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Anno XXVII Fasc. I e II

BOLLETTINO

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MANICOMIO PROVINCIALE DI FERRARA

FERRARA Tipografia dell’ Eridano 1399

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Le Associazioni nelle psicosi acute da esaurimento Nota clinica del Dott. A. Vedrani

La seconda parte degli studi sperimentali di Aschaffenburg sopra le associazioni, è data allo studio delle associazioni nell’ e- saurimento ('). A queste sue indagini sull’ esaurimento, egli pro- poneva come tine lo stabilire i contrassegni .precisi di quel fatto così spesso invocato nell’etiologia delle psicosi, svolgendolo dalla nebulosità che ancora ne oscura il concetto, e presentandolo in una sindrome sua propria.

Un individuo lavorava intellettualmente tutta la notte, e su, lui si facevano esperienze a 10 ore di sera, a 1 ora,a4ea6 . ore del mattino. Le esperienze erano fatte con parole bisillabiche e monosillabiche, col metodo delle associazioni isolate, senza mi-. sura di tempo e con misura di tempo. Lo sperimentatore diceva una parola, e il soggetto dell’esperienza doveva associarne un altra.

Importantissimi sono i risultati di queste ricerche. Sempre, sollo l’ influenza dell’esaurimento, il numero delle associazioni per assonanza aumenta (sono sopratutto le rime che aumentano), mentre le associazioni interne si fanno meno frequenti. La tabella” seguente, una fra le tante che sono nel lavoro di Aschaffenburg,

(1) Experimentelle Studien iber Associationen, II Theil. (Psychologische Ar- beiten von Kraepelin Bd. II pag. 1-84).

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dimostra l'aumentare delle associazioni per assonanza verso la fine della notte, quando lo spossamento s'impadronisce dell’organismo.

ASSCOCIAZIONT i aren cry o] (/_/_,_,-,rL..... Ore dell'esperimento Interne Esterne ARSA Mediate 9 ore 45, di sera 23 74 2 | ) 12 ore e 35 26 50 20 | 4 3 ore e 25, mattino 20 53 29 2

6 ore e 15, mattino 12 60 | 28

Era presumibile che i sintomi, trovati nell’esaurimento fisio- logico, avessero ad incontrare anche nelle Psicosi da esaurimen- to; in quelle psicosi che, secondo il concetto del Kraepelin, si può pensare insorgano per un eccessivo consumo o un’ insufficiente riparazione del materiale nervoso nella corteccia, e si collegano a gravi patimenti del corpo come sono dati dal parto, da acute malattie febbrili, da forti perdite di sangue; psicosi delle quali sono manifestazioni cliniche comuni ed essenziali il disturbo pro- fondo dell’ appercezione e dell’ elaborazione delle impressioni e delle immagini, |’ elevarsi dell’ eccitabilità motoria, e per lo più anche illusioni ed allucinazioni.

L’ osservazione clinica avvalora questa presunzione, e il con- senso dei fatti clinici coi fatti sperimentali non potrebbe essere maggiore : Aschaffenburg rileva come sia fenomeno frequente e notato, nella logorrea (ideenflucht) di questi malati, il parlare per rime, il succedersi delle parole attirate uno dopo PF altra dalla sola assonanza: « Englein, Klänglein, Zänglein, Ten- glein, Benglein... aber Geschwisterliebe, die ist trüle, die ist Vossius, Mossius, Kossius, Kitssius, Kitsse das sind keine Küsse das sind Schlüsse, keine Sehlüsse sondern Flüsse ecc. »; cosi parlava un malato di Amenza, osservato dal- l’ illustre psichiatra di Heidelberg.

A me sono occorsi di recente due casi clinici, che mi sem- brano, per questo rispetto, nun senza qualche interesse,

5

Guerzoni Fortini Maria, di 59 anni, di condizione povera.

Jl padre è morto di malattia polmonare, la madre di vizio cardiaco, nn fratello è morto al manicomio. Nessun altri fra i suoi consanguinei ha sof- ferto di malattie nervose o mentali. Essa aveva indole tranquilla, intelli- genza comune, costituziono sana. Ha partorito otto volte: sette figli sono morti fanciulli: sopravvive una figlia sana e robusta. E

Moglie a un lavoratore di campi, ha patito di insufficiente alimentazione: da tre anni, essa che non ebbe mai malattie, ha presentato decadimento fisico generale, e, in estate, qualche nota somatica di pellagra.

L’insonnio e la cefalea, di cui aveva patito negli ultimi anni qualche volta, diventarono sintomi continui e gravi nel luglio 1898: s’ aggiunsero sensazioni morbose vaghe, prostrazione di forze e alterazione completa del- la personalità. Il medico curante enumera così i sintomi che presentò allora per due mesi : allucinazioni, illusioni, insonnia, smania, sucidezza. Spesse volte ha tentato di offendere i vicini, armata di bastone o di sassi, vociando e infuriando. Un giorno in settembre, nuda, a capelli sciolti, agitando stra- namente le braccia, è entrata in una scuola di fanciulli, rincorrendoli e ter- rorizzandoli, alternando minaccie con parole di tenerezza. Tre volte tentò gettarsi dalla finestra, due volte nel pozzo.

Questi sintomi, in maggiore o minor grado, duravano da dne mesi, quan- do la donna fu condotta al manicomio il 24 Settembre 1898.

Al suo arrivo presenta condizioni fisiche generali miserevoli, agitazione motoria, logorrea insensata che non s’interrompe mai. Non risponde alle do- mande e dimostra un oscuramento profondo della coscienza. Nella notte, passata quasi tutta insonne, si stabilisce improvvisamente un intervallo lu- cido : la donna, perfettamente orientata, riconosce questo luogo dove è stata più volte a trovare il fratello. Vorrebbe tornare subito in famiglia: ma è molto abbattuta e fatica a raccogliere le idee.

Il giorno 26, quasi improvvisamente, salta dal letto, lacera le lenzuola, mette sossopra la camera: comincia allora una logorrea continua, insensata, espressa con cadenze ritmiche speciali.

L'associazione dei simboli verbali si fa per pura consonanza fonetica. Ecco in esempio un brano:

».. cd ed not... in tal punt dia nostra mori, amen e così sia... salutam tut da parte mia... parchè noster fiol l’ha nom Guerin... e l’ha nom Paulin... 6 brisa Bruchîn... e brisa Gueròu... e brisa brucòn... che quand’ al magnava al 8'ingusava si no si no si no sino e ste no si no (cantilena).

È allucinata: certi momenti parla colle figure delle sue allucinazioni. Il disorientamento é completo. Rifiuta il cibo.

Queste condizioni, interrotte solo da qualche intervallo lucido, durano con poco mutamento fino al mattino del 1 Ottobre. La donna si sveglia al mat-

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tino cosciente e orientata. Parla delle allucinazioni dei giorni passati; le pa- reva di essere nel cimitero di Roma c di trovarsi nel camering con due morti. Ne parla come di un sogno angoscioso e terrifico. Non ricorda nulla del suo discorrere per rima.

Tornata al suo stato normale, Ja donna è stata Lene tntto il mese tot-

tobre, però guadagnando poco nella nutrizione generale. Ai primi di Novembre è dimessa guarita. . Ma nel Febbraio di quest'anno è ricaduta: cefalea, insonnio, prostrazione di forze dapprima, poi il quadro clinico preciso dell'altra volta. Ricondotta da noi il 7 Aprile in condizioni di nutrizione compassionevoli, !a donna ha presentato fino al 14 Aprile disorientamento completo, logorrea incoerente, continuata per ore intere, espressa con voce quasi spenta e nasale (chino- lalia aperta, Goldscheider) e con accentuazione ritmica, e tutta dominata dall'assonanza. Cito un frammento (mattina del 10 Aprile).

regina reginét e ragion... reginét e zampinét... Vizenz e Vizinzin... Sle- fan e Stefanin... aveva un putin... Augusto Augustin... Ernesto Ernestine un bicer d'vin... ch'era tant piculin... perchè w non vuo a cavar la tera come fa una topa sotto tera... e se non ragliono ereditàr... ch’ ial lassi andàr... chi vaga a la porta... che a mz an m’ importa. Axvolin Axxvolett... Ernest Er- nestét... Augustin Augustinòn... Minghin Mingòon... rixzulon... e Axzolini e Axtroletti... sulfunin e solfunetti... e fixzoletti... chi vyniva u Frara... è vgniva a sonar la chitara... mi mader Uha nom Isabela Isabela Isablin... sarà mi nunin... e Azzolini Azzoletti... a Ciplin Cupelletti... c fazzoletti solfanin sol- fanetti ancòra... chi vada a mulòra... che me am ciam Guerzòn... ch’ i vaga amaza tot è moclòn.

Questo stato s’ è interrotto più volte, per dar luogo a remissioni lucide, della durata di alcune ore.

Il mattino del 14 Aprile la donna è tornata allo stato normale e da allora non è più ricaduta.

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Carlini Albina ha 45 anni. ll padre è morto di cholera, la madre d'influenza, una sorella di malattia acuta.

L'Albina è d'’'intelligeuza sveglia, di carattere buono. Ha due figli sani. Non ha mai patito difetto di mezzi alimentari, faticato eccessivamente. Ha sofferto di febbri malariche, spesso di odontalgia e di crisipela recidi- vante in questi ultimi anni.

Il 26 Marzo 1899 si rinnovò l’erisipela, prima alla guancia, poi alla fronte. Dopo sei giorni fu chiamato il medico, il quale la trovò apirettica e le or- dinò certe polveri.

La donna le rifiutò dicendo ch'era veleno, e fu questo il primo sintoma d'alienazione. Poi cominciò a vaneggiare, a urlare, a cantare, a dare in isma- nie. Non conosceva più i*suoi. di casa e chiamava con falsi nomi: come

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essa ha raccontato poi, richiamando qualche ricordo frammentario. che le ré- sta di quei giorni, essa non capiva più nulla; un frate accorso al sno letto le parve un’ ombra; poi le parve che le mettessero sul volto nùn gran ma- scherone; poi, come in sogno, le parve di essere in un gran palazzo a Ruma. In questo stato è condotta al manicomio il 5 Marzo.

Smania, si dibatte, canta, rifila discorsi insensati tutto il giorno. Non risponde a nessuna dimanda, è in uno stato di smarrimento e disorientamento profondo.

Ecco un frammento «ella logorrea la sera del 5 Marzo:

«ner Zer zer zer zer zer zer zer» (ma che cosa vuoi dire?) « ser ma so io? ma niente xer zer zer zer ma È troppo zer zer non è vero zer » (ri- pete infinite volte questa parola, accompagnandola con movimenti ritmici del capo) « zer ecco la croce ecco la croce ecco la croce sono perduta? no, che ho detto ! ecco la croce ecco la croce (ripete molte volte).

Al mattino del giorno 6 la donna è quieta, e sebbene all'aspetto e a qualche parola sembri ancora tenuta da un certo grado di smarrimento, pure dalle risposte sue risulta che non è più disorientata. Non ricorda nulla di ieri e descrive il suo stato presente con queste frasi: « mi pare di destar- mi da un sogno..., mi pare di ragionare non so dove..., il cervello non può unirsi a formar la ragione, ho come il cervello battuto..., conosco che è una grandissima umidità prodotta dentro il cranio.... ». Mentre le esamino il to- race, improvvisamente con atto rapidissimo si copre e rannicchia sotto le lenzuola. Subito dopo si rioffre all'esame,

Nel pomeriggio balza dal letto, getta per aria le coperte, salta per la camera vociando. Rimessa a letto, ricomincia la logorrea; interrogata, rispone de che è qui da tre ore.

« Io sono matta che non conosco più niente acqua fuoco acqua foco acqua foco acqua foco e avanti un poco foco foco foco acqua foco venite pure foco tutto foco poco corri acqua foco foco si no Adalgisa! foco non conosco poco questo è foco questo è poco (e continua un pezzo acqua acqua foco foco).

6. 7. 8. Marzo - Persiste il disturbo di coscienza: non risponde a do- mande, ma spalanca stranamente gli occhi e fa bocoacce. Rifiuta il cibo.

0 mattina « dagli foco dagli foco dagli foco (ripete molte volte) in gi- nocchio dagli foco dagli foco dagli foco giuro giuro giuro giuro (ripete molte volte) uno due tre tre tre tre tre (molte volte), sono matta sono matta piove piove piove foco foco piove foco.

12. Solite smorfie del viso e spalancate d’ occhi, logorrea confusa con associazioni per assonanza e ripetizione di parole e di frasi.

« acqua di Ferrara... acqua di Ferrara... acqua d’ Frera... guera... tera... guera mi faccia il favore di acqua di Ferrara (ripete molte volte) acqua di Ferrara sono pazza sono matta sono pazza.

Per tre settimane persistono questi fenomeni attenuati; risponde i suo

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hotne, ma dice di avere 25 anni e di essere a Roma: scambia le persone ; è di umore irritato; solo interrogandola, parla incoerente; ma senza assonanze o ripetizioni di parole.

La mattina del 2 Aprile si desta guarita con ricordi frammentari della malattia: dopo pochi giorni lascia l’ ospedale molto migliorata nelle condi- zioni generali.

Nel primo caso fu posta fin da principio la diagnosi di Amen-. za. Una donna di 59 anni, immune fino a questo tempo da ma- lattie mentali, ma non immune forse per il passato da intossica- zione pellagrosa; debilitata dai patimenti della miseria, deperita nella nutrizione generale fino allo squallore, e abbandonata di forze; dopo un periodo prodromico di cefalea e d’inquietudine pre- sentava agitazione motoria insensata, disorientamento, sebbene l’at- tenzione della inferma fosse vigile sull’ ambiente, confusione per- manente anche dopo cessato l’eccitamento motorio, fuga di parole, allucinazioni, scambio di persone, remissioni lucide, brevi e re- plicate. |

La guarigione avvenuta dopo tre mesi circa ci ha dato ra- gione. Una recidiva dopo qualche mese ha riprodotto il quadro stesso della prima volta.

Il secondo caso, insorto durante un’ erisipela dopo caduta la febbre, è un caso volgare di delirio collasso di Weber.

Nel primo caso abbiamo notato un incalzare di rime, una fuga di parole attirate l’una dopo l’altra dalla sola assonanza ed espres- ge con accentuazioni ritmiche. Il fenomeno durava per delle ore, si è ripresentato in una recidiva della malattia.

Qui dunque abbiamo una bella concordanza dei fatti clinici coi fatti sperimentali, prima esposti.

Nel secondo caso abbiamo anche trovato associazioni per as- sonanza nella logorrea, ma più spesso ripetizione di parole. E qui pare che la consonanza dei fatti clinici cogli sperimentali venga meno. |

Infatti a pagina 34 del suo citato lavoro Aschaffenburg scrive:

» Nella sua comunicazione intitolata - Studì sperimentali so- » pra le Associazioni - Kraepelin scriveva nel 1883: « nella stan- » chezza si produce una ripetizione stereotipa delle stesse parole ». » Dopo i miei esperimenti io non posso ora più partecipare a

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» questa veduta; ma debbo per altro osservare che io stesso nella » mia comunicazione sopra i sintomi psichici dell’ esaurimento (') » ho sostenuto il concetto che nella stanchezza il collegamento » associativo nel processo formale del pensiero diventa stereotipo ».

Gli ultimi esperimenti hanno invece dimostrato ad Aschaf- fenburg (pag. 33. 32 e 81) che il numero delle parole ripetute più volte in risposta alla parola-stimolo, numero che può essere riguardato come espressione di una uniformità maggiore o mino- re di idee, non aumenta col progredire dello spossamento.

Egli avanza quindi l'opinione che « |’ insistere delle stesse rappresentazioni verosimilmente non ha a che fare coll’ esauri- mento acuto normale, ma appartiene ai sintomi degli stati co- stituzionali della neurastenia acquisita ».

Ora, di fronte ad un caso di delirio da collasso che ha pre- sentato bensi associazioni per assonanza, ma prevalentemente ste- reotipia di parole, che cosa dobbiamo pensare? Ha avuto torto Aschaffenburg a mutare opinione ? I suoi risultati sperimen- tali non giustificavano if mutamento, ed è sempre vero, quello che anch’ egli prima ammetteva: che l’ esaurimento luogo a ste- reotipia di rappresentazioni mentali, a ripetizione di espressioni verbali? Ovvero la diagnosi di delirio da collasso è sbagliata in questo caso, ed il processo morboso che ho descritto, sebbene ren- da un’immagine perfetta del delirio astenico di Weber, non ha nessuna attinenza causale coll’esaurimento ? Sarebbe avventatezza per ciò solo entrare in dubbi sulla giustezza dell’ interpretazione che Aschaffenburg ha dato de’ suoi reperti sperimentali; sa- rebbe anche leggerezza mettere in forse il giudizio eziologico, con- tenuto nella nostra diagnosi, solamente perchè la malata presen- tava ripetizioni di parole, ciò che l’indagine sperimentale non ha trovato nell’esaurimento fisiologico.

Senza che lo sperimentatore rinunci alla sua interpretazione o il medico alla sua diagnosi, sembra facile darsi ragione del dissenso apparente. Basta pensare che l’ associazione ecolalica, 0 che si tratti di reazione a singoli stimoli esterni o tratti di as- sociazione seriale automatica (autoecolalia), è la più elementare

1) Archiv. f. Psych. BI XXV pag. 596 «e besonders interessant war das Auftreten von sinnlosen Wiederholungen schon vorgekommener Worte ».

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delle associazioni per assonanza, rappresenta una semplificazione regressiva dei processi associativi e sta nella scala delle associa- zioni all’ intimo grado. È coll’ associazione ecolalica, osservano Guicciardi e Ferrari in un interessante lavoro, che comincia il linguaggio del bambino. « Ogni volta che gli si ripete una data sillaba, le onde sonore si trasmettono dalle terminazioni periferi- che a quelle centrali dell’acustico : ma, arrivate al cervello, que- ste vibrazioni non possono perdersi, e però cercano di evadere: la sensazione si deve mutare in atto, perchè il riflesso si compia. E allora che la vibrazione trova la sua via al centro della parola, ed è allora che si ha la ripetizione del suono percepito, ripeti- zione automatica, puramente reflessa che può non aver nulla di cosciente, come non è cosciente dell’eco che provoca ìl muro che rifrange le onde sonore, quando gli si spingono contro, come è incosciente il pazzo ecolalico... » (').

È logico per ciò ammettere che quando l’esaurimento, che luogo ad associazioni per assonanza, si intensifica, il processo associativo si semplifichi ancora e dia luogo a stereotipia di parole.

E questo è il nostro caso. Per quanto noi crediamo di non dilungarci dal vero rappresentandoci la condizione che ha svilup- pato il delirio di Weber come un collasso, come « un’ oscilla- zione acutissima dellequilibrio del sistema nervoso » (Kraepelin), pure non c’è chi non veda, al di delie poche analogie, la dit- ferenza grande che passa tra lo spossamento prodotto da una notte vegliata nel lavoro, e l’ esaurimento acuto dei malati in di- scorso. Lasciando stare che in questi la condizione etiologica è più complessa (*), è forza qui concepire un esaurimento di tal grado che quello di chi veglia lavorando è nulla al paragone: tanto vero che, nel caso clinico, si va fino alla disassimilazione generale del processo ideativo e al disturbo di coscienza. Ora, dato uno spossamento tanto più grave, ci meraviglieremo noi che, di pari passo colla intensità maggiore di tutti gli altri fenomeni,

1) Rivista di Freniatria Vol. XXIII pag. 671.

2) Kraepelin. Psychiatrie 6. Ed. Vol. II pag. 34: neben der Erschöpfung öfters noch andersartige Ursachen wirksam sind, namentlich etwa ge- wisse Krankheitsgifte und Zerfallstoffe,

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i processi associativi subiscano un ulteriore deterioramento fino a risultarne la stereotipia delle parole, ciò che rappresenta I’ ul- tima loro discesa ?

Ho voluto fermarmi su questo punto per ciò che, come si è cercata o in parte trovata la consonanza dei fatti clinici e degli sperimentali, così è bene ancora notare dove comincia il dissidio. Dissidio del resto che, almeno mi sembra, non è difficile a com- porre, perchè si dissipa per poco che il nostro esame si approfondi oltre le apparenze esteriori alla ricerca d’una interpretazione.

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Una anomalia del muscolo pellicciaio pei Dottori R. Tambroni e R. Lambranzi

O. D., demente giovanile che ammalò circa a l’epoca della pubertà e che da ventisette anni è nel nostro Instituto, è un uomo alto, grosso, pingue, il quale passa la maggior parte del tempo stando seduto, immobile, il busto diritto, i gomiti stretti ai fianchi, le mani intrecciate; non parla mai, e solo allora che la insistente richiesta degli infermieri lo vince. gli escono da le labbra tenni, come in un susurro, parole tronche affrettate. Il suo volto è ri- gido ; pare che i muscoli mimici abbiano perduto ogni potere di contrarre la oute del volto per atteggiarlo a la più semplice espressione affettiva.

Solo quando egli mangia si nota, a vederlo di faccia, sempre fuori d’ogni espressione speciale, un complesso di movimenti assai maggiore della norma e diffuso al collo e a la parte superiore del petto. È una contrazione qua- sempre sincrona col moto d’abbassamento della mandibola, per la quale si vede la cute della parte bassa e anteriore del collo e del sommo del petto stirarsì verso l’alto senza far rughe e spostando di almeno un centimetro i capezzoli delle mammelle (4.° costa); lo stiramento della cute si avverte inoltre partire dal margine anteriore inferiore delle due ascelle, dai punti acromiali delle spalle, da le parti laterali del collo, pressapoco al margine esterno del muscolo splenio, e dirigersi a l'interno e in alto, ma formando, specie nelle parti inferiori, delle sottili digitazioni rugose.

Nel medesimo tempo, da la regione sopraioidea, dirigendosi ad angolo aperto in basso fino verso l’ estremo delle inserzioni sternali dei muscoli sternocleidomastoidei, si rilevano due cordoni sottocutanei contratti, ed a l’esterno di questi e nella stessa direzione, ma partendosi dal margine infe- riore della mandibola, se ne disegnano altri più sottili e più brevi. Si av-

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-

verte inoltre l'abbassamento maggiore della norma del labbro inferiore con contemporaneo stiramento a L'esterno e in basso degli angoli boccali e lieve stiramento in basso della parte inferiore delle guancie.

E facilmente rilevabile che tutta la regione, per la quale si diffonde il movimento ora descritto, è quella occupata dal muscolo pellicciaio del collo. I limiti superiori e laterali, i punti ascellari e acromiali, la parte superiore del torace sono quelli che in ogni trattato di anatomia si sogliono assegnare a la delimitazione di tale muscolo ; nel nostro caso sembra esorbitare solo il limite in- feriore, il quale raggiungerebbe la quarta costa.

Il fatto della maggiore ampiezza costituisce già di per una anomalia, ma assai più notevole è il fenomeno del movimento, il quale inoltre avviene solo nell’atto delia masticazione; in qualun- que altro momento o per qualsia eccitazione meccanica o dolori- fica il platisma resta immobile.

Ciò avrebbe potuto far pensare ad una anomala innervazione del muscolo e tale che nell’ atto del masticare, oltre a l’opera dei muscoli temporali, masseteri e pterigoidei, si avesse l’ intervento attivo del platisma per azione d’ una qualche branca supplemen- tare del 5.° paio. Ma quantunque una tale anomalia nervosa ri- fuggisse in primo luogo da l’essere ammessa per la mancanza di ogni dato di anatomia comparata, che potesse valere a darci fon- damentale sussidio, noi abbiamo voluto risolvere questo dubbio con una prova positiva: e la faradizzazione del facciale a l’uscita del forame stilo-mastoideo ci ha dimostrato nettamente la contra- zione del pellicciaio.

Frattanto può dire che il movimento implichi la ipertrofia primitiva o secondaria dell’ ampio foglio muscolare, la quale è messa assolutamente in evidenza da la vigorosa contrazione, da noi osservata, di quei fasci anteriori e laterali che nel platisma sogliono normalmente essere più distinti e manifesti. Con la pre- senza della ipertrofia si comprenderebbe facilmente la possibilità della contrazione attiva del muscolo sotto la dipendenza della vo- lontà, ma, se questa fu potuta stabilire nel caso di Mirto('), non la è ugualmente, per le speciali condizioni psichiche dell’infermo,

1) G. Mirto. - Abnorme sviluppo del pellicciaio in un demente. - Arch. di Psichiatria V. 17. pag. 451.

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nel nostro; onde a l’ipotesi che a l'atto del masticare si associ la contrazione del muscolo pellicciaio del collo solo per intervento della volontà dell’infermo, non si può appoggiare con sicurezza la spiegazione del fenomeno, senza contare anche ch'ella riuscirebbe poco convincente nel caso speciale del movimento d'un muscolo, che non ha nessun potere attivo nella masticazione.

Resta a pensare però se si tratti di un movimento trasmesso o di un tic. A la prima e semplice interpretazione oppone la evidente soggettività del movimento muscolare, espressa dai lievi stiramenti delle guancie e del labbro inferiore, da la manifesta- zione e da l’indurimento dei fasci principali del platisma.

Del fic invece abbiamo la periodicità e la coordinazione det movimento , abbiamo la disposizione psichica ; e noi sappiamo tutti come nei pazzi in generale e nei dementi giovanili in par- ticolare i fic siano frequenti. Sembrerebbe a tutta prima opporsi a questo giudizio la mancanza di un segno, al quale si suo] dare una grande importanza per la diagnosi tic, ossia la riprodu- zione esagerata in maggiore o minor guisa, nel movimento mu- scolare abnorme, di un atto fisiologico ('); e la contrazione del pellicciaio non sarebbe appunto nell’uomo mai fisiologica.

Ma se noi rammentiamo l’ anomalia anatomica del nostro in- fermo, onde si ha lo sviluppo. abnorme per estensione e spessore di un muscolo, che suole esistere, cosi sviluppato, solo in esseri inferiori; se noi ci riferiamo a la sua funzionalità, la quale pure non cooperando a la masticazione, ma forse per ufficio pro- tettivo —- si esercita appunto in molti di quelli durante Patto del mangiare, possiamo credere che a la stigma anatomica si so- vrapponga la stigma funzionale, e si abbia cosi nel nostro in- fermo, con la espressione di un tie, la ripetizione di un movi- mento, che nella filogenesi fu fisiologico.

L’esilissimo platisma, che nell’uomo non ha apparenza, la quale valga a renderlo evidente a Ja ispezione e a la palpazione, sem- brerebbe che non fosse tuttavia privo d’ogni funzione, poichè M. Duval() lo stima atto a dare carattere speciale a l’espressione di

1) Brissaud. - Lecons sur les maladies nerveuses. V. 1. Leg. XXIV, 2) Duval. - Précis d’Anat. artistique. p. 328,

cl

certi sentimenti, e già Cruveilhier(') descriveva la sua efficacia nella « espressione delle passioni tristi, della collera, della paura, del terrore, della sofferenza »; ma in verità, anche se a ciò possa secondariamente contribuire col suo intervento, è da ritenersi che esso sia tanto da poco, in confronto a la mohilissima funzione de- gli altri muscoli del volto, che si può attermare senza timore la sua inutilità nell’armonica complessità di movimento della figura umana, i

Ch'esso sia normalmente maggiore della norma o atto a fun- zionare in certe razze negre non è dimostrato, sebbene da qual- cuno si siano osservati e illustrati di siffatti casi (Turner, Chud- zinski, Giacomini, Testut, Hartmann, Romiti), poichè, come osserva saviamente Testut (*), per istabilire ciò con certezza occorrerebbe un larghissimo confronto tratto da un numero ele- vato di osservazioni.

Si sa invece come tale musculatura cutanea esista in pieno sviluppo in molti mammiferi, costituendo in alcuni, come nel ric- cio, un vero involucro generale o coprendo un’ampia parte del corpo come nel cavallo ; e con la stessa linea che nell’uomo, seb- bene sempre ino maggior forma, lo si vede in alcune specie di scitnmie, come il Chimpanzè, nel quale giunge fino a l’arcata zi- gornatica. Solo nelle scimmie più elevate, come il Gibbone, appa- re essere ridotto come nel volto e nel collo umano. Onde qui s’av- verte una volta di più quella vicinanza della scimmia, quel ca- rattere di parentela con l'animalità che suol dispiacere tanto a l’uomo, il quale, al dire di Broca (°), volgendo il dorso a la terra, vorrebbe rifugiare da la sua maestà minacciata nella sfera di un nebuloso regno umano.

Le anomalie del pellieciaio sono ormai notate in buon nume- ro nella letteratura: fasci sopranumerari che ss’ aggiungono al pannicolo normale (Wood, Macalister, Romiti e Silvestri), incrociamenti di fibre mancati o deviati (Henle, Wood, Fro-

1) Cit. da Testut. 2) Testut. - Les anomalies musenlaires chez Thomme. - Paris 1884. p. 206,802, 3) Broca. - Art. Anthropologie du Dict. Eneyel. T. V.

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riep (f, Popowski (°), esagerazione di ampiezza (Cruveilhier, Soemering, Chudzinski, Cloquet, Romiti (°), Mirto), atrofie totali o parziali (Gegenbaur') Zinn(*), Remak ('), Le Double (’), ‘ipertrofie (Macalister, Zagorsky) ecc.

Nessuna di queste è da trascurare, non foss’altro perchè s’ag- giunge a dimostrare la caratteristica comune a tutti gli organi rudimentali destinati forse per progressiva evoluzione organica a distruggersi, ma certamente le più interessanti sono quelle che riguardano la maggiore ampiezza e la ipertrofia del muscolo, perchè affermano il valore di un vero ritorno atavico.

Cosi è appunto nel nostro caso, nel quale si osserva anche P abbozzo di una funzionalità che ricorda quella propria ad al- cuni vertebrati inferiori; e sarebbe forse superfluo ora spendere parole per dimostrare l’ importanza di questo sintoma somatico regressivo associato a la malattia mentale, tanto più che la sua eloquenza parla meglio più alto e più lontano.

E a questo proposito ne giova senz’ altro citare le parole di Ernesto Hoekel:

» Ces organes (organi rudimentali ) sont autant de preuves établissant la verité de la conception mécanique de la nature, autant de foudroyantes réfutations de la conception téléologique. Si, comme le prétend cette derniere doctrine, homme ou tout autre être organisé avait étė construit dés le principe en vue d’ un but å atteindre; s'il avait étė appelė à la vie par un acte créateur, alors l’ existence de ces organes rudimentaires ne serait plus qu’ énigme inesplicable; on ne comprendrait pas pourquoi le Créateur aurait imposé un fardeau inutile & la créature déja

1) Arch. f. Anat. und. Physiol. 1877.

2) L’Anthropologie. n. 4. Paris 1890.

3) Romiti. - Trattato di Anatomia Umana. 1895.

4) Gegenbaur. - Traité d’Anatomie Humaine. Trad. - Julin. 1889.

5) Zinn. - Einseitiges Fehlen des Platisma myoides. - Centr. f. allg. Path. und. path. Anat. - B. 3. N. 20. 1892.

6) Remak. - Ein Fall einseitigen angeborenen Defect des Plat. myod. - Neurol. Centralb. N. 7. 1892.

¢7) Le Double. - Traité des variations du Sistéme musculaire de } homme. - Paris, 1897,

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fort embarassée sur le chemin de la vie. Au contraire, la théorie de la descendance donne fort simplement la raison d'être de ces organes. Elle nous apprend que les organes rudimentaires sont des parties du corps qui, dans le cours des siécles, sont graduel- lement devenues hors de service. Ces organes avaient des fon- ctions déterminées chez nos ancètres animaux, mais chez nous il sont absolument sans valeur physiologique. De nouvelles adapta- tions les ont rendus inutiles, mais ils nen ont pas moins été transmis de génération en génération, et ont ainsi rétrogradé lentement » (‘).

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Dignità scientifica dell’Antropologia Criminale (*) pel Dott. Luigi Cappelletti

Egregi Studenti

La Onorevole Deputazione Universitaria ha deliberato di isti- tuire un corso libero di Antropologia Criminale per concedere al desiderio espresso da alcuni studiosi. Per questo insegnamento ha pensato a me non attratta dai miei modestissimi meriti, ma dalla mia posizione di Medico in un Istituto dove è giuocoforza conoscere, esaminare le dottrine che alla su detta scienza si rife- riscono. Ha pensato a me e con l’ autorevole consenso della PFa- coltà me ne ha affidato l’ incarico. Perciò io desidero innanzi tutto porgere ai singoli componenti la Deputazione Universitaria, la Facoltà Giuridica i sensi vivissimi del mio animo grato. Ho accolto, Signori, il lusinghiero invito, ho accettato senza esitanza l onorifico incarico per due ragioni: primieramente perchè di questa scienza, che ho sempre con intenso amore studiata, m’ è caro indicare ai giovani alcuni dei ricchissimi tesori che ha sco- perto, alcune delle fonti che possono alimentare una infinita

(1) E. Hoekel. - Anthropogenie ou Evolution humaine. - Trad. Leturneau. Paris. 1877.

(2) Per acconsentire al cortese invito di alcuni benevoli uditori, pubblico

agli studenti di Legge dell’ Università di Ferrara.

a

serie di ricerche: in secondo luogo perchè ho molto fiducia nel vostro buon senso e certezza quindi che voi da me non preten- derete grandi cose ma vi accontenterete di un corso molto mo- desto, quale io posso concepire e offerirvi con la mia coltura, le risorse scientifiche di cui dispongo, la mia poca esperienza nel- l arte difficile di parlare in pubblico.

Io non ho in mente oggi di fare una prolusione nel senso che comunemente ha per gli scienziati codesta parola: sono ben lungi da simile velleità. La conferenza d’ oggi serva a farci conoscere, a presentarci scambievo]mente. Ed approfitto di questa prima oc- casione in cui si ci trova tutti assieme per accennarvi a rapidi tratti il programma che informerà il mio corso, per delinearvi gli obbietti cui ci rivolge } Antropologia criminale, il modo con il quale essa procede nelle osservazioni e nelle affermazioni che da quelle scaturiscono, il tempo cui risale la sua data di nascita e per rimuovere gli erronei giudizi che rispetto a tali questioni ha fatti e fa anche oggi una gran parte del popolo profano.

Forse tra voi, giovani negli studi, non ancora in possesso di un adeguato patrimonio di cognizioni per apprezzare equamente questa scienza v’ ha qualcuno che per l’ influenza di pregiudizi e leggende che corrono nel pubblico, che tale scienza conosce di nome e da lontano, o per le critiche degli avversari, nutre nell’ani- mo qualche dubbio, qualche diffidenza. Io desidero eliminare dif- tidenze e dubbi sin da principio poichè bramo che a questi studî vi accingiate con animo fiducioso. E siccome nel breve spazio un’ ora di pochi argomenti m'è concesso parlare, cosi oggi limi- terò il mio dire nei confini che più sopra ho tracciati. In segui- to esamineremo affermazione per. affermazione, il pro e il contra: a voi ogni volta P iniziativa del giudizio.

Avevo bisogno di spiegarmi con voi intorno a ciò e di dirvi in pari tempo che è ben lungi da me l intenzione risibile di po- sare a maestro, che dinanzi alla grande maestà di questa scienza io non mi sento di essere altro che uno studioso un po più esper- to di voi. Ma non voglio. farvi attendere a lungo la conoscen- za del mio pensiero in proposito: io intendo esporvi nella manie- ra più obbiettiva possibile il modo come voi dovrete procedere per compiere con esattezza scientifica lo esame fisico e psichico d’un delinquente, lP analisi della sua vita e di quella dei suoi progenitori. Intendo poi trattare poichè il tempo urge solo

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le principali anomalie e malattie psichiche che conducono al de- litto e alcuni dei problemi più importanti che si agitano in seno alla Antropologia criminale. Io ho già in mente le fila di questo . programma che ebbi già l’ onore di esporre verbalmente al sig. Rettore ed al sig. Preside della Facoltà Giuridica: ma fin d’ ora vi avverto mi piace dichiararlo che, se durante il corso del- le mie conferenze sorgesse in voi per naturale connessione di fatti e di idee il desiderio di conoscere una qualche quistione, io sarò lieto di esporla. Poichè a me interessa solamente riuscire a voi utile. Studieremo insieme, porteremo ciascuno il contributo delle nostre conoscenze scientifiche per la ricerca della verità: questo è il programma. Ed ora la prima domanda: che cosa è e a che cosa mira l’ Antropologia criminale ?

©.

L’Antropologia criminale può definirsi con il Ferri la storia naturale dell’ uomo delinquente. Ripetere sull’ uomo criminale le ricerche, gli studî praticati omai da secoli su l uomo normale, trarre dai confronti di queste diverse ricerche conclusioni che ri- guardino l’ uomo che delinque sotto 1! rispetto scientifico, sotto il rispetto della valutazione dei delitti, delle pene, dei mezzi mi- gliori, più umani, di difesa sociale, questa è la meta cui si rivol- ge l’ Antropologia criminale.

Il mezzo per raggiungerla consiste nella osservazione ricca coscienziosa paziente dell’ uomo criminale, nello studio severa- mente esatto della sua costituzione fisica, del suo organismo psi- chico, dell’ ambiente in cui vive, delle cause che prima e dopo la nascita possono avere modificato o pervertito il retto funziona- mento del suo cervello. La meta da raggiungere è nobile tale da incitare con entusiasmo al lavoro: i mezzi per raggiungerla sono onesti e rispondenti allo scopo: i frutti di codesto lavoro non pos- sono non essere rigogliosi. Questa scienza deve la sua vita forte e prosperosa alla inesauribile attività, al genio di Cesare Lom- broso che fra lc diffidenze del volgo, le aspre battaglie mosse dai cultori dell’ antica scuola ha combattuto con tenacia d’ apo- stolo per la vittoria delle nuove dottrine. Al lavoro incessante di quest uomo devesi se le nuove dottrine hanno attinto le più alte vette della gloria scientifica, se si è formata una scuola feconda di valorosi allievi, una scuola che ha preso oggidi carattere'uni-

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versale gittando profonde radici nei maggiori centri di studio che nell’ ultimo Congresso d’ Antropologia criminale a Ginevra (1896) ottenne la più solenne affermazione che mai si potesse desi- derare. Fu a Ginevra che, dinanzi a scienziati illustri convenuti da ogui paese, dinanzi au avversari culti e forti, le dottrine di Lombroso rilulsero in piena luce così da attrarre il plauso più significativo e forse meno atteso, quello dell’abate belga De-Bae ts, che non trovo offesa dalla nuova scuola la sua fede di credente ed anzi, pure ammettendo quale credente una norma superiore origine del diritto naturale, dichiarò che poichè I’ uomo si esplica nella sua vita psichica sotto Piutlusso dell’ eredità, della degenerazione, dell’ ainbiente era da approvarsi una scienza che indaga questo wodo esplicarsi della vita umana e che « ha il grande merito di avere aperto gli occhi dell’ umanità sopra fatti non ancora 0s- servati, portando un complemento indispensabile alla nozione del- responsabilità ».

Lombroso ha riunito con sintesi felice in un corpo di scien- za compatto e forte le nozioni di Antropologia criminale apparse qua e la come osservazioni isolate, non dirette ad uno scopo pre- caso, non coordinate fra loro da un principio scientifico determi- nato, nelle opere dei pensatori che vissero in una età anteriore alla sua. Ha uiluminata codesta scienza con un lavoro di osserva- zione costante, procedendo sicuro nella via con il poderoso in- tuito proprio al suo ingegno geniale e creando così, come ha scritto il Morselli, « la sola dottrina originale e feconda che negli ultimi venti anni abbia saputo farsi conoscere dagli stra- weri col battesimo di italiana ». Eppure questa scienza ha avuto tieri, Ostinatl contraddittori. Le nuove dottrine hanno urtato con- tro vecchi sistemi, contro idee secolari diventate dogma nella so- cietà ed hanno perciò eccitato la dittidenza, animato molte suscet- tibilità. Ora l’ albiente va rasserenandosi e diventando più beni- gno a jmano a inano che nella coscienza universale i nuovi con- cetti impongono per la loro sincerità e sl atterma la convin- zione che per essi non si menomano punto i mezzi di difesa so- ciale. Si è creduto, e gridato forte in segno di protesta, che le af- fermazioni della scuola Lombrosiana aprissero le porte a tutti i birbanti, assolvessero i delinquenti della peggiore specie. La ar- dita riforma nello esame del crimine, per la quale si è fissato in vece dello « studio astratto del delitto come ente giuridico quello

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positivo del delitto come fenomeno naturale e sociale » (Ferri) ha fatto paura : interpretare un delitto quale manifestazione di una costituzione psichica originariamente anormale o come espres- sione dell'influenza di un particolare ambiente perverso fu creduto costituisse la difesa naturale di tutti i delinquenti e conseguen- temente la via aperta a tutti i criminali per delinquere a loro bel- l’agio e sfuggire alle pene sanzionate dai codici.

Errore codeso paradossale poichè non è ammissibile che gen- te di senno possa in qualsiasi modo contribuire a popolare ia so- cietà di esseri nocivi e pericolosi. Giudicare intatti che un indi- viduo è irresponsabile perchè pazzo, perchè nato con una costitu- zione psichica che per sua sfortuna lo rende incapace di vivere nel limiti segnati dalla orale e dalla civiltà nou signitica che questo individuo debba essere ammesso a vita libera, no, questo mai. Ma altro è condannare, altro è segregare: l’effetto ultimo per la sicurezza sociale è il medesimo ma il valore morale è ben di- verso. A nessuno che pensi un poco potra sfuggire la grande differenza, l’abisso che moralmente e socialmente divide la malata tia e ll de.itto. A chi nasce con costituzione psichica diversa da quella normale, costituzione psichica sulla quale nulla può l’ambiente, l'educazione, ul rigore della legge e che per que- sta malaugurata organizzazione cerebrale è incapace di pensare, di agire secondo la vuestà e volge i propri perversi istinti a le» dere la vita 0 le sostanze dei suoi simili è giusto, è auzi necese sario limitare la libertà: è giusto espellerlo come elemento dan- noso dalla vita sociale ina è altrettanto giusto perchè malato con- siderarlo come tale, non avvilirlo col turpe nome di assassino 0 di ladro, non macchiare il suo onore che è pur l’onore della sua famiglia. L'accusa che gli alienisti moderni conducano per effetto delle loro conclusioni nei Tribunali ad una mitigazione lmpres- siouante e pericolosa delle condanne è errata. E qui per statare. queste lmperdonabili accuse tornano beue in acconcio le parole che un uowo di alta mente, di forte spirito critico, di dottrine non sospette Ruggero Bonghi scriveva molti anni fa (1884) nella Cullura: « O chi dunque può affermare che la nuo- va scuola penale voglia diminuire, la difesa sociale contro il de- litto e che tutte le ricerche sperimentali della Psichiatria sono iutese a fornirgliene gli argomenti, ammucchiando i fatti, sopra 1 quali, come si sia, erigere induzioni perniciose e fallaci? Inve-

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ce oggi noi possiamo aspettare solo da questa scuola la correzio- ne nella nostra legislazione penale di tutte le debolezze morali e mentali che vi si sono introdotte ». Se mitigazione delle con- danne a volte succede non è certo per difetto della scienza ma per difetto della legge che da alla irresponsabilità una interpreta- zione ben diversa da quella che le si deve dare. Noi anzi abbon- diamo in severità e in prudenza: noi pei criminali malati serria- mo le porte non le apriamo come molti credono oggidi. Più che con uu lungo ragionare permettetemi di spiegarmi con un esem- pio: forse riuscirò meglio a chiarire il mio concetto. V’ha una sorta di malati disgraziatissimi i quali suno affetti da una infer- mità che è nota sotto il nome di epilessia psichica. Voi certa- mente avrete sentito parlare delle convulsioni epilettiche cui dai profani vengono dati diversi appellativi, come mal caduco, morbo sacro, mal comiziale ecc.: queste convulsioni consistono in una tempesta di movimenti incoordinati che agitano tutti 1 muscoli del corpo e che sono accompagnati da un disturbo profondo del- le facoltà mentali cioè dalla perdita della coscienza. L’ individuo cade fulminato dall’ accesso senza potere scansare disgrazie e pericoli. Questo quadro sintomatico, imperfettamente da me de- lineato, poichè avremo altra volta occasione di intrattenerci intor- no a tale importantissimo argomento, rappresenta quella che noi medici chiamiamo epilessia volgare.

. Orbene in alcuni malati all’ accesso convulsivo sopradescritto Si sostituisce un perturbameuto nelle funzioni psichiche, uno scon- volgimento nel campo delle idee che si definisce molto bene con- vulsione mentale. Questa couvulsione mentale ha come |)’ altra, come quella cioè che si estrinseca nei movimenti disordinati del corpo, svariatissimi gradi. Può essere appena accennata in una reazione atfettiva a colorito ostile, può presentarsi in maniera gravissima con le più crudeli esplosioni di collera e di violenza. Tutti questi differenti stati di perturbamento psichico, sieno essi leggeri o intensi, hauno, fra gli altri, due caratteri che li con- traddistinguono e segnano loro una grande importauza dal punto di vista medico-legale. Il primo consiste in ciò, che questi acces- si si stabiliscono con rapidità fulminea ed oscurano completamen- te la coscienza dell’ individuo che ne è colpito e che non può sovra di essi esercitare in alcuna maniera l’impero dei centri vo- litivi inibitori, che per effetto della convulsione mentale vengono

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ond

nell’ atto dell’ accesso ad essere aboliti. In poche parole l’indivi- duu è incosciente di ciò che compie. li secondo carattere ri- siede nella periodicità e nella inguaribilita. Vale a dire codesti accessi Ul epilessia psichica si ripetono al intervalli e, salvo casi eccezionali, accompagnano fatalmente l'individuo durante l’intero corso deila sua esistenza. Premesso cio, facciamo 11 caso pratico : Uno ul tall ulsgraziati Sotto lv suluolo di una leggerissima offesa, CUL Qualsiasi uoito normale o nou risponderebbe o riparerebbe Lutto dl piu cul uno scapaccione, Scende in rissa: si eccita, rea- gisce cowe selupre suole accadere sproporzionatanuente allo stimolo ricevuto, eutr'a nello stato dl convuisivue mentale e, perdu- ta la coscienza e con essa la inisura del propri atti, si arma, S'av- veuta sul mal capitato avversario e lo ferisce. Ma la ferita per fortuna leggera ed ll colpito raggiunge la guarigione in breve spazio di tempo. ll colpevole condotto dinanzi al Tribunale verra ul certo condannato au una pena mimma, torse anche assolto, per- chè v’ ha modo amumettere una certa provocazione, perche la esuberauza di reazione all’ ollesa poue in rilievo il ultetto nella equilibratezza dete sue funzioni psichiche e ne attenua la respon- sabilità, perchè imine il danno consecutivo alla ferita è stato 1ui- mino. Se questo caso fosse suttoposto al giudizio di un perito psi- chiatra questi ragionerebbe certamente così: « il feritore è un epi- lettico, la sua storia addimostra che è atfetto dalla peggiore forma di epilessia cioè da quella psichica: l’ atto che ha compiuto ha tutti i caratteri dell’ equivalente psichico e di esso è irresponsa- bile: non deve perciò l accusato essere colpito da pena. Ma dato il carattere di periodicita, di inguaribilità della epilessia psichica è razionale presupporre che altri accessi consimili si ripeteranno e sulla scorta delle cognizioni pratche e scientifiche che pos- seggono in proposito è logico temere che qualcuno di questi ac- cessi possa avere caratteri gravi di violenza e possa condurre a effetti letali. Da questo ragionamento scaturisce la logica conclu- sione che il detto individuo è pericoloso alla società, che la sua pericolosità non ha ragione di scemare 0 di estinguersi e che quindi la più elementare regola di prudenza, di igiene sociale consiglia di segregarlo indetinitamente in un luogo di cura dal quale non possa nuocere al suoi simili, in un Manicomio, in un Uspizio per criminali pazzi o in altro ricovero adatto. Solamente dopo un lungo periodo di anni quando mai fosse più apparso

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l’accesso di convulsione psichica si potrebbe all’ individuo rido- nare tutta o in parte la libertà. » Come vedete dunque, o Signori, ben diversi sono i nostri giudizî da quelli che il pubblico ci at- tribuisce, ben più gravi di quanto comunemente non si immagini sono le conseguenze delle nostre perizie. L’ epilettico di cui ho riferito l esempio nessuno alienista avrebte esitato a dichiarare irresponsabile come pure nessuno avrebbe mai nel tempo istesso pensato che potesse tornare a vita libera. Tutt’ altro. E potrei moltiplicarvi gli esempi citandovi il paranoico il cui delirio non guarisce mai, il cleptomane, l’ isterico con ‘i suoi meravigliosi sdoppiamenti della personalità se non riserbassi di trattarvi in seguito questi singoli argomenti. Vi ho accennato oggi il caso dell’ epilettico poiché è tra i più frequenti, tra i più do- lorosi e pericolosi, perchè l'epilessia e gli stati di perturba- mento mentale che le si riferiscono sono fra i cultori della psichiatria universalmente, con i medesimi concetti scientifici, noti e definiti. Che pensereste voi d’un povero infelice colpito non solo da epilessia psichica ma anche da delirio paranoico di per- secuzione, afflitto, tormentato giorno e notte da continue alluci- nazioni, con ì segni più evidenti nel corpo e nella psiche della degenerazione, che in un momento di offuscamento mentale, pro- dotto dall’ azione simultanea del temperamento epilettico e delle idee persecutorie, commettesse un delitto grave, sproporzionato allo stimolo, colperido e ferendo senza discernimento avversari ed amici? Lo condannereste voi all’ ergastolo o non piuttosto lo rinchiudereste per sempre in un Manicomio Criminale, rispar- miando così a lui e alla sua famiglia l’ infamia e il disonore? La condanna sarebbe gravissimo errore. Eppure lo dico ama- ramente simile errore fu commesso pochi anni or sono in Ita- lia! (') A evitare tali errori, illuminando meglio intorno a si fatte questioni la mente umana, mira con lena indefessa l’Antropologia criminale. Se anche le sue dottrine non fossero esatte, lo scopo cui si volge è cosi aito, così nobile che di essa dovrebbesi di- scutere con maggiore rispetto, con migliore corredo di cognizioni di quanto ancora non si usi fare oggidi.

(1) Alludo al caso del soldato Magri.

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E opinione molto diffusa che gli antropologi criminalisti si servano nello studio dei delinquenti dei soli dati che risultano dallo esame delle fattezze del corpo e in special modo di quelle della testa. Ebbene, o Signori, codesta opinione è falsa. Lo studio del delinquente è molto vasto, molto complesso. Questo studio non si limita allo esame puramente anatomico dell’ individuo, non si limita cioè alla osservazione sola delle anomalie nella forma del corpo: ma esso indaga ogni altra manifestazione della nostra vita nel dominio delle funzioni vegetative, riproduttive, delle azioni riflesse, del potere di moto, delle sensibilità, del pensiero. La pro- prietà che ciascuno possiede di avvertire gli stimoli che proven- gono dal mondo esterno, proprietà per la quale noi sentiamo il contatto d’un corpo, per la quale proviamo la sofferenza d’una puntura dolorosa, lo strazio d’ una bruciatura, ha alimentato una ricca serie di brillanti e utilissime indagini. A lato a queste di- verse sensibilità sono stati sottoposti ad accurato esame i sensi come quelli che rappresentano l’anello principale di congiunzione fra noi e il mondo esteriore. Così pure ‘ogni altra funzione del nostro organismo nella sfera dell’ attività organica (respirazione, circolazione e composizione del sangue, digestione ecc.) e in quel- la della attività sessuale è stata sottoposta a rigorosa investiga- zione scientifica. fu trascurata un’altra importantissima ricerca, quella cioè che riguarda l’ intirna struttura, la microscopica con- formazione del più nobile fra i nostri organi, del cervello. La in- dagine psicologica, la analisi cioè del funzionamento del pensiero, delle alterazioni del contenuto delle idee, delle anomalie del sen- so morale ha portato un contributo poderoso alla biologia del de- linquente. In una parola ogni fenomeno della vita è stato preso in istudio : così e non altrimenti operando poteva raggiungere lo intento di stabilire confronti fra il criminale e P uomo sano. Ma tutte codeste indagini avrebbero avuto un valore meno deci- sivo se non si fossero accompagnate dalla osservazione dell’ am- biente, delle circostanze esteriori che sul delinquente spiegano la loro influenza e che fanno parte del patrimonio scientifico della sociologia criminale. Poichè un uomo non potrà mai equamente giudicarsi per rispetto al suo valore intellettuale e morale: se non prendendo in considerazione anche l ambiente in cui vissuto, l'educazione che gli è stata impartita, il grado di civiltà del po-

pooh a

polo cui egli appartiene e in mezzo al quale ha menato la pro- pria esistenza. Un selvaggio non può essere giudicato alla stessa stregua d’un uomo civilizzato: ciò che per questo è crimine, per quello può essere atto puramente normale, come presso i popoli delle isole Figi era naturalissimo che allorquando il re varava una barca si immolassero dieci o più persone per lavare la tolda con sangue umano. Gli è dallo esame dell'ambiente che sono sorti gli splendidi studi sul delitto politico, sull’anarchismo, sulla folla delinquente.

A queste diverse fonti hanno attinto ì cultori della Antropo- logia criminale per definire l'organismo fisico e psichico del de- linquente. Cosi si è costituito e ha preso forma concreta, in an- titesi con l’uomo sano, l’uomo criminale nelle sue diverse moda- lità di delinquente nato, pazzo, passionale, d’occasione, d’abitudine. Il criminale anomalo, e con questo appellativo intendo parlare singolarmente del delinquente nato, viene a formare, o Signori, quasi una sottorazza dell’ uomo normale, un arresto di sviluppo nella evoluzione. Egli ha impronte nel cranio, nel viso, nella conformazione del rimanente del corpo che gli appartengono in modo quasi assoluto: egli sente diversamente, egli ama in di- verso modo, egli pensa e giudica in maniera opposta alla normale. Nella vista, nell’udito, nezii altri sensi, nelle diverse forme di sen- sibilità egli mostra - come risulta da ricche e preziose ricerche (Ottolenghi, Bono, De-Sanctis, Marro, Bossi ecc.) che in avvenire esamineremo - notevoli e frequenti alterazioni. Così pure dicasi per le funzioni organiche e specialmente per quella che è cagione all’appetito sessuale: l'omosessualità, 11 sadismo, il maso- chismo, i feticismi più abbominevoli entrano a far parte frequente nell'appannaggio degenerativo del criminale anomalo. Persino la distribuzione della forma muscolare è assai spesso diversa dalla norma: il mancinismo, che nell’uomo normale è fatto strano e ra- ro, in esso è fenomeno frequente.

Questa specie di delinquente originario è adunque - come avrete potuto comprendere da quanto ora per sommi capi vi ho delineato - un essere particolare che dalla nascita porta con sè, nel suo sangue il triste germe del delitto. Egli stesso comprende di costituire una personalità diversa da quella comune e sfugge di solito la compagnia dell’onesto - non perchè lo tema, chè anzi lo deride - per unirsi a quelli che come lui sentono, amano, pen-

uri

sano e nei quali con straordinaria facilità ravvisa i suoi simili. Egli costituisce in qualche modo un piccolo, separato aggregato sociale in mezzo alla gran moltitudine degli altri uomini, ai quali non s'avvicina se non per tentare alla loro vita od alla loro pro- prietà. I delinquenti hanno il loro mondo piccolo se si vuole, rna tutto loro: hanno infatti una letteratura, un`arte speciale, un ger- go parlato e scritto comune solamente a loro, hanno costumanze, foggie di vestire speciali, hanno ricreatori, clubs (a Berlino fu scoperto un club di ladri), hanno persino codici e leggi.

L’accumulo delle note degenerative poi all’ individuo una speciale impronta, che si rivela senz'altro all’osservatore nelle fat- tezze del corpo e particolarmente in quelle del cranio e della fac- cia e che costituisce quello che Lombroso defini: tipo criminale.

Non in ogni reo anomalo pero, o Signori, si trovano egual- mente aggruppati questi pervertimenti, e il tipo varia: possono anche rinvenirsi in misura moderata. Ma anche in questi casi, se puo far difetto l'anomalia anatomica, non manca quella del pen- siero e del sentimento sia nell’ individuo in esame sia in quelli che lo generarono. Nella pluralità dei casi però è provato il fatto che nel delinquente anomalo si osserva un accumulo di queste stimmate degenerative fisiche e psichiche. Le eccezioni hanno of- ferto il modo ad alcuni per gittare il discredito sulle teorie soste- nute dalla scuola di Lombroso. Ma le critiche, se non si fanno con piena conoscenza di causa, controllando uno per uno con al- trettante osservazioni i risultati delle ricerche che si combattono, sono vuote e, siccome in questo caso toccano un argomento che ha grande importanza per il decoro della giustizia sociale e del sentimento di umanità che ci deve in ogni azione sorreggere, sono dannose e cattive. Negare come fanno alcuni, così per negare, pel timore che le nuove teorie aprano la via a tutti per delinquere a proprio agio, senza pol sapere se sia vero che tali teorie aprano codesta via, non è onesto: diciamolo francamente.

Ma sono davvero una novità le stimmate degenerative che la nuova scuola ha così riccamente osservato nel reo anomalo e che a questi danno una caratteristica impronta? Sono davvero una conclusione affrettata della scuola Lombrosiana come molti cre- dono anche oggi giorno? Vi ho annunciato da principio che avrei

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esaminato tale questione e quantunque a grandi linee, fugacemente, per non abusare della vostra benevola attenzione, lo farò volen- tieri poichè è questione molto importante a chiarirsi e sulla quale sono state dette tante inesattezze. M’ affido per questo esame alle fonti di ricerca che mi sembrano per questo intento migliori, alla storia, all’arte.

L’ Antropologia criminale ha' vissuto sotto altri nomi, è sorta soio nei tempi moderni a dignità di scienza autoctona, ma è anti- ca assai più che non s’immagini. Le prime osservazioni infatti apparvero intorno all’ anno 335 a. C. epoca in cui pitt rifulse la fama di Aristotile, il quale con la scintilla del genio che pre- corre i secoli intui con vastità di concetto il rapporto fra svilup- po fisico ed evoluzione psichica, tra anomalie del corpo e del- animo. Ma già prima di lui Platone aveva vôlto il suo ingegno a simili problemi ed è a Platone che si attribuisce da molti la in- venzione della Medicina psichica ricavata dal concetto che la sa- lute e la malattia, la virtù e il vizio abbiano alcune analogie nel principio di connessione fra il corpo e lo spirito. Ad Aristo- tile però devesi il primo lavoro completo sulla fisionomia. Ari- stotile ha una decisione dogmatica nelle affermazioni che nessu- no ai giorni nostri noserebbe imitare. Le sue affermazioni sor- passano di molto in vastità i postulati cui sono giunti gli An- tropologi moderni. Per lui l abbondanza di peli, l’ occhio spor- gente, le palpebre rigonfie sono segni certi di lussuria. Nel ci- nedo egli rileva lo sguardo languido, l’ atteggiamento umile, Pin- clinazione abituale della testa verso destra. Per Aristotile il naso tozzo indica pigrizia, l aquilino magnanimità, quello a pun- ta umor collerico: il labbro superiore che s’ avanzi più dell’ in- feriore indica stupidità. La conferma che alcuni degli aforismi Aristotelici hanno ricevuto dagli studiosi moderni devesi al fatto che quella grandissima mente procedeva nella osservazione scien- titica con profonda e coscienziosa severità. La vasta conoscenza della Zoologia, nella quale egli —- soccorso dai pinguiì tesori di Filippoedli Alessandro fece meravigliose scoperte, gli per-

| mise ottimamente di stabilire confronti comparativi nei tratti fisio-

nomici dell’ uomo e dell’ animale gittando così le prime basi di un metodo che ha preso una grande importanza nei tempi moder- ni. Gli occhi incavati, egli asserisce a questo proposito, sono in- dizio di delinquenza, come risulta dalla analogia con le scimmie.

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Dopo di lui il suo discepolo e successore nel Liceo d’ Atene, Teofrasto, sulle orme del maestro, scrisse un’ opera intitolata « de visu». E dopo Teofrasto, Galeno, Plinio, Avicenna, Hagesius, approvarono nelle loro opere le vedute scientifiche di Aristotile sulla fisionomia. La distribuzione della forza musco- lare più nel lato sinistro che in quello destro del corpo, fenome- no che Lombroso osservò nei criminali anomali e che rivelò agli studiosi ritenendo d’ essere stato il primo a notarlo, era già stato. notato nei criminali da Polemone, come lo stesso Lombroso ha poi constatato.

Salto a piè pari una gran parte della storia antica e moder- na poichè a citarvi i soli nomi farei cosa arida e per voi trop- po noiosa, mentre che a parlare delle singole opere ron mi ba- sterebbe lo spazio di tempo in cui deve contenersi una conferen- za. Non voglio però tralasciare alcune citazioni la cui importanza per il tempo e per la qualità delle persone vi apparirà ne son certo notevole. Incominciamo con la citazione meno sospetta : non è un positivista, è un religioso che parla, anzi un Santo. Nel suo Compendium teologicae veritatis (lib. 1.) De physionomia hominis, S. Bonaventura formula un giudizio molto assoluto che cioè « diversae membrorum dispositiones secundam artem physio- nomiae diversos effectos ac mores indicant in homine»: modifi- ca, in vero, subito dopo l’ assolutismo un po’ eccessivo di questa asserzione col dire che tali segni indicano una inclinazione della natura «quae tamen retineri potest paera rationis », ma poi esce in altre affermazioni pur esse assolute e di considerevole importanza come ad esempio le seguenti: i capelli imminenti sul- la fronte indicano « hominem ferum »; così pure indicano l uo- mo fiero i sopraccigli fatti di molti e lunghi peli e la capiglia- tura folta, orsina. era sfuggita ad un altro eminente religioso a S. Tommaso codesta correlazione fra costituzione del cor- po e manifestazioni della psiche, correlazione alla quale chiara- mente accenna nella Sununa theologica (17, 11., Questio XVII). Nel seicento O. Niquetius, un padre della compagnia di Gesù, scrisse un volume « Fisiognomia » nel quale dopo aver prova- to con citazioni come la Fisiognomica non sia sconosciuta ri- provata dagli scrittori sacri, detta una quantità di affermazioni che confermano molte delle teorie della scuola di Lombr»nso. Nel secolo XVII Samuele Fuchsius scrisse un piccolo trattato

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nel quale con ricchezza di osservazioni vengono descritti 1 ca- ratteri somatici e con molto senno è valutata la unportanza che essi meritano. Di queste due vecchie opere tanto istruttive e che furono così bene rivelate e commentate da Antonini sarei ben lieto - se lo potessi - di fornirvene un largo sunto. Ricorderò pure, poichè molto istruttivo, un editto medioevale riferito dal Valesio e citato da Lombroso e che suona precisamente così: ‘« nel caso di sospetto sopra l’ uno o l’ altro di due individui si applichi la tortura al più deforme ».

Le indagini degli antichi non si volsero esclusivamente allo studio dei caratteri somatici ina toccarono problemi anche più ardui: e ini piace a questo proposito rammentare che nel secolo XV Antonio Benivieni, medico e filosofo fiorentino, sezionando il cadavere di un insigne ladro riscontrò nel cervello particolari anomalie e non si limitò a notarle solamente ma (così dice Bon- figli che lo scritto del Benivieni ha esumato) localizzando, secondo le sue vedute, le facoltà mentali volle anche spiegare come quella anomalia fosse causa, se non altro, delle numerose recidive a cui quel famoso ladro andò soggetto. Nel secolo nostro le prime e più importanti osservazioni le compi Gall dal 1808 al 1825 e Spurzheim: dopo di loro pubblicarono interessanti ricerche Lauvergne coi suoi studi sui forzati, Derolandis, Sampson, Casper, Winslow, Thomson, Wilson, Mausdley, Despine, ecc. finche sorse l’era gloriosa delle ricerche di Lombroso che nel 1876 riuni i risultati dei suoi studi in uno splendido libro dal titolo « l’uoino delinquente in rapporto alla antropologia, la giurisprudenza, lv discipline carcerarie ».

A lato delle osservazioni compiute dagli scienziati, osserva- zioni simili venivano fatte dal popolo protano e come quelli nei libri, questo nei proverbi fissava i risultati della propria espe- rienza accumulata a traverso i secoli. Molti aforismi della scienza popolare furono confermati veri dagli studi moderni. La scienza tisionomica del popolo è molto ricca, molto decisa e severa e può riassumersi nel motto latino: a vultu vitium.

Un'altra prova luminosa della esistenza di particolari stimmate nei criminali e della conoscenza antica di questi segni è fornita dalle opere di artisti, che col potere profondo loro osservazione e con l’intuito del genio antevidero in tempi assai lontani quanto modernamente è stato con veste scientifica rilevato e stabilito,

0 L'arte ha compreso il tipo criminale assai prima che la moderna scienza lo dimostrasse. Non furono invero le dottrine di Loni- broso, non furono gli studi della nuova scuola che apprestarono i segni della degenerazione e della delinquenza ai dannati e al demoni del Giudizio dell’Orgagna, ai soldati della Strage degli Innocenti di Giotto, ai genî del male di Antonio Tempesta, ai demoni del Giudizio di Michelangelo, ai martirizzatori del Cristo coronato di spine del Tiziano, al Giuda della Santa Cena” e agli offensori di Cristo nella salita al Calvario di Raffaello, ai soldati del Cristo flagellato di Federico Barocchio, ai si- cari del supplizio di S. Lorenzo del Ribera e a molti tipi di criminali che spiccano nelle tele di Robusti, dei Caracci, di Carlo Maratti, di Rubens, di M. Fréminet, di C. Lebrun, di Gérard de Lairesse e di tanti altri eminenti artisti. Non furono le teorie di Lombroso che posero in vista i segni dege- nerativi che si ammirano nei busti di Caligola, di Nerone, di Mes- salina, che possono pure osservarsi nelle Meduse, nelle Arpie, nelle Parche della scultura greca. E vorrei indugiare in una ana- lisi minuta di queste opere, vorrei dimostrarvi sulla scorta dello splendido studio di Lefort che gli artisti geniali di tutti i tempi e di tutte le scuole hanno veduto ed affermato con la sublime arte loro il tipo criminale con le sue speciali caratteristiche nel cranio, nella faccia, nel rimanente del corpo: ma quello che og- gi non m'è concesso di fare sui preziosi tesori dell’arte lo farò in seguito poiché l'argomento è molto istruttivo ed attraente. E lo studio di codesti tesuri è vasto. L’arte, Signori, non s'è contenuta nei confini dell’ alterazione organica ma ha toccato problemi più ardui, più complessi dettando pagine meravigliose di psicologia criminale. Dante, che nel Convivio così bene delineò la costituzione della psiche umana, preludendo alla teoria della stratificazione del carattere del nostro Sergi, nella Divina Commedia immortalò con “acuto senso psicologico alcuni tipi di delinquenti : la coppia adul- tera in Francesca e Paolo, il violento Filippo Argenti, il criminale ladro Vanni Fucci,.il simoniaco Nicolò 3.°, il falsario Maestro Adamo da Brescia. Manzoni nei Promessi sposi ha descritto con arte sublime e con profondo spirito di osservazione le diverse forme con cui si esplica la criminalità, delineando di ognuna « con un’esattezza meravigliosa i caratteri che la scienza le attribuisce e ciò fin nelle più minute particolarità, fin nelle sfumature, se si

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può dire così, dei tipi e dei caratteri » (Leggiardi-Laura). Nel l’opera Manzoniana tutta la classificazione scientifica dei delin- quenti è rappresentata : il criminale nato (Griso, Nibbio, 1 bravi, Don Rodrigo, conte Attilio ecc.); il delinquente d’occasione (1° In- nominato); il criminale per impeto di passione (Fra Cristoforo); la coppia criminale (Don Rodrigo e conte Attilio - Egidio e la Mo- naca di Monza); la folla delinquente. E dove pure con straordi- naria potenza di osservazione, con « la descrizione psicologica più geniale ed ancora insuperata » (Ferri) è affermato il tipo criminale si è nelle opere di Shakespeare, opere in cui palpi- tano in modo mirabile per verità i diversi organismi delinquenti. Macbeth, Amleto, Otello incarnano genialmente i tipi più impor- tanti del criminale: il delinquente nato, il delinquente pazzo, il delinquente omicida passionale. Nella suggestione potentissima del delinquente scaltro Iago su Otello, nella dipendenza intellet- tuale e morale di Otello a Iago è delineata in modo completo la tisio-patologia della coppia criminale. Mirabili anche sono le de- scrizioni che ha dato di altri tipi di delinquenti come Giulio Cesare, Riccardo III, il bastardo Giovauni, Volsey, Buckingam e delle forme psicopatiche che ha tracciate in Ofelia, in Amleto, in Timone d’ Atene, in Giovanna d’ Arco, in Re Lear ecc. L'arte dunque, o Signori, « ha mostrato ed ha ritratto il tipo criminale assai pri- ma che lo trovasse l’antropologia » (Lombroso).

Si è obbiettato recentemente dall'’Alimena che la testimonianza de l’arte a favore dei tipi anatomici è negativa perchè i caratteri che nelle diverse opere si osservano non hanno valore peculiare e specifico, non rivelano quel tipo che la scienza ha designato nelle varie specie di criminali a una folla segni sparsi a ca- so per la ricerca dell’effetto e che altro non sono se non le stim- mate che generalmente si riscontrano nei degeneérati, negli esseri bassi. Ma questa obbiezione che a tutta prima sembra grave non lo appare altrettanto se ci si indugia un poco a considerarla. L’Alimena ha voluto troppo pretendere dal genio degli artisti. L’artista ha constatato che il criminale è fornito di note degene- rative che lo differenziano dall’uomo normale: questo è gia molto e di grande importanza positiva, Un lavoro di sintesi tale da con- durre alla affermazione sicura di un tipo criminale rispondente a quello che la scienza moderna ha rilevato non si poteva preten- dere da chi, pur fornito di potente osservazione, illuminato dalla

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fiamma del genio, non aveva copia di elementi motivo scienti- fico per effettuare codesta sintesi. Sono occorse centinaia di os- servazioni per giungere alle attuali conoscenze, centinaia di pro- ve e riprove, sono occorse le più recenti scoperte di fisiologia, di psicologia, di psichiatria per chiarire i problemi ardui della criminalità. Poteva un artista senza l’aiuto di queste scienze, con un corredo limitato di osservazioni non legate da un metodo con- cepire e nettamente fissare quel tipo criminale che rappresenta oggi il frutto di tanti studi ripetuti per anni con lavoro incessante ? Questo invero non era lecito sperarlo anche dal genio per quanto vasti sieno i confini della sua fecondità. La prova dell’arte è stata grande, luminosamente positiva.

E l’arte darà ancora nuova messe di preziose osservazioni. dobbiamo pretendere che gli artisti creino sempre tipi che corri- spondano a quello che la scienza saprà domani per dare alle loro opere un valore probatorio, come pensa Alimena: non è giusto considerare l’ artista che conferma e non anticipa una scoperta quale un semplice imitatore: eppoi ogni conferma non è forse un nuovo raggio di luce che meglio rischiara la verità? Lo spirito di osservazione che ha reso eccellenti gli artisti dei tempi passati non è spento in ognuno degli odierni. Non possiamo e non dob- biamo credere a tanta superticialità e pensare che un artista mo- derno quando non crea e descrive invece un tipo di delinquente, quale oggi giorno è noto, altro non sia che un plagiario delle opere di Lombroso. Le opere della nuova scuola saranno aiuto, guida, stimolo alle ricerche: ma non cessa per questo lo spirito personale di osservazione dal quale dobbiamo ancora attendere molto per la conquista non solo di nuovi veri ma anche per la gioria di quello che sino ad ora si è determinato,

Come dunque avete sentito, o Signori, ciò che viene battez- zato ai giorni d'oggi col nome di dottrina nuova, che viene giu- dicato quale un prodotto immaturo della mente e della volontà di un sol uomo, di Cesare Lombroso, non è che la comprovazione sperimentale scientifica di verità che da secoli esistevano nella coscienza umana e che erano rivelate nella scienza antica ri- salendo sino ad Aristotile, a Platone, nella scienza popolare, nelle opere dei geni dell’ arte. Una novità esiste in vero ed è nel

metodo puramente obbiettivo della indagine; la novità è nella ap-

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plicazione che di queste dottrine si cerca fare alla teoria delle pene. Ed è principalmente perciò che la scuola di Lombroso ha diritto di chiamarsi scuola nuova.

L Antropologia criminale è sorta a dignità di scienza e si mantiene nel suo posto elevato per l’ opera indefessa di Lombro- so, per il lavoro di una pleiade di valorosi come Ferri, Marro, Garofalo, Amadei, Frigerio, Virgilio, Tonnini, Otto- lenghi, Roncoroni, Carrara, Ferrero ecc. Ma mi piace pur notare, perchè segno palese di vitalità delle nuove dottrine, che a rafforzare le basi dell’ Antropologia criminale illuminando alcu- ni dei più gravi problemi di questa scienza, concorsero senza le- gami di scuola, con piena indipendenza metodo molti dei mi- gliori ingegni della nostra Psichiatria quali Bon tigli, Morsel- li, Tamburini ecc. Non tutte le idee di Lom broso rimarranno: il suo stesso ingegno evolutivo sulla scorta del progresso peren- ne scientifico le modifichera. Ma si può prevedere fin d’ora che solo alcune pagine del gran libro scientitico che ha formato po- tranno essere modificate : il tipo criminale nato - la più bella e più grande manifestazione dell’ingegno suo - rimarrà.

Ed ora, o Signori, dinanzi alla formidabile materia scientifica che costituisce l’Antropologia criminale, con lo scarso tempo che ci divide dalla fine de l’anno scolastico noi non potremo studiare che alcuni solamente dei problemi importanti che questa scienza ha risoluto. Ed io anzi mi intratterro in particolar modo su quelli che hanno ottenuto nel mondo degli scienziati un consentimento generale. Voi - l’ho detto da principio - non dovete molto attendere da me: io vi darò alcuni cenni. Voi con l'ingegno vostro, con l’a- more per questi studi che tanto debbono scientificamente e prati- camente interessarvi colmerete la vostra cultura. La mia esposi- zione sarà mediocre: ma voi di essa non avete a contentarvi, Voi studiando il gran libro de l’Antropologia criminale scoprirete orizzonti scientifici rifulgenti di luce, infiniti: voi non dovrete limitare ad alcune parti solamente il vostro studio, dovrete pren- derne conoscenza completa. Ed allora, o Signori - ve lo accerto - il complesso vi apparirà meraviglioso,

z Opere consultate

Archivio di Psichiatria, Scienze Penali ed Antropologia Criminale Tori- no, Ed. Bocca; passim.

Puccinotti. Storia della Medicina. Livorno, 1859. Ed. Wagner.

Ferri. I nuovi orizzonti del diritto e della procedura penale. Bologna, Tipog. Nicola Zanichelli. 1884.

Marro. I caratteri dei delinquenti. Torino, 188%.

Lombroso C. L'uomo delinquente ecc. Torino, 1897. V. Edizione. Ed. Bocca.

E. Morselli. Antropologia Generale ( Lezioni su l’uomo secondo la teoria dell’evoluzione). Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1888-1899.

Th. Piderit. La Mimique et la physiognomonie. F. Alcan, Editeur. Parigi, 1888.

E. Lefort. Le type criminel d’aprés les savants et les artistes. Storck- Masson, Hditeurs. Lione-Parigi.

A. Niceforo. Criminali e degenerati dell’ Inferno Dantesco. Torino, 1898. Ed. Bocca.

C. Leggiardi-Laura. Il delinquente nei « Promessi Sposi » Torino, 1899. Ed. Bocca.

Ferri. I delinquenti nell'arte. Libreria editrice ligure. Genova, 1896.

G. Ziino. Shakspeare e la scienza moderna. Studio medico-psicologico e giuridico. Palermo, A. Reber editore, 1897.

B. Alimena. Il Delitto nell'arte. Torino. Ed. Bocca, 1899.

A proposito di una recente classificazione delle malattie mentali

(vedi num. precedente )

| Egregio collega

Sebbene non abbia la fortuna di conoscerla di persona, sento nondimeno il bisogno di scriverle per ringraziarla sentitamente dell’ articolo che Ella ha avuto la bontà di dedicare ad una mia modesta pubblicazioncella, e che è apparso nell’ ultimo numero del loro Bollettino. La ringrazio di cuore sia perchè ta sempre piacere vedere discusse, in qual siasi modo, le proprie idee; sia perchè , se altri facessero come Ella ha fatto, il mio scritto

avrebbe raggiunto lo scopo che io m’ era prefisso; cioè quello di richiamare l’ attenzione sull’ argomento. Mi permetta però che le aggiunga che il tono non troppo benevolo dell’ articolo è stato per ine cagione di soddisfazione, perchè lusinga il mio amor proprio il vedere che un critico non benevolo non ha potuto trovare altri appunti al di la di quelli che nel suo articolo si contengono. Giacchè, infatti, io non considero come peccato imperdonabile quello di non essermi attenuto alle idee dell’ Hecker apparse, come Ella stesso dice, 23 anni fa; come imperdonabile l’avere ommesso fra le tante classitiche quella ultima del Kraepelin che, con tutto il rispetto dovuto all’ autore, non è poi che una fra le tante, e niente dice che debba essere la detinitiva, anzi fa sup- porre che non debba essere tale il fatto che, pur essendo appar- sa da tre anni, non pare abbia chiuso del tutto la questione. Non considero come appunto serio l’avere frammentate delle malattie, quando ho posto per titolo del mio scritto: classificazione degli stati -psicopatici, e non delle malattie mentali; quello di ave- re espresso in qualche punto qualche idea che può avvicinarsi a qualcuna del Venturi; il quale, ad onta dei difetti che ogni uomo intelligente ha nella sua costituzione psichica, è uno dei più forti intelletti della moderna psichiatria italiana, ed Ella onora di molto mettendomi in sua compagnia. Sono io poi il pri- Ino a convenire di non essere affatto persuaso doversi il criterio prognostico mettere a base della classificazione delle malattie mentali, non fosse altro se non per questo che la prognosi è qual- che cosa di così intimamente legato all’ individuo sofferente ed alla sua speciale costituzione e temperamento, che diventerebbe con questo criterio impossibile qualunque classificazione, credo dovrebbe confondersi questo con quello che dice l’ Hecker, che la perfezione della scienza dovrà consistere nel poter determinare dai primi sintomi il decorso del male; e ad ogni modo credo che, poichè a tale perfezione non si è ancora giunti, per ora tale cri- terio non può mettersi a base di divisioni ed aggruppamenti. É per ciò che io mi sono attenuto invece al triplice criterio del- Y eziologia, dell’ anatomia patologica e della sintomatologia, come Ella stesso dice; pur dicendo, non so perchè, di non averlo capi- to. È naturale però che per la imperfezione appunto delle nostre conoscenze è molto malagevole accordare i tre suindicati criteri nella costituzione di ogni singolo gruppo o sottogruppo; ond’ è

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si r

che ho dovuto dare la prevalenza o all'uno o all'altro a seconda dei diversi casi, a seconda che maggiori sono le conoscenze in uno O ln un alto calupo, nei diversi gruppi di psicopatie. Sono io il primo a convenire cue le forte eberreniche abbiano un fattore CuUUgeno; cosa di cui credo aver leuuto conto dal momento Che le lv classuicate Ira ie watatue degenerative; piuttosto non

who wal Legato che potessero esservi in esse delle alterazioni

cellulari j come non lu negato che vi siano nelle fi e.iosi semi, questo e un punto nel quale posso al massimo convenire di non ESseriul espresso Invito ciialuuente, si da aver potuto essere da lei non bene luterpretato. Ed in ultiuo convengo perfettamente che iu wolu puuti lo emesso delle ipotesi, specialmente a propo- sito del Iundatuento unon dico anatolica, Iua piuttosto tisiopatoilo- gico dee psicosi acule, ma l0 stessu Bufalini non wi pare poi che riprovi tanto questo sistema! bh! Ora mai è dimostrato che, per quanto Lusservazione e 1 esperienza debbano stare in cima alle ricerche scientiliche, li lavorio cerebrale che sulla base di Queste Usservazioni ed esperienze si eleva a vedute teoriche ha pure la sua nupourtanza, e ne hanno la loro anche le ipotesi, le vedute teoriche coe che uon Sono completamente dimostrate, che auticipano qualche cosa, ma Che non sonc percio in conwaddizio- ne con quelo che dalla osservazione e uall’ esperienza risulta. Fiuche uunque nou. sia diuostrato che vi siano dei fatti che le cmariscano erronee, noun credo possa dirsi che non sia lecito emet- tere Ipotesi.

Voglio con questo coucludere che la mia classiticazione è perfetta Affatto, €, ripeto, sono felice delle critiche che le si muovono. Ho voluto sviamente farle notare quello che alle sue Obbiezioni potrebbe, secondo ine, rispondersi. Le ho scritte in for- ua privata per uon aver laria d’andare alla ricerca di polemi- che; nondimeno se Kila ed il suo Direttore, al quale sarà gentile porgere i miei ossequì, volessero dare pubblicità alla presente, io me ne rimetto perfettamente a loro.

Mi creda, intanto, con stima

Dott. GaETANO ANGIOLELLA

Nocera 30 Marzo 1899

csi

Ringrazio della risposta la cortesia del Dottor Angiolella. Non so perchè l’ egregio collega tema di «aver l’aria d’ andare alla ricerca di polemiche ». Tutti coloro che studiano i problemi della nostra scienza e non sono paralizzati dagli .sconfortì di uno scetticismo stanco e infecondo, fanno opera utile a difendere e far valere le proprie idee e a discutere quelle degli altri, senza per questo apparire nell’ aspetto antipatico di « fantasimi che cer- cano la guerra ».

Mi conceda il Collega di non convenire con Lui e di non re- putare giustificazione valida la sua, quando all’ osservazione che nella sua classifica passano per malattie dei frammenti di ma- lattia, Egli oppone che il titolo appunto del suo lavoro è quello di « classificazione degli stati psicopatici ». Invece tutta la dissertazione è li a dimostrare che l’ egregio Collega ha veramen- te inteso di classificare delle malattie. Non ha Egli detto fin da principio (pag. 7) che « cîò che oggi occorre in psicopatologia è la benintesa (2) costituzione delle varie entità cliniche », e non ha citate per confronto e discusse nove classificazioni di malattie mentali (tali almeno sono nel concetto e nel proposito degli au- tori)? E a capo della serie che comprende le manie, le linema- nie, la confusione, gli stati stuporosi e sonnnmbolici ecc. non è scritto visibilmente « malattie mentali nello stretto senso » « ma- lattie che possono svilupparsi sulla base di una semplice invalidità cerebrale, legate a lesioni minute e guaribili delle cellule nervo- se » ? Insomma, o Egli ha voluto classificare degli stati morbosi e allora non s'intende perchè vi comprenda la` Paralisi progressi- va e l’ Ebefrenia, che sono vere malattie , processi morbosi nel corso dei quali tutti i più vari stati psicopatici passano e si av- vicendano ; od ha inteso di classificare delle malattie, nel qual caso perchè mai vi comprende la lipemania, la mania, gli stati stuporosi che sono sindromi e non malattie? Ovvero nel linguag- gio di Angiolella i termini malattia mentale, sindrome e stato psicopatico si equivalgono e suonano la stessa cosa, e allora non aveva io torto a ricordare con Hecker che una delle ragioni di questa sciagurata confusione babilonica di linguaggio che affligge la psichiatria sta nell’identificare if concetto di stato morboso con quello di processo morboso.

Dal quale pensiero dell’ Hecker il dottor Angiolella crede che non sia dànno l allontanarsi; la classificazione ultima del

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Kraepelin, che r2ppresenta una prosecuzione sapiente delle idee di Hecker e di Kahl baum (di quelle idee, delle quali Morselli scriveva non è gran tempo: « più cresce la mia esperienza e più veggo la profondità e il valore delle vedute di Kahlbaum che forse ha anticipato di molti anni i futuri progressi della patolo- gia mentale (') ») la classificazione recente di Kraepelin, dicevo, per lui « non é che una fra le tante, e niente dice che debba essere la definitiva. » Ma chi ha mai detto che debba essere la definitiva? Invece io ho rilevato come sia strano che, in uno scritto inteso a proporre questo argomento all’ attenzione dei mae- stri, si citi del Kraepelin una vecchia classificazione abbando- nata dall’ autore, e si taccia di una recente, che ( almeno questo concederà il Colleca) è il portato di una lunga fatica, degna del-

la più grande considerazione. avere ricordata la prima e taciuta la recente vuol dire che

Angiolella non apprezza come progresso l’ orientamento nuovo della psichiatria kraepeliniana; ciò ch° Egli conferma e spiega dichiarando « di non essere affatto persuaso doversi il criterio

prognostico mettere a hase della classifica delle malaltie mentali ». E su quale criterio di grazia ci fonderemo?

Sull’ anatomico ? Gli osservatori più autorevoli c’ insegnano che « le alterazioni delle cellule dimostrabili nei singoli processi patologici non sono espressione del disturbo funzionale, ma deno- tano in prima linea il turbamento del bilancio materiale cagionato dalle singole azioni nocive (*) ». Sull’ eziologico ? Se si prescin-

(1) Note al Ballet. pag. 86.

(2) Rivista di patologia nervosa e mentale 1898 pag. 500. Il dott. Angiolella (pag. 6) crede « si possa profetizzare che pressochè

tutta la nomenclatura psichiatrica sarà coll' andar del tempo rinnovata, e agli odierni nomi che sono in rapporto or colla forma sintomatica ora coll’ elemen- to etiologico, altri se ne sostituiranno indici del disturbo istofisiologico degli elementi cerebrali ». Io penso che sarebbe male se questo avvenisse. Applica- to con conseguenza alla patologia interna questo principio dell’ aristocrazia dei fatti anatomici, esso condurrebbe, come osservava Murri, a considerare la febbre tifoide come un' enterite ulcerosa, la febbre perniciosa come una splenite acuta, l’ avvelenamento per fosforo come un’epatite parenchimatosa, la scarlattina come una nefrite, un’ iperemia cutanea o un’ angina difterica ecc. Non so che cosa di meglio ne verrebbe alla Psichiatria. (V. Murri. Lo Sperimentale, 1876 p. 628. - V. anche le bellissime pagne. che a questo pro- posito hanno scritto Magnan e Legrain nel libro - Led dégénérés, 1895.

ediz

de dalle intossicazioni e dall’ esaurimento, Com’ è stato detto le mille volte, neanche questo è possibile: tutte le malattie che pos- sono insorgere per uno dei fattori invocati dall’ eziologia, insor- gono anche senza di esso: perchè « ciò che noi sogliamo chiamar causa non è veramente che una parte della cagione (') ». Chi facesse un gruppo delle malattie interne, sulle quali può agire come influenza causale il raffreddamento, metterebbe insieme la pneumonite e la nefrite, la corizza e la mielite, la emoglobinuria parossistica e la clorosi da freddo di Murrì e comporrebbe un viluppo strano di fatti disparati; ma non può fare opera miglio- re chi presuma ora di dare una classificazione etiologica delle malattie mentali.

» Io mi sono attenulo (secuita invece Angiolella) al tri- plice criterio dell eziolngia, del?’ anatomia patologica e della sin- tomatologia: é naturale che per la imperfezione delle nostre co- noscense é molto malagerole accordare i tre suindicati criteri, ont è che ho dovuto dare la prevalenza ora all’ uno ora al- P altro secondo i casi ».

Che cosa ne risulta? Una classificazione dove l'anatomia pa- tologica manca necessariamente in un terzo delle malattie e per un altro terzo è bisognato inventarla; dove l eziologia si ridnce press’ a poco all’ arbitraria affermazione della degenerazione o del- la semplice invalidità cerebrale, dove le designazioni sintomatiche e le distinzioni psicologiche stanno in luogo delle distinzioni cli- niche. Preoccupato - di spiegare tutto e definir tutto, l’ egregio autore abbandona la terraferma dell’ osservazione clinica per cor- rer dietro a dei fantasmi d’° interpretazioni. Ed ecco « la lipe- mania che si deve a un eccitamento dei centri della sensibilità generale e sopratutto delle cellule in cui si elaborano le impres- sioni psichiche che chinminmo dolorose (?!) » (paz. 63); ecco « le paranoie acute caratterizzate essenzialmente dallo stato di pau- ra, cioé di diminuzione del senso della propria personalita ecc. » (pag. 64); ecco « le manie che si hanno quando prevale l eccita- mento dei centri ideativi ecc. »; ecco insomma la psichiatria che presume di fornire spiegazioni prima ancora di avere dato un or- dinamento pratico del materiale d’ osservazione.

(i1) Murri. Policlinico 1895 pag. 9.

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Il proposito d’ attenersi al triplice criterio non è dunque per ora attuabile. Come ha osservato benissimo Finzi, « classificare una malattia non è definire una malattia: definirla è mostrarne l’ intima natara, traendo profitto da tutti gli elementi nosologici che ad essa si riferiscono ; classificarla è assegnarle un posto fra le altre in ordine ad un determinato criterio fondamentale. Tale criterio per noi è la prognosi » (').

C’é insomma un periodo nella storia della medicina, in cui, essendo scarsa e crepuscolare la luce diffusa dall’ anatomia pato- logica e dalla fisiologia, le malattie sono conosciute solamente come successioni determinate di sintomi con modo d'’ iniziarsi, di decorrere e di finire loro proprio. Così i medici, anche prima che, vinte le riluttanze di Valsalva e di Morgagni, aprissero ca- daveri di tisici, sapevano che un uomo che ha tosse e dimagra, che ha febbre vespertina e sputa sangue, finisce attraverso a spe- ciali accidenti nella consunzione per un distinto processo morbo- so. Così, un secolo prima di noi, il farmacista dell’ ospedale di Bedlam sapeva che certi ammalati dalla parola impacciata e dal- la memoria indebolita, che sono deboli al punto da non potersi reggere e si dicono molto signori e capaci dei più grandi sforzi, senza presentare miglioramenti, muoiono improvvisamente o ca- dono nell’ imbecilità e nel marasmo in seguito ad attacchi ripe-

(1) Molto istruttiva è a questo proposito una pagina di un grande scien- ziato, lo Stricker (Patologia generale pag. 440).

« La divisione dei tumori in benigni e maligni è stata oppugnata da molti; perchè essa manca (si dice) di base scientifica. Secondo questi tali, la distinzione «lei tumori si deve fare partendo dalla loro struttura e gene- si; e non già dai rapporti che essi hanno coll’ organismo, ossia partendo dal- le idee che noi ci siamo formate intorno al minore o maggiore danno che ì tumori arrecano all’ organismo medesimo.

Queste obbiezioni non mi persnadono.

Ammetto anch'io che è molto utile ed anche conforme alla scienza l'e- saminare i tumori al microscopio. ed in ogni neoplasia riconoscere tosto 1 tessuti che la compongono e il modo come s' è sviluppata, ma quel che più preme ai medici che si trovano al letto del malato è d'imparare a conosce- re il grado di malignità della neoplasie, e s' eglino sono favorevoli all’ esa- me microscopico dei tumori, è solo per ciò che sperano e desiderano d’esse- re chiariti intorno a questo importante quesito della malignità.

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tuti: Bayle, vent’ anni dopo, raccogliendo in un fascio i casi clinici che presentano questo decorso e quest’ esito, proclamò en- tità clinica la Paralisi progressiva: una conquista incancellabile. Dalla tabe alla paralisi di Landry e alla paralisi bulbare, numerose malattie furono distinte per questo modo: prima come determinate successioni di sintomi, con decorso ed esiti speciali a ciascuna; l’ anatomia patologica è venuta poi ed ha posto il suo suggello alle entità morbose clinicamente riconosciute.

E questa conoscenza delle malattie, anche se non attraversa la corteccia opaca che nasconde la natura dei fenomeni, non è perciò meno preziosa al medico, al quale è così reso possibile il compito che al letto del malato lo preme più da vicino: il giudizio prognostico. Riconosciuta infatti dall’ analisi dei sinto- mi la presenza di uno di questi processi morbosi che la osserva- zione clinica ha distinto, egli vede nell’ avvenire dell’ infermo e predice le fasi future del male.

Nel momento storico che la psichiatria attraversa non è pos- sibile altra conoscenza delle malattie mentali. Noi dovremmo in- somma aggruppare 1 casi clinici che, considerati in tutto il loro decorso dal principio fino alla fine, si mostrano uniformi e nel modo d’iniziarsi e nel sintomi che si avvicendano e nell’ esito ;

Ora di questo bisogno dei medici non si tiene bastantemente conto quan- do noi diciamo loro che le neoplasie non si distinguono più in benigne e maligne, si bene secondo la loro derivazione dai foglietti blastodermici ecc. Per convalidare maggiormente le loro obbiezioni i nostri oppositori sono an- dati a tirar fuori anche la botanica, facendo rilevare quanto sarebbe contra- rio al metodo scientifico distinguere la pianta secondo l'utile e il danno che arrecano e non secondo la loro costituzione. Intanto io osservo anzitutto alla mia volta che l agricoltore considera anch’ egli la botanica come una bella scienza, ma ciò non pertanto egli distingne le proprie piante secondo il ri- cavato che gli dànno.

In secondo luogo io non nego che per chi voglia studiare i tumori uni- camente e puramente dal punto di vista della storia naturale la migliore classificazione non sia quella che si desume dalla morfologia e della genesi dei tumori stessi, ma dico che il medico fa bene a non abbandonare la clas- sifcazione che è fondata sulla loro malignità.... Infatti la materia che costi- tuisce l’intera patologia è stata artificialmente disgiunta dalle altre scienze naturali, e racchiusa entro certi limiti, a secondo dei nostri bisogni, »

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perchè solo quando si consideri il decorso complessivo e l’esito come il sintomo più caratteristico d'una malattia (ecco il criterio prognostico respinto da Angiolella), si può discernere 1’ essen- ziale dall’accessorio, e si evita di concedere a dei sintomi parti» colari un eccesso d’ importanza e di riferire ad una sola forma morbosa tutti i casi che hanno comune qualche fenomeno saliente.

Tutta la storia della psichiatria è piena di quest’ errore: Hecker, noi l'abbiamo veduto, lo combatteva ora sono più che ventanni, Wernicke ne rileva la persistenza nella psichiatria dei nostri giorni. Questo è quel ramo (così Egli scriveva nell’ a- prire le sue lezioni nel 1894) che è rimasto addietro nel suo sviluppo e si trova oggi a quello stesso punto che circa un se- colo fa tutto il resto della medicina..... La conoscenza medica delle malattie non si estendeva molto più in di quella che tro- viamo ancora oggi sparsa nel pubblico, quando esso riguarda la tosse, la palpitazione, l’anemia, l’itterizia, la consunzione come par- ticolari malattie. Questo precisamente è lo stato attuate della psi- chiatria, almeno presso la maggioranza degli alienisti suoi cultori. Certi sintomi di particolare importanza formano per stessi l’es- senza propria della malattia: cosi uno stato depresso dell’animo, preso nel più largo senso, costituisce l’ essenza della melanconia, uno stato di esaltazione con eccesso di movimenti quello della mania, e così di seguito. Si distingue ora una quantità di tali presunte malattie... (1).

Tale è l’indirizzo puramente sintomatologico al quale sono informate le classificazioni psichiatriche negli ultimi decennî : per esso si continua a parlare di una demenza consecutiva o termi- nale ; si nega l’ebefrenia e si disconosce la demenza precoce per parlare di modificazioni ebefreniche della mania, della melan- colia, della paranoia (2); si deforma il concetto della paranoia per ammettere delle paranoie acute e si seguita a diagnosticare la mania, le melancolia, la confusione, lo stato stuporoso, la fre- nosi sensoria, la demenza consecutiva, come non fosse vero che questi stati morbosi si collegano a un passato morboso insepara-

(1) Wernicke. Istituzioni di psichiatria. Trad. di N. Sbertoli 1890. pag. 2. (2) Ziehen. Psychiatrie, pag. 231.

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bile, o ad un avvenire che bisognerebbe prevedere. Per fare di queste diagnosi non c'è neanche bisogno d’ esser medici, bastano gl'infermieri.

Da ultimo Angiolella esalta l’ ipotesi come strumento di scienza. Nessuno che abbia l'intelletto sano può dissentire, io ho mai pensato o detto il contrario; sebbene è vero che mi sono espresso contro certe ipotesi, le quali non anticipano nulla del- l’avvenire e sono in contraddizione con quello che dall osserva- zione e dall'esperienza risulta vero.

Quando Angiolella arregimenta la ebefrenia e la sua sot- tospecie : la catatonia, in un gruppo di malattie che « rappre- sentano esagerazioni patologiche di certe alterazioni che normal- mente si verificano nel carattere e in generale nella funzionalità cerebrale e nervosa ecc. » (pag. 54), non esprime dell ebefrenia un concetto contro cui stanno P osservazione e l esperienza? Un unmo costituzionalmente magro ed anemico ammala di tu- bercolosi : la malattia che lo consuma accentua queste qualità congenite : del lavorio segreto e implacabile questa è la manife- stazione esteriore e palese che prima viene in vista e colpisce una osservazione anche superficiale. Davanti a questo fatto di tut- ti i giorni se qualche secolo prima di Roberto Koch un me- dico, al quale era oscura l’ essenza di quella malattia, così come a noi è oscura l’essenza d’una malattia mentale, avesse asseverato che quella malattia « rappresentava un’ esagerazione patologica della costituzione normale dell’ individuo », che cosa avrebbe af- ferrato della verità, che cosa avrebbe anticipato delle scoperte ammirande di poi? Evidentemente nulla ; egli avrebbe invece fatto ciò che Bacone chiamava un’anficipnatio, egli avrebbe espressa una veduta teorica male dedotta da una osservazione incompleta dei fatti: nel malato è bensi il dimagramento, l’ esagerazione cioè del difetto costituzionale, ma coesistono per chi sa vedere tanti e tanti altri fenomeni che sono della malattia una rivela- zione diretta ed essenziale. Quel medico avrebbe poi dimenticato che la tisi colpisce anche individui dalla nutrizione apparente- mente florida, così come Angiolella par che dimentichi che molti ebefrenici, prima della tisi psichica, avevano addimostrata una organizzazione psichica per ogni rispetto felice.

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Io espressi anche qualche dubbio su quella specie di patoge- nesi dinamica che Angioleila assegna all’ ebefrenia. La vec- chia patogenesi sessuale dell’ isterismo non aveva più debole fon- damento di questa. Tutti gli uomini attraversano i tumulti sessuali della pubertà; pochissimi per fortuna ammalano allora di quella speciale forma tanto illustrata da alcuni medici della Germania; molti ammalano allora con altre malattie mentali, colla frenosi maniaco-depressiva, colla neurastenia e coll’ isterismo; altri sono colpiti da quella malattia quando gia son fuori di quella eta af- faticata dai ribollimenti della sessualita prorompente, e dalla cura preparatrice dell’ avvenire. Una ipotesi, perchè sia rispettabile, deve dar ragione di tutto ciò e dire perchè solo quei pochi am- imalano in quella speciale forma; deve illuminare in qualche mo- do il processo patogenetico attraverso il quale una psiche prima sana, 0, anche se volete, anomala subisce quelio speciale deterio- ramento ; deve indicare con determinazione perchè certi poteri, come i mnemonici, mantengono con poco mutamento, altri co- me gli affettivi e i volitivi si alterano così profondamente ecc. Che lume invece ci danno delle affermazioni come quelle che citai, o delle forimole come queste di Venturi: « La pazzia ma- sturbatoria rispetto alla vita sessuale risponde perfettamente all’e- befrenia rispetto alla vita psichica. Quella è l’espressione dell’in- capacità dell’individuo all’esercizio dell'amore. .; l’ebefrenia è l’e- spressione dell’incapacità ad arrivare all esercizio della vita psi- chica allo scopo della lotta per la conservazione ed il migliora- mento materiale e morale di e della discendenza (1) »? Ma que- ste, sia detto con rispetto al chiarissimo autore, sono sentenze, 0 piuttosto definizioni, 0 piuttosto tautologie pretensiose e vacue, che stanno alla psichiatria scientifica precisamente come la pazzia masturbatoria sta alla vita sessuale, e lebefrenia alla vita psichi- ca. Cosi non si anticipa qualche cosa dell’ arvenire, ma si per- petua quella che noi abbiamo, una psichiatria clinica che non soddisfa ai suoi fini, nella quale l’avventatezza delle ipotesi facili e vaghe è solo eguagliata dalla superficialità delle osservazioni incomplete.

Dott. ALBERTO VEDRANI

1) Le degenerazioni psicosessuali, pag, 336, E

45 °

Una visita al Manicomio di Alt-Scherbitz

del dott. Jacopo Finzi

- A 20 minuti di ferrovia da Lipsia, sulla linea Lipsia-Halle, si scende alla stazione di Schkeuditz, donde, dopo un quarto d’ ora di cammino, si entra nei domiuì del manicomio provinciale di Alt-Scherbitz.

Prima che qualcuno dei medici cominci a condurre il visitatore in giro per i diversi padiglioni, il Direttore sempre al nuovo venuto un'idea generale sull'ordinamento del manicomio. ll Paetz, quegli che vide nascere lo stabilimento, e al quale ha dedicata tutta la sua atli- vità, espone brevemente i principî fondamentali del suo sistema così: (1)

Riunione dei vantaggi di un manicomio chiuso con quelli della co- lonia, senza gli svantaggi dell'uno e dell'altra, essendo il manicomio a piccoli padiglioni isolati, mentre la colonia, pur facendo un tutto col manicomio propriamente detto, è da questo tenuta affatto distinta ;

Abolizione assoluta del sistema dei corridoi, delle mura di cinta, delle inferriate e di qualsiasi altro mezzo coercitivo.

« Noi dobbiamo, dice il Paetz, cercare, per quanto è possibile, di mettere i malati di mente, specie quelli che sono semplicemente da custodire, nelle condizioni che più si avvicinano a quelle della loro vita usuale. Perciò tutti i padiglioni devono avere l'aspetto di case comuni, meglio, di case campestri; non già rozze, ma nemmeno dall’ aspetto grandioso, o troppo di lusso. Queste case saranno fra loro perfettamente isolate; avranno attorno ampi giardini. Siepi, o al massimo cancellate coperte di sempreverdi separino un comparto dall’ altro. Così gl inte- riori non saranno punto foggiati sul sistema dei corridoi. Nulla di spe- ciale nelle finestre; nelle camere di isolamento sarà conveniente avere finestre a velri molto grossi e piuttosto piccoli; in tutte le stanze se-

(1) Il Paetz ha svolto queste stie idee nol lavoro: Die Kolonisirung der Geisteskranken, etc. Berlin 1893.

die, tavolini, cassettoni, armadi, buffets, quadri, specchi ece. Non ci debbono essere camere speciali per gli Infermieri, ì quali (ceceltuato nelle celle d'isolamento) devono sempre dormire negli stessi ambienti dei malati.... ».

Questa preparazione del Dott. Paetz impressiona, come può im- pressionare un bel quadro utopistico; e mette subito una gran voglia di vedere in atto un sistema, che a molti può sembrar già diflicile a pensarsi teoricamente.

Il manicomio provinciale di Alt Scherbitz ha una estensione di circa 300 ettari. Il manicomio propriamente detto è diviso dalla colonia sol- tanto per mezzo della strada provinciale, che da Lipsia va ad Halle. Nel « centrale », cioè nel manicomio propriamente detto, stanno tutti i malati, che per il loro stato psichico hanno bisogno di sorveglianza continua, o di isolamento. I padiglioni sono distribuiti simmetricamente, per gli uomini e per le donne, ai lati di una linea divisionaria mediana, lungo la quale si trovano l'edificio dell’ amministrazione e l’ infermeria. Uscendo dal piccolo ed elegante edifizio dell’ amministrazione, il primo fabbricato che s'incontra è il comparto d’ osservazione, dove vengono portati quei malati, che, usciti da un periodo in cui erano esaltati, o comechessia pericolosi, non presentano però ancora tutte le garanzie per essere inviati alla colonia. Un'ampia veranda fa accedere ai tre grandi ambienti terreni, che servono di abitazione diurna. Dato il ca- raltere di questo comparto, il sistema delle porte aperte non è appli. cato per intero; le porte e le finestre hanno forma comune, posseg- gono però mezzi di chiusura speciali, da usarsi facollativamente a se- conda del bisogno. l dormitori sono nel piano superiore. In questa se- zione stanno circa 40 malati e 3 inferinieri.

l due padiglioni che seguono sono quelli di accettazione e di sor- veglianza, l'uno per i malati di prima e di seconda classe, l'altro per quelli di terza, cioè per i malati comuni. Ciascuno contiene da 26 a 30 malati e 4 infermieri. Qui stanno tutti i malati freschi, quelli con ten- denza al suicidio, i sitofobi, ecc., tutti quelli insomma che hanno biso- guo di una assistenza molto accurata: perciò non esiste in queste due ville che il piano terreno. Intorno alle sale da mangiare e di riunione stanno distribuiti gli ambienti per la Be/t-Berandlung, le camere da letto e gli altri piccoli ambienti necessari. Il giardino è chiuso da una cancellata in leguo, alta m. 1.50; le finestre speciali, che in principio si erano fatte, si sono mostrate con l' esperienza affatto inutili, e oggi

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l'unico mezzo di sicurezza esistente è la chiusura a chiave delle fine- stre, le quali sono non solo di forma usuale, ma sono formate di vetri, grande ciascuno cm. 40 x 60. In questa sezione i malati non sono al massimo che occupati in lavori domestici. Nella sezione perì malati di 1." e 2." classe si fanno facili lavori manuali, letture, giuochi vari ecc. Dei 4 infermieri che stanno in questa sezione, uno sta nella sala di riunione, uno sorveglia i malati a letto (e sono i più), uno sta ai bagni e attende alla pulizia e alla cucina, il quarto sorveglia la biancheria e accompagna i malati a spasso.

Seguono le due sezioni agitati, che qui chiamano « comparti chiu- si », gli unici dove porte e finestre hanno speciali sistemi di chiusura e in cui esistono stanze di isolamento. Delle due sezioni chiuse, la pri- ma contiene gli agitati puliti, i quali alla loro volta sono tenuti divisi in due gruppi: per uno l'ampia sala di riunione si trova al piano ter- reno, le stanze da letto sono al piano superiore; per l’altro c' è un’al- tra sala di riunione ed annesse quattro camere d' isolamento. 1 malati più pericolosi e sudici stanno nell’ ullimo padiglione, che contiene tre ambienti di riunione, e cinque camerette «d'isolamento disposte in fila lungo l’unico corridoio che si trovi in tutto il manicomio. Di queste due sezioni, la prima contiene (così per gli uomini come per le donne) circa 30 malati, a cui soprastanno 6 iufermieri. La seconda circa 40 malati e 5 infermieri. Le finestre sono qui quelle inventate dal Paetz (1): sono a vetri piccoli e robustissimi, ma perfettamente trasparenti, e si aprono in quattro ali per di dentro come le finestre comuni; 4 dei 20 pezzi, che formano la finestra, possono scorrere in basso coprendo i pezzi inferiori, e lasciare sufliciente passaggio all'aria, senza che la finestra venga aperta e senza che l'apertura sia troppo grande. Dietro alle finestre stanno al di fuori ordinarie gelosie a tendina, da alzarsi ed abbassarsi, e i cui singoli bastoncini possono stare paralleli o addossati gli uni sugli altri e graduare così la luce a piacere, come è frequente vedere oggi in moltissime case private.

L'infermeria o lazzaretto, editicio posto sulla linea tenirite divi- dente gli uomini dalle donne, contiene una grande sala per 18 malati di ciascun sesso, malali in cui i sintomi di malattia non mentale pre- dominano e mettono in pericolo la vita. Intine fa parte del manicomio

(i) Allgem. Zeitschr. f. Psychiatrie Vol. XLVII pag. 639,

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centrale una stila di lavoro, dove stanno malati che abitano nel primo descritto comparto d’ osservazione, e possono lavorare in un ambiente separato, ma che non si crede ancora prudente mandare alla colonia.

Tutti i malati, i quali, sebbene bisognosi di sorveglianza manico- miale, sono suscettibili di un trattamento più libero, vengono trasferiti alla colonia. La colonia non ha nulla che ricordi non solo un manico- mio, ma nemeno un asilo, o uno stabilimento qualsiasi. È un insieme di case, diverse le une dalle altre, irregolarmente distribuite, però rac- colte essenzialmente in due gruppi: colonia maschile e colonia femmi- nile. Questi due gruppi di case fanno capo al centro della colonia; dal lato delle donne alle cucine, lavanderia e cascina; dal lato degli uomini alle stalle, alle rimesse e a varie oflicine. Alla colonia maschile appar- tengono inoltre sci case del piccolo confiuante villaggio di alt Scherbitz, di mano in mano comperate e migliorate dall'ammninistrazione del ma- nicomio. Una grande quantità di campi coltivati, orti immensi, vasti tratti di parco c giardino e infine qua e piccoli boschi dividono fra loro i fabbricati; il fiume Elster Bianca segna i confini meridionali della colonia.

Le singole case, tanto per gli uomini quanto per le donne, sebbe- ne diverse fra loro, sono costrutte internamente secondo un tipo simi- le: sale di riunione, di lavoro e da mangiare, cucinetta, bagni e riti- rata al piano terreno; camere da letto cd annessi al piano superiore. Ciascuna contiene in media 20 malati; una casa della colonia uomini e una della colonia femminile contengono circa 40 malati ciascuna, perchè comprendono una sala per malati costretti al letto. Infermieri ce ne sono nella colonia uno ogui dodici malati circa. E severamente proibito in tutte le case della colonia, dal levare del sole fino all'andata a letto dei alati, di tener chiuse le porte. Tutti i malati durante il giorno sono occupati nei diversi lavori. Nelle case del villaggio abitano molti lavo» ranti dello stabilimento, macchinisti, cocchieri, alcuni stallieri, giardi» nieri, lavoranti della fornace, un capo infermiere, ecc. molli con le loro famiglie, e insieme mescolati (nelle case oggi appartenenti al manico» mio), circa 70 malati uomini e 3 infermieri (1). Vicinissimo al grande

——

(1) Questo accenno di tentativo verso il sistema della cura famigliare, o custodia privata, non tendo ad allargarsi. In Alt-Scherbitz si tratta di un appendice del manicomio; i 70 malati accennati dipendono sempre dalla Di- rezione e fanno parte della colonia.

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piazzale costituito dalle officine, stalle, cucina, lavanderia e dall’ abita- zione del Direttore, piazzale che forma il centro di tulta la colonia, sta un bell’ edificio, dove si trova la sala per concerti c rapprescutazio- ni, servizio divino, sale di lettura e di gioco. Qui si trova la scuola di musica vocale e strumentale, c si danno le feste da ballo.

Questa essendo la distribuzione degli editizi della colonia, è facile immaginare quale ne sia la vita. L'impressione generale che si riceve

I dal manicomio di Alt-Scherbitz non è quella di un manicomio; il ma- nicomio qui viene a rappresentare come l’ ospedale dello stabilimento coloniale. E questo concetto generale ha sempre informato il metodo di direzione del Paetz: ed ha essenzialmente informato tutto lo svi- luppo storico dell’ istituto. La gestione interna di un così vasto stabili- mento e la necessità di migiiorare ed aumentare continuamente il nu- mero degli edifizi fanno che lavoro di tutti i generi ce ne sia c per tutte le persone e in tutto il tempo dell’anno. Tutti i generi di lavori campestri, dal giardinaggio ai lavori boschivi, tutte le qualità di arti manuali, non solo, ma la sorveglianza dei generi alimentari, il conteg- gio di entrata ed uscita nelle diverse aziende, ece. richiedono tante braccia e tante intelligenze, da rendere opportuno anche I!’ aiuto dei malati delle classi sociali più elevate.

Nel manicomio il trattamento a letto e l educazione al lavoro at- tivo; nella colonia il lavoro ordinato e sistematico; dappertutto la mas» sima libertà e un trattamento da ammalati, non altro che da ammala- li, sono i concetti che si vedono iu atto nella vita del manicomio pro- vinciale di Alt-Scherbitz, e che l'esperienza di molti anni ha dimostra- to fino ad oggi essere ì più razionali non solo nella cura medica dei malati di mente, ma anche nell’ amministrazione di quell organismo complesso che è un asilo d'alienati.

utte le obbiezioni che a tali concetti, apparentemente troppo grandiosi, dal punto di vista economico, troppo liberali dal punto di vista psichiatrico, si possono sollevare, e in fatti sono state sollevate, cadono facilmente di fronte ai fatti dell'esperienza. Non solo in Alt- Scherbitz, ma dappertutto dove simili manicomi sono stati istituiti, si è speso di più che altrove, sono quivi successe più frequenti fu- ghe o disgrazie che in altri istituti organizzati all’ antica. L’ unica ob- biezione un po’ grave che a tale sistema si può fare, è questa: che la serietà e il coraggio necessari ad un opera simile non si trovano ad ogni piè sospinto fra gli uomini, anche della professione; il che però,

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se si dovesse sempre prendere in considerazione, ci impedirebbe trop- po spesso di far cosa alcuna per il nostro miglioramento e linirebbe di cristallizzarci in un fatalistico pessimismo.

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Quando, poco dopo il 1870, il manicomio di Nietleben si cominciò a dimostrare insuflicente ai bisogni della provincia di Sassonia, visti i buoni risultati che il sistema coloniale aveva dato in altri luoghi, la provincia, allo scope appunto di fondare un asilo coloniale di pazzi,

comperò, per circa un milione di marchi, il fondo di Alt-Scherbitz,

rappresentato da 202 ettari di campi coltivati, 18 di bosco, 47 di prato, 9 di orti, 11 di giardino e oltre 12 ettari occupati da vie, canali, case, cortili e chiesa. La scelta del luogo non fu naturalmente indifferente : la scelta doveva rispondere a certi requisiti: salubrità e possibilmente amenità del sito, buona e sicura rendibilità del terreno, possibilità in questo di prestarsi a lavori di ogni genere, presenza di acqua in quan- tità e qualità conveniente, comodità di ‘vicino materiale di fabbrica. E facile capire come queste condizioni, se riunite, siano di somma uti- lità per la cura dei malati non meno che di immenso vantaggio per l amministrazione. Nel 1876 crano terminati solo due padiglioni, un comparto di osservazione, e un comparto chiuso; in quell'anno furono portati da Nietleben i primi malati. Intanto si seguitava a fabbricare. Nel 78 si eresse il padiglione di sorveglianza; dal 79 all’ 85 si fabbri. carono le altre due sezioni chiuse e le altre due di sorveglianza , più sei case della colonia. Nel frattempo, in un’ occasione patriottica, si era innalzato, nella cerchia dei domini di Alt Scherbitz, un asilo per inva- lidi, una spece di ricovero per vecchi, unito al manicomio solo in quan- to è sottoposto alla medesima direzione, ma senza alcun scambio di malati. Nel 1885 il manicomio poteva contenere oltre 400 ricoverali. La fabbrica dei diversi padiglioni fu sempre condotta secondo le buone norme della tecnica e dell'igcne edilizia. Esclusa qualsiasi im- ponenza e grandiosità di fabbricati, essi dovevano essere di grandezza media e séparati gli uni dagli altri. Nella colonia le casette semplici e modeste non entrano nemmeno in questione per il loro prezzo; per gli edifizi del centrale, il sistema può sembrare a prima vista più dispen- dioso dell’ altro sistema a fabbricato unico, grande, riunito. Ma bisogna

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tener conto 1) che i vantaggi che dal sistema dei padiglioni scparati ri- sentono i pazzi rendono meno dispendioso il loro mantenimento, in quanto sono più tranquilli, più facilmente custodibili, in più breve tempo atti al lavoro; 2) che con tale sistema gli edifizi possono essere molto più semplici e il loro modo di fabbrica anzi non deve derogare dall'or- dinario per fabbrica di case comuni; 3) che con tale sistema sono insieme aboliti i muri di cinta, i muri di divisione fra i comparti, sono assoluta- wente esclusi tutti i passaggi coperti, cose che sono di svantaggio ai malati, dànno al manicomio un aspetto carcerario, non presentano nes- suna utilità pel servizio e costano una quantità enorme di denaro. Così dicasi per i corridoi, le inferriate, e gli altri mezzi speciali di sicurez- za, che hanno tutti gli svantaggi e nessuna utilità. Anche l'abolizione dei mezzi coercilivi, propriamente detti, oltre che un progresso umani- tario, rappresenta un vantaggio medico ed economico inestimabile : i malati non legati diventano più difficilmente furiosi e i gravi esaltamen- ti durano meno. È non è nemmen vero che l abolizione dei mezzi coer- citivi renda necessario un numero maggiore di infermieri: nel mani- comio di Alt-Scherbitz vi è in media 1 infermiere ogni 10 malati. Le celle, secondo l’ opinione del Paetz, non debbono presentare nulla di speciale nella loro costruzione: uon aperture alle porte, le quali hanno solo l' uflicio di risparmiare agli iufermieri, e talvolta anche ai dottori, la fatica di entrare nella cella. Lo stesso difetto, più quello dell'odore, hanno i sistemi di cessi dentro alle celle medesime. Si può dire per- tanto di tutti, anche i più blaudi, mezzi di coercizione, che essi, dal punto di vista generale del tine di un manicomio moderno, sono di grave danno ai malati, favoriscono le trascuratezze del personale sor- vegliante, rappresentano una spesa non iudifferente per le ammini- strazioni, sono indizio di un assai basso grado di educazione civile in tutto il paese dove tali mezzi vengono adottati in un manicomio nuovo, e infine a giustificarli non rimane oggi (all'infuori di certe necessità legate ad infelici costruzioni di manicomi vecchi) che la diminuzione di fatica, l alleggerimento di responsabilità che tali mezzi coercitivi fa- voriscono. Qualsiasi altra ragione addotta in favore dei sistemi coer- citivi non può derivare che da preconcetti non giustificati dall’ espe- rienza, da pregiudizi ed errori radicati da una falsa educazione. Riprendendo la storia del manicomio di Alt-Scherbitz, noi vediamo dopo I’ 88 erigersi il nuovo edificio per l' amministrazione, fra l 88 e il 91 il lazzaretto, nuove oflicine, nuove abitazioni per i medici, am-

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bienti per bagni in ciascun padiglione, anche nei più piccoli. Infine si riordinò in modo definitivo la conduttura dell’acqua, ce si stabili un impianto di luce clettrica. Oggi, il manicomio di Alt-Scherbitz, insieme con l'annesso asilo per invalidi, può contenere circa 1000 malati. Ab- biamo già visto come questi 1000 malati sono divisi. Le solite separa- zioni dei tranquilli dagli agitati, semi-agitati, sudici, idioti, epilettici, alcoolisti, ecc. presentano, dice il Paetz, per i malati degli svantaggi, per l’ amministrazione nessuna utilità. Innanzi tutto si distingueranno i malati atti alla vita della colonia c quelli da tenersi al « centrale ». Fra questi ultimi terranno divisi quelli da sorvegliarsi continuamen- te da quelli da tenersi rinchiusi e da quelli semplicemente in osserva- zione. Le medie di tutti gli anni, dedotte dal numero dei malati di Alt- Scherbitz, dimostrano che circa il 60 0jg della popolazione totale sta nella colonia; della popolazione del «centrale» il 30 0) appartiene alle sezioni di sorveglianza e all’ infermeria; il 45 0jg ai comparti chiusi ; il 10 0jo è rappresentato da dozzinanti di 1." e 2." classe, e in fine il 15 00 sta in osservazione , sulle. mosse per la colonia. Circa due terzi adunque della popolazione del manicomio è impiegata in lavori produtti- vi. Aggiungendo quei malati del centrale che pure lavorano, si può di- re che quasi il 70 0jg della popolazione totale di un manicomio può essere profittevolmente utilizzata. In certi manicomi si è raggiunta una percentuale anche più elevata: il Gudden ad cs. dice che fra gli abi- tanti di un manicomio, I’ 86 0jg degli uomini, il 70 0jg delle donne, è in media atto al lavoro. Facendo ora la media della capacità di lavoro dei malati in rapporto con ciò che si considera come prodotto di una giornata di lavoro di un operaio ordinario (1), dato che il 65 0jg del. la popolazione manicomiale lavori, si può contare sopra il prodotto di un numero di operai sani uguale al 25 0g della popolazione manicomiale.

Ad una colonia industriale non si potrà mai in un manicomio dare uno sviluppo così grande come ad una colonia agricola. La colo- nia industriale può essere in un manicomio solo abbozzata: in essa, e per la qualità del lavoro e per la sua uniformità, la costrizione in am- bienti chiusi, talvolta il materiale con cui si lavora, I’ agglomeramento

(1) Ar. Brandes, Die Irrenkolonieen. Hannover 1865. Kippe, Ueber die Landwirthschaft in der Psychiatrie. Allgm. Zeitschr. f. Psych. 1876, XXXIV, 91. Paetz, op. cit. pag. 60 e segg.

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di persone, ece. si richiedono energie, così fisiche come mentali, perfet- tamente sane.

A dirigere, sorvegliare ed amministrare i 1000 malati del mani- comio di Alt Scherbitz stauno: un direttore, un vice-direttore, cinque medici, due ispettori e due ispettrici. Per gli affari d' amministrazione, si trovano, subordinati al direttore in tutte le loro decisioni ed azioni riguardanti la gestione interna del manicomio, un commissario, un ispet- tore amininistralivo, un economo o maestro di casa; poi un segretario e due scrivani. IL rimanente del personale è formato da infermieri cd infermiere in ragione di 1 ogni 10 malati: più 3 infermieri operai, una guardarobicra, due cuoche, 10 serventi di cucina c lavanderia, un mac- chinista, tre fuochisti, un mastro muratore, un giardiniere, un portiere una guardia notturna, due servi di casa. Um’ altra quindicina di perso- ne circa è stabilmente addetta alla sorveglianza o per aiuto nei diversi generi di attività che si esplicano nella colonia.

Prendendo in considerazione il manicomio di Alt-Scherbitz quale è oggi, cioè, insieme con l'asilo, capace di circa 1000 malati, noi tro- viamo che il costo di tutti i fabbricati compreso anche l'impianto per la luce elettrica, è stalo di 1721807 marchi. Gl'inventari, e i conti di- versi dimostrano che in media ogni singolo posto di 1.° e 2." classe è venuto a costare dai 1200 ai 2000 marchi; ogni posto comune al cen- trale circa 900, alla colonia circa 700, nel villagio poco più di 500 marchi. Aggiungendo alla predetta somma il costo del terreno, cioè 1000000 di marchi, si ha un prezzo medio per ogni posto di 2835 marchi, pari a 3543 frauchi; un prezzo adunque meno che mediocre per un manicomio modello. Certamente nei primi anni dello sviluppo, e per il piccolo numero dei malati, e per la necessità di continue fab- bricbe e miglioramenti di ogni gencre, il fondo non poteva rendere di molto; ma già nel 1888 esso cominciò a dare una rendita del 5 °/ del suo prezzo. E il suo prezzo era stato del resto enorme: nalural- mente di fronte at vantaggi che se ne poteva ripromettere, la provin- cia aveva volentieri seguito i consigli del Paetz, e speso un miliene di marchi per avere un terreno sano, ameno, ricco, vario e con acqua. Le altre rendite della amministrazione sono rappresentate dalle rette det malati e da un sussidio determinato ad un minimo, ma variabile se- condo gli speciali bisogni, della cassa provinciale. Le rette dei malati sono: non meno di 1600 marchi per i malati di 1.° classe, da 6 ad 800 marchi per quelli di 2.°; da 240 a 400 marchi per quelli di 3.°. Il mq-

sia:

nimo di 240 marchi è pagato, per i malati che non posseggono asso- lutemente nulla, dal circondario nativo, o dalle associazioni di soccorso per i poveri della campagna. Il mantenimento complessivo di un malato di 3.° classe costa in media 248 marchi annui, pari a 355 franchi.

Il Pactz, a cui poco tempo fa io seriveva, domandandogli se nulla vi era di essenzialmente modificato nell andamento amministrativo dal- l'epoca della mia visita ad Alt-Scherbitz, cioè da un anno. mi rispon- deva, che all'infuori del progressivo miglioramento delle condizioni eco- nomiche, nulla affatto era mutato. E ciù è molto facilmente spiegabile, se si pensa che per quanto il numero dei malati aumenti, e !a manu- tenzione degli edificì si debba fare sempre su più larga scala, anzi sia continuamente necessario fabbricare case nuove e migliorare edifizi vec- chi, pur tuttavia d'altra parte e if numero grande dt edifizi, superiore al bisogno immediato, oramai esistente, e la buona qualità del mate- riale non meuo che del metodo di fabbrica usato, e il numero sempre maggiore di braccia portato nella lavorazione del fondo, tutto ciò è fa- cile capire come permetta una certa sosta nelle spese e insieme allar- ghi le sorgenti di lucro, aumentando la rendibilità del fondo, il numero di rette pagate, e rendendo sempre meno caro il mantenimento dei malati di mano in mano che il loro numero cresce,

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Mentre il manicomio di Alt-Scherbitz si sviluppava, il vecchio mani- comio di Nietleben subiva delle importanti modificazioni.

Indipendentemente dal fatto che gran parte dei pazzi della provincia prussiana di Sassonia fanno una prima fermata nella Clinica di Halle, ghi abitanti della provincia possono liberamente mandare i loro malati di mente in quello dei due manicomi che più loro piace; eil manicomio di Niet- lebe è per gran parte della provincia più comodo a raggiungersi che quello di Alt-Scherbitz. Dopo i! 1879, i due manicomi, pur dipendendo dalla stessa amministrazione provinciale, cominciarono ad avere una vita affatto indipendente per tutto ciò che riguarda gestione interna e mo- vimento di malati. Nessun ampliamento, ma notevolissimi miglioramenti furono apportati al manicomio di Nictleben durante gli anni 1879 1885, nei quali fu Direttore il Prof. Hitzig. Ma il manicomio poteva contenere al massimo 630 malati; ed essendo il loro numero già vicino ai 600,

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l'amministrazione provinciale nel 1887 decise un allargamento del ma- nicomio di Nietleben fino alla capacità di 900 malati. Come forma da darsi a questo allargamento, la quale offrisse, se non il minore dispen- dio immediato, i maggiori vantaggi cconomici complessivi, cioè il mi- nore dispendio per il mantenimento successivo, fu stabilito di lasciare il vecchio edifizio come stava, tanto più che i recenti lavori lo avevano molto rimodernato, e di fabbricare un certo numero di ville in imme- diata vicinanza dello stabilimento, in terreni già appartenenti al mani- comio (1). Si cominciò subito a dar mano ai lavori: andarono così sorgendo lentamente i due comparti di osservazione (Aufralme-Sta- tion) per i malati appena entrati, uomini e donne; una villa per labi- tazione di un medico con la sua famiglia; e sette case campestri, pres- s'a poco sul tipo di quelle della colonia di Alt-Scherbitz. Nel 1890 il numero dei posti era già salito a circa 750, e il numero dei posti oc- cupati era di 669.

Ecco come la provincia di Sassonia ha per ora risolto il suo pro- blema manicomiale. Se le regole e i principî che hanno presieduto alla fabbrica e allo sviluppo del manicomio di Alt-Scherbitz possono senza altro essere giudicati come ottimi, e servire di norma a qualsiasi alie- nista ed amministratore in un progetto per un manicomio nuovo, così non può dire per le modificazioni portate al manicomio di Nietleben, non già per la natura delle modificazioni stesse, che sono le migliori che oggi si possano pensare dal punto di vista psichiatrico e dal punto di vista economico; ma perchè non tutti i manicomì vecchi possono disporre di terreni nei loro dintorni immediati, come quello di Nietleben. E vero che il primo pensiero dell'amministrazione provinciale, data l'in- sufficienza del vecchio manicomio, non fu quello di allargarlo, ma di fabbricarne uno nuovo. Ma condotto a termine tale divisamento (e in qual modo magistrale abbiamo veduto), visto che anche ciò non bastava e che anche il progressivo aumento del manicomio nuovo era insufli- cente ai bisogni della popolazione, l'altro lato del problema fu svolto,

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(1) Io non sono stato a Nietleben. Ho avuto queste notizie da informa- zioni verbali in Alt-Scherbitz e in Halle. Qualche cosa in proposito trovasi in Paetz, op. cit. e più particolarmente: H. Laehr, Die Heil-und Pflege- anstalten fiir Psychischkranke des deutschen Sprachgebietes. Berlin 1891, pag. 72 sgg.

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H caso Alt Scherbitz-Nietleben si presta a molte riflessioni: un esempio, è vero, per quanto istruttivo, è sempre un caso solo, e ciò è poco; ma coine nella clinica, vi sono in ogni genere di coguizioni dei casi che per soli bastano, sc non a risolvere del tutto, certo a por- tare una gran luce in problemi anche molto complicati. II caso Alt- Scherbitz è, ad cs., decisivo per la questione di un manicomio nuovo. Il problema di un manicomio vecchio è apparentemente più diflicile, certo più spesso praticamente importante e complesso, perchè mollo più spesso il caso si presenta che si abbia uno stabilimento già avviato da mavtevere, da migliorare, da ampliare. Qui terreno, fabbricati, ci sono già: e allora tutti i vantaggi che possono provenire dal lavoro dei ma- lati, dall’'abolizione dei mezzi coercitivi, cec., sono naturalmente con as- sai maggiore diflicoltà raggiungibili. Dato un manicomio all'antica, un misto di convento, di prigione e di caserma, è egli veramente possi- bile applicare così senz'altro il no restraint, e far produrre ai malati anlo da aiutare in modo sensibile Fammiuistrazione, specie se am- hienti, oltre che disadatti e insuflicienti, sono troppo affollati, c il nu- mero degli infermieri è inferiore al rapporto di 1 a 10, e non esistono bastanti vasche da bagno, camere d'isolamento? A tale seric di que- stioni solo l'esperienza può rispondere; purtroppo io non credo di andar lungi dal vero affermando che se questa esperienza non è ancora fatla, in parte si deve al fatto che ha un certo timore d’ intraprenderla, non fosse altro per l'idea che questa sarebbe una esperienza eccessiva- mente dispendiosa. Il ehe invece è tutt'altro che dimostrato.

Di fronte al fatto dell aumento progressivo della popolazione dei manicomi, il problema non si limita naturalmente alla manutenzione dei fabbricati vecchi, al mantenimento di quel dato numero di malati, ma comprende necessariamente un ampliamento degli asili. Ora, è un manicomio dentro alle mura di una città, e tutto cireondato di fabbri- cali o comunque impossibilitato ad espandersi in estensione territo - riale, si può dire forse che dal punto di vista economico-amministrati- vo sia più opportuno un sistema di espedienti, di accomodamenti, di aspettazione, piuttostochè imprendere la fabbricazione di un manicomio nuovo, rispondente ai dettami della scienza psichiatrica non meno che a quelli della scienza amministrativa ? Si è spesso parlato di un dissi- dio che quasi’ necessariamente deve esistere fra le esigenze economiche di una amministrazione c le esigenze umanitarie della medicina psi- chiatrica: non si è abbastanza pensato alla possibilità che la scienza

medica si trovi di fronte all’ ignoranza economica, o l'inverso, o che semplicemente l’ ignoranza psichiatrica si trovi di fronte all’ ignoranza economica. È scienza quella che sa prevedere, e che provvede non già al momento fuggevole, ma per il tempo più lungo possibile. Se è di- mostrato che inevitabilmente il numero dei pazzi da mantenersi aumen- ta ogni anno ‘1), così i problemi tecnici e scientifici, come quelli eco- nomici, che a questo fatto vanno uniti, in quale dei momenti della pra- tica manicomiale troveranno essi una via alla loro soluzione ? Mezzi puerili contro |’ affollamento sarebbero il rendere molto difficili am- missioni dei malati, o facilitarne troppo le dimissioni. Se i pazzi ci sono, è oramai necessità sociale che essi vengano rinchiusi : i dimessi preco- cemente costituiscono in primo luogo un pericolo, e in ogni caso ritor- nano ben presto al manicomio. Più razionale sarebbe risalire alle cause della pazzia e combatterle diminuendole ; oppure potere reagire contro l'azione morbosa e produrre un maggiore numero di guarigioni. Ma le cause, anche quando sono note, il che succede assai di rado, sono enor- memente complicate e quasi sempre non raggiungibili ; quanto alle gua- rigioni, tutti i progressi della medicina non ci dànno molto affidamento sul loro aumento. Dunque nulla è da sperare di ottenere per queste vie: nessuna di esse è oggi ancora in grado di porgere mezzi pratici adeguati a vincere quelle difficoltà a cui i medici e gli amministratori di manicomio ogni giorno di più si trovano di fronte. Non rimane per- tanto altra via aperta alla soluzione di tanto problema all’ infuori delle riforme nell’organizzazione interna dei manicomi. Queste riforme im- pongono. E non si*dica che tali riforme sono da noi impossibili a ca- gione «ella nostra miseria. Ciò che alcune provincie italiane hanno speso e spendono per l'erezione e per il mantenimento dei loro manicomi, rappresenta capitali che non sono punto inferiori a quelli, che allo stesso scopo, ma con molto miglior frutto si spendono in paesi stranieri; il che dimostra che non è poi tutto da attribuirsi alle tristi condizioni economiche del paese nostro, il rimanere indietro ed in basso che noi facciamo nelle istituzioni civili.

(6) Ar. Lentz, Des causes de l encombrement toujours croissant des asiles d’ alien¢és. Gand 1871. - Finzi, i pazzi nel manicomio di Ferrara dal 1871 al 1896. Ferrara 1897. Pag. 16.

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Quali siano le riforme, che l'esperienza dimostra più convenienti da darsi all'organismo manicomiale, e come nei singoli casi si. possano risolvere le questioni della colonizzazione dei pazzi, del no restraint, tutti questi e gli altri problemi, che noi più o meno sfuggevolmente abbiamo sfiorato, non possono essere che trattati analiticamente ad uno ad uno. Per ora noi ci contentiamo di avere messo in vista come i criterì economici dell’ amministrazione provinciale della Sassonia prus- siana si trovino in perfetto accordo con le esigenze della psichiatria moderna, tanto per cid che riguarda manicomî vecchi, quanto rispetto a manicomî nuovi; e come il quadro in apparenza utopistico del Dottor Paetz si trovi perfettamente realizzato nel manicomio di Alt-Scherbilz.

Firenze, Aprile 1899

Le guardie notturne nei Manicomi.

per il Dott. Jacopo Finzi.

Siccome in qualunque Manicomio esiste sempre un certo nu- mero di malati, numero che può variare dal 10, al 4000 dell’in- tera popolazione manicomiale, i quali richiedono, o per lo stato di agitazione, o per la tendenza al suicidio, o per condizioni fisi- che gravi, una sorveglianza non interrotta da parte del personale responsabile, così durante la notte occorre un certo numero di guardie che osservino e controllino di continuo il contegno di tali malati.

In quasi tutti 1 Manicomi del mondo tale sistema di guardie è così organizzato, che in un dato comparto due persone si dividono la sorveglianza notturna, una dall’ andata a letto dei malati fino alla mezza notte o al tocco, e l’altra dalla mezza notte o dal toc- co fino all’ alzata. E ciò fanno per turno; in modo, che ogni pri- ma e ogni seconda mezza nottata torna dopo un determinato ci- clo di giorni, 3, 4, a seconda del numero complessivo di infer- mieri e del numero di guardie notturne: nella stessa maniera che

= 9a

torna dopo un egual ciclo di giorni qualsiasi genere di servizio a cui ogni infermiere viene adibito, e parimenti la giornata di libertà.

Gl’ inconvenienti a cui un tale sistema luogo sono parec- chi, e non vi può essere medico alienista che nell’ esercizio della sua pratica manicomiale non se ne sia avveduto.

Innanzi tutto è semplicemente inumano l’ esigere da una per- sona che ha lavorato 12, 14 ore nella giornata un servizio, se non sovente faticoso, certo sempre di grande responsabilità per altre 4, 5 ore; o esigere un lavoro ordinato e attento di 12, 14 ore del giorno dopo che questa persona ha dovuto rimanere occupata ed attenta dalla mezza notte in poi. Anche non facendo questione di umanità, il servizio che la persona compie nel giorno che segue ad una guardia notturna, specie quella della seconda metà della notte, non può essere quel servizio preciso, richiedente una ten- sione d’ animo costante, come è quello di un infermiere di Ma- nicomio. Una persona che si è alzata a mezzanotte, che cioé dopo 12, 14 ore di lavoro non ne ha dormito che 4, non è in grado di prestare con sufficiente energia, prontezza e nello stesso tempo con la dovuta calma e serenità il servizio richiesto per altre 18 20 ore. |

Un altro inconveniente del sistema usuale delle’guardie not- turne è quello per cui ad un servizio ditficile, di grande respon- sabilità vengono adibiti tutti gli infermieri, anche i più nuovi, an- che i meno sicuri. Anzi una tale guardia essendo (e non a torto) considerata come una fatica, come un sopraccarico di lavoro, è un premio quasi, o un privilegio degli infermieri auziani e mi- gliori il non farla più. Ora dovrebbe essere precisamente il con- trario. Solo il personale più disciplinato e che offre le maggiori garanzie non solo per il suo carattere morale, ma anche per la sua gia provata esperienza nella cura e custodia degli alienati, dovrebbe avere l’ incarico delle guardie notturne. In quelle ore si può dire che tutto dipende dall’ oculatezza della guardia: ora io rammento persone nuove in servizio che avevano paura dei ma- lati, che al più piccolo incidente trovavano perdute; altre, non nuove, ma con cosi scarso sentimento del dovere, anzi così igna- re del proprio dovere da non meritare la minima fiducia, eppu- re fare le guardie notturne, sempre con grande apprensione dei soprastanti ispettori e medici. In alcuni Manicomi moderni

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c' è al posto dove deve stare ciascun infermiere di notte, un bot- tone elettrico che, premuto, chiude un circuito. Un orologio elet- trico trova nell’ ufficio del Direttore. Dietro e in corrisponden- za del quadrante di quest’ orologio si possono disporre analoghi quadranti di carta. Una lancetta piegata ad angolo e ben puntu- ta, perfettamente simile per la posizione e per il movimento alla lancetta delle ore, muove al momento della chiusura di un cir- cuito secondario in modo che un quadrante di carta resta buca- to. Questo circuito secondario corrisponde al bottone mentovato. Ogni quarto d’ ora l’ infermiere di guardia ha l’ obbligo di pre- mere il suo bottone, e la dimane il Direttore può controllare sui suoi quadranti di carta i corrispondenti fori: cosi egli sa che almeno ogni quindici minuti l’ attenzione della guardia era desta. Il sistema è ingegnoso e indiscutibilmente moderno, ma che esso valga anche solo a diminuire |’ inconveniente delle guardie poco pratiche e poco valenti, non ci pare affatto.

Altro inconveniente: le guardie sono due: ora è mai capitato al lettore alienista che, essendo nella notte successo un incidente qualunque, nessuna delle due guardie sappia nulla? Dice la pri- ina: quando ho fatto la consegna non era ancora successo nulla. Dice la seconda: quando ho preso io la guardia ciò era già av- venuto. 1.* conclusione : la consegna non fu fatta o fu fatta male;

.*: non si può sapere come quando successe l’incidente; 3.*: Una o tutte due le guardie non meritano fiducia. 4.°*: Una o tutte due le guardie erano troppo stanche c assonnate. E cito un esempio solo, sebbene molti se ne possano portare contro la divisione del- la guardia notturna fra due guardie successive.

Un ulteriore inconveniente dell’ usuale sistema delle guardie notturne consiste nel fatto, più manifesto in un Manicomio gran- de che in uno piccolo, che le guardie, provenendo dai più diver- si c lontani padiglioni, dove hanno servizio più abituale, non co- noscono affatto i malati o ne conoscono solo alcuni, e solo per una mezza nottata ogni 3, 4 giorni è di guardia un infermiere che, per avere egli abituale servizio in quella medesima sezione, conosce tutti i malati.

Un quinto e non piccolo inconveniente sarebbe questo. In un comparto d’osservazione, di circa 30 posti, ci sono sei infermieri, A un certo momento si decide di raddoppiare la guardia nottur-

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na; invece di mettere un infermiere dalle 8 alle 12 e uno dalle 12 alle 6, se ne mettono due dalle 8 alle 12 e due dalle 12 alle 6. Conseguenza ne è che per avere l’ identico servizio, con l’ au- mentare di uno la guardia notturna, si è dovuto aumentare di due il numero degli infermieri di quel comparto, portarlo cioè a otto. Con lo stesso rapporto si è dovuto aumentare il numero de- gl’ infermieri nella sezione agitati, e, in genere, non sarà difficile concepire, come, volendo mantenere tutto il resto uguale, ogni guardia notturna aumentata, porta un aumento di due nel numero complessivo degli infermieri, perchè con l’ attuale sistema sono due nuove persone che si dividono successivamente la nottata per turno ogni tanti determinati giorni.

Questo a prima vista può parere un inconveniente di poco valore: però se ci fosse un sistema che richiedesse ad ogni au- mento di una guardia notturna solo |’ aumento di un infermiere, questo sarebbe da preferirsi. |

Nessun nuovo sistema applicato ad un tratto puo ovviare a tutti gl’ inconvenienti di un sistema vecchio. Lasciando per ora da parte il modo di sostituzione più o meno immediata, è già stato proposto, e con esito molto incoraggiante messo in esecuzione un sistema di guardie notturne, che almeno ai cinque ricordati inconvenienti pone riparo in modo perfetto, senza aggiungerne nes- suno di proprio: il sistema è quello della guardia notturna inte- ra per una persuna, addetta esclusivamente a tale guardia. .

Il sistema è partito dall’ Inghilterra dove a ciò soro adibiti solo infermieri anziani: da circa due anni è stato applicato nei grandi Manicomì cittadini di Francoforte s/M. e di Dresda; ed io ho udito i rispettivi Direttori Sioli e Ganser lodarsene moltis- simo. Da alcuni mesi si è introdotto nella Clinica di Heidelberg con ottimi risultati.

La guardia entra in servizio alle 20, prende in consegna la sezione: sta tutta notte a sorveglianza del compartc destinatole, ha modo di fare uno, o due pasti abbondanti e alle 6 cede il ser- vizio alle guardie diurne. Ad essa è destinata una camera in luo- go tranquillo, dove può dormire dalle 6‘/, alle 15. Poi è libera di uscire fino alle 19, un ora prima cioè del momento in cui pren- derà il servizio notturno. Mentre delle ore del giorno essa può disporre come meglio le aggrada, quest’ ultima condizione non si

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può mutare, giacchè si giudica necessaria un’ ora di osservazio- ne per essere sicuri di affidare la guardia a persona che durante P uscita non abbia abusato di sè, bevuto troppo ecc.

Solo certi infermieri, i più provetti, sono incaricati di questa guardia. A Francoforte fino ad ora si è seguito il sistema di cam- biarli ogni quattro settimane, per non costringere più lungamen- te una persona a questa vita speciale. Ora il Sioli racconta che spesso succede che tali guardie domandano per favore di essere lasciate in quel medesimo servizio. La paga è identica a quella delle guardie diurne. Quanto agli altri infermieri, essi sono na- turalmente contentissimi di non avere ogni 2 o tre giorni servi- zio diurno e notturno, cioè 18 o 20 ore di lavoro continuo. Un tale sistema, che si potrebbe chiamare’ della guardia notturna uni- ca, intera, in opposizione al sistema della guardia notturna dop- pia, divisa, presenta adunque i seguenti vantaggi.

Gl’ infermieri faticano meno e possono prestare un servizio più preciso e più sicuro. Così materialmente come moralmente si può esigere da loro qualche cosa di più.

La guardia notturna diventa una distinzione, solo quella par- te del personale più temprata alla vita di manicomio essendovi adibita. Tutti gl’ infermieri nuovi e quelli che non meritano mol- ta fiducia ne sarebbero esclusi, e la responsabilità della guardia notturna sarebbe quindi affidata a persona che la merita. Di più questa responsabilità non sarebbe divisa fra due persone, e non potrebbero sorgere dubbi e contestazioni in caso di incidenti oc- corsi nella nottata, tanto più essendo la persona di guardia oltre che di fiducia, fresca di forze. La guardia, facendo il servizio notturno sempre in quella sezione, conosce i malati, i nuovi en- trati in un giorno non potendo essere più di uno o due, e nuovi per tutti.

Infine, ogni volta che per aumentato numero di malati, per allargamento, o nuova erezione di edifici manicomiali dovesse aumentare il numero delle guardie notturne, per mantenere P i- dentico servizio, bisogna aumentare il numero complessivo degli infermieri di una persona ogni nuova guardia notturna.

Le obbiezioni a tale sistema, che potrebbero solo consistere nel genere di vita speciale a cui si costringono le guardie not- turne e nel dubbio che durante il giorno invece di dormire e ri-

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posare le guardie si strapazzino maggiormente, cadono non solo per gli argomenti teorici che facilmente si possono opporre, ma sopra tutto cadono fronte all’ esperienza, che per quanto anco- ra non molto grande e su larga scala raccolta, si mostra favore- volissima al sistema.

Un’ obiezione più seria si può opporre, avuto riguardo al ino- do con cui il sistema nuovo deve venire sostituito all antico. Vo- lendo ad un tratto sostituire le guardie speciali notturne, biso- gnerebbe, se il servizio in tutto il resto debba rimanere immuta- to, aumentare di tanto il numero degli infermieri quanto è quello delle guardie notturne. Infatti supponiamo una sezione uomini di 150 malati, in cui ci siano 14 infermieri, due dei quali perchè capi-sezione non fanno guardie di notte. Supponiamo che in tale divisione siano necessarie due guardie notturne, e che nel sup- posto manicomio gl’infermieri abbiano una giornata libera ogni sei. Il ciclo di servizio si compie in sei giorni: ogni giorno sono liberi due infermieri (quelli ad es. che hanno fatto guardia la sera prima fino a mezzanotte). Ugualmente ogni sei giorni escono an- che quei due infermieri che non fanno guardia. Ne viene che pre- senti al servizio diurno, sono su sei giorni, quattro volte 12 infer- mieri e due giorni 11. Trasformare due di cotesti infermieri in guardie notturne costanti equivale a eliminarli perpetuamente da- gli inservienti diurni, così che rimangono su sei giorni quattro volte 10 e due volte 9 infermieri in servizio di giorno.

Le soluzioni della difficoltà in cui in tal caso il medico di- rettore si trova, possono ridursi a quattro possibili.

1) O si aumenta realmente il numero degli infermieri nel rap- porto preciso dal calcolo, il che per certi Manicomî, dove il per- sonale sta in ragione di 1 a 12, 15 malati sarebbe una necessità, affatto indipendentemente dalla questione delle guardie notturne.

2) O si crede possibile che il servizio possa procedere con un numero di infermieri alquanto minore, e non si aggiunge nul- la. Il bisogno di personale è una cosa molto elastica: vanno ugual- mente bene e ugualmente male, col no restraint e mezzi coerci- tivi semi-barbari, tanto in Manicomi con un infermiere per 6 ma- lati quanto in Manicomî con un infermiere per 12 malati. Se aggiunge che l’ orario nuovo, molto più comodo ed umano, può permettere nelle diminuite ore di lavoro di esigere una attività

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maggiore, anche questa seconda possibilità non deve essere del tutto trascurata.

3) O si comincia a far la prova in un solo comparto, e poi successivamente negli altri. Ciò varrebbe specie per i grandi Ma- nicomi, dove possono essere necessarie da 8 a 12 guardie notturne per gli uomini e altrettante per le donne (essendo così necessarie per il servizio notturno da 32 a 48 persone). In tal modo si po- trebbe anche sostituire a poco a poco la forma di guardie an- tica alla nuova, e rispettivamente si dovrebbe poi o aumentare il numero complessivo degli infermieri oppure fare con un numero minore.

4) Finalmente si può aspettare che venga il bisogno di au- mentare una guardia notturna, e si aumenta nel senso voluto dal sistema nuovo della guardia unica intera.

CRONACA

Pastificio. Nel maggio u. s., nel nostro Manicomio e negli stessi Jo- cali del forno, è stato impiantata una fabbriea di pasta. La forza motrice viene data dallo stesso motore a gas che serve anche per la confezione del pane, e il torchio è della fabbrica Fravega di Milano.

Il pastificio giù funziona regolarmente con risultati eccellenti. E di tut- to va data lode speciale all’ egregio Consigliere Delegato Conte Roberto Giglioli che nulla lascia di intentato per il miglioramento igienico, morale ed economico dell'Istituto.

Ignoto Benefattore. Un ignoto benefattore ha fatto pervenire alla Direzione del Manicomio L. 30, con piena facoltà di erogarle nel modo mi- gliore a vantaggio del personale e dei malati. E il Direttore ha assegnato L. 15 alla Cassa infermieri, L. 10 alla Società di Patronato e L. 5 alla Cassa malati.

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Società di Patronato per i pazzi poveri dimessi dal Manicomio.

Somma precedente . ; : L. 1310. 05 Provenienza malati . ; ; 31. 64 Ignoto benefattore i ; . > 10. Totale L. 1351. 69

NOTIZIE

X Congresso della Società Freniatrica Italiana. Avrà luogo in Napoli dal 10 al 14 Ottobre p. v. I soci sono pregati perchè vogliano colla loro presenza contribuire alla migliore riuscita del Congresso, inviando in pari tempo al Presidente della Società, non oltre il 1 Settembre, i titoli delle comunicazioni e adempiendo al prescritto dell’art. 12 dello Statuto, per ciò che riguarda il pagameuto delle quote annue sociali, al Segretario-Tesoriere della Società medesima al fine di ricevere la Tessera d’ ammissione e la Carta di riconoscimento pel ribasso sui prezzi delle ferrovie e piroscafi del Regno. Delle comunicazioni deve essere mandato il sunto, non oltre il 1 Ottobre, alla Presidenza. | A

Istituto Medico-Pedagogico per Frenastenici. Il giorno 2 Lu- glio u. s. in S. Giovanni in Persiceto (Bologna) ebbe luogo (e noi avemmo la soddisfazione di potervi assistere) l'inaugurazione dell Istituto Medico-Peda- gogico per Frenastenici (di cui è proprietario il Sig. Socrate Gardini).

Detto Istituto. posto nel centro della Regione Emiliana, in posizione amenissima, corredato di tutto quanto può desiderarsi anche dal punto di vista scientifico, corrisponde completamente allo scopo per il quale è stato impiantato. L’ottima scelta poi dei componenti la Direzione medica, discipli- nare e didattica e l’essere l’Istituto sotto il patrocinio del Comitato Emiliano per la protezione dei fanciulli deficienti dìnno assoluta garanzia del suo perfetto funzionamento e lo rendono meritevole di ogni fiducia presso le Famiglie e gli Enti morali che saranno per affidare al medesimo la cura e l'educazione dei fronastenici.

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Nel Giugno u. s. morì a Milano Serafino Biffi, uno degli alienisti

“x al cui nome rimarrà sempre legata la storia della Psichiatria italiana. Da

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giovane, quando era assistente del grande Panizza, fu uno dei primi à portare l'esperimento nel campo della scienza nevrologica ; poscia, insieme ad Andrea Verga, fondò e diresse con intelligenza e rara attività l Ar- chivio per le malattie nervose e mentali, che fu il primo periodico di psichia- tria pubblicato in Italia e la migliore palestra nella quale per molti anni scesero a tenzone i più valenti campioni della nostra specialità.

Ma il Biffi, dotato di molto cuore e di cccellenti qualità morali, eser- citò anche una particolare, bene.ica influenza sull'indirizzo dei manicomi ita- liani e sulla coesione della nostra famiglia alienistica, alla quale dedicò sempre molta parte dei suoi affetti e ha voluto anche in morte lasciare un generoso ricordo.

All’ illustre alienista, all’ uomo integerrimo e benefattore il nostro rive- rente estremo saluto.

Il 9 corrente è morto repentinamente a Napoli Francesco Vizioli, professore ordinario di Neuropatologia ed Elettroterapia in quella Università e direttore, in unione al Prot. Bianchi, degli Annali di Neurologia.

Il Prot. Vizioli, per molti anni il più noto e il più autorevole fra gli elettroterapisti e i neurologi d’Italia, scrisse magistralmente supra parecchi argomenti di neuropatologia e particolarmente sulla paralisi pseudo-ipertro- fica e sulla distinzione delle forme spastiche dalle forme atrotiche della pa- ralisi infantile, da lui per primo intraveduta. Egli era poi noto anche come fisiologo, specie per la polemica con il Lussana econ lo Schiff sui ner- vi del gusto.

K. L. Kahlbaum ò morto a Görlitz il 15 Aprile. Era nato il 28 Di- cembre 1828. Cominciò la sua vita manicomiale nel 1856. Nel 1863 pubbli- il suo lavoro fondamentale « Gruppirung der psychischen Arankheden ». Giunto in un tempo in cui la psichiatria tedesca non era altro che una po- vera sintomatologia e trovavano favore delle formole come questa del Neu- mann: « C'è una sola forma di disordine mentale che noi chiamiamo la fre- nosi », Egli, come ha ricordato il suo maggiore amico commemorandolo nella Psychiatrische Wochenschrift, si sforzava di dimostrare che a canto alla Pa- ralisi progressiva ci sono altre vere e proprie malattie le quali, nel loro spe- ciale decorso, fatto di stadi o sindromi succedentisi, si distinguono ugnuna per sintomi così caratteristici, che in ciascuno di questi stadì si può fare la diagnosi e con essa stabilire un giudizio prognostico dell’ ulteriore decorso della malattia.

Tutti sanno che la Ebefrenia, la Catatonia, l’Eboidofrenia sono creazioni sue. Eterni giochi della sorte! l’ uomo, al quale la Psichiatria deve un indi- rizzo pratico fecondo e le più salde conquiste cliniche ch’essa ha fatte nel secolo dopo quella di Bayle, è vissuto nell'ombra, lontano dalla cattedra;

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e gue concezioni, rimaste lungamente dimenticate, si ricordano nei libri quasi solo per negarle, e sono pochissimi i giornali della specialità che, annuncian- done laconicamente la morte, ricordino che è il fondatore della Psichiatria clinica che si è estinto con lui, Il suo pensiero, che già rivive nell’opera di Emilio Kraepelin, guiderà la Psichiatria nella sua ascensione immancabile.

Direttore -- R. TamBRONI.

Collaboratori CAPPELLETTI - VEDRANI - LAMBRAXNZIL

Epilogo del movimento dei malati nell’anno 1898

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Movimento dei malati nel mese di Gennaio 1899

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Movimento dei malati nel mese di Febbraio 1899

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Movimento dei malati nel mese di Marzo 1899 i

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Movimento dei malati nel mese di Aprile 1899

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Movimento dei malati nel Mese di Maggio 1899

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Movimento dei malati nel Mese di Giugno 1899

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Anno XXVII Fasc. III

BOLLETTINO

DEL

MANICOMIO PROVINCIALE DI FERRARA

FERRARA Tipografia dell’ Eridano 1899

Un caso di isterismo criminale. Perizia del Dott. R. Tambroni

Motivo della Perizia

Sulla metà del mese di Gennaio 1898 la tranquilla Ferrara era tutta sossopra e commossa per un ignoto, irreperibile aggres- sore, che di notte, nel bel mezzo della città, in vie pur molto fre- quentate, assestava, improvvisamente, a pacifici cittadini poderose bastonate sul capo. Alcuni lo dipingevano basso, bruno, tarchiato, altri invece alto, snello, gracile: la fantasia popolare si sbizzar- riva a descriverlo nei più diversi modi. Un segno solo era da tutti dato come caratteristico : il cappello a cencio, nero, calato su gli occhi, un largo mantello scuro ravvolto intorno alla per- sona, che, risalendo sul viso, ne rendeva invisibili i lineamenti. L'uomo dal cappello nero, dal largo mantello ravvolto era l’incu- bo, lo spavento generale e teneva sospesi e agitati gli animi dei cittadini, i quali dopo l’avemaria erano titubanti ad uscire di ca- sa nel timore di incappare in qualche suo brutto tiro.

La polizia indagava, cercava, interrogava, ma indarno. Quan- do finalmente l’uomo terribile cadde ingenuamente nella rete: la sera del 26 infatti, pochi momenti prima che .commettesse una delle sue gesta più importanti, si fece scorgere da tre donne che passavano tranquillamente per una via principale della città, par- lo loro, mostrò loro il coltello, le minacciò e si scoperse in tal guisa, da render facile il determinare chi fosse. E la mattina ap- presso fu arrestato nel negozio da barbiere, dove egli, come di consueto, nei giorni precedenti, erasi sempre tranquillamente re- cato a lavorare.

Sottratto a stento all’ira popolare, l’uomo non più misterioso (certo G. B.) fu rinchiuso in carcere, dove subito, ai primi inter- rogatorì giudiziari, si appaleso chiaramente non equilibrato nella psiche, specialmente per una certa incoerenza nelle risposte e per la manifestazione di idee deliranti persecutive. Mentre il Sig. Giudice Istruttore e la Procura del Re del Tribunale di Ferrara

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si preparavano già a mandare il B. in osservazione al Manicomio e sottoporlo a perizia medica, egli cadde in uno stato di delirio violento, per il quale fu necessario affrettare il suo invio a que- sto Manicomio, dove entrò la sera del giorno 1 Febbraio.

Il giorno 12 dello stesso mese il Sig. Giudice Istruttore Avv. Tassi dava a me sottoscritto formale incarico di redigere una perizia medica sullo stato di mente del b., stabilendomi i seguenti quesiti :

1.°) Il B., nei giorni 16 e 26 Gennaio 1898, era in tale stato di infermità di mente da togliergli la coscienza e la libertà dei propri atti?

2.°) Tale stato di mente invece era tale, da scemare grande- mente la sua imputabilità, senza escluderla?

3.) I B. è un individuo pericoloso, c puo stimarsi pericolosa la sua liberazione ?

Il Sig. Giudice Istruttore mise a mia disposizione tutto VP ine carto processuale, dall'esame del quale nonchè dall’ osservazione attenta ed accurata del B. ho tratto gli elementi per il mio stu» dio e per il mio giudizio, di cui vado ad esporre i risultati,

Anamnesi remota

G. B. di Luigi e della fu Maria D. è nato e domiciliato a Ferrara. Ha 23 anni, è celibe e fa il barbiere.

La madre, morta a 49 anni di tisi polmonare, fu neuropatica. Quasi ogni mese infatti mostrava per 5 o 6 giovni di seguito confusa, estremamente irritabile, irrequieta; sembrava ( così dice il marito ) una donna diversa da quella di prima. Spesso soffriva di forti dolori al capo. Una volta cadde im- provvisamente al suolo, pallidissima, senza coscienza. Non sa so prima 0 dopo abbia avuto altri accessi ‘somiglianti. ID padre ha 58 anni; soffre di ce- falea e di vertigini accessnali, specie allorquando ha dispiaceri. Non ha avuto altre malattie e non è alcoolista. Il B. ha avuto 12 fratelli: quattro di essi sono morti adulti, due vivono ancora e gli altri sono morti in tenera età; una sorella di 29 anni cessò di vivere per tubercolosi; un fratello a iS anni perdette la vista e da quel tempo fino alla morte, avvenuta quat- tro anni dopo. è rimasto sempre a letto, piangendo giorno e notte, soprat- tutto nella notte.

Il nostro G. pare non sia nato a termine. Da piccolo lo dicevano rachi- tico: il fatto si è che il suo sviluppo è stato lento e tardo. Mentre era lat- tante ebbe qualche febbre e molta diarrea. Fino all'età di circa 10 anni ha

eri i ST ; sofferto di enuresi notturna. Verso i 15 anni quelli della famiglia si accor sero che di notte, a letto, spesso si metteva a piangere lamentandosi come persona afflitta da grave dolore. Richiesto perchè piangesse, o non dava ri- sposta o rispondeva che « non sapera di piangere ». Dopo i 17 anni quattro o cinque volte, a distanze differenti di tempo (circa sei mesi), è accaduto «il padre di vederlo alzarsi di notte in camicia, discendere le scale, aprire la porta di casa e fermarsi sul limitare. Ma che cosa fai? gli domandava il padre. Egli rispondeva: « Ora vo a letto »; e poi andava a letto. A letto faceva qualche lamento o si agitava un poco, come uno che sognasse, poi dormiva. Al mattino non serbava ricordo alcuno di questi accessi notturni. Ha sofferto frequenti volte, e soffre tuttora, di cefalee. Fino a circa venti giorni prima di essere arrestato accusò un dolore spontaneo nella regione lombare. |

Il B. fu sempre di indole buona e mite, di carattere gioviale, facile allo scherzo. Fino a 10 o 11 anni è andato a scuola con sufficiente profitto; in seguito fu messo a lavorare da barbiere.

L'ultimo suo padrone di bottega, 1’ A. G., che lo ha avuto con per due anni, ha deposto di aver trovato il B. sempre galantuomo e di averlo tenuto anche a mangiare e dormire presso di sè; ha soggiunto che non era a'coolista troppo propenso alle donne, che era amato dagli avventori, che non presentava alcuna cosa di anormale, tranne qualche stranezza di cni non faceva gran conto: p. es. che, mentre serviva un cliente, interrompeva d’un tratto il servizio per andare a lavarsi il viso.

Altre persone, meritevoli di fede, da me interrogate allo scopo di ren- dere più chiara la storia del B., hanno confermato le sopraesposte informa- zioni.

Sembra dunque accertato che il B. fosso un buon giovinotto e che talo si mantenessc, malgrado l’ambiente poco propizio in cui, per la sua condi- zione sociale, doveva necessariamente vivere, ambiente, nel quale, come re- centi fatti dimostrarono, fiorisce rigogliosa la violenza. E così tranquillo e .sereno mantenne fino a questi ultimi tempi.

Anamnesi prossima

In sul finire di Dicembre 1807 e nel principio dell’anno 1898 acenddero nel Sobborgo di S. Giorgio alcune risse e ferimenti che sollevarono ovunque molto rumore e sgomento. Nell’animo del B. poi, che fu anche spettatore di una di dette risse, pare che suscitassero una profonda impressione. Fatto è che egli, pur non lasciando scorgere a chi lo avvicinava mutamenti speciali nel carattere, commise, pochi giorni dopo i sopramenzionati avvenimenti, una serie di reati molto strani, molto in contrasto certamente con la sua natura mite, pacifica, punto aggressiva e che ora noi esporremo.

(1.° reato) La sera del 16 Gennaio, alle ore 20. 15, passava per via Pale-

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stro un vecchio di anni 68, certo E. F. Sentendo egli rumore di passi die- tro di sè, si fermò e si volse. Fu allora raggiunto dal B. che arrogante- mente gli domandò perchè lo gnardasse, ingiungendogli di tirare di lungo. Al che, avendo il vecchio risposto che, essendo Ja strada pubblica, egli poteva fermarsi a suo agio, il B. lo colpì di nna bastonata al capo, dalla quale risultò una ferita lacera alla regione temporo-frontale sinistra con frattura del cranio, che andò a guarigione in giorni ventuno. l

(2. reato) Nella sera stessa del 16 Gennaio alle 11.15 un certo D. A., reduce da una bettola e mezzo brillo, passava per via Bellaria. A un tratto fu avvicinato dal B. che, dopo avergli detto poche parole, non precisate dal ferito dai testi, lo cominciò a colpire ripetutamente col bastone. D’ag- gredito cadde a terra lamentandosi e gridando: « ma perchè mi fate così? Oh Dio! mi avete rovinato, mi avete assassinato ». Ma il feritore menò altri colpi ancora, poi si ravvolse nel mantello e scappò con passo frettoloso, sbuf- fando cd emettendo dalla bocca un rumore che pareva un grugnito. Nel D. furono rinvenute poi all’Arcispedale ferite multiple al capo con frattura del cranio.

(3.° reato) Dieci giorni dopo, verso le ore 16.30, tre ragazze, percorrendo via XX Settembre, parlavano fra loro dell'ignoto aggressore notturno e, men- tre dicevano che ora stato rinchiuso nel Manicomio, si videro tagliata la strada dal B. Questi, avendo udito le loro parole, mostrò il coltello, escla- mando: no, non sono al Manicomio, e questa sera ho questo qui (il coltello) non. il bastone. Malgrado la paura, esse videro bene il B., giacchè questi per nulla aveva curato di celarsi col mantello il viso. E, mentre fuggivano, lo videro, a pochi passi da loro, investire un povero vecchio cieco, che tran- quillamente camminava per la via, e menargli parecchi colpi di coltello. Il malcapitato vecchio, corto O. P., riportò sci ferite (alla testa, al dorso, al- l’avambraccio ecc.), di cui nessuna veramente grave. Queste ferite invero, dopo 7 giorni, guarirono tutte.

La esposizione delle tro ragazze e i connotati da esse forniti fecero chiaramente comprendere chi fosse il feritore; difatti la mattina appresso il B. alle 8 fu arrestato. All'atto dell'arresto egli non oppose resistenza alcuna, negò di avere ferito l'O. o rispose in maniera incerta ed evasiva sul modo come aveva passato la sera antecedente. Ma, appena in carcere, confessò di essere l'autore del ferimento e delle due aggressioni a colpi di bastone, av- venute la sera del 16,

Nella sera del 26 alle ore 21, 45 un tal M. A., passando per via Sara- ceno, fu a un certo punto avvicinato da tre individui, di cui uno, dopo avergli spontaneamente domandato lo zigaro che fumava, gli vibrò una gros- sa bastonata al capo, attutita fortunatamente dal cappello duro. Il modo come si svolse il fatto (in compagnia, la sera stessa del ferimento dell’O.), le ne- gative assolute opposte sempre dal B. fanno credere che non ad esso debba essere attribuita questa aggressione,

aa T3 Ls Contegno in Carcere

Nei primi giorni di degenza in Carcere il B. si mantenne quieto, tran- quillo. Aveva una certa confusione di mente, che si traduceva nella poca coerenza dei suoi discorsi, qualche idea delirante a tinte persecutive, ma del resto null'altro.

Il giorno 28 Gennaio subì un interrogatorio, che é interessantissimo per il modo come narrò le sue aggressioni e per le cause determinanti che ad esse attribuì. Rispetto alla prima aggressione, il B. disse che, passando per via Palestro, notò un individuo che lo guardava, che lo seguì malgrado lo avesse consigliato di tirar diritto per la sua strada, e che allora, preso da subitanea collera, gli menò un colpo di bastone (in Caserma, in via XX Settembre, aveva detto che il sopra nominato individuo, vale a dire il F. E., lo aveva urtato in una spalla e gli voleva prendere il fazzoletto). Aggiunse poi che in quella sera « gli faceva male la testa » ; che, se fosse stato ac- compagnato, lo avrebbero trattenuto, perchè egli stesso, quando sta bene, ha il tempo di riflettere e di trattenersi, che ha fatto sempre il suo dovere e che solamente mostrava un nervoso.

Quanto alla seconda aggressione egli rispose che il D. gli impediva il passo camminando a ondate come un ubbriaco, che teneva con una mano la rivoltella e con l’altra una forchetta (in Caserma asserì, subito dopo l’ar- resto, che aveva una forca e che, dopo avergli fatto il gambetto, lo rincorse) e che, avendo ad una sua domanda per aver libero il passo ricevuto una cattiva risposta, gli diede una bastonata perché offeso, e poi una seconda perchè gli parve che contro di lui rivolgesse la rivoltella.

Sul ferimento dell’ O. poche cose rispose. Disse che ricordava d’ aver fatto del male ad un vecchio col coltello perchè gli era venuto sopra un piede ed aveva alzato il bastone, ma soggiunse che non sapeva che era cieco e che non rammentava punto l’incontro con le tre ragazze e le parole ad esse rivolte. Finì poi col dire che egli va a passeggio solo perché è compa- gni gli vogliono male e non ricambiano il suo saluto. Sollecitato poi a dire chi fossero quei compagni, egli rispose: sono tutti,

Mentre nei primi 5 giorni di sua degenza nelle carceri di S. Paolo il B. aveva presentato un di incoerenza nei discorsi e qualche idea delirante di persecuzione, il 1 di Febbraio cadde in uno stato tale di eccitazione con tendenza alla violenza, da rendere urgente la sua ammissione al Manicomio, dove fu condotto la sera stessa del 1 Febbraio,

Contegno nel Manicomio

Al suo ingresso nel Manicomio il B. emetteva delle grida e, non ostans . te che avesse la camicia di forza, si dibatteva e faceva tale resistenza che

agli infermieri non riuscì cosa facile tirarlo fuori dalla carrozza dove si tro- vava e introdurlo nella sezione assegnatagli, dove mostrò fuori di per i discorsi strani che faceva e per la viva resistenza cho oppose agli infer- mieri che gli applicarono i mezzi coercitivi.

In letto continuò per qualche di tempo a dibattersi e a fare discorsi strani e sconnessi, ma due ore dopo era già calmo e tranquillo e rispondeva in modo cortese ai Medici che si recarono più volte a visitarlo. Il mattino susseguente pure era quieto e abbastanza ordinato della mente. Si mostrava dolente di ciò che aveva fatto e, preoccupato del suo avvenire, piangeva. Alle domande che gli si rivolgevano rispondeva a tono, dicendo che i fatti da lui commessi dovevano ascriversi a perturbamento montale, giacchè nes- suna ragione aveva che lo muovesse a compiere quei strani reati contro persone a lui del tutto sconosciute. Asserì di non ricordare ciò che aveva compiuto, e a tal proposito così ha sempre risposto nei giorni seguenti. Solo ricordava che per un certo tempo gli sembrava che tutti lo guardassero di mal occhio e che per istrada si volgeva ogni tanto col capo, sospettoso di quelli che lo seguivano, trasalendo ogni qual volta che un passante lo rag» giungeva e lo sfiorava, procedendo innanzi.

Il B. è andato sempre a poco a poco migliorando, od essendosi dimos strato costantemente buono, rispettoso, disciplinato, è stato, per gradi, libe- rato dei mezzi coercitivi e finalmente passate alla sezione tranquilli.

Il B. ha assistito ai divertimenti e al ballo dati nello Stabilimento du- rante gli ultimi giorni di Carnevale, mantenendo un contegno correttissimo. Nella seconda festicciuola la musica, il caldo della sala lo eccitarono un pò: egli allora, nell’andare a letto, sentendosi poco sicuro di sè, pregò i medici di fargli applicare per la notte la camicia di forza. Così fu fatto. La matti- na dipoi era quieto e sereno e tale si mantiene tuttora, all'infuori di qualche momento in cui mostrasi un preoccupato e convulso.

Esame obbicttivo (fatto il giorno 14 Febbraio 1809 e segnenti)

Îl B. è in letto in posizione supina; ha atteggiamento tranquillo e see» reńo. Ê di statura bassa, di aspetto piuttosto gracile, di colorito pallido, così nel viso come nella cute del rimanente del corpo. Le forme sono rego- lari, delicate; nella conformazione generale v’ha evidente euritmia. I capelli sono folti, neri, lisci, regolarmente impiantati; i baffi, pure neri, sono poco abbondanti, la- barba scarsa e rada, specie nelle gote. Al pube e sotto le ascelle il sistema pilifero è poco sviluppato. Il tessuto adiposo sottocutaneo è scarso; il sistema muscolare poco rigoglioso, lo scheletro regolarmente svi- luppato. Nulla di anormale si osserva nel sistema glandolare. - Organi geni- tali regolarmente conformati,

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Il capo ha forma regolare e tipo brachicefalo. La fronte ò abbastanza ampia, quadrata, corsa da poche rughe trasversali. Occhi grandi con sopra- ciglia folte, arcuate, riunite sulla radice del naso, con rima palpebrale ampia, ciglia lunghe, iride castana a colorito uniforme. Naso retto mesorrino. Bocca regolare con labbra mediocremente tumide, pallide, con denti ben confor- mati e bene impiantati, con volta palatina poco profonda. Orecchie ben con- formate, impiantate in modo simmetrico.

L’esame crantometrico ha fornito i seguenti risultati:

Diametro antero posteriore ; i ; mm. 180 > bip. massimo ; i : : » 155 » bifr. minimo i 3 i s i 110 Indice-cefalico i : ; È i ì 86,11 Curva antero-posteriore à ; í . mm. 310 » biauricolare i ; i i 3 » 300 Somma delle 3 curve principali i i » 1130 Altezza totale della faccia (comp. la fronte) i » 160 » della fronte ; ; i q s > 52 Diametro bizigomatico : : ; i » 120 > bigonion ; ; : » 100 Distanza dal m. uditivo est. al meii a destra » 122 > » > a sinistra » 120 Angolo facciale (dello Jacquart) ; --- 74°

1l torace è bastantemente ampio, quadrato; a nata addotte e abdotte la respirazione si svolge simmetricamente regolare, a tipo costo-addominale, con la frequenza di 18 escursioni al minuto.

La punta del cuore batte visibilmente un dito trasverso al di sotto e all’indentro del capezzolo della mammella. Alla palpazione nulla si avverte di anormale. L’arteria radiale si dilata con mediocre forza, con ritmo un irregolare, con discreta frequenza (90 volte al m.). Alla percussione si rileva sonorità perfettamente regolare in tutto l'ambito polmonare, o l’ area car- diaca ha limiti fisiologici. Ascoltando, si avverte respirazione schiettamente vescicolare, toni cardiaci forti, netti in tutti i focolai.

L’addome ha forma esagonale e, nei sollevamenti che accompagnano l’ab: bassarsi inspiratorio del diaframma, si espande in modo simmetrico. Alla palpazione nulla si avverte di anormale. Con la percussione si desta ovun- que un suono timpanitico a carattere normale, e si rinvengono i diversi vi= sceri (fegato, stomaco, milza) in confini fisiologici. All’ascoltazione nulla pure si avverte di patologico.

La temperatura è normale,

Le urine sono qualitativamente e quantitativamente normali.

All’esame delle funzioni estesiodiche di relazione notasi una vivezza ge- nerale di tutte le sensibilità in ciascuna parte della superficie del corpo

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(pelle o mucose). La sensibilità alti, propriamente detta, è squisita ovun- que. Così pure la sensibilità dolorifiean, che però appare più vivace a destra. La sensibilità barica è anch’ essa più vivace a destra, specie nella regione anteriore della coscia. La sensibilità termica è vivacissima ed uguale nelle due metà del corpo. Pronta abbastanza la sensibilità igrica. La sensibilità elettrica, saggiata con la slitta di Du Bois Reymond, non è tanto vivace come le altre, ma ugualo nelle due metà. Il senso muscolare è fisiologico.

L'acuùità visiva è notevole e molto più forte a destra (V —:0,9 della scala tipogr. decim. sistema Monoyer) di quello che a sinistra (V=—0,4). La per- cezione della luce anche intensa non provoca uggia o dolore. Il senso cro- matico è normale. La visione indiretta è limitata, specie a sinistra, come può rilevarsi dalle figure del campo visivo nella tavola annessa. L'associazione funzionale degli occhi è perfetta.

La sensibilità olfattiva mostrasi più pronta e più vivace a destra.

Per ciò che riguarda la sensibilità gustativa, si nota che i diversi sapori (acido, dolce, salato, amaro) vengono percepiti più a destra che a sinistra e più alla base che alla punta e nelle parti laterali della lingua.

L’acutezza uditiva, raggiata col battito d’un orologio da tasca, è note- vole: difatti ìl B. avverte il battito a destra alla distanza di due metri, a sinistra alla distanza di m. 1,73. Il senso dello spazio acustico è normale.

Per rispetto alle funzioni cinesiodiche di relazione, si osserva che la mo- tilità volontaria è ovunque normale, come pure nulla di morboso rileva l’'e- same dei movimenti passivi. La reazione muscolare allo stimolo elettrico è normale e simmetrica.

La forza muscolare, misurata col dinamometro, risulta a destra di 130, a sinistra di 115. Il riflesso pupillare alla luce è pronto e uguale a destra che a sinistra: meno pronta è l’accomodazione, specie u destra. Al dolore le pupille reagiscono bene e simmetricamente. Esse sono uguali e di forma regolare. Il riflesso congiuntivale è poco vivo. Sono normali i riflessi delle mucose; quello faringeo appare piuttosto ottuso. I riflessi cutanei sono tut- ti vivacissimi; il solletico è diffuso a tutto il corpo ed esagerato. Di riflessi tendinei notasi molto vivace, tanto a destra che a sinistra, quello rotuleo ; gli altri sono normali. Riflessi vescicale, anale, genitale fisiologici.

