite è uguale a 1:2, il difetto di Si02 scompare, ammettendo, ed a giusta ragione, la presenza di questo minerale, anche se in rapporti minimi. Del resto la presenza della caolinite tra i componenti del piro¬ clastico argilloso dell’Epitaffio, trova la naturale ragione di esistenza proprio in considerazione della genesi della montmorillonite, della quale discuteremo tra breve. — 172 — 5) Analisi micrografico-elettronica. L’osservazione al microscopio elettronico lia assunto, come al so¬ lito, un particolare significato, in quanto attraverso questa via di indagine, abbiamo potuto ottenere l’ultima valida prova per la sicura identificazione della nostra montmorillonite. Le fotografie sono state eseguite al microscopio elettronico tipo Philips Mod. 11980, su frazioni di diametro inferiore ai 2 |x, in sospensione acquosa, lasciando evaporare il solvente ed ombreggiando successivamente il preparato con lega di Au-Pd, con una inclinazione di 15°. Le fotografie riportate alla Tav. Ili ed alla Tav. IV riproducono Laspetto della matrice montmorillonitica, che si presenta in aggre¬ gati irregolari, in masse chiare ed a contorni non definiti. La fotografia riportata alla Tav. V, fig. 1, è stata eseguita su un campione non ombreggiato, allo scopo di poterne effettuare la relativa diffrazione (Tav. V, fig. 2). La massa è stata opportuna¬ mente scelta per la sua relativa trasparenza. La diffrazione è stata eseguita con una tensione acceleratrice di 89 Kv, corrispondente ad una lunghezza d'onda associata di 0.0434 A. Questa diffrazione ottenuta con la nostra montmorillonite e quella ottenuta sul minerale di riferimento del Wyoming nelle identiche condizioni, sono risultate perfettamente identiche. Le fotografie della Tav. VI. figg. n. I e 2, riproducono parte di una massa perfettamente trasparente della montmorillonite del Wyoming, con la relativa diffrazione. Genesi della montmorillonite della Punta dell’Epitaffio. Per poter discutere della genesi di questo minerale, per poter formulare delle ipotesi circa il meccanismo di formazione della mon¬ tmorillonite, occorre tener presente tutti i vari processi mineroge- netici ottenuti in laboratorio al fine di poter studiare le condizioni chimico-fisiche dell’ambiente, le concentrazioni relative degli ioni interessati, le variazioni di pH e le variazioni di tutti quei fattori che hanno permesso, partendo dai vari minerali primari, di giungere alla formazione dei più comuni ed importanti costituenti mineralogici delle argille. — 173 — È noto, secondo gli studi di Gruner (7-8-9), Tomlinson (10), Andreatta (11, 12, 13, 14), Lapparent (15), Noll (16, 17), e più recentemente di Ross (18), Bashard (19), Schwarz (20, 21) e Sano (22), (tanto per citare solamente alcuni tra i numerosi stu¬ diosi che hanno trattato il problema della genesi dei minerali delle argille) che la formazione della caolinite, per alterazione degli al- lumo-silicati dei metalli alcalini o alcalino-terrosi, richiede un am¬ biente acido, un ambiente quindi in cui vi sia prevalenza di H+. Prendendo come silicato originario l’ortoclasio, ad esempio, e schematizzando la reazione, il processo genetico si può immaginare che avvenga nel modo seguente: 2 K [Al Si3 08] + H2 O + H+ -> Al2 (OH), Si2 O, + 4 Si02 + 2 K+ oppure, considerando la molecola anortitica: Ca [Al2 Si2 08] + H2 0 + 2H+ -> Al2 (0H)4 Si2 0, + 2 Si02 + CaH + E, considerando ancora come minerale primario, soggetto al pro¬ cesso di alterazione, la mica muscovite, la reazione da considerarsi potrebbe essere la seguente : 4 K Al2 ( OH)2 [Al Si3 O10] + 6H20 + 4 H+ -> -> 3 Al , ( OH)8 Si, O10 4- 4 K+ Ben diverse, anzi potremmo affermare diametralmente opposte sono, sempre secondo gli studi innanzi citati, le condizioni di ambiente in cui si forma la montmorillonite, la cui genesi è legata alla basicità dell’ambiente, quindi alla presenza in soluzione di gruppi OH~, pre¬ senza che è, a sua volta collegata all’esistenza, nella soluzione mede¬ sima, di ioni Ca++, Mg+i", Na+ e K+, i quali favoriscono la forma¬ zione di questo minerale. In altri termini, anche in laboratorio, spe¬ rimentalmente, si è riusciti a preparare la montmorillonite trattando, in opportune condizioni il feldspato potassico o calcico-sodico con so¬ luzioni di KHC03 [Gruner (23)] o soluzioni magnesifere che, come è noto, per i fenomeni di idrolisi salina, danno origine a soluzioni basiche [Lapparent (15), Noll (24), Ross (18)]. Con questa premessa, tenendo conto della giacitura della nostra montmorillonite, sopratutto in rapporto ai fenomeni esalativi di C02 che si riscontrano ancora oggi nella zona in esame, è possibile for¬ mulare la seguente ipotesi della genesi del minerale in questione. — 174 — I minerali primari, dalla cui alterazione e disgregazione ha avuto origine la montoinorillonite sono il sanidino, principalmente, il plagioclasio e la mica, a cui va ad addizionarsi la parte vetrosa delle pozzolane che naturalmente ha una composizione chimica analoga a quella dei componenti delle pozzolane stesse. Gli agenti della alte¬ razione sono da ricercarsi nelle acque contenenti C02, acque che per la presenza, anche se in proporzioni ridotte, dell’acido carbonico, sono da considerarsi acide. Da queste soluzioni è impossibile quindi, per quanto precedentemente esposto si possa essere generata la mon- tmorillonite, che, abbisognante di un ambiente basico, ha trovato inevitabilmente preclusa la via della sua genesi. Occorre quindi spie¬ gare il passaggio acido-basico dell’ambiente, che può essere ricercato nell’alterazione che hanno subito i minerali femici della roccia piro¬ clastica originaria, quali l’augite e la mica, unitamente alla parete fe- mica della parte vetrosa, precedente, o magari contemporanea a quella dei componenti sialici tipo sanidino o anortite, ad opera delle solu¬ zioni acide per acido carbonico. Infatti se da un lato, in ambiente inizialmente acido si è generata parzialmente la caolinite, (la cui presenza occorre ammettere in base ai valori delle analisi chimiche, ma in proporzioni naturalmente tanto ridotte da sfuggire alle indagini roentgenografiche), dall’altro, i componenti femici, nello stesso am¬ biente, hanno ceduto alla soluzione gli ioni Ca++ ed Mg++ sotto forma di bicarbonati, successivamente dissociati. Semplificando la formula del componente augitico al tipo diopsi- dico, la reazione può essere espressa schematicamente nel modo se¬ guente : Ca Mg Si2 06 + 4 H+ — > 2 Si02 + 2 H20 + Ca++ + Mg++ A questo punto risulta chiara la variazione dell’ambiente da acido a basico, passaggio reso ancor più rapido dalla diminuzione in solu¬ zione del contenuto in acido carbonico, che, messa in relazione con una diminuita attività produttrice di C02, ci permette di spiegare la presenza nelle pozzolane di numerose pomici alterate di color rosa, che nell’analisi chimica sono risultate ricche di calcite. Nella tabella seguente vengono riportati i valori analitici rin¬ venuti : — 175 — 4) Analisi di una pomice alterata di color rosa (piroclastico argilloso di Punta dell’Epitaffio) (An. Sinno) : Si02 25.12 Ti02 0.24 Zr02 0.04 aia 6.08 Fe203 5.34 FeO 0.38 MnO 0.10 MgO 1.10 CaO 29.22 BaO 0.02 ICO 1.20 Na20 2.35 CL 0.85 S03 0.21 P205 0.42 co2 22.02 h2o 1.58 h2o+ 4.02 100,29 0 - CI 0.21 100.08 Se consideriamo infatti il noto equilbrio chimico : Ca (HC03)2-> Ca C03 + C02 + H2Q è possibile ammettere la precipitazione del carbonato insolubile solo in difetto di C02, sottratto all’equilibrio. In questo ambiente basico, costituito dagli idrossidi del Ca++, Mg++, del Na+ e del K+, ha trovato quindi, la montmorillonite, le condizioni ideali di precipitazione. La reazione, in ambiente basico, può schematizzarsi come segue : K [AlSisOg] + 4 OH- -* KOH + Al(OH)3 + 3 Si02 + 2 H20 La formazione del KOH, con la sua forte velocità di dissocia¬ zione contribuisce nel migliore dei modi alla permanenza dell’am- 176 biente basico nella soluzione, ove i due restanti componenti Al(OH)3 ed Si02 trovano le più favorevoli condizioni per reagire, con la con¬ seguente successiva precipitazione della montmorillonite. Precisa- mente : (KOH) 2 Al (OH):] + 4 Si02 - > Al2 (OH)2 Si4 Oi0-n H20 Se da un lato è nostro proposito insistere sulla ricerca della mon¬ tmorillonite nelle altre zone dei Flegrei, ove in condizioni analoghe si è potuta formare (la qual cosa può dirsi già praticamente attuata), dall’altro lato è altrettanto nostro vivo desiderio, ponendoci fin dove sarà possibile in condizioni di ambiente pressoché simili a quelle na¬ turali, di ottenere in laboratorio la montmorillonite, partendo dalle stesse piroclastiti dalle quali ha avuto origine. Ci auguriamo di rife¬ rire, entro un periodo di tempo non lungo, sui risultati in parte otte¬ nuti, in parte in corso di studio, in parte da ottenersi ancora, com¬ patibilmente con rammodernamento delle attrezzature che grada¬ tamente va completando l’Istituto di Mineralogia. La parte sperimentale di questo lavoro relativa alle analisi roent- genograficlie è stata eseguita dal Doti. Franco, mentre la parte chi¬ mica è stata eseguita dal Prof. Sinno. Comuni Finterpretazione ed il coordinamento dei risultati ottenuti attraverso le diverse vie di inda¬ gine. Ringraziamo vivamente il Prof. Riccardo Sersale dell’Istituto di Chimica Industriale per Faiuto datoci nell’esecuzione delFanalisi ter- inico-differenziale, ed i Proff. Califano ed Orsini dell’Istituto di Chimica generale per l’analogo aiuto fornito nell’esecuzione delFana¬ lisi alFinfrarosso e micrografico-elettronica. Napoli , Istituto di Mineralogia dell' Università, dicembre, 1961. Gruppo di ricerca del C. N. R. per la mineralogia dei sedimenti. BIBLIOGRAFIA 1) Sinno R., Studio geologico e petro grafico della zona Via Scalandrone Punta dell’Epitaffio {Lucrino). Rencl. Acc. Se. Fis. e Mat. Napoli, serie 4, voi. XXIV (1957). 2) Penta F., Studi geominerari e geotecnici. Atti R. Ist. Ine., voi. 84 (1941). Q.) Mac. EWAN D.M.C., Identification of thè montmorillonit group of minerai by X-ray. Nature, voi. 154 (1944). Tav - Montino rii lonite del Wyoming. - Montmorillonite di Punta dell’Epitaffio. - Montmorillonite di Montmorillon. r ranco, l^a iVIOTitmoTilLonite. 0 0 9) ;d « 3 (2 5 '0 Montmorillonite espansa. Montmorillonite dopo trattamento con glicol etilenico. 1 - Wyoming. 2 - Punta dell’Epitaffio. 3 - Montmorillon. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1961 R. Sinno ed E. Franco. La Montmorillonite, ecc, Tav. Ili Aggregati di montmorillonite della Punta dell’Epitaffio. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1961. R. Sin no ed E. Franco. La MontmoriUonite , ecc. Tav. IV Aggregati di montmorillonite della Punta dell’Epitaffio Boli. Sor. Nat. in Napoli, 1961. B. Sinno ed E. Franco. La MontmorilJonite , per. Tav. V Fig. 1. — Montmorillonite di Punta dell’Epitaffio. Fig. 2. Spettro di diffrazione elettronica relativa all’aggregato cristalline* della figura 1. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1961. R. SiNNo ed E. Franco. La M o ritmo rillonite, eco. Fig. 2. Tav. VI Fig. 1. — Montmorillonite del Wyoming. — Spettro di diffrazione elettronica relativa all’aggregato cristallino della figura 1. — 177 — 4) Belianicin Do S. - Ivanova V. P., On thè behaviour of montmorillonite at high temperature. Compt. Rend. Acad. Se. U.R.S.S., voi. 18 (1938). 5) Kerr P. F. - Kulp J. L., Multiple differential thermal analysis. Am. Min., voi. 33 (1948). 6) Hunt J. M., Infrared spectra of clay minerals . Am. Petroleum Inst. Prel. Rept. 8 (1950). 7) Gruner J. W., Hydrothermal alteration of montmorillonite to feldspar at temperatures from 245°C. to 300°C. Am. 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Nat., serie 10, voi. 7 (1950). 13) Andreatta C., Studio di un nuovo termine della serie illiti-idromiche in gia¬ cimenti idrotermali e considerazioni sui passaggi miehe-idromiche-montmoril- lonite. Per. di Min., voi. 18 (1919). 14) Andreatta C., A new type of illite hydromica in a hydrothermal deposit. Clay minerai Bull., n°. 3 (1949). 15) Lapparent J., Les milieux générateurs de la montmorillonite et de la sepiolile. Comp. Rend. Acad. Se., voi. 203 (1936). 16) Noll W., Synthèse des montmorillonites. Die Naturwissenschaffen, voi. 23 (1935). 17) Noll W., Synthèse von montmorilloniten. Ein heitrag zur Kenntniss der Bildungshedingungen und chemismus von Montmorillonit. Chemie der Erde, voi. 10 (1936). 18) Ross G. S. - Hendricks S. B., Minerals of thè montmorillonite group : their origin and relation to soils and clays. Pros. Paper, E.S. Geol. Surv., n. 205 B (1945). 19) Barshao I., Factors affecting clay formation clays and clay minerals. voi. 2 (1959). 20) Schwartz G. 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Il (1937). 12 Relazione sull’esame analitico di un’acqua termale sorgente presso la località 64 Cava delle Petrelle,, in territorio di Sant’ Angelo, nell’ isola d’ Ischia Nota dei soci DIANA LAMBERTINI e GIOSAFATTE MONDEREI (Tornata del dì 29 Dicembre 1961) Abbiamo avuto occasione di compiere una indagine sulle carat¬ teristiche chimiche e chimico-fisiche di un'acqua termale esistente sul litorale meridionale dell’isola d’Ischia, e più precisamente presso la località « Cava delle Petrelle » ad est di S. Angelo, nel territorio del comune di Serrata Fontana (fig. 1). Lo studio, iniziato nell’estate del 1961, è tuttora in corso a scopo di controllo. A tutt'oggi nella bibliografia riguardante le sorgenti termali di Ischia, sono scarse le notizie sui caratteri delle acque sotterranee di questo versante dell’isola, in particolar modo su quelli riguardanti le sorgenti dislocate lungo il litorale [1]. Così che, pur essendo da tempo nota l’esistenza in questa zona di un rilevante patrimonio idrotermale, non è stato possibile ancora farne la valutazione. È nostro intento, con questa nota, di dare inizio ad uno studio sistematico della situazione idrotermale della zona meridionale del¬ l’isola. Tale zona in avvenire, col progredire dei mezzi di allaccia¬ mento, sicuramente verrà sempre più valorizzata ; e sarà pertanto anche favorito lo svolgimento di tutte le indagini necessarie ad una buona sistemazione di quelle sorgenti, che per il momento sono uti¬ lizzate in modo del tutto rudimentale. L’acqua sorgiva oggetto della presente nota verrà utilizzata per bagni, ed attualmente sta sorgendo sul posto un attrezzato stabilimento termale, unico di quel litorale, che provvederà ad una adeguata utilizzazione della sorgente. 179 — Su incarico del proprietario dello stabilimento ci siamo recati sul posto, a più riprese, a partire dal luglio di questo anno, onde proce¬ dere al campionamento dell’acqua ed alla esecuzione dei saggi alla sorgente. Il pozzo è ubicato in uno di quei valloni, localmente chiamati cave, lungo cui defluiscono le acque torrentizie che sfociano sulla spiaggia cosidetta delle « Fumarole ». Esso è stato trivellato a circa 7 metri s.l.m. ; il livello statico dell’acqua, che sembra non subire variazioni apprezzabili con le flut- &+•*•+ Mg + + K+ l 4 1 Na + f 1 Cl " hco3- _ _ _ 0 10 20 30 S04 1 _ 1 _ 1 _ I millivalenze Fig. 1. tazioni della marea, si trova a circa — 4,5 metri dalla bocca del pozzo; da esso l’acqua viene sollevata a mezzo di pompa. I risultati delle indagini eseguite sul posto ed in laboratorio sono riportati nelle tabelle da 1 a 8 e schematicamente rappresen¬ tati in figura 1. TABELLA N. 1. Caratteri generali — L’acqua è limpida, incolore, inodore ed accusa il sapore delle acque salse. — 180 ----- TABELLA N. 2. Valutazioni chimiche diverse 1) Residuo fisso a 110°C 8,2852 gr/litro 2) » » » 180°C . . 8,2810 » » 3) Ammoniaca (NH3) . presente 4) Nitriti (N203) predenti 5) Nitrati (N205) presenti 6) Idrogeno solforato (H9S) assente 7) Durezza totale . . . . 22,20° Francesi 8) » temporanea . 22,20° . » 9) » permanente . 0° » 10) Alcalinità (CaC03) . 0,3245 gr/litro 11) Anidride carbonica libera (C09) . 0,0070 » » TABELLA N. 3. Determinazioni chimico- fisiche 1) Temperatura dell’acqua alla sorgente (ore 11 del 7/7/1961) . . 60°C 2) Temperatura esterna: (ore 11 del 7/7/1961) . . . . ' . 29°C 3) Densità (20°C/20°C) . . 1,0060 4) Abbassamento crioscopico .... . 0,49°C 5) Pressione osmotica ...... . 5.89 atm 6) Conduttività (a 25°C) ..... . 1,55.10-2 7) p H (a 18°C) . . . .' . 7,47 TABELLA N. 4. Radioattività 0.1 0 unità Mache — 181 TABELLA N. 5. Gas disciolti (in un litro d’acqua alla temperatura della sorgente e ridotti a 0°C e 760 mm Hg) 1) Ossigeno (02) 2) Anidride carbonica (C02) 3) Azoto ( N2) + gas rari . 2,60 cc. 3,40 cc. 10.90 cc. 16,90 cc. TABELLA N. 6. Composizione chimica del residuo 1) Titolo di silice (Si02) ...... . 0.1376 gr/litro 2) » » sesquiossido di ferro (Fe203) . . 0,00056 » » 3) » » tetrossido di manganese (Mn304) . . 0,00014 » » 4) » » calce (CaO) . . 0.0833 » » 5) » » magnesia (MgO) ..... . 0,0256 » » 6) » » ossido di sodio (Na20) .... . 4,0000 7) » » ossido di potassio (K90) .... . 0,1250 » » 8) » » anidride solforica (S03) .... . 0,2346 » » 9) » » anidride nitrica (N90.) .... . 0,0342 » » 10) » » anidride carbonica semicombinata (C02) . 0,1427 » » 13) » » anidride borica (B.,0.) .... . 0.0105 » » 12) » » cloruri (Cl) ...... . 4,3500 )> » 13) » » bromuri (Br) . .... . 0,0238 » » 14) » » fluoruri (F) . . . . . . 0,0070 » » Non sono stati ricercati i costituenti minori — 182 — TABELLA N. 7. Rappresentazione dei risultati analitici 1 Componenti (ioni) gr/litro 1 milimol i/litro milli valenze/litro cationi 1 anioni Fe++ 0,0004 0,0070 0,0140 _ 1 Mn++ 0,0001 0,0018 0,0036 | Ca++ 0,0595 1,4845 2,9690 . Mg++ 0.0154 0,6332 1,2664 1 K+ 0,1037 2,6524 2,6524 Na+ 2,9670 129.0160 129,0160 135,9214 F- 0,0070 0,3640 0,3640 Br- 0,0238 0,2975 0,2975 so4- 0,2815 2,9302 5,8605 hco3- 0.3960 6,4900 6,4900 cr 4,3500 122,7080 122,7080 NO " 3 0,0393 0,6330 0,6330 H2Si03 0,1788 2.2899 136,2530 H„BO, 1 0,0187 0,3024 TABELLA N. 8. Classifica : Marotta e Sica Acqua minerale, ipertermale, salsa. La località dove è stata rinvenuta l’acqua è sede di notevoli mani¬ festazioni fumaroliche (da cui il nome della spiaggia). A seguito della esistenza di questi fenomeni esalativi essa fu uno dei tre punti costieri dell’isola prescelti dalla SAFEN nel 1939 per la ricerca di vapore sotterraneo. — 183 — Il nuovo stabilimento termale sta sorgendo infatti (fig. 2) proprio di fronte ad una centralina costruita dalla SAFEN per la utilizzazione del vapore endogeno ivi rinvenuto. Dai risultati delle indagini a quel tempo eseguite, presto venne precisato che le fumarole esistenti nella zona non sono « primarie » cioè di origine diretta, magmatica, ma cc secondarie »; si tratta quindi di vapore saturo proveniente dall’ebollizione ed evaporazione, a se¬ guito di depressione, di vene di acqua molto calda esistenti in abbon¬ danza nel sottosuolo. Infatti in tutti i pozzi, ivi trivellati per quelle ricerche, (una ventina) fu rinvenuta, poco al disopra del livello del mare, acqua a temperatura elevata; temperatura peraltro quasi corrispondente a quella del sottosuolo. Nel quadro delle indagini eseguite per la ricerca di fluidi endo¬ geni — sui risultati delle quali fu dato conto esaurientemente dal prof. Francesco Penta [2] — fu naturalmente presa in considerazione anche la natura di queste acque ; le loro caratteristiche chimiche risultarono molto diverse : alcune volte le composizioni si rivelarono prossime a quella dell’acqua di mare, altre volte se ne discostarono parecchio ; inoltre, il più delle volte, la composizione variava di molto nel tempo. Comunque si trattò sempre di acque calde e salate così come quella da noi attualmente esaminata. Nell’ipotesi che la termalità dell’intera zona sia dovuta a flusso di vapore iuvenile, queste acque rinvenute nel sottosuolo sarebbero il prodotto della miscela di questo vapore con acque endogene, pro¬ fonde, fortemente mineralizzate ed esogene meteoriche e permanenti in genere, tra le quali, data la grande vicinanza al litorale, è da prendere in considerazione anche l’acqua di mare. Il vapore che durante la sua ascesa incontra queste acque, in esse si condenserebbe riscaldandole. La su citata diversità della composizione di queste acque termali litoranee deve attribuirsi al differente rapporto fra acqua profonda endogena e acqua esogena, ivi comprendendo l’acqua di mare, nonché alla diversa temperatura, alla presenza di quantità più o meno note¬ vole di gas fumarolici (essenzialmente C02), fattori quest’ultimi che insieme con la pressione influiscono sulla solubilità dei costituenti salini mineralizzanti. Ammettendo l’ipotesi su menzionata anche circa l’origine del¬ l’acqua da noi esaminata, è lecito ritenere che l’apporto endogeno non si manifesti solo nella elevata temperatura, ma anche nella pre- — 184 — senza, tra i sali disciolti, di elementi a carattere spiccatamente iuvenile ad esempio: il fluoro che l’acqua in questione contiene in quantità superiore a quella presente nelFacqua marina. Relativamente ai costituenti minori, per il momento abbiamo eseguito le determinazioni del Br, F. Mn e H3B03 , però prima di pas¬ sare ad un esame più dettagliato riteniamo opportuno di verificare, per un intervallo di tempo ancora più ampio, la costanza di compo¬ sizione dell’acqua, tanto più che, per aumentare la portata, si sta provvedendo all’approfondimento del pozzo. Napoli , Istituto di Chimica Industriale dell’Unitiersità. BIBLIOGRAFIA [1] Morgera V. Le terme delV isola d’ Ischia. Napoli. 1890. Frenkel W. Ischia : L’isola e le sue sorgenti termali. Torre del Greco, 1929. — Lancellotti F. Analisi delle acque di Barano d’Ischia. Napoli, 1835. — Denozza M. Analisi delVacqua di Cava Scura. Att. Ist. Incoragg., s. 6\ 59, Na¬ poli, 1907. - Vetere V. Analisi chimica delVacqua minerale della sorgente Olmitello , in Ba¬ rano (Vìschio. Atti II Congr. region. Assoc. med. Idrol., Climatol. e Terap. Fis. Napoli, 1927. Lambertini D. e Sersale R. Relazione sull’esame analitico di un’acqua termale sorgente presso il lido di « Lo Grado », nell’isola d’Ischia. Boll. Soc. Naturai.. 68. Napoli, 1959. [2] Penta F. Ricerche e studi sui fenomeni esalativo-idrotermali ed il problema delle « forze endogene ». Annali di Geofisica. 8. Roma, 1954. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1961. D. Lambertini e G. Mondelli, Relazione sull’esame analitico di un acqua termale , ecc. - Tav. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1961. D. Lambertini e G. Mondelli, Relazione sull’esame analitico di un acqua termale , ecc. - Tav. II Relazione sull’esame di un’acqua profonda rinvenuta nella zona litoranea, in prossimità del Palazzo Reale di Napoli Nota dei soci DIANA LAMBERTINI e GIOSAFATTE MONDELLI (Tornata del dì 29 dicembre 1961) Nello scorso anno è stato trivellato nell’ambito del Circolo Ca¬ nottieri Napoli, nelle adiacenze di via Aeton, un pozzo profondo, non rivestito, allo scopo di utilizzare l’acqua del sottosuolo per l’alimen¬ tazione di una piscina ad uso di quel circolo. Alla profondità di m 114 (*), com’era da prevedere in base alle conoscenze acquisite sulla idrografia sotterranea della città, è stata rinvenuta acqua saliente a m 6 s.l.m., in quantità sufficiente al fab¬ bisogno; infatti attualmente la piscina è regolarmente alimentata dal pozzo in questione. Nella fig. 1 viene riprodotta schematicamente la successione delle stratificazioni attraversate, secondo i rilievi eseguiti dalla impresa che ha effettuato la perforazione. Da tale sezione si rileva che i dati relativi: alla profondità cui si rinviene l’acqua, alla potenza del banco tufaceo cd alla quota del piano d’appoggio del banco stesso, sono in ottimo accordo con quanto già noto sulla stratigrafia del sottosuolo in quella località [1]. Abbiamo sottoposto ad esame analitico sia l’acqua erogata dal pozzo subito dopo la sua entrata in funzione, nel settembre 1961, (campione n. 1) sia l’acqua prelevata a distanza di tre mesi dall’inizio della erogazione (campione n. 2). I risultati ottenuti sono riassunti nelle seguenti tabelle e rap¬ presentati in fig. 2. (*) Il piano di campagna, cui si riferisce la profondità su indicata, è a circa m 2 s.l.m. — 186 — CAMPIONE N. I Valutazioni chimiche diverse 1) Residuo secco a 110°C ....... . 5,160 gr/litro 2) Alcalinità (CaC03) ........ . 3,450 » » 3) Durezza totale ........ . 260° Francesi 4) Anidride carbonica libera (CO,,) . . . . 2,640 gr/litro Composizione del residuo sedino 1) Titolo di silice (Si02) ....... . 0,1310 gr/litro 2) » » sesquiossido di ferro (Fe„03) . 0,0514 » » 3) » » calce (CaO) ....... . 0.7008 » » 4) « » magnesia MgO) ...... . 0,5237 » » 5) » » alcali (Na.,0) ...... . 1,4197 » » 6) » » anidride solforica (S03) ..... assente 7) » » anidride carbonica semicombinata (C0o) . 1,5169 » « 8) » » cloruri (Cl) ....... . 1.0211 » » Rappresentazione dei risultati analitici Componenti (ioni) gr/litro millimoli/litro millivalenze/litro cationi anioni Na+ 1,0532 45,79 45,79 Fe++ 0,0361 0,64 1.28 Ca++ 0,5008 12,49 24,98 Mg-H* 0,3159 12,99 25,98 98,03 hco3- 4,2100 68,99 68,99 Cl- 1,0211 28,80 28,80 1 97,79 — 187 CAMPIONE N. 2 Valutazioni chimiche diverse 1) Residuo secco a 110°C ...... 2) Alcalinità (CaC03) . . 3) Durezza totale ....... 4) Anidride carbonica libera (C02) .... 16,950 gr/litro 1,935 » » 400° Francesi 1,350 gr/litro Composizione del residuo salino 1) Titolo di silice (Si09) ...... 2) » » sesquiossido di ferro (Fe203) 3) » » calce (CaO) ...... 4) » » magnesia MgO) ..... 5) » » alcali (Na„0) ..... 6) » » anidride solforica (S03) .... 7) » » cloruri (Cl) ...... 8) » » anidride carbonica semicombinata (CO.,) 0,1440 gr/litro 0,0165 » » 0,6710 » » 1,1290 » » 6,5600 » » 0,8920 » « 8,1820 » » 0,8492 » » Rappresentazione dei risultati analitici Componenti (ioni) gr/litro millimoliBtro millivalenze/litro cationi anioni Na+ 4,8668 211,62 211,62 Fe++ 0,0116 0,20 0,40 Ca++ 0,4795 11,96 23,92 Mg++ 0,6810 28.00 56,00 291,94 uco3- 2,3538 38,56 38,56 C/2 o £- 1 1.0704 11,14 22,28 Cl- 8,1820 230,75 230,75 1 1 291,59 — 188 Fig. 1. 300 250 200 150 100 50 — 189 © © Fìr. 2. — 190 — Dall’esame comparativo dei risultali ottenuti, si deduce quanto segue : Il campione n. 1, prelevato all’inizio dell’erogazione, è una acqua minerale fredda (t = 17°C), ricchissima di anidride carbonica e di ferro, che, secondo la classificazione Marotta e Sica, va indicata come: salso alcalino-terrosa e ferrosa. Il campione n. 2, prelevato dal pozzo dopo tre mesi dall’inizio dell’erogazione, è un acqua di fisionomia molto diversa dalla prece¬ dente. L’alcalinità si è ridotta circa alla metà, i cloruri sono di molto aumentati e sono comparsi i solfati. Per quanto concerne i cationi: il sodio ed il magnesio sono aumentati; il rapporto calcio/magnesio è diventato inferiore all’unità; il residuo salino è salito ad un valore triplo. Tutto ciò fa supporre che, a causa della grand a vicinanza alla riva, l’acqua artesiana, nel risalire alla superficie, richiami dell’acqua di mare, formando con essa una miscela. Essendo nell’acqua minerale originaria assenti i solfati e poten¬ dosi considerare trascurabile l’alcalinità dell’acqua di mare, in con¬ fronto a quella dell’acqua artesiana, è possibile anche precisare che il rapporto di miscela, all’atto del prelievo del campione n. 2, era approssimativamente di 1 parte di acqua artesiana per 1,5 parti di acqua di mare. Abbiamo inoltre potuto constatare, a seguito di altri prelievi, che tale rapporto non si mantiene costante, ma subisce delle lievi oscillazioni. Se la destinazione dell’acqua continuerà ad essere quella della alimentazione della piscina, questa miscelazione con acqua di mare non rappresenta inconveniente. Tuttavia per isolare l’acqua minerale onde utilizzarla tal quale, occorre poter individuare la via o le vie di comunicazione con l’acqua marina e provvedere opportunamente alla eliminazione di quelle eventuali soluzioni di continuità deH’iin- basamento tufaceo che sono la causa determinante del su citato mescolamento. Per quanto riguarda il tipo dell’acqua minerale esaminala (cam¬ pione n. 1), è opportuno far notare che esso non differisce da quello delle altre acque cosidette « ferrate » rinvenute in punti diversi della fascia litoranea. Fra queste, la più nota è quella del Chiatamone; utilizzata fin da tempi remoti, ancora oggi alimenta un’importante stabili- — 191 — mento termale. Su di essa esiste pertanto una abbondante biblio¬ grafia [2]; riportiamo qui di seguito l’analisi eseguita presso l’Isti¬ tuto di Chimica Generale di Napoli sotto la guida del prof. F. Giordani, nel 1938: Ione sodio Na+ 0,8154 gr/U » potassio K+ 0,1422 )) » calcio Ca++ 0,2350 )) ì) magnesio Mg++ 0,1274 )) » ferro Fe+ + 0,0079 )) » cloro ci- 0,8835 )) » solforico S04-- 0,0102 )) » idrocarbonico HC(V 2,2742 )) Silice Si02 0,1000 » Anidride carbonica co2 1,7251 » Un’altra acqua ferrala molto usata per il passato, ma purtroppo non compiutamente esaminata per l’aspetto chimico [3], è quella che fu rinvenuta con il pozzo scavato nel giardino del Palazzo Reale nel 1859. Questo pozzo fu trivellato, contemporaneamente ad un altro in Piazza Vittoria, allo scopo di ricercare acque artesiane da utilizzare per uso potabile. Le acque rinvenute in entrambi i pozzi risultarono però notevol¬ mente mineralizzate, ricche di acido carbonico e ferro, e pertanto inadatte allo scopo. Fallito questo intento, l’acqua del pozzo di Palazzo Reale, di por¬ tata maggiore fra i due, venne distribuita gratuitamente alla popola¬ zione napoletana, che la utilizzava per bagni e bevande. Successivamente, all’inizio del secolo, essa venne sfruttata nello stabilimento Eldorado, sito al Borgo Marinaro; quivi, dal Palazzo Reale, l’acqua era convogliata mediante condutture e, previo riscal¬ damento, veniva impiegata per bagni termali. Attualmente essa è completamente inutilizzata. Della sua composizione si trova solo una fuggevole indicazione nelle guide delle acque minerali. Riportiamo qui di seguito quanto è stato possibile rintracciare dell’analisi eseguita dal prof. V. Gau- thier nel 1908 [4]. 192 Temperatura - 17°C Durezza totale = 200° Francesi x4cido carbonico = quantità abbondante Cloruri = » » Solfati = tracce Silice = quantità notevole Sodio = quantità abbondante Calcio - - » » Magnesio = poca quantità Ferro = quantità notevole Segnaliamo ancora che nel 1959 abbiamo avuto occasione di esaminare l’acqua di un pozzo trivellato in via S. Lucia, negli scan¬ tinati del cinema omonimo, che risultò un’acqua minerale carbonico- ferruginosa molto simile a quella del pozzo del Circolo Canottieri. Riportiamo qui di seguito la composizione analitica. Durezza totale Alcalinità (CaC03) Residuo secco a 1 10°C Silice (Si02) Sesquiossido di ferro (Fe203) Calce (CaO) Magnesia (MgO) Solfati (S03) Cloruri (Cl) 220° Francesi 3,25 gr/lt 5,15 » 0,14 » 0,044 » 0,71 » 0,37 » tracce 1,00 » La fisionomia chimica dell’acqua di cui si è dato conto in questa nota, così come quella delle altre di analogo tipo su menzionate, è nettamente diversa dalle acque dolcissime che generalmente si ritrovano nel sottosuolo cittadino. Questa diversità è da attribuirsi a fenomeni di mineralizzazione a carattere locale: è possibile che attraverso fenditure del sottosuolo acque profonde, salienti, forte¬ mente mineralizzate, si mescolino alle acque dolci delle falde super¬ ficiali. Napoli, Istituto di Chimica Industriale. — 193 — BIBLIOGRAFIA [1] Lambertini D. Acque sotterranee nell'ambito del centro urbano della città di Napoli. Boll. Soc. Naturai., 69, Napoli, 1960. [2] Rebuffat 0. Sulle acque del sottosuolo di Napoli. Atti Ist. Incoragg., s. 6% 78, Napoli, 1926. — Ippolito F. Studio idrogeologico delle acque del Chiatamone in Napoli. Atti Fond. Polii. Mezzog. d’It., 2, Napoli, 1942. [3] Botti A. Su di una pregiata sorgente non molto nota. ( Acqua ferrata del Palazzo Reale di Napoli). Atti XII Congr. naz. idrol. cliruat. e terap. fis. (Perugia, 1920). Napoli, 1924. [4] Vinay G. S. e Finali R. Le acque minerali e gli stabilimenti termali idropinici e idroterapici d'Italia , 2, Milano, 1923. La sorgente “San Benedetto,, nel Comune di Montecorvino Rovella (prov. di Salerno) Nota dei soci DIANA LAMBERTINI e GIOSAFATTE MONDELLI (Tornata del dì 29 dicembre 1961) La sorgente « San Benedetto » è ubicata nel territorio della fra¬ zione di Faiano, del comune di Montecorvino Rovella; essa sgorga quasi alle pendici del contrafforte del colle Cantagallo, alla quota di circa 240 metri s.l.m. (vedi piantina in scala: 1:25.000 rappre¬ sentata in figura 1). Fig. 1. — 195 — Un tempo l’acqua veniva fuori da varie polle che andavano a riempire una specie di conca di forma semicircolare [1]. Attualmente esiste un’opera di presa dalla quale l’acqua fuo¬ riesce con una portata molto elevata (superiore a 1000 litri/sec) andando ad alimentare un canale lungo un centinaio di metri (vedi tavola fuori testo). Questo canale termina in un manufatto partitore che suddivide il deflusso in due canali minori, uno diretto verso ponente e l’altro verso levante; quest’ultimo suddividendosi in molti rivoli, continua fino a Faiano; ambedue sono da tempo utilizzati per l’irrigazione. Una piccola aliquota dell’acqua, mediante una condotta innestata all’opera di presa, viene già impiegata per integrare l’alimentazione dell’acquedotto della frazione di Faiano. La Cassa del Mezzogiorno allo scopo di incrementare le attuali scarse disponibilità idriche di queste zone, ha preso in esame la pos¬ sibilità della utilizzazione completa della sorgente a scopo potabile. Per tanto ha dato incarico a questo Istituto di compiere, sull’acqua in questione, gli esami analitici atti a precisarne le caratteristiche chimico-fisiche. Non essendo stato fatto finora menzione nella letteratura della composizione dell’acqua della sorgente cc San Benedetto », riteniamo utile pubblicare i risultati dell’indagine espletata, sempre allo scopo — 196 eli raccogliere il maggior numero di dati necessari a caratterizzare la fisionomia delle diverse acque sorgive della Campania [2]. Il prelievo dei campioni, unitamente alle osservazioni ed ai ri¬ lievi d’uso inerenti ad alcune caratteristiche dell’acqua, sono stati effettuati il 16-12-1961. I risultati degli esami eseguiti alla sorgente ed in laboratorio sono riportati nelle tabelle seguenti e schematicamente rappresentati nella figura 2. TABELLA I Caratteri generali L’acqua è perfettamente limpida, ineolora ed inodora TABELLA II Valutazioni diverse 1) pH . 6,9 2) Temperatura dell’acqua alla sorgente: (16-12-1961, ore 12,30) 16,4°C 3) Temperatura esterna: (16-12-1961, ore 12,30) . . . 12°C 4) Residuo secco a 110°C ....... 0,8256 gr/litro 5) » » » 180°C . 0,8200 » » 6) Alcalinità (CaC03) ........ 0,7640 » » 7) Durezza totale ......... 79,40° Francesi 8) Durezza permanente ........ 4,2° » 9) Durezza temporanea ........ 75,2° » 10) Ammoniaca (NH3) ........ assente 11) Nitriti (N203) ......... assenti 12) Nitrati (N205) ......... assenti 13) Ossigeno consumato in soluzione acida (Kiibel) . . . 0,00075 gr/litro TABELLA III Gas disciolti (in un litro d’acqua alla temperatura delia sorgente e ridotti a 0° e 760 mm Hg) 1) Anidride carbonica (C02) ....... 238,00 cc 2) Ossigeno (02) .......... 8,95 cc 3) Azoto (N2)+gas rari ........ 36,25 cc 283,20 cc. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1961 D. Lambertini e G. Mondelli, La sorgente, ecc. opera di presa canale alimentato dalla sorgente Composizione del residuo salino 1) Titolo di silice (Si02) ...... . 0,0156 gr/litro 2) » » calce (CaO) ...... . 0,3410 » » 3) » » magnesia (MgO) .... . 0,0735 » » 4) » » 'ossido di sodio (Na„0) .... . 0,0045 « » 5) » » ossido di potassio (K90) . 0,0050 » » 6) » » anidride solforica (S03) .... . 0,0125 » » 7) » » anidride carbonica semicombinata (C0o) . 0,3359 » » 8) » » cloruri (Cl) ...... . 0,0120 » » 9) » » sesquiossido di ferro (Fe.,Os) . . 0,0500 mgr/litro TABELLA V Rappresentazione dei risultati analitici Componenti (ioni) gr/litro millimoli/litro millivalenz-e/litro cationi anioni Na+ 0,0033 0,14 0,14 K+ 0,0041 0,10 0.10 Ca++ 0,2437 6,08 12,16 Mg++ 0,0443 1,82 3,64 16,04 HCO,- 0,9310 15,25 15,25 so4- 0,0150 0.15 0,30 01- 0,0120 0,33 1 0,33 15,88 TABELLA VI Classificazione ( Marotta e Sica ) Acqua medio-minerale, bicarbonato alcalino-terrosa, fredda — 198 — L’acqua della sorgente è quindi, come la maggior parte delle acque della zona, ricca di anidride carbonica e di bicarbonato di Calcio e risulta di tipo incrostante. È per tanto probabile che questa e acque similari abbiano contribuito alla formazione del grande depo¬ sito di travertino sul quale sorge l’abitato di Faiano. L’assenza di sostanze inquinanti (sostanze organiche, ammo¬ niaca, nitriti) potrebbe consentirne Fiinpiego a scopo potabile, ma l’elevata durezza unitamente al potere incrostante, sconsiglia l’utiliz¬ zazione diretta, senza trattamento preventivo di addolcimento. Napoli. Istituto di Chimica Industriale. BIBLIOGRAFIA [1] Ministero Lavori Pubblici. Le sorgenti italiane. Voi. VII. Campania. Pubbl. n. 14, Servizio Idrogr., Roma, 1942. [2] Meo F. e Scorza V. Relazione sull’esame delVacqua della sorgente « Tre Fon¬ tane » in Comune di Sepino ( prov . di Campobasso). Boll. Soc. Naturai.. 60, Napoli, 1951. — Meo F. Relazione sulVesame analitico di un’acqua solfurea, bicarbonato, sorgente in territorio del comune di Ailano (prov. di Caserta). Boll. Soc. Naturai., 61. Napoli, 1953. — Lambertini D. e Mondelli G. Relazione sulVesame delVacqua della sorgente « Pantaniello » nella frazione di Fratte di Salerno. Boll. Soc. Naturai., 64, Napoli, 1956. — Lambertini D. e Mondelli G. Relazione sulVesame delVacqua della sorgente « La Marchesa » in comune di Mercogliano (Avellino). Boll. Soc. Naturai., 68, Napoli, 1959. Verbale della tornata del 27 gennaio 1961 Presidente: G. D’Erasmo Segretario: P. Vittozzi L’adunanza è aperta alle ore 17. Sono presenti i soci: Ciampa, D’Argenio, De Cunzo, Di Leo, Franco Enrico, Giacomini, Imbò, Lambertini, Moncharmont Zei, Mondelli, Montagna, Oliveri, Pa- eella, Pappalardo, Parascandola, Pierantoni, Quagliariello, Romano, Ruocco, Scarsella, Scherillo. Iniziando l’adunanza, il Presidente prende la parola « per lamentare il gravissimo lutto che ha funestato la Società. l’Università di Napoli e tutta la Scienza italiana con l’immatura scomparsa, avvenuta in Napoli il 24 gennaio, di Francesco Giordani, che al Sodalizio apparteneva fin dal 1913 e al Bollettino aveva dato, sopratutto negli anni giovanili, i primi promettenti frutti della sua vivida intelligenza e della sua profonda cultura, ugualmente versato nelle scienze chimiche, come n quelle fisiche e matematiche. Napoletano per nascita, per studi, per bontà e giovialità di carattere, egli era rimasto tenacemente legato a questa nostra città, di cui si sentiva figlio pre¬ diletto, anche quando era rapidamente salito alle più alte vette della notorietà, non solo nel campo universitario, ma anche in quelli, enormemente più vasti, della vita economica della Nazione e dell’organizzazione atomica europea. « Tutti quelli che, come me, per lunghi anni. Gli furono vicini, ben conoscono le principali tappe della sua brillantissima carriera, a cominciare dalla laurea con¬ seguita nel 1918, dall’insegnamento di elettrochimica tenuto per incarico dal 1919 al 1925 e dalla relativa cattedra conquistata per concorso nel 1925 presso la scuola d’ingegneria e dalla direzione dell’Istituto di Chimica generale ed inorganica, a cui passò nel 1932, dopo la morte di Ferruccio Zambonini, fino alle altissime cariche, più recenti, di Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, dell’Accademia dei Lincei, del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, del Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari, Accademico Pontificio e socio di tutti i più importanti Soda¬ lizi italiani e stranieri, uno dei « tre saggi » dell’EURATOM. « Non è certo questo il momento di mettere in giusto rilievo, a poche ore dalla sua immatura e dolorosa scomparsa, l’importanza scientifica e pratica degli studi di Francesco Giordani. Una degna commemorazione di Lui sarà tenuta — io spero — da qualcuno dei suoi allievi e continuatori anche in questo sodalizio. A me basta oggi ricordare, assai fugacemente, che fra le sue ricerche primeggiano quelle sulla catalisi e sulla cinetica chimica, sulla teoria del funzionamento degli elettrolizzatori a diaframma e a circolazione, sui fenomeni di polarizzazione elettrolitica. È ben noto che un nuovo tipo di elettrolizzatore ideato da Lui venne poi largamente usato in Italia, in Francia, in Belgio e nell’Argentina, e che molti altri problemi inductriali furono da Lui affrontati e genialmente risolti: valgano, quale esempio, la distillazione degli scisti ittiolitici di Giffoni Vallepiana, l’estrazione della cellulosa a mezzo del — 200 cloro, l’industria della soda elettrolitica, l’utilizzazione della liscivia di rifiuto della seta artificiale ecc... « Tuttavia è motivo di compiacimento per noi rilevare, in questa sede della So¬ cietà dei Naturalisti in Napoli, che i primi lavori giovanili, con cui si rilevarono, come ho detto, le naturali doti di brillante ingegno e di grande amore per la Scienza di Francesco Giordani diciottenne, furono accolti per la stampa proprio nel nostro Bollettino. Sono tre lavori di grande interesse, riguardanti problemi di aerodinamica in relazione ai primi sviluppi dell’aviazione della prima guerra mondiale. Seguì, subito dopo, una nota di argomento vulcanologico, riguardante le modificazioni mor¬ fologiche del cratere vesuviano, e, pochi anni più tardi, un Contributo allo studio di alcune sintesi in chimica organica ed una efficace commemorazione di Vincenzo Gauthier, ugualmente accolti nel Bollettino di questa Società. « Più ancora che le doti dello scienziato e del maestro, in Francesco Giordani furono spiccatissime le qualità dell’uomo, di eccezionale bontà e di singolare mo¬ destia, che creavano intorno a Lui un’atmosfera di simpatia, di ammirazione, di amore; dell’amico, sincero e gioviale, pronto a prodigarsi sempre per tutti; del cit¬ tadino dalla multiforme attività disinteressatamente offerta per la sua città e per la sua nazione. Questo spiega l’universalità del rimpianto con cui è stata dovunque appresa la notizia della Sua scomparsa e giustifica il duraturo ricordo che di Lui serberanno tutti coloro che apprezzano ancora i valori morali di una vita nobil¬ mente spesa per la Scienza e per la Patria ». Dopo una breve sospensione della seduta in segno di lutto, il Segretario dà lettura del Processo verbale dell’adunanza del 30 dicembre 1960, che viene approvato. Quindi il Presidente comunica le lettere di ringraziamento dei nuovi Soci e dà il benvenuto a quelli fra essi, che per la prima volta assistono all’adunanza. Si procede alla nomina dei revisori dei conti per l’anno 1960, chiamando quali effettivi i Consoci Sinno e Quagliariello e quale revisore supplente il Socio Romano. Si passa alle comunicazioni scientifiche. Il Dott. Montagna presenta ed illustra una nota dal titolo: « Osservazioni geomor¬ fologiche sulla Conca di Pianura nei Campi Flegrei ». 11 Dott. D’Argenio, successivamente, illustra col corredo di proiezioni luminose, una nota dal titolo: « Osservazioni sulla genesi e sulla età dei ” Marmi di Vitulano ” e sulla paleografia del Monte Camposauro ». L’adunanza è tolta alle ore 18,30. Verbale della tornata del 28 febbraio 1961 Presidente: G. D’Erasmo Segretario: P. Vittozzi Sono presenti i soci : Augusti, Ciampa, D’Argenio, De Cunzo, Lazzari, Monchar- mont Zei, Montagna, Napolitano, Orrù, Pacella, Pappalardo, Parascandola. Parenzan Pietro, Parenzan, Paolo, Quagliariello. Romano, Scherillo, Sinno. Vitagliano. È scu¬ sata l’assenza dei soci Imbò e Scarsella. La seduta è aperta alle ore 17. Il Segretario legge il processo verbale dell’adunanza del 27 gennaio 1961, che è approvato. 201 — 11 Presidente dà il benvenuto ad alcuni fra i Soci recentemente nominati, i quali assistono per la prima volta alla riunione, e comunica la circolare relativa al « 3° Congresso Speleologico delPItalia Centrale », che avrà luogo a Iesi e a S. Vittore di Genga nei giorni 25 e 26 marzo 1961. Illustra quindi il bilancio consuntivo 1960 e quello preventivo 1961, recente¬ mente discussi ed approvati dal Consiglio Direttivo. L’Assemblea li approva all’una¬ nimità senza osservazioni. 11 socio Sinno, tanto in nome proprio che della collega Quagliariello, legge la relazione dei revisori dei conti relativa all’esercizio finanziario dello scorso anno, la quale conclude con la constatazione della perfetta regolarità di ogni documento conta¬ bile e dell’attiva amministrazione, dovuta alla solerzia dei componenti il Consiglio Direttivo, proponendo l’approvazione del Bilancio. L’assemblea si associa, unanime, a queste conclusioni. Si passa alle comunicazioni scientifiche. Il Socio Paolo Parenzan espone i risultati di alcune ricerche zoologiche da lui eseguite nel mare dell’isola di Lampedusa e riassunte in una nota dal titolo « Contri¬ buto allo studio dei molluschi di Lampedusa », che presenta, insieme con una tavola fuori testo, per l’inserzione nel Bollettino. L’adunanza è tolta alle ore 18,20. Verbale della tornata del 31 marzo 1961 Presidente: G. D’Erasmo Segretario: P. Vittozzi Sono presenti i soci: Ciampa, De Cunzo, De Leo, Franco Enrico, Lambertini, Lazzari, Montagna, Napolitano, Pacella, Parenzan Paolo, Parenzan Pietro, Pierantoni, Quagliariello, Romano, Scarsella, Scherillo. Sersale, Sinno, Vitagliano. La seduta è aperta alle ore i.7,30. Il segretario legge il processo verbale dell’adunanza del 24 febbraio 1961, che è approvato. Il Presidente informa i Soci che nel prossimo settembre avrà luogo a Pavia, presso l’Istituto Zoologico « L. Spallanzani » dell’« Università, il IV Congresso della Unione internazionale per lo studio degli insetti sociali ». Tra l’altro sarà pure organizzata una Mostra storica destinata a illustrare lo sviluppo storico della scienza degli insetti sociali. La società non possiede materiale per partecipare alla detta mostra, ma il Presidente sarà ben lieto se qualcuno dei soci vorrà intervenire al congresso, rappresentando la Società dei Naturalisti di Napoli. Si passa alle comunicazioni scientifiche. Il socio Pierantoni presenta una nota dal titolo « Sul problema delVinquina- mento atmosferico » e ne riferisce. Alla esposizione del dott. Pierantoni ha seguito una interessante discussione : Il socio Napoletano « fa rilevare che la relazione sembra non completa ; sarebbe necessario uno studio successivo sullo smog , fenomeno in modo particolare preoccu¬ pante per quanto riguarda il traffico aereo sull’aeroporto di Capodichino. In questi ultimi mesi, infatti, in concomitanza con particolari situazioni anticicloniche, si è — 202 — constatata una più frequente formazione di questa nebbia, che ha causato la chiusura al traffico dell’aeroporto per alcune ore della giornata ». Il socio Vittozzi accenna alla importanza del problema deH’inquinamento otmosferico, che merita perciò uno studio molto approfondito delFargomento, con¬ dotto da esperti nelle più svariate branche, data la natura assai complessa del cosidetto pulviscolo atmosferico. Ricorda che all’uopo, circa un anno fa, fu costituita, per l’interessamento dell’allora Commissario Straordinario al Comune di Napoli, Pre¬ fetto Correrà, una commissione per lo studio del problema. Sarebbe pertanto aspi- cabile che la detta commissione espletasse al più presto il suo mandato e pubblicasse i risultati dei suoi lavori con concrete proposte per ridurre al minimo l’inquinamento atmosferico della città di Napoli. Il socio Ciampa informa che da alcuni componenti della commissione cui ha fatto cenno il prof. Vittozzi, sono state anche effettuate delle misure, come, ad esempio, le determinazioni sul tenore di ossido di carbonio, sebbene i risultati non siano stati ancora pubblicati. Il socio Sersale mette a disposizione del dott. Pierantoni, per una continuazione del lavoro e per un più approfondito studio sull’argomento, gli « Atti del convegno sull’inquinamento atmosferico » tenutosi a Milano nel 1958 ed alcune altre pubbli¬ cazioni relative. Il socio Pierantoni ringrazia ed assicura che terrà conto di tutte le precedenti osservazioni. Il socio Montagna presenta poi un lavoro dal titolo « Stratigrafia vulcanica nel territorio comunale di Napoli a occidente del Vesuvio » e lo illustra. L'adunanza è tolta alle ore 10,45. Verbale della tornata del 28 aprile 1961 Presidente: A. Scherillo Segretario: P. Vittozzi Sono presenti i soci: Franco E., Gianfrani, Montagna, Napolitano, Oliveri, Pacella, Quagliariello. Scusa l'assenza il socio Imbò. La seduta è aperta alle ore 17,30. Il Segretario legge il processo verbale dell’adunanza del 31 marzo 1961, che è approvato. Il Vice Presidente prof. Scherillo comunica che la insolita assenza del Presi¬ dente prof. D’Erasmo è purtroppo dovuta al fatto che egli è stato colpito negli affetti più cari con la morte dell’adorata Consorte spentasi nel pomeriggio di domenica 16 aprile. Il prof. Scherillo non ha mancato di esprimere telegraficamente i suoi senti¬ menti di cordoglio, e coglie l’occasione per rinnovare all’amico D’Erasmo le sue più sentite condoglianze. L’Assemblea si associa unanime. La seduta è tolta alle ore 17,50. — 203 — Verbale della tornata del 26 maggio 1961 Presidente: G. D’Erasmo Segretario: P. Vittozzi Sono presenti i soci: D’Argenio, De Cunzo, Di Leo, Franco E., Imbò, Lazzari, Moncharmont, Moncharmont Zei, Mondelli, Montagna, Oliveri, Orrù, Pacella, Pappa¬ lardo, ParascandoJa. Scarsella, Scherdlo, Sinno. La seduta è aperta alle ore 17,30. Il Segretario legge il processo verbale dell’adunanza del 28 aprile 1961. Approvato il verbale, il Presidente ringrazia 1 colleghi per la partecipazione al suo recente, grave lutto familiare. Comunica poi l’invito della Stazione Zoologica di Napoli a partecipare al Colloquio Internazionale sui problemi ecologici delle zone litorali del Mediterraneo (17-23 luglio 1961), nonché l’invito dell’Università e delle Accademie delle Scienze di Padova a partecipare al Convegno in onore di Antonio Vallisneri (29 settembre- 1 ottobre 1961). La Società aderisce cordialmente alle due manifestazioni, alle quali sarà rappre¬ sentata dai soci Salfì e Moncharmont Ugo. Il Presidente poi presenta il voi. LXIX del Bollettino relativo all’anno 1960, ricco di oltre 310 pagine di stampa, con molte figure intercalate e 39 tavole fuori testo. Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche : Il socio Lazzari presenta una nota dal titolo « Sulla presenza di microfossili nella serie filladica di Pazzano ( Reggio Calabria )» e la illustra con proiezioni. Il socio D’Argenio presenta una nota dal titolo « La serie miocenica del Monte Camposauro ( Benevento ) », illustrandola con proiezioni. Il socio Vittozzi presenta uno studio sui « Contatori proporzionali per scopi particolari » e ne discorre. Seguono tre comunicazioni verbali del socio Parascandola coi titoli seguenti : 1) Su nuovi proietti delV eruzione vesuviana del marzo 1944 con singolari formazioni giganti cristalline di periclasio ; 2) Sulla breislakite di Teano (Roccamon fina) ; 3) Sopra una colata lavica precedente al 1631 rinvenuta in Portici. La seduta è tolta alle 19. Verbale della tornata del 20 giugno 1961 Presidente: G. D’Erasmo Segretario: P. Vittozzi Sono presenti i soci: D’Argenio, De Cunzo, Franco Enrico, Maranelli, Mazzarelli, Napoletano, Orrù, Palombi, Parascandola, Parenzan Paolo. Parenzan Pietro, Romano, Scarsella, Schedilo, Vitagliano. Scusano l’assenza i soci Imbò, Di Leo, Pierantoni. La seduta è aperta alle ore 18. Letto ed approvato il processo verbale dell’adunanza precedente, il Presidente comunica : — 204 1) L’invito a partecipare al Congresso « Italia ’61 » che avrà luogo a Torino nei giorni 30 settembre e 1° ottobre p.v. ; 2) la pubblicazione del 1° numero della nuova rivista « La Speleologia », diretto dal consocio Pietro Parenzan, che l’ha cortesemente offerto in omaggio alla Società. Si passa alle comunicazioni scientifiche. Il Presidente comunica che è pervenuta, da parte del socio Angiolo Pierantoni, che scusa l’assenza, una seconda nota sul problema delV inquinamento atmosferico, per la stampa del Bollettino. Il socio Palombi riferisce su L'insegnamento delle Scienze Naturali nelle scuole Medie italiane , trattando in particolare modo dei programmi e dei metodi didattici delle « osservazioni scientifiche » previste per la nuova scuola media unificata di prossima attuazione. L’ampia e documentata relazione dà luogo ad un interessante dibattito fra i soci presenti, molti dei quali chiedono delucidazioni e fanno osserva¬ zioni, ricevendo gli opportuni schiarimenti dal socio Palombi. A chiusura dell’interessante dibattito, il Presidente propone e l’assemblea approva a larghissima maggioranza un ordine del giorno che rispecchia l’interesse ed il parere della Società dei Naturalisti di Napoli sulle questioni riguardanti l’insegna¬ mento scientifico nella scuola media italiana. L’ordine del giorno è stato così formulato : « La Società dei Naturalisti di Napoli; nella sua adunanza del dì 30 giugno 1961, udita la relazione del socio prof. Arturo Palombi suH’insegnamento delle Scienze Naturali nella scuola media unificata di prossima attuazione, constata anzitutto con soddisfazione che i precedenti ripetuti voti della Società sulla estensione di tale insegnamento nelle scuole secondarie che ancora ne erano prive, vengano finalmente realizzati con la progettata introduzione dell’insegnamento delle Scienze Naturali tanto nella scuola media, quanto nel biennio propedeutico del futuro Liceo quinquennale ; si compiace che l’insegnamento delle « Osservazioni scientifiche » per le scuole medie unificate abbia carattere formativo, tendendo ad educare gli allievi alla osser¬ vazione diretta di oggetti e fenomeni naturali ; ed esprime il parere che a tale insegnamento vengano dedicate non meno di tre ore settimanali, auspicando che esso sia distinto da ogni altro insegnamento ed affidato sempre ed unicamente ad un Naturalista ». In tale ordine del giorno — che verrà trasmesso alle competenti Autorità ministeriali — il socio Scherillo, pur dicendosi concorde sull’orario e sulla necessità di affidare l’insegnamento a persone specificamente competenti, esprime qualche riserva sul metodo delle osservazioni dirette che si vuole inaugurare per i ragazzi e che risulterà necessariamente frammentario, e prodive a favorire il dilettantismo e la faciloneria. Il presente verbale viene letto e approvato seduta stante. La seduta è tolta alle ore 20,30. — 205 — Verbale della tornata del 24 novembre 1961 Presidente: G. D’Erasmo Segretario: P. Vittozzi Sono presenti i soci: Ciampa, Covello, D’Argenio, De Cunzo, Della Ragione, Franco Enrico, Gianfrani, Imbò, Lazzari, Moncharmont, Moncharmont Zei, Orrù, Pappalardo, Parascandola, Romano, Scarsella, Scherillo, Sinno. La seduta è aperta alle ore 17,45. Letto ed approvato il processo verbale della adunanza precedente, il Presi¬ dente comunica che durante i mesi estivi, a seguito delle opportune pretiche, sono state ottenuti i seguenti contributi straordinari per il bilancio in corso: a) dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, Comitato per la Geologia Geo¬ grafia e Mineralogia, un fondo di L. 600.000 esclusivamente destinato alle spese di stampa del Bollettino; b) dal Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale accademie e Biblioteche, un primo contributo di L. 100.000 per spese di stampa e un secondo sussidio di L. 70.000 per spese inerenti al funzionamento della biblioteca; c) dall’Ente Cellulosa e Carla un contributo di L. 140.000 lorde (L. 135.780 nette). Questi aiuti finanziari consentiranno anche per Tanno in corso la stampa di un nutrito volume del Bollettino ; ma, tenuto conto delle accresciute spese di stampa, di posta, di rilegatura ecc., il Consiglio Direttivo ha ravvisato l’opportunità di aumentare la quota sociale portandola, dal 1° gennaio 1962, a L. 2.000 annue per ciascun socio ed accrescendo proporzionalmente anche la tassa di iscrizione ( da L. 500 a L. 1000). Pertanto tali aumenti verranno portati all’esame dell’Assemblea, iscrivendoli all’ordine del giorno della prossima seduta del 29 dicembre. Il Presidente informa i soci che la Società è stata regolarmente rappresentata nei mesi decorsi nei Congressi ai quali era stata invitata ed in particolare è stata rappresentata dal prof. Salfi al IV Congresso della Unione Internazionale per lo studio degli insetti sociali, tenutosi a Pavia. Presenta poi alTAssemblea due pubblicazioni ricevute in omaggio : la prima è il volume del socio Pietro Parenzan dal titolo « Il Mar Piccolo di Taranto » e l’altra è la commemorazione del compianto Giuseppe De Lorenzo tenuta ai Lincei dallo stesso D’Erasmo e da Antonio Pagliaro. Viene quindi fissato il calendario delle sedute della Società per il prossimo anno 1962. Esso è il seguente: gennaio 26; febbraio 23; marzo 30; aprile 27; maggio 25 ; giugno 22 ; novembre 30 ; dicembre 28. Il Presdiente informa inoltre che, secondo la relativa deliberazione del Con¬ siglio Direttivo, in gennaio verrà bandito il concorso a due borse di studio Cavolini De Mellis, ciascuna di L. 25.000, per il migliore allievo del III e IV anno dei corsi di laurea in Scienze Naturali, Biologiche e Geologiche, fissando al 31 maggio 1962 la scadenza del termine di presentazione delle domande. Il Presidente comunica infine che sono finora pervenute in Segreteria parecchie domande di ammissione a socio ed espone le difficoltà di poterle accogliere tutte per insufficienza di posti vacanti nei ruoli previsti dallo statuto. Tenuto conto che, tra i soci attualmente esistenti, alcuni non hanno dato più segno di vita da vari anni, non partecipando alle sedute e non pagando le quote annuali, il Consiglio — 206 — Direttivo ha ritenuto che probabilmente essi non hanno più intenzione di far parte del sodalizio ed ha detiso di inviar loro una lettera raccomandata per infor¬ marli che, se non esprimeranno una esplicita opinione contraria entro un termine pre¬ stabilito, verranno radiati per morosità. Sarà così possibile, in quest’ultima ipotesi, accogliere tutte le nuove domande di iscrizione a socio finora presentate. L’Assemblea acconsente. D’altra parte, in relazione all’accennata carenza di posti disponibili, il Consiglio Direttivo ha ritenuto che il numero di soci ordinari residenti (70) e non residenti (50) fissato dallo Statuto attualmente vigente, sia troppo esiguo e non più rispondente all’accresciuto numero dei giovani che si dedicano allo studio delle Scienze Naturali, Biologiche e Geologiche. Pertanto in una delle prossime adunanze l’Assemblea sarà invitata a pronunziarsi sulla opportunità di aumentare convenientemente il numero dei soci con una adatta riforma dello statuto. Si passa poi alle comunicazioni scientifiche. Il socio Scherillo presenta una nota eseguita dall’ing. Filippo Santorelli, sotto la sua direzione, dal titolo Osservazioni stratigrafiche nella serie vulcanica tra Largo Petrone e Due Porte (Arenella-Napoli). proponendone l’accoglimento nel Bollettino. L’Assemblea accoglie all’unanimità tale proposta. Il Presidente D’Erasmo presenta ed accenna al contenuto di una nota del socio Domenico Franco, dal titolo La cattura, l’uccisione e la preparazione delle farfalle e di altri insetti secondo il metodo dell’avvocato Pascasio Parente. Il socio Lazzari presenta ed illustra due note, l’una dal titolo « Sulla presenza di depositi del tipo loess in sinistra della alta valle del fiume Picentino ( prov . di Salerno ) », e l’altra dal titolo « È possibile dimostrare per via matematica la teoria della deriva dei continenti? ». A proposito di quest’ultima nota che si chiude con un invito ai geofisici a voler intervenire col loro contributo alla soluzione dell’interessante problema, il prof. Imbò dichiara che l’influenza dello spostamento dei poli geografici terrestri sul movimento superficiale di masse è stato già oggetto di ricerca e che le vedute dei geofisici non escludono la possibilità di migrazioni superficiali di blocchi. La seduta è tolta alle ore 19. Verbale della tornata del 29 dicembre 1961 Presidente: G. D’Erasmo Segretario: P. Vittozzi Sono presenti i soci : Badolato, Ciainpa, Covello, De Cunzo, De Leo, Della Ra¬ gione, Di Leo, Fiorio, Franco Enrico, Lazzari, Moncharmont, Moncharmont Zei, Montagna, Napoletano, Pacella, Pappalardo. Parascandola, Parenzan Paolo, Parenzan Pietro, Pierantoni, Quagliariello, Romano, Scarsella, Sinno. La seduta è aperta alle ore 17,15. Letto ed approvato il processo verbale della adunanza precedente, il Presidente partecipa con profonda mestizia la scomparsa avvenuta in Napoli il dì 1° dicembre, di uno fra i più vecchi consoci, il professore Alessandro Bruno, che - — egli dice — « al sodalizio apparteneva esattamente da un sessantennio e che al Bollettino sociale aveva offerto, negli anni giovanili, numerosi contributi di scienza varia, riguardanti — 207 — tanto Tistologia e la fisiologia animale, quanto la biologia vegetale, la chimica bio¬ logica e la merceologia. « Laureato a Napoli nel 1902 in Scienze Naturali e nel 1907 in Chimica pura, Alessandro Bruno fu dapprima assistente volontario alla cattedra di Istologia e Fisiologia della Scuola Veterinaria e a quella di Botanica; indi vinse borse di perfezionamento e frequentò la Stazione Zoologica; più tardi si dedicò alla carriera deirinsegnamento medio, superando brillantemente numerosi concorsi generali e speciali e passando dalle cattedre di Scienze Naturali e Chimica di vari Istituti magistrali napoletani a quello di Scienze Naturali e Geografia dell’Istituto Tecnico Mario Pagano. Alla nostra città dedicò pertanto tutta la sua lunga e fervida attività didattica che meritò riconoscimenti molteplici, con due promozioni anticipate per merito distinto e la Iscrizione nel ruolo d’onore degli insegnanti secondari. Ma anche nel campo universitario il professore Bruno seppe farsi apprezzare con un numero considerevole di pubblicazioni, riflettenti i vari campi (Zoologia, Botanica, Chimica e Geografia) in cui si era svolta la sua carriera; sicché nel 1932 ottenne con lusinghiera relazione la libera docenza in Merceologia coloniale, che esercitò per vari anni presso la nostra Facoltà di Economia e Commercio, anche dopo la sua nomina ad Ispettore Centrale dellTstruzione Classica presso il nostro Ministero, carica che tenne assai lodevolmente fino al suo collocamento a riposo per limite di età. « Alla solida preparazione naturalistico-chimica e geografica il nostro Collega accoppiava un senso di vivo patriottismo, una straordinaria modestia ed un profondo attaccamento al dovere. Se la cultura spiega l’abilità con cui Egli seppe affrontare e discutere problemi coloniali di grande importanza teorica e pratica, l’amore per la Patria, che balza fervido e costante da tutti i suoi scritti, si può considerare come conseguenza diretta del servizio da Lui nobilmente prestato in qualità di ufficiale del Genio durante la prima guerra mondiale. Le alte qualità del carattere rendano ancora più vivo il rimpianto per la sua scomparsa a tutti coloro che ebbero la ventura di goderne l’amicizia : e tutto il Sodalizio si associa unanime — ne sono sicuro — nell’inviare un commosso saluto alla memoria del Collega che ci fu caro e che continua a vivere nel ricordo degli amici e nei frutti del suo ingegno ». Successivamente il Presidente dà notizia di una lettera ricevuta dal socio prof. Valeria Mezzetti Bambacioni, riguardante l’insegnamento delle Scienze Naturali negli Istituti Tecnici, insegnamento che in base ad una recente riforma, appare notevolmente ridotto, sia come programma che come numero di ore settimanali di lezioni. Il Presidente è d’avviso che la questione sia di notevole interesse didattico e meriti un’ampia discussione, alla quale ha invitato il consocio e gradirebbe che vi partecipassero tutti gli altri colleghi che possono portare un contributo di per¬ sonale esperienza nel discutere la predetta riforma. Si passa quindi all’esame delle seguenti nuove domande a socio presentate durante l’anno 1961 e preventivamente approvate dal Consiglio Direttivo, che le sottopone alla votazione dell’Assemblea : 1) Prof. Dott. Ottavio Bottini, ordinario di Industria Agraria nell’Università di Napoli, presentato dai soci D’Erasmo e Parascandola ; 2) dott. Piero De Castro, addetto al rilevamento e aggiornamento della Carta Geologica d’Italia come paleontologo, presentato dai soci D’Erasmo e Scarsella; 3) dott. Mario Fondi assistente ordinario alla Cattedra di Geografia di Napoli, presentato dai soci Migliorini e Renocco; — 208 — 4) dott. Angela Maria Gervasio, laureata in Scienze Naturali, presentata dai soci D’Erasmo e Lazzari ; 5) prof. Oscar Goglia. ordinario di Scienze Naturali e Geografia nell’Istituto Tecnico di Caserta, presentato dai soci Moncharmont Zei e Minieri ; 6) dott. Tullio Pescatore, assistente incaricato alla Cattedra di Geologia di Napoli, presentato dai soci Scarsella e Lazzari ; 7) dott. Antonio Vallano, assistente volontario presso la Cattedra di Geologia di Napoli, presentato dai soci Scarsella e Lazzari; 8) dott. Valeria Zamparelli, assistente volontaria presso la Cattedra di Paleon¬ tologia di Napoli, presentata dai soci Scarsella e Lazzari. Tutte le domande predette sono accolte alLunanimità dall’assemblea. Come fu già stabilito nella precedente seduta, l’assemblea approva senza discus¬ sione la proposta di aumento della quota sociale, deliberata dal Consiglio Direttivo, nella misura di L. 1000 per quota di iscrizione e L. 2000 per quota annuale a cominciare dal 1° gennaio 1962. Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche : Il socio prof. Mario Covello presenta un lavoro, scritto con la collaborazione del dott. Giuseppe Ciampa dal titolo « La betulla alba » e lo illustra. Il socio D’Erasmo annuncia una nota dal titolo « Resti di Scombroclupea pro¬ venienti da un pozzo trivellato di M aleni bo ( Territorio di Cabinda, Angola ) ed accenna brevemente al suo contenuto. Il socio Lambertini presenta ed illustra brevemente le seguenti tre note in collaborazione con socio Mondelli. 1) « Relazione sull esame di un acqua profonda rinvenuta in prossimità del Palazzo Reale in Napoli ». 2) « L'acqua della sorgente di S. Benedetto, nel Comune di Faiano (Salerno) ». 3) « Relazione sull’esame di un'acqua termale sorgente in località Cava delle Petrelle nel territorio di Sant’Angelo d’ Ischia ». Il socio De Castro presenta ed illustra un lavoro dal titolo « Nota preliminare sulla presenza del Lias Medio negli scisti silicei di Giffoni Vallepiana nel Saler¬ nitano ». Il socio Sinno presenta ed illustra una nota in collaborazione col socio Franco Enrico dal titolo « La montmorillionite della Punta dell’Epitaffio nei Campi Flegrei ». Infine il socio Franco Enrico presenta un lavoro dal titolo: « Su alcuni minerali della Grotta dello Zolfo ( Miseno ) » e ne discorre. La seduta è tolta alle ore 18,30. ELENCO DEI SOCI AL 31 DICEMBRE 1961 SOCI ORDINARI RESIDENTI 1. Andreotti Amedeo - Ingegnere. Napoli, Via S. Giacomo, 15. 2. Antonucci Achille - Preside nel Liceo di Isernia. Napoli, Via Girolamo Santa¬ croce, 191 C (tei. 240.525). 3. Augusti Selim - Ord. di Scienze nei Licei. Napoli, Via Cimarosa, 69 (tele¬ fono 377.855). 4. Badolato Franco - Assist. Istituto di Fisiologia generale Università Napoli. Napoli, Via Mezzocannone, 8 (tei. 323.411). 5. Bottini Ottaviano - Prof, di Industrie agrarie nell’Università. Napoli, Via Roberto Bracco, 71 (tei. 329.745). 6. Califano Luigi - Prof, ord. Patologia generale Università. Napoli, Via Roma, 368 (tei. 312.784). 7. Capaldo Pasquale - Napoli, Traversa Giacinto Gigante, 36 (tei. 370.184). 8. Carrelli Antonio - Dirett. Ist. Fisico Università. Napoli. Piazza d’Ovidio, 6 (tei. 313.844). 9. Castaldi Francesco - Lib. doc. di Geografia. Napoli, Via Aniello Falcone, 260 (tei. 373.890). 10. Catalano Giuseppe - Prof. ord. f. r. di Botanica Università. Napoli, Via Luigia Sanfelice, 5 (tei. 375.959). 11. Ciampa Giuseppe, Assist. Ist. Chimica Farmac. Università. Napoli, Piazza Bovio, 33 (tei. 324.033). 12. Covello Mario - Dirett. Ist. Chimica Farmaceutica Università. Napoli, Via Leopoldo Rodino, 22 (tei. 322.038). 13. Cutolo Costantino - Ingegnere. Napoli, Via Salvatore Di Giacomo a Mare¬ chiaro, 24 (tei. 301.470). 14. D’Argenio Bruno - Assist. Ist. di Geologia Università. Napoli, Largo S. Mar¬ cellino, 10 (tei. 321.075). 15. De Cunzo Teresa - Assist. Ist. di Geologia Università. Napoli, Largo S. Mar¬ cellino, 10 (tei. 321.075). 16. De Leo Teodoro - Assist. Ist. di Fisiologia generale Università. Napoli, Via Mezzocannone, 8 (tei. 323.411). 17. De Lerma Baldassarre - Dir. Ist. di Biologia generale LMiv. Napoli, Via S. Strato a Posillipo, 25 (tei. 301.099). 18. Della Ragione Gennaro - Ord. di Scienze nel Liceo Scientifico V. Cuoco. Napoli, Via S. Pasquale a Ghiaia, 20 (tei. 235.821), 19. D’Erasmo Geremia - Prof. ord. f. r. di Geologia Università. Napoli. Largo S. Marcellino, 10 (tei. 321.075). 20. Desiderio Carlo - Prof, di Scienze Naturali. Napoli, Viale Augusto, 79 (te¬ lefono 305.493). 21. Di Leo Lucia - Napoli, Via Traccia, 181 (tei. 225.758). 22. Dohrn Rinaldo - Dirett. Emerito della Stazione Zoologica. Napoli, Villa Co¬ munale (tei. 391.705). 210 — 23. Florio Armando - già ord. 2° Liceo Scient. Napoli, Via Simone Martini. Parco Mele, isolato B. (tei. 366.575). 24. Fondi Mario - Assist. Ist. di Geografia Università. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 324.301). 25. Franco Enrico - Assist. Ist. di Mineralogia Università. Napoli, Via Mezzocan¬ none, 8 (tei. 323.388). 26. Galgano Mario - Dirett. Ist. d’istologia e di Embriologia, Università. Napoli, Vico Latilla, 18 (tei. 313.635). 27. Gervasio Angiola Maria - Napoli, Via nuova S. Maria Ognibene, 2 (telefono 232.512). 28. Giacomini Valerio ■ Dirett. Ist. di Botanica Università. Napoli, Via Foria, 223 (tei. 341.842). 29. ImbÒ Giuseppe - Dirett. Ist. di Fisica terrestre Università e Direttore Osser¬ vatorio Vesuviano. Napoli, Largo S. Marcellino, IO (tei. 324.935). 30. Lambertini Diana - Assist. Ist. di Chimica Industriale. Università. Napoli, Corso Umberto I. 228 (tei. 226.071). 31. Lazzari Antonio - Prof. ine. di Geografia Fisica Università. Napoli, Via Aniello Falcone, 56 (tei. 379.312). 32. Majo Andreotti Ester - Lib. doc. di Geografia fisica Università. Napoli, Via S. Giacomo, 15 (tei. 311.702). 33. Majo Ida - Ord. di Scienze Nat. nei Licei. Napoli, Via Monte di Dio, 74 (tei. 397.699). 34. Malquori Giovanni - Dirett. Ist. di Chimica Industriale Università. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 322.904). 35. Maranelli Adolfo - Preside Ist. Tecn. Comm. di Torre del Greco. Napoli, Via Michelangelo da Caravaggio, 76 (tei. 389.205). 36. Mazzarelli Gustavo - Prof. ine. Topografia e Cartografia Università. Napoli, Via Cimarosa, 50 (tei. 366.555). 37. Mezzetti-B3mbacioni Valeria - Dirett. Ist. e Orto Botanico. Facoltà di Agraria. Portici (tei. 334.967). 38. Migliorini Elio - Dirett. Ist. di Geografia Università. Napoli, Largo S. Mar¬ cellino, 10 (tei. 324.301). 39. Minieri Vincenzo - Ord. di Scienze nat. nei Licei. Napoli, Via Suarez. 38 (tei. 365.789). 40. Mirigliano Giuseppe - Prof. ine. di Oceanografia nell’Università di Bari. Napoli. Via E. De Marinis, 1 (tei. 327.846). 41. Moncharmont Ugo - Ord. Scienze nat. nel Liceo « Viti. Em. II ». Napoli, Via A. Falcone, 88 (tei. 375.003). 42. Moncharmont-Zei Maria - Lib. doc. di Paleontologia nell’Università. Napoli. Via A. Falcone, 88 (tei. 375.003). 43. Mondelli Giosafatte - Ist. di Chimica Industriale Università. Napoli, Via Mezzocannone, 16 (tei. 322.595). 44. Montagna Raffaele - Assist. Ist. Fisica Terrestre Università. Napoli, Via S. Altamura, 1 (tei. 372.895). 45. Napoletano Aldo - Meteorologo dell’Aeronautica. Napoli. Prolungamento Viale Malatesta, 20 (tei. 361.871). 46. Nicotera Pasquale - Assist. Ist. di Geologia appi. Fac. Ingegneria. Napoli, Via Mezzocannone, 16 (tei. 323.818). — 211 47. Oliveri del Castillo Alessandro ■ Assist. Ist. Fisica Terrestre Università. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 32Ì.805). 48. Qrru Antonietta - Dirett. Ist. di Fisiologia generale Università. Napoli, Via Rocco Galdieri, 16 (tei. 301.818). 49. Pagella Maria Luisa - Assist. Ist. Fisica Terreslra Università. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 321.805). 50. Palombi Arturo - Prof. ine. di Zoologia gen. agraria Università. Ispett. Centr. Min. P. I. Napoli, Via Carducci, 29 (tei. 391.825). 51. Pannain Papocchia Lea - Preside negli Educandati di Napoli. Via G. Carducci, 29 (tei. 391.725). 52. Parascandola Antonio - Prof. ine. di Miner. e Geol. nella Fac. di Agraria Università. Napoli, Via Mezzocannone, 8 (tei. 323.388). 53. Parisi Rosa - Già prof. ine. di Fisiologia vegetale Università. Napoli, Via Pier delle Vigne, 14. 54. Pellegrino Oreste ■ Assist. Ist. di Botanica Università. Napoli, Via Gaetano Donizetti, 5 (tei. 366.710). 55. Pescione Adelia in Messina ■ Prof. Scienze nat. Ist. tecnico G. B. Della Porta. Napoli, Via Nevio, 102 (tei. 385.672). 56. Pierantoni Angiolo - Chimico nel Laborat. Igiene e Profilassi della Provincia. Napoli, Galleria Umberto I, 27 (tei. 233.255). 57. Piscopo Eugenio - Assist. Ist. Chimica Farmaceutica Università. Napoli, Via Leopoldo Rodino, 22 (lei. 322.038). 58. Quagliariello Teresa - Assist. Ist. Fisica terrestre Università. Napoli, Via Salvator Rosa, 299 (tei. 340.692). 59. Rippa Anna - Ord. di Scienze nat. nel Liceo Umberto I. Napoli, Piazzetta Mar- coniglio, 4 (tei. 352.616). 60. Romano Giuseppe - Prof. ord. Chim. e Merceologia negli Ist. tecnici cominerc. Napoli, Via Gerolomini, 11 (tei. 212.143). 61. Salfi Mario - Dirett. Ist. di Zoologia Università. Napoli, Corso Umberto I. 118 (tei. 329.092). 62. Scarsella Francesco - Dirett. Ist. di Geologia Università. Napoli, Largo S. Mar¬ cellino, 10 (tei. 321.075). 63. Scherillo Antonio - Dirett. Ist. di Mineralogia Università. Napoli, Via Mez< zocannone, 8 (tei. 323.388). 64. Sersale Riccardo - Prof. ine. di Chimica applic. industriale nella Fac. Inge¬ gneria. Napoli, Via Mezzocannone, 16 (tei. 322.595). 65. Sinno Renato - Lib. doc. di Mineralogia Università. Napoli, Via Ottavio Caiazzo, 9 (tei. 379.259). 66. Tarsia in Curia Isabella in Del Giudice - Prof, di Scienze nat. nel Liceo « Sannazzaro ». Napoli, Corso Umberto I. 106 (tei. 329.368). 67. Torelli Beatrice - Lib. doc. di Zoologia Università. Napoli, Via Luca da Penne, 3 (tei. 385.036). 68. V iggiani Gioacchino - Lib. doc. di Ecologia agraria Università. Napoli. Via Posillipo, 281 (tei. 300.002). 69. V itagliano Vincenzo - Assist. Ist. Chimica fisica Università. Napoli, Via A. Manzoni, 30. 70. Vittozzi Pio - Lib. doc. in Fisica terrestre Università. Napoli, Via Battistello Caracciolo, 93 (tei. 215.660). -- 212 — SOCI ORDINARI NON RESIDENTI 1. Antonucci Nicola - Prof, di Scienze naturali. Caserta, Corso Trieste, 36. 2. Boisio Maria Luisa - Genova, Via Assarotti, 42/13 A (tei. 893.421). 3. Bonasia Vito - Assist. Osserv. Vesuviano. Resina (Napoli). 4. Capone Antonio - Doti, in Chimica. Napoli, Vico Bagnara, 11 (tei. 343.202). 5. Casertano Lorenzo - Lib. doc. in Vulcanologia. Osserv. Vesuviano. Resina (Napoli) (tei. 334.969). 6. Cocuzza Silvestri Salvatore - Lib. doc. di Vulcanologia. Università, Catania. 7. Costantino Giorgio - Lib. doc. Entomologia agraria, Direttore dell’OsserVa- torio di Fitopatologia per la Calabria. Catanzaro, Via Giuseppe Sensales, 26. 8. Cotecchia Vincenzo - Prof. ine. di Geologia applicata Fac. Ingegn. Università. Bari, Corso Cavour, 2. 9 D’Ancona Umberto - Dirett. Ist di Zoologia Università. Padova, Via Loredan, 6. 10. De Castro Piero - Assist, voi. Ist. di Paleontologia Univ. Napoli, Largo S. Mar¬ cellino, 10 (tei. 321.075). 11. Fadda Giuseppe - Direz. Gen. Istruz. Tecnica. Minisi. P. I. Roma, Via Leopoldo Nobili, 40 (tei. 551.803). 12. Franco Domenico - Prof, di Scienze nat. nel Liceo Classico « P. Giannone ». Benevento. 13. Gianfrani Alfonso - Assist. Osserv. Vesuviano. Resina (Napoli). 14. Giordani Mario - Prof, di Chimica analitica Università. Roma, Piazza Bres¬ sanone, 3 (tei. 815.834). 15. Goglia Oscar - Prof, di Scienze nat. negli Ist. Tecnici. Napoli, Via Antonio Porpora, 19 (tei, 366.371). 16. Ippolito Felice - Segret. Gener. Comit. Naz. per l’Energia Nucleare. Roma, Via E. Ximenes, 12 (tei. 379.156). 17. Jovene Francesco - Prof, di Scienze Nat. Ischia, Via Acquedotto. 18. Jucci Carlo - Dir. Ist. di Zoologia Università. Pavia, Viale XXI Febbraio, 2 (tei. 25.740). 19. La Greca Marcello - Dir. Ist. di Zoologia Università. Catania. 20. Lucchése Elio - Prof. ine. di Entomologia Agraria Università. Perugia, Via Assisana, 22. 21. Maini Padre Dante - Rettore Pontificio Istituto Sup. Scienze e Lettere Santa Chiara. Napoli (tei. 320.332). 22. Maino Armando - Geofisico del Serv. Geol. dTtalia. Roma, Largo S. Susanna, 13. 23. Mancini Fiorenzo - Dir. Ist. Geologia appi. Fac. Agraria. Firenze, Piazzale delle Cascine. 24. Mendia Luigi - Prof. ine. di Ing. sanitaria Fac. Ingegneria Università. Napoli, Via Mezzocannone, 16. 25. Merola Aldo - Dir. Ist. Botanico Università. Messina. 26. Miraglia Luigi - Dottore in Scienze Naturali (attualmente in Asuncion (Para¬ guay), Casilla de Correo, 792). 27. Montalenti Giuseppe - Dir. Ist. di Genetica Univ. Roma, Via Cola di Rienzo, 297 (tei. 352.261). 28. Pappalardo Albina - Assist. Ist. di Geologia Università. Torre del Greco (Napoli), Corso Viti. Eman., 63 (tei. 361.655). 213 — 29. Parenzan Paolo - Ist. Talassografico di Taranto. Via Roma, 3. 30. Parenzan Pietro - Lib. doc. di Idrologia Univ. Napoli. Ist. Talassografico di Taranto. Via Roma, 3. 31. Pasquini Pasquale - Dir. Ist. di Zoologia Università. Roma, Viale Regina Elena, 324 (tei. 450.686). 32. Penta Francesco - Prof, di Geologia Applicata Fac. Ing. Università. Roma, Via dei Laterani, 36 (tei. 776.796). 33. Pergonic Enrico - Micropaleontologo. Agip Mineraria. S. Donato Milanese (Milano). 34. Pericoli Sergio • Dott. in scienze geologiche - Cattolica (Forlì). Via Antonini, 1. 35. Pescatore Tullio - Assist, ine. di Geologia Univ. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 321.075). 36. Radina Bruno - Lib. doc. Geologia appi. Università. Bari, Via Fratelli Rosselli. 32. 37. Rodio Gaetano - Già prof, di Botanica Università. Catania, Via Antonino Longo, 19. 38 Ruffo Sandro - Lib. doc. Zool. Assistente nel Museo Civico Storia Naturale. Verona, Lungadige Porta Vittoria, 9. 39. Ruocco Domenico - Prof. ine. di Geografia econ. nella Fac. di Econ. e Comm. Napoli, Via Aniello Falcone, 426 (tei. 385.211). 40. Sarà Michele - Prof, di Zoologia Università. Bari, 41. Scorza Vincenza in Esposito - Roma, Corso Novara, 51. 42. Sicardi Ludovico - Dott. in Chimica. Torino, Corso XI Febbraio, 21. 43. Tosco Uberto ■ Dir. Laboratorio Crittogamico Ufficio Igiene e Sanità. Torino, Corso Giovanni Agnelli, 107 (tei. 366.840). 44. Trotta Michele - Dott. in Med. veterinaria. Salerno, Via Michele Conforti, 13. 45. Trotter Alessandro - Prof, emerito di Patologia vegetale. Vittorio Veneto (Treviso), Via Cavour, 15. 46. Vallario Antonio ■ Assist, ine. di Geologia appi, nella Fac. di Scienze. Napoli, Via Girolamo Santacroce, 19 c. 47. Vighi Luciano ■ Lib. doc. in Giacimenti minerari. Soc. Montecatini, Settore Miniere. Milano, Via Turati, 18. 48. Zamparelli Valeria - Assist, voi. Ist. di Paleontologia Napoli, Salita Arenella, 13 A (tei. 360.372). 49. Zavattari Edoaido - Prof. ord. f. r. di Zoologia Università. Genova, Via Cirenaica, 8/7. INDICE MEMORIE E NOTE D'Argenio B. — Osservazioni sulla genesi e l’età dei « marmi di Vitulano » e sulla paleogeografia del Monte Camposauro ..... pag. 3 Montagna R. — Osservazioni geomorfologiche sulla conca di Pianura nei Campi Flegrei (territorio comunale di Napoli) ...» 13 Pa RENZA. \ P. — Contributo allo studio dei molluschi marini di Lampedusa » 21 Pierantoni A. — Sul problema delTinquinamento atmosferico (Nota I) » 29 Montagna R. — Stratigrafia vulcanica nel territorio comunale di Napoli ad occidente del Vomero .......... 34 V ittozzi P. — Contatori proporzionali per scopi particolari . . . » 49 D’Argenio B. — Sul Miocene autoctono del Monte Camposauro (gruppo del Taburno-Benevento) . . . . . . . . . » 77 Pierantoni A. — Sul problema delTinquinamento atmosferico. (Nota II) » 80 Palombi A. — L'insegnamento delle Scienze naturali nelle Scuole secon¬ darie con particolare riguardo alle Osservazioni scientifiche nella Scuola media unificata .......... 88 Sartorelli F. — Osservazioni stratigrafiche nella serie vulcanica tra Largo Petrone e Due Porte ( Arenella-Napoli) ...... 97 Covello M. e Ciampa G. — La « Betula alba ». . . . » 113 De Castro P. — Nota preliminare sulla presenza del Lias negli scisti silicei di Giffoni Vallepiana nel Salernitano . . . . . » 152 Franco E. — Su alcuni minerali della Grotta dello Zolfo (Miseno) . » 156 Sinno R. e Franco E. — La montmorillonite della Punta delTEpitaffio » 161 Lambertini D. e Mondelli G. — Relazione sull’esame analitico di una acqua termale sorgente presso la località « Cava delle Petrelle » in territorio di Sant’Angelo, nell’isola d’Ischia . . . . . » 178 Lambertini D. e Mondelli G. — Relazione sulTesame di un’acqua profonda rinvenuta nella zona litoranea, in prossimità del Palazzo Reale di Napoli ........... 185 Lambertini D. e Mondelli G. — La sorgente « San Benedetto » nel Comune di Montecorvino Ravella (prov. di Salerno) ...» 194 PROCESSI VERBALI DELLE TORNATE E DELLE ASSEMBLEE GENERALI ED ELENCO DEI SOCI Processi verbali delle tornate e delle assemblee generali .... pag. 199 Elenco dei Soci ordinari residenti al 31 dicembre 1961 ...» 209 Elenco dei Soci ordinari non residenti al 31 dicembre 1961 , , . » 212 Finito di stampare il 28 aprile 1962 ,s () confrontate con quelle classiche della halloysite di Mehmel [9], in accordo con le osservazioni di Fornaseri e Penta [13], Dopo il trattamento del campione naturale con glicol. etilenico si nota, in accordo con i dati di Mac Evan riferiti da Brindley [10], © G lo spostamento dell’interferenza 10,1 A (001) a 10,78 A, mentre coni- © pare un’interferenza 3,65 A che fa supporre la presenza della (003) © a 3,40 A nello spettro del prodotto naturale mascherata dalla fortis¬ sima e larga interferenza 3,42 A delTanalcime (Tav. I) e Tabella I. Lo spettro di polvere della frazione <7 2 jx asciugata a 100° S 0 mostra il largo spostamento della interferenza 10,1 A a 7,40 A e la e © comparsa dell’interferenza 3,62 A corrispondente alla 3,60 A (002) della methalloysite. G. Brown [11]. Risulta molto indebolito lo spettro dell’analcime mentre compaiono, in accordo con l’analisi chimica, le interferenze caratteristiche del salgemma. Sono state eseguite poi, analisi termodifferenziali sul campione naturale e sulla parte costituente il nucleo degli icositetraedri di leucite analcimizzata, usando un’apparecchiatura della S.I.M.E.R. con una sensibilità di 0,5 inV f. s. pei la registrazione, ed un incremento di temperatura di 10° C. per minuto. Le curve ottenute sono ripor¬ tate in fig. 1 Tav. IL Il termogramma A riferito al campione « in loto » pone bene in evidenza le reazioni endotermiche a 160° e 560° ed esotermica a 980° caratteristiche dell’halloysite 4H20 e, l’ampia reazione endo¬ termica che culmina a circa 400° e sì raccorda con l’inizio della reazione di disossidrilazione dell’halloysite, caratteristica dell’anda¬ mento termico delTanalcime. Il termogramma B mostra che il nucleo dei cristalli di leucite analcimizzata non è stato interessato dall’azione che ha determinata la formazione dell’halloisite in quanto compare — 10 — solo un effetto termico con un massimo a circa 400° attribuibile ad analcime puro. L’analisi termoponderale, eseguita con apparecchiatura tipo Chevenard della A.D.A.M.E.L., con un incremento di 300° per ora su di un campione di ;,/2 gr., mostra che la perdita in peso totale è avvenuta in tre tempi successivi in accordo con i dati termodiffe¬ renziali (Fig. 2, Tav. II). Le ricerche al microscopio elettronico sono state eseguite presso l’istituto di Chimica fisica dell’Università di Napoli su apparecchio Philips mod. 11980 (1). I campioni sono stati preparati lasciando evaporare sui porta- campioni, all’aria ed a temperatura ambiente, alcune gocce di una sospensione acquosa della leucite analcimizzata. In tutti i campioni osservati è stato possibile rinvenire l’halloysite. In figura 1, Tav. Ili sono chiaramente visibili alcuni cristalli di halloysite con abito tubo¬ lare, altri in parte accartocciati ed altri completamente svolti accanto ad agglomerati, in apparenza amorfi, da cui sembra che fuoriescano piccole liste di halloysite. Quanto sopraesposto conferma le vedute degli Autori che sup¬ posero la presenza dei minerali argillosi nelle pseudomorfosi di anal¬ cime su leucite e, in un certo senso, giustifica le osservazioni degli Autori più antichi che, intuirono più che altro, la presenza di questi minerali. La leucite oggetto di questa nota, però, rappresenta un caso un pò raro in quanto, non sempre si possono osservare percentuali così elevate di minerali argillosi accanto all’analcime nelle leuciti pseudo- morfosate. Nel caso in esame, escludendo l’ipotesi di orfana! cime di origine primaria, in quanto l’abito dei cristalli è quello icositetraedrico della leucite che abbonda, inalterata, in tutte le rocce del Rocca mon- fina, si deve pensare alla pseudomorfosi di analcime su leucite e, con¬ siderando le tracce di salgemma riscontrate all’analisi chimica e roentgenografica, si può porre l’ipotesi che proprio a soluzioni di questo sale si debba l’origine del Lana Lime in accordo con le note esperienze di sintesi dell’analcime per azione di soluzioni sodiche su leucite. Fornaseri e Penta [13], Morey e Ingerson [14]. L’halloysite deve essersi formata in un tempo successivo, come è. dimostrato dalla presenza di residui di analcime puro nel nucleo (1) Ringrazio vivamente il Prof. Paolo Giordano Orsini ed il Doti. Bruno Marchese per la preziosa collaborazione. Boll. Soc. Naturai, in Napoli, 1962 E. Fracco, Sulla presenza di Halloysite, ecc. - Tav. a) Halloysite-Indiana. d) Leucite analcimizzata riscaldata a 110°C. b) Leucite analcimizzata - Roccamonfina. e) Analcime - Isola dei Ciclopi. c) Leucite analcimizzata con glicol etilenico. Boll. Soc. Naturai, in Napoli, 1962 E. Franco, Sulla presenza di Halloysite, ecc. - Tav. II. . 1 — A) Leucite analcimizzata ■ Roccamonfìna. B) Nucleo degli icositetraedri. C) Halloysite - Indiana. D) Analcime - Isola dei Ciclopi Fig. 2 — Curva termoponderale del campione naturale. Boll. Sor. Naturai, in Napoli, 1962 E. Franco, Sulla presenza di Halloysite , ecc. - Tav. III. Fig. 1 — Microfotografia elettronica. Sono visibili alcuni tubuli di halloysite accanto ad aggregati apparentemente amorfi. — 11 — degli icositetraedri (fig. 1) e deve aver richiesto un cambiamento del pH dell ambiente in quanto, come è noto dalla letteratura, la genesi della halloysite è legata ad un pH acido. Napoli , Istituto di Mineralogia delVUniversità. BIBLIOGRAFIA [1] Ferber J., Briefe aus W elschland ueber natueriiche Merkwuerdigkeiten dieses Landes. Pag. 222, Praga, 1773. [2] Sillem H., Ueber pseudomorphosen. Neues Jahrbuch fuer Min. Geol. Pag. 389. Stuttgart, 1851. [3] Scacchi A., Note mineralogiche. Memoria I. Napoli 1873. [4] Doelter C., Handbuch der Mineralchemie, Voi. II, parte 2, Lipsia 1917, pag. 474. [5] Zambonini F., Mineralogia Vesuviana. Napoli 1935. [6] Scherillo A., Un nuovo esempio di anale imizzazione della leucite. Bollettini della Società dei Naturalisti, Voi. LUI, pag. 195, Napoli 1942. [7] Fornaseri M., Ricerche petrografiche sul Vulcano Laziale. La zona Osa-Saponara > Valle di Castiglione. Periodico di Mineralogia, Anno XVI, n. 3, Pag. 12, Roma 1947. [8] Sinno R., Studio delle così dette leuciti coalinizzate . Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli, Voi. LXII, Napoli 1953. [9] Mehmel M., Uber die Struktur von Halloysit und Metahalloysit. Zeit. Krist. 90, 35-43, 1935. [10] Brxndley W., X-Ray Identification and Crystal Structures of clay minerals. London 1951. [11] Brown G., The X-Ray Identification and Crystal Structures of Clay minerals. London 1961. [12] Mackenzie R. C., The Diff erential Thermal / nvestigation of clays. London 1957. [13] Fornaseri M. e Penta A., Elementi alcalini minori negli analcimi e loro com¬ portamento nel processo di analcimizzazione della Leucite. Periodico di Mine¬ ralogia, 29, pp. 85-102. Roma 1960. [14] Morey G. W. e Ingerson E. Econ. Geol. Suppl. 33, n. 5, 607, 1937. Considerazioni sulle eruzioni vesuviane dal 1631 la 1944 Nota del socio MARIA LUISA PACELLA (Tornata del 26 gennaio 1962) Lo scopo di questa indagine è quello di ricercare le relazioni che esistono tra i coefficienti di viscosità magmatica e le caratteristiche dinamiche dei relativi parossismi vesuviani. Si è eseguito per questo un accurato studio storico e analitico dei parossismi verificatisi nel- Lintervallo 1631 - 1944 e precisamente per quei parossismi sui quali il Prof. Imbò si era già soffermato nel suo studio sulle variazioni nel tempo dei coefficienti di viscosità. Di questo intervallo alcuni valori non sono stati presi in conside¬ razione o perchè corrispondenti ad eruzioni scarsamente descritte o ancora perchè corrispondenti a periodi eruttivi più che a veri e propri parossismi. Pertanto per nove eruzioni sono stati presi in esame oltre ai coefficienti di viscosità (r^), i volumi medi giornalieri di lava emessa (V), la durata di ogni singolo parossisina (t), gli indici di esplosività (ic), intendendo per indice di esplosività il rap¬ porto fra il numero delle giornate a carattere prevalentemente esplo¬ sive e la durata del parossismo. ■n V t (giorni) h 1631 1.7 X IO4 18.0 X IO6 20 0.15 1737 1.6 X IO4 0.7 X IO6 22 0.2 1751 3.3 X IO4 0.5 X 10b 120 0.0 1767 3.1 X IO4 2.5 X IO6 10 0.3 1794 2.7 X IO4 7.5 X IO6 38 0.08 1855 4.8 X IO4 7.0 X IO6 28 0.04 1872 7.1 X IO4 16.0 X IO6 5 0.4 1906 7.5 X IO4 5.0 X IO6 18 0.7 1944 9.6 X IO4 7.0 X IO6 11 0.7 13 — La rappresentazione grafica dei valori relativi al coefficiente di viscosità e al volume medio giornaliero ( fig. 1), mette in evidenza che ad ogni valore di rj corrisponde un intervallo di variazione del vo¬ lume medio giornaliero molto ampio che però si riduce col crescere di Tp annullandosi in corrispondenza del massimo della curva. Una ulteriore analisi del grafico ci permette di riscontrare che le eruzioni a carattere prevalentemente esplosivo e quelle a carattere Fig. 1. Variazioni del volume totale V di lave emesse (in milioni di m3) al va¬ riare del coefficiente di viscosità. prevalentemente effusivo si possono comprendere in due zone, la prima definita da un alto valore di Y], la seconda da un hasso valore di rj. Caratteri intermedi si osservano naturalmente nel passare dall'ima all’altra zona. Per la prima zona sono infatti caratteristiche le eruzioni del 1872, 1906, 1944. Le prime due con rt quasi uguale (7.1 x IO4 e 7.5 x IO4) sono caratterizzate da un indice di esplosività pari a 0.4 e 9.7, la terza con pari a 9.6 x IO4 presenta un indice di esplo¬ sività pari a 0.7. Nella seconda zona sono comprese le altre eruzioni per le quali ad un Y] variabile fra 1 e 3 corrispondono caratteristiche prevalentemente effusive accompagnate a volte da manifestazioni esplo¬ sive che però non raggiungono mai l’intensità delle precedenti. — 14 — Una spiegazione del fatto che l’intervallo di variazione del volume medio giornaliero si riduce col crescere di r\ si può dare pensando che se le notevoli tensioni presenti nella massa magmatica sono capaci di spingerla nelle fratture e farla emergere, d’altra parte basta anche una breve diminuzione della portata per provocare l’irrigidimento delle masse più superficiali che impedirebbero alle altre di fuoriuscire. Mettendo poi in relazione il coefficiente di viscosità e la durata ciente di viscosità. di ogni singolo parossismo ( fig. 2), si è potuto notare che al dimi¬ nuire di r\ aumenta la durata del parossismo e che inoltre ad ogni valore di t corrisponde un intervallo di variazione di 7} compreso in una fascia che si va restringendo al suo decrescere. In conclusione si può dire che nelle eruzioni vesuviane l’aumento di 7} porta una diminuzione della durata del parossismo e una accen¬ tuazione crescente del carattere esplosivo. BIBLIOGRAFIA [1] Serao D. F. Vesuviani incendii anni 1737 mensis maji Historia. Acc. Scient. Neapol. Neapolis, 1738. [2] Mecatti G. M. Racconto storico-filosofico del Vesuvio . Napoli, 1752. [3] De Bottis I). G. Istoria di vari incendi del Monte Vesuvio. Napoli. MDCCLXXXVI. — 15 — [4] Breislak S. e Winspeare A. Memoria sull' eruzione del Vesuvio accaduta la sera del 15 giugno 1794 . Napoli, 1794. [5] Scacchi A., Guarini G. e Palmieri L. 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Sullo stato attuale del Vesuvio (3 luglio 1899 ) e sul sollevamento endogeno della nuova cupola lavica ( avvenuto nei mesi di febbraio-marzo 1898). Boll. Soc. Sismologia Italiana, Voi. V, N. 2. [13] Matteucci R. V. Cenno sulle attuali manifestazioni del Vesuvio (fine giugno 1899). Rend. della R. Acc. delle Scienze Fis. e Mal. di Napoli. Fascicolo 6° e 7°, giugno-luglio 1899. [14] Sabatini V. L'eruzione vesuviana dell'aprile 1906. Boll, del R. Com. geol. d’Italia, anno 1906. [15] Matteucci R. V. Appunti sulla eruzione vesuviana 1905-1906. Boll, della Soc. geol. I tal.. Voi. XXV, 1906, Fase. III. [16] Mercalli G. La grande eruzione vesuviana cominciata il 4 aprile 1906. Mem. d. Pont. Acc. Rom. dei N. Lincei, Voi. XXIV. [17] Friedlander I. Storia delle eruzioni del Vesuvio. 1913. [18] Malladra A. Guida della escursione al Vesuvio . Voi. IV degli Atti dell’XI Con¬ gresso Geografico Italiano, 27 aprile 1930-VIII. [19] ImbÒ G. L’attività eruttiva vesuviana e relative osservazioni nel corso dell’in¬ tervallo eruttivo 1906-1944 ed in particolare del parossismo del marzo 1944. Ann. dell’Oss. Vesuv., Serie V, Voi. unico, 1949. [20] ImbÒ G. Coefficienti di viscosità del Magma Vesuviano e sue variazioni nel pe¬ riodo storico. Acc. Lincei - Rend. Se. Fis.. Mat. e Nat., Voi. XXIX. Novembre 1960. Sulla presenza del Giura (Dogger e Maini) nei Monti Aurunci ^ Nota del socio PIERO DE CASTRO (Tornata del 30 marzo 1962) § 1. Precedenti conoscenze. Cassetti [1, 2], nei suoi lavori del 1896 e 1900, distingueva nel Mesozoico medio e superiore dei Monti di Gaeta ( 2), due complessi : a) Uno liassico estendentesi su buona parte dei rilievi limitati a SW dalla costa tra Sperlonga e Gaeta ed a NE dalla parte inferiore della valle di Itri. b) Un complesso cretacico, lievemente discordante sul prece¬ dente, formato prevalentemente da calcari a Requenia urgoniani pas¬ santi verso Paltò a calcari a rudiste di età turoniana. Questi terreni fascianti a guisa di ferro di cavallo quelli attribuiti al Lias, costitui¬ vano per intero quella parte degli Aurunci compresa tra la valle di Itri e la Fossa Ausonia. Il Foglio 171 - Gaeta della Carta Geologica d*Italia (1912), con¬ corda con quanto detto da Cassetti con la sola eccezione che viene riferita al Lias la parte più bassa dei rilievi culminanti, ad Est della parte inferiore della valle di Itri, nel M. Orso. Più recentemente si occuparono della stratigrafia della zona da noi presa in esame, Petrocchi P. [4] e Segre A. [5] senza appor- (*) Lavoro eseguito con il contributo del C.N.R. (1) Esprimiamo la nostra riconoscenza al Prof. Francesco Scarsella per i tanti modi con cui ha facilitato le nostre ricerche. Ringraziamo vivamente il dott. Pietro Dohrn, direttore della Stazione Zoologica di Napoli, per averci fornite tutto l’aiuto necessario alla documentazione fotografica di questo lavoro. (2) Cassetti includeva nei Monti dì Gaeta la maggior parte degli Aurunci pre¬ senti nel foglio Gaeta. — 17 — tare modifiche sostanziali alle vedute di Cassetti sul terreni meso¬ zoici. Va notato, però, che Segre, parlando dei terreni dell’Infracre- tacico, dice: « Tra questi terreni e quelli di cui ora diremo (Lias medio), non è chiaro ancora se esiste una lacuna notevole . oppure se il Mesozoico medio si trovi compreso nella base più distintamente dolomitica precedentemente accennala ». Ricerche compiute permettono di affermare la presenza, nel com¬ plesso calcareo dolomitico dei M. Aurunci di tutti i terreni dal Lias al Cretacico. Tra le località in cui affiorano i termini del Mesozoico medio, una volta ritenuta cretaciche, segnaliamo per il Lias, M. Sor¬ genza ; per il Giurassico, M. Revole. M. Sorgenza, M. Verniero, etc. § 2. Osservazioni stratigrafiche e paleontologiche. Il Lias ed il Giurassico, costituenti nei Monti Aurunci una serie continua formata da calcari, dolomie e calcari dolomitici, sono rap¬ presentati da facies marine identiche a quelle dei terreni coevi del Salernitano ed altre zone della Campania [6]. Il Lias è facilmente individuabile anche sul terreno per la pre¬ senza della caratteristica facies a Lithiotis [6], [7] che. qui come in Campania, si presenta ricca di Palaeodasycladus mediterraneus e, nella parte inferiore, di Orbitopsella praecursor ( tav. I). Ai terreni di questo periodo succedono in continuità di sedimen¬ tazione i livelli giurassici. Questi ultimi sono facilmente riconoscibili tanto sul terreno, a causa della frequenza nella parte alta di livelli a Cladocoropsis [8, 9] (Tav. IV. fig. I), quanto attraverso lo studio delle microfacies. Alcune sezioni sottili hanno messo in evidenza, in¬ fatti, un’associazione di foraminiferi costituita principalmente da Pfenderina salernitana Sartoni e Crescenti (3) (Tav. Ili; Tav. IV, fig. 2) e Meyendorffina bathonica [10, 11] (Tav, II). La successione stratigrafica compresa tra la subzona ad Orbitop¬ sella praecursor (Lias medio) e la zona a Cladocoropsis mirabilis (3) Nel nostro lavoro sul Giura-Lias dei Monti Lattari [6] abbiamo indicato, erroneamente, queste forme come Pfenderina neocomiensis. Trattasi in realtà di una specie nuova. P. salernitana , istituita da Sartoni S. e Crescenti U. nel loro lavoro, in corso di stampa: Ricerche hiostratigrafiche nel Mesozoico dell’ Appennino meridionale. Ringraziamo i predetti autori per la cortese indicazione che ci ha per¬ messo di eliminare dalla presente nota lo stesso errore, durante la correzione delle bozze. — 18 — (Calloviano - Kimmeridgiano) risulta in base ad una serie da noi cam¬ pinnata al M. Sorgenza (4) la seguente: a) Calcari nocciola, talora grigio-chiari o avana, generalmente detritici, con intercalazioni, nella parte superiore, di dolomia, calcari dolomitici e livelli marnosi congomeratici. Fauna e flora della facies a Lithiotis ; Orbitopsella praecursor nella parte inferiore. b) Calcari generalmente oolitici. avana, traenti talora al rosato, con frequenti intercalazioni di dolomia cui fanno spesso passaggio lateralmente. c) Calcari grigio-chiari o avana, a grana fine o detritici, con intercalazioni di dolomia nella parte mediana e di livelli marnosi conglomeratici in quella inferiore. d) Dolomia biancastra o gialliccia, grossolanamente detritica nella parte alta. e) Calcari nocciola, grigio-chiari, avana, finemente detritici o a grana fine, con dolomie intercalate con una certa regolarità nella parte superiore. f) Calcari prevalentemente nocciola, talora grigio-chiari o avana, per lo più a grana fine, talora detritici, a Cladocoropsis . con liveli di dolomia frequentemente intercalati. Ci ripromettiamo di fornire in un prossimo lavoro la descrizione litologica della restante pila sedimentaria di età giurassica, compresa fra i calcari a Cladocoropsis mirabilis e i terreni del cretacico infe¬ riore, e dare nella stessa occasione i risultati che emergeranno da uno studio dettagliato della microfacies di tutta la serie del Mesozoico medio dei M. Aurunci. Per il momento accenniamo solo al fatto che sono presenti nel Giura-Lias di questo gruppo montuoso oltre alla zona a Palaeodasycladus mediterraneus e relativa subzona ad Orbitopsella praecursor anche le altre biozone da noi riconosciute nel Mesozoico medio della Campania [6]. Napoli - Istituto di Geologia delVU niversità - 20 marzo 1062. (4) Alla base del versante meridionale del M. Sorgenza vengono a contatto tet¬ tonico coi sedimenti del Lias i calcari del Cretacico superiore. — 19 — RIASSUNTO Viene segnalata la presenza del Giurassico nei Monti Aurueei (Lazio). Il Giurassico facilmente riconoscibile sul terreno per la presenza di numerosi li¬ velli calcarei a Cladoeoropsis è determinabile anche mediante lo studio delle micro¬ facies per la presenza dell’associazione di foraminiferi costituita da Pfenderina saler¬ nitana e Meyendorffina bathonica. SUMMARY Jurassic is traced in Monti Armine! (Lazio). The Jurassic easily ricognizable on thè field by thè presence of numerous Cla- docoropsis limestone layers is also determinable by thè study of thè foraminifera association of Pfenderina salernitana and Meyendorffina bathonica. BIBLIOGRAFIA [1] Cassetti M. Sulla costituzione geologica dei monti di Gaeta . Boll. R. Comit. Geol. Ita!., Voi. 27, pp. 36-45; Roma 1896. [2] Cassetti M. Nuove osservazioni geologiche sui monti di Gaeta. Boll. Coni. Geol. XtaL, Voi. 31, pp. 74-180, Roma 1900. [3] Cassetti M., Moderni P., Baldacci L. F° 171 Gaeta della Carta Geologica d’Italia 1 : 100.000, Novara 1912. [4] Petrocchi P. 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Calcare detritico a Pjenderina salernitana, Pjenderina trochoidea, Meyendorjfina batho- nica, grandi Valvulinidae, Thaumato por ella parvovesiculijera, Spongiomorphidae. Località: Monte Sorgenza (tav. Formia). Prep.: A. 577.1, A. 577.4; (33 x ). Dogger. Boll. Soc. Nat. Napoli, 1962. P. De Castro. Sulla presenza del Giura, ecc. - Tav. III. Fig. 2. Tav. IV. Fig. 1. Cladocoropsis mirabilis. Calcare a Cladocoropsis , quasi interamente epigenizzato in dolomite. Località: Monte Sorgenza (tav. Formiaj. Prep.: A. 627.1 ; (4.8 x ). Calloviano-Kimmeridgiano. Fig. 2. — Pfenderina salernitana. Calcare detritico a Pfenderina salernitana. Pfenderina trochoidea, Meyen- dorffìna bathonica , grandi Valvulinidae, Thaumato por ella parvovesiculifera. Spongiomorphidae. Località: Monte Sorgenza (tav. Formia). Prep.: A. 577.2; (26 x). Dogger. Soc. Nat. Napoli, 1962. P. De Castro. Sulla presenza del Giura, eco. - Tav. 1Y. Fig. 1. (I Giura- Lia s dei Monti Lattari e dei rilievi ad ovest delia Valle delPlrno e delia Piana di Montoro ^ Nota del socio PIERO DE CASTRO (Tornata del 30 marzo 1962) § 1. Premessa. Scopo del presente lavoro è quello di segnalare nell’area tra Sa¬ lerno, Avellino e l’isola di Capri, la presenza del sistema giurassico e di nuovi affioramenti di età liassica ; darne uno schema della distri¬ buzione ed illustrarne i carattere litologici e paleontologici fonda- mentali. La zona presa in esame (fig. 1), interessante i fogli 185, 196 e 197 della Carta Geologica d’Italia, comprende più esattamente i Monti Lattari ed i rilievi interposti tra essi e Lallineamento meri¬ diano determinato a Sud dalla valle dell’Irno ed a Nord dalla piana di Montoro ( 2). § 2. Precedenti conoscenze. Fino agli ultimi anni del secolo scorso (1891), le conoscenze geologiche sui terreni della Campania centro-occidentale risultano li¬ mitate anche se furono numerosi quelli che se ne interessarono. (*) (*) Ringraziamo vivamente il doti. Pietro Dohrn, direttore della Stazione Zoologica di Napoli, per averci fornito tutto l’aiuto necessario alla documentazione fotografica di questo lavoro. (1) La presente nota si inquadra nei lavori di rilevamento ed aggiornamento della Carta Geologica d’Italia — Foglio Salerno — eseguiti per il Servizio Geologico d’Italia sotto la direzione del prof. Francesco Scarsella. (2) Il rilevamento della parte della zona presa in esame rientrante nel Foglio Salerno è affidata ai dott.ri Guzzetta G., Ietto A. e Sgrosso I. AVELLI NO 22 — 23 — Dei primi Autori (1799-1842), infatti, una parte si limita a dare soltanto descrizioni delle rocce presenti [16, 24, 63, 73] ; altri invece, senza alcun, minimamente valido, dato paleontologico attribuiscono [31, 106], o lasciano pensare che debbano attribuirsi [81] (3), tanto le dolomie che il sovrastante complesso calcareo-dolomitico, al Giu¬ rassico (4). Gli studi d’Agassiz [1, 2] sulla ittiofauna di Capo d’Orlando (Ca¬ stellammare di Stabia), nel corpo del complesso calcareo-dolomitico, e di Egerton [45] su quella analoga di M. Pettine (Giffoni Vallepiana, Salerno), in seno al complesso costituito prevalentemente da dolomia, sottoposto al precedente, non favorirono il migliorare delle conoscenze sulla geologia della regione. L’erronea attribuzione della prima ittiofauna al Giura ( 5) e della seconda al Lias ( 6), unitamente alle molteplici segnalazioni di rudiste sopra, e da parecchi anche sotto, il presunto livello ittiolitifero giuras¬ sico di Capo d’Orlando, determinò diversi orientamenti nelFinterpre- tazione della stratigrafia della regione (7). Così alcuni [78, 82, 103] generalizzando, forse, le conclusioni de¬ rivanti dalla presenza di rudiste nei calcari di Castellammare, e cer¬ cando di conciliare il significato stratigrafico di questi molluschi con (3) Pilla L. (1840) [81] pur non considerando la zona da noi presa in esame, così vi accenna : « L’asse ed il corpo dell’ appannino e formato da calcare giurassico , ossia di un calcare compatto , bianchiccio che molto somiglia a quello del Giuria... v’ha dei luoghi ove contiene copiosi ittioliti ( Pietraraja , Castellammare , Giffuni). Come il terreno alpino racchiude vasti depositi di dolomite ( montagne del Matese, di Castellammare ...), suole essere ancora bituminifero... ». (4) Dufrenoy P. A. (1835) [44] accenna nei monti Lattari anche alla presenza del Cretacico senza però addurne alcuna prova. Nelle sue Mémoires sur les terrains volcaniques des environs de Naples, a pag. 234, si legge : « La pointe de Sorrento , doni Vile de Cupree est le prolongement , est formée d’une chaine de calcaire juras- sique et crayeux ». (5) Gli ittioliti di Capo d’Orlando furono attribuiti nel 1890 da Bassani F. [6] al Neocomiano e, nel 1912, da Bassani F. e D'E-rasmo G. [11] al Ceno- maniano. (6) I livelli ittiolitici di M. Pettine furono considerati da Costa 0. G. (1859, 1867) [27, 30] di origine lacustre e di età molto più recente di quella delle rocce circostanti. Nessuno tenne però conto di questa interpretazione. (7) Ambedue le datazioni furono messe in dubbio da Guiscardi G. [55] di cui Costa 0. G. (1866-68) [29] riporta le seguenti parole: « ... riferire a questi piani » (al Giurassico cioè ed al Liassico) « quelle formazioni pel solo carattere degli ittioliti ci sembra prematura conclusione. Certo a Torre Orlando si trovano calcari-strati¬ ficati con rudisti... ». - 24 — le presunte età dei livelli a pesci, convennero che l’impalcatura della zona fosse formata da terreni cretacici passanti probabilmente nella parte inferiiore al Mesozoico medio (8). Altri invece a causa della presenza di rudiste nei calcari di Torre Orlando trascurarono completamente le datazioni d’Agassiz ed ascris¬ sero [4, 25, 26, 65, 74, 95, 102, 104, 110, 111], o lasciarono pensare che debba ascriversi [29, 55, 56], al Cretaceo l’impalcatura della parte occidentale dei monti Lattari. Questo risultato fu estrapolato da alcuni j 77, 85] anche alle zone ad oriente di Salerno, invalidando così pure le datazioni di Egerton ed attribuendo tanto i calcari che le sottostanti dolomie al sistema cretacico. Questo succedersi di pareri spesso discordi, misto talora a con¬ fusione (9) ed adoperando un’espressione di Bòse — a « fan- (8) Pilla L. [83, 84] nei suoi lavori del 1845 e 1847-51 ammette senza restri¬ zioni che ad ambedue i livelli ittiolitiei (Gifoni e Castellammare) succedano terreni del Cretaceo. Anche De Amicis 1889 [32, 33] credette di riconoscere, nella zona tra M. Pettine e M. Pertuso (a W di Salerno), dove sono presenti vasti affioramenti di terreni triassici, il Cretacico a rudiste sovrapposto al Giura ad ellipsactiniae. (9) A tal proposito, nel 1862, Costa O. G. [28] scriveva: «...non bastavano però le discrepanze di coloro che visitarono queste estreme regioni italiane nel definire Vetà di cotesti terreni, ed i. loro rapporti con quelli di straniere contrade ; ma era pur necessario che altri vi intervenissero ad accrescere la mole delle ambi¬ guità co’ propri errori , applicando empiricamente ed alla cieca qualche famigerata dottrina. Altri poi, ignorando perfino la topografia del Regno, dìa lungi, e guidati soltanto da notizie vaghe ed incerte, soventi fiate rese anche oscure per iterate compilazioni, in diverse lingue trasmesse, credono poter dare esatto giudizio delle cose controverse ; oppure emettono sentenze, lenendosi fermi a certe regole o canoni già prestabiliti, e fondati sopra basi anguste ed incerte. Così è che ci sentiamo definire recisamente come terreno giurassico, tanto gli schisti bituminiferi di Giffoni. quanto la calcarea stratosa di Pietraroja e di Castellammare; e vediamo condotto Giffoni sopra i contorni di Napoli confusi i fossili di questo con quelli di Castel¬ lammare; e tante altre ambiguità che panni noioso qui addurre ». Allo stesso proposito Bassani F. e D’Erasmo G. [11] riferiscono: « Come pro¬ venienti da Castellammare sono stati erroneamente indicati da vari Autori anche Semionotus Pentlandi Egerton, Sem. pustulifer id., Sem. minutus id., e Pholido- phorus fusiphormis Agassiz (P. G. Egerton..., L. Agassiz.... L. Pilla..., G. Studer..., A. D’Archiac..., F. J. Pictet..., J. Struever..., A. S. Wood vvard...). L'errore dipende dal fatto che le dette specie, conservate nel Britisch Museum di Londra, vennero orgiinariamente citate con Findicazione inesatta : a Giffoni presso Castellammare ». Esse provengono invece dagli schisti triassici ( Dolomia principale) di Giffoni Valle Piana nel Salernitano. - 25 — tasia » (10), durò fino all’anno 1891 in cui Bassani [7] ascrisse al Trias superiore ( Nerico) i livelli ittiolitici di M. Pettine, in base ad una più rigorosa datazione dei pesci fossili in essi contenuti, confortata dal rinvenimento di molluschi di indubbio valore stratigrafico (11). Sulla base di questo risultato, confermato da reperti paleonto¬ logici sempre più numerosi dagli studi posteriori [8, 9, 40, 49, 50, 51] numerosi affioramenti triassici poterono essere segnalati in tempo piut¬ tosto breve anche al di fuori della zona da noi presa in esame. I terreni concorrenti a formare l’impalcatura dei monti Lattari e della parte settentrionale del Salernitano furono considerati d’allora costituire due complessi ben determinati : uno prevalentemente dolo¬ mitico di età triassica, Taltro, più potente, calcareo-dolomitico, intera¬ mente Cretacico e trasgressivo sul precedente [5, 10, 14, 15, 20-23, 35-37, 68]. (10) Bose E. (1896) [14] a proposito di alcune ellipsactiniae rinvenute dal De Amicis [32, 33], dice: «De Amicis cita nella parte inferiore del monte (M. Castello, presso Cava dei Tirreni) Chemnitia, Lucina , Mytilus ed Avicula; sopra vengono , egli dice, calcari con ellipsactiniae seguiti da calcari a rudisti che sono in alto coronati da coralli. Questo profilo è pura fantasia... in verità da per tutto in questo Monte Castello si trovano fossili delV H auptdolomit , le rudiste e le ellipsac¬ tiniae menzionate dal De Amicis non sono forse altro che strutture ad evinospongia che s'incontrano a volte anche qui. Ancora a proposito del De Amicis, in Canavari M. (1893) [17] si legge : « ...oltre che nelle località conosciute (Corpo di Cava) egli disse di aver trovato ellipscatinidi al Castello di Cava , al M. Pertuso, ai M. Stella, nei pressi di Giffoni Vallepiana , al disopra del Villaggio delle creste ed al M. Pettine. In tutte queste località i Calcari ad ellipsactiniae sono sottoposti a calcari con rudiste ( Radioliti e Sphaeroliti ) ». Canavari quindi escludendo che, almeno per gli esemplari da lui esaminati possa trattarsi di ellipsactinidi, così conclude: « ... manca difatti nelle sezioni micrsocopiche eseguite in tutte le direzioni la caratteristica struttura di esse ». Riguardo poi alle rudiste rinvenute da De Amicis al M. Pettine Galdieri A. (1908) [51] scrive: «...cerio però non sono cretacei " i calcari a rudiste" che, secondo il De Amicis "formano la cima del M. Pettine (950 m. sul mare)". Nè a M. Pettine ( m. 1045), nè alla vicina cima alta 950 m. nè nei dintorni vi sono calcari a rudiste : La cima del Pettine è di dolomia stratificata chiara ; quella vicina di 950 m. di dolomia stratificata oscura ». Anche il rinvenimento da parte di Puggaard (1857) [85] di ippuriti nella dolomia bianca della valle di Tramonti non è da prendere in considerazione, essendo quelle dolomie sottoposte stratigraficamente ad un potente complesso calcareo- dolomitico nella cui parte superiore abbondano resti di organismi sicuramente liassici ( Paleodasycladus mediterraneus, Orhitopsella praecursor . etc.). (11) Di Matteo V. (1892) [39], ignorando forse la comunicazione di Bassani, nella sua Nota sui giacimenti di combustibili fossili del'Italia meridionale, attribuisce al Lias i terreni dolomitici della zona di M. Pettine in base alla datazione di Egerton. 26 Solo pochi [50, 51, 79, 96] si espressero dubitativamente sulla esistenza di una così ampia lacuna. Fra questi va ricordato sopratutto Galdieri perchè Punico a ritenere probabile la presenza di piani immediatamente successivi a quelli del Trias in base a considerazioni paleontologiche (12). Solo recentemente, fra i terreni del Mesozoico medio, il Lias è stato riconosciuto in alcuni punti della zona da noi presa in esame da Scarsella [98] in base al ritrovamento di livelli con facies a ì /il li io¬ ti s ; in nessun conto sono infatti da tenere le precedenti attribuzioni non avvalorate da alcun dato paleontologico o basate su errate inter¬ pretazioni di resti fossili o, peggio ancora, su strutture ritenute erro¬ neamente resti organici. § 3. Cenni stratigrafici e paleontologici. 