f ' € ■émt k ■■ ^ •4r“ BOLLETTINO DELLA VOLUME XXXIV (SERIE II., VOL. XIV) ANNO XXXV -XXXVI Con 11 tavole (Puhhlicàto il 30 aprile 1923) 'Monal W NAPOLI OFFICINA Cl^OMOTIPOGRAFIGA « ALDINA Piazzetta Casanova a S. Sebastiano, 2-4. 1923 ■v 'V- Mp^ ;ì||| liP ^•1 ..Hip-'- ':■: pifiUE'/ '■"* . . . . . INDICE ATTI (MEMORIE E NOTE) sarcomi. Mazzarelli G. — Note sulla biologia deH'Ostrica {Ostrea edulis L.). ZiRPOLO Gj — b^otizia di un’pls/mas glacialis O. F. Mailer con sei braccia pescata nel Golfo di Napoli . Marcello L. — Breve nota su alcuni casi teratologici nel Ràphanus Èativus, . . . . .., . . ZiRPOLO O. — Suiromeofagismo àtW Asterina gibb))sa Penn. . Gargano C. — Inclusioni di cellule negli epiteliomi. Gargano C. — Azione del radio sugli ep^tèliomi . Mazzarelli G. — La "secca,, del Pampano CoiiRONEi G. — Ricerche sip pancreas dei Petromizonti . Lo Giudice P. — Le acciughe dei mari italiani * . . . . Gargano C. — Esperimenti di cultura in vitra di tessuti di Selad. Carrelli A. — La decomposizione elettrica delle righé^spettrali . Del Regnò W. — Gli elementi diottrici delTocchio afachicó . Mazzarelli G. — Nòta sulla biologia deirostrica [Ostrea edulis L.). Guadagno M. — La vegetazione del Monte Nuovo e le sue origini. PiERANTONi U. — Sulla bibfotogenesi simbiotica ' Ss* Giordani F. — Commemorazione di. V i n c e n z o G a ti t h ì e r , — . Con uti-atto . . . . . . . . . Cavara F. — Commemorazione di ,N i c o 1 a T e r r a c c i a n o — Con ^ritratto .... . . . . Gargano C. — Dei ttimori spontànei nei mammiferi. --- Endotelio- ^ ma della cavità plenrica ìn nn gatto . . . . ZiRPOLO G. — Studi sulla bioluminescenza, batterica . . . Cavara F. — Commemorazione di MJ c h e l e G é r e m i c c a. — Con ritratto. . . . . , ... . . Malladra A. — L'attività del Vesuvio nelFanno 1918 . - • ZiRPOLO G. — Osservazioni sulla biofotogenesi . . Gargano C. — Di una speciale degenerazione delle cellule dei pag. 3 ' 19 33 46 51 69 128 133 151 160 163 1.66 169 180 18^, 194 197 210 216 230 234 238 307 ■ Pii' V a BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI BOLLETTINO DELIiA SOCIETÀ D0 NATURAUSTl IlV VOLUME XXXIV (SERIE II., VOL. XIV). ANNO XXXV-XXXVI 1921 e 1922 Con 11 tavole (Pubblicato il 30 aprile 1923) NAPOLI OFFICINA CROMOTIPOORAFICA « ALDINA Piazzetta Casanova a S. Sebastiano, 2-4 Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli ATTI (MEMORIE E NOTE) Gli autori assumono la piena responsabilità dei loro scritti VINCENZO GAUTHIER 1859-1920 Vincenzo Gauthier Commemorazione fatta dal socio Prof* Francesco Giordani (Tornata straordinaria del 24 aprile 1921) Signore e Signori, ^ non per ripetere un luogo comune io voglio dirvi che con grande esitazione mi accingo ad espletare il mandato affidatomi dalla Presidenza della Società dei Naturalisti di commemorare il nostro consocio prof. Gauthier. E dico ciò, non solo in vista della mo¬ destia della mia persona, ma anche e più specialmente perchè la illustrazione dell'opera di Vincenzo Gauthier non può rientrare nell'ambito delle conoscenze di un cultore di una determinata disciplina. Scorrendo la produzione scientifica di Vincenzo Gauthier vi si trovano trattati gli argomenti più vari dal campo della me¬ dicina a quello della geologia, dalla chimica clinica alla chimica fisica: il tutto susseguentesi con una precisa coordinazione di fatti e di idee che permettono di seguire passo a passo la evo¬ luzione mentale di questo grande lavoratore. Limitando il mio compito alla esposizione di questo pro¬ cesso evolutivo dell'uomo, che ha seguito il suo cammino scien¬ tifico come mezzo e non come fine a sè stesso, io penso di poter fare opera non inutile e non inadeguata. Non saprei ele¬ vare più alto la mia indagine, come forse l'argomento richiede¬ rebbe, e più utile cosa stimo commisurare il mio sforzo alle forze disponibili. Vincenzo Gauthier non fu e non volle essere un uomo di — 4 — scienza nel senso ristretto della espressione, egli fu un uomo di azione che trasse dalla sua padronanza del campo scientifico tutti gli elementi necessari alla sua attività, tutto quanto occor¬ reva al raggiungimento dello scopo prefisso, scopo materiato di grande umanità e perseguito con salda ed indiscussa fede. Figlio di questa città incantata, ispiratrice di poeti e di ar¬ tisti, ma tanto ahimè trascurata e bistrattata ; egli stimò suo primo dovere di contribuire a renderla sempre migliore e sempre più ricercata. Per Napoli egli tutto dette, tutto operò ; per il nome di Napoli egli lottò nel campo scientifico ed in quello politico ed, oltre i confini di Napoli, per l'Italia tutta. Fu cittadino nel senso classico, patriota sincero in ogni manifestazione : tutta la sua vita si’ inquadra in questo orizzonte vasto al di là della piccola va¬ nità personale, della soddisfazione subiettiva. La sua scienza non fu solamente una soddisfazione dello spirito e ben avrebbe potuto esserlo per la ricchezza dell'inge¬ gno, per la versatilità dell'intelletto, per la saldezza della cul¬ tura. La sua scienza fu un istromento perfetto di lavoro mirante ad un unico scopo. Vincenzo Gauthier non fu uno specialista dotto nell'ambito ristretto della singola parte di una disciplina; ma nel campo scientifico fu un cercatore instancabile di nuovi mezzi e di nuovi elementi per il diuturno lavoro. Laureatosi in medicina giovanissimo fu subito chiamato in qualità di assistente alla cattedra di Farmaco logia e Te¬ rapia Sperimentale della nostra Università, ove rimase fino al 1886 coprendovi anche il posto di preparatore. Nel 1896 ottenne subito l'abilitazione alla libera docenza nella stessa di¬ sciplina per i numerosi suoi lavori scientifici in argomento e per la splendida dissertazione sul “ Delphinum staphlsagria e la Delphinina „ : la sua preparazione all' insegnamento ufficiale ve¬ niva l'anno seguente riconosciuta con la eleggibilità nel con¬ corso per la cattedra di Materia Medica nella R. Università di Sassari. Tra il 1900 ed il 1905 egli cominciò ad orientarsi verso gli studi di Idrologia, nei quali raggiunse subito una posizione emi¬ nente. Nel 1909 infatti otteneva l'abilitazione alla libera docenza - 5 — in Idrologia Generale e Medica presso la nostra Uni¬ versità. E dava opera intanto alla creazione di un Istituto di Idro¬ logia veramente ammirevole, specie se si pensi che esso derivava da uno sforzo completamente personale, Istituto che — alla vigilia della sua morte — riceveva un riconoscimento ufficiale da parte della nostra Facoltà di Medicina, la quale assegnava al Gauthier l'incarico ufficiale del relativo insegnamento. Ora gli amici fedeli ed ammiratori dell' estinto, con lode¬ vole intento, lavorano a che l'opera del maestro sia conservata al nostro Ateneo, mercè l'acquisto del laboratorio da parte del Ministero della P. I., onde sia continuato l'insegnamento del- r Idrologia con carattere ufficiale. L'inesorabile falciatrice, recidendo anzi tempo ed in modo impreveduto la vitale esistenza di Vincenzo Gauthier, non ha permesso al sagace e solerte coltivatore dì veder compiuta la sua opera. Ma giova sperare che il seme fu gettato nel terreno fertile e se ad altri toccherà di mietere la spiga matura, non¬ pertanto noi dimenticheremo o gli altri la figura del Maestro che con fede e con sacrifizio volle veder compiuto il suo sogno. Noi non vedremo più il caro consocio, prezioso collabora¬ tore dei nostri lavori accademici, in mezzo a noi; non sentiremo dalla sua voce pacata la sobria esposizione delle sue ricerche. La sorte non ha voluto ch'egli avesse potuto raccontarci il me¬ ritato esito felice del suo lavoro; ma tra noi che lo seguimmo con vigile affetto nel suo lungo cammino non scomparirà giam¬ mai il ricordo di lui ed egli rimarrà per noi e per i venienti un esempio ed un monito di quanto si possa con la tenace per¬ severanza. Che vale il dire ch'Egli non ha potuto raccogliere il frutto dell'opera sua, se possiamo ripetere a noi stessi ed agli altri che non fu spesa invano? Gli uomini passano, le cose restano. Chiu¬ so il nostro breve ciclo vitale resta pur sempre quel piccolo contributo che ognuno ha potuto portare all'umano progresso, ed al vigile spirito che sopravvive alla carcassa frale non suf¬ fraga la gloria, non l'umana riconoscenza, bensì la sicurezza di aver condotto a termine qualcosa di utile per la collettività. Se Vincenzo Gauthier non vide realizzato il suo sogno di¬ dattico, non mancarono però a lui attestazioni di stima da parte — 6 — di sodalizi e di enti scientifici d'ogni genere. Fu socio dell'Ac- cademia Medico Chirurgica, Consigliere deH'Associazione Italia¬ na di Idrologia, Climatologia e Terapia Fisica, successivamente. Consigliere, Vice-Presidente e Presidente del Comitato Meridio¬ nale di Idrologia e Climatologia (nella quale ultima carica suc¬ cesse airillustre prof, de Renzi che nel ritirarsene lo designò alla successione) e membro corrispondente della Société d’FIydro- logie di Parigi. Fu insignito della Commenda della Corona dT- talia e della Legion d'onore. Nè gli mancarono incarichi di ogni genere: partecipò a com¬ missioni esaminatrici ed a varie commissioni di igiene e di idro¬ logia, fu delegato del Municipio di Napoli e del Ministero della P. I. in vari congressi ed in questi portò sempre il suo contri¬ buto di studioso sia con comunicazioni , sia con relazioni su temi importantissimi e spesso vi fu designato a cariche onorifiche. Nella, vita politica riscosse per ben due volte il suffragio po¬ polare quale Consigliere nella Civica Amministrazione e vi tenne ripetutamente i carichi di Assessore. Non fu mai un assente e l'opera sua fu certamente inspirata alla massima .del poeta buono " Sol chi non fa, fa male „. Nè egli ebbe mai bisogno di citarla a giustifica del suo o- perato. Come coraggioso guerriero egli è morto sulla breccia, vittima di un'operazione chirurgica alla quale si era deliberata- mente sottoposto per riacquistare la voce fiaccata da una grave affezione alla gola, essendo suo vivo desiderio di poter efficien¬ temente partecipare al Congresso d'idrologia che doveva tenersi a Monaco nel 1920. La morte lo colpì inaspettatamente per tutti, non per lui che aveva subito compreso di non sopravvivere; ma nemmeno la brutalità e fulmineità dell'attacco lo scosse. Comprese e si rassegnò, morì come l'antico filosofo serenamente senza rimpianti e senza proteste, fino all'ultimo istante fu l'indagatore sagace anche di sè stesso: lo spirito sempre vigile si era separato dal corpo ormai fiaccato a morte. Non potendo più parlare egli illustrava con lo scritto il procedere del male, disponendo il da farsi. — 7 Noi un brutto giorno apprendemmo dai giornali, senza che ce Taspettassimo, di avere un compagno di meno. Il muto ultimo tributo di affetto reso dagli amici, dai col¬ leghi e dagli ammiratori alla salma fu imponente nella sua com¬ postezza. Ad un anno quasi di distanza in questo luogo sacro non tanto alla scienza, quanto al suo insegnamento del quale Vincenzo Gauthier fu sincero apostolo, la Società dei Natura¬ listi, che dell'opera deU’estinto si avvantaggiò sempre e si onora tuttoggi, rende per mio mezzo al socio ed aH'amico Testremo tri¬ buto; ma non la mia povera parola costituisce questa manifesta¬ zione di dovuta solidarietà, bensf la presenza sintomatica di questo eletto uditorio che è pegno del ricordo che non si estingue. La sua carriera scientifica s'iniziò in un periodo nel quale la medicina, ricca di* molti farmaci, e la chimica di troppi com¬ posti cercavano piuttosto di raccogliersi ed orientarsi nelle ri¬ cerche di sistematica scientifica, anziché di espandersi verso nuove scoperte. Mentre si affermavano in un campo gli studi di chimica clinica, di chimica fisiologica e di fisiologia sperimentale; nell'altro assurgeva a scienza base la chimica-fisica. In questo periodo aureo Vincenzo Gauthier marciò sempre all'avanguardia. Fin dai suoi primi lavori di farmacologia sperimentale, egli si orientò verso lo studio sistematico di medicamenti già noti, cer¬ cando di approfondire il loro meccanismo di azione. Giovanissimo ancora, pubblicando il suo studio sull'olio essenziale di trementina egli fissava a chiare note il suo programma di lavoro, dal quale non si è mai distaccato in tutta la sua carriera. Comprese subito l'importanza che le ricerche chimiche potevano avere nel campo della medicina e la necessità di dare ad esse un posto adeguato accanto alle ricerche microscopiche fin'allora predominanti. " Oggi però — egli dice — che il metodo sperimentale ha “ ricevuto un nuovo impulso, invece di controllare le esperienze “ ed i risultati ottenuti per correggere, se del caso, gli errori '' dovuti ai mezzi insufficienti di una volta, si va in cerca di " nuovi farmaci, trascurandosi molti di quelli già esistenti e dei " quali possediamo nozioni imperfette,,... "Studiamo le novità, " ma non trascuriamo quello che già possediamo, o almeno ri- — 8 — “ gettiamo ciò che è vecchio quando se ne è veduta prima la “ inutilità Ispirandosi a questi sani criteri Vincenzo Gauthier condusse a termine in questo primo periodo della sua attività scientifica una serie di ricerche di Farmacologia molto interessanti. Oltre il già citato lavoro sull'olio essenziale di trementina, va ricor¬ dato quello sull'azione fisiologica delle iniezioni sotto cutanee di ferro, le ricerche (compiute in collaborazione del suo maestro, prof. Semmola) sulla tossicità delle urine albuminose e special- mente delle urine brightiche, nel corso delle quali fu condotto a designare un reattivo per la differenziazione dell'albumina del¬ l'uovo da quella del siero; sostituendo alle determinazioni in¬ certe, basate su criteri colorimetrici, quella molto più sicura basata sui caratteri di solubilità in un reattivo da lui proposto. Attratto dal concetto di dare basi scientifiche alla farmaco¬ logia empirica egli condusse a termine una serie importante di studi sugli stimolanti cardiaci; premettendovi una diligente di¬ samina della loro azione sull'organismo e definendo esattamente quello che debba intendersi per farmaci cardiaci, come quelli che penetrati nel torrente circolatorio agiscono in modo diretto sul cuore o indirettamente sui filetti cardiaci e sono indiretta¬ mente diuretici. I suoi lavori sullo Strophantm hyspidus e la stro fantina^ la Peonia officinalis e la peonina, il Dephiniam sta- physagria e la delphinina sono tutti condotti a termine con una rigorosità scientifica ammirevole e costituiscono ognuno una mo¬ nografia completa dell'argomento: la storia, la descrizione bota¬ nica della pianta, lo studio chimico e farmacologico, nonché quello fisiologico sperimentale vi si trovano tutti aggruppati ed ar¬ monizzati insieme. E certo sarebbe desiderabile che la terapia si circondasse sempre di queste cautele onde dare al medico pratico notizie sicure e precise circa l'uso dei medicamenti. Questo sano concetto ispirò sempre l'opera scientifica e di¬ dattica del Gauthier, e presiedette alle sue lezioni di Materia Medica e Tossicologia, da lui pubblicate in varie edizioni. Né trascurò ancora di contribuirvi con lavori di compilazione tra cui citerò il piccolo manuale La ricetta „ nonché vari suoi articoli suW Enciclopedia Medica Italiana e nel Dizionario prati¬ co delle scienze mediche, e con conferenze varie. _ 9 Ma, destinato fin daH'infanzia dalle occupazioni paterne ad occuparsi di idrologia, egli non poteva mancare di abbracciare questo ramo importante di studi non appena i progressi della chimica in genere e della chimica-fisica in ispecie avevano ac¬ cumulato quel tanto di basi teoriche e di metodi di indagini che permettessero di abbordare il complesso quesito dell’azione terapeutica delle acque minerali sia per uso interno, che nei bagni. Non più la sola chimica classica, che già non rientra nel patrimonio di tutti i medici, basta allo scopo; ma le più accu¬ rate esperienze chimico-fisiche, le misure delicate di radioatti¬ vità, ecc. sono i mezzi che servono ad imprendere il lavoro. E per chi voglia estendere l’indagine aU'origine della mineraliz¬ zazione delle acque anche la geologia deve essere chiamata in aiuto. Nessuno di questi mezzi mancò aU'indagine di Vincenzo Gauthier. Il farmacologo provetto, che aveva compreso doversi la chimica porre a base delle indagini fisiologiche, comprese di aver bisogno di nuovi sussidi e si raccolse in sè per prepa¬ rarsi al lavoro. Tra il IQOO ed il 1905 si nota un ristagno nella sua produ¬ zione scientifica. Ma il silenzio non è segno di ozio, bensì è sintomo della nuova elaborazione mentale che si compieva in lui. Fin dal 1898 era stato attratto dallo Schneer allo studio del vecchio cratere di Agnano, già sede balnearia importante all'e¬ poca romana: ed insieme concepirono l’idea grandiosa di ripor¬ tare Agnano all’antico splendore. Era ancora una delle nostre poche ricchezze naturali da sfruttare e non poteva questo compito non rientrare nell’ambito del lavoro di Vincenzo Gauthier. Le antiche terme romane, di cui l’edificio con successive ricostruzioni trovasi ancora sopra luogo ad attestare che fin da quelle epoche remote fosse colà realizzata una completa captazione delle sorgenti di acque termali e dei vapori del sottosuolo ubicate nel centro dell’antico cratere, in allora completamente abitato; distrutte poi dai fenomeni sismici della regione flegrea tra il X ed il XII secolo, vennero gradualmente sommerse colla for¬ mazione prima delle paludi e poi del lago di Agnano al posto dell'antico cratere. Solo nel 1870, prosciugato il lago, ricompar- — 10 — vero le sorgenti minerali che nel 1898 attrassero Tattenzione dello SCHNEER. Cominciò allora da parte del Gauthier Taccurato lavoro di indagine geologica e chimica di questa importante zona, di cui si ha cenno in due prime pubblicazioni in collaborazione collo ScHNEER “ Agnano e le sue acque minerali „ e Le stufe di S. Germano „ che sono i primi passi di quella che potrebbe chia¬ marsi la ricostruzione di Agnano. Dal 1898 fino alla sua morte, il Gauthier non si staccò più un momento da Agnano e fu sempre Tinspiratore dei nuovi la¬ vori che oggi tutti ammirano realizzati con geniale grandiosità e che attendono soltanto la ricostruzione di quella grande sta¬ zione climatica, che il nostro consocio aveva fin dal primo mo¬ mento prevista ed illustrata con ampi studi metereologici, e che non potrà mancare di realizzarsi quando l'attesa direttissima tra Napoli e Roma sarà un fatto compiuto e potrà ridonare ad A- gnano — con i bisogni della vita moderna — la sua funzione di stazione climatica anche per i romani. Dire con dettaglio di quest'opera grandiosa non è possibile in breve: basterà accennare che essa comprende la captazione e lo studio sistematico di 72 sorgenti diverse per composizione chimica e per temperatura. Volendo esaminare la mineralizzazione .di queste acque con criterio scientifico il Gauthier cominciò con uno studio geolo¬ gico completo della regione di Agnano in ispecie e della regione Flegrea in genere ed a lui specialmente, nonché all'egregio prof. Chistoni, si deve l'istituzione di quella Commissione dei Campi Flegrei nel nostro sodalizio, che tanto contributo • ha portato agli studi in parola. Oltre le notizie sparse qua e là nei suoi lavori ci restano di lui due studi: quello sul " Bradisisma Flegreo nell' epoca ellenica „ e quello " Su alcuni fenomeni vulcanici nel Bacino di Agnano „ nel primo illustrando gli scavi eseguiti presso i ruderi delle terme romane, descrive la scoperta di ruderi di terme greche nelle quali si utilizzava una sorgente solfurea e dalla loro direzione ed ubi¬ cazione deduce una prova dell'abbassamento dei campi Flegrei in epoca storica assai più remota di quella determinata dalle os- — 11 servazioni fatte sul tempio di Serapide, confermando così le de¬ duzioni geologiche del De Lorenzo in proposito. Nell'altro egli illustra alcuni fenomeni vulcanici nel bacino e principalmente 1’ apparizione di alcune bocche con emissione prevalente di anidride carbonica , da lui paragonate alle salse della Sicilia, fenomeni che accompagnarono manifestazioni erut¬ tive dello Spradel di Agnano, con caratteri simili a quelle os¬ servate a Carlsbad in Boemia. Estendendo la studio per via di confronti , egli potè darci un quadro generale dei fenomeni termali della nostra regione nei lavori sulle '' Acque minerali della provincia di Napoli „ sulla " Origine delle acque minerali della provincia di Napoli e loro mineralizzazione „ che lo posero subito in prima linea tra i cul¬ tori dell'idrologia. Una sintesi di questa sua opera instancabile ci resta nella con¬ ferenza da lui tenuta alla Sorbonne in occasione del III Congresso Internazionale di Terapia Fisica sul tema “ Les champs phlé- gréens et leurs eaux minerales „ che fu una vera affermazione. Ma il grande amore che lo legava ad Agnano non gli vietò di occuparsi con affetto di altre zone termali del nostro Mezzogiorno , che egli sognava di emancipare completamente dall'estero per le acque minerali. Ricorderò soltanto i suoi lavori %v\V Acqua di Mangiatorella e di Ferdinandea; Sulla costituzione geologica e sulla utilizza¬ zione delle acque sulfuree termali di Guardia Piemontese; Sulla costituzione geologica e sulla mineralizzazione delle acque sol¬ fate di Gerace; L Idrografia dell'Agro Telesino; Le acque mi¬ nerali del Vulture; Le acque sulfuree di Santa Lucia; / fanghi termo-vegeto-minerali di Guardia Piemontese , tutti pregevoli per acume di osservazione e per la messe di notizie raccolte e coordinate con criterio scientifico, di talché le sue indagini net¬ tamente si distanziano dalla coorte di pubblicazioni a carattere puramente reclamistico, di cui portroppo non si può che lamen¬ tare l'irìvasione. Di questo carattere differenziale della sua opera egli fu sempre fiero e curò sempre che non fosse perduto, an¬ che quando dovesse costargli grandissima fatica. Ma Vincenzo Gauthier, nutrito di seri studi, non poteva fermarsi ad analizzare le acque ed illustrarne 1' origine : il suo 12 — Spirito di indagatore, il suo bisogno di sapere Io dovevano con¬ durre necessariamente a studiare il meccanismo di azione delle acque minerali sia nell'uso interno che nell'uso esterno. Ed è in questo campo che egli lascia più larga orma di sè. Subito si accorse che la semplice indagine chimica non po¬ teva bastare a dar conto dell'azione terapeutica, sia perchè resta¬ vano ancora molte incertezze sul modo di aggruppare i vari ioni e sulla valutazione della loro attività; sia perchè la composizione chimica non era sempre una spiegazione dell'azione terapeutica. La chimica-fisica aveva aperto nuovi orizzonti sullo stato dei corpi in soluzione , l' ipotesi sulla dissociazione elettrolitica emessa da Arrhenius, creava in pochi anni una nuova scienza. I dotti potevano cominciare ad avanzare le prime spiegazioni del vecchio aforisma: ''Cor por a non agant itisi solata Tra gli in¬ dagatori che compresero come l'analisi osmotica dovesse accop¬ piarsi a quella chimica il Gauthier fu in prima linea e, con una adattabilità davvero prodigiosa in un dottore in medicina, egli se¬ guì la nuova scuola, della quale Raffaello Nasini fu in Italia un assertore convinto. Le misure di abbassamento del punto di gelo, di condutti¬ vità elettrica, di viscosità, ecc. completano e chiariscono l'inda¬ gine ponderale ed aprono la via a quello studio sistematico del meccanismo di azione, nel quale campo la divisione delle acque da bere in ipo-toniche, iso-toniche ed iper-toniche è un primo criterio di sistematica scientifica. In tal senso sono condotte le analisi del Gauthier nel se¬ condo periodo e, tra esse, registriamo quelle delle “ Acque mi¬ nerali del Vulture „ (1910) V Analisi chimica e chimico-fisica del- V acqua di Napoli, " Analisi chimica e chimico-osmotica dell'a¬ cqua minerale Fonte-Stabia, La composizione chimica e chimico¬ fisica dell'acqua " Apollo „ ed infine La composizione chimica del¬ l'acqua solfato -sodica di Scenia in rapporto alla chimica-fisica. In quest'ultimo lavoro 1' autore rileva alcune anomalie che si hanno neH'abbassamento del punto di gelo colla diluizione in questa ed in generale nelle acque fortemente ipertoniche e riav¬ vicina i suoi risultati con altri analoghi del prof. Nasini sulle acque di Salsomaggiore, deducendone la inapplicabilità a queste acque della teoria delle soluzioni diluite. Disgraziatamente la — 13 — morte, che lo ha colpito anzi tempo, non gli ha permesso, in conformità di quanto ci aveva annunziato nella conclusione del suo lavoro, di iniziare lo studio delle soluzioni concentrate in rapporto ai problemi idrologici. Ma egli mirava specialmente a chiarire con altre ricerche il meccanismo delle acque minerali nei bagni termali ed a ciò aveva rivolto numerose indagini di notevole importanza. Ricorderò il suo studio sul ''Meccanismo di azione delle acque minerali per bagni sulVazoto delle urine „ e le interessanti sue ricerche sulle caratteristiche chimiche e chimico-fisiche dell'ac¬ qua prima e dopo del bagno, con che egli assodò che l'abbas¬ samento crioscopico e la conducibilità elettrica aumentano dopo del bagno dimostrando quindi che l'azione di esso sta essenzial¬ mente nel provocare una eliminazione attraverso la cute e succes¬ sivamente in un meccanismo, non ancora perfettamente dilucidato, di azione sul protoplasma cellulare e sui liquidi intraorganici. Con l'annunzio di questi importanti risultati e di altri sulle modificazioni della struttura cristallina dell'acido urico durante il bagno, egli dettava la sua prolusione al corso d'idrologia nel¬ l'aula della I Clinica Medica in febbraio 1910. Da allora fino all'ultimo suo giorno egli* ha accumulato altri dati importantissimi di cui fanno fede le sue note sul Mecca¬ nismo di azione delle acque minerali clorurato sodiche in rapporto al bagno marino caldo. Le acque oligo metalliche loro origine e meccanismo di azione. Azione dei colloidi nelle acque minerali ed una nota preventiva sulla " Radioattività delle acque minerali ed il meccanismo di azione „ . Quest'ultima, scrupolosa indagine condotta con padronanza assoluta dell'argomento, e della difficile tecnica sperimentale, lo portò ad affermare che la radioattività era essenzialmente da at¬ tribuirsi ai gaz disciolti che trasportano la emanazione radioat¬ tiva, attribuendo a questi una origine profonda. Queste osser¬ vazioni sono tra le prime del genere che permettono di tener conto della grande differenza tra l'azione alla sorgente e quella dell'acqua conservata. La discrezione con la quale si parla in questo lavoro della dibattuta questione dell'efficacia curativa, da molti attribuita alla radioattività delle acque, fanno pensare con vero rammarico al — 14 — fatto che un osservatore così spassionato ed abile non abbia potuto ulteriormente continuare una indagine di tanto interesse. Dopo venti anni di lavoro Vincenzo Gauthier si preparava a darci un accenno di sintesi nella dibattuta questione alla quale aveva dedicata ogni sua attività: in contraddittorio con il cele¬ bre idrologo suo omonimo di Parigi egli avrebbe dovuto rife¬ rire al Congresso di Monaco suirinteressante tema della spe¬ cializzazione delle acque minerali.' Disgraziatamente però nessu¬ na traccia resta di questo suo lavoro, del quale egli parlava con un compiacimento che non riusciva a nascondere: la sorte non ha voluto dargli almeno questa soddisfazione. A pochi mesi di distanza è scomparso dalla scena della vita anche Armand Gauthier di Parigi e dell’atteso lavoro non v’ha più traccia. Il nostro infaticabile indagatore ha portato con sé nella tomba il suo ultimo lavoro, quello che per lo meno avrebbe avuto il diritto di compiere per coordinare ed inquadrare in prima approssimazione la sua indagine ininterrotta. Ma a che vale rammaricarsi? Vincenzo Gauthier non fu solo lo studioso illustre ed il cittadino fattivo: egli fu ancora il padre esemplare che, dopo aver dato al suo paese il contributo incondizionato, lascia di sè il ricordo vivente e vitale, la sua opera migliore : i figli. Che vale il lavoro di un solo uomo per quanto grande di fronte al lavoro dei discendenti se essi furono bene istradati nella via del progresso ? L’opera scientifica di Vincenzo Gauthier rimase incompiuta, non quella di padre. Aldo, Mario e Guido Gauthier continueranno ognuno per la sua strada le orme paterne: saranno come lui lavoratori instancabili e cittadini esemplari, essi che alla patria già dettero con onore la mente ed il braccio nella guerra liberatrice. Io non posso dire a loro — colpiti nell’affetto più sacro — parole di rammarico o di cordoglio perchè sarebbero vane ed inutili, il loro unico conforto è in ciò che la figura di Vincenzo Gauthier non è di quelle che scompaiono; ma restano e reste¬ ranno come incitamento e come esempio per essi e per noi. Napoli, aprile 1921. Pubblicazioni di Vincenzo Gauthier I. Pubblicazioni di Farmacologia 1. — Studio sperimentale sull’azione fisiologica dell’ olio essenziale di Tre¬ mentina. La medicina contemporanea Voi. I. N. 8, 1884. 2. — Studio sperimentale e clinico sul ferro per iniezioni ipodermiche. La medicina contemporanea Voi. 1. N. 9, 1884. 3. — Contribuzione all’ Etiolo già del colera (nota preventiva). Rivista clinica e terapeutica. Voi. VII. N. 5, 1885. 4. — Beitrag zar Lehre der Ursache der Cholera. Berliner Klinische Wo- chenschrift, n. 19, 1885. 5. — Nouveau re'actif pour différencier V albumine de Toeuf de celle dii se'riim. Les nouveaux rémèdes a. 1. n. 13, 1885. 6. — Reattivo per differenziare V albumina deW uovo da quella del siero. Annali di chimica. Voi. IL Serie IV, 1885. 7. — Sur la toxicité des urines albumineiises et siirtout des urines brightiques. Prof. Semmola e Doti Gauthier. Bullettin de l’Academie de medicine, n. 45. Serie li. Tome XVI. 1886. 8. — Appunti sull’azione fisiologica e terapica dell’ Eucaliptus globuliis. Ri¬ vista Clinica e Terapica, a. Vili, n. 6, 1886. 9. — Ricerche sperimentali sul Delphiniiim staphisagria e la Delfinina. Isti¬ tuto di Farmacologia e Terapia Clinica della R. Università di Napoli. (Tesi per la libera docenza). Edit. F. Giannini, Napoli 1886. 10. — Sulla precipitazione dell’acido solforico e degli acidi solfo-coniiigati nelle urine. La Terapia moderna, a. I, n. 5, 1887. 11. — Lo Strophantus hispidus e la Strofantina. (Esperienze fisiologiche e te¬ rapiche). Istituto di Farmacologia e Terapia clinica della R. Univer¬ sità di Napoli. Edit. F. Giannini, Napoli, 1887. 12. — Lfl patogenesi delle malattie infettive. Edit. C. La Cava, Napoli , 1887. 13. — La Ricetta. Manuale pratico pel medico esercente. Edit. Facco e C. Napoli, 1887. 14. — Il Kefir. Modo di preparazione - azione fisiologica - applicazioni tera¬ peutiche. Edit. F. Vallardi. Milano 1889. 15. — Il Tannino. Enciclopedia medica italiana. Serie II. Voi. V, 1890. 16 — Manuale di Tossicologia ad uso dei medici, farmacisti e studenti. Edit. F. Vallardi. Milano 1890. — 16 — 17. — Note ed aggiunte originali in riguardo alla Farmacopea italiana al Trattato di Materia Medica di T. Husemann. Edit. F. Vallardi. Milano 1892. 18. — Lezioni di Materia Medica e Tossicologia per gli studenti della Scuola * di Farmacia 2° voi. Edit. Cavaliere, 1891 e 1892. 19. — L'idrato di cloralio dal punto di vista della tossicologia forense (A. PiUTTi e V. Gauthier). Contribuzioni alla farmacia ed alla te¬ rapeutica, a. II; 1893. 20. — Azione della segala cornuta sull’utero gravido e sull’ utero puerperale. (Conferenza). Rassegna di ostetricia e ginecologia, a. V, 1896. 21. — Gli antisettici in catetricia e ginecologia. (Conferenza). Rassegna di o- stetricia e ginecologia, a. X, 1901. 22. — Articoli di Farmacologia e di Terapia //'Enciclopedia medica italiana. Edit. F. Vallardi. Milano. 23. — Articoli di Tossicologia nel Dizionario pratico delle scienze mediche. Edit. F. Vallardi. Milano. II. Pubblicazioni di Irdologia 1., — Napoli stazione balneare e climatica. Atti del VII Congresso interna¬ zionale di idrologia e climatologia. Venezia, 1905. 2. — Agnano e le sue acque minerali (in collaborazione col Dr. G. Schneer). Atti del VII Congresso internazionale di idrologia e climatologia, Ve¬ nezia, 1905. 3. — Le stufe di S. Germano (in collaborazione del Dr. G. Schneer). Atti del VII Congresso internazionale di idrologia e climatologia, Venezia, 1905. 4. — Le acque minerali della Provincia di Napoli. Atti della R. Accademia Med. Chirurg. di Napoli, Voi. Il, 1906. 5. — Origine delle acque minerali della provincia di Napoli e loro minera¬ lizzazione. Archivio internazionale di Med. Chir. e Rivista di Balneo- logia, 1906. 6. — Sulla origine delle acque minerali. Atti deH'VIlI Congresso Nazionale di Idrologia e Climatologia, Milano, 1906. 7. — Il meccanismo di azione delle acque minerali per bagni e la chimica fisica. Atti della R. Acc. Med. Chirur. di Napoli, n. 26, 1907. 8. — La radioattività delle acque minerali. Comunicazione al lì Congresso Internazionale di Terapia Fisica, Roma, 1907. 9. — Stato attuale delle nostre conoscenze sulla origine e sulla composizione delle acque minerali. Relazione al II Congresso Internazionale di Te¬ rapia Fisica, Roma, 1907. 10. — L'acqua di Mangiatorella di Ferdinandea. -Stile {Reggio Cai.). (Analisi — 17 chimica in collaborazione col prof. E. Comanducci). Esame batterio- logico ed esperienze fisiologiche. Rendiconti della Società Chimica di Roma, n. 16, a. II. 11. — L'origine e la composizione delle acque minerali. Rivista d'Italia, gen¬ naio 1908. 12. — Etat actiiel de nos connaissances sur la gènèse et sur la composition des eaux minérales. Gazette des eaux, a. 51 gennaio 1900, Parigi. 13. — Der gegenwartige Stand unserer Kenntnisse uber Ursprung und Zu- sammensetzung der Mineralwasser. Zeitschrift fiir Balneologie, Kli- matologie und Kurort-Igiene, a. 1, 1908. 14. — La radioattività delle acque minerali ed il meccanismo di azione. {Nota preventiva). Atti della R. Acc. Med. Chir. di Napoli, n. 1, 1908. 15. — Il meccanismo di azione delle acque minerali per bagni siilV azoto delle urine. Atti della R. Acc. Med. Chir. di Napoli, n. 3, 1908. 16. — Le cognizioni attuali sull'azione biologica e terapica delle acque mine¬ rali. Morgagni, Riviste Sintetiche, n. 13 e 30, 1909. 17. — Sulla costituzione geologica e stilla utilizzazione delle acque solfuree termali di Guardia Piemontese {Calabria). Relazione al Ministero dello Interno. Direzione Generale della Sanità del Regno, 1904. 18. — Sulla costituzione geologica e sulla mineralizzazione delle acque sol¬ fate di Gerace {Calabria). Relazione idem. 19. — / nuovi orizzonti della idrologia medica. Conferenza nella I Clinica Me¬ dica della R. Università di Napoli. Morgagni, Parte II, n. 38, 1910. 20. ~ L' Idrografia deWAgro Telesino {Nota). Bollettino della Società dei Na¬ turalisti di Napoli, Anno XXIII, Voi. XXIII, 1910. 21. — Poche osservazioni sul lavoro del Prof. L. Ricciardi'. « Sulle rela¬ zioni della R. Acc. delle Scienze di Napoli e di Roma sui terre¬ moti calabro-siculi del 1783 e 1908. Società dei Naturalisti di Na¬ poli, Anno XXIII, Voi. XXIII, 1910. 22. — Les champs phlégréens et leurs eaux minérales. Conferenza tenuta a Parigi nelV anfiteatro di Fisica della Facoltà di medicina in occa¬ sione del III Congresso Internazionale di Terapia fisica, Aprile 1910, Atti del III Congresso Internazionale di Terapia Fisica, Parigi, 1910. 23. — Il meccanismo di azione delle acque termali cloriirato-sodiche in rap¬ porto al bagno marino caldo. Relazione. Atti del X Congresso Nazio¬ nale di Idrologia, Climatologia e Terapia Fisica. Salò, ottobre 1910. 24. — Le acque minerali del Vulture. Atti dei X Congresso di Idrologia, ecc. Salò, ottobre 1910. 25. — La Idrologia generale medica per rispetto alle altre branche della me¬ dicina. Prolusione al corso libero di Idrologia nella R. Università di Napoli. Anno scolastico 1910-1911. 26. — Le acque solfuree di S. Luciay nei rapporti dell'igiene. Atti della R. Acc. Med. Chir. di Napoli, 1911. 27. — Le acque oligometalliche, loro origine e meccanismo di azione. Confe¬ renza nella I Clinica Medica della R. Università di Napoli, a. 1911. 2 — 18 — 28. — Analisi di alcuni alimenti in uso nel mezzogiorno d’Italia. Nota. Atti della R. Acc. Med. Chir. di Napoli, f. 2o. 29. — Il Bradisisma flegreo all'epoca preromana. Nota. Rendiconti della R. Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli, Febbraio- Marzo 1912. 30. — . / colloidi nelle acque minerali. Nota. Atti della R. Acc. Med. Chirurg. di Napoli, n. 3, a. 1912. 31. — Azione dei colloidi nelle acque minerali. Atti XI Congresso Nazionale di Idrologia, Climatologia e Terapia Fisica, Ottobre 1912. 32. — / fanghi termo-vegeto-minerali di Guardia Piemontese {Cosenza). Bol¬ lettino della Società dei- Naturalisti di Napoli. Anno XXV-XXVI, 1911-1912. 33. — Di alcuni fenomeni vulcanici del bacino di Agnano {Napoli). Bollettino della Società dei Naturalisti di Napoli, S. II, Voi. VI, Giugno 1913. 34. — Appunti del corso di Idrologia e Crenologia^ Ottobre 1913. Edit. Maio, Napoli. 35. — Analisi chimica e chimico-fisica dell'acqua di Napoli. Tipografia dello « Studium ». 36. — La nuova fontana di Valle di Pompei. Bollettino della Società dei Na¬ turalisti di Napoli, Serie 11, Voi. VII, 1914. 37. — La composizione chimica dell'acqua solfato-sodica di Scenia in rap¬ porto alla Chimica-fisica. Bollettino della Società dei Naturalisti di Napoli, Serie 11, Voi. Vili, 1915. 38. — La composizione chimica e fisico-chimica delV acqua « Apollo » (Agnano- Napoli). Bollettino della Società dei Naturalisti di Napoli, Serie 11, Voi. VII, 1914, Finito di stampare il 5 novembre 1921. vJCy>fA'?. '■ NICOLA TERRACCIANO 1837-1921 Nicola Terracciano Botanico Napoletano Commemorazione fatta dal socio Prof* Ffidiano Cavata (Tornata ordinaria del T agosto 1921) La Società dei Naturalisti di Napoli che al culto delle scien¬ ze intende sia con opera diuturna dei suoi membri volta a scrutare campi ognor nuovi dello scibile, sia col rievocare le virtù di soci estinti che onorarono con frutti del loro ingegno il sodalizio, non poteva non accogliere con nobiltà di consenso la proposta da me avanzata di commemorare un eminente na¬ turalista Napoletano, poco tempo fa rapito alla scienza, e cioè Nicola Terracciano, che fu nostro socio onorario. Ed io che ebbi da voi, l'onorevole incarico di parlarvi del compianto botanico vi esprimo la mia profonda gratitudine, per¬ chè mi porgeste occasione di rendere riverente omaggio alla memoria di un uomo la cui . modestia, le cui rare virtù furono pari ai grandi suoi meriti. La Società dei Naturalisti era chiamata a rendere tale o- maggio anche per avere avuto tra i suoi benemeriti gregari il figlio, pur illustre, di Nicola Terracciano, il tanto compianto A- CHiLLE, precocemente colpito' da crudele fato e del quale io pur vi tessei la vita scientifica or sono tre anni. Nicola ed Achille Terracciano due nomi cari a noi che ne apprezzammo in vita le virtù, le doti di mente e di cuore; due — 20 — nomi cari alla botanica italiana della quale furono entrambi va¬ lorosi rappresentanti. Nicola Terracciano esalava a Bagnoli Tultimo respiro nelle prime ore del 20 Febbraio u. s. dopo un insulto apoplettico cui veniva fatto segno la sera del 17, giorno nel quale Egli aveva fatto l'ultima sua comunicazione sulla Flora dei Campi Flegrei al R. Istituto di Incoraggiamento, con vero godimento intellet¬ tuale per coloro che assistettero a tale seduta, poiché la Sua non fu una lettura, ma una libera esposizione di, importanti fatti os¬ servati, di sapienti considerazioni svolte con perfetta lucidità di mente, con prontezza di memoria, con vivido e sentito colorito di espressione, veramente meraviglioso in un vegliardo di oltre ottantanni ! Nulla, nulla, avrebbe fatto presagire il luttuoso av¬ venimento che contristò profondamente quanti aveano avuto la fortuna di ascoltarlo, e che immerse in inenarrabile dolore i suoi congiunti. i Nicola Terracciano era nato a Pozzuoli nel 1837, e dopo aver percorso nella città natale le Scuole inferiori e medie, si iscriveva nella R. Scuola Superiore di Medicina' Veterinaria ed Agricoltura in Napoli, e vi riportava a soli 21 anni il diploma di laurea. Aveva avuto per maestri il Tenore, il Gasparrini e il Gussone, tre illustrazioni della botanica Napoletana. Ma fu più di ogni altro il Gussone che lo indirizzò allo studio di que¬ sta scienza, ed Egli stesso in più passi delle sue Opere lo chia¬ ma il "Suo Maestro e dolcissimo amico,,. Fu anzi il Gussone che lo fece chiamare, appena laureato, a dirigere il Podere modello dell'Istituto Agrario di Melfi ove insegnò anche Agronomia. E quando nel 1861 Giovanni Gussone che era succeduto a Giorgio Antonio Graeffer nella Direzione del Giardino botanico della Casa Reale di Caserta, dovette lasciarla per andare ad assumere quella del Giardino di Boccadifalco presso Palermo, Nicola Terracciano fu dal Gussone stesso pro¬ posto per tale carica, che assunse difatti e tenne per circa ven- t'anni, dopo di che fu nominato Ispettore dei Reali Giardini, posto che tenne fino al 1903 anno in cui chiese ed ottenne di essere collocato a riposo. Nel quarantennio di sua direzione del grandioso Parco il Terracciano spese opera sapiente ed amo- — 21 — rosa, arricchendolo di numerose specie esotiche rare, apportan¬ dovi migliorie ed abbellimenti. Una sua Relazione pubblicata nel 187Ó sul Giardino botanico di Caserta ebbe l'onore di una tra¬ duzione in lingua tedesca, tanto grande era l'interesse che suscitò, per mettere essa in luce tutta l' importanza scientifica di quella mirabile collezione di piante viventi delle più svariate regioni del mondo, dei saggi magnifici di acclimatazione da primeggiare fra istituzioni congeneri nazionali ed estere, e da gareggiare coi più grandi Orti botanici stranieri. Egli é certo che un tale grandioso impianto frutto di tante assidue cure scientifiche, e capace di tanta utile radiazione nella arboricoltura e nell'orticoltura nazionali, non avrebbe dovuto su¬ bire l'abbandono da parte di chi d'aveva ereditato dai fondatori, nè dovrebbe restare ora in balìa del caso. Mentre Nicola Terracciano spendeva, con intelletto d'amore, l'opera Sua illuminata nel classico Parco, non tralasciava di trar¬ re dai tesori di tanta svariata ed esuberante vegetazione il mi¬ glior profitto nello studio delle essenze affidate alla Sua direzione geniale, con osservazioni di fenomeni biologici in relazione alle condizioni climatologiche, che furono oggetto di interessanti pub¬ blicazioni. Nel tempo stesso i germi che aveva attinto dagli in¬ segnamenti del maestro insigne, Giovanni Gussone, Egli coltivò con tanto ardore, con così schietto entusiasmo da rendersi in breve ben degno discepolo e uno dei più distinti cultori dtìVA- mabilis Sdentia alla quale consacrò, fino agli ultimi suoi giorni, tutte le sue più belle energie. Intanto non pago del diploma conseguito in verde età nella Scuola di Veterinaria, e che gli aveva aperto la via a rapida e lusinghiera carriera, volle procurarsi, anche la laurea in Scienze Naturali, e questa ottenne nel 1872 nella Università di Napoli, ciò che permise al Terracciano di accettare l'incarico deH'insegna- mento di queste discipline in Istituti di istruzione media in Ca¬ serta, e fu valoroso, efficace insegnante prima nella Scuola Nor¬ male maschile, poi nell'Istituto Agrario e nel R. Istituto Tecnico. Fu pure nel 1882 chiamato, per la sua valentìa a impartire le lezioni del Corso di Selvicoltura nella R. Scuola Superiore Agraria di Portici. Le doti, veramente rare, di mente e di cuore, la dirittura — 22 — di carattere, Tonestà a tutta prova, procurarono a Nicola Ter- RACCIANO generale estimazione, onde fu chiamato alle più ono¬ rifiche cariche, e così fu Membro del Consiglio Provinciale sco¬ lastico di Terra di Lavoro, Delegato scolastico del Mandamento di Caserta, Membro ordinario del Consiglio di Sanità, Membro governativo della Giunta di Vigilanza nelbinsegnamento tecnico e professionale di Caserta. Fu Socio di numerose Accademie e Società Scientifiche ita. liane ed estere, così : della Società italiana di Scienze Naturali; della Società botanica italiana; della Società Crittogamica italia¬ na; del R. Istituto dTncoraggiamento di Napoli; delFAccademia Nazionale di Cherbourg ; della Società Linneana di Bruxelles; della Società di Botanica e Zoologia di Vienna; della Società di Scienze Naturali di Neuchàtel; della Società reale botanica di Ratisbona; della Società Reale di Edimburgo; della Società Im¬ periale dei Naturalisti di Mosca; della Società botanica di Ber¬ lino, ecc. E come riconoscimento delle grandi sue benemerenze, Ni¬ cola Terracciano fu fatto segno ad alte onorificenze e insignito di ordini vari cavallereschi. Nel campo scientifico riscosse il più largo consenso di sim¬ patie e di ammirazione sopratutto fra i cultori della botanica, floristica, ed ebbe rapporti di amichevole corrispondenza oltreché con i grandi maestri della Scuola Napoletana, con quella pleiade di illustri scienziati italiani che nel secolo XIX onorarono al¬ tamente con le opere loro imperiture ITtalia nostra quali: Ber- TOLONi, Parlatore, De Notaris, De Visiani, Beccari, Massa- LONO, Meneghini, Savi, Gibelli, Cesati, Passerini Caruel, Ar¬ cangeli, Ardissone, Paglietto, Carestia e pur tanti altri, ed ebbe attivo carteggio e relazioni di mutuo scambio di piante con botanici esteri quali: De Candolle, Bolle, Heldreich, Hackel, Hansen ed altri ancora. Dal Gussone il Terracciano ritrasse l'indirizzo e il rigo¬ roso metodo d'indagine scientifica per la conoscenza delle piante. Dotato di fine spirito di osservazione, di invidiabile tenacia e costanza nelle ricerche , di una solida coltura che gli permet¬ teva di studiare a fondo le specie vegetali e l' ambiente nel quale esse si costituiscono e si diffondono, sospinto da un vero — 23 trasporto per le bellezze della natura, di cui sentì tutto il fascino fin dai primi anni della sua carriera scientifica, Egli riuscì, pur non essendo nell'arringo accademico, un vero naturalista, nome oggi vano del quale ben pochi si ponno fregiare, facendo difetto quella vasta concezione della natura che fu la caratteristica dei grandi del secolo XIX. Per essi la natura fu miniera inesauribile di indagine che dall'analisi condusse alle visioni grandiose della vita, esplicantesi nelle miriadi di forme che non possono con¬ siderarsi come entità staccate, indipendenti ma anelli di una ca¬ tena, sieno pure rotti e sperduti nel tempo e nello spazio. In oggi la concezione meravigliosa affascinante dell'insieme è svanita e sostituita dallo studio minuzioso frammentario sia delle forme viventi, sia degli organi e delle unità costitutive, con affannosa ricerca di leggi generali che sempre più sfuggono e cedono di¬ nanzi alla inanità degli sforzi. Intanto gli edifici sorti dal poderoso lavoro di quei pio¬ nieri, restano e sono patrimonio eterno della scienza; mentre non sappiamo qual sorte spetti ai prodotti dei cesellatori delle strut¬ ture e delle funzioni, anche quando mirano ad un lavoro di ri- ^ costruzione di schemi e di teorie. Il concetto di una evoluzione potè scaturire dalla conoscenza sempre più estesa delle forme viventi e delle estinte, evoluzione che si vorrebbe oggi negare ^ opponendo critiche e cavilli alle dottrine che ne tentano una spiegazione, barcollando nel vuoto, nè trovandone di migliori da sostituire. Nicola Terracciano esordiva nell'opera sua, quando più vivo, più clamoroso fu il dibattito sulla variabilità della specie, quando si battevano le due dottrine del Lamark e del Darwin. Educato alla Scuola di Tenore e di Gussone, della quale seppe teso¬ reggiare r indirizzo sistematico, si volse con lena instancabile alla ricerca e conoscenza delle forme; ma fortemente suggestio¬ nato dalle nuove teorie, che tanto da vicino toccavano la pietra miliare dell'edificio sistematico e cioè la “specie,,, dovette poco a poco farsi una concezione propria della comprensione di que¬ sta, e naturalmente alquanto diversa da quella dei grandi suoi maestri. Queste contingenze di ordine storico vanno messe in rilievo se si vuole comprendere quale fu e come si svolse l'opera bo- — 24 tanica di Nicola Terracci/^no; tenendo pur presente le condi¬ zioni tutte nelle quali Egli si veniva a trovare, e sopra tutte quella imprescindibile del forzato isolamento dai centri di stu¬ dio per ragione del suo ufficio di direttore dei Giardini Reali di Caserta. D'altra parte il campo della floristica era stato in gran parte mietuto; le grandiose opere di Bertoloni e di Parlatore vol¬ gevano al termine, la Flora Napolitana, di Michele Tenore in¬ tegrata dalla Sylloge costituiva il codice fondamentale per la Flora dell'Italia Meridionale; la Synopsis Florae Siculae del Gus- SONE lo era per la Sicilia, la Flora Sardoa di Giacinto Moris, ben che non completata, lo era per la Sardegna. Nicola Terracciano ebbe fin dal principio dei suoi studi botanici una visione chiara, una intuizione felice del compito che a Lui e ad altri ancora poteva incombere, e che Egli felicemente riassunse in questa frase che si legge nella prefazione della sua importante opera: Relazione intorno alle Peregrinazioni botani¬ che di Terra di Lavoro, Caserta 1872, "il campo della natura. Egli scrisse, è si vasto, che assai volte gli oggetti che meritano di essere meglio studiati sfuggono, e ninno, segnatamente in fatto di Scienze Naturali, può esser mai certo e sicuro di aver bene investigato una contrada, anche ristretta, e di esserne giunto al caso di riconoscere minutamente e bene tutto ciò che in essa naturalmente si trova „. Egli comprendeva tutta la importanza di quella sentenza del Parlatore che richiamava in testa all'altra sua bell'opera Plantaram v ascalar ium Montis Pollini,,, che cioè, "la Flora di un paese è il frutto di tante Flore speciali, che tendono ad illustrare le piante di ogni singola provincia,,. La verità di un simile asserto non ha bisogno di essere dimostrata, e rende di per se ragione delle benemerenze grandi che nel campo della floristica come nella faunistica, si sono procurati quanti, come Nicola Terrac- ciANO sonosi dati ad un paziente, lungo e coscienzioso studio delle piante o degli animali di singole regioni. E tanto vero ciò che più volte si è fatto sentire il desiderio, la necessità di una organizzazione scientifica intesa a scrutare in ogni sua parte il territorio di un paese ad integrazione delle conoscenze fram- mentarie saltuarie che fin qui si aveano. E presso molte nazioni una tale organizzazione ha dato luminosi risultati. Per la floristica italiana, si era pur costituito or sono alcuni anni un Comitato di volenterosi studiosi col fermo proposito di esplorare floristicamente le varie provincie italiane, ma per la solita indifferenza da parte del Governo e di tanti Enti che pur avrebbero potuto incoraggiare una simile intrapresa, il nobile tentativo è fallito. Nicola Terracciano, ebbe adunque felicissimo intuito e la vasta sua opera botanica si è esplicata particolarmente con la illustrazione magistrale delle flore di alcune provincie delbltalia meridionale, sulle quali troppo scarse indicazioni erano state date nelle opere generali sumenzionate; di quanto interesse per la floristica italiana e per la geografia botanica non è bisogno di dire. Le provincie esplorate dal Terracciano sono quella di Ter¬ ra di Lavoro, la Basilicata, e la Regione Flegrea della provincia di Napoli. Iniziò i suoi studi sulla flora della provincia di Lavoro con una serie di “ Osservazioni sulla vegetazione dei dintorni di Ca¬ serta „ che apparvero dal 1864 al 1884 negli Annali della R. Stazione Agraria di Caserta, e che pur non costituendo delle con¬ tribuzioni di carattere prettamente scientifico, offrono un certo interesse dal lato economico agricolo. Ma l'opera alla quale il nome di Nicola Terracciano resta perennemente legato è quella su citata delle Relazioni intorno alle peregrinazioni botaniche in Terra di Lavoro, Caserta 1872-78; peregrinazioni che Egli i potè compiere in ogni parte della vasta e varia provincia, per incarico avutone dalla Deputazione provinciale di Terra di La¬ voro; esempio questo rarissimo, se non unico, di un Ente am¬ ministrativo che incoraggia, sussidia una intrapresa di carattere prevalentemente scientifico. Le Relazioni sono quattro e formano assieme un volume di oltre 700 pagine. Il Terracciano divide in quasi tutte la materia in due parti distinte, e cioè : la parte geologica e la parte botanica. Tale divisione di lavoro scientifico se da un lato parla in favore della solida coltura del Terracciano nel campo delle — 26 — Scienze naturali, mostra aH'evidenza quanto peso egli desse alle condizioni del substrato quali determinanti della distribuzione delle specie, e, come più palesemente in altri suoi lavori poste¬ riori emerge, nella costituzione stessa di forme e di varietà, quindi come causa di variazione, riflesso questo delle dottrine evolu¬ tive delle quali era imbevuto. La parte botanica a sua volta il Terracciano suddivide in una descrizio ne generale di carattere floristico delle regioni esplorate, mettendo in relazione le entità riscontrate con la loro stazione e con le condizioni svariate che le determinano. La trattazione è in una forma così attraente, ed è così piena di fatti interessanti da costituire un’assai di¬ lettevole, oltreché istruttiva lettura. Fa seguito l’elenco delle piante colla indicazione della località. Alla fine delle quattro Relazioni vi è un riassunto generale dei Generi e delle Specie spettanti alla Flora di Terra di Lavoro, risultando come per le sue ac¬ curate e diligenti ricerche questa Flora consti di 821 generi e 2242 specie di piante, sieno fanerogame sieno crittogame, poiché in allora i Naturalisti volgevano il loro sguardo a tutti gli ele¬ menti di una flora o di una fauna, mentre oggi gli specialisti di un gruppo, disdegnano non solo di occuparsi ma di racco¬ gliere quanto al lor gruppo non perbene! In questa bella e complessa opera del nostro Terracciano, che lascia ben poco da spigolare ad altri, vi potranno essere mende nella determinazione delle duemila entità, come è stato da qual¬ cuno rilevato, ma esse non offuscano la grande luce che in fatto di conoscenze floristiche per questa provincia meridionale ha sparso questa che è un opera fondamentale. Della Basilicata, il Terracciano ha esplorato varii territori! e così: i dintorni di Melfi, che gli fornirono materia per uno dei suoi privi lavori dal titolo : Osservazioni sulla vegetazione dei dintorni di Melfi, edito negli Atti dell'Acc. degli Aspir. Natur. di Napoli 1861. Il Monte Vulture, di origine vulcanica, fu oggetto di elabo¬ rata pubblicazione F lo raeV aitar is Synopsis exhibens Plantas va- scalares in Vulture Monte ac finitimis locis sponte vegetantes, edita negli Atti del R. Istituto d’incoraggiamento, con una pre¬ fazione in curata lingua latina, di oltre 200 pagine ed un qua¬ dro riassuntivo portante una somma di 977 piante vascolari da — 27 — Lui segnalate. — I dintorni di Muro Lucano, ove Egli soleva pas¬ sare alcuni mesi dell'estate con la famiglia, gli procurarono ma¬ teria per una serie di contribuzioni, comparse parte nel Nuovo Giornale botanico italiano, ed una nel Bollettino dell'Orto bo¬ tanico di Napoli T. IH. 1910. Il Monte Pollino, quel vasto ed importante massiccio mon¬ tuoso che fa capo al Dolce Dorme, fu oggetto di tre elaborate Memorie; la prima: Synopsis plantarum vascalarium Montis Pol¬ lini di pag. 191 con 4 tavole, apparve nell'Annuario del R. Orto botanico di Roma nel 1890; la seconda negli Atti della R. Accad. d. Se. di Napoli, e la terza parimenti nell' annuario di Roma. Con le accurate sue ricerche e con materiali fornitigli dal Prof. CovELij, il numero delle specie dell'eccelsa montagna sa¬ liva a 1486 ripartite in 534 generi. Della Regione Flegrea che gli avea dati i natali ed alla quale riedeva dopo circa 40 anni, col fermo proposito di illu¬ strarla, di sviscerarne le risorse naturali dal lato botanico, il Ter- RACCiANo esplorò si può dire ogni canto, e dopo sette anni di indefesse ricerche presentava nel 19i0 all'Istituto d'incoraggia¬ mento di Napoli un poderoso lavoro di ben 336 pagine, nel quale son descritte 1102 specie. E' preceduto anche questo la¬ voro da elaborata introduzione di indole storica, geognostica e botanica. Quest'ultima particolarmente, per lo studio delle origini e delle variazioni della flora dei Campi Flegrei, è assai interessante. Il Terracciano vi discute parecchie quistioni circa la di¬ stribuzione delle specie silicicole e delle calcicole, e la loro pro¬ venienza da terre vicine ed anche lontane ; e molte forme. Egli rileva avervi assunta una speciale fisionomia, onde è portato a descriverle come varietà. E' sempre il principio della influenza delle condizioni dell'ambiente come determinante di variazione, che Egli riafferma. Fa seguire alle considerazioni generali una ripartizione eco¬ logica in zone della vegetazione della regione flegrea, e preci¬ samente in 4 zone:' la litoranea o delle sabbie, la paludosa, la zona dei piani e la zona delle colline. Non bastasse questa ragguardevole opera che fa testo per la flora dei Campi Flegrei, Egli continuò incessantemente, non — 28 — ostante il peso degli anni, le sue peregrinazioni nella classica terra vulcanica, e pubblicava una prima “ Aggiunta alla Flora dei Campi Flegrel „ di pag. 187 con due tavole (Atti del R. Istit. d' Incoragg. Voi. IX IQló) ricca di nuovi dati e di osser¬ vazioni, con la descrizione di un nuovo genere dedicato al suo venerato maestro Giovanni Gussone {Giissonea echloldes N. Terracc.); e una terza e pur importante contribuzione alla Flora flegrea. Egli dava il 17 Febbraio u. s. come più sopra vi dissi e che doveva esser pur Fultima manifestazione della sua pode¬ rosa, ininterrotta attività. Poiché se io vi ho parlato delle Opere sue maggiori, di quelle che fanno di Nicola Terracciano un campione della bo¬ tanica Napoletana, Tultimo rappresentante di quella Scuola che annovera Fabio Colonna, Bartolomeo Maranfa, Ferrante Impe¬ rato, i due Briganti, Domenico Cirillo, Vincenzo Petagna Michele Tenore, Giovanni Gussone, conviene aggiungere che altre contribuzioni e assai numerose Egli ha dato alla Scienza che con indicibile trasporto e con tanto onore coltivò, e l'e¬ lenco che faccio seguire meglio supplisce a quei cenni brevis¬ simi che io potrei darvi, e da esso emerge la* vastità dell'opera del compianto botanico Napoletano, opera commendevole non solo nei riguardi della Scienza pura, ma ben anco in quelli delle applicazioni all'Agricoltura, alla Selvicoltura e al Giardinaggio. Le notizie molteplici e svariate che Egli ci ha dato sia circa il com¬ portamento di tante piante nei riguardi della loro acclimatazione, quelle relative a piante spontanee che potrebbero servire alla ornamentazione dei parchi e dei giardini, le descrizioni di for¬ me rare interessanti, poco note o addirittura nuove, dimostrano, se pur vene fosse bisogno per un uomo che fu per 40 anni direttore di uno dei più celebri parchi mondiali,' quanto fosse profondo conoscitore delle piante, quanta invidiabile operosità Egli abbia speso in prò della Scienza e delle utili sue applicazioni da renderlo oltreché venerato e ben amato, di tanto benemerito. Nella vita privata Nicola Terracciano fu un cittadino esem¬ plare, un padre amorosissimo per quanto austero. I> numerosi figli che ebbe dall'adorata compagna che lo piange inconsola¬ bile, Egli educò al culto del dovere e del lavoro, e in sfere di¬ verse di attività occupano ottime posizioni sociali: In uno di essi, — 29 nel compianto Achille, che lo precorreva nella tomba, trasfuse Tanima sua di naturalista, si che scrutando questi nuovi lati del vasto e complesso problema della vita delle piante, avea spic¬ cato alto il volo e già da molti anni dettava lezioni airUniver- sità. La di lui scomparsa fu indicibile schianto dell' anima pel nobile vegliardo il quale solo nell'indefesso lavoro, nel fascino della diletta scienza potè trovare momentanea tregua al profondo, insanabile dolore. Certo la sua robusta fibra ne fu irreparabil¬ mente scossa. Dinnanzi alla figura di un uomo nel quale erano così felice¬ mente fuse le più pure doti dell'animo e della mente, doti che in vita lo resero a tutti caro ed apprezzato, e che ne fanno ora rimpiangere la perdita, inchiniamoci pieni di riverenza. Possa il ricordo delle sue peregrine virtù servire di esempio preclaro alle generazioni future. Pubblicazioni di Nicola Terracciano 1. Osservazioni sulla vegetazione dei dintorni di Melfi. Ann. dell’Acc. degli Aspir. Naturalisti. Napoli 1862, di pp. 10. 2. Intorno a certe piante da serra^ poste a pien'aria ed in piena terra nel Giardino Reale di Caserta. Ibid. 1864, p. 5. 3. Catalogo delle piante raccolte nei dintorni di Salerno, Amalfi ed Eboli da Pasquale, Pedicino e Terracciano. Ibid. 1864, p. 50. 4. Intorno agli effetti del freddo sulla Vegetazione. Nuovo Giorn. bot. ital. Voi. II. Firenze 1865, p. 2. 5. Intorno ad una nuova forma di nCyclamen neapolitanun» Ib. 1865, p. 2. 6. Su di una varietà delTOrzo volgare detto “Orzo peruviano» . Atti d. Reai Soc Econ. di Terra di Lavoro Vol.XIII. Napoli 1866, di pp. 6. 7. Note su alcune piante della Vallata del Volturno. Ann. dell’ Acc. degli Aspir. Natur. di Napoli. 1866, p. 6. 8. Breve cenno sulla coltivazione del “Rhus Coriaria» Linn. Atti della R. Soc. Econ. di Terra di Lavoro. Voi. XIV. Napoli 1866. p. 5. 9. Sopra V acclimazione delle piante. Ibid. Napoli 1866, p. 10. 10. Osservazioni termometriche e di fenomeni periodici fatte in Caserta^ nel 1866. Ann. dell'Acc. degli Aspir. Nat. di Napoli 1867, p. 28. 1 1. di alcune piante della Flora Napoletana con 4 tav. Ibid. 1867, p. 8. 12. Osservazioni intorno a certe specie del genere “Romulea» ecc. Ibid. 1868, p. 8. 13. Intorno ad una mostruosità di “Scrophularia aquaticaL.» Ib. 1868, p. 5. 14. Cenno intorno a certe piante da Selva cedua ed in particolare della “Robinia pseudo- acacia» di Linneo. Caserta 1869^ pp. 8. 15. Notizie intorno alV “ Ailanthus glandulosa» di Desfontaines e sua coltivazione nei monti Tifati. Caserta 1869, pp. 15. 16. U invernata del 1868 - 69 ed i suoi effetti sulla vegetazione. Ca¬ serta 1869, pp. 15. 17. Florae Vulturis Synopsis, exhibens plantas vasculares in Vulture monte ac finitimis locis sponte vegetantes. In 4o .gr. di pp. 206. 18. Osservazioni sulla vegetazione dei dintorni di Caserta per gli anni 1867 a 1870. Caserta 1872, di pp. 48. 19. Relazione intorno alle peregrinazioni botaniche fatte nella Provin¬ cia di Terra di Lavoro. Caserta 1872, di pp. 240. 20. Fnumeratio piantar um v oscular ium in Agro Murensi sponte nascen- tium. Niiov. Giorn. bot. ital. Pisa 1873, p. 118. — 31 21. Seconda relazione intorno alle veregrinazioni botaniche fatte nella provincia di Lavoro. Caserta 1873, pp. 125. 22. Terza relazione intorno alle peregrinazioni ecc. Caserta 1874, pp. 107. 23. Cenno intorno al Giardino Botanico della R. Casa in Caserta ed a certe piante rare che vi si coltivano, con carta top. Caserta 1876. pp. 32. 24. Nota intorno ad una novella varietà di uCalystegia sylvatica^’ .Nviov. Giorn. botan. Ital. Voi. IX. Pisa 1877, p. 3. 25. Osservazioni sulla vegetazione dei dintorni di Caserta per V anno 1877. Ann. della Staz. Agr. di Caserta. 1878, p. 15. 26. Intorno alla trasformazione degli stami in carpelli nel (^Capsicum grossume e di un caso di prolificazione nel nCapsicum annuum». Nuov. Giorn. bot. ital. Voi. X. Pisa 1^78, p. 6. 27. Òsservazioni sulla vegetazione dei dintorni di Caserta per V anno 1878. Caserta 1879. 28. Relazione intorno alT Esposizione di Orticultura annessa al Con¬ corso Agr. regionale di Caserta. Boll. R. Soc. di Orticultura Toscana. Firenze 1879. 29. Quarta relazione intorno alle peregrinazioni botan. fatte nella pro¬ vincia di Terra di Lavoro. Caserta 1878, pp. 155. 30. / legnami della Terra di Lavoro al Concorso Agr. Regionale di Caseria. 1880, pp. 150. 31. Die Wirkungen der Ràlte im Winter 1879-80 auf gewisse Pflan- zen der Warme Zone, welche zu Caserta unter freien Himmel kultivirt worden. Deutsch. Garten. Berlin 1880, p. 5. 32. Osservazioni sulla vegetazione dei dintorni di Qaserta per gli anni 1879-80. Ann. d. R. Staz. Agr. di Caserta 1881. p. 32. 33. Die Cultur der Eucalyptus im botanischen Garten der Reai Casa zu Caserta. Deutsch. Garten. Berlin. 1881, p. 4. 34. La “Peronospora viticola^ De Bary. Caserta 1881, p. 8. 35. Osservazioni sulla vegetazione dei dintorni di Caserta per gli anni 1881-82. Ann. R. Staz. Agr. di Caserta. 1883, p. 39. 36. Osservazioni sulla vegetazione dei dintorni di Caserta per V anno 1883. Ibid. 1884, p. 15. — - 37. Notizie intorno a certe piante raccolte a Castel Parziano in quel di Roma. Atti R. Ist. d’incoraggiamento di Napoli 1885. Volili, Ser. 3 di p. 5 con 3 tavole. 38. Produzione di radici avventizie nel cavo di un Cipresso ecc. Rend. R. Acc. d. Scienze Fis. e Mat. di Napoli. 1887, p. 5. 39. Descrizione di una nuova specie di Narciso Att. Ist. d'Incoragg. di Napoli Voi. V. 1886. p. 6, con tav. 40. La (tDicksonia Biliardieri v. Muli, del Giardino botanico della Casa in Caserta. Atti Ist. d’Incoragg. di Napoli Voi. VI. con tav. 1887, p. 5. 41. Descrizione di una nuova specie di Pruno. \h\d. con tav. 1888. 42. Relazione intorno aWEsposiz. di Orticultura tenutasi in Roma nel 1888. Ibid. p. 9. 43. Intorno al Concorso Regionale di piante bulbose e Camellie ecc. te¬ nutosi in Napoli nel 1890. Ibid. p. 4. 44. Intorno ad alcune piante di Terra di Lavoro. Att. R. Acc. delle Scienze Fis. e Mat, di Napoli Voi. IV. 1890, p. 10. 45. Synopsis plantarum vascularium M. Pollini. Ann. dell' Istit. bot. di Roma Voi. IV. 1890, p. 191, con 4 tav. 46. Il itLithospermum C^labrum’> Ten. Rend. Acc. d. Se. Fis. e Mat. di Napoli. 1893, p. 4. 47. La nChorisia speciosa^! St. Hil. del Giard. bot. d. R.Casa in Ca¬ serta. Atti R. Ist. d’Incoragg. di Napoli. 1894, p. 7. 48. Il uRaniinculus Aleae» Willk. a fiore doppio nella Flora deW Italia meridionale. Ibid. 1895. p. 4. 49. Intorno alla Flora del Monte Pollino e delle terre adiacenti^ Atti d. R. Acc. d. Se. Fis. e Mat. Napoli. 1896, p, 18, con tav. bO. Addenda ad Synopsidem planU vasc. M. Pollini. Ann. dell’Ist. bot. di Roma 1890, p. 68. 51. Intorno ad alcune specie di Iridi che crescono spont. nel mezzog. dTtalia. Atti R. Ist. d’Incoragg. di Napoli. 1899, p. 13, con 3 tav. 52. Le piante della Flora italiana più ad atte all’ornamento dei giar¬ dini. Ibid. 1900, p. 319. 53. Il genere aFclypta » nella Flora italiana. Boll. Soc. bot. ital. 1903, di p. 5. 54. Sul ^Sechium edule» Schwartz. Atti Ist. d'Incoragg. Napoli 1905. 55. Descrizione di una novella varietà di »Lilium bulbiferum» in Atti Ist. dMneoragg. di Napoli. 1906. 56. »Ornithogalum montanum» . Rend. Acc. Se. Fis. e Mat. di Napoli. 1906. 57. Descrizione di una nuova varietà di nOpimtia vulgaris». Ibid. Na¬ poli. 1907. 58. Flora dei Campi Flegrei. Atti R. Ist. d'incoragg. di Napoli. 1910, di p. 336. 59. Aggiunta alla Flora dei Campi Flegrei Ibid. 1916, p. 187, con 3 tav. 60. Seconda aggiunta alla Flora dei Campi Flegrei. Vo\d. 1921, p. 11. Finito di stampare il 20 gennaio 1922. Dei tumori spontanei nei mammiferi Endotelioma della cavità pleurica in un gatto , Memoria del socio Prof. Glatidio Gargfano (Tornata del 20 febbraio 1921) La patologia del gatto, specialmente per quanto riguarda il cancro è di estremo interesse, date le medesime condizioni di vita e di comunanza, che questo animale ha con Tuomo. Poche pertanto sono state le osservazioni di tumori sponta¬ nei verificatisi nel gatto, nessuna di endotelioma. VoN Leyden (’904) ha avuto occasione di studiare un carci¬ noma mammario in un gatto, tumore che non presentava grandi differenze dai simili della razza umana: si avevano a constatare solò alcuni elementi, già da lui precedentemente descritti sotto il nome di "occhi di uccelli,, formazioni, che secondo TA. — essendo in sì gran numero e così bene' delineate — sareb¬ bero una conferma della natura parassitarla del cancro (?). Dice pure voN Leyden di aver ottenuto delle culture del parassita in parola. MuRRAy (’904) riporta la statistica più numerosa di neoplas¬ mi (11) fra carcinomi e sarcomi : i carcinomi avevano come sede la glandola mammaria. Olt (’905), in un articolo sul cancro negli animali domestici, fa alcune considerazioni di indole generale. Per quanto riguarda b " Le mot vulgaire de " cancer „ ne correspoiid à ancune production bien définie: il sert commnnément à désigner, dans le gronpe des néoplasmes les tumenrs malignes, récidivantes, snsceptibles de généralisation par la voie lyn- phatique oii sanguigne, et capables d'entrainer la mort par ime cacliexie plus o móins precoce „ (Borrel). 