Esame psichico. Il B. non ha illusioni allucinazioni. La coscienza della propria personalità è integra, normale. Egli appare fornito di mediocre intelligenza; il patrimonio ideativo è esiguo, ma il contenuto delle idee è normale. Egli parla sensatamente e non palesa alcun disturbo nei processi associativi delle idee anomalie speciali nella formazione dei giudizî; chè anzi non è troppo affrettato nel concludere leggiero. La memoria è buona, e solo si addimostra insufficiente rispetto a quel periodo in cui commise quei fatti che determinarono il suo arresto e poi la sua ammissione al Manicomio. Solo, in confuso, ricorda di essere stato in quel tempo dominato da idee di

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persecuzione e da un grande creilamento c di avere patito mali e giramen- ti di capo.

Interrogato sul ferimento dell'O. e sulle bastonate che dispensò senza ragione alcuna, egli risposte vaghe, incerte. Perchè egli commettesse e in. qual modo e a quale ora quei reati egli non rammenta, nulla sa dire.

L’altenzione è pronta, esatta, durevole.

I sentimenti non sono troppo vivaci; egli è dolente di ciò che ha fatto, dell’ avvenire che lo attende, ma non ne ha quella preoccupazione che ogni altra persona normale risentirebbe. Per la sua famiglia mostra affetto, ma non la nomina di sovente si commuove si rallegra molto allorquando il padre lo viene a visitare; però disordini qualitativi del sentimento affettivo non se ne notano in lui.

I sentimenti etici apprviono bene sviluppati, a giudicare dalla vita che condusse prima cei suoi reati e dalle risposte che dà. Non ha alterazioni degli istinti.

Il B. é tranquillo e di umore quasi sempre lieto.

Sembra dotato di discreto potere volitivo } perciò sa vincersi e reprimer- si allorquando, a volte, l’ eccitamento lo invade.

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Il riflesso vascolare emotivo & abbastanza vivace.

: Gindizio peritale

Che gli atti criminosi commessi dal B. nel periodo compreso fra il 16 e il 27 Gennaio fossero manifestazioni di una mente anomala o inferma si potrebbe affermare a priori. Un individuo, che, senza alcuna reale provocazione, senza scopo di lucro o di vendetta, bastona o ferisce nelle strade più centrali e frequentate di una città diverse persone a lui del tutto sconosciute, non può essere che un pazzo. E difatti 1 cittadini tutti di Ferrara, non appena conosciuto qualche particolare delle prime aggressioni, pensarono subito che dovesse trattarsi un alienato, e con una tale opinione vibrava all’ unisono quella della Questura, la quale in sulle prime si diede a pedinare e anche ad arrestare qualcuno di quegli innocui cittadini ferraresi che in passato avevano avu- to qualche rapporto col Manicomio, Il dubbio, per non dire la certezza della pazzia, devono avere avuto indubitatamente i Ma- gistrati del Tribunale di Ferrara dal momento che sottoposero a perizia psichiatrica il B.; psicopatico disse costui il dott. F. Gatti nel certificato col quale il detenuto dalle Carceri di S. Paolo fu fatto ricoverare al Manicomio.

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À me perito però spetta il dimostrare che il B. è un aliena- to, non solo, ma lo stabilire anche di qual forma mentale egli era affetto quando commetteva i delitti di cui é imputato e final- mente il determinare il grado della limitazione della sua coscien- za e della libertà e subordinatamente il grado della sua respon- sabilità.

Allo scopo di rendere più facile il mio compito io reputo cosa logica e razionale studiare anzi tutto il B. fuori di quel pe- riodo di tempo nel quale commetteva delitti, vale a dire nella sua anamnesi remota e ne. Manicomio. Una volta ricostruita con questo studio la personalità psichica del B. sulla guida di essa, mi sarà meno difficile affrontare il problema principale ed emet- tere il responso che da me la Giustizia invoca.

Dalla anamnesi sappiamo che il padre del B., tuttora viven- te, ha cefalea e vertigini accessuali; sei fratelli morirono in te- nera età; una sorella adulta morì tubercolosa; un fratello, dopo lunga e grave malattia nervosa di natura organica, morì in età piuttosto giovane, probabilmente psicopatico; la madre, che, a guisa della sorella, mori tubercolosa, era eminentemente neuro- psicopatica (isterica ?): ebbe forti e frequenti cefalee, una volta un accesso con perdita di coscienza e quasi ogni mese (forse nel- le epoche mestruali) aveva periodi di irritabilità e di confusione mentale, durante i quali, secondo quanto narra il marito, era una donna diversa da quella solita.

Come vedesi, il B. proviene da famiglia in cui abbondano i neuro-psicopatici e i tubercolosi, in una parola i degenerati; non farà quindi alcuna meraviglia se anch’ egli non ha potuto sottrar- si alla dannosa influenza di tanta eredità patologica.

Il B. infatti incominciò ben presto a presentare i sintomi pro- pri di chi porta il fardello di una grave labe ereditaria: non na- cque a termine, pare sia stato rachitico, senza dubbio ebbe uno sviluppo lento e tardo. Fino a dieci anni soffri di enuresi nottur- turna. Quindicenne, di notte, stando in letto, cadeva in accessi di pianto immotivato, che venivano avvertiti dai famigliari, ma dei quali egli non aveva coscienza e non serbava ricordo. Dopo 117 anni, per 406 volte nello spazio di sei mesi, fu visto di notte alzarsi in camicia, discendere le scale, aprire la porta di casa e fermarsi sul limitare. Invitato ad andare in letto, lo face-

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va, ma poi emetteva lamenti, si agitava, e di tutto ciò non ser- bava ricordo immediatamente la mattina appresso.

Fino a questi ultimi tempi è andato sempre soggetto a forti cefalee,

Ma non basta; mentre il B., a giudizio di tutti, fu sempre di indole buona e mite, di carattere gioviale e scherzoso, di costumi morali eccellenti ecc., per deposizione del padrone A., suffragata anche da mie particolari informazioni, commetteva talvolta alcune stranezze che per i profani erano di poco conto, ma che per noi hanno la massima importanza. Abbiamo veduto infatti, p. e., come il B., mentre nella bottega del suo padrone era intento a radere la barba o a tagliare i capelli ad un cliente, d’ un tratto interrom- peva il servizio per andare a lavarsi le mani o il viso senza che ve ne fosse alcuna ragione.

Da tutto ciò appare manifesto come il B., se in tutta la sua vita precedente ai fatti del Gennaio 1898 non presentò segno commise atto che faccia in alcun modo intravedere in lui la più sbiadita tempra del delinquente, si appalesò senza dubbio do- tato di una costituzione eminentemente neuropatica. Tralasciando di parlare di tutti quei fatti risguardanti la prima infanzia del B., che dimostrano essere stato egli uno di quei fanciulli tardivi, il di cui sviluppo fisico e mentale cioè si compie in modo lento e stentato, i fenomeni da lui presentati dopo la pubertà s’ impon- gono assolutamente. Gli accessi notturni di pianto immotivati e di cui non serbava memoria, i fenomeni veri e proprî di sonnam- bulismo presentati dopo i 17 anni, le cefalee intense, gli atti stra- ni deposti dall’ A. e che potrebbero riferirsi ad assenze o a fatti di automatismo , sono talmente importanti da non lasciare alcun dubbio sulla costituzione neuropatica del B., non solo, ma da far pensare senz’ altro all’ isterismo o all epilessia.

E diciamo subito ‘che, nel caso concreto, la mente deve cor- rere piuttosto all’ isterismo che all’epilessia, giacchè, se i fenome- ni superiormente accennati possono essere propri dell’ una e del- l’ altra forma morbosa, per la seconda vi sarebbero alcuni elemen- ti negativi di grande valore.

E noto infatti come l’epilettico abbia in generale un carat- tere scontroso e irritabile e un’ indole cattiva e violenta; ora il B. ci è stato descritto mite, buono, gioviale, scherzoso.

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Ma la nostra inclinazione ad ammettere l’ isterismo piuttosto che l'epilessia trova la sua maggiore giustificazione nell’ osserva» zione attenta e prolungata praticata sul B. nel Manicomio,

Nol non possediamo una relazione esatta e dettagliata sullo stato di eccitamento presentato dal B. nelle Carceri di S. Paolo e per il quale egli fu quasi immediatamente condotto al Manico- mio; però, siccome l’accesso da noi osservato alla sua ammissio- ne deve considerarsi più meno che la continuazione di quello, così è che noi ci limiteremo a prendere in considerazione i fatti caduti sotto l’ osservazione nostra.

E a questo riguardo dobbiamo subito dire che Il’ accesso dal B. in quella sera presentato aveva tutti i caratteri dell’ accesso isterico o istero-epilettico, tanto da non potersi assolutamente con- fondere con accessi di altro genere. Le grida assordanti, il ditat- tersi incoordinato, unito ad illusioni e a discorsi strani, la dura- ta dell’ accesso (2 ore circa) la confusa o nessuna memoria del. l'accaduto ecc. furono troppo caratteristici perchè sia necessario intrattenersi maggiormente a dimostrarlo. |

Anche il contegno ulteriore del B. rel Manicomio vale a con- fortare la diagnosi di isterismo. Difatti I’ eccitamento provocato in lui dalla musica e dal caldo la sera della festa da ballo, i suoi episodi di convulso, che egli avverte e pei quali è in grado di chiedere in tempo rimedì terapeutici o aiuti coercitivi: tutto ciò, unito alla sua serenità e al suo contegno corretto senza scatti e senza impulsi, rende più attendibile il giudizio di isterismo, esclu- dendo l’ epilessia che, sola, potrebbe con esso venire in questione.

Ma la sicurezza che il B. sia un isterico 10 lho acquistata coll’ esame obbiettivo su di lui praticato nel Manicomio.

I risultati dell’ esame antropologico hanno messo manifesta- mente in mostra una caratteristica speciale del B., voglio dire la sua femminilità. Egli infatti ha statura bassa, aspetto gracile, forme delicate, scarsità di peli nella faccia, alle ascelle e al pu- be, scarso sviluppo del sistema muscolare e c.rconferenza cranica (mm. 520) di donna. E tutti sanno, specialmente dopo gli studi del nostro Tonnini, quale importanza possono avere questi fatti nell’avvalorare la nostra diagnosi di isterismo maschile, il quale generalmente ci si offre in uomini aventi impronte rilevanti di femminilità,

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Invano si cercherebbe nel nostro B. la più piccola di quelle asimmetrie somatiche, tanto frequenti nella epilessia, e sulle qua» ‘li anzi gli alienisti moderni riporrebbero la vera e fondamentale essenza di questa forma morbosa. In esso anatomicamente tutto è euritmico e tutto proporzionato. |

Certamente non può dirsi altrettanto sotto il punto di vista funzionale. Difatti l’ esame accurato delle varie forme di sensibi- lità ci ha rivelato che nel B. esiste una asimmetria rilevantissi- ma fra la parte destra e la sinistra: tanto la sensibilità dolorifica quanto la barica appaiono più vive a destra; e a destra, più che a sinistra, sono più pronti e vivaci l’ olfatto, il gusto, la vista e l udito. Per ciò che riguarda la vista, la differenza fra l’ occhio destro e il sinistro è di 0,5 alia scala tipografica decimale di Monoyer; per ciò che riguarda l’udito, P’ orecchio destro perce- pisce il battito di un orologio da tasca a due metri di distanza.

Ma, se anche l’asimmetria funzionale, unitamente a quella somatica, è stata accampata quale un fenomeno proprio dell’ epi- lessia, una asimmetria così spiccata e disgiunta da quella anato- mica, che comprende anche i sensi specifici, è stata e sarà sem- pre caratteristica dell’ isterismo.

Ma v’ ha di piu. Il B. se presenta la sopradescritta asimme- tria funzionale, ha d'altra parte una ipereslesia generale, nel sen- so che anche da quel lato (il sinistro‘, dove la sensibilità, in pa- ragone del destro, è minore , è sempre maggiore di quella di un uomo normale. Prova ne sia, p. es., che coll’ orecchio sinistro il B. percepisce il battito dell’ orologio a in. 1,75 di distanza. E ciò senza dubbio sta più per l’ isterismo che per |’ epilessia.

Altri fatti però valgono a rafforzare, anzi a mettere fuori di dubbio la giustezza della nostra diagnosi; e questi sono la poca vivacità del riflesso congiuntivale e l ottusità di quello faringeo, nonchè il restringimento o la limitazione del campo visivo, spe- cialmente a sinistra (come può rilevarsi dalla figura delle tavole annessa).

I fenomeni descritti, se si possono, isolati, trovare anche nell’ epilessia, quando si riscontrano tutti riuniti in un solo indi- viduo, rappresentano per soli una sindrome, direi quasi, carat- teristica dell’ isterismo,

In base all esame psichico del B., poche cose potremmo ag-

5 ROP dae

giungere a quanto abbiamo già detto più sopra, quando si è par- lato del suo contegno nel Manicomio. Diremo soltanto che, men- tre anch’ esso convalida sempre più la nostra diagnosi, esclude assolutamente che il B. medesimo sia un pazzo morale, posseden- do egli bene sviluppati i sentimenti etici ed affettivi, del che, co- me abbiamo veduto, fanno anche testimonianza le azioni e il con- tegno di tutta la sua vita passata.

Rimane dunque dimostrato che il B. non ha tempra di de- linquente, non è un pazzo morale un epilettico, ma è un isterico,

Esaminiamo ora gli atti criminosi compiuti dal B, nei gior- ni 16 e 26 Gennaio.

E prima di tutto naturalmente cade in acconcio la domanda: hanno detti atti per stessi, indipendentemente dall’ individuo che li ha perpetrati, i caratteri di quelli che sono proprî dei coe muni delinquenti ?

A questa domanda è già stato, in parte e in modo indiretto, da me risposto negativamente nel principio di questo giudizia peritale; ma è assolutamente necessario tornare anche una volta sull’ argomento. Anzi tutto, e ciò ha la massima importanza, negli atti del B. manca completamente ogni elemento causale: non lucro, non vendetta, non interesse di alcuna sorta, principali moventi dell’azione delittuosa vera e propria. Rimane completamente esclu- sa anche la premeditazione, che di solito, in casi consimili, quan» do l’ atto ha il carattere del vero delitto, non suole mai mancare,

Ma tante altre ragioni stanno a dimostrare che chi il 16 e il 26 Gennaio commetteva quegli atti criminosi non poteva esse- re un delinquente. La persona, che ferisce e tenta di uccidere a scopo di lucro o di vendetta, si premunisce, attende la vittima per strade remote, striscia pian piano addosso alle muraglie, non mostra ad altri l’ arma di cui dovrà servirsi e finalmente colpi- sce proditoriamente quando ha la massima probabilità che nessu- no lo vegga, evitando alterchi e schiamazzi e fuggendo in silen- zio dopo compiuto il misfatto. Il B. invece cammina a passo con- citato e forte (tanto che le persone, come il F., si volgevano per fino indietro); aggredisce individui a lui sconosciuti in mezzo àlle strade più centrali c più larghe della città; fa mostra, anzi pompa dell’arma al cospetto di persone e, senza sottrarsi alla vista delle medesime, colpisce ripetutamente un povero vecchio (fatto dell’ O,

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in via XX Settembre); provoca questioni e alterchi per cose da nulla con le vittime (fatti di via Palestro e di via Bellaria); dopo il misfatto (ferimento del D.) fugge con passo grave, sbuffando ed emettendo dalla bocca un rumore che pareva un grugnito.

Non può neppure parlarsi della solita misteriosa malvagia brutalità, perchè essa non sarebbe in relazione coi precedenti del B. e sarebbe anzi in contrasto con la sua indole buona, mite e pacifica da tutti concordemente riconosciutagli.

Stabilito adunque che gli atti, compiuti dal B. il 16 e il 26 ‘Gennaio, non possano rappresentare l’opera un delinquente o di un malvagio brutale, bisogna necessariamente ammettere che il B. nelle due sere dei suddetti giorni si trovasse in uno stato psichico diverso da quello normale, vale a dire in uno stato di mente morboso. E non sarà difficile il dimostrarlo.

Dalle deposizioni, fatte dal B, dinanzi ai Carabinieri subito dopo il suo arresto, nonchè da quelle fatte dinanzi al Giudice Istruttore e da quanto ha egli più volte ripetuto nei diversi esa- mi da me praticati nel Manicomio, risulta ad evidenza un fatto importantissimo, vale a dire che il B. in quei periodi in cui com- metteva i delitti era dominato da idee deliranti specialmente a tipo persecutivo e da errori sensoriali (illusioni e allucinazioni). Abbiamo veduto difatti come egli, negli interrogatorî cui fu sot- toposto, dicesse : ( per il 1.° reato) che il F. lo aveva provocato con lo sguardo, lo aveva urtato in una spalla e gli voleva pren- dere il fazzoletto, mentre nulla di tutto ciò avvenne; (per il 2.° reato ) che il D. gl’impediva il passo, tenendo in una mano la rivoltella e nell’ altra una forchetta, che gli aveva fatto il gam- betto e che lo aveva rincorso con minaccie, tutte cose completa- mente immaginarie; e finalmente ( per il 3.° reato ) che l’O. gli aveva pestato un piede ed aveva alzato il bastone per colpirlo, mentre il povero vecchio cieco se ne andava pei fatti suoi e fu colpito posteriormente. Ma v'ha di più: nell’interrogatorio dinan- zi al Giudice Istruttore, e precisamente alla fine, disse che ¢utte i compagni gli volevano male, che non ricambiavano il suo saluto ecc. ecc. A noi medici del Manicomio poi il B. più volte ha ri- petuto ricordarsi confusamente che in quell’ epoca gli sembrava che tutti lo guardassero di mal occhio e che per istrada vol- geva ogni tanto col capo, sospettoso di quelli che lo seguivano,

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trasalendo ogni volta che un passante lo raggiungeva e lo sfiora» va procedendo innanzi.

Un altro fatto pure di grandissimo valore, che qualifica mor- boso lo stato psichico del B. nelle due sere tante volte ripetute, è la limitazione della sua coscienza. Abbiamo veduto infatti co- me egli tanto al Giudice Istruttore, quanto a noi nel Manicomio, abbia sempre dato sui fatti risposte vaghe e incerte, dimostrando a chiare note avere di essi una memoria confusa ed incompleta. E non si può dire che il B. abbia fatto ciò per simulazione, poi- chè, se, appena arrestato, dinanzi ai Carabinieri nego di essere stato l’autore di quei ferimenti, poco dopo in Carcere lo confes- sò; non Cc’ era più quindi ragione di tacere o simulare pei parti- colari del fatto che, dopo la sua confessione, perdevano ogni im- portanza.

A me nel Manicomio non seppe mai dire il perchè, in qual modo e a quale ora abbia commesso quei delitti. Mi ha sempre ripetuto che quei fatti dovevano ascriversi a perturbamento men- tale, giacchè nessuna ragione aveva che lo muovesse a compiere quei strani reati contro persone a lui del tutto sconosciute.

Non vi può esser dubbio quindi che il B. quando commise i delitti si trovasse in uno stato psichico morboso.

Ma quale sarà la forma di pazzia che, mentre induceva il B. ad atti delittuosi, poteva per la massima parte del tempo permet- tergli di agire con tale relativa apparenza di correttezza, da sot- trarsi per un periodo di dieci giorni circa alle indagini della Giu- stizia e di una popolazione intera ?

A tale domanda può rispondersi facilmente, giacchè per chì ha un di famigliarità con la psichiatria si rende, nel caso con- creto, manifestamente inutile il perdersi in diagnosi differenziali. È difatti troppo ovvio che qui non possa trattarsi di mania di paranoia, uniche forme che potrebbero entrare in discussio- ne, e che debba perciò pensarsi soltanto ad una follia o epiletti- ca o isterica. Ma superiormente abbiamo dimostrato che il B. è un isterico; ne consegue quindi logicamente |’ ammettere una for- ma psichica di questa natura. Ì

Ed è appunto la follia isterica, quello stato psichico mor- boso che spiega meglio di ogni altro gli atti criminosi compiuti dal B. Sappiamo infatti come l’ isterico, quando cade in simili

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stati, abbia totalmente trasformata la propria personalità. Indivi- dui, noti per la loro bontà e per la loro mitezza, divengono mal- vagi e impulsivi; persone, che ordinariamente sono sempre incli- nate ad apprezzare benevolmente gli avvenimenti della loro cer- chia, divengono sospettose e diffidenti e tendono a percepire in modo ostile tutto l’ambiente che le circonda; se prima il loro cervello era capace di criticare ogni idea che fosse sorta nella loro coscienza, adesso non sono più in grado di farlo, e perciò si lasciano andare anche a quelle reazioni motorie cui quelle idee possono dar luogo; e se a tutto ciò si aggiungono idee deliran- ti ed errori sensoriali, specialmente di natura persecutiva, detti individui perdono ogni freno, divengono con plolamiente abulici e divengono capaci anche di delitti.

In tale stato senza dubbio doveva trovarsi il B. quando com- inise i reati di cui è imputato.

Secondo me il B., in tutto quel periodo compreso fra il 16 Gennaio per lo meno e il secondo giorno di sua degenza nel Ma- nicomio, deve considerarsi come in uno stato continuo di equili- brio psichico instabile (cui non dovrebbero essere stati estranei, come momenti eziologici, i gravi fatti di S. Luca), durante il qua- le i due episodì del 16 e del 26 corrisponderebbero a due veri e propri equivalenti isterici. Nel periodo intervallare ai due equi- valenti e nel breve periodo consecutivo all’ ultimo fatto le altera- zioni della personalità, pur esistendo idee deliranti, diffidenza ecc., dovevano essere così leygiere, da permettere al B. una certa po- tenza critica e un certo grado di volontà, tanto da fargli dissi- mulare il suo stato e da non indurlo alla reazione impulsiva; ma durante gli equivalenti (che, a guisa degli acessi convulsivi, si verificavano sempre alla stessa ora e presso a poco avevano una stessa durata) la diffidenza, il sospetto, gli errori sensoriali, le idee persecutive e la disposizione a percepire ostilmente l ambiente raggiungevano tal grado di vivacità, da limitare enormemente la coscienza, la potenza critica e la libertà del B., il quale perciò era indotto alla reazione motoria, al delitto.

La distinzione da noi fatta del diverso grado di infermità di mente nel due diversi stati spiega il diverso grado di memoria che il B. conserva dei fatti che avvennero in quel lasso di tem- po. Difatti, come abbiamo veduto, mentre egli per nulla o solo

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molto in confuso rammenta gli episodi dei due equivalenti, ha saputo dirci che nei periodi intervallari gli sembrava che tutti lo guardassero di mal occhio, che per istrada trasaliva ogni vol- ta che un passante lo raggiungeva c lo sfiorava, procedendo in- nanzi ecc. ecc. |

L’ accesso isterico o istero-epilettico, iniziatosi nelle Carceri di S. Paolo e terminato due ore dopo circa la sua ammissione nel Manicomio, rappresenta per me I’ ultimo episodio, la crisi fi- nale della follia isterica dal B. presentata. E noto infatti a chi vive in mezzo ai pazzi e agli isterici che un accesso convulsivo segna spesso la fine di un equivalente psichico isterico, il ponte di passaggio fra lo stato morboso e la salute mentale.

Il B. ordinariamente non è un individuo pericoloso, ma lo potrebbe diventare se ricadesse di nuovo in uno stato di follia isterica simile a quello che ebbe nel Gennaio ultimo scorso. È perciò che soltanto dall’ osservazione lunga ed accurata, quale può farsi in questo Istituto, sarà dato trarre un criterio sufficiente per stabilire attendibilmente l’ opportunità o meno della sua fu- tura dimissione dal Manicomio, la quale, in ogni modo, in consi- derazione dello spavento che i delitti del B. destarono nella po- polazione di Ferrara, non dovrebbe essere effettuata che in un tempo relativamente lontano.

Concludo quindi, in ordine ai quesiti propostimi dal signor Giudice Istruttore :

1.) che il B., originariamente isterico e susseguentemente ca- duto in uno stato di follia isterica, nei giorni 16 e 26 Gennaio 1898 era in tale stato di infermità di mente da togliergli la.co- scienza e la libertà dei proprî atti; egli è quindi del tutto irre- sponsabile dei reati di cui viene imputato.

2.) che il B., sebbene attualmente non pericoloso, potrebbe divenir tale se ricadesse nella follia isterica del Gennaio 1898 e che percio la sua liberazione dovrebbe essere rimessa al Direttore del Manicomio, dopo un lungo periodo di osservazione.

Il Tribunale di Ferrara, accogliendo le mie conclusioni, di- chiarava non luogo a procedere contro il B. per vizio totale di mente e ne ordinava il ricovero definitivo in un manicomio.

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cin Mania, melancolia e psicosi maniaco-depressivà del Dott. Jacopo Finzi

Nella Rivista di Patologia nervosa e mentale Vol. IV. fasc. 7 il Dott. Gucci prende in esame parecchie migliaia di casi di mania e melancolia allo scopo di vedere fino a che punto il con- cetto del Kraepelin sulla frenosi maniaco- dephesste stia in ac- cordo coi fatti.

Su 3815 malati il Gucci trova 2419 manie e melanconic semplici; 921 manie e melanconie recidivanti; 202 forme recidi- vanti miste; 159 manie e melanconie periodiche; 117 follie circolari.

ll 63, 4°/, di questi malati diversi è adunque rappresentato da maniaci e da melancolici guariti, e non più ritornati una seconda volta al Manicomio; il che, aggiunto al fatto che le forme recidi- vanti si presentano nella maggioranza costantemente come manie o come melancolie sullo stesso individuo, fa concludere al Gucci che

il numero delle forme semplici è troppo rilevante per piegarsi all’interpretazione del Kraepelin;

il Kraepelin ha generalizzato troppo il concetto di una psi- così nella quale indifferentemente possono succedersi accessi di esaltamento o di depressione;

una forma maniaco-depressiva si può ammettere nel senso e nell’estensione voluta dai 202 casi notati di forme recidivanti miste.

La divergenza adunque fra il concetto del Kraepelin e il reperto statistico del Gucci consisterebbe essenzialmente in que- sto: che il Kraepelin chiamerebbe questi 3815 malati, dato che la diagnosi sia giusta, tutti malati di forme diverse di una me- desima malattia, la frenosi maniaco depressiva; il Gucci invece sostiene che fra questi, ci sono malati di otto malattie differenti: Mania, Melanconia, Mania recidivante, Melanconia recidivante, Psicosi maniaco-depressiva, Mania periodica, Melanconia perio- dica, e Frenosi circolare.

Se la questione si riducesse tutta a un significato più o meno esteso dato a una parola, non varrebbe la pena di occuparsene. Ma sotto la questione di parole nasconde una questione di me- todo, e ciò merita considerazione.

Nell’esaminare i dati della statistica, poichè essi devono ser- vire a controllare i risultati clinici di un altro osservatore, il

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primo problema che si presenta, e la cui soluzione in senso affer- mativo è assolutamente necessaria per dar valore ai dati, è que- sto: sono le diagnosi di mania e di melanconia fatte qui con gli stessi criteri con cui Kraepelin diagnostica gli episodì di esal- tamento e di depressione da lui inquadrati nella frenosi mania- co-depressiva ?

Già qui si possono sollevar molti dubbî. Da un lato le dia- gnosi fatte molti anni addietro e da diversi medici (le statistiche del Gucci si estendono a 55 anni) non possono avere molta at- tendibilità; dall’altro bisognerebbe, se non altro, escludere dal computo tutte quelle Melancolie, e son certo molte, che corrispon- dono alla Melancolia vera e propria nel senso voluto dal Krae- pelin come malattia a sè, affatto indipendente dalla frenosi Ma- niaco-depressiva.

Se ancora oggi si fa spesso mania sinonimo di eccitamento e melanconia sinonimo di arresto psichico, figuriamoci poi nei tempi passati. Tutto ciò che non era paranoia, paralisi progressiva e frenastenia, era mania o melancolia: tanto è vero che dai registri del Manicomio usufruiti dal Gucci risulterebbe che venivano am- messi in media circa 90 maniaci e 100 melancolici all’ anno con un numero di ammissioni complessivo di 392 malati, fra cui un numero enorme di epilettici!

Fra i 2419 maniaci e melanconici semplici figurano, lo dice il Gucci stesso, individui riammessi, in cui però non fu più verificata la pazzia; poi fra questi alcuni saranno morti prima di ricadere ; altri saranno partiti dalla Provincia di Firenze; molti saranno stati melancolici nel senso del Kraepelin; molti infine non saranno stati maniaci melanconici, ma chissà da quale altra malattia affetti (amenza, forme alcooliche, isterismo, ebefre- nia, ecc.), e queste cinque categorie di malati dovrebbero essere sottratte da quei 2419, per poter attribuire a tale numero il suo valore giusto in questa discussione.

Poi viene la distinzione delle forme recidivanti dalle perio- diche, distinzione fondata dal Gucci sul numero delle ricadute. Perchè una forma che si ripresenta meno di 4 voite si deve chia- mare recidivante e quella che si ripresenta più di 4 volte perio- dica? Così il concetto di recidività come quello di periodicità debbono avere ben altri fondamenti di distinzione,

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All’infuori di alcuni casi eccezionali, in cui si può parlare con sicurezza di recidiva (amenza, psicosi alcooliche) o di perio- dicità (le così dette psicosi mestruali, o forme rare di mania, melancolia periodiche e follie circolari, i cui diversi accessi si ripresentano con singolare regolarità di comparsa e di durata), è generalmente in pratica molto arbitraria la distinzione in malat- tie, le cui cause ci sono ancora in grandissima parte ignote. La differenza fra recidività e periodicità è troppo profonda ed es- senziale perchè possa essere fondata su criteri troppo superficiali. Se uno ha tre accessi epiletticì in vita sua e un altro ne ha cin- que, si tratterà di due forme morbose diverse? Se una malata ha un accesso maniaco alla pubertà, un secondo in un puerperio, un terzo alla menopausa; un’altra ha un accesso maniaco alla puber- tà, tre accessi in tre puerperì e un quinto accesso nella meno- pausa, perchè si deve parlare nella prima di recidiva, nella secon- da di periodicità ?

Si sa bene che gli accessi di esaltamento e di depressione, nel senso dato loro dal Kraepelin come episodÌì componenti la frenosi maniaco-depressiva , non hanno mai cause esterne deter- minate al pari delle psicosi tossiche, da esaurimento, da malattie del ricambio, ecc. Le fasi della vita sessuale o l’età possono es- sere il momento che decide l’azione di cause interne che non ces- sano mai: non solo, ma queste cause interne possono essere così lievi, che solo una volta nella vita di un individuo riescono a dar luogo ad un episodio maniaco, o melanconico.

Il Kraepelin, in appoggio alle sue idee, non può ancora portare grandi numeri, per la semplice ragione che egli si guar- da bene dallo sfruttare un materiale che non presenti tutte le garanzie; e in questo caso presentare tutte le garanzie vuol dire -essere stato studiato da lui personalmente, o per lo meno col suo metodo e coi suoi criterì. Il materiale del Gucci non è dunpue confrontabile col materiale del Kraepelin; di più il Gucci non porta nessun argomento valido in favore della distinzione , che, quando è possibile, è di una estrema importanza, fra forme reci- divanti e forme periodiche.

Ma supponiamo che le cifre e i fatti portati dal Gucci rap- presentino dei dati incensurabili dal punto di vista dell’ argomento che si discute, Sarebbero essi, anche in questo caso, realmente in

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contraddizione con ciò che insegna il Kraepelin? Essi in fondo verrebbero a dimostrare questo, che, fra tutte le varie forme della frenosi maniaco-depressiva nel senso del Kraepelin, le più fre- quenti sono quelle ad accesso unico e le recidive uniformi. Ora tutto ciò non contraddice al concetto clinico che queste e le altre forme siano manifestazioni di una stessa entità morbosa: e, per vero dire, il Gucci stesso si è espresso, ‘concludendo, in modo molto prudente e circospetto. è solo questo da notare: il Gucci dice: per me psicosi maniaco-depressiva vuol dire l’ insieme di due, tre, o al massimo quattro accessi: uno o due di mania, uno o due di melanconia. Gli accessi non debbono essere cinque, se no siamo nelle forme periodiche; gli accessi debbono essere misti, se no il nome misto « maniaco-depressiva » non ha ragione di essere : io ho trovato su quasi 4000 malati di mania o melanco- lia solo 202 di queste frenosi maniaco-depressive, e il Kraepelin invece vorrebbe estendere a tutti questa denominazione così ben limitata °

Il Gucci non occupa quindi di analizzare il concetto del Kraepelin: con lo stesso nome l'uno indica una cosa diversa dall’ altro: come era possibile trovarsi d’accordo, anzi com’ è possibile cosi una discussione qualunque ?

Quando non la sola analogia sintomatica, anzi quando, come in questo caso, nonostante apparenti contraddizioni sintomatolo- giche, un criterio più profondo e una osservazione clinica più fine inducono a considerare da un punto di vista affatto nuovo una forma o un gruppo di forme morbose, questo concetto, sia pure ipotetico, provvisorio, per essere confermato o smentito, ha bisogno di lavori molto ben ponderati, e, metodologicamente, per lo meno di uguale portata di quelli che hanno condotto all’ ipotesi nuova.

Un lavoro di controllo al concetto clinico kraepeliniano del- la frenosi maniaco-depressiva non può essere che iniziato attual- mente, attenendosi l’ osservatore esattamente alle regole diagno- stiche e ai criterì che il Kraepelin ha enunciati nelle ultime due edizioni (V e VI) della sua Psichiatria.

Non si può dire che sia merito del Kraepelin aver diffuso; come dice il Gucci, la conoscenza di quella forma, la cui esi- stenza è ammissibile dietro i 202 casi raccolti nella statistica, L’ opera del Kraepelin in questo campo è ben altra,

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Lasciando da parte qui la discussione sulla giustezza 0 me- no dei concetti del Kraepelin, questi ammette una melancolia, forma non degenerativa, propria dell’ età matura e senile, senza arresto psichico, con prognosi buona in generale, specie se il malato ha meno di 50 anni, che può recidivare, talvolta passare in demenza. Poi il Kraepelin ammette una frenosi maniaco- depressiva, forma mentale degenerativa, ad andamento non ne- cessariamente periodico, ma costituita di accessi di eccitamento con logorrea e umore allegro, accessi di rallentamento psicomo- torio e umore depresso: isolati, ripetuti o alternati; e anche di accessi misti in cui i fenomeni dell’ esaltamento e della depres- sione sono confusi insieme; la forma non conduce a demenza e la prognosi dell’ accesso è sempre buona. Da un primo accesso, sia di eccitamento maniaco, sia di arresto psichico, non si può prognosticare la forma che nella vita dell’ individuo assumerà la frenosi maniaco-depressiva, il numero cioè la natura degli accessi che a quel primo possono seguire. |

A noi pare perfettamente legittimo affermare che questo con- cetto del Kraepelin sulla frenosi maniaco-depressiva non viene menomamente attaccato dai risultati statistici del Gucci.

La melancolia psicosi d’involuzione del Dott. Alberto Vedrani

Chi nella medicina mentale lavora all’ opera di portare nel materiale raccolto coll’osservazione empirica un assetto conforme a criterì e intendimenti clinici, si persuade facilmente che quella sindrome alla quale si il nome di melancolia, e che più o meno completa e in varie combinazioni s'incontra lungo il decor- so di malattie determinate e differenti, in un gruppo di casi riem- pie di tutto il quadro clinico: almeno vi domina tanto che gli altri sintomi rimangono oscurati e non appariscono agli odierni metodi d’ esame. È a questo gruppo di casi che Kahlbaum ap- plicava il nome Distimia, ritenendo il nome di melancolia per la sindrome dov’ essa rappresenta solo la fase più o meno fuggi- tiva ed episodica d’un processo morboso,

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E noto che il Kraepelin ha sviluppata la questione, met- tendo in vista il fatto notevole che questo gruppo di casi appar- tiene agli anni dell’ involuzione; secondo lui la gran massa delle forme depressive sopravvenienti in età anteriore si deve assegna- re ( prescindendo forse da gruppi più piccoli, insufficientemente conosciuti ) a due grandi classi: ai processi regressivi e alla fre- nosi maniaco-depressiva. Nella sua statistica 64 su 100 di questi malati di melancolia essenziale sono tra i 50 ed i 60 anni d’eta: al più presto la malattia s’ inizia dopo il quarantesimo anno, al più tardi subito dopo il sessantacinquesimo.

Da questa limitazione d’una malattia a uno spazio della vita in cui si stabilisce il decadimento e il tramonto somatico, nasce l’ipotesi ch’essa sia in qualche modo una espressione clinica della senescenza dell’organismo.

La constatazione di questi fatti, nota già da parecchi anni, non ha invogliato quasi nessuno all’indagine ed alla verifica. Que- sta umile osservazione empirica che raccoglie pazientemente, che. discerne e raggruppa a fine di raffigurare delle entità morbose in mezzo al viluppo infinitamente aggrovigliato e vario degli a- spetti sintomatici, non seduce certamente con la promessa di su- bite e abbaglianti rivelazioni.

Qualche pubblicazione venuta in luce anche ultimamente non accenna neppure al concetto del Kraepelin. Per esempio il Dott. Athanassio (dì Bucarest) scrive un lavoro « Les melancoliques » nei fascicoli di Gennaio e Febbraio degli Archives de Neurologie di quest'anno. Ma egli non fa che ripetere la descrizione del com- plesso sintomatico come si trova in tutti i trattati, confondendo in esso col nome di melancolia stupida anche lo stupore catato- nico; in trenta casi clinici, che sfilano lungo il lavoro ripresen- tando ognuno la sindrome che vorrebbe essere ed è solo agli oc- chi dell’autore la stessa, egli non si occupa punto dei fenomeni che l’hanno preceduta e di quelli che le coesistono e di quelli che la seguiranno: gli avviene così di dare per melancolico il caso ottavo, che è palesemente un demente precoce, e di trovare, cercando l’ anatomia patologica della melancolia, quella invece della demenza paralitica, come gli è successo in tre osservazioni.

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Ziehen invece si esprime risolutamente avverso al concetto kraepeliniano('): « E evidente che la opinione ultimamente emes- sa, che la melancolia sia una malattia dell’involuzione, non corri- sponde ai fatti ». Se non che chi cerca nello scritto dello Ziehen i fatti addotti per contradditorî, non trova la forza dimostrativa che ad essi concede l'illustre professore di Iena. Egli si vale del materiale raccolto nella clinica di Binswanger dall’ 85 al 96: l malati con melancolia ricevuti in questo spazio di tempo, ri- partiti secondo l’eta, sono: 5 dai 15 ai 20 anni; 35 dai venti ai trenta, 63 dai trenta ai quaranta, 66 dai quaranta ai cinquanta, 47 dai cinquanta ai sessanta, 14 dai sessanta ai settanta, 1 dai set- tanta agli ottanta. Se non che è facile osservare che Kraepelin designa col nome di melancolia « quegli stati di morbosa depres- sione con angoscia dell’ età avanzata i quali non rappresentano una fase nel decorso di altre forme di pazzia » appunto perchè è persuaso che « gli stati depressivi dell’età giovane apparten- gono alla frenosi maniaco-depressiva o ai processi regressivi, al- cuni anche alla pazzia degenerativa e forse all’ isterismo ». Lo Ziehen von ha fatto e non poteva fare completamente questa eliminazione sul suo materiale così recente, il quale, com’ è stato già osservato (*), aduna e confonde in degli elementi disformi. Benchè Egli osservi che tutti i casi di pazzia periodica ne sono esclusi, chi può dire che i giovani melancolici non si riveleranno più tardi periodici? Noi sappiamo anche che tra questi melanco- lici giovani sono compresi anche quelli nei quali Ziehen diagno- stica la modificazione ebefrenica della me!ancolia; più tardi essi presenteranno un eccitamento goffo, ed altri stadi che Egli desi- gnerà come demenza secondaria, segmentando idealmente una continuità naturale di fenomeni. Conchiudo che, se non si rimet- tono questi stadi melancolici nel loro posto naturale, restituendo- li ai vari processi morbosi, non si può contraddire con fondamen- to a chi ha compiuta questa eliminazione.

Ecco perchè lascia luogo al dubbio anche la conclusione che il dottor Arnaud (di Genova) presenta d’ una sua nota prelimi-

1) Th. Ziehen. Die Erkennung und Behandlung der Melancholie p. 8, 2. Rivista di Patologia nervosa e mentale 1898 pag. 480,

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nare (') « Le forme di psicosi melancolica, per quanto frequenti nel vecchi, possono però svilupparsi in tutti ì periodi della vita. L’età media risulterebbe, dalle nostre ricerche, quella che presenta il maggior numero di melancolici ». Anche qui non è detto che quei settanta giovani entrati in clinica dopo il 1890 colla sindrome melancolica non appartengano o alla frenosi maniaco-depressiva o alla demenza precoce o alla pazzia degenerativa o all’ isteria, onde è lecito dubitare che i melancolici, nei quali l’ egregio au- tore ricerca | segni della senescenza precoce, siano tutti melan- colici nel senso del Kraepelin.

Anch’ io ho cercato inutilmente una risposta a questi dubbi negli archivi di un manicomio popoloso. Questioni come queste non si risolvono se non si dispone di un vasto materiale, raccolto con osservazione metodica, in una lunga serie di anni; perchè la maggior parte delle malattie mentali compie (qualcuna con mol- te soste) il suo ciclo in un lungo ordine d’anni, e per altrettanti deve seguirle, con osservazione non interrotta, chi voglia farsene una rappresentazione mentale che specchi la loro realtà. Ora tutti sanno quanti siano gli ostacoli materiali a quest’ osservazione lunga e continuata: a questi aggiungiamo la tenacia dei pre- concetti che opprime anche gl’ intelletti migliori, il restringimen- to del campo visivo onde noi vediamo solo quello che sappiamo o crediamo sapere, l’ incuranza delle questioni cliniche comune tra gli alienisti; e dopo ciò ci meravigliamo noi se questo lavoro di raccolta, pel quale appunto necessita un’attività vasta e collet- tiva, sia ancora lontano dal suo compimento? I più s’interessano solo ai così detti bei casi; di tutto il resto succede, per servirmi di un paragone del Redi, come di quell’ acqua piovana che cade sopra i tetti delle case, la quale è raccolta e conservata da coloro che credono averne bisogno, ed è lasciata correre per le strade e perdersi al fiume da coloro che non ne sono bisognosi.

In che cosa e per quali particolarità questa Melancolia della senescenza si differenzia, secondo Kraepelin, dagli stati di de- pressione episodici in altre malattie? La esistenza di fatti carat- teristici doveva naturalmente essere ricercata per far risaltare

1) Rivista di Patologia nervosa e mentale 1899 pag. 362,

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l’ individualità di questa forma, specialmente di fronte agli stati depressivi della pazzia circolare ; perchè davanti ad un individuo, che nell’ età dell’ involuzione ammala per la prima volta di me- lancolia, è facile in ogni caso escludere la possibilità della Pa- ralisi e della Pazzia pellagrosa o di qualunque altro processo morboso, ma non è altrettanto facile eliminare il dubbio di una Pazzia periodica, la quale noi sappiamo che può erompere anche in cotesta età.

Anzitutto i fatti psicomotori, dice il Kraepelin. « Negli stati depressivi della Pazzia circolare l’ incapacità a decidersi (Enl- schlussunfàhigheit ), il rallentamento e la difficoltà di tutte le azioni volontarie è il fenomeno fondamentale e capitale » ('). Su questo fenomeno Egli si diffonde a parlare in altra parte del libro: « La forza e la rapidità, colla quale un impulso volon- tario si trasforma in azione, dipende, oltre che dalla sua energia, anche dall’ entità degli ostacoli che si trova a dover superare. Così noi sappiamo che il timore e la paura alla esecuzione delle nostre intenzioni possono opporre degli interni impedimenti, che solo con grandissimo sforzo di volontà noi riusciamo a superare. Un crescere degli ostacoli, un arresto psicomotorio è forse il disturbo fondamentale più importante in certi stati di depressio- ne della pazzia circolare. Gli ammalati diventano incapaci delle più semplici decisioni, debbono raccogliersi penosamente per ogni azione, anche per parlare; abbisognano quasi per ogni movimento di una particolare tensione di volontà. Naturalmente si stabilisce per ciò un rallentamento e un indebolimento di lavoro molto ac- centuato. Solo certe attività consuete riescono qualche volta senza arresto: così anche un violento scotimento morale può ab- battere improvvisamente gli ostacoli. In casì gravi diventa del tutto impossibile l esecuzione di azioni volontarie. Non ostante gli sforzi più manifesti, gli ammalati non dicono più una parola: sono incapaci di mangiare, di alzarsi, di vestirsi. Di regola essi sentono la mostruosa oppressione da cui sono tenuti, incapa- ci a vincerla » (*). Invece nella Melancolia essenziale della sene- scenza « è facile persuadersi che l’ esecuzione dei movimenti in

1) Psychiatrie. Bd II. 6. Aufl. pag. 337, 2) Ib. I, Bd, pag. 207,

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non è difficoltata, Gli ammalati eseguiscono le esortazioni sen- za indugi, quando non li ritenga l’ angoscia; compiono tutte le loro faccende in modo naturale e libero, quand’ anche senza spe- ciale forza e rapidità. Non si tratta dunque nella Melancolia di un rallentamento psicomotorio, ma realmente di un effetto della depressione sentimentale sopra la volontà d’ agire » (').

Qui io faccio osservare che i dati d’osservazione di Kraepelin coincidono colle risultanze che emergono dall’ esperienza di altri clinici. Ritti (*), dichiarando che « la melancolie est le type de psychose qui s’ observe le plus frequemment chez le vieillard », ricorda che « la melancolia con stupore è eccessivamente rara nella vecchiezza; Filrstner non l'ha osservata che 3 volte su 54 casi di melancolia ». Ora la melancolia con stupore non è altro che il rallentamento psicomotorio nella sua più acuta e completa espressione. D'altra parte Krafft-Ebing osserva che « nella fase melanconica di una pazzia che si mostrerà poi sotto forma circo- lare e nella melancolia periodica (senza delirio) i fenomeni d’arresto prevalgono su quelli del dolore psichico spontaneo. Quelli ma- nifestano prevalentemente colla coscienza penosa di un arrestato decorso dei pensieri e della volontà, coll’ arresto dei sentimen- ti.... » (*). E veramente nella pratica psichiatrica occorrono tutti i giorni dei casi tipici nei quali questo carattere differenziale spic- ca con piena evidenza. Io ne cito qualcuno fra i miei più re- centi.

B. Elvira di anni 36.

Sta tutto il giorno seduta in atteggiamento di tristezza e d’abbandono, con la faccia lagrimosa e dolente. Interrogata, risponde faticosamente e con parola interrotta e soffocata di sentirsi dominata da una indefinibile e invin- cibile difficoltà a muoversi, a decidersi per qualunque azione. Con la co- | scienza di questa impotenza penosa, essa si dispera e piange la sorte dei figli che ha lasciati orfani del padre e sprovveduti. Mai é venuto meno in lei l'orientamento, mai ha avuto allucinazioni o idee deliranti.

1) Loc. cit. pag. 328.

2) Congrés des médecins alienistes de France 1895. Vol. I. pag. 19-21.

3) Krafft-Ebing. Trattato clinico pratico delle malattie mentali. Trad, it. 1886. Vol. II. pag. 287,

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cata

Anamnesi. Questa donna, già infermiera nel manicomio, ora attendente a casa, è stata altre due volte inferma cogli stessi fenomeni che ora presenta, guarendo ogni volta completamente. La prima volte fu a 28 anni, in seguito a un attacco d’influenza; tutte tre le volte la malattia è sopravvenuta in periodo di allattamento.

Maria Maz.... di anni 88.

Sta costantemente seduta senza fare o dir nulla, la faccia ha una e- spressione malinconica, sebbene non molto intensa, coll’omega di Schiile e gli occhi piegati a terra. Si muove solo per andare a tavola, e cammina a piccoli passi con una straordinaria lentezza. Interrogata, risponde a voce afona qualche parola sempre a tono: dalla quale si raccoglie che l'orientamento e la memoria sono conservati e non ha allucinazioni o idee deliranti.

Anamnesi. La Maria Maz.... 6 stata altre due volte nel Manicomio. La prima volta (1880) aveva 20 anni: la storia d’allora racconta che essa, che sempre era stata sana di corpo e di mente, ammalò dapprima con inson- nio, inquietudine, tendenza a percuotere quei di famiglia, minaccie di suici- dio; poi si è messa in un ostinato silenzio stando continuamente a letto e ri- fiutando di cibarsi. Lo stato morboso durò qualche mese lasciandola guarita. Prese subito marito ed ha avuto due parti normali.

Dopo 15 anni di benessere la donna è stata ricondotta al Manicomio (1896) in uno stato di agitazione maniaca grave che durò 8 mesi e finì la- sciandola con tutte le apparenze della guarigione. Dopo 14 mesi la malat- tia si è ripresentata nella forma che dura tuttora.

Emilia M. di anni 50.

Entrata nel Manicomio il 20 maggio di quest’anno. Ha la faccia malin- conica : con risposte che vengono lentissime, solo a strappargliele di bocca con l'insistenza dell’interrogazione, notizie esatte di sé. Ha coscienza d'es- sere malata, e racconta che trentacinque anni fa (aveva 15 anni) sofferse di nna malattia quasi identica alla attuale. Segue una settimana nella quale il rallentamento psicomotorio si intensifica fino all’ arresto. Bisbiglia solo qual- che risposta o accenna si e no col capo: più spesso non risponde affatto. Anche invitata a compiere qualche movimento, a metter fuori la lingua, non obbedisce o solo con estrema lentezza. Questo stato con varia intensità per- siste fino alla fine del giugno. Qualche volta la donna esprime piangendo qualche idea delirante di dannazione. Il passaggio alla guarigione avviene rapidamente in pochi giorni.

Questa donna lavoratrice di campi è stata sempre intelligente e sana, fuor della malattia identica all'attuale, sofferta nel quindicesimo anno di età. La malattia attuale è cominciata nel marzo di quest'anno con insonnio, ral-

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lentamento dell'attività consueta, tendenza a rompere suppellettili domestiche, trascuratezza di cibarsi, tendenza al suicidio.

Linda B. di condizione agiata, attendente a casa, é condotta nel Mani- comio il 22 Novembro 1896 in età di anni sessantatrè. Non c’è notizia di eredità neuropatica.

Aveva intelligenza e coltura media, carattere vivace, allegro, facilmente irritabile. Si esclude nel modo più assoluto che abbia mai sofferto di malat- tie mentali prima della presente.

Sei mesi prima della sua entrata in questo ospedale, il marito della si- gnora é morto lasciandola sola e in condizioni di fortnna poco prospere. La disgrazia fu cagione di afflizione e di preoccupazioni ansiose alla donna, la quale non s'è data più pace. Le manifestazioni del dolore a poco a poco presero carattere morboso. Lentamente si stabilì uno stato di lipemania an- siosa con idee deliranti di rovina, di accusa (d'aver commesso un infanticidio) e di persecuzione; con illusioni e allucinazioni. Un tentativo di suicidio per- suase a ricoverarla in quest ospedale.

Entra in uno stato di ansia dolorosa agitata: la vista dei medici Ja get- ta nella disperazione: colle mani sulla faccia e nella testa domanda pieta: dice che è giunta l’ultima sua ora e chi sa quali tormenti le si preparano. Le parole rotte da sospiri e da singhiozzi esprimono un angoscia indicibile. Scrive numerose lettere ai parenti dalle quali tolgo qualche brano :

« un giorno da qui mi trasporteranno a B.... deforme, svestita del tutto per dar spettacolo del lacerato mio corpo, fra carabinieri perchè altri non mi devono accompagnare: facendomi rea di un delitto che grazie al cielo non commisi »

« ora io sto benissimo, ma che mi vale il mio star bene, che mi è stata preparata una tortura tale da rabbrividire? Mi devono far martire e poi mi gettare in una fogna ».

Riassunto dei diari. Dicembre 96. - Dura la stessa agitazione ansiosa.

Gennaio-Agosto 97. - I giorni tranquilli si alternano con giornate d’ansia simili alle descritte. A poco a poco però esse si fanno sempre più rade. Al- l’idea dei supplizi succede quella dei sospetti a cui è fatta segno. Agosto- Dicembre. - Non si ripetono più le scene di disperazione, ma persistono le idee deliranti e il tono psichico fondamentale triste.

Nell'anno successivo (1898) la malattia »’' è dileguata lentamente e con molte oscillazioni. La donna ha acquistato a. poco a poco la coscienza della morbosità delle idee deliranti, e la vivacità serena e consueta del suo carat- tere. La guarigione completa dura da un anno.

M. D. di anni 52 possidente, attendente a casa, nubile, Ha una figlia illegittima di 20 anni.

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La madre e un fratello hanno sofferto di disordini mentali: quattro fra- telli viventi non hanno mai dato segno di alterate funzioni psichiche.

L’anamnesi, raccolta accuratamente dal collega dott. Caretti, assicura che antecedentemente allo sviluppo della malattia presente la donna ha sempre goduta un’ ottima salute. Era una intelligente e buona donna di casa alla quale aveva volta ogni sua cura. La malattia attuale si é sviluppata lenta- mente in mezzo a disgrazie domestiche e si è manifestata con pianti e la- menti, con timori e idee di rovina, debolezza, insonnio invincibile.

Di notte, a letto, sente nella camera gente che vuol derubarla; di gior- no alzata non fa altro che errare per la casa lamentando che le si ruba tutto, Piange e supplica gli astanti ad aiutarla a provvedere alle sue disgra- gie. Fa atti di disperazione e batte la testa nel muro. Per tutto il decorso della malattia, durata circa 8 mesi, ha presentata la sindrome della melanco» lia agitata. i

La guarigione è avvenuta molto lentamente e si mantiene da un anno.

La sindrome presentata da queste malate può bene apparire la stessa ad una considerazione superficiale ed essere sommaria- mente designata come melancolia: eppure è palese la dissimi- glianza dei tre primi casi, nei quali trova, fatto primitivo e fon- damentale, il rallentamento psicomotorio, dal due ultimi, nei quali non ne apparisce segno. Nei tre primi casi si tratta d’ un acces- so della frenosi maniaco-depressiva, la quale ha dato manifestazio» ni anteriori fino dalla gioventù : le altre sono donne di età avan- zata che ammalano per la prima volta nella loro vita.

Casi come questi sembrano fatti apposta per dimostrare il valore di questo carattere differenziale, e la sostanzialità e l’ au- tonomia clinica della melancolia della senescenza di fronte alla frenosi maniaco-depressiva. Se non che non bisogna dissimularsi che ci sono accessi depressivi della pazzia periodica e circolare nei quali il rallentamento e l’ arresto psico-motorio non è dimo- strabile. Certamente questi non tolgono valore alla esperienza cli- nica di Krafft-Ebing e di Kraepelin, la quale afferma che nella melancolia dei periodici e dei circolari la presenza di que- sto fenomeno è la regola: bisogna piuttosto vedere sotto quali influenze questo fenomeno, di solito così intenso negli accessi giovanili della pazzia circolare, sembra in altri accessi e in certi casi oscurare la sua evidenza fino a scomparire. Sopratutto, per dichiararlo mancante, bisogna prima aver ricorso ad altri mezzi

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d’ indagine che non siano la grossolana e sprovveduta osservazio» ne diretta, la quale è sufficiente a rilevare la presenza del ral- lentamento psicomotorio nella sua espressione più intensa e com- pleta, ma non basta a coglierne le manifestazioni parziali e tenui. Come dice Weygandt, si danno numerosi casi nei quali l’ arre- sto si verifica solo in alcuni territorî, mentre gli altri processi motorî appariscono normali; molti pazienti camminano già spe- diti e sciolti, mentre nei movimenti più fini, come nello scrivere e nei lavori manuali, essi sono evidentemente in stato di rallenta- mento: in questi casi la dimostrazione del sintoma può esser data dall’ apparecchio di Goldscheider modificato da Kraepelin, come l’ha ottenuta il Gross nelle sue ricerche sulla scrittura ('). In ogni modo è certo che la presenza del rallentamento psicomotorio segna una separazione in quel cumulo di stati morbosi che la psichiatria ha confusi nel capitolo della melancolia; e non può non tenerne conto chi voglia discutere il concetto della melanco- lia come psicosi d’ involuzione.

DISCIPLINE MANICOMIALI (?)”) del Dott. Jacopo Finzi

Introduzione

$ 1. Nello sguardo sfuggevole, che in occasione di « una vi- sita al manicomio di Alt-Scherbitz » (°) abbiamo dato alle condi- zioni dei Manicomî nella Provincia prussiana di Sassonia, noi abbiamo tralasciato di accennare ad un punto molto importante,

1) Weygandt. Ueber die Mischzustiinde des manisch-depressiven Irreseins.

- 1899 pag. 11.

2) Sotto questo titolo ci pare possano venire opportunamente comprese le questioni di tecnica e di legislazione manicomiale, alcune delle quali in- tendiamo svolgere analiticamente in una serie di articoli successivi a questo.

3) Questo Bollettino 1899. N. 1 e 2.

*) La Direzione del Bollettino naturalmente lascia anche in questo argomen- to la più ampia libertà di idee agli egregi Collaboratori, anche se non le divide completamente; si riserva anzi di esprimere il proprio pensiero al

` riguardo in uno dei prossimi numeri del giornale,

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riguardante la distribuzione dei malati nei diversi Manicomî. Anche senza parlare affatto di asili privati e di case di salute speciali per idioti, epilettici ed alcoolisti, abbiamo visto: 1. La Clinica di Halle, dove convengono come in un ospedale qualun- que malati nervosi e di mente della città e dove fanno una prima stazione quasi tutti i malati della Provincia. Ivi pure stanno even- tualmente delinquenti per perizie psichiatriche. 2. Il Manicomio di Alt-Scherbitz, organizzato a stabilimento coloniale, che riceve molti malati direttamente dalle campagne più meridionali della provincia, molti provenienti dalla Clinica di Halle : malati di mente soltanto e di tutti i generi, ma non delinquenti. 3. Il Manicomio di Nietleben, che raccoglie essenzialmente ì malati provenienti dalla Clinica e i delinquenti.

Oltre a molte cose in comune, ciascun istituto ha dunque sviluppato prevalentemente un lato del vasto problema degli alie- nati; e il sistema rappresenta già un passo verso una distinzione ancor più netta fra manicomî e manicomi. Dappertutto, dove la civiltà progredisce e dove la volontà degli uomini non infrappone un abisso fra teoria e pratica, Ja tendenza va manifestandosi con fatti compiuti. Tale tendenza corrisponde del resto a un bisogno da molto tempo sentito ed espresso. Trent'anni fa il Griesinger (') aveva posto il problema in tutta la sua chiarezza, e mostrato si- curamente la via alla soluzione.

A fondamento di ogni questione di psichiatria pratica gene- rale e speciale, veniva in fondo a dire il Griesinger, bisogna porre il fatto che ci sono alienati di maniera molto diversa fra loro, e per conseguenza occorrono manicomi di diversa maniera e leggi e regolamenti di diversa maniera. La coscienza di un tale fatto si chiarisce solo oggi, sopra tutto dove l’ambiente è ma- turo per il problema, dove cioè la tecnica manicomiale va costi- tuendosi in scienza, mentre d’altro lato l’amministrazione della ric- chezza pubblica è guidata da criteri non del tutto antiscientifici.

S 2. La posizione che i codici vigenti danno all’alienato tiene di quella data ai fanciulli, ai malati, ai delinquenti comuni e alle bestie feroci: la posizione data ai manicomi tiene di quella data agli ospedali, alle carceri e alle case di ricovero,

1) Archiv fur Psychiatrie, I Bd, 1868-69.

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Il pazzo è penalmente irresponsabile delle sue azioni come il bambino, o può esserlo parzialmente, come il giovinetto (art. 53. 55 e 46. 47 del C. P.); il pazzo, durante la reclusione in Manicomio, perde i diritti civili e politici come il delinquente durante la re- clusione in carcere; e può, a cagione dell’ infermità mentale, es- sere inabilitato o interdetto per tutta la vita (art. 324 e 326 C. C.); l’alienato deve essere custodito o sorvegliato come essere perico- loso alla società (art. 477. 479 C. P.) o come i malati di malattie contagiose gravi od epidemiche. Amministrativamente è stabilito che, mentre per i malati pensa il comune, per i delinquenti lo stato, per ì pazzi poveri provvede la provincia ( Legge Comunale e Provinciale art. 201 c. 6.).

Tutto ciò risente di tempi in cui sulla pazzia si avevano con- cetti profondamente sbagliati. Tutto ciò è d’altra parte, e per for- tuna, molto poco, e il campo, entro cui leggi e regolamenti sugli alienati si possono muovere, è presso che illimitato. Volendo ana- lizzare da vicino i rapporti esistenti e i rapporti desiderabili fra esigenze psichiatriche, tecniche, sanitarie da un lato ed esigenze economiche, giuridiche e politiche dall'altro, di queste accennate disposizioni generali legislative bisognerà pure tener conto. Come diceva Diderot, noi parleremo e grideremo contro le leggi in- sensate fin che esse non siano riformate : nell'attesa, noi ci sotto- metteremo ciecamente ad esse. Parimente, per lo studio dei rap- porti nominati, occorrerà tener conto di quanto è stato fino ad ora di tali rapporti stabilmente fissato in regolamenti e statuti : il che potrà offrire un materiale utilissimo alla critica dell’esperienza.

Finalmente, e in prima linea però, sarà d’uopo fondare una tale analisi su quanto l’osservazione psichiatrica insegna. Giacchè l’espressione dei più reali bisogni degli istituti d’ alienati risul- terà dallo studio degli alienati stessi in tutto ció che li fa somi- gliare piuttosto a malati o a delinquenti o a invalidi cronici, e in tutto ciò che li caratterizza e li distingue da tutti gli altri uomini.

S 3. Da Ippocrate in poi si ammette che i pazzi siano es- senzialmente dei malati. Carattere loro comune e che li distingue dagli altri malati è che in essi in prima linea sono lese le facol- psichiche: condizione per essere definiti socialmente come tali, è l'essere pericolosi a sè, o agli altri o di scandalo pubblico. Queste condizioni però possono sorgere e sparire in breve tempo,

ur = =

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costituire quindi una malattia acutissima, di cui l'individuo può rapidamente morire, o in poche settimane o mesi guarire come di un tifo o di una pleurite. Può la malattia sorgere improvvisa- mente, e l'individuo diventare pericoloso in un attimo, o può la malattia essere lungamente preparata da prodromi. Può P indivi- duo rimanere pericoloso tutta la vita, oppure, anche avendo epi- sodi acuti, rimanere in condizioni di indebolimento mentale, che non gli permettono più il ritorno in società, ma gli permettono di lavorare sotto sorveglianza oppottuna,.... e così via. Non basta: ci sono quelli che dalla nascita si mostrano incapaci di vita sc- ciale civile e debbono fin dai primi anni della vita essere isolati; ci sono i convulsionari che talvolta, solo perchè essi non diano continuo spettacolo di per le strade, o perchè insufficienti a sè, o perchè insufficientemente sorvegliati in casa, debbono essere rinchiusi. Tutto ciò spiega già come i pazzi non possano essere trattati tutti egualmente.

Tutta la profonda distinzione fatta sempre fra ospedale co- mune e manicomio non ha ragione di esistere. Chi ha vissuto in ospedali comuni e in manicomi, sa che negli uni e negli altri gli ammalati son venuti di rado volontieri, talvolta addirittura contro la loro volontà. Il malato, di qualunque genere, non dovrebbe mai rimanere in famiglia: un tale concetto cozza naturalmente contro sciocchi pregiudizi sentimentali, contro l’ignoranza sulle funzioni pubbliche; e l’unica giustificazione a questi pregiudizî si trova da noi specialmente nel fatto che i servizi pubblici sono spesso assai male organizzati. Negli ospedali per cronici, ricoveri per vecchi e simili, troviamo analoghi rapporti. Una buona parte dei pazzi non presentano dai malati comuni nessun'altra differenza da quella in fuori di necessitare una sorveglianza o un isolamento speciale, e anche in questo si potrebbero assimilare a malati di certe malattie infettive, come rabbia, tetano, eresipela, peste bubboni- ca ecc. Altri malati, 1 paranoici, alcuni epilettici, certi psicopa- tici degenerati e freunastenici debbono considerarsi, piuttosto che malati, anomali, e come tali debbono essere trattati in modo affatto diverso. ll medico che li manda al manicomio deve già sapere che probabilmente essi non ne usciranno più... Sarebbe molto naturale il pensiero che le disposizioni, che sono stabilite per la reclusione, l’osservazione ed eventualmente la dimissione

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di questi ultimi alienati, fossero molto differenti da quelle che re- golano il ricovero dei mentecatti acuti. I quali tutti, in un primo tempo almeno, richiedono assidue cure di natura assolutamente medica, mentre invece gli altri, gli anomali, o un alienato qualsiasi passato allo stato cronico, deve essere solo custodito, sorvegliato, conservato in buona salute fisica per mezzo di una vita igienica, attiva e il meno spiacevole possibile.

$ 4. Le condizioni esterne, sociali, in cui la pazzia si mani- festa, portano ancora un’ altra differenza nel modo di cura e cu- stodia dei pazzi.

In una grande città, dove le esigenze della vita collettiva sono numerose e complesse, dove la pazzia è più frequente, dove è più imperiosa l'urgenza in tutti i pubblici servizi, l'ammissione dei pazzi acuti nel manicomio occorre sia quanto è possibile sem- plice e sbrigativa. Per ciò che riguarda i pazzi cronici e gli ano- mali, abbiamo a che fare con gente che è avvezza alla vita della città, non ha attitudini alla vita campestre, è capace solo di certi lavori. Lontano dai centri abitati le condizioni di vita sono asso- lutamente diverse, La popolazione rada, spesso prevalentemente agricola ha carattere e attitudini sue proprie. Di più nei grandi centri bisogna sovente pensare alle esigenze dell’ insegnamento universitario, alla necessità quindi di cliniche psichiatriche, le quali non debbono assolutamente essere manicomi qualunque, e devono d’altra parte differenziarsi di molto dalle cliniche per le altre specialità mediche. Lo studio che negli ultimi anni è an- dato compiendo appunto in alcune cliniche psichiatriche, fra cui sotto questo punto di vista si possono citare a cagion d’ onore quelle di Jena, di Halle, di Strasburgo e di Berlino, sui casi-li- mite fra malattie nervose e mentali, ha condotto a questo risul- tato pratico, che le cliniche psichiatriche nominate (oltre a quel- le ad es. di Lipsia, Giessen, ecc.) sono diventati' asili misti: i ma- lati nervosi vi sono accolti insieme coi malati di mente: il 50, fino il 75 °/, dell’intera popolazione di queste cliniche forma un tutto mescolato che non si differenzia per nulla dalla popolazione di una clinica medica. Questo fatto presenta molti lati alla critica, e avremo occasione di analizzarlo a suo tempo. Esso però sta a dimostrare che una parte degli alienati non differisce assoluta- mente in nulla dagli altri malati: che come succede che alienati

a

veri e propri, anche pericolosi, possono per condizioni speciali essere trattenuti in ospedali comuni, così ci sono dei malati di mente a cui è perfettamente inutile, se non nocivo, il ricovero in un istituto speciale organizzato come i consueti manicomi.

Da qualunque parte ci si accosti al problema, sembra legit- timo l’ammettere che un regime troppo unitario per tutti gli alie- nati non risponda ai loro bisogni reali.

Infatti guardiamo la cosa anche da un punto di vista pura» mente sociale. Lo stato deve tutelare la sicurezza pubblica di fronte ai pazzi; tutelare la vita e gli averi dei pazzi di fro..te alla società; tutelare la cura dei pazzi stessi. Per il primo punto ei sono già disposizioni legislative; per il secondo ce ne sono al- cune poche; per il terzo non ce n’ è alcuna. Ma, o noi limitiamo il significato della parola pazzo, cosi da intendere con essa quel- l'individuo che a cagione di una malattia mentale è pericoloso, penalmente irresponsabile e civilmente incapace, e allora una par- te degli individui accolti nelle cliniche psichiatriche e nei manico- non sono pazzi; o noi diamo a questa parola tutto il suo ampio. significato psicopatologico, e allora solo una piccola parte dei pazzi richiede dallo stato la ricordata triplice tutela. L’altra parte cade sotto le norme regolanti il trattamento dei malati in genere.

§ 5. Come difficile è trovare il punto di passaggio fra malati comuni e malati di mente, così è difficile trovarlo fra alienati e delinquenti. Mentre i pazzi vanno ogni giorno più conside- rati come malati, 1 delinquenti sono sempre più avvicinati ai pazzi. Tutto ciò ancora solo nel dominio scientifico delle Autorità competenti, non ufficialmente: ma è già questo un notevolis- ‘sino segno precursore di tempi nuovi. I grandì capitoli psichia- trici delle follie degenerative o stati psicopatici, dell’ isterismo, epilessia e frenastenia portano un tale contributo alla casistica del delitto comune, che sorge spontaneo il quesito, fino a che punto si possa in ogni singolo caso forense far senza dell’ alieni- sta. Il sistema carcerario nella grande maggioranza dei paesi detti civili è nelle condizioni in cui era il sistema manicomiale prima «del Pinel e del Chiarugi. La società ha il diritto di difendersi da chi le nuoce, sia questo un animale feroce, un malato di ma- lattia contagiosa, un alienato di mente o un delinquente comune. La legge si occupa tino ad ora dei pazzi, non in quanto sono

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pazzi, ma in quanto sono pericolosi. Così, nel concetto di delin- quente noi potremo comprendere molto o poco come nel concetto di pazzo, a-seconda dell’estensione convenzionalmente data al si- gnificato della parola. Fin ora si son sempre classificati i delin- quenti a seconda dei delitti, ai quali doveano corrispondere certe pene, perchè solo il delitto era studiato e non il delinquente: la diagnosì dell’individuo è sempre stato un fatto neppur sospettato. Eppure il problema sale già alla coscienza del pubblico.

Del resto anche qui la legge si occupa’del delinquente non in quanto è un delinquente, ma in quanto è pericoloso in un de- terminato senso, cioè contravviene a quelle norme stabilite dal codice penale di quel dato paese in quel dato tempo. Ora, anche dando alla parola delinquente il significato ristrettissimo che cor- risponde a questo concetto ufficiale della pratica, noi troviamo una serie numerosa di delinquenti che non differiscono assoluta- mente in nulla da una certa categoria, abbastanza numerosa, di pazzi, come troviamo nei manicomì non pochi individui che sono puramente e semplicemente dei delinquenti. Pazzi delinquenti, de- linquenti condannati impazziti e delinquenti prosciolti per pazzia sono intanto tre categorie di individui, cui già la psichiatria e la criminologia d’accordo relegano nei manicomi, o meglio vor- rebbero relegati in istituti che non fossero carceri manico- mi, ma un qualche cosa di mezzo. Ciò rappresenta un abbozzo molto grossolano della funzione che dovranno compiere i manico- giudiziari, i quali per queste tre categorie di malati sarebbero più meno che comparti di manicomì comuni.

Ma non sempre, se in una forma di malattia o di anomalia mentale si riscontrano fenomeni di delinquenza, occorrerà distin- guere e curare e custodire in modo e in luogo differente questi alienati.

Dalle forme miti e transitorie di delinquenza alle sue mani- festazioni più insistenti e feroci l’ esperienza passata ha sanzio- nato una gradazione appoggiata ad una corrispondente gradazione di gravità e insistenza di alterazioni intellettuali, e ciò come mi- sura della responsabilità del delinquente. ll preconcetto psicolo- gico, che ci continua a far giudicare in modo tanto diverso le anomalie dell’intelligenza da quelle del sentimento e della volontà, ha sempre ostacolato una giusta concezione della delinquenza. La

10:

criminologia non è deve essere la psichiatria : questa pero ne deve informare tutta la parte dottrinale. Giacchè anche. la dia- gnosi psichiatrica praticamente non decide molto nei problemi di criminologia: l’epilessia può dar forme lievi di delinquenza pas- sionale e d’ impeto, come può dare luogo alle forme più gravi e a quelle manifestazioni che furono designate come più caratteristi- che del delinquente nato. Ci sono delinquenti poi che non sono ebefrenici, paranoici, isterici, epilettici, frenastenici, ne presentano alcun’altra forma diagnosticabile con le denominazioni nosografiche della psichiatria clinica e che sono essenzialmente anormali nella organizzazione della loro vita affettiva; la denomi- nazione di pazzia morale si applica a questi delinquenti, che, dan- do alla parola il suo significato più stretto, sarebbero i veri, i delinquenti per eccellenza. Ma per questi e per gli altri delin- quenti insieme occorrono diversamente case di cura, case di edu- cazione, case di correzione, case di custodia, case di lavoro, a seconda delle attitudini. e disposizioni dell’individuo.

$ 6. Tutto ciò a molto larghi tratti da una idea delle serie di asili che la società deve fornire ai malati e, agli anomali psi- chicamente, serie che va dalla sala comune ospedale alla colo- nia penale. Tutto ciò, si può dire, esiste già: e l’Italia anzi, in questo, come in tante altre cose, precorritrice dei tempi, ha mani- festato tendenze e ideali più avanzati che altri paesi. Non abbia- mo noi le sale per pazzi annesse ad ospedali, gli asili coloniali per alienati, i manicomî criminali? È vero: soltanto, quando si va a vedere che cosa sta sotto a queste denominazioni, ci troviamo molto scoraggiati. L’idea geniale innovatrice nasce qui, ma con essa tutta la nostra attività è esaurita e noi ci contentiamo. L’ana- lisi obbiettiva dei più piccoli fatti materiali, che connettono necessariamente all’ applicazione pratica di qualsiasi problema, specie un po’ vasto, sfugge generalmente a noi: ed è così che può trovare ugualmente buone ragioni l’ottimismo di quelli che seguitano a riconoscere il primato degli italiani, come il pessimi- smo degli altri che non trovano in Italia nulla di buono.

S 7. Nell’esporre queste idee molto generali che possono ser- vire d’introduzione all’analisi pratica di alcune questioni di te- cnica e di legislazione manicomiale, noi abbiamo inteso formu- lare una premessa necessaria che cioè una tecnica ne una

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legge unica ed unitaria pei manicomi corrisponde ai bisogni reali degli alienati. Una tecnica e una legge possono avere comune: le stazioni di soccorso sanitario, le sale d’ osservazione provviso- ria per malati nervosi e di mente, le cliniche psichiatriche, gli asili cittadini, 1 comparti d’osservazione, gli asili provvisorî per allenati - e simili istituzioni - giustificate in una società civile: dall’urgente necessità di ricoverare certi malati immediatamente, senza inciampi di formalità; dal fatto che certi malati coscienti si presentano da per essere ricoverati nel manicomio; dalla natura di certe malattie mentali che durano brevissimo tempo, pochi giorni, e guariscono completamente; dall’ esistenza di casi dubbiì di pazzia; dalla necessità, per certi malati più propriamente nervosi che mentali, di un ambiente uguale ad un ospedale co- mune (nevrastenici, alienati per malattie encefaliche); dall’oppor- tunità di certe cure, come la Bettbehandlung, che non si possono fare che in ospedali adattati ecc.

È strano che, mentre si ascoltano e si seguono esattamente i dettami degli specialisti’ quando si tratta ad es. di tubercolosi, o di altre malattie, nel campo dell’ alienazione mentale non si pensi altro che all’ economia e alla pubklica sicurezza. La cultura psi- chiatrica, trascuratissima anche presso gli specialisti, ne è la cau- sa: l’importanza pratica dello studio della psichiatria non è an- cora generalmente riconosciuta. Siamo però qui in un circolo vi- zioso. La cultura psichiatrica non è in gran parte possibile per- chè i manicomi sono organizzati in modo da non permetterla. Tale cultura esisterà certo quando esisteranno cliniche psichiatriche, asili cittadini, ecc. convenientemente costituiti. -

I grandi asili provinciali, le varie forme di colonie per alie- nati, i quali devono essenzialmente avere una funzione economica nel problema dei pazzi, hanno pure una tecnica e una .legislazio- ne loro particolare. Questi asili sono giustificati e resi necessari: dal fatto che molti pazzi, diventando cronici, si trovano in uno stato di indebolimento mentale per cui son solo da custodire; dal fatto che la maggioranza di questa gente custodita e gran parte della curata e guaribile è in grado di lavorare ; dal fatto dell’au- mento progressivo delle popolazioni di tutti i manicomi; dalla necessità di condizioni igieniche buone per una grande massa di gente raccolta; dalle esigenze economiche amministrative; dal fatto che i pazzi sono mantenuti dalle provincie.

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Questo secondo gruppo di asili per alienati è quello che più ‘8’ accosta al tipo dei migliori grandi manicomi oggi esistenti, giacchè anche questi grandi asili devono conservare necessaria- inente malati di tanto in tanto pericolosi, o bisognosi di cure vere e proprie, e non è escluso che anch’essi abbiano ammissioni fresche: così' che la colonia non potrà mai essere completamente ‘e unicamente colonia, ma sempre annessa, sebbene apparentemen- te indipendente, ad un ospedale per alienati (tipo Alt-Scherbitz)..

Quali asili meglio determinati per la funzione curativa, una forma intermedia fra i grandi gruppi, abbiamo le case di salute per alcoolisti, quelle per epilettici, le case di educazione per frenaste- nici e per degenerati morali. Queste servono di passaggio al ter- zo tipo di asili, dove le funzioni dell’ Autorità giudiziaria e di P. S. associano in modo talvolta essenziale alle funzioni del- l’ alienista. Anche questo terzo gruppo di asili potrà avere in co- mune una tecnica e una legislazione sua particolare. Delinquenti in cui sorge il dubbio di pazzia durante il processo ; delinquenti prosciolti per pazzia ; certi recidivi; delinquenti giudicati perico- losi e condannati a norma dell’ art. 47 del C. P.; delinquenti condannati che danno segni di pazzia in carcere; pazzi notoria- mente, che delinquono, ed altre molte categorie di individui de- vono essere accolti in questa terza maniera di asili, gruppo di asili che a poco a poco deve assorbire tutte le maniere di carce- ri e di delinquenti, eccettuati forse alcuni delinquenti politici.

E cosi le discipline ospedaliere, le discipline manicomiali e le discipline carcerarie, al lume della medicina moderna, vanno prendendo un indirizzo positivo, ed acquistano il posto che loro veramente spetta fra le scienze pratiche.

La giornata di lavoro per gl’ infermieri di Manicomio

Uno dei più alti doveri del medico alienista è quello di cre- arsi un personale bene educato, serio, cosciente del proprio ufficio e della propria missione. |

Mentre da un lato 1 corsi d’insegnamento, opportunamente impartiti, eleveranno il grado di cultura del personale, i suoi sen-

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timenti e la sua dignità verranno educati e tenuti alti quando - gli sia mostrato con l esempio e ripetutamente gli si faccia in- tendere come alla responsabilità del medico anche ]’ infermiere partecipi, e come, se le necessità disciplinari impongono che l’in- fermiere sia uno strumento ciecamente obbediente al dottore, la funzione sua è però forse ugualmente importante, e diversa es- senzialmente per il fatto che su 100 malati c’è un solo medico,. mentre ci sono dieci infermieri.

Perchè la cosa sia possibile, occorre però che tutto ciò abbia una base nelle condizioni materiali fatte ai medici e agl’ infer- mieri: e non intendo tanto nei rapporti delle paghe rispettive, quanto nella quantità e durata del lavoro. Anche nei manicomì meglio organizzati, come l’ asilo coloniale di Alt-Scherbitz e la. Clinica di Heidelberg, ciò che mi ha sempre sfavorevolmente impressionato è la poca libertà concessa agl’ infermieri. In Hei- delberg, ad es., ogni infermiere esce un giorno alla settimana. A Ferrara gl’ infermieri hanno 21 ore di libertà ogni sei giorni; a Firenze 19 ore (dalle 11 alle 6) ogni 3 giorni. Le donne poi son te- nute addirittura recluse; escono poche (3, 7) ore ogni 5, 6, 7 giorni; a Firenze d’ inverno dalle 12 alle 16'/,, d’ estate dalle 18 alle 21 ogni tre giorni, e a Firenze sotto questo punto di vista gl’ infermieri stanno molto meglio che in gran parte degli altri Manicomi.

Certo non sara mai possibile trasformare un manicomio in. un ufficio o in un laboratorio, dove lavoranti e capi passino solo alcune date ore della giornata. Qualche cosa che si avvicini a questo deve però inevitabilmente farsi col progresso dei tempi. Io non ho conoscenza di tentativi in proposito, io purtroppo sono in grado di esperimentare un metodo, che, ove avessi la possibilità morale e materiale di farlo, non esiterei un momento ad adottare.

Supponiamo, in un Manicomio di 500 malati, una sezione uo- mini (o donne) di 250, divisa in

l. Comparto d'osservazione ,

2. Comparto d’ isolamento ,

3. Infermeria, ; 4. Colonia,

Se noi teniamo conto di quanto fu detto a proposito di una visita al Manicomio di Alt-Scherbitz, siamo certi di dare dei nu- meri piuttosto a scapito della Colonia (0, se si vuole, sezione tran--

ill

quilli), attribuendo al comparto d’ osservazione 70 malati, a quel- lo d’ isolamento 30; 20 all’ infermeria, e 130 alla Colonia. Ammes- so questo, volendo cercare di distribuire razionalmente le ore di lavoro per gli infermieri, bisogna cominciare dal distinguer bene il numero d’infermieri necessariamente presenti nei diversi pe- riodi della giornata nei diversi comparti, dal numero totale d’in- fermieri di cui deve disporre il Manicomio.

Prendiamo le mosse dal servizio notturno. Se nel comparto d’ osservazione ci sono 70 malati, occorreranno due guardie not- turne; una sola guardia notturna sarà necessaria in ciascuno de- gli altri tre. comparti. A letto, per essere chiamati in caso di bi- Sogno, sarà più che sufficiente se ci saranno 8 infermieri nel com- -parto d’ osservazione, 5 in quello d’ isolamento, 2 nell’ infermeria e 10 nella Colonia. Questi, che hanno dormito in Manicomio, pren- dono alle 6 in consegna i comparti rispettivi dalle guardie not- turne e fanno il servizio dalle 6 alle 12, sempre nei comparti do- ve hanno dormito. Alle 12 subentrano altri infermieri, in numero di 5 per il comparto d’osservazione, 4 per il comparto d'’ isola- mento, 2 per l’ infermeria. Questi stanno in servizio fino alle 20, allorchè cedono il posto alle guardie notturne. |

Gl’ infermieri del comparto tranquilli (Colonia), data la natu- ra speciale e la poca gravosita del servizio, hanno alternativa- mente 48 ore di servizio (potendo dormire dalle 20 112 alle 5 1{2 ogni notte) e 24 ore di libertà. Ammesso che 10 infermieri deb- bano sempre essere presenti (1 su 13 malati), ne viene che, ogni 24 ore, 5 di essi sono sostituiti. Il loro numero totale è 15 (16 con la guardia notturna). Negli altri comparti la giornata viene divisa in tre parti: dalle 20 alle 6, dalle 6 alle 12 e dalle 12 alle 20. Ogni infermiere non ha da fare che una di queste terze parti, non deve quindi restare al Manicomio che un certo numero di ore, cambiando per turno solo, ad es., ogni 15 giorni. Così per ‘15 giorni un infermiere dovrebbe fare la guardia notturna - con le norme da noi dette nella nota in proposito (‘); per altri 15 gior- ni non avrebbe che 6 ore di servizio - ma le 6 ore più faticose, più l’obbligo di dormire in Manicomio, dove avrebbe il dovere di ritirarsi fra le 21 e le 22. Per altri 15 giorni un infermiere avreb-

1) Questo Bollettino 1899 N. 1 e 2,

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be 8 ore di servizio, dalle 12 alle 20, con l'obbligo di trovarsi ‘in Manicomio naturalmente circa alle 11 1{2; in fine per altri 15 giorni avrebbe il servizio della Colonia o comparto tranquilli, con l’ orario sopradetto. Dopo due mesi l'infermiere ricomincerebbe da capo in quel comparto per il quale ha mostrato più attitudi- ne. L’ esperienza insegnerebbe poi se il periodo di tempo più op- portuno al cambiamento è di 15, 30 o più giorni; se e come i diversi infermieri, cambiando ora di servizio, potrebbero anche ‘cambiare comparto, se e fino a che punto sarebbe opportuno la- sciare infermieri fissi in un dato comparto, ecc. Non parlo di una «sezione dozzinanti c del servizio per i medici, cose affatto distin- te dal grande servizio generale del Manicomio. Purtroppo in ap- poggio di questo sistema non posso fornir dati di esperienza pro» pria altrui. Ma vediamo intanto quanti infermieri sarebbero -in tutto necessari per un tale servizio:

Ore | Comp. Comp.

D’ OSSERVAZIONE | D’ ISOLAMENTO INFERMERIA 1 1 5 2 4 2 10 5

Per una sezione di 250 malati, con una distribuzione di ser- vizio quale è da noi proposta, occorrono 46 infermieri, cioè in genere l infermiere su 5, 4 malati - e questo può essere dato come un massimo. | ~ La ragione fondamentale, che mi farebbe all’ occasione soste- nitore di un tale sistema di servizio per gl’infermieri, l’ ho già implicitamente esposta, rendere il loro lavoro più degno di esseri umani che di bruti. È una triste ironia l’ esigere dag!’ infermieri intelligenza, cultura, dignità; fornir loro, come avviene in certi manicomî, gabinetti di lettura, biblioteche, sale di conversazione e di sport, e non dar loro il tempo di approfittarne. Se uno ha li- bero un giorno la settimana, non penserà certo d’ istruirsi duran

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te quelle ore. È anzi un danno e un pericolo notevole il far vė- dere e il far desiderare i vantaggi della istruzione e dell’ educa- zione elevata, negando d’altro lato e togliendo la possibilità ma- teriale che questi vantaggi siano raggiunti. Il medico di manico- mio, compiuto il proprio ufficio, ha ancora a sua disposizione ogni giorno, in media, 15-20 ore da dedicare al riposo, alle cure della propria salute fisica, della propria cultura, della propria famiglia e dei propri interessi. Un infermiere o una infermiera (sia detto qui per incidenza, io non so perchè infermieri e infer- miere non siano interamente equiparati nel servizio come nelle paghe, e siano escluse dai manicomî le donne maritate) - un in- fermiere dunque, o una infermiera è così legata al servizio, che di altri interessi, o di famiglia, o di cultura o di igiene fisica .può esser parola.

In paesi più civili e più ricchi del nostro ci sono manicomî e cliniche dove il rapporto fra infermieri e malati e di l: 5, su- periore quindi a quello che si esigerebbe per il nostro sistema. '

Anche in quei paesi, se esiste il denaro, la distribuzione e ‘°° amminjstrazione di questo risentono ancora di epoche barbare, giacchè nonostante il rapporto di 1 a 5, gl’infermieri escono una volta alla settimana. Sicchè l’ unica obiezione al sistema non può riferirsi che al grado di cultura e di educazione civile del paese: in altre parole l’ obiezione si ridurrebbe a definire il sistema, nemmeno poco pratico, ma solo troppo ideale, utopistico.

Eppure, anche oggi, solo con un di. passione disinteressa- ta alla propria specialità da parte dei medici ed amministratori -di Manicomi, la cosa sarebbe indubbiamente possibile in buona parte dei paesi civili.

Siano infermieri ordinari di Manicomio solo coloro che hanno frequentato con profitto i corsi teorico-pratici preparatorî tenuti dai medici alienisti; sappia il medico Direttore creare nell’ isti- tuto un ambiente morale elevato, esigendo da tutte le persone che lo compongono una condotta sempre e dappertutto dignitosa, inap- puntabile ; ispirino i dottori un d’ interesse, d’entusiasmo per la specialità, eccitando insieme l’ amor proprio e lo spirito di corpo del personale, e cerchino di eievare gl’ infermieri a gruppo professionale - e il sistema nuovo > O qualche cosa di analogo,

forse anche più liberale, verrà come logica, necessaria; inevitabi» le conseguenza,

i BIBLIOGRAFIA.

Atti del primo Congresso Pellagrologieo interprovinciale (Padova 8, 9, 10 Aprile 1899), pubblicati a cura dei Segretarî del Congresso Ing. G. B. Can- tarutti e Dott. A. Randi. Udine, 1899.

È stato pubblicato fino dallo scorso Agosto questo volume degli Atti del primo Congresso pellagrologico, tenutosi in Padova nell’Aprile per iniziativa della Commissione Provinciale di Udine. Detto volume rappresenta senza dubbio un documento solenne della generale preoccupazione, dalla quale e medici e classi dirigenti sono invasi per lo estendersi della malattia, e della ‘profonda convinzione che si debba finalmente iniziare forte, continua la lot- ‘ta contro la medesima, che miete vittime innumerevoli, sottrae all’ economia del paese immense forze e degrada e abbrutisce la nostra razza.

Al Congresso non solo furono rappresentati il Governo e moltissime Pro- vincie, ma convennero numerose rappresentanze, molte delle quali composte in massima parte di amministratori che, fatta qualche eccezione, gareggia» rono con i medici stessi nella discussione dei temi e nell’entusiasmo che de- sta una santa causa come questa.

Gl’intenti a oui mirarono gl'intervenuti al Congresso erano determinati dalla trattazione dei seguenti argomenti :

a) indicare le istituzioni più adatte ed efficaci per la cura preventiva del- la pellagra ; |

b, fissare i metodi più adatti al loro funzionamento ;

c) suggerire moduli uniformi, amministrativi e statistici, per un censi- mento nominativo dei pellagrosi ;

d) trattare intorno alla coltura e consumo del maiz, ed ai provvedimenti legislativi atti a diminuire la produzione di talune qualità, a migliorare i metodi di conservazione, a regolare la sorveglianza sulle importazioni di es- so e sul consumo del granoturco guasto ;

e) indicare le norme migliori per la vigilanza igienica sui generi alimen- tari nei comuni rurali, ed i provvedimenti più adatti a facilitare la vendita a prezzi miti dei più necessarî di tali generi , ottenendo possibilmente la sostituzione dei meno buoni attualmente in uso nelle classi agricole con quelli più nutrienti.

Per ciascuno di questi argomenti erano stati preventivamente formulati alcuni quesiti, la cui trattazione era stata dalla Commissione Provinciale di Udine atfidata a membri delle Commissioni delle divérse Provincie, 1 quali al Congresso ne furono relatori.

Le discussioni che sui diversi quesiti stabilirono furono ampie, severe e ordinate, e ciò senza dubbio si deve alla serietà di cui erano compresi tut-

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ti i Congressisti e alla rara intelligenza e abilità del Comm. D'Ancona di Padova, Presidente del Congresso.

Le deliberazioni prese furono concrete ed eficaci allo scopo precipuo di seguire un comune, uniforme indirizzo nella lotta contro la pellagra.

Non è possibile riferire qui tutte le conclusioni formulate dai Relatori e modificate e accettate dal Congresso per i diversi argomenti. Per ciò ri- mandiamo all’originale.

Diremo soltanto che fu generalmente confermato una volta di più essere il granturco e specialmente il granturco avariato la causa principale della pellagra, e fu quindi stabilito di cercare con tuttii mezzi che la coltivazione del mais sia più che è possibile limitata, e che sia provveduto, clove non sieno sufficienti alla perfetta essiccazione i mezzi naturali, coll’ impianto di essiccatoi artificiali.

Fu unanimemente riconosciuto, essendo la buona alimentazione, con la esclusione del mais, il mezzo principale sul quale si fonda la cura e la pro- filassi individuale della pellagra, che debbano incoraggiarsi ed aiutarsi tutte le istituzioni che possono raggiungere questo scopo, sieno locande sanitarie, pellagrosarî ecc. i

Si ritenne necessario di stabilire una direzione continua, per l’ esplica- mento della lotta contro la pellagra, e perciò fu deliberato che la Commis- sione Provinciale di Udine, di cui è Presidente l’ Egr. Avv. Cav. L. Peris- sutti, venisse costituita in Comitato permanente per la direzione e l’ orga- nizzazione dei successivi Congressi o per invigilare alla possibile uniformità d'azione delle singole Commissioni in relazione ai voti deliberati.

Finalmente fu scelta Bologna quale sede del secondo Congresso nel 1902.

Il volume degli Atti, che dagli egregi Ing. G. B. Cantarutti e Dott. A. Randi è stato con intelligente esattezza e con una sollecitudine più unica che rara dato alle stampe, è una prova della grande e sapiente attivi- vità delle persone scelte per dirigere la lotta contro la terribile malattia. Ad ognuno dei membri delle Commissioni Provinciali incombe il dovere di diffonderne la lettura per raggiungere più presto e nel modo migliore lo sco- po che la lotta medesima si prefigge.

Direttore -- R. TAMBRONI. Redattori CAPPELLETTI - Fixzi - LAMBRANZI - VEDRANI.

116

Società di Patronato per i pazzi poveri dimessi dal Manicomio.

Somma precedente . i ; ; L. 1851. 69 Provenienza malati . : è . . > 1. 73

Totale i L., 1353. 44

Movimento dei malati nel mese di Luglio 1899

OSCILI Esistenti | | = | 5 sE SS E | Rimasti = a © | ace oe S a | &| 2 |Selks]* u |D|[u[D|UDU Don A UID ue oig Prov. di Ferrara | 202| 196118/13] 4 1 iu 43 10) 3] 205) 202 | | Appart. | altre Provincie 25) 15] 4 1 | 2 28 Si in | le —| Oe cc den | ee enn ee 297 211 22/13] 4 L 2 d 4 10| 3| 233| 215 | nl Set onl ee |—| —| —} —|—| —|—| —I-—— | =

Movimento dei malati nel mese di Agosto 1899 (Prot. di Ferrara 205, 202) 2] 4) 4) 1) 5) 2] 5] [1 2) 2] 190) 201.

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Anno XXVII Fasc. IV

BOLLETTINO

DEL

MANICOMIO PROVINCIALE DI FERRARA

FERRARA Tipografia dell’ Eridano

La trasformazione del sonno in narcosi

del Dott. Ruggiero Lambranzi

I,

Nella osservazione di un fenomeno patologico sociale, il de- litto, noi assistiamo a lo svolgimento di una tendenza evolutiva per la quale sembra che a la delinquenza violenta vada sostitu- endosi la delinquenza astuta. Ciò fu detto ancora - e le sue cau- se, certamente complesse, sono forse da ricercare nell’accresciuto spirito di difesa individuale e collettiva, nella evoluzione del fat- tore economico inteso e come lavoro e come provento, ossia mas- simamente in quelle stesse cause che determinano il fatto fisio- logico della lenta e fatale trasformazione della società militare in società industriale. |

Non è qui il caso di dimostrare o di svolgere questa tesi; per rendersene conto basta solo per un istante guardare indietro e intorno, senza nemmeno uscire da la nostra terra, ad alcuni fatti dimostrativi. Il brigante classico, pronto a la bestemmia e a la giaculatoria, con le mani poderose guernite del trombone e del rosario, è ormai confinato in qualche angolo aspro della Sar- degna e forse in qualche macchia della Sicilia; e, quantunque in tragica statistica ci sfili ancora dinnanzi una folla di violenti nati, di violenti d’occasione e di passione, ognuno s'avvede che l’ aggressore omicida, l’assassino professionale tende ad isolarsi e però tramonta o si trasforma.

Per converso la delinquenza astuta s’ ordina, si moltiplica e si dimostra in tal guisa che, ad esempio ora, dilagando nell’affa- rismo, ha saputo acquistare tal forza di espansione da colpire pertino il cuore dello Stato.

È evidente che, mentre noi assistiamo al tramonto del feno- meno violento come a la scomparsa di un anacronismo, la delin- quenza astuta ci apparisce come una logica espressione attuale ; il suo rigoglio è tutto nell’ adattamento a l’ambiente, al quale si è foggiata cedendo a le nuove tendenze col comporsi un nuovo

s

118

e profittevole costume. Però appunto ai nuovi mezzi della vita, della lotta e della protezione sociale essa oppone un raffinamento di abilità e talora d'ingegno e di coltura, così che la vediamo giungere fra lo stupore universale a sfruttare pel suo perfeziona» mento anche le cognizioni scientifiche offerte da la provvida vol- garizzazione degli studì.

Uno dei modi più strani e ingegnosi di questo sfruttamento scientifico si rileva nel così detto furto da cloroformio. Un in- dividuo è cloroformizzato nel sonno e derubato poi con ogni co- modo dal ladro diventato sperimentatore.

E ciò possibile?

Sono alcuni anni che le croniche giudiziarie parlarono di furti portentosi pei quali questo mezzo parrebbe dover essere stato usato, altrimenti neppur ora si potrebbe interpretare l’ ine- splicabile sonno di persone intorno a le quali si poterono impune- mente scassinare porte e forzieri e su le quali si scomposero gli abbigliamenti e forse anche fu talora commessa violenza carnale.

Tali fatti diedero luogo a meraviglia e clamore del volgo, a dotte discussioni peritali volte a dimostrare con argomenti aprio- ristici o d’analogia la possibilità (Tourdes', Buisson?) o meno (Snow * nel 1850, Cucuel* nel 1873) dell’anestesia delittuosa nel sonno ed anche a provvedimenti legislativi ( p. es. al Parlamento inglese nel 1851 Lord Campbell propose su ciò uno speciale articolo: prevention of offences bill) ; questi tuttavia altrettanto encomiabili quanto inutili, poiché, non essendo allora risoluto il problema del possibile passaggio incosciente da sonno normale a sonno cloroformico, e però ognuno divagando nella teoria, si per- deva di vista il punto di partenza della questione, quello proprio che bisognava prima tutto illuminare.

Qualche tentativo sperimentale a questo scopo fu fatto per- tanto sul sonno dei cani (S. Rogers, 1871 *; Dolbeau, 1873 °), ma non riusci a nulla, perchè ogni volta che si esponevano i vapori

1) Gazzette Hebd. de Méd. et de Chir. 1866.

2) Cit. da Gurrieri.

3) 4) Cfr. nel Dictionaire des Sciences Médicales (Decham bre) I’ Art. Sommeil di Tourdes 1881.

5. Soc. Medico-Legale di New- York: Chloroforme used to facilitate robbery.

6) Rapporto a la Società Medico-Legale di Parigi.

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119

di cloroformio al fiuto dell’ animale si aveva il risveglio; tutta- via, quando si pensi-solo a l’acutezza dei sensi di cotesti sogget- ti d’esperimento così diversa rispetto a quelli dell’ uomo, si com- prende di leggieri come con tali prove non si potesse giungere a buon fine.

Dolbeau nel 1874, Gurrieri, nel 1895* si occuparono con una certa larghezza dell’argomento e provarono su l’uomo. Nei loro studî sono raccolte le ‘pochissime notizie storiche che ho dianzi esposto nel loro tenue risultato e complessivamente 38 osservazio- ni, 29 del primo e 9 del secondo. Entrambi giungono a la prin- cipale conclusione, ammettendo la possibilità di poter anestetizza- re col cloroformio una persona che dorma, senza svegliarla.

Dolbeau viene in tale giudizio a traverso molte restrizioni dubitose intorno a le varie condizioni individuali dei soggetti in rapporto al sesso, a l’età, a le abitudini, a lo stato di salute ecc., che egli crede possano in grado diverso influire nel modificare il rapporto positivo di circa 1: 3 ottenuto nelle sue esperienze. Pure il Gurrieri lascia intravedere gravi difficoltà di riuscita, delle qua- li alcune, ugualmente al Dolbeau, riferisce al grado di purezza del cloroformio e a la maggiore o minor pratica dello esperimentato= re ed altre a la intensità del sonno che deve essere, secondo lui, sempre completo e profondo per potersi trasformare con relativa facilità in narcosi.

Le restrizioni di Dolbeau sono certamente giustissime, ma è ben difficile toglierle tutte di mezzo con nuovo studio, poichè ris chiederebbero di estendere le esperienze a un numero assai grane de di persone sane, ciò che è assolutamente impossibile di otte- nere anche a chi svolga i suoi studî nelle condizioni più favore. voli; tuttavia sono almeno iu parte suscettibiito di climinazione quando siano diligenti Panammnesi e l’ esame clinico dei suggetti d’esperimento, quando su di ognuno si ripetano opportunamen- te le prove e quando, come è debito giusto, si tenga conto delle conoscenze generali che ci ammaestrano su la fisiologia del sesso e della evoluzione umana e su le influenze dell’ ambiente.

Rispetto a la pratica di chi porge |’ anestetico (Hofmann) e a la purezza di questo, si può dire bensì che abbiano grande

1) Rapporto ecc. e Annales d'Higiene publique et de Mèd. leg. Tome XLI. 2) Rivista Sperimentale di Freniatria e di Medicina Legale. Fasc. I

120

valore pel varî confronti di chi esperimenta, ma non possono en- trare in discussione nei varî giudizî ai quali è indotto il medico legale dinnanzi al fatto compiuto, poichè sfuggono a l’obbiettività della indagine.

Ma, guardando poi più addentro, non é difficile avvedersi che tutte le speciali condizioni che possono influire su l esito delle prove si debbono necessariamente tradurre o comprendere nello speciale stato di sonno dei diversi soggetti; pertanto Dolbeau tratta vagamente di questo punto e Gurrieri, pure considerando come condizione necessaria la profondità del sonno, non sem- bra che abbia svolto su ció osservazioni adeguate a l importanza della cosa.

Ora invece io penso che solo da osservazioni sperimentali del sonno, considerato fisiologicamente e rispetto a le eventuali oscil- lazioni nel corso della sua curva notturna e rispetto a le modifi- cazioni possibili per diverse influenze, si possano ottenere i giusti dati per giudicare con una relativa sicurezza e con qualche det» taglio intorno a la questione della possibilità di procurare la narcosi nel sonno a scopo delittuoso.

Però, avendo in corso da alcun tempo una lunga serie di esperienze su la profondita del sonno, non ho voluto tralasciare di valermi di alcuna di esse per lo studio di questo argomento così importante per la medicina forense.

Espongo ora brevemente le prove fatte cloroformizzando con una pezzuola imbevuta di liquido a momenti opportuni e usando cloroformio della Ditta Inglese Duncan Flockhart e Comp.

Oss. I - A. C. d’anni 46 contadino. Sana eredità. Non ebbe mai ma- lattia e fu sempre lavoratore indefesso; è padre di prole robusta; si alimen- sempre frugalmente. Nel cuore dell’ estate fu colto da diarrea e febbre con lievi sintomi nervosi, pei quali fu ricoverato a l'Ospedale Civile. Di lì, avendo presentato segni di eccitamento psichico, fu trasportato al Manicomio. La forma di psicosi da esaurimento si attenuò subito e guarì rapidamente. L'esame obbiettivo del 20 Luglio si riassume così: costituzione robusta, nu- trizione perfetta, organi della vita vegetativa normali, sistema nervoso ed or- gani dei sensi normali; psiche assolutamente sana. Fu trattenuto nell’ Isti- tuto per alcune esperienze fisiologiche. Non alcoolista fumatore.

Sonno di media profondità: curva costante, di media altezza, a decorso continuo, che si traccia sempre benissimo con stimoli uditivi, visivi e misti, mai con stimoli olfattivi (quest’ ultimo fatto è comune, perciò che mi consta,

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a tutti 1 normali; 6 pure costante in tutti i miei soggetti q’ esperimento). Reazione facile del V.° paio a soluzioni di Az.H 3 al 50 0/0.

1. Esp. Ore 2 - 21,4 di sonno. Rapide reazioni respiratorie anche te- nendo la pezzuola imbevuta di cloroformio (versato a 5-10 goccie per volta) a cinque o sei centimetri da le narici; movimenti degli arti; risveglio dopo circa 5 minuti. Non 8’ è accorto di nulla (come sempre).

2. Esp. Ore 1 - 1 1{4 di sonno. A intervalli reazioni motorie semplici persistenti anche dopo 10 minuti; vanno poi gradatamente scemando, e sui 15-20 minuti, essendo già cessate, si stimola l’ infermo inutilmente con forti rumori. Aggiungendo pai a questi stimoli forti scosse e luce viva, si riesce a fargli aprire gli occhi e balbettare qualche parola. Riprende subito un sonno calmissimo.

3. Esp. Ore 4 1[2 di sonno. Scarse reazioni motorie; risveglio dopo circa 6 minuti.

4. Esp. Ore 2 12 di sonno. Reazioni respiratorie; troncamento della in- spirazione, lunga pausa ed espirazione violenta ogni volta che si tenta di ‘avvicinare la pezzuola a le narici; scosse lievi del capo; dopo 4 o 5 minuti profondo sospiro e moto di protezione brusco del capo, si frega gli occhi con ambo le mani. Dopo 7-8 minuti nuovo atto di protezione e risveglio.

Oss. II. - P. P. d’anni 38. Figlio di alcoolista cronico. Non fu mai am- malato sino a 26 anni; dopo, in seguito a spavento, ebbe a lunghi interval- li crisi istero-epilettiche (forse simulate), le ultime datano a 2 anni or sono. Non è alcoolista, è discreto fumatore, ha tendenze spiccatissime a l’ozio e a la truffa. Costituzione fisica molto vigorosa, perfetta salute di tutti gli or- gani della vita vegetativa; ottundimento lieve delle varie sensibilità. Organi dei sensi di normale funzione, fuor dell’ olfatto, che non è molto fine; nes- suna deficenza psichica notevole fuori che della affettività e del senso morale.

Sonno leggero. La curva del sonno bassa è facilmente interrotta tanto dagli stimoli uditivi che visivi: una soluz. al 50 0/0 di Az.H3 stimolando il riflesso della mucosa nasale procura il risveglio.

1. Esp. Dorme da 4 ore. Fin da le prime aspirazioni dei vapori cloro- forinici lieve segno di reazione motoria stirando gli arti inferiori; quan- tunque usi la cautela di allontanare e avvicinare opportunamente la pez- zuola, reagisce di mano in mano più complessamente stirando tutte le mem- bra, volgendo il volto di lato; in capo a 6-7 minuti si desta.

2. Esp. Ore 1 1[4 di sonno. Dopo circa cinque minuti d’ inalazione si passa una mano sul volto come per allontanare una cosa molesta; segno di qualche reazione respiratoria con profonde inspirazioni seguite da lunga pausa; il sonno poi continua calmissimo; dopo 12 minuti forti stimoli udi- tivi, tattili, visivi non lo destano; l'aspirazione di soluzione al 50 0/0. di Az.H 3 non provoca riflesso evidente. I

122

3. Esp. Ore 1 114 di sonno. Dopo 4 o 5 minuti reagisce con qualche movimento del capo; dopo 10 minuti circa si sveglia.

4. Esp. Ore 5 3[4 di sonno. Fin da principio, a brevi intervalli reagisce lievemente; volge poi il capo, si passa la mano sul volto; ad ogni reazione si sospende l’ inalazione per riprenderla subito; dopo una decina di minuti si sveglia d'improvviso. Dice di sentire un gusto indefinito (ha veduto la boccetta.)

Oss. III. - A. V. d’anni 31. Il padre più che settantenne è demente senile, una sorella fu malata di mente. Giovanotto di costituzione fisica per- fettamente sana, mangiatore e fumatore formidabile, non alcoolista; è debole di mente, ma sa leggere e scrivere e compie ogni servizio con molta diligen- za; solo per la grande timidezza e povertà di energia, che lo rendono inetto al difficile vivere sociale durante un tempo un po’ lungo, è necessario il suo ricovero nell’ Istituto. Gli organi dei sensi funzionano normalmente.

Sonno abitualmente profondo: la curva suol essere alta per ogni stimo- lo; si interrompe a fatica e non sempre con aspirazione di Az. H 3 al 50 070. Solo è da osservare che la grande facilità del V. a l’ emozione paurosa può facilmente turbare la curva, sia rispetto a l’altezza che al decorso; appun- to durante ì primi tempi nei quali si cercava di studiare il suo sonno, qualche chiacchiera o qualche preparativo clôto a volo, il mutare di stanza per necessità di esperimento, ecc. l'avevano commosso così da trasformare il suo sonno profondo in una dormiveglia agitata e interrotta o in sonno leggero. La prima esperienza col cloroformio risale a quel tempo.

1. Esp. Dorme da 1 ora e 14 circa. Reagisce con movimento degli arti superiori e inferiori dopo 2-3 minuti, apre gli occhi dopo 5. Dice di avere sentito un certo odore.

2. Esp. Ore 2 12 di sonno. Per 10 minuti fa aspirazioni lente e regola- ri senza alcuna reazione; allora lo si tocca sul volto, gli si alzano le coper- te di dosso, lo si chiama per nome senza riuscire a destarlo, afferrato pei fianchi si desta di soprassalto. Non s'è accorto di nulla.

3. Esp. Dorme da 1 ora e 14. Respira senza dare altro che lievi segni di reazione motoria semplice sul principio. Dopo 10-12 minuti fortissimi sti- moli misti non riescono a svegliarlo. Ripetendo gli stessi stimoli a 1[4 d'ora circa di distanza, si sveglia di soprassalto.

Oss. IV. - B. G. d’anni 24 barbiere. Eredità neuropatica, Ebbe mani- festazioni neuropatiche nella infanzia e nella prima giovinezza, ma lievi e a intervalli lunghi; in società era considerato semplicemente un individuo ner- voso; buono di carattere, abbastanza intelligente, buon lavoratore; non al- coolista, non fumatore, Due anni fa cadde in equivalenti isterici strani che lo spinsero al crimine; l'esame obbiettivo d’ allora dimostrò note somatiche dell’ isterismo., Da circa un anno e mezzo le manifestazioni della sua vita psichica e fisica sono normali; fa abilmente il cameriere nell’ Istituto; l’ e-

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same obbiettivo completo non dimostra alcun segno anormale, l’ esame psi- chico rivela solo una facile emotività.

Sonno abitualmente di media intensità: la curva di media altezza per ogni stimolo è alterata facilmente per emozione depressiva (timore, attesa) e per ingestione di caffè; per tali influenze si ha insonnia o sonno leggiero o sonno interrotto.

1. Esp. Ore 1 1{2 di sonno. Lievi reazioni motorie durante i primi 10- 12 minuti di inalazione, tuttavia respirazione sempre calma e regolare ; dopo 15 minuti toccandolo sul petto nudo, sul volto , tirandogli i baffi e facendo rumore intorno non si ottiene risveglio.

2. Esp. Ore 0,30 di sonno. Subito a le prime inalazioni fatte anche a distanza si hanno reazioni respiratorie e verbali (piccolo lamento); dopo circa 2 minuti apre gli occhi e risponde a le dimande senza essersi accorto di nulla.

3. Esp. Ore 6 di sonno. Reazioni motorie stirando gli arti inferiori, mo- vimento di protezione volgendo il volto di lato e passandosi la mano sul volto dopo 5-6 minuti d’inalazione; dopo forse 8-10 si sveglia.

Oss. V. - G. M. d’anni 20. Esposto; frenastenico non grave di carat- tere buono, che va soggetto a periodi lontani di eccitamento; l’ ultimo data a 5 mesi fa. Fuori di questi conduce vita normale, é buono e diligente la- voratore; non è dedito ad alcool, a fumare. Costituzione fisica robustissi- ma; organi della vita vegetativa, sistema nervoso, organi dei sensi, nulla di notevole.

Sonno abituale di media profondità. La curva si ottiene bene special- mente con gli stimoli uditivi; ma non è molto costante, sia rispetto a l’ al- tezza, sia, e massimamente, rispetto al decorso senza che sia sempre possi- bile rilevare le cause di questo turbamento.

1. Esp. Ore 11,4 - 1172 di sonno. Respira regolarmente, fa alcuni ge- sti di protezione volgendo di momento in momento il capo, senza tuttavia nascondere il volto; tali movimenti si ripetono ogni 2-3 minuti e non corri- spondono sempre a le nuove aggiunte di cloroformio su la pezzuola; dopo 8-10 minuti fa un gesto di protezione stropicciandosi energicamente il naso con la mano. Non essendosi destato, si riavvicina il fazzoletto a le narici e non si ottengono più che modiche reazioni motorie; dopo 20 minuti la respi- razione è calmissima; si palpa, chiama, scuote il giovane inutilmente.

2. Esp. Ore 1 1{4 - 1 172 di sonno. Si hanno molte reazioni semplici e complesse; dopo circa 10-12 minuti si desta senza essersi accorto di nulla.

3. Esp. Dorme da 3 ore. Reagisce fino da le prime inalazioni e si desta dopo 1-2 minuti.

4. Esp. Dorme da ore 6 1{2 circa. Reagisce fino da le prime inalazioni e si desta dopo 1-2 minuti.

5. Esp. Dorme da ore 4 1J2. Si scuote a la prima inalazione e apre su- bito gli occhi, i

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6. Esp. Dorme da 5 ore 172. Si desta subito.

Oss. VI. - G. L. d'anni 58 contadino. Eredità neuropatica. Sempliciot- to e bizzarro fino dalla fanciullezza e stimato poi sempre mattoide dai com- pagni di lavoro. Ha un figlio imbecille. Fu ricoverato nell’ Istituto, l’unica volta, 4 mesi fa essendo cauto in uno stato di eccitamento psicomotorio piuttosto grave dopo la morte di un figlio ventenne; era molto scaduto nel- la nutrizione generale, insonne, logorroico, disordinato. Migliorò rapidamente (fu dimesso il 28 Settembre). Costituzione abbastanza robusta, organi della vita vegetativa sani; lieve ottundimento della sensibilità generale; organi dei sensi: vista, udito, gusto normali, olfatto un po’ debole tanto per gli odori intensi che potenti (distinzione di Passy).

Sonno mediocre. Curva di media altezza, costante e a decorso continuo; la si ottiene benissimo con gli stimoli uditivi e visivi; il risveglio non è de- terminato tanto facilmente da la soluzione al 50 010 d’ Az. H3.

1. Esp. Ore 0.45 - 1 di sonno. Fino da le prime inalazioni a distanza si nota irregolarità di respiro transitoria; volge poi il capo di lato; si sve- glia dopo 3-4 minuti.

2, Esp. Ore 1 1[4 - 1 i[2 di sonno. Quasi senza dar segno alcuno di reazione inala cloroformio per circa 10 minuti. Allora gli stimoli che supe- rano di gran lunga quelli soliti a risvegliarlo in questo periodo del sonno non servono a nulla. Solo stappandogli sotto il naso un barattolo di Az. H3 pura si osserva un arricciamento del naso, cenno di arresto inspiratorio, ma non mostra di destarsi.

3. Esp. Ore 2 112 di sonno. Rapida reazione e risveglio quasi subitaneo.

4. Esp. Ore 1-1 i[4 di sonno. Nessuna reazione, ‘dopo 10-12 minuti non si riesce a troncare il sonno, altro che usando degli stimoli enormi e prolungati.

5. Esp. Ore 7 di sonno. Risveglio subitaneo a la prima inalazione.

6. Esp. Ore 4 di sonno. Reagisce subito arricciando il naso e alterando il ritmo respiratorio; ad ogni tentativo d’inalazione si ha uguale reazione; si sveglia dopo 3-4 minuti.

7. Esp. Ore 5 34 - 6 di sonno. Respira calmo quando la pezzuola è un po’ lontana da le narici, ma appena la si avvicina egli arriccia il naso e scuo- te il capo pur continuando a dormire.

Proseguendo nella cloroformizzazione si osservano a intervalli spiccate reazioni motorie e protettive: distensione degli arti superiori e inferiori, sti- ramento di tutta la persona, scosse delle spalle e del capo ecc.; si hanno pure due reazioni verbali: borbottamenti confusi; i riflessi ascellare e plantare sono sempre desti. Tutto ciò nel corso di 10 minuti. Dopo s’ osservano attenuar- si le reazioni generali e digradare i riflessi superficiali esaminati; in capo a 15 min. il sonno è profondissimo; chiamato, urtato, scoperto, rivoltato sul letto continua a dormire respirando sempre regolarmente.

Oss. VII, - L. S. d’anni 68. Eredità normale. Sempre sano sino a 56

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anni; a quell’ età dopo alcun tempo di febbri intermittenti, cominciò ad ap- parire depresso, incapace al lavoro, manifestò idee religiose, di rovina , ipo- condriache; guarì completamente e persistette nella guarigione circa 2 anni, dopo dei quali si rinnovò la malatia mentale con eguali caratteri; nuova guarigione e quindi, dopo un intervallo di perfetta salute durato 7 anni, un terzo accesso. Ora è molto migliorato quantunque sempre un po’ depresso e facile ai lagni ipocondriaci. Costituzione fisica sana. Organi dei sensi integri. Sonno abitualmente leggiero. La curva si ottiene con stimoli molto bas- ' sì; è facilmente interrotta nel decorso.

1. - 2. Esp. Ore 1 1J4 di sonno. Reagisce con un lieve corrugamento del volto, poi con alterazione del ritmo respiratorio; dopo 2-3 minuti si desta passandosi una mano sul volto.

3. Esp. Ore 3 di sonno. Si sveglia a la prima inspirazione.

4, Esp. Ore 6 di sonno. Si sveglia a la prima inspirazione.

Oss. VIII. F. L. d’anni 40. Eredità psicopatica. È sempre stato sano di corpo e di mente. Non è alcoolista d’abitudine, fumatore. Su la fine d’ Agosto di quest’ anno in seguito a patemi d’ animo e forse a una bevuta un po’ forte ebbe una crisi convulsiva istero-epilettica, seguìta da un po’ d’in- quietudine, delirio vago di persecuzione, tentativo di suicidio; tutto ciò in circa 8 giorni, dopo i quali si ristabili completamente. Costituzione fisica molto vigorosa; l’ esame obbiettivo dei varí sistemi non rileva nulla d’a- bnorme. Organi dei sensi normali; dimesso il 27 Settembre.

Sonno abitualmente di mediocre profondità. La curva si ottiene bene e, quantunque il S. stia di solito a letto 1-2 ore prima d’ addormentarsi, se- gue l'andamento normale.

1. Esp. Ore 3 di sonno. Si sveglia a la prima inalazione,

2. Esp. Ore 11x4 - 1 1]2 di sonno. Aspira cloroformio per circa 10-12 min. senza dare alcuna reazione. Allora stimoli tattili, uditivi ecc. non lo svegliano: dopo trenta minuti, da la fine dell’ esperienza, con gli stessi sti- moli si ottiene il risveglio.

3. Esp. 1{2 ora di sonno. Si sveglia dopo 1-2 inspirazioni.

Prima di entrare nel commento dei risultati ottenuti. in que- ste prove è d’ uopo che in modo molto sommario esponga alcune conoscenze fondamentali ricavate da lo studio della profonditd del sonno. '

E trascurando ora l’opera d’altri e i metodi da me usati, perchè saranno descritti altrove, debbo in primo luogo dire della curva del sonno che sono riuscito ad ottenere.

1) Un sunto di tale studio fu comunicato al X Congresso di Freniatria in Napoli - Ottobre 1899,

126

(Juesta, come appare nel rapido schema, traccia la linea dello stimolo minimo di risveglio durante un sonno di 8 ore: ascende

(ir i 2 3 4 5 6 7 $ svelta e graduale nella prima ora e tocca un massimo nella pri- ma parte della seconda, discende allora rapidissima da prima, poi a rilento e rimane da la terza a la quinta ora ad un limite basso più o meno uniforme; intorno a la metà della sesta ora si ha una nuova elevazione con ricaduta ancora rapida sul principio e poi lenta.

Questo il decorso normale; e la varia altezza complessiva del- la curva determina poi la varia profondità del sonno.

Il tipo della curva individuale sembra essere costante in un sano, regolato nel metodo di vita, che si corica e si leva ad ore abituali, ch’ è sottoposto durante il giorno a stimoli di solito uniformi.

Ciò che, pur consentite queste condizioni, dimostra di oscil- lare in varia guisa è il secondo momento di maggiore elevazione, il quale - pure esistendo di solito e a un livello minore del pri- mo - può talora giungere ad un’ altezza eguale o maggiore e ta- lora invece attenuarsi fino a non distinguersi nel tracciato; inol- tre può facilmente essere spostato indietro o innanzi lungo il decorso.

Non è qui il luogo d’ indugiarci a spiegare l’origine di que- sti fatti, bensì è utilissimo constatarli rispetto al presente studio, tanto più che s’ aggiungono ad altre differenze che distinguono questa seconda parte della curva da la prima.

Considerando il sonno durante la prima parte della curva (e stimando questa come divisa in due angoli il cui vertice è segna- to dai due punti di maggiore altezza) si trova che l’attività ri-

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flessa (°) già più lenta, come è noto, che a lo stato di veglia, de» cade gradatamente fino quasi a mancare nel tempo della maggiore proforidità; inoltre il risveglio provocato da uno speciale stimolo d’intensità misurata è preceduto da poche reazioni respiratorie e motorie; ossia queste avvengono solo quando l’ intensità progres- siva degli stimoli usati giunge ad essere molto vicina a quella necessaria per troncare il sonno, Una reazione qualsiasi verbale, quando intervenga, è di solito concomitante al risveglio.

Durante la seconda parte della curva si ottiene sempre (o al- meno quasi sempre ) risposta a l’eccitamento superficiale anche quando gli stimoli si esercitano durante la grande altezza; pro- cedendo poi con gli stimoli misurati pel risveglio ottengono reazioni respiratorie e motorie molto prima di giungere al limite necessario per troncare il sonno; di più questo punto è spesso preceduto da reazioni verbali, le quali sono da considerarsi qua» sempre reazioni coscienti.

Dopo ciò si può dire che la seconda parte della curva del sonno, qualunque sia la sua altezza nel decorso complessivo (ec- cezion fatta di alcuni casi di profondità eccessiva ) è caratteriz» zata rispetto a la prima da persistenza quasi costante dell’attività riflessa e da un minore silenzio (se così si può dire) della coscienza,

Per queste brevi e necessarie notizie noi potremo spiegare con maggiore chiarezza le nostre prove sperimentali. Infatti da la tabella riassuntiva, della quale i segni + e indicano il ri» sultato positivo e negativo della esperienza, noi apprendiamo :

Ore di sonno 015-045 | 045-1'/, | 1'/,-3 | 3-5 | 514-6] 6-8

Risultato Risaltato Risultato Risultato Risaltato Risultato

Oss. I. ote Jie ice S

» Il dea e; =

» III. + +

» IV. + Fa

nN, +-|-|-|-|-

» VI. + + = sd wale a

» VII. | |

» VIII. | + = | | |

2) Giudicando comparativamente da un solo riflesso, p. es. il plantare, l addominale ecce.

ð e Sin

E

e Che su otto individui sottoposti a le inalazioni dei vapori di clorofomio durante il sonno, sette poterono cadere almeno uną volta in narcosi; uno solo vi fu costantemente refrattario:

- che, ripetuta su ciascuno dei sette la cloroformizzazione in ore notturne diverse, si ebbero dei risultati negativi e positivi e il numero dei primi risultò molto maggiore di quello dei secondi;

- che questi si ottennero quasi tutti durante un periodo di tempo che sta tra la fine della ora di sonno e la metà della 2*, solo due caddero rispettivamente su la e su la metà della ora; invece le prove negative ebbero con costanza nella pri- ma parte della 1*% ora di sonno, da la fine della 2* ora a la prima metà della 6" e poi dal principio della a tutta l' 8*; si ebbero con frequenza, ma non sempre, su la 2* parte della ora e su la e, infine, raramente da la fine della prima a la metà della 2* ora di sonno.

Qui dunque ci si’ avvede tosto che v'ha un rapporto forse costante fra l’ esito dell’ esperimento e l'ora nella quale lo si ese- guisce. E P ora del successo poi, date le conoscenze esposte, si può stabilire che sia quella che corrisponde a la grande ele- vazione della curva di profondità del sonno: ossia a quei momen- ti in cui la coscienza dell’ uomo è più assopita e l’attività rifles- sa è ridotta al minimum. La mancanza o la minore intensità di questi due stati durante il rialzo della curva spiega come a questo tempo non corrispondano che raramente i risultati positivi (senza contare che questo rialzo essel:do più mobile e meno costante del 1°, può non essere facilmente incontrato ) e un egual. giudizio serve a maggior ragione per interpretare gli altri nume- rosi insuccessi che si sono avuti appunto in ore le quali, come ci suggerisce il semplice confronto fra la tabella riassuntiva e lo schema della profondità del sonno, corrispondono ai segni più bassi della curva.

Riandando. poi tutte le otto osservazioni, nessun altro fattore, fuori di questo rapporto che da noi si rileva, può essere invoca- to per ispiegare l’ esito degli esperimenti ; nell'unico caso in cui fallisce totalmente la prova del cloroformio (Oss. VII) il sonno è abitualmente leggiero e ciò, volendo dire ancora che la breve altezza della curva impedisce l’ esperienza, non fa che conferma- re direttamente il rapporto speciale. .Tuttavia a questo proposito può notare che, scelto il periodo opportuno, forse è in qualche

ati 7

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caso (Oss. II ) possibile il passaggio in narcosi di un sonno leg- giero, così come in qualche altro caso di sonno profondo può es- sere invece possibile aversi buon esito nei primi periodi discen- denti della curva (Oss, III.). Quì forse cominciano a far capolino le diverse condizioni individuali (confr. Oss. II. e VII; età, stato psichico), delle quali dovrò dire più innanzi, che impediscono le generalizzazioni assolute; ma al chiaro lume dei fatti, i quali di- mostrano categoricamente come il successo sperimentale sia forse tutto legato a l’ altezza della curva del sonno, mi sembra di essere senz’ altro autorizzato a segnalare questa conclusione principale :

La trasformazione del sonno in narcosi cloroformica é, più che possibile, probabile nel tempo in cui un sonno di mediocre o grande profondità raggiunge la maggiore altezza della sua Curva - ossia da un’ ora a un’ora e mezzo dopo che un indivi- duo é addormentato -; nelle altre ore l’ insuccesso é quasi si- curo: questo é pure probabilissimo quando la profondita del sonno sia abitualmente bassa.

Alcune prove eseguite su individui il cui sonno non era stato misurato prima sperimentalmente, ma solo riconosciuto da infor- mazioni raccolte e da l’ osservazione diretta, appoggiano le nostre persuasioni :

Oss. IX. - M. idiota epilettico , anni 18, sonno profondo - Ore 1- 1114 di sonno. Risultato; + Ore 5 di sonno: Risultato

Oss. X. - L. epilettico, anni 19, sonno mediocre; - Ore 1 - 1 172 di sonno, R. -+ - Ore 3 di sonno R.

Oss. XI. - B. ipocondriaco, anni 48, sonno leggiero; - Ore 1- 1.112 di sonno, R. ; Ore 5 i[2 di sonno R. ; Ore 1 1]J2 di sonno R.

Oss. XII. - G. vecchio pellagroso guarito , anni 64, - sonno leggiero; Ore 1-11]4 di sonno R. Ore 0,45 - 1 di sonno R.

Oss. XIII. - A. demente senile, anni 71, sonno mediocre; - Ore 1-11{4 di sonno R. + - Ore 5 1]2 di sonno R.

Oss. XIV. - Vecchio del ricovero di mendicità, anni 77, sonno leggero; Ore 1 di sonno R ; Ore 1-1 12 di sonno R.

A la principale conclusione enunciata, la quale conferma la possibilità della narcosi cloroformica nel sonno già studiata da altri e di più definendo il periodo del sonno nel quale la può ottenere più facilmente in gran parte la ragione dei risultati negativi e positivi, si aggiungono poi alcune altre con- clusioni di secondaria importanza. Sono semplici constatazioni di

= ee

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fatti osservati nel corso degli esperimenti e che, essendo già note (Gurrieri) non hanno tisogno di speciale dimostrazione :

l'individuo che si sveglia dal sonno interrotto da la inalazio» ne dei vapori cloroformici non si suole accorgere di nulla ( uno disse una volta d’aver sentito un gusto indefinito (Oss. II‘, ma egli aveva veduto la boccetta dell’anestetico; un altro disse d’aver sentito un certo odore, ma è già noto in quali condizioni emozio- nali trovasse la sera dell’ esperimento e come avesse avuto no- tizia di certi preparativi fatti (oss. III);

l’ odore si dissipa subito dal luogo dove il cloroformio è usa- to (almeno in wodica quantità);

Non è possibile misurare quanto cloroformio si adopera nel» l’esperienza, poichè, essendo spesso necessario allontanare la pez- zuola dal soggetto durante la reazione prodotta da la inalazione dei vapori, molto ne va sperduto intorno inutilmente; con grande probabilità se ne usa sempre meno di ciò che occorre per addor- mentare un individuo desto.

Come appendice a qnesta prima parte del nostro studio stimai opportuno di provare se con la inalazione di altre sostanze aneste- tiche si potessero avere risultati come per l’uso del cloroformio.

Nella pratica chirurgica sono stati usati ‘con maggiore o mi- nore successo : l’ elere, il bromuro di metile, il pentale, il pro- tossido d’azoto; ma io naturalmente non poteva cimentarmi a provare col bromuro di metile e col pentale, che agiscono con grande e pericolosa rapidità (Albertoni, Giordano) nè, per difficoltà di provvedimento e d’uso, potei servirmi del protossido d’azoto, onde limitai le mie indagini a l’etere solforico. Fin da principio mi avvidi tuttavia che non poteva trarne alcun protitto, e già a priori si poteva diffidare della riuscita sapendo come il basso punto di ebollizione e la lieve densità dei vapori di tale sostanza rende più difficile e lenta la narcosi, e come il periodo di eccitamento dovuto a paralisi dei centri inibitori che precede la narcosi, sia più lungo di quello prodotto dal clorofor- mio (Baron).

Gli esperimenti furono fatti su gli stessi individui delle os- servazioni I, II e III, con lo stesso metodo già usato per il cloro- formio e facendo le inalazioni in varie ore notturne. Ecco i fatti

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raccolti : Le inalazioni d'etere solforico purissimo in $ individui dormienti da 1 ad 8 ore non sono mai riuscite a trasformare in» consciamente il sonno in narcosi, anche prolungandole per circa ‘/, ora (in questo periodo è anche compreso il tempo inutile, os- sia quello in cui le inalazioni devonsi interrompere per le rea- zioni dei soggetti, per versare nuovo liquido, ecc.) ;

il soggetto durante l’inalazione manifesta reazioni respirato- rie e motorie semplici e complesse come per il cloroformio e all’ incirca con la stessa mancanza di regola e si sveglia dopo po- che inspirazioni durante il tempo della minore altezza della cur- va del sonno, dopo anche ‘/, ora durante il tempo della prima maggiore altezza. In questo caso, quando si svegli completamente, avverte spesso l’odore caratteristico dell’etere (forse per la grande quantità che se n’è dovuta versare);

non è impossibile che il risveglio, quando l’ inalazione dura molto, sia in parte procurato dai movimenti dello sperimentatore affaticato, dal cadere della curva della profondità del sonno fisio- logico che può avvenire nel corso dell’ esperimento, da stimola- zioni indotte la grande quantità dei vapori su la mucosa buc- co faringea e laringea e forse su la congiuntiva (spesso il sog- getto si sveglia tossendo e talora dice che gli pizzicano gli occhi);

può darsi, ma non è consentito da la prova, che, prolungàndo molto \’eterizzazione, possa talora far passare il sonno in nar- cosi, quando completamente sia tolta le possibilità d’ogni stimolo

esterno. IT

Noi siamo giunti fin'ora a rilevare una norma regolatrice ge- nerale per la trasformazione del sonno naturale in narcosi, basata in principale modo sul decorso complessivo e periodico della cur- va della profondità. Poste così per tanto le conoscenze fondamen- tali, è ora necessario ricercare quando e come possa codesta cur- va modificarsi in guisa da agevolare o da ostacolare il compi- mento dell’azione delittuosa.

Conoscendo per induzione e in parte sperimentalmente (M i- chelson) le grandi varietà individuali del sonno, pensando a la immensa varietà delle cause esteriori che possono modificare in momenti lontani e vicini lo stato fisico e psichico di un uomo, influenzando così il ritmo delle sue funzioni, è chiaro che per

1392

questa parte meno che mai |’ opera dell'osservatore può riuscire completa ed esauriente, Pur tuttavia, restringendo il compito a qualcuna delle cause più comuni e valendosi anche delle cogni- zioni d'indole generale, si può forse giungere a riunire qualche frutto.

E prima torna in acconcio di distinguere, più per miglior chiarezza che con stretto rigore scientifico, le influenze modifica- trici del sonno in intrinsiche e miste: intendendo per queste le influenze che sono intrinsiche ed estrinsiche nel medesimo tempo ed escludendo la distinzione di pure estrimnsiche, poichè io penso che in senso assoluto non ve ne sia alcuna, dovendosi sempre te- ner conto nel giudizio degli stimoli di fuori del singolo modo specifico e forse attivo di reazione, ossia di quel fattore indivi- duale troppo spesso dimenticato nelle applicazioni della fisiologia e della patologia umana.

Come principali cause intrinsiche sono da considerare: il sesso, l’ età, la costituzione organica, lo stato di salute fisica e psichica.

In quanto a le prime l’ osservazione anche non del tutto em- pirica ha già fissato delle leggi in gran parte vere: i bimbi e i giovanetti dormono più profondamente degli adulti, questi dormo- no più profondamente dei vecchi, le donne generalmente hanno il sonno più leggiero degli uomini. Keerwagen (scuola Krae- pelin; metodo di Galton) su 142 donne trovò che il 63°/, ave- vano un sonno leggicro, su 150 studenti e 113 uomini adulti tro- sonno leggiero rispettivamente nel 42 e nel 44 per cento; egli notò pure che il sonno fa sempre meno profondo con il cre- scere dell’ età; che i bambini dormono più profondamente dei vec- chi fu pure affermato da Burdach. Il sonno notturno lieve e scarso di alcuni vecchi si può anche confermare con l’ osservazio- ne della loro facile sonnolenza diurna. Rispetto a la costituzione organica e a lo stato di salute viene meno ancora una volta l’am- pio sussidio sperimentale, ma ci soccorre largamente il patrimo- nio di altre conoscenze : tenuto conto delle speciali differenze ri- spetto al sesso e a l'età, l individuo robusto, perfettamente fisio- logico e metodico nell’ uso della vita quotidiana ha un sonno che potrà essere di profondità abituale bassa, mediocre o alta, ma con una curva costante così nell’ altezza, come nel decorso; la curva dei nervosi è spesso interrotta, irregolare, con alternative anche

13939

di sonno leggiero e profondissimo. Senza poi dire delle. vere e proprie anomalie del sonno, quali l’agripnia tropica di Deubler, l’abulia del sonno di Janet, la narcolessia di Dana ecc., ogni medico conosce le insonnie dei malati di infiammazioni pleuriche, polmonari, articolari, dei malati di cuore e di nervi, la sonnolen- za comatosa degli uremici, semicosciente o delirante dei tifosi. Nei manicomi, ove é possibile l’ osservazione di alcune classi d’in- fermi, che solo presentano una esagerazione di alcuni fenomeni comuni a individui i quali vivono liberi e più o meno utili nel- la società, si conosce il sonno abitualmente leggiero dell’ isteri- smo, della ipocondria, della epilessia psichica (De Sanctis) abitual- mente profondo dei frenastenici e degli epilettici volgari.

In una rapila rivista dei soggetti studiafi da noi, possiamo accorgerci che su 4 vecchi da 64 a 77 anni, 3 hanno il sonno leggiero, uno di 58 anni ha sonno mediocre; su 9 individui da 18 a 46 anni, 7 hanno un sonno di alta o mediocre profondità, 2 soli hanno il sonno leggiero; qui la concordanza con le leggi comuni è chiara.

| S STATO DI SALUTE SONNO v 5 | | Ea le RA | 5 fisica psichica iprofonanay’| a, S | © Oss. I|Anni 46 sano sano mediocre + » II, » 38 » » leggiero + » Til}; » 3l » » profondo -+ » IV| » 24 D » med. (incostante) + » Vi» 20 » frenastenico nesropatico | med. (incostante) | -+ VI] » 58 » | sano mediocre + » VII| » 68 » senile ipocondriaeo leggiero convalescente da un La eli di S episodio isterico isolato meee E » IX| » 18) epilettico epilettico profondo + > X| 19 » » | mediocre + » XI| 43 sano ipoceadriaco leggiero » XII | » 64 » sano » > » XIII| » 71 » demente senile mediocre nf » XIV! » 77 » relativ. sano | leggiero |

134 ~

Se esaminiamo il sonno in rapporto a lo stato di saiute psi» Chica (poichè quella fisica, trascurando le speciali condizioni de- gli epilettici, è in tutti ottima), vediamo che su un numero di 6 sani‘ le influenze della età si rivelano giustamente; dove c’è incostanza della curva del sonno abbiamo un individuo sano a temperamento nervoso (Oss. IV) e un frenastenico neuropatico, ma in entrambi per la giovane età la curva abituale è mediocre; l’ipocondria rende costantemente leggiero il sonno di un uomo di 40 anni e forse aggrava la leggerezza fisiologica del sonno d’ un vecchio, spiegando la refrattarietà riscontrata in essi a su- bire la cloroformizzazione senza svegliarsi; refrattarietà che nei vecchi sembra essere combattuta qualche volta (Oss. XIII) forse da l’ ipoideazione della demenza; due casi di epilessia ci confer- mano solo in parte la loro influenza, poichè in essi il sonno me- diocre o profondo sarebbe spiegato anche solo da la giovinezza.

Il rapporto che corre fra le diverse condizioni individuali, espresse nella varia altezza della curva del sonno, e l’esito delle prove cloroformiche non ha bisogno di commento.

Questi, pure essendo risultati scarsi e di breve esperienza, hanno un certo valore specialmente pel fatto che, derivando da lo studio di individui sottoposti tutti ad un eguale regime di vi- ta (fuor del lavoro moderato in alcuni sani) possono più nuda- mente dimostrare l’ azione delle influenze intrinsiche; così pure dimostrano la validità delle cognizioni generali già riassunte e fanno pensare che queste siano però suscettibili di conferma an- che dove c’ informano della influenza del sesso e della età bam- bina, che noi non abbiamo potuto indagare.

Il numero delle cause misie si può dire che non abbia limite, poichè da l’opera privata e pubblica dell’uomo per la quale generano le influenze della fatica intellettuale e fisica, da le at- tività della rita sessuale, dai bisogni della vita vegetativa fino a le influenze minime dell’ ambiente fisico e sociale, è tutta una folla di stimoli che s’ abbatte diversamente su gli uomini e a la quale tutti forse rispondono con reazioni diverse.

1) Poichè penso che nessuno vorrà giudicare malato nel vero senso del- la parola un individuo sempre vigoroso, non ereditario, guarito da 1 mese e 112 di un’episodica alterazione psichica da cause esaurienti, un deficiente di senso morale, un frenastenico lieve, un criminale che due anni fa ebbe manifestazioni isteriche scomparse da 1 anno e mezzo ecc,

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Gettare più che uno sguardo interrogativo in mezzo sareb- be ardua impresa.

Nelle esperienze fatte su la profondità del sonno ho cercato la possibile influenza modificatrice di varî fattori; quì consegno solo quei risultati in rapporto ai quali studiai anche il passaggio del sonno in narcosi cloroformica.

Come era facile previsione, le ‘sostanze ipnotiche (cloralio, uralio, sulfonal, trionale ecc.) sono quelle che quasi sempre e in quasi tutti alterano più profondamente la curva fisiologica del sonno e in un modo quasi sempre uniforme.

ILL.

0 7 8

La linea sale rapidamente e tocca presto un massimo d’ al- tezza che (di solito un po’ maggiore della norma abituale d'in- dividui fisiologici) perdura anche alcune ore per discendere poi lentamente fino al risveglio; forse l’ esagerato sviluppo del pe- riodo esaurisce il e manca spesso la elevazione della curva.

Talvolta si ha invece che un periodo altezza pressapoco costante durato 2-4 ore sia spezzato improvvisamente da un ri- sveglio, dopo il quale la curva risale ancora per declinare poi con progressiva lentezza.

Il prolungamento della 1* grande altezza della curva è il ri- sultato che più interessa per il presente studio.

La morfina non modifica sensibilmente la curva del sonno, così data per la via dello stomaco come per iniezione ipodermica, ma rende più costante e calmo un sonno interrotto e agitato.

Il cibo diverso per qualità e quantità (non tale da procurare disturbi gastrici) dato ad ora insolita ed anche vicinissima a l?’ ora dell’ allettamento non modifica in modo sensibile la curva

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della profondità del sonno. Può invece modificare il decorso, spe- cie interrompendolo sul cadere della massima elevatezza.

Una quantita d’ alcool moderata, ma tale da produrre i primi fatti dell’ ebbrezza: allegria, logorrea ecc., produce effetti in gran parte analoghi a quelli dei comuni narcotici; innalza quasi sem- pre più della norma la 1* parte della curva, l’ elevatezza ha mag- {gior durata e la discesa è lenta e graduale fino al momento del solito risveglio, rimanendo abolito (però non sempre) il rialzo. Se la quantità dell’ alcool procura disturbi gastrici la curva del sonno acquista, specie nella parte, un decorso irregolare e l’al- tezza tende a diminuire.

Il caffè forse solo in alcuni nervosi e neuropatici, la ca/fe- ina anche nei normali producono insonnia in primo tempo, op- pure sonno lieve per modo, che l’ innalzamento massimo della cur- va invece di essere compreso fra la 1* e la 2* ora di sonno è spostato tra la e la 3' o più innanzi; il resto della curva tende a la norma. In qualche caso forse eccezionale così il caffè come, e meglio, la caffeina possono agire analogamente ai narcotici.

Per effetto della fatica muscolare non esauriente si ha una curva del sonno pressapoco uguale a quella data da I alcool e da le altre sostanze atte ad innalzare la curva della profondità del sonno o ad aumentare la durata del periodo di maggior altezza.

In base a queste conoscenze ho fatto alcune prove cloroformi- che sugli stessi soggetti già roti,

Oss, I. - Cibo. Più volte aumentata o modificata la consueta razione ai 2 giovani A. V. e G. B., e fattala mangiare 1[2 ora prima d’ andare in letto, non si sono ottenuti risultati degni di nota in senso positivo, in sen- so negativo.

Oss, II. Alcool. 1, Esp. A. C. beve dopo il pasto solito e prima d’anda- re a letto 172 litro di vino alcoolico; si addormenta a le ore 20. Le prove oloroformiche si fanno a le ore 21 e 23 1{2, entrambe con risultato positivo. Nessuna reazione speciale.

2. e 3. Esp. P, P. una volta ( nel solito periodo fra il pasto serale e l ora dell’ allettamento) beve 112 litro di vino alcoolico, un’altra gr. 150 di marsala ; sonno a le ore 20 e 20 112.

1) Queste prove non furono tutte, come le prime, eseguite # varî gior- ni d’ intervallo, ma -+ per necessità d’ esperimento - alcune furono ripetute in una stessa notte. Tutti gli individui andavano a letto a le ore 19 314.

17

Prove a le ore 20 3[4 e 23 con esito positivo, quasi sempre senza red- zioni; a le ore 1 del mattino esito negativo.

4. Esp. J.. S. beve 2J5 di vino alcoolico; sonno a le 20 1,4. Prove: a le ore 21 1J4, esito positivo dopo una slows fotmiedazions di 10 minuti ac- compagnata da reazioni modiche; a le ore 23 il soggetto è sveglio. |

5. Esp. G. M. beve 2[5 di vino alcoolico , che gli produce disturbi ga- strici; sonno a le ore 20. Prove: a le ore 21 il soggetto si muove nel son- no, si rivolta sul letto; esito incerto dopo 10-12 minuti di cloroformizzazio- ne; a le ore 23, esito negativo.

Oss. III. Caffè. 1. Esp. G. B. beve prima d’ andare a letto un infuso di gr. 15 di caffè in gr. 100 d’acqua. Mentre il sonno abituale di B. suol co- minciare a le ore 20 1[2, la sera dell’ esperimento comincia a le ore 22. Prova a le ore 23 114 con esito negativo.

2. Esp. A. C. infuso di 15 gr. di caffè in-100 gr. d’acqua; s’addormen- ta come di solito a le ore 20. Prove: a le ore 21 1[4 esito positivo, a le ore 23 esito negativo.

Oss. IV. Caffeina. 1. Esp. A. C. centigrammi 50 di Benzoato di Sodio e Caffeina in acqua zuccherata. Sonno a le ore 20-20 1{4. Prova cloroformi- ca positiva a le ore 21 172.

2. Esp. A. C. gr. 1 di Benzoato di Sodio e Caffeina'in acqua zuccherata. Sonno a le ore 21. Prova a le ore 22 1[4 con esito negativo.

3. e 4. Esp. A. V. Centigrammi 50 di Benzoato di Sodio e Caffeina la 1. volta e gr. 1 la 2.* Sonno sempre a le ore 20. Prove cloroformiche a le ore 21 172 e 23 sempre con esito positivo (la curva del sonno di questo soggetto erà presso a poco uguale tanto per l’azione della Caffeina che per quella degli ipnotici.)

5. Esp. G. L. gr. 1 di Benzoato di sodio e Caffeina in acqua zucchera- ta. Sonno abituale a le ore 20-20 114; sonno la sera dell’ esperimento a le ore 21 1{2. Prova a le ore 22 3[4: esito negativo.

Oss. V. Cloralio, Uralio, Sulfonul, Trional; somministrate queste sostan- . : ze nel modo, nella dose e nelle ore indicate da la pratica medica e da le nozioni di farmacologia, s' è potuto constatare sui soggetti A. C., A. V.,. F. S. che per il prolungamento della maggiore 1.* altezza della curva del sonno indotto da l’ azione ipnotica, si ottiene il’ passaggio in narcosi cloro- formica anche 2 o 3 ore dopo che l'individuo s’ è addormentato. Nei sogget- ti a sonno abitualmente leggiero P. P. e L. S. l’ esito non è stato costante, sempre sicuro anche solo dopo un'ora e 1 ora e mezza di sonno.

Oss. VI. Morfina. 1. e 2. Esp. L. S. grammi 0.50 e 1 d'’idroclorato di morfina in acqua zuccherata. Sonno a le ore 20 1{2 come di solito. Le prove cloroformiche fatte in ore diverse riescono negative.

3. Esp. B. (l’ipocondriaco della Oss. XI., prima serie). Centigrammi 1 d’ idroclorato di morfina in acqua zuccherata. Sonno a le ore 20 12 come di solito. Prova cloroformica a le ore 21 3[4 positiva.

OTT

138

Oss. VII. Fatica muscolare. Questa osservazione fu fatta solo sul P. P. che, dei soggetti più adatti a le esperienze sul sonno per la perfetta salute, era l’unico neghittoso che non lavorasse mai o solo per fabbricare ninnoli di carta; fu più volte applicato a lavoro manuale relativamente faticoso (gi- rare il volante d'una pompa; una giornata di lavoro con i necessari inter- valli di riposo) e la curva bassa del suo sonno dimostrò sempre un notevo- le rialzo. Prende sonno abitualmente a le ore 20-20 112; le sere dell’ espe- rienza s’ addormentò press’ a poco a la stessa ora. Prove cloroformiche: la volta a le ore 21 1{4, esito positivo; a le 23 esito negativo; la 2." a le ore 21 i{4 e a le ore 23, esito positivo.

Io non ho potuto provare, come si comprende facilmente, l'influenza sul sonno della fatica muscolare esagerata, ma la cognizione generale ci avver- te per questo punto che spesso il sonno ne viene turbato in modo forse in- verso che per la fatica moderata; sappiamo da molto tempo che ad una fa- tica eccessiva, esauriente suol succedere con facilità l'insonnia, il sonno pro- fondo riparatore viene più tardi ed anche solo molte ore dopo.

Un esempio di questo ho potuto constatare per |’ influenza dello stato emozionale che anch’ io come tanti (Féré, De Sanctis, ecc.) credo abbia - almeno ne’ suoi effetti fisici - stretta analogia con lo stato di fatica; princi- palmente poi quando la emozione sia da considerare come astenica (Kant, Mausdley.)

In due soggetti facilmente emotivi, G. B. ed A. V. la notizia e la vista di alcuni preparativi sperimentali indussero, già durante il giorno, uno stato di inquietudine, di sospetto, di attesa forse paurosa: entrambi passarono una prima notte assolutamente insonne. La 2." notte il G. B. stette almeno quat- tro ore sveglio e poi cadde in un sonno profondissimo, l’ A. V. invece dor- micchiò inquieto, agitato, svegliandosi agni momento; la terza notte il G. B, prese fino da principio un sonno, la cui curva fu dimostrata da nlteriori esperienze come abituale e l’ A. V. dormì profondamente, così da segnare unà curva come per sonno determinato da sostanze ipnotiche.

Ho voluto segnalare anche questi fatti, poichè dimostrano come l in- fluenza delle emozioni su la profondità del sonno debba pure essere presa in altissima considerazione nel giudicare della possibilità maggiore o minore di determinare la narcosi nel sonno senza destare reazioni coscienti di risveglio.

Qui il mio studio finisce; e mi sembra chiaro che i risultati di questa ultima serie di esperienze - le quali dimostrano come ì fattori intrinsici e misti che influiscono ad aumentare o a di- minuire l'altezza complessiva della curva del sonno o l'altezza o la durata della sua prima maggiore elevazione, rendono rispetti» vamente più facile e più difficile la prova cloroformica - oltre che

fle

139

confermare la conclusione principale in addietro enunciata, ne rendonò più completa ed ampia l'applicazione:

La narcosi cloroformica nel sonno abituale di media o alta profondità è facile che riesca quando un individuo è addormen- tato da l ora a l ora e mezza; più innanzi ciò è quasi sempre impossibile senza suscitare il risveglio.

Se l’ individuo si addormenta sotto l’influenza di un narcoti- co (cloralio, uralio, sulfonal, trional) o dell’ alcool o della fatica non esauriente, la probabilità della cloroformizzazione nel sonno é maggiore non ‘solo, ma questa può anche essere possibile con una certa frequenza anche dopo 2-4 ore di sonno (Oss. II. VII. della 2.* serie).

Se la curva della profondità del sonno è bassa, la cloroformiz- zazione è forse possibile (Oss. II. della serie) ma non è proba- bile (Oss. VII. XI. XII. XIV, della serie); l’azione dei narco- tici, dell’ alcool e della fatica aumenta la probabilità (p. es. conf. Oss. VII. della serie e II., Esp., della 2* serie).

L’ azione della morfina può talora, ma non sempre, agevolare la narcosi cloroformica (Oss. VI. della serie, un caso + e uno ),

L’ azione del caffè e della caffeina può essere talora indiffe- rente (Oss. III. della serie, 2 esp. ), più spesso ostacolare la narcosi cloroformica nel sonno (Oss. III, esp. 1°, Oss. IV della 2* serie), in qualche caso forse eccezionale coadiuvarla (Oss. IV. del- la serie, Esp. 3°, 4°).

Le emozioni massimamente di carattere depressivo possono ostacolarla o favorirla secondo la speciale evoluzione dei loro effetti.

E da ultimo poi si può dire che nel giudizio del fatto com- piuto bisognerà tener conto di tutte quelle notizie che possono ragguagliare intorno al sonno abituale di chi fu vittima del rea- to; applicare i dati noti intorno a la curva normale della profon- ditd del sonno, ciò che potrà limitare l’ indagine intorno al tem- po; prendere in esame quelle eventuali influenze intrinsiche e miste che potrebbero avere agito come concause atte ad agevo- lare od ostacolare la trasformazione del sonno fisiologico in nar- cosi, sia valendosi dei criterî generali (e, come in parte appare nel nostro studio, giusti) intorno al sesso e a Peta, a lo stato di salute fisica e psichica, a le influenze dell’ ambiente fisico e so- ciale ecc., sia valendosi dei modesti risultati della scienza espe-

OOA

rimentale. È certo che gli effetti di coteste influenze sono suscet- tibili di eccezione e anche di oscillazioni rapide e impreviste in uno stesso individuo, ma quando esse siano raccolte con cernita severa, giudicate nel loro giusto valore, riunite nel giusto rap- porto devono sempre aggiungersi vantaggiosamente per quella diagnosi medico legale, che si chiama perizia.

140

Per la diagnosi e la prognosi delle malattie mentali del Dott. Albarto Vedrani

L’ ammalato presenta fatti noti all’anatomico, al fisiologo, al chimico, al patologo, ecc., ma ha anche fatti proprî, che nessuno, tranne il me- dico pratico, vede: tali fatti costituiscono il pa- trimonio proprio del clinico.

Questa, lo so, è clinica all’ antica, ma sarà anche clinica eterna, benchè non affascini coi suoi splendori. Questa clinica modesta è fattri- ce di scienza anch’ essa......

Murri: La Craniotomia esplorativa p. 2.

La frenosi maniaco-depressiva è sempre diagnosticabile, an- che nelle sue prime manifestazioni ? Nell’ accesso che si presenta staccato è sempre riconoscibile questa malattia, anche quando il giudizio noi è aiutato dalla notizia di accessi precedenti?

. A rendere solvibile questo problema diagnostico hanno gio- vato alcuni degli studî ai quali la questione della Catatonia ha data occasione negli ultimi venticinque anni, e, più di tutti, quello di Brosius colla magistrale distinzione dell’ eccitamento mania- co dall’ eccitamento catatonico. La dottrina degli stati misti del- la frenosi maniaco-depressiva, creata da Kraepelin, lucidamen- te esposta da Weygandt, ha portato in questa parte della dia- gnostica un progresso degno della più grande considerazione,

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Disgraziatamente a-questo lavoro, che conferisce alla Psichia- tria clinica la dignità d’ un sapere utile che guida le previsioni del medico tesoreggiando |’ esperienza del passato, molti che avreb- bero obbligo di aiutarlo hanno opposto fin ora il silenzio dell’ in- differenza o la pertinacia nelle solite formole sbrigative e sedati- ve, nelle quali l’ involucro verbale serve appena a mascherare la nullaggine della sostanza.

Dopo tante dimostrazioni cliniche della Catatonia da Kahl- baum a Neisser a Marzocchi (l), due autori americani (2) sono tornati fuori a dire che la Catatonia è semplicemente una forma di Melancolia. .Naturalınente chi domandasse agli autori qual’ è il decorso e l’ esito più proprio della Melancolia, risponde- rebbero come Brosius (3) per le « idee fisse »: guarigione, in- guaribilità, remissione e intermissione, periodicità, stato staziona- rio, stadi diversi, nessuna formazione di idee deliranti, non pas- saggio a demenza, deliri episodici di persecuzione e di grandezza, indebolimento psichico permanente........ E così fate una prognosi, se potete.

All'ultimo congresso di Heidelberg, Siemerling ha dichia» rato che il tentativo di dimostrare l’ individualità clinica della cosi detta Demenza precoce deve dirsi fallito, che questo tentati- vo ha l’aria di volere inviluppare in difficoltà artificiose la evi- denza di forme morbose semplici e piane, che i casi dati in esem- pio sono casi di Paranoia (4).

Dopo. che più d’ uno (Pianetta (5) fino dal 95) ha fatto os- servare che l’esistenza di una frenosi puerperale non è dimostra- ta, Marro ha riparlato recentemente di frenosi puerperale in una sua nota sui recidivi alienati (6); dove, nello sforzo di costringe- re nella camicia di forza della classificazione del Verga la re- alta multiforme e complessa delle forme cliniche, ribelle a que- sta coercizione ufficiale, egli annovera delle frenosi puerperali

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(1) Archivio italiano per le malattie nervose 1889, pag. 229.

(2) Peterson e Langdon: Katatonie. Ref. in Centralatatt f. Nerven- heilkunde und Psych. 1899. August pag. 509.

(3) Brosius. Aus meiner psychiatrischen Wirksamkeit. 1881.

(4) Allgem. Zeitsch. f. Psych. Bd. LIV. He 1. 2. pag. 259.

(5) Annali di Nevrologia 1895 pag. 257.

(6) Annali di Frematria 1899, Fasc. 3, pag. 203.

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recidivanti per dichiarare poi che; nove volte sopra undici, « tratta di nuovo ammorbamento non preceduto da stato puerpera- le », e delle manie recidivanti « insorte non poche volte in in- dividui stati precedentemente affetti da forme melanconiche ». Marro ammette anche dei « dementi secondari recidivi ». Infatti che cosa non può accogliere in la elasticità così com- prensiva della parola demenza ? Simile alla divina Misericordia di Dante, essa ha così gran braccia da prendere tutto ciò che si rivolge a lei. Un’ alterazione di qualsiasi gravità, comunque pro- dotta, di una parte qualunque dell’ attività psichica, che può es- sere acuta, cronica, primitiva, secondaria, inguaribile, guaribile senza limiti di tempo, guaribile con difetto, recidivante: ecco la demenza. Aggiungete le paranoie spinali, logorroiche, incoerenti, neurasteniche al linguaggio caotico di questa psichiatria leggera

‘e arruffata, e non parrà più un anacronismo la diagnosi che si

legge in un dramma di Ben Ionson: « Questo male si chiama in greco mania, in latino insania, furor vel exstasis melancholi- ca, cioè a dire egressio, quando un uomo ex melancholico evadit fanaticus. Ma si potrebbe dire che egli non è stato ancora frene- tico, signora; e la frenesia non è che il delirio o press’ a poco. » Capisco che nella pratica dei nostri asili il bisogno di una diagnosi più tine non è sentito: anzi in generale non c’è neppur l’ uso di affrontare la diagnosi differenziale. L’ammalato è abban- donate al destino delle sue evoluzioni: il medico assume una po- sizione diagnostica aspettante e, a cose finite, con una diagnosi a posteriori adatta il caso alla classificazione ufficiale : dubbio nutrimento onde si alimenta la luce ambigua delle statistiche.

Mentre tanta parte degli alienisti si adagia in queste abitu- dini mentali, la Psichiatria clinica, che aspira ad essere qualche cosa di meglio che un gioco arido di nomenclatura, ha realizzato qualche progresso di cui si avvantaggia oggi la pratica del me- dico, e si avvantaggerà domani la ricerca patogenetica. Questi avanzamenti sono il portato di un’ analisi più fine dei processi psichici. |

Al congresso ultimo di Heidelberg Kraepelin conchiudeva il suo discorso così: « Che Sommer conceda in questa occasio- ne un peso speciale ai suoi tentativi d’ analisi dei sintomi moto

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ri, nessuno gli può dare biasimo, Io per parte mia ho anche la ferma persuasione che a noi urge renderci possibile una esatta analisi dei singoli sintomi non solo nel campo della funzione mo» toria, ma in quello dell’ appercezione, della memoria, dell’ associa- zione delle idee, del movimento del pensiero ecc, se noi voglia» mo perfezionare la nostra arte diagnostica, Da molti anni io mi affatico per ottenere dei dati in questo senso. Ma in tante diffi- coltà, quante si trovano in questo lavoro clinico, è indispensabile che inolti coop?rino seco 1do questo piano, se noi vogliamo final. mente raggiungere una maggiore sicurezza nella diagnosi e nella prognosi ». (1)

La necessità di cooperare secondo questo piano non pare che ‘sia intesa da molti. Il prof. Mondino, per esempio, in una pre- lezione sulle condizioni odierne della Psichiatria (2) nota che. « quanto all’ esame dell'ammalato è il più completo che si possa immaginare quello che in clinica psichiatrica si richiede », che « l’ esame di tutti gli organi della vita vegetativa e di quelli di relazione impone », che « l'esame elettrico permette cognizio» ni preziose », che « il sistema nervoso, specie per quel che ri- guarda i suoi organi centrali chiusi nelle rigide cavità ossee, al- P esame fisico si sottrae completamente ad un dipresso: percus- sione, ascoltazione, palpazione qui non servono »; ma, dopo que- sta constatazione, genialmente vera, che |’ asse cerebro-spinale non è palpabile, egli non nomina neppure l’ esame dei processi. psichici. Ma non è più il fatto o fenomeno psichico l’ elemento specifico della Psichiatria, quello al quale essa deve rivolgere l’attenzione prima che ad ogni altra manifestazione clinica dello stato morboso ? Nel modo con cui possono essere comprese e stu- diate nella Clinica ordinaria e anche in Neuropatologia, scrive al solito felicemente Morselli (3), le alterazioni sensorie e motorie costituiscono appena il più elementare fardello scientifico di chi intende procedere all’ analisi clinica dei sintomi patognomonici della pazzia, i quali non sono già l’anestesia o la paralisi, l’iperalgesia o lo spasmo clonico, ma bensi l’ allucinazione, il

(1) Allg. Zettsch. f. Psych. Bd LVI. He 1. 2. pag. 263, (2) It Pisani. Vol. XX. Fasc. 2. 1899. (3) Manuale di Semeiotica, Vol. II. pag. 18,

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delirio, 1’ idea fissa, l'impulso o l'abulia, la cangiata personali- tà... Invece il Mondino osserva che « a misura che le cono- scenze eziologiche ed anatomopatologiche di una forma morbosa sono così assodate da potere la considerazione loro venire sosti- tuita a quella dci sintomi, questa esce in certo modo dal domi- nio della Psichiatria, considerata come disciplina a sè, voglio dire dal gruppo delle psicosi essenziali, per venire annoverata fra le malattie accompagnate da disturbi psichici. »

Cosicchè, a misura che l anatomia patologica e l' eziologia faranno luce sul processo genetico delle malattie mentali, la Psi- chiatria assisterà all’ esodo loro dal dominio suo, finchè essa di- venterà una cornice senza tela, Anche uva volta agli occhi di questo psichiatra la dignità della funzione psichica impallidisce fivo a scomparire. Le forme morbose tinirarno coll’ essere anno- verate fra le malattie accompagnate da disturbi psichici? Sia pure; come le malattie dei polmoni sono annoverate fra le ma- lattie accompagnate da disordini della funzione respiratoria. Ma quando è stato mai che la considerazione delle conoscenze etio- logiche ed anatomopatologiche si sostituisca a quella dei sinto- wi? La verità è che questi due ordini di conoscenze, le anatomo- patologiche e le cliniche, uon si escludono sostituendosi, ma integrano e insieme fanuo la patologia. Del resto queste senten- ze (l), che tendono ad informare l’ indirizzo della Psichiatria al- l’ esclusivismo del loro contenuto, a muovere la corrente della ri- “cerca per vie unilaterali, a disconoscere ad altri ordini di inda- gine la importanza che essi hanno vitale pel progresso delle co- noscenze, trovano la loro premessa nel principio del discorso, dove Mondino afferma che prima dei metodi tecnici odierni per le

(e Pr ces@u@ueti

(1) Sentenze che sono state proclamate anche nel campo della clinica generale, e che Murri ha confutate, molti anni sono, splendidamente.

« Non comprendo come anche oggi si seguiti a scrivere, per la millesima volta, che l'anatomia patologica è la base della clinica (Birch-Hirschfeld): Puna e l’ altra cooperano alla fondazione della patologia; ma, lo ripeto, a me è avviso che base non possa dirsi quella che da sola non regge... Ma, si dice, « in tutte le seienze naturali la conoscenza delle qualità morfologiche dev’ es- sere la base dell’ ulteriore indagine » (Birch-Hirschfeld). Ma non tutti i fenomeni naturali sono della medesima indole, e quello che può convenire alla mineralogia non si affà più alla patologia, poichè qui, attesa la natura spe-

si

indagini morfologiche del sistema nervoso « veniva a mancare ogni base per una patolagia mentale e quindi per una psichia- tria informata allo sperimentalismo..... una psicologia che avese. se nelle scienze biologiche le sue basi, che con queste avesse co- munanza di metodi e di indirizzo, era affatto impossibile.... al- tro non era possibile che analizzare la funzione per stessa indipendenlemente dagli stati inorbosi dell’ organo che la produ- ce », tuttociò perchè, egli dice, « nel campo dell anatomia gene- rale cioé della citologia e della istologia le cognizioni morfolo- giche equivalgono a cognizioni fisiologiche e permettono esse sol- tanto (!) di comprendere le leggi, î modi di produzione dei fenome- ni complessi che gli organi e gli apparati manifestano » (pag. 79).

Sebbene davanti ad affermazioni così recise ed alla scarsa ri- spondenza dei fatti torni in mente il detto di Galileo « questa così vana prosunzione d’ intendere il tutto non può aver principio da altro che dal non avere inteso mai nulla », io voglio solo os- servare che questi fenomeni complessi che gli apparati manife-

ciale dei fenomeni, vitali la funzione lesa precede spesso la dimostrazione della lesa organizzazione. Se volete convincervene, date uno sguardo alla sto- ria delle malattie del sistema nervoso: guardate, per esempio, l’ atassia lo- comotrice e, se é vero che la lesione materiale costante in essa è quella che si riscontra nelle fibre radicellari del midollo spinale, voi vedete subito quan- to tempo prima fu costruito l’edificio che la base: guardate la paralisi la- bioglosso-faringea e vedrete quanto i lavori di Duchenne abbiano antece- duto quelli degli anatomici: guardate la paralisi agitante e 1’ isterismo e ve- drete che la conoscenza della funzione lesa sta da secoli aspettanda che sii- no scoperte le lesioni morfologiche che dovrebbero servirle di base. »

Ed aggiungeva: «il processo della malattia si vuole studiare non solo per le sue fasi morfologiche ma ancora per quelle funzionali: lo sperimento poi non costituisce una scienza, ma uno spediente per scrutare quelle verità di cui si occupano tutti gli studi delle cose naturali: esso può dunque servire all’ anatomo patologo come al fisiologo e al clinico. Infatti mentre Wirchow studiava il processo dell’ embolismo e della trombosi, un suo compagno di studio, il Traube, investigava il meccanismo della dispnea e della disortli- nata innervazione del cuore: l’ uno e l’altro usavano lo sperimento, ma l’uno per chiarire i fenomeni di lesa funzione, l’altro per chiarire quelli di lesa organizzazione.

Dovunque si guardi, la clinica come scienza cammina parallela alla ana- tomia patologica. » Lo Sgerimentale 1876, pag. 626-27.

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stano e alla cui interpretazione è necessaria anche la morfologia, non possono conoscere se n0n si ricercano direttamente ; che « se noi conoscessimo realmente i molti organi dei quali si com» pone la corteccia cerebrale, noi non sapremmo ancora ciò che è una funzione psichica e come noi dovremmo collegarla al vinco- lo della cellula: solamente quando abbiamo scomposto nei loro più semplici elementi non solo il sostrato materiale della vita psi- chica, ma anche processi psichici stessi, possiamo sperare di trovare la relazione tra l’ uno e gli altri (1) »; che l’analisi dei processi psichici studiati in condizioni sperimentali sotto l’azione elettiva di sostanze medicamentose e di tutta una serie d’ influen- ze: della stanchezza, dell’ esaurimento, del digiuno, analisi che procede con metodi diretti a misurare e tradurre in cifre delle grandezze psichiche, va 2 costituire essa stessa un sapere « infor- mato allo sperimentalismo » che si muove e si espande indipen- dentemente e a lato all’indagine istologica, con pari dignità scien- tifica.

Analisi della funzione che, per cio che riguarda la clinica psi- chiatrica, lascio dire a Franz Nissl quanto sia lontana dall’aver compiuta la parte sua, come più d’uno mostra di credere: « Nello stato attuale della scienza la osservazione al letto del malato è la sorgente principale per la conoscenza della pazzia. Nell’ inte- resse del progresso e dello svolgimento della Psichiatria bisogna perfezionare questa osservazione ed arricchirla di nuovi mezzi q’ indagine... Le questioni più vitali e più importanti di Psi- chiatria clinica riinangono ancora senza risposta.... Nello stato at- tuale del sapere la indagine clinico-psichiatrica deve spianare la via alla ricerca anatomo patologica, cosicchè a quest’ultima sia sot- toposto un materiale ben ordinato, sicuramente diagnosticato (2) ».

Noi ora aduneremo da pagine sparse ciò che di più impor- tante la indagine clinico-psichiatrica ha raccolto nella questione diagnostica che abbiamo posta da principio.

Ed ecco come Brosius ha distinto l’ eccitamento maniaco da quello dei catatonici, in un vecchio volume dell’ Allgeméine Zeitschrift fir Psychiatrie (1876).

(1) Kraepelin. Psychlatrie 6 Aufl. Band. I pag. 25. (2) Altg. Zeilsch. f. Psych, Bd. LV He I 1898 p. 68,

14°

Nei casi di catatonia, che io ho osservato, manca l’ideorrea della mania genuina, la quale anche fa difetto nell’ agitazione dei paralitici e degli epi- lettici, manca la riochezza e l’ abbondanza delle idee succedentisi rapidamen- te e come a sbalzi, manca il pronto reagire con parole e con movimenti alle più tenui impressioni sensoriali, manca l'umore eccessivamente sereno, il contegno sfacciato sfrenato coi rapidi passaggi alla irritabilità, agli oltrag- gi, alla tristezza, al pianto.

In ogni parossismo di semplice mania , la pronta reazione alle impres- sioni e la fuga a precipizio delle idee non consente al malato di tornare più d’ una volta sullo stesso discorso: il contenuto dei discorsi è progressi- vamente variabile perchè in essi valgono tutte le leggi di associazione. Da ciò il colossale contrasto nel chiaccherio del maniaco, il suo spirito, le rime le alliterazioni, ecc. Tutto ciò non si trova nell’ agitazione dei catatonici , tanto meno nella paralisi o nell’ epilessia.

In molti discorsi dei catatonici è invece degno di nota il frequente ri- torno degli stessi gruppi d’idee, la frequente ripetizione di certe parole e proposizioni, le quali per ciò, non ostante la confusione del cicaleccio in- comprensibile,.restano facilmente nel ricordo di chi ascolta.

Contrariamente alle variazioni così caratteristiche del contegno del ma- niaco, l'agitazione del catatonico mostra una certa uniformità: ciò che gli succede intorno non lo turba, come se egli non osservasse. Il catatonico eo- citato non lascia mai la sua stanza d'isolamento se si lascia aperta la por- ta: egli rimane al suo posto, egli non nessuna risposta ai congiunti che lo visitano, come se non li conoscesse: mentre il maniaco scappa lesto e vo- lontieri fuor della stanza o si intrattiene con chi entra in vario modo, scher- zando, motteggiando, oltraggiando, irritandosi.

Per questa grande recettività delle impressioni esterne, 6 facile distoglie- re il maniaco dalla tendenza del momento e dirigerla per altre vie; basta per ciò una parola, un segno, un piccolo oggetto: tutte cose che al contrario restano senza effetto sul catatonico. Il quale tanto più violentemente si eccita, quanto più si contrasta alla sua volontà, finché esplode allo stesso modo del maniaco; se non che le sue reazioni, le sue imprecazioni, i suoi oltraggi non mu- tano facilmente: sono tutti i giorni gli stessi, e diventono famigliari anche agli infermieri. Sebbene anche il catatonico danneggia e distrugge, egli nel- le sue azioni distruttive non oltrepassa certi limiti: essendo minore la viva- cità e la ressa delle idee, egli non è così inventivo come il maniaco nei mo- di della distruzione: egli fa dei guasti ma non.sa valersi dei rottami per opere nuove e per produzioni fantastiche: egli non è un collezionista7o un artista, non ha un talento decorativo. Una catatonica nel giardino strappa fiori e rami, ma senza ornarsene; nella sua stanza leva via le coperte del letto, ma senza servirsene come ornamento del capo o come strascico. Nello stupore il catatonico mostra di regola la più palese avversione e negazione

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per i cambiamenti; nell’ eccitamento non vi è molto incline: le biancherie del letto danneggiate egli le lascia per terra, al più le trascina per la ca- mera : rovescia i mobili e li lascia stare dove li ha rovesciati, rompe le fi- nestre e lascia stare i rottami: può trattenersi delle ore nella camera dan- neggiata senza fare più nulla. Come è del tutto diverso il vero maniaco! Egli costruisce sempre dopo che ha danneggiato: non gli basta il disordine fatto, ma vuol vedere sempre nuove forme e nuove costruzioni : utilizza i rottami come gli dettano le idee vivamente succedentisi : li porta qua e là, erige altari e pergami sui quali parla, seggi sui quali troneggia nella sua grandezza, barricate che difende bravando, sfidando, minacciando; le più di- verse forme e situazioni vengono fuori dalle sue mani attive; per nessuno il variato delcetat è più vero che pel maniaco.

Anche Kahlbaum ha contrapposto questa variabilità di volontà e di azioni del maniaco alla « notevolissima monotonia del contegno » nella ca- tatonia: tutti i giorni durante un certo periodo di agitazione si trova il ca- tatonico a giacere sotto il letto nello stesso punto per ore intere col naso e la bocca a terra, ovvero lo si vedo andare attorno per la camera accosto alla parete sempre nella stessa direzione, o camminare sulla coperta che ha disteso sul pavimento e coll’ammalato che gli sta vicino dire a lui o di lui sempre la stessa cosa, p. e. egli ha un bel naso, bel naso, bel naso. Ovvero alza la voce e canta molto spesso le stesse melodie, le stesse canzoni; strilla nello stesso modo per giorni per settimane ad ogni occasione dallo stesso posto.

Così manca nella catatonia, come ho detto, il rapido variare d’ umore: il quale è molto uniforme, spesso senza speciale colorito: non si trova speciale serenità tristezza nell’eccitamento del catatonico, ed egli nell’ec- citamento come nello stupore si mostra cattivo ed irritato solo quando è provocato con violenze. Questo non succede nel maniaco la cui irritabilità é spesso di origine subiettivà, apparentemente immotivata, l’effetto di idee costrastanti o di tenuì stimoli esteriori.

Notevole è la esposizione della diagnosi differenziale fra ec- citamento maniaco ed eccitamento ebefrenico, fatta da Taalman Kip (1) in uno studio sulla questione, sollevata da Kraepelin, se ogni accesso di mania acuta debbà essere riguardato come manifestazione della frenosi maniaca depressiva.

Un criterio importantissimo (per la diagnosi dell’ ebefrenia) è questo che in nessuno di questi pazienti si notava ciò che si dice logorrea. Al contra-

rio se si volge a loro la parola, si dura molta fatica a cavare una risposta; qui non esiste affatto il cicaleccio del maniaco che seguita sempre a parlare,

(1) Allgem. Zeitschr. f. Psych. Bd. LIV 1-2 1898.

149

che si lascia repentinamente distrarre dagli stimoli, anche quando non rice- ve in l'impressione, che può anche profferire solamento delle insensatez- ze, ma dimostra sempre che una parola lanciata dal medico esercita un in- flusso, sia pure molto superficiale, sul corso delle sue associazioni. Quando un ebefrenico parla molto, egli lo fa per lo più da sè; ed una domanda dev’ essere ripetuta molte volte dall’osservatore prima che il malato si vol- ga a lui: ma poi egli arresta improvvisamente il suo parlare spontaneo e cerca di capire l’importanza della domanda, sia anche solo per un breve momento, per seguire poi di nuovo l’ andamento del suo pensiero. Ne deri- vano quelle singolari parlate fatte di due parti che si muovono contempora- neamente indipendenti: si possono distinguere il parlare spontaneo e le ri- sposte alle domande, ma queste due parti non si fondono in un tutto unico come accade nel maniaco. L'’ebefrenico deve essere strappato dalla cerchia del suo pensiero, perchè possa dare una risposta: il maniaco a nulla pre- sta più facilmente che a lasciarsi distrarre: non s'incontra un’ opposizione quando lo si vuol distrarre; si dura fatica invece a mettere le briglie alla sua attenzione. Queste differenze sono così grandi e così profonde che il più delle volte è possibile dallo stato presente dei malati eccitati la diagnosi differenziale tra mania acuta ed ebefrenia.

Ma è sopratutto nell’ opera del Kraepelin che queste distin- zioni, maturate da una lunga incubazione, trovano il più largo svolgimento. Prima di tutto riassumo dal lavoro recente (1) di un suo allievo, W. Weygandtla dottrina degli stati misti della fre- nosi maniaco depressiva, che egli espone con un largo fondamen- to di esemplificazioni cliniche.