1 terreni del Mesozoico medio costituiscono una potente pila sedi¬ mentaria dello spessore di circa 1.700 metri, apparentemente priva di lacune stratigrafiche e formata per lo più da calcari, dolomie e calcari dolomitici in alternanza irregolare e con passaggi laterali non infre¬ quenti dall’una all’altra facies litologica. Questa successione di strati il cui spessore, compreso general¬ mente tra i trenta e i cento centimetri, varia per lo più tra i sessanta e gli ottanta centimetri, forma perciò un unico grande complesso calcareo-dolomitico in cui solo la presenza di particolari faunizone e florizone permette ai geologi rilevatori di inquadrarne le singole porzioni nella esatta posizione stratigrafica (13). (12) Quest’Autore, riferendosi a più località (Capri. Parco di Mercato S. Seve¬ rino ; Pizzo Acuto di Nocera), dove affiorano in realtà terreni liassici, scriveva : « ...questo calcare d' ordinario e grigio, compatto, quasi ceroide , ha sovente struttura colitica con cemento cristallino incolore , e presenta spesso jsosili però spatizzati e di isolamento pressoché impossibile... viene implicitamente incluso nel Cretaceo. Però che sia Cretaceo mentre me lo confermerebbero delle Nerinee da me rinveiutevi, le quali sembrano affini ad altre cretacee, d’altra parte me ne fanno fortemente dubitare delle sezioni di bivalvi a guscio sottile, cuoriformi, che si direbbero dei megalodonti, e che accennerebbero al Lias ». (13) Non sono, generalmente, indicativi di una determinata posizione nella serie stratigrafica : a) La frequenza delle intercalazioni degli strati dolomitici e calcareo dolo¬ mitici in quelli calcarei. b) Il colore e lo spessore degli strati. - 27 — Il Lias è costituito prevalentemente da calcari detritici più o meno dolomitici e dolomie con scarsi resti organici nella parte infe¬ riore, e da calcari per lo più detritici frequentemente con concrezioni rotondeggianti ( tav. I), ricchi di fossili ( alghe, foraminiferi, molluschi) in quella mediana. Dai livelli inferiori del Lias superiore fino a quelli del Maini, la successione stratigrafica risulta costituita prevalente¬ mente, nella parte inferiore, da dolomie e calcari grigi, a grana fine, detritici o oolitici ; in quella superiore da calcari grigi e grigio-scuri, a grana fine e detritici, ricchi di fossili ( Cladocoropsis , Clypeina , Va- ginella ) nella parte alta. La ricostruzione del l 'intera serie stratigrafica liassico giurese si è potuta effettuare grazie alle numerose zone biologiche presenti in essa, alcune delle quali, come già detto, sono facilmente riconoscibili in campagna. Queste ultime, unitamente al ricorrere in un tratto della serie di livelli oolitici, permettono la suddivisione dell’intero sistema in complessi minori tra cui, procedendo dai livelli più antichi verso quelli meno antichi, hanno particolare importanza i seguenti : Complesso sottostante la zona a Paleodasycladus mediterraneus. Zona a Paleodasycladus mediterraneus (14). Complesso con livelli oolitici. Zona a Pfenderina neocomiensis. Zona a Cladocoropsis mirahilis. Complesso con intercalazioni silicifere. Zona a Clypeina jurassica. Zona a Vaginella striata. § 4. Complesso sottostante la zona a Paleodasycladus medi- TERRANEUS. Comprendiamo in questo complesso tutti i terreni delimitati in¬ feriormente dalle dolomie bianche criptocristalline, per lo più con tracce di stratificazione scarse o mancanti ascritte generalmente al trias superiore [22] ; e superiormente dai primi livelli a Paleodasycladus mediterraneus. Notiamo esplicitamente come l’età della parte inferiore sia pur- (14) La zona a Paleodasycladus mediterraneus (PIA) istituita da Sartgni S, e Crescenti U. [97] nel Lias delLAppennino meridionale di facies neritica e bio- stromale comprende secondo gli autori citati tutto il Lias medio e parte del Lias inferiore e superiore. — 28 — troppo imprecisabile. Non sappiamo infatti, data la quasi assoluta mancanza di fossili, se il Trias sia presente anche sopra la dolomia bianca ed, in tal caso, per quanto vi si estenda. Questo complesso limitato quindi superiormente da una zona bio¬ logica, facilmente riconoscibile in campagna, e inferiormente da ter¬ reni nettamente diversi da quelli che lo costituiscono, è formato da circa 500 metri di sedimenti marini nei quali procedendo dai livelli più antichi verso quelli meno antichi si riscontra un grado di dolo¬ mitizzazione via via minore ed un crescente arricchimento di resti organici. Questi ultimi, per quanto si è potuto fin’ora osservare, risul¬ tano costituiti per lo più da foraminiferi arenacei, alghe e talora pic¬ coli gasteropodi. Al versante sud-orientale del Monte S. Angelo di Cava (Tavoletta Nocera Inferiore), dove questo complesso è interamente presente, ne abbiamo osservata la seguente successione stratigrafica durante la campionatura di una serie lungo il costone compreso tra la quota 375 (alla testata di Vallone Contrappone) e la quota 932 (circa 1000 metri ad Est della cima del monte) ( fig. 2): a) Dolomie biancastre o grigio chiare generalmente detritiche, frequentemente conglomeratiche, qualche volta pisolitiche, passanti spesso a calcari fortemente dolomitici, generalmente prive di resti organici. b) Calcari più o meno dolomitici, talora con strati di dolomia intercalati, di colore grigio chiaro traente spesso al rosato, per lo più detriti, spesso con mosche di calcite disposte parallelamente alla stratificazione si da dar luogo ad una distinta straterelaltura. I resti organici sono rari e costituiti da gasteropodi, foraminiferi (in preva¬ lenza Valvulinidae), alghe ( Thaum atop or ella e codiacee) ed Aeolisac- cus dunningtoni . c) Calcari generalmente grigi per lo più detritici, talora pseu- doolitici, e dolomie specie nella parte inferiore, talora conglomeratiche. Fauna discretamente rappresentata da molluschi (gasteropodi e rari lamellibranchi), foraminiferi (in prevalenza Valvulinidae e Textula- ridae ), alghe ( Thaumato por ella, rare dasicladacee e codiacee) ed Aeolisaccus dunningtoni. (15) Non è, naturalmente, un indice della zona a Paleodasycladus , come delle altre zone che descriveremo, il colore della roccia. Altrove infatti (M. Aurunci, Matese, etc„) esso assume tonalità diverse (nocciola, avana, talora biancastro). — 29 — a KJ th "§ O a d. J facies a Liffiioh's ^ subzona ad Orbibopse/fa praecursor f iq-2 Colonna sbralig rabica desunta da Una serie sbrabig reifica campi ornata, al M ■ S. Angelo di Cava ( focena Jnfenore J. ( Spi egazione net Cesto ) (?>\©2 r livelli a gasteropodi c livelli a gasteropodi e la me II /'branchi ©4 - livelli a braefìiopodi - Concrezioni rotondeggianti j dolo mia de! Trias dolomie stratificale j dolomie stratificate g rosso/ana- mente detritiche o congomeratiche f ^ calcari dolomiti 'r9T*rsu. ^JJLe£lLE n=n: calcari con stratere/tf argit/o- mar no Si intercalati Cab can oa//nc7 li tic i Calcari _ \~ScaJa~de//è~f7~t 100 m - 20 mm - 30 — § 5. Zona a Paleodasycladus mediterraneus (PIA), La zona a Paleodasycladus mediterraneus ( PIA) comprende una successione stratigrafica formata prevalentemente da calcari grigi (15) generalmente detritici, spesso pseudoolitici cui si possono intercalare livelli dolomitici e, nella parte superiore, piccoli livelli argillo-marnosi grigio-verdastri. L’analisi paleontologica e la stessa litofacies concor¬ dano nel farceli ritenere sedimenti della zona neritica. I resti orga¬ nici ( tavv. I, II e V) sono infatti costituiti da molluschi per lo più a guscio spesso ( gasteropodi e lamellibranchi) ; scarsi ostracodi. radiolari e radioli d’echinoidi. I foraminiferi, quasi esclusivamente a guscio are¬ naceo, sono numerosi ; i generi più diffusi appartengono alle famiglie delle V alvulinidae , Textulariidae . Trochamminidae , Ammodiscidae (numerose Glomospira ), Lituolidae ( P scudo cy da ni m ina. Ammobaculi- tes , Haurania , O rbitop sella) ; per quanto rari, sono pure presenti esem¬ plari appartenenti alle famiglie delle Miliolidae. O phthalmidiidae ( Vidalina mar tana ). Rotaliidae ( Trocholina ). Le alghe, pure, sono numerose e rappresentate per lo più da Thaumato por ella parvovesiculifera . Dasycladaceae e Codiacene . Fra gli organismi incertae saedis è quasi sempre presente Aeoli- saccus dunningtoni. Paleodasycladus mediterraneus (Tavv. Il e III) risulta tra i fos¬ sili elencati, quasi sempre presente e spesso in gran numero. Facile ne è il suo riconoscimento macroscopico dando le sue sezioni da tra¬ sversali ad assiali caratteristiche figure da circolari a subcilindriche. A partire dalla subzona ad Orbitopsella praecursor (16), presente, nella regione da noi presa in esame, nella parte alta della zona a Paleodasycladus mediterraneus , si riscontra sino alla fine della zona un incremento tanto rigoglioso della vita floristica e faunistica come solo successivamente si potrà riscontrare, per quanto in misura minore, nel Maini. Un indice di questa fioritura di forme è rappresentato dalla stessa esplosione di Orbitopsella [59, 66, 70, 71] le cui forme micro- sferiche, (Tavv. IV e V), sempre associate alle macrosferiche (Tavv. V e VI), sono facilmente individuabili specialmente a causa delle tipiche (16) La subzona ad Orbitopsella praecursor ( Gl M bel), facente parte della zona a Paleodasycladus , è stata istituita da Sartoni S. e Crescenti U. [97]. Il tetto di questa subzona dovrebbe, secondo gli autori citati, indicare il limite Lias medio - Lias superiore. — Bi¬ sezioni assiali a manubrio sulla superficie della roccia esposta alla degradazione. Con una ricchezza ancor maggiore di resti fossili, si sovrappon¬ gono alla parte superiore di questa subzona estendendosi sino all’estin- guersi del Paleodasycladus i calcari grigi della facies a Lithiotis (17). Questa facies, tanto diffusa nel Veneto e nel Trentino meridionale, segnalata per la prima volta nelTAppennino da Scarsella [98], si è rivelata, per la facilità con cui è riconoscibile, di grande aiuto ai rile¬ vatori sul terreno. Non crediamo perciò superfluo illustrarne a parte, nel paragrafo seguente, i caratteri di campagna più salienti. § 6. La facies a Lithiotis. Tenendo presente che nelTAppennino meridionale Orbitopsella praecursor è presente nel Lias inferiore - medio ; considerando inoltre che, come già precedentemente si è detto, nella zona da noi presa in esame questo lituolide compare prima dei primi livelli della facies a Lithiotis i quali terminano coll’estinguersi di Paleodasycladus medi- terraneus , si può concludere che la facies a Lithiotis caratterizza nella zona in esame, una parte del Lias medio e la parte più bassa del Lias superiore. Questa facies rappresentante uno dei caratteri più distintivi del Lias delle nostre regioni attrae subito l’attenzione a causa dell’abbon¬ danza dei gusci di lamellibranchi e gasteropodi presenti nei suoi li¬ velli, delle loro dimensioni talora notevoli, della varietà delle forme dei primi. Fra i lamellibranchi, formanti spesso delle vere lumachelle (tav. VII, fig. 1; Tav. IX), sono particolarmente numerosi gli ostreidi ed i megalodontidi ; di questi è possibile riuscire ad isolare da alcuni livelli argillo-marnosi esemplari discretamente ben conservati riferibili ai generi Ostrea e Megalodon ( tav. XI). Pure se associazioni costituite da lamellibranchi, gasteropodi ed alghe possono ricorrere in formazioni di qualsiasi età, ciò che rende inconfondibile questa facies è l’aspetto particolare che le conferiscono. (17) Notiamo esplicitamente che, come già accennato da Scarsella F. [98], con facies a Lithiotis non si vogliono indicare dei livelli in cui è frequentemente presente il genere Lithiotis ma dei fossili il cui modo di presentarsi in campagna è molto simile a quello dei calcari a Lithiotis del Veneto e del Trentino meridionale. - 32 — facendo anche astrazione dalle figure inequivocabili dovute a Paleoda- sycladus ed Orbitop sella, alcuni dei lamellibranchi in essa presenti. Le più indicative, appartenenti probabilmente ad ostreidi, si presen¬ tano sulle testate degli strati come due nastri appaiati pressoché retti¬ linei (Tav. VII, figg. 1-3) o alquanto sinuosi (Tav. VII, fig. 1; Tav. Vili, figg. 1 e 2) separati da una intercapedine generalmente sottile. Essi superano talora anche i trenta centimetri e sono disposti subpa¬ rallelamente alla stratificazione. Altre figure caratteristiche sono quelle messe in evidenza sulle testate degli strati dai cardini degli Opisoma (Tav. XIII, fig. 3) e da altri resti organici disposti perpendicolarmente alla stratificazione e ricordanti il modo di fissarsi sul fondo delle Pinna (Tav. XIII, fig. 4). Fra i fossili della facies a Lithiotis ho potuto riscontrare la pre¬ senza della stessa Lithiotis problematica Gumbel [12. 13, 38. 57, 90. 105] di cui son riuscito ad isolare frammenti di numerosi esemplari (Tav. X). La forma e la struttura interna sono analoghe a quelle raf¬ figurate da De Zigno A. [38]. In base ai resti organici a disposizione, infatti, si può dedurre almeno per la porzione maggiore del fossile una forma cilindrica più o meno considerevolmente appiattita, cava internamente ed a sezione trasversale ellittica schiacciata o piano¬ convessa (Tav. X, figg. 4, 5). Una delle facce, quella a minore curva¬ tura, porta longitudinalmente, nella parte centrale piana, una serie di coste separate da solchi (Tav. X, figg. I e 6). Questa fascia centrale separa due fasce laterali più piccole, inclinate ed interessate da una specie di rughe subparallele formanti un angolo di circa 25° colle coste longitudinali. L'altra faccia è in genere regolarmente convessa (Tav. X, fig. 2); su di un frammento ben conservato ho potuto osser¬ vare che essa presenta lateralmente delle rughe oblique in prosecu- cuzione di quelle che ornano la prima faccia (Tav. X, figg. 2 e 3). Sulle testate degli strati questi organismi possono, a prima vista, ricordare il modo di presentarsi delle rudiste ( Tav. VII, fig. 4) e non escludiamo che possano essere state scambiate con esse (18). (18) Alle presunte ellipsactiniae e rudiste del De Amicis [32, 33] potrebbero verosimilmente corrispondere rispettivamente le Evinospongia o i calcari con con¬ crezioni del Lias e calcari con Lithiotis problematica. — 33 — § 7. Complesso con livelli oolitici. Limitato, con buona approssimazione, inferiormente dalla facies a Lithìotìs e superiormente da un piccolo complesso prevalentemente calcareo contenente nella parte alta la zona a Pfenderina neoco- miensis trovasi, per spessore notevole un complesso calcareo dolomi¬ tico di circa 390 m. di potenza contente, per lo più saltuariamente, intercalazioni di livelli oolitici (Tav. XII, figg. 1 e 2). Questo complesso non presenta per quanto fin’ora mi risulta, livelli tali da esser consi¬ derati sul terreno come livelli di riferimento. Se si fa eccezione di una zona ad abbondanti dasycladacee e talora piccoli coralli nella sua parte superiore (Tav. XIII), si può affermare che all’exploit vitale corrispondente alla parte superiore della zona a Paleodasycladus suc¬ ceda un impoverimento qualitativo e quantitativo delle specie che perdurerà fino al Maini. I resti organici sono da attribuire per lo più a gasteropodi e lamellibranchi di piccole dimensioni, ostracodi. crostacei (coproliti), foraminiferi ( textularidi, valvulinidi, più raramente lituolidi), alghe (predominano le codiacee, nella parte inferiore; le dasycladacee in quella superiore; quasi sempre presente Thaumato por ella parvove- siculifera ed Aeolisaccus dunningtoni. La successione stratigrafica di questo complesso, quale l’abbiamo osservata nella zona « I Cannati » (tavoletta Positano) lungo un per¬ corso congiungente il ponte di quota 144 (200 m. NW dell’Ostello dei Galli) con la quota 798 (circa 500 metri W di Grotta Biscotto) ri¬ sulta la seguente : a) Dolomie grigio chiare. b) Calcari grigio scuri con piccoli livelli argillo marnosi inter¬ calati. c) Calcari grigi oolitici e pseudoolitici. Lo spessore di a, ò, c è complessivamente di circa 30 metri. d) Calcari grigi più o meno scuri, generalmente detritici con qualche intercalazione di dolomia nella parte alta. Circa 50 metri di spessore. e) Dolomie grigie o gialliccie con alternanze di calcari dolo¬ mitici e calcari generalmente grigi, talora grigio scuri o avana, con qualche strato congloineratico nella parte alta, per lo più detritici, spesso oolitici o pseudoolitici. Nella parte superiore di questo tratto Co rrt/>/esso Con It'uefft ooh'h cr — 34 — raggiungono un notevole sviluppo le dasyeladacee (tav. XIII). Circa 230 metri di spessore. /) Calcari grigi, talora grigio scuri, spesso detritrici, pseudooli- tici o colitici, con qualche intercalazione di dolomia. Circa 75 metri di spessore. § 8. Zona a Pfenderina neocomiensis. L'itinerario precedente ( Serie « I Cannati ») termina con la se¬ guente successione stratigrafica, dello spessore di circa 90 metri, non facente, secondo noi, parte del complesso con livelli oolitici : g) Calcari grigi, talora grigio scuri, spesso detritici, con un li¬ vello a terebratulidi nella parte alta. Saltuarie le intercalazioni di dolomia. La microfacies mette in evidenza gasteropodi, lamellibranchi, radioli d’echinoidi, ostracodi, alghe (codiacee, dasyeladacee, Thau- matoporella ), formaniferi. Questi ultimi sono prevalentemente costi¬ tuiti da textularidi e valvulinidi cui si associano nella parte alta del complesso (zona a Pfenderina neocomiensis) spongiomorfidi, esaco- ralli, altri foraminiferi tra cui rari miliolidi, Trocholina , Pfenderina neocomiensis , Pfenderina trochoidea [101] (tav. XIV, fig. 1) e grossi valvulinidi alcuni dei quali presentano delle somiglianze con Dukhania. § 9. Zona a Cladocoropsis mirabilis Felix. Questa zona immediatamente sovrapposta alla zona a Pfenderina è costituita da calcari lievemente detritici, talora marnosi, il cui co¬ lore varia in alcuni luoghi dal grigio scuro fino al nero, in altri dal grigio chiaro all’avana. Essi contengono molto frequentemente resti tanto abbondanti di Cladocoropsis mirabilis (19) (tav. XIV, fig. 2; (19) Cladocoropsis mirabilis istituita da Felix J. [47] nel 1906, come ge¬ nere e specie nuovi, su materiali del Giura superiore (Renz C. 1926 [91]; Renz 0., 1931 [94]) della Dalmazia, è stata attribuita dalla maggior parte degli autori ai celenterati. Essa è stata considerata un idrozoo, senza ulteriori precisazioni da Yabe H., 1946 [114] ed. anche se con riserva da Flugel E. e Sy E., 1960 [48]; uno spongio- morfide da Felix J., 1906 [47] e Renz C. e Reichel M., 1948 [93]; un tabulato da Pfender J ., 1937 [80] ; uno stromatoporide da Hudson R. G. S., 1953 [64] e Radoicic R., 1957 [86]; un’alga da Hill D, e Wells J. W., 1956 [62]. Cladocoropsis mirabilis fu identificata erroneamente nel 1926 da Renz C. [91] 36 - Tav. XV) da costituire delle biostrome. Sullo spessore di questa zona non abbiamo dati precisi non essendoci stato possibile catnpionare serie stratigraficbe che la abbracciassero interamente. Le serie cam- pionate infatti, una delle quali è illustrata al paragrafo seguente, ini¬ ziano già con calcari a Cladocoropsis. Lo spessore di questa zona non dovrebbe, comunque, essere inferiore ad una sei Iantina di metri. I cal¬ coli Lovcenipora vinassai istituita nel 1902 da Giattini G. B. [54], come genere e specie nuovi, su materiali del Trias superiore del Montenegro. Quest’ultima specie è pure abbastanza diffusa nel Trias superiore dellTridonesia a Timor (Vinassa da Regny P., 1915 [108]), Gerani ( Wanner J., 1907 e 1952 [112, 113]; Van Der Sluis J. P., 1950 [107] e Boeroe (Gerih H.. 1910 [53]). La presunta identità di queste due specie di diversa posizione stratigrafica ha causato per circa venti anni (1926-1946) vari errori tra cui: Indicare nella letteratura i calcari a Cladocoropsis come calori a Lovcenipora vinassai (Renz C., 1926 [91]; Leupold W. e Maync W., 1935 [69] ;Dubertret L., 1937 [42]; Pfender J., 1937 L80] ; Heybroek F., 1942 [61]). Ritenere erroneamente giurassici i terreni triassici a Lovcenipora del Montenegro (Renz C., 1926 [91]; Leupold W. e Maync W., 1935 [69]) e dellTndonesia (Renz C., 1926 [91]). Assegnare al genere Lovcenipora , erroneamente identificalo con Cladocoropsis, una distribuzione stratigrafie a, avendo istituito Simionescu I., 1926 [100] Lovcenipora dobrogiaca nel Cretacico inferiore di Romania, estendentesi dal Trias superiore al Cretacico inferiore (Simionescu I., 1926 [100]; Kutassy A., 1935 [67]). Lo stesso errore di Renz C. nel mettere in sinonimia Cladocoropsis mirabilis e Lovcenipora vinassai fu a sua volta causato dai seguenti fatti : - L’avere Vinassa de Regny P. nel 1925 [109] assegnato erroneamente le Cla¬ docoropsis mirabilis del Giura superiore di Sumatra (Tabe LL, 1946 [114]) ad una nuova forma (forma clavata) di Lovcenipora vinassai e ritenerla, come tutte le Lovcenipora sino ad allora note, del Trias superiore. — Nell’avere Renz C. mostrato le Cladocoropsis del Giura greco a Vinassa de Regny P. (Renz C., 1926 e 1930 [91. 92]) ed a Felix J. (Renz C., 1930 [92]). Avendo riconosciuto in esse, logicamente il primo le forme clavata di Lovcenipora di Sumatra, ed il secondo il genere da lui istituito nel 1906. Renz C. fu indotto a stabilirne la sinonimia e supporre perciò per i due generi la medesima ricorrenza stratigrafica nel Giura superiore (Renz C., 1926 [91]). Solo nel 1946 Yabe H. [114], esaminando i materiali originali di Musper K.A.F. R., 1934 [75], riconosceva nei campioni a Lovnicepora vinassai forma clavata di Sumatra la specie Cladocoropsis mirabilis. L’autore giapponese giungeva così alla chiarificazione di un equivoco su cui già nel 1927 assieme a Toyama S. [116] aveva fatto luce affermando la diversità generica e la diversa distribuzione stratigrafica di Cladocoropsis mirabilis e le speci di Lovcenipora. in esse comprendendo però, erro¬ neamente, anche Lovcenipora vinassai forma clavata (Yabe H., 1946 [114]. — 37 — cari a Cladocoropsis diffusi nel Malm della Tetide (20) costituiscono nella zona da noi presa in esame un complesso facilmente individua¬ bile sul terreno per via delle dimensioni dei suoi fossili caratteristici. Sulla superficie della roccia esposta agli agenti atmosferici, infatti, spiccano, oltre che per esserne lievemente rilevati anche per il colore biancastro, i contorni circolari od ellittici delle sezioni trasversali (comprese in genere tra i tre e i cinque mm.) ed obhlique dei fossili, i quali nelle sezioni longitudinali, che ho riscontrato lunghe sino a sei cm., si presentano come dei nastri più o meno lievemente sinuosi. Gli altri resti organici di questa biozona, messi in evidenza dallo studio delle microfacies, sono costituiti prevalentemente da foramini- feri ; subordinatamente da alghe ( T hauinato por ella e dasycladacee), ostracodi, idrozoi ed Aeolisaccus dunningtoni ; occasionalmente da ga¬ steropodi, lamellibranchi, spicole di spugna e radiolari. Tra i foraminiferi sono abbondanti Textulariidae e Valvulinidae spesso di notevoli dimensioni, alcune delle quali presentano delle so- (20) 1 calcari a Cladocoropsis sono diffusi in tutto il bacino del Mediterraneo e presenti anche nel golfo persico, Giappone e Indonesia. Essi sono stati, infatti, segnalati in Dalmazia da (Felix J., 1906 [47]), Albania, Francia (citazione in Hudson R. G. S., 1953 [64]), Spagna (citazione in Renz C. e Reichel M., 1948 [93]), Svizzera (Renz O.. 1931 [94], Leupold W. Maync W., 1935 [69]), Montenegro (Radoicic R., 1957 [86, 87]), Grecia. Creta, Cipro (Renz C. e Reichel M., 1948 [93]), Siria (Renz C. e Reichel M., 1948 [93]; Dubertret L., 1937 [42]; Pfender j.. 1937 [80]; Heybroek F., 1942 [61]), Oman, Qatar (Hudson R. G. S., 1953 [64]), Giappone (Yabe H. e Toyama S., 1927 [116]; Yabe H. e Sugiyama T., 1935 [115]; Hanzawa S., 1961 [58]) e Sumatra (Yabe H., 1946 [114]. Dallo scrivente [34] e dal dott. Sgrosso I. [99], che ha sull’estensione dei calcari a Cladocoropsis nelle nostre zone, una nota in corso di compilazione, vengono ora segnalati per la prima volta in Italia. L’età assegnata dai singoli autori ai calcari a Cladocoropsis, compresa per lo più tra l’Oxfordiano ed il Kimmeridgiano, non ha mai superato i limiti del Giura superiore. Renz C. e Reichel M. [93], in particolare, in accordo con la datazione di Heybroek F. [61] dei livelli del Libano, attribuiscono quelli del bacino del Medi- terraneo al Kimmeridgiano. Hudson R. G. S., 1953 [64] assegna al Kimmeridgiano inferiore tutti i calcari a Cladocoropsis della Tetide. Radoicic R., 1957 [86] attribuisce quelli del Montenegro all’Oxfordiano superiore - Kimmeridgiano inferiore. Hanzawa S., 1961 [58] cita quelli del Giappone nel- l’Oxfordiano - Kimmeridgiano. — 38 — miglianze con Dukhania. Le Pfenderinidae sono ben rappresentate dal genere Kurnubia (21) (Tav. XII, figg. 3, 4). Risultano rare le forme appartenenti alle famiglie delle Milio- lidae , Ophthalmidiidae ed Ammodiscidae. § 10. Zona a Clypeina jurassica Favre. La zona a Clypeina jurassica è costituita prevalentemente da cal¬ cari grigi per lo più a grana fine, meno spesso detritici. In questi ul¬ timi si riscontra frequentemente una dissoluzione parziale o totale dei detriti e dei resti organici, la quale può, a prima vista, indurre a ritenere il sedimento a grana fine. Lo spessore di questa florizona non è definibile con esattezza proprio in via dell’accennate dissoluzioni. Comunque lo spessore de¬ dotto da una serie stratigrafica, che illustreremo tra poco, è di circa 60 metri. Le Clypeina costituiscono in alcuni livelli i resti fossili più dif¬ fusi (Tavv. XVII e XVIII) e talora quasi esclusivi. Queste sifonee verticillate, i cui verticilli interi o in frammenti sono talora visibili anche senza ausilio di lente sulla superficie della roccia, sono da attri¬ buire alla specie jurassica e per la forma generale delle umbelle e per il numero delle logge delle catene sporangiche aperte. Le umbelle infatti sono discoidi o a forma di canestro molto svasato ; le catene sporangiche lasciano per lo più contare un numero di logge inferiore a sette. I resti fossili associati a Clypeina sono costituiti da foraminiferi arenacei ( Textularidae , Valvulinidae ), ostracodi, Aeolisaccus dun- nigtoni ed alghe ( Thaumatoporella parvovesiculifera e rare dasy- cladacee). Dei campioni provenienti dalla tavoletta Nocera Inferiore ci hanno permesso di accertare che a Clypeina jurassica si può accom¬ pagnare Kurnubia . Siamo però del parere che questo foraminifero possa esser ben rapresentato solo nella parte inferiore della zona e (21) Cx si riferisce alla classificazione di Smout A. H. e Sugden W. [101], secondo cui sono da attribuire al genere Kurnubia Henson come da loro emendato anche le specie Valvulinelta jurasscia e V. wellingsi istituite da Henson [74] nel 1948 - 39 mancare, o al più essere solo occasionalmente presente, in quella superiore. Serie stratigrafica di Madonna del Carmine ( tav . Mercato S. Severino). Questa serie ( fig. 4), dello spessore complessivo di circa 400 metri è stata campionata ad ovest di Madonna del Carmine (quadretto 75-17) lungo un itinerario ad andamento meridiano congiungente i punti di quota 160 e 380 (quote non rappresentate sulla carta ma dedotte dalle curve di livello). Il percorso, tranne che nella parte iniziale, è relati¬ vamente indisturbato. Dal basso verso Paltò la successione stratigrafica è la seguente : a) Calcari e calcari marnosi avana e grigi, a grana fine e de¬ tritici. I resti organici son costituiti prevalentemente da Cladocoropsis mirabilis ; vi si associano rari resti di lamellibranchi, gasteropodi, ostracodi e spicole di spugna ; numerosi foraminiferi ed alghe ( Thau- matoporella e dasycladacee) ; talora frequente Aeolisaccus dunnigtoni. Lo spessore è di circa 75 metri. b) Calcari generalmente a grana fine, prevalentemente grigi, con intercalazioni di materiale silicifero sfatticcio e alquanto pulve- rulento sulla frattura (22), più frequenti nella parte inferiore e via via diradanti fino a cessare in quella più alta. Nella parte superiore di questo complesso è presente la zona a Clypeina jurassica (circa m. 60 di spessore) di cui si è già parlato. Lo spessore complessivo è di circa 150 metri. c) Zona a Vaginella striata. Circa 170 metri di spessore (vedi paragrafo seguente). (22) La composizione chimica di questi livelli siliciferi relativa ad un campione raccolto a M. Tre Calli (Positano) risulta, espressa in percentuali dei vari ossidi do¬ sati, la seguente : Si02 . 74.15 ALO, . 3.05 Fe203 .......... 0.75 Na20 .......... 2.15 K20 . 1.75 CaO . 9.09 MgO . 1.03 Perdite al fuoco ....... 7.57 Sostanze organiche ....... 0.45 4 io - 40 — -A xt 1 r £ a Kj k lo r'-'J C? • O-) É a K N * | a i c a, O ^ INI Ly V5 4« 8- ?0 O vj N-§ ; S i fig. 4 Colonna shrah (grafie a della sene Madonna, del Carmine ( pendici orientali di M. La Joresta t Tav. Mercato S. Severino). -( Spiegazione ne! lesto) ® Oogoni di Characee Qx ferirne CZZ Calcari Calcari con nodali \ lenti o strati $ ilici feri intercalati Dolomie serali ficaie Scala delle h. ; 100m~ 40 rnrn. - 41 § 11. Zona a Vaginella striata Carozzi (23). La zona a Vaginella striata risulta costituita, per quanto si è po¬ tuto riscontrare nella serie di Madonna del Carmine, da un pacco di dolomie dello spessore di circa 50 metri cui seguono calcari preva¬ lentemente avana per lo più a grana fine, con intercalazioni di do¬ lomia più frequenti nella parte inferiore e via via diradanti verso Paltò. In questo complesso, dello spessore di circa 170 metri, le tana- tocenosi sono alquanto diverse nella parte inferiore - media ed in quella superiore. Parte inferiore e media : Vaginella striata (Tav. XIX), lamellibranchi, gasteropodi, ostra- codi, dasycladacee ( Salpingoporella annulata. Maniera baconica ), co- proliti ( Coprolithus salevensis , C. prusensis , C. sp.) foraminiferi ( Textularidae e Valvulinidae talora di notevoli dimensioni), probabili zoospore. Parte superiore : Ad un piccolo complesso di facies decisamente Purbeckiana con Ostracodi, Valvulinidae , Cbaracee, rare dasycladacee, seguono sedi¬ menti con Vaginella striata , dasycladacee ( Salpingoporella annulata , Acicularia elongota , probabili Munieria ), rari foraminiferi ( Textulari¬ dae , Valvulinidae , Ophthalmidiidae , Miliolidae ), radiolari, ostracodi, lamellibranchi e Nerinee. In merito all’età da attribuire a questa zona, in accordo con Favre J. e Richard A., 1927 [46], Bonze P., 1950 [41], Carozzi (23) La zona a Vaginella striata riposa direttamente sopra la zona a Clypeina jurassica. Non è da escludere perciò che livelli a Vaginella possano essere presenti nella parte superiore di quest’ultima zona ; in tal caso si avrebbe la successione delle seguenti zone biologiche : Zona a Clypeina jurassica, zona a Clypeina jurassica e Vaginella striata, zona a Vaginella striata. Gli organismi che indichiamo con Vaginella striata Carozzi, accettando con riserva l’attribuzione di essi agli pteropodi da parte dell’autore svizzero, furono segna¬ lati per la prima volta nel 1927 da Favre J. e Richard A. [46]. Radoicic R., 1959 [88] attribuisce quest’organismo a tintinnidi di notevoli di¬ mensioni ed illustra in un suo lavoro del 1960 [89] la grande importanza che hanno in Jugoslavia i calcari a grandi tintinnidi come indicatori del passaggio Giurassico- Cretacico ( Valanginiano inferiore di Radoicic R.). - 42 — A., 1954 [18], i quali segnalano Vaginella striata nel Portlandiano Purbeckiano del Giura, siamo dell'avviso che il Portlandiano sia quella più probabile. Con questa attribuzione ben si accorda la com¬ parsa, nella zona a Vaginella , di Salpingoporella annulata , Munieria b aconica , Acicularia elongata , forme riscontile da Carozzi A., 1955 [19] nel Giura superiore del bacino di Ginevra e che sono pre¬ senti anche nel Cretacico. Non escludiamo, comunque, del tutto la possibilità che i livelli più alti di questa zona possano rientrare nel Valanginiano inferiore e costituire l’intera zona, in accordo con Radoicic R., 1960 [89] i ter¬ reni di passaggio dal Giurassico al Cretacico. I livelli a Vaginella. come ci risulta da una serie campionata nella tavoletta Sarno, sono sottoposti ad un complesso calcareo - dolo¬ mitico al quale, tranne che nella parte più bassa dove le microfaune sono molto scarse, i resti organici riccamente rappresentati da Textu- laridae , Miliolidae , grosse Valvulinidae . Cuneolina. Salpingopo¬ rella ,... etc., impartiscono al complesso caratteri decisamente cretacici. § 12. Sull’età delle zone a Peenderina, Cladocoropsis, Clypeina. La datazione delle zone da noi istituite presenta non lievi diffi¬ coltà a causa della mancanza, nella successione stratigrafica che le com¬ prende, di macrofossili e della generalmente ampia distribuzione stra¬ tigrafica della microfauna associata. Le forme più indicative da esse messe in evidenza, sono rappresentate oltre che da quelle indici delle zone anche da Kurnubia , presente, come già si è detto, nella zona a Cladocoropsis ed in parte della zona a Clypeina. Pfenderina neocomiensis , stando al pregevole lavoro di Smout A. H. e Sugden W. [101], è presente in Europa dal Bajociano al Portlan¬ diano. Lo scrivente la ha riscontrata associata a Meyendorffina batlio- nica in livelli compresi tra complessi faunisticamente analoghi a quelli ora considerati, nei Monti Aurunci [34]. La presenza di questa ultima forma considerata, almeno per ora [3, 52, 72], un marker del Bathoniano superiore ci induce a supporre, almeno fino a quando non si avranno notizie più precise, una età analoga per la zona a Pfenderina. Questa supposizione influenza naturalmente la datazione della parte basale della zona a Cladocoropsis , immediatamente sovrastante la cui età potrebbe corrispondere al Calloviano. Verremmo così, ri- — 43 — guardo all’età della zona a Cladocoropsis, a discordare di poco dalla datazione di Hanzawa S. [58] (Oxfordiano - Kimmeridgiano) ma no¬ tevolmente da quella di Renz C. e Reichel M. [93] e Hudson R. G. S. [64] (Kimmeridgiano). Ancora più difficile risulta una precisa datazione del limite supe¬ riore della stessa zona ; in base a quanto ritenuto dagli autori già citati il Kimmeridgiano sembrerebbe l’età più probabile. Alla zona a Clypeina , concordemente a quanto scritto da Ne- viani I. [76], verrebbe a corrispondere un intervallo di tempo ab¬ bi' acci ante il Portlandiano inferiore e probabilmente i livelli più alti del Kimmeridgiano. La distribuzione stratigrafica di Kurnubia non si oppone a queste probabili datazioni e nello stesso tempo non cifornisce nessun aiuto per precisazioni maggiori. Secondo Smout A. H. e Sugden W. [101], infatti, Kurnubia avrebbe in Europa, Sud-Africa e Medio Oriente una distribuzione dall’Oxfordiano al Titonico ; secondo Dufaure P. [43], in Aquitania e Provenza, una distribuzione, convalidata da macro¬ fossili, dal Calloviano al Berriassiano. § 13. Colonna stratigrafica. Nell’area da noi presa in esame, interessata quasi esclusivamente da una tettonica a faglie, la frequenza delle dislocazioni unitamente ad una estesa copertura piroclastica rende quasi sempre difficile la campionatura di serie stratigrafiche di una certa potenza. Questi in¬ convenienti particolarmente sentiti a causa del notevole spessore dei sedimenti giura-liassici sono stati, per quanto possibile superati grazie alla presenza delle illustrate zone biologiche, alcune delle quali facil¬ mente riconoscibili in campagna. La colonna stratigrafica dell’intero mesozoico medio che noi alle¬ ghiamo ( fig. 5) è stata dedotta dallo studio di serie stratigrafiche rac¬ cordabili tra loro grazie alla presenza di ben determinate zone biologiche. Più esattamente : La successione stratigrafica compresa fra le dolomie bianche del Trias e la fine della zona a Paleodasycladus (fi¬ gura 2) ci è fornita dalla serie del Monte S. Angelo di Cava (Tavoletta Nocera Inferiore). La successione compresa tra la zona precedente e la zona a Cla¬ docoropsis (esclusa) (fig. 3) dalla serie «I Cannati» (tavoletta Po- — 44 — sitano); l’intervallo tra Ja zona a Cladocoropsis e la zona a Vaginella striata dalla serie Madonna del Carmine (tav. Mercato S. Severino). Il calcolo degli spessori, valido naturalmente solo in prima ap¬ prossimazione, ha dato per le tre serie e i complessi caratteristici e le zone biologiche in esse comprese, i seguenti valori: Serie del Monte S. Angelo di Cava : m . 800. Complesso sottostante la zona a Paleodasycladus: m. 500. Zona a Paleodasycladus : m. 300. Subzona ad Orbitopsella praecursor: ni. 20 (al massimo m. 35, vedi nota 24). Strati con molluschi della facies a Lithiotis : rii. 45. Serie « / Cannati » : in. 480 Complesso con livelli oolitici : m. 390. Zona a Pfenderina neocomiensis : m. 15. Serie Madonna del Carmine : m. 400 Zona a Cladocoropsis : m. 75. Calcari con intercalazioni silicifere frequenti : m. 55. Zona a Clypeina jurassica : m. 60. Zona a Vaginella striata : m. 170. La prima di queste serie stratigrafiche, essendo stata campionata lungo una monoclinale relativamente indisturbata, è quella che for¬ nisce i dati più attendibili. La seconda e la terza sono state campio- nate lungo percorsi alquanto disturbati rispettivamente nella parte superiore ed in quella più bassa, per cui lo spessore complessivo di circa 1700 metri che noi attribuiamo alla pila di sedimenti compresa tra i terreni del Cretacico inferiore e quelli sicuramente triassici (vedi par. 4) può risentire di inevitabili errori. § 14. Distribuzione dei terreni del Mesozoico medio. I terreni del Mesozoico medio presenti anche in molti altri punti della Campania costituiscono una porzione non trascurabile degli affio- (24) Lo spessore della subzona ad Orbitopsella praecursor dovrebbe essere di una ventina di metri ; se però alcuni frammenti di difficile determinazione rinvenuti in un livello pili basso, dovessero appartenere alla specie citata, lo spessore della subzona assumerebbe il valore di circa trentacinque metri. © (A N E fi .© •NI c: I I I I I I I i < £ i Zona a Vagì nella Zona, a Clgpeino. Iona, a CLaJocoropSi _ -j zona a Ponderino. ^ i facies a Uttiobis | jcbzona ad. ° OrbihopscHa fig 5 Colonna sbrah' grafica dal mesozoico medio desunte, dalle colonne strahgra fiche illustrate nelle fig . 2. 3,4. - 0*, 3 ’ Livelli a gasteropodi a3 Uve Ili a. gasteropodi e lameUibranchi <3 4 Livello Q brachiopodi ( Rinconallidl ) 05 Livelli a frequenti dasgc/adacee @ Livello ad oogoni di charae^t (3* Livello « Nerinte Calcari e C. dolomitici con concrezioni rotondeggianti molto freguenhi I I 1 Calcari d 'etri Liei meno spesso a grana fine , prevalentemente grigi 0 Calcari con s tratcre/h argi/lo- marnosi intercalati 1° g *» 0*1 Calcari oo libici Y/////W///?À\ Calcari marnosi grigio Jean o avana r I 1 Calcari Con intercalazioni sitici fere 1 / I / 1 Calcari dolomitici I ^ I ^~~1 dolomie 5 tr atific ate I ° y^el o A °1 dolomie strati f/cate grossolanamente de tri tic h e | A /y A a ^ 1 TjcJomie Cianche de! Trias Scala, delle, altezze : 10 m. = i rmm — 45 — ramenti mesozoici della zona da noi presa in esame. Tra le località in cui sono presenti citiamo : a) Rilievi che s'affacciano sulla Valle di Nocera costituenti a sud la dorsale M. Chiunsi - M. S. Angelo di Cava, a Nord M. Caruso e le colline tra Pizzo acuto e Castello della Rocca (prevalentemente Lias). b) Rilevi che nella parte orientale della penisola sorrentina guardano i] Mar Tirreno (Dorsale di Ravello e rilievi tra Positano ed Amalfi, Lias-Giura). c) Alle pendici di M. Faito, lungo la strada Pimonte-Agérola ( Giura). d) Colline ad W della valle di Tramonti: Montalto (Lias), Colle della Trinità (Lias), Colle S. Pietro (Giura). e) Ad E della valle di Tramonti: Parte superiore di M. Fi¬ nestra ( Lias). /) Rilievi poco a SW ed a NE di Siano (Lias-Giura). a) Rilievi tra Siano e Mercato S. Severino : collina di S. Mi¬ chele e versante meridionale di M. Salto (Lias-Giura). h) Pendici sud-orientali di M. La Foresta (Giura). Istituto di Geologia de IV Università , Napoli , 20 Marzo 1962. RIASSUNTO Viene segnalata nell’area tra Salerno, Avellino e l’isola di Capri, la presenza del sistema giurassico e di nuovi affioramenti di età liassica. Viene illustrata la successione stratigrafica dell’intero Mesozoico medio com¬ prendente la già nota zona a Paleodasycladus mediterraneus e le altre seguenti zone biologiche : Zona a Pfenderina neoeomiensis , zona a Cladocoropsis mirahilis, zona a Clypeina jurassica , zona a V a ginell a striata. SITMMARY The author marks thè presence of Juiassic and of new liassic exposed sediments in thè area included among Salerno, Avellino and Capri isle. The author explaines thè stratigraphic sequence of thè whole jura-liassic System including thè well known Paleodasycladus mediterraneus zone , and these other following zones : Pfenderina neoeomiensis zone, Cladocoropsis mirahilis zone, Clypeina jurassica zone, Vaginella striata zone. — 46 — BIBLIOGRAFIA [1] Agassiz L. — Enumeration des poissons fossiles d’Italìe. Nuovi Ann. Se. Nat., voi. 4, pp. 244-245 e pp. 325-332. Bologna, 1840. [2] Agassiz L. — Tableau generai des poissons fossiles rangées par terrains. Neu- chàtel, 1844. [3] Atti della VII adunanza degli scienziati italiani tenuta in Napoli dal 20 Settembre al 5 Ottobre 1845, Relazione della corsa ... a Castellammare il giorno 2 Ottobre 1845. Inoltre: Verbale dell’adunanza del giorno 3 Ottobre 1845. [4] Aurouze G. e Bizon J.-J. Rapports et différences des deux genres de foraminiferes : Kilanina Pfender et Meyendorffina n. gen. Revue de Microp., voi. 1, n. 2, pp. 67-74, 1 textfig. e 3 tavv. Paris, 1958. 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Naturai, in Napoli, 1962. Tavola II. Calcare detritico a cemento cristallino a Paleodasycladus mediterraneus. In associa¬ zione : lamellibranchi, gasteropodi, esacoralli, valvulinidi, textularidi. Orbitopsella praecursor . Thaumatoporella parvovesiculifera. T’Ascensione (tav. Nocera Inferiore). Prep.: 420.1; (11,5 x). Lias medio. Boll. Soc. Naturai, in Napoli, 1962. De Castro P., Il Giura-Lias dei monti Lattari - Tav. II. T A VO L A III. Fig, 1. — Calcare detritico a cemento parzialmente cristallino, a Paleodasycladus mediterraneus. Cave di S. Eustachio (tav. Mercato S. Severino). + Prep.: 419.1; (6,5 x ). Lias medio - Lias superiore. Fig. 2. — Calcare detritico a cemento parzialmente cristallino, a Paleodasycladus mediterraneus , T haumatoporella parvovesiculifera , textularidi, valvulinidi. In associazione: Lituolidi e codiacee. M. S. Angelo di Cava (Tav. Nocera Inferiore). Prep.: 422.1 ; (7,5 x ). Lias. Boll. Soe. Naturai, in Napoli, 1962. De Castro P., lì Giura-Lias dei monti Lattari - Tav. III. Tavola IV. Calcare pseudoolitico ad Orhitopsella praecursor. In associazione: Ammodiscidi, textu- laridi. lituolidi, valvulinidi. M. Chiunsi (tav. Noeera Inferiore). Prep.: 753.1 ; (12 x). Lias medio De Castro P., Il Giura-Lias dei monti Lattari - Tav. IV. Boll. Soc, Naturai, in Napoli, 1962, Tavola V. Calcare detritico spesso ad elementi disciolti e cemento talora cristallino, ad Orbi- topsella praecursor. In associazione: textularidi. valvulinidi, lituolidi, aminodi- scidi, Tliaumatoporella parvovesiculifera , frammenti di valve di lamellibranchi. M. Chiunsi (tav. Nocera Inferiore). Prep.: 401.8; (7,75 x ). Lias medio. De Castro P., Il Qiura-Lias dei monti Lattari - Tav. V. Boll. Soc. Naturai, in Napoli, 1962, Tavola VI. Calcare detritico spesso ad elementi disciolti e cemento talora cristallino, ad Orbi- topsella praecursor. In associazione textularidi, valvulinidi, lituolidi, ammodiscidi, Thaumatoporella parvovesiculifera, frammenti di valve di lamellibranchi. M. Chiunsi (tav. Nocera Inferiore). Prep.: 401.13; (15 x ). Boll. Soc. Naturai, in Napoli, 1962. De Castro P., Il Giura-Lias dei monti Lattari - Tav. VI, Riry'Am SJRif’MS' £&JWwx&Sn wm^WwMm MgL*.4r sBpiilr1: * ^dHBg*g^p^ss«laa^»3Ky^^^6g r / ' ■•■*#. vt#«T' .ì§vv wwft&ffi v » %d FW&' ;> v ;« <^c;-'; ;.± - .. pii-'' ’• ■ . . >. ; , v- - * ** -. ' ..*:&■’• ■ •■ < 'V . ; ;,'• •: ' ■ * * i . . > : 5 . : . . : * . . t. j* a. »... * V * : . . «♦ . MB 21 Tavola VII. Calcari grigi della facies a Lithiotis. Lias medio - Lias superiore. Fig. 1. — Resti organici costituiti prevalentemente da lamellibranchi. Cave Costa (tav. Mercato S. Severino); circa 1/6 x ). Fig. 2. Resti organici costituiti prevalentemente da lamellibranchi. Cave Costa (tav. Mercato S. Severino). Fig. 3. Resti organici costituiti prevalentemente da lamellibranchi. Grado (tav. Positano). Fig. 4. Resti organici costituiti prevalentemente da Lithiotis problematica Gumbel. Conca dei Marini (tav. Positano); (circa 1/4 x ). Boll. Soc. Naturai, in Napoli, 1962. De Castro P., Il Giura-Lias dei monti Lattari - Tav. VII. Tavola Vili. Calcari grigi della facies a Lithiotis. Resti organici costituiti prevalentemente da la- mellibranchi. Lias medio - Lias superiore. Figg. 1 e 2. Lamellibranehi (probabili ostreidi). Cave Costa (tav. Mercato S. Severino). Fig. 3. Opisoma s p.; (circa 1/4 x ). Conca dei Marini (Positano). Fig. 4. — Organismi fissantisi verticalmente sul fondo (circa 1/5 x ). Furore (tav. Positano). Boll. Soc. Naturai, in Napoli, 1962. De Castro P., Il Giura-Lias dei monti Lattari - Tav. Vili. Tavola IX. Calcari grigi della facies a Lithiotis con abbondanti resti di lamellibranchi. Marina di Mulo (Isola di Capri). Lias medio - Lias superiore. ( Boll. Soc. Naturai, in Napoli, 1962. De Castro P., Il Giura-Lias dei monti Lattari - Tav. IX. T A VOLA X. Frammenti di Lilhiotis problematica Gumbel. Conca dei Marini (tav. Positano). Lias medio - Lias superiore. Fig. 1. — Faccia pianeggiante con coste centrali longitudinali e rughe marginali oblique. ( 1 x ). Fig. 2. — Faccia convessa con sole rughe oblique marginali. (1 x). Fig. 3. — Veduta laterale mostrante le rughe oblique marginali della faccia convessa, (lx). Fig. 4. — Sezione trasversale. ( 1 x ). Fig. 5. — Frammento illustrante la struttura della sezione Trasversale. (2 x ). Fig. 6. Frammento di Lithiotis problematica Gumbel. (1 x Boll. Soc. Naturai, in Napoli, 1962, De Castro P., Il Giura-Lias dei monti Lattari - Tav. X. Tavola XI. Fossili della facies a Lithiotis. Fig. 1. — Lato esterno (a) ed interno (b) di una valva di Ostrea. ( 1 x ). Fig. 2. — Lato esterno (a) ed interno (b) di una valva di Megalodon. (1 x ). Fig. 3. — Lato esterno (a) ed interno (b) di una valva di Megalodon. ( 1 x ). Vettica Maggiore (Positano). Lias medio ■ Lias superiore. Boll. Soc. Naturai, in Napoli, 1962. De Castro P., Il Giura-Lias dei monti Lattari - Tav. XI. Tavola XIT Fig. 1. Ooliti in cemento parzialmente cristallino. I Cannati (Positano). Prep.: 548.1; (18 x ). Lias superiore - Dogger. Fig. 2. — Ooliti parzialmente dolomitizzate in cemento interamente dolomitiz- zato. I Cannati (tav. Positano). Prep.: 536.1 ; (18 x ). Lias superiore - Dogger. Figg. 3 e 4. — Kurnubia (sezione trasversale ed obliqua). I Cannati (tav. Positano). Prep.: 563.5, 563.7; (circa 50 x ). Calloviano - Kimmeridgiano. Boll. Soe. Naturai, in Napoli, 1962. De Castro P., Il Giura-Lias dei monti Lattari - Tav. XII. T A V 0 L A XIII Calcare minutamente detritico a coralli e dasycladacee. In associazione: Thaumatopo- rella parvovesiculifera, valvulinìdi, textularidi, Aeolisaccus dummingtoni. Case Ciaramello ( tav. Nocera Inferiore). Prep.: 269.1: (6 x ). Lias superiore ■ Dogger. Boll. Soe. Naturai, in Napoli, 1962, De Castro P Il Qiura-Lias dei monti Lattari * Tav, XIII, Tavola XIV. Fig. 1. — Calcare a grana fine con textularidi, valvulinidi, Pfenderina neocomiensis , P. trochoidea (la figura ne mette in evidenza quattro esemplari), grandi valvulinidi, valve di lamellibranchi, spongiomorfidi, esacoralli, Thau- matoporella parvovesiculifera e piccole dasycladacee. I Cannati (tav. Positano). Prep.: 557.3; (16,5 x ). Bathoniano superiore ( ?). Fig. 2. — Calcare a Cladocoropsis , marnoso, grigio scuro, cletritico con elementi e resti organici parzialmente disciolti. In associazione Kurnuhia , textularidi, Thaumatoporella parvovesiculifera, grandi valvulinidi, valve di lamelli¬ branchi. Monte Tre Calli (tav. Positano). Prep.: 560.9; (6,3 x ). Calloviano ■ Kimmeridgiano. Boll. Soc. Naturai, in Napoli, 1962 De Castro P., Il Giura-Lias dei monti Lattari - Tav. XIV, Calcare marnoso, grigio scuro a Cladocoropsis. In associazione : Textularidi, Kurnubia, grandi valvulinidi, valve di lamellibranchi, Thciumatoporella parvovesiculifera. Monte Tre Calli (tav. Positano). Prep. : 560.10; (6,3 x ). Calloviano - Kimmeridgiano. Boll, Soc, Naturai, in Napoli, 1962, De Castro P.. Il Gmra-Lias dei monti Lattari - Tav, XV, Tavola XVI. Calcare a grana fine ad oogoni di characee. Acqua Sambucana (tav. Nocera Inferiore). Prep. : 398.1 ; (12 x ). Maini superiore. Boll. Soe. Naturai, in Napoli, 1962 De Castro P., IL Giura-Lias dei monti Lattari - Tav. XVI Calcare a grana fine a Clypeina jurassica Colle S. Pietro (tav. Noeera Inferiore). Prep.: 421.4; (10 x ). Kimmeridgiano - Portlandiano, Boll. Soc. Naturai, in Napoli, 1962. De Castro P., Il Giura-Lias dei monti Lattari - Tav. XVII. Tavola XVIII. Calcare a grana fine a Clypeina jurassica. In associazione: Rari textularidi e valvu- linidi. Senile (tav. Nocera Inferiore). Prep.: 397.1; (8,7 x ). Kimmeridgiano - Portlandiano. De Castro P., Il Giura-Lias dei monti Lattari - Tav. XVIII, Boll. Soc. Naturai, in Napoli. 1962. Tavola XIX. Calcare molto fratturato a Vagìnella striata. In associazione: Textularidi e Valvulinidi. Madonna del Carmine (Mercato S. Severino). Prep.: 938.1 ; (18 x ). Portlandiano. De Castro P., Il Giura-Lias dei monti Lattari - Tav. XIX, Boll. Soc. Naturai, in Stratigrafia del Mesozoico nel gruppo del Monte Maggiore (Caserta) Nota dei soci BRUNO D’ARGENIO e TULLIO PESCATORE (Tornata del 27 aprile 1 962; Oggetto di queste osservazioni è la parte centrale del gruppo del M.te Maggiore, tra Capua e Dragoni. La bibliografia relativa alla zona rilevata è scarsa e poco ag¬ giornata, se si eccettuano i recenti lavori di Ogniben ( 1957 1958). Tra gli autori precedenti vanno ricordati Montagna (1864), Franco (1885), Bassani (1890), Deecke (1893) e Cassetti (1894), al quale si deve Lunico rilevamento geologico pubblicato (Ufficio Geologico, 1912). Tutti questi autori, però, ad eccezione di Deecke, Cassetti e Ogniben, si sono occupati di argomenti prevalentemente paleon¬ tologici. I. I terreni affioranti nella zona studiata, sono costituiti essenzial¬ mente da una serie mesozoica, calcareo-dolomitica. cui sono sovrap¬ posti, stratigraficamente o tettonicamente, calcari, arenarie e argille del Miocene medio e superiore e lembi residui di argille varicolori alloctone, inglobanti esotici di varia natura ed età (Ogniben, 1957, 1958). I depositi quaternari e recenti sono rappresentati da scarse alluvioni e da una coltre di materiali piroclastici, semicoerenti o coerenti, in parte fluitati dai rilievi a riempire le valli, con spessori anche notevoli. La serie mesozoica, che ha uno spessore valutabile, per la parte affiorante, tra un minimo di 1200 metri ed un massimo presumibil- — 56 — mente non superiore ai 1500 metri, si può così dividere, dall’alto in basso : Cretacico superiore — c - Calcari con ippuriti e radioliti, con inter¬ calazioni dolomitiche nella parte basale ; b - puddinghe a cemento calcareo verde chiaro ; a - ritmiti calcareo-dolomitiche (calcari, calcari dolomitici e dolomie in strati e banchi con fitta stratificazione interna) ; bauxiti — orizzonte stratiforme, quasi continuo, con passaggi laterali a brecce con cemento rosso ; Cretacico inferiore — calcari e calcari dolomitici con diceratidi ; cal¬ cari dolomitici e conglomeratici, dolomie ; Giurassico — Calcari avana, microdetritici e pseudoolitici, con C lypeina. Cladocoropsis nella parte alta (Malm); calcari con- crezionari avana, calcari dolomitici ; Lias — calcari oolitici, pseudoolitici, microdetritici ; calcari a grana fine, di colore avana e grigio chiaro, con livelli rossastri ; con Palaeodasycladus mediterraneus. Orbitopsella praecursor , Lithyo- tis problematica ; dolomie zonate bianche e grigie. Gli affioramenti mesozoici formano monoclinali, in genere rego¬ lari e poco inclinate, in cui è possibile distinguere alcuni livelli¬ guida di notevole importanza stratigrafica e paleogeografica. Molto interessanti per la stratigrafia risultano i monti Puritiello, La Costa, Frattiello, Torre Pizzuta, Pozzillo, Ragazzano e Grande, che costituiscono un’unica dorsale ad andamento appenninico, tra il Volturno e il M.te Maggiore; gli strati hanno direzione quasi nord-sud ed inclinano debolmente verso est. La parte basale della serie (Lias) affiora a M.te Puritiello; man mano che si procede verso sud-est, si incontrano i termini più recenti. Vi sono inoltre delle faglie trasversali, orientate da nord est a sud ovest, che, per essere morfologicamente e strutturalmente poco evidenti, possono indurre a lievi errori stratimetrici. Tuttavia ciò non altera, nel suo complesso, la regolarità di questa monoclinale. IL Lias. La parte basale della serie liassica è costituita da dolomie grigio-chiare, bianche e farinose se tettonizzate, prive di resti orga¬ nici, che fanno graduale passaggio a calcar ben stratificati, micro- — 57 — detritici ed colitici, o a calcari pseudoolitici con rari livelli conglo¬ meratici e interstrati marnosi verdi ( biozona a Palaeodesycladus mediterraneus PIA), Sarto imi e Crescenti, 1960). Nella parte medio-superiore del complesso calcareo a P. medi¬ terraneus si può distinguere la sottozona ad O. praecursor (Sartoni e Crescenti, 1960), che ha uno spessore apparente di circa 90 metri. Con le ultime Orbilo psella compaiono i primi strati con lamelli- branchi spati zza ti. che predi? dono allo sviluppo e all’abbondanza di faune della tipica facies a Lithyotis problematica (Scarsella, 1961; De Castro, 1962), spesso con rinconelle. Spessore: circa 50 metri. A questi sono intercalati livelli conglomeratici rosati e verdastri e calcari rosati. La serie liassica è chiusa da livelli colitici e pseudoolitici. Lo spessore accertato, a partire dalle dolomie affioranti alla base della serie, sembra essere superiore ai 450 metri. Giurassico. Il Dogger e il Malm sono rappresentati da calcari a grana fine, compatti, colitici, microdetritici, o pseudoolitici, con qualche alternanza di livelli dolomitici e conglomeratici verso la base, che, provvisoriamente, in mancanza di dati paleontologici attendibili, sono stati assunti come termini di passaggio al Lias. Verso l’alto affiorano calcari grigi ed avana a concrezioni nodulari, a volte molto abbon¬ danti e di diametro variabile tra il pisolitico e l’avellanare, con rare intercalazioni dolomitiche. Seguono calcari a grana fine, com¬ patti, a frattura concoide, spesso empireumatici alla percussione, di colore marrone chiaro, tendenti al rossiccio, ben stratificati. Gli strati incominciano poi ad aumentare di potenza, i calcari diventano nuovamente oolitici o pseudoolitici con livelli a Clado- coropsis mirabilis Fel (*) e, alquanto più alto, a Clypeina. Lo spessore accertato supera i 250 metri. Cretacico inferiore. Il Cretacico, nella sua parte basale, è dolomitico, con alternanze di calcari e di dolomie, nella cui porzione più alta si rinvengono due o tre strati riccamente fossiliferi con gasteropodi (nerinee) e lamellibranchi (cardidi?). Tra le alternanze di dolomie e calcari dolomitici, si rinvengono (*) Determinazione de! doti. P. De Castro. - 58 — i primi livelli di una lumachella di diceratidi (Requienia? , Tuu- casia?), associati spesso a nerinee; queste lumaciielle costituiscono livelli-guida caratteristici e di sicura posizione stratigrafica. La potenza del Cretacico inferiore, ivi compreso il complesso con diceratidi, è variabile, con un massimo di circa 200-250 metri. La sommità di questa porzione della serie è probabilmente aptiana, e non più recente delLAlbiano. Orizzonte bauxitico. Sulle lumaciielle di requienie (toucasie?) è presente, di regola, un livello bauxitico, che ha un andamento relativamente regolare, con spessori che variano da qualche decimetro a qualche metro. A volte il livello bauxitico passa lateralmente ad una breccia calcarea, con elementi di varie dimensioni, a cemento rosso. Poiché la bauxite indica una fase di continentalità. la variabilità di potenza del complesso a requienie sottostante può mettersi, almeno in parte, in relazione con la diversa entità della erosione verificatasi in questo periodo. Cretacico superiore. Al livello bauxitico seguono in concordanza, con potenza com¬ plessiva massima di circa 150-200 metri, calcari e calcari dolomitici con ippuriti. Oltre alla dorsale cui si è fatto precedentemente cenno, interessanti per la stratigrafia della parte più alta del Cretacico risultano i monti S. Erasmo e Grande, anch’essi strutture mono- clinali ad andamento appenninico, situati a nord-est dei rilievi precedentemente ricordati. In questo complesso a tetto delle bauxiti, si possono distinguere, dal basso in alto : a) Ritmiti calcareo-dolomiticbe ; h) conglomerati ; e) calcari con ippuriti e radioliti e con interstrati dolomitici, a) Ritmiti calcareo-dolomi fiche . È stato indicato con questo termine un complesso di strati di spessore variabile, sovrapposto in concordanza alle bauxiti ; costituito da alternanze di straterelli, di 1-2-4 cm. di spessore, di calcare e di dolomia, di colore da grigio chiaro fino a bianco, alternati a stra- - 59 — terelli grigio scuri. Questa alternanza, messa in evidenza dall’erosione, simula una fissilità che la roccia non possiede. Sul significato di questo termine si ritornerà in altra sede; si può comunque già dire che si tratta di depositi ritmici, di ambiente lagunare o addirittura lacustre. b) Conglomerati . A volte le ritmiti od anche il livello bauxitico sono ricoperti, o lateralmente sostituiti, da conglomerati puddingoidi a cemento verdino e, più raramente, rosato, alternati localmente a calcari micro- detritici e a brecciole ; raramente, alla base dei conglomerati, si rinviene un livello arenaceo rossastro di piccolo spessore. I conglo¬ merati possono poggiare anche sui livelli a diceratidi e fanno rapido passaggio verso l’alto alle biostrome calcaree con ippuriti. c) Calcari con ippuriti . In successione stratigrafica, alle ritmiti o ai conglomerati se¬ guono calcari bianchi, ben stratificati, con strati dello spessore da 10 a 50 cm., finemente detritici, con piccole ippuriti, a volte molto abbondanti, sì da formare delle vere biostrome. Nella parte bassa sono inoltre presenti degli interstrati di dolo¬ mia cristallina, che vanno scomparendo verso l’alto ; a volte si rin¬ vengono, intercalati nei calcari a rudiste, calcari con abbondanti miliolidi. L’età di questa parte terminale della serie mesozoica è compresa fra il Turoniano e il Senoniano. Napoli . Istituto di Geologia delVUniversità , marzo 1962. RIASSUNTO Si descrivono i termini costituenti la serie calcareo-dolomitica mesozoica del gruppo del Monte Maggiore (Caserta). I terreni pili antichi affioranti sono le dolomie e i calcari del Lias : seguono cal¬ cari dolomitici e calcari del Giurassico, dolomie e calcari del Cretacico inferiore (Neocomiano - Albiano p.p.). Alla base del Cretacico superiore, nella serie è intercalato un orizzonte bauxitico quasi continuo, testimonianza di una lacuna stratigrafica prodottasi durante un pe¬ riodo di continentalità. II Cretacico superiore ( Turoniano - Senoniano) è costituito in basso da calcari lagunari e da conglomerati, che poggiano in concordanza sulle bauxiti, e da biostrome calcaree ad Hippuritidae e Radiolitidae in alto. — 60 — SUMMARY Lithobiostratigraphie units that forni thè limy and dolomitic mesozoic system af Mount Maggiore knot (Caserta) are described. The oldest time-rock units that appear are dolomites and limestones of liassie age ; passing up, dolomitic limestones and hmestones of J urassic ( Dogger-Malm), dolomites and limestones of Lover Cretaceous (Neocomian - Albian p.p.) follow. At thè base of thè Upper Cretaceous a bauxitic horizon, nearly ininterrupted, is interposed and evidence a stratigraphical break that was produced during a time interval of continentality. Bottoni layers of Upper Cretaceous (Turonian - Senonian) are conglomerates and lagoonal limestones that are concordant on top of bauxite and are passing up in limestones and limy biostromes with Hippuritidae and Radiolitidae. BIBLIOGRAFIA Bassani F. II calcare a nerinee di Pignataro Maggiore in prov. di Caserta. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 2a, 4, pp. 199-205. Napoli, 1890. Cassetti M. Relazione sui lavori eseguiti nella valle del Volturno nell' anno 1893. «Boll. Coni. geol. dTt. », 25, pp. 258-274, fìg. 1. Roma, 1894. De Castro P. Il Giura-Lias dei Monti Lattari e dei rilievi ad W della Valle dell' Imo e della Piana di Montoro. « Boll. Soc. Nat. in Napoli », 70. 1962. Deecke W. Zur Geologie von Unteritalien. 