3 — 34 — ristologia TA. osserva che il cancro degli animali è assolutamente identico a quello delhiiomo (?). L'esperienza dimostrerebbe che i traumi anche meccanici — estremamente frequenti — ed i chi¬ mici non predisporrebbero questi esseri ai tumori, come pure non avrebbero importanza le infiammazioni croniche, cagionate molto spesso alle mucose da parassiti animali o da frammenti di vegetali. Mancano fatti per affermare la natura parassitarla del cancro, nè le statistiche relative alla presenza di esso potrebbe¬ ro far concludere con qualche verosimiglianza in favore di un parassita. Infine l'A. ammette che le inoculazioni positive di pezzi di tumore sarebbero da spiegarsi più con l'ipotesi di trapianti di tessuto, anziché con quello di sviluppo di un ipotetico germe. CoLUCCi (’905) descrive il caso di un epitelioma della faccia e delle fosse nasali di un vecchio gatto, tumore che presentava numerose metastasi nei polmoni specialmente vicino alle ramifi¬ cazioni dell'arteria polmonare. Nelle vicinanze dei noduli cancerosi metastatici gli acini ed i tubi glandolar! ipertrofizzati mostravano una attiva proliferazione degli epiteli. L'A. suppone che queste proliferazioni sieno principalmente dovute all'influenza esercitata sull'epitelio delle terminazioni bronchiali degli alveoli polmonari e delle glandole peribronchiali dalle secrezioni tossiche delle cel¬ lule neoplastiche di noduli metastatici. E, basandosi su questa ipotesi, afferma, che '‘l'origine del cancro epiteliale primitivo sia la modificazione delle secrezioni normali epiteliali in alcuni individui predisposti dalla loro eredita cancerosa o altrimenti,,. In questi soggetti una causa qualsiasi, comune o specifica, avrebbe il po¬ tere di determinare una attività proliferativa straordinaria degli epiteli, di cui le secrezioni acquisterebbero una tossicità specifi¬ ca, agirebbero come dei stimoli morbosi sopra gli elementi can¬ cerosi più vicini, i quali diventerebbero l'origine di un neo¬ plasma maligno. MuRRAy (’908) ritorna sull'argomento, descrivendo dal punto di vista clinico ed istologico numerosi casi di tumori delle glan¬ dole mammarie degli animali domestici, avendo tentato pure di procedere alla inoculazione con dubbi risultati. La monografia di Bashford e MuRRAy (’9’09) mette in evi¬ denza l'identità biologica dei tumori maligni dell' uomo e dei vertebrati. Gli aa. credono di poter dimostrare che le leggi del- , l'età, nello sviluppo del cancro, abbiamo il medesimo valore sia nei mammiferi a corta vita, che nell'uomo; per conseguenza ogni spiegazione dell'etiologia del cancro deve mettersi di accordo con questa circostanza, che, se è considerato dal punto di vista statistico il cancro è funzione dell'età, se è studiato dal punto di vista biologico è funzione della se¬ nescenza. Sabrazes, Muratet ed Antoine ('908) hanno avuto la pos¬ sibilità di riscontrare in un gatto un epitelioma melanico della palpebra superiore destra, sito sulla superficie congiuntivaie un poco al di sopra del bordo libero. Il gatto nel giugno 1906 era stato morsicato su quella regione da un topo: nel luglio 1907, epoca nella quale fu sacrificato l'animale, il neoplasma aveva già raggiunto la grandezza di una grossa castagna. Per i caratteri istologici gli aa. sono di opinione che questo epitelioma siasi originato dall'epitelio pigmentato della congiuntiva palpebrale e che quindi la varietà melanica dei neoplasmi in genere non sia dovuta a sviluppo di pigmento, ma sempre derivi da cellule normalmente pigmentate. Sembra che questo tumore — identi¬ camente ai melanomi congiuntivali deH'uomo, e non ai melano¬ mi coroidei — non sia molto maligno, non essendosi riscontrate metastasi nel fegato, nei reni, nelle capsule soprarenali, nei pol¬ moni, nella milza, ecc... Valillo (’909) dà comunicazione di un caso di sarcoma par- vicellulare dei reni, che sarebbe il terzo noto nella letteratura medica, tumore che si sarebbe svolto per metaplasia del con¬ nettivo iperplastico delle pareti vasali. Petit e Germain (’912-1), in una memoria presentata all'As- sociation fran^aise pour l'étude du Cancer, descrivono un primo caso di una alterazione proliferativa della glandola mammaria in una gatta di 14 anni, alterazione, che, per i caratteri anatomo- patologici, poteva essere interpretata come un fibro-adeno- m a cistico. In una seconda memoria (’912-2) i medesimi aa. studiano un sarcoma fuso-cellulare ulcerato della mammella. La mammella nella parte centrale era completamente distrutta per processo degenerativo, laddove alla periferia il neoplasma aveva il suo — 36 — sviluppo. Il tumore infatti risultava di lobi separati gli uni dagli altri da gracili trabecole fibrose, ed ogni lobo era fornito da ac¬ cumulo di elementi cellulari fusiformi senza un ondine presta¬ bilito. Nelle zone invece di accrescimento i culdisacchi glando- lari, poco modificati, presentavano uno strato di cellule epite¬ liali normali. Eà infine in una terza memoria (’913) riportano i risultati dello studio di tre esemplari di epitelioma villoso della mam¬ mella, sempre verificatisi in gatti. Osservazione. — Gatta di 12 anni. Tumore a superficie ulcerata. All'esame istologico si ha formazione di lobuli di epitelioma corneo circoscritti da una parete fibrosa colorata in rosso vivo dal VAN Gieson e dalla quale si distaccano delle trabecole che dividono il tupiore in acini. Nell' interno di questi sottili tra¬ mezzi si elevano delle vegetazioni a forma di foglie di felce, ana- stomizzate le ime con le altre e tapezzate da uno strato di cellule epiteliali cilindriche. La parte centrale di questi isolotti cancerosi apparisce come totalmente necrosata: d'altra parte l'ab¬ bondanza relativa del tessuto fibroso è in rapporto con la len¬ tezza evolutiva del tumore. Notevole il fatto di un ingorgo gan- glionare ascellare di natura semplicemente infiammatoria e non neoplastica. 2^ Osservazione. — Gatta di 9 anni. Epitelioma villoso della mammella. La disposizione anatomica del neoplasma è la me¬ desima del precedente esemplare. Nessun ingorgo ganglionare cancerigno, sebbene si sieno constatati alcuni noduli metastatici nel polmone e nell'intestino crasso. 3^ Osservazione. — Epitelioma dentritico generalizzato della mammella. Il capezzolo non è alterato, però all'esame istologico, al disotto di esso, si ha un accumolo di cellule e’piteliali, che prendo¬ no una forma variabile, poliedrica, pavimentosa al centro degli alveoli, mentre che sono cilindriche alla periferia. In alcuni al¬ veoli esiste del muco, che il van Gieson colora in rosso intenso e si osservano pure alcune cellule desquamate divenute globose. Si hanno — come nel secondo caso — metastasi polmonari e si vedono delle singolari trombosi vasali. Alcuni vasi, anche di ca¬ libro relativamente grande, si trovano riempiti di cellule canee- — 37 — rose divise dal sottile reticolo connettivale precedentemente de¬ scritto. Come si rileva dalla breve bibliografia delbargomento, po¬ chi sono i casi di tumori maligni nel gatto , non perchè real¬ mente questo animale, presenti una refrattarietà alle cennate af¬ fezioni morbose, ma perchè difficilmente è stato oggetto di os¬ servazioni da parte degli anatomisti-patologi. Anzi se la scarsa bibliografia dovesse servire come base di una statistica, al certo si vedrebbe che V epitelioma è la forma più frequente e l'organo più enficiato la glandola mammaria. Il più importante fra i casi fin ora studiati è quello di Sa- BRAZES, Muratet c Antoine (’908) per le considerazioni, che si possono da esso trarre. L'epitelioma melanico si è svolto in una sede dove prece¬ dentemente si era avuto un trauma e la varietà anatomica ha riprodotto alcuni attributi inerenti alle cellule normali pigmen- tate della congiuntiva palpebrale. Non sembra pertanto assoluta l'affermazione di Olt (’905), che il cancro negli animali domestici sia identico a quello del- r uomo ; le figure annesse alla memoria di Petit e Germain (’913), la descrizione istologica del caso di Sabrazes, Muratet ed Antoine (’908), fornirebbero dei dati non indifferenti per poter affermare che fra il cancro dell'uomo e quello degli ani¬ mali vi sieno qualche volta differenze molto apprezzabili sia nel reperto istologico, che nella patogenesi di esso. “ Che molti tumori degli animali domestici possano essere simili, anzi identici a quelli deH'uomo, nulla di strano, ma che debbano essere sempre identici a quelli umani, questo è un er¬ rore fondamentale che non posso dividere. Sia nei cavalli , che in altri veriebrati, nei quali ho avuto la possibilità di studiare delle forme neoplastiche , i tessuti sono differenti non poco da quelli dell'uomo, anzi in alcuni — come negli anfibi — si verifi¬ cano tali cose, da restare molto perplessi sulla natura del tes¬ suto „ [Gargano {’913)]. 38 Osservazioni personali. Nel 1915 fu portato in Clinica Chirurgica un gatto di anni due perchè fosse sottoposto ad autopsia. La malattia, o per es¬ sere più corretti, il periodo di sofferenze palesi delhanimale era stato di mesi due e mezzo, e la bestiola era morta senza che una causa apprezzabile ne avesse determinato la fine. All'autopsia (eseguita dopo 12 ore dalla morte deU'animale) si nota distruzione completa della cavità pleurica destra e del polmone e sostituzione con una massa di tessuto di colorito rosso pallido, di consistenza molle, facilmente spappolabile. Il tu¬ more manda delle gittate nel mediastino, ma si arresta alla pleura sinistra. I gangli mediastinici sono ingorgati : assenza di meta¬ stasi negli altri organi. Si prelevano dei pezzi del neoplasma ed i gangli linfatici mediastinici, e si fissano nel liquido di Zenker e nella miscela osmio-cromo-acetica del Flemminq. Previa disidrazione negli al- cooli e chiarificazione in olio di legno di cedro, i pezzi si sono imparaffinati. Per la colorazione delle sezioni microtomiche mi sono ser¬ vito dei comuni coloranti e principalmente deirematossilina fer¬ rica secondo la formula di Heidenhain. Le osservazioni sono state eseguite con l' obbiettivo apocr. a secco Zeiss e col 2 mm. apocr. ap. 1 : 30 Zeiss ad immersione omogenea e con la serie degli oculari compensatori e la luce artificiale monocro¬ matica, facendo filtrare i raggi di una lampada ad incandescenza a gas attraverso ad un filtro di soluzione satura di acetato di rame. t Il tumore, un poco complesso dal punto di vista istologico, risulta costituito aH'esterno da una sottile capsula di tessuto con¬ nettivo prevalentemente fibrillare, che non lo riveste in tutta la superficie, residuando alcuni tratti, nei quali le cellule neopla¬ stiche si infiltrano nei tessuti sani , ed in questi punti si nota spesso una lieve reazione infiammatoria. Nella capsula di invi¬ luppo decorrono numerosi vasi sanguigni e linfatici. Da questo strato di rivestimento (Fig. 1) partono alcuni fasci di tessuto connettivo, che dividono il neoplasma in lobi, in zone. — 39 nelle quali si trovano gli elementi propri del tumore. Il connettivo delle divisioni anzidetté, molto più spesso di quello della capsula di inviluppo, è quasi privo di vasi sanguigni ed è composto di fibrille sottilissime, la maggior parte situate secondo Tasse mag- Fig. 1. — Setti connettivali che dividono il neoplasma in lobi. A de¬ stra si osserva tessuto connettivo celluìo-adiposo ed a sinistra il tessuto proprio del tumore. Zeiss 1/16 apocr. a secco. 4 comp. Ematossilina ferrica. giore delle divisioni. Oli elementi fibrillari sono così vicini gli uni agli altri, che riesce difficile di individualizzarli, e, sia per la loro morfologia, che per i caratteri microchimici del loro cito¬ plasma, si debbono ritenere come esponente di una fase avan - zata delTevoluzione connettivo-fibrillare dello stroma del tumore. Infatti le fibrille in parola hanno pochissimi e rari nuclei, ed un citoplasma che si tinge indifferentemente sia con i colori acidi che con i basici di anilina: viceversa alla periferia dei fasci , là dove questi sono in contatto con il tessuto neoplastico propria¬ mente detto, si ha l'esponente di una maggiore vitalità, cioè la presenza di elementi più dissociati, con nuclei più floridi. Ed in questa zona, che chiamo neutra, le cellule neoplastiche cercano di invadere la ghiera connettivale. — 40 — Dalla capsula di inviluppo partono altre zone di tessuto pre¬ valentemente adiposo, che, a guisa di setti, dividono anche esse la massa neoplastica. Il tessuto adiposo rappresenta una ghiera molto più netta e resistente all'invasione del tumore, giacché, dove il tumore è limitrofo con il tessuto connettivo-fibrillare si ha uno strato neutro, nel quale le cellule neoplastiche cercano di infiltrare il tessuto connettivo , mentre fra tessuto grasso e tessuto neoplastico appare un limite netto e preciso. Questo tessuto adiposo (Fig. 2) non differisce istologicamente da quello osservato in qualsiasi connettivo cellulo-adiposo o in un lipoma: si hanno dei filamenti connettivali, che intrecciandosi for¬ mano delle reti, che racchiudono in ogni maglia una cellula adi¬ posa, la quale — nei preparati fissati nei liquidi di Zenker, alcool, ecc. — appare come un vuoto, essendosi il grasso disciolto nelle Fig. 2. — Tessuto adiposo che limita il neoplasma. Numerosi vasellini sanguigni. Zeiss 1/1 6 apocr. a secco. 4 comp. Ematossilina ferrica. varie manipolazioni della tecnica, laddove il nucleo rotondo ed appiattito è addossato alla periferia di una delle maglie della rete. Nelle zone di tessuto adiposo decorrono vasellini sanguigni. — 41 — Fig. 3. — Tessuto neoplastico endoteliale. Zeiss 1/16 apocr. a secco. 4 comp. Emallume-eosina. forma poliedrica, piatte, senza membrana, e fornite di citoplasma chiaro, trasparente a struttura trabecolare, nel cui interno si tro¬ vano poche e rare granulazioni cromatofile, che assumono la colo¬ razione della cromatina, in specie adoperando la ematossilina fer¬ rica secondo la formula di Heidenhain. Nel centro della cellula si rinviene un grosso nucleo ovoidale carico di sostanza cro¬ matica. A forte ingrandimento questo nucleo appare formato di una capsula e di un fitto reticolo cromatico e di uno o due nu- attorno ai quali si constata una infiltrazione parvicellulare. Altri vasellini sembrano il punto di partenza di nuovi noduli neo¬ plastici. Il tessuto proprio del tum.ore è formato essenzialmente da elementi cellulari endoteliali, dico essenzialmente, perché in non poche zone di esso le cellule sono piccole, polimorfe, in massima sferiche, tanto da doverle interpretare come semplici cellule sar- comatose. Le cellule endoteliali (Fig. 3) sono di grandezza variabili, di — 42 cleoli: mai presenza di masse cromatiche. Il reticolo cromatico prende contatto con la capsula, in guisa che non è possibile dire se la capsula sia un semplice ispessimento del reticolo od una - formazione a se, tanto più che le reazioni microchimiche di essa sono le medesime del reticolo cromatico. La sostanza acromatica del nucleo appare formata di un reticolo molto esile di linina. Non ho mai constatato nelle suddette cellule endoteliali figure cariocinetiche. L'altro tipo cellulare, il sarcomatoso, è costituito da elementi piccoli, sferoidali od ovalari , forniti di scarsissimo citoplasma finamente granuloso, che si riduce in taluni elementi ad un sot¬ tile alone perinucleare. Il nucleo grande, vescicolare, è sito o nel centro della cellula o in uno dei poli, quasi alla periferia del- Telemento. In questi nuclei (a differenza di quelli delle cellule endoteliali) si nota oltre la membrana nucleare, un reticolo cro¬ matico a maglie più sottili, e neH'interno alcune masse croma¬ tiche di forma indeterminata, dei granuli cromatici ed uno o due nucleoli. La sostanza cromatica endonucleare non prende mai contatto con la membrana nucleare. Negli elementi sarcomatosi è facile potere osservare alcune forme cinetiche e cioè parecchie piastre equatoriali, dei diastri, ecc.; sono elementi in piena atti¬ vità riproduttiva. Notevole è Tirrigazione sanguigna sia nel tes¬ suto endoteliale, che nel tessuto sarcomatoso. Si constatano al¬ tresì delle cavità di degenerazione, nelle quali si rinvengono delle cellule dissociate e detriti cellulari. Il processo di regressione della cellula neoplasùca sarcomatosa in questo caso non ha nulla di nuovo: si hanno contemporaneamente alterazioni citoplasma¬ tiche e nucleari, che, progredendo, portano alla distruzione del¬ l'elemento. Nel tumore sempre assenza di perle endoteliali, e . di grani calcarei. I gangli mediastinici ingorgati non hanno metastasi neopla¬ stiche, ma presentano soltanto le note di un processo infiam¬ matorio cronico. Nella cavità pleurica si possono osservare tutte le varietà di tumori, il lipoma, il fibroma, l'osteoma, l'epitelioma ed il sar¬ coma, sia primitivamente che come forme secondarie. — 43 Fra i tumori maligni secondari (epitelioma o sarcoma) è più frequente l'epitelioma, quasi sempre consecutivo a tumore del seno della medesima natura. Sia l'epitelioma che il sarcoma in¬ ducono uno spandimento pleurico per lo più emorragico, e l'e¬ same citologico del liquido dà sufficienti criteri per una diagnosi di natura dei neoplasmi in parola , trovandosi come reperto le cellule caratteristiche del tumore. Fra i tumori maligni primitivi della pleura sono descritti numerosi casi di carcinoma, di epiteliomi a cellule cilindriche, di sarcomi e di endoteliomi: forse il numero di queste osserva¬ zioni può essere un poco inferiore a quello che apparisce per il fatto che non è infrequente il caso che tumori secondari sieno diagnosticati come primitivi, e che il nodulo primitivo (per il suo piccolo sviluppo) passi inosservato. Per l'epitelioma si può verificare anche il caso che il tu¬ more abbia il suo inizio nei bronchioli sottopleurali, dando alla massa neoplastica l'apparenza di un tumore primitivo. Nella pleura si deve pure tener presente un'altra formazione patologica, che ha tutti i caratteri di un neoplasma, sebbene pa¬ recchi patologi la considerino come una affezione infiammatoria, e questa è il cancro e n d o te 1 i al e, così chiamato la prima volta da Wagner, che poi ha preso altri nomi di pleurite car- cinosa (Perls), di linfangite carcinomatoide (Schot- TELius), di linfangite prolifera (Schweninger). Le differenze fra il carcinoma della pleura ed il cancro en- doteliale sarebbero dovute al fatto che nel cancro l' invasione dei linfatici per parte della massa neoplastica avviene nel suo interno, laddove la tunica vasale resta in primo tempo indenne; nel cancro endoteliale invece si ha che V inizio della malattia avviene proprio nell' endotelio vasale. Gli elementi endoteliali si trasformano in cellule cilindriche ed obliterano secondaria¬ mente il lume del vaso linfatico: inoltre il cancro endoteliale ha maggiore diffusione, più tendenza alla metastasi e spesso le sue cellule subiscono una degenerazione ialina, mai quella grassa come il carcinoma. Ritornando al caso in esame, ritengo che esso rappresenti la prima osservazione di tumore primitivo della pleura , e la a '■ — 44 — prima osservazione di tumore endoteliale in genere verificatesi in un gatto. Parlo di tumore endoteliale e non di sarcoma, per¬ chè sembra che l'inizio neoplastico si abbia nella proliferazione atipica dell'endotelio dei vasi capillari e di quello delle lacune linfatiche. La presenza pertanto di cellule sarcomatose a tipo globo- cellulare, le cariocinesi di tali elementi, la disposizione dei vasi del tumore rendono molto perplessi ad affermare con certezza la natura endoteliale di esso, in guisa che pongo la diagnosi di endotelioma primitivo della pleura principalmente sugli attributi morfologici degli elementi anziché sulla istogenesi del tumore. L'endotelioma del gatto non differisce molto da quello della razza umana, se se ne escluda la maggiore polimorfia delle cel¬ lule, il decorso più rapido, e l'assenza di perle endoteliali e di concrezioni calcaree. LAVORI CITATI 1909. Bashford, e. F. - Murray, J. A. — The incidence of cancer in niice ^ . of known age: Proceed. Royal Soc. London Voi. 18, p. 310-313. 1889. Cadiot - Gilbert - Roger. — Note sur arie affection da chat dé- signé soas le nom de « cancroide des lèvres » : C. R. Soc. Biol. Paris 9. s. Tome 1, p. 381-383. 1905. CoLucci, V. — Contributo alla patologia delV epitelioma cancroide: Meni. R. Accad. Se. Ist. Bologna. Voi. 2, s. 6, 24 pp. 1. T. 1913. Gargano, C. — Dei tamori spontanei nei mammiferi. Fibromioma delle cavità nasali nel cavallo: Boll. Soc. Nat. Napoli. Voi. 26 * Atti p. 48-63, 1. T. 1904. Murray, J. A. — Certain b io logicai aspect in thè generai Patho- logy of rnalignant growths: Britisch Ass. for thè Advancement of Science, Cambridge. ^ 1908. - Distribation zoologiqae da cancer : Third scientific Report of thè investigations of thè Imperiai Cancer London, Research Fund, Taylor et Francis, London. 1905. Olt — Der Krebs der Haastiere: [Rapporto al Vili Congresso internazionale di medicina veterinaria, Budapest. Settembre]. 1912. Petit, G. — Les sarcomes de la mamelle en pat ho logie comparée : Bull.' Ass. Frang. pour 1' étude du Cancer Paris, Tome 5, p. , 135 - 162, 1911. Petit, G. - Germain, ^.— Tamear mixte pararénale (oa rétroperi- tonéale) chez an chat {myxo-sarcome): Ibid. Tome 4, p. 332-338. 1913. — — CÀng observations d'épithéliome villeax oa dendritiqae {épi- theliomes papillaires, papillo-ép ithéliomes) de la mamelle^ chez la Chienne et la Chatte\ Ibid. Tome 6, p. 17-33. 1912. - Qaelqaes cas intéressants de fibra - adénomes massifs oa Kystiqaes de la mamelle, chez les carnivores domestiqaes: Ibid. Tome 5, p. 104-116. 1908. Sabrazès, J. - Muzatet, L. - Antoine, H. — Epithélioma tnéla- niqae de la paapière consécatif à ane morsare, chez an chat: C. R. Soc. Biol. Paris, Tome 64, p. 290-292. 1909. Valillo — Sarcoma primitivo dei reni in an gatto: La Clinica Veterinaria [N. 4]. 1904. VoN Leyden, e. — Untersachangen iiber Mamma. Carcinom bei einer Katze: Zeit. klin. Med. .52. Bd. X, p. 409-422. (Finito di stampare il 30 gennaio 1922). Studi sulla bioluminescenza batterica. 5* Azione del nitrato di cerio [Ce(N03)3-6H20]. Ricerche del Prof. Giuseppe Zirpolo Libero Docente di Zoologia nella R. Università. (Tornata del 6 gennaio 1922) Nella nota precedente mi sono occupato dell' azione che i sali di uranio e di torio hanno sulla luminosità di un bacillo fosforescente che studio da tempo. Facendo seguito a queste osservazioni pubblico i risultati ottenuti servendomi del cerio, i cui sali già adoperati da Frouin e Aqulhon per lo sviluppo di batteri specifici e da Chien per lo sviluppo di alghe hanno dato, entro determinate diluizioni, risultati favorevoli. Io ho voluto vedere entro quali limiti il ni¬ trato. di cerio [Ce(N03)3-ó FI2O] — sale da me adoperato — sia tossico o meno per il BacULiis pierantonii Zirpolo, e se, para¬ gonato con i sali di torio e di uranio già studiati, presenti va¬ riazione alcuna, considerato che essi sono corpi appartenenti tutti alle terre rare, sebbene i primi due siano radioattivi ed il cerio non abbia questa proprietà. Ricerche personali. Materiale di studio e tecnica. Il materiale adoperato per queste esperienze era al solito formato da brodo confezionato con acqua di mare, muscoli di seppia e tutto alcanizzato con carbonato sodico. 47 In una serie di tubi veniva distribuita una eguale quantità di brodo ed in essi venivano fatte le diluizioni varie di nitrato di cerio. Dopo che tutto era sterilizzato veniva .introdotta in ogni tubo una goccia ben tarata di cultura in brodo di Bacillus pie- rantonii Zirpolo di ventiquattro ore. Le osservazioni vennero fatte dapprima ogni sera e poi in periodo di varii giorni. I tubi erano tenuti in una stanza a pianterreno dell'Acqua¬ rio, oscura, e per me utile onde potere avere occasione di fare osservazioni in qualunque ora del giorno. Azione del nitrato di cerio Le osservazioni sull'azione del nitrato di cerio vennero ri¬ petute più volte. Eccetto lievissime variazioni, da non tenere in considerazione, i risultati furono identici. Per non ripetere sem¬ pre lo stesso riferisco nel presente scritto solamente le osser¬ vazioni fatte dal 23 aprile al 4 settembre del passato anno. Il 23 aprile innestai una goccia di Bacillus pierantonil Zir¬ polo in tubi contenenti brodo di seppia con soluzioni di ni¬ trato di cerio da 1 : 5 a 1 : 20000000. Nella sera successiva non potetti osservare luce alcuna. Qua¬ rantotto ore dopo, però, là luce comparve in tutti i tubi meno in quelli che contenevano soluzioni di nitrato di cerio: 1:5; 1:10; 1:20; 1:50. Nella sera successiva la luce andò aumentando di intensità straordinariamente in tutti i tubi predetti meno in quelli 1:100; 1:200. Nel quarto giorno dall'innesto si oscurò completamente il tubo con soluzione 1:200 e rimase scialba in quello a 1:100 e così nei giorni successivi, fino a che nel 20 giugno quest'ul¬ timo si oscurò completamente. Nel tubo con soluzione 1:500 la luce persistette vivida per soli tre giorni; ma poi divenne scialba e così rimase fino al 25 maggio, dal quale giorno non mi fu possibile osservare più trac¬ cia di luce. Nei tubi 'con soluzione da 1:20000 a 1:20000000 la lumi¬ nosità si mantenne vividissima fino al 25 maggio, e da questo giorno in poi andò sempre scemando fino a spegnersi. — 48 — La luce si spense il 17 luglio nei tubi con diluizioni 1:5000; 1:50000; si spense il 21 agosto nei tubi : 1:500000 ; 1:5000000; 1:10000; 1:100000; 1:1000000; 1:20000; 1:200000; 1:2000000. Restò ancora qualche giorno oltre il 4 settembre nei tubi 1:10000000; 1:20000000. Riassumendo, quindi, la luce durò: Due giorni nel tubo 1:200. Trentuno giorni nel tubo 1:500. Quarantasette giorni nei tubi 1:100; 1:1000; 1:2000. Cinquantasette giorni nei tubi 1:5000; 1:50000. Ottantaquattro giorni nei tubi 1:500000; 1:5000000; 1:1000000; 1:20000; 1:200000; 1:2000000. Centotrentatrè giorni nei tubi 1:10000000; 1:20000000, TABELLA Azione del nitrato di cerio sulla bioluminescenza batterica* SOSTANZA In quali tubi ed in quanto tempo si smorzò la luce. adoperata Tubi con diluizioni: Tempo della scomparsa della luceiv 1:5; 1 : 10; 1 : 20; 1 : 50 Non si sviluppò mai la luce. 1 ;200 Dopo due giorni. Nitrato di cerio 1 :500 Dopo trentuno giorni. [Ce(N0a)3-6H,0| 1 : 100; 1 : 1000; 1 : 2000 Dopo quarantasette giorni. 1 : 5000; 1 : 50000 Dopo cinquantasette giorni. 1 : 500000 a 1 : 2000000 Dopo ottantaquattro giorni. 1:10000000; 1:20000000 Dopo centotrentatrè giorni. / — 49 — Conclusioni. 1. — L’azione del nitrato di cerio [Ce(N03)3'6H20] è tossica per il Bacillus pierantonii Zirpolo se adoperato in diluizioni di 1:5; 1:10; 1:20; 1:50. 2. — La luce dei batterii luminosi durò da un minimo di due giorni (1:200) ad un massimo di centotrentatrè giorni nei tubi con diluizioni 1:20000000. 3. — La vividezza della luce fu alquanto maggiore per inten¬ sità nei tubi in cui c'erano diluizioni lievissime di nitrato di cerio, in confronto dei tubi di controllo. 4. — Il nitrato di cerio si è comportato, rispetto al Bacillus pierantonii^ Zirpolo studiato, analogamente come i sali di ura¬ nio e di torio. Napoli, Stazione Zoologica, dicembre 1921. 4 BIBLIOGRAFIA 1915. Frouin , A. et Agulhon , H. — Action favorisante des sels de terres rares sar le dèveloppement da badile tabercaleax. C. R. Soc. Biol. T. 78, p. 129. 1917. Chien, S. S. — Pecaliar effects of Bariam, Strontium and Ce- riam on Spirógyra. Botati. Gaz. London. Voi. 63, nP 5, p. 406. 1918. ZiRPOLo, G. — / batteri fotogeni degli organi laminosi di Se- piola intermedia Naef. {Bacillas pierantonii n. sp.) Boll. Soc. Nat. Voi. 30, p. 206, Tav. 6. 19201 - Stadii salta biolaminescenza batterica. /. Azione degVip- notici. Riv. Biol. Roma. A"ol. 2, p. 52. 1920^ - Stadii salta biolaminescenza batterica. 2. Azione dei sali di magnesio. Boll. Soc. Nat. Voi. 32, p. 112. 1920^ - Stadii salta biolaminescenza batterica. 3. Azione dei raggi emanati dal bromaro di radio. ìbid. Voi. 33, p. 76. / 1921. - Stadii salta biolaminescenza batterica. '4. Azione dei sali radioattivi. Natura: Riv. Se. Nat. Milano, Voi. 12, p. .139. Finito di stampare il 10 febbraio 1922. • C' Vv MICHELE GEREMICCA 1857-1920 Michele Geremicca Commemorazione fatta dal socio Prof* F ridiano Cavara (Tornata straordinaria del 18 dicembre 1921) Pochi certamente, dei tanti che ogni giorno Tinesorabile Parca toglie dalla scena della vita, lasciano dietro a se tanta e- redità di affetti, tanto vivo desiderio di se, così profondo e du¬ raturo rimpianto, quanto ne ha lasciato Michele Geremicca, la bontà e la gentilezza personificate, l'insegnante incomparabile, il cultore esimio delle Scienze Naturali. Pare invero un sogno che la balda, la simpatica figura che allietava del suo bonario sorriso, dei suoi motti gioviali le no¬ stre adunanze non sia più; -che la sua parola calda di sempre giovanile entusiasmo, di ardore sempre vivo per la scienza e per ogni causa buona non si faccia più fra noi sentire ! L'animo nostro sgomento, rattristato , inconsolabile, sente fortissimo il bisogno di rievocare la bella e nobile figura di Michele Geremicca, ed io che ho avuto l'onorevole incarico di ricordarne le virtù ed i meriti altissimi, mi sento preso da un senso profondo di emozione ed insieme di trasporto per l'affetto che a Lui in vita mi legò. Sempre mi si affaccia il ricordo del gentile e fatidico sa¬ luto che Egli a me rivolgeva nell'Aula deH'Universrtà all'inizio del suo Corso nel 1906-07 con queste parole: "L'anno scorso inaugurai le mie lezioni col rivolgere un mesto rimpianto al tra¬ monto di quell'astro radioso che fu Federico Delfino. Oggi ria¬ pro il mio corso col presentare al nuovo venuto un saluto, un — 52 — voto insieme ed un augurio. A Fridiano Cavara, vada il saluto caldo d'affetto, come quello che muove dal cuore di un napo¬ letano interprete altresì dei nobili sensi di questa gioventù stu¬ diosa. Il voto, emesso da un modestissimo , ma appassionato cultore della botanica è rivolto alla fondazione di un Istituto botanico nel nostro Ateneo. L'augurio è quello di un amico, di un coetaneo scaldato dal medesimo fuoco, vibrante delle stesse aspirazioni ! „ Quanto affetto, quale vaticinio in queste sue parole. Il cru¬ do destino non ha voluto che Egli esultasse ora al vedere rea¬ lizzarsi il suo voto, al veder sorgere le mura dell'Istituto con tanto affettuoso calore preconizzato! Era mio coetaneo. Aveva di poco varcato i 60 anni, la Sua robusta costituzione fisica, la sua bella attività non facevano per nulla presagire una così immatura fine. Ma purtroppo i sintomi di un ascoso, terribile morbo si manifestarono; la limpida sua intelligenza mostrò quando a quando di offuscarsi; l'abituale sua giovialità cominciò a mancare e con un crescendo che divenne preoccupante per i suoi cari, per quanti lo conoscevano e ra¬ mavano. I centri psichici venivano scossi, la vista si affievoliva, e per mesi e mesi un simulacro di vita si trascinava per Lui fra istanti di penosa coscienza e di pietoso smarrimento, finché il 17 Giugno dello scorso anno il nostro Michele reclinava per sempre il capo I • Lo piangeva una famiglia desolatissima, cui Egli aveva pro¬ digato il più santo amore, una Scuola alla quale profondeva da oltre trent'anni i tesori della sua vasta e soda coltura; la Scienza perdeva in Lui un cultore appassionato. Michele Geremicca trasse i suoi natali in Napoli il 9 No¬ vembre 1857 da Achille e da Concetta Annuvolar!. Indirizzato ben presto alle scuole e compiuto il Liceo passò all'Università ove s'iscrisse in Scienze Naturali, ed ebbe maestri insigni. “ In quel tempo. Egli lasciò scritto, un vero Olimpo di uomini preclari illustrava la Facoltà scientifica del nostro Ateneo.^ A ricordare i soli naturalisti: Arcangelo Scacchi e Luigi Pal¬ mieri, Gilberto Giovi, Salvatore Trinchese ed Achille Costa, Vin¬ cenzo Cesati e Guglielmo Guiscardi. Proprio allora s'erà spenta la voce di Paolo Panceri e di Sebastiano De Luca, ed alla schiera eletta erano aggiunti Agostino Oglialoro, Giustiniano Nicolucci e Giovanni Paladino Conseguiva nel 1880, dopo superati gli esami del primo biennio, la licenza in Scienze Naturali che abilitava allora alb in¬ segnamento in Scuole secondarie, ed in virtù di essa ottenne nel 1881 r incarico dell' insegnamento della Storia Naturale nei Corsi ginnasiali, onde la carriera d' insegnante Egli iniziò di già da stu¬ dente, poiché il nostro Michele proseguiva, tuttavia, gli studi per addottorarsi, e si iscriveva altresì alla Scuola di Magistero presso la stessa nostra Università, e tanto si distingueva per zelo e per ingegno che, in seguito a concorso, vinceva nel 1881 una borsa di studio di Lire 500, che gli fu confermata per 1' anno successivo. Conseguiva pure nello stesso anno, per esame, la me¬ daglia Universitaria. Nel 1882 compiuti i corsi, sosteneva l'esame di Laurea con una dissertazione sulla Clorofilla e riportava il diploma in Scienze Naturali, e poco di poi quello della Scuola di Magistero. Con questi titoli di studio e con lavori a stampa che avea iniziato fin da studente il Geremicca potè cimentarsi in concorsi varii, e così nel 1885 per la cattedra di Storia Naturale al R. Liceo Umberto I di Napoli, ottenendo la eleggibilità: nel 1887 al Concorso per cattedra della stessa materia in 4 nuovi Licei, ove fu vincitore e nominato reggente nel Liceo di Sessa Au- runca; riesci pure eleggibile nel concorso dello stesso anno per gli Istituti Tecnici, e gli fu offerta la sede di Foggia. Nel 1888 vinse il concorso per professore nella R. Scuola dei sottouffi¬ ciali, allora istituitasi a Caserta, ne ebbe l' incarico dell' insegna¬ mento della Storia Naturale fino al 1895, anno in cui la Scuola- fu soppressa. Aveva parimenti ottenuta la reggenza della detta cattedra nel R. Liceo di S. Maria Capua Vetere ove fu promosso titolare nel 1899, anno in cui fu destinato ai Licei di Napoli, prima all' " Umberto I „ e più tardi al Vittorio Emanuele „ ove insegnò fino a che le forze intellettuali lo sorressero. Ebbe pure in Napoli l'insegnamento della Storia Naturale nel Collegio mi¬ litare della Nunzfatella. Ma mentre dava l'opera sua zelante nell'insegnamento se¬ condario, non tralasciava di dedicare le ore che gli rimanevano — 54 — libere, agli studii suoi prediletti che toccavano particolarmente la botanica. E fu così grande l'ardore col quale si diè a coltivare que¬ sto ramo della biologia, che nel 1890, con una elaborata mono¬ grafia sul " Latice e sai laticiferi „ conseguiva la libera docenza con effetti legali nella nostra Università, e da quell'anno ininter¬ rottamente dettò lezioni di un Corso pareggiato. Questa la carriera didattica di Michele Geremicca, coronata dei più lieti successi, sia nelle Scuole Secondarie ove fu l'idolo dei superiori, dei 'colleghi, degli studenti che Egli amava sic¬ come figli, sia nella Università ove ebbe sempre una Scuola fio¬ rentissima. Due grandi meriti ebbe il Geremicca come insegnante e cioè: qualità insuperabili di docente e di educatore, e valentìa di scrittore di testi per la Scuola. Due virtù che si inquadra¬ vano armonicamente per agilità d'ingegno accoppiata a studio profondo, per facoltà invidiabile di assimilazione dei problemi e delle quistioni anche le più" astruse che Egli sapeva render sem¬ plici e chiare con la parola e con gli scritti. Il nome di Michele Geremicca resterà nella Scuola e come tradizione di esemplarità di insegnamento, e per quei testi suoi che sono veri gioielli, così istruttivi per la gioventù, quanto utili per gli stessi insegnanti, tanto ne è ordinata la disposizione della materia, chiara la dizione, esauriente la trattazione. Onde i libri del Geremicca sono i più adatti, i più efficaci fra le miriadi di testi che pullulano nelle Scuole Secondarie. E che realmente que¬ sto mio giudizio corrisponda a verità ne è pruova l'accoglienza che essi ebbero da parte di studenti e di insegnanti così da a- vere, nel breve corso di pochi anni, l'onore di rilevante numero di edizioni. Infatti i suoi manuali di Botanica, di Zoologia e di Geologia ebbero quattro edizioni ; quello di Mineralogia ben sei edizioni, il testo di Botanica per la Università tre edizioni. E dal fatto che i libri del Geremicca vertono su tutte le branche della Storia Naturale, si arguisce quanto vasta e pro¬ fonda fosse la sua coltura, onde la sua bella mente, cotanto nu- drita di studio, passava indifferentemente a trattare dei fenomeni naturali dominati essenzialmente dalle leggi fisiche e chimiche, come dei più complessi processi degli esseri viventi. Di tale sua soda e varia coltura Egli ci ha fasciato ben altri documenti irrefragabili in una produzione scientifica che è tanto più commendevole in quanto viene da chi fin dai primi anni della sua carriera di studio era stato chiamato al nobile ma fa¬ ticoso magistero dell' insegnamento. Come e dove potesse trovar modo, il Geremicca, di darsi allo studio di problemi scientifici, occupato com' Egli era nel grave ed ininterrotto suo ufficio di¬ dattico, si può spiegare solo con una grande forza di volontà, con ingegno eletto, ed un entusiasmo sempre vivido e giovanile. La produzione, scientifica di Michele Geremìcca non è gran¬ diosa, non poteva esserlo per la sua grande devozione alla Scuo¬ la che assorbiva tanta parte delle sue energie, ma essa rivela in complesso una maggiore tendenza alla sintesi, all' indagine storica e critica che non alla ricerca analitica, e ciò evidente¬ mente in armonia con il suo spirito speculativo ed in relazione con le contingenze stesse della vita. Esordiva con alcuni scritti di carattere divulgatorio sopra argomenti di biologia e fisiologia vegetale: così sulle Piante car¬ nivore (1879), sulla Digestione nei vegetali (1890). Imprendeva pure alcuni studi di istologia i cui risultati apparvero nel Bollettino della Società botanica italiana {Sulle cellule del Mesotecio delVtiy- drangea hortensis) (1891) e nel Bollettino della Società dei Na¬ turalisti di Napoli {Sull epidermide dei fiori di Ortensia) (1891). Ma una monografia cospicua ed interessante fu quella che il Geremicca elaborò, come sopra vi dissi, pel conseguimento della libera docenza in botanica Il latice e i vasi laticiferi „ che diede alle stampe nel 1891 coi tipi di Gennaro Priore, di ben 239 pagine, corredata di 11 tavole. Pur essendo prevalentemente di carattere compilatorio, rappresenta il frutto di una lunga e paziente ricerca, ed in essa è raccolto quanto si conosceva fino a quel momento intorno ad uno dei più importanti apparati a- natomo-fisiologici delle piante, e vi sono esposte e vagliate con senso critico le opinioni di numero stragrande di autori intorno alla morfologia ed ontogenia dei laticiferi, alla natura, origine e funzione del latice. Con questa monografia che metteva in ri¬ lievo la sua coltura anatomo-fisiologica il Geremicca rendeva un grande servizio agli studiosi, e sarebbe da augurarsi che l'esem- — 56 — pio da Lui dato fosse seguito in ogni ramo delle discipline scien¬ tifiche per argomenti di capitale importanza. Spirito critico e speculativo dimostrò pure il Oeremicca in una comunicazione fatta alla nostra Società nel 1891 “ Sulla in¬ terpretazione di alcuni fatti riguardanti V assimilazione del Car¬ bonio Dopo che si era ventilata da alcuni fisiologi (Reinke, Mori, Renard, Loew) la possibilità della formazione dell'aldeide formica nelle cellule a clorofilla sotto razione della luce, d'onde per condensazione dell' aldeide si avrebbe il glucosio, formava oggetto di discussione il modo di azione del pigmento cloro¬ filliano. Il Oeremicca pensa che 1' ossido di carbonio prodotto dalla scissione della molecola dell'anidride carbonica, agirebbe sulla molecola dell'acqua in una prima fase, e con ulteriore com¬ binazione con l' idrogeno residuale darebbe l' aldeide formica. L'argomento che Egli trattava in allora, in via speculativa, aveva poco più tardi, come è noto, una sanzione in fatti sperimentali che hanno messo il campo dei fisiologi a rumore. Nel ramo della morfologia vegetale Michele Oeremicca diede notevoli contribuzioni frà le quali citerò qui il suo studio dal titolo Note preliminari morfo-istologiche su la Juanulloa au- rantiaca (1901),,, dove, dopo aver trattato la morfologia fiorale, e i vari sistemi anatomo-fisiologici, richiama l'attenzione sulla sostanza colorante del perianzio che dalle reazioni fornitegli Egli giudica affine alla xantofilla e alla carotina. In parecchie note e memo¬ rie Egli illustra dei casi teratologici e delle anomalie che, come è noto, sono di tanto sussidio nella interpretazione dei fatti mor¬ fologici. Particolarmente interessanti sono appunto due suoi lavori su anomalie della Zea Mays che portano luce sopra l'o¬ rigine della spiga femminile, considerata da alcuni (Delfino) come omologa alla pannocchia maschile. Recenti investigazioni portano conferme a queste vedute del nostro Oeremicca. In altro suo lavoro dal titolo '' Intorno alla moltiplicazione degli anto filli per sdoppiamento e per plurigenesi „ (1905) „, dall'esame di fiori pieni nel Lycopersicum esculentum è por¬ tato ad indagare la origine del fenomeno ed a scartare la spie¬ gazione di esso per sdoppiamento, sostituendo a questa la ipo¬ tesi della pluralità di coni vegetativi determinata da condizioni di ipertrofia, d'onde il nome di " plurigenesi „ da lui applicato a tale processo formativo di nuovi Antofilli. Nel 1893 venne a Napoli Federico Delfino il biologo insi¬ gne, la stella di prima grandezza che attrasse subito nella sua ' orbita gli studiosi di Scienze Naturali e particolarmente quelli datisi al culto dtW ainabilis scientia, e fra questi il nostro Ge- REMICCA. La influenza spirituale di quel robusto ingegno si fece su¬ bito sentire nell'indirizzo dei Suoi studi, in una nuova tendenza a considerare le piante oltrecchè nei loro fondamentali tratti morfologici, più ancora in quelle svariate loro manifestazioni, di carattere biologico, implicanti rapporti di vita di relazione, adattamenti peculiari, meravigliosi che con tanto e squisito senso di penetrazione il Delfino aveva messo in rilievo ed in opere durature consacrati. Non vi ha dubbio alcuno che chiunque ha potuto leggere e meditare gli scritti di quel geniale botanico, e più ancora chiunque abbia potuto udire la sua parola inadorna sì ma piena di suggestiva convinzione, ne è restato conquiso. Anche Mi¬ chele Geremicga ebbe a subire il fascino di quelle dottrine che non ostante il principio teleologico che le domina si rendono cotanto seducenti. Alcuni lavori pubblicati da Geremicga dopo la venuta del Delfino a Napoli, sono informati a quegli stessi principi delle cause finali che caratterizzano le dottrine delpiniane. Tale una sua cospicua memoria il cui titolo " / mezzi di difesa delle piante contro gli animali (1897) „ è già di per se abbastanza ortodosso. Nella introduzione Egli dice: ''La scienza botanica s'affatica oggi principalmente intorno a due gravissime ricerche, asse¬ gnare un fine biologico a tutte le modalità della forma, e trac¬ ciare il disegno completo dello sviluppo filogenetico delle specie. Massime per espletare il primo di questi compiti, la botanica ha infranto i cancelli della pura morfologia e fisiologia ed ha allargato le sue investigazioni intorno ai rapporti molteplici tra le piante e il mezzo biologico. Ne è nata così tutta una nuova dottrina, che sr chiama Biologia vegetale. Nella ricca serie dei rapporti biologici tra le piante ed il mondo esterno, parti- 58 — colare interesse presentano i mezzi di difesa: difesa contro le forze meccanico-fisiche deH'ambiente, difese contro gli altri or¬ ganismi Definizioni e programma decisamente delpiniani. Tutto il lavoro è scritto in forma smagliante; è un inno alle risorse che natura ha elargito alle piante per una difesa che il Geremicca chiama passiva, ma è poi presentata sotto un aspetto che non cela la causa finale come attestano di per se i titoli dei capitoli trattati, che sono: "le precauzioni, gli opportunismi, i sotter-. fugi. le armi, i veleni, gli inganni, le finzioni, le protezioni Vi sono ottimamente scelti gli esempi a dimostrazione di tali difese ma traspare in ogni linea l'influsso delle dottrine delpiniane. Anche in una conferenza tenuta dal Geremicca alla nostra Società nel Maggio del 1Q05, pochi giorni prima che l'astro della biologia tramontasse, e che avea per tema: Colonie^ consorzi e leghe nel mondo delle piante, da lui trattato con colore di. poe¬ sia e con forma affascinante, dopo aver fatta sua la dottrina del Delfino delle piante formicarie, e descritti i mirabili adatta¬ menti di queste per dare cibo ed anche alloggio ai " minuscoli soldatini esapodi dalle affilate mandibole „ così Egli chiama le battagliere formiche che nella concezione delpiniana si mettono a disposizione delle piante per una difesa di queste contro altri animali, il Geremicca è portato a queste deduzioni: " Davvero sorprendenti queste leghe di resistenza tra piante e formiche. E quale mirabile risultato! La pianta riesce a difendersi dagli animali, rivolgendo gli animali contro gli animali stessi 1 E tutto ciò sembra il massimo delle conquiste per organismi condannati ad una perenne immobilità: ritorcere l'arma contro 1' assalitore. Ma vi è. Egli aggiunge, una conquista ancor più alta : affidare a migliaia e migliaia di specie d'insetti un atto essenzialissimo della funzione riproduttiva, il trasporto cioè del polline, rendendo per tal modo possibile la grande funzione delle nozze incrociate, d'onde traggono le specie sempre nuova forza di sviluppo E dopo avere con i più vivi colori della sua tavolozza di artista della parola, descritto come si esplichi in natura questa meravigliosa e necessaria lega tra piante a fiori e insetti, tenta rintracciarne le origini nel lento succedersi delle forme a tra¬ verso i periodi geologici. 59 — “ Fu da questa mirabile lega, conchiude il Geremicca, tra piante fiorifere ed insetti volatori — stretta tra le due stirpi pel raggiungimento di un bene capitalissimo, che nelFevolversi delle ère geologiche, più a noi vicine, si andò sviluppando il più de¬ licato e mirabile apparato organico il fiore: questo inesauribile tesoro di bellezza, questo affascinante nido di grazie sempre nuove, perenne sorgente dei più puri gaudii dello spirito, fonte sempre fresca di sani godimenti estetici, eterna poesia della vita ! „ Ecco come da Michele Geremicca viene circonfusa del più smagliante sentimento lirico la dottrina geniale ma fredda ed austera di Federico Delfino. Di questo naturalista filosofo che tutto il mondo onora, il Geremicca fu ammiratore sincero, e delFopera grandiosa di lui estimatore convinto tanto da indursi a compiere quel magnifico studio sulla poderosa produzione delpiniana dal titolo: L'opera botanica di Federico Delpino esposta criticamente^ pubblicata nel volume XXI del Bollettino della nostra Società; studio il quale oltre attestare della profonda coltura botanica di Michele Ge- REMiccA, e del suo spirito critico, costituisce un vero titolo di benemerenza per avere rivelata e sviscerata la grandiosa e sva¬ riata opera di Federico Delfino consegnata in tante e tante pub- plicazioni esaurite o sparse, in periodici scientifici, e atti di ac¬ cademie e di società difficilmente o punto reperibili. . Per quanto entusiasta ed imbevuto delle dottrine delpiniane, non fa però velo al Geremicca il profondo sentimento di stima e di venerazione verso l'Uomo insigne, per esprimere in questo suo lavoro, i suoi giusti dubbi, le sue personali e divergenti ve¬ dute, su molti punti delle concezioni delpiniane. In ciò appunto sta il maggior merito di questo suo studio: la indipendenza del giudizio nella ricerca del vero; poiché non si può negare che troppo spesso la interpretazione dei fatti è in Delfino asservita al principio delle cause finali, mentre una più imparziale con¬ siderazione dei fattori tutti che entrano in giuoco nei processi e nelle manifestazioni della vita delle piante sono contrapposti dal Geremicca alle esagerazioni di un'assoluta spiegazione te¬ leologica. Così quando il Delfino estende alle piante, tutte le facoltà — 60 — della psiche, Egli oppone che parecchie di queste, le più mera¬ vigliose sono esclusive del protoplasma cerebrale degli animali più evoluti e sono manifestazioni che si rivelano, Egli dice per mezzo “di quel misterioso congegno che è la cellula della so¬ stanza grigia del cervello Manifesta il Geremicca i suoi dubbi circa l'affermazione del Maestro che la sessualità costituisca una condizione primitiva degli esseri viventi. Non esita a dichiarare esagerata la preoc¬ cupazione del Delfino nel spiegare la ragione dell'adattamento geocarpico di tante piante, la cui soluzione dice il Delfino spa¬ venta bimmaginazione, mentre può forse spiegarsi, osserva il Geremicca, come il risultato conseguito dalla selezione naturale. Egli trova che le ardite congetture biologiche che con molta larghezza il Delfino applica alle investigazioni filogenetiche, spezzano talvolta i freni della prudente verosimiglianza e mi¬ nacciano di trascinare il maestoso carro della sua dottrina nel vuoto dell' inverosimile. Dell'opera delpiniana poi la parte più ampiamente discussa dal Geremicca è la Teoria generale della Fillotassi^ che in realtà ha avuto così poca, anzi nessuna fortuna. Ne analizza nel modo più obiettivo i canoni fondamentali, con paziente ed acuta di¬ samina, quale nessuno in Italia e fuori aveva mai fatto; ma é costretto a dichiarare che “ non è possibile seguire il Delfino, anche da molto lontano, nella mirabile esposizione che egli fa delle numerose armonie: è uno studio, dice il Geremicca, senza dubbio bellissimo ma che partendo da premesse molto discu¬ tibili... resta alquanto fuori della realtà,,. Non ostante gli spunti critici e le riserve su alcune parti della vasta e geniale opera delpiniana, il Geremicca esprime alla fine del suo elaborato studio questo giudizio sintetico: “ In quanto alla sorte serbata all'opera di Federico Delfino bisogna necessariamente distinguere la parte caduca dalla parte veramente vitale. La teoria della fillotassi, più che caduta in oblio, non fu mai presa in sufficiente considerazione; le ricerche, in¬ vece, le investigazioni e le teorie stesse con cui egli illustrò la biologia fiorale sono passate nel dominio della scienza e se tro¬ vano, per alcune verità specialmente, ancora qualche obiezione. si tratta sempre di un fenomeno limitato a pochi intelletti non per anco rischiarati dalla face radiosa deU'indirizzo biologico Ma Tattività intellettuale di Michele Geremicca che si espli¬ cava diuturnamente nella Scuola e fuori di essa, non aveva pausa mai, era un intimo bisogno dell'anima sua eletta. In sua casa allietata dall'affetto di figli cari che dall'esempio suo traevano l'amore allo studio; di una compagna ideale che reggeva le sorti della famiglia, di- un fratello che era per Lui oggetto di amo¬ roso orgoglio per l'estimazione generale che godeva e per le alte cariche cui meritamente assurgeva, Michele Geremicca non concedeva neppure nel focolare intimo dei più puri affetti, il riposo pur necessario al suo spirito, mai sazio di sapere. Ed erano ora notizie storiche che Egli frugava nella sua ricca biblioteca scientifica o in libri che si procurava a prestito, e che raccoglieva e compendiava in interessanti scritti quali: le Noti¬ zie statistiche intorno ai botanici italiani (18Q7); Botanici e bo¬ tanofili Napoletani (1910); Note storiche sugli Agrumi che si coltivavano a Napoli nei secoli XVI e XVII (1911); Le Pomacee che si coltivavano a Napoli (1917). Ora erano quistioni didattiche nelle quali Egli portava tutto il Suo contributo di una lunga esperienza e di sani criteri. E va ricordata qui la strenua difesa che dell'insegnamento scientifico secondario fece il Geremicca con una relazione critica presen¬ tata nel 1904 alla nostra Società contro la minaccia di un pro¬ getto di legge investente l'ordinamento delle Scuole medie allo scopo di ridurre al minimo il numero degli insegnanti con la falcidia o la riunione di cattedre di materie scientifiche. Oh! non l'avesse colpito il morbo crudele che lo trasse anzitempo alla tomba, che Egli con la sua penna incisiva , con la sua parola vibrante di italianità e di amore per la scienza, avrebbe oggi elevata autorevole protesta contro un progetto di legge avente le stesse meschine finalità. Pari interessamento dimostrò il Geremicca, per l' insegna¬ mento della Geografia nelle Scuole Medie che Egli desiderava affidato a titolari competenti. E con ardore e vigoria di argo¬ menti sosteneva al 5° Congresso Geografico italiano, tenutosi in Napoli nel 1904,. la necessità di una laurea in Geografia. — 62 In seno alla nostra Società promosse aiuti e consensi mo¬ rali per la iniziativa presa da un degnissimo nostro Consocio, il Professore Alfonso Maria Siniscalchi, per la istituzione di quel " Museo Civico di Scienze Naturali che prese nome da Salvatore Trinchese „ e destinato alla integrazione della col¬ tura delPoperaio, “ esercitando, come lasciò scritto il Geremicca, su di questo una leva possente di vero progresso morale Ed ora permettetemi, o Signori, che io rievochi ancora la bella figura di Michele Geremicca per la parte grandissima che Egli ebbe nella Società dei Naturalisti di Napoli, di questa no¬ stra Società della quale fu Socio fondatore, più volte Presidente, e che Egli amò come niun figlio ama la propria famiglia. Quando nel 1907 la Società dei Naturalisti si apprestò a solenizzare il 25° anniversario di sua fondazione, l'oratore pre¬ scelto dal Consiglio direttivo fu Michele Geremicca, il quale assolvette, come era da aspettarsi, assai degnamente il compito affidatogli con un discorso memorabile nel quale ebbe momenti di emozionanti rievocazioni sulla origine e sulle fasi 'del non in¬ glorioso Sodalizio. Non posso trattenermi dal citarvi alcuni passi. Erano gli anni delle rosee speranze, dei facili entusiasmi, dei baldi propositi. L' Università di Napoli nelle vecchie ed an¬ guste mura accoglieva una studentesca meno utilitaria dell'at¬ tuale, e fra essa un breve manipolo di giovani intesi allo studio delle Scienze Naturali . Ahimè! in quel tempo, intorno a noi, naturalisti in erba, era addirittura il deserto. Non esisteva altro che la Scuola della vecchia maniera, e che noi sentivamo insuf¬ ficiente alle nostre manifestazioni intellettuali. Di fronte alla Scuola, chiusa nella sua Scienza, si elevava l'Accademia. Eppure, ben volentieri ci trovavamo riuniti intorno al tavolo delle le¬ zioni, in attesa della parola del maestro, a discutere con tanto entusiasmo di argomenti scientifici ! Perchè non renderle, que¬ ste nostre riunioni amichevoli, ordinate ad un fine? Perchè non .far convergere le nostre discussioni ad uno scopo preciso? Per¬ chè in una sola parola non farla noi, così come eravamo, in cinque, in dieci, in venti, un'associaziooe come la vagheggia¬ vamo da un pezzo nei nostri, sogni di studiosi insoddisfatti, come la sentivamo nei nostri vivi desideri!, resi sempre più — 63 ^ acuti dai pullulanti bisogni dello spirito? un'associazione che non fosse Accademia, nè fosse Scuola; un sodalizio libero da qualunque pastoia di convenienze gerarchiche, lontano da qual¬ sivoglia sentore di gradi accademici, aperto liberamente a tutti coloro che sorreggesse una medesima fede — il progresso delle Scienze Naturali — che unisse una stessa religione — lo studio della natura. “ E fu così — prosegue il Oeremicca — che nel No¬ vembre del 1881, un piccol gruppo di studenti universitari fondò questo sodalizio, che oggi ha compiuto il 25° anno. < " La prima riunione fu tenuta in una sala terrena delhUni- versità, una sala buja e senza sedie. Ad essa succedettero nu¬ merose tornate ed in Gennaio 1882 la novella Società era già costituita, e contava 11 soci: Antonio Gabella, Alfonso Ca- STRiOTA, Tommaso Curatolo, Aurelio De Gasparis, Ludovico De Paola, Michele Geremicca, Giuseppe Jatla, Ugo Milone, Al¬ fonso Montefusco, Pellegrino Severino, ed Ulrico Siniscalchi „. Ed alla fine del mirabile discorso nel quale sono descritte le tappe laboriose, le angustie e le ansie, ed insieme le intime soddisfazioni morali, poiché ora la Società conta ragguardevole numero di Soci, ed ha un capitale inestimabile di oltre 4000 tra opere ed opuscoli, oltre a 150 tra giornali, riviste, atti accade¬ mici in corso, frutti di doni e scambi col suo Bollettino; alla fine del suo mirabile discorso, io dicevo, il Geremicca si chiede: "'Ed ora? Il piccol numero dei Soci fondatori si è reso, pur¬ troppo innanzi tempo esiguo, per morti e per deviamenti. Essi è vero non sono più nel fiore degli anni, ma il loro cuore pal¬ pita sempre e forse con affetto più tenace, per questo frutto della loro età più verde. Ma pur verrà la stagione della loro dipartita e troppo acerbo sarebbe ad essi il pensiero di lasciar V opera di tanti anni in balia dell'indifferenza che tutto travolge ed an¬ nienta. Ho fede però che la modesta face accesa da noi passerà splendente di novella luce, nelle mani di giovani volenterosi che si stringeranno compatti intorno alla nostra bandiera, segnacolo di progresso,,. Povero Michele , quali presagi , e quanto amore per que¬ sto frutto dei verdi suoi anni di speranze e di entusiasmi! E la Società dei Naturalisti di Napoli che tanto deve a Lui, ascrive a dover suo, a suo onore il porgere oggi solenne tri- — 64 buto di riconoscenza e di affetto alla memoria di Michele Ge- REMiccA che diede il suo gran cuore, il suo bell' ingegno, le sue ininterrotte amorose cure a questo Sodalizio che, per virtù di Lui, attrasse nel suo seno tanti studiosi che l'onorarono con i frutti della loro mente, si che oggi tiene un posto eminente fra le congeneri istituzioni del mondo intero, e fa rispettato il nome di Napoli e d' Italia tutta. La Società dei Naturalisti sente il grande vuoto che ha la¬ sciato quell'anima vibrante di amore e di poesia, che non si li¬ mitava a profondere tesori inestimabili di virtù e di sapere nel sodalizio, a nobile incitamento della gioventù studiosa, ma al¬ tresì nella sua città natale, nell'arringo dell' insegnamento in cui eccelleva per rare doti di niente e di cuore. Poiché Michele Geremicca non fu solo lo studioso infati¬ cabile, r autore di libri pregevolissimi, il fortunato divulgatore della scienza, l' innamorato della natura, Michele Geremicca pel suo animo buono, per la sua innata affabilità, pel suo carattere adamantino fu anzitutto un educatore incomparabile. Ed in que¬ st'ora grigia di pervertimenti morali, di snaturazione dei più sacri principi del vivere civile, di educatori dello stampo di Michele Geremicca l'Italia nostra ha bisogno, e purtroppo ne difetta! Pubblicazioni di Michele Geremicca 1. Le piante carnivore. In «ridde» Giornale letterario-scientifico-ar- tistico. An. I, Napoli, 1879, n. 2 a 7. . 2. Nozioni schematiche di Organografia e Fisiologia delle piante e degli animali. Napoli, Starace, 1884. 3. Elementi di Organografia e Fisiologia ad uso delle scuole secon¬ darie. Parte I. Oli animali. Napoli, Eugenio, 1884. In 8.o picc. di pag. vni-239. 4. Prime nozioni di Storia Naturale. Caserta, Turi, 1890. In 8.® di pag. 323, con tavole. 5. La digestione nei vegetali. Napoli, Priore , 1890. In 8.® picc. di pag. 48. 6. Sommario delle lezioni di botanica dettate nella R. Univervità. Na¬ poli, 1891, con figure. 7. Il latice ed i vasi laticiferi. — Monografia — Napoli, Priore, 1891. In 8.0 di pag. 239. 8. Sulle cellule del mesotecio delV Hydrangea Hortensia. Nota. Bull. d. Società botanica italiana. Riunione generale di Napoli del 18 agosto 1891. 9. Sull epidermide dei fiori di Ortensia. Boll. d. Società dei Naturali¬ sti in Napoli. An. V. Voi. V. 1891. Napoli, 1892. Con 1 tav. 10. Sulla interpretazione di alcuni fatti riguardanti V assimilazione del carbonio Boll. d. Soc. d. Natur. in Napoli, An. VI, Voi. VI, 1892. 11. La botanica nell' insegnamento universitario. Napoli, Priore, 1892. In 8.^ di pag. 19. 12. Appunti di Zoologia. Guida agli esami universitarii. Seconda Ediz. interamente rifatta e con numerosi quadri sinottici. Napoli, Cesareo. 1892. In IO® di pp. Vili -|- 1 12. 13. Appunti di botanica sistematica ad uso degli studenti universitarii. Napoli, Priore, 1893. In 8.® di 230 pag, 14. Sommario di botanica generale aduso degli studenti universitarii. Napoli, Priore, 1894. In 8.° di 496 pag. e 224 fig. 15. Sinossi di storia naturale (per la scuola dei sottufficiali). Caserta, Turi, 1894. In 8.° di 293 pag. — 66 — 1 6. Elementi di storia naturale per le scuole secondarie superiori. Parte /. Zoologia. Napoli, Priore, 1895. In 8.° di pag. VIII-384 e . 99 fig. 1 7. Elementi di storia naturale per le scuole secondarie superiori. Parte II. Botanica. Napoli, Priore, 1895. In 8.° di pag. 570 e 244 fig. 1 8. Notizie statistiche intorno ai botanici italiani del secolo XIX. Boll. Soc. Naturai, in Napoli, An. XI, Voi. XI, 1897. 19. Primo contributo allo studio della Elora di Precida e di Yivara. (In collaborazione con G. Rippa) Boll. d. Soc. Nat. in Napoli, An. XI, Voi. XI, 1897. 20. Su di un caso di proliferazione nella Eragaria vesca L. Boll. Soc. Natur. in Napoli, An. XI, Voi. XI, 1897. 21. / mezzi di difesa delle piante contro gli animali. Napoli, Priore, 1897. In 8.0 di 43 pag. 22. Sinossi di storia naturale ad uso dei sottufficiali-allievi della Scuola Militare. Modena, Soc. tipog. 1897; in 4.° di pag. VII- 191, con tavole. 23. Sopra un caso di metamorfosi progressiva nella corolla di Datura Metel L. Boll. Soc. Natur. in Napoli, An. XIII, Voi. XIII, 1899. 24. Della vita e delle opere di Gaetano Licopoli, botanico napoletano. Napoli, Priore, 1899. In 8.° picc. di 100 pag. con ritrai. 25. Breve sinossi di mineralogia ad uso delle scuole secondarie. Na¬ poli, Priore, 1399. In 8.° picc. di 71 pag. con fig. 26. Le differenze tra piante ed animali secondo un naturalista del se¬ colo XYIIl. Napoli, Priore, 1901. 27. Note preliminari morfo-istologiche su la fuanulloa aurantiaca. Boll. Soc. Nat. in Napoli, An. XV, Voi. XV, 1901. Con 3 tav. 28. Per un Indice sistematico della letteratura botanica italiana dalle origini ai nostri giorni. Boll. Soc. Nat. in Napoli, An. XV, Voi. XV. 1901. 29. Sopra un caso teratologico del pistillo di « Zea Mays » L. Nota Bollettino d. Soc. dei Naturai, di Napoli. An. XVII, 1903. In 8.0 di pp. 4, con 3 fig. 30. Il mimetismo delle piante. In « Juvenilia w. Rivista di lettere, scienza e arte. An. 1, Napoli, 1905. In 4.° pp. 7-10. 31. Piante e formiche In / il sopravvento sulla nuova; di modo che alla fine del mese il nuovo e V antico erano fusi in un solo cono, con due bocche distinte e terminali, a livello deir antico orlo , vivamente incandescenti , di cui la principale era la vecchia, in accentuata fase esplodente, le cui scorie ca¬ dendo in gran copia sulla nuova bocca, handavano rapidamente restringendo. Esame della bocca di fuoco. — Il giorno 6, scesi nel cratere per vedere da vicino il teatro esplosivo , e poiché i lanci di la- pillo non erano ancora eccessivi, mi fu possibile salire sul nuovo conetto dal lato sud fino a livello della bocca; quivi potei ri¬ manere per quasi un' ora in grazia di una sentita corrente di aria fresca, che risalendo il pendìo da questa parte, per probabile effetto di risucchio prodotto dall'atrio, spingeva la vampa dal¬ l'opposto lato, ed anche perchè dati certi particolari deH'interno della bocca, i lapilli erano pure per lo più lanciati da l'altra parte. Non è possibile per chi l'ha visto, dimenticare uno spettacolo cotanto impressionante! Abituati gli occhi alla viva incandescenza della bocca (del diametro di circa otto metri), si vedeva netta¬ mente la massa magmatica, a poca profondità e di una pasto¬ sità quasi liquida, agitarsi e ribollire tumultuosamente nel con¬ dotto, molto svasato verso l'interno; di modo che appariva chiaro che noi ci trovavamo sul sommo di una volta forata nel cen¬ tro, ricoprente una cavità incandescente , di forse 40 metri di diametro. Lo spessore della volta nella sua porzione perforata non era maggiore di tre metri. Ogni tanto, il magma, rivolgendosi su se stesso, gonfiava con relativa lentezza e saliva nel condotto, talvolta fino ad un me¬ tro 0 due sotto l'orlo della bocca; allora la massa di repente si rompeva per lasciar uscire con forte impeto una grossa bolla di gas, dopo di che ridiscendeva rapidamente per otto, dieci e più metri, lasciando scorgere sotto la bocca una meravigliosa e q Erano con me il Sig. Ala, Brigadiere dei RR. CC. e la guida A 1 - fonso Sannino. — 73 — vasta grotta incandescente con lunghe stalattiti gocciolanti. Bolle di gas scoppiavano pure ad ogni rivolgimento della massa, tal¬ volta due o tre contemporaneamente, con sbuffare violento, ora secco ed ora prolungato. Altre bolle di gas secondarie si svol¬ gevano dai grossi pezzi di magma, spostati dallo scoppiare delle bolle più voluminose, con fruscii, fischi e soffiate di varia vio¬ lenza, durata e tonalità. Tutta la superficie mobile del magma scoppiettava continuamente , lanciando goccie e pillacchere ro¬ venti da ogni parte. Questo scoppiettio si udiva distintamente allorché si aveva la pausa di uno o due secondi nella produzione delle maggiori bolle gassose. Tale, e non altra, è Torigine del lapillo filiforme e dei '‘Capelli di Pele„, che a varie riprese furono osser¬ vati sul cratere anche durante questo mese. La rapidità con cui le scorie erano lanciate nell' atto delle esplosioni era tale, che non si vedevano, ma si udivano uscire dalla bocca fischiando più o meno fortemente, talvolta isolate, più spesso due, quattro o più, a gruppi, a fasci, in rapida suc¬ cessione. Ciò che mi stupiva grandemente era l'ottima e talvolta per¬ fetta visibilità di tutto quello che avveniva in quest'antro info¬ cato, e ciò per la trasparenza dei gas, dovuta all' altissima loro temperatura; solamente a tre o quattro e più metri sopra la bocca, secondo l'altezza sempre variabile della vampa, i gas divenivano opachi (bianchi o bianco-rosei), per la condensazione dell' HgO e la sublimazione dei cloruri, dei solfati e degli altri sali co¬ stituenti il pennacchio vulcanico. Entro il condotto si vedevano benissimo i movimenti magmatici, dai quali, e più ancora dagli scoppii e dai rumori e suoni diversi, si comprendeva che dove¬ vano svolgersi delle masse gassose; ma queste, per lo più, non si vedevano affatto, tanto che attraverso la base del pennac¬ chio-di circa otto metri di diametro — si poteva scorgere quasi sempre l'opposto orlo della bocca e anche porzione del fondo craterico. In questa occasione non distinsi fiamme, come vidi in altri giorni (stando a maggiore distanza) oscillare nella vampa incan¬ descente e con colori diversi ("azzurro-pallido, giallo-chiaro, giallo-rosa), di cui dirò a suo luogo. — 74 — Nella complessità dei rumori prodotti dalla fuoruscita dei gas contenuti nel magma, erano caratteristici gli sbattimenti me¬ tallici, dovuti air urtare della massa pesante ed in ebollizione contro le pareti del condotto; per cui vibrava, talora fortemente, tutta la cupola del conetto, specialmente quando si verificavano più copiose e violenti sbuffate. Durante una di queste, che fu molto forte, si staccò e pre¬ cipitò nella voragine un piccolo pezzo dell'orlo W della bocca, il che fu invito ad abbandonare la pericolosa posizione. Dal 10 al 19 Tattività di questa bocca andò aumentando, con nutrite proiezioni di scorie lanciate a più di cinquanta metri d'altezza, con sbuffi rumorosi e altissima vampa. Il 19 la vecchia bocca era liberamente riaperta e dava essa pure abbondante la- pillo luminoso. La copia dei materiali proiettati aumentò no¬ tevolmente il volume e l'altezza dei due coni, che si fusero in uno con gemina bocca; però la non contemporaneità delle proie¬ zioni e degli sbuffi e il diverso colore delle emanazioni gassose, stavano a dimostrare che il setto dividente le due aperture si doveva estendere a notevole profondità. Il giorno 27 si vedeva poco nel cratere pel molto fumo vagante e non si capiva bene se le due bocche si fossero fuse insieme o ridotte ad una sola per otturazione dell'altra; l'attività ad ogni modo si manteneva molto alta, con boati, 'sbattimenti, sbuffare energico e continuo cadere di scorie. Ripresa del conetto esplosivo. — Il 20 febbraio, alle ore 10,45 si avvertì dall'Osservatorio una forte esplosione, isolata, prove¬ niente dal Vesuvio. Il 21 da l'orlo del cratere ingombro di fumi si udivano in direzione del conetto esplosivo forti spari ogni 4-5 minuti, seguiti dal fruscio di pietre cadenti. Nella notte so¬ pra il 22, si vedevano da l'Osservatorio dei chiarori intermittenti, a lampo, ogni 4-5 minuti, seguiti da spari di varia intensità. Questi si udirono pure nei due giorni successivi. Il 24, con fumi vaganti nel cratere, si potevano scorgere ogni tanto lanci a rosa di abbondante materiale luminoso, accompagnati da forti esplo¬ sioni, provenienti del conetto esplosivo. Finalmente il giorno 25 si ebbe cratere limpido e potei ac¬ certare che la bocca sparante del conetto esplosivo (il quale era stato in silenzio per circa nove mesi) era quella di levante, 75 — cioè la parassita (Vedi Riassunto precedente), mentre la vec¬ chia si manteneva in moderata fase fumarolica. Questa bocca parassita ,, o eccentrica , sparava a intervalli molto variabili , da pochi secondi a 3-5 minuti, con colpi for¬ midabili (che si udivano anche da Resina e da S. Sebastiano), paragonabili a cannonate da 75 e da 149; ora isolate, ora a paio, seguite da una serie di sbuffi rantolanti, l fumi delle esplosioni erano scarsi ed azzurrini , ma copioso il materiale scuro e in¬ candescente lanciato in larga rosa e a notevole distanza. Il mec¬ canismo di tali esplosioni era identico a quello già descritto per Tanno 1917. Una esplosione maggiore delle altre , alle ore 13,30 circa, lanciò dei grossi lapilli quasi a livello dell'orlo craterico, cioè a più di 100 metri di altezza; i quali cadendo sul pendìo esterno del conetto e sulle vicine scarpate della parete SW del cratere, produssero nuvole di polvere e parecchie frane. L'attività di questa bocca si mantenne per altre 24 ore circa, poi cessò improvvisamente. Il giorno 27, durante un'ora di per¬ manenza su T orlo, avvertii solamente due energiche e lunghe soffiate, con alti zampilli di fumi azzurrini. Lave fluenti. — Le lave provenienti dalla risorgiva della pic¬ cola cupola a NW, continuarono a defluire con intermittenza fino al giorno 11, prima dalla parte alta, poi dalla base della cupola stessa. Queste ultime, nei giorni 3 e 4 furono abbondanti e corsero parallelamente alla colata del 26 dicembre sino alla estremità est. Questo efflusso, ben distinto pel suo color nero-pece dalla precedente colata già grigiastra e dalle più antiche lave del fondo, di color giallo-solfino, sembrava del tutto fermo il giorno 5. Nella visita che feci al cratere il giorno appresso, trovai che la cupola era alta circa 20 metri sulla primitiva quota del fontanile. Il suo vertice molto slanciato come collo di bottiglia, raggiungeva quindi 950 metri sul mare, ossia una quota più alta della base nord del conetto e di poco inferiore al livello del magma. Per questo motivo cessò dapprima l'efflusso dal vertice della cupola, e poco dopo (12 febbraio) , per la pressione magmastatica , si ruppe la conduttura sotterranea che univa la cupola al conetto e si determinò un nuovo fontanile a circa 50 m. dalla base nord 76 — del medesimo, che dilagò nel 4.^ e un po' nel 1.