Weygandt comincia dalla considerazione del fatto, di faci- le constatazione clinica, che così nella fase maniaca come in quel- la depressiva della Frenosi maniaco- depressiva o circolare avven- gono dei cambiamenti improvvisi e transitorî, che mutano la fac- cia allo stato morboso e risultano da una mescolanza dei sinto- mi delle due fasi. Così, durante l’ accesso maniaco, l umore esal- tato cambia improvvisamente in umore depresso che coesiste cogl’ altri sintomi immutati della mania: l’ eccitamento motorio, la logorrea, la distraibilità. Oppure la faccia di un depresso da mesi si dipinge tutto d’un tratto di una espressione di gaiezza senza che si attenui l’ arresto psicomotorio. In una serie di casi clinici Weygandt dimostra che questi stati misti non solo si

(1) Ueber die Mischzustinde des manisch - depressiven Irreseins. Miin- chen, 1899.

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trovano a interrompere l'andamento consueto di una fase mania- ca o di una depressiva, o a costituire il ponte di passaggio dal» l’accesso maniaco al depressivo, ma che riempiono essi intere fasi della malattia. Numerosi casi di difficile diagnosi trovano così la loro interpretazione: sono stati misti che hanno nella fre» nosi maniaco-depressiva il loro posto naturale.

Per darsi ragione del vario aspettò degli stati misti basta pensare che i sintomi essenziali componenti la sindrome maniaca: lP umore esaltato, l eccitamento motorio, la logorrea (Jdeen flücht) hanno ciascuno i loro corrispettivi nei componenti la sindrome depressiva: tono sentimentale depresso, rallentamento psicomotorio, arresto del pensiero; data quindi una estrema labilità ( altro sin- toma caratteristico della frenosi maniaco-depressiva ) nel triplice territorio del sentimento della psicomotilità e del processo forma- le del pensiero, sono concepibili queste sostituzioni parziali di sintomi. Weygandt non lascia di osservare che anche le sole variazioni di intensità e di qualità di questi sintomi bastano a creare una folla di stati che rappresentano deviazioni dal tipo netto della mania o della depressione. Il rallentamento psicomoto- rio può essere intenso fino allo stupore o così lieve che si dimo- stra solo con metodi psico-fisici complicati. L’ equilibrio del sen- timento è talvolta così poco turbato che é difficile dire se devia in senso maniaco 0 depressivo. E, per dare un esempio delle va- riazioni qualitative di sintomi che fanno diversa da caso a caso l apparenza esteriore di uno stato morboso che sostanzialmente è lo stesso, l’ umore esaltato può presentarsi sereno od erotico, 0 irritato e violento.

Weygandt trova che tre stati misti hanno una particolare importanza clinica: lo stupore maniaco, combinazione di tono sentimentale maniaco con rallentamento psicomotorio ed arresto del pensiero; la depressione agitata, in cuì l’umore depresso si unisce con eccitamento psicomotorio e per lo più anche ideor- rea: la mania improduttiva, nella quale accanto all’ umo- re maniaco e all’ eccitamento psicomotorio e’ è nella sfera dei processi associativi un evidente arresto. ©’ intende che |’ importan- za è non solo teorica, ma anche pratica; perchè la diagnosi di questi stati implica una prognosi che non è sfavorevole come quel- la dei processi morbosi coi quali possono essere scambiati.

o me ol =

La mania improduttiva ha l’ apparenza di un impoveri- mento grave dell’ intelligenza che chi giudica per impressione può credere permanente e somiglia agli stati di eccitamento con umo- re sereno della Demenza precoce. La depressione agitata, quando presenta negli anni dell’ involuzione, può essere scam- biata colla Melancolia dell’ involuzione. Weygandt concede un grande valore alla presenza della distraibilità, ch'egli afferma più propria deila depressione agitata. Lo stupore maniaco si pre- sta a scambi diagnostici con certi stadi della Paralisi e sopratut- to della Demenza precoce. Qui riferisco distesamente un brano della lucidissima esposizione di Weygandt.

Riguardo alla diagnosi differenziale dello stupore maniaco, meritano con- siderazione certi stati nel decorso della demenza precoce, specialmente della sua forma catatonica. Quando lo stupore catatonico è così-fortemente accen- tuato che i malati stanno lungo tempo immobili, avviene non di rado che il viso ha l’espressione di una certa eutoria. L’apparenza esterna, quale si pre- senta alla prima vista, con straordinaria esattezza ricorda lo stupore maniaco con forte arresto e mutacismo. Poichè è impossibile un discernimento me- diante l'interrogatorio, lo scambio dei due stati è facile. Anche la prova del» la reazione affettiva e motoria alla minaccia di una puntura di spillo che serve bene nella differenziazione dello stupore catatonico dallo stupore de- pressivo dei circolari, appunto perchè i circolari reagiscono di solito con l'e- spressionè di una vivace angoscia e con moti naturali di difesa, mentre i catatonici nella loro ottusità atfettiva sentimentale non reagiscono affatto, questa prova molto spesso fallisce di fronte allo stupore maniaco, perchè la euforia maniaca non consente che l’ angoscia data dallo stimolo doloroso si manifesti. Uno dei più importanti contrassegni differenziali ci è dato qui dal negativismo. A qualunque invito di dar la mano, di alzarsi in piedi od altro nei vediamo di solito che i circolari dànno segno di sforzi diretti ad ese- guire l'ordine, ma inefficaci, causa l'arresto. 1 catatonici però non solo spes- so non compiono l'ordine, ma per eifetto di impulsi contrari spesso fanno un movimento opposto. Qualche volta anche passa del tempo prima che la reazione del catatonico alibia luogo, finchè tutt’ in una volta il movimento scatta. Anche il maniaco stuporoso succede che non eseguisca degli ordini così da far pensare al negativismo: ma ciò è sempre la conseguenza di un umore irritato o distratto o euforico o anche erotico, e perciò una espressio- ne di scherzo, di civetteria verso chi ha dato l’ ordine; affetti e idee sono la ragione di questo contegno. In movimenti semplici, nel dar la mano, noel metter fuori la lingua e simili, spesso si può già differenziare il contegno manierato del catatonico dalla reazione lenta ma del tutto naturale del cir- colare. Si tratta qui della stessa differenziazione dello stupore circolare de-

pressivo dello stupore catatonico. Anche non bisogna trasandare l’ espressio- ne della faccia. Da un lato, nel maniaco stuporoso noi vediamo l’ espressione di una serenità spontanea, spesso di un euforia raggiante, mentre il riso del catatonico apatico somiglia moltissimo al ghigno.

Quanto alla diagnosi della fase depressiva dei circolari il Kraepelin ha dato questi criteri differenziali :

Nella depressione hisogna prima distinguere l’arresto psichico dei Cir- colari dal negativismo dei catatonici. noi abbiamo per lo più un accen- tuato arresto del pensiero, inoltre rallentamento di tutte le manifestazioni volontarie che spesso si può dimostrare nei movimenti semplici e nel far di conti: qui al contrario mancanza di eccitabilità psichica, mancanza di ogni reazione ed anche controimpulsi che abbattono ogni impulso emergente, qualche volta sorprendente lestezza. è quasi sempre dimostrabile un senti- mento di angoscia o di tristezza che può manifestarsi con violente e inaspet- tate esplosioni nelle visite o nelle lettere ai parenti; qui gli ammalati sono straordinariamento indifferenti, non temono minacce, non sono eccitati da visite, non si occupano degli avvenimenti dell'ambiente, non seguono cogli occhi. Anche allucinazioni e idee deliranti numerose e insensate parlano più per la demenza precoce (Allg. Zeitsch. f. Psych. Bd LVI pag. 254). Nell’ ar- resto, tutto il processo psicomotorio ¢ rallentato da un impedimento perma- nente; nello stupore catatonico è interrotto da una improvvisa controcor- rente. Qui si può, in confronto coll’ arresto, parlare di un intoppo (Psychia- trié Bd. I pag. 203.).

Queste ultime distinzioni, che noi accertiamo coll’ osservazio- ne diretta tra stati che hanno la comune apparenza dello stupo- re e ci permettono di riferirli a processi morbosi differenti, re- stano salde nel loro significato anche di fronte alla teoria, che interpretando questi stati come reazioni volontarie a idee deiiran- ti e ad allucinazioni, unifica da un punto di vista dottrinario ciò che l’ osservazione clinica autorizza a distinguere. Questa teoria trova una recente affermazione in un Javoro del Meyer (di Tu- binga) (1). « Nello studiare i lavori di Kraepelin e de’suoi sco- lari (scrive questo autore, dopo avere esposta la distinzione Kraepe- liniana tra rallentamento ed intoppo) io non posso difendermi dal- l impressione che essi vogliano eccessivamente limitare l’ impor- tanza delle allucinazioni e delle idee deliranti (pag. 876)...... Non c’ è, io credo, nessun dubbio che si dànno casì nei quali stupore

(1) Beitrag zur Kenntniss der acut enstandenen Psychosen und der ka- tatonischen Zustande. Archiv. f. Psychiatrie Bd. 32 H. 3 1899.

e sintomi affini sono direttamente provocati da allucinazioni e da idee deliranti ». Se non che non è neppur certo che appartenga alla demenza precoce il caso che l’ autore cita in sostegno della sua opinione. Ma dato anche che, come dice il Meyer, « nel tem- po dell’ immobilità catatonica non abbiamo a fare con una tabu- la rasa » non segue da questo che il contegno del catatonico sia una reazione deliberata a rappresentazioni allucinatorie o deliran- ti. Anche nel dormiente non c’é tabula rasa, ma si formano del- le illuminazioni interiori, allucinatorie e deliranti, che coesistono cogli altri fenomeni del sonno, non determinano.

Gli atti dei catatonici (dementi precoci ) sono in tutti gli stessi: per tutti viene il momento in cui resistono agli sposta- menti od hanno la flessibilità cerea, verbigerano o muovono le labbra in atto di susurro, rifiutano il cibo o lo accettano in quel- le loro maniere caratteristiche , ritengono le urine e le feci: co- me si concilia colla teoria dell’ origine allucinatoria e delirante tanta uniformità di atti morbosi, onde le prime descrizioni date dalla catatonia sono anche oggi verissime? Perchè é inverosimile che tutti siano dominati dalle stesse rappresentazioni allucinato- rie e deliranti.

153

Prima di cercare la diagnosi differenziale della frenosi ma- niaco-depressiva da altri processi morbosi, bisogna vedere fino a che punto questo complesso di dottrine diaguostiche risponda al cimento della pratica psichiatrica,

————___ ss aes

Intorno ad una varietà di mixedema frusto Dott. R. Tambroni e R. Lambranzi

La nota clinica da noi pubblicata nel fascicolo di Maggio della Rivista di Patologia nervosa e mentale ', mentre descriveva come tipico un soggetto gerodermico e quindi approvava la esi- stenza della sindrome studiata da Rummo e Ferrannini, ve- niva, discutendo il caso, a infirmare il concetto patogenetico espo- sto in addietro da cotesti autori per tale sindrome.

1) Tambroni e Lambranzi. Una varietà di mixedema frusto. Rivi- sta di Patologia nervosa e mentale. Anno III, n, 5, 1899.

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Però tosto ebbe a le nostre conclusioni una risposta, e que- sta fu cortese e apparve nella Riforma medica poco tempo fa per opera del Dott. R. Ciauri.'

L’ Egregio Collega, forse riflettendo le idee del maestro, si dice sinceramente lieto che noi abbiamo contribuito con l’ opera nostra a la conoscenza di un complesso di sintomi che si rileva dal quadro nebuloso delle distrofie ghiandolari e s’ integra in un tipo morfologico degno di nota, ma non s’accorda con noi nel riferire l’ anomalia originaria a la ghiandoia tiroide, piuttosto che, come egli pensa ed insiste, a le ghiandole genitali.

Non parendoci che gli argomenti addotti in appoggio del no- stro giudizio diagnostico siano stati presi tutti e singolarmente in esame e misurati in tutta la loro validità da la revisione del Dott. Ciauriì, riprendiamo la parola stimando che il soggetto val- ga la pena d’un novo commento.

Nel caso da noi presentato si trattava di un individuo che a l’ esame obbiettivo presentava: faccia senile, testa piccola con fronte bassa e stretta, folta e ispida capigliatura grigia, orecchie ampie ad ansa, torace grasso , ventre cascante a bisaccia, cute priva di peli, distrofia genitale, tendenza al gigantismo, note de- generative.

La sindrome riproduceva completamente il quadro clinico di- mostrato or son due auni da Rummo e Ferrannini; e l’infer- mo da tale descrizione usciva raffigurato in guisa così caratteri- stica, che ci sembrò assai facile vittoria toglierlo via di fra i tipi infantili a malgrado dell’ altrui critica.

Ma di più v’ era nel nostro infermo, che un’ accuratissima esplorazione della regione sotto]joidea ci aveva fatto rilevare una lesione della ghiandola tiroide. Questo fatto non era stato con- statato nei malati di Rummo.

Ora, poichè nel caso nostro non poteva innanzi tutto sorge- re il dubbio di dover distinguere fra malati di diversa forma, dovendo necessariamente essere una la origine morbosa di due sindromi morfologiche fra loro del tutto uguali, * a noi parve il

1. Rosolino Ciauri. Ancora sul geroderma genito-distrofico o seni-

lismo (Rnummo). Riforma Medica. Vol. III, n. 4, 1899. 2) Il profilo duro senile molto attenuato, che s'é creduto di poter rile-

vare dal ritratto aggiunto nella nostra nota, non può riferirsi che a la 1 ri-

produzione fotografica imperfetta.

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fenomeno di siffatto valore da imporci la linea dirigitrice nella discussione. Giacché fin da principio pensammo che per quel se- gno si potesse giungere a rischiarare, fin ch’ era possibile, il pro- blema patogenetico, che non appariva scaturire troppo chiaro da le induzioni del Rum mo, il quale aveva indicato la genito-distrofia come fenomeno primo e causale.

E, cercando, irovammo: che nella forma pura del mixedema (della cui origine è superfluo dire) la faccia gonfia, glabra, lunare di Gull, con la cute colore di cera gialla, che si ripiega in grinze dove la gonfiezza manca o diminuisce, esprime come nel mixedema possa esistere in po- tenza la maschera gerodermica; che la faccia gerodermica esiste, e forse anche completa, in alcuna delle forme mixedematose fru- ste di Thibierge;

che nella grande famiglia dei mixedematosi puri e frusti, che dal pacha de Bicétre illustrato da Bourneville va fino a la fa- miglia quasi normale descritta da Brissaud, troviamo qua e là, ora in maggiore ora in minor guisa, isolate o riunite 0 confuse le note principali e secondarie della sindrome di Rummo: ca- pigliatura, voce, anomalie ossee o muscolari, note degenerative, forma del petto e del ventre, mancanza di peli, distrofie genita- li ecc. ecc.;

che molti esperimenti su gli animali dimostrano come le lesio- ni tiroidee influiscano sul generale trofismo, generando i princi- pali di cotesti sintomi.

E quando ci demmo a scorrere l’ opera clinica. e sperimenta- le che riguarda le anomalie o le lesioni degli organi della ses» sualità, potemmo notare:

che la soppressione o la degenerazione lenta o rapida deb te- sticoli non alcuno dei principali sintomi del geroderma. '

Però ne veniva di logica il quesito: se nella genesi della ge- rodermia avesse prima importanza genesica la funzione testicola- re deviata o la tiroidea, e porre il quesito dopo. tali premesse, era risolverlo.

1) I casi di Gaillet, di. Martin, di Lereboullet, di Olphan, di Lacassagne, di Charvon, di Coffin non fanno eccezione, come dice il Ciauri, ma secondo abbiamo detto noi e, meglio ancora, secondo ciò che ne dicono gli autori, essi rappresentano semplicemente dei casi di ginecomastia.

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La principale opposizione dell’ Egregio Collega, il quale non discute uno per uno questi punti, ma ci coglie sul fianco, è al- l’ incirca questa:

« le lesioni extrauterine delle ghiandole genitali non sono da paragonare per la genesi e per gli effetti con le anomalie di svi- luppo, con le modificazioni secretive che si avverano nella vita embrionale, e nei nostri infermi la lesione è embrionale ».

Certo questa obbiezione non è vana, ma chi la riceve non ne resta così colpito come chi la volge. Quando nella embriologia lasciamo il campo anatomico e ci volgiamo a studiare la funzio- ne, noi cadiamo nell’ignoto; e appunto nell’ignoto è lasciato spa- zio aperto al campeggiare delle ipotesi che, secondo la misura dell’ osservatore, esprimono il frutto d’una sintesi più o meno felice. Ma poichè nella scienza l’ ignoto si trae brano per brano dai fitti velami che lo avvolgono, valendosi di tutto ciò che ci è noto, e su la nozione del passato si erige quasi tutta la conquista dell’ avvenire, così l ipotesi che intuisce e siutetizza deve avere il suo fondamento sui fatti noti; in caso contrario è profezia. L’ ipotesi deve scaturire da la dimostrazione non da I’ affermazio- ne, altrimenti cade nel dogma, e la scienza che procede per dogma non è più scienza, ma religione.

E, rifacendoci al nostro caso, quantunque tutte le teorie, emes- se da Kocher e Baumgarten, da Tiedman, da Berthelot ad Albertoni e Tizzoni, a Sanquirico e Canalis, a Fano e Zanda e ad altri più recenti ancora, non ci spieghino completa- mente l’ essenza della funzione tiroidea nel metabolismo organico, è certo che ormai lunga serie di segni ci dimostra a l’ evidenza per l’opera clinica o sperimentale gli effetti di cotesta funzione; ed è basandosi su tali conoscenze che trova ragione di l’ ipo- tesi, che pure una anomalia embrionale della tiroide (quale noì supponiamo) possa esplicarsi con analoghi segni.

Quando invece osservi che fuor della vita uterina le alte- razioni degli organi genitali non apportano nessuno, o solo in simiglianza sbiadita, di quei segni che si sono descritti per ì gerodermici, una ipotesi che riferisca tali fenomeni ad anomalia

embrionale dei genitali non può essere che artificiale e costruita a viva forza.

15;

Noi avemmo già occasione di dire che « se si considera la distrofla genitale primitiva in rapporto a difetto di sviluppo em- brionale, si potrà affermare talora ch’ essa sia indice evidente di un arresto di sviluppo di altri organi e che con essi influisca a l incompleto sviluppo dell’ organismo intero, ma non è possibile ammettere che di per sola esplichi un’ azione generale decisa e potente ».

In queste frasi si esprimeva in breve ciò che dianzi s'è espo- sto, ma più ora ci si rileva una risposta anticipata ad un’ al- tra opposizione che sembra ci venga fatta, ossia: che noi tendia- mo a dare sola importanza a la lesione della ghiandola tiroide, trascurando il singolo o concomitante ufficio di altre ghiandole nella genesi delle distrotie organiche.

Tutti sappiamo che al complesso lavoro della vita ogni orga- no coopera con la sua funzione speciale e aggiunge il suo ter- mine a la somma che esprime la funzionalità generale; e non sempre una ipertrofia vicaria compensa a uno strappo fatto a la legge di Milne-Edwards. Il cuore infermo non altera solo li- draulica del circolo, il rene sclerotico solo la quantità o la composizione urinaria.

Noi pure crediamo che nella distrofia gerodermica la ghian- dola tiroide, anomala per volume o per funzione, non debba sola essere lesa: basterebbe pensare a la rete simpatica che la con- giunge a gli organi genitali, a la origine comune mesoblastica dei due organi ghiandolari, per pensare subito a una fatale con- comitanza o successione di lesioni e però al sovrapporsi nella economia generale di un altro fattore dannoso. Ma le ragioni omai ripetute, i fatti noti, più volte citati, debbono sempre condurci a ritenere secondaria per azione e forse anche per tempo l’ anoma- lia genitale. i

Un ultimo argomento d’ opposizione si compendia nella risul- tanza semejologica: « nei malati di Rummo e Ferrannini nessun organo, nessuna ghiandola ha dimostrato tali alterazioni patologiche od anomalie da far concepire altro che una ipotesi genito-distrofica.....; una modificazione morfologica della tiroide non è stata tale da attrarre l’ attenzione... ».

Ma noi rispondiamo che, se per la nosologia del geroderma ci si sofferma senz’ altro dinnanzi a l’anomalia genitale e solo

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per la luminosa evidenza di questo carattere morfologico si costi- tuisce la forma morbosa, tant’ è ricadere nella confusione, che pure il Rummo deplora, e porre tosto in un mazzo gerodermici, infantili di Brissaud, infantili di Laségue e Lorain ecc.; in tutti la distrofia genitale, costituita massimamente da la ridu- zione di volume, è ìl sintoma primo, che non isfugge a l’ osser- vazione più superficiale. E invece è dimostrato in modo esaurien- te che tanto gl’ infantili di Brissaud come quelli di Laségue e Lorain debbono ad altri e diversi fattori, che non a l’anoma- lia genitale, la loro miseria.

Se poi una modificazione morfologica degna di attenzione non fu osservata nella ghiandola tiroide dei malati studiati da R u m- mo e Ferrannini, contrariamente a ciò che noi abbiamo riscon- trato nel nostro caso, non per questo perde del suo valore il no- stro concetto patogenetico, perchè non in tutti gl’ individui è fa- cilmente palpabile la ghiandola e poi, senza voler entrare adesso nella nota quistione delle tiroidi e paratiroidi nell’ uomo, della specificita dei due diversi tessuti, resta sempre da opporre la mo- dificata funzione senza modificazione di forma.

Per questo giudizio ne suffraga ancora la espressione sinto- matica generale e particolare dei soggetti, intorno a la quale si è già ridetuo e per la quale, almeno per ora, la localizzazione tiroidea della lesione originaria ci offre la ipotesi più razionale.

L’ emiplegia completa dell’ isterico ci fa pur localizzare nel- l emisfero opposto del cervello la lesione patogenetica del sinto- ma, quantunque noi siamo certi che in quell’ organo niun specia- le disturbo organico ci sarebbe dimostrato neppure dal microsco- pio; e ciò appunto perchè tale sintoma non: può essere dato che da una lesione crociata, la quale nelle vie nervose sia al di sopra del nucleo del 7.° paio. Così dinnanzi a |’ infermo che presenta le note più caratteristiche della famiglia dei mixedematosi, noi poniamo la lesione primitiva o principale in quell’ organo che ci si è dimostrato capace di generare quelle note; onde, fino a che non si dimostri che lesioni di altri organi siano atte a generarne di uguali, è d’ uopo ritenere che il geroderma genito-distrofico debba a miglior ragione essere chiamato geroderma tireo-distrofico.

La indagine delle origini offre sempre il più alto problema & lo studio dell’ uomo e nelle discipline mediche si dimostra pure

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in tutta la sua grandezza con l’offrire la massima utilità per il presidio terapeutico. Ecco uno dei non lievi motivi di questa ri» sposta; poichè per il nostro studio s'impone la indicazione della eura razionale dei gerodermici. Rummo stesso già accenna a la eventuale applicazione della oputerapia, noi indichiamo senz’ altro la cura con gli estratti della tiroide, Il nostro infermo di 46 an- ni, con un femore rotto, ha chiusa innanzi a ogni via di spe- ranza, ma gl’ infermi giovani di Rummo e Ferrannini potran- no forse fruirne vantaggi e nor da poco.

Potrà forse anche da cotesta cura uscire un criterio e juvan- libus che, senza avere l’importanza di quello che s’ origina per altri vimedî, assuma valore nella quistione ; tanto più che la cura tiroidea non offre una panacea universale ' (come si crede da ta- luni e specie quando |’ usano insieme ad altri mezzi terapeutici), pure dimostrando un’ azione piuttosto generalizzata su l’ organi- smo e di una efficacia molto più autentica che non quella del succo testicolare preconizzata da Mantegazza e trapiantata nel laboratorio di Brown-Séquard.

Questa risposta ad una rivista critico-sinletica fu già inse- rita nella Miforma Medica (Vol. II, pag. 265, 1899) ed il dottor Ciauri credette di doverci rispondere un’ altra volta riaffermando senza fatti nuovi i giudizi del suo maestro prof. Rummo.

Essendo poi convenuto di lasciar sospesa la discussione fino a la pubblicazione completa dello studio del geroderma genito- distrofico, non ci è lecito criticare di nuovo gli usati argomenti del dott. Ciauri e gli concediamo il vantaggio dell’ ultima parola. Fuor della cosa convenuta soro tuttavia i risultati delle sedute del X Congresso di Medicina interna tenuto a Roma su la fine d’ Ottobre dell’anno scorso e intorno a quelli possiamo fare qual- che breve osservazione.

Il tema della autonomia clinica del geroderma genito-distrofico doveva - così nella nota delle memorie da presentare - essere trat- tato dal prof. Rummo, ma non lo fu. 1 resoconti sommari della Riforma Medica e della Gazzetta degli Ospedali c’ informano che in vece sua due ailievi parlarono su la quistione; e, prima, il

\ 1) Già Mendel trovò che nell’ acromegalia la cura con gli estratti di ghiandola pituitaria produceva assai migliori effetti della cura tiroidea,

dott. Ciauri dichiarò cotesta autonomia, descrivendo la speciale sindrome morfologica dei malati, discutendo la diagnosi differen- ziale con altre forme di distrofia e concludendo intorno a la pa- togenesi per una lesione delle ghiandole genitali; Andrea Fer- rannini, dopo, riferi su due gerodermici curati uno con |’ uso della tiroide, l’ altro col succo testicolare.

Ma il Ciauri disse, fra l’ altre notizie, che alcuni malati di geroderma genito-distrofico sono capaci di fecondare e di dare prole viva e vitale; ora, davanti a questi casì, viene spontaneo il dimandarsi di qual fatta debba essere mai quella tale lesione testicolare che determina tutta una complessa sindrome - e tale da giustificare l’ avvento di un nuovo tipo clinico di malattia - e non ispegne proprio la funzione riproduttiva, quella nobile e spe- cifica della ghiandola genitale.

Nella comunicazione del Ferrannini troviamo che uno de’ suoi infermi fu curato con la tiroide; migliorò, guari o invece intossicò per ipertiroidismo ? Il sunto della Riforma non s'oc- cupa di tal risultato importante, ma noi dobbiamo osservare con piacere che il concetto di una possibile terapia tiroidea sia tenuto in conto da chì s’ è occupato primitivamente della sindrome e del- la patogenesi gerodermica.

Sopratutto poi è da notare il giusto e prudente riserbo dimo- strato dal prof. Rummo - levatosi in ultimo a confortare con la sua grande autorità le parole degli allievi - il quale, giudicando la denominazione di senilismo più opportuna che quella di gero- derma genito-distrofico, ebbe a dire :! «....... la parola senilismo non pregiudica la nozione patogenetica ancora completamente ignota e solo presumibilmente rappresentata da una distrofia del- le ghiandole genitali...... ».

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-

Il grado di alcalinita del sangue nella frenosi pellagrosa pel Dott. Luigi Cappelletti

Il sangue nei pellagrosi è stato oggetto di numerose ed im- portanti ricerche (Lussana, Seppilli, Cuboni, Vassale, A go-

1) Riforma Medica Vol. IV, n. 31, pag. 363, 1899.

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stini ecc.). Il problema della patogenesi della pellagra stimolò gli osservatori a studiare cotesto tessuto che rappresenta il centro del metabolismo generale, il veicolo per cui l’intiero organismo si nutre e nel quale, come in un torrente epuratore, gitta i suoi

. prodotti di rifiuto.

Ma il grado alcalimetrico del sangue, quantunque da quasi un ventennio e per opera di numerosi osservatori sia stato preso in esame nel campo della medicina interna, nei pellagrosi è di- venuto oggetto di particolare studio solo da poco tempo, per parte di Lui ('). E si che in tali malati lo esame di questa proprietà del sangue apparisce di evidente importanza a pena se ne consi- derino gli intimi rapporti con lo stato del ricambio materiale, coi perturbamenti dell’ organismo da etero ed auto-intossicazioni, da infezioni ecc. Per ciò ho ritenuto non inutile studiare I’ alcale- scenza del sangue in 20 infermi di pellagra tipica accolti que- stanno nel nostro Istituto: tanto più che le osservazioni di Lui hanno dato conclusioni interessanti e che due pregevoli lavori di Lambranzi su l’alcalinità del sangue in condizioni fisiologiche e in alcune malattie mentali hanno - assai recentemente - ribadito la importanza di questa ricerca (°).

Metodo delle ricerche

La letteratura dei metodi usati da più di trenta anni per la mi- surazione dell’alcalescenza del sangue è ricca e nota, e mi dispen- so dal riferirla rimandando il lettore che desiderasse apprenderla ai trattati di tisiologia (Landois, Luciani) alle memorie di Ca- vazzani, Barbera ecc. specialmente alla monografia di Lam- branzi su l’alcalinità fisiologica del sangue, nella quale è ac- curatamente riferita.

Io ho adoperato il inetodo seguito dal Lambranzi, che trae da quello molto noto-del Landois le norme principali e migliori di tecnica con qualche modificazione che lo rende di più facile

(1) Lui. Sul comportarsi dell’alcalinità del sangue in alcune forme psicopa- tiche e nell’epilessia. Rivista Sper. di Freniatriu ecc. Reggio-Emilia, 1898.

(2) Lambranzi. Alcune ricerche fisiologiche su l’alcalinità del sangue. Altti dell’ Accad. di Scienze Mediche e Naturali di Ferrara. Fasc. I. II 1899.

Id. - L’alcalinità del sangue in alcune malattie mentali. Itivista di Patologia nervosa e mentale. Firenze, 1899.

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esecuzione e ne Assicura, per quanto è possibile, l’esattezza: mi sono convinto, in confronto di altri metodi, che risponde bene alle esigenze d’uno sperimentare rigoroso. E chi di tale ricerca è occupato sa quanto sia facile, non usando o non potendo usare sempre col massimo rigore i medesimi precetti di tecnica, cadere © in errori anche grossolani. Lo riassumo brevemente.

Prima di tutto accurata lavatura e disinfezione della superficie cutanea del polpastrello di un dito della mano con acqua tiepida e sapone, etere solforico, sublimato corrosivo ed alcool a 90.° Poi da una piccola incisione compiuta con la lama sterilizzata di un bisturi si lascia sgorgare liberamente in una buretta di vetro, la cui estremità superiore foggiata ad imbuto accoglie la super- ficie ferita del dito, un quarto di centimetro cubico di sangue, il quale viene immediatamente a contatto e si mescola colla soluzio- ne satura di solfato di sodio (8 - 10 cm°) contenuta nella bolla, in cui, terminato il piccolo imbuto, si espande la buretta, che, nel mentre il sangue cola, viene dallo sperimentatore agitata legger- mente. La buretta per mezzo di un sottile tubo e d’un tappo di gomma comunica con una bottiglia contenente due centimetri

cubici di soluzione `- di acido solforico, nella quale si fa scor- rere rapidameute il sangue aprendo il rubinetto che chiude la bolla in basso. Poi si toglie la buretta e chiude la piccola bot- tiglia con tappo smerigliato.

Per procedere alla misurazione del grado alcalimetrico si . N . . adopera una soluzione di soda che lentamente - a gocce - si

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fa cadere dopo un quindici minuti da una pipetta di Mohr gra- duata in modo che ogni linea rappresenta un centesimo di cm° e che serve a saturare l’eccesso di acido solforico. A indicare il va- riare della reazione serve ottimamente la carta di tornasole ta- gliata in sottili striscie. La misura dell’alcalinità desume facil-

; : ; N : : mente conoscendosi che a un cm‘ di soluzione di acido solfo-

1

rico corrisponde gr. 0,0008 di soda. E utile riscontrare frequen- temente le soluzioni di acido solforico, di soda e di solfato di sodio. Questo metodo è - come si vede - di non difficile esecu- zione : la maggiore difficoltà sta nel sapere distinguere nella carta di tornasole quella nuance di colorazione azzurra che indica rav- venuta saturazione con la soda dell’eccesso d’acido solforico: con-

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viene, prima di accingersi alle ricerche, eseguire numerose espe- rienze preliminari. La buretta che io ho adoperato fu quella stes- sa cui si serviva il Lambranzi e della quale io aveva con- trollato la esatta graduazione fatta dal collega. Questa gradua- zione era eseguita in guisa che potevasi rigorosamente tener conto d’ognì piccola quantità di sangue che per avventura fosse colato in più del ‘/, di cm', ordinariamente adoperato per eseguire la ricerca, |

Ho studiato 20 malati, 10 uomini e 10 donne, nei quali pra- ticavo lo esame del sangue sempre alla stessa ora, alle 10 o 10'/, antim., tre ore dopo, cioè, il primo pasto della mattina. Di ogni malato prendevo il peso appena ammesso nel Manicomio e nel tempo successivo di sua presenza e redigevo l’esame obbiettivo quotidianamente. Ho scelto infermi mediocremente gravi, gravi e gravissimi per avere un concetto del comportamento dell’ alcale- scenza del sangue nei varî stati della intossicazione pellagrosa. Ognuno degli infermi aveva le stigmate caratteristiche della pel- lagra così da rendere certa la diagnosi.

Osservazioni UOMINI

Oss. 1. F. Enrico, fu Pietro, di San Martino, d’anni 57. Fu altre vol- te ricoverato per psicosi pellagrosa. Uomo di alta statura, di costituzione fisica sana e vigorosa prima della malattia. Ammesso il 30 Gennaio 1899. Peso del corpo kg. 54.

Esame obbiettivo. Eritema alle mani, agli avambracci. Notevole depe-

rimento fisico. Frequenti vertigini. Pirosi. Diarrea. Mediocre depressione psichica e confusione delle idee. Agripnia. 2 Marzo. Stesse condizioni di quando é entrato . Ale. 9. 320 31 Marzo id. id. Ale. 0. 325

15 Aprile. Migliorato fisicamente per essere scomparsa la

diarrea ed aumentate le forze: il peso corporeo è uguale.

Condizioni psichiche immutate ; i Alc. 0. 325 10 Maggio. Si è tentato mandarlo a casa See cedere a le

istanze de la famiglia: ma dopo 9 giorni è stato riammesso Alec. 0. 322 L’infermo, sempre uguale, è tuttora qui degente.

Oss. 38. P. Pietro, di Giuseppe, residente a Casaglia, d’anni 57. Fu altre volte ricoverato per psicosi pellagrosa. Uomo di media statura, di costituzio- ne fisica robusta avanti la malattia. Ammesso il 16 Marzo 1899. Peso del corpo kg. 52.

164 —-

Esame obbiettivo. Condizioni fisiche deficientissime. Funzioni digerenti al tutto normali. Psicosi a tipo depressivo con notevoli disturbi nel corso e nel contenuto delle idee, i

17 Marzo ; : Ale. 0. 315 6 Aprile. Dinforme: è alquanto welo i . Ale. 0. 320 30 Aprile. L’infermo fisicamente è guarito: scomparsa degli eritemi, aumento delle forze, aumento del peso corporeo, kg. 55: le condizioni psichiche molto migliorate essendo Alc. 0. 342 scomparso ogni accenno di disturbo nel contenuto delle idee: rimane un loggero grado di depressione psichica e di abulia. 10 Maggio. L'infermo si può considerare guarito i Alc. 0. 340 É stato trattenuto qualche tempo ancora nel Manicomio a cagione delle tristissime condizioni do la sua famiglia ed è stato dimesso il 30 Settembre. Ons. tti. P. Giorgio, fu Gaetano, di Sandalo (Portomaggiore) d’anni 48. Ammesso il 21 Marzo 1899. Uomo di costituzione fisica vigorosa in con- dizioni normali. Poco tempd avanti l'ammissione presentò disturbi psico-sen- soriali, tendenza spiccata al suicidio. Esame obbiettivo. Uomo di media statura; peso del corpo kg. 60. Condi- zioni fisiche discrete. Eritema e prurito nel dorso delle mani, su la fronte. Alvo normale. Depresso, ansioso, con idee di rovina. Cosciente ma spesso disorientato nel conoscere il luogo, chi lo assiste. Sonno quasi normale. 23 Marzo i i j è i Alc. 0. 336 27 Marzo. Matino condizioni i Alc. 0. 336 12 Aprile. Molto migliorato psichicamente. ali fisi-

che immutate per ciò che riguarda la nutrizione generale.

Scomparso l’eritema nelle mani e nella fronte: la pelle in

queste regioni appare leggermente pigmentata in color bruno. Alc. 0. 339 28 Aprile. L’infermo è guarito i i ' Alc. 0. 348 30 Aprile. É dimesso: condizioni ioniche» normali. Fisicamente anche

migliorato. Leggero aumento del peso del corpo.

Oss. BV. M. Cipriano, fu Luigi, di Cassana, d’ anni 48. Ammesso il 6 Aprile 1899. Uomo di gracile costituzione. La malattia scoppiò quasi improv- visa con fenomeni di confusione della mente, agripnia: si è rapidamente ag- gravata nel volgere di una diecina di giorni.

Esame obbiettivo. Uomo di media statura: peso del corpo kg. 43. Gravi condizioni generali: denutrizione considerevole, febbre alta, sitofobia quasi completa, anuria, mutismo, paralisi psichica. Si nutrisce con la sonda. Si evacna la vescica con la siringatura.

q Aprile ; i ; i A ; i ; Alc. 0. 260 1% Aprile. L'informo è notevolmente migliorato, specie nelle condizioni

165 fisiche: nutre RA e a sufficenza : la febbre è dileguata s . Alo. 0. 304 22 Aprile. .L’infermo 6 assai isla ma in ui conva- lescenza Alc. 0. 336

30 Aprile. Miglioramento: fisico liolevolisimo; nation del peso del corpo. Psichicamente l’infermo appare un po’ smarrito, debole nell’attenzione, lento nella ideazione con qualche errore nel contenuto ideativo: contegno corretto, tranquillissimo. Alc. 0. 352 L’infermo è andato lentamente ma progressivamente migliorando nelle condizioni psichiche e il 30 settembre è stato dimesso al tutto guarito. Oss. V. B. Luigi, fu Carlo, di Gambulaga, d’anni 52. Ammesso il 7 Aprile 1899. Fu sempre di debole costituzione fisica. Da due anni aveva pre- sentato alcuni dei sintomi somatici della pellagra : eritemi, debolezza gene- rale, specie alle gambe. Dieci giorni avanti l’ ammissione presentò fenomeni di eccitamento psichico, disturbi psico-sensoriali, tendenza al suicidio. Esame obbiettivo. Uomo di giusta statura. Grado mediocre di deperimento fisico: peso del corpo kg. 52. Arrossamento eritematoso e prurito al dorso delle mani. Viso arrossato : congiuntive iniettate. Alvo stittico. Eccitamento psichico e confusione. Spesso grida, balza nel sonno e s’aggira per la stanza.

8 Aprile i 1 . ‘Ale. 0. 336 20 Aprile. Assai inoderato P soctamiente sic Sonno normale. Fisicamente nulla di variato i Alc. 0. 336 6 Maggio. Miglioramento notevole nelle cundizioni fisiche e psichiche ; i Alc. 0. 336

16 Maggio. L’infermo sla era nia sealers die tiorato

è improvvisamente tornato nelle condizioni di quando fu am-

messo: notevole eccitamento psichico e confusione mentale —Alc. 0. 334 31 Maggio. Il peggioramento è durato 6 giorni: poi l’infer-

mo è tornato a migliorare rapidamente. Ora le condizioni

psichiche sono normali e altrettanto pnò dirsi di quelle fisiche:

scomparso infatti l’ eccitamento e la confusione delle idee,

divenuta più florida la nutrizione generale, cresciuto il peso

del corpo : . : Alc. 0. 350 L’ infermo è disko il 1 Luglio.

Oss. Vi. B. Sidraco, fu Paolo, di Traghetto, d’anni 62. Ammesso il 7 Aprile 1899. Fu sempre di debole costituzione. 5 mesi avanti l’ ammissione cominciò a soffrire di diarrea, indebolimento delle forze, abulia: poi comparve l’eritema alle mani. Tentò il suicidio gittandosi in un pozzo. Peso del cor- po kg. 45.

Esame obbiettivo. Vecchio di bassa statura, denutrito. Eczema alle mani. Alvo diarroico. Depresso, confuso, insonne.

8 Aprile ; : ; : ; i ; ; Ale. 0. 322

166

12 Aprile. In letto con un po’ d'ansia e di eccitazione motoria. Febbre , , ; ; Alc. 0. 310. Il 14 Aprile sono comparsi fenomeni di alari bronchiale, poi segni di pneumonite ipostatica e il 25 è morto. Oss. Wit. S. Giuseppe, fu Fedele, di Baura, d’anni 55. Fu altre volte affetto da psicosi pellagrosa. Uomo di statura vantaggiosa, di costituzione ro- busta prima della malattia. Ammosso il 7 Aprile 1899. Prima dell’ ammis- sione fece tentativi di suicidio. Peso del corpo kg. 64. Esame obbiettiro. Stigmate visibilissime della pellagra. Mediocre grado di deperimento fisico. Funzioni digerenti normali. Fenomeni di eccitamento, rapidità, volubilità, disordine ideativo, ipermimia. Vertigini, cefalea, agripnia. 8 Aprile i i ; : Alc. 0. 320 18 Aprile. Malato saimplessvanionts nie orato i Alc. 0. 322 24 Aprile. Il malato è improvvisamente peggiorato. Grave

disordine ideativo. Accessi di agitazione motoria. Viso con-

gesto, scomposto. Stipsi i : . ; . : Alc. 0. 313 10 Maggio. L’infermo è tornato a migliorare . ; : Alc. 0. 320

25 Maggio. Lo stato psichico ò tornato alla norma. Anche fisicamente è migliorato come si rileva dall'aumento del peso corporeo. i Alc. 0. 322 L’ infermo fu dimesso aine gi il 2 Luglio. È stato però ricondotto al Manicomio due giorni dopo ed ora è sempre qui ricoverato, demente. Ges. VII, B. Secondo, fu Vincenzo, di Villanova, d’ anni 42. Ammesso il 9 Aprile 1899. Fu malato altre volte di psicosi pellagrosa. Costituzione fisica discreta in condizioni normali. Venne inviato al Manicomio per aver dato manifesti segni di alienazione mentale: depressione, tendenza al suicidio. Esame obbiettivo. Uomo di media statura, notevolmente dimagrato, pal- lido. Peso del corpo kg. 47. Eczema alle mani: pigmentazione nel collo, nella fronte. Pirosi. Depressione psichica, atteggiamento melanconico, abulia. Len- tezza nel corso delle idee.

12 Aprile ; ; i ; . ; Alc. 0. 326 20 Aprilo. Il malato è neli R Doi È Alc. 0. 326 10 Maggio. L’infermo è migliorato assai fisichicamente: a

pure psichicamente . ; ; | Alc. 0. 340

25 Maggio. L’infermo ha cambio una iiaae generale soddisfacente: aumentato il peso del corpo. Cresciuto l’appe- tito, scomparso il senso di pirosi. Nella pelle delle mani non v'è più eritema. Psichicamente l’infermo è tornato in condì- zioni normali, non più depresso anzi leggermente eccitato, di quell’ eccitazione, s'intende, che la conoscenza della salute riacquistata . ; : : ; i i Alc. 0. 348

167

L'infermo assolutamente guarito è poco dopo dimesso dal Manicomio (29 Giugno).

Onan, aX. B. Luigi, fu Antonio, di Consandolo, d’ anni 63. Ammesso il 24 Aprile 1899. Uomo di media statura, di costituzione robusta avanti che ammalasse. Due mesi prima dell’ ammissione al Manicomio dette i primi se- gni di alterazione mentale: confusione, agripnia, depressione melanconica. Tentò il suicidio gittandosi in un pozzo. Peso del corpo kg. 57.

Esame obbiettivo. Deperimento fisico mediocre: diarrea, pirosi, fortori. Eri- tema alle mani. Vertigini, depressione melanconica e indebolimento mentale, facile emotività, agripnia.

25 Aprile : : ; È Alc. 0. 297 4 Maggio. Rapido miglio genio fisico: aimeo delle for- ze e del peso del corpo. Quasi scomparso il tono psichico depressivo i i i : Alc. 0. 352 L’infermo guarito fisicamente © E (sido per ciò che riguarda la depressione melanconica; del resto rimane quello che già era, cioè un vec- chio intellettualmente esaurito.

Oss. X. P. Giuseppe, fu Domenico, di Scortichino (Bondeno), d’anni 40. Ammesso il 3 Maggio 1899. Fu altre volte affetto da psicosi pellagrosa. Con- genitamente di gracile costituzione fisica. Tre mesi avanti l'ammissione ebbe i primi segni della pellagra: eruzione caratteristica alle mani e al collo, di- magramento, diminuzione delle forze, specie a gli arti inferiori. Poi s’aggra- varono i fenomeni (in aprile): comparve diarrea, s’aggravò il deperimento della nutrizione generale, si manifestarono disturbi psichici a carattere de- pressivo. Tentò il suicidio.

Esame obbiettivo. Uomo di statura vantaggiosa, magro, pallido, emaciato. Peso del corpo kg. 47.500. Eritema alle mani. Pirosi, diarrea. Notevole con- fusiune mentale: depressione psichica mediocre.

4 Maggio ; ; i i ; Alc. 0. 304 10 Maggio. La diarrea è infronabile, Profonda confusione e depressione mentale. ; i i i + Ale. 0. 297

Alla diarrea, dose samia infrenabile, successe un'emaciazione progres- siva, trombosi marantica degli arti inferiori, esaurimento cachettico : l'infer= mo è morto il 12 Luglio.

DONNE

Oss. Xt. A. Luigia, fu Alessandro, di Bondeno, d'anni 39. Ammessa il 13 Marzo 1899. Già altre volte affetta da fronosi pellagrosa. Fu sempre di gracile costituzione. Due mesi avanti l'ammissione si sono presentati i primi segni somatici della pellagra che a grado a grado si sono aggravati. Pui sono comparsi fenomeni psichici: cefalea, vertigini, delirio, agripuia.

Esame obbiettivo. Donna di piccola statura, molto denutrita: peso del corpo kg. 41.500 Eritema molto spiccato alle mani, al collo: labbra aride, scre- polate. Digestione faticosa, pirosi, alvo irregolare: debolezza delle forze. Me- diocre grado di depressione psichica: nessun disturbo nel contenuto delle idee. Cefalea: qualche capogiro. 15 Marzo ; ; ; ! ; ; ; i . ‘Ale, 0. 320 23 Marzo. Lo stato dell’ inferma non é gran che variato,

quantunque appaia una visibile tendenza al miglioramento. Alc.0. 322 29 Marzo. Il miglioramento si va accentuando: la cefalea

è scomparsa, la pelle delle mani, del collo si desquama.

L’alvo è regolare : ; È ; ; Ale. 0. 320 12 Aprile. L’inferma è completamente guarita: alle mani

e al collo la pelle è divenuta normale. Non v’ha più traccia

di depressione psichica di cefalea. L’alvo è normale, l'ap-

petito buono: il peso del corpo aumentato : i 3 Alc. 0. 336 13 Aprile. L’inferma è dimessa dal Manicomio in ottime condizioni.

Ons. Xi. Z. P. Zaira, di Giorgio, da Copparo, d’ anni 42. Ammessa il 28 Marzo 1899. Ebbe costituzione fisica robusta. Da qualche anno avea le stimmate della pellagra. Tre giorni avanti l ammissione al Manicomio sor- sero improvvisi e gravi disturbi mentali: delirio, insonnia, tendenza al sui- cidio, sitofobia.

Esame obbiettivo. Donna non molta denutrita, di mediocre statura: peso del corpo kg. 47. È distesa in letto, supina. Un movimento a scosse agita continuamente gli avambracci che, flessi sui bracci e contratturati, branci- cano nell'aria, Cercando di estendere l’avambraccio, si trova una forte resi- stenza. I muscoli della faccia, del collo hanno frequenti e disordinate con- tra ‘ioni. Il viso prende in certi momenti l’espressione del riso sardonico te- tanico. Iperestesia generale. Aumento dei riflessi. Febbre alta. Alvo stittico. L’inferma 6 in grave stato di stupore, non rifiuta il cibo.

29 Marzo ; i | i Alc. 0. 278 31 Marzo. Condizioni invariate i ; i i Alc. 0. 281 3 Aprile. L’inferma, con alta febbre, muore l Alc. 0. 272

Oss. XIB, T. Maria fu Pietro, di Zocca (Copparo) d'anni 48. Ammes- sa il 3 Aprile 1899. Ebbe robusta costituzione. I sintomi della pellagra in- sorsero acutamente sotto forma di grave abbattimento, confusione della mente, sitofobia.

Esame obbiettivo. Donna non molto denutrita, di media statura: peso del corpo kg. 47. Eritema appena accennato nelle mani. Febbre alta. Arti supe- riori contratti, semiflessi: movimenti atetoidi delle dita. Contrazioni fibrillari dei muscoli del viso. Iperestesia: aumento dei riflessi tendinei: lingua secca: alito fetente. Alvo stittico. Alimentazione non forzata. Coscienza profonda- mente annebbiata: grave depressione.

168

169 6 Aprile : : i Alc. 0. 288 9 Aprile. Grave ilegcior mento Feke stato tetanico : febbre alta i é i ; . i ; . ; Alc. 0. 268

10 Aprile. Morte.

Osn. XIV. L. C. Anna, di Luigi, da Portomaggiore, d'anni 37. Ammes- sa il 6 Aprile 1899. Fu già altre volte malata di frénosi pellagrosa. sem- pre di poco robusta costituzione. Da qualche mese aveva alcuni sintomi della pellagra: eritema, cefalea, debolezza generale. Sei giorni avanti la ammissio- ne presentò fenomeni di mediocre eccitamento, fece tentativi di suicidio.

_ Esame obbiettivo. Donna molto denutrita, di statura poco inferiore alla media; peso del corpo kg. 40. Ha le note stimmate della pellagra sulla pelle. Digerisce male, ha pirosi, è stittica. Notevole indedolimento delle forze. Psi- chicamente appare confusa, un po’ disordinata, con qualche idea delirante a colorito persecutivo. Accusa mal di capo.

7 Aprile i i i ; Alc. 0. 320

19 Aprile. Condizioni fisiche NN Painan sta peggio: è eccitata, inquieta: inveisce con offese e minaccie

contro chi l’assiste i Alc. 0. 313 29 Aprile. Fisicamente negho così TR per Ja condizioni psichiche. L'inferma sempre confusa, ma quieta . + Alc. 0. 326

10 Maggio. Fisicamente molto migliorata, come si rileva anche dall'aumento del peso del corpo. Ma la mente non è snebbiata e permane qualche idea delirante persecutiva. Non accusa più cefalea j ; Alc. 0. 326 L’inferma è rimasta per lai Wu vale delie condizioni psichiche, Anche il migliorameato nelle condizioni fisiche, interrotto da qualche breve episodio di disturbi intestinali, è proceduto assai lento. La malata fu poi di- messa guarita ai quindici di Ottobre.

Onn, XV. G. F. Maria, fu Michele, di S. Biagio (Bondeno) d’anni 60, già altre volte ricoverata per frenosi pellagrosa. Ammessa il 7 Aprile 1899. In condizioni normali era di costituzione fisica buona. Lentamente sono inco- minciati i fenomeni della pellagra; rossore e prurito nella pelle del dorso delle mani, prostrazione di forze, diarrea. Poco avanti l'ammissione al Mani- comio presentò fenomeni di eccitamento, tendenza a fuggire, agripnia.

Esame obbiettivo. Donna di statura poco superiore alla media, in condi- zioni di notevole denutrizione : peso del corpo kg. 40. Alle mani e al collo la pelle è arrossata e sede di prurito: l’alvo è diarroico. L’inferma 6 loquace, canta, fa discorsi sconnessi. Ha momenti di quiete in cui è cosciente ed ha esatta nozione de l’ambiente è memoria de le cose.

9 Aprile. . ; ; i Alc. 0. 310 14 Aprile. Continuano i Ahonen di dimt: le con- dizioni fisiche sono presso che immutate È i Alc. 0, 312

100

24 Aprile. L’inferma è quieta, un po’ smarrita della mente; le condizioni di salute generale sono migliori e l’alvo è qua- gi tornato a funzione normale ; Alc. 0. 310 10 Maggio. L’inferma presenta un dario duo di alan lamento psichico che si rivela nella lenta ideazione, nella difficoltà di fissare l'attenzione. Fisicamente appare migliorata ed è cresciuta di peso: l’alvo è normale ; ; - Alc. 0. 316 L’inferma è rimasta per lungo tempo ancora nel Manicomio per aver pre- sentato episodi di diarrea copiosa che aggravava molto le condizioni della sua nutrizione. La a è andata a poco a poco rasserenando così che è stata dimessa guarita il 22 Ottobre e in condizioni di salute fisica abbastanza buo- na. La riluttanza dell inferma mi ha impedito di praticare ulteriori esami del sangue.

Oss. XVa. A. D. Margherita, fu Angelo, da Francolino, d’anni 58. Am- messa il 7 Aprile 1899. Fu sempre di costituzione gracile. Era da qualche mese affetta da sintomi fisici di pellagra: eritema, diarrea ecc. Poi, quasi a un tratto, si manifestarono fenomeni psichici: allucinazioni, idee deliranti, sitofobia.

Esame obbiettivo. Donna piuttosto denutrita, di statura vantaggiosa: peso del corpo kg. 52. E pallida, debole, con residui di eritema alle mani; ha ca- pogiri, ha sonno breve e interrotto. Notasi un considerevole rallentamento ideativo, qualche disturbo nel contenuto celle idee non consolidato in delirio. Mangia spontaneamente.

8 Aprile : eau : Ale. 0. 313 20 Aprile. Les un ponaiale ma i leggerò miolictamenio Alc. 0. 326 30 Aprile. L’informa sta psichicamente bene: fisicamente è assai migliorata e cresciuta nel peso del corpo Alc. 0. 326 L’inferma rinfrancata sempre meglio nel suo stato fisico fu dimessa gua- rita il 21 Maggio.

Onn. XVis. P. F. Maria, fu Luigi, di Porotto, d’ anni 54. Ammessa il 21 Aprile 1899. Fu sempre di debole costituzione. Un anno fa ammalò di pellagra ma rapidamonte guarì. Due mesi avanti l'ammissione cominciò ad accusare insonnio, cefalea. I fenomeni sono a grado a grado aumentati, e l’in- ferma è piombata poi rapidamente in uno stato di grave abbattimento, con- fusione mentale, sitofobia, mutismo.

Esame obbiettivo. Donna di bassa statura, in condizioni di nutrizione poco soddisfacenti: peso del corpo kg. 35. Fritema alle mani: febbre alta, stato tetanoide generalizzato, contrazioni fibrillari nei muscoli del viso, tre- more degli arti nei movimenti volontari, iperestesia, riflessi tendinei esagerati, bocca arida, lingua ricoperta di densa patina. L’ inferma non rifiuta il cibo: feci fluide. Profonilo smarrimento, coscienza crepuscolare.

22 Aprile i ; ; i ; i Alc. 0. 284

e hes

26 Aprile. Le condizioni è sono sempre gravissime: la febbre

è cresciuta ni ; Ale. 0. 278 29 Aprile. L’ inferma è san grave e con ‘febbre alta :

nelle condizioni generali notasi un leggiero miglioramento: lo

stato tetanoide è mitigato assai, minori l iperestesia, tre-

more ecc. più desta la coscienza; il polso più valido J Als. 0. 276 L’inferma rapidamente è caduta di nuovo in grave stato e con febbre al-

tissima è morta il 3 Maggio. Osn. XVI., B. P. Maria, fu Antonio, di F ari d’anni 64. Am- messa il 25 Aprile 1899. Donna di discreta costituzione fisica nel periodo di salute normale. Nel cadere dell'inverno si manifestarono in lei alcuni sintomi della pellagra: eritemi, debolezza generale, denutrizione; fu perciò condotta all’Arcispedale in Ferrara. Qui dopo alcuni giorni presentò fenomeni di ecci- tamento e di confusione delle idee, agripnia, tendenza al suicidio: fu per ciò inviata al Manicomio. Esame obbiettivo. Donna di giusta statura, mediocremente denutrita: peso del corpo kg. 47. Eritema alle mani e al collo. Pirosi. Alvo alquanto stittico. Agripnia. Mediocre grado di eccitamento: leggero disordine nel corso delle idee. 26 Aprile : ; Alc. 0. 310 2 Maggio. Molto migliorati alohicameute: anche fisica-

mente i fenomeni hanno proceduto verso il meglio: è evi-

dente la tendenza della nutrizione generale a migliorarsi. Alc. 0. 320 15 Maggio. L'inferma psichicamente è guarita. La nutri-

zione generale ha molto avvantaggiato come si rileva dall’au-

mento del peso del corpo. La pelle delle mani e del collo ‘è

pigmentata ma non ha segni di eritema. +. + + Ale. 0. 320 21 Maggio. L’inferma è dimessa assolutamente guarita. s

Oss, XIX. C. R. Giuseppina, esposta, di S. Martino, d'anni 82. A mmes» sa il 30 Aprile 1899. Ebbe costituzione fisica robusta. Soffriva da circa 8 anni di pellagra. Improvvisamente - 15 giorni avanti l'ammissione - diventò eccitata, insolente, insonne.

Esame obbiettivo. Donna non denutrita, di mediocre statura: peso del corpo kg. 54. Eritema alle mani. Viso arrossato, lingua secca, labbra arida screpolate. Scosse fibrillari nei muscoli del viso; tremore degli arti nei mo- vimenti volontari, tremore di tutta la persona allor che la malata si prova di sollevare il tronco dal letto in cui giace supina. Riflessi tendinei esagerati. Sensibilità generale accresciuta. Alvo normale. Polidipsia. Non rifiuta cibo. Ha le mestruazioni. Febbre moderata. Profondo abbattimento e disorientamen- to psichico: sembra abbia S allucinazione visiva. Agripnia.

6 Maggio ; ; i ; Alc. 0. 249 10 Maggio. Condizioni gravissime: stato telaliino generaliz- zato. Febbre alta. Cessate le mestruazioni © . + Alce. 0. 284

11 Maggio. L’inferma muore.

ne

172

Ons. XX. M. B. Gaetana fu Luigi, di Vigarano Mainarda, d’ anni 50. Ammessa il 1 Maggio 1899. Fu di robusta costituzione. In Marzo comincia- rono i fenomeni fisici della pellagra. Poi a un tratto scoppiarono i disturbi psichici: confusione della mente, allucinazioni, sitofobia. Esame obbiettivo. Donna di statura vantaggiosa, non molto denutrita: peso del corpo Kg. 50. Ha eritema evidentissimo alle mani, digestione torpida, alvo stittico. Ha febbre. Fenomeni di grave abbattimento; allucinazioni vi- sive, sitofobia. Si nutre con la sonda. 4 Maggio . i Alc. 0. 256 10 Maggio. È condidesevolziente iniglicrata nello alato psi-

chico tanto che risponde abbastanza prontamente alle doman-

de e con sicurezza. La febbre ò scomparsa. L’ alimentazione

si svolge normalmente . Alc. 0. 336 25 Maggio. L’inferma fisicamente è nio a nici ‘eile sie:

se condizioni, non cosi psichicamente poiché 6 caduta in un

grave stato di Srl depressione. È in letto e non brama

alzarsi . ; 3 ; Alc. 0. 310 Comparvero joi disturbi intestinali siti lima di diarrea invincibile :

mezzo a un progressivo marasmo, l’inferma, esaurendosi lentamente, muore

il 29 Novembre.

Conclusioni N

Raccolgo in tabelle le mie osservazioni, raggruppando per età e per sesso gli infermi e ponendo per ciascun gruppo il grado d’ alcalescenza del sangue che si sarebbe dovuto in condizioni di salute normale ottenere e che desumo dalle ricerche praticate in individui sani col metodo da me adoperato (1): cosi 6 facile os- servare a colpo d’occhio il comportamento dell’ alcalinità del sangue nei differenti stati della intossicazione pellagrosa.

(1) Lambranzi. Alcune ricerche fisiologiche su 1’ alcalinità del san- gue (I. c.).

|

173

TAVOLA I.’ Uomini adulti - Grado alcalimetrico del sangue in condizioni fisiologiche: Limiti : 0. 336 - 0. 365 Media 0. 348

o N ES u gS © Q

T a Età SINTOMI Decorso FIS S 5 & OR © Che;

X 40 | 4 Maggio; depressione e confusione mentale: disturbi gastro-intestinali: forte emaciazione. | 0.304

10 Maggio: aggravamento dei fen. psich. depress. : diarrea infrenabile 0. 297

12 Luglio: morte in profondo marasmo.

VIII | 42 | 12 Aprile: fenomeni di depressione, melanconia, abulia: leggeri disturbi gastrici: notevole

denutrizione. 0.326 < 20 Aprile: idem 0. 326 10 Maggio: miglioramento generais: 0. 340 25 Maggio: > 0. 348 Guarigione.

IV 48 | 7 Aprile: tifo pellagroso grave; profonda denu- trizione generale; alimentazione artificiale. | 0. 260 17 Aprile: notevole miglioramento: alimentazione

spontanea. 0. 304 22 Aprile: assoluta convalescenza: l infermo si sente debole. 0. 336 30 Aprile: prosegue accentuato, progressivo il miglioramento generale. 0. 352 Guarigione. I 48 | 23 Marxo: stato di melanconia ansiosa con idee di rovina; nutrizione discreta; nessun di- sturbo gastro-intestinale. 0. 336 27 Marzo: idem 0. 336 12 Aprile: miglioramento notevole. 0. 339 28 Aprile: l’ infermo è guarito. 0. 348 Y 52 | 8 Aprile: fenomeni di eccitamento e di confu-

sione mentale: mediocre deperimento fisico. | 0. 336 20 Aprile: a pena mitigati i fenomeni di eccitam. | 0. 336 6 Maggio: miglioramento generale. 0. 336 16 Maggio : peggioramento con ritorno ai fenome- ni di eccitazione e di confusione mentale. | 0.334 31 Maggio: miglioramento rapido, intenso, gener. | 0. 350 - Guarigione. »

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4

TAVOLA Il. Uomini vecchi: - Grado alcalimetrico del sangue in condiz. fisiologiche: Limiti: 0.320 - 0.355 Media: 0. 3386

Età Sintomi Decorso

Grado alcalimetr. del sangue

Numero della Osservaz.

VII 55 | 8 Aprele: fenomeni di eccitamento: mediocre de-

perimento fisico: funzioni digerenti normali. | 0.320 18 Aprile: leggero miglioramento. 0. 322 24 Aprile: improvviso e considerevole peggiora-

mento psichico. 0. 313 10 Maggio: nuovo miglioramento. 0. 320 25 Maggio: l’infermo appare guarito. 0. 322

L’ infermo fu dimesso ma poco dopo peggiorò, fu ricondotto al Manicomio ed ora è un demente tranquillo.

I 57 | 2 Marzo: leggero grado di depressione melan- conica e di confusione mentale: notevole deperimento fisico: disturbi gastro-intestinali. | 0. 320 31 Marzo: idem | l 0. 325 15 Aprile: stato psichico invariato: miglioramento fisico. 0. 325 10 Maggio: fu dimesso e dopo 9 giorni riammes- so: fisicamente bene. 0. 322 L’ infermo, tuttora qui ricoverato, è demente, II 57 | 17 Marzo: psicosi depressiva: condizioni fisiche deficientissime; nessun disturbo del tubo digerente. 0. 315 6 Aprile: leggiero ‘miglioramento. 0, 320 30 Aprile: fisicamente guarito: psichicamente mi- I gliorato. 0. 342 10 Maggio: anche psichicamente sta bene. 0. 340 VI 62 | 8 Aprile: fenomenidi esaurimento in uomo gra- vemente denutrito, disturbi intestinali. 0.322 12 Aprile: leggera eccitazione motoria, ansia: ele- vamento febbrile della temperatura. 0.310

25 Aprile: Morte.

IX 63 | 25 Aprile: malato debole di mente e melanconi- co: deperimento fisico mediocre: disturbi gastro-intestinali. 0. 297 4 Magg: rapido e considerevole miglioramento fisico: quasi scomparso il tono psichico de- pressivo. 0. 352 Guarigione fisica ed anche psichica per quanto riguarda lo stato di depressione.

173

TAVOLA III. Donne adulte » Grado alcalimetrico del sangue in condiz. fisiologiche: Limiti; 0.320 - 0,348 Media: 0,335

© £43 g2¢% Es Eta Sintomi Decorso sE g Zz 53 © 3 XIX 32 | 6 Maggio: tifo pellagroso grave: l’ inferma ha mestruazioni. 0. 249 10 Maggio: stato ancora più grave: cessate le mestruazioni. 0. 284 11 Maggio: morte. | XIV 37 | 7 Aprile: fenomenidi confusione mentale: vago delirio di persecuzione: notevole denutrizio- ne: disturbi gastro-intestinali. 0. 320 19 Aprile: peggioramento psichico. 0. 313 29 Aprile: fisicamente e psichicamente meglio. 0. 326 10 Maggio: condizioni fisiche migliorate: della mente è sempre assai confusa. 0. 326 L’ inferma ha migliorato molto lentamente e fu dimessa guarita in Ottobre. XI 89 | 15 Marzo: mediocre grado di depressione psichica: denntrizione notevole: funzioni digerenti turbate. 0. 320 : 23 Marzo: insensibile miglioramento. 0. 322 29 Marxo: miglioramento accentuato generale. 0. 320 2 Aprile: V inferma è guarita. 0. 336 XII 42 | 29 Marzo: tifo pellagroso grave. 0. 278 31 Marzo: idem 0.281 3 Aprile: morte. 0. 272 XIII 48 6 Aprile: tifo pellagroso grave. 0. 288 9 Aprile: grave peggioramento. 0. 268 10 Aprile: morte. XX 50 4 Maggio: tifo pellagroso. 0. 256 10 Maggio: intenso miglioramento. 0. 336 25 Maggio: psichicamente peggiorata. 0. 310

Lento, progressivo peggioramento e morte in | | marasmo, | =

176

TAVOLA IV. Donne vecchie - Grado alcalimetrico del sangue in condiz. fisiologiche: Limiti: 0.316 - 0.326 Media: 0. 3216

; ; S aS si fo 2-3 È | Età Sivtom1 Decorso FEE Sid ods Z Ò © aa XVII 54 | 22 Aprile: tifo pellagroso grave. 0. 284 26 Aprile: idem 0. 278 29 Aprile: leggero miglioramento nelle condizio- ni generali. 0. 276 3 Maggio: morte. XVI 58 | 8 Aprile: leggero grado di depressione psichica e qualche idea delirante: discreta denutriz. | 0. 313 20 April: miglioramento generale. 0. 326 30 Aprile: guarigione. 0. 326 XV 60 | 9 Aprile: stato di eccitamento: notevole denu- trizione, disturbi intestinali. _| 0.310 14 Aprile: idem 0. 312 24 Aprile: cessata l’ eccitazione, permane un no- tevole grado di confusione mentale; condi- zioni fisiche migliorate, alvo normale. 0. 310 10 Maggio: leggero miglioramento. 0. 316 L’ inferma è guarita a poco a poco in 6 mesi. XVIII 64 | 26 Aprile: mediocre grado di eccitamento; note- | vole denutrizione; disturbi gastro-intestinali. | 0, 310 2 Maggio: miglioramento generale notevolissimo. | 0. 320 | 15 Maggio: guarigione. 0. 320

ita

I risultati delle mie ricerche si accordano sostanzialmente con quelli di Lui, quantunque ottenuti non con uguale metodo di studio. Lui, nei ventun casì esaminati, ha trovato che nelle forme ordinarie della pazzia pellagrosa l’ alcalescenza del sangue si pre» senta inferiore, se non di molto, alle medie normali; nelle forme in cui è manifesto un grave processo d’intossicazione essa si trova evidentemente ad un livello ancora più basso, in confronto alle prime; nelle forme avviate a guarigione, in cui segue il ri- pristino delle condizioni fisiche e mentali, ovvero in cui al ripri- stino delle condizioni fisiche segue un graduale passaggio a de- menza, |’ alcalinita ternde a portarsi verso il livello normale.

Io ho trovato che l’alcalescenza del sangue è sempre minore della media normale ed anzi nella maggioranza dei casi (13 su 20) è inferiore all’ ultimo limite considerato come normale ; nelle gra- vi intossicazioni il valore alcalimetrico raggiunge il più basso grado. La diminuzione del grado alcalimetrico non sembra colle- gata - o se mal in misura assai lieve - con alcune cause che possono abbassare il tasso alcalimetrico, come l’ attività motoria esagerata, i cattivi processi di digestione eċc.: ho difatti ve- duto infermi assolutamente apatici, eccitati, con o senza turbe gastro-intestinali, molto o poco deperiti nella nutrizione, presen- tare cifre di alcalinità a pena differenti.

L’ alcalinità cresce col miglioramento fisico e psichico del- l infermo (Oss. I, HI, V, VIII, IX, XI, XVI, XVIII): tal fatto si compie in maniera evidentissima nel tifo pellagroso che guari- sce (Oss. IV); decresce ancora più nei casi in cui avviene un peg- gioramento, anche transitorio (Oss. VII, XIV), e più sensibilmente in quelli nei quali l’ esito è letale (Oss. VI, X, XIII, XVII, XX). Potrebbe, a questo proposito, sembrare un’ eccezione 1’ Oss. XIX, nella quale malgrado l’ aggravarsi dei fenomeni si ebbe un ele- vamento del tasso alcalimetrico. Giova notare che, allorquando si determinò la prima cifra, la malata aveva le mestruazioni che di- minuiscono l’ alcalescenza del sangue (Silva, Lambranzi) (1); questo spiega l’ apparente contraddizione. Si deve però ritenere che la seconda cifra - ottenuta a mestruazioni cessate - rappre- senti l’ indice della diminuita alcalescenza per la grave intossica- zione pellagrosa.

(1) Silva. Contributo allo studio della fisiopat. della menstruazione. Po- liclinico. 1896. - Lambranzi. Alcune ricerche fisiologiche ece, l. e,

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Nei casi, in cui il limite basso dell’alcalescenza tende a per- manere tale, si ha o una lunga durata della malattia (Oss. XIV, XV), o la demenza (Oss. I, VII), Nei malati in cui il grado alca- limetrico è molto inferiore all’ ultimo limite normale, se non av- vera una sollecita tendenza all’ aumento, la prognosi si impone come infausta corroborando fedelmente quella dettata dal quadro sintomatico.

Così è lecito pensare che, in molti casi, la misura del grado alcalimetrico del sangue nei pellagrosi possa servire di aiuto nel formulare più sicuramente e più sollecitamente il giudizio pro- gnostico.

Dicembre 1 899

Note di tecnica manicomiale. del Dott. R. Tambroni

Il dott. Finzi ha pubblicato nei due ultimi numeri di que- sto Bollettino alcuni articoli di tecnica manicomiale che , per essere improntati all’ acume della sua intelligenza e ad un fresco spirito di modernità, possono dirsi veramente importanti e degni di tutta l’attenzione dei cultori della psichiatria pratica.

Ma gli articoli del nostro collaboratore presentano, a mio avviso, in qualche punto il fianco alla critica, ed io quindi voglio esprimere al riguardo la mia opinione.

E comincio dalle guardie notturne.

ll Finzi trova pieno di inconvenienti e riprova il sistema delle guardie notturne adottate ancora nella maggior parte dei manicomi ed organizzato in modo che in un dato comparto due persone si dividono la sorveglianza notturna, una dall’ andata a letto dei inalati fino alla mezzanotte, e l’ altra dalla mezzanotte fino all’ alzata; mentre non vede inconvenienti, e quindi la preferenza al sistema della guardia notturna intera per una perso- na addetta esclusivamente a tale guardia, sistema adottato la prima volta in Inghilterra e recentemente in Germania nei ma- nicomi di Francoforte e di Dresda e nella Clinica di Heidelberg.

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Uno degli inconvenienti, a cui secondo il Finzi il primo si- stema darebbe luogo, consisterebbe nel fatto che il servizio che la persona compie nel giorno che segue ad una guardia nottur- na, specie quella della seconda metà della notte, non può essere quel servizio preciso, richiedente una tensione d’ animo costante, com’ è quello di un infermiere di manicomio; come pure una persona che si è alzata a mezzanotte, che cioè dopo 12, 14 ore di lavoro non ne ha dormito che 4, non è in grado di prestare con sufficiente energia, prontezza e nello stesso tempo con la do- vuta calma e serenità il servizio richiesto per altre 18 o 20 ore.

Ora, quando si consideri che questo turno di soprafatica del- la seconda guardia cade una volta ogni sei notti dopo una di completo riposo (di 8 o 10 ore) e dopo 5 ore (e non 4) immedia- te di sonno, si comprende come il servizio di guardia dalla mez- zanotte a giorno (che naturalmente è quello che interessa mag- giormente) possa esser fatto bene e con precisione.

Il servizio prestato nella giornata dalla guardia della secon- da metà della notte sarà senza dubbio un fiacco, ma se si ri- flette che questo servizio è eminentemente svariato (pulizia, as- sistenza ai pasti ecc.) e che due soli infermieri su 20 si trove- ranno in tali condizioni (e potranno ddl resto essere adibiti a servizi di minore responsabilità, sempre in compagnia di altri e sotto la vigilanza continua dei sorveglianti tutti ), è facile il com- prendere come il servizio generale diurno non debba risentirsene quasi affatto.

Il sistema della guardia notturna unica intera mi sembra in- vece piena di inconvenienti e di pericoli. Lasciando da parte in- fatti che il costringere un infermiere a cambiare totalmente il genere di vita e fargli fare di tutte le notti giorno, se non è inu- mano è senza dubbio antigienico, come si può pretendere che una persona (e vecchia per giunta) possa prestare da sola esattamen- te e proficuamente per 9 o 10 ore continuate un servizio tan- ta responsabilità e che implica l’ obbligo di girare continuamen- te per i diversi dormitorî di un comparto ? Potrà la guardia tro- var sempre modo di fare il pasto o i pasti, pur necessari, duran- te questo periodo, nel quale molto di frequente l’ assistenza di alienati somaticamente infermi, la pulizia di sudicî, l’ ordinamen- to di rumorosi e indisciplinati assorbono tutta la sua attività e |

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le lasciano appena il tempo di fare, secondo le prescrizioni, il giro dei diversi dormitori? E, dato anche che trovasse modo e tempo di Farlo, come potrebbe essere chiamata in campo la sua responsabilità per un qualche accidente avvenuto nei compartimen- ti durante il pasto, che dal Regolamento gli verrebbe permesso ?

E poi, chi può garantire sempre davvero che la guardia not- turna, che esce dallo stabilimento, invece di dormire e riposare, non si strapazzi maggiormente e vada a divertirsi, massime in quei giorni, oggi tanto frequenti, in cui I ambiente offre feste d’ognì genere ?

Un altro inconveniente del sistema usuale delle guardie not- turne sarebbe, secondo il Finzi, quello per cui ad un servizio difficile, di grande responsabilità, vengono adibiti anche gl’ infer- mieri nuovi (e quindi i meno sicuri e ì più imbarazzati), mentre suole esimersene gl’ infermieri anziani, che sono i migliori e i più adatti per questo genere di servizio.

Anzi tutto debbo fare osservare che dalle guardie notturne sogliono dispensare non già gl’ infermieri anziani, ma i vecchi, quelli cioè che hanno 20 e più anni di servizio e che per ac- ciacchi o per infiacchimento senile mostrano di non poter piu sopportare il servizio notturno. Inoltre nei manicomi bene ordì- nati gl’ infermieri nuovi, per il primo mese almeno, fanno sem- pre la guardia in compagnia di un altro infermiere anziano, e soltanto dopo avere avuto la prova della sua capacità e serietà viene adibito da solo a questo servizio, con destirazione graduale dai comparti più semplici (tranquilli, infermerie ecc.) ai più dif- ficili e importanti (semiagitati e agitati).

Ma ha di più: la Direzione medica, nello stabilire i turnì delle guardie, prende gli accordi con i sorveglianti e dispone che nello stesso turno, in cui si trova |’ infermiere nuovo e meno esper- to, sia compreso per la guardia di altro comparto uno degli in- fermieri più anziani e provetti, di modo che, se per avventura il primo si trovi, di fronte ad un caso nuovo, timoroso e imbaraz- zato, possa chiamare, per telefono, per mezzo di campanello elet- trico o semplicemente a voce, il compagno della sezione più vi- cina e ricorrere al suo aiuto e consiglio (1).

(1) Giova qui ricordare che nel nostro manicomio, nei casi che escono per un fuori dell’ ordinario, anche gl’ infermieri anziani hanno severamen-

te obbligo di svegliare il capo-sorvegliante o chi ne fa le veci e chiedere a lui le necessarie istruzioni,

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Il terzo inconveniente, rilevato per la guardia notturna doppia divisa, consisterebbe nel fatto che spesso, essendo nella notte suc- cesso un incidente qualunque, nessuna delle due guardie sa nul- la, e quindi non può conoscersi come e quando successe l’ inci- dente, e non può addebitarsene ad alcuno la responsabilità.

Lasciando da parte che questo inconveniente può verificarsi anche per il caso della guardia unica intera rispetto al tempo che precede il suc servizio, devesi anche qui. notare che in quei manicomi, in cui regna una tecnica severa e oculata, si fa stret- to obbligo alla seconda guardia di constatare con una visita at- tenta e minuta se, al momento che riceve la consegna dalla pri- ma guardia, tutto sia in perfetto ordine, sotto pena di essere ri; tenuto responsabile di ogni irregolarità riscontrata la mattina dal- l’ ispettore o sorvegliante-capo.

Un ulteriore inconveniente dell’ usuale sistema delle guardie notturne consisterebbe nel fatto che le guardie, provenendo dai più diversi e lontani padiglioni, dove hanno servizio più abituale, non conoscono i malati.

Il Finzi stesso, appena accennato a questo inconvenien- te, riconosce subito che esso è ineno manifesto nei manicomì pic- coli; io pui soggiungo altrettanto subito che in questi non esiste affatto, giacchè, salvo casi eccezionali, tutti i malati sono cono- sciuti dagli infermieri. Se non è la visione diretta, basta la cro- nata minuta e tumultuosa che, come in tutte le comunità, anche nei manicomi si stabilisce intorno a tutti gl’individui che vi en- trano e vivono, per non fare ignorare ad un infermiere le notizie più importanti che riferiscono ai malati. Senza considerare poi che i sorveglianti e l’ ispettore in modo speciale hanno obbligo di informare ed istruire l’ infermiere di guardia, prima che assu- ma la sua funzione, sui possibili avvenimenti della notte a riguar- do dei malati che hanno bisogno di speciale sorveglianza e sui provvedimenti relativi.

Nei manicomi grandi basterà far fare la guardia da quegli infermieri che prestano servizio diurno nella stessa sezione 0 com- parto, e tutto si ripeterà come per i manicomi piccoli.

Ma non sembra al contrario al Finzi che riesca invece assai più difficile il conoscere i malati a quegli infermieri della guardia unica intera, i quali, dormendo o vivendo fuori dell’ Isti-

tuto durante il giorno e rimanendo quindi totalmente estranei alla cronaca di esso e non vedendo mai 1 malati, non potranno mai giungere a farsi un concetto esatto delle loro qualità e del- le loro tendenze, tanto da orientarsi subito (sia rispetto al mala- to, sia rispetto all'importanza del fatto) quando durante la notte in un dormitorio nasca un qualche disordine ?

Ma v’ ha di più.

Nel discutere sulla convenienza e sul valore di un sistema a preferenza di un altro, non puo assolutamente farsi astrazione da questioni speciali (come ad es. le economiche) quando queste so- no intimamente collegate col problema in discussione. La tecnica riguarda principalmente la pratica, e questa ha le sue esigenze.

E così che, essendosi, per cousenso quasi generale dei nostri alienisti, stabilita una proporzivue di infermieri sopra un dato numero di malati (1 su 10, 1 su 12), proporzione alla quale, secon- do il Progetto di legge che sarà portato alla Camera, vorreb- bero uniformate le Amministrazioni, i problemi di tecnica mani- comiale, che si collegano col numero degli infermieri, debbono essere discussi, tenendo ferma quella proporzione, altrimenti lat- tuazione del sistema stabilito come il migliore diventa impossi- | bile, e è subito fuori della pratica, nel campo cioè dell’ idea- le e del desiderabile,

Ora il sistema della guardia unica intera renuerebbe neces. saria per un manicomio una proporzione di infermieri superiore a quella richiesta dal sistema della guardia doppia divisa, che corrisponde alla proporzione fissata dalla Legge; donde scatu- risce (a nostro avviso) che anche sotto questo punto di vista il si- Stema usuale deile guardie notturne è preferibile a. quello pro- puguato dal Finzi.

Anche nella questione - La giornata di lavoro per gl° infer- mieri diìi manicomio - trattatà dal Finzi, s'impone seriamente la proporzione dei medesimi rispetto al numero dei malati.

Chi di noi alienisti non desidererebbe di potere nel proprio manicomio adottare il sistema di servizio da lui progettato, per il quale ad ogni infermiere sarebbe accordato un tempo di liber- doppio di quello che può avere oggi col sistema quasi univer- salmente adottato e sarebbero forniti anche i mezzi di provvede- re in qualche modo alla propria cultura ?

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Ma quando si pensi che quel sistema implica la necessità di raddoppiare la proporzione degli infermieri, il che significa rad- doppiare la spesa per il basso servizio sanitario, come può spe- rarsi di potere nel momento attuale ottenere ciò dalle Ammini- strazioni che si dibattono nelle strettezze dei loro bilanci ?

Tale questione ricade nell’ altra generale della retribuzione’ del lavoro, e diventa perciò una questione sociale che riguarda non solo gl’ infermieri di manicomio ma sibbene anche i ferrovie- ri, gli operai delle miniere e quasi tutti i lavoratori.

Anche i medici di manicomio del resto, rispetto agli altri medici, debbono compiere un lavoro di maggiore durata e ne ri- cevono in generale, per non dire da per tutto, una minore retri- buzione.

Non è vero ciò che dice il Finzi, vale a dire che il medico di manicomio, compiuto il proprio ufficio, abbia ancora a sua di- sposizione ogni giorno, in media, 15-20 ore da dedicare al riposo, alle: cure della propria salute fisica, della propria cultura, della propria famiglia e dei propri interessi. Ci saranno dei manicomî, in cui i medici godranvo di tanta libertà, ma nei manicomî bene organizzati, in cui i sanitarì visitano più volte al giorno i loro malati, li studiano, li curano e ne registrano attentamente tutte le loro manifestazioni, ben poco tempo rimane loro da dedicare a stessi e al proprio interesse.

Basti ricordare che in Italia si hanno ancora parecchi mani- comi di 400 malati, in ciascuno dei quali il Direttore non ha che un solo medico che lo coadiuvi. In questi casi il solo servizio di guardia limita enormemente la libertà del medico, il quale quin- di a questo riguardo trovasi in uno stato di inferiorità anche rispetto all’infermiere, non compensato certamente neppure da una decorosa retribuzione.

Due parole da ultimo sulla opinione del Finzi, per la quale egli non vorrebbe escluse dai manicomi le donne maritate.

Come è noto, è questione oggi giorno assai dibattuta quella generale di estendere |’ occupazione della donna a tutti i servizi e a tutte le professioni esercitate dall’ uomo. E a tale riguardo le diverse opinioni hanno ragioni pro e contra, tanto da fare an- cora rimanere insoluto il problema.

Sulla esclusione delle donne maritate dal manicomio però mi pare che non possa rimanere dubbiosi.

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Come può facilmente comprendersi, al servizio del manico- mio non possono essere ammesse ragazze molto giovani donne adulte oltre 1 40 anni : le prime, perchè, non complete nella loro personalità, corrono facilmente il pericolo di ammalare, in un ambiente che può tanto influenzare il sistema nervoso, e non riescono mai a compiere un servizio serio e proficuo (1); le se- conde perchè, troppo vicine all’ età della decadenza, non potreb- bero prestare che per poco tempo un servizio utile,

Ne segue quindi che le donne adatte per il servizio dei manicomi sono le donne comprese fra i 20 e i 40 anni, vale a dire quelle che trovansi nel periodo della loro massima potenza riproduttiva.

Ora, se queste donne fossero maritate, salvo i rari casi di sterilità, si troverebbero tanto di frequente o allo stato di gravi- danza o nel periodo di allattamento, da non poter dedicare al servizio dell’ Istituto che pochissimo del loro tempo libero da questi stati, con quali incouvenienti per l’ andamento del servizio e con quali seccature per chi è preposto a regolare quest’ ultimo è facile immaginare.

Replica

1. I medici e gl'infermieri di quei manicomi e cliniche, dove è stato adottato il sistema delle guardie notturne uniche, sono unanimi nel preferirlo al sistema vecchio delle guardie doppie.

(1) Quando mi trovai le prime volte dinnanzi al problema della scelta fra le concorrenti al posto di infermiera, mi parve più opportuno dare la preferenza alle ragazze molto giovani (intorno ai 17 anni) nel concetto che queste, non traviate da cattive abitudini e, per la loro età, più atte ad ap- prendere con esattezza gl’insegnamenti loro impartiti, dovessero riuscire infermiere migliori. Ben presto però dovetti ricredermi. Le giovani somati- camente anche molto sviluppate (come è frequente osservare a Ferrara), al- l'età di 17 anni hanno ancora la loro personalità molto incompletamente sviluppata ed una tendenza manifesta al contegno infantile. Per conseguenza non riescono a formarsi un concetto sufficiente della importanza della loro missione e sono affatto incapaci di acquistare un di prestigio sulle mala- te, a contatto delle quali naturalmente le loro tendenze puerili trovano ter- reno fertile per il loro sviluppo.

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Soltanto da una esperienza antica fatta in determinate condizioni non si può logicamente dedurre un giudizio sopra una esperienza nuova fatta in condizioni diverse. Dopo avere fatto questa espe- rienza nuova si potranno confrontare i due ordini di risultati.

2. Il grado di ricchezza di un dato gruppo umano, poniamo di un istituto manicomiale, non basta a spiegare e tanto meno a giustificare tutti i fenomeni della vita di quel dato gruppo; può bastare forse il modo di distribuzione e amministrazione di quella ricchezza: esempio da me citato, la clinica di Heidelberg. Ora, in un manicomio, chi in prima linea sente e ha coscienza dei nuovi bisogni, delle nuove tendenze sorgenti da nuove condizioni di vi- ta è indiscutibilmente l'elemento medico. Siamo noi che abbiamo anche il dovere di influire pel miglioramento della distribuzione amministrativa e grado della ricchezza nell'istituto di cui faccia- ino parte. Questo non porta un necessario e perenne contrasto di aspirazioni e di interessi fra elemento medico e elemento ammi- nistrativo, ma fa sì, che, pur cedendo dove e quando può ce- dere a certe esigenze economiche, noi, per amore di una pace che è quietismo, non dobbiamo mai abdicare alla nostra funzione specifica, umanitaria, di medici; noi dobbiamo fin che è possibile tener conto in prima linea dei bisogni degli amministrati, e do- mandare cento per ottenere dieci.

Un medico-amministratore è un ideale, per ora forse irrealiz- zabile: in lui prevarrà nella pratica o l’uno o l’altro dei due.

3. Quando un medico di manicomio, nelle due, e, se non sono molti, magari tre visite, che egli fa al suoi malati, e in tutte le altre necessità tecniche, mediche, disciplinari inerenti diretta- mente al suo impiego, egli occupa in media sel ore e mezzo al giorno, è già abbastanza. Il servizio di guardia non paralizza punto la sua attività, giacchè, senza uscire dall’ambito del mani- comio, egli può studiare, lavorare, riposare, ecc. Il manicomio non è una caserma, una prigione, un ospedale comune, dove i malati hanno molto più spesso bisogno del medico che ì ricove- rati in un manicomio.

4. Delle infermiere maritate avrò occasione di occuparmi par- ticolarmente in un prossimo articolo.

Firenze 22 Febbraio 1900 Jacopo Finzi

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Dal Congresso (`)

(Napoli, Ottobre 1899)..... la scuola di Lombroso non era rappresentata, e altre scuole in ltalia non ci sono. Questo fatto, la mancanza di scuole, a prima vista strano, è molto generale fra noi, e sembra un etfetto dello spirito nostro indisciplinato e scettico.

Genova, Reggio-Emilia, Firenze, Napoli sono diverse solo in quanto stanno iu regioni diverse, non perchè indirizzi e fini, me- todi e vedute originali allontanino una clinica psichiatrica dal- l? altra. Anche le eventuali rivalità non dipendono da dissidio di convinzioni scientifiche, ma, o rappresentano una manifestazione di puro e semplice regionalismo, o sono prodotti assolutamente individuali e sono l’ espressione di lavoro solitario e indipenden- te. Infatti non mancano, auche in psichiatria, le scuole perchè manchino individualità capaci di seguar nuove vie e degue di ac- cogliere intorno a degli allievi: tutt altro. Ma queste persona- lità scientifiche, e al nostro congresso ne abbiamo avuto 1’ esem- pio e la prova, traggon seco troppo spiccati ì caratteri e sopra- tutto i difetti dell’ ingegno italiano per sviluppare quella forza di attrazione e di coesione che occorrono per una scuola. Sembrano individualità destinate a rimaner sole: esse hanno comuni con P ambiente solo caratteri negativi: insofferenza della rigida disci- plina dei fatti; impazienza nelle costruzioni soggettive; capacità grande nell’ afferrare larghi e lontani rapporti; impotenza nella fine critica analitica deli fenomeni obbiettivi; molta genialità ma poca praticità nelle vedute; amore alla frase, anche non vera, pur- chè bella; sfiducia nelle proprie c nelle altrui creazioni...

Che differenza con gli ordinarî congressi tedeschi! è un piccolo contributo di tatti nuovi esposto al giudizio dei colleghi ciò che costituisce tutto il congresso, frammento sospeso di una lunga catena, il cui interesse è dato unicamente da quel piccolo contributo di fatti. ll nostro congresso era qualche cosa di mol- to solenne, almeno nelle apparenze, aveva un principio e una fine, era qualche cosa di relativamente indipendente. Il motivo domi- nante era il tributo che le scienze affini hanno portato alla psi- chiatria. Si trattava di una resa di conti.

(*) Il X congresso della Società freniatrica italiana, tenuto in Napoli dal 10 al 14 Ottobre 1899.

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Ma i temi erano troppo generali, troppo vasti e complessi (°) per permettere una trattazione sufficiente, per condurre a risul- tati pratici, troppo vasti anche solo per una sintesi obbiettiva degli studî compiuti sull’ argomento: opportuni soltanto per met- tere in rilievo qualche veduta individuale. E l’ ambiente, e per la generale impreparazione ai temi psicologico (I) e sociologico (IV), e non ostante ottime relazioni sugli ultimi portati dell’ istologia (Il) e della chimica fisiologica e batteriologia (III), non è rimasto sod- disfatto della resa di conti. Il trovato non corrispondeva al cal- colato. Le soluzioni aspettate non sono venute o non hanno con- vinto, i sospettati rapporti non si sono dimostrati. Che importa se l’aspettazione era esagerata e i sospetti non giustificati? Lo spi- rito latino si entusiasma e si scoraggia con la medesima facilità, e ha bisogno di mutare spesso obbietto alla sua attenzione, per- chė ogni impressione appercepita lo contenta e lo esaurisce con le concezioni imaginose, spesso geniali, che rapidamente egli ne sa cavare.

Dunque se la clinica ha bisogno delle scienze sperimentali, dalle discussioni è sembrato risultare che almeno altrettanto bi- sogno hanno le scienze sperimentali della clinica: e un interessa- mento vivo e in apparenza nuovo si è destato nell’ ambiente, in occasione di alcune comunicazioni, a problemi pratici e clinici di psichiatria. E tanto era nella coscienza comune questo fatto, che non solo non recò sorpresa, ma parve ad ognuno una interpreta- zione del proprio desiderio la scelta dei temi (°°) da discutersi al prossimo congresso. Nel 1901, ad Ancona, clinica psichiatrica è tecnica manicomiale su tutta la linea!

Sarà, si capisce, nuovo alimento al nostro scetticismo... Sir ira J. FINZI

(*) I. Metodi pratici per le ricerche psicologiche individuali da adottar- si nelle cliniche e nei manicomî. II. Quali contributi diano e promettano di darè alla psicologia ‘normale e patologica i nuovi dati dell’ anatomia. III. Le intossicazioni e le infezioni nella patogenesi delle malattie mentali e delle neuropatie, anche nei riguardi terapeutici. IV. Come la psichiatria debba elevarsi allo studio dei rapporti fra individuo e società.

(**) I. Provvedimenti contro l’ affollamento dei manicomî. II. Classifica- zione delle psicopatie. III. Genesi e nosografia della paralisi progressiva. IV. D’ indirizzo pratico che la psichiatria può dare alla pedagogia. V. Sulla educazione dei deficienti e dei dementi. VI. I progressi della psichiatria e della neuropatologia in rapporto alla tecnica manicomiale.

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Società di Patronato peri pazzi poveri dimessi dal Manicomio. Somma precedente . : . L. 1353. 44

Introito bagni » 282. Offerta N. N. » 10 Interessi 1899 ; » 48. 12 Supplemento introito bagni » 9. Offerta N. N. » 20.

Totale . L. 1722. 56

Epilogo del movimento dei malati nell’anno 1899

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Media giornaliera dei malati nel 1899 . N. 420 Proporzione degli usciti sugli ammessi 62. 83 °/, » dei morti sul totale . . , 12. 38 °/,

Movimento dei malati nela mese sadi Ottobre 1899

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Movimento dei malati nel mese di Novembre 1899

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Morimento dei malati nët mese di Dicembre 1899

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Direttore -- R. TAMBRONI.

Redattori CarPELLETTI - Finzi - LAMBRANZI - VEDRANI,

Annata XXVII

BOLLETTINO

DEL

Manicomio Provinciale di Ferrara

FERRARA Tipogratia dell’Eridano 1899

Digtized ty GOOgte 7

INDICE DELL' ANNATA XXVII

ANNANN IA EINNA ANA Ane

Vedrani. Le associazioni nelle psicosi acute da esaurimen- to. pag. 3.

Tambroni e Lambranzi. Una anomalia del muscolo pel- licciaio. pag. 11.

Cappelletti. Dignità scientifica dell’ Antropologia Crimi- nale. ‘pag. 16.

Angiolella e Vedrani. A proposito di una recente clas- sificazione delle malattie mentali. pag. 34.

Finzi. Una visita al Manicomio di Alt-Scherbitz. pag. 45.

Id. Le guardie notturne. pag. 58.

Tambroni. Un caso di isterismo criminale. pag. 69.

Finzi. Mania, melancolia e psicosi maniaco-depressiva. pag. 87,

Vedrani, La melancolia psicosi involuzione. pag. 91.

Finzi. Discipline manicomiali. pag. 100.

Id. Le giornate di lavoro per gli infermieri del Manico-

mio. —- pag. 109.

Lambranzi. La trasformazione del sonno in narcosi. pag. 117.

Vedrani. Per la diagnosi e la prognosi delle db men- tali. I. pag. 140.

Tambroni e Lambranzi. Intorno ad una varietà di mixedema frusto. pag. 153.

Cappelletti. Il grado di alcalinità del sangue nei pella- grosi. —- pag. 161.

Tambroni. Note di tecnica manicomiale. pag. 178.

Finzi. Replica all’ articolo precedente del dott. Tam bro- ni. pag. 184.

Id, Al Congresso Freniatrico di Napou 1899, pag. 186.

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Anno XXVIII Fasc. I

BOLLETTINO

DEL

MANICOMIO PROVINCIALE DI FERRARA

FERRARA Tipografia dell’ Eridano 1900

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Considerazioni sopra un caso di psicosi consecutiva a trauma al capo del Dott. Alberto Vedrani

Gu se per quel che riguarda le mire scientifiche anche più vicine è necessaria al psichiatra mol- ta rassegnazione, a lui però è aperto il campo a un lavoro che non manca d’ interesse e pel quale, a tutta prima almeno, non abbisognano gran mezzi di ricerca; e consiste nel raccoglie-

“re spregiudicatamente e nel seguire infaticabil- mente i singoli casi di psicopatie.

Kraepelin - Die Richtungen

der psychiatrischen Forschung p. 19 Leipzig 1887.

Da un pezzo la clinica psichiatrica ha riconosciuto nel trau- ma del capo un pericoloso provocatore di malattie mentali.

È inutile avvertire che qui, più che mai, la clinica rinuncia a interpretare i fenomeni che essa constata.

Per tutta spiegazione delle imponenti sindromi psicopatiche che si vedono seguire a una percossa sul cranio, œ è (non va- lendo dire delle lesioni grossolane che riguardano più la neuro- logia che la psicopatologia) la notizia generica di alterazioni de- vli elementi cellulari e dei piccoli vasi della corteccia.

Il Kraepelin nell’ ultima edizione della sua Psichiatria (1) vi accenna con un breve periodo: « A fondamento di questi distur- bi mentali (consecutivi a trauma del capo) stanno senza dubbio delle gravi alterazioni nelle cellule corticali, quali Nissl ha potuto sperimentalmente provocare nei conigli con percosse ripetute sul cranio ». Sulle alterazioni vasali riferi il Köppen (2) al congres- so di Hannover nel 1897. Egli confermava con osservazioni pro- prie le ricerche di Kronthal, Sperling e Friedmann che parlano per un’ alterazione dei piccoli vasi. K6ppen nel cervel- lo di un individuo, che tre anni prima aveva patito un trauma al

(1) Psychiatrie VI Aufl. Bd I pag. 20. (2) Allg. Zeitschr. f. Psych. Bd LIV pag. 90%.

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capo, ha visto alterazioni dei vasi di tutta la corteccia cerebrale, ma con grande prevalenza alla base del lobo frontale e nel lobo temporo-sfenoidale (ispessimento della parete, allargamento del lume). Al contrario molto lievi le alterazioni delle cellule e delle fibre. Un secondo caso, dodici giorni dopo il trauma, mostrava delle emorragie fresche con infiammazioni reattive nelle sedi pre- ferite dall’ offesa traumatica, e, oltre a questo, il sistema vasale della corteccia nei primi stadì delle alterazioni descritte pel primo caso: nel grado più manifesto nelle parti basali. Entrambe le os- servazioni dimostrano (?) che un trauma può interessare il siste- ma vasale di tutto il cervello. In quattro altri casi le alterazioni vasali, se non potevano assolutamente disconoscere, erano molto più lievi. In due si trovò atrofia dello strato esterno della cortec- cia. Le alterazioni nei casi osservati non raggiunsero mai, spe- cialmente nelle fibre tangenziali e nelle cellule, il grado della de- menza paralitica.

Kòppen aveva ragione d’invocare nuove osservazioni, per- chè dopo ciò noi ci sentiamo ben poco illuminati sulla natura di questi processi, e restiamo completamente all’oscuro sull’ origine dei fenomeni clinici, della loro qualità e della loro successione.

La questione dei disordini psichici che seguono a trauma del capo ha già una ricca letteratura ed è trattata in monografie, alcune delle quali come quella di Krafft-Ebing (3), Hart- mann (4), Guder(5) e Frigerio (6), sono preziose raccolte di osservazioni e di considerazioni. Già istruttivo è il lavoro di Schlager(7) che porta la data del 1857. Sopra 500 ammalati di mente, quest’ autore trovò 49 casì di psicosi puramente traumati- che. La maggior parte degli ammalati era fra i trenta e i qua- ranta anni di età. Le conseguenze immediate del trauma si mo- strarono 21 volte in forma di completa perdita della coscienza, 12 volte con cefalea: la psicosi segui in 19 casi dentro il primo

(3) Ueber die durch Gehirnerschütterung hervorgerufenen psychischen Krankheiten. 1868.

(4) Archiw für Psychiatrie BA. XV 18S4, p. 99.

(5) Dio Geistesstörungen nach Kopfverletzungen - Iena, 1886.

(6) L’ Anomalo - 1892.

(7) cit. da Hartmann.

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anno, in dieci dentro due anni, in 9 dentro tre anni, in 6 dentro cinque anni e in 5 di dal quinto anno dalla data del trauma: i sintomi erano da principio aumentata eccitabilità sopratutto emotiva, violente vertigini, cresciuta sensibilità per I’ alcool e nello stesso tempo sintomi di turbata innervazione specialmente della vista e dell’ udito. Poi sopravveniva l’ alterazione della per- sonalità: gli ammalati diventavano straordinariamente irritabili e intrattabili con tendenza al vagabondaggio. L’esito fu 26 volte miglioramento (con 17 recidive), 7 volte demenza con paralisi, 10 volte la morte (fino al 1888). Schlager dava le seguenti con- clusioni: Commozioni cerebrali con lesione di ossa craniche e consecutiva perdita di coscienza o confusione rendono molto ve- rosimile lo svolgersi ulteriore di una psicosi. Questa verosimiglian- za è tanto più grande, quanto più innanzi negli anni è l’ indivi- duo; e nei primi tre anni dopo il trauma è relativamente molto grande. La località del trauma è senza influenza sulla forma e sull’ insorgere della psicosi. La quale è caratterizzata da progno- si sfavorevole.

Krafft-Ebing è tornato sull'argomento dieci anni dopo. Egli, studiando il tempo e il modo d'’ insorgere della psicosi consecu- tivamente al trauma, tentò di stringere in gruppi i casi affini. Così distingueva tre gruppi: primo, casi che hanno origine in seguito a trauma al capo in modo immediato ed acuto; secondo, casi che si sviluppano cronicamente dopo uno stadio di prodro- mi; terzo, casì nei quali il trauma stabilisce una predisposizione, la quale cause occasionali sviluppano poi dopo un intervallo di latenza. ll risultato dell’opera di Krattt-Ebiug è che la pazzia traumatica non costituisce una specie nosologica; che però le psicosi che seguono a trauma del capo presentano certe unifor- nità di particolari dal cui insieme si può con verosimiglianza risalire alla causa: e sono una straordinaria irritabilità, una di- minuita resistenza di fronte all’alcool, paralisi motorie e dei nervi

(8) Parlando qui di psicosi traumatiche, intendo sempre indicare le psicosi consecutive a trauma del capo. La neurosi traumatica tanto illustrata da Oppenheim é altra cosa, e Kraepelin la designa col nome di neurosi da spavento (Schreckneurose). Naturalmente si danno casi nei quali i due gruppi di fenomeni si sommano e si confondono.

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di senso, tendenze a iperemie cerebrali, accessi apoplettiformi o epilettiformi, particolarità di decorso. Questa è la sindrome che Kahlbaum indicava col nome di Cefalosia e l’ aveva vista se- guire appunto a traumi del capo e anche a malattie cerebrali (infiammazioni, tumori ecc.).

I lavori di Hartmann e di Guder, che raccolgono in modo esauriente la letteratura dell’argomento, in sostanza non modifica- no le conclusioni di Krafft-Ebing. Le ultime parole che io co- nosco scritte sulla questione sono le seguenti di Kraepelin: « Le psicosi cagionate da gravi traumi al capo costituiscono un gruppo speciale, molto importante. Anche quando non si ha a fare con malattie circoscritte della corteccia cerebrale, pare che violenti commozioni del capo abbiano la potenza di provocare al- terazioni permanenti e profonde nelle cellule cerebrali, sulla cui essenza nol siamo ancora del tutto all’oscuro. La conseguenza im- mediata di un grave commozione cerebrale suol essere la perdita della coscienza che dura più o meuo a lungo, a cui segue tal- volta per settimane della confusione.

Il pensiero si fa tardo negli ammalati, che non possono più orientarsi nel tempo e nel luogo, non capiscono la loro posizione, non hanno di solito nessun ricordo o ne hanno degli oscuri del- l’ accidente, e in momenti diversi lo raccontano del tutto diver- samente. Essi comprendono difficilmente, perdono facilmente il nesso, non possono ricordarsi bene, favoleggiano. Essi sono irri- tabili, bisbetici, più spesso piaguucolosi, parlano molto, non hanno nessun chiaro comprendimento della loro malattia, si sentono del tutto sani e non capiscono ciò che da loro si vuole.

In un mio ammalato pochi giorni «dopo una violenta percos- sa sul cranio si sviluppò uno stordimento che durò un mese. In questo stato, dal quale si riebbe improvvisamente con ricordi mol- to oscuri, era dal medico tenuto per demente.

In altri casi le conseguenze immediate della percossa si per- dono molto rapidamente.

Prima o poi si stabilisce un’ accentuata alterazione di tutto lo stato psichico. L’ aminalato si affatica facilmente, diviene sme- morato, distratto, si lamenta di vertigine, di stordimento, di ru- mori negli orecchi, di peso al capo. Diventa irritabile, violento, angosciato, depresso, mostra per lo più una forte coscienza della malattia. Si aggiungono molto frequentemente degli accessi epi»

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lettici isolati, tanto cwunpi come deliqui, più raramente stati cre- puscolari; anzi la commozione cerebrale può dare la forma sem- plice dell’ epilessia. In un caso osservato da me il primo ed uni- co accesso di crampo si stabili tre settimane dopo un trauma decorso senza perdita di coscienza, mentre l’ alterazione psichica scoppiò più manifesta dopo 5 auni. Questi lunghi spazi interval- lari sembrano veramente non insoliti. Nell’ ulteriore decorso lo stato morboso suole alterarsi solo lentamente ed in piccola misu- ra. Si può però sviluppare una accentuata debolezza mentale. L’ intelligenza non cresce più, diceva il padre di un giovane il quale era caduto da un quarto piano alcuni annì prima, aveva riportata una frattura della base con atrofia del nervo ottico e glicosuria, ed era diventato infantile, irritabile e smemorato, pure inantenendo completa lucidità.

Quasi sempre si trovano dopo gravi commozioni cerebrali dei sintomi nervosi isolati i quali dimostrano una malattia cerebrale cronica. Nel primo tempo io osservai rigidità pupillare instabile; inoltre sono frequenti: la ineguale innervazione di una metà della faccia, tremore della lingua, della musculatura della bocca, deviazione della lingua e speciulmente forte esagerazione del ri- flesso del ginocchio. Per lo più c’ è una speciale sensibilità per l’ alcool (1). »

Altrove (2) Kraepelin indica come « diminuita capacità di resistenza psichica » la sindrome che Kahlbaum designò come Cefalosia e che costituisce, secondo molti osservatori, ciò che la psicosi traumatiche hanno di clinicamente specifico. « Questo di- sturbo, egli dice, sembra che si sviluppi in conseguenza di gravi percosse sulla testa, talvoltà dopo un intervallo lungo. Esso è contrassegnato da una rapida esauribilità, da un alto grado di distraibilità e di disattenzione, da grande emotività, da sensibi- lità abnorme per le più diverse sostanze che influiscono nociva- mente sul cervello, specie per l’ alcool. Di solito si associano sin- tomi di diminuita funzionalità, difficoltà della appercezione, de-

bolezza di giudizio, mancanza d interesse, ottusità, diminuzione della capacità di lavoro. »

(1) Psychiatrie. Bd. II pag. 315. (2) Psychiatrie. Bd. I pag. 20.

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Riproduco la storia di un caso di psicesi consecutiva a per- cossa sul capo, che passò in quest’ ospedale una fase della ma- lattia e vi ebbe, dopo una remissione che parve guarigione, l’ e- sito letale. L'interesse del caso sta nella relazione che ne ha scritto, con abbondanza di particolari, il malatoy intelligente os- Servatore di sé, durante la remissione sopraddetta; e sopratutto nella conoscenza del decorso cumplessivo e dell’esito, ciò che in- vano si desidera in molti casi pubblicati di psicosi da trauma al capo. Esempio le tabelle di Guder che recano un gran nume- ro di casi clinici i quali al momento della pubblicazione erano rimasti inguariti, e noi non sappiamo che cosa ne segui poi: al- tri sono dati per guariti, ma a noi resta il dubbio che attraversas- sero uno di quei periodi di attenuazione o di scomparsa dei fe- nomeni morbosi che danno l’ illusione di una restituzione perma- nente dall’ integrità psichica, come vedremo nel caso che segue.

La storia anteriore allo sviluppo della malattia, che fu a 38 anni di età, è molto semplice. Si tratta di un ingegnere, molto intelligente e colto, Il padre fu sempre sanissimo : la madre era un po’ nervosa e morì di flebi- te: i fratelli sani. Fino alla malattia attuale, nulla aveva turbata la salute di quest’ uomo che fu sempre equilibrato ed attivo. Da undici anni era am- mogliato ed aveva tre figli sani.

Qui diamo luogo al suo racconto scritto :

« Fu nell’ estate dell’anno 1891 che, stando solo in casa, per appendere un ferro necessario al sostegno di una lampada, io, non avendo scala alta sufficientemente, collocai quella piccola che possedevo su di un tavolo, e vi salii per potere fissare il sostegno nel muro. Non posso accennare alle cause della mia caduta dalla cima della scala. Mi fu detto dalla mia padrona di casa, che abitava al disotto del mio appartamento, che udì un grosso tonfo, e che l'intervallo passato fra questo e il chiedere soccorso che io feci, fu di circa tin quarto d’ora. Sta il fatto che dopo questo intervallo, di cui non ho la percezione, essendo stato svenuto e senza conoscenza, io mi sono al- zato da terra, tutto intriso dal sangue che mi scorreva dal naso e che già in larga copia aveva intriso il pavimento, con l'occhio sinistro chiuso per- fettamente, ostruito da una forte ecchimosi nerastra che metteva in rilievo la palpebra: il tavolo era completamente rovesciato e la scaletta essa pure; un piede del tavolo era insanguinato e la mia posizione sul pavimento era contro il muro. Ma quale causa aveva prodotto uno sconvolgimento così anor- male dell’ appoggio sul quale era salito e che misurava appena quattro me- tri d'altezza, come avevo potuto essero così malamente colpito, data l’ al- tezza così limitata, io non posso dirlo....

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Appena riavuto dallo svenimento, trasognato, asciugato il sangue che copiosamento mi scorreva dal naso, sono corso ad uno specchio: il mio oc- chio sinistro, sollevando a stento la palpebra rigonfia, era intatto, ma la vi- sione era scomparsa affatto..... Palpando il corpo in tutte le parti non pro- vavo alcun dolore, solo una leggera lussazione alla spalla sinistra mi dole- va, ed il segno, di già verdastro, ne indicava la posizione. La mia mente non dava alcun segno di sbalordimento, sebbene il colpo fosse stato fiero, ed ho avuta la forza di recarmi nell’altro ambiente per chiamare la portinaia per- chè corresse ad avvertire il medico, poi estesi il telegramma a mia sorella che era a Pavia affinchè si recasse ad assistermi, non volendo avvertire su- bito della disgrazia mia moglie che -allattava.

Cessato lo sbalordimento prodotto dalla caduta, nacque subito la preoc- cupazione, che, ingigantita, doveva essere la cansa di tutto il male che in avvenire ho provato, per la perdita dell’ occhio che io riteneva sicura. Mi ero posto in letto allorchè fui visitato dal medico: egli non potè pronunciar- si subito sulla natura del male, temeva che per la fierezza del colpo potes- ` si andare incontro alla congestione cerebrale, mi ordinò bagni continuati con pezzuole nella parte offesa con acqua vegeto-minerale, e bevande di acqua di Ianos: il riposo e la calma erano da lui specialmente raccomandati.

Una lunga settimana ho passato al letto, sottoposto a quella cura; il timore della congestione era affatto scomparso: mi rimaneva sempre la pre- occupazione della vista. L’ecchimosi sotto l’ applicazione delle compresse era assai diminuita; l'occhio aveva ripresa lu facoltà visiva, ma debolissima ed appena sensibile: vedevo l’agitarsi della fiammella della candela accesa, sen- za che fossi colpito dalla luce viva di essa.

Causa poi del rimedio ingoiato (sic) nn’ estrema debolezza mi si era im- possessata, ed allorchè per la prima volta mi alzai dovetti camminare quasi a stento. Tutto ciò mi spaventava e mi produceva un malessere, un’ appren- sione inesplicabile mai sentita: io che non aveva mai provato titubanza nel- l’ affrontare qualsiasi ostacolo, mi trovavo pusillanime davanti ad una di- sgrazia certo minore di tante altre che colpiscono |’ uomo ;... solo il pensie- ro di non potere più esercitare quelle favoltà che mi rendevano tanto gra-. devole la vita mi procuravauo l’ apprensione e il malessere che ho accenna- to. L’ applicazione della benda all’ occhio fu già per me un disgusto, ma era reso necessario dalla diplopia che mi si produceva nel fissare gli oggetti.

Un oculista consultato rispose che l’ occhio danneggiato non avrebbe mai più ricuperata la primitiva visione. Sotto questa impressione il mio fisico subì anch’ esso una trasformazione che non fu percettibile, che svolse gra- datamente. L’ appetito era pressochè scomparso; qualsiasi cibo più ricercato era da me ingoiato con ripugnanza: anche il vino mi produceva disgusto: il mio pensiero era costantemente rivolto al difetto dell’ occhio, Dupo circa

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un mese di cura avevo ripreso le mic occupazioni di ufficio, ma senza slan- cio, senza entusiasmo, anzi con amarezza perchè provavo la differenza fra il lavoro che eseguivo prima e quello che mi permetteva di fare l împerfezio- ne della mia vista; conseguentemente il mio carattere aliegro modificò sensibilmente; divenni pensieroso, taciturno, distratto. Un'altra imperfezione era comparsa: un ronzio molesto, non interrotto all’ orecchio destro e perciò una leggera sordità: ed anche questa, escita nel principio della malattia, ag- gravava il mio malessere..... Fuggivo la compagnia dei mici figli e mi rifug- givo solo in un ambiente segreto. Anche la lettura non era da me più ap- prezzata: mi era quasi scomparso ogni diletto: prestavo pochissima attenzio- ne, contrariamente al vivo interesse che mettevo prima all’esame di qualsia- si libro.... Una specie d'inerzia s' impadronì di me e mi intorpidiva i sensi. Anche nel moto risentil una modificazione: da valente camminatore, come ero, divenni pigro: un’ incertezza nel passo mi faceva provare ripugnanza d’intraprendere lunghe passeggiate.... Lentamente io peggiorava e vieppiù s’ingrandivano per me i fenomeni che ho accennati....

Era appena decorso un anno dalla caduta quando per prender forza e distrarmi pensammo d' andare in campagna...... Dopo un mese circa in un pomeriggio mi recai, come di consucto, a visitare un vastissimo latifondo situato a cinque chilometri dal paese. Vi erano estese praterie: dopo una passeggiata di breve durata, nel ritornare verso il cascinale, tutto ad un trat- to sentii uno stordimento colpirmi il capo.... Entrato nell’ ara, mi assisi in preda a un turbamento indicibile. Mi sembrava che dintorno a me gli oggetti e le persone si movessero meccanicamente come automi, non come animati: mio cognato che scorgeva il mio turbamento, chiedeva con ansia cosa avessi.

Mi sono fatto coraggio ed ho ripreso forza, ma poco dopo il mio ritorno a casa ho provato le stesse impressioni: quel movimento meccanico delle per- sone e delle cose: il suono mi giungeva distinto, ma cun un timbro specia- le, non animato, senza tono. Ero vivamente impressionato di questo feno- meno, tante più che il mio pensiero si andava modificando: parevami che un altro si fosse impadronito del mio essere e importasse impressioni del tutto nuove ma non confortanti, ma del tutto strane, malvagie, assurde, im- possibili. Avevo qualche sosta nel loro assalto, ma nella notte che passai in- sonne fui da loro continuamente assalito...

Non sentivo più il desiderio di cibarmi e all’ora fissata vi andavo con ripugnanza. L’ esistenza mi era divenuta insopportabile. Lo scoraggiamento mi dominava. Avevo facile irascibilità, incertezza nel camminare. Uno spa- vento fuor di misura mi opprimeva. La diplopia era più molesta e l’ appli- cazione più faticosa. Il medico curava il disturbo visivo con iniezioni di stricnina intorno all’ occhio. I miei nervi sotto Il impressione del rimedio si stiravano; mi era impossibile per un paio d’ore di muovermi se non appog- giato e con dolori acuti,

Cominciai ad accarezzare l’idea della morte, come se essa sola fosse il rifugio d’ ogni mio male.... Sentivo un desiderio incessante, continuo di gu- stare la pace assoluta, di ottenere il ripuso della mente, e non vedeva allo- ra altro rifugio, sotto la debolezza estrema del mio sistema nervoso, che fini- re i miei giorni; mi pareva così di raggiungere quello stato incosciente che avevo provato nel quarto d’ ora di svenimento che aveva susseguita la mia caduta..... Di questo mio divisamento nulla traspariva: una parola un atto mi era mai sfuggito, che potesse far scorgere ad altri ciò che pensavo fra me e me..... Per le iniezioni col preparato di stricnina l’ occorrente era. collocato nella mia camera da letto: senza far scorgere a nessuno quello che la mia mente divisava, sono salito sclo nella camera e, con tutta calma, a mezzo di un cucchiaio ingoiai la medicina aggiungendovi poi della noce vo- mica che mi serviva per i dolori di stomaco: la quantità ingoiata riempì del tutto il cucchiaio da tavola che mi servì. Poi discesi tranquillamente e an- dai nella camera da pranzo. Ero appena seduto che fui colto da convulsioni spasmodiche violentissime..... ho sentito sebbene quasi esausto del male tutto l'orrore per l'atto che avevo compiuto, ma non pronunciavo sillaba....... Le convulsioni poco per volta diminuirono e la sera erano cessate, ma sentivo un fortissimo dolor di capo e una confusione bizzarra di cose o di persone era impadronita del mio pensiero. Hou assistito con perfetta impassibilità alle visite numerose di parenti; ne sentivo anzi noia: desideravo la quiete, proprio la quiete e d’ essere solo solo, non udire alcun rumore, riposare in- somma tranquillamente, incoscientemente.

Questo avveniva nell'autunno del 1892: un anno dopo la caduta. Allo- ra incominciai una cura ricostituente: nel Natale dello stesso anno potei rag- giungere la mia famiglia, se non nella pienezza delle mie forze, rinfrancato e del tutto cambiato. La mia mente risentiva ancora qnalche sofferenza, ma. momentanea: lavoravo e leggevo con interesse, talchè potei senz’altro rien- trare nel servizio professionale. L’appetito mi era tornato.

Nel Luglio del 1893 feci pratiche per avere un trasloco a M.... e riuscii ad ottenerlo.... Un po di debolezza mi era rimasta, ed anche il mio stomaco non aveva ritrovato una perfetta sicurezza di funzione. Una soverchia appli-’ cazione per le cose d’ ufficio mi recò qualche incomodo, ma sopportabile. A M.... mi trovai relativamente bene fino al momento che vado ad accennare. In quel tempo tutta la mia antica gaiezza rinacque, e nell’intimo cerchio de- gli amici passavo allegramente il tempo.

Eravamo giunti al carnevale del 1895 (Qui racconta come avesse la ri- velazione che sua moglie era atfetta da una malattia polmonare incurabile). L'impressione che ne provai fu fortissima. Nella notte e nei giorni seguenti risentii il malessere antico. Perdetti l’ appetito e dormivo pochissimo. Quan- do dovevo movermi, sentivo una incertezza nel camminare che me ne toglie- va la voglia. Ero prostratissimo: il bisogno della quiete assoluta impadro-

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ni di me come un'ossessione. Io invocavo la serenità e la calma, e il con- trapposto si faceva sentire col disordine delle idee e colle bizzarrie assurde del pensiero.... Questo stato d'animo mi produceva ogni disperazione: pre- vedevo che per curare questo disordine mi sarebbe stato necessario il mani- comio.... La lotta del pensiero era terribile e tale da farmi invocare di nuo- vo l estremo rifugio: non era una mania, ma sempre quel desiderio di af- ferrare il riposo della mente, per dimenticare quelle vertigini del pensiero cosi terribilmente moleste. E sotto il loro tormento avevo cercato l oblio precipitandomi dall'alto di una mura.... e dopo uno stordimento di pochi minuti avevo potuto del tutto incolume tornare a casa dai miei, senza che apparisse la minima traccia dell’ atto commesso. Pochi giorni appresso fui condotto qui.

Non accennerò che di sfuggita ai fenomeni ai quali sono stato soggetto qui fino al momento della mia guarigione. Ora essi mi si presentano alla mente come sogni e sogni realmente erano. Parmi nei primi giorni del mio soggiorno di essere stato chiuso in una delle celle del pian terreno: la per- cezione chiara risale solo alla mia dimora al piano di sopra. Nei primi mesi la mia inappetenza continuò e furono costretti a farmi ingoiare a forza il cibo: io non volevo mangiare che solo pane: poi a per volta divenni vo- race: allorchè mi veniva presentato il cibo mi affrettavo a farlo sparire. Il pensiero era sempre incerto e vagava in un mondo fantastico ed originale. Non mi sembrava di essere in un mondo vivente, ma bensi in altro tutto differente da quello che è realinente. La notte specialmente, in sogno, io intraprendevo viaggi per terre sconosciute, fra esseri foggiati in nuova guisa; ed allorchè l'infermiere faceva la visita, io mi svegliavo, rimanevo sbalordito di trovarmi al mio letto coricato, tanto erano per la mia mente vive le im- pressioni provate in sogno: e le tracce di essi le risentivo anche nel giorno, e mi lasciavano confuso ed incerto tra il reale e l’ immaginario. E di questa incertezza erano improntati anche i discorsi che io facevo coi miei quando si recavano a visitarmi; e solo coi miei risultava questo fatto, poichè per lun- go tempo ho tenuto un assoluto mutismo con tutti gli altri che ho avvici- nati. Questa forma anormale di pensiero non mi producea alcune molestia; solo nei primi momenti che ero qui sono disceso nella notte dal letto, forse sotto l'impressione di cose sognate. Un conforto fra queste stravaganze di pensiero mi rimase sempre: sentendo voci di bimbi o di donne, queste si modulavano esattamente su quella dei miei figli e di mia moglie, confortan- domi e facendomi coraggio: ma io non sentivo il bisogno d’ informarmi delle loro persone, allorchè qualcuno dei miei mi visitava. Progredendo nella nutrizione, i fenomeni della mente accennati si andavano modificando, All’ indifferenza per il mondo esterno, subentrò la curiosità: principiai ad informarmi prima dei miei compagni che avevo sempre evitato, poi del mon- do esteriore e mi interessavo delle notizie che ricevevo e dei giornali. Poi

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l’ interesse crebbe, e rinfrancando sempre più il mio fisico, la mia mente tor- alla quiete e ad afferraro la realtà, come prima della caduta ».

Entra nell'ospedale il 22 Luglio 1895. Apparisce disordinato: parla da di livelli e cose della sua professione: è impossibile farlo stare atten- to. Pare abbia allucinazioni olfattive. Cammina curvo strascicando alquanto la gamba destra. Un esame molto sommario, causa le condizioni del paziente, rileva l’ esagerazione dei riflessi rotulei, specialmente a destra, la mancanza del riflesso cremasterico a destra e il suo aumento a sinistra. Riflesso pu- pillare alla luce normale. Manca al dolore. La sensibilità tattile e dolorifica è diminuita: ma bisogna osservare che il paziente non pone attenzione: pun- to profondamente fa qualche movimento reattivo. Olfatto e gusto aboliti. As- saggia il dolce, l’ amaro, il salato a gradi potentissimi, senza reazione. D'oc- chio sinistro è strabico all’interno.

Ha di tanto in tanto delle scosse tonico-cloniche nei muscoli dell’ arto inferiore destro che si propagano anche al braccio. Specialmente il piede è flesso ed esteso ripetutamente, ed ha anche scosse oscillatorie. Un infermiere assicura d’ averle viste anche a sinistra. La sua donna di servizio dice che anche a casa aveva spesso di tali accessi di tremore, che cominciavano spes- so a sinistra.

26 Luglio. Dice qualche parola assennata, ma l’attenzione subito gli si distrae. Si alza, mangia da correttamente. Ha facilissima emotività: pian- ge al ricordo della famiglia: poco dopo non ricorda più e parla di mille al- tre cose. Ha delle gravi parafasio ed amnesie verbali. Mentre parla è co- stretto a fermarsi perchò dimentica le parole, ma poi le dice alcune volte sbagliate e ciò specialmente nei nomi proprî (Tamberloni invece di Tambro- ni, Obibici invece di Obici). Non ricorda il nome degli oggetti, ed è neces- sario provocare in lmi una serie di associazioni ideative perchè egli trovi la parola che indica l’ oggetto. In certi momenti parla del suo male e nota egli stesso la sua parafasia. Esprime la certezza che tutti i suoi mali dipendono dal trauma patito. Non ha ancora afferrata la conoscenza dell’ ambiente; cre- de dl mangiare in una frattoria; dubita che lo vogliano bastonare perchè non paga.

In Novembre il malato è aggravato quanto alla psiche. Non parla quasi più, o solo a voce afona; sta sempre solo, senza desideri, non vuol vedere la famiglia, sudicio, lento in ogni movimento, come smarrito. Ora trascina la gamba sinistra.

In Dicembre lo troviamo nelle stesse condizioni: muto, sudicio di gior- no e di notte. Dorme e mangia con appetito vorace. Nell’ aprile dell’ anno successivo (1896) è migliorato della nutrizione, allegro d'umore; parla e scherza con tutti. Chiama in disparte il dott. Obici e gli racconta in segreto che nei tempi passati s'era trovato in condizioni di avere immensa, infinità

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potenza; che ne aveva abusato ed ora gli sembrava di non averne più; po- teva, se voleva, far sparire il danaro, cambiare la carta moneta in oro ecc.: voleva prendere una medicina, l’ arsenico, per tornare nell’ antica potenza, oppure sparire perchè egli era di danno a tutti.

Per lui il Manicomio non è che la riproduzione del vero manicomio di Ferrara: la città è morta, sparita. Il direttore rassomiglia a Tambroni. Ode le voci dei parenti che lo chiamano per nome. I suoi figli non sono più completi ed egli non può più restituirli allo stato di prima. I suoi fratelli sono morti, ed è Ini che li richiama in vita qnando lo vengono a trovare. Nell’ Ottobre in pochi giorni si compie un mutamento sorprendente: scom- pare la indifferenza e la distraibilità e si ristabilisce la personalità normale.

La remissione è durata quasi due anni, durante i quali. egli riprese il governo della famiglia e si è riammogliato. Un mese prima di rientrare qui, cominciò a dolersi d’ un’ ischialgia. Il 21 Febbraio 1899 fu ricondotto al ma- nicomio. Era in uno stato di disorientamento totale. Qualche momento gri- dava, poi diceva parole incoerenti, poì si chindeva in un mutismo ostinato. Gestiva con disordine coreiforme: aveva ogni tanto delle contratture degli arti superiori. Più spesso stava immobile, con lo sguardo fisso nel vuoto. Il giorno 27 sopravviene inaspettatamente collasso cardiaco, edema poimonare acuto, lieve elevazione di temperatura e alle 14. 20 la morte.La ne croscopia non è permessa.

Ricostruendo rapidamente lo' svolgimento di questo processo morboso, che rende con esatta corrispondenza molti dei tratti più propri del secondo gruppo di Krafft-Ebing, noi troviamo questa successione di fenomeni psichici.

Paralisi della coscienza durata circa un quarto d’ora dopo la percossa del capo.

Si ordisce lentamente uno stato neurastenico: Pl individuo è tenuto da una preoccupazione esagerata del proprio stato, che lo rende depresso: diminuisce la capacità di lavoro, si stabilisce una stanchezza cronica, manifesta nn’ abnorme distraibilità ed ira- scibilità. Lo stato neurastenico ititensifica, sopravviene un in- sulto violento di vertigine, ed il malato fa un tentativo di suici- dio (un anno dopo l accidente). Segue un periodo di tre anni nel quale egli sembra tornato alla salute di prima, ed è in grado di adempiere gli uffici faticosi ella sna professione; solo egli av- verte un po di debolezza e una più facile esauribilità,

L annuncio di una disgrazia domestica lo ripiomba brusca- mente in uno stato neurastenico ingravescente, con prostrazione dolorosa e tedio della vita, che fa capo a una fase, propriamente

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vesanica, che dura un anno e qualche mese e guarisce in poco tempo. I sintomi in questa fase di alterata personalità furono: dapprima uno stato di confusione sognante e disorientamento a momenti totale, a momenti parziale : poi inerzia apatica: poi eu- foria con idee deliranti mutevoli di grandezza e di negazione. E fra i sintomi organici meglio accertati: diplopia sinistra, ronzio all’ orecchio sinistro, accessi di tremore epilettoide che comincia- va ora all’ arto superiore «destro, ora al sinistro e poi si genera- lizzava, disturbo non ben definito dell’ andatura ( ora trascinava l'arto inferiore di destra, ora quello di sinistra); per un breve periodo abolizione del gusto e dell’ odorato, oscillazioni della nu- trizione generale, disturbi passeggeri della favella.

Remissione completa dei sintomi psichici ed organici ( tolto ‘il difetto visivo), reintegrazione apparente della personalità nor- male per lo spazio di due anni. Recidiva di tutti i sintomi delle fase precedente e morte.

Lasciando a tempi, che forse noi non vedremo, il compito felice trovare il perchè di queste successioni di fenomeni, noi vogliamo ora domandarci: poteva il medico ‘e con quale grado di probabilità, prevedere l esito e difendersi dall’ inganno delle remissioni ? e, più in generale, e’ è modo di presagire come fini- ‘rà una psicosi consecutiva a trauma del capo?

[In sostanza noi sappiamo che due possibilità possono verifi- carsi. La prima è che alla percossa sulla testa può seguire qual- cuna delle malattie mentali riconosciute come entità nosologiche con decorso ed esito speciale: cosi è noto che « traumi al capo sono spesso citati come cause della frenosi maniaco-depressiva », sebbene « appena qualche volta si può dare la dimostrazione del nesso causale in modo persuasivo » (Kraepelin) (l). Press a poco lo stesso si può dire della Demenza precoce e delle neurosi generali. Quando alla Paralisi, le sue relazioni col trauma del ca- po sono state oggetto di dibattiti anche recenti, ed il costrutto che può cavarsene è, secondo Kraepelin,il seguente: Ai traumi del capo la Paralisi segue in alcuni casì quasi immediatamente. Siccome si tratta per lo più di persone giovani per altre ragioni disposte a malattie mentali, il trauma è, come avvisa Gudden,

(1) Psychiatrie Bd TL p. 401. Veggasi in esempio il caso pubblicato da Lachi: Cronaca del Manicomio di Siena. Anno VII. n. 5.

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l’ occasione che mette in vista la malattia. D'altra parte noi ve- diamo la Paralisi seguire al trauma dopo degli anni, cosicchè si dovrebbe piuttosto ammettere un’ azione preparatrice del trauma, Naturalmente la sicurezza del nesso è sempre molto poca: nello stesso tempo è dubbio se tali casi siano della stessa natura, e spe- cialmente se si possano riferire alla Paralisi progressiva (2). In ogni modo la diagnosi di questi processi, che si fa coll’ analisi dei sintomi, inchiude una prognosi determinata.

La secunda possibilità (prescindendo dai casi nei quali si ve- rificano celle alterazioni psichiche parziali, come perdite di certi gruppi di ricordi, follia morale, alcoolofilia (Morselli), è che al trauma del capo tenga dietro una di queste psicosi di cui il caso nostro è, pure nel resoconto imperfetto che ho potuto darne, un esempio interessante; psicosi che non corrispondono a nessu- no dei quadri morbosi ammessi fin ora dalla patologia mentale, e rappresentano l’espressione clinica di una reazione specifica della corteccia al trauma. In questi casi che prognosi fare ? Basta uno sguardo alle tabelle, poste in fine del lavoro di Guder, a per- suaderci dell’ esito generalmente infausto di questi processi, anche quando prolungano strascicando il loro decorso oltre i dieci anni. E vero che in qualche casu si parla di guarigione: anzi Wille al congresso di Baden del 1877 (3) espresse in senso ottimista. « La prognosi, egli disse, della Psicosi traumatica primaria-diretta non è così disperata, come Krafft-Ebing l’ha rappresentata, se tre su quattro dei miei casi hanno avuto esito favorevole. Anzi io potrei dar peso alla circostanza che nel quarto caso Pl alcoolismo cronico, la grave ereditarietà e la costituzione epilettica si com- plicavano colla causa traumatica ecc. ». Hartmann (4) ci ha lasciato questi insegnamenti: «la prognosi è nella Psicosi primaria traumatica relativamente favorevole (su 15 casi 6 volte guarigione, 5 volte miglioramento). La prognosi degli altri casì è poco favo- revole: di 108 casi solo 30 Inigliorarono, in 27 si cbbe esito le- tale, in 49 nessun miglioramento ed esito in demenza ». Guder poi ha raccolto dalla letteratura sei casi di Psicosi da trauma al

(2) Psychiatrie Bd If p. 2sx. (3) Archiv fiir Psychiatrie BA VITI, 219. (4) Loc cit. pag. 129.

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capo, guariti dall’ intervento chirurgico, cosi da farci rimpiangere che non vi si abbia ricorso più spesso.

Se non che anche queste affermate guarigioni, o spontanee 0 chirurgiche, ci lasciano sospesi nel dubbio. Per le une come per le altre è lecito chiedersi se si tratta di reintegrazioni permanen» ti o passeggere; e il nostro caso colle sue remissioni è a questo riguardo sommamente istruttivo. È insomma necessario che i me- dici producano storie complete; storie cioè che seguano l’ indivi- duo per un lungo spazio di vita, non che s’ interrompano a mez- zo lasciandolo malato o migliorato o guarito sia pure da qualche anno, perchè da osservazioni così monche non possono uscire che insegnamenti fallaci. L’ esame poi dei processi psichici anche in questi malati dev’ esser fatto con metodi meno sommari, che re: stringono la parte lasciata fin ora alle impressioni soggettive e mutevoli dell’ osservatore: Rieger e Gross (5) hanno fatto ten- tativi in questo senso. Solo con un esame più fine dei processi psichici la clinica può contribuire alla soluzione della questione controversa: se per il trauma del capo insorgano anche forme specifiche di psicopatie; questione così controversa che Hart- mann (6) scrive: « la pazzia traumatica non è una forma noso- logica specifica »; e tosto soggiunge: « essa ha però certe par- ticolarità nel decorso e nell’ esito »; e al congresso di Milano del 91 mentre uno dei relatori, Gonzales (7) concludeva che « la. follia traumatica può accettare fra le forme di malattie mentali come si accetta la follia pellagrosa, l’ alcoolica, la sifilitica », Frigerio invece dava per conclusione che «i sintomi clinici non sono tali da autorizzare a farne una speciale forma di pazzia »,

(5) Psychologische Arbeiten Bd II pag. 570. (6) Loc cit. pag. 128. (7) Rivista sperimentale di Freniatria 1891 pag. 189,

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Per la diagnosi e la prognosi delle malattie mentali del Dott. Alberto Vedrani

II

uni maggiore e più degna cosa allegherò, allegando la esperienza maestra ai maestri...

Leonardo da Vinci

» Se le ripetute esposizioni di Kracpelin e dei suoi scolari, Aschaffenburg ed altri, hanno trovato uno scarso assentimen- to, io potrei dire anzi una passiva resistenza da parte della mag- gioranza degli osservatori, se ne deve recare cagione non poca al fatto che Kraepelin non s'è curato di produrre storie di am- malati, che potrebbero aver forza di documento e di prove delle sue asserzioni; come anche alla critica poco profonda delle ve- dute contrarie, alle quali la scuola di Kraepelin non reputa ne- cessario contraddire; e finalmente alla forma, non di rado poco conciliante, colla quale le nuove dottrine sono esposte ».

Così il Meyer(l) dice seguitando la critica, alla quale ho accennato sul finire dell'articolo antecedente. Tanto spesso capita di sentire affermazioni e negazioni fondate sopra una pratica pro- clamantesi, che il primo appunto del Meyer potrebbe parer giu- sto, se non fosse fuor di luogo per ciò che riguarda le dottrine kraepeliniane; a conferma delle quali non è mancato chi scri- vesse storie di ammalati (W evgandt, cd altri che non importa nominare): invece sarà mancato chi le legga, ed esse sono rima- ste per danno delle carte.

In ogni modo io mi sento giustificato dall’osservazione di Me- yer, nel riprodurre storie di fatti, quali i medici di manicomio vedono quotidianamente; collintendimento di giovare a risolvere qualche questione, a proposito della quale non si sentono se non voci discordanti. Infatti la formola diagnostica « frenosi mania- co-depressita », a proposito della quale abbiamo cominciato a cer-

(1) Archi f. Psychiatrie loc. cit. pag. S72.

+ Uol a

care i criteri clinici che permettono di affermarla al letto del malato; questa formola, proposta per significare insieme ciò che prima si distingueva come pazzia periodica, pazzia circolare, ma- nia semplice, suona per la maggioranza come un neologismo inu- tile o come un errore. Quando Nissl(1) la portò e la spiegò al congresso di Heidelberg del 1898, la sua comunicazione passò in silenzio. Quando il mio amico Obici (2) vi accennò indirettamente all’ultimo congresso di Napoli, qualcuno la rilevò solamente per dire che con questa denominazione « non si faceva che creare una nuova nomenclatura, la quale serve più a confondere che a chiarire le idee ». Veramente la questione non era se il concetto del Kraepelin chiarisce o confonde le grame e poverette idee della nostra psichiatria clinica; era invece se quel concetto rende e specchia la realtà dei fatti clinici più fedelmente degli altri; se la mania, la frenosi periodica e quella circolare sono o no tutta una cosa. Anche l’illustre Seppilli e il Dottor Lui dichia» rano (3): « noi non crediamo, almeno per ora, di accettare che in parte questo concetto. Se da un lato varie forme di mania e me- lancolia recidivanti, per i loro speciali caratteri, non rappresen- tano altro che episodi della frenosi periodica o circolare, dall’al- tro però è d’uopo riconoscere che la tendenza alle recidive, così frequente nelle malattie mentali, è in genere qualche cosa di di- verso dall’ avvicendarsi periodico di un accesso a caratteri uni- formì, quasi diremmo stereotipati ».

Ultima viene la grande autorità di Wernicke « Anche a questo concetto, egli scrive (4), secondo il quale ci sarebbe per lo meno da aspettar sempre recidive della stessa malattia, 10, per la mia esperienza, debbo del tutto contraddire. La melancolia af- fettiva mostra una certa, anche se non molto grande, tendenza a recidive; in ogni caso molto meno spiccata che in altre malattie mentali. Se si fa eccezione dalla pazzia circolare che, senza dub- bio, non si può a capriccio, come fa Kraepelin, allargare a ca- si singoli di melancolia o mania, l’asserzione, messa avanti con

(1) Allgem. Zeitschr. f. Psych. Ba. LVI. H. 1. 2. p. 264.

(2) IL Manicomio moderno 1899 p. 433.

(3 Studio statistico, clinico, antropologico sulla pazzia nella provincia di Brescia p. 27.

(4 Grundriss der Psychiatrie 1900. Theil HI p. 357.

0

tanta sicurezza da Kraepelin, può trovare una spiegazione 80- lamente nel fatto che egli ha preso in considerazione solo i casi di melancolia vicaria; casi cioè in cui un accesso di mania reci- divante è sostituita da una melancolia affettiva ».

Mi sia lecito dire che la critica del grande patologo di Bre- slavia scopre il suo lato debole nell’antropomorfisnio del concetto ch’egli oppone a quello combattuto.

Che cosa infatti vogliono dire le parole « casi di melancolia vicaria (Fälle stellvertretender Melancholie) nei quali un acces- so di mania recidivante è sostituita da una melancolia »? Wer- nicke accoglie il concetto della mania, malattia acuta che ha molta tendenza alle recidive; e quando nella serie delle recidive incalzantisi abbatte a una fase depressiva, egli, per una specie di concezione antropomorfica, accolta in altri campi della patolo- gia, parla di sostituzione e vicarietà; tenendo con ciò distinte, come due individualità cliniche, la mania dalla melancolia. Infat- ti anche nel campo dell’epilessia si parla di vertigini, di assenze ecc. equivalenti della convulsione; nella patologia dell’emicrania di vomiti, di afasia e di parestesie equivalenti dell? accesso emi- cranico. Ma, così esprimendosi, la patologia nervosa ha già supe- rato il periodo preistorico nel quale il vomito, l’afasia, la pare- stesia, la vertigine erano considerate come malattie; essa le ri- guarda ora come le manifestazioni superficiali di speciali cause profonde, le quali espandono fuori ora con uno, ora con altro, ora con vari aggruppamenti di questi sintomi. Perchè si deve va- lutare diversamente la mania e la depressione?

Che cosa c’insegna infatti la clinica psichiatrica? Essa c'in- segna che la mania semplice, rivelantesi per un accesso unico nella vita, è straordinariamente rara; che sul principio c sul fini- re e nel corso dell’accesso maniaco si danno ore e giorni di de- pressione o di stati misti di mania e di depressione (stupore ma- niaco, depressione agitata); che in un numero straordinariamente grande di casi, mania, depressione, stati misti si avvicendano du- rante la vita. Anzi io qui voglio trascrivere quello che Wernicke scrive nove pagine più innanzi (1): fa sempre piacere appellarsi all'esperienza di un osservatore eminente: « È degna di nota, egli

(1) ib. p. 367.

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scrive, la relazione della mania genuina colla melancolia. Queste due malattie mostrano un’intima parentela: infatti esse si com- binano nei tre seguenti modi: 1) un grado leggero di una delle due malattie suole di solito presentarsi nella convalescenza del- l’altra e segnarne la chiusura. La durata di questo cambiamento dura ora alcuni giorni solo, ora alcune settimane. 2) la mania è la malattia che più di tutte le psicosi inclina alle recidive. Tra i singoli accessi dapprima passano di solito degli anni; poi col tempo l’intervallo s’ accorcia, così che il tempo occupato dalla malattia prevale su quello della salute. Qualche cosa di simile, ma solo molto più di rado, avviene per la melancolia. Ora los- servazione clinica insegna che una recidiva della mania può es- sere sostituita da una melancolia (la quale del resto diventa par- tecipe della prognos: buona della mania); e che anche I’ inverso può avvenire. Questa è la sopradetta melancolia vicaria. 3) final- mente si molto frequente una combinazione delle due malat- tie, in modo che dall’una si passa nell’altra.... Questa è la frenosi circolare ecc. ».

Ecco dei begli argomenti in favore dell’unità delle forme ma- niaco-depressive. Contro la quale non sembra sufficiente la consi- derazione che ha trattenuto Sep pilli e Lui dall’accoglierla: « la tendenza alle recidive è in genere qualche cosa di diverso dal- l’avvicendarsi periodico di un accesso a caratteri uniformi, quasi diremmo stereotipati ». |

Gia gli autori di trattati, appena hanno disegnato gli schemi della freuosi periodica e della circolare, pare che 8s’ affrettino a sepellirli sotto una valanga di eccezioni, che finiscono per es- sere la regola. Valga per tutti Krafft-Ebing il quale, detto che « fra i sintomi propri delle forme periodiche di pazzia, e che valgono a ditferenziarle dalle forme non periodiche, dobbiamo metter primo la congruenza stereotipa nei sintomi e nel decorso dei singoli accessi », s’affretta subito a soggiungere « però que» sta congruenza tipica non mantiene per tutta la durata della malattia che abbraccia dei lunghi anni, e neppure per la durata di ogni singolo accesso.... La psicosi periodica si mostra talvolta dopo ripetute recidive con un quadro non conforme a quello mor boso originario, e dopo molti anni si altera nella sua sintomato-

logia sotto l’ influenza ecc. » (1) (lasciamo stare le spiegazioni). E più avanti « le psicosi periodiche si manifestano press’a poco negli stessi periodi di tempo », « però la giustezza di questa leg- ge è soltanto in certo qual modo invalidata dalle condizioni ester- ne variabili, che promuovono la comparsa dell’accesso o la ritar- dano » (2).

Il fatto è che la legge non ha luogo che in casi rari. Quan- do avremo aggiunte queste altre verità che Krafft-Ebing scri- ve nel suo libro « negli intervalli esistono dei fenomeni più o meno considerevoli di una malattia permanente del sistema ner- voso; talchè i singoli accessi, come quelli di una febbre intermit- tente o dell’epilessia, non segnano che il sintomo più saliente di una malattia durevolmente radicata » (3), « non di rado molti anni prima che si sviluppi la pazzia circolare, si osservano de- gli accessi di mania semplice o periodica od anche di melanco- nia » (4), « le fasi morbose maniache e melancoliche della pazzia circolare non contengono secondo la mia esperienza nulla di spe- cifico » (5), noi avremo adunato un forte fascio d’indizi a soste- gno del concetto kraepeliniano secondo il quale pazzia circolare, mania e frenosi periodica sono aspetti sintomatici di un unico processo fondamentale, focolaio profondo dal quale partono irre- golarmente baleni e scintille, e per usare le parole di chi ha il merito di avere primo tra noì esposta e difesa l’idea (6) « forma mentale.... ad andamento non necessariamente periodico, ma costituita di. accessi di eccitamento con logorrea e umore al- legro, accessi di rallentamento psicomotorio e umore depresso isolati, ripetuti o alternati; e anche di accessi misti in cui i fe- nomeni dell’esaltamento e della depressione sono confusi insieme; la forma non conduce a demenza e la prognosi dell’ accesso è sempre buona »,

(1) Trattato clinico-pratico «delle malattie mentali Vol. II p. 271-72 ediz. ital. (2) ib. p. 273.

(3) loc. cit. p. 272.

(4) loc. cit. p. 292.

(5) loc. cit.

(6) I, Finzi in questo giornale, 1899 p. 91,

ee. OR ee Osservazione I

Teresa Mand.... è condotta nel manicomio di Ferrara il 9 Febbraio 1887 in età di 14 anni. Pare che i genitori e la sorella siano immuni da malat- tie nervose e mentali. Aveva intelligenza sveglia e carattere vivace. Circa un anno prima d ammalarsi era stata percossa ed aveva subita una forte paura.

La malattia cominciò circa due mesi prima che fosse condotta qui con insonnio, cefalea c nn senso continuo e indefinito di panra per cui trasali- va continuamente. Qualche volta le pareva d’ essere inseguita e urlava. Qui dentro mostrò sul principio una grande variabilità di stati: ora calma e la- boriosa, ora insolente e manesca, ora taciturna e stuporosa, ora melanconica (piangeva dicendo di essere cresciuta perla morte), spesso pareva spaventata (diceva di veder diavoli). Dopo un breve periodo di perfetto benessere eon- dotta in famiglia sulla fine d’ Agosto, appena a casa entrò in uno stato di taciturnità e di stupore durato dodici ore, poi si fece loquace, clamorosa, agi- tata, laceratrice, sitofoba. Fu subito ricondotta qui e non è più uscita.

Nei primi anni ha presentata una irregolare successione di accessi ma- niaci, stati di stupore e intervalli di benessere. Da circa sette anni gli stati di stupore non si presentano più: e la vita cli questa giovane è diventata un accesso quasi continuo di mania grave (logorrea, atti di violenza, umore allegro con passaggi istantanei al furibondo), dalla quale i ritorni allo stato normale si fanno sempre più rari e brevi. Qualche volta manifesta ancora un senso vago di paura. Durante l’accesso la coscienza si mantiene lucida, e non ci sono idee deliranti. Negli intervalli dimostra intelligenza perspicace e affettività viva.

L’interesse del caso sta principalmente nel fatto che da circa seite anni questa malata presenta solo sintomi maniaci : bisogna frugare nell’anamnesi anteriore a questo periodo per trovare delle fasi depressive e di vero arresto psicomotorio ; che furono molte nei primi anni della malattia, sebbene non durassero mai più d’un mese (l’ammalata le ricorda benissimo e dice: ero incocchita (istue pidita) come la Rossi (un caso tipico di arresto psicomotorio), e sebbene il medico non le notasse neppure. Questo non per farne carico a un collega non più vivo, che del resto non trasse mai conclusioni avventate da osservazioni mal fatte; ma per mostrare una volta di più quanto sia grande, nella costruzione della noso» logia psichiatrica, il pericolo di rappresentarsi le malattie mentali in concetti incompleti, quando non se ne ricerchi il decorso com» plessivo.

cu Osservazione II

Albina Fab..... ha ora 33 anni. Eredità paterna. I suoi genitori vivono; le sue quattro sorelle godono una completa salute. I’ inferma non ebbe mai malattie prima dell’ attuale: aveva indole buona e serena, intelligenza co- mune. A 21 anni prese marito ed ha avuto, con parti sempre regolari, quat- tro figli che vivono sani. Durante l allattamento dell’ ultimo figlio ( aveva allora 28 anni) s' iniziò la malattia che dura ancora. Insieme con disturbi della secrezione lattea comparvero sintomi psicopatici (circa due mesi dopo il parto); la donna turbava eccessivamente della intermittente e insuffi- ciente secrezione, s'irritava, piangeva, inveiva contro il suo destino, diceva che le streghe le avevano portato via il latte. Si fece insonne: lasciò d’ oc- cuparsi nelle faccende consuete. Febbre non ebbe mai, ma irrequietezza e loquacità continue. Durante un temporale l’eccitamento crebbe e fu con- dotta al manicomio nell’estate del 1894. Il complesso sintomatico che allora presentò (vivace esaltamento motorio, umore allegro, logorrea) fu diagnosti- cato « mania ». Nel Dicembre fu dimessa melancolica. Il periodo depressivo iniziatosi allora è durato quattro anni, due dei quali li ha passati in fami- glia e due in questo ospedale. Ha presentato prima depressione agitata (con tentativi di suicidio), poi arresto psicomotorio. Durante la depressione agitata

esprime idee deliranti tristi riguardanti i figli: essi sono volati, debbono es-.

sere sepolti, non sono morti, il Signore glieli fa vedere la notte, essa non ha fatto niente di male, non sa la ragione di questa vendetta divina, non sa che l'aspetti.

Una mattina di Maggio del 1899 la troviamo maniaca e tale è ancora (Maggio 1900). (Esaltamento motorio, umore allegro, logorrea). Orientamento e memoria integre.

Riassumendo, troviamo questa successione di sindromi: depres- sione agitata, mania genuina, depressione agitata e stuporosa, mania. Nei casi seguenti, dei quali tolgo la descrizione degli accessi passati dai diari scritti da osservatori certamente spregiudicati per ciò che riguarda la nostra questione, noi troviamo le mede- sime sindromi e le più diverse combinazioni di sintomi maniaco- depressivi, succedentisi nel più vario ordine.

Osservazione IIl

Bonzagni Elisa è condotta al manicomio per la prima volta il 26 Giu- gno 1863, in età di 23 anni. Ha uno zio paterno debole di mente; il padre soffre di cefalalgie, la madre d’isterismo convulsivo. La malattia è comin- ciata cinque giorni prima che fosse ricoverata. « Trovasi, scrive il medico

2%

curante, soggetta a demenza da cinque giorni, causata da patema d’ animò c per avere una coscienza meticolosa, per cui l’ ho dovuta assicurare nel letto tanto infierisce contro stessa e contro gli altri. »

27 Giugno, piange e si dispera perchè si crede dannata: non giova per- suaderla.

30 Giugno. È molto più quieta e va lavorando.

3 Luglio. È quieta, di buon umore.

13 Luglio. Sempre bene. Mestruazione. Quieta, docile, esprime il dalie: rio d’andare a casa.

15 Agosto. È dimessa.

Ma il 23 Agosto è ricoverata di nuovo « avendo delle ore che trovasi furente. »

24 Agosto. È agitata, inquieta, paurosa.

26 Agosto. Teme di essere dannata: ha espressioni di paura e di esal- tazione. Va lavorando.

28 Agosto. Sempre mesta e impaurita, va ripetendo che è dannata: piange e si dispera.

6. Settembre. E meno esaltata.

26 Settembre. È quieta ed allegra: non parla più d’aver perduta l’ a- nima e d'essere dannata: lavora assiduamente.

1 Ottobre. Ricaduta nei soliti lamenti: piange e si dispera.

5 Ottobre. Sempre inquietissima. Urla che è dannata. Bisogna tenerla assicurata.

20 Ottobre. Lavora al telaio. Rammenta ciò che l’è successo e non sa darsene spiegazione.

12 Novembre. È quieta e lavora assiduamente.

15 Dicembre. Esce.

Il 9 Luglio 1865 è ripresa da un accesso grave e rimessa nel manicomio.

É rossa in viso coi grandi occhi spalancati. Si avventa facilmente con- tro le persone.

14 Luglio. L’ accesso diminuisce.

26 Luglio. Esce guarita e va a servizio.

Il 13 Settembre 1865 è di nuovo nel manicomio. Interrogata non rispon- de: guarda con ochi fermi e non parla: improvvisamente s'avventa a per- cuotere.

16 Settembre. È già in senno: dice che non parlava in passato perchè assolutamente non poteva. Si presta volontieri a lavorare. 4 Ottobre. Esce guarita.

Il 27 Maggio 1866. Torna sbalordita coi grandi occhi spalancati. È assi- curata perchè percuote volontieri le compagne. Bastona e non parla. Inter- rogata non risponde: guarda e tace.

31 Maggio. Sta meglio e si presta a far qualche cosa.

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+ 26 Giugno. Esce.

26 Luglio 1866 ritorna. Interrogata non risponde. Si direbbe smarrita. 28 Luglio. Mestruazione. È un po’ più disinvolta. 31 Luglio. Sta meglio: parla, lavora. 10 Agosto. Esce.

Il 24 Maggio 1867 è ricoverata di nuovo. Cominciò a dar sospetto della malattia otto giorni prima: era più pensierosa e faceva discorsi sconnessi : gridava e rompeva le vesti.

24 Maggio. È smarrita, piangente. risponde poche parole e quasi con paura.

25 Non parla ed è affatto fuori di se,

28 Maggio. Sta molto meglio e lavora.

26 Luglio. Esce guarita. Diagnosi: Esaltamento maniaco.

Il 13 Febbraio 1868 ritorna. Da pochi giorni improvvisamente ha dati se- gni d' alterazione.

È istupidita e maniaca (1). Non sa quello che si faccia: interrogata ri- sponde male.

14. Febbraio. Oggi ha lavorato un poco: risponde a proposito.

3 Aprile. È pericolosa per quelli che l’avvicinano. Sta ad occhi aperti, come stupidita: non parla.

5 Aprile. Sempre nello stesso stato.

7 Aprile. Va facendo qualche cosa e migliora.

27 Maggio. Esce guarita. Diagnosi: Stupidità.

Ritorna il 27 Ottobie 1863. È muta cogli occhi spalancati: qualche mo-

mento minacciosa.

29 Ottobre. È come istupidita.

1 Novembre. Non parla: facilmente pugni.

5 Novembre. Ha sempre gli occhi spalancati e quasi fermi nell’ orbite : è minacciosa colle compagne.

17 Novembre. Migliora e lavora.

25 Gennaio 1869. Esce guarita. Diagnosi: Lipemania con stupidità.

È riammessa il 12 Marzo 1870.

13 Marzo. È rossa in viso: discorre incoerentemente: è molto inquieta. 14 marzo. È sempre agitata con discorsi e risa fuor d‘ogni proposito. 18 Marzo. Sta meglio.

1 Maggio. Si manifesta un altro accesso maniaco.

6 Maggio. Si va calmando,

24 Maggio. Esce rinsavita.

(1) Í fatti medesimi hanno suggerito, molti anni sono, al medico che scrisse questi diari la espressione medesima adottata da Kraepelin e Dehio.

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È riammessa il 15 Giugno 1872. È perduta colla mente: non si trova pes allo stato di furore.

20 Giugno. Seguita ad essere piuttosto esaltata : parla molto.

29 Giugno. Assai più quieta: lavora.

20 Luglio. Esce. Diagnosi: Mania lieve ricorrente.

È riammessa il 14 Ottobre 1874. È molto smarrita e melancolica. Tiene di preferenza gli occhi bassi e parla senza senso.

16 Ottobre. Si mantiene press’ a poco nello stesso stato.

M Ottobre. Sta meglio e lavora.

1 Maggio 1875. Ha avuto qualche giorno d’ inquietudine: ma tornò pre- sto in perfetta calma. Lavora assiduamente e studia con profitto di leggere e scrivere. i

7 Giugno 1875. Esce guarita. Diagnosi: Frenosi isterica.

È riammessa il 4 Luglio 1877. Pare stupita. Però se le si fa una diman- da a voce alta e imperiosa, si scuote, risponde spesso benissimo; poi torna come prima.

7 Luglio. E un po’ più disinvolta.

10 Luglio. Quieta, lavora.

10 Agosto. Esce guarita. Diagnosi: Mania.

È riammessa il 13 Novembre 1877. È smarrita e confusa: però mostra di riconoscere le persone.

14 Novembre. Oggi sta un po’ meglio. Racconta che un mese dopo la sua partenza di qui ricadde in un accesso di melancolia che durò alcuni giorni.

20 Novembre. Quieta e laboriosa.

3 Febbraio 1878. Da qualche giorno è mesta, smarrita, taciturna.

5 Febbraio. Ricaduta nel suo accesso maniaco. È rumorosa: non sa quel che si dica: agitatissima.

8 Febbraio. Sta meglio.

10 Luglio. Accesso maniaco lieve e breve.

27 Ottobre. Un altro accesso più breve e lieve dell’ altro.

11 Gennaio 1879. Ripresa dal malessere in forma di smarrimento. Il 20 Gennaio sta bene e riprende a lavorare. La donna non è più uscita dal ma- nicomio. Da allora in poi ogni due o tre mesi una volta, o più volte nello stesso mese, colla più grande irregolarità, è stata presa dai suoi accessi fu- gaci. Nelle tregue che le dava il male, s'è conservata fino all’ ultimo per- fettamente normale, senza il più piccolo segno d’ indebolimento mentale. É morta di tifo in età di 58 anni.

Osservazione IV.

Maria Zob.... ha il padre vivente e sano; la madre c un fratello sono morti al manicomio: un altro fratello fu molti anni sono al manicomio e ne uscì guarito.

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Era sempre stata sana, aveva marito e un figlio di due anni, quando a 27 anni entrd nel manicomio per la prima volta (24 Maggio- 18 Giugno 1888) Otto giorni prima fu presa quasi improvvisamente da una specie di idiotismo (stupore ?).

24 Maggio. È calma e un po’ confusa.

27 > E come smarrita. Chiede di suo marito, che, a suo dire, la chiama. 31 > E calma nella giornata: alla sera un po’ inquieta, insiste

per avere il marito di cui sente la voce.

15 Giugno. Calma e laboriosa. Desidera di essere dimessa.

18 Giugno. Esce guarita.

Dopo cingue anni è riammessa per la seconda volta (23 Maggio - 16 Ago- sto 1893). L’ invasione è stata improvvisa. Non dorme, è allegra, spensiera- ta, litigiosa.

È riammessa la terza volta il 12 Agosto 1896. Ha cominciato con in- sonnia, cefalea, cinque giorni prima: poi s'è fatta agitata, loquace, girovaga, litigiosa, minacciosa.

Presenta un accesso maniaco tipico interrotto da lievi momenti di calma.

Il 30 Settembre 1896 è dimessa guarita.

Il 14 Settembre 1897 torna maniaca. È allegra, logorroica, agitatissima. L’ accesso dura due mesi.

Il 16 Gennaio 1898 esce guarita.

Il 24 Settembre 1898 torna maniaca ed esce guarita il 24 Novembre.

E riammessa il 28 Dicembre dello stesso anno. Pare che abbia comin- ciato con loquacità e agitazione, ma qui si presenta in uno stato di profon- da depressione: è smarrita, spaventata, affannata; dice che deve andare al taglio della testa, che a casa girovagava sempre perchè sentiva di non potere star ferma, che degli uomini vestiti di nero dicevan male di lei. Poi qual- che momento dopo manifesta un po’ di coscienza della malattia e dice che non sa come le sia venuta l’idea di essere dannata, d’andare alla morte. Poi s’ accusa d'essere una cattiva madre. Ripete affannata: basta che non mi mandino alla morte. Si rannicchia sotto le lenzuola, poi salta giù dal letto, æsa dioe per sottrarsi alla morte. In pochi giorni l’ inferma riprende lo stato normale. Da un anno e mezzo sta bene.

Osservazione V.

Far.... Maria di Codigoro ora ha 35 anni. Una zia paterna era debole di mente. Questa donna è stata ricoverata nel manicomio di Ferrara nel Di- cembre 1899 per la terza volta. Riproduco le notizie che trovo degli accese

si precedenti.

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La prima volta :2 Luglio 1878 - 2 Giugno 1879 - durata totale 11 mesi) aveva trent’ anni e dava il latte da tre mesi al suo terzo figlio. La ma- lattia cominciò con melanconia prolungata per diverso tempo, insonnio, poi cominciò un delirio accompagnato da grida e smanie e agitazione motoria.

1 Luglio molto agitata, sitofoba.

24 Luglio accetta il cibo, sempre confusa e agitata.

15 Agosto ora è malinconica.

Febbraio 1879 parla pochissimo.

Marzo piange facilmente.

Maggio -- ancora melancolica.

Giugno esce guarita. Fu posta la diagnosi di: lipemania.

Sono passati diciassette anni, quando la donna in eta di 47 anni torna al manicomio per la seconda volta (17 Settembre 1896 - 24 Febbraio 1897 ). In quello spazio di tempo la donna ha avuto altri tre parti, e tutti gli anni, d'estate, soffriva di crisi cerebrali (?) che duravano quattro o cinque setti- mane. Ciò non le impediva di impiegarsi in opere faticose di campagna. Nel giugno (1896), dopo tre o quattro anni di sospensione delle mestruazioni, ebbe una metrorragia abbondante che la debilitò molto; in seguito alla quale comparvero i primi sintomi della malattia: è in continuo vaniloquio, non dorme, inveisce contro i famigliari; però non rifiuta mai il cibo. Con que- sti sintomi la malattia si è trascinata fino al Settembre, quando la famiglia avendo inutilmente aspettato un miglioramento, la ricovera nel manicomio. Qui presenta il quadro della mania : è agitatissima fino a Novembre. Poi si mostra smarrita, non parla che raramente per dire poche sillabe sottovoce; gira per le stanze. Non è sudicia e mangia molto.

In Gennaio migliora, ma è sempre smarrita, taciturna, confusa e non lavora. In Febbraio (1897) è dimessa migliorata, per volontà dei parenti.

Il 20 Dicembre 1899 è ricondotta nel manicomio. Da cinque giorni è ricaduta. Al momento dell’ ammissione è in uno stato di muta agitazione: ma subito passa allo stato, che anche al presente (Maggio 1900) si mantiene inalterato, ed è di arresto psicomotorio. Non profferisce parola, 0 solo con domande energiche si ottiene di farle dire il suo nome: solo trascinandola o sospingendola muove lentamente qualche passo ; lasciata a sè, resta in piedi, immobile, în mezzo al cortile o alla sala. Solo il capo è mosso per una con- tinua distraibilità. La faccia è atteggiata di dolore.

Osservazione VI

Luigia Co.... in età 42 anni, è stata condotta nel manicomio per la terza volta. Ebhe genitori sani e longevi, solo una sorella sofferse di convul- sioni isteriche. Essa aveva intelligenza aperta, carattere ilare, sana costitu- zione fisica,

La prima volta che fu al manicomio (11 Ottobre 1874 - 6 Febbraio 1873) aveva 17 anni. Venti giorni prima cominciò ad accusare tintinnio agli orec- chi, peso al capo e prese aspetto triste ed istupidito. Anche le pareva vede- re fantasmi terrifici.

Si presenta come stuporosa: a qualche domanda risponde sottovoce. Tale ò descritta fino a dicembre: poi lentamente si fa più sciolta e nel successivo Febbraio è dimessa guarita. Fu posta la diagnosi di « lipemania con stupore».

Dopo cinque anni, Anrante i quali ha goduto una perfetta salute, è ri- condotta al manicomio per la seconda volta (8 Ottobre 1880 - 16 Marzo 1881). Sei giorni prima era stata improvvisamente presa dalla malattia così descrit- ta: « orgasmo generale. rossore alla faccia, occhi come di fnoco; forza ercu- lea per cui quattro nomini stentano a tenerla in letto, grida, smania, tenta di gettarsi dalla finestra, rifiuta il cibo. Si presenta con grave agitazione motoria, ma non parla. Sette giorni appresso ò quieta e confusa: talo si man- tiene in Novembre e Dicembre. In Gennaio è guarita completamente. La dia- gnosi scritta nella tabella è « mania con furore ».

Venti anni dopo è ricoverata per la terza volta (22 Febbraio 1900).

In questo periolo di tempo ha proso marito, ha avuto cinque gravidan- ze con parti e puarperi felici: allattò e non ebbe disturbi.

Sulla fine dell’anno passato dopo la morte d'un suo bambino si fece mesta e taciturna. Quattro giorni prima fosse portata qui, improvvisamente ruppe in escandescenze, in invettive contro le persone. Invasa da una gran- de agitazione motoria, tentò di gettarsi a capo fitto contro le pareti e di strozzare una sua bambina.

Al momento dell'ammissione la donna è già rientrata in sè: è un po’ depressa. Continuando il miglioramento, dopo due settimane è dimessa guarita,

Osservazione VII

Maria Mazz. ora ha 40 anni. La madre & stata al manicomio ed è morta in carcere.

La Maria fu al manicomio la prima volta nel 1880 : la storia d’ allora racconta che essa, stata sempre sana di corpo e mente, ammalò in seguito a un dispiacere amoroso, dapprima con insonnio, inquietudine, tendenza a percuotere e a fuggire; poi s'è messa in un ostinato silenzio stando conti- nusmente a letto e rifintando di cibarsi, Lo stato morboso durò qualche me- se lasciandola guarita. Fu diagnosticata « Pellagra ».

Dopo 15 anni di benessere la donna è tornata al manicomio (1896), in uno stato «di agitazione maniaca grave che durò 8 mesi e fini lasciandola con tutte le apparenze della guarigione.

Dopo 14 mesi (5 Ottobre 1898) è stata riammessa nello stato in cui si trov atuttora. È in completo arresto psicomotorio. Sta costantemente seduta

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senza fare o dir nulla. Domandata come sta, risponde a vace afona « non c'é male ». La faccia ha un’ espressione melancolica coll’omega di Sehfile e gli occhi piegati a terra. Si muove solo per andare a tavola e a passi pio- coli con una straordinaria lentezza,

Osservazione VIII

Emilia Maz. di anni 50.

Entra nel manicomio il 20 Maggio 1899. Ha la faccia malinconica: con risposte che vengono tarde e lente, solo a strappargliele di bocca con insi- stenti interrogazioni, qualche notizia esatta di sè. Ha coscienza di essere malata e racconta (vero. che trentacinque anni fa (aveva allora 15 anni) sof- ferse di una malattia quasi identica all’ attuale. Segue una settimana nella quale il rallentamento psicomotorio s’intensifica fino all'arresto. Bisbiglia solo qualche risposta o accenna si e no col capo: più spesso non risponde affatto. Anche invitata a compiere qualche movimento, a metter fuori la lingua non obbedisce e solo con estrema lentezza. Questo stato con varia intensità per siste fino alla fine di giugno. Qnalche volta la donna esprime piangendo qualche idea delirante di dannazione. Il passaggio alla guarigione avviene rapidamente in pochi giorni,

Questa donna lavoratrice di campi è stata sempre intelligente e sana, fuor della malattia identica all'attuale sofferta nel quindicesimo anno di età, La malattia attuale è cominciata nel marzo di quest'anno con insonnio, ral- lentamento dell’attività consueta, tendenza a rompere suppellettili, trascura» tezza «del cito, tendenza al suicidio.

12 Maggio 1900. È riammessa in stato di depressione agitata. Dice che qualche giorno fa si sentiva invasa da una straordinaria allegria,

O io m'inganno, o per queste osservazioni spicca la necessità del concetto della frenosi maniaco-depressiva per l'assetto clinico del materiale d’osservazione.

Che cosa potrebbe contrastare al concetto dell’unità della for- ima maniaco-depressiva ? Le distanze di tempo, diverse nei diversi casi, le quali separano un accesso dall’altro? Ma' la patologia c'insegna lo stesso dell’epilessia e dell’emicrania: ci sono epilet- tici che hanno diversi accessi tutti i giorni, altri ne hanno uno all’anno o in diversi anni, e nel frattempo combattono in guerra, amministrano uno stato o compiono un’opera geniale; ci sono di quelli, disgraziatamente rari, nei quali si può contare un accesso solo nella vita (Kraepelin), ci sono altri che ne soffrono pro-

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prio periodicamente. Oppenheim (1) racconta di un caso di emi- crania nel quale, diversamente dal solito degli emicranici, il ma- le tacque dodici anni. Ora nessuno ha mai, che io sappia, pensa- to a spezzare l’unità nosologica, fondata su basi cliniche, dell’ e- pilessia genuina e dell’emicrania, solamente per consideraziene delle differenti tregue che il male concede agli individui. Se riu- sciremo a trovare le ragioni della benignità o della malignità di questi processi morbosi, se troveremo i criteri clinici che permet- tano fin da principio di presagirli benigui o maligni, sarà tanto di guadagnato per la nostra scienza e per la nostra pratica, alla qua- le sarà allora possibile anche una prognosi speciale: per ora noi dobbiamo credere cosi all'unità dell’epilessia senuina come dell’e- micrania. E della frenosi maniaco-depressiva, aggiunge Kraepelin,

Si potrebbe contro questo concetto far valere la dottrina che Del Greco ha ripetuta all’ ultimo congresso di Napoli (2) « che le anomalie dell’individualità, rivelate a noi dallo studio delle de- generazioni e psicopatie, svolgono sulla base di differenze spe- cifiche che ritrovansi nella individualità normale (7 maniaco de- generazione dell’individuo a temperamento sanguigno, il lipema» niaco di quello a temperamento nervoso ecc.) »? Se io ho ben com- preso il pensiero dell’alienista di Nocera, io non so neppure come egli possa difenderlo di faccia al fatto volgare della frerosi cir- colare, in cui dalla sera alla mattina si passa dalla depressione alla mania. Capisco che si può trovar subito la spiegazione: la mania si è svolta sulla base di tuttociò che c'è di sanguigno nel- la costituzione del temperamento, e la lipemania sulla base di ciò che ha di nervoso il carattere del temperamento stesso: ma nes- suno sarebbe ardito di accumulare cosìffatte teoriche di cui non è possibile dimostrare la corrispondenza alla realtà. Anche il dot- tor Galdi (3) ha preso di recente in esame il concetto della frenosi maniaco-depressiva, ma egli avanza (in verità con molto circo- spezione) una conclusione che non pare accettabile. Egli dice: « A me sembra che la forma maniaco-depressiva del Kraepelin anzichè un tipo clinico nosologico, sia un fatto di semiologia, un

(1) Lehrbuch der Nervenkrankheiten 1894, p. 721.

(2) Annali di Nevrologia 1899 p. 372.

(3) Dott. Raffaele Galdi. Sulla frenosi maniace-depressiva del Kraepelin gp. 11. Nocera Inferiore 1900, |

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fatto di fisiopatologia nervosa generale; ed infatti si osserva spessissimo in molte psicopatie e stati psicopatici il manifestarsi isolato, il succedersi di queste reazioni fondamentali di estrinse- cazioni nervose (esagerato sviluppo-eccitamento, arresto-depres- sione) »; e cita un caso con alternative di eccitamento e depres= sione, che a me sembra demenza paranoide, o piuttosto uno di quei casi-limite tra demenza paranoide e frenosi maniaco-depres- siva, sui quali Finzi ed io abbiamo insistito nella nostra contri- buzione alla dottrina della demenza precoce.

Che nella unità della Frenosi maniaco-depressiva sia possibile distinguere in avvenire delle sottoforme o dei gruppi, neppure Kraepelin lo contesta (1); sebbene egli ammetta che se ciò av- verrà, i criteri di distinzione dovranno essere altri da quelli fatti valere fin qui. Del resto non succede questo per tutte le malattie che non sono state distinte « per lo seme », ma per la forma cli- nica? C'è una forma clinica più caratteristica della paralisi agi» tante ? Eppure Leyden l’ha osservata nella metà destra del cor» po per un tumore del talamo ottico di sinistra. Nessuno mette in dubbio l’entità clinica dell’emicrania, ma tutti sanno che può rap» presentare un avviamento verso la demenza paralitica. E della demenza paralitica non è già lecito dire che, se per la maggior parte dei casi è vero che essa ha per fondamento uno speciale ed unico processo di malattia, è anche vero che nella forma cli- nica della demenza con paralisi includono casi che una anato- inia patologica progredita insegnerà a distinguere? (2)

Ammettere che tuttociò è possibile anche per la frenosi mania- co-depressiva non è concedere ch’ essa sia, come vorrebbe Galdi, semplicemente un fatto di semiologia, un fatto di fisiopatologia nervosa generale. Per ammettere questo, bisognerebbe dimenticare lo speciale suo decorso ‘che si svolge per accessi di cui la pro- gnosi in generale è benigna e che non finisce di solito in demen- za; bisognerebbe sopratutto dimenticare che frenosi maniaco-de- pressiva non vuol dire un eccitamento o una depressione qualun- que, ma un eccitamento e una depressione con speciali caratteri, diversi da quelli che distinguono eccitamento e la depressione della demenza precoce, della paralisi, delle pazzie della senescen-

(1) Psychiatrie Bd. II. p. 359. (2, ib. p. 289,

PER pr

za ecc. L’avere messo in luce questi caratteri clinici differenziali, dicevo nell’articolo antecedente, è gloria di una piccola famiglia di osservatori che comincia con Kahlbaum e Brosius e fa ca» po ad Emil Krae pelin. i

Vediamo più da vicino qualcuno di questi caratteri differen- ziali, sia pure che lo sforzo dell’ analisi, per usare il linguaggio magnifico d’ Ippolito Taine, rappresenti imperfettamente e me- schinamente e mutili l’ oggetto, e l’idea successiva, disarticolata in piccoli pezzi allineati ed inerti, rassomigli poco alla cosa si- multanea, organizzata, vivente, incessantemente in azione e tra- sformantesi.

Il maniaco-depressivo e il demente precoce in eccitamento versano fuori flotti di parole, ma il fenomeno è assolutamente di- verso nei due casi, La parlata che segue è T'una maniaca-depres- siva (il caso dell’ osservazione I.*):

« volete aver giudizio voi altri? chi comanda a Ferrara? é rotto Ù quel cappello ! che cos’ 6 che scrivi? scrivi che le tue belle servacce matte picchiano alla Manderioli! schifoso! schi- foso! (ride) e la fede di nascita ce lavete voi altri? più forarle quelle donne che diventano più matte! dice che va ria lei, é vero? ma noi siamo proprio matti! ho paura... ecc.

La seguente è di un demente precoce che, dopo un breve pe- riodo iniziale di apparente depressione con idee stravaganti di persecuzione, è passato ad uno stadio di eccitamento goffo che si mantiene da ormai due anni (l’ammalato è perfettamente orientato nell’ ambiente e nel tempo, legge e fa di conti benissimo):

« quello é pane che va all'inferno Carlo Pedrazzi un cane e un gatto..... venga a vedere l’urina che metto alla bocca di mia madre con due pidocchi intorno al fisico.... perchè sta di non potermi seppellire Carlo Pedrazzi Vedrani Alberto Luigi vici direttore Lambranzi Roggiero Pedrazzi Carlo che ha la fronte più bassa d’ un cane e d’ un gatto.... lo disse lei la sua vescica che ha tra le gambe... eh povera madre un cane e un gatta... non si leva su quel selciato ma chi ha lei Vedrani Alberto Cap- pelletti vicedirettore mia sorella non hanno nemmeno la qana- scia.... mia inadre di questi ( piechiandosi nei denti ) non ne ha neanche uno il cane e il gatto ecc. (cane e gatto, civetta e pap-

T Ik es

pagallo ed altre simili frasi ricorrono continuamente in mezzo al discorso che è accompagnato da atti stravaganti).

Mentre nel primo caso il pensiero salta di palo in frasca, ma le singole proposizioni hanno un significato (Venturi in un pre- gevole studio sui discorsi degli alienati (1) evoca molto opportu- namente a questo proposito una terzina dantesca:

« che sempre l’uomo in cui pensier rampolla sovra pensier, da dilunga il segno che la foga |’ un dell’ altro insolla ») nel secondo caso invece è rotta ogni legge di associazione inter- na ed esterna, e si ha una stravagante confusione verbale, il fe- nomeno da Forel chiamato insalata di parole, da Kraepelin Zerfahrenheit (2).