4. Das System des M. Maggiore bei Pigna- taro in Campanien. « Neues Jahrb. f. Min. etc. », 1, pp. 51-74, tav. 1. Stuttgart, 1893. Franco P. Di alcuni fossili elle occorrano nel calcare giu^ese di Vi sciano (prov. di Caserta ). « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. la, 24. pp. 30-34. Napoli, 1885. Maranelli A. I giacimenti bauxitici del Sannio. « Boll. Soc. Nat. in Napoli », 50, (1938-39), pp. 183-193. Napoli, 1939. Montagna C. La generazione della Terra metodicamente esposta, ecc. Torino, Negro, 1864. Ogniben L. Flysch miocenico autoctono e parautoctono ed argille scagliose alloctone nella zona di Caiazzo. « Boll. Soc. Geol. It. », 75, (1956), fase. 3, pp. 169-179, figg. 3, bibl. Roma, 1957. Ogniben L. Stratigrafia e microfaune del Terziario della Zona di Caiazzo (Caserta). « Riv. It. Pai. e Strat. », 64. n. 2, pp. 89-142. tab. 6; n. 3, pp. 199-286, tavv. 8. bibl., Bologna, 1958. Sartoni S. e Crescenti U. La zona Palaeodasycladus mediterraneus (PIA) nel Lias dell' Appennino meridionale. « Giorn. di Geol.», s. IL 27 (1956), pp. 1-25, tavv. 3, figg. 2, bibl. Milano. 1960. Scarsella F. Sulla presenza del Lias nell'Isola di Capri. « Rend. Acc. Se. fis. e mat.», s. 4a, 28, pp. 391-394. bibl. Napoli, 1961. Sgrosso I. Calcari a Cladocoropsis. orizzonte guida del Maini nell' Appennino meri¬ dionale. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, 29. pp. 6. tav. 1. Napoli, 1962. Ufficio Geologico. Carta geologica d'Italia. 1:100.000. Caserta (F°. n. 172) rilevato da Cassetti M. e Moderni P. Novara, 1912. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1962. D’Argenio B. e Pescatore T. Stratigrafia del Mesozoico, ecc. - Tav. I. COLONNA ST R ATI GRAFICA Litofacies Calcari Ritmiti calcareo - dolo* mitiche con intercala¬ zioni conqlonieratìche Orizzonte bauxilico passante lateralmente a brecce Q « Q -|~| Calcari p seudoolitici l r CH Calcari colitici Calcari concrezionari Calcari dolomitici Dolomie i T 1 L* T $ 33 33 T TÉ L 33 Biolac ics Sudiste a | & * AJ5V •V.1 c'b Tb Clipeine C ladocoropsis Facies a Uthyotis Orbitopsella Palaeodastjcladus Confronto tra serie stratigrafiche a nord e a sud-est del Matese Nota del Socio TULLIO PESCATORE (Tornata del 6 luglio 1962) Sono state prese in esame due serie stratigrafiche affioranti : la prima nella zona di Longano e S. Agapito nel margine settentrionale del Matese; la seconda nel flyscli a sud-est ilei Matese stesso, nella zona compresa tra Sepino, Morcone e Guardia Sanframondi. La prima serie è stata campionata un km circa a sud di S. Aga¬ pito, a partire dal basso dal torrente Lorda fino ad arrivare al cimitero del paese, in località « l’Assunta ». L’esposizione della serie è perfetta, gli strati si presentano ben appilati per tutta l’incisione del torrente. La serie è identica a quella di M.te Longo descritta da Selli [Selli 1956] ; M.te Longo dista un km circa verso est dal luogo in cui è stata campionata questa serie. I risultati ottenuti sono uguali nel complesso a quelli del citato Autore. La base della serie è costituita da una alternanza di calcari de¬ tritici a grana variabile da fine a media, con strati a grana più grossa ; macroscopicamente sembrano calcari cristallini saccaroidi, in sezione sottile si nota la loro struttura detritica. La potenza affiorante di questa formazione è inferiore ai 100 m. . I fossili rinvenuti sono di età maestrichtiana : Orbitoides cfr. media , Siderolites , Omphalocyclus , Globotruncana , oltre che fram¬ menti di Rudiste. I fossili sono rari e mal conservati ( figg. 4a, 4ò). Selli considera questi calcari un « deposito clastico intraforma- zionale di periscogliera il cui materiale era fornito dal parziale abbat¬ timento di coevi hi olle mia di Rudiste ». Su questa formazione poggia in concordanza un banco conglo- meratico della potenza media di 50 cm., ad andamento discontinuo e irregolare, che a volte è potente più di due metri ( fig. 1). - 62 - Al disopra di questo banco conglomeratico si rinvengono calcari detritici a grana molto fine, con straterelli di spessore da 2 a 5 cm. ; indi calcari detritici a grana più grossolana, con potenza degli strati da 20 a 50 cm., alternati con strati di calcari a grana fine, fissili. In questa ultima formazione, potente 60-70 m., si rinvengono abbondanti le Nummuliti ; già nel banco conglomeratico basale, esse sono presenti nel cemento. Le Nummuliti sono localizzate gene¬ ralmente nei calcari a grana più grossolana. Nei calcari a grana fine sono abbondanti le Globigerine e più rare le Globoquadrine. A volte le Nummuliti, con i bordi arrossati, si trovano anche in calcare a grana molto fine e ricco di Globigerine (fig. 2). Non man¬ cano fenomeni di classazione di questi sedimenti ; si rinvengono infatti strati nettamente gradati. In un calcare detritico gradato, nella parte alta di questa formazione, si rinvengono Nephrolepidina cfr. tourneri , e Miogypsina irregularis. Come già riconosciuto da Selli l’età di questa formazione è da ritenersi miocenica (Langhiano). La serie termina con marne calcaree ad Orbuline, Globoquadrine e Globigerine ( Elveziano). Nel flysch che borda il iato sud est del Matese, è stata già de¬ scritta una serie di età cretacico-oligocenica [Pescatore 1951], costituita dai seguenti livelli: a) diaspri con intercalazioni calcaree; b) calcari con selce; c) calcari, conglomerati e marne rosse ; d) calcari, marne rosse con Nummuliti ed Alveoline; e) calcari e marne con Lepidocycline. Il livello a) è costituito da straterelli selciosi rossi, gialli, neri, con intercalazioni di calcari detritici e marne rosse di età compresa tra l’Aptiano ed il Turoniano con Orbitolina conoidea nella parte bassa e Globolruncana renzi e Globotruncana cfr . coronata nella parte alla. Potenza circa 35 metri. Il livello b) è costituito da calcari detritici avana con selce, con Dicyclina e Globotruncana del Senoniano inferiore fino al Cam- paniano. La sua potenza è di circa 30 metri. Particolare interesse presenta il livello c). Esso si presenta costi¬ tuito da bandii di conglomerati, calcari detritici, marne rosse, brecciole - 63 — con cemento rosso, nel margine più prossimo al Matese stesso ( Mo- scliiaturo, M.te Coppe, Coste Chiavarine). Spostandosi invece verso est (Coste di Lente, M.te Calvello, M.te Forgioso) diminuiscono le marne ed i livelli conglomeratici con la comparsa di calcari detritici che all'aspetto si presentano come cal¬ cari cristallini saccaroidi di colore bianco. Non manca comunque qualche intercalazione marnosa rossa. Questi ultimi calcari sono litologicamente simili a quelli prece¬ dentemente descritti nella zona di S. Agapito e Longano : calcari de¬ tritici ad elementi calcarei cristallini e cemento calcareo spatico. I fossili rinvenuti sono i medesimi. Si ritrovano infatti Orbitoides media , Siderolites , Globotruncana, frammenti di Rudiste ( figg. 5«, 5 b). Ritengo questo livello di calcari detritici bianchi, isopico di quello di S. Agapito e Longano, e come quello da ritenersi formato in una zona di periscogliera a spese dei calcari a Rudiste. II livello d) è simile litologicamente al livello precedente. Si pre¬ senta calcareo-marnoso in prossimità del Matese propriamente detto: alternanza di marne rosse e calcari, in cui si rinvengono Globorotalie, Nummuliti, Alveoline e Discocycline ( fig. 3); e prevalentemente calcareo più ad est. dove mancano le intercalazioni marnose. (Mo¬ naci. Costa di Lente); i calcari sono di colore avana. Il livello prevalentemente calcareo presenta notevole differenze rispetto a quello descritto nella zona di S. Agapito e Longano. Non si rinviene traccia di trasgressione fra il livello c) ed il livello d). Quest’ultimo livello è rappresentato da calcari detritici con Nummu¬ liti e Discocycline, i quali non presentano quella variabilità di dimen¬ sioni negli elementi così evidente nella zona di S. Agapito e Longano; mancano le intercalazioni di calcari a grana molto fine; mancano tracce di gradazione in questo deposito; non si rinvengono le Num¬ muliti Tubefatte in calcari a grana molto fine. Soprattutto non sono stati trovati fossili miocenici. In definitiva penso che i fossili di questo calcare non siano rima¬ neggiati o ereditati, per cui questo livello sarebbe da attribuirsi all’Eocene s.l. Nella stessa zona di Guardia Sanframondi al disopra di questo Eocene si rinviene l’Oligocene trasgressivo con Lepidocycline, Num¬ muliti. Rotalidi ed Anfistegine. Tutto ciò porta a concludere che al margine nord del Matese e nel flysch a sud-est del Matese stesso, nel Cretacico superiore (Mae- — 64 — strictiano) esistessero condizioni ambientali simili, con conseguente deposito di calcari detritici bianchi di periscogliera. Da notare che questi calcari della zona del flysch sono conglomeratici e presen¬ tano intercalazioni di marne rosse e brecciole a cemento rosso nella zona più prossima al Matese, mentre spostandosi verso est vengono a mancare le intercalazioni marnose, ed i livelli conglomeratici sono sostituiti dai calcari detritici bianchi. Nell’Eocene la zona di Longano e S. Agapito, che fa parte del massiccio calcareo-dolomitico del Matese p.d. e del quale rappresenta la facies marginale settentrionale, ha subito gli stessi fenomeni di sol- levamento con conseguente emersione per tutto il Paleogene, e di sommersione nel Miocene con sedimentazione dei vari depositi descritti. Invece nella zona del flysch a sud-est del Matese, si sarebbe avuta nel complesso una continuità di sedimentazione dal Cretacico al- PEocene. Napoli , Istituto di Geologia delVU mversità , giugno 1962. RIASSUNTO Sono state prese in esame due serie stratigrafiche affioranti : la prima a nord del Matese (S. Agapito), la seconda nel flysch a sud-est del Matese stesso (Sepino, Morcone, Guardia Sanframondi). La prima serie è costituita da calcari pseudosac- caroidi (Maestrichtiano) sui quali trasgredisce il Miocene; la seconda costituita dai seguenti livelli: a) diaspri ( Aptiano-Turoniano) ; b) calcari con selce (Senoniano inf.-Campaniano); c) calcari pseudosaccaroidi (Maestrichtiano); d) calcari con Num- muliti ed Alveoline (Eocene). Si considerano isopici i livelli costituiti da calcari pseudosaccaroidi (Maestrich¬ tiano), e si mettono in evidenza le differenze tra il Miocene della zona di S. Agapito ed i calcari con Nummuliti del flysch a sud-est del Matese. SUMMARY This paper describes two stratigraphic series placed : thè first at thè north- slope of thè Matese (S. Agapito), thè second in thè flysch at thè south-eastern slope of thè Matese (Sepino, Morcone, Guardia Sanframondi). The first series is composed of pseudosaccharoid limestone (Maestrichtian), on which thè Miocene transgresses ; thè second series is composed: a) bedded chert formation ( Aptian-Turonian) ; b) chert limestone ( Lower Senonian to Campanian) ; c) pseudosaccharoid limestone (Maestrichtian); d) limestone with Nummulites and Alveolina. It is cosidered isopic thè formations constitued of pseudosaccharoid limestone (Maestrichtian), and it is described thc difference between thè Miocene of thè region of S. Agapito and thè limestones with Nummulites of thè flysch at south-east of Matese. {oli. Soc. Natur. in Napoli, 1962 Pescatore T. Confronto tra serie stratigrafiche, ecc. Tav. I. Foto 1 — Conglomerato basale del Miocene. S. Agapito. Foto 2. — Calcare con Nummuliti rimaneggiate. S. Agapito (X5). Pescatore T. Confronto tra serie stratigrafiche, ecc. Tav. II. oli. Soc. Natur. in Napoli, 1962. Foto 3 — Calcare con Nummuliti e Alveoline. Monte Coppe (Xó). Foto 4 a - 4 h — Calcare con Orbitoides sp. S. Agapito (X6). Foto 5a — Calcare con Obitoides sp. Monte Coppe (X6). Foto 56 — Calcare con Orbitoides me¬ dia e Siderolites sp. Coste Chiava¬ rne (X6). - 65 — BIBLIOGRAFIA Annoso a E., Mantovani M. P., Fossili maeslrichtiani nel flysch della valle del Sinni , Boll. Soc. GeoL It., 76, 1957. Behrmann R. B., Die Faltenhogen des /Ipennins und dire paino geo graphische Entwicklung , Abh. Ges. Wiss Gottingen, math, phis, Kl. s. 3, n. 16, Ber¬ lino 1936. Beneo E., Accumuli terziari da risedimentazione ( Olistostromi ) nell' Appennino cen¬ trale e frane sottomarine, Boll. Serv. Geol. cTIt., 78. 1956. De Lorenzo G., Geologia dell'Italia meridionale, Napoli 1936. Ippolito F., Lucini P.. Il flysch nell' Appennino meridionale, Boll. 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Parecchi altri esempi del genere si po¬ trebbero addurre, ma a noi qui preme rilevare che in questo campo delle abitudini umane agisce una forza psicologica che ne domina, a volte tirannicamente, le manifestazioni, ossia quel che vien comune¬ mente detta la « Moda ». Il più noto e vessato campo di azione della Moda è, come tutti sanno, quello che discende dalla necessità di vestire il corpo; ma anche molte altre fondamentali necessità della vita umana, fra cui la stessa nutrizione, la sodisfazione di taluni piaceri fisiologici o spirituali od artistici e perfino la cura della salute, non sfuggono ai capricci di questa Dea e quindi alla volubilità delle abi¬ tudini. È d’uopo tuttavia riconoscere che la Moda, sorgente dalla pos¬ sibilità che ha l’umanità civile moderna di rinnovare, di scegliere, di imitare quel che fanno altri popoli, ecc. finisce per essere una impor¬ tante ragione di lavoro e quindi di benessere e di progresso. Per questa ragione, la storia degli oggetti raccolti dall’uomo nella libera natura, usati dapprima come tali e, in seguito, più o meno elaborati ed industrializzati per farsene mezzi di sussistenza o ausi¬ liari della sua vita quotidiana, rinvenuti e tenuti in onore da deter- — 67 — minati popoli e da questi fatti conoscere e trasmessi ad altri ed infine sovente abbandonati e dimenticati, è una delle più interes¬ santi e noi qui vogliamo metterne in luce le grandi linee, al riguardo specialmente dell’uso degli alimenti e delle medicine restando nel campo più strettamente naturalistico, che è quello che maggiormente c’interessa. Recentemente è stato pubblico il I Volume di una « Storia della Tecnologia » (1), che tratta dei primi passi mossi dall’uomo verso le sue svariate industrie : e cioè, in primo luogo, delle armi di difesa, degli utensìli di ogni genere, della utilizzazione delle piante e degli animali, della elaborazione dei loro prodotti, e così via. La storia degli alimenti e delle medicine primordiali non figura espressamente in questo primo volume. In proposito, restando sempre nel campo naturalistico, va rilevato che Tumanità dei tempi passati non era certo quella che noi oggi conosciamo ; e p pero quel che noi sopra abbiamo chiamato la « Moda », nell’uso dei mezzi di sussistenza e di quelli atti a curare la salute è un aspetto o un momento particolare, forse il più interessante, di quel processo di evoluzione degli usi e dei costumi umani, che si svolse parallelamente ed in istretta con¬ nessione coll’evoluzione dell’organismo umano e delle sue facoltà intellettuali. Spingendo perciò lo sguardo quanto più lontano è possibile nel passato dell’umanità, troviamo che nell’ascendenza di essa vi fu cer¬ tamente uno stadio in cui il regime di vita era assai più simile a quello di una specie qualsiasi di animale superiore, che non a quello proprio dell’umanità quale noi oggi conosciamo. Si hanno infatti oggi prove sicure dell’esistenza in varie parti del mondo, di antenati umani che vissero nelle foreste, utilizzando come dimora gli alberi o rozzi rifugi ai piedi di questi, e si cibavano dei frutti prodotti dagli stessi. Fra le specie di alberi che servirono a questo ufficio possono essere sicuramente ricordate le Querele dalle ghiande dolci, che esi¬ stono ancora, benché più rare, nella vastissima area di diffusione di questo genere di piante, e forse anche altre specie di Cupulifere, più o meno affini alle attuali, dai grossi fratti seminiformi ricchi di car¬ boidrati, come le castagne. Questi lontani antenati del genere umano (1) A cura di Charles Singer. E. J. Holmyard, A. R. Hai l, T. I. Williams, (traduz. di Franco Caposio), Edit. Boringhieri, Torino 1961. — 68 — sono stati chiamati cc Protantropi » (2); lo studio dei resti pervenutici, ancorché molto frammentari, non lascia dubbi sulla loro pertinenza ad organismi del genere umano, e nondimeno mancano prove sicure che consentono di attribuire a questi esseri un’attività intellettuale o spirituale. Il bisogno di sodisfare la fame e di trovare riparo alle intemperie e difesa contro l’insidia degli animali furono le istanze principali che ne agitarono la vita psichica ; ciò consente di pensare che, se pure questi esseri furono capaci di utilizzare qualche oggetto a mò di utensile elementare, certo non conobbero l’arte di conser¬ vare i cibi vegetali, ma vissero, per così dire, alla giornata e piut¬ tosto si spostavano da un luogo all’altro, quando le risorse si esauri¬ vano. Per questo non è pensabile alcuna « moda » nei loro usi e costumi ; al contrario, fra i loro bisogni e le risorse dell’ambiente atte a sodisfarli vi fu ciò che si potrebbe chiamare una « obbligatoria determinatezza » paragonabile a quella che sussiste fra i rapporti di una qualsiasi specie di animale superiore e le risorse dell’ambiente cui è adattato. Per questa ragione la storia della Tecnologia, o almeno la storia della Tecnologia alimentare e medicinale, non può risalire al di là dell’èra dei Protantropi, ma comincia dall’epoca in cui una certa discendenza di questi uscì dalle foreste e cominciò ad abitare negli spazi aperti, utilizzando le grotte e le caverne naturali come di¬ mora, il fuoco come energia e come mezzo di difesa e a conservare i cibi eccedenti il fabbisogno quotidiano. È questo il periodo della vita del genere umano, in cui avvenne ciò che si può ben chiamare la prima rivoluzione alimentare. Infatti nell’alimentazione dell’umanità al regime frugivoro si aggiunse quello carnivoro. Diciamo « rivoluzione », ancorché si tratti ovviamente di un passaggio lento e graduale, e quindi piuttosto di una evoluzione; ma considerato nelle grandi linee della storia dell’umanità questo passaggio ci appare come un mutamento di abitudini e di adattamento che, in determinanti momenti, dovette assumere un carattere brusco (2) Questa parola, come quella di « Paleantropi » e di « Fanerantropi » che ricorrono più avanti, è stata proposta da S. Sergi ed è universalmente accettata (Cfr. P. Leonardi, L’evoluzione dei viventi, Brescia, Morcelliana, 1950; R. Fabiani, Trattato di Geologia, Roma 1952, ecc.). L’esistenza dei Protantropi nel mondo si fa risalire al Pleistocene inferiore, qualche cosa come 500 e più millenni fa ; tuttavia recentemente sono stati scoperti resti di esseri del pari sicuramente riferibili al ge¬ nere umano cui però si attribuisce un’antichità ben maggiore, come 1 milione e 750.000 anni fa. (Cfr. L. S. B. Leakey, Finding thè World’ s Earliest Man , in « National Geografie », Washington, 1960, N. 3). — 69 — e perentorio. Il cibo carneo fu procurato mediante la caccia alle specie di animali adatte; per lo scopo l’uomo fabbricò armi di pietra, varia¬ mente lavorate. La qual cosa, come è noto, permette di distinguere, in questo stadio dell’evoluzione dell’umanità, una così detta « età della pietra », durata molti millenni e distinta in « paleolitico », « me¬ solitico » e « neolitico », a seconda del grado di perfezionamento di così fatte armi. Ecco chi fu il primo « horrendos qui protulit enses » ; fu l’uomo paleolitico e non importa se le sue prime spade ebbero le punte di pietra. Nell’uso di tali armi è impossibile infatti distinguere fin dalle origini la legittima finalità biologica di procurarsi l’alimento e di difendersi, da quella intesa invece all’offesa contro il più debole e il disarmato. Comunque, a noi interessa rilevare l’opinione dei Naturalisti an¬ tropologo che cioè Fuso del vitto carneo fu certamente correlato, se non fu causa addirittura, dello sviluppo delle facoltà intellettuali di questa nuova umanità. Ben a ragione, pertanto, gli Antropologi di¬ stìnguono questi nuovi rappresentanti più evoluti del genere umano sotto il nome di « Paleantropi », riconoscendo fra di essi diverse entità sistematiche, alcune delle quali, come l’uomo di « Neanderthal » hanno lasciato interessanti indizi delle loro attitudini spirituali. Va qui aggiunto che il vitto carneo non fu fornito soltanto da animali terrestri, ma anche da animali acquatici, marini, lacustri o fluviali, secondo i luoghi, la qual cosa suole esprimersi dicendo che i Palean¬ tropi vissero anche dei prodotti della pesca. Questa, in fondo, non è che una forma particolare della caccia, in cui cambia la natura della preda e con essa dovevano variare evidentemente anche le armi adatte alla sua cattura. Si hanno prove archeologiche di quest’altra attività dell’uomo paleolitico, consistenti sopratutto in avanzi degli attrezzi usati, come ami, nasse, cerbottane e specialmente reti, la cui idea è una delle più antiche sorte nella mente dell’uomo. Coll’aggiunta del cibo carneo all’alimentazione dell’uomo ebbe inizio anche l’esercizio della cura della salute dei singoli individui. Non che i Protantropi non fossero dotati dell’istinto che li induceva a cercare, in caso di bisogno, nel bosco, un qualche altro vegetale idoneo alla cura di qualche malanno, come vediamo fare spesso anche ad animali superiori, domestici o selvatici. Ben disse infatti il Me¬ dico romano Celso, che la medicina nacque prima della ragione; tut¬ tavia non è di questo che noi qui vogliamo occuparci, bensì dell’arte — 70 — organizzata di curare la salute, ad opera di singoli personaggi distinti, nelle primitive società umane. Questo, ripetiamo, avvenne per la prima volta presumibilmente coll’avvento dell’alimentazione carnea, ossia presso le varie specie di Paleantropi conosciute, ancorché nes¬ suna prova diretta sicura, sotto forma di reperti archeologici, ci sia pervenuta in proposito. È però assai probabile che il sangue, il grasso, i visceri stessi degli animali abbattuti coll’esercizio della caccia e ogni altra parte del corpo animale non direttamente commestibile fossero usate, fra Faltro, presumibilmente come medicine. Furono perciò i cacciatori stessi o più probabilmente altri personaggi più abili nello squartare e dissezionare il corpo delle prede, coloro che si versarono a questo ulfìcio ; nel far questo la loro mente fu di certo guidata da una convinzione che potremmo dire scientifica « ante litteram » : quella cioè che, per curare le parti malate deH’organismo umano fossero necessarie le parti corrispondenti del corpo di determinati ani¬ mali. Questa convinzione, infatti, non è del tutto scomparsa ancor oggi ed in essa anzi si potrebbe ravvisare la prima grossolana idea della opoterapia. Ma forse, prima ancora che si affermasse silfaLto concetto scientifico, basato del resto per lungo tempo su una presun¬ zione o intuizione anziché sull’esperienza, l’offerta pura e semplice della preda come tale alla Divinità a scopo propiziatorio fu un atto dell’esercizio della medicina, influenzata fin dalle origini dal senti¬ mento religioso o, per dir meglio, da quel sentimento di soggezione alla Natura circostante che l’uomo riteneva ovunque popolata da spi¬ riti, e che teneva le veci di una vera e propria religione. Anche questo sentimento, infatti, non è del tutto scomparso presso certi popoli attualmente viventi. I « Zootomisti » adunque, chè così possiamo chiamare quei cacciatori che più specialmente si versarono a scrutare nell’interno del corpo delle loro vittime, si possono ben considerare come i primi Tecnici della Medicina, se non proprio come i primi Medici, e comunque Farle loro fu strettamente connessa con la prima Tecnologia alimentare. Seguì, nella storia dell’Umanità, l’addomesticamento di alcune categorie di animali, fatto che certamente ebbe grandissima influenza sul regime alimentare e sulle usanze terapeutiche. Esso si fa risalire al tardo paleolitico o al mesolitico e comunque precedette sicura¬ mente l’arte di coltivare le piante. Ciò costrinse, in parte, gli uomini ad abbandonare la vita sedentaria ed a trasferirsi qua e là, alla ricerca dei pascoli ; da qui l’inizio di quello stadio dell’evoluzione umana, ammesso da tutti gli Antropologi, caratterizzato dal regime di vita pa- — 71 — storale. Esso fa transizione a quello di gran lunga più fecondo di con¬ seguenze per lo sviluppo delle civiltà fiorite nelle varie contrade del mondo abitabile, basate sull’alimentazione stabilmente assicurata per mezzo della coltivazione delle piante. Fra le cause naturali, ma non certo unica, di questo grandioso evento, possiamo considerare l'irre¬ sistibile incremento numerico degl’individui delle varie popolazioni di Paleantropi, che rendeva sempre più insufficiente ed aleatoria l’ali¬ mentazione carnea, fornita dal periglioso esercizio della caccia. Si può presumere, infatti, che anche allora, come oggi, i bisogni crescevano con un ritmo più celere di quello con cui potevano crescere i mezzi atti a sodisfarli, i bisogni cioè degli animali addomesticati, e quelli degli uomini stessi, costretti ad integrare il cibo comunque fornito dagli animali con un cibo vegetale diverso da quello attinto dagli al¬ beri delle foreste, ormai definitivamente abbandonate. S’iniziava così per la nuova umanità una ben dura esperienza : quella che mirava a stabilire Futilità delle innumerevoli altre specie di piante tutt’ora sco¬ nosciute in cui s’imbatteva, che formavano, in caotica mescolanza, le immense savane scoperte nelle varie contrade del mondo ancora disa¬ bitate e dovevano perciò essere scelte e preferite a seconda della loro maggiore o minore rispondenza al bisogno. Una siffatta esperienza, in parte preminente, fu fatta per mezzo dell’ingestione. Infatti il senso della vista, così come quello dell’odo¬ rato e le svariate sensazioni date dal contatto colle varie parti delle piante non potevano certo essere sufficienti ad attuare i debiti controlli sull’utilità alimentare delle singole piante stesse. Invece l’addentamen- to, la masticazione e quindi il sapore e infine l’ingestione e la digestio¬ ne, costituiscono un mezzo integrativo sovrano in questo campo della conoscenza. I bambini, come è noto, portano in bocca qualsiasi oggetto che li interessa, con la evidente finalità istintiva di estendere il campo delle sensazioni necessarie alla conoscenza integrale dell’oggetto stesso ; ciò è senza dubbio una reminiscenza atavica dell’istintiva esperienza fatta dagli uomini primitivi. Questi, insomma, in origine mangiarono certamente qualunque specie di pianta o le parti di queste, che capi¬ tarono comunque a loro disposizione. Ma essi intanto andavano ar¬ mandosi di una nuova meravigliosa arma ben più possente delle pietre, di un’arma che i bambini non sono ancora in grado di usare ; vogliamo dire acquistavano la « parola », per cui potevano finalmente dare un nome ad ogni oggetto che li interessava e cjuindi anche alle piante e comunicarne il pensiero dall’uno all’altro individuo. Perciò, — 72 — indipendentemente dalle forme, dai colori, dalla mole delle piante bottinate, etc. si faceva strada la conoscenza, per mezzo della inge¬ stione, delle varie virtù delle piante stesse, fossero queste ancora al¬ beri più o meno isolati nella savana o più specialmente le erbe. Nella mente degli uomini ,o almeno di determinati personaggi venne perciò a poco a poco a crearsi una « scienza dell’alimentazione » e della te¬ rapia vegetale, che naturalmente non poteva che tramandarsi oral¬ mente da Maestro a discepolo sotto forma di precetti o sentenze. Tutto ciò non poteva che essere prerogativa di una Umanità ormai pervenuta ad un alto grado di sviluppo mentale; siamo cioè ormai fra i « fanerantropi », ossia fra i primi rappresentanti deìYHomo sapiens attuale, sulle cui origini e sui cui rapporti colle altre specie di umanità che con lui convissero, rimangono tutt ora molti suggestivi misteri, sui quali noi qui non possiamo insistere. Aggiungiamo sol¬ tanto che ci è stato tramandato che i Greci primitivi, prima dell’av¬ vento dei Fenici, si nutrivano ancora col prodotto delle Quercie ; e che è fama che il centauro Chirone nutrisse il divo Achille con cibi non carnei. In quest’èra di transizione, adunque, fra la più vicina preistoria e la protostoria, era già in atto fra gli uomini una Tecno¬ logia alimentare, mentre quella medica era tutt’ora confusa con essa e sotto l’influenza della superstizione; ma le tradizioni cui abbiamo fatto cenno sono importanti per la dimostrazione che ci dànno del culto che l’uomo ha sempre avuto per le cose antiche, non poten¬ dosi rilevare altro, in esse, se non la saggezza dei Maestri che scatu¬ riva dalla vaga reminiscenza atavica della nutrizione degli antenati vissuti nelle foreste. Per il tema che noi qui intendiamo svolgere interessa rilevare che, per quanto riguarda l’uso dei vegetali a scopo medicinale, un ufficio analogo a quello dei « Zootomisti » esercitarono, in epoche di molto posteriori, dei personaggi che all’uopo utilizzavano appunto le piante e che furono chiamati « Rizotomisti ». Da questa parola noi anzi, per analogia, abbiamo desunto quella di cc Zootomisti », in linea puramente congetturale. L’esistenza dei Rizotomisti è invece sicura¬ mente dimostrata, sia pure in modo indiretto, ossia sotto forma di cita¬ zioni contenute in opere di antichi Autori. Fra queste, ad es., la « Materia medica » di Dtoscoride (3). In quest’opera si fa menzione (3) Robert T. Gunther, The Greck H erbai of Dioscorides, illustrateti by a Byzantine a. D. 512, englished by Jobn Goodier a. D. 1655, edited and first printed a. D, 1933. - 73 — di un tal Crateuas come Rizotomista ; dalla stessa citazione si de¬ sume, inoltre, che i Rizotomisti erano personaggi distinti dai Medici, corrispondenti forse agli odierni erboristi o farmacisti, epperò ben qualificati e degni di riguardo per la loro importante professione. Caposaldo della loro sapienza doveva essere verosimilmente una pre¬ sunzione analoga a quella che illuminava la mente dei Zootomisti, fondata cioè suirapprezzamento della forma delle piante o di qualche loro parte e sulla rassomiglianza con le parti malate del corpo umano ; presunzione fondata sempre sulla superstizione religiosa, rimasta nella coscienza dei popoli e tutt’ora non del tutto scomparsa. Grazie ai Rizotomisti, adunque, cominciarono ad entrare nell’uso sanitario anche le materie prime vegetali, e pertanto ai Rizotomisti si può far risalire il concetto di « prodotto officinale ». Ben s intende, per altro, che la « officinalizzazione » di determinate materie prime vegetali ed animali potè consistere, in principio, soltanto in qualche operazione molto semplice, quale il taglio, la pestatura, la tritatura o la spremitura dei succhi delle erbe o di qualche loro parte. I rimedi ottenuti in tal modo, adoperando le singole piante o singole parti di queste tali e quali o appena appena manipolate, furono detti rimedi « semplici » ; questa parola rimase per lunghissimo tempo nell’uso sanitario per in¬ dicare anche le piante stesse medicinali e « semplicisti » si chiama¬ rono i Medici che studiavano le proprietà delle piante in questione. Ad ogni modo, l’intervento della mano dell’uomo nella preparazione delle medicine giustifica il concetto di « officinale » dato ai prodotti comunque manipolati, anche se una vera e propria officina per ese¬ guire tali operazioni presumibilmente in origine non esisteva ancora e sia sorta in epoche molto posteriori. Insomma, la professione del Rizotomista, come sta a dimostrare lo sviluppo di un’attività eminem temente sociale, fondata sulla divisione del lavoro, in una Umanità spiritualmente più evoluta, così dà modo di considerare la fabbrica¬ zione delle medicine e in genere dei prodotti officinali come un caso particolare, e non certo di trascurabile importanza, di quel processo di « tecnicizzazione » degli oggetti grezzi raccolti in Natura cui si ac¬ cinse l’Umanità, sia pure a cominciare da un’epoca relativamente più recente che non quella attribuibile agli altri oggetti pure necessari alla sua vita. Uno dei più classici esempi di medicina vegetale suggerita ai ma¬ lati a causa delle sue forme esteriori è quello della Mandragora. Con questo nome si designa oggi un genere della famiglia delle Solanacee, di cui una specie, la M. officinalis , era ben diffusa e conosciuta in tutti - 74 i paesi mediterranei e dell’Oriente. Presso i popoli di questi paesi essa godette di una grandissima reputazione quale erba magica, adatta a curare qualsiasi malanno dell’organismo umano. Questa reputazione le proveniva dalla curiosa forma della sua grossa radice fittonante, divisa longitudinalmente in due. in modo da rassomigliare a due cosce riunite superiormente in un tronco, quasi come in un corpo umano. Per questo la Mandragora veniva anticamente indicata come la « pianta seinihominis ». la pianta mezzo uomo, a dimostrazione della credenza nell’esistenza di un tipo di essere vivente misto e quasi di passaggio fra due nature differenti (4). Queste radici erano perciò rac¬ colte con cura, essendo l’operazione collegata a rischi particolari, quali di solito si presentavano a chi cercava le erbe magiche, e fra essi, ad es., l’opinione che chi per primo le toccava doveva morire. Per tal ra¬ gione queste radici si facevano tirar fuori da un cane. In una tavola annessa ad una edizione del VI sec. della citata « Materia medica » di Dioscoride è rappresentata la Dea delle scoperte, nell’atto di offrire a quest’ultimo una radice di Mandragora , in presenza di un cane. La Mandragora officinalis esiste tutt’ora, insieme con altre specie, quale componente della Flora dei paesi sopra ricordati, ed è ancora raccolta, qua e là, ma il suo uso in medicina è completamente cessato. Ricerche chimico-fisiologiche fatte in tempi moderni su questa pianta hanno dimostrato la presenza nelle sue radici di principi attivi affini a quelli della Belladonna ( Atropa Belladonna ), che gli Antichi invece non conobbero e che da una certa epoca in poi sostituì completamente la Mandragora . evidentemente con vantaggio per l’umanità. Un destino consimile si può osservare nella storia di parecchie altre specie di piante medicinali che si sono avvicendate nell’uso e si potrebbe anzi dire nella « moda » medicinale dei vari popoli, in ac¬ cordo col progresso delle loro conoscenze. Come la forma esteriore, così pure l’odore ed il sapore violento o particolarmente acuto di certe droghe costituiva un preconcetto già consacrato nell’opera di Diosco- ride (5), che per lunghi secoli dominò il criterio della somministra¬ zione delle medicine ai malati. (4) Cfr. Heart JL, La pianta nella mitologia e nelle religioni (traduz. Abbado). Berlino, pag. 16. (5) Nei cinque libri della « Materia medica » Dioscoride distingue anzitutto le medicine conosciute nel suo tempo secondo la loro origine minerale, animale o vege¬ tale ; in ognuna di queste tre categorie, poi. distingue i prodotti stessi secondo criteri artificiali, cioè formali ed organolettici, sui quali si fondava la presunzione di una determinata applicabilità medica, consacrata almeno dalla voce pubblica o talvolta - 75 - Molti secoli più tardi Carlo Linneo sintetizzava questa primitiva conoscenza umana del mondo vegetale colLaforisma : « Vires pianta- rum a fructificatione Botanicus desumat, observato colore, sapore, odore et loco ». Questa frase è forse la prima espressione tangibile dello sforzo lungamente fatto dall’uomo, di sostituire la conoscenza istintiva o intuitiva con quella razionale, fissata nella parola. Invero per « vires » non dobbiamo intendere soltanto l’efficacia medicinale delle piante, secondo la accezione più ristretta invalsa in seguito, ma anche il senso o meglio il significato generale delle piante stesse e in tal senso in primo luogo va considerata la loro utilità alimentare. Il modo di fruttificare, infatti, è chiaramente indicativo di quest’ultima finalità, anziché di quella medicinale ; così ad es. i frutti bacciformi, drupiformi e, in genere, tutti quelli a pericarpo carnoso sono, con la più chiara evidenza, destinati all’alimentazione di determinate specie di animali, che provvedono con ciò alla disseminazione così detta a endozoica ». Ma anche i frutti capsula ri, quelli cioè che spargono direttamente i semi a maturità ai fini della disseminazione, nonché tutti i frutti seminiformi. che si comportano biologicamente come semi, ossia le noci, gli acheni. le cariossidi delle Graminacee, etc. sono chiaramente indicativi della naturale finalità alimentare a van¬ taggio di determinate categorie di animali, che sono detti perciò gra¬ nivori o frugivori. Ciò emerge specialmente se si considera la enorme sproporzione che v’ha fra il numero dei frutti di questo genere pro¬ dotti anche da una sola pianta e la finalità biologica della dissemina¬ zione, colla quale viene assicurata la propagazione e quindi la con¬ servazione della specie cui il seme appartiene. In quanto all’uomo, egli non fece eccezione, rispetto agli altri animali, per quel che concerneva la finalità alimentare naturale dei frutti e dei semi; anch'egli fu attratto dai frutti carnosi e dai semi. anche suggerita dal giudizio arbitrario del Medico, illuminate quasi da mistica divina¬ zione. Contro questo metodo, è doveroso riconoscerlo, insorse lo stesso Dioscoride, sostenendo che il suggerimento delle medicine ai malati doveva essere fatto in base alla esperienza della loro reale efficacia, criterio del resto già formulato alcuni secoli prima dai Dotti dalla famosa Scuola alessandrina. Purtroppo però questa esperienza non poteva ancora essere adeguatamente collezionata e diffusa, ma si trasmetteva oral¬ mente da Maestro a Discepolo o attraverso la voce pubblica. Il che spiega come siano stati necessari quasi due millenni prima che nella mente dei popoli si sradicasse il pregiudizio della bontà delle medicine fondata sulla forma esteriore, sul sapore, sul¬ l’odore, ecc. delle piante e sulla presunzione dell’intervento della Divinità che ispirasse il Medico nella sua opera salutare. (Cfr. anche: G. Catalano. U Erboristeria attraverso i tempi, in « Atti dell’Acc. delle Scienze fìsiche e mat. », Napoli. Voi. Ili, N. 8, 1960). - 76 per finalità alimentare. Ancor oggi, ad es., in Australia certi indi¬ geni raccolgono la Portulaca oleracea ( 6), pianta cosmopolita di nessun pregio, considerata come infestante, e ne separano, con una tecnica molto elementare i semi di cui si nutrono. È interessante notare che un passerotto cui si offra un rametto fruttificato di questa pianta va a beccare immediatamente i frutticini per cavarne i semi, trascurando il resto. La prima esperienza fatta dall’uomo su vegetali diversi dagli al¬ beri delle primitive foreste fu dunque indotta dalle necessità alimen¬ tari. Ciò può affermarsi sicuramente anche per quelle specie di piante che ci appaiono oggi evidentemente inadatte all’uso alimentare diretto dell’uomo perchè velenose o repellenti ai gusto, e, al contrario, più chiaramente preconizzate per tutt’altri scopi, fra cui appunto quello curativo della salute umana. Si può citare come esempio la pianta del papavero sonnifero, conosciuta « ab immemorabili » per i suoi semi ricchi di olio e quindi adatti all’alimentazione ; infatti ancor oggi i semi di questa pianta si raccolgono e si utilizzano per tale scopo. Ma Fuso ben più importante del papavero sonnifero come pianta medicinale non potè essere acquisito se non attraverso la con¬ statazione dell’effetto prodotto sulLorganismo dalla ingestione delle altre parti della pianta, specialmente dei frutti immaturi, del sapore amarissimo e perciò disgustosi. Qualche altra specie di Papavero, come il comunissimo rosolaccio, può essere invece utilizzata come alimento senza inconvenienti, specialmente dagli animali pascolanti. L’esperienza del papavero sonnifero deve essere stata fatta fin da tempi abbastanza remoti, se si pensa che gli Assiri possedevano ricette nelle quali era prescritto il succo delle capsule immature di questa pianta. Qualche cosa di simile può dirsi al riguardo dei rizomi di Papiro e dei rizomi di Calamo aromatico, piante ben conosciute dagli Antichi, che utilizzavano le dette parti come alimento, essendo effet¬ tivamente ricche di sostanze di riserva, ma che poi vennero abban¬ donate o magari considerate come risorsa alimentare supplementare, in quanto l’utilità di entrambe le dette specie di piante si palesò ben più rilevante per tutt’altri usi tecnologici e nella stessa medicina. La conoscenza delle piante attraverso un’esperienza diversa da quella alimentare e più precisamente l’acquisizione del concetto di pianta medicinale avvenne in seguito alla constatazione dell’esistenza (6) Cfr. C. G. Lloyd and Walter H. Aiken, Flora of Samoa, in Rulletin of thè Lloyd Library and Museum, Cineinanti, N. 33, 1934, N. 4. — li¬ neile varie specie di piante di ciò che noi oggi chiamiamo « principi attivi ». Ben s’intende che gli Antichi non ebbero cognizione della presenza di quelle particolari sostanze che noi oggi indichiamo con tale espressione, ma si limitarono a porre in evidenza il sapore amaro o acido o comunque particolare di certe erbe, così come l’odore più o meno violento e caratteristico di certe altre. Nella citata « Materia medica » di Dioscqride, infatti, il sapore e l’odore sono i criteri base della classificazione delle erbe medicinali, che perciò vengono di¬ stinte da altre erbe o parti di piante non così contrassegnate. Sap¬ piamo noi oggi che la esistenza di principi attivi nelle piante, rive¬ lata, ma non sempre, dall’odore o dal sapore, ha un chiaro significato biologico generale. Di tali sostanze si conosce, in gran parte, la genesi chimico-fisiologica, che è inerente al metabolismo specifico di tutti gli organismi vegetali ; ma ben più importante è la loro ragion d’essere, biologica, cioè il loro significato di mezzi di difesa delle piante contro la distruzione che ne fanno gli animali, inconsapevoli e indiscrimi¬ nati trasformatori della materia organica, e quindi il significato di mezzi atti ad assicurare la conservazione della relativa specie vege¬ tale. Questi principi attivi, variamente classificati dai Chimici se¬ condo la loro composizione (fra i quali ricordiamo, come i più comuni, i « glicosidi » e gli « alcaloidi ») si trovano pressoché in ogni specie di pianta ; ognuna ne possiede uno suo specifico, talora iden¬ tico, più spesso lievemente differente da quello di altre specie più o meno affini, accanto alle sostanze a funzione prettamente alimentare, quali gl’idrati di carbonio, gli oli grassi, le proteine, ecc. Ma il con¬ cetto sopra espresso della difesa contro l’eccessiva opera distruttrice degli animali, si palesa con la stessa chiara evidenza anche quando mancano tali sostanze chimiche. Le difese sono allora costituite addi¬ rittura da mezzi meccanici; tale è infatti il significato biologico delle spine, dei peli rigidi, degli organi più o meno vulneranti, quali ad es. le ariste delle spighe delle Graminacee, e così via. È anzi grazie allo studio attento di questi particolari mezzi di difesa che si rivela evidente quella « determinatezza » di rapporti fra Animali e Piante, cui sopra abbiamo fatto cenno. Con altre parole, si può dire che lo studio di questi rapporti mette in evidenza l’adattamento di singole categorie biologiche di Animali a singole categorie di Vegetali, cate¬ gorie che non di rado coincidono addirittura con quelle sistematiche. In quanto al « loco », cui pure accenna Linneo nel suo aforisma, è appena opportuno ricordare che la natura del terreno, la sua com¬ posizione, la presenza o meno di acqua, le proprietà della roccia - 78 - minerale, ecc. hanno una grande importanza sulla vita delle piante; tuttavia gli Antichi certamente esagerarono in molti casi in proposito. La convinzione delLimportanza del « loco » nel modificare i caratteri delle piante giungeva fino al punto di credere che le proprietà del terreno avessero perfino il potere di trasformare una pianta in un’altra; così ad es. nei libri di Teofrasto (IV sec. a. C.) si paventa la trasformazione del buon grano nel maledetto loglio velenoso. Ancor oggi è convinzione generale che il luogo dove crescono giovi a distin¬ guere funghi mangerecci da funghi velenosi. Da questo e da molti altri esempi che si potrebbero citare, emerge che l’esperienza empi¬ rica sui vegetali non è finita; non lo è certamente per molte specie di piante tutt’ora imperfettamente conosciute, ma non lo è neppure per le specie di piante che sembrano ormai sicure acquisizioni scien¬ tifiche, per essere state definitivamente inquadrate, per il complesso dei loro caratteri, nel posto che loro compete in Natura. Ora fra i frutti offrentisi liberamente in Natura, portati da una particolare infruttescenza, accessibile all’attenzione degli Animali, emerse per il suo nobile particolare destino, quello di diventare l’ali¬ mento principale dell’umanità, la « cariosside » delle Graminacee. L’infruttescenza che porta le cariossidi è di solito una « spiga » o spesso anche una « pannocchia ». Nelle varie parti del mondo esi¬ stono tante specie di Graminacee con cariossidi alimentari e quindi tante forme di spighe o di pannocchie, quante furono le popolazioni umane che vennero ad insediarvisi e che quindi le trovarono e le uti¬ lizzarono. Ossia, vogliamo dire, il grano, la segale, l’orzo e l’avena nel vecchio mondo mediterraneo e nel vicino Oriente; il riso in Cina; il mais in America; il panico, il miglio, il sorgo ed altre specie nel¬ l’Africa tropicale. Siamo alla fine dei tempi del paleolitico, in una epoca che segna l’inizio di una seconda rivoluzione alimentare del¬ l’umanità, quella cioè che ebbe come base appunto le cariossidi di quelle specie di Graminacee, che furono in seguito dette « cereali ». Come e perchè le popolazioni di Homo sapiens , insediatesi nelle varie parti del mondo dove abbondava una determinata specie di cereale si siano adattate a questo nuovo rapporto di « determina¬ tezza » alimentare col mondo vegetale, è problema che non tenteremo neppure di sfiorare. Di certo all’attenzione delle primitive popolazioni umane non sfuggì il fatto che gli uccelli calavano a stormi dal cielo per beccare i grani prodotti in numero strabocchevole nelle libere savane. Ma l’esperienza del nuovo cibo vegetale da parte dell’uomo fu ben dura e penosa e richiese lavoro e intelligenza, quali solo esseri - 79 — dotati di superiori facoltà mentali potevano mettere in atto. I grani delle Graminacee selvatiche infatti sono piccoli, duri, spesso rivestiti dalle glume silicizzate e debbono esser triturati ed il prodotto deve essere setacciato, affinchè riesca utile come alimento per l’uomo ; diversamente passano intatti attraverso il suo stomaco. L'uomo per¬ tanto si limitò in principio a « bottinare » il prodotto della savana in concorrenza con gli uccelli, ma in condizione di superiorità rispetto a questi, in quanto, ad es., fra l’altro, riuscivano per lui irrilevanti le difese meccaniche naturali costituite dalle ariste rigide e pungenti, proprie di alcune specie di grano e di orzo, che tenevano lontani gli uccelli. In principio l’uomo, insieme colle spighe, bottinava anche i semi di numerose altre specie di piante che costantemente si accom¬ pagnano coi cereali e che perciò si chiamano « piante segetali » e li consumava insieme coi grani più o meno grossolanamente triturati. Questa circostanza ha permesso di darci, a distanza di quattro mil¬ lenni, una dimostrazione diretta di ciò di cui si alimentavano gli uomini dell’età del ferro. È stato possibile infatti riconoscere i reli- quati contenuti nello stomaco di un cadavere rinvenuto in una torbiera, in Danimarca, conservatosi così bene da permettere di riconoscere la natura delLalimento ingerito. Si tratta dell’« uomo di Tollund » (7). che così si chiama questo reperto archeologico di eccezionale impor¬ tanza che si fa risalire a circa 2000 anni a. C. I resti identificati del pasto di quest’uomo appartengono ad almeno una ventina di specie di piante segetali, ossia di orzo tetrastico, di avena, di Setaria puntila . di Rumex acetosella . di Polygonum lapathifolium . di P. Convolvulum , di Chenopodium album . di Spergula arvensis , di Stellaria media , di Camelina linicola . di Thlaspi arvense , di Capsella Bursapastoris , di Erysimum cheiranthoides , di Brassica campestris , di lino, di Viola arvensis , di una specie di Galeopsis . di Plantago lanceolata e di Sphagnum , cioè dello stesso muschio che formava la torbiera. L’Orzo, l’Avena, il Polygonum persicaria furono in seguito selezionati e for¬ marono oggetto, come il grano, di coltivazione ; Tultima menzionata però solo per breve tempo: tutte le altre specie sono rimaste allo stato spontaneo e tutt’ora si accompagnano costantemente, insieme con altre, colle messi. I loro semi, pertanto, nel raccolto del grano e degli altri cereali, costituiscono delle « impurità » ; ma ai tempi cui ci ri¬ feriamo è certo che esse fornivano un raccolto accessorio di non tra¬ scurabile importanza, specialmente per la popolazione più povera. (7) In « Storia della Tecnologia », già citata, pag. 360 e segg. - 80 - prima che il prodotto delle specie selezionate e coltivate divenisse preponderante (8). Tutto ciò conferma largamente quanto fu già detto sopra, che cioè in origine tutte le piante, compreso lo sfagno deile torbiere, furono deliberatamente sperimentate dall’uomo a scopo ali¬ mentare. E ciò malgrado sarebbe forse temerario pensare che lo sti¬ molo a fare questa esperienza sia stata esclusivamente la fame. Cre¬ diamo piuttosto che YHomo sapiens sia stato mosso altresì dal desiderio di conoscere, cioè da un motivo spirituale, da un motivo cioè per cui egli si distingueva ormai non solo dagli animali, ma anche dagli altri individui dello stesso genere umano riferibili a Paleantropi, tutt’ora con lui conviventi e coi quali fu certamente in contatto e in concorrenza vitale e sui quali infine prevalse. Fino a contraria dimostrazione si deve considerare il grano di¬ ploide, ossia il piccolo farro monococco, come il più antico cereale utilizzato dalTuomo; egli infatti bottinava, insieme con quelle delle altre graminacee spontanee della savana, fin dalla fine del paleolitico, le cariossidi di almeno due specie di T riticum spontanee, e cioè di T r. boeoticum e Tr. thaoundar. In quanto ai grani tetraploidi ed a quelli esaploidi si ammette comunemente una loro origine ibrida, e pertanto debbono considerarsi come più recenti; secondo Vavilov essi si sarebbero formati in qualche centro geografico ad opera di progenitori più o meno affini al gen. Triticum o ad altre graminacee, come ad es. del gen. Aegilops. La loro scoperla e l’apprezzamento delle superiori qualità, rispetto al piccolo farro possono ben essere state riconosciute da qualche popolazione nomade spintasi nel paese e che quindi si sia quivi fermata per iniziarne la coltivazione. Prove ar¬ cheologiche dell’esistenza di grani tetraploidi ed esaploidi e cioè sopratutto del grano da pane ( Tr. vulgare , compactum , Spelta . ecc.) rimontano al massimo alla più vicina preistoria, ma ciò ovviamente non vuol dire che tale esistenza non fosse di fatto più antica. In Egitto, ad es. queste specie di grani furono sicuramente introdotti, mancando nella flora spontanea di questo paese i presumibili geni¬ tori ; la leggenda ne attribuisce il merito alle divinità egizie di Iside ed Osiride, un evento che si fa risalire a 3600-3700 anni a. C. Simil- (8) Fuori d’Europa, nelle regioni montuose dal Nepal alla Mongolia un’altra specie spontanea di Polygonum ( P. Fagopyrum o Fagopyrum esculentum ) dovette es¬ sere certamente « ab antiquo » utilizzata dall’uomo per la superiore bontà dei suoi semi alimentari ; ma non prima del sec. XV essa fu conosciuta ed introdotta in Europa, dove ora è coltivata, nelle regioni montane più povere, sotto il nome di « grano saraceno ». — 81 — mente, nell’antica Grecia, è fama che la conoscenza del grano fosse egualmente dovuta ad una divinità, che si denominava Trittolemo, che era raffigurata rivestita ed adorna di spighe. Qualche cosa di si¬ mile può dirsi al riguardo del rìso, introdotto in Cina da un Impe¬ ratore, che lo seminava personalmente, ed al riguardo del mais, presso i popoli aborigeni dell’America meridionale. La seconda rivo¬ luzione alimentare del genere umano è adunque legata alla scoperta, alla introduzione ed alla coltivazione dei cereali, vale a dire all’inizio dell’arte agricola. Cronologicamente questo evento va collocato, grosso modo, fra la fine dei tempi neolitici e l’inìzio dell’èra dei metalli. L’Agricoltura, fin dai suoi inizi, obbligò l’uomo al lavoro, com¬ prese in questo la conservazione e la trasformazione del raccolto e la vigilanza per tutelare le buone piante di cui aveva fatto la selezione in base ad una dura esperienza e difenderle dalla concorrenza vitale delle altre piante meno utili o dannose ; per la qual cosa furono successiva¬ mente abbandonate parecchie specie spontanee della savana già speri¬ mentate, mentre nell’ambito degli stessi cereali prescelti s’iniziava quella secolare azione di ingentilimento, che doveva condurre alla for¬ mazione delle razze elette attualmente coltivate. Ma anche al momento del raccolto e fino a quello della utilizzazione del prodotto di tanto la¬ voro questo vigile intervento dell’uomo non poteva e non può mai ral¬ lentare, per impedire che i semi delle piante vegetali selvatiche, sem¬ pre pronte a prevalere, divenute impurità dannose, si mescolino al prodotto della mietitura e vadano a finire nella buona farina. Questo talvolta accade ancor oggi e qualche volta non appare chiara la natura di siffatte infestioni, come ad es., quella ad opera della segale cornuta, che è pur essa una pianta segetale, da noi fortunatamente rara e poco appariscente, che giunge fino a far diventar velenoso il pane. Fatta astrazione, adunque, dai cereali e dalle piante segetali ed anche da qualche specie di frutto selvatico o più o meno ingentilito, entrato nell’uso comune alimentare o medicinale dei popoli più an¬ tichi, i primi prodotti officinali, di cui si abbia notizia certa nella storia della Tecnologia (9), sono l’olio, o meglio gli olii, e l’aceto. Le più sicure notizie che si hanno in materia sono quelle che si riferiscono agli oli ricavati dai semi o dai frutti di una dozzina di specie di piante mediterranee. Fra le piante arboree oleifere sono ri- (9) In «Storia della Tecnologia», già citata: Coltivazione delle piante, per F. E, Zeuner, pag. 358. — 82 — cordate le specie di Balanites , di Moringa , di Cinnamomum , nonché l'olivo, il ricino e il mandorlo; fra queste erbacee, la coloquintide, il lino, il sesamo, la lattuga, il cartamo, il rafano ed altre specie di Crucifere. È ben noto che una vastissima gamma di proprietà tecniche ed organolettiche distingue gli oli di tutte queste piante, variamente distribuite nelle diverse contrade dell’Africa mediterranea, dell'Oriente vicino e della stessa Europa, così come gli oli di tutte le altre specie delle altre parti del mondo successivamente venute a conoscenza del¬ l’uomo ; proprietà di cui la Chimica dà, in parte, ragione, ma che, all’epoca cui ci riferiamo, non potevano che essere constatate empi¬ ricamente. Così, ad es., l’esperienza per via dell'ingestione, dei semi o dei frutti o dell'olio da essi spremuto non tardò ad indicare quali di essi potevano continuare ad essere usati a scopo alimentare e quali invece convenivano per tutt’altri scopi, tecnologici o medicinali. Per quest'ultimo riguardo occorre ricordare che Medicina e Religione erano tutt'ora pressoché una cosa sola ; talché si possono considerare gli oli vegetali come le prime medicine o, meglio, come i primi pro¬ dotti officinali, dato che per estrarli era necessaria una tecnica, sia pure molto primordiale. Alcuni di tali oli infatti servivano ad ungere il corpo, a scopo sanitario o anche come rito religioso, da soli o più o meno mescolati con altre sostanze, speciamente odorose. È chiaro, pertanto, che la fortuna dell’uso alimentare e di quello medicinale degli oli dipendeva dagli effetti che l'umanità andava len¬ tamente sperimentando. Fra tutti quelli sopra ricordati l’olio di olivo è rimasto attraverso i secoli quello universalmente preferito per gli usi più svariati, alimentari, medicinali ed anche tecnici ; tuttavia l’esperienza portò spesso alla sua sostituzione con oli prodotti da altre specie di piante. Lo stesso non può dirsi per gli oli di diversa prove¬ nienza ; anzi di alcuni di essi solo in tempi molto recenti è stata riconosciuta con l'esperienza, suffragata dall’analisi, la maggiore con¬ venienza per determinate applicazioni ; così ad es., l'olio di ricino, sovrano come medicina, è stato riconosciuto altresì come il migliore lubrificante vegetale per motori; l’olio estratto dai semi di alcune specie di Moringa risulta essere il miglior lubrificante per congegni delicati, quali quelli degli orologi: l'olio di lino, invece, oltre che medicinale, fu riconosciuto « ab antiquo » prezioso per usi tecnici, per essere essiccativo. In quanto all’uso alimentare è noto che oggi si fa carico agli oli che risultano ricchi di acidi grassi saturi di aumentare il tasso di colesterolo nel sangue e di essere quindi con¬ causa dell’arteriosclerosi ; l’olio di olivo non si sottrae a questa accusa — 83 — e quindi tende ad essere sostituito da altri oli vegetali poveri o privi dei su detti acidi grassi ; fra di essi è stato riconosciuto dotato di tale preziosa prerogativa Folio del Carthamus tinctorius , che ora si coltiva su larga scala in America. Un’altro prodotto officinale ed alimentare ben conosciuto dagli Antichi fu, come abbiamo detto, l’aceto. Più che un alimento esso fu un condimento. Si può dire anzi che Faceto, ottenuto spontanea¬ mente dal vino di uva o di datteri, sia stato per lungo tempo l’unico acido forte conosciuto. Si conosce un aceto medicinale, usato in Me- sopotamia, ottenuto facendo fermentare un infuso dei rizomi di Pa¬ piro ed è detto nei testi che lo si usava « per rimuovere il veleno dal corpo ». I testi antichi parlano anche di un aceto concentrato, pre¬ parato col succo dolce dal Calamo aromatico. L’uso dell’aceto, come è noto, si è conservato fino ai giorni nostri, presso quasi tutti i popoli moderni, ma solo come condimento accessorio ; la sua importanza come prodotto officinale, ancora notevole nel Medio-evo, è oggi di molto ridotta e come medicina addirittura nulla, avendo la secolare esperienza dimostrato la sua inefficienza nei confronti degli svariati malanni contro cui veniva un tempo preconizzato. Non dissimile è stata la sorte di parecchi altri antichi prodotti officinali, dalla composizione più o meno complicata, fabbricati cioè con miscele di più sostanze vegetali con sostanze di natura diversa, animale o minerale. Possiamo ricordare, fra di essi, la « teriaca » ed il « mitridato », strane miscele di spezie e