^ quadrante del fondo, e si chiuse il giorno 13. Gli efflussi del ló’ dicembre e del 3-4 febbraio erano formati da lave a superficie unita, con larghi tavolati di lave a corde e grandi spaccature prodotte dal raffreddamento, ampliate dai movimenti di masse sottostanti ancora fluenti. Le lave della cu¬ pola, più che a cordami, erano paragonabili ad ammassi o gro¬ vigli di grandi anse intestinali o di grossi serpenti , di cui si osservano bellissimi esemplari nelle lave del 1858, sul Piano delle Ginestre. Dal 13 alla fine del mese non si ebbero più lave fluenti sul fondo. Fumarola a cotunnite* — Alla base della cupola NW, e pre¬ cisamente nella lava dell'efflusso del 26 dicembre, trovai il 6 febbraio un'ampia spaccatura, dalla quale usciva una forte cor¬ rente di aria caldissima, senza fumo. Questa spaccatura da 4 a circa 8 metri di profondità era vivamente incandescente; la carta tenutavi sopra sospesa con un bastone, si accendeva dopo pochi secondi. Un termometro ad azoto compresso, tenuto similmente a livello dello spacco, salì tosto a 480 centigradi. Gli orli della spaccatura erano tappezzati da sublimazioni bianche e giallastre, contenenti laCotunnite e la Pseudo-cotunnite, radio¬ attive, di cui ho già detto nelle notizie per l'anno 1917. Questa spaccatura rimase incandescente per altri quattro mesi circa, cioè fino al maggio, allorché venne riempiuta e co¬ perta dagli efflussi lavici della seconda quindicina di quel mese. \ Marzo Conetto principale. — Nella prima settimana di Marzo la vetta del Gran Cono e l'interno del cratere furono quasi sempre co¬ perti da nebbia e da fumi, che erano acidissimi e soffocanti per HCl e SOg , con prevalenza di quest' ultimo. Tuttavia il giorno 3 si potè avere in un istante di chiarezza una rapida visione del fondo e distinguere delle piccole correnti di lava che fluivano nel settore orientale a circa 50 m. dalla base NE del conetto principale, dal quale (rimasto invisibile) provenivano forti sbuf¬ fate, boati e tonfi di scorie cadenti. — 11 — Il giorno 7 il cratere era limpido. Sul conetto principale, alto circa 50 metri (cioè fino al livello superiore del rudere an¬ tico) la bocca era unica, corrispondente all'asse eruttivo del 26 dicembre e di circa 10 m. di diametro; ne uscivano densi e compatti globi di fumo di colore albicocca, forti rumori di sbat¬ timenti magmatici, frequenti ribaltamenti di larghi lenzuoli di lava fluenti per le pendici e lancio quasi continuo di lapillo in¬ candescente a 40-50 metri d'altezza. Nessuna lava fluente sul fondo e conetto esplosivo in silenzio. Questa attività, con poche variazioni in più ed in meno, si mantenne fino al giorno 18. Allo ^spirare di questo giorno, cioè alle ore 24, apparvero sopra l'orlo del cratere dei chiarori molto vivaci e continui, ma con rinforzi pulsanti che rischiaravano per oltre 100 m. d'altezza una grande colonna di fumi, elevantisi a circa 700 metri sopra il cratere. Questi chiarori durarono tutta la notte. La mattina seguente, percorrendo i 400 metri della stradetta Cook (che congiunge la Stazione superiore della Funicolare a WSW col tratto sud dell' orlo craterico), questa appariva co¬ perta da notevole abbondanza di "Capelli di Pele„, che ancora volteggiavano luccicando per l'aria in discreta quantità. Il conetto principale era straordinariamente tumultuoso, come se una grande officina metallurgica vi fosse in azione. Sul suo vertice piatto e molto largo si aprivano tre bocche, disposte a triangolo equilatero. Una verso sud era la più attiva, con fumi intensamente rossastri, a sbuffi energici, con continua proiezione di materiale incandescente; l'altra a NE dava fumi continui, senza sbuffi nè proiezioni, ora bruni ed ora quasi neri ; la terza a NW, molto piccola rispetto alle precedenti, dava fumi bianchi, o bian¬ co-rosei, in discordanza con la bocca sud, come se i condotti fossero per lunga via diversi. I forti rumori erano non solo dati dalle modalità di fuoruscita dei gas, dal lancio e dalla caduta dei molti materiali proiettati, (violenti sbuffi rombanti, esplosioni secche a gruppi, tonfi, sbattimenti, ecc.), ma anche da cupi e frequenti boati. Il giorno 21 si aveva vampa altissima (40-50 m.) sopra la bocca sud che si andava allargando, di modo che il giorno 24 aveva assorbito anche le altre due, e il conetto si era abbassato — 78 — di qualche metro sotto Torlo residuo di quello squarciato il 26 dicembre. Questa attività esplosiva si accrebbe via via fino al termine del mese, tanto che il 29, dall'unica bocca centrale, oltre a co¬ piosissimi e quasi continui ribaltamenti di grandi blocchi ma¬ gmatici e poderosi lanci verticali ed obliqui di enormi quantità di lapillo, con rumori fortissimi, si notavano pure lunghe sof¬ fiate, di minuto materiale incandescente, che saliva a 40-50 me¬ tri, per la durata di 10-15 secondi (fontane di scorie). Durante questo periodo, osservai talvolta distintamente, tra il roseo-intenso della vampa, delle lingue guizzanti di color az¬ zurrino-pallido e altre di tinta giallo-chiara, che salivano fino a 20-30 metri soprala bocca (giorno, 19), e che si devono consi¬ derare come vere fi am m e. Il 24 tra i fumi molti rossastri o di color albicocca, uscivano densi globi di color giallo-verdastro ^). II conetto esplosivo non prese parte a questa attività ; ma per tutto il mese non fece che dare copiosi fumi azzurrini in continuità. Sotto l'azione delle esalazioni acide, particolarmente ricche in acido cloridrico, i- contorni della bocca superiore 9 La comparsa di vere fiamme tra i fumi incandescenti che si spri¬ gionano dalla bocca del conetto principale e che si mostrano nella vampa co¬ me lingue guizzanti di vario colore, non è fenomeno così raro, al Vesuvio, come si credeva qualche tempo addietro. In generale, si può dire che sono presenti ogni volta che T incandescenza della bocca è molto vivace e la vampa è molto alta (e forse questi sono appunto effetti diretti delle fiamme), e si possono me¬ glio discernere se la bocca è relativamente piccola, di modo che i fumi escano con alta tensione, in più ristretto spazio. Da parecchi anni sto spiando il momento favorevole per compiere osser¬ vazioni spettroscopiche della vampa, con uno spettroscopio Hofmann a visione diretta, che già servì all' illustre Palmieri per le sue ricer¬ che. Ma questo momento finora non mi si è presentato, esigendosi per la sua attuazione un complesso di circostanze favorevoli, che non si verìfica tanto fa¬ cilmente. Infatti, oltre le accennate (che sono sostanziali), occorre che vi sia : lo) scarsa proiezione di lapillo; 2o) topografia della porzione terminale del co¬ netto e della bocca tali da permettere 4' installazione dell’apparecchio a soli 8-10 metri di distanza, con una fondata speranza di poter osservare con relativa tranquillità ; 3°) notte tranquilla, con condizioni meteorologiche propizie. Un tentativo fatto sino dall’autunno 1913, dall’orlo del cratere, mediante l’aiuto di un cannocchiale applicato a questo spettroscopio, non ha dato nessun risultato. — 79 — erano profondamente decomposti. I silicati erano stati in gran parte distrutti, con formazione di cloruri (e di solfati in mi¬ nor quantità) e messa in libertà di silice amorfa, granulare, corrispondente perfettamente a quella varietà che A. Scacchi chiamò granulina. Il colore intensamente giallo che presen¬ tava il vertice del conetto era dovuto ad uno o più idrati di cloruro ferrico i). Abbondante era pure Te ritro siderite col suo caratteristico colore rosso. Notevoli sono in tali casi di profonda alterazione della lava le pseudomorfosi di granulina su augite, nelle quali è conser¬ vata esattamente la forma dei cristalli di augite, come ebbero già a notare Sillem e Rammelsberg ^). In alcuni casi la trasfor¬ mazione è completa; in altri si osserva ancora un nucleo in¬ terno di augite. Queste pseudomorfosi sono trasparenti se si trovano in presenza di vapor d'acqua; disidratandosi diventano opache e friabili. Lave fluenti. — Non meno notevole è stata l'attività effusiva della seconda quindicina. Gli intensi chiarori della notte 18-19 marzo furono prodotti dal riverbero di copiosi efflussi lavici. La mattina del 19 si scorgeva una larga corrente fluire da un fontanile aperto alla base ovest del conetto, dove una fuma¬ rola azzurrina sibilava fortemente a rapide pulsazioni, come va¬ pore fuggente da uno stantuffo in veloce movimento. Questa corrente si suddivideva in una dozzina di rigagnoli percorrenti il fondo del cratere nel quarto quadrante, fino alla base della cupola di NW. Si notavano molte zone vivamente incande¬ scenti e col binoccolo si vedevano le lave muoversi lentamente in vario senso, e corrugandosi dare origine a larghi tavolati di 9 Va osservato a questo proposito che è inesatto, come si fa generalmente, ascrivere al “ cloruro ferrico „ la colorazione gialla o rossiccia di certe subli¬ mazioni vesuviane ; perchè il cloruro ferrico anidro, cristallizzato, non è affatto giallo, ma, al contrario, le sue laminette, esaminate per riflessione appaiono di un bel verde cupo, e per trasparenza, invece, di un colore rosso rubino. Gialli con varie sfumature, un po’ aranciati, sono invece gli idrati del cloruro fer¬ rico, e rossicci, ocracei, sono i prodotti di idrolisi. 9 C. F. Rammelsberg, Pogg. Ann. XLIX, 1840. — G. Sillem, N. Jahr- buch fùr Min. Geol. u. s. w. 1852. — Zambonini, Mineralogia vesuviana, Na.- poli, 1910, pag. 152. - 80 — lave a corda. Alle maggiori folate della tramontana, che era molto forte, quelle zone si annerivano, e tornavano incande¬ scenti al cessare o diminuire del vento. Un'altra corrente, ormai tutta nera, era scaturita da un secondo fontanile alla base SW, e urtando contro il conetto esplosivo, aveva piegato a ponente fino a raggiungere il circuito della platea di fondo, sotto il "muso del diavolo,, ^). Una terza colata fuoruscì dalla base nord, e corse in que¬ sta direzione per circa 150 metri, dilagando qua e là sui fian¬ chi. Anche questa era completamente annerita e ferma, ma riprese due giorni dopo, e continuò, con intermittenza, sino al termine del mese. Il giorno 24 parecchie lave si muovevano nel settore di NW della piattaforma, e provenivano da un fontanile molto attivo aperto a circa Ì20 metri dalla base NW del conetto principale; il quale probabilmente, anziché un vero fontanile (determinato da una diramazione diretta del condotto principale), poteva con¬ siderarsi una ri sorgiva delle lave provenienti dal fontanile nord del giorno 19. Il numero delle lave fluenti crebbe il 29; una diecina di pic¬ cole colate si muovevano nel 3° e 4° quadrante del fondo, pro¬ venendo da tre origini a NW del conetto; la loro velocità in media era di circa due metri al minuto primo. Verso le ore 15 di questo giorno, da una piccola zona in¬ candescente a 100 metri circa dalla base NNW del conetto, si genera un notevole rigurgito. Dapprima T incandescenza si dilata sulle lave circostanti per un’area quasi circolare di 8-10 m. di diametro (rifusa), sulla quale, a guisa di architrave, stanno due grandi lastroni rimasti neri e inclinati come gli opposti pioventi di un tetto. Al di sotto, la massa incandescente comin¬ cia a fluire verso NW, come da una grotta, prima lentamente, poi più in fretta, circa 4 metri al minuto. L’efflusso si allunga in un largo canale di lave dei precedenti giorni, ed in un quarto 0 II " m u s o del d i a v o 1 o „ è un grosso masso staccato da Torlo di po¬ nente verso T interno, che osservato col sole a levante presenta la figura di una testa d'uomo di profilo, con alta fronte, naso schiacciato e barbetta caprina. Sem¬ bra in equilibrio instabile ; tuttavia sono undici anni che lo vedo al suo posto. — 81 — d'ora ha percorso una lunghezza che stimo di 50-55 metri; indi si impaluda e annerisce in una vasta conca irregolare, mentre si mantiene l’ incandescenza e il movimento alForigine. Qui si ha un pennacchetto di fumi cenerini, mentre il resto della cor¬ rente è senza fumi. Lo stesso per le tre sorgive alla base NW del conetto. Le batterie di fumarole sotto Torlo del cratere, (specialmente le due più importanti a SW e a NE), si mantennero per tutto il mese molto abbondanti, con alti pennacchi di fumi bianchi, che arrivavano a 50 e più metri sopra Torlo nei giorni sen^a vento, specialmente il giorno 24. La fumarola gialla, alla base della parete sud, continuò a diminuire via via di intensità, riducendosi sempre più il numero degli spiragli, e nello stesso tempo di temperatura: finché venne del tutto sepolta dalle lave, come si dirà a suo luogo. Aprile Conetto principale* — Il periodo di maggiore attività gene¬ rale, iniziatosi il 18 marzo, continua ancora, con notevole aumento, fino al 3 aprile; dopo di chè decresce alquanto, e si mantiene, un po' più che moderata, fino al giorno 17. Da questo giorno si inizia un nuovo incremento, che si va intensamente accen¬ tuando fino al D maggio, che rappresenta il giorno di massima attività esplosiva del Vesuvio per tutta Tannata. Il lo aprile, con cratere quasi ingombro, si distingue per qualche momento la bocca principale con alta vampa e copiose proiezioni incandescenti, con fumi in densi globi rossigni, a sbuffi energici, quasi continui. Rumori forti e svariati. La sera alle ore 19 cominciano a vedersi sulla vetta del monte dei chiarori molti vivaci, continui, che rischiarano tutta la massa dei fumi in corrente a Nord, fino al Monte Somma. Tali chia¬ rori, visti con qualche allarme da Napoli e da tutti i comuni cir¬ cumvesuviani, e persino da Caserta e da Capua, durarono con pari intensità fino all'alba del dì successivo, secondo l'osserva¬ zione della vedetta antiaerea dell'Osservatorio vesuviano; poi solo ad intervalli per nebbie fitte e vaganti sul Gran Cono, che si mantennero tutto il giorno successivo, fino a notte inoltrata. — 82 — Il 3, a mezzodì, il gran cratere era splendido! In tutto Torlo esterno, girando da NW a SE per Sud, abbon¬ danti "Capelli di Pefe“„. DalTunica bocca del conetto prin¬ cipale, centrata, di soli 7-8 metri di diametro, salivano quasi in continuità tonnellate di materiale incandescente, come una co¬ lonna permanente di fuoco, che manteneva al rosso vivo la parte alta del conetto per il tumultuoso e incessante precipitare, di scorie d'ogni grandezza, oltre i copiosi ribaltamenti, che fluivano da ogni parte come piccole colate. Per cui il nuovo conetto era ritornato alTaltezza del rudere residuo del 26 dicembre, ancora discernibile. I fumi erano molti abbondanti, densissimi, varicolori, se¬ condo le sbuffate; ma per lo più rosei o rossastri o del carat¬ teristico color albicocca. Rumori intensi e molteplici, con boati e sbattimenti. II giorno dopo T attività esplosiva era notevolmente dimi¬ nuita per quantità e frequenza delle proiezioni: solo ogni 8-10 minuti forti lanci di scorie, e meno ripetuti i ribaltamenti ; Torlo della bocca era aumentato di un paio di metri, superando di al¬ trettanto il rudere del vecchio conetto. Alle 13,30 si ebbe un fortissimo sbuffo con esplosione secca, che lanciò a più di 50 metri di altezza un firmamento di faville e grossi lacerti di magma. Alle 17,15, stando sulla punta SSE delT orlo craterico, av¬ vertii una forte scossa sussultoria, che mi fece oscillare verti¬ calmente due volte (la seconda più che la prima); molte pietre franarono dalle pareti tutt' alT ingiro e una grossa frana si staccò dall'orlo NE; dopo circa 4 minuti un potente sbuffo, o meglio gruppo di rapidi ed energici sbuffi molto rumorosi, lanciò una nutrita scarica di lapillo rovente a 60 m. sopra la bocca. Questo dinamismo continuò nei giorni dal 5 al 9, in con¬ comitanza con una maggiore attività dell' Etna ^). Dal 10 al 17 l'attività si ridusse a moderata, con lanci a in¬ tervalli prima di 4-5 minuti, poi di 10-15, che innalzarono ancora il nuovo conetto. Il giorno 14 la bocca era ridotta a circa 5-6 metri di diametro, con vampa molto alta. 0 " . SulT Etna è stata segnalata una ripresa dell' attività vulcanica, spe¬ cialmente in direzione della grande voragine prodottasi in direzione nord-est, in seguito alla eruzione del 1911 (L'Epoca, 8 aprile 1918). — 83 — rr- ■ : - • ■ ■ • Il 17 si iniziò una nuova fase di aumentate manifestazioni, con densi globi di fumo giallo-rossiccio in forti sbuffi, abbon¬ dante lancio di materiale incandescente e voluminosi ribaltamenti, unitamente alla ripresa del conetto esplosivo. Tutto ciò continua, crescendo, sino al 24; in questo giorno le proiezioni arrivano a 60 e più metri di altezza, con grandi rumori : soffiate, sbattimenti, stridori, spari secchi, boati, rombi cupi e profondi, accompagnati da sbuffi energici, violenti, iso¬ lati e a serie, di fumi varicolori, e comparsa di fiamme azzurrine e giallo-chiare, come in marzo. L'aumento prosegue fino al giorno 30, in cui i movimenti della superficie magmatica erano ben -discernibili stando su l'orlo del cratere ed erano accompagnati da fracasso così intenso, che dovevo alzare la voce per parlare coi carabinieri che erano con me. Questo rumoreggiare era percepito all' Osservatorio come cupo rombare di lontana risacca. Conetto esplosivo. — Si ridesta il 17, dopo circa 50 giorni di silenzio, la bocca inferiore del conetto esplosivo, che spara for¬ temente ogni 4-5 minuti, lanciando larghi ventagli di scorie in¬ candescenti. Durante la notte gli spari cominciarono ad avvertirsi dal¬ l'Osservatorio. Si avevano sull'orlo' chiarori quasi vivaci, continui e molto estesi, che ogni tanto si rinforzavano a lampo, seguito poco dopo dal rumore dell'esplosione. Alle ore 14,15 del giorno 18 fu avvertita, non solo all'Os¬ servatorio, ma anche in pianura (Resina, Portici, S. Sebastiano) una fortissima botta, proveniente dal cratere. Da questo giorno fino al termine del mese, le esplosioni di questo conetto, più o meno forti e con maggiore o minore frequenza, si avvertirono tutti i giorni dall'Osservatorio, e spesso dai paesi circumvesuviani. Per tutto questo ternpo non funzionò che la bocca eccen¬ trica, col meccanismo già descritto; mentre la bocca centrale non diede nel frattempo che fumi bianchi in continuità, or più e or meno copiosi. Talvolta le esplosioni si riducevano a lunghe e stridenti sof¬ fiate di fumi cilestrini. Il giorno 24 si scorgeva poco sotto la bocca esplodente e verso nord un punto luminoso, da cui usciva fischiando un filo — 84 — di fumo azzurro; da questo punto ogni tanto gemeva una pic¬ cola palla di lava, che aumentava fino alla grossezza di uno o due pugni o di una testa d'uomo, poi si staccava e rotolava fino alla base del conetto, percorrendo un canale di altri blocchi si¬ milmente generati forse il giorno prima, dal quale uscivano qua e là fumi diffusi dello stesso colore. Questo fenomeno curioso durò fino al 30, e diede origine a un notevole ammasso di bloc¬ chi spugnosi, che osservato più tardi da vicino, si presentava come una vera colata di lave scoriacee (lave a a od afroliti), secondo il Jaggar. direttore dell'Osservatorio Hawaiano. Lave fluenti. — Intravvedute sul settore da W a NW il primo aprile, erano copiose il giorno 3 in tutta la metà occidentale della piattaforma di fondo. Vi si contavano dieci torrentelli fluenti in varie direzioni e una ventina di altre zone incandescenti, in ap¬ parenza stagnanti (macule). Alla base NW del conetto sorgeva una minuscola cupola di lava a corda, alta circa 7 metri e molto larga, dalla cui som¬ mità irradiavano cinque correnti, da fontanili o risorgive di circa un metro di larghezza e molto brillanti, malgrado l' incidenza della luce solare meridiana. Dal fontanile più alto la lava talvolta zampillava con forza, producendo un rigurgito o fontana di quasi mezzo metro d'altezza. Questa era evidentemente la sorgente principale, che in parte si smaltiva per le altre quattro bocche. Tutte queste lave davano poco fumo cinerino alle origini e niente pel restante delle colate, lunghe talune fino a 30-40 m. nella porzione incandescente. Però una fumarola fischiava for¬ temente quasi sul vertice della cupola. Queste correnti, (tutte lave pahoehoe) ora più ed ora meno alimentate, si mantennero per tutto il mese nella zona ac¬ cennata, riempiendo le bassure e impaludando qua e là; spesso sovrapponendosi e ammonticchiandosi e spingendosi fino al di là della cupola NW. Il giorno 30 comparve un nuovo e ampio fontanile alla base W del conetto, da cui usciva una larga corrente, che dividen¬ dosi in più rami anastomizzati, occupava tutto il settore di po¬ nente, fino alla periferia della piattaforma. 85 — Ma§:g:io Conetto principale. — La mattina del primo giorno, alle ore 3, estesi e vivaci chiarori illuminavano intensamente la massa dei fumi a “cavolfiore,, e Talta nuvolaglia del cielo; chiarori dipendenti dal fortissimo parossismo stromboliano che si svol¬ geva entro cratere. Il conetto principale si presenta ribassato fin poco sotto il vecchio rudere. Dalla sua bocca molto allargata, con circa 25 metri di dia¬ metro, fuorescono a intervalli di 2-4 minuti delle enormi ondate di magma, che si rovesciano tutto albintorno, fluendo come co¬ late quaquaversali sin oltre la base, le quali sovrapponendosi a strati le une sulle altre, devono contribuire a rinforzare note¬ volmente la compagine del conetto, essenzialmente scoriacea. Negli intervalli si susseguono quasi continuamente delle nutrite sca¬ riche di scorie incandescenti, assai rumorose, che salgono a 80-100 metri sopra la bocca. Talvolta la successione delle esplo¬ sioni è così rapida, che si formano fontane di scorie della du¬ rata di 30, fino a 60 secondi. Tra i ribaltamenti magmatici, i trabocchi a ondate gigantesche, le esplosioni e le fontane, il materiale deiettato è straordinariamente abbondante , a cui si deve aggiungere quello del conetto esplosivo, dei fontanili e- splodenti e delle lave fluenti, di cui dirò in seguito. I fumi, di vario colore, ma prevalentemente giallo-verdastri come il cloro, appaiono in quantità relativamente piccola presso la bocca; ma in alto, per condensazione di vapori, diventano ab¬ bondanti, e formano alte e robuste colonne di cumuli bianco¬ rosei, 0 grandi cavolfiori bruno rossigni. Questi fumi ad ogni esplosione escono in piccoli globi compatti, che sembrano do¬ tati di attività esplosiva secondaria, in quanto che a qualche decina di metri sopra la bocca, sembra talvolta che scoppiino, originando altri globi più piccoli e molto densi, che salgono roteando velocemente. Questa attività parosismale dura per circa tre giorni 0; poi b Ancora in concomitanza con una recrudescenza nell’ attività dell’ Etna, sia al cratere centrale che alla voragine del 1911, secondo un comunicato del¬ l’Osservatorio Etneo alla stampa, in data 10 maggio. 86 — scema notevolmente, per riprendere con quasi uguale violenza il giorno 11. Il 3 maggio appaiono due nuove piccole bocche a W della centrale, la quale si presenta incassata in fondo a un largo im¬ buto ed è molto irregolare di contorno, con un prolungamento lineare a ponente, che la fa paragonare ad una padella. Il giorno 8 la bocca era ritornata unica, per assorbimento delle altre due nel manico della padella. Alle 17 di detto giorno un grosso pezzo dell'imbuto sci¬ vola nella bocca sempre vivamente incandescente: i fumi si fanno tosto di color rossigno-scuro, e dopo circa un *minuto ne esce un poderoso lancio di scorie luminose; l'unico osser¬ vato durante un'ora. Il 9, a ore 8,25 fu sentita a Funicolare inferiore una forte scossa sussultoria, che venne avvertita debolmente all'Osserva¬ torio e all' Eremo. La guida Alfonso Sannino, che a quell'ora era sceso in fondo al cratere semi ingombro da fumi, riferì che grandi quan¬ tità di pietre precipitarono dalle pareti, con enorme fracasso, specialmente da NW, donde il franare dei materiali durò per qualche minuto. Egli temette per un istante che la montagna dovesse scoppiare e rifece rapidamente la via in salita. La mattina dell' 11 alle ore 7 si avvertì all'Osservatorio una fortissima esplosione proveniente dal Vesuvio. Giunto su l'orlo verso mezzodì, trovai che la parte alta del Gran Cono, era co¬ perta da uno straterello di cenere finissima, grigio-azzurrina, dello spessore di qualche millimetro. La stessa cenere rivestiva le pa¬ reti interne del cratere verso Sud e Ovest, e sembrava più ab¬ bondante sopra il conetto esplosivo, da cui probabilmente era partita insieme alla botta delle ore 7. Ma la visibilità dell'interno era poca e intermittente, pei fumi vaganti. Però il rumore era grandissimo e multiforme, con spari ed esplosioni dei due co¬ netti. Molte zone luminose si intravedevano nel settore NW. Il giorno 12 l'attività generale era nuovamente parossismale e multiforme. Sul conetto principale si avevano quattro bocche in funzione, di varia potenza. Due maggiori nella parte NW, di circa 16-18 metri di dia¬ metro, esplodevano violentemente, lanciando miriadi di scorie — 87 — luminose a 50 e fino a 100 m. di altezza, con fumi bianco-rosei, relativamente scarsi; le altre due, nella porzione SE, come na¬ scoste sotto il rudere del 26 dicembre (ancora in parte discerni¬ bile) erano assai più piccole e davano, l'una fumi bianchi e l'altra fumi grigi-scuri, con poche esplosioni. Qualche volta si avevano quattro lanci di scorie contemporanei ; i setti divisorii erano dunque affatto superficiali. Dalle 12 alle 13,30 di questo giorno ho avvertito cinque ben sensibili sussulti della montagna, che hanno sempre pre¬ ceduto di circa un minuto un incremento di attività nelle quattro bocche e nei tre fontanili, dei quali dirò fra poco. Il 13 si mantiene ancora accentuato il carattere parossismale dell'attività, la quale scema rapidamente il giorno appresso, spe¬ cialmente nei fenomeni esplosivi del conetto principale. Dal 13 alla fine del mese non si hanno, in generale, che rari lanci di scorie, ma abbondanti e policrome emanazioni di fumo, in forti sbuffate, che talora, dalla piccola bocca di NW ridotta a un metro di diametro, esce còl ritmico soffio di una locomotiva in corsa, con produzione di frequenti anelli circolari di fumo, che si innalzano roteando e allargandosi i). Questa piccola bocca, la più vicina all'asse eruttivo del 26 di¬ cembre, era l'unica incandescente nel giorno 27 e successivi, e dava sempre energici sbuffi con anelli di fumo e poche scorie; forti sbuffi dava pure la sua vicina, mentre le due maggiori si erano fuse in una sola, con pochi fumi bianchi senza energia. Conetto esplosivo* — Questo si mantenne molto attivo per tutto il mese, e quasi ogni giorno l’eco delle sue più forti esplo¬ sioni giunte all'Osservatorio e non raramente alla pianura. Fino al giorno 8 fu in azione la bocca eccentrica come nei mesi precedenti, con lancio di grandi ventagli di scorie a 40-50 metri d'altezza ogni 2-4 minuti, e con lunghe soffiate fischianti Intorno alla formazione di regolari anelli di fumo vulcanico, si veda: F. A. Perret, Volcanic vortex rings (The Amen lournal of Science, Voi. XXXIV, 1912); S. v. Waltershausen u. Lasaulx, Der Aetna; A. Sieberg, Einfiihrung in die Erdbeben-und Vulkankunde Siiditaliens, il quale riassume le esperienze di K. Mack sulla produzione artificiale di anelli vorticosi liquidi in seno ad un liquido. (Iena, 1915; pag. 161). — 88 — di fumi intensamente azzurrini, in singolare contrasto di colore con quelli del conetto principale. Durante la notte fra TS e il 9 si udivano dalTOsservatorio, frequenti e fortissimi spari, che il giorno seguente si vide che provenivano dalla bocca più alta e centrale, la quale si era no¬ tevolmente allargata, formando un imbuto regolare di circa 10 m. di diametro e sei di profondità. Il suo fondo, incandescente al centro, si manteneva generalmente chiuso, ma saltava in aria ad ogni esplosione, producendo bellissime rose di scorie infocate. Durante le lunghe soffiate (esplosioni mancate) di 30 a 60 se¬ condi, il materiale frammentario del fondo entrava in movi¬ mento sussultorio, come i grani d'arena che saltellano intorno ad una polla subacquea ; mentre le scorie più leggere salivano e scendevano più volte nel violento zampillo di gas, come far¬ falle di fuoco. Il 14 maggio si aperse sul fianco NW una nuova bocca' poco sotto la centrale. Mentre questa si era ridotta alle sole soffiate stridenti, ma con fumi fuligginosi, la nuova era attivis¬ sima, con forti spari brevi e secchi, più raramente rantolanti e prolungati. In soli due giorni questa nuova bocca coi copiosi lapilli proiettati si costruiva un proprio cono addossato al mag¬ giore, il quale si riduceva alla emanazione intermittente e tran¬ quilla di fumate bianche. Ma non tardava a rimettersi in pieno vigore. Il giorno 19 già taceva la bocca parassita, mentre la centrale riprendeva dap¬ prima con le sue lunghe soffiate e poscia con spari fragorosi ogni pochi minuti (Tav. I, Fig. 1). Il 27 era formidabile per il fracasso e la violenza delle esplosioni, con scariche molto spesso prolungate e rombanti. Queste scariche erano accompagnate dalla comparsa di materiale incandescente molto viscoso, che si allungava sotto la tensione dei gas, formando come un lungo tubo incandescente e sbrandellato agli orli, che a un certo istante volava in pezzi, qualche volta fino a 100 e più metri di altezza. Infatti, in que¬ sti ultimi giorni di maggio ritrovai varie volte dei piccoli lapilli recenti su l'orlo esterno del cratere. Lave fluenti. — La copia delle lave che durante il mese sgorgarono da diversi fontanili in fondo al cratere, e l'energia con cui talvolta furono emesse, concorsero grandemente a dare il carattere di parossismo stromboliano alla attività generale del vulcano, durante i due periodi menzionati. Il primo maggio, a circa 50 metri dalla base NW del conetto, si aprivano tre bocche allineate (quasi E-W), che rapidamente formavano tre voccolilli i), di cui il mediano, alto circa quat¬ tro metri, poteva paragonarsi ad una grossa damigiana con lungo collo. Tutti e tre davano fumi abbondanti, bianco-azzurrini, con forte fischio e lancio di scorie, ora insieme ed ora separatamente. Il più occidentale, con bocca sempre incandescente, dava ogni tanto rivoli di lava. Un quarto voccolillo, quasi geminazione del mediano, lanciava fumi in piccoli sbuffi, come una locomotiva. In tutto il settore NW della piattaforma di fondo fluivano correnti di lava (una dozzina), di cui la principale proveniva da un punto poco discosto dal voccolillo occidentale. Un'altra cor¬ rente dilagava nella sella tra i due conetti, e proveniva dalla base NW del conetto esplosivo. Questa continuò per parecchi giorni, rialzando il fondo del cratere sotto la Fumarola gialla. Tutte queste lave erano spente il giorno 8; ma nel giorno 11 e più ancora il 12, l'attività effusiva riprendeva con mag¬ gior vigore. Dalle tre bocche che avevano generato i voce oli Ili (par¬ zialmente sepolti il giorno 8 da un franamento del conetto prin- Dalle guide del Vesuvio sono chiamati voccolilli (da vocca che significa bocca) i piccoli conetti che si formano intorno alle fumarole esplo¬ denti, generalmente molto slanciati, in forma di bottiglie, o fiaschi, o damigiane, e che possono raggiungere l’altezza di 10 e più metri. In tali costruzioni manca generalmente il materiale frammentario propriamente detto : il corpo del voc¬ colillo è costituito da piccoli rigurgiti di lave sovrapposti, che avvengono du¬ rante la prima e più attiva fase della fumarola; il collo più o meno lungo (tal¬ volta un camino cilindrico di 4-6 metri di • lunghezza) è per lo più prodotto da brandelli di magma molto vischioso, che durante le violentissime soffiate viene spinto fuori lungo le pareti interne del condotto fumarolico, come velo di vernice stirato dal pennello, finché giunto all’orlo vi si arrovescia all’ingiro, formando un anello più o meno bitorzoluto. Più volte il collo viene distrutto da esplosioni o da soffi prolungati ; ma l’attività della fumarola non tarda a riprodurlo. Due bellissimi frammenti di voccolilli sono conservati nell’Osservatorio Ve¬ suviano, dei quali uno formatosi sulle lave del 1872 e l’altro su quelle della cupola lavica 1895-99 (Colle Umberto). . 90 — cipale) irruppero ragguardevoli correnti che, sovrapponendosi alle precedenti, occuparono buona parte del 3° e del 4® quadrante del fondo, spingendosi anche nel 1°, fin sotto le pareti NE del cratere (Fig. 2). I tre fontanili erano esplodenti, con lancio di A Fio. 2., - Schizzo pianimetrico del fondo del cratere vesuviano, con gli efflussi lavici del 12 e 13 maggio 1918. A. Conetto eruttivo principale, con quattro bocche. B. Conetto esplosivo. 1, 2, 3. Fontanili ed efflussi del 12-13 maggio. 4. Fontanile ed efflusso del 13 maggio. F.g. Fumarola gialla. — 91 — scorie; la maggiore attività si aveva nel più orientale, dove la lava zampillava con forza, formando colonne di circa un metro d'altezza (fontane di lava). Sull'orlo esterno del cratere, nuova e copiosa caduta di la- pillo filiforme (Capei li di Pele). Il giorno 13 si formò un altro fontanile, a circa 40 metri dalla base N£ del conetto, da cui sgorgò una forte colata che si diresse con notevole velocità verso la grande conoide Est del cratere, (conoide Pompei) alla cui base impaludò, formando un ampio deposito di circa 4000 mq. di superficie. Il 14, la maggior parte degli efflussi erano spenti ; si notava una sola e mediocre lava fluente nel settore Nord della piatta¬ forma; ma sul bordo N NE di questa, alla massima elongazione dal conetto principale (circa 250 metri), era comparsa una nuova zona nera, con punti incandescenti, non collegata a nessuna delle ultime colate; essa dovette pertanto provenire per canali sotter¬ ranei, sotto le lave ingiallite dell'anno precedente; il che dà una idea delle complesse e profonde fenditure che interessano tutta la massa lavica del fondo, che in questa zona di NE, dal 1915, ha già superato lo spessore di cento metri ^). Questo fu anche il primo esempio di correnti centri¬ pete, cioè fluenti dalla periferia verso il conetto; le quali ripe¬ tutesi nei mesi successivi più e più volte, valsero anzitutto a sopprimere l'alto gradino di circa 20 metri, che tagliava, press'a poco secondo una corda E-W, il fondo craterico in due por¬ zioni, settentrionale e meridionale; e in seguito a trasportare via via la zona più profonda del cratere dalla periferia NE al cen¬ tro della piattaforma. Il giorno 16, allorché si era bene individuata la nuova bocca eccentrica del conetto esplosivo, come ho detto sopra, questo riprese a dare correnti di blocchi (afroliti); una era in corso, lungo il pendio NE, tutta costituita per circa 35-40 m. di lun¬ ghezza, di blocchetti incandescenti, il movimento dei quali era appena discernibile; un'altra già raffreddata era discesa dal ra- 0 Malladra, A. — Sul graduale riempimento del cratere del Vesuvio. Vili Congresso Geografico Italiano; Firenze, 1921. - 92 — / diante NW e si era avanzata, per circa 60 m., fino alla scarpata W del cratere, formando un alto e largo cordone di blocchi. Le altre lave (tutte dermoliti) continuarono a fluire ora in uno ed ora in altro quadrante del fondo, con notevoli alterna¬ tive nella potenza degli efflussi, fino al termine del mese. Il 27 del mese, la cupola lavica di NW (che, come dissi, era alta circa 20 metri sulla sua base) era completamente anne¬ gata. Il giorno 31 si apriva, alle ore 17, una grande bocca di fuoco, alla base SE del conetto principale, da cui usciva una larga e rapida corrente, che poscia impaludando nella bassura sotto la parete Sud del cratere, sommergeva gli spiragli inferiori della Fumarola gialla, dai quali nei precedenti anni era stata presa la temperatura. Questa fumarola, già notevolmente diminuita di temperatura dal 1914 (346° nel 1914; 220° nel 1917), presentò durante i due parossismi accennati un forte aumento nella emanazione dei gas. La sera del 31 brillavano sulla vetta del monte intensi ed estesi chiarori, che durarono tutta la notte. Giugno Conetto principale* — Anche questo mese si inizia con una accentuata attività da entrambi i conetti. La mattina del primo giorno veniva smantellato il vertice del conetto principale per circa dieci metri di altezza, cancel¬ landosi, dopo cinque mesi di sopravvivenza, ogni traccia del vecchio rudere del 26 dicembre. Al posto delle tre bocche se ne formava una sola, una vera voragine ad imbuto di circa 40 m. di diametro, vivamente in¬ candescente nella sola parte più profonda. Da questa salivano quasi in continuità copiose proiezioni di materiale luminoso che veniva lanciato a 80 e 100 m. d'altezza, con rumori molto forti e svariati, cioè: soffiate, sibili, boati, sbattimenti metallici, schianto di travi, rombi, ecd I fumi erano abbondanti, in densi fiotti roteanti, di color giallastro, o giallo-rossigno o bruno-terro¬ so, che salivano a formare dapprima un alto pennacchio, po- 93 — scia piegato in lunghissimo strascico di cumuli bianco-rosei verso Sud. L'orlo esterno del Gran Cono, specialmente nei dintorni della Stazione abbandonata, era abbondantemente cosparso di piccole scoriette leggerissime, della grossezza di ceci, nocciuole e noci ; nonché di molto lapillo filiforme in piccoli aghi o in lunghi e finissimi "Capelli di Pele„. Ne era piena la ter- razzina della Stazione superiore della Funicolare, dove fu facile raccoglierlo in quantità. Il giorno 2, questa attività era alquanto aumentata e si os¬ servavano fontane di scorie incandescenti, che raggiungevano quasi l'altezza della punta più alta del Vesuvio e duravano da 30 fino a 60 secondi. Erano pure frequenti i lanci molto obli¬ qui, specialmente a NW. Ma nei due giorni successivi l'energia eruttiva andò rapi¬ damente scemando, fino a ridursi meno che mediocre, e tale si mantenne sino verso la fine del mese. Gradatamente scomparve ogni traccia di incandescenza della bocca; le proiezioni diven¬ nero molto rare, prima luminose, poi miste con scorie oscure e infine erano di solo materiale oscuro e in piccola quantità. Evidentemente la colonna magmatica si era notevolmente abbassata nel condotto vulcanico; il che risultò anche dalla scom¬ parsa delle lave fluenti, come dirò appresso. Nella seconda quin¬ dicina riapparve a tratti l'incandescenza della bocca, la quale intanto si andava ancora smisuratamente allargando per continui franamenti verso l'interno, mentre per conseguenza il conetto andava vieppiù perdendo di altezza. Il giorno 25 il circuito della bocca era di poco inferiore al circuito di base del conetto. In base a precedenti misure, cal¬ colai che il diametro della voragine non dovesse essere inferiore a 80 metri; le sue pareti erano fortemente inclinate verso l'in¬ terno, ove non si scorgeva incandescenza. I fumi bruno-rossigni uscivano a sbuffi normali, di poca entità, raramente sibilanti od affrettati. . L'altezza del conetto, di circa 25 metri a SE, era ridotta a non più di 18 metri dal lato di ponente, e a soli 10-12 m. sulla sua base Nord; perciò tutta la voragine si presentava for¬ temente inclinata verso tramontana (Fig. 3). — 94 — Il giorno 28 ebbi la fortuna di . assistere, dal mattino alla sera, al nuovo risvegliarsi dell'attività. Nella voragine si erano formate due bocche distinte, sulla linea E-W, da cui uscivano fumi intensamente gialli; verso mezzodì ne comparve una terza a Sud e poco dopo una quarta piccolina a Nord. Dalle due pri¬ me si avevano sbuffi energici con lancio quasi continuo di ma¬ teriale oscuro; dalle altre due, solo fumi. Alle 12,20, si scorge un lieve chiarore nella bocca W, che alle 13 dà esplosioni con Fig. 3. - Graduale demolizione de Conetto eruttivo nel cratere del Vesuvio, dal 18 aprile al 28 giugno 1918. materiale incandescente. Alle ore 15 appare pure l'incandescenza nella bocca N, che poco dopo comincia a sparare con violenza, lanciando minuto materiale luminoso. Più tardi i fumi escono così uniti dalle quattro bocche, che formano una sola colonna, riempiente tutto il vano della voragine. In questo stato, press'a poco, lo videro i Consoci Naturalisti Napoletani, durante la gita al Vesuvio fatta dalla nostra Società il 30 di Giugno. — 95 — Conetto esplosivo. — Questo fu attivissimo nei primi cinque giorni del mese, con spari fortissimi, isolati e a serie, alternati con lunghi ruggiti di valvole ad alta pressione. In questi cinque giorni le esplosioni furono con frequenza avvertite all'Osserva¬ torio e talvolta a Resina e a S. Sebastiano. La maggiore attività era dalla bocca centrale; assai minore dalla bocca eccentrica di ponente. Ogni esplosione era accompagnata da lancio di scorie incandescenti a 40-60 m. d'altezza, con fumi azzurrini, o bian¬ co-azzurrini, quasi trasparenti. Dopo il 5 giugno, questo conetto rimase in silenzio sino al D Luglio, dando solamente fumi bianchi e diffusi, con emana¬ zione continua e tranquilla. Lave fluenti. — Queste non si osservarono che nei primi giorni del mese. La colata del 31 maggio (che seppellì la parte inferiore della Fumarola gialla) era ancora fluente il 2 giu¬ gno, insieme ad una corrente che proveniva della sella fra i due conetti e scendeva verso Sud, formando pianori e tavolati di lave a corda. Altre piccole zone incandescenti si scorgevano in questo . giorno nei settori di SW e NW; ma in seguito non se ne vide più nessuna, fino alla metà di Luglio. I tre vo eco li Ili, ridotti a larghi fori tondeggianti con orli policromi, non diedero nel frattempo che fumi bianchi dif¬ fusi. Caratteristico era il primo a ponente, che di sera tarda mostrava incandescenza nel fondo e di giorno produceva a in¬ tervalli una nubecola di fumo bianco a 10-15 m. di altezza, prodotta dal vapor d'acqua che ^i condensava a tale distanza dalla bocca, e dopo qualche tempo scompariva, per riformarsi poco dopo. Pioggie caustiche. — Nel secondo trimestre di quest'anno si verificò più volte il fenomeno delle pi oggi e caustiche, di cui mi sono occupato espressamente in altra nota ^). Sostan¬ zialmente esse sono prodotte dal fatto che le precipitazioni at¬ mosferiche, traversando il pennacchio dei fumi, ne disciolgono 9 Malladra, A. — / gas vulcanici e la vegetazione. Atti del III Con¬ gresso Forestale Italiano. Portici, 1916. — 96 — gli acidi (specialmente HCl e SO2) e i sali sublimati (cloruri e solfati), e cadendo sulle foglie e sui giovani germogli, ne intac¬ cano i tessuti e li disseccano. Tutte le precipitazioni pertanto che si verificano sul Vesuvio (come sugli altri vulcani attivi) sono sempre caustiche ; ma ve ne sono di quelle straordinaria¬ mente nocive, in rapporto colla maggior copia di elementi cau- terizzatori contenuti nel pennacchio, ed è a queste che i con¬ tadini del Vesuvio danno il nome di "acqua cotta,,. Anche la neve può presentarsi con reazione acida, sia quando traversa la massa dei fumi e sia quando il pennacchio coricato dal vento sulle pendici del vulcano, ne lambe i campi nevosi per un tempo più 0 meno lungo. In questo secondo caso la neve si presenta cosparsa di una certa quantità di granuli salini di color bianco¬ opaco, ben diverso dal color bianco-splendente dei granuli nevosi. Le prime pioggie caustiche dell'annata si ebbero il 27 e 28 aprile, le quali produssero notevoli danni alla vegetazione dei versanti sud-occidentali del monte. Un’altra si verificò il 30 e 31 maggio, che rovinò i giovani germogli della vite nel giar¬ dino dell'Osservatorio e lungo la Ferrovia vesuviana sino a San Vito. Questa pioggia era talmente acida, che le goccie cadenti sugli occhi, bruciavano fortemente. La carta azzurra di torna¬ sole si arrossava prontamente col solo esporla all'aria libera, in luogo riparato dalla pioggia. Il 19 giugno, la nube di fumo su l'orlo del cratere era così carica di polveri saline, che faceva bruciare le mucose de¬ gli occhi, delle nari e delle labbra ed era soffocante. Respirando con la bocca, vi si formava una patina di sapore amaro-salato- acido, così densa, che si aveva, la sensazione di " mangiare del fumo „, secondo la frase espressiva di una viaggiatrice. Questo stato di cose durò per molti giorni, di modo che le goccie di pioggia del 29 giugno lasciarono la loro impronta sulle foglie con zone disseccale. Molto caustiche furono poi le pioggie del U e 2 luglio, con gravi danni alle piante fruttifere ed ai vigneti, tanto che il Governo concesse l'abbuono della tassa fondiaria ai coltivatori maggiormente colpiti dall' "acqua cotta,,. Questo pulviscolo caustico fu convogliato dai venti a no¬ tevole distanza e in tale quantità da riuscire nocivo fino ad Ischia, 97 — secondo informazioni avute dal prof. Giulio Grablovitz, diret¬ tore di queirOsservatorio geodinamico, in data 5 luglio 1913, di cui qui trascrivo una parte : “ Dopo poca pioggia alla fine di giugno, fu osservato un tenue deposito biancastro ; ma per quante cure io abbia posto, non mi riuscì di radunarne senza che s’ in¬ cludesse in ben maggiore quantità l'ordinaria polvere ; esso appa¬ riva chiaramente sui cristalli più tersi e distintamente sulla sfera cristallina dell- eliofanografo, ove 1' acqua, avvolgendone la su¬ perficie, lo convogliò nella parte inferiore e quivi seccandosi, si solidificò, ma, come dico, in quantità imponderabile. “ Ogni ulteriore ricerca fu poi resa impossibile dagli enor¬ mi acquazzoni del 1° e 2 luglio, che sorpassarono 110 milli¬ metri . Pur qui si ebbero danni alla vegetazione e l'uva, al dire dei coloni, comincia a guastarsi all' imo dei grappoli, per poi guastarsi totalmente,,. Luglio Conetto principale. — Tutto il mese di luglio e parte di a- gosto sono occorsi alla ricostruzione del conetto principale, così profondamente smantellato. Sino dal primo giorno, sopra tre delle quattro bocche for¬ matesi il giorno 28, si potevano notare i primi indizii di tre minuscoli e svelti conettini, che sbuffavano con densi globi di fumi rossastri e lanciavano copioso materiale minuto e incan¬ descente, da piccole bocche di 1-2 m. di diametro. Il 9 luglio coi loro vertici raggiungevano l'altezza maggiore del conetto diruto, mentre la quarta bocca veniva otturata dalle loro proiezioni. (Tav. I, Fig. 2). I conettini W e N, prendendo il sopravvento sul terzo a Est, si riunivano gradatamente a for¬ marne uno solo con due bocche terminali, di modo che il giorno 14 i loro pendi! a ponente e mezzodì sì fondevano con quello del conetto principale. Dell' ampia voragine rimaneva solo una valletta a settentrione e a levante, da cui sporgeva di pochi metri il conettino Est, e in cui si aprivano diverse fenditure fumanti intensamente e con orli incandescenti. In detto giorno il dinamismo delle tre bocche era il se¬ guente : — 98 — 1.0 Bocca W, larga 4-5 metri e superante di circa 6 metri Torlo del vecchio conetto, dà energiche e lunghe soffiate di fumi bianco-azzurrini, con frequenti e copiosi lanci di materiale in¬ candescente e minuto, a poca altezza. Vi sono traccie di trabocco lavico terminale, con curve ogivali di efflusso verso W e SW. 2.0 Bocca N, larga 2-3 metri e un po' più bassa della W, vivamente incandescente, dà fumi copiosi di color giallo-ocra in rapidi sbuffi, con pochi lanci. 3.0 Bocca E, molta piccola e infossata sotto una parete a picco del conetto diruto, dà fumi giallo-scuri in rapidissimo sbuffare. Tra le bocche 1 e 3 si apre nella valletta una piccola grotta, da cui esce raramente poco fumo bianco, cioè in corrispon¬ denza delle più forti emanazioni della bocca W. Da quest'ultima, verso le ore 12,40, si ha un alto lancio di scorie, dopo di che cessa di soffiare il N. 3, e aumentano la vam.pa e i lanci in 1 e 2; subito dopo appaiono dal N. 3 e dalla grotta dei cuscini di fumo, che vengono tosto riassorbiti o in¬ spirati. Questo curioso gioco o pulsazione dei globi di fumo che salgono e scendono nel vano delle due aperture, senza mai sprigionarsi, dura per 15 minuti, dopo di che il N. 3 riprende le sue rapide soffiate di fumi giallo-bruni. Questo diverso modo di agire di tre bocche così vicine, si spiega immaginando che il magma dal condotto centrale si spin¬ gesse anche nei singoli condotti dei tre conettini, ossia esclu¬ dendo un gasometro comune ai tre spiragli; il colore dei fumi dipende non solo dalla diversa natura delle bolle gassose che se ne sprigionano e dalle loro vicendevoli reazioni, ma anche dal quantitativo di cenere contenuta, proveniente dalla polve¬ rizzazione del magma. I fumi rosei, rossigni, rosso- bruni, dipendono appunto dalla varia copia di cenere ossidata che con¬ tengono. A un determinato istante, per effetto di una più violenta scarica di gas (dalla bocca W), la colonna magmatica si abbassa fin sotto il principio del condotto N. 3, pur continuando a riem¬ pire i condotti 1 e 2, di più profondo imbasamento. I fumi ri¬ masti nel N. 3 seguono il movimento oscillatorio o pulsante della superficie magmatica sottostante, e non possono uscire per - 99 — deficienza di altre bolle gassose, le quali si svolgono a prefe¬ renza e con più violenza lungo le verticali a N e W del con¬ dotto centrale, con aumento della vampa e delle proiezioni. Col ristabilirsi di correnti gassose ascendenti anche sulla verticale Est del condotto, il N. 3 riprende a funzionare. Il fatto non ha nulla di straordinario, essendo notorio che anche nella ebollizione dell'acqua in ordinarie pentole, avviene spesso che le bolle di vapore si svolgano più copiosamente da un lato che dall'altro, secondo le modalità della sorgente di ca¬ lore, la forma del recipiente e in dipendenza di materiali in esso contenuti. Ma intanto questa constazione, fatta più volte, di fumi pul¬ santi sulle bocche di fuoco, e talvolta lungamente inspirati nel condotto, dimostra quanto sia difficile procedere alla cattura dei gas che da esse si sprigionano, con assoluta esclusione dell'aria atmosferica, per risolvere l' importante questione della presenza o meno dell'acqua nei gas magmatici. Anche nel caso di bocca assai ristretta, con fumi uscenti a forte pressione rombante, tanto che dal vertice del conetto essi trasudano da ogni lato per filtrazione attraverso le pareti (e in questo caso sono generalmente bianco-azzurrini, perchè vengono liberati dalla cenere e perciò in forte contrasto di tinta con quelli rossigni che si sprigionano dalla bocca), non è escluso che l'aria atmosferica possa compiere un cammino inverso, cioè centripeto^ per risucchio o tiraggio che si stabilisce attraverso le parti in¬ feriori del conetto, generalmente ricche di soluzioni di conti¬ nuità, e così mescolarsi in alto, con l'emanazione vulcanica, pro¬ vocando nel condotto stesso molteplici fenomeni di ossidazione. E' ovvio che il risucchio sarà tanto più favorito, quanto più bassa sarà la colonna di magma nel condotto. Lo stesso dicasi pei gas svolgentisi dai fontanili che si aprono sulla piattaforma del fondo craterico, la quale è bensì costituita da correnti di lava sovrapposte, ma così fessurate pel raffred¬ damento e pel sollevamento, che l'acqua e l'aria vi possono pe¬ netrare per libera canalizzazione fino a notevole pro¬ fondità, ed essere richiamate per tiraggio nelle zone ove il ca¬ lore maggiormente si accresce. Con questo non intendo asserire che sia impossibile la — 100 — cattura dei gas vulcanici senz'aria atmosferica; ma solo che occorre un complesso di circostanze favorevoli, meteoro¬ logiche, topografiche e vulcanologiche, che dal 1913 ad oggi non credo siasi ancora verificato nel cratere del Vesuvio. Il giorno 21 luglio le tre bocche davano fumi rossastro-cupi con sbuffi silenziosi e poche proiezioni, contemporaneamente; segno di abbassamento della colonna magmatica sino a deter¬ minare un gasometro comune per tutti gli spiragli del condotto centrale. Nei giorni seguenti la topografia terminale del conetto prin¬ cipale si andò profondamente modificando, man mano che i materiali eiettati ne innalzavano la sommità. Il 30 esso si presenta elevato a becco verso W, sotto il quale si apre la bocca principale, di forma molto irregolare, cioè: tondeggiante a W, con lunga fessura a SW, il tutto vivamente incandescente, dovuto alla fusione delle bocche 1 e 2. Altre due più piccole si aprono a E e a S del pianoro terminale (corri¬ spondenti al N. 3 e alla grotta del giorno 14), il quale si direbbe piuttosto un coperchio forato, che ricopre in parte il lago di magma. Questo è molto agitato, con sbattimenti a timbro me¬ tallico. I fumi ora giallo-rossigni ed ora candidi, escono in densi cumuli che si sospingono, ma senza forti rumori, cioè senza l'ordinario sbuffare più o meno ritmico ; segno di libera e facile uscita, cioè di grande fluidità del magma, e quindi di prossimi efflussi, come dirò fra poco a proposito delle lave fluenti. Conetto esplosivo. — Questo riprende la sua attività fino dal primo giorno con forti spari dalla bocca eccentrica W, avvertiti quasi ogni giorno dall'Osservatorio e sovente dai paesi circumve¬ suviani. Il giorno 9 si aperse un nuovo spiraglio a NE, costituito da un foro tondo del diametro di un metro, incandescente, situato a circa metà altezza del vecchio conetto, che esalava sbuffetti e zampilli di fumo molto azzurrino, senza nessuna proiezione di scorie (Tav. I, Fig. 2). La bocca eccentrica dava fortissime esplo¬ sioni, isolate o a gruppi, ora secche ed ora rantolanti, con fasi furibonde e tumultuose della durata di 4-5 minuti, e lancio in gran copia di lapillo incandescente. Mantenendosi questa energia proiettante per parecchi giorni. — 101 — il conetto parassita raggiunse in breve l’altezza e quasi il volu¬ me del suo vicino, di maniera che la loro sezione orizzontale dava la figura di un 8. Lo spiraglio di NE, il giorno 14, era rimpiccolito alla metà, e dava pipate di fumi bianco-azzurri con ritmo regolare di 10-12 secondi. L'incandescenza dell'apertura era circuita da una co¬ rona di sali di colore verde cupo ; nei saggi che inviai al Chia¬ rissimo Prof. F. Zambonini, egli determinò l’E u c 1 o r i n a, (K, Na)^ CUg S3 O3, la quale non si era più rinvenuta al Vesuvio dopo il 1893 '). L'euclorina era accompagnata anche daPalmierite e da laro site, minerale nuovo per il Vesuvio^). Nella settimana successiva, l'attività di questo duplice co¬ netto si ridusse grandemente. Il 21 mattina, dalle 4 alle 8 non si ebbero che tre forti spari dalla bocca W. Le violente esplosioni ripresero il giorno 27 dalla bocca W, con copiose ed energiche proiezioni, alternate con lunghe soffiate di forgia. Anche l'apertura di NE aumentava la sua attività, con lancio di scoriette, che costruivano un terzo ma minuscolo co- nettino, sul fianco del più antico cono esplosivo ; e finalmente il giorno 30 si apriva un altro spiraglio sbuffante, poco sotto la bocca centrale inattiva e lungo la generatrice Nord; meno ener¬ gico e più irregolare di quello a NE, e simultanei nei più forti sbuffi, tra loro e con la bocca W. Il conetto esplosivo adunque, nella complessità delle sue bocche, manteneva sempre il carattere iniziale del suo dinamis¬ mo, così diverso da quello del conetto principale, come diverse ne furono le origini (questo per sprofondamento, l'altro per esplosione) e come diverse sono le loro lave, rispetti¬ vamente dernioliti e afroliti. Lave fluenti. — Queste mancarono sino al 14 luglio. In detto giorno notai una recente colata sulla periferia di ponente della piattaforma, derivata da un fontanile apertosi al piede del conetto esplosivo, sulla sella fra i due conetti. Tale corrente, che pre- 1) Zambonini, Y Mineralogia Vesuviana, pag. 331. Zambonini, F. — Sur la palmierite du Vesuve et les mineraux qui Vac~ compagnent. C. Rend., Paris, 1921. — 102 — sentava ancora qua e là punti d' incandescenza, era costituita da lave a corda; è quindi da supporre che provenisse dal condotto del cono principale, mediante un breve percorso sotterraneo at¬ traverso la sella, anziché da quello esplosivo, dal quale, come dissi, provengono solamente lave frammentarie, o a blocchi, os¬ sia afro li ti. Infatti il giorno 26 una nuova corrente a mala pena si di¬ stingueva tra i fumi alla base occidentale del conetto principale, dirigentesi a ponente e sovrapponentesi alla precedente; è quindi da supporre che il fontanile anzidetto abbia emigrato più vicino all'origine delle lave dermolitiche, per rottura del canale ipogeo. La sera del 29, i brillanti chiarori del cratere, indicavano a distanza il determinarsi di nuovi efflussi, che esaminai la mattina seguente. I fianchi del conetto principale erano coperti da grandi curve ogivali di lave traboccate, le quali avevano determi¬ nato tre correnti distinte. La prima a NW, che traversata la stretta fra i voccohlli 1 e 2 (vedi Maggio), dilagò per un centinaio di metri in detto set¬ tore; la seconda scese pel fianco NE e si diresse verso la grande conoide della parete orientale, senza raggiungerla; la terza a SW traversò la sella fra i due conetti e piegando a mezzodì, si so¬ vrappose alle lave che avevano poco prima seppelliti gli spira¬ gli inferiori della fumarola gialla. ■ Le due prime formavano pavimenti nerissimi sullo sfondo variopinto della piattaforma, e quasi lisci, cioè con corde appena discernibili col binoccolo. Ma contemporaneamente si ebbero anche lave a blocchi dal conetto esplosivo. Infatti il fianco Nord del conetto occidentale (parassita) presentava un marcato avvallamento, dal quale partiva una grossa corrente di afroliti; di cui un ramo si era sovrap¬ posto a ponente alle dermoliti del 14 e 26 luglio, e l'altro, tra¬ versando la sella, si era spinto anch'esso fino alla fumarola gialla. In questa zona c' era pertanto uno strano miscuglio di lave a corda e di lave frammentarie. Tutte le correnti accennate erano ornai ferme e senza trac- eie di incandescenza; si aveva però una sensazione di caldo al viso affacciandosi all' orlo del cratere, tanto a mezzodì, che a ponente. — 103 — , Agosto Conetto principale* — Nella prima quindicina del mese la sua attività si mantenne per lo più moderata, con emissione di sco¬ rie ora più ed ora meno copiose, che elevarono maggiormente il conetto , modificandone le bocche per numero e posizione. Il giorno 8 da quattro erano ridotte a tre , per otturazione di quella Est, corrispondente al conettino 3 del 14 luglio; il 12 era scomparsa anche quella Sud, corrispondente alla grotta (vedi 30 luglio). Non ne rimanevano quindi che due contigue a W, da cui uscivano fumi intensamente colorati di giallo-ocraceo a ra¬ pidissimi sbuffi, con quasi continuo rumore di sbattinienti me¬ tallici. Il materiale lanciato in questo giorno era di grossi lacerti, che producevano forti tonfi nella caduta. Il giorno 16, il conetto principale si presentava regolarmente conico nei suoi quattro quinti superiori , con bocca centrata, unica, larga una ventina di metri , ma inclinata notevolmente a NE, per sopraelevamento di circa 8 metri delborlo a libeccio su quello verso greco. L'altezza complessiva del cono era di circa 70 metri (dislivello fra la sua base a nord e 1' orlo SW della bocca); ma a circa 12 metri sopra questa base Nord presentava una specie di minuscolo " Piano della Ginestre „ , avanzo del cono distrutto in giugno. Risultando infatti il nuovo cono quasi unicamente dal lavoro delle bocche 1 e 2 a SW, doveva riuscire eccentrico in questa direzione rispetto al precedente. Da questa bocca si innalzava una magnifica colonna di fumi varicolori, tur¬ gida e bitorzoluta, come annoso tronco di quercia, a sporgenze roteanti, che saliva fino a 700 m. sopra il cratere, ripiegandosi poscia in lunghissima fascia di cumuli bianchi a pieghe rosee, fino oltre la Penisola Sorrentina. Notevole la scarsa incande¬ scenza della bocca, non apparente che a lunghi intervalli, e, pure notevole il modo di uscita dei fumi: non grossi globi inseguen- tisi con distinti sbuffi o esplosioni; ma uscita continua, rapidissi¬ ma, contemporanea e spesso silenziosa di centinaia di piccole pal¬ lottole urtantisi , rincorrentisi, accavallantisi, sospingentisi e ro¬ teanti velocemente, che formavano i bitorzoli dell'alto pino vul- — 104 — canico, come tanti piccoli conopidii rapidamente svolgentisi col- rinnalzarsi. Ogni tanto rumori metallici e boati profondi; a intervalli di 10-20 minuti rombi più forti, emanazione più tumultuosa dei fumi, accompagnata di getti di scorie luminose, alte da 50 a 80 metri, ma in poca quantità. Là mattina del 19, dalle ore 2 alle 4, stando neH'Osservato- rio col capo appoggiato al ferro del letto , avvertivo distinta- mente gli stessi rumori cupi e profondi, come di pesante maglio operante in profondità , già sentiti in epoche precedenti ^). Il giorno appresso i fumi erano tanto soffocanti per SO2, che bi¬ sognava tenere il fazzoletto bagnato sulla bocca e filtrare Taria; tutti gli isolatori di porcellana della Funicolare (lungo la quale i fumi scendevano in densa cascata rossigna) avevano preso una tinta giallo-rugginosa. Il conetto principale si presentava decapitato per una ven¬ tina di metri, e una profonda incisione a V per altri quindici metri si presentava sul pendio a Nord , per effetto di un tra¬ bocco terminale che distese un nuovo tavolato di lava tra le due colate del 30 luglio. La bocca , allargata a circa 25 m. di dia¬ metro, dava fumi moderati in fiotti continui, con scarse proie¬ zioni. Questa debole attività si mantenne fino al 24. Alle ore 4 di questo giorno , la bocca era calma , ma vivamente incande¬ scente e ripiena di magma, ben visibile, quasi fino all’orlo. Alle 4,30 comincia a lanciare in alto grossi pezzi di magma, che la più parte ricadono nella bocca; quelli che cadono fuori, fluiscono sui pendii come piccole correnti. Verso le 5 si ha un primo tra¬ bocco a W, che si scosta di poco dalla base del conetto. Dopo un quarto d'ora l'ebollizione del magma è molto forte e si de¬ termina uno spacco sul versante Nord, da cui fluisce una prima corrente molto rapida. Si ripete lo sgorgo di ponente, che incide pur esso profondamente la bocca, mentre altre lave fuorescono dalla base SW, come dirò appresso. Intanto la bocca si allarga 9 Malladra, A. — LHmpianto sismico deW Osservatorio Vesuviano (Boll. Soc. Sismol. Ital., Voi. XVIII, 1914) e Riassunto su Vattività del Vesuvio per Vanno 1917 (in questo Bollettino, Voi. XXXI, 1918). vieppiù e lancia così abbondante lapillo, che unito alle lave dej trabocchi, formano in certi istanti un mantello incandescente su tutto il conetto. Le lave cessarono prima di mezzogiorno, ma le proiezioni della bocca continuarono per parecchi giorni, sino a rinsaldare le spaccature, e a ridare al conetto la sua precedente altezza, che poi ancora si accrebbe. In questo giorno gli sbuffi di questa bocca erano così energici, che se ne sentiva per la prima volta il rumore ritmico daH'Osservatorio ad ogni se¬ condo o poco meno, ben distinto dagli spari delbaltro conetto, pure in azione. Questo quasi improvviso risveglio di attività del giorno 24 avvenne con 44 ore di ritardo sul plenilunio e di sole 5 ore sul perigeo lunare. Il 26 agosto ridiscesi in fondo al cratere coll' amico cav. Perret e con quattro portatori, per eseguire misure altrimetriche e pirometriche e raccogliere saggi dei gas e degli altri prodotti vulcanici. Nella bocca, larga 15 metri albincirca, il magma net¬ tamente visibile era assai agitato. Se ne sprigionavano grandi masse di fumi policromi (Tav. II, Fig. 1), prevalentemente ros¬ sastri, con copiosi lanci e ribaltamenti magmatici quasi continui. La vampa (incandescenza dei fumi alla loro uscita) era molto alta, e in essa si osservavano indubbiamente delle fiamme guiz¬ zanti, larghe anche poco più di un metro e alte fino a 20 sopra la bocca, per lo più di color giallo-ranciato; qualche volta rosse, di un rosso più intenso di quello della vampa. Si videro pure fiamme di colore azzurrino-viola, ma per pochi istanti e rara¬ mente, forse per la distanza del punto, di osservazione. Infatti in quel giorno il vertice del conetto molto alto era inaccessibile, per la ripidità e alta temperatura dei versanti, spesso incandescenti. L'altezza risultò di 82 metri sopra la sua base Nord. Delle altre misure altimetriche dirò in conclusione di questo Riassunto; quelle pirometriche sulle lave fluenti, diedero va¬ lori di 1015 e 1040 centigradi, e furono già accennate in altra Nota /). Dei tre voccolilli comparsi in maggio a NW del co- 0 Malladra, A. — Temperature di lave fluenti nel cratere del Vesuvio Rend. R. Acc. Se. Fis. e Mat. di Napoli, 1919. — 106 — netto, si conservava inalterato nella sua strana forma (Tav. II, Fig. 2), il primo a ponente, il quale si presentava ancora incan¬ descente alla profondità di quattro metri. Dalla sua bocca ema¬ nava una corrente d'aria caldissima, mista a vapor d'acqua che si condensava a 10-12 m. d'altezza, dando con intermittenza una nube, che si formava e si disperdeva rapidamente, come dissi più sopra. La temperatura di questa corrente, a un metro di pro¬ fondità, risultò di 560 centigradi. La descritta attività del conetto principale si mantenne sem¬ pre molto alta, sino all'ultimo giorno del mese. La sera del 28, a ore 21,30 si ebbe all'Osservatorio una sen¬ sibile scossa di terremoto, che fu pure avvertita da due persone all'Eremo e da tutti i carabinieri in caserma. Conetto esplosivo. — La vecchia bocca rimase inattiva tutto il mese, esalando solo poco fumo bianco dai contorni. Invece la bocca W, ornai vera rappresentante del conetto esplosivo, diede frequenti e forti spari nei primi due giorni, dopo di che si li¬ mitò a forti soffiate rombanti, di varia durata, con proiezione di faville, sino al giorno 11. Da quest'epoca fino al 28 ripresero le forti e fortissime e- splosioni, avvertite ogni giorno all' Osservatorio, con frequenza molto variabile. Dal 19 al 22 si ridusse nuovamente "a soffii, ran¬ toli e ruggiti, con cui si sprigionavano getti di fumo azzurrino alti da 20 a 30 metri, da un piccolo foro circolare di 20 centimetri di diametro al massimo. Il 22, alle ore 13, si ebbero due for¬ midabili spari, che lanciarono all' ingiro grande quantità di pie¬ tre, e furono uditi da Portici; questi liberarono il condotto, che per altri quattro giorni continuò a esplodere con forza. Il giorno 26 visitai da presso questa bocca, non più larga di una spanna e sulla cima di un voccolillo fatto a fiasco con breve collo, alto circa un metro. Da essa fuoruscivano ogni 8-10 minuti zampilli di fumo cilestrino (col caratteristico odore soffocante deirSOg), con tale stridore da coprire la voce, e che duravano da 20 a 40 secondi, con proiezione di molte scintille. Cessato lo zampillo, il foro incandescente si andava a poco a poco oscu¬ rando del tutto. Talvolta, al primo riprendersi del soffio, il gas veniva improvvisamente inspirato ; allora si produceva tosto uno sparo più o meno violento, che lanciava verticalmente a grande — 107 — altezza, con poco fumo, un polverio incandescente dovuto a centinaia di scoriette, che piovevano all' ingiro e addosso senza danno, perchè minute e già raffreddate. Tali esplosioni, che do¬ vrebbero chiamarsi chimiche, perchè dovute quasi certamente a miscele tonanti, analoghe a quelle della '' pistola di Volta „ o del grisou, si devono pertanto distinguere da quelle fisiche, dovute alla rapida espansione dei gas che stanno per raggiun¬ gere la superficie del condotto del conetto principale. E' ovvio che si possono avere anche esplosioni miste, fisico-chimi che, dovute a combinazione chimica di gas, che vengono a contatto nell'atto che si espandono. ■ Anche nel conetto principale si osservarono recentemente esplosioni chimiche formidabili, con proiezione di scorie e senza traccia di fumi, come dirò nelle notizie per gli anni successivi. Dopo il 26, questa bocca non diede che soffiate di diversa entità a intervalli molto variabili, sino al 31 agosto. I due spiragli a N e NE continuarono per tutto il mese a dare sbuffetti di fumi bianchi o bianco-cenerini, a rapido ritmo, talvolta con lancio di faville. Lave fluenti. — Oltre quelle già accennate, che si verifica¬ rono nei giorni 9 e 24, alle ore 5,30 di quest'ultimo giorno, si riaperse alla base SW del conetto il fontanile del 26 luglio, che diede due correnti in opposta direzione, a NW e a SE, e du¬ rarono parecchi giorni. II 26 trovai che questa bocca era ancora attiva, ed aveva nel frattempo ricoperto per uno spessore da 1 a 3 metri buona parte del terzo quadrante del fondo. Più attiva era un altra bocca o fontanile, a circa 80 m. dalla base NW del conetto principale, da cui irradiavano parecchi correnti che si distesero in tutto il quarto quadrante. Entrambi i fontanili continuarono a funzionare fino al 30 di agosto. Settembre Conetto principale* — La sera del 31 agosto, fino dalle ore 19, cominciarono ad apparire sulla montagna intensi chiarori, continui e molti estesi, che passavano a brevi intervalli da vivaci — 108 — a brillanti; ogni tanto nella massa inferiore dei fumi così rischia¬ rati comparivano dei punti più luminosi , dovuti evidentemente a scorie incandescenti, che per la seconda volta dall' inizio del- Tattuale periodo eruttivo venivano lanciate a tale altezza da ren¬ dersi visibili dall'Osservatorio i). Questi chiarori durarono tutta la notte. La mattina del P Settembre il conetto principale era in gran¬ dissima attività esplosiva, con alta vampa, proiezioni copiose ed elevate, con ribaltamenti magmatici. I rumori erano fortissimi e molteplici , come avviene di solito nei parossismi stromboliani. I fumi giallastri, o giallo-rossigni, erano piuttosto moderati so¬ pra la bocca, larga una quarantina di metri; ma divenivano molto abbondanti dall'altezza di circa 50 metri in su; la loro uscita era violenta, come di proiettili gassosi, che arrivati a 50-60 sopra la bocca, rallentavano notevolmente la loro velocità, si ammas¬ savano gonfiando e formando una colonna di cumuli candidi a pieghe rosee, alta non meno di 500 metri sopra il cratere; dopo di che si dilatava in larghissima ombrella Ogni tanto masse di magma traboccavano dalla parte più bassa della bocca, verso Nord, dando luogo ad una lenta colata che raggiungendo il piede del conetto , si univa alle lave pro¬ venienti da un attivo fontanile, come dirò a suo luogo. Questa attività si mantenne in grado parossismale per due giorni, poi diminuì rapidamente, come pure cessarono gli efflussi, forse per parziale ostruzione nel condotto. Infatti nei giorni 3 e 4 tutti i sismoscopii dell'Osservatorio erano in forte agitazione, e rOrtosismometrografo dell'Alfani presentava continui e notevoli sussulti , dovuti all'accumularsi della interna pressione gassosa. La ripresa di attività avvenne probabilmente la sera stessa del 4, dopo le ore 20, allorché furono veduti, anche da Napoli, estesi chiarori continui, che variavano da moderati a vivaci, per l'effetto combinato delle proiezioni scoriacee (chiar. vivaci) e delle lave fluenti (chiar. moderati). Con leggiere variazioni nella intensità, questa attività si mantenne molto accentuata fino al giorno 11; di- 0 La prima volta fu la sera del 2 gennaio 1916, quando si formò per esplosione un grande imbuto nella conoide di frana del 12 marzo 1911, dal quale ebbe poi origine il conetto esplosivo (V. Riassunto del 1917). venne normale dal 12 al 14; debole (fumi silenziosi, senza lanci) il 15; si accrebbe notevolmente, con alta vampa, dal 16 al 18; ritornò debole o mediocre dal 19 al 28. Ma razione causticante dei gas, sospinti dal vento in questi ultimi giorni sul Colle del Salvatore, nel Fosso della Vetrana e sulle pendici del M. Somma, danneggiò grandemente molte es¬ senze vegetali. Si disseccarono le foglie del castagno , pioppo, robinia, quercia, sorbo, gelso, fico, rovo, rosa, avorniello e on¬ tano; invece non soffersero niente quelle di leccio, evonimo, lauro, olivo e quelle vecchie del corbezzolo, con altre specie a ipoderma scleroso. In tale causticazione fu assai chiara l'azione del vento; in quanto che le piccole valli e i burroni del Somma (Cognoli di ponente) presentavano ben secchi i versanti esposti al vento di levante e ancora verdeggianti quelli di ponente. Questo con¬ trasto di colori, pel quale le pendici boscose del Somma si mo¬ stravano listate di giallo e di verde, secondo l'esposizione dei pendii, apparve molto più marcato pochi giorni dopo, cioè dopo che l'accartocciamento con parziale caduta delle foglie, diede ai versati causticati il pieno aspetto invernale. Un ulteriore, ma lieve, accentuarsi dell'energia si ebbe negli ultimi giorni del mese. Il giorno 29, il conetto principale si presentava notevolmente ribassato, specialmente a ponente, per cui la bocca molto ampia e di forma ellittica, con circa 50 m. di asse maggiore (E-W), si presentava inclinata di 45®, con immersione a W. La vampa, alta da 40 a 50 metri sopra la bocca, era accompagnata da scarse proiezioni di scorie, uscenti con fumi molto abbondanti, di color giallo-rossigno e in rapidi fiotti, senza notevoli rumori; solo ra¬ ramente qualche forte sbuffare con boati profondi. Tuttavia il condotto era pieno di magma, tanto che poche ore prima era traboccato in quantità da ponente, formando un notevole depo¬ sito nel settore NW del fondo. A metà altezza del conetto, sul versante SW, si determinò in questo giorno una fumarola forte¬ mente fischiante, che dava un alto getto di fumi molto azzur¬ rini, i quali aumentavano in concomitanza con quelli della bocca principale. Il fischio di questa fumarola era cosi forte, che si udiva dalla Stazione inferiore della Funicolare, e talvolta dall'Os¬ servatorio. — no — In questo giorno, stando su Torlo di ponente con due guide, abbiamo avvertito distintamente due movimenti ondulatori in senso E-W, preceduti da rapidi sussulti, a circa due minuti di intervallo T uno dall'altro. Conetto esplosivo. — Questo rimase in forte attività sino al giorno IQ, con potenti spari frequentemente uditi alTOsservato- rio, o con lunghe soffiate friggenti, sempre dalla bocca di ponente, e con lancio di materiale incandescente. Dal 20 in poi non si ebbero che molto raramente delle vere esplosioni; mentre per lo più si risolvevano in soffiate , interrotte sovente da rantoli, a più riprese. I due spiragli N e NE del più antico cono esplosivo con¬ tinuarono per tutto il mese a dare degli sbuffetti di fumi bianco o bianco-rosei, in masse molte compatte, con lancio di scoriette, che innalzavano poco a poco i loro conettini. Un terzo spira¬ glio si aperse tra questi due il 17 settembre, funzionante ana¬ logamente e d'accordo cogli altri, ma con minore intensità. Alla fine del mese il punto più alto di questo agglomera¬ mene di coni era dato dal vertice di quello costruito sullo spi¬ raglio Nord. E' molto importante il fatto, che durante questo mese, dap¬ prima a intervalli e poscia normalmente, lo sbuffare di questi tre spiragli del vecchio cono esplosivo (in silenzio da più mesi e la cui speciale attività era stata, per così dire, ereditata dal •cono parassita, ad occidente), si accresceva durante il più forte fuoruscire dei fumi del conetto principale, con ritardo di 2-3 minuti. Anche i fumi bianchi (e non più azzurri) emananti tran¬ quillamente dalle scorie della vecchia bocca quiescente, si au¬ mentavano con analogo ritmo. Dopo sei mesi (come dirò nelle notizie per Tanno 1919), questo cono si spaccò e diede copiose correnti di lave a su¬ perficie unita (de r moli ti). Risulta adunque evidente die, mentre l'attività sparante e la produzione di lave afrolitiche era emigrata del tutto più ad occidente da parecchi mesi, la zona d' imperio del conetto prin¬ cipale si era estesa poco a poco, da epoca imprecisata, sino ad occupare, l'area del primitivo conetto esplosivo. Ciò potè av¬ venire per Televarsi del condotto principale e della sella divi- — Ili — dente i due tipi eruttivi, che in principio erano separati da un istmo di materiale caotico della gran frana del 1911. Nello spes¬ sore delle lave che gradatamente vi si ammassarono, poterono estendersi le fratture radiali del conetto principale e stabilirvisi cunicoli con fontanili sempre più distanti, anche lungo la con¬ giungente dei due conetti. Ho già detto nel mese di luglio, di una corrente lavica partita dalla base del conetto esplosivo, ma ap¬ partenente al principale. Vedremo in seguito (1920) come anche il cono esplosivo di ponente ebbe a subire analoga sorte. Lave fluenti. — Oltre i trabocchi terminali già menzionati pel primo settembre, si ebbero in questo stesso giorno altri due copiosi efflussi da fontanili apertisi al piede del conetto prin¬ cipale, l'uno a Nord e l'altro a Ovest. Le lave del primo si estesero, irradiando dalla bocca, verso E, N e NW; quelle del secondo circondarono il grande voccolillo misurato piròmetri- camente in agosto, si spinsero a ponente sino alla periferia del fondo e, traversata la sella, raggiunsero a mezzodì la pa¬ rete della fumarola gialla. Da questi efflussi che durarono due giorni, risuttò innalzato di parecchi metri tutto l' imbasamento del conetto principale, meno che a SE. Ripresero il giorno 4 quelle del fontanile Nord, che dura¬ rono fino al 9, occupando quasi tutto il 4° quadrante del fondo e parte del D, ove una lingua più nutrita arrivò a toccare la parete NE del cratere. Mancarono in seguito per venti giorni, cioè sino al 29. In questo giorno, (oltre il notevole trabocco menzionato) si ebbe la ripresa del fontanile Ovest, le cui lave si sovrapposero alle precedenti, nella zona W del fondo, riem¬ piendo anche il voccolillo anzidetto, di cui rimase emergente la parte più alta, come isolotto giallo in campo nero. Invasero pure di nuovo la sella, ma senza raggiungere la fumarola gialla. Il 30, tutte queste lave erano spente. Ottobre Conetto pfmcipale* — Questo mese è stato caratterizzato da attività generalmente assai moderata rispetto alla proiezione di scorie incandescenti, ma da vampa molto alta e brillante, la quale, specialmente nella prima decade, produsse quasi ogni 112 — notte estesi e vivaci chiarori continui, con rinforzi pulsanti. Non notai che due giorni con attività molto pronunziata, ossia il 17 e il 31. Il giorno 17 si avevano frequenti lanci di abbondante lapillo minuto, che rotolava frusciando sino alla base del conetto. La bocca si era ristretta a circa 20 m. di diametro, mantenendo la sua forte inclinazione a ponente come il 29 settembre; era vi¬ vamente incandescente, ma il magma non era visibile. La fumarola a metà conetto, sul pendio W, dava fumate azzurrine senza stridore, della durata di 3-4 minuti, a intervalli di uno o due. Il 23, gli sbuffi di color giallo-rossigno uscivano con molta tranquillità; a lunghi intervalli si rinforzava l'emanazione con lungo e fragoroso sospiro e volata di minute scoriette incan¬ descenti, come farfalle di fuoco. Il 31, il conetto principale era malamente visibile di quando in quando, pei densi fumi che ingombravano il cratere; ma da Torlo di ponente si avvertivano, in direzione di questo conetto, sbuffi violenti con boati e caàuta a tonfi di materiale pesante. Più volte durante il mese, i fumi molto abbondanti e molto acidi scesero in cascate di ammassi rossigni verso SW e W, in¬ vadendo i locali delTOsservatorio, dove erano nettamente avver¬ titi Tacido cloridrico e Tanidride solforosa, con prevalenza di quest' ultima. Le pioggie dei giorni 4 e 5 risultarono molto caustiche per i versanti occidentali del Vesuvio, fino alle Novelle di S. Vito. Conetto esplosivo. — Da quello che ho detto nel mese pre¬ cedente, consegue, che si deve tenere distinta l'attività degli spiragli apertisi intorno al vecchio cono (quali ormai dirette emanazioni del conetto principale, ossia dello sbocco del con¬ dotto centrale), da quella della bocca sparante a ponente, con molta probabilità unico sfogo del condotto secondario apertosi, da forse notevole profondità, il giorno 2 gennaio 1916. l.