Questo fenomeno, proprio della demenza precoce, è cosi ca- ratteristico che bene si può pensare con Kraepelin (3), e in conformità con quello che sappiamo dell’ asimbolia, della sordità verbale, della parafasia e paraprassia, ch’ esso possa avere una localizzazione corticale. Gli ammalati, che in genere sono bene orientati, hanno buona memoria e sanno bene far di conti, par- lano difilato e speditamente; ma nei loro discorsi solo alcune pro- posizioni sono comprensibili e assennate, specialmente in forma di esclamazione o come risposta a una domanda energica: del resto nel discorso continuato, il parlare é completamente insensa- to e stravagante. La struttura della proposizione può essere pas- sabile; ma vi si trovano anacoluti, pleonasmi, cifre incastrate tra parola e parola, enumerazioni, un ribattere continuo di certe pa- role o catene di parole: qua e la parlata tende al ritmo e si sfoga in versi incomprensibili, n in neologismi che non hanno un significato nella coscienza dell’infermo, ma sono coniati li per li nella foga dell’ improvvisazione. Anche le parole preferite e ri- petute non hanno evidentemente un significato, ma sono inscrite a d’ un intercalare.

A questa confusione verbale il demente precoce arriva anche in eccitamento mediocre; a questa il maniaco si può dire che nou arriva mai neppure nel parossismo dell’ agitazione. La logor-

(1) IZ Manicomio moderno, 1593 p. 251. (2) Archie. f. Psych. Bd NXVT. p. 595 e Psychiatrie, Bd T p. 155. (3) Psychiatrie, Bd I p. 21.

di BGO as

rea del maniaco è immediatamente determinata dalla mancata fissazione dell’ idea-fine, che mantiene l’ unità nell’ andamento del pensiero normale coll’ arrestare e sopprimere la folla delle idee accessorie emergenti. Queste non più infrenate dall’ idea-fine 0 idea principale o idea-madre trovano facilmente la via espressiva negli organi della parola, i quali, per lo più contemporaneamente agli altri territori muscolari, si trovano straordinariamente pronti e sciolti al moto. Si tratta qui di una morbosa scorrevolezza e fugacità d’ idee, come insegna la scuola di Heidelberg la quale da parecchi anni (1) combatte, con poca fortuna pare, l’idea vol- gare che i maniaci siano eccessivamente ricchi di pensiero; che ad esprimere tanta ricchezza non bastino, sopraffatti, gli organi del linguaggio. A parte le dimostrazioni psicofisiche, basta l os- servazione diretta a constatare che « i maniaci non sono niente affatto ricchi d'idee, ma sono solo ricchi di parole e si ripetono spesso con grande monotonia ».

Poichė adunque nessuna idea riesce a fissarsi e a segnare la direzione al pensiero, la direzione del pensiero è continuamente spostata per tutti gli stimoli esterni e tutte le idee che si presentano; finchè, col prevalere delle immagini verbali motorie, le associazioni interne o di concetto si fanno sempre più rare, e si viene al prevalere delle associazioni esterne e di quelle atti- rate per pura assonanza. Le designazioni di logorrea interna e logorrea esterna, che Kraepelin propone, significano gradi di- versi dello stesso disordine.

Il quale trova la sua migliore condizione, e forse è tutt'uno, coll’ elevarsi della eccitabilità motoria. Aschaffenburg (2) ha accumulato prove che il presentarsi di rime e di parole con- sonanti, come delle altre associazioni essenzialmente verbali, in luogo delle associazioni di concetto, è un sintoma parziale della generale facilitazione delle reazioni motorie. Questo forse non si può sempre dire; perchè i movimenti del linguaggio mostrano una relativa indipendenza funzionale dagli altri campi di moto. Lo- gorrea con arresto nel rimanente del corpo, mutacismo con agi- tazione non sono osservazioni rare. Qui abbiamo eccitamento ed

(1) Aschaffenburg in Arehiv. f. Psych. BA XXVI p. 597, Kraepe- lin Psychiatrie, passim Bd T p. 152 Bd IT p. 309. (2) Psychologische Arbelten. Bd. H, p. 57 e seg.

arresto nella sfera psicomotoria una stessa persona: uno stato misto in una stessa sfera sintomatica (1). L’ eccitamento motorio può dunque localizzarsi nella circonvoluzione di Broca. « Se la proposizione (scrive Stork di Breslau) che lc pure associazioni per assonanza sono un sintoma motorio è in degna di nota, si deve d’ altra parte ammettere ch’ essa non è (sempre) un sintoma parziale di una generale esagerazione della motilità. Le singole aree motorie della corteccia possiedono una larga indipendenza funzionale; ed una esagerazione funzionale della circonvoluzione di Broca può essere ‘collegata con una afunzione del rimanente della corteccia motoria » (2).

Insieme a condizioni analoghe di eccitabilità motoria la lo- gorrea si presenta in altri processi morbosi : nelle psicosi da esau- rimento, nella pazzia infettiva, nell’ avvelenamento alcoolico, nel- la Paralisi; ma in questi il sintomo va insieme con altre manife stazioni morbose, che mancano nella frenosi maniaco-depressiva.

Un sintoma invece che, fino a dimostrazione del contrario, ritengo patognomonico della frenosi maniaco-depressiva è il ral- lentamento psicomotorio. Il caso seguente valga dapprima a mo- strarcene la straordinaria importanza.

L’undici Ottobre 1898 ci fu inviata dall’ospedale di ...... l’ammalata Rosa Tum... di anni 53, giornaliera, con queste po- vere notizie dettate da un medico: « l’inferma fu inviata qui il T7 corrente con diagnosi di isterismo convulsivo. Ben presto pero si vide trattarsi di una vera mania in donna pellagrosa. L’amma- lata mantiene nel più assoluto mutismo, rifiuta cibi e bevande e dev’essere tenuta obbligata strettamente a letto ».

Da una figlia nol potemmo raccogliere queste altre notizie. Era stata sempre una donna sana, disinvolta, intelligente nel go- verno della famiglia. La malattia si era rivelata nella seconda metà del Settembre antecedente. La donna cominciò a manitesta- re preoccupazioni esagerate dell'avvenire della famiglia e idee di rovina. Accusava malessere e si diceva stregata. Metteva mano alla faccende di casa e non le compieva. Poi un giorno s’ è mes-

(1) Weygandt Ueber di Mischzustinde p. 12. (2) Zeitschrift: f. Psychologie und Physiolugie der Sinnesorgane Bd 22. H. 1. p. 74.

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sa a cantare e ballare, poi fece passaggio ad uno stato di taci- turnità e d’inerzia. Allora fu condotta all’ospedale del paese, e di al manicomio.

Anche noi ci accorgemio subito che le formole diagnostiche « isterismo e pellagra », pronunciate dai nostri colleghi, non era- no giustificate. Fra parentesi, c'è grande facilità tra i medici a battezzare come isteriche le donne psicopatiche, senza che spesso del giudizio diagnostico si trovi altra ragione se non che tutte le donne hanno l’organo che il nome all’isterismo; come anche, nelle provincie flagellate dalla pellagra, a chiamare pellagrose le malattie mentali, quando si presentano in uomini (e non sono po- chi) che hanno patita la fame o l’hanno empita colla polenta.

Noi avevamo ed abbiamo ancora, perchè dopo un anno e mez- zo nulla è cambiato in lei, una donna in condizioni buone di nu- trizione generale, silenziosa, quasi sempre immobile o moventesi con una straordinaria lentezza, e continuamente distratta a guar- dare cogli occhi spalancati chi entra e chi passa. Spontaneamen- te non parla mal: rarissime volte brontola qnalche cosa tra sè: interrogata, guarda in faccia, non risponde, e subito si volta in giro distratta da tutti gli stimoli esterni. Quando l’interrogatorio frutta qualche cosa, non si ha mai più delle seguenti risposte:

D. Come vi chiamate? R. Rosa Tum... - altre volte - mi chia- mo niente.

D. Quanti anni avete? R. niente - altre volte - ne avrò due o tre - oppure - voglio andar via; e subito si distrae a guardare per aria o intorno.

Alla minaccia d’una puntura di spillo ha delle vivaci reazioni di difesa. Del resto i suoi movimenti sono sempre lentissimi: per indurla a fare qualche passo bisogna trascinarla e sospin- gerla: lasciata a sè, si arresta immobile in mezzo alla sala. In principio si urinava addosso: ora non più. Nessuna traccia di sin- tomi organici.

Che cosa si poteva pensare di questa donna? Davanti a questo apparente annichilamento psichico, le abitudini mentali potrebbero facilmente suggerire a un alienista la parola demenza. Ma se a questa parola si il suo significato solito di malattia inguaribile, il pronunciarla in questo caso sarebbe come far andare il carro avanti ai buoi; perchè qui si tratta appunto di decidere, invocan- do l’esperienza clinica, se la donna guarirà o no. A chi avventu-

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ra giudizi cosi per impressione capita qualche volta quello che Gambari (1) segnalava quaranta anni sono: «Ci sono individui che furono ritenuti dementi, i quali dopo moltì anni rinsanirono, e con ammirazione di tutti tornarono in società. Questi casi, se non sono frequenti, sono almeno in qualche numero ». È vero che in questi casi ci si rimedia prontamente col dire che la demenza diagno- sticata era una demenza acuta, ma il ripiego è peggiore del male; e nessun alienista, che abbia la coscienza della dignità della pro- pria arte, può ancora acconciarsi a cotesti giochi banali di parole.

Quanto ai processi demenziali noti alla patologia mentale (demenza senile, paralitica, precoce) a nessuno d’essi si può pen- sare in questo caso. Del resto, se anche invece di avere avanti a noi una donna di cinquantatrè anni, avessimo una giovane, noi non potremmo definire il suo stato presente come negativismo per tutte le ragioni esposte nell’articolo antecedente (reazione vivace alla puntura, nessun movimento rapido mai, interesse per l’ambiente); il suo stato presente si può invece definire: rallentamento psico- inotorio, arresto del pensiero, distraibilità, umore indefinito che ha qualche volta espressioni di allegria. Noi quindi pensavamo o ad una malattia ancora ignota alla psichiatria, o a uno stato mi- sto della frenosi maniaco-depressiva, e attendevamo luce dal tempo.

Il tempo ha cominciato a darcela; frugando negli archivi del manicomio abbiano trovato a caso il seguente documento, il qua- le attesta che questa donna fu in questo manicomio, per lo spa- zio di quattro mesi, trentacinque anni sono:

T. Rosa, di anni 18, nata a Coccanile, nubile, bracciante.

Questa giovane, il cui nonno fu epilettico, è stata condotta al manico= mio unitamente alla propria madre, pazza pur essa, il 1 Luglio 1565.

La Rosa è stata pazza anche due anni prima. La malattia attuale è co» minciata nell’ultima settimana di Giugno (1865) con sragionamenti, tristezza d’animo e poi taciturnità irremovibile. Ricusa cibarsi e fa la statua.

1 Luglio. Domanda di sua madre ed aspetta sempre che le taglino gam» be e braccia.

2 Luglio. Sta li come una smarrita ad occhi aperti.

3. Sente quasi nulla la docciatura ed è impossibile farla mangiare.

22 Luglio. Pare che si svegli appena. Teme sempre che siano per reci« derle gli arti.

(1) Rendiconto del Manicomio di Ferrara 1861 p. 180,

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6 Agosto. Interrogata non risponde quasi mai.

24 Agosto. Non è possibile di scuoterla e d’indurla a far qualche cosa.

20 Settembre. Siamo al punto di due mesi fa: però si va rimettendo fisicamente.

24 Ottobre. Si è scossa: migliora sensibilmente: si presta a filare. I suoi occhi però serbano un notevole incanto. Si muove, ma le sue mosse sono an- cora troppo compassate e lente.

26 Ottobre. Vede suo padre. Presenta una scena commovente. Si di- rebbe che lo aveva creduto morto; lo abbraccia e lo bacia con affetto. Ne ri- conosce a poco a poco tutte lo robe: la giacca ch'ella aveva tessuta. Guarda tutto, oggetto per cggetto; e pare che riviva a un nuovo mondo. Ha mostrato questa giovane una forza d'affetto che non è comune, e che di rado si vede tra le pazze che rinsavite rivedono i loro cari.

13 Novembre. Esce guarita.

Il medico che la vide nel Luglio 1865 avrebbe potuto, in ba- se al rallentamento psicomotorio, diagnosticare la frenosì maniaco- depressiva, fare una prognosi buona dell’ accesso, ammettere la probabilità di altri accessi futuri in forma eguale o maniaca o mista ; sicuro che l’avvenire gli avrebbe data ragione perchè il tempo è galantuomo e la psichiatria clinica, come la geometria e l’anatomia, non è un opinione.

Sopra i così detti « comparti d'osservazione » del Dott. Jacopo Finzi

Da paese a paese le questioni pratiche assumono aspetti e trovano applicazioni molto più differenti di quello che non fac- ciano le vedute teoriche; giacchè, mentre l’ intelligenza vede ed accetta novità e vi si adatta più o meno facilmente, l’azione pra- tica presuppone una quantità immensa di fattori, che le diano un valore di fronte all’ ambiente, che le permettano di affermarsi e di manifestarsi con fatti di ordine sociaie.

Cosi se fra la psichiatria italiana e tedesca ci sono già delle differenze, fra le discipline manicomiali del nostro e di quel pae- se ci sono delle differenze molto maggiori. Tanto la legislazione come la tecnica dei manicomî trovano in paesi diversi elementi non solo che ne favoriscono o ne ostacolano lo sviluppo, ma che loro imprimono direzioni e caratteri particolari a seconda del li-

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vello intellettuale e civile del popolo, delle condizioni economiche, politiche, ecc. Nell'attuale momento storico degli asili d’alienati il differenziamento nelle funzioni delle varie parti di un manicomio procede irregolare ed incerto: organi nuovi si sviluppano, talvolta esuberantemente, altri atrofizzano, altri rimangono senza avere una funzione determinata, o disimpegnandone più d’una, ovvero qua e funzioni ed organi rimangono allo stato diffuso, indiffe- renziato.

Da alcuni anni si parla molto in Italia sui comparti d’osser- vazione. Che cosa questi comparti siano, a che bisogni sopperi- scano e come vi sopperiscano è difticile dire. Il fatto è che si considera il comparto d’osservazione come una parte essenziale di un manicomio; e in una pubblicazione ufficiale (1) lamenta Pin- conveniente di molti manicomi italiani privi del comparto d’os- servazione.

Come dice il nome, tale comparto avrebbe la funzione di te- nere insieme per qualche tempo i malati appena entrati, e quindi poco o punto conosciuti, per osservarli e studiarli fino a che si possa stabilire in quale padiglione del Manicomio debbano essere ricoverati, ovvero se debbano essere rinviati. In altre parole avrebbe la funzione dell’accettazione e della sorveglianza per un determinato tempo.

ll Parchappe per primo ampliando e applicando una idea del Gualandi (2), introdusse due comparti uuovi, annessi all’in- fermeria. « Nell’ infermeria, dice egli, non ci possono stare certi epilettici, sudici, agitati; e per questi occorrerà un comparto spe- ciale dell’intfermeria, quando siano colpiti da malattie accidentali. D'altra parte VY utilità di una sorveglianza ininterrotta si estende con necessità ancor più imperiosa a quei malati che hanno ten- denze immorali o al suicidio... ciò suggerisce l’idea di mettere a profitto queste condizioni eccezionali... » e di riunire insieme questo gruppo di alienati in ua quartiere speciale, che si potrà chiamare « comparto a sorveglianza continua ». in un comparto di accettazione 0 « di trattamento » il Parchappe avrebbe vo-

(1) Assistenza e cura degli alienati. Ministero dell’ Interno. Roma 1599. Pa- gina XIV della relazione. (2; Parchappe. Des principes à suivro dans la fondation et la construction des asiles d’alienés, Paris, Masson 1853. Pag. 9L

luto mettere i malati di fresco arrivati e in cui si credeva pos- sibile una cura e una guarigione (1).

Il Griesinger senza occuparsi direttamente del problema di questi speciali comparti, toccò la questione della loro neces- sità da un punto di vista più generale, mettendola in rapporto con la necessità delle cliniche psichiatriche, degli asili cittadini, dell’abolizione dei mezzi coercitivi e del lavoro dei pazzi (2). At- traverso le lucide ed esaurienti discussioni del Griesinger, li- dea del Parchappe potè trovare larghe applicazioni in Germania, dove parecchi alienisti si contendono la priorità delle « Wach- abtheilungen » (3). Giacchè le due istituzioni del Parchappe, il quartiere di sorveglianza e il quartiere d’ accettazione si svilup- parono nella pratica in modo e in teinpi molto diversi. Quello che tosto si mostrò rispoudere ad imperiosa necessità fu il comparto a sorveglianza continua. Nonostante che i primmi tentativi in propo- sito appartengano allo Scholz (4), al Meyer (5) eal Köppe (6), la storia dei comparti di sorveglianza si raggruppa attorno al nomi di ¿Gudden (7) e di Paetz (8). Sulle funzioni e sulla te- cnica di tali comparti questi autori sono in parte d’accordo, in parte discordì.

Tutti ammettono Ja perfetta inutilità di uno speciale comparto d’accettazione; tutti ammettono che nel comparto d’ osservazione ( Wachabteilung) si tengano i malati bisognosi di sorveglianza continua per ragioni psichiche e quindi abbia funzioni e tecnica atfatto diverse dall’infermeria: il Guddeun però vuole tale comparto Costituito essenzialmente con camere da letto di varia capacità, il Paetz vuole vi abbiano grande sviluppo anche le sale di riu- nione. l risultati più importanti sulle condizioni e i bisogni di

(1) Op. cit. Pag. 84.

(2) Archiv fur Psychiatrie I Bd. 8. 10, 19, 36, e passim.

(3) Cfr. Paetz, Die Kolonisirung ecc. Berlin 1893. Pag. 76 e seg. Scholz, Ueber Wachabteilungen in Irrenanstalten. Allgem. Zeitsch. f. Psychiatrie 1889. ALY. 235; Dornbliith in Allgem. Zetisch. f. Psych. XLV. 499.

(4) Scholz, op. cit.

(5) Meyer, Die provinzial Irrenanstalt Gittingen. Gottingen 1891.

(6) riferito in Paetz, op. cit. pag. 77.

(7) Allgem. Zeitsch. f. Psych. XLII. 454.

(3) Aligem. Zeitsch. f. Psych. XLIV. 424, e op. cit. Pag. 79-84,

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questi comparti seno quelli riferiti dal Kraepelin (1) e dal Sioli (2). La sorveglianza continua è la funzione essenziale dei comparti d’ osservazione ( Wackabteilungen); quindi in tali com- parti vanno ricoverati malati appena ammessi e non ancora co- nosciuti, i sitofobì, quelli che hanno tendenza al suicidio, quelli che per ragioni psichiche sono indicati alla clinoterapia, quelli sottoposti a cure speciali che richiedono continua sorveglianza, ì morfinisti, i cocainisti, gli alcoolisti in certi stadi, e finalmente quelli sottoposti a ricerche scientifiche sperimentali e cliniche si- stematiche. Di qui la necessità, sostenuta così dal Kraepelin, come dal Sioli, e come del resto accettata e messa in pratica dal Paetz ad Altscherbitz, di due comparti di osservazione ( WacX- abtheilungen) per ogni Manicomio o Clinica: uno per malati tranquilli e uno per malati agitati. Così pure i due autori ammet- tono che, sebbene i vantaggi del trattamento a letto rendano sempre più manifesti, non si debba identificare « Wachabtheilung » con comparto clinoterapico e quindi alcuni malati del comparto debbano stare alzati e abbiano camere di riunione diurna. Nella . clinica di Heidelberg il comparto di sorveglianza contiene da '/, a */, dell'intera popolazione. Il Sioli dice che in un grande asilo il comparto di sorveglianza basta contenga dal 7 al 10°/, in un asilo cittadino dai 20 al 30 °/, della popolazione intera dell’asilo. Il personale di questi comparti secondo questi A. A. basta stia col numero dei malati nel rapporto di 1: 5.

Nella clinica di Halle il comparto di sorveglianza consiste in due sale comunicanti, con circa 12 ietti ciascuna; nella clinica di Giessen ci sono due sezioni di sorveglianza: una grandissima « Wachsaal » per tranquilli con letti solo da un lato, e bagno, toletta, e watercloset nella sala stessa; in un altro edifizio una serie di piccole camere con corridoio e annessi costituisce il comparto di sorveglianza per agitati (3). Si capisce che in una

(1) Kraepelin, Die Wachabteilung in der Heidelberger Irrenklinik. Allgem. Zeisch. f. Psych. LI. 1.

(2) Sioli, Ueber Ueberwachungsabtheilungen. Mitteilung an der XXV Ver- sammlung der stidwestdeutschen Psychiatern in Karlsruhe. Allgem. Zeitsch. f. Psych. LI. 231:

(5) cfr. Dannemann. Die psychiatrische Klinik zu Giessen. Berlin 1899. Pag. 79, e piani a pag. 71 e 76.

5 Sl

Clinica, cioè in un Manicomio molto piccolo, il grande numero di ammissioni fresche, le cure e gli studi sui malati portino di con- seguenza uno sviluppo proporzionatamente molto grande del com- parto di sorveglianza e, in questo, della « Bettbehandlung ». Di pit in una clinica, dovendo essa rappresentare gli ultimi portati anche della psichiatria pratica, lalienista deve sforzarsi di eliminare nel modo più completo possibile quanto di carcerario, di violento, di inumano aveva ed ha ancora la vecchia tecnica manicomiale, e quindi deve, magari esagerando, cercar di abolire del tutto il così detto « comparto agitati e sudici » comparto contenente in gran parte malati che sono i prodotti di una male ordinata vita manico- ` miale, malati tutti di spettanza, in una clinica, al comparto d’ os- servazione o di sorveglianza. In realtà nei Manicomi, anche in quelli che posseggono un così detto comparto d’osservazione, mol- ti malati bisognosi di sorveglianza continua per ragioni psichiche, i violenti, 1 clamorosi, quelli con tendenza al suicidio ecc. sono sparsi nella sezione agitati e nel comparto infermi.

Non è quì il momento di discutere sui vantaggi e sugli in- convenienti di una sezione speciale per alienati violenti e cla- morosi: vogliamo solo constatare che il concetto di comparto d’osservazione è più spesso quello di comparto di accettazione, in Italia, di quello che un concetto praticamente più giustificato di « comparto sorveglianza ». Ora, l'utilità di un 'comparto spe- ciale di accettazione sarebbe difficile a dimostrarsi, dato il fatto che ben pochi sono i malati che realmente necessitano di una osservazione preliminare per poi poter essere mandati ad un com- parto tranquilli o agitati. Anche senza tener conto dei recidivi, che rappresentano: sempre una percentuale elevata delle ammis- sioni (dal 20 al 30 °/,), e che sono malati da potersi subito desti- nare ad un determinato padiglione, per la maggior parte degli altri l'osservazione preliminare sufficiente è brevissima e può es- sere fatta nel padiglioni di sorveglianza; e solo un numero di ammissioni enorme potrebbe giustificare un comparto speciale di accettazione. DI più questo comparto, necessariamente piccolo, metterebbe vicini, insieme, tutti i nuovi entrati, il tranquillo e l’ agitato, il neurastenico e il clamoroso, il violento e il melan- conico. Se si suddividono questi malati in due gruppi, tranquilli e agitati, in un modo simile a quello accennato nella clinica di Giessen, a meno di non dare al comparto la funzione di comparto

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di sorveglianza, i soli neoammessi saran sempre troppo pochi per giustificare un comparto speciale per loro.

In altra maniera si potrebbe giustificare un comparto di ac- cettazione e cioò nel senso voluto dalla legge toscana per gli alie- nati. IH malato entra ad es. nel Manicomio di Firenze con un documento della P. S. che ne autorizza solo il ricovero provvisorio; dopo due e tre settimane di osservazione, il medico domanda il decreto di ammissione definitiva o di dimissione. I primi giorni quindi, quelli appunto in generale passati dall’ infermo nel coin- parto di osservazione, rappresentano un periodo di transizione, tutto particolare della cura e custodia del pazzo, e per questa funzione può sembrare giustificato uno speciale comparto di ac- cettazione.

Col nome di comparto d’osservazione « Beobachtungsabthei- lung » chiama il Paetz un piccolo padiglione dove egli tiene o malati nuovi o malati provenienti da comparti di sorveglianza e di isolamento, prima di destinarli alla colonia (1). É una piccola sezione tranquilli dove tutti lavorano; una sezione di passaggio e di preparazione alla vita più libera della colonia. Il malato non è sorvegliato, è soltanto osservato: denominazione e funzione cor- rispondono.

Nel differenziamento degli organi e delle funzioni manico- miali, tornano le grandi e seinplici divisioni antiche di tranquilli e agitati sempre a ripresentarsi, ma frazionate e modificate così da non riconoscersi. In questa suddivisione è talvolta incerta la via da tenersi: ma gli errori si fanno perchè la suddivisione non è il risultato diretto dei bisogni sentiti, e riconosciuti come reali, ma precede l’esperienza e non si adatta a questa, e perchè lor- ganismo sociale non permette ancora una avanzata divisione del lavoro. È naturale che nel periodo attuale di sviluppo della psi- chiatria pratica, in cui idee nuove e esperienze vecchie tentano più o meno bene di associarsi, nei singoli comparti si vada a po- co a poco fissando una funzione esclusiva, ma che oggi sia al massimo solo prevalente e mescolata ancora ad altre. È certo giustissimo che una gran parte dei malati recentemente ammessi, trovano in condizioni diverse da tutti gli altri, perchè hanno

(1) cfr. « Una visita al Manicomio di Alt Scherbitz » in questo Bollettino, 1899 N. 1 e 2,

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bisogno di una sorveglianza particolarmente accurata: essi adun- que, insieme con quelli che più si avvicinano a queste medesime condizioni, possono essere messi in un comparto speciale.

Questo il concetto del comparto di sorveglianza. E tanto è vero che tale concetto è quello che deve informare la funzione e la tecnica di questi comparti, che se ad essi vogliamo dare il si- enificato di comparti di accettazione solamente, diventano com- parti senza scopo e senza funzione : comparti dove ammettono i malati freschi, e dove questi malati stanno fin che œ’ è posto, sia- no tranquilli o agitati, hisognosi o no di sorveglianza, atti o no al lavoro. In questo pericolo, di un organo inutile, si corre coi così detti comparti d'osservazione facienti parte di grandi asili.

Un comparto di osservazione faciente parte di un Manicomio si riduce a un comparto di sorveglianza per i malati appena en- trati. Soltanto la durata della degenza non è regolata in genera- le che dalľ affollamento , cioè dai posti disponibili: e se questi comparti son sempre troppo grandi come stazioni d’ accettazione, sono sempre troppo piccoli per le funzioni della sorveglianza. Non solo, ma un tale comparto viene ad essere in ultima analisi quel comparto del Manicomio dove gli alienati passano in media supponiamo le prime due o tre settimane della loro degenza nel- P’ asilo; e quindi esso contiene malati di mente di tutti i generi. In un tale comparto d’ osservazione, faciente parte di un asilo, abbiamo già in piccole proporzioni un intero manicomio, giacchè una parte dei malati sarà sotto sorveglianza continua nel più . Stretto senso della parola, una parte sarà tranquilla o occupata in lavori domestici, una parte potrà essere occupata in lavori li- beri quasi come faciente parte di una colonia.

Nello stesso tempo però le funzioni di comparto di sorveglian- za sono, in un comune nostro manicomio, oltre che sostenute dal padiglione di osservazione, divise anche fra i padiglioni agitati, infermi, ed eventualmente semiagitati: così, che in ultima anali- si noi troviamo degli organi e delle funzioni distinte nominal- mente: in realtà troviamo uno smembramento dell’ organismo ma- nicomiale a cni non corrisponde punto una regolare divisione del lavoro funzionale.

Un’ altra eventualità da prendersi in seria considerazione, perchè frequente ad avverarsi in Italia, è il fatto che uno di questi così detti comparti d'osservazione facienti parte di un

nl e AP. che

grande asilo, serva in pari tempo da clinica psichiatrica. Le fun- zioni, i bisogni, le condizioni di vita di una clinica psichiatrica sono così ben definiti e differenziati da quelli di qualsiasi altra istituzione ospitaliera e manicomiale, che salta subito agli occhi l’ incompatibilità di carattere esistente fra di essa e un padiglio- ne Manicomio. La clinica psichiatrica ha tre fini ben deter- minati: P insegnamento; le ricerche scientifiche, cliniche e speri- mentali; i progressi della psichiatria pratica: deve contenere ma- lati d’ ogni genere e per un tempo illimitato, deve avere labora- tori, deve servire di modello d’ organizzazione manicomiale: ha da essere insomma un piccolo Manicomio.

Ora un comparto d’ accettazione, un comparto di sor- veglianza possono servire da clinica. In qualunque caso la clinica sia rappresentata da un comparto di un Manicomio, le sue fun- zioni vengono menomate: anche se si tratta di un comparto d’osservazione a funzioni ibride e incerte : nel quale ci sono bensì come abbiamo visto, malati di ogni genere; nel quale ci .pos- sono essere laboratori, ma che, appunto per il fatto di far parte di un grande asilo, sarà sempre troppo piccolo per i bisogni del- P insegnamento e non potrà di per servire di modello d’ orga- nizzazione manicomiale.

Se adunque teoricamente il comparto d'osservazione, come lo intendiamo generalmente noi, corrisponde ad un concetto giusto come di una specie d’ istituto intermedio fra Ospedale e Manico- mio, nella realtà dei fatti esso è qualche cosa di molto diverso.

Esso corrisponde in parte alle « Wachabtheilungen » e « Ue- berwachungsabtheilungen » dei tedeschi, e al « quartier d sur- veillance continue » del Parchappe, s’ avvicina insieme al « quartier de traitement et d’ observation » di questo autore, al riparto degli alienati in cura, alienati dubbi e convalescenti del Gualandi; ma sopra tutto si dovrebbe avvicinare alle « sale d’os- servazione per alienati » esistenti in molti ospedali in città o paesi dove non œ’ è Manicomio. Da queste sale si distingue però un comune comparto d’ osservazione faciente parte di un grande asilo d’alienati dal punto di vista del modo di ammissione e di- missione dei malati, per il circuito di accettazione (distanza da cui i malati arrivano) e per la durata della degenza.

Nell’ospedale di S. Maria Nova a Firenze esiste una sala per alienati, detta « sala deliranti », nella quale vengono messi sol-

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tanto, e sempre provvisoriamente, quelli fra i ricoverati nell’ospe- dale che danno segni di alienazione; solo eccezionalmente avviene che un individuo sia portato a S. M. Nova e messo subito in sala deliranti, dove non sarebbe in ogni caso tenuto che brevis- simo tempo. Così pure eccezionalmente avviene che un delirante rimanga in quella sala più di due o tre giorni. In ogni modo resta il fatto che alienati vi fanno talvolta una prima tappa, che è possibile che un delirio febbrile, o un delirium tremens, o un episodio epilettico compia tutto il suo decorso in questa sala d'ospedale, dove si entra con le formalità dell ospedale comune, Amministrazione dipende dal Municipio, e le dimissioni si fanno come per comuni malati.

Nell’ospedale civico di S. Giovanni e Paolo a Venezia esiste invece una « sala di osservazione per alienati » nel senso classico, in Italia, della parola. Essa contiene, quand’ è piena, 130 malati fra maschi e femmine. Questi vi sono ammessi con un semplice certificato medico; talvolta occorre la testimonianza di terze per- sone facienti fede della pericolosità del malato. Tutti i pazzi del- la Provincia di Venezia devono passare per il comparto d’ osser- vazione prima di essere, in seguito a giudizio di pazzia, fatto dall’alienista direttore del comparto stesso, trasferiti ad un Mani- comio. Il comparto dipende amministrativamente dal Consiglio ospi- taliero che è autonomo. La retta degli alienati, che come tali vengono dichiarati dal primario alienista insieme col primario medico e col medico ispettore, viene poi assunta, come di legge, dalla Provincia. I malati restano nel comparto in media da uno a due mesi. Il giudizio psichiatrico vien dato ordinariamente en- tro trenta giorni. Il comparto d'osservazione è organizzato a gran- di dormitori, ai quali sono annesse celle d’ isolamento e stanze isolate per tranquilli e dozzinanti, cortili di svago e refettori. In altre parole la disposizione interna è perfettamente identica a quella di sale d’ospedale comune I lavoro vi è poco curato, spe- cialmente fra gli uomini: le donne invece, che sono tranquille e ordinate, son tutte occupate per parecchie ore del giorno con la- vori femminili nella stessa sala che serve da refettorio. Per il lavoro degli nomini mancherebbero in ogni caso gli appositi locali. A questo genere di comparto, a questa sala che può considerarsi come il germe dell'asilo cittadino, conviene, meglio che a qua-

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lunque altra nostra istituzione manicomiale, il nome di comparto di osservazione. :

Altre forme intermedie di istituti manicomiali, che si avvi- cinano alle sale di osservazione e agli asili provvisorìî si trovano ad es. nella Provincia di Udine. Quivi i pazzi sono accolti in un apposito riparto presso l’ ospedale civile di Udine, donde, dopo opportuna osservazione, vengono inviati a Ribis, Sacile, Porde- none, S. Daniele, Gemona e Sottoselva. Tutti questi sono piccoli manicomî annessi ai varî ospedali distrettuali, dipendenti dalle singole amministrazioni, a cui la provincia paga una determinata . retta. Finalmente un certo numero di alienati vengono da questi piccoli manicomi mandati ai grandi Asili interprovinciali di S. Clemente e S. Servilio in Venezia.

I pellagrosarî servono pure qua e come comparti di osser- vazione per alienati. Infatti non tutti questi istituti hanno con- servato il tipo puro di quello di Inzago. A Crespano veneto,'a Dolo, a Mogliano, a Valdobbiadene vanno pellagrosi non alienati, van- no pellagrosi alienati, vanno finalmente anche alienati non pella- grosi in osservazione, entro il circuito d'ammissione dell’Ospedale stesso, prima di essere mandati a S. Servilio o a S. Clemente.

Si capisce come in certe condizioni un Asilo per alcoolisti 0 per epilettici possa in parte funzionare come comparto di osser- vazione. Ma tutti questi casi speciali di istituti differenziati per la cura o custodia o educazione di alcuni gruppi determinati di alienati meriteranno a suo tempo una trattazione particolare.

Se da un lato ragioni economiche potenti, anche indipenden- temente dal lavoro dei pazzi, inducono a costruire manicomi mol- to grandi, dall’ altra le esigenze crescenti della società e la divi- sione del lavoro inducono a costruirli anche molto numerosi e nello stesso tempo conducono a un frazionamento enorme dell’ or- ganismo manicomiale. Tutti questi fatti hanno come conseguenza che il grande asilo di alienati assume un carattere nuovo, che alcuni dei suoi comparti si staccano e hanno vita autonoma, men- tre altri o un altro solo si sviluppa enormemente. L’asilo colo- niale contiene ancora, necessariamente, i comparti di sorveglianza, di isolamento, ecc. come elementi bensi essenziali, ma non di primo ordine, nella stessa maniera che fra i molti istituti di una azienda municipale, esiste l'ospedale. Invece i grossi centri abitati vedono sorgere come prodotto delle necessità pratiche e giusti-

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ficazione ai bisogni e manifestazione dei progressi delle istituzioni civili la serie sopra ricordata di asili intermedì fra comuni ospe- dali e manicomi.

Se il comparto d'osservazione fa parte di un grande manicomio, la sua tecnica non corrisponde affatto alle funzioni che il compar- to dovrebbe avere ai bisogni reali a cui dovrebbe soddisfare.

In questo caso l’ammissione al comparto si può fare soltanto se C’ è la modula informativa di un medico non addetto al ma- nicomio, il documento della questura o del sindaco, ecc., cioè l’ ammissione si fa non già al comparto d'osservazione, ma al ma- nicomio, cioè si fa come se il comparto d’osservazione non esi- stesse. Così la dimissione si può fare direttamente dal comparto d’ osservazione solo dopo avere richiesto e ottenuto il decreto dall’autorità giudiziaria, o eseguite le pratiche speciali alla Pro- vincia. In altre parole la presenza del comparto d’osservazione non influisce minimamente sulla legislazione in genere e in par- ticolare sull’ammissione e dimissione dei malati nel manicomio di cui il così detto comparto d°’ osservazione ‘* fa parte. Cosicchè difficilmente si capisce a che cosa un tale comparto possa servire. Invece è facile dimostrare il fine pratico, P utilità immensa di una istituzione indipendente, che, per gli alienati, massime in una città, unisca le funzioni di stazione di soccorso, asilo prov- visorio, sala d’osservazione.

Chi è colpito da malore improvviso, o da trauma grave, o chi è colto in flagrante delitto è portato direttamente all’ ospe- dale e alla prigione: così si possono dare casi, specie in una città, di assoluta e immediata necessità di ricovero in isti- tuto adatto per un alienato di mente. I gravi danni a cul ogni ritardo di ammissione può in certi casi portare, e un riguardo all’ opinione del pericolo in proposito debbono imporre l’ esclusio- ne di qualsiasi formalità. Si potranno attribuire al medico che riceve così senz’ altro |’ alienato tutte le possibili responsabilità relative, nella stessa maniera che si dovrebbero riferire alle Au- torità comunali, provinciali, di P. S. ecc., tutte le possibili re- sponsabilità nel caso che il ritardo dovuto a causa di formalità, abbia portato funeste conseguenze. Ma le possibili responsabilità del medico non si possono riferire che alla restrizione della li- bertà personale del malalo. Ora ci può sempre esser modo, quan- do il malato è già ammesso, ed entro un termine di tempo anche

brevissimo, di dare avviso alle autorità competenti, in quei casi specialmente in cui l’ ammissione avvenga contro la volontà del malato, o in cui il malato non sia compos sui e non si sappia nulla della sua dimora, famiglia ecc. Le stesse ragioni valgono pel caso in cui i] malato si presenta da sé, dove l’ammissione 6 come avvenga per opera di un medico dell’asilo stesso. |

Su questo argomento ci sarebbe molto da dire (1). Che un medico di manicomio non debba comparire come colui che giudica necessaria l’ ammissione, è una disposizione che si può trovar giusta per i Manicomi privati, dove in generale le autorità tutorie e amministrative non possono esercitare quel controllo continuo, diretto, come in un manicomio comune. Nel caso poi di un istituto intermedio fra ospitale e manicomio, quale dovrebbe essere il com- parto d’osservazione, questa disposizione sarebbe affatto ingiusti- ficata. Essa non ha ragione di esistere dal momento che tale comparto non differisce dal punto di vista amministrativo e legi- slativo, da un ospedale comune. Ma v’ha di più. In un comparto d'osservazione, che si dovrà sempre trovare nell’ interno o alla periferia di una città (condizione che è invece sfavorevolissima per un manicomio) suppone ci si debba fare anche ambulatorio di malattie nervose e mentali. Ecco una istituzione di immensa utilità scientifica non meno che pratica, la quale dovrebbe coesi- stere a condizioni di ammissione e dimissione molto semplici. Spesse volte infatti succede che al malato si potrebbe realmente giovare con una cura personale anche di pochi giorni.

Esistono malati che negli ospedali comuni molto difficilmen- te vengono ricoverati (forme di neurastenia, isterismo ecc.) che a casa non possono venir curati custoditi a dovere, non assolu- tamente pericolosi e pei quali non solo non è necessario, ma for- se sarebbe dannoso un comune ambiente manicomiale, e che d’al- tra parte possono migliorare, guarire, guarire perfettamente in una casa di salute opportunamente organizzata, come dovrebbe essere un comparto d’ osservazione per malati nervosi e di mente. Non ci nasconderemo d’ altra parte che nella pratica occorrono i così detti casi dubbi di pazzia; che talvolta avviene che dopo una o due settimane di reclusioue in manicomio un individuo

(1) cfr. Ffirstner, Wie ist die Fiirsorge fiir Gemithskranke zu fordern ? Berlin 1599. Pag, 9 e seg.

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è dimesso per « non verificata pazzia »; che non ostante gli splen» dori della nostra cosi detta civiltà, sui pazzi e sui manicomi per- sistono ancora tali pregiudizî, che il fatto della reclusione, sia pure provvisoria e breve, può recar molto danno alla persona e alla famiglia della persona giudicata matta: per conseguenza queste eventualità della pratica debbono essere prese in corside- razione nell’ organizzazione dei vari istituti manicomiali; in altre parole questi casi spettano ai comparti d’osservazione indipendenti dai grandi Asili d’ alienati. Lo stesso vale quando è necessario un periodo di osservazione per una perizia psichiatrica in cause civili.

Non solo il modo di ammissione o dimissione dei malati, i doveri di spedalità, i limiti di durata della degenza, ma anche il circuito d’accettazione non risponde in genere nei nostri così det- ti comparti d’osservazione ai bisogni e alle funzioni a cui dovreb- bero sopperire. Il trasporto di un « osservando » non è forse ab- bastanza giustificato se la distanza che lo separa dall’istituto è troppo forte. Un unico grande asilo è conveniente per una o più provincie, ma un unico comparto d'osservazione è ridicolo. Eppure questo è il caso, quando non ci sia altro comparto d'osservazione da quello in fuori faciente parte del grande asilo. Da qualunque par- te si studi il problema del comparto d’osservazione nel senso pres- S'a poco di un «premanicomìio », questo si mostra sempre super- fluo come comparto di asilo, eminentemente utile e civile come istituto ospitaliero indipendente, intermediario fra ospedale e manicomio.

In Germania si è avuto pure qua e l’apparizione di un comparto, che ha una certa analogia, per l’ indeterminatezza della funzione pratica, coi nostri così detti comparti d’ osservazione di Manicomio; ed è la Aufnahmestation (stazione d’accettazione). Ma nel giro di pochi anni, pur essendo rimasta superstite presso qualcuno tale denominazione, essa si vede applicata ora a com- parti, che di fatto sono delle vere e proprie Wachabteilungen nel senso di Gudden e Paetz, ora a una semplice sala di passaggio o bureau d’accettazione, ora a un manicomio cittadino (Stadtasy!).

Il manicomio cittalino, o asilo comunale per alienati, è la forma più perfetta che fino ad oggi abbia assunto nella pratica il comparto d’osservazione come istituto indipendente.

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In Germania alcune città grandi pensano totalmente ai loro pazzi, altre solo in parte, e precisamente per i pazzi dichiarati acuti e guaribili, oppure vi provvedono per un tempo determinato, da l fino a 4 mesi (Magonza). Alcune città, come Halle e Strasbur- go, usano le ivi esistenti cliniche psichiatriche come asili prov- visori per alienati. Anche a Breslavia l’asilo cittadino e, fino a poco tempo fa, insieme clinica psichiatrica, contenente circa 200 malati, serve di stazione di passaggio per i pazzi della città e dei dintorni, prima che essi vengano mandati ad uno degli otto grandi manicomi della Slesia. A Breslavia c’ è il minimo di for- malità per l'ammissione: un infermo può essere ammesso anche senza nessun documento. Dell’ ammissione si entro 24 ore av- viso contemporaneamente alle autorità amministrative e alle au- torità tutorie. Sebbene press’a poco, come dimostrò il Sioli con le sue statistiche, l’esistenza degli asili cittadini porti una dimi- nuzione proporzionale impercettibile quasi sul numero totale dei pazzi inviati ai grandi asili d’alienati, è certo però che la fun- zione di questi ultimi viene, per il fatto dell’esistenza degli asili cittadini, singolarmente sempliticata e alleggerita. In media il nu- mero dei pazzi inviati ai grandi asili di campagna corrisponde alla metà del numero degli alienati ammessi negli asili cittadini, Gli altri (che non siano rapidamente morti) escono direttamente dall’asilo cittadino guariti 0 migliorati. Facile è dimostrare quan= to gli asili cittadini influiscano nell’interesse dei servizi pubblici ma sopra tutto nell’interesse dei malati per il fatto delle ammis- sioni precoci tanto facilitate (1).

Uw'altra funzione, importantissima, degli asili cittadini è quella di rendere accessibile al pubblico, e quindi popolare, la psichia- tria pratica; di mettere a contatto tutte le classi di persone con cose e fatti fin qui giudicati al lume di pregiudizi ed errori grossolani. Quanto alla tecnica di questi istituti manicomiali li- Initati, chi se ne è occupato (Fiùrstner, Kraepelin, Ganser, Sioli, Lùhrmann) sostiene in essi la necessità di due e magari tre comparti a sorveglianza continua; P utilità di uno speciale (1) Sioli, Die Fiirsorge fiir Geisteskranke in den deutschen Grosstidten. -

Lihrmann, Ueber Stadtasylen. Comunicazioni al congresso di Bonn. (Set- tembre 1898) v. Münchener medic. Wochenschrift, 1898. N. 40, 41 e 42; o Allgem. Zeitsch, f. Psychiatnie Vol LV, fasc. 6.

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personale per il servizio notturno; l'istituzione di un « servizio a domicilio » simile a quello istituito in certe cliniche ostetriche, ecc. Come si vede, le condizioni tecniche e legislative di questi comparti d’osservazione, divenuti organismi indipendenti sotto for- ma di « asili comunali d’alienati », rispondono insieme anche ai requisiti essenziali di una clinica psichiatrica. Unica condizione propria ài manicomi cittadini e contraria ai bisogni di una cli- nica è la limitazione del periodo di degenza dei malati. I mezzi per ovviare a questo inconveniente possono essere peró assai nu- merosi e diversi: noi ce ne occuperemo trattando in particolare dell'’organizzazione delle cliniche psichiatriche.

Qui noi ci limitiamo ad uno studio generale sui comparti detti d’osservazione: i quali spesso si dimostrano non essere pun- to comparti d’osservazione, ma padiglioni dove ancora indìstinta- mente esistono allo stato embrionale funzioni specifiche di futuri organi ed organismi manicomiali differenziati.

L’osservazione preventiva dei pazzi si presenta alla mente co- me una funzione ben distinta da tutte le altre e come un biso- gno imperioso della civiltà, sia dal punto di vista scientifico, sia dal punto di vista economico ed umanitario. E l’esperienza dimo- stra giustificata l importanza e l indipendenza di uua tale fun- zione. Ma nell’atto dell’applicazione pratica questo problema dell’os- servazione dei pazzi si risolve nella diagnosi generica della paz- zia e nella cura delle furme acute di breve durata: per couse- guenza la sua unità di funzione sociale si mostra complicatissima e non è punto una unità dal punto di vista tecnico, scindendosi essa nelle numerose fuuzioni tecuiche di un manicomio, nessuna esclusa, e solo con la prevaleuza di alcune (accettazione, sorve- glianza, studio clinico, ecc.) su altre (custodia e iavoro degli alienati ecc.).

Ecco perchè mal si comprende un comparto di osservazione, organo: entre si comprende benissimo un comparto d’ osserva- sione organismo. Le sue ragioni di essere sono molto superiori a quelle che giustificano un padiglione di manicomio: esse hanno molto maggiore analogia con le cause che hanno portato alla fon- dazione di istituti speciali per epilettici, alcoolisti, frenastenici, di cliniche psichiatriche e di manicomi giudiziari,

cs Db tes Le nostre considerazioni possono essere riassunte come segue:

1. Il comparto d’ osservazione non ha ragione di essere se non come istituto indipendente. ;

2. In un manicomio le funzioni dell’accettazione, quelle dell’os- servazione (quando è necessaria per malati freschi) e insieme quelle di sorveglianza si fondono facilmente dal punto di vista tecnico nelle Wachabteilungen o Ueberwachungsabteilungen, cioè comparti di sorveglianza di un manicomio. Tali comparti di sor- veglianza hanno necessariamente il massimo sviluppo nelle cli- niche, nei manicomi cittadini e negli istituti che noi chiamiamo sale, o comparti d’osservazione; minimo nei grandi asili d’alienati.

3. Se sl fa comparto d’osservazione sinonimo di comparto di sor- veglianza o se in genere esso fa parte di un asilo, le sue funzioni sono incompatibili con le funzioni di una clinica psichiatrica: se il comparto d’osservazione è invece un asilo cittadino o qual- che cosa di simile, sul tipo della sala d’osservazione di Venezia, allora le due funzioni possono andare unite.

4. Il comparto d’osservazione propriamente detto rappresenta un prodotto di un incivilimento elevato e dovrebbe essere una fun- zione dei grossi comuni. Sia esso o no organizzato ad asilo cit- tadino o a clinica psichiatrica, avrà sempre come caratteristiche: a) grande facilità e semplicità di ammissioni e dimissioni; d) la cura prevalente sulla custodia; c) durata di degenza relativamente breve; d) circuito d’ accettazione relativamente piccolo; e) am- bulatorio, laboratori scientifici.

Manicomio Provinciale di Brescia diretto dal dott. @. Seppllli

Della clinoterapia nelle malattie mentali sin. cura del letto. Francese. Seiour-repos au lit. Alitement-Clinotherapie, Tedesco. Bettbehandlung. Inglese. Rest in bed.

del dott. Giuseppe Tonoli Medico Aiuto

La cura del letto, in seguito a numerose quanto pregevoli monografie comparse in questi ultimi tempi, venne acquistando nel campo della terapia mentale e della tecnica manicomiale tantà importanza da diventare la questione del giorno,

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Noi, pronti sempre ad accogliere con favore quanto è o si presume possa essere di vantaggio ai nostri malati, abbiam seguito con interesse i nuovi studiìi non trascurando di esperimentare tale compenso terapeutico nel nostro Istituto.

Davvero l’idea di conferire al Manicomio l’aspetto d’uno spe- dale ordinario, era seducente; d’altra parte la facilità con la quale tal sistema poteva esser introdotto in un Manicomio come il no- stro moderno, ci offriva il modo di formarcene, indipendentemente da ogni prevenzione, un’idea chiara e precisa, conferendoci in pari tempo l’autorità necessaria a trattarne.

Richiamate alcune considerazioni nelle quali voglionsi trovare le prime origini e la ragion d’essere del metodo clinoterapico, seguitone lo sviluppo attraverso la storia, accennato alla tecnica, contrapposti i vantaggi e ì danni che ne derivano in ciascuna forma mentale, daremo infine i risultati delle nostre esperienze.

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Anzitutto, il concetto della clinoterapia, è desso cosa nuova? I suoi fautori osservano come sia nozione elementare, antica quan- to la medicina, che ai malati conviene il riposo in letto (Manquat); l’infermo deve cessare da ogni lavoro poichè la sofferenza esige il riposo; e l’azione riparatrice del letto è così nota da essere iu tutta la patologia sottintesa quale prima base di cura (Roehrich): che se è vero ehe a dignità di malati i pazzi da poco teiupo fu- rono assunti, pure anche in addietro molte alienazioni mentali, specialmente se accompaguate a disturbi somatici, furone in co- tal modo curate.

Del resto il riposo in letto era in gran parte inevitabile pri- ma che si abolissero i mezzi coercitivi, e presentemente lo è quasi tutte le volte che si procede all’isolamento.

Qui però ci sembra sia opportuna uua distinzione fra il trat- tamento in letto temporaneo, parziaie, inteso in senso lato, per certe psicosi, e il trattamento continuo, rigido, sistematico, quale intende e si pratica oggidi. Un metodo che, stando fra i due, avvicinerebbe piuttosto al primo, sarebbe il sistema misto adot- tato in molti asili, specialmente di Francia.

Le origini adunque della clinoterapia applicata alle malattie mentali, se presa in senso lato, si fauno risalire a tempi abba-

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stanza remoti, poichè sembra che Celio Aureliano sin dal quin- to secolo la mettesse in opera con i dementi agitati.

Passando sotto silenzio le vergogne dell’età di mezzo e ve- nendo a tempi migliori per la psichiatria ed a noi più vicini, per comune consenso si riconosce a Guislain (1852) il merito di aver fatto ricorso, innanzi ogni altro, al trattamento in letto negli stati di depressione psichica, d’inerzia, d’ immobilità, e di averne rile- vata l’efficacia; a Conolly (1854) di averla raccomandata negli sta- ti maniaci e in tutte le forme di eccitamento, susseguito poi da Griesinger (1861) dal quale venne riconosciuta conveniente nella malinconia acuta, da Weir Mitchell(1878) e da Playfair (1882) che l’adottarono nella cura delle psico-neurosi isterica e neura- stenica. Seguin, Belle, Parchappe, Lemoine, Cullerre Chaslin ed altri vi portarono pure i loro contributi.

Se non che, ripetiamo, 1 singoli A. A. consigliavano la cura del letto in una ristretta categoria di frenosi, in uno piuttosto che in altro dei periodi d'una forma medesima: e se nel comples- so quasi nessuna delle malattie mentali venne esclusa da tale trat- tamento, devesi notare che questo non era per. i più sistema- tico continuo, costituiva per se solo la parte fondamentale della cura, poichè questa veniva confortata da altri sussidii non meno importanti. Sarebbe questo il primo di quei due periodi nei quali opportunamente Serieux e Farnarier hanno divisa la storia della clinoterapia: se però non fosse per comodità nell’espo- sizione, converrebbe per maggiore esattezza abbandonare il crite- rio cronologico adottato dagli A. A. per appigliarci ad un crite- rio topogratico: chè in Francia, ad es. questo primo periodo porterebbe sin quasi ai giorni nostri, laddove in Germania sin dal 1860 saremmo entrati nel secondo.

Il rappresentante migliore di questo primo periodo, 0 meglio, della vecchia scuola, sarebbe a ritenersi Weir-Mitchell, il quale per l’importanza annessa al riposo in letto, per averne fat- to un metodo a assoluto, sebben limitato alla cura della sola neurastenia e dell’isterismo, per la precisione dei dettagli portata sino allo scrupolo, all’esagerazione, per le osservazioni e gli studi speciali da lui istituiti, lascia molto addietro tutti gli altri.

Ludwig-Meyer invece avrebbe iniziato il secondo periodo storico del metodo clinoterapico, iutroducendone per primo la pra- tica su larga scala nel manicomio: di Amburgo dapprima .(1860)

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in quello di Gottinga poi (1866) ed infine a Marburgo nel 1877: facendone nel tempo istesso argomento di varie pubblicazioni.

Subito dopo Brosius lo applicava nella casa di salute Ben- dorf (1862) e in seguito Snell l’adottava nel frenocomio di Hilde- scheim (1871), Eschemburg a Lubecca (1874), Paetz in Alt- Scherbitz (1879) e nel medesimo anno Wille in Basilea. Neisser lo pose in opera nel 1889 a Leubus.

Contemporaneamente o successivamente con singolare compe- tenza se ne occuparono nelle loro memorie Rabow, Hergt, Scholtz, Flersheim, Schule ecc.; Neisser infine, riferen- done i risultati al decimo Congresso di scienze mediche tenuto nel 1890 in Berlino, creava, ad indicare il novello sistema, il ter- mine Bettbehandlung, termine che in Germania gli è rimasto: pro- seguiva la sua campagna con altre memorie nel 1893-94 imitato da Hebold, Klinke, Kraepelin, Heilbronner e tanti e tan- ti altri.

In questi rapidi cenni ci siam limitati a far menzione degli Autori più noti, rimandando per gli altri alle ricchissime biblio- grafie che si trovano nei lavori del Roehrich, Pochon, Far- narier e Serieux ecc. i

Saremmo così arrivati agli ultimi tempi, in cui la clinotera- pia, vinte difficoltà d’ ogni genere, superati confini politici e na- turali, venne a diffondersi ovunque. Essa è introdotta in Svizzera da Rabo w, allievo di Ludwig-Meyer; viene accolta in Russia nel manicomio Alessandro 3.° in Pietroburgo da Timofeieff, da Gofseieff nel manicomio pruvinciale di Ekaterinoslaw; è impor- tata in Inghilterra per merito speciale di Batty-Tuke, negli Stati Uniti per Hurd, da ultimo passò in Austria, in Francia, ove pure diede luogo ad importanti lavori.

Quanto all’Italia, per quanto noi interrogassimo la letteratura medica, non ci venne fatto di trovare che qualche brevissimo cenno critico-bibliografico: nel mentre la cura del letto non vi è ignorata trascurata nella pratica manicomiale, pure nessuno se ne è occupato o in congressi o in memorie particolari.

Riguardo alla tecnica con la quale deve essere curato il trat- tamento clinoterapico, sebbene necessariamente essa debba variare nel dettaglio per le condizioni disparate in cui si trovano i dì- versi Manicomì, pure gli A. A. da noi consultati si trovano quasi

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tutti d’accordo: alcuni di essi (Heilbronner, Bernstein ecc.) han portato i loro esperimenti in cliniche od in piccoli asili, le cui condizioni specialissime, di fronte ai grandi manicomi, tolgono alquanto valore alle loro affermazioni: è naturale che di queste noi terremo quel conto che si meritano.

Come 1l punto di partenza della pratica clinoterapica fu il quartiere d’osservazione, così noi vediamo oggi essere condizione - sine qua non - perchè tale sistema possa essere applicato, la esistenza o la istituzione di un quartiere speciale di vigilanza, organizzato in modo da costituire per solo un piccolo asilo: in esso debbono trovar luogo due o più sale ampie così dette di vi- gilanza continua (Wachsaal) nelle quali si apra direttamente un numero limitato (2-4) di camere d’isolamento: tali camere potran- no però esserne un po distanti e collegate per mezzo d’un corri- doio chiaro e comodo: i servizì più importanti, il bagno, il gabi- netto di decenza, i locali di soggiorno, dovranno pure trovarsi alla mano: nello stesso quartiere alcuni locali saran destinati agli alloggi per il personale inferiore, per un sorvegliante, e secondo taluno anche per il Medico (Gross, Heilbronner, Roehrich).

È preferibile che tutto ciò si trovi a piano terra, bene inteso a condizione che vaste cantine sottoposte ne rendano asciutti e salubri gli ambienti, i quali dovrebbero essere di una cubatura assai alta con ampie aperture, sistemi perfetti di ventilazione e di riscaldamento, in modo che la temperatura possa mantenersi costante così d’estate come d’inverno, e ad un grado tale che gli ammalati, anche scoprendosi, non sieno esposti raffreddamenti,

Si consiglia ancora che la sala di vigilanza si apra, per mez- zo d’una veranda, sul giardino, si che i malati a seconda del caso possano venire trasportati con i loro letti, senza essere affatto di- ‘sturbati, a godere della luce e del sole in giardino o sotto la ve- randa (Serieux, Farnarier, Gross)

Le sale di sorveglianza continua dovranno essere almeno due (Roehrich, Gross, Serieux, Farnarier), una delle quali sarà assegnata ai soggetti turbolenti, una terza sala non sarebbe inutile nella sezione femminile per le inferme esteriormente tran- quille ed ordinate (Heilbronner).

Ciascuna sala di vigilanza deve assumere l’aspetto d’una sala spedaliera ed essere messa con la massima proprietà e semplicità: taluno la vorrebbe rallegrata da fiori ed altri ornamenti; in un

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asilo di Pensilvania si giunse perfino a collocare dei tappeti in terra per ammorzare il passo del personale.

I letti vogliono essere collocati a distanza tale gli uni dagli altri che i malati non possano venire a contatto fra loro che scen- dendone; saran piuttosto duri e bassi onde scemare i danni di una possibile caduta e allo scopo di potervi più facilmente man- tenere, al bisogno, i malati ribelli: a tale uopo da parecchi (Roeh- rich, Farnarier, Serieux) si consiglia un letto speciale con il materazzo poggiante sul pavimento, ed a pareti alte almeno un metro; un ritorno agli antichi e deplorati cassoni, che noi non possiamo affatto approvare.

Alcuni letti saran resi mobili onde poterli spingere, come si disse, sotto la veranda o nel giardino: potranno esser costrutti in modo da rialzarne, occorrendo, la parte ove riposa la testa, per l'ora dei pasti o per malati cardiaci, dispnoici od altro.

Le coperte sieno abbondanti, senza groppi o pieghe, e il letto venga rifatto almeno due volte al giorno.

Con semplici paraventi si provvederà all’ isolamento ottico temporaneo.

In dette sale la sorveglianza sarà rigorosissima: l’ infermiere di guardia non dovrà mai abbandonarla senza essere stato sosti» tuito e deve aver sottomano altro personale che l’aiuti all'occorrenza.

Il personale, vista la delicatezza e l’importanza eccezionale delle sue mansioni, sarà scelto fra i migliori, e portando con grave responsabilità e spreco enorme di energie, dovrebbe essere frequentemente riposato e cambiato, sebbene qualche autore (Paetz) non trovi ciò necessario e ne faccia vedere gli inconvenienti.

La proporzione degli infermieri vuolsi da Heilbronner di una guardia per ogni 4-5 malati; da Krayatch 1-4, da Roeh- rich 1-5; Lievvtschatkin crede necessarî 3-5 infermieri per sala: Bernstein pure vuole una guardia continua per ogni 4-5 malate, e per ogni malato isolato, una guardia fissa: ma siccome talora necessitano 2-3 infermiere per mantenere in letto una sola ammalata almeno pei primi giorni, così tale cifra ci sembra an- cora inferiore al bisogno.

In questo quartiere così organizzato verranno diretti tutti i nuovi ammessi, parte dei quali sarà poi distribuita dal Medico secondo criterì speciali nelle diverse sale, trattenendo in quelle di vigilanza continua soltanto gli acuti.

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È qui che incomincia la cura del letto: i pazienti dovran te- nere costantemente la posizione orizzontale, Ja sola che permetta di ottenere insieme ad un completo riposo del corpo, anche quel» lo dello spirito,

Per coloro che non vi si adattano tanto facilmente, come & dire i malati affetti da mania, malinconia ansiosa, confusione mene tale,stati allucinatorî, e secondo Schmidt per le donne in gene- re, non si ricorrerà mai alla contenzione meccanica: piuttosto sa- ran mantenuti in letto da due o più infermieri (Bernstein ed altri) o si proverà a dar loro da mangiare, leggere, lavorare o si ten- terà in qualche modo di distrarli (Neisser), si cercherà infine di convincerli che son malati, che han la febbre: in tale senso agi- rebbe secondo i varî A. A. la vista di altri malati che tengono il letto, il tepore del medesimo, che a dire di (Gross, è una specie di legame piacevole e seducente.

Condizione essenziale poi è che gli agitati, clamorosi, si acuti che cronici, sienno tenuti assolutamente separati dai tranquilli, e che si abbia a sottrarre a tutti ogni ragione d’eccitamento: nella sala in cui regni ordine, i malati si abituano presto alla vista dei loro compagni: è solo la varietà degli stimoli che nuoce e li esalta (Gross).

Osservando questa norma, resterà lir.itato il numero degli in- dividui da isolarsi; l’ isolamento non sarà necessario che in casi estremi; vi si ricorrerà come ad una medicina, adoperandolo con cautela dietro serie indicazioni, per ore e non per giornate, per cura e non per comodità, per liberarsi d’un malato molesto, do- sandolo rigorosamente (Heilbronner). I locali d’isolamento non saranno celle, ma camere mobiliate allo stesso modo della sala, sen- za uscio; camere la cui apertura metterà come dicemmo o nella sala di vigilanza o in altri locali abitati, donde il malato sarà tenuto d’occhio.

Soltanto in questo senso l’isolamento viene ad essere coefficien- te e complemento della clinoterapia, anzi non altro che cura del letto in camere separate (Gross).

Quando il malato disturbasse troppo, è consigliato di condurlo a passeggio (Toulouse)o lasciarlo sbizzarrire un po’ in giardino o in altro ambiente, o sottoporlo a bagni caldi e prolungati, 2 al giorno di tre ore ciascuno. (Gross).

Non si useranno che in via eccezionale gli ipnotici.

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Norme fisse circa il modo e la durata del trattamento in letto, non è possibile stabilire: Roehrich vuole si tengano tutti i nuo- vi ammessi a letto per tre giorni, Neisser per otto giorni al- meno; circa il maximum della durata, lo si lascia a discrezione del Medico: cosi pure dovendo essere la cura affatto individuale, vedrà il Medico quando essa sia indicata, quando debba essere prolungata, interrotta o sospesa; cosi converrà derogare per molti da certe regole assolute, permettendo agli infermi di mangiare da sé, conversare, leggere, scrivere, perfino lavorare, alzarsi per i loro bisogni corporali, prender bagni e doccie quotidiane, re- carsi per qualche ora nel giardino o nel locale di soggiorno in- tanto che si rifanno i letti, si cura la pulizia e si ventilano ener- gicamente i locali; altri malati invece, cui sia necessario il riposo più assoluto, saranno trasportati da un letto ad un altro o depo- sti sovra sedie a sdraio sotto la veranda intanto che venga rifat- to il loro letto. In seguito, permettendolo le migliorate condizioni generali, si raddolcirà il sistema prolungando progressivamente le ore di passeggio sino a che l’infermo torni alla vita normale, al- zandosi al mattino e coricandosi alla sera o tutto al più riposan- do in letto qualche ora del pomeriggio. Resta inteso che tutti coloro cui non si conviene la cura del letto, debbano più o meno presto passare dalla sala di vigilanza continua ad altri quartieri.

Quanto al numero, alla proporzione dei malati da sottoporre alla clinoterapia, si ritiene che secondo i manicomi essa debba variare da un terzo a più della metà (Serieux e Farnarier); intorno ad un quarto (Roebrich) da */, a ’/, secondo Heilbron- ner, e pei ’/, della popolazione totale secondo Alter e Neisser.

Abbiamo già toccato delle favorevoli modificazioni generali indotte dalla clinoterapia, che trasformerebbero l’ambiente mani- comiale in quello duna sala ospitaliera, abituando il personale inferiore al sistema della dolcezza, insinuando in esso l’idea di aver a che fare con dei malati; i Medici stessi troverebbero nel migliorato ambiente maggiore compiacenza e facilità nell’eserci- zio delle loro funzioni: i visitatori ne resterebbero più favorevol- mente impressionati: la sorveglianza sarebbe resa più facile, inutili diventerebbero i mezzi coercitivi, le poltrone, gli ipnotici, le celle.

Quanto agli ammalati, l’azione benefica del trattamento in

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letto si farebbe sentire tanto sulle condizioni fisiche, quanto, di riflesso, sullo stato mentale.

Gli effetti fisiologi furono bene studiati da Guy, Weir-Mit- chell, Manquat, Roehrich, Lacombe ecc.

Sul circolo, funzione quant’altre mai importantissima, il ripo- so in letto agirebbe riducendo il numero delle pulsazioni, e cioè da 70.05 a 66.62 in media negli adulti, da 81.98 a 80.24 nelle donne, da 91.0 a 90.0 nei fanciulli (Guy) e da 88.8 a 78.9 secon- do una media generale di Lacombe: agirebbe ancora rialzando la pressione arteriosa, da 7.3 a 8.8 allo sfigmometro di Blok (La- combe): sopprimendo quasi ]’ azione della gravità, per la quale verrebbe favorita l’irrorazione sanguigna ai centri nervosi, facili» tato il ritorno del sangue venoso dalla periferia e dagli arti con la scomparsa di edemi, raffreddamenti, cianosi alle estremità, e delle stasi negli organi centrali e nel cervello.

Così più spedito si otterrebbe il circolo in tutti quei casi di malinconia, demenza, nelle forme d'arresto, cui si accompagna un torpore estremo, una insufficienza della irrorazione sanguigna, acquetando invece quell’ eretismo dei centri circolatori si facile ad osservare negli stati di eccitamento.

Concomitante al rallentamanto del polso, si ha pure un’abbas- samento della temperatura centrale da 37.8 a 37.5 (Lacom be).

Sul respiro l’azione del letto non pare dubbia; sovra il numero limitato di escursioni respiratorie che si compiono in un minuto primo, si ha una notevole riduzione, da 23 a 19 negli adulti secon- do Viault e Folyet, da 20.5 a 19.5 secondo Lacombe. Insom- ma, gli scambi gazosi verrebbero più o meno ridotti; ed appunto nei soggetti che vengono sottoposti alla cura, sembra che la prima indicazione sia precisamente quella di regolare l’economia orga- nica, riducendo al minimum le perdite, creando delle riserve che più tardi verranno utilizzate.

Fin qui tutti gli Autori procedono « în maxima concordia ». Quando invece passiamo all’influenza del riposo in letto sulla nu- trizione, mentre Weir-Mitchell nei neurastenici, Neisser negli epilettici, Roehrich in molti casi di mania, malinconia, confu- sione mentale, han constatato un aumento nel peso del corpo sino a 300-400 grammi al giorno, altri, come Toulouse e Marchand, asseriscono che effetto immediato dell’ alitement sarehbe una dix minuzione nel pesu del corpa.

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Alcuni clinici tedeschi avrebbero ancora osservato ché negli individui anemici, clorotici, il menomo lavoro muscolare aumenta la distruzione delle ematie, le quali verrebbero invece risparmiate col riposo in letto.

Interessanti sarebbero state altre ricerche riguardanti le mo- dificazioni del ricambio, come eliminazione dell’urea ecc. Pure riconoscendo la difficoltà di certe esperienze sovra soggetti come i nostri, dobbiamo lamentare una tale deficienza.

Infine, con la cura del letto, si otterrebbe il beneficio di un po’ di sonno per quei malati che, raramente dormendo durante la notte, troverebbero così durante la giornata qualche istante di calma da potervisi abbandonare: il sonno di coloro che si tengono alzati e in moto dalla mattina alla sera, non sarebbe di notte affatto migliore,

Quanto all’azione morale della clinoterapia, il malato in pri- mo luogo subirebbe, secondo la espressione vaga ma indovinata del Roehrich, la « suggestione del letto »,.i cui molteplici e be- nefici effetti si fanno ben presto apprezzare: con la cura nel letto l'alienato riacquista più facilmente la coscienza del proprio stato, comprendendo d’essere infermo; riconosce il Medico in virtù del- l'ambiente in cui si trova e del trattamento che riceve. Cosi spes- so si riesce ad ottennere e talora a sopprimere certi fenomeni morbosi: p. e. il maniaco, per lontani e vaghi vestigi delle nozioni di convenienza, quando non sia al colmo dell’ agitazione, si trat- terrà dal disturbare gli altri, e la uniformità e la scarsità degli stimoli, ai quali è solito reagire così energicamente, non potranno che scemare il suo eretismo morboso, che indurlo alla calma: nel tempo istesso che il malinconico, cui ogni atto che implichi azione movimento, sforzo volitivo, non può che essere fonte di irritazione di aggravamento, raccoglie in tranquillo e indisturbato, fin- chè concesso all’organo malato quel riposo al quale istintivamente ei tende, passata la crisi, si troverà nelle migliori condizioni pel ritorno allo stato quo ante.

Infatti si nota come il contatto, la vista, la conversazione, l’andare e venire degli altri malati, i pasti in comune, esacerbano 11 dolore dei malinconici come eccitano i maniaci, riattivano le turbe sensoriali negli allucinati, mantengono nei confusi il diso- rientamento.

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Nessuno degli A. A. esplicitamente ammette che il sistema clinoterapico possa arrecare dei gravi danni e perciò ognuno par- . la soltanto d’inconvenienti.

Nel campo delle funzioni fisiologiche abbiam già visto come si diminuisca notevolmente il numero, il ritmo delle rivoluzioni cardiache, degli atti respiratori: si ritarda in una parola il cir- colo, si diminuiscono gli scambi: si favorisce la costipazione, l’a- noressia, già frequenti nei malinconici: si altera il trofismo in genere con esiti in cachessia, in escare, si inducono veri stati morbosi come l’anemia, le pneumoniti ipostatiche, le anchilosi alle articolazioni, si favoriscono le pratiche masturbatorie, la sudiceria.

Con assistenza e sorveglianza costanti, con enteroclismi, las- sativi, cangiame:ti opportuni di posizione, alimentazione speciale, idro-elettroterapia, ginnastica svedese, massaggio, ipnotici, stricni- ci ecc. ecc. gli A. A. si propongono di ovviare a tutti i così det- ti inconvenienti.

Riguardo alla psiche, poco, anzi nessun danno si sente a la- mentare: solo il Bernstein si domanda ge in alcuni malati quella limitazione del campo intellettuale che si accompagna al riposo prolungato in letto, non sia destinata a portare una decadenza mentale duratura.

Passibili del trattamento in letto vennero dapprima giudicate tutte le forme mentali, mentre oggi molti intendono limitarlo ai soli malati acuti: è ritenuto poi assolutamente necessario in quei casi che si accompagnano a turbe organiche, negli stati febbrili e sub-febbrili o che siano sostenuti da intossicazioni, o comunque bisognosi, oltrechè del riposo mentale, anche di quello fisico.

Si osserva infatti come gran parte dei malati venga accolta in tristi condizioni generali da attribuirsi all’agitazione, alla cat- tiva e insufficiente alimentazione, all’ insonnia, agli abusi e stra- pazzi d’ogni sorta ecc.

Le condizioni fisio-patologiche da noì riassunte sono pure quelle che offrono le indicazioni speciali.

Le due grandi psicosi, la mania, la malinconia, o meglio gli stati di eccitazione e gli stati depressivi, vengono da tutti proposti in prima linea come quelli che più si giovano della clinoterapia.

Quanti hanno sperimentata l’azione del letto nel trattamento degli stati maniaci, se ne sono lodati. Nessuno nasconde le diffi-

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coltà che si incontrano nel mantenere coricati e pressochè immo- bili individui, cui il movimento, l’azione sono diventati imperiosi bisogni: parecchi infermi vi si ribellano: approfittando per altro della remissione temporanea che si verifica ordinariamente subito dopo l’ingresso, si può ottenere che il malato si sottoponga alle prescrizioni. In tale senso, come abbiam riferito, agirebbe l’esem- pio altrui, alcuni piccoli spedienti, la suggestione dell’ambiente, l'assenza e l'uniformità degli stimoli, e ben presto anche le rior- dinate funzioni organiche, ricorrendo alla contenzione temporanea per mezzo del personale, ai bagni, agli ipnotici ed all’ isolamen- to solo in casi eccezionali.

Certo il malato continuerà per qualche tempo arcora a di- sturbare, a lanciare cuscini e gettar le coltri, tenterà fuggire dal letto, lordare, lacerare ecc. Ma tuttociò non avverrebbe che per breve tempo: da tutti si asserisce che l’ agitazione si farà in se- guito meno violenta, gli accessi si ripeteranno a distanza mag- giore, sebbene la durata della malattia non ne venga’ abbreviata (Bernstein, Roehrich).

Ritorneranno in seguito delle esacerbazioni o la relativa cal- ma durerà sino alla convalescenza: certo, ove si alzasse prematu- ramente il malato, non tarderebbesi a vederlo tornare violento, clamoroso, distruggitore, sucido, sintomi che neppure l’isolamento riescirebbe ad allontanare, anzi di solito aggrava. In certe forme non molto gravi il malato conserva un certo grado di coscienza, di orientamento e mostra accorgersì dei trattamenti che gli si fanno; poichè una volta guarito li ricorda, e pur durante la ma- lattia apprezza e distingue tutto quanto si pratica a suo riguar- do. Sembra d’altronde incontrastato essere il maniaco il malato più accessibile alle cause esogene: mantenendolo poi in letto, si ridurrà di molto lo spreco delle forze; |’ alimentazione frequente, il ritorno del sonno, gioveranno ad evitare il collasso e tutti gli altri inconvenienti cui suole dar Inogo un’agitazione grave e pro- lungata. Timofeieff, Flersheim, Gowseleff asseriscono otte- nersi una guarigione più rapida e più frequente; gli altri Autori depongono concordi solo per un’allenuazione nei sintomi.

Negli stati di depressione la clinoterapia sembra offrire da parte del malato, salvo rare eccezioni, minori ostacoli, ed è spesso imposta dalle cattive condizioni generali, dal rifiuto del cibo, dal-

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la cianosi con raffreddamento e dagli edemi alle estremità. Le crisi allucinatorie e gli esiti in demenza, cronicità e morte si evi- tano talora con questa pratica.

Non volendo applicarla in tutto il suo rigore, la si potrà tem- perare alzando l’infermo per qualche ora nel pomeriggio.

Il malinconico sembra avere sovra tutto bisogno di riposo: il letto riparerà le perdite subite in seguito all’ insonnia, alla sito- fobia, all’ansietà: il cuore avrà contrazioni più energiche e rego- lari, il polso migliora, i disturbi vasomotorì si correggono, il cer- vello si nutre meglio perchè più bene irrorato, il respiro viene ridotto, la temperatura abbassata, e quindi la perdita di calorico diminuita, ristorate le funzioni cutanee. Sulla psiche agirebbe fa- vorevolmente modificando il così detto sentimento fondamentale e lo stato cencstesico, c siccome tuttociò che è sensazione, pen- sier), azione, Sforzo di volontà costa pene infinite al malinconico, così sarebbe possibile col riposo in letto evitargli ogni contrarietà.

Una forma, che per certi sintomi tiene un po’ d’ambedue que- sti stati, è la confusione inentale: in questa per altro il substrato ben più frequente d’alterato ricambio, febbrile, tossico e d’inani- zione, sembra richiedere assai più urgentemente il letto. Alcuni sintomi poi come lo spossamento, la obunbilazione profonda della coscienza, non si potrebbero trattare diversamente : tale è l’opi- nione di Chaslin.

Trascorso lo stato acuto, il malato raccogliereche più facil- mente le proprie idee, i propri ricordi: riordinate le funzioni, r1- parate le forze, ricuperato il sonno, finirebbe per avviarsi meglio alla convalescenza.

Analoghi stati dovuti all’ avvelenamento cronico da alcool, morfina, ecc. vengono ammessi a godere dci buoni effetti della clinoterapia.

Circa ai ricorrenti stati di eccitamento e di depressione che si succedono nelle forme periodiche e circolari, agli intercorrenti accessi delle malattie croniche, è chiaro, quando si vogliano ac- cogliere le nuove idee, che per essi debbano valere le indicazioni sovra accennate per la mania franca e per la malinconia. Vuolsi a questo proposito (Serieux) che alcuni di questi malati, avendo sperimentata in un precede ite attacco la benefica azione del letto, sieno stati essi i primi a reclamare ad un nuovo accesso tale trattamento.

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Nella demenza pauralitica specialmente, quando si avvertano ì segni precursori di un attacco apoplettiforme o convulsivo, ap- plicando questa misura a tempo opportuno, si potrà ridurre il numero di tali attacchi di un terzo circa (Roehrich). Negli ultimi stadi della malattia poi il letto sarà inevitabile e con cure assi- due si impediranno gli inconvenienti, frequentissimo fra gli altri, Pescara.

Cosi in tutte le forme a focolaio, emorragia cerebrale, ram- mollimenti, sclerosi a placche ecc. si applicheranno rigorosamente i criteri medesimi.

Per quanto riflette le psico-neurosi, l’isferia sembra essa pure richiedere tale pratica quando sia grave e durante i periodi pa- rossistici, gli stati convulsivi ed equivalenti psichici.

Circa alla neurastenia, basterebbe accennare alla fortuna di Cui gode da anni il così detto metodo W eir-Mitchell, modificato da Playfair, in cui la clinoterapia rappresenta la risorsa princi- pale, la base; e sarebbe in massima parte dovuto ai vantaggi ot- tenuti nella neurastenia con tale cura, il successivo e l’odiert:o movimento tendente a generalizzare il metodo nelle altre forme di alienazione mentale.

Neisser infine s’ è lodato assai del riposo in letto nell’epiles- sia, osservando che gli attacchi convulsivi scemano di frequenza e d’intensità, 11 peso del corpo aumenta, il carattere si modifica poichè gli infermi si fanno più trattabili; soltanto in certi stati di violenta eccitazione epilettica, la pratica non sarà possibile.

Da ultimo gl’ imbecilli, idioli, i degenerati, pazzi morali, ì dementi vuolsi abbiano a ritrarre qualche vantaggio dal riposo in letto durante gli accessi transitori di agitazione; La co m be, Roeh- rich ecc. ne riferiscono ui qualche caso.

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Fin qui abbiamo riassunti alla meglio e talora letteralmente riportati gli studì e gli argomenti dei fautori del sistema clino- terapico senza introdurvi alcun personale apprezzamento: soltanto, dopo aver riferiti i modi e i dati dell'esperienza nostra, esporre- mo, quale che sia, il nostro giudizio.

Prima ancora che per i citati lavori (Bernstein, Heilbron- ner 1897, Roehrich, Lacombe 1898, Pochon, Gross 1899,

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Serieux e Farnarier 1899-1900) la nostra attenzione venisse richiamata sul riposo e sulla cura in letto pei malati di mente, presso questo Istituto si seguiva per ì nuovi ammessi quella cc- cellente consuetudine, che perfino gli stranieri riconoscono ai no- stri manicomi: tutti i nuovi accolti, cioè, venivano diretti ad un quartiere speciale di osservazione, cul venivano all’ occorrenza passati dagli altri padiglioni anche quei malati che per esacerba- zioni, ricadute, forine ricorrenti ecc. richiedevano cura e vigilan- za continua.

Da noi, ciascun infermo appena accolto, spogliato de’suoi in- dumenti, e dopo fatto, se ragioni speciali non lo vietano, il bagno regolamentare di pulizia, riveste biancheria dell’ Istituto e viene posto a letto sotto vigilanza continua.

Si obbedisce così a due delle principali indicazioni, e in que- sto noi ci troviamo in perfetto accordo con i fautori della clino- terapia: si cerca ingenerare o restituire all’infermo la coscienza di questo suo stato, pone il Medico nelle migliori condizioni per esercitare il suo ufficio e la sua autorità, e procedere ad un’esa- me metodico del paziente: questi riconoscerà molto più facilmente in chi lo avvicina e lo cura la qualità di medico e si presterà più docile all’esame.

Importantissime e subdole affezioni viscerali, malattie cutanee e parassitarie, anomalie somatiche del massimo interesse, lesioni di attinenza medico-legale, non possono per tale modo sfuggire : riesce più facile, trovando sempre il malato in quel dato posto e in una data posizione, fissarne in mente i caratteri, si da notare il più lieve mutamento nel suo stato.

Se sitofobo, non potrà passare ad altri il proprio cibo’ sot- trarsi ad un controllo rigoroso, prestandosi assai meglio all’ ali- mentazione artificiale: le feci, l’urina, tutte le escrezioni e le se- crezioni non vanno tosto perdute, ed anche l’ infermiere meno perspicace ne saprà dire qualche cosa al Medico.

In capo a qualche giorno, i malati, che del letto non pare- vano giovarsi (frenastenie, delirî sistematizzati, forme croniche) venivano alzati, trasferiti in altri quartieri od applicati al lavoro, trattenendo iu letto e sotto continua vigilanza le sole forme acute.

Da questo procedimento in uso non solo nel nostro, ma per quel che sappiamo, in quasi tutti i manicomi del Regno, al siste- ma clinoterapico, quale oggi s’intende, era facile il passaggio.

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Due quartieri prestavano in modo speciale allo esperimen- to; ma per varie considerazioni e necessità di servizio approffit- tammo del quartiere che già serviva d’osservazione, il quale si com- pone di un corpo principale di fabbrica e di due ali che si svol- gono dagli estremi di questo ad angolo retto, in modo da rap- presentare un quadrilatero da cui sia stato tolto un lato LJ.

Il corpo principale di fabbrica consta di una fuga di stanze, alte, bene illuminate, asciutte, a piano terra, circondate da cor- tili e giardini, capaci di sei, otto, dieci letti ciascuna.

La sala centrale è guardata da un’infermiera almeno sala di vigilanza continua —. Le camerette ad uno, due posti, che for- mano le due ali del fabbricato, sono collegate con questo e fra loro da comodo corridoio. Il quartiere possiede numerose latrire, lavandino, bagno, alloggi per il personale inferiore e per l’ispettrice.

Essendo noi preposti alla sezione femminile, l’ esperimento venne a cadere sovra donne, come capitò a Bernstein, Lacom- be ed altri, con questo vantaggio che, riuscendo la prova con l'elemento peggiore d'un manicomio, qual è il femminile, non po- teva più essere il dubbio che, trasportato in altra sezione, il me- todo avesse a fallire.

Senza venire ad osservazioni singole, che riuscirebbero poco dimostrative e ci porterebbero troppo lontano, diremo che abbiam sottoposti alla cura del letto alcuni casi di mania franca, stati d’agitazione di varia natura, eccitamenti a caratteri degenerativi.

Non ci riusciva molto difficile mantenere in letto le pazienti, ma, per quanto le infermiere attendessero, non si poterono evitare alcuni Inconvenienti: non parliamo di cuscini e coperte volate al- l’aria, di vasi rotti o di liquidi versati, d’insudiciamento continuo, roba stracciata ecc., ma principalmente del disordine che getta- vano nella sala e dell’eccitamento che portavano alle altre malate con clamori altissimi, continuati, irrepressibili: se dopo molti sforzi si otteneva un po’ di calma, bastava l’arrivo d'una nuova malata per ridestare l’eccitazione generale.

Per quanto ammiratori delle dottrine e dell’opera di Maran- don de Montyel, non possiamo affatto dividere l’opinione sua che ben poca importanza abbiano differenze di razza, di costumi, di religione, d’istruzione, di clima, quando tratti di trasportare da un popolo ad un altro pur vicino un'istituzione qualsiasi,

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Esistono tanti fattori, tante condizioni etniche locali, che vi si oppongono: per questo, non per altro, religioni, leggi, costumi non sanno passare il confine segnato da una catena di monti, da un corso d’acqua; non per altro manicomi di nuova fondazione modellati o copiati da altri che pure altrove funzionano egregia- mente, in regione diversa non corrispondono altrettanto bene.

Lusingati dalle relazioni che ci capitavano fra mano, colle “nostre inferme abbiamo tollerato il tollerabile: le abbiamo divise e suddivise in sale diverse, tranquille con tranquille, agitate e clamorose con clamorose ed agitate: abbiam fatto ricorso a seda- tivi ed ippnotici, impacchi e bagni; l’ occupazione, l’ esempio, la persuasione su certe malate non ebbero alcun effetto, ed abbiam dovuto da ultimo ricorrere all’isolamento non solo temporaneo, ma anche prolungato; asserire che la cura del letto renda quasi inu- tili le celle, a noi sembra una esagerazione: si potranno diminuire di numero; abolirle o ridurle al minimum (1: 100) da taluno se- gnato, nei nostri paesi, mai (1).

Riconosciamo perfettamente i deplorevoli portati dell’ isola- mento prolungato: pero certe manifestazioni della mania cronica, certe abitudini che noi reputavamo artificiali, cioè conseguenti al trattamento antico, noi le vedemmo ripetersi egualmente in que- gli individui che trattati col nuovo sistema passarono a cronicità.

Benchè profondamente riluttanti all’ isolamento dei malati acuti, pure è nostro debito insistere sul fatto che ad esso fummo costretti a ricorrere, e non cost eccezionalmente come in altri luoghi pare avvenga: del resto, siccome est modus in rebus, noi siamo convinti che con un po’ di buona volontà e con vigile cura si possa fare dell’isolamento un mezzo di guarigione per gli agitati, di difesa per tutti gli altri, e sempre di lieve o nessun danno per quei pochi che vi debbano sottostare.

All’ora dei pasti certe malate, che non volevano essere assi- stite, sciupavano il cibo o l’ingoiavano con avidità, versando il vino per il letto, sulle coperte; qualunque opposizione che loro si facesse, voleva dire impegnare una lotta, con quanto vantaggio

(1; Mi credo in dovere di ringraziare qui pubblicamente il Chiarissimo mio Direttore Prof. G Seppilli, il quale, oltre a permettermi delle prove che più o meno venivano a turbare il solito regolare andamento dell’Isti- tuto, mi fu largo del suo prezioso aiuto e consiglio.

“wg a BO ton delle malate, delle infermiere, dell’ ambiente stesso, è più facile immaginare che descrivere.

Alcuni distinguono gli stati d’agitazione in - agitazione sem- plice - reattiva - automatica (Pochon), altri in forme di agita- zione per ipereccitabilità agli stimoli esteriori, per inpulsi auto- matici o per altre cause più complesse (Gross).

Ora, poichè la diagnosi clinica non è sufficiente a stabilire netti confini e quindi a designare la cura, e perchè in un mede- simo infermo possono sussistere ad un tempo parecchie cause agitazione, come riconoscono i sovracitati A. A., noi non li segui- remo in queste distinzioni, limitandoci invece a far notare come ìn paesi ove impera la degenerazione acquisita e congemta per pel- lagra ed alcoolismo, sia assai frequente una perversione morale, un istinto di ribellione e di distrazione, pel quale certe malate riescono coi comuni mezzi assolutamente ingovernabili.

Col restare poi in letto tutta la giornata parecchie malate, avendo comodo di riposare ogni qualvolta ne sentono il bisogno, passavano poi la notte disturbando, mentre ciò avveniva più di rado quando una parte almeno della giornata eran tenute in piedi.

Ciò infirmerebbe l’asserzione del Roehrich, il quale al con trario osserva come il sonno di alcuni maniaci, ch'egli pel grande ingombro di malati doveva tenere in piedi ed all’aperto durante il giorno, non diventasse per questo migliore alla notte.

A noi parve quindi che molti casi di mania franca, quando cioè non intervengono fatti di degencrazione morale, si possano e si debbano trattare con il riposo in letto; soltanto vi debba rinunciare tutte le volte che i soggetti siano estremamente turbo- lenti, pericolosi, incoscienti come negli stati d’agitazione su fon- do epilettico; ciò onde evitare accidenti dolorosi e quel contagio psichico non infrequente ad osservarsi fra malati che sono trat- tati e vivono in comune.

Abbiamo osservato in quelle malate che poterono esser sotto- poste al trattamento in letto soltanto una attenuazione dei feno- meni morbosi, e quelle diverse bercfiche modificazioni relle fun- zioni biologiche, che abbiam raccolte nella parte generale di que- sto lavoro. |

La durata della malattia non risultò per questo minore della solita, per quanto sia difficile e spesso impossibile definire a prio-

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ri il decorso e la durata d’una forma maniaca: per tale fatto, oltrechè pel numero ristretto di osservazioni, perdono valore certe statistiche ; del rimanente lo stesso Flerscheim in otto casi di mania, curati col riposo in letto, vide la durata oscillare fra 3-25 mesi.

Non furono rari esiti in cronicità, passaggi a demenza : per quanto a vero dire tali casi per molti caratteri e per varie cir- costanze.(condizioni organiche, ereditarie ecc.) fossero sospetti di tale esito sin dall’inizio dell’accesso.

Maggiore facilità nell’applicazione del metodo e risultati mi- gliori potemmo ottenere in certe forme iniziali affatto, o di ecci- tamento che sin dai primi giorni si preannunciava leggiero, mo- dico; quando le inferme abbandonavano troppo presto il letto, potevasi notare una recrudescenza nel loro stato, che scompariva tosto che fossero ritornate al regime clinoterapico.

Così ce ne potemmo lodare in genere negli eccilamenti ricor- renti e periodici.

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Nella malinconia e forme analoghe, depressive, asteniche, per la indole stessa dell’affezione incontrammo ancora minori difficolta e insieme risultati più favorevoli.

Le condizioni fisiche assai di frequente disastrose (per pella- gra) ne venivano risollevate; l’ alimentazione faceva più facile e sicura; gli edemi e le cianosi tendevano a scomparire, si rego- larizzavano le funzioni circolatorie e quelle dell’apparato digeren- te. Piuttosto che vedere di queste malate sedute su panche o ac- coccolate per terra o rincantucciate in qualche angolo con la te- sta bassa e fra le mani, mute, inerti, immobili, cascanti, nol pre- feriamo vederle in letto, cui si accorda l’ aspetto medesimo di malate: la coscienza sembrava ritornare assai più presto; la stipsi ed altri inconvenienti o non apparivano o sl potevano facilmente rimediare. |

Soltanto nelle forme ipocondriache a base di preoccupazioni per la propria salute, di parestesie ecc. la cura del letto, anzichè tornare alle pazienti la coscienza del loro vero stato, sembrava persuaderle maggioriuente di essere davvero affette da mali sem- pre più gravi ed incurabili, esagerava la sintomatologia, sicchè Im questi casi ben diverso significato si poteva dare alla famosa « suggestione del letto ».

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Gli stati d’ansia pure ci parvero refrattari per non dire ag- gravati dalla clinoterapia.

In tutti questi casi not siamo convinti-che la distrazione, e tanto più, se possibile, il lavoro, una vita più attiva ed igienica siano più consigliabili.

Nella confusione mentale, necessaria, indispensabile ci sembrò la cura del letto nelle prime settimane di malattia: ma appena trascorso lo stadio acutissimo della medesima, quando le inferme parevano un po'meno disorientate, quando i disturbi sensoriali si attenuavano, l’intelligenza e con essa l’affettività venivaro risve- gliandosi e rinasceva il desiderio della famiglia, allora il ritorno alle occupazioni abituali ci sembrava la migliore indicazione; anzi l’esperienza nostra, come abbiamo esposto in altra nostra pubbli- cazione, sta a dimostrare come efficacissimo pel ripristinamento delle facoltà mentali sia il ritorno in famiglia ed al lavoro, ove le malate sembrano trovare le migliori condizioni atte a favorire la guarigione. | |

Mantenute per lungo tempo invece queste malate, come alcune malinconiche, nel letto, nella inerzia più profonda, si avviano a quel- la decadenza mentale duratura, bene intraveduta da Bernstein.

Per la neurastenia ci siam giovati del trattamento in letto quando la malattia presentava una certa gravità: non dannosa, ma pressochè inutile ci sembrò nelle forme leggiere.

Nell’isteria grave con convulsioni il letto è pure indicato: ma dobbiam notare come assai di frequente la natura spuria di que- sta affezione (per l’associarsi dell’epilessia) richieda ben altri trat- tamenti, e come la guaribilità, spesso facile e raggiungibile con i più svariati mezzi, bastino a scemare in questi casi l’importanza della clinoterapia.

In alcune nostre epilettiche poi abbiamo fatta questa curiosa constatazione: che in esse pure, ripetendosi gli attacchi con mag- giore frequenza alla notte, allorquando cioè se ne giacevano in letto e nella posizione orizzontale, che non durante la giornata, se veni- vano tenute a letto costantemente, il numero e l’intensità degli accessi subivano una certa diminuzione: nello stesso tempo si pos- sono così evitare i danni d’una caduta: però è indispensabile che

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l’epilettico nel letto venga sempre sorvegliato potendo durante un attacco restare soffocato sotto le coperte o contro il cuscino od il materasso.

Giudicammo poco meno che inutile, per ragioni ovvie, la pro- va in tutte le forme schiettamente degenerative o croniche come deliri sistematizzati, pazzie morali, demenze organiche, idiozia, cretinismo, imbecillità: d'altra parte 11 numero ristretto dei letti e del personale, di fronte alle numerose ammissioni, ron ci per- metteva di estendere e continuare la pratica a tutti i nuovi accolti.

Per quanto si riferisce alle modificazioni indotte dalla clino- terapia nelle diverse funzioni fisiologiche, ad onor del vero, noi dobbiam riconoscere e ripetere esser in gran parte reali quei van- taggi sui quali tanto insistono i fautori del metodo: crediamo per altro nostro debito osservare come non sempre sia esatta l’ inter- pretazione di certi fenomeni, e il meccanismo secondo il quale agirebbe il riposo in- letto: una certa contraddizione, ad esempio, si riscontra fra la teoria che la posizione orizzontale renda mi- gliore l’irrorazione sanguigna del cervello, e i dati di fatto pei quali Sciamanna ritiene che nella posizione orizzontale per la diminuita velocità del circolo refluo aumenti la resistenza -alla circolazione arteriosa del cervello che così soggiace ad una pres- sione alquanto maggiore da parte del liquido cefalo-rachidiano che per la gravità affluisce in maggior copia rella cavità cranica: inoltre nella posizione orizzontale deve naturalmente restringersi la cavità rachidica nella porzione cervicale perchè in questa re- gione si fa più pieno il sistema venoso intrarachidiano e quindi è ostacolato: alquanto il passaggio di detto liquido dalla cavità cranica alla rachidica.

[l numero delle respirazioni viene ridotto, è vero: ma noi dob- biamo domandarci se, acquistando il torace sciolto da vestimenti e costrizioni maggiore libertà ed ampiezza di movimenti, quello scambio di gaz che sembra diminuire con la diminuita frequenza degli atti respiratori, non trovi un compenso in una maggiore profondità delle inspirazioni medesime.

Anche la nutrizione generale e la sanguificazione non parvero sempre giovarsi del riposo in letto: alcune malate dimagravano a vista d’occhio, ed avemmo campo di constatarlo anche con la bi- lancia: in altre fu osservato un marcatissimo grado di anemia

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non ostante le cure arsenico-ferruginose, l’aereazione ottima dei locali, l'abbondanza di luce, il buon nutrimento; e questi incon- venienti apparvero maggiori quanto più a lungo le malate furon trattate col letto e più spiccati nella stagione invernale, anzi sul tinire di questa, che nella estiva. |

Neppure le forze venivano sempre ristorate: alcune inferme, dopo aver tenuto parecchio tempo il letto, non si trovavano più in grado di lasciarlo, e preoccupate di ciò, chiedevano sponta- neamente di essere alcuna volta alzate: altre, senza esser giunte al marasma e pure osservandosi tutte le norme d’una buona assi- stenza, presentavano fatti gravi di distrofia cutanea, erosion], piaghe, escare.

Ma, cosa assai più grave, vedemmo formarsi anchilosi per- manenti, specie agli arti inferiori: in letto, non ostante cer- casse impedirlo, le inferme si rattrappivano mantenendo a lungo in flessione la gamba sulla coscia, questa sul tronco ; l’estensione passiva, forzata, provocando vivo dolore e reazione vivace da par- te delle malate, diventava in brevi giorni impossibile stante anche la grande rigidità muscolare e profonde modificazioni articolari intervenute: in alcuni casi abbiam ricorso perfino ad apparecchi di estensione amovo-inamovibili ma senza alcun frutto. Una ma- lata (certa Vianello) migliorata assai nelle condizioni mentali, si ridusse a questo stato di permanente infermità fisica.

In due delle nostre malate assistemmo poi ad un fatto cu- rioso: esse si adattarono così bene, anzi troppo bene al trattamento in letto, da diventare in breve delle vere clinomani che si agita- vano ogni qualvolta si facevano alzare. La brevità, che ci siamo im- posta, non ci permette di riportare le due interessanti osservazioni.

Ora, senza ascrivere tali fatti totalmente al trattamento in letto, noi crediamo che esso li abbia per lo meno grandemente tavoriti, poichè si notava un qualche miglioramento allorqua1.do la cura veniva interrotta.

Che poi il sintoma sudiceria abbia quasi a scomparire col nuovo sistema, questo neppure abbiam potuto verificare; a me- no che la inferma non venga alzata più e più volte ed invitata a soddisfare a’suoi bisogni (cosa del resto che si fa anche se non tiene il letto), avverrà assai di rado che l’inferma spontaneamente lo abbandoni, costituendo davvero il tepore del letto una specie di legame; è così che noi abbiamo avuto sempre a lamentare pres-

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so a poco lo stesso numero di sucide, e, quel che è peggio, un maggior consumo di biancheria.

Circa alla masturbazione, cosa non molto frequente nella se- zione femminile e non sempre facile a rilevare, senza possedere dati precisi, abbiam ragione di credere che venga dal nuovo si- stema piuttosto favorita che ostacolata.

Per ciò che si riferisce a questioni di tecnica manicomiale, ci siam formati il concetto che non in tutti gli Istituti si possa convenientemente istituire la pratica: si richiedono specialissime distribuzioni di locali ed altre condizioni quali non si ritrovano che nei manicomî moderni, di recente costruzione.

Infatti converrebbe abbandonare gli edifici a parecchi piani o per lo meno lasciare i piani superiori per servirsi del solo pia- no-terra.

Chi non potesse permettersi il lusso di verande, dovrebbe al- meno ampliare le aperture per una energica ventilazione e sovra tutto curare molto bene il riscaldamento. Nei nostri manicomi in genere i sistemi di riscaldamento, per la mitezza del clima che li rende quasi inutili, lasciano molto a desiderare. Il mantenere una buona e costante temperatura in tutti gli ambienti è pur essa cosa indispensabile al trattamento in letto e che graverà non poco sul bilancio dell’Istituto.

Ma 1 fautori della clinoterapia, nella foga dei loro entusiasmi, non si fermano a contemplare difficoltà alcuna d’ordine tecnico od economico: lasciamo stare che alcuni portarono le loro prove in cliniche fornite di larghi mezzi, o in manicomî minuscoli, la- sciamo stare che il vantaggio del malato debba essere per noi suprema lex: ma nel momento attuale in cui, come giustamente osserva il Tambroni, molte Amministrazioni si dibattono nelle strettezze dei loro bilanci, in cui tanti nuovi campi aprono. alla beneficenza ed all’assistenza pubblica, non possiamo prescin- dere dalla maggiore spesa che richiederebbe il nuovo metodo non solo per modificazioni e costruzioni di nuovi locali, non solo per l’aumentato cambio e consumo di biancheria conseguente al trat- tamento in letto, ma in ispecial modo per l’aumento non indif- ferente del personale inferiore e superiore. |

Non intendiamo precisarlo, poichè si tratta di questioni stret- tamente locali: ad ogni modo a noi sembra indispensabile un’ in-

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fermiera almeno per ogni cinque malate per i quartieri di vigi- lanza continua ove si trovano raccolte quasi esclusivamente ma- late acute: ed anche mantenendo una tale proporzione ove non siano ben disposti ed alternati i diversi servizî e di frequente riposato il personale, noi lo vedremo esaurirsi rapidamente, pre- stando di conseguenza servizio meno- attivo quando maggiore ne sarà il bisogno.

In manicomî poi che abbiano come il nostro una media an- nua di 500 ammissioni, inegualmente distribuite nelle varie sta- gioni dell’anno, si vedrà quale aumento e quale fluttuazione im- porta il nuovo sistema nel numero delle infermiere.

Da noi la sorveglianza notturna viene divisa fra due guardie per ciascun padiglione: dalla sera insino alle ore una antimeri- diane la prima, da quest'ora all’ alzata delle malate la seconda. Ora, a ciascuna di queste guardie converrebbe dare almeno una compagna, un aiuto, non essendo prudente lasciare di notte in mezzo a tante malate acute e pericolose una sola infermiera: così, invece del solito doppio turno, si renderà necessario un turno quadruplo: e ciò complica assai la cosa.

Tale necessità è la prima che si fa sentire quando vogliasi praticare la cura del letto, e nessun espediente fra quanti ne ab- biamo escogitati, vale a toglierla di mezzo. Del resto se nostro obbligo è di curare il vantaggio dei malati, non minore è la cura che dobbiamo verso un personale le cui mansioni sono tanto delicate.

Ma oltre al personale inferiore, non sarebbe fuor di luogo provvedere ad un aumento nel numero dei Medici, poichè la cura in letto deve essere diretta e sorvegliata personalmente dal Medi- co che solo può avere il tatto e le cognizioni necessarie e che nelle sale di vigilanza dovrebbe passare gran parte della sua giornata.

Tanto ci siam creduti in obbligo di esporre poichè ci risulta dall'esperienza quotidiana: ron vorremmo per altro che alcuno ci giudicasse misoneisti od avversarì per progetto ad un trattamento che conta già, insieme a fieri nemici, ardenti fautori.

Le discussioni accanite insorte già tempo fra costoro e spe- cialmente fra T. S. Clouston e I. Batty-Tuke in Inghilterra, quelle recenti tra Farnarier e Doutrebente in Francia, seb- bene in gran parte accademiche, meritano una qualche parola.

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Risalendo a considerazioni generali, alcuni hanno voluto tro- vare una contraddizione palese fra i diversi indirizzi seguiti in questi ultimi tempi in fatto di tecnica manicomiale e di terapia mentale.

Mentre da una parte, essi dicono, si proclama il lavoro utile, redentore di molti infelici, si istituiscono officine, colonie agri- cole ecc., dall'altra si va predicando che i pazzi debbono essere curati come veri e proprî malati.

Ma la contraddizione davvero non esiste: una cura non esclu- de, anzi integra l’altra, poichè una parte dei ricoverati d’un ma- nicomio si giova realmente del lavoro quanto laltra del tratta- mento ospitaliero, o d’ambi 1 mezzi di cura successivamente.

È vero; nell’ evoluzione lenta degli istituti psichiatrici fuvvi un tempo in cui l’attenzione del Medico-alienista parve raccogliersi tutta sovra una sola classe di malati: preoccupato dall’ aumento delle ammissioni e dall’ingombro dei cronici, fu indotto a trovare anche per costoro una soluzione con l’ istituire officine e colonie agricole: degna di plauso sembrò allora a tutti una tale riforma come quella che, schiudendo nuovi orizzonti alla tecnica del ma- nicomio, condusse alla redenzione di molti infelici che trascina- vano la vita nell’ozio il più desolante, padre davvero delle più brutte abitudini, nemico dell’ ordine e della proprietà in um’ isti- tuto manicomiale; nel tempo istesso però si potè constatare che il lavoro nelle officine ed all’ aria libera della campagna, risolle- vando in egual misura le condizioni del corpo e dello spirito, oltre che giovare ai cronici, favoriva la guarigione in un certo numero di convalescenti.

Le Amministrazioni medesime, che ne risentirono subito i van- taegi economici, spinsero ben addentro il Medico per questa via, che taluno, considerando il lavoro dogma intangibile ed appli- candolo in modo troppo esclusivo, parve più che altro volesse volgerlo ad aumentare le entrate dell’Istituto.

E per questo che con poca buona fede alcuno volle affermare che la troppa cura presa dei cronici e dei deboli di mente edu- cabili od atti a qualche lavoro, avea fatto perdere di vista i ma- lati acuti, a gran parte dei quali jl lavoro sotto nessuna forma era applicabile, facendo passare in seconda linea il trattamento medico propriamente detto.

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Ai sostenitori del trattamento in letto invece si veniva im- putando un’altra contraddizione.

Partendo dall’antico concetto che le due grandi psicosi, mania e malinconia, dovessero esprimere un’antitesi perfetta, così sinto- matica come intrinseca, taluno si chiedeva come fosse mai possi- bile trattare Puna e l’altra alla stessa stregua.

Tali accuse a dir vero non han più ragione di essere oggi, quando noi vediamo così favorevolmeute accolte le vedute del Kraepelin che cioè la mania e la malinconia non siero nella maggior parte dei casi che due fasi diverse d'un medesimo stato morboso, in modo da poter ridurre le due unità ‘cliniche ad una sola forma psicopatica (frenosi maniaco-depressiva).

In quanto alla diversità dei due indirizzi, lavoro, vita attiva ecc. e riposo in letto, può asserire che se anche vi fu un tem- po in un certo senso tendenza ad esagerare, non è questa una buona ragione perchè oggi si abbia ad eccedere in senso opposto.

Tanto Puno quanto l’altro sistema ha dunque le sue indica- zioni come le sue controindicazioni; nessuno dei due può preten- derla a panacea per tutti i mali.

Anzi il tempo ha oramai fatto giustizia, e possiamo già cre- dere di essere. entrati, riguardo al trattamento in letto, in un terzo periodo storico: in un periodo cioè in cui, lasciati da parte i li- rismi, gli entusiasmi che suscita ogni idea nuova, si applicano, si associano, si alternano i due metodi a seconda dei casi, dero- gando da quelle certe - regole assolute che parevano già riuscite a imporsi. Così oggi in Francia si segue un sistema misto, cu- rando più che altro il trattamento in letto in alcuni casi acuti o quando sia richiesto dalle condizioni somatiche, come del resto Si usa anche fra noi da tempo immemorabile - multa renascen- tur quae iam cecidere.

Quanto a noi, abbiam voluto toccar con maro i vantaggi e i danni d’ un sistema che, se non nuovo, veniva acquistando oggi nuova importanza, onde poter recare arcor roi il rostro piccolo contributo alla vigilia della discussione che ampia, pratica, sere- na, speriamo si aprirà ‘sull’ importante argomento nel prossimo Congresso di Parigi (2-9 Agosto).

Del terzo tema, riguardante la terapia mentale « circa il ri- poso in letto nelle forme acute di pazzia e sulle modificazioni ch’ esso potrà indurre nell’ organizzazione dei frenocomi » sono

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nominati relatori Neisser, Korsakoff e Morel, alienisti dei quali è ben nota la competenza come son note le convinzioni: auguriamo che essi facciano luce e giustizia completa sovra gli argomenti, non tenendo conto di simpatie o di tendenze neofobe che tolgono sempre il giusto apprezzamento dei fatti.

Riassumendo: della clinoterapia, per quello che si riferisce ai malati di mente, noi possiam dire:

I. Che la cura del letto merita di esser presa in considera- zione, per quanto ad ottenerne buoni frutti occorra applicarla con discernimento e con cautela, caso per caso e dietro precise indi- cazioni, interrompendo, alternando e sospendendo la medesima quando ne risulti alcuno dei citati danni.

II. Che convien restringerla:

A. alle sole psicosi acute maniaco-depressive, nella maggior par- te delle quali si rileva una relativa efficacia, escludendone per altro le forme a caratteri degenerativi anche se esordiscono acu- tamente, le ipocondriasi, gli stati d’ ansia.

B. alla confusione mentale (amentia) nel periodo acuto, riu- scendo invece ineno conveniente negli ulteriori stadî.

C. ad alcuni casi di psico-neurosi isterica e neurastenica.

D. agli stati ricorrenti o periodici di eccitazione.

III. Che non abbrevia in genere la durata della malattia aumenta la percentuale delle guarigioni, non evita i passaggi a demenza, ma solo ne attenua i sintomi.

Rispetto alla tecnica:

I. Induce delle favorevoli modificazioni nell’ ambiente mani- comiale.

Il. Per praticarla convenientemente occorrerebbe abbandona- re molti dei vecchi istituti, modificare, adattare i nuovi.

III. Non consente l’ abolizione totale delle celle la ridu- zione di esse al ininimum voluto da alcuni, rende inutili i sedativi, gli ipnotici, i bagni, |’ isolamento.

IV. Porta con spese maggiori. A. Per l’aumentato cambio e consumo di biancheria. B. Per il riscaldamento speciale che richiede. C. Per l’aumento del personale sanitario e del per- sonale inferiore,

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V. In caso di affollamento, adottando la cura in letto, si po- ‘trebbe guadagnare qualche posto (1).

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(1) Era già compiuto il presente studio quando compariva nella Rivista Spe- rimentale di Freniairia del 15 Aprile 1900 una nota del Dott. Bernardini sullo stesso argomento.

Siamo lieti che le osservazioni del distinto Collega di , Reggio, le sue riserve, le sue conclusioni, colmando qualche nostra lacuna, in genere ven- gano a collimare con le nostre - l’ ultima eccettuata, che cioé il metodo clinoterapico realizzi un minore dispendio nell’organizzazione e nella vita economica di un Manicomio,

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Bernardini. La clinoterapia nelle malattie mentali. Note di tecnica ma- nicomiale. Rivista Sperimentale di Freniatria e Med. Leg.1900.

Brescia Aprile 1900

CRONACA

Ignoto Benefattore Un ignoto benefattore, cui rendiamo grazie infi- nite, ci ha fatto pervenire la somma di L. 35, dandoci ampia facoltà di ero- garla, nel modo da noi stessi creduto migliore, a vantaggio degli inservienti e dei malati. E noi, cercando di interpretare il desiderio del generoso bene- fattore, abbiamo versato L. 15 nella Cassa degli inservienti, L. 15 nella Cassa della Società di Patronato per i pazzi poveri dimessi dal Manicomio, e L. 5 nella Cassa malati.

Revart» Bagni. L'aumento dei malati e il deperimento degli apparec- chi idroterapici avevano fatto sentire la necessità di aumentare nel nostro Reparto bagni il numero celle vasche e di rinnovare e migliorare gli appa- reoshi. Tutto ciò è stato nell’inverno decorso portato a compimento per im- pulso del nostro Presidente d’ Amministrazione Conte dott. R. Giglioli e sotto la direziono dell’ing. G. Mongini.

È stata inoltre colta la circostanza dei suddetti lavori per rimettere, diciamo così, a nuovo tutti i locali e per portare in essi tutte quelle inno- vazioni che dal punto di vista igienico cd estetico erano ritenute opportune. E così sono state rivestite di marmo bianco, fino ad una certa altezza, le pareti; sono stati rifatti i pavimenti in asfalto naturalo ed aggiunta attorno una fascia di marmo di Verona; c finalmente è stato adottato un sistema più igienico e più comodo per il riempimento e la vuotatura delle vasche.

Ma la innovazione migliore, introdotta recentemente nel nostro Reparto bagni, è stata quella di utilizzare parte del calore irradiato dalla caldaia per riscaldare gli ambienti, il che ci permetterà di fare su larga scala bagni di pulizia e di cura anche nel colmo dell'inverno.

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Movimento nel personale. Col primo di Maggio u. s. è avvenuto un notevole mo vimento nel personale sorvegliante della sezione donne.

La signora Ispettrice Elvira Verri, che aveva già consegnìto il dirit- to a pensione, ha lasciato definitivamente il nostro Istituto, nel quale per trenta e più anni aveva prestato l’opera sua intelligente ed attiva.

In seguito a ciò è stata promossa ad Ispettrice la Infermiera Maggiore Signora Erminia Giacomelli, che per la sua lunga pratica manicomiale e per le sue eccellenti qualità intellettuali e morali merita ogni fiducia, e a Infermiera Maggiore e Vice-Maggiore sono state rispettivamente nominate la Fanny Ferrari e la Lucia Veronesi diligenti e provette.

Alla signora Elvira Verri porgiamo l'augurio più cordiale di felice e meritato riposo.

ARRESE SER IRA NECROLOGIE

Il giorno 10 Febbraio u. s. cessava di vivere, dopo breve malattia, il dott. Camillo Fochi Direttore del Manicomio Provinciale di Parma in Colorno. In gioventù fu un soldato valoroso, nell'esercizio della professione guadagnò la stima dei Colleghi e l’affetto dei malati.

Sembra che alla sua fine non siano state estranee amarezze e disinganni provati in questi ultimi anni.... Fino ad ora la Psichiatria cunta certamente fra i suoi cultori più martiri che fortunati !!

La Psichiatria e la Neuropatologia in Italia hanno perduto nel Gennaio u. s, una delle migliori speranze. Il dott. Gustavo Pacetti, medico pri- mario nel Manicomio di Roma, già noto per le sue interessanti pubblicazioni, moriva in giovanissima età in mezzo al compianto dei Colleghi.

Società di Patronato per i pazzi poveri dimessi dal Manicomio.

Somma precedente i : i . L. 1722. 56 Offerta N. N. : : . i ; » 8. 20 Ignoto benefattore i i » 15. Offerte malati . : i i » 4. 59

id. id. i È ; . » l. 95

Totale . L. 1752. 30

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Movimento dei malati nel mese di Gennaio 1900

USCITI Esistenti È = $ E 3 5 = S &O aeOSlea. 2 Ss || E |S8|/25|" ad ee U |D fl effi A fl TRS O I E E A Prov. di Ferrara | 196| 181]10) 9] 2) 2; | 17 4] 197 Appart. laltre Provincie 27; 12 2 1 923) 193]10/11 7 2 8| 4] 29: —| [ —. | a | | | —j | eee Fe |) 1. ee | ee Movimento dei malati nel mese di Febbraio 1900 1. Prov. di Ferrara | 197] 1841 2/71 2; |1[1|1| | 5| 1] 190| 189 Z“ Appart. na = altre Provincie 26| 1413 1 1 °7| Fa 2031 1981 5/ 71 3 | a] al 4 6 i} 217] 203} ——|——i— —|[— |— |—|- |-— |I-— . i i |— | —— | 5. - Movimento dei malati nel mese di Marzo 1900 | Prev. di Ferrara { 190) 189) 7) 4) 1] Lt) 2) 2 2 188° 190): Appart. mi be altre Proviacie 97| 14 27| 14 < 217| 203] 7| 41 4/ 1} 1| 2} 2 2 215) 904}! Movimento dei malati nel mese di ei TE Prov. di Ferrara | 188. 190/13 71 6 5 4| 1 192 E Appart. i | | o altre Provincie 27! 14) 1! 1 97 J7 215, 204|14, 7 6 6} | 4] 1 i 1 219 E cl men sta i E elica Direttore R. TaxBrosi. Redattori CAPPELLETTI - Finzi - LAMBRANZI - VEDRANI. ; i, d

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Direttore R. TamBrosti. Redattori CAPPELLETTI - Finzi - LAMBRANZI - VEDRANI.

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Annata XXVIII

BOLLETTINO

DEL

Manicomio Provinciale di Ferrara

FERRARA Tipografia dell’ Eridano 1900

INDICE DELL ANNATA XXVIII

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Vedrani. Considerazioni sopra un caso di psicosi consecutiva a trau- ma al capo, pag. 3.

Vedrani. Per la diagnosi e la prognosi delle malattie mentali, pag. 18. Finzi. Sopra i così detti « comparti d’ osservazione », pag. 40. Tonoli. Dalla clinoterapia nelle malattie mentali, pag. 55. Lambranzi. La sieroterapia fisiologica nella pratica psichiatrica, pag. 89. Vedrani. Sulle psicosi da tifo, pag. 120.

Lui. Paralisi generale consecutiva a trauma al capo, pag. 133.

Finzi. La psichiatria del Wernicke, pag. 151.

Cruciani. Contributo allo studio della peritonite isterica, pag. 174.

Vedrani. Per la diagnosi e la prognosi delle malattie mentali, pag. 181.

Anno XXVIII Fase. III.

BOLLETTINO

DEL

MANICOMIO PROVINCIALE DI FERRARA

FERRARA Tipografia dell’ Eridano 1900

La sieroterapia fisiologica nella pratica psichiatrica

del Dottor Ruggiero Lambranzi

Che l'infezione e'l’ intossicazione abbiano una singolare in- fluenza nella etiologia e nel decorso di alcuni stati psicopatici e néuropatici è oggimai conoscenza comune, che non ha d'uopo d’il- lustrazione e. di commento. Anche se la scienza sperimentale nel nobile tentativo di risalire a. la origine dei processi morbosi non è stata sempre confortata da la vittoria, la clinica non ha più dubbî per classificare quegli stati abnormi che s’aggirano intorno a la gravissima sindrome del così detto delirio acuto o travolgono la psiche del miserabile pellagroso. E se qui vi ha dissidio nel decretare autonomia al quadro sintomatico del delirio acuto 0 della frenosi pellagrosa, nessuno pone dubbio che un intossica- mento primitivo o secondario sia cagione fondamentale dello stato patologico somatico e psichico. Cosi pure si ha ormai assoluta certezza di avvelenamenti episodici dell’organismo e massima- mente in danno del sistema nervoso nella epilessia e nel de- corso di stati maniacali e. depressivi; avvelenamenti dovuti in gran parte a processi di autointossicazione.

L’importanza pratica di queste conoscenze è subito stabilita quando si pensi che esse possono insegnare il provvedimento te- rapeutico, il quale sia indirizzato a combattere od attenuare una almeno delle cause più tangibili di- alcune malattie mentali o di una delle loro evéntuali complicanze.

Fra i molti mezzi: curativi appresi da la terapia delle malat- ‘tie infettive comuni: bagni, impacchi, antisepsi intestinale, car- diotonici ecc., uno dei più recenti introdotti nell’ uso manico- miale almeno fuori d’Italia -- è quello della sieroterapia con la soluzione fisiologica di cloruro di sodio.

Come si sa, questo metodo di cura è tenuto da molto tempo in gran conto nella chirurgia per combattere le anemie acute da emorragia (Joliet e Lafont, Kronecker ecc.) ed a gli oste-

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trici ha giovato in casi di eclampsia delle gravide (Porak e Bernheim, Caillaud ecc.); nel concetto di portare un vero e proprio lavaggio dell’organismo e vincere le infezioni fu usato con minore o maggior vantaggio: nel colera (Cantani, Sahli, Maragliano ecc.), in yn caso di endocardite (Dalchè), in uno di angina con infezione polmonare (Bosc), in uno di rabbia (Re- clus), in due di ittero grave (Fourmeaux, Cury), in due di tetano (Tuffier'); nella Clinica di Montpellier Bosc e Vedel’, Tremoulet?, Tantinoff‘, Etable”, curarono 22 casi di sep- ticoemia, colera, polmonite, tifo ed ebbero il 60°/ di guarigioni; l’anno scorso Lehnartz° comunicò risultati favorevoli nella cura di tifosi, pneumonici e in forme gravi di diarrea infettiva e Gi- glioli e Calvo’ nella Clinica di Firenze sperimentarono I ipo- dermoclisi su 18 casi di tifo addominale ma ottenendo risultati mediocri; casi di dissenteria, di difterite, di anuria alcoolica, di apoplessia con ipotensione arteriosa, di scottature estese e di va- rie dermopatie, di infezioni intestinali nei lattanti, di pneumonite furono inoltre curati da Bosc e Vedel, da Dastre e Loye, da Enriquez e Hallion, da Dumont, da Grasset, da Tomma- soli, da Barbier, da Galvagni e da Koranyi’ e con diver- SO SUCCESSO.

Il primo ad usare le iniezioni di siero fisiologico nella tera- pia delle malattie mentali fu Ilberg® nel 1892; egli nella cli- nica psichiatrica di Heidelberg sperimentò su un caso di para- noia, uno di melancolia, due di frenosi maniaco-depressiva, uno di delirio collasso e uno di amenza; tutti gl’infermi erano sito- fobi e in quelli nei qnali la sitofobia non era sostenuta ostina- tamente da idee deliranti essa fu subito vinta, migliorarono inol- tre le condizioni generali e si riebbero o si sostennero le forze.

Lehmann” le usò poi nel 1893 in 4 casi di melancolia con stupore; scomparve la sitofobia; nel 1.° e nel 4.° caso (finito con la morte) parve che le iniezioni, oltre che mantenere le forze, vin- cessero anche nell’un caso e protraessero nell’altro l’esito firale; il Lehmann dice anche che da tal cura trasse un notevole mi- glioramento la stessa sintomatologia psichica.

Mairet e Vires" -dei quali non ho potuto conoscere il la- voro originale - sembra che non abbiano avuto alcun risultato apprezzabile praticando nel 1896 la sieroterapia artificiale in maniaci, epilettici e lipemaniaci.

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Charron e Briche " Panno dopo sperimentarono su 8 epi- lettici e poichè avevano prima osservato che durante l’accesso convulsivo è diminuita l’alcalescenza del sangue, fecero iniezioni di soluzione al 0.75 °/, di CINa con aggiunta ui bicarbonato di soda; ma gli A. A. ottennero effetti assolutamente contrari a quelli attesi, poichè aumentò la frequenza degli accessi convul= sivi e le condizioni generali degli infermi peggiorarono. Invece Claus (1898) dice di aver avuto qualche risultato incoraggiante in alcuni di tali infermi con ipodermoclisi siero fisiologico puro.

De Boeck " (1898), partigiano della origine tossica delle psi- cosi in generale e della confusione mentale in particolare, ritiene indicata questa cura da usare metodicamente e crede che possa dare anche buoni effetti nella sitofobia degli alienati; in appog- gio a queste sue vedute porta parecchie osservazioni nelle quali Puso delle iniezioni fu seguito da buoni risultati.

Cullerre * (1899) fece l’ipodermoclisi in un caso di psicosi post-infettiva (da influenza), in due casi di confusione mentale, uno dei quali con gravi sintomi d’autointossicazione, ‘un caso di melancolia ansiosa, uno di demenza, ed uno di psicosi uremica; solo il 1.° ed il 6.° caso ebbero esito infausto.

In ultimo Jaquin * (1900) riporta - oltre quelli riassunti di Cullerre - un caso di Feuillade ' e tre personali; quello di Feuillade tratta d’ un delirio febbrile (nel corso d’un tifo) du- rante il quale le iniezioni di siero fisiologico, addizionato con gr. 0,75 - 1 di Caffeina °/», parvero vincere uno stato minaccioso di collasso; nelle osservazioni personali si trovano: un caso di psi- cosi post-infettiva (da influenza), un caso d’alcoolismo, uno di frenosi ipocondriaca, che con quattro iniezioni ciascuno miglio- rarono dei sintomi somatici e psichici. Tanto nei casi di Cul- lerre che in quelli di Jaquin si usarono associati a le ipoder- moclisi altri medicamenti: purgativi salini e vegetali, benzona- ftolo, salicilato di magnesia ecc.; la dieta fu quasi sempre rigo- rosamente lattea.

Nella maggior parte di questi studi fatti su malati di mente subito si rileva e si deplora una tendenza a concludere in modo assoluto e precipitoso con l’appoggio di un numero limitatissimo o insufficiente di osservazioni; in Lehmann e Jaquin, dove il difetto è più evidente, vediamo che I uno da la cura di quattro melancolici stuporosi (probabilmente stati di arresto psico-motorio

in forme maniaco-depressive) trae singolare augurio per combat- tere sitofobia, esaurimento fisico e sintomi psichici ; l’altro con soli tre casi personali è ugualmente ottimista, e noi non:sapremmo spiegarcene la ragione - specie quando vediamo che i suoi infermi sono stati curati, oltre che con l’ ipodermoclisi, anche con purga- tivi, antisettici intestinali ecc. - se l’Autore non giustificasse la sua pubblicazione riassumendo i casi di Feuillade e di Cul- lerre. Qui tuttavia è a notare che pure nei casi di Cullerre lo studio sul valore della ipodermoclisi nella terapia psichiatrica non è chiaro, apparendo ta sua azione confusa insieme a quella di altri medicamenti prescritti a gl’infermi; e il successo di Fe- uillade nel sostenere le forze di un infermo minacciato da col- lasso è spiegato abbastanza da l'azione della caffeina senza ricor- rere a quella del siero.

Ciò che giustifica il tentativo d’applicare la sieroterapia fisio- logica in alcune forme di malattia mentale, in quelle appunto dove l'infezione o l’ intossicazione sono a fondamento di tutta la forma morbosa o di un episodio di essa, è dunque, più assai che la conoscenza dei tentativi e degli altrui risultati, la razionalità che si dimostra d’un tal metodo di cura.

Appunto studi vecchi e recenti hanno stabilito che, ovunque circoli come che sia una sostanza tossica nell’ organismo, Tinie- zione (endovenosa, ipodermica ecc.) di CI Na al 0,75 ‘/, impedisce l’ assorbimento del veleno aumentando la pressione sanguigna (Magendie, CI. Bernard), diluisce i materiali tossici aumen- tando la quantità. dell’ umore circolante (Sanarelli e Sanqui- rico”, Dastre e Loye ", ecc.), facilita la eliminazione di essi provocando la diuresi e la diaforesi (Roger), stimola la vitalità dell’organisuo aumentando il potere -di resistenza delle emazie (Maccini ’), provocando maggiori movimenti nei leucociti e però più eflicace attività fagocitica (Bosc e Vedel”), attenuando il potere globulicida del siero (aumentato nelle infezioni) e con ciò portando riduzione dell’emolisi (Bosc e Vedel).

lutti questi fatti raccolti da le ricerche tisiopatologiche di laboratorio, che hanno indotto a larghe e serie esperienze nella clinica generale, hanno me pure mosso a questo studio.

Ho osservato 11 malati e qui riporto nel modo più breve che ini è possibile le loro storie e i diari,

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- Oss. I. C. R. donna di 32 anni, contadina, ricoverata il 30 Aprile 1899 per /renosi pellagrosa.: alta di statura, regolare di scheletro, bellissima di ‘forme, sebbene scaduta molto nella nutrizione. Grave stato di eccitamento e confusione ideativa. Non presenta nulla di notevole a l’ esame degli or- gani del respiro e del circolo; il 5 Maggio si cominciano a notare fenomeni spastici diffusi massimamente ai muscoli degli arti superiori, movimenti ate- tosici delle dita, carpologia, aumento dei riflessi tendinei; decubito sacrale, temperatura sub-febbrile. Esami delle urine: quantità media cm.* 650, den- sita 1037 - 39, colore marsala, trasp. leggermente torbida, aumento d’urati, traccie d’ albumina.

7 Maggio 1899 Ore 15: T 37, 5, P 108, R 20; si fa una iniezione di 300 cm.* di soluzione fisiologica di CI Na in ‘corrispondenza della coscia destra; l’ inferma non segno alcuno di molestia. Ore 15, 25 fine dell’ iniezione: T 37, 5, P 96, R 20. 16 T 38 17» 38,5- L’inferma Siglo 100 cm.3 d'urina con i soliti caratteri. » 18» 38, 5.

19 > 38, 6. > 20 » 38, 6. 21» 37,9.

22» 37,5.

g Maggio Nella 2.* metà della notte l’ inferma ha perduto le urine in letto. Ore 2 - 10 T 37, 3 - 37, 5; ha emesso urina due volte nel mat- tino; la quantità che si è potuta radcoghiere nelle 24 ore è di cm.* 230, colore ambra, trasp. leggermente torbida, densità 1034, traccie d’ albumina.

Ore 14 12 iniezione di 400 cm.*; prima della iniezione: P 100 R 24 T 38, 5; durante l'iniezione si notano nell’ inferma : volto congesto, sopore, respirazione un po’ frequente, ma profonda.

Ore 15 1j2 T 38, 9 P 120 R 26.

» 16 1;2 » 39, 2 P 118 R 28..

» 17 1[2 » 39, 2 P 104 R 27 - suda molto.

18 1,2 » 39 P 104 R 27. i

» 19 172 - 21 172 T 38, 5 P 100 R 26.

» 22 172 T 38. Perde abbondantemente fecci e urina in letto. » 24 T 37, 5.

9 Maggio Ore 8 T 37, 1; nella 2. parte della notte ha perduto uri- na in letto. Esame dell’ urina raccolta al mattino : Quantità cm. 150, colore ambra, trasp. leggermente torbida, densità 1034, albumina aumentata ; esame del sedimento: negativo.

La temperatura tenda a crescere: ora 10 T 38, Ore 14 T 40.

Ore 15 T 39, 7; iniezione di 600 cm.* eseguita in 35 minuti; durante l’ iniezione la tom paratuta sale a 40; subito dopo l’iniez. ande a 39, 8, il polso ha la frequenza di 132, è piccolo, molto compressibile, R_32.

Ore 16 - 17 T 39, 5.

Ore 18 - 22 T 40. Durante la notte la temperatura oscilla intorno a questa altezza ; l’ inferma è abbastanza quieta, urina tre volte copiosamente in letto.

10 Maggio Ore 8 T 39. Si raccolgono cm. 150 d’ urina: densità 1033, gli altri caratteri immutati.

L' esame dell’ alcanità del sangue avendo dimostrato un grado molto minore della norma, a le ore 14 si fa una iniezione di 1000 cm.3 (500 per ‘coscia) con aggiunta di gr. 4 di Bicarbonato di Na (proporzione adottata da Galvagni *) nella cura della polmonite cruposa con iniezioni endovenose di siero fisiologico).

T prima della iniezione 39, 7 P 130 R 32.

» durante la > 39, 5 - 39, 8 P 130 R 32.

» dopo > > 59, 7 P 122 R 30.

La temperatura si è mantenuta nella notte sempre alta; le condizioni fisiche della inferma sono gravissime ; lo stato spastico delle membra è sem- pre invariato, pure sempre invariato lo stato psichico; l’ alimentazione liqui- da sempre abbastanza facile.

11 Maggio La temperatura oscilla nel mattino intorno a 39, 5 - 39, 7. = Non si sono potute raccogliere urine; la diuresi notturna fu abbondante. Dopo il mezzogiorno la febbre sale rapidamente; a le ore 14,30 T 42, 5. Morte a le 19 con T 41, 5.

Esame necroscopico Non dimostra di notevole che segni d’ iperemia attiva meningea, cerebrale e renale.

Oss. II. -- M. B. donna di 50 anni, contadina , ricoverata il giorno 1 Maggio 1899 per frenosi pellagrosa. È di media statura, di scheletro rego- lare, in istato di nutrizione scadente. Sistema resp.: suono lievemente alto in corrispondenza dell’ apice polmonare sinistro anteriormente, nessun fatto d’ ascoltazione. Sistema cardiovascolare normale. Sistema nervoso. Motilità : resistenza lieve di tutti gli arti ai movimenti passivi, aumento dei riflessi tendinei ; sensibilità integra. Psiche : rallentamento ideativo, disorientamento parziale. L’ inferma mangia abbastanza facilmente, non perde fecci e urine. Dal 1 al 4 Maggio temperatura subfebbrile. Esame delle urine : Quantità media cm.5 700, densità 1031, colore ambra, trasparenza leggermente torbi- da, albumina, zucchero no.

6 Maggio 1899 Ore 15 T 36,5. P_80, R 18; iniezione di 100 cm.* nella regione inguino-crurale sinistra, sopportata tranquillamente. Dopo 2 ore l’inferma emette 220 cm.’ d’ urina che ha caratteri uguali a quella dei precedenti esami.

Nessuna reazione febbrile.

7 Maggio Ore 8 T 36,9; quantità d’ urina dopo 24 ore da la inie- zione cm.* 710, colore ambra, trasparenza chiara, densità 1026. T serale 36,9.

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8 Maggio Ore 8 T 36,5; urina: quantità em." 600, densità 1027. A le ore 14 iniez. di 250 cm.3 di siero artificiale. In principio l’ inferma av- verte senso molesto di freddo, poi più nulla. Nessuna reazione febbrile, 24 ere dopo la urina raccolta è cm.* 800, densità 1025.

Le condizioni generali dell’inferma sono in complesso migliorate dai giorni precedenti, mangia con appetito ; lo stato psichico è rimasto invariato.

Oss. Ill. S. G. bracciante di 55 anni, ricoverato il 7 Aprile 1899 per frenosi pellagrosa; recidivo dopà 7 anni. Uomo di scheletro forte, muscoli abbastanza sviluppati, adipe scarsissimo ; eritema caratteristico al dorso del- le mani. Enfisema dei bordi polmonari anteriori, toni cardiaci nascosti. Vie- ne in istato di estrema confusione mentale e assai debole di forze. Migliora presto con l'alimentazione sufficiente, ma va soggetto ad episodî di eccita- mento e disordine psico-motorio intensi durante i quali si butta a terra, si lamenta, grida, ha allucinazioni cenestesiche svariate, congiuntiva iniettata, scialorrea, stipsi. Da uno di questi episodî intercorrenti fu preso il giorno 16 Maggio. Urina : quantità cm.* 1000, colore marsala, trasparenza chiara, densità 1035, albumina, zucchero no.

17 Maggio 1899 Ore 15 T 37,2 P 68 R 20; iniezione di 500 em.’ cempita in 12 minuti. L’ infermo non ha accusato dolore altro che a la in- fissione dell’ ago.

Ore 16 T 37,3 P 68 R 20.

» 17-18 T 37,3.

19 T 37,5.

20 » 37,8 Nella sera e nella notte ha sudato molto, dermito tran- ` 21» 37,9 quillamente, emesso 1200 om.* d’ urina. 22 » 37,5. 23 » 37,3.

» 24» 37.

18 Maggio Ore 8 T 37,2. L’infermo è molto meno eccitato e disor- dinato d’ieri; ha molta sete e beve molto. Totale dell’ urina di 24 ore cm.3 | 2200, colore citrino, trasp. limpida, densità 1015..

Ore 14 1,2 T 37,5, iniezione di 500 cm.*

» 16172 T 36,9.

» 17-18 T 36,5. Nella notte ha sudato discretamente, emesso om. >

Y Y Y Y »

19 T 37,6 P 72 R 29. 5000 di urina. 20-22-23 T 37,7. » 24 T 36,9.

19 Maggio L’infermo è parci amete ordinato ; ha sempre molta sete e beve molto. Urina : quantità cm. 5000, trasp. limpida, color citrino, densità 1011. Temp. serale 36,7.

20, 21, 22, 23, 24 Maggio Le condizioni psichiche sono sempre ri-

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maste buone. In questi giorni l’ infermo ha sempre bevuto da 2 a 3 litri

d’acqua, perchè accusava molta sete; la poliuria ha persistito e la quantità d’ urina raccolta ogni 24 ore fu di cm.* 3300, 3500, 5000, 2250, 5000: la

densità variò da 1007 a 1012; il colore fu sempre citrino ; l’ urina a pena

emessa aveva sempre reazione acida, trasp. limpida, ma dopo alcun tempo -

e però sempre l’ urina notturna - dava reazione spiccatamente alcalina (NH?)

ed era torbidiccia ; 1 fosfati, gli urati furono sempre relativamente scarsi,

assolutamente un po’ aumentati; normale sempre la creatinina; l’ albumina,

lo zucchero, l’ acetone, l’ indicano non furono mai riscontrati. L’ infermo non

accusava nessun malessere fisico.

25 Maggio. Cessa la poliuria.

L’ infermo per richiesta della famiglia fu rilasciato il 2 di Luglio, ma fu poi ricoverato nuovamente il giorno 4 dello stesso mese, perchè aveva dato subito segno di disordine mentale. Ora è sempre quieto e buono, di- mostra indebolimento mentale ; le condizioni somatiche sono discrete.

Oss. IV. C. EF. falegname di 17 anni, epilettico, fu ricoverato il 20 Agosto 1848. Va soggetto ad accessi convulsivi molto frequenti; è di co- stituzione molto gracile. Il giorno 16 e 17 Maggio del 1899 gli accessi si ri- peterono spesso così da lasciargli brevissime tregue e da costituire un vero stato di male.

18 Muggio L’infermo è in istato soporoso, a intervalli di 1[2 - 1 ora si avvertono contrazioni toniche diffuse che durano pochi minuti ; reagisce lievemente a gli stimoli dolorosi, non parla, non mangia da 2 giorni; la temperatura è subfebbrile.

Ore 15 1,2 T 37,5 P 108 R 20; iniez. di 500 cm.’ di siero.

16 138.

17» 38,8 P 122 R 20.

» 18» 38,7. Urina abbondantemente in letto.

» 19» 38,2

» 20» 38,3.

» 21-22-23 T 38,2.

» 24 T 37,4.

.19 Maggio -- Lo stato soporoso continua, ma molto meno intenso;

l’ infermo, chiamato, drizza il capo, volge lo sguardo come a risposta. Non si avvertono contrazioni toniche o cloniche dei muscoli. Nel pomeriggio dice qualche parola, mangia qualche cibo. La temperatura oscilla fra 36,8 e 37,2 P 76 R17. |

20 Maggio Condizioni migliorate.

Oss. V. N. F. gastaldo, ricoverato il 6 Aprile 1899 per frenosi mantaco-depressiva. Uomo di 58 anni, di costituzione fisica vigorosa ; era triste

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d’ umore o si lamentava d’un senso di debolezza generale, di anormali sen- sazioni gastro-intestinali ; più tardi accusò : senso di bolo a la gola, cefalea, senso di tensione nervosa e muscolare, cardiopalmo (subbiettivo) e dolori a la regione cardiaca ; era stiduciato della propria salute, smanioso, insofferen- te, insonne, sempre depresso, preoccupato, malcontento. Il 18 Maggio cadde in uno stato ansioso : irrequietezza, continuo lagno, espressione d' angoscia, agitazione motoria, parola tronca, sconnessa, confusa, volto congesto, con- giuntiva oculare iniettata; nessuna remissione a le esortazioni di calmarsi; inappetenza che, col perdurare dello stato abnorme, divenne presto sitofobia. La sera del 21 fu posto a letto e fu fatta una iniezione di morfina; la mattina dopo era calmo, fu alzato, prese cibo, disse di sentirsi meglio. ll 23 si-ripeté la crisi forse più intensa di prima; una iniezione di morfina portò la calma per alcune ore, ma verso sera l’ infermo ricadde; una nuova iniezione non riuscì a vincere l’ insonnia notturna. Temp. subfebbrile; uri- ne : quantità media di 24 ore cm.’ 500, colore ambra, reaz. acida, trasp. chiara, albumina e zucchero no, fosfati abbondanti, creatinina reaz. normale, acetone reaz. molto spiccata, densità 1033.

24 Maggio 1899 Ore 15 T 38,4 P 76 R 19; iniez. di 450 cm. in 17 minuti; l’ infermo durante l’ iniezione accusa un leggero senso di sete.

Ore 15 112 T 38,3 P 72 R 17.

» 16 1 38,3.

17» 37,5, scarica alvina provocata da clistere stimolante.

> 18> 30,1. > 19» 36,9. > 20 36,0,

21» 36,9 - emette cm.5 250 d* urina. 23 emette cm.* 270 d' urina.

25 Maggio Immutato lo stato fisico e psichico del paziente; lingua impaniata, alito fetido; in tutto il giorno. prende solo e forzatamente una tazzina di caffé e latte; quantità dell’urina in 24 ore cm.‘ 750, caratteri invariati. i `

Ore 8 T 38,1 Ore 12 T 38,2.

» 15 T 37,7 P82 R 28; iniez. di 600 cm. in 20,! sopportata con calma, > 151% T 37,2 P 80 R-26.

» 1612 » 36,6. .

17172 » 37,7 - vomita un po’ di liquido verdastro.

» 18172-21 T 378.

» 22-24T 37,6.

26 Maggio Ore 8 T 38. Stato. analogo a quello d’ieri; urine di 24 ore: cm.* 500, caratteri soliti, la densità è solo leggermente aumentata, 1034. - Boeve in tutto il giorno circa 1[2 litro di latte e forzatamente.

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Ore 15 T 37,5 P 86 R 28; iniezione di cm. 500 in 15 minuti. > 1512 T 37,3 P 80 R 25, non si ha alcuna reazione febbrile.

27 Maggio L’ infermo ha per la prima volta dormito tutta notte; è sempre molto depresso, risponde a fatica e con voce fioca ; sta con gli occhi semi-chiusi. T 37; urina raccolta in 24 ore cm.3 430, densità 1036. Tempe- ratura serale 37,5.

28 Maggio L’ infermo è più Ssmanioso d' ieri, il mattino si stenta assai a fargli bere il latte o l’acqua; si lagna continuamente come per ti- more di soffocazione e morte, ogni suo atto esprime il terrore d’ una rovina fisica. Al pomeriggio mangia cibi solidi abbastanza facilmente. Quantità d’u- rina raccolta in 24 ore cm.’ 500, densità 1035. T 37-37,5.

29 Maggio Stato generale invariato, mangia con più facilità del so- lito. Apiresi.

Urina di 24 ore: cm. 600, densità 1035, trasp. torbida per urati, sedi- mentum lateritium, gli altri caratteri invariati. Si prova la tossicità col me- todo di Bouchard ?5) e si trova maggiore della norma.

Ore 15 T 36,8; iniezione di 600 cm.* di siero. Nessuna reazione febbrile.

30 Maggio Nulla di notevole. Urina: quantità cm.’ 380, densità 1035; per la 1.* volta si nota scomparsa dell’acetone ; tossicità un po’ mag- giore della norma.

31 Maggio Miglioramento dello stato fisico e psichico; non esiste più così spiocato lo stato ansioso e l'alimentazione è all’inciroa normale; urina : quantità cm.5 400, densità 1037.

1, 2,3 Giugno Le condizioni psichiche e fisiche sono tornate a la norma abituale anteriore alla crisi ansiosa; la diuresi è aumentata (1000, 1300, 1500) ed è diminuito il peso specitico (1028, 1015, 1016) e l’ emissio- ne dei fosfati e degli urati; la tossicità provata il 1.° Giugno è circa uguale «a la norma.

= Oss. VL V. M. bracciante ricoverato il 25 Maggio 1899 per /renosi pellagrosa. Uomo di 58 anni, di media statura, scheletro forte, muscoli ipo- trofici, adipe scarso; colorito della cute bruno intenso; segni di eritema pregresso al collo ( pigmentazione ) e al dorso delle mani (desquamazione). Paralisi psichica interrotta a momenti da espressioni di disordine e confu- sione ideativa ; allora susurra o grida in modo tumultuario parole sconnes- se. Debolezza fisica generale. Il 2 Giugno si osservano movimenti a scosse aritmiche, irregolari dei muscoli mimici, atassia degli arti sup., spasmo, car- pologia ; lieve spasmo, resistenza passiva, ai movimenti degli arti inf.; dei riflessi solo esagerati i tricipitali. Alimentazione sempre facile ; stipsi, oligu- ria (ha sempre perduto le urine in letto); temperatura oscillante fra 37,5 e 37,7. 4 Giugno 1899 Ore 15 12 T 37,9 P 104, R 22; iniez. di 600 cm. di siero.

= * n es s * 5 è +

Ore 16 T 37,7, P 108, R 22. » 17» 37,7,

» 19» 37,9.

» 20» 38.

> 21» 38. Ha urinato abbondantemente a letto.

» 22-23 T 37,8. 5 Giugno Paralisi psichica; depressione generale notevole. Ore 1-7 T 36,6 - 36,9. i

» 0-20 T 37,9-38,5, P 104 - 110.

6 Gtugno Notevole disturbo psichico, difficolta di espressione, tuttavia appare un risveglio parziale di coscienza ; condizioni generali migliori; Apiresi.

7 Giugno A le ore 15 iniezione di 600 cm.* di siero in 15 minuti. Nessuna reazione febbrile, urinazione copiosa in letto.

8 Giugno Difficoltà di espressione, ma senza disturbo di coscienza ; esiste un po’ di resistenza muscolare ma senza spasmo evidente, non si no- tano movimenti muscolari abnormi. Diuresi abbondante. Temp. 36,8, 37,5.

9 Giugno Condizioni fisiche e psichiche immutate ; apiresi. L’ infer- mo durò in questo stato più d’un mese, non acquistando mai forza per reggersi in piedi, migliorando maggiormente dello stato psichico. Nella 2.° quindicina di Luglio si pronunciò un indebolimento progressivo delle forze, inappetenza ece.; fatti d’ ipostasi polmonare, di catarro bronchiale su- bacuto ; sopraggiunse poi rapidamente una temperatura elevata e |’ infer mo morì il 23 Luglio.

Esame necroscopico: catarro bronchiale diffuso, ipostasi polmonare, segni di degenerazione grassa del fegato e del cuore.

Oss. VII. -- V. A. calzolaio, ricoverato il 3 Maggio 1390 per frenosi pellagrosa. Era in preda a grave eccitamento e confusione ideativa ; nessun fenomeno somatico degno di nota; in 8 giorni la psiche si riordinò.

Il Giugno si manifestò un eritema attivo a la fronte e al dorso delle mani, che dava all’ infermo grande prurito ; il 6 Giugno l’ eritema semplice era divenuto vescicolare e bolloso; scialorrea copiosissima. Insieme a ciò qualche fenomeno di disordine mentale. T 37,5, 37,7; urina: quantità media em.5 1000, ricca d’urati e di fosfati, densità 1028.

8 Giugno 1899 Ore 17 T 37,8; iniezione di 600 cm. in 12 minati. Temp. subito dopo l’ iniezione 36,7.

Ore 16 T 38,3. » 22 » 39, emette 200 cm.3 dl’ urina. 23» 38,3. » 24» 37,5.

9 Giugno Condizioni generali invariate. Urina di 24 ore cm.* 700, caratteri soliti. T 87,2 - 38,

i.

10 Giugno Condizioni generali invariate. Urina di 24 are om.3 670, caratteri soliti. T 36,5 - 36,8. Ore 15 112 T 36,9; iniezione di 600 cm.* di siero in 15 minuti.

~ 100

16 T 36,9. 17» 37,1. > 19» 37,9. » 21> 38,2.

» 23» 38,2. Emette 500 cm. d’ urina.

11 Giugno Ore 8 T 37,1. Condizioni generali invariate. Urina di 24 ore cm.* 580 (ne ha perduta evacuando due volte l’ alvo di fecci semi-liquide), caratteri soliti, densità 1027. Temp. 37,1 - 37,5

12 Giugno L’eritema, che é stato waeats anche localmente, è miglio- rato assai ; la scialorrea è un po’ diminuita ; le condizioni di mente sono invariate. Urina, quantità cm.? 1000, caratteri soliti, densità 1025; tempera- tura 36,8 - 37,2.

L’infermo stette in simili condizioni fino al 20 Giugno sempre a letto;

in quel giorno fu colpito «la emiplegia sinistra (diagnosi di emorragia cere- brale intracapsulare); morì in coma il 25 Giugno. Esame necroscopico: edema della sostanza cerebrale e dei soia focolaio di rammollimento rossu in corrispondenza del corpo opto-striato destro, che distrugge tutta la porzione posteriore della capsula interna e si estende al nucleo lenticolare e - per breve spazio - al talamo ottifo.

Oss. VIII. F. A. operaio ricoverato il 6 Aprile 1900 per /renosi pel- lagrosa. È un individuo di 37 anni, di costituzione fisica regolare, molto emaciato, debole. Presenta un moderato disordine intellettuale, non è diso- rientato. Sta in condizioni abbastanza buone con la cura alimentare fino al 25 Aprile; allora viene colto da diarrea colliquativa (che cessa solo il gior- no 9 Maggio) con elevazione febbrile e si accentua il disordine mentale; il 6 Maggio entrano in scena i fenomeni spastici di triste angurio della pella- gra, che s’ aggravano e si generalizzano rapidamente nei giorni 7 ed 8: opistotono cervicale e dorsale, trisma, riso spastico, guizzi nei muscoli del volto, scosse cloniche in tutti gli arti, resistenza a tutti i movimenti passi- vi, esagerazione dei riflessi, iperestesia sensitiva e sensoriale, insonnia. L'in- fermo perde sempre le urine in letto. Alimentazione liquida (1. 2 di latte, 2 brodi con 4 uova, 100 gr. di caffè, 500 di limonea cloridrica) abbastanza facile.

8 Maggio 1900 Ore 15 3]4, T 36,7; iniezione di 500 cm.3 di siero.

Ore 16 T 37,8.

> 17 > 37,6. > 18 37,8. > 19-24 T 37-37,2. Nella notte suda e perde molta urina in letto.

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9 Maggio Stato invariato ; ore 15 T 37,4, iniezione di 500 om.3 dj

siero. Ore 16 T 37,6. > 17». 37, 8. -> 18» 37,5. Suda e urina abbondantemente. .

10 Maggio Ore 15 T 37,7; iniez. di 500 cm.3; ore 16 T 37,3, soa- rica alvina di diarrea fetida. :

Ore 18 T 37,7.

» 20> 37,5. 11 Maggio Nella notte ha urinato e sudato molto. . Ore 14 T 38,7; ore 16 T 38,6; iniezione di 1000 cm.3 (500 per coscia); a la fine dell'iniezione T 38,6: nessun aumento ulteriore di temperatura. . 12 Maggio Ore 7 T 37,9; un clistere salino provoca tre scariche alvine. Ore 14 112 T 37,9 P 98; iniez. di 1000 cm.5 in 1ņ2 ora. 15-16 » 37,6 P 96. » 17 » 37,7. Urina e suda molto (e ciò avviene ogni notte per tutto 18-19 37,8. il tempo della cura).

13 Maggio I soliti fenomeni spastici permangono; il disordine psichi- co è forse maggiore, l’ infermo è in preda spesso al allucinazioni visive; euforia.

Ore 15 T 37,3 P 96; iniezione di 500 om.*

» 15 1j2-17 112 T 37,1 P 92.

18 172-20 112 > 37,5.

14 Maggio Lieve attennazione dei sintomi spastici; si osserva che l’ infermo resta sempre coperto e non iscompiglia i lenzuoli con le scosse spastiche e atassiche delle braccia e con la carpologia; sembra meno confu- so. T 37 - 37,6.

15 Maggio Ore 7 T 37,9.

Ore 15 T 38,2; iniez. di 1000 cm.?

15 172-16 T 38,5. » 17-19 T 38,7. Su la sera i fenomeni spastici sono aumentati e si pratica una iniezione di morfina.

16 Maggio Stato spastico peggiorato ; opistotono cervicale continuo ; a le ore 10 si fa una iniez. di murfina che non alcun risultato benefico.

Ore 16 112 T 40,9 P 134 (con lo stetoscopio, perchè le contrazioni fre- quenti d’ogni muscolo, impediscono la numerazione delle pulsazioni a le ar- terie palpabili), iniezione di 1000 cm.* di siero alcalinizzato.

Temp. durante l’ iniezione 40,3.

Dopo | » 39,8, P 122 (ore 17). Ore 18 T 39,6. 19» 39,5 P 104. Si dànno gr. 3 di Bromuro di K e 2 d’ Idrato di Cloralio ; a Je ore 22 dorme profondamente; si osservano rari sussulti fugaci dei muscoli. Nella notte ha una abbondantissima evacuazione di materie molli,’

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17 Maggio Ore 7 T 37,8 P 88. L'infermo é più quieto, reagisce me- no intensamente a gli stimoli, non 3 scosso ogni qual tratto - come di so- lito - da accessi di tremore, da contrazioni toniche generali, o da cloni par- ziali; appare un po’ depresso; 8’ iniziano decubiti al sacro e in corrisponden- «a del trocantere sinistro. Sul mezzogiorno riprende lena lo stato spasmodioo.

Ore 15 112 T 39 P 100; iniez. di 1000 cm.3 di siero alcalinizzato.

» 38 durante l'iniezione. » 38 P 96 dopo > 17 T 38,8. » 20 » 39,8. Si la pozione di Bromuro e Cloralio. 18 Maggio Ore 7 T 39, stato spastico come ieri sera. Ore 14 T 39,6 P 112; iniezione cm.3 1000 di siero. » 38,8 durante l'iniezione. » 38,7 P 112 dopo » » 16 T 38,4. » 17-19 T 88,6. Pozione di Bromuro e Cloralio.

19 Maggio Ore 7, T 38, stato spastico un po’ meno intenso; inizio di decubito al trocantere destro.

Ore 15 T 39,5 P 120, R 40, iniez. di 1000 cm.3 in 25 minuti.

» 38 durante l’iniezione; due scariche diarroiche. » 37,7 P 104 dopo »

> 18 T 38,1.

» 20 » 38,5.

20 Maggio Ore 7, T 38,2, condizioni generali gravi, stato spastico invariato.

Ore 15 T 38,8 P 120; iniez. di 500 om.?

» 38,8 durante l iniezione 9 dopo.

Ore 19-21 T 37,5.

21 Maggio Ore 7, T 38,3; si agita molto quasi in ispasmo clonico di ogni membro. -

Ore 15 112 T 39,3 P 112, iniez. di 1000 cm.3

> 38,7 dopo 25' minuti d’ iniezione. » 38,7 (ore 16) fine della iniez. P 100. » 17-18 T 38,7. Marsala, Bromuro e Cloralio. » 20-22 T 38,8. 22 Maggio Ore 7, T 38,3, condizioni invariate. Ore 15 112 T 38,7, P 112 R 40; iniez. di 1000 cm.3; durante e dopo » 16 T 38,2, P 104 R 836 l’iniez. l’ infermo ha sonnolenza, » 17» 88,6 P 106. » 18 » 38,9. > 20» 39,1.

103

23, 24, 25, 26, 27, 28 Maggio Si ripetono giornalmente le ipoder- moclisi (5 di 1000 om.* ed una di 800). Lo stato spastico ha in gran parte ceduto, ma le condizioni generali dell’ infermo si sono aggravate progressi- vamente, ì decubiti si sono fatti ampli e profondi, la temperatura ha oscil- lato fra 37,9 e 40,2, il polso fra 92 e 140, la frequenza del respiro intor- no a 40. Invariati i fenomeni psichici, abbondante e facile come sempre l’ali- mentazione liquida; la diuresi e la defecazione normali. Muore la notte dal

a

28 al 29 Maggio: la necroscopia non è permessa.

Oss. IX. B. G. mendicante, ricoverato il giorno 25 Maggio 1900 per frenosi pellagrosa; individuo di 47 anni ammalato da 3 anni di pellagra, emaciato. È in condizioni generali gravissime, diarrea profusa, sitofobia, perde le urine nel letto. T 39,1.

26 Maggio 1900 Ore 7, T 38,6, rifiuta il cibo.

Ore 15 T 38,3, iniez. di 500 cm.* di siero.

» 15 1[4 T 38,3 fine della iniezione, » 17 T 38,6. » 18» 388. » 20» 39,1. Prende minestrina e latte. 27 Maggio Ore 7, T 39,8 P 78 R 18. Ore 15 T 39,9 P 78, R 18; iniez. di 500 cm.’ » 15 if4 T 39,8 P 78 R 18. » 17 T 399. 18 » 40, alimentazione liquida facile. > 19 » 40,4, iniezioni di Benzoato di Sodio e Caffeina.

28 Maygio Ore 7 T 40,8 P 80 R 24; iniez. di Benzoato di Sodio e Caffeina.

Ore 14 T 39,1, iniezione di 800 cm.” di siero.

» 14 1[4 T 89,1, iniezioni di Benzoato di Na e Caffeina.

15 T 38,5 P 125 R 46. :

Muore a le ore diciotto ; non è permessa la necroscopia.

Oss. X. G. G. bracciante ricoverato la sera dell’ 11 Giugno 1900 per frenosi pellagrosa. Tomo di 37 anni, alto, sottile, pallido, magro, con muscoli abbastanza forti. Grave eccitamento psico-motorio, confusione mentale. Lin- gua impaniata, ventre meteorico ; guizzi nei muscoli del volto; alimentazio- ne abbastanza facile, ritenzione d’ urina.

2 Giugno 1900. Ore 7 T 37,9. Ore 15 T 38,2, iniezione di 500 em.* di siero in 10° minuti. » 15,10, 16 1]2, 10 172 T_ 58,6. 18 112 T 59,1 ; suda molto, ha molta sete, perde una volta lo 20 1,2 » 40,2 ) urine in letto,

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13 Giugno -- Condizioni psichiche più torpide; si osservano scosse ra- pide, frequenti con qualche breve intervallo di riposo e qualche momento di esacerbazione nei muscoli degli arti superiori: deltoidi, bicipiti, flessori e pronatori delle mani; le scosse sono talora di solo un muscolo o prendono - porzione di muscolo, quasi sempre però con effetto motorio su l’arto o su le dita. Non ha evacuato l’ alvo da quando è entrato, urinato da 22 ore; 20 gr. di Solfato di Na provocarano nella mattina due scariche abbondanti ; il cateterismo 400 cm.3 di urina che viene sperduta per errore; si nota che la ritenzione è dovuta a spasmo dello sfintere vescicale.

Ore 15 T 39,5; ore 15 1]J2 iniezione di 500 cm.* in 7 minuti.

» 15 314 T 39,5, P 100. suda. » 16 172» 38, P 92.

17172 38,2.

> 18172 > 39,2, P 92.

20 172 » 39,3.

14 Giugno Ore 7, T 38,5; non ha urinato nella notte, vescica tesa. Spasmi tonici e clonici notevoli anche a gli arti sup. e visibili a pena a gli arti inf., che tendono a la flessione.

A le ore 10 si fa una iniezione endouretrale di 3-4 cm.? di soluzione tiepida di cocaina al 2 0[0 secondo l'indicazione di Martel? ; l’ infermo urina al tocco, in letto, circa 400 cm. di liquido.

Ore 15 112 T 39,2 P 102; iniez. di 500 cm.* di siero.

> 16 172-20 172 T 39 P 192, suda abbastanza.

15 Giugno Ore 7, T 38,8, P 104; tiene gli arti superiori aperti e sollevati prevalendo le contrazioni toniche dei deltoidi, cloni con effetto mo- torio specialmente nel campo dell’ ulnare, notevoli cloni dei m. del volto; disfonia. Non urinato, defecato nella notte. Evacuazione della vescica dopo l ora che è stata praticata una iniez. endonretrale di cocaina.

Ore 15 T 39,8, P 116; iniez. di 1000 em.’ in 20 minuti.

» 15 172-16 T 39,3, P 107.

» 17-18-20 T 39,8, P 112, suda.

» 23 T 40, P 130. Muore a le ore 2 del 16 Giugno; non è concessa la necroscopia.

Oss. XI. C. S. di anni 47, lavoratore di terra ricoverato già tre volte per frenosi maniaco-depressiva. È degente nel manicomio dal 1890 e presen- ta stadî di eccitamento abbastanza intensi intercalati da stati di depressione di poca durata. Da la metà di Giugno di quest’ anno è entrato in un perio- do depressivo dimostrato da nn rallentamento psico-motorio molto spiccato; non parlava mai, mangiava pochissimo ed opponeva spesso resistenza passi- va, ma ostinata a l’ alimentazione; sui primi di Luglio cominciò a parlare e notarono spiccate idee deliranti di negazione : l’ infermo diceva di esse-

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re morto, di non avere più occhi, più membra, stava quasi sempre accocco- lato sul letto e rifiutava il cibo anche per 2, 3 giorni di seguito, deciden- dosi poi spontaneamente - o djetro insistenza altrui - a prendere qualche po’ di latte e talora anche tutto il desinare; urina in letto, è stitico.

3 Luglio 1900 Da due giorni non prende che un po’ di latte - 172 od 1 litro - forzatamente. Ore 15, T 37 ; iniezione di cm.* 500 di siero fisio- logico. fatta fra le griga dell’infermo che, protestando d’ essere morto, non vuole che lo tocchino.

Ore 16 T 37,2.

» 17 » 37,3, nrina abbondantemente in letto.

> 18» 37,3.

» 19» 37,7, a l ora della cena rifiuta il cibo.

» 20» 37,5.

» 21» 37. 4 Luglio Ore 15, T 36,6; iniezione di cm.3 500 di siero. Ore 16 T 36,9.

> 17-18 T 37.

> 19 T 37,2.

» 20 » 37,5. In tutto il giorno prende forzatamente solo la solita 21» 36,8. quantita di latte.

5 Luglio Stamattina ha urinato due volte, e molto, in letto. Prende solo il latte. Ore 14 T 36,6; iniezione di 500 cm.5, nessuna reazione febbri- le, diuresi scarsa.

6 Luglio > Prende al mattino forzatamente un po’ di latte, poi chiede e mangia da un pezzo di pane; a mezzogiorno non vuol mangiare.

Ore 15,50 T 36,7; iniezione di cm.? 500, nessuna reazione febbrile, diuresi scarsa.

7 Luglio Un clistere salino fa evacuare due volte 1’ alvo; ‘un 2.° cli- stere a mezzogiorno viene trattenuto. Diuresi abbondante: rifiuto di alimenti.

8 Luglio A mezzogiorno mangia seguendo il consiglio dell’ infermiere (promessa di evitare l?’ iniezione) minestra, carne e pane facendosi imboccare, ma senza alcuna resistenza.

9 Luglio Così al mattino che al mezzogiorno rifiuta di mangiare ; la sera prende un po’ di latte.

10 Luglio Prende il latte al mattino; rifiuta il cibo a mezzogiorno.

Ore 15 1,2 T 36,7; iniez. di cm.° 500; nessuna reazione febbrile; urina abbondantemente a le ore 17 112 ed a le 23.

11 Luglio Mangia del pane col latte al mattino e rifinta ogni cibo durante tutto il giorno. E così continua per molti giorni seguenti mangiando ora tutto il suo pasto, ora rifintando ogni cosa. Lo stato psichico in tutto questo tempo è rimasto invariato.

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La tecnica della ipodermoclisi è così semplice che non biso- gna di una descrizione particolareggiata; ‘solo dirò- che io ho usa- to un pallone della capacità d’un litro, chiuso da un tappo di gom- ma, attraversato da due cannule di vetro; ad una di queste era fissato un tubo di gomma munito d'un ago lungo e sottile; il pallone veniva tenuto a l’altezza d’un metro circa sul piano del letto e però il liquido scorreva - come con l’ipodermoclisi di Can- tani - e penetrava sotto la cute per forza del proprio peso; si poteva tuttavia (secondo il consiglio di Burlerau) porre in co- municazione la cannula libera del pallone con una pera di caout- chouc aspirante e premente e rendere così l’apparecchio più ma- neggevole e inicttare il liquido con la pressione dell’aria insufflata, ma io trovai sempre più opportuno e semplice il primo metodo.

Il liquido - soluzione in acqua distillata e bollita od anche semplicemente bollita di CI Na al 0,75 "/ - aveva una tempera- tura variabile dai 37 ai 41°; veniva iniettato con ogni cura anti- settica nelle regioni inguino-crurali o lombari o nel lato esterno delle coscie; in una sola regione non s’iniettavano mai più di 500 cm.*; si aiutava la diffusione sottocutanea della soluzione salina con un leggiero massaggio.

Furono fatte complessivamente 49 iniezioni su 11 individui; di questi uno ne ebbe una sola, un altro ne ebbe 20 ed i rima- nenti ne ebbero da 2 a 5 ciascuno.

Delle 49 iniezioni, 5 furono rispettivamente di cm. 100, 250, 300, 400, 450, 19 di 300, 7 di 600, 2 di 800 e 16 di 1000 cm.

Fin d’ora posso dire che non ebbi mai a notare alcun feno- meno in rapporto a la sede della iniezione, nel senso che gli ef- fetti di questa potessero venire modificati da la diversa località ove veniva praticata l’ipodermoclisi e che su la sede prescelta av- venissero fatti anche semplici di reazione infiammatoria; al- cun fenomeno osservai in dipendenza della temperatura delle so- luzioni impiegate, della qualita di esse (quando 3 volte invece del siero fisiologico semplice fecero tre ipodermoclisi di siero alcalinizzato); in dipendenza della quantità osservai solo - e molto di rado - qualche modificazione nella intensità degli effetti comuni.

Considerando poi i varì ordini di fatti raccolti, esamineremo successivamente - confrontando anche con le risultanze di altri Autori - gli effetti eventuali della terapia fisiologica su la tem- peratura, sul polso ed il respiro, su gli emuntori, su l’ apparec-

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chio gastro-enterico; su lo stato generale fisico e psichico degli infermi.

Temperatura. Come effetto immediato della iniezione sotto- cutanea fu descritto minutamente da Bosc e Vedel un periodo di reazione critica costituito in principal modo da un notevole elevamento della T. preceduto da brivido (fenomeni più rapidi e. intensi se l’iniezione è endovenosa); questa crisi suol osservarsi dopo 2-4 ore, essere accompagnata da modificazioni del polso, del respiro e della diuresi ed essere seguita da un periodo post- critico, ossia di ritorno a la norma con sensazione di benessere.. Un accurato studio su questa febbre da iniezione è stato fatto nella Clinica di Bozzolo da Fornaca e Micheli *; essi trova- rono frequente, ma non costante tale reazione febbrile e spesso legata a notevoli differenze individuali; qualche volta osservarono un abbassamento di */, - */,, di grado seguire immediatamente a l’iniezione sottocutanea e durare 1-3 ore. Giglioli e Calvo nei loro infermi di tifo riscontrarono la reazione termica quasi sem-

“pre, sebbene in diverso grado anche talora nello stesso individuo.

. Tutti poi questi Autori sono d’accordo nel dare un significato pro- gnostico a la reazione febbrile, stimando ch’essa sia più energica ed elevata nei casi d’infezione leggiera e debolissima o nulla nei casi gravi.

Nei abbiamo riscontrato il periodo di reazione critica 17 vol- te su 49 iniezioni, ossia in poco più del 34 '/, °/,, 11 volte abbia- ino notato la diminuzione iniziale di temperatura - segnalata da Fornaca e Micheli - seguita poi talora da elevamento, talora da ‘ritorno a la norma e in qualche caso anche da diminuzione prolun- gata (12-24 ore); questa poi si è qualche volta osservata anche senza che la diminuzione siasi avvertita subito dopo l’ ipodermo-

. clisi; 5 volte si è avuto un aumento progressivo; 11 volte non s’ è riscontrata alcuna mutazione di temperatura, appunto circa nel 22'/, °/,. Ove si osservi che nei 17 casi nei quali si ebbe il periodo di reazione critica questo fu almeno 8 volte debolissimo e che non si ripetè quasi mali dopo ciascuna iniezione anche in quegli infermi che avevano dato segno di reazione spiccata, noi siamo costretti a peusare che la frequenza e la costanza del pe- riodo critico sia anche minore di quella risultata ad alcuni dei precedenti osservatori. si può credere che la cifra scarsa e

- en

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la poca costanza della reazione febbrile dipendano - come si po- trebbe supporre - da la gravità della intossicazione nei casì pre- scelti da noi per la cura (su 8 pellagrosi, 4 decessi durante la cura) e da l’avere impiegato ben 20 delle 49 ipodermoclisi - intorno a le quali si calcola la percentuale - in un caso pur grave, che volse a morte; poichè l’esame particolareggiato dei casì ci dimostra che la reazione mancò nella inferma della Oss. II dove i feno- meni della intossicazione pellagrosa erano relativamente meno gravi, mancò una volta e riuscì debolissima un’ altra nell’ indivi- duo della Oss. VI che pure guari dei fenomeni acuti, fu invece elevata rispettivamente due volte e una volta nei gravissimi casi delle Oss. I e X; inoltre su 20 iniezioni fatte a l’infermo della Oss. VIII si nota 7 volte il periodo critico, ossia nel 35 °/, cifra leggermente maggiore di quella trovata col calcolo complessivo. Tutto ciò ne induce a fare qualche riserva - almeno in riguardo a infermi simili ai nostri per natura della malattia - sul valore prognostico che si suol attribuire a la presenza e al grado della reazione febbrile dell’organismo a la sieroterapia fisiologica.

Un fatto aucora abbiamo potuto constatare, ossia che - al- meno 9 volte su 17 - negli infermi ai quali furono praticate pa- recchie ipodermoclisi le quali non portarono tutte 1’ elevamento critico della temperatura, questo si ebbe dopo la prima o le pri- me iniezioni e non dopo le seguenti (p. es. Oss. VI, X); in casì dove segui sempre l’elevamento termico esso si dimostrò più spic- cato in principio che poi ip. es. Oss. III); ciò può giustificare il dubbio espresso da Bosc e Vedel che col ripetere le iniezioni l’organismo vi si abitui e vi reagisca in minor grado o nulla.

. Polso e respiro. Le osservazioni cliniche e sperimentali han- no dimostrato uua notevole influenza che avrebbe l’iniezione fisio- logica su l'apparecchio cardio-vascolare e respiratorio. Gioffredi che riassume vari lavori su l’ argomento dice che anche in indi- vidui in preda a gravi forme infettive il polso si rinforza, diven- ta meno frequente e più ampio, la pressione si eleva; il respiro si fa più profondo e regolare. Ilberg ed altri trovarono pure di tali modificazioni nei loro infermi.

Undici volte noi abbiamo notato subito dopo I!’ ipodermoclisi una diminuzione della frequenza dei battiti cardiaci e un aumen- to della forza del polso e - in queste - 10 volte il benefico effetto

—- 109

prolungò per parecchie ore; solo 3 volte notammo aumento iniziale della frequenza, mentre invece aumento transitorio ed an- che di 20-30 pulsazioni osservammo quasi sempre durante il pe- riodo critico conformemente a gli altri osservatori. La pressione arteriosa non fu misurata, ma nei casi ove diminui la frequenza e aumentò la forza del polso si può ammettere che fosse aumentata.

Nel più dei casi non si è avuta alcuna modificazione nella frequenza, profondità e ritmo del respiro durante dopo la iniezione ; l’aumento di frequenza si è avuto in modo abbastanza evidente durante i periodi di reazione critica un po’ spiccata; in un solo caso si è avuto aumento subito dopo la iniezione (Oss. I); alcune volte si è avuto diminuzione della frequenza subito o al- cun tempo dopo dell’ipodermoclisi, ma più spesso si è notato au- mento della profondità e della regola nel ritmo respiratorio (p. es. nella Oss. VIII dove le contrazioni toniche frequentissime dei muscoli toracici rendevano la respirazione superficiale e spezzata).

Emuntorî. L’ aumento della diuresi è ammesso in tesi gene- rale; anzi Bosc e Vedel affermano che la fine del periodo cri- tico e l’inizio del post-critico sono contrasegnati da un’abbondante eliminazione d’urina ; Dastre e Loye hanno dimostrato sperimen- talmente negli animali che tale urina è di solito limpida, incolore, di peso specitico bassissimo, scarsa di principî solidi; ma dopo ripetute iniezioni Formeaux * ha notato che alcune volte ave= vano urine rossastre, che a lo spettroscopio presentavano le strie: di assorbimento della emoglobina. In quanto a le modificazioni quantitative dell’urina Giglioli e Calvo hanno avuto risultati diversi, ora grande ed ora lievissimo aumento, Fornaca e Mi- cheli notarono di solito un aumento di leggiero grado; in quan- to a le modificazioni qualitative fu osservato di solito aumento dell’urea, e Fornaca e Micheli fanno notare a questo proposito che per la iniezione di siero fisiologico non si modifica l’Azoto perduto con le fecci, ma è aumentato quello ureico, ciò che in- dica un aumento delle ossidazioni per cui l’albumina arriva in quasi totalità al suo grado massimo di scomposizione ; gli stessi A. A. trovarono aumento di acido fosforico. I rari e spesso incom- pleti esami dei medici manicomiali non ce’ illuminano troppo su questa parte, ma sembra che in genere almeno l’aumento della diuresi sia constatato,

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Noi potemmo esaminare solo l’urina di 5 infermi abbastanza completamente, almeno per poter tenere conto de’suoi mutamenti fisici e di alcuni dei chimici sotto l’influenza della ipodermoclisi; in 2 trovammo lieve diminuzione del peso specifico e lieve au- mento della quantità ad ogni iniezione, in 1 diminuzione note- vole del peso specitico e poliuria spiccatissima con lieve aumento di cloruri e fosfati; in un nessuna diminuzione del peso spe- cifico, aumento di quantità in rapporto diretto con ipoder- moclisi, l'urina conteneva acetone che non scomparve altro che dopo la iniezione; dopo aumentò la diuresi e con essa diminuì il peso specifico; in un caso si ebbe diminuzione del peso spe- eifico e aumento leggiero della quantità solo dopo la iniezione, nessun fenomeno dopo la I.° Negli altri 6 casi (Oss. IV, VI, VIII, IX, X, XI) gl’infermi perdevano sempre le urine pel letto, e non si potè raccogliere mai tanto che potesse servire per un esame elementare; tuttavia possiamo credere, giudicando approssimati- vamente, che in due di essi (Oss. VIII, XI) si avesse aumento della diuresi, in uno (Oss. X) persistesse l’oliguria, di tre non si può dire assolutamente nulla. La poliuria del soggetto della Oss. III rappresenta una vera crisi di diabete insipido e la sua dipendenza - almeno relativa - da la introduzione del siero non può essere posta in dubbio *, poichè essa si dimostrò subito dopo la 1* inie- zione (nelle 24 ore che la seguirono emise più di 2 litri d’urina) œ si accentuò dopo la 2*; durò poi in tutto otto giorni, la mag- giore quantità d’urina giornaliera fu di cm. 5000, il minor peso specifico di 1007; fu sempre accompagnata e forse in parte man» tenuta da un grande senso di sete. Invece la scomparsa dell’ace- tone da le urine dell’ infermo dell’Oss. V non sembra debba es- sere un beneficio recato da la ipodermoclisi, perchè 3 iniezioni un giorno dopo l’altro non portarono il minimo mutamento quan» titativo e qualitativo; dopo due giorni d’ intervallo ne fu fatta una e di li a 24 ore si notò scomparsa dell’ acetone; ma que- sVultiino risultato non valore a l’ipotesi che l’ultima ipoder- inoclisi abbia raggiunto l’effetto terapeutico invano tentato con

*) Una crisi di polinria si ebbe anche in uno dei 3 casi di Masbrenier; VA. tratta l’alcoolismo e le manifestazioni di delirium tremens con l' ipo- dermoclisi, secondo le indicazioni di Quenu °7,

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le tre prime, perchè tale effetto avrebbe anzitutto dovuto dimo- strarsi con l’aumento o il ritorno a la norma (che si avverò solo dopo altri 2 giorni) della diuresi, conseguenza più frequente del- la iniezione di siero fisiologico. Invece è da credere che la scom- parsa dell’acetone si sia dovuta a l’antisepsi intestinale costituita da la dieta lattea e dai clisteri evacuanti - che si erano dovuti adottare per vincere la sitofobia e la stipsi del malato - che erano venuti a poco a poco ad estinguersi quei fenomeni putre- fattivi degli ldrati di Carbonio (Roger) o degli albuminoidi (A l- bertoni) che dànno luogo a la formazione di acetone.

Le variazioni della tossicità urinaria in rapporto a la siero- terapia fisiologica non credo siano mai state studiate. Io feci al- cune prove, ma il malsicuro metodo di Bouchard non mi portò a nessun risultato soddisfacente. Solo le prove fatte con l’urina dell’infermo della Oss. V mi fecero notare qualche differenza, ma spiegata da la presenza dell’acetone e da la sua scomparsa, non da l’effetto della ipodermoclisi :

i o.