di vegetali fortemente odo¬ ranti e dal sapore violento, che furono molto in on::re in tutto il medio-evo e fino alle porte dei tempi moderni, ma in modo del tutto immeritato, per l’assenza di qualsiasi logica rispondenza fra la loro composizione ed i bisogni dell’organismo umano ammalato. Lo stesso si dica al riguardo di alcuni animali usati come medicine, quali la cantaride, le sanguisughe e della pratica del « salasso », oggi comple¬ tamente abbandonata essendone stata, in tutti i casi, riconosciuta l’as¬ soluta irrazionalità. Sicché quasi tutti gli antichi prodotti officinali sono oggi archiviati ; le cause della loro decadenza si possono ravvi¬ sare nella loro accertata inefficienza, e solo è da stupire come, per giungere a tanto, sia stato necessario un così lungo volgere di anni ed anzi di secoli. Ma a questa causa bisogna aggiungere, da un certo momento della evoluzione dello spirito dei popoli in poi, anche il graduale, irresistibile sentimento di ribellione all’intuizione del Me¬ dico ed al culto delle cose antiche, e l’anelito alla razionalizzazione dell’uso delle medicine stesse. Tutto questo non poteva avvenire se — 84 — non grazie alla graduale collezione della esperienza curativa dei ri¬ medi « semplici », ossia alla conoscenza delle proprietà delle singole specie di piante, ed alla divulgazione di tali conoscenze. Oggi non pochi si dedicano con profitto alla collezione di questa esperienza ed alla sua sistematica applicazione a vantaggio della salute umana, dando vita ad una pregevole branca ausiliaria della Medicina, pur¬ troppo non ancora sufficientemente apprezzata, qual’è la « Fitotera¬ pia ». Così, mentre sono passate di moda le elucubrazioni fantasiose dei Medici e le cervellotiche composizioni di rimedi suggeriti ai ma¬ lati. torna in onore lo studio obbiettivo, e cioè sperimentale, delle singole specie di piante, fra le quali molto c’è tutt’ora da scoprire e da utilizzare per il bene comune. Nel nostro tempo, nel pieno di una riforma delle basi stesse della civiltà, poggianti su una Tecnologia, di cui l’Umanità non ha visto in passato l’eguale, ci ritroviamo, al riguardo dei prodotti alimentari ed officinali, all’inizio di una terza rivoluzione, che può ben chia¬ marsi « chimica », a causa della parte molto importante che ha questa scienza nella elaborazione dei prodotti in questione. Alludiamo naturalmente ai grandi servigi resi della Chimica tecnologica nel campo alimentare, quali anzitutto quello di perfezionare i metodi di conservazione dei prodotti alimentari naturali, che l’uomo necessa¬ riamente raccoglie dalla Natura non già volta per volta, come un tempo, secondo il bisogno, ma ad epoche determinate, secondo il ritmo delle stagioni ed altre cause naturali. Ovviamente quel che l’uomo raccoglie in un’epoca determinata dell’anno deve servire non solo per l’alimentazione della popolazione durante i periodi di riposo della Natura, ma anche per sodisfare la fame di un numero sempre cre¬ scente di creature umane. Compito importante della Chimica è oggi altresì quello di aiutare, coi suoi mezzi più potenti, l'uomo nella concorrenza che gli altri animali e gli stessi vegetali eterotrofi gli fanno, per la comune natura di trasformatori della sostanza organica vegetale; alludiamo, in sostanza, alla lotta contro i parassiti animali e vegetali, che tante dolorose perdite arrecano alla produzione agri¬ cola. Questi ed altri compiti benemeriti nulla hanno che vedere colle facili degenerazioni dell’intervento della Chimica, che giungono ai giorni nostri talora addirittura alla fabbricazione artificiale di talune derrate, come il latte, partendo dalle materie prime più svariate, e tanto meno colle adulterazioni e sofisticazioni fraudolente dei cibi. L'intervento della Chimica, giustificato, come abbiamo detto, dalla necessità di provvedere a bisogni sempre crescenti dell’umanità, coni- — 85- porta per lo più raggiunta ai cibi dei cosi detti « additivi », sostanze che dovrebbero essere innocue e il cui studio è oggi fatto su scala internazionale, per l’alto interesse a cui sono assurte. Ma a noi qui interessa rilevare che numerosi altri prodotti non alimentari, chimi¬ camente manipolati, hanno influenza sulla salute umana e destano pericoli e preoccupazioni del tutto ignoti aH’umanità dei tempi pas¬ sati. Alludiamo al tabacco da fumo, ai cosmetici, ai profumi, ai den¬ tifrici, alle tinture per capelli, ed a tanti altri prodotti del nostro tempo, che, sia pure in piccole quantità, introduciamo nel nostro or¬ ganismo o colle quali veniamo semplicemente in contatto. Non è compito nostro, tuttavia, indugiare su questo argomento, essendo esso trattato in sede competente, a livello internazionale. Vogliamo piut¬ tosto rilevare che più fortunato e fecondo di risultati è stato l’inter¬ vento della Chimica nella fabbricazione di talune medicine, svilup¬ pando nei giorni nostri una fiorente industria, l’industria chemiote¬ rapica, fondata sulla sintesi di sostanze, che riescono così esattamente conosciute nella loro struttura, e delle quali l’esperienza ha dimo¬ strato, nella maggior parte dei casi, una rispondenza quasi perfetta ai bisogni di taluni fatti patologici dell’organismo umano. Oggi perciò vi sono nel mondo un gran numero di Istituti chemioterapici che ri¬ versano al consumo prodotti sempre nuovi. Ma possiamo, con questo, poter dire di avere raggiunto, o di poter raggiungere quanto prima, un punto fermo nelle nostre cono¬ scenze sul trattamento di determinate malattie o sul modo più razio¬ nale di prevenirle? Non presenta anche l’uso di queste medicine sin¬ tetiche determinati pericoli o, per lo meno, non hanno da fare anche esse i conti con l’assuefazione, la resistenza ed anche con la moda e comunque con un « effetto a distanza », paragonabile a quello dell’uso degli alimenti più o meno industrializzati, e cioè con una sopravve¬ nienza sgradevole, non palesantesi e non prevedibile durante la spe¬ rimentazione scientifica? Una siffatta azione a distanza sull’organismo umano può manifestarsi prontamente, per la qual cosa è accaduto che qualcuno di tali prodotti officinali, come già qualcuno dei metodi tecnologici di conservazione dei cibi, dopo una iniziale effimera for¬ tuna, sia caduto presto in disuso o sia stato addirittura vietato. Ma può anche rivelarsi dopo un tempo più o meno lungo e palesare un imprevisto effetto deleterio, come è accaduto recentemente per quei tranquillanti fabbricati a base del famigerato talidomide. Delle 1000 e più medicine vegetali, animali e minerali elencate da Dioscoride nella sua « Materia medica », cui altre ben più numerose si sono ag- — 86 — giunte nel corso dei secoli, solo ben poche rimangono ancora sulla breccia, per le relazioni ormai sicuramente accertate fra la natura dei loro principi e quella dei morbi che affliggono l’umanità, contro cui in origine furono preconizzate. Ma. ad onta della grande varietà di materie prime di partenza, di cui oggi dispongono i Laboratori e le officine industriali, sia il trattamento delle forme morbose che la fab¬ bricazione di prodotti officinali voluttuari si fonda sempre su poche risorse naturali, le quali tuttavia sembrano enormemente moltiplicarsi a causa dei trattamenti industriali, cui vengono sottoposte, così che. spesso, una semplice sfumatura, nel colore, nella presentazione al pub¬ blico, etc. basta a distinguere una infinità di prodotti fondamental¬ mente simili. Epperò c’è da domandarsi se la rivoluzione chimica, in atto nel nostro tempo, potrà affrancare l’umanità dal bisogno della fame, sempre assillante e che preoccupa uomini di governo, scienziati e tecnici. La disponibilità delle risorse alimentari — abbiamo già detto — nel mondo, non cresce con lo stesso ritmo con cui crescono i bisogni, ed ancora oggi un buon terzo della popolazione del mondo è sottonutrita o soffre addirittura la fame. Per la qual cosa, « mutatis mutandis », ci sembra che le ansie, i pericoli, le difficoltà cui va incontro l’umanità attuale nella diuturna affannosa ricerca di alimenti e di medicine, colLaiuto della Chimica e di tutte le altre scienze, non siano inferiori a quelli che si para¬ rono innanzi all’Umanità quando mosse i primi passi versa la civiltà dei cereali, ed a quelli, ben più remoti, cui fu sottoposta LUmanità cavernicola e cacciatrice. È per questo che, tutto sommato, ci sembra che il rapporto fra i bisogni dell’Umanità ed i mezzi atti a sodisfarli sia rimasto lo stesso del tempo di Diqscoride, come di ogni altra epoca. Parliamo, bene inteso, di « rapporto » e non già di valori assoluti. Noi oggi infatti disponiamo di alimenti e di materie prime sconosciute agli Antichi, provenienti dalle altre parti del mondo un tempo ancora inesplorate. Ma la famiglia umana nel frattempo si è accresciuta, e si accresce irresistibilmente ogni giorno, talché allo inizio eli ogni nuova conquista tecnologica o della sperimentazione di un nuovo prodotto naturale ci si trova di fronte alle stesse inco¬ gnite, alle stesse perplessità, allo stesso empirismo, propri di ogni conquista fatta dall’uomo nel corso dei secoli. La selezione delle ri¬ sorse alimentari e medicinali attraverso i tempi è quindi un processo più apparente che reale; è più un processo di industrializzazione tecnologica che una vera e propria innovazione. Ciò che abbiamo chia¬ mato la rivoluzione alimentare, cui è strettamente connessa quella — 87 — dell’uso delle medicine, è un avvenimento che nel corso dei tempi si è sempre più e meglio determinato, nei suoi termini specifici, sostan¬ ziali ; così, ad es., fra i cereali sovrana sopra tutte le altre è la pianta del grano, il Triticum vulgare , che ci fornisce il buon pane quotidiano, cioè l’alimento fondamentale che tutte le popolazioni umane, sotto tutte le latitudini, prediligono e preferiscono tutte le volte che pos¬ sono averne a disposizione. La qual cosa è oggi possibile grazie allo immenso sviluppo dei rapporti commerciali fra i popoli della terra. Tutte le altre piante alimentari sono da considerare come risorse subordinate, certamente di grande importanza economica, ina rappre¬ sentano per rumarli là degli alimenti complementari ; gli stessi altri cereali diversi dal grano, ad eccezione forse del riso, sono più spe¬ cialmente usati per alimentare gli animali, in regime di allevamento, laddove il grano si è diffuso in tutte le parti del mondo ovunque il clima lo ha consentito, trovando ovunque una nuova patria, ed è col¬ tivato per uso esclusivo di alimentazione umana. Dal canto loro, gli allevamenti zootecnici di ogni genere si possono considerare come io stadio attuale dell’adattamento dell’umanità al regime alimentare carneo o comunque di origine animale. E tuttavia sarebbe un errore pensare che allevamenti ed agricoltura abbiano abolito definitiva¬ mente la caccia ed il bottinaggio. La caccia sussiste sempre quale risorsa alimentare occasionale o meglio, come un inutile e crudele avanzo della necessaria barbarie preistorica, oggi conservata e codi¬ ficata in nome dello « sport » ; mentre il bottinaggio dei prodotti sel¬ vatici costituisce pur sempre un ripiego, specialmente in tempi di emergenza, come ne abbiamo fatto esperienza durante bui li ma guerra mondiale e come si osserva in paesi in condizioni tutt’ora ultra de¬ presse, nei quali stentano a giungere gli aiuti dai paesi più fortunati. Insomma, fatta astrazione dalla primitiva condizione dell’uomo, quella cioè di un essere abitatore delle foreste, che si cibava e si curava colle risorse offerte da determinate specie di alberi e dalle piante del sottobosco vivendo — per così dire alla giornata, le grandi rivoluzioni del regime alimentare e medicinale, di cui è stato protagonista, non si sono sostituite, ma si sono perfezionate ed inte¬ grate a vicenda. Lo stesso avverrà per quel che ci porterà la rivolu¬ zione chimica, tutt’ora in atto. Essa non potrà giammai offrire alle nuove generazioni umane alcunché di adatto a sostituire l’alimenta¬ zione a base di pane quotidiano e carnea, ma di certo servirà sempre più largamente a perfezionare il trattamento tecnologico delle risorse alimentari tradizionali, a sintetizzare nuove medicine ed a presentare — 88 — le une e le altre sotto nuove forme per i nuovi bisogni, come per es. è necessario ai cosmonauti per essere consumate nell’interno delle navi spaziali e per portarle sulla luna o sugli altri pianeti. Per il momento, al riguardo, insieme col cibo e colle medicine opportunamente trasfor¬ mati, l’uomo deve portare seco, come è noto, anche un pezzo di am¬ biente terrestre artificiale, sotto forma di un abitacolo, in cui possa temporaneamente soggiornare ; così, fino ad oggi, si pensa di risolvere il problema della conquista della luna, quand’anche non ci si limiti, per il momento, a mandare solo delle apparecchiature scientifiche adatte ad informarci sulle condizioni che vi esistono. Ma potrebbe anche darsi che i Tecnici rivolgano i loro sforzi a trovare una solu¬ zione inversa ; quella cioè consistente nel modificare, mediante un lento e graduale allenamento, le attuale esigenze dell’uomo, quale essere vivente terrestre della sua specie ben determinata, e nel creare quindi un nuovo rapporto di « determinatezza » fra le nuove esigenze ed i mezzi atti a sodisfarle, e quindi tutta una nuova Tecnologia bio¬ logica, compresa quella alimentare e medica. Tutto ciò non si può escludere a priori. Ma forse pensare a questo è ancora prematuro : per il momento sembra più urgente liberare i popoli dalle pericolose ideologie politiche che incidono sulla possibilità stessa della loro con¬ vivenza nel mondo dove c’è ancora molto spazio da utilizzare (ancora circa i 9/10!) e porre invece a base di questa convivenza quei più saldi valori morali e spirituali, di carattere veramente eterno ed uni¬ versale, che fin’ora l’Umanità è riuscita solo a intravedere attraverso le solitarie elucubrazioni dei suoi pensatori. RIASSUNTO Osservando, nelle sue grandi linee, l’evoluzione del regime alimentare e quello dell’uso delle medicine nella storia naturale dell’umanità, si possono distinguere tre grandi ère, ciascuna caratterizzata da una propria tecnologia, di cui si conoscono in buona parte le espressioni, accanto a quelle ben più numerose ed imponenti che riguardano tutte le altre industrie umane. Il passaggio dall’una all’altra di queste ère fu naturalmente lento e graduale e non si svolse simultaneamente per tutti i popoli della terra ; nondimeno ciascuna di esse fu come una rivoluzione, che deter¬ minò perentoriamente il cammino che doveva percorrere l’umanità verso i suoi nuovi destini. Così, al regime alimentare esclusivamente frugivoro dei Protantropi seguì quello prevalentemente carnivoro dei Paleantropi, fondato cioè sulla caccia agli ani¬ mali terrestri ed acquatici, e poi ancora uno poggiante sulla coltivazione dei cereali, ossia sulla Agricoltura, proprio dei Fanerantropi o dell '‘Homo sapiens attuale. Quanto alla esperienza delle medicine, essa scaturì da quella stessa dell’alimentazione e si differenziò dapprima grazie all’opera dei « Zootomisti » e successivamente dei « Ri- zotomisti », che si possono considerare come i primi Tecnologi della medicina. - 89 Vi è in atto, nel governo dell’alimentazione e dell’uso delle medicine, una terza rivoluzione, caratterizzata essenzialmente dall’intervento di criteri scientifici, che si può ben chiamare una rivoluzione « chimica », per la parte molto importante che ha questa Scienza nella Tecnologia alimentare e medica. Ma ciò che maggiormente col¬ pisce, nello studio di questa evoluzione, è che i problemi che si sono presentati ogni volta all’attenzione dell’uomo e che egli ha risolto secondo il grado di sviluppo delle sue facoltà intellettuali ed i mezzi di cui ha potuto disporre, lo hanno obbligato a durissime esperienze ed a pagare gravi tributi di dolore e di delusioni. Infatti la ne¬ cessità di reperire sempre nuove risorse alimentari e medicinali atte a sodisfare le esi¬ genze sorgenti dall’incontenibile aumento delle popolazioni, lo ha posto ogni volta e lo pone ancor oggi di fronte alle stesse incognite ed a pericoli analoghi a quelli in cui s’imbattè nei tempi passati e che superò affidandosi all’istinto ed alla fallace intui¬ zione, prima di poter collezionare una sufficiente esperienza, al rigaurdo dell’una o dell’altra risorsa naturale, tale da poterla considerare come una definitiva, vera e propria acquisizione scientifica. Impronte di disseccamento (sun cracks ) nelle bauxiti del Matese Nota del socio BRUNO D’ ARGENTO (Tornata del 30 novembre 1 962) Durante alcune escursioni effettuate nel Matese, per campionare delle serie stratigrafiche di dettaglio in quella parte del complesso cretacico che comprende Uorizzonte hauxitico, ho avuto modo di effettuare alcune interessanti osservazioni in regione Pecorareccia, sul bordo occidentale della Regia Piana (1), ai piedi del Monte Mutria. Nella località suddetta erano attive antiche miniere di bauxite, sfruttate dall’inizio del secolo, e di cui, ormai, esistono solo gli impianti di una teleferica da tempo inutilizzata. Le miniere sono completamente abbandonate dal lato occidentale, ma sono attual¬ mente coltivati gli affioramenti settentrionali della Regia Piana, in contrada Filette. Percorrendo le gallerie abbandonate, è possibile osservare, con una certa comodità, le condizioni di giacitura dei depo¬ siti bauxitici. Tra i fatti più significativi ve ne sono alcuni che ritengo di un certo interesse illustrare, rimandando ad un lavoro di maggiore det¬ taglio, già in corso di preparazione, la descrizione della giacitura e della posizione stratigrafica di queste e delle altre bauxiti dell’Appen- nino campano. I. Immediatamente a tetto delle bauxiti è possibile osservare uno strato dello spessore di circa 30 cm. che contiene, nella parte supe¬ riore, delle tipiche impronte di disseccamento. Queste impronte si (1) Questi toponimi non sono riportati negli attuali rilievi aereofotogram¬ metrici in scala 1:25.000 delFI. G. M — 91 — osservano raramente, poiché lo strato in questione, sterile dal punto di vista minerario, non veniva cavato. In occasione di crolli, la sua superficie superiore conserva, per qualche tempo, le impronte; successivamente, per la scarsa compattezza del materiale che le costituisce, esse vengono rapidamente obliterate, specie all’imbocco delle gallerie. È probabile che le impronte non siano sempre pre¬ senti a tetto delle bauxiti: infatti è stato possibile osservarle solo in due località: alla Pecorareccia, che costituisce il bordo occiden¬ tale della Regia Piana, e al Pesco Lombardo, sugli spalti rocciosi del Vallone Acqua di Paradiso. Le impronte osservate alla Pecorareccia sono « suri cracks » ( 2) equiradiali (Lahee, 1961), generalmente esagonali e con perimetro ben marcato. Non vi sono, a quanto è dato di vedere, impronte rettan¬ golari. quali sono state spesso segnalate in calcari e calcari dolomitici ( Shrock, 1940) (3). Si tratta di sun cracks esclusivamente primarie, mancando ogni traccia di solchi secondari. I singoli poligoni raggiungono i 10 cm. circa di diametro e non sono inferiori ai 5 cm. : queste dimensioni superano alquanto la media, poiché i poligoni normalmente hanno il loro asse maggiore compreso fra 2,5 e 5 cm. ( Shroch, 1948). Non mancano tuttavia segnalazioni di impronte di dimensioni maggiori. Poligoni di quasi tre metri di diametro sono stati descritti da Gilbert (1877. 1880) per gli argilloscisti mesozoici di Shinarump, nell’Utah. ( 2) Il termine inglese generalmente usato per indicare queste fessure dovute al disseccamento è mud cracks. Gli autori più recenti tendono però a sostituirlo col termine sun cracks ( = fessure dovute a contrazione per insolazione), perchè più generico. Esistono anche altri termini, talora usati nella letteratura americana come sinonimi dei precedenti, quali, ad esempio, dessication fissures, shrinkage cracks o subaerial cracks. Questi ultimi due, ancora più generici ( = fessure dovute a contra¬ zione, fessure subaeree), possono essere usati anche per indicare fenomeni genetica- mente diversi (es. ice cracks — « suoli poligonali » delle tundre). In Italia mancano lavori in cui si accenni a questi argomenti : non abbiamo quindi un termine d’uso comune corrispondente a sun crack. Issel (1897) usa il termine « fessure di ritiro », equivalente dell’ingl. shrinkage crack. Le sun cracks qui descritte rientrano comunque nel gruppo delle cosiddette impronte fìsiche fos¬ sili e, pur riconoscendo che il termine impronte di disseccamento, da noi usato per analogia, non è molto felice, si è creduto più adatto di altri eventuali come fessure da disseccamento o da insolazione o fessure di ritiro (Issel, 1897). ( 3) Anche se la regolarità di queste impronte di disseccamento è notevole, non mancano eccezioni, poiché possono aversi impronte costituite da poligoni pentagonali o a perimetro irregolare. - 92 - Le sun cracks della Peeorareccia sono incomplete, poiché i solchi divisori si arrestano a 2-3 cm. dalla superficie dello strato e a ciò è da riferire prohahilmente la mancanza di impronte secondarie. Non si sono rinvenute sulla superficie dei poligoni impronte fisiche ( tracce di gocce di pioggia, di chicchi di grandine, di cristalli di sale discioltisi dopo il ricoprimento, ecc.) o organiche (tracce di passi) di cui si fa menzione nella letteratura, specialmente americana (Shrock, 1948). I poligoni hanno tutti un profilo piano-convesso. Gli autori hanno talora attribuito a questo fatto un significato paleoambientale. Kindle (1917) sostiene infatti, sulla base di esperimenti da lui com¬ piuti, che i poligoni di disseccamento formatisi in acqua dolce siano concavi nella superficie superiore, mentre quelli derivati dal dissec¬ camento di acque marine siano piatti o appena convessi. Successiva¬ mente però altri (Ward, 1923; Twenhofel, 1932) segnalavano la presenza, in una stessa superficie disseccata, di poligoni a superficie piatta, concava e convessa. Nonostante ciò Twenhofel e Tyler (1941) e Weller (19601 continuano ad attribuire al profilo dei poligoni un significato am¬ bientale (4). Secondo Weller (1960) il diametro dei singoli poligoni, la profondità delle fessure che li dividono e la irregolarità delle poli¬ gonali che delimitano, sulla faccia dello strato, le piatte colonne prismatiche corrispondenti, dipendono da queste cause: 1) originaria porosità e contenuto in acqua del fango che si dis¬ secca ; 2) quantità e tipo di minerali d’argilla presenti; 3) spessore ed omogeneità del fango ( le sun cracks più grandi, le fessure più accentuate si hanno negli strati spessi di fango con alta percentuale di sostanze colloidali, che essiccano comple¬ tamente) ; 4) grado di essiccamento ; 5) eventuale influenza di altri fattori, quali salinità delLacqua o rapidità del disseccamento. (4) Le caratteristiche della contrazione per disseccamento (in corrente d’aria o al forno, a 105°) sono fra le proprietà fisiche di cui si è servito Sauramo (1923) per distinguere le argille quaternarie d’acqua dolce da quelle salmastre. 93 Quasi alle stesse conclusioni era già pervenuto nel 1996 Barrel (pag= 527); egli riteneva la profondità delle sun-cracks , in una for¬ mazione argillosa omogenea, variabile grosso modo secondo il qua¬ drato del tempo di disseccamento ed influenzabile, eventualmente, da fattori accessori quali la temperatura ed il grado di umidità dell’aria. In base a ciò egli riteneva addirittura possibile calcolare la durata della esposizione agli agenti di disseccamento. Il materiale di cui sono costituite le sun cracks di Pecorareccia è una calcarenite a grana medio-fine, scarsamente coerente, in accordo con quanto è riportato dagli autori che, fra i sedimenti in cui hanno osservato impronte di disseccamento, citano in particolare i fanghi argillosi e calcarei e le sabbie siltose (Shrock, 1948). Uno straterello marno-argiiloso giallo ocra, spesso 2-3 cm., riempie i solchi divisorii : è questa la ragione per cui non si rinvengono contro- impronte sulla faccia inferiore dello strato sovrastante. È noto che su queste controimpronte è basato uno dei criteri per determinare, nei casi dubbi, quale sia la superficie superiore ed inferiore di uno strato e quindi di tutta la serie di cui questo fa parte (Cox e Dake, 1916; Shenon e Me Connel, 1940; Shrock, 1948); ciò soprattutto se le sun cracks sono incomplete. Si evita infatti il possibile errore di con¬ siderare un reticolo di controimpronte come appartenente alla faccia inferiore dello strato immediatamente sovrapposto a quello interessato dal disseccamento, quando invece il reticolo attraversa completamente questo strato (sun cracks complete) e rimane legato alla superficie superiore di quello sottostante. L’ambiente di formazione delle impronte di disseccamento è dato da fondi di stagni e di laghi che si prosciugano, da meandri recentemente abbandonati o da piani alluvionati; le sun cracks non sono rare inoltre sui fondi marini temporaneamente emersi (Shroch, 1948). Barrel ( 1906) ci offre un esame interessante e molto detta¬ gliato delle modalità genetiche delle fessure da disseccamento e delle condizioni che debbono verificarsi perchè le sun cracks si conservino per un certo tempo, permettendone l’eventuale copertura da parte di altri sedimenti e quindi la « fossilizzazione ». Egli distingue quattro ambienti principali : a) parte centrale di bacini endoreici in regioni desertiche, occasio¬ nalmente inondati (piava, sebeha); — 94 b) sponde di laghi interni, con periodiche e notevoli variazioni di livello, come gli attuali laghi Titicaca, Tchad. Sistan, ecc.; c) pianure alluvionate; d) zone littorali. Tra queste ultime Krumbein e Sloss (1958) indicano in par¬ ticola r modo gli estuari! e le zone che emergono durante la bassa marea. Dumbar e Rodgers ( 1957) ritengono però poco probabile la formazione di suri cracks in queste zone per la brevità del tempo in cui rimangono a secco ed indicano come ambienti particolarmente adatti al sun cracking i grandi delta che sono soggetti a periodiche inondazioni d’acqua fangosa. Tra le cause ricorrenti che possono determinare la formazione di estese superfici disseccate Dumbar e Rodgers ( 1957) segnalano l’azione eolica ed a questa attribuiscono le mud-cracks dei calcari ordoviciani della depressione appalachiana, calcari che si formarono in un mare molto sottile soggetto, per la durata di qualche mese all’anno, ad esposizioni subatmosferiche su vaste aree. Analogamente l’attuale delta dell’Indo, su un’area di circa 13,000 km2, per metà dell’anno, durante lo spirare dei monsoni dal mare, è una laguna dalle acque molto basse; durante la stagione secca i venti che spirano verso il mare asciugano la laguna, sul cui fondo si formano ampie superfici di disseccamento (Barrel. 1906: Dumbar e Rodgers. 1957). Va notato comunque che le sun cracks sono tipiche dell’ambiente continentale. Pepper. de Witt e Demarest (1954) hanno dimostrato, a questo proposito, che nei depositi del Red Bedford Delta del Mississipiano dell’Ohio le superfici disseccate abbondano nei sedi¬ menti depositatisi nella parte emersa del delta, mentre mancano del tutto negli eteropici sedimenti marini, anche se di mare sottile. L’origine continentale, generalmente accertata per queste im¬ pronte, e la possibilità che hanno di formarsi in materiali di tipo diverso, hanno indotto alcuni autori a preferire al termine mud cracks (5), comunemente usato, il termine sun cracks (Lahee, 1961): mentre altri, comprendendovi anche le fessurazioni dovute al costi¬ pamento di suoli dopo il disgelo ( ice cracks ). definiscono più generi¬ camente queste impronte subaerial cracks (Swartz, 1927). Non va taciuto tuttavia che, secondo alcuni, fessure da contra¬ zione possono formarsi anche sott’acqua, per congelamento e suc- (5) Vedi anche la nota n. 2. — 95 — cessivo disgelo del fondo ( Moore, 1914) o per una contrazione del fondo dovuta al drenaggio delle acque che lo imbibiscono ( Tweno- fel, 1923). Pare comunque molto improbabile che si siano conser¬ vate di queste fessure da contrazione nei sedimenti antichi ( Shrock, 1948). Alcuni ritengono perfino che non si siano mai formate (Dumbar e Rodgers, 1957). Per quel che riguarda le nostre impronte, tale eventualità è da escludersi senz’altro ; infatti queste non sono sulla superficie su¬ periore del banco bauxitico, ma su quella di uno strato immediata¬ mente sovrapposto alle bauxiti, costituito da una puddinga a ciottoli mediamente arrotondati. Si è detto che il materiale di cui le impronte stesse sono costi¬ tuite è una calcarenite. Questa, in sezione sottile, mostra fre¬ quenti plaghette di calcite cristallina, disposte in piani sovrapposti a formare partiture irregolari, sottili e discontinue, dello spessore di 0,5-0, 2 mm. Ciò fa pensare ad un fango calcareo che si è decantato in pochi decimetri d’acqua, al di sopra del conglomerato di cui. presumibilmente, costituiva la parte più sottile. Le piccole cavità, attualmente riempite da calcite spatica, furono provocate dalla disi¬ dratazione di questi sedimenti, contemporaneamente alla formazione delle fessure da disseccamento. Al conglomerato con impronte di disseccamento sono sovrap¬ posti, con l’intercalazione del livelletto argilloso giallo, alcuni strati di calcari e puddinghe, per uno spessore di un paio di metri ; segue uno strato con grosse ippuriti in frammenti. Al primo strato con ippuriti sono sovrapposti ancora conglomerati ( 6). C’è stata dunque una rapida sostituzione di una facies con ogni evidenza continentale, con una facies marina. Tutto ciò non deve meravigliare, poiché è un dato di fatto che può essere notato spesso a tetto delle bauxiti dell’Appennino. Le sun cracks inoltre sono molto resistenti all’azione erosiva in genere e possono sopportare ripetute piogge ( 7), nevi, geli e disgeli (6) Questi pochi strati di puddinghe e calcari, sottoposti alle prime ippuriti. che sono già un elemento cronologicamente sicuro (non più antiche dell’Angou- miano), rappresentano delle oscillazioni (una o più brevi e parziali ingressioni) precedenti la grande ingressione senoniana? Solo un esame molto dettagliato delle serie locali potrà dare una risposta a questo interrogativo. (7) Krynine (1935) ha osservato numerose tracce recenti di passi di cane nelle argille di una cava presso New Haven nel Connecticut, che resistettero per oltre un mese a ripetute piogge, per un totale di oltre 140 mm., e furono più volte sommerse — 96 — (Shrock, 1948); è probabile che gli scarsi rinvenimenti effettuati finora sarebbero più numerosi se l’erosione, continuando a lungo nel tempo, non distruggesse queste superfici disseccate prima che altri sedimenti, ricoprendole, ne permettano la a fossilizzazione ». A questo proposito Dumbar e Rodgers (1957) rilevano che se il materiale che si disidrata contiene una certa percentuale di CaC03, questo, durante il disseccamento, indurisce rapidamente e permette una migliore conservazione delle sun cracks. Infine, pochi metri più in alto nella serie, abbiamo, con la tra¬ sgressione del Miocene, una situazione che presenta molte analogie con questa ora descritta. Infatti il Miocene trasgredisce improvvisa¬ mente e in subconcordanza sul Cretacico superiore, conservando, sulle rocce cretacee, perfino esili strutture organiche, messe in rilievo dalla dissoluzione differenziale tra fossili e cemento calcareo, dissoluzione che si verificò nella fase d’emersione precedente alla trasgressione. Il significato di questa segnalazione va, naturalmente, al di là del semplice particolare e fornisce elementi di un certo interesse nel tema, ancor oggi discusso, della genesi delle bauxiti, la cui biblio¬ grafia, ricca di dati concordanti nell’indicarne la facies continentale non conteneva, finora, una segnalazione del genere. È noto che i giacimenti dell’ Appennino, a differenza di quelli del Gargano e delle Murge, sono sempre di forma lenticolare, fre¬ quentemente stratiformi, anche per notevole estensione. A prescin¬ dere dall’intrinseco significato delle bauxiti, a volte discusso, uno degli argomenti più frequentemente addotti in favore della loro origine continentale era dato, finora, dalle sole caratteristiche del letto che. in quei rari casi in cui lo si può chiaramente osservare, si pre¬ senta come una superficie ondulata, erosa, carsificata. Ora la presenza di sun cracks in uno strato di puddinga calcarea a tetto delle bauxiti, ribadisce il valore della interpretazione che si dà a tutto il complesso e ben s’inquadra con il ritrovamento di gaste¬ ropodi terricoli nelle bauxiti istriane ad opera di Kormos e con i più recenti ritrovamenti di granelli pollinici (8) e di spore (Deak e si asciugarono, senza perdere quasi nulla della loro nitidezza. Egli conclude che non bisogna neeessariainente associare le caratteristiche paleoclimatiche delle super- fici disseccate con la semi-aridità. (8) In un campione prelevato recentemente nella Marsiea, in un livello di argille rosse, a tetto delle bauxiti, la dott. de Cunzo. dell’Istituto di Geologia dell’Università di Napoli, ha rinvenuto granelli pollinici appartenenti a numerose essenze. 97 — Marget, 1957) (9), di molluschi d’acqua dolce ( Melania , Pyrguli- fera) nelle bauxiti di Halimba e di Gant, in Ungheria ( Kiss, 1953) (9); di denti di coccodrillo, ad opera di Noszky, nelle argille bauxitiche di Olaszfalu (Anelli, 1958). IL Poiché si è accennato ai problemi tanto discussi della genesi e della posizione stratigrafica delle bauxiti dell’ Appennino, non pare superfluo, a conclusione di queste poche osservazioni, e per meglio inquadrarle in un tema più ampio e generale, accennare, sia pure di sfuggita, ad alcuni risultati cui sono pervenuto in due anni di osservazioni eseguite nell’ Appennino campano e, più recentemente, nella Marsica. Dopo le prime osservazioni di Cassetti, che considerava le bauxiti stratigraficamente ben localizzate (10) nella serie cretacica (Cassetti, 1901, 1902), sono state date, anche recentemente, molte e contrastanti interpretazioni, per quel che riguarda sia la genesi che la stratigrafia di questi depositi, mettendone in dubbio o addi’ rittura negandone la costanza della posizione stratigrafica. Perciò, senza entrare nel merito della questione, che ci porte¬ rebbe molto lontano e che, d'altronde, è l’argomento di altra nota di prossima pubblicazione, si vuole qui sottolineare, dopo una analisi attenta dei fatti osservati ed un esame critico della bibliografia esi¬ stente, che : 1°) le bauxiti sono un deposito continentale e testimoniano quindi un periodo di interruzione della sedimentazione marina (9) 11 rinvenimento di fossili d’ambiente continentale va diventando sempre più frequente, man mano che si approfond scono le ricerche in tal senso. Accenni a questi ritrovamenti sono contenuti già in de Weisse (1948). Gli autori qui citati sono riportati in Anelli (1958) con queste indicazioni bibliografiche: Kiss J. Resti vegetali nelle bauxiti di Gant (Nota preliminare). « Geol. Mitt. », 1953 (in ungherese). Deak Marget H. Ricerche sui pollini delle bauxiti ungheresi. « Boll. Soc. Geol. Ungh. », voi. 87, pp. 24-29. Budapest, 1957 (in ungherese). Vadasz E. La geologia delle bauxiti. Budapest, 1952 (in ungherese). (10) Cassetti (1902) afferma che: « gli affioramenti ferruginosi-bauxitici... finora osservati nel nostro Appennino si trovano tutti ad un livello del piano a requienie delVUrgoniano , poco al di sotto del superiore calcare ippuritico del Turo- niuno , posizione press' a poco identica a quella delle bauxiti nel sud della Francia ». — 98 — (Gortani, 1921; Vardabasso, 1921; De Lapparent, 1930; D’Am¬ brosi, 1942; C a vinato, 1948; De Weisse, 1948); 2°) è paleontologicamente dimostrabile uno iato notevole (11) tra il muro e il tetto di questi depositi, contrariamente a quanto si era ritenuto finora per l’Appennino ; 3°) la posizione stratigrafica delle bauxiti, salvo possibili ma modeste variazioni, relative alla diversa entità dell’erosione interve¬ nuta durante la fase di emersione, o connesse col procedere nel tempo e nello spazio della successiva ingressione, è, nel suo complesso, costante (12); 4°) è possibile identificare dei particolari livelli, che risultano essere delle facies eteropiche delle bauxiti stesse, e delle zone in cui, pur non essendovi nè bauxiti, nè sedimenti ad essi equivalenti, esiste, ed è paleontologicamente dimostrabile, la suddetta lacuna (13); 5°) la posizione geografica degli affioramenti di bauxite, e di (11) Nel Matese meridionale (a sud del Miletlo) la lacuna mediocretacica com¬ prende l’Albiano (tutto o in parte), il Cenomaniano e il Turoniano (tutto o in parte). Le stesse considerazioni possono valere per il gruppo del Monte Maggiore e per il gruppo del Taburno-Camposauro. Tuttavia ulteriori notizie potranno essere fornite dallo studio in corso di campioni prelevati immediatamente a tetto delle bauxiti. Infatti su quest’ultime non sempre poggiano direttamente i primi strati con ippuritx : vi sono, a volte, da 1 a 7-8 metri di serie, data prevalentemente da calcari e puddinghe calcaree, che potrebbero anche testimoniare qualche oscillazione intermedia (vedi anche nota n. 5). (12) Si ritiene di potere escludere, per le zone in cui sono state compiute queste osservazioni, la presenza di più orizzonti bauxitici sovrapposti. Piccole faglie di modesto rigetto possono dare questa impressione in più luoghi, ma Pesame delle microfacies e delle caratteristiche litologiche permettono di riconoscere il motivo tettonico di questa ripetizione. Localmente però esistono, alcuni metri sopra le bauxiti, dei livelletti conglomeratici a cemento rossastro o degli interstrati argillosi rossi. Ammesso che testimonino una breve emersione nel corso della ingressione sopracre¬ tacica, non sono da considerare certamente alla stregua di livelli bauxitici. Si è finora riscontrata una sola eccezione nella parte meridionale del gruppo del Monte Maggiore (M. Grande), dove, una ventina di metri sopra Torizzonte bauxitico, esiste un livelletto di 15-20 cm. di spessore, costituito da una bauxite pisolitica di colore rosso bruno. La posizione di questo livello, sulPestremo bordo meridionale della zona d’emersione mediocretacica, che indubbiamente andò soggetta a ripetute oscil¬ lazioni, non credo possa infirmare, nella sostanza, Tattermazione precedente. (13) Nel gruppo del Taburno-Camposauro, ai calcari ad ittioliti aptiani o ai calcari a requienie dello stesso piano, segue il Turoniano superiore-Senoniano in sub¬ concordanza e con la eventuale intercalazione di placche di brecce a cemento rosso, rosato e giallo o di conglomerati; nel gruppo (lei Monte Maggiore, invece, è possibile seguire lateralmente il passaggio tra orizzonte bauxitico e brecce calcaree a cemento rosso e giallo. — 99 — tutte le altre zone in cui è dimostrabile resistenza dello iato, è tale da delimitare un’area d’emersione medio-cretacea, che potremmo definire terra delle bauxiti , che, a partire dal Taburno e dal Matese meridionale, si estende verso nord ovest, fin dove sono presenti le bauxiti più settentrionali, a costituire una zona allungata, grosso modo, secondo l’asse dell’Appennino (14). Si propone pertanto di assumere l’orizzonte delle bauxiti, per le zone in cui è presente, quale limite tra il Cretacico superiore ed inferiore (15), in considerazone della importanza e della estensione dei fatti stratigrafici e paleogeografici connessi con questi depositi. Napoli , Istituto di Geologia , Geografìa Fisica e Paleontologia dell’Università, ottobre 1V62. BIBLIOGRAFIA (*) Anelli F. 1958, Le cavità con riempimento bauxitico di Spinazzola (Bari). Forme paleocarsiche bicicliche nelle Murge Nord-occidentali. « Deux. Congr. Inter. Spe¬ lèo!, », Tom, I, sez. I, pp. 201-215. Putignano. Barrell J. 1906, Relative geologica! importance of Continental, littoral and marine (14) Esiste dunque un’area d’emersione mediocretacica ( terra delle bauxiti) allungata, grosso modo, secondo l’asse dell’Appennino. A sud e ad ovest di questa zona emersa, a partire dalla fine del Cretacico inferiore, si sviluppa una serie che risulta diversa da quella in cui è intercalata la bauxite, perchè priva di lacune stratigrafiche fino a tutto il Cretacico superiore. Questa emersione mediocretacica della terra delle bauxiti, che deve essere stata di tipo epeirogenetico, può aver determinato inoltre delle « predisposizioni tettoniche » lungo il confine tra le due zone. È possibile infine, se alcune affermazioni oggi discusse troveranno conferma, mettere in relazione con questa emersione l’inizio della formazione di un bacino (Scarsella, 1957), nord- orientale rispetto all’area d’emersione, in cui il substrato medio o infracretacico sop¬ porterebbe la base del flysch selcioso-calcareo-conglomeratico d’età cratacea e paleo¬ genica, la cui parte più antica documentata, corrisponde abbastanza bene, cronologi¬ camente, con la parte più recente della serie cretacica che si può ritrovare a letto della trasgressione. (15) Da ciò che si è detto prima risulta che nè il cretaceo inferiore, nè quello superiore sono completi, mancando alla serie la parte superiore del primo e quella inferiore del secondo. (*) Poiché nella letteratura geologica italiana non è mai fatto cenno al rin¬ venimento di sun cracks fossili o ai problemi ambientali connessi, ho ritenuto opportuno riportare in bibliografia i lavori a me noti sull’argomento. — 100 — sedimentalion. Pt. III. 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SUMMARY For thè first time thè author signals thè presence of sun cracks on top of thè bauxites in Matese and describes their charaeteristics. He continues with some considerations on a stratigraphic break of Middle Cre- taceous age, that he correlates with thè bauxites of thè Campan Apennines. B. D’Argenio. Impronte di disseccamento, ecc. - Tav. I, Fig. 2. — Sun cracks equiradiali. 1/20 gr. nat. Fig. 3. — Sun cracks irregolari. 1/10 gran. nat. 11. Soc. Nat. in Napoli, 1962. Fig, 1. — Matese. Regia Piana, località Pecorareccia : Miniera di bauxite abbandonata, bx, orizzonte bauxitico; i, conglomerati con impronte di disseccamento. Boll. Soc, Nat. in Napoli, 1962 B. D’Argenio. Impronte di disseccamento, ecc. - Tav. II. Fig. 1. — Matese. Regia Piana, località Pecorareccia : Miniera di bauxite abbandonata. Sun cracks equiradiali esagonali. 1/16 della grandezza naturale. Nuove osservazioni sul livello ad Orbitolina in Campania (lNota preliminare) Nota del socio PIERO DE CASTRO (Tornata del dì 30 novembre 1962) § 1. — Premessa (*) (1). I lavori di rilevameli io ed aggiornamento della carta geolo¬ gica d’Italia — fogli: 172 Caserta, 185 Salerno, 197 Amalfi — che si svolgono sotto la direzione del Prof. Francesco Scarsella, hanno portato, tra l’altro, ad un riesame dei fossili del ben noto livello ad Orbitolina dell’Appennino campano a causa dell’importanza che esso riveste sia dal punto di vista stratigrafico, sia come orizzonte- guida di facile riconoscimento sul terreno. Questo livello di colore generalmente verdastro, prevalentemente marnoso ma anche calcareo, detri tico e conglomeratico, occupa la parte più alta di un complesso caratterizzato in microfacies dalla pre¬ senza di Salpingoporella dinarica. Esso permette di suddividere la potente pila sedimentaria cretacica, di facies monotona, in due parti: una inferiore da attribuire, secondo noi, al Cretacico inferiore, ed (*) Ringraziamo i professori Francesco Scarsella, Angela Marta Maccagno, Maria Moncharmont Zei, Cesare Sacchi per i consigli di cui ci sono stati prodighi ; il dott. Pietro Dohrn, direttore della Stazione Zoologica di Napoli, per averci fornito l’assistenza tecnica necessaria alla documentazione fotografica di questo lavoro; i coìleghi Giuseppe Guzzetta, Antonino Ietto. Italo Sgrosso per l’aiuto datoci nella raccolta dei fossili e le segnalazioni del livello ad Orbitolina comunicateci. (1) A causa del carattere preliminare di questo lavoro, ci siamo occupati sol¬ tanto della determinazione dei molluschi più diffusi nel livello ad Orbitolina e di poche altre specie fossili. Ci ripromettiamo di colmare le lacune del nostro studio, nel modo migliore consentitoci, in un prossimo futuro. 104 — una superiore spettante quasi interamente al Cretacico superiore (2). Tra le località (fig. 1) in cui l’orizzonte ad Orbitolina si presenta prevalentemente marnoso, e quindi di facile riconoscimento sul terreno, citiamo le seguenti : 1) Subito a SE del toponimo V.ne Teglia, lungo la strada Vico Equense-Monte Faito ( tav. Castellammare di Stabia). 2) Presso Cisterna Menatora (tav. Castellammare di Stabia). 3) Sorgente Acqua Saucà, sulla strada Castellammare-Monte Faito (tav. Castellammare dì Stabia). 4) Sul sentiero da Orsano al V.ne del Pericolo, subito ad E del toponimo S. Maria a Vigne (tav. Castellammare di Stabia). 5) Sulla scarpata a monte della strada Castellammare-Sorrento, subito ad E del Fosso Sperlonga (tav. Punta Orlando). 6) Sorgente Sperlonga (tav. Punta Orlando). 7) Sul sentiero da Figlioli a Cas. Forestale, fra il V.ne Carcara ed il V.ne Pastorale (tav. Mercato S. Severino). 8) Versante S della dorsale di Sarno (tav. Sarno). 9) Sorgente S. Marino (tav. Sarno). 10) Collina subiio a N di Nocera Inferiore (tav. Sarno). 11) Sorgente S. Maria della Foce (tav. Sarno). 12) Pendici sud-orientali di M. Cerreto ( tav. Nocera Inferiore). 13) Cima S. Michele di M. S. Angelo a Tre Pizzi (tav. Positano). 14) Colle delle Vene (tav. Positano). 15) Pendici meridionali di Monte Tobenna (Tav. S. Cipriano Picentino). 16) Sulla cresta congiungente Pizzo S. Michele al Monte Mai (tav. Solofra). 17) Versante W di Monte S. Angelo (tav. Nola). 18) Subito a valle, verso sud, dei monti Ciesco Alto e Avella (tav. Baiano). (2) Contrariamente a quanto giustamente osservato da Oppenheim P., 1889 [42]; Bose E., 1896 [7], e Bassani F. e D’Erasmo G., 1912 [5], ritennero che il livello ad Orbitolina occupasse la posizione stratigrafica più alta della serie cretacica affiorante nei Monti Lattari, -^NO LO — 105 — §2. — Precedenti conoscenze. Il livello ad Orini olino deir Appennino campano fu segnalato per la prima volta nel 1866 da Guiscardi G. [33] che vi riconobbe Orbitolina conica , Neithea alava , Neithea Morrisi , Inoceramus , Lima , Arca , Corbula e Sphaerulites « negli strati vicini ». Questa fauna indusse Fautore a ritenere probabile per il livello un’età urgo- aptiana. Nello stesso anno, O. G. Costa [15] illustrò molto sommaria¬ mente ' tanto le Orbìtolìnae (sub Orbitoliti) che vari molluschi provenienti in parte dal livello ad Orbitolina ed in parte da calcari di posizione stratigrafica non definita rispetto al precedente. Su questi fossili, riferiti tutti a forme nuove (tranne uno attri¬ buito a Janira hoeninghausii , specie vivente), Bassani F. e D’E- rasmo G. ([5], pag. 13) osservarono giustamente che: cc si può tener poco calcolo , perche alcuni sono probabilmente di altri luoghi , e parecchi , allo stato di modelli interni, non consentono talvolta nem¬ meno una determinazione generica ». Gli autori posteriori, fino al 1912, (Oppenheim P., 1889 [45]; Bassani F., 1899 [3]; Bassani F. e De Lorenzo G., 1893 [4] ; De Lorenzo G., 1894 [18]; Bòse E., 1896 [7]; Bòse E. e De Lo¬ renzo G., 1896 [8]), # sulla scorta dei dati di Guiscardi attribuirono il livello alFAptiano o all’Urgo-Aptiano riconoscendovi generalmente le faune già riscontrate anche se dai più si precisò che V Orbitolina riferita da Guiscardi alla specie O. conica appartenesse invece ad O. lenticularis. De Lorenzo G. [18] riconobbe per primo in questo livello la presenza di Orbitolina conoidea (3). Bassani F. e D’Erasmo G., 1912 [5], attribuirono per primi il livello ad Orbitolina ed i sottostanti ittioliti della Penisola Sor¬ rentina al Cenomaniano. Questi autori, cui non era sfuggito come la facies dei pesci fossili facesse pensare a terreni stratigraficamente più bassi (Purbeckiano e Wealdiano), furono probabilmente indotti a questa attribuzione stratigrafica dal riferimento al Cenomaniano (3) Anche Cassetti [9] nella Carte Geologica d'Italia, Foglio 196 - Vico Equense, attribuisce alFUrgoniano i calcari a Requienia della Penisola Sorrentina ed il livello ad Orbitolina. Siccome nella legenda annessa alla carta geologica i livelli senoniani seguono immediatamente quelli urgoniani, l’autore comprende nelFUrgoniano anche i terreni del Cenomaniano e del Turoniano. — 106 — delle Orbiiolinae del livello in esame, effettuato da Prever P. L. [57], e dei lamellibranchi provenienti in parte dallo stesso livello, in parte da altri, considerati coevi, effettuato da Parona C. F. [47]. Questa datazione influenzò, secondo noi, notevolmente, gli studi posteriori. Lo stesso De Lorenzo infatti, nel 1937 [19], in « Geologia dell’Italia Meridionale » riferisce al Cenoni aniano il livello ad Orbiìo - lina. Alle stesse conclusioni giunge Mirigliano G. [43], nel 1948. in base al riconoscimento di Orbitolina concava ed O. paronai nel livello ad Orbitolina di Monte Cocuzze (Salerno). Ducei A. e Segre A. G. [27] nel 1955, ascrivono, anche se con riserva, i livelli ad ittioliti e quello ad Orbitolina di Castellammare, al Cenomaniano. §3. — Considerazioni sull’età del livello ad Orbitolina. Come risulta da quanto scritto nel paragrafo precedente, il livello ad Orbitolina fu per la prima volta attribuito al Cenomaniano da Bassani F. e D'Erasmo G. in base a numerosi fossili apparte¬ nenti a diversi gruppi faunistici. Nessuno degli autori posteriori, ad eccezione di Mirigliano G., apportò nuovi dati paleontologici a conferma di questo riferimento cronologico. I fossili citati da Bassani F. e D’Erasmo G. sono i seguenti : 1) Numerosi foraminiferi con prevalenza di mi 1 iolidi, riscontrati da Parona C. F. ([47], pag. 21). 2) Varie specie di Orbitolina (4), determinate da Prever P. L. ([57], pp. 22-23), il quale, pur notando come le specie più diffuse ( Orbitolina boehnii , O. discoidea) siano tipiche dello Aptiano (O. discoidea anche dell’Albiano inferiore), pensa che (4) Le specie di Orbitolina riconosciute da Prever e la distribuzione strati¬ grafica ad esse relativa, riportata dallo stesso autore, sono : — Orbitolina anomala Prever (rarissima). Forma tipica abbondante ed assai bene sviluppata nelVAlbiano e nell Aptiano: fin dal principio del Cenomaniano rappresentata da esemplari ridotti in dimensioni con i caratteri specifici in via di modificazione. Orbitolina polymorpha Prever (un esemplare ). Sorta nell’ Aptiano ; si rin¬ viene tipica nelVAlbiano e nel Cenomaniano inferiore , dov'e assai diffusa ; rappre¬ sentata da mutazioni nel Cenomaniano superiore, dove si estingue. Orbitolina boehmi Prever ( poco abbondante ). Forma tipica caratteristica delV Aptiano ; nei giacimenti del Cenomaniano superiore diffìcilmente se ne rinven¬ gono esemplari che ricordino la forma tipica. Orbitolina discoidea Gras (rara). La forma tipica si raccoglie specialmente — 107 — si debba attribuire il livello al Cenomaniano inferiore : Intercorrono infatti, riferisce Prever, strette analogie tra la fauna orbitolinica di Capo d’Orlando e quelle, non solo, di Tarahuna in Tripolitania e Col di Schiosi nel Veneto, le quali per i caratteri regressivi di alcune forme devono essere ascritte al Turoniano inferiore; ma anche con quelle di Termini Imerese in Sicilia [22] e dei Monti d’Ocre nell’Abruzzo aquilano riferite al Cenomaniano superiore [46]. Noi, facendo affidamento sulle determinazioni specifiche di Prever pensiamo, però, che si debba dare un’importanza mag¬ giore all’età più frequentemente riscontrata per le specie più abbondanti nel livello ad Orbitolina; riteniamo, perciò, più probabile che esso abbia un’età più antica del Cenomaniano. 3) Alghe calcaree rappresentate da non rari resti di Triploporellae ?, riscontrate da Paroma C. F. ([47], pag. 21). In realtà trattasi di Salpingoporella dinarica Radoicic [58]. 4) Echinoidi rappresentati da un unico esemplare incom¬ pleto determinato da Parona come Cyphosoma major (Co- quand) (?) [13], del Cenomaniano e Turoniano. La presenza, in questo esemplare, di tubercoli molto distintamente perforati ci fanno escludere, però, che possa trattarsi di Phymosoma ( nome valido di Cyphosoma) o di altro rappresentante della stessa famiglia [44,77]. 5) Lamellibranchi. Le forme segnalate da Paroma [47] (tutte con¬ servate presso il Museo di Paleontologia dell’ Università di Napoli) e la distribuzione che lo stesso autore ne dà, sono le seguenti : Radula elongata (Sow.), Cenomaniano di Mans. Neithea Dutemplei (d’ORB.), Cenomaniano-Turoniano. Cfr. Crassatella dubia Seg., Cenomaniano. Cardium cenomanense d’ORB. (?), Cenomaniano. Cyprina ligeriensis d’ORB., Cenomaniano. Pholadomya Schlumbergeri Thomas et Peron, Cenomaniano sup. nell’ A ptiano e nelVAlbiano ; passa pure nel sopracretacico dove però gli esemplari si scostano già un poco dai tipici. — Orbitolina conoidea Gras (comune). Sorta nel Barremiano superiore ed abbondantissima nell’Aptiano e nelVAlbiano inferiore , s’impoverisce nelVAlbiano superiore e nel Cenomaniano inferiore, dove, a quanto sembra, scompare, lasciando il posto alle sue affini O. bulgarica ed O. paronai. — 108 — Pholadomya Fontannesi Choffat, Cenomaniano sup. e Turoniano. Sauvagesia Nicaisei ( Coquand), Cenomaniano. Eoradiolites f. ind. ( ?). Apricardia Douvillei Thomas et Peron ( ?), Cenomaniano sup. Nessuno degli esemplari riferiti alle forme elencate può, secondo noi, essere indicativo dell’età del livello ad Orbitolina per i seguenti motivi : Le forme determinate da Parona come Radula elongata sono da riferire, come verrà illustrato nel paragrafo dedicato alla paleon¬ tologia, a Lima uff . cottaldina. Gli esemplari determinati come Neithea Dutemplei sono da riferire a Neithea atavo. L’esemplare allo stato di modello (deformato) indicato come cfr. Crassatella dubia differisce dalla specie di Seguenza [67)], anche essa allo stato di modello, per essere provvisto di una carena che isola l’area posteriore dal resto del guscio. Nel Museo di Paleontologia dell’Università di Napoli sono indicati come Cardium cenomanense d’OfiB. (?) [25] tre esemplari che ora per comodità chiameremo esemplari 1, 2, 3. L’esemplare 1, che non lascia vedere a causa del pessimo stato di conservazione alcuna ornamentazione, si differenzia da Cardium cenomanense per essere ovalare, allungato posteriormente, più lungo che alto, con margine supero-posteriore inclinato inferiormente così come quello supero-anteriore. La specie di D’Orbigny è invece più alta che lunga ed ha un contorno grossolanamente subquadrangolare. Gli esemplari 2 e 3, un po’ mutilati posteriormente, sono da riferire probabilmente a Pholadomia cornueliana. Essi si differenziano co¬ munque da Cardium cenomanense per essere, nelle condizioni in cui si trovano, ovalari con altezza ( h) minore della lunghezza ( /) anzi¬ ché subquadrangolari e con h maggiore di l; inoltre per avere gli spazi intercostali più larghi (o tutt’al più uguali alle coste verso la parte anteriore) anzicchè meno ampi delle coste. Le forme indicate da Parona come Cyprina ligeriensis d’ORB. differiscono dalla specie di D’Orbigny [25] perchè hanno una forma sub triangolai e anzicchè grossolanamente trapezoidale, e perchè pre¬ sentano rumbone poco o niente prosogiro anzicchè sensibilmente proso giro. — 109 - Gli esemplari indicati come Pholadomya Schlumbergeri differi¬ scono dalla specie di Thomas e Peron [49, 50 J per la presenza di una carena posteriore molto marcata che delimita un’area ben sviluppata cui Thomas e Peron non fanno nella descrizione della loro specie nessun accenno; inoltre perché presentano la regione anteriore più stretta e gli umboni robusti e meno ricurvi i quali non raggiungono la linea cardinale. Queste forme, secondo noi, sono probabilmente delle Arca. Gli esemplari attribuiti a Pholadomya Fontannesi [11] sono da riferire, come si dirà appresso, a Pholadomya cornueliana. I campioni di roccia contenenti Sauvagesia Nicaisei non pro¬ vengono senz’altro dal livello ad Orbitolina nè poco al di sotto o al disopra di esso. La microfacies di questo livello e quella degli strati contigui è per lo più gremita di Sai pingo por ella dinarica mentre quella dei campioni a Sauvagesia sta ad indicare che questi cam¬ pioni provengono da strati che sovrastano stratigraficamente il livello ad Orbitolina di almeno trecento metri. La microfacies in essi riscontrata, che in questa parte dell’Appennino è caratteristica del Turoniano-Senoniano, è infatti costituita da: Thaumatoporella parvovesiculifern Aeolisaccus kot ori Miliolidae Rotaliidae Lituolidae Valvulinidae. Anche il campione di roccia contenente la forma indicata come Eoradiolites f. ind. (?) proviene da livelli sovrastanti slratigrafica- mente di almeno trecento metri quello ad Orbitolina. La microfacies in esso riscontrata è infatti analoga a quella dei campioni a Sauvagesia . Gli esemplari designati come Apricardia Douvillei Thomas e Peron (?) [49, 50] sono rappresentati da alcuni frammenti di lamellibranehi che non presentano alcuna somiglianza con la specie di Thomas e Peron mentre sono piuttosto da ravvicinare a Requenia. La microfacies ad essi relativa, per quanto ci è stato permesso di osservare su alcuni frammenti molto piccoli tratti dalla roccia attac¬ cata ad uno degli esemplari, è costituita da frammenti di gusci di molluschi, rare miliolidi, e resti occasionali di das'cladacee riferibili probabilmente a Sai pingo por ella annullata. Questa associazione ci - 110 — induce a ritenere i campioni che la contengono stratigraficamente sottoposti al livello ad Orbitolina. Nel Museo di Paleontologia delPUniversità di Napoli sono pre¬ senti numerosi campioni contenenti rudiste (s. s.) che provengono dalla stessa località (Torre d’Orlando-Castellammare) indicata per i fossili del livello ad Orbitolina , o creduti tali, esaminati da Parona. La microfacies ad essi relativa è la stessa di quella osser¬ vata nei campioni a Sauvagesia ; quindi si può senza altro escludere che anche questi campioni siano coevi del livello in esame. 