°— Gruppo degli spiragli. — Itre spiragli, N, NE e quello intermedio (del 17 settembre), che per chiarezza d'ora in avanti chiamerò 1, 2 e 3, secondo l'ordine della loro comparsa, diedero per tutto il mese fumi di vario colore, per lo più a piccoli sbuffi, con aumenti o decrescenze in rapporto — 113 — con Tattività del conetto principale. Coi fiotti di fumò si ave¬ vano ogni tanto proiezioni di lapillo luminoso, ed anche effiati di poco materiale incandescente, che risalendo i condotti durante soffiate più veementi si arrovesciavano su gli orli delle bocche, elevando così i relativi conettini con svelto profilo, come suole avvenire nei voccolilli o coni soffianti. Però non sempre il loro agire era uguale in tutti tre, per- eventuali particolarità dei loro condotti e delle bocche. Così il 17 ottobre il n. 1 dava fumi giallo-verdi a piccoli sbuffetti ; il n. 2 dava lunghe soffiate di fumi bianco-azzurrini con farfalle di fuoco ; il n. 3 presentava bocca incandescente con fumi bianchi a fiotti sbuffanti, mentre la bocca del vecchio cono dava fumi grigiastri in continuità, ma con aumenti e diminuzioni secondo il ritmo del conetto principale, analogamente al n. 3. 2.0 — Bocca occidentale. — Questa mantenne la sua speciale attività esplosiva, ma con intensità notevolmente di¬ minuita rispetto a quella dei mesi precedenti. Le esplosioni propriamente dette (spari) non avvennero che a lunghi inter¬ valli, generalmente isolate, più raramente a serie, e non furono mai tali da avvertirsi aH'Osservatorio. Per lo più si ebbero esplo¬ sioni abortite in soffiate rantolanti o con stridori di valvole aperte ad alta pressione. I fumi lanciati con zampilli di 30-40 metri d’altezza, di colore azzurrino, erano sovente accompagnati da sfarfallio di particelle incandescenti, più di radè da ventaglio di più grosso lapillo. Lave fluenti. — Non ve ne furono fino al giorno 31. In questo giorno il fondo del cratere era invisibile, come già dissi, e solo si avevano percezioni acustiche di rumori di varie sorta : sbuffi, tonfi, spari, stridori, rantoli, ecc. Ma la guida Alfonso Sannino scesa in fondo al cratere, mi riferì di copiose lave ri¬ versatesi nella zona della fumarola gialla e di altre pure abbon¬ danti e ancora fluenti nei settori E e NE, delle quali un ramo si sarebbe spinto fin sotto le pareti corrispondenti alla For¬ cella di Ottaiano (Èchancrure di Lacroix). Ne parlerò pertanto nel mese seguente. — 114 — Novembre L'attività generale del Vesuvio in questo mese presentò notevoli incrementi in tutte le sue svariate manifestazioni, con parossismi di poco inferiori a quelli descritti pel mese di maggio. Conetto principale* — Nei primi due giorni il cratere rimase invisibile. Il giorno 3 era in forte attività, con proiezione fre¬ quente di alte colonne di lapillo, tanto da formare delle vere fontane di fuoco della durata di 20 a 30, secondi. Anche dalla fumarola apertasi sul pendio W il 29 settembre, si avevano co¬ piosi lanci di materiale incandescente, i quali già avevano co¬ struito uno svelto voccolillo o conetto parassita, alto una dozzina di metri; più spesso dava stridenti fischiate di fumi azzurrini. Questa energia continuò per parecchi giorni. Il giorno 8 il cratere era ingombrp ; ma si udivano i tonfi fruscianti dei grossi pezzi proiettati, lo sbuffare violento della bocca e il sibilare del voccolillo parassita, mentre abbondanti ^'Capelli di Pele„ volteggiavano per l'aria. Ne era tutto cosparso l'orlo esterno del cratere lungo la stradetta, e si potevano anche raccogliere ab¬ bondanti fiocchi e intrecci di lapillo filiforme. Le proiezioni crebbero notevolmente il 9 e il 10. In questo giorno il conetto principale era aumentato di almeno 6 metri in altezza dal giorno 6, e presentava proiezioni quasi continue di copioso materiale, accompagnate da grossi ribaltamenti di onde magmatiche, per cui a tratti tutta la parte più alta dive¬ niva incandescente. Il magma ribollente tumultuosamente era ben visibile da l'orlo di ponente, essendo la bocca inclinata forte¬ mente in questa direzione e del diametro di 8-10 metri. A pe¬ riodi di circa 8 minuti lanciava fontane di scorie a 80-100 metri di altezza, per la durata di 30-40 secondi. L'abbondante materiale di proiezione che scendeva roto¬ lando ininterrottamente lungo i fianchi, ingrossò notevolmente la periferia del conetto, assorbendo nel suo spessore buona parte del voccolillo parassita. A questa attività parossismale presero parte anche il conetto esplosivo e le lave fluenti, come dirò appresso. Nei giorni seguenti Tattività scemò di poco, nel senso che le proiezioni erano meno frequenti e meno copiose. Il giorno 12, il lapillo filiforme continuava a piovere in poca quantità su Torlo esterno, e il conetto si ' presentava più elevato per al¬ meno altri sei metri, con bocca più ristretta, di circa 7 metri di diametro. V aumento continuò ancora, più lentamente, per altri due giorni. (Fig. 4). # Il restringersi graduale della bocca per Tappiccicarsi delle scorie molto pastose, determinò anche la gettata di un ponte E-W, per cui ne conseguì il bipartirsi della bocca stessa. Il 14, Fio. 4. _ Variazioni in altezza del Conetto eruttivo principale nel cratere del Vesuvio dal 6 al 24 novembre 1918. (Sezione Nord-Sud con fronte a W). il conetto era cresciuto di altri due metri e terminava pertanto con due bocche disuguali : una piccola a Nord (di circa due me¬ tri) e una più grande a Sud (di 4-5 metri). L'altezza totale del conetto sopra la sua base W la stimai di circa 65 metri. Ma Tabbassamento della attività durò per poco tempo. Il 19, si avevano sbuffi piuttosto forti di fumi con color albicocca, quasi senza proiezioni, ma con rumori profondi di rantoli, boati e sbattimenti; vampa poco alta. Il 22 e 23, in quattro pendoli dei Sismoscopii Cancani a ef- — 116 — letto multiplo, si osservavano forti oscillazioni ritmiche, come pulsazioni molto regolari di poco più di mezzo secondo. La sera di quest'ultimo giorno si udivano dairOsservatorio rumori diversi (risacca, rombi, ecc.) provenienti dal Vesuvio; mentre l'alto e nudrito pennacchio di fumi era rischiarato da chiarori vivaci e molto estesi (che si notarono anche durante le due notti successive). Il giorno 24 ritrovai tutta la serie dei fenomeni proprii di un forte parossismo stromboliano: conetto decapitato da 25 a 35 metri secondo i versanti, con residua altezza massima di circa 40 metri a ponente (V. Fig. 4); bocca molto grande, ovale in senso E-W, con forte inclinazione a E, delle dimensioni di 40 X 25 metri a stima; il magma che la riempie fino all'orlo più basso è in stra¬ ordinaria e fragorosa agitazione; più che lanci distinti e di va¬ ria durata, si ha un continuo, ininterrotto saliscendi di migliaia di scorie, che arrivano a 15-20 metri sopra la bocca e la mag¬ gior parte vi ricadono dentro;' a periodi di 10-15 minuti lanci più poderosi e obliqui a E e SE rendono incandescenti fino alla base questi versanti del conetto; copiosi ribaltamenti o traboc¬ chi magmatici da l'orlo più basso della bocca, da dove si inizia una profonda incisione che scende fino al piede, donde sgor¬ gano abbondanti colate di lava da un largo fontanile, come dirò tra poco ; pioggerella di "'Capelli di P e 1 e „ luccicanti per l'a¬ ria. Nell'atto di affacciarsi all'orlo del cratere si sentiva il riverbero delle masse incandescenti; riverbera che si accresceva notevol¬ mente durante le più spettacolose proiezioni, in cui si vedeva una colonna massiccia di lava, delle dimensioni della bocca, lan¬ ciata, come un tappo che salta, fino a 40-50 metri d'altezza e ricadente frantumata in migliaia di grossi frammenti, dentro e fuori la bocca, con indescrivibile complesso di rumori assordanti. Dalla fumarola fischiante e tossente sul pendìo occidentale col suo voccolillo non restava che una larga zona fumante e po¬ licroma. Altra zona lineare fumante corrispondeva alla linea degli . scomparsi quattro voccolilli alla base NW del conetto principale. Il 25 si avevano ancora poderosi e larghi lanci di lapillo, molto luminoso malgrado la luce meridiana, dalla bocca ancora allargatasi, con intensi rumori di ondate urtantisi, con sbatti¬ menti, tonfi, fruscio, scoppii, boati, rantoli e rombi e con vio- — 117 — lenti sbuffi di fumi giallo-rossigni ; ma la massa ribollente del magma non era più visibile. Probabilmente si era abbassata fin sotto la base del conetto, perchè il fontanile al piede Est del giorno innanzi appariva come un profondo pozzo incandescente del diametro di circa tre me¬ tri e vuoto. Si riaperse invece sul versante SW la bocca del 29 settem¬ bre; larga meno di un metro esplodeva e sbuffava con grande forza, ora da sola, ora in concomitanza colla bocca principale, dando fumi dello stesso colore e lanciando larga rosa di scorie, che giungevano fino al conetto esplosivo. Dal 26 al 30 Fattività del conetto principale andò scemando, fino a ridursi ordinaria o moderata; il 27 la bocca secondaria del pendio SW era spenta. Gruppo del. Conetto esplosivo. — Anche questo ebbe attiva parte nelFenergico incremento di attività generale del Vesuvio durante questo mese. Il giorno 3, era immerso nei proprii fumi, ma proveniva dalla sua direzione una cacofonia di stridori assordanti di val¬ vole ad alta pressione, accompagnata ogni tanto da forte sparare. Gli spari furono avvertiti all'Osservatorio nei due giorni succes¬ sivi, misti agli altri rumori svariati provenienti dal cratere. Il 6, questo gruppo si presentava più nettamente geminato nella sua parte superiore, per aumento dei due vertici principali. Il cono occidentale terminava con largo catino, dal cui cen¬ tro, senza apertura distinta, uscivano alti zampilli di fumi cile¬ strini con fischio rombante, che ogni tanto finivano con una serie di esplosioni rantolanti e lancio di poco e minuto scoriamo in¬ candescente. Dal fianco W di questo cono era nuovamente partita da poco tempo una lunga corrente di blocchi (lave a a), che percorse Torlo della piattaforma di fondo per una sessantina di metri, sotto le pareti della Stazione diroccata. Nel cono di levante si nota pure un piccolo cratere termi¬ nale policromo e non perforato, da cui emanano abbondanti fumi bianchi in continuità ; ma alT intorno è tutto un crivello di fori incandescenti, da cui escono fumi di vario colore e con varia tensione. — 118 — Oltre questi, si hanno i tre spiragli già descritti coi relativi conettini molto appuntiti, tutti tre in energica emanazione, tra cui il più attivo è il n. 1 (spiraglio N) dal quale si sprigionano fumi bianco-giallognoli in violenti e rumorosi sbuffi, con volata di farfalle di fuoco. Tale clamorosa attività, fischiante e rombante, continuò per quasi tutto il mese, con giorni di minore e anche di più forte incremento. Per esempio, il giorno 10, questo complesso gruppo di coni e di bocche si poteva paragonare, per l'intenso fragore, a un grande cantiere metallurgico in pieno funzionamento. Anche sul vertice di ponente si erano aperte nuove bocche, cioè due, allineate quasi N-S con la centrale. Da questa si ave¬ vano scoppii di fumo azzurro a globo, con tonfo sordo (come caduta di materassi dal primo piano); le fiancheggianti esplo¬ devano in modo analogo e contemporaneamente alla centrale, ma non sempre. Sul cono orientale, il n. 1 era un voccolillo svelto e dritto come un camino, che strideva furiosamente con getto di fumi intensamente azzurrini per 5-8 minuti, poi taceva per 3-4; il n, 2 aveva bocca larga e incandescente da cui • scoppiavano sbuffi bianco-rosei in perfetta concordanza col maggiormente irritarsi del conetto principale; il n. 3 pure incandescente e con fumi giallo-azzurrini, friggeva così forte che si doveva parlare ad alta voce per farsi intendere su l'orlo del cratere. Su questo cono, il giorno 12, si riaperse pure per poche ore, dopo molti mesi di silenzio, la bocca centrale, che dava ogni 5-10 minuti degli sbuffi a globo di fumi bianco-rosei. Il giorno 19 tacevano le bocche occidentali e di quelle o- rientali funzionavano solo i n. 1 e 2. Il 24 e 25, giorni di parossismo generale, la bocca occiden¬ tale lanciava proiettili fin sopra il conetto principale, e poiché questo, come dissi, ne proiettava fin sul conetto esplosivo per mezzo dalla bocca parassita sul fianco SW, così sulla sella fra i due conetti si osservava un meraviglioso incrocio di due fuo¬ chi opposti. Negli ultimi cinque giorni del mese l'attività si ridusse al¬ quanto, rimanendo attivi gli spiragli 1 e 2 e la bocca di ponente. — 119 - che dava rare esplosioni, inframezzate con lunghe e singhioz¬ zanti soffiate. Lave fluenti. — Il giorno 3, si distinguevano malamente tra i fumi quattro piccole correnti nel settore NE della piattaforma di fondo, ed una in quello S, presso la base della fumarola gialla. Queste dovettero continuare in maggior copia nei giorni seguenti, perchè il 6 notai che il fondo a S si era elevato fino a raggiungere il livello del fumaiolo più alto della fumarola gialla e della sella fra i due conetti; si ebbe adunque in questa zona una soprallevazione di 18 metri, secondo le quote altime¬ triche rilevate il 26 agosto. Altre lave avevano nel frattempo invaso tutta la metà nord-orientale del fondo, ricoprendo i po¬ chi rimasugli di lave ingiallite dell'anno 1917; le lingue più e- streme avevano oltrepassato anche la zona sotto la Forcella di Ottaiano (Échancru r e), spingendosi fin sotto la punta NW dell'orlo craterico. Questi efflussi continuarono per più giorni. Il 10 si notavano 12 correnti principali fluenti nel 1° e 2° quadrante, che sembravano irradiare da un punto situato a mezza via tra il conetto principale e la grande scarpata detritica della parete orientale. Da un altro fontanile, al piede SW del conetto principale, uscì una copiosa colata che dilagò fra i due conetti e si riversò a ponente fino alle conoidi delle pareti occidentali. Tutte queste correnti si disseccarono e si spensero grada¬ tamente nei giorni dall'll al 14; in quest'ultimo giorno non si scorgevano più nè lave fluenti, nè macule incandescenti sul fondo. E difficile calcolare con qualche esattezza il volume della massa lavica che fuoruscì dal condotto centrale nel periodo dal 30 ottobre al 13 novembre, e che ricoperse più di tre quarti del fondo (Fig. 5). Si può fare soltanto un calcolo di approssimazione molto grossolana in questo modo: tenendo presente il diametro di circa 500 metri del fondo; supponendo che solo la metà sia stata invasa (per tener conto anche dell'area occupata dai due conetti), e dando alla lave un medio spessore di soli cinque me¬ tri (valore certamente inferiore alla realtà), se ne deduce il vo¬ lume di un milione di metri cubici, in cifra tonda. Di egual volume, o di ben poco inferiore, fu il complesso degli efflussi lavici verificatisi durante il secondo parossismo, dal — 120 — 23 al 25 di questo mese. La maggior copia provenne dal già accennato grosso fontanile apertosi la sera del 23 alla base della fenditura Est del conetto principale: queste lave si. distesero so¬ pra le precedenti, dalla fumarola gialla fino al verticale deU'È- Fig. 5. - Il fondo del cratere del Vesuvio con gli efflussi lavici dal 30 ottobre al 12 novembre 1918. (Schizzo di A, Malladra). A. Conetto principale con conettivo parassita sul versante W. B. Vecchio conetto esplosivo con bocca sbuffante e coi tre, spiragli : 1. (più alto) stridente, 2. (più basso) soffiante, 3. (mediano) fischiante. C. Nuovo conetto esplosivo, con tre bocche sparanti, e corrente di lava a blocchi del giorno 29 luglio 1918. F.F, Fontanili di lave a superficie unita e cordate. F.g. Spiragli più alti della Fumarola gialla. chancrure. Un altra copiosa corrente si generò da una seconda bocca apertasi alla base NE dello stesso conetto; questa impa¬ ludò nel centro del cratere e spinse un ramo verso la parete Nord, senza raggiungerla. 121 — Finalmente, riapertasi ancora per l'ennesima volta, la bocca SW predetta, diede copiosa lava che pure si sovrappose alla pre¬ cedente, sorpassandone notevolmente i limiti avendo occupato interamente il 3° quadrante del fondo. Tutte queste lave, che il 26 erano spente alla superficie, erano costituite: in alcune zone da estesi tavolati o pianori con eleganti esemplari di lave a corda; altrove da lunghi burron- celli, profóndi da 2 a 3 metri, rappresentanti gli alvei di efflusso, che sovente si iniziavano o terminavano con cunicoli scompa¬ renti sotto le masse; ma la più parte formavano grandi onde accavallate nei modi più bizzarri, come mare in tempesta repen¬ tinamente congelato. In seguito, come di solito avviene, le masse si riempirono di fenditure prodotte dal raffreddamento, e in diversi luoghi si sollevarono in piccole cupole crepacciate o in ammassi di grossi blocchi prismatici, forse per effetto di spinta di espandimenti ipogei, 0 per tensione di masse gassose rimaste rinchiuse nella parte sottostante ancora pastosa, ira i sollevamenti a cupola {schollendomé), il più pronunziato si verificò quasi nel centro del settore Est del fondo; aveva una base subellittica di circa 50 metri di asse maggiore, con dislivello nella parte mediana più alta di 12 metri circa sul piano della lava circostante, e larghe e profonde fratture, che potevano dare un'idea della potenza di questi efflussi. Dicembre Conetto principale. — Le osservazioni di questo mese furono relativamente scarse, per la frequenza delle nebbie sulla mon¬ tagna e dei fumi entro cratere. Si può però asserire che l'at¬ tività generale si mantenne sempre tra moderata e mediocre. Il primo del mese, il conetto principale aveva già incomin¬ ciata la ricostruzione del proprio edilizio, con restringimento della bocca; esso si presentava di forma tozza, cioè quasi cilindrico nei due terzi inferiori (per annegamento della larga scarpata di base sotto gli ultimi efflussi) e cupoloide nel terzo superiore con bocca a catino, quasi centrata, larga 10-12 metri. — 122 — Era incandescente, ma con piccola vampa e senza proiezio¬ ni di sorta. I fumi bianco-rosei uscivano in sbuffi moderati; ogni tanto gruppo di 4-5 sbuffate più forti. Sulla bocca secondaria del pendio SW si era formato un voccolillo appuntito, che dava fi¬ schiando fumi azzurrini. Il fontanile di Est era aperto e tutto nero fino a ignota profondità. La frequenza con cui i fumi in questi primi giorni scesero in cascata lungo la Funicolare, produsse sulle rotaie della me¬ desima abbondanti depositi salini, specialmente di cloruro di ferro, che fungevano da lubrificanti; per il che le vetture non potevano salire che a furia di insabbiamento, e questo talora non bastando, si dovette procedere alla lavatura delle rotaie con spazzole di ferro. II giorno 10, il conetto si presentava rinforzato nella parte superiore, con vertice massiccio e piccola bocca (di circa 5 m. di diametro) molto inclinata verso Nord. Dava sbuffi giallo-ros¬ sastri con molta forza o lunghi soffii rombanti, con scarse proie¬ zioni di scorie incandescenti. Restringendosi maggiormente la bocca, per successive mo¬ derate proiezioni che piovevano sul vertice del conetto, essa divenne sempre più inclinata ed eccentrica. Il giorno 16 si mo¬ strava come una finestra, quasi verticale, guardante a NNW, non più larga di 4 metri, da cui i fumi giallo-ocracei uscivano in densi fiotti rombanti, con poco lapillo incandescente, o con lunghe e fragorose soffiate, durante le quali essi filtravano an¬ che attraverso lo spessore della cupola, che li trasudava di color bianco leggermente azzurrino perchè purificati dall'a cenere. Tale forma e grado di attività si mantenne fino al termine dell'anno. Conetto esplosivo. — Anche questo ridusse notevolmente la sua attività durante il mese. Nel cono di levante rimasero moderatamente in funzione i n. 1 e 2 con sbuffi di fumi bianco-rosei, ora più ed ora meno frequenti, con piccola vampa e rarissimi lanci di sciami incan¬ denti di scoriette. Il voccolillo n. 3 rimase spento in perma¬ nenza, e dall'antica bocca centrale e principale non si ebbe che esalazione di fumi bianchi in continuità, cioè senza carattere eruttivo. Nel cono occidentale non si ebbero mai vere esplosioni sec¬ che (spari), ma solo un'alternanza di soffiate di forgia (più o meno ruggenti, con soliti fumi intensamente azzurrini) e di tonfi Fio. 6. - Sezione schematica attraverso il conetto eruttivo principale e la circostante platea di fondo del cratere vesuviano, per dimostrare il graduale aumento di volume e di altezza relativa (sul fondo) ed assoluta (sul mare) del conetto stesso, nonché la formazione dei fontanili. sordi, come scoppii che avvenissero in profondità. Lave fluenti. — Non se ne osservarono nei primi nove giorni. Il 10, nella zona SE del fondo, cioè dalla fumarola gialla fino alla conoide scendente dall'orlo "Pompei,,, notai una grande quantità di piccole aree incandescenti (macule), senza nessun fontanile propriamente detto. Queste macule brinavano per qualche ora, allargandosi con grande lentezza; in seguito si annerivano, mentre altre si manifestavano in zone contigue. Nei giorni seguenti, fino al 15, la comparsa delle macule si estese anche nel settore NE, pur mantenendosi più intensa in quello SE, specialmente alla base della parete a picco SSE. Era pertanto evidente doversi trattare di un efflusso in¬ terstratificato, espandentesi tra le vecchie lave e le ultime — 124 — colate del novembre, dalle cui numerose fratture schizzavano le masse fluenti al coperto e originando parziali rifusioni dellà co¬ pertura e producendo anche i raddrizzamenti e i sollevamenti a cupola accennati nel mese precedente. Dopo il 15 dicembre non si videro più macule nè lave fluenti sul fondo del cratere per tutto il mese. Conclusione* Per effetto delle proiezioni scoriacee e delle lave fluenti, il gran cratere del 1906 si va gradatamente riempiendo. Mentre si innalza poco alla volta la piattaforma del fondo, si eleva sempre più sovr'essa il conetto eruttivo principale, destinato a rappre¬ sentare in futuro la nuova vetta del Gran Cono vesuviano at¬ tualmente ancora decapitato 0- CoH'elevarsi del conetto, aumen¬ tano vieppiù : Taltezza della colonna magmatica, la potenza delle sue esplosioni e la copia dei materiali proiettati. Ne consegue di rimando, che il conetto non solo guadagna in altezza sul li¬ vello del mare, ma anche in altezza e larghezza sopra la sua base. I primi conetti che si formarono nell' imbuto di sprofon¬ damento dal 1914 al 1915 raggiungevano a mala pena 20-30 metri di elevazione; gradatamente arrivarono a quote* superiori, anche con notevoli sbalzi, secondo le fasi di costruzione o di demolizione deH'attività eruttiva. L'altezza ordinaria del conetto eruttivo negli anni successivi variò da 40 a 100 metri. Verso la fine del 1918, il vertice del conetto superava già di qualche metro il punto più basso del¬ l'orlo craterico, che era allora di 1078 metri sul mare (ora 1066, per successive frane). La figura 6^ dimostra in qual modo il conetto eruttivo au¬ menta gradatamente in altezza assoluta, ossia sul livello del mare, e in altezza relativa, cioè sopra la propria base, la quale si va nello stesso tempo via via allargando. Nei periodi di 0 Su questo argomento, ossia «Sul graduale riempimento dei cratere del Vesuvio», ho presentato nell'aprile 1921 una comunicazione all' Vili Congresso geografico italiano a Firenze, la quale è ora in corso d stampa. — 125 — attività esplosiva, sia moderata che parossismale, il conetto si riveste (in tempi assai variabili) di un nuovo mantello scoriaceo e di straterelli lavici dovuti ai ribaltamenti e ai trabocchi ter¬ minali. Successivi efflussi annegano la base del conetto ; ma que¬ sti a loro volta serviranno d'appoggio per altri mantelli pirocla¬ stici, che inguainando il cono precedente, avranno di necessità base più larga. Data la maggior base, ne consegue una maggiore altezza, trattandosi di coni sovrapposti a pendii paralleli, che presentano in generale un angolo di 32° (che è l’angolo di riposo del ma¬ teriale di frana), salvo momentanee eccezioni dovute : ad agglu¬ tinamento di scorie, a spinte all' infuori (con frattura delle pa¬ reti) provocate dalla tensione dei gas, a costruzioni parassite sui fianchi (voccolilli, cupole), ecc. Il tempo necessario per una fase completa, costituita dal formarsi di un nuovo mantello e dallo scomparire della sua base sotto strati di lava, può andare da pochi giorni a molti mesi, secondo l'attività del cratere. Si è con tale procedimento che il conetto eruttivo princi¬ pale ricostruirà fra diversi anni la vetta demolita del Vesuvio. Con processo analogo, ma più complicato e immensamente più lento, cresce secolarmente di volume il Gran Cono vesu¬ viano, tendente a restaurare l'edifizio sventrato del Monte Som¬ ma, per ridonargli l'imponenza etnea che possedeva nel tempo antico. Dalla seguente Tabella delle Quote altimetriche (nella quale ho compreso anche le misure del giugno 1Q19, per com¬ pletare “ ad abundantiam „ le precedenti dell'agosto 1918, che non potevano dare tutto il valore del riempimento durante l'annata) risulta chiaramente quale fu, per gli indicati periodi di tempo, l'innalzamento di determinati punti o zone, nei pri¬ mi sette anni dell'attuale periodo eruttivo: Quote altimetriche misurate nel cratere del Vesuvio dal 1913 al 1919. LUOGHI QUOTATI da 1913 (VII) 19H (l-X) 1915 (9-VII) 1916 (4-VlII) 1917 (2-VIII) 1918 (26-VIII) 1919 as-vi) Innalza¬ mento totale Bocca principale (Vertice Conetto princ.). 845 925 1010 1009 1047 1095 250 Vertice Conetto esplosivo ..... — - — 1009 1034 1036 27 Sella fra i due conetti . — — — 962 1008 1025 63 è Fondo cratere a S (Fumarola gialla) . . 914 914 947 950 987 1020 106 „ „ NW . ' . . — — — — 969 1000 31 „ „ N . 874 874 910 932 969 1000 126 . « ne . 858 858 927 927 960 1000 142 Centro cratere (Base NE conetto princ.). 920 920 932 945 965 980 60 Centro del settore NW (luogo dei bivacchi) — — 944 945 965 1010 66 — 127 — Fig. 1 Fig. 2, Fìg. 3 Fig. 4 Fig. 5. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE 1-3 T avola 1. — Il conetto principale (a destra) e il conetto esplosivo durante una esplosione (a sinistra) il 19 maggio 1918. (Fot. Ing. C. Cappa). — A destra il conetto principale con tre conettini sbuffanti; a sinistra il conetto esplosivo con la bocca principale in riposo e lo spiraglio NE in attività; più indietro la bocca occidentale dopo un’esplosione il 9 luglio 1918. (Fot. A. Malladra). Tavola 2. — Il conetto principale veduto da NE in fondo al cratere, il 26 agosto 1918. A destra e in basso del conetto principale i fumi del conetto esplosivo. (Fot. A. Malladra). — Misura della temperatura della corrente d’aria (560oC.) uscente dal voccolillo « femmina », fatta con pirometro elettrico, il 26 agosto 1918. * (Fot. Cav. F. A. Perrlt). Tavola 3. — Il cratere del Vesuvio veduto dalFAeronave M^ (da circa 500 m. sopra l’orlo NE) il giorno 2 maggio 1918. (Fot. del Ten. Ing. Italo Curletti). Finito di stampare il 15 aprile 1922. Osservazioni sulla biofotogenesi. Nota del Prof* Giwsepp^ Zirpolo (Tornata del 4 giugno .1922) La Doti. S. Mortara i), in un recente scritto sulla biofo¬ togenesi , verso la fine afferma di aver iniziato un preciso confronto fra i bacilli fosforescenti da me isolati dagli organi luminosi di Sepiola intermedia Naef e quelli sviluppatisi sulle spoglie di Meteroteuthis dispar — Cefalopodo abissale pervenu¬ tole da Messina in ghiaccio. — Tale affermazione mi obbliga a dissipare alcuni dubbii che potrebbero sorgere dalla lettura di questa Nota; tanto più che in essa viene riferito ancora che il bacillo ottenuto "dalla- pelle di animali,, o "dall' acqua in cui erano conservati „ — si parla sempre di Meteroteuthis — " per una quantità di caratteri riscontrati,, (quali?) "sembra si avvi¬ cini molto a quelli ottenuti dagli organi fotogeni di Sepiola dallo Zirpolo Credo quindi opportuno, da parte mia, fare alcuni rilievi a proposito delle ultime frasi della Nota surriferita, dalle quali si potrebbe per avventura da malevoli dedurre che io abbia con¬ fuso i batteri luminosi degli organi fotogeni di Sepiola vivente con quelli che si sviluppano, post mortem^ sulla loro pelle. 1. — Devo innanzi tutto far notare che mi occupo di mi¬ crorganismi fosforescenti sin dal 1916 ed ho studiato prima i batteri fotogeni che si sviluppano sulle spoglie degli animali q Mortara, S. — Sulla biofotogenesi. Rend. R. Acc. Lincei. Voi. 31 (1° Sem.) p. 187. Roma, 1922. — 129 — morti, e propriamente quelli che si sviluppano sul corpo di Se¬ pia officinalis, L. e poi i batteri fotogeni che sono annidati negli organi luminosi di Sepiola intermedia Naef e Rondeletia minor Naef e che producono il fenomeno della fosforescenza. Per ottenere i primi è necessario che passino varie ore dac¬ ché Tanimale è morto; per ottenere i secondi basta aprire semplicemente l'organo luminoso dell'animale vivo per rica¬ varli in grandissima quantità. Data poi la grandezza degli organi luminosi di Sepiola e di Rondeletia, si può operare con grande facilità. Sterilizzata la superficie dell' organo fotogeno si isolano i batteri fosfore¬ scenti interni, sia assorbendo il contenuto con pipetta, sia con strisci, sia con lo spappolamento dell'organo; insomma è così evidente la presenza di batteri luminosi che basta operare per persuadersi che non è possibile alcun dubbio. 2. — Ogni volta che ho osservato gli animali vivi, allora pescati, ho notato che la luce partiva unicamente dalla regione ventrale, cioè di là dove si trovano gli organi luminosi: ma la superficie del corpo non era affatto fosforescente. Stimolando l'animale si poteva osservare come questi met¬ tesse fuori un nugolo luminoso, e raccolta parte di questo con pipetta e innestata si ottenevano colonie luminose. Che anche sulle spoglie di Sepiola si sviluppassero post mor- tem i batteri luminosi è cosa che anche io ho osservato ; ma che i batteri luminosi io li abbia isolati dall'organo fosforescente del¬ l'animale vivo è indiscutibile e il voler ingenerare l'equivoco b ZiRPOLO, G. — Ricerche su di un bacillo fosforescente che si sviluppa sulla Sepia officinalis L. {Bacillus sepiae n. sp.) Bollett. Soc. Nat. Voi. 30,' p. 47, 2 Tav. 1 fig. Napoli, 1917. b ZiRPOLO, G. — / batteri fotogeni degli organi luminosi di Sepiola in¬ termedia Naef {Bacillus pierantonii n. sp.) Ibid. p. 200, Tav. 6, Napoli 1918. b ZiRPOLO, G. — Micrococcus pierantonii. Nuova specie di batterio foto¬ geno delV organo luminoso di Rondeletia minor Naef. Ibid. Voi. 31, p. 25, 1 fig. Napoli 1918. b Ho sterilizzato sempre e bene la superficie passandovi su Alcool a 100 e poi una lamina rovente e non l’interno dell'organo luminoso e ciò per una ragione evidente, cioè per non ammazzare i batteri che sono in esso ahnidati. Sterilizzare l’interno significherebbe rinunziare ad avere qualsiasi cultura. — 130 — che io abbia confuso gli uni con gli altri è un'asserzione pura, mente gratuita, formalmente smentita da quanto ho premesso - e che in ogni caso dovrebbe essere dimostrata con dati speri¬ mentali. Qualunque supposizione^ di tal genere, in seguito ad ope¬ razioni fatte su materiale morto e rimasto in ghiaccio per oltre ventiquattro ore , esula da una seria ricerca scientifica di controllo. Non è consentito quindi, avendo adoperato tal materiale, fare dei paragoni fra i batteri luminosi sviluppatisi sulla pelle di He- teroteiithis dlspar morta e quelli isolati da me negli organi \\xm\x\os\ dì Sepiola intermedia Naef viva i). 3. — Se sulla superficie del corpo deH'animale che ha organi fotogeni in cui sono annidati i batteri fosforescenti si sviluppano batteri luminosi post mortem è logico pensare che questi ab¬ biano avuto origine da quelli che sono nell' organo luminoso, in quanto sono fuoriusciti e si sono diffusi sulla superficie del corpo ^). La simiglianza delle forme ci può essere, anzi ci deve essere in questo caso; — nessuna scoverta quindi da parte della Mortara, — ma ciò non significa che io mi sia ingannato b Verso la fine del passato anno mandai al prof. C. Artom di Roma — in seguito a sua gentile richiesta — delle culture luminose di Bacillus pieran- tonii ZiRP. ricavate dagli organi fotogeni di Sepiola intermedia Naef. Poiché in quel. tempo non potetti avere del materiale vivo per la cattiva stagione, io feci degli innesti da vecchie culture di un anno (per un anno intero le culture erano rimaste luminose in uno stesso tubo senza mai fare novelli innesti) che tenevo per alcune esperienze in corso. Scrissi anche al prof. Artom dello stato delle culture e contemporaneamente lo pregavo di darne qualche tubo alla Dott. Mortara; il prof. Artom le avea chieste per farle vedere ai suoi alunni, la Dott. Mortara per pigliare pratica dei batteri luminosi, siccome lei stessa mi scriveva. Pigliare pratica per me non significava voler fare degli studii di paragone e tanto meno di controllo. Se avessi preveduto che la Dott. Mortara voleva istituire delle esperienze di controllo alle mie osservazioni e mi avesse scritta la sua apprezzabile intenzione io avrei pregato di attendere un poco per po¬ tere mandare allo scopo delle culture ricavate da materiale fresco insieme ai terreni di cultura da me preparati. Tale procedimento oltre che strano è poco adatto per poter condurre a serie conclusioni un'esperienza di controllo! Adoperando come terreni speciali muscoli di seppie sterilizzati ho avuto culture bellissime di batteri fosforescenti. confondendo i batteri della superficie con quelli deH'organo lu¬ minoso. Se si apre il mantello di SepioLa e si mettono in evidenza gli organi luminosi si osserva per circa due ore partire la luce solamente da essi. Dopo certo tempo si può vedere che le parti laterali del corpo incominciano ad essere fosforescenti. D'altra parte che i batteri luminosi annidati negli organi fotogeni possano avere origine dall'ambiente esterno, in quanto da questo vadano ad annidarsi negli organi fotogeni è cosa che non infirma gli studii del Pierantoni nè i miei. Noi abbiamo studiato questi batteri che si trovano negli organi luminosi in quantità notevolissima e la loro luminosità è visibile sempre, variando le esperienze in tutti i modi possibili. Se i batteri rimangono luminosi nelle culture è evidente che essi, nell'or¬ gano in cui sono annidati, sono luminosi, altrimenti si dovrebbe pensare che i battèri ricavati dagli organi fotogeni di Sepiola sono luminosi nelle culture e nell'crgano fotogeno non sono più fosforescenti e la luce dell'organo è dato da altri elementi e non dai batteri luminosi che sono annidati in essi. Voler supporre ed affermare questo è cosa che contraddice ai fatti. 4. — Ho sempre visto ed ^affermato, in base anche ad os¬ servazioni di Autori che 'mi hanno preceduto nello studio dei batteri luminosi , che bastano piccole variazioni di concentrazioni di sali nei terreni di cultura per avere delle alterazioni e cam¬ biamenti di caratteri nei batteri fosforescenti. Io non so se la Dott. Mortara si sia servita di acqua ma¬ rina presa direttamente per preparare i terreni di cultura e se, nel caso affermativo, avesse questa la stessa concentrazione mo¬ lecolare di quella da me adoperata. Non mi soffermo poi sull' uso di una soluzione di cloruro sodico al 2,5 - 3 o/o, com'è consigliato comunemente. Se la Dott. Mortara vorrà fare degli studii di vero e reale controllo, piuttosto che usare materiale spiaggiato, morto e venuto da Messina a Roma in ghiaccio, si valga di materiale vivo, che, evidentemente potrà facilmente procurarsi nei labo- ratorii marini sul luogo ove si pescano vivi tali animali. 5. — Che la Dott. Mortara abbia avuto esito negativo per gli — 132 — organi luminosi di Heteroteuthis dispar è cosa che importa poco ^). Nessuno finora ha mai detto che gli organi luminosi di questa specie abissale fossero tali per i batteri annidati in essi. Non tutti gli animali che hanno organi luminosi devono presentare batteri fotogeni. Le forme microrganiche sono così differenti e le difficoltà della tecnica per rintracciarli sono talvolta di tale natura da non poter a > priori escludere una serie di fatti spe¬ rimentalmente accertata. E' norma poi di sana metodologia che un'esperienza negativa non può infirmare le numerose altre positive ^). Napoli, Stazione Zoologica, maggio 1922. ' Finito di stampare il 30 giugno 1922. b Cfr. a tal proposito i lavori del Pierantoni, nei quali è sempre fatta distinzione fra organi luminosi con massa fotogena fatta da bat¬ teri ed organi luminosi con sostanza finemente granulare (organi di animali abissali) e specialmente quelli pubblicati in Rivista di Biologia, Ro¬ ma, Voi. 1, p. 213 (1919) e Voi. 3, fase. 3, (1922) e in Archivio Zoologico, Na¬ poli Voi. 9, p. 195. 9 2) In una recentissima nota (Riv. Biol. Roma, Voi. 4), la Dott. Mortara viene alla conclusione che le sue esperienze negative in Heteroteuthis dispar non debbono far dedurre che anche per gli altri animali luminosi possono riu¬ scire negative, come si poteva desumere dal suo precedente scritto: il che ci dice che la Dott.sa Mortara incomincia ad essere più cauta nelle sue asserzioni. Di una speciale degenerazione delle cellule dei sarcomi. Memoria del socio Prof. Claudio Gatgano (Tornata del 20 febbraio 1921) In alcuni esempiari di sarcomi ulcerati delle fosse nasali a cellule polimorfe [Gargano (’910)] ebbi occasione di descrivere la presenza di corpuscoli, di globi, che per la loro morfologia e per le caratteristiche reazioni microchimiche, sembravano molto simili a quelli del Mollascum contagiosum dell'uomo e del vainolo dei polli, cioè ai corpuscoli di Henderson. E dissi come nella fase più avanzata del loro sviluppo essi si presentino di forma ovoidale, sempre più grandi della cellula, che ha dato loro origine, di struttura omogenea, come’ assumano indifferen¬ temente i colori basici ed i colori acidi di anilina, e come, nei preparati fissati in acido osmico si tingano intensamente in nero con l'ematossilina ferrica ed in rosa pallido con la saffranina. Seguendo la genesi di questi corpuscoli venni alla conclu¬ sione, non essere altro che delle speciali trasformazioni del citoplasma di alcune cellule sarcomatose. La mia osservazione ritengo sia stata la prima e forse l'u¬ nica, perchè nei vari trattati di Anatomia patologica non si tro¬ vano descritte analoghe degenerazioni del protoplasma delle cel¬ lule neoplastiche sarcomatose, se se ne eccettuino pochi accen¬ ni in una memoria di Palazzo (’909). Infatti Palazzo (’909), a proposito dello studio di alcuni en- doteliomi della parotide, parla di due degenerazioni, alle quali vanno soggetti questi neoplasmi. La prima sarebbe la degenerazione mucosa, che col- — 134 — pisce il connettivo interposto fra le cellule , connettivo che si colora elettivamente con la nuciemateina ed in rosso intenso con la tionina (sic); avrebbe la medesima disposizione ad ammassi spongiosi come il muco delle cellule mucipare. Le cellule, nor¬ mali di aspetto, in mezzo a questa massa, nei gradi avanzati si metamorfoserebbero anche esse, assumendo meno bene i colo¬ ranti e perdendo la membrana nucleare. Uria seconda forma di degenerazione, secondo Palazzo (’909), sarebbe la ialina, per la quale il connettivo è ridotto a zone omogenee, colorate uniformementé con Teosina. La degenerazio¬ ne ialina, oltre del connettivo interstiziale, interesserebbe pure gli ammassi cellulari, che si ridurrebbero a blocchi rotondeg¬ gianti con struttura concentrica. L'origine cellulare di queste masse si dimostra per la presenza dei nuclei alla periferia di esse. Della degenerazione ialina Palazzo ('9t3) ritorna a parlare, nel Rendiconto del primo triennio della 2^ Clinica chirurgica di Napoli, riferendo i medesimi endoteliomi della parotide, che sono stati oggetto della sua precedente me¬ moria. “ Riguardo alla natura di questo tessuto, direi di soste¬ gno del tumore che costituisce le maglie della rete, cioè se esso è connettivo in degenerazione ialina o ammassi di cellule neo¬ plastiche, che hanno subito questa degenerazione, io penso in¬ dubbiamente essere di provenienza cellulare , giacché in molti punti si notano forme di transizione tra elementi cellulari e que¬ sto tessuto ialino. In effetti molte cellule incominciano a pre¬ sentare un alone chiaro intorno al nucleo, nel mentre che questo diventa irregolare e si colora male e infine finisce collo sparire, non residuando al suo posto che uno spazio chiaro mano mano meno visibile e d'altra parte in nessun punto ho potuto vedere una diretta continuazione di connettivo o fibroso o molle con queste masse ialine [Palazzo (’9I3)] „. E qui finisce tutta la bibliografia dell'argomento. In un tumore misto della parotide - mix osarco ma -, operato in Clinica chirurgica il giorno 3 febbraio 1920 (Teresa P... anni 31), ho avuto occasione di studiare upa speciale dege¬ nerazione, che per i caratteri microchimici è molto simile a — 135 — quella da me precedentemente osservata nei sarcomi* ulcerati delle cavità nasali, sebbene per altri, in ispecie per i morfolo¬ gici, sembra differire non poco da essa, accostandosi di più al tipo di degenerazione ialina di origine cellulare accennata da Palazzo (’909) negli endoteliomi della parotide, tenendo in ciò conto più dei disegni, che della descrizione, che il citato A. dà della modalità patologica in parola. La genesi dei blocchi di sostanza degenerata resta poi sem¬ pre la medesima in questo caso di mixosarcoma della paro¬ tide, nei sarcomi ulcerati delle fosse nasali, e nei globi di Mol- luscum contagiosum di Bateman, in guisa, che credo, si sia au¬ torizzati a trarre delle conclusioni generali. Il neoplasma, di forma ovoidale, a superficie liscia, presenta una faccia esterna convessa ed una profonda pianeggiante; il maggiore diametro misura cm. 6 ed il minore cm. 3,5. È ri¬ vestito da una spessa capsula di tessuto connettivale, nella quale decorrono numerosi vasellini sanguigni. La tensione della capsula era tale, che clinicamente prima delbatto operativo ci trasse in errore, facendoci porre la diagnosi di condrosarcoma della pa¬ rotide. La superficie di taglio è uniforme, di colorito grigio- bian¬ castro, e la consistenza molle-elastica. Il tumore della parotide da me studiato è, all'esame istolo¬ gico, abbastanza complesso ed è utile schematizzarlo. Descriverò quindi: 1.° la capsula di inviluppo, 2.° gli elementi neoplastici, 3.° alcune speciali degenerazioni delle cellule sarcomatose, 4.° le masse ialino-connettivali. l.° Capsula di inviluppo. — Una capsula di tessuto connettivo piuttosto uniforme circonda il neoplasma e lo separa dai tessuti sani. Quello che colpisce ad un primo esame (serven¬ dosi per es. di un preparato colorato con emallume ed eosina) è il diverso comportamepto dei suoi elementi rispetto ai colo¬ ranti: la diversità di comportamento microchimico corrisponde infatti ad una sensibile differenza morfologica di essi. La capsula risulta nella superficie distale di fasci di fibrille addossati ed ammassati, poco tingibili con i colori acidi e basici di anilina e forniti di scarsi nuclei bastonciniformi, che mostrano — 136 — anche essi poca affinità chimica per i colori cromatici. In essi - nei forti ingrandimenti - si riesce a vedere appena una capsula ed un sottilissimo reticolo di cromatina: mai nucleoli, mai masse cromatiche, ecc. Man mano che dalla periferia della capsula si va verso il centro, le cellule acquistano una forma più nettamente fusata. Il loro citoplasma, finamente reticolare racchiude delle masse più dense e qualche inclusione cromatofila e si tinge intensa¬ mente con i colori acidi di anilina. Il nucleo, di forma vescicolare, ha una membrana piuttosto spessa, un reticolo cromatico, uno o due nucleoli e delle masse cromatiche. Questi elementi connettivali circoscrivono delle lacune, nelle quali si rinviene qualche linfocito quasi sempre neutrofilo e delle cellule connettivali per lo più di forma stellare. È evidente che gli elementi distali corrispondono ad una fase di senescenza ri¬ spetto ai prossimali. Scarsissimi i vasellini sanguigni. La capsula connettivale di inviluppo circoscrive il tumore propriamente detto, difatti in molti punti si ha un limite netto fra il tessuto connettivo capsulare e le cellule neoplastiche, ma in altri invece fifuesto limite non esiste, verificandosi una vera zona neutra, nella quale si trovano dissociati elementi connet¬ tivali e cellule neoplastiche, e, data la scarsa irrigazione san¬ guigna della capsula, si ha l' impressione che le cellule neopla¬ stiche debbano finire per usurare questo strato di difesa del- Torganismo, senza che si verifichi la possibiltà di un processo reattivo infiammatorio di natura organizzante. 2.0 Elementi neoplastici. — Il tumore propriamente detto ha un debolissimo stroma connettivo, che in molti punti è tanto scarso da apparire solo ammassi di cellule : non vi ha quindi divisione in lobi ed in lobuli, nè è possibile osservare dei reliquati di glandola parotide, che è completamente distrutta e trasforinata in masse sarcomatose e mixomatose. La disposizione delle masse mixomatose e sarcomatose non è determinata secondo un tipo stabilito : volendo descriverle si può dire che il tumore risulti fondamentalmente costituito da elementi mixomatosi, che rappresentano T impalcatura del neo- plasma, ed in questo stroma mixomatoso sono distribuite senza un ordine le masse sarcomatose, che variano di forma e di grandezza, sebbene le cellule rispondano ad un unico tipo. Cellule mixomatose. — Gli elementi mixomatosi sono cel¬ lule simili a quelle del tessuto connettivo mucoso normale, a quelle della gelatina di Wharton. Sono di forma stellare, nude, fornite di prolungamenti, che si anastomizzano tra loro e che prendono contatto con i fascetti di fibrille connettivali e con le fibre elastiche. Il loro citoplasma, nei preparati fissati in acido osmico e nei sali di mercurio, si presenta leggermente granuloso, quasi trasparente ed ha ie reazioni microchimiche della mucina. Il nucleo è grande, di forma ovoidale e fornito di una membrana propria, piuttosto sottile, che non può essere inter¬ pretata come il semplice reddensamento del reticolo nucleare, giacché nei forti ingrandimenti si riesce a constatare, che questa membrana non si fonde col reticolo stesso nè con le masse cro¬ matiche endonucleari e si colora meno intensamente di esse con i colori cromatici. Il reticolo cromatico risulta di una rete fitta di granuli moniliformi, nelle cui maglie si trovano libere le masse cromatiche ed i granuli cromatici. Non in tutti gli ele¬ menti mixomatosi mi è riuscito di osservare la presenza di uno o due nucleoli, i quali, quando si rinvengono, hanno (come sempre) delle reazioni microchimiche un po' diverse da quelle del reticolo cromatico e delle masse cromatiche. La sostanza acromatica del nucleo è data da un sottile re¬ ticolo di linina, da uno stroma, nel quale sono distribuite le formazioni cromatiche. Assenza di figure cariocinetiche. Non è facile dire se ciò sia dovuto al fatto che gli elementi sarcomatosi si siano sovrap¬ posti alle cellule mixomatose, o perchè questa varietà dì tes¬ suto abbia scarso potere riproduttivo. Non può addebbitarsi la mancanza 'di figure cariocinetiche a difetto di tecnica, perchè i pezzi del tumore sono stati fissati rapidamente, in guisa da essere certi che non si sieno indotte in essi degenerazioni di sorta. Per vero si potrebbero forse interpretare come figure cariocinetiche alcune speciali cellule, nelle quali si constata il citoplasma molto più chiaro, e nelle quali il nucleo si avvicina — 138 — ad uno stadio di sinapsi, cioè a dire che la sostanza cromatica è tutta raccolta al centro del nucleo ed acquista una spiccata basofilia. Basarsi ad ammettere delle mitosi in questo caso solo sul fatto dello stadio di sinapsi dei nuclei, quando mancano altri stadi cinetici, credo sia azzardato, sebbene per Bashford e Murray. (’906) la sinapsi sia sempre l'inizio delle cariocinesi delle cellule dei tumori maligni, opinione che non è stata poi accettata da tutti i citologi. Cellule sarcomatose. — Le cellule sarcomatose, sia che si trovino isolate, sia che sieno riunite in ammassi, rispondono sempre ad un unico tipo; sono cioè elementi di forma sferica o leggermente poliedrica e privi di membrana, con un citoplas¬ ma a struttura reticolare con parecchie inclusioni cromatofile nell'interno. Che cosa rappresentano queste formazioni? Argomento al certo molto discusso in citologia è quello della presenza nel protoplasma di una cellula di inclusioni, di formazioni, che abbiamo delle reazioni microchimiche tanto di¬ verse dal protoplasma e che invece si avvicinano e si confon¬ dono con le reazioni nucleari. I recenti metodi di colorazione, e specialmente l'osservazione dei preparati eseguita con forti ob¬ biettivi ad immersione e la luce artificiale monocromatica hanno permesso di potere approfondire lo studio di esse, ed eliminare l'ipotesi che dovessero essere interpretate come parassiti. Infatti il primo a dare un contributo su questa delicata quistione è stato Michaelis ('903): egli, adoperando le reazioni di mordenzamento a quelle del grasso, ha potuto venire alla conclusione che le inclusioni anzidetto fossero di natura albu- minoidea e grassa. E nello stesso ordine di idee è venuto Apolant ('903): egli chiarisce oltre che la natura chimica, anche la ge¬ nesi delle inclusioni, pensando che sarebbero di duplice natura, e cioè citoplasmatica e nucleare, e queste ultime si avrebbero per risoluzione del reticolo cromatico e dei nucleoli. Nel primo inizio del loro evolversi le inclusioni sarebbero escliisivamente di natura albuminoidea : l'accumularsi in esse di gocciole di grasso, darebbe le caratteristiche chimiche di questa sostanza e cioè l'annerimento con l'acido osmico, la colazione rossa con lo Scharlach R. ecc. Burnet ('906) crede di essere autorizzato a considerare che nelle cellule ammalate in genere si debbano studiare tre ordini di fatti, e cioè nucleo, cromidi ed inclusioni: queste ultime si mettono in evidenza - quando i pezzi sono fissati nella miscela di Flemminq - mercè la colorazione con il rosso di Magenta ed il picroindico carminio, laddove, se si adopera come colo¬ rante il Giemsa, si hanno colorati soltanto il nucleo e le granu¬ lazioni cromatiche extranucleari (cromidi), restando scolorate le inclusioni, e se invece ci si serve della colorazione consi¬ gliata da Lòffler si hanno tinti il nucleo e le inclusioni. 10 penso che per lo studio delle inclusioni protoplasmatiche la migliore fissazione sia quella con le miscele osmiche (Flem- MiNG, Hermann) però anche i sali di mercurio (bicloruro) sono eccellenti fissativi. Come colorazione, facendo il confronto con i metodi esposti dai precedenti autori e da Ewing (’905), ho tro¬ vato che tutti non danno delle immagini più chiare e migliori delhematossilina ferrica secondo Heindenhain. Purché si abbia una sufficiente pratica di questo metodo si possono ottenere dei risultati invero superiori agli altri. Le inclusioni quindi, che si rinvengono nel citoplasma delle cellule patologiche, quasi sempre sono di origine nucleare e sono da considerarsi come una diffusione di proteidi del nucleo. Esse hanno pertanto delle reazioni un pò diverse dalla croma¬ tina, e si tingono costantemente con minore intensità di essa: come morfologia sono amorfe e questa assenza di struttura è confermata pure seguendo la tecnica consigliata da Burnet ('906), cioè la fissazione in alcool assoluto e la colorazione Romanowsky. 11 nucleo di questo tipo di cellule sarcomatose è un poco più complesso di quello studiato negli elementi mixomatosi. Oltre la membrana nucleare, il reticolo cromatico, le masse cro¬ matiche libere ed i granuli cromatici si ha costantemente la presenza di uno o di due nucleoli molto refrangenti, che ap¬ paiono sopracolorando il preparato con la tintura di epiatossi-- lina e scolorandolo successivamente con la soluzione di allume di ferro. È facile notare anche molte risoluzioni nucleari. Per l'opposto delle cellule mixomatose, in questi elementi è facile riscontrare figure cariocinetiche, e le cariocinesi rispondo¬ no alla descrizione da me precedentemente fatta [Gargano ('910)]. L'unica osservazione che si deve fare si è che, dove nel tu- 140 — more in esame si verificano figure cariocinetiche, non si ha la speciale degenerazione, e viceversa dove si ha la degenerazione, non si mostrano mai figure cinetiche. 3.0 Degenerazione delle cellule sarcomatose. — Non tutti i gruppi di cellule sarcomatose vanno incontro a que¬ sta speciale alterazione degenerativa, ed in un gruppo, dove essa si svolge, non sono tutti gli elementi, che vi prendono parte. La presenza di un alone chiaro perinucleare in una cellula sarcomatosa segna il primo inizio di questo processo. È op¬ portuno pertando essere molto prudente nell’ interpretare il fe¬ nomeno in parola, giacché una zona chiara citoplasmatica peri¬ nucleare si constata pure all'inizio della mitosi, con la differenza che nelle mitosi essa è meno circoscritta. Le masse cromatofile, che quasi costantemente si trovano nel protoplasma si vanno spezzettando e raddensando tutte nell' ectoplasma della cellula, fino a trasformarsi in granuli, i quali del punto di vista chimico perdono le loro spiccate caratteristiche cromatofile. Con l'aumentare della zona chiara perinucleare si ha paral¬ lela la migrazione del nucleo dall'endoplasma nell'ectoplasma. È allora che incominciano ad apparire nell'endoplasma chiaro delle gocciole, delle granulazioni di una sostanza, che radden¬ sandosi assume l'aspetto di un piccolissimo globo. Nell'ectopla¬ sma invece si va svolgendo una nuova alterazione, e cioè il for¬ marsi di una membrana cellulare, che si tinge bene con i colori basici di anilina e che resta abbrunata nelle fissazioni osmiche. Tenendo presente le reazioni microchimiche di questa mem¬ brana, la sua morfologia, si può interpretarne la genesi sia come un raddensamento del citoplasma, che come una migrazione alla periferia della cellula dei lipoidi delle granulazioni cromatofile protoplasmatiche. La cellula, in fase di corpuscolazione, diventa ' più decisamente sferica ed aumenta gradatamente di volume col crescere nel suo interno il globo. L'aumento di volume porta una diminuzione graduale dell' ectoplasma granuloso , fino ad aversi negli ultimi stadi una formazione patologica sferica co¬ stituita da un involucro amorfo alla periferia e di una cavità, nel cui interno si trova il globo, che non sempre è sferico, ma qual¬ che volta più o meno ellittico. — 141 — Nella cennata cavità possono trovarsi alcuni granuli sferici disposti spesso a monili, di sostanza spiccatamente cromatofila. La grandezza della formazione patologica globulare può es¬ sere considerevole , tanto che nei tagli microtomici si può os¬ servare solo la cavità senza il globo. Parallele alle alterazioni citoplasmatiche si osservano quelle nucleari. Il nucleo fino alla fase di migrazione dalh endoplasma airectóplasma, cioè fino a quando neirelemento sarcomatoso in¬ cominciano ad apparire le gocciole di sostanza corpuscolare, non presenta note degne di rilievo, se se ne escluda il fatto di ri¬ scontrare una lieve contrazione centrale del reticolo cromatico: sembra quasi, che il nucleo sia in uno stadio di sinapsi, se non si avesse dal punto di vista microchimico una diminuita eletti- vità di colorazione per i coloranti della cromatina. A questo stadio di contrazione del reticolo cromatico se¬ guono le risoluzioni nucleari, che non sempre possono riportarsi àd un unico tipo , la più frequente delle quali è la formazione nel nucleo di uno o due punti di raddensamento della croma¬ tina, a forma di sfere , qualche volta fornite di raggi , in guisa che il nucleo apparisce formato all' esterno da una membrana nucleare debolmente tingibile con Tematossilina e con la saffra- nina, e albinterno da uno o due corpicciuoli sferici forniti o non di raggi. Sono questi ammassi raddensamenti della sostanza cro¬ matica del nucleo, ovvero possono ritenersi come generatori del globo ? Tenendo conto della semplice osservazione dei preparati, e non di preconcetti dottrinali , credo che i nucleoli non diano alcun contributo all' evolversi di queste masse e che invece si risolvano in piccoli granuli sferici , che non infrequentemente ^ possono apparire nell'interno della cavità cellulare, e che i corpi sferici o stellari sieno il risultato della trasformazione del reti¬ colo cromatico e delle masse cromatiche, e che alla loro volta questi corpi sferici, risolvendosi, aumentino il globo. La pre¬ senza dei raggi potrebbe dare conforto alla cennata concezione: le masse cromatiche si andrebbero risolvendo mercè questi pro¬ lungamenti. Infatti con il progredire della degenerazione citoplasmatica, col diminuire dell'ectoplasma cellulare, si ha che i nuclei risul- — 142 — tano costituiti di una sottilissima membrana , di un enchilema limpido, senza traccia di reticolo cromatico, e neH'interno di due o uno dei cennati corpicciuoli stellari; e, prima che essi si ri¬ solvano completamente, si verifica la completa degenerazione della membrana. I corpicciuoli in questo stadio sono liberi nella ca¬ vità cellulare, ed infine si risolvono in quei tali granuli croma¬ tofili moniliformi, ai quali ho accennato. Le cellule, alla periferia dell' elemento , che ha originato il globo, il corpuscolo di degenerarione, assumono una forma po¬ liedrica, spesso cilindrica : si ha l' impressione di osservare un globo libero in una cavità, circondato da uno o più ordini di cellule cubiche, che appaiono per la loro morfologia di natura epiteliale. Esse, oltre l'alterazione di forma, non mostrano note degenerative , nè mai (a differenza di ciò che avviene per il Mollascum contagiosam di Bateman) si verifica che un globo ne abbia generato un altro. • Quale è la natura delle masse ialino-connettivali e quale quella dei globi originati dalla degenerazione cellulare ? Pochi argomenti sono così oscuri in anatomia patologica quanto le degenerazioni cellulari in genere e la ialina in ispecie, e chi per poco ha seguito le opinioni dei diversi autori, che si sono occupati, per esempio, della genesi dei globi di Henderson nell' affezione morbosa denominata Mollascum contagiosam di Bateman, deve convenire essere le degenerazioni cellulari ancora molto discusse, oltre che per la difficoltà di trovare dei reattivi microchimici atti a differenziare in modo definitivo la degene¬ razione ialina dalla mucosa , dalla colloidea e dalla amiloidea, anche per il fatto dell' ignoranza molte volte da parte dei vari osservatori delle indagini degli altri. Litten (’877), introducendo nella cavità addominale di ani¬ mali pezzi di tessuto amiloideo e lasciandoli alcuni mesi, ha po¬ tuto constatare , che essi assumono un aspetto molto simile a quelli ialini: infatti la sostanza in parola, pur conservando la sua trasparenza ed omogeneità, non reagirebbe più allo jodo ed al violetto di metile. Ranvier (’879) consiglia per la dimostrazione della sostanza ialina il processo di van Gieson , che la tinge in rosso splen¬ dente: osserva pertanto VA che la sostanza ialina si confonde con — 143 — la sostanza colloide, che assume anche essa col van Gieson in¬ differentemente sia la colorazione rosso splendente, che quella rosso-giallo. Rechlinghausen (’883) comprende nel capitolo della de¬ generazione colloide, le tre forme di degenerazione, Tamiloidea, la mucosa e la ialina ed avverte che esse sono prodotti cellulari di natura colloide , e quindi insolubili negli umori dei tessuti, ma suscettibili come tutti i colloidi di rigonfiarsi. Le caratteristi¬ che microchimiche del sottotipo ialino sarebbero l'intensa co¬ lorazione con r cosina , col carminio e picrocarminio e con la fuxina acida e 1' aspetto otuogeneo.. La sostanza ialina trattata con gli acidi si altera poco e per la sua resistenza verso l'alcool, l'acqua, l'ammoniaca e gli acidi somiglia alla sostanza amiloide, ma non dà la reazione jodica di questa. TÒròk e Tommasoli ('889) credono di poter distinguere la degenerazione ialina dalla degenerazione colloide mercè delle reazioni chimiche. La sostanza ialina, secondo gli aa., resiste agli acidi acetico, formico, ossalico, solforico, cloridrico, azotico con¬ centrato e lisciva potassica. ZiEQLER (’896) nel riferire le caratteristiche della sostanza ialina enunciate da Recklinqhausen ('883) e gli organi nei quali essa si formerebbe , accenna al fatto , che il citato A., sotto il nome di sostanza ialina, comprende formazioni, che fino ad ora sono state attribuite in parte alla degenerazione colloide, in parte alla necrosi da coagulazione ed alla trombosi, ed in parte alla degenerazione ialina del tessuto connettivo. Zieqler (’886) è di opinione che le note della sostanza ialina, indicate da Recklin- GHAUSEN (’8.83) non sieno sufficienti a qualificare esattamente una sostanza: tutti i colori citati tingono intensamente diverse so¬ stanze. L'A. a sua volta invece, per l'aspetto e per la sede con- nettivale e vasale, accosta la degenerazione ialina alla amiloidea, pur osservando che delle speciali reazioni la differenziano. Non crede possa dirsi con esattezza come si generino queste sostanze, nondimeno ha l' impressione che le pareti vasali ed il tessuto connettivo fossero imbevuti da un liquido, che di poi si coa¬ gula: probabilmente i corpuscoli bianchi e le piastrine del san¬ gue possono fornire materiale, per la sostanza ialina, anzi, se¬ condo Oeller, bisognerebbe aggiungere anche la partecipazione — 144 — dei corpuscoli rossi. La reazione pertanto consigliata da Ziegler ('895), per non confondere la sostanza ialina con la colloide, è quella di tingere i tagli con il liquido di van Gieson, e cioè ipercolorazione con ematossilina, decolorazione e colorazione di contrasto nella soluzione acquosa di acidp picrico colorata in rosso chiaro da alcune gocce di una soluzione di fuxina acida. Con questo processo la sostanza ialina prende un colore rosso vivo, laddove la sostanza colloide si tinge in rosso aranciato. Per VoLKMANN ('895) la degenerazione ialina è l'esponente di una insufficiente nutrizione del tessuto; le cellule mal nutrite o degenererebbero ovvero secrecherebbero la sostanza in parola. L'opinione di Volkmann ('895) è seguita pura di Drissen, (’908), per il quale il glicogeno elaborato dalle cellule neoplastiche si trasformerebbe in sostanza ialina. Gaucher e Sergent (’898) preferiscono la colorazione con il picrocarminio, col quale reattivo si avrebbe una tinta rosso arancio. Per Audry (’886) e per Marullo (’994) mancherebbero delle reazioni chimiche atte ad individualizzare la sostanza ialina e a non confonderla con la eleidina, sebbene per quest' ultimo A. potrebbero giovare delle reazioni microchimiche basate sul com¬ portamento di alcune ematossiline, e specialmente di quella De- LAFIELD. Unna (’905) infine conclude dicendo che la sostanza ialina per la sua omogeneità si distingue nettamente dal protoplasma delle cellule generatrici di essa. Questi elementi infatti conser¬ vano i loro prolungamenti ed in molti casi una zona di cito¬ plasma attorno al globo ialino. I globi ialini, tanto simili per le reazioni microchimiche e per la genesi (?) ai corpuscoli descritti da Plimmer, hanno in patologia grande importanza. Reazioni della sostanza ialina, la resistenza agli acidi ed alle basi. Reazioni chimiche e microchimiche della sostanza ialina \ — 145 — — 146 — Ricapitolando in uno specchietto le reazioni chimiche e mi¬ crochimiche consigliate per lo studio della sostanza ialina, si vede chiaramente la confusione, che regna su questo capitolo di Ana¬ tomia patologica, tanto da sembrare più giusta raffermazione di Menetrier ('910): " 1 a degenerazione ialina è difficile a caratterizzarsi e a definirsi altrimenti che per lesueparvenzeottiche,,. Le osservazioni da me eseguite sulla- degenerazione del con¬ nettivo e delle cellule di questa varietà di sarcomi mi convin¬ cono trovarci di fronte a due sostanze di natura chimica diversa: come diverso è il comportamento microchimico, così diverso è anche quello morfologico. Infatti quale che sia la colorazione adoperata per tingere le sezioni del neoplasma, si ha che la de¬ generazione connettivale è sempre meno intensamente colorata dei globi, i quali assorbono indifferentemente i colori acidi ed i basici di anilina, in guisa, che, per esempio, nella doppia co¬ lorazione emallume-eosina, la degenerazione connettivale prende la colorazione rosea dell'eosina, laddove il globo assume quella roseo-bleu, roseo-violetta. Se il preparato è fissato con una delle miscele osmiche, Flemming, Hermann, i globi in parola si tingono in nero. Con l'ematossilina ferrica (anche quando la fissazione sia stata fatta in un liquido a base di sali di mercurio o in alcool), la degerazione connettivale appare di una tinta gialletto-paglierina, laddove quella cellulare si mostra tinta in nero intenso. Quindi senza tentare di poter risolvere la quistione col solo criterio microchimico, credo si sia autorizzati a dire che le due degenerazioni sieno diverse 1' una dall' altra, e che quella con¬ nettivale, per le sue caratteristiche ottiche, potrebbe essere in¬ terpretata come degenerazione ialina. In questa varietà di sarcomi la degenerazione cellulare, che dà come reliquato il globo, è molto simile a quella da me pre¬ cedentemente studiata nei sarcomi ulcerati [Gargano (’910)], ed il globo - ultimo reliquato della degenerazione - ha molte ana¬ logie con i corpuscoli di Henderson, che si rinvengono nei tu- moretti di MolLusciim contagiosum di Bateman. 