Esp. I. 29 Maggio 1899; coniglio grigio del peso. di gr. 740; iniezione intraperitoneale di urina raccolta in tempo lontano da la ipodermoclisi e contenente acetone; cm.* 35 per kg. d’animale (la tossicità normale, secondo Bouchard, viene calcolata a cm.* 45 - 46,1 per Kg.). Il coniglio muore, do- po un breve periodo di tremore generalizzato seguito da contrazioni toniche, a.25’ di distanza da la fine della iniezione. Necroscopîa : peritoneo lievemerite - ihiettato di sangue e contenente un po?’ di liquido urinoso rossastro ; note- vole iperemia ed edema della sostanza cerebrale, polmoni estremamente con- gesti, cuore in diastole pieno di sangue.

Esp. II. 30 Maggio 1899; coniglio grigio del peso di gr. 880; iniezione intraperitoneale di urina raccolta nel tempo consecutivo ad una ipodermo- clisi (di 24 ore; senza acetone); cm.* 42 per Kg. d’animalée. Morte in con- ‘trazioni toniche e cloniche 30! dopo la fine dell’iniezione. Necroscopia : re- perto uguale al precedente. ©. Esp. III. 1 Giugno 1899; coniglio grigio del peso di gr. 1050; iniezione intrapertitoneale d’urina raccolta in tempo lontano da l’ipodermoclisi e men- tre è evidente il miglioramento dell’ infermo; cm.3 45 per Kg. d’animale. Morte in coma dopo 12 ore da la fine dell’iniezione. Necroscopia : peritoneo lievemente iniettato, contenente modica quantità di liquido siero-sanguigno, iperemia diffusa del tenue, cervello edematoso, cuore pieno di coaguli, reni congesti, gli ‘altri organi macroscopicamente normali,

112

Conforme a l’osservazione di altri Autori trovai che è facile l'aumento della attività sudorifera per effetto della ipodermoclisi ; tuttavia anche qui le condizioni individuali portano notevoli dif- ferenze, poichè mentre grande abbondanza di sudore durante e fuori del periodo di reazione critica si notò quasi sempre nell’in- fermo della Oss. VIII, che ebbe ben 20 iniezioni, non notai mai la pelle madida negl’intermi delle Oss. XI o II ecc. Qui poi deb- bo aggiungere che dal complesso de’ niei casi sembra di poter dire che in essi la diaforesi è spesso - come appar naturale - in rapporto con l’altezza della temperatura, ma che tale rapporto non sussiste sempre, come nel caso della Oss. VI ove si ebbe rea- zione febbrile, ma non sudore.

Apparecchio gastro-enterico. Uno degli effetti quasi costanti .che Ilberg, Lehmann e De Boeck affermano’ di avere riscon- trato nei loro soggetti infermi di mente è il risveglio rapido del senso della sete e della fame; di solito già a la fine della prima iniezione salina i malati chiedevano da mangiare, ma anche nei casi dove la sitofobia era mantenuta da ostinate idee deliranti la ripetizione della ipodermoclisi finiva con lo stimolare negli infer- mi il desiderio del cibo.

Tali Autori preconizzano per tal modo la sostituzione della sieroterapia fisiologica a |’ alimentazione artificiale, che spesso è ardua e non scevra di pericoli. Senza associarmi affatto a questa speranza credo tuttavia che un certo effetto giovevole per questo punto sia da considerare. Non ch’ io sia riuscito a vincere Posti- nazione di una sitofobia sostenuta da idee deliranti (le idee di negazione della Oss. XI), creda di aver vinto quella provocata da la disattenzione di un soggetto tutto preso da uno stato do- loroso di ansia (Oss. V), ma osservo che gli altri nove miei in- fermi non hanno mai tralasciato di mangiare in tutto il corso della cura sieroterapica, mentre invece per alcuni di essi l’alie mentazione era sul principio stentata o impossibile (p. es. Oss. IX). Dove poi questa difficoltà di alimentazione non esisteva anteriore a la cura, non si può escludere che la sieroterapia non abbia giovato a tenerla loutana, poichè, se esaminano solo gl’infermi delle Oss. I, V e sopratutto della VIII e si tien conto di quel grado estremo della intossicazione pellagrosa, della formidabile e dolorosa sindrome tetaniforme resta meravigliati nel sapere che

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fino al termine della vita non hanno mai - come suole - rifiutato il cibo. Non so se ciò avvenga perchè si tiene desto il senso del- la faine o perchè - come pensano Ilberg e Lehmann - venga stimolata da l’ipodermoclisi l’attività delle ghiandole salivali ; io penso che il più delle volte valga il ridestarsi del senso di sete che - in seguito a l’iniezione - ho potuto notare almeno in quat- tro de’ miei soggetti, talora anche indipendentemente da la rea- zione critica; nei casi dove la sitofobia più che legata a condì- zioni organiche è dovuta a un fatto puramente psichico, idee de- liranti ecc. può essere che l’ ipodermoclisi non abbia valore che | come mezzo suggestivo (Oss. XI).

È stato detto poi che le iniezioni saline hanno una certa azione eccoprotica e però possono provocare una diarrea più o meno abbondante nel periodo critico e talora anche vomito o conati di vomito. Questo io osservai solo una volta (Oss. V); diar- rea fu riscontrata alcune volte in un certo rapporto con l’ipoder- moclisi, tuttavia talora non si potè vincere la stipsi che con Pir- rigazione intestinale. La incostante efficacia eccoprotica deve es- sere pure stata osservata da Cullerre e da Jaquin, se essi do- vettero nella cura dei loro infermi ricorrere ripetutamente ai purgativi.

Stato generale fisico. La difficoltà, che s'incontra sempre nel- la cura degli alienati, di ottenere da l’infermo quei dati subbiet- tivi, che pure hanno tanto valore per il giudizio medico, e di fare completamente su di esso o controllare l’esame fisico nel corso di una malattia rendono difficile scernere nella evoluzione dei sintomi generali ciò che proprio può essere in rapporto di cau- salita con la speciale terapia. Dove furono curati dei malati co- Inuni si è detto che essi in seguito a l’ ipodermoclisi e special- mente nel periodo post-critico si sentivano sollevati, provavano un senso di benessere, di calma e spesso - nei casì non molto gravi - davano segni di un vero miglioramento almeno transitorio.

Anche gli alienisti che si sono occupati della cosa dicono di aver notato negli infermi ristorarsi le forze (Il berg, ecc.), modi- ficarsi i decubiti (Cullerre) e più ancora di aver visto in alcuni casi scemare od anche scomparire fenomeni minacciosi di collas- so (Lehmann, Feuillade) o prolungarsi in qualche guisa la vita del paziente (Lehmann, Cullerre).

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A me il soccorso dell’esame subbiettivo dell’infermo è sempre fatalmente mancato ; la ipodermoclisi è stata quasi sempre sop- portata con calma, con indifferenza o almeno senza gravi prote- ste, ma poi nessuno - anche di quelli che forse avrebbero potuto giudicare del proprio stato - seppe dir nulla. Lo sguardo obbiet- tivo generale deve più che mai farci distinguere da malato a malato : su otto casi di intossicazione pellagrosa le nostre storie ne dimostrano cinque gravissimi - Oss. I, VI, VIII, IX, X - e la gra- vità è massimamente dimostrata (eccetto che nella Oss. IX) da la imponenza della sindrome tetanica ‘e mioclonica che in tali forme deve quasi sempre ‘condurre ad una prognosi infausta quo. ad vitam, quantunque io stesso conosca due casi di guarigione che, rispetto a la mia breve esperienza, reputo eccezionali. Nelle Oss. l, IX, X non potemmo constatare nessuna influenza benefica su le condizioni generali, la malattia con progressione fatale con- dusse rapidamente a la morte; nella Oss. VI si osservò un note- vole miglioramento transitorio, con evidente attenuazione dei fe- nomeni tetanici e apiresi, ma persistette l’astenia generale e l’in- fermo dovette pur esso soccombere. Nella Oss. VIII le condizioni generali apparvero sempre oscillanti di gravità in modo incoor- dinato, i fenomeni tetanici non subirono mutamenti apprezzabili in istretto rapporto con la sieroterapia, ì decubiti ebbero un-an- damento progressivo, la febbre non s’interruppe mai,-la debolezza fu sempre estrema, ma il paziente visse 23 giorni da l’inizio de- gli infausti sintomi spastici, offrendo così un rang esempio di re- sistenza a la gravità del male.

Negli altri tre casi dove la intossicazione pellagrosa era re- lativamente leggiera: l’inferma della Oss. Il dimostrò uno stato fisico migliore dopo due sole iniezioni di poca quantità di siero fisiologico, ma senza che nessun fenomeno reattivo speciale av- vertisse dell’ influenza diretta del medicamento su la miglioria; nella Oss. VII cadde la febbre, ina l’infermo non si tolse dal let- to; nella Oss. III si ebbe un relativo miglioramento delio stato generale che sembrò essere in rapporto con la sieroterapia, per- chè coincidente con una lunga crisi poliurica la quale in gran parte era dovuta a lipodermoclisi.

La sieroterapia fu poi usata in uno stato epilettico non molto grave (Oss. IV) e in due stadi depressivi di frenosi maniaco-de-

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pressiva (Oss. V, XI); l’epilettico ebbe reazione febbrile, urinò abbondantemente e migliorò; nell’infermo della Oss. V non si notò rapporto sicuro fra l’ attività della cura e il tempo in cui cessarono lo stato d’ansia e la sitofobia o si mostrarono i brevi stati di miglioramento intercalati nell’episodio ansioso; nell’infer- mo della Oss. XI mancarono pure dati obbiettivi notevoli intorno a gli effetti della ipodermoclisi su le condizioni generali fisiche.

Stato generale psichico. Lehmann primo insiste intorno ad alcun effetto favorevole su lo stato psichico degli infermi: sem- brano diminuire -le idee deliranti nei melancolici, attivarsi ì mo- vimenti psichici negli stuporosi e ciò - dice l’Autore - in forza di una migliore irrorazione cerebrale e di una maggiore elimi- nazione dei prodotti del ricambio indotte da la sieroterapia fisio- logica; Jaquin - per dire subito dell’ alienista che pochi mesi fa si è occupato della cosa - dimostra su questo punto un con- vincimento amplissimo; i suoi tre casi sarebbero guariti con tal metodo di cura, ed egli lo consiglia con grande fiducia nei deliri delle malattie infettive (tifo, influenza, febbri eruttive), nelle psi- cosi post-infettive, nelle forme che si sviluppano nel puerperio, nelle psicosi post-operatorie, nelle sindromi da uremia ed epati- smo ecc. - ciò forse perchè l’A. applica teoricamente in patolo- „gia il criterio razionale tratto da lo studio sperimentale.

A noi la modesta pratica suggerisce un linguaggio inspirato a minor ottimismo e a maggior dubbio. Sopra gli 8 casi di fre- nosi pellagrosa, 6 furono completamente immuni da ogni berefi- cio, i fenomeni psichici rimasero immutati; nel.settimo (Oss. VI) si notò con l’attenuamento transitorio dei sintomi somatici un parziale risveglio di coscienza, una lieve diminuzione della inten- sità della paralisi psichica, in complesso cenni di. miglioramento lieve ma non progressivo; nell ottavo (Oss. II) P episodio di ee- citamento e di confusione ideativa - ripetizione di quelli che da qualche tempo comparivano fra mezzo ad una relativa salute psi- chica e fisica - si attenuò e scomparve insieme al sorgere del miglioramento fisico. :

L’ epilettico usci dal sopore semi-comatoso nel quale era ca- duto dopo una serie numerosa di accessi convulsivi e ritornò a la norma abituale del suo stato di mente. Nei due maniaco-de- pressivi non si rilevò alcun vantaggio: F episodio ansioso del-

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l'uno si esauri senza dimostrare |’ influenza curativa della siero» torapia; le ideo deliranti dell’ altro sono tuttora vivaci e pre- potenti, |

Riunendo ora i dati raccolti da l’ analisi dei vari fenomeni e dello stato generale degli undici infermi ci avvediamo che un solo risultato apparisce costante : la ipodermoclisi non ha nociu- to ad alcuno. È questo un carattere curativo indifferente, ma che vuol essere tenuto in conto, perchè se ad esso s’ aggiunge qual- che risultato anche piccolissimo, ma positivo la nuova terapia ha diritto di essere chiamata utile. E - diciamolo subito - questi pic- coli risultati esistono, sebbene nessuno di essi - se non forse l’at- tenuamento della sitofobia legata a cause fisiche - abbia quei re- quisiti di uniformità, di frequenza, d’ intensità e forse anche di chiarezza che sono necessari per stabilirne il grado di efficacia e d’ importanza.

Abbiamo infatti veduto come il periodo di reazione critica - che secondo gli Autori è una vera e propria reazione salutare - si è avuto solo nel minor numero delle ipodermoclisi fatte e non ha assunto mai un esatto valore prognostico, come gli effetti be- nefici sul respiro, sul circolo, su l’attività del rene e della cute Compaiono in certi casi e mancano in molti altri; abbiamo ve- duto come un sintoma pellagroso (tetano) s’ attenua in un caso e in quattro permane, come un infermo resiste in gravissimo stato 23 giorni prima-di morire ed altri durano meno d’ ura settima- na. Ma tutti questi fatti: l’attenuamento di un sintoma somatico O psichico, il prolungamento d°’ una vita, la persistenza o il rin- vigorimento della attività funzionale d’ un organo ecc. in mezzo a un gruppo di casi dove la gravità dei danni deb corpo o della mente si dimostra in modo cospicuo, costituiscono un gruppo di piccoli risultati positivi che la terapia ristretta o impotente del medico alienista deve saper valutare.

Tuttavia siamo ben lungi dai lieti giudizi di quelli Osserva- tori che ci hanno preceduto, e più lontano ancora da le speran- ze suscitate da lo studio sperimentale; la messe da noi raccolta è di piccola mole. Probabilmente il diverso successo clinico è dovuto a che non sempre si è cercato da tutti il giusto rapporto fra l’ uso, l’effetto diretto della iniezione salina e l’ esito della malattia, dimenticando che non sempre la guarigione è indice

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della efficacia -della cura, la morte è indice della sua inatti- vità; - forse a me si potrebbe volgere da qualcuno l’ accusa di avere un po’ dimenticato quest’ ultimo avvertimento, ma nella redazione delle storie e dei diarî credo di aver posto testimo» nianze per le mie conclusioni.

Il dissidio con molti risultati sperimentali può forse essere dovuto al fatto che non tutti gli elementi tossici hanno tal na- tura chimica da sciogliersi o diffondersi ugualmente nel siero lavatura (Gioffredi) e potrebbe essere appunto che quelli ì qua- circolano nell’ organismo di un pellagroso siano in gran parte insolubili mentre possono essere solubili o diffusibili quelli do- vuti p. es. al bacterium coli (Bosc e Vedel) oppure circolanti nel sangue durante uno stato di male epilettico, se io possó trar- re buon auspicio da un caso riportato incidentalmente da Jaquin e da la mia Oss. IV, trascurando per un momento gl’ insuccessi avuti da Charron e Briche.

Una obbiezione a la povertà de’ miei risultati positivi potreb- be essermi fatta da la scelta dei casi per massima parte ( giudi- cando da le 8 oss. sui pellagrosi ) gravissimi e mi si potrebbe dire che in questi la intossicazione poteva avere raggiunto tale intensità e portato tali lesioni anatomiche da rendere inutile ogni lavaggio ed eliminazione di veleni; l’ esame spassionato dei casi e delle vicende della cura forse basta a confutare |’ obbiezione (p. es. miglioramento della Oss. VI, ecc.), ma v’ ha di più ed è che appunto solo in tali forme prescelte appare indicato l’ inter- vento razionale della sieroterapia fisiologica, poichè ove la intos- sicazione pellagrosa - pure attingendo il sistema nervoso e le funzioni psichiche - non sia grave, basta la semplice cura diete- tica e igienica, molto più opportunamente della ipodermoclisi, a rifare le forze e la salute.

Resterebbe a vedere ora se i fenomeni utili da noi ottenuti con la cura sieroterapica siano da reputare migliori di quelli che si sogliono avere con i mezzi consueti nelle psicosi infettive o tossiche; se qui si prende notizia da gli studî fatti nelle ma- latte comuni, p. es. da le osservazioni recenti di Giglioliì e Calvo su 18 tifosi, si può dire francamente di no, perchè l’esito con tale cura fu assai inferiore a l’ aspettativa; se poi si pren- dono in rapido esame i casi studiati da gli alienisti, sceverando

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. da quelli meno chiari dove insieme a la sieroterapia furono fatte cure interne e da quelli che sarebbero guariti con la semplice degenza in letto, si può notare che - in mezzo a varie contradizioni (Ilberg, Lehmann e Mairet e Vires, Claus e Charron e Briche) - non si nota pure un progresso terapeuti- co evidente; ed i miei casi, da quelli più leggeri a quelli più gravi, sono li a dimostrare che cure diverse da quella usata: bagni, impacchi, disinfettanti intestinali, cardiotonici ecc. (cliste- ri di Bromuro nello stato. di male epilettico) avrebbero dato for- se un ugual esito, pure variando in qualche segno particolare come rispetto al sintoma sitofobia. In ciò ci assicura il ricordo di altri casi curati prima di tentare il metodo sieroterapico e che qui sarebbe superfluo riportare, poichè appartengono a le co- noscenze comuni ad ogni medico alienista.

Conclusioni

L’impiego della sieroterapia fisiologica in quegli stati psico- patici che hanno fondamento assoluto o relativo in una infezione o in una intossicazione esogena o endogena è razionale, ma i risultati utili che se ne ottengono sono di scarso valore e non contribuiscono ad aumentare le guarigioni di tali stati morbosi più che non lo possa l’ impiego di altri mezzi terapeutici.

Gli effetti utili che la sieroterapia induce su la curva febbrile, su gli apparecchi cardiovascolare e respiratorio, su gli emunto- sono incostanti e la loro presenza od assenza non offre il mez- zo di formulare in modo. assoluto un giudizio prognostico.

I suoi effetti su l’apparecchio gastroenterico sono meno in- costanti e più efficaci; poichè .la sitofobia sostenuta da abnorme stato organico tende a scomparire.

I suoi effetti su le condizioni fisiche generali soro molto di- versi da individuo a individuo anche indipendentemente da la gravità del male; il più delle volte non si dimostrano in guisa che venga come che sia modificato il corso della malattia, in qualche caso sembra che possa attenuarsi qualche sintoma d’ in- tossicazione grave o prolungarsi la vita di un infermo o interrom- persi uno stato di male epilettico.

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I suoi effetti su lo stato psichico sono nulli, fuori di qualche caso in cui esso sia legato strettamente a le condizioni fisiche e che dal possibile miglioramento di queste dipenda strettamente il miglioramento suo,

BIBLIOGRAFIA

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Sulle psicosi da tifo del Dott. Alberto Vedrani

I. Linda Lor...., di 17 anni, cucitrice. Non ha precedenti di neuropatie o di psicosi in famiglia. Un fratello è morto di tubercolosi.

La ragazza era intelligente e di carattere buono e docile: ha imparato a leggere e scrivere. Secondo il racconto dei parenti non è stata ammalata mai prima del tifo che la colse nell'agosto 1899, mentre assisteva un fra- tello malato della stessa malattia. I parenti assicurano che fino dal primo giorno la ragazza ha delirato; la ragazza asserisce ehe dal secondo giorno che s'è messa a letto non ha più capito niente. Parlava sempre, giorno e notte: pareva che vedesse delle ombre, dava falsi nomi agli astanti, s'alzava da letto. Negli stadi successivi del tifo prevalse il sopore e lo stupore. Verso la fine di settembre la febbre cadde e ai primi d'ottobre si cominciò ad al- zarla; ma essa appariva ammalata di mento. Stava lo intere giornate come stupidita : qualche momento però si riscoteva e si metteva a tremare tutta, dicendo che le pizzicavano la carne e la mordevano. Di notte, quasi costan- temente, urlava terrorizzata che sentiva venir gente a batterla, e non quie- tava se non a lume acceso, Così ha seguitato a casa per tre mesi. Si alter- navano giorni in cui riconosceva tutti quelli di casa, discorreva bene e di- ceva essa stessa: m2 parc di risuscilare, con altri giorni più frequenti in cui

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stava come stordita 0 piangeva puerilmente o cantava nenie, e chiamava le persone con falsi nomi. Più d’una volta domandava piangendo il prete e gli ultimi sacramenti, perchè sentiva di dover morire. Sopratutto erano frequenti accessi di angoscia e di terrore: si metteva in ascolto, diceva: ecco che ven- gono, e allora tremava, batteva i denti, morsicava le lenzuola, batteva la testa nel muro: mai ha perdute le orine. In uno di questi accessi ha tentato di gettarsi nel pozzo, onde la famiglia si determinò a ricoverarla nel mani- comio (Febbraio 1900).

Nei primi giorni pareva tenuta da uno stato permanente di spavento e d’ angoscia. Facilmente trasaliva: di notte gridava: ko paura ! vengono ! muoio ! Si metteva in sospetto pure vedendo ridere gli altri. Del resto era completamente orientata ; faceva bene di conti, sebbene con facile esauribi- lità, aveva ricordi esatti del passato assistivo è miei fratelli ed ho preso i tifo: sono andata a letto in agosto, dal secondo giorno non ho più capito niente; solo m'hanno detto che sono stata a letto 49 giorni.» ). L'affettività ora sempre vivace ed aveva espressioni infantili correi andare a servire piuttosto che star qui senza far niente.... vedo che tutti gli altri sono belli e allegri: io invece sono così afflitta! »). Era sempre scarsa di parole e non dava ragione dei suoi terrori.

L'esame degli organi del petto e dell'addome e quello del sistema ner- voso non ha messo in vista nulla di rilevante. Come la ragazza era in uno stato di nutrizione deperita, fu prescritta una cura ricostituente. Parallelamente al riforire della nutrizione scomparve presto la panofobia e l'esagerata emo- tività, e la ragazza fu dimessa guarita in capo a uu mese. Tale si mantiene tuttora (dopo sei mesi).

II. Raminga F. M. è mandata al Manicomio provinciale di Ferrara il 22 Maggio 1899 dall’ospedale di R.... con le seguenti notizie anamnestiche.

« Ha 28 anni; non risulta che derivi da genitori psicopatici o neuropatici: era d'indole morale buona, sviluppo intellettuale sufficiente, istruzione di- sereta. Era di condizione povera o attendeva a lavori domestici.

Durante la convalescenza d una febbre tifoide (otto giorni dopo scom- parsa la febbre) ebbe una leggera recidiva, causata, pare, da disordini diete- tici. Contemporaneamente fu presa all'improvviso da delirio maniaco, in for- ma ci delirio acnto, con sitofobia, e condotta all'ospedale il 16 aprile 1899 in condizioni fisiche inquietanti per la grandissima prostrazione che presen- tava. La febbre, con temperatura di 39 al mattino e 40 circa alla sera, con- tinuò per circa dieci giorni dopo il sno ingresso; e durante tale periodo si dovette costantemente alimentarla colla sonda esofagea. Caduta la tempera- tura, crebbe l’ agitazione con aumento dell’insonnia, dei clamori, delle idee deliranti a fondo melanconico. In complesso si può dire che nel mese che fu qui (nell'ospedale di R...) è peggiorata progressivamente riguardo alla psiche, mentre si è alquanto rimessa fisicamente. >

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29 maggio 1899 - 21 settembre 1899. È il periodo che la donna ha passato nel manicomio di Ferrara. In tutto questo tempo il suo contegno è stato uniforme. Non ha mai rifiutato il cibo e si è sempre urinata addosso. Ha faccia apatica: solo qualche volta vi si disegna una fuggevole espressione di sofferenza, o d’insofferenza e di disgusto se alcuno le si accosta per in- terrogarla. Tiene costantemente gli occhi bassi, non mostra interesse per l'ambiente. Qualche volta senza ragione si mette a piagnucolare in modo e con smorfie infantili. A letto decombe supina, colla testa eretta con gli avambracci e le gambe in flessione: se si fanno dei tentativi di estensione, la donna si oppone energicamente: la resistenza è accompagnata da una pro- testa verbale : « ma stia fermo che quando mi tocca lei dopo.... », o da un rapido tentativo di percuotere l’importuno osservatore. Allo stesso modo, con espressione vivace d’insofferenza e di fastidio, schermisce ad ogni esame e negl’interrogatori.

D. Come hai nome? R. niente (singhiozza e si guarda le dita) tutta qui da me a scrivere.... ma faccia a meno di scrivere!

D. Ma che cosa scrivo io? R. Non so D. Chi sono io? R. Ma lo so io chi è lei! D. Quanti anni hai? R. Non lo so. E così sempre la risposta è: Ma non lo so! vada via! andiamo, vada

via !

Qualche volta invece (sopratutto nell'ultimo mese) parla spontaneamente (mai in presenza dei medici); esprimendo idee deliranti o apprezzamenti illu- sionari dell'ambiente e favoleggiando. Le hanno cambiata la testa, essa è tutta tagliata, è il diavolo, anche il medico è il diavolo, anzi è il fratello della Luzia. Il 21 settembre, per volontà della famiglia e contro il parere dei medici, fu dimessa, e prima d'andar via dichiarò alle compagne che an- dava a disseppellire in un cimitero dei tesori, dei milioni nascosti sotto terra. Negli ultimi tempi lavorava di calza con lena e con rapidità di movimenti. Coi medici non ha mai variato il sno contegno negativista.

Pochi giorni dopo uscita, condotta a viaggiare, la donna si è rapidamente e completaurente riordinata. Ora (dopo nndici mesi) la guarigione si man- tiene completa.

Queste sindromi insorte col tifo e (possiamo dirlo fin ora con giustificata presunzione di certezza) per il tifo, sindromi cosi complesse che non bastano a designarle le formole classiche di mania, melanconia, confusione, stupore o la più recente di para-

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noia acuta, mi hanno data occasione a dubbiezze e a perplessità prognostiche, e stimolo a riandare gl’insegnamenti della patologia mentale in proposito delle psicosi suscitate dal tifo. Ed ecco che cosa si può raccogliere da sparse pagine. Due casi specialmente preparano all’ alienista problemi pratici di difficile soluzione: il primo è quando ii delirio è il primo sintoma d’una febbre tifoide invadente; il secondo quando, al finire del tifo, si ha come resi- duo l’alienazione mentale.

Accade qualche volta che sintomi di disordine psichico sono la prima manifestazione del tifo.

Scrive Kraepelin (1): « A me quattro volte fin qui è oc- corso che ammalati con tifo incipiente ( una volta esantematico ) sono stati condotti da me come malati di mente ». Tra i clinici medici, Hanot ha pubblicate di simili osservazioni. « Sappiate, egli scrive (2), che i fenomeni cerebrali possono scoppiare con vio- lenza nei primi giorni sotto forma di mania. Dei malati sono stati mandati in una casa di salute per fenomeni maniaci che masche- ravano una dotienenteria. Presto la malattia si mostrava in pieno giorno, mentre la vesania andava attenuandosi e spariva comple- tamente. Guardatevi dal cadere in un tale errore, dannoso da più lati. Io ho visto, molti anni sono, due casi di febbre tifoide co- minciare con lipemania e con delirio di grandezza. Voi potrete trovarli nella tesi del dottor Bartelet. Nell’ uno si tratta di una giovane donna che si accusava d’ avere annegato i suoi due bam- bini, e piangeva senza tregua e implorava misericordia; nell’ al- tro di un uomo che si diceva direttore dell’ Opera e distribuiva logge a tutti quelli che lo circondavano. Questi due malati erano stati trasferiti all’ asilo Sainte-Anne, dove la diagnosi potè essere rettificata poco tempo dopo. » Un esempio di delirio iniziale d’una febbre tifoide lo pubblica, in un recente interessante lavoro (3), il Prof. Guizzetti di Parma. Si tratta di una giovane di 20 anni, figlia di madre istero-epilettica. La paziente aveva pure presen- tato dei fenomeni isterici ed abusava di vino.

(1) Psychiatrie 1899 II Bd p 18,

(2) Début de la fiévre typhoide. La Semeine médicale 1894 p 511,

(3) Guizzetti. Tifoidi senza lesioni intestinali e setticoemie tifiche. La Clinica medica italiana 1900 N. 6,

eci

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« La malattia attuale iniziò con malessere generale, a cui si aggiunse presto un delirio a caratteri tali che, tenuto conto anche dei precedenti, /u da due medici, che si succedettero a curarla, ritenuta isterica e fu curata coi bromuri. Era sempre stata apircttica.

Entrò all’ Ospedate addi 19 Agosto 1898. in dodicesima giornata circa di malattia.

Costituzione robusta, ma assai emaciata. Cranio mal conformato. Era apirettica ed aveva un delirio che sembrava vesanico. Seduta sulla sponda del letto, litigava colle malate vicine, poi, quando era sicura di non essere osservata, scendeva quetamente dal letto come una persona cosciente e cer- cava di rubare loro il vino.

Nel secondo giorno di degenza la temperatura salì rapidamente a 40, e nello stesso tempo il delirio divenne furioso con allucinazioni terrificanti. Continuò così per 36 ore. In questo tempo la temperatura oscillava fra 38,4 e 39,6, mentre il polso saliva rapidamente fino a 128 al minuto. Ora il de- lirio tendeva a quetarsi, quando l’inferma, all'improvviso, come per sincope, | moriva.

Non vi erano state roseole, l’ alvo chinso, non meteorismo, non gorgo- glìo ileo-cecale, la milza non ingrandita. Orina acida, d. 1021, senza albu- mina ».

Interessante è il reperto anatomico e bacteriologico.

« Osservai per primo l’intestino e non vi trovai ulceri tumefa- zioni di nessun grado dei follicoli e placche di Peyer; la mucosa era sola- mente molto congesta in modo diffuso. Alcune delle glandole meseraiche erano grosse come fagiuoli, congeste; nell’ assieme però non avevano la di- stribuzione caratteristica della tifoide.

La milza, di volume e consistenza quasi del tutto normali, era un po’ congesta qua e a chiazze. Reni moderatamente congesti. Polmoni conge- sti. Miocardio pallido e flaccido.

Il liquido cefalo-rachidiano normale, la pia alquanto congesta e qua e sensibilmente aderente alla sostanza cerebrale: non presentava essudati. La sostanza cerebrale pure congesta.

Convinto, por l'integrità dell intestino, che non si trattasse di tifoide, - limitai le colture al cervello, milza e sangue del cuore.

Dal cervello nove colture innestate ognuna con circa 1 cent. di sostan- za cerebrale. Di esse sei rimasero sterili e le tre rimanenti diedero rispet- tivamente sviluppo.-a 4-15-30 colonie di bacillo del tifo puro. Dalla milza un'infinità di colonie dello stesso bacillo.

Dal sangne del ventricolo destro e orecchietta feci le colture con una grossa ansa di sangue, e ognuno di esse lasciò sviluppare da 100 colonie a poco più di bacillo del tifo allo stato puro.

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Tagliai cinque pezzi del cervello induriti in alcool, tre inclusi in cel- loidina e due fissati semplicemente colla miscela di gelatina e glicerina. Non vi rinvenni i bacilli: istologicamente trovai una spiccata congestione venosa ed emorragie non rare nelle guaine linfatiche. Di pit vi erano delle file interrotte di leucociti mononucleati nelle guaine stesse e deposito di pigmento sanguigno nelle pareti vasali >.

Mi sia lecito di riprodurre ancora la conclusione del lavoro del prof. Guizzetti, la quale è piena d'importanza anche per la questione oggi tanto dibattuta del delirio acuto.

« Io per le mie due osservazioni di tifoide senza lesioni intestinali deb- bo chiamare l’ attenzione sulla prevalenza dei fenomeni nervosi, da condurre nell’ una alla diagnosi di meningite e nell’ altra a quella di meningotifo. E accanto ai miei rammento un caso di Pollack, morto in decima giornata di malattia con lievissime lesioni intestinali, e nel quale lungo la malattia ave- va dominato un delirio furioso (1). In questi casi, se fosse mancata la ricerca batteriologica, davanti ai risultati negativi della necroscopia, il medico pote- va fare e sostenere le supposizioni più disparate.

Ricordo che di recente Audemard ebbe a dire che il delirio acuto in certi casi fa supporre l origine tifica ed io vorrei volgere le domanda ai cultori di psichiatria, se per caso la prima delle mie osservazioni non ap- poggia in qualche modo cotesta affermazione. Se poi in questi casi si fosse- ro limitate le colture al cervello, trascurando il sangue, si sarebbe forse fatta la diagnosi di meningite sierosa (Quincke) tifica o almeno di cerebro-tifo, mentre in realtà i risultati batteriologici del cervello erano subordinati a quelli del sangue. Questo mi fa chiedere se alcuni dei casi pubblicati come meningiti tifiche non fossero in sostanza che delle settico-emie tifiche.

Avevano dunque ragione, e bene si sono apposti, molti anni sono, Winter e Kraepelin (2), quando appunto, per una conside- razione etiologica, rilevarono e distinsero i disordini psichici che si vedono talvolta insorgere nello stadio prodromico e nei primi

(1) Un caso come questi di Guizzetti e di Pollack è stato pubblicato da Aschaffenburg (citato più innanzi); si trattava di un delirio iniziale tifico; la morte avvenne in decima giornata: e alla neoroscopia si trova- rono lievi alterazioni anatomiche nell’intestino. Questo caso è iuteressante anche per le alterazioni che Nissl riuscì a dimostrare col suo metodo nella corteccia cerebrale.

(2) Ueber den Einfluss acuter Krankheiten auf die Entstehung von Geiste-

skrankheiten (Archiw f. Psych. Bd XII). In questo poderoso e magistrale

a

lavoro è raccolta tutta la letteratura fino al 1882,

== 196 <=

giorni del tifo e li designarono per brevit& col nome di delirio iniziale, in contrapposto a quelli insorgenti negli stati successivi di quel processo morboso. Chi in questa distinzione come nelle altre che seguiranno volesse vedere al solito la tendenza al sot- tilizzare e allo schematizzare può meditare con profitto quello che Lugaro ha scritto recentemente: « la tendenza a distingue- guere... a cercare l’ ordine e la legge ove un esame superficiale non sa trovare che un apparente disordine... è tendenza progres- siva; regressiva è invece quella che adagia nella comoda for- mula dell’ indistinto del diffuso e dell’ inestricabile, e mira a di- sconoscere le conquiste di pazienti ed oculate indagini. » Un alie- nista non può appagarsi di vaghi accenni a disordini psichici che vengono e vanno col tifo, come la roseola e la diarrea.

La considerazione etiologica adunque era questa, che se delle alienazioni dei periodi ulteriori del tifo può riferirsi le origini a molti fattori: la febbre, l’ esaurimento, i disturbi di circolo ecc., questi disordini psichici dell’ inizio non possono avere altra ca- gione (prescindendo dalla parte che nella causa composta può avere la predisposizione individuale) che il circolare di tossine specifiche nel sangue (Blutvergiftung durch specifische Fermente). Si tratta insomma, osserva fin d’ allora Kraepelin, di un deli- rio infettivo, come si nell’ inizio del vaiolo, nel corso della lissa e in quelle forme di intermittente larvata, nella quale, in luogo dci tipici accessi febbrili, si presentano delirì, qualche volta pro- prio senza febbre. Questa patogenesi è tanto più verosimile pel delirio iniziale, dopo che clinici medici eminenti l’ hanno dimo- strata auche per delirî insorgenti lungo il corso del tifo.

Strùmpell infatti si esprime così: « L'opinione sostenuta sopratutto dal Liebermeister, secondo la quale ì sintomi ner- vosi sarebbero sopratutto una conseguenza dell’ aumento della temperatura febbrile, si è abbastanza diffusa fra i medici; ma io non posso accettarla per tutti i casi, fondandomi sopra una nu- merosa serie di osservazioni spassionate. Quantunque non si pos- sa affatto porre in dubbio l’ influenza nociva dell’ aumentata tem- peratura sul sistema nervoso, nondimeno la mancanza di rapporto fra Vl altezza della febbre e la gravezza dei disturbi nervosi ri- sulta nel modo più evidente in un gran numero di casi. Si os- servano infermi con febbre alta e continua per molti giorni, i

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quali subiettivamente sentono Lene c non mostrano alcuna trac- cia di forte disturbo cerebrale: ma molto più frequenti sono i casi in cui sin dal principio la febbre è leggera e vi sono i più gravi disturbi nervosi ». (1)

Anche Friintzel (2) ha scritto che «i sintomi cerebrali sembrano essere in rapporto inverso colla temperatura », e Ge- rhardi(83), trattando dei tifi che decorrono afebbrili, fa questa precisa osservazione: « Qualche volta nel corso della tifoide si presenta un periodo afebbrile di più giorni e nello stesso tempo gravi disordini cerebrali, confusione completa, logorrea e stati di sopore. Tutto ciò finisce e si cambia, nel tempo stesso che la tem- peratura s' innalza e la febbre prende il suo corso regolare ». Chi volesse vedere in casì concreti maggiori prove dell’ indipen- denza del delirio iniziale del tifo dall’ elevazione febbrile, può trovarle accumulate ed esaurienti nel lavoro abbastanza recente (1896) di Aschaffenburg (4), il quale raccoglie 17 casi di delirio iniziale, qualcuno di osservazione propria, la maggior parte sparsi nella letteratura. « In tutti i 17 casi ii principio della psicosi fu nella prima settimana, per lo più il 4°, giorno dopo la comparsa dei primi sintomi. In cinque ammalati il delirio si presentò pri- ma che fosse constatata una elevazione termica ».

Ed ecco, dedotta da questa casistica, la sintomatologia del de- lirio iniziale del tifo. Se ne distinguono due tipi con forme di passaggio. Nell’uno si tratta di un delirio pacifico con illusioni e allucinazioni. Gli ammalati si credono avvelenati, perseguitati in vario modo: sentono parlare i parenti, vedono fuoco e fanta- smi minacciosi. Qualche volta favoleggiano di straordinari avve- nimenti. Inoltre è viva angoscia o depressione e tristezza.

Il secondo, che può anche svolgersi dal primo, ha le appa- renze dell’eccitamento maniaco, che in principio può essere mite, poi rapidamente il disordine si esagera fino alla completa confu- sione delirante con logorrea, allucinazioni e agitazione insensata. Col salire della febbre questi disordini cessano, come Kraepelin

(1) Trattato. Trad. it. Vol. I. pag. 20.

(2) cit. da Aschaffenburg.

(3) cit. da Aschaffenburg.

(4) Ueber initialdelirien bei Typhus (dllgem Zeitsch. f. Psych. LID.

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ha veduto due volte, o prolungano in un vero e proprio delirio febbrile; ma in ogni caso è straordinariamente grande il pericolo dell’esito mortale della malattia; solo 40-50 °/ dei malati scam- pano la vita e vengono a guarigione.

Qui si presenta il problema pratico: è possibile la diagnosi del delirio iniziale del tifo? La scuola di Heidelberg questi insegnamenti: la diagnosi del delirio iniziale può essere difficile, e molto difficile, finchè non si scoprono i segni della malattia ge- nerale, ma non impossibile: infatti Kraepelin ha potuto quat- tro volte stabilire fin da principio la diagnosi di verosimiglianza. In un caso la diagnosi fu posta 24 ore dopo l’ammissione in cli- nica, quando ancora non c’era febbre altro sintomo somatico del tifo. Per affermarla con probabilità bisogna prima avere eli- minato il sospetto di quelle psicosi che si svolgono con stordi- mento o confusione delirante. Li per li un medico può credere a uno stato crepuscolare epilettico: il trovare logorrea, che è sin- toma decisamente improprio agli stati crepuscolari, basterebbe ad escluderne la supposizione. Facile può essere lo scambio diagno- stico con un accesso di frenosi maniaco-depressiva: lo stordi- mento più profondo parla più pel delirio inizìale; invece la faci- lità grande di reazioni agli stimoli esteriori, la maggiore produt- tività, l'assenza o poca importanza delle illusioni e allucinazioni parlano più per la mania. Il caso potrebbe essere difficile se, co- me spesso accade, alla mania s’aggiungesse presto la febbre. Più d’una volta si vede in questi casi la febbre elevarsi, e sopravvenire la morte in capo a qualche settimana: i casi sono di quelli che vanno a confluire nel mare magnum del delirio acuto. A propo- sito del quale, è certamente giustificato il dubbio di Guizzetti che molti di questi malati « dalle labbra aride e fuliginose » (se- condo la classica descrizione di Calmeil) non siano altro che tifosi : in fondo questa sindrome del delirio acuto che, sintoma più sintoma meno, si trova negli stati patologici più diversi (io l’ho vista una volta in un caso di pneumonite dell’apice); che per l’inganno di somiglianze esteriori accumuna insieme psicosi di natura diversa: delirì da collasso, o tossici, deliri epilettici, episodi spesso mortali della frenosi maniaco-depressiva, della paralisi, della melancolia, psicosi infettive criptogenetiche o so- stenute dal bacillo di Bianchi e Piccinino; questa sindrome è

isr cre it «fl

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ta stessa che abbiamo imparato a conoscere come espressione di setticemie tifiche.

Il problema clinico può anche presentarsi in modo che si debba discutere la possibilità della paralisi (esempio il caso so- pra citato dell’Hanot), del delirio da collasso o dell’ amenza o di episodi della catatonia. Io non seguiterò a riferire dalle opere del clinico di Heidelberg quei criteri di diagnosi differenziale che ognuno può attingere direttamente; anche perchè qui meglio che disquisire varrebbe l’esemplificare.

L’opportunità non potrà mancare in seguito se si porrà men- te a questo punto di dottrina, perchè il delirio iniziale del tifo non è cosa molto rara: Betke in 215 casi di tifo, di cui pote conoscere il principio, trovò che 68 volte gli ammalati avevano cominciato a delirare nella prima settimana. Una volta entrati, per l’analisi dei sintomi psichici, nel sospetto che la psicopatia segni l’invasione dell’infezione tifolde, si domanda luce ai metodi d’esame proposti dalla clinica generale. Molti anni sono Dume- snil credette che il trovare albumina nelle orine fosse sintoma straordinariamente importante per diagnosticare l’origine tifosa d’un delirio. Questo oggi non si può più dire, ma riman fermo che l’albumina si trova in molti casi fin dalla prima settimana. Aschaffenburg lha trovata frequentemente nei suoi casi di delirio iniziale. La reazione di Widal non è utilizzabile per la diagnosi precoce che in pochi casi soltanto, ma ci sono osserva- zioni nelle quali questo fenomeno è stato trovato fino dalla 2.*, 3.°, 4.° e 5.° giornata.

Più frequenti e difficili problemi sottopone all’ alienista il secondo caso, quando cioè il tifo finisce lasciando, come strascico, l’ alienazione mentale. La quale d’ ordinario è un prolungamento dei disordini psichici insorti nel corso della malattia; che, stando alla statistica raccolta da Kraepelin nell’anno 1882, 31,6 00 finiscono nei primi otto giorni, 24,6 si prolungano per uno o più mesi, il resto dura anche pitt d’ un anno: certo pero che non è senza eccezione, come bene osserva Silvagni (1), il precetto di Thoinot, secondo il quale « non vi ha delirio di convalescenza

(1) Silvagni. La febbre tifoide negli ospedali di Bologna. Archivio italiano di clinica medica 1895 p. 493.

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se non ve è stato durante la malattia ». Infatti « in un maschio di 28 anni (Murri), che aveva avuto una tifoide con decorso nor- male, insorse delirio, forse da inanizione, dopo cessata la febbre ». Ma, prescindendo dalle psicosi da esaurimento con le forme ben definite del delirio da collasso e dell’ amenza, le psicosi che in- contrano più frequentemente, come residuo d’ una infezione tifica, sono queste che Kraepelin (1) raccoglie nei cinque gruppi degli infectiise Schwichesustinde.

Il primo gruppo raccoglie le forme più leggere degli inde- bolimenti psichici da infezione: e sono tutt’ uno coll’abbattimento psichico e somatico di chi esce da una grave malattia infettiva: infatti queste forme si notano frequentemente dopo il reumatismo articolare acuto e l’ influenza. Gli ammalati restano straordina- riamente esauribili, incapaci di pensare, di leggere, di scrivere una lettera. Non fanno nulla, sono indifferenti, incapaci di riso- luzioni.

« L'orientamento è normale e cosi la percezione; ma ad oc- chi chiusi si presentano figure, susurri negli orecchi, speciali sensazioni nel corpo che sono interpretate come gravi sintomi di malattia. L’umore è triste, irritabile, querulo ; non rado si pre- sentano improvvisi accessi d’angoscia, specie di notte. Saltano fuori tristi presentimenti, pensieri di morte, sospetti del medico e del= l’ambiente, paura d’ avvelenamento, idee ipocondriache e anche di colpa. In conseguenza possono sopravvenire manifestazioni vio- lente contro i circostanti, tentativi di suicidio, rifiuto di cibo. Un malato faceva testamento e chiamava telegraficamente i parenti intorno al suo supposto letto di morte. Per lo più gli ammalati sono rattenuti e scarsi di parole, quasi stuporosi: esternano poco le loro idee deliranti; ne rivelano poi le particolarità nel tempo della guarigione. Il sonno e l’appetito sono per solito molto manchevoli ; il peso del corpo abbassato. La durata è di alcune settimane o mesi; poi suole stabilirsi la guarigione >.

Un secondo gruppo presenta a tinte più cariche il quadro del primo : infatti ci sono spiccate illusioni ed allucinazioni, strane concezioni deliranti, stati di eccitamento con angoscia e confu- sione. La psicosi s’ inizia nel periodo febbrile con oscuramento

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(1) Psychiatrie VI Aufl, Bd IT. p. 19.

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della coscienza e delirio; ma, dopo caduta la febbre, prolunga per mesi, benchè nei casi favorevoli non duri più d’un anno.

s Anche la terza più grave forma suole iniziarsi con violenti delirì, ma presto passa a stati stuporosi. Gli ammalati diventano, non ostante il miglioramento fisico, ottusi, incapaci a comprende- re e ad elaborare impressioni esterne, deboli di memoria e di giudizio. Il loro umore è indifferente, qualche volta piagnucoloso; sono silenziosi, ottusi o fanciullescamente inquieti ; giacciono a letto immobili, non sono al caso di prender cibo da o tenersi puliti, bisogra imboccarli e curarli come bambini. La nutrizione è per lo più scaduta nel modo più manifesto, la musculatura scomparsa, qualche volta si rivelano i sintomi di un grave pati- mento cerebrale, emiparalisi, disturbo della favella, crampi epi- lettiformi.

La prognosi di questi stati, che si sono osservati principal- mente dopo il tifo, in forma più leggera dopo il cholera, è molto dubbia. Solo in metà dei casi segue per lo più dopo una durata lunga, di molti mesi, una rapida completa guarigione. Negli altri casi si stabilisce a poco a poco un miglioramento, ma gli amma- lati rimangono senza vita psichica ed affettiva, poveri di pen- siero, smemorati, indifferenti e deboli di volontà. In due di questi casi io vidi che restarono per molto tempo degli accessi epilettici.

Un’ impronta essenzialmente diversa che i disturbi fin qui considerati porta un gruppo più grande di casi che sono stati osservati per Jo più dopo il tifo, qualche volta forse anche dopo il cholera. Si tratta dello svilupparsi rapido di stati di eccita- mento con vivace confusione, logorrea e idee di grandezza por- tentose. Dopo prodromi insignificanti gli ammalati cominciano, più spesso già durante la febbre, ad essere molto inquieti. Essi perdono l’ orientamento; comprendono in modo manchevole, sono molto distratti, sentono voci, vedono angeli, fiori nella camera, persone di teatro colle quali confabulano. Nello stesso tempo vien fuori un florido delirio di grandezza che somiglia del tutto al paralitico. L’ammalato è Dio, le sue bevande nettare, egli possie- de molti castelli, riceve visite di re e d’ imperatori, ha rapporti sessuali con principesse. Allo stesso modo sono giudicate le per- sone e le circostanze. I compagni d'ospedale sono alte persona- lità, alcuni fogli di carta biglietti di banca di gran valore. L'am-

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malato favoleggia in modo insensato, si lascia distrarre con stra- ordinaria facilità. L’ umore è ora sdegnoso e irritabile, ora sereno ed esuberante. Manca ogni coscienza della malattia ». L'esito di questa forma è la guarigione completa in una parte dei casi. La durata è di mesi. Un numero non piccolo di casi invece finisce in demenza.

Finalmente, provocata dal tifo, nota anche la forma di Korssakow con i particolari disturbi della memoria e con le lesioni polineuritiche.

Sicchè, tornando due casi, dei quali ho data in principio una breve descrizione del decorso e dei sintomi più salienti, noi possiamo dir questo: che essi ripetono forme cliniche già vedute e notate, in seguito a tifo, da altri osservatori. Nel primo caso la psicosi s’ inizia col tifo, e dura complessivamente sei mesi (cinque mesi dopo la caduta della febbre), e lungo il decorso tie- ne dei caratteri del primo e secondo gruppo degli stati psicopa- tici postinfettivi di Kracpelin. Anche volendo far la diagnosi dalla forma clinica e non dar peso all’ etiologia, era impossibile ravvisare in questo quadro morboso uno di quei processi soliti ad insorgere nell’età giovanile. A che cosa mai si sarebbe potu- to pensare? L’affettività, così viva in questa giovane, bastava ad escludere la demenza precoce; e l’assenza del rallentamento psi- comotorio allontanava il sospetto della frenosi maniaco-depressiva.

Con maggior ragione si potrebbe pensare alla catatonia nel secondo caso; e ci potrebbe pensare, non ostante la sopravve- nuta guarigione, perchè è noto che i medici tedeschi hanno avu- to il conforto di vedere, 20 volte su cento casi di catatonia, so- pravvenire remissioni che sembrano guarigioni. Ma io credo di poter escludere questa supposizione per diverse ragioni: prima perchè il negativismo di questa donna non era completo, ed essa reagiva al menomo tocco costantemente, con espressione virace di disgusto e V ira, fenomeno che avviene qualche volta ma è affatto insolito nei catatonici nel periodo dell’ attonitaggine: qui invece era costante; seconda perchè era il tifo che aveva dato luogo a questo stato psicopatico: ora la letteratura che io ho potuto consultare non dice che il tifo abbia mai suscitato diret- tamente la malattia di Kahlbaum. Per ciò io ascrivo piuttosto questo caso al terzo gruppo del Kraepelin, di cui rende fedel- mente i caratteri,

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Manicomio Provinciale di Brescia diretto dal Prof. G. Seppilli

Paralisi generale consecutiva e trauma al capo del Dottor A. Lui - 1.° Medico Aiuto

Che un traumatismo cranico possa di per solo essere causa della paralisi progressiva è questione oggidi sempre discussa, come d’altra parte non è per anco risolta concordemente la que- stione generale relativa all’eziologia di questa grave malattia men- tale. E la difficoltà consiste nella scarsità dei casì in cui si può stabilire la speciale efficienza di questo fattore, e nel trovarsi, quando esiste, per lo più associato ad altri momenti che nell’ezio- logia della demenza paralitica occupano il posto più importante, secondo molti anzi hanvo il valore esclusivo di cause determinanti.

Di secondaria importanza così riesce il trauma al capo per quelli che come l Hirschl non vogliono vedere nella paralisi progres- siva che una forma di sifilide tardiva, e per quelli che come il Fournier, il Moebius, lo Strimpell ed altri ne sostengono se non la natura l origine sifilitica. Per tutti questi l’azione del traumatismo avrebbe tutt'al più il valore di un momento occa- sionale che o determinerebbe l'esplosione delle manifestazioni si- fllitiche sotto forina di un’ encefalite specifica, o potrebbe agire in modo esiziale sopra un terreno già reso vulnerabile e prepa- rato alla rovina della pregressa azione delle tossine sifilitiche.

Ma anche per la maggior parte di quelli che non accettando tale teoria sull’ eziologia di quest’ affezione morbosa, che a vero dire non ci pare regga ad una critica un poco severa dei fatti statistici, clinici ed anatomopatologici, concedono alla medesima un campo più largo di cause, la straordinaria prevalenza delle influenze tossiche, dell’alcool e della sifilide in ispecie, degli ec- cessi in genere, la frequenza colla quale si combinano variamente fra di loro în nno stesso individuo, sono argomento per ritenere che sia malsicuro a stabilirsi nel caso speciale uno stretto rap- porto fra trauma e paralisi, e che piuttosto, come si esprimeva

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il Lewald in un suo studio critico, esso sia soltanto un momento attivo in presenza di altri fattori predisponenti, o un momento pre- disponente che offra terreno favorevole ad altre occasioni morbigene.

L’importanza pero dei traumatismi cranici nella genesi della demenza paralitica era gia stata posta in grandissima evidenza dal Bayle nel 1826, dal Calmeil nel 1859. Più tardi nel 67 lo Skae ammetteva una follia traumatica che spesso terminava in demenza e che il Vallon nel suo studio in argomento ritiene probabile essere stata soventi di natura paralitica; e il Voisin più esplicitamente esprimeva il concetto essere la paralisi pro- gressiva l’ accidente più grave dei traumi al capo. Lo Schùle, il Forel, K. Ebing, Bergmann, Magnan e Serieux, pur ammettendone la rarità, non escludono che il traumatismo cranico possa essere l’unica causa della malattia: lo esclude, quan- tunque esprima un certo riserbo, il Bianchi, al quale si deve la descrizione di 3 casi, in uno dei quali i primi disordini men- tali si iniziarono tosto dopo l’azione della causa anzidetta: il Kraepelin,il Gudden, benchè esprimano un riserbo anche mag- giore, pure convengono che al trauma alla testa può seguire in alcuni casi immediatamente la paralisi.

Ma la vera nozione d’una paralisi d’origine traumatica nello stretto senso della parola ci sembra venga a stabilirsi quando esa- miniamo le singole osservazioni che si trovano sparse nella lette- ratura, e diamo un breve sguardo ai dati sperimentali, fisio e ana- tomopatologici, che ci permettono di ricostruire approssimativa- mente il meccanismo di produzione delle alterazioni proprie di questa malattia in relazione a detta causa.

Ed è con questo mezzo che possiamo ritenere che accanto a quelle forme dove il trauma non è il momento essenziale, altre ne esistono in cui al traumatismo solo debbonsi attribuire le le- sioni che qualificano quest’affezione morbosa. Esiste infatti una casistica se non troppo numerosa degna però d'essere presa in considerazione a questo riguardo: basterebbe riferirsi allo studio del Vallon per trovarla sufficientemente riportata; ma anche al- tre osservazioni debbono essere menzionate, che portano un con- tributo positivo in argomento.

H Mabille descrive il caso di un individuo morto a 30 an- ni di demenza paralitica, dove al difuori della lesione al capo

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nessun altro momento eziologico fu dato di rintracciare. Alla se- zione riscontrò l'emisfero cerebrale corrispondente al trauma me- no pesante, aderenze della dura all’osso cranico in corrispondenza della frattura antica, scomparsa in loco di sostanza cerebrale e aderenze meningoencefaliche estese : laonde ritiene che un lento lavorio consecutivo alla lesione abbia prodotto la meningoencefa- lite. Il Ball ne riferisce 3 casì, nei quali la malattia si manifestò immediatamente dopo un trauma al capo; in uno di essi non vera la minima traccia di predisposizione di nessuna natura, per cui a quello solo dovevansi attribuire le lesioni sviluppatesi. Ana- logamente il Poggi comunicò un’osservazione di un viovane com- pletamente sano sotto ogni riguardo in cui i fenomeni morbosi si iniziarano qualche settimana dopo aver riportato un urto vio- iento al capo con perdita della coscienza; unico momento predi- sponente trovò la precoce sutura delle ossa craniche che dovevano aver ostacolato il regolare sviluppo del cervello. Dietz espone un caso molto netto, senza eredità, senza abusi, senza sifilide, svilup- patosi rapidamente dopo circa 2 mesi: Hirsch un altro con fe- nomeni rapidi di demenza ed emiatrofia della lingua. K. Ebing cita l’osservazione d’una ragazza in precedenza del tutto sana che riportò forti lesioni al capo e grave commozione cerebrale in seguito all’accidente d’una valanga, nella quale ben presto si ma- nifestarono i fenomeni paralitici. Meschede riferisce una detta- gliata osservazione d’ una donna, senza labe ereditaria d’ alcun genere, e in cui nessun’altra causa menomamente apprezzabile fu dato rintracciare, la quale in seguito a forti percosse alla testa rimase per alcun tempo priva di sensi, accusò in seguito intensa cefalea, e dopo circa 2 mesi incominciò a manifestare 1 sintomi della paralisi generale, che ando man mano evolvendosi nel suo quadro classico, con idee di grandezza, stato di demenza progressiva, accessi epi ed apoplettiformi. Morta dopo 4 anni, la autopsia dimo- strò le lesioni caratteristiche della malattia, nel mentre nessuna alterazione esisteva che potesse far pensare ad una pregressa in- fezione sifilitica. Ed interessantissima poi riesce, quantunque trop- po assoluta nelle sue deduzioni, una pubblicazione di Köppen, dal punto di vista eziologico, clinico ed anatomopatologico. Egli non solo dall'esame de’ suoi casi si ritiene autorizzato a ricono- scere una demenza paralitica d’origine traumatica, ma alla stre-

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gua de’suoi reperti a specificarne, come vedremo, la patogenesi in una caratteristica e diffusa alterazione dei vasi specie della cor- teccia cerebrale.

Se da una parte perciò nessuno dubita che il traumatismo cranico possa servire di causa occasionale o predisponente alla paralisi generale, dall’altra esistono delle osservazioni degne di fede, e noi citammo le principali, che dimostrano come possa es- serne l’unica: e questo è il punto importante, perchè solo in que- sto senso è dato d’assegnare al medesimo il valore di un vero mo- mento causale, e di lumeggiare la questione generale dell’eziolo- gia di questa forma morbosa.

E a confortare tale opinione sta eziandio il fatto che anche al di fuori della paralisi progressiva per molte altre malattie cro- niche diffuse agli organi nervosi centrali talvolta è stata ammessa esclusivamente l’origine traumatica. Così il Wulff in un suo re- cente lavoro riassume egregiamente quanta parte abbiano 1 trau- matismi cranici nell’eziologia di molte cerebropatie nel parto e nell’epoca dello sviluppo con esito in pachimeningiti, lepto e me- ningoencefaliti croniche, in idro e porencefalia, in atrofia e sclerosi cerebrale. Il Mendel ricorda 4 casi di sclerosi multipla che mette senz’altro in relazione alle alterazioni vascolari consecutive alla causa in discorso, e in questa veduta collimano perfettamente Leube, Kaiser e Jiùtzler: Singer aggiunge un’analoga -0s- servazione, confermata dal Lotsch. Erb descrive due casi di poliomielite anteriore cronica, sviluppatasi in uno dopo due gior- ni, nell’altro pure dopo breve tempo dal trauma. Levden affer- ma eziandio come sia dimostrato da numerose osservazioni che un traumatismo può perfettamente determinare lo sviluppo della tabe, e Jacoby ne descrive recentemente un caso. E le citazioni potrebbero moltiplicarsi.

Ora vediamo in breve quali sieno 1 fatti anatomopatologici e sperimentali, quali le induzioni fisiopatologiche che chiariscono la patogenesi di questa forma di demenza paralitica.

Innanzi tutto giova pensare che il traumatismo cranico puo accompagnarsi a frattura delle pareti, a lesioni distruttive della sostanza cerebrale, e in questo caso possono intervenire dei veri focolai irritativi locali, aderenze, pachimeningiti, meningoencefaliti circoscritte, le quali, come si esprimono Magnan e Serieux,

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possono determinare un’ irritazione cronica diffusa del tessuto nervoso, cun esito in un’estesa e progressiva alterazione del me- desimo. È interessante a questo riguardo, quantunque non si tratti di paralisi progressiva, ma per l’importanza del reperto anatomico, un caso studiato da Angiolella, citato dal Ventra, di un in- dividuo divenuto epilettico in seguito a trauma nella regione fron- tale con notevole lesione locale ossea e cerebrale, in cui soprag- giunsero rapidamente dei fenomeni di grave demenza, e dove le- same istologico dimostrò un processo di degenerazione e disin- tegrazione cellulare, che dalle vicinanze del focolaio primitivo d’aspetto cicatriziale si irradiava con degradante intensità a tut- to il resto del lobo frontale dello stesso lato e anche del lato opposto.

Ma indipendentemente dalle lesioni locali, che non sono ne- cessarie, e sovente non intervengono, come in parecchi dei casi suddescritti, è fuori dubbio che il trauma fa risentire la sua a- zione anche a distanza e diffusamente, per cui possono seguire e residuare delle lesioni generali del sistema nervoso e specie del- l’encefalo, eventuale punto di partenza di un diffuso processo re- gressivo. Nella patogenesi delle malattie nervose traumatiche N e- laton, Rokitanscky, Gussenbauer, Bright, Daret danno una grande importanza ai disturbi circolatorî in genere del siste- ma nervoso centrale, e alle conseguenti lesioni multiple dei pic- coli vasi dimostrabili da numerose emorragie capillari: Leube, Kaiser, Iutzler ne hanno successivamente dimostrato il rappor- to. Mendel, che pure non vuole mai ammettere una simile pato- senesi per le malattie sistematiche del sisteme nervoso, crede plau- sibile quest’ opinione per ciò che riguarda le forme di sclerosi multipla. Kronthal, Sperling, Friedmann eziandio ritengono che un grave trauma al capo possa portare delle fine alterazioni a tutto il cervello per lesioni dei capillari cerebrali e consecutivi disturbi nutritizi del tessuto nervoso. Una diligente dimostrazione anatomica in proposito ha cercato recentemente di dare il Köp- pen citato in addietro. In un cervello di un paralitico dopo 3 anni da un trauma, che formava Punico momento eziologico della malat- tia, egli trovò piccoli focolai emorragici e piccole cicatrici diffuse specialmente alla corteccia, alterazioni nei vasi minimi di tutta la corteccia, moltiplicazione dei nuclei, perdita d’elasticità e 1spes- simento delle pareti, dilatazione del lume -: in un 2.° cervello, dopo

—T

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12 giorni dalla lesione, trovò tutto il sistema vasale e principal- mente il corticale nel primo stadio delle alterazioni suddescritte. Laonde egli non dubita che l’azione generale del trauma possa esplicarsi nel modo anzidetto, e che in tal guisa il medesimo possa essere l’unica causa della paralisi, paralisi differenziabile appunto da quella d’altra origine per le caratteristiche alterazio- ni vascolari. Secondo quest’ A. si tratta probabilmente di una diretta lesione dei capillari in conseguénza del traumatismo che sopporta il cervello, non escludendo che l’anemia dallo stesso pro- vocata possa influire sulla nutrizione delle loro pareti. Le sue os- servazioni sono certo però troppo limitate perchè si debbano ac- cettare senz’altro simili vedute.

Mentre da una parte ritiene che il fondamento patogene- tico risieda in una possibile primitiva e diffusa alterazione va- scolare - ben inteso riferendoci all’ azione generale del trauma - dall’altra si assegna una maggiore importanza alle lesioni nervose che verrebbero in conseguenza diretta del traumatismo a stabilirsi.

Koch, Filene, Bergmann e altri fanno rilevare come nel- la commozione cerebrale non vi possano essere lesioni anatomica- mente dimostrabili, e solo lesioni microscopiche delle fibre e delle cellule nervose. Bikeles colla concussione cerebrale negli ani- mali produceva distruzione della guaina midollare: lo Schm auss trovava necrobiosi e degenerazione delle fibre e più specialmente del cilindrasse. Nissl delle profonde alterazioni delle cellule cor- ticali; il Kazowscky pure ammette ľ avverarsi di processi re- gressivi diffusi degli elementi nervosi. Luzenberger conclude da molti esperimenti, come la semplice commozione cerebrale, senza lesioni di sostanza, emorragie, processi infiammatori ccc., possa produrre disturbi nutritizi generali nelle cellule gangliari del cervello, spesso s’accompagni ad alterazioni del midollo spi- nale (lacerazioni, chiazze sclerotiche), a dilatazioni nei vasi ca- pillari e venosi, nel qual caso sono numerose le forme regressive nel midollo allungato. Soggiunge poi che, quando il trauma è se- guito da cachessia, le alterazioni cellulari possono essere avanza- tissime, e rassomigliare perfettamente a quelle prodotte da gravi processi cerebrali, come la paralisi progressiva: il che a noi fa pensare che in relazione ad una grave commozione possa talvolta avverarsi una rapida e grave alterazione nervosa, colla quale per avventura la cachessia debba essere in stretto rapporto.

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Sieno pertanto primitive e più importanti le lesioni vascolari o quelle nervose, ciò che a noi sembra assodato è, che come da una parte la casistica giustifica l’ammettere una paralisi generale pro- vocata da un traumatismo cranico, dall’altra 1 dati anatomopato- logici e sperimentali dimostrano che oltre ai fenomeni locali di natura infiammatoria o degenerativa, che quando esistono possono essere l’eventuale punto di partenza della diffusione del processo morboso, può residuare all’urto una quantità di alterazioni ner- vose diffuse che sono di notevolissima importanza nella genesi della malattia che ci intrattiene. Ma anche qui dobbiamo farci Ja domanda: È possibile che queste, nel caso speciale che a un trau- matismo cranico segua una forma di demenza paralitica, servano a spiegarci l’ evoluzione, la progressività dell’affezione morbosa ? È indirettamente un argomento favorevole il fatto oramai acqui- sito alla scienza che chi ha sofferto una commozione cerebrale o spinale può restare predisposto a gravi infermità di questi or- gani, favorevole nel senso che una permanente invalidità, una diatesi morbosa (Laségue) vi si stabilisce, la cui essenza in ul- tima analisi si risolve in uno stato di difettosa nutrizione degli elementi nervosi: ma ciò è troppo poco, e ci darebbe ragione piuttosto del come un decadimento progressivo delle funzioni ce- rebrali e nervose in genere possa avverarsi sotto l’azione di cause contro le quali normalmente non si spezzerebbe la loro resistenza.

Bisogna riflettere alla natura delle lesioni dianzi ricordate per argomentare come una difusa alterazione delle pareti dei capillari sanguigni, i processi regressivi delle cellule e delle fibre nervose, l’eventuale invalidità dei centri vasomotori occasionata dal trauma e la conseguente disposizione alle poussées congesti- zie (K. Ebing, Magnan e Serieux), i disturbi concomitanti della circolazione linfatica possano mantenere una permanente alterazione nel ricambio cellulare, produrre una lenta e progres- siva intossicazione degli elementi nervosi, come opina 11 Kowa- lewscky, che finisce col decadimento della loro energia vitale. E ciò tanto più, se il trauma ha dato luogo a focolai distruttivi locali, che man mano facciano risentire la loro azione nociva su tutto l’encefalo.

Non sempre i fenomeni paralitici seguono immediatamente o quasi alla lesione al capo; alle volte passa un momento abba-

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stanza lungo fra questa e l’ insorgenza della malattia, per cui distinguono dal Laségue, Ball, Vallon ece. forme precoci e tardive. Mairet e Virces ritengono a questo proprosito che spe- cialmente in queste seconde può il trauma essere la causa prin- cipale della malattia, occorrendo per il rapido sviluppo dei sin- tomi un terreno molto propizio: contrariamente Kraepelin pen- sa che nelle forme tardive esso rappresenti soltanto un momento predisponente. Egli è certo che alla stregua delle considerazioni dianzi esposte riescono molto più facili a comprendersi e molto più interessanti è casi così detti precoci, e sono perciò questi ultimi che meglio illustrano il concetto della paralisi traumatica: con tutto ciò ci sembra che pensando alla natura del processo anatomopatologico, al carattere cronico della malattia, al lungo periodo in cui per così dire può restare allo stato latente, non riesca difficile il comprendere anche l’ evolversi delle forme cosi dette tardive.

Data la relativa scarsezza della casistica che esiste su que- sto interessante argomento, crediamo utile portarvi il contributo di una nostra osservazione.

B. G. d'anni 46, operaio, non ha nulla di morboso dal lato ereditario ; è figlio di genitori consanguinei, ma entrambi sani. Non sotferse malattie d'importanza, non incontrò la sifilide, non fece abusi di alcun genere, con- dusse sempre vita sobria, laboriosa, tutta dedicata alla famiglia ; ammogliato con 3 figli, tutti sani. Fino a 3 anni fa stette sempre bene, e la sua intel- ligenza appariva affatto normale. Quando una notte, all’ arrivo di un tele- gramma che gli recava una cattiva notizia, scende precipitosamente dal letto e batte violentemente la testa nella regione frontale contro il muro, caden- do a terra privo di sensi. Si riebbe dopo qualche ora, e incominciò tosto a Jamentarsi di un'intensa cefalea, specie frontale, cefalea che durò poscia continua per qualche mese. Intanto rapidamente si iniziarono dei fenomeni d’ indebolimento mentale: smemoratezza, insutticenza nell’ arte sua, apatia, ottundimento della vita affettiva, fenomeni che andarono progressivamente aggravandosi nel corso di tre anni, cui aggiunsero tendenze impulsive, distruttive, tanto che, riuscendo impossibile una conveniente custodia in fa- miglia, venne inviato al manicomio. Nello stesso tempo erano andati stabi- lendosi dei fatti somatici di indubbio valore clinico : progressivo indeboli- mento delle forze con dimagrimento, tremore, disturbi della loquela, e si era manifestato qualche accesso apoplettiforme.

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All atto dell’ ammissione nel nostro istituto egli si mostrava in preda ad uno stato di profonda, completa demenza : disintegrazione ideativa, perdi- ta assoluta della memoria, nessuna coscienza di sè, dell’ ambiente, sucidissi- mo. Presentava uno stato di generale paresi, tanto da non essere più capa- ce di reggersi da sò, con atrofia della muscolatura; sensibilità dolorifica mol- to attutita ; dei ritlessi cutanei e delle mucose aboliti il cremasterico, ]’ad- dominale, il faringeo, molto deboli l’ auricolare, il nasale; quasi scomparsi i tendinai; tremore notevole alle mani, alla lingua, che sporgeva flaccida, ap- piattita; marcatissima disartria, tanto da riescire le sue parole quasi inin- telligibili ; pupille asimmetriche, alquanto midriatiche, poco reagenti alla luce e all’ accomodazione; urine normali. Non presentava traccie locali del trauma sofferto. Nel breve tempo di sua degenza ebbe vari attacchi apoplettiformi e paralisi vescicale transitoria: non tardarono a manifestersi escare al sacro, ai trocanteri, ai malleoli, alla regione interna delle ginocchia, che andaro- no rapidamente ingrandendosi, ed egli moriva in uno stato di completo ma- rasma dopo 3 mesi dal suo ingresso.

Autopsta. Cadavere emaciato. Teca ossea un po’ pesante con diploe scarsa: essa presenta in corrispondenza della bozza frontale sinistra un’ usura del tavolato interno e della diploe di forma rotendeggiante, per cui l'osso riesce trasparente. A questo punto corrisponde un ispessimento circoscritto dalla dura madre e un’aderenza di questa colle sottostanti meningi mediante briglie connettivali. Le pie meningi presentano un intenso opacamento ed ispes- simento diffusi a tutta la superficie cerebrale, ma specialmente notevoli nel- le regioni frontoparietali. Esse si svolgono quasi nella loro totalità facilmen- te, solo in qualche punto, in corrispondenza delle circonvoluzioni centrali della sinistra e del luogo della lesione presentansi delle alerenze menin- goencefaliche. La consistenza del cervello è aumentata dappertutto, e precipua- mente ai lobi frontali: quivi è maggiore che altrove l’assottigliamento delle circonvoluzioni. lu corrispondenza del punto della lesione esiste una lieve depressione nella corteccia con evidente assottigliamento delle due sostanze: del resto nessun’ altra differenza apprezzabile fra i due lobi frontali. Ven- tricoli dilatati e pieni di siero: sostanza cerebrale anemica con marcato edema interstiziale: si nota soltanto qua e qualche piccola emorragia puntiforme. Granulazioni ependimarie nei ventricoli laterali e ventricolo. Nessuna traccia d’ ateroma. Peso del cervello colle meningi tenui 1400 E. S. 515. E. D. 520. Bulbo, cervelietto 190.

Nulla di anormale notasi negli altri organi ad eccezione di una flacci- dità del muscolo cardiaco, di aree di degenerazione grassa nel fegato, e di una leggera degenerazione torbidograssa dei reni. Sfortunatamente non si potè eseguire la sezione del midollo spinale.

L’ esame istologico dimostrò come le cellule della corteccia cerebrale poste in evidenza col metodo Golgi fossero variamente alterate : spozzetta-

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ture, varicosità molteplici dei prolungamonti dentritici, deformità nel con- torno e frammentazione «del corpo, mentre abbondantissimi comparivano gli elementi della nevroglia. Coi comuni metodi di colorazione si notò ispessi- mento delle pareti dei piccoli vasi, dilatazione degli spazi linfatici periva- scolari: col metodo Pall assottigliamento del fascio di sostanza bianca delle circonvoluzioni, specie delle regioni frontali, con numerose fibre varicose, scarsa e poco colorabile mielina. Nel punto corrispondente alla lesione cra- nica riduzione della corteccia ad uno strato sottile, con degenerazione molto avanzata delle fibre e delle cellule, sclerosi dei vasi e debole infiltrazione par- vicellulare attorno ai medesimi.

Come da una parte il quadro clinico non lascia alcun dub- bio sulla diagnosi di demenza paralitica, dall’ altra l’ esame ne- croscopico ed istologico dimostra chiaramente quelle alterazioni che di tale processo morboso sono caratteristiche.

Si tratta perciò realmente nel caso nostro di una paralisi pro- gressiva, i cul sintomi si svilupparono immediatamente dopo un grave trauma alla testa, in un individuo in cui l’ anamnesi ac- curatamente raccolta e vagliata esclude quelle cause che per lo più entrano in giuoco nella produzione di tale malattia, eredità, alcoolismo, sifilide, abusi e strapazzi in genere, intossicazioni croniche esogene, e che prima dell’ accidente suddetto appariva perfettamente normale e godeva uno stato di completo benessere. E una di quelle forme di paralisi traumatica a carattere preco- ce, la quale, appunto perchè tale, dimostra a maggiore evidenza lo stretto rapporto di causa ad effetto, e che si accorda mirabil- mente coi casi descritti dal Dietz, Vallon, Hirsch, Mesche- de ccc.

Nel uostro caso dobbiamo considerare un traumatismo crani- co, il quale ha prodotto in un tempo una lesione nel punto d’ a- zione donde si sviluppò un lento processo di sclerosi con forma- zione di un tessuto cicatriziale che interessa la meningi e la so- stanza corticale, di cui nei primi tempi, la cefalea localizzata, segnava il lavorio irritativo, e una violenta commozione cerebra- le, per cui il B. stette parechio tempo privo della coscienza. Azio- ne irritativa locale, effetti dello choc traumatico sono perciò i due fattori che crediamo senz’ altro d’ invocare per spiegarci la patogenesi del processo morboso.

Sappiamo infatti come a focolai meningoencefaliticì susse- guir possono disturbi nutritizi generali per alterazioni di circolo

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e di innervazione vascolare (Magnan e Sericux) come allo choc possono residuare lesioni delle pareti dei capillari specie corticali, disturbi della circolazione linfatica e sanguigna, disordini vaso- motori, alterazioni cellulari e di fibra nervose: donde la duplice fonte nel caso nostro del decadimento nella nutrizione cerebrale per lo stabilirsi di un difettoso ricambio materiale negli elemen- ti del tessuto nervoso, di quei processi cronici degenerativi e di sclerosi interstiziale che caratterizzano anatomicamente la forma morbosa descritta.

esisteva, e tampoco è sovraggiunta alcun’ altra causa nociva apprezzabile, che trovando gli elementi nervosi provveduti di una minore attività psicologica ne abbia determinato P imma- turo decadimento. Soltanto riteniamo di non andare errati pen- sando che lo stato emozionale in cui il B. si trovava al momento in cui riportò quel grave colpo alla testa, e l essersi appena de- stato bruscamente dal sonno dovevano costituire dei momenti sfavorevoli alla circolazione cerebrale, e rendere più facili a sta- bilirsi le note alterazioni vascolari e parenchimali.

Si potrebbe d’ altra parte obbiettare che la semplice presen- za del focolaio meningoencefalico basterebbe a spiegarci una lenta diffusione del processo, e che perciò potrebbe passare in seconda linea l’ azione della commozione cerebrale. Senza contare che insieme alla locale esiste sempre un’ azione diffusa del trau- matismo cranico, noi vogliamo a questo proposito ricordare la precoce atrofia della muscolatura per tacere di altri fenomeni di cui ignoriamo l’ epoca della insorgenza, e le esperienze di Lu- zenberger sulle alterazioni spinali che seguir possono alla commozione cerebrale (dilatazione dei capillari, dei vasi venosi, lacerazioni, chiazze sclerotiche) per dimostrare anche meglio quan- to efficacemente abbia agito anche questo secondo fattore. Siamo spiacenti di non aver avuto l’ opportunità di eseguire un esame istologico del midollo spinale e dei nervi periferici, che avreb- bero vie meglio completata la nostra comunicazione.

Quello invece che ci sembra interessante di rilevare è )’ im- portanza della sede del trauma in rapporto alla rapidissima in- sorgenza dei fenomeni psichici. Esso ha colpito la regione fron- tale, e più precisamente la regione anteriore, quivi ha fatto cer. tamente risentire la sua maggiore e più immediata azione, pro-

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ducendo una notevole alterazione e una limitata perdita di sostan- za, da qui si è iniziato e è propagato un processo cronico interstiziale, mentre contemporaneamente si sono iniziati dei pro- fondi disturbi dell’ intelligenza. Un tale stretto rapporto fra la sede primitiva della lesione e la rapidità di insorgenza delle ma- nifestazioni di deficienza mentale riteniamo che armonizzi perfet- tamente colla teoria che oggidi, per merito specialmente delle geniali ricerche del Bianchi, è in onore sulle funzioni dei lobi frontali, e in particolar modo della regione prefrontale, tanto più che al tavolo anatomico nei detti lobi trovammo anche le lesioni più appariscenti. E si accorda pure collo recenti ricerche speri- mentali del Tonnini, che facendo delle mutilazioni della cortec- cia cerebrale nel cane conchiudeva a proposito delle lesioni pre- frontali che gli effetti psichici sono più intensi e tumultuari di quelli che conseguono ad estese decorticazioni di tutti gli emi- sferi, esclusa ben inteso la corteccia di detta ragione. Laonde sotto questo riguardo la nostra osservazione, al pari di varie altre in cui a lesioni di questa vegione del cervello si notarono seguire fenomeni di indebolimento psichico, apporta a detta teoria un con- tributo positivo.

Stabilita cosi a nostro avviso la genesi e la natura trauma- tica del caso descritto, ci domandiamo se esso si differenzia, per caratteri clinici ed anatomopatologici, dalla forma di demenza pa- ralitica che siamo soliti ad osservare. Si trova accennato che la paralisi generale traumatica assume per lo più la forma depressiva (Gudden), che in essa lo stato di demenza è meno accentuato, che meno marcati sono i disturbi della loquela (Köp pen), che non vi ha rigidità pupillare (Kòppen, Bruns); ma d’altra parte lo Schule, il Meschede ed altri, di cui citammo le osservazioni, affermano che può essere perfettamente eguale nei sintomi clini- ci a quella d’ origine sifilitica o d’ altra origine tossica. Anche facendo astrazione dal fatto che i fenomeni suaccennati tro- vano variamente nei singoli casi accentuati, e non sono tutti nella loro interezza indispensabili per costituire la forma clinica della demenza paralitica, la quale deve sempre riguardarsi come una unica entità patologica, nel nostro caso abbiamo riscontrato e la demenza profonda, e la marcatissima disartria e la quasi mancanza di reazione pupillare; venne solo notata la mancanza

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di idee di grandezza; ma chi non sa quante volte accade che que- sta malattia assuma esclusivamente il carattere della pura de- menza progressiva ?

Anatomopatologicamente, come gia vedemmo, il KOppen af- ferma che puo spesso distinguersi per la frequenza delle piccole cicatrici corticali prodotte da lesioni vascolari, e delle emorragie puntiformi, in guisa da dimostrare il particolare processo anato- mico che è a base ella malattia. Quantunque abbiamo anche noi osservato alcune emorragie puntiformi, in sostanza le lesioni non differivano da quelle che si rinvengono comunemente: menin- go-encefaliti con esito in sclerosi ed atrofia, degenerazione delle cellule e delle fibre corticali, sclerosi vasali, granulazioni epen- dimarie ecc.

Non abbiamo argomenti per negare che le lesioni dirette dei vasi capillari nel senso di Köppen con esito frequente in emor- ragia costituiscano un fatto comune nella forma traumatica: ciò non vuol dire che debbano rappresentare la regola e costituire la condizione necessaria, tanto più in considerazione della scar- sità dei casì da lui osservati, bastando dopo tutto anche stadi di alterazione meno avanzati a indurre dei notevoli disturbi nella nutrizione della sostanza nervosa.

Per cui, concludendo, ci crediamo autorizzati ad affermare che la nostra osservazione non offre note cliniche ed anatomopa- tologiche che possano differenziare la forma traumatica da quella che comunemente si osserva.

Dalla descrizione nostra, e dai pochi cenni illustrativi che hanno preceduta, stimiamo che il concetto della demenza para- litica d’ origine traumatica, nello stretto senso della parola, abbia ricevuto conferma. lo possono intirmare a nostro avviso la rarità dei casi di fronte alla straordinaria frequenza del trau- matismi cranici e alla notevole prevalenza degli altri ben noti fattori eziologici ; ai quali ultimi non ci pare abbastanza giusti- ficato di dover ricorrere in via ipotetica, quando un’ accurata anamnesi e un esame accurato ci obbliga ad escluderli: tutt’ al più dovremo far luogo a quella speciale predisposizione, che è a hase di qualunque affezione morbosa.

Da questa come dalle consimili osservazioni può venire così lumeggiata anche la questione generale sulla eziologia della pa-

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ralisi progressiva, specialmente nei riguardi di quella teoria trop- po esclusivista che vuol vedere la sifilide in ogni caso di questa malattia, e la vuole ammettere anche quando nessuna indagine la giustifica, nessun segno, nessuna alterazione la dimostrano 0 la fanno sospettare.

Brescia Agosto 1900

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In attesa di Trattati maggiori, che, dopo il magistrale manuale di se- meiotica del Morselli, si aspettano in Italia dalla scienza degli alienisti maturi, che più volte ne hanno fatta promessa, i nostri giovani psichiatri hanno voluto in questi ultimi tempi regalarci parecchi manuali, i quali, sotto veste modesta, hanno il merito di essere tutti improntati a praticità, della quale pare che anche il nostro paese incominci a riconoscere il bisogno. Pri- ma avemmo i manuali dell’ Agostini e del Finzi, oggi abbiamo quelli

dello Scabia e del Pieraccini, ambedue con bellissime prefazioni del Morselli.

Il libro dello Scabia è diviso in tre parti. Nella prima di queste egli tratta della profilassi, sociale e individuale, della pazzia ; nella seconda espone la terapia delle psicosi; nella terza aleune note di tecnica manicomiale e legislazione concernente l’assistenza e cura dell’alionato. La seconda parte, che naturalmente è la più estesa, l’A. la divide in due sezioni, nella prima delle quali tratta della terapia generale e nella seconda della cura partico- lare delle psicosi.

L’opera dell'A. può dirsi completa, perchè essa non solo sintetizza esat- tamente e con giusto criterio quanto la scienza e l’ esperienza hanno ormai

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sanzionato al riguardo, ma tratta con sufficiente sviluppo anche i metodi di cura più moderni, quali ad es. l’organoterapia, la sieroterapia, la kinesitera- pia e l'intervento chirurgico.

Certamente sarebbe stato desiderabile che il capitolo sulla psicoterapia fosse stato meno breve e più corrispondente all’ importanza che oggigiorno ha acquistato la cura morale della pazzia, ma di questa menda lo Scabia è stato molto argutamente scagionato dall’Autore della prefazione, della abi- lità del quale, se oggi gli sarà grato, cercherà indubbiamente di fare a meno in una seconda edizione del suo libro, cho dobbiamo sinceramente augurargli.

All’ alienista, che legga e giudichi superficialmente il manuale del Pie- raccini, potrà sembrare che egli abbia fatto cosa superflua, tanto sembre- rebbe dovessero le cose dette essere note a tutti coloro che vivono nei ma- nicomî, e tanto la tecnica manicomiale sembrerebbe, a detta del nostro Tanzi, dovesse rappresentare un’ applicazione diretta del senso comune e niente altro.

Eppure non è così. Non è vero che tutto ciò che si trova esposto nel manuale del Pieraccini sia sempre patrimonio vivo e attuale di coloro che vivono nei manicomî, e non è sempre vero cho la tecnica manicomiale non sia altro cbe l’ applicazione diretta del senso comune, tanto da non far sentire anche a chi non è un semplice infermiere il bisogno di consultare quel libro. Quando si pensi poi che lP A. non ha inteso altro con esso che di esporre le « istruzioni elementari per infermieri e infermiere » e quando pensi a quanto sia necessario che £l° infermieri, desiderosi di corrisponde- re adeguatamente al loro mandato, abbiano una fonte chiara e precisa, dove potere attingere quanto derono fare, l utilità del libro non può essere più messa in dubbio.

Il Pieraccini tratta prima in forma semplice di alcune manifestazio- ni praticamente più importanti «lella pazzia e poscia studia i servizî gene- rali di un manicomio e i servizi speciali proprî di ciascuna sezione. Final- mente negli ultimi capitoli tratta dei doveri della famiglia e degli infermie- ri nella custodia domestica dei pazzi e del miglior modo di eseguire il tra- sferimento degli alienati.

L’ A. senza dubbio ha raggiunto completamente lo scopo prefissosi, per- chè nulla o quasi nulla ha trascurato, perchè è riuscito a dare all’ esposizio- ne della materia una forma chiara e precisa e ha trattato molti capitoli, fra i quali mi piace ricordare specialmente quello della Sezione agitati, in modo veramente splendido.

Non dirò che sia stata sempre mantenuta dall’ A. la debita proporzione nello sviluppo dei singoli capitoli; ma questo è un piccolissimo difetto di fronte ai meriti e all utilità del libro, del quale va data al Collega una lode speeiale. T.

4 | ae er OO = eee o!

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Societadi Patronato per i pazzi poveri dimessi dal Manicomio.

Somma precedente i . L. 1752. 30 Offerte malati , ' ; _ » 26. 75

Totale . L. 1779. 05

| Movimento dei malati nel mese di Maggio 1900

USCITI i cia il i e i i Esistenti = = ! 612 2 | S 2 E Rimasti = z | =D 2.89 St le nd 3|a|#|5a|88|" Do c|b|c]p.t|p|vlp 7 tip} t |p ceti ea (Prov. di Ferrara a 184/1419 a 3 = di I 2, 2 198 194 Appart. | È | | | i laltre Provincie 25 13! 1| | | ti 26; 13 Cd ed ge , a te ae 219 197 ojis 5 ; ? 3 L | i i 2) 224) 207 Movimento dei malati nel mese di Giugno 1900 (Prov. di Ferrara | 198) 1947/22/13] 8) 3] 2) 1! 2 1f 1 2| 3] 205] 199 Appart. | laltre Province | 26) 13) | 2} | 1 di | | a) [ed 14 24 207422 K 8| 4 al 1 3| 1] l: ce 9 3 229 213

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Movimento dei malati nel mese di Agosto 1900

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Direttore -- R. TAMBRONI.

Redattori CapreLLetTI - Finzi - LAMBRANZI - VEDRANI.

Anno XXVIII Fase. IV.

BOLLETTINO

DEL

MANICOMIO PROVINCIALE DI FERRARA

FERRARA Tipografia dell’ Eridano 1900

La psichiatria del Wernicke del Dott. Jacopo Finzi

Abbiamo già avuto altre volte occasione (1) di parlarne bre- vemente: ma poichè il Wernicke e i suoi allievi hanno in questi ultimi tempi portato nuovi contributi e quasi completato il siste- ma (2), mentre d’altro lato Ja letteratura psichiatrica è rimasta essenzialmente estranea al movimento (3), così crediamo valga la pena di esaminare esattamente i prodotti di questa scuola per vedere se e come essa agisca complessivamente nello sviluppo teorico e nelle applicazioni pratiche della specialità.

E dal 1891 (4) che il Wernicke ha dato l’abbozzo e gli ele- menti fondamentali del suo sistema. Egli lo ha svolto successiva- mente con un rigore logico e una unità di indirizzo meravigliosi. E stato un lavorio sottile di aegruppamento e di analisi di sin- tomi, un ordinamento, complesso nei particolari, semplicissimo

1) Psichiatria tedesen. Lett. III, Questo Bollettino, 1898. Breve compendio di psichiatria, Cap. IV. Milano, Hoepli, 1899.

2) Psychiatrische Abhandlungen, fascicoli contenenti lavori di Wernicke, Gaupp, Liepmann, ecc. Wernicke Grundriss der Psychiatrie, par- te terza, lez. XVIII-XLI. Lipsia, 1900.

3) Così, per citare solo lavori comparsi in questi ultimi tre anni, non si trova punto accennato, alle teorie del Wernicke, in libri che pure avrebbero avuto campo e occasione di accennarne per la natura dell’ar- gomento trattato, come in Bilharz, Ueber die Natur und Eintheilung der Geisteskrankheiten. Berze, Das Bewusstsein der Hallucinirenden. De Sanctis e Mattoli, Contributo alla conoscenza della evoluzione dei deliri. Kraepelin, Psychiatrie. Bresler Das Wesen der Paranoia. Keraval. L’idée fixe. Mendel Einleitung in die Psychiatrie. O bici Sul delirio di negazione. Finzi, I sintomi organici della demenza precoce.

O non se ne è tenuto conto abbastanza in lavori come: Löwenfeld, Ueber psychiche Zwangszustitnde. Kirchhoff, Grundriss der Psychia- trie. Finzi Sul sintoma disorientamento, ece.

4) Grundxiige einer psychiatrischen Symptomentehre.

15?

nelle linee generali, delle sindromi psicopatiche, studiate tutte alla stregua di tre principî. La divisione della vita psichica nei tre dominî: la coscienza del mondo esterno, del proprio corpo e del proprio io (1); lo schema dell’ afasia applicato a tutti i feno- menì mentali (2); una ipotesi, del resto non priva fondamento: il principio della seiunzione, che costituirebbe la base e un fatto . essenziale a tutte le malattie mentali (3).

Da ciò dipendono le distinzioni capitali delle allopsicosi, so- matopsicosi e autopsicosi; malattie mentali psico-sensoriali, psico- motorie e intrapsichiche: badando che ciò che per il Wernicke è psicosi, per noi è nel maggior numero dei casi sindrome psico- patica. La seiunzione poi, cioè il processo alterante o distruttivo della personalità, è considerata come una interruzione nel circuito dell’attività psichica, una lacuna che si forma nella serie delle associazioni. Ora se si pensa allo schema dato dal Wernicke come a una linea rientrante e all’ attività psichica come a una corrente diretta dalla sensitività alla motilità, la sede di questa seiunzione, e il riflusso di energia derivante dall’interruzione, e il lavoro di una attività psichica normale sopra un contenuto al- terato daranno una chiave per una interpretazione meccanica di tutti i fenomeni psicopatici, arricchiti di due altre distinzioni : contenuto della coscienza e attività della coscienza; fenomeni psicopatici di distruzione, fenomeni di irritazione.

Il Wernickeèstato per lungo tempo soltanto neuropatologo: le malattie cerebrali e sopratutto le sindromi afasiche furono ar- ricchite di fatti e di dottrine importantissime per opera dei suoi studîÎ anatomici e clinici. Avvezzo cosi, nel definire, nel diagno- sticare e nel classificare malattie, a pensare anatomicamente, si capisce come egli nelle malattie mentali non veda che sintomi, e non riconosca, per il momento, altro criterio che il sintomatolo- gico nello studio loro. Il Wernicke è divenuto psichiatra esclu- sivamente osservando i malati di mente da sè, senza guida, senza preconcetti, dimenticando anzi, per così dire, le cognizioni psi-

1) Grundriss, Lezione IV, V, VII, VII. 2) op. cit. Lez. II. è) op. cit. Lez. XII.

chiatriche che possedeva; e la ricca messe di fatti raccolta egli ha cercato di interpretare e di ordinare servendosi di quelle stes- se dottrine che egli faticosamente e genialmente aveva creato in patologia cerebraie. La genesi psicologica della scuola psichia- trica di Breslavia sta tutta qui. II Wernicke rivela questo stato di cose originantesi da tale suo stato d’animo ad ogni passo nei suoi lavori, specie in quelli di indole generale. Citiamo a caso alcuni punti:

« È senza speranza oggi una classificazione propriamente detta delle malattie mentali, poichè per esse ci manca l’anatomia pato- logica, unica vera base che ha servito alla classificazione delle altre malattie..... » (1)

» L’esperienza in neurologia e in patologia cerebrale insegna che ogni tentativo di diagnosi o di classificazione deve aver di mira in prima linea la località colpita...., la prima cosa da farsi di fronte a qualsiasi disturbo mentale sarà il domandarsi la sede della lesione nell’organo della coscienza, cioè nell’organo dell’as- sociazione.... (2) o in altre parole in qual dominio della coscienza (mondo esterno, corpo, io) il malato è disorientato. » (3)

» Tutti 1 disturbi nel contenuto della coscienza hanno il va- lore di sintomi di focolaio, i quali naturalmente hanno dignità clinica diversa secondo che corrispondono ad uno stato -di irrita- zione o di paralisi, ma che del resto si comportano esattamente come i sintomi di focolaio a noi meglio conosciuti delle malattie cerebrali... » « Una emorragia della capsula interna dà, oltre ad emiplegia, una serie di sintomi acuti che a poco a poco spari- scono e lasciano come residuo immutabile l’emiplegia. Ma una emiplegia identica si può stabilire lentamente e senza alcun altro sintoma per un rammollimento cronico o per un tumore che cre- sce a poco a poco. Come noi paragoniamo il focolaio residuale col focolaio sorto cronicamente, così siamo autorizzati a giudicare

1) Ueber die klassifikation der Psychosen, S. 3 Payoh. Abh. Serie I. fascic, 12. Breslavia 1899.

2) op. cit. S. 8-9,

3) op. oit. S. 13 giaochè, secondo il significato larghissimo dato dal W er- nicke alla parola disorientamento, tutti i malati di mente senza ecce- zione sono disorientati. V. specialmente Grundriss, Lezione XXI,

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perfettamente analoghi i disturbi residuali del contenuto della coscienza con quelli delle psicosi a decorso cronico.... » (1)

» Se noi spesso non sappiamo il meccanismo patogenetico di sintomi irritativi, come convulsioni, noi sappiamo però che essi stanno in rapporto sempre con sintomi distruttivi (Ausfallserschei- nungen). Perchè anche nelle psicosi i sintomi irritativi (allucina- zioni, per es.) non potranno dipendere, almeno in molti casi, da lesio- ni distruttive, ed essere in rapporto col processo di seiunzione?(2) »

Dal punto di vista didattico, l’esposizione del sistema che il Wernicke fa nel Grundriss der Psychiatrie ha dei pregi in- discutibili uniti però a difetti pratici uolto notevoli. Dopo la in- troduzione psicofisiologica (Lez. 1- VIII), il Wernicke imprende subito l’esame di malati che secondo lui presentauo i quadri Imor- bosi più semplici, e precisamente i malati di disturbi residuali del contenuto della coscienza e i malati di malattie decorrenti cronicamente, due gruppi che il Wernicke comprende sotto il nome di stati paranoici (Lez. IX - XVII). Prosegue poi con lo studio delle forme acute, in cui si hanno i quadri più complicati e dove insieme si discute, oltre che di sindromi, anche di eziolo- gia, eventualmente di anatomia patologica. Fiuisce con la tratta- zione della paralisi progressiva e con un tentativo che egli stesso dichiara vano di un aggruppanento eziologico delle malattie men- tali (Lezioni XVIII - ALI).

Il criterio iuturmatore di questa trattazione ha dei lati giusti nel senso che è vero che, dal puuto di vista puramente siutoma- tico, questa trattazione va dal semplice al complesso, e che, dal punto di vista empirico, va dalle torme più trequenu di malatue meutali, che si osservano negli abitanti di un manicomio, alle più rare. D'altra parte il primo pregio è neutralizzato dal fatto che esso presuppone la messa in disparte di qualsiasi tentativo clinico, la rinuuzia totale perfino ad ipotesi eziologiche, patoge- netiche e prognostiche. Di più la semplicità degli stati paranoici è più apparente che reale, in quanto essi trovano la loro ragione di essere talvolta negli episodi acuti delle malattie mentali a cui

1) Grundriss der Psychiatrie, 11 Th., S. 104. 2) idem pag. 115.

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appartengono, spesso sono interrotti e frastagliati da sintomi acuti, sewpre si prestano a discussioni e incertezze sulla loro dignità semeiologica. Quanto poi all’altra gradazione, dal più frequente al più rado, è anch’essa apparenie, perchè vale soltanto se si con- sidera la popolazione permanente di un manicomio, non il nume- ro dei malati che vengono ammessi in un dato tempo (l).

Piuttosto deve pesare che solo perchè il Wernicke non ammette possibile ancora una classificazione delle malattie men- tali, e non crede nemmeno fattibile una sistemazione determi- nata delle cognizioni psichiatriche, egli ha scelto da un lato la trattazione in lezioni dall’altro l’andamento summenzionato dell’e- sposizione. Cose queste che impediscono che il trattato possa essere ben compreso e sfruttato nelle mani di un principiante. Il quale trova ad ogni piè sospinto accenni incompleti a fatti psicopatici e a dottrine psichiatriche che non possono essere di conoscenza volgare. 7

Ma il modo della trattazione presta anche ed è di giusti- ficazione alle dottrine personali del Wernicke, il quale non ammette grandi classificazioni, schemi generali, costruzioni cliniche, ma compie in effetto una serie di piccole classificazioni, di costruzioni parziali, di schemi d’ogni dimensione.

Le premesse psicofisiologiche del sistema Wernickiano devo- no essere esaminate sotto un triplice punto di vista: come dati di fatto e come ipotesi in stesse; come punto di partenza per l’analisi dei sintomi psicopatici; come criterio alla denominazione e classificazione delle malattie mentali.

I campi di proiezione sensitivi e motorì ormai noti nella cor- teccia cerebrale permettono di parlare non solo in via ipotetica ma con certezza di una sede della coscienza del corpo e del mon- do esterno. L’anatomia patologica ha già portato contributi esu- beranti a tale dottrina.

Parlare di un organo transcorticale per le sintesi e le asso- ciazioni psichiche, che successivamente nella vita vanno a far parte della personalità, come sede della coscienza dell’ io, è una affermazione, che, se non può essere matematicamente dimostrata,

1) Finzi e Vedrani, La demenza precoce. Reggio Emilia 1899 p. 55.

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ha per già dati di fatto positivi ( anatomopatologici ) e ron contraddice a nessuna osservazione od esperienza fatta fin'ora (1).

Anche indipendentemente da qualsiasi rappresentazione sche- matica di questi concetti, è evidente che la motilità in genere, come via unica di espressione, e come unico mezzo di esame psi- cologico, ha una importanza capitale in tutta la vita mentale. Le imagini mnemoniche motorie sono da ascriversi alla coscienza corporea, e sono da considerarsi come elemento necessario alle percezioni sensoriali (2).

La distinzione dell’ identificazione primaria dalla secondaria è già da molti anni dominio della scienza ufficiale e così la dottrina che fa della personalità, o coscienza dell’io, essenzial- mente un fenomeno di memoria. Che tutta l’attività nervosa e psi- chica vada dal senso al moto, dall’ impressione all’ espressione è già un concetto sintetico che scaturisce logico dai fatti e che deve considerarsi già come una verità dimostrata dalla fisiologia.

La distinzione fra attività e contenuto della coscienza è pure facilmente comprensibile (3). Facendo ad una persona una domanda in una lingua a lei ignota, oppure in una lingua nota ma su ar- gomento a lei perfettamente sconosciuto, non si provoca nessuna associazione che permetta una risposta, perchè i dati psicosen- soriali non trovano le vie preparate alla loro trasformazione in idee, movimento, ecc.; in altre parole l’impressione non luogo a nessuna altività di coscienza perchè non esiste quel tale con- tenuto della coscienza che la permetta.

In ogni modo l’astrazione che noi facciamo, pronunciando la parola coscienza, viene intesa sempre o come contenuto o come attività cosciente, il che spesso può essere facilmente sottinteso (4).

1) Cfr. Heilbronner. Ueber Asymbolie. Psychiatr. Abhandlungen 3-4. Breslau.

Wernicke. Der aphasische Symptomencomplex. Breslau. Grundriss, Lez. IL.

2) Grundriss, Lezione VI.

3) Grundriss, Lezione VIII.

4) Winkler nella sua recensione langa ma incompleta del Grundriss ac- cusa fra l’altro il Wernicke af scambiare talvolta coscienza con con- tenuto della coscienza! (Centralblatt fir Nevenheilkunde, Ottobre 1900)

50

Rappresentare concetti con uno schema all’ unico scopo di- dattico è già un uso riconosciuto buono e nel capitolo dell’afasia nessuno l’ha ancora abbandonato. È una forma di simbolismo più sintetico, e che si distingue di assai poco dal nostro solito sim- bolismo verbale. Perciò quando il Wernicke parla del circuito SAZM (che noi traduciamo SITM) non fa nulla che urti contro la logica e non pregiudica minimamente l’ interpretazione dei fatti.

Noi diamo qui questo schema secondo che viene esposto dal Wernicke nella introduzione psicofisiologica e completato nelle lezioni successive.

I T I b Va S M S (Grundriss Lez. I, II.) Campo di proiezione corticale sensitivo. M ( » » ) Campo di proiezione corticale motorio. I ( » » ) Campo delle imagini mnemoniche sen- sitive (Idee iniziali.) T ( » » ) Campo delle imagini mnemoniche mo-

toric (Idee terminali.) T-M-S-I ( » Pag. 209) Circuito infracorticale e corticale della

identificazione primaria (Io primario.)

I-T ( » » 209) Circuito transcorticale dell’ identiticazio- ne secondaria (Io secondario.) q ( » » 116) Direzione in cui si muovono le sintesi e

le associazioni psichiche ( Corrente della coscienza.) S-M ( » » 215) Vie sensomotorie dirette, appartenenti alla coscienza del corpo, permettenti rapporti spesso ignoti alla coscienza dell’io e del mondo esterno (in questo tratto la dire- zione possibile è doppia).

Riassumendo, sia per le basi di fatto su cui si appoggiano, sia per le ragioni teoriche che le giustificano, le premesse psi- cofisiologiche del Wernicke possono, come tali, andare sicure dagli assalti di qualsiasi critica.

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Nell’ analisi dei fenomeni psicopatici l’ applicazione di questi principî è resa possibile dall’ aiuto di un altro concetto direttivo fondamentale: la seiunzione.

La lesione fondamentale in tutte le psicosi è per il Werni- cke una lacuna, una interruzione, che il processo morboso pro- .voca nel circuito delle associazioni (1). Questa lesione (Seiunzio- ne) da luogo direttamente a dei fenomeni di distruzione (Ausfall- symptome) e direttamente ed indirettamente a fenomeni irritativi ( Reizerscheinungen ) precisamente come un focolaio cerebrale. Questa distinzione corrisponde in parte alla distinzione fra di- sturbi del contenuto e disturbi dell’ attività della coscienza.

La sede della seiunzione è quella che più importa nel dar luogo a un sintoma piuttosto che a un altro, potendosi questi aggruppare attorno ad un fatto fondamentale di disorientamento allopsichico, autopsichico, 0 somatopsichico, a cui ordinaria- mente corrisponde uno stato affettivo speciale (Ruthlosigheit- smarrimento psichico) (2).

Indipendentemente però dalla sede, la seiunzione per sè, con- siderata retrospettivamente nel decorso di una malattia mentale, ha come conseguenze dirette i contenuti contraddittorî della coscien- za e gli errori di memoria positivi e negativi; luogo ancora a processi irritativi dipendenti da lei: allucinazioni, idee auto- ctone, idee prevalenti, delirî di relazione attuali e retrospettivi, fatti questi derivanti da diffusione irritativa diretta, oppure nelle forme croniche da decorso aberrante o refluo di energia psichica dovuto all’ interruzione; finalmente l’ attività normale ristabilita, mentre persiste un vuoto o un contenuto alterato per seiunzione, luogo ai delirì di spiegazione (3).

I delirî di spiegazione hanno una parte essenziale nelle psi- così croniche, ma occupano un posto importante anche nelle acu- te, dove soltanto il meccanismo di origine è diverso. Nelle psi- così croniche, al pari del delirio di relazione ( Beziehungswahn ), essi sono da considerarsi quasi come sintomi elementari. Nelle

1) Lex. XII, Pag. 113 e passim. 2) Lez. XXI, Pag. 218 segg. 3) Lez. XV specialmente a pag. 140.

Sergi

159

acute si originano da neoformazione morbosa di associazioni, Ov- vero da distrazione dell’ attenzione per processi interni, ovvero da conclusioni per analogia (1).

Le allucinazioni sono fatti di iperestesia psico-sensoriale, le illusioni parestesie (2).

La differenza fra imagine mnemonica e imagine sensoriale sparisce nell’ allucinazione per opera del processo morboso (3). Per il quale l’ eccitazione si estende dagli elementi che sono il substrato delle imagini mnemoniche a quelli che sono il sub- strato delle imagini attuali cioè della coscienza del corpo. L’ io primario affetto spiega tutte le proprietà dell’ allucinazione. Un sintoma elementare irritativo che ha parentela con l’ allucinazio- ne è l’ idea autoctona (4), una idea che il malato si trova in mente e che egli considera come estranea alla sua personalità, diversa dall’ idea coatta (5) la quale è concepita come morbosa ma appartenente al proprio io, ec più diversa ancora dall’ idea prevalente (6) la cui morbosità non è punto percepita, ma fa un tutto interamente fuso con l’ ordine normale delle associazioni (7).

La differenza fra allucinazioni e idee autoctone sta nella sede della lesione: nel tratto SI o in I per le prime; nel tratto I T per le seconde. La differenza fra idee autoctone e idee coatte sta nella gravità della seiunzione nel dominio intrapsichico : nelle idee coatte la continuità dell’ autocoscienza è conservata, nelle idee autoctone questa continuità è parzialmente interrotta (8).

Nelle lezioni XIX e XX trattando delle allucinazioni, il Wernicke ha pagine che sono fra le più belle del trattato a proposito delle localizzazioni corticali delle imagini percettive e innemoniche e a proposito dei rapporti fra pensiero e parole. Qui gli schemi non giuocano parte alcuna.

1) Lez. XVIII.

2; Pag. 109-110.

3) Pag. 201.

4) Pag. 108, 116, 119, 181, 211.

5) Pag. 108, 116, 145.

6) Pag. 140, 166, 227.

©) cfr. anche: Wernicke, Ueber fixen Ideen. Deutsche med. Wochen- schrift, 1892 pag. 285. Wernicke, Ueberwerthige und unterwerthige

Ideen. (LXII Sitzung des Vereins ostdeut. Irrenärzte in Sorau) All- gem. Zeits. f. Psychiatrie, Bd. LI. S. 212.

8) Pag. 116.

CR:

160

Col nome di /Ipermetamorfosi (1) designa il Wernicke lo stato di iperestesia psichica propria di alcuni stati ansiosi, da distinguersi dall’ iperestesia sensoriale: (2) la prima si manifesta come una coazione a dirigere l’ attenzione a tutte le impressioni sensitive possibili e trarne notizie da elaborare. Invece l’iperestesia sensoriale (quale esiste ad es. nella meningite) è qualche cosa che riguarda propriamente gli organi di senso e si riscontra nel- l’ isterismo.

ll disturbo fondamentale dell’ identificazione secondaria, ne- cessario e sufficiente a caratterizzare una psicosi, cioè la diso- rientazione col concomitante smarrimento, comprende per il Wer- nicke una quantità enorme di sintomi diversi. I quali del resto, come tali, possono benissimo venir divisi in autopsichici, allo- psichici e somatopsichici (3). Una delle manifestazioni estreme O del disorientamento è il Transitivismo (4), che è simile ad uno smarrimento autopsichico, e consiste nel fatto che tutti i rappor- ! ti logici delle cose sono alterati, e manca assolutamente il senso della malattia. In questi casi succede che al malato il contegno dei parenti sembra tanto strano, che teme e si convince siano essi malati di mente.

Esponiamo ora schematıcamente il saggio di aggruppamento di sintomi che fa il Wernicke. Egli chiama i gruppi di sinto- mi psicosi o malattie mentali, forme acute caratterizzate da un disturbo dell’ attività cosciente.

Esse sono le seguenti:

Psicosi ansiose. Cause per lo più ignote, alcool, sifilide, età. Diagnosi. Imagini ansiose allopsichiche, orientamento allopsi- chico e disorientamento auto-somatopsichico. Prognosi favorevole, se non fa parte di una paralisi progres-

siva (0).

Somatopsicosi. Forme ascendenti, intestinali, ecc. di ipocondria.

Cause, spesso ignote, talvolta malattie interne.

1) Pag. 212. 2) Pag. 213. 3) Lez. XXI. 4) Pag. 226. 5) Peg. 241 sgg.

161

Diagnosi. Delimitazione al proprio corpo e talvolta al proprio io dei disturbi della coscienza. Contegno corrispondente. Prognosi legata alla curva del peso corporeo (1).

Allucinosi acuta. Eziologia. Alcool, degenerazione. Diagnosi. Manca un vero disorientamento allopsichico. Primiti- vità delle allucinazioni sull’ ansia. Deliri di spiegazione.

Prognosi favorevole (2).

Deliri alcoolici (Tremens, protratto, cronico).

É notevole però che il delirium tremens ncn è trattato dal Wernicke (come tutte le altre psicosi del resto) dal punto di vista eziologico, perciò egli dice (3):

Il quadro del delirium tremens può, nei suoi tratti essenziali e caratteristici, essere causato e quindi riscontrasi nella meningi- te; in avvelenamenti acuti da cloroformio, da etere, da belladon- na; nella paralisi progressiva; in psicosi croniche presentanti delirî diversi ; a volte la presbiofrenia acuta può difficilmente di- stinguersi dal delirium tremens.

Psicosi polineuritica. Cause. Alcool, arsenico, piombo, esaurimen- to, trauma, tubercolosi, sifilide.

Diagnosi. Amnesia retroattiva, attenzione sveglia, disorientamen- to senza smarrimento. La polineurite non è necessaria.

Prognosi, favorevole (4).

Presbiofrenia. Cause età. Diagnosi e prognosi come la psicosi polineuritica (5). Isterismo, Follia morale: carattere essenziale: limitazione dei sin-

tomi all’ autopsiche (6).

Melancolia affettiva. Abbassamento dei poteri volitivi, delirio di piccolezza e di autorimprovero.

Prognosi buona. Cause ignote (7).

Mania. Logorrea, umore elevato, livellamento delle imagini psichi-

1) Pag. 263 sgg.

2) Pag. 278-79.

3) Pag. 289-290.

4) Pag. 296-301, 507.

5) Pag. 301-302.

6) Pag. 305, sgg. 514 sg. 1) Pag. 344-350.

162

che (normalmente di valenza superiore (&berwerthige) o infe-

riore (unterwerthige) alla media)

Prognosi buona (1) se non tratta di mania paralitica. Mania confusa corrisponde alla nostra amenza ( Verwirrtheit) (2). Psicosi della Motilita. Ipercinetiche. Cause mestruazione, puer-

perio, nell’ uomo cause ignote, però spesso le psicosi sono perio-

diche (3).

Diagnosi. Movimenti pseudospontanei, logorrea, ipermetamorfosi.

Prognosi fausta (4).

Acinetiche. Cause pubertà, emozioni, isterismo, arresto di sviluppo.

Diagnosi. Acinesi muscolare, negativismo, catalessia, rigidità

muscolare, verbigerazione, stereotipie.

Prognosi seria.

Psicosi paralitiche (5). Tipi: mania paralitica (autopsicosi espan- siva); delirio, stupore paralitici (allopsicosi); demenza parali- tica; e di ciascuna psicosi, forme atipiche, ascendenti, galop- panti e paranoiche.

Eziologia sifilide.

Diagnosi. I sintomi di una delle psicosi paralitiche, più sintomi

da parte del sistema di proiezione sia corticali che spinali (6).

Nel riassumere il suo insegnamento dal punto di vista pra- tico, il Wernicke dice presso a poco cosi: Le forme di malat- tie mentali che ho esposto sono soltanto i quadri fondamentali, le forme che più di raro troverete tipiche nella pratica.

La grande maggioranza dei malati presentano per lo meno forme di passaggio, per le quali è adatto 'il nome di psicosi miste (7). Frequentissime sono ad es. quelle che stanno fra le psi- cosi ansiose e la melancolia affettiva (8). Cosi è il quadro della

1) Pag. 365.

2) Pag. 394-407.

3) Pag. 392.

4) Lez. XXXII. Pag. 371 sgg. Bellissima analisi «differenziale fra l’ a- gitazione maniaca e l’ agitazione ipercinetica a pag. 377-379.

5) Lez. XXXVII.

6) Pag. 486.

7) Lezione XXXVI, pag. 459.

8) Pag. 242.

-- 163

melancolia agitata, appartenente al gruppo delle psicosi ansiose, in cui si può ammettere che l’affollarsi di immagini ansiose dia luogo alla logorrea, e in cui il disorientamento è essenzialmente auto- psichico. Fra melancolia e ipocondria (1) ci sono pure forme di passaggio numerose. Una forma mista frequente è il delirio ipo- condriaco di persecuzione. I sintomi somato e allo-psichici sono in stretto rapporto in parte rappresentato qui da un semplice delirio di spiegazione, in parte dai sintomì elementari del delirio di re- lazione somatopsichico che si origina da neoformazione morbosa di associazioni (2). Psicosi totali, così sensoriali come motorie, ‘in cui tutti e tre i dominî della coscienza sono disorientati, sor- gono abbastanza di frequente così su base tossica come su base degenerativa (3). Queste psicosi totali manifestano talvolta co- me psicosi transitorie, ma senza una parentela eziologica. Infatti hanno per traumi al capo, per alcoolismo, per epilessia ed iste- rismo. Casi simili, se durano più a lungo, assumono un carattere sintomatico particolare ed hanno eziologia molto più varia, spes- so ignota: si presentano come delirio ipocondrico-fantastico acuto di minaccia, (Acuter phantastisch-hypochondrischer Bedrohungs- wahn) (4) insieme con sintomi motori svariati e allucinazioni di tutti i sensi. Questa forma potrebbe meritare anche il nome di « Psicosi sensoriale acuta progressiva » (5).

Evidentemente molti di questi casi corrispondono al delirio acuto e paralisi galoppante degli Autori. Le forme miste motorie e le forme miste di mania, melanconia e confusione sono frequen- tissime. « Ma per lo più si tratta qui con tutta probabilità di « casi di malattie ancora ignote e del resto molto differenti » (6).

La mania con furore è una combinazione frequente risultan- te di mania e imagini ansiose, con allucinazioni corrispondenti. Qualche volta essa presenta come malattia a sè.

1) Pag. 460.

2) Pag. 241.

3) Pag. 265, 445, 461. 4) Pag. 184, 461.

5) Pag. 402.

6) Pag. 462 e age.

7) Pag. 463.

8) Pag. 466.

164

La mania unisce di frequente anche alla confusione aste- nica. Oltre a tutte le forme miste, abbiamo le Psicosi composte, cioè costituite da fasi diverse e indipendenti le une dalle altre. Fra queste non mette quindi il Wernicke quelle che hanno uno stadio iniziale, uno stadio di acme e uno terminale diversi, ma non indipendenti; cosi non mette fra le psicosi composte le alternative di mania e melancolia « l' aumentata eccitabilità che è caratteri- « stica di uno stadio e la diminuita eccitabilità caratteristica « dell’altro si preparano e si condizionano a vicenda, precisamen- « te come vediamo succedersi le due fasi nel sistema nervoso « periferico.... La stessa riflessione vale per il succedersi delle fasi « ipercinetiche ed acinetiche nelle psicosi motorie » (1).

Vere psicosi composte sono, dice il Wernicke, quelle ad es. motorie, che corrispondono alla vesania catatonica del K ahl- baum, sono alcune forme della paralisi progressiva, o altre for- me i cui singoli accessi sono di mania, o di mania con furore, di psicosi ansiosa, ecc.

Tutto questo lavoro di aggruppamento mette vicino e insieme sindromi psicopatiche che si somigliano solo nei caratteri esterni. Nessuna costruzione clinica esiste qui.

Anche l’ esposizione dei casi antichi, cioè delle forme cro- niche (2), il cui carattere essenziale sarebbe un disturbo del contenuto della coscienza con attività normale o quasi, non ha per base che un criterio puramente sintomatologico ed empirica- mente grossolano.

I così detti « casi antichi » comprendono stati di difetto, stati residuali di psicosi acute, e psicosi decorrenti cronica- mente. Questi due ultimi gruppi son compresi dal Wernicke sotto la denominazione di stati paranoici (3). Gli stati residuali si suddistinguono poi in stati paranoici secondari a una psicosi acuta; stati paranoici che si stabiliscono attraverso parecchie psicosi acute; e stati paranoici consecutivi a melanconia acineti- ca, accompagnati da confusione, tendenza a violenza e fenomeni motori (4).

1) Pag. 468.

2) Grundriss. Parte JI. 3) Lez. IX.

4) Lez. XVII.

165

Ad illustrare questi concetti il Wernicke espone l’ esame clinico di una serie di malati che egli presentò nella sua scuola negli anni 1898-1900 (1).

Fra gli stati paranoici cioè casì antichi, residuali e decor- renti cronicamente abbiamo gruppi di forme allo e somatopsi- chiche. Così egli definisce autopsicosi cronica un caso, dice il Wernicke, di così detta paranoia originaria (2) la quale « è in « molti casi seguita da grave demenza, specie se essa sorge nel- « la pubertà. Queste forme si lasciano a mala pena distinguere « dall’ Ebefrenia. Nel nostro caso è da prevedersi un decorso cro- « nico ascendente fino alla confusione » (3).

Un altro stato paranoico, ugualmente nella forma di auto- psicosi cronica, è quello offerto dal caso 31 (4), ma di diversa ori- gine e precisamente come residuo di ripetuti accessi di una psi- cosi motoria acinetica-paracinetica (5).

Sintomi elementari, che sono punto di partenza di autopsicosi croniche più o meno circoscritte, sono le idee prevalenti ( über- werthige) e le idee autoctone (casi 13 e 23 delle Arankenvorstel- lungen).

Ci sono poi «stati di difetto autopsichici » (6) comprendenti per il Wernicke la così detta Ebefrenia, la psicosi polineuri- tica, la presbiofrenia e la demenza senile.

Della Ebefrenia, oltre ai ben noti caratteri, il Wernicke anche questo « che i pazienti non sembrano mai, a vedersi, de- « menti, anche se la loro mente è completamente vuota » (7).

Quanto alle altre forme, il difetto permanente caratteristico è auto-psichico, ma « fatta astrazione da questo difetto, il diso- « rientamento limita al campo allopsichico, per cui ,, dice il Wernicke « ascrivo queste malattie alle allopsicosi ». Fra

1) Psychiatrische Abhandlungen. Serie I e IL Arankenvorstellungen aus der psychiatrischen Klinik von C. Wernicke. Breslau. Son già usati tre fascicoli con oltre 100 casi.

2) Krankenvostellungen I, Caso 25. Pag. 73 sgg.

3) l. c. pag. 76.

4) l. c. pag. 96.

5) 1. c. pag. 103.

6) l. c. pag. 104.

7) 1. cit. pag. 104.

166

queste ultime abbiamo, sempre nel dominio degli stati paranoici, le allucinosi croniche (casi 1 e 10). Forma di passaggio, cioè al. losomatopsicosi, è il caso 20 e finalmente una somatopsicosi cro- nica pura circoscritta è il caso 26.

Le psicosi acute permettono naturalmente assai meglio lo studio dei processi per i quali ha in ultimo il disorientamento, e fanno meglio capire come questa essenziale alterazione del con- tenuto della coscienza debba essere, secondo il Wernicke, la base della classificazione.

Dapprima abbiamo casi che stanno di mezzo fra le psicosi sensorie e le motorie, stati cioè di iperfunzione o di afunzione intrapsichica che mostrano colpito uniformemente tutto I’ organo dell’ associazione: autopsicosi acute (la così detta mania e la così detta melancolia).

Le psicosi ansiose non costituiscono secondo il Wernicke un gruppo ben definito, prima perchè la origine dell’ansia non è sempre ben chiara, ma di natura sensoriale, motoria o di origine autopsichica (oscurità che fa propendere il Wernicke ad ascri- vere queste forme alle somatopsicosi); in secondo luogo perchè, oltre a comparire come forme a sè, costituiscono talvolta lo sta- dio iniziale di molte psicosi acute, che più tardi assumono un andamento assai complicato ‘(1). La psicosi ansiosa distingue dalla melancolia affettiva per la mancanza del senso d’insufficien- za, per la presenza di imagini sensoriali ansiose allopsichiche e per il delirio di relazione che ordinariamente sorge nell’ acme dell’ ansia.

A dimostrare quanto questi schemi lascino di libertà alla classificazione delle malattie e quale numero indeterminato di forme si possano facilmente creare e mettere a posto, sta un caso di demenza post=etraumatica guarita (caso 22), che il Wernicke definisce: « Autopsicosi traumatica acuta ». Una donna melanco- lica per la seconda volta, si getta da una finestra, ed ha, durante il corso della melancolia, un’ amnesia retroattiva che dopo circa due mesi scompare. Quest’ amnesia retroattiva è certamente un disorientamento autopsichico ed è una forma a sè, indipendente affatto dalla psicopatia preesistente: e il caso può quindi servire

(1) L c. pag. 107.

167

anzi a giustificare la nomenclatura del Wernicke che può facil- mente definire qualunque stato psicopatico.

Solamente rimane il dubbio se questa nomenclatura abbia veramente un valore pratico e tenga come criterio ciò che è ve- ramente essenziale e non accessorio. Perchè se ci son casi come il presente, in cui la denominazione si può applicare senza tema di errore, ve ne sono molti, i più, in cui l applicazione della nomenclatura è logicamente impossibile: perchè o due, o tutti e tre i dominî della coscienza son presi, perchè la coscienza del mondo esterno presuppone quella del corpo, perchè ciò che in un momento dato è allo-somato-psichico un istante dopo è auto- psichico.

Ora, che, per analogia alle diagnosi di sede nelle malattie encefaliche, si pussa, per meglio definire una psicosi, designarla come ledente questo o quel campo della coscienza, può stare, che questa analisi possa servire in molti casì per diagnosticarla può anche essere, ma trarre da questo rapporto |’ elemento per denominarla e classificarla, non pare a noi sia cosa abbastanza giustificata.

I casi di psicosi motorie rappresentano sempre per il Wer- nicke oggetto di analisi finissime e di distinzioni sottili mera- vigliose (l).

I cinque casi clinici illustrati non sono però per il Werni- cke stesso pure psicosi motorie, ma senso-motorie (2).

Sebbene molto rari, dice il Wernicke, ci sono anche casi puri motorî nei quali anche le idee deliranti sono legate in nesso causale esclusivamente con sintomi della motilità.

A questi casì puri apparterrebbero in parte casi assolutamen- te yguaribili di psicosi acinetica ( Atlonitil) e ipercinetica di ori- vine mestruale.

E molto interessante l’ errore diagnostico che il Wernicke dichiara di aver commesso a proposito del caso 29 (3). In base a una paresi facciale destra, parafasia e accenni di disartria, si era su questo malato fatta la diagnosi di paralisi progressiva.

1) Grundriss. Lez. XXXII, XXXIV, XXXV. Krankenvorsiellungen , I, Casi 2, 6, 15, 21 e 27.

2) Krankenvorstellungen, I, pag. 112.

3) Krankenvorstellungen, I, S. 113. °

168

Conosciuta in seguito l’ anamnesi dell’ individuo, il Werni- cke cambiò il giudizio diagnostico in quello di psicosi motoria recidivante di origine ebefrenica-degenerativa. Su queste diagnosi differenziali di casi in cui i dubbî son sollevati dalla presenza 0 dall’ apparenza di sintomi organici, si è esteso anche PHeilbron- ner a proposito, fra l’ altro (1), di un caso in cui mostrava la parentela fra mutacismo e afasia motoria, fra difetto di memoria autopsichico e afasia sensoria (2).

Il Wernicke stesso (3), a proposito della psicosi polineuri- ca e della presbiofrenia, ricorda casi di forme disfasiche di diffici- le diagnosi differenziale.

Preparato tanto e così fine materiale da costruzione, che cosa ha in realtà costrutto il Wernicke? Se noi vogliamo riassume- re quanto di clinico è stato creato nel suo sistema, noi ci ricac- ciamo dentro l’ intreccio sintomatologico, senza che da qualsiasi punto di vista un orizzonte clinico vasto, o nuovo ci apra davanti.

L’ esposizione dei casi clinici di cui sopra non contribuisce meglio delle lunghe dissertazioni nel Grundriss a illuminare le questioni.

Era propriamente una necessità della pratica 1’ aggruppamen- to degli stati paranoici cioè del cosi detto fondo di manicomio? A me fa l’ impressione stessa che fa la divisione tecnica dei ma- lati in tranquilli e agitati. Di fronte alle singole questioni psi- chiatriche della paranoia, della catatonia, ecc. il Wernicke non prende addirittura nessuna posizione. Ora le basi teoriche ron meno che le osservazioni di fatto, sulle quali egli fonda il suo sistema, non sono punto tali da far sospettare che sia stato tutto un lavoro vano quello che ha condotto alle recenti vedute e più comuni di psichiatria clinica. Le basi teoriche e le idee condut- trici del Wernicke servono ad uno sminuzzamento nuovo dei sintomi psicopatici, ma non aun loro ageruppamento. Certo quan- to più perfetta è l’analisi, tanto migliore potrà essere la sintesi, perciò la sintomatologia del Wernicke potrà mettere in vista fatti e interpretazioni nuove di un grande valore clinico.

1) Uebe Asymbolie Psych Abh. 374. 2) Aphasic und Geisteskranklcit. Psych. Abh. 1. 3) Grundriss. pag. 303, 209; e Krankenvorstellungen, caso 9; e altrove.

169 -—

Per esempio la distinzione delle idee coatte dalle idee autocto- ne e dalle idce prevalenti ha forse un valore che il Wernicke stesso disconosce quando riferisce, diagnostica e classifica casi di autopsicosi croniche (stati paranoici). Da questi sintomi elementa- ri si svolgono quadri di psicosi assolutamente diversi nel decor- so e nell’ esito.

Le idee autoctone hanno in semeiologia un valore analogo alle allucinazioni; le idee coatte se ne distinguono per la coscien- za della morbosità denotante la conservata continuità unitaria dell autocoscienza. Da ambedue questi ordini di fenomeni prendo- no origine quadri psicopatici acuti o cronici, che alterano il con- tenuto della coscienza, ma che permettono ulteriormente una atti- vità di coscienza perfettamente normale.

Le idee prevalenti invece fanno un tutto talmente fuso con la personalità normale del soggetto, che il processo di seiunzione, per usare il linguaggio stesso del Wernicke, sfugge alla ricerca e non si sa dove assegnargli una sede. Nessun contrasto acuto o incom- patibilità fra una parte e l’altra della personalità del soggetto ; il delirio di rapporto (Beziehungswahn) e di spiegazione ( Erkld- rungswahn ) che lentamente, non necessariamente, possono sor- gere, hanno mille punti di attacco logici, e i loro elementi, cre- sciuti a poco a poco in lunghi anni, sono in perfetta coerenza con tutta la vita e il contegno dell’ individuo, la cui personalità non rimane privata mai di alcun anello nella catena delle associazioni, e che nemmeno presenta i fenomeni irritativi da seiunzione acu- ta, ma solo al massimo parestesie psico-sensoriali (illusioni), e la cui continuità unitaria è rigorosa, anche quando le idee deliranti di spiegazione possono superficialmente far parere il contrario. Questo tipo di malattia, che scaturisce dall’analisi del Wernicke così puro, così ben definito, non è dal Wernicke stesso messo in giusta luce: esso corrisponde alla Paranoia, come intende oggi da Kraepelin (VI Edizione) e da pochi altri, e si può con ragione chiamarlo « Autopsicosi cronica da idee prevalenti ». Questi malati sono caratterizzati da una speciale energia psichica.

In generale la robusta costituzione di un cervello può venir misurata dalla resistenza agli affetti in genere, specie quelli de- primenti. Così si vedono decadere psichicamente uomini apparen- temente forti, i quali si lasciano trasportare nell’ elaborazione

170

psichica di avvenimenti dolorosi; mentre nulla prova meglio l'at- tività forte cerebrale che l’energia e il buon umore con cui al- cuni querulanti seguitano la lotta per i loro diritti non ostante tutte le disillusioni e difficoltà (1).

Abbozzi di aggruppamenti clinici si hanno qua e là, rappor- ti intraveduti si tradiscono sovente, senza che il Wernicke vi si fermi sopra gran che dal punto di vista del decorso e progno- delle malattie.

» La psicosi motoria ipercinetica si è sviluppata qui (2) co- » me sovente accade, in coincidenza di un puerperio, per quanto » noi sappiamo normale; la paziente è quindi un esempio della » erroneamente chiamata Mania puerperale, colla quale denomi- » nazione si indicano tutte le possibili psicosi acute, quasi mai » la vera mania (3).

La parentela della mania con la melancolia è rivelata dai seguenti fatti (4). Una forma leggera dell’ una suole presentarsi nella convalescenza dell’altra. Tanto la mania quanto la melan- colia sono le psicosi che hanno la massima tendenza alla recidiva, e talvolta invece di un atteso accesso di mania si ha un accesso di melancolia (melancolia sostitutiva) (5). L’esistenza della forma circolare.

Mentre la forma circolare però sviluppa sempre le medesime forme della mania e della melancolia, nella mania recidivante si osservano i quadri più gravi della mania confusa e anche questa unita talvolta a elementi stranieri (6).

Riscontro alla psicosi circolare fa la psicosi ciclica della motilità, frequente più che le forme semplici iper-e acinetiche. In questa psicosi motoria mista o completa si osservano stadi a lei particolari, in cui si hanno contemporaneamente i segni del- l’acinesi, dell’ipercinesi e della paracinesi (7). Una forma di psi-

1) Grundriss. pag. 161.

2) Svolgendo un caso di psicosi acinetica-paracinetica che seguiva ad una psicosi ipercinetica. Lez. XXXII.

3) l. cit. pag. 374.

4) Pag. 367 sgg. in Lez. XXXI.

5) Pag. 357.

6) Pag. 369.

1) Pag. 439 sgg.

4 Ww IP e Cali wa A

171

cosi esclusivamente paracinetica non si può ammettere (1). Qual- che volta si hanno quei sintomi che non sono da attribuirsi a fenomeni elementari di lesione nel tratto T M, ma invece nel tratto I T, cioè si ha una acinesi e una paracinesi intrapsichica (melancolia depressiva, pseudo-melancolia).

Sul decorso e sugli esiti delle malattie mentali il Wernicke molto spesso, sebbene senza alcun ordine e criterio condutto- re, osservazioni preziose e insegnamenti di non dubbio valore pratico. Dal punto di vista generico egli tenta di spiegare il mec- canismo psicogenetico dei vari esiti (2) e null’altro. Noi invece pos- siamo cogliere qua e frutti di esperienza clinica, come i se- guenti.

Nel caso.di una psicosi cronica, se la presenza del delirio di spiegazione denota una attività psichica normale sopra un con- tenuto già stabilmente alterato, essa però non è punto necessaria alla diagnosi di cronicità, e d’altra parte essa non esclude il so- pravvenire di nuovi disturbi della attività cosciente. Il delirio di spiegazione dipende molto nei casi antichi da condizioni estrin- seche, di ambiente, ecc. Se esso però manca totalmente fin da principio, si stabilisce con maggiore facilità uno stato di difetto (3).

Invece i delirî di rapporto, gli errori positivi e negativi di memoria, le idee autoctone e le allucinazioni, siccome possono mancare o non formar sistema, anche quando il processo di seiun- zione avvenuto è estesissimo, e non per tanto non è demenza, così è possibile che tali sintomi stiano ad indicare un processo morboso ancora in fiore (4).

Quanto alle psicosi acute, i criterì essenziali della guarigione sono il modo come il malato dimesso dal manicomio si contiene, e il benessere somatico (5).

Pur troppo l’esperienza insegna quanto ambedue questi cri- teri ingannino e come soltanto essi valgano in generale per qual- che fase o stadio o accesso di alcune malattie,

1) Pag. 441.

2) Pag. 534-543,

3) Lezione XVI e in parte Lez. XI e XII. 4) Pag. 158-159.

6) Pag. 161.

se

Nelle forme croniche gli affetti, anche gravi, corrispondono al contenuto morbosamente modificato della personalità senza es- sere morbosi di per stessi (1); mentre quest’ultima qualità pos- seggono gli affetti nelle forme acute.

La completa fusione dei sintomi morbosi col contenuto sano della coscienza è una condizione che fin dall’inizio fornisce alla malattia i tratti dell’inguaribilità (2).

Un altro segno che aggrava molto la prognosi è la presenza di disorientamento senza corrispondente stato affettivo. « E nei casi » di demenza che si osserva la mancanza di reazione adeguata » ai disturbi acuti dell’identificazione: così negli stati di difetto, » nella paralisi progressiva, nella presbiofrenia e nell’ebefrenia (3).

La demenza terminale, cioè « un difetto o un abbassamento dell’attività di associazione » (4), dipende dall’ampiezza con cui ha luogo il processo di seiunzione e dalla mancanza di quelle con- dizioni interne e di ambiente che danno luogo a stati paranoici.

Essa non è sempre facile a riconoscersi. La psicosi polineuri- tica ad es. (5) ha un inizio acuto e presenta fin da principio sin- tomi di difetto psichico cioè la perdita della capacità di ritenere cose nuove (Merkfahigkeit) e la grave lesione della memoria. Ma non si può qui parlare di involuzione psichica (Blödsinn). Lo stato di difetto psichico è qui dato dalla mancanza di smarri- mento (Rathlosigkeit) pur essendovi un notevole disorientamento allo-psichico.

In forme apparentemente croniche poi, in cui tutto tendereb- be a dimostrare la psicosi come passata ad uno stadio terminale, sorgono talvolta nuovi sintomi che complicano il quadro (6). Se- guono nuove idee deliranti di spiegazione, che progrediscono suc- cedendosi più o meno organizzate in sistema. Il che non è sem- pre segno di inguaribilità, come da alcuni è stato ammesso. In fatti a volte prima dell’esito definitivo si osserva nelle psicosi

1) Pag. 83.

2) Pag. 83.

3) Pag. 226.

4) Pag. 114

5) Pag. 299.

6) Pag. 86. 104. 105.

173

acute uno stadio più o meno lungo, il quale presenta più o meno modificate le lesioni del periodo acuto sotto forma di alterazioni del contenuto, oppure come diminuzione quantitativa delle ass»- ciazioni. Tanto nella forma di stato paranoico, quanto in quella di stato demenziale, questo stadio della malattia è suscettibile completa guarigione (l).

Questo stadio può presentare i caratteri di una allucinosi: ed è in questi casi di allucinosi residuale che una malattia inter- corrente febbrile leggera può condurre a guarigione (2).

La mancanza di coscienza della malattia, se è sempre segno di malattia non guarita, non è sempre segno di stato inguaribile (3); a poco a poco gli errori di memoria possono correggersi, e risve- gliarsì una coscienza anche chiara della malattia sofferta.

Complessivamente, per la prognosi delle malattie mentali, noi possiamo ammettere solo questo (4), che una lesione, una volta avvenuta nella coscienza, può avere le più gravi conseguenze in tutta la vita psichica dell’ individuo, senza che nuovi processi morbosi sorgano, anzi talvolta appunto perchè l’attività cosciente è perfettamente normale, ma deve lavorare su dati erronei, su elementi falsi del contenuto.

Tre conclusioni capitali ci permette l’analisi che noi abbiamo fatta della psichiatria del Wernicke.

1.° Le premesse fondamentali, che sono il filo conduttore in tutte le parti del sistema, sono logiche per e aiutano molto l’analisi dei sintomi: si dimostrano insufficienti a denominare e classifi- care malattie: servono a definire sindromi e non sempre.

2. La psichiatria del Wernicke è il più bell’esempio che si conosca analisi psicopatologica. Ma il Wernicke, che sa ve- dere le più sottili differenze fra sintoma e sintoma, fra sindrome e sindrome, non ne vede sempre le somiglianze in rapporto al fine pratico della medicina, cioè in rapporto alla prognosi delle ma- lattie.

1) Pag. 114. 2) Pag. 117-118,159. 3) Pag. 85. 4) Pag. 105.

iva

3.° Molti dati analitici del Wernicke eonfermano molti con- cetti sintetici del Kraepelin. II Wernicke non si prefigge al- tro fine all’infuori della sintomatologia; il Kraepelin mira in- vece esclusivamente alla clinica: il fatto che i due sistemi si in- tegrano completandosi a vicenda, sebbene nelle apparenze sem- brino in tutto differenti ed opposti, dimostra come col movimento attuale si vada delineando una psichiatria non più essenzialmente diversa a seconda delle diverse scuole, ma una psichiatria scien- tifica, unica, obbiettivamente precisata nei metodi di ricerca e nei postulati fondamentali.

Contributo allo studio della peritonite isterica pel Dott. Ercole Cruciani

T. S. di anni 17, nubile, nata e residente in Casenove (Umbria), ha la madre vivente, attualmente sanissima, e che anni indietro fu sofferente per ischialgia; il padre le mori in eta di circa 40 anni per neoplasma testicolare (sarcoma) e fu alcoolista. Dei fratelli, uno è stato sempre sanissimo, mentre I’ altro, che ora gode ottime condizioni di salute, in passato fu a lungo sofferente di periostite tibiale.

La T. S. fino a pochi mesi addietro ha goduto sempre buo- nissima salute, quantunque non abbia mai potuto condurre una vita agiata, perchè la sua professione di merciaia ambulante, l’ha costretta ad esporsi senza riguardo alle varie vicissitudini atmo- sferiche. Infatti, per gli strapazzi corporei, per l’ alimentazione costituita da cibi grossolani poco nutrienti e male digeribili, per abitare una casa pochissimo salubre, la sua nutrizione generale ha presentato in questi ultimi tempi un certo decadimento e le mestruazioni che dal loro primo apparire (all età di 14 anni) era- no state sempre regolari, hanno da qnalche mese subito modifica- zioni tanto riguardo alla periodicità e alla durata , come pure relativamente alla quantità e qualità del sangue perduto.

Il giorno 24 Maggio ultimo scorso fui chiamato presso la T.S, perchè fino dal giorno innanzi erano apparsi i seguenti disturbi a carico dell’ apparecchio gastro-enterico; dolori molto forti, ris

=

tornanti ad accessi, e diffusi per tutto l’ambito addominale, diar- rea e vomito; la febbre era assente: feci diagnosi di gastro-en- terite, forse ab ingestis, ed istituii una cura adeguata.

Dopo due giorni circa la diarrea era cessata, ma era invece apparso un singhiozzo assai molesto; il vomito si era reso infre- nabile, tanto che la malata non tollerava nessun genere di ali- menti, solidi liquidi, ed erasi avuta una esacerbazione dei fatti dolorosi a carico dell’addome : mentre nei primi due giorni l’inferima era apiretica, nel pomeriggio del terzo di, preceduta da qualche leggero brivido, era apparsa la febbre, che ben tosto rag- giunse i 39° C.

Tralasciando l’ esame obbiettivo praticato la prima volta che fui chiamato presso l’inferma, esporrò, come quello che più diret- tamente interessa, l’altro, redatto il giorno 27 Maggio.

La T. S. giace in letto supina, tiene le gambe flesse sulle coscie e queste sull addome; si mantiene tranquilla nella posi- zione che ora ho descritto ed il volto ha l espressione del dolore.

Di media statura, presenta regolare la costituzione scheletrica del tronco e degli arti, come pure è regolare la conformazione del cranio e della faccia ; notasi un sensibile grado denutrizione, cosicchè la pelle può esser sollevata in piccole pieghe, per inci- piente deficenza del pannicolo adiposo. Il colore della pelle è pallido, ma non sulle regioni zigomatiche, che si presentano ar- rossate; le mucose visibili sono di un color roseo sbiadito.

Il polso è piccolo, ma non molto frequente, battendo circa novanta volte il minuto primo : di escursioni respiratorie, alquan- to brevi e superficiali, se ne contano circa ventiquattro al minuto; il mattino la temperatura oscilla tra i 36.° d e i 37.° C; la sera, preceduta da leggeri brividi, si innalza a 38.° 5 e 39.° C.

Lingua coperta da un intonaco biancastro, rossa ai bordi e all'apice; appetito scarso, sete viva, stipsi.

La malata prova un bisogno frequente di mingere, un senso di dolore alla vescica, che sotto forma di bruciore si propaga lungo l’uretra, e che si fa più intenso verso la fine della minzione: lu- rina, di colore, quantità, reazione e peso specifico ordinario, non presenta nemmeno tracce di principi anormali.

L’inferima accusa un vivo dolore all’addome, che non solo si esacerba spontaneamente, ma in special modo con la palpazione

sia

delicata e sotto il peso delle coltri. Il vomito è infrenabile, con- secutivo alla ingestione immediata degli alimenti, tanto solidi, che liquidi; il singhiozzo frequentissimo, rumoroso, si può susci- tare, anche dopo la più lieve impressione, oppure dopo essa presenta più spiccati i caratteri che gli sono proprii.

L’addome, richiamando specialmente la nostra attenzione per essere la sede delle sofferenze dell’inferma, ci si presenta legger- mente aumentato di volume, di forma globosa: la linea alba ap- parisce appena pigmentata; la palpazione, anche delicata, ovun- que praticata, suscita dolori assai vivi, e per essa le pareti con- traendosi oppongono valida resistenza ; il dolore, si risveglia molto più intenso, palpando in corrispondenza delle regioni ovariche.

Alla percussione risonanza timpanica per tutto l’ambito addo- minale e con lieve accenno ipofonetico sulle regioni ileo inguinali.

Dall'esame dei visceri toracici rileva che essì sono in con- dizioni fisiologiche: deboli i toni cardiaci, ma di chiarezza e timbro normali.

Passando all’esame delle funzioni della vita di relazione, ho notato i seguenti risultati: sensibilità tattile e termica normali; barica e dolorifica aumentate a sinistra.

In quanto ai sensi specifici 1 risultati sono ì seguenti: l’acu- tezza visiva è normale da ambo le parti; le pupille sono ampie e reagiscono prontamente agli stimoli luminosi ed alla accomo- dazione ; il campo visivo è ristretto.

Il senso dell’ udito non presenta particolarità degne di nota, se ne togli alcune sensazioni subiettive che la malata paragona ad uu sussurro e talvolta al rumore dell’ acqua corrente.

Per l odorato non vi è perversione, ma uno stato di iperecci- tabilità; gli stessi fatti notansi per la seusibilità gustativa.

I riflessi cutanei sono normali, all’ infuori dell’ epigastrico, perchè strisciando con l unghia sulla regione epigastrica si nota una viva ed energica contrazione delle pareti addominali; dei ri- flessi tendinei è un poco esagerato il patellare ; sono aboliti il riflesso faringeo ed il congiuntivale.

La ricerca di eventuali stigmate isteriche i seguenti ri- sultati: comprimendo le mammelle, anche moderatamente, si desta un senso di oppressione, che poi si tramuta in una sensazione dolorifica, aumentando la forza comprimente: l’ inferma prova di-

i

sturbi parestesici, come sensazione di vive trafitture, ora qua, ora là, in varie parti del corpo. |

Dai risultati dell’esame obbiettivo e dalla sindrome morbosa offertaci dalla inferma, il primo concetto diagnostico fu quello di una peritonite acuta, sviluppatasi in seguito ad una localizzazio- ne uterina o tubarica, ed in conformità fu istituita la cura. Le ordinarie risorse terapeutiche, largamente adoperate, non leniro- no in modo alcuno le sofferenze della inferma; il dolore dell’ ad- dome, il singhiozzo e il vomito persistevano ostinatamente, cosic- chè fu indispensabile alimentarla con clisteri nutritivi.

Però l esame degli organi genitali, sebbene limitato per do- versi praticare su una ragazza, mi fece escludere l’ ipotesi che il punto di partenza della malattia fosse stato l apparecchio ge- nitale, come pure l’ esame analitico dei varii sintomi locali e ge- nerali, non mi fece rilevare nettamente i caratteri loro proprii, quando siano l’espressione di una peritonite.

Infatti il dolore che P inferma accusava, e che, risvegliato dalla palpazione, appariva assai intenso, avrebbe dovuto produr- re una dispnea molto più forte di quella che presentava codesta inferma; ed anche il meteorismo, che pure non faceva difetto, avrebbe dovuto contribuire a rendere il respiro più ansante, di quanto effettivamente non fosse.

Il singhiozzo, apparso ' qualche giorno dopo l’ esordio della malattia, forse per suggestione, perchè si manifestò frequente e rumoroso il giorno dopo che le domandai se per avventura la inolestasse, differiva notevolmente da quello che neile peritoniti appare nelle ultime fasi del morbo , come signum mali ominis, perchė, apparendo od esacerbandosi dopo una sorpresa, faceva pensare ad un fenomeno puramente nervoso.

Il vomito tormentosissimo, come si osserva nelle peritoniti, ne differiva perchè mentre in tali affezioni è ora spontaneo, ora provocato dalla ingestione degli alimenti, nel caso attuale si ma- nifestava solo dopo l’assunzione del cibo, di qualsiasi natura esso fosse, e seguiva tanto rapidamente la sua introduzione da far ri- tenere che non fosse puranco penetrato nel ventricolo. Conside- rando attentamente i caratteri del vomito che affliggeva codesta inferma, se ne riportava l’ impressione che invece di un vomito provocato per via riflessa dalla sierosa infiammata (tale ritenen-

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dosi il meccanismo del vomito nella peritonite) la causa produt- trice esistesse in una contrazione spasmodica del cardias, perchè all inferma sembrava che gli alimenti, tanto solidi che liquidi, si arrestassero davanti allo stomaco.

Il polso pure aveva dei caratteri importanti e sufficenti a legittimare il dubbio, che invece di una flogosi peritoneale, ci fosse presente quella forma nervosa, cui il Gubler ha dato 1l nome di peritonismo; infatti esso era piccolo, ma non molto fre- quente, come costantemente si osserva nelle peritoniti, fin dal-

l’inizio del morbo. Ho voluto di proposito sofferma. mi sull’ analisi comparativa

dei varii sintomi offertici da codesta inferma per poter rischia- rare la diagnosi, che si presentava oltremodo oscura.

Quantunque la malata presentasse parecchi caratteri, pei quali la si poteva, senza tema d’errare, giudicare un’isterica, quan- tunque l’ interpretazione dei varii fenomeni osservati facesse pensare a fatti puramente funzionali, pure mi sembrava molto arduo formulare la diagnosi di peritonite isterica.

Il meteorismo, non molto accentuato, la mancanza di zone con ipofonesi spiccata, di raccolta liquida intraperitoneale, di sfregamento peritonitico, non erano, secondo me, sufficenti ad avvalorare la diagnosi di peritonismo ; perchè in una forma mor- bosa, da pochi giorni iniziatasi, quei sintomi, che non avevano ancora raggiunto un notevole grado di sviluppo, potevano in se- guito estrinsecarsi in una forma più chiara e completa, e nel me- desimo tempo rendersi evidenti gli altri, che fino allora facevano completamente difetto.

D’ altro canto, la forma particolare con la quale alcuni sin- tomi si manifestavano non era sufficente a farmi escludere in modo assoluto l’ esistenza di una peritonite, pensando che se tale affezione si fosse sviluppata in un soggetto isterico, alcuni feno- meni ad essa proprii, avrebbero potuto assumere parvenze speciali.

La febbre poi che, quando non esiste, costituirebbe per al- cuni osservatori un elemento validissimo per la diagnosi differen- ziale, nel nostro caso, sebbene non molto elevata, pure era pre- sente, e faceva pensare che fosse l’ espressione di una flogosi del peritoneo.

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Ma un fatto nuovo sopraggiunse a dissipare ogni dubbio: il 3 Giugno l’inferma fu ammessa all’ Ospedale Civile di Foligno, dove rapidamente migliorò, più per l efficacia suggestiva del- l’ambiente, che per virtù di medicamenti: qualche iniezione ipo- dermica di acqua sterilizzata, e l’ applicazione di una pomata sedativa, dissiparono in breve i dolori addomirali ed il meteori- smo, attenuarono notevolmente il vomito e il singhiozzo; i primi più non assalirono l’ inferma, ma, can varia vicenda, gli altri due sintomi continuarono per qualche tempo a molestarla, ad onta che persistesse ad adoperare varii medicamenti. L’esito, cosi ina- spettato, confermò l’ ipotesi che si trattava di quella forma mor- bosa, nota sotto il nome di peritonite isterica.

Sebbene il caso che io ho avuto l’agio di osservare, dopo pochi giorni, con una crisi inaspettata,abbia completamente chia- rito l’ oscuro diagnostico, pure mi è sembrato interessante ricor- darlo, per essere relativamente poco frequenti quelli illustrati nella letteratura medica.

Nel 1848 e 1849 primo a descriverla al mondo scientifico fu il Porcher (Hysteria simulating acute peritonitis. Annalist. New- York t. 3. ) e sotto lo stesso titolo il Gramshaw nel 1853 nella Md. Times and. Gaz. di Londra.

Ne parlarono quindi il Courtois-Suffit nel Trattato di Me- dicina pubblicato sotto la direzione di Charcot, Bouchard e Brissaud (T. 3°, pag. 653. Parigi 1892); inoltre ne fecero men- zione Gilles de la Tourette, nel Trattato clinico e terapeutico dell’ isterismo (2° parte pag. 355 Parigi). e nel 1898 il prof. Rendu in una lezione clinica all’ Hopital Necker di Parigi, raccolta nella Médecine mod. del 25 Giugno 1898.

In Italia monografie sull’ argomento furono pubblicate nei numeri 2:35 e 236 del 1894 della Riforma Medica da Massalongo e Farina ti, sotto il titolo di: Isterismo Viscerale; dal Boari nell’ Ottobre 1895, nel Bollettino delle Scienze Mediche di Bolo- gna, sotto il titolo di Pseudo- meningite e pseudo- peri- tonite isterica; più recentemente poi nel 23 Ottobre 1896 il dott. Cappelletti, Vice-Direttore del Manicomio di Ferrara, fece oggetto di comunicazione a quella Accademia di Scienze Mediche e Naturali un caso di peritonite isterica, sotto ogni riguardo in- teressante.

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Mi piace rilevare che sulla mancanza della febbre nella pe- ritonite isterica alcuni osservatori si basarono per formulare la diagnosi differenziale. Il caso che io ho avuto l'occasione di ri- cordare, e nel quale constatai reazione febbrile, dimostra che l as- senza di questo sintoma non vale gran che a consolidare la dia- gnosi di peritonite isterica, tanto più che la febbre può manca- re nelle infiammazioni tubercolari della sierosa peritoneale, ed es- sere invece presente, con altezze anche considerevoli , in queste forme isteriche, come hanno nei loro casi osservato Massalongo e Farinati, Boari, Cappelletti.

Nella sua pubblicazione, il dott. Cappelletti opina, che la reazione febbrile nella sua inferma, fosse un fenomeno di auto-in- tossicazione, determinato dai gravi disturbi intestinali; io, al contrario, nella mia malata, non la credo dipendente da tale fattore, perchè si sarebbe dovuta accendere nei primissimi giorni di malattia, quando appunto più intensi erano i disordini da par- te del sistema gastro-intest:nale (diarrea). Nel caso da me osser- vato ritengo che la febbre sia di natura nervosa (febbre isterica); e in questo concetto mi conferma anche !’ esame delle urine, che si presentarono chiare, abbondanti, prive di principii anormali, insomma senza i caratteri delle urine, appartenenti ad individui colpiti da malattie infiammatorie. Non potendo adunque convenire con coloro, che ritengono l'assenza della febbre un sintoma quasi patognomonico della peritonite isterica , come pure non potendo sempre valerci della cloronarcosi e della suggestione ipnotica, per far dileguare i sintomi proprii del peritonismo e nemmeno considerare questi due mezzi come un sussidio semeiotico sicuro, è necessario concludere che la scienza non offre finora un mezzo sicuro per la diagnosi differenziale, e che il più spesso sono gli infermi stessi che con una crisi inaspettata, con quel rapidi cambiatuenti di scena, che si osservano non di rado nei soggetti isterici, squarciano il fitto velo che ci nasconde la dia- gnosi.

Dinanzi a tale incertezza, faccio mie le parole, con le quali il dott. Cappelletti chiude la sua interessante monografia : « non è inutile raccomandare la prudenza nel giudicare, la mas- sima prudenza nel consigliare e nel compiere atti operativi ».

Casenove (Umbria) 1 Novembre 1900

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Per la diagnosi e la prognosi delle malattie mentali del Dott. Alberto Vedrani

HI

she Onde tanta diversita di giudizii ? Chi voglia rendersene ragione deve ascendere all’analisi del criterio che giustifica le distinzioni nosologiche. Non c’è un malato che sia uguale all’altro: ma mentre ce ne son molti che non presentano fra di loro alcana analogia, ce ne sono altri che ne manifestano moltissima. Il riunire questi casi analoghi e il distinguere quelli differenti costituisce per il medico il prima dei bisogni. Il pratico in tanto sa qualcosa, in quanto può riferire il fatto at-

tuale a fatti precedentemente a lui noti. Murri - Rivista critica di Clinica Medica.

Anno I pag. 418.

Vediamo, in casi concreti, come si presenta più comunemente, e in quali combinazioni sindromiche, il rallentamento psicomoto- rio. Per ciò prendiamo in esame alcuni casi di frenosi maniaco- depressiva conclamata, in fase depressiva. Può darsi che questa esposizione di casi clinici attedi chi legge, ma dirò anch’io che i fatti sono sempre più istruttivi dci precetti, almeno per chi pre- ferisce avere cognizioni in luogo di opinioni. Senza casi concreti, ha detto Aschaffenburg in un interessante dibattito (1), man- cherà sempre un saldo punto d’appoggio nella discussione sopra una forma clinica.

A proposito di storie cliniche, apro subito una parentesi per rispondere alle censure che Klinke, in un recente fascicolo del Centralblatt fir Nervenheilkunde (2), mi ha fatto Ponore di ri- volgere al mio ultimo articolo « per la diagnosi e la prognosi delle malattie mentali ». Per l'indole di questi scritti, intesi ad agitare questioni sorte per un movimento che io reputo ascen-

1) Allgem. Zeitschr. f. Psych. BA LV. pag. 66. 2( N. 130. 1900 Novembro p. 686-97.

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dente per la psichiatria, io mi trovo a dover fare un poco (rubo il paragone a un illustre scrittore italiano) come quei ricostrut- tori, non so più se delle mura o del tempio di Gerusalemme, i quali, raccontano le sacre carte, in una mano tenevano la caz- zuola e lavoravano all’opera, e nell’altra tenevano un dardo e di- fendevano dai nemici l’opera nascente.

Klinke non solo si professa in parte avverso alla dottrina kraepeliniana dell’unità delle forme maniaco-depressive, ma egli trova anche che io non ne sono buon sostenitore. Infatti io, se- condo lui, ho cercato di addentrarmi negli stati misti della fre- nosì maniaco-depressiva, ma ho recato in appoggio di queste ve- dute solo alcune storie molto scarse. Ora io ammetto che fin ora non ho portato molti fatti per conferma della dottrina degli stati misti, ma Klinke deve ammettere con me che non ne ho avuta, almeno non ne ho mostrata, l’intenzione. Io fin ora ho solamen- te esposta quella dottrina, che tengo per dimostrata finchè la cri- tica non abbia portato contro al lavoro del Weygandt delle ragioni e non delle parole e non dei rimproveri « di una os- servazione non del tutto rigorosa dei fatti clinici »; invece ho riferita la storia sommaria di alcuni casi, dove le sindromi ma- niache e depressivo-stuporose si succedono e si alternano con la più grande irregolarita, a distanze differenti di tempo: sindromi davanti alle quali il medico, in generale, smarriva il concetto di un processo morboso immanente ed unico, e diagnosticava ora la mania, ora la frenosi puerperale od isterica, ora la confusione mentale o la demenza acuta. Del resto, dopo tutto, anche Klinke ammette che « nessuno vorrà negare la reale esistenza della forma morbosa indicata da Kraepelin: il nome è del tutto indif- ferente »; ma, anche per lui, il punto controverso e di cui io ho, secondo lui, anticipata (corlaufig) la soluzione, è se la mania la frenosi periodica ce quella circolare siano tutte manifestazioni di uno stesso ed unico processo morboso.

Ora se io portassi centinaia di quelle storie cliniche esau- rienti, che Klinke desidera invano nel mio scritto, io non potrei per tale via indurlo in questa persuasione. Perchè qui è questio- ne di buon senso: si perviene all’ idea di questa unità per con- siderazioni di analogia con altri processi morbosi, e per lo studio dei sintomi sopratutto: è vero o non è vero che è straordinaria-

5403 =

mente raro il caso di un accesso maniaco unico nella vita? (1) è vero o non è vero tutto ciò che si contiene nel passo che io ho riferito (mit wenig Gluck, crede Klinke) dal libro di Werni- cke, dove il grande osservatore conclude, per un’intima parentela (innere Verwandtschaft) fra la mania genuina e la depressione ? o non è vero Che il numero dei casi clinici, i quali si acconcia- no alla rigidità degli schemi assegnati alla frenosi circolare e alla periodica (nel senso genuino che alla parola vuole riservato il Hitzig (2), è ben piccolo in paragone della grande maggioran- za di casi in cui le stesse sindromi si ripetono senza regola? e

1) È noto che Kraepelin sopra 1000 malati, dei quali negli ultimi anni ha potuto seguire la sorte, ha trovato uno solo che ha subìto un breve ec- citamento maniaco nell’adolescenza e non ne ha patito più mai. In tutti gli altri casi che potè seguire abbastanza a lungo , il primo accesso maniaco fu precursore di una frenosi periodica e circolare. Il Kraepelin ha visto un accesso maniaco ripetersi dopo 32 anni. Ho già detto altrove che Ivan Erp. Taa!man Kip. (Allgem. Zeitschr. f. Psych. Bd. LIV. p. 119) ha interrogati a questo proposito gli archivi del manicomio di Dordrecht, e, dopo sceverati i casi nei quali la diagnosticata mania era evidentemente una sindrome nel corso di diverse malattie (psicosi alcooliche, ebefrenia, catatonia, demenza paranoide, psicosi senili ecc.), conclude: « di 856 pazienti (1140 ammissioni), almeno 4 (al più 6) hanno subìto fin ora un solo accesso maniaco. Queste cifre sono già tali da giustificare la conclusione che una mania acnta, ma- lattia a sè, è straordinariamente rara. Che se poi si valuta il fatto che di questi pazienti dne hanno subìto l’accesso da breve tempo (°93 e ’94) e sono rispettivamente al 25° e 46° anno di età, si dovrà convenire nell’ammettere che questi due casi non si possono recare in prova dell’ esistenza indipen- dente della mania acuta. Gli accessi degli altri risalgono in uno ad 11 e in altro a 9 anni fa; mentre l’età di questi pazienti è ora rispettivamente di 38 e 29 anni ». Anche Hinrichsen (Allgem Zeitschr. f. Psych. BA. LIV. p. 786) con analoghe ricerche conclude che la mania acuta semplice è una malattia rara.

2. Ref. in Schmidt’ s Iahrbücher Bd. 259 p. 25. «Hitzig versteht unter periodischen Psychosen ausschliesslich solche Krankheitformen, die in ihrer eigenthumlichen Erscheinung regelmässig periodisch wiederkehren ». In Ita- lia Tonnini fino dal 1883 (Archivio italiano per le malattie nervose p. 23) metteva in vista la difficoltà di mantener distinte le frenosi periodiche dalle circolari, e la comune lipemania con stupore da quella dei circolari. Quanto agli stati misti, essi sono ammossi anche da Morselli. V. note al Ballet p. 194.

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non è vero che le distinzioni asserite tra la mania semplice e quella dei circolari e quella dei periodici sono artificiali e smen- tite dall’ osservazione quotidiana, onde non c’è nessun clinico al mondo che sappia distinguere se un accesso maniaco è semplice o fa parte di una forma periodica o di una circolare? Ma se la distinzione è impossibile, I’ unità s'impone.

Naturalmente questa idea, che chi patisce nella vita di qual- che accesso maniaco, porta in la malattia stessa di un altro che ne patisce di moltissimi, con fasi depressive e miste per giun- ta, non si può dimostrar vera collo stesso rigore logico con cui dimostra che il quadrato costruito sull’ipotenusa di un trian- golo rettangolo è eguale alla somma dei quadrati costruiti sui cateti. Non c’è neppure una pietra di paragone per dimostrare che chi soffre di qualche raro insulto epilettico ha in la stessa malattia, per la quale certi infelici nei nostri asili stramazzano continuamente a terra o entrano in stati d'angoscia e di malumore. Ma chi pretendesse il rigore matematico in questioni come que- sta, mostrerebbe di non avere meditato abbastanza sul processo mentale pel quale la medicina è pervenuta a certe distinzioni nosologiche. « Non si può negare, insegna Murri, che certe specie morbose non sono ammesse che per le singolarità dei loro sintomi, per es. il morbo di Basedow e l emicrania. Si conoscono forse il meccanismo intimo del dolore dell’emicrania, la sede dell’alte- razione che n'è l’origine, la causa precisa, i rimedi? No certo: eppure nessuno potrebbe dubitare che l emicrania costituisca, per ora, una specie morbosa distinta. Egli è che la sua intermit- tenza, l’essere prevalente in un certo periodo della vita, l’associusi del dolore a disordini vasomotori, visivi, uditivi, gastrici, quali in nessun altro dolore si avverano, il suo costante alternarsi o ces- sare coll’età avanzata, l’esito non mai funesto, la costante assen- za di note lesioni anatomiche, riferibili ad essa, nei cadaveri di coloro che ne soffrirono, costituiscono una riunione di tratti così singolari e così costanti che sforza ad ammettere che l'origine loro sia pure singolare e costante » (1).

Ë appunto alla singolarità dei sintomi che noi riconosciamo anche questa entità clinica della frenosi maniaco-depressiva. Ha

1) Murri. Del Paramioclono molteplice (Livista critica di Clinica medica Anno I. n. 23).

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torto Klinke, quando mostra di credere che noi vogliamo inqua- drare in questa grande cornice lulle le possibili forme (alle mö- glichen Elnselformen); solo le forme che presentano certi sintomi peculiari noi le ascriviamo per ora alla frenosi maniaco-depres- siva, ed 10 mi ero proposto questa volta di fermare l’ attenzione sopra uno questi sintomi: il rallentamento psicomotorio.

A proposito del quale c’è ancora confusione d’idee e dis- senso d’apprezzamenti. Non gia che questo fenomeno fosse ignoto agli psichiatri prima che il Kraepelin ne promovesse la cono- scenza: tuttaltro. Ultimamente Bresler (1) ha voluto far osser- vare che gia Emmerich aveva rilevata la precisa importanza dell’arresto psicomotorio. Una volta messosi sulla via delle riven- dicazioni, il Bresler poteva tirare innanzi e risalire fino a I. Fal- ret: dalle cui lezioni, pubblicate nel 1864 (2), PEmmerich at- tinse la descrizione della depressione dei circolari, quando, dicias- sette anni dopo, dettava il suo splendido articolo » ueber cykli- sche Seelenstörungen » (3).

« Gli ammalati, si legge a pagine 467 del libro di Falret, rimangono allora del tutto solitari e nell’immobilità...... L’indebo- limento diviene di giorno in giorno più manifesto; infine, in certi casi, arriva un momento che l’ammalato è come trasmutato in una statua. L’istinto della conservazione è anch’esso indebolito al punto, che ammalato non avrebbe l'impulso sufficiente per an- dare a cercare gli alimenti o per domandarli, se non gli fossero offerti ed anche con insistenza. Il corso delle idee è molto ral- lentato; è raro tuttavia che questo stato arrivi fino alla sospen- sione completa dell’intelligenza, fino all’ idiotismo accidentale, I sentimenti sono molto indeboliti: il malato non manifesta simpa- tia antipatia; egli si lascia andare, senza reazione, all'impulso che gli si dà. Egli ha perduto ogni spontaneità d’azione. 1 movi- menti sono nulli o quasi nulli. Spesso si è obbligati di trasci- nare gli ammalati dove si vuol condurli, vestirli e spogliarli, o almeno di dar loro l'impulso perchè compiano certi atti. I sin- tomi fisici sono i seguenti: la faccia è pallida; i tratti, tirati in basso, esprimono l’indebolimento piuttosto che l’ansietà. Il mala-

1) Schmidt’ s Jahrbiicher Bd. 266, 1900 pag. 27. 2) I. P. Falret Des maladies mentales ecc. Paris, 1804. 3) Schmidt’s Zakrbiicher Bd. 160, 1881 pag. 193.

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to sembra provare un sentimento di malessere generale, e tutti gli organi della locomozione sono in uno stato di torpore. L’ap- petito è molto diminuito; il malato mangia lentamente; la dige- stione è egualmente lenta e la defecazione stentata,...... Tali sono i fenomeni più costanti nello stato di depressione: ciò che ci ha fatto dire che era il fondo dello stato melancolico senza il suo rilievo, cioè a dire senza idee deliranti bene determinate. Tutta- via ci sono alcuni ammalati che presentano idee predominanti; e, fra queste idee, faremo notare quelle d’umiltà di rovina d’avve- lenameuto e di colpabilita ».

E di Falret sono queste auree considerazioni: « la follia circolare è una torma di malattia meutale frequente? A giudicare dalla poca attenzione coucessa tin qui ai fattı di questo genere, e dal nuwero dei ricoverati nei quali la diaguostica, LON Sä- rebbe frequente; ma ci sono molteplici cause d'errore, che lupe- discono di apprezzare esattamente il suo grado di frequenza. lu tatti, tn generale, non si segue con basievule accuratezza il de- corso delie malatlie mentali. Il più spesso si sla contenti allos- servazione del malato in un dato momento, e non ın tutlo il decorso della sua affezione. Ne risulta che, data questa direzio- ne dell’osservazione, si fa figurare questi ummatati ura tra i maniaci, ora tra i melancunici, secondo il momento nel quale si osservano. L'altra parte è raro che ll medico trovi in con- dizioni abbastanza favorevoli, per puter seguire lo stesso malato per molt anui. Di più siccome questa forma di malatua mentale, uel due periodi che la costituiscono, nou preseuta ordinaria. nente 1l grado d’intensità della mania e dell’alienazione parziale propriamente detta, ne segue naturalmente che 1 malati di que- slo genere rimangono lu società ».

Si argomenta da alcune di queste sapienti cousiderazioni del medico della Salpètriére che egli, nel tempo stesso che usciva in Germania il « Gruppirung der psychischen Krankheiten », segui- va un indirizzo nel quale fu grave danno all’avauzamento della psichiatria non perseverare. Se cosi non fosse stato, 101 non Sa- remmo ancora qui a cercare d’intenderci sull’importanza clinica di uno dei fenomeni più comuni e salienti della psichiatria, noi non leggeremmo come in qualche lavoro recente la formola dia- gnostica « melancholie con stupore (Katatonie) »: melancolia

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con stupore fatto sinonimo di Catatonia. Che in quest’errore incorressero qualche volta i primi che hanno data opera allo studio della Catatonia, si capisce e si scusa: in nessun modo si può capire o scusare ai nostri giorni.

Noi riserviamo dunque il nome di rallentamento ed arresto psicomotorio all’acinesi che costituisce uno dei sintomi cardinali della fase depressiva dei circolari: diciamo rallentamento od ar- resto, perchè nessuna di queste due parole vale a designare tutti . i gradi e ì passaggi del fenomeno: aggiungo fin d’ora che la pa- rola arresto ha qui un contenuto descrittivo non interpretativo; contempla il fatto nelle sue apparenze, non nel suo meccanismo d'origine. Si usa infatti in psicologia la parola arresto (Hemmung) a designare una perdita di intensità che un fenomeno di coscien- za subisce per opera di un altro fatto cosciente simultaneo (1). Ma noi ci restringiamo a constatare che quella che Herbert Spencer chiama « la trasformazione del cambiamento psichico nascente, che costituisce al tempo stesso la tendenza all’ atto e l’idea dell’atto, nel cambiamento psichico positivo che costituisce il compimento dell’atto », tutto, insomma, lo svolgimento dell’azio- ne volontaria è qui inceppato e difficoltato. Da quali resistenze non sappiamo: noi sappiamo solo che il paziente in generale le avverte; che, incitato, si prova a vincerle; che possono cessare a un tratto specialmente per effetto di emozioni (in una mia infer- ma l’arresto caratteristico cessò a un tratto per la paura d’ un topo, e diede luogo a un eccitamento presto seguito da guarigione); che un’ agente come l’atropina può determinare, come ha di- mostrato in un caso Belmondo, una transitoria sospensione queste oscure azioni inibitrici. In una donna che presentava arresto psicomotorio, stabilitosi dopo uno stato di sovreccitazione, la iniezione di un milligrammo d’atropina non solo elevò il nu- mero delle pulsazioni da 42 a 60, ma produsse un momentaneo risveglio dell’attività associativa e psicomotoria (2).

1) Heymans in Zeitschr. f. Psych. und Physiol. der Sinnesorgane BA. XXI H. 5. 1899.

2) Belmondo. Polso raro in un’alienata dimostrato come un fenomeno di natura inibitoria. (Rivista di patologia nervosa e mentale Anno I fasc. 9). E noto che Hitzig ha proposto l’atropina per troncare l’accesso dei circolari,

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Certo che, contrariamente a quanto suggerisce l’analogia de- gli influssi d’arresto che certi stati affettivi esercitano sulla psi- comotilità, non si può riter.ere questo fenomeno necessariamente collegato collo stato del sentimento; non fosse altro per questo che, come alcuni dei casi seguenti dimostrano, molte volte duran- te e ancor più nell’acme del rallentamento psicomotorio non è riconoscibile, e, per attestazione dei malati, non esiste un affetto qualsiasi. « Col mancare completo dell’attività associativa, scrive Wernicke di questi malati (Grundriss, II p. 443), manca altresi latffetto che si collega col senso della insufficieuza subiettiva....... E perd presumibile un sentimento d’ansia solo che noi ricordiamo che auche il tacere dell’ attività associativa rappresenta, in certo senso, una minaccia per l’organismo ». Se affetto c’è, sarebbe dun- que, secondo Wernicke, secondario. Del resto, secordo W ey- gandt « non si può per ora dire precisamente che rapporti cor- rano tra questi tre ordini di sintomi della sfera psichica, gli af- fettivi, i psicomotori e gli associativi. E sicuro che la subordina- zione, più volte asserita, dei processi associativi ai psicomotori aspetta ancora di essere dimostrata, e non è sufficiente la dottrina di un semplice acceleramento del corso delle associazioni nella mania e di un rallentamento nella depressione; alterazioni qua- litative hanno senza dubbio una parte importantissima nell’ideor- rea e nel rallentamento del peusiero. Tanto meno resiste alle contraddizioni e alle obbiezioni l’idea, che ha lungamente do- innato, dell’ affezione primitiva del sentimento e della prece- denza del disturbo affettivo. Non si ha nessun diritto di subor- dinare l’attività psicomotoria a quella affettiva: io potrei addurre, a questo proposito, il fatto, sicuramente stabilito sperimentalmente, che appunto mediante un eccitamento psicomotorio, come già mediaute una passeggiata di alcune ore, si può provocare il buon umore con accenni di ideorrea e, specialmente, associazioni per assonanza. Sono note anche le osservazioni di Lessing sulla pro- vocazione degli affetti per via dell’eccitamento psicomotorio, onde egli nella Dramaturgia raccomanda agli attori, inesperti nella rappresentazione degli affetti, di riprodurre dapprima fedelmente i gesti, i movimenti espressivi che corrispondono a un determi- nato affetto, per così suscitare in l’affetto stesso (1) ».

1) Mischxustinde p. 3.

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Rientrando nel mio proposito, io vorrei dimostrare che « esi- ste nel fenomeno tanta peculiarità d’attributi che basta a rivelare un’ esistenza distinta del processo che gli origine, onde dove troviamo questi attributi, ivi concludiamo che esiste il processo ».

M. Rossi di anni 19, nubile, lavoratrice di campagna: (Non pare che nella sua famiglia ci siano precedenti di neurosi o psicosi. Si hanno di que- sta giovane le notizie seguenti: era mestruata da due anni: aveva costitu- zione fisica robusta, colorito roseo, sguardo, parola, andatura normale; ca- rattere mite, intelligenza mediocre. Il medico curante, inviandola al mani- comio il 10 Settembre 1899, aggiunge che l’ ebbe a curare altre due vol- te a casa, degli stessi disturbi psichici che ora presenta, sebbene più legge- ri, sempre con esito soddisfacente. Una mattina, venti giorni prima che fos- se condotta qui, la madre s’ accorse che questa giovane non era più in con- dizioni normali : stava silenziosa, immobile collo sguardo fiso. Persistendo queste condizioni, si decise di ricoverarla nel manicomio).

Si presenta stuporosa, immobile, come irrigidita. Mantiene indefinita- mente la posizione seduta od eretta nella quale è lasciata. La faccia non esprime nessun affetto. Gli occhi sono quasi immoti, per lo più piegati a terra o diretti nel vuoto: il battito delle palpebre raro. Invitando ripetuta- mente l’ ammalata a manifestazioni attive di movimento (alzare il braccio, estendere la gamba, metter fuori la lingua, alzarsi in piedi), nota qualche cenno di movimento della parte: il movimento richiesto è appena iniziato, ma si vede che non riesce a compierlo e l’ammalata rientra nella sua inerzia.

Negli arti superiori e inferiori si possono compiere, senza trovare oppo- sizione, tutti 1 movimenti passivi di estensione, flessione, abduzione, adduzio- ne: levando il braccio, questo non ritiene la posizione e ricade tosto nel grembo. Anche la testa è mobile in tutti i sensi. Durante tutte queste ma- novre l’ammalata leva qualche voita, fuggevolmente, l’ occhio verso I’ osser- vatore. Pungendo fortemente la regione dorsale d'una mano con la punta dello spillo, la mano è dapprima semplicemente rivolta; poi in- sistendo l'osservatore a pungere, ritratta con movimento lento: l ammalata guarda l’ osservatore e accenna a voler parlare; ma la parola non è formata e la donna rimane silenziosa e inerte. Nell’ interroga- torio ottengono solo le seguenti risposte bisbigliate e tarde, dopo aver ripetute molte voltc le domande ad alta voce.

D. Come ti chiami? R. Maria R....

D. Che mestiere fai? R. Che mestiere? Lavori di campagna.

D. In che paese sei nata? R. In che paese ?.... in che paese ?.... a Torre.

D. In che città sei adesso? -- R. In che città ?.... gut son venuta... perchè...

D. Perchè ti hanno condotta qui? R. (dopo 15 secondi) per guarire.

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D. Sei ammalata? R. Sissignore.

D. Sei matta? R. Matta?....

D. Che malattia è la tua? R. Sarà la febbre.

D. Quanti giorni sono che sei qui? R. Quanti giorni?....... saranno quindici giorni (sono sette).

21 Ottobre. Ancora lo stato di stupore :

Quanto tempo è che sei qui?

(a voce afona).... sard...... 8arà...... è un bel tocco che sono quai...... 10 vorret andare a casa.

16 Novembre. Da alcuni giorni l’inferma è più sciolta: ora lavora di calze, sebbene con sorprendente lentezza, senza vivacità; risponde a tutte le domande: dice che provava sempre un gran male di capo. Ha fissato pochi ricordi del tempo della malattia: domandata cosa pensava, risponde che non pensava nulla: richiesta quale fosse il suo sentimento, non ricorda di aver- ne avuto nessuno.