6) Ittioliti. Bassani e D’ Erasmo. esaminando le analogie che i pesci fos¬ sili di Castellammare presentano con altre ittiofaune avevano notato che: a Un fatto colpisce subito : la sua facies titonica o almeno , la sua grande somiglianza con faune dell’ Oolite superiore . A primo aspetto si crederebbe quasi di essere davanti a pesci di Kelhein, di Eichstaedt di Solenofen , etc del Portlandiano inferiore . Peral¬ tro un esame minuzioso dimostra che nessuna specie e comune ai predetti depositi ed a quello di Capo d’ Orlando . Essa presenta mag¬ giori legami col Purbeckiano col quale ha comune due specie . e col W ealdiano . ». Gli autori sopra citati, però, forse perchè influenzati dalle data¬ zioni di Parona C. F. e Prever P. L., finirono col riferire gli ittio¬ liti — e quindi il sovrastante livello ad Orbitolina — al Cenoma- niano, ritenendo che sei delle nove specie di pesci fossili di Castel¬ lammare fossero comuni a giacimenti cenomaniani. Noi siamo del parere che non debba essere trascurato il primo giudizio espresso da Bassani e D“ Erasmo. 1912 [5], e D’Erasmo, 1913 [21], rispettivamente sugli ittioliti di Castellammare e di Pie- traroia. Gli ittioliti delle due località, appartenenti secondo Bassani ([3], 1892, nota 2 a piò di pagina 2) allo stesso livello stratigrafico, sono da riferire anche in base alle nostre ricerche basate sullo studio delle microfacies al cretacico inferiore; non siamo, però, ancora, in grado di confermare se i livelli ittiolitif eri delle due località si siano formati nello stesso intervallo di tempo. Le specie dei pesci fossili riscontrate a Castellammare [5] sono le seguenti: Notagogus Pentlandi Agassiz Propterus Scacchii (Costa) — Ili — Lepidotus minor Agassiz Stemmatodus rhombus (Agassiz) Coelodus Costai Heckel Leptolepis Brodiei Agassiz Leptolepis aff. V oithi Agassiz Aethalion robustus Traquair Elopopsis Fenzli Heckel. Notagogus Pentlandi e Propterus Scacchii presentanti, secondo Bassani e D’Erasmo, 1912 [5], analogie con forme del Purheckiano e del Wealdiano, sono presenti anche a Pietraroia (circa 80 km. a nord di Castellammare) in livelli che già Bassani ([3], 1880, 1885, 1890, 1892), anteriormente al 1912, aveva ripetutamente attribuiti al Cretacico inferiore ( Neocomiano-Aptiano). Mancando altre segna¬ lazioni di queste specie esse non possono servire a provare Petà ceno- maniana dell’ittiofauna di Castellammare. Lepidotus minor , Aethalion robustus e Leptolepis all. V oithi sono: il primo una specie del Purheckiano presentante notevoli affinità con forme wealdiane ; il secondo una specie del Wealdiano; il terzo una specie affine a Leptolepis V oithi del Portlandiano di Baviera. Leptolepis Brodiei , specie nota nel Purheckiano, è anche pre¬ sente a Pietraroia (D’Erasmo, 1915 [21]), Lesina, Comen e Vucigrad. Anche ammesso che le località di Lesina, Comen e Pietraroia, rite¬ nute anteriormente al 1912 di età infracretacica da Bassani ([3], 1880, 1885, 1890, 1892), siano cenomaniane (Bassani e D’Erasmo, 1912 [5]; D’Erasmo, 1915, 1922, 1946, [21]); la sua diffusione stra¬ tigrafica potrebbe soltanto stabilire che gli ittioliti di Castellammare non sono più giovani del Cenomaniano. Elopopsis Fenzli e Coelodus Costai sono stati rinvenuti anche a Comen. Inoltre, il primo è pure probabilmente presente a Pietraroia; il secondo è presente oltre che a Comen, anche a Pietraroia e nell’Isola di Meleda (D’Erasmo. 1915, 1946, [21]). Stemmatodus rhombus è specie riscontrata nei dintorni di Cra¬ covia da Heckel nel 1856 in un calcare, simile litologicamente a quello di Castellammare che Bassani e D’Erasmo (1912 [5]) rife¬ riscono al Cenomaniano. Quindi pur ammettendo che i pesci di Comen, Lesina e Cra¬ covia siano cenomaniani, la ittiofauna di Castellammare sarebbe costituita da due specie ( Notagogus Pentlandi e Propterus Scacchii ) - 112 - presenti in un livello ia cui età è in discussione; tre specie ( Lepi¬ do tus minor , Aethalion robustus , Leptolepis aff. V oithi) del Portlan- diano-Wealdiano ; una nota dal Portlandiano al Cenomaniano ( Lepto¬ lepis Brodiei ); tre, note nel Cenomaniano ( Elopopsis Fenzli, Coelodus Costai , Stemmatodus rhombus). Dopo quanto si è detto ci sembra che le prove fin'ora addotte non siano sufficienti a provare l’età cenoni aniana del livello ad Orbi- tolina. Come era stato osservato da Bassani e D’Erasmo, 1912 [5] e da D’Erasmo, 1915 [21], d'altronde, la facies delle ittiofaune di Castellammare e di Pietraroia fa pensare indubbiamente a terreni più vecchi del Cenomaniano. Ciò non dovrebbe essere sottovalutato in quanto le singole specie, col procedere delle conoscenze, possono risultare presenti in intervalli stratigrafici molto ampi, per cui le deduzioni che permettono temporaneamente possono risultare ine¬ satte dopo ulteriori segnalazioni. Quella che, invece, secondo noi, può realmente indirizzare verso una determinata altezza stratigrafica è la biofacies, cioè l’associazione faunistica e floristica, che se anche presente in un intervallo stratigrafico più o meno ampio, non può ripetersi dopo che sia venuta a cessare. Ricerche da noi compiute hanno permesso di accertare nel predetto livello, come già riscontrato da altri autori, la presenza di resti talora abbondanti di lamellibranchi, foraminiferi ed alghe; inoltre, anche se in quantità minore, di gasteropodi, ostracodi e caracee. Il numero ristretto di determinazioni specifiche effettuato non ci consente, per ora, un preciso riferimento cronologico. Tut¬ tavia, tenendo conto della posizione strati grafica piu frequente delle Orbitolinae del livello in esame (5) e degli altri fossili da noi riscon¬ trati ( Sai pingo por ella dinarica , Neithea alava , Pholadomya cornuelia- na. Lima aff. cottaldina ), unitamente alla facies dei sottostanti ittioliti (5) All’Aptiano vengono infatti riferiti da Silvestri [70] i livelli con Orbito- hna conoidea ed O. discoidea , abbondanti, della Somalia. Allo stesso piano vengono riferiti (citazione in Silvestri [70]) quelli analoghi della Serbia, del Giappone ( Sorachi-Gawa, prov. di Ischikari ; Sannoiva presso Taro, prov. di Rikuchù), della parte meridionale del Caspio, dei dintorni di Eraclea, etc. All’Aptiano vengono rife¬ riti pure i livelli con Orbitolina conoidea ed O. discoidea del Libano da Hey- broek. [37]; quelli con O. discoidea e Salpingoporella dinarica della Jugoslavia da Radoicic [59], Polsak e Milan [56]. Anche Kilian [38], Gignoux [30] e Termiek, 1960 [77], nei loro pregevoli lavori di sintesi stratigrafica attribuiscono al Barremiano ed alLAptiano i livelli con piccole Orbitolinae tra cui O. conoidea ed O. discoidea. — 113 — accertata da Bassani e D’Erasmo, si può attribuire al livello ad Orbitolina in Campania un’età compresa tra il Barremiano e l’Al- biano, coincidente molto probabilmente con l’Aptiano. §4. — Paleontologia. Classe delle cloroficee Famiglia delle dasicladacee Salpingoporella dinarica Radoicic Tav. I 1912. T ri pio por ella? , C. F. Parona [47], p. 21. 1959. Hensonella cylindrica G. F. Flliot [28], p. 229, tav. 8. » Salpingoporella dinarica , R. Radoicic [58], p. 33, fig. 1, tavv. 3-5. » Dasycladaceae , AGIP mineraria [1], tav. 80. Abbiamo rinvenuto Salpingoporella dinarica tanto nelle sezioni sottili eseguite nelle parti più litoidi del livello ad Orbitolina quanto nei residui di lavaggio delle parti maggiormente argillose. Gli esemplari sciolti hanno il diametro dell’involucro calcareo esterno oscillante tra 0.20 e 0,40 mm. ; la lunghezza del tallo rag¬ giunge i due millimetri. Si è notato che i livelli a Salpingoporella dinarica abbracciano un intervallo ristretto della serie straitgrafiea. Questi fossili, dove presenti, compaiono generalmente in gran numero; essi si estinguono quasi repentinamente poco al di sopra del livello ad Orbitolina. Salpingoporella dinarica è molto diffusa, secondo Radoicic R. [58,59] che ne ha istituito la specie, Polsak e Milan [56], nel Barremiano-Aptiano della Jugoslavia, dove in associazione con Orbi¬ tolina discoidea può essere considerata un marker dell’Aptiano [59], Nelle Microfacies Italiane dell’ AGIP mineraria [1] S. dina¬ rica ( sub Dasycladaceae) è segnalata nell’Aptiano-Albiano della valle del Cornappo (Udine). Elliot [28] la segnala nel Barremiano dell’Iraq. — 114 — Famiglia delle codiacee Boueina hochstetteri monchar monti n. ssp. Tav. VI, VII, Vili Le forme che descriviamo sono state rinvenute solo in sezioni sottili. Nella località tipo esse sono contenute in un livello calcareo dello spessore di circa dieci centimetri giustapposto al livello mar¬ noso ad Orbitolina. Descrizione: Tallo subcilindrico di lunghezza variabile; sezione trasversale generalmente circolare, meno spesso ovalare. Il tallo è attraversato internamente da un gran numero di tubuli non segmentati a sezione circolare o lievemente ellittica in base ai quali è possibile differenziare una zona centrale in cui i tubuli, dicotomizzantisi con poca frequenza (prep, : 226.2, 226.3), hanno un decorso, anche se irregolarmente, longitudinale; ed una zona perife¬ rica in cui i tubuli si inclinano notevolmente rispetto alla superfìcie del tallo cui possono risultare anche quasi perpendicolari (prep.: A. 10.2). Nella zona periferica i tubuli si ramificano con maggior fre¬ quenza via via che si avvicinano alla superficie esterna diventando nello stesso tempo più sottili (prep.: A 10.5): le loro ramificazioni finali, abbastanza fitte, vengono a formare la zona corticale la quale è limitata alTesterno dalla superficie delTalga. Si riscontrano quindi nella zona periferica una zona esterna corticale ed una interna sub- corticale adiacente alla zona centrale e caratterizzata dal divergere dei tubuli. Dimensioni in mm.: Lunghezza massima osservata del tallo Diametro della sezione trasversale . » ( valori frequenti) .... )> (valori di massima frequenza) . Tubuli della parte centrale del tallo: Diametro esterno ...... )) (valori più frequenti) » interno ...... Spessore più frequente della parete dei tubuli: 5,20 0,70-2,20 0,90-1,50 1,05-1,50 . 0.025-0,075 . 0,04-0.06 . 0,025-0,05 . 0.012-0.025 — 115 Microbiofacies ( 6) : Boueina hochstetteri moncharmonti ++, Sai- pingoporella dinarica +, Ostracoli ~, Cuneolina sp. , Orbilolina ++, Miliolidae++ , T extulariidae+ , Lituolidae+ (tra cui Haplophragmoides). Località tipo: Monte Tobenna (Tav. : S. Cipriano Picentino, Fo¬ glio Salerno). Altre località: Pizzo S. Michele (Tav. Solofra, Foglio Salerno). Distribuzione: Cretacico inferiore, probabile Aptiano, dell’Ap- pennino Campano. Rapporti e differenze: Le forme indicate come Boueina hochstet¬ teri moncharmonti (dove il terzo termine sta ad indicare un gruppo razziale, in questo caso cronologico, della medesima specie [75]) si differenziano dalle altre forme di Boueina soltanto per le dimensioni. Queste risultano, infatti, intermedie tra quelle di B. hochstetteri Toula [72, 74, 79] (diametro della sezione trasversale tra 2 e 3,5 mm., con una maggior frequenza tra 2,5 e 3,5 min.) del Neoco- miano e B. pygmaea Pia [52, 60] (diametro della sezione trasver¬ sale tra 0.5-0, 9 mm.) del Luneburgian ( Cenomaniano-Turoniauo) di Tripoli. Note: Abbiamo osservalo degli esemplari in cui la zona centrale del tallo, in seguito a fenomeni secondarii è sostituita da materiale cristallino identico a quello che spesso costituisce il cemento tra gli organismi ed i detriti della microfacies. Abbiamo preferito, nelTistituire B. hochstetteri moncharmonti , adottare un criterio analogo a quello seguito da Le Maitre D. per B. hochstetteri var. Basica [41] anzicché quello di Pia J. [52] per B. pygmaea . Non siamo infatti dell’avviso che solo una variazione nelle dimensioni possa giustificare una differenziazione specifica, spe¬ cialmente nel nostro caso in cui si segue con una certa regolarità una diminuzione progressiva delle dimensioni trasversali medie del tallo degli individui nelle successive popolazioni (ci rifiniamo a popo¬ lazioni e non a pochi esemplari). Per questo motivo pensiamo che le forme ( Boueina pygmaea) rinvenute da Pia nel Luneburgian di Tripoli non costituiscano una specie diversa da B. hochstetteri ma appartengano, analogamente alle nostre forme, ad un altro gruppo razziale pur esso cronologico della medesima specie da indicare più esattamente, con Boueina hochstetteri pygmaea. (6) ( + +) = comune; (+) = frequente; ( — ) = rara. 116 — Famiglia delle caracee Le caracee sono rappresentate da rari resti di fruttificazioni (oogoni). A causa della loro scarsezza non siamo riusciti ad osservarli in sezione sottile ma solo ad isolarli dai residui di lavaggio della parte maggiormente argillosa del livello ad Orbitolina. Classe dei rizopodi Ordine dei foraminifert I foraminiferi sono gli organismi più diffusi del livello ad Orbitolina. Olire alle varie specie di Orbitolina che gremiscono la roccia ( Tav. II e III), si sono potuti riscontrare, però in via del tutto subordinata, numerose altre forme appartenenti alle famiglie delle Miliolidae , Lituolidae (tra cui Haplo phragmoides e Ammoba- culites ), V alvulinidae ; tra queste ultime si sono isolate numerosi esemplari appartenenti a forme molto primitive di Cuneolina , che sono in corso di studio. Classe dei lamellibranchi Neithea alava (Romer) Tav. IV 1839. Pecten atavus , F. A. Romer [63], p. 29. tav. 18, fig. 21. 1847. Janira alava , A, D’Orbigny [25], p. 627, tav. 442, figg. 1-3,5. 1847. Janira neocomiensis , A. D’Orbigny [25], p. 629, tav. 442, figg. 4,6-9. 1861. Janira alava , P. De Loriol [20], p. 105, tav. 14, fig. 1. 1861. Janira neocomiensis , P. De Loriol [20], p. 104, tav. 14, figg. 2-3. (7) Riteniamo che Guiscarbi G., 1866 [33], Oppenheim P., 1889 [45], Bas- sani F., 1890 [3], De Lorenzo G., 1894 [18], i quali citano nel livello ad Orbitolina , Neithea alava e Neithea Morrisi non abbiano riscontrato la presenza di due specie di Neithea ma un’unica specie: quella stessa che Costa O. G., 1866 [15], indica come Janira obliqua ; Bose E., 1896 [7], come Janira alava; Parona C. F., 1912 [47], come Neithea Dutemplei (8); noi, come Neithea alava . Infatti tutti gli esemplari presenti nel Museo di Paleontologia dell’Università di Napoli, facenti parte delle collezioni Costa, Bassani ed Oppenheim, e tutti quelli raccolti da noi appartengono ad una unica specie. — 117 — 1866. Neithea alava , G. Guiscardi [33], p. 123, (7). 1866. Neithea Morrisi , G. Guiscardi [33], p. 123. 1866. Janira obliqua , O. G. Costa [15], p. 21, tav. 2, fig. 1, a, A, B. 1866. Janira obliqua , var. c., O. G. Costa [15], p. 22, tav. 2, fig. 4, A, B ( non a). 1887. Janira alava , L. Mallada [42], p. 129, tav. 38 D, fìgg. 1-3. 1887. Janira neocomiensis , L. Mallada [42], p. 130. 1889. Neitea ( Janira ) alava , P. Oppenheim [45], p. 482 (7). 1889. Neitea morrisi , P. Oppenheim [45], p. 482. 1890. Pecten ( Neithea ) atavus , F. Bassani [3], pp. 5, 6 (7). 1890. Pecten ( Neithea ) morrisi , F. Bassani [3], pp. 5, 6. 1894. Neithea ( Janira ) alava , G. De Lorenzo [18], p. 70 (7). 1894. Neithea ( Janira ) Morrisi , G. De Lorenzo [18], p. 70. 1896. Janira alava , E. Bòse [7], p. 7. 1896. Janira alava , A. Wollemann [80], p. 841. 1903. Pecten ( Neithea ) atavus , H. Woods [81], p. 197, tav. 39, figg. 1-5. 1912. Neithea Dutemplei , C. F. Parona [7], p. 20 (8). 1912. Pecten ( Neithea ) atavus , L. PervinquiÈre [51], p. 134. 1937. Neithea Dutemplei , G. De Lorenzo [19], p. 85. Riferiamo a questa specie (9) una cinquantina di esemplari, per lo più valve destre, in parte raccolti da noi ed in parte già presenti nel Museo di Paleontologia delFUniversità di Napoli dove sono indi¬ cati come Janira alava , Pecten ( Janira ) atavus , Janira obliqua ( olo- tipi di Janira obliqua Costa) (10), Janira expansa (olotipi di Janira (8) Parona C. F., 1912 [47], attribuisce a Neithea Dutemplei anche le forme attribuite da Costa O. ’G., 1866 [15], a Janira Hoeninghausi. A causa del cattivo stato di conservazione di questi ultimi esemplari non possiamo essere sicuri che essi siano valve sinistre delle Neitheae tanto abbondanti nel livello ad Orbitolina in esame. (9) Sull’opportunità di preferire il nome Neithea a quello di Vola o Janira rimandiamo a quanto si legge in PervinquiÈre L., 1912 [51], a pagina 132. (10) Nel Museo di Paleontologia deH’Universilà di Napoli, sono indicati come Janira obliqua Costa, undici valve destre di Neithea (n. 1274 di inventario) e tre valve debolmente convesse, presumibilmente valve sinistre di Neithea (n. 1287 di inventario). Le tre valve debolmente convesse sono talmente incomplete da per¬ mettere a mala pena una determinazione generica. Delle undici valve destre, la mag¬ gior parte non permette l’osservazione dell’orecchietta anteriore o di ambedue le orecchiette, ha spesso le aree ed il margine inferiore mancanti ed un paio di esem¬ plari sono privi della regione umbonale. — 118 — obliqua Costa) (11). La maggior parte degli esemplari è deformata per lo più in corrispondenza della regione umbonale e di quella posteriore. Descrizione: Valva destra subtriangolare, fortemente convessa, spesso più o meno lievemente inequilaterale. U m bone ricurvo. An¬ golo apicale attorno ai 45°. Altezza sempre maggiore della lunghezza. Indicando con ù, L A rispettivamente l’altezza in mm., la lun¬ ghezza in mm. e l’angolo apicale approssimato in gradi sessagesimali si sono riscontrate le seguenti misure : esemplare n° 1 6 7 12 15 17 22 23 31 33 h 26 23 23 20,5 20 14 21.5 13 10 9,5 l 21 16 18 15 13 1 0.5 14 9 7 7 l h % 80.7 70 78 73 65 75 65 70 70 73 A 50° 45° 50° 45° 40° 45° 45° 50° 45° 45° Ornamentazione costituita da sei coste principali forti, general¬ mente arrotondate e semplici quelle esterne; in genere più salienti e costituite per lo più da una costa centrale più robusta e da una o due piccole coste laterali, quelle interne, specie le due centrali. Designeremo queste piccole coste concorrenti alla formazione delle coste principali come coste secondarie addossate (c. s. add.). 11 margine ventrale in corrispondenza degli interspazi tra le coste principali è in genere diritto. Le coste hanno andamento ra¬ diale ; solo eccezionalmente divergono sensibilmente rispetto al piano perpendicolare alla valva contenente la sua altezza ( tav. IV, fig. 7). Gli interspazi tra le coste principali sono molto piti ampi delle coste, piatti o debolmente concavi. (11) Nel Museo di Paleontologia dell’Università di Napoli sono indicati come Janira expansa Cos. cinque valve di Neithea di cui tre sono parzialmente prive della regione umbonale e ventrale ; un quarto esemplare, privo di tutta la regione umbonale e del bordo ventrale, ha subito per deformazione un notevole appiatti¬ mento ; un altro esemplare è privo della regione umbonale e presenta le aree rico¬ perte dalla roccia. Una ulteriore indicazione presente nello stesso contenitore della Janira expansa riferisce queste stesse forme a cf. Neithea quinquecostata. Esclu¬ diamo che possa trattarsi di questa specie, presentando uno degli esemplari in cui è osservabile molto bene l’area anteriore, questa stessa priva di coste e per coin¬ cidere i caratteri osservabili con quelli delle forme che noi descriviamo. — 119 — Ogni interspazio porta costantemente due coste secondarie radiali (c. s.) ben sviluppate. Gli interspazi tra queste sono meno ampi o uguali alle coste secondarie. Un'altra, più raramente due altre, coste secondarie (c. s. add.) possono essere presenti; in tal caso queste (c. s. add.) sono sempre più piccole delle prime due (c. s.) ; sono addossate ognuna ad una costa principale ed è talora difficile stabilirne con certezza la pre¬ senza. Queste coste secondarie addossate alle coste principali sono più evidenti nella parte superiore della valva mentre, procedendo verso la parte inferiore, perdono sempre più la loro individualità concorrendo in maniera più evidente airirrobustimenlo della costa principale cui sono addossate sicché al margine paileale quello che risulta, a prima vista, è la presenza di due coste secondarie (c. s.) tra due coste principali. Si riscontrano più frequentemente, negli interspazi interni, tre coste secondarie di cui una addossata ad una costa principale; negli interspazi adiacenti alle aree solo due coste secondarie non addossate. Numerando progressivamente da uno a cinque gli interspazi della valva destra procedendo dal lato anteriore verso quello poste¬ riore del guscio, si è osservato quanto segue : Su 39 interspazi n° 1 osservati: In 25 interspazi: 2 e. s. )) 5 » 2 e. s. + 1 c. s. add. » 9 » 2 c. s. + 1 c. s. add. + 1 c. s. add. poco distinta. Su 37 interspazi n° 2 osservati: In 20 interspazi: 2 c. s. -fi c*. s. add. » 4 » 2 c. s. + 1 c. s. add. poco distinta. » 7 » 2 c. s. + 1 c. s. add. + 1 c. s. add. poco distinta » 3 » 2 e. s. + 2 c. s. add. » 3 » 2 c. s. Su 42 interspazi n° 3 (mediani) osservati: In 28 interspazi » 3 » » 4 » » 6 » » 1 « : 2 c. s. + 1 e. s. add. 2 c. s. + 1 c. s. add. poco 2 c. s. + 2 c. s. add. 2 e. s. 4: 1 c. s. add. £4- le. 3 c. s. + 1 c. s. add. distinta s. add. poco distinta 120 — Su 35 interspazi n° 4 osservati : In 21 interspazi: c. s. + 1 c. s. add. » Il » 2 c. s. + 1 c. s. add. poco distinta » 3 » 2 c. s. Su 34 interspazi: n° 5 osservati: In 25 interspazi: 2 c. s. » 4 » 2 c. s. + 1 c. s. add. » 7 » 2 c. s. + 1 c. s. add. poco distinta. Le aree, discretamente sviluppate, sono prive di coste radiali ; una debole piega radiale, talora costiforme, può però essere presente. L’area anteriore o, meno infrequentemente, quella posteriore possono pendere verso Linterno. Le orecchiette sono prive di coste radiali e disuguali : piccola e generalmente depressa quella posteriore, discretamente sviluppata quella anteriore. L’ornamentazione concentrica è bene evidente, uniforme tanto sulle coste principali e secondarie che negli interspazi più serrata verso il margine ventrale ed ancor più sulle aree e sulle orecchiette. Modello interno : Il modello riproduce l’ornamentazione del guscio con le seguenti varianti : fra le coste secondarie sono generalmente presenti delle fini strie radiali o delle esili linee radiali appena rilevate. In corrispondenza delle coste principali il modello è più com¬ plicato potendo risultare formato da strette costicine radiali addossate, linee e strie. Le aree risultano ornate da circa cinque costicine radiali ab¬ bastanza serrate. Il modello interno delle orecchiette ci è sembrato (non inten¬ diamo dare alcune certezza a questa osservazione) ripetere l’ornamentazione del guscio. Non ci è stato possibile osservare un guscio completo di Neithea. Sono presenti però nella marna ad Orhitolina delle valve general¬ mente debolmente convesse, talora anche piatte, che noi attribuiamo alla forma descritta. Non abbiamo osservato fin’ora nello stesso livello delle valve concave di pettinidi. Non ci è possibile fornire per ora una descrizione delle valve sinistre presentandosi quelle a nostra disposizione alquanto usurate sicché è incerto l’esame della poco marcata ornamentazione. Queste — 121 — valve, il cui angolo apicale è vicino a 70°, ci fa supporre che tutte le valve destre di cui siamo in possesso, anche quelle apparente¬ mente integre, siano in realtà alquanto deformate e presentino per¬ ciò un angolo apicale minore di quello reale. Provenienza: Gli esemplari già presenti nel Museo di Paleon¬ tologia dell’Università provengono dal livello ad Orbitatimi di Torre d’Orlando-Castellammare; quelli raccolti da noi provengono dallo stesso livello affiorante a Sorgente Sperlonga (tav. Punta d’Orlando). Distribuzione : Neithea atava è nota nel Neocomiano e nell’Aptiano dell’Europa e della Tunisia. Rapporti e differenze: Le specie che presentano maggiori affinità con le Neitheae del livello ad Orbitolina della Campania sono: Neithea quinquecostata (Sowerby), N. sexcostata (Woodward) (sino¬ nimo di Janira dutemplei D’Orbigny), le forme indicate da Choffat [12] come Vola cfr. dutemplei , Neithea atava (Ròmer), Neithea Morrisi (Pictet e Renevier). I nostri esemplari differiscono da : Neithea quinquecostata [25,62,71,81] perchè questa è provvista di ornamentazione radiale sulle aree — secondo Woods [81] anche sulle orecchiette — ed ha un angolo apicale maggiore. Neithea sexcostata [25, 62, 81, 84] perchè questa è provvista di coste sulle aree e, secondo Woods [81], anche sulle orecchiette. — Forme indicate da Choffat, 1901-1902 [12], come Vola cfr. dutemplei perchè queste presentano un’aumento delle coste secon¬ darie, anzicchè una diminuzione come i nostri esemplari, procedendo dagli interspazi interni verso quelli laterali. La somiglianza tra i nostri esemplari e quelli di Choffat è in ogni modo molto rimar¬ chevole ed è possibile che essi appartengano alla medesima specie. Neithea morrisi perchè presentano : La valva sinistra debolmente convessa (raramente piatta) anzicchè piatta (Pervinquière [51]) o concava. Orecchiette di grandezza sensibilmente diversa anzicchè subeguali. Angolo apicale minore Un numero minore di coste secondarie per interspazio. Le Nei¬ thea morrisi che per quest’ultimo carattere si avvicinano maggior¬ mente ai nostri esemplari sono quelle descritte da Pictet e Roux [55] (sub Janira quinquecostata). La specie con la quale si identificano le Neitheae del livello ad Orbitolina in esame è, secondo noi. Neithea atava (Ròmer), una — 122 — volta però che le descrizioni di ILOrbigny [25] vengano integrate dalle osservazioni di Wollemann A., 1896 [80]: in questo caso corrispon¬ derebbero alla medesima specie, Neithea alava (Ròmer), tutte quelle forme che essendole eguali per gli altri caratteri ne differiscono per i! numero delle coste secondarie per interspazio; numero variable da zero — forme già riferite a Neithea neocomiensis D’Orb. — a cinque o più (Woods, [81]). Tutti gli altri caratteri dei nostri esemplari si accorderebbero con (pianto riscontrato dagli autori per Neithea atava : La disuguaglianza tra le orecchiette è infatti stata osservata da D’Orbigny, 1847 [25], Mallada, 1887 [42], e Woods, 1903 [81]. La presenza di una piega costiforme sulle aree, carattere che avvicina i nostri esemplari a Neithea morrisi , è un fatto ammesso da Mallada [42] e desumibile dalle illustrazioni di Neithea atava (sub J unirà ) di D’Orbigny [25]. La più o meno lieve inequilateralità delle valve destre dei nostri esemplari è un fenomeno riscontrato pure da Woods [81] e Pictet e Cam biche (citazione in Woods). 1 nostri esemplari si discostano dalle forme riferite a Neithea atava perchè hanno un angolo apicale minore (45° invece di circa 60°); Mallada [42] riferisce però che nei suoi esemplari esso varia da 55° a 60°. Note: Non avendo a disposizione topotipi di Neithea atava e Neithea morrisi non si è potuto accertare fino a che punto si spin¬ gano le analogie tra le due forme. Lima all', cottaldina D’Orbigny Tav. V, figg. 1, 2, 3. 1812. Modiola parallela, J. de C. Sowerby [71], voi. L, p. 31, tav. 9. 1845. Lima cottaldina , A. D’Orbigny [25], p. 537, tav. 416, figg. 1-5. 1855. Lima parallela (Sow.) Morris, F. .1. Pictet et E. Renevier [54], p. 126, tav. 19, fig. 1. 1904. Lima ( Mantellum ) parallela (Sow.), H. Woods [82], p. 28, tav. 5, figg. 14, 15. 1912. Lima cottaldina D’Orb., L. Pervinquière [51], p. 145. 1912. Radala cioncata (Sow.), C. F. Parona [47], p. 20 (13). 1937. Radala cioncata Sow. sp., G. De Lorenzo, p. 85. 1948. Lima cottaldina D’Orb., G. Tavani [76], p. 105, tav. X, fig. 13. — 123 — Indichiamo in tal modo (12) una quindicina di esemplari presenti nel Museo di Paleontologia dell’Università di Napoli i quali, eccetto tre indicati dall’etichetta come Radula piangala (Sow.), sono privi di determinazione. La descrizione desunta dagli esemplari (tutte valve sinistre) in miglior stato di conservazione (esemplari 1, 2, 3, 5) è la seguente: Valva sinistra inequilaterale, moderatamente convessa, più alta che lunga ( 14), con angolo apicale poco minore di 90°, lievemente subrettangolare arrotondata, obliqua ,con linea cardinale diritta. Mar¬ gine anteriore diritto (15), subparallelo e più lungo del margine po¬ stero-inferiore; margine inferiore arrotondato e raccordato ai mar¬ gini contigui» Umbone appuntito. Orecchiette di moderate dimensioni, prive di coste, quella anteriore un pò più sviluppata di quella poste¬ riore. Area anteriore liscia e dorsalmente lievemente concava verso l’esterno. (12) In accordo con PervinquiÈre L., [51], ed altri autori, riteniamo valido per la specie in esame il nome datole da D’Orbigny A., 1847 [25], essendo tanto le illustrazioni che le descrizioni di Sowerby, 1812 [71], insufficienti. Che la Modiola parallela di Sowerby corrisponda alla Lima cottaldina di D’Or bigny è provato dalle comparazioni effettuate da Pictet et Renevier, 1858 [54], in base alle figure di D’Orbigny ed ai topotipi della specie di Sowerby. Le cattive figure e la descrizione lacunosa di Modiola parallela fornite da Sowerby non permettono di dedurre la presenza di coste radiali secondarie intercalate tra le coste principali. Perciò D’Orbigny attribuì erroneamente alla specie di Sowerby una forma priva di coste radiali secondarie ( sub Lima) la quale in realtà non aveva nulla a che vedere con la specie di Sowerby. Le forme attribuite da D'Orbigny a Lima parallela (Sow.) appartenevano perciò ad una specie ancora non segnalata che Woods, 1904 [82], in seguito indicò come Lima gaultina. (13) Le forme designate da Parona, 1912 [47], come Radula elongata (Sow.) sarebbero state, secondo questo autore, le stesse di quelle indicate da Sowerby, 1812 [71], come Plagiostoma elongata. Plagiostoma elongata Sow. è generalmente ritenuta sinonimo di Lima elongata: in realtà Radula Klein 1753 e Lima Bru¬ cióre 1797 indicano il medesimo genere. Si ritiene valido il nome generico di Lima anzicchè quello dt Radula, pur essendo quest’ultimo stato istituito per primo, per convenzione (vedi PervinquiÈre L„« opera citata, pag. 144). ( 14) Assumiamo come altezza il segmento radiale più lungo compreso tra il cardine ed il margine ventrale. Assumiamo come lunghezza il segmento determinato dai punti di tangenza di due rette verticali rispettivamente al margine anteriore ed a quello posteriore del guscio disposto verticalmente e col cardine orizzontale. (15) A. D’Orbigny, come chiaramente detto da PervinquiÈre (opera citata, pag. 150, nota 2) considera erroneamente il margine laterale più lungo quello poste¬ riore, quello più corto l’anteriore. Misure eseguite : — 124 esemplare n. 1 2 5 li in mm. 20 20.5 25 / in mm. 19 19 22.5 Ornamentazione costituita, nella regione anteriore (tranne che sull’area) e mediana della valva, da circa 15 coste radiali principali, a tetto, man mano attenuantisi verso la parte posteriore del guscio dove mancano; nella parte postero-superiore della valva l’ornamen¬ tazione radiale sembra ricomparire con due esili costicine lineari. INiella parte mediana della valva ed in quella prospiciente l’area anteriore si intercala fra ogni coppia di coste principali una esile costa lineare. L’ornamentazione concentrica, molto fine, è presente su tutta la superficie della valva. Il modello interno (esemplare n. 5 e n. 8) mostra un’ornamenta¬ zione radiale costituita da coste arrotondate corrispondenti alle sole coste principali del guscio. La regione posteriore del modello (osser¬ vazione fatta su l’unico esemplare in cui questa era visibile) presenta quattro coste sempre più distanziate tra loro e sempre più piccole sicché le ultime due sono in realtà linee radiali un pò rilevate. E’ anche presente sul modello, nella parte media-inferiore ed in quella posteriore della valva, una fine ornamentazione concentrica. Provenienza : Gli esemplari già presenti nel Museo di Paleonto¬ logia dell’Università provengono dal livello ad Orbitolina di Torre d’Orlando-Castellammare ; quelli raccolti da noi dallo stesso livello affiorante a Sorgente Sperlonga (tav. Punta Orlando). Rapporti e differenze : La specie che, a nostro avviso, presenta maggiori somiglianze con le forme descritte è Lima cottaldina D’Or- bigny. Esse hanno infatti in comune la forma generale, la mancanza di ornamentazione radiale sulle orecchiette e sull’area anteriore, la forma delle coste principali e di quelle secondarie. 1 nostri esem¬ plari si discostano però dalle Lima cottaldina illustrate da vari autori per il numero minore di coste principali (circa 15 nei nostri esemplari; Woods [82], invece, ne riscontra 18-20; D’Orbigny 20; Tavant [76], circa 20: Pictet e Renevier [54], circa 18) e per la mancanza o rudimentalità dell’ornamentazione radiale nella regione posteriore. — 125 — Le altre specie che presentano notevoli affinità con le forme da noi descritte, sono: Lima intermedia D’Orbigny [25, 82], L. elongata (Sowerby) [71, 82], L. farringdonensis Sharpe [68, 82], L . itieriana Pictet e Raux [55], L. bleicheri Thomas e Peron, [49, 50], L. gaul- tina Woods [25, 82]. I nostri esemplari, come anche Lima cottaldina , differiscono da : — L. elongata , perche questa è provvista di coste radiali sull’area anteriore e di strie radiali tanto sui solchi che sulle coste prin¬ cipali della parte dorsale del guscio; inoltre perchè L. elon¬ gata è sprovvista di coste secondarie. L. intermedia D’Orb. in Woods [82], perchè questa è provvista di costicine radiali sull’orecchietta posteriore, di un maggior numero di coste principali (20-23 anzicchè 18-20) ed un maggior angolo apicale (circa 100° anzicchè 90°). L. intermedia D’Orb. in II’Orbigny [25], perchè questa presenta negli spazi intercostali più strie* radiali (non coste), che in¬ tersecate dall’ornamentazione concentrica danno luogo ad una specie di graticolato. — L. farringdonensis , perchè questa presenta l’area anteriore ornata da coste radiali. L. itieriana , perchè questa ha l’area anteriore ornata da coste radiali e, negli interspazi tra le coste principali, oltre ad una piccola costa mediana (frequente per altro solo nella parte posteriore del guscio) anche delle strie radiali — L. bleicheri , perchè questa presenta tanto l’area anteriore che le orecchiette ornate radialmente, ed inoltre un numero di coste principali più elevato (25-30). — L. gaultina , perchè in questa sono assenti o indistinte le coste secondarie. Distribuzione di Lima cottaldina : Specie nota nel Neocomiano dell’Argentina ; nell’Aptiano dell’Europa e dell’Africa nord-occiden¬ tale; nell’Albiano e Cenomaniano dell’Angola. — 126 Pholadomya cornueliana (D’Orbigny) Tav. V, figg. 4, 5. 1843. Cardium cornuelianum , A. D’Orbigny [25], p. 23, tav. 256, figg- 1-2. 1855. Pholadomya cornueliana , F. J. Pictet et E. Renevier [54], p. 59, tav. 6, fig. 6. 1855. Pholadomya cornueliana , F. J. Pictet e G. Cam piche [53], pag. 87. 1865, Pholadomya cornueliana, H. Coquand [14], p. 93. 1909. Pholadomya cornueliana , H. Woods [83], p. 245. tav. 41, figg- 2, 3. 1912. Cardium cenomanense D’Orb. ( ?), C. F. Parona [47] (pars) (17), p. 20. 1937. Cardium cenomanense D’Orb. ( ?), G. De Lorenzo [19], p. 85. 1947. Liopistha cornueliana . G. Tavani [76]. p. 144. tav. 18, fig. 13. Riferiamo a questa specie (16) una trentina di esemplari in parte raccolti da noi ed in parte presenti nel Museo di Paleontologia dell’Università di Napoli dove alcuni sono privi di indicazione, altri riferiti a Cardium dispar ( pars.), Cardium cenomanense. Pholadomya fontannesi, Pholadomya rugosa. Fra gli esemplari a disposizione, tutti allo stato di modello, solo una diecina permettono di dedurre le caratteristiche esterne del guscio. Descrizione: Guscio alquanto rigonfio, grossolanamente ovale nel senso della lunghezza, moderatamente più lungo che alto, inequi- laterale, ini boni ricurvi, prominenti. Regione anteriore corta, al- (16) Indichiamo le forme descritte per la prima volta da ILOrbigny col nome di Cardium cornuelianum come Pholadomya cornueliana anziché come Liopi¬ stha cornueliana poiché, per quanto ci risulta, il cardine delle forme riferite a Cardium cornuelianum D’Orbigny [25], non è stato fìn'ora osservato. Gillet S., 1921 [31], per primo, attrihuisce questa specie al genere Liopistha per via delle affinità che la parte esterna del guscio presenta con Corhula aequivalvis Gold- fuss [32], la quale come Holzapfel ha dimostrato (citazione in Woods [83]; nota (1) al piede della pagina 246), possiede un cardine di Liopistha. (17) Parona C. F., 1912 [47], attrihuisce a Cardium cenomanense DOrbi- GNY ( ?) gli olotipi, secondo noi rappresentanti forme diverse, di Cardium dispar Costa (vedi paragrafo 3). 127 — quanto rigonfia, arrotondata ; regione posteriore alquanto allungata, depressa, via via restringentesi. Margine anteriore ed infero-mediano su una curva subcircolare ; margine infero-posteriore e postero-me¬ diano su una curva ellittica. Misure eseguite : esemp. n. 1 2 3 4 h 23 19,5 19,5 20 l 27 23 24,5 23 h ' 7#/< , 85 85 84,8 87 5 7 9 10 12 24 20 22 24,5 20 28,5 24 24 29,5 25 84,2 83 92 83 80 Valve ornate da circa venticinque coste che nella parte posteriore del guscio risultano maggiormente distanziate tra loro. Gli spazi tra le coste sono uguali o maggiori delle coste. La parte più ante¬ riore del guscio, tranne che in un paio di casi un pò dubi (esemp.: 6 e 13), sembra priva di ornamentazione radiale. Sulla regione poste¬ riore, depressa, solo eccezionalmente si sono riscontrate delle coste (esempi. : 1 e 10). Le strie concentriche determinano delle granula¬ zioni nei punti d’intersezione con le coste radiali (esemp.: 10, 13, 14). Provenienza: Gli esemplari che si trovavano già depositati nel Museo di Paleontologia dell’Università di Napoli provengono dai livello ad Orbitolina di Torre d’Orlando presso Castellammare. Quelli raccolti da noi provengono dallo stesso livello affiorante a Sorgente Sperlonga (Tavoletta Punta Orlando) ed a Sorgente S. Angelo (Ta¬ voletta Sarno). Distribuzione : Pholadomya cornueliana è diffusa nel B arrendano superiore e nell’Aptiano dell’Europa. In Spagna è stata segnalata anche nell’Albiano. T wani G. [76] la segnala nel Cretaceo della Somalia. Rapporti e differenze: Le specie che presentano strette analogie con gli esemplari da noi descritti sono: Pholadomya cornueliana (D’Orbigny) [25], P. vignasi Lartet [40, 51] (sinonimo di P, fontana nesi Choffat [11, 6]), P. granulosa Zittel [78, 85], P. aequivalvis (Goldfuss) [32] (sinonimo di P. caudata Ròmer, [63, 73, 85]). P .sub dinne nsis (D’Orbigny) [25], P .sancti-sabae (Ròmer) [53, 64, 85], La specie che, a nostro avviso, presenta maggiore somiglianze con le nostre forme è P. cornueliana come descritta da Pictet e — 128 — Campiche [53] ( 18). Riteniamo che la descrizione di questi autori sia da preferire a quella di D’Orbigny, perchè basata sull’esame di individui provenienti da più località tra cui anche quella degli olotipi, e perchè gli stessi autori ebbero a disposizione oltre che a modelli interni anche esemplari integri. Pholadomya cornueliana si differenzia da: — P. vignesi perchè non ha un’ornamentazione concentrica svi¬ luppata come quella radiale o quasi; ha un maggior numero di coste radiali e perchè queste non sono, come in P. vignesi quasi costantemente arcuate con la concavità rivolta verso la parte po¬ steriore. — P. granulosa perchè ha un guscio più equilaterale ed è sprov¬ vista di coste sulla parte più anteriore del guscio. — P. aequivalvis perchè è sprovvista di coste sulla parte ante¬ riore del guscio e meno provvista sull’area posteriore (non avendo potuto prendere visione dell’opera di Ròmer. ci rifacciamo a quanto afferma Stolitska [73] secondo cui in P. caudata = P. aequivalvis Tornameli! azione a coste radiali è diffusa su tutta l’area posteriore tranne che all’estremo postero-superiore). Inoltre, come detto da Pictet e Renevier [54], P. cornueliana si differenzia da P. aequivalvis perchè è meno equilaterale ed ha gli umboni meno prominenti. Un’altra lieve, probabile, differenza tra le due forme, desumibile dalle figure fornite dagli autori, sta nel fatto che la specie di D’Orbigny è meno rigonfia di quella di Goldfuss. — P. subdinnensis perchè questa è fornita di un’ornamenta¬ zione radiale (strie e tubercoli) ben distinta sulla parte anteriore del guscio. (18) Pictet F. J. et Campiche G.. 1864-1866 [53], danno la seguente descri¬ zione di Pholadomya cornueliana : « Coquille renflée. courte , peu inéquilatérale. Région huccale courte , non hàillanle et partagée dans son milieu par une carène mousse qui part du sommet des crochets en circoscrivant une sorte de lunule cordi- forme. Crochets saillants et rapprochés. Région anale étroite , comprimée , un peu hàillante. Bord palléal arqué . La surjace est ornée de cótes rayonnantes , un peu infléchies du còte anal , séparées par des sillons inégaux, pei ofon en gelerai plus larges que les cótes. Celles-ci sont coupées par des stries d’accroissement très peu visibles; vues à la loupe . elles paraissent granuleuses. Elles diminuent de gros- seur en s’approchant de la région buccole , et disparaissent entièrement sur son extrémité , ainsi que sur celle de la région anale. Le moule ne diffère de la coquille que par des cótes plus étroites, moins marquées et moins granuleuses ». Preferiamo riferirci a questo lavoro e non a quello di Pictet et Renevier [54], in cui si legge la stessa descrizione, perchè nel primo sono più numerose le notizie relative a Pholadomya cornueliana. 129 — Le rimarchevoli somiglianze che P. subdinnensis presenta da una parte con P. cornueliana (specialmente con l’esemplare figurato da Pictet e Renevier [54]), dall’altra con P. aequivalvis . lasciano perplessi sul fatto che si tratti di specie diverse tra loro. — P. sancti-sabae perchè questa è provvista, stando a quanto riferiscono Pictet e Campiche [53], di forti coste sul lato anteriore del guscio. Classe dei crostacei Sottoclasse degli ostracodi. Lo studio del residuo di lavaggio della marna ad Orbitolina ha permesso, tra l’altro, di accertare la presenza di resti poco frequenti di ostracodi fra i quali si sono riscontrate forme apparte¬ nenti alle famiglie delle T rachyleberididae e delle Hemicydaridae (19). RIASSUNTO Viene discussa l’età del livello ad Orbitolina in Campania. Questo livello, preva¬ lentemente marnoso, detritico e conglomeratico, era stato attribuito dai primi autori (Guiscardi G., Oppenheim P.. Rose E., De Lorenzo G., Bassani F.) al Cretacico inferiore in base al ritrovamento di Neithea morrisi, N . alava , Orbitolina lenti- cularis , etc. Bassani F. e D’Erasmo G., nel 1912, notavano come la facies degli ittioliti di Castellammare, sottoposti dì poche decine di metri al livello ad Orbitolina, sug¬ gerisse l’appartenenza dei pesci fossili ai piani più bassi del Cretacico (Wealdiano) o a quelli più alti del Maini ( Portlandiano-Purbeckiano). Questi autori, però, forse perchè influenzati dalla età cenomaniana attribuita al livello ad Orbitolina da Parona C. F. e Prever P. L. in base rispettivamente allo studio dei molluschi e dei foraminiferi presenti nel livello in esame, finirono per ritenere cenomaniani tanto gli ittioliti che il livello ad Orbitolina sovrastante. Le nostre ricerche hanno accertato che alcuni dei lamellihranchi determinati da Parona non provengono dal livello ad Orbitolina ma da livelli molto più alti stratigraficamente ; le altre determinazioni, secondo noi imprecise, sono state rivedute. Le Orbitolinae riscontrate da Prever ( Orbitolina Boehmi , O. discoidea, O. conoi¬ dea, etc.) stanno, secondo noi, ad indicare un’età barremiana-albiana, molto proba¬ bilmente aptiana, e non un’età cenomaniana. Le specie da noi riconosciute ( Neithea alava. Lima aff. cottaldina, Pholadomya (19) Ringraziamo iì dott. Gioacchino Bonaduce della Stazione Zoologica di Napoli per averci fornito queste notizie. — 130 — cornueliana , Salpiti goporella dinarica ) si accordano con l’età delle Orbitolinae deter¬ minate da Prever facendoci ritenere il livello ad Orbitolina del Cretacico inferiore. Viene inoltre descritta una nuova Boueina: Boueina hochstetleri moncharmonti n. ssp., e portata a rango di sottospecie (Boueina hochstetteri pygmaea ) la forma istituita da Pia nel 1936 col nome di Boueina pygmaea. SUMMARY The age of thè Orbitolina level in Campania has been discussed. Because thè finds included A ’eithea morrisi , Ar. atava. Orbitolina lenticularis, this level was once ascribed to thè lower-Cretaceous, but Parona C. F. and Prever P. L. consideret it as Cenomanian. Orbitolina discoidea, O. conoidea, O. Boehmi , etc., collected by Prever, belong in my opinion, to thè Barremian-Albian stage, very likely Aptian. and in any case not to thè Cenomanian. The species identifìed by me ( Ncithea atava. Lima aff. cottaldina, Pholadomya cornueliana, Salpin goporella dinarica ) agree with thè age of Prever’s Orbitolinae, so that all of them ought to he considered as belonging to thè lower Cretaceous. A new Boueina is described : B. hochstetteri moncharmonti n.ssp.; B. pygmaea founded by Pia (1936) has been passed to thè rank of subspecies (Boueina hochstetteri pygmaea ). BIBLIOGRAFIA [1] Agip Mineraria, Microfacies Italiane. Volume con pp. 35, figg. 2, tavv. 145. S. Donato Milanese, 1959. [2] Aubouin J., Contribution à l’etude géologique de la Grece septentrionale : les confins de VEpire et de la Thesalie. Ann. géol Pays Helleniques, ser. 1. voi. 10, pp. 1-525, figg. 127. tabb, 7, tavv. 46. Atene, 1959, [3] Bassani F., Contribuzione alla fauna ittiologica del Carso presso Comen in Istria. Atti della Soc. Veneto-Trentina di Se. natur., voi. 7, fase, 1. pp. 1-15, tavv. 2. Padova, 1880. Bassani F., Risultati ottenuti dallo studio delle principali ittiofaune cretacee. Rend. R. Ist. 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Località : Monte Tobenna ( tav. S. Ciprano Picentino). Prep.: A. 8; (17.5x). Barremiano-Albiano (probabile Aptiano). jll. Soc. Nat. in Napoli. 1962 De Castro P., Nuove osservazioni sul livello , ecc. ■ Tav. I T AVOLA II. Marna detritica ad Orbitolina (secondo Prever P. L. [57]: Orbitolina conoidea, O. discoidea, O. Boehmi, etc.). In associazione: Miliolidae, Textulariidae, Val- vulinidae (tra cui Cuneolina sp.). Lituolidae (tra cui Haplophragmoides) , Salpingoporella dinarica. Località : Monte Tobenna ( tav. S. Cipriano Picentino). Prep.: A. 9.1 ; (11 x) Barrerniano-Albiano ( probabile Aptiano). .11. Soc. Nat. in Napoli, 1962. De Castro P., Nuove osservazioni sul livello, ecc. - Tav. II. Wmml <, i;» . V»'*' T AVOLA 111. Marna detritica ad Orbitolina (secondo Prever P. L. [57] : Orbitolina conoidea, O. discoidea , O. Boehmi, etc.). In associazione: Miliolidae. Textulariidae . Val- vulinidae (tra cui Cuneolina sp.), Lituolidae (tra cui Haplophramoides ), Salpili gopor ella dinarica. Località Monte Tobenna ( tav. S. Cipriano Picentino). Prep.: A. 9.2 ; (llx). Barremiano-Albiano (probabile Aptiano). Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1962. De Castro P., Nuove osservazioni sul livello, ecc. - Tav. III. W:m Tavola IV. Neithea citava (Romei?) Località: Sorgente Sperlonga e Torre d’Orlando ( tav. Punta Orlando). Barremiano-Albiano (probabile Aptiano). Fig. 1. Fig. 2. Fig. 3. Fig. 4. Esemplare n. 3; (2x); a) valva destra che lascia vedere nella regione infero-posteriore il modello interno ; b) la stessa valva vista di fronte. Esemplare n. 12; (2x); a) valva destra vista di lato ; b ) la stessa valva vista di fronte. L’area anteriore erosa in più punti mostra un’ornamentazione a piccole coste radiali, assente negli esem¬ plari integri. Esemplare n. 7 ; ( 2 >< ) : Valva destra vista di lato. Esemplare n. 33; (3x): Valva destra vista di lato. Fig. 5. — Esemplare n. 21; ( 2 x ) : Valva destra vista di lato. Fig. 6. — Esemplare n. 14; (4x); Particolare, relativo alla regione laterale mediana della valva destra, che mostra due coste principali e le coste secondarie tra esse intercalate. Fig. 7. — Esemplare n. 1; (2x); Valva destra vista di lato. Il divergere delle coste radiali, nella parte infero-posteriore del guscio, verso l’esterno è da attribuire ad aberrazione individuale. Fig. 8. — Esemplare n. 31; (3x); valva destra vista di lato. Fig. 9. — Esemplare n. 13; (4x): Particolare relativo alla regione laterale mediana della valva destra, che mostra due coste principali e le coste secondarie tra esse intercalate. Superiormente ed inferiormente è visibile anche ìornamentazione del modello interno. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1962. De Castro P., Nuove osservazioni sul livello, ecc. - Tav. IV. Tavola V. Fig. 1. Lima aff. cottaldina D’Orb. ; (2x): Esemplare n. 5. Valva sinistra vista di lato. Fig. 2. — Lima aff. cottaldina D'Orb. ; (2 x ) : a) Esemplare n. 1. Valva sinistra vista di lato; b) particolare della regione inferiore della stessa valva. Fig. 3. Lima aff. cottaldina D’Orb.; (2x): Esemplare n. 8. Modello interno della regione infero-posteriore della valva destra. Fig. 4. — Pholadomya cornueliana (D’Orb.); (2x); valva sinistra vista di lato. Fig. 5. — Pholadomya cornueliana (D’Orb.); (2 x ) : valva destra vista di lato. Località: Sorgente Sperlonga e Torre d’Orlando (tav. Punta Orlando). Barremiano-Albiano (probabile Aptiano). Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1962. De Castro P., Nuove osservazioni sul livello, ecc. - Tav. V. i Tavola VI. Olotipi di Boueina hochstetteri moncharmonti n. ssp. Fig. 1. — Sezione assiale. Prep.: 226.2; ( 18 x ). Fig. 2. — » » » 226.3 » Fig. 3. — » » » A. 10. 7 » Fig. 4. — Sezione tangenziale. Prep.: 226.4; (18x). Fig. 7. — » » » A. 10.7 » Fig. 5. — Sezione trasversale. » A. 10,5 » Fig. 6. — » » » A. 1 0.1 » Località: Monte Tobenna (tav. S. Cipriano Pieentino). Barremiano-Albiano ( probabile Aptiano). Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1962. De Castro P., Nuove osservazioni sul livello, ecc. - Tav. VI. Tavola VII. Calcare detritico a Boueina hochstetteri moncharmonti n. ssp ., Orhitolina (secondo Prever P. L. [57] : Orhitolina conoidea , O. discoidea , O. Boehmi, etc.). In associa¬ zione: Salpingoporella dinarica, Miliolidae, Textulariidae, Lituolidae (tra cui Haplophragmoides ), Cuneolina sp ostracodi. Prep.: A. 10.6; (circa 16 x ). Località: Monte Tobenna (tav. S. Cipriano Picentino). Barremiano-Albiano (probabile Aptiano). De Castro P., Nuove osservazioni sul livello, ecc. - Tav. VII. oli. Soc. Nat. in Napoli. 1962. Tavola. VIIL Calcare detritico a Boueina hochstetteri moncharmonti n. ssp. ed Orbitolina (secondo Prever P. L. [57] : Orbitolina conoidea , O. discoidea, O.Boehmi , etc.). In associa¬ zione: Salpingoporella dinarica , Miliolidae, T extulariidae , Lituolidae (tra cui Haplophragmoides ), Cuneolina sp ostracodi. Prep. : 226; (circa 16 x ). Località: Monte Tobenna (tav. S. Cipriano Picentino). Barremiano-Albiano (probabile Aptiano). Osservazioni su un micrometodo per ìi dosaggio del colesterolo totale e delle sue frazioni Nota del socio TEODORO DE LEO e della doti. LIDIA FOT! (Tornata del 30 novembre 1962) I metodi di dosaggio del colesterolo nel sangue ed in altri tessuti animali, davano luogo a risultati piuttosto contraddittori e scarsa¬ mente riproducibili fino al l ini riduzione del metodo di Schoenheimer e Sperry (1934) [I ]. Tali autori misero a punto infatti, una tecnica che permette di estrarre il colesterolo quantitativamente e di dosarlo mediante isolamento con digitonina e successiva applicazione della reazione di Lieberman-Buchard. Questo metodo, che finora è quello classico per il dosaggio del colesterolo, è tuttavia limitatamente sensibile: esso, infatti, consente di determinare quantità di colesterolo non inferiori ai 100 jxg, ali¬ quote più piccole danno luogo ad una precipitazione con digitonina non quantitativa e sono, d’altronde, al disotto dei limiti di sensibilità della reazione di Lieberman-Buchard. Spesso nella ricerca biologica, non disponendo di materiale suf¬ ficiente, appare difficile poter utilizzare il metodo di Schoenheimer e Sperry. Ciò ha indotto diversi ricercatori a mettere a punto metodi di maggiore sensibilità. Il più diffuso di questi metodi è quello di Z latici s e coll. (1953) [2], nel quale il colesterolo totale viene dosato colorimetricamente con un reattivo costituito da cloruro ferrico ed acido solforico. Recentemente Agneray, Puisieux e W e pi erre hanno pubblicato un metodo [3] di microdosaggio del colesterolo libero ed esterificato mediante adsorbimento su ossido di alluminio, successiva eluizione delle due frazioni e dosaggio di esse con la reazione di Zlatkis modificata, applicandolo al siero umano. Nell’intento di utilizzare questa microtecnica per dosare le due frazioni del colesterolo nel siero di animali (ratti neonati, conigli, — 138 — ecc.), dove avevamo a disposizione piccole quantità di sangue, siamo stati indotti da alcune osservazioni, a revisionare il metodo originale descritto dagli AA.. Tale revisione riguarda fondamentalmente l’elui¬ zione del colesterolo esterificato. Parte sperimentale a) Scelta dei solventi per Veluizione degli esteri del colesterolo. La miscela per l’eluizione degli esteri del colesterolo, secondo le indicazioni di Agneray e coll., è costituita da cloroformio-etere di petrolio nel rapporto 1 : 9 (v/v). L’uso di tale miscela ha dato, però, nelle nostre mani, un recupero incompleto del colesterolo esterificato, che si ritrova, viceversa, nella successiva eluizione insieme con quello libero (vedi Tal). I, I coppia di elementi). Abbiamo, quindi, ricercato una miscela eluente che, pur consen¬ tendo un recupero quantitativo degli esteri del colesterolo, non favo¬ risse la contemporanea eluizione del colesterolo libero. Allo scopo, aliquote di 80 ttg di stearato di colosterolo (N.B.C., equivalenti quindi a 47,76 |tg di colesterolo) e di 40 tig di colesterolo (Merck), furono fatte adsorbire su colonna di ossido di alluminio (Merck) ed eluite con miscele di cloroformio anidro-etere di petrolio (38°-42°C) nelle quali furono gradualmente aumentate le quantità di cloroformio. I risultati più significativi (miscele di cloroformio-etere di petrolio 1:9; 2 : 8 e 3 : 7) di tali determinazioni sono riportati nella tabella I. Come si può osservare, l’eluizione degli esteri del colesterolo è totale solo con un rapporto dei costituenti l’eluente di 3 : 2 (v/v). Abbiamo, quindi, scelto per le successive esperienze questa miscela di eluizione (III coppia di elementi). b) Scelta del volume ottimale dei solventi per Veluizione. Avendo variato il rapporto dei costituenti la prima miscela di elui¬ zione, è stato necessario stabilire i volumi degli eluenti occorrenti per il recupero totale delle due frazioni del colesterolo. Aliquote di colesterolo e di stearato di colesterolo pari alle pre¬ cedenti furono eluite con volumi di eluenti gradualmente crescenti : da 1 a limi per lo stearato di colesterolo (cloroformio-etere di pe¬ trolio 3 : 7) e da 2 a 20 mi per il colesterolo (cloroformio). Dai risultati ottenuti, riportati nella tabella II, si rileva che nella eluizione dello stearato sin dai primi 5 mi di solvente il recupero del colesterolo esterificato è completo, mentre, d’altra parte, fino ad — 139 — TABELLA I. Risultati dell’eluizione dello stearato di colesterolo e del colesterolo co n diversi eluenti ( Stearato /xg 80 — Colesterolo /mg 40). 1 I coppia eluenti — 1°) Cloroformio-etere di petrolio (38°-42°C) 1 : 9 (v/v) : mi 7 2°) Cloroformio : mi 15. Prova n. Stearato di Colesterolo Recupero % 1 Colesterolo Recupero % Prova n. Stearato di Colesterolo Recupero % Colesterolo Recupero % ì 70 114 6 40 121 2 92 108 n 24 138 3 67 119 8 26 132 4 95 108 9 64 112 5 84 112 ; 10 58 118 Media recupero: Stearato di colesterolo 62% Colesterolo 118% Il coppia eluenti 1°) Cloroformio-etere di petrolio (38°-42°C) 2 : 8 (v/v) mi 7 2°) Cloroformio: mi 15. Prova n. Stearato di Colesterolo Recupero % Colesterolo Recupero % 1 Prova n. Stearato di Colesterolo Recupero % Colesterolo Recupero % 1 46 120 6 84 95 2 66 107 7 87 95 3 70 102 8 75 105 4 76 95 9 87 100 5 74 100 10 71 120 Media recupero: Stearato di colesterolo 74% Colesterolo 104% III coppia eluenti — 1°) Cloroformio-etere di petrolio (38°-42°C) 3 : 7 (v/v) mi 7 2°) Cloroformio mi 15. Prova n. Stearato di Colesterolo Recupero % Colesterolo Recupero % Prova n. Stearato di Colesterolo Recupero % Colesterolo Recupero % 1 102 100 6 100 96 2 95 100 7 102 100 3 100 98 8 98 100 4 102 99 9 99 100 5 100 101 10 100 97 Media recupero: Stearato di colesterolo 100% S. E.% =0,65 Colesterolo 99% S. E.% = 0,56 — 140 — TABELLA IL Risultati dell’ eluizione dello stearato di colesterolo e del colesterolo con diverse quantità di cloroformio-etere di petrolio 3 : 7 {v/v) e di cloroformio ( Stearato pg 80 — Colesterolo pg 40). ?«■ Stearato ili Colesterolo C o 1 e s 1 terolo mi eluente adoperati Recupero % mi eluente adoperati Recupero % 1 81 2 7 2 86 4 62 3 86 6 68 4 94 8 78 5 101 10 90 6 99 12 98 7 100 14 100 8 101 16 101 9 99 18 99 IO 99 20 100 11 101 11 mi non viene ancora eluito il colesterolo libero. Quest’ultimo, nella seconda eluizione, con 14 mi si può ritenere recuperato quan¬ titativamente. Successivamente abbiamo eseguito le eluizioni di una miscela di composizione eguale alle precedenti, raccogliendo gli eluiti da una medesima colonna a 2 mi alla volta. Nella fig. 1 abbiamo riportato le relative curve di eluizione. Da essa si rileva che la rimozione delle sostanze adsorbite avviene rapidamente per la quasi totalità di esse, mentre le piccole quantità residue vengono eluite lentamente, specie per il colesterolo libero ; inoltre l’esame delle curve conferma nuo¬ vamente che, per ottenere una eluizione quantitativa dei componenti il campione, sono necessari non più di 5 mi del primo eluente e di 14 mi del secondo. Abbiamo, quindi, stabilito, per maggiore sicu¬ rezza, di utilizzare per l’eluizione degli esteri del colesterolo 7 mi e per quella del colesterolo 16 mi dei due eluenti. L’andamento delle curve di eluizione è tale da far ritenere su¬ perflua la prova consigliata dagli AA., di raccogliere a parte, cioè, l’ultimo mi di eluente e di accertare in esso l’assenza delle sostanze sotto eluizione. c) Colorimetria Nella fig. 2 riportiamo le curve spettrofotome- 141 — triche dello stearato di colesterolo e del colesterolo, eseguite con lo spettrofotometro registratore Optica CF 4. Tali curve ci permettono di osservare che i massimi valori del- o Tassorbimento specifico molare E1^**1 si hanno a 5400 A per il o colesterolo e a 5300 A per lo stearato rispettivamente (valori di o Agneray 5600 A per entrambi i componenti). I valori dei coefficienti Fig. 1. — Curva di eluizione dello stearato di colesterolo e del colesterolo. (Stearato 80 — Colesterolo ^g 40). di estinzione molecolari da noi ottenuti sono, per il colesterolo E'.m'u = 0,746 x IO4 e per lo stearato 0,784 x IO4 (valori di Agneray e coll.: 0,69 . IO4 e 0,78 . IO4 rispettivamente). Abbiamo eseguito, o pertanto, le letture colorimetriche a 5400 A per il colesterolo e a o 5300 A per i suoi esteri. d) Riproducibilità dei valori ottenibili col metodo. La riprodu¬ cibilità dei valori ottenibili con la nostra modificazione del metodo di Agneray, Puisieux e Wepierre, è stata da noi determinata do¬ sando su dieci campioni degli stessi sieri ( di uomo, di ratto e di coniglio) le due frazioni del colesterolo. 