4.° Masse ialino-con netti vali. — Le masse ialine, che si rinvengono in questo tumore della parotide sono di forma varia e non bene determinate : se ne hanno alcune sferoidali, altre a fa¬ sci, rna, quale che sia la forma, mai si constata un limite netto col restante del tessuto neoplastico. Si ha T impressione che il pro¬ cesso abbia carattere invadente e che si vada estendendo dal centro alla periferia e che abbia come punto di partenza il con¬ nettivo interstiziale delle masse sarcomatose e non quello delle zone mixomatose. Più abbondanti sono i punti enficiati sotto la capsula d'inviluppo del tumore. Le masse, che chiamo ialine, per i loro caratteri ottici, ri¬ sultano effettivamente di un tessuto fondamentale amorfo o leg¬ germente fibrillare alla periferia, sono trasparenti, assumono un colorito giallo-pallidissimo nelle colorazioni aH'ematossilina fer¬ rica, anche dopo fissazione nei liquidi a base di acido osmico, e rosa-pallido nelle colorazioni con l'eosina. Non si tingono mai con i colori basici di anilina. In esse si rinvengono due specie di elementi, si notano cioè dei nuclei più o meno ovalari, che hanno un sottile reticolo cro¬ matico e che sono sempre privi di nucleoli e di masse croma¬ tiche. Questi nuclei sono circondati da un alone chiaro, più tra¬ sparente e limpido della massa ialina: sembrano liberi in una capsula, in una cavità. Vi sono poi altri elementi di forma stellare con scarso ci¬ toplasma che si prolunga in corti prolungamenti, e queste cel¬ lule sono fornite di un nucleo vescicolare, un poco più carico di sostanza cromatica dei nuclei precedenti. Queste due specie di cellule, come topografia, si trovano non indifferentemente nelle masse: quelle rappresentate dai soli nu¬ clei e dalle cavità perinucleari sono site verso il centro della massa ialina, laddove le altre sono più abbondanti alla periferia. Non è facile allo stato attuale della scienza enunciare delle teorie o spiegare la genesi della sostanza ialina, nè la funzione degli elementi in essa contenuti. Secondo Ziegler (’897) vi sarebbero tre modi di produzione della sostanza ialina, due di origine vasale ed una esclusivamente connettivale. Quando la sostanza ialina si forma per alterazione vasale, si depositano attorno alle pareti dei vasellini capillari delle gocciole di una sostanza, die coagulandosi, forma la massa ia- 148 — lina, ed in secondo tempo si avrebbe o non Tobliterazione del vasellino sanguigno. Nella produzione connettivale invece il connettivo diventa omogeneo, perde la sua striatura e più tardi, nello stesso modo che nella degenerazione amiloide, si formano zolle per screpo¬ latura: gli elementi specifici del territorio della degenerazione, nonché le cellule del connettivo, subiscono una pregressa atrofia. Palazzo (’909) pensa che la sostanza ialina, quando deriva dal connettivo, induce in esso la perdita della striatura e la for¬ mazione di una massa omogenea ricca di fibre elastiche assai esili, con pochissimi nuclei, che - in secondo tempo - si colorano poco, impallidiscono, spariscono, come spariscono pure le fibre elastiche, per cui in ultimo quel tratto di tessuto si trasforma in una massa omogenea. Pascale [osservazioni inedite in Palazzo C909)] è di opi¬ nione che la degenerazione ialina colpisce essenzialmente il con¬ nettivo, lo stroma del tumore, che, secondariamente sarebbe in¬ vaso da parte delle cellule neoplastiche. Volendo azzardare delle ipotesi (e confortato dalle osserva¬ zioni di Pascale), penso che la sostanza ialina in questo tumore sia generata dalle fibrocellule del connettivo interstiziale e dagli elementi mobili di esso, per deposito di una sostanza colloge- na (?) amorfa, e che man mano che questa si deposita si abbia la distruzione delle cellule proprie del connettivo, residuando il solo nucleo. Le altre cellule, le stellari, potrebbero essere degli elementi sarcomatosi, che dalla periferia si infiltrerebbero nelle masse stesse, rappresentando (quasi?) degli elementi di difesa delle cellule sarcomatose contro la degenerazione connettivale. Mai mi è stato dato di constatare una origine vasale della so¬ stanza ialina. Clinica chirurgica della R. Università di Napoli. LAVORI CITATI 1903. Apolant, H. — Beitrag zar H istologie der GeflUgelpocken : Vir- chow's Archiv., Bd. 174 p. 86-95, 1 T. 1899. Audry, C. Sur la lesion da mollascam co ntagio sarti : Ann. Der- mat. Syph. 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Marullo, a. — Contributo allo stadio del mollusco contagioso^ Epitelioma mollascam {Virchow) , Epithelioma contagiosam {Bollinger- Neisser): Giorn. intern. Se. med. Napoli. Voi 26, p. 502-508. 1910. Menetrier, P. — Cancro. [Trad. it.]: Unione Tipografico Editrice Torinese, p. 59. 1909. Palazzo, G. — Sugli endoteliomi della parotide: La Clinica chi¬ rurgica. Anno 17, p. 1634-1657, 10 T. 1913. Palazzo, G. — Falcone, R. — // primo triennio della 2.^ Clinica Chirurgica della R. Università di Napoli: Napoli. Tip. Luigi Guerrera. 1903. Michaelis, L. — Mikroskopische Untersachangen ueber die Taa- benpoche: Zeit. Krebsforschung. Bd. 1, p. 105. — 150 — 1879. Ranvier, L. — Sur ane substance nouvelle de Vépiderme et sur le processus de K^ratinisation du revètement épidermique : C. R. Acad. Se. Paris: Tome 88, p. 1361-1365. 1883. Recklinghausen, von. — . Allg. Path. des Kreistants u. der àruarung, Stuttgard. 1889. 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(Finito di stampare il 30 giugno 1922). / Note sulla biologia del T Ostrica (Ostrea edàlis L.) !♦ - Nascita delle larve e durata del periodo larvale del socio Ptof* Giuseppe Mazzatelli (Tornata del 30 aprile 1922) La biologia dell' ostrica dei nostri mari [Ostrea edàlis L.) può dirsi ancora in gran parte sconosciuta, quantunque si tratti di uno dei più comuni e noti molluschi, che, per giunta, quasi ab immemorabili , è oggetto di estesi e redditizi allevamenti; i quali, per essere condotti in modo raziònale, avrebbero, d' altra parte, bisogno che fossero conosciute nel miglior modo possibile le condizioni necessarie alla vita del ricercato bivalve. Un capitolo di tale biologia del maggiore interesse per la ostricoltura è certamente quello che concerne la produzione delle ostriche, e, in modo particolare, la distribuzione delle larve nelle varie falde acquee, le condizioni necessarie alla vita di esse, e infine, il che ha un' importanza capitale, la durata della vita pe¬ lagica delle larve stesse. Invero l' operazione culminante dell'ostricoltura è quella del- r immersione dei collettori (fascine, tegole, pietre, rottami di sto¬ viglie, conchiglie svariate, ecc.), i quali devono essere collocati in acqua al momento opportuno, e cioè non troppo tardi, perchè se è già cessato il periodo di vita libera delle larve queste non aderiranno più ai collettori; non troppo presto, perchè, special- mente nei seni, nei porti, o nei laghi litoranei, come il Fusaro, dove sono bassifondi, i collettori vengono rapidamente ricoperti da altri organismi, specialmente vegetali (nel Fusaro sopratutto un'alga verde, la Cladophora crystallina Both e Kuetz), sì da non esser più adatti alla fissazione delle larve. Affinchè una sif- — 152 — fatta operazione abbia a svolgersi in modo razionale occorre¬ rebbero air ostricoltore tre dati principali, e cioè; Indurata del periodo riproduttivo dell' ostrica (secondo la località), dato que¬ sto approssimativamente conosciuto ; 2® maniera di distribuzione delle larve nelle varie falde acquee, se cioè per es. esse si ten¬ gano verso la superficie o verso il fondo, il che non è cono¬ sciuto; 3° durata della vita pelagica delle larve, il che è egual¬ mente del tutto ignoto. Ignorandosi questi due ultimi interes¬ santissimi dati, r immersione dei collettori è proceduta sempre empiricamente, tenendo conto solo del primo dato e di altri dati ipotetici, quali quelli relativi alla temperatura, che si credeva do¬ vesse essere almeno di 18® C, e il cammino che tali larve per¬ correrebbero. Ma le mig osservazioni pongono ora in luce sia il modo di distribuzione delle larve che la durata della vita pe¬ lagica di esse, colmando così un'importante lacuna della biolo¬ gia dell'ostrica, e fornendo agli ostricultori i dati ad essi neces¬ sari per l'immersione dei collettori a tempo opportuno. \ E noto che la nostra ostrica, che rappresenta il gen. Ostrea ge¬ nuino, a differenza di altre sue consorelle dell'Atlantico {Gryphaea ungulata e virginica) è ermafrodita, e che emettendo essa le uova e lo sperma in tempi diversi, non può, come una volta erede- vasi, autofecondarsi. È noto del pari che mentre lo sperma viene emesso liberamente nelle acque , le uova restano nella cavità paileale della madre, e quivi sono fecondate dagli spermatozoi apportati colà dalle correnti. Sempre nella cavità palleale ha luogo l'intero sviluppo, finché l'embrione raggiunge lo stadio di larva veligera. Tutta la massa del fregolo è da principio di color bianco, poi diventa di color grigio, e infine nero intenso. Come è stato constatato anche dal Dantan il periodo del fregolo nero è di brevissima durata (qualche giorno), e subito dopo le larve veligere escono in libertà, o meglio sono espulse dalla madre, e nuotano nelle acque. Fin qui arrivavano le nostre cognizioni — essendovi poi una lacuna sino alle piccole ostri- h Ritengo che tutte le ostriche a sessi distinti debbano rientrare nel gen. Gryphaea, e quindi non solo Tostrica portoghese, ma anche Tamericana. Dantan, J. h. — La larve de VOstrea edulis L.): Annales Inst. Océan, T. VII, fase. 6, 1916. — 153 — chine di 1 mm. che si trovavano già fissate — cominciandosi con r ignorare perfino le modalità di questa uscita delle larve. Il citato Dantan al riguardo accenna soltanto ad un parti¬ colare, e cioè che le ostriche piene di fregolo nero possono la¬ sciare uscire un certo numero di larve, prima che abbiano rag¬ giunto la completa maturità, quando per una qualsiasi ragione la madre chiuda rapidamente le valve della conchiglia, che di solito tiene semiaperte; e ciò egli deduce dal fatto che quando le ostriche in tali condizioni sono poste a secco, chiudendosi bruscamente espellono un certo numero di embrioni. Per tal ragione, secondo il Dantan, si troverebbero in mare larve di òstrica in uno stadio meno avanzato di quelle ancora incubate nella cavità paileale materna: sarebbero larve espulse precoce¬ mente in seguito alla brusca chiusura delle valve. Ora io non ho potuto constatare questo strano fatto, che dubito possa ce¬ lare qualche equivoco nell' osservazione; ma posso dire che la chiusura rapida delle valve non è la causa determinante della espulsione precoce di una parte delle larve, sibbene questa può aver luogo quando, raccogliendosi le ostriche, dai bacini le si pongono, occasionalmente, all' asciutto con il cardine in alto e la " bocca „ della conchiglia in basso. Avendo il fregolo nell'ac¬ qua delle valve la consistenza di un liquido denso, quasi di una pasta molle , accade che quando l' ostrica è tolta bruscamente dall' acqua nella posizione indicata, qualche goccia di tale liquido vien fuori, come del pari vien fuori quando, per caso, o a bella posta, r ostrica viene in tale posizione tenuta in secco per qual¬ che tempo, perchè allora ciò si verifica non appena essa soc¬ chiuda anche per poco le valve. Quindi, se mai, l'uscita delle larve avviene quando l'ostrica apre la conchiglia, non già quando la c h i u d e. Quando un'ostrica che contenga certamente il fregolo nero, del che l'osservatore può assicurarsi tenendo l'ostrica stessa per un pò a secco nella posizione sopra indicata, vien posta sul fondo di un vaso pieno di acqua, essa quasi sempre espelle subito le larve ^). Ma l'operazione non è nè semplice — per 1' ostrica al- Fenomeno analogo a quello osservato già dal Lo Bianco in molti ani¬ mali marini. — 154 — meno, — nè breve come potrebbe credersi. Anzitutto V ostrica comincia con lo spalancare le due valve della conchiglia in modo del tutto insolito. Essa, che abitualmente, in acqua, non le tiene aperte che di pochi mm., la apre perfino di 15 mm., e poi, con continue e lente contrazioni dei muscoli del mantello, comincia a spingere, comprimendola, la m,assa del fregolo, spostandola len¬ tamente verso fuori. Le larve che, trovansi alla periferia di tale massa , spinte pian piano in piena acqua, cominciano a distac¬ carsi dalla massa stessa, e a nuotare, tenendosi per breve tempo entro le valve , e poi pian piano uscendone fuori , neir acqua ambiente, dove appena giunte vanno sul fondo, per poi rapida¬ mente risollevarsene risalendo verso la superficie. In questo mo¬ mento, dato il color nero delle larve che si staccano dalla massa principale di esse, e numerosissime girano per un certo tempo per le valve, e poi pian piano escono fuori della conchiglia spar¬ gendosi nell'acqua ambiente, si ha l'impressione che dalle valve dell'ostrica esca del fumo che si vada pian piano spandendo d'intorno. In tal guisa a poco a poco, con grande lentezza, tutte le larve escono fuori. Come ho già detto però 1' operazione è lunga, e non occorrono meno di due ore a che tutte le larve siano espulse della madre, la quale verso la fine di questo sin¬ golare parto „ riduce pian piano l'apertura della conchiglia, che ritorna ad essere quella normale. Durante la menzionata operazione, grandissima è la sensi¬ bilità dell'ostrica agli stimoli barotattici : un lievissimo urto al tavolo sul quale è posto il vaso basta a che l'ostrica , chiuda im¬ mediatamente le valve , per quanto spalancate , e sospenda per un minuto forse l'espulsione del fregolo. Come si è notato, una volta libere le larve dapprima di¬ scendono al fondo, ma subito dopo ne risalgono, andando verso la superficie. Ben presto però, a misura che lo sciame aumenta di numero, e va occupando a poco a poco regolarmente tutta intera la massa acquea del vaso, incominciano a manifestarsi dei singolari movimenti nello sciame stesso , di cui piccoli branchi risalgono sino alla superficie, e, raggiuntala , ridiscendono len¬ tamente al fondo, per poi risalire con eguale lentezza verso la superficie, e così di seguito, mentre altri branchi fanno il cam¬ mino in senso inverso, sì che si ha l' impressione che tutto lo — 155 — sciame turbini nell'acqua. Ciò dura per un' ora tutt' al più ; ma poi questi estesi movimenti , durante i quali per altro le larve occupano sempre uniformemente tutta la massa acquea conte¬ nuta nel vaso, finiscono col cessare, e le larve continuano a nuo¬ tare a piccoli gruppi, ora scendendo pian piano al fondo, e poi risalendo con eguale lentezza verso la superficie, ora trattenen¬ dosi a mezz'acqua; ma in generale esse mostrano sempre la ten¬ denza di scendere al fondo e poi risalire alla superficie. Questi secondi movimenti sono evidentemente dovuti alla larva per sè stessa, la quale nuota spontaneamente nelle varie direzioni; i primi invece, con i quali si vedono nettamente essere le larve trasci¬ nate da piccole correnti determinatesi nell'acqua, sono eviden¬ temente dei movimenti convettivi causati da una probabile dif¬ ferenza di temperatura fra l'acqua contenuta nelle valve dell'o¬ strica e l'acqua ambiente. Essi «infatti si ripetono ogni qual volta nel vaso si aggiunga altr'acqua , naturalmente con temperatura differente. Da quanto si è ora esposto risulta ad ogni modo un fatto assai interessante , che cioè le larve dell' ostrica si comportano ben diversamente da quelle di altri molluschi, per es. degli Opi- stobranchi, le quali si tengono abitualmente verso la superficie \ e verso la luce , formando in tali direzioni cumuli assai rile¬ vanti i). Invece esse si distribuiscono, direi quasi si diffondono, uniformemente in tutta la massa acquea del vaso, nè menoma¬ mente manifestano fototattismo di sorta. O che il vaso sia te¬ nuto neH'oscurità, o in piena luce, ovvero che solo un lato del vaso stesso sia colpito da raggi luminosi, restando nell'oscurità il resto, le larve dell'ostrica continuano sempre ad aggirarsi in tutta la massa acquea, nella quale seguitano a distribuirsi in maniera affatto uniforme. L' unico punto di contatto che le larve dell' Ostrea edulis hanno con quelle dei citati Gasteropodi è che anch'esse sogliono mantenersi in gran numero al pelo dell'acqua, in una posizione di riposo, e cioè col velo espanso, e muovendosi solo col girare su se stesse mediante il lento movimento delle ciglia del velo h Mazzarelli, G. — Note biologiche sugli Opistobranchi del Golfo di Napoli: Atti Soc. It. Se. N. Voi. 40. Milano 1902. — 156 — medesimo; ma mentre questa posizione è tenuta a lungo dalle larve dei Gasteropodi, per le larve deirostrica è affatto transi¬ toria, e dopo breve tempo esse Tabbandonano per discendere al fondo. Le larve delbostrica son così vissute benissimo nelle va¬ schette del laboratorio, senza ricambio alcuno di acqua, per tutta la durata della loro vita pelagica — per la quale non è quindi necessario che esse siano portate lontano dal loro luogo di na¬ scita — e ciò sia se nate naturalmente, vale a dire espulse dalla propria madre nel modo più sopra descritto, sia se tolte da una ostrica piena di fregolo nero e stemperate — è la parola — neir acqua di un vaso. Durante questo tempo non è raro trovare nel loro stomaco qualche piccola diatomea o qualche spora di alga, e l'acqua del Fusaro è molto ricca di tali organismi, anzi nelle vaschette molto rapidamente si sviluppano delle alghe, e a ciò devesi la possibilità che le larve vivano e crescano senza che vi sia ricambio di acqua. Ma costantemente al 14° giorno dalla nascita , sia naturale che artificiale, ad un dato momento sparisce dal pelo dell'acqua lo strato formato dalle larve in po¬ sizione di riposo, le quali si sommergono del tutto e si mesco¬ lano alle altre. E quindi, lentissimamente, come una pioggerella sottile , le larve stesse cominciano a scendere al fondo. La di¬ scesa non si fa per strati, nel senso che lo strato acqueo verso la superficie resti privo di larve, le quali si accumulerebbero poi verso il fondo ; ma, pur restando sempre le larve regolarmente distribuite in tutta la massa acquea, il loro numero va scemando a poco a poco, man mano che molte larve vanno a posarsi sul fondo, finché rare restano le larve natanti, che alla fine discen¬ dono anch' esse al fondo , e non più una sola larva si vede nuotare. Affinchè la massa principale delle larve sia al fondo non occorrono meno di 48 ore; e cioè occorre giungere al 16® giorno dalla nascita; ma sovente ne restano ancora poche natanti al 17° e perfino al 18° giorno. Siamo quindi ben lontani da quanto prima opinavasi , e cioè che la larva resti libera " per uno e forse due o tre giorni „, come riferiva il Carazzi i). b Carazzi, X^.—Ostricultura e Mitilicultura, Milano, Hoepli, 1893, pag. 73. Al fondo di vetro del vaso le larve si mantengono in vita, con vivaci movimenti, due o tre giorni; ma poi muoiono tutte. Se però sul fondo del vaso stesso si è avuto precedentemente cura di collocare dei corpi solidi a superficie scabra (negli espe¬ rimenti sono stati collocati frammenti di tegole e piccoli pezzi di tufo) allora le larve cadute su di essi vi si fissano, e conti¬ nuano il loro sviluppo, del quale il primo segno è la scomparsa del velo. Al m.omento della fissazione la conchiglia misura poco più di mm. 0,20 nel maggiore suo diametro e poco più di mm. 0,19 nel minore. Osservate le piccole ostrichine 20 giorni dopo, la loro conchiglia misurava meno del doppio delle cennate dimensioni. 11 loro accrescimento è quindi molto lento, almeno nelle vaschette di esperimento. Il cennato sviluppo, dalla nascita delle larve sino alla fissa¬ zione di esse, si è avuto in marzo e aprile in condizioni di tempe¬ ratura oscillanti fra i 13^ e i 17<^ C. Il tempo impiegato dalla nascita alla fissazione è stato lo stesso, in due serie di espe¬ rimenti, nel primo dei quali si partì da una temperatura di 13® 4 C per giungere ad una temperatura di 17° al 14® giorno, pas¬ sando per una temperatura di 15° 8 all’ottavo giorno, e nel secondo si partì da 13° C per giungere al 14° giorno, a 15° 9 C, passando per una temperatura di 14» 4 C al 3° giorno e di 15o 4 C al 10°. In questo secondo esperimento si trovarono delle larve vaganti ancora al 17® giorno, e qualcuna perfino al 18°. Per quanto dunque V andamento della temperatura sia stato un pò diverso nei due casi, le cose non mutarono sostanzialmente, e la caduta delle larve s' iniziò egualmente al 14° giorno in en¬ trambi i casi. Ciò non toglie però che con temperature più ele¬ vate di quelle che si ebbero negli esperimenti il periodo di vita larvale potrebbe manifestarsi alquanto più breve. La fissazione delle* larve avviene dunque, e'io si è già com¬ preso, in modo cieco. Ad un dato momento, quasi che la con¬ chiglia sia diventata a un tratto troppo pesante, le larve cadono al fondo, e se, cadendo, vanno a finire su di un corpo solido che abbia delle anfrattuosità, vi si attaccano e seguitano a svilup¬ parsi, altrimenti muoiono. Non è quindi esatto il dire che se la larva trova, nuotando, un corpo solido su cui fissarsi vi si at¬ tacca e seguita a svilupparsi, altrimenti cade al fondo dove poi — 158 — potrà ancora fissarsi, o morire, secondo la natura del fondo stesso. Solo che in esperimenti di laboratorio, con acqua ferma, le larve cadono secondo la verticale ; ma invece nel mare o nel lago il movimento delle correnti può spingerle in determinati siti, anche assai lontani, e far sì che esse cadano poi secondo una linea ob- bliqua e si attacchino in una direzione piuttosto che in un’altra. Vi sono ostriche fissate in modo davvero singolare, come quelle che si sviluppano sulle conchiglie dei Marex loro nemici naturali, che sono così condannati, parrebbe , a portarle in giro senza po¬ terle divorare. Ho perfino un esemplare di Carcinus moenas con due ostrichine fissate sul suo scudo cefalico, di cui anzi una gli aveva completamente ricoperto l’occhio destro.. Mentre erano in corso le ora esposte osservazioni è per¬ venuto alla biblioteca della Stazione Zoologica il " Report of thè United States Commissioner of Fisheries „ per il 1919, pubbli¬ catosi alla fine del 1921 , il quale contiene una lunga relazione del Churchill sull’ostrica (che è poi, come si è detto,, la Gry- phaea virginica^ non la nostra Ostrea edulis) e l’ostricoltura in America ^). In tale relazione è riferito che i biologi americani, quali il Nelson e lo stesso Churchill, hanno potuto determi¬ nare che le larve, con la temperatura di 20o-21ol C (68°-70o Fahr.), trascorrono in generale almeno due settimane di vita libera prima di fissarsi. L'ostrica americana , come si è avvertito , è a sessi distinti, ed essa emette al momento opportuno i prodotti sessuali, sì che l’uovo viene fecondato in mare, e dopo 5-10 ore si svi¬ luppa in una piccola larva. Il periodo di due settimane viene quindi calcolato dal momento della espulsione delle uova, le quali non sono ancora fecondate. Ben diversamente le cose procedono nella nostra ostrica, la quale, dopo un periodo più o meno lungo, e ancora ignorato, durante il quale le uova sono fecondate nella cavità paileale e vi si sviluppano, espelle non già dei semplici prodotti sessuali, ma delle larve già bene sviluppate e atte alla vita libera. Strana¬ mente vi è però una coincidenza singolare, e che non era pre- \) Churchill, E. P. — The Oyster and thè Oyster Industry of thè Atlantic and Gulf Coasts, nel citato "Report,,, Washington, 1921.. vedibile : quella della durata della vita libera delle larve della Oryphaea virginica, che, pur a differente temperatura, è la me¬ desima di quella della Ostrea edulis. Mi auguro che le su esposte osservazioni possano riuscire utili nel campo delle applicazioni pratiche, specialmente per per quanto riguarda Tostricoltura nel lago Fusaro. Osservatorio Idrobiologico del lago Fusaro (Napoli)^ 29 aprile 1922. (Finito di stampare il 10 luglio 1922). Notizia di wW Asterias glacialisO.V .ìs\\JLLY.K con sei braccia pescata nel Golfo di Napoli. Nota del socio Prof* Giuseppe Zirpolo (Tornata del dicembre 1921) Già in un precedente lavoro i) mi sono occupato dtWAste- rias glacialis O. F. Muller e delle varie anomalie riscontrate da¬ gli Autori che ne hanno parlato. Poiché ultimamente ne è stato pescato un terzo esemplare nel Golfo di Napoli avente sei braccia di cui due rigenerate, mentre normalmente Tanimale ne ha cinque, credo opportuno darne notizia in questa Nota, anche perchè esso mi dà occasione di poter dimostrare che Tanomalia delle braccia degli Asteroidi può essere causata da iperrigenerazione. L'esemplare di cui mi occupo fu pescato nel d-icembre del passato anno. E' un esemplare di proporzioni non grandi , misurando il raggio maggiore — a partire dal centro del disco sino aU'estrema placca ocellare — mm. 110,0 ed il raggio minore — considerato dal centro del disco sino all'interradio — mm. 15,0. 0 ZiRPOLO, G. — Notizia di alcuni Asteroidi anomali pescati nel Golfo di Napoli. {Echinaster sepositus Gray ed Asterias glacialis O. F. Muller). Boll. Soc. Nat. Napoli Voi. 30, p. 20, 4 figg. 1917. PRAYER ne trovò uno a Napoli, nel 1887 ed un altro trovasi conservato a secco nella collezione di Asteroidi della Stazione Zoologica di Napoli. — 161 — Il rapportò tra il raggio minore e quello maggiore è dato da 1: 7,3. Le braccia sono tutte egualmente sviluppate ed ognuna ri¬ sulta formata dalle singole placche che si trovano negli esemplari normali. La piastra madreporica misura nel suo diametro maggiore mm. 3,0 e trovasi nelLinterradio fra un braccio normale e le due rigenerate, disposte ad arco, come si vede nella figura annessa. Asterias glacialis O. F, Mììller con sei braccia. Nella regione ventrale si osservano cinque placche boccali e non sei come si sarebbe dovuto verificare se Tanomalia fosse stata congenita. Si può spiegare il fatto supponendo , in base allo studio deH'esemplare, che la lesione di un braccio avvenne ad una certa distanza dalla placca boccale, per cui questa non subì alterazione di sorta; il moncone di braccio rimasto rigenerò , per lo spe¬ ciale determinarsi del blastema rigenerativo in due zone distinte, due braccia invece di una. Ora nell' interradio di queste due — 162 — braccia non si formò placca boccale, data la distanza della zona in rigenerazione dalla bocca, ma semplicemente la serie di tutte le placche ambulacrali , sebbene più piccole e più strettamente addossate fra di loro. Sezionando V animale si può osservare che tutti gli organi interni del corpo sono egualmente sviluppati in tutte e sei le braccia. Io ho rivolta particolare attenzione alle due braccia rigene¬ rate, ma in queste non ho potuto notare altro che piccole va¬ riazioni nelle placche ambulacrali, circa la grandezza, la forma e la posizione che hanno subito durante il periodo di sviluppo, tanto da poter subito, osservando Tanimale, individuare il punto in cui è avvenuto il processo rigenerativo. Si tratta quindi di un'anomalia dovuta ad un'iperrigenera- zione, in quanto nel punto leso invece di rigenerare un braccio solo se ne sono rigenerati due. Già in un altro mio lavoro i) io ho discusso il processo iperrigenerativo. Valgono qui le stesse considerazioni che ho già esposte e che vengono ancora confermate dal reperto che de¬ scrivo nel presente scritto. Napoli, Stazione Zoologica, ottobre 1921. (Finito di stampare il 10 luglio 1922) b ZiRPOLO, G. — Casi di anomalia delle braccia di Asteroidi dovuti ad iperrigenerazione. Mem. Pont. Acc. Nuovi Lincei. Serie 2. Voi. 3, pp. 30. 1 Tav. Roma, 1917, Breve nota su alcuni casi teratologici nel Raphanus sativus. del socio Leopoldo Marcello (Tornata del 30 aprile 1922) Essendomi capitati altri casi di teratologia vegetale, e, sem¬ brandomi essi interessanti, credo di illustrarli brevemente. Già in una mia nota, presentata VS febbraio 1903 i), ebbi a parlare di un caso di biforcazione del fittone del Raphanus sativus. Quelli che oggi menziono, sono essenzialmente differenti. Il primo fittone si presenta diviso in tre rami (fig. I) quasi alla stessa altezza , i quali hanno spessore e lunghezza rispetti¬ vamente decrescenti. Esso ha V aspetto proprio di una piccola mano a numero ridotto di dita. Fatta la sezione, appare chiarissima la triforcazione dell'asse, essendo diviso in tre rami, proprio nella zona osservata, il gruppo dei vasi che occupano l'asse principale della radice; i detti vasi sono tutti situati nel parenchima a cellule amilifere. Nell'annessa figura della sezione (fig. II) é soppresso uno dei rami. Il secondo fittone è nel terzo superiore, quasi normale, fino ad una specie di- rilievo anulare, e, da questa zona, si continua, incurvato, fino a terminare nell'apice acuminato. Questo terzo superiore (fig. Ili) , intanto , è fornito di una appendice laterale , che sembra una radice secondaria , anche tuberizzata. Nella sezione ho osservato la stessa disposizione dei vasi e 9 Vedi Boll. Soc. Naturalisti di Napoli, tornata 8 febb. 1903. del parenchima amilifero , come nel caso precedentemente de¬ scritto. Non mi sembra che tali mostruosità si possano ascrivere a cause traumatiche prodottesi nelle radici allorché erano giovani, giacché esse si mostrano di una grandissima regolarità e si ri¬ petono in numerosissimi esemplari capitatimi. Volendo quindi trarre una conclusione logica, mi pare che i su esposti casi possano interpretarsi come una vera transi¬ zione dal tipo radicale fittonato a quello fascicolato. A conferma ed a completamento di quanto ho detto , ri- — 165 — porto' altri due disegni di nuovi e più interessanti casi da me osservati in un secondo tempo. La figura IV mostra una radice 6\ .Raphanas sativus sud¬ divisa in quattro ramificazioni, e, la figura V, una radice della stessa specie, fornita di ben otto rami, costituenti un vero fascio. Anche alla sezione appare la stessa disposizione dei vasi e del parenchima amilifero, già precedentemente citata. Napoli, marzo 1922. (Finito di stampare il 30 luglio 1922). Sull’omeofagismo déXAsterìna gibbosa Penn. Nota d e 1 s o c i 0 Prof. Giuseppe Zirpolo (Tornata del 30 aprile 1922) Le ricerche che vado compiendo da varii anni sulla rigene¬ razione e sulle anomalie delle braccia di Asterina gibbosa Penn. i) mi hanno dato occasione di osservare un ostinato omeofagismo nelle astenne, che, non rare volte, é stato causa di farmi per¬ dere il lavoro compiuto in varii mesi, avendo dovuto incomdn- ciare da capo le esperienze che sarebbero state fra breve com¬ pletate. Durante le esperienze fatte sulla rigenerazione delle braccia delle asterine io tenevo in una stessa vasca esemplari di eguale grandezza, ai quali erano state tagliate da uno sino a cinque braccia e giornalmente le osservavo per studiare il comportamento del processo rigenerativo di queste. In ogni vasca deponevo quasi ogni giorno delle telline, {Tapes decussatas) di cui esse si cibavano, specialmente nel pe¬ riodo estivo con abbondanza e con voracità. Un giorno, però, potetti, con sorpresa, osservare che in una vasca in cui avevo cinque asterine operate ce n' era una di meno e sul fondo si notavano i residui delle placche calcaree dell'esemplare scomparso. Supposi, in seguito a tale reperto, che una di queste fosse 1) ZiKPOLO, G. — Ricerche sulla rigenerazione delle braccia di Asterina gibbosa Penn. Pubbl. Staz. Zool. Voi. 3, p. 93, Tav. 5-6, Napoli, 1921, — 167 — morta e che la spoglia fosse stata distrutta dalle compagne. In¬ vece nei giorni successivi potetti constatare che le stelle con quattro e cinque braccia tagliate erano le vittime delle altre che avevano maggior numero di braccia intere. Queste ultime, infatti, cannibàlescaminte, assalivano le com¬ pagne che per aver maggior numero, di braccia tagliate se ne stavano sul fondo in quiete ed avevano minore speditezza di Gruppo di due Asteriue che mangiano le compagne più piccole. Il fondo nero rappresenta la zona di acqua. movimento, le circondavano col loro corpo, le ammazzavano e poi cercavano di far penetrare nel loro apparato digerente Tani- male catturato ; ovvero, talvolta, estroflettevano lo stomaco col quale ricovrivano le vittime, ne digerivano le parti organiche e le placche calcaree erano lasciate sul fondo della vasca. Per assicurarmi della cosa misi, talvolta, nelle vasche asterine grandi e piccole, ma con tutte le braccia e purtroppo le piccole, raramente, sfuggirono, albavidità delle più grandi. Nella figura che riporto, e che è una fotografia eseguita in un pomeriggio nella mia stanza 2i\V Aqaariam, è stato ritratto un gruppo di due astenne che mangiavano le compagne di più pic¬ cole dimensioni. Nel centro vedesi TAsterina che trovasi stretta fra la parete della vasca e il corpo dell'Asterina più grande: le — 168 — braccia sono contorte, flaccide, e sul punto di penetrare nella cavità boccale deirassalitrice. Quesfomeofagismo non può attribuirsi a penuria di cibo: io ne davo in abbondanza e ne somministravo sempre, ma pur tenendo molte telline o altri bivalvi o crostacei (Lepas), che erano stati sempre completamente divorati dalle Asterine , non rare volte ed in alcuni periodi deir anno queste preferivano cibarsi di piccoli esemplari della loro specie : un anno (1918) fui co¬ stretto a tenere per ogni vasca una sola Asterina! Era quindi un vero caso di cannibalismo in una specie finora non nota come tale. Napoli^ Stazione Zoologica, gennaio 1921. (Finito di stampare 30 luglio 1922) Inclusioni di cellule negli epiteliomi. Memoria del ‘socio Claudio Gatgano (con le tavole 4-8) (Tornata del 4 giugno 1922) Nel citoplasma delle cellule degli epiteliomi si possono con¬ siderare tre specie di inclusioni, e cioè: 1° granuli e masse di sostanza cromatofila, (nelle quali vanno compresi anche i corpi di Plimmer (’99), 2° leucociti, 3^ intere cellule epiteliali. Inclusioni cromato! ile.— Lo studio delle inclusioni di granuli, di m.asse cromatofile, è legato agli innumerevoli lavori, che si sono scritti nella speranza d'interpetrare la etiologia e la pa¬ togenesi di questi blastomi, e, data la loro elettività per i colori basici e, dato gli aspetti diversi, che potevano assumere, alcune furono identificate per batteri, altre per blastomiceti, altre per protozoi, ecc., senza considerare, che molto spesso in tessuti su¬ perficiali ed ulcerati, non era infrequente la possibilità di reali microorganismi, che. avessero trovato un terreno favorevole al loro ulteriore sviluppo. Non ci proponiamo di risolvere un così difficile capitolo di citologia dei tumori maligni, sebbene personalmente siamo di opinione che una accurata Discussione critica de¬ sunta dalla Bibliografia potrebbe forse orientare i ricercatori alla soluzione del problema. Fra le inclusioni protoplasmatiche cromatofile, quelle che destano maggiore interesse sono i corpi di Plimmer, che subi¬ scono una manifesta evoluzione endocellulare. Infatti Farmer, Moore e Walker ('06) e Borrel (’03), vo¬ lendo riconoscere una rassomiglianza delle cellule neoplastiche — 170 — epiteliali e di quelle sessuali, ammettono altresì un rapporto fra i corpi di Plimmer e le vescicole archeoplasmiche degli spermatidi: la sostanza citoplasmatica costituente i corpi di Plimmer si an¬ drebbe depositando intorno ad una sfera di attrazione, della quale il centrosoma ne rappresenterebbe il fulcro. Benda ('97) invece è di opinione, che dette formazioni non si svolgerebbero mai intorno al centrosoma, essendo possibile constatare contemporaneamente in una cellula il centrosoma ed il corpo di Plimmer. Anche Deton (’IO), che recentemente si è occupato del¬ l'argomento, non crede, allo stato attuale delle reazioni micro- chimiche di stabilire la genesi delle " P 1 i m m e r 's bodies,,, nè l'origine archeoplasmica di esse, avendo egli notato contempo¬ raneamente un corpo di Plimmer ed il centrosoma. Inclusioni di leucoci-ti. — Klebs ('89) portò l'atten¬ zione degli studiosi sulle inclusioni di leucociti nell'interno delle cellule neoplastiche epiteliali, fenomeno che ha dato origine, in seguito, alle teorie cariogamiche del cancro: l'accrescimento, se non l'origine stessa del tumore maligno sarebbe da ricercarsi in una coniugazione della cellula epiteliale e del leucocito. Il leu¬ cocito acquisterebbe caratteri maschili o di microgamete, laddove la cellula epiteliale i caratteri femminili, o di macrogamete. L'osservazione di Klebs (’89) trovò conforto e conferma nei lavori di Farmer, Moore e Walker (’06), i quali oltre a con¬ statare nella zona di invasione dei cancri giovani linfociti inclusi nelle cellule epiteliali, ci mostrano altresì delle mitosi eteroti- piche, che (per la riduzione del numero dei cromosomi) ricor¬ dar possono le mitosi delle cellule genetiche, avvicinando in tal modo il tessuto neoplastico a quello gametogeno. Era evidente che essendo riusciti vani tutti i tentativi fatti per stabilire una teoria parassitaria del cancro, la ipotesi della etiologia cariogamica, enunciata da Schleich (’91) e da Hallion m e sostenuta da Klebs (’89) e Farmer , Moore e Walker, ('06) potette riscuotere le simpatie, perchè atta a spiegare, in mo¬ do soddisfacente, molti fenomeni dell'evoluzione dei blastomi maligni. Schleich (’91) infatti, partendo dal principio che le cel¬ lule dell'organismo portino in se una tendenza alla coniugazio¬ ne mutua, tendenza che sarebbe controbilanciata da una forza inversa esercitata dalle cellule genetiche, viene alla conclusione che in un determinato momento esse si trasformino in uno sper¬ mio generatore di un tumore: la cellula fecondata sarebbe come un embrione in mezzo al tessuto circostante. Per Hallion ( ’07) poi il parassita del neoplasma è la medesima cellula cancerosa. divenuta anarchica per una fecondazione reciproca di due cel¬ lule somatiche. Dato che ogni fenomeno di ringiovinimento in una serie senescente di generazioni cellulari implica una fecondazione, la fecondazione interverebbe qui anormalmente nella linea se¬ nescente delle cellule del tessuto, come essa interviene normal¬ mente nella linea senescente di una famiglia d'infusori (espe¬ rienze di Maupas). Inclusioni di cellule. — Butlin e Cornil ('91) avendo avuto occasione di osservare in alcuni epiteliomi umani cellule epiteliali neoplastiche incluse in altre cellule della stessa natura, pensarono alla possibilità di formazioni endogene: le cellule in¬ globate si sarebbero svolte come cellule figlie (f i s a 1 i d i di ViRCHOw) consecutivamente ad un processo di gemmazione del nucleo ed incompleta divisione citoplasmatica. Simili formazioni, battezzate pure come coccidi, come ame¬ be, ecc. sono state oggetto di studio per conto di BorrcL ('03) di Farmer, Moore e Walker ('06) e Winiwarter (’07). Que¬ st’ultimo A. le spiegava come dei semplici aspetti ottici dovuti al fatto che una cellula (in parte invaginata da una altra cellula più grande), nei tagli microtomici, venga sezionata secondo un piano perpendicolore alla direzione della invaginazione. Deton (’OIO), pur accettando in principio l'ipotesi di Borrel ('03) come rispondente al vero, in seguito ad una revisione dei suoi preparati, conclude che le apparenti inclusioni cellulari non corrispondano in realtà alla invaginazione di una cellula in una vicina. La spiegazione, che ci fornisce il detto A. è la seguente: alcune cellule mostrano una tendenza a dilatarsi considerevol¬ mente ed a prendere degli aspetti allungati, e così spingono in avanti la cellula o le cellule, che si oppongono alla loro dilata¬ zione: qualche volta la cellula dilatata spinge una o due cellule vicine, che si appiattiscono e la circondano; qualche volta eser¬ citando la pressione contro una sola cellula, essa scava alla su- — 172 — perfide di questa una sacca che s'ingrandisce: la cellula spinta prende in sezione ottica la forma di una mezzaluna a curvatura più o meno accentuata, nel cui incavo si trova posta la pro¬ tuberanza invadente: qualche volta infine si è visto una mede¬ sima cellula invasa contemporaneamente dai due lati da cellule dilatate. L'A. non nega pertanto la possibilità che in un dato mo¬ mento, in seguito ad un accrescimento ulteriore, i margini della calotta emisferica non possano arrivare ad incontrarsi e ad in¬ globare da ogni parte la cellula, che diventerebbe allora real¬ mente inclusa: e ciò dice, non sapendo spiegarsi perchè tali e- lementi, apparentemente inclusi, sieno votati ad un processo di degenerazione, che non si dovrebbe verificare, se l'ipotesi della apparente invaginazione fosse rispondente al vero. Ricerche personali. Come appare dall'esame delle ricerche degli aa., che si sono occupati dell'argomento, non sembra per nulla risoluto il pro¬ blema, se bisogna o pur no ammettere una invaginazione di una cellula neoplastica epiteliale in un'altra, e quale vàlore attribuire ad un simile fenomeno , che è legato a numerose quistioni di biologia generale. Non si deve dimenticare che nei blastomi è sempre la cel¬ lula neoplastica quella, che bisogna studiare, e, dato che non è agevole scoprire la cellula cancerosa primitiva o una cellula rin- novellata divenuta punto di partenza di una serie di elementi neoplastici, forse crediamo, che sarebbe più opportuno portare la propria attenzione sulle cellule in degenerazione. La cellula cancerosa ha infatti numerosi rapporti con le cel¬ lule normali dei tessuti e tutto dimostra, che non è che una mo, dificazione biologica di essa : il tessuto canceroso appartiene al- r individuo, che lo porta tanto bene come un'altro tessuto del suo corpo ; ogni neoplasma affetta biologicamente, con l'animale che ne è portatore, dei rapporti simili a quelli, che gli organi contraggono con l'organismo. Negli epiteliomi si riscontrano spesso delle cavita di dege¬ nerazione, nelle quali gli elementi neoplastici liberi od aggrup- — 173 — pati subiscono prima un processo di evoluzione e consecutiva- mente un processo di degenerazione. Sono appunto queste cel¬ lule libere in tali cavità di degenerazione quelle, che abbiamo preso come argomento di studio, notando, che ivi con frequenza si constatano delle inclusioni di cellule in altre. Il materiale ci è fornito da alcuni epiteliomi di cane (uno della cavità nasale di un vecchio cane ed un altro delhostio va¬ ginale di una cagna di 5 anni) tumori che per i caratteri mor¬ fologici non differiscono molto dagli epiteliomi basocellulari del¬ l'uomo, con l'avvertenza, che negli epiteliomi il fenomeno di in¬ clusioni di cellule neoplastiche in cellule dello stesso tipo si ve¬ rifica in proporzioni minori. Tecnica, — Fissazione: liquido di Zenker e miscela osmio- cromo-acetica di Flemming. Colorazione: ematossilina, ferrica di Heidenhain. Osservazione: 2 mm. apocr. ap. 1,30 Zeiss ed oculari com¬ pensatori 12 e 18. Luce artificiale monocromatica. Osservando un preparato a piccolo o medio ingrandimento (figg. 1 e 2) si notano in uno stroma connettivale lasco numerose gittate di tessuto epiteliale. Queste gittate risultano all'esterno da uno strato di cellule cubiche, che ricordano . per i loro ca¬ ratteri morfologici le cellule dello strato basamentale dell'epider¬ mide normale, e di numerosi strati di 'cellule poliedriche o sfe¬ roidali : non si ha mai l'evoluzione cornea di questi elementi con la genesi di perle epiteliali, viceversa si formano costante- mente nell' interno di queste digitazioni delle cavità degenerative, nelle quali (immerse in un liquido piasmatico) si trovano cel¬ lule o gruppi cellulari, che sono distaccati dalle pareti. È questo il punto delicato sul quale insistiamo, che , pur avendo portato la nostra attenzione su innumerevoli preparati, sempre si è verificato il medesimo reperto, e cioè mai inclusioni di cellule in cellule alla periferia degli zaffi (figg. 3 e 4), ma sem¬ pre nell'interno delle cavità di degenerazione. Sebbene non ci crediamo autorizzati a formulare delle teorie, siamo di parere, che sia proprio il nuovo habitat quello, che induca negli elementi epiteliali cambiamenti fisico -chimici tali. — 174 — da portare alla fusione completa o incompleta del citoplasma di due o più cellule ed originare l' inclusione di una cellula in una altra. I due blastomi da noi studiati, sebbene grossolanamente si¬ mili a quelli dell'uomo, pure ne differiscono per molti caratteri, che possono riassumersi: 1° in un numero grande di carioci¬ nesi; 2^ in un numero grande di corpi di Plimmer; 3° in un numero grande di cavità di degenerazione ; 4° in una evoluzione progressiva e regressiva degli elementi liberi immersi nelle ca¬ vità di degenerazione; 5° in un abnorme evolversi dei corpi di Plimmer nelle cavità di degenerazione; 6° nella inclusione di cellule. Cariocinesi. — La cellula epiteliale neopìastica interci- netica ha forma cubica alla periferia degli zaffi, e poliedrico- sferoidale nell' interno di essi (figg. 5 e 6): il protoplasma fina¬ mente reticolare presenta poche inclusioni cromatofile ed al cen¬ tro il nucleo sferoidale carico di sostanza cromatica e fornito di un nucleolo molto brillante. Numerose sono le figure cariocinetiche, che si osservano in esse: la cinesi pare si svolga col medesimo ciclo delle cellule epiteliali normali, e sebbene non sia molto agevole (per la re¬ lativa piccolezza degli elementi) procedere ad un conteggio dei cromosomi, pure le numerazioni eseguite danno sempre cifre ar¬ bitrarie, in guisa che non crediamo poter dividere le idee di Far- MER, Moore e Walker (’06), che notano un processo di ridu¬ zione simile alle mitosi postmaiotiche delle cellule genetiche, mi¬ tosi, che le allontanerebbero delle cellule somatiche; nè tampoco è il caso di parlare di cariocinesi eterotipiche osservate da Bash- FORD e Murrey ('06), giacché tutte le figure osservate e dise¬ gnate corrispondono a cariocinesi normali. Mai infine si ha produzione di un corpo di Plimmer in una cellula, che contemporaneamente presenti un movimento cinetico. La cellula, che dovrà riprodursi, da cubica o poliedrica di¬ viene sferoidale, il citoplasma si rarefà in ispecie in corrispon¬ denza del nucleo, spariscono le inclusioni cromatofile , ed il nucleo' assume la fase di sinapsi (fig. 7). Lo stadio di sinapsi è l'inizio della profase: successivamete. — 175 con Io scomparire della membrana nucleare, si individualizzano dal reticolo cromatico, i cromosomi (fig. 8). Nella metafase (fig. 9) spesso il citoplasma mostra alla periferia della cellula granula¬ zioni più scure , che si tingono abbastanza bene con i colori cromatici. L'anafase non sempre porta alla genesi di due ele¬ menti (fig. 10); qualche volte manca la divisione protoplasma¬ tica, generandosi cellule con due o più nuclei (fig. 11). Corpi di P.LiMMER. — Sebbene molti aa. negano, che tali produzioni siano rassomiglianti per origine alle vescicole archeo- plasmiche, e che cioè non si sieno svolte su di una sfera di at¬ trazione esercitata dal centrosoma, pure noi siamo di opinione, che, rappresentando le cellule racchiudenti i corpi di Plimmer, una deviazione del normale processo di cinesi, non possa esclu¬ dersi razione del centrosoma. Recenti studi Argaud (’22) sul mieloma della mam¬ mella e di Georqevitch (’22) su di un'alga, lo Stypocaulon scoparium (L.) Kurz. portano a dover ammettere, che il centro¬ soma sia originato dal nucleolo, in guisa che col formarsi del centrosoma il nucleolo sparisce. Ebbene negli elementi pro¬ duttori dei corpi di Plimmer noi non notiamo mai il nucleolo; qualche volta (figg. 12 e 13) si ha una formazione di sostanza cro¬ matica di forma sferoidale, che non può interpretarsi come nu¬ cleolo, bensì come inizio di abnorme processo di sinapsi. Nelle cellule, che dovranno originare il corpo di Plimmer, si ha rare¬ fazione dell'endoplasma, migrazione del nucleo nell' ectoplasma, nel mentre nella parte centrale dell'elemento si va svolgendo il corpo di Plimmer, che nasce normalmente unico, sotto forma di granulazioni sottili, che si vanno depositando, e nelle quali poi appaiono delle gocciole di una sostanza, che si tinge in nero coll'ematossilina ferrica, sostanza probabilmente di natura lipoide. L'aumento del corpo di Plimmer non è legato, a degene- zione del citoplasma o del nucleo della cellula. Cavità di degenerazione. — Si possono svolgere in qualsiasi punto dello zaffo epiteliale, ma in generale ciò non suc¬ cede che raramente nello strato delle cellule cubiche, quasi sempre avviene invece nello strato degli elementi poliedrici (figg. 3 e 4). — 176 — La formazione di esse si ha come un processo di deviazi o~ ne(?) di cinesi normale: una cellula o un gruppo limi¬ tato di cellule aumentano di volume, il loro citoplasma diviene più chiaro, il nucleo è ricacciato alla periferia e degenera per un processo di risoluzione. La successiva istolisi dei granuli nucleari e del citoplasma cellulare porta alla formazione di cavità, che si trovano ' riem¬ pite di una sostanza piasmatica liquida. Le cellule alla periferia della cavità, essendo a contatto con gran parte della loro su¬ perficie con un habitat diverso, che ha costanti fisico-chimiche tanto differenti, cambiano la fase viscida del loro citoplasma in una fase meno viscida. Conseguenza di ciò sarà oltre Taumento del loro volume e la loro trasformazione in elementi appiattiti, anche il distacco dalle cellule vicine. Avviene un processo di sdifferenziazione cellulare analogo a quello studiato nelle culture dei tessuti in vitro. Le cellule immerse nelle cavità vanno incontro a carioci¬ nesi atipiche, a formazione atipica di corpi di Plimmer, ad in¬ clusione di cellule in altre cellule ed infine a degenerazione. Cariocinesi atipiche e formazione atipica di corpi di Plimmer. — La cellula libera nella cavità di degene¬ razione, riportata ad un tipo primordiale di elemento sferoidale ap¬ piattito, aumenta di volume. Tale aumento è quello che la spinge alla cinesi o alla produzione di corpi Plimmer, che noi abbiamo considerato come una deviazione dal normale movimento mitotico. Abbiamo stadi più o meno normali od abberranti di sinapsi con l'apparizione di uno o due centrosomi (Tav. figg. 14, 15 e 16), abbiamo corpi di Plimmer originati da tre nuclei (fig. 17), abbiamo dissoluzioni del corpo di Plimmer e del nucleo (fig. 18), abbiamo l'apparizione di tre fusi direzionali (fig. 19), di cellule binucleate (fig. 20) ed infine l'inclusione di una cellula-^in un'altra. Inclusioni di cellule. — L'interpretazione dell'ingloba- mento di una cellula (figg. 21 e 22) in un'altra è al certo più difficile a spiegarsi di tutte le altre formazioni innanzi accennate. Prima di ogni altra cosa bisogna dire , che effettivamente molte di queste inclusioni non sono in realtà altro , che fenomeni ottici verificatisi, quando due cellule appiattite, di grandezza diversa, si trovano sovrapposte Tuna air altra e che il nucleo della cellula più grande è sito nell' ectoplasma ; si vedranno due elementi, mentre, che se si fosse sezionato il pezzo secondo un piano nor¬ male, apparirebbe la sovrapposizione delle due cellule. Questo fatto comunemente osservato da Deton ('40) e dovu¬ to, secondo il detto A. anche a processi di invaginazione limitata di un elemento su di un'altro, non sempre ci può trarre in erro¬ nei apprezzamenti nella disamina dei nostri preparati. Abbiamo detto, che non si verificano mai inglobamenti di cellule in altre negli zaffi pieni , ma sempre nelle cellule libere nelle cavità, in guisa, che, eseguendo tagli microtomici un poco spessi, il dubbio di interpetrazione resta al certo abolito. Si ha quindi la convinzione, che effettivamente una cellula sia inglobata in un' altra cellula. Come questo inglobamento avvenga non è tanto agevole spie¬ gare: in qualche caso potrà essere una produzione fisaloide, espo¬ nente di una cariocinesi atipica senza distacco dell'elemento, potrà essere un invaginamento di un elemento già alterato e di¬ latato su di uno più piccolo con susseguente fusione dei mar¬ gini, plasmatici , sarà esponente di fusione di due cellule e di susseguente precipitazione di una membrana cellulare, è evidente che ciò avviene sempre, secondo noi, per cambiamenti d^Wha- bitat, tanto più , che si hanno anche inglobamenti , nei quali il nucleo della cellula invaginante è completamente degenerato, e quello della cellula invaginata (figg. 23 e 24) in via di degenera¬ zione. Non pare plausibile l'ipotesi della migrazione di una cel¬ lula in un'altra, alla stessa guisa di un leucocito. Degenerazione cellulare. — Tutti gli elementi, che si trovano nelle cavità di degenerazione, dopo un periodo di evolu¬ zione, degenerano per un processo d'istolisi, la cui patogenesi si deve ricercare nei cambiamenti fisico-chimici del nuovo mezzo. Clinica Chirurgica della R. Università di Napoli. LAVORI CITATI ^ 1922. Argano, R. — Sur la présence intra-nucléolaire da centrosome: C. R. Acad. Se. Paris, Tome 174, p. 1078-1880. 1906. Bashford, e. F. - Murray, J. A. — On thè occarrence of hete - rotypical Mitoses in Cancer : Proc. R. Soc. London, (B) Voi. 77, p. 226-232, T. 5-6. 1 897. Benda, C. — Zelleinsclusse des Mollascam contagiosam and der Taabenpocke : Centralbl. allg. Path. path. Anat. Jena, 8. Bd. p. 862. 1903. Borrel, a. — Épithélioses infectieases et Épithéliomas : Ann. Inst. Pasteur Paris, Tome 17, p. 81-122, T. 1-6. *1891. CoRNiL — Mode de maltiplication des cellales et des noyaax dans V épithélioma : Journ. de l’Anat. 1910. Deton, W. — Contribation à Vétade cytotogique da cancer: La Cellule, Louvain, Tome 27, p. 27-52, 3 T. 1906. Farmer, B. J. -Moore, J. E. S. - Walker, C. E. — On thè Cyto- logy of Malignant Growths : Proc. R. Soc. London, (B) Voi. 77, p. 336-353, T. 8-12. 1922. Qeorgévitch, P. — U origine da centrosome et la formation da faseaa chez Stypocaalon scopariam (L) Kutz : C. R. Acad. Se. Paris, Tornei 174, p. 695-696. *1889. Klebs — [ - ] Allg. Pathologie, Jena. 1899. Plimmer, H. G. — Vorlaàfige Notiz iiber gevvisse vom Kjebs isolierte Organismen and deren pàthogene Wirkang in Tieren: Centralbl. Bak., 25 Bd., p. 805-809. *1891. — Infektion a. Gcschwalstbildang: Deutsche med. Wo- chenscr. \) I lavori preceduti di un * non sono stati da me riscontrati direttamente. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (Tavole 4-8) ' , , Ingrandimenti: Fig. 1 Zeiss Fig. 2 Zeiss Figg. 3 e 4 Zeiss ~ Figg. 5-24, 2 mm. apocr. Zeiss ap. 1,30 oc. compens. 18. Colorazione : Ematossilina ferrica Heidenhain. Figg. 1-4 — Sezioni tumore. Zaffi epiteliali con cavità di degenerazione. Figg. 5-6 — Cellula epiteliomatosa normale. Fig. 7 — Cariocinesi. Sinapsi. Fig. ‘ 8 — Profase. Fig. 9 — Metafase. Fig. 10 — Formazione di due cellule figlie. Fig. 1 1 — Formazione di cellula binucleata. Figg. 12-13 — Genesi di corpo di Plimmer. Fig. 14 — Cellula epiteliomatosa nella cavità degenerativa. Sinapsi. Fig. 15 — Id. Apparizione di un centrosoma. Fig. 16 — Id. Apparizione di due centrosomi. Figg. 17-18 — Id. Evoluzione abnorme di corpi di Plimmer. Fig. 19 — Id. Cariocinesi, tripolare. Fig. 20 — Id. Cellula binucleata. Figg. 21-22 — Inclusione di una cellula epiteliomatosa in un'altra. Figg. 23-24 — Degenerazione delle cellule incluse. (Finito di stampare il 30 agosto 1922). Azione del radio sugli epiteliomi. Nota preventiva del socio Claudio Gargano ( Tornata del 4 giugno 1922 ) Ho istituito delle ricerche sulle alterazioni che inducono le radiazioni del radio nella cellula blastomatosa degli epiteliomi. Le osservazioni sono state due, e cioè un epitelioma malpighiano del collo deirutero diffuso ad un fornice vaginale , ed un epi¬ telioma basispino-cellulare della regione temporo-massaterina d. Si è adoperato il metodo globale, servendosi cioè dei raggi a, (3 e y; ed in alcuni periodi solo del processo ultrapenetrante di Dominici con i raggi y. Si sono eseguite biopsie prima e du¬ rante la cura per studiare la eventuale regressione del tumore. Neirinferma portatrice deirepitelioma del collo delhutero la radiumterapia ha arrecato diminuzione dei dolori lancinanti, di¬ minuzione delle emorragie e degli scoli vaginali saniosi ed un lieve miglioramento nello stato generale. Dal punto di vista anatomo-istologico si è avuto, oltre che diffusione agli altri for¬ nici vaginali , anche una anaplasia della cellula blastomatosa, che si è trasformata in un elemento embrionale. Neirinferma portatrice dell'epitelioma basispinocellulare della regione temporo-massateria d. si è avuta, clinicamente, una gra¬ duale diminuzione del neoplasma, fino a prodursi uno stadio, nel quale sembrava si fosse verificata una completa restitutio ad integmm. La regressione della cellula blastomatosa è complessa e non può riportarsi ad un unico tipo d'istolisi ed è certamente dissimile — 181 — da ciò che nei trattati è riportato, riferendosi costantemente gli aa. alle osservazioni di Dominici e di Rubens-Duval. Le maggiori alterazioni vi verificano nei primi giorni della cura dei raggi del radio, giacché col rigenerarsi, suU'ulcera neo¬ plastica, degli strati epidermoidali, gli eventuali nidi epiteliali sot¬ tostanti non sembra sieno più influenzati dalle radiazioni stesse, e divengono il punto di partenza di nuovi zaffi epiteliali, di una recidiva del neoplasma. Collo svolgersi poi delle nuove masse blastomatose la cute riformatasi si ulcera. Durante il processo istolitico della cellula epiteliomatosa non si verifica una reazione leucocitaria, nè connettivale. L'assenza della reazione connettivale e la insufficiente fago¬ citosi sono, secondo la mia concezione, i due principali fattori che portano ad un arresto nel processo di guarigione. Le ra¬ diazioni del radio pare poi, che abbiamo uno scarso potere di attraversare gli strati epidermoidali rigenerati, in guisa che le cel¬ lule neoplastiche profonde, invece di continuare a subire una ulteriore istolisi, ad un certo periodo hanno un rigoglioso svi¬ luppo. E così si spiega perchè la cute rigenerata finisca per ca¬ dere in necrosi e si abbia di nuovo una ulcerazione neoplastica. Le cellule epiteliali neoplastiche, che si sono andate svolgendo durante il periodo, nel quale il tessuto è sotto l'influenza delle radiazioni del radio, sembra sieno poco influenzate dalle radia¬ zioni stesse. Credo sarebbe opportuno che i possessori di questo pre¬ zioso rimedio istituissero sempre dei controlli di laboratorio, per stabilire, se, nei casi negativi, l'arresto nella guarigione sia dato dalla insufficiente reazione connettivale, dalla insufficiente fago¬ citosi e dalla poca permeabilità dei tessuti rigenerati ed allora associare alla radiumterapia altri sussidi terapeutici , che da un lato risvegliassero la flogosi organizzante e dall'altro rendessero più permeabili i tessuti nuovi formati alle radiazioni stesse. Clinica Chirurgica della R. Università di Napoli. (Finito di stampare il 30 agosto 1922) La “secca,, del Pampano. Nota del socio Gustavo Ma^^atelli (con le tavole 9 - 10) ( Tornata del 6 gennaio 1922 ) Durante Tesplorazione dei banchi di corallo nel golfo di Na¬ poli, iniziatasi nel 1917, tra i 23 banchi indicati in un prece¬ dente lavoro (1918) i più importanti per estensione che furono rinvenuti sono quelli chiamati dai pescatori “ secca di Ghiaia,, e ''secca del Pampano,,. E' da notare però che qui non bisogna dare al nome secca il significato che ha in idrografia, e cioè quello di un rilievo del fondo, non molto al disotto della superficie dell'acqua, costi¬ tuente un pericolo per la navigazione. Infatti tanto la prima che la seconda sì trovano rispettivamente ad una profondità minima di 48 e 100 m. I pescatori napoletani invece chiamano secca un banco roccioso di una certa estensione giacente anche a gran¬ de profondità. La "secca di Ghiaia,,, esplorata fin dal 1886 dal tenente di vascello Golombo, il quale ne determinò la posizione e vi eseguì numerosi scandagli, è segnata tanto sulla carta 103 che su quella 127 del R. Istituto Idrografico. La " secca del Pampano „, così chiamata perchè su di essa spesse volte si pesca il pesce detto " pampano, pamparo o 'mfanfaro „ in italiano detto pesce pilota (Naacrates dactor)^ non è segnata sulla carta 127 del R. Istituto Idrografico. I pe¬ scatori di corallo mi assicuravano che era uno dei più grandi scogli fra quelli già da me esplorati. — 183 - La prima volta che mi recai sul posto con la guida di un pescatore pratico dei luoghi, eseguii, per mancanza di tempo un solo scandaglio (nella carta annessa è indicato da un asterisco) trovando la profondità di 105 m.; quindi determinai le co¬ ordinate geografiche del punto: lat. 40o45'23" N. long. E Or. Ma per le notizie sulla estensione del banco fornitemi dai pescatori fui spinto ad eseguire molti scandagli, affinchè si fosse potuto conoscere con sufficiente approssimazione la forma del banco e l'andamento del fondo nella zona circostante. Per compiere tale lavoro ebbi a disposizione, per cortesia della Stazione Zoologica di Napoli, il motoscafo “ Filippo Ca¬ volini „, già Salvatore Lo Bianco „, munito di apparecchio per scandagliare Lucas con scandaglio a tenaglia per raccogliere saggi del fondo e mi valsi per le necessarie osservazioni di un sestante e di uno staziografo forniti dalla Ditta Salmoiraghi, e inoltre anche di una bussola a secco. Affinchè fossero apparsi ben netti i particolari degli scan¬ dagli, eseguii il piano della secca alla scala 1:5000. Era mia intenzione, seguendo le buone norme usate in idro¬ grafia, di operare in modo che i punti scandagliati si fossero tro¬ vati lungo linee parallele equidistanti tra loro e dirette da N a S; ma ciò, purtroppo, non potei sempre attuare. Ora il vento non permetteva di recarmi sul posto precedentemente fissato, ora le correnti, provenienti per lo più da S W e S SW mi spingevano oltre la "secca „. Altre volte, invece, se il mare era calmo, non erano però visibili, per densa nebbia, i punti della costa che dovevo osservare col sestante ; e quando, dopo paziente attesa, il profilo ed i dettagli della costa riapparivano limpidi, ecco di nuovo il vento a turbare la ripresa dei lavori. Complessivamente furono eseguiti circa un centinaio di scan¬ dagli, dei quali alcuni sul banco, altri sulla zona circostante. Per ogni misura di profondità si tenne sempre conto dell'inclinazione del filo. La secca del Pampano si trova ad una distanza di circa 4000 m. dallo scoglio della Gaiola, punto più vicino della costa ed è a circa 9700 m. dal Castello deU'Uovò. I suoi allineamenti, mediante i quali è facile identificarla, sono rappresentati dalle — 184 — figure 1 e 2. Il primo è: la cresta sud-orientale del Monte di Precida si avvicina a Capo Miseno ; il secondo : il bagno penale di Nisida si allinea col margine orientale della solfatara. E' uno scoglio innalzantesi in alcuni punti anche di circa 57 m. da un fondo pianeggiante disposto secondo un piano lievemente in¬ clinato ed in salita verso N W. La cresta dello scoglio è lunga oltre 380 m. e per la maggior parte della sua lunghezza è arcuata, presentando una forma somigliante ad una lettera L maiuscola, avente *il tratto più breve rivolto verso oriente. La profondità a cui trovasi la cresta oscilla tra i 100 ed i 118 m., e nella zona abbracciata dal tratto arcuato si trova una notevole depressione che varia tra i 157 e i 162 m. Il pendio esterno dello scoglio, procedendo da W verso la sommità, è minore di quello interno, dalla parte della depressione. Fig. 1 — Secca del P a m p a n o : allineamento a * Capo Miseno ; ** Monte di Procida. Queste osservazioni mi fanno credere che la "secca del P a m p a n o „, come già da tempo si è supposto per altre secche esistenti nel golfo di Napoli, e cioè quella già citata di Ghiaia (1886) e quelle di Biondo Palomba (1Q18), di Nisida e altre, sia di natura vulcanica, e precisamente sia un cratere slabbrato ver¬ so NE. Da questo lato avrebbe soltanto una guglia indicata nel piano con un * (Tav. 9^). Che lo scoglio abbia forma di un cratere slabbrato si può provare congiungendo con una linea i punti degli scandagli se- : — 185 — gnati coi numeri 43, 44, 53, 1, 2, 4, 13, 14, 19, 18, 31, e si ot¬ terrà la forma arcuata della cresta. Si può dimostrare pure che il pendio nella parte esterna è minore di quello della parte interna. Infatti se s' immaginano due piani uno dei quali passante per la sommità dei punti dello sco¬ glio corrispondenti agli scandagli 55 (m. 135) e 2 (m. 118) e Fig. 2 — Secca del Pampaiio: allineamento 6 • * Margine orientale della Solfatara ; ** Isola di Nisida In mezzo: il Bagno Penale l'altro per la sommità di quelli corrispondenti agli scandagli 2 e 3 (m. 158), essi piani avranno rispettivamente un'inclinazione di 22° e 63°. E così mentre tra la stazione 19 (m. 107) e quella 74 il pendio supera di poco 10o30' in questo ultimo punto, la cui profondità minima è di 100 m., le pareti dello scoglio sono a picco e scendono fino a 120 m. dalla parte di N. Spingendomi verso NNW, a circa 35 m. dàlia stazione 14^ trovai la profon¬ dità di 158 m. (Staz. 15^). Al 44o scandaglio notai che le pareti in quel punto erano a picco dalla parte della depressione. Infatti, spinti da leggeris¬ simo vento, verso E, lo scandaglio scendeva a scatti toccando successivamente 110-120-124 m., e procedendo ancora per circa 40 m. verso E trovai la profondità di 160 m. Devono essere quasi a picco pure la Staz. 43^ e quella segnata con 1'*; perchè alla distanza di circa 20 m. a SE di esse si trovano rispettivamente le profondità di 160 (staz. 42^) e 162 'm. (staz. 34^). La "secca del Pampano,, potrebbe esser dunque un cratere demolito dalla parte di NE tra il punto segnato con l'*(m. 105) e la stazione 3D (m. 105). Potrebbe essere però demolito — 186 — anche tra il punto scandagliato 43 (m. 103) e quello segnato con r* e inoltre tra la stazione 16^ (m. 105) e la 31^ (m. 105); ma non ne sono sicuro non essendo riuscito ancora, per difficoltà pratiche, a scandagliare in quei tratti. Se si ammette che la "secca d el Pampano,, costituisca i resti di un cratere, non è escluso che questo sia stato più grande di quello che io abbia supposto poc' anzi. Cioè V orlo del cra¬ tere oggi esistente non sarebbe solo quello rappresentato dal- Farco compreso tra il 43° e il 31® scandaglio, bensì tra il 49® ed il 31o. In questa seconda ipotesi F orlo del cratere si sarà prolungato in origine presso a poco secondo la curva ipotetica, indicata, nel piano annesso, mediante la linea punteggiata e poi sarà stato demolito per Fazione del mare. Sicché come si vede dalla carta il cratere sarebbe stato di forma ellittica e lo sco¬ glio indicato con F *, avanzo forse di una bocca, si troverebbe in una posizione analoga a quella della collina Imperatrice (quota 74) nelF interno del cratere degli Astroni nei Campi Flegrei. Non mi è stato possibile finora raccogliere campioni della roccia costituente la secca, ma ho avuto invece molti campioni di fango, generalmente di color grigio-cenere, che in alcuni punti era assai compatto, in altri assai molle, ma sempre formato da particelle minutissime, evidentemente detriti di materie vulcaniche. Nella stazione 55^ (m. 135) ho trovato un pezzetto di po¬ mice e poi due piccoli frammenti di pietra vulcanica color gri¬ gio scuro non ancora ben determinati; ma è incerto se appar¬ tengano allo scoglio. Nella stazione 44^ si eseguì una pesca con lo strumento adoperato dai corallini detto " ingegno „, e si catturarono alcuni rami di corallo vivo di color vermiglio. Devo aggiungere inoltre che lungo il fianco orientale dello scoglio devono esistere probabilmente delle grotte e forse delle vere caverne. Ciò è provato dal fatto che i pescatori corallini spesse volte durante la manovra di far strisciare F " ingegno „ lungo le pareti del banco, devono filare molto più cavo di quello che richieda la profondità del posto. Questo fatto si può spiegare immaginando che F " ingegno „ sia spinto verso F interno di ca¬ vità da correnti profonde, forse da quelle stesse che hanno già — 187 — distrutto la parete orientale del cratere e continuano nella loro opera di demolizione. Ho creduto opportuno aggiungere alla fine della presente memoria i brogliacci degli scandagli ed il piano della secca,,. Devo anzi qui avvertire che quando in corrispondenza di una stazione si trovano due o più valori della profondità, significa .che in quel punto per la ripidità delle pareti dello scoglio, lo scandaglio è sceso a scatti. Ho creduto pure utile disegnare alla scala 1 : 2500 alcune sezioni della “ secca „ affinchè si possa avere un’idea del suo profilo. Le prime due sezioni, secondo la direzione N-S, s' im¬ maginano viste volgendo le spalle ad E, e le altre due, secondo la direzione E-W, volgendo le spalle a S. Questo è quanto finora ho potuto osservare sulla “secca del Pampano,, valendomi di un sussidio della cessata Dele¬ gazione per la Pesca, di cui era allora a capo l'on. Tosti di Val- MINUTA, al quale esprimo i miei ringraziamenti; ma il paziente lavoro non è completato e avendo nuovi mezzi sarei ben lieto di continuarlo, esplorando quei punti dove sono tuttora rimaste delle lacune. — 188 — Scandagli eseguiti sulla “secca del Pampa no,, Td u, p Punti osservati Angoli Punti osservati Angoli Profondità Qualità del fondo Osservazioni Z Faro C. Mise- no - I.