Dopo poche settimane è dimessa completamente guarita.

Generosa Borg.... ora ha 32 anni. È contadina: non ha nulla di rile- vante dal lato ereditario. Costituzione fisica robusta, intelligenza mediocre, la sua vita non ebbe nulla di notevole fino a 23 anni, quando (nell’ Aprile 91) ammalò di angina difterica che perdurò quindici giorni: il medico scri- ve che la febbre alta continuata e l insonnia, mentre durò |’ acutezza del male, indussero nella donna un’estrema prostrazione di forze. « Dopo 3 o 4 giorni dacchè fu alzata (secondo che scrisse allora il medico), cominciò a divagare con discorsi vari e strambi, agitandosi colle varie parti del corpo, cantando o ridendo senza mai inveire contro od altri, anzi sempre era gaia: avvertiva le orine e le feci, riposava ad intervalli irregolari ed allo stesso modo si cibava. Questo stato perdurò per circa una settimana, nel qual tempo fu trattata con bagni e bromuro: poi lentamente attenuò e la donna aveva anche cominciato ad attendere a qualche piccolo lavoro di casa quando ai primi di giugno, dopo una notte insonne, ricominciarono sma- nie più forti delle antecedenti, perchè questa volta mostrava davvero ten- denza a distruggere (si assise sopra una tacchina, che covava, staccandole il collo). Braccia e gambe erano in movimento perpetuo; lasciava andare urine e feci, mangiava a sbalzi, non dormiva ».

Fu ammessa nel manicomio il 9 Giugno 1891 (agitata e clamorosa, è scritto nel diario, non parla, emette solo grida come fosse spaventata) e uscì guarita il 25 Settembre.

Dopo 8 anni è ricondotta al manicomio nel Gennaio 1900. Un mese prima aveva preso marito. Anche questa volta presentò il quadro di una mania classica. La durata fu breve e il 21 Marzo fu dimessa.

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Ma il 9 Maggio dello stesso anno ¢ ricondotta nel manicomio. Scrive il medico che l’invasione questa volta è stata lenta con insonnia, debolezza ge- nerale e agitazione: di notte si alzava ed errava in camicia.

9 Maggio. Sta seduta cogli occhi bassi, spontaneamente non parla c non muove. Sembra tenuta da una leggera tensione angosciosa. l’unta in un avambraccio, lo ritira lentamente. Invitata a compiere movimenti, accenna ad ubbidire, ma i movimenti richiesti sono appena iniziati. Interrogata del suo nome, si vede che prima fa movimenti colle labbra, poi riesce a dirlo a voce atona. Aggiunge anche sempre a voce afona: « mi lasci andare di » e, vedendomi scrivere, « non scrivere ».

Queste condizioni, a volte più a volte meno intense, si mantengono tuttora. Riproduco alcuni brani di conversazione che possono dare qualche luce sullo stato di coscienza dell’ inferma.

16 Maggio. Interrogata, risponde colla solita lentezza e col solito ritardo il suo nome e quello del mese, ma non sa dire il giorno. Vedendomi scri- vere, ripete parecchie volte spontaneamente: non voglio che scriva, fa male a scruvere... che si sconquassa tutto.

Fai fatica a parlare?

Faccio fatica ww: è come avessi perduta la voce... pare, mettiamo, che non sappia che cosa ho da dire.... almeno avessi salvato i miei.

Sei allegra?

Come vuole che sia allegra essere tornata qui... non scrivere perchè... perché......

In principio d’ Agosto c'è stato un breve periodo in cui l’ inferma era più sciolta e pareva avviata a guarire. Ecco infatti l’ interrogatorio del 2 Agosto.

Che cosa avevi l’altro giorno che non parlavi?

Che cosa vuol che dica: non so neppur io.

Ma che cosa provavi?

Mal di testa... adesso sto meglio.

Che cosa pensavi tutto il giorno?

Niente... non pensavo niente sentivo che non stavo bene e non sapevo che fosse.

Perchè dicevi: non scrivere ?

Non so mi pareva che lei non facesse bene a scrivere.

Una notte d’ Agosto entra in uno stato di agitazione, con logorrea e canti, dal quale subito fece passaggio, un altra volta, allo stato sopra descrit- to di arresto psicomotorio.

Maria Far. di 53 anni il caso dell’ osservazione V dell’articolo ante- cedente. K venuta al manicomio a 30 anni per un primo accesso di agita- zione maniaca, seguita da depressione, durato undici mesi; a 48 anni per un

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secondo accesso di mania seguìto pure da depressione, e una terza volta sul- la fine dell’anno passato nelle condizioni seguenti):

La faccia esprime stupefazione e dolore. Non ha nessuna tendenza a variare la posizione, seduta od eretta, nella quale è lasciata. Qualche rara volta si alza in piedi spontaneamente e ci si mantiene a lungo, o muove lentissimamente qualche passo e subito si arresta. Ciò che colpisce alla pri- ma vista in questa donna è una continua distraibilità, per cui gira lentamente il capo verso tutti gli stimoli uditivi e visivi senza fissarsi mai: tende l’ orecchio a un rumore del corridoio, volta la testa verso una perso na che passa, poi guarda il grembiule; anche le mani sono tenute dalla Stessa inquietudine e dalla stessa distraibilità, onde sono portate alla testa per acconciare ì capelli, poi sono sotffregate luna contro l'altra, poi passano ad aggiustare una piega del vestito ecc.

Non rivolge mai la parola a nessuno: qualche rara volta mormora fra qualche parola come: voglio andare a casa non voglio saper nulla di storie questi non sono è miei panni (queste frasi sono pronunciate tutte di seguito).

Pungendole collo spillo una mano, reagisce abbastanza prontamente ri- traendola. Invitandola a compiere movimenti attivi (alzare il braccio, met- ter fuori la lingua e simili) bisogna sempre ripetere molte volto l invito per ottenere qualche volta che eseguisca l’ ordine: il più spesso il movimento richiesto e solo iniziato. Anche negli interrogatorî si ottengono, solo qualche volta, risposte tarde, stentate, susurrate, alle domande più insistenti.

31 Gennaio. Come ti chiami ?

R. Maria Far....

D. Quanti anni hai?

R. Non so... non so più non so dove sia, non ho memoria... voglio andar fuori di qui.

D. É vero che sei stata qui altre volte?

R. mentre fa attendere queste risposte, l’ ammalata colla solita distraibilità guarda attorno, si guarda la persona, si torce il grembiule: improvvisamente mormora: ho paura di star qui... mi legano mi caccian giù, © piange).

D. Perchè piangi?

R. Perchè non vedo più i miei.

-- D. Sei malata?

R. che sono malata... se potessi andar a vedere è mici bambini.

E. Quante volte sei stata qui?

R. Due volte.

D. Perchè?

R. Perchè ero matta.

2 Febbraio. Condizioni solite - distraibilità evidentissima.

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D. Come si chiama questo sito ?

(mormora) în chiesa (intanto si volta da una parte. poi si guarda il grembiule e se lo aggiusta, poi tende l’orecchio a un rumore del corridoio).

D. Stammi attenta!

- R. Non sono buona di stare attenta ho paura che mi leghino..... ho perdute le chiavi del comò... Maria pregate per noi (Perchè ?) perchè voglio andare a casa.

Maria Mazz... di anni 40. È il caso dell’ osservazione VII dell’ articolo antecedente. Fu ammalata una prima volta nel 1820 (mania con furore se- guita da arresto; guarigione dopo alenni mesi); una seconda volta dopo 15 anni, con mania grave durata 8 mesi; è stata bene poi 14 mesi, poi è ca- duta nello stato di stupore che dura tuttora.

Ha la faccia triste: spontaneamente non si muove mai, se non per andare a tavola e portare il cibo alla bocea. Non si sente mai la sna voce; interrogata risponde solo, sottovoce: non e è male. Invitata a compiere movimenti, non obbedisce; insistendo o afferrandole un braccio, peggio poi se le mostra la punta d'uno spillo, fa la faccia piangente, entra in uno stato d’angoscia manifesta, si tira indietro e si schermisce.

Abbiamo visto che, in questi casi, manca in generale la tenden- za spontanea a muoversi e ad agire; e che, incitato da stimoli ve- nienti dall’esterno, l’infermo per lo più si sforza di eseguire l’azione volontaria che gli si domanda: ma questa o appena avviata muore, o non è condotta a termine, e, nel suo svilupparsi, è difficoltata e inceppata da ignoti ostacoli intrapsichici. Wernicke descrive appunto, da par suo, come acinesi intrapsichica questo fenomeno, e ne rileva così i caratteri essenziali (1): « I movimenti iniziativi mostrano, in generale, più fortemente colpiti dei movimenti reat- tivi. Ciò vale specialmente anche per il parlare, che, senza stimo- li dall’ esterno, può del tutto mancare: mutacismo iniziativo ; mentre domande semplici ottengono ancora risposte se anche qualche volta solamente molto tenui, o del tutto afone e date con moti labbiali molto lievi, ritardate qualche volta fino all’ ultimo momento. Per ciò che riguarda i movimenti espressivi essi sono certamente più scarsi, ma non del tutto assenti; e dove c’è un affetto, come il malessere ipocondriaco, esso viene in vista median- te movimenti espressivi (p. 447) ». « 1 malati perdono la facoltà di parlare ed agire per impulso proprio, essi mostrano così il

(1) Grundriss der Psychiatrie, p. 443, 447, Theil III 1900.

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sintoma del mutacismo iniziativo e dell’ acinesi iniziativa. Anche i movimenti reattivi sono presi ma relativamente meglio conser- vati (p. 443) ».

Questo abbiamo notato nelle nostre inferme. La loro faccia è atteggiata di stupefazione, semplice o mista di un’espressione di malessere o di angoscia contenuta, o di paura e smarrimento. Movimenti reattivi di difesa più o meno vivaci si provocano sem» pre colla puntura dello spillo: qualche volta l’infermo entra per ciò in uno stato di visibile ansia, che va fino alle lagrime e di- venta in certuni (per esempio nel nostro caso IV) una opposizio- ne angosciosa (che bisogna distinguere dal negativismo). Che cosa coesista, con questo stato della psicomotilità, nel campo affettivo e in quello associativo, non è sempre facile dire. « Tutti gli sta- ti di immobilità generale, scrive Wernicke (1), sono cagione che noi non possiamo saper nulla dei processi interni, dello stato del sentimento e dell’ attività intellettiva dell’ ammalato. Anche l’espressione del viso ci lascia sospesi, perchè l’ acinesi si esten- de spesso anche su questa parte dei movimenti espressivi, Cosic- chè una fisionomia addirittura stupida può significare niente altro che mancanza d’espressione ». Ma se, oltre all’ebetudine della faccia, valore alla testimonianza attuale o postuma che certi malati (come il primo specialmente dei miei casi) dànno del pro- prio stato interno, si può con bastevole sicurezza asserire che in certi casi e in certi stadi, contemporaneamente all’arresto psico- motorio, esiste mancanza d’ ogni affetto. In altri casi e in altri stadî invece il malessere e l’ angoscia trapelano da tutto l’atteg- giamento del malato.

Noi siamo condotti per le stesse ragioni ad ammettere un arresto nel campo dell’attività associativa (non pensavo nulla, as- serisce la prima delle mie malate); arresto del pensiero che Krae- pelin vuole tener distinto da ciò che è paralisi del pensiero per questo: « che sotto certe condizioni questo grave disturbo può proprio improvvisamente sparire. Oltre a ciò dal malato stesso è sentito l'ostacolo contro cui ha da combattere ». Ma come logor- rea non vuol dire semplicemente accelerazione del processo for- mativo del pensiero, così questo arresto o rallentamento non deve

(1) loc. cit. Vierunddreissigste Vorlesung. p. 408.

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intendersi semplicemente nel senso di una tabula rasa o d’una povertà ideativa: non è solo un disordine quantitativo, ma pro- babilmente anche qualitativo. Abbiamo raccolto infatti, nel caso III, queste parole mormorate dall’ inferma, che ripetono un esempio di associazione logorroica « Non sono buona di stare attenta... ho paura che mi leghino.... ho perduto le chiavi del comò,.. Ma- ria pregate per noi voglio andare a casa». Ë in questo stesso caso che noi abbiamo anche trovata una spiccata distraibilità. « Anche negli stati depressivi (della frenosi maniaco depressiva), scrive Kraepelin, non di rado c'è elevata distraibilità, cosicchè gli ammalati si voltano a ogni nuovo stimolo (1) ». Questo ap- punto era il caso: altra prova dell intima parentela, asserita da Wernicke, tra la depressione e la mania.

Se l'arresto psicomotorio può a volta stabilirsi in modo quasi apoplettiforme (il primo dei miei casi è un esempio), in molti casi ci si perviene attraverso successive gradazioni di rallentata psicomotilità; onde una serie di stati morbosi che. è sorgente di dubbî e di perplessità diagnostiche. « I più leggeri gradi del di- sordine, scrive Kraepelin, si rivelano nella incapacità a deci- dersi degli infermi. Gli stimoli non hanno più la forza di supe- rare le resistenze contrastanti; non ostante la chiara coroscenza della necessità, l’ammalato non può più decidersi alle azioni più semplici. Anche l’attività che si ottiene da lui, dopo molte esorta- zioni, s’interrompe ogni momento, perchè gli manca la forza per energiche risoluzioni. Tutti i movimenti volontari sono più o me- no rallentati e succedono senza forza » (2).

Il seguente è uno dei pochi casi nei quali ho potuto seguire lo stabilirsi per gradi dell’arresto psicomotorio.

Maria Rosa Carl... di anni 40 contadina. Non si sa nulla d’ interessante dal lato ereditario, genitori e fratelli vivono sani. La donna è descritta di indole facilmente eccitabile, permalosa e diffidente.

Maritata a 17 anni, ha avuto otto gravidanze tutte portate a termine: solo cinque volte ha allattato i nati, le altre tre volte è stata presa, dopo il parto, da malattia analoga (dicono i parenti) alla presente.

(1) Psychiatrie Bd II p. 362. (2) V. anche Wernicke loc. cit. p. 443.

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Il 12 Luglio 1900 ha partorito: dopo il parto in 9* giornata ( scrive il medico) ebbe un disturbo gastro-intestinale con vomito e diarrea: nei giorni seguenti cominciò a sentire mal di testa (peso alla testa, diceva l’inferma), non si moveva dal letto senza grave dolore, ebbe per 4 o 5 giorni febbre non mai sopra 38. 5, parlava poco, mostrava molto avvilimento, malcontento dell’ assistenza del medico c della famiglia. Dimostrava una generale debo- lezza, ripugnanza al cibo e a tuttii movimenti attivi. Si è alzata do- po 15 giorni dal parto: stava alzata poche ore, diceva sempre di star male di non potersi muovere, molto preoccupata del sno stato e di quello del bambino. Spesso piangeva: aveva l'aspetto di persona presa da paura. Due volte tentò il suicidio. Solo il 10 Ottobre fu condotta al manicomio. Aveva la faccia atteggiata di dolore: si guardava attorno in atto di sospetto e di paura: appariva ansiosa. Invitata a compiere qualche movimento attivo, ub- bidisce senza rallentamento apprezzabile, risponde anche a qualche domanda relativa all'orientamento; ma poi si mette a piangere, pregando che sia man- data fuori e non al taglio della testa. Lasciata a sè, rimaneva inerte e ta- citurna.

Tale si è mantennta nelle prime settimane, ma poi, a poco a poco, è passata a uno stato di stupore con tutti i caratteri sopradescritti dello stu- pore circolare.

Non si sente mai la sna voce: facendole domande semplici, si vede che l’inferma fa qualche tenne movimento labbiale: pungendola forte, ritira la mano; e se s' insiste entra in uno stato d’angoscia visibile e finalmente mor- mora: perchè fa così? Stimolata, inizia con lentezza e con ritardo alcuni movimenti attivi (alzare il braccio, metter fuori la lingua).

L’ avere avuto altra volta occasione di descrivere casi di Ca- tatonia mi distoglie dal portarne qui esempi, a dimostrare come lo stupore dei catatonici differisca dal fin qui descritto stupore dei circolari per caratteristiche essenziali. Alla prima vista può essere che non si riesca a distinguere un malato con arresto psi- comotorio da un catatonico. Ma perchè questo succeda bisogna che nella faccia del circolare non ci sia neppur l’ombra d’ una espressione affettiva, e questo non è il caso più frequente, o che il catatonico attraversi uno di quei periodi nei quali non assume le note pose coatte. L'opposizione affannosa del circolare depres- so è del tutto diversa dal negativismo muto del catatonico stu- poroso. Il quale presenta più spesso assenza di reazione, alcune volte passività ai comandi, o reazioni rapide e anche violente; « il catatonico stuporoso si muove poco, specialmente alle esor- tazioni; quando si muove lo fa senza rallentamento riconoscibile,

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spesso con straordinaria rapidità, mentre nel rallentamento psico- motorio tutti i moti sono lenti e stentati. Anche qui mancano molti dei movimenti che si domandano, causa l’ angoscia e l’ ar- resto interno: si vedono gl’inizi dell’ azione comandata (moti delle dita, bisbigli) se l’ arresto è interrotto da forti esortazioni » (Kraepelin). Dal confronto tra quei casi di catatonia che de- scrissi e quelli di frenosi maniaco-depressiva che ho descritto qui, risultano perfettamente vere queste distinzioni, sulle quali non è soverchio l’insistere, perchè dalla maggioranza degli alie- nisti non si vogliono ancora riconoscere e rappresentano inveee uno dei più saldi e capitali avanzamenti della psichiatria clinica.

Invece lo stato di stupore, di cui faccio seguire la relazione è di quelli nei quali (e solamente in essi!) si verifica |’ aforisma di Baillarger: « lo stato degli alienati stupidi è sopratutto ca- ratterizzato da un turbamento delle sensazioni, e da numerose il- lusioni che li gettano in un mondo fantastico. Lo stato degli alie- nati stupidi all’ultimo grado, offre molta analogia collo stato dei sogni ». Non si trova nessuna traccia di rallentamento psicomo- torio in questo stato di stupore „che appartiene, come vedremo, a un caso classico di Amenza.

Cesira Mant.... Sta seduta o giace supina: la faccia è, senza espressio- ne, ebete; gli occhi socchiusi e fissi. Le braccia sono abbandonate lungo il tronco: se si loro nn atteggiamento, è ritenuto per parecchi minnti. Non incontra resistenza facendo compiere movimenti passivi agli arti. Pungen- dola fino a sangue, per tutto il corpo, resta immobile, non sogno di rea- zione o di dolore. Qualche momento dopo, interrogata, risponde (senza ral- lentamento) « Mi fora ». Cosi anche risponde il sno nome. Comandandole de’ movimenti, non ubbidisce, ma essendole portato il cibo si leva con pre- stezza spontaneamente e mangia. Si urina addosso.

I’ ammalata, dopo la gnarigione, ha raccontato che in questo periodo era dominata da illusioni e allucinazioni: le pareva di essere all’inferno, di veder diavoli ecc.

Ecco ora tutta la storia clinica.

Cesira Mantov. M. di 29 anni. Il padre vive sano, la madre, pellagrosa, fu condotta al manicomio, dove morì dopo dieci giorni di degenza.

La Cesira ha avuto tre parti felici in otto anni di matrimonio: durante gli allattamenti deperiva considerevolmente.

EF

Entrò nel manicomio il 17 Giugno 1899. La malattia si era rivelata nel Marzo dello stesso anno. Quando la malattia cominciò dava il latte da sedici mesi. Nello stesso tempo aveva atteso a lavori faticosi di campagna, la notte il sonno era continuamente interrotto dal pianto del lattante malaticcio. Tutto inverno il suo alimento era stato polenta. Tutti questi patimenti l’ avevano condotta allo sfinimento. Cominciò a soffrire di forti cefalee.

Il 18 Marzo verso mezzogiorno si è sentita invasa da un’ agitazione non mai provata. Le pareva di non potere star ferma, onde s'è messa a correre per casa e per la strada dicendo: oh Dio non posso star ferma. Ha mangia- to del grasso, dicendo che voleva far del sangne; poi si è strappati dei ca- pelli e si è svestita.

Secondo il racconto che la donna ha fatto dopo la guarigione, in quei momenti è sentita calore nella vita, irrigidimento del collo, poi le pare- va di cadere in avanti, di sentire uno schianto in una mascella: poi una voce ignota le diceva dentro: forza! coraggio! Portata a letto, a occhi chiu- si le pareva che le colasse la carhe; si vedeva dentro dei catarri bianchi e neri, le pareva che gli occhi le girassero per il corpo, che il cervello le schizzasse nel soffitto; poi le pareva di avere un gran testone, s’è vista portar via dentro una bara da una processione di gente vestita di rosso.

Benchè questi fenomeni si ripetessero spesso, costretta dal bisogno, do- vette tornare ai lavori di campagna in Aprile e in Maggio. Sempre provava dentro di una grande inquietudine. Spesso si sentiva il sangue venir su per la schiena. Spesso anche sentiva -la voce di un prete, un certo Don Abele, che le diceva: sei dannata; e mentre mangiava: mangia, tu ti mangorai la memoria. Un giorno di Giugno il medico venne a visitarla: e a lei parve d’avere al capezzale due dottori vestiti di rosso. Un giorno prese un falcetto coll’ idea di tagliarsi un braccio.

Nel viaggio per venire al manicomio non capiva dove andava: sentendo ondeggiare la biroccia credeva di essere in un sito ora in un'altro: a certi momenti le pareva che tutti qui fossero diavoli, o che fossero tutti figli suoi e ch’ essa fosse Eva.

Ha passati i primi mesi di degenza, nello stato di stupore sopra descrit- to: tutt’ al più, interrogata, rispondeva alenne delle sue generalità : il no- me, |’ eta. In Settembre ha cominciato a lavorare di calza e le espressioni verbali si sono fatte meno scarse. Dice di essere perduta colla testa, non sa dove sia, scambia le persone. Il medico è nn certo signor Ginseppe, il Di- rettore è il dott. di Formignana, un altro medico è il maniscalco del Fina- le, l’ispettrice è la moglie di un certo Bignozzi. (Questi scambi e queste designazioni sono state ripetute per tntto il tempo della malattia). Invece molte altre persone sono chiamate per il proprio nome. La faccia è sempre stupidita e senza espressione. Aspetta che i diavoli la vengano a prendere per condurla all’ inferno.

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18 Ottobre. Besteminia atrocemente. Non sono degna di stare tra i eri- stiani; mi chiamano tutti Mant..., ma io capisco che mi chiamo Schiavina il cognome di un suo parente) e perciò sono una schiava sono una turca, non vede che sono turchina qui? (indica le vene dell’avambraccio) sono una Schiavina perchè sono figlia del vecchio Schiavina e per questo sono una schia- va e gli schiavi non hanno che fare coi cristiani non é la Ciccotti sono io che vado al taglio della testa. Tutto ciò è detto senza ch’ essa manifesti uno stato affettivo deciso: a un tratto si mette a singhiozzare e poi subito a ridere. Però il suo potere d’ attenzione è vivace: nel momento che fissa l’at- tenzione coglie la verità delle cose: p. e. si volta verso una depressa che le sta vicino e le chiede: Lisa, perchè siete così appassionata ? Subito dopo, sentendo cantare una donna agitata, dice che è Attilio (suo marito) che can- ta: anzi l’ha sentito cantare ieri sera. Asserisce che Attilio non è marito suo, ma fratello.

20 Novembre. Ripete le solite idee deliranti con tentativi di spiegazione a base di associazioni per assonanza. Invitata a fare dei càlcoli di somma e sottrazione, riesce con prontezza e con esattezza. Subito volta verso un’ inferma, e dice che quella è sua madre alla quale hanno cambiato nome.

10 Dicembre. Dice che non vedrà più i suoi che la sua casa è profon- data, che quando è venuta via dicevano che finiva il mondo. Sente cantare continuamente una canzone che dice: povera anima mia non avrai mai pace. Dicendo ciò, fa la voce piagnucolosa ma, subito si rasserena. Dice che il dia- volo le taglierà la testa, ma subito dopo scoppia a ridere, (perchè ridi?) per- chè Attilio non sapeva fare il segno della croce.

28 Dicembre. La donna da alcuni giorni asserisce insistentemente di essere guarita. Giudica tutte le idee di prima come una grande fantasia che aveva nella testa, sangue andato alla testa. Ha felicissima la memoria di tutto il tempo della malattia. Giustifica gli scambi di persone, dicendo che così le pareva che fosse. Racconta che siccome le pareva di veder il diavolo, pensa- va: se sono indiavolata vuol dire che ho servito il diavolo, e quindi non sono cristiana, sono una turca, sono una schiava perchè dicono che gli schiavi non sono cristiani. E perchè sarò schiava? perchè sarò ‘figlia di Schiavina. Del- l’ambiente non capiva nulla; la Leoni (un’ ammalata), io pensavo, paro una donna ma sarà un leone.

L’ 11 Gennaio 1900 è dimessa guarita.

La speciale forma clinica, seguita a cosi manifeste cause esaurienti, non lascia nessun dubbio sulla diagnosi di Amenza.

Ancora due casi, ed ho finito, nei quali il rallentamento psi- comotorio si complica con elevazione termica: nel secondo poi segue immediatamente all’ accesso maniaco complicato anch’ esso

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da febbre. Sono stati di frenosi maniaco-depressiva diagnosticati spesso come demenza acuta, 0 interpretati come psicosi infettive o da esaurimento.

C. Zerbini senza precedenti ereditarî degni di nota, stato sempre sano, per la prima volta, a 18 anni, nel luglio 1893, ammalò, scrive il medico : prima con un lungo periodo di adinamia con sopore ed inerzia, poi fece passaggio alla sovreccitazione per cui fu condotto al manicomio il 27 Di- cembre. Presentò una mania tipica (agitazione, logorrea canti e grida) che passò presto: onde nel Febbraio fu dimesso completamente guarito.

Dopo 4 anni ricade malato ed è subito condotto al manicomio. Presenta una visibile tensione angosciosa e rallentamento psicomotorio tipico e tem- peratura fra 32. 5 e 38. 2. La temperatura febbrile durò solo due settimane. Quando i parenti lo rivollero a cusa dopo 2 mesi era migliorato ma presen- tava ancora manifesto rallentamento psicomotorio.

Ma dopo 3 mesi lo hanno ricondotto con grave eccitazione: logorrea, allegria sfrenata, agitazione motoria intensa. Si constata subito temperatura febbrile, lingua impaniata, alito fetido, stipsi con sitofobia. Nei giorni seguen- ti le condizioni si aggravano: temperatura 39.7 - 40.8: coma e morte in capo a 7 giorni.

Enrico Guer.... di anni 35 negoziante. Raccontano i suoi di casa che 2 anni fa cbbe un forte eccitamento nervoso (2) Il 6 Maggio 1900 è condotto al manicomio. Da tre settimane mostrava grande irrequietudine minacciando e percotendo tutti. Si constata subito una mania genuina (logorrea, agitazio- ne motoria, allegria sfrenata). Si rileva anche una leggera elevazione termica.

Il 16 Maggio la temperatura oscilla fra 38. 3 (alla sera) e 37. 8 di mat- tina: ma l infermo è passato nella notte dallo stato maniaco a uno stato di mutacismo e di immobilità. Il 19 Maggio la temperatura oscilla fra 38.1 - 38. 5. Nei giorni seguenti lentamente discende: seguita il mutacismo e l’ a- cinesi. Sulo nella notte del 23 passa alcune ore in eccitamento, pol fa ri- torno allo stato attonito che dura ancora al presente (dicembre) ed è un genuino arresto psicomotorio. Contegno del malato lasciato a sè. Gli occhi sono mobili: per lo più guardano nel vuoto; guardano solo fuggevolmente l'osservatore. I tratti del visu sono senza espressione. Sta perfettamente im- mobile nello stesso atteggiamento tutto il giorno. Solo le dita della mano compiono Uci leggeri movimenti di flessione e di estensione: tutt’ al più sono levate a tormentare il naso.

Contegno di fronte agli stimoli esterni. Chiamato per nome volge gli occhi, fi qualche movimento labbiale o di deglutizione. Entra una persona estranca, ed egli volta fuggevolmente gli occhi verso quella; ma nessuna espressione affettiva viene mai a dipingersi nella sua faccia. Essendogli mo-

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strato il ritratto dei figli, improrvisamente scoppia in un singhiozzo e per qualche minuto gli scendono lagrime. Punto coll ago nella mano, leva l’ oc- chio verso l'osservatore, fa qualche movimento di deglutizione, sposta una gamba; insistendo, dopo qualche tempo e qualche prova ritrae un poco la mano.

«Gli arti si lasciano liberamente estendere e flettere: il braccio alzato, resta sospeso pochi secondi e poi ricade lentamente.

Contegno dell’ infermo incitato a manifestazioni attive di movimento. Invitato ad alzare il braccio, ad alzarsi in piedi, a camminare, con ritardo e con lentezza ubbidisce. Invitato a dire il suo nome si vedono movimenti di deglutizione e tenui moti labbiali : dopo molta attesa, accostando l’ orec- chio alla bocca, si sente susurrata a voce afona la parola Enrico.

Stati di stupore circolare sono anche diagnosticati come fre- nosi sensoria; me ne accorgo leggendo un recentissimo scritto del Dott. Galante (1), dove mi pare che l’ autore descriva sotto il nome di frenosi sensoria anche casi di arresto psicomotorio; e dico « mi pare » perchè quest’ osservatore non sembra compreso della necessità, rilevata da Lugaro (2), che « i reperti anatomo- patologici (e, s£’ intende, anche le ricerche chimiche sul vivente come quelle di Galante) siano accompagnati dall’ esposizione clinica del caso con quell’ obbiettività minuziosa, che permetta un giudizio indipendente dalle correnti personali o collettive, ma puramente momentanee delle opinioni. » Ecco una delle ragioni per cui da tanto fervore di ricerche, compiute da tecnici valenti, senza tener conto di analogie e distinzioni indicate dall’ analisi dei sintomi psichici, si cava così poco costrutto, escono cosi di rado succhi vitali per l’ incremento della psichiatria.

Voglio da ultimo osservare che neppure la considerazione di apparenti influssi causali è sufficiente per allontanarci dal con- cetto deli’ unità della frenosi maniaco-depressiva, che ci è così fortemente persuasa della considerazione dell’ uniformità dei sin- tomi. Per esempio, una forte quantità di accessi maniaco-depres- sivi insorge nell’ occasione del puerperio e dell’ allattamento, e va sotto il nome di frenosi puerperale, una formola che mol- . ti colleghi vogliono mantenere con una insistenza degna di mi-

(1) Il chimismo gastrico nella frenosi sensoria eco. (Annali di Nevrologia. Anno XVIII. Fasc. VI). (2) Rivista di patologia nervosa e mentale 1899 p. 538.

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glior eausa. Giuffrida-Ruggeri (1) scriveva non è molto che «Seppilli e Lui avendo trascurato, per considerazioni teoriche, di considerare a parte la frenosi puerperale, sono privati della possibilità di concludere sui dati statistici in rapporto al sesso ecc. ». A me pare che Giuffrida-Ruggeri abbia trascurato lui di domandarsi se non sia invece dottrinario o peggio, ammette- re una frenosi puerperale. Se l’ avesse fatto si sarebbe subito ac- corto che una entità clinica dove nulla è determinato, causa, sintomi, decorso od esito ( di anatomia patologica non è neppur il caso di parlare) non ha ragione di esistere. Noi vedia- mo in molti dei casi citati l’ accesso manifestarsi alcune volte in coincidenza col puerperio o con cause esaurienti o patematiche : sara quella l’ occasione di una diagnosi differenziale dalle psi- cosi da esaurimento, ma non mai una ragione per dubitare del- l’unità della frenosi maniaco-depressiva; tanto è vero che gli ac- cessi sl presentano poi coi sintomi stessi nello stesso malato al- l’infuori di quelle coincidenze, e molte volte l’individuo subisce quei momenti causali senza ammalare. Ciò significa che questi momenti causali, pure rappresentando nella genesi degli accessi, una parte più reale di quella che non abbiano gl’ influssi lunari immaginati da Kòster, non hanno altra importanza che di ren- dere attive quelle oscure potenze endogene, nelle quali sta la cau- sa vera della malattia.

CRONACA

Cambiamenti nel Personale sanitario. Nel Settembre u. s. il Dott. Ruggero Lambranzi lasciava il nostro Manicomio per andare medico-aiuto in quello di Brescia. Nel concorso per titoli indetto da quella Amministrazione egli era riuscito primo fra parecchi concorrenti.

(1) Rivista di Freniatria 1900 pag. 333. Di recente Aschaffenburg, su 118 frenosi puerperali della Clinica di Heidelberg, ha trovato che 25 erano casi (li frenosi maniaco-depressive, 46 di demenza precoce, poi 10 casi nei quali durante il puerperio la demenza precoce dallo stato latente si era esa- cerbata, 7 di paralisi, 1 di epilessia isterica e 5 di psicosi da esaurimento (amenza, delirio da collasso). (Neurologisches Centralblatt 1900 n. 12).

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Anche il nostro assistente Dott. Alberto Vedrani, giudicato primo dalla Commissione di Mombello nel concorso di Aiuto-Di- rettore al Manicomio di Lucca, alla fine di Dicembre u. s. lascia- va il nostro Istituto per andare ad occupare il posto conseguito. li concorso fu per titoli ed esame, e la Commissione esaminatrice era composta dai Professori Frigerio, Gonzales e Seppilli.

Mentre ci rallegriamo vivamenfe cogli egregi Colleghi La m- branzi e Vedrani per l esito felice dei loro concorsi e per il passo fatto nella carriera, non possiamo a meno di dolerci di averli perduti.

Diamo il benvenuto al distinto giovane Dottor Antonio D' Ormea di Bologna, chiamato a coprire il posto di assistente in sostituzione del Dott. Lambranzi.

Diploma Medaglia d’ oro alla Esposizione d’ Igiene di Napoli. Alla Esposizione d’Igieue di Napoli 1900, dove l’ On. Deputazio- ne Provinciale aveva concorso con una Relazione-Storia del Ma- nicomio, redatta dal Medico-Direttore, con la raccolta completa del nostro Bollettino, che conta già 28 anni di vita, e con dise- gni della Lavanderia a vapore, del Panificio, del Pastificio e delle altre innovazioni recentemente apportate nel nostro Istituto, fu a questo assegnato il Diploma-Medaglia d’ oro.

L’ On. Deputazione Provinciale, per festeggiare l’ onorificenza ricevuta, slanziava una piccola somma, con la quale il giorno 16 Dicembre u. s. veniva, a pranzo e a cena, fatto ai malati e al personale uno speciale trattamento, che riuscì a tutli immensa- mente gradito. |

Iguoto Benefatture. Un iguoto benefattore, cui rendiamo spe- ciali azioni di grazia, ha fatto pervenire a questa Direzione la somma di L. 25. E questa Direzione, interpretando le intenzioni del donatore, ha erogato L. 20 a vantaggio della Cassa infermieri e L. 5 a vantaggio della Società di Patronato per i pazzi poveri.

NOTIZIE

Nomine. In seguito a concorso per titoli venne nominato me- dico direttore del Manicomio Provinciale di Parma ın Colorno il dott. Umberto Stefani. Questi fece le prime armi nel nostro Manicomio, poscia passò aiuto alla Clinica Psichiatrica di Pado-

204

va, dove ottenne la Libera Docenza, e finalmente fu nominato di- rettore del Manicomio di Vicenza, dal quale, come a tutti è noto, dovette allontanarsi. La nomina di Parma è-una giusta riparazio- ne dall’ Egregio Collega pienamente meritata.

Il dott. Andrea Cristiani, Vice-Direttore del Manicomio di Lucca e Libero Docente in Psichiatria, in seguito a concorso per titoli ed esame, sostenuta a Mombello dinanzi alla Commis- sione suddetta, fu nominato medico-direttore in quel Manicomio.

I nostri rallegramenti ai distinti Colleghi.

CRE AE A IE NECROLOGITIO

Il giorno 18 Dicembre ‘u. s., non ancora cinquantenne, mori- va a Resina, nelle vicinanze di Napoli, il dott. Silvio Venturi Direttore del Manicomio di Girifalco in provincia Catanzaro, libero docente in Psichiatria, Deputato al Parlamento.

ll Venturi nacque a Monteforte d’ Alpone (Verona), studiò a Padova, fu assistente alla Clinica Psichiatrica del Prof. Te- baldi, e da allora in poi, quasi continnamente nella carriera manicomiale, fu a Girifalco, a Nocera Inferiore, a Napoli e poscia di nuovo a Girifalco.

Il Venturi fu uno dei rappresentanti più geniali della Psi- chiatria italiana moderna, uno scrittore arguto, un animo buono e leale, che seppe cattivarsi presso tutti gli onesti stima e sim- patia. Egli, con una fede da apostolo, di cui aveva anche l’abito esterno, negli scritti e nei Congressi si fece caldo propugnatore di idee, spesso nuove, sempre razionali, liberali, umanitarie nel trattamento dei pazzi. Con discorsi improntati alla stessa fede, e spesso a fine arguzia, alla Camera dei Deputati seppe sempre destare molto interesse nell’ applicazione della Psichiatria alle più alte questioni sociali.

Fra le sue opere più importanti il Venturi lascia: Le Degene- razioni psico-sessuali (1892) Le mostruosità dello spirito (1900) e finalmente Le pazzie dell’uomo sociale, libro scritto negli ul- timi mesi della sua vita ed uscito alle stampe dopo la sua morte.

Al geniale scienziato, al collega carissimo, all’ amico leale l'estremo addio. T.

VEE SEE SEE,

205

Società di Patronato per i pazzi poveri dimessi dal Manicomio. Somma precedente | . L. 1779. 05

Offerte malati . i : » 2. 77 Ignoto benefattore ; i ; » 5. Introito bagni . 1 ; È ; » 333. 50 Interessi 1900 . ; i ; » 64. 25 Introito bagni . j » 6. 50

Totale . L. 2191. 07

Epilogo del movimento dei malati nell’anno 1900

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416] 233| 649| 43] 111} 154] 39) 33! 72] 226] 423] 156697

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Media giornaliera dei malati nel 1900 i N. 429. 3

Proporzione degli usciti sugli ammessi > 66. 09 °/, » dei morti sul totale . .. . 11. 09 °/,

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Movimento dei malati nel mese di Settembre 1900

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Movimento dei malati nel mese di Ottobre 1900

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laltre Provincie 241 15 1 23] 15

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Movimento dei malati nel mese di Novembre 1900

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Direttore -- R. TAMBRONI.

Redattori CappPeLLETTI - Finzi - LAMBRANZI - VEDRANI. - D'ORMEA

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piegata nei singoli lavori Anno 1900

Agosto Settembre Ottobre Novembre | Dicembre 22 L. 80.—|14 L. 50.—|14 L. 50.—|14 L. 50.—l14 L. 50.— 13 > 56—|3 > 43— 54-13» 345013 » 49— 5 60.—|5 » 28.—| 4 > 19505 » 22-|4 > 27— 16.—| 2 > 21.—| 2 » 19.50] 2 » 38.-| 2 » 23.- 52-|5 » 49-15 > 585015 » 55-15 BI Ə » 21.3012 > 19.—| 286012 » 30—12 >. 1550 1 > 4501» 3-1» 6—| 125011 > 1.5 42.—| 1 » 78.—| 1 > 54.—] 2 » 51.--| 1 > 69.— 15 18 17 18 18 56 51 49 52 50 ol > 331.80) > 291.—| » 290.10} » 293.-| » 291.75 ol 4 » 830| 4 » 17.3016 19.6014 18601 4 > 6.95 O 6 » 8521 4 10.601 6 > 31.9915 » 18.7214 » 9.66 ol 3 » 43.1013 » 4710| 3 > 4265| 3 » 49.75' 3 » 43.40 a le ates ct, eee, tee eh ee ay. ERO 0'21 » 110.10122 » 120.30/22 » 131.95/22 » 138.1022 » 117.40 -|23 » 213.02125 » 224.93/23 » 240.81125 » 243.40'06 » 251.15 16 17 16 17 16 73 75 76 76

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L. 714.84; L. 711.23) LL. 757.03} L. 761.55) L. 727.11

tabilimento Tipografico raae Sonti 1902

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Annata XXIX

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BOLLETTINO

È DEL

Manicomio Provinciale di Ferrara

FERRARA Stabilimento Tipografico Taddei-Soati 1902

INDICE DBL’ ANNATA XXIX

_ ZANE -

D’ Ormea. L’ Edonale come ipnotico negli alienat, pag. 3. Lambranzi. Sul tempo dell’ accesso cpilettico, pag. 20. Finzi. Ancora sulla psichiatria di Wernicke, pag. 32. Finzi. Psicosi pellagrose, pag. 42 - 113.

Tambroni. Un caso di doppio suicidio trasformatosi in omicidio- mancato suicidio, pag. 76.

Cappelletti. Uno Pseudo-delinquente passionale, pag. 95, Lui. Sopra alcuni concetti di tecnica manicomiaie, pag. 146.

Vedrani, Per la diagnosi e la prognosi delle malattie mentali, pag. 190.

aS AE -

Anno XXIX | Fasc. I.

BOLLETTINO

DEL

MANICOMIO PROVINCIALE DI FERRARA

FERRARA Tipografia dell’ Eridano 1901

L’'Edonale come ipnotico negli alienati del Dott. Antonio D’ Ormea

Nella terapia in genere e nella psichiatrica in particolare è un problema sempre vivo e importante quello degli ipnotici; giacchè il procurare un sonno ristoratore a un infermo agitato o soffe- rente per dolori è cosa umana e utile a un tempo, ma riesce dif- ficile trovare medicamenti che, producendo tale benefico effetto, non siano per altro perniciosi alle funzioni dell’organismo, o che nell’ uso continuato non perdano la loro efficacia. E così i vari ipnotici si seguono e si alternano nella pratica terapeutica sen- za che ancora possa dirsi di avere trovato quello ideale che, pur riordinando il meccanesimo cerebrale del sonno, eviti gl’ incon- venienti che il sonno artificialmente prodotto sogliono accompa- gnare o ad esso succedere; giacchè, come dice il Murri (1), « la bontà di un ipnotico non deve più valutare dalla durata del sonno che produce, ma bensi dalla mancanza o dalla esigui- dei danni che al sonno succedono ».

°

Recentemente è venuto nel campo medico l’ Edonale che su- bito è stato oggetto di numerosi e accurati studi (2), fra i quali mi piace rilevare, come più importanti, quelli del Murri e del Biancone. Il primo ha eseguite le sue ricerche principalmente

(1) L’ Edonale nell’ insonnie - Clinica Moderna A. VII, N. 2, pag. 19 - e - Gazzetta Medica Lombarda, N. 43, 21 Ottobre 1900.

(2) Murril.c.

Biancone. Sull’ azione ipnotica e sedativa dell’ Hedonal « Riv. sper. di Freniatr. e Med. Leg., V. XXVI, F. 2 e 3, Luglio 1900 ».

Menz. Sull’ uso dell’ Edonale in Psichiatria - Die Heilkunde, Year. IV, Part. 2, Agosto 1900 « e, Clinical Excerpts London, Vol. IV. N. 10. Octo- ber 1900 ».

Haberkant. Ueber Hedonal, ein neues Schlafmittel ans der Gruppe der Urethane « Allgemeine RE für Psychiatrie etc. Bd. 57, p. 828, Berlin, 1900 ». |

Heichelheim. Klinische Erfahrungen über Hedonal « Deut. med. Woch., N. 49, Dicemb. 1900 ». e V. « Riforma Medica Vol. IV, N. 67, pag. 800, Dicemb. 1900 ».

e

« nei nevrastenici, nelle isteriche, nelle persone sopraffaticate, in coloro che stan passando dall’ età adulta alla senile »; l’altro in forme nevropatiche e psicopatiche.

Il Murri riferisce di avere ottenuto nelle forme su citate, somministrando dai 2 ai 3 grammi di Edonale, un sonno calmo e continuo di cinque o sei ore e senza alcun senso di abbatti- mento o di incertezza di equilibrio, nè, tranne rare eccezioni, quella sonnolenza che spesso succede al sonno ottenuto col Trio- nale; tale effetto invece quasi mai ebbe colla dose di un solo grammo; come pure effetti mediocri ottenne dando I’ Edonale in qualche caso di nevralgia. |

Il Biancone ha somministrato l’Edonale alla dose di gr. 0,50 1,50 preferibilmente sotto forma di un punch caldo ottenendo risultati soddisfacentissimi. Dai numerosi e accurati suoi esperi- menti risulta che esso è efficace ipnotico nella insonnia nervosa,

Goldmann. Ueber ein neues Hypnoticum aus der Gruppe der Ure- thane, das Hedonal « Berichte der Deutschen pharmaccutischen Gesellschaft 1900, Heft. 4 ».

Lenz. Ueber das Hedonal, ein neues Schlafmittel aus «der Urethangrup- pe «e Wiener klinischen Rundschau, 1900, N. 35 ».

Raimann. Comunicazione fatta nella seduta di Giugno 1900 alla So- cietà di Neurologia e Psichiatria in Vienna.

Nawratzky und Arndt. Ueber das Hedonal « Therapeut. Monatshefte, 1900, Heft. 7 ».

Ennen. Mittheilung über ein neues Schlafmittel, Hedonal « Psychiatr. Wochenschrift, 1900, N. 18 ».

Neu. Ueber Versuche mit Hedonal « idem. »

Eulemburg. Bemerkungen tiber Hedonal « Deutsche medicintsehe Wochenschrift, 1900, n. 23.

Schuster. Ueber ein nenes Schlafmittel aus der Gruppe der Urethane. Therapeutische Notiz. idem.

Schüller. Hedonal, ein Hypnoticum der Urethangruppe « Wiener Klinische Wochenschrift, 1900, N. 23.

Schlüter. Therapeutische Beilage der Deutsche medicinische Wochen- schrift, N. 48, Nov. 1900.

Haas. Relazione generale « Allg. Med. Central-Zeitung, 1900, N. 48.

Claus. Ueber Hedonal. Comunicazione fatta alla Società di Medicina mentale del Belgio. Dal Neurologisches Centralblatt, N. 4 Febbraio, 1901.

Crocq. Idem.

der

nelìa insonnia sostenuta da nevralgie e in quella susseguente a parecchie forme di psicosi allucinatoria con agitazione motrice; riesce poi ottimo calmante negli stati ansiosi della melanconia e della frenosi ipocondriaca e negli stati di eccitamento, maniaco sia idiopatico che sintomatico di altre forme morbose. Talvolta l’azione sedativa e quella ipnotica accoppiavano, tal altra la prima era predominante. Nelle forme nevralgiche ottenne il sonno, ma quasi nessuna efficacia sul decorso dellà nevralgia stessa; rie- sci invece costantemente a vincere le crisi gastriche in un mala- to affetto da tabe-paralisi. Soddisfacentissimi sono pure riesciti i suoi esperimenti su l’azione fisiologica dell’ Edonale nell’ uomo (sul sistema nervoso, sulla pressione sanguigna, sul polso, sulla temperatura, sul respiro e sulla secrezione urinaria), dai quali ri- sulta la innocuità quasi assoluta del farmaco; e il Biancone così conclude il suo lavoro (1): « Hedonal alla dose di gr. 1-1,50 in soluzione è un buon ipnotico e sedativo, ordinariamente di azione sicura e scevro da tutti quegli inconvenienti, più o meno gravi e numerosi, che accompagnano l’azione degli ordinari ipno- tici, a molti dei quali perciò meriterebbe di essere preferito, co- me io mi auguro che avvenga man mano che il suo uso si andrà generalizzando ».

Il Menz afferma che il nuovo ipnotico gli ha corrisposto eccellentemente, superando assai l’aspettativa nelle esperienze che egli confessa di avere iniziate con scetticismo per ıl gran nume- ro di nuovi farmaci, e spesso inferiori agli antichi, che vengono continuamente lanciati nel mercato medico. Egli sperimentò l’ E- donale su quarantadue infermi di melanconia, mania acuta e cro- nica, frenosi allucinatoria, demenza secondaria (?), paranoia, fre- nosi nevrastenica, isterismo, psicosi epilettica, delirium tremens, alcoolismo cronico, frenosi pellagrosa, paralisi generale, demenza senile, imbecillità, idiozia. La dose variò dai 15 al 30 grani (2), ma nel maggior numero dei casi somministrò gr. 22 ‘/, in polve- re con ostia o, agli infermi furiosi, in una soluzione alcoolica. Con tale dose egli ha avuto in media un sonno da sei a sette ore, ma non costantemente, chè talvolta nelle notti seguenti alla pri-

(1) 1. c. pag. 419. (2) Il grano inglese vale quasi 10 centigrammi.

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ma somministrazione, colla stessa dose ottenne solamente due o tre ore di sonno; il quale era per altro molto simile al naturale, con facile risveglio, mancanza di cefalea o vertigine o confusio- ne di idee; e ancora l’ uso prolungato si dimostrò scevro di alcun notevole disturbo. Trovò il farmaco più efficace nelle donne che negli uomini, e attivo tanto nelle forme acute che nelle croniche, ma nelle prime però a dose più elevata; non riscontrò un note- vole vantaggio somministrandolo in forma liquida anzichè in polvere.

Haberkant in trentacinque casi di psicosi ha fatto ben quattrocentoquaranta somministrazioni di Edonale tra i gr. 0,50-6, tanto per bocca che per clistere. A dosi inferiori ai due grammi ha avuto risultati incostanti e poco notevoli, ottenendo un utile effetto soltanto nell’ insonnia consecutiva a leggero eccitamento, specialmente nella demenza senile, nella ipocondria e nella ne- vrastenia. Con 3 a 4 grammi trovò il rimedio parimenti attivo nella melanconia agitata e negli altri stati depressivi, come in casi di forte eccitamento della mania, della confusione allucina- toria, della paralisi, della epilessia e dell’ alcoolismo cronico. La durata del sonno, con tre a cinque grammi, raggiunse le sette e otto ore, e l’azione sonnifera si verificò dopo '/, o '/, ora, e tal- volta anche dopo dieci minuti dalla somministrazione del farma- co; ma dopo ripetute dosi la durata del sonno divenne subito più breve, sicchè per ottenere l’ effetto ipnotico fu necessario aumen- tare progressivamente la dose. Le somininistrazioni di 4 a 6 gram- mi, usate anche per lungo tempo, non dettero luogo ad alcun fe- nomeno pericoloso, soltanto a poliuria e a un sopore in poco importante, ma che però faceva nascere negli infermi avversione e ripugnauza per il medicamento,

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Da un rapido confronto fra i risultati ottenuti da questi spe- rimentatori con quelli dei principali studi fatti su gl’ ipnotici ora più in uso (1), quali: il cloralio idrato, la Josciamina, la Jo-

(1) Seppilli e Riva. Sull azione della Josciamina e del suo valore terap. nelle malattie mentali. Ztiv. Sper. di Fren. e Med. Leg. Vol. VII. 1881.

Morselli. Ricerche sperimentali intorno all’azione ipnotica e sedativa della Laraldeide nelle malattie mentali. Gazzetta degli Uspedali, N. 4, 5, 6, Gennaio 1883 e Arch. It. delle Malati. Nervose, Vol. XX, 1883.

Ps ( cio

scina, la paraldeide, |’ uretano, il sulfonale, 1’ uralio, la duboisi- na, il trionale, il cloralosio, la lattofenina ecc., subito appare in quanta considerazione debba tenersi il nuovo medicamento, giac- chè, se per alcuni inconvenienti, quali ad esempio la facilità al- l abitudine con un uso continuato, riesce inferiore ad alcuni di

Newmann. Azione ipnot. e sed. della Paraldeide nelle diverse forme di alienazione. Rif. nella Gazzetta medica di Torino, 1886.

Sighicelli. L’Uretano nei pazzi. Arch. Ital. per le malattie nervose, 1886.

Tambroni e Stefani. Dell’ Uralio e del suo valore terap. nelle malatt. mentali. La Psichiatria, Vol. VII e VIII, 1889.

Bianchi. Sull’ azione del Sulfonale nelle malatt. mentali. Riforma medica, 1889.

Venanzio. L’idrato di Cloralio e le sue applic. nelle malattie nervose e mentali. Arch. It. per le malattie nervose, Vol. XXVI, 1889.

Sanna -Salaris. Valore terap. dell’ idrato di Joscina nelle malatt. mentali. Annali di Freniatria, Vol. III, 1891.

Sighicelli. Sull’ Joscina etc. Il Manicomio Moderno, Vol. VI.

Albertoni. La Duboisina negli accessi istero-epilettici. Gazzetta degli Ospedali, 1892.

Belmondo. Sull’ azione sed. e ipnot. della Duboisina nelle malattie mentali. Riv. Sper. di Fren. e Med. Leg. 1892.

Ciullini. Sui nuovi ipnotici: Uralio, Uretano etc. Riv. Sper. di Fren. e Med. Leg. Vol. XVII, 1892.

Raimondi e Mariottini. I nuovi ipnotici Trionale e Tetronale. Annali di Chim. e Farm. 1892.

Tambroni e Cappelletti. Il solf. n. di Duboisina nei malati di men- te. Il Manicomio Moderno, 1893.

Pelanda e Cainer. Il Trional nei psicop. Riforma Medica, 1893.

Morselli. Il Cloralosio come ipnotico nelle malattie mentali e nervo- se. « Boll. della R. Acc. Med. di Genova, 1893 ».

Rossi. Sull’ azione ipnotica e terap. del Cloralosio nelle malattie men- tali. « Riv. sper. di Fren. e Med. Leg. 1893, Vol. XIX.

Cappelletti. Sull’ azione fisiologica e terapeutica del Cloralosio, Holo- gna, 1894.

Cristiani. La Lattofenina contro l’ insonnia degli alienati. Nocera In- feriore, 1898.

Lojacono. Sull’azione del Sulfonale nelle malattie mentali. Il Mani- comio, 1899,

essi, tuttavia per altri riguardi risulterebbe assai vantaggioso, specialmente per la mancanza quasi assoluta di effetti dannosi sulle funzioni generali dell’ organismo.

E però da tutto questo incoraggiato, e convinto che alcune -differenze, anche notevoli, ottenute dai vari esperimentatori siano da attribuirsi alle diverse condizioni di esperimento, ho voluto io pure somministrare il nuovo ipnotico ad alcuni dei nostri infermi per potere avere un criterio personale sulla sua efficacia; e per- suaso ancora che nuove osservazioni, specialmente nel campo psichiatrico, potessero riescire utili, ho pensato di pubblicare i risultati da me ottenuti.

o 8 —.

Non istarò a descrivere le proprietà chimiche dell’ Edonale, riportandomi per questo agli studi del Dreser (1), che pure ne osservò l’azione fisiologica su gli animali; solo mi limiterò a dire che esso è l’ Uretano dell’ alcool-metil-propil-carbinol, la cui co- stituzione chimica é la seguente:

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È una polvere bianca, cristallina, di odore leggermente aromatico, di sapore non sgradevole (simile al mentolo), poco solubile nel- . l’acqua alla ordinaria temperatura, più solubile invece nelle be- vande calde specialmente alcooliche, sicchè può somministrarsi . tanto in polvere con ostia, come preferisce il Murri, quanto in soluzione sotto forma di punchk sonnifero, come stima più effica- ce il Biancone.

(1) Dreser. Ueber ein Hypnoticum aus der Reihe der Urethane. Comu- nicazione al Congresso dei Naturalisti in Monaco, 1899.

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Io mi sono servito del preparato gentilmente fornito dalla casa Bayer e C. di Elberfeld a questo istituto; e ho diviso le mie osservazioni in due serie distinte, l’ una di esperimenti diurni volti a determinare l’azione del farmaco sulla temperatura, sulla respirazione e sul polso; l’altra di esperimenti notturni allo scopo di stabilirne le proprietà ipnotiche. E queste ultime prove ho alla lor volta divise in due gruppi, nel primo dei quali ho somministrato l’Edonale in polvere alla dose progressiva di gr: 1 - 1,50 - 2; nel secondo (dopo un periodo di riposo di circa dieci giorni, durante i quali gl’ infermi non hanno preso alcun ipnotico) lho invece dato in soluzione alcoolica alla dose succes- sivamente di gr: 1 - 1,50. Per tutte le mie ricerche ho scelto in- fermi di ambo i sessi (nelle notturne però in gran maggioranza donne, perchè in esse erano più evidenti e abituali l’insonnia e l'agitazione motoria), di varie età (dai 16 ai 76 anni) e affetti da diverse forme morbose.

Per le prove diurne, all’ opposto di quelle notturne, ho sem- pre presi ammalati tranquilli e pazienti alle ripetute ricerche che su loro dovevo fare, per ottenere un maggiore affidamento su le- sattezza dei risultati. Raccoglievo i miei infermi, a gruppi di quattro o cinque per volta, in una o due camere attigue, procu- rando di avere la maggiore quiete possibile; fattili coricare, ne esa- minavo accuratamente la temperatura, la frequenza del polso e del respiro, poi somministravo loro l’Edonale, ad alcuni in polvere ad altri in punch, e in seguito ripetevo le osservazioni a ogni ora.

Per le esperienze notturne invece ho messo speciale cura nell’accertare lo stato d’insonnia dell’ infermo durante il periodo dell’esperimento, sopprimendo alcune sere innanzi la somministra- zione di ogni altro medicamento ipnotico o calmante, allo scopo ancora di rendere più evidente l’azione del nuovo farmaco : e su ogni individuo ho procurato di fare quasi sempre piu di una os- servazione per ciascuna dose di medicinale, sospendendone per altro l’uso non appena l’insonnia fosse scomparsa o divenuta me- no evidente. Nel determinare i risultati ho ancora tenuto calcolo dello stato di agitazione o di tranquillità dell’ infermo nell’ ora precedente la somministrazione dell’ Edonale, nonchè della mag- giore o minore quiete che durante l’esperimento era nell’ambien- te in cui linfermo riposava.

10

Stabiliti così i criteri delle mie esperienze, ho potuto fare 24 osservazioni diurne e 105 notturne, esaminando complessivamente 47 infermi.

Dalle somministrazioni di Edonale che ho fatte di giorno alle dosi successivamente di gr: l - 1,50 - 2 - 3, ho ottenuto i se- guenti risultati:

Nella temperatura, colla dose di un solo grammo, vi sono state oscillazioni di poco conto con tendenza quasi costante a un abbassamento, resosi più evidente colle dosi maggiori, e che a 3 grammi ha raggiunto un massimo di otto decimi, e in un solo individuo; raro l’aumento della temperatura e sempre poco notevole.

Il polso, anche colla dose di 3 grammi, è mantenuto co- stantemente regolare e ritmico; quanto alla frequenza ho riscon- trato quasi sempre una diminuzione oscillante dalle due alle die- ci pulsazioni per minuto, e che più spesso si manifestava assai presto, ma qualche volta però soltanto nella seconda ora e dopo un leggero aumento di frequenza; in un solo caso questa è mantenuta costante, e due volte ho notato un progressivo aumen- to sino ad un massimo di dieci battiti al minuto.

La funzione del respiro non ha mai subito una notevole dif- ferenza per quanto ne riguarda il tipo e la profondità; il ritmo, sempre regolare, più spesso si è rallentato e rare volte ha subito un leggiero aumento di frequenza; nell’uno che nell’altro caso però furono sempre modificazioni di assai poca entità.

Quanto alla durata di queste leggere alterazioni si della tem- peratura che del polso e del respiro, alla terza ora dopo la som- ministrazione del farmaco già si notava la tendenza a ritornare allo stato normale, che spesso era completamente raggiunto alla quarta ora.

Colla dose di 1 grammo ‘di giorno non ho mai ottenuto il sonno, ma solo uno stato di sonnolenza negli individui più an- ziani di età; con dosi maggiori alcuni infermi, specialmente le donne e i vecchi, hanno anche dormito, ma di un sonno leggero, che con grande facilità interrompeva quando io mi accostavo

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loro per esaminarli. Nessuno de’ miei osservati ha mai accusato cefalea, nausea o torpore.

Per maggiore comodità ho raccolto le mie esperienze nottur- ne sull’azione ipnotica dell’Edonale nelle unite tabelle, di cui le prime cinque dànno ì risultati speciali di ogni singola osserva- zione, l’ultima invece le riassume tutte e rappresenta le ore di sonno ottenute nelle varie prove.

Dall’esame di queste tavole due fatti subito si notano: l’uno è l’abitudine che con facilità fanno gl’ infermi al medicamento, sicchè dopo alcune somministrazioni l’azione sua diminuisce no- tevolmente nonostante ancora le aumentate dosi; l’altro è la mag- giore efficacia che si ottiene somministrandolo in un eccipiente liquido anzichè in polvere. A quest’ultimo fatto potrebbe pen- sare contribuisse la bevanda alcoolica, giacchè per rendere più solubile l’ Edouale io aggiungevo a circa 60 grammi di acqua calda 60 7 grammi di Cognac con un poco di zucchero; ma veramente io non credo che una si modesta quantità di alcool, e per di più diluita, possa avere una notevole azione ipnotica; penso invece che la maggiore durata del sonno debba attribuirsi al più facile assorbimento dell’ Edonale quando sia preso sotto questa forma. È in tale supposizione mi confortano ancora le mie osservazioni diurne, nelle quali ho potuto constatare che agli in- fermi cui davo il medicamento in forma liquida non solo veniva più presto e facilmente che agli altri la tendenza al sonno, ma ancora apparivano più notevoli e sollecite le moditicazioni della temperatura, del polso e del respiro di cui già ho parlato.

Nelle prime esperienze, in cui somministrai PEdonale in pol- vere alla dose di l grammo, ho avuto un'azione sonnifera soddi- sfacente nei casi di insonnia semplice o accompagnata a lieve eccitamento, mentre nelle forme di grave agitazione motoria left- fetto ipnotico è stato nullo o quasi nullo, ma evidente invece l’a- zione calmante. Dopo pochi giorni di tali somministrazioni au- mentai la dose a gr: 1,50 e subito ebbi migliori risultati, riescen- «do ad ottennre alcune ore di sonno anche nelle forme di eccita- mento grave e di insonnia ostinata; ima presto l’ effetto benetico cominciò a scemare e, con una breve sosta all'aumento che io allora feci di altri gr: 0,5, continuò la linea discendente; sicchè,

cor MOR mentre con l grammo ebbi una durata media del sonno di ore 4'/, circa, e con gr: 1,50 di oltre 5 ore, con 2 grammi la media superò di poco le ore 4 */,.

Allora sospesi le mie esperienze e lasciai gl’infermi per cir- ca dieci giorni senza alcun ipnotico, per potere anche meglio accertarmi del loro stato d’insonnia ; e dopo questa pausa ripresi le dosi di 1 grammo di Edonale, ma in soluzione, e n’ebbi effetti molto migliori non solo nelle forme di insonnia semplice e tran- quilla, ma ancora in quelle accompagnate a forte eccitamento; ma anche questa volta l’effetto ipnotico presto cominciò a scemare, sicchè dopo alcuni giorni, somministrando la soluzione gr: 1,50, ottenni risultati inferiori a quelli dei giorni precedenti. Poche prove ho potuto fare colle dosi di gr: 2,50 e 3, sicchè non ho creduto utile raccoglierle in tavole, ma posso tuttavia affermare che nei casi in cui le ho date ho constatato che il maggiore ef- fetto appariva proporzionalmente all’ aumentata dose, se dall’ una all’altra somministrazione intercorrevano alcuni giorni di sosta, mentre invece appariva poco o nulla coll’uso prolungato e conti- nuo. Non ho potuto fare esperimenti in forme nevralgiche.

Come di giorno, così anche di notte nessuno degli infermi cui ho dato l’Edonale ha avuto vomito o nausea, cefalea, torpore o sonnolenza dopo il risveglio. Il sonno prodotto da que- sto farmaco era simile molto al naturale, tranquillo e leggero; il risveglio era facile. e sereno, e se durante la notte per qualche causa il sonno veniva interrotto, facilmente il paziente si riad- doriuentava.

E siccome ho dato l’ipnotico quasi esclusivamente ad infermi della sezione agitati, avveniva spesso che il loro sonno, appunto perchè leggero, era disturbato dagli altri compagni di stanza o da quelli delle camere vicine; io quindi sono convinto che in condizioni più favorevoli di ambiente i risultati sarebbero stati migliori.

Da quanto ho osservato credo di poter concludere che l’ Edo- nale ha su molti altri ipnotici il vantaggio di non dare alcun notevole disturbo durante dopo il sonno, sicchè può impu- nemente somministrarsi a piccole che ad elevate dosi a seconda

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dei bisogni. Alla dose di 1 grammo ha gia un’azione ipnotica nel- la insonnia tranquilla o leggermente eccitata, e riesce un buon calmante nelle psicosi con eccitamento grave; alla dose di 2 a 3 grammi alcune ore di sonno tranquillo e benefico ancora nelle forme di insonnia accompagnate a forte agitazione motoria; però coll’uso prolungato e non interrotto perde facilmente la sua efficacia.

Credo quindi che l’ Edonale possa felicemente entrare nella terapia psichiatrica fra i migliori ipnotici, e al loro uso utilmente alternarsi.

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Allora sospesi le mie esperienze e lasciai gl’infermi per cir- ca dieci giorni senza alcun ipnotico, per potere anche meglio accertarmi del loro stato d’insonnia ; e dopo questa pausa ripresi le dosi di 1 grammo di Edonale, ma in soluzione, e n’ebbi effetti molto migliori non solo nelle forme di insonnia semplice e tran- quilla, ma ancora in quelle accompagnate a forte eccitamento; ma anche questa volta l’effetto ipnotico presto cominciò a scemare, sicchè dopo alcuni giorni, somministrando la soluzione di gr: 1,50, ottenni risultati inferiori a quelli dei giorni precedenti. Poche prove ho potuto fare colle dosi di gr: 2,50 e 3, sicchè non ho creduto utile raccoglierle in tavole, ma posso tuttavia affermare che nei casi in cui le ho date ho constatato che il maggiore ef- fetto appariva proporzionalmente all’ aumentata dose, se dall’ una all’altra somministrazione intercorrevano alcuni giorni di sosta, mentre invece appariva poco o nulla coll’uso prolungato e conti- nuo. Non ho potuto fare esperimenti in forme nevralgiche.

Come di giorno, così anche di notte nessuno degli infermi cui ho dato l’Edonale ha avuto vomito o nausea, cefalea, torpore o sonnolenza dopo il risveglio. Il sonno prodotto da que- sto farmaco era simile molto al naturale, tranquillo e leggero; il risveglio era facile. e sereno, e se durante la notte per qualche causa il sonno veniva interrotto, facilmente il paziente si riad- dormentava.

E siccome ho dato l’ipnotico quasi esclusivamente ad infermi della sezione agitati, avveniva spesso che il loro sonno, appunto perchè leggero, era disturbato dagli altri compagni di stanza 0 da quelli delle camere vicine; io quindi sono convinto che in condizioni più favorevoli di ambiente i risultati sarebbero stati migliori.

Da quanto ho osservato credo di poter concludere che 1’ Edo- nale ha su molti altri ipnotici il vantaggio di non dare alcun notevole disturbo durante dopo il sonno, sicchè può impu- nemente somministrarsi a piccole che ad elevate dosi a seconda

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dei bisogni. Alla dose di 1 grammo ha gia un’azione ipnotica nel- la insonnia tranquilla o leggermente eccitata, e riesce un buon calmante nelle psicosi con eccitamento grave; alla dose di 2 a 3 grammi da alcune ore di sonno tranquillo e benefico ancora nelle forme di insonnia accompagnate a forte agitazione motoria; pero coll’uso prolungato e non interrotto perde facilmente la sua efficacia.

Credo quindi che |’ Edonale possa felicemente entrare nella terapia psichiatrica fra i migliori ipnotici, e al loro uso utilmente alternarsi.

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(Manicomio Provinciale di Brescia, diretto dal Prof. G. SEPPILLI)

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Sul tempo dell'accesso epilettico note del Dottor Ruggiero Lambranzi, aiuto.

Chi fra le notizie che corrono intorno a quel fenomeno me- raviglioso che è l’accesso convulsivo nella sindrome della epilessia cerchi di trovarne una ampia e sicura, che l’ informi sul tempo nel quale l’accesso sembri scoppiare con maggior frequenza, non ha modo di appagare del tutto la sua curiosità.

L’opera dei vecchi autori tace su questo punto e la ricca letteratura d’oggi pare a pena dimostrare che informarsi su l’ora propizia a l’insorgere della convulsione possa equivalere - rintrac- ciando nel tempo un frammento di causalità - a indagare nel ca- pitolo importante e complesso della etiologia. Eichhorst si li- mita a dire che: « in alcuni ammalati gli accessi insorgono solo di giorno, in altri di notte, per cui si è distinta l’epilessia diur- na e notturna; ma non di rado avviene che variano a diverse ore del giorno (1) ». Hirt sembra non voler riconoscere alcun rap- porto fra l’ora e l’insorgere delle crisi: « L'epoca degli attacchi - Egli dice - non ha nulla di determinato; si può dire che l’epi- lettico non presenta in tutta la sua vita un solo istante, durante il quale egli sia sicuramente al sicuro da l attacco. E impossi- bile attribuire al giorno o a la notte una influenza qualunque sul ritorno degli attacchi.... (2) ». Gowers scrive: « Gli accessi epilettici sopraggiungono tanto che il paziente dorma, come se sia svegliato. Nell’uno e nell’altro caso o solo quando si è desti, gli accessi vengono il doppio di quando si dorme; di rado solo quando sta per addormentarsi od a pena destati; di quando in quando solo di buon mattino. Quando si avevano accessi soltanto di notte ed ora se ne aggiungono anche di giorno, quelli nottur- ni sogliono continuare; ma sc gli accessi erano soltanto diurni e fanno a colpire di notte, spesso allora cessano di giorno. Gli

1) Eichhorst. Trattato di Patologia e Terapia speciale. Trad. it., 1899. V. II, pag. 425. i 2) Hirt. Maladies du système nerveux. Trad. fr., 1894, pag. 521-22.

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accessi, che assalgono cosi di notte come di giorno indifferente- mente, cessano di giorno spesso, ma di rado tacciono di notte e continuano di giorno (1) ». Qui - tra i periodi contorti della in- felice traduzione italiana - si capisce che la lunga esperta osser- vazione tende a suggerire qualche legge schematica a l’eminente Autore. Ma anch’Egli non ci offre dati particolari; e notizie ugua- li o maggiormente laconiche ci - per quel poco ch'io so - quasi ogni altro autore da Charcot a Binswanger (2).

Fra i pochissimi che si sono occupati di qualche ricerca metodica in argomento, Ch. Féré (3) ha notato che gli accessi sono più numerosi di notte che di giorno e che i massimi di fre- quenza s’incontrano verso le 9 di sera e le 4 del mattino, ossia nelle ore che seguono l’andata a letto e precedono la levata de- gli infermi. Charon e Briche (4), dopo, hanno pure trovato che gli accessi sarebbero più numerosi di notte che di giorno e inol- tre che si avrebbe un massimo progressivo - di giorno - nelle ore più lontane dai pasti e di solito un minimo nelle tre ore che sono più vicine.

L’anno passato, scorrendo il volume dell’A//gemeine Zeitsch- rift fir Psychiatrie, che raccoglie molto di ciò che è stato scrit- to di patologia nervosa e mentale durante il 1899, ho avuto inol- tre notizia di uno speciale studio di A. Pick (5), nel quale non si parla tuttavia che del tempo notturno degli accessì epilettici. Non ho avuto ventura di leggere il lavoro originale e però tra- scrivo qui alcuni periodi epicritici della recensione che vidi, poi- chè da quella trassi l’idea di fare io pure alcune ricerche :

« La frequenza degli accessi epilettici notturni incorre mag- giormente nelle prime ore di sonno e nel sonno che precede il risveglio, ossia quando esso è più profondo, secondo appare da le

1) Gowers. Manuale delle malattie del sistema nervoso. Trad. it. 1894, V. II, pag. 170.

2) Binswanger. Die Epilepsie. Trattato di Nothnagel, 1899.

3) Ch. Féré. Les Gpilepsies et les épileptiques, Paris, 1890; La médicine moderne, 1897.

4) Charon et Briche. Recherches cliniques sur l’alcalinità du sang, ecc chez les Gpileptiques, Archives de neurologie, n. 24, 1897.

5) A. Pick. Ueber die Beziehungen des epileptischen Anfalles zum Schlaf. Wiener med. Wochenschr. No. 30.

esperienze fatte su la profondità. Durante la maggiore profondità ha una esagerazione dello stato fisiologico di ischemia cerce- brale, che accompagna il sono; e PA. crede che tale alterazione circolatoria possa costituire il momento causale della crisi epilet- tica notturna. Egli tuttavia avanzando questa ipotesi non vuole portare dati in appoggio a la teoria vaso-motoria della epilessia, poichè stima che a causa fondamentale dell’accesso stiano sempre fenomeni biochimici cellulari.... ».

Per due mesi osservai 13 donne epilettiche, per un mese 6 uomini, nessuno era sottoposto a cura bromica; tutti avevano uguale vitto; uguale per tutti era l’ ora della levata, le 6, l ora dei pasti giornalieri, ore 7, 12, 18, l’ora del riposo, le 19.

Le mie osservazioni riguardano tanto gli accessi epilettici diurni qnanto quelli notturni e per distinguere gli uni dagli altri in due categorie di tempo, le quali limitassero gli stati princi- palmente diversi della vita - la veglia e il sonno - calcolai il giorno di 14 ore, ossia dal momento in cui i soggetti si levavano a quello in cul andavano a letto e la notte di 10 ore. Durante il giorno tennì poi conto delle ore dei pasti, principale periodica occupazione degl’ infermi e principale condizione del fluttuare della loro vita vegetativa. Nella notte tenni conto del periodo di sonno e, per giudicare esattamente di questo, dovetti stabilire anticipatamente e talora anche in seguito lora abituale d’ ad- dorinentamento dei vari soggetti - al che giunsi per la diligenza del personale di sorveglianza.

La 1.° delle seguenti Tabelle indica il numero degli accessi epilettici avvenuti durante le ore di veglia, la 2.° il numero de- gli accessi avvenuti durante le ore di sonno.

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Considerando a tratti ampli le cifre raccolte nella Tabella 1.° si può subito notare che su 116 accessi epilettici diurni in- sorti in un gruppo di 17 epilettici (poichè, su 19 soggetti, 2 non ne hanno presentato), la maggioranza rileva evidentemente nelle ore del mattino. Infatti 75 accessi (il 64,63 0[o) incorrono da le ore 6 a le 12 e invece 41 (il 35, 34 0jo) da le 13 a le 19; e tale differenza si nota pure in modo spiccato giudicando da ogni sin- gola osservazione, poichè mentre 12 infermi presentano un nume- ro maggiore di accessi antimeridiani, solo 4 (Oss. VI, XVI, XVII, XVIII ) presentano un rapporto inverso ed uno (Oss. XIV ) non mostra differenza. Del resto questo è il solo dato positivo - am- messo che abbia un valore - di questa parte delle ricerche; che se noi tentiamo l’ indagine particolare rispetto a la frequenza dell’accesso in ognuna delle diverse ore del giorno, possiamo tro- vare bensi un numero totale massimo su le 11 ore ed altre cifre alte successivamente su le 9, le 15, le 10, ma non troviamo - come dianzi - un riscontro con l’ osservazione individuale. Così per un infermo il numero maggiore cade su le 11 o su le 15, per un altro su le 8 o le I0 e così via, senza che su di tali ore si affermi una maggioranza degna di rilievo. Questo fatto toglie va- lore a le considerazioni che si volessero svolgere da l’ esame del- le sole cifre, che esprimono il numero totale degli accessi insor- ti in ogni singola ora e che - naturalmente - sembrerebbero di- mostrare una speciale influenza di alcune di coteste ore su la determinazione delle crisi convulsive. Però è superfluo rilevare come le nostre cifre totali più alte si osservino principalmente nelle 3, 4 ore che seguono i pasti e ricercare se ciò avvenga per quelle influenze del mutevole chimismo gastrico e sanguigno, che la fisiologia c’ insegna a valutare durante il lavoro progressivo della digestione.

Solo ricorderò che Charon e Briche hanno creduto di tro- vare che durante tale periodo il numero degli accessi convulsivi Sia minore - un rapporto in gran parte (confr. specialmente le ci- fre degli accessi pomeridiani nella Tabella 1.*) contrario al no- stro - ma poichè la loro statistica tiene appunto conto solo dei risultati generali e non di quelli individuali non può essere te- nuta per sicura, el il merito d’averla raccolta da ben 130 infer- mi epilettici potrebbe anche risolversi in una possibilità più am- pia di errore.

‘Tabella 2.'

Ore OSSERVAZIONI h z di sonno 11 mjw vm vi vun) 1x | x [xi [xm hnt xiv [xv fxv vay Xan] xix |5 | eja Hays} | yy 211 12 2*{ 2/41) 12] 1| 2 | 13 35 (1 (11 1 1} 4 | l a da 2| l 7 5*| lo L 1| 1 6 6: | |1121 E 1 ] 8 7302/38; Paal aal ] i Di 8*| 11 liu | | 1! 1 7 9°11) |1 iall 5 10.* 2 2

totale | 7/12] 3} 4| 7] 5} 1] 7) 6| 1| 1111 0) slio| 5| 1] 1] 075

La Tabella 2.° mostra il numero degli accessi convulsivi av- venuti durante il sonno: anche qui su 19 individui, due non ne hanno presentato. Il numero totale degli accessi è di 75, ossia minore di 41 a quello degli accessi diurni (su un totale generale di 191 accessi si ha una proporzione del 60, 75 0[o durante la veglia e 39, 32 Oxo durante il sonno) e però la differenza che ne risulta è inversa a quella trovata da Féré. si può riferire questo fatto a l’ avere noi riguardato come accessi notturni quel- li soli avvenuti durante le 10 ore di sonno, poichè anche toglien- do comechessia due delle prime o delle ultime ore che raccolgo- no gli accessi diurni e aggiungendole a quelle del sonno, al fine di comporre - come Féré - una notte di 12 ore, la differenza re- sterebbe, benchè lievemente diminuita.

Siccome è cognizione corrente che ci sono individui epilettici che possono presentare accessi solo o in prevalenza notturni ed altri solo o in prevalenza diurni ( nelle nostre Oss. rileva che su 19 epilettici: 11 hanno un numero maggiore di accessi diur- ni, 5 un numero maggiore di accessi notturni, 3 non presentano differenze), basterebbe pensare che nelle osservazioni di Féré il numero di questi ultimi infermi fosse stato minore, perchè si

1) Le Oss, da I a XIII sono di donne, da XIV a XIX sono di uomini.

su DE eae

potesse spiegare la differenza del suo risultato dal nostro e l’aver Egli potuto fruire d’un numero molto grande di soggetti indur- rebbe in questo caso a porre maggior fiducia nelle sue che non nelle nostre cifre. Tuttavia non possiamo trascurare la frase di Gowers: « Gli accessi epilettici sopraggiungono tanto che il paziente dorma come se sia svegliato; nell’ uno e nell’ altro stato o solo quando si è desti gli accessi vengono il doppio di quando si dorme.... »; a chi sa quanto valga un giudizio di Gowers e di quanta illuminata osservazione esso sia frutto, non può parer Strano se noi non rifiutiamo il risultato nostro che sembra con- fermare tale giudizio. |

Nell’ esame dei soli 75 accessi notturni osserviamo anche qui che il numero maggiore si ha nella prima meta della notte: 42 accessi (il 56, 09) .da la 1.* a la 5.* ora di sonno e 33 (il 44 010) da la 6.* a la 10.°; la differenza non è tuttavia spiccata come quella che osservammo esistere fra le cifre della prima e della seconda parte del giorno ed è ugualmente od anche più mite quando la si osservi considerando le osservazioni singole, le quali appunto ci dànno che su 17 individui, che hanno presentato ac- cessi notturni, 9 presentano una maggioranza di accessi nella pri- ma metà della notte, 7 nella 2." meta, uno li presenta distribuiti ugualrente. Pero sembra di poter dire che nell’ insorgere delle convulsioni epilettiche durante il sonno non si nota preferenza per la prima parte della notte, almeno in quel grado che distin- gue cosi considerevolmente il numero degli accessi antimeridiani da quello dei pomeridiani.

I totali raccolti rispetto a le singole ore ci dànno a vedere che le cifre più elevate delle crisi si hanno su la 1.* e 2." e su la 6." e 7.° ora di sonno e - ciò che più importa - i risultati par- ziali riguardanti ogni individuo confermano il risultato generale. Ma ora bisogna entrare un po’ nei particolari della Tabella 2.°* per esaminare la cosa al suo giusto valore. Distinguendo gl’ in- fermi in tre categorie a seconda del numero degli accessi con- vulsivi da essi presentato, vediamo appunto che: di 6 infermi (Oss. I, II, V, VIII, IX, XV), che hanno avuto da 6 a 12 accessi notturni, il numero massimo di questi cade su la 1.*, 2.* ora in 5, in 1 (Oss. VIII) gli accessi sono distribuiti uniformemente su le prime cinque ore della notte; di & infermi (Oss. III, IV, VI, XIV,

XVI), che hanno presentato da 3 a 5 accessi, vediamo che in uno solo il numero massimo cade su la 1.", 2.° ora (Oss, VI), ma degli altri 4 (che presentano gli accessi distribuiti in modo singolo nel corso delle ore di sonno) non ce n’ è alcuno che non presenti una crisi in tale tempo, ed anzi l’ infermo della Oss. XlV ne presen- ta una in entrambe le ore: di 6 infermi (Oss. VII, X, X1, XII, XVIII) che hanno presentato un solo accesso notturno, questo cade una sola volta nella 1.° ora.

E riguardo poi a le due ore 6.° e 7.° del sonno vediamo che: dei primi 6 infermi, ben 3 v’includono un numero parossismi elevato e talora uguale a quello riscontrato dianzi (Oss. I, II, V), l’individuo della Oss. VIII - il quale non presenta altro che crisi isolate - ne ha pure una su la 8.* ora, ed in tale periodo ne hanno pure gli altri due (Oss. VI e XV), sebbene ne presentino un nu- mero maggiore rispettivamente su la 10.* e 4.” ora; dei 5 infer- mi che hanno presentato da 3 a 5 accessi, ve ne sono 3 (Oss. IlI, IV, VI) che ne presentano - isolati o ravvicinati - in una od en- trambe le ore; dei 6 infermi, che ne hanno presentati 1 solo, ve ne sono tre in cui l’ accesso è insorto in questo spazio di tempo ed uno - come già s’ è detto - l’ ebbe su la 1.* ora.

Sicchè ne viene - tirando le somme - che su un totale di 75 accessi in 10 ore notturne, 25 (il 33, 33 0[o) sorgono su la 1.*-2.* ora di sonno, 19 (il 25,33 O[o) su la 6.°-7.*; ossia in queste sole quattro ore si hanno 44 accessi (il 58, 66 0[o); inoltre nota che la predilezione di queste ore speciali pel sorgere della crisi con- vulsiva è confermato validamente da l’ osservazione individuale.

Quantunque noi nel distinguere gli accessi diurni dai not- turni abbiamo tenuto conto dei due stati di veglia e di sonno e non di due spazi di tempo uguali di 12 ore l’ uno, come ha fatto Féré, pure pensiamo di essere riusciti in un certo accordo con lui, almeno in ciò che riguarda il punto di maggior frequenza degli accessi convulsivi riscontrato nella prima parte della notte. Egli fissa quel punto a le ore 9 e noi - avvertendo adesso che il momento, nel quale la sorveglianza diretta indicava l’ inizio del sonno nel più dei soggetti, cadeva intorno a le 19 1{4 - 19 314, veniamo a fissare tal punto circa a la medesima ora. Non vi ha che un divario e consiste in ciò che Féré indica in qualche modo le ore 21 come una condizione di tempo notturno propizia al

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massimo sviluppo dei parossismi nella epilessia, noì invece non possiamo considerarla che come una condizione di tempo propizia a lo sviluppo dell’accesso nell’ individuo epilettico, che addor- menti a le ore 19 l[4 - 19 314.

Il dato di fatto concorde deriva probabilmente da che le os- servazioni di Féré sono state - come le nostre - raccolte nel Ma- nicomio, dove si può stimare in genere che orarî all’ incirca ugua- li regolino la vita e le abitudini degli infermi. La mia interpre- tazione diversa deriva da l’aver raccolto le cifre degli accessi nel corso del sonno, da l’ aver fissato - nel costruire la Tabella 2.° - le varie ore progressive di sonno dai momenti abituali d'ad- dormentamento dei singoli individui (e sebbene i più s’ addormen- tàssero, come ho detto, fra le 19 114 e le 19 3/4, ve ne era alcuno la cui prima ora di sonno s’iniziava su le 19 12 - 20 1{4, Oss. IV, e su le 20, 20 172, Oss. V; due o tre infermi che non aveva- no dimostrato una regola nell’ora d’addormentarsi sono stati tra- scurati nella compilazione delle tabelle) e da l’ avere, quando mi è stato possibile, tenuto conto in una stessa sera e dell’ ora d’ad- dormentamento e dell’ ora dell’ accesso notturno e, solo a secon- da della prima, segnato negli appunti la seconda.

Da questo modo d'osservazione è scaturita invece senz’ altro una conferma a ciò che A. Pick - per via di pratica o espe- rimento - annunziava nel suo recente articolo: gli accessi epilet- tici notturni sono più frequenti nei due periodi di maggiore pro- fondità del sonno, su le prime ore e verso il mattino. Sappiamo infatti - per diversi studî (1) - che la curva della profondità del

1) E. Kohlschitter, Messungen der Festigkeit des Schlafes. Zetischr. f. rat. Med. 1863; O. Minninghoff und F. Piesbergen, Messungen Uber die Tiefe des Schlafes. Zestschr. f. Biologie, 1883; Czerny, Physio- logische Untersuchungen über den Schlaf. Iahrb. f. Kinderheilkunde, 1891; E. Michelson, Untersuchungen über die Tiefe des Schlafes. Psycholo- gische Arbetten, 1897 (Dissert. Dorpat, 1891); R. Lambranzi, su la pro- fondità del sonno, Rivista di Scienze Biologiche, F. 6,7, 1900, Atti dell’ Acca- demia di Scienze Mediche e Naturali di Ferrara, F. 3, 4, 1900.

È da notare che la 2." elevazione della curva del sonno è stata osservata nel maggior numero delle esperienze di Mònninghoff e Piesbergen, di Czerny e di Lambranzi, nel minor numero di quelle di Michelson, in nessuna di quelle di Kohlschitter; la 1.° è stata osservata quasi co-. stantemente da tutti gli A. A.

E e

sonno fisiologico segna in modo costante una prima massima ele- vazione dopo uu’ ora a un’ ora e mezzo da che un individuo Ss’ è addormentato, ed una seconda massima elevazione - meno costan- te nel tempo e nelle sue modalità - di solito su la sesta ora di sonno. Mettendo in rapporto con questa conoscenza i dati gene- rali e particolari riuniti nella nostra Tabella 2.* vediamo appun- to che i più degli accessi convulsivi sono insorti in tali periodi di tempo.

Mi par giusto che l’evidenza della cosa induca a pensare che ora, invece di una coincidenza casuale, abbiamo incontrato un fenomeno di causalità. E certo è una simile riflessione che ha fatto ricercare al Pick se uno dei fafi fisiologici più noti, che S’ accompagnano al sonno e che aumenta in ragione diretta della profondità di esso - voglio dire l’ ischemia cerebrale - potesse essere invocato nella genesi della maggior frequenza dell’ acces- so nelle speciali ore notturne. Pick conclude affermativamente, ma senza volere con ciò recare un eventuale appoggic a la teo- ria vaso-motoria del mal comiziale, poichè l’ ischemia del cervello non avrebbe valore per lui altro che di causa occasionale e la causa intima dell’ accesso sarebbe sempre da ricercare in altera- zioni biochimiche della cellula nervosa.

Pur non conoscendo gli argomenti addotti dall’ Autore, fac- ciamo volontieri nostra quella parte della sua conclusione che allontana dal concetto di rinnovellare la teoria vaso-motoria del- la epilessia, ma ci è d’uopo soggiungere che noi non avremmo neppure avanzato l' ipotesi, che offre pretesto a discuterla, quella cioè della ischemia cerebrale cagionante la frequenza delle crisi convulsive notturie, poichè essa ci sembra destinata a cadere. E ciò perché, sebbene vediamo collimare le cifre più alte degli attacchi convulsivi con i periodi più alti della curva del son- no - sicchè ci seduca P idea di stabilire un rapporto di effet- to e di causa fra i due fatti - noi abbiamo osservato e sostenuto altrove come nella genesi di tali periodi entrino il più delle vol- te elementi del tutto diversi e come la loro interpretazione debba essere però anche diversa. Durante il primo esistono le condizio- ni fisiologiche per la genesi della profondità massima del sonno - e fra le tante oscure, quella nota della massima ischemia ce- rebrale -; nel 2.° tali condizioni non sogliono esistere che nel

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grado utile a la genesi del sonno leggiero - e però tenue è l’ i- schemia cerebrale - ma esiste insieme l’ attitudine al lavoro cere- brale attivo del sogno e però a lo sviamento dell’attenzione oni- rica da l’ eccitazione degli stimoli di risveglio; pertanto il primo segna il vero e proprio aumento massimo della profondità del sonno, il secondo non suol segnare che un aumento virtuale (1).

Ciò posto si capisce come, attribuendo a l’ ischemia cerebra- le esagerata la causa dell’irrompere prevalente delle crisi su la prima, seconda e su la sesta, settima ora del sonno, si avanzi una ipotesi la quale - dato che servisse a spiegare il fenomeno - lo spiegherebbe solo nel primo tempo. Ma di più sapendo che le immagini del sogno agiscono come stimoli interni e provocano intermittenti afflussi di sangue al cervello (Mosso), siamo anche costretti ad osservare che durante il secondo periodo le crisi si producono frequenti con condizioni di circolo le quali - già di- verse per grado - tendono a divenire opposte; e però l’ ipotesi non ispiega più nulla, perchè altrimenti dovremmo ammettere due cause contradditorie per due gruppi di effetti uguali.

Se per altra via tentiamo di risolvere il fondamento del rap- porto eventuale fra elevazione della curva del sonno e maggiore convulsività notturna, ci si para subito innanzi - in mezzo ad un deserto di argomenti - la questione della importanza dell’ attività del sogno su lo sviluppo dell’ accesso epilettico notturno, illustra- ta da Echeverria, da Féré e da altri.

Echeverria (2) ed anche Féré (3) affermano infatti che l'esplosione di esso sia determinata da le allucinazioni de] sogno, De Sanctis (4) pensa che negli epilettici i sogni favoriscano il parossisma. In quanto a considerare tale fatto come assoluto, co- Ine causa esclusiva della crisi notturna - secondo forse la ten- denza dei primi Autori - si oppone senza indugio il fatto che, mentre si hanno ragioni per credere che l’attività sognante sia

1) Atti dell’ Accademia di Scienze Mediche e Naturali di Ferrara, F. 3, 4, pag. 195-199.

2) Echeverria. Del'épilepsie nocturne. Annales Médico-psychologiques, 1879.

3) Féré. Les réves d’accts chez les Gpileptiques. La médicine moderne, Decembre 1897.

4) De Sanetis. I sogni, Torino, 1899.

wie OY e

spenta o ridotta al minimo nel periodo di maggior profondità del sonno (Heerwagen, Whiton Calkins, ecc.), noi vediamo in- sorgere in tale periodo le crisi numerose più che mai; resta in- vece la possibilità palese di tale influenza nel secondo periodo di maggior elevazione della curva del sonno dove il lavoro della psiche onirica suol essere assai vivace Ina evidentemente tale influenza non può essere intesa altro che nel senso di favo- rire lo scoppio dell’ accesso notturno, poichè per darle valore di causa unica determinante bisognerebbe ammettere il paradosso che le crisi delle prime ore non avessero cause. Inoltre siccome De Sanctis stesso dice che la copia e la frequenza dei sogni aumentano in principio della malattia e diminuiscono in progres- so di tempo, onde l’epilettico che da molti anni è convulsionario non risente più impressione di quanto accade nella sua vita oni- rica, è dl’uopo soggiungere che anche questo concetto di favorire la crisi riferito al sogno, debba essere invocato solo per qualche caso particolare e debba acquistare un senso assai ristretto appli- candolo a soggetti come 1 rostri, i quali - come quasi tutti quel- li raccolti nei Manicomiî - sono infermi da molto tempo.

Pertanto rispetto a la ragione della frequerza delle crisi così durante la 1.8 e 2.* come durante la 6.° e 7." ora di sonno, il problema rimane sempre oscuro; e noi non vogliamo andare più in della constatazione dei fatti. Solo pensando che ripugna a la logica porre due ipotesi diverse per ispiegarli (al che bisogne- rebbe giungere, dando assoluta importanza a le due diverse con- dizioni sonno in cui si sviluppano le crisi) e conoscendo invece l'unicità della causa fondamentale della epilessia racchiusa tutta, secondo le attuali dottrine, nelle intime alterazioni del ricambio, siamo inclinati a credere che principalmente per essa sòla av- vengano i due ordini di fenomeni uguali ed a le oscillazioni ed al ritmo della stessa causa corrispondano le oscillazioni ed il ritmo notturno degli accessi convulsivi.

Riunendo i fatti osservati e la sintesi dei brevi commenti, . possiamo formulare - con tutta la riserva che c’impone il loro mo- desto valore e il piccolo numero dei nostri soggetti di studio - le seguenti conclusioni:

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Negli individui epilettici, che hanno accessi durante la veglia e durante il sonno, il numero dei primi è maggiore di quello dei secondi; gli accessi della veglia sono notevolmente più numerosi nelle ore antimeridiane;

non sembra che nell’ insorgere degli accessi alcuna singola ora diurna eserciti una speciale influenza ;

gli accessi notturni sembrano essere di poco più numerosi nella prima metà della notte;

essi insorgono con maggior frequenza durante un primo pe- riodo formato da la prima e da la seconda ora di sonno e duran- te un secondo periodo formato da la sesta e settima ora;

sembra che tali ore spieghino una qualche influenza favore- vole nella determinazione dell accesso, ma le cause di tale influ- enza sfuggono in gran parte a l’indagine.

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Ancora sulla psichiatria del Wernicke (') dol Dott. Jacopo Firzi

Quali siano i caratteri generici della psichiatria del W er- nicke e che posto essa occupi di fronte alle altre scuole psi- chiatriche noi non abbiamo detto. Ma sopra tutto non abbiamo detto fino a che punto la parte speciale svolta dal Wernicke illumini i rimanenti dominì della psichiatria.

Non vogliamo qui tornare sull'analisi fatta: le conclusioni a cui siamo arrivati ci serviranno come punto di partenza.

La psichiatria del Wernicke ê una psichiatria scientifica: perchė parte da postulati, che la scienza ufficiale ha già ammes- si, 0, in massima, accetta ; perchè con questi illumina sotto nuo- va luce é conferma fatti noti, da cui sviluppa fatti e pensieri nuovi; perchè non porta mai nelle deduzioni elementi non con- tenuti nei principî fondamentali, con le induzioni li oltrepas- sa; perchè non ha pretese pratiche superiori alle possibilità teo- riche obbiettivamente dimostrate.

Se questi caratteri bastano a definire un opera come scien- tifica, non cade dubbio sull’opera del Wernicke.

1) V. Questo Bollettino 1900, Annata XXVIII, fas. 4. pag. 151.

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Questi medesimi caratteri, salvo una maggiore o minore ori- ginalità di punti di partenza, e un maggiore o minore rigore lo- gico di svolgimento, hanno portato tutte quelle dottrine psichia- triche che hanno rappresentato scuole scientifiche di psichiatria. Risalendo indietro coi tempi, noi vediamo Meynert sviluppare una psichiatria sui principî acquisiti dalla anatomia e fisiologia cerebrale dei suoi tempi riguardo alle fibre di associazione e alle funzioni dei lobi frontali; Arndt ordinare le psicosi in poche forme e in molti stadî secondo le leggi che il Pfliger aveva dimostrate per la stimolazione dei nervi; Griesinger applicare nell’interpretazione delle psicosi i concetti dell’eccitamento e pa- ralisi tolti dalla fisiologia del sistema nervoso; Morel fare per- no della psichiatria il concetto scientifico dell’eredità e della de- generazione. Ai tempi nostri Flechsig adatta le frenosi ad una novissima frenologia; Lombroso all’antropologia.

A tutte queste scuole la psichiatria deve moltissimo : ciascu- na porta l’analisi in un campo suo proprio e più o meno nuovo: ciascuna rivela o stabilisce rapporti fra la clinica psichiatrica ed una scienza affine, ausiliaria. Ma è destino di tutte le psichiatrie scientifiche di essere unilaterali ? O è l’epiteto di scientifiche dato a torto a così fatte dottrine psichiatriche?

Nell’uno e nell’altro caso, noi potremo logicamente doman- darci se oggi generalmente sia possibile una psichiatria scientifica.

Il Wernicke dice di aver fondata la trattazione della sua psichiatria su cinquemila storie cliniche di malati (1). Ciò è co- me dire che per costrurre un edifizio sono state adoperate cinque- mila pietre, il che ha un rapporto molto lontano, dato che ne abbia alcuno, col disegno e col piano dell’edificio. Tanto più che nell'edificio del Wernicke una quantità di linee, di archi e di vani sono indicati nel disegno prestabilito, ma solo accennati, incominciati, e lasciati in parte o in tutto vuoti nello sviluppo della trattazione. Dunque le 5000 storie cliniche sono analizzate e aggruppate secondo un criterio preordinato, e non già prese come tali e studiate senza alcun preconcetto, lasciando che il di- segno di aggruppamento venisse come conseguenza e come risul- tato di questo studio.

1) Grundziige, pag. 559.

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Perchè altro è avere uno scopo da raggiungere, un metodo preciso da seguire, un ordine prestabilito di ricerche da tentare, altro è anticipare la conclusione generica alla cui dimostrazione debbono servire il metodo e le ricerche. Siamo qui di fronte alla differenza essenziale fra deduzione e induzione.

Ora nella scienza i progressi si fanno in profondità e in estensione: ai primi serve più la deduzione, ai secondi l’induzione. Ambedue le vie possono essere rigorosamente scientifiche; ma in generale il misoneismo e l’ educazione e certi vizì intellettuali d’abito e d’eredità fanno si che si accettino più facilmente 1 pro- gressi in profondità che quelli in estensione e quindi si applichi con maggior larghezza l’epiteto di scientifica ad una ricerca de- duttiva piuttosto che ad una induttiva.

è però un vantaggio incontrastato dal punto di vista storico nello sfruttare un’ipotesi o un principio acquisito fino alle sue ultime conseguenze. E ciò ha fatto il Wernicke. Egli ha posto completamente in evidenza fino a che punto nello studio delle malat- tie mentali può servire la fisiopatologia sperimentale del cervello.

Ma senza il preconcetto e la fede che tal mezzo possegga un valore assoluto e infinito, non arriverebbe a questo sfruttamen- to completo. Gli è come se, rivelandocì la scienza ad una ad una successivamente le varie sfumature di luce contenute nello spet- tro, noi volessimo studiare l’universo illuminato solo da una luce, quella che ha l’ultimo colore scoperto: per vedere fino a che punto serve quel colore occorrerebbe astrarre a tutti gli altri e dai miscugli di altri, e per non comprendere l’inutilità di così grande lavoro, cioè per non fermarsi dove la logica lo esige- rebbe, bisogna nell’entusiasimo per la nuova luce scoperta, cre- dere che questa possa illuminare tutto completamente. E in realtà essa illumina tutto, ma a tutto il suo proprio colore, e solo quelle parte della realtà che riflette lo stesso colore sarebbe vista nel suo vero essere.

Così successivamente si studiano le malattie mentali con me- todo eziologico, patogenetico, sintomatologico, anatomopatologico, clinico, tecnico, giuridico, credendo con ciascuno di studiare tut- to nelle malattie mentali, in realtà studiando la loro eziologia, patogenesi, sintomatologia, ecc. Io mon voglio dire che il lato clinico sia più importante degli altri, sebbene ciò possa sembrare

s 36

a prima vista. Lo studio dell'aggruppamento e successione dei sintomi, cioè del modo di iniziarsi, decorrere e terminare delle malattie, è il più importante di tutti per la pratica medica, per la prognosi, ma non per la psichiatria come scienza naturale, per la quale non esiste gerarchia fra le scienze che la compongono. Certo invece, che quando noi parliamo di classificazione delle ma- lattie mentali, non potremo ricorrere che al metodo clinico, se no noi classiflcheremo i sintomi, le cause, le lesioni, e non le malattie.

Il Wernicke prende in mano la fiaccola della fisiopatologia cerebrale e ne ritrae da essa illuminata la psichiatria. .

« La dottrina dell’afasia e le esperienze del Munk ci condu- « cono, dice il Wernicke, con l'esattezza dei loro dati al di « di quanto si poteva sperare per una psicologia scientifica (na- « turwissenschaftliche Psychologie) (1). E anche la psichiatria, « che da quasi cent’ anni non faceva che progressi empirici e pratici (2), entra con l’aiuto della moderna fisiologia cerebra- « le (3) nella sua fase scientifica ».

A che cosa riesca con ciò il Wernicke noi l abbiamo già visto nell’ analisi fatta. Egli ci le A/Zopsicosi (allucinosi acuta e cronica, delirîì alcoolici, paralitici ed epilettici; delirî di spie- gazione allopsichici): le Somatopsicosi (psicosi ansiose (4), psicosi ipocondriache) e Psicosi motorie (ipercinetiche, acinetiche e para- cinetiche): le Autopsicosi (traumatiche acute e croniche, espansive paralitiche, ebefreniche, psicosi a idee fisse, isterismo, pazzia mo- rale, forme epilettiche, mania, melancolia affettiva, confusione, pa- ranoia originaria, ebefrenia, presbiofrenia, psicosi polineuritica (5) demenza senile).

1) Ueber den wissenschaftlichen Standpunkt in der Psychiatrie. Cassel 1880 pag. 11.

2) Ibidem, pag. 12.

3) Ibidem, pag. 13.

4) Le psicosi ansiose del Wernicke, da quanto egli svolge nelle sue Kran- kenvorstellungen, quando non fanno parte di una paralisi progressiva, di una psicosi ciclica motoria, o di una psicosi ebefrenica, corrispondono molto esattamente per tutti i loro caratteri alla melancolia come ma- lattia d’involuzione del Kraepelin.

5) Perchè distingue il Wernicke la presbiofrenia dalla psicosi polineuri- tica, dal momento che non c'è altra differenza che la causa, e non ce n'è nessuna nella sintomatologia e nella prognosi, potendo la polineu- rite mancare sempre ?

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É il criterio della sede del sintoma nell’organo della coscien- za: sede, sintoma e organo ben poco noti nel loro essere. Il sin- toma 4 la seiunzione: l’ organo è l’ inestricabile viluppo di fibre e di cellule costituenti la corteccia cerebrale.

Ora il principio della seiunzione è una di quelle ipotesi che non possono mai essere dimostrate in modo diretto, che si pre- stano solo all’ espressione verbale dei fenomeni, e che i logici chiamano finzioni rappresentative. Per conseguenza il fatto che ad essa possono ricondurre tutti i fenomeni psicopatici non può confermarla smentirla, accresce diminuisce il suo valore, perchè essa non è in nessun caso un assurdo logico, ma nemmeno potrà essere ricondotta ad un fatto obbiettivo.

E pure una finzione schematica è la sede, giacchè si tratta di una localizzazione virtuale, rispondente solo ad una costruzione su dati eiettivi dell’ attività psichica. Ammesso adurque che il meccanismo psicogenetico dei sintomi giustifichi il criterio del W ernicke, esso riesce unicamente a dimostrare ed analizzare i sintomi autopsichici, somatopsichici e allopsichici nelle diverse malattie mentali. Anche quel tanto di pensiero aratomico entra qui come assito da distruggere dopo la costruzione.

L’anatomia patologica ha già detto le sue prime parole in psichiatria; ma costrurre una intera psichiatria su quei primi dati sarebbe forse pericoloso quanto l’ averla costruita nel 1880 sui dati della fisiologia cerebrale. Non sarebbe difficile però, distin- guendo le lesioni corticali delle cellule, delle fibre e delle glia, e nelle prime le lesioni riparabili dalle definitive, costrurre uno schema a cui ricondurre, in parte per dimostrazione in parte per ipotesi, tutte le malattie mentali. E questa avrebbe tutta l’aria di una psichiatria scientifica. Wernicke stesso nell’esporre succin- tamente i primi risultati coraplessivi (1) di questi studî, mostra la tendenza ad aggruppamenti sistematici: ma si arresta dinanzi al fatto non tanto dell’ insufficienza dei dati, quanto della scarsa corrispondenza o meglio del rapporto molto complesso fra lesioni e sindromi. E lo stesso argomento che gli fa escludere qualunque criterio eziologico nell’ aggruppamento delle psicosi: argomento

1) Grundzüge, pag. 561-567.

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che perde ogni valore per il Wernicke quando si tratta del cri- terio sintomatologico. Eppure l’argomento è identico.

Si trovano lesioni anatomiche simili in malattie eziologica- mente e sintomatologicamente diverse; lesioni anatomiche diffe- reoti in psicosi eziologicamente uguali. Solo si suppongpno lesioni a sede uguale in psicosi sintomatologicamente uguali.

Si hanno cause uguali per psicosi sintomatologicamente ed anatomo-patologicamente diverse; cause differenti per psicosi sin- tomatologicamente e anatomo-patolcgicamente uguali.

Si hanno sintomi uguali per psicosi eziologicamente ed ana- tomo-patologicamente diverse e sintomi diversi per psicosi ezio- logicamente ed anatomo-patologicamente uguali.

Se la prima e la seconda affermazione valgono ad escludere rispettivamente il criterio anatomo-patologico ed eziologico dalla classiticazione delle malattie mentali, la terza vale per l'identica ragione ad escludere il criterio sintomatologico.

L' aggruppamento che deriverebbe dalle nozioni anatomo-pa- tologiche d’oggi avrebbe però dei vantaggi su quello sintomato- logico, in quanto che s’ accosterebbe un poco di più ai quadri delle psicosi ordinati sia secondo le loro cause, sia secondo il decorso ed esito.

La paralisi progressiva, punto di partenza e termine di con- fronto in una tale classificazione, presenta dall’inizio lesioni delle cellule e delle fibre corticali e lesioni della glia.

Ma lesioni perfettamente analoghe sembra presentino le psi- così alcooliche, senili ed epilettiche non appena esse hanno dato luogo a siutomi definitivi di involuzione psichica. Si può con fondamento ammettere, dice il Wernicke, che le psicosi senili, alcooliche ed epilettiche, quando dànno solo sintomi acuti e gua- ribili, presentino solo un’alterazione delle cellule e non delle fibre. L’Alzheimer ha visto, studiando le psicosi acute da infezioni, che in alcuni casi di affezione cellulare anche la glia ammala presto, in altri casi no. Sembra che questi ultimi rappresentino le forme più lievi.

Collegando questiudati, dice il Wernicke, è facile il pen- ‘siero che anche quelle altre malattie, che, oltre alla paralisi pro- gressiva, portano ad involnzione psichica rapida, debbano appar- tenere a lesioni cellulari che hanno un’azione irritante sulla glia,

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Un altro capitolo di psichiatria che illumina il problema ge- nerico dell’ anatomia patologica delle malattie mentali è quello della malattia del Korsakow.

Nella così detta psicosi polineuritica può mancare la parteci- pazione del sistema nervoso periferico senza che per questo sia minimamente modificato il quadro della psicosi. Cosicchè la le- sione corticale in rapporto con la polineurite può essere conside- rata come malattia a sè. Tanto più che abbiamo la sindrome det- ta dal Wernicke « Presbiofrenia » identica, psicologicamente, alla psicosi polineuritica. Le psicosi tossiche da piombo, da alcool, quelle svolte su terreno tubercolare e la frequenza della tuberco- losi negli ascendenti dei pazzi sono fatti che fanno pensare ad altri rapporti fra polineurite e psicosi. E siccome il processo pa- ralitico, quando è a un certo grado di evoluzione, trae nella cor- teccia i segni della neurite degenerativa, così dobbiamo ammet- tere una perfetta analogia di patogenesi nell’ azione sul sistema nervoso periferico e sulla corteccia dell'alcool, sifilide, tubercolosi. E quanto alla sede, si potrà in ogni caso ammettere, dice il Wer- nicke, che indipendentemente dalla natura diversa, a sintomi identici corrisponderà lesione in identica sede.

Quanto alle psicosi acutissime, febbrili, spesso mortali, il fat- to che tutta la loro sintomatologia e il loro esito non trovano substrato anatomico in nessun organo, fa pensare che il cervello sia l’unico punto di partenza di tutti i sintomi clinici. Cramer, Alzheimer ed altri ne hanno data la dimostrazione. In tutti i casi studiati fin ora si son trovate lesioni profonde delle cellule e delle fibre.

Psicosi funzionali noi non abbiamo il diritto di ammetterne, per quanto il Wernicke dica che con tal nome debbono indi- carsi quelle in cui si presentano mutamenti rapidissimi nei sin- tomi. Se noi dell’isterismo ad es. non conosciamo affatto alcun substrato anatomico, noi abbiamo la certezza logica relativa, una certezza scientifica, che il substrato ha da esistere e che si conoscerà col tempo.

Ora noi vediamo che questi pochissimi dati ci fanno intrav- vedere un possibile aggruppamento delle psicosi acute guaribili, delle forme acute tendenti facilmente a cronicità, e delle forme croniche involutive genuine, Ecco già l’abbozzo di uno schema

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essenzialmente diverso da quello suggerito dal criterio sintoma- tologico, sebbene di valore scientifico equivalente.

L’aggruppamento eziologico presenta, pensa, e giustamente, 1] Wernicke, delle difficoltà e delle contraddizioni erormi. Si è creato ad es. da alcuni un gruppo di « psicosi da esaurimento »° che non hanno affatto caratteri clinici ben definiti. Si può dire in un certo senso che gran parte delle psicosi acute sono psicosi da esaurimento, perchè come causa ultima e occasione determi- nante di moltissime di esse noi troviamo dei momenti debilitanti, delle condizioni morbose che in breve tempo abbassano lo stato di nutrizione generale. « Le trattazioni monografiche dei singoli gruppi di psicosi legate ad infezioni acute, emorragie, antointos- sicazioni, allattamento ecc., hanno già dimostrato come sarebbe del tutto erroneo il voler stabilire un rapporio determinato qua- lunque fra la malattia organica primitiva e la psicosi che ne è la conseguenza » (1).

E poi, come si potrebbero aggruppare le forme in rapporto all’altra categoria di cause, sempre presenti in questi casi, rap- presentate dalla disposizione congenita o ereditata e dalla dispo- sizione acquisita ?

Finalmente, come si potrebbe far risaltare nei casi acuti e cronici il terzo gruppo di cause rappresentato dai periodi fisio- logici della pubertà, climaterio e senilità ?

Però è vero che esistono molte psicosi a eziologia relativa- mente semplice e costante, nelle quali per lo meuo si può rile- vare l’azione prevalente e dominante di una causa sulle altre, È così che si potrebbe tentare una sistemazione.

Le psicosi tossiche, per quanto differenti nei sintomi, presen- tano tutte analogie di decorso. Le psicosi in cui predomina la disposizione ereditata e congenita, le così dette forme degenera- tive, hanno pure reciproci contatti clinici innegabili. Aggruppare insieme fra loro le psicosi ebefreniche, le climateriche e le senili non è pure illogico come può sembrare a prima vista, perchè con questi epiteti si verrebbe naturalmente a limitare il concetto cli- nico e sintomatologico, riferendolo a determinata eziologia.

1 Grundzüge, pag. 500-501,

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Ora non è chi non veda che, per quanto rudimentale, questo schema, già più sviluppato che l’anatomo-patologico, ha con que- st’ultimo maggiori corrispondenze che con lo schema sintomato- logico, c, dal punto di vista scientifico, può dar luogo ad una psichiatria sistematica pressochè completa.

Al pari della anatomia patologica e della eziologia, la parte clinica nella psichiatria del Wernicke non è svolta sistemati- camente, non solo: essa si aggiunge alla sintomatologia come ap- pendice secondaria. II Wernicke si guarda bene dal fare rilevare il contrasto che risalta evidente dalla lettura del suo trattato. Le induzioni cliniche sono addotte, e spesso in modo magistrale, senza una parola che le riferisca alle deduzioni sin- tomatologiche, senza il minimo accenno alle tre coscienze, allo schema; al più qualche rara volta vi si ricorda il processo di seiunzione. Gli è che due metodi assolutamente diversi hanno con- dotto uno alla sintomatologia, l’altro alla clinica; due metodi, che, come tali, non hanno alcun rapporto reciproco. Il tratto d’unione, che è insieme il muro divisorio, sta nel capitolo dove il Werni- cke dice che nei malati ben di rado s'incontrano quelle che egli chiama psicosi fondamentali, ma bensi soltanto, o quasi, psicosi miste e psicosi composte. Il che in altre parole vuol dire che nei quattro quinti del voluminoso trattato non si è svolta che della sintomatologia psichiatrica e null’ altro, il che significa ancora che il disegno prestabilito non serve affatto ad una psichiatria in quanto che di tutte le branche, solo una se ne può giovare con profitto.

Prendendo a criterio per lo studio delle psicosi il loro de- corso e il loro esito, noi abbiamo innanzi tutto da distinguere le psicosi acute e le psicosi croniche. Soltanto bisogna tener conto degli episodì acuti che compaiono nelle forme croniche; dei tipi periodici e recidivanti, che non possono essere considerati come cronici, delle forme intermedie da definirsi come subacute, e delle acutissime, che in poche ore raggiungono l’acme.

In tutte queste psicosi noi distingueremo col Wernicke la intensità e il numero dei sintomi, che rappresenteranno due cur- ve: la curva intensiva e la curva estensiva della malattia. Una terza curva, quella del peso corporeo, come l’esperienza insegna,

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completerà lo schema, che può servire a definire una malattia mentale nel suo decorso.

Tutte le varietà di decorsi, continui, ascendenti, remittenti, intermittenti, ricorrenti, cumulativi, sostitutivi ecc., risulteranno illustrati dall’insieme delle tre dette curve.

La curva del peso corporeo si sa quale enorme importanza ha nelle psicosi acute e quante corrispondenze sono state sco- perte fra di essa e l’andamento dei sintomi psichici anche nelle psicosi periodiche, da involuzione ecc. Per dare un esempio di curve intensive ed estensive, vediamo l’ accesso maniaco e l’ac- cesso di depressione presentare dal principio alla fine presso che lo stesso numero di sintomi, solo in diverso grado di intensità. Così per queste psicosi la curva estensiva è un’orizzontale; basta una curva intensiva a definire il decorso. Il contrario avviene per certe forme croniche, in cui di quando in quando sintomi nuovi compaiono e sintomi vecchi spariscono, mentre la loro in- tensità, cioè la reazione affettiva da essi prodotta, è sempre la medesima. Per la maggior parte delle psicosi però tutte e due le curve sono necessarie.

Ora non è chi non veda in questo abbozzo di studio sistema- tico sul decorso delle psicosi un tentativo molto opportuno di schematizzazione di ciò che è sempre chiamato studio clinico. Ma lo schema è completato dal Wernicke con gli accenni che egli fa nella Lez. XL del trattato agli esiti delle psicosi.

Questi si possono ridurre a pochi e in rapporto con essi ab- biamo : psicosi acute mortali, psicosi acute completamente gua- ribili, psicosi terminanti in uno stato paranoico, psicosi termi- nanti in demenza.

La demenza, dice il Wernicke, non ė sempre la conseguen- za di malattia mentale.

Anche senza toccare della demenza congenita, che noi solia- mo chiamare idiozia, semi idiozia, e imbecillità, alle volte si ha una demenza che si sviluppa a poco a poco senza che alcuna psicosi la giustifichi, così ad es. in casi di traumi al capo e in casi di grave disposizione, nei quali cause inavvertite (leggeri traumi, pubertà ecc.) portano uno speciale indebolimento mentale.

Le demenze però si possono distinguere le une dalle altre per molti caratteri sintomatici : così, dice il W ernicke, abbia-

mo la demenza paralitica, la postapoplettica, l’epilettica, l’alcoo- listica, l’ebefrenica e la senile.

Per quanto dicemmo nell’ articolo precedente e al principio di questo, risulta come provviseriamenie ammesso : 1) che è pos- sibile una sintomatologia scientifica delle malattie mentali : 2) che la trattazione del Wernicke è essenzialmente una sintomatologia, e, come tale, può chiamarsi scientifica. Siamo noi in grado di rispondere alla domanda se è possibile oggi in generale una psi- chiatria scientifica ?

Le singole branche della psichiatria danno veramente assai scarse e incerte conclusioni, troppo poche e troppo poco control- late dallo sperimento perchè esse permettano conclusioni e sin- tesi generali. Però non possiamo negare che, se noi abbiam cre-

duto di ammettere una sintomatologia scientifica, saremmo illo-

gici se non ammettessimo anche una eziologia e una clinica scien- tifiche. E anche l’anatomia patologica, per quanto appena abboz- zata, trae tanto di obbiettività nei suoi dati, da essere messa a fianco delle altre scienze costituenti la psichiatria. Si tratta solo di un grado di sviluppo maggiore o minore: in questo senso pos- siamo dire soltanto che la sintomatologia, essendo la più avan- zata, permette una costruzione sistematica più vasta.

Se noi cerchiamo fra i risultati delle singole branche della psichiatria le concordanze, noi avremo un argomento logico per accrescere il valore obbiettivo di una conclusione parziale che trovi conferma dai diversi punti di vista,

Ora, rappresentandoci schematicamente gli ordini di idee svi- luppate dai criteri anatomico, eziologico e clinico, ê facile vedere che, se nelle linee generali le concordanze sono assai scarse, nei particolari, nei piccoli gruppi, queste concordanze sono numerose, Il che significa che esistono già delle distinzioni che rispondono a cognizioni sufficientemente assodate, e aventi un grado sufficiente di obbiettività per essere chiamate scientifiche. Di queste concor- danze il Wernicke non si occupa punto.

Ma siccome ricondurre tutto alla sintomatologia si dimostra difficile quanto e più che ricondurre tutto ad una delle altre branche psichiatriche, così diremo ché l’opera del Wernicke non è una psichiatria, ma solo una sintomatologia psichiatrica

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scientifica. Psichiatria scientifica sarà quella nella quale la cate- na delle concordanze fra sintomi, lesioni, cause e decorso sia chiusa da rapporti chiari e obbiettivamente controllati.

E anche di questo esiste già qualche cosa. Nelle lesioni ana- tomiche noi distinguiamo la sede, la natura e la gravità, e nelle cause noi distinguiamo il numero, la natura e la gravità. Così nei sintomi e nelle sindromi abbiamo il numero, la costanza, la intensità, la spettanza al contenuto o all’atiività della coscienza, ecc.

Ora fra queste rispettive suddivisioni si trovano parallelismi che a prima vista non si possono sospettare. Per cui si può dire esista una parte, sebbene esigua, della psichiatria, che non solo supera le opinioni personali, ma oltrepassa le differenze di scuola e ha il diritto di essere giudicata come scientifica in senso stret- to. Se noi ammettiamo questo, e diamo alla parola scientifico il significato di razionale e avente un alto grado di obbiettività, noi saremo portati a credere che in opposizione ad una psichia- tria, e, in generale, ad una medicina scientifica, non vi ha punto una medicina pratica: nulla di più pratico che la scienza. Ciò che veramente contrappone al sapere non è il fare, ma il cre- dere: teoria e pratica acquistano parallelamente caratteri obbiet- tivi e razionali, cioé scientifici. Il trattamento e la cura rivelano di per distinzioni fra un eccitamento maniaco, ebefrenico e amente ; fra un’ immobilità melancolica e catatonica: anche l’em- pirismo sistematico è scientifico. Tali distinzioni trovano infatti accordo in alcune delle distinzioni fcrnite dalle altre branche della psichiatria. Cosi dalle singole scienze psichiatriche, scienze teoriche e scienze pratiche, vengono scambievoli appoggi e con- ferme, e insieme contributi alla dottrina generica delle malattie mentali.

Psicosi pellagrose

CONTRIBUTO CLINICO

del Dott. Jacopo Finzi

Il problema della pellagra, sebbene attaccato da tante parti, presenta ancora molti punti oscuri e molte questioni parziali in- solute. Anzi si può dire che, dal punto di vista scientifico, delle

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molte conclusioni parziali a cui si è pervenuti sulla eziologia, sintomatologia, anatomia patologica, profilassi e cura della pella- gra, non una soltanto è libera da dubbi e incertezze, non una soltanto è definitivamente dimostrata. Fra i lati più fondamen- talmente importanti e ciò non ostante meno esaminati del vasto problema, quello clinico delle psicosi pellagrose attende ancora uno studio metodico. Si è introdotta nelle classificazioni e nella pratica una frenosi pellagrosa, mentre si ammette che la pellagra possa dare svariate forme di psicosi, le quali però, a differenza ad es, delle frenosi alcooliche, non hanno nulla di caratteristico e di specifico dal punto di vista psichiatrico. Si è sempre accet- tato e ripetuto, senza darsi la pena di una verificazione accurata, che i caratteri di questa frenosi pellagrosa sono la depressione di umore e la tendenza a una forma speciale di suicidio.

= Questo primo contributo, che noi intendiamo portare al pro- blema della pellagra, riguarda esclusivamente il lato clinico-psi- chiatrico. Esso comincia con l’esame, fatto in ordine cronologico d'ammissione, dei pazzi pellagrosi entrati nel Manicomio di Fi- renze dal 1 Gennaio 1899 al 31 Dicembre 1900.

Oss. I. P. Teresa di Galeata, n. nel 1854, nell'autunno del 1898 presenta pellagra. Insieme si mostra indifferente a tutto, solo si irrita talvolta contro i suoi di casa che «la trascurano e la fanno morire di fame». È ammessa al Manicomio il 27. 1. 99.

Presenta eritema pellagroso, stato di nutrizione scadente. Glandula ti- roide grossa; leggero esoftalmo; tremore manifesto. Polso 90-110. Non dor- me quasi affatto: sente bruciore alle estremità. Un certo grado di logorrea: irrequietezza. È orientata mediocremente: anche nelle sue risposte esatte sul tempo e sul luogo mostra una notevole incertezza.

20. VI. É molto migliorata ; l’ orientazione è perfetta. Persiste una in- quietudine vaga, una certa irritabilità. Fisicamente è ben rimessa di colore e di peso. Sintomi basedowici appena percettibili.

12. XI. Si dimette guarita.

Il caso è notevole per l’associazione di due sindromi eziolo-» gicamente e sintomaticamente diverse: la cachessia pellagrosa con grado lieve di disorientamento e smarrimento psichico, lo- gorrea, fatti che spariscono rapidamente col miglioramento so- matico sopravvenuto: fenomeni basedowiani con irrequietezza, ir- ritabilità, idee deliranti labili, non legate alle condizioni somau- che. Che le due sindromi psicopatiche siano nel rapporto causale

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così nettamente divise non si può dimostrare: soltanto, siccome la seconda è assolutamente insolita nei casi di pellagra pura, così noi le ascriviamo una probabile eziologia diversa, ipotesi nel caso presente confortata dalla presenza del morbo di Basedow. La diagnosi può essere espressa qui solamente con' stato di eretismo psichico da morbo di Basedow, e leggera confusione mentale da pellagra.

Oss. II. R. Domenico di Firenzuola, n. nel 1835, nella primavera del 1898 ammalò di pellagra : ebbe un lungo catarro gastro-enterico, e un periodo di confusione mentale: non fu però inviato al Manicomio. Nell’ inverno 98-99 ricadde malato, e ai primi di Febbraio quasi acutamente divenne agitato, sitofobo. Fu ricoverato nel Manicomio il 10. 2. 99.

12. II. Eritema pellagroso, aspetto cachettico, refl. rotulei molto deboli. Rammenta di essere stato confuso ; ora si sente meglio. È orientato.

31. IIl. Da 8 giorni è a letto con febbre e bronchite. Da quanto tempo sei qui? Dal 10. II.

Cresciuto molto di peso; psichicamente sano.

11. IV. Si dimette guarito.

Qui il malato è trasferito al Manicomio evidentemente già migliorato; e noi assistiamo alla convalescenza di una malattia mentale, che lascia tracce di confusione con incertezze iella me- inoria. L’agitazione motoria e la sitofobia unita alla confusione nel periodo di acme; il lento miglioramento psichico e lisico ir- sieme, l’inizio acuto, il rapporto eziologico manifesto corducono alla diagnosi di Amenza pellagrosa.

Oss. III R. Paolo di Palazzuolo- Romagna, n. nel 1837, ammesso 11. 2. 99. Anamnesi muta fino alla primavera 1898, in cui si manifesta eruzione pella- grosa e smarrimento psichico. Con l inverno il- R. diventa molto depresso. manifesta idee di dannazione.

12. II. 1899. Vecchio deperito, arteriosclerotico; si regge a faicat in piedi; anche a letto prova la sensazione di cadere. Residui di eritema pella- groso evidenti ancora alle mani. Bisbiglia talvolta qualche parola fra sè. In- terrogato, alle volte risponile a tono, spesso o risponde frasi sconnesse o non risponde affatto. « Perchè a casa non volevate mangiare? » « Non avevo appetito e avevo sempre la bocca cattiva ». Non insiste affatto sulle denun- ziate idee di dannazione.

20. II. 1899. Sai dove sei? - A Firenze - Perchè ti hanno mandato qua? Non lo so. - Da quanto tempo sei qui? Non lo so. - In che mese siamo? In Marzo. - Come stai? Meglio. - Eri malato quando ti portarono qua? Ero un po’ debole.

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21. II. 1899. Da quanto tempo sei qui? Da un mese e più. - Quanti anni hai? 64. - Hai dei dispìaceri, sei triste? No, non so. - Non rammenta il dialogo di ieri. Crede il medico un antico suo conoscente, ma non sa dire dove e quando l’ha visto.

15. III. 1899. Migliora. Parla ordinato: Si commove molto facilmente e ride anche facilmente.

28. III. 1899. Presenta una forte pigmentazione alla faccia e alle mani, come da prolungata esposizione al sole, che qui non si è minimamente avve- rata. Insieme una certa logorrea. Quando comincia a discorrere seguita a lun- go con parole sconnesse talvolta incomprensibili e mescolate a pianto e sorrisi.

7. IV. 1899. Si è rimesso a letto perchè di nuovo non si regge più sulle gambe. Reflessi rotulei esagerati. Dicesi sicuro morire e che sarà dannato. |

12. IV. 1899. Confusione e disordine mentale; perdita di orine e di feci. |

1. VI. 1899. Lento miglioramento. I sintomi cutanei spariscono. Il ma- lato parla e si contiene ordinato, non è sudicio; è ancora disorientato per tempo, non per luogo e persone. i

15. XI. 1899. Molto migliorato nei mesi precedenti. Scarsi ricordi della malattia. Nuova pigmentazione e desquamazione della cute, paresi spastica delle estremità inferiori, vertigini. È stato a letto una settimana (3-11. XI). Ora è migliorato.

2. I. 1900. Seguita a star benino.

10. II. 1900. Aspetto buono: peso aumentato; andatura lenta, ma più sicura, reflessi rotulei alquanto esagerati. Condizioni psichiche pressochè nor- mali. Esistono piccole lacune e incertezze nei ricordi degli ultimi due anni.

28. IV. 1900. É dimesso dal Manicomio relativamente guarito.

I sintomi cardinali del caso sono: Disordine e confusione | mentale, disorientemento e smarrimento; logorrea; emotivita esa- gerata; fugaci idee deliranti di dannazione, perdita di ricordi ri- | ferentisi alla malattia. Nessun sintoma fisso, immutato. All’ esito | nessun sintoma di difetto psichico acquisito permanente, all’infuori delle citate dismnesie. Diagnosi Amenza.

Il decorso è interessantissimo : questo individuo entrò esau- rito, con tutti i sintomi cutanei, viscerali e nervosi della pellagra; migliorato, presenta durante la sua degenza in Manicomio due recidive, una totale e una parziale, di pellagra, senza che su di lui potessero agire le cause estrinseche note o supposte della pella- gra. Nel manicomio non mangiò mai polenta, non fu esposto al sole, ebbe nutrimento buono e visse in condizioni igieniche eccel- lenti. Ciò non ostante, dopo circa due mesi dall’ammissione, quan- do già era migliorato fisicamente e psichicamente, riebbe un vero

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@ proprio accesso di amenza pellagrosa; e 10 mesi dopo un’altra recidiva più lieve, limitata ai sintomi cutanei e nervosi.

Oss. IV. C. Maria Teresa di Empoli, n. nel 1831, è affetta fino dal 1894 da pellagra, di cni non è mai guarita. Fu nel 1894 alcuni mesi al Manico- mio, dove tornò nel 1898 (3. VIII - 4. X). Poco dopo la dimissione, ricominciò a stare appartata, a mostrarsi confusa e smarrita. Poi improvvisamente di- venne agitata, per cui fu riammessa al Manicomio il 16. II. 99. Presenta agitazione motoria, logorrea, vaniloquio continuo, insonnia, che pochi giorni dopo cessano. Si rimette rapilamente di forze e di condizioni psichiche È dimessa guarita il 14, III. 99.

Lo stato delirante, che per pochi g.orni questa donna ha pre- sentato, ha tutti i caratteri di una psicosi da esaurimento, e co- stituisce qui il più recente episodio della forma mentale di cui la donna è affetta. Se il decorso e l’esito escludono qui qualsiasi forma di demenza, i sintomi escludono la frenosi maniaco-depres- siva. D'altra parte le recidive, evidentemente in rapporto coll’a- zione ripetentesi della causa, molto chiara e manifesta dai sinto- mi somatici, e il succedersi irregolare di fenomeni di confusione astenica e confusione agitata, parlano per la diagnosi clinica di Amenza.

Oss. V. Z. Alessandro di Modigliana, n. nel 1849, pellagroso per la pri- ma volta nella primavera del 1878, fu una prima volta nel Manicomio dal V. al IX. 78; una seconda dal XII. 97 al V. 98 sempre con le diagnosi di confusione mentale da pellagra. Il 25. II. 1899 rientra per la terza volta.

26. II. Eritema pellagroso fortissimo alle mani e alla faccia, refl. patel- lari molto esagerati; stato di nutrizione orribile. È agitato, disorientato, ri- sponde spesso parole incomprensibili. In che mese siamo? Ma! forse Marzo. Quanti anni hai? 51, 52, 53.

3. III. Piange. Perchè piangi ? Si mette a ridere, dice: «sto molto male». Che cosa mangiavi a casa? Un chilo e mezzo di polenta al giorno. - Con che cosa la condivi? Non lo ricordo perchè non ero ancora nato.

15. X. 99. Va migliorando; è solo ancora debole di forze. L'aspetto è indif- ferente, gli atteggiamenti rilassati, contegno apatico. Interrogato, dice di sen- tirsi sempre debole, di aver senso di vuoto al capo e talvolta vertigini. È orien- tato. Non vnole tornare a casa. « Che cosa vuole che faccia a casa? Mi torna subito la pellagra! »

15. XII. 900. Il malato è ancora in Manicomio, sebbene psichicamente stia da molto tempo benino. Lavora sempre nei campi. L’aspetto suo è indif- ferente, il contegno normale. Interrogato, mostra orientato, parla con na-

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turalezza del sno stato. Teme che si rimandi a casa « percha allora mi tor- na la pellagra e poi torno qua ». Non accusa del resto nessun disturbo speciale. Andatura, reflessi, lingua, sensibilità, funzioni gastro-enteriche normali.

La melancolia si esclude facilmente. Il pianto e il riso che succedono, le risposte disordinate, le frasi senza senso, il disorientamento notevole, il lentissimo scomparire di questi sin- tomi, mentre alcuni disturbi nervosi persistono, son tutti fatti che permettono di far rientrare questo caso nel quadro clinico del- l’amenza.

Come in molti altri tipi di amenza ad eziologia diversa e ignota, anche qui gli effetti dell’azione deleteria esercitata sull’organismo dal veleno maidico associato ai veleni endogeni dell’esaurimento e da disturbi gastro intestinali lunghi e profondi, sembra non pos- sano generalmente essere distrutti ed eliminati che con straordi- naria lentezza, e pare che forse talvolta lascino dei residui fissi. In questo lento e lunghissimo periodo il tono psichico è realmente qualche volta depresso, forse più spesso apatico.

Questo malato, ad es., è da circa un anno in uno stato che a prima vista può essere creduto uno stato di depressione. Ma evi- dentemente, eliminato quel po’ di esagerazione che il malato met- te nell’atteggiarsi a non del tutto guarito, nel timore della di- missione, eliminato quel tanto di dolore psichico che, in un indi- viduo non frenastenico, Palternativa della pellagra e la dispera- zione in famiglia da un lato e il Manicomio dall’ altro normal- mente deve far sorgere; tenuto conto di un reale stato di esauri- mento fisico e psichico e di disturbi nervosi e vegetativi varî, solo da pochissimo tempo perfettamente scomparsi, e infine con- siderando la buona volontà con cui il malato da un anno lavora, il suo contegno normale e il suo aspetto spesso sorridente la sindrome non può essere giudicata di natura depressiva in senso stretto, patologico.

Noi potremo definire questa sindrome solo in ordine al fatto essenziale eziologico e sintumatologico, l’esauritmento o VP avvele- namento, il quale ne determina il decorso e la fisonomia.

Oss. VI. G. Rosa di Marradi, n. nel 1866, fu una prima volta nel Ma- nicomio con la diagnosi di follia. pellagrosa dal 3. 7. 95 al 7. 2. 96. Nel- l’ inverno 98-99 presentò una recidiva per cui fu ammessa di nuovo al Ma- nicomio l’ 11. 3. 99,

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È molto deperita; presenta residui di eritema pellagroso alle mani; tranquilla ; facilmente emozionabile, racconta che da molto tempo è malata,

non sa precisare i particolari dell’ ultima malattia; è incerta nelle risposte relative all’ orientamento.

Fa l’impresione di una convalescente. Migliora rapidamente. Si «dimette guarita il 7. 4. 99.

Sia che si tratti veramente di una convalescente di amenza o sia questo uno di quegli stati di debolezza che osservano talvolta dopo infezioni (postinfectitise Schariichezustinde del Kraepelin VI Ed.) è certo che la forma appartiene al gruppo clinico delle psicosi acute da intossicazioni, infezioni ed esauri- menti, caratterizzate dalla confusione mentale, un grado più 0 meno notevole di esaurimento psichico (psychische Lähmung) mascherato a volte dall’ eccitazione motoria. Una distinzione di forme a seconda dell’ eziologia non sembra per ora possibile.

Oss. VII. N. Eiisabetta di Borgo S. Lorenzo, n. nel 1834, ripetutamente pellagrosa, entra per la prima volta in Manicomio il 21. 6. 98 con agitazio- ne motoria, sitofobia, confusione mentale. Esce guarita il 17. 9. 98.

Il 20. 3. 99 nuova ammissione: segni di pellagra (eritema, gastro-en- terite, vertigini, debolezza) e gli stessi sintomi psicopatici dell’anno decorso.

10. 4. Si è tranquillizzata. Sta in letto. Non ha più logorrea. Risponde quasi sempre a tono alle domande. È orientata per luogo, non per tempo. Dice di avere 40 o 50 anni. Quanti sono i giorni della settimana? Cinque, Lunedì, Venerdì e Sabato.

20. 4. Migliora. Riconosce di essere stata confusa. È di una grande emotività. Piange, nominandole i suoi figlinoli. Il disorientamento per tempo persiste.

D. 6. Ancora debole di forze, incerta nelle espressioni psichiche.

15. 4. 1900. Si alza sempre, lavora. Risponde molto bene alle domande. È orientata, sebbene non sia sempre sicura delle risposte che dà.

18. 5. Si dimette relativamente guarita.

Le uniche diagnosi che qui possono venire in discussione sono la demenza senile e l’ amenza. Ma la diagnosi di demenza senile, oltre che non trovare appoggio nell’ età, che non è molto avanzata, non è giustificata dal decorso della psicosi, che è ir- regolarmente intermittente, in rapporto ad una abbastanza bene determinata causa, qual’ è la cachessia pellagrosa.

La lunga convalescenza delle amenze è un fatto molto fre- quente, che alle volte fa sorgere difficoltà diagnostiche. Qui ab-

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biamo potuto osservare l’intera curva della psicosi, e questa, co» me pure tutti i sintomi, e il precedente dell'altra ammissione, son tutti elementi per ammettere la diagnosi di amenza ed esclu- dere tutte le altre,

Oss. VIII. V. Elisabetta di Galeata (Romagna), n. nel 1861, sorella di pellagrosi, affetta da molti anni da pellagra, aveva già presentato altre vol- te lievi episodi di alienazione mentale, ma non fu ricoverata per la prima volta in Manicomio che il 29. 3. 1999. Già da quasi dune mesi l’ inferma parlava spesso sotto voce da sè, guardava con aria sospettosa tutti, spesso non voleva mangiare e non voleva mangiassero nemmeno i suoi di casa. Debo- lissima di forze, si agitò a poco a poco, non poteva star ferma a letto, alzata, voleva uscire, rompere e strappare la roba, percoteva i suoi figli, parlava sempre senza ordine. Ammessa in Manicomio, presentava: logorrea, agitazione motoria, disorientamento per tempo, luogo e persone, confusione mentale, iperestesia psichica, illusioni sensoriali continue, forse allucinazioni. Stato di nutrizione scadentissimo.

Continua nello stesso stato per 20 giorni, muore il 18. 4. 1899.

Ecco la sindrome che il Wernicke definisce Delirio fan- tastico acuto di minaccia, o psicosi sensoriale progressiva; la pazzia acuta mortale dell’Aaler il delirio acuto di tanti Autori.

Noi abbiamo già avuto occasione di esporre, per quanto bre- vemente il nostro pensiero sul delirio acuto (Cfr. Breve compen- dio di Psichiatria. Pag. 56, 75, 82; e v. più innanzi Oss. XIV, XXIV, XXXVIII, XLII, LI, ecc.)

Oss. IX. G. Francesco di Marradi, n. nel 1840, più volte pellagroso, nella primavera del 1899 ebbe sintomi più gravi del solito. Senso di abbat- timento e di angoscia, mostra di non capire quanto gli si dice, è lentissimo nel parlare e nell’agire, fugge talvolta di casa dicendo che la casa prende fuoco; piange, grida. È ammesso al Manicomio il 5. 4. 99.

5. 4. Che hai? Non ho soldi. Hai la pellagra? Non risponde direttamen- te. Logorrea. Dice che ha fame. Sei malato ? Poveretto me.

Eritema pellagroso, tremore agli arti sup. e faccia, miosi, reflessi esage- rati, polso piccolo, frequente.

6. 4. Brontola continuamente fra Avendogli dato il buon giorno, ripete, buon giorno, un numero grandissimo di volte; segnita il tremore e la miosi. Come ti chiami? G. Fr. Dove siamo qui? Al mio paese. Da quanti giorni sei qui? Non so.

8. 4. Seguita ad essere profondamente disorientato: però una volta alla domanda dove siamo qui, risponde, forse a Firenze. Che malattia hai? La pellagra, una volta presa non lascia più.

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10. 4. È più ordinato. Pupille reagiscono: d. > s.

25. 4. Va migliorando sensibilmente , e parallelamente nelle condizioni fisiche e psichiche.

14. 7. È dimesso guarito.

Noi di malattia vera e propria abbiamo visto meno di una settimana. 1 sintomi mentali e nervosi hanno cominciato tosto a diminuire e scomparire. L’anamnesi parla di senso di abbatti- mento, pianti, lentezza di espressioni, ma tutto questo, che se fosse stato solo, e avesse durato più a lungo, avrebbe potuto significare melancolia, qui, unito alla confusione, al disorientamento, alla logorrea, alle allucinazioni, e durato così breve spazio di tempo, ha tutt’ altro significato clinico. Tremore, miosi, polso piccolo sono indizio di uno stato di intossicazione non facile ad essere definito (non è stato fatto alcun esame di urina). Tutto ad ogni modo concorre alla diagnosi clinica di una forma di Amenza.

Oss. X. M. Maria di S. Maria a Monte, n. nel 1835, da qualche mese pellagrosa, da qualche settimana tutta incerta, smarrita, dall’ aspetto spaven- tato, è ammessa al Manicomio il 10. 5. 99.

Tranquillissima racconta di aver la pellagra, di sentirsi molto debole. Risponde ordinata, ma è disorientata per tempo e molto incerta anche nel- l’ orientamento per luogo.

Il benessere psichico procede rapidamente e, sebbene ancora un po’ de- bole di forze, si dimette come guarita il 13. 6. 99.

Anche qui, come già in altri casi, noi vediamo essenzialmente la convalescenza di una psicosi acuta avente i caratteri delle psicosi tossiche e da esaurimento, cioè di una psicosi confusionale, che lascia dietro per un certo tempo disorientamento e smarri- inento, e che guarisce essenzialmente col guarire dei disturbi somatici. I fenomeni di ansia fanno talvolta la loro apparizione (come qui risulterebbe dall’ anamnesi) senza dare per questo alla psicosi una fisonomia particolare. Per quanto varie nei particolari, queste forine rientrano tutte clinicamente nel quadro dell’Amenza.

Oss. XI. G. Giuseppe di Firenzuola, n. nel 1823, è ammesso al Manico- mio il 18. 5. 1899.

Gravi segni cutanei di pellagra. È obbligato al letto perchè non si regge in piedi. Andatura spastica. Segno di Romberg. Sensibilità normale. Dolorabilità alla pressione dei tronchi nervosi degli arti inferiori. Cefalea. Apatia, orientamento buono. Coscienza della malattia fisica; riconosce di avere dei momenti in cui non sa quel che fa e dice e non capisce nulla.

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Realmente alcune volte scende di letto e va in giro senza saper dar ragio- ne di ciò.

1. 12. 1900. È a letto perchè si sente molto debole ed ha diarrea. Co- me ti chiami? G. G. Quanti anni hai? 77. Da quanto tempo sei qui? Da più di nn anno. È la prima volta che sei qui? Si, ma a Firenze ci son ve- nuto altre due volte all’ ospedale per la pellagra. Contegno corretto. Accusa gravi dolori alle gambe, che può difficilmente muovere anche stando sdraiato. Alla pressione specialmente gli arti sono dolentissimi.

Ammesso che una psicopatia abbia episodicamente dato segni di con momenti di confusione, questa è già sparita, mentre la neuropatia rimane e sembra non tenda a scomparire.

Paresi spastica, Romberg, polineurite: qui ci è una sindrome pseudo-tabetica che non sembra abbia rapporto immediato con 1 disturbi mentali. Da un anno il malato è psichicamente sano: nessuna traccia del disordine e dello smarrimento psichico esiste più, e invece il suo stato è forse peggiorato somaticamente. I dolori che accusa alle gambe sono forse l’espressione di fenomeni neuritici. Lo stato cachettico generale non permette di conclu- dere ad amiotrotie, senza l’esame elettrico, che non è stato fatto.

Oss. XII. G. Marianna di Portico, n. nel 1874, ha da poche settimane tutti i sintomi della pellagra. Ammessa al Manicomio il 27. 5. 99, non presenta che nn lieve disordine mentale, incertezza nell’ orientamento, un certo senso di prostrazione e abbattimento in perfetto rapporto con le condizioni di de- perimento fisico. È dimessa guarita il 17. 6. 99.

Qui già la prima invasione di pellagra porta questa giovane donna al Manicomio. Nei venti giorni di osservazione non si sono osservati più numerosi e più gravi disturbi psichici di quelli che si potrebbero osservare in un convalescente di grave tifo o di altra infezione acuta, che abbia portato seco un delirio febbrile o come che sia una diminuita e confusa attività mentale. Il ri- stabilirsi assai rapido dell’ ordine nella psiche come nelle funzio- ni vegetative e nervose è certo dovuto all’ età giovane, al fatto che si tratta di un primo accesso, e probabilmente alla poca en- tità della malattia. La quale è dato a tutti i medici pratici di osservare, e presenta con relativa frequenza, senza che, se as- solutamente le condizioni sociali o famigliari del paziente non lo esigono, si proceda all’ ammissione nel Manicomio. In ogni modo questo stato di lieve confusione, come di chi si sveglia e dura nello stato intermedio di semi sonno, senza che nemmeno

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esista dubbio soggettivo fra sogno e realtà, nun arriva nemmeno al grado di stato delirante, ma appartiene sempre al gruppo delle psicosi da esaurimento, intossicazione ecc. che vanno dal de- lirio febbrile all’ amenza.

Oss. XIII. V. Rosa di Portico, n. nel 1839, ripetutamente pellagrosa, presenta dal principio del 1899, oltre ai soliti sintomi, vertigini frequenti, debolezza maggiore del consueto, a quando a quando sitofobia. È ammessa al Manicomio il 28. 5. 99.

1. 6. Non si raccapezza nelle risposte. E disorientata per tempo e per luogo. È agitata, confusa, disordinata. Paraparesi con refl. rot. esagerati. Le pupille reagiscono pochissimo. Perde urine e feci. Si sospetta una paralisi progressiva.

25. 6. È pulita, ordinata, leggermente confusa, tranquilla.

1. 8. I reflessi sono leggermente esagerati; le pupille reagiscono. Lo stato di nutrizione è buono. Rimangono pochi e sconnessi ricordi della ma- lattia, di cui c’ è perfetta coscienza.

Si dimette il 9. 9. 99; ha coscienza della passata malattia, di cui non ha tutti i ricordi. È dichiarata guarita.

L’ anamnesi, |’ eta, 15 mesi di sospensione di tutti i sintomi psicopatici rendono sommamente improbabile la diagnosi di para- lisì progressiva.

Se in questo quadro tipico di Amenza comparisce un certo grado di rigidità pupillare, che poi è scomparso, ciò non solo non autorizza nessun’ altra diagnosi, ma è in perfetta armonia con quanto sa sull’ eziologia dell’ amenza, e troverà certo a suo tempo la spiegazione, quando la natura tossica della malattia sarà conosciuta.

Disturbi residuali non persistono come contenuto erroneo come attività anomala di coscienza. Qualche incertezza o la- cuna riferentesi ai ricordi dell’ epoca corrispondente all’ acme della malattia sono il lascito ordinario delle psicosi in cui esiste confusione mentale.

Oss. XIV. S. Assunta di Borgo S. Lorenzo (Mugello), n. nel 1843, ha sof- ferto più volte di pellagra, e nella primavera del 1899 ebbe una delle so- lite recidive. Maggio 1899. Cambia carattere; diventa irritabilissima ; invei- sce contro tutti, specialmente contro i bambini. Avendo tentato ucciderne due, si manda al Manicomio (29. 5. 99).

29. 5. Aspetto non eccessivamente deperito. Segni di eritema pellagroso. Senza essere interrogata, dice: Mi son ritrovata da queste parti. Sono

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morta e chi è morto una volta non muore più. Sono per morire, sono per morire ( ripete moltissime volte ). A star nell'acqua ci si ammolla (ripete moltissime volte).

Come ti chiami? Assunta, figlivola dei miei genitori. Non risponde ad altre domande, fa solo dei movimenti con la bocca come se parlasse. Quan- ti anni hai? Quanti anni ho? quanti anni ho (ripete molte volte).

30. 5. Non parla quasi affatto, è più tranquilla; bisbiglia o muove solo

la bocca come se parlasse. 3. 6. Sempre lo stesso stato. Qualche volta canta per breve tempo.

15. 6. Muore.

Il decorso e l’associazione dei sintomi in questo caso non sono certo dei più tipici. Però non è difficile ricostruire un qua- dro clinico.

I sintomi sono : disordine, confusione, logorrea, ecolalia, ver- bigerazione, probabili allucinazioni, violenze contro gli altri, ec- citazione inotoria in principio, poi astenia generale, coscienza sempre più oscurata.

Il delirio acuto somiglia indiscutibilmente a questo quadro, come pure ci sono dei deliri tossici, meglio definiti eziologica- mente, che gli si avvicinano. Qui lo stato di esaurimento non pa- reva molto profondo, così che si è portati a pensare ad una cau- sa specifica determinata, la cui natura però ci sfugge, confon- dendosi essa coi veleni pellagrogeni.

Oss. XV. B. Francesca di Bagno-Romagna, n. nel 1839. L’ anamnesi tace fino al 1895 epoca in cui insieme con la pellagra insorsero sintomi di confusione e smarrimento psichico, deperimento generale. Per quattro anni i disturbi si manifestarono remittenti, con riacutizzazione cioè nella prima- vera e sospensione nell’ estate.

Nella primavera del 1899, essendo i soliti sintomi più gravi, manda al Manicomio, dove è ammessa il 9. 6.

Stato di nutrizione pessimo, anemia profonda, floridissimo eritema alle ‘mani.

All’infuori di una prostrazione notevolissima, di un senso di esaurimen- to, per cui l’inferma fa una immensa fatica anche solo a parlare, si nota assai poco dal lato psichico, giacchè le brevi risposte sono ordinate e l’ o- rientamento è buono.

Non manifesta idee deliranti. L` esaurimento si aggrava. Circa un mese

dopo l ammissione 10. 7. 99, l’inferma muore. Ecco un caso in cui non è possibile che la diagnosi generica di Pellagra. Le facoltà psichiche non sono qui alterate o colpite

più che in qualunque stato marastico o di esaurimento. Il per- chè di certe predilezioni morbose rimane ancora un mistero in patologia. Qui la cachessia, l’anemia erano a un grado notevolis- simo, eppure la psiche non era disordinata confusa, ma soltanto abbattutta, facilmente esauribile. Non esisteva insomma qui alcuna psicosi.

Oss. XVI. V. Filomena di Palazzuolo, n. nel 1862. Parti numerosi, vi- cinì; allattamenti prolungati, alimentazione scarsa e fatta tutta di mais; patemi vari.

Febbraio 1899. Anemia grave, vertigini, ronzio alle orecchie, bagliori; diarrea infrenabile, eritema e desquamazione alle mani e al viso; paresi di tutta la musculatura ; cardiopalmo.

Maggio. DL’ inferma accusa sensazioni strane nel corpo; ha allucinazioni varie.

9. 6. 99. Tenta il suicidio precipitandosi da una finestra.

10. 6. Ammessa al Manicomio. |

Lentissima nelle risposte, queste si limitano spesso a un: non so; insi- stendo, risponde a tono. Dove siamo? (sempre con molto ritardo, come chi deve raccappezzarsi). A Firenze. Donde siete venuta? Da Palazzolo, e ag- giunge: se l’ anno scorso fossi andata all’ ospedale, la disgrazia non sarebbe successa. Che disgrazia? Tre dei miei bimbi son morti e mio marito è in prigione. Se guarisco dovrò andare in giro per il mondo! Quanti anni avete? Ma, clu se ne rammenta?..... Credo 37. Per tempo è alquanto disorientata. Lo stato grave di prostrazione flsica e psichica aumenta fino alla morte av- venuta 20 giorni dopo l'ammissione 30. 6. 99.

Qui è il caso di domandarsi se si tratta di una melancolia. Rallentamento psicomotorio, umore depresso, idee di rovina, ten- tativo di suicidio, orientamento discreto. Sarebbe il primo acces- so depressivo di una frenosi maniaco-melancolica che ha avuto co- me causa determinante l’ esaurimento ?

A questo dubbio diagnostico si possono muovere alcune dif- ficoltà. La ricchezza e il significato dei sintomi somatici; il fatto che i sintomi psichici summenzionati sono comparsi acutamente dopo che una serie sintomi nervosi li aveva preceduti, così che quelli costituiscono solo la fase terminale (l’ultimo di 5 mesi) del- l’ affezione complessiva; il progressivo aggravarsi di tutti ì sin- tomi fino all’ esito letale, senza che questo potesse essere giustifi- cato da alcuna lesione che non fosse lo stato cachettico generale: tutto ciò renderebbe questo quadro di melancolia straordinaria-

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mente insolito. Si potrebbe giustificare di più il giudizio di fase melancolica di una paralisi progressiva, se una paralisi progres- siva si fosse qui potuta solamente sospettare.

I sintomi psichici sopra ricordati, esistenti in questo caso, lasciano pure di per luogo a dubbi ed obiezioni.

La diagnosi ditferenziale fra rallentamento psicomotorio pro- priamente detto (psychische Hemmung) e paralisi con esaurimento psichico | ps. Lähmung ) non è stata qui fatta. Ma presunzioni in favore dell’ una piuttosto che dell’ altra esistono. Negli ultimi giorni della malattia non può esistere alcun dubbio sulla natura dell’ arresto psichico, che raggiunge il grado di stupore coi ca- ratteri della confusione astenica; perciò è più naturale ammette- re nel decorso della malattia solo un grado diverso dello stesso fenomeno piuttosto che due fenomeni differenti. Dato però anche il caso si trattasse di quell’ arresto che il Kraepelin fa carat- teristico delle frenosi maniaco-depressive, questo valore patogno- monico non sembra per anco detinitivamente dimostrato. L’umore depresso è qui troppo in armonia e perfettamente giustificato dalle condizioni somatiche gravi, e si può dire per lui quello che si è detto per il rallentamento psicomntario. Sappiamo purtroppo quante melancolie sono state osservate o inventate dagli Autori, tondandosi sulle apparenze dell’ umore depresso,

L’orientamento è qui non molto leso, perchè la coscienza nou è mai stata molto profondamente offuscata. L’ offuscamento ha luogo solo negli ultuni giorni. Già prima esisteva lo stato affet- tuvo proprio del disorientamento, lo smarrimento psichico (Ratà- losigheit) che ha pure le apparenze della depressione, quando iwm- plica Ja coscienza dell’ io e del corpo come in questo caso.

Quanto ai tentativi di suicidio, essi non hanno nessun valore semelologico determinato. Tutte le psicosi indistintamente, dal de- lito febbrile alla paranoia, possono condurre al suicidio. Le 1mo- dalità dell'atto possono talvolta dare qualche indizio diagnostico (teutativi ridicoli e puerili nella demenza precoce e paralitica): qui nou abbiamo nessun dato per giudicare dello stato d’ animo che ha spinto la donna a gettarsi dalla finestra, e perciò quell’at- to unon parla qui iu favore o contro di una diagnosi piuttosto che di un altra.

Però, dato anche (come è di fatto) non si possa in modo as-

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soluto escludere la melancolia, sorge naturalmente il problema: questa supposta frenosi maniaco-depressiva in che rapporto stia con la pellagra. Potrebbe darsi che la pellagra e la conseguente psicosi con esaurimento psichico ed esito letale, non stiano che in relazione lontana ed indiretta con l’accesso melancolico, che forse si sarebbe presentato ugualmente anche senza la preesistente pel- lagra. I caratteri clinici del quadro si allontanano troppo qui dalla melancolia: la psicosi qui ha caratteri propri, per quanto il decorso e l’ esito parlino in favore di una forma di Amenza.

Oss. XVII. V. Luigi di Portico, n. nel 1851, pellagroso dalla primavera del 1899, presenta acutamente agitazione disordinata e pericolosa ed è inviato al Manicomio il 28 7. 99.

Eritema pellagroso; alternative di diarrea e stipsi, reflessi esagerati, pro- strazione di forze. Di quando in quando dei giorni e delle ore di logorrea, agitazione, a volte stati soporosi con mutacismo, rifiuto di cibo. Non ha espresso mai speciali idee depressive o allegre. Confuso sempre quando parla, spesso sudicio; polso irregolare.

Muore il 17. X. 99.

Pellagroso a 50 anni per la prima volta, questo individuo presenta subito fatti gravissimi. Qui non manca nulia alla dia- gnosi di Amenza. Le alternative brevi e ravvicinate di eccitazio- ne e di prostrazione in molti casì precedono l’esito letale. 1 due mesi e mezzo di degenza in Manicomio non hanno mutato le con- dizioni somatiche psichiche del paziente.

3 Oss. XVIII. S. Teresa di S. Pietro a Sieve, n. nel 1851. Anamnesi sco- nosciuta. È ammessa al Manicomio il 21. VIII. 99.

Eritema pellagroso evidentissimo, aspetto cachettico. Pare depressa: dice di avere sempre molto mal di capo, che è molto debole, che dovrà morire. lnterrogata, risponde talvolta a tono, ma nelle risposte è sempre incerta per ciò che riguarda l’orientamento. Spesso parla da frasi sconnesse, o si la- menta ad alta voce. Non ha disturbi gastro intestinali. Temperatura norma- le. Reflessi rotulei normali.

5. XII, 99. È migliorata, si alza, lavora, si stanca però facilmente, ed ha una grande emotività,

15. VI. 900. Si dimette guarita.

A simiglianza del caso XV è difficile qui costruire un qua- dro clinico. Però i disturbi non molto profondi sono molto estesi, la coscienza è alquanto annebbiata rispetto al mondo esterno; la stancabilità e l’emotività facile, la lentezza nello scomparire di

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questi disturbi e il loro parallelismo coi sintomi somatici parlano per uno stato di esaurimento coi concomitanti disturbi psichici caratteristici.

Oss. XIX. F. Massimo di Palazzuolo, n. nel 1860, figlio di padre pclla- groso, nel 1896 pellagroso egli pure, presenta dall’ inverno 1898-99 peggio- ramento; vertigini, crampi muscolari, poi grande indebolimonto generale, anche della vista e grave enterite. Ha allucinazioni, fra le altre ode voci che gli ordinano di non mangiare polenta, perchè avvelenata ; indifferente per la famiglia, fugge di casa, gira pei campi vivendo non si sa come per due o tre giorni di seguito. E ammesso al Manicomio il 24. VIII. 99.

È stuporoso: amimia completa. Mutacismo assoluto. Immobile, emette feci e urine in letto, non mangia se non imboccato, ha tutti i reflessi esagerati.

Dopo i2 giorni di tale stato, a poco a poco si risveglia. Risponde con gran fatica, è disorientato per tempo e per luogo completamente. Riconosce il proprio padre degente pure al Manicomio.

15. V. Va continuamente migliorando. E orientato, ma molto debole.

26. V. 900. parte guarito.

I crampi, di cui è parola nell’ anamnesi, sembra, a detta del paziente guarito, fossero semplici stati tetanoidi di tutta la mu- sculatura senza perdita (totale almeno) di coscienza. Noi non ne abbiamo osservati alcuno in questo caso. Č bella l’ allucinazione imperativa che molto probabilmente rispondeva ad un pensiero del paziente derivato da un consiglio udito.

Un quadro così tipico di amenza stupida (demenza acuta gua- ribile) come ha presentato quest’infermo nelle prime settimane di . degenza non è molto facile di vedere. L’ipertonicità muscolare esistente poteva far pensare a stupore catatonico, perchè poteva essere interpretata per negativismo: l'ulteriore decorso e sopra tutto la prova dell’oscuramento grave di coscienza data dal pro- fondo disorientamento che durò poi a lungo e scomparve a poco a poco, hanno esclusa in modo assoluta quella possibile diagnosi.

Oss. XX. F. Luigi di Palazznolo, n. nel 1830, dal 1896 pellagroso, de- bole, con vertigini, catarro gastro intestinale, allucinazioni varie. Ronzii con- tinui alle orecchie, gira di giorno e di notte senza saper dove, sta fuori fino 48 ore di casa e tornato non sa dir nulla su quello che ha fatto.

Ammesso al Manicomio il 24. VIII. 1899.

1. IX. 99. (risultato di parecchi esami). Il malato è tranquillo, tacitur- no, apatico. Andatura paretica; trascina le gambe senza sollevarle da terra e fa passi piccolissimi, parla con grande lentezza. Non presenta atrofie mu-

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scolari. Presenta indebolimento della memoria così per le cose antiche come per le recenti. Non sa il nome dei suoi f'gli. Sa di essere in Manicomio, ma non sa esattamente da quanto tempo. Ê generalmente sereno o indifferente, non presenta smarrimento psichico: talvolta fu dato di notare passeggera esagerata emotività. Gli sembra di riconosere i suoi figli nelle persone pre- senti. Maugia poco. Qualche volta emette involontariamente feci e urine.

10. XI. 99. Leggermente migliorato nell’andatura e nella favella, rima- ne immutato nelle condizioni generali. Si alza talvolta ; presenta gl’ identici segni di difetto psichico come all'ammissione.

19. XII. 99. Ripeggiora notevolmente. Non si alza più da letto; disar- tria, tremore agli arti superiori, riflessi presso che normali.

1. I. 900. Va lentamente aggravandosi senza che insorgano sintomi nuovi.

16. I. 900. Muore senza altra causa manifesta all'infuori del marasmo, che però non giunge a un grado molto notevole.

Se è indubitato che il presente infermo abbia sofferto di pel- lagra durante 1 4 anni che precedettero la sua ammissione al manicomio, non può rigorosamente dimostrarsi un rapporto fra pellagra e psicosi.

Ci sono qui dei segni indubbìî di demenza (dismnesia, diso- rientamento senza smarrimento), c'è confusione mentale. La forma trae caratteri abbastanza notevoli di inguaribilità; l'andamento è progressivo. L’età potrebbe far sospettare una demenza senile: mentre le notizie anamnestiche potrebbero far sorgere l’idea di una demenza specifica da pellagra. L’età non era molto avanzata; il miglioramento delle condizioni igieniche portò una parziale re- missione nei sintomi subito dopo l'ammissione in Manicomio. L’ag- gravarsi continuo e l’esito letale relativamente rapido, senza che la cachessia fosse spinta a un grado notevolissimo son fatti degni di essere messi in rilievo. Poi l’amnesia uniforme per cose antiche e recenti non è comune nella demenza senile. Sembra che si trat- ti qui di uno stato confusionale protratto assumente i caratteri della cronicità. Ma occorrerebbero numerosi casì simili per poter giustificare l’ ipotesi di una demenza pellagrosa. Qui è impossi- bile per ora decidere quanto la pellagra e quanto la senilità ab- biano parte nella produzione della psicosi.

Oss. XXI. C. Stefano di Bagno di Romagna, n. nel 1836, pellagroso fino dalla giovinezza, fu in manicomio, sempre con la diagnosi di frenosi pella- grosa, nel 1893 (29. V. 7. VI.) poi dal 14. VII. 97 al 10. VII. 98. Final- mente nell’estate 99 essendo molto deperito, avendo frequenti lipotimie, con- fusione mentale, è inviato di nuovo al Manicomio il 29, VIII. 99,

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30. VIII. E molto agitato, ha logorrea, non dorme affatto. « In che cit- siamo? - Sotto il Bagno - Che posto è questo? Non lo so - Non ti ri- cordi di essere stato altra volta qui? Risponde di sì, poi divaga parlando del suo mestiere di accattone. Non sa la data. Risponde bene il nome e l'età.

15. IX. Dopo alcuni giorni di agitazione, si va ora calmando; è sempre male orientato. Fisicamente ancora deperito.

2. I. 900. Si alza, si sente più forte, è orientato.

14. IV. 900. Si dimette guarito.

Diagnosi: Amenza.

Oss. XXII. S. Redenta di Pontassieve, n. nel 1865, figlia di madre morta pellagrosa, già da quattro anni soffriva di pellagra, quando 8. IX. 1899 dicendo che di questo male non sarebbe ormai più guarita, si gettò nel pozzo di casa sua. Estratta, afferrò poco dopo un tovagliuolo, facendo l'atto di strangolarsi. Poi si mette a gridare che è pazza, che vuole andare al Mani- comio, dove è condotta il giorno stesso.

Stato di nutrizione mediocre, pochissime tracce di eritema.

La malata ha un contegno molto ostile verso tutti; è preoccupatissima della sua malattia. Accusa dolori agli arti, al capo, malessere generale; ha ovarialgia, bolo.

1. X. 99. È sitofoba; presenta caratteristico e molto evidente eritema pellagroso alle mani e al viso. Reflessi tendinei e periostei esagerati tutti; andatura normale, refl. faringeo debole.

3. XI. 99. La cura ipodermica di As. Fe e stricnina non ha finora por- tato nessun miglioramento. L’inferma sembra anzi nelle sue condizioni gene- rali piuttosto aggravata. Ha avuto talvolta delle allucinazioni terrifiche: di- ceva di vedere il diavolo che voleva portarla via; dorme pochissimo.

1. I. 900. Progredisce l’aggravamento. Irrequietezza, confusione mentale.

3. 1. 900. Morte.

Qui abbiamo: associazione di sintomi isterici e sintomi di pellagra; recidiva di pellagra con tutti i suoi segni, circa un mese dopo l’ammissione, recidiva che conduce la paz. a morte in meno di tre mesi.

La pellagra in fiore è qui dimostrata in modo brillante, i sin- tomi della psicosi invece sono tutti o quasi di tale natura da non mettere in rilievo nessun rapporto fra loro e la pellagra. La confusione mentale è l’unico sintoma che con l’aggravarsi della malattia abbia dato un indizio, nel campo psichico, di uno stato d’intossicazione. Se quindi qui l’unica diagnosi di psicosi da pel- lagra sarebbe forse troppo arrischiata, d’altra parte questo giudizio sarebbe sempre meno ipotetico che il riferire tutti i sintomi psi-

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chici all’isterismo. I sintomi isterici, fossero essi un prodotto oc- casionale risvegliato dallo stato morboso nuovo, o esistessero pa- tenti anche prima, essi non giustificano affatto il decorso e l’esito della psicosi, i quali parlano in favore di una genuina amenza.

Os>. XXIII. T. Caterina di Portico, n. nel 1842, ammala acutamente con logorrea e agitazione: è portata al Manicomio il 22. IX. 99.

Le mani mostrano evidenti i segni di pregresso eritema pellagroso.

L’inferma è tranquilla in letto, ha aspetto abbattuto, si lamenta di una grande debolezza e di molta confusione al capo.

Interrogata, mostra di non sapere dov’ è in che giorno, mese, anno. Dandole queste nazioni, il giorno appresso le ha del tutto dimenticate. Non è però disordinata, e comprende quanto le si dice. Ha coscienza della malattia.

3. I. 900. È sempre molto debole, però è orientata e dice di star meglio.

4. III. 900. È dimessa guarita.

Una malattia sorta acutamente, con eccitazione notoria in principio, astenia in seguito, disorientamento dovuto essenzial- mente a incapacità di fissare i ricordi, mentre la coscienza è re- lativamente sveglia; costante coscienza della malattia, parallelo miglioramento della cachessia generale e delle cordizioni psichi- che: tutto ciò in una donna di 57 anni con unica eziologia pro- babile la pellagra.

Contro la diagnosi della cosi detta psicosi polineuritica sta mancanza di vera amnesia retrograda, ma sopra tutto le sta con- tro lo stato di abbattimento: è da constatarsi però che il caso si avvicina a questa forma di psicosi squisitamente tossica presentan- tesi nell’alcoolismo cronico, avvelenamenti per Pb. As. tubercolosi, sifilide e lebbra (l). La pellagra qui non era in fiore, i residui di essa erano visibili e la paziente raccontava poi di averne sof- ferto ripetutamente. La psicosi, appartenente al gruppo eziologico della pellagra, si può far rientrare solamente, per inizio, decorso ed esito nel quadro clinico dell’amenza.

0ss. XXIV. S. Uliva di Dicomano (Mugello), n. nel 1835, da molti anni pellagrosa, dal Maggio 1898 alienata di mente, è ammessa in Manicomio P 11. X. 1899.

(1) I disturbi psichici da lebbra molto probabilmente sono da classificarsi col yuadro «lella così detta psicosi polineuritica.

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18. X. L’inferma è in preda a una grave confusione mentale; grida di quando in quando parole incomprensibili, non risponde alle domande; perde le feci e le urine.

Non si regge affatto sulle gambe: i muscoli tutti sono notevolmente ipertonici e sono in preda a scosse intermittenti. Reflessi esageratissimi.

Insonnia quasi assoluta. Mangia pochissimo.

Questo stato dura quasi inalterato per un mese.

11. XI. 99. Morte.

Da più anni datava la pellagra; da un anno e mezzo i di- sturbi psichici: quali, non sappiamo. Noi assistiamo qui solo alla fase terminale di questa psicosi: al quadro del così detto delirio acuto, con fenomeni tetanici, simili a quelli dell’ ergotismo. Que- sti sintomi tetarici, che si presentano a volte nelle psicosi acute da pellagra, danno a queste dei caratteri molto spiccati di stato d’avvelenamento.

Oss. XXV. R. Stefano di Palazzuolo, n. nel 1837, da tempo indetermi- nato sofferente intermittentemente di pellagra, nella primavera del 1899 pre- senta sintomi lentamente progressivi di disordine mentale insieme con un crescento deperimento organico. È ammesso al Manicomio il 3. XI. 99.

5. XI È accasciato, non si muove, lo stare in piedi e ancor più il cam- minare gli è difficile. Alle mani e agli antibracci presenta manifesti segni di pellagra. Interrogato risponde a mala pena. non si raccapezza facilmente, si confonde nella designazione di tempi e di lunghi. Sembra abbia allucinazioni olfattive: dice che di sotto al letto vien l'odore di cadavere. È indifferente a tutto.

Si aggrava a poco a poco in tutti i sintomi psichici e organici e il

2. 1. 900. muore.

Nelle intossicazioni croniche, oltre all’ azione del veleno eso- geno, che può essere cumulativa se la sua azione diretta persiste, si deve ammettere insieme |’ alterazione nel chimismo dei tes- suti, che può essere progressivamente crescente, e a cui il veleno può aver data la spinta senza che la sua presenza sia più neces- saria, e a maggior ragione progressiva se l’azione tossica diretta persiste e si ripete, o aumenta. La progressione esiste sempre nei. sintomi somatici: P irrompere acuto e il netto cessare si ri- ferisce solo al alcuni molte evidenti, grossolani, rumorosi, sintomi psicopatici, giacchè inolti segni di lesione psichica si manifestano a poco a poco e sopra tutto scompaiono lentissimamente. Fra psi-

così tossiche ed autotossiche non è possibile nessun netto confine, anzi, nel dominio delle forme croniche, l'associazione esiste sem» pre. In questo caso sebbene noi non abbiamo visto che gli ul. timi due mesi di vita, la psicosi ha seguito un decorso genuina- mente progressivo, La pellagra datava da un numero indetermi- mato di anni: il passaggio dalla salute alla malattia mentale è stato lento: la psicosi non può ragionevolmente essere definita come cronica, poichè, come tale, ha sempre avuto i caratteri della guari- bilità; il processo morboso era sempre in fiore, i sintomi irritativi sempre presenti. Si spiega come il sospetto di una paralisi pro- eressiva pellagrosa abbia potuto in molti casi sembrare giustifi- cato, data la possibilità di un quadro di psicosi pellagrosa con- fusionale sub acuta progressiva, e la frequenza con cui, come ab- biamo visto, così spesso si aggiungono sintomi organici da parte del sistema nervoso.

Oss. XXVI. M. Sante di Borgo S. Lorenzo, n. nel 1855, ebbe qualche convulsione epilettica nella giòvinezza ; nel 1898 pellagroso con gravissimi disturbi gastro enterici, andò progressivamente peggiorando fino all'autunno 1899. Si agita, sente formicolii dappertutto il corpo; gli pare di aver la testa e le gambe gonfie, crede che il diavolo lo voglia portar via. Diventa sudicio, violento. È ammesso al Manicomio il 7. 11. 99.

8. 11. 99. Pelle al dorso delle mani e alla faccia rossa e desquamata - stato generale di nutrizione moolto scadente. Il malato si regge a mala pena in piedi - fisonomia spaventata, Non vuol mangiare. Defeca in letto e per terra.

12. 11. È preso improvvisamente da grande agitazione, grida e tenta di fuggire.

16. 11. È sempre clamoroso. Non rammenta di avere il giorno 10 rice- vuto la visita di un parente, che pure aveva riconosciuto.

15. 12. 99. Sempre agitato e insonne. Gli sembra di cadere dall’ alto ; grida di tanto in tanto: prendetemi, reggetemi, casco! sta rigido con la te- sta flessa indietro. I reflessi rotulei sono vivacissimi. A destra clono ; refl. plantari deboli, cutanei addominale c cremasterico mancanti. Refl. pupillavi normali.

19. 12. Presenta brevi intervalli di calma e ordine mental:. Ma gene- ralmente è molto confuso, irrequieto, a momenti soporoso. Refl. rotulei solo lievemente spiccati. Urina normale.

20. 12. Morte.

Autopsia. 21. 12. Meningi c organi del sisma nervoso centrale macro- scopicamente normali. Bronco-polmonite diffusa ; cuore grasso, flaccido. Tu-

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more duro, irregolare, ulcerato alla piccola curvatura dello stomaco, formante un ammasso con alcune delle glandole retroperitoneali più vicine.

Fegato, milza e reni macroscopic. normali. Si conservano i pezzi di sist. nervoso per l’ esame istologico.

Il caso si presta a poche considerazioni dopo il numero no- tevole di casi molto simili da noi giå passati in rassegna.

Solo vogliamo notare che la presenza di un neoplasma ga- strico, se pure avrà portato qualche variazione e avrà influito in alcuni particolari sintomatici, non affatto ragione dei sintomi fondamentali e caratteristici, i quali corrispondono perfettamente al quadro dell’ amenza.

Oss XXVII. N. Anacleto di Tizzana, n. nel 1838, pellagroso da alcuni anni intermittentemonte, nell’ autunno 99 si fa inquieto, apatico, fugge di casa e vaga pei campi senza scopo. È ammesso al Manicomio il 5. 12. 99.

Lievemente smarrito, sebbene sia orientato, rammenta solo confusamente le ultime settimane. Ha i reflessi esagerati, i segni di un pregresso eritema pellagroso. Migliora molto rapidamente ed è dimesso guarito il 25. 1. 900.

‘Molto lieve psicosi, cui noi non vediamo che la convale- scenza. Esiste ancora qui la caratteristica reazione affettiva ge- nerica a quei sintomi elementari, che quando raggiungono una certa intensità provocano il disorientamento. Il disorientamento è però in un certo grado esistito, come lo prova l’ incertezza dei ricordi recenti e sopra tutto i dati anamnestici delle ultime set- timane, i quali non permettono il giudizio di amnesia retroattiva.

Manca un colorito affettivo qualunque; si ha un rapido esito in guarigione completa, non appena le condizioni igieniche di- ventano buone.

Tutto ciò parla in favore di una forma tossica e da esauri- mento sintomaticamente forse non ancora ben fissata, eziologica- mente da attribuirsi alla pellagra, clinicamente da far rientrare nel capitolo dell’ Amenza.

Oss. XXVIII. V. Cresci di Vicchio, n. nel 1830, ebbe la pellagra la pri- ma volta nel 1897 senza disturbi psichici. Nella primavera 99 cominciò a mostrarsi molto abbattuto, preoccupatissimo, inquieto.

Nel Dicembre acutamente diventa agitato, non vuole mai andare a letto, molesta tutti, grida, fugge. È ammesso al Manicomio il 21. 12. 99.

Continuo vaniloquio, gira per la stanza, è sudicio.

15. 1. 900. KE ancora disorientato, ma ordinato. Va migliorando.

15. 7. 900. È dimesso relativamente guarito.

§5

La sindrome confusionale fondamentale di questo caso é uno di quegli stati detti stati deliranti, i quali si presentano nell’e- pilessia, isterismo, paralisi progressiva, ecc., ma possono costituire tutta la malattia mentale, come nei casi di delirio febbrile, tossi- co, da collasso, nelle psicosi da esaurimento e simili stati di ana- loga eziologia come il presente.

Oss. XXIX. C. Maria di Bologna, dimorante a Vicchio, n. nel 1831 è da molti anni affetta da pellagra. Nell’ antunno 99 presenta insonnia notevole, deperimento straordinario, ihquietudine ingiustificata, sitofobia. È ricoverata al Manicomio il 21. 12. 99.

Eritema pellagroso alle mani e alla faccia. Dispepsia, catarro intestina- lo. Insonnia. Paraparesi spastica. Refl. esagerati. Parla fra sovente :. dice di wire colpi e snonar campane. Non è orientata per tempo per luogo.

Si alza qualche volta di letto e va in giro per la stanza. È pulita.

13. 1. 900. Migliora rapidamente.

8. 6. 900. È dimessa gnanta.