142 - Contemporaneamente, a titolo di paragone, su cinque campioni degli stessi sieri si dosava il colesterolo totale e quello libero con il metodo di Shoenheimer e Sperry (tali prove sono state eseguite su 1 mi di siero). Secondo i valori riportati nella tabella III, nel caso del metodo di Agneray e coll., da noi modificato, la maggiore riproducibilità A in A Fig. 2. — Curva spettrofotometrica delio stearato di colesterolo e del colesterolo. — Stearato di colesterolo. Colesterolo. si osserva in tutti casi, nel dosaggio del colesterolo esterificato, mentre è minore in quello del colesterolo libero. Nel primo caso, infatti, gli errori standard della media, espressi percentualmente ( S.E.%), presentano i valori più bassi (da 1,71 a 1,98), mentre nel secondo quelli più alti (3,97 a 9,90). (I valori degli errori standard per il colesterolo totale, che si ottiene dalla somma dei valori delle due frazioni, sono ovviamente intermedi). Poiché (vedi tabella I) quando vengono dosate quantità pres¬ soché eguali delle due frazioni del colesterolo i valori degli errori standard sono dello stesso ordine di grandezza, è probabile che le quantità notevolmente minori di colesterolo libero esistente nel siero, conducano ad una minore precisione nel dosaggio di quest'ultimo. Riproducibilità dei valori ottenuti col micrometodo di dosaggio modificato delle due frazioni del colesterolo, a) Siero umano 143 W c r> rH O o © °^ « © c n PC CO, Ov UC ^ O 1 rH rH PO 3 II O bD o r± © Ò-- bC (M 25 14 39 - 102 28 130 saggio es 41 (S.E > di ratte - 18 13 31 saggio es 14 (S.E. i di coni - 23 10 33 r razione Colest. est. mg% mi Colest. lib. rng.% mi Colest. tot. mg.% mi Valori medi del do Colest. est. 114 ± 2 b) Siere Frazione Colest. est. mg.% mi Colest. lib. mg.%. mi Colest. tot. mg.%' mi Valori medi del do Colest. est. 24 ± 0, c) Siero Frazione Colest. est. mg.% mi Colest. lib. mg.% mi Colest. tot. mg.% mi Valori medi del dosaggio eseguito sulla stesso siero (5 determinazioni) con il metodo di Schoenheimer e Sperry, in mg/100 mi: Colest. est. 23 ± 0,44 (S.E.% = 1,91%); Colest. lib. 10 ± 0,35 (S. E.% ='3, 50'%). — 144 - Il fatto poi che, nel caso del siero si riscontrano errori standard maggiori rispetto a quelli che si riscontrano nel caso di soluzioni artificiali, va probabilmente imputato alle operazioni preliminari di estrazioni di colesterolo dal siero. Paragonando il micrometodo da noi usato con il metodo di Schoenheimer e Sperry si può osservare che il primo da valori, in genere, leggermente più bassi e che, mentre gli errori standard, nel caso del colesterolo esterificato sono dello stesso ordine di grandezza, nel caso del colesterolo libero il micrometodo da’ un errore standard maggiore. È tuttavia possibile affermare la validità di tale micrometodo particolarmente quando si devono eseguire indagini comparative su piccole quantità di siero, tessuti, ecc. Conclusioni 1) È possibile su colonna di ossido di alluminio attivato a 200°C per 3 ore, delle dimensioni di 0,4 x 4,0 cm., adsorbire e ripartire quantitativamente da 10 a 150 \ig di colesterolo libero e di esteri di colesterolo [3]. 2) Per ottenere una eluizione totale degli esteri del colesterolo è necessario utilizzare una miscela di cloroformio anidro-etere di petrolio ( p. e. 38°-42°C) il cui rapporto sia di 3 : 7. Con proporzioni inferiori di cloroformio gli esteri vengono eluiti solo parzialmente e si troverebbero quindi, in parte con il colesterolo. Come eluente per il colesterolo è necessario utilizzare il cloroformio anidro. 3) I volumi ottimali dei due solventi sono rispettivamente di 7 mi per la miscela cloroformio-etere di petrolio e di 16 mi per il cloroformio. 4) La descrizione del metodo, secondo la nostra modifica, è pertanto la seguente : il colesterolo libero e quello esterificato sono estratti a caldo dal siero con alcool etilico assoluto-acetone 1 : 1 (v/v) nel rapporto di 1 : 10. L’estratto è portato a secco in corrente di azoto e ripreso con 0,2 mi di cloroformio anidro e 4 mi di etere di petrolio ( p. e. 38°-42°C) e trasferito quantitativamente sulle colonne di ossido di alluminio. Le colonne hanno le seguenti caratteristiche: diametro 0,4 cm ; altezza 4,0 cm ; riempimento con ossido di alluminio Merck secondo Brockman, previamente attivato a 200°C per 3 ore ; lavaggio ripe¬ tuto con etere di petrolio ( p.e. 39°-42°C). - 145 — Gli esteri del colesterolo vengono quindi eluiti con 7 mi di cloro¬ formio anidro-etere di petrolio ( p.e. 38°-42°C) 3 : 7 (v/v) ed il cole¬ sterolo con 16 mi di cloroformio anidro. Gli eluiti vengono portati a secco in corrente di azoto ed il residuo è ripreso con Imi di cloroformio anidro; si addizionano 2 mi di acetato di etile, 2 mi di reattivo al cloruro ferrico ( 0.125 g di FeCl3 . 6 H20 in 100 mi di acido acetico glaciale) e 3 mi di acido solforico concentrato. Si esegue il dosaggio colorimetrico dopo 60' o a 5300 e 5400 A rispettivamente per le due frazioni. BIBLIOGRAFIA [1] Schoenheimer R., Sperry W. M. J. Biol. Chem. 106 (1934) 745. [2] Zlatkis A., Zak B., Boye A. V. J. Lab. din. Med. 41 (1953) 485. [3] Agneray J.. Puisieux F.. Wepierre J. Ann. Biol. Clin. 3 (1959^ 178. Sull’ età dei livelli a requienie nell’ Appennino campano Nota del socio BRUNO D’ARGENIO (Tornata del 28 dicembre 1 962) Premessa. Individuare dei livelli-guida che abbiano la massima estensione orizzontale e, nello stesso tempo, riuniscano caratteristiche paleonto¬ logiche e sedimentologiche, tali da essere facilmente riconoscibili sul terreno ( « caratteri di campagna »), è un elemento di non trascu¬ rabile importanza nelTapprofondimento delle conoscenze stratigrafiche del Mesozoico nell’ Appennino di facies orientale. È possibile rinvenire nella serie mesozoica dei livelli, a volte di sicura posizione stratigrafica, a volte di incerto valore, in tutti i terreni dell’Appennino calcareo, dal Trias fino al Cretacico; ma bisogna precisare che non sempre i caratteri che si possono rico¬ noscere sono tali da permettere estrapolazioni, anche se prudenti. Nel Cretacico le biozone o i livelli-guida facilmente individua¬ bili sul terreno e sicuramente databili sono rari o di non grande estensione orizzontale e, sebbene lo studio delle microbiofacies per¬ metta di individuare a volte i vari piani, nei riguardi delle caratte¬ ristiche di cui s’è fatto cenno, conserva sostanzialmente il suo valore Tosservazione fatta oltre settantacinque anni orsono da Taramelli (1886) che rilevava la possibilità di distinguere nei rilievi « a po¬ nente od a mattina dell’alta valle del Calore e la catena del Partenio, sulla sinistra del Sabbato » . « un piano a Nerinea schiosensis , Pir., dell’Urgoniano con Requienia , Trigonia . Lucina e varie specie di ceriti; ed un piano più elevato, ad Hippurites organizans , sp.. che spetta al Turoniano ». Infatti, di regola, i fossili che in campagna permettono di orien- 147 — tare Losservatore nella serie cretacica, sono : nella parte inferiore i diceratidi ( Requienia. Toucasia) e, nella parte superiore, gli ippu- ritidi e i radiolitidi. Ma, mentre questi ultimi costituiscono, dal punto di vista pa¬ leontologico e stratigrafico, un dato cronologicamente esatto (Turo- niano-Senoniano) e da tutti accettato, Requienia , Toucasia e altri generi di diceratidi, spesso, per la impossibilità di ottenere degli esem¬ plari ben determinabili, sono praticamente ignorati, non riconoscendo ad essi molti autori, anche recenti, salvo qualche eccezione (Scar¬ sella, 1957 ; M a n eredi m, 1957), un significato stratigrafico costante o sufficientemente valido. Questa parte della serie ricca di diceratidi, costituita da uno o più livelli, in cui questi pachiodonti si presentano tanto abbondanti da costituire delle lumachelle dall'aspetto caratteristico, è quella che gli Autori, per analogia con le caratteristiche della serie infracretacica della Francia meridionae, definivano di a facies urgoniana » (Pa¬ roma, 1903). La definizione però conserva il suo valore cronologico solo per i livelli più bassi, che gli autori ritennero caratterizzati dalla Toucasia carinata , mentre la maggior parte dei livelli a requienie ven¬ nero genericamente attribuiti la Cenoinaniano. I. Tralasciando i riferimenti bibliografici più antichi (Pilla, 1833, 1844; Covelli, 1839; Costa, 1864, 1865) per i dati vaghi o inesatti, va ricordato, dopo quanto aveva scritto nel 1886 Taramelli, che Cassetti, già nel 1893 distingueva, nella serie cretacica del Matese, in base a quanto era stato l’anno precedente comunicato da Di Stefano (1892), quelle che oggi diremmo due biozone: una inferiore a Toucasia carinata Math., e a piccole nerinee, urgo-aptiana, ed una superiore ad ippuritidi e radiolitidi, turoniano-senoniana. E, pur esplicitamente avvertendo della provvisorietà di questa distinzione (Cassetti. 1901), egli la mantenne per molti anni, anche quando, in alcune località, si riuscì a distinguere, nella serie cretacica, un Cenomaniano a Gryphaea cfr. vesicularis Lamk, ed Exogira Rati- sbonensi Schoth. ( Cassetti , 1900), per la pratica impossibilità di cartografare dei limiti che erano vagamente riconoscibili e solo quando sovvenivano i fossili. Anche De Lorenzo sostanzialmente riconosce (De Lorenzo, — 148 — 1894, 1895), e accetta (De Lorenzo, 1896), in base allo schema pro¬ posto da Stache (1889) per la Dalmazia e l’Istria, la suddivisione delle assise cretaciche in due zone : « 1) Calcari generalmente scuri,, raramente chiari o dolomitici, con toucasie, sferuliti e monopleure, contenenti delle intercalazioni di marne a orbitoline e le ittiofaune di Castellammare e di Pietraroia ; « 2) Calcari generalmente chiari, brecciati o marmorei, rara¬ mente scuri, ricchissimi di nerinee, acteonelle e rudiste. « I primi comprenderebbero tutti i terreni che dalla base del- PUrgoniano vanno fino alla parte più alta del Ce noma ni a no ; gli altri rappresenterebbero i livelli ippuritici del Turoniano e del Senoniano » (De Lorenzo in D’Erasmo, 1914). Nel 1904 Parona, segnalando la presenza dei calcari con Touca¬ sia carinata a Capri, e riprendendo quanto aveva precedentemente scritto nel suo Trattato di Geologia ( 1903), data come Barremiano superiore- Aptiano inferiore « la facies urgoniana delPAppennino me¬ ridionale » caratterizzata dalla presenza di Toucasia , Requienia ed ellipsactinie ( Parona, 1904), in ciò confortato dall’opinione espressa da Paquier nella sua monografia sulle rudiste urgoniane. E nel 1907 10 stesso Parona segnala piccole requienie, associate ad ellipsactinie, nei Monti di Bagno ( Monti d’Ocre) ; le data come Cenoraaniano superiore, e ne riconosce la larga distribuzione areale. Lo stesso autore fa notare come i calcari che racchiudono questi piccoli diceratidi, spesso molto numerosi, siano quelli che Cassetti definisce « calcari a requienie », attribuendoli al PUrgo ni a no. In realtà i « calcari a requienie » avevano per Cassetti un significato stratigrafico più ampio poiché, nei termini da lui definiti come Cretacico medio-inferiore (Urgoniano s. L), era com¬ presa tutta la parte basale della serie, priva di macrofossili e di incerta attribuzione stratigrafica ( « Dolomie urgoniane») (1), tra 11 più alto Trias o Lias fossiliferi e i livelli con requienie ( « Calcari a Requienia », « calcari a Toucasia ») : vi sarebbero quindi compresi tutti i piani del Cretacico inferiore e medio. Ma, accettato oramai questo ringiovanimento , lo stesso Cassetti in appresso ( 1913/a, 1913/6, 1914) modificò il suo modo di vedere (1) Va notato che Cassetti (1900) riteneva provvisoria tale divisione affer¬ mando che indubbiamente dovevano esistere altri piani non riconoscibili tra i terreni databili come Trias e come Cretacico in base ai maci ©fossili. — 149 — datando in generale come cenomaniane le assise calcaree con diceratidi. Infine nel 1918 Paroma, riassumendo i risultati di oltre un ven¬ tennio di studi sulla stratigrafia del Cretacico neH’Appennino calcareo centro-meridionale, separava il Neocretacico, che faceva iniziare con la facies dei Calcari ittioli Cleri di Fieli aro i a e di Capo d’Orlando { Ceti emani a no). dalFEocretacico, caratterizzato dalla diffusione della Toucasia carinata . Nel successivo quarantennio molte conoscenze nuove si sono aggiunte a quelle che già si possedevano sulla stratigrafia delle assise calcaree mesozoiche dell’Appennino ; soprattutto con l’introduzione sistematica dello studio delle microbiofaeies. E tuttavia, per il Cre¬ tacico, come per i periodi precedenti, a voler distinguere, sulla scorta della bibliografia esistente, dei piani o dei gruppi di piani, non molto si potrebbe aggiungere a quanto scriveva Paroma nel 1918, che anzi, si è detto, molti autori non riconoscono alle assise con diceratidi un conveniente valore stratigrafico. Dal sommario esame bibliografico ora eseguito e dalle considera¬ zioni relative si potrebbe dunque concludere che : a) Nella parte inferiore e media della serie cretacica esiste un compesso calcareo o ealcareo-dolomitico, ben stratificato, di varia potenza, caratterizzato dalla presenza di strati con diceratidi (principalmente Requienia e Toucasia ), spesso molto frequenti, che costituiscono delle lumachelle o delle biostrome ; alle requienie e alle tucasie sono associate, in alcuni livelli, nerinee e, a volte, ellipsactinie. b) Nel complesso stratigrafico con diceratidi, che indicheremo genericamente come complesso a requienie , si può distinguere una parte inferiore, urgo-aptiana, caratterizzata da Toucasia carinata Malli, sp. ( = Requienia Lonsdalei d’Orb. non Sow.) (Di Stefano, 1892), e una parte superiore, d’età cenomaniana, con Requienia par- vula e Monopelura Schnarrembegeri ( Paroma, 1918). c) Non possediamo un elenco molto ricco di generi e specie determinate con sicurezza, poiché difficilmente i fossili possono essere estratti integri dalla roccia ; ma è da ritenere molto probabile che altri generi e certo altre specie di eterodonti, mal determinabili, siano rap¬ presentati nell’intero complesso a requienie ( Parom a, 1918). d) La distribuzione stratigrafica di queste forme è molto ampia ; si può dire, in prima approssimazione, che sono presenti dalla fine del Barreniano a tutto il Cenomaniano (Di Stefano, 1892; — 150 — Parona, 1904, 1918, 1924). Le tucasie ( Toucasia carinata auct.), carat¬ terizzato, l’Aptiano s. L, e le requienie ( Requienia parvula auct.), caratterizzano il Cenomaniano superiore ( « Pietra ad anellini » di Parona) in associazione a monopleure ( Monopleura Schnarrember- geri). Molto ampia è anche la loro estensione areale, poiché sono state segnalate in tutto PAppennino di facies orientale (Parona, 1924). II. I livelli a diceratidi sono in genere facilmente riconoscibili, particolarmente laddove le valve sono messe parzialmente a nudo dalPerosione. Di regola si presentano con sezioni reniformi o ellitti¬ che, molto caratteristiche, pur variando nel complesso, oltre che per forma, per dimensione e per frequenza. Se fosse possibile distinguere in campagna i livelli a Toucasia carinata da quelli a Requienia parvula , molti problemi stratigrafici, e anche cartografici, verrebbero più agevolmente risolti. Invece ciò non è possibile, non tanto perchè manchino sufficienti « caratteri di cam¬ pagna )) o perchè i fossili non siano estraibili dalla roccia, ma soprat¬ tutto perchè alcune generalizzazioni di Parona (1918, 1924) hanno ingenerato degli equivoci. Intanto bisogna dire che la Requienia parvula di Costa ( 1866) è un fossile, per usare un aggettivo dello stesso autore, proteiforme e non è d’età compresa fra il Cenomaniano superiore e il Turoniano (Parona, 1909, e segg.). A ragione il Fossilium catalogus (Kutassy, 1934) non ri¬ porta la specie: « parvula ». Costa infatti, istituendo la nuova specie <( parvula », non la descrisse, ma la figurò soltanto (Costa, 1866, tav. I, fig. 1-4), in modo tale che non è possibile riconoscervi che i contorni, in parte sfumati (2). Inoltre la Requienia parvula n., di Costa, figurata in un suo lavoro ( 1866) in cui illustra l’ittiofauna di Castellammare di Stabia, proviene, a dire dello stesso Costa, da Pietraroia (Matese), (2) Quanto allo stesso Costa parve attendibile il riconoscimento della R. parvula lo si può giudicare dal fatto che egli affermava (Costa, 1866, pag. 20) che di: « proteiformi requienie » parecchie altre ne trovi nella medesima calcarea, di minor dimensione e di tutte le gradazioni... Non saprei dire se fossero i piccoli della mede¬ sima specie, o sue varietà, o anche specie minori. La loro variabile figura ben corrisponde all’indole di cotesta genia di viventi della fauna estinta » ( !). — 151 — dove era stata raccolta nei calcari lastroidi ad ittioliti, cioè da un livello che egli riteneva isopico di quello di Castellammare. Parona (1907) istituendo il livello a R. parvula e a M. Schnar- rembergeri neFAbbruzzo aquilano lo attribuì ad un Cenornaniano molto alto, al passaggio con il Turoniano ; localizzò in questo livello gli affioramenti bauxitici e, generalizzando le sue affermazioni, estese a tutto l’Appennino calcareo queste conclusioni. Questa estrapolazione è alla base di molte errate attribuzioni stratigrafiche, non solo per quel che riguarda il complesso a requie- nie, ma anche per alcuni livelli in esso intercalati ; tra questi ricordo l’orizzonte bauxitico, i calcari ad ittioliti e le marne ad orbitoline, Per tutti e tre questi livelli, come per i calcari a requienie, era già stata precedentemente indicata un’età grosso modo corrispondente alFAptiano (Guiscardi, 1866; Cassetti, 1893), o addirittura al Neocomiano ( Bassani, 1890). L’autorità di Porona portò gli autori successivamente a ringio¬ vanire l’uno o l’altro dei livelli citati, pur non tacendo alcuni le loro perplessità per le affinità che certe faune sembravano avere con quelle di più bassi orizzonti stratigrafici (Bassani e D'Erasmo» 1912; D’Erasmo, 1914). I dati attualmente in nostro possesso ci permettono tuttavia di riconfermare le antiche attribuzioni degli autori. Infatti nel gruppo del Taburno-Camposauro, Finterò complesso a requienie, che non supera i 100-130 m. di potenza (3) e contiene nella parte alta calcari ad ittioliti grigio scuri e neri, non è più recente dell’Aptiano, poiché è limitato verso l’alto dalla zona di diffusione di Salpingopo- rella dinarica ( Crescenti e Sartoni, 1962). Nel Matese, alla Civita di Pietraroia i calcari a requienie, che hanno una potenza di oltre 100 metri, e contengono anche qui il livello ad ittioliti nella parte sommitale (4), hanno un’età aptiana. Inoltre la corrispondenza con la vicina serie del Camposauro è di notevole evidenza. L’orizzonte bauxitico, che testimonia una lacuna stratigrafica (3) Poco più in alto la serie infracretacìca è troncata dalla trasgressione turoniana ( D’Argenio, 1962). Si fa notare che gli spessori qui indicati non si riferiscono a quel tratto di serie compreso tra la comparsa delle prime, rare forme attribuibili a questi diceratidi e la loro scomparsa, ma all’intervallo in cui sono tanto numerosi da costi¬ tuire talora dei veri accumuli biostromali. ( 4) Qui la serie infracretacica è troncata, poco sopra i calcari ad ittioliti, dalla trasgressione miocenica. 152 — ( D’Argenio, 1962 a, ò), è limitato inferiormente da livelli a re¬ ti ui ernie. Questi livelli, almeno per l’Appennino campano (Matese, Monte Maggiore), sono certamente più bassi del Cenomaniano supe¬ riore (Parona, 1907), e non più recenti dell’Albiano. Questi i risultati delle mie ricerche ; ma, più recentemente, altri autori, sono giunti per il Cretacico campano ad analoghe con¬ clusioni. D’Argenio e Pescatore (1962) e Pescatore e Vallario ( 1962) descrivendo la stratigrafia del Mesozoico del gruppo del M.te Maggiore (Caserta), datano come Aptiano i più bassi livelli a re- quienie e come Aptiano-Albiano il letto delle bauxiti. De Castro (1962), in base allo studio delle microbiofacies e al riesame delle macrofaune, riconferma per i Monti Lattari beta aptiana ( 5) già attri¬ buita dubitativamente da Guiscardi ( 1866) al livello ad orbitoline, intercalato nei calcari a requienie (6). Vallario (1962) riafferma per i livelli a requienie del Monte Massico beta albiano-aptiana, già attri¬ buita a questo complesso da Cassetti ( 1894) (7). Conclusioni. Mi sembra dunque di poter concludere, sospendendo il giudizio per l’Abruzzo aquilano, che nelbAppennino campano i livelli a requienie : - conservano tutta la loro importanza di livelli-guida, quale era stata già riconosciuta dagli autori (8); (5) De Castro attribuisce al livello ad Orbitolina un’età compresa tra il Barre- miano e l’Albiano coincidente, molto probabilmente, con l’Aptiano. (6) Nel 1949 Mirigliano, descrivendo il livello delle marne verdi ad orbitoline del M.te Cocuzzo (Cilento meridionale), omologo di quello dei Monti Lattari per associazione faunistica e per posizione stratigrafìca, lo data come Cenomaniano infe¬ riore, incerto fra le caratteristiche di biofacies, che lo farebbero ritenere ancora più antico, e la opinione allora corrente ( Bassani e D’Erasmo, 1912; Parona, 1924) che lo considerava cenomaniano. (7) Catenacci. De Castro e Sgrosso (1962) in un lavoro recentemente pre¬ sentato al Convegno sulla Geologia dell' Appennino, indetto dalla S. G. I., accennano ai livelli a requienie del Matese e li attribuiscono al Cretacico inferiore. ( 8) È da augurarsi che agli studi stratigrafici sul Mesozoico dell’Appennino di facies orientale, basati oggi quasi esclusivamente sui dati delle microfacies, si ag¬ giunga lo studio dei macrofossili e il riesame delle abbondanti faune già studiate. Dai livelli a diceratidi in particolare non è impossibile ricavare qualche individuo in grado di essere determinato. — 153 — — sono di età compresa fra FAptiano e l’Albiano ; — non vanno assimilati ai livelli a T. carinata , non escludendosi ovviamente la presenza di questa specie nei livelli più bassi ( Parona, 1904) (9). Si propone pertanto di usare la più generica, ma meno impro¬ pria dizione di livelli a diceratidi o di complesso a diceratidi , per quella parte della serie caratterizzata dalla loro grande frequenza e a cui si può assegnare un’età compresa fra l’Aptiano e FAlbiano ; ciò permetterà di fissare anche in campagna, e con buona approssi¬ mazione, il limite tra Cretacico superiore ed inferiore. Napoli, Istituto di Geologia delVUniversità , dicembre 1962. RIASSUNTO I calcari a diceiatidi sono molto diffusi nella parte inferiore della serie creta¬ cica dell’Appennino di facies orientale. Questi livelli erano datati dagli autori come cenomaniani. L’esame critico della bibliografia esistente e le ricerche compiute dall’autore permettono di affermare che, almeno per l’Appennino campano, il complesso a diceratidi ( Requienia , Toucasia) è da attribuirsi alla parte superiore dell’Infracre- tacico ( Aptiano-Albiano) SUMMARY The Diceratidae Limestones are frequently diffused in thè lower series of Creta- ceous in thè Apennines of east facies. Those stages were dated hy thè authors as Cenomanian. The criticai examination of existent bibliography and thè researches macie by thè author allow to say that, at least for Campan Apennines, thè stages with Diceratidae ( Requienia , 1 oucasia) must be ascribe to thè upper part of Lower Cre- taceous ( Aptian-Albian) . BIBLIOGRAFIA Bassani F. 1890, Il calcare a nerinee di Pignataro Maggiore in Prov. di Caserta. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. II, 4, pp. 199-205. Napoli. 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Stratigrafia Flegrea del terzo periodo recente Nota del socio RAFFAELE MONTAGNA (Tornata del 28 dicembre 1962) Introduzione. È stata rilevata la stratigrafia flegrea del « terzo periodo recente » nella zona compresa tra l'abitato del Vomere ed il lago craterico d’A verno. Anche in questa nota, come già in altra precedente sulla strati- grafia flegrea del « terzo periodo intermedio » [6] ci si riferisce costantemente alla serie stratigrafica della zona Vomero-Arenella, da tempo assunta, dal prof. A. Scherillo [10], come serie tipica della zona urbana e suburbana di Napoli (1). (1) È opportuno riportare, qui di seguito, la serie stratigrafìca premettendo ad essa uno schema riassuntivo. Forma¬ zione Vulcano d’origine Periodo d’appartenenza Natura dei prodotti G ? 3° recente Prodotti piroclastici incoerenti (lapilli, scorie, pomici, pozzo¬ lane e sabbie) F Astroni Cigliano E Pisani Montagna Spaccata intermedio D • Solfatara antico C Agnano B Minopoli A — 2° recente tufo giallo litoide — 158 Scopo del presente rilevamento è stata la ricerca sistematica del vulcano che ha dato luogo alla formazione post-Astroni che, d’ora innanzi, uniformandosi ai contrassegni letterali della serie tipica, sarà chiamata, per brevità, formazione G. La recentezza di tale formazione consente di avvalersi di qualche dato storico e di maggiori caratteri morfologici e consente quindi un certo ragiona¬ mento per esclusione. Serie stratigrafica della zona V omero- A renella (fig. 1). G] — Pozzolane giallo-grigiastre (on una fascia di pomici interposte (ni. 1.00); F] e) Humus violaceo ; — « Pozzolane superiori » ; — « Pomici B » ; — «Pozzolane interposte»; / (m. 1 — 1.50) — « Pomici A » ; — «Pozzolane e pomici interstratificate»; d ) Humus avana o violaceo ; « Pozzolane grigie » con lapilli ; c) Humus avana o violaceo ; «Pozzolane gialline » (in. 0.20 — 0.30); b ) Humus avana o violaceo , « Pozzolane variegate » inferiormente grigio-marrone e gialline ed attra¬ versate da 2 o 3 straterelli di lapillo e superiormente grigiastre (ni. 1); a) « Pozzolana grigia », cenere violacea e, sopra, una fascia di lapillo (m. 0.10 — 0.20) (Cigliano ?); E] — Pozzolane più o meno humificate con predominante color avana e fasce violacee. Non sono nettamente stratificate (m. 2 circa). Spesso alla base presentano una fascia di pomici e lapilli grigi ed un’altra intermedia. Talora, specialmente in seguito a rimaneggiamento, contengono lenti e fasce di sabbie grigie, non stratificate. D] Pozzolana marrone, poco distintamente stratificata. Per lo più manca forse perchè, essendo humificata, si confonde con le formazioni seguenti (potenza massima m. 1). C] /) Pozzolane, pomici e lapilli («lapillo nero») in straterelli alternati (m. 1-2); e) Pozzolane alternate a straterelli di pomici e lapilli ; j Pozzolane giallo-grigiastre con una fascia di pomici («seconde pomici»); ( m . 1 — 2 ) d) Humus; — Pozzolane giallo-grigiastre (ni. 0.30 — 0.50); c) Humus ; — Pozzolane giallo-grigiastre con una fascia di pomici (« pomici inter¬ medie ») (m. 0.50 — 1); 5 4 5 ? 1 i 0 :**.’> : M f j" Ast ron Cigliano Pi sani Montagna Spaccata Solfatara ( A g n a n o B materiali rimaneggiati del periodo di transizione - A tufo giallo napoletano Fig. 1. — Serie stratigrafica della zona Vomero-Arenella. — 160 Infatti, di vulcani notoriamente posteriori ad Astroni, a parte i vulcanetti fìegrei di Concola e Fondo Riccio, se ne conoscono finora tre e precisamente: il Cratere Senga o Fossa Lupara, il Monte Nuovo ed il Vesuvio attuale che, nei confronti della zona Vomero- Arenella, si trovano rispettivamente a N. W. e S. W, i primi due (zona fllegrea propriamente detta) ed a S. E. il terzo. Mentre da un lato i varii dati militano a favore di un’origine flegrea e non vesuviana della formazione G, dall’altro lato militano a sfavore della sua particolare attribuzione al Senga o al Monte Nuovo. Sono infatti favorevoli ad un’origine flegrea i seguenti dati : - stratigrafico ; nei pozzi scavati a Casalnuovo mancano superior- mente le pomici che, se la formazione G fosse di origine vesuviana, dovrebbe invece, per il loro maggior peso, essere presenti in quantità ancora maggiore data la minore distanza dal Vesuvio; — chimico ; l’analisi chimica dei prodotti della formazione G, eseguita presso l’Istituto di Mineralogia dell’Università di Napoli, mostra trattarsi di un magma trachitico e non leucotefritico ; - cromatico ; la tinta giallo-grigiastra delle pozzolane della formazione G è quella dominante dei prodotti flegrei più recenti mentre invece la tinta dei prodotti vesuviani, più recenti, è gri¬ gio-scura ; - tras portabilità ; i venti dominanti nel golfo di Napoli appar¬ tengono al 1° quadrante, spirano cioè da S. W. a N. E. e sono per¬ tanto favorevoli al trasporto di prodotti dalla zona flegrea e non da quella vesuviana. Sono invece sfavorevoli ad una particolare attribuzione al Senga o al Monte Nuovo i seguenti dati : — morfologico ; l’esiguità degli apparati vulcanici del Senga e del Monte Nuovo autorizza a ritenere che il volume dei prodotti da loro emessi sia stato piuttosto esiguo; b ) Humus ; — Pozzolane giallo-grigiastre (m. 0.30 4- 0.50); a) Humus ; «Pomici principali»: alternanze di strati di pomici c pozzolane (po¬ tenza complessiva m. 3 circa); B] — Pozzolane, lapilli, pomici, sabbie rimaneggiate. La potenza è varia¬ bilissima perchè la formazione si adatta alla superficie erosa del tufo giallo. A] — Tufo giallo napoletano, talora con mappamonte. — 161 — - litologico ; l’abbondanza di pomici e scorie fino a giungere alle effusioni laviche del Senga e, probabilmente, anche del Monte Nuovo [8], autorizzano a ritenere che il grado di esplosività di questi due vulcani sia stato anche esso piuttosto esiguo ; — trasportabilità; i venti dominanti sono più favorevoli al trasporto dei prodotti dal Monte Nuovo che non dal Senga senonchè, tra i due. il primo è più lontano del secondo ; — cromatico ; la tinta delle pozzolane del Senga è grigio- mar¬ rone e si allontana pertanto dal colore dominante dei prodotti flegrei più recenti e della formazione G. I primi tre caratteri sfavorevoli escludono che i prodotti del Senga e del Monte Nuovo abbiano potuto giungere, in quantità ap¬ prezzabili, nella zona V omero-Arenella. Ciò premesso, occorre invocare l’esistenza di un altro vulcano flegreo che, successivo ad Astroni. abbia dato origine alla forma¬ zione G. Per dimostrare l'ammissibilità o meno di tale assunto si è proceduto, fin dalla primavera del 1958, al rilievo sistematico di tutte le sezioni disponibili nella zona flegrea compresa tra l’abitato del Vomero ed il lago d’Averno riportando, nella presente nota, solo quelle ove compaiono prodotti successivi ad Astroni. Descrizioni geologiche. § 1) — Via S. Gennaro ad Antignano. Per quanto concerne tale località ci si richiama ad una prece¬ dente nota [6] e si ricorda che lo scavo di fondazione del fabbri¬ cato che ospita attualmente gli Uffici Postali, tra Piazza degli Artisti e la Chiesa di S. Gennaro, ha mostrato, fino al giugno 1958, una successione stratigrafica ( 2) ( fig. 2) che pone in evidenza la sovrap¬ posizione della formazione G ai prodotti di Astroni (formazione F). (2) G] — Pozzolana giallo-grigiastra superiormente humifioata; — Pomici grigie ; — Pozzolana giallo grigiastra ; F] e) Humus nero ; — Pomici grigie (« Pomici B »); — Pozzolana giallo-grigiastra scura; — Pomici grigie («Pomici A»); 162 - §2) — Conca di Pianura. Anche per quanto concerne tale conca ci si richiama ad una precedente nota [5] la cui tavola II illustra come, al disopra dei prodotti in sito di Astroni ed al disotto di una coltre prevalentemente Fig. 2. — Successione stratigrafica di uno scavo di fondazione in Via S. Gennaro ad Antignano (rilev. giugno 1958. alluvionale, si trovi un deposito costituito dai seguenti prodotti in sito attrihuihili ad un ignoto vulcano posteriore ad Astroni: c) — Pozzolana giallo-grigiastra ; b) — Pomici grigie ; o) — Pozzolana giallo-grigiastra. Analoga situazione ricorre nell’attigua conca di Soccavo e precisamente lungo la Cupa Cintia. Pozzolana giallo-grigiastra chiara mista a pomici grigie e leggermente stratificata ; d) Pozzolana grigia superiormente humificata (violacea); c) » giallina » » ( » ); a) Pomici grigie ; — Humus violaceo ; — Pozzolana grigia ; E] — Pozzolana inferiormente avana e superiormente marrone ; — Pomici grigie e lapilli lapidei neri ; — Pozzolana marrone-scuro humificata. - 163 | 3) — Conca di Pisani. Trascurando, come si è detto, le sezioni che interessano i pro¬ dotti del « terzo periodo intermedio », si rileva che, là dove la strada provinciale « Montagna Spaccata » costeggia il tracciato della Fig. 3. — Località Cancello - Conca di Pisani. Prodotti scuri del Senga su prodotti chiari di Astroni (fot. dott. E. Franco, estate 1958). ferrovia Circumflegrea, di fronte al casello ferroviario in località Cancello, la scarpata che sovrasta la strada stessa mostra chiara¬ mente la sovrapposizione di prodotti scuri a prodotti chiari (fig. 3). Particolare notevole, che sarà successivamente richiamato, è che le due formmazioni sono separate tra loro da una superficie di intensa erosione. 164 - Abbandonando la strada e proseguendo lungo il sovrastante trac¬ ciato ferroviario, si attraversano, ovviamente, i soli prodotti scuri di cui una sezione in trincea mostra la seguente successione (fig. 4): c) — Terreno vegetale (m. 0.40); Pomici grigie (cm. 1^-8) eccezionalmente cm. 25) e lapilli lapidei scuri (cm. 1^-8) (m. 070); b ) — Pozzolane superiormente grigiastre e giallastre interstratificate con limo sabbioso ed inferiormente grigiastre ed interstratifi- 3 2 1 0 m c I b a Senga Fig. 4. — Tracciato della ferrovia Circuflegrea - Conca di Pisani. Triplice forma¬ zione del Senga (rilev. 1958). cate con minutissime pomici grigie e minutissimo lapillo lapi¬ deo scuro (m. 0.60); — Pomici grigio-scure (cm. 1-^10, eccezionalmente cm. 30) e lapilli lapidei (cm. 1-^7) (m. 0.20); a) — Pozzolane grigio-marroni interstratificate con minutissime po¬ mici grigie e minutissimi lapilli lapidei scuri (m 0.50); - Pomici grigie (fino a cm. 40), scorie nere (fino a cm. 70) e lapilli lapidei (fino a cm. 20) (m. 2.00 in vista). Avvicinandosi al Senga, nei pressi della discarica dei rifiuti urbani, la granulometria di questi prodotti aumenta considerevol¬ mente mentre invece diminuisce, allontanandosene in direzione della galleria Pisani-Quarto. A questo punto e quindi lecito attribuire al Senga i prodotti rilevati nella precedente sezione. Questa prova, di per sè decisiva basata sull’andamento della granulometria, viene inoltre suffragata da altri particolari ; infatti la sovrapposizione dei prodotti scuri ai prodotti chiari s’accorda. — 165 — cromaticamente, con la sovrapposizione dei prodotti del Senga a quelli di Astro ni, come pure, la superficie di intensa erosione che li separa, s’accorda con l’intervallo tra le attività dei due vulcani. Ulteriore conferma di tale attribuzione è data infine dalla presenza, nella sezione rilevata, di tre strati di pomici sormontati ciascuno da pozzolana il che denoterebbe tre atti eruttivi corrispon¬ denti ai tre crateri concentrici del Senga. Questa triplice ripetizione stratigrafica ricorre frequentemente nelle sezioni della conca di Pisani quali le pareti della pista incassata che conduce da Casa Calco al Sepolcreto sulle pendici Sud del Senga, la cava abbandonata in sinistra dell’imbocco della galleria Pisani- Quarto sulla ferrovia Circumflegrea e le scarpate della strada provin¬ ciale « Montagna Spaccata », ai piedi di Torre Poerio (fig. 5). È appunto ai piedi di Torre Poerio che la triplice formazione del Senga raggiunge la sua massima potenza mostrando, peraltro, una notevole pezzatura della frazione pesante ( scoriaceo-pumicea) ed una compattezza semilitoide della frazione leggera, caratteri tutti che confermano l’autoctonia dei prodotti. §4) — Concola e Fondo Riccio . Percorrendo la S. S. Domiziana ,nel tratto che va da Arco Felice al lago d’ A verno, s’incontra, sulla destra, la piana di Teano dominata a Nord da un arco già individuato dal prof. G. De Lorenzo, come orlo di una lunata di corrosione da parte di un mare che batteva le propaggini di un Gauro insulare con quella maggiore veemenza che compete alla direzione dei venti dominanti. A Nord di questa piana e precisamente a Nord di Casa Gagliani (quota 111) e di Casa Sa¬ batino (quota 201) si rinvengono i relitti dei due vulcanetti di Concola e Fondo Riccio, il quale ultimo fu individuato [3] solo attraverso i suoi prodotti ma non morfologicamente. Si tralasciano questi due vulcanetti perchè, già nei loro apparati craterici, si rive¬ lano poverissimi di prodotti cineritici per cui non possono aver influenzato minimamente la stratigrafia circostante. Al Concola fu già attribuita infatti un’attività di lago di lava ed i prodotti di Fondo Riccio, che si presentano altamente scoria- ceo-pumicei, avvicinandosi all’asse eruttivo, reale o presunto, si rin¬ saldano sempre più fino a simulare una colata lavica ( 3). (3) È evidente iì passaggio laterale da scorie a pseudocolata. — 166 — Ciò denoterebbe, per entrambi, un carattere di bassa esplosi¬ vità e spiegherebbe l’esiguità dei prodotti cineritici. Fig. 5. — Strada provinciale « Montagna Spaccata ». 1 prodotti del Senga ai piedi di Torre Poerio (fot. dott. E. Franco, estate 1958). § 5) — Monterusso. Salendo lungo il ciglio Nord del Concola si giunge a quota 141 cioè alla sommità di Monterusso. Di qui una stradetta incassata scende verso Sud fino ad inne¬ starsi alla S. S. Domiziana a monte del lago d’Averno. Nel tratto a monte di tale stradetta è visibile la seguente successione stratigra¬ fica ( fig. 6) : — 167 — G] ■ — Pozzolana giallo-grigiastra con esili letti di piccole pomici grigio-chiare (ni. 6.00); 3 2 1 i Om. ^ ff| G Averno die 9 b 1 ai à F E }D A A s 1 r o n i Baia M. Spacca la Sol f a lara lufo grigio semi li Ioide su lufo giallo li Ioide Fig. 6 I — ^ Manierasse - Lago d’Averno. Sezione stratigrafica lungo la stradetta che dalla sommità di Monterusso scende alla S.S. Domiziana (rilev. 1958). — Pomici grigio-chiare, con qualche elemento fino a cm. 30, miste a lapilli lapidei ( cm. 1-^12) ed interstratificate con pozzolana giallo-grigiastra (m. 0.80); . — Pozzolana giallo-grigiastra (cm. 10); F] d-è) Pomici grigie piccole (cm. 10); c) Pozzolana giallina spesso sfumata in avana e superior¬ mente humificata (cm. 40); b) Pozzolane grigiastre a bande di diversa tonalità e com¬ pattezza (cm. 40); E] £t() Pozzolana avana superiormente humificata (cm. 40); - 168 - Pomici grigie piccole (cm. 1^5) con qualche elemento fino a cm. 15, tutte immerse in pozzolana avana (cm. 20); a) Pozzolana avana superiormente humificata (cm. 40); Pomici grigie, minutissimi lapilli lapidei scuri e grosso sabbione scuro (cm. 10); D] — Pozzolana superiormente avana ed inferiormente grigia¬ stra (cm. 40); A]-— Tufo grigio semilitoide (cm. 20); — Tufo giallo litoide. Partendo dal basso si rileva che: D] — il termine D, per la sua posizione stratigrafica e per il suo grado di humificazione, potrebbe essere attribuito alla Solfata ra. E] — La prima impressione che si riporta osservando la for¬ mazione E è quella di riconoscere nel termine inferiore a i prodotti di Montagna Spaccata e nel termine supe¬ riore a, quello di Pisani; entrambi già studiati in un precedente lavoro [6] più volte citato, Senonchè il termine superiore, pur presentandosi costituito, come quello di Pisani, da pozzolana avana su pomici grigie, presenta, nella frazione pesante, qualche pomice la cui grandezza (circa cm. 15) mal si concilia con la distanza e con la posizione sottovento del vulcano Pisani. Per facilitare l’esposizione e la comprensione della presente nota è opportuno anticipare che tale termine va attribuito ad un vulcano di Baia che, stratigraficamente e quindi cronologicamente, si inserisce fra i vulcani di Montagna Spaccata ( termine a) e Pisani (termini òM ò2, ò3, qui assenti) ed è stato perciò contrassegnato col simbolo al. Tale attribuzione è risultata dalla collaborazione col dott. E. Franco, dell’Istituto di Mineralogia dell’Università di Napoli, interessato allo studio dei vulcani a Sud del parallelo di Baia. A tale risultato si è giunti esaminando, in collaborazione, tutte le sezioni dell’area comune alle due zone di rispettivo interesse, consta¬ tando così che lo spessore dei prodotti in questione aumenta proce¬ dendo verso Baia fino a diventare massimo nella zona di un omonimo edificio vulcanico. Per quanto sopra si desidera ringraziare vivamente Lamico e collega. — 169 — F] — Per quanto concerne la formazione F di Astroni si precisa che essa viene identificata per tale, a parte successive conferme: — sia per la particolare associazione dei ben noti termini b e e, rispettivamente costituiti da pozzolane grigiastre a bande di diversa tonalità e compattezza e da pozzolana giallina, que- st’ultima difficilmente individuabile, perchè spesso sfumata in avana, ma comunque sicuramente rinvenuta; — sia per la sua posizione stratigrafica riconosciuta fin dalla assunzione della serie tipica. G] — Indizi più importanti sono forniti dalla formazione sovra¬ stante. La colorazione giallo-grigiastra delle sue pozzolane, la colorazione grigio-chiara e Fottiino stato di conservazione delle sue pomici unitamente alla sua posizione stratigrafica, sono tutti caratteri che fanno immediatamente pensare alla formazione G, mentre la potenza delle pozzolane (circa m. 6.00) e delle pomici (con qualche elemento fino a cm. 30), denotano la vicinanza dell’originario centro eruttivo. Particolari notevoli sono forniti: — dalla presenza, nei prodotti leggeri, di un paio di esili liste di pozzolana rosso-mattone utilizzabili come livelli guida; — dalla presenza di una faglia di distensione che, interessando tutta la sezione in vista, rivela un episodio successivo alla deposizione della serie. Tale episodio potrebbe essere lo sprofondamento succeduto allo svuotamento del bacino del Concola, come mostrerebbe la disloca¬ zione dei prodotti fagliati in cui la parte ribassata è prospiciente al vulcanetto. Tale faglia, interessando anche i prodotti della for¬ mazione G, dimostrerebbe che l’attività del Concola fu posteriore alla loro emissione. Nel tratto inferiore della stradetta, a circa cento metri dallo innesto con la Domiziana, una cava sulla destra mostra un fronte di circa venti metri d’altezza costituito da pozzolane giallo-grigiastre interstratificate con fasci di esili letti di pomici grigie. La costanza nel tipo di pozzolana e di pomici móstra che il fronte di cava interessa un’unica formazione vulcanica. Per i caratteri delle pozzolane e delle pomici e per la ricor¬ renza dei due livelli guida color rosso-mattone, questi prodotti si — 170 identificano con quelli che, nella precedente sezione, furono già attribuiti alla formazione G. La potenza dei materiali in vista unitamente alla mole dègli inclusi lapidei e tufacei avverte che la cava interessa i prodotti superiori di un vulcano locale che altri non può essere se non Averno. Tuttavia, per confermare tale attribuzione, è necessario rinvenire la sovrapposizione di questi prodotti leggeri ai corrispettivi prodotti pesanti (breccia d’esplosione, scorie di lancio e pomici grossolane) che necessariamente devono sottostar loro per lo meno in prossimità dell’originario centro eruttivo. § 9) — Lago d’ Averno. Dal livello stradale della Domiziana si scende, mediante due rampe, al livello del lago craterico d'Averno. Al disotto della vege¬ tazione, che copre la parte superiore della scarpata, la rampa ad Est mostra, alla seconda curva, la seguente successione (fig. 7): G] — Pomici grigio-chiare (fino a cm. 30) miste a lapilli lapidei (fino a cm. 40) e tufacei (fino a cm. 60) ma con scarsissime scorie scure (spessore non occultato da vegetazione circa m. 6.00); — Pozzolana giallo-grigiastra (cm. 10); F] b-c Pozzolane superiormente humificate dal violaceo al mar¬ rone ed inferiormente grigiastre a bande, poco distinte, di diversa granulometria e compattezza (cm. 60); E] b) Pozzolana grigiastra con esili vene di humus nero (cm. 10); gx) Pozzolana avana superiormente humificata in nero cm. 40); — Pomici grigie molto chiare (fino a cm. 20) (cm. 25); a?) Pozzolana avana mista a piccole pomici e piccoli lapilli lapidei e scoriacei scuri (cm. 30); A] Tufo giallo litoide stratificato, compatto e con inclusione di pomici grigie. La rampa ad Ovest, poco oltre il termine del sitò vecchio trac¬ ciato, mostra, a sua volta, la seguente successione (fig. 8); G] — Pomici grigio-chiare (fino a cm. 30) miste a lapilli la¬ pidei (fino a cm. 40) e tufacei (fino a cm. 60) ma cori — 171 — scarsissime scorie scure (spessore non occultato da vege¬ tazione: circa m. 10); — - Pozzolana giallo-grigiastra (cm. 30-^40); X] — Pozzolane grigio-marroni superiormente humificate ed G Averno Asironi Pisani Baia M. Spaccala lufo giallo tifoide Fig. 7. — Lago d’A verno - Parete Nord del cratere (rilev. 1958). attraversate da una fascia di pozzolana grigiastra a grana grossa (m. 0.40 + 0.30 + 0.70 = m. 1.40); - — Sabbia impalpabile di color grigio marrone (cm. 10); F] h) Pozzolane grigiastre a bande di diversa tonalità e con- pattezza (m. 1.10); E] b) Pozzolana humifìcata in marrone nella metà superiore e grigiastra nella metà inferiore (cm. 45); flj) Pozzolana humifìcata in marrone nella metà superiore ed avana nella metà inferiore (cm. 45); Pomici grigio-chiare e spigoli vivi (fino a cm. 15) e lapilli lapidei (fino a cm, 30) (cm, 30); a?) Pozzolana avana superiormente humifìcata e mista a piccole pomici grigie (spessore in vista; cm, 80), — 172 — La correlazione delle due sezioni pone in evidenza che gli spes¬ sori delle formazioni correlate sono sempre minori sulla parete Nord che su quella di N.-N.W. Fig. 8. — Lago d’Averno - Parete G Averno > X ì F ! ! a' : E i a 4 J N.-N.W. del A s 1 r o n i Pisani Baia M. Spaccala cratere (rilev. 1958). Tale differenza si spiega agevolmente con l’andamento degli strati che : — presentano tutti una curvatura con la convessità verso Paltò, nettamente visibile sulla parete craterica che sovrasta la Do- miziana. — montano tutti verso Nord come è nettamente visibile nella cava di cui al § 8 e lungo tutta la trincea della stradetta che sale sul Monterusso, — 173 — Ciò fa pensare che i prodotti, localmete sovrastanti il tufo giallo litoide, si depositarono sulle pendici di un preesistente rilievo di detto tufo avente la sua sommità a Nord deir Averno e che l’esplo¬ sione di questo ultimo vulcano deve aver necessariamente forato tali pendici. Conseguenza di una tale preesistente morfologia fu non solo il maggiore accumulo di materiali lungo le due linee laterali di impluvio ma anche la maggior erosione lungo la linea centrale di displuvio individuata dalla generatrice della falda conica del preesi¬ stente rilievo di tufo giallo (4). Questi due fattori dovettero deter¬ minare appunto la riscontrata diversità di spessori. Partendo dal basso si rileva, per entrambe le sezioni, che : E] — - F] — L’identificazione delle formazioni E ed F è basata non solo sulle caratteristiche che ormai si è imparato a riconoscere in ciascuna di esse ma anche sulla loro co¬ stante associazione stratigrafica; in particolare il termine a si presenta piuttosto rima¬ neggiato ma, debitamente correlato col corrispondente termine di Monterusso, appare comunque attribuibile a Montagna Spaccata sia che ne provenga direttamente per sedimentazione eolica, sia che ne provenga indiret¬ tamente, per risedimentazione alluvionale a spese dello originario deposito eolico. X] — La formazione X sembrerebbe costituita da pozzolane rimaneggiate costituenti aneh’esse una coltre alluvionale presente solo lungo la linea di impluvio. G] — Per esser certi di aver trovato in Averno l’originario centro eruttivo della formazione G si ricercava una sot¬ tostante frazione pesante di spessore proporzionale alla altezza del fronte di cava ■(§ 8). Il rinvenimento nelle due sezioni in esame, del banco di breccia d’esplosione, lapilli lapidei, scorie di lancio e pomici grossolane ri¬ solve completamente il problema infatti: — la sua posizione, topograficamente sottoposta ai prodotti leggeri del fronte di cava, confermando l’autoctonia di questi ultimi, (4) L’orlo Nord del cratere d’Averno sarebbe individuato, all’incirca, dalla inter¬ sezione eccentrica del cono craterico rovescio col cono dritto del preesistente rilievo di tufo giallo (Monte Ruscello?), 174 — conferma indirettamente anche la precedente intuizione (§8) sull’attribuizone ad Averno dei prodotti posteriori ad Aslroni ; — la sua posizione, stratigraficamente sovrapposta ai prodotti di Astroni riconferma, e questa volta con immediatezza, l’attri¬ buzione suddetta. Poiché le precedenti prove stratigrafiche sono valide nella stessa misura in cui la formazione sottostante ad Averno sia identificabile con quella di Astroni, conviene suffragare ulteriormente Lidentifica- zione di quest’ultima. § 10) — Itinerario costiero Vomero-Averno. Uscendo dal Vomero per Corso Europa, via Manzoni e via Mi¬ chelangelo da Caravaggio, si giunge in località Loggetla dove gli scavi, eseguiti per PINA-CASA e fin dal 1958 occultati da opere murarie, hanno rivelato un considerevole aumento nello spessore della formazione G rispetto agli spessori riscontrati nella zona Vo- mero-Arenella. Proseguendo verso ovest lungo via Consalvo, nulla si rileva di notevole per l’assenza di incisioni naturali e di scavi in atto. Alla altezza del varco che immette nella conca di Agnano, la via Consalvo si innesta alla S.S. Domiziana che, procedendo da questo punto verso Areo Felice, si snoda sul terrazzo marino della Starza. La stratigrafia della Starza, visibile in maniera più completa dal tracciato pedemontano della ferrovia Cuinana, mostra la sovrap¬ posizione delle varie formazioni della serie tipica ed è stata ampia¬ mente illustrata dal prof. R. Sinno [11-12], Particolare interessante è che i contatti stratigrafici tra le varie formazioni sono costituiti da piani inclinati con immersione da S.E. a N.W. dimodoché l’ordine di successione delle formazioni va dalle più antiche alle più recenti procedendo appunto in tale direzione e verso. In tali condizioni di giacitura risulta immediato pensare che la più recente formazione della serie, debba essere ricercata alla estremità N.W. della Starza. Entrando infatti nella proprietà Migliarese, con accesso dal numero civico 19 di via Domiziana, l’estrema parete della Starza. prospiciente il rione I.N.A.-CASA e la stazione ferroviaria di Arco Felice, mostra la seguente successione ( fig. 9): — 175 — G] Pozzolane giallo-grigiastre interstratificate con esili letti di piccole pomici grigie (m. 6.00); Pomici grigie (con qualche elemento di grandezza fino a •nurafure di fondazioni _ cornane _ ? > G Averno > F A s 1 r o n i Fig. 9. — Arco Felice - Parete del terrazzo marino della Starza prospiciente il rione I.N.A.-CASA (rilev. 