®' Nisida (Bagno penale) I.®’ Nisida (Ba¬ gno penale) - S. Elmo r- 1 520 17' 470 47' 103 Roccia 2 520 ir 470 34' 118 M 3 520 22' 470 23' , 158 II 4 520 12' 470 27' 105 II Si raccoglie un pic¬ colo ramo di co¬ 5 520 13' 460 57' 120 Fango molle rallo morto 6 510 39' 460 25' 152 II 7 510 42' 460 47' 150 II 8 510 41' ' 460 7' 160 II 9 510 17' 460 24' 160 II 10 510 34' 460 29' 155 II 11 510 36' 470 14' 130 II 12 510 32' 470 29' 101-103 Roccia I 103 m. trovansi a NE dei 101 13 510 39' 470 16' 102 II 14 510 34' 470 34' 100-120 II I 120 m. trovansi a NE dei 100 15 510 29' 480 43' 158 Fango molle 16 510 r 480 6' 160 » 17 510 4' 480 6' 157 II 18 510 14' 470 33' 105 Roccia 19 510 21' 470 20' 107 II 20 500 50' 470 43' 102-108 II I 102 m. trovansi a NE dei 108 21 510 4' 470 13' 155 Fango molle 22 500 52' 470 33' 155 II 23 500 39' 470 39' 160 II 24 510 14' 460 34 ' 160 II 25 500 12' 460 56' 170 u 26 500 28' 460 9- 156 II / — 189 — 'd p Punti osservati Angoli Punti osservati Angoli Profondità Qualità del fondo Osservazioni 2 Faro C. Mise- Nisida (Ba- no-I."' Nisida gno penale) - (Bagno penale) S. Elmo 27 49° 38' 470 20' 160 Fango molle 28 500 29' 48° 2' 160 w 29 o o 480 41' 162 >; 30 500 44' 480 41' 160 w 31 510 3' 480 12' 105 Roccia 32 500 49' 480 52' 160 Fango molle 33 510 42' 480 21' 160 ;; 34 510 31' 480 32' 162 it 35 510 33' 480 42' 158 w ' 36 510 14' 490 9' 162 w 37 « 510 5' 490 10' 162 »; 38 510 39' 490 36' 160 w 39 520 1' 490 9' 160 IP 40 520 39' 480 14' . 155 1/ 41 510 53' 480 13' 158 » 42 520 17' 0^ 0 00 160 » La profondità di m. 43 520 46' E- 0 00 103-105 Roccia 105 si trova a NE di quella di m. 103 44 530 1' 470 28' 110-120-124 w Si pescano rami di corallo vivo di co¬ lor vermiglio. La 45 530 1' 470 53' 103 M profondità proce¬ de da W verso E 46 530 r 470 52' 100 M Si pescano fram¬ menti di colonie 47 530 6' 460 53' 140 Fango di Briozoi 48 530 32' 470 59' 147 w 49 530 12' 0 00 105 Roccia 50 530 14' ò^ 0 00 157 Fango molle 51 530 5' 480 39' 160 lì 52 520 52' 470 34' 107 Roccia 53 520 53' 470 29' 102 w Si raccolgono fram¬ menti di colonie di Briozoi 54 530 3' 470 2' 147 Fango molle Si raccolgono^ un pezzo di pomice e 55 520 37' co 0 135 Roccia due frammenti di pietra vulcanica. N. d’ord. Punti osservati Angoli Punti osservati Angoli Profondità Qualità del fondo Osservazioni 56 Faro C. Mise- no - 1.® Nisida (Bagno penale) 20 34' I.a Nisida (Ba¬ gno penale) - S. Elmo 460 31' 155 Fango molle 57 520 29' 460 19' 157 v 58 520 30' 460 5.' 107 Roccia 59 520 41' 450 49' 150 Fango molle 60 530 13' 460 23' 140 » 61 530 15' 460 23' 145 » 62 530 22' 460 59' 140 II 63 530 7' 470 15' 138 ? Si perde lo scan¬ daglio P4 540 1' 460 19' 140 » 65 540 39' 450 21' 128 j; 66 540 57' 450 7' 127 ? 67 550 0' 440 36' 130 F. compatto 68 550 1' 440 39' 135 Fango molle 69 540 53' 440 17' 135 » 70 530 17' 440 5' 142 w 71 520 42' 430 29' 158 w 72 510 46' 430 17' 145 ;; 73 500 3' 440 51' 160 » 74 490 35' 480 37' 165 lì 75 480 41' 500 4' 165 ìì 76 490 34' 490 53' 160 » 77 480 43' 510 27' 168 )t 78 480 27' 530 21' 183 lì 79 500 21' 500 6' 160 ìì 80 510 3' 480 56' 157 ìì 81 520 1' 50o 43' 157 ìì 82 520 17' 500 34' 158 ìì 83 520 2' 510 15' 160 lì 84 520 42' 500 55' •155 lì — 191 — N. d'ord. Punti osservati Angoli Punti osservati Angoli Profondità Qualità del fondo Osservazioni 85 Faro C. Mise- uo - 1.“ Nisida (Bagno penale) 530 39' 1.8 Nisida (Ba¬ gno penale) - S. Elmo 510 20' 155 Fango molle 86 540 44' ( • 50o 27' 160 w 87 550 55' 510 22' no2 Roccia 88 570 24' 510 17' 137 Fango molle 89 550 29' 490 19' 145 n 90 590 4' 470 9' 120 V 91 580 7' 450 39' 132 ìt 92 550 20' 470 43' 130 n 93 540 47^ 470 43' 135 tf 94 540 55' 470 22' 132 , F. compatto 95 540 37' ' 0 00 134 Roccia 96 530 33' 480 36' . 150 Fango molle 97 530 43' , 480 30' 150 w 98 530 6' 480 42' 157 w i BIBLIOGRAFIA 1905- 1906. Leonardi ChJiouck, P. — Trattato di Idrografia. Parte II, fase. I, p. 1-63, fase, II, p. 1-80, fase. IV, p.^^ 1-25. R. Isti¬ tuto Idrografieo. Genova. 1908. Imperato, F. — Trattato elementare di Navigazione stimata^ p. 1-559. Ed. U. Hoepli. Milano. 1886. Walther, J. — / vulcani sottomarini del golfo di Napoli. Boll. R. Comitato Geologieo. Anno 1886, n. 9-10, parte l, p. 3-12. 1887. Colombo, A. — La fauna sottomarina del golfo di Napoli. Estratto dalla Riv. Marittima, ottobre-dieembre, p. 5-105. 1910. Walther, J. — Die Sedimente der Taubenbank im Golf e von Nea- pel: Abhand. Akad. Wiss. Berlin, p. 3-49. 1915. Mazzarelli, G. — Banchi di corallo esplorati dalla R. N. « Volta" nelT estate del 1913 : Annali deH’Industria 1915, p. 1-111. 1918. Mazzarelli, G. — Intorno alla scarta oceanologica" del golfo di Napoli di J. Walther: « Pubblieazioni della Staz. Zool. di Napoli ;; Voi. II, p. 159-168. 1918. Mazzarelli Giuseppe e Gustavo. — Prime indagini sui banchi di corallo del golfo di Napoli : Estratto dagli « Annali di Idro- biologia e Peseaw. Voi. I, Mem.* I, p. 1-42. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Tavola 9. Piano della secca del Pampano (scala h5000) Tavola 10. Sezioni della secca del Pampano (scala h2500) Sezione P (da N verso S) Sez. eseguita lungo i punti scandagliati n. 43, 42, 1, 2, 3, 4, 13, 5, 6, 7. Sezione IP (da N verso S) Sez. eseguita lungo i punti scandagliati n. 96, 97, 51, 48, 47, 49, 46, 45, 44, 53, 52, 54, 55, 56, 57, 58, 59. Sezione IIP (da E verso W) Sez. eseguita lungo i punti scandagliati n. 74, 29, 28, 18, 19, 14, 13, 4, 56, 60, 61, 65, 67, 66. Sez. eseguita lungo i punti scandagliati n. 30, 31, 16, 15, 3, 2, 55, 64. Sezione IV^ (da E verso W) Sez. eseguita lungo i punti scandagliati n. 33, 41, 1, 53, 52, 54, 62. Sez. eseguita lungo i punti scandagliati n. 76, 80, 35, 34, 42, 44. (Finito di stampare il 30 agosto 1922). Ricerche sul pancreas dei Petromizonti. Nota preventiva del socio Prof. Giulio Cotronei ( Tornata del 13 agosto 1922 ) In ricerche sul pancreas dei Cheioni, pubblicate parecchi anni or sono (1911, 1912), ho accennato alle controverse que¬ stioni sul pancreas dei Ciclostomi e alla necessità di nuove ri¬ cerche per verificare alcune ipotesi. Varie condizioni mi hanno impedito finora di condurre a termine un lavoro che era stato iniziato da molto tempo sul Petromyzon pianeri; ma avendo potuto in seguito disporre, in notevole quantità, di materiale vivente di Petromyzon fluviatilis, m'è riuscito, mercè V indagine comparativa, giungere a risultati conclusivi che qui riassumo, avvertendo che è pronto per la stampa il lavoro in esteso con ranalisi bibliografica e le tavole illustrative. E' merito di E. Oiacomini di avere dato la prima dimo¬ strazione che i follicoli descritti da Langerhans nell'Ammocete sono realmente formazioni pancreatiche, dimostrando inoltre che vi sono nei Petromizonti formazioni equivalenti alle isole di Langerhans dei Vertebrati superiori. Oiacomini, in una comu¬ nicazione successiva, riferì che anche nei Petromizonti il co¬ ledoco, o meglio dotto epatico primitivo, partecipa, benché in minima parte, alla formazione del pancreas, fatto quest’ ultimo confermato più recentemente dal Picqué. Non v’ è oramai più dubbio che i Petromizonti e attendi¬ bilmente tutti i Ciclostomi, posseggano un pancreas, ma que¬ st’organo, almeno nel Petromyzon planerl e nel fluviatills, ri¬ sulta dalle mie ricerche in una condizione che negli embrioni — 195 — dei vertebrati superiori è primitiva, non essendoci in esso la differenziazione del tessuto zimogenico (esocrino). In giovani larve di Petromyzon planeri di 42 millimetri mi risulta che i follicoli pancreatici sono fatti in prevalenza di am¬ massi cellulari pieni che io omologo ai cordoni pancreatici pri¬ mari degli embrioni dei Vertebrati superiori. Oià però in questo stadio io noto in alcuni di tali cordoni un processo di vacuo- ^ lizzazione che conduce alla canalizzazione di essi e alla forma¬ zione di tubi che io omologo ai tubi pancreatici primari di La- GUESSE. Questo processo da principio è limitato a pochi cordoni ma poi negli stadi successivi si estende in modo che nelle larve di maggiori dimensioni, prossime alla metamorfosi, quasi tutto il pancreas risulta di tubi pancreatici primari; il lume di questi tubi non comunica mai nè con il lume intestinale nè con il lume del condotto epatico. NeU'adulto del Petromyzon pianeri ho ritrovato, in linea ge¬ nerale, la medesima struttura di tubi pancreatici; però il lume in alcuni di essi si è ristretto in altri è divenuto virtuale, forse per quel medesimo processo per cui nella metamorfosi si perde il lume dei canalicoli biliari del fegato. Nel Petromyzon fluviatilis non ho potuto esaminare che la forma adulta. Anche qui escludo la presenza di tessuto zimogeni- co e noto che il pancreas si presenta formato di cordoni i quali hanno assunto una disposizione per cui ricordano perfettamente le isole di Langerhans di altri vertebrati. Questi cordoni si presentano riccamente vascolarizzati e qui e li si riscontrano dei lumi, i quali sono quasi tutti riempiti di sangue, e pertanto si tratta quasi sempre di capricciose disposizioni presentate nei tagli microtomici dai rapporti tra i cordoni e la vascolarizza¬ zione sanguigna. Non escludo però che anche in questa specie ci possano essere delle cavità, che facciano ricordare i tubi pan¬ creatici primari. In conclusione il pancreas dei Petromizonti da me esaminati risulta formato da tessuto che io considero primitivo (ricordan- , do la condizione embrionale dei vertebrati superiori) in quanto non si riscontra la differenziazione del tessuto zimogenico. Nel Petromyzon pianeri si tratta di cordoni pancreatici primari che — 196 — si evolvono in maggioranza in tubi pancreatici primari^ mentre invece nel fluvlatilis si evolvono, debbo ritenere, verso la tipica forma insulare; è poi degno di nota che le formazioni descritte nei Petromizonti vengono a trovarsi in regioni riccamente irro¬ rate di sangue, mostrando così una concordanza con i fatti de¬ scritti da Pensa e con la sua ipotesi della influenza delbirrora- zione sanguigna nel dirigere gli abbozzi pancreatici, più verso il tessuto insulare che verso il tessuto zimogenico. Infine io considero i fatti enunciati ih questa nota come a sostegno dell' indipendenza morfologica dei due tessuti, zimoge¬ nico e insulare; e contro la dottrina di Laquesse deirinversione di tali formazioni. Roma, dall' Istituto di Anatomia comparata, luglio 1922. (Finito di stampare il 30 agosto 1922) Indipendenza nel senso che i due tessuti hanno caratteri propri, che non perdono per trasformarsi l’uno nell'altro. i Le acciughe dei mari italiani. Nota riassuntiva del socio Prof* Pietro Lo Giudice (Tornata del 9 aprile 1922) Da parecchio tempo mi son proposto di risolvere un inte¬ ressante problema di biologia, d'importanza anche per le sue ap¬ plicazioni alla pesca, riguardante le eventuali " razze „ di Ac¬ ciuga dei mari italiani. Varie vicende mi hanno impedito di completare in tempo relativamente breve gli studi propostimi. Ora questi sono quasi terminati, ed in attesa di pubblicare il lavoro completo, credo utile comunicare alcuni punti principali delle conclusioni a cui son pervenuto. Il materiale, non sempre ricco ma sufficiente , che mi son potuto procurare, spesso con molta difficoltà, proviene da Cor- nigliano ligure, da Portofino , da Posillipo (Napoli) , dal porto di Napoli, da Ischia, da Spadafora (Sicilia), da Cannitello (Stretto di Messina), da Venezia e da Trieste. Esso è stato conservato in formalina al 5 ^/o e nei vari individui oltre il conteggio degli organi multipli, sono state eseguite le diverse misurazioni, va¬ lendomi per queste del mio somatometro a traslazione i). I dati così ottenuti furono sottoposti al calcolo matematico seguendo principalmente il metodo usato da Heincke per la de¬ terminazione delle diverse razze di Aringhe ^). 1) Lo Giudice, P. — Di un nuovo somatometro (« somatometro a trasla- zione»): Riv. Pesca e Idrob. voi. 3°, 1908, p. 177. 2) Heincke, F. — Naturgeschichte des Herings. Th. I. Die Lokalformen und die Wanderung des Herings in den europàischen Meeren : Abh. D. See- fisch. Ver. Bd. 2, pp. 223-26, Taf. 1898. — 198 — Ho riscontrato anzitutto delle differenze in rapporto al sesso, sì da determinare un vero dimorfismo sessuale, presentando i ma¬ schi, in generale, dimensioni più piccole delle femmine, sia in rap¬ porto alla lunghezza che all'altezza del corpo, di modo che quelli sono più piccoli e più snelli delle altre; presentano inoltre una maggior lunghezza del capo e del mascellare superiore, hanno le pinne pettorali e ventrali inserite più indietro e spesso un minor numero di vertebre. Risulta ancora in modo indubbio che fra le acciughe delle varie stazioni da me studiate intercedono differenze talvolta assai marcate, e tali da autorizzarmi ad ammettere resistenza di di¬ verse '' forme locali „ o " famiglie „ nel senso di Heincke ^). Siffatte differenze non si riscontrano soltanto in individui abitanti bacini geograficamente assai distanti , come p. es. il golfo di Genova ed il golfo di Venezia, ma ancora in individui viventi in bacini strettamente vicini, come p. es. Napoli Posil- lipo e Napoli porto, riviera di levante (Portofino) e riviera di ponente (Cornigliano) del mar Ligure , Venezia e Trieste per l'alto Adriatico. Aggiungo che tra alcune razze „ viventi in lo¬ calità relativamente distanti , intercedono talvolta minori diffe¬ renze che non tra quelle viventi nella medesima regione; per cui possiamo benissimo trovare " forme locali „ viventi 1' una ac¬ canto all'altra. Nel presente quadro sono riassunte le principali differenze riscontrate in alcuni caratteri esaminati negli individui prove¬ nienti dalle singole località ^). q Lo Giudice, Sulle diverse razze o «famiglie» (Heincke) a?/ ac¬ ciuga: Riv. Pesca e Idrob. voi. 6^ 1911 p. 73 e Ancora sulle diverse razze locali di acciuga : ibid. p. 226. q Le note relative ai maschi delle acciughe di Napoli andarono smarrite nel terremoto di Messina; ma quanto risulta dallo studio delle sole femmine rende già possibile la determinazione di una speciale razza. Per altro mi sto ora occupando in modo speciale delle acciughe del golfo di Napoli valendomi del copioso materiale inviatomi dai professori Cerruti e Police nell'occasione dei loro studi sulla pesca con l'ausilio di fonti luminose. — 199 — « — 200 — La matematica sicurezza deiresistenza di diverse " razze „ di Acciuga ha una grande importanza nella biologia di questo. Clupeide per quanto riguarda sopra tutto le sue pretese migra¬ zioni orizzontali. E' comune credenza, tanto nei pescatori, quanto in alcuni studiosi di biologia applicata alla pesca , che i branchi di Ac¬ ciughe compiano in superficie, annualmente, dei lunghi viaggi, trasportandosi in luoghi assai distanti, o per inseguire la preda, 0 meglio per la ricerca dei luoghi più adatti alla frega. Il Marion ritiene difatti, con i pescatori della costa di Mar¬ siglia, che questo Clupeide si muova nelle sue migrazioni da est verso ovest, e dice testualmente che le Acciughe pescate su quelle coste “ viennent de l'Italie „ ^). Il Paolucci, per le Acciughe del medio Adriatico, riferi¬ sce che le loro migrazioni pare si mantengano invariabili da levante a ponente ^). Anche. nel 1° Convegno Nazionale di Pesca, tenutosi in Roma nel luglio 1917, si è accennato ai viaggi lunghissimi com¬ piuti annualmente dai bianchetti (giovanissimi individui di Acciuga e Sardina), i quali, muovendosi contro corrente, si re¬ cherebbero nientemeno che nell'Atlantico ! ^). Dai risultati delle mie ricerche sembra che le cose non va¬ dano precisamente così. Le numerose forme- locali „, tante quante sono le stazioni studiate, poste in luce da tali ricerche, ci dimostrano che ogni '' famiglia ’o "razza,,, abita il proprio territorio, più o meno circoscritto e delimitato dalla uniformità o quasi delle condi¬ zioni fisico-biologiche in cui la " razza „ stessa trova V optimum . per la sua esistenza. I movimenti in superficie pertanto avver¬ rebbero, per ogni singola " forma locale „ , in una cerchia rela¬ tivamente ristretta, e le " famiglie „ non abbandonerebbero il naturale ed abituale soggiorno finché cause eccezionali non ve- 9 Marion, A. F. — Note sur VAnchois: Bull. Mus. Hist. Nat. Paris, t. 3® p. 58 ; e Note sur le regime du Maquereau et de V Anchois sur les còtes de Marseille durant la campagne de 1890: Ann. Mus. Hist. Nat. Paris, t. 5° p. 108. 9 Paolucci, L. — Le pescagioni nella zona italiana del medio Adriatico; Ancona 1901. 9 Cfr. Rassegna di Pesca: Anno II. N. 17-18, Settembre 1917, pag. 8. / — 201 — nissero per caso un giorno a turbare Tequilibrio tra le condi¬ zioni organiche e le condizioni fisiche. Ed infatti i singoli bran¬ chi di Acciughe, appartenenti ad una data “ razza „ che vivono in circoscritti e determinati bacini, in massima, ed ordinariamente solo nel periodo della riproduzione, compiono migrazioni sol¬ tanto verticali, batimetriche, spostandosi di poco orizzontalmente, il che fanno anche allo scopo di inseguire la preda. Stabilita 1' esistenza di diverse “ razze „ di Acciuga che si differenziano per molteplici caratteri , dal complesso delle mie ricerche risultano tuttavia delle analogie sulla maniera di com¬ portarsi di alcuni di questi caratteri differenziali, per cui si pos¬ sono trarre conclusioni assai interessanti sia per il problema delle “ razze „ in particolare , sia per quello generale della biologia del Clupeide di cui sto trattando. Difatti le Acciughe provenienti da Cornigliano ligure , da Portofino, da Posillipo (Golfo di Napoli), da Ischia, da Spada- fora e da Cannitello presentano, in generale, il corpo più lungo e più slanciato, il capo ed il mascellare superiore più brevi, le pinne pari inserite molto più presso Tapice del muso; mostrano ancora un maggior numero di raggi nella pinna caudale, un nu¬ mero minore di raggi nella pinna dorsale ed anale, e finalmente posseggono anche un minor numero di vertebre rispetto alle Acciughe provenienti dal porto di Napoli, da Venezia e da Trieste. Se poi oltre alle differenze somatiche ed anatomiche , te¬ niamo anche conto del diverso habitat degli individui prove¬ nienti e dalle prime località e dalle seconde, si può conchiu¬ dere che le diverse " razze „ di Acciuga si possono riferire a due gruppi principali: uno costituito da quelle Acciughe che per abitare il mare aperto e piuttosto profondo chiamerò delle A c- ciughe pelagiche, Taltro invece risultante da quelle Ac¬ ciughe, che, essendo abituate a vivere più presso le coste, nei seni e nelle rade relativamente poco profonde , indicherò co¬ me Acciughe costiere. Acciughe pelagiche ed Acciughe costiere sarebbero dunque le due " razze „ principali , che alla loro volta si suddividono in altre " razze „ secondarie, analoga¬ mente e quanto è stato osservato da Heincke per le Aringhe. In quanto alle cause che hanno determinato un simile dif- ~ 202 — ferenzirnento, esse, secondo me, debbono essere ricercate nella diversità delle svariate condizioni dell' ambiente in cui vivono gli organismi in parola , condizioni le quali agendo costante- mente sulla specie, le hanno impresso un diverso orientamento, un maggiore o minore sviluppo di quei caratteri più soggetti a variazione, pur restando costanti o quasi quegli altri che sono l'espressione insita della specie, allo scopo precipuo dell'adat¬ tamento all'ambiente e della conservazione della specie stessa. Questo diverso orientamento, credo, sia principalmente de¬ terminato da due speciali fattori: dalla temperatura e dal tenore salino dell'acqua del mare, forse più da questo che da quello ^). E' noto che le condizioni di temperatura e di salinità del¬ l'acqua marina in vicinanza delle coste sono ben differenti di quelle che si riscontrano in alto mare , e come queste condi¬ zioni siano colà soggette a maggiori variazioni, onde le specie che si sono adattate a vivere prevalentemente nel mare aperto dovrebbero presentare minori differenze di razza di quelle abi¬ tuate a vivere presso le coste. Ora appunto a questi postulati rispondono i risultati delle mie ricerche sulle razze,, di Acciuga. Infatti le Acciughe pelagiche mostrano nei loro rispettivi ca¬ ratteri minori differenze delle costiere, sebbene quelle abitino tal¬ volta bacini geograficamente distanti. Ed in vero le Acciughe di Cornigliano ligure, di Portofino, di Ischia, di Posillipo (Golfo di Napoli), di Spadafora e di Cannitello accusano fra loro minori differenze somatiche che non le Acciughe del porto di Napoli, di Venezia e di Trieste. Anzi lé due ‘Gazze,, di queste due ultime località presentano differenze assai profonde, quali non si sarebbero aspettate fra individui di località tanto vicine, e ciò probabilmente è dovuto alle disparate condizioni di salinità, es¬ sendo le acque dell'estuario veneto a tenore salino più basso della opposta sponda triestina. Ammessa la esistenza di questi due gruppi principali di b L'influenza del grado, di salinità delle acque sulle " razze „ è stata re¬ centemente presa in considerazione specialmente dallo Schmidt (Zoarces vivi- parus L. and locai races of thè same : C. R. du Laboratoire Carlsberg. Voi. 13, 1917, p. 279). N 203 — Acciuga, ci vien dato di domandarci se non esistano differenze biologiche ben più profonde di quelle constatate, e più precisa- mente se il periodo riproduttivo delle Acciughe pelagiche cada nella stessa epoca di quello delle Acciughe costiere. Dall' esame di. parecchie centinaia di individui, e dall' ispe¬ zione dei loro organi genitali nelle differenti stagioni dal punto di vista della loro maturità, mi son potuto formare la convin¬ zione che ai gruppi principali di Acciuga competono due diffe¬ renti periodi riproduttivi, e precisamente le pelagiche si ripro¬ durrebbero da marzo a maggio e le costiere da giugno e set¬ tembre: quelle sarebbero dunque a riproduzione primaverile, queste a riproduzione estiva. Parecchi fatti, a cui brevemente accennerò, stanno a suffra¬ gare la mia opinione. E' detto che questo Clupeide si riproduce dall'aprile al set¬ tembre, o meglio dal principio della primavera alla fine dell'e¬ state; cosicché in tutto questo periodo di tempo noi dovremmo trovare uova e larve planktoniche a diverso grado di sviluppo. Ora non così accade da per tutto nella pratica. Nello stretto di Messina le uova di questa specie vengono pescate al largo sino alla fine di maggio, qualche anno eccezio¬ nalmente in giugno, e ciò specialmente quando l'inverno è stato piuttosto rigido per il frequente spirare di venti del nord. Ordi¬ nariamente nei mesi estivi le uova di Acciuga sono scomparse dal plankton '). Sempre nello stretto di Messina, mentre gli adulti di En- graulis si pescano abbondantemente in superficie nei mesi pri¬ maverili, i piccoli di questa specie, di 30-50 mm. di lunghezza appena rivestiti dello strato argenteo proprio del Clupeide, ven¬ gono pescati con gli " sciabachelli „ (sorta di fitte reti a sacco) nei mesi di agosto e settembre, e riconosciuti dai pescatori sotto il nome di " a n c i o a r i n a „. Queste piccole Acciughe proven- 0 Circa alle uova di acciuga che si rinvengono talora nel plankton, a Ganzirri, e al Faro, nel settembre ogni volta che vengono altresì pescati gli adulti, con Tausilio di fonti luminose, mi riservo di trattare in un prossimo lavoro. — 204 gono certamente dalle uova fecondate entro Tanno, e precisa- mente nella primavera. D'altra parte è da osservare che gli individui di 10-16 cm. pescati nello stretto nei mesi di marzo ed aprile si presentano con gli organi genitali turgidi e voluminosi, segno questo della loro piena maturità in atto; gli individui della stessa lunghezza, che accidentalmente vengono pescati nei mesi estivi, mostrano le glandule sessuali alquanto ridotte, il che significa che esse hanno già espulso i loro prodotti. Tutti questi fatti tendono a stabilire, per le Acciughe dello stretto di Messina, un periodo riproduttivo assai ristretto, e li¬ mitato ai soli mesi primaverili. Ora se tutto il complesso di constatazioni dianzi cennato si mette in rapporto con la presenza di una sola “ razza „ di Ac¬ ciughe nelle acque dello stretto di Messina, e che noi abbiamo ascritto alle pelagiche, non sarebbe del tutto infondata T opinio¬ ne che questo gruppo principale presenta un periodo riprodut¬ tivo limitato ai soli mesi da marzo a maggio. Se così non fosse nei mesi susseguenti sino all'ottobre si dovrebbero sempre tro¬ vare e individui maturi insieme a quelli che hanno già fregato e uova e larve planktoniche. Anche per altre località gli Autori hanno osservato che la riproduzione dell'Acciuga avviene in un determinato periodo di tempo. Il Ninni per le Acciughe di Venezia, che abbiamo dimo¬ strato appartenere alle costiere, dice che questo Clupeide “ pro¬ lifica in giugno lungo, le nostre spiaggie; se ne incontrano ap¬ pena sgusciati dall'uovo nel mese di luglio „. Ed il Paolucci riferisce che : " nel mese di luglio ed agosto passano lungo la costa (anconetana) le figliolanze di sar- doni 3) e sardelle „. q Ninni, E. — Catalogo dei Pesci del Mare Adriatico: Wtn^z\diT\^. Ber¬ toni, 1912. 2) Paolucci, L. — Le pescagioni della zona italiana del medio Adriati¬ co: Ancona 1901. E' noto che in Adriatico le acciughe, dette anche “ alici „ nell'Italia me¬ ridionale, sono chiamate “ sardoni — 205 — P- Il Graeffe i) per le Acciughe di Trieste riferisce che que¬ sto Clupeide frega colà nei mesi estivi. Da una relazione presentata al Ministero francese della Ma¬ rina Mercantile sulla pesca nelle acque di Tunisi, leggo che nel quartiere marittimo di Tabarka la pesca delle Acciughe è eser¬ citata dal giugno all' agosto, e nel Golfo di Biserta essa viene esercitata tutto l'anno, meno che nei mesi dall' aprile al luglio, allorquando questo pesce diviene estremamente raro. Da particolari notizie mi risulta che nel mar ligure uova e larve di Acciuga vengono pescate solo nei mesi da febbraio a maggio. Ci si potrebbe obbiettare che nel Golfo di Napoli, a quanto riferiscono il Raffaele il Lo Bianco^) ed altri, è facile pescare uova di Engraulis in tutto il periodo che va dall'aprile al set¬ tembre. Ma in questa località noi abbiamo constatata la co¬ esistenza delle Acciughe pelagiche e di quelle costiere , ed è appunto per tale circostanza che possiamo trovare uova di que¬ sta specie tanto in primavera che in estate, cadendo in queste due stagioni il periodo riproduttivo ora dell' una, ora dell' altra " razza „ principale. Del resto lo stesso Raffaele segnando l'epoca in cui le uova di questo Clupeide si trovano nel mare, nota due massimi di frequenza: l'uno in maggio, l'altro in settembre; ciò corrrisponde a quanto ho sopra riferito. 11 Raffaele ancora osserva che i piccoli di 25-35 mm., ed un poco più sviluppati, sono spesso pescati in grande abbondanza nel settembre e nell'ottobre e vengono chiamati comunemente “ cicinielli janculilli „. Quantunque io creda di essere nel vero, purtuttavia non voglio più oltre insistere su un simile argomento, ritenendolo, meritevole di un più preciso e particolareggiato studio , e ciò tanto più in quanto le mie opinioni sono in disaccordo con le 1) Graeffe, E. — Ubersicht der Seethierfauna des Golfes voti Triest, IV Pisces: Wien, Alf, Holder 1888. 2) Raffaele, F. — Le uova galleggianti e le larve dei Teleostei nel golfo di Napoli: Mitth. Stai Zool. Neap. Bd. Vili. 1888 p. 1-84. Lo Bianco, C. — Notizie biologiche, ecc. : Mitth. Zool. Stat. Neap. Bd. 19, p. 715, 1909. — 206 — vedute del Face ^), il quale basandosi sulla presenza o meno di zone di accrescimento nelle squame, crede che le Acciughe le quali fregano in primavera sono della seconda maturità, e quelle che fregano in estate sono invece della prima maturazione ses- suale. Cosi i nati nella primavera si riprodurrebbero ad un anno e mezzo circa di età, e quelle nate nell'estate si riprodurrebbero a quasi un solo anno di età. Le prime avrebbero dunque uno sviluppo più lento delle seconde. In altri termini il Face attribuisce il diverso periodo ripro¬ duttivo solo all'età degli individui, anzi che a differenze di razza. Ritornerò pertanto sul medesimo argomento appena saranno completate le mie indagini a tal fine. * * * Innanzi di chiudere l'esposizione delle mie ricerche desidero accennare alle pratiche applicazioni dei risultati di esse, con¬ siderando ora con cognizione di causa alcune quistioni tecniche e legali che si sono da anni dibattute a proposito della pesca delle Acciughe. Intendo anzitutto considerare l'annoso conflitto sempre vivo fra i pescatori napoletani e quelli delle isole di Ischia, e Proci- da, i quali ultimi praticano la pesca dell'Acciuga specialmente di notte con la rete " lampara „ con 1' ausilio di fonti luminose, sfruttando lo spiccato fototattismo positivo presentato da questa specie di pesce. I pescatori di Napoli, ritenendosi danneggiati da un simile genere di pesca, ne han chiesta più volte l' abolizione alle Au¬ torità competenti, basando fra l'altro le loro lagnanze sul fatto che con le fonti luminose vengono attirate nelle reti grandissime quantità di Acciughe mentre attraverserebbero il canale di Pro- cida, provenendo del Nord, per entrare nel Golfo, depauperando così le coste napoletane di una specie assai ricercata ed oggetto di attivissima pesca. b Page, L. — Recherches sur la biologie de VAnchois: Ann. Inst. Océan. Monaco. Voi. I. fase. 4o 1909 p. 47. Cfr. in proposito le mie note critiche in¬ nanzi citate. — 207 — ■■ Ma ho già dimostrato che le Acciughe di Ischia costitui¬ scono una ‘‘ razza „ a sè, differente dalle “ razze ,, napoletane, anzi rispetto a qualcuna dj esse appartiene anche ad un gruppo principale diverso; e siccome ogni “ razza „ abita il proprio ter¬ ritorio senza allontanarsi gran che, così sono d'avviso che le lamentele dei pescatori napoletani non hanno fondamento scien¬ tifico, poiché nelle reti tese nei pressi di Ischia vengono cattu¬ rate soltanto Acciughe appartenenti a quella determinata “ razza „ abitante le acque limitrofe all' isola, senza che pertanto ven¬ gano attirate altre forme locali,, viventi in condizioni di am¬ biente del tutto diverse, e nemmeno vengano “ deviati „ i bran¬ chi di Acciughe provenienti- dal nord e diretti alle coste del golfo essendo una siffatta imponente migrazione, con tutta pro¬ babilità, interamente fantastica ^). Non meno importante è la quistione che riguarda la pesca ed il commercio dei piccoli di Acciuga, conosciuti sul littorale ligure, insieme ai piccoli di sarda, sotto il nome di bianchetti odi paase e paasette. L'articolo 3 della legge sulla pesca (4 marzo 1877 serie 2, n. 3706) per la protezione e conservazione delle specie di pesci, stabilisce che: “ Sono vietati la pesca ed il commercio del fre¬ golo, del pesce novello e degli altri animali marini acquatici non pervenuti alle dimensioni che saranno indicati dai rego¬ lamenti E nell'ultimo capoverso di questo articolo si legge: “ Altre eccezioni al disposto di questo articolo potranno essere ammesse dai regolamenti quando sia dimostrato che non sono tali da nuo¬ cere al fine della conservazione e moltiplicazione della specie In forza di tale disposizione il regolamento della pesca ma¬ rittima (13 novembre 1882 n. 1090) all'articolo 41 (titolo IV Disposizioni di carattere locale „) stabilisce: Nei comparti- menti marittimi di Porto Maurizio, Savona, Genova e Spezia sono permessi nei mesi di febbraio e di marzo la pesca ed il commercio dei bianchetti (piccole sardine ed acciughe) e 0 Questa mia conclusione é stata già riportata dal Mazzarelli {Contro¬ versie relative alla pesca con fonti laminose'. Rassegna di pesca, Anno IV, p) 1920. p, 37-41). delle paase o paasette comunque abbiano dimensioni infe¬ riori a quelle stabilite neirarticolo 17 (7 cm.) Pertanto, in virtù della sopradetta disposizione, lungo le coste del mar ligure vengono ogni anno pescate centinaia di quintali di piccole sardine ed acciughe. Purtroppo dobbiamo ancora una volta constatare che la le¬ gislazione della pesca, non solo in Italia, ma in tutti i paesi ci¬ vili, è stata elaborata senza la conoscenza esatta delle condizioni biologiche della fauna ittica, e ciò forse perchè si è ritenuta suf¬ ficiente la conoscenza pratica di un simile importante e difficile argomento: conoscenza pratica spesso fondata su concezioni er¬ ronee e talvolta del tutto fantastiche dei pescatori. Senza dubbio la Commissione reale, incaricata dello studio dei regolamenti di pesca, per essersi indotta alle concessioni sancite dell'articolo 41, ha dovuta vagliare e ritenere di certa importanza le ragioni avanzate dai pescatori liguri. Queste ragioni, credo possono riassumersi nel danno che l'abolizione d'una inveterata costumanza avrebbe arrecato ai pe¬ scatori stessi, già tanto miseri per la povertà del loro mare nella difficoltà di esercitare nei mesi di febbraio o di marzo altre pesche proficue, nel mentre la pesca dei bianchetti non a- vrebbe arrecato all'economia generale della pesca alcun nocu¬ mento, essendo limitata ad un breve tratto del littorale italiano. Ritengo ancora che la Commissione predetta ha tenuto an¬ che presente che un tal genere di pesca non è vietato dalla le¬ gislazione francese, e quindi è sembrato forse un soverchio ri¬ gorismo negare al pescatore ligure il beneficio della pesca dei bianchetti, quando questo novellarne sarebbe stato invece facilmente catturato dai pescatori francesi. E ciò in considera¬ zione di quel vieto concetto delle migrazioni orizzontali, che ab¬ biamo dimostrato essere del tutto fallace. Debbo aggiungere che i pescatori liguri, non contenti del particolare beneficio loro accordato, non hanno cessato di chie¬ dere alle competenti Autorità, concessioni ancora più larghe: quale il prolungamento del periodo della pesca dei b i a n c h e 1 1 i anche nei mesi di aprile e maggio. D'altra parte non sono man¬ cati voti e sollecitazioni di Società pescarecce dello stesso lit- — 209 torale ligure per la assoluta abolizione del disposto dell'articolo 41 del regolamento della pesca marittima. Onde la Commissione Consultiva per la pesca è stata più volte chiamata a dare il proprio giudizio su simili controverse quistioni, ma non avendo elementi fondati per decidere prò o contra, ha creduto prudente, per molte considerazioni, non a- dottare misure più restrittive di quelle vigenti, come d'altra par¬ te non fare concessioni ancora più ampie ad un trattamento di per se stesso eccezionale i). Stando alle conoscenze acquisite dalle mie ricerche, credo, di essere in grado di poter risolvere opportunamente la quistione. Dimostrata la stazionarietà in sito delle singole '' razze „, per cui non è più il caso di parlare di lunghe e periodiche migra¬ zioni orizzontali, ne viene di conseguenza che anche i bianchetti, fra i quali sono i piccoli di Acciuga, pur aggirandosi continua- mente negli strati superficiali delle acque del Golfo ligure, non abbandonano, al pari dei loro progenitori, il bacino assegnato, diciamo così, alla propria " razza „ essendo la loro apparente scomparsa evidentemente non altro che l'effetto di una migra¬ zione batimetrica dalla superficie in acque più profonde e forse più lontane dai luoghi di pesca. Pertanto, se mai, la pesca in¬ tensiva dei bianchetti potrebbe contribuire a compromettere la pescosità del mar ligure, già di per se stesso assai povero quan¬ titativamente 2) di pesci, depauperandolo altresì di Sardine e di Acciughe adulte, a scapito quindi e dell'economia della pesca e della moltiplicazione della specie. Messina, Istituto Zoologico della R. Università, aprile 1922. b Cfr. specialmente la relazione del Lo Bianco (Atti Comm. Consult. per la pesca, sessione 1905, Roma 1906, pag. 47) e quella del Raffaele (ibidem, sessione 1912, Roma 1913, pag. 71). b II Parona nella sua relazione sulla pesca marittima in Liguria (Atti Società Ligustica in Genova 1898) così dice a questo proposito : "Il littorale del- " la Liguria, che corre dal confine francese ad ovest sino alla Magra ad est, " abbraccia un largo spazio di mare, nel , quale la fauna ittiologica é svariatis- " sima; ma dal punto di vista della pescosità, ossia nel quantitativo delle specie " mangerecce, è molto infelice, tanto che l'antico detto " mare senza pesci „ è una " dolorosa verità „. (Finito di stampare il 10 novembre 1922) Esperimenti di cultura in vitro di tessuti di Selaci. Nota del socio Claudio Garg^ano (Tornata del 13 agosto 1922) La coltivazione dei tessuti in vitro si può considerare una acquisizione del lutto recente, perchè i tentativi eseguiti in varia epoca dai fisiologi, hanno piuttosto orientato gli studi a stabilire le costanti fisico-chimiche dei vari liquidi conservativi, anziché a realizzare dei risultati pratici di cultura. Infatti prendendosi, come materiale di ricerche, il cuore, si è cercato di risolvere il problema se e come i cennati liquidi, che sostituir dovevano la vecchia soluzione di Na CI al 0,75 °[o, avessero potuto mantenere le contrazioni ritmiche del muscolo cardiaco, o risvegliare delle contrazioni già assopite. Tali esperimenti non hanno quindi fatto altro che dare la prova della sopravvivenza, in determinate condizioni di irriga¬ zione, di umidità, di temperatura e per un tempo più o meno lungo, di un organo asportato dal suo normale habitat. Non po¬ teva d'altra parte parlarsi che di sopravvivenza e non di cultura di tessuti, perchè il cuore o i brandelli di cuore, se pur presenta¬ vano le ritmiche contrazioni, non svolgevano nessuna altra ma¬ nifestazione di vita : non si aveva per es. un aumento di massa, come avviene insemensando in un terreno opportuno un germe qualsiasi. Da un pùnto di vista dottrinale non doveva ripugnare il principio, che i tessuti vari, dei quali si compone il corpo di un metazoo, possano in vitro vivere e riprodursi come una cellula batterica. Ed è appunto su questo principio, puramente dottrinale, che per opera di Carrel e Burrow’s Montrose nel 1910 cominciano gli esperimenti di coltivazione di tessuti in vitro. Carrel e Burrow's Montrose, nelle loro prime memorie, accennano a risultati e conclusioni tali da far sorgere nell’ani¬ mo, anche dei più scettici, la speranza che si fosse riuscito con delicati metodi di tecnica fisiologica ad ottenere una delle più grandi acquisizioni scientifiche, quella di coltivare i tessuti in vitro e di studiare effettivamente la biologia cellulare, senza do¬ vere ricorrere ai procedimenti di fissazione, colorazione, ecc..., che per necessità dovevano indurre negli elementi anatomici delle alterazioni molteplici sia nella morfologia che nel chimis¬ mo degli elementi stessi. Che il metodo di cultura in vitro dei tessuti, proposto dai due pionieri, quali Carrel e Burrow's Montrose, apparisse real¬ mente un procedimento generale di Biologia si ebbe una con¬ ferma negli esperimenti di Peyton Rous (della scuola di Carrel), che dimostrò aversi in vitro anche coltivazione di tessuti pa¬ tologici alla stessa guisa dei tessuti normali. E sebbene Carrel e Burrow's Montrose fino al 1913 non dessero che pochi ac¬ cenni della tecnica da essi seguita per ottenere risultati così cos¬ picui, pure numerosi osservatori hanno tentato, con varia for¬ tuna, di riprodurre gli esperimenti di cultura in vitro dei tessuti, avendosi in tal modo in pochi anni una intera letteratura sul¬ l'argomento. Non mancarono pertanto delle voci dissonanti, non manca¬ rono dei dubbi sulla efficacia del processo seguito da Carrel e Burrow's Montrose, ma purtroppo il numero dei fautori delle culture risultò molto cospicuo rispetto a quello di coloro, che poco o nulla avevano ottenuto, ed infatti anche durante la guerra (epoca nella quale la scienza pareva asservita solo all' esercito) sono apparse una serie di dotte monografie, in ispecie per opera di Levi, che, entusiasta, fa assorgere la cultura dei tessuti in vitro ad un processo di Biologia generale. Quale era la tecnica consigliata da Carrel, Burrow's Mon¬ trose ed altri? — 212 — Quella di servirsi come terreno di cultura del plasma san¬ guigno prelevato precedentemente o dal medesimo animale ( i cui tessuti in un'epoca posteriore sarebbero serviti come mate¬ riale d'insemensamento) o di plasma di animali della medesima specie, addimostrandosi quelli di specie lontane meno commen- devoli. I terreni minerali (liquido di Rinqer, liquido di Locke) non pareva dassero uguali buoni risultati come i terreni al plas¬ ma. Naturalmente tutte le varie manipolazioni per preparare i terreni al plasma, per prelevare i brandelli di tessuto da inse- mensare, ecc. richiedevano una scrupolosa asepsi per ovviare al pericolo dell'inquinamento della cultura. L'osservazione si eseguiva o direttamente sulle culture vive (per le quali riescono utili le lastrine portaoggetti a cellette ado¬ perate in batteriologia o le lastrine di orologio), o, previa fis¬ sazione della cultura, seguire la ordinaria tecnica dei tagli mi- crotomici, ecc. I risultati, come si è accennato, sembra sieno molto discordi: alcuni osservatori avrebbero ottenuto, come Centanni, perfino una cicatrice in vitro fra due culture di tessuti: altri, come Henry e Smyth culture di tessuto e di microorganismi insieme, altri, come Carrel e Burrov's Montrose, culture primarie, secondarie, ecc., che avrebbero portato alla conseguenza di mantenere le pulsazioni di brandelli di cuore di pulcino per un periodo di tempo superiore ai 100 giorni: altri infine si mostrano nichilisti. Una discussione critica desunta dalla Bibliografia ci mette in evidenza prima di ogni altra cosa un fatto strano, che dal 1917 (epoca della ultima monografia di Levi) sembra cessato nei vari osservatori ogni desiderio di continuare un tal tipo di ricerche, che pur apparivano così ricche di speranza! ed invece pare av¬ venga un rifiorire delle indagini di fisiologia pura sui vari li¬ quidi conservativi di natura minerale, e sulle loro costanti fisico chimiche. In tutti i lavori poi si trovano pochi accenni sul de¬ stino delle culture. Quanto tempo può vivere un tessuto in un terreno al plas¬ ma ? Se sì dovesse tener conto degli entusiasmi dei primi ricer¬ catori, sembrerebbe (?!) si sia giunti a realizzare delle culture indefinite così facilmente come quelle di un microrganismo: te¬ nendo invece conto del silenzio su questo punto delicato di in- — 213 dagini, parrebbe dovesse essere brevissima la vita dei tessuti in vitro. Riferisco i risultati di alcuni miei esperimenti di cultura in vitro di tessuti di sciaci, eseguiti nel 1Q14 e 1915 nel Laboratorio di Fisiologia della Stazione Zoologica di Napoli. Le ricerche furono interrotte per causa indipendente dalla mia volontà, ed avendole potuto mettere solo recentemente in rapporto con i risultati ottenuti dagli altri aa., credo utile esporli in questa nota, promettendomi presto pubblicare la memoria completa. Gli esperimenti riguardano vari tipi di tessuti di quattro specie di animali: due squali (lo Scyllium stellare e lo Scyllium canicula) e due torpedini (la Torpedo ocellata e la Torpedo marmorata) ed anche tessuti di embrioni di questi animali. I terreni adoperati sono stati mezzi al plasma e mezzi mi¬ nerali, le culture sono state mantenute sia alla temperatura di So-lQo (corrispondente alla temperatura media delle vasche pro¬ fonde del reparto fisiologico della Stazione Zoologica) con uno speciale dispositivo da me ideato, ovvero alla temperatura di 38® negli ordinari termostati, I terreni minerali, quali i liquidi di Rinqer e di Loche originali o modificati ed il liquido di Fuhner non si appalesano dei buoni terreni di cultura: in essi i tessuti si conservano per un tempo variabile, ma sempre breve (mai superiore ai 4-5 giorni), purché la temperatura sia bassa. Nei terreni al plasma omogeneo, e sempre allatempe- r atura di 38®, nel maggior numero dei casi il risultato è ne¬ gativo 0 per non sviluppo di tessuto o per alterazioni quasi inevi¬ tabili dovute a deficienze anche inevitabili di tecnica: in qual caso pertanto si ha esito positivo. Nel pezzo insemensato bisogna distinguere oltre una zona centrale (nella quale si hanno fenomeni più o meno degene¬ rativi negli elementi che la compongono), una zona esterna detta fertile, dalla quale è generata la z o n a di invasione, che è r esponente della avvenuta cultura. Nella zona fertile comincia un processo di s diffe¬ renziazione cellulare, che porta alla dissociazione delle cellule ed alla loro trasformazione in elementi sferoidali, appiat¬ titi. In detta zona si riscontrano delle figure mitosiche, preva- — 214 — lentemente profasi, meno frequentemente metafasi, assenza quasi completa di telofasi ed anafasi. Gli elementi infine della zona di invasione sono cellule molto appiattite somiglianti ad elementi endoteliali, con citoplasma omogeneo e nucleo povero di sostanza cromatica, elementi spesso in fase degenerativa. Sempre assenza in essi di mitosi. Quale che sia il tipo di tessuto insemensato, quale che sia r animale da cui proviene, il reperto istologico è sempre il me¬ desimo. NeU'insemensamento di cuori interi, la pulsazione con¬ tinua per un tempo variabile, superiore nei terreni minerali ed a bassa temperatura, ma mai oltre alle 24-48 ore. L’ insemensamento dei brandelli di cuore qualche volta dà origine a culture di cellule appiattite, sferoidali o stellari con qualche prolungamento: si ha V impressione che sieno elementi prodotti dalle fibre muscolari, ma queste cellule nuove formate hanno sempre un carattere negativo di non poca importanza, che le fa distinguere dalla sostanza contrattile e questo carattere è r assenza della birifrangenza. I tessuti embrionali si compor¬ tano come i tessuti adulti. Il sangue conservato col metodo Jolly in tubi capillari im¬ paraffinati o non neir interno e conservati in ghiacciaia o alla temperatura di 8°-10°, dà solo nei tubi senza imparaffinamento ed in gliiacciaia in qualche caso (dopo 2 a 3 mesi) la visione di leucociti aventi la ordinaria morfologia e gli ordinari movi¬ menti ameboidi. Dai risultati ottenuti si può concludere che gli elementi del sangue, mantenuti in ghiacciaia, possano sopravvivere per un tempo piuttosto lungo. Per le culture invece dei tessuti si ha, che i ter¬ reni minerali non spiegano altra azione, che di terreni conser¬ vativi, purché mantenuti a bassa temperatura. I pochi casi riusciti di cultura in terreni al plasma ed a tem¬ peratura di 38° debbono far concludere o che gli elementi che si formano nella zona di invasione sieno generati dalle cellule endoteliali delle lacune linfatiche e solo da queste, ovvero che gli elementi degli organi insemensati abbiano siffattamente cam¬ biato la loro morfologia per un processo di sdifferenziamento, da riportarsi ad un tipo di elementi sferoidali, appiattiti, senza — 215 — prolungamenti e con una struttura citoplasmatica molto rudimen¬ tale. I fenomeni osservati infatti non ci dimostrano altro, che i cambiamenti fisico-chimici del nuovo habitat inducano nelle cel¬ lule insemensate, ancora vive e vitali, tali modificazioni da produrre il loro distacco (come nelle esperienze di Bottazzi), il loro sdifferenziamento e la loro trasformazione in cellule sferoi¬ dali, e le stimoli ad un processo cinetico, che solo in pochi casi assolve il suo ciclo generando due cellule. La durata della vita delle culture è sempre brevissima, al massimo di 3 a 4 giorni. Pur non avendo eseguito esperimenti che su animali etero¬ termi, ho personalmente la convinzione, che tessuti così diffe¬ renziati come quelli, che costituiscono gli organi dei metazoi su¬ periori, mal si prestino ad una cultura in vitro. In ogni caso, nei tentativi positivi, si è testimoni dello svolgersi di elementi molto alterati e trasformati, che in brevissimo tempo vanno in¬ contro ad un processo degenerativo. Dalla Stazione Zoologica di Napoli. (Finito di stampare il 30 novembre 1922 La decomposizione elettrica delle righe spettrali del socio Dott. Antonio Gafrelli (Tornata del 13 agosto 1922) Lo studio della decomposizione elettrica delle linee spet¬ trali in questi ultimi anni, per merito di una schiera di nume¬ rosi fisici sperimentatori e teorici, ha arricchito la spettroscopia di un nuovo capitolo in cui si trovano collegati importanti ri¬ sultati, che lumeggiano l'intima struttura dell'atomo e il mec¬ canismo dell' emissione spettrale. E come con lo studio dell'ef¬ fetto Zèeman vengono considerati con un'unica teoria vari feno¬ meni ad esso connessi, quali l'effetto Faraday e la doppia ri¬ frazione magnetica, così lo studio della decomposizione elettrica delle righe ha fornito elementi interessanti anche per lo studio della variazione dello spettro per pressione, e per lo studio della larghezza delle linee spettrali. Poiché non è ancora facile per il gran numero di lavori comparsi sull'argomento prendere diretta visione degl'interessanti risultati ottenuti, credo vantag¬ gioso di esporre in questa nota lo stato attuale del problema. 1 . — La decomposizione elettrica delle righe delE H* In continuazione e a .complemento delle prime esperienze di Starr e di Lo Surdo, altri sperimentatori, tra cui primeggia il giapponese Takamine, hanno analizzato con maggiore preci¬ sione la decomposizione delle righe della serie di Balmer per h Cfr. L. D’Aquino. — La decomposizione delle righe spettrali per effetto del campo elettrico. Napoli, Detken, 1922. — 217 effetto del campo elettrico; i risultati ottenuti non hanno con¬ fermata quella regolarità che, in base alle primitive osservazioni con campi elettrici relativamente deboli, si era creduto di rive¬ lare nelle righe Hi H2 H3 in virtù della quale, a parte le due componenti esterne polarizzate sempre parallelamente al campo, il numero di quelle polarizzate perpendicolarmente cresceva di un'unità da riga a riga. Invece sono stati posti in luce tipi di decomposizione più complicati. Fu possibile cioè giungere alla enunciazione di una serie di leggi di cui riporto le principali: 1.0 — Ogni riga sotto l'influenza del campo elettrico si de¬ compone in un certo numero di componenti che cresce con il numero d'ordine della riga. 2.® — Alcune componenti (le p.) sono polarizzate parallela- mente, le altre (le n.) normalmente alle linee di forza. 3.0 — Tra le componenti le più interne sono le più intense e tra le componenti predominano invece le più esterne. 4.0 — Lo spostamento cresce proporzionalmente alla inten¬ sità del campo a partire da un valor minimo per campi deboli. 5.0 — Lo spostamento delle componenti cresce regolarmen¬ te col numero d'ordine della riga. 2. — Teoria delF effetto* Si riuscì a costruire la teoria in base alle vedute moderne sulla emissione spettrale, e cioè partendo dal concetto quanti¬ stico fondamentalmente che ha pure permesso la deduzione teo¬ rica della formula di Balmer in assenza di campo elettrico. I procedimenti teorici del nuovo effetto, a differenza di quanto avviene per l'effetto Zeeman, si presentarono in queste ricerche particolarmente complessi, e fu principalmente per merito di Epstoin e di Schwarzschild l'avcT fondato una soddisfacente teoria che può considerarsi come ulteriore sviluppo della teoria di SoMMERFELD' sulla Struttura fina delle righe. La teoria primitiva di Bohr nel caso più semplice, suppo¬ neva che l'atomo di H fosse costituito dalla carica centrale po¬ sitiva intorno cui l'elettrorLe graviti in orbite circolari con raggi calcolabili mediante una particolare condizione quantistica. Ognu- — 218 — na di queste orbite era caratterizzata da una certa quantità di energia W del sistema data dalla formula dove R Q h sono rispettivamente la costante di Rydberg e di Planck ed /z è un numero intero (1, 2, 3...). L'emissione avver¬ rebbe solo quando l'elettrone salta da una orbita dell'ordine m ad un'altra di ordine n e con una frequenza data dalla formola : Wm - Wn _ p ( 1 1 j La teoria fu sviluppata da Sommerfeld che prima considerò il moto del nucleo e dell'elettrone intorno al loro comune cen¬ tro di gravità, il che porta una piccola variazione nella costante R di Rydberg da H a He ecc., e poscia ammise in generale moti ellittici anziché circolari. In tal modo il punto occupato dall'elettrone in un certo istante è individuato non solo dal rag¬ gio r ma anche dall'angolo azimutale (p donde nascono due con¬ dizioni quantistiche corrispondenti alle due variabili gradi di li¬ bertà. Uno stato stazionario del sistema è individuato allora da un certo valore n della somma dei due numeri quantistici interi e /Zg l'uno di origine radiale e l’altro di origine azimutale, e si realizza non più con un'unica orbita circolare, ma con un gruppo di orbite ellittiche di diverse eccentricità. Il Sommerfeld ha inol¬ tre introdotti in questi problemi i risultati fondamentali della di¬ namica relativistica; ha supposto cioè la variabilità della massa con la velocità, e la conseguente compenetrazione dei concetti di massa ed energia. In conseguenza di ciò alle varie orbite, a cui compete lo stesso valore di n ma valori diversi di e di ri,, non compete la stessa quantità di energia; tale diversità si ma¬ nifesta conseguentemente anche nelle frequenze e cioè al posto di una riga unica, in virtù di questa teoria più generale, deve presentarsi un piccolo spettro. L'esperienza ha verificato in modo sorprendente queste de¬ duzioni, ed ha incoraggiato i fisici a seguire questa via nella trattazione di problemi più complessi di meccanica atomica. In¬ fatti mentre il Bohr, prima che fosse elaborata la citata teoria, cercò di studiare teoricamente l'effetto Starr calcolando la per- turbazione delle orbite per effetto del campo, e giunse così ad una formula non molto diversa dalie altre ricavate da premesse più 0 meno analoghe, il progresso effettivo, che ha fornito nuove ed importanti dell' ipotesi quantistica ed ha spiegato quasi tutte le particolarità osservate nella decomposizione delle righe della serie di Balmer è stata conseguito da Epstein che si appog¬ giò alla teoria di Sommerfei.d. Per trattare completamente il pro¬ blema relativo all’atomo di H nel campo elettrico, poiché la di¬ rezione del campo rappresenta una direzione tra tutte le altre privilegiate ed inoltre fissa, Epstein considerò una terza coor¬ dinata, equatoriale, nel moto della particella per individuare la posizione del piano dell’orbita rispetto alle linee di forza. La ri¬ soluzione dell’equazione del moto dell’elettrone sotto l’azione del carico del nucleo e del campo elettrico, che corrisponde ad una massa attraente a distanza infinita, si effettua secondo il classico metodo di Hamilton-J acori, rappresenta un interessante caso di integrazione per separazione di variabili. Si giunge alla risolu¬ zione impiegando uno speciale sistema di coordinate dell’ elet¬ trone, due paraboliche § e q ed una azimutale q) che però qui individua la posizione del piano precedente mediante la distanza angolare da un piano fisso. S’ introduce infine una speciale fun¬ zione S, soluzione generica dell’equazione di Hamilton -Jacobi e d’importanza fondamentale per le considerazioni meccaniche, le cui derivate rispetto alle coordinate rj e cp rappresentano momenti dell’elettrone vale a dire le derivate dell’energia cine¬ tica rispetto alle componenti generalizzata della velocità l, q e cp- Il valore di S che si ottiene porta alla conseguenza che 1’ elet¬ trone sotto l’azione del campo elettrico ha moto '‘condizio¬ natamente periodico,,. Stabilita così la parte meccanica, per il passaggio al problema elettromagnetico non bisogna fare altro che introdurre le tre condizioni quantistiche in corrispon¬ denza alle tre coordinate radiale, equatoriale e azimutale. Il pro¬ blema per quanto riguarda il lato fisico è così completamente risolto. Le difficoltà che ulteriormente s’incontrano sono di or¬ dine matematico ; si perviene in fatti ad un certo integrale ellit¬ tico, di cui però il Sommerfeld da un elegante risoluzione me¬ diante approssimazioni successive, e questo integrale fa conoscere la energia totale H dell’elettrone nel campo elettrico, somma — 220 - deir energia cinetica e potenziale, e costante durante la durata del moto. Da questa H si può passare facilmente alla frequenza V, emessa dall'elettrone per azione del campo elettrico esterno, e ciò mediante il metodo suggerito da Bohr. Facendo poi la differenza tra questa nuova frequenza v, e quella v emessa in assenza di campo esterno F si ottiene un' espressione della va¬ riazione che subisce la frequenza per effetto del campo elettrico che. dipende oltre che dall' intensità del campo F anche dai nu¬ meri quantistici radiali azimutali ed equatoriali, relativi allo stato iniziale (/z, /Zg) e finale //Z2 m^) dell' elettrone. La espres¬ sione di Av è precisamente : 3 4 Av - 5 - ^ - F + Wg) — («i — «2) (/Zi + /Zg 4- /zg)] me c ^ ^ dove /z è la costante di Planck, zzz è la massa dell'elettrone di , carica e c la velocità della luce nel vuoto. 3. — II principio di selezione* La (1) posta a confronto con i risultati sperimentali dà un numero di componenti maggiori di quello dato dall'esperienza e si riscontra questa particolarità: che alcuni salti quantistici ven¬ gono permanentemente eliminati, laonde nella meccanica atomica esiste una speciale selezione. E' merito del Rubjnowicz l'a¬ ver chiarito questo importante punto. Il concetto da cui questi partì fu di stabilire in maniera più precisa l'azione reciproca fra l'etere ed il rotatore atomico quando, nell'istante dell'emissione, e cioè nel salto nell' orbita stazionaria ad un' altra, questi sono tra di loro collegati. L' analisi accurata porta al risultato che si deve ritenere un passaggio dall'elettrone all'etere, oltre che dell'ener¬ gia, anche della variazione del momento dell' impulso del rota¬ tore. Mediante le equazioni di Maxwell si procede al calcolo e si giunge così ad un'espressione del momento dell'impulso del¬ l'onda elettromagnetica da cui si deduce che devono ammettersi solo valori di /z e /zz tali per cui si abbia: In virtù della teoria elettrodinamica classica si è così in pos- sesso di un concetto fondamentale da cui si ricava una limita¬ zione tra tutte le possibili variazioni dei numeri quantistici. Que¬ sto importante risultato costituisce il principio di selezione. Si può quindi con tale limitazione passare al calcolo teorico delle Av per le varie righe e confrontarle con quelle ricavate dall'esperienza in determinate condizioni : l'accordo è altamente soddisfacente, e degno di nota è il fatto che, se si estende il calcolo del sopracitato integrale ellittico (come ha fatto il Som- merfeld) fino ai termini di 2° ordine, si ottengono piccole mo¬ dificazioni nei risultati che sono anche pienamente avvalorati dai fatti, onde può dirsi che in tal campo di ricerche l'accordo tra teoria ed esperienza è completo. 4. — Relazione tra ^effetto Stark e I^effetto Zeemann* Posto che r effetto Stark si spiega così bene in base alla teoria dei quanti, resta a vedere se l'effetto Zeemann rientri an- ch'esso in questo nuovo ordine di idee. Il Debye e il SoMMERFELD, che hanno sviluppato la teoria dell'effetto Zeemann secondo il concetto quantistico, si sono ba¬ sati su di un teorema di Larmor per cui si stabilisce che 1' ef¬ fetto del campo magnetico si riduce ad una rotazione uniforme dell' orbita elettronica nel suo piano con velocità perfettamente deducibile dall'intensità del campo magnetico, nonché dal rap¬ porto tra la carica e la massa dell'elettrone. Si è cercato inoltre mediante ipotesi semplificatrici, d'evitare il disturbo dovuto alle forze d'induzione dipendenti dalla creazione del campo, pensando cioè lentissima la creazione di questo poiché così si può ritenere che tutti e tre i numeri quantistici non variino. Il sistema degli elettroni ruotanti si conserva quantisticamente immutato dopo la creazione del campo magnetico, con l'unica modificazione di¬ pendente dalla variazione dell' energia cinetica, e questa varia¬ zione permette il calcolo di Av dipendentemente dalla creazione del campo. Infine l'applicazione del principio di selezione com¬ pleta il calcolo giustificando il tripletto normale di Zeemann perchè precisamente si hanno i tre valori per Av ^ . H e H — 222 — Infine se si confrontano tra di loro la (1) e le (2) si vede che soltanto nella (1) compare la costante h di Planck fonda- mentale nella nuova teoria della emissione spettrale ma ignota all'epoca delle primitive ricerche teoriche del Votgt sulla de¬ composizione elettrica delle righe, e questo autore quindi per- perveniva in base alla teoria classica ad un tipo di decomposi¬ zione non verificato sperimentalmente. Il problema di stabilire il legame e le differenze tra l'effetto Zeemann e l'effetto Stark, ora questi due fenouieni sono stati trattati teoricamente con lo stesso metodo, si presenta in una luce nuova ed interessante, e si può dire a questo proposito che se nel risultato finale i due effetti sono analoghi in quanto che per azione del campo sia elettrico sia magnetico al posto di un'unica riga di emissione si sostituiscono altre spostate rispetto alla primitiva ed in particolari stati di polarizzazione, pure una prima diversità si riscontra tra i due fenomeni se conside¬ rati dal punto di vista delle simmetrie. Il vettore elettrico in ¬ fatti è un vettore polare cioè dotato di infiniti piani di simme¬ tria passanti per esso, caratteristico di uno spostamento mentre che il vettore magnetico è assiale, del tipo cioè di una rotazione e conseguentemente dalla prima legge di simmetria del Curie che cioè gli elementi di simmetria delle cause debbono ritrovarsi negli effetti , si ricava che queste diversità negli elementi di simmetria dei due vettori devono trovarsi anche nelle decomposizioni. Sommamente istruttivo a questo riguardo sarebbe il confronto delle due decomposizioni nel senso longitudinale, poi¬ ché in questa direzione la polarità del campo magnetico si manife¬ sta nei suoi effetti dando origine al doppietto di Zeeman in cui si riscontrano due righe polarizzate circolarmente in sensi op¬ posti, però lo studio della decomposizione longitudinale nel¬ l'effetto Stark ancora manca per cui tale confronto non può farsi. Ma la diversità essenziale tra questi due effetti risiede nel fatto che il campo elettrico produce una quantitazione equato¬ riale delle orbite in modo che viene prodotto un mutamento negli stati stazionaci il quale conseguentemente compare come spostamento e decomposizione della riga primitiva, invece il campo magnetico, pur prescindendo dalle semplificazioni che si è costretti a fare perchè le equazioni relative si riducano al tipo — 223 — di equazioni integrabili secondo il metodo di Hamilton - Jacobi, non produce che una rotazione uniforme delle orbite nel piano in sostanza viene ad aggiungersi una frequenza alla primitiva, senza alcuna nuova variazione nella quantizzazione delle orbite, frequenza calcolabile perfettamente con la teoria classica. In que¬ sto caso anzi tale teoria presenta dei vantaggi perchè quanti- sticamente in alcuni casi sarebbe da prevedersi un numero di componenti maggiore di quello effettivamente osservate, nè la teoria nuova si presta nello stato attuale a delucidare casi più complessi di decomposizione. 5. — II principio di corrispondenza* L'analisi teorica deireffetto Stark è andata in questi campi ancora più avanti ed ha approfondito anche nuovi problemi. E' riuscita cioè a delucidare la variazione dell'intensità delle di¬ verse componenti ed il loro stato di polarizzazione, sempre per ora si intende limitatamente all'atomo di H. Questi problemi sono in certo modo risolti mediante il principio di corri¬ spondenza di Bohr enunciato in forma esplicita da Sommertelo. E' questo uno dei punti più importanti della moderna teoria del¬ l'emissione e dove gli sviluppi matematici da impiegare per l'ap¬ plicazione sono particolarmente complessi. Ecco come può rias- ^ sumersi il concetto informatore della ricerca. Si è già detto che nelle moderne teorie sulla emissione delle serie spettrali, la fre¬ quenza dell'onda emessa è data dalla differenza tra le due e- nergie totali dell'elettrone corrispondenti alle orbite iniziale e finale divise per la costante h : negli stati stazionari si postula che non si abbia emissione di energia. Invece l'elettrodinamica classica dimostra che nel moto rotatorio di un elettrone intorno ad una carica positiva, poiché esso è dotato di accelerazione, deve esserci una emissione di energia sotto forma di onda elet¬ tromagnetica con la frequenza caratteristica del moto rotatorio considerato. Come vedesi le due teorie sono su questo punto assoluta- mente in antitesi nè alcun legame si può stabilire tra la fre¬ quenza emessa secondo la teoria quantistica e quella relativa al moto circolare dell'elettrone. Ma poiché gli studi sulla emissione. — 224 — nella zona delle piccole frequenze, basati sulla elettrodinamica classica portano agli stessi risultati che si deducono con la teo¬ ria dei quanti così anche nell’emissione spettrale, nel caso li¬ mite di grandi numeri quantistici, la frequenza dedotta in base alla formula di Balmer, quando il salto avviene tra anelli di sta¬ bilità che si differenziano di un'unità, deve all'incirca coincidere con quella dedotta mediante la teoria classica. Se si estende questa corrispondenza in generale a qualunque caso, di emis¬ sione come arditamente ha supposto il Bohr, si è in possesso di un metodo che permette di giovarsi di tutti i risùltati della vecchia teoria in un nuovo sistema di vedute sulla emissione da essa completamente diversa. E' questo il principio di corrispon¬ denza di Bohr e per applicarlo resta a determinare come, se¬ condo la teoria classica, si determina la frequenza, l'intensità e lo stato di polarizzazione dell'irraggiamento. Questo si ottiene ricercando nel caso di un sistema a tre gradi di libertà, come è il caso in esame, le tre coordinate angolari che si ricavano mediante opportune derivazioni dalla funzione S, integrale ge¬ nerale delle equazioni di Hamilton-Jacobi. Ottenute dalla in¬ tegrazione di queste opportunamente modificata una relazione fondamentale per i tre parametri suddetti (risultano funzioni li¬ neari del tempo), si passa mediante un processo di estrapola¬ zione alle frequenze. Il Kramers ha sviluppato i relativi calcoli: per determinare l'intensità e lo stato di polarizzazione dell'irrag¬ giamento viene introdotto il vettore P, dato dal prodotto della carica per il raggio che va dall'elettrone al nucleo, e si cerca di stabilire la dipendenza di P dal tempo; e poiché le coordi-. nate generalizzate del moto risultano funzioni periodiche delle coordinate angolari, è possibile uno sviluppo di quelle in serie di Fourier. Si perviene così alle formule che permettono di de¬ terminare il vettore P innanzi stabilito e quindi l'intensità e la polarizzazione delle componenti. Anche in questo campo si ha un certo accordo tra teoria ed esperienza nè per il momento vi è da sperare di più, dato che si tratta di un processo d'e¬ strapolazione; ma risulta fra l'altro confermata una legge rica¬ vata empiricamente dall'EpsTEiN che collega lo stato di polariz¬ zazione col valore Oo+l del salto quantistico equatoriale, per cui le componenti al salto + sono polarizzate parallelamente al campo elettrico e quelle che corrispondono al salto + 1 sono polarizzate perpendicolarmente al campo. 6. — Doppia decomposizione elettrica e magnetica. Sperimentalmente, prima ancora degli sviluppi presenti, si era avuto un certo indizio di un'azione elettrica sulla emissione. Infatti il Croze constatò che la decomposizione deU'Hi in campo magnetico quando si disponeva il tubo di scarica per¬ pendicolarmente alle linee di forza magnetica, non corrispondeva al tripletto normale di Zeeman poiché la media componente non era completamente polarizzata, nè più intensa delle esterne, nè alla distanza normale. Questa modificazione dipende dalla azione simultanea dei due campi: è un caso di doppia decomposizione elettrica e magnetica, che si presenta diversa a secondo della posizione del tubo rispetto alle linee di forza. Lo studio spe¬ rimentale particolareggiato dell'azione dei due campi, che offre gravi difficoltà, fu fatto sulla Hi dal Garbasso e i risultati si possono interpretare oggi o con l'applicazione simultanea dei due procedimenti teorici innanzi esposti o, come fa il Bohr, ricavando quali modificazioni nelle frequenze sono da aspettarsi per effetto di azioni perturbatrici giovandosi del metodo che si segue nella meccanica celeste per determinare le perturbazioni secolari dei pianeti. 7. — Studi sullo spettro secondario delI'H e sullo spettro delI'He. Lo studio della decomposizione elettrica dovrà essere ancora completato per le altre serie dell' H e non mancano ricerche sullo spettro secondario che in base ad alcuni risultati si ritiene do¬ vuto alla molecola He e non come si era pure creduto all'emis¬ sione dell' atomo H. In ogni modo questo spettro secondario si presenta molto complesso e le modificazioni che presenta nel campo elettrico non si possono semplicemente interpretare come dovute, ad un'azione analoga a quella che si verifica per la serie di Balmer. Il diverso comportamento autorizza a ritenere di es¬ sere in presenza in quel caso di un sistema vibrante molto complesso. Tra le serie dell’ He, molto interessanti sono i risultati ot- — 226 — tenuti con la decomposizione elettrica delle righe della serie di Fowler poiché essendo in tal caso remissione dovuta alhatomo di He e cioè ad un euterma simile all' atomo di H, si hanno condizioni che possono confermare le vedute teoriche innanzi esposte, come infatti accade. Complicazioni molto maggiori si riscontrano però nello studio della emissione dell’atomo di He nel campo elettrico e ciò anche per il gran numero di serie che compaiono in questa emissione. Deve infatti distinguersi un du¬ plice sistema di righe rispettivamente appartenenti al cosidetto paraelio e al supposto orto elio, e ognuno di questi gruppi comprende numerose serie che presentano analogie notevolissime con quelle corrispondenti dell’altro gruppo. Può dirsi in gene¬ rale che il carattere fondamentale della decomposizione delle righe del He è la disimmetria che presentano le varie compo¬ nenti a parte le numerose altre anomalie, come la comparsa di componenti isolate, le quali anomalie si riscontrano nelle varie righe modificandosi con il variare dell’intensità del campo. Per le righe d'arco emesse dal sistema He, di poco più complesso di quello dell'H, la decomposizione dipendente dall’azione del campo elettrico si presenta tanto complessa da non poter sperare per il momento una interpretazione teorica. Degno di nota però è il fatto che anche per la decompo¬ sizione magnetica le stesse righe presentano anomalie, corrispon¬ denti. Solo per la serie dell' He che si può considerare analoga a quella di Balmer si presenta una vera e propria decomposi¬ zione e per alcune righe l'analogia si può considerare come per¬ fetta. Nel numeroso assieme dei dati sperimentali ottenuti si hanno però anche risultati generici notevoli, così 1' effetto del campo per l'H è identico nelle righe corrispondenti della serie subordinata e della serie sottile principale, il che si interpreta ammettendo che il campo elettrico influisca sull' orbita iniziale e molto poco sulla finale tra cui avviene il salto quantistico, ma naturalmente in modo diverso, a seconda delle varie serie che hanno diverso termine costante. Per l'azione del campo sull’or¬ bita finale si può prevedere teoricamente, tra tutte le serie stu- diate, un effetto nullo solo per la serie di Lyman dell' H. Infatti per questa le frequenze delle singole righe sono date dalla formula : — 227 — dove R è la costante di Rydberg m = m^-\- tn^ + t ^ n^ = 1\ dovendo essere, per il principio di selezione, n^>o risulta n^ = 1, ~0 t quindi dalla (1, risulta Av = O. Per le altre serie è da aspettarsi un' azione del campo an¬ che sull'orbita finale sebbene più debole, d'altra parte avvenuta la decomposizione per effetto del campo, questo si manifesta molto complesso e di difficile interpretazione perchè mentre il numero delle componenti cresce in virtù del principio di com¬ binazione del Ritz non tutte le righe prevedibili si riscontrano per effetto del principio di selezione. 8. — La decomposizione elettrica in atomi più complessi* Le ricerche condotte su altri gas (Ne, Qr, O, Nj portano a risultati sempre più complessi pur presentandosi nel caso dei gas nobili Ne e Ar analogie con casi precedentemente studiati, poi¬ ché la decomposizione é ancora più piccola, e inoltre numerose righe compaiono per opera del campo. Analogie interessanti si presentano pure nello studio del comportamento dell'O, in quanto aH'emissione in campo elettrico, il che porta alla conclusione che un uguale meccanismo d'azione, per ora noto solo dal punto di vista sperimentale, deve valere per tutti questi atomi più com¬ plessi dell'H. D'altra parte dell'assieme di questi studi può an¬ che ricavarsi un'altro risultato interessante, che cioè la decom¬ posizione, in grado sempre più piccolo, quanto più cresce il numero atomico, diminuisce al crescere della valenza mostran¬ dosi così strettamente collegata alla faciltà di spostamento degli elettroni periferici dei singoli atomi. A questi risultati si è potuto arrivare sperimentalmente per¬ chè l'effetto del campo elettrico, con opportuni dispositivi spe¬ rimentali, può anche estendersi allo studio degli spettri dei me¬ talli. Si è così potuto accertare la presenza in questi del feno¬ meno ma sempre con grande complicazione e con modalità molto diverse da quelle riscontrate nell'emissione degli atomi di H e di He. Sono state molto studiate le decomposizioni delle righe 228 — del Fe, Ni, Cr, Co, Mg, Mo, Au, Mn, W ed in generale può ricavarsi che anche per i metalli vale la legge della valenza e che questo studio può fornire criteri utilissimi per la classifica¬ zione delle righe. Infatti emerge dall'abbondante materiale otte¬ nuto, che le varie righe classificate con i vari nomi di diffuse, sottili, nette e che sono caratterizzate da speciali valori dei ter¬ mini aggiuntivi che compaiono nelle loro formule, hanno par¬ ticolarità diverse di genesi perchè profondamente diverso è il loro comportamento sotto l'azione del campo elettrico. Ma le ricerche più interessanti condotte sui metalli sono quelle che riguardano il parallelismo tra le variazioni dello spettro ottenute per pressione e quelle ottenute per l'azione di un campo elettrico. Già da tempo era noto che modificazioni interessanti sullo spettro si riscontravano per effetto della pres¬ sione e nell'antica teoria dell'emissione basata sull'ipotesi degli elettroni capaci di oscillare armonicamente attorno alle loro po¬ sizioni di equilibrio fisse nell'atomo, si riteneva che un avvici¬ namento tra le monadi contenenti questi elettroni dovesse mo¬ dificare l'intensità delle forze agenti e quindi la frequenza del moto armonico. Ma ora è stato possibile, per alcune serie di metalli, stabilire un paragone tra le modificazioni ottenute per pressione e quelle ottenute mediante campo elettrico, giungendo così alla conclusione interessante che lo spostamento e l'allar¬ gamento delle righe ottenuto per pressione può ritenersi dovuto al campo elettrico intermolecolare. Come si è già accennato all'inizio di questa esposizione, anche quistioni affini sono state lumeggiate dai recenti studi sull'effetto Stark-Lo Surdo. Tra questi è il problema della lar¬ ghezza delle linee spettrali. Prima dell'introduzione del concetto quantistico nell'emissione spettrale la teoria classica si era mo¬ strata impotente a spiegare compiutamente la presenza di un piccolo spettro in luogo di una riga esilissima di ben definita frequenza; ma ora giovandosi della classificazione delle serie e collegando i vari fenomeni in esse riscontrati per effetto di varie cause, si è visto che l'allargamento delle righe è con grande pro¬ babilità dovuto ad una decomposizione elettrica incipiente, cau¬ sata da campi elettrici circostanti alla particella emittente. Basan¬ dosi su questo concetto Holtsmark è riuscito a costruire una — 229 — teoria, sviluppandola essenzialmente secondo le direttive già im¬ piegate per Teffetto Stark ottenendo anche una brillante con¬ ferma dairesperienza che ha permesso di calcolare perfino bor¬ dine di grandezza di questi campi molecolari. Bisogna ancora aggiungere che è stato ricercato con molta cura, e sembra ultimamente con profitto sui vapori di Na, l'ef¬ fetto Stark inverso, e cioè la decomposizione elettrica delle righe di assorbimento. Conclusioni. Dall'assieme di tutti i risultati rapidamente esposti si con¬ clude che tutto un ordine nuovo di fatti sperimentali può con¬ siderarsi inquadrato nella teoria dell'emissione spettrale di Bohr. Essa acquista sempre nuove conferme e specialmente per gli atomi semplici riesce ad interpretare quasi tutti i risultati spe¬ rimentali ottenuti. Infatti può dirsi che come lo studio dell'ef¬ fetto Zeeman è stato decisivo per la teoria elettronica , così lo studio dell'effetto Stark è da riguardare quale fenomeno legato essenzialmente alla teoria quantistica. Molto lavoro bisogna an¬ cora fare perchè per atomi non simili all'H le condizioni del¬ l'emissione sono ancora molto oscure, e l'esperienza dà ancora pochi indizi di regolarità atti a fermare una teoria più completa relativa all'azione del campo elettrico su un sistema più com¬ plesso di elettroni ruotanti. Ma le nostre conoscenze sul meccanismo dell' emissione, dallo studio delle particolarità che si riscontrano in campi elet¬ trici o magnetici, sono molto progredite, e si è ora in possesso di tre principi fondamentali: quello di combinazione che stabilisce la possibilità di tutta una serie di salti quantistici, quello di selezione che precisa meglio le relazioni tea atomo e etere nell'emissione, e infine quello importantissimo di corrispon¬ denza che permette di stabilire tra la vecchia e la nuova teoria analogie utilissime per la deduzione delle intensità e della pola¬ rizzazione delle righe. Istituto Fisico - R, Università Napoli. Finito di stampare il 20 gennaio 1923. Oli elementi diottrici dell’ occhio afachico del socio « Dott. Washington Del Regno (Tornata del 13 agosto 1922) Il potere diottrico deH'occhio afachico, cioè deH'occhio pri¬ vato del cristallino o per correggerne la fortissima miopia od a seguito dell'operazione di cataratta, corrisponde a quello del diottro limitato dalla cornea. Nell'occhio normale diventato afa¬ chico oltre alU'astigmatismo pronunziato, irregolare, crescente col tempo, ed una variazione della lunghezza dell'asse dell'occhio, elementi assai incerti e variabili da caso a caso, si ha quasi sem¬ pre una diminuzione della curvatura della cornea : il valore più accettato per la variazione del raggio R è di + mm. 0,44. Es¬ sendo per l'occhio normale R = mm. 8 e l'indice. di rifrazione dell'umore acqueo 1,3465 le distanze focali nell'occhio diventato afachico risultano: f, = R - - = 0,024 metri (1) ria — n, f, == R - ^ - = 0,033 metri (2) n2 — n, ed i corrispondenti poteri diottrici = 41 diottrie jtg = 30 diot¬ trie, mentre nella ipotesi della cornea indeformata si avrebbe b = 0,023 f2=- 0,031 jCi = 43 = 32 L’occhio afachico essendo un occhio fortemente ipermetrope ha il suo punto remoto virtuale. La distanza di detto punto dal primo fuoco principale dell'occhio ridotto afachico è data da X2 (3) — 231 — nella quale X2 è la distanza del coniugato del punto remoto, cioè della retina, dal secondo fuoco principale: quindi X2 = 0,0228 — 0,0327 e per conseguenza X^ = — 0,080 = — 12,5 diottrie. Ritenendo invariata la curvatura della cornea si ha invece X2 = 0,0228 — 0,0310 = — 0,0082 e quindi Xi = — 0,0869 = — 11,5 diottrie. Nella comune numerazione delle lenti correttrici Torigine delle distanze non è il primo fuoco dell' occhio afachico, ma il primo fuoco dell'occhio normale, la cui distanza dal polo della cornea è 0,01374. Volendo quindi riferirci alla numerazione co¬ mune delle lenti si ha a) cornea deformata Xi = — [0,080 — (0,0243 — 0,0137)] = — 0,0694 = — 14,4 diottrie b) cornea indeformata Xi = — [0,0869 — (0,023 — 0,014)] = — 0,078 = — 12,8 diottrie La correzione in distanza dell'occhio normale diventato a- fachico va quindi fatta con lenti convergenti con un minimo di 12,8 ed un massimo di 14,4 diottrie a seconda della deforma¬ zione prodottasi nella cornea per effetto deH'operazioae. Consideriamo l'altro caso, cioè quello dell'occhio ametrope. Supponiamo un occhio ametrope di N diottrie con ametropia assile, cioè a sistema diottrico identico a quello dell'occhio emmetrope. Per conoscere la variazione di lunghezza di quest'occhio per ri¬ spetto a quella dell'occhio normale, applichiamo la (3) ponendo fi = 0,0155 ed fa = 0,0207 che sono le distanze focali dell'oc¬ chio emmetrope. In questo caso la Xg essendo la distanza del coniugato dal punto remoto dell'occhio ametrope al secondo fuoco principale dell' occhio normale dà appunto la variazione di lunghezza dell'occhio ametrope per rispetto a quello normale: si ha quindi 0,000321 Xi = 0,000321 N — 232 che andrà aggiunta o tolta alla lunghezza normale delFocchio a seconda che si tratti di occhio brachimetropico od ipermetro- pico. La (3) nel caso dell'occhio ametrope di N diottrie diventa X,=: X2 + 0,000321 N (4) che dà a) occhio a curvatura deformata X2 = 0,0228 — 0,0327 = — 0,0099 == 0,0243 = 0,0321 Xi = — 12,5 + 0,406 N b) occhio con cornea indeformata X, = 0,0228 — 0,031 = — 0,0082 f, = 0,023 f^ = 0,031 X, = — 11,5 + 0,45 N Nel sistema di comune numerazione delle lenti si ha nel caso a) 1 Xi=- e nel caso b) 1 12,5+ 0,406 N + 0,0243 — 0,0137 (5) 1 11,5 + 0,45 N 0.023 — 0.013 (6) Le formole sopraindicate risolvono tutti i casi di correzione della visióne in distanza. Per la correzione della visione in vi¬ cinanza il problema è comodo risolverlo con le comuni formole dei sistemi ottici centrati, una volta determinati però gli elementi cardinali del sistema ottico centrato, occhio afachico - lente cor- rettrice. Per tale calcolo la lente correttrice può considerarsi co¬ me lente sottile posta ad una distanza dall'occhio uguale a mm. 15. Considerando un fascio parallelo nell'aria che arriva sulla lente, il suo punto di convergenza, qualora non si consideri l'ul¬ teriore refrazione attraverso la cornea, si trova ad una distanza del polo della cornea data da f-d se con f s'indica il valore della distanza focale della lente e con d la distanza della lente dall'occhio. Questo punto funziona da sorgente virtuale rispetto al diottro limitato dalla cornea : la posizione dell' immagine si ricava dalla formola dei punti coniugati in cui p^ = — — 233 — e cioè che risolta dà f — d p, R _ Rn. (f-d) (n,-nO (f-d) + R che in base alle (1) e (2) diventa P2 f. (f-d) f + fi — d (7) (8) Analogamente per un fascio luminoso parallelo proveniente dairinterno delhocchio si ha un punto di convergenza nel pri¬ mo mezzo, qualora non vi fosse la lente, dato dalla (1). Esso va considerato come punto luminoso virtuale rispetto alla lente: ap¬ plicando la formola delle lenti sottili in cui p^ = — (fi — d) si ha f (fi - d) f + fi — d La (8) e la (9) danno le distanze dei piani focali del sistema ottico considerato rispettivamente dal polo della cornea e dalla lente. Eseguendo la costruzione dei piani principali, considera¬ zioni geometriche che per brevità tralascio conducono alle formole fjf f + fi — d ed ffo f + fi — d che danno le distanze dei piani principali Pi e P2 dai punti focali F, ed F2 ... Napoli - Istituto Fisico della R. Università. Finito di stampare il 20 gennaio 1923. Note sulla biologia dell’ ostrica (Ostrea edulis L.) 2* La sorte del freg^olo bianco „ nelle ostriche madri tenute in piccoli acquari del socio Pfof. G. Mazzafelli (Tornata del 13 agosto 1922) Neir intento di raccogliere materiale da studio per lo svi¬ luppo deU'ostrica, prima ancora di presentare la precedente nota alla nostra Società avevo posto alcune ostriche, che mi ero accertato contenere fregolo bianco, in un piccolo acquario della capacità di 18-20 litri con forse 12-13 litri di acqua, la quale acqua veniva giornalmente cambiata. Nel fregolo bianco le uova fecondate sono tuttora in via di sviluppo, daH’uovo mo¬ strante ancora il primo fuso di segmentazione sino al primo abbozzo larvale ; nel fregolo grigio si hanno i vari stadi dello svi¬ luppo della larva; nel fregolo nero si ha la larva completamente sviluppata, pronta ad essere emessa e a condurre vita libera. Per assicurarmi che lo sviluppo procedesse regolarmente durante il cennato esperimento, che si svolse nella seconda quin¬ dicina del marzo, con temperatura dell'acqua di 15° a 17° C, non toccai più le dette ostriche, nella speranza che un giorno ne sgu¬ sciassero le larve. Ma essendo trascorsa una quindicina di giorni e r espulsione delle larve non essendo ancora avvenuta (si ram¬ menti d'altra parte che s'ignora tuttora la durata del periodo d'incubazione) aprii 'le menzionate ostriche e, con maraviglia, le trovai prive affatto di fregolo. h Cfr. Mazzarelli, G. — Note sulla biologia delV ostrica {Ostrea • edulis L.) I. Nascita delle larve e durata del periodo larvare. Boll. Soc. Nat. Voi. 34, p. 151 - 159 Napoli, 1922. — 235 — Non sapendo cosa pensare di tale strano fatto ripetetti l’espe¬ rimento con un numero maggiore di individui, che aprii dopo 3 o 5 giorni dall' averli posti nelle medesime condizioni dei pre¬ cedenti, solo con temperatura dell' acqua alquanto superiore (18°-19° C)./ Ma egualmente non rinvenni più in essi il fregolo. Allora, non essendo possibile questa volta che si potesse pensare ad una precoce espulsione, poiché l'acqua era stata sempre ri¬ gorosamente esaminata, ritenni utile 1' esame del contenuto del tubo gastro-enterico degl’individui sacrificati. Ed infatti nelle ostriche aperte dopo 5 giorni di permanenza negli acquari trovai nello stomaco e nell' intestino abbondantissimi granuli di vitello, con tutta probabilità provenienti dal disfacimento di uova o di embrioni ; ma in quelle aperte dopo 3 giorni trovai addirittura nello stomaco, in mezzo a molti frammenti di embrioni, em¬ brioni interi a vari stadi di sviluppo. Sembra dunque che le ostriche madri, quando si trovano trattenute in condizioni ambientali anormali, come quelle che può offrire un piccolo acquario, forse per provvedere meglio ai bi¬ sogni della loro respirazione, sono costrette a liberarsi al più presto della massa del fregolo incubata nella cavità paileale. Se il fregolo è nero, se cioè gli embrioni hanno raggiunto lo stadio larvale, e le larve sono attive e dirò così, vitali, le contrazioni del mantello sono, come si è visto (cfr. nota citata) sufficienti per espellere le larve stesse, che, sotto l' impulso delle cennate con¬ trazioni sono in grado di abbandonare la madre, e allontanar¬ sene a nuoto. Lo stesso avviene se il fregolo è grigio ^). Se invece il fregolo è bianco, e le larve non si sono ancora svilup¬ pate, 0 sono ancora inattive, riusciti vani, forse, gli sforzi della madre per liberarsene nella medesima guisa che per il fregolo nero e grigio, essa se ne libera riattivando invece quella tale corren¬ te, che il Carazzi ricorda ^), determinata dalle ciglia vibratili del- r epitelio branchiale, da quelle dell'orlo del mantello e dei palpi labiali, che suole trasportare verso la bocca del mollusco tutto h In tal caso però le larve muoiono generalmente tutte dopo soli 3 o 4 giorni di vita libera. Carazzi, D. — Nutrizione degli animali marini: V assorbimento nei mol¬ luschi lamellibranchi: Rassegna Se. Biol. Anno II, 1920, n. 3-4, p. 33-54. — 236 — ciò che è sospeso nell'acqua; e così tutto il fregolo passa a poco a poco nel suo tubo digerente. Ho detto che la citata corrente, che normalmente si osserva nelle ostriche sprovviste di fregolo, deve essere riattivata „ perchè in verità deve pensarsi che durante il periodo dell' incu¬ bazione del fregolo stesso essa debba essere sospesa o almeno assai attenuata. Infatti in caso contrario non sarebbe possibile a embrioni e larve di restarsene tranquillamente fra le valve materne, giacché essi sarebbero senz'altro trascinati nella bocca. Si tratta di un feno¬ meno analogo a quello che si verifica nei noti pesci a incuba¬ zione boccale (gen. Arias), che nulla più introducono nello stomaco durante il periodo dell' incubazione stessa, perchè altrh menti vi introdurrebbero anche le uova che essi custodiscono. Ciò posto dovrebbe senz'altro dedursi che l'ostrica nelle sopraindicate condizioni " divori „ la propria prole nel senso co¬ mune della parola. Ma qui si entra in una questione più com¬ plessa. 11 Carazzi ha recentemente rivendicato a se al¬ meno nei riguardi dell' ostrica, la paternità della nota teoria che va ordinariamente sotto il nome del Pùtter 3)^ in base alla quale teoria l'ostrica non '' mangerebbe „ nel senso che suol darsi comunemente a tale parola; non avrebbe cioè bisogno, per nutrirsi, d'introdurre nel suo stomaco, e quindi nel suo intestino, l'alimento non capace ancora di esser assorbibile, e che quindi per diventar tale deve subire le necessarie trasformazioni, ma as¬ sorbirebbe direttamente, mediante i suoi epiteli esterni, i materiali nutritizi prodotti sotto forma di escreti dalle alghe unicellulari, e soluti nell'acqua ambiente. Anche nel tubo digerente, al quale, come si è accennato; sì dirige una particolare corrente di acqua, che lo attraversa evidentemente tutto per uscire dall'ano, cor¬ rente che porta nel detto tubo tutto ciò che è sospeso nell'acqua delle valve, ha luogo il cennato processo di assorbimento dei materiali nutritizi soluti nell'acqua, attraverso l'epitelio stesso. h Carazzi, D. — Id. ibid. Carazzi, D. - Contributo alV istologia e alla fisiologia dei Lamelli- branchi. Ricerche sulle ostriche verdi: Mitth. Z. Stat. Neap. Bd. 12-1896 p. 381. ‘^) PÙTTER, A. — Die Ernahrung der Wassertiere und der Stoffhaushalt der Gewàsser, Iena, Fischer 1909. — 237 Se si esamina lo stomaco dell' ostrica, dice il Carazzi, non si può dire che quel che vi si trova rappresenta 1' " alimento „ del mollusco, come la presenza di scheletri, involucri, mem¬ brane ecc. non rappresenta gli avanzi del pasto dell' ostrica, perchè noi non sappiamo se sono scorie di organismi “ man¬ giati „ dell' ostrica, 'O vi sono penetrati già allo stato di detriti. Ciò posto la presenza di frammenti di embrioni nel tubo digerente in parola che cosa vuol dire ? Si tratta di un vero volgarissimo pasto dell'ostrica, cannibalesco per giunta, o non ha alcuna importanza, ed è soltanto causata dall'andamento di quella tal corrente che trasporta nella bocca tutti i detriti, di qual¬ siasi natura essi siano — embrioni, quindi, compresi — sospesi nell'acqua delle valve? In verità, senza escludere la teoria di Carazzi-Pùtter, che del resto può qui benissimo sussistere, potendo la nutrizione per assor¬ bimento diretto di sostanze già solute ed assorbibili dagli epiteli esterni — ed anche interni, come quelli del tubo digerente — coe¬ sistere con la nutrizione per assorbimento previa digestione di ali¬ menti insolubili o non assorbibili, in verità ripeto io direi che le ostriche “ mangiano „ anche, nel senso dirò così patriarcale della parola, e che pertanto gli embrioni costituenti il fregolo bianco, e che nel tubo digerente dell' ostrica si rinvengono ridotti a così minuti frammenti, — il che lascia supporre la esistenza di un certo lavorio digestivo — vengono proprio " mangiati „ dalle loro madri. Ma questa è una semplice mia opinione, che solo oppor¬ tune ricerche potranno in seguito dimostrare se risponda o meno al vero. Osservatorio Idrobiologico del Lago F asaro [Napoli), agosto 1922. (Finito di stampare il 30 novembre 1922. La vegetazione del Monte Nuovo e le sue origini del socio M. Guadagno (Tornata del 13 agosto 1922) UAmbiente* Tra Pozzuoli e Baja, poco lungi dalla riva del mare, sorge il cono vulcanico di Monte Nuovo, dei vulcani flegrei il più gio¬ vane, il più regolare, e forse il meglio conservato. Esso è alto 140 metri sul mare; al ciglio il cratere presenta un diametro di 420 m. e di 180 al fondo, che è pianeggiante e che resta a soli 13 m. sul livello del mare. Il diametro esterno, alla base del cono è di circa 1000 m. La nascita del Monte, preannunziata da parecchi tremuoti, avvenne il 29 settembre dell'anno 1538 su di una pianura colti¬ vata ad occidente di Pozzuoli, nei pressi del cratere-lago di Averno. Non vi fu sollevamento di suolo, ma solo fuoruscita di ceneri, la¬ pilli e materiali scoriacei e senza quasi traccia di correnti laviche. Per il presente studio occorre sapere che la cenere venuta fuori neireruziòne danneggiò e distrusse la vegetazione delle adia¬ cenze. " Intorno miglia settanta ha coperto la terra e gli arbori di cenere. Alla mia masseria (Napoli), non ho foglia che non vi sia su alta una corda da trottola; ma vicino a Pozzuolo a mi¬ glia sei, non vi è arbore che non abbi troncato tutti i rami, ne si cognosce che alberi sieno stati; chè qui è caduta più grossa, ed era molle e sulfurea e pesava; e non solo ha spenti gli ar¬ bori, ma ha ammazzato quanti uccelli, lepri e animali di pic¬ cola grandezza vi erano „ i). h Francesco DEL Nero. — Lettera contemporanea riportata in Neumayr: Storia della Terra, Voi. I, p. 182. Torino, 1896. — 239 — Altri dettagli sulla formazione del Monte sono riportati da diversi scrittori dell’epoca i). Le eruzioni durarono ancora alcuni giorni; il 3 e 6 ottobre dello stesso anno ve ne furono altre, e fino al gennaio dell'an¬ no successivo, dalla sommità, si vide uscire vapore. Poi ogni ma¬ nifestazione vulcanica cessò. In tal modo nei primi dell'anno 1539 troviamo il M. Nuo¬ vo già bell'e formato, di sonante scoria trachitica, completamente spoglio di vegetazione, ergersi in mezzo d'una distésa di ter¬ reno coverta da una coltre di cenere sterile, ove la vegetazione era stata distrutta. Abbiamo quindi una data fissa a partire dalla quale è co¬ minciata su questa immensa maceria conica di scorie e di ce¬ neri, l'appulso dei semi provenienti dalle zone circostanti. In circa 400 anni di tale lento lavorio di colonizzazione, le diverse specie vegetali hanno preso possesso dell'area nuda, ri¬ vestendola in parte di una vegetazione più o meno densa, sen¬ za che si sia per altro ancora raggiunto un più stabile equilibrio quale appare in territorii geologicamente, incomparabilmente più antichi. L'uomo da parte sua ha tentato di riprendersi in parte, dalle falde del cono, quella superficie che perdette in pianura, e con lavorio assiduo, ha in un primo tempo piantata la selva di ca¬ stagno sui pendii settentrionali del monte ove prima eravi mac¬ chia e poi, più di recente, smovendo le scorie , ha addirittura messa la vigna nel lapillo più minuto che le acque hanno ac¬ cumulato nella parte bassa del cono stesso. Tale lavorio di piantagioni, andrà col tempo aumentando, talché è da ritenersi che in breve la vegetazione, che in circa 400 anni si era impiantata naturalmente sull'apparato vulcanico e neU'interno del cratere, sarà inquinata dalle piante '' antropo- 0 Pietro Giacomo di Toledo. — Ragionamento del terremoto, del nuo¬ vo monte, dell’ aprimento di terra di Pozzuoli neW anno 1538. Napoli 1839; Marco Antonio Falconi.— Dell’incendio di Pozzuoli nel 1538, Napoli. Nov. 1538; SiMONE Porzio.— De conflagratione Agri Puteolani, Napoli 1538; Spal¬ lanzani Lazzaro. — Viaggio alle due Sicilie ; GiO: Antonio Summonte. — Hi- storia della città e regno di Napoli, Napoli 1675, etc. — 240 — core „ 1), o localizzata in settori sempre più esigui ed in fine del tutto trasformata. E in vista di tale probabile avvenimento che ebbi l’idea di fissare e la florula del M. Nuovo e la sua vegetazione, quale si presenta oggi, affinchè poi di questo singolare e quasi unico e- sempio di colonizzazione spontanea di area nuda, iniziatosi in epoca storica e bene accertata, in un periodo non troppo recen¬ te, fosse restata traccia. In tal modo si potrà, in avvenire, tener d' occhio e seguire le variazioni che si verificheranno , nella flora , e nella vegeta¬ zione del Monte; le. quali variazioni è probabile che avver¬ ranno, poiché esistono tuttora, come si disse, estesi settori sui quali la vegetazione è aperta ed altri ancora del tutto afitoici, e sono questi i siti più adatti ad albergare nuovi inquilini od all'av¬ vento di altre formazioni vegetali. Il Monte Nuovo eruttò, come si disse, lapilli, ceneri, pomici ed in ultimo nere scorie trachMonolitiche. Queste formano quasi da sole, 1' attuale superficie del dorso del cono. L’ interno del cratere mostra invece i sottoposti strati di ceneri e lapilli che si vanno consolidando in tufi sanidinici giallognoli, quasi pul- verulenti, nei quali le acque di pioggia incidono profondi ca¬ naloni. Tali tufi si osservano pure lungo la strada Pozzuoli-Lucrino ove le basse pendici del Monte furono tagliate. Il substrato quindi sul quale è impiantata la vegetazione è essenzialmente siliceo, acido, giacché le trachiti della Regione Flegrea contengono: Silice, óS^jo; Allumina 15 ^[o; Protossido e Sesquiossido di ferro 5ojo. Ossido di Potassio 6°(o, Ossido di So¬ dio 5°ie; Calce 3^\o] Magnesia Acqua °io. La costituzione fisica però del substrato è diversissima, poi¬ ché mentre la roccia scoriacea, trachitica, dell' esterno del cono è nera, dura, scabra, ricca di meati, la roccia tufacea del cra- 1) " avQQcojTog, uomo; cammino,,; piante che si diffondono con l’ausilio dell'uomo. Rikli, em. Thellung. La flore adventice de Montpellier, Cherbourg 1912; p. 625. — 241 tere è chiara, giallognola, friabile, talvolta perfino pulverulenta e sempre più o meno porosa ^). Air azione dei venti che vengono dal mare è dovuta poi la slabbratura verso Sud, dell'orlo craterico il quale, in tal punto scen¬ de a quota 80, essendo il ciglio invece posto ad una quota media di circa 100 m. sul mare, che raggiunge 140 m. nel lato Sud Est di esso. I dati meteorici si possono riassumere come segue : Temperatura media annuale „ „ di Gennaio „ „ di Luglio „ estrema minima „ „ massima Pioggia media annua Frequenza, media annua. Regime pluviometrico stagionale Autunno - Inverno . Primavera Estate .... Venti dominanti SO ed O. Passo ora ad esporre in dettaglio la vegetazione attuale del Monte Nuovo e la sua florula dalla quale poi cercherò trarre al-‘ cune conclusioni relative alla origine della flora stessa ed al meccanismo delFavvento e dell' impianto della popolazione ve¬ getale sul Monte. La Vegetazione* Salendo a M. Nuovo dal lato Sud-Ovest si attraversa un piccolo lembo di vigneto di recente piantato e si entra subito nella parte ove la vegetazione spontanea è costituita dalla mac- h Per la bibliografia geologica di Monte Nuovo vedi " R. T. Gunther. A bibliography of topographical and geological Works on thè Phlegraean fields. Londra, 1908^ Dati di Pozzuoli ; alt. 45 m. sul mare ; distanza da M. Nuovo Kni. 3,5. Dati di Napoli (Capodimonte) ; distanza Km. 14 da M. Nuovo. Limitatamente alle Embryophytae siphonogamae e Pteridophytae. 16.3 9.8 23.7 4.1 36.9 mm. 839 giorni 111 569 184 86 242 — chia mediterranea più o meno rada. In essa predominano il Cistus salvifolius e V Erica arborea (Fig. 1) e quali elementi accessorii appaiono : Caly cotome villosa- Daphne Qnidiam-Myrtas communis-Osy- ris alha-Pistacia Lentiscus- Phyllirea media-Spartium junceam Satureja graeca e fra le liane Clematis Flammula e Lonicera implexa. Non sempre però la macchia mantiene tale composizione. Nel pendio occidentale per esempio, prima di arrivare alla selva cedua di castagno, la macchia assume un altro aspetto, poiché i Fig. 1. — Macchia rada di Cistus salvifolius ed Erica arborea con Brachypodium ramosiim. suoi costituenti principali diventono: Pistacia Lentiscus ed Erica arborea, mentre vi si aggiunge V Art ab us Unedo e vi diventano secondarii Cistus salvifolius e Caly colo me villosa. Nella parete occidentale del cratere invece al Cistus salvifolius si unisce il Myrtus communis (E\g. 2) mentre sul dorso occidentale esistono bei settori di macchia ove predomina VArbutus Unedo, Evidentemente la forma perfettamente conica del cono con i graduali passaggi di esposizione all' insolazione ed ai venti, influisce notevolmente su tali graduali cambiamenti di aspetto della vegetazione e sugli altri che vedremo in seguito. Ove la macchia si fa rada per aridità eccessiva del sub- — 243 strato e dove i venti dominanti battono con più insistenza su¬ bentra a questa formazione, e la sostituisce del tutto, un'altra di Fig. 3, — Esterno del Cono, versante sud-est. « Disa » di Ampelodesmos mauritanicus con elementi di macchia molto radi. Essa si estende su buona parte del pendio meridionale, ren¬ dendosi ben visibile anche da lontano ed invade puranco tutto tipo steppico costituita da fitti cespi di Ampelodesmos maiirita- nicus (Fig. 3). * Questa formazione che si fonde con la macchia e quasi la maschera e la sostituisce in vari settori ricorda molto davvicino la disa „ dell'Isola di Lipari ^). Fig. 2. — Macchia folta con Cistiis salvifolius e Myrius communis. h L’ Ampelodesmos è 1' e r b a d i s degli Arabi. — 244 — il ciglione orientale del cratere, sia allo esterno che alTinterno del monte, insieme 2\\ Andro po goti hirtnm. Nella formazione di Anipelodesnios si trovano sporadici al¬ cuni elementi della macchia quali: Caly cotone villosa- Myrtas commanls.-Cistus salvifolias-Thymelaea hirsuta-Satureja graeca che mi paiono i primi pioneri di una formazione di macchia, che sostituirà la " disa „ allorché il tempo e la meteora avranno reso più ricco di hamap questo arido pendio ora scoriaceo e lapidoso. Vi si trovano infine alcuni settori, non vasti, con fondo prevalentemente costituito da Andropogon hirtum. La formazione di Ampelodesmos è antica sul posto almeno di un centennio. Di essa parla Tenore in una “ Memoria sulle pe¬ regrinazioni botaniche effettuate nella provincia di Napoli nel 1825 „ ed accenna all' uso che della pianta facevano i pesca¬ tori deir epoca per la manifattura di reti “che riescono so¬ lide ed incorruttibili quanto quelle di sparto,,. Pervenuti alla slabbratura dell' orlo craterico che guarda il mare di Baja, si può percorrere tutto il ciglio di esso cratere e cominciare p. e. dal lato occidentale. Si incontra così dapprima un settore coperto ancora dalla so¬ lita macchia rada di Cistus salvifolius ed Erica arborea ai quali elementi, nei punti rocciosi, si aggiunge qualche canuto cespo di Authyllis Barba-Jovis e la pungentissima Caly cotome villosa. Quest'ultima poi prende il sopravvento in tutta la parete Est e Nord-Est dello imbuto craterico, talché in marzo, allorché la Calycotome è in piena fioritura, quella parte del cratere appare chiazzata di giallo e ricorda le sublimazioni sulfuree di alcune fumarole vesuviane. Procedendo ancora oltre si arriva nei pressi di una casetta, disabitata per quasi tutto l'anno, che costituisce l'unico fabbri¬ cato che si trova in cima al monte. Sui muri della casa si possono osservare : Arabis hirsuta — Artemisia variabilis — Andropogon hir¬ tum — Asplenium Onopteris — Brachypodium ramosum — Bras- sica fruticulosa — Cent aurea splendens — Chondrilla juncea — Dactylis glomerata — Erodium cicutarium var. acaule (sui ci- h Atti R. Acc. di Scienze, Napoli voi. Ili (1832) pag. 60. 245 — gli) — Ficus Carica — Foeniculum vulgare — Medicago tribuloides (sui cigli) — Parietaria judaica — Reichardia picroides — Microme- ria graeca — Sonchus tener rimus. Nella gola della piccola cisterna: Ficus Carica^ Parietaria judaica^ e sulle macerie: Rubus ulmifolius. L'aja abbandonata ha la superficie di vecchio battuto di la- pillo screpolata ed invasa da una vegetazione selezionata dagli elementi circostanti e così composta: Artemisia variabilis — Avena barbata — Anthoxanthum odo- ratum — Anthemis incrassata — Brassica fruticulosa — Centau¬ rea splendens — Cerastium ligusticum — Cistus salvifolius^ ( sporadico ) Dianthus velutinus — Hypochaeris neapolitana , Lagurus ovatus — Medicago italica — M. tribuloides — Psora- lea bituminosa — Reichardia picroides — Serapias Lingua — Sa¬ ture] a graeca — Scab iosa mar it ima — Trifolium campestre — Haynaldia villosa — Urospermum Dalechampii — Vida Pseudo- cracca. specie quasi tutte provenienti dai pratelli della macchia. Lasciando la casa e continuando il giro delborlo craterico si entra in una folta selvetta cedua di Quercus pubescens e Quer- cus Ilex che per non grande estensione covre il versante Nord del cono. In un groviglio inestricabile crescono a formare la sottoselva : Arando Plinii — Ampelodesmos mauritanicus — Cistus sal- vifolius — Colutea arborescens — Clematis Fiammata — Cytisus scoparius — Erica arborea — Inula odora — Myrtus communis — Psoralea bituminosa — Phyllirea angusti/ olia — Quercus Ilex — ■ Spartium junceum Ossia in massima parte sono gli elementi della macchia che resistono ancora in questa selvetta, povera invece di elementi nemorali. Percorrendo ancora il ciglio si arriva ad una selva cedua di castagno, piantata da tempo che non ho potuto determinare, che — 246 — lungo il lato Sud-Est si estende dal vertice fin verso la base del cono. In essa, oltre la Castanea sativa, che forma il fitto della ve¬ getazione, ho notato nella sottoselva: Arbutas Unedo"^ — Carpinus orientaUs"^ — Cytisus sco¬ par ias — Colatea arborescens — Daphne Gnidianv^' — Erica ar¬ borea^ — Fraxinas Ornas — Myrtas commanis^ — Pyrus dome¬ stica — Pistacia Lentiscas^ — Quercas pubescens — Q. llex — Ruscas aculeatus * fra le liane : tl edera Hetix — Rabia sylvestris — Tamas communis — Polygonam Convolvalas è fra le erbacee dominano : Anthoxanthum odoratam — Brachypodium ramosam'' — Pte- ridiam aqailinum e vi sono secondarie: Ampelodesmos maaritanicas^' — Aspleniam Vergila — ^4/6»- pecurus utriculatas — Alliam pendalinam — Campanula Rapun- calas — Cephalanthera longifolia — Epilobiam lanceolatum — Dragarla vesca — Rnaatia integrifolia — Limodoram abortivum — Liliam croceam — Lazala Forsteri — Orchis maculata s>\xhsp. sil- vestris — Orchis sulphurea — Silene italica — Scabiosa Colum- baria var. Columnae — Viola Dehnhardtii. Vi è quindi un misto di elementi nemorali e di elementi della macchia (questi ultimi segnati ^ nelbelenco). Per una stradetta che si diparte dalla sella fra le due alture del ciglio slabbrato, si può scendere nell'interno del cratere. Le pareti, nei punti ove le acque incidono canaloni nei tufi friabili o nella roccia trachitica caolinizzata, mostrano una afitoicità quasi completa (Fig. 4). Altri settori delle pareti stesse, ove il substrato è forse più tenace, fra un canalone e l'altro, sono invece ricoverti dalla macchia di Cistus salvifolius e di Pistacia Lentiscus. Man mano scendendo, questa cede il posto ad una macchia più varia formata da: — 247 — Cistus salvifolias — Erica arborea — Pistacia Lentiscus, con cespi sporadici di Arando Pliniiy e quali elementi secondarii : Ampelodesmos maaritanicus — Cyiisus scoparias — Daphne Gnidium — Helychrysum litoream — Sp art inni janceani — Phyl- lirea media. Fig. 4. — Interno del cratere. Macchia a sinistra e di fronte facente pas¬ saggio alla « d i s a » di Ampelodesmos , con tratti afitoici. Anche qui si verifica l'influsso delle varie graduali esposi¬ zioni della parete craterica imbutiforme sulla vegetazione-, nel senso che 'mentre le pareti esposte a Sud i), Est, od Ovest al¬ bergano la macchia rada facente passaggio alla formazione quasi pura di Ampelodesmos, quelle esposte a Nord sono ricoverte da un boschetto di Quercus Ilex con qualche individuo sporadico di Fraxinus Ornas e Quercus pubescens e con sottobosco di Pte- ridium aquilinum. Questa vegetazione cessa però di colpo nel fondo pianeg¬ giante del Cratere. In questo fondo vanno a finire non solo tutte le acque che cadono nell'imbuto craterico, ma anche tutti i detriti derivanti dal disfacimento e dalla caolinizzazione delle trachiti e dei tufi delle pareti dello stesso imbuto craterico, talché il suolo del fondo risulta formato da terreno prevalentemente argilloso e che rende il h Un recente incendio (a. 1921) ha molto maltrattata la macchia di que¬ sto lato del Cratere. fondo stesso man mano più impermeabile. Ove Tevaporizzazione e Tassorbimento non la vincessero sul quantitativo di acqua pre¬ cipitata si potrebbe avere col tempo, per l'aumento deH'impermea- bilità del fondo, la formazione di un vero laghetto craterico, simile ad un dipresso a quello che si vede nel fondo di Astroni. Ed allora la vegetazione delle pareti del cratere sarà di certo influenzata dalla massa d'acqua del laghetto ed altre diverse po¬ polazioni vegetali succederanno alle attuali. Allo stato odierno invece si è impiantata sul fondo una as¬ sociazione pura di Erianthas Ravennae, (vedi tavola 11) che sta appunto ad indicare il futuro, ma non lontano avvento di una vera palude nella località. L'impianto poi dtW Erianthas a M. Nuovo deve essere non antico perchè Tenore (1. c.), un secolo fa, non lo notava del sito. Questa associazione spontaneamente impiantatasi nella quota più bassa del fondo craterico, nel punto ove le acque di pioggia resistono più a lungo e forse ove la falda freatica si approssima più che altrove alla superficie del terreno, è stata però in parte disturbata da una piantagione di Arando Donax che con suc¬ cesso, da non molto tempo, vi è stata tentata. 11 canneto che ora si vede nel settore occidentale del fondo craterico è recente. In esso ho trovato il Trifoliani vesicalosam, che è localizzato in questo solo punto del monte. Nelle vicinanze si possono pure raccogliere speciali piante più o meno igrofile o di terreni argillosi, quali : Valeriana of- ficinalis — Loliam maltifloram — Agropyram litorale — Galiani Mollago — Poa pratensis — Cirsiam polianthemam — Carex di- valsa, che stanno a dimostrare la trasformazione in atto della vegetazione del fondo craterico il cui impaludamento andrà man mano aumentando. Nei settori poi più asciutti, perchè posti a quota più alta, ai piedi della selvetta, ed anche meno argillosi e più arenosi, si è impiantato un Pterideto con Pteridiani aqailinam il quale si estende anche verso la parte orientale del fondo stesso. Il set¬ tore Nord del fondo craterico presenta poi due altre associazioni. La prima (impiantata su terreno alluvionale) a base di Ar¬ temisia variabilis contiene quali elementi più o meno seconda¬ rii: Brassica fraticalosa, Banias Eracago, Carlina corymbosa. — 249 — Centaiirea splendens, Cerastium ligusticum, Cupularia viscosa, Daiicns Carota, Echium plantagineiim, Erodiam Botrys, Eoeni- culiini valgare, Geraniam molle, Hypochaerls neapolltana, Leon- tondon tnberosum, Melandrlum dlvarlcatam. Plcrls splnulosa, PoterUim rnurlcatum, Pterldlarn aqiilllnum, Rubus ulmlfollas, Runiex bacephalophoras, Scab Iosa Columbarla var. Columnae, Scolymiis hlspanlcus, Verbascum slnuatvm. La seconda è costituita ddiW Imperata cilindrica covrente da sola alcuni pendii di puzzolane esposti a mezzogiorno. Come si disse la parete craterica esposta a Nord presenta una selvetta con Quercus pubescens Quercas llex che scende fino al limite del fondo del cratere. Il sito gode di una certa frescura dovuta aU'esposizione ed alla maggior quantità d'acqua che si accumula nella sottostante parte pianeggiante. Ivi ho trovato tipi di piante spiccatamenta nemorali. Vi crescono infatti: Asplenlam Vergila — Arabis hlrsuta — Asparagns acu- tlfollus — Agrimonia Eupatorla — Brachypodiurn ramosum^ — Brunella vulgarls — Brachypodiurn sylvatlcum — Bromus sterllls — Campanula Rapunculus — Carex dlstachya — Calystegla sylva- tlca — Carex dlvulsa — Clematls Vitalba — Colutea arborescens Crepls leontodontoldes — Cytisus scoparlus — Daucus Carota — Erythraea Centaurlum — Eraxlnus Ornus — Eragarla vesca — Geranlum purpureum — Geranlum columbinum — Geum urba- num — Hleraclum crlnitum — Ei edera Hellx — Inula Conyza — Inula odora^ — Listerà ovata — Lllium bulblferumvdir croceum — Llnarla purpurea — Luzula campestrls — Luzula Eor steri — Llgu- strurn vulgare — Lythospermum purpureo-caeruleum — Lycopsls ballata — Lathyrus Aphaca — Mespllus monogyna — Myosotls intermedia — Mascari comosum — Origanum viride — Polygo- num Convolvulus — Phylllrea media'' — Plcrls splnulosa — Quercus llex'' — - Quercus pubescens — Rubia sylvestrls — Ru- scus aculeatus — Rubus ulmlfollas — Rubus caeslus var. ache- runtinus — Solldago Vlrga-aurea — Sllene italica — Scablosa Columbarla var Columnae — Sonchus asper — Sene do lividus — Sorbus domestica — Tamus communis — Ulmus sub erosa — Va- 250 — ter lana offlctnalts — Vida grandiflora — Vida Pseudo-cracca — Viola Dehnhardtii con qualche infiltrazione di tipi propri della macchia (quelli segnati con Tasterisco *). Se, risaliti sull'orlo craterico, si prende la vìa del ritorno, discendendo per la pendice sud est, che guarda Pozzuoli, lato che risulta uno dei più assolati del cono, avremo la sorpresa di vedere di nuòvo la vegetazione cambiare, ed un settore di Ga- rigue , composto da un'associazione pura di Coridothynius ca- pitatas e di non piccola estensione, si presenta agli occhi del¬ l'osservatore. Le piante di Coridothymas, singolarmente fragranti, presen¬ tano il loro caratteristico aspetto di pulvinoli, alcuni larghi un metro, e prosperano bene sull'aridissimo pendio fatto di scoria trachitica e detriti minuti della roccia stessa. Anche le arene mobili e pulverulenti, ultimo stadio delle trachiti consumate, che le acque depositano nei piccoli canali fra roccia e roccia, e che a prima vista sembrerebbero del tutto afitoiche mostrano, all'osservatore attento e di buona vista, una fugacissima ed elegantissima piantolina, V Aira Tenorii. Questa graminacea, dalla pannocchia divisa e suddivìsa nel modo più elegante, ha la stessa colorazione oscura del suolo su cui è impiantata, per lo che Padre Cupani, Domenicano botanico, che prima la scopriva in Sicilia nel 1697, la aveva appunto chiamata: " Gramen avenaceam, exilissimum, pene invisibile „ 2). Essa è distrutta già nei primi giorni di giugno. Dirò in ultimo qualche cosa sui pratelli della macchia. Tali pratelli si impiantano fra i cespugli della macchia ove il substrato di terreno vegetale, per essere esiguo, non può dare che poco nutrimento e poco acqua ai suoi ospiti. Le piante che vi crescono sono in gran parte annnue, nane, microfiorate e com¬ prendono il loro cicio vitale dal Novembre al Maggio cioè nel tempo delle pioggìe autunnali-primaverili. 9 Coridothymiis capitatus (L.] Recb. f. — Thymiis capitatus (L.) Hoffg. et Lk. — Satureja capitata L. 9 Cupani H. Catti, p. 91. 251 — Ogni vegetazione è poi bruciata dal sole di giugno che cava dal substrato gli ultimi residui dell'acqua accumulata. Di pratelli se ne possono osservare diversi tipi , varianti principalmente a. secondo dello spessore dello strato di terreno sul quale sono impiantati, spessori quasi sempre esigui, ma che naturalmente variando rendono il substrato più o meno capace a ritenere l'acqua di pioggia per un tempo più o meno lungo. Tali tipi variano anche credo, a seconda del variare della flora batte¬ rica del substrato stesso. La genesi di essi, in gran parte composti da piante annue, è dovuta alla densa disseminazione nella prossimità delle piante madri, di semi che per diverse contingenze germinano sul po¬ sto, poco o punto disturbati dal vento o dalla pioggia all'inizio del processo germinativo. Il primo tipo a fondo di Ornithopus compressiis (39) con¬ tiene quali elementi secondarii b : Anthemis incrassata (iiniflord) (3); Avellinta Mlchelli (1) ; Bromus hordeaceas (1) ; Cerastiam Ugasticam (1) ; Filago gal¬ lica var. simplex (3) ; Festuca dertonensis (1) ; Festuca dilata (1 1) ; Galiutn parisiense var, anglicum (3); Gaudinia fragills Hypochaeris glabra var. minima {X) ; Plantago Bellardi (12) ; Psi- liirus aristatus (2); Setaria viridis (1); Tuberarid guttata var. Milleri Trifolium Cherleri (5); T. Bocconi (1); T. glome- ratum (2). Il secondo tipo a fondo di Trifolium Cherleri (28) e Tu- beraria guttata var. Miller i (24) contiene quali elementi secon¬ darii : Anthemis incrassata (uniflora, alt. 5-6 cm.) (1); Dianthus velutinus (uniflorus, 6-1 cm.) (2); Filago gallica v. simplex (3-6 cm.) (2) ; Ornithopus compressus (3) ; Psilurus aristatus (8) ; Plan¬ tago Bellardi {\?>) \ Trifolium angustifolium (2); Festuca ciliata (4-6 cm.) (5). b li numero in parentesi indica ad un dipresso la frequenza degli indi¬ vidui. Risulta da una media di osservazione del contenuto di alcune zolle. — 252 — Il terzo a fondo di Plantago Bellardi (30) a di Lotus par- viflorus (19) con i seguenti elementi secondarii : Anagallis caerulea (2-6 cm.) (4); Briza maxima (2); Ery- thraea maritima (1); Festuca ciliata (l)'; Fllago gallica vm. sim¬ plex (\)] Galium parisiense MdiX. anglicum (5 cm.) (1); Hedypnois monspeliensis (1); Linum gallicum (7); Ornithopus extipulatus (8 cm.) (3); Ornithopus compressus (7 cm.) (7); Psilurus arista- tus (16 cm.) (1); Sideritis romana (4-7 cm.) sporadica, a grup¬ petti (4); Tuberaria guttata var. Milleri (8 cm.) (13); Trifo- lium Bocconi (1); T. glomeratum (5 cm.) (4) T. scabrum (1). T. campestre (4 -7 cm.) (2); Vida Psedo-craccawdcc. litoralis (\)] Il quarto a fondo di Tuberaria guttata var. Milleri (50) e Vulpia dertonensis (39) con molte graminacee (in tutto 107) contiene : Avellmia Michela (14); Aira Cupaniana (19); Serapias Lin¬ gua (2); Galium parisiensevdcc. anglicum (15); Hypochaeris gla¬ bra var. minima (1); Ornithopus extipulatus (2); Plantago Bei- lardi (1); Psilurus aristatus (14); Trifolium Bocconi (8); Tri- foliiim arvense (10); Trifolium pseudorepens (4); Festuca ciliata var. aetnensis (10); Festuca ciliata (11) ; Vida Pseudo-cracca (2). Nei margini della macchia e nelle radure di essa, ove il ter¬ reno vegetale presenta profondità maggiore, il pratello si arric¬ chisce di piante erbacee più alte, a sviluppo normale, con qual¬ che perenne, tanto da assumere l'aspetto di un pendio erboso o di un piccolo settore pratense. In queste località scompaiono quindi le piante microfiorate ed ivi crescono tipi normali, bene sviluppati come: Anagallis caerulea — Anthemis incrassata — Aira capilla- ris — Aira Cupaniana — Avena barbata — Bromus sterilis — Bromus intermedius — Bromus hordeaceus — Chrysanthemum se- getum(y, fiori piccoli); — Cerastium ligusticum — Dianthus ve- lutinus (unifloro) — Daucus guttatus — Fchium plantagineum — Frythraea maritima — Hypochaerts neapolitana — hypochaeris glabra — Haynaldia villosa — Oaudinia fragilis — Lagurus ova- tus — Lolium strictum — Lathyrus sphaericus — Linum an- gustifolium — Medicago litoralis — Medicago italica — Medi- cago italica var. spinosa — Medicago tribaloides — Melilo- tus sulcata — Orobanche minor — Ornithopas compressus (alto 60 cm.) — Plantago lanceolata var. mediterranea — Psilurus aristatas — Silene gallica — Silene reflexa — Scleropoa rigida — Setaria viridis Sonchus tener rimas — Tolpis barbata — Tri- folium arvense — T. gl o me rat am — T. scabram — T. pseado- procambens — Festaca Myaros — F dilata — F. dertonensis — Vida angastifolia var. segetalis — Vida Pseadocracca — Vida Cosentini. Tal'è Taspetto della vegetazione quale si presenta oggi a M. Nuovo, a 400 anni circa dalla formazione del Monte. L'equilibrio vegetale non si può dire raggiunto giacché vi sono ancora formazioni aperte e tratti di terreno afitoici che at¬ tendono i loro coloni. Anche la vegetazione varia, a lungo, nel tempo, talché, ove l'uomo non intervenisse con le sue culture a turbare o modificare l'andamento del fenomeno, si potrebbero osservare formazioni succedersi a formazioni; alla "Disa„ di Ampelodesmos o di\\2i " Garigue „ di Cor idothy mas capitatasi su¬ bentrare la macchia con le sue essenze sempreverdi a foglie dure lucenti, così caratteristiche, i Mirti, le Pistacia, le Filliree, le Lo- nicere e poi i Cisti e le Eriche; alla macchia il boschetto di Qaercas pabescens o Q. Ilex; alla formazione una volta pratense del fondo, la palude e poi magari il laghetto coi suoi Potamo- geton^ e poi come si osserva ad Astroni, con i Ranuncoli bianchi, le Alisme e tutte le altre elofite abituali i). h La spiaggia di Lucrino, posta alle falde di M. Nuovo, ma non compresa nel quadro del presente studio, presenta i tipi psammofili seguenti : Agropynim litorale {Host.) Boiss) Anthemis maritima L. Atriplex polysperma Ten. O/z- volvulas athaeoides L. Echinophora spinosa L., Eryngium maritimum L., Eu- phorbia Paralias L., E. Terracina L., Festuca fasciculata Forsk., Matthiola triciispidata DC, Medicago marina L., M. litoralis Rohde, Pancratium mari¬ timum L., Plantago ceratophylla Link., Salsola Kali L. e più verso terra Artemisia variabilis Ten. e Verbascum sinuatum L. Prospetto comparativo delle piante crescenti a M* Nuovo ‘S Pianta u, tx/O NOMI DELLE SPECIE Durata O > o Uh *5- B CJ di Selva di Macchia di Pratelli di Rupi Ruderale Igrofila Pteridophyta. Ophioglossaceae Ophyoglossum lusitanicum L. . . . + + + Selaginellaceae i Selaginella denticulata (L.) Spring 24 + + + Polypodiaceae Gymmogramme leptophylla (L.) Desv. © + + 1 1 j Pteridium aquilinum (L.) Kuhn. . . + +. + i ! Asplenium Adiantum — nigrum (L.) subsp. Vergini (Bory) . + + + + 1 i Gymnospermae 1 1 i Pinaceae 1 Pinus Pinea L. cult. ...... S + + 1 Angìosperma.e Monocoiyledoneae 1 Graminaceae Imperata cylindrica (L.) Beauv . . . + + + Erianthus Ravennae (L.) Beauv .... + + + Andropogon hirtum L. var. pubescens (Vis.) Vis. .... % + + + — 255 — NOMI DELLE SPECIE Durata 0 > 0 Campi Flegrei Pianta di Selva | di Macchia di Pratelli di Rupi Ruderale Igrofila Phalaris caerulesceiis Desf. ^) . . . . + + + „ brachystachys Lk. .... © + -h + „ canariensis L . 0 + + + „ minor L. . - . 0 + + + „ paradoxa L . © + + + Setaria viridis (L.) Beauv . © + + + + Anthoxanthum odoratum L . 2(. + + + Alopecurus utriculatus (L.) Soland. . © + + + Phleum ambiguum Ten . 2(. : + + Gastridium ventricosum ( Gouan ) Schinz et Thell. ....... © + + + Lagurus ovatus L . © + + + Holcus lanatus L . + + + + + Aira capillaris Host . © + + + „ Tenoni Guss. . . © + „ Cupaniana Guss . © + + + var. incerta Cesati . . + var. Magnaguti A. et G. . + + Corynephorus articulatus (Desf.) Beauv. . © + + + Trisetum paniceum (Lam.) Pers. © + + + Avena barbata Pott . © + + Gaudinia fragilis (L.) Beauv . © + + + Cynodon Dactylon (L.) Pers . + + + Ampelodesmos mauritanicus ( Poir. ) Dur. et Schinz ...... + + Arundo Plinii Turra . + Donax L. culta . + + + *) Le note si trovano in fondo al prospetto 256 — NOMI DELLE SPECIE Durata M. Nuovo Campi Flegrei Pianta di Selva di Macchia di Pratelb di Rupi Ruderale Igrofita Avellinia Michelii Pari . © + + + Briza maxima L. . 0 + + + var. rubra Lam. . . . . + + minor L . 0 + + + var, rubra . + + Dactylis glomerata L . + + + var. cibata Peterm . + + Cynosurus echinatus L . © + + + Festuca Myuros L . 0 + + + var. hirsuta (Hack.) .... + + „ cibata Pers . . . ‘ . © + + + var. aetnensis Tin . . + + „ dertonensis All . . . . © + + + var. panormitana (Pari.) . . . + + var. Broteri (Boiss.) .... + + Poa pratensis L . + + + „ annua L . © J_ 1 ' • „ triviabs L. var. sylvicola (Guss.) . + + + Catapodium lobaceum (Huds.) Link.. © + + © Scleropoa rigida (L.) Griseb . © + + + „ Hemipoa (Del.) Pari . © + + + Bromus steribs L . © + + + „ Gussonii Pari . © + + + „ erectus Huds . % + + + NOMI DELLE SPECIE Durata M. Nuovo Campi Flegrei !Pi anta di Selva di Macchia di Pratelli di Rupi Ruderale Igrofila Bromus madritensis L . 0 + + + „ hordeaceus L. . . . . 0 + + + : „ molliformis Lloyd .... 0 + + + „ intermedius Guss . 0 + + + Brachypodium ramosum (L.) R. et Sch. . + + + + „ sylvaticum (Huds.) R. et Sch. + + + „ distachyon (L.) R. et Sch. 0 + + + var. monostachyum Guss. . + Lolium Gaudini Pari. . 0 + + + „ strictum Presi . 0 + + + „ multiflorum Lam . + + + Psilurus aristatus (L.) Duv. Jouv. 0 + + Haynaldia villosa (L.) Schur .... 0 + + + Agropyrum litorale (Host.) Boiss. + + Triticum ovatum (L.) Rasp . 0 + + + Hordeum leporinum Lk . 0 + + Graminaceae 57 39 0 ; 18 2^ r Cyperaceae Cyperus rotundus L . + + + esculentus subsp. aureus (Ten.) + + + Carex distans L. ...... 2^ + + + distachya Desf. . . . + + + divulsa Good. . + + + Scirpus Holoschoenus L. var. australis (L.) Are. % + + — “258 — NOMI DELLE SPECIE Durata M. Nuovo Campi Flegrei Fi anta di Selva di Macchia di Fratelli di Rupi Ruderale luncaceae i Luzula Forsteri (Sm.) DC. .... 1+ i 1 „ campestris (L.) Lam. et DC. . 1 ' var. erecta Desv. .... + 1 1 1 1 Liliaceae Allium penduliniim Ten. . . . -. 21^ 1+ 1 i 1 „ triqiietrum L. . • , - 2(. + ; 4_ 1 ! + „ subbi rsiitiim L . Z + + _L 1 1 Lilium bulbiferum L. var. croceum Chaix . Z 1 + + i 1 Ornithogalum arabicum L . . Z -1- 1 + 1 1 Scilla autumnalis L . Z 1 + Asparagiis acutifolius L. . , . Z ! 1 1 j Ruscus aculeatus L . Z i ' + + Mascari comosum Mill . Z. +; + + Liliaceae 9 . . . . . 9 i Amaryliidaceae Narcissiis imicolor Ten . 1 + + „ patulus Lois . z 1 1 + + Dioscoreaceae Tamus commiinis L. . z 1 _L 1 4- — 259 NOMI DELLE SPECIE Iridaceae Romulea parviflora (Salis.) Britten Orchidaceae Orchis maculata L. subsp. silvestris (Ten.) „ rubra Linde . „ sulphurea Link var. lutea var. rubra var. lutea X var. rubra . Serapias Cordigera L. „ Lingua L. . Cephalanthera rubra (L.) Rich. . „ longifolia (L.) Fritsch . Limodorum abortivum (L.) Swartz Spiranthes spiralis (L.) C. Rock. Listerà ovata (L.) R. Br. Orchidaceae 10 . 10 36 Salicaceae Populus nigra L. Betulaceae Carpinus orientalis Mill. 2^ 21. 21. 21. + + T Pianta + + + + + Ruderale — 260 — NOMI DELLE SPECIE Durata M. Nuovo Campi Flegrei !P i a n t a di Selva di Macchia di Pratelli di Rupi Ruderale Igrofila Fagaceae Quercus pubescens Willd . s + + + „ Ilex L . s 1 1 + var. glabrata Guss . + var. latifolia Guss. . . . + 1 Castanea saliva Mill . s + + + 1 Ulmaceae i Ulmiis suberosa Ehrh . s + + + 1 Moràceae Eicus Carica L . . s + + ! Urticaceae 1 1 . Parietaria judaica (L.) L . % 1 1 + Polygonaceae Polygonum Convolvulus L. . . . 21, i '+ Rumex bucephalophorus L . © + + + Santalaceae Osyris alba L . s ~r + + Rafflesiaceae Cytinus Hypocistus L. (parassita) + + — 261 — cu Pianta X-. òjO o JU NOMI DELLE SPECIE i-, > o =3 U-H ‘5. B OS cu co cu cu Vj Uh ex '5, ex cu C3 (U 'a 'o o ccj u "O '5 ex Chenopodiaceae Chenopodiiini murale L . © + + + „ album L . 0 + + 1 "r „ multifidum L . + + Atriplex rosea L. . 0 + + + Caryophyllaceae Stellaria media Gir. var. grandiflora (Ten.) z + + ■r Cerastium ligusticum Viv . © + + „ brachypetalum Desp. var. luridum Guss. © 1 T + + „ pumilum Curi . © -h + + Spergularia salina J. et C. Presi. © + _1_ 1 « 1 + ^ var. heterosperma (Guss.) Gurke + + + Spergula avensis L. var. pumila N. Terr. © + + + Silene nocturna L. . . . . © + + + „ neglecta Ten . © + + + „ „ var. albiflora . . + + „ augustifolia (Mill.) Guss . z + + + „ italica Pers . Z + + + „ gallica L . © + + + Melandrium divaricatum Fenzl. ap. Ledeb. © + 4“ Tunica velutina (Guss.) Piseli, et Mey Caryophyllaceae 13 . . . 3 2^ ; lOQ © + + 1 262 — NOMI DELLE SPECIE Durata M. Nuovo Campi Flegrei di Selva F» .5 U u CS i Fratelli n t ’c- Ruderale j 95 Igrofita t: X! Aìzoaceae Mesembryanthemiim acinaciforme L. 2(. + + Ranunculaceae Clematis Vitalba L . 5 + + + „ Flammula L. . .... S + + -f- „ var. fragrans (Ten.) + „ var. maritima (L.) .... + Nigella damascena L. ..... © + + Delphinium halteratum S. et Sm. 0 + + + Anemone hortensis L. ‘^) . © + + Papaveraceae 1 Papaver dubium L. . . . . * . © + + „ Rhoeas L . © + + Fumaria officinalis L. . © + + + „ Gussonii Boiss . © + + + 'l „ serotina Guss. var. confusa Jord . ■ . © + + + „ flabellata Gasp . © + + + Cruciferae Sisymbrium Sinapistrum Crantz. © + + + „ orientale L. — S. Columnae Jacq. 0 + + Arabidopsis Thaliana (L.) Scliur. © + + + — 263 — - '53 tuo Pianta NOMI DELLE SPECIE Durata M. Nuovo (U E ‘B- B U di Selva di Macchia di Pratelli di Rupi Ruderale Igrofila Brassica Sinapistrum Boiss. .... © + 4- + „ fruticulosa Cirillo . + + + Diplotaxis tenuifolia DC . . 2^ + + + Raphanus Raphanistrum (L.) Berg. . 0 + + + ,, sativus L . 0 + + + Rapistrum rugosum DC . © + + + Lepidium sativum L . © + + + Arabis hirsuta Scop. var. sagittata DC. 0 + + + Alyssum marilimum Lam . + + + Bunias Erucago L. ..... . Cruciferae 13 . . . 3 ;2 Q ; SQ © + + + Grassulaceae Cotyledon tuberosa (L.) Halacsy. + + + Crassula muscosa (L.) Roth. . . . © + + + Rosaceae Agrimonia Eupatoria L . + + + Rubus ulmifolius Schott . 3 + + + „ caesius L. var. acheruntinus (Ten.) 3 + + + Pyrus domestica (L.) Ehrh. .... 3 + + + Mespilus monogyna (Jacq.) S. et S. . 3 + + + Fragaria vesca L . + + + Geum urbanum L . + + + Sanguisorba niuricata Fock .... + + — 264 — NOMI DELLE SPECIE Durata M. Nuovo Campi Flegrei !P i a n t a i Selva .ro U U rt i Pratelli ’g. 3 OC Ruderale TD -a -a -a Alchimilla arvensis (L.) Scop. var. microcarpa © + + + Rosaceae 9 . - . . . 4 S ; 4 1 0 Leguminosae Ceratonia Siliqua L . 5 1 1 + Lupinus augustifolius L. . . . . . © + 1 + Spartium junceum L . 5 + + Cytisus scoparius (L.) Link .... 5 + + + „ trifloriis L'Herit . . S + + + Calicotome villosa (Poir.) Link .... 5 + + + Melilotus sulcata Desf. . . © + + Medicago litoralis Rohde .... © + + + „ truncatula Gaertn . © + + + „ italica (Min.) Steud .... © + + + „ var. aciileata (Guss.) + 1 ~r „ var. spinosa Guss. . . . + + „ var. Helix (W.) 1 T + „ hispida Gaerta. var. lappacea (Desr.) . © 1 + + „ tribuloides Desr. .... © + + + Trifolium Cherleri L. ..... © _L 1 + + „ Bocconii Savi . © + + + „ scabrum L. . . © + + + „ patens Schreb . © + + „ campestre Schreb. . . ' . © + + + „ repens L. . . . ... 21. -f -h „ var. minus Guss. . + - 265 — NOMI DELLE SPECIE Durata O > o :=! z Campi Flegrei Pianta di Selva di Macchia di Pratelli di Rupi Ruderale Trifoliurti arvense L . © + + + „ vesiculosum Savi .... 0 + + „ glomeratum L . 0 + + + „ pratense L. . © + + + „ nigrescens Viv. ..... © + + + var. prolifer. N. Terr. + „ angustifolium L . © + +: + Anthyllis Barba-Jovis L . S + + + Psoralea bituminosa L . 2^ + + + Colutea arborescens L . S + + + + Lotus corniculatus L. var. villosus Ten. . + + + „ angustissimus L . © + + + „ parviflorus Desf . © + + + Ornithopus compressus L. .... © + + + „ extipulatus Thore . . © + + + ; Coronilla Emerus L. var. emeroides (Boiss. et Spr.) + + + Vicia Pseudo-cracca Bert . © + + + var. Bivonea (Ser.) .... + + + „ cuneata Guss . © + + + „ angustifolia L. var. segetalis Les. © + ■+ + „ sativa L. var. Cosentini Guss. . © + + d „ grandiflora Scop . © + + + „ hirsuta (L.) S. F. Gray . © + + + Lens esculenta Moenc . © + + Lotus hispidus Desf. var. filiformis (Poir.) Ry '^) © + + + ~ 266 — NOMI DELLE SPECIE Durata o > g Z 'é Campi Flegrei ' Pianta di Selva di Macchia di Fratelli di Rupi Ruderale | Igrofila Lathyrus Clymeniim L. var. alatus (Ten.) . © + + + var. angustifolius Rouy . + + + „ Aphaca L . 0 + + + „ sphaericus Retz . 0 + + + „ venetus (Mill.) Wohlf . z + + + Leguminosae 44 . . . 8 S ; 4 2|f ; 32 0 » Geraniaceae Geranium rotundifolium L. . . . . © + + + var. microphyllum N. Terr. + + „ molle L . © + + + „ Robertianuni L. var. purpureum Vili. © + + + + „ columbinum L. .... © © + + Erodium cicutarium (L’Herit. ^) . © + + + var. acaule (Rouy FI. Fr. IV, 108) + + + „ Botrys (Cav.) Beri . © + + + var. Gasparrini Guss. . + Linaceae Linum corymbulosum Reich . © + + + „ gallicum L . © + + + „ strictum L . © + + + „ angustifolium Huds . + + + Oxalidaceae Oxalis corniculata L. . . . 2^; + + + + 267 NOMI DELLE SPECIE Zygophyllaceae Tribulus terrestris L. . Simarubaceae Ailanthus Cacodendron (Ehrh.) Schinz et Thell. Euphorbiaceae Mercurialis annua L. . Euphorbia Helioscopia L. Anacardiaceae Pistacia Lentiscus L. . Malvaceae Lavatera eretica L. Guttiferae Hypericum perforatum L. . Cistaceae Cistus salvifolius L . Tuberaria guttata (Mill.) Fourr. var. plantaginea (Pers.) var. Milleri (Rony et Foiich. Fumana nudifolia (Lam.) Janchen © 0 0 0 + + + + + Pianta + + + di Rupi Ruderale 268 — 'S bjO Pianta NOMI DELLE SPECIE Durata M. Nuovo ‘5, S c3 u di Selva di Macchia di Pratelli di Rupi Ruderale Igrofila Violaceae Viola Dehnhardtii Ten . + + Thymelaeaceae Thymelaea hirsuta (L.) End! . s + + + Daphne Gnidium L . s + + + Punicaceae Punica Granatum L. cult. . ... s + + Myrtaceae Myrtus communis L. var. lusitanica (L.) . s + + + var. inicrophylla Willk . . . + + + Araliaceae Hedera Helix L. . $ + + + Oenotheraceae Epilobium lanceolatum S. M. . . % + + + Umbelliferae Daucus platycarpos (L.) Celak. . . © + + + + „ Carota L. var. inaritimus Lam. 0 + + + „ gummifer All. . 0 + + + „ bicolor S. et Sm. . .... 0 + + + — 269 NOMI DELLE SPECIE Durata o > o Campi Flegrei Pianta di Selva di Macchia di Fratelli di Rupi Ruderale Igrofila Ericaceae Arbutus Unedo L . s + + + Erica arborea L . s + + + Primulaceae Asterolinum Linum-stellatum [L.] © + + + Anagallis arvensis L. var. coerulea G. G. . 0 + + + var. phaenicea G. G . 0 + + + Oleaceae Fraxinus Ornus L . S + + + Phillyrea variabilis Timb. Lag . s + + + var. media (L.) . + var. virgata (W.) . + var. obliqua (W.) .... + var. ligustrifolia (Mill.) + var. angustifòlia (L.) .... + Olea europaea L. culla . 5 + + Ligustrum vulgare L . S + + + G-entianaceae Erythraea maritima (L.) Pers . © + + + „ Centaurium (L.) Pers. © + + + Chlora perfoliata (L.) L . © + + + + „ serotina Koch. . . . © + + + — 270 — ’oj i-, txo IP i a n t a NOMI DELLE SPECIE Durata M. Nuovo E ’B. S u di Selva di Macchia di Fratelli di Rupi Ruderale Igrofila Convolvulaceae Cuscuta planiflora Ten. var. Tenoni Englm. . © + + + Calystegia sylvesjris W. et K . % + + + Convolvulus arvensis L . % + + + Boraginaceae Hetiotropium Eichwaldi Steud . 0 + + + Echium plantagineum L . 0 + + + Anchusa undulata L. var. hybrida (Ten.) . 0 + + + Lycopsis variegata L. . © + + + Myosotis hispida Schlecht . © + + + „ intermedia Link. ..... © + + + + Lithospermum arvens e L. .... © + + „ purpureo-coeruleum L. . © + + + Boraginaceae 8 .... 7 ©; 1 O ' Labiatae Sideritis romana L . . © + + + + var. approximata Gasp. + Corydothymus capitatus (L.) Reicli. . 5 1 Brunella vulgaris L . . % + + + 271 — NOMI DELLE SPECE Durata M. Nuovo Campi Flegrei Pianta di Selva di Macchia di Pratelli di Rupi Ruderale Igrofila Satureja tenuifolia Ten. . s + + + graeca L. ..... . s + + + „ Nepeta (L.) Schede .... + + + „ Calamintha (L.) Scheele 2^ + + + Marrubium vulgare L . 2^ + + + Salvia Verbenaca L . 2^ + + + Origanum viride (Boiss.) Halacsy. 2^ + + + Labiatae 10 . . .3S;6^;1© Solanaceae Solarium nigrum L . © + + + Scrophulariaceae Verbascum sinuatum L. . (D + + + „ Lycnitis L . © + + + Linaria Pelisseriana (L.) Mill. .... 0 + + + „ purpurea (L.) Mill . 3; + + + + Antirrhinum Orontium L. . 0 + + + Veronica Tournefortii K. C. Gmel. . . + „ hcderaefolia L . + Orthantha lutea (L.) A. Kern . © + + + : Odontites rubra Gii. var. serotina (Reich.) 0 + + + Parentucellia latifolia (L.) Caruel © + + „ viscosa (L.) Caruel. © + + + Scrophulariaceae 9 . . 1 2^; 2 0; 6 © — 272 — NOMI DELLE SPECIE Durata o > o Z Campi Flegrei Pianta di Selva di Macchia di Pratélli di Rupi Ruderale Igrofila Orobanchaceae Orobanche pubescens Urv. parass. su composite. © + + + „ minor Sm. „ 0 + + + Plantago Plantago maior L. ..... . 2^ + + + „ lanceolata subsp. mediterranea (Godr.) % + + + „ indica L . 0 + + + „ Lagopus L . % + + + „ Bellardi All . © + + + var. pygmaea (Lam) . + var. ìnterrupta (Pasq.) . + „ Coronopus var. Weldenii Reich. © + + + Rubiaceae Sheradia arvensis L . . © + + + Vaillantia muralis L. . . . ... © + + + Galium parisiense L. var. anglicum (Huds.) . © + + + „ Mollugo L. . + + + + „ divaricatum L . © + + + „ Aparine . © + + + Rubia sylvestris Mill . % + + + „ peregrina (Herm.) L. = R. Bocconi Pet. . % + + + Caprifoliaceae Lonicera implexa Ait . S + + + NOMI DELLE SPECIE Durata M. Nuovo Campi Flegrei di Selva di Macchia di Pratelli ^ n t '5 Ruderale ^ Valerianaceae Valerianella microcarpa Lois . © + + + Valeriana officinalis L. . . % + + Kentranthus Calcitrapa (L.) DC. 0 + + + + Campanulaceae Campanula Rapunculiis L. .... 2^ + + + Specularia Speculum-Veneris (L.) Tanf. . 0 + + + „ var hirta (Ten.) Guss. + + 1 Dipsacaceae Knautia integrifolia Bert . © + + Scabiosa maritima L. . + + + + „ Columbaria L. var. Columnae (Ten.) % + + + Compositae Solidago Virgaurea L . + + Erigeron canadense L . © + + 1 Filago gallica (L.) L. . © + + + var. simplex (Foiic. et Sims.) + + Helichrysum litoreum Guss. . ... -4- + + Inula viscosa (L.) Ait . + 1 “T + „ Coniza DC. . % + + + Pulicaria odora (L.) Reich . + + Xantium italicum Moret . © 1 ~r + + „ spinosum L. . © + + + — 274 — "5j Li t>jO Piant a NOMI DELLE SPECIE Durata O > o tu 'q_ £ u di Selva di Macchia di Fratelli di Rupi Ruderale Igrofila Anthemis mixta L . 3 1 1 + „ arvensis L. var. incrassata Lois. . 0 1 i + 0 + Achillea ligustica All . + + + Chrysanthemum coronarium L. . 0 1 1 + „ segetum L . 0 + + + + Artemisia vulgaris L . . 21. 1 1 + + „ variabilis Ten . d + + + var. virescens Ten . + + var. canescens Ten . + Senecio vulgaris L . 0 1 + „ lividus L . © + + ,+ Calendula arvensis L. . © + + + Carlina corimbosa L . 0 + + Silybum Marianum L . G + + 1 1 I Galactites tomentosa Moench . 0 + + + + Onopordon horridum Viv. 9) . 0 + + + Crupina maculata (Juss.) Grande 3 -f Centaurea splendens (L. p. p.) Ten. 1 1 + + Carthamus lanatus L . 0 + + + + Cirsium polyanthemum DC . 0 + 1 + Scolymus hispanicus L. . 0 +' + + Tolpis umbellata Bert. . . . . © + + + Hyoseris radiata L. • . . 1 j- 1 + Zacintha verrucosa Gaertn . 0 + + + Hypochaeris n capo li tana DC . + + „ glabra L . © + + + — 275 — NOMI DELLE SPECIE Durata M. Nuovo Campi Flegrei F* i a n t a 1 Selva .2 le u u CTS i Pratelli c, e Ruderale Igrofila T3 -a 1 'O var. minima (Cirillo) .... + + + Hypochaeris aetensis C. P. G. 0 + + + Urospermiim Dalechampii Desf. + + + Picris spinulosa Beri, ex Guss. % + + + 1 Hedypnois Monspeliensis W . 0 + + + „ tubaeformis Ten . © + ©■ + Leontodon tuberosum L . ' + + + Tragopogon eriospermiim Ten. G + + + Andryala undulata J.C. Presi . © + + + „ dentata S. Sm. .... G + + + Chondrilla juncea L. . . . 0 + + + Sonchus asper Badar. . © + + + „ tenerrimus L . 2^ + + + Reichardia picroides Roth. . . . . + + + Crepis bulbosa L . + + + „ Vesicaria L . © + + + + „ leontodontoides All . G + + + Hieraciiim crinitum Sibth . + + + + „ florentinum Vili. var. litoraneum Belli + + + „ Bauhini Schult . 2^ + + Compositae 52. 1 S ; 19 ^ ; 9 (Q ; 23 0 Totale (escluse le coltivate) 355 40 S : 116 16 G; 183 © 276 — NOTE AL PROSPETTO Le Phalaris si comportano nella località come piante antropoco re più o meno ruderali poiché crescono lunghi i sentieri, sebbene nella regione cir¬ costante sieno per lo più piante segetali. V Aira Tenoni Guss. cresce nelle arene di disfacimento delle trachiti accumulate nei piccoli spazii fra roccia e roccia, nei punti più esposti al sole. 3) L' Ampelodesmos, nei pendìi scoriacei scoverti, forma delle vere associa¬ zioni dense. L' Anemone hortensis L. é molto raro e sporadico, come del resto lo è poi in tutta la regione flegrea ; è invece coniunissimo nei settori calcarei della Penisola Sorrentina e di Capri. Lotus comiculatiis L. var. villosus Ten. Syll. in fol. 109 (1830) = L. diffusus Ten. ad. FI. Neap. Prodr. app. V. p. 24 (1826), ex Monte Nuovo = L. corniculatas var. ciliatus Kock, Syn. ed. II, p. 197 (1843). 6) Lotus hispidns Desf. var. filiformis (Poir.) Rouy = L. pilosissimiis var. filiformis Ten. 1. c. Prod. app. V. p. 24 " ad Mo'ntem novum „. Cfr. FI. neap. voi. V. p. 159. '^) Escludo dalla flora di M. Nuovo 1' Erodium romanum L' Herit. segna¬ lato da N. Terracciano (La flora dei Campi Flegrei, pag. 170) perchè non r ho mai visto crescere a M. Nuovo. ^) Per la stessa ragione escludo dalla flora di M. Nuovo la Calendula of- ficinalis segnalata da N. Terracciano (1. c. p. 293). Il prospetto è stato redatto in massima sulle piante provenienti dalle mie raccolte, sulle indicazioni controllate provenienti dalle diverse opere Teno- reane ; Flora napoletana, Flora medica e particolare della provincia di Na¬ poli, Sylloge plantarnm vascularium etc.; sulle piante indicate dal Bertoloni nella sua Flora italica e su quelle indicate da N. Terracciano nelle sua " Flora dei Campi Flegrei (1910) e supplementi successivi. Nella colonna Macchia sono incluse sia le piante arbustive proprie della formazione, sia le erbacee delle radure della macchia stessa. Identicamente nella colonna selva vi sono sia le essenze arboree, sia le piante erbacee della sottoselva. Nella colonna ruderali sono comprese sia le ruderali vere (murali odi ruderi murarii) sia le sepiarie, le nitrofile, quelle cre¬ scenti lungo i sentieri etc. tutte più o meno antropocore od abitanti sta¬ zioni artificiali od influenzate dall' uomo. Nell’ ultima colonna si trovano poi le piante dei siti più o meno umidi del fondo del Cratere e che si comportano come igrofile a M. Nuovo. A pag. 259 è stato per errore soppressa la divisione tra le monocotyledo- neae e le die oty ledo neae, in modo che tra le Orchidaceae e le Salicaceae oc¬ corre interporre il titolo " Angiospermae Dicotyledoneae „. — 277 — Le ofigfini della veg^etazione. Con i dati che ho potuto mettere insieme e che sono pro¬ spettati nelle pagine precedenti si può stabilire il seguente qua¬ dro comparativo della Flora di M. Nuovo: Monte Nuovo Campi Flegrei Rapporto Famiglie . . . 62 89 69/ /lOO Generi . . . 231 426 h Specie . . . 355 1092 2) 33/ '100 Superficie Fa. 78 2619 3) ^/lOO Si vede a colpo d'occhio la sproporzione che vi è fra il numero dei generi e quello delle specie fra la flora del M. Nuovo e quella del resto dei Flegrei. Infatti nel mentre il rapporto fra i generi dei C. Flegrei e le relative specie con le limitazioni di cui nella nota ^), è ^ 2,7 specie in media per 1 ge¬ nere, il rapporto fra i generi e le specie di M. Nuovo è 231/355, os¬ sia 1.5 specie circa per 1 genere, cioè a parità di condizioni vi è a M. Nuovo un num_ero circa doppio di generi rispetto al resto dei campi Flegrei. La flora di M. Nuovo appare sotto questo aspetto quale *) Dal numero sono esclusi i generi che comprendono specie palustri o acquatiche 0 coltivate. 2) Dalle 1264 specie della Flora Flegrea, si sono tolte le palustri od acqua¬ tiche e le coltivate (in tutto in numero di 172) e cosi si è ottenuto il numero di 1092, Parimenti le 355 specie di M. Nuovo non contengono quelle residue di culture, quali 1’ Ulivo, il Granato, il Pino. La superficie di Fa 2697 è stata così ottenuta. La superficie totale dei Campi Flegrei. quali sono intesi nella Flora Flegrea di N. Terracciano, che mi è servita di base per queste considerazioni è di 13000 Fa. In essi 10093 rappresentano terreni coltivati; gli incolti sono dunque Fa 3017; togliendo da questo numero ancora Fa 320 di laghi e terreni palustri per presenza d'acqua ed Fa. 78, superficie di M. Nuovo, restano Fa. 2619, superficie questa com- posta di selve, macchie, pratelli, rupi, e quindi con manto vegetale in complesso paragonabile a quello di M. Nuovo. 278 — una Flora depauperata di specie e si comporta in tale senso come una flora ruderale ; delle flore ruderali è infatti caratte¬ ristico la povertà della specie rispetto al numero dei generi. In rapporto poi alla durata le specie crescenti a M. Nuovo risultano cosi ripartite: © 183 199 G 16 116 156 d 40 Totale 355 355 Ossia le annue e bienni comprendono circa i della to¬ talità delle specie, nel mentre che le perenni (erbace o legnose) ne comprendono i ^/loo. La proporzione maggiore di piante vascolari annue (estre¬ mamente numerose anche come numero d'individui ) è indice delle condizioni di vita delle piante stesse. Le piante annue , il cui ciclo vitale è compreso tra il no¬ vembre ed il maggio, ossia nel periodo più piovoso della loca¬ lità, e durante il quale la temperatura e T insolazione è la mi¬ nima, possono ben vegetare e maturare i semi. Durante la sta¬ gione calda asciutta, quando sotto V ardore del sole, le nere rocce di M. Nuovo diventano infocate, esse scompaiono dissec¬ cate e la vita si conserva nel seme. Il numero poi piuttosto forte di legnose (40), sta in rela¬ zione con r esistenza della macchia , i cui componenti ben for¬ niti dei noti apparecchi o dispositivi per moderare la traspira¬ zione, alcune volte perdendo pure il fogliame, passano incolumi i mesi caldi dell' estate. Il numero delle specie crescenti spontanee a M. Nuovo, quale risulta dal prospetto generale, è di 355. Di esse 351 sono comuni a M. Nuovo ed ai Campi Flegrei e solo 4 rappresen¬ tano specie non ancora note dei Flegrei. Risulta quindi natu- — 279 - rale e giustificato il pensare che M. Nuovo sia stato popolato in massima con piante dei Campi Flegrei, tutte provenienti dai dintorni e che quindi la disseminazione propinqua sia stata la abituale. Queste conclusioni collimano con quelle a cui pervengo os¬ servando la colonizzazione spontanea delle lave vesuviane del 1906, lave però basanitiche e non trachitiche. Anche ivi il ri- popolamento avviene in massima parte con specie dei dintorni; ma di ciò parlerò in altro lavoro. D'altra parte i 4 casi rilevati di disseminazione longinqua si riferiscono ad Atra Tenorii, Listerà ovata, Corydothymus ca- pitatus ed Hieraciam Bauhini e stanno a dimostrare che per quanto essa si verifica molto più raramente in natura, non di¬ meno esiste e funziona accanto alla propinqua, di gran lunga più comune. Questa poi si addimostra invero anche la più adatta ad assicurare alla specie la possibilità di attecchimento in vasta scala su di un nuovo suolo. Naturalmente i primi semi approdati sul Monte sono ve¬ nuti sulle ali del vento. Giornalmente osserviamo sulle nuove fabbriche, sui nuovi terrapieni, sui tetti e terrazze e persino in cima a campanili ed obelischi della Città spuntare e vegetare specie fra le più diverse i cui semi, talvolta piccoli, non appe¬ titi da uccelli, non possono esser venuti sul posto che solo proiet¬ tati o trasportati dal vento. In generale il vento forte, burrascoso, può smuovere e por¬ tar lontano qualunque seme, anche grosso e relativamente pe¬ sante, come fa alle volte per le polveri dei deserti, come è do¬ vuto avvenire con i cristalli di augite caduli in siti lontani dal Vesuvio, p. e. a Castellammare, etc. onde tutte le specie, quelle dotate o no dì apparecchi per l'anemocoria o ritenuti tali, pos¬ sono usufruire di una disseminazione per mezzo del vento. Una grande quantità di questi semi è però destinata, come si sa, a morte. Sono quelli che o cadono sopra substrati non adatti od in formazioni od associazioni chiuse e principalmente in stazioni non in armonia con la vita della pianta che si an¬ drà a sviluppare come p. e. la pianta di rupe umida su di una rupe asciutta, di bosco nella palude, o delle sabbie marittime nel bosco. — 280 — Ma a tale sorte triste la specie fa fronte, come è noto, con la produzione di una gran quantità di spore o di semi in modo da moltiplicare le probabilità del seme di un approdo in ter¬ reno adatto. Avviato il seme in un punto adatto al suo sviluppo, quando il punto di arrivo è situato nello stesso ambiente climatico e stazionale dal quale ha origine il seme, le probabilità di attec¬ chimento sono tanto più grandi ed ancora più grande è per la specie la probabilità di svilupparsi normalmente e di maturare i semi, formare colonia e prender possesso del suolo limitrofo. Ed a tale scopo la disseminazione propinqua serve meglio e presenta risultati di gran lunga più certi della longinqua la quale possiede una incertezza e delle incognite nei risultati che la prima ha in grado infinitamente minore. Questa disseminazione propinqua è poi aiutata dal seme stesso mediante apparecchi speciali che ne ostacolano l'allonta¬ namento dal sito di origine in un primo momento e dal sito di deposito in un secondo tempo. Poiché, confermando quanto in un recente scritto ha fatto rilevare il compianto Prof. Bonzi i), molti semi sono muniti di apparecchi speciali atti a moderare una dispersione longinqua, spesso fatale allo sviluppo della prole ed inutile in quando alle finalità di vita dell'essere da cui il seme proviene. Allorché quindi la pianta nata dal primo seme si é svilup¬ pata sul posto di arrivo, e se l'armonia dell'ambiente é stata confacente a tutti i suoi bisogni, talché ha potuto sviluppare semi normali, le cose procedono direi quasi, come se la pianta tro¬ vasse conveniente che la sua prole, in atto costituita dai semi, non lasciando il certo per l' incerto, non si allontani troppo dalle sue vicinanze e subentrano quindi in funzione tutte quelle di¬ sposizioni aggrappative dei semi, che costituiscono, per quella piccola vita che é il seme, delle ancore di salvataggio che lo trattengono nelle prossimità del suolo nativo, nell'ambiente che fu bene adatto allo sviluppo del genitore. A tali dispositivi, che in gran parte furono interpetrati h A. Borzì. — Problemi di Filosofia Botanica. Roma 1921. — 281 — quali mezzi atti a favorire una dispersione longinqua zoocora (di aggrappamento a velli, ai peli, alle penne) credo debbono invece riferirsi, per i frutti e semi delle piante di M. Nuovo i seguenti : Gli uncini del Daucus setalosas, delle varie Medicago, del Ramex bucephalophorus^ dtW Agrimonia Eapatoria ; le reste sca¬ bre del Triticum ovatum; i calici di alcuni Trifolium (Tyglo- meratiim, T, scabram, T. Bocconei, T, Cherleri, T. vesiculosuni) e di alcune Labiate {Sideritis^ romana) le note appendici e reste torcenti degli Erodiam Cicutarium, E. Botris, non chè del- V Avena barbata^ Andropogon hirtam, che valgono addirittura a seppellire il seme nel terreno; le tubercolosità od asperità super¬ ficiali di alcuni semi quali quelli di Asterolinum Linani'Stellatam, Anagallis, Tuberaria, Echium plantagineum, Linaria Pelisse- riana, Antirrhinum Orontiam, Silene neglecta, Cerastium sp. Stellarla media var.) Sangulsorba mnrlcata ; le asperità di sili¬ que intere come nel Bunias Erugaco ed anche le reste di pa¬ recchie graminaceae quali Bromus madrltensls, B. Gasso nel, Eestaca Myaros^ E. cillata , Gaadlnla, fragllls, Corynephorus artlcalatas, etc. a giudicare del gran numero di individui di suddette piante che si possono raccogliere in un settore di pra- tello della macchia od in un settore erboso di una radura della stessa. E che sia ciò vero è indirettamente provato dall' essere le piante summenzionate, gregarie nelle loro stazioni, ossia crescenti in gran numero di individui, talvolta per tal fatto microfiorati, formanti colonie sul posto ove, alcune generazioni avanti, era caduto il primo seme. Sui cigli dei muri in molti punti della Città, ed anche sul M. Nuovo stesso, nei pressi della casa, in siti battuti dai venti ed ari¬ dissimi, mi è occorso trovare vere ricchissime colonie di specie di Medlcago con frutti uncinati, che spessissimo formano un’associa¬ zione quasi pura permanente nel tempo, sul muro stesso. Per parecchi anni, alle volte per decine i) si possono seguire queste Così mi è occorso per un Cerastium crescente sul parapetto della salita di Quisisana a Castellammare, presso S. Francesco, per un'associazione di Eruca sativa sul ciglio d'un muro al Moiariello, e per un'altra associazione di Hypo- chaeris aetnensis su muri e tetti. 282 — associazioni di piante annue, vegetare imperturbate; mentre par¬ rebbe naturale che ' una giornata di vento dovesse bastare per spazzare dal ciglio del muro la totalità o quasi dei frutti o semi caduti a suo tempo ed affidare quindi al caso, il rinnovamento della vegetazione del ciglio del muro la quale dovrebbe, ove ciò si verificasse, mutare di aspetto di anno in anno. La spiegazione di tale permanenza e di tale comportamento si ha facilmente se nella stagione calda si va ad ispezionare il sito ove nel maggio p. e. vi erano le Medicago. Nello strato superficialissimo di terriccio, sull' arido ciglio del muro si tro¬ vano grandi quantità dei frutti delle Medicago *) variamente aggrappati, aggrovigliati con i detriti vegetali, puntellati contro le pietruzze, fissati infine a mezzo dei loro uncini al sito ove sono caduti e da cui con estrema difficoltà, solo un eccezionale colpo di vento potrà strapparli. Lo stesso fenomeno si può osservare per altre specie, p. e, pel Trifolium scabmrUy T. stellatam, a calici uncinati; per V A- vena barbata e per X Ero diam cicutarium var. praecox forniti del noto apparecchio seppellitore dei semi, per V Avellinia Mi¬ cheli, per i Daucus e certo per altre molte. E' lecito e naturale supporre che il primo frutto di medicago sul ciglio del muro, da cui è nato il generatore della colonia, sia stato portato dal vento, da un forte colpo di vento ad onta della apparente zoo¬ coria del frutto stesso. Un fenomeno analogo si ripete per le piante annue che compongono i pratelli della macchia, i quali pratelli poi restano anche essi, nel complesso, inalterati nel tempo, nei riguardi della loro composizione, fino a che altre cause, estranee alla dissemina¬ zione, quali p. e. l'esaurimento nel substrato di materie utili alle specie, non ne determinano la sostituzione con altra associazione dello stesso tipo ma di costituzione diversa. Tali pratelli, poiché le piante che li compongono sono per la maggior parte annue, dovrebbero cambiare anche essi nella h Recentemente (24 luglio 22) , in una giornata di forte vento sciroccale ho contato sopra un decimetro quadrato di ciglio di muro presso la Casa sul- r orlo del Cratere di M. Nuovo ben 25 legumi di Medicago , perfettamente immobili. 283 — costituzione di anno in anno ove il loro rinascere fosse affidato all'avvento di semi casualmente portati dal vento da siti distanti. Ma ciò non si verifica. Dando uno sguardo alla lista delle principali specie che concorrono in massa alla formazione dei pratelli fra la macchia di M. Nuovo, se ci facciamo a riflettere sulla forma dei frutti e dei semi, ci accorgeremo che quasi tutte queste, piante annue crescenti gregarie, hanno frutti o semi con dispositivi ag¬ grappativi o di ancoraggio e che solo poche provvedono in modo diverso ad ostacolare la dispersione a grande distanza di essi. Sono : — Legume con appendice ricurva ad uncino che Ornithopus compressus . i- - i n • - ' ' SI afferra agli steli delle piante. „ extipiilatus Trijolium Che rieri „ arvense ,, Bocca nei Viilpia dertonensis „ ciliata Avellinia Micheli Galium anglicum Daucus setiilosus Rnmex bucephalophoras Triticam ovatum Gaudinia fragilis Avena barbata Erodiam cicntarium var. Trifolium glomeratum scabrum } — Legume ricurvo. Calice munito di peli rigidi, che ne aumentano l’attrito contro il terreno e ne ostacolano il mo¬ vimento. Alle volte è tutto il capolino che resta attaccato ed il residuo di esso si vede recingere alla base le radicette delle nuove piante. Ciglia alla base della glumetta o sull'orlo di essa al fine di aumentare l'attrito contro il terreno. Presenza nel frutto di uncini aggrappanti. Calice uncinato. Presenza di reste scabre. Apparecchi seppellitori dei semi con appendice torcente. Calice con divisioni uncinate rigide. Tiiberaria giittata Anagallis coeralea Platago Bellardi Linum gallicum Asterolinum L. stellatum Psilurus aristatus Filago gallica , Hypochaeris glabra Piccoli serhi con asperità evidenti per aumentare' l’attrito e sui quali il vento ha poca presa quanto essi sono caduti sul suolo. Piccoli semi pei quali vale l’osservazione prece¬ dente in quanto che il vento, sempre ridotto in velocità, per la parte che rasenta il terreno, ha poca presa su essi. Spiga ricurva nel secco, fragile, che si spezzetta in segmenti cilindrico ricurvi, poco adatti ad esser mossi dal vento. Semi con pappo aspero ; nelle Filago anche il seme è fornito di asperità (aumento di attrito.) — 284 — Pare quindi die alla presenza di tali dispositivi bisogna far capo per spiegare la permanenza dei pratelli della macchia e la costanza della loro composizione nel tempo, perchè ripeto, ove tali disposizioni fissativo non entrassero in giuoco,, dovrebbe aversi dopo la siccità estiva e il conseguente denudamento del suolo, la dispersione di tutte queste piante annue e la variazione nella composizione del pratello, da un anno all' altro, con ele¬ menti sempre diversi e variamente sparpagliati a caso, il che non si verifica. Da quanto si è detto può dedursi che la natura favorisce e predilige la disseminazione brevinqua, che fa avanzare le piante colonizzatrici di nuove aree, cautamente ed a piccole tappe, e che questo tipo di disseminazione resta sempre la più sicura ma¬ niera di semina in relazione ai risultati positivi finali che da essa si prefigge; ma come vedremo non impedisce del tutto quella longinqua, che con la sua incertezza resta però eccezionale ed anche più casuale. Alla disseminazione propinqua, che fa avanzare le piante a piccole tappe, non facendola allontanar troppo dal loro ambiente, si deve dunque la colonizzazione vegetale di M. Nuovo e tale pro¬ cedimento è entrato in azione non appena che le prime piante germinate dai primi semi portati dal vento, dai Campi Flegrei, sul M. Nuovo, ebbero perfezionati i loro frutti. In riguardo poi alla diffusione delle specie di ciascun ge¬ nere, affinchè una comparazione potesse farsi fra le due flore, cioè fra quella di M. Nuovo e quella dei campi flegrei, si sono esclusi, (vedi prospetto pag. 287 e seguenti) dal numero delle specie Flegree quelle che a colpo d' occhio per il loro com¬ portamento, non avrebbero potuto trovare le adatte stagioni a M. Nuovo e quindi avrebbero trovato nella mancanza di queste la causa principale o unica della assenza attuale. Si sono quindi a tale scopo escluse le piante psammofile, alofile, acquatiche, di vera palude, di igrofilia spiccata, o parassite di cui mancava 1' ospite a M. Nuovo, dal novero di quelle dei Campi Flegrei. Con tal metodo si è determinato, per ciascun genere, il nu¬ mero delle specie presenti nei Campì Flegrei. Reso così possibile un paragone a grosse linee fra le specie — 285 — dei Flegrei e quelle di M. Nuovo anche pel fatto che i Campi Flegrei non hanno alture che superano i 400 m. e mancano quindi le piante della zona montana, il rapporto del numero delle specie di un genere di M. Nuovo a quello delle specie del corrispondente genere dei Flegrei, espresso in centesimi, indica la potenzialità di diffusione del genere neir ambito dei Campi Flegrei o meglio V attitudine delle specie di esso genere alla colonizzazione di un’ area inizialmente nuda. Tali rapporti sono stati poi disposti in ordine decrescente in modo che i primi generi rappresentano quelli aventi una po¬ tenzialità di diffusione più grande e gli ultimi quelli che appaiono meno adatti a diffondersi. In ultimo sono collocati quei generi le cui potenzialità di diffusione rispetto a M. Nuovo risulterebbero attualmente eguale a zero, cioè che mentre sono rappresentati nei Campi Flegrei, mancano del tutto a M. Nuovo. E' con tale metodo che si è ottenuto il prospetto riportato nelle pagine 287 a 292. La diffusibilità nulla dei generi dell’ultima categoria (4^) (potenzialità di diffusione = 0) è piuttosto apparente che sostan¬ ziale. Per molti difatti fra le specie appartenenti ai generi di questa categoria l’assenza a M. Nuovo si può spiegare ancora con la mancanza sulla montagna di ambiente o stazione adatto. Infatti la Calamagrostis Epigeios è pianta di praterie, con terreno piut¬ tosto profondo e tali stazioni mancano a M. Nuovo; Cytiodon Urginea, Asphodelus, GladioluSf Ansar am, Aram, Oenanthe pim- pinelloides sono nei Campi Flegrei rappresentate da specie con sistema radicale (rizomi, bulbi, tuberi) a cui poco si adatta in gene¬ rale il substrato sassoso scoriaceo di M. Nuovo; Melica ciliata, Rata bracteosa e Prasiam majas sono piante calcofile od a calcofi- iia abituale nella regione stabiana ; nei Flegrei si limitano ai muri ove è calce. Le specie dei generi Triodia, Bellevalia, Colchicam Ostrya, Corylas», Alnas, Helleboras, Alitar ia, Acer, Coniam, Cornas, Potentina {reptans), Astragalas (glyciphyllos).^ Cyclamen, Vinca, Digitalis, Scrophalaria, Stachys (sylvatica), Ajaga (reptans). Betonica, Bryonia, Arctiam, Lapsana, sono da noi piante di selve piuttosto umide, impiantate sopra substrato ricco di- — 286 humus, stazioni queste assenti a M. Nuovo, dove i castagneti ce¬ dui spesso tagliati, sono impiantati sopra terreno aridissimo scoria¬ ceo, ed il sottobosco contenente molti elementi xerofili, riflette tale stato di cose ; pel Seduni (Cepaea) e Lactuca {mumlis) mancano le rocce umide muscose ; per Saponaria (officinalis), Tordilium, Beliis (perennis), Taraxacum, Lamlum (bifidum) mancano forse i terreni umidi ; per VAgrostis pallida mancano i terreni inondati per parte delFanno; la pianta è invece comune nel cratere della solfatara che presenta tale stazione ; sono assenti dal M. Nuovo le rupi con crepacci profondi e perciò non vi crescono Dianthus longicaulis, Capparis, Rhamnus, Ferula, Anagyris e Sedum ni- caense, comune nei Flegrei ; mancando od essendo ridotti a sole vigne i coltivati, sono assenti pure Eragrostis, Trigonella, Ammi majus. Mancano pure alcune comuni ruderali quali folia ed Arenaria leptoclados (muri). Cale pina Corvini, Malva, (4 sp.) Cynoglossum pictum, e Lamium amplexicaule, forse per l'assenza di substrati adatti o per altre cause che ci sfuggono. Escludo ancora Himanthoglossum, Ophrys, Bupleurum le cui specie sonorarissime nei Flegrei; il Carduncellus icoeruleus) di recente introduzione, il Mespilus germanica portato dall'uomo e che nelle selve cresce sempre lungo i sentieri ove furono gettati i semi dai passanti. In tale modo su di un complesso di 69 generi con 97 specie, dei campi Flegrei, non crescenti in M. Nuovo, si posssono di colpo escludere 56 generi con 81 specie poiché mancano o sono rare a M. Nuovo le stazioni adatte al loro svi¬ luppo regolare ed i 5 ultimi generi per considerazioni diverse. Le specie residuali appartengono ai generi: Agrostis , Smi- lax, Arenaria, Elatinoides, Matricaria, Asteriscus, Lactuca (sa¬ ligna, scariola). Reca non poca meraviglia l'assenza da M. Nuovo di 2 piante che vi potrebbero crescere e cioè Smilax aspera e Rosa sempervivens, ambedue a disseminazione abituale, a quanto pare, ornitocora. Delle residuali, solo Lactuca saligna e scariola mostrano semi forniti di pappo peduncolato, V Agrostis alba ha cariossidi pic¬ cole, ma si diffonde anche col vento; restano i generi, Elati¬ noides, Matricaria ed Asteriscus i cui semi non pare presentino speciali apparecchi. La loro assenza a M. Nuovo, se ricerche future non le faranno trovare, non riesce spiegabile facilmente. Si Prospetto della potenzialità di diffusione dei generi. 3p3Cls aipp ’opoddB^ 100/ Im » A * ^ ^ ^ * ^ ^ ^ ^ ^ * ifc pjSay -3 ^ ^ ^ ^ ^ ^ ^ ^ ^ 'T^ CN — ' - - -- - OAOnN ’W t-H ^ -T— ( — < ^ d tH ^ T— 1 'f— < '—1 04 ,—i y-H O U .5 G G3 So JS So 'iH 73 C a cu eri "S OS p G Wì CD .cS i5 C/D o _G CD s O _CD V- (U C. C/) V-. > *o ’u CD c5 CJ cr. 0 C/) 03 u aj z S CA) u < in QJ G 0 T3 Ui OS (U OS r~ G 0 T3 zz ’T, C C cn JZ 0 _o . CJ 03 Cu 0 ’Z ■5. 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Solo queste ultime sono, in massima, state escluse, mentre tutte le altre (salvo limitatissime eccezioni) si sono in circa 400 anni impiantate in popolazioni più o meno folti o sporadicamente e sono restate sul terreno occupato. Passiamo ora ad analizzare la categoria , ossia la lista delle piante la cui diffusione si presenta massima (per le quali cioè la totalità delle specie, del genere, dei Flegrei, si presenta a M. Nuovo). In tale condizione si trovano 122 generi sui 231 di M. Nuovo, con un totale di 163 specie^ di fronte alle 355 di Monte Nuovo. Da un primo sguardo alla lista ci accorgiamo' subito che le piante che vi figurano sono per la massima parte piante di Selve aride, di Macchie , di Fratelli della macchia. Ruderali, con una piccola quantità di rupestri e precisamente sono così ripartite: Fratelli 42 Ruderi 35 Rupi 13 Selva 37 Macchie 30 Fondo umido del Cratere 6 In altri termini le piante di questa categoria di massima dif¬ fusione, sono quelle che a M. Nuovo hanno avuto la maggior probabilità di trovare stazioni o substrati adatti al loro ciclo vi¬ tale ed in ciò si possono nettamente contrapporre a quelle della 4^ categoria avanti considerata per le quali si verifica precisa- mente il contrario. Naturalmente le piante annue in un primo tempo sporadiche e poi associate a formare pratelli e zone erbose e poi quelle arbustive della Macchia, anche queste dapprima spodariche e poi associate nelle vicinanze della pianta madre, e poi qualche ru¬ pestre sono state le prime ìnquiline del Monte, mentre quelle di selva e della sottoselva, in massima hanno seguito di alcuni anni V impianto del castagneto operato daU'uomo. In ultimo poi sono venute le ruderali allorché il traffico umano si è andato intensificando sulla piccola montagna. — 294 — Un’analisi simile poi delle due categorie intermedie (2^ e 3^, comprendenti un totale di 124 + 66 = 190 specie ) e che qui non dò per brevità, ci condurrebbe a risultati intermedii. Per queste ultime categorie occorre pure aggiungere che la man¬ canza in M. Nuovo di alcune specie , che per le loro stazioni abituali si sarebbe potuto aspettare di trovare su M. Nuovo, deve trovar la spiegazione nel fatto che tali specie, pur essendo proprie a stazioni presenti sul monte, hanno forse sfumature di bisogni, che a noi sfuggono e che non sarà mai facile indivi¬ duare, ma la cui assenza vien risentita dalla pianta che non può per tal fatto competere con le altre che nei loro bisogni ven¬ gono completamente ed a pieno soddisfatte e poste quindi nelle condizioni di prosperare nel miglior modo possibile. Vuol dire che queste specie ora mancanti delle dette catego¬ rie, vi saranno pei tempi passati magari arrivate, i loro semi vi saranno germinati, ma la pianta che si è sviluppata dal seme ebbe la facies di un'avventizia, che non dette prole o la dette per poco tempo e poi scomparve i). ■ Giacché, fondandosi sulle precedenti osservazioni, come già dissi, sono d'avviso, che la quasi totalità dei semi delle specie dei Campi Flegrei sia stata durante i 400 anni decorsi, posata sul dorso e nel cratere di M. Nuovo in massima dal vento, in minima parte dagli uccelli o da altre agenzie animali. Da un territorio ove la vegetazione ha raggiunto un certo stato di equilibrio emana, a tempi determinati, come un flusso di semi, di spore, che data la costanza del complesso vegetale che lo origina e data la costanza delle agenzie in azione (vento, uccelli, formiche etc.) deve avere composizione presso a poco costante nel tempo e nello spazio. Ciò s'intende guardando il fenomeno a grandi linee e non nel dettaglio e per un decorso di tempo piuttosto lungo. Da questo flusso di semi, più o meno denso, che si abbatte sui territorii limitrofi, la selezione vien fatta man mano che si h Un esempio conosciuto è la presenza di Medicago marina nelle sabbie del Vesuvio, presso il Salvatore, notato dal Tenore nel 1831 (syll. pg. 382) a circa 600 m. sul mare, ora scomparso. — 295 — verifica l'appulso del seme, dalle stazioni esistenti o che si vanno formando sulla nuòva area vergine, sia essa rappresentata dal ciglio di un muro, da un tratto di lava, da una colmata di terra, dalla scoria trachitica di M. Nuovo. Avviene come una specie di grande cernita „ che esclude p. e. V Juncus bufonius il cui se¬ me fosse caduto nella sabbia arida od il Geum urbanum dalla roccia assolata. Come risultato, dopo un certo numero di anni, si ha r impianto di specie vegetali che rispecchiano la particolare natura stazionale dell'area sulla quale sono impiantate e che poi, moltiplicandosi come individui, mettendo in atto le disposizioni aggrappative di ancoraggio, di stabilizzazione di cui si disse in precedenza, dànno luogo a speciali colonie e poi formazioni od associazioni, spesso alla loro volta capaci di modificare T am¬ biente circostante. Questo fenomeno mi appare nel suo intimo quasi costante, nel senso che, ove nei Campi Flegrei risorgesse un nuovo ter¬ reno simile, nella topografia e nella costituzione fisico-chimica, a M. Nuovo, la vegetazione che su di esso si andrebbe ad im¬ piantare, dopo un congruo tempo, sarebbe nel complesso simile nelle formazioni, associazioni, loro densità e specie a quelle che attualmente si osservano sul M. Nuovo. E ciò si verifica anche in città ove i nuovi muri, i cigli di essi, i nuovi tetti, le nuove colmate, le nuove terrazze si ripo¬ polano delle stesse specie appartenenti a pochi tipi caratteristici, ma costanti, in ogni tempo ed in ogni sito. Onde il fenomeno del ripopolamento di nuove aree, a mezzo dei territori circostanti, e che ad un primo sguardo pare offrire un coefficiente di casualità elevato, visto a fondo, appare, nella costanza dei risultati, sottostare aleggi ben definite ed in mas¬ sima legato con chiari rapporti con gli ambienti stazionali neo¬ formati e con la consistenza della vegetazione circostante. Vediamo ora che relazione passa tra l’indice di diffusione di ciascuna categoria ed il numero di specie con semi con ap¬ parecchi che appaiono disposti alla anemocoria ed alla zoocoria, della rispettiva stessa categoria di piante. E cominciamo dalla categoria (indice di diffusione lOOfoO-) Anemocore. — 1) Spore o semi minutissimi e leggeri : Ophyo- glossam, Selaginella, Gymnogramme, Pteridiam, Cepha- --- 296 — lanthera (2 specie), Limodorum, Spiranthes, Eryihraea (2), Chlora (2), Parentacellia (2). .2) Semi o frutti con plumule, fiocchi di peli, glume o pappi: Imperata^ Erianthas, Lagurus^ Andropogotiy Holchus, Arando, Aira{?>), Corynephorus, Gaadinia, Ampelode- smos, Avellinia, Briza (2), Clematis (2) Valeriana, So- Udago, Helichrysam, Hypochaeris (3), Leontodon, Tra- gopogon, Andriala[2), Chondrllla, Reichardia. 3) Semi o frutti con ali : Carpinus, Ulmus, Ailanthus, Eraxinus. Zoocore. — 4) Semi che possono essere appetiti dagli uccelli od altri animali e depositati con le feci: Liliam, Asparagus, Ruscus, Tamus, Osyris, Pirus, Mespilus, Cer atonia, Lu- pinas, Spartium, Colatea, Plstacia, Myrthas, Hedera, Arbatas, Phyllirea, Ligastram, Rabia (2), Lonicera. 5) Semi che possono essere trasportati dagli uccelli , fra i peli laterali del becco: Ficas, Rabas (2). Analogamente i generi di media diffusione, cioè quelli il cui indice di diffusione si mantiene tra 75[100 e SOilOO con una media di circa 60|10 danno i seguenti risultati. Anemocore. — 1) Spore o semi minutissimi e leggeri: Orchis (3) Serapias (2), Cotyledon, Specalaria, Hy per team . 2) Semi o frutti con plumule, fiocchi di peli, glume, pappi: Hordeam, Brachypodiam (3), Anthoxantham, Hiera- ciam (3), Senecio (2), Sonchas (2), Anemone (2), Ken- tranthas. Eriger on, Eilago, Palicaria, Carlina, Uro- spermam. 3) Semi o frutti con ali: Arabis.. Zoocore. — 4) Semi che possono essere appetiti dagli uccelli e da altri animali e depositati con le feci : Daphne, Thy- melaea, Lathyras (4), Calicotome. 5) Semi che possono essere trasportati dagli uccelli fra i peli del becco: Solanam, Eragaria. I generi poi di minima diffusione (indice di diffusione me¬ dio 30[100) danno : Anemocore. — 1) Spore o semi minutissimi, leggeri: Aspleniam, Anthirrimam, Verbascam (2), Campanala (2), Oroban¬ che (2). — 297 — 2) Semi o frutti con plumule, fiocchi di peli, glume, pappi: Epilobium, Crepis (3), Cirsium (1), Inula (1), Trisetam, 3) Semi o frutti con ali : Populus, Zoocore. — 4) Semi che possono essere appetiti dagli uccelli o da altri animali e depositati con feci : Vida (6). 5) Semi trasportati dagli uccelli fra i peli del becco : 0. Si possono sintetizzare i precedenti risultati nella tabella che segue. CATEGORIA Rapporto ^ di diffusione (U o o S a scopo di impiantare un vigneto, liberare dalla scoria trachitica superficiale un tratto di cono. Le scorie, piuttosto minute erano state raccolte a forma di cumulo longitudinale lungo un me¬ ridiano del cono stesso. Ho visitato il sito 5 0 6 anni dopo che il cumulo era stato formato. Non vi erano ne muschi, ne felci, tutte piante rare nella località ; solo pochi cespi di Stereocaulon vesavianum (Pers.) Nyl. 9 Le notizie relative furono prese da flore, cataloghi floristici e dalle opere che trattano di piante ruderali, flore urbiche etc. di Bequinot, Cannarella, De Rosa, Gabelli, Guadagno, Gussone, Traverso e da mìei appunti inediti. 9 Gabelli L. Della flora ruderale in generale etc. nel « Pensiero aristo¬ telico» Bologna 1900 pg. HO. — 299 — vi rappresentavano le crittogame ’), che contrariamente a quanto è stato detto, nè qui, nè al Vesuvio, si presentano le prime abita¬ trici comuni delle lave e delle scorie. Non vi è affatto una suc¬ cessione Funghi, Muschi, Felci, Fanerogame. Le felci, i muschi, son qui fugati dal secco. Invece sono le fanegorame annue (come per i cigli dei muri), quelle che in gran numero di individui hanno attecchito le prime su questo ammasso di scorie incoerenti vetrose e frantumate e sul limitato terriccio che vi si era unito. Vi notai infatti in pochi metri quadrati : A ir a capillaris © - Atra Tenorii © - Antlrrinum Oron- tium © - Avellinia Micheli © - Briza maxima © - Cerdaurea ^plendens % - Eryihraea mar dima © - Festuca ciliata © - Fe¬ stuca dertonensis © - Filago gallica © - Galium divaricatum © - Geranium purpureum Q)- Hypochaeris radicataQ- K^ntranthus Calcitrapa © ~ Lathyrus Clymenum var. angustifolium © - Mi- cromeria graeca 2^ - Ornithopus compressus © - Plantago Bei- lardi © - Psilurus aristatus © - Rabia peregrina = R. Bocco¬ ne i, 2^ - Rumex bucephalophorus © - Reichardia pierò ides Tfj - Sonchus tenerrimus ©annuo ! - Sideritis romana © - Silene ne- glecta © - Senecio lividus © - Trifolium BocconeiQ - Trifolium scabrum © - Trifolium arvense © Trifolium campestre Q - ToT pis umbellata © - Tub eraria guttata © - Tunica velutina © - Vida pseudo-cracca, var. Bivonaea ©. Un complesso di 34 specie, tutte dei dintorni, delle quali la massima parte (30) erano piante annue e solo 4 perenni e queste ultime piante di rupi. Sono e sono state quindi nelle stazioni secche di M. Nuovo le piante annue le prime colonizzatrici dei suoli vergini, a pre¬ ferenza delle perenni e non le crittogame nel senso innanzi detto. Al Vesuvio, sulle lave del 190Ó ho ad un dipresso osservato lo stesso; però ivi \o Stereo caulon ha una funzione più importante che non abbia a M. Nuovo ed è veramente il primo inquilino visibile ad occhio nudo, delle lave dopo pochi ^nni del loro raffreddamento, nei tratti interni. 9 Mi riferisco ai Muschi, Licheni, Epatiche. Escludo i Batterii e le piccole alghe verdi non visibili ad occhio nudo. — 300 — Ma verso gli orli, a contatto con la vegetazione preesistente o nei punti dove artificialmente od anche naturalmente si è ve¬ nuto formando del detrito minuto, talché è stata obliterata la superficie scoriacea-vetrosa della lava, sono le piante annue le prevalenti. Un altro fatto degno di nota è costituito dalla presenza a M. Nuovo, in quantità abbondante d' individui, di specie altrove rarissime, e rarissime anche nei Flegrei, in stazioni analoghe. Ci¬ terò Orchis sulphurea (2 varietà e meticci), Senecio lividas, Li- naria pelisseriana^ Kentrantas Calcitrapa, Air a Tenorii, Serapias Cordigera, Trifolium Bocconii^ Lotus parviflorus, Ornithopas extipulatus. Tale fatto credo dovuto alla diversità di età della ve¬ getazione di M. Nuovo rispetto a quella di altre stazioni simili dei Flegrei. Quella non ha raggiunto quel grado di equilibrio e di stabilizzazione a cui sono arrivate le incomparabilmente più antiche vegetazioni di altre località dei Campi Flegrei o addi¬ rittura dei Monti Stabiani e pertanto alcune specie in questi ulfimi distretti ridotte a prole misera, sono a Monte Nuovo in condizione da potersi ancora largamente moltiplicare ed e- spandersi. • Ed in ultimo esaminerò i casi di disseminazione longinqua che si riferiscono alle seguenti specie : Atra Tenorii, Listerà ovata, Corydothymus capitatus, ed Hieraciam Baahini, le quali, presenti a M. Nuovo, non si trovano nei Campi Flegrei. L'Aira Tenorii fu trovata dal Gussone ad Ischia, sulle lave trachitiche dell'Arso, le quali furono eruttate dall' Epomeo nel 1302 ed altrove. Recentemente io l'ho scoverta al Vesuvio della cui località non era nota, sui detriti delle lave del 1906 tra Bosco Trecase, e le Bocche eruttive. Non l'ho vista di altre località ve¬ suviane sebbene quella flora mi sia ben nota e quindi anche al Vesuvio la pianta appare quale esempio di disseminazione lon¬ ginqua. Anche nei Campi Flegrei non cresce fuori del M. Nuovo. L'indicazione di Capri non deve essere esatta, poiché non l'ho ritrovata durante le esplorazioni che ho praticate nell'isola durante un ventefmio. E' fuori dubbio che la pianta é stata importata dal vento e che attecchisce qui da noi solo in territorii nuovi, in stazioni specialissime ove ogni concorrenza con altre é esclusa. — 301 — A Lipari essa anche cresce fra le lave vetrose del Capo Ca¬ stagna (Guss.). Le località a sud più vicine al triangolo Ischia, M. Nuovo, Vesuvio, restano quelle delle Isole Eolie, di Alicuri cioè e Lipari alla distanza di 238 chilometri da M. Nuovo e poi vengono quelle sicule di Castellammare, Alcamo, Trapani e poi quelle della Pan¬ telleria e della Algeria e Tunisia. Ad ovest invece la pianta è nota della Corsica a 450 km. dalle località napoletane. 10 ritengo che a noi la pianta sia venuta dal mezzogiorno (dalla Tunisia) e che le località di Pantelleria, della Sicilia, delle Eolie, d' Ischia, segnino le varie tappe dell' avvento della pianta nei nostri siti. Sarebbe questo il caso di una disseminazione longinqua frazionata, a sbalzi sempre più o meno lunghi, rotti da vasti tratti di mare, operata dal vento, al quale genere di trasporto ben si presta la esiguità e leggerezza degli organi di fruttifica¬ zione della pianta. Il tratto Ischia-M. Nuovo è lungo circa 25 km. e quello Ischia-Lipari, 130 km.; però di queste ipotetiche tappe intermedie non veggo la necessità assoluta. Anche ad una disseminazione longinqua operata dal vento deve riferirsi la presenza della Listerà ovata nel fondo del cra¬ tere di M. Nuovo. Dei semi leggerissimi che una folata di vento ha strappato all'ovario maturo della pianta madre, quelli che sono capitati nell'unico punto adatto e cioè in una bassura del cratere, fresco-umida, esposta a nord, sono germinati e hanno pro¬ dotte piante normali protette contro la luce forte da una cupola di foglie di Pteridium aqailinum. La più vicina località conosciuta per la Listerà ovata, è nei Monti di Cava; quivi, come credo dappertutto nel mezzogiorno, la pianta appartiene alla zona mon¬ tana, crescendo nei faggeti, e qui invece a M. Nuovo siamo ad appena 15 metri sul mare ! La distanza poi che intercede tra Monte Nuovo ed i monti di Cava è di 45 km. V H ter ac ium Bauhini è noto dell'isola d' Ischia, a 25 km. dal Monte Nuovo. 11 quarto esempio è dato dal Coridothymm capitatus ab- Ve ne erano 2 individui dei quali uno lasciai nel posto e l'altro presi e conservai pel mio erbario. — 302 — bendante, come si disse, in un settore del pendio del Monte che guarda Pozzuoli. Trattasi di una vasta colonia che occupa una superficie di oltre 300 mq. a circa 60 m. sul mare. Fu scoverta dal Martelli, nel 1892; ma non è da pensare ad un impianto recente pel fatto che Tenore non la segnava nelle sue opere. Chi ha vista la pianta sul posto, con i grossi vecchi pulvinoli, non può giudi¬ carne recente l'avvento. La pianta ben visibile per la sua mole non è stata fin' ora «riscontrata in nessun altro posto dei Campi Flegrei, nè della penisola Sorrentina e regioni limitrofe. Manca pure nelle pros¬ sime isole. La località più vicina a M. Nuovo è il M. Conca presso Gaeta a circa 6U km. da M. Nuovo. Manca poi nel Salernitano e nella Lucania e compare nella Calabria jonica, nella Puglia, a Taranto, in Basilicata, nel Gargano, ed in Sicilia, nelle isole di Favignana, Levanzo, Maretimo, Lampedusa e Linosa. E' pianta di Garigue, ma non disdegna i siti arenosi presso al mare, ove non arriva l'azione del sale (La Rondinella presso Taranto, Guad.). Anche nelle arene marittime presso Sassari è notata dal Buscalioni (Sched. FI. it. exs. 355). Produce achenii ovoidici, lisci, che visti senza il calice appaiono invero poco adatti ad una disseminazione longinqua anemocom. La semenza però non si stacca dal calice. E' curioso che solo nel vecchio Mattioli 2) ho trovato notizie interessanti la semina di questa specie. Dice l'autore parlando pro¬ prio del Corydothymas : " il seme del Thimo, per essere in certo modo incorporato con li fiori, non ci si dimostra apertamente. E però si seminano i fiori, e così nasce il Thimo „. E' certo che il calice cartaceo, secco, aderente al seme, fatto a barchetta, accresce il volume del tutto, ma il peso resta piccolo, ciò che aumenta senza dubbio la possibilità di resistere a lungo in una corrente alta di vento ed allora è più facile che seme e calice arrivino a distanze più o meno grandi. Individuare poi la direzione della corrente di immigrazione ossia dire se la pianta di M. Nuovo provenga dai semi delle località degli Ausonii e Gaeta a Nord, o h legit G. Micheletti L. in herb. Guadagno. 2) Mattioli Discorsi etc. ed. 1712, pag. 429. — 303 — da quelle poste a Sud, calabresi o sicule, o garganiche ad Est, 0 sarde ad Ovest è cosa impossibile. Sta il fatto che mancano stazioni intermedie onde il seme della prima pianta ha dovuto per lo meno esser trasportato dal vento per 60 km. A mio pa¬ rere poi l'avvento del Corydothymas {Thytnus) capitatas a Monte Nuovo, è, relativamente alle, altre piante, antico, ed è dovuto avvenire allorché la Macchia non esisteva o quando era all' inizio del suo impianto e quando anche non esisteva ancora la " Disa „ invadente di Ampelodosmos che avrebbero reso impossibile la nuova vegetazione delle labiata in parola. Questa invece appare così bene impiantata quanto lo è ora la macchia e la Disa, La presenza del Corydothymas capitatas a M. Nuovo ove certo rappresenta un cospicuo esempio di disseminazione lon- ginqua da una distanza di almeno 60 km., senza tappe interme¬ die sta con gli altri esempli riportati, a dimostrare che questo tipo di disseminazione, sebbene rara in natura, funziona e si ve¬ rifica attualmente. Noi la scopriamo soltanto quando studiamo territorii nuovi, vergini, sui quali non vi sono sopravvivenze di antiche flore. Tale tipo di disseminazione ci fa pure riflettere che occorre andare cauti nel definire relitti di antiche più vaste aree, delle piccole aree di vegetali, ora isolate e separate tra loro da distanze più ’o meno forti. Molti di questi voluti relitti rappresentano forse casi di disseminazione longingua, per semi pervenuti in stazioni adatte. Ove M. Nuovo fosse una montagna antica del Cretaceo od anche del principio del quaternario come Astroni, si potrebbe ammettere l'ipotesi che il Corydothymas (Thymas) capitatas, vi stia quale relitto intermedio di un'area più vasta, ma ciò sarebbe nel nostro caso, perfettamente falso. Antiche congiunzioni terrestri, (per esempio l'Adria e la Tirre- nide), furono ipotizzate, basandosi anche sulla presenza di specie vegetali identiche in territorii od isole presentemente separate da uji braccio di mare più o meno ampio; chi sa però per quanti degli addotti esempii dimostrativi , si tratta invece di casi di disseminazione longinqua, in ambienti climatici e stazionali simili od eguali ? Anche la presenza di alcune specie termofili o subtropicali ad — 304 — Ischia, quali Pteris longlfolia, Woodwardia radlcans, Cyperus polystachios e poi della Kochia saxicola può esser dovuta ad una disseriiinazione longinqua, a grande distanza, (grandissima pel Cyperus polastachius) , effettuatasi in stazioni nelle quali la presenza delle fumarole e dei vapori caldi da esse emananti, hanno permesso la creazione di un ambiente caldo-umido adatto alle tre prime piante e specialmente necessario nella delicata fase protallica delle felci indicate. Questo ambiente caldo - umido nelle vallate di Amalfi e Minori, ove le felci suddette crescono rigogliosamente , è dato invece dall'acqua abbondante di cascate e ruscelli, dall'insola¬ zione ed esposizione meridionale della vallata chiusa verso il nord e dal difetto di ventilazione. E' in questi territorii geologicamente assai più antichi, della Penisola Sorrentina, che la Pteris e la Woodwardia, possono ri¬ tenersi quali relitti termofili di antiche flore preglaciali, terziarie; quali infine veri " fossili viventi „ aventi passati nelle prossimità di tali siti di rifugio, il periodo glaciale ; ed è da tali punti che può ritenersi avere le felci suddette irradiato, a mezzo del vento, le loro spore verso l' isola d' Ischia. Lo stesso si può dire della Kochia saxicola pianta delle più strane, imparentata strettamente con specie affini dell'Australia e la cui località veramente antica deve ritenersi quella di Capri da cui è verosimile che la specie sia irradiata ad Ischia, dopo che gli scogli trachitici di S. Anna si furono formati. E' così pure che la presenza di elementi xerofili meridionali nelle colonie vegetali-xerotermiclie svizzere, diversamente inter¬ pretate dallo Chodat 0, dal Briquet e dal Christ 2), potrebbe essere spiegata, per lo meno in parte, con l'avvento di semi da distanza più o meno grandi, senza piccole tappe intermedie ca¬ duti in punti ove la stazione , per la sua esposizione , per il Chodat M. R. Remarques de géographie botanique relatives aux. plantes récoltées datis les Vallées de Bagnes et de la Viége etc. in Bull. Soc. hot. de France; I. XLI Paris (1894) pag. CCCVI, Briquet I. Les colonies végétales xerothermiques des Alpes lemanien- nes. Bull. Soc. Murith. Lion. 1900. Christ H. La flore de la Suisse et ses origines. Baie 1907, supp. p. 3. — 305 — substrato, e per altre speciali ragioni, si confaceva allo sviluppo normale della pianta ed al mantenimento della sua prole. La conclusione poi a cui arriva il Briquet (1. c. p. IQó) nei riguardi delle disseminazione stessa e che cioè “ le transport à petite distance est la règie; la migration à grande distance ne s'opère que par courtes ètapes, successives „, nella seconda parte è contradetta dagli esempii, limitati in numero, ma certi, da me citati, o per meglio dire si verificano in natura disseminazioni con distanze superiori ai 3 km., (distanza massima ritenuta dal¬ l'Autore per le Alpi). Nei suddetti esempii le distan^ze di disse¬ minazioni (tenuto conto delle località più prossime a M. Nuovo, sono comprese tra 20 e 60 Km. e molto più poi se si pensa all' altro esempio citato del Cyperus polystachyus dell' isola d'Ischia. Anche la conclusione a cui arriva il Beyer i), studiando le flore murali e ruderali, cioè che i semi ed i frutti trasportati dal vento ed anche dagli uccelli, non lo sono che per distanze bre¬ vissime e che le piante trovate provengono dalle vicinanze im¬ mediate del punto ove esse crescono „ va modificata; perchè se ciò esprime lo svolgimento corrente del fenomeno, i surriferiti esempii formano importanti eccezioni a contradirlo. Gli esempii dati per M. Nuovo dimostrano che tutt' ora la disseminazione longinqua è in atto e che questa, in date condi¬ zioni favorevoli, si effettua con risultati positivi, concorrendo alla modifica della flora e perfino della vegetazione di un distretto 2). E se in solo 400 anni di vita vegetale sul Monte Nuovo, si possono citare 4 esempii di disseminazione longinqua, senza brevi tappe intermedie, con risultati positivi, grandi assai debbono es¬ sere i cambiamenti delle flore e delle vegetazioni dei punti del globo, effettuati solo mediante l'azione di questo fattore secon¬ dario attraverso le migliaia di secoli delle diverse epoche geo¬ logiche. Beyer. Ergebnisse der bisherigen Arbeiten bezuglich der Ueberpjlanze aasserhalb der Tropen. Bot. Ver. der Prov. Brandenburg. XXXVII. 2) In effetti il Corydothymus ha trasformato un pezzo del pendio di Ai- Nuovo nel suo settore orientale, in una « Garigue », formazione rara nelle nostre contrade e che può stare a paragone con la macchia. — 306 — E qui ricordo le parole di Federico Delfino i) sull'argo- mento: “ Memori del proverbio che dice: accidit in pancto quod non contigit in anno, non badiamo mica alla solità misura che ogni anno si verifica per la disseminazione zoofila ed anemofila; pensiamo bensì che di quando in quando, forse una volta in cen¬ tinaia di secoli, ai semi di quasi tutte le piante, mediante straor¬ dinari casi di vento e di uccelli, riesce di essere trasportati in qualsiasi terra,,. Ma l'arrivare è di molti, il rimanere è di pochi, e questi po¬ chi sono i privilegiati a cui non è ostile l'ambiente del sito di approdo. (Finito di stampare il 20 aprile 1923) *) Delfino F. Recensione da « Malesia » in Ann. Scient. ed Ind. XVI (1899) p. % p. 702. Sulla biofotogenesi simbiotica. (Un^ultima parola in risposta a S. Mortara) per il socio Prof* U. Pietantoni* (Tornata del 31 dicembre 1922) Ad una recente nota di S. Mortara i), che torna ad insistere sulla biofotogenesi batterica, questa volta, per fortuna, non più per negarla, debbo ancora replicare brevemente e per V ultima volta ; e per rimettere la questione sulla diritta via, mi è d'uopo di fare un po' di storia. Nella 1^ nota della Mortara 2) si affermavano principal¬ mente due fatti: 1° che negli organi luminosi di Heteroteuthis non vi sono batterii fotogeni; 2° che da una quantità di caratteri si poteva affermare che il batterio fotogeno che si sviluppa su Heteroteuthis post mortem somiglia a quelli ottenuti da me dagli organi luminosi di Sepiola (a quelli cioè chiesti dall'autrice in esame al Prof. Zirpolo dicendo di voler prender pratica di batterii fotogeni ed in realtà per osservazioni di controllo sui miei studii). Queste due affermazioni gettate là alla leggera servivano a far intendere che la luminescenza batterica degli organi fotogeni dei Sepiolidi da me scoverta fosse una pura fantasia e che io avessi scambiato per batterii della luminescenza di questi ani- 1) Mortara S. — Ancora sulla biofotogenesi. Rendic. R. Accad. Naz. Lincei voi. 31, 2° sem. p. 54. 2) Mortara S. — Sulla biofotogenesi. Ibid. voi. 31, 1® sem. fase. 5. 3) ZiRPOLO G. — Osservazioni sulla biofotogenesi. Boll. Soc. Nat. Voi. 34, 1922. — 308 mali i batterli luminosi che si sviluppano sul corpo di tutti i Cefalopodi e di molti altri animali post mortem. Senonchè dopo la mia risposta i) nella quale insistevo nella reale ed evidente esistenza dei batterii fotogeni, quale sorgente luminosa negli organi luminosi di Sepiola e Rondeletia e di molti altri animali, la Mortara si è decisa a fare quello che avrebbe dovuto fare ancora prima di pubblicare un sol rigo polemico suir argomento : osservare cioè come stanno le cose negli animali sui quali io stesso ho sperimentato : ciò che io le avevo più volte privatamente consigliato fin dai primi suoi passi, peraltro assai recenti, nelle ricerche sul non facile argomento 2). Per tal modo (e si può dirlo chiaramente perchè è notorio, malgrado che non lo dichiari esplicitamente nella sua ultima Nota, nella quale si legge solo fra le righe) la sigma Mortara potè constatare che in Sepiola esistono i batterii da me messi in rilievo negli organi luminosi e che nulla hanno da vedere coi batterii che si sviluppano dopo la morte sul corpo. Venivano perciò confermate anche da lei le mie osservazioni sulle quali invano s’ era cercato di gettare il discredito. Tutto ciò è storia ed io, pur deplorando Taccaduto, sono veramente lieto che si siano potuti dissipare i dubbi che giu¬ stamente erano sorti in molti scienziati italiani e stranieri sulla autenticità dei risultati delle mie ricerche. Resta una seconda parte della discussione, e su questa si può facilmente mettersi d’accordo, trattandosi di vedute teoriche delle quali, per fortuna, ognuno è padrone di tenersi le sue. Io affermo ed ho sempre affermato che, secondo me, anche PiERANTONi U. — Simbiosi e biofotogenesi. Ibid. voi. 31, 1° serti, p. 385. Il prof. Levi in una rassegna critica sui " Condriosomi e Simbionti „ {Monit Zool. Hai. anno 32 p. 99) in cui combatte le vedute del Portier sull' argomento (vedute oramai oltrepassate, dopo le critiche del Buchner, del Caullery, del Lumière e di altri) afferma erroneamente (pag. 110) che la predetta autrice nella sua seconda nota {Riv. Biol. voi. 4, p. 276) abbia detto di aver ottenuto risultati negativi anche da esperienze su Sepiola e Rondeletia da me studiate. Tale affermazione non esiste nella nota in parola, nè poteva esservi, visto che, come ho detto, T autrice si è decisa solo in seguito a fare osservazioni sugli stessi animali da me studiati, e con risultati assolutamente positivi. — 309 — in quei casi in cui veri batterli coltivabili non si trovano, ma si osserva negli organi fotogeni la nota sostanza granulare i cui elementi hanno tanti caratteri comuni coi batterli, questa sostanza granulare abbia origine da forme batteriche trasformatesi per adattamento alla vita endocellulare; e fondo tale mia teoria su dati non dubbi di sviluppo, di morfologia e su fenomeni di ete- romorfosi dei batteri! fotogeni coltivati in ispeciali masse di col¬ tura. Si tratta di una interpretazione di questi fenomeni che io ho esposto fin dal tempo dei miei primi studi! sull' argomento rimontante a varii anni or sono, ed io non ho mai cambiato di un filo le direttive di queste mie vedute ed ho sempre fatto, come fo, le stesse affermazioni teoriche. Che neghi pure la mia contraddittrice questa parte teorica delle mie osservazioni; ciò non fa male a nessuno: ma che non neghi più con tanta facilità i fatti senza averli controllati. Io per parte mia conserverò la mia opinione e per fortuna non resterò in cattiva compagnia, dato che anche la recentissima letteratura reca non poche vedute favorevoli alla mia tesi. ’ Citerò fra queste la più recente, quella espressa neH'ultima edizione (1922) del suo Trattato di Zoologia da R. Hertwiq, il quale, a proposito della fosforescenza animale e degli organi fo¬ togeni si dichiara, di fronte al gran numero di gruppi animali in cui il fatto è indubitato, assolutamente favorevole alla interpre¬ tazione generale del fenomeno come un fatto di simbiosi bat¬ terica 1). Torino, Istituto Zoologico della R. Università, Novembre 1922. (Finito di stampare il 24 aprile 1923) h Hertwiq R. — Lehrbiich der Zoologie, 13 Auf. Jena Ficher 1922. v. a pag. 123 a proposito degli organi luminosi nel regno animale: Das Merkwur- di'gste bei diesen zum Teil àusserst komplizierten Einrichtungen ist, dass die leuchtende Substanz nicht von den Tieren selbst geliefert wird, sondern aus Bakterien besteht, welche nit den Tieren in Symbiose leben. D i e s e T a t- sache ist fur s o v i e 1 e T i e r g r u p p e n sicher b e wies e n, dass sie wohl verallgemeinert werden kann„. Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli COMUNICAZIONI VERBALI Gli autori assumono la piena responsabilità dei loro scritiL Sulla biologia del Zoobotryon pellucidum Ehrbg. Comunicazione verbale del socio PfoL Giuseppe Zirpolo Libero Docente di Zoologia nella R. Università (Tornata del 24 luglio 1921) Dopo la monografia del Reichert i) sul Zoobotryon pellucidam Ehrbg., che rimonta al 1870, e nella quale l’A. si occupa della morfologia di questo interessante briozoo, non si sono pubblicati che lavori spo¬ radici i quali riguardano alcuni problemi di ordine istologico o qualche punto più discusso della morfologia di questo animale. Della biologia non si ha nessuna notizia, nè furono intraprese ricerche — almeno a me note — per conoscere l’ecologia di questo briozoo, che, nel Golfo di Napoli, durante il periodo estivo, invade specialmente i pali degli sta¬ bilimenti balneari. La breve affermazione del Lo Bianco 2) sulla esistenza di una larva libera che sarebbe stata da lui riconosciuta, non fu controllata, nè la larva fu da lui e da altri descritta. Senza dissimularmi la difficoltà della ricerca io volli, per consiglio del prof. Fr. Sav. Monticelli, colmare tale lacuna, cercando di ricostruire il ciclo biologico del Zoobotryon pellucidam Ehrbg., e ciò perchè la mia permanenza nella Stazione Zoologica di Napoli ed il ricco materiale a disposizione mi davano la possibilità di fare indagini continuative sulla sua ecologia. q Reichert, K. B. — Vergleichende Anatomische Untersuchungen uber Zoobotryon pellucidus (Ehrenberg). Abh. R. Akad. Wiss. Berlin, N. 4, p. 233- 338, Taf. 1-6, 1870. 2) Lo Bianco, S. — Notizie biologiche riguardanti specialmente il periodo di maturità sessuale degli animali del Golfo di Napoli. Mitt. Zool. Stat. Neapel. Bd. 19, p. 591, 1909. — 4 - Sin dal 1918 ho iniziato le ricerche che ho ripetuto negli anni successivi e finalmente nella primavera di quest’anno ho potuto rico¬ struire nella sua interezza il ciclo biologico di questo briozoo. Nelle presente comunicazione verbale riassumo, per prender data, quanto ho riferito in una mia nota preliminare che sarà prossima¬ mente pubblicata nel « Monitore Zoologico Italiano w. Nell'autunno del 1918 raccolsi numerose colonie di Zoohotryon e le distribuii in varie vasche, riponendo queste neU’acquario del mio la¬ boratorio alla Stazione Zoologica. Potetti osservare, durante tutto l’inverno, che le colonie, perduti gli zoidi, si frammentarono in piccoli pezzi di cui alcuni si ricovri¬ rono completamente di diatomee, adagiandosi sul fondo, altri, invece, si disfecero. Nella primavera del 1919 e nell'estate dello stesso anno con¬ tinuamente osservai i residui delle sopradette colonie, ma non potetti notare alcuna variazione in esse. Contrariato di quanto mi accadeva ripetei nell’ottobre 1919 la di¬ stribuzione di colonie in vasche di varia grandezza ed alcune le tenni in acqua stagnante ed altre in acqua in circolazione. Nella primavera e nell'estate dell'anno successivo ottenni risultato analogo a quello del¬ l’anno precedente. Deciso a non cedere dinanzi ai risultati negativi ottenuti, ritentai nell’ottobre del passato anno l’esperienza, variando ancora la posizione delle vasche rispetto ai punti cardinali dell’edificio. Ebbi la fortuna nella primavera di quest'anno di osservare che in alcune delle vasche, quelle disposte al Sud, i sopradetti frammenti di colonie depositati al fondo incominciavano a dare piccoli rami che si estroflettevano dalla superficie del ramo coloniale che aveva svernato e portavano i zoidi. Oramai io era in possesso di un dato di fatto importantissimo, che cioè alcuni frammenti delle colonie estive, durante l’inverno sopravvivono e nella primavera gemmano, dando rami su cui si sviluppano i zoidi. Raccolsi da una vasca uno dì questi frammenti e lo seguii fedel¬ mente giorno per giorno. Notai che esso aveva nell'interno una sostanza gialla (sostanza protozootica di Reichert) la quale dava propaggini verso la periferia del tubo ialino in corrispondenza delle quali si estro¬ flettevano i rami su cui si sviluppano i zoidi: la sopradetta sostanza pigliava allora una tinta bianca giallognola e seguiva il novello ramo in tutte le sue suddivisioni. I rami novelli in seguito si distaccarono dal ramo principale in — 5 — modo da diffondersi nell’ambiente: alcuni emisero anche dei rami a forma digitata con i quali si attaccarono sul fondo della vasca o su pezzi di conchiglie come a punti di sostegno, ramificandosi ulte¬ riormente. Al principio credetti che la formazione dei rami estivi che sono così abbondanti fosse dovuta allo sviluppo dei rami originatisi dai frammenti invernali; ma l'ulteriore studio mi permise di constatare un fatto di non poca importanza che mi spiegò la causa della straordinaria rapidità di sviluppo del Zoobotryon. In una vasca, infatti, potetti osservare che su alcuni rami portanti zoidi ve ne erano di quelli differenti dagli altri, in quanto nell’interno del cistide si vedeva un corpo sferico di colore giallognolo che occu¬ pava gran parte di questo. Isolai uno di questi rami e nel giorno suc¬ cessivo potetti notare che il corpo giallo osservato nel dì precedente nei cistidi, in uno si era andato avanzando verso l’apertura, ed in un altro era fuori di questa, ma ancora ad essa aderente. Esso era rivestito da una membrana jalina sottilissima ed aveva movimenti rotatorii abba¬ stanza rapidi da rassomigliarsi a quelli di una trottola: evidentemente io mi trovavo di fronte alla larva del Zoobotryon. Dopo poche ore notai che la larva liberatasi dal sottile involucro che la avvolgeva rotava con grande velocità nella vasca con movimento di ascesa e discesa e spostamenti laterali nella massa liquida, ma questi movimenti di traslazione erano sempre accompagnati da movimenti ro¬ tatorii rapidissimi. La larva più o meno ovale era ricoperta su tutto il corpo da numerose ciglia, che avevano movimenti rapidissimi e tutti orientati in un determinato senso: all’estremo superiore notavasi un ciuffo di ciglia immobili, come nelle trocofore: lateralmente al corpo si notavano due aperture. Questa larva nel giorno successivo perdette le ciglia ed emise una estroflessione con l’estremo della quale si attaccò al fondo della vaschetta e dalla parte opposta emise un primo ramo su cui nel giorno successivo si svilupparono le gemme dei primi zoidi. Da questi rami se ne svilupparono altri fino ad aversi le prime piccole colonie. Riassumendo, quindi, quanto ho qui detto il ciclo biologico del Zoobotryon pellucidum Ehrbq. può ricostruirsi nel modo seguente: 1. - Frammenti di colonie estive si depositano sul fondo del mare (svernamento) per germogliare nella primavera successiva nuovi rami. 2. -I rami primaverili ricchi di zoidi si staccano dai frammenti - 6 - che hanno svernato e si ramificano ulteriormente formando nuove co¬ lonie (gemmazione primaverile). 3. - Alcuni zoidi dei rami delle colonie primaverili danno larve libere cibate (sviluppo larva le). 4. - Le larve danno, alla lor volta, rami, su cui si sviluppano gli zoidi (gemmazione estiva) che daranno luogo alle colonie estive. Napoli^ Stazione Zoologica^ giugno 1921, Finito di stampare il 30 dicembre 1921. Sul raggio deir atomo. Comunicazione verbale del socio Antonio Carrelli (Tornata del 29 maggio 1921) Tra i vari metodi impiegati per la determinazione del raggio ato¬ mico presenta interesse notevole quello che W. L. Brago nella con¬ tinuazione delle ricerche sulla struttura dei cristalli ha attuato, sintetiz¬ zando i risultati ottenuti. Egli conclude dicendo che il lavoro finora fatto porta alla concezione del cristallo quale assieme di sfere a con¬ tatto, il cui raggio è costante e caratteristico per 1' elemento in esame e rappresentante la minima distanza dal centro delTatomo a cui può venire la superficie limitante quello di un altro elemento, nella mole¬ cola cristallina. Dalle sue recenti esperienze potrebbe dirsi che le di¬ mensioni delTatomo acquistano così un significato fisico molto più con¬ creto di prima, ma l’autore si affretta ad eliminare questa concezione non rispondente alla realtà, poiché le dimensioni assegnate non sempre implicano una grandezza uguale delTatomo ma dipendono da azioni repulsive che in alcuni casi si esercitano tra di loro e che tengono questi a maggiore o minore distanza. Le dimensioni atomiche calcolate in base a ricerche cristallografiche si riferiscono ad 83 elementi e si mantengono costanti con buona approssimazione nei vari cristalli, es¬ sendo la media degli scarti di O.Oó A, mentre i valori del raggio vanno da un minimo di 0.65 ad un massimo di 2.40 A. Il Brago dispone questi valori come ordinate e i numeri atomici come ascisse e la curva così ottenuta presenta un andamento paragonabile a quello della curva dei volumi atomici ottenuta da Lothar Meyer , con i massimi occu¬ pati analogamente dai metalli alcalini. 0 Brago, W. h.— The arrangement of Atoms in Cristals. Phìl. Mag. V. 40, pag. 169, 1920. 8 - Ma il carattere distintivo tra queste due curve consiste in ciò che quella ricavata da Brago non presenta un collogamento tra i minimi ed i massimi successivi come si nota in quella di Meyer e cioè gli e- lementi del sesto e settimo gruppo del sistema periodico presentano un raggio atomico r inferiore, relativamente ai raggi degli altri elementi, a quello calcolato in base alla relazione = massa atom. dens. stato sol. Inoltre è da notar che i gas nobili hanno nella curva di Meyer una posizione del tutto diversa da quella occupata nella curva di Brago. In questa infatti, concordemente alla concezione atomica di Lewis-Lang- MuiR 1), adottata dall’autore in tutto il lavoro per la interpretazione dei risultati ottenuti, essi hanno la posizione speciale che compete alla loro speciale struttura: essi sono gli atomi più piccoli dei vari periodi del sistema periodico e occupano quindi i minimi della curva di Bragg. Il valore del loro raggio non può essere calcolato direttamente ma l'au¬ tore lo determina dalla cosiderazione che essi hanno, nell'ipotesi di Langmuir2) il valore limite degli elementi del periodo che li precede. Il disaccordo che tra le due curve si verifica, può forse attribuirsi al fatto che si assumono per la densità valori non confrontabili; per poter ricavare con attendibilità il raggio atomico, concordemente al PiERUCCi 3) bisogna riferirsi alla densità dell'elemento allo stato solido a temperatura bassissime estrapolando possibilmente fino allo zero asso¬ luto, potendosi solo allora ottenere condizioni confrontabili, stati cor¬ rispondenti. Invece i valori ricavati per i gas nobili e riportati nella curva di Meyer si riferiscono alla densità calcolata allo stato liquido e quindi ad un valore minore; il valore effettivo del raggio atomico deve essere quindi più piccolo del valore così trovato. Per spiegare invece il diverso comportamento degli elementi elet¬ tronegativi bisogna ritenere, poiché m è una quantità costante e carat¬ teristica, che sia il valore di cl minore di quello che importerebbe la concezione dello stato solido dell'elemento quale assieme di sfere a contatto. La distanza media degli atomi nel corpo semplice elettronega¬ tivo è quasi eguale, alle volte più grande di quella dell’elettropositivo, e cioè è ancora molto più grande di quella che si riscontra quando questi Lewis, G. N. — loum. Am. Chem. Soc. V. 38 p. 762, 1916. 2) Langmuir, I. — lourn. Am. Chem. Soc. V. 40 p. 868, 1919. PiERUCCi — Nuov. Cim. Marzo 1920 p. 109. Calcola il raggio atomico di 29 elementi allo zero assoluto e ottiene dei valori che possono considerarsi multipli di uno stesso numero. - 9 - elementi entrano in combinazione. Ciò indicherebbe che gli elettroni dello stato più esterno, secondo le idee di Lanomuir non si scambiano tra di loro, come se allo stato solido, ogni atomo di corpo semplice del sesto e settimo gruppo, principalmente, aumentasse le sue dimen¬ sioni mentre nei composti gli elettroni dell’ultimo strato si scambiano con quelli di un altro atomo elettronegativo oppure aumentano di nu¬ mero unendosi con quelli provenienti da elementi elettropositivi come nei composti del tipo KCl. E’ da notare però che se ciò si riscontra per lo stato solido, quando si considerano questi elementi allo stato gas¬ soso, e ci si riferisce principalmente ai tre alogeni Cl, Br, e I, come fa notare Rankine ^), l’accordo tra le determinazioni cinetiche, mediante cioè il coefficiente d’attrito interno, del raggio atomico, con il valore ricavato da Brago è molto soddisfacente. Ma dai dati di Brago possono inoltre risultare conseguenze di un certo interesse considerando le dimensioni atomiche dei gas nobili. Questi sono caratterizzati, dalla recente teoria, da una distribuzione sim¬ metrica di elettroni intorno al nucleo centrale in strati sferici concen¬ trici. E’ possibile ricavare qualche indicazione sullo spessore di questi strati; non possono considerarsi tutti e sei i gas nobili poiché mancano nel lavoro di Bragg i dati per l’He e per l’Em: si ha quindi la seguente tabella Elementi r da dati cristallini Differenze tra due r Ne Ar Kr Xe 1,30 ^ 2,05 2,35 2,70 2 X 0,37 0,30 0,35 e cioè un aumento di poche unità nella nona cifra decimale. Poiché si passa da gas nobile a gas nobile con l’aggiunta di uno strato sferico in cui sono contenuti elettroni in numero crescente e precisamente se¬ condo la serie N = 2 (1 + 2^ + 22 + 32 + 32 -f...) e distribuiti simmetricamente, ed in questi strati sono fissi od oscillano intorno a punti fissi si ha che le dimensioni lineari di questo strato sono dell’ordine di grandezza di cm. lO-^. Rankine, A. O. — Phil. Mag. V. 40, pag. 516, October 1920.. — 10 — Ora le dimensioni lineari dell’elettrone sono fissate da Compton i) di circa 1.85 x lO-^o cm. E' questo uno dei più recenti calcoli sulla misura di questa entità ed è fondato su ricerche dell'emissione ed assorbimento dei raggi X e sull'ipotesi che sia 1’ elettrone un anello flessibile d’elettricità nega¬ tiva. Come vedesi le dimensioni lineari del corpuscolo sono quasi dello stesso ordine di grandezza dello spessore dello strato e cioè appena di un decimo più piccolo della lunghezza che può percorrere in una o- scillazione senza entrare in uno strato sferico interno od esterno. 11 calcolo antico per il raggio dell' elettrone di I. 1. Thomson basato sul concetto che l'energia del campo elettromagnetico debba ugua¬ gliare la forza viva del corpuscolo porta invece ad un valore che si accorda di più con le attuali vedute sulla struttura atomica, in tale ipotesi infatti si avrebbe il valore 1. 9x lO-^^ cm. e cioè 10^ più pic¬ colo dello spessore dello strato. Nella tabella prima riportata si nota un aumento quasi doppio nello spessore dello strato tra Ne e Ar, che tra Ar Kr o Kr e Xe; questo aumento anomalo nelle dimensioni del secondo al terzo strato si può ancora riscontrare nei metalli alcalini. Si ha infatti Na K Rb Ce 1,79 2,02 2,25 2,37 2 X 0,15 0,18 0,12 Considerando tutti e cinque questi elementi non si nota per tutti una regolarità nell'aumento delle dimensioni del « dominio atomico » ed è bene notare che il Na è quello che presenta lo scarto maggiore da una relazione di proporzionalità del raggio col numero atomico e propriamente un valore più piccolo. E’ interessante ancora che si nota il medesimo andamento nella curva dei volumi di Meyer. Il confronto fatto da Rankine 2) tra i dati cinetici e i dati cri¬ stallografici oltre che in certo modo confermare le vedute teoriche di Langmuir sulle modalità del legame chimico e dare un maggior valore ai dati di Brago con l'accordo che si verifica, dà luogo alla seguente Compton. — Phys, Rew. V. 14, n. 3, Sept. 1919. 2) Rankine, A. — Loc. cit. e Proc. Roy. Soc. N. A. V. 98 n. 693, p. 360. - 11 — tabella per le differenze A tra i raggi o determinati mediante determi¬ nazione di viscosità e quelli r dati da Brago (A = a — r) Elementi A Ne + 0,72 Ar + 0,52 Kr + 0,41 Xe + 0,36 CI . + 0,44 Br + 0,33 I + 0,18 Le differenze sono, come era previdibile, tutte positive nè si può notare uno scarto maggiore fra le due determinazioni per elementi co¬ me gli alogeni, che per proprietà chimiche e fisiche tanto si differen¬ ziano dai gas nobili. Napoli, Istituto Fisico dell Università, (Finito di stampare il 25 gennaio 1922) Sulla presenza di organi simbiotici nelF Hirudo medicinalis L* Comunicazione verbale del socio Ptof. Giuseppe Ziipolo (Tornata del 6 gennaio 1922) E’ noto che 1' apparecchio digerente dei vermi, in generale, è prov¬ veduto di diversi apparecchi glandolar!. Esistono particolari cellule o gruppi cellulari della parete intestinale, che si differenziano in modo notevole da quelle che sono vicine ed acquistano una certa indipen¬ denza con conseguente variazione di funzione. Essi, inoltre, comuni¬