Non ostante la gravità dei sintomi somatici e l antica data del male, l'esito è in guarigione. I sintomi psichici veramente traggono qui squisiti caratteri d’ intossicazione acuta, le allu- cinazioni, il disorientamento completo, la logorrea, tutto durato 3-4 settimane. Le varietà di queste psicosi pellagrose sono nume- rose e dal punto di vista sintomatico ne esiste una ricchezza enorme. |

Clinicamente però, cioè dal punto di vista dol decorso e pro- gnosi, almeno in questi casi acuti che noi stiamo studiando, ci troviamo di fronte ad una assoluta uniformità e si tratta cioè sempre di psicosi aventi i tratti fondamentali dell’ amenza.

Oss. XXx. P. Luisa di Borgo S. Lorenzo, n. nel 1825, pellagrosa da epoca indeterminata, nell’ inverno 1898-99 cominciò a mostrarsi confusa e smarrita ; siccome era tranquilla si tenne in casa. Nell’antunno divenne agi- tata e fu messa in Manicomio il 27. 12. 99.

3. 1. 900. Eritema pellagroso alle mani e al viso. Non è capace di stare in piedi. Refl. rotulei normali. Lingua tremula. In letto i movimenti degli arti inferiori si compiono bene. Sensibilità integra. Risponde poco alle do- mande, quasi mai a tono, non sa dov’ è, in che epoca siamo. Sa la sua età.

10. 1. 900. È migliorata psichicamente : sa con grandissima approsima- zione la data di oggi e suppone di essere al Manicomio di Firenze.

15. 7. Psichicamente sta benissimo. È molto debole. Ha una grave bronchite.

13, 9. Muore di broncopolmonite.

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Non ostante l età avanzata, la diagnosi di demenza senile si può escludere. La morte è avvenuta per malattia accidentale quando la psicosi era già guarita. L’ inferma sapeva la sua età. Il disorientamento era molto notevole nell’ acme della malattia, e lo smarrimento psichico è esistito lungamente. Tutti caratteri di una psicosi acuta. Di più mancano fenomeni psico-sensoriali e psico-motori, e la lesione si mostra essenzialmente come confu- sione mentale senza un determinato colorito affettivo di natura morbosa. Perciò anche altre diagnosi si possono facilmente esclu- dere, mentre l’ unica possibile risponde alle forme degli stati deliranti e da esaurimento, facienti capo al quadro clinico del- P amenza.

Oss. XXXT. G. Luigi di Pistoia, n. 1845, ricoverato all’ospedale di Pistoia in uno stato d’ esaurimento grandissimo, dopo qualche giorno essendosi mo- strato agitato, logorroico, violento, si manda al Manicomio il 12. I. 909.

Si regge assai maie in piedi: reflessi molto esagerati tutti, clono del piede.

È orientato abbastanza bene: non rammenta però quasi nulla della sua degenza all'ospedale di Pistoia (3 settimane). Racconta come da alcuni mesi non potesse più camminare. Dice che da 7-8 anni ogni primavera ha eritema e diarrea. Le mani presentano la pelle Incida e inelastica caratteristica.

15. II. Pressa poco nelle stesse condizioni; sente voci di alcuno che lo chiama, di altri che lo ingiuriano.

29. VII. Ogni tanto ha delle giornate di leggera confusione, allora è successo che egli emettesse feci e urine dove si trovava. Anche i disturbi nervosi e viscerali hanno nel frattempo presentato oscillazioni varie. Nell’a- prile e nel maggio è ricomparso un bellissimo eritema sul dorso delle mani; punto diarrea. La voce è talvolta nasale, e nei giorni di peggioramento il linguaggio è incomprensibile.

1. XII. L’eritema persiste molto intenso alle mani, qua e si ha de- squamazione color cioccolatte. Reflessi leggermente esagerati; si regge as- sal male in piedi; casca prevalentemente all'indietro ; lingua senza caratteri speciali: mangia pochissimo, mastica sempre, tanto che sembra rumini, ma ciò non risulta. Risponde a tono, ma non è bene orientato. In che anno sei nato? Nel 44. Quanti anni hai? Non so. In che anno siamo? Non so. Dove siamo qui? Ma! - Nel Manicomio? Non so. Da quanto tempo sei quil Non so. In che città siamo? A Firenze.

25. XII. È a letto - non si regge affatte in piedi, si lamenta di dolori spontanei agli arti - Molti punti sembrano dolorosissimi alla pressione, specie quelli dove decorrono tronchi nervosi. Pupilla sin > dest. Reflessi rotulei de- boli. Psichicamente nulla di nuovo.

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Il caso presenta molti lati iuteressanti, per ]o studio della pellagra in genere e delle neuropatie da pellagra non meno che delle psicosi pellagrose.

Innanzi tutto abbiamo anche qui unna recidiva completa di pellagra, intramanicomiale, tre mesi dopo l’ammissione.

Poi abbiamo una sindrome atassico-paretica che sta ad indi- care lesioni spinali indubitate. Psichicamente si riesce con dif- ficolta a ricostruire un quadro ben definito che rientri in ura dei noti capitoli di patologia. Abbiamo di tanto in tanto episodi brevi assai di confusione, a volte con allucinazioni; di più un parziale disorientamento, senza disordine mentale. Tutto ciò dura da un anno e non progredisce, Di demenza non si può parlare: gli epi- sodî psicopatici, non potendo essere designati come stadî di una determinata forma clinica, non possono definirsi che come stati deliranti di natura tossica od autotossica, ovvero, volendo compren- dere in una unica formula tutto il quadro, che si riduce ora a parziale disorientamento rispetto al tempo, bisognerebbe subordi- nare anche questo, come tutti gli altri casi, all’amenza.

Oss. XXXIT. B. Maria di Ragno di Romagna, n. nel 1961, pellagrosa dal- Ja primavera 1899, fu malata tutto l’anno: acntamente fra il 31. XIT. 99 e il 1.I. 900 segni di alienazione mentale. f inviata al Manicomio il 18. T. 900.

Segni di pellagra, aspetto denntrito: è agitata, orina e defeca dove si trova; lacera e rompe: non risponde a tono alle domande; i suoi discorsi sono assolntamente sconnessi.

27. XII. 900. Nei mesi passati alternative irregolari di calma e di agi- tazione. Da qualche tempo aspetto calmo, contegno abbastanza corretto. La- vora volentieri qualche giorno, a volte non vuole lavorare. Interrogata mo- stra di non ricordare affatto il primo periodo di degenza. « To credo di esser qui da due o tre anni. Mi si dice che è solo un anno che sono qui, ma io non lo credo ». Sa che siamo in decembre, non sa il giorno. Conosce le per- sone. Hai famiglia? Si, ho un figlio, ma mi hanno detto che è morto (ride). E tu ridi? Eh, se è andato in paradiso!

È molto grassa e di colorito sanissimo: funzioni vegetative ottime. Tro- va qualche volta da litigare per nonnulla, o comincia spontaneamente a inveire non si sa contro chi. In questi discorsi entra spesso 11 nome del marito. Nega di essere e di essere stata mai pazza.

Quest’ ultimo esame obbiettivo contiene dati così importanti, che noi abbiamo cercato ulteriori informazioni anamnestiche per vedere se era possibile illuminare meglio il quadro della psicopatia.

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Abbiamo saputo che la B. M. da molti anni era considerata dalla famiglia e dai conoscenti come una donna molto isterica, cioé strana e originale. L’ accesso pellagroso era stato relativa- mente lieve perchè non aveva dato luogo a disturbi intestinali : soltanto l’eritema alle mani era comparso, e insieme l’inferma ac- cusava debolezza alle gambe; una notevole denutrizione si era mostrata negli ultimi mesi. Pare ehe avesse gia manifestato idee di persecuzione vaghe e sconnesse. Un litigio domestico è stato il puuto di partenza all’eccitamento che ha condotto la B. M. nel Manicomio.

Ora, di fronte a questi fatti, lo stato attuale della malata molto difficilmente potrebbe definirsi semplicemente per la con- valescenza di un’ amenza pellagrosa. Lo stato attuale trae segni di difetto psichico e di alterazione permanente nel contenuto della coscienza: tali segni che noi non abbiamo il diritto di interpre- tare come residuo della psicosi acuta, ma che forse hanno radice in quei disturbi mentali preesistenti definiti dalla famiglia e dal medico del paese come isterismo. La pellagra è indubbiamente esistita, e il momento debilitante, dovuto all’esaurimento e all’in- tossicazione, fu molto probabilmente la causa ultima che ha de- terminato l’episodio acuto della psicopatia. Come giustamente nota il Wernicke, un momento debilitante è in un grandissimo nu- wero di psicosi acute la causa determinante. Qui però, se la pel- lagra ha giocato una parte nello sviluppo e in alcune modalità della malattia, essa non ne è la causa essenziale: manca qui as- solutamente il rapporto fra i sintomi psichici e i sintomi somatici, manca la coscienza della malattia.

Tuttociò mette in vista quali rapporti eziologici e sintomatici possono complicare il decorso e velare i caratteri clinici di una psicopatia. L’episodio acuto può qui avere aggravato le condizioni morbose già esistenti, e la demenza a tipo paranoide, che forse svolgeva o era permanente in forma mitissima @ diventata al- quanto più profonda, e tale forse da rendere all’inferma necessa- ria la permanente reclusione in manicomio.

Oss. XXXIII. V. Francesco di Palazzolo, n. nel 1850, dall’inverno 1898- 99 pellagroso e psichicamente depresso, entra nel Manicomio il 22. 1. 1900. Tranquillo, leggermente confuso, debolissimo, presenta durante la degenza un continuo lentissimo miglioramento. Facile emotività, paura di tornare a casa per tema di ricadere nella malattia. È dimesso guarito il 24. 8. 1900.

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Per il giudizio clinico sulla forma psicopatica lieve, cfr. oss. VI, XII, XXVII ed altre.

Oss. XXXIV. C. Caterina di Rocca S. Casciano, n. nel 1852, è ricoverata nel Manicomio il 1. 2. 900. Presenta critema pellagroso alle mani e ai piedi. È di umore depresso; parla poco; si lagna di dolori alle gambe, al dorso, allo sterno. È di aspetto deperito. Interrogata risponde a tono: ma è male orientata per il tempo.

15. 4. Col miglioramento fisico subentrato è più serena anche di umore.

21. 6. È dimessa guarita. Essa racconta che solo l’anno precedente eb-

be pellagra e che la testa un po’ confusa se la sentiva fin dal Dicembre passato (99).

Oss. XXXV. M. Domenico di Galeata, n. nel 1862, fu una prima volta nel Manicomio dal 30. 5. 98 al 2. 6. 98 per confusione mentale ed esauri-. mento da pellagra. Nell’ inverno 99-900 ricadde in uno stato di grave con- fusione e agitazione per cui fu riammesso al Manicomio il 17. 2. 900.

Incerto nel camminare, di colorifo pallido, l’ infermo domanda di rimane- re a letto perché è tanto debole. Risponde alle domande ordinato, e anche

orientato, sebbene egli dica sempre ma.., mi pare.., non sono sicuro, In poche settimane si rimette.

Parte guarito il 7. 7. 1900.

Oss. XXXVI. T. Bernardo di Dovadola, n. nel 1840, ebbe più di una vol- ta pellagra. Nell'inverno 1899-900, senza riavere l’eritema, riebbe più gravi disturbi gastro intestinali, debolezza generale, insonnia, bruciore insopporta- bile alle gambe.

Fu ammesso al Manicomio il 22. .2. 900. Mentre ha spiccati tutti i sin- tomi della pellagra, psichicamente non presenta che una certa depressione, ma non sproporzionata alle sue pessime condizioni fisiche; il suo contegno è normale. Parla poco e sta volentieri a letto.

Interrogato, risponde a stento; è incerto nelle informazioni che dà, e che, lente e povere nella forma, sono però molto approssimativamente esatte nel contenuto.

15. 11. Rammenta tutte le sue sofferenze passate. Dice che ancora di quando in quando ha gravi dolori all addome, disturbi intestinali e debo- lezza alle gambe. Rammenta come nel 1893 ebbe la prima volta la pellagra, Non capisce come l’ abbiano portato al Manicomio, mentre egli non ebbe mai altro che debolezza e disturbi digestivi.

Oss. XXXVII. V. Giuseppe di Rocca S. Casciano, n. nel 1864, pellagro- go con breve episodio psicopatico nel 1899, non fu ammesso allora nel Ma-

nicomio. Recidivo nell’ inverno seguente, si manda ed entra nel Manicomio il 28. 2. 1900,

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È orientato per tempo e luogo; non ha ricordi chiari della sua malat- tia. Lo stato di nutrizione è scadente, ma in pochi giorni si rimette a buo- no. Si capisce che già all ammissione era principiata la convalescenza.

È dimesso guarito il 13. 3. 1900.

Questo caso, come 1 4 che precedono, ed altri già visti ( II, VI, XVII ecc.) presentano le forme lievi di psicosi pellagrosa, che non sempre cadono sotto l’ osservazione dell alienista. Veramente in alcuni di questi sono, o sembrano essere, esistiti sintomi psi- copatici piuttosto gravi, ma fugacissimi; cosicchè a noi non fu dato constatare che lo svanire delle ultime manifestazioni mor- bose. In tali casi la natura del residuo, cioè una incertezza nei ricordi dell’ episodio acuto e un persistente lieve smarrimento, svela la natura della malattia; o per lo meno, la riconduce a un tipo ben noto. Nelle forme poi lievissilme, noi siamo a mala pena autorizzati ad una diaguosi, nella stessa maniera che in ogni malattia locale e generale, acuta e cronica, i disturbi psichici sempre concomitanti non costituiscono che in determinate e re- lativamente rare occasioni una psicosi.

Quello che occorre osservare nella pellagra è che questi di- sturbi psichici generici leggeri sono realmente unicamente forwe molto leggere delle psicosi pellagrose, e anzi questi disturbi non classificabili contengono in se la nota essenziale e ciò che di più caratteristico hanno le psicosi pellagrose nelle loro varie maui- festazioni. Il che ha una importanza notevole per la detinizione di queste psicosi.

Nelle forme lievi adunque, che noi stiamo esaminatido, i di- sturbi psichici essenziali sono: senso di sfinimento, ibcertezza e lentezza d’ideazione, apatia, irritabilità: non siamo ancora alle angosce e al delirio da inedia, ma ce ne sono gli accenni nel sintoni detti, che costituiscono ua giusto riscontro psichico alle Condizioni somatiche in cui si trovauo questi pazienti. Tanto che riesce difficile nei casi più miti chiamare disturbi psichici que» sti, che sembrano una reazione psichica più che giustificata e normale allo stato delle fuuzioni vegetative profondamente alterate.

0ss. XXXVIII. M. Luigi di Rocca S. Casciano, n. nel 1839. Nell’ inverno 1899-4500 sentendosi molto debole e affetto da catarro intestinale ed eritmea cominciò a manifestare un profondo disgusto della vita e divenne molto irascibile,

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Non riconosce più le persone di casa i luoghi, è agitato, vuole am- mazzarsi. Si ammette nel Manicomio il 4. 3. 900.

Presenta tutti i sintomi della pellagra in fiore. È magrissimo, agitato, clamoroso. Mangia a stento, è sudicio. Parla sovente di cose sconnesse, ri- sponde raramente a tono, mai esattamente. Dura presso che immutato (solo negli ultimi giorni con qualche periodo di sopore) fino al 26. 3. 900. Muore.

Vedi Oss. VIII, XXIV, ecc.

Oss. XXXIX. P. Tommaso, di Prato n. nel 1523, da 5 o 6 anni pella- groso e più volte per questa cagiune ricoverato nell’ ospedale. Nel 1899 pre- senta vertigini frequenti e una certa confusione mentale.

E inviato al Manicomio l’ 11.3. 900. Andatura paretica spastica, affetti- vità viva, orientamento buono.

15. 9. L’iufermo ha periodi di debolezza facilissimamente diarrea; l’an- datura é un po’ migliorata. Psichicamente nulla di notevole: tranquillo e relativamente sereno, il malato trova un po’ ingiusta la sua reclusione in Manicomio. Riconosce di essere ammalato, debole, ma non pazzo. Iunterroga- to si mostra ordinato, lucido, orientato. Pare che realmente prima dell’ am- missione al Manicomio abbia avuto un periodo di contusione mentale.

Nessuna diagnosi psichiatrica.

Oss. XL. D. T. Giuseppa di Castelfiorentino, n. nel 1847, pellagrosa dalla primavera del 1899, non si rimette durante tutta l'annata. Anzi va depe- rendo sempre più. Nell'autunno si manifestano sintomi: psichici. Non parla. sta immobile, non si occupa di nulla. Ora invece grida contro tutti; fug- ge di casa. Si ammette al Manicomio il 16. HI. 9uu.

Eritema pellagroso. Aspetto profondamente denutrito. Logorrea. Confu- sione mentale. Si alza di letto, gira per la stanza giorno e notte.

21. MII. È più tranquilla, ma più accasciata, bisbiglia frasi sconnesse. Questo stato dura presso che invariato quasi tre mesi.

14. VI. 900. Morte.

All’ autopsia, di macroscopicamente visibile: sostanza cerebrale aneniica, fegato con incipiente degenerazione grassa; milza 2 volte il volume norma- le, spappolabile. Tutto il resto normale.

Uss. XLI. V. Paolo di Marradi, n. nel 1553 da padre alienato (non si sa di che forma). Come pellagroso, depresso e confuso è mandato al Manico- mio 16. III. 900.

È calmo, non parla spontaneamente, non conosce il luogo dov'è; dice: io non so quel che mi dico.

17. III. Agitato; emette suoni inarticolati; fugge qua e come spaven- tato. Non rimane in letto. Non derme; urina e defeca a letto. Non risponde alle interrogazioni,

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18. III. Sempre agitato; mugola, urla, dice: Mio Dio! Mio Dio! Tutti i muscoli sono ipertonici. Reflessi tendinei vivacissimi. Temperatura normale, polso piccolo.

23. III. Calma relativa, reflessi non molto esagerati, polso quasi normale. Risponde alle domande. E completamente disorientato. Piange molto al ri- cordo della famiglia.

24. INI. Scambia le persone. Vede fuoco. Teme di essere ammazzato. Alternative di agitazione e di stupore.

29. III. Relativa calma. Non rammenta nulla dei giorni scorsi. Dice solo che gli pareva di cadere nell’acqua.

13. IV. Sempre disorientato. Riconosce di essere malato di mente.

14. IV. Ricade in grave confusione agitata che perdura fino ai primi giorni «li maggio.

30. V. Migliora continuamente di fisico e di mente.

6. VII. Parte guarito.

Os3. XLII. U. Biagio di Terra del sole, n. 1838, da qualche anno pella- groso, presenta acutamente agitazione a scatti, e momenti di logorrea, alter- nati con stupore. Tenta ferirsi al capo con un’arma contundente. É ammes- so al Manicomio il 21. III. 900. Sta 15 giorni nello stesso stato di profon- da confusione. ora agitato e clamoroso, ora stuporoso, e muore il 6. IV. 900.

Os;. XLIII. T. Antonio di Modigliana, n. nel 1832, sofferente di pellagra da tempo indeterminato, cominciò a dar segni di alienazione mentale nel- l'autunno del 1899. È confuso, smarrito, sta settimane intere senza parlare e poi ha periodi di logorrea e agitazione ; non è potuto trattenere in casa, fugge per i campi senza direzione scopo.

Ammesso al Manicomio il 10. IV. 1900. Non regge affatto sulle gam- be, rifiuta il cibo, non dorme, è clamoroso. Risponde confusamente alle do- mande, perde feci e urine. Muore sette giorni dopo 17. IV. 900.

Autopsia: diploe abbondante e molto colorita, sostanza cerebrale normale. Cuore adiposo. Fegato pallido. Milza grossa, polpa dura, rosea. Reni macro- scopio. normali. Stomaco dilatato, intestino coperto di catarro.

Oss. XLIV. L. Giovanni di Portico, n. nel 1844, fu per la prima volta al Manicomio dal 20, IV al 16. V. 1899 per confusione mentale ed esauri- mento, legati ad altri sintomi caratteristici di pellagra, Nella primavera 1900 recidivo. Il 13. IV è riammesso al Manicomio.

Mani e viso fortemente eritematose: non ci sono disturbi intestinali. Stato di nutrizione scadentissimo.

L'infermo è sconsolato, si sente perduto. Non ha forza nemmeno di par- lare. Se interrogato, mostra realmente di rispondere con gran pena ed è dif- ficilissimo levargli informazioni. Tutte le sue risposte sono molto lente, tar- de e sopra tutto incerte. Sa di essere in primavera e a Firenze, non di più.

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5. V. È migliorato, risponde a tono e abbastanza franco. Sa di essere in Manicomio, si mostra orientato per tempo. 26. VII. Dimesso guarito.

Oss. XLV. ©. Domenica di Portico S. Benedetto, n. nel 1858, figlia di padre pellagroso, anemica, con eruzione pellagrosa e disturbi gastro-enterici diede nel dicembre 1899 segni di alienazione mentale. Trascura la casa e i figli, non mangia e non dorme, esce in strada in camicia. Si ammette al manicomio il 19. IV. 900.

20. IV. Si alza sempre di letto e gira per la stanza, disfa il letto, par- la fra sè. Risponde poco, è completamente disorientata per tempo e luogo ; mangia da sè, ma poco.

30. V. Sempre nello stesso stato. È solo più tranquilla, sta in letto. L’eruzione pellagrosa è quasi scomparsa. Lo stato di nutrizione è sempre molto scadente. Psichicamente, confusione.

10. VI. È straordinariamente debole. Pupille spesso midriatiche e con reazione lenta (esclusa azione di joscina o di altri medicamenti).

14. VI. Muore.

Oss. XLXI. B. Lorenzo di Barberino di Mugello, n. nel 1845, pellagroso da moltissimi anni, figlio di madre alienata, fu nel 1898 la prima volta in Manicomio (2. VIII. 12. XII) per confusione e deprassione da pellagra come fu allora diagnosticato. Recidivo nella primavera del 1900, fu riammesso al Manicomio il 21. IV. 1900.

Presenta irrequietezza, parla facilmente di sè, del proprio male, dice che è malato fin da ragazzo di pellagra, che ha perduto l'aspetto umano, che non è più degno di vivere. Accusa cefalea, debolezza, incapacità a tutto. Stato di nutrizione scadente. Urientazione incerta.

VI. 900. Migliora, parla pochissimo, è tranquillissimo, è orientato.

IX. 900. Non vuol mangiare, non risponde se interrogato, o risponde disordinato.

XI. 900. Dopo poche settimane è di nuovo migliorato e ha da allora un contegno corretto. È orientato, rammenta ma non con certezza gli episodî della sua malattia.

XII, 900. Nulla di nuovo.

Oss. XLVII. P. Lorenzo di Premilcuore, n. nel 1837, dal 1888 pellagroso, dal febbraio 1900 smarrito, confuso, depresso, con idee sconnesse.

Si riceve nel Manicomio il 25. IV. 1900.

2. V. Apatico, il malato si lagna di dolori alle gambe, è tranquillo, leggermente confuso.

20. XI. Aspetto fisico migliorato dall’ammissione, segni di pellagra scarsi alle mani; andatura paretico spastica , refl. rotulei esagerati. Interrogato, di- ce di avere 60 anni di età; non sa dire in che anno siamo, però sa che

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siamo in XI, e che è entrato in Manicomio nell'aprile. Perchè ti hanno por- tato al Manicomio? Per la pellagra, ero tanto debole! Eri triste o allegro allora? Ero confuso, avevo la testa confusa.

Oss. XLVIII. C. Angiolo di Pistoia n. nel 1840, malato di pellagra da un numero indeterminato di anni, è ammesso prima nellospedale di Pistoia per stato di esaurimento e di trasferito al Manicomio il 3. V. 900.

14. V. Residui di eritema alle mani, stato di nutrizione scadentissimo. Grande emotività; piange e ride per nulla. Comincia a volte un discorso di cui non arriva a capire il nesso, interrotto da risate e da esplosioni di pianto.

È disorientato per tempo. Talvolta risponde esattamente sul luogo. A volte è abbastanza lucido, ma dopo alcune risposte non sa più sostenere la conversazione.

20. VI. Da ieri è rifiorito un pronunciato eritema alle mani e alla fac- cia. Sebbene psichicamente migliorato specie nell’emotività, presenta però ancora segni di confusione mentale.

1. VIII È in via di perfetta guarigione.

5. IX. Si dimette guarito.

Oss. XLIX. F. Leone di Campi Bisenzio, n. nel 1833, è mandato nella primavera del 1900 alla Clinica dermosifilopatica per eritema alle mani e al viso, giudicato subito eritema pellagroso. Dalla detta Clinica, a cagione di uno stato di smarrimento psichico per cui il malato fa discorsi sconnesi, gira le corsie gesticolando e bisbigliando, emette feci e urine per terra o in letto, si invia al Manicomio il 4. 5. 900. È debolissimo, deperito, legger- mente agitato. Non risponde a tono.

10. 5. Migliora. Parla più ordinato, é pulito e tranquillo.

25. 5. Coscienza perfetta di malattia tisica e psichica. Rammenta solo parzialmente i particolari della sua vita dell’ ultimo mese. E ancora debolis- simo, anemico: si stanca facilmente. Dopo 1]4 d’ ora di conversazione non risponde più, o male.

15. 6. Si alza ed è notevolmente migliorato.

13. 8. Esce guarito.

Questi ultimi dieci malati (casi XL-XLIX)entrati compiessi- vamente fra il 16. 3. e il 3. 5. sono tutti molto tipici e non pos- sono dar luogo a discussioni diagnostiche. La stagione propizia alla pellagra ha mandato anche da luoghi non molto infestati dalla malattia, ma uniformemente dalla provincia di Firenze, la serie tipica di stati deliranti confusionali in forme varie sintoma- ticamente, ma tutte a decorso acuto con esito in guarigione ovve- ro con rapido esito letale.

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Di particolarmente degno di nota troviamo le alternative di agitazione e di stupore, come già dicemmo, proprie dei casi mor- tali (caso XLII, e casi XVII, XXVI), presentatesi anche in un caso che poi guari (XLI). La forma a fisonomia ipocondriaca presentata dal caso XLVI, con le idee di negazione, l’ andamento irregolare si scosta un poco dagli altri quadri. Una diagnosi diversa però non è possibile, e solo si potrebbe sospettare che una grave disposizione ereditaria faccia assumere alla psicosi dei tratti irregolari.

Il caso XLVIII ha presentato una recidiva intramanicomiale.

Oss. L. M. Teodora di Firenzuola, n. nel 1866, pellagrosa dal 1898 acu- tamente ai primi del Maggio 1900 comincia a far discorsi continui sconclu- sionati e contusi. Si manda al Manicomio il 5. 5. 900.

E molto anemica, esaurita. Parla tra e anche ad alta voce di mille cose diverse. lnterrogata mostra disorientata, contusa.

10. 6. Sta meglio; si mostra un po’ depressa, piange facilmente, deside- ra di andare a casa.

17. 8. Si dimette guarita.

Il tono psichico depresso si ha solo nella convalescenza, dopo che l’ episodio psicopatico ha già oltrepassato |’ acme. Si potreb- be obiettare che ciò che noi talvolta chiamiamo convalescenza è la vera e propria inalattia, di cui l’ episodio confusionale è uno stadio iniziale o intercorrente. Realmente noi vediamo talvolta, co- ine in questo caso, la confusione, l’agitazione durare pochi gior- ni e uno stato di debolezza e depressione, cou facilità al pianto, qualche idea delirante di natura melaucolica durare molti mesi. Però si noti in questi lunghi stadi lo sparire lento del disorien- tamento e del disordine mentale, anche quando il contegno si è rapidamente fatto normale come abbiamo già più volte notato. Di più la citata melancolia non è in generale sproporzionata alle condizioni somatiche o famigliari di questi pazienti, sovente ri- dotti ad un grado di miseria fisiologica che non ha pari se non nella loro miseria economica.

(continua)

Un caso di doppio suicidio trasformatosi in omicidio-mancato suicidio del Dott. R. Tambroni

Il valore giuridico e la psicologia del doppio suicidio, di que- sta forma a due di degenerazione, divenuta ın questi ultimi tem- pi tanto frequente, sono stati studiati per opera principalmente di sommi giuristi e sociologi italiani, dei quali basti citare il Carrara (I), il Ferri (2) e il Sighele (3). Quest'ultimo poi, come è noto, ha, dal lato psicologico, trattato l’argomento in mo- do molto ditfuso in due pubblicazioni, e nella seconda di esse, sotto il titolo « La coppia suicida », nel l.” capitolo di quel bel- lissimo studio di psicologia morbosa che è la Coppia criminale (3).

Fino ad ora però i casi di doppio suicidio registrati nella letteratura non sono moltissimi, o per lo meno, per essere stati la maggior parte di essi raccolti in epoche posteriori all’avvenimento e tratti semplicemente da resoconti di giornali politici, senza al- cuna conoscenza della personalità psichica degli attori, non offro- no tutte quelle garanzie che il metodo positivo giustamente esige e con le quali soltanto possono ricevere sanzione le teorie scientitiche.

Seguendo quindi l’esempio di alcuni miei egregi colleghi a- lienisti (4), ho creduto bene di rendere pubblico un caso molto importante di coppia suicida, caduto sotto la mia osservazione e da me studiato. È ciò mi è sembrato tanto più opportuno in quan- to, per la frequenza, con la quale fatti del genere occorrono oggi nei ‘llribunali, è utile anzi necessario diffondere le conoscenze a questo riguardo, perchè periti e giudici, popolari o togati, ap- prezzando giustamente il loro valore psicologico e giuridico e non traviati da vieti concetti tradizionali, disgraziatamente tuttora

1) Carrara. Programma. Nota I al $ 1157 ecc.

2) Ferri. L’omicidio-suicidio. 4. Ediz. Torino, 1895.

3) Sighele. L'evoluzione del suicidio all'omicidio nei drammi d'amore. Arch. di Psichiatria, Scienze penali ecc. 1891. pag. 436. ld. La coppia crimi- nale. Torino, 1893.

4) Amadei. Un onmicida-suicida. Relazione psichiatrica. Rivista sperimentale di Frenwatria, 1893 pag. 286. Antonini. Omicidio del consenziente e suicidio mancato per emozione, Scuola positiva 1894. Fasc. 16.

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sostenuti dall’ alta autorità di giuristi eminenti, non mettano senz’altro in non cale il nostro responso sincero e disinteressato e possano seguire la retta via nella amministrazione della punitiva giustizia.

Bettino F. di anni 23, operaio, residente a Finale di Rero (Copparo), amoreggiava da tempo con Maria C. di anni 17, pure residente nello stesso luogo, ragazza a detta di tutti onesta e presa da forte amore per F., dal quale era ricambiata.

Nessun fatto spiacevole e nessun litigio avevano mai turbato lo svolgersi normale di quell’amore, quando un giorno il Bettino, stretto dal bisogno di procurarsi altrove lavoro, dovette manifestare alla Maria la sua intenzione di andarsene a procurare poco lontano, la qual cosa per qualche tempo avreb- be loro permesso di vedersi soltanto la festa.

Tale notizia impressionò fortemente la giovane, la quale non solo si la- gnava coll’ amante stosso della sna determinazione, perchè, ad onta delle sue ripetute proteste di affetto, temeva che, una volta lontano, la dimenticas- se, ma con alcune sne amiche disse ripetutamente c in modo assai reciso che, non potendo viere senza di lui neppure un giorno, avrebbe ostacolato la sua partenza e, piuttosto che vederlo partire, lo avrebbe indotto a morire insieme.

La mattina del giorno 7 Agosto 1899, fra le 9 e le 10 del mattino, il Bettino si recò a casa della Maria per salntarla, dicendo che più tardi sa- rebbe partito, rinnovandole le solite calidissime proteste di amore e promet- tendole che le avrehbe scritto e cho il sno pensiero sarebbe stato sempre a lei rivolto.

La Maria però, piangendo, trasse il Bettino nell’ orto in luogo nascosto da piccoli alberi, lo scongiurò a non allontanarsi e, forse nella convinzione. che il partire per trovar lavoro fosse un pretesto per abbandonarla, gli pro- pose di morire insieme, al che il Bettino, vedendola tanto addolorata e pian- gente, accondiscese.

Allora la Maria si recò in cucina e, senza destar sospetti alla madre che in quel luogo si trovava, riuscì a prendere un lungo coltello, che na- scose sotto il grembiule e, tornata nell’orto, lo consegnò al Bettino perchò la uccidesse e poi rivolgesse il ferro contro stesso. E il Bettino, preso il coltello, lo inferse nel collo alla ragazza e poi, vedutala cadere a terra, ri- volse l'arma contro stesso, colpendosi nel collo e precisamente nella stessa regione nella quale aveva colpito l'amante.

La ragazza, per la ferita che le recise la carotide e la vena succlavia di sinistra, mori immediatamente senza profferir parola. Il giovane riportò una semplice e lievissima ferita nella parte anteriore del collo, nella quale però rimase infitto il coltello, che venne estratto dal fratello della morta, accorso subito dopo avvenuta la tragedia.

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Il Bettino fu arrestato, imputato di omicidio volontario e tradotto in- nanzi alla Corte d’Assise di Ferrara il giorno 5 Dicembre 1899.

Io in quella causa fui dall’ egregio Avv. G. Buzzoni chiamato come perito a difesa.

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L’imputato in tutti i suoi interrogatori anteriori al processo, cioè nel periodo istruttorio, ammise i fatti come noi li abbiamo superiormente esposti senza alcuna reticenza e senza alcuna contraddizione. L'atto d’accusa anzi fu redatto precisamente sul smo racconto stesso, non oppugnato, nemmeno in qualche piccolo particolare, da alcuno dei testi.

All'udienza il Bettino era in preda a tale emozione, che l'interrogatorio riuscì quasi impossibile. In sulle prime non fu dato ottenere da lui alcuna risposta, tanto che l'udienza medesima si dovette addirittura sospendere. In seguito, mercè il conforto dei giudici e del difensore, l’ interrogatorio poté essere ripreso, ma con fatica e a stento l’ecemo Sig. Presidente riescì ad ottenere da lui risposte monosillabiche miste a pianto.

Dallo svolgimento del processo risultò che l'imputato era buono e mite, amante del lavoro e giovane di rispetto. Da taluno si disse che egli era un volubile, di temperamento malinconico e amante della solitudine, e fu data molta importanza al fatto che il Bettino, non ostante che fosse analfabeta, fu veduto spesso dipingere sui banchi e sui muri figure, paesaggi, ponti ecc.

La Maria, vale a dire l’uccisa, era giovane intelligente, bella, forte, im- ponente e di carattere allegro. Qualcuno la giudicò nn strana.

Come abbiamo già detto superiormente, fra gli amanti non ebbe mai a verificarsi alcun dissapore e alcun serio contrasto; ambedua le famiglie non solo approvavano, ma erano completamente soddisfatte dell’ amore dei due giovani.

Parecchie amiche della uccisa deposero che costei, nel ritornare a casa coll'amante, fu qualche volta vista piangere, che più volte aveva manifestato l’idea di uccidersi col suo Bettino e che andava spesso ripetendo avere il presentimento di fare una brutta morte ecc. ecc.

Il giorno innanzi al fatto la Maria fu vista più nervosa del solito; gi- rava all'intorno per un prato con la testa scoperta esposta al sole e, richie- sta del perchè facesse in quel modo, rispose che voleva tanto bene a Betti- no che le sembrava di impazzire.

La mattina stessa del triste avvenimento la Maria fu vista piangere e, strano contrasto, era vestita da festa.

Sul contegno del Bettino dopo il fatto si disse che, quando il fratello dell’uccisa, accorso sul luogo della tragedia e veduta morta la sorella, gli

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disse «e Bettino mi hai tradito », egli rispose: hai ragione......, ammazzami. E, così dicendo, si aprì la camicia e gli offrì il petto perchè lo ferisse.

In seguito si gettò sul cadavere della Maria e poscia cadde in tale stato di prostrazione da indurre il dott. Tognoli, chiamato d’urgenza, a som- ministrargli degli eccitanti.

Tutti i testimonî, e perfino i genitori della povera morta, concordemente espressero la convinzione che i due amanti avessero obbedito ad un accteca- mento passionale e che fosse stata la Maria la prima a ideare il progetto, che fece poi accettare al Rettino.

Il caso del Bettino e della Maria ripete senza dubbio il caso della coppia passionale, della coppia suicida cioè, trasformatasi per circostanze speciali (emozione ecc.\ in omicidu-suicida.

Non mi fermerò a lungo per dimostrare che il Bettino, nel- l'immergere il coltello nel seno della Maria, non poteva essere dominato da altro movente che quello di obbedire alla volontà di lei, cui tormentava prepotente il desiderio egoistico di morire insieme.

I dne giovani si amavano reciprocamente, nessuna nube era moi sorta a turbare il loro amore, ambedue le famiglie avreb- bero veduto volentieri la loro unione, la Maria era addirittura schiava della sua passione; quale ostacolo dunque avrebbe po- tuto formare per il Bettino, buono e mite, la vita della Maria, tanto da indurlo a troncarla cosi crudelmente ?

Ma, oltre a questi elementi, che chiameremo negativi, ne ab- biamo dei positivi che suffragano la tesi. Il contegno precedente della ragazza, con i tristi presentimenti ripetutamente e chiara- mente manifestati alle sue amiche, e il fatto di essere ella stes- sa andata a prendere in casa il coltello, adoperando ogni arte per eludere la vigilanza della madre, non lasciano alcun dubbio al riguardo, quando anche non si volesse tener conto della atte- stazione addirittura plebiscitaria di tutti i testimonî, e special- inznte dei genitori della Maria, i quali esclusero recisamente ogni altro motivo che avrebbe potuto indurre il Bettino ad ucciderla e dissero, esprimendosi in diverso modo, che quel brutto fatto non era stato che il prodotto di un acciecamento passionale.

Ma wha di pit. Lo studio di questi drammi passionali ha ormai assodato che essi vanno accompagnati a fatti costanti e regolati pure da leggi costanti. E così;

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1) nella coppia di due amanti vi è sempre uno che dipende psicologicamente dall’ altro : P uno ha la volontà, l’ altro l’esecu- zione, l'uno è la testa l’altro il braccio. Ciò sl ripete anche nella amicizia e nella politica. |

2) nel caso del doppio suicidio l’idea della soppressione di ambedue spunta prima nella mente di uno solo (incube), che per suggestione la fa accettare dall’altro (succube).

3) la donna assai spesso domina l’uomo che la segue ed è tal- volta il suo cieco istrumento.

4) una delle particolarità più strane di questi casi di doppio suicidio per amore consiste nel fatto che colui, il quale decide la strage e vi persuade l’altro, non è quasi mai l’autore materiale della propria e dell’altrui uccisione. Invece chi vibra il colpo al- lamante e poi a stesso è sempre il più debole, quegli che non voleva morire e che si è lasciato trascinare al passo estremo dalle insistenze dell’altro.

Ora queste leggi generali trovano perfetto riscontro nel caso nostro particolare; difatti in questo, come abbiamo veduto, era il Bettino buono e mite, che dipendeva psicologicamente dalla Maria, giovane bella, intelligente e forte; l’idea della soppressio- ne di ambedue sorse prima nella mente della Maria, che la fece accettare al Bettino; l’autore materiale della strage fu il Bettino, il più debole, che si era lasciato trascinare al triste passo dalle insistenze della Maria.

Non v’ha dunque il minimo dubbio che nel caso del Bettino e della Maria si trattasse di un esempio classico di coppia sui- cida, trasformatasi per circostanze speciali in omicida-suicida.

Per il fatto che il Bettino non riusci che a procurarsi una semplice e leggerissima ferita, fu da taluno sospettato della sua vera intenzione di uccidersi, ciò che avrebbe potuto gettare una cattiva luce snlla purezza del dramma passionale. A me però, sulla base di molte delle ragioni superiormiente esposte, del fat- to che la ferita del Bettino aveva la stessa localizzazione di quel- la della Maria (fenomeno quasi costantemente osservato in que- sto genere di drammi passionali) e della frequenza con la quale accade che la emosione tolga all’ attore principale la possibilità di effettuare la propria uccisione, non ostanie la sna intenzione più ferma e decisa, non fu molto difficile il dimostrare l’inatten- dibilità di quel sospetto.

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I positivisti pongono la spiegazione di tutti questi drammi passionali nella suggestione spinta all’estrema manifestazione cui essa può giungere, vale a dire alla forma patologica.

Ed ecco perchè io, non ostante la natura passionale del caso, la quale natura ha fino ad ora per i giuristi valso quasi sempre a non far prendere neppure in considerazione la questione della responsabilità, pure nella ferma convinzione che il Bettino e la Maria si trovassero in quel giorno, e specialmente in quel mo- mento, in tale stato di morbosita di mente da togliere loro la libertà dei propriî atti, mi pronunciai per la completa irrespon- sabilità del Bettino, tesi che fu accettata dal Pubblico Ministero, il quale conseguentemente ritirò accusa.

l Giurati sanzionarono col loro voto la mia tesi e mandaro- no assolto il Bettino.

APPENDICE

Nel mese di Marzo ultimo passato, quando cioè era già scrit- ta questa piccola nota, fui dall’egregio Avv. A. Aldini chiamato come perito in una causa che si dibatteva alla Corte d’Assise di Ferrara.

Riassumo brevemente i fatti.

B. Damaso, falegname, di 48 anni circa, ammogliato col solo rito reli- gioso, contrasse relazione intima con la B. Maria più che quarantenne, com- pagna del sno amico F. Luigi mercantino e campagnuolo, legata a questo, alla sua volta, col solo rito religioso. La tresca durava da due o tre anni con una assiduità veramente eccezionale da parte di Damaso e con una tol- leranza da parte di Luigi fino al punto di non fare questi alcun caso se l’amico, anche due o tre volte la settimana a qualunque ora e percorrendo una distanza di 20 chilometri, favoriva di visite la sua famiglia, di dividere spesso con lui il modesto desinare e di spingere l'ospitalità fino a dividere coll’amico medesimo il talamo nuziale, con la precauzione però di fare ac- cedere a questo svestita la compagna soltanto dopo spento il lume.

Pare che anche prestiti di denaro e interessi di altro genere passassero fra i due amici.

À un dato momento , chi dice perchè Luigi aveva aperto gli occhi, chi dice perchè non potevano essere continuati gl’ interessi fra i due amici, es- sendo a Damaso venuto meno il «lenaro, viene a questo dal primo assoluta- mente proibito di metter più piede in casa sua.

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Damaso ubbidisce e si rassegna a questa ingiunzione, ma non si rasse- gna a far senza della Maria, la quale alla sua volta, se non riceve più in casa Damaso, accetta però di trovarsi con lui poco lungi dalla sua abita- zione e in altri luoghi.

In uno di questi ritrovi, e precisamente il giorno 3 Agosto 1900, men- tre la Maria era intenta a tagliare la canapa, Damaso esplode un colpo di rivoltella contro la Maria, colpendola alla fronte, e poi rivolge l'arma contro di colpendosi pure alla fronte, presso a poco nella stessa regione.

Ambedue cadono storditi in terra, e prima a riaversi è la Maria, la quale non grida impreca, e con Damaso, anch'esso poco dopo riavutosi, rincasa e pulisce del sangue, che gli colava dalla ferita, l’ amante, gli cambia parecchi oggetti di vestito, sostituendoli con altri simili del suo compagno, ecc. ecc.

Damaso si trattiene del tempo ancora presso la Maria e poi si allonta- na. La palla non gli era penetrata nel cranio, ma gli aveva prodotto sol- tanto un solco abbastanza profondo nel. tavolato esterno.

La Maria invece, cui il proiettile era penetrato nel cervello, dopo alcu- ne ore incomincia a star male e dopo tre giorni muore.

Damaso allora si costituisce spontaneamente all’ Autorità Gindiziaria, e il giorao 21 Marzo viene tradotto innanzi alla Corte d'Assise imputato di omicidio volontario.

Al dibattimento l'imputato disse che Luigi F., compagno della sua aman- te, era tacito conoscitore del loro amore da un pezzo. Sostenne che, in se- guito allo sfratto datogli da casa sua, ciò che rendeva difficili i suoi rapporti con la Maria, venne a questa l’idea di uccidersi insieme, idea che, ripetuta- gli insistentemente dall’ amante, fece breccia nell’ animo suo fino al punto di fargliela accettare.

Le testimonianze di questo dramma passionale non furono concordi co- me quelle del caso del Bettino e della Maria, che abbiamo esposto superior- mente. Ed era naturale che fosse così, anche per ragioni facili a comprendersi.

Sta il fatto che al colpo esploso da Damaso contro la Maria non seguì da parte di questa alcun grido di spavento o di dolore alcuna chiamata al soccorso. Nessuno di coloro che avvertirono i colpi di rivoltella esplosi da Damaso e che, per la vicinanza alla località, avrebbero dovuto certamente udire grida e invocazioni se vi fossero state, seppe dir nulla a questo riguardo.

Sta pure il fatto che la Maria, quando, ritornata a casa, venne dai fa- migliari interrogata sull’accaduto e sul sangue che le colava dalla ferita na- scosta dai capelli, cercava ogni maniera per tener celato tutto e per togliere ogni importanza ai fatti.

Fu chiamato il medico, contro la volontà della donna ferita, ed esso do- vette tornarsene via senza aver potuto compiere il suo mandato, perchè Ja Maria vi si oppose.

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It Brigadiere dei Carabinieri, accorso col Medico sul luogo, depose che giunto là, nən riusciva a comprendere quel che fosse avvenuto, e tutto pa- reva una commedia. Disse che la donna, appena egli si presentò in casa, si irritò e, vedendolo, domandò che cosa fosse venuto a fare. Soggiunse anzi, rivolgendosi ai famigliari: perchè avete chiamato 1 Carabinieri e (allu- dendo al Damaso): adesso lo farele arrestare...., e lui non ne ha colpa. La nipote sembrava che desse ragione, o per lo meno scusasse il feritore ; il compagno, Luigi F., stava zitto.

In contraddizione con queste deposizioni stanno quelle di quest’ ultimo (il quale, a quanto sembra, incominciò a mettersi fuori soltanto quando le condizioni della donna ferita divennero pericolose), della nipote e di qualche altro. Da costoro si disse che la Maria ai famigliari avrebbe raccontato es- sere stato Damaso a farle la proposta di uccidersi insieme o meglio averle esso detto che col revolver avrebbe voluto uccidere lei e poi stesso; ma che essa avrebbe risposto che se lo avesse voluto fare, lo avesse fatto, ma che per conto suu non ne aveva voglia. Si disse pure che Damaso le avesse con minaccia imposto di tacere sull’ accaduto e di consegnargli oggetti di vestito per cambiarsi; e finalmente da un teste fu deposto che la Maria la

sera stessa del fatto e all’ Ospedale avrebbe imprecato contro Damaso, di- cendo : traditore, birichino mi ha rovinata.

All'esame obbiettivo, da me praticato negli intervalli durante lo svolgi- mento del processo, ottennero i seguenti risultati :

Cranio mesocefalo; fronte un sfuggente; leggerissima asimmetria fac- ciale.

La sensibilità, specialmente dolorifica, non è uniformemente simmetrica. Qualche zona iperestetica notasi particolarmente a destra. La motilità è normale.

I riflessi cutanei e tendinei, e fra questi ultimi di più il rotuleo, sono un esagerati a sinistra.

Le pareti delle arterie accessibili alla palpazione non appaiono degene- rate. Il cuore pulsa un forte e presenta ogni tanto qualche aritmia.

La fisonomia è poco piacevole, senza speciali detormità del viso.

Dal punto di vista intellettivo nulla si nota di anormale. L’ affettività appare esagerata.

° è o

Il piano della mia perizia verbale fu il seguente: Anzi tutto mi parve necessario, quantunque per molte ragio- ni non ve ne sarebbe stato il bisogno, mettere in sodo che nel

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caso di Damaso ec della Maria trattavasi di un dramma passio- nale e non di un delitto volgare. E ciò, a mio modo di vedere, risultava principalmente da due fatti: 1. dalla costituzione psi- chica dell’imputato (uomo incensurato, di buona condotta, eminen- temente affettivo), 2. dall’insieme delle circostanze che precedet- tero, accompagnarono e seguirono il triste avvenimento.

La simpatia e le attenzioni, manifestamente addimostrate in ogni circostanza, nonchè le concessioni sempre fatte dalla Maria a Damaso, il non avere la Maria emesso alcun grido e fatta al- cuna invocazione di soccorso quando fu colpita, il ritorno insie- me a casa e gli scambievoli aiuti prestatisi fra loro, lo sforzo da parte della Maria di tener celato tutto e la noncuranza di prov- vedere alla propria conservazione, e finalmente il suo irritarsi nel vedere venire in casa 1 Carabinieri e le parole : adesso lo fa- rete arrestare, lui non ne ha colpa (quando Damaso si era già allontanato dalla sua casa, ed essa trovavasi al sicuro da qual- siasi sorpresa) sono tali documenti che fanno perdere molto, per non dir tutto, il valore a ciò che avrebbe detto o si sarebbe fatto dire alla Maria il giorno appresso, quando era insorto il delirio, quando era vicina a morire. Tutto ciò dimostra manifestamente che fra quei due amanti si agitava un tumulto di sentimenti e di passioni per i quali erano insieme avvinti da un legame mi- sterioso, indissolubile, fatale che non permetteva assolutamente che fossero divise le loro sorti.

lo penso che, se l’amore contrastato dei due amanti avesse dovuto indurre il Damaso ad un delitto volgare, questo avrebbe dovuto avere per vittima il F. Luigi, che era stata la causa di tutto. Non si saprebbe perchè egli avesse dovuto sopprimere l’og- getto amato, dal quale era contraccambiato, e lasciar vivere inve- ce il nemico, l'ostacolo principale al loro amore.

Si mise in dubbio dalla Parte Civile che il Damaso, nel ri- volgere l arma contro di sè, avesse voluto veramente compiere un atto di suicidio, recitare una commedia, ma questo dubbio, a mio modo di vedere, non ha ragione d’esistere quando con- sideri che la palla penetrò sotto la cute e ne usci dopo avere prodotto un solco nel tavolato esterno del cranio, solco che per- mane tuttora. Esperimenti innocui di questo genere non potrebbe farne neppure il più esperto anatomico.

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Ma se dunque questo tentato suicidio fu serio, non v’ha dub- bio che il fatto del 3 Agosto debba inquadrarsi nello schema che il Sighele ci ha dato e dai più viene accettato per la evoluzione del suicidio all’omicidio nei drammi d’amore.

Ora, dicevo io: se si avesse la certezza che la Maria fosse consenziente (come il Damaso affermò nel suo interrogatorio), al- lora l’avvenimento ripeterebbe il caso del doppio suicidio, trasfor- matosi in omicidio-suicidio per ragioni indipendenti dalla volontà dell’attore.

Però, quantunque le importanti deposizioni del Brigadiere dei Carabinieri e il contegno della Maria dopo l’accaduto portas- sero a credere che detto consenso vi fosse stato, pure alcune de- posizioni di altri testi mi lasciarono un dubbioso, ed io, che intendo per mandato del perito non quello di mettersi a disposi- zione di quella Parte che lo ha chiamato, facendo facile sfoggio di teorie e cognizioni mediche, sconosciute per lo più alla mag- gioranza degli uditori, ma l’altro di dare per l amministrazione della Giustizia un giudizio tecnico su fatti certi, feci, secondo lo schema sopra accennato, rientrare il caso di Damaso e Maria nell’omicidio del non consenziente e suicidio o mancato suicidio.

Certamente questi casi non sono dei più nobili e dei più sim- patici come quelli in cui uno dei due amanti, vinto onestissimo nella lotta per l’esistenza, esce dalla vita dignitosamente e sen- za recar danno, o come quelli, in cui ambedue in perfetto accor- do si eliminano. Senza dubbio però anche nei casi come quello del Damaso scendono in campo passioni prepotenti, alla cui voce gli uomini ciecamente nbbediscono in ragione diretta della de- bolezza del loro organismo mentale (Morselli), e i sentimenti tendono al monopolio della psiche e, limitando e talvolta toglien- do, se non la coscienza, certo la libertà degli atti, fanno agire anche in modo antisociale. i

In base alle dette ragioni io mi pronunciai per la semirespon- sabilità, insistendo sul fatto che il Damaso il giorno 3 Agosto, quando esplose il colpo che portò a morte la Maria, dovaeva tro- varsi in tale stato di passionalità morbosa da non essere com- pletamente libero nelle sue azioni.

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I giurati però negarono all’accusato il vizio parziale di mente e lo condannarono, quasi senza attenuanti, a 15 anni di reclusione (1).

1). Un tale verdetto impressionò vivamente la cittadinanza perché faceva manifestamente contrasto con un altro verdetto, col quale i giurati, nella stessa Corte di Ferrara, due giorni prima avevano ammesso la totale irrespon- sabilità per un portalettere infedele, che da vario tempo violava la corrispon- denza a lui affidata, sottraendone il denaro, e da me perito era stato giudi- cato perfettamente responsabile. Il medesimo anzi formò in un giornale locale argomento di una polemica fra duo egregi giovani del Foro ferrarese, nella quale, quantunque naturalmente vi si sostenesse il pro e il contro della mia tesi, pure ebbi la compiacenza di vedere discussa la questione con un lin- guaggio e con concetti tali di positivismo scientifico moderno, quali qualche anno fa non sarebbe stato certamente possibile neppure sperare da non medici.

lo mi guardai bene dall’intervenire in qualsiasi modo in quella discus- sione e ripetere in un giornale politico quanto avevo già esposto pubblica- mente nell'aula giudiziaria, pago che la mia modesta perizia avesse valso a scoprire il vasto terreno conquistato in questi ultimi anni dalle nuove teorie.

a)

BIBLIOGRAFIA

Finzi. Die normalen Schwankungen der Seelenthatigkeiten. 4. H. d. Grenxfragen des Nerven-Seelenlebens her. von Loewenfeld u. Kurella. Deutsch von Dott. Jentsch. Wiesbaden, 1900.

Premesse alcune considerazioni generali sulla estensione dei: casi-limite e sulle gradazioni della salute e della malattia mentale, alle quali si con- nettono una serie di interessantissimi problemi psicologici, clinici e medico- legali l’ A. dice che tutto il ricco materiale, di cui la scienza dispone per un esame di tali questioni, può principalmente dividersi in 4 gruppi: - Forme leggiere di malattie mentali. - Disturbi psichici in connessione con malattie organiche comuni. - Varietà individuali della personalità.

Limitandosi a questo quarto gruppo di fenomeni, cioè soltanto al cam- po fisiologico, e non uscendo fuori dal quadro della psiche normale, si tro- vano tali notevoli oscillazioni che si è indotti al ammettere che il vero do- minio-limite tra salute ec malattia mentale sia rappresentato precisamente da queste oscillazioni. Nelle manifestazioni ordinarie della nostra vita psi- chica trovansiin forma leggiera e limitati ad un minimum tutti i sintomi della pazzia. Nella patologia della psiche. come in tutti gli altri capitoli della patologia, la funzione normale forma la chiave di ogni teoria nosologica © patogenetica.

Fanno seguito nel lavoro del F. 8 Capitoli: 1.) Le oscillazioni elemen- tari della coscienza. 2.) Assuefazione, stanchezza, stimolo, distrazione. 3.) E- mozione. 4.) Dieta e vita nervosa. 5.) Sonno e veglia. 6.) Influenze climati- che. 7.) Influenza dell’ ambiente. 8.) L’ eta.

Il contenuto di questi capitoli può riassumersi così. - L’ nomo, con- formemente alle svariate canse interne ed esterne, trascorre nella sua vita psichica una curva molto irregolare. Dette cause interne ed esterne danno luogo a oscillazioni della vita psichica molto diverse fra loro nei diversi in- dividui. Indubbiamente le influenze della abitudine, della stanchezza, dello sti- molo, delle emozioni, della alimentazione, dei mutamenti atmosferici si estrin- secano con predilezione sopra alcuni individui. Lo studio dei limiti, dentro i quali le facoltà psichiche si muovono tra la salute e la malattia, fa notare gradazioni e forme di oscillazioni, le quali non solo hanno sorprendente so- miglianza con sintomi psicopatici ma ripetono una vera copia di essi.

Per ciò che riguarda la psicologia sperimentale l’ A. fa una esposizione delle serie interminabili di difficoltà che si contrappongono all’ esperimento psicologico, stante che una immensa quantità di elementi modificano conti- nuamente la nostra attività cosciente.

Già il polso e il respiro provocano qualitativamente e quantitativamente in rapida successione funzioni alternanti, e lo stesso fanno il grado di eser- cizio e di stanchezza, le particolarità individuali e momentanee «lella atten-

cs PR nee

zione, le basi emotive elementari e le serie infinite degli affetti, la dieta, gl’ intervalli fra i pasti e le bevande, la durata periodica del sonno e della veglia, le influenze atmosferiche, l’ambiente, l’età della vita ecc., tutti fat- tori, i quali nelle ricerche psicologiche non debbono mai essere trascurati.

I processi della vita psichica non sono nulla di stabile e di equilibrato, ma una serio di fenomeni i quali si iniziano e si seguono l’ un l’ altro senza limiti, come scariche di energia tra milioni di elementi, influenzati da una infinita quantità di cause.

Ma le leggi bio-psicologiche riconducono questo ondeggiamento confuso delle funzioni psichiche alla semplicità di un tutto armonico. Le reazioni dell’ organismo cercano di limitare le influenze delle cause esterne ; apparec- chi nascosti , numerosi e di varia forma proteggono le funzioni organiche di fronte ad elementi disturbatori estranei.

Le condizioni di questa regolarizzazione sono da ricercarsi nelle pro- prietà psico-fisiche fondamentali di ogni singolo individuo.

TAMBRONI

P. Visani Scozzi. La medianità. Firenze 1901. Un vol. di 466 pag.

I fenomeni medianici aspettano per essere accolti nella scienza chi li studi al solo lume delle cognizioni obbiettive, o chi trovi fra quelli e queste il tratto d'unione, o, per lo meno, come avvenne fra il 1875 e il 1880 per i fenomeni ipnotici, chi li presenti spogli di qualunque aureola di mistifica- zione e forniti di un grado sufficiente di obbiettività.

Il libro del V. è un contributo alla conoscenza dei fenomeni medianici, contributo degno di molta considerazione, in quanto che tutto ciò che ri- guarda constatazione di fatto, critica di metodo e di tecnica vi è svolto e discusso con logica rigorosa. Cosicchè in molti punti l'A. riesce a dare una dimostrazione direi quasi esatta dei fenomeni osservati. In secondo luogo è notevole la posizione del problema. L’ A. riconduce tutti i fenomeni media- nici ai fenomeni ipnotici: molto giustamente quindi egli dall’analogia per- fetta degli stati speciali di certe persone, per mezzo dei quali hanno feno- meni ipnotici, con gli stati speciali delle persone la cui presenza sembra con- dizione dei fenomeni medianici, deduce che il punto di partenza di uno stu- dio scientifico in proposito deve stare nelle condizioni del medio. In terzo luogo merita lode la maniera di esposizione. D’ A., svolta la parte storica delle dottrine ipnotiche, trova nel fatto delle qualità diverse di ipnotismo: sonno ipnotico indotto, morboso a) spontaneo, d) antosuggestivo, e sonno in- dotto artificiale c) suggestivo, il punto di contatto e la via di conciliazione fra le dottrine della scuola di Nancy e quelle della Salpétrière.

Riferisce quindi le esperienze e le dottrine sulla così detta materia ra- diante, sulla radiazione umana, con tutte le ipotesi relative del Krookes,

i mia,

.— 89

De Rochas, Ochorowicz, Aksakow, Janet, Binet, Lombroso, Lodge, ecc. Esamina se l’ereditarietà delle idee può servire a spiegare certi fenomeni inconsci, e comincia la descrizione dei fatti da lui osservati. I fe- nomeni tiptologici, di trasporto e di materializzazione sono fino a un certo punto spiegati dall’A. con l’esteriorizzazione della sensibilità e motricità del medio, per la dissociazione della sua personalità, e con la radiazione col- lettiva degli astanti utilizzata dalle facoltà del medio. Ma ad un tratto PA., perchè trova queste dottrine insufficienti a dar ragione esauriente di tutti i fenomeni osservati, passa d’un salto nella dottrina spiritica. E ciò fa tanto più impressione, in quanto, dopo oltre trecento pagine, nella forma e nel coutenuto giudicabili come lavoro scientifico in senso stretto, una capitola- zione così subitanea e sopratutto completa non era attesa.

Imperciocohè si possono accettare i fatti; e, più che mai, si può esser tutti d'accordo nell’ammettere che le dottrine delle proiezioni del medio, tra- smissione del pensiero, ecc., sono insufficienti a spiegarli tutti. Ma da que- sto ad accettare intero l’edit:cio di dottrine che sono conosciute sotto il no- me di spiritismo, ci corre. La molteplicità simultanea delle materializzazioni, e il contrasto esistente talvolta fra la volontà collettiva o del medio, e la volontà che si manifesta tiptologicamente, sono secondo lA. i fatti obbiettivi più salienti che lo inducono ad ammettere delle individualità extraumane agenti sul medio come l’operatore sull’ipnotizzato.

Evidentemente debbono essere state altre le ragioni, ed essenzialmente di natura soggettiva quelle che hanno fatto accettare all’A. la dottrina spi- ritica, tali quindi che egli non può assolutamente comunicarle al lettore. Di maniera che rimane completamente all'oscuro il legame logico dell’ illazione come il legame psicologico della convinzione nel passaggio dell’ esposizione dei fatti coi primi tentativi di esplicazione all’interpretazione sintetica della fenomenologia medianica. Nella quale l’A. avanza un quadro complessivo dove entra anche la così detta medianità intuitiva, scrivente, di cui non aveva prima mai parlato, dove l'A. afferma semplicemente che si può aver la certezza dell’esistenza, non che di alcuni caratteri fisici intellettuali e mo- rali (pag. 394) di individualità occulte extraumane; dove in fine si ammette che queste individualità siano più meno che le anime dei detunti so- spese fra una passata e una futura incarnazione (!) (pag. 399 e seg.). |

Elevarsi dalla constatazione dei fatti alla loro interpretazione è un do- vere dello studioso: l’ avanzare ipotesi a questo scopo è sempre utile, anche quando le ipotesi contengono poco di vero. D'altra parte, siccome sarebbe irragionevole affermare che noi oggi conosciamo tutte le cause reali dei fe- nomeni, si deve autorizzare, se ciò è necessario, l'ipotesi che ammette un agente interamente nuovo.

Così si ammette l’etere come mezzo alle ondulazioni luminose, dopo che tutte le altre ipotesi si sono mostrate non solo insufficienti, ma contrade

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dette da molti fenomeni ottici. Il cho non si può ancora dire delle ipotesi dinamistiche-psicologiche a proposito dei fenomeni medianici. Queste ipotesi raggiungono già il massimo grado di incertezza e di ardimento così da essere quasi extrascientifiche e da non aver quasi il valore che di opinioni personali: ma per lo meno non manca la continuità fra di esse e ciò che è positivamente assodato dalle nostre cognizioni, e, in ogni caso, nessuno le considera più di quello che sonu: ipotesi che attendono conferma, o smenti- ta. Ma l'ipotesi spiritica invece, mentre da un lato non presenta la neces- saria continuità con le nostre coguizioni scientifiche o anche con le ipotesi scientifiche più avanzate, d’altra parte se è rigettata a priori dagli avversa- rì, è invece presentata dai crellenti come qualche cosa di assolutamente cer-

to, come una verità indiscutibile. L’ A. stesso, che in principio era sembra-

to tanto cauto nel concludere, tanto scettico in fatto di principî, accettata la ipotesi, arriva a dire che si tratta proprio di certezza scientitica « e se il lettore non divide il mio parere, io non so per lui certezza cos’ è » (p. 394).

Così il libro del V., oltre che un interesse storico, e un interesse scientifico per la specialità, ha anche un interesse psicologico in quanto fornisce mate- riale agli stati d’ animo moderno dibattentisi tra la scienza che va impre- gnandosi di misticismo e la mistica che vuole assumere parvenze scientitiche.

Finzi

L. Perissutti e G. B. Cantarutti. Inchiesta sulla pellagra nel Re- gno e sui provvedimenti diversi per la cura preventiva della stessa. (Estratto dal Bollettino delle notizie agrarie, n. 31 del 1900). Roma 1400.

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Questo lavoro statistico, compiuto dai due egregi Rappresentanti del Comitato permanente interprovinciale per la cura della pellagra, è una pro- va di più della loro costante, intelligente attività e dell’esemplare interessa- mento col quale eglino esercitano il loro mandato per uno scopo tanto san- to ed umanitario.

Fatte alcune considerazioni generali sui forni rurali, essiccatoi, cucine economiche, locande sanitarie e pellagrosarî, tutti mezzi diretti a combattere la pellagra, gli A.A. passano nella seconda parte del loro lavoro a riferire con minuti dettagli su ciò che si è fatto e si fa a questo scopo nelle 4U provincie del Regno in cui la malattia più o meno estesamente si manifesta.

Nella terza parte viene esposto un sunto statistico della pellagra in rap- porto con la popolazione agricola, e nella quarta parte finalmente è detto dei risultati o conclusioni, cui gli A. A. stessi dal loro studio sono indotti.

In Italia sono 40 le provincie che dànno pellagrosi, e cioè : 4 del Pie- monte, 8 della Lombardia, 8 del Veneto, 8 dell’ Emilia e Romagna, 5 delle Marche ed Umbria, 4 della Toscana, 2 della Liguria, quella di Roma.

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Nel 1899 funzionavano nel Regno 27 Commissioni speciali per la pro- filassi della pellagra, esistevano 3 pellagrosarî, funzionarono 108 essiccatoi per il granturco, limitati quasi esclusivamente alle provincie di Bergamo e Brescia, 23 forni rurali, 184 lacande sanitarie, oltre a moltissime cucine economiche per pellagrosi.

Gli A. A., istitnendo un confronto fra i dati statistici sulla pellagra nel 1881 pubblicati dal Ministero di Agricoltura e quelli del 1899, calcolando il rapporto dei pellagrosi con la popolazione agricola, trovano che la malattia nell’Italia settentrionale ha subìto una sensibile diminuzione. Una forte di- minuzione hanno riscontrato anche nell'Emilia e nella Romagna; purtroppo però si manifestò un forte aumento della pellagra nelle Marche e nell’ Um- bria, come pure abbastanza sensibile nella Toscana e nella provincia di Roma.

La diminuzione della malattia sta in ragione diretta dei provvedimenti adottati per debellarla.

TAMBRONI

NECROLOGIO

Il giorno 5 Marzo 1901, dopo lunga © crudele malattia, cessava di vi- vere in Albese il Dott. Agostino Brunati Direttore del Manicomio Pro- vinciale di Como.

Al povero Collega defunto il nostro estremo saluto e alla desolata fa- miglia le nostre più vive condoglianze.

Società di Patronato peri pazzi poveri dimessi dal Manicomio.

Somma precedente ; . . L. 2191. 07 Offerte malati . Î : » 42. 95 Offerte private i i : » 4.

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Totale . L. 2238. 02

U) Div)! DU bul DiC plu {| D ——, ——]—|--]— | —|—|-- SS ies) asses eee ENE SPERE Prov. di Ferrara | 180) 199] 6| G] 2) 3; | | 1 I | 11| 184; 190 Appart. | | | | altre Provincie 99; 15 | ! ] 27) 154 |— -- f—' -— | eet ee ee J] IM == | 209! 214] 6! o] 2 3 | 1 1 111 su 205 | —j——]} -- |---| | SI} I} II Movimento dei malati nel mese di Febbraio 1901 | Prov. di Ferrara | 184) 190] 6] 5) 1) 2) 1) 1 1] | 1] 1] 187] 192 | Appart. i : altre Provincie 27| 15 | 1 25] 15] 211| 205| 6| 5| 1] 2! A it]; 212 207 | —— | —— |-irimiclcit.—.—.—uTi—— Movimento dei malati nel mese di Marzo 1901 Prov. di Ferrara { 1S¢,; 192415) 4] 2; 2) 1; 1) 1 3 41195. 189 | Appart. | altre Provincie 25, 15) 1] 1 26, 16 | 212) 207/16; 5] 2] 2] 1] 1] 2 3 4 221! 205 poe a oe edt ky the bee ay ot ee e ET I Movimento dei malati nel mese di Aprile 1901 Prov. di Ferrara | 195° 189015 8 2. 4) 1i | | 4) 7] 203] 187 | Appart. a | | | altre Provincie 26 | 16 1 | | 27) 15 a fe ee Se see ee ee ee 221! 205 16, 8| 2, 4 1 | | | | 4; 7| 230) 202 | Pe ee eee ee | Direttore R. TamBroni. Redattori CaAppPELLETT) - D'OrMEA - linzi - LAMBRANZI - VEDRANI.

Anno XXIX Fase. III.

BOLLETTINO

DEL

MANICOMIO PROVINCIALE DI FERRARA

FERRARA

Tipografia dell’ Eridano 1901

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Uno Pseudo - Delinquente Passionale del Dottor L. Cappelletti

Il giorno 4 Marzo 1899 alle ore 16 Giovanni C.... sparava con- tro la propria amante Esterina V... cinque colpi di rivoltella che la resero cadavere. Subito dopo si costituiva all’ Ufficio di Que- stura. In Carcere presentò due accessi di fortissimo delirio, come scriveva il Medico, accompagnati da intensa agitazione mo- toria e violenza. Fu perciò condotto al Manicomio dove entrò il giorno 10 Luglio. L'autore dell’atroce delitto, che sorprese e com- mosse profondamente tutta Ferrara, apparve a me sin dal prin- cipio quello che comunemente si dice: un caso interessante ; perciò lo studiai con diligenza e venni col mio personale esame clinico ad una conclusione diagnostica che si trovò perfettamente d’ accordo con quella che il Signor Direttore per conto suo e in base alle sue ricerche formulò al Tribunale che ne lo aveva ri- chiesto: delitto passionale. Da questo Istituto il C.... passò al Mani- comio Criminale di Reggio-Emilia; quivi presentò una sindrome fenomenica nuova, per la quale il Direttore Dott. Saccozzi emise un giudizio diametralmente opposto: epilessia psichica. Questa divergenza di giudizio eccitò in me vivo il desiderio di prendere ancora in esame il caso che appariva non solo interessante ina importante assai dal lato medico-legale e perciò ottenni dalla cortesia del Sig. Direttore il consentimento di farne oggetto di studio e di pubblicazione. Il Signor Dott. Saccozzi inviò preziose informazioni e la minuta della relazione peritale da lui compo- sta. Così che, avanti tutto, porgo a l’ uno e all’ altro sentite grazie.

Per esser chiaro credo bene procedere cronologicamente ri- ferendo i fatti e i fenomeni raccolti nel nostro Instituto prima e in quel di Reggio-Emilia poi.

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Parte Prima

Il malato ha grave labe ereditaria: padre alcoolista. neuropatico, violen- to; zia materna pazza; fratello cpilettico grave. Egli non ha mai sofferto malattie nervose o mentali presentato particolarità interessanti se ne to- gli una disposizione ad cccitarsi e a diventare litigioso in seguito all’azio- ne dell’ alcool. Ha sempre tenuto una condotta tranquilla e corretta, non ha rifuggito dal lavoro mai, non ha snbìto condanne e durante il servizio mi- litare durato tre anni non ha avuto punizione di importanza e ha disimpe- gnato con diligenza i suoi doveri di soldato. Quando commise il misfatto egli, come cuoco, prestava servizio, bene apprezzato, presso le Guardie di Città.

de * *

Nei primi mesi del 1898 il C.... iniziò una platonica relazione amorosa con una tale Esterina V.... L'amore continuò lieto e senza dissapori per quasi un anno. Alla metà di Gennaio 1899 il C.... Ia chiese formalmente in isposa. È a notare che la ragazza, di costituzione originariamente gracile, aveva presentato negli ultimi mesi del 18938 segni di tubercolosi polmonare. Di questi fatti, bene accertati dal Medico cnrante, la famiglia tenne parola al C.... che ritirò allora la sua domanda. Il C.... il giorno 14 Febbraio, sotto il pretesto di chiedere spiegazioni su alcune voci che diceva essere state emesse a suo carico dalla madre della sua fidanzata, andò a casa di questa e fece una violenta scenata reclamando i doni fatti el affermando di non volere più saperne della passata relazione. Ma pochi giorni dopo si fece nell'animo del C.... il pentimento e si riaccese il desiderio di riallacciare il troncato amore. Scrisse perciò alla V. una lettera di sense richiamandola nuovamente al suo affetto e ‘dicendo che il giorno 14 Febbraio, quando egli erasi recato presso di lei, non sapeva quel che si facesse perchè preso dal vino. La V... rispose accor- dando il suo perdono ma dicendogli nel tempo stesso che intendeva mante- nersi libera da ogni legame e che non esisteva ragione perchè egli potesse impedirle di dare ascolto, in avvenire. al altro uomo. Il C.... non si dette per vinto, che anzi la sua passione si acutizzò, e con lettere, con telegrammi e col recarsi ancora una volta in casa della fidanzata ripetè le proteste di perdono, d’ amore e la dimanda di fare la pace. Ma la Esterina V.... rimase sempre irremovibile. Il giorno 4 Marzo, il giorno del delitto, Ja V.... gli scri- veva un’ nItima lettera di risposta ripetendo quel che per lo innanzi aveagli scritto e fatto sapere, che, cioè, lo perdonava, che con lei lo perdonava anche tutta la sua famiglia, ma che non avrebbe più riallacciato l’amore con li e che meglio si era che essa avesse potuto pensare alla sna salute malfer- ma ed egli se ne stesse tranquillo discacciando ogni pensiero. Aggiungeva di più che non sarebbe messa con nessuno. E questo fu l'ultimo scritto della sventurata giovane,

cla O a ll Delitto

Non sappiamo esattamente. quale fosse lo stato d'animo del C...... nel giorni che precedettero il delitto. Ma ove si consideri la vivacità della cor- rispondenza, le scenate fatte, lo minaccie di morte lanciate parlando col fratello della V... è facile immaginarselo.

Il 4 Marzo, il giorno in cui dopo le sue molte preghiere gli giunse l’ul- timo e categorico rifiuto, alle 4 pomeridiane, si recò in casa della Vi..... o le rinnovò le sue domande. Alla risposta negativa, malgrado che la ra- gazza lo invitasse a essere calmo e gli promettesse anzi di riprendere con lui l’amore una volta che fosse guarita , il C......, estratta una rivoltella, le sparò contro 5 colpi, la uscise e poi fuggì. cercò nascondersi, che anzi recò subito a cercare del fratello di lei, impiegato in un negozio, e non trovatolo, lasciò detto al padrone quel che aveva commesso e si co- stituì immediatamente allo Ufficio di Questura. Cammin facendo a chi l’ac- compagnava mostrò l’arma con cui aveva compiuto il delitto e tirò pure fuori un lungo coltello dicendo che di questo ancora si sarebbe servito quan- do la prima non avesse bastato allo scopo. Scrisse poi subito una lettera dove, in sostanza, diceva che l’amore, il rifiuto e il dolore d'essere preso in giro lo avevano condotto all'uccisione della amante.

In Carcere

Lo stesso giorno del delitto fu trasportato alle Carceri locali di S. Paolo. Quivi il suo contegno non si prestò per rilevare alcun fatto degno di par- ticolare menzione. Subì due interrogatori nei quali nulla nascose del suo delitto ed affermò che l'aveva compiuto per essere stato insistentemente ri- fiutato dalla Esterina di cui era geloso ed appassionato.

Nel tempo che passò in Carcere fu còlto da due subitanei accessi di disordine psichico, l’ultimo dei quali scoppiò la sera del 9 Luglio alle ore 10 circa. Codesto accesso lo incolse mentre dormiva, rendendolo a un tratto agitato, violento; ed a tal grado, che, non essendo sufficienti quattro persone per contenere il C... che si dibatteva furiosamente, lanciando contro gli a- stanti quanto gli capitava sotto mano, fu applicata la camiciuola di forza. L'accesso, interrotto per qualche breve momento, non risentì influenza ve- runa pei calmanti e gli ipnotici somministrati e si protrasse fino a tutto il giorno di poi. Questo grave stato di disordine mentale determinò, per ordi- ne della Autorità Giudiziaria, l'immediato invio del C... nel nostro Manicomio,

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Nel Manicomio Riassumo i diarî. La sera del 10 Luglio intorno alle ore 10, il C... fu trasportato in que-

sto Istituto. Era stretto e avvolto da lunghi giri di corda, pallido, con gli occhi sbarrati, le pupille dilatate, il respiro gli usciva affannoso e rumoroso dal petto e di tra i denti sbattuti come per brividi di freddo. A le domande più insistenti non rispondeva affatto o con qualche lieve esclamazione di dolore. Gli fu iniettato un medicamento sedativo e ipnotico. Dopo una ven- tina di minuti stava sempre pallido, con gli occhi pure sbarrati, usciva in qualche lamento e in qualche parola allusiva a « una povera ragazza » ; in- terrogato allora disse solo che gli era venuto male, richiestolo del luogo ove fosse rispose: e forse sarò a l'Ospedale, mi avranno portato qui » poi rimase muto. Dormì tutta la notte.

11 Luglio. La mattina dopo lo stato d'ansia e d’agitazione motoria era scomparso; il C... rispondeva a qualche dimanda banale, ma il più spesso sospirava e faceva allusione alla « sua disgrazia » e a « quella disgraziata ragazza » ; ciò con parole tronche, interrompendosi, dimostrando grande la- bilità di attenzione. Accennando di non aver fame, bevve solo il caffè. Verso il mezzogioruo apparve ritornato alla norma e con gl'infermieri chiacchierò con disinvoltura; diede anche particolari del fatto, del quale egli, mesi fa, fu il triste eroe. Al pomeriggio gli fu fatto il primo esame obbiettivo e du- rante tutto il tempo impiegatovi si comportò bene, si mostrò attento, di rapida percezione, paziente; tutt'al più talora un po’ strano per qualche ge- sto scattante, qualche brusco movimento del capo e del volto. Raccontò no- tizie «li e della sua povera amante e se talora parve presso a commuo- versi, mostrò anche di mutar presto umore col mutar di discorso. Diceva di sentirsi molto debole e infatti mostrava fatica a reggersi talora in piedi; tuttavia la dinamometria diè risultato normale.

12 - 14 Luglio. Nelle prime sere che fu qui degente lo si sentiva talora dire qualche parola, sospirare prima di prender sonno e pareva sempre che accennasse alla sua amante. La mattina diceva di aver dormito poco e ac- cusava male di capo, aveva qualche movenza brusca, un po’ strana del volto; allora, avendo egli accennato che appunto di tali disturbi aveva avuto perio- diche sofferenze in carcere, gli si consigliò d’indossare un corpetto di conten- zione per evitare possibili violenze a o agli altri nel caso che la sua indi- sposizione potesse essere foriera di un nuovo stato di eccitamento simile a quello per il quale era stato qui ricoverato. Egli annuì senza alcun com- mento. Diceva di non avere molto appetito; richiedeva spontaneamente qualche medicamento purgativo avendo avvertito di essere stitico da qualche giorno.

Non chiedeva nessuna notizia intorno al suo limite di permanenza nel manicomio, al suo processo ecc.; in complesso non dimostrava curiosità

preoccupazione,

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15-31 Luglio. Dichiarò dopo brevissimo tempo di essere guarito dai disturbi subbiettivi (obbiettivamente non s'era riscontrato alcun fatto mor- boso, che avesse potuto consigliare uno speciale indirizzo curativo) e dimo- strò desiderio di essere liberato dei mezzi coercitivi, ciò che gli fu facil- mente concesso, essendone cessata la indicazione previdente ed essendosi constatato il buon contegno del C

Frattanto egli, rimasto un po’ solitario sui primi giorni, si famigliariz- zava molto facilmente con i varî malati della sezione e senza formare assolutamente coppia con qualcuno, prediligere questo piuttosto di quel camerata chiacchierava volentieri con tutti non esclusi i folli criminali.

Durante le visite del Direttore e dei Medici mostrava sempre rispet- tosissimo, senza soverchio ossequio, non s’accostava senza esserne autoriz- zato e chiamandolo per richiederlo di qualche notizia arrossiva fugacemente, lasciando sempre trasparire una certa esitanza timida nelle prime risposte.

Nessun infermiere e nessun malato ebbe ad accusarlo di indisciplinatezza o di molestia.

Non richiedeva mai notizie intorno alle cose sue; per consentimento dell’Autorità Giudiziaria potè ricevere qualche volta la visita dei parenti. Non si potè mai notare che dopo di queste si avverasse nel C..... qualche mutamento d’umore o di contegno.

1-7 Agosto. Interrogato qualche volta e specie di questi giorni intorno al suo stato fisico e psichico durante la prigionia, egli soleva affermare bensì di aver avuto qualche male di capo e, di più, d’essere una domenica sera caduto giù dal letto e di essere stato sempre angustiato; tutto cid - diceva - in seguito al troppo pensare alla sua sorte, ma negava d’ essere stato infermo di mente o di avere comechessia dato segni di eccitamento. Egli ora anzi aggiunge che non sa capire come i medici delle carceri l'abbiano mandato al manicomio e perchè l’abbiano giudicato malato; ha dimostrato sovente e pur ora conferma di non ricordare affatto gli avvenimenti pei quali fu qui condotto la sera del 10 Luglio.

E richiestogli in qual guisa la mattina del giorno undici nello svegliarsi in una stanza del manicomio invece che nel consueto letto della prigione avesse interpretato e spiegato a stesso tale fatto; e come, do- vendo intravedere necessariamente una lacuna fra il passaggio dal soggiorno carcerario al manicomiale, avesse cercato di rendersene conto, - egli af- ferma di non avere esercitato alcuna critica, di avere accettato fatalmente e passivamente gli avvenimenti, di non sapere nulla più di quel tempo.

8 Agosto. Rifatto l’esame obbiettivo dell’infermo non si è dovuto nulla aggiungere o togliere ai risultati ottenuti la prima volta. I caratteri così somatici che psichici concordano perfettamente, se ne togli che in generale l’infermo è più calmo e allo stndio del contegno non si osservano più quel-

le lievi note abnormi transitorie del gesto a scatti, dei movimenti bruschi del capo ecc.

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Più volte durante la sua degenza nell’ Instituto il C.... à mostrato il de- siderio di occuparsi di qualche cosa per passare il tempo e, potendo, non inutilmente. Non avendolo potuto adibire, date le sue speciali condizioni, ad alcun servizio di sezione od altro - egli spontaneamente si è dato ad aiu- tare qualcuno degli infermi più deboli, a porgere il cibo a qualcuno rilut- tante ecc.

Le condizioni organiche sue si sono sempre mantenute inalterate; l’ap- petito discreto; il sonno, al «dire del C..., gli manca talora e quando appunto comincia a pensare agli avvenimenti della sua vita.

Esame obbiettivo

Questo esame fu raccolto nel primo giorno che l’ infermo era degente nel Manicomio: fu poi soventi volte ripetuto a fine che la osservazione ri- sultasse sotto ogui aspetto lucida e sicura.

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Giovinotto di regolare costituzione scheletrica, con muscoli ed adipe modicamente sviluppati, specie agli arti inferiori.

La cute è bianca e pallida.

Scarso il sistema pilifero.

Sistemi respiratorio, cardiovascolare, gastrointestinale, uropoietico, gan- glionare linfatico, normali.

Sistema nervoso. Motilità: normale è la funzionalità dei muscoli mimici innervati dal paio: i movimenti dei bulbi oculari si hanno come di nor- ma in tutte le direzioni, all'infuori di una lieve prevalenza del muscolo retto interno di destra; la deviazione all’interno del bulbo destro, che ne deriva, è tanto da poco che non suole avvertirsi quando il C.... tiene gli oc- chi a lo stato di riposo ; s'avverte fuggevoimente nei vari moti coniugati. Nel tenere abbassate forzatamente le palpebre superiori del soggetto pro- vocano abbastanza facilmente delle contrazioni cloniche dell’orbicolare.

I movimenti della lingua sono normali; si nota spesso una contrazione tonica attiva di entrambi i muscoli masseteri quando i muscoli mimici sono allo stato di riposo.

Qualunque movimento attivo o passivo degli arti superiori è compiuto facilmente e completamente; dinamometria: a destra 100-120, a sinistra 100 - 120.

I movimenti attivi e passivi e la vigoria degli arti inferiori, la stazione eretta ad occhi chiusi o aperti, la deambulazione non dimostrano nulla de- gno di nota.

Riflessi. Pupillari normali alla luce, all’ accomodazione, al dolore; epi- gastrici e addominali deboli, i cremasterici mancano; i plantari sono pron- tissimi; patellari sono entrambi esagerati (esageratissimi con la prova di

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Jendrassic), si può talora ottenere qualche scossa di clono rotuleo, mai clono del piede; i riflessi Licipitali, tricipitali, del tendine d’ Achille, i periostei non sono rilevabili; sono normali i riflessi: mandibolare, corneale, faringeo e ì vaso-motorîì.

Sensibilità generale: la tattile e la dolorifica sono forse lievemente esa- gerate nell’ ambito toracico e addominale e negli arti inferiori; un po’ ottu- se agli arti superiori; la termica, normale ovunque, è pure lievemente ot- tusa agli arti superiori, specie agli avambracci 1); tutte sono ovunque bene o rapidamente localizzate.

Senso muscolare di posizione, di pressione, di spazio: normale.

Sensibilità specifica. Vista: subbiettivamente vengono accusati disturbi visivi di data recente, come facile stanchezza, minore acutezza, visione ta- lora confusa ecc.; obbiettivamente si nota: «diplopia esterna alla deviazione coniugata e alla deviazione di ciascun occhio verso l’ esterno, diplopia con immagine apparente più alta al volgere degli occhi in alto (il fenomeno si ha nei movimenti forzati, tenendo lo stimolo a una distanza almeno di 70-90 centimetri e non è costante); non esiste discromatupsia; il campo visivo è normale.

Udito: normale.

Gusto: normale.

Olfatto : normale.

Esame Antropologico.

Giovinotto di statura superiore alla media, magro, col volto pallido, scarsissimo di barba.

Cranio brachicefalo, regolare, con cicatrice lineare (prodotta da una cas- seruwola che gli è caduta sul capo) bianca, lunga cinque centimetri, subito indietro alla bozza parietale sinistra. Capelli molto scuri, folti, corti, pian- tati avanti; così sui lati che su la parte superiore della fronte. Questa è bassa, piuttosto stretta e solcata da sottili rughe orizzontali. Sopraccigli e cigli folti e neri; occhi piccoli con iride castagna e pupilla di media am- piezza a contorno regolare; lievissimo strabismo interno dell’ occhio destro. Naso aguzzo, fortemente aquilino con la narice sinistra piantata un po’ più in alto della destra. Orecchie piccole con lobulo staccato, di forma normale. Bocca di media ampiezza con labbra rosee e sottili; il labbro inferiore spor- ge dal superiore e questo è basso e coperto da piccoli baffetti neri. Denti

1) L’ attenuazione della sensibilità negli arti superiori e specialmente di quella termica negli avambracci fu da noi ritenuta di origine professiona- le per l'abitudine che hanno tutti i cuochi di stare a braccia nude e per il bisogno giornaliero e prolungato di esporle al calore vivo del fuoco.

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piccoli (cariati i mascellari superiori), disposti un po’ irregolarmente per lal- tezza e per l'impianto; l’arcata inferiore sopravanza la superiore. Angoli mandibolari d’ apparenza sviluppata più della norma per la rilevatezza dei muscoli masseteri che si contraggono assai vigorosamente ed anche spesso con la espressione di tic. Mento breve, appuntito, sporto innanzi.

Il volto in complesso si dimostra pallido, con guancie scarne, lievemen- te asimmetrico con maggior sviluppo della parte destra, con lieve torsione pure verso destra e progeneismo.

Il giovane si serve bene di ambedue gli arti superiori, e specialmente del sinistro. Il braccio destro misura 23.40 e il sinistro 23.20. L'avambrac- cio destro misura 24.50 e il sinistro 24.60.

Statura, m. 1,67.

Grande apertura, m. 1,73.

Circonferenza toracica, m. 0,85.

Grande circ. del capo, mm. 530.

Semicurva ant. mm. 280.

> post. » 250. Diametro A P 180. > B P » 151.

> BZ » 115.

> B Mandib. 110.

> B F massimo » 100.

Dist. dal condotto uditivo a destra » 125. a sinistra » 130. Alt. della faccia » 118. » della fronte » 42, Indice cefalico 0,83. Angolo facciale 80.°

esterno al mento

Esame psichico.

Tutto ciò che la modesta istruzione e la rozza educazione dell’ operaio concedono, si esprime nel linguaggio del C.....; un linguaggio dialettale e sfiorito, ma chiaro e franco abbastanza per dare il modo di trarre le cognizioni atte a misurare e valutare la personalità del soggetto. Egli in- tende e comprende facilmente il significato d’ ogni dimanda che gli si vol- ga, segna rettamente e ordinatamente il filo del proprio e dell’ altrui di- scorso, ricorda ogni fase della sua vita, narra de’ suoi lavori, de’ suoi rap- porti famigliari, del suo amore, degli ultimi fatti dolorosi, e non è mai po- vero di idee e di espressione.

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I ricordi della famiglia e dell’ amante forse anche lo turbano, senza giungere voramente a destare gravi reazioni emotive e smarrendosi facil- mente col deviare della attenzione per nuovi stimoli.

Tuttavia il C... si rivela come impressionabilissimo: arrossa facilmente ogni volta che gli si volga la parola e anche nel «lire, sn le prime è come inquieto e confuso e solo si rinfranca di mano in mano che si prolunga il colloquio; basta una chiamata inattesa o ad ora insolita per far rilevare in lui tutti i fenomeni fisici della emozione: arrossisce e impallidisce a vicen- da, gli si fanno più frequenti il polso e il respiro ecc.

Nelle condizioni attuali egli reagisce normalmente alle varie influenze dell’ambiente e, con l’adattabilità facile che ne risulta, dimostra con eviden- za un carattere di solito mite.

Riassumendo questi dati si può dire che nel C... si osserva :

Attenzione : normale.

Percezione : rapida e precisa.

Movimento ideativo, rapporti di associazione : normali.

Memoria : normale.

Affettività : abbastanza sviluppata, forse non profonda.

Emotivild : molto spiccata.

Caratlere : piuttosto mite, apparentemente buono.

In quanto al contegno si può dire che in complesso è corretto, normale nelle espressioni di relazione e nel comune comportamento degli atti; a volte ( specie sul principio del sno ricovero in Manicomio) il gesto a scatti, qualche moto brusco del capo, qualche contrazione ripetuta e vigorosa dei masseteri, un rapido errare dello sguardo ecc. dànno a la sua fisionomia una espressione un po’ anormale, bizzarra.

Diagnosi. Il C... non è un pazzo, non un delinquente nato, non un epilettico: il suo omicidio é un delitto passionale.

Responsabilità scemata per effetto dell’eccitamento passiona- le, non esclusa perchè quando commise l’omicidio il C... non era in tale stato di mente da togliergli la coscienza e la libertà dei propri atti.

In seguito a questo giudizio diagnostico e non essendosi presentato alcun fenomeno di disordine mentale il C... fu ricondot3o a le Carceri locali il giorno i9 Settembre 1899.

ll 24 dello stesso mese perveniva al Sig. Direttore una lettera dalla Autorità Giudiziaria con la quale lo si pregava di visitare nuovamente il detenuto C..., caduto in preda ad un accesso di disordine mentale, per sta- bilire se fossero sopraggiunti nuovi fatti che potessero modificare il giudizio

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formulato e suggerire se dovesse di nuovo essere ricoverato in un Manico- mio o se altre precauzioni dovessero essere poste in effetto. Il Sig. Direttore visitò in carcere il C... e rispose che l'osservazione da lni fatta non gli for- niva dati sufficienti per emettere un giudizio diagnostico assoluto, che tale episodio non modificava punto la sua diagnosi precedentemente fatta, che se il C... avesse seguitato a presentare fenomeni di alterazione psichica da ren- dere incompatibile la sua detenzione nel Carcere era opportuno inviarlo in un Manicomio Criminale dove una osservazione più prolungata e scevra da qualsiasi preoccupazione avrebbe potuto dar modo ad altri Alienisti di con- fermare o meno il suo giudizio.

Il 26 Ottobre Giovanni C... fu ricondotto in questo Istituto dove rimase, senza presentare alcun fenomeno di alterazione psichica, sino al 28 Decem- bre: in detto giorno venne dimesso e trasferito al Manicomio Criminale di Reggio-Emilia.

Parte Seconda

Il C.., una volta ammesso nel Manicomio Giudiziario di Reggio- Emilia, presentò un complesso di fenomeni, fortemente importanti e che nello Istituto di Ferrara non s’ erano affatto manifestati alla osservazione nostra.

Dapprima parve in preda ad una certa inquietudine, era dif- fidente e sospettoso: ma non tardò a calmarsi e si mantenne per qualche giorno ordinato e tranquillo. Si rilevò tuttavia di carat- tere irritabile e focoso così che per i più futili motivi si eccita- va e commetteva atti di dispetto e di violenza, rompendo gli og- getti e i vetri della sua cella.

Un giorno che egli ebbe a provare una contrarietà in causa di un rifiuto oppostogli per una delle sue solite pretese fece eccitatissimo e in seguito fu preso da un accesso di furore con moti convulsivi: l'agitazione crebbe a tal punto da rendere ne- cessaria l’ applicazione della camiciola di forza. Si era fatto ac- ceso in viso, con gli occhi stralunati, con scricchiolio delle man- . dibole e respiro stertoroso. Il giorno dopo fu trovato in preda ad uno stato di stupore e di stordimento con profonda confusione nelle idee e con perfetta amnesia di quanio gli era accaduto la sera precedente. Si sentiva le ossa peste e rotte ed accusava un dolore all’ epigastrio. Per qualche giorno rimase in tale stato di attonitaggine non cibandosi che poco e finalmente a grado a gra- do ritornò allo stato normale. Rimase parecchi mesi in buone

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condizioni sia dal lato psichico che dal lato fisico, quando una sera venne preso da un accesso epilettico completo con contra- zioni toniche di tutto il corpo, con sussulti e tremore generale, Aveva schiuma sanguigna alla bocca, i bulbi oculari rivolti in alto. Alla puntura le pupille non reagivano: il respiro era ansi- mante e stertoroso. Durò in tale stato per una mezz’ ora circa e poscia rimase assopito. Al mattino di poi era in uno stato di stupore e di attonitaggine analogo a quello presentato dopo l’ac- cesso precedentemente descritto. Non ricordava parimenti vulla dell’accaduto: solo dopo qualche giorno disse che ricordava d’es- sersi sentito invadere da una senzazione strana di malessere e che poi non aveva più avuto cognizione di nulla. Ebbe per qual- che giorno la solita sensazione penosa all’ epigastrio, dolori alle ossa e nel dorso, mancanza d’ appetito. A poco a poco tutti que- sti fenomeni si dileguarono. Perdurò in tale stato per parecchio tempo quando una mattina fu trovato in preda a grande confu- sione e stupore. Chiestogli cosa si sentiva, disse che nella notte aveva provato una confusione alla testa un po’ simile a quella che aveva provato altre volte quando gli veniva il male e che dopo non ricordava più nulla. Non ebbe certamente uno dei so- liti accessi perchè gli infermieri non se ne accorsero e non avreb- be il paziente potuto agitarsi e respirare rumorosamente, come era solito, senza destare l’ attenzione degli infermieri stessi e re- stare nel suo letto che fu trovato composto e ordinato. È da ri- tenersi che fosse stato un accesso epilettico incompleto.

Poi entrò in un lungo periodo di benessere psichico e di calma che si mantiene tuttora: non ba sino ad oggi presentato più accessi.

Questi fatti che io ho riportato stralciando fedelmente i diari trascritti nella perizia composta dal Chiarmo Dott Saccozzi e cor- tesemente favoritaci spostarono il concetto diagnostico si da far ritenere e concludere che il delitto di C...... non fosse un delitto passionale ma un parossisma epilettico consecutivo alle note cause patematiche, un accesso di epilessia psichica. Ove si considerino diligentemente i fenomeni presentati dal C..... nel Manicomio di Reggio-Emilia e gli attacchi epilettici completi e incompleti mami- festatisi, egli è certo che la diagnosi di epilessia psichica si pre-

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senta persuaditrice. Ma meditando su questo caso si sono affac- ciate alla mia mente alcune considerazioni che mi fanno vedere sotto diversa luce l’entità giuridica del reato commesso dal C...

Che il C... sia un epilettico non v’ ha dubbio: che il delitto da lui compiuto rappresenti un equivalente psichico della sua epilessia può essere messo a discussione e in ogni caso accettato con riserva.

Ricordiamo brevemente il delitto, 1 fatti che lo precedettero e lo seguirono.

Vara un buon giovane, di specchiata moralità, di carattere temperato e che solo appariva eccitabile sotto l’azione de l'alcool, Ss’ innamora di una ragazza con la quale amoreggia per quasi un anno: in un momento di collera ingiustificata, e che il ©.. sem- pre ha ripetuto essere stata la conseguenza dell’ aver troppo bevuto, l abbandona, ma poi si pente, invoca il perdono e chie- de di riallacciare i legami amorosi. La ragazza, cui la malfer- ma salute minata da un mal sottile consigliava la tranquillità assoluta dello spirito, risponde no, recisamente no. Il ©... al ri- fiuto oppone nuove ed insisteuti domande: sono lettere, tele- grammi in cui palpitano frasi d’ amore e di perdono, sono sce- nate in cui si manifestano idee di gelosia , accennano mì- naccie, si delinea evidentemente uno stato d’ animo turbato e scosso dallo stimolo incessante della passione, che nella perdita dell’oggetto amato acutizza ed inasprisce. Le sue proteste d’af- fetto, le sue domande di perdono, le sue minaccie non valgono nulla, e un giorno, subito dopo che ebbe ricevuta una risposta negativa nella quale l’ amante lo invitava a dimettere ogui pen- siero, il C... va a casa di lei e la uccide con una rivoltella. Dalla casa della amante uccisa va all’Ufficio di Questura, costituisce, confessa il delitto e scrive una lettera in cui dice che l’amore aveva armato la sua mano. Per istrada, in un negozio, dove pri- ma di giungere in Carcere si recò per cercarvi il fratello del- l’uccisa e dirg.i quello che aveva fatto, in Carcere il suo conte- gno non presentò segni che potessero far pensare ad alcun di- sordine mentale, il quale, come nella parie prima è accennato apparve parecchio tempo dopo e sotto forma di due accessi di delirio e di agitazione,

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In questo bozzetto anamnestico se noi vediamo delinearsi distinto un dramma passionale simile ai tanti altri di cui le cro- nache giudiziarie di tutti i tempi sono piene, riusciamo con fa- tica a trovar segni pei quali si potesse dire che l’omicida prima, durante e dopo il delitto si trovava in uno stato di disordine psi- chico di natura schiettamente patologica. Noi possiamo consta- tare che la reazione allo stimolo fu violenta, che il C... si mostrò un tipo fortemente emotivo ed eccitabile, che il delitto fu certa- mente sproporzionato alla causa ma tutto questo non infirma il meccanismo passionale del delitto stesso. I delitti passionali in molti casi riconoscono come base di esplicazione un tempera- mento speciale, emotivo ed eccitabile oltre misura: e in questi casi è realmente giusto chiedersi se così fatta passionalità non rappresenti un’ entità psichica morbosa per cui i delitti che ne scaturiscono appaiono a volte così da ricordare quelli degli epilet- tici, come osserva Lombroso.' Tuttavia non cade per questo il concetto medico-legale che li classifica e comprerde nei delitti di passione. La sproporzione fra causa ed effetto nei reati pas- sionali non ha valore assoluto. « L’Oliva aveva un amore for- sennato per la sua padrona: rifiutato la ferisce e si uccide. Brenner, soldato, vide la sua bella in braccio al suo caporale, che, per poterlo meglio tradire, lo condannava ingiustamente alla cella di punizione e l’ uccise » (Lombroso). La passione anzi può talune volte tanto sconvolgere la mente da far si che il cri- minale compia nel perpetrare il delitto atti pazzeschi addirittura: così Marino ferì con un forbicione non solo il rivale ma Pla- mante e la madre, così il Grassi uccise la donna amata e poi il padre e persino i buoi della sua stalla (Lombroso\? Nel 1887 la Corte d’Assise di Bouches-du-Rhòne giudicò un giovane cal- zolaio che aveva ucciso in condizioni di eccezionale crudeltà una bella ragazza di cui era innamorato e che rifiutava di sposarlo. Il rifiuto aveva profondamente irritato il giovane amante. Dopo avere scritto a la fanciulla lettere appassionate, che gli furono rimandate, egli le inviò lettere di minaccie. Avendola incontrata per via le si gettò addosso e mentre che la povera fanciulla gri-

1) Lombroso. L'uomo delinquente. Torino, Fratelli Bocca, ed. 1897. 2) Lombroso. loc. cit.

3) Lombroso. loc. cit,

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dava: grazia, perdono, pietà, egli le conficcò il trincetto nella

schiena. E come essa si dette a fuggire col trincetto piantata nella carne egli la rincorse gridando: non sei dunque ancora

morta ? e raggiuntala la colpi di nuovo e l’ uccise (Proal).' Per ciò giustamente assai Lombroso’ nel capitolo del delinquente passionale scrive « vi hanno degli sciagurati in cui la passione d’amore, di gelosia, tocca un tal grado di parossismo che perfin gli alienisti non vi si raccapezzano, riescono a trovare una differenza spiccata dal delirio e dalla pazzia ». Nel delitto di C..., non fa bisogno che m°indugi a dimostrarlo, codesta differenza appare manifesta come non si trova, non dico l’ analogia, poichè questa nei reati passionali lo stesso Lombroso l’ha opportuna- mente rilevata, ma quella particolare parvenza, quel cachet che suole caratterizzare i crimini compiuti da cpilettici in uno stato di equivalente psichico. |

È noto infatti che la impetuosità turbinosa degli atti costi- tuisce un fenomeno quasi caratteristico degli equivalenti psichici delittuosi degli epilettici. Non ignoriamo che esistono casi « ove «anche nell’equivalente psichico, anche nel furore epilettico, l’atto appare premeditato o s'accorda con gli interessi, con le passioni dei soggetti, e si prolunga di molto e non esclude l'apparenza di calma, cosi da confondersi, in modo assoluto, col delitto » (Lom- broso)* Ma cotesti casi formano la eccezione rara nella grande moltitudine di quegli altri che si contraddistinguono per la loro istantaneità, per la ferocia, per la mancanza di una causa, di una provocazione, per l’amuesia che sussegue : codesti accessi psichici criminosi sono, come scrive giustamente Lombroso, una caricatura del delitto. « L’epilettico impiega una forza ed una quantità di movimento sproporzionata col risultato da ottenersi: se si tratta d’un omicidio, la vittima sarà crivellata di colpi e sovente l’epilettico imperversa sul cadavere » (Roncoroni). L’ac- cesso psichico ha nei tratti più essenziali che gli sono propri questo che si manifesta cou atti impulsivi, feroci, diretti contro

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1) Proal. Le crime et le suicide passionnels. Paris. Felix Alcan, éd. 1900. 2) Lombiuoso. loc. cit. 3) Lomaroso. loc. cit. 4) Roncoroni. Trattato clinico dellepilessia, Francesco Vallardi, ed. Milano,

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gli altri e contre stesso (Ottolenghi). « L’accesso psichico o sensorio rappresenta la pazzia della pazzia, la quintessenza dello stato epilettico » (Tonnini)*. « Allorquando un delitto al tutto inesplicabile e in completo disaccordo con gli antecedenti d’un prevenuto, non alienato, viene a essere compiuto con una instanteneità insolita, con una ferocia ed una moltiplicità d’ag- gressioni straordinarie, a l’infuori della tecnica del delitto e senza complicità: allorquando il prevenuto ne ha perduto ogni ricordo e sembra estraneo all’atto commesso cd anche quando non ne serba che una vaga ricordanza, allorchè egli ne parla con indif- ferenza come se da altri fosse stato compiuto, conviene ricercare l’epilessia » (Burlureaux).

V’ha tuttavia un altro fatto importante da osservare: agli atti criminosi compiuti dagli epilettici in uno stato di equivalente psichico, in linea generale, succede l’amnesia che è l’indice psi- Chico più facilmente constatabile dello squilibrio della coscienza durante l’accesso. È bensi vero che l’amnesia non è fatto indi- spensabile degli atti epilettici e la ricordanza della azione com- piuta può tutta o in parte sussistere (Sat Bonfigli,” Lom- broso, Tamburini, Janet*® ecc.); io pure ebbi occasione di constatarlo.’ Ma la esistenza del ricordo costituisce il fatto insolito può dire, anzi, eccezionale. Il C... come, la storia sua lo testifica, serbò sempre e in ogni momento memoria lucidissima di quanto aveva commesso: e però anche sotto questo punto di vista il suo delitto, se considerato come equivalente epilettico, rivestirebbe la

1) Ottolenghi. Le epilessie psichiche. Riv. sper. di Freniatria ecc. 1890-91 Reggio-Emilia.

2) Tonnini. Le epilessie. Fratelli Bocca, ed. Torino 1891.

3) Burlureaux. Epilepsie. Dict. encycl. des sc. méd.

4) Samt. Epileptische Irreseinsformen. Arch. ftir Psych. und Nervenk Vol. V e VI.

5) Bonfigli. Perizia medico-legale su E. Melloni. Rivista di Freniatria ecc. Reggio-Emilia, 1876.

6) Lombroso. loc. cit.

7) Tamburini. L'amnesia non è carattere costante dell’ epilessia larvata. Iùur. di Fremiatria ecc. Reggio-Emilia, 1878.

8) Janet. L’automatisme psychologique. Paris, 1889.

9) Cappelletti. Un caso di epilessia psichica. Boll. del Manicomio di Fer- rara. N, I e II. 1895.

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forma meno comune e sarebbe poi molto differente da quegli acces- indubbiamente epilettici che in prosieguo ha presentato e nei quali l’amnesia è stata costante. Cotesta differenza, anzi, fra 11 suo delitto, non colorito da alcuna tinta pazzesca, dalla impetuo- sità subitanea e violenta che costituisce il più spesso « la marca di fabbrica dei reati considerati come un equivalente della crisi comiziale » (Dallemagne),' accompagnato da completo ricordo, e gli accessi subitanei, impetuosi, violenti, susseguiti da amnesia presentati nel Manicomio Criminale di Reggio-Emilia, ha pure essa un notevole valore ove si pensi che l’accesso di epilessia ‘psichica si ripete il più di sovente con gli stessi caratteri; « l’ac- cesso, scrive Legrand du Saulle,’ è sempre uguale: l’impronta è presa e il clichè resta: a ciascun accesso una nuova prova viene stampata ». I casi in cui le crisi si presentano di variato aspet- to, come descrisse il Ball? in un bello esempio di epilettico il quale aveva accessi convulsivi, assenze con abolizione del ricordo, equivalenti psichici non susseguiti: da amnesia, non appartengono alla consuetudine sintomatica della epilessia.

Ora, se noi facciamo astrazione dai fenomeni epilettici dopo parecchio tempo dal delitto apparsi nel C..., e se ci liberiamo da quella influenza suggestiva che i fatti eccezionali esercitano per passar sopra speditamente alle leggi sintomatiche più regolari e frequenti, noi non possiamo invero durare molta fatica a inter- pretare il reato di C... quale un dramma passionale in nulla dis- simile da quei tanti che occorre a ogni momento di osservare. Un dramma che nei suoi effetti non ehbe tinte pazzesche una violenza oltre |’ usato come pure presentarono alcuni delinquenti passionali Becchis, Marcucci, Trammin ecc. riferiti da Lom- broso.* Il fatto che il C.... è un epilettico nulla toglie a questo mio modo di considerare, la epilessia dopo il delitto manifestatasi rende assolutamente necessario interpretare il delitto stesso co- me un fenomeno epilettico, come un equivalente psichico. Cafiero fu designato quale « un tipo vero di delinquente politico per pas-

1) Dallemagne. Dégénérés et déséquilibrés. Paris. Felix Alcan, 6d. 1895.

2) Legrand du Saulle. Etude médico-légale sur les épileptiques. Paris 1877 e Roncoroni. loco cit.

3) Ball. Encéphale. Luglio 1886.

4) Lombroso. loco cit,

lil

sione » da Lombroso' ed era pure un epilettico. Se nella mag- gioranza dei casi non è facile fare codeste distinzioni diagnosti- che e hoi non abbiamo frenometri, per adoperare l’ espressione di Falret, atti a valutare il grado con cui la malattia dispiega la sua influenza nel meccanismo psichico, se nella maggioranza dei casi questo non si può dimostrare e non v’ ha ragione di ri- correre ad altre spiegazioni perchè la genesi epilettica del de- litto appare evidente, ed è inutile pensare ad altre cause ed ogni obbiezione è speciosa, nel caso di C.... la distinzione mi appare chiara e la questione diagnostica da me sollevata non è questio- ne bizantina inutile ove si consideri il riflesso che può getta- re sulle affermazioni prognostiche. La distinzione si presenta Chiara ponendo mente a tutta la storia del C... prima del delitto, ai caratteri di questo, ai fatti che lo susseguirono.

C.... è un epilettico e la epilessia era nel suo organismo dalla nascita allo stato di latenza: i centri suoi inibitori, malgrado ciò, erano vigorosi e potenti così che egli ha potuto vivere sino ai 24 anni, perfettamente onesto, con carattere abbastanza mite, senza scosse originalità e compiendo regolarmente i tre anni di vita militare, di quella vita che per il grave sacrificio della persona, per la durezza della disciplina mette a serio cimento i caratteri per natura poco equilibrati. S’innamora, lascia l’amante in un momen- to di poca consideratezza e di collera, si pente subito dopo, cerca riallacciare l’ amore, si dispera, uccide. Il delitto nulla ha di strano nelle sue parvenze. Dopo alcuni mesi il C... manifesta epilettico. Ora tale successione di fatti suggerisce a me questo ragionamen- to. Il C.... spinto da una forte passione amorosa uccide l’ amante. Questo turbine passionale profondo e violento che cangia in pochi istanti aspetto alla sua esistenza e da uomo onesto lo rende omi- cida; il pentimento, ìl rimorso, il Carcere, il Manicomio criminale, il dolore della libertà perduta forse per sempre, tutti questi fat- tori accumulati insieme hanno reso manifesta la epilessia rimasta prima intimamente nascosta nel suo organismo. La passione amo- rosa ha armato la sua mano ed il delitto è stato una reazione, eccessiva se si vuole come del resto nella maggioranza dei reati d’impeto, tutta affatto passionale, non uno sconvolgimento epilettico, non un equivalente psichico, non la scintilla che ha

1) Lombroso, loco cit,

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fatto divampare l'epilessia nascosta; tanto è vero che il delitto come più sopra ho dimostrato per nulla si è distaccato dalla forma che soglion avere i reati passionali e si dimostra invece molto dissimile dai reati epilettici ai quali non si potreb- be sintomalogicamente ascrivere se non tenendo conto delle rare ed eccezionali forme di epilessia psichica. La passione amorosa ha incendiato di fuoco rapido e fuggevole il suo cervello; ma il delitto, il rimorso dell’ avere uccisa la persona amata ha distrut- to il suo animo come la perdita dell’amore della libertà ha ina- ridito ogni sua speranza. È in queste ultime condizioni che la epilessia latente ha rotto ognì freno ed è scoppiata nelle sue ma- nifestazioni caratteristiche e con accessi convulsivi e disturbi psi- chici ben diversi da quello stato di mente che determinò il delitto e ne segnò in modo assai chiaro il carattere passionale. Acquieta- ta un poco la tempesta passionale per l’azione benefica del tempo, il C..., se ne togli un certo grado di eccitabilità, è tornato quale era prima del delitto e gli accessi epilettici non si sono più tino ad ora manifestati.

Perciò senza aggiungere molte altre considerazioni che si presentano alla mia mente, parendomi dimostrato a sufficienza il mio pensiero, io non esito a ritenere il delitto di C.... quale un reato passionale, non un equivalente psichico dell’ epilessia.

Ora sorge una questione? La epilessia che era il lievito na- scosto del sistema psichico di C..., per quanto nascosta, non ha esercitato influenza veruna sulla determinaziore del delitto? Qui non è difficile rispondere. Il C... per effetto della sua intima co- stituzione epilettica doveva certamente appartenere alla classe di quegli individui nei quali le emozioni e le passioni trovano ter- reno fecondo per svilupparsi in tutta la loro forza: è la classe dei « criminaloidi » come Lombroso! li chiamò, nei quali spesso si scopre o il sottostrato cpilettoide o la vera epilessia e che io penso rappresentino molte volte degli epilettici in potenza, come era C... prima del delitto, e che non divengono epilettici in effetto forse perchè la forza degli stimoli non è sufficiente a fare esplo- dere la costituzione epilettica con le comuni ed evidenti mani- festazioni sintomatiche dell’ epilessia. Quando la passione agi-

1) Lombroso. loc. cit.

113

sce in questi individui « le tendenze morbose, congenite che fino a quel dato delitto rimasero allo stato latente, e soltanto allora si manifestarono, vengono ad esercitare necessariamente una in- fluenza notevole sulla entità del reato stesso » (Bonanno). E però a stretto rigore di logica questi individui allorquando commet- tono un reato per passione non possono essere giudicati come veri e propri delinquenti passionali, poichè in essi lo stimolo agi» sce su di un terreno preparato, facile al crescere rapido, al gi- ganteggiare delle reazioni passionali e la passione non è P unico elemento psicologico che determini il delitto come si verifica nel vero delinquente passionale. Essi sono pseudo-delin- quenti passionali, come giustamente li chiama e distingue Bo- nanno:* denominazione e distinzione ragionatissime poichè non solo servono, come nel caso nostro, a separare sintomaticamente questa specie di delinquenza da quella puramente e realmente passionale e da quella indubbiamente pazzesca o cpilettica, ma offrono vantaggio pratico per la valutazione della pena e delle misure di prevenzione che debbono nei differenti casi con diversa misura essere applicate.

Concludendo: il C... è, a mio parere, uno pseudo-delinquente passionale ron un individuo che ha commesso il suo delitto in un momento di equivalente psichico epilettico. Questa distinzione non è vana. Non accettando come equivalente epilettico il delitto di C... cade la principale base per ammettere il concetto della assoluta irresponsabilità: e questo è importante.

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Psicosi pellagrose CONTRIBUTO CLINICO

del Dott. Jacopo Finzi (continuazione)

Oss. LI. B. Francesca di Campi Bisenzio, n. nel 1854, da 3 anni pel- lagrosa, da due alienata episodicamente in primavera, é ammessa il 10. 5.

1900 per la maggiore gravità con cni i sintomi si sono ripresentati que- st’ anno.

1) Bonanno. Il delinquente per passione. Torino. Fratelli Bocca, ed 1896. 2) Bonanno. Loe. cit.

ild

11. 5. L’inferma é molto agitata c in preda a visioni che la occupano continuamente. Parla di mille cose diverse, senza prestare attenzione a quel che avviene intorno a lei. Non risponde che raramente, con monosillabi alle domande. Perde urine e feci. Non é sitofoba.

In questo stato di confusione agitata permane 12 giorni; temp. mass. 38, 8 il giorno prima della morte.

22. 5. 1900. Morte.

Il tifo pellagroso è uno dei tanti quadri che il delirio acuto assume a seconda che rappresenta la forma iperacuta o semplice- mente una grave acutizzazione dei tipi eziologicamente diversi di amenza. Se quindi clinicamente esso rientra del tutto nel quadro di quest’ ultima malattia, o in quello dei deliri tossici e da col- lasso, ciò non esclude che eziologicamente esso non costituisca qualche cosa di indipendente, e che, anche dal punto di vista sin- tomatologico, non possa avere qualche caratteristica che lo di- stingua dalle altre forme di delirio acuto. Del resto è la identica questione del rapporto fra psicosi pellagrosa e amenza. Il dubbio che si debbano le psicosi pellagrose mettere a come le psicosi alcooliche nun è certo del tutto da trascurarsi. Noi vedremo in fine se la cosa sara possibile ora, 0 se abbisognera altro materiale.

Oss. LII. F. Giacomo di Galeata, n. nel 1882, fu 5 volte al Manicomiv di Imola per pellagra.Ammesso il 19. V. 900.

È in uno stato di profondo decadimento fisico; ha i segni dell’ eritama pellagroso ; è molto confuso e agitato. Grida centinuamente « Dio mio, non mi uccidete, aiuto, aiuto » ed altre frasi spesso incomprensibili. Toccandolo, reagisce violentemente.

26. V. Si tranquillizza, mangia da sè, risponde a tono a molte domande. È però assai male orientato, o per lo meno incertissimo nelle sue risposte.

19. XI. Sta benino di forze e perfettamente di psiche. Quanti anni hai? 79, seno nato il 7. 1V. 1822. L'hai avuta molte volte la pellagra? Son più di venti anni che co lho. Che cosa ti sentivi quando ti condussero qua? Cadevo in terra, non avevo forza e mi pareva sempre di essere ubbriaco, non potevo mangiare. Da quanto tempo sei qui? dal 19. V. Dove siamo qui? A. S. Salvi. Data ? 19. XI.

Psichicamente questo è ora un individuo perfettamente sano. La psicosi è eziologicamente una psicosi da esaurimento e da pellagra, sintomaticamente è una psicosi acuta ansiosa e confu- sionale. (Il malato è stato dimesso guarito il 25. V. 901).

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Oss. LIII. V. Filomena di Borgo S. Lorenzo, n. nel 1839, da molti anni p2llagrosa, acutamente nel V. 900 si agita, non vuole stare a letto, in casa; tenta di gettarsi dalla finestra. É ammessa al Manicomio il 30. V. 900.

È molto confusa e sudicia; ha logorrea, non risponde mai a tono alle domande. Con alternativa di agitazione e di astenia la malata arriva al 20. VII. 900. Morte.

Vedi casi XXVI, XLII, LI, ecc.

Oss. LIV. V. Angiolo di Dicomano, n. nel 1867, dal 1897 pellagroso, dalla primavera del 1900 confuso di mente, si ammette al Manicomio il 7. VI. 900.

Segni di pellagra; contegno tranquillo, parla poco e disordinato; non regge in piedi.

12. VI. Eccitato, scende di letto, molesta gli altri, ora piange, ora ride, non dorme; a intervalli grida parole incomprensibili; temp. normale.

Per cinque giorni stazionario.

17. VI. muore.

0;s. LV. F. Giacomo di Rocca S. Casciano, n. nel 1863, pellagroso da qualche anno, è ammesso al Manicomio il 9. VI. 900.

All’ammissione è agitato, confuso, tremante. È molto male orientato, domanda che lo si lasci a letto perchè « non si sente fiato ».

1. VII. 900. In meno di due mesi il malato con lento ma continuo miglioramento è giunto ad uno stato di perfetta lucidità mentale. Fisica- mente invece permangono ancora debolezza generale, disturbi frequenti della digestione, dolori addominali, talvolta cefalea.

20. XI. 900. È abbastanza rimesso in salute. Perfettamente orientato. Lavora da molte settimane. Interrogato risponde molto lentamente ma con

esattezza; l’aspetto è indifferente. (Il malato è stato dimesso guarito il 26. 1. 901).

Oss. LVI. F. Domenico di Galeata, n. nel 1867, ripetutamente affetto da pellagra, è ammesso nel manicomio il 15. 6. 1900.

Straordinariamente deperito, coi segni della pellagra, è tranquillo, ha un’ apparenza depressa. Interrogato, si mostra accasciato, stanco, è parzial- mente disorientato; non si muove dal letto; si regge a mala pena in piedi; se non è interrogato non parla mai. Alvo sciolto; alimentazione scarsa. Dopo 18 giorni di degenza si aggravano rapidamente le sue condizioni.

4. 7, 900 muore.

Sezione necroscopica, 6. 7. 900. Nulla di macroscopicamente anormale nel cervello: leggera iperemia venosa. Cuore estremamente flaccido e palli- do. Polmone sinistro congestionato, «destro normale. Fegato Jperemico con chiazze di degenerazione grassa. Milza molle di volume doppio del normale,

ii6

Rene sinistro grande e ipermeico, destro normale. Nell’ intestino qua e iperemia e lievissime emorragie sottomucose.

Non ci fermiamo a fare considerazioni su questi casi, data la loro perfetta analogia con tanti altri precedenti su cui ci siamo fermati.

Oss. LVII. F. G. Battista di Galeata, n. nel 1946, ammesso nel mani- comio il 18. 6. 900. Eritema, confusione leggera, disturbi gastro-intestinali, grave deperi-

mento fisico. 5. 7. Psichicamente sta bene, è orientato; il lieve smarrimento di 15

`

giorni or sono è completamente sparito. Si rimette a poco a poco fisicamente e si rilascia guarito il 20. 10. 900.

Vedi casi lII, VI, XXVII, XXXIII - XXXVII ecc.

Oss. LVIII. B. Ellero di Rocca S. Casciano, n. nel 1844, pellagroso da parecchi anni, incominciò a dare segni di disordine mentale nella primavera del 1900. Il medico lo mise a regime ricostituente, e in breve il B. miglio- rò. Nel Giugno ricadde acutamente in preda a grave confusione: si manda al Manicomio il 18. 6. 900.

Non è bene orientato. Sembra depresso, ma è soltanto smarrito per la debolezza e per il disorientamento. l

Migliora a poco a poco ed è dimesso guarito il 15. 9. 900.

V. caso precedente.

0s3. LIX. P. Domenica di Galeata, n. nel 1853, figlia e sorella di alie- nati, da qualche tempo pellagrosa, acutamente ammala di alienazione men- tule ai primi 6. 900. Logorrea, confusione, agitazione. Fugge per le campa- gne gridando. Ammissione in Manicomio 18. 6. 900. Presenta all’ esame: denutrizione profonda, eritema pellagrosu evidentissimo; riflessi rotulei esa- gerati. Parla sempre fra sè, ma di rado si riesce a capire che cosa dice. In- terrogata, raramente risponde a tono. Queste poche risposte rivelano un grave disorientamento, confusione mentale. Persiste agitazione motoria. Non c’ è sitofobia.

80. 7. Leggero miglioramento delle condizioni psichiche. La debolezza muscolare e lo stato generale deperitissimo persistono. Mangia poco.

28. 8. Muore dopo un rapido aggravamento di tutti i sintomi.

Questi rapidi aggravamenti spesso letali, senza una causa manifesta, anzi quando il malato è lontano da tutti i presunti fattori eziologici della psicosi, al pari delle recidive intramani- comiali di pellagra a distanze varie, talvolta assai grandi, di tempo, possono dare luogo a inolte considerazioni patogenetiche,

117

Questi aggravamenti e recidive intramanicomiali non presentano mai sintomi nuovi: ci aggiriamo sempre nel campo dell’ amenza e dei deliri acuti, i cui sintomi non sono che più o meno nume- rosi e più o meno gravi.

Oss LX. M. Francesco di Tredozio, n. nel 1844, è colpito nella prima- vera del 1900 da grave pellagra con sintomi di confusione mentale. Ammesso al manicomio il 2. 7. 900, non presenta che residui di pellagra e di smar- rimento psichico. Questi disturbi già leggeri spariscono rapidamente, e il malato è dimesso guarito il 23. 9. 900.

Cfr. caso LVII.

Oss. LXI. A. Francesco di Tredozio, n. nel 1832, da molti anni soffre intermittentemente di pellagra. Nella primavera 1900, oltre al riacutizzarsi dell’eritema e della gastro-enterite , l’infermo presenta grande spossatezza, ronzio alle orecchie, smarrimento psichico, deambulazione difficile.

È ammesso al manicomio il 2. 7. 990. Rifl. rot. esagerati, andatura paretico-spasitica quasi impossibile, tremori diffusi.

19. 11. E molto migliorato, non presenta quasi più segni di eritema; andatura presso che normale. « Quanti anni hai? » molti, più di 70, non so preciso » ; rammenta 1 disturbi della pellagra. Dice di essere entrato in manicomio nel Giugno, e che ora si è in Novembre o in Dicembre. Non rammenta come lo abbiano portato da casa a qui. Sa dov'è; riconosce be- nissimo le persone. Ha un contegno corretto.

(Il malato è ancora degente nel manicomio ; psichicamente presso che sano, fisicamente piuttosto sofferente. 6. 901).

Si ha qui una neuropatia, a cui si aggiungono pochi e insi- gnificanti siutomi psicopatici di natura confusionale. E anche questi vanno lentamente scomparendo. Non si può qui parlare di demenza, di melancolia, d’ altro. Una diagnosi psichiatrica è appena possibile.

Il disorientamento parziale e le dismnesie si riferiscono solo al decorso della malattia. Non si può escludere che lo stato con- fusionale da esaurimento e intossicazione abbia potuto coincide- re col principio di una demenza senile. Ma per ora non abbiamo dati positivi per ammetterlo. I sintomi organici notevoli non sono quelli della senilità, e i sintomi psichici sono ben chiaramente comuni e propri ai casi anche più puri e indubitati di amenza pellagrosa.

Oss. LXI. T. Paradisa di Montelupo, n. nel 1804, nell’inverno 1898-99 divenne per la prima volta pellagrosa. Fu nel manicomio, dal 22. 9, 99 al

118 9. 12. 99 un po’ smarrita e depressa. Pochi mesi dopo la dimissione ridi- venne anemica, debole, irritabile, manifestò idee ipocondriache, di persecuzio- ne, di suicidio. È riammessa al manicomio il 10. 7. 900.

È confusa e agitata: non inveisce però contro nessuno e non tenta mai di farsi del male: canta e grida, predica frasi sconnesse talvolta incompren- sibili girando per la camera. Riflessi patellari esagerati, pupille rigide.

15. 9. Si è alquanto calmata: è sempre disorientata, sebbene ordinata. Pare abbia a volte delle allucinazioni. Si alza talvolta di letto perchè la chiamano, o perchè ha sentito la voce di un parente. Ha qualche idea deli- rante labile e sconnessa. Fisicamente è pure un poco migliorata, le pupille reagiscono. Rifl. pat. esagerati.

Improvvisamente (1. 12. 900) si mostra molto abbattuta, accasciata; ha gravissima diarrea. Temp. mass. 37. 6, min. 35, 9. Si mette a letto e dopo tre giorni, quasi istantaneamente, muore. (4. 12. 900).

La diagnosi non offre difficoltà, e, quanto al decorso, cfr. casi LIX, LIH, LI, XLV, XXVI, XXV, XXII, ecc.

Oss. LXII. G. Assunta di Chiesanuova (Prato), n. 1829, è portata al manicomio il 12 7. 1900. Non paria che bisbigliando, è irrequieta, ma non agitata; sudicia, rifiuta il cibo, presenta evidenti segni di eritema, presumi- bilmente pellagroso, alle mani. Muore tre giorni dopo (15. 7. 900).

Oss. LXIV. B. Antonio di Vicchio, n. nel 1834, dal 1898 pellagroso, debole ed esaurito, ammalò acutamente il 28. 7. 1900 di alienazione, pre- sentando agitazione motoria, logorrea, confusione nei discorsi e negli atti. Ê ammesso al manicomio il 30. 7. 900. Confusione mentale, disorientamen- to. Segni di eritema pellagroso.

Migliora abbastanza rapidamente.

É dimesso guarito il 16. 10. 1900.

In questo, come nel caso precedente, l’ eritema alle mani era il solo indizio obbiettivo della pellagra. Ora, che l’eritema basti alla diagnosi non è ammesso, perchè eritemi simili sono dati an- che da altre condizioni morbose. Nel caso LXIV il medico che riferisce l’anamnesi afferma l’esistenza della pellagra fino dal 1898; ma per il caso LXIII la diagnosi di pellagra è solo pro- babile. Di fronte a questa difficoltà, e nell’ impossibilità di’ risol» verla, noi ci limitiamo ad escludere questi casi dal novero dei pazzi per pellagra, ‘ma constatiamo però che almeno per i casi 63 e 64 la sintomatologia non differisce in nulla dalle varietà di psicosi sicuramente pellagrose,

119

Oss. LXV. M. Francesco di Rocca S. Casciano, n. nel 1853, dal 1897 ogni anno nei mesi di Giugno-Luglio ha eritema, debolezza, gastro-enterite, confusione e smarrimento. l

Nel 1900 essendo questi sintomi più gravi del solito si ammette al Manicomio il 16. 8.

Presenta i segni organici della pellagra, rifl. esagerati, prostrazione ge- nerale. Parla talvolta da a bassa voce; risponde sempre bene a tono, un po’ incerto sul valore delle sue risposte, ma orientato.

Si rimette fisicamente, e parte, dichiarato guarito, il 13. 10. 1900.

Vedi i casi di psicosi leggera da pellagra, come quelli delle Oss. II, VI, XXXVII, LV, LX, ecc.

Oss. LXVI. G. Arduina di Firenzuola, n. nel 1861, ammala coi sintomi fisici e psichici della pellagra nella primavera del 1900, per cui si ammette al manicomio il 20. 5. dove rimane fino al 23. 6. Poco dopo ricade ed è ri- ammessa al Manicomio il 18. 8. 900. È agitata, canta, grida continuamente; lascia le feci e le urine in letto, o per terra dove si trova; non risponde mai a tono alle domande.

6. 9. È migliorata; tranquilla e pulita.

20. 12. Sta benino, ma è sempre alquanto debole e di umore piuttosto triste. Dice di non sentirsi ancora bene, che la pellagra non le vuole più andar via. Rammenta confusamente gli episodî acuti della malattia.

(L’ inferma seguita molto lentamente a migliorare; è ancora al Manico- mio: 6. 1901).

Oss. LXVII. G. Ottavia di Palazzuolo, n. nel 1846, fin dal 1883 è pel- lagrosa. Nel 1897 è una prima volta in Manicomio: in stato di nutrizione scadentissimo, confusa, con delirì vaghi e incoerenti, agitata, si rimette a poco a poco ed esce nel 1. 98 presso che guarita. Ma il 23. V. 98 è riam- messa nell’identico stato della prima volta. Esce con le apparenze della guarigione psichica, e molto migliorata fisicamente, il 17. II. 1900. Ma l’eri- tema ricompare col caldo; l’anemia e la debolezza, il catarro gastro intesti- nale si riacutizzano: si mostra psichicamente molto abbattuta, fugge di casa, o sta inerte sopra una sedia; tenta il suicidio. E riammessa al Manicomio il 26. IX. 900.

Presenta residui di disturbi organici pellagrosi e tracce di confusione. Rammenta male le ultime settimane. Ê molto abbattuta di forze. Migliora però rapidamente.

10. XI. Perfettamente orientata, ordinata, attiva, si lagna ancora un poco di una certa debolezza.

Parte guarita il 9. XII. 900.

Oss. LXVII. G. Maria di Galeata, n. nel 1848, fu già con la diagnosi di delirio pellagroso in Manicomio dal 27. V. al 30. VII. 99 e dimessa guarita,

120

Ricaduta nel 900 negli stessi disturbi fisici e mentali, fu di nuovo ri- coverata al Manicomio il 30. TX. 900. Profondamente confusa, emette a volte qualche grido e lamento, ma per lo più sta prostrata e taciturna in letto. Non dorme quasi affatto e spesso rifiuta il cibo. Sta così un mese. Muore il 30. X. 900.

Oss. LXIX. C. Giuseppina di Bagno di Romagna, nata nel 1854. Mari- tata con figli. Nel 1890 stato anemico grave; amenorrea. Stato depressivo. Dopo cura energica ha mestruazione abbondantissima. Manifesta l’idea di essere stata incinta e che l'abbiano fatta abortire. Delirio di rimorso, di dannazione; tentativo di suicidio; sitofobia. Ammessa in Manicomio il 3. VII. 1891, ne esce guarita il 19. XI. 1892 con la diagnosi di melancolia.

Nella primavera del 1896 presenta i sintomi di pellagra. Nell’ autunno dello stesso anno lo smarrimento psichico profondo, lo stupore, la sitofobia inducono ad una nuova ammissione 24. IX. Per un mese l’inferma, denu- trita, con le mani e il viso desquamate dall’ eritema pellagroso rimane a letto presentando una profonda prostrazione fisica e psichica e confusione mentale.

Nel XI. 1896 eccitamento disordinato, logorrea, affettività esagerata in tutte le direzioni, disorientamento completo che a poco a poco sparisce; mancano allucinazioni e idee deliranti. Con lievi oscillazioni va lentamente migliorando, finchè il 13. VI. 1897 è dimessa in buonissime condizioni.

À casa sta bene fino alla primavera del 1900, in cui i sintomi cutanei, intestinali e nervosi della pellagra fanno una nuova comparsa. In modo quasi acuto, il 10 Ottobre 1900 disorientamento generale e smarrimento, inquietu- dine, parola sconnessa, sitofobia. È riammessa al Manicomio il 18. X. 1900.

Aspetto cachettico: scarsi residui di eritema, alvo stittico; riflessi ro- tulei esagerati; ulcera corneale acutissima. Inquietudine, agitazione generale, movimenti disordinati, atassici; non sta in letto; mangia pochissimo ; lingua patinosa, alito fetido; risponde raramente alle domande e mai a tono. Non manifesta segni di essere allucinata, bisbiglia o pronuncia parole senza nesso. Temperatura normale. Muore il 17 Novembre 1900.

Frenosi maniaco-depressiva pare debba essere la diagnosi del primo episodio psicopatico (fase depressiva) sofferto da questa donna. Allora essa non era pellagrosa.

La pellagra si è mostrata con troppa ricchezza di sintomi caratteristici e in rapporto troppo stretto con le ulteriori fasi di alienazione mentale, perchè ad essa non si debba prestare atten- zione nel definire le ultime sindromi. Tanto più che queste non hanno punto mostrato i caratteri di fasi depressive o esaltate della frenosi maniaco-depressiva. Sintomaticamente, all’ infuori

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dell’ assenza di febbre, l'episodio di pazzia mortale presentato dalla G, C. corrisponde al delirio acuto.

Oss. LXX. G. Gerolamo di Bagno di Romagna. n. nel 1837, pellagroso da epoca indeterminata, dal Luglio 1900 cominciò a dimostrare un certo grado di confusione. Fugge di casa vagando senza scopo per Ja campagna. É ammesso al Manicomio il 18. X. 900.

Aspetto gravemente cachettico. Interrogato, risponde a tono alle prime domande, poi mostra di stancarsi subito, divaga, non risponde più a tono, o non risponde affatto. Ha le tracce dell'eritema pellagroso.

Aia cardiaca aumentata, primo tono incerto, secondo aspro e soffiante; arteriosclerosi.

Emette feci e urine in letto, allontana, o, brancolando, fa cadere qualun- que oggetto gli si avvicini: ha disturbi intestinali; è debolissimo.

15. XI. 900. Psichicamente è migliorato. Rammenta solo confusamente eli ultimi dne o tre mesi, è incerto ancora nelle risposte, ma non è mai confuso; è pulito, mangia da È sempre molto debole, non si regge quasi affatto sulle gamhe. Una mattina, scendendo di letto per urinare, cadde e si ferì alla fronte. Ha sempre molta diarrea, che non cede a nessun rimedio.

30. XI. Deperisce sempre di più, è debolissimo. Psichicamente non è peggiorato negli ultimi giorni.

1. XII. Mnore, essendosi fatto sempre più grave lo stato di esaurimento.

Necroscopia 2 Dicembre ore 10.

Cadavere emaciato, edemi ai malleoli.

Calotta cranica non aderente, dnra madre di aspetto normale e piuttosto sottile. Seno longitud. super. vuoto. Vascolarizzazione scarsa. Opacamenti delle meningi sottili, diffusi nelle parti posteriori dell’encefalo. Circonvolu- zioni anemiche; sostanza cerebrale molle. Vasi cerebrali arteriosclerotici.

Polmone sinistro atelettasico in sinechia completa.

Polmone destro enfisematoso, di volume aumentato, ipostatico.

Cuore grande, non flaccido, coronarie sclerotiche. Valvole aortiche fortemente raygrinzate, insufficienti, orificio aortico ristretto.

Cavità addominale contenente una notevole quantità di liquido traspa- rentissimo, citrino chiaro. Fegato di volume piuttosto piccolo, di colore nn po’ pallido, capsula ispessita, con sostanza aumentata, leggera degenerazione grassa.

Milza di grandezza e consistenza normale, capsnla opaca, raggrinzata, polpa scarsa.

Rene sinistro di metà volume del normale, durissimo, aspetto raggrin- zato. Due sostanze ben distinte e in rapporto normale. R. destro legger- mente aumentato di volume. Stomaco alquanto dilatato,

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Intestino qua e atrofico, in alcuni punti iperemico (sono conservati i pezzi di sistema nervoso e dei vari organi per l'esame istologico).

Oss LXXI. C. Antonio di Palazzuolo, n. nel 1833, fu ammesso una prima volta al Manicomio nell’89; vi rimase dal 20. I al 3. IV e fu dimesso guarito con la diagnosi di Mania pellagrosa. Nella modula di allora si dice che era stato ripetutamente pellagroso negli ultimi anni. Una seconda volta fu ammesso il 7. X. 1897, dimesso il 10. III. 98 con la diagnosi di follia pellagrosa. Terza ammissione 15. VII. 99 29. II. 900: diagnosi demenza senile. Quarta ammissione 25. XI. 900.

26. XI. Aspetto discreto, è alzato, passeggia. All’ interrogatorio sull’o- rientamento risponde con assoluta esattezza. Nessun segno di pellagra in fiore. Come stai? Non c’è male. Perchè sei venuto qua? Cosa vuol che fac- cia fuori, non ho da mangiare!. Ma il Manicomio non è un ricovero di ac- cattoni. Mah, nessuno mi vuole perchè non posso lavorare molto, e io sto bene qui,.. ecc.

Nessuna diagnosi psichiatrica. Il C. A. è un ex pellagroso, che, essendo già stato più volte al Manicomio, vi ritorna in parte per volontà degli altri che non lo possono sfruttare, o lo temono come pazzo, in parte per volontà propria, trovando egli nel Manico- mio un asilo tranquillo e sicuro per la sue vecchiezza miserabile.

(Il malato sta ancora immutato nel Manicomio).

Oss. LXXII. B. Tobia di Montesorbo, n. nel 1834, è ammesso al Mani- comio il 2 Dicembre 1900. Pellagroso indubbiamente, per lo meno dalla pri- mavera del 900, dall’Ottobre presenta tremore generale, irrequietezza, smar- rimento. All’esame si trova orientato, ordinato, leggermente smarrito e ipo- condriaco. Fa l’impressione di un nevrastenico.

31. XII. È stazionario. Complessivamente sia bene. Egli dichiara di non volere uscire dal Manicomio, perchè se no muore di fame.

Si manda a lavorare.

(Il malato, date le buone condizioni, in cui già da molti mesi sl trova, è dimesso dal Manicomio il 26. VI. 901).

Oss. LXXIII. F. Rosa di Marradi, n. nel 1866, è ammessa il 4. XII. 900. L’anamnesi dice che questa donna ha presentato vari accessi di pellagra, di cui l’ultimo accompagnato da grave confusione mentale.

All’ammissione è debole, leggermente smarrita, ma ordinata e orientata. Ha evidenti tracce di eritema pellagroso.

30. XII. E già rimessa in salute, lavora.

ancora al Manicomio: VI, 901).

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Oss. LXXIV. C. Maria di Premilcuore, n. nel 1851, da lungo tempo pellagrosa ad esaurita, è ammessa per la prima volta il 21. XII. 900.

Pessimo stato di nutrizione, momenti di calma, quasi di benessere, al- tornati con periodi di agitazione leggera, logorrea non rumorosa, confusione, e periodi di profonda prostrazione. Insonnia, sitofobia: a volte non ricono- sce le persone e si mostra completamente disorientata: ha allucinazioni visi- ve e uditive,

31. XII. Va peggiorando continuamente. (Muore il 22. I. 901).

Oss. LXXV. C. Rosa di Portico, n. nel 1846, è ammessa per la secon- da volta al Manicomio il 24, XII. 900.

Nel 1899 aveva avuto una grave amenza, protrattasi per sette mesi, che l'aveva messa in fin di vita. La natura pellagrosa della amenza era estremamente probabile, per il fatto che da molti anni si ripetevano accessi di pellagra, e i sintomi nervosi si facevano ogni anno più gravi: che lin- sorgere dell’amenza aveva coinciso con una di queste riacutizzazioni: per il parallelismo fra tutti i sintomi fisici e psichici.

Alla nnova ammissione insonnia, sitofobia, confusione mentale, logorrea e momenti di agitazione motoria alternati con momenti di stuporo astenico. Tremori diffusi agli arti; riflessi rotulei esageratissimi. Rimane in questo stato pochi giorni.

(Muore il 10. I. 901).

Oss. LXXVI. A. Francesco di Galeata, n. nel 1836, da 7 - 8 anni pel- lagroso, è ammesso per la prima volta al Manicomio il 25. XII. 900 perchè è agitato, fugge di casa, cade in terra per la debolezza.

E disorientato, debolissimo : ha tutti i segni cutanei e gastroenterici della pellagra: ha senso di freddo e fame insaziabile, polso lento, debole, lingua patinosa, screpolata, temperat. sovente 35,8.

(Migliora progressivamente: psichicamente è ora (VI. 901) guarito. Si tro- va però ancora nel Manicomio).

Il materiale da noi sfruttato non proviene da paesi dove la pellagra domini in modo molto rotevole, il che per il rostro scopo non è punto uno svantaggio. Nelle regioni dove la pellagra è comunissima, esiste probabilmente urna facilità eccessiva alla dia- gnosi di psicosi pellagrose: donde il fatto paradossale delle forme molteplici e differentissime di queste psicosi.

Se una grande parte della popolazione di un manicomio è pel- lagrosa, è molto verosinnle il pensiero che fra pellagra e psicosi non sempre necessariamente esista un nesso causale, anche ir- diretto, ma che molti pellagrosi, indipendentemente dalla pel-

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lagra, soffrano di involuzione senile, di frenosi maniaco-depres- siva, di demenza paralitica, ecc.

Noi abbiamo esaminato tutti gli alienati entrati nel manico- mio in due anni, i quali, secondo l’anamnesi, o all’esame obbiet- tivo, davano garanzia di avere o di avere avuto la pellagra. Mol- ti di questi casi, per la mancanza assoluta di qualsiasi altro elemento eziologico, per la costanza ed uniformità di rapporti fra sintomi organici e psichici, di rapporti sintomatici, clinici e terapeutici, hanno offerto un materiale tipico, scolastico, di psi- cosi acute da pellagra, materiale di confronto forse a tutte le forme acute sospettate di origine pellagrosa. (Casi 2, 4, 5, 8, 13, 19, 29, 41, 52, ecc.).

In altri casi, oltre alle sindromi psicopatiche, sempre aventi i caratteri di psicosi acute, abbiamo notato dei disturbi, preva- lentemente, se non esclusivamente nervosi, aventi caratteri di cro- nicità, anche allora in rapporto abbastanza semplice e dimostra- bile con la pellagra. (Casi 11, 31, 39, ecc.).

Finalmente abbiamo trovato dei casi in cui la sindrome psi- copatica sarebbe stata notevolmente atipica: ma in tutti questi, o essa era abbastanza chiarameate spiegata da una eziologia dif- ferente e in ogni caso non era in rapporto manifesto con la pel- lagra, ovvero l’analisi clinica dimostrò che la forma era soltanto superficialmente atipica. (Casi 1, 14, 16, 22, 32, ecc...

Così secondo i dati del nostro contributo il fatto della mol- teplicità delle forme di psicosi pellagrose verrebbe esse! aalmer- te negato, dal punto di vista clinico; d'altra parte però le osser- vazioni non possono permettere la creazione di un tipo nuovo, caratteristico, di malattia mentale da pellagra.

Già in altra occasione (1) noi eravamo stati condotti a dubi- tare dell’ esistenza di una psicosi pellagrosa caratteristica. Questo sospetto non è del tutto smentito, ma è radicalmente modificato dalle presenti ricerche; le quali dimostrano che una psicosi ca- ratteristica da pellagra non si lascia differenziare non perchè la pellagra possa dare molte o tutte le forme di malattie mentali conosciute, ma perchè le forme di psicosi pellagrosa non sem- bra si distinguano sufficientemente per il momento, dal punto di

1) V. I pazzi nel manicomio di Ferrara del 1871 al 1896. Questo Bollet- tino, Annata 1897. l

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vista sintomatologico e clinico, dalle altre forme, solo eziologica- mente diverse, di psicosi da intossicazione, infezione, esaurimen- to, rientranti nel quadro clinico della amenza. Vedremo, in ogni caso, più innanzi, fino a che punto una distinzione è possibile.

La provenienza dei malati è caratteristica. Come già in altri lavori (1) è stato notato, la Romagna toscana (circondario di Rocca S. Casciano) si rivela come paese di pellagra. Dei nostri 76 casì, 49 provengono dal Circondario di Rocca S. Casciano; 14 dal Mu- gello (Valle alta del Sieve, cioè quella parte del circondario di Firenze che confina con la Romagna toscana). Gli altri 13 da tutto il resto della provincia, senza preponderanza di alcuna regione. Ora il circondario di Rocca S. Casciano ha dato nei due anni un contributo totale di 176 pazzi, di cui i peliagrosi rappresentano il 27,8 O[o. I rimanenti 127 pazzi di quel circondario vanno divisi per diagnosi psichiatrica, come segue:

Amenza (non pellagrosa) 19, psicosi neurastenica 1l, frenosi alcoolica 1, demenza postapoplettica 1, demenza senile 24, demen- za paralitica 8, demenza precoce 17, frenosi maniaco-depressiva 39, epilessia 7, frenastenia 10. l

La provenienza dei malati ha importanza in quanto essa con- tribuisce ai criteri eziologici della forma.

Giacchè su certe malattie mentali possono influire ragioni etniche, per altre, ragioni economico-sociali, ovvero etniche ed economico sociali insieme. Fra Ie prime probabilmente è da met- tersi l’ epilessia, straordinariamente frequente nella provincia di Firenze, ma sopra tutto nei circondari di Firenze, S. Miniato e Pistoia, molto meno comune nel circondario di Rocca S. Casciano. La pellagra invece, e le dipendenti psicosi pellagrose, su cui le ragioni etniche possono poco infiuire, almeno per quello che noi ne sappiamo, sorgono e si sviluppano solo dove la miseria asso- ciata all’ abuso di granturco, specie di cattiva qualità, deprimono il bilancio fisiologico della popolazione.

Questo è dimostrato per tutti i paesi di pellagra ed è con- fermato nel caso nostro dalle condizioni economiche del circon- dario di Rocca S. Casciano di fronte agli altri circondari della

1) Gucci. La pellagra nella provincia di Firenze. Lo Sperimentale, 1888.

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Provincia di Firenze, come pure dal crescere della pellagra in armonia col crescere della miseria e delle colture di grano turco nelle Province di Perugia e di Roma,

Anche nei distretti non pellagrogeni il grano turco è colti- vato, sebbene non estesamente, e sopra tutto è coltivato meglio e viene assai bene a maturazione. Ad ogni modo nei pazzi pellagrosi dei vari paesi meridionali della provincia si è sempre avverato l’ uso della polenta gialla. Non si è sempre potuto dimostrare l abuso di questo alimento, o la sua cattiva qualità: bersi ca- stantemente la miseria e lo scarso nutrimento in genere.

La data ammissione al manicomio non ha molta importan- za per il rapporto eziologico, giacchè, nonostante il notato fre- quentissimo parallelismo fra sintomi fisici e mentali, il tempo d’ insorgere dalla pellagra è per lo più differente e più o meno lontano del sorgere della psicosi. Però noi abbiamo osservato una curva che ha un certo valore. Il massimo di ammissioni si è avuto nei due anni da noi studiati nel Maggio (11), un altro mas- simo nel Dicembre (9). Sempre piuttosto alto fu il numero di am- missioni nel Giugno (8), Marzo (8) e Febbraio (8). Minime cifre nell’ Ottobre (3) e Novembre (3).

Un’ osservazione importante abbiamo avuto occasione di fare e cioè che in coincidenza col massimo numero di ammissioni si ha avuto fra queste il maggior numero di casi acutissimi morta- li e che in quei mesi tutti i circondari della Provincia hanno dato un notevole contributo di malati. Il che fa pensare che, in- dipendentemente dalle cause specifiche e generiche della pellagra e delle conseguenti psicosi, o piuttosto in aggiunta e favorito da queste cause, un altro fattore abbia provocato irrompere di sindromi psicopatiche tanto gravi. Anche le recidive, talvolta gravissime, intramanicomiali a distanze di tempo varie dall’ am- missione, tolgono valore alla data d’ingresso nel manicomio co- me appoggio al criterio eziologico. Di queste recidive noi ne ab- biamo osservate parecchie nei più diversi mesi dell’anno (Aprile, Maggio, Ottobre, Novembre: Oss. HI, XXIT,gXXXI, XLVII.)

Nella anamnesi di molti (25) malati è detto che 1 sintomi fisici della pellagra erano sorti nella primavera: molti (37) ave- vano avuto pellagra un numero indeterminato di volte per una serie anche lunga di anni e di questi una buona parte non era

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mai stata per lo innanzi nel manicomio. In qualche caso invece il primo insorgere della pellagra è subito accompagnato da gravi disturbi mentali, così che il malato entra tosto nel manicomio (Casi X, XII, XVII, LX, LXVI). Tutti questi fatti dimostrano, che indipendentemente dal problema della eziologia della pellagra, il problema della eziologia delle psicosi pellagrose presenta lati oscuri e complessità numerose e diverse.

L’ eta non apparisce teoricamente debba avere per una azione qualsiasi sull’ insorgere di psicosi, le cui cause si credo- no essenzialmente estrinseche all’ organismo. Però si può pensare che le età in cui gli strapazzi e le cause d’esaurimento sono più forti e l’ organismo è più debole, debbano essere quelle che danno il maggior contingente di follie pellagrose. I nostri malati, ripartiti per età, hanno presentato una curva molto significante in questo senso. Abbiamo avuto 1 solo malato sotto i 30 anni; 9 malati fra i 30 e i 40; 16 fra i 40 e i 50; 20 fra i 50 e i 60; 25 fra i 60 e i 70; e 5 al disopra dei settanta.

Dunque |’ epoca in cui comincia |’ involuzione senile sembra la più propizia allo svolgersi delle psicosi pellagrose. Esiste però in questa curva una certa differenza se si prendono in conside- razione gli uomini ovvero le donne.

Il sesso non si dimostra causa predisponente palese in que- sti casi. Sono state trovate in alcune provincie d’Italia più nume- rose e più gravi le psicosi pellagrose nelle donne che negli uo- mini, e si è attribuito ciò al fatto che le donne hanno un orga- nismo più debole, mangiano meno degli uomini, bevono meno vino, e il loro alimento è ancor più uniforme e meno nutritivo che quello degli uomini. Nella provincia di Firenze noì non ab- biamo constatato questo. Abbiamo avuto complessivamente nei 2 anni 42 uomini e 34 donne, e la distribuzione per età è stata molto simile per i due sessi, all’ infuori di una prevalenza nelle donne per l’età fra i 40 e i 50 anni (5 U. e 11 D.); e di una fortissima prevalenza di uomini nel periodo di età fra i 60 e i 70 anni (20 U e 5 D.). Questo fatto può essere ricondotto a un ordine di cause analogo a quello sospettato per la maggior fre- quenza e gravità delle psicosi pellagrose nelle donne. Tanto più che nelle donne noi abbiamo avuto un maggior numero di esiti letali non attribuibili ad altra causa che non fosse la pellagra stessa. Infatti su 26 morti, 16 erano donne e 10 uomini.

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Tutto ciò quando si ammetta come verosimile che l’ insor- gere di una psicosi pellagrosa sia l’ indice e la prova di una gravità maggiore della pellagra. Il che non è punto dimostrato.

La sintomatologia, ricca nei particolari, è stata di una stra- ordinaria uniformità nelle linee generali. Noi abbiamo potuto in base ad essa, oltre che in base al decorso ed esito, che sono stati ancor più uniformi, stabilire con una certa sicurezza la diagnosi clinica generica di Amenza nella quasi totalità dei casi.

Non è qui il momento di ritornare sul concetto di Amenza. I delirì febbrili, tossici, da esaurimento e da collasso rappresen- tano eziologicamente un infinito numero di forme: sintomatica- mente palesano una variabilità assai limitata: clinicamente si è per ora condotti a raccoglierli sotto un unico capitolo. La nes- suna differenza sostanziale fra di essi e quelle malattie denomi- nate dagli autori confusione mentale primitiva, demenza acuta guaribile, confusione acuta agitata , delirio acuto, frenosi senso- riale e simili, diverse solo nella durata e nella gravita, è oggi- mai per molti autori palese e non ha bisogno di dimostrazione.

Come in altri capitoil di psichiatria clinica, le sindromi, che possono presentare differenze anche notevoli e costituiscono tipi vari e sottoforme numerose di Amenze, giustamente possono essere denominate diversamente, ma l unità clinica non si può scindere. Forse quando |’ anatomia patologica sarà più pro- gredita, essa mostrerà che si tratta in tutti questi casi solo di una diversa gravità della stessa lesione generale delle cellule corticali, già messa in vista per alcune di tali forme. Ora lo studio delle psicosi pellagrose porta un contributo notevole a questa dottrina e le serve di valido appoggio.

In alcuni dei nostri casi noi non abbiamo riscontrati sinto- psicopatici sufficienti per fare una qualsiasi diagnosi psichia- trica. In questi casi, escluso il XXXII, in cui non si è trovata nessuna psicosi pellagrosa, ma una demenza precoce a tipo pa- ranoide, indipendente e preesistente alla pellagra, in questi casi (MI, XV, XVIII, XXXIX, LXI, LXXI, LXXII), noi troviamo soltan- to nel campo psichico una certa depressione di umore, una gran- de esauribilità, tutti disturbi concomitanti alle gravi lesioni or- ganiche e giustificati dalla cachessia profonda esistente in quei

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casi. Può venire il sospetto, come nel caso XXXI,X che il paziente abbia avuto un episodio confusionale di cui non rimangono quasi più tracce; o che qualche episodio delirante o confusionale si sia presentato, ma così leggero e così kreve, da non poter essere defi- nito come malattia mentale vera e propria, bensì come passegge- ra manifestazione sintomatica di uua affezione generale.

In parecchi di questi casi (XI, XV, LXI, LXXII) abbiamo no- tato gravi sintomi organici a carico del sistema nervoso: sindro- mi pseudotabiche, segni di poliveurite, tremori, ipertonicità mu- scolare ecc. per cui vieppiù risaltava la nessuna entità dei di- sturbi psichici. Quello che importa notare è che, anche voluti considerare come veri e propri sintomi psicopatici, i leggeri di- sturbi osservati non hanno nessun carattere specifico e sono fa- cilmente riferibili all’ esaurimento somatico.

Questa conclusione parziale è confermata dall’ esame di quei casi un poco più gravi psiehiatricamente, casi che ci hanno con- dotti alla diagnosi di forma leggera di amenza. I quali casi si sono presentati al manicomio in parte realmente affetti da una forma. leggera di psicosi, mentre altri apparivano tali solo perchè, secondo ogni probabilità, erano già in convalescenza di una ma- lattia mentale breve ed acuta. Queste convalescenze (ad esempio casi II, X, XXVII, XXXVII) sono caratterizzate da grande debo- lezza, esaurimento , facile stancabilità, emozionabilità grande, smarrimento psichico, incertezza nelle risposte e nei ricordi del- le ultime settimane o degli ultimi mesi. Identici sintomi si hanno nelle forme leggere propriamente dette, nelle quali l’ anamnesi nulla dice di uu pregresso periodo di maggiore gravità, e nelle quali il paziente non presenta le dismnesie riferibili ad uno stato delirante o confusionale passato. In queste forme leggere però presenta a volte episodicamente uno stato che si può chiamare delirante, diagnosi che può essere suggerita dalla brevità dell’ac- cesso confusionale, se insieme è esistito qualthe altro sintoma che ha portato nel quadro alcune tinte più forti, come logorrea, allucinazioni, Stato delirante è in ogni caso solo una designazio- ne sintomatica; e noi nei tre o quattro casi, in cui abbiamo ado- prata questa denominazione, non abbiamo voluto che accennare alla somiglianza sintomatica di alcuni momenti delle psicosi pel- lagrose con stati morbosi di natura tossico-infettiva conosciuti

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con tal nome. Sarebbe evidentemente erroneo definire come tali i casi IV, XXVIII, XXIX, ed altri, dei quali 1 due ultimi sono due vere e proprie amenze, il caso IV ugualmente un’ amenza, ma assai leggera.

Nei casi di amenza leggera VI, XII, XXX, XXXIII, XXXIV, XXXV, XXXVI, LVII, LVII, LX, LXV, LXVII, LXXIII, si ri- scontrano solo i sintomi fondamentali dell’amenza e anche questi talvolta appena accennati o assai instabili e fugaci. La definizio- ne più propria di queste forme morbose sarebbe: stati di esauri- mento psichico, simili a quegli stati di debolezza postinfettivi recentemente separati dal Kraepelin. La lesione psichica ge- nerica a loro propria è un certo grado di confusione e di disor- dine mentale, che non sempre porta a disorientamento completo; e, reazione emotiva a queste condizioni, un certo grado di smar- rimento psichico, che non sempre arriva all’abbattimento profondo, astenico, od ansioso, di forme più gravi. Come vede, è per gradazioni insensibili che si arriva alle forme caratteristiche di amenza. Che queste siano la conseguenza di una infezione, o in- tossicazione, 0 esaurimento corrispondentemente più grave si può presumere, ma non è facile sostenerlo.

In tutti i casi da noi studiati è costante un certo paralleli- smo fra alcuni sintomi organici e alcuni sintomi psichici, p. es. fra grado di confusione e smarrimento psichico e stato di nutri- zione generale. Ma come abbiamo visto nei casì, in cui una dia- gnosi psichiatrica non fu possibile, e in altri (ad es. casì V, LI, LII), a volte sintomi organici molto gravi non vanno punto uniti a sintomi psichici gravi, nella stessa maniera che sintomi psi- chici gravi possono essere scompagnati da sintomi organici. Per cui, se si può ammettere come regola generale che lo stato di nutrizione sia indice della gravità anche dei sintomi psicopatici, bisogna ammettere anche la possibilità che questa concordanza faccia difetto, a cagione di una particolarmente facile reazione corticale ai veleni esogeni ed eudogeni della pellagra, dovuta a determinata predisposizione; © a cagione di una resistenza spe- ciale della corteccia di fronte a questi veleni; o di una localiz- zazione loro in organi e tessuti diversi, come avviene per l’alcool e per la sifilide, per cui in certi individui sono colpite certe parti e certe funzioni dell'organismo a preferenza di altre,

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Pensando poi ai casi da noi sopra citati, in cui nessuna dia- gnosi psichiatrica fu possibile, pur presentando essi notevolissimi sintomi organici, mentre nelle forme leggere di amenza noi non abbiamo generalmente avuto occasione di osservare sindromi neu- ropatiche molto notevoli, viene il pensiero che talvolta esista per- fino una specie di antagonismo fra le lesioni nervose e le lesio- ni psichiche.

Questo ci porta a considerare i sintomi nervosi della pella- gra ad una stregua differente dai sintomi cutanei, intestinali, trofici in genere. Giacchè questi due gruppi di sintomi si com- portano in modo differente, talvolta opposto di fronte ai sintomi psichici. Tutti quei sintomi nervosi che abbiamo trovati in forme lievissime di amenza, ed altri che più sotto nomineremo, si pre- sentano anche nelle forme gravi di amenza pellagrosa, ma anche in queste la loro incostanza è sorprendente.

Forme vere e proprie di amenza ne abbiamo riscontrato in- dubbiamente moltissime (casi IIl, VII, IX, XIII, XVII, XIX, XXI, XXIII, XXVI, XXVII, XL, XLI, XLIV, XLV, XLVII L, LII, LII, LV, LIX, LXII, LXIV, LXVI, LXXVI).

Qui il disorientamento esisteva sempre, e il disordine e la confusione mentale raggiungevano sempre gradi più o mero no- tevoli di gravità.

Non solo, ma si arrivava spesso ai sintomi psicosensoriali e psicomotori della amenza: allucinazioni, ansia, logorrea, agita- zione motoria, stupore. Le allucinazioni sono state rare, visive e uditive, frequenti più di tutto assolutamente nell’acme della ma- lattia, ima relativamente frequenti anche al principin della con- valescenza, a volte limitate a parestesie: ronzio nelle orecchie, bruciore nelle gambe. I così detti fenomeni ansiosi, o almeno le loro apparenze, non si sono avuti che in due o tre casi (XXVI, LI); alternative di agitazione e stupore nelle forme più gravi e mortali: una vera sindrome stuporosa di una certa durata nel caso XIX soltanto.

I sintomi nervosi più frequenti sono stati: esagerazione dei riflessi, arrivante a fenomeni gravissimi di ipertonicità generale, di stato quasi tetanico (Oss. XXIV, XXVI, LI); tremori, lesioni pupillari in pochissimi casi e principalmente in quelli gravissimi, o riacutizzati, mortali, terminanti con una sindrome pertetiamente analoga al delirio acuto.

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I casi XLIII, LIX, LXII sono indubbiamente amenze: ma si potrebbe, sulla falsariga di alcune opinioni esterrate in lavori sull’ argomento, dire che, anche se erano delle amenze, queste hanno dato luogo a un delirio acuto o ad un tifo pellagroso. Ora appunto questi tre casi, come pure i casì XVII, XLV, e i casi VIII, LVI e LXX, mostrano assai bene i termini di passaggio, mostrano come il così detto delirio acuto, o tifo pellagroso, nel caso speciale nostro, non presenti nessun sintoma che non sia proprio dell’amenza, mostrano come in molti casi esso non rap- presenti che un aggravamento rapido e spesso letale, un riacu- tizzarsi violento di tutti i sintomì dell’amenza. Il delirio febbrile e da collasso da un lato per la mitezza dei sintomi, e il delirio acuto dall’altro, che invece li presenta gravissimi, stanno in posi- zione analoga, di fronte all’amenza, che presenta gli stessi sintomi ora più ora meno gravi, ma sempre molto lungamente duraturi.

Noi abbiamo trovato pronunciatissimi l’insonnia, la logorrea, l'agitazione motoria, le allucinazioni, l’ipertonicità muscolare nei -casi che hanno presentato la sindrome delirio acuto e che con questa diagnosi sintomatica abbiamo provvisoriamente definiti (casi VIII, XIV, XXIV, XXXVIII, XLII, XLIII, LI, LIV, LVI, LXIII, LXVIII, LXIX, LXX, LXXIV, LXXV). Le alternative di agitazione fortissime e di stupore si sono manifestate sempre in casi mor- tali, eccettuato il XLI. In un caso solo a tutti i sintomi comuni si. aggiungeva ecolalia e verbigerazione (caso XIV). Non abbiamo dati bastanti, per insufficiente anamnesi e per la brevissima du- rata della degenza, per supporre in quel caso una psicosi di na- tura diversa combinata allamenza pellagrosa acutissima, ma dďd’al- tra parte sappiamo che sitmili disturbi dell’associazione sono pro- pri degli stati d’esaurimento (1).

Fortuite coincidenze di sindromi di natura diversa, esistenti simultaneamente nello stesso individuo, ne abbiamo due sicure: il caso I: leggera amenza pellagrosa e disturbi mentali da mor- bo di Basedow; e il caso XXII, isterismo e amenza pellagrosa. A questi si può aggiungere il caso XXXII, dove a una demenza paranoide si è forse sovrapposto per qualche tempo uno stato di esaurimento da pellagra.

1) Vedrani. Le associazioni nelle psicosi acute da esaurimento. Questo Bol- lettino 1899. |

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Altre diagnosi non abbiamo avuto occasione di discutere perchè i sintomi osservati non ce ne hanno dato occasione. Se il caso XIV era un po’ atipico, se il caso XVI ha potuto far sor- gere il sospetto di una -melancolia, se il caso XLVI ha presen- tato qualche idea ipocondriaca, i loro quadri complessivi non si sono scostati in ultima analisi eccessivamente dai caratteri cli- nici dell’amenza, e noì non abbiamo potuto sostenere in ressun caso un’altra diagnosi. Queste irregolarità sintomatologiche po- trebbero del resto riferirsi a qualche causa speciale: uno stato psicopatico costituzionale preesistente, o la coesistenza di uwal- tra psicosi a forma eccessivamente lieve. Certo noi non abbiamo il diritto, data la scarsezza di questi casi atipici, di riferire al- l’esaurimento e intossicazione pellagrosa sintomi proprì della fre- nosi maniaco-depressiva o di altre. I sintomi di difetto psichico trovati nel caso XX, se hanno fatto sorgere il sospetto di una demenza pellagrosa, non ci hanno autorizzato a stabilire questa diagnosi, perchè l’osservazione era insufficiente.

Fra i sintomi che alcune volte abbiamo notato nei nostri ma lati c' è il tentativo di suicidio. Di ciò abbiamo detto qualche cosa a proposito del caso XVI. Spesse volte è detto nell’anamnesi che il malato esternò idee di suicidio: ma veri e propri tentativi abbiamo : i casi XVI e LIII gettandosi dalla finestra, nel caso XXII doppio tentativo: gettandosi nel pozzo e poche ore dopo cercando di strangolarsi; nel caso XXII si trattava di una donna isterica. Poi nell’ anamnesi del caso LXVII si parla di un tentativo di suicidio non specificato nella forma e che il malato nega. La ma- lata LXIX fece un tentativo di suicido molti anni prima di con- trarre la pellagra, durante un accesso di vera e propria melancolia.

Sicchè noi non abbiamo constatato la frequenza dei ten- tativi di suicidio, la preferenza per una determinata maniera di suicidio: naturalmente sarebbe ridicolo il volor fondare un giudizio sui due soli casi XVI e LIII.

Riassumendo, noi abbiamo trovato da caso a caso notevoli varietà nei particolari sintomatici, varietà di nessun valore seme- iologico, ma poche o nessuna differenza essenziale nell’ insieme della psicosi, tutte le volte che questa psicosi era secondo ogni probabilità legata eziologicamente alla pellagra. E non è a dire che noi abbiamo qui osservato unicamente « casi acuti» in sen»

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so stretto. Nei due anni d’osservazione sono entrati dei malati tuttora esistenti che non possono più essere considerati casi acuti.

La durata delle forme psicopatiche da noi osservate presenta molti lati degni di essere presi in considerazione.

La durata media della degenza dei 76 malati, computando come durata totale la degenza degli esistenti il 31 Dicembre 1900, è stata di giorni 127,4, cioè poco più di tre mesi. Divisi ì malati press’a poco, escludendo i dubbî, nelle quattro categorie a noi suggerite solo dalla gravità dei sintomi, troviamo che le forme in cui non abbiamo fatta alcuna diagnosi psichiatrica hanno pre- sentato una degenza media di giorni 215,6 con estremi da 28 a 589. Le forme leggere una media di giorni 157,8 con estremi da 13 a 668. Le amenze caratteristiche una degenza media di giorni 118 con estremi da 5 a 430; finalmente i delirî acuti mortali han- no avuto una durata media di giorni 16,4 con estremi 3 - 30.

I cast III e VII, non ostante la lunghezza della degenza (420 e 430 giorni), sono sempre da considerarsi casi acuti. Ora, fra i 16 malati rimasti in Manicomio il 31. XII. 900, i casi V. XI, XXXI e XXXVI degenti rispettivamente da 668, 589, 353 e 308 giorni, casi i quali presentano i caratteri di forme ormai stazio- narie psichicamente, cioè di così detti « casi antichi », non pre- sentano però quasi affatto sintomi psicopatici, perchè o non han- no mai sofferto psicosi, o la psicosi che hanno sofferto non ha lasciato residui.

Anche in questi in ogni modo noi non abbiamo trovato ele- menti per diagnosi psichiatriche che si discostassero essenzial- mente dalla quasi totalità dei nostri casi.

Noi abbiamo voluto vedere se in altro materiale si potevano trovare quadri clinici diversi. E cioè abbiamo esaminato i casi diagnosticati per psicosi pellagrose, degenti da più o meno lun- go tempo nel Manicomio, ed ivi esistenti il 1 Gennaio 1899.

In quell’epoca esistevano nel Manicomio 18 malati, 7 uomini e 11 donne, con la diagnosi di frenosi pellagrosa. Brevissimamente ne riferiamo le notizie sommarie.

Oss. LXXVII. B. Pellegrina di Tizzana, n. nel 1847, pellagrosa, am- messa al manicomio il 21. 11. 98, morta per aggravamento progressivo della psicosi e della cachessia pellagrosa il 31. 1. 99. Durata della degenza giorni 70. Diagnosi clinica-amenza,

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Oss. LXXVIII. M. Rosa di Cerreto, n. nel 1872, ammessa per la se- conda volta al manicomio per gravissima pellagra e confusione mentale il 24. 10. 98. Dimessa guarita il 26. 2. 99. Degenza giorni 122.

Oss. LKXXIX. B. Anna di Palazzolo, n. nel 1849, entra nel manicomio per la prima volta l’ 11. 10. 98 con la diagnosi di follia pellagrosa. Non si vedono tracce di pellagra. si riesce con sicurezza a dimostrare se essa sia esistita: l’inferma non è molto emaciata, è ansiosa e irrequieta; ha idee di negazione; essa è ancora oggi ricoverata nel manicomio, dove pre- senta oscillazioni varie nei sintomi di una melancolia dell’ età involutiva.

Oss. LXXX. F. Domenica di S. Sofia, n. nel 1848, ha un fratello pazzo, ha avuto sintomi di isterismo. È ammessa al manicomio il 6. 10. 98. Ha tutti i segni della pellagra e i sintomi di amenza. Muore per aggravamento di questi il 3. 3. 99.

Oss. LXXXI. L. Gaudenzio di Portico, n. nel 1842, ammesso il 2. 10. 98, dimesso migliorato di amenza pellagrosa il 29. 1. 99. Riammesso il 18. 5. 1901 con delirio acuto, morto il 21. 5. 901.

Oss. LXXXII. T. Diana di S. Maria a Monte, n. nel 1856, ammessa il 25, 9. 98, morta il 30. 1. 99. Diagnosi indubbia, Amenza pellagrosa.

Oss. LXXXIII. R. Giuseppe di Tredozio, n. nel 1836, ammesso già due volte nel manicomio, nel 1859 e nel 1883 con la diagnosi di lipemania, è riammesso la terza volta il 15. 7. 98. Ha segni di pellagra, di cui soffre da pochi mesi, è deperito, non parla, piange spesso, è sitofobo, ha idee di dannazione. Il malato si rimette in pochi mesi dei sintomi acuti, conserva un aspetto un po’ depresso, uno stato simile a quello della nostra Oss. V.

Qui il precedente di due accessi di melancolia, quando il malato non aveva mai avuto pellagra, rende il giudizio alquanto incerto.

Oss. LXXXIV. C. Lorenzo di Modigliana, n. nel 1838, non è certo abbia avuto pellagra perchè nell’ anamnesi è detto « forse pellagroso », e il malato nega la pellagra. Ammesso il 20. 4. 88, fu dimesso migliorato il 19. 6. 98. Ma dopo 15 giorni, il 4. 7. 98 ritornò. Il malato, che ebbe un fratello al manicomio per frenosi maniaco-depressiva, presenta una forma ipocondriaca, delle idee di rovina e di suicidio; migliora col ristabilirsi dello stato di nutrizione. È dimesso molto migliorato il 24. 6. 99. Diagnosi probabile-me- lancolia dell'età involutiva.

Oss. LKXXV. C. Rosa di Portico, n. nel 1846, ammessa l’ 11. 12. 98 dimessa il 18. 8. 99. Diagnosi amenza. È la stessa malata della nostra Os- servazione LXXV.

Oss LXXXVI. P. Giovanni di Borgo S. Lorenzo, n. nel 1830. Ammesso una prima volta al manicomio per follia pellagrosa, dal 7. 7. 95 al 24. 8. 95,

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fu riammesso per la stessa causa il 14. 2. 96. Non presenta rigorosamente sintomi psichici, ha grave cachessia, dolori agli arti (v. Oss. XI). Muore il 27. 1. 99 dopo tre anni circa di degenza.

Oss. LXXXVII. C. Erminia di Tizzana, n. nel 1840, ammessa il 1. 7. 98, morta il 12. 1. 99. Tutti i sintomi della pellagra e dell’ amenza.

Oss. LXXXVIII. S. Antonio di Barberino, n. nel 1841, ammesso il 14. 5. 96, morto il 12. 9. 900. Rimase dunque degente quasi 4 anni e 4 mesi. I sintomi furono quelli dei casi XI, XXXI, XXXIX, LXXXVI.

Oss. LXXXIX. G. Francesco di Pistoia, n. nel 1832, ammesso con tutti i sintomi dell’ amenza il 18. 7. 94. La pellagra pare dimostrata sicuramente. La permanenza in manicomio era più che altro giustificata da una grave cachessia. Morì di broncopolmonite il 2. 1. 99 dopo circa 4 anni e mezzo di degenza.

Oss. XC. C. Luisa di S. Gaudenzio, n. nel 1853, figlia di genitore paz- zo, da molti anni stravagante, sta ancor oggi nel manicomio dove entrò con la diagnosi di pazzia pellagrosa, il 13. 2. 1895. È una tipica demente paranoide.

Os3. XCI. B. Gaetano di Tredozio, n. nel 1840, sempre apatico e stra- vagante, ha la madre, una sorella e un nipote pazzi, aveva già dato da pa- recchi anni segni di alienazione mentale, quando fu ammesso al manicomio il 30. 7. 94, con la diagnosi di frenosi pellagrosa. A quanto i medici anziani del manicomio ricordano, il B. ebbe dopo parecchio tempo che si trovava in manicomio una recidiva di pellagra con eritema, debolezza, diarrea e disordine grave della mente.

Noi abbiamo avuto molto agio di osservare questo malato , mutacistico, negativista, a volte burbero, manesco, a volte imprecante contro non si sa chi; spessissimo accovacciato in un angolo della stanza in strane e scomo- dissime posizioni. Che una psicosi pellagrosa sia qui esistita pare certo, ma non fu certo questa a trattenerlo tanti anni nel manicomio. Il B. è morto di bronco polmonite il 16. 2. 1901. La diagnosi di demenza precoce s'impone.

Oss. XCII. T. Massima di Premilcore n. nel 1854, esiste ancora nel ma- nicomio dal 12. 5. 1887. Dall’ anamnesi e dall’ esame obbiettivo risulta di- mostrato in questa donna un grado molto notevole di frenastenia. Entrò con la diagnosi di pazzia pellagrosa.

Oss. XCIII. S. Rosa di Lamporecchio, n. nel 1821, ammessa con diverse diagnosi (mania, confusione, pellagra ecc.) quattro volte, fu nel manicomio dal 4. 67 al 9. 67, dal 6. 69 al 9. 69, dal 7. 72 al 9. 72. Finalmente, en- trata il 22. 5. 91, dopo quasi otto anni e mezzo, il 7. 10. 99 vi ori di pneumonite. La S. Rosa non era orientata per il tempo, presentava delle lacune nella memoria, l affettività era nulla; qualche volta sudicia, molti mesi dell’anno a letto per debolezza generale, essa presentava un insieme

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di sintomi denotante un certo grado di indebolimento mentale sufficiente- mente caratteristico per essere diagnosticato come demenza senile.

Oss. XCIV Z. Rosa di Modigliana, n. nel 1845, fu con la diagnosi di psicosi pellagrosa nel manicomio un mese nell'estate del 1879, quattro mesi dal 6 al 10. 1882. Finalmente fu ammessa con la stessa diagnosi il 12. 5. 1886 e vi rimase quasi 14 anni, essendo stata dimessa il 15. 3. 1900.

Dacchè è memoria della Z. nei medici attuali, essa apparisce come una persona presso che sana. Ha sempre lavorato, orientata, tranquilla, obbedien- te, serena. Bastava non parlarle di uscire dal manicomio: ella intendeva uscirne, la famiglia intendeva riceverla. Esaminata, la Z. Rosa si mostra ordinata e orientata. Le risposte analoghe a quelle ottenute dal malato LXXI, dimostrano il vero stato delle cose. Di demenza non si può parlare, perchè anche il fatto di preferire il manicomio alla propria casa, nelle condizioni di questa donna, non costituisce prova di indebolimento mentale. La Z. non sarebbe infatti dimessa mai, se una famiglia d’un capo infermiere del ma- nicomio non avesse proposto di tenerla presso di sè. Così essa é passata in custodia privata, come noi diciamo , e abita sempre nei dominî del manico- mio in condizioni di salute stazionari come da molti anni si trovava.

L’esame di questi ultimi casi è straordinariamente istruttivo. Alcuni di essi rientrano esattamente per diagnosi e per durata di degenza fra i più tipici di amenza pellagrosa già da noi passati in rassegna. Alcuni altri, la cui durata di degenza si prolungò a 1, 2, 3 anni, rientrano o in quei casi di pellagra in cui più che la psiche era colpito il sistema nervoso periferico e midol- lare, O in quei casi in cui la permanenza nel manicomio è giu- stificata dalle misere condizioni o dalla semplice cachessia del paziente, ovvero corrispondono non ad una psicosi pellagrosa, ma a una melancolia dell’età involutiva, per la quale è assai arri- schiato l’ammettere che la pellagra abbia avuto una parte qua- lunque nell’eziologia.

I casi veramente antichi, la cui degenza dura da 4, 6, 8, fino 13 anni, diagnosticati al loro ingresso come pazzie pellagrose, ci hanno mostrato tutti, senza eccezione (casi XC-XCIV) malattie mentali diverse, di eziologia non pellagrosa. Giacchè, senza esclu- dere che ciascuno di questi ultimi cinque malati abbia avuto a suo tempo la pellagra e una psicosi eziologicamente in diretta di- pendenza da questa (come sembra assolutamente certo per i casi 91 e 91), tutti e cinque debbono la loro lunga degenza nel ma- nicomio a frenastenia, a demenze precoci, demenza senile e a condizioni non morbose in senso stretto,

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Per cui anche i casi antichi non servono a mutare i risul- tati che la sintomatologia dei casi acuti aveva offerto.

Il decorso e l’esito delle psicosi pellagrose è nelle linee ge- nerali assai poco variato. Noi non abbiamo trovato disturbi per- manenti residui, sotto forma di difetti o errorì di contenuto della coscienza, e tanto meno disturbi permanenti o indeterminatamente riapparenti dell’attività cosciente. Per cui noi abbiamo il diritto di escludere che fra le psicosi pellagrose ne esistano di quelle a decorso cronico, o di quelle che lasciano presumibilmente uno stato psichico cronicamente anormale. Le considerazioni che ab- biamo fatto su quei pochi casi, la cui durata di degenza fu mol- to lunga, ci dispensa dal giustificare ulteriormente questa nostra affermazione. Anche il sospetto fattoci sorgere dal caso XX del- l’esistenza di una speciale demenza pellagrosa non è stato con- fermato dall’esame di questi ultimi casi; giacchè abbiamo trovato bensi dei casi di demenza, ma questa demenza non aveva carat- teri specifici, rientrava in uno dei quadri noti della patologia mentale e non si mostrava evidentemente in nessun rapporto cau- sale diretto con la pellagra. Il problema, dato anche voglia es- sere preso in corsiderazione, rimane del tutto insoluto.

Noi abbiamo adunque delle psicosi pellagrose essenzialmente forme acute, subacute e peracute.

Nell’ambito di queste forme noi troviamo decorsi continui, ascendenti, remittenti.

Nelle forme leggiere i sintomi sono scarsi numero e ri- mangono sempre quelli per tutta la malattia. La curva della loro intensità è lieve nell’ascesa e nella discesa, ed è molto in armo- nia con la curva del peso corporeo.

Le forme di amenza non si differenziano in modo palese nel decorso e nell’esito, come nei sintomi, dalle amenze ad eziologia differente. acme della curva così del numero come dell’inten- sità dei sintomi è raggiunto per solito rapidamente, talvolta è quasi segnato dall'inizio della malattia. La convalescenza è lun- ga, la discesa è molto lenta e quasi sempre irregolare. Anche qui curva del peso corporeo e sintomi psichici vanno ordinaria- mente insieme.

Talvolta abbiamo un andamento, anche subacuto, progressivo. Questi sono casi mortali, che in pochi giorni o in poche setti-

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mane dànno luogo più o meno rapidamente alla sindrome detta delirio acuto. Così un andamento progressivo ascendente l’abbia- mo visto tipico nel caso XXV.

La sindrome gravissima terminale si presenta molto più spes- so come riacutizzazione quasi improvvisa che come termine di progressivo aggravamento. Essa può manifestarsi, nei suoi sinto- mi caratteristici, sebbene sempre preceduta da uno stato prodro- mico di esaurimento fisico e psichicc, o anche da uno stato con- fusionale più o meno grave, in modo acutissimo e presentare, durante tutto il suo decorso, per solito limitato a pochi giorni O a pochissime settimane, un andamento continuo, almeno per l’intensità dei sintomi. Il numero dei sintomi può offrire notevoli oscillazioni, tanto da dar luogo a delle alternative di sindrome agitata e sindrome stuporosa, fatto questo osservato da noi sem- pre in casi gravissimi terminati tutti (eccetto uro, il caso XLI) con la morte (casi XVII, XXVI, XLII).

Una particolarità degna di moltissima considerazione, riguar- dante il decorso delle psicosi pellagrose, sono le recidive intra- manicomiali. Nei casi che hanno presentato tali recidive, le cause note e supposte della pellagra ebbero luogo di agire, la stagione era quella più ordinariamente prupizia al sorgere della pellagra. Come avemmo già occasione di notare, la forma reci- divante non differisce sintomaticamente dalle altre forme acute o subacute più o meno gravi di amenza pellagrosa; ci può es- sere recidiva solo dei sintomi organici della pellagra (cutanei, intestinali ecc.) e non recidiva di confusione mentale. I casi in cui noi abbiamo osservate queste recidive intramanicomiali erano in parte individui con eredità o stimmate neuro e psicopatiche (oss. XXII), uno arteriosclerotico (oss. III), due avevano per un numero notevole di auni avuto periodicamente accessi di pellagra (oss. XXXI, XLVIII).

Certo è difficile formarsi un concetto esatto e sicuro del co- me lo stato di intossicazione pellagrosa cou le sue tipiche note esoge:ie patogenetiche possa assumere un carattere costituzionale, e divenire forma periodica apparentemente endogena. Le analo- gie con la sifilide, l’alcoolismo, il reumatismo non spiegano nulla. Che i veleni pel'agrogeni possano in certi organismi particolar- mente predisposti portare una modificazione del ricambio mate-

riale così da rendere possibile una sorgente permanente di veleni, e che questi per le leggi fisiologiche, al pari che nell’ epilessia, nella frenosi maniaco-depressiva, ecc. si svolgano con più o me- no regolare periodicità, è una ipotesi che per ora non può essere confermata smentita, e per quanto si presenti come razio- nale, non ha per che degli argomenti analogici.

L’ esito delle psicosi pellagrose è nel maggior numero dei casi la guarigione, nel minor numero dei casi la morte. Noi na- turalmente non ci occupiamo qui della pellagra per sè, che già da sola può dare la morte, come, secondo tutte le probabilità è avvenuto nel caso XV, delle forme croniche di neuropatia: qui a noi interessano solo i sintomi psicopatici.

La guarigione delle psicosi pellagrose, quando avviene, è per solito perfetta. E soventé la guarigione della psicosi precede la scomparsa totale dei disturbi organici della pellagra.

Per lo meno noi non abbiamo mezzi semeiotici e termini di confronto sufficienti ed adatti per dubitare che la guarigione delle psicosi pellagrose non sia perfetta. Essa avviene molto len- tamente. In un numero relativamente grandissimo di casi noi ci siamo dovuti fermare sulla lunghezza, irregolarità, importanza della convalescenze (II, VI, XXVII, L).

Le irregolarità possono assumere il carattere di vere remit- tenze. Per quanto lunghe, le convalescenze traggono sempre nei loro sintomi i caratteri delle psicosi acute e non si possono mai definire come stati di difetto acquisito permanente.

Se è vero, come si crede da molti, che l’ amenza in genere possa dar luogo a una guarigior:e incompleta, a una forma spe- ciale di demenza terminale, noi non abbiamo nessuna ragione di escludere questa possibilità nel caso che |’ amenza sia dovuta a pellagra. Nei nostri novantaquattro casi però questa eventualità non è presentata: e le demenze, che abbiamo avuto occasione di osservare, non avevano punto i caratteri di demenze da amenza.

Il caso sopra citato XV di morte per pellagra senza psicosi insegna che non sempre e in modo assoluto si può dire che i sintomi psichici sono l’ indice della massima gravità della pella- gra, sebbene ciò risulti in un grande numero di casi.

Esiti letali noi ne abbiamo avuto in numero molto rilevante: 26 su 76 malati, cioè una proporzione del 34,2 0[g. Se noi ag-

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an = a et

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giungiamo i casi LXXIV e LXXV, morti nel gennaio 1901 dopo breve degenza, abbiamo il 36,8 Oro. Ma tenendoci per esattezza alla prima cifra, noi troviamo che i 26 esiti letali sono dovuti quasi esclusivamente alla psicosi: solo nel caso XV si deve at- tribuire alla cachessia pellagrosa, senza sintomi psichici notevoli, nel caso XXX a bronco polmonite. Il malato dell’ Oss. XXVI ave- va un carcinoma gastrico: ma l’andamento della psicosi, quando la cachessia, che qui avrebbe potuto essere cancerigna e pella- grosa insieme, non era arrivata ad un grado estremo, esclude in modo assoluto che la morte sia dovuta al tumore.

L’ esito letale è sempre dovuto al marasmo, alla cachessia, se l’intensità dei sintomi psichici non è eccessivamente grande (casi XX, XXII, XXV, XL, XLV, LITI). Alle volte, come nei casi LVI, LIX, LXII, la sindrome terminale ha tutti i caratteri del delirio da collasso, brevissimo, e più o meno rumoroso. Ma quando la intensità dei sintomi psichici raggiunge un grado molto elevato, come nei casi VIII, XIV, XXIV, XLII, LI ecc., allora fattori spe- ciali entrano probabilmente nel meccanismo dell’ esito. È questa una presunzione che si deduce dal fatto che non sempre il de- lirio acuto va unito a un grado estremo di esaurimento fisico manifesto (caso XIV), dalla brevità notevolissima della durata della malattia, dal modo acutissimo d’ insorgere, dalla ricchezza esuberante di sintomi nervosi e mentali: tutte cose che fanno pensare ad una azione specifica, elettiva, violenta di veleni per qualità e quantità di questi veleni, o per suscettibilità particolare congenita o acquisita di organi e di tessuti.

Ed ora veniamo al punto più importante delle nostre consi- derazioni, cioè alla diagnosi delle psicosi pellagrose.

Un individuo può essere pellagroso per molti anni e anche morire di pellagra senza avere mai malattie mentali vere e pro- prie, ma solamente quel certo stato di esaurimento psichico ìn perfetta armonia con le gravi condizioni somatiche. Può il pella- groso ammalare di mente a cagione della sua pellagra, come può presentare sintomi psicopatici per l’azione di altre cause predi- sponenti e determinanti, che possono stare con la pellagra solo in rapporto lontano, e possono anche con la pellagra non avere nes- sunissima relazione.

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Fatta per tanto la diagnosi generica di pazzia da un lato, e la diagnosi di pellagra dall’ altro, non sarà fatta per questo la diagnosi, pur generica, di psicosi pellagrosa.

La pellagra dal punto di vista delle psicosi non si trova nelle favorevoli condizioni dell’ alcoolismo, ad es., o del morfinismo, i cui sintomi psichici, per quanto non costantemente, sono assolu- tamente caratteristici, così che l’intossicazione può essere sospet- tata e rivelata dall’ episodio psicopatico.

Occorre nel caso della pellagra, che questa venga previamen- te dimostrata: occorrerà che la pellagra venga con assoluta cer- tezza dimostrata per dire che una psicosi è di origine pellagrosa fino a tanto che non sarà dimostrata P esistenza di una psicosi pellagrosa specifica, caratteristica, patognomonica della pellagra.

Ora è certo che tanto la diagnosi di pellagra, come quella

di pazzia in genere, può presentare non poche piccole difficoltà. Noi abbiamo trovato alcuni casi in cui la pellagra non si è

potuta dimostrare; degli altri, in cui nessuna diagnosi psichia- trica è stata possibile. Una presunzione di più in favore delle no- stre conclusioni cliniche generali fu daia però anche da questi casi, giacchè gli uni hanno presentata una psicosi che non distin- gueva per nulla dalle psicosi certamente pellagrose; negli altri abbiamo rinvenute oscillazioni dell’attività psichica, che, pur rien- trando nel dominio normale, si rivelavano già come prime sfu- mature di quei sintomi pitt propri delle psicosi pellagrose. Ad ogni modo noi nell’ ammettere la pellagra, se da un lato non l avremmo ammessa in casi di « pellagra senza pellagra » cioè senza i sintomi classici, col puro c semplice eritema, d’ altra parte noi, non possiamo credere non sia vera e propria pellagra anche la cosi detta pseudo pellagra, cioè la pellagra che si manifesta, clinicamente, in tutta la pienezza dei suoi sintomi, ma senza l’azione diretta e dimostrata di quelle cause esterne che sono giudicate come provocatrici specifiche della pellagra. Nel qual caso è il concetto eziologico-patogenetico che occorre mutare e non già il concetto clinico delle forme. Se en- tro il manicomio o l’ ospedale si hanno delle recidive complete senza causa manifesta è facile il pensare che queste recidive in- dipendenti dalle cause note o supposte della pellagra si possano avverare anche fuori dello spedale. E allora come si può aver controllata l’ azione delle cause esterne ?

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La cachessia non è punto necessaria alla diagnosi di pella- gra, ma questo non basterebbe a decidere se la pellagra è fra le cause della cachessia o la cachessia è fra le cause della pellagra, perchè la sensibilità individuale dei vari tessuti di fronte a certe azioni tossiche ed autotossiche è così differente, che noi non pos- siamo escludere, perchè un pellagroso è in condizioni discrete di nutrizione, che queste stesse non entrino nella eziologia e pato- genesi della pellagra. Ed è un fatto palese quant’ altri mai che

pellagrosi in buono stato di nutrizione non se ne sono mai visti. Ora i sintomi psichici che si manifestano nel corso della

pellagra e che fanno parte del quadro clinico di questa, sono in un grandissimo numero di casi in rapporto molto stretto con lo stato di nutrizione, mentre i sintomi caratteristici della pellagra precedono sempre, spesso di molto, l’ apparire dei sintomi psichi- ci. Alle volte certe sindromi psicopatiche acutissime sorprendono il pellagroso in uno stato di nutrizione non troppo scadente, ma questi casi eccezionali, al pari di quelii, molto più numerosi, in cui una cachessia estrema non porta a nessun sintoma psicopa- tico, non infirmano il criterio generale del rapporto, quando que- sto è dato dalla maggioranza dei casi di psicosi pellagrose, quan- do il tipo clinico di queste psicosi sia definito, e quando si sap- pia quante cause diverse interne ed esterne possono agire nel produrre una psicosi che pure può ‘essere chiamata psicosi pel- lagrosa.

Evidentemente però nel cercare se esiste una psicosi pella- grosa noi non dobbiamo a priori credere di trovare un quadro mor- boso che, sopra tutto clinicamente, non entri in nessuno dei capi- toli che la patologia mentale ha finora creati e fissati. Per con- seguenza, perchè in un pellagroso sorgono sintomi di una malat- tia mentale ben nota, noi non dobbiamo escludere la possibilità che questa malattia stia in rapporto con la pellagra, perchè essa potrebbe avere, fra le numerose cause predisponenti e determi- nanti, anche la pellagra. Ma qui il problema è d’ indole clinica e generale, è un problema semeiologico. Si tratterà innanzi tutto di non chiamare melanconie certe forme ehefreniche o amenti, di non parlare di paranoia, di monomanie di fronte a cpisodi di valore clinico differentissimo, si tratterà di non definire per ma- lattia un sintoma, del resto non costante, come l’ idromania che può andare dalla tendenza all’ acqua fino al ribrezzo per l’ acqua.

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Si capisce che un pellagroso può avere un accesso maniaco o melancolico, una demenza precoce, ecc., nel qual caso non si potrà sempre escludere che la pellagra, al pari di qualsiasi stra- pazzo fisico, di uno spavento, di una infezione acuta ecc., abbia avuto una parte fra le cause determinanti. Ma è un fatto che, per quanto il capitolo dell’eziologia sia per quasi tutte le malat- tie mentali molto pieno di lacune, quello che si sa sulla frenosi maniaco-depressiva, sulla melancolia come malattia d’involuzione, sulla demenza precoce ci permette di dubitare assai che la in- tossicazione pellagrosa possa essere per tali malattie una causa essenziale.

Presunzione questa confermata in parte dal fatto che, mentre per altri gruppi di sintomi psichici abbiamo quasi sempre trovato un notevole parallelismo coi sintomi organici, specie quelli di lesa nutrizione, per le sindromi pertinenti alle menzionate malat- tie, quelle volte che le abbiamo riscontrate in pellagrosi, questo rapporto non si è reso mai palese. Se in genere non bisogna troppo facilmente giudicare una psicosi come legata strettamente in nesso causale con la pellagra, d’ altro lato c'è una possibile sorgente di errore, e un pericolo opposto nel fatto delle recidive. Se basta che una o più volte un individuo sia stato sottoposto alle cause esterne della pellagra, perchè poi la pellagra possa recidivare senza che queste cause esterne abbiano di nuovo agito, non è esclusa la possibiltà che nella recidiva presentino piut- tosto alcuni che altri sintomi, ad es. i sintomi psichici, con po- chi o punti sintomi organici. Si avrà quindi una psicosi che non può per ora venire diagnosticata come psicosi pellagrosa per la mancanza del criterio eziologico e del rapporto coì sintomi orga- nici, mentre realmente essa sarebbe una genuina psicosi pellagro- sa. Lo stesso vale per la così detta « pellagra senza pellagra ».

Noi dobbiamo ora cercare di rispondere a due problemi es- senziali per l’ argomento che ci occupa.

Hanno le amenze pellagrose caratteri sintomatologici e cli- nici che le distinguano in qualche parte dalle altre forme di amenza eziologicamente diverse ?

Rientrano realmente le psicosi pellagrose nel capitolo dell’a- menza, e quali sono in ultima analisi i confini di questa malattia?

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Prima però ci pare utile esaminare la letteratura delle psi- cosi pellagrose. Disgraziatamente l’ immensa letteratura sulla pel- lagra contiene ben poco materiale di confronto per il nostro stu- dio, e ciò per più ragioni. Innanzi tutto gl’ innumerevoli lavori sulla pellagra riguardano quasi esclusivamente l’ eziologia, la profilassi, la cura, i sintomi e l’ anatomia patologica, ovvero il lato economico-sociale del problema della pellagra. Solo inciden- talmente e di passaggio è trattato il problema delle psicosi pel- lagrose. In secondo luogo nella maggioranza dei lavori, che par- lano anche delle psicosi pellagrose, non si trovano i casi, le storie cliniche riferite, se non per intero, almeno con quei tratti essenziali e obbiettivi che possono permettere un giudizio dia- gnostico e che giustificano le conclusioni a cui gli autori sono arrivati. Cosicchè, oltretutto non v’ è mai la sicurezza che con lo stesso nome si indichi la medesima cosa. E data la esuberante nomenclatura psichiatrica, e la mancanza di metodi semeiotici d’ uso comune, e la differenza quasi personale di criteri diagno- stici, si capisce come assai poco da sfruttare ci sia.

Pur nondimeno, idee sull’ argomento ne sono state avanzate in numero rilevante. .

Cominciando dagli articoli monografici sulla pellagra (1), in essi per necessità di esposizione schematica e sommaria, si è cer- cato di lasciare da parte le idee personali degli autori o di espor- re vicino ad esse, nel modo più completo possibile, le idee domi- nanti, anche sulle psicosi pellagrose. continua

1) I Arnould, Articolo Pellagre nel: Dictionn-encycloped. des. Sc. méd. par Dechambre.

G. B. Verga, Art. Pellagra nell'Enciclopedia medica Vallardi.

C. Tuczek, Art. Pellagra nel Dicliomary of psychological Medicine by Hack Tuke.

A. Pieraccini, Capitolo Pellagra in appendice al Yol. II della trad, ital. del Trattato di Medicina di Charcot e Bouchard.

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Manicomio Provinciale di Brescia diretto dal Dott. G, SepPILLI

Sopra alcuni concetti di tecnica manicomiale APPUNTI CRITICI

del Dott. Aurelio Lui 1.° Aiuto

La cura, l’assistenza e la custodia dei malati di mente for- mano oggidi, sia dal lato umanitario che da qnello terapeutico ed economico, uno dei problemi più vitali che interessino la pra- tica psichiatrica, la società, le amministrazioni che sono chiamate a provvedervi.

Una quantità di questioni s’affolla attorno a simile problema. Da una parte i progressi della psichiatria spiegano nuove esigenze, e dimostrano come essenzialmente al concetto della malattia men- tale debba andare associato quello della sua curabilita; dettano perciò nuovi postulati di tecnica manicomiale, suggeriscono nuo- vi criteri nella edilizia degli asili per malati di mente, nella di- stribuzione e nella suddivisione dei medesimi, e nei più diversi metodi di trattamento rivolti a togliere, a cancellare fin dove è possibile le asprezze che risultano dalla limitazione o dalla pri- vazione della libertà, e a procurare l’ambiente più appropriato e benetico per il malato. Dall’altra, il numero ognor crescente della popolazione che affolla i manicomi, nel mentre suggerisce nuovi rimedi e riforme per una più conveniente distribuzione dei pazzi, grava così fortemente le finanze provinciali, da rendere assoluta- inente necessario che al benessere dei ricoverati segua il minore dispendio possibile, e che le esigenze della psichiatria cerchino di armonizzare senza danno dei malati colle esigenze dei bilanci,

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Epperò ci proponiamo di esaminare e studiare il problema dell’ospitalizzazione dei folli in relazione ad alcuni moderni con- cetti di tecnica, che all’edilizia, alla cura individuale, al colloca- mento degli alienati cercano di dare un più nuovo indirizzo, di ‘considerare l’etficacia terapeutica e i pratici risultamenti che ne derivano, intendendo che alle considerazioni scientifiche, alle teo- riche vedute debbano accompagnarsi i dati positivi dell'esperienza che la pratica manicomiale suggerisce, affinchè scienza e pratica

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debbano, come è necessario, conciliarsi ed aiutarsi a vicenda rel dare al problema la migliore sua soluzione dai diversi punti di vista terapeutico, umanitario, economico. Al che ci sentiamo incoraggiati da una seric di considerazioni obbiettive forniteci in buona parte dall’aver assistito all’ organizzazione del nostro ma- nicomio che conta oggidi sette auni di vita, e che raccolse sempre il plauso dei tecnici più autorevoli, e dall’averne seguito per tutto questo periodo con diligenza ed interesse il funzionamento (1).

Il concetto che l'asilo d’ alienati debba essere sopratutto un ambiente di cura, un istrumento di guarigione, inaugurato da Pinel, Esquirol, Langermann, Reil, Conolly ecc. in sul principio del secolo decimonono e andato via via sviluppandosi, ha trovato nella inopia delle amministrazioni e spesso nello scet- ticismo del pubblico un grande ostacolo ad un’estesa realizzazione, così che anche oggidi noi siamo costretti a ripetere che i vecchi asili sono delle vere fabbriche di cronici che minacciano ogni di più i bilanci delle Provincie e degli Stati, che queste forze per lo più inattive rappresentate da un grande numero d’alienati pos- sono essere rivolte ad un utile profitto, con vantaggio fisico e morale delle medesime, che mentre non dobbiamo dimenticare che l’asilo deve obbedire ad una misura d’ordine pubblico, deve so- pra ogni cosa offrire quel complesso di conforto fisico e psichico che è la base essenziale della cura del malato di mente.

Dobbiamo però rallegrarci che una benefica riforma va oggi in questo senso largamente compiendo, così che rimane fis- sata, come condizione di massima nell’ assetto manicomiale, una conveniente e razionale suddivisione dei malati in varie catego- rie, raccolte in padiglioni separati, ricchi d’aria, di luce, collo- cati in aperta campagna, uno sviluppo razionale del lavoro ma- nuale ed agricolo, una solerte assistenza medica, un appropriato trattamento medico-igienico.

Ma è su questa base che presentemente si svolgono alcune importanti questioni di tecnica, le quali riguardano la preferenza da darsi al tipo di manicomio a padiglioni indipendenti, ma fra

1) Sulla costruzione, sull’organizzazione e sul funzionamento del Manicomio Provinciale di Brescia. Note del Dott. G. Seppilli Direttore. Unione tipo-litografica. Brescia 1901.

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loro riavviciuati o collegati, armonicamente disposti per i due sessi, con annessa colonia agricola, o al tipo villaggio, vale a dire a padiglioni disseminati su una vasta superficie di terreno, senza muri esterni ed interni, colla maggior possibile applicazione dell’open-door; l’ abolizione di qualunque mezzo coercitivo e del sistema cellulare colla conseguente creazione a sistema del trat- tamento clinoterapico, o la sua razionale limitazione in rapporto al suggerimenti della pratica; la istituzione di veri manicomi di cura per i casi acuti, rispondenti come tali alle più svariate esi- genze, e di asili-colonia per cronici, o la convenienza sotto de- terminate condizioni di raccogliere i folli in un unico asilo.

La scienza psichiatrica esige che il malato conservi il più che sia possibile il concetto della sua personalità, che meno che si può apparisca o di fatto esista la limitazione della sua libertà, che a lui venga il maggior beneficio dalle più gradevoli impres- sioni dell’ambiente, avvicinandosi alle condizioni della vita fami- gliare e sociale, e nello stesso tempo che nella fase acuta venga trattato come un malato comune così da averne un vantaggio fisico e psichico reale: epperò propugna l’idea del manicomio- villaggio, dell’open-door, del no-restraint assoluto, dell’ abolizione delle camere d’ isolamento, del trattamento sistematico a letto, della separazione netta degli acuti dai cronici: essa vuole sinte- tizzare, fondere in un tutto armonico queste varie esigenze, perchè ne risulti il maggior utile per il malato. La pratica a sua volta studia di valutare alla stregua dei fatti tutto il valore e Pef- fetto reale delle vedute teoriche, di stabilire fino a qual punto Sia possibile l’attuazione di tali sistemi, e di analizzarne i risul- tati terapeutici per sè, e in quanto si conciliano col problema economico e con quello della difesa sociale, pur considerando co- me legge suprema quella del benessere dell’individuo.

Le opinioni sulla preferenza da darsi al manicomio a padi- glioni indipendenti ma riavvicinati o fra loro collegati, o a quel- lo a padiglioni largamente e irregolarmente disseminati, a tipo villaggio, sono molto suddivise : vediamo però almeno da noi co- me sia quasi esclusivamente adottato il primo tipo. Al 10° Con- gresso della Società freniatrica, in occasione di un progetto d’a- silo-villaggio presentato dall’Ing. Azzurri, che tanta parte della

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sua attività ha dedicato alle questioni di edilizia manicomiale e di cui dobbiamo lamentare la recente perdita, il prof. Virgilio faceva osservare le maggiori spese di costruzione, d’ esercizio e di personale che derivano dall’ eccessivo frazionamento edilizio del manicomio villaggio disteso sopra una grande area di terreno e la maggiore difficoltà nella vigilanza, di fronte alla quale stan- no sempre immanenti le responsabilità di chi dirige l’istituzione. E le considerazioni a noi sembrano eccellenti, per quanto ci sor- rida il geniale concepimento di un asilo-villaggio, anche se que- sto non rappresenti l’ultima tappa dell’open-door, ma sia circon- dato da certe nornie di sicurezza indispensabili.

Ma consideriamo un po’ dettagliatamente l argomento, pur omettendo le considerazioni sulle spese d’impianto, che di fronte alle altre hanno la minore importanza.

Condizione indispensabile, precipua per il buon funzionamen- to medico ed economico di un manicomio è anzitutto l’accentra- inento delle funzioni nel medico direttore : ciò che venne larga- mente sancito nei nostri Congressi, discusso, ma accolto dai più, nei congressi esteri, stabilito come norma essenziale da tutti i migliori conoscitori di tecnica. Il Manicomio è un organismo com- plesso, un ospedale sui generis, dove tutti i bisogui devono es- sere sentiti da chi ne è a capo e distribuiti a seconda delle esi- genze, adattati alle varie specie di malati, dove dalla dietetica alla potenzialità produttiva, alle condizioni materiali dello stabi- limento, tutto deve essere regolato con un solo criterio direttivo, perchè ne risulti quel carattere di armoniosa unità che nell’inte- resse di tutti i servizi è indispensabile non venga mai a mancare,

Donde la necessità di una continua sorveglianza del Direttore, della facilità con cui la medesima si possa compiere. Occorre che il Direttore e del pari tutto il personale medico possano ra- pidamente, frequentemente recarsi da un padiglione all? altro, invigilare tutti i servizi, visitare facilmente e spesso i malati, onde curarne assiduamente il contegno, sorprenderne i muta- menti, le tendenze, i bisogni, colla dovuta larghezza e sicurezza procedere alle dimissioni definitive ed in via d’ esperimento, mantenere la disciplina ed educare convenientemente il persona- le, sorvegliare con estrema facilità l'andamento economico e via

dicendo: ragione per cui un manicomio non dovrebbe contenere più di 500 malati,

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Tutto ciò è reso difficile in un Istituto largamente disse- minato, e costringe ad un lavoro esagerato, soverchio, perchè la vigilanza, l’assistenza sieno costanti, immanenti; senza contare la difficoltà ed i disagi che preparano le inclemevze delle stagioni e del tempo, quando debbansi percorrere e ripetutamente notevoli distanze allo scoperto.

Torna utile poi ricordare, come osservava il Virgilio, il maggior numero di personale d’ assistenza che necessariamente richiede il tipo a villaggio, vuoi per la disseminazione che rende più complesso il servizio, vuoi perchè con esso devonsi sostitui- re quelle garanzie di sicurezza indispensabili in un manicomio e che vengono ad essere materialmente di molto ridotte, vuoi perchè è nello spirito del sistema il no-restraint diremmo asso- luto o quasi.

Si dice: le impressioni liete dell’ambiente, il felice tentativo d’ avvicinarsi il più possibile alle condizioni della vita sociale, di togliere le asprezze della limitazione della libertà, di spogliare il manicomio per quanto sia possibile del suo carattere di reclu- sione, sono coefficienti di benessere e di cura morale rilevanti. A ciò appunto provvede il manicomio villaggio con maggiore effica- cia. Ma noi ci domandiamo : Forse che la possibile influenza della limitazione della libertà non esiste ugualmente, sia per il prov- vedimento dell’internamento nell’asilo, che per la sorveglianza con- tinua e la disciplina alle quali l’ alienato deve essere sottoposto ? Forse che pei malati recenti, che hanno bisogno di cura e sor- veglianza speciali, per gli agitati e pericolosi non si hanno anche nei manicomi villaggio più recenti dei comparti chiusi, sia la chiusura rappresentata da una semplice palizzata, da una rete metallica, o da un recinto in muratura? Forse che i tranquilli cronici o convalescenti non usufruiscono indipendentemente dal tipo edilizio dei benefici del lavoro sia nelle officine che nella colonia agricola, nella quale possono godere di quella apparente libertà che, a seconda delle individuali tendenze, può loro essere concessa ? Forse che il sistema dell’ open-door, di cuì il manico- mio villaggio è la base edilizia, non può essere da noi applicato che in modo relativo, e che ciò che realmente e praticamente del medesimo può attuarsi non si realizza anche nel primo tipo, per- chè corrisponde ad un precetto di una buona tecnica manicomia-

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le? Se il sistema dell’open door può essere applicato ad una colo- nia di cronici tranquilli, subisce delle grandissime restrizioni per un asilo destinato a ricevere tutti i malati di una data provincia. Per quanto il manicomio debba essere essenzialmente un luogo di cura, non cessa per questo d’essere nello stesso tempo un pre- sidio per la sicurezza sociale: e il numero dei malati agitati, di- sordinati, pericolosi nell’ambiente sociale, quantunque anche re- lativamente innocui nello stabiluuento, per quanto almeno ci sug- gerisce la nostra esperienza, è cosi notevole da far salire la pro- porzione loro ad una cifra ben più elevata di quel terzo che an- che il Marandon assegna ai comparti chiusi: nello stesso mentre che molti elementi lavoratori hanno bisogno di una sorveglianza speciale, tanto che si può dire che il lavoro in un asilo d’alie- nati è ben diverso da quello che si può cora peng in una colonia agricola propriamente detta.

E in base a tali considerazioni, che al Cono di Toulouse e poscia a quello d’Angers, Cristian, Febvrè, Sollier, Dou- trebente facevano contro le opinioni di Toulouse, Collin, Marandon e altri, il Doutrebente appunto esponeva il con- cetto che al manicomio ad editici disseminati dovesse preferirsi quello a padiglioni riavvicinati con annessa colonia agricola.

Eppure la difficoltà del servizio, di un’azione costante, ef- ficace del Direttore e del personale medico, -nè le maggiori spese d’esercizio, le maggiori responsabilità, l’equipollenza che sembra derivarne all’atto pratico fra i due sistemi potrebbero trat- tenerci dal preferire quello a villaggio, quando dal medesimo re- almente seguissero maggiori effetti terapeutici; effetti che si de- vono intendere nel maggior numero di dimissioni di individui guariti 0 migliorati, e quiudi nel minor vumero di cronici, nella diminuzione notevole delle forme agitate, e nel conseguente au- mento dei cronici tranquilli atti ai lavori, che si convertirebbe in un utile economico per le amministrazioni.

Se noi diffalchiamo dal numero totale degli ammessi in un anno nei nostri moderni istituti, benche uon costruiti a tipo dis- seminato, quelli di già incurabili all’atto del loro ingresso e di cui una buona parte non è più dimissibile, paralitici generali, epilettici, frenastenici a tendenze pericolose, deliranti cronici; de- menti, le cifre dei dimessi vi ponno essere così rilevanti, da non

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essere certamente superate da quelle dei migliori manicomi-vil- laggio nostri e degli altri paesi. Non vegliamo certo istituire dei confronti speciali, tanto più che il genere dei malati influisce al di fuori di qualunque altro fattore sul numero delle dimissioni. Citiamo soltanto le cifre del nostro manicomio e di quello di Bergamo, perchè furono già dallo Stefani prese a termine di paragone in una sua pregevole memoria sull’affollamento dei ma- nicomi, onde dimostrare l’efficacia terapeutica di un servizio bene organizzato dal lato igienico-sanitario: le dimissioni oscillarono in un quinquennio in media dal 75 all’80 0jo: noi giungemmo anche all’ 84. È vero che vi sono compresi migliorati e non migliorati: ma sta il fatto, per quanto riguarda l’esperienza nostra, che nol- ti dei migliorati poterono rimanere alle loro case, o vi guarirono; e dei secondi, che furono sempre molto pochi, lo studio aveva dimostrato la possibilità del loro sociale adattamento, o loppor- tunità di un differente ricovero. Ma vi ha di più. Il soggiorno dei nostri malati dimissibili fu per la massima parte inferiore a un semestre, e se sulla durata del medesimo influisce la natura pre- dominante della malattia mentale, non è men vero che nelle cli- niche tedesche ad es. ed in asili dov’ è adottato il tipo dissemi- nato e il sistema dell’open-door è sviluppato nei limitì del pos- sibile, la durata della degenza si osserva spesso di molto supe- riore a un tal limite. Egli è a parer nostro che, quando il mani- comio offra il mezzo di una razionale divisione dei ricoverati, e sieno soddisfatte le essenziali esigenze di un’ appropriata cura fisica e morale, una delle condizioni più favorevoli di cura è la facilità dell’ osservazione dei malati, onde non mai abbandonarli a stessi, sorprenderne i mutamenti, cerziorarsi delle loro ten» denze e anzi tutto la metodica osservazione dei medesimi durante il primo periodo di degenza. La pratica quotidiana insegna esse- re così possibile attuare una vera cura individuale, sorprende- re i primi segni del riordinamento mentale e più sollecitamente e sicuramente indirizzare al lavoro benefico, accertare con mag- giore severità i segni dell’alienazione mentale per cui si richieg- ga il ricovero nel manicomio, rendere più facili e numerose le dimissioni precoci o in via d’esperimento.

Lo stesso Toulouse, che certo non si può sospettare di pre- diligere i manicomi a padiglioni riavvicinati, dichiara che i ser-

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vizi devono essere organizzati in modo che i medici possano co- noscere completamente i loro malati, e il Marandon neon trova altra soluzione a tale proposito che quella di separare le funzioni del medico direttore da quelle del direttore amministrativo. Ora, nel mentre è innegabile che quest’ultima proposizione del Ma- randon è contraria ai principi di una buona tecnica manico- miale, una tale conoscenza completa dei malati non è resa più facile, più efficace, più perfetta quando essi siano relativamente raggruppati, quando senza disagio possiamo recarci frequente- mente presso di loro?

Ma allo scopo d’esaurire il quesito relativo alle dimissioni, abbiamo voluto, alla stregua dell’esperienza del nostro manicomio, ricercare quali fossero le condizioni speciali degli individui che, presunti guaribili, divennero invece dei cronici, o in cuì la gua- rigione sopravvenne così tardivamente da averne quasi già per- duta la speranza; non abtiamo mai potuto persuaderci che le condizioni speciali dell’ ambiente nostro avessero potuto favorire un simile fatto. O si trattava infatti di persone con ereditarietà morbosa gravissima, in cui perciò l’ elemento degenerativo tosti- tuzionale era il vero fattore incriminabile, o di alcoolisti invete- rati, in cui era da ritenersi in atto un lavorio di organica alte- razione, o di pellagrosi colpiti da ripetute intossicazioni, o di pe- riodicì in cui fatalmente gli accessi erano divenuti così frequenti da non renderne più prudente la dimissione nel periodo interval- lare, o di stati amenziali che per la loro fenomenologia non a- vrebbero mai potuto usufruire di un trattamento in relativa li- berià. Invero se noi osserviamo le statistiche di molti asili a sì- stema disseminato, colla maggior. possibile applicazione dell’open- door, vediamo un numero rilevante di dimissioni tardive rispettò alle nostre; ma ciò che a tutta prima sembrerebbe un eccellente risultato, in quanto potrebbe significare una minore tendenza al- l’inguaribilità, potrebbe anche apparire il contrario, quando la percentuale annua totale risultasse inferiore alla nostra! F ciò non è infrequente riscontrare.

L’ accusa adunque che Marandon rivolge al sistema dei manicomi chiusi, che cioè essi sieno delle fabbriche d’ incurabi- li, noi non la potremmo ritenere giustificata che per quegli asili- caserme, di cui pur troppo anche oggidì molti sono gli esempi,

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e in cui realmente per i dannosi effetti dell’ insufficienza del- l’ igiene, di un inevitabile affollamento, e della deficienza di per- sonale medico, le dimissioni si avverano in proporzioni molto mi- nori che nei nostri moderni istituti. Il citato lavoro dello Stefa- ni lo dimostra con delle cifre.

Si modifica forse realmente il numero delle forme agitate?

Se da una parte riconosciamo come triste retaggio dei vec- chi asili, di un affollamento necessario e fatale 1’ esacerbarsi del- le tendenze degenerative costituzionali, il mantenersi e il diffon- dersi di violenti stati d’ agitazione, non è questo un appunto che far si possa ai moderni manicomi, dove si provvede ad una con- veniente separazione dei malati. Ma al di fuori dell’ organizzazio- ne dell’ asilo, vi sono malati permanentemente scomposti, agitati, impulsivi, per la natura stessa della loro costituzione psichica, numero variabile da regione a regione. Da noi ad esempio per la prevalenza delle forme degenerative della pazzia, per la costitu- zione frenastenoide prevalente negli ammessi, le tendenze impul- sive, laceratrici, disorganizzatrici sono notevolmente frequenti, e ciò specialmente nel sesso femminile.

Quando poi pensiamo quanta parte abbiano nella cura mora- le dell’ alienato la disciplina, la compostezza del contegno, come da esse spiri un sentimento d’ ordine, una continua forza benefi- ca che inibisce o raffrena il manifestarsi di abitudini o di ten- denze deplorabili, e che il compito di curarle e mantenerle è af- fidato alla diligenza del personale di servizio , si comprende di leggeri come esso verrà tanto più facilmente raggiunto quanto più il personale medico potrà direttamente invigilarvi, e l'infer- miere avrà la coscienza di questa vigilanza immanente: via, per quanto siamo ottimisti, non possiamo oggidi pretendere almeno da noi di avere un personale che sia profondamente compreso della delicata missione che gli viene affidata !

Riassumendo perciò sembra che il manicomio a padiglioni riavvicinati con annessa colonia agricola per lavoratori tranquilli non riesca nei risultati reali terapeutici inferiore a quello a pa- diglioni disseminati, nel mentre concilia l’ interesse dei malati all’ utile economico, alle esigenze della sorveglianza e della sicu- rezza indispensabili in tali istituti e rende più facili e spedite le funzioni complesse del medico-Direttore, più attiva la osserva-

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zione da parte del personale medico, ciò che è importantissimo per il retto e vantaggioso funzionamento dell’ asilo.

Si lamenta che il muro di cinta, i muri divisori interni, la disposizione armonica dei fabbricati, le gallerie coperte influen- zano tristamente il malato (se pure non è da domandarsi col Christian se ciò non riesca più penoso a noi che all’alienato), e non permettono quella abbondanza d’aria e di luce di cui Pi- giene dello stabilimento indubbiamente s’ avvantaggia: ma se una tale disposizione si osserva nella maggior parte dei manico- mi a padiglioni avvicinati, non è detto che ciò costituisca una parte integrante dell’ edilizia. Senza ricorrere alla disseminazione dei fabbricati, che offre molti inconvenienti senza compenso di reali vantaggi, mantenendo invece un armonico riavvicinamento dei medesimi, ci sembra che egualmente si possa dare allo sta- bilimento aspetto più lieto e la disposizione più igienica, modi- ficando l'edilizia in modo da sostituire ai muri, alle gallerie co- perte, siepi, graticciati, viali scoperti, e circondando i fabbrica- ti di ampi cortili o giardini; e il muro di cinta potrà pure abo- lirsi, qnardo non manchi la dovuta sorveglianza.

Noi siamo giunti nel problema edilizio dell’ ospitalizzazione dei pazzi al concetto dell’ opportunità del relativo accentramento piuttosto che della disseminazione dei medesimi, e cosi per som- mi capi abbiamo vagliate le ragioni per cui non siamo favorevo- li nella pratica a questo secor do sistema. |

Ma una questione @ oggidi all’ordine del giorno nella rifor- ma dei manicomi che merita d’ essere esaminata per e in quanto ha la sua importanza nei disegni edilizi: essa è mossa giustamente dal doppio intendimento che occorre raccogliere le nostre risorse sul malato curabile, c provvedere agli incurabili con mezzi meno dispendiosi, cercando per quanto è possibile di trarre dai medesimi i migliori vantaggi. In base a ciò, in luogo di costruire dei grandi inanicomi, dovrebbe, come già da tempo sostiene il Prof. Tamburini, che con tanta competenza di si- mili riforme tecniche si occupa, pensare ad istituire dei mani- comi di cura relativamente piccoli pei casi acuti e dei grandi asili-colonia per tutti gli altri casi, rimanendo come ideale la creazione di speciali asili per idioti, epilettici, alcoolisti, pella- grosi.

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Se non che il Manicomio di cura difficilmente può essere inteso nel significato più stretto della parola, come destinato cioè solamente ad ospitare i malati affetti da malattie mentali acute, guaribili: imperocchè questi formano un’ esigua parte della po- polazione manicomiale, per la quale occorrerebbe l’istituzione di un vero manicomio a padiglioni separati secondo i criteri mo- derni; mentre pol per le forme inguaribili, che rappresentano cir- ca 1 3[4 della popolazione (Griesinger, Virgilio), occorrerebbe provvedere adeguatamente, onde ospitare quell’ ampia categoria di malati che al pari degli acuti hanno bisogno d’ assistenza e di sorveglianza continua per le loro tendenze e per il loro stato d’ agitazione permanente o transitorio, che non permette il loro trattamento in relativa libertà, ma esige speciali garanzie di sicurezza. D'altra parte una netta distinzione fra acuti e cronici è difficile per non dire impossibile, in quanto che il criterio della curabilità e dell’ incurabilità è spesso arduo a determinarsi (Parchappe), e questa considerazione ha creato sempre la mag- gior opposizione all’idea di Griesinger, per tacere d’alri, che sosteneva l'istituzione di asili distinti per acuti e per cronici (Heil und Pflegeanstalten).

Cosi il concetto del Manicomio di cura va praticamente in- teso nel senso di un ospizio attivo che serva sia pei malati acuti propriamente detti, come per quelli in genere che hanno bisogno d’ assistenza, di sorveglianza, di custodia speciali: al quale va annesso l’asilo-colonia per i tranquilli che possono godere di un trattamento più libero.

Questo concetto lo troviamo attuato nel Manicomio di Alt- scherbitz, di Untergoltzsch, Nietleben, Wolgarten, indirizza la co- struzione di altri in Norvegia, Scozia, Russia, Olanda ed America, ed è sostenuto in Francia dal Marandon, Magnan, Colin ed altri.

Padiglioni d’ osservazione per quelli che non presentano an- cora tutte le garanzie per essere inviati alla colonia, d’ accetta- zione e sorveglianza per malati recenti e in genere per quelli bisognevoli d’ attenta sorveglianza, 2 comparti di agitati, uno d’ infermeria, una sala da lavoro formano il manicomio propria- mente detto in Altscherbitz, senza muri di cinta o interni e gal- lerie coperte, ma disposto nei suoi edifici non in modo dissemi- nato, ma con una certa regolarità e simmetria appunto per ren-

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dere più facile la sorveglianza; ad esso in ordine sparso s’aggiun- gono numerosi edifici nella colonia per la maggior parte degli alienati, per l’applicazione la più semplice dell’ open-door, del lavoro agricolo e delle altre occupazioni che permettono d’ uti- lizzare le diverse attitudini dei malati. Una tale sistemazione, scrive il Serieux, rappresenta oggi la formola definitiva nel- l’ospitalizzazione dei pazzi; prima d’ora, soggiunge, si sono visti dei grandi asili annettersi una piccola colonia; quivi i termini della proporzione furono per così dire invertiti: è una vasta co- lonia d’ alienati corrispondente a circa i 23 dell’ intera popola- zione che si aggiunge un ospitale per il trattamento dei malati colpiti da psicosi acute e per l'isolamento e la sorveglianza di quelli ai quali lo stato mentale non permette d’ approfittare del- la vita in libertà. |

Tale sistemazione è in vero eccellente e rispondente ai mi- gliori dettami della psichiatria pratica: ma l importante è, se- condo noi, di designare se le proporzioni in cui dovrebbe essere suddivisa la popolazione manicomiale possano permettere sem- pre dovunque un sopravvento così notevole dell’ asilo colonia sul manicomio propriamente detto, un’ applicazione così ampia del sistema della colonizzazione, tanto da arrivare ad estenderlo sino ai 2[3 dei malati.

Dubitiamo che il calcolo, che può riescire eccellente per manicomi di altri paesi, possa senz’altro essere applicato a tutti e specie ai nostri; anzi ci siamo convinti colla pratica gior- naliera fatta in questo manicomio che una delle condizioni principali nell’ erezione di tali istituti sia quello di studiare accuratamente le forme della pazzia prevalenti, quale sia il nu- mero delle forme agitate, degenerative, e via dicendo, affinchè l asilo risponda praticamente al molteplice suo scopo di luogo di cura, di custodia e di riposo. Lo stesso Marandon diceva a tale proposito che il modo con cui ripartisce un dato numero d’ alienati varia a seconda dell’ambiente che li fornisce, del sesso al quale appartengono; e il Finzi giustamente osservava che le questioni pratiche assumono da paese a paese aspetti e trovano applicazioni molto più differenti di quello che non facciano le vedute teoriche. (Quanto poi le ragioni etniche abbiano forza nel determinare il numero dei malati per cui non riesce possibile il

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trattamento in libertà lo dimostrava anche recentemente l An- giolella in ragione del temperamento e del carattere delle no- stre popolazioni.

Ed infatti, studiando i nostri malati, ci persuadiamo che una cifra di gran lunga superiore ad 1/3 è quella che ha bisogno oltre che di cura, di custodia e sorveglianza speciali, e questa classe non è reclutata solamente fra gli agitati, i clamorosi, gl’ impulsivi, ma fra cronici, apparentemente tranquilli, allu- cinati, deliranti, dementi precoci ecc., e varia notevolmente an- che a seconda del sesso.

D’ altra parte nell’elemento che può vivere all’ asilo colonia occorre distinguere i dementi innocui, tranquilli, incapaci di un lavoro utile, da quelli sia acuti che cronici, che sono tranquilli, atti a lavorare utilmente e a godere di una relativa libertà. Tra- scurando per un momento ì primi, di cui diremo più innanzi, a proposito dei secondi possiamo dire che il loro numero è sempre alquanto limitato, quantunque il numero complessivo dei lavora- tori sia sempre notevole e tanto più quanto maggiormente è vigile l’ osservazione e ben organizzato il servizio. Infatti, perchè il la- voro debba essere sviluppato nella maggiore misura come mezzo di cura, ad esso si applicano molti malati che hanno bisogno ‘però di una sorveglianza attiva, che lavorano ad intervalli e che devono facilmente essere invigilati dal personale medico. Cer- tamente le cose debbono essere alquanto diverse per un manico- mio molto popoloso di circa 1000 e più malati, poichè il mag- gior numero essendo precipuamente a carico dell’ elemento cro- nico inguaribile, riuscirà in proporzione sempre maggiore la quan- tità di quelli che potranno godere della vita colonica, e pro- durvi un lavoro utile, usufruendo dei maggiori vantaggi del- l’ open-door.

Ma un punto importantissimo è il trattamento degli alienati affetti da malattie mentali acute, onde soddisfare alle esigenze della terapeutica individuale e mettere a loro profitto quelle ri- sorse che la psichiatria suggerisce come più vantaggiose e con- venienti. Abbiamo già detto che, riservando il manicomio di cura per gli acuti guaribili, si giungerebbe a un tale frazionamento degli edifizi manicomiali che risulterebbe di notevole pregiudizio economico. A noi sembra da un punto di vista pratico che

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quando si consideri che 1j3 almeno degli alienati ammessi sono già degli incurabili al momento dell’ entrata, secondo le cifre di Parchappe, per i quali poco dura per lo più il perio- do d’osservazione, che il numero dei malati curabili esistenti si- multaneamente non rappresenta che una modesta frazione, il 10° o al massimo |’ degli esistenti, un unico comparto serva egre- giamente allo scopo del trattamento degli acuti, quand’ esso con- tenga una razionale divisione per tranquilli ed agitati, a meno che per questi ultimi e forse più convenientemente non voglia determinare una speciale sezione nel padiglione degli agitati me- desimi. E poichè funzioni di trattamento e di sorveglianza devo- no essere immanenti e indivisibili, così in tale comparto di cura dovranno trovar posto tutti quelli che per le loro speciali ten- denze hanno bisogno di una continua vigilanza: sitofobi, tenden- ti al suicidio o altri, che in ultima analisi poi si trovano nella mas- sima parte fra i malati acuti.

Riputiamo di non andare errati nel ritenere, per quanto l’ e- sperienza ci insegna, la sufficienza di questa sistemazione, e ciò quando si rifletta al numero dei malati guaribili simultaneamen- te presenti, alla media della degenza dei medesimi, che varia da 3 a 6 mesi, e al fatto che nel periodo della convalescenza cessa- no di rimanere in detto luogo per godere di un trattamento di maggior libertà.

Quello stesso provvedimento che il Prof. Tamburini sug- geriva nella riforma dei manicomi, che cioè venissero destinati, nei manicomi già esistenti, dei grandi comparti affatto separati unicamente alla cura dei casi acuti e curabili con servizio tutto speciale, ci sembra quello che meglio concilia l’ utile economico allo scopo terapeutico che si pretigge e che possa essere il pre- feribile anche nell’ istituzione dei nuovi manicomi.

Se perciò consideriamo in primo luogo che l'istituzione di un vero manicomio di cura, nello stretto senso della parola, porta un eccessivo dispendio, e che stante il numero limitato dei ma- lati acuti le funzioni del medesimo ponno essere soddisfatte da uno speciale comparto di trattamento, che se per manicomio di cura dobbiamo intendere l'asilo che accoglie oltre i malati acuti tutti quelli che abbisognano di sorveglianza, di assistenza e di custodia speciali, ben difficilmente potrà il loro numero limitarsi,

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almeno da noi, ad 1{3 della popolazione, ma ne dovrà accogliere un numero ben superiore e diverso anche secondo i sessi, mentre d’ altra parte limitato è sempre il numero di quelli che possono dare un lavoro attivo al di fuori di um attenta sorveglianza, a meno che il manicomio non ospiti una categoria di malati che realmente non presenterebbero i veri requisiti per rimanervi, e che in secondo luogo un’ eccessiva disseminazione dell’ elemento manicomiale rende difficile lo studio, l’ osservazione dei malati e più grave il problema economico, mentre nei pratici risultamenti non corrisponde meglio del sistema di un relativo accentramen- to, se consideriamo tutto questo, ci sembra in ultima analisi che, allo scopo di conciliare l’ utile economico alla speditezza, alla facilità del servizio e della vigilanza, si possa, anche in base a queste nuove vedute nell’ ospitalizzazione dei pazzi, pensare di preferenza ad un manicomio che in vari padiglioni fra loro rav- vicinati, e collegati o meno raccolga le diverse categorie di malati, quando come parte integrante del manicomio vi sia una vasta colo- nia per quella parte di acuti, convalescenti, cronici tranquilli che possono attendere ad un lavoro produttivo e relativamente libero.

In sostanza il concetto fondamentale resta sempre: manico- mio propriamente detto per gli acuti, degni di sorveglianza ed assistenza, colonia per i tranquilli lavoratori; e tale è appunto il concetto che espresse anche il Virgilio al Congresso di Napoli. Dopo aver discusso infatti sulla preferenza o meno da darsi al tipo villaggio, egli diceva che oggidi la scienza e la pratica sareb- bero soddisfatte se un manicomio per poveri avesse in un edificio centrale quanto occorre ad alienati degni di cura, di assistenza, e di sorveglianza, purchè si circondasse un vasto podere per raccogliere gli alienati tranquilli lavoratori, dalle cui braccia va- lide potesse prodursi tanto lavoro che bastasse a coprire una par- te delle spese che le amministrazioni pubbliche sostengono per essi.

Nel mentre fra i cronici tranquilli una parte può essere uti- lizzata nei lavori e può perciò costituire una parte integrante del manicomio, havvi una categoria di dementi inoperosi, mal- propri, relativamente innocui, per i quali le saggie idee riforma- trici di tecnica vorrebbero, sia per ovviare agli inconvenienti di un eccessivo affollamento, sia per ridurre al minimum le loro

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spese di mantenimento, istituiti speciali asili di semplice custo- dia. Tale classe di malati è reclutata fra le demenze terminali, precoci, tra i paralitici, epilettici , frenastenici, senili, marasma- tici, fra quelli insomma che per il loro stato di decadimento men- tale hanno più che altro bisogno d’ assistenza, e non possono trarre alcun giovamento per dall’ ambiente specialmente ordi- nato del manicomio, questo può da loro ricavare alcun utile reale.

Come realmente si potrà provvedere per essi, se riteniamo ancora come un pio desiderio e di difficilissima attuazione, poi- chè non potra essere realizzato se non quando si saranno radi- calmente modificate le condizioni della pubblica beneficenza e questa sarà meglio indirizzata, quello dell’ istituzione speciali ricoveri per talune specie di malati che appartengono a tale ca- tegoria? Qui i suggerimenti sono molteplici. Coll’ istituzione di asili interprovinciali o consorziali, come si augurava il Ventu- ri? Coll’ istituzione di speciali asili, aventi organizzazione propria, alle dipendenze di ogni singola provincia? Coll’ erigere speciali comparti nelle vicinanze del manicomio propriamente detto, come sarebbe nel concetto dell’ asilo-colonia, o annessi al medesimo, sotto la medesima amministrazione generale ?. Col distribuirli in ricoveri od ospizi di cronici esistenti, mediante convenzioni con opere pie od altro?

Nella soluzione del problema crediamo almeno per ora che si debba ritenere come una pura aspirazione l’ istituzione di que- gli asili interprovinciali o consorziali, cui accenno il Venturi, quantunque l’idea sia di per seducente; è qui il luogo di discutere la questione e le difficoltà amministrative, finanziarie alla soluzione della medesima collegate.

Quanto al resto ci sembra utile premettere queste conside- razioni. Innanzi tutto riteniamo che si debbano con un certo ri- gore distinguere quelli che realmente per le loro condizioni psi- chiche debbono essere a carico provinciale e che diremo relativa- mente innocui, da quelli il cui mantenimento secondo le funzioni specifiche del manicomio a tale ente non spetterebbe. Dalla sta- tistica ministeriale del 1898 risulta che su 4852 cronici insana- bili, tranquilli, innocui o che abbiamo ragione ritenere tali per la proporzione in cui sono rispetto al resto della popolazio-

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ne, 2398 potrebbero essere accolti in ospedali di cronici, presso ricoveri o famiglie: laonde anche volendo essere rigorosi nella selezione, troviamo giustificata la nostra considerazione che una buona parte per questa loro speciale destinazione dovrebbe sfug- gire al carico provinciale. In 2.° luogo è indubbio, che questi asili per dementi tranquilli e relativamente innocui, dovranno rispondere a speciali esigenze, appunto perchè il criterio della innocuita é difficile in essi a stabilirsi e perchè anche fra loro possono sorgere stati d’ impulsività, transitori stati d’ agitazione che richiedano l’opportunità di speciali cure e mezzi di vigilan- za (Angiolella).

Ora dato che si debbano osservare questi criteri, l’ istituzio- ne di un asilo speciale, dufonomo è resa necessaria quando la popolazione essendo soverchiamente numerosa, si debba provve- dere ad uno sfollamento, e non vi sia la possibilità di collocare P ospizio nei pressi o alle dipendenze del manicomio centrale: lo sdoppiamento del servizio verrà compensato dal rilevante numero dei ricoverati. Al di fuori di questa condizione ci pare consiglia- bile per ragioni tecniche ed economiche che l’ asilo, quando il numero dei dementi sia tale da richiederne l’ istituzione, sia an- nesso al manicomio, o che a tali dementi si debba provvedere con l erezione di speciali comparti annessi alla colonia o al mani- comio, quando la popolazione totale dei malati non sia molto ele- vata. Si ha così il vantaggio di realizzare l’ unificazione del ser- vizio, di rendere più facile una vera seiezione in mezzo a tali in- dividui, di provvedere adeguatamente ai possibili mutamenti che possano accadere nelle loro condizioni psichiche, nel mentre rie- sce sempre possibile un loro più modesto trattamento. Anche solo economicamente riguardando la cosa, per quanto modestamente si possa provvedere per questi cronici distaccati in uno speciale asilo, non si potranno mai dimenticare quei principî d’ umanità che devono informare qualunque benefica istituzione, che non permettendo un trattamento insufficiente dal lato igienico, diete- tico e dell’ assistenza, ben difficilmente tratterranno la diaria nel limite minimo di almeno una lira: non sarà perciò più facile che questa si mantenga in tali termini ove č’ è unificazione di ser- vizi amministrativo e medico? Osservava giustamente il D'A bun- do al Congresso di Napoli, che l’ esperienza dimostra che una

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: lira è poco per questi cronici, e si domandava appunto per ciò se non fosse più indicato che sorgessero adatte sezioni da annet- tersi ai manicomi ove la diaria potesse rendersi minore.

L’ affidare poi detti malati ad ospizi di cronici o a ricoveri di mendicità mediante speciali convenzioni con opere pie o altri enti morali non ci sembra conveniente, sia perchè questi ricoveri dovrebbero avere riparti adatti allo scopo, sia perchè ancora più difficile sarebbe ottenere una retta che risolvesse la questione economica, in quanto che tali asili sarebbero costretti ad un ser- vizio che ne modificherebbe la abituale fisionomia e le abituali esi- genze; senza contare che sottratti alla osservazione di chi ha un diretto interesse a curarla severamente ivi facilmente finirebbero a rimanere degli individui che per avventura potrebbero esserc venuti in condizioni d’ essere affidati alle cure dei propri comuni. In ogni caso un tale provvedimento implicherebbe sempre che detti malati permanessero per un certo tempo e non breve nel manicomio, onde assicurarsi delle ioro tendenze e se realmente abbiano i requisiti per rimanere a carico dell’ amministrazione provinciale.

Rispetto alla designazione dei comparti e alle categorie di- verse in cui soglionsi dividere i malati nel manicomio, osservia- mo come alcuni nuovi concetti tendono a modificare i criteri per così dire classici seguiti fino ad ora. Il Collin nel suo servizio non esita a mescolare insieme agitati e tranquilli, preferendo ri- unirli a seconda dei loro gusti, delle loro amicizie ecc.: è un’e- sagerazione questa della cura individuale che i fautori dell’open- door spingono fino all’ estremo. Il Paetz ritiene presentare pei malati degli svantaggi, nessuna utilità per l amministrazione le solite divisioni dei malati in agitati, semiagitati, trauquilli, su- cidi ecc.; e ciò giustamente, quando con tali distinzioni $’ in- tendesse che ogni malato dovesse senz’ altro passare nell’ una o nell’ altra di dette categorie senza riguardo alla sua curabilità, ‘alle sue particolari tendenze, con grave pericòlo di perderne di vista la cura individuale, e non si dovesse ritenere che uno spe- ciale comparto provvedesse ai malati acuti. Egli adotta la razio- nale divisione in malati da osservarsi, da tenersi riuchiusi ed atti alla vita della colonia; ma in fondo insieme al criterio della cu-

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rabilita sta, a base di divisione, anche per il Paetz quello della agitazione, della tranquillità relativa ed assoluta.

L’Angiolella in un suo recente lavoro ammette come più razionale e scientifica la separazione dei malati a seconda della natura fondamentale della psicopatia: cosicchè una prima catego- ria dovrebbe comprendere tutti quelli che permanentemente od episodicamente hanno bisogno di cura strettamente medica, una 2. epilettici, delinquenti, paranoici, le forme degenerative per eccellenza, ad eccezione degli idioti ed imbecilli che per le loro speciali tendenze, le loro suggestibilità, la possibile educabilità di almeno una parte dovrebbero riunirsi in una 3.* categoria, una 4.° dementi e marasmatici che hanno più che altro bisogno di ricovero ed assistenza. In tal guisa, secondo l’ A., in luogo di ricorrere alla creazione di speciali asili per delinquenti, frena- stenici ecc. si concilierebbe l’ utile economico alla sollecitudine del servizio, e si potrebbe così ottemperare alle più fondamentali esigenze del nuovo indirizzo in fatto di tecnica manicomiale.

Nel mentre siamo d’accordo col concetto dell’ A. perciò che riguarda il comparto di cura, quantunque dubitiamo che certi stati episodici di agitazione dei degenerati-epilettici, frenastenici, periodici per la violenza dell’ esplosione, per il pervertimento del carattere del senso morale e la pericolosità cui possono accom- pagnarsi trovino qui un luogo opportuno insieme ai malati di forme acute guaribili,e riteniamo in ogni caso indispensabile una divisione fra tranquilli ed inquieti, non dividiamo completamente la sua opinione nell’ aggruppamento delle altre categorie cui cor- risponderebbero altrettanti comparti. Riteniamo anzitutto che i delinquenti non debbano essere custoditi nel manicomio comune, come appunto da Esquirol ai giorni nostri si è sempre sostenu- to. Essi sono elementi di disordine, sono male tollerati dagli altri malati, che vedono in essi dei comuni malfattori, dànno al rico- vero manicomiale quel carattere punitivo che appunto inasprisce i malati che con loro convivono, tanto più che si lagnano spesso dell’ ingiustizia di tale provvedimento. Egli è vero che una cir- colare ministeriale del Luglio 98 ribadisce che sieno a carico delle Provincie i folli criminali prosciolti, ma è altrettanto vero che quelli in cui permangono le tendenze violente e criminose non possono essere trattenuti nei manicomi ordinari, ima devono

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essere ricoverati in quelli giudiziari, come provvedimento di si- curezza pubblica, non potendo il Direttore assumersi la respon- sabilità di possibili evasioni o di possibili danni nell’ interno, dati i speciali criteri che devono informare Il organizzazione ed il funzionamento di un comune manicomio. Perciò, per chiarir me- glio il nostro pensiero, tutti quelli in cui la delinquenza è stret- tamente legata ad una condizione degenerativa della organizzazio- ne mentale, epilettici, paranoici, frenastenici, pazzi morali, in cui è immanente la condizione mentale che può spingerli ancora alla delinquenza, che perciò può spiegarsi da un momento all’ altro dietro un imprevisto motivo, debbono essere affidati ai manicomi giudiziari. E noi facciamo voti che la riforma dei manicomi giu- diziari possa presto togliere questo grave inconveniente che si avvera nei nostri Istituti. Al di fuori di quei delinquenti che ven- gano inviati in esame dall’ autorità, solo quelli in cui il crimine fu il risultato d’ una condizione morbosa sovraggiunta, come in- dividui più che tutto degni di cura dovrebbero trovar posto nel manicomio, e nel comparto meglio destinato alla cura e alla vi- gilanza continua.

Per quanto però l’ epilettico, il paranoico attraverso l’ anello della delinquenza possano scientificamente avere fra loro dei co- muni rapporti, praticamente anche per questa ragione è dubbia la convenienza di riunirli a vita comune. D’ altra parte, almeno per quanto si osserva da noi, e certo dei caratteri regionali occorre tenere il debito conto, è opportuno qui fare delle distinzioni fra gli individui; il paranoico spesso è tranquillo, ordinato e dobbia- mo cercare di rendergli meno triste la relegazione al manicomio, nel mentre la percepisce più di qualunque altro come misura in- giusta, illegale; non solo, ma riesce non di rado un eccellente elemento di lavoro, e in ragione dell’ utile che possiamo ricavar- ne occorre procurargli il maggior beuessere possibile. L’epiletti- co del manicomio invece è spesso l'elemento più pericoloso, vio- lento, indisciplinato, spesso è un imbecille o un idiota.

Quanto poi agli idioti ed imbecilli ci pare già di per dif- ficile in pratica che possano nettamente differenziarsi in una se- zione a sè, perchè molti sono epilettici, molti sono pericolosi per le loro impulsività, e hanno tendenze criminali, per cui richiedo- no una sorveglianza speciale, mentre un tal comparto avrebbe più

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sia

che altro funzione d’ assistenza e ricovero. Secondo noì poi oc- corre fare una selezione rigorosa di quelli che realmente hanno bisogno d’ essere accolti e custoditi in manicomio. Dall’ esame di tali malati che ci vengono inviati con soverchia facilità vediamo che è fra di essi una buona parte cui converrebbe meglio un semplice ricovero, quali individui da considerarsi precipuamente come inabili al lavoro e perciò non di carico provinciale : ed è spesso per le tristi condizioni delle famiglie, che costrette a la- vorare debbono abbandonare a loro stessi tali individui, che que- sti vengono inviati al manicomio, affinchè in altra guisa non gra- vino sugli scarsi bilanci comunali.

Riteniamo poi giustissimo quanto osservava il Venturi al Congresso di Napoli, essere difficile determinare una linea netta di demarcazione tra frenastenici da manicomio e da asilo-scuola, e il prevedere, come asserisce l’Angiolella, fino a quale punto può spingersi il loro grado di educabilità; ma appunto anche perciò ci domandiamo se non sia da farsi una severa selezione di quelli che devono essere ricoverati in manicomio dal punto di vista es- senziale del pericolo che presentano, non concedendo al medesimo la funzione di asilo-scuola, che non farebbe che addensare una popolazione sempre assai dubbiosa sul suo portato sociale, ma quella soltanto di una umana, ben indirizzata e necessaria custodia.

alcuna essenziale controindicazione troviamo che essi deb- bano convivere coi cronici innocui, o diremo meglio relativamen- te tali, che costituiscono la triste zavorra manicomiale. Anzi il Parchappe scriveva giustamente a questo proposito essere ap- punto questo stato di degradazione intellettuale e morale quello che assimila quest’ ordine di malati fino ad identificarlo agli oc- chi della maggior parte degli osservatori, per cui non esservi alcun serio motivo di separarli tra loro.

In ultimo poi una divisione per quanto più possibile netta fra agitati e tranquilli ci sembra praticamente e scientificamente indispensabile. la possiamo ottenere creando in ogni riparto, come sarebbe necessario adottando la suddetta divisione dei ma- lati in base alla natura fondamentale della psicopatia, un numero sufficiente di camere separate per i clamorosi, pericolosi o altro, poichè questo segnerebbe un regresso nella tecnica manicomiale che tende ad abolire la segregazione cellulare, così dannosa dal

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lato terapeutico, morale ed igienico: d’altra parte non possia- mo pensare a non ricorrere a questa separazione, quando vedia- mo il perturbamento che arreca un clamoroso, un agitato, un violento in mezzo ai tranquilli; e malati di tal genere non sono sventuratamente pochi, solo acutamente o episodicamente tali, poichè numerosi sono gli siati di agitazione cronica, le esplosioni d’impulsività, le tendenze pericolose, il disordine negli atti specie negli stati demenziali.

Egli è certo, negli sforzi che fa J’alienista ogni giorno onde dare alle funzioni manicomiali quell’assetto che meglio risponda alle esigenze della pratica psichiatrica, ognuno porta il contri- buto della sua esperienza, la quale può dettare norme diverse da paese a paese, da regione e regione, ed è in ultima analisi dai molteplici contributi che possono derivare le idee eee pra- tiche, e più convenientemente attuabili.

Eseguire una divisione dei malati seguendo un unico punto di vista; scrive il Parchappe, è assolutamente impossibile: il criterio della curabilità, della forma, delle abitudini, delle ten- denze di per possono trovare una pratica realizzazione, e si comprende che quando lo si volesse fare, ciò esporrebbe neces- sariamente a sacrificare delle differeuze di prima importanza, egualmente come se si volesse tener conto di tutto, ciò esporreb- be a moltiplicare fuor di misura il numero delle sezioni.

Così si comprende come bisogna essere guidati da un certo spirito di eclettismo, e come, appoggiandosi alle considerazioni di tutte le differenze presentate dai malati dai vari punti di vi- sta, si debba specializzare la suddivisione in vista dello scopo essenziale da raggiungersi, vale a dire la realizzazione di tutti i vantaggi che nell’interesse della guarigione e del benessere dei malati possono risultare sia dalla loro riunione negli stessi quar- tieri, sia dalla loro separazione in comparti distinti. Così le con- cezioni teoriche devono essere sempre subordinate alla pratica utilità. E in base a ciò ritornano ancora, variamente modificate, e con concetti più o meno larghi, le divisioni di Esquirol, Pinel Parchappe e via dicendo.

Il criterio speciale della curabilità ci dimostra la necessità di un comparto di cura, come lo stato d’agitazione e di tranquil- lità ne obbliga a una suddivisione del medesimo in questo senso;

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del pari che quello dell’agitazione, della pericolosità e di conse- guenza della speciale custodia dimostra la necessità di speciali comparti per agitati cronici pericolosi, o per clamorosi, disordi- nati, necessità che è suggerita dalle differenze nel modo di trat- tamento, di sorveglianza, e nelle particolarità conseguenti della struttura edilizia. Lo stato di profondo decadimento dell’ intelli- genza, le abitudini malproprie, l’ innocuità relativa, l’inabilità al lavoro raggruppano insieme una grande categoria di dementi, frenastenici ed epilettici, la cuì sezione per struttura deve obbe- dire alle varie esigenze della pulizia, dell’igiene, dello stato fisico dei malati che ospita. La possibilità di creare per i tranquilli, per i convalescenti un ambiente che sia fonte di pace e di ri- storo, e che li tenga lontani dal triste spettacolo che gli altri elementi del manicomio possono offrire, rende indispensabile la loro separazione in appositi comparti: mentre quella parte che richie- de minori garanzie di custodia e di sorveglianza, e che è capace di un lavoro utile riteniamo debba essere esclusa dall’ambito ma- nicomiale per godere delle risorse di una maggiore libertà e di un conforto maggiore nell’ annessa colonia agricola. Così il ma- nicomio dovrà contenere vari comparti, di cura e di vigilanza continua, d’agitati, di tranquilli, di dementi bisognevoli più che altro d’assistenza, salvo che speciali asili non provvedano ad essi, e una sezione staccata nell’aperta campagna.

Lo studio dell’ alienazione mentale in una data provincia, della qualità dell’elemento da ricoverarsi, delle differenze che si ‘rinvengono nei due sessi, ci sembrano importanti nel decidere il numero e l’ampiezza dei comparti. Da una parte ne verrà così spes- so di scindere gli agitati pericolosi, dai clamorosi, disordinati ma relativamente innocui, onde impedire un nocivo addensamento, e perchè ne è diverso il modo di trattamento e di sorveglianza, e di concedere ai comparti loro destinati maggiore ampiezza nella sezione femminile; dall’altra di creare una speciale infermeria, 0 di raccogliere i malati in cui la malattia fisica rappresenta la preoccupazione più urgente nel padiglione di cura e curare gli altri nei relativi comparti (Parchappe). Anzi a quest'ultimo proposito crediamo che un’ infermeria possa esistere autonoma nei manicomi molto popolati, ma che negli altri, con una popola- zione media fino a 500 malati, possa riescire quasi superflua, nel

mentre poi la sua istituzione richiede un servizio speciale che si risolve in un aumento di spesa. La maggiore mortalità è sempre fra gli acuti, fra quelli perciò che debbono essere accolti nello speciale comparto ad essi destinato, e questi sono anche quelli che hanno maggior bisogno dell’ambiente ospitaliero, sia perchè le condizioni fisiche lo richieggono, sia perchè spesso può tornar opportuno il riposo a letto: dove poi la pellagra e l’alcoolismo portano un contingente notevole all’alienazione mentale una tale necessità presenta anche assai più facilmente. La mortalità fra i cronici è sempre lieve, e non ultima ragione è l’indirizzo igie- nico dei moderni istituti che fa diminuire le cause d’infermità, e d'altra parte, se non è stretto ìl bisogno di un’ attenta vigilanza medica, questi ponno essere curati nei rispettivi comparti. Noi manteniamo un tale sistema, e ne rileviamo la facilità e i van- taggi dal lato dell’assistenza, e l’economia derivante nel servizio.

La terapeutica psichiatrica reclama odiernamente l’abolizione di ogni mezzo di contenzione, la limitazione maggiore possibile o la abolizione dell’ isolamento cellulare, il trattamento a letto eretto a sistema. Ci sembra utile qualche pratica considerazione su questi argomenti.

Riassumere quanto si scrisse pro e contro il no restraint as- soluto é perfettamente superfluo: da una parte si dice essere questo metodo reclamato dai principi di umanità, rendere più numerose e stabili le guarigioni, condurre più facilmente la calma nel ma- jato,nel mentre i mezzi di coercizione non fanno che irritarlo e possibilmente determinare degli stati di cronica agitazione; e ri- teniamo infatti di non errare nell’ ascrivere almeno in parte il grande numero di forme agitate croniche che raccoglievano una volta nelle vecchie sezioni manicomiali alla ristrettezza dello spazio, all’insufficienza della sorveglianza che rendeva necessaria e quasi metodica l’applicazione dei mezzi coercitivi : dall’altra si obbietta essere un eccesso di filantropia che porta. con mag- giori esigenze di servizio e dispendio maggiore, considerare come un atto inumano l’applicazione di una camiciola, quando sia stret- tamente necessario premunirsi contro le reazioni violente di un malato, che altrimenti dovrebbe essere a forza trattenuto dagli infermieri, essere guardato a letto, o segregato in una stanza

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d'isolamento; ål che però già il Griesinger opponeva non trat- tarsi nell’abolizione completa di qualunque mezzo di contenzione di sostituire o la repressione manuale o la reclusione in una stan- za, ma di sostituire una cura individuale appropriata, un trat- tamento di dolcezza, che già spesso giunge a frenare le manife- stazioni violente, un isolamento temporaneo, un’ attiva sorveglian- za del medico e l’opera assidua di numerosi, intelligenti ed at- tivi infermieri.

Se però il no-restraint assoluto è possibile altrove, per l’ in- dole speciale dei malati e il carattere naturalmente rigido e riflessivo del personale di sorveglianza, crediamo non si possa assolutamente raggiungere da noi, anche non tenuto conto dello scarso personale d’ assistenza di cui in genere disponiamo. L’ An- giolella recentemente faceva notare la differenza ù’ indole e: di carattere nostro, che si riflette esagera nelle malattie, per ri- tenere un tale metodo, applicabile im modo non completo: e del resto lo stesso Conolly,che con Gardiner inaugurava tale metodo in Inghilterra, ammetteva che in certi casi, rari bensi, occorre ricorrere ai mezzi coercitivi, quantunque per il minor tempo possibile. Purtroppo da noi sono relativamente molto più frequenti questi stati di agitazione violenta, che esporrebbero ad un’ inutile lotta, non garantirebbero la sicurezza degli altri ma- lati e del personale d’ assistenza, e renderebbero necessari in omaggio al n. restraint assoluto una contenzione manuale o una prolungata costrizione più o meno violenta in un bagno, o spesso l’isolamento in una cella, spoglia di tutto, provvista d’un semplice pagliericcio, per ovviare alle tendenze distruttive, laceratrici, im- pulsive che a tali stati si accompagnano. Ora in questi casi quale differenza sostanziale che ricorrere ad un mezzo meccanico di contenzione? Forse che l’ isolamento cellulare nel modo anzi de- scritto, pur temporaneo, e anche la temporaneità è da intendersi in modo relativo alla indicazione individuale, ci sorride di più dal lato igienico, della proprietà e della tenuta del malato ? Noi abbiamo certi periodici, certe forme degenerative così gravi in cui un simile trattamento ripetutamente tentato, nel mentre non diede alcun risultato terapeutico, ci offerse degli spettacoli così poco seducenti, da ritenere più igienica e meno disgustosa la temporanea applicazione di una camiciola.

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Occorre inoltre distinguere i casi acuti dai cronici; e se per i primi è d’uopo porre in opera ogni mezzo per limitare i mezzi coercitivi allo strettissimo necessario, per i secondi che sono spesso fra i più gravi dal lato dell’ impulsività, delle tendenze laceratrici e distruggitrici, che minacciano la sicurezza dei mala- ti, l'economia dello stabilimento, occorrerà anche pensare se i problematici vantaggi del n. restraint possano nei casi singoli compensare la possibilità e la minaccia di pericoli e di danni. Epperò riteniamo che il n. restraint si debba intendere nel senso della maggior soppressione che sia possibile dei mezzi di conten- zione: questa deve avere un carattere di necessità e di tempo- raneità, e la sua applicazione non deve essere fatta che dietro ordine del medico: ciò che insegnava già l’ Esquirol.

In tale guisa il sistema oltre che obbedire alle esigenze te- rapeutiche ed umanitarie, riesce efficace scuola di moralizzazione e di educazione per gl’ infermieri; incontrastabili vantaggi che esso arreca, poichè li abitua all’ osservazione, alla vigilanza at- tenta dei malati, a considerarli coi principi di una ben intesa umanità, ciò che si rivolge poi a tutto profitto del sistema me- desimo.

La questione dell’ isolamento nelle camere separate è pure all’ordine del giorno nelle moderne vedute di terapeutica psichia- trica, in quanto si connette a quella generale del n. restraint, formando l’isolamento uno degli elementi di coercizione presa in senso generale, e a quella del trattamento a letto.

Oggi si tende a limitare il più possibile e ad abolire la cella sia per i malati acuti, come per gli agitati in genere, sostituen- dovi gli ampi dormitori, e riservando l’ isolamento ad un prov- vedimento transitorio. Ed invero la camera d’ isolamento oltre che sottrarre il malato alla vigilanza ed all’osservazione costitui- sce un mezzo di contenzione così poco simpatico, un’ impres- sione così poco gradevole di reclusione, che quand'è possibile non deve servire d’ abitazione diurna. Gli stessi fautori però del n. restraint assoluto non sanno rinunciare alla medesima, pur riser- bandole il carattere di un soggiorno temporaneo, e dal canto no- stro reputiamo che come da noi è necessario ricorrere a qual- che mezzo cdi coercizione, altrettanto per le stesse ragioni sia necessaria la camera d’ isolamento, quando le tendenze impulsive,

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i clamori riescano di pericolo o fonte d’agitazione e di tristi impressioni per gli altri: isolamento temporaneo sì, per quel trat» to che le manifestazioni psichiche lo richieggano, non elevato a sistema.

In un recente articolo lo Snell ammette l’ isolamento cellu- lare, purchè non debba durar troppo, e lo crede più conveniente per malati acuti che per cronici, e in una sua pianta di compar- ti d’accettazione, agli agitati assegna un certo numero di came- re isolate.

A dir vero però, prescindendo per ora dal concetto della cli- noterapia che per apporta una modificazione alla edilizia dei comparti, non ci sembra che il principio della restrizione dell’ 1- solamento debba da solo guidare nel determinare il numero del- le camere a un letto che debbono esservi in un comparto, e più specialmente in un comparto di agitati e pericolosi. Altro è la cella come abitazione diurna, altro come abitazione di notte: in questo caso secondo il Brunet, riesce assolutamente indispen- sabile. Il Marandon stesso che la condanna come luogo di sog- giorno anche temporaneo nel di, asserisce che presta dei servizi preziosi per la notte, cosi da volerne per la metà della popolazio- ne del quartiere. Ed è un concetto essenzialmente pratico: nel mentre è scevra così dal carattere di una detenzione, permette di separare malati che disturberebbero il sonno degli altri, malati che pericolosi per gli altri richiederebbero un’ attiva sorveglianza, e forzerebbero nella notte per non moltiplicare il servizio d’inservienti ad una prudente quanto dannosa applicazione di mezzi coercitivi.

Ma per ritornare alla stanza separata come abitazione diurna come mezzo vero d'isolamento, al contrario di quanto ritiene lo Snell, ci sembra più consigliabile per casi cronici ( agitati, pe- ricolosi, impulsivi ) che per acuti, verificandosi nei primi per la natura del disturbo mentale minori vantaggi da un trattamento diverso, che richiede maggior oculatezza, vigilanza, e impegni maggiori di qualsiasi natura, nel mentre in pari tempo le loro tendenze rendono più difficile , almeno a tratti, il loro convivere cogli altri.

Negli agitati acuti l’isolamento deve essere di parca e ben indirizzata applicazione: veramente non conosciamo fino a qual punto esso in questi stati possa di per nuocere, quale influ-

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enza possa esercitare su cervelli, in cui il perturbamento è pro- dotto da cause cosi forti ed attive contro le quali siamo così scar- di risorse terapeutiche, ma è certo che tende a sottrarre il malato alla sorveglianza ed all’ assistenza, nel mentre questi non deve essere abbandonato a se stesso ed ha bisogno di continua cura.

Il metodo del trattamento a letto è per gli agitati intimamente collegato a quello dell’ abolizione dell’ isolamento cellulare. Tenia- mo tutti gli agitati a letto, in dormitori comuni, scrive lo Scholz, e noi avremo soppresso facilmente la necessità delle celle: P influ- enza suggestiva dell ambiente che ricorda quello di un comune ospedale, la attenta vigilanza, il riposo fisico più facile ad otte- nersi influiscono beneficamente sullo stato d’ eccitamento, accele- rano la convalescenza, rendono una somma notevole di servizi, insieme a quello di facilitare l’ applicazione più assoluta del n. restraint (Scholz, Korsakoff, Marandon, Serieux, Bech- terew, Neisser ecc.). Il sistema praticato per lo più in cliniche o in piccoli manicomi può aver dimostrato tutta la possibilità della sua applicazione, ma tutt’ altro è a considerare la varietà della popolazione dei nostri manicomi e la natura degli stati d’a- gitazione che vi osserviamo. Realmente gli Autori parlano a pre- ferenza di stati acuti di eccitazione, e il riposo a letto è certo in tali forme una delle prime norme da seguirsi. Ma a seconda delle individuali esigenze, del modo con cui i malati percepiscono l’am- biente, del maggior o minor disturbo che arrecano agli altri e del pericolo che presentano e via dicendo potrà consigliarsi |’ isola- mento o il trattamento in comune; l’osservazione attenta del medico, le considerazioni dello stato fisico, l’aiuto di qualche sedativo potranno decidere del tempo dell’ isolamento. Se poi vo- gliamo riferirci a degli agitati cronici, fra cui reclutansi gli ec- cessivamente clamorosi, quelli che più ostilmente interpretano l’ambiente o ne traggono argomento per sovraeccitarsi, a mag- giori tendenze impulsive, egli è a maggior ragione a domandarsi se il trattamento a letto in comune riesca realmente di maggior vantaggio che un opportuno isolamento, o quando le condizioni Jo permettono, un soggiorno in piedi in ampi cortili. Realmente si afferma che il trattamento a letto dell’agitato fino dallo inizio della malattia, quand’anche non avesse azione sulla durata della medesima, e su questo punto i risultati dell’ esperienza sono in-

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certi, lo avrebbe però sull’ intensità dei sintomi, in guisa da rendere progressivamente minore il numero degli agitati cronici dell’ istituto: e ciò è giusto, in quanto la clinoterapia non può considerarsi indipendentemente da un’ applicazione accuratissima della cura individuale, da una vigilanza scrupolosa dei malati, dalla limitazione maggiore della contenzione, dell’ isolamento. Ma nello stesso tempo ci sembra opportuno riflettere che degli stati di cronica agitazione vanno perpetuandosi malgrado ciò: e il Tonoli, che nel nostro manicomio fece una larga esperienza sul valore della clinoterapia, e che fu uno dei primi in Italia a scri- verne, osservava come certe manifestazioni dell’ eccitamento cro- nico, certe abitudini che potevansi ritenere come artificiali, cioè conseguenti al prolungato isolamento o alla forzata coercizione, si ripetevano egualmente in quegli individui acuti che trattati col nuovo sistema erano passati a cronicità. Per cui egli si mostrava convinto che con un po’ di buona volontà e una vigile cura si può fare dell'isolamento un mezzo di guarigione pel malato, di difesa per gli altri e sempre di lieve o nessun danno per quei pochi che vi debbono sottostare.

Ma osserviamo il concetto della clinoterapia da un punto di vista più generale e completo. Essa non deve essere riguardata soltanto come il più valido ausiliario per P applicazione del n. restraint, nella sua etficacia morale, nell’ effetto suggestivo del- l’ambiente ospitaliero sui malati di mente, negli effetti vantag- giosi della vigilanza medica e del personale inferiore, ma deve rispondere a reali indicazioni terapeutiche, quelle del riposo fisico e sopratutto del riposo cerebrale. Scriveva appunto a questo pro- posito il Neisser, uno dei più convinti sostenitori deila medesima, essere una tale pratica uno dei mezzi più semplici, più naturali della terapeutica, che non ha nulla in di specifico, ma che si deve applicare alle malattie mentali nella stessa guisa che la ge- neralizziamo nelle malattie febbrili o in altre malattie fisiche, in quanto soddisfa all’ indicazione del riposo dell'organo o degli organi malati. Epperò dovrebbe elevarsi alla dignità di metodo nelle più svariate forme di alienazione mentale. Al pari degli stati d' eccitamento, gli stati depressivi, le forme melanconiche, nevrasteniche, ipocondriache , gli stati di torpore, di confusione, le psicosi tossiche, gli accessi intercorrenti di malattie croniche,

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le malattie organiche - demenza paralitica, malattie a focolaio - quando le condizioni fisiche lo richieggono, gli epilettici,i demen- ti, gli idioti, i pazzi morali i degenerati durante gli accessi tran- sitori d’ agitazione, dovrebbero, secondo i vari A. che si occupa- rono dell’ argomento, trovare giovamento nella cura del letto: tal- chè secondo Roerich più di 1{3 della popolazione del manico- mio dovrebbe essere così trattata, da 1[3 alla metà secondo Se- rieux e Farnarier, dai 213 ai 3/4 secondo Heilbrommer, cir- ca i 7110 secondo il Neisser.

Realmente la pratica del riposo a letto non è nuova speciale, poichè ogni medico la prescrive quando il caso lo ri- chiede, per obbedire ad un’indicazione suggerita sia dalle condi- zioni mentali che da quelle fisiche. Ma ciò che v’ ha di nuovo si è che il concetto della clinoterapia eretto a sistema, e perciò la tendenza alla sua generalizzazione, integra quello del n. restra- int, si collega a speciali modificazioni d) tecnica e di ambiente, che, proscrivendo l’ isolamento, dovrebbero rendere il maggior beneficio possibile al malato di mente.

Una soverchia generalizzazione del sistema, come vorrebbero il Neisser e il Morel e come risulta dalle conclusioni da loro presentate al Congresso di Parigi dello scorso anno, tenuto spe- cialmente conto dei nostri malati, non ci sembra che corrisponda ad una concezione pratica e a una reale indicazione terapeutica. Già Mairet e Ardin Dalteil osservavano a quel Congresso che se in certi casì acuti il trattamento a letto sembra diminuire la durata della malattia, specie nella mania intermittente e nelle psi- così post-infeitive, pur restando senza effetti sulla mortalità, nei malati cronici esso non avrebbe alcun effetto sul delirio sul- l’ agitazione o sulla depressione: così pure concludeva il Tonoli; se tali cronici poi sono impulsivi, laceratori, ne potrebbero de- rivare dei seri inconvenienti da parte della sicurezza e dell’ eco- nomia dell’ istituto, se sucidi, affetti da forme organiche, verrebbe favorito l’ accrescimento delle abitudini viziose, malproprie, dei decubiti, delle ipostasi c via dicendo, moltiplicando un consumo di biancheria, di suppellettili ecc. che si deve evitare.

A dir vero, la indicazione più valida la clinoterapia la trova per generale consenso nelle psicosi acute, e in generale in tutti ì nuovi ammessi: ed è a questi infatti che devonsi rivolgere tutte

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le nostre risorse terapeutiche. Korsakoff ritiene doversi tale re- gime applicare a quasi tutte le psicosi acute specie nel periodo iniziale, giovarsene specialmente gli stati di eccitamento, nel mentre la mortalità di qualche psicosi acuta riesce notevolmente diminuita: Morel, Magnan, Timoieff vengono alle stesse con- clusioni: da noi il Bernardini ne constato dei vantaggi, il To- noli del pari, escludendone però le forme a carattere degenera- tivo. Circa a certi stati di eccitazione grave valgano già le ec- cezioni da noi sollevate, per le quali il riposo a letto, nel senso in cui modernamente intendesi, dovrà almeno interpolatamente al- ternarsi coll’ isolamento, e le considerazioni circa la problematica influenza nociva di quest’ ultimo, quando serveglianza e cura non vengano a mancare.

Ma anche in altre forme acute depressive, torpide, d’arresto, di confusione è a domandarsi se è sempre opporiuna la sistema- tica applicazione di questo sistema. Il Doutrebente afferma che occorre fare una scielta nelle forme melanconiche, e noi ritenia- mo che certi stati d arresto o di intoppo psichico, di torpore, certi stati ossessivi possano meglio giovarsi di un soggiorno al- Paria libera, di distrazioni , di impressioni gradevoli del mondo esterno, di una cura che solleciti e stimoli il ricambio organico, piuttosto che di un prolungato soggiorno a letto. Ricordiamo a tale proposito qualche melanconica che ci pregava di lasciarla al- zare, poichè il riposo favoriva la sua concentrazione e il predo- minio dei tristi pensieri: senza contare come facilmente nel ri- poso a letto prolungato possono presentarsi anoressia, stipsi, tur- be generali della nutrizione che, dannose sempre, nelle forme a colorito depressivo o di rallentamento psichico potrebbero riesci- re assai svantaggiose. Ed infatti lo stesso Korsakoff strenuo sostenitore del metodo scriveva nelle sue conclusioni, che un tale regime prolungato è contro indicato nei malati ad intelligenza torpida, predisposti all’ apatia, all’ inerzia, all’ anemia.

Pur tuttavia le scarse ricerche scientifiche tenderebbero a di- mostrare l'efficacia terapeutica diretta del metodo clinoterapico. A noi pero sembra che le modificazioni del circolo, del respiro, della temperatura, del peso del corpo osservati da Guy, Lacom- be, Roerich, Veir-Mitchell ed altri negli stati più opposti di alienazione mentale siano criteri troppo insufficenti per stabilire

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una tale efficacia. Troppo facilmente si sono adattate le interpre- tazioni più diverse ad un medesimo effetto fisiologico, cosi che è a domandarsi se realmente possa considerarsi come norma ge- nerale che uno stato di torpore, d’arresto, di depressione possano egualmente avvantaggiarsi da un rallentamento del metabolismo organico al pari di una forma d’eccitamento, e non convenga in- vece nei singoli casi di questi criterì tener il debito conto, per- chè venga regolato il riposo a letto con giusta misura. Ciò che realmente merita di essere studiato per dare la sanzione scienti- fica a tale sistema, osservava giustamente il Korsakoff, è l’ef- fetto del riposo a letto e della mancanza dell’esercizio muscolare sulla composizione del sangue, sull’espulsione dall’organismo delle tossine, sulle funzioni psichiche e sopratutto sulla intensità del- l'appercezione attiva; studi che ancora sono da farsi.

Del resto gli stessi sostenitori accaniti vanno facendo molte restrizioni all’ applicazione del metodo, restrizioni fondate sulla necessità delle considerazioni individuali, sulla durata del trat- tamento, tanto che il Korsakoff stesso finiva la sua relazione al Congresso a Parigi citato concludendo dover essere il mede- simo applicato in guisa diversa, non a tutte, ma a quasi tutte le psicosi acute seguendo le indicazioni individuali e sopratutto al periodo iniziale della malattia.

Per cui concludendo, a noi pare di potere affermare da un punto di vista pratico che, nel mentre la clinoterapia ha sempre fatto parte della pratica psichiatrica, nel significato moderno del- l’espressione essa debba adottarsi di regola, date le condizioni peculiari dei nostri malati, oltre che nei casì ove è richiesto dalle esigenze somatiche, nelle psicosi acute, fino a che dura l’acuzie del- la forma morbosa, seguendo sempre le indicazioni individuali e i eriteri desunti dalla natura della forma medesima: non poter essa escludere l’isolamento e l’applicazione di qualche mezzo di contenzione; mentre d’ altra parte una rigorosa e molto genera- lizzata sua applicazione induce un notevole dispendio di perso- nale medico, di servizio, un consumo di materiale d’arredamento (materassi, biancheria, supellettili) che graverebbero sulle ammi- nistrazioni, cui il mantenimento dei folli assorbe tanta parte del- le risorse economiche, senza un adeguato compenso di risultati terapeutici.

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Confessiamo il vero di non comprendere come l’estesa ado- zione di questo sistema possa riescire anche economicamente con- veniente, come afferma, quantunque in modo poco risoluto, il Neisser. Bisogna dire che i malati del Manicomio di Leubus ch’egli dirige siano molto diversi dai nostri, per ritenere che ba- sti la proporzione consueta di infermieri, quando per agitati in n. restraint assoluto da noi ne occorrerebbero nella proporzione di uno su 3 -4 malati; quando, dato un tale regime, gli infer- mieri si dovrebbero sottoporre ad un lavoro molto più faticoso, ed essendo per ogni comparto istituite delle sale apposite per la clinoterapia, com’egli designa, si dovrebbe provvedere alla custo- dia e alla sorveglianza di quelli ivi destinati e di quelli che sog- giornano in piedi, quando in fine lo sciupio della roba, le spese di riscaldamento dovrebbero essere necessariamente maggiori.

Il regime a letto assegnato alle forme acute, a seconda del- le individuali esigenze o a quei malati che all’ingresso hanno bi- sogno di una speciale osservazione, deve trovare la sua attuazione nel comparto di cura, dove una conveniente disposizione per tran- quilli ed inquieti (a meno che per gli agitati acuti non vogliasi istituire analogo riparto nella sezione agitati) permetterà un trat- tamento razionale, e la presenza di camere d’ isolamento soddi- sferà allo scopo d’allontanare più o meno temporaneamente quel- li la cui convivenza con gli altri per le varie ragioni che più volte ebbimo occasione d’addurre, fosse controindicata. Se la vi- gilanza medica sarà scrupolosa, se ai mezzi coercitivi non do- vrà ricorrere che dietro ordine medico, talchè questi non debbano corrispondere che alla necessità del momento, se il personale d’as- sistenza sarà intelligente e famigliarizzato all'idea vera del ma- lato di mente, i vantaggi terapeutici non saranno certo inferiori a quelli che si vantano coll’ estesa e metodica applicazione del si- stema e si concilieranno nello stesso tenipo a quelli economici.

Un problema che oggidi seriamente interessa è oltre quello del conveniente collocamento dei pazzi, quello del progressivo ed allarmante aumento della popolazione manicomiale, aumento do- vuto al fatale accrescersi delle cause provocatrici della pazzia, al- la prevalenza delle forme croniche inguaribili, alla scarsa mor- talità fra le medesime, alla facilità con cui vengono inviati al

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Manicomio individui che dovrebbero essere inviati altrove, e alla difficoltà con cui l’Istituto può liberarsi di malati divenuti com- pletamente innocui e per i quali è venuta meno la vera funzione del manicomio, senza poi enumerare le cause inerenti a viziate organizzazioni d’Istituti, dove la insufficenza di adatte risorse te- rapeutiche e d’ambiente riesce sfavorevole alla guarigione o la ri- tarda. A parte i provvedimenti profilattici contro la pazzia, i quali purtroppo in Italia sono quasi lettera morta, sia per le stret- tezze economiche in cui ci dibattiamo, che per la mancanza di un serie indirizzo educativo sociale, e i benefici che ritrag- gono da una buona organizzazione di un Istituto e che per l’ap- punto si traducono nel maggior numero di dimissioni, una que- stione importantissima è quella che riguarda il soggiorno nel ma- nicomio di malati che dovrebbero essere accolti in altri Istituti, sia che si tratti di dementi affatto innocui, o di individui in cui le turbe mentali sono lievi, mentre è grave la condizione fisica che le sostiene.

Già dall’inchiesta del Prof. Tamburini, da quella Ministe- riale, risulta come in addietro abbiamo accennato, che un nume- ro notevole di malati sono realmente dei dementi innocui e tran- quilli, bisoguevoli di semplice assistenza, e come una metà circa dei medesimi dovrebbe essere accolta in asili di ricovero o in ospedali di cronici: talchè è purtroppo giusta l’ espressione di Brouillard, essere i manicomi divenuti il ¿out 4 l egout degli altri stabilimenti.

La legge (art. 217) che pone da noi a carico delle Provin- cie il mantenimento dei folli, ha avuto in animo oltre che di provvedere alla cura degli alienati, di soddisfare all’obbligo della sicurezza pubblica e della difesa sociale, e però essa intende per mentecatti quelli che siano pericolosi a sè, agli altri o di grave scandalo ai buoni costumi ed alla pubblica morale (Circ. 25 Ago- sto 60. Consiglio di Stato Ottobre 1889. IV sez. 12 Maggio 1899). Sembrerebbe con ciò che dovesse essere ben determinata la fun- zione del Manicomio, ma non lo è nel senso della difficoltà di stabilire il criterio della pericolosità di un alienato di mente. La proposta di legge Nicotera e le successive modificazioni, quando saranno tradotte in effetto, riesciranno un po’ più precise su questo concetto, dichiarando che sia obbligatorio il ricovero

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per tutti quelli non convenientemente curabili e custodibili fuor- chè nel manicomio, talchè idioti, cretini, pellagrosi, epilettici, alcoolizzati ecc. se nelle suddette condizioni dovranno essere cu- rati nell’ istituto, altrimenti quando abbisognano solo di custodia 4 e di ricovero, dovranno essere collocati in altri stabilimenti a sensi della Legge di P. S. e delle Opere Pie che riguarda il man- tenimento degli inabili al lavoro. Una tale determinazione della legge ci sembra giustissima e venne invocata che presto si attui nella legge sui manicomi anche nel recente Congresso delle rap- presentanze provinciali in Torino, impressionate dal crescente di- spendio e dal numero dei malati che i manicomi son costretti ad ospitare. Ognuno di noi infatti può constatare con quale facilità ven- gano inviati al manicomio sia per ragioni economiche, sia per mancanza di luoghi adatti di ricovero, pellagrosi, alcoolìisti, epi-

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te lettici, frenastenici, paralitici, dementi senili, apoplettici, bambini SU di pochi anni, la cui ammissione è autorizzata da un certificato b ts in cui è scolpita la formola sacramentale, e che realmente non han- È È no bisogno che di una cura ospitaliera, o di quella semplice as-

sistenza e sorveglianza che si può esercitare in un asilo di cro- nici, talchè non possono riguardarsi in ultima analisi che o come malati comuni, o come individui incapaci di provvedere da alla propria esistenza. Il Funaioli recentemente deplorava la i facilità colla quale oggi per questione d’ interesse, poichè negli Spedali comuni spetta a loro la spesa, si mandano dai Comuni al Manicomio inalati che negli ospedali ordinari troverebbero mi- glior asilo isterici, epilettici a semplici turbe convulsive, vecchi apopiettici, dementi senili; e specialmente la facilità con cui tanti poveri vecchi vengono condotti nei nostri istituti, quasi que- sti fossero divenuti degli asili per vecchi impotenti: e il Garnier in Francia non ha guari protestava contro l’invasione di dementi. senili nei manicomi, e la tendenza a trasformare questi in ospizi per le infermità cerebrali. Ed oltre 1)’ inconveniente dell’ affolla- mento, altri ne possono sorgere dalla facilità nelle ammissioni che stiamo deplorando, d’ ordine morale, e talora non scevriì di dannose conseguenze per l’ individuo quando questi ritorni in società.

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Un maggior rigore nell’ accettazione, conseguito col rendere più severe e difficili le pratiche dell’ ammissione, non ci pare che corrisponda perfettamente allo scopo di contenere il manico- mio entro i limiti delle sue vere funzioni: esso può essere fonte di inconvenienti non lievi, quali ad esempio quello di ritardare, nel caso più favorevole, l’ ammissione di malati realmente biso- gnosi di sollecita cura e custodia, di rendere più difficile da par- te del Direttore il loro licenziamento, quando per avventura non vi riscontri gli estremi per il ricovero, o le dimissioni in prova; senza contare poi che il giudizio dell’ ammissione è sempre dato in base ai rapporti dei famigliari e del medico curante, che in argomento è il giudice più autorevole. D’ altra parte è noto che per molte malattie mentali acute, quanto più sollecito è il rico- vero nel manicomio, altrettanto maggiori possono essere le pro» babilità di guarigione, cosichè Kraepelin, Marandon, Fi- scherealtri reclamano che le minori difficoltà debbano elevarsi contro tale provvedimento; anzi il Fischer, che sostiene la divi- sione dei malati acuti dai cronici in asili separati, ritiene che i primi debbano essere accolti così facilmente come in una sala d’ ospedale, e che sia soltanto il ricovero definitivo provocato e legittimato dai dovuti decreti. In vero a noi sembra che se per un lato è necessario che il ricovero di un alienato di mente sia circondato dalle dovute garanzie, che corrispondono giuridica- mente alla tutela della sua personalità, dall’altro più che le dif- ficoltà nelle pratiche dell'ammissione sia il rigore nell’accettazione definitiva del malato quello che si presenta come rimedio più ra- zionale per mantenere l’Istituto nei limiti delle sue vere funzioni, Il giudizio del medico curante può essere influenzato e determinato da mille circostanze, quello dei famigliari del pari, l’ autorizza- zione delle competenti Autorità è una logica conseguenza di tale giudizio, per cui resta che chi ha la competenza necessaria per stabilire se un malato abbia o meno i requisiti per il ricovero nel manicomio è il medico alienista che osserva e studia i suoi malati nello stabilimento. Il definire se un malato è veramente pericoloso, diceva il deputato Elia al Congresso Torino se- pracitato, spetta al Direttore del manicomio; non sarà un’ afferma» zione della legge che risolverà la questione: la legge invocata però in quanto designa in linea generale quelli che nel manico»

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mio devono essere custoditi, determinerà meglio il compito del medico alienista, e darà al medesimo maggior forza morale, tanto più che in omaggio a questo concetto, essa verrà a disporre che il medico entro un dato tempo riferisca sulla necessità 0 meno di trattenere in cura il malato; soltanto il termine della osservazione riteniamo che debba essere lasciato in facoltà del medico, in quanto che trattandosi di uno studio molto delicato egli possa assumere tutte quelle garanzie che crede necessarie alla emissione del suo giudizio.

Egli è vero che resta pur sempre che la determinazione del- l’innocuità, quando si tratti di un vizio di mente, è spesso non molto agevole a stabilirsi; ma ciò viene facilitato dal fatto che l’innocuità la dobbiamo determinare assai di soventi non in via assoluta ma in relazione all opportunità o alla necessità del se- questro manicomiale, in qnanto non è a ritenersi che gli indivi- dui giudicati non da manicomio possano essere senz’altro in ogni caso abbandonati a se stessi, ma che ai medesimi invece si debba frequentemente provvedere fuori dell’ Istituto ad un ricovero più conveniente da parte dei Comuni e delle Opere. pie.

E come un legittimo rigore nell’ accettazione deve escludere quelli che stanno fuori dell’orbita delle funzioni manicomiali, un tale rigore ci pare altrettanto giustamente dovrebbe usarsì nel dimettere quei cronici in cui sono venute meno le condizioni per il loro ricovero. Domandava a questo proposito e ben a ra- gione il Prof. Bianchi se i paralitici passati ad uno stato di completa demenza e fisicamente ridotti all’ impotenza non doves- sero cessare di soggiornare nell’ istituto; ed altrettanto potrebbe dirsi di molti altri dementi che si riducono pressochè nelle stes- se condizioni.

Quanto più facilmente potrà compiersi l’ osservaztone dei malati, quanto più facilmente il medico potrà studiare, controlla- re abitudini, tendenze ecc. dei medesimi , con altrettanta mag- gior sicurezza potrà esercitare quel rigore che è indispensabile perchè il manicomio non oltrepassi i limiti della sua vera desti- nazione: sotto questo riguardo il concetto edilizio che favori- sce un relativo riavvicinamento dei singoli padiglioni offre real- mente dei vantaggi.

Con tutto ciò non riescirà possibile tenersi efficacemente su.

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questa via, se pon mente che il problema umanitario non deve mai posporsi alle considerazioni economiche, fino a tanto che a quelli cui realmente non necessita il ricovero manicomiale la pub- blica beneficenza non provvederà adeguatamente.

Gli ospedali cittadini dovrebbero essere sempre secondo noi provveduti di una sala d’osservazione, ma non riservata in fondo a pochi cronici o ad una stazione di rapido passaggio, o a quei malati dell’ ospedale sulle condizioni psichiche dei quali vi sia qualche dubbio, ma istituita invece in modo da accogliere anche certe forme acute di pazzia che sono senz’ altro sostenute da con- dizioni fisiche tali che reclamano sopra ogni altra cosa la cura ospitaliera.

Non raramente ad esempio stati d’alcoolismo giungono al manicomio, di torpore, di smarrimento legati ad una infezione, ad un grave esaurimento, ad una intossicazione pellagrosa, in cul l’ indicazione urgente è quella di una assidua cura fisica, mentre abbastanza rapidamente guariscono delle turbe mentali. Se tali sale appunto fossero regolate in modo da soddisfare ai principî della terapeutica, si risparmierebbe a parecchi individui di var- care le soglie del manicomio , il che non è sempre scevro di danno per la loro personalità. Cosi per tale scopo sarebbe suffi- cente che ì piccoli ospedali fossero provveduti di qualche stan- zetta d’ isolamento.

Ma innanzi tutto sarebbe necessario che gli asili di ricovero, le case di mendicità realmente esistessero più largamente di quanto non esistano, e che soddisfacessero più largamente allo scopo che si prefiggono, creando appositi ambienti per quelli che ri- chiedono una maggiore assistenza e una certa sorveglianza. Pur- troppo le risorse dei Comuni, delle Opere Pie non sono floride: ma, confessiamolo, la beneficenza non è sempre equamente distri- buita ed impiegata, e potrebbe perciò forse essere rivolta a mag- gior incremento di questi asili; senza contare poi che oggidi accade di osservare che se ne ergono e se ne amministrano di nuovi con tale larghezza, da dover limitare il numero dei bene- ficandi.

Ma eliminata quella classe di dementi innocui non assolutamen- te da manicomio ma da asilo di ricovero, resta pur sempre il progressivo ed impressionante aumento delle giornate di presenza

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eonsunte dagli alienati poveri a carico provinciale, e il conse- guente affollamento dei manicomi, dovuto così all’ aumento della pazzia, come, e specialmente, a quello dei cronici. Da qui sorse una serie di provvedimenti che imperniano tutti nel dare un indirizzo nuovo alla ospitalizzazione dei folli, provvedimenti che avendo di mira il prcblema dell’ affollamento dovrebbero nello stesso tempo curare precipuamente il benessere e il maggior utile dei malati di mente. Giova anzitutto convergere le maggiori cure sugli acuti, sviluppare più che sia possibile il lavoro, mantenere col minor dispendio i cronici, creare secondo alcuni Autori asili distinti per acuti e per cronici, o quanto meno un ricovero distin- to per cronici tranquilli, inoperosi, che formano la triste zavorra manicomiale, rimanendo come ideale la istituzione di speciali asili per epilettici, alcoolisti, pellagrosi, frenastenici.

Abbiamo già fatto osservare a questo proposito l’ opportunità e la convenienza o meno dell’ erezione di un ospizio per cronici &ffatto separato dal manicomio o di un comparto al medesimo annesso. Quanto all’ istituzione di speciali asili per epilettici, frenastenici ecc., se fra la popolazione manicomiale havvi modo di distinguere tali categorie di individui, non è men vero che ad: onta di ciò frenosi pellagrose, alcooliche, epilettiche, stati psi- copatici costituzionali degenerativi dovrebbero ripetere una spe- ciale assistenza e cura nel manicomio propriamente detto, e che da un altro lato nel frazionamento degli asili si aggraverebbe di molto il problema economico, coll’ effetto di avere bensi provve- duto a che il manicomio conservi le sue più pure funzioni, ma di vedere di gran lunga aumentati i malati a carico provinciale. Il fine invece che si propongono tali istituti è ben più largo di quello che si prefiggono gli enti provinciali nella cura e nell’ as- sistenza dei pazzi : epperò, nel mentre dobbiamo augurarci che sorgano anche da noi numerosi onde proteggere questi fatali proe dotti della patologia sociale e giovar loro, dobbiamo constatare che il problema della loro creazione è iegato a troppe considera- zioni finansiarie , sorpassa cosi le attribuzioni delle Provincie in quanto debbono provvedere al mantenimento dei folli, da doversi ritenere attuabile, quando non lo sia per iniziativa privata o d’Opere Pie, sole allora che sieno definiti rapporti affatto nuovi e convenzioni nelto speciali fra gli enti interessati alla pubblica beneficenza.

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Allo stato attuale delle cose, oltre una saggia organizzazio- ne manicomiale, avente lo scopo di assegnare agli acuti le mag» giori cure, di favorire in genere tutti i mezzi di cura fisica e morale, di soddisfare alle esigenze della sicurezza sociale e di ciò conciliare senza pregiudizio all’ intento economico, oltre ad un’ accurata determinazione di quei requisiti per cui è reso ne» cessario l’ internamento nell’ asilo, contro l’ affollamento e il pro- gressivo aumento delle spese è provvido consiglio, che pure ri- sponde ad un concetto terapeutico, quello del collocamento fami- gliare, come riescirà efficace la progettata ripartizione fra Comu- ni e Provincie delle spese di mantenimento, che renderebbe meno facile l’ invio di malati, e interesserebbe i Comuni in una ricer- ca più accurata delle condizioni economiche dei ricoverandi. La- sciando da parte quest’ ultimo provvedimento, per intrattenerci di ciò che interessa direttamente il medico, noi facciamo voti che il metodo del collocamento famigliare possa diffondersi, come le incoraggianti ed autorevoli affermazioni del Prof. Tamburini cl fanno sperare ; pur tuttavia non possiamo a meno di sentirci dubbiosi su di ciò, per quella mancanza da noi di una seria educa- zione, che possa far sentire alle famiglie cui si affidano malati la responsabilità che si assumono, e che possa sottrarle al con- cetto della speculazione e dell’ interesse. Per di più, come osser- vava il Wise, i vari sistemi di trattamento degli alienati croni- ci tranquilli possono applicarsi variamente a seconda dell’ ambien- to, dei costumi degli individui, delle abitudini locali, delle con- suetudinìi sociali, e da questi punti di vista da noi in generale è più manifesta e più sentita la tendenza ad allontanare il malato di mente dalla società. Nel nostro manicomio è vero segue con una certa larghezza questa pratica, ma colla differenza però che i malati non vengono aflidati che alle loro famiglie quando queste possano offrire certe garanzie di sorveglianza, e che tratta per lo più di individui di cui riteniamo opportuna la prova nell’ ambien- te domestico, contribuendo con modesti sussidi al loro manteni- mento. L’ attenta e costante osservazione, lo studio metodico del- la natura del disturbo mentale ci pongono in grado di sviluppare il sistema delle dimissioni precoci e in via d’esperimento alle quali le famiglie facilmente annuiscono, e che spesso ricercano per la facilità con cui loro permettiamo di visitare i ricoverati e

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la solerzia con cui le intereesiamo alle loro condizioni: obbedendo in tal guisa più che ad un concetto economico ad un intento te- rapeutico. Il Tonoli, raccogliendo i risultati delle dimissioni in prova e precoci che si fanno in quest’ Istituto, in una sua nota in argomento ne dimostrava con fatti e considerazioni i vantaggi, e possiamo asserire che da noi in questi ultimi anni la percen- tuale delle dimissioni in prova, che poi rimasero definitive, ha raggiunto un valore elevato e che fra queste molte furono dimis- sioni precoci nello stretto senso della parola. Stando alla nostra esperienza non possiamo perciò convenire col Finzi che una tale pratica non debba essere razionale, e che i dimessi precoce- mente, ben s'intende colle dovute cautele, costituiscano un pe- ricolo o ritornino ben presto al manicomio. Più razionale egli soggiunge sarebbe risalire alle cause della pazzia e combatterla diminuendole, oppure poter reagire contro l’azione morbosa e produrre un maggior numero di guarigioni: ma è appunto l’espe- rienza che ci ha dimostrato che la precoce dimissione può essere in molti casi fonte di un acceleramento della guarigione.

Quanto alla profilassi della pazzia, quale necessità che la so- cietà vi si impegni con tutte le sue forze! In un nostro lavoro eseguito col Prof. Se ppilli, studiando la pazzia nella provincia di Brescia, non certo interdendo di dir cose nuove, tracciavamo per sommi capi i concetti profilattici, specialmente in rapporto a due gradi piaghe del nostro paese, I’ alcoolismo e la pellagra, e insistevamo in pari tempo sull’ importanza che la rigenerazione fisica, cui l igiene oggi intende, vada di pari passo con quella mentale, la quale deve precisamente fondarsi sull educazione del- P” individuo, della famiglia, della società.

Ma al di fuori di ciò, qualche cosa pure ci resta da svilup- pare, di più facile ed immediata attuazione, che serva a dimi- nuire il numero dei folli, quali ad es. il sistema benetico del pa- tronato dei dimessi poveri dal manicomio, cui dovrebbero con- correre le provincie con analoghi sussidi, poichè il non infrequen- te abbandono a se stessi e la miseria riescono danı osi assai a cervelli già vulnerati e fortemente vulnerabili; istituzione di locande sanitarie, di pellagrosari, che le Provireie avrebbero tutto P interesse a favorire mercè larghi contributi, perchè risparmiano tanti candidati alla pazzia. Non abbiamo certo voluto che accen-

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nare all’ argomento, e saremmo usciti dai limiti del nostro studio, se avessimo voluto occuparci di ciò dettagliatamente.

Nostro scopo fu quello di prendere in esame alcuni concetti di tecnica, che si svolgono intorno ai quesiti della organizzazione dell’asilo, della distribuzione dell'elemento manicomiale, dei vari metodi di trattamento, dell’affollamento dei manicomi, onde va- lutarne coi criteri obbiettivi dell’ esperienza ìl pratico valore in relazione alla natura dell’elemento da ricoverarsi, ai risultati te- rapeutici, alle condizioni dell’ambiente, alle funzioni speciali del- l’asilo c via dicendo, e nello stesso tempo di considerare in base a ciò come meglio possa conciliare il benessere dei malati coll’utile economico.

Nelle nostre considerazioni potremo essere in varì punti tac- ciati di un certo misoneismo, ma cio è più apparente che reale, in quanto abbiamo fatto tesoro, altamente apprezzandolo, di tutto ciò che per la cura, la custodia e l’assistenza dei folli la scienza consiglia e l’ esperienza sancisce. Si potrà forse osservare una preoccupazione soverchia del problema economico. Ma l’asilo, scriveva Parchappe, che alla tecnica manicomiale ha portato un contributo di nozioni che ancora oggi hanno un colorito di freschezza, di modernità, di praticità non comuni, deve avere un carattere di cura, di beneficenza coordìirato ad un intento eco- nomico : e per quanto quest’ ultimo non debba mai precludere i] cammino agli intenti umanitari, non abbiamo mai voluto dimen- ticarci quanto grave e progressivo sia l’onere che le Provincie sostengono per il mantenimento dei folli, e che perciò è giusto che esse non sacrifichino a pro degli invalidi, dei mutilati, degli inetti nella lotta per l’ esistenza un superfluo di risorse che pos- sono essere meglio rivolte a vantaggio delle forze attive, degli in- tenti profilattici.

Brescia, Agosto 1901

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che avvenne la discussione fia Christian, Febvré, Sollier, Marandon, Collin‘' Toulouse ecc. a proposito di opendoor e d’edilizia manicomiale).

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Venturi. Atti del IX Congresso della Società fren. it. 1896.

Wise. Rif. nel Manicomio moderno 1888 - 2.

190 Per la diagnosi e la prognosi delle malattie mentali del Dott. Alberto Vedrani

IV

Evidentemente ogni sintesi scientifica non può essere che una tappa nel cammino ascendente verso la verità: serve di riposo e di stazione opportuna per guardar meglio le cose sottostanti. Tutto, meno i fatti, è provvisorio nella scienza: ma non C è scienza senza questo provvisorio.

Murri. Policlinico Anno VI p. 534.

In alcuni dei’ casi, che negli articoli precedenti ho citato come esempi di frenosi maniaco-depressiva, era stata posta la diagnosi di frenosi isterica: ciò mi argomento a toccare que- sto punto di diagnosi differenziale. Il quale è accennato in tutti i trattati di psichiatria che si sono succeduti nella seconda metà del secolo, in alcuni, come in quello dello Schùle, ampliamente , discusso: ma l’esuberanza dei criteri distintivi, proposti da lui, non salvò i medici dall’abbandonarsi alla diagnosi frenosi iste- rica con una confidenza ed una frequenza, quali non possono es- sere più consentite dalla psichiatria, pervenuta oggi a qualche affinamento nella distinzione clinica dei disordini mentali. Il con- cetto della frenosi isterica di una elasticità onnicomprensiva, in- definito, fluttuante, ineguale nel pensiero dei medici, è stato ed è causa del wal uso di questa designazione.

Scrivono Tamburini, Tonnini e Ferrari (1) che «la fre- nosi isterica degli alienisti è per lo più un’ibrida combinazione dei fatti psicopatici più svariati, associati a fatti isterici o iste- roidi; basta la esagerata femminilità di un soggetto, la smania d’interessare (non comune ai pazzi), perchè ogni psicosi femmi- nile sia chiamata frenosi isterica. Ma ciò non è giusto....... ». E Kraepelin (2) ribadisce che « tutta una fila di mali sono com- presi nel nome di isterici, che non hanno con questa neurosi re-

1) Trattato italiano di patologia medica. Vol. lI. p. 532. 2) Psychiatrie. VI Aufl. Bd. II 507.

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lazione nessuna. Per lo più si vuole in questo modo designare la presenza di eccitamento sessuale, il quale in realtà si mostra con più forza e frequenza in altre forme di pazzia che non nell’isteria ».

Ciò si confà perfettamente colle consuetudini di leggerezza e di avventatezza, che fanno della nostra specialità una piccola bolgia intellettuale, dove ognuno « libito fa lecito in sua legge »; di una stessa sindrome psicopatica ciascuno di noi coglie il sin- toma che più lo impressiona: uno s’appiglia all’idea delirante di persecuzione e dice paranoia ; un altro sorprende l’allucinazione e dice frenosi sensoria ; un terzo rileva l’eccitamento sessuale e, perchè s’è fitto in capo che contrassegni l’isterismo, pronuncia la formola: frenosi isterica. E se le cose volgono al peggio, e la psiche così giudicata patisce una degradazione, allora si dice, o meglio alcuni dicono che è sopraggiunta una demenza consecu- tiva, perchè essi ammettono che anche la frenosi isterica possa tirarsi dietro questa lugubre conseguenza. In questo senso A go- stini (1) ha scritto di recente che «i singoli episodi psicopatici (dell’isterismo) possono facilmente dileguarsi, ma facilmente re- cidivano e inducono indebolimenti psichici sempre più accentuati sino alla demenza. Anche in questa si scorge la persistenza del- le note del temperamento isterico, specie in quanto riguarda la variabilità dell’umore, il senso genetico esaltato, il pervertimento del senso morale ».

Appunto perchè è necessaria l’epurazione di questo capitolo di patologia dagli elementi estranei, mi pare qui da avvertire che tale concetto dell’ isterismo che si fa demenza, il quale non tanto è fondato su fatti empiricamente verificati, quanto dedotto dalla presunzione che i disordini mentali danneggino e debilitino essi, dinamicamente, la psiche (2), è stato cagione per lurgo tem- po che si attribuisse alla frenosi isterica tutta una serie di casi che ora si dovrebbero assegnare a un processo morboso distinto, se la dottrina della demenza precoce avesse vinta l’ostilità che

1) Manuale di Psichiatria. 2." ed. p. 264.

2) « In tesi generale si può dire che nessun turbamento. per quanto lieve, dell'intelligenza rispetta completamente il patrimonio della psiche, e ad esperto osservatore non sfuggirà, in rapporto alla personalità precedente, i guasti recati anche da una lieve psiconevrosi, per quanto prestamente guarita ». Agostini, loc. cit. p. 278.

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ancora la serra fuor delle persuasioni della psichiatria più in voga. Io so di parecchi casi accolti un ventennio fa nel manico- mio colla diagnosi di frenosi isterica, presentanti ora i sintomi di una particolare demenza: ma questi sintomi attestano, c al- cune notizie che restano del passato accusano, il processo della demenza precoce svoltosi fino alla sua fase terminale.

In principio di quest’ anno nel Manicomio di Ferrara è mor- ta a 47 anni, di malattia acuta febbrile, una ammalata A. P. (1), entratavi nel 1884 colla diagnosi di frenosi isterica. Da molti anni le manifestazioni del suo male erano uniformi: il suo umo- re era indifferente , delle cose e persone circostanti occupava solo per colpirle di sputi, dati senza ira, accompagnati qualche volta da scoppi di risa sgualate. Questa sudiceria prediligeva, ma ne praticava d’ ogni sorta (imbrattare il letto cogli escremen- ti o col cibo masticato, voltolarsi nella polvere). L’ espressione del viso era vivace e si sarebbe detta intelligente: ma non dava in risposta altro che stravaganze.

D. Come si chiama ?

R. Girapresto.

D. Che mestiere fa ?

Lavandaia possidente).

Quanti anni ha?

. 27 (ne ha 47).

. Dove si trova ora?

. A Caffé.

. In che anno siamo?

. 1862...vado in Chiesa quando posso.

D. Da quanto tempo è qui?

R Da quando hanno scoperto il pozzo... della festa da ballo in poi.

Altre stravazanze rispondeva ad invisibili interlocutori, e, nei monologhi, presentava il sintoma di Fore] della insalata di parole. Lo stesso sintoma si manifestava in lunghe file di frasi staccate, declamate ad alta voce come litanie « asino della tran- quillita.... peste della troia..... peste nera.... impestato marcio..... moralità e vergogna ». Accompagnava queste declamazioni col movimento ritmico una gamba.

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1) Corrisponde al N. 1942 nell’ Archivio del Manicomio di Forrara.

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Ed ecco i sintomi che presentava 17 anni sono, e che furono diagnosticati frenosi isterica.

Si hanno queste sole notizie: ha 27 anni, é stata fino da giovanetta di carattere capriccioso: andata a marito, ha subito maltrattamenti ed è stata da lui abbandonata. La malattia pre- sente è cominciata con idee di persecuzione, rifiuto di cibo, ap- parente smarrimento. Il 30 settembre 1884 è condotta al manico- mio. 1-5 ottobre: ricusa cibarsi: alimentazione forzata. Dice che tutti cercano di farla cambiare nel suo personale : accusa sensa- zioni vaghe al capo, al petto, al ventre. Incisole un piccolo ascesso a un dito, dice che le han strappato il cuore. Mangia a sbalzi e talora di nascosto. Scrive la seguente lettera:

Mia mamma,

Gli sconvolgimenti e le perturbazioni successe in me dopo che la mia mente fummi tolta e con deliri e con orrendi at- tentati, tutto fece che smarrita di ragione raccappezzar non potrò mai il successo. Or da una parte or da un’ altra sveglios- si l infelice mia mente, ma chi $ interpone alle frasi mie sard colui che rinegando la ragione ai materni affetti stimolava il mio povero cuor a gemer loniana mentre di sua presenza sen- tia mia vila rinascer. Quando a me vicina l aveva, quando accanto a Lei sentivo mia nuova vita a fiorire, ma chi studios- si rapire miei sensi, di formar tal confusione di vedermela ad allontanare? Eppure la mia mente smarrita non trova a chi eslernar mie sciagure e patimenti, prima perchè, C incom- prensibile, regna pure per ine, poscia perché alla lontananza mi tengono di coloro che sorvegliando miei affanni, porrebbero ogni cura a sollevarmene dandomi in seno, ovvero pormi ap- presso a persone del cuore. Dacchè lasciai qui condurre, senza sapere cosa mi facessi, sempre la mia mente è rivolta nel penetrare a qualche straordinario avvertimento, onde faran si che a me celalo sia. Ma... se a spensieratezza e a godimento trasportata mi fossi, potrei compatire la continuazione di una crudele esistenza, e niuno invocherei a voler scuotere quel cuor che così mi regge. Sopportai e sopporto soffrir e patimen- ti di ogni genere, indicando con verità che in ogni mia lun- ghissima notte sento trasportarmi all’ altra vita, in forza di che mi compaiono tutte quelle visioni che ne invitano alla så-

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lute per poter un giorno con Festa solenne rivederci innanzi all’ altare uniti alla famiglia. Quei detti a me supremi mi giu- dicano, danno al pianto mio quella libera pienezza in me pe- netrante, ma allo spuntar di questa mesta luce mi trovo in quell’ esuberante abbattimento che tutta mi travolge, e con feb- bre continua e con melanconia smisurata che l ardenza e la brama di vedere i miei cari finisce in un tormento che non mi cessa. Oggi se ho deciso di inviarle la presente pregandola a venire istantaneamente da ine, creda che è proprio per la ne- cessitàù che ho di abbracciare quella anima benedetta che di suo materno affetto ridonerà la sulute u chi isolala più non regge, Tutti i fratelli ardo parlar quel di che potrò a loro dire che ogni felicità siu in loro cosparta. Di Lucia vorrei saperne di- nora onde invocar di suo lume per la ragion guidarmi di si- cura fonte al giusto prevertumento del fratello Antonio. Io che ull umor di luili ne vico e in questa sciagura di male mi tro- vo! Uh fullo cessar o madre nua che fra le spine ove ora sono succedan i tuoi pussi e lu vista tua daramini quella sanità è pace che ur tutlu mi é tolto! In attesa di vederla con ogni pro- sperilá la benedizione chiede anlicipata la sua figlia amata Annelia. Che cosa aveva in questo caso persuasa e determinata la dia- guosi di freuosi isterica? Forse la cousiderazione di certa parti- colarita del conteguo apprezzate come capricciosità, forse i ri- fiuto del cibo e pui il mangiare di nascosto riguardato come si- imulazione, forse la descrizione degli « scouvolguuenti ed orrendi deliri » interpretati come teatralità, Noi vedremo più avauti che, auche dopo meditato quel capolavoro della psichiatria clinica d'oggi che è 1 capitolo Demeutia precox nel?ultuma edizio.e del libro di Kraepelin, la diaguosi differenziale dell’isterismo dalle varie forme di demenza precoce è in certi casi e in dati momenti difficile 0 impossibile : liguriamoci quiudici venti auui addietro. Se da un lato Hecker aveva da molto tempo notate come proprie (frequenti se non essenziali) degli scritti degli ebefrenici alcune particolarità: per esempio la tendenza al fraseggiare altisonante e vacuo che rileva nella lettera sopra riportata, splendido squar- cio di eloquenza ebefrenica, dall’altro lato Schule metteva fra le note distintive specitiche delle manie isteriche quella confu-

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sione verbale, che noi abbiamo imparato a conoscere come carat- teristica della demenza precoce « la fuga delle idee (loquacità incessante, vociferazioni, verbigerazioni) senza movimenti lussu- reggianti; fuga delle idee che non procede per associazioni logi- che o per assonanza, ma consiste in idee strane senza nesso e in un miscuglio caleidoscopico di parole, di cui spesso se ne sceglie una e le si una vera caccia ». Schule poi descriveva sette tipi di paranoie isteriche: il settimo tipo aveva due varietà, di cui la seconda era la « demenza isterica primaria con de- generazione p.

Sette tipi di paranoie isteriche, con qualche varietà per giun-

ta, sono tal cosa da far smarrire al lettore l'orientamento in un insulto di vertigine tenebrosa.

Vediamo quali forme la patologia mentale odierna serba alla frenosi isterica. Sorvolando su quello stato psicopatico che si dice carattere isterico, perchè non è nella sua identificazione che può darsi un confiitto di pareri; vediamo le meglio detinite in quella moltitudine di forme che d’ ordinario balzano su da questo fondo di emotività abnorme e di elevata suggestività.

Da Krafft-Ebing a Kraepelin e a Wernicke la cono- scenza di questi stati non ha fatto molto cammino. È noto che Krafft-Ebing (l) distingueva stati di pazzia transitoria, stati deliranti protratti, psicosi isteriche (mania e melanconia isteri- che, follia morale, paranoia primitiva ed anche demenza irresi- stibilmente progressiva). Negli stati transitori comprende : stati violenti d’ ansia con turbamento della coscienza, deliri istero epilettici, stati estatico-visionari, stati di moria, stati crepuscolari con facile e coatta riproduzione di ciò che è avvenuto o si è letto. Gli stati deliranti protratti « appaiono in modo acuto, scompa- iono ad un tratto, durano settimane e mesi, decorrono fra esacer- bazioni e remissioni...... Soltanto di rado questi fenomeni si as- sociano agli attacchi isterici gravi e decorrono con essi..... Po- sano sopra il fondo. di un esaurimento temporaneo ( mestruazioni profuse, puerperio, climaterio). Le emozioni sembrano esserne la causa ultima. Recidivano facilmente, finirono però sempre colla

1) Trattato, trad. it. 1886 Vol. II p. 231. 253.

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guarigione nei 18 casi di mia osservazione. Il delirio presenta un miscuglio dei più svariati deliri primordiali. Più frequente il delirio di persecuzione con ansia reattiva spesso assai violenta... Non sono rare le allucinazioni in tutti i sensi ».

Kraepelin (1) descrive dapprima gli attacchi di sonno e di sonnambulismo. « Accessi del tutto somiglianti, egli dice, osservano anche di giorno: i quali si sviluppano di solito alla fine di un accesso convulsivo e qualche volta anche di un acces- so di riso e di pianto. Gli ammalati fanno P impressione di son- nambuli: vanno e vengono, gesticolando e parlando da legger- mente e incomprensibilmente. »

« Un altra forma di stato crepuscolare si collega alla fase delirante del grande accesso isterico. Qui nel turbamento della coscienza stabiliscono errori sensoriali in massa, i quali tra- sportano l’ ammalato o in situazioni di vita spiacevoli o in stati convulsivi con senso di voluttà e visioni celesti, disposizioni che poi naturalmente si specchiano in tutto il contegno, il parlare 6 i movimenti espressivi ».

« Finalmente si osservano, specie negli ammalati giovani, stati crepuscolari con speciale eccitamento goffo. Gli ammalati sono di un umore prevalentemente allegro, sguaiato, scambiano il loro ambiente, fanno discorsi pungenti, tengono un contegno sciocco e cappriccioso, commettono dei tiri stolti e insolenti, gri- dano, imitano voci d’animali, corrono attorno ».

« Anche si osservano nell’ isteria certi disturbi psichici più delimitati, che sembrano essere semplicemente forme sintoma- tiche della malattia fondamentale. Vi appartengono dapprima stati d'animo, senza ragione, tristi o ansiosi, i quali durano più o meno a lungo accompagnati da idee di colpa o di persecuzione, qualche volta anche da illusioni ed allucinazioni. Anche più fre- quenti sono stati di eccitamento di tutti i generi per lo più in forma di stizza e di collera, con violenti attacchi d’ ingiurie, con tendenza a rompere e a lordare; legati di solito a qualche stimo- lo esteriore, a un disgusto, a un eccitamento di gelosia ecc. ».

Wernicke (2) annovera le seguenti forme di psicosi acute isteriche: «i cosidetti stati crepuscolari. Specialmente negli iste-

1) Psychiatrie. VI Aufl. Bd II 505-507. e) Grundriss der Psychiatrie 1900. Theil III, 514 - 518.

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roepilettici se ne osserva una determinata forma accompagnante l’accesso, tanto frequentemente che autori francesi ne han fatto uno stadio dell’accesso medesimo. Non tanto l’ottusità del senso- rio, quanto il disorientamento allopsichico totale costituisce il contrassegno principale di questi stati che per lo più durano solo poco tempo. Gli ammalati si comportano corrispondentemente a uno stato sognante, per lo più colorito molto affetto. Spe- cialmente un infortunio che li ha colpiti, la perdita dei parenti e simili per lo più vi giocano una parte. Già questo cosiddetto stato emozionale degli accessi isteroepilettici entra così nel cam- po delle allopsicosi deliranti.

« Ancora molto più corrisponde a questo concetto il cosiddetto Delirio isterico: una psicosi acuta che si presenta da cou fu- ria di movimenti di origine sensoria, e totale disorientamento allopsichico senza un determinato affetto dominante. Le manife- stazioni spontanee di questi ammalati sono in conseguenza delle loro molteplici distrazioni sensorie, anche per ipermetamortosi, in alto grado incoerenti: solo eventualmente e per un momento, è possibile fissarli ed avere da loro risposte. Allucinazioni tattili e fonemi, cun abnorme finezza localizzati, giocano una parte prin- cipale. Generale tremore muscolare, l’avvento dei cosiddetti sinto- mi dei cordoni laterali e decadimento del corpo possono accompa- gnare i sintomi psichici e condurre in poche settimane a morte. Anche sintomi prevaleutemente ipocoudriaci si osservano qualche volta nel delirio isterico. :

« La cosiddetta catalessi degli isterici, cioè casi di psicosi acinetica di durata relativamente breve. Il sensorio vi è per lo più profondamente ottuso; e frequentemente, a giudicarne dalla beata espressione del viso, tutto occupato da avvenimenti di so- gno estatico-religiosi. Uno stadio di indeboliwento residuale, sen- za stadio paranoico, passa rapidumente a guarigione. Avviene anche che questi stati estatici recidivano e trapassano in una forma continuata di immobilità completa. Un caso del genere io vidi finire con la morte.

« I casì ricordati sono vere psicosi. Abbastanza frequenti si vedono anche casi di malattia, i quali non tanto hanno l’impron- ta delle psicosi acute distinte, quanto di forme di passaggio o miste tra degenerazione isterica o depravazione di carattere e

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sintomi psicotici isolati. Nei riparti d’ alienati delle grardi città le prostitute dànno un contingente grande a questi casi di malat- tia, per la indisciplinatezza molto fastidiosi.

« Indipendentemente da accesso istero-epilettico, in bambini e negli scolari che sono nel tempo dello sviluppo, io ho osservato molto di frequente psicosi isteriche di breve durata da mezza a più ore, che recidivano senza regola, in seguito a qualche emo- zione. Si dovranno aggiungere alle psicosi transitorie. Gli accessi consistono per lo più in uno scambio della situazione pieno d’an- goscia, simile al pavor nocturnus dei bambini; in casi più miti presentano una specie di psicosi ansiosa abortiva; p. e. si viene non a scambiare situazione e persone, ma a idee vivamente an- gosciose, qualche volta rivestite in fonemi, con impeti furiosi: attaccare i parenti o ciecamente percuotere intorno a sè, lacerare.

Come causa di questa psicosi che, con opportuna cura, gua- risce rapidamente, e, anche senza, a poco a poco svanisce, si pos- sono per lo più invocare emozioni e alcuni momenti debilitanti, come sforzi psichici, poco sonno e simili. Cominciano di solito con uno stadio preparatorio nel quale hanno luogo cefalea, palpita- zione di cuore, sintomi vasomotori e svenimenti.

Stati crepuscolari di più giorni con disorientamento allopsi- chico totale quasi fino all’asimbolia, ed episodici sintomi paraci- netici, si presentano talvolta dopo grandi emozioni in individui giovani ».

Wernike accenna a psicosi isteriche atipiche, come delirio di persecuzione diretto contro una persona, agli stati di doppia coscienza ed anche a particolari forme di psicosi isteriche recen- temente descritte da Ganser (1).

« Da Ganser sono stati recentemente descritti de’ casì nei quali ammalati, con sensorio apparentemente libero e completa lucidità, rispondevano così insutficientemente e a rovescio alle domande loro dirette, che facevano venire il sospetto d’ inganno, tanto più che in parte si trattava di imprigionati. Se non che la dimostrazione di stimmate isteriche portava (e noi crediamo con ragione) l’autore alla opinione che si trattasse di un cosidetto stato crepuscolare. Questo concetto trova anche un appoggio in

1) Arch. f. Psych. 30 Bd p. 633.

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ciò che gli ammalati prima descritti, indubitatamente ìisterici, pre- sentavano frequentemente lo stesso sintoma delle risposte insen- sate come a farlo apposta ». Solo ii nome di stato crepuscolare pare a Wernicke non bene appropriato a questi casi. Non il- sensorio è abbassato, ma l’ estensione de) materiale psichico è limitata; c’ è un restringimento della coscienza come nella sug- gestione degli ipnotizzati in stato di veglia.

Intorno a questa forma di Ganser è tornato di recente il Raecke(1)con nuove osservazioni. Riferisco appunto da Raecke che anche Iolly nella sua esauriente descrizione dell’ isteria nel Trattato di medicina pratica (Ebstein u. Schwalbe, 4 Bd 1900), sulla base di osservazioni proprie, in prigionieri sottoposti ad esame peritale e specialmente istero-traumatici, è unito senza riserva alle conclusioni di Ganser, ed ha anche dimostrato che simili stati si presentano anche in casi regolari di isteria grave. Inoltre a complemento dei dati di Ganser, Iolly rileva che tali stati possono durare fino a più mesi, e che relativamente spesso si osserva la sequela di accessi numerosi che durano ore e giorni, separati solo da brevi lucidi intervalli.

Il sintoma dunque più sorprendente nei malati di Ganser consiste in ciò, che alle domande più semplici a loro volta non possono rispondere, sebbeni essi, colle loro espressioni, dànno a vedere di avere completamente capito il senso della domanda. Questo speciale stato confusionale, nel quale si presentano anche allucinazioni e sono dimostrabili disturbi della sensibilità, dura più giorni, ed al suo sparire si lascia dietro amnesia per uno spazio di tempo più o meno lungo.

Per dare un esempio, ecco un frammento dell’ eni d’ uno degli ammalati (2).

Potete contare fino a 10? Si (non lo fa e tace). Che cosa segue ad uno? Due

Poi? Due tre e novanta.

E dopo? 1234578910111417 1819 20 21 24 27.

1) Raecke zur Kenntniss des hysterischen Dimmerzustandes ( Allgmeine Zeitschr. f. Psych. 1901 Bd LVIII. p. 115,.

2) Ganser loc. cit.

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2 più1? 3,

3 pid 2? 7.

In che citta siamo? A Berlino in Russia.

Quanti nasi avete? Io non so.

Avete un naso? Io non so se ho un naso.

Avete gli occhi? Io non ho occhi.

Quante dita avete? 11.

Quanti orecchi? (si tasta) 2.

Quante gambe ha un cavallo? 3.

E un elefante? 5. Tali essendo, secondo gli autori fin qui citati, le psicopatie acute episodiche attribuite all’ isterismo, conviene domandarsi: queste forme hanno nei sintomi psichici tanto che basti per contrasse- gnare la loro origine e natura isterica? La questione è impor- tante; perchè la Clinica che ha riconosciute per isteriche queste psicosi, perchè le ha viste accompagnarsi o succedere alle stim- mate somatiche dell’ isterismo, ha poi verificato che le stesse possono presentarsi e passare scompagnate da quelle stimmate. Charcot (l), rilevando che la fase delle attitudini passionali può mostrarsi isolata, nel senso ch’essa irrompe d’emblée senza pro- dromi o con tali che non vengono in vista, diceva « quando l’accesso di mania con allucinazioni è preceduto da un arco di cerchio bene spiccato, il diagnostico è relativamente agevole. Ma non è affatto lo stesso quando il delirio scoppia inaspet-

tatamente, senza essere preceduto da convulsioni, in un soggetto

che non ha mai avute e che non ha attualmente, nell’ intervallo delle crisi, degli accidenti spasmodici: un cangiamento brusco dell’ andatura e della fisonomia, la fissità dello sguardo o lo strabismo convergente, un cangiamento della voce, un piccolo singhiozzo sono spesso i soli fenomeni che si manifestano nel momento che il delirio scoppia ; e conviene aggiungere, per me- glio ancora mostrar le difficoltà che possono incontrare nel- nell’ interpretazione di casi del genere, che, il più spesso forse, le stimmate permanenti fanno difetto: niente di emianestesia, niente di restringimento del campo visivo e di punti isterogeni ecc. Gli accessi maniaci (sic) occupano allora isolatamente la

scena, senza accompagnamento, come rappresentanti monosinto- matici della malattia.

1) Leçon du mardi. Tome, I pag. 137.

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Ora, perchè questo che Charcot diceva della fase psichica del grande accesso, che è il caso più volgarmente noto, a mag- gior ragione si può ripetere delle altre psicosi sopra ricordate, le necessità della pratica ci fanno domandare : sono questi stati isterici riconoscibili dai soli sintomi psichici? Stardo a Werni- cke, parrebbe di si. « Le psicosi isteriche frequentemente già dalla forma clinica che presentano sono diagnosticabili ». Egli però s’affretta a soggiungere: « ma per la diagnosi è sempre argomento principale poter dimostrare l’esistenza di sintomi iste- rici innanzi allo scoppio della malattia acuta ». « In molti casì la dimostrazione delle così dette stimmate isteriche, al tempo della malattia acuta, è possibile, e con ciò la diagnosi è fatta sicu- ra » (1) E sempre, quando si vuole giustificare una diagnosi di pazzia isterica, si cerca di produrre, come suggello che ogni uomo sganni, la dimostrazione dei sintomi somatici.

Binswanger (2; ha descritto il caso di un uomo di 24 anni stato sempre sano, entrato quasi improvvisamente in uno stato di oscuramento di coscienza. Disorientato, confuso, non risponde a tono, è ipoalgesico. Dopo pochi giorni rapidamente si ristabilisce, coscienza lucida, sensibilità intatta, perdita completa dei ricordi dei primi cinque giorni di malattia. L’ autore fondava la sua diagnosi di stato crepuscolare isterico sui primi disturbi della sensibilità, sull’ esistenza di punti dolenti alla pressione, sulľ’ as- senza del riflesso faringeo.

Pick cita l’esempio di un malato, che era stato condotto con un certificato della polizia, dove si diceva che era caduto in un fosso e che nascondeva la sua identità. Egli diagnosticò « psicosi isterica » perchè presentava delle stimmate. Una diagnosi di psi- così isterica non confortata dalla loro presenza è riguardata poco meno che un castello in aria e suscita diffidenze.

« Quali sono, scriveva De-Sanctis (3), 1 confini nel concet- to di equivalente d’un attacco?.... Tolgasi ad un isterico il suo accesso ed ogni alterazione permanente nella sensibilità, e della isteria non resterà alcun che di caratteristico. Il famoso criterio

1) loc. cit. p. 517. 2) Monatsehr. f. Psych. und. Neurol. Ba IT. H. 2. 1898, 3) Rivista di Freniatria. Vol. XX 1894 p. 424.

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del restringimento nel campo delle coscienze, della tendenza alla formazione di personalità molteplici, a che cosa serve per la dia- gnosi differenziale colla neurastenia e colle paranoie rudimenta- rie? ». Il prof. Bonfigli (1) poi in un caso di demonopatia esclu- deva l’ isterismo per mancanza di stimmate appariscenti, non ostante si trattasse d’ una donna eminentemente suggestionabile.

Questo cercare le ragioni della diagnosi altrove che nelle sindromi psicopatiche, vuol dire che esse non lasciano scorgere dei caratteri patognomonici, anzi c’è chi le concepisce addirittura come complicazioni dell’isteria. Sono noti in proposito i concetti ripetutamente espressi da Moebius. « Isteriche, egli dice, sono tutte quelle morbose alterazioni del corpo, le quali sono provocate da idee »; ed aggiunge: « Io noto che per chi accetta la so- praddetta definizione la psicosi isterica diventa una complicazione. Che essa accompagni molto spesso Il’ isteria, ciò ha evidentemen- te la sua ragione in questo, che l'alterazione psichica che forma l’essenza dell’isteria e consiste nel poter provocare mediante idee ì più diversi disordini del corpo, è affine a quelle i cui sintomi sono il carattere isterico o la frenosi isterica » (2).

Altrimenti giudica Kraepelin, il quale, pure ammettendo che si debba considerare come in qualche modo caratteristica per tutti gli stati morbosi isterici la straordinaria facilità e rapidità colle quali stati psichici si traducono in molteplici alterazioni somatiche, e che nello stabilirsi di essi giocano verosimilmente una parte essenziale la cresciuta espansione di eccitazioni emo- tive e la morbosa estensione dei sintomi corporei a quelle con- comitanti (3), afferma: « Appunto per ciò 10 debbo contraddire a Moebius in quanto egli tiene i disordini psichici degli isterici per complicazioni. Essi sono, secondo la mia persuasione, niente altro che manifestazioni della stessa causa che sta per fondamen- to dei sintomi corporei. La speciale acutezza della suggestibilità emotiva difficilmente mancherà anche in quei casì d’isteria nei 1) Rivista di Freniatria. 1894 p. 347.

2) Ueber einen Fall von hysterischer Psychose. Ref. in Revue neurologi- que 1901. p. 415.

3) Moebius. Ueber den Begriff der Hysterie. Centralb. fur Nervenheilk 1888. Questa e le successive pubblicazioni sull’argomento sono raccolte in Neurologische Beiträge. 1 H.

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quali fanno difetto i sintomi della degenerazione isterica. « L'in- timo rapporto fra tristezza e lagrime non è più comprensibile di quello fra timore e anestesia. L’ angoscia può eccitare la nostra attività intestinale e incanutire i nostri capelli, come l’isteria può. produrre edema e disturbo del movimento del cuore. Anche di- sturbi della coscienza, fortissima tensione unilaterale dell’ atten- zione con insensibilità per altre direzioni, noi troviamo per effet- to delle commozioni del sentimento ». « Nella molteplicità di per- sonalità, sempre si tratta solo dell’effetto di autosuggestione ; il nuovo stato si forma cosi come il malato se rappresentato; egli non è cambiato realmente in un bambino, ma lo imita se anche inconsapevolmente e involontariamente ». |

Dopo ciò se, incitati dai bisogni della nostra pratica che ci mette spesso nel caso di dover decidere la diagnosi senza il soc- corso dei sintomi somatici e senza la luce di notizie anamnesti- che sicure, se noi riandiamo i caratteri che i libri danro come più propri della cosiddetta. mania e della depressione isterica, troviamo che si attribuisce importanza alle allucinazioni per la loro particolare frequenza e per lo speciale conteruto; e alle idce deliranti a contenuto demonomaniaco ed erotico religioso. « Le allucinazioui che si presentano relle isteriche anche fuori degli accessi hanno questo di caratteristico che sono sempre terrificanti o spiacevoli o ributtanti » (1). Le figure delle allucinazioni sono scheletri animali, fantasmi deformi. Ma quando si viene a trarne argomento per decidere una diagnosi, ecco che a ragione se ne diffida. Mingazzini e Pacetti in una splendida monografia (2) di fronte a casi di psicosi neuralgiche presentanti simili alluci- nazioni ed alla ipotesi, da altri proposta, che si tratti di manife- stazioni isteriche scrivono « se si considera che le medesime al- lucinazioni osservano anche in altri stati morbosi, che si veri- ficano con eguale frequenza in pazienti nei quali non vi è stata mai traccia alcuna d’isteria, che infine allucinazioni visive press’ a poco simili si osservano lungo il corso di accessi emicranici intercor-

1) Tamburini, Tonnini e Ferrari loc. cit. p. 531. 2) Studio clinico sulle psicosi neuralgiche. Rivista sperimentale di Frenia- tria Vol. XXII.

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renti nella paralisi progressiva, si dovrà convenire che tale ipo- tesi non ha a suo favore alcun fatto assolutamente dimostrativo. Il Kraepelin che nel trattato, con la severa diligenza a lui propria, nota, in ogni capitolo di patologia mentale, allucinazioni e idee deliranti raccolte dalle manifestazioni verbali degli am- malati, e tanto abbonda nel riferire, che ne riempie qualche vol- ta le intere pagine, ha fatto, con questo, opera che a qualcuno parve stucchevole e vana, io dirò che sia divertente; certo non è oziosa perchè egli riesce così a dimostrare come male s’appon- gono quelli che fondano distinzioni cliniche sul contenuto degli errori sensoriali e dei deliri. Egli poi ascrive alla frenosi mania- co-depressiva una forma di eccitamento maniaco, contrassegnato dallo sviluppo rapido di un profondo disturbo sognante della co- scienza con numerosi errori sensoriali e confuse idee deliranti. « Si presentano errori sensoriali in massa. Tutto è alterato, si brucia, uccelli volano tutt’ attorno nell’ aria, appariscono spiriti, gittano serpenti in viso agli ammalati, sulle pareti strisciano ombre. Essi sentono suoni di campane, spari, rumori d’acque, la voce di Dio annunzia a loro il giudizio finale, il proscioglimento da tutte le colpe. Il caffè puzza di morto, le mani sono come im- putridite, il cibo ha gusto di carne di capra o d’ uomo, |’ acqua sa di solfo (1). Non seguito a riferire dal testo questa filastrocca utile: ma noto che, di fronte a questo gruppo di eccitaàmenti cir- colari, le allucinazioni numerose e di carattere variabile (Krafft- Ebing, Agostini), che dovrebbero contraddistinguere la mania isterica da quella circolare, una volta di più perdono ogni valore. Con questo non negherò io che le allucinazioni paurose o ribut- tanti, e le idee erotiche, religiose o a colorito demonomaniaco non siano singolarmente frequenti nelle psicosi isteriche; così co- me tipi abbastanza caratteristici di allucinazioni e idee deliranti ripetono con particolare frequenza nel delirium tremens, nel- l’epilessia, nella paralisi; io escludo che abbiano valore di note specifiche e vi si possa far sopra assegnamento per la diagnosi. Maggior valore, senza dubbio, ha il rilievo di un decorso breve ed irregolare per la facile variabilità di alcuni sintomi, massime dell’umore (questa mutabilità dell'umore è una delle poche carat- teristiche che dal fondo isterico passino nella psicosi acuta).

1) Kraepelin loc. cit. p. 382 - 83,

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« Tutti questi stati di eccitamento e depressione isterica, dice Kraepelin, passano via per lo più rapidamente in poche ore, giorni o al più settimane. Al contrario degli accessi maniaci, es- prendono un decorso completamente irregolare, influenzato da accidentalità, se anche qualche volta, per collegarsi colle mestrua- zioni, ritornano a periodi fissi. Oltre a ciò, agli eccitementi man- cano sempre quegl’ importanti sintomi che sono l’ideorrea e la particolare ressa d’affacendamenti : per lo più essi portano del tut- to i caratteri di vivaci espressioni di sentimenti. Cosi le depres- sioni degli isterici non sono accompagnate dall’ arresto psicomo- torio, il quale distingue gli stati di depressione della frenosi ma- niaco-depressiva ».

Questi argomenti hanno senza dubbio un bel valore per leli- minazione della frenosi maniaco-depressiva. Accenni logorroici (sempre intendendo per logorrea e ideorrea non l’abbondanza, ma la fugacità delle idee nessuna delle quali riesce ad esercitare un influsso direttivo nello svolgersi del pensiero) si presentano certamente anche nell’ esaltamento gaio di soggetti istericì, ma sempre cone fenomeno transitorio. Il frammento seguente è tolto dallo scritto di un'isterica (1) in eccitamento gaio: siamo, co- me si vede, ancora loutari dalla fuga delle idee dei maniaci.

« Bene non fa niente chi vuol vivere e andar bene pigla il mondo come viene, dicono a S. Luca; si bene la Luzia deve avere centesimi dieci per avermi dato un panetto dei suoi è stanca di aspettare e mi vuole sequestrare il tuo ritratto cioò la tua fotografia, bisogna che mi metta a fare una bella calligrafia se no il babbo mi dice che sono ammalata finchè mi trova bene sguaiata non ha torto ma stia in gamba fino ai ginocchi perchè potrei tirar- gli la barba come ha fatto la vecchia Gallinelli ecc. ».

Molto dimostrativo è il fatto, che io bo più volte osservato, di soggetti isterici che venuti nel manicomio per accessi convul- sivi hanno tolto ad imitare, dopo qualche tempo, le agitaziori ma- niache: riescono infatti a far del rumore e qualche guasto, can- tano o ingiuriano o dicono oscenità, ma ron è affar loro svilup- pare e riprodurre il meraviglioso fenomeno dell’ideorrea. Tale il

1) Archivio del Manicomio di Ferrara N. 3373.

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caso della Elisa L. (1) la quale, condotta nel manicomio per con- vulsioni isteriche, dopo qualche anno ha cominciato a presentare una sequela di agitazioni gaie o dolorose tutte di breve durata, motivate spesso da futili contrasti coll’ ambiente : le agitazioni dolorose consistono in strida, ingiurie e rifiuto di cibo; le gaie in canti prolungati e parole mordaci con palese imitazione di qualche vicino esemplare. In tre anni mai ho potuto sorprendere neppure accenni di logorrea. Anche più interessante è il caso che segue.

Elisa C. (2). Era da qualche anno infermiera del Manicomio, quando una sera verso le ore 8 1[2, mentre prestava servizio di guardia, è improvvisa- mente còlta da gravissimo accesso di agitazione; morde la compagna di guar- dia, rompe una porta, con forza erculea, canta e parla con insolenza e di- sordine, è in preda a forti allucinazioni (vedeva la madre morta e le par- lava e l’apostrofava; inveiva contro il fidanzato). In quel tempo aveva patemi d'animo, ed essendo mestruata, il flusso sanguigno si era quel giorno stesso improvvisamente sospeso in seguito ad un bagno freddo ai piedi.

Si usarono come calmanti la iosciamina Merck e il cloralio idrato con benefico effetto. Questo primo accesso fu seguìto successivamente da altri cinque a intervallo di pochi giorni l’uno dall’altro, e con un modo d’ insor: gere pressoché simile; l’ammalata però presentiva l'insorgere dell’attaco, sic- chè qualche volta si fece anche assicurare spontaneamente prima del suo scoppio. A poco poco i fatti morbosi si dileguarono, ed essa potè riprendere le sue mansioni di infermiera.

Stette bene circa due anni; poi una mattina, dopo una notte in cui era stata libera ed era ritornata più tardi dell’ora concessale, comincia im- provvisamente a rompere stoviglie, stracciare vestiti, percuotere. Ha idee di- sordinate e allucinazioni, zuffola, canta, ha turpiloquio. Trattata con ioscia- mina, si calma per alcune ore; poi torna ad agitarsi come prima.

L’agitazione si presenta ad accessi della durata di 12 a 12 ore e con intervalli anche di 1 o 2 giorni di calma, durante i quali l’inferma parla ordinatamente. Durante gli accessi di agitazione sviluppa una forza straor- dinaria, rompe i corpetti di forza, morde, percuote ecc.

È quindi passata nel ruolo delle inferme.

Da allora fino ad oggi la donna ha presentato una successione irrego- lare di eccitamenti allegri, di irritazioni stizzose e colleriche e di periodi di relativo benessere (in uno di questi fu dimessa dal manicomio per lo spazio

1) N. 2961 dell’Archivio del Manicomio di Ferrara. 2) N. 2614 dell'Archivio del Manicomio di Ferrara.

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di sei mesi). Nell’ eccitamento gaio canta a lungo e si compiace del parlare più sfacciatamente osceno ; nella collera non parla coi medici e sputa a loro addosso (e solamente a loro se si avvicinano). Nel 1894 ebbe un periodo in cui bamboleggiava: andava accattando pietruzze e pezzetti di carta « da portare al nonno ». Mai ha presentato logorrea.

I passaggi alle collere sono determinati da influssi dell’ambiente : da arrabbiature colle amiche. Questra donna ha avuto sempre l’arte di suscitare nel personale d’assistenza particolari amicizie un fenomeno analogo a quello studiato da Obici nei collegi). Sono amiche, nelle quali la gelosia invelenisce ed avviva l'amore, devote fino al sacrifizio, che sfidano i pericoli del licenziamento e s’alzano di notte.... a portarle del vino.

Mai fu possibile estirpare questo guaio sempre rinascente.

Non ostante la superficiale tinta maniacale, questi eccitamenti e questi furori senza ideorrea e senza affaccendamento (Thaten- dranyg) sono semplicemente delle istericate; espressioni vivaci di sentimenti facilmente cangianti. Mentre la frenosi maniaco-de- pressiva si elimina per la mancanza dei sintomi caratteristici che, in così lungo volgere di decorso, avrebbero pure dovuto affermarsi, l’isterismo si è palesato e si palesa per più altri segni: i carat- teri dei primi accessi che sono quelli di fasi passionali, il bam- boleggiare di un altro periodo, oscillazioni violente dell’ umore per motivi futili, la stessa arte « sorprendente negli isterici di stringere relazioni per raggiungere piccoli e grardi vantaggi e fare di il centro bene osservato dell'ambiente » (Kraepelin).

L’alcoolismo cla::destino gioca spesso in queste manifestazioni isteriche la parte di agente provocatore.

Il caso seguente dimostra che IP isterismo è p animatore di qualcuna di quelle melancolie giovanili, che si rinfacciano al con- cetto kraepeliniano della melanconia psicosi d’ involuzione. Si trat- ta di una giovane di 26 anni, M. S. (1) studente nella scuola di magistero, accolta nel manicomio di Ferrara il 13 Aprile 1899. St presentava in aspetto di melanconica senza la più piccola ma- nifestazione di rallentata psico-motilità: a tutte le domande ri- spondeva mestamente: « debbo morire per i miei peccati ». Pa- reéchie volte rifiutò di cibarsi e una volta fece un blardo tenta- tivo di suicidio. |

La storia forniva queste poche notizie. Ha avuto molteplici

1) N. 3338 dell’Archivio.

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manifestazioni tubercolari. A 19 anni ha subito disturbi psichici (paure, idee di persecuzione). Durarono quattro mesi: poi è stata bene fino al presente. Patemi d’animo per la non riuscita dei suoi esami da maestra hanno preceduta la psicopatia attuale, ma- nifestatasi con insonnio, cefalea, tristezza, desiderio di piangere, tendenza ad allontanarsi da casa.

L’assenza adunque di rallentamento psicomotorio mi faceva- no considerare come improbabile in questo caso la frenosi ma- niaco-depressiva e per la mancanza di sintomi positivi dovevo escludere la demenza precoce. I? altra parte per ammettere sen- z altro una melanconia essenziale, avrei dovuto passar sopra agli insegnamenti dell’ osservazione clinica più accurata, che |’ ha di- mostrata non propria degli anni giovanili. Così lP eliminazione mi portava a prendere in considerazione l’ isterismo del quale lam- malata stessa, avviata a guarire dopo circa due mesi, ha data una dimostrazione sicura nella relazione seguente che scrisse per mio invito. La riproduco integralmente perchè, meglio di qualun- que descrizione, ha valore di contributo alla conoscenza degli stati isterici di melancolia.

Io aveva 19 anni, quando in seguito a gravi malattie sofferte (p’eurite sinistra, tabe mesenterica, resezione in una costola dal lato sinistro, un’ altro tumore in una costola del lato destro, che venne a suppurazione da e con iniezioni di tintura di iodio guarì, un artrite al brarcio sinistro, e mancamen- ti di respiro) ebbi a subire una crisi che mi fece soffrire più delle malattie su- indicate. Da circa cinque mesi ero oppressa da tristezza che mi cagionava insonnia e inappetenza. In sull’ albeggiare del ventitre di marzo del 1592 feci un sogno. li sentii crepitare scintille di fuoco intorno al capo. Due uomini brutti mi tenevano fortemente stretta pei fianchi, in modo ch’ io non poteva muovermi, gridare, c con un cerlo sogghigno mi dicevano: A ora cs sei: la porta di fianco al mio letto si aperse, e una donna che stava in casa mia ‘mi si fece innanzi e mi guardava pallida e pietosa. Io dopo alcuni sfor- xi che feci per liberarmi da quell’ incubo gridando: Oh Maria: mi destai, ciò mi aveva alquanto imnpressionata. |

Il terzo giorno dopo questo sogno to era più del solito trista, esequivo con molta fatica le faccende di casa; e verso le Il mentre stava per uscire venni meno. Dopo rimedi prestatimi rinvenni, ma era oppressa, da un forte peso al capo, da mancramento di respiro e mi sembrava di essere morta sui fianchi all’ estremità degli arti inferiori. Andai in lelto e chiamato il medico presi un calmante ma non migliorai, il giorno dopo stava peggio, aveva una

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forte impressione di morire, io allora desiderava molto la compagnia dei pa- renti e delle amiche. Il terzo giorno sentitami maggiormente impaurita e op- pressa, la mamma mandò di nuovo pel medico, e questi vedendomi molto agi- tata mi ordinò una medicina, ch’ io a nessun costo volli prendere, dicendo che era veleno, poi dissi a’ miei genitori che in caso ch io non migliorassi m’ avessero condotta all ospedale. La notte di questo giorno la passai con gran- di spaventi, temeva di vedere i miei genitori, mi sembrava che in una stanza attigua alla mia vi fosse molta gente che confusumente camminava e si avan- aava nella mia camera borbottando. Mi pareva di sentire sul letto a correre persone e aveva orrore persino di un gatto che avevo in casa. lo allora volli ricorrere alla religione per vedere se cessavano i terrori che provava e perchè ancora mi sembrava di morire. Ma anche con quel rimedio pei allora non trovai sollievo. Dopo due o tre giorni passati in letto mi alzai, non aveva for- xa di attendere alla casa e al lavoro, e anche volendolo io non capiva quel che faceva : allora cominciava a temere di tutti, non desiderava più la compagnia delle amiche, fuggiva i parenti, desiderava di stu sola e nascosta perchè te- meva che tutti mi facessero del male ; se udiva la musica, o a cantare o ù rumore di caroxze piangeva e fuggiva perchè diceva che erano tutti segni che precedevano la mia condanna.

Mi sembruva che il sole non risplendesse colla solita sua luce, vedeva tutte le cose sotto un’ aspetto diverso. Il cattivo tempo mi faceva molto paura perchè mi pareva di udire delle grida e correre gente sopra il tetto della mia casa e vedeva sopra una terazza uomini a litagarsi. Aveva poi fortemente in me l’ impressione della fine del mondo. Di sera io vedeva in un orto vicino correre gente ravvolta in fiamme, e una stanza tutta inforata dore alcuni vi stavano immersi. Io durante il tempo che ebbi quel male, se così si può chia- mare, dormiva poco o niente, aveva sempre di notie immagini dinanzi. Alle volte sognava di essere inseguita da gente che mi volevano uccidere e io cor- rera con affanno per le vie, entrava in stanze buie, usciva da queste per ri- pararmi in altri luoghi, poi ‘finiva di nascondermi in un tempio ma anche era inseguita e allora mi svegliava e mi guardava d’ intorno impaurita. Più volte tentai di togliermi la vita ma quando mi vedeva dinnanzi al pericolo miè ritirava. Così saliva sul tetto di una casa vicina e mi avanzava fino alla grondaia per gettarmi giù, mi sedeva sulla ringhiera della scala allo scopo rovesciarmi, una volta tentai di uccidermi con un coltello, ma arrivato il babbo me lo tolse. Non voleva mai uscire di casa perchè temeva la vista di tutti, e soltanto vi andava quando alcune mie compagne mi costringerano a forza. Un mattino uscita con una parente la pregai di lasciarmi in chiesa as Teatini, mentre ella andava a spendere, e poi le fuggii allo scopo di ritrovare, girando per le vie di campagna la salute, o la morte; ma sovvenutami d’avere la mamma inferma, ritornai a casa. Nei quattro mesi che soffrii quel malan- no, una volta solo, uscìi di casa di mia volentì. Erano le undici di un mat-

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tino di luglio, c io pregai e ripregai la mamma che m’ avesse permesso d'an- dare a S. Spirito, promettendole di ritornare fra poco. Con rincrescimento me lo permise, e io andata in chiesa e non avendo ritrovato nessun sollievo al mio male, anzi sentendomi agitata e senza alcuna speranza di bene, uscii e mi diressi fuori porta san Giovanni. Ogni volta che passava d’ innanzi a qualche rigagnolo mi veniva la tentazione di gettarmivi dentro, ma il pensiero della mamma me asteneva e poi anche perchè fra una vita tanto infelice nutriva un lontano presentimento di guarigione. Girovagai per quattro ore sem- pre sola, poi ritornai a casa. Da quel giorno la mamma non mi lasciò più uscire. Io era sempre taciturna, provava qualche interna inquietudine, soltanto una sera scattai colla madre e col fratello minore. Altre volte mi sentiva la volontà di metter sossopra la stanza di una inquilina e per quanto mi fa- cessi violenza non poteva astenermi. La buona donna mi guardava, ma mi compatira. Mi sentiva molto pesa in tutta la persona, soffriva acuti dolor di capo, non amava di lavorare, di leggere, alcun altra occupazione. Ogni mattino aveva l'impressione di non arrivare alla sera. Altre volte mi veniva al pensiero di non esistere più, ma che io era già in un mondo d' oltretomba ricoimo di pena senza fine, e allora interrogava la mamma c le diceva che io non era piu con lei, ma era il mio spirito che si trovasse li a soffrire. Mi persuadera poscia ch’ io viveva, ma la vita mi era, in quel modo, as- sav discara. Desiderava di sentirmi libera e tranquilla e non sapera come to- gliermi da quel brutto stato di vita. Allora non presi mai medicine e non vo- leva neppur veder medici, perchè diceva di non esser ammalata. Non amava di far niente, ma qualche volta leggeva libri specialmente religiosi; e fu per mezzo di uno di questi ché quella volta riacquistai la salute. Leggeva un gior- no come Santa Caterina da Siena avendo veduto due condannati trascinati per le vie, non ricordo ora se di Siena, o di altra città, tormentati molto nei loro corpi e molestati da tanti demoni che aspettavano le loro anime, per pre- cipitarle nell’ inferno, la Santa impictosita ottenne a loro da Dio il perdono e quer poveretti da disperati, si tranquillarono e morirono in pace. Lessi an- cora una breve istoria dell’ apparizione della Vergine di Lourdes e i prodigi operati per mezzo dell acqua che fece scaturire presso la Grotta dove apparve. Allora io, che per quello che provava avera pensiero di essere già all’infer- no, ma che poi mi persuadeva che l’anima l aveva ancora unita al corpo, pensai che per mezzo di essa sarci guarita. Dissi, se quei due condannati che erano, si può dire nell’ abisso ottennero l uno e l altra la salute dell’ anima, to che riveva poteva di certo ottenere ec luna e l’altra immergendoma nella fonte di Lourdes. Ma questo pensiero non poteva effettuarlo perchè richiedeva spese, che la mia famiglia non poteva sostenere. Allora pensai che la virtù che avrebbe avuta la fonte, l'avrebbe pure avuta una stilla di quell’ acqua. Senza manifestare ad alcuno questo pensiero e la speranza ch’ io nutriva in cuore di una prossima miracolosa guarigione, perchè il manifestarlo temeva

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che mi fosse tolta la fede; chiamai il fratello minore, lo pregai di tacere, se desiderava lu mia salute, la comissione che gli dava, la quale era di prendere alcuni ninnoli, comperare col danaro dell’ oglio, portarlo ad ardere in una lampada della madonna nella chiesa di S. Gregorio, e farsi dare dal rettore di questa chiesa un po’ d acqua della Madonna di Lourdes. Il fratello eseguì appunlino quanto to gli aveva imposto. Portatami l acqua richiesta alle due pom. dei tre d Agosto dell’anno suindicato, io ne bevetti, poi mi bagnar il capo le braccia, e le parti del corpo che soffrivano di più. Scesi poscia nel- l orto di mia casa, sempre taciturna e colle solite impressioni che mi tormen- tavano vi stetti fino verso le dett''ore pom. Salì allora nella mia camera, me lavai il viso e le mani, immoergendo nell acqua comune alcune goccie dell ac- qua della fronte prodigiosa. Subito mi senti il braccio sinistro talmente alle- gerilo che mi sembrava di non averlo, ciò mi faceva ad un tempo piacere 6 paura, asciupandomi provai lo stesso effetto nel braccio destro. Allora mi na- cque viva, viva la speranza ch’ io. avrei per mezzo di quell'acqua riacquistata la salute. Mi bagnai poscia il petto e la vita e all'istante mi sentì sciogliere come da un busto di ferro. L'alleggerimento che allora provai e la quiete che sentiva nascermi in cnore mi costrinse al pianto. Non mi sentiva però perfe- tamente guarita, specialmente mi opprimeva il peso e il dolore del capo e non erano ancora cessate tutte le mie paure. Mi teneva però certa di essere libera di tutto fra qualche giorno. Il quattro Agosto presi pure di quell’ acqua e feci in me la stessa operazione del giorno precedente, ma non ebbi niente a notare in quanto alla sperata guarigione, aveva soltanto qualche lieve alleggerimento della persona e una viva fiducia di guarire. Il 5 Agosto ripeter lu cura spiri- tuale come negli altri due, non ebbi alcun sintomo di miglioramento ma mi sentiva tranquilla e sicura di guarire. Alla sera inî coricai non aveva sonno, era però calma, è tempo cattivo che in quella sera minacciava non mi faceva più alcuna impressione, non aveva più cattive immagini dinanzi a me soltanto mi tormzntava è peso e il dolore del capo. Suonavano le 111)2 quando prima mi senti un forte battimento di cuore, pot un allegerimento totale in tutta la persona e in seguito come una mano di velluto che mi tolse il peso e il dolo- re del capo, tanto ch’ io credeva persino d'avere un’altra lesta, mi sentiva del tutta quarita e libera di ogni timore. Non dormii in tutta la notte dal conten- to e desiderava il giorno per uscire di casa. Appena spuntata V alba mi alxai, corsì a guardarmi nello specchio, per vedere se l’ aspetto mio era bello come il bene che sentiva. Era invece molto abbattuta e trista ma ciò non mi spaventava perchè mi sentiva guarita.

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CRONACA

Nomine. Col Maggio p. p. l’egregio dott. Antonio D’Ormea fu promosso a primo medico assistente, e a coprire il posto da lui lasciato va- cante fu chiamato il dott. Giuseppe Muggia, distinto allievo delle Clini- che di Bologna, che ha assunto il servizio col 1 Agosto. Ai valenti colleghi e collaboratori le nostre più vive congratulazioni. i

. ignoto Benefattore. Un ignoto benefattore ha fatto pervenire a questa Direzione la somma di L. 50 con piena facoltà di erogarla nel modo cre- duto migliore a vantaggio degli infermieri e dei malati. Questa Direzione ha versato L. 30 nella cassa degli infermieri e L. 20 in quella della Società di Patronato per i pazzi poveri dimessi dal Manicomio.

NOTIZIE

XI. Congresso della Società Freniatrica Italiana. Dal 29 Settembre al 3 Ottobre p. v. avrà luogo in Ancona l XI Congresso della Società Frenia- trica Italiana.

Il Congresso si occuperà in modo speciale dei Temi seguenti: 1. Sui progressi della Psichiatria, dolla Neuropatologia e della Tecnica manicomiale. Relatori Dott. G. Seppilli e R. Tamhroni. II. Sulla classificazione delle psicopatie. Relatore Dott. S. De-Sanctis. III Genesi e nosografia della Pa- talisi progressiva. Relatore Prof. L. Bianchi. IV. L’ indirizzo pratico che la Psichiatria può dare alla Pedagogia. Relatore Dott. C. Agostini. V. Sui criteri e i modi per la educabilità dei deficienti e dei dementi. Relatori Dott. S. De-Sanctis e R. Colucci. VI. Sui provvedimenti per diminuire l’affollamento dei Manicomi e il carico relativo delle Provincie. Relatore Prof. A. Tamburini.

Al Congresso sarà annessa una Esposizione Freniatrica relativa a tutto quanto concerne i Manicomi, le Cliniche psichiatriche e neuropatologiche, e Istituzioni congeneri (Istituti (edilizia, organizzazione ecc.), materiale e ser- vizi igienici, materiale terapeutico e tecnico, materiale scientifico, pubblica- zioni ecc.).

Nuovo Giornale. Per cura del Comitato permanente interprovinciale con- tro la pellagra verrà presto iniziata la pubblicazione di una « Rėvista pella- grologica italiana », che si propone di riassumere tutta la produzione pella- grologica d'ordine scientifico medico e profilattico. La redaziene 6 compesta dell'avv. L. Perissutti presidente, dell’ing. G. B. Cantarutti, segreta- rio del Comitato interprovinciale contro la pellagra in Udine, e del dott. G. Antonini, direttore del Manicomio di Voghera per la parte medica.

Giubileo professionale. In occasione del compimento del venticinquesimo anno di insegnamento del Prof. Augusto Tamburini si è costituito un Comitato per festeggiare nel prossimo novembre tale lieta ricorrenza. Le of- forto che a tale ecopo i eolleghi e i discepoli del Prof. Tamburini vor- ranno inviare, debbono essere dirette al Dott. G. C. Ferrari, segretario del Comitato.

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Società di Patronato per i pazzi poveri dimessi dal Manicomio. Somma precedente ; ; . L. 2238. 02 Offerte malati . ; A i l » 2. 25 Ignoto benefattore 3 i ; » 20.

Totale . L. 2260. 27

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Movimento dei mala ti nel mese di Maggio 1901

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Movimento dei Hali nel mese di 1) 1901 | ‘Prov. di Ferrara | 199) 202]1 2) 1) 31 2) 205° 207 | i Appart. ites i | i | . altre Provincie 27| il | 3 27| l4 | EEA ia EE] E 226| 216 sf 2a) 3 3| Li | 232| 221 | = si I i :

Movimento dei malati nel mese di S 1901 | | |

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altre Provincie 27

Direttore R. TAMBRONI. Redattori CappeuLett) - D’Ormea - Fina - Lampranzt + MuGgiA - VEDRANI.

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