1958). cm. 25) a spigoli vivi ed in ottimo stato di conservazione, miste a lapilli lapidei (m. 0,35) ; F] — Sabbia impalpabile grigio-marrone (m. 0,20); — Pozzolana giallo-grigiastra (m. 3.50); — » grigio-marrone (m. 2.00 in vista). — 176 — Partendo dal basso si ritrova, al disopra dei prodotti chiara¬ mente attribuiti ad Astroni dal prof. R. Sinno, una formazione che, per i caratteri delle pozzolane e delle pomici nonché per la sua posizione stratigrafica, si identifica chiaramente con la formazione G per cui si ripresenta, come prova conclusiva, il problema della sua attribuzione. Prima di affrontare tale problema è opportuno chiarire che il livello di pomici che compare alla base della formazione in questione non potrebbe giammai attribuirsi ad Astroni sia per la grandezza di taluni elementi pumicei incompatibile con la distanza e col verso opposto dei venti dominanti, sia per la presenza del sottostante letto sabbioso che denota una lunga separazione dai precedenti atti esplosivi. Riprendendo ora il problema deirattribuzione si rileva che, allo stato attuale dei luoghi, tra la sezione della Starza e quelle della zona craterica d’Averno, non esistono, purtroppo, incisioni tali da garantire una continuità di correlazione per cui conviene inte¬ grare la correlazione stessa con un ragionamento per esclusione, d’altronde abbastanza probatorio. A tal fine occorre passare in rassegna tutti i vulcani del terzo periodo che non compaiono nella serie tipica. Trascurando (piindi i vulcanetti di Concola e fondo Riccio, i cui prodotti sono estrema- mente localizzati, occorre riprendere in esame il Senga ed il Monte Nuovo perchè, se la loro posizione, rispetto alla zona Vomero-Are- nella, conduceva ad escludere la presenza dei loro prodotti in detta zona, la diversa posizione, rispetto a questo punto della Starza, potrebbe non condurre ad analoga esclusione nella sezione in esame. Occorre altresì prendere in esame: il vulcano di Cu ma che il prof. F. Faltni [3], contrariamente al prof. G. De Lorenzo [1], ritiene del terzo periodo anziché del primo ; il vulcano distoma di Fondi di Baia la cui appartenenza a questo periodo viene suggerita sia da qualche notizia storica al riguardo, sia del suo stato di conservazione; — il vulcano di Averno la cui posizione stratigrafica e cronologica, emersa dal precedente rilevamento, attende solo l’ultima con¬ ferma dalla presente rassegna. La valutazione comparativa dei caratteri dei suddetti vulcani conduce : — ad escludere Senga e Cuma perchè l’esigua mole dei rispettivi — 177 — apparati vulcanici (visibile per Senga e ricostruibile per Cuina), la loro lontananza ed il carattere bassamente esplosivo, rivelato dai loro prodotti, non possono assolutamente giustificare la potenza delle pozzolane osservate in questo punto della Starza ; — ad escludere Monte Nuovo (1538) perchè nel termine pozzola¬ nico si immorsano murature di fondazioni romane (villa di Cicerone?) ; — ad escludere Fondi di Baia perchè il carattere altamente esplo¬ sivo, rivelato dalla finezza delle sue pozzolane, mal s’accorde¬ rebbe con le interstratificazioni pumicee ed ancor più con le pomici di base e perchè, malgrado la sua elevata esplosività, la distanza non è sufficiente a giustificare la potenza del termine pozzolanico. Per escludere non rimane che il vulcano d’Averno la cui vici¬ nanza e grandezza possono invece giustificare pienamente la potenza del termine pozzolanico e la cui esplosività (maggiore di quella del Senga e del Cuma ma minore di quella di Fondi di Baia), mostrata dalla natura dei suoi prodotti, ben s’accorda con l’esplosività mostrata, in rapporto alla distanza, dai prodotti della formazione in esame. L’identità dei caratteri delle pozzolane e delle pomici conferma inoltre una tale attribuzione. Resta così ulteriormente suffragata la sovrapposizione dei pro¬ dotti di Averno a quelli di Astroni. § 11) — Distribuzione superficiale dei prodotti di A verno. Per concludere la presente nota sarebbe opportuno cercare di interpretare come i prodotti di Averno che, per l’ampiezza della cerchia craterica, dovettero essere notevolmente abbondanti, siano rinvenibili soltanto nelle immediate vicinanze del lago craterico e, a notevole distanza, in località Loggetta e nella zona Vomero-Are- nella mentre non compaiono affatto nella vasta area interposta. Ammettendo, come è lecito, una distribuzione gaussiana di tali prodotti, ci si dovrebbe attendere, invece, che il loro spessore fosse maggiore nell’area interposta che non in quella periferica. Ad eliminare tale incongruenza soccorre la topografia dei luoghi, francamente collinare nella prima area disseminata di crateri e di altopiano nella zona Vomero-Arenella. Una siffatta topografia ha ovviamente consentito all’erosione attuale di agire elettivamente sui — 178 — rilievi asportando per prima questi prodotti che cronologicamente si deposero per ultimi e che, rimaneggiati in tal modo, sono andati a costituire gli strati superiori della coltre alluvionale che colma le conche di Fuorigrotta. Soccavo, Pisani, S. Martino, Quarto, Teano ecc. secondo un meccanismo analogo e quello già intravisto per la conca di Pianura [5]. Nelle immediate vicinanze del lago ove la formazione G rag¬ giungeva e raggiunge la sua massima potenza, l’erosione ne ha solo ridotto lo spessore ma nella vasta area interposta ove la forma¬ zione si assottigliava assintoticamente verso l’esterno, l’erosione ne ha cancellato quasi completamente ogni traccia dai fianchi dei crateri ivi disseminati e ciò che eventualmente rimane della formazione G si confonde, per lo più, con l’attuale terreno vegetale. Diversa sorte ha subito invece la zona Vomero-Arenella grazie alla sua originaria topografia di altopiano che, col suo andamento pianeggante, ne impedisce l’erosione e, con 1’ altezza, le impedisce di diventare bacino di sedimentazione alluvionale. Evince quindi che la stratigrafia di detta zona comprende tutti e soli termini di sedimentazione francamente eolica che mai furono ridotti alFerosione o intercalati con materiale rimaneggiato e si comprende perchè la sua successione stratigrafica sia stata assunta a serie tipica di tutto il terzo periodo flegreo. Conclusioni Dall’esame delle sezioni disponibili si rileva che la formazione G (formazione post-Astroni) è stata conservata in sito solo nelle zone pianeggianti come al Vomero-Arenella ed alla Loggetta oppure, ri- maneggiata, nelle conche di Fuorigrotta, Soccavo, Pianura, Pisani, S. Martino, Quarto, Teano ecc. Sui fianchi dei coni vulcanici disse¬ minati tra la Loggetta ed Arco Felice o non si trova perchè è stata asportata dalFerosione o si confonde con l’attuale terreno vegetale. Comunque, alla Loggetta, la potenza di questi prodotti è note¬ volmente maggiore che al Vomero-Arenella e questo ne suggerisce l’origine flegrea. Nella stratigrafia della Starza ad Arco Felice i prodotti di Astroni appaiono di nuovo coperti dalla formazione G che conserva tale rapporto di giacitura fin nell’ambito del cratere d’Averno ove raggiunge la massima potenza. Questa formazione è quindi chiaramente attribuibile al vulcano — 179 — Averno che, contrariamente a quanto si era ritenuto finora, è posteriore ad Às troni. Interposta tra le formazioni dei vulcani Montagna Spaccata e Pisani compare un’altra formazione attribuibile ad un vulcano di Baia. In conclusione Pesame comparativo della stratigrafia delle sezioni disponibili consente di proporre la seguente successione per i vul¬ cani del terzo periodo flegreo : 111° periodo recente 10) Monte Nuovo 9) Averno 8) Astroni 7) Cigliano Pisani Baia Montagna Spaccata Solfatara Agnano Minopoli Rimangono fuori della serie alcuni vulcani minori quali Senga, Concola e Fondo Riccio in quanto si è desunto che il primo fu posteriore ad Astroni [5] e gli altri due furono posteriori ad Averno (§4) ma nulla si sa, per ora, sulla loro reciproca successione crono¬ logica in quanto la limitata distribuzione superficiale dei loro prodotti non giunge ad investire un’area comune la cui stratigrafia possa chiarirne i rapporti di giacitura. Rimangono altresì fuori della serie il vulcano Cuma ed i vul¬ cani a Sud del parallelo di Baia ma questi ed i precedenti esulano dal presente lavoro che si proponeva di ricercare l’origine della formazione G. ( 6) » » intermedio < 5) ( 4) | 3) » » antico < 2) I 1) BIBLIOGRAFIA [1] De Lorenzo G., Inattività vulcanica nei Campi Flegrei. Rene!. Acc. Se. fis. e mat., s. 3a, 10, pp. 203-221. Napoli, 1904. [2] D’Erasmo G., I crateri della pozzolana nei Campi Flegrei. Atti Acc. Se. fis. e mat., s. 2a, 19, n. 1, pp. 1-55. Napoli, 1931, [3] FaliNi F., Rilevamento geologico della zona nord-occidentale dei Cam.pi Flegrei. Boll. Soc. geo!, it., 69 (1950), pp. 211-264. Roma, 1951, — 180 — [4] ImbÒ G., Appunti dalle lezioni di Vulcanologia. Centro Universitario Editoriale, O.R.U.N. Napoli, I960. [5] Montagna R., Osservazioni geomorfologiche sulla conca di Pianura nei Campi Flegrei. Boll. Soc. Naturai., voi. LXX, pp, 13-20. Napoli, 1961. [6] Montagna R„, Stratigrafia vulcanica nel territorio comunale di Napoli ad Occi¬ dente del Vomero. Boll. Soc. Naturai., voi. LXX, pp. 34-48. Napoli, 1961. [7] Pakascandola A., Il bacino idrotermale del Lucrino e dell’ Averno nei Campi Flegrei . Boll. Soc. Naturai., 48 (1936), pp. 17-37. Napoli, 1937. [8] Penta F., Un probabile affioramento di roccia lavica a Tripergola ( Monte Nuovo-Pozzuoli ). Boll. Soc. Naturai., 46 (1934), proc. verb., p. VI. Napoli, 1935. [9] Rittmann A., Sintesi geologica dei Campi Flegrei. Boll. Soc. geol. it., 69 (1950), pp. 117-128. Roma, 1951. [10] Scherillo A., Petrografia chimica dei tufi flegrei. II. tufo giallo, mappamonte , pozzolana . Rend. Acc. Se. fis. e mat., s. 4a, 22, pp. 345-370. Napoli, 1955. [11] SiNNo R., Studio geologico e petrografico della zona Monte Olibano-P ozzuoli. Rend. Acc. Se. fis. e mat., s. 4% 22, pp. 301-336. Napoli, 1955. [12] Sinno R., Studio geologico e petrografico della zona Pozzuoli-Cigliano-A reo Fe¬ lice. Rend. Acc. Se. fis. e mat., s. 4% 23, pp. 137-157. Napoli, 1956. [13] Ventrigli a U., Rilievo geologico dei Campi Flegrei ( zona centrale fra la diret¬ tissima Napoli-Roma e la collina dei Camaldoli ). Boll. Soc. geol. it., 69 (1950), pp. 265-362. Roma, 1951. Piroclastiti ed evoluzione vulcanica Parie 1. Nota del socio ANTONIO SCHERILLO (Tornata del 28 dicembre 1962) Con titolo più lungo, ma in forma più breve, perchè più povero di dati, l’argomento di questo lavoro è stato oggetto di una mia comunicazione al XVII congresso della Società Mineralogica Italiana tenutosi in Napoli nel 1961. Di tale comunicazione non ho pubbli¬ cato che un riassunto — molto succinto — sul Rendiconto della S.M.I.: perciò la nota presente può considerarsi come originale. Premessa fondamentale per lo studio dell’evoluzione magmatica in una regione vulcanica è l’esatta conoscenza della successione dei singoli atti eruttivi e del chimismo dei prodotti. Per l’interpretazione di questa evoluzione bisogna tentare di ricostruire i processi che hanno avuto luogo nel focolare o nel con¬ dotto vulcanico. In proposito si possono notare diverse tendenze tra gli studiosi. I petrografì stranieri hanno rivolto spesso la loro atten¬ zione, oltre che alle principali colate laviche, agli inclusi e ai proietti vulcanici; i petrografì locali di preferenza hanno studiato le lave, anche delle colate minori. Poiché sono i proietti e gli inclusi che possono chiarire i processi profondi, la parte interpretativa è dovuta in massima agli stranieri, la descrittiva ai petrografì locali. A proposito delle analisi chimiche delle lave vi è da osservare che troppo spesso si sono trascurati nei lavori d’insieme i tipi più diffusi (che, appunto perchè tali, appaiono i meno interessanti) a vantaggio di quelli che offrono qualche singolar’tà. Così p. e. in alcuni miei studi sulle lave di Vulcani Sabatini che ormai risal¬ gono a molti anni, ho trascurato quasi completamente le leuei- titi, le quali tra le lave dei Sabatini sono il tipo più diffuso, per dedicarmi a tipi più rari quali vulsiniti, ìeueofonoliti, leucotefriti. Ora farei il contrario, o meglio cercherei di rispettare le proporzioni tra ì diversi tipi. — 182 — Ma se si parte dal principio che i prodotti di un vulcano devono esser studiati tenendo conto del loro volume, non è suffi¬ ciente neppure lo studio razionale delle lave, perchè non sono queste, ma le piroclastiti il prodotto più abbondante dei nostri vulcani e basta guardare le carte geologiche per notare quanto le piroclastiti predominino sulle lave. Infatti per procedere ad una valutazione poco più che qualitativa, nella Regione Sabazia, nei limiti: corso inferiore del Tevere-Tolfa- depressione di Sutri, la superficie occupata dalle lave non arriva forse al 10% e il resto è occupato dalle piroclastiti. Una situazioni simile si ha nella Regione Vulsina (sempre esclu¬ dendo l’area periferica per non rendere schiacciante la preponde¬ ranza delle piroclastiti), nel Vulcano Albano e a Roccamonfina. Un po* più ricchi di lave sembrano i Vulcani Cimini e al Somina- Vesuvio dell’area occupata dall’edificio vulcanico le lave rappresen¬ tano circa il 30%, ma sono concentrate in gran parte nel settore sud occidentale. Nel Campi Flegrei invece l’estensione delle lave è addi¬ rittura trascurabile rispetto a quella delle piroclastiti. L’importanza delle piroclastiti aumenta ancora quando si vuole studiare l’evoluzione vulcanica. Se anche si compie tale studio solo in base alla composizione delle lave è necessario conoscere l’ordine di successione di queste. Ora nei nostri vulcani, ad eccezione del Vesuvio per i suoi pro¬ dotti più recenti, è raro che le lave, disperse come sono tra la massa delle piroclastiti, mostrino direttamente i loro rapporti reciproci. È possibile invece, una volta che queste ultime siano state studiate sistematicamente, stabilire la « serie piroclastica » e allora la succes¬ sione delle lave si determina in base al loro livello rispetto alla serie. Così pure, per conoscere l’età relativa dei diversi vulcani, si ricorre generalmente ai rapporti reciproci delle rispettive rocce piro¬ clastiche. Naturalmente lo studio delle piroclastiti deve essere, non solo stratigrafico, ma mineralogico e chimico come si fa per le lave, coll’aggiunta di opportune indagini chimico-fisiche (raggi X e analisi chimiche)» Lo scopo è di dare delle singole piroclastiti una classificazione petrografica abolendo le tradizionali « classificazioni di campagna ». La classificazione petrografica deve però necessariamente limi¬ tarsi a una certa genericità. Infatti, a prescindere dalle piroclastiti rimaneggiate, in ogni piroclastite esiste accanto ai materiali coevi — 183 — una certa quantità di materiali antichi, e ciò rende meno marcate nelle piroclastiti le variazioni di chimismo. Inoltre i processi di alterazione nelle piroclastiti ( argillificazione e zeolitizzaizone) pos¬ sono notevolmente cambiare la composizione originaria. Finche è possibile, è bene analizzare anche gli inclusi caratteristici: pomici o scorie (i frammenti lavici compatti potrebbero non essere coevi). Meritano particolare fiducia le piroclastiti in cui gli inclusi caratte¬ ristici hanno una composizione non dissimile da quella della roccia nel suo insieme. Non c’è bisogno che mi soffermi a parlare delle ignimbriti e delle pseudoignimbriti ben conosciute oggi a tutti i petrografi. Lo studio di queste particolari piroclastiti non dovrebbe far trascurare quello delle piroclastiti comuni. Naturalmente le piroclastiti meritano di esser studiate per sè stesse all’infuori dei loro rapporti colle lave ma, per rimanere nel campo che mi ero stabilito, eomineerò, con un esempio tratto dai nostri vulcani, a mostrare come il loro studio sia indispensabile per conoscere la differenziazione vulcanica, anche nell’ambito di una stessa eruzione. Le analisi che riporto in questo lavoro sono state tutte eseguite da me; distinguo coi numeri romani le originali di questo lavoro, coi numeri arabi quelle riportate da lavori precedenti, o media di analisi precedenti. Per i valori di Niggli ho, come al solito, mantenuti separati / ed m, h al e natr. Ho riunito il bario al calcio e il manganese al ferro. Dal calcio ho detratto il fosfato, il carbonato e il solfato (considerando S03 legato a gesso o ad hauyna). Il coefficiente aq rappresenta l’acqua totale e si calcola, come si, con riferimento alla somma delle basi portata a 100. Ho sempre calcolato si° col metodo usuale anche quando si ha un eccesso di al su ale + c. Questo è indizio della presenza di minerali argillosi, ma la presenza di tali minerali non è esclusa neppure quando ale + c supera al perchè, nei prodotti in studio, gran parte del calcio è legata al pirosseno e non al plagioclasio. Poiché dai valori di Niggli è impossibile dedurre l’assenza di minerali argillosi, è preferibile calcolare si0 sempre nel medesimo modo, ottenendo cosi dei coefficienti meglio parago¬ nabili tra loro* — 184 — Lave e piroclastiti vesuviane. L’ultima eruzione vesuviana si è iniziata nel pomeriggio del 18 marzo 1944 e ImbÒ(*) vi ha distinto le fasi seguenti: 1°) Fase effusiva i dal pomeriggio del 18 marzo al pomeriggio del 21 Emissione di lava. 2°) Fase delle fontane laviche : dal pomeriggio del 21 alla mattina del 22. Lancio di scorie laviche e bombe vulcaniche. 3° Fase delle esplosioni miste : dal pomeriggio del 22 al pomeriggio del 23. Emissione di scorie, frammenti lavici, bombe e sopratutto ceneri grigio scure. Si verifica lo sprofondamento terminale. 4°) Fase sismo esplosiva : dal pomeriggio del 23 al 29 marzo. Lancio di ceneri che il giorno 24 risultano di colore grigio chiaro. Si riduce l’attività esplosiva e aumenta l’attività sismica. 5°) Fase finale : dal 29 marzo al 7 aprile. L’attività si riduce a sbuffi di cenere e va progressivamente smorzandosi, cessando col- l’ostruirsi della bocca eruttiva. Le analisi e i calcoli relativi sono raccolti nelle tabelle I-VI. Si nota prima di tutto che dal 21 marzo in poi è cessata remis¬ sione del magma allo stato continuo. Se si trascurassero tutti i prodotti posteriori al 21 la nostra conoscenza dell’eruzione risulte¬ rebbe assolutamente insufficiente. Quando si è iniziata l’eruzione il magma era più o meno quello che era rimasto dall’eruzione del 1929 in poi; cioè un tipico magma vesuvitico. La composizione della lava dal 1940 in poi presenta qualche ondeggiamento, ma l’unica variazione significativa è quella tra la lava del 19 e del 21 marzo ed è solo lo studio dei prodotti discontinui susseguenti che ci permette di stabilirlo (**). Alla fase delle fontane laviche appartiene la scoria dell’ana¬ le *) Imbò G. L'attività eruttiva vesuviana e relative osservazioni nel corso dello intervallo eruttivo 1906-1944 e in particolare del marzo 1944. Ann. Oss. Ves. Serie V. Napoli 1950. Parascandola A. V eruzione vesuviana del marzo 1944. Rend. Acc. Se. Fis. e Mat. Serie IV, voi. 13. Napoli 1945. (**) Come osservazione di carattere generale può esser ricordato che i pochi dati analitici a nostra disposizione mostrano che, anche durante i periodi di moderata attività effusiva ed esplosiva del Vesuvio, le scorie lanciate dal conetto risultano più femiche delle lave fluenti. — 185 TABELLA I. Lave vesuviane : 1940-1944 - Valori analitici. (1) (2) (3) (4) Si02 47,80 47,98 48,16 48,05 Ti02 0,38 0,39 1,00 1,00 Zr09 0,04 0,05 tr tr A'A 19,55 19,35 18,36 18,05 *V>» 2.80 2,94 4,74 4,31 FeO 5,89 5,65 4,38 4,90 MnO n. d. n. d. n. d. n. d. MgO 3,70 4,20 3,48 3,84 CaO 8,46 8,75 8,75 9,58 BaO 0,25 0,20 0,33 0,42 k2o 6,81 6,38 6,80 6,15 Na20 3,61 3,27 2,73 2,79 CI 0,15 0,19 0,28 0,27 so3 0,04 0,06 0,09 0,04 FA 0,67 0,53 0,80 0,80 1I20 h2o+ j 0,31 ( 0,37 » ass. 0,30 0,04 0,48 100,46 1 00,20 100,20 100,72 0/Cl2 0,04 0,05 0,07 0,07 100,42 100,16 100,13 100,65 (1) Lave dell’autunno 1940 (media). (2) Lave dell’autunno 1941-inverno 1942 (media). (3) Lava del 19 marzo 1944. (4) Lava del 2f marzo 1944. lisi (7) e forse le scorie della (9). Alla fase delle esplosioni miste la scoria (10) e il proietto (11). È chiaro ora — considerando anche i prodotti piroclastici — che nel corso dell’eruzione si è avuto il passaggio graduale da vesuviti a pirossenoliti, o, per usare termini più scientifici, da un magma sommaitico-monzonitico a un magma missouritico. La stessa differenziazione è probabilmente avvenuta durante la eruzione del 1929 perchè anche in questa i prodotti finali sono 186 — TABELLA IL Lave vesuviane: 1940-44 - Valori di Niggli. (1) (2) (3) (4) si 119,5 118,7 125,7 121,2 al 28,5 28,0 28.4 26,7 f m 17,5 ; 2i,3 13,8 \ J 17,0 / „ 15,6 | 32’6 18’9[ 39 5 13,6 | 18‘4(32 9 14,5 ( ’ c 20,8 21,4 22,0 23,7 kal natr 10* ì 8,4 ( ["* “ n < 17,1 6,0 \ f '16.7 6,8 \ aq 2,5 3,1 2,5 3,9 k 0,56 0,56 0,65 0,60 mg 0,44 0,48 0,42 0,44 si J 0,68 0,68 0,75 0,73 TABELLA III. Proietti lavici e piroclastiti del Vesuvio: 1944 - Valori analitici, (5) (6) (?) (8) Si02 47,68 46,50 47,43 47,09 Ti02 0,50 0,55 0,50 0,64 Zr°2 0,05 0,03 tr. tr. 18.85 16,38 15,52 15,34 Fe203 6,03 7,02 5,30 4,37 FeO 3,10 2,90 5,17 4,55 MnO 0,14 n. d. n. d. 0,20 MgO 3,91 4,78 5,23 6,27 CaO 8,85 10,62 11,54 12,90 IiaO 0,32 0,16 0,20 0,14 K20 6,14 5,75 5,49 3,89 Na20 3,44 2,67 2,70 2,91 CI 0,19 0,60 0,30 0,15 so. 0,10 0,56 0,09 0,07 PA 0,64 0,64 0,82 0,54 h2o- 0,03 0,16 0,04 ass. h2o+ 0,58 1,31 0,21 0,77 100,55 100,63 100,54 99,83 0/Cl2 0,05 0,15 0,07 0,04 100,50 100,48 100,47 99,79 (5) Cenere caduta a Brindisi tra il 22 e il 23 marzo 1944. (6) Cenere caduta a Boscotrecase il 22 marzo 1944. (7) Scoria del 22 marzo 1944. (8) Bomba vulcanica del marzo 1944. — 187 — TABELLA IV. Proietti lavici e piroclastiti del Vesuvio: 1944 - Valori di Niggli. (5) (6) (?) (8) si 120,0 113,8 111,6 107,5 al 27,8 23.6 21,5 20,2 f m 18,2 . .4,8 ( 33 0 19,5 1 lìi.:, | 38,0 c 21,6 24,7 26,6 29,6 kal natr Ss 17-6 10,4 / 15,4 5,0 j M 5,6 i Si1* aq 5,1 12,8 2,0 6,4 k 0,56 0.67 0,60 0,48 mg 0,46 0,48 0,49 0,56 si° 0,70 0,70 0,72 0,72 TABELLA V. Proietti lavici e piroclastiti del Vesuvio: 1944 - Valori analitici. (9) (10) (11) (12) Si02 46,57 47,24 49,27 47,22 Ti02 0,70 0,50 0.50 0,50 Zr02 0,02 tr. 0,06 tr. A1À 15,02 11,70 7,26 19,45 Fe203 3,29 6,41 2,81 5,55 FeO 5,60 4,84 3,80 2,80 MnO 0,11 BBSBìi 0,12 0,22 MgO 6,52 7,54 13,04 3,02 CaO 12,86 14,22 20,94 8,73 BaO 0.16 0,20 •» 'ÒiV- 0,18 K20 4,15 3,07 0,64 6,08 NaaO 2,81 3,15 1,46 3,63 CI 0,27 0,25 — 0,25 so3 0,05 0,03 — 0,17 p2o5 0,60 0,62 — 0,70 h20 0,07 0.09 0,09 0,10 h2o+ 1,28 0.60 0,53 1,27 100,14 100,46 100,55 99,87 o/ci2 0,08 0,06 0,06 100,06 100,40 99,81 (9) Piccole scorie cadute tra il 23 e il 24 marzo 1944 al Castello di Salerno. (10) Scoria delle ultime esplosioni. (11) Proietto pirossenico delle ultime esplosioni. (12) Cenere chiara caduta tra Boscotrecase e il cratere, tra il 24 e il 26 marzo 1944. — 188 - TABELLA VI. Proietti lavici e piroclastiti l del Vesuvio : 1944 - Valori di Niggli. (9) (10) (11) (12) si 105,6 101,6 92,1 126,4 al 20,3 14,8 8,2 30,5 f m 16,4 j 22,3 5 38,7 19,0 . 24,3 \ 43,3 10,1 ) , 36,4 \ 46'° 15.5 1 12,2 ) 7,7 0 29,5 31,5 41,9 22,6 kal natr 6,0 i 5,5 ( 11,5 4,3 i 6,1 | 10,4 °’8!34 2,6 \ 10-4 ( 19,2 8,8 \ aq 10,2 5,2 3,7 11,4 k 0,52 0,41 0,23 0,55 mg 0,58 0,56 0,72 0,44 si0 0,72 0,72 0,81 0,72 state scorie pirosseniche. Purtroppo però di questa eruzione si ha un’analisi soltanto e, naturalmente, si riferisce alla lava (*). Quanto alle ceneri quella dell’analisi (12) sembra formata da materiale vecchio precedente all’eruzione, sollevato in seguito al crollo dell’edificio terminale e caduto ad ostruire la bocca esplosiva. Anche la cenere caduta a Brindisi (5) deve derivare dal crollo ter¬ minale, forse con una certa mistura di materiale nuovo al vecchio. La cenere di Boscotrecase (6) dovrebbe esser il prodotto della fase delle esplosioni miste e probabilmente è anch’essa una mescolanza di materiale vesuvitico e materiale pirossenolitico recente. Insisto su questi esempi perchè dimostrano che le Generiti, pur rispecchiando genericamente la composizione del magma, sono però un materiale da adoperarsi con circospezione; molto più indicative sono invece le piroclastiti scoriacee o pomicee. Ma anche le Generiti rimaneggiate possono fornire qualche in¬ dicazione. Le piroclastiti cineritiche del Somma- Vesuvio, in buona parte cristalline, sono un materiale pressoché inattivo rispetto all’argilli- ficazione e alla zeolitizzazione. Nella tabella VII riporto i dati analitici e di Niggli di una piroclastite del Somma, rimaneggiata e leggermente humifera. Per composizione chimica si avvicina molto (*) Narici E. Contributo alla petrografia chimica della provincia petrografica campana e del Monte V ulture. Zeit. Vulk. voi. 14, 1932. 189 TABELLA VII. Piroclastite rimaneggiata del Monte Somma - Valori analitici e valori di Niggli. Si02 (I) 46,45 Ti02 0,80 Zr02 0,05 AIA 16,94 F«203 8,61 FeO n. d. MnO 0,15 MgO 4,30 CaO 9,10 BaO 0,13 k2o 6,42 Na 0 2,81 CI 0,29 so3 0.04 0,15 h2o- 1,28 h2o+ 2,41 Sost. bum. 0,30 0/ci2 100,29 0,07 100,22 (I) si 118,5 al 25,4 f 16,8 m 16,4 c 24,7 kal 10,4 natr 6.3 aq 34,5 k 0,62 mg 0,49 si° 0,71 (I) Piroclastite ceneritica, giallastra del Monte Somma (rimaneggiata); Ottaviano. alle ceneri del 1944, Ciò conferma che tra le lave attuali del Vesuvio e quelle del Somma non intercorrono, in genere, grandissime differenze. Lo spettrogramma di questa piroclastite mostra, un pò confuse, le linee dell’augite e della leucite come tutte le Generiti vesuviane. L’analisi termodifferenziale non presenta alcun flesso apprezzabile, salvo il primo, debole, tra 100° e 110°. La piroclastite in questione non ha nessuna qualità pozzolanica. — 190 - PlROCLASTITI DEI VULCANI DEL LAZIO. Escludo dal presente paragrafo le piroclastiti albane su cui ho potuto compiere un lavoro d’insieme che sarà pubblicato tra poco. In questo paragrafo mi limito a esempi di contributi parziali ; il problema è di dare significato petrografico ad alcune piroclastiti caratteristiche dei Vulcani Sabatini e del Vulcano di Vico. Mi rifaccio a miei precedenti lavori corredati però da nuove analisi e dall’introduzione di nuove tecniche, in modo da giungere alla classificazione pirografica non soltanto in base al metodo degli « inclusi lavici caratteristici ». Al margine della zona Sabazia orientale lungo la via Flaminia, che da Ponte Milvio (Roma) segue la riva destra del Tevere fino a Prima Porta, nella parete tufacea al cui piede corre la strada su succedono dal basso in alto questi tre tipi di tufi litoidi: 1) Tufo grigio ( a peperino della via Flaminia »); 2) Tufi gialli; 3) Tufo rossastro a pomici nere. Le analisi di questi piroclastiti sabatine e i relativi valori di Niggli sono riportati nelle tabelle IX-XIII. Insieme col tufo rosso dei Sabatini ho riesaminato anche l’ana¬ logo tufo rosso a scorie e pomici nere del vulcano di Vico, stu¬ diando campioni del tufo su cui sorge Orvieto. I relativi dati ana¬ litici sono raccolti nelle tabelle (*). Il a peperino » della via Flaminia si presenta come un con¬ glomerato di piccole scorie nere, grigie, e, più raramente, rossastre. È chiaramente distinguibile il cemento carbonatico. Mancano i ma¬ crocristalli e gli inclusi calcarei : non è quindi un vero peperino. L’esame delle sezioni sottili permette di riconoscere in molte scorie scheletri cristallini di leucite e conferma l’assenza di macrocristalli Le zeoliti probabilmente sono confuse tra la calcite cementante. Il a tufo giallo » della via Flaminia è formato da un impasto di piccole pomici già 11 ine e di una sostanza cineritica grigia; spic- (*) Sersale R. Sulla natura zeoliti c a dei tufi rossi e scorie nere delle regioni Sabazia e Cimino. Rend. Acc. Se. Fis. e Mat. Serie 4a, voi. 27. Napoli 1960. 191 - cano macrocristalli di leucite analcimizzata ( l’analcimizzazione è stata confermata da un apposito spettrogramma). In sezione sottile si scorgono anche abbondanti macrocristalli di sanidino, e, meno abbondanti, di plagroclasio basico e di piros- seno verde e pleocroieo. È relativamente frequente la magnetite, in Fig. 1. Differenziogrammi dei tufi della Via Flaminia. A) Peperino. Via Flaminia. B) Peperino. Via Flaminia, trattato con HCl diluito. C) Tufo giallo. Grottarossa. D) Tufo rosso a scorie nere. Prima Porta cristalli di notevoli dimensioni, e non mancano minerali di contatto (granato bruno, ecc.). Le zeoliti sono presenti come sostanza cemen¬ tante e come riempimento dei vacuoli delle pomici. Talora (ma non nei campioni analizzati) è presente il carbonato di calcio, come so¬ stanza cementante. Il campione di Gelsa è coerente: quello di Villa di Livia è semicoerente, perchè meno metamorfosato. 192 Il « tufo rosso » dei Sabatini è ricchissimo di pomici. Le maggiori sono nere, le più piccole grigie o rossastre. La sostanza cementante, eeneritica, è rossastra. Contiene rari fenocristalli di leu¬ cite e abbondanti di sanidino, nonché di plagioclasio basico, piros- seno verde, miche, ecc. Le zeoliti sono diffuse. Nei vacuoli delle pomici maggiori si trova deH’halloysite in aggregati fibrosi. Questo è stato confermato da un apposito differenziogramma. In questi tufi a felspato sono presenti nella massa alcuni inclusi formati da un fitto intreccio di cristalli di sanidino. Il tufo rosso del Vulcano di Vico è del tutto simile al prece¬ dente, ma ha leuciti più abbondanti. Il tufo di Orvieto è molto omogeneo: le pomici sono arrossate, spesso con un bordo scuro. La massa è rossastra. In sezione sottile sono ancora distinguibili pomici grandi e piccole, talora col bordo nero. Vi sono scarsi macrocristalli di pirossene verde; mancano il felspato e la leucite. Nel tufo però vi è qualche incluso lavico con leucite. Questo tufo contiene una notevolissima quantità di sali solubili, specialmente CaCl2 (che lo rende igroscopico). Per potere calcolare i valori di Niggli ho eseguito oltre all’analisi del tufo inte¬ grale anche quella del campione da cui ho asportato, mediante la¬ vaggio, i sali solubili. Il campione è stato raccolto presso la Porta Maggiore. Nello spettrogramma del campione di peperino dell’an. II, compare tra i costituenti mineralogici, oltre alla calcite e alla phillip- site, anche un minerale del tipo della saponite, ciò che è in accordo coll’alto tenore di MgO ( tab. Vili). Il minerale, sufficientemente isolato nella frazione^ 2 [x„ ha tor¬ nito lo spettrogramma della tab. Vili bis. Infine, anche i differenziogrammi, sia del campione integrale che di quello trattato con HC1 diluito per eliminare la phillipsite e la calcite, hanno confermato la presenza di questo tipo di minerale. 193 - TABELLA Vili. Spettrogramma (CwKa) del Peperino della Via Flaminia. int. d minerale int. d. : - taresi minerale f 15,09 tipo saponite ci 2,74 phillipsite d 10,04 d 2,69 phillipsite dd 8,22 phillipsite m 2,52 tipo saponite mf 7,18 phillipsite dd 2,39 phillipsite dd 6,45 phillipsite d 2,27 ; calcite d 1 5,38 phillipsite d 2,08 calcite a 4,59 tipo saponite dd 1.95 phillipsite dd j 4,29 calcite d 1,91 calcite md 4,12 phillipsite d 1.87 calcite dd 3,84 calcite dd 1,76 phillipsite d 3,76 dd 1,71 phillipsite f 3,26 tipo saponite, phill. dd 1,64 phillipsite dd 3,19 phillipsite d 1,60 phillipsite, calcite d 3,13 phillipsite d 1,52 calcite, tipo saponite ff 3,02 calcite, tipo saponite | ! d TABELLA Vili bis. Spettrogramma (K u Ka) del Peperino della Via Flaminia: Frazione, 4,33 3,85 4,65 FeO 0,35 0,70 0,20 MnO 0,16 0,25 n. d. MgO 1,98 2,00 1,12 CaO 7,03 7,70 6,36 BaO 0,15 0,17 n. d. k20 3,82 5,37 5,65 Na 2 0 1,34 1,01 1,05 CI 0.02 0,05 n. d. S03 0,07 0,05 n. d. V>, 0,35 0,29 0,20 h2o 5,23 4.90 7,74 h20+ 10.82 10,82 12,15 99,82 100,29 100,16 o/ci2 0.01 100,28 (III) Tufo giallo; Gelsa, Via Flaminia. (IV) Tufo giallo; Villa di Livia, Via Flaminia (14) Pomici nel tufo giallo; ibid. TABELLA XI. Tufo giallo della Via Flaminia - Valori di Niggli. (III) (IV) (14) si 168,5 156,3 154,4 al 37.1 33,8 37,9 f m SI** 12,5 1 22,7 10,2 ( mI*” c 25,4 28,5 24,0 kal nalr 8/7 <13 3 4,6 ( 13,3 1 3,3 | 15'° a q 194,1 178.9 244,6 k 0,66 0,80 0,78 mg 0.45 0,45 0,38 si° 1,10 0,98 0,93 196 - Tufo rosso a pomic TABELLA XII. i nere dei Vulcani Sabatini . - Valori analitici, (V) (15) (16) Si02 51,77 50,35 56,76 Ti02 0,50 0,60 0,62 Zr°2 0,06 n. d. 0,08 AIA 17,37 18,19 19,47 FeA 3,44 3,47 1,75 FeO 0,56 0,56 1,46 MnO 0,05 n. d. 0,22 MgO 1,34 1,28 0.64 CaO 4,57 3,83 3,17 BaO 0,08 n. d. 0,10 k20 4,28 5,43 6.93 Na 0 1,68 1,94 3,84 CI 0,07 n. d. n. d. so3 0,07 n. d. 0,04 PA 0,15 0,12 0,14 h2o 5,25 7,02 1,33 h2o+ 9.60 7,68 3,70 100,78 100,47 100,25 0/0, 0,02 100,76 (V) Tufo rosso a pomici nere ; Prima Porta, Via Flaminia. (15) Tufo rosso a pomici nere ; Galeria. (16) Pomici nere nel tufo rosso ( media delle pomici di Galeria, Prima Poi Isola Farnese, Via Tiberina). TABELLA XIII. rosso a pomici nere dei Vulcani Sabatini - Valori di. Niggli (V) (15) (19) si 211,5 201,7 214,5 al 41,8 42,8 43,2 f 12,7 | ! 20.8 •12,3 j 20.0 10,2 1 24,0 m 8,1 ' ! 7.7 ] 3,8 \ c 19,0 15,7 12,2 kal u*\ ' 18.4 13,9 | 21,5 16,5 ì 30,6 natr 7,1 ' 1 ' 7,6 ( 14.1 1 aq 202,2 196,2 63,3 k 0,61 0,65 0,54 mg 0,39 0,39 0,16 si° 1,22 1,08 0,95 197 — TABELLA XIV. Tufo rosso a pomici e scorie nere del Vulcano di Vico. Valori analitici. (17) (18) (19) Si02 50,98 52,92 52,54 Ti02 0,60 0,73 0,73 ZrO 2 n. d. 0,08 0,08 ai2o3 18.32 18,61 21,30 3,41 2,88 3,17 FeO 0,96 1,55 1,42 MnO n„ d. 0,15 0,12 MgO 1,54 1,35 0,82 CaO 4,22 5,25 3,60 BaO n. d. 0,10 0,11 k20 6,61 4.81 5,98 Na.,0 1,40 5,05 4,03 CI n. d. 0,07 n. d. so3 n. d. 0,42 0,02 0,18 0,18 0,15 h2o 5,61 1,90 1,40 h2o+ 6,11 3,92 4,68 99,94 99,98 100,16 o/cia 0,02 99,96 (17) Tufo rosso: ; Sutri. ( 18) Scorie nere nel tufo rosso (media delle scorie di Sutri e di Civita Castellai (19) Pomici nere nel tufo rosso (media delle pomici di Vetralla), TABELLA XV. Tufo rosso a pomici e scorie nere del Vulcano di Vico. Valori di Niggli. (17) (18) (19) si 192,7 175,7 174,3 al 40,6 36,2 41,6 f m 'fi o I 21 *7 8,9 \ 12/fi ! 6.8 \ 1 { 16,4 4,2 ( c 16,6 18,3 12,4 kal natr mI11'1 s- SI25-6 aq 148,0 50,5 67,5 k 0,75 0,37 0,50 mg 0,41 0,36 0,26 si° 1,05 0,85 0,86 — 198 TABELLA XVI. Tufo rosso di Orvieto - Valori analitici e valori di Niggli. (VI) (VII) Si02 45,42 50,62 Ti02 0,45 0,60 Zr02 0,05 0,05 si 187,5 ai2o3 15,06 17,06 al 37,4 Fe2°3 3,51 3,94 f ibi; FeO ass. ass. m 10,0 j MnO 0,08 0,10 c 20,0 MgO 2,04 1,81 kal 14,8 j , CaO 6.48 5,35 natr. 6,7 | ' BaO 0,10 0,10 aq 147,1 K.,0 6,53 6,26 Na20 2,02 1,82 k 0,69 CI ’ 2,40 ass. mg 0,48 so. 0,34 0.20 si° 1,01 PA 0,16 0,16 n2o. 0,15 ass. h20- 7,38 4,10 h2o+ 8,25 7,82 100,42 99,92 o/ci2 0,60 99,82 (VI) Tufo rosso; Porta Maggiore, Orvieto. (VII) Tufo rosso; ibid (campione dilavato). Per procedere alla classificazione pirografica di queste piro- clastiti è necessaria una discussione che riservo alla fine della II parte del presente lavoro, limitandomi per ora a qualche considerazione. Il « peperino della Via Flaminia », pur non essendo un vero peperino, è però una piroelastite leucititica, come mostra la generica analogia tra la sua composizione chimica e quella delle lave leucititiche. Il « tufo giallo » dei Sabatini contiene abbondanti macrocristalli di leucite e di sanidino e, più scarsi, di plagioclasio basico e di egi- rinaugite. La composizione chimica mostra che si tratta di una roccia piu acida delle leueititi. In base a ciò, e alla composizione — 199 — mineralogica il tufo può essere provvisoriamente classificato come vico Fisco o ! euro fono 1 i. t ieo , Il « tufo rosso » dei Sabatini è in complesso più acido del precedente e più scarso di leucite* Può essere — provvisoriamente — classificato come leucofonolitico e leucotrachitico. Il « tufo rosso » del Vulcano di Vico e il tufo di Orvieto sono più leucitici del corrispondente tufo dei Sabatini. Si può pensare a tufi leucofonolitici o vicoitici però più acidi del tufo giallo dei Sabatini. Le ricerche su queste piroclastiti rappresentano un esempio di contributo parziale allo studio dell’evoluzione vulcanica, perchè mirano a stabilire alcuni a livelli di riferimento petrografie© ». Natu¬ ralmente per la classificazione petrografia delle piroclastiti non sono affatto sufficienti le poche considerazioni esposte sopra. Poiché si tratta di tufi alcalini acidi occorrono esempi di tufi analoghi di riferimento accertato. A questo scopo nella II parte del presente lavoro riporterò le analisi che ho eseguito sulle piroclastiti flegree. Darò così lo esempio di uno studio dell’evoluzione vulcanica condotto esclusiva- mente collo studio delle piroclastiti. RIASSUNTO Si illustra il contributo che lo studio delle piroclastiti può dare alla soluzione dei problemi dell’evoluzione vulcanico. In questa I parte gli esempi riguardano la eruzione del Vesuvio del 1944, i Vulcani Sabatini e il Vulcano di Vico. BIBLIOGRAFIA Per i prodotti vesuviani Scherillo A. Studi petro grafici sulla regione Sabazia. I) Leucotefriti e leucofonoliti Acc. Se. Fis. e Mat. Serie 4% voi. 12. Napoli, 1942. — Le lave attuali del Vesuvio. Il) Lave del novembre 1941 e dell’inverno 1942. ibid. Serie 4a, voi. 13. Napoli, 1943. — Le lave e le scorie dell’ eruzione vesuviana del marzo 1944. Annali dell’Osserva¬ torio Vesuviano. Serie 5a, voi. unico. Napoli, 1950. — Le ricerche petro grafiche sui prodotti attuali del Vesuvio compiute nell’Istituto di Mineralogia dell’Università dì Napoli. Boll. Volcanol. Serie 2a, voi. 10. Napoli, 1950. — Nuovo contributo allo studio dei prodotti dell’eruzione vesuviana del 1944. Ibid. Serie 2a, voi. 13. Napoli, 1953. — 200 — Per i prodotti dei Vulcani Sabatini e del Vulcano di Vico Scherillo A. Studi petrografìci sulla regione sahazia. /) Leucotefrite e leucofonditi tra Bracciano e Trevignano. Periodico di Mineralogia, anno 4°. Roma, 1933. — II) Le lave del margine orientale. Ibid. anno 8°. Roma, 1939. Ili) Le lave del tratto Bracciano- A ngiullara. Ibid., anno 14°. Roma, 1943. I tufi litoidi a scorie nere della regione Sabazia e Cimina. Ibid., anno 11°. Roma, 1940. Studi su alcuni tufi gialli della regione Sabazia orientale. Ibid., anno 12°. Roma, 1941. Processi uerbaii delle tornale e delle assemblee generali Verbale dell’adunanza del 26 gennaio 1962 Presidente: G. D'Erasmo Segretario: P. Vittozzi Sono presenti i soci : Della Ragione, Fondi, Bottini. d’Argenio, De Castro, II Cunzo, Franco E., Coglia, Imbò, Moncharmont Zei, Montagna, Oliveri, Pacella, Palombi, Parascandola, Pescatore, Quagliariello, Romano, Ruocco, Scarsella, Sche- riilo. Sinno, Vallario, Zamparelli. La seduta è aperta alle ore 17,30. Il Presidente comunica che il giorno successivo alla seduta del dicembre 1961, era pervenuta alla Segreteria della Società la domanda di ammissione tra soci del prof. Fadda. Il Presidente, insieme al socio Palombi, illustra la figura del prof. Fadda e sottopone quindi alPAssemblea la domanda che viene approvata alPunanimità. Rivolto poi un saluto a tutti i nuovi soci, il Presidente comunica che in seguito al vivo interessamento del socio Palombi il Ministero della Pubblica Istruzione ha proceduto ad una ulteriore assegnazione di L. 200.000 a favore della Società. Comunica inoltre che sono pervenuti i ringraziamenti da parte della famiglia per la partecipazione della Società al lutto per la morte del socio prof. Bruno, nonché i ringraziamenti da parte dei nuovi soci eletti nell’adunanza dello scorso mese. Inofrma l’Assemblea che si è proceduto aH’aggiornamento dell’elenco dei soci da inserirsi nel nuovo Bollettino della Società e prega i presenti di prenderne visione per eventuali correzioni. Si passa poi alle comunicazioni scientifiche. Il socio Franco Enrico presenta una nota dal titolo « Sulla presenza di halloysite nella leucite analcimizzata di Roccamunfìna » e la illustra. Il socio Pacella presenta una nota dal titolo « Considerazioni sulle eruzioni vesu¬ viane dal 1631 al 1944 » e ne parla brevemente. La seduta è tolta alle ore 18,30. Verbale dell’adunanza del 23 febbraio 1962 * Presidente: A. Scherillo Segretario: P. Vittozzi Sono presenti i soci: Covello, D’Argenio, De Cunzo. Fondi, Franco E., Imbò, Lazzari, Moncharmont U.. Moncharmont Zei, Montagna, Oliveri, Pappalardo, Para¬ scandola, Pescatore, Quagliariello, Romano, Scarsella, Sinno, Vallario, Zamparelli. La seduta è aperta alle ore 17,15. Nell’assumere La presidenza, il Vice Presidente prof. Scherillo comunica il grave lutto che ha colpito la Società per la morte del Presidente prof. Geremia — 202 — D’Erasmo avvenuta improvvisamente il giorno 4 febbraio e pronunzia brevi, sentite, accorate parole per porre in risalto la figura dello Scomparso sopratutto nei riguardi del contributo offerto al Sodalizio, cui apparteneva sin dal 19 marzo 1929, prima come socio, poi come Vice Presidente ed infine come Presidente dal 1951. Prega infine il socio Moncharmont Zei Maria, diletta discepola dello Scomparso e continuatrice dei suoi lavori nel campo della Paleontologia di tenere a suo tempo una degna commemorazione della vasta attività scientifica dell’Illustre Maestro. La professoressa Moncharmont accetta. Subito dopo in segno di lutto, la seduta è tolta alle ore 18. Verbale dell’adunanza del 29 marzo 1962 Presidente: A. Scherillo Segretario: P. Vittozzi Sono presenti 1 soci: Ciampa, De Cunzo, Franco E., Gianfrani, Lazzari, Mon- charmont U., Moncharmont Zei, Montagna, Oliveri, Pacella, Quagliariello, Sinno. La seduta è aperta alle 17,30. Letto è. approvato il verbale della seduta precedente, poiché l’ordine del giorno recava « Nomina, del Presidente della Società dei Naturalisti per il periodo aprile 62 : aprile 63 » il Vice Presidente constatata la mancanza del numero legale, ha rinviate le elezioni, in seconda convocazione, al giorno 30 marzo 1962 alle ore 17,30. La seduta è tolta alle ore 18. Verbale dell’adunanza del 30 marzo 1962 2° Convocazione Presidente': G. D’Erasmo Segretario: P. Vittozzi Sono presenti i soci : Badolato, Ciampa, Covello, D’Argenio, De Cunzo, De Castro, De Leo, Della Ragione, Franco E., Imbò, Lazzari, Moncharmont U., Mon¬ charmont Zei, Mondélli, Oli veri, Orrù, Pappalardo, Parascandola, Pierantoni, Qua¬ gliariello, Romano, Ruocco, Sinno, Vallario, Vitagìiatio, Zamparelli. Letto ’ ecl approvato il verbale della seduta precedente, si passa senz’altro alle comunicazioni scientifiche. _ Il socio De Castro presenta ed illustra due note : la prima dal titolo a Sulla presenza del Lias e del Giura nella parte centromeridionale degli Alti Aurunci ; la seconda dal titolo « Cenni strati grafici e paienlologici sui terreni del Giura-Lias della penisola Sprrentina ». Secondo lordine del giorno, si passa poi alla votazione per l’elezione del Presidente per l’Intervallo aprile 1962 - aprile 1963 in sostituzione del compianto prof. Geremia D’Erasmo. Il Vice Presidente prof. Scherillo ricorda le principali norme dello Statuto e del regolamento .relative a tale votazione e pone in risalto che, sebbene in base alla dette norme non fosse necessario, tuttavia per ragioni pratiche inerenti particolar- — 203 — mente l'agevolazione delle pratiche relative alla riscossione dei mandati di pagamento intestati al Presidente deceduto, ha ritenuto opportuno procedere alla elezione fino allo scadere del triennio 1960-63. Ricorda in particolare che, trattandosi, di seconda convocazione in base allo articolo 10 dello Statuto, l’adunanza è valida qualunque sia il numero dei presenti. L’Assemblea approva. Pertanto il Vice Presidente procede alla costituzione del Seggio che risulta così formato : 1) prof. Renato Sinno, presidente 2) dott. Teresa Quagliariello, scrutatore 3) » Giosafatte Montelli, scrutatore Alle ore 18 il Presidente del Seggio dà inizio alla votazione. L’urna resta aperta fino alle ore 18,20. Chiusa la votazione, si iniziano le operazioni di scrutinio, per le quali viene redatto dai Componenti del Seggio apposito verbale, che si trascrive in calce, ed al quale si rileva che è risultato eletto, per l’intervallo aprile 62 - aprile 63 quale Presidente della Società dei Naturalisti in Napoli, il socio prof. Antonio Scherillo il quale, a norma dell’art. 11 dello Statuto, risulta essere anche il rappresentante legale della Società dei Naturalisti in Napoli. VERBALE DEL SEGGIO Per la elezione del Presidente della Società dei Naturalisti in Napoli. Il giorno trenta marzo 1962 alle ore 18. nella Sede delle Adunanze della Società dei Naturalisti il Presidente ha costituito il Seggio per la votazione come segue : Presidente del Seggio : prof. Renato Sinno Scrutatore dott. Teresa Quagliariello » » Giosafatte Montelli Le operazioni sono procedute senza inconveniente ed in perfetta normalità fino alle ore 19,30. Chiusa la votazione, si è proceduto allo spoglio delle schede con i seguenti risultati : Votanti 29. Al prof. Antonio Scherillo : voti 28 ; al prof. Giuseppe Imbò : voti 1. Procedutosi al controllo delle schede, esse sono risultate in numero di 29, cor¬ rispondentemente al numero delle firme dei presenti e votanti. Si è proceduto altresì al controllo dei voli che sono stati trovati rispondenti al numero dei votanti. Il seggio pertanto ha proclamato il seguente risultato : Presidente eletto per l’intervallo aprile 62-aprile 63, in sostituzione del Pre¬ sidente deceduto prof. Geremia D’Erasmo prof. Antonio Scherillo il quale, a norma dell’art. 11 dello Statuto, risulta essere anche il rappresentante legale della Società dei Naturalisti in Napoli. Il Presidente del Seggio : firmato Renato Sinno Gli Scrutatori: firmato Teresa Quagliariello, Giosafatte Montelli. La seduta è tolta alle ore 18,45. — 204 — Verbale de 11’ adunanza del 25 maggio 1962 Presidente: Antonio Schekillo Segretario: P. Vittozzi Sono presenti i soci: Augusti, Badolato, Covello, De Cunzo, Di Leo, Franco E,, Mazzarelli, Montagna, Napoletano, Olivero, Pacella, Piscopo. Romano, Sinno, Zam- parelli. La seduta è aperta alle ore 17,30. Il Presidente comunica di aver sollecitato anche per quest’anno il contributo finanziario da parte del Ministero della Pubblica Istruzione e di aver ricevuto risposta che a suo tempo la domanda di contributo sarà presa in benevole considerazione. Analoga richiesta sarà fatta, come negli anni decorsi, al Comitato Nazionale per la Geografia, Geologia, e Mineralogia del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Il Presidente informa inoltre i soci che il Bilancio Consuntivo dell’anno 1961 è stato approvato, non così quello Preventivo per l’annata 1962 in quanto tutti i sussidi finanziario ottenuti dal compianto prof. D’Erasmo non si sono ancora potuto riscuotere a causa delle formalità burocratricc-amministrative conseguenti al cambio di intestazione dei relativi mandati in seguito alla morte del prof. D’Erasmo. Si procede quindi alla nomina dei Revisori dei Conti per l’anno 1961 chia¬ mando quali Effettivi i soci Montagna ed Oliveri e quale Revisore Supplente il socio Franco Enrico. Il prof. Scherillo aggiunge poi che tra qualche giorno vedrà la luce il nuovo volume del Bollettino relativo al 1961. Si passa infine all’elezione del Vice Presidente della Società dei Naturalisti per l’intervallo aprile 1962 - aprile 1963, ossia fino allo scadere del triennio delle attuali cariche sociali, elezione resasi necessaria poiché il V. Presidente prof. Sche¬ rillo era stato eletto Presidente nella seduta del 30 aprile 1962. Il Presidente ricorda che, trattandosi di seconda convocazione, l’assemblea è valida ai fini di tale elezione qualunque sia il numero dei presenti. Sì procede quindi alla votazione con i seguenti risultati : Presenti 17. Votanti 17. Al prof. Valerio Giacomini : voti 17. Il prof. Giacomini risulta pertanto eletto a Vice Presidente della Società dei Naturalisti in Napoli per l’intervallo oprile 1962 - aprile 1963. La seduta è tolta alle ore 18,30. Verbale dell’adunanza del 6 luglio 1962 Presidente: A. Scherillo Segretario: T. Quagliariello Sono presenti i soci: D’Argenio, De Castro, De Cunzo, Di Leo, Franco E., Fondi, Migliorini, Montagna, Moncharmont Zei, Napoletano, Oliveri, Palombi. Pescatore. Piscopo, Quagliariello, Scarsella, Scherillo, Sersale, Sinno, Vallano e Zamparelli. La seduta è aperta alle ore 17,30. — 205 — Il Presidente invia il suo saluto e quello della Società al prof. Valerio Giaco- mini, nominato Vice Presidente della Società dei Naturalisti in Napoli, nell’adunanza del 25 maggio 1962. Quindi presenta il volume LXX (1961) del Bollettino di cui è stato recente¬ mente ultimata la stampa. Il socio Raffaele Montagna revisore dei Conti, legge anche a nome del socio Oliveri il Bilancio Consuntivo 1961 proponendone l’approvazione. L’assemblea approva all’unanimità. Indi il Presidente illustra il Bilancio preventivo del 1962 che viene approvato all’unanimità dell’assemblea. Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche. Il socio T. Pescatore presenta una sua nota dal titolo « Confronto tra serie strati grafiche a Nord e a Sud Est del Matese » e ne discute. La seduta è tolta alle ore 18,30. Verbale dell’adunanza del 30 novembre 1962 Presidente A. Scherillo Segretario P. Vittozzi Sono presenti i soci : Badolato, Catalano, D’Argenio, De Castro, De Cunzo, Di Leo, De Leo, Mazzarelli, Moneharmont Zei, Napoletano, Oliveri, Orrù, Pacella, Pap¬ palardo, Pescatore, Quagliariello. Romano, Scarsella, Vallarlo, Zamparelli. La seduta è aperta alle ore 17,15. Si inizia subito con le comunicazioni scientifiche. Il socio Giuseppe Catalano legge un lavoro dal titolo « Le grandi linee della selezione degli alimenti e delle medicine nella storia tecnologica ». Il socio D’Argenio presenta ed illustra una nota dal titolo « Sulla presenza di impronte di disseccamento (Suncraks) nelle bauxite del Matese ». Il socio Quagliariello in una sua comunicazione verbale, rende conto degli studi in corso presso l’Istituto di Fìsica Terrestre e dei primi risultati ottenuti nei riguardi del terremoto Irpino del 21 agosto 1962. Il socio De Castro presenta ed illustra una nota dal titolo « Nuove osservazioni sul livello ad orbitolina della Campania ». Infine il socio De Leo presente ed illustra una nota dal titolo « Osservazioni su un micrometodo per il dosaggio del colesterolo totale e delle sue funzioni ». Il Presidente nel ricordare che la prossima seduta della Società è fissata per venerdì 28 dicembre, porge ai soci tutti gli auguri per le feste natalizie. La seduta è tolta alle ore 19,20. Verbale dell’adtmanza del 28 dicembre 1962 Presidente A. Scherillo Segretario P. Vittozzi Sono presenti i soci: D’Argenio, De Cunzo, Desiderio, Franco E., Lazzari, Mon- charmont Ugo, Moneharmont Zei, Montagna, Palombi, Parascandola, Sersale e Sinno. La seduta è aperta alle 17,25, 206 I n apertura di seduta il Presidente partecipa con profondo dolore la morte del socio Rinaldo Dohrn, Direttore Emerito della Stazione Zoologica di Napoli, avvenuta in Roma il 14 dicembre 1962. Si passa quindi alle comunicazioni scientifiche: Il socio Sinno presenta ed illustra una nota dal titolo « La terra rossa di Gaeta » I\ota 1. Nella discussione seguita intervengono i soci Palombi e Lazzari. Il socio D’Argenio, presenta ed illustra una nota dal titolo « Sull’età dei livelli a requienie dell Appennino Campano ». Nella discussione seguita interviene il socio Lazzari. Il socio Montagna presenta ed illustra una nota dal titolo « Stratigrafia Flegrea del terzo periodo recente ». Alla discussione seguita intervengono il Presidente, il socio Lazzari e Franco. Infine il Presidente presenta un suo lavoro dal titolo « / prodotti piroclastici e il loro contributo allo studio della differenziazione magmatica » ( Nota ì). Propone e EAssemblea accetta unanime che nel prossimo 1963 i lavori pubbli¬ cati nel Bollettino siano corredati da un breve riassunto. Formula gli auguri ai soci tutti per il nuovo anno con la speranza in parti¬ colare di una più attiva partecipazione di tutti alla vita delFAccademia. La seduta è tolta alle ore 18,30. ELENCO DEI SOCI AL 31 DICEMBRE 1962 SOCI ORDINARI RESIDENTI 1. Andreotti Amedeo ■ Ingegnere. Napoli, Via S. Giacomo, 15 (tei. 321702). 2. Antonucci Achille - Preside nel Liceo di Isernia. Napoli, Via Girolamo Santa¬ croce, 191 C (tei. 240.525). 3. Augusti Selim - Ord. di Scienze nei Licei. Napoli. Via Cimarosa, 69 (tele¬ fono 377.855). 4. Badolato Franco - Assist. Istituto di Fisiologia generale Università Napoli. Napoli, Via Mezzocannone, 8 (tei. 323.411). 5. Bottini Ottaviano - Prof. ord. di Industrie agrarie nelFUniversità. Napoli, Via Roberto Bracco, 71 (tei. 329.745). 6. Califano Luigi - Prof. ord. Patologia generale Università. Napoli, Via Roma, 368 (tei. 312.784). 7. Capaldo Pasquale - Napoli, Traversa Giacinto Gigante, 36 (tei. 370.184). 8. Carrelli Antonio - Dìrett. Ist. Fisico Università. Napoli, Piazza d’Ovidio, 6 (tei. 313.844). 9. Castaldi Francesco - Lib. doc. di Geografia. Napoli, Via Aniello Falcone, 260 (tei. 373.890). 10. Catalano Giuseppe - Prof. ord. f. r. di Botanica Università. Napoli, Via Luigia Sanfelice, 5 (tei. 375.959). 11. Ciampa Giuseppe - Assist. Ist. Chimica Farmac. Università. Napoli, Piazza Bovio, 33 (tei. 324.033). 12 Covello Mario - Dirett. Ist. Chimica Farmaceutica Università. Napoli, Via Leopoldo Rodino, 22 (tei. 322.038). 13. Cutolo Costantino - Ingegnere. Napoli, Via Salvatore Di Giacomo a Mare¬ chiaro, 24 (tei. 301.470). 14. D’Argenio Bruno - Assist, di Geologia Università. Napoli, Largo S. Mar¬ cellino, 10 (tei. 321.075). 15. De Cunzo Teresa - Assist. Ist. di Geologia Università. Napoli, Largo S. Mar¬ cellino, 10 (tei. 321.075). 16. De Leo Teodoro - Assist. Ist. di Fisiologia generale Università. Napoli, Via Mezzocannone, 8 (tei. 323.411). 17. De Lerma Baldassarre - Dir. Ist di Biologia generale Univ. Napoli, Via S. Strato a Posillipo, 25 (tei. 301.099). 18. Della Ragione Gennaro - Ord. di Scienze nel Liceo Scientifico V. Cuoco. Napoli, Via S. Pasquale a Ghiaia, 20 (tei. 235.821). 19 Desiderio Carlo - Prof, di Scienze Naturali. Napoli, Viale Augusto, 79 (te¬ lefono 305.493). 20. Di Leo Lucia - Napoli, Via Lepanto, 21 (tei. 615426). 21. Florio Armando - già ord. 2° Liceo Scient. Napoli, Via Simone Martini, Parco Mele, isolato B. (tei. 366. 575). 22. Fondi Mario - Assist. Ist, di Geografia Università. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 324.301). — 208 — 23. Franco Enrico ■ Assist. Ist. di Mineralogia Università. Napoli, Via Mezzocan¬ none, 8 (tei. 323.388). 24. Galgano Mario - Dirett. Ist. d’istologia e di Embriologia. Università. Napoli, Vico Latilla, 18 (tei. 313.635). 25. Gervasio Angiola Maria - Napoli, Via nuova S. Maria Ognibene, 2 (telefono 232.512). 26. Giacomini Valerio - Dirett. Ist. di Botanica Università. Napoli, Via Foria, 223 (tei. 341.842). 27. ImbÒ Giuseppe - Dirett. Ist. di Fisica terrestre Università e Direttore Osser¬ vatorio Vesuviano. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 324.935). 28. Lamberti ni Diana - Assist. Ist. di Chimica Industriale, Università. Napoli. Corso Umberto I, 228 (tei. 226.071). 29. Lazzari Antonio - Prof. ine. di Geografìa Fisica Università. Napoli, Via Aniello Falcone, 56 (tei. 379.312). 30 Majo Andreotti Ester - Lib. doc. di Geografia fisica Università. Napoli. Via S. Giacomo, 15 (tei. 321.702). 31. Majo Ida - Ord. di Scienze Nat. nei Licei. Napoli, Via Monte di Dio, 74 (tei. 397.699). 32. Malquori Giovanni - Dirett. Ist. di Chimica Industriale Università. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 322.904) 33. Maranelli Adolfo - Preside Ist. Tecn. Comm. di Torre del Greco. Napoli. Via Michelangelo da Caravaggio, 76 (lei. 389.205). 34. Mazzarelli Gustavo - Prof. ine. Topografia e Cartografia Università. Napoli. Via Cimarosa, 50 (tei. 366.555). 35. Mezzetti-Bambacioni Valeria - Dirett. Ist. e Orto Botanio. Facoltà di Agraria. Portici (tei. 334.967). 36. Migliorini Elio - Dirett. Ist. di Geografia Università. Napoli, Largo S. Mar¬ cellino. 10 (tei. 324.301). 37. Minieri Vincenzo - Ord. di Scienze nat. nei Licei Napoli, Via Suarez, 38 (tei. 365.789). 38. Mirigliano Giuseppe - Prof. ine. di Oceanografia nell’Università di Bari. Napoli, Via E. De Marinis, 1 (tei. 327.846). 39 Moncharmont Ugo - Ord. Scienze nat. nel Liceo « Vitt. Ern. II». Napoli, Via A. Falcone, 88 (tei. 375.003). 40. Moncharmont-Zei Maria - Lib. doc. di Paleontologia nell’Università. Napoli, Via A. Falcone, 88 (tei. 375.003). 41. Mondelli Giosafatte - Ist. di Chimica Industriale Università. Napoli. Via Mezzocannone, 16 (tei. 322.595). 42. Montagna Raffaele - Assist. Ist. Fisica Terrestre Università. Napoli. Via S. Altamura, 1 (tei. 372.895). 43. Napoletano Aldo - Meteorologo dell’Aeronautica. Napoli, Prolungamento Viale Malatesta, 20 (tei. 361.871). 44. Nicotera Pasquale - Assist. Ist. di Geologia appi. Fac. Ingegneria. Napoli, Via Mezzocannone, 16 (tei. 323.818). 45. Oliveri del Castillo Alessandro ■ Assist. Ist. Fisica Terrestre Università. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 321.805). 46. OrrÙ Antonietta - Dirett. Ist. di Fisiologia generale Università. Napoli, Via Rocco Galdieri, 16 (tei. 301.818). — 209 — 47 Pacella Maria Luisa - Assist. Ist. Fisica Terrestre Università. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 321.805). 48. Palombi Arturo - Prof. ine. di Zoologia gen. agraria Università. Ispett. Centr. Min. P. I. Napoli, Via Carducci, 29 (tei. 391.825). 49. Panna iin Papocchia Lea - Preside negli Educandati di Napoli. Via G. Carducci, 29 (tei. 391.725). 50. Parascandola Antonio - Prof. ine. di Miner. e Geol. nella Fac. di Agraria Università. Napoli, Via Mezzocannone, 8 (tei. 323.388). 51. Parisi Rosa - Già prof. ine. di Fisiologia vegetale Università. Napoli, Via Pier delle Vigne, 14. 52 Pellegrino Oreste - Assist. Ist. di Botanica Università. Napoli, Via Gaetano Donizetti, 5 (tei. 366.710). 53. Pescione Adelia in Messina - Prof. Scienze nat. Ist. tecnico G. B. Della Porta. Napoli, Via Nevio, 102 (tei. 385.672). 54. Pierantoni Angiolo - Chimico nel Laborat. Igiene e Profilassi della Provincia Napoli, Galleria Umberto I, 27 (tei. 233.255). 55. Piscopo Eugenio - Assist. Ist. Chimica Farmaceutica Università. Napoli, Via Leopoldo Rodino, 22 (tei. 322.038). 56. Quagliariellq Teresa - Assist. Ist. Fisica terrestre Università. Napoli, Via Salvator Rosa, 299 (tei. 340.692). 57. Rippa Anna ■ Ord. di Scienze nat. nel Liceo Umberto I. Napoli, Piazzetta Mar- coniglio, 4 (tei. 352.616). 58. Romano Giuseppe - Prof. ord. Chini, e Merceologia negli Ist. tecnici commerc. Napoli, Via Gerolomini, 11 (tei. 212.143). 59. Salfi Mario - Dirett. Ist. di Zoologia Università. Napoli, Corso Umberto I. 118 (tei. 329.092). 60. Scarsella Francesco - Dirett. Ist. di Geologia Università. Napoli. Largo S. Mar¬ cellino, 10 (tei. 321.075). 61. Scherillo Antonio - Dirett. Ist. di Mineralogia Università. Napoli. Via Mez¬ zocannone, 8 (tei. 323.388). 62. Sersale Riccardo - Prof, di Chimica appiic. industriale nella Fac. Inge¬ gneria. Bari. 63. Sinno Renato - Lib. doe. di Mineralogia Università. Napoli, Via Ottavio Caiazzo, 9 (tei. 379.259). 64. Tarsia in Curia Isabella in Del Giudice - Prof, di Scienze nat. nel Liceo « Sannazzaro ». Napoli, Corso Umberto I, 106 (tei. 329.368) . 65. Torelli Beatrice - Lib. doc. di Zoologia Università. Napoli, Via Luca da Penne, 3 (tei. 385.036). 66. V iggiani Gioacchino - Lib. doc. di Ecologia agraria Università. Napoli, Via P osillipo, 281 (tei. 300.002). 67. Vitagliano Vincenzo - Assist. Ist. Chimica fisica Università. Napoli, Via A. Manzoni, 30. 68. V ittozzi Pio - Lib. doc. in Fisica terrestre Università. Napoli, Via Battistello Caracciolo, 93 (tei. 215.660). - 210 — SOCI ORDINARI NON RESIDENTI 1. Antonucci Nicola ■ Prof, di Scienze naturali. Caserta, Corso Trieste, 78. 2. Boisio Maria Luisa - Genova, Via Assarotti. 42/13 A (tei. 893.421). 3. Bonasia Vito - Assist. Osserv. Vesuviano. Resina (Napoli). 4. Capone Antonio - Dott. in Chimica. Napoli, Vico Bagnava, 11 (tei. 343.202). 5. Casertano Lorenzo - Lib. doc. in Vulcanologìa. Osserv. Vesuviano. Resina (Napoli) (lei. 334.969). 6. Cocuzza Silvestri Salvatore - Lib. doc. di Vulcanologia. Università. Catania. 7. Costantino Giorgio - Lib. doc. Entomologia agraria. Direttore dell’Osserva- torio di litopatologia per la Calabria. Catanzaro, Via Giuseppe Sensales, 26. 8. Cotecchia Vincenzo - Prof. ine. di Geologia applicata Fac. Ingegn. Università. Bari, Corso Cavour, 2. 9. D’Ancona Umberto - Dirett. Isl. di Zoologia Università. Padova, Via Loredan, 6. 10. De Castro Piero - Assist, voi. Ist. di Paleontologia Univ. Napoli, Largo S. Mar¬ cellino, 10 (tei. 321.075). 11. Fadda Giuseppe - Direz. Gen, Istruz Tecnica. Minisi. P. I. Roma, Via Leopoldo Nobili, 40 (tei. 551.803). 12. Franco Domenico - Prof, di Scienze nat. nel Liceo Classico « P. Giannone », Benevento. 13. Gianfrani Alfonso ■ Assist. Osserv Vesuviano. Resina (Napoli). 14. Giordani Mario - Prof, di Chimica analitica Università. Roma, Piazza Bres¬ sanone, 3 (tei. 815.834). 15. Goglia Oscar - Prof, di Scienze nat. negli Ist. Tecnici. Napoli. Via Antonio Porpora. 19 (tei. 366.371). 16. Ippolito Felice - Segret. Gener. Comit. Naz. per l’Energia Nucleare. Roma. Via E. Ximenes, 12 (tei. 379.156). 17. Jovene Francesco - Prof, di Scienze Nat. Ischia, Via Acquedotto. 18. Jucci Carlo - Dir. Ist. di Zoologia Università. Pavia. Viale XXI Febbraio. 2 (tei. 25.740). 19. La Greca Marcello - Dir. Ist. di Zoologia Università. Catania. 20. Lucchese Elio - Prof. ine. di Entomologia Agraria Università. Perugia, Via Assisana, 22. 21. Maini Padre Dante - Rettore Pontificio Istituto Sup. Scienze e Lettere Santa Chiara, Napoli (tei. 320.332). 22. Maino Armando - Salita S. Nicola da Tolentino, Roma. 23. Mancini Fiorenzo ■ Dir. Ist. Geologia appi. Fac. Agraria. Firenze, Piazzale delle Cascine. 24. Mendia Luigi - Prof. ine. di Ing. Sanitaria Fac. Ingegneria Università. Napoli. Via Mezzocannone, 16. 25. Merola Aldo - Prof, di Botanica Università. Napoli. 26. Miraglia Luigi - Dottore in Scienze Naturali (attualmente in Asuncion (Para¬ guay), Casilla de Correo, 792). 27. Montalenti Giuseppe - Dir. Ist. di Genetica Univ. Roma, Via Cola di Rienzo. 297 (tei. 352.261). 28. Pappalardo Albina - Assist. Ist. di Geologia Università. Torre del Greco (Napoli). Corso Viti. Eman., 63 (tei. 361.655). — 211 — 29. PareNZAN Paolo ■ Ist. Talassografico di Taranto. Via Roma, 3. 30. Parenzan Pietro - Lib. doc. di Idrologia Univ. Napoli. Ist. Talassografico di Taranto. Via Roma, 3. 31. Pasquini Pasquale - Dir. Ist. di Zoologia Università. Roma, Viale Regina Elena, 324 (tei. 450.686). 32. Penta Francesco - Prof, di Geologia Applicata Fac. Itig. Università. Roma. Via dei Laterani, 36 (tei. 776.796). 33. Pergonic Enrico - Micropaleontologo Agip. Mineraria, S. Donato Milanese (Milano). 34. Pescatore Tullio - Assist, ine. di Geologia Univ. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 321.075). 35. Radina Bruno - Lib. doc. Geologia appi. Lniversità. Bari, Via Fratelli Rosselli, 32. 36. Rodio Gaetano - Già prof, di Botanica Lniversità. Catania, Via Antonino Longo, 19 37. Ruffo Sandro - Lib. doc. Zool. Assistente nel Museo Civico Storia Naturale. Verona, Lungadige Porta Vittoria, 9. 38. Ruocco Domenico - Prof. ine. di Geografia econ. nella Fac. di Econ. e Comm. Napoli, Via Aniello Falcone, 426 (tei. 385.211). 39. Sarà Michele - Prof, di Zoologia Università. Bari. 40. Scorza Vincenza in Esposito - Roma, Corso Novara, 51. 41. Sicardi Ludovico ■ Dott. in Chimica. Torino, Corso XI Febbraio, 21. 42. Tosco Uberto - Dir. Laboratorio Crittogamico Ufficio Igiene e Sanità. Torino, Corso Giovanni Agnelli. 107 (tei. 366.840). 43. Trotta Michele - Dott. in Med. veterinaria. Salerno, Via Michele Conforti, 13. 44. Trotter Alessandro - Prof, emerito di Patologia vegetale. Vittorio Veneto (Treviso), Via Cavour. 15. 45. Vallario Antonio - Assist, ine. di Geologia appi, nella Fac. di Scienze. Napoli, Via Girolamo Santacroce, 19 c. 46. Vichi Luciano - Lib. doc. in Giacimenti minerari. Soc. Montecatini, Settore Miniere. Milano, Via Turati, 18. 47. Zamparelli Valeria ■ Assist, voi. Ist. di Paleontologia Napoli, Salita Arenella, 13 A (tei. 360.372). 48. Zavattari Edoardo - Prof. ord. f. r. di Zoologia Università. Genova. Via Cirenaica, 8/7. INDICE MEMORIE E NOTE Scherillo A. — Geremia D’Erasmo, Presidente della Società dei Naturalisti ............ pag. 3 Franco E. — Sulla presenza di Halloysite nella leucite analcimizzata di Roccainonfina ....... ...» 6 Pagella M. L. — Considerazioni sulle eruzioni vesuviane dal 1631 al 1944 » 12 De Castro P. — Sulla presenza del Giura (Dogger e Maini) nei Monti Aurunci . . . . . . . . . . . . » 16 De Castro P. Il Giura-Lias dei Monti Lattari e dei rilievi ad ovest della Valle dellTrno e della Piana di Montoro ...... 21 D'Argenio B. e Pescatore T. — Stratigrafia del Mesozoico nel gruppo del Monte Maggiore (Caserta) .......... 55 Pescatore T. — Confronto tra serie stratigrafica a nord e a sud-est del Matese ............. 61 Catalano G. — Le grandi linee della selezione degli alimenti e delle medicine nella storia della Tecnologia ....... 66 D'Argenio B. - Impronte di disseccamento ( sun cracks ) nelle bauxiti del Matese . » 90 De Castro P. — Nuove osservazioni sul livello ad Orbitolina in Campania (Nota preliminare) . . . . . . . . . . » 103 De Leo T. e Fon L. — Osservazioni su un micrometodo per il dosaggio del colesterolo totale e delle sue frazioni . . . . . . » 137 D’Argenio B. — Sull’età dei livelli a requienie nell’Appennino campano » 146 Montagna R. — Stratigrafia Flegrea del terzo periodo recente . . » 157 Scherillo A. — Piroclastiti ed evoluzione vulcanica .... » 181 PROCESSI VERBALI DELLE TORNATE E DELLE ASSEMBLEE GENERALI ED ELENCO DEI SOCI Processi verbali delle tornate e delle assemblee generali . . . pag. 201 Elenco dei Soci ordinari residenti al 31 dicembre 1962 ...» 207 Elenco dei Soci ordinari non residenti al 31 dicembre 1962 ...» 210 . Finito di stampare in Napoli nello Stab. Tip. G. Genovese il 30 aprile 1963 Direttore responsabile : Prof. MICHELE FUI ANO Autorizzazione della Cancelleria del Tribunale di Napoli - n. B 649 del 29-11-1960 c ' ! mm * BKHf® f§@pi5 LJ" lì > vV %l§ltP ^ % Wwo* ^§gp? sftffÀTASv f«y, Ì4!T> \*"Ui F* ) y< mm* \*° 0^M ? \ tèd&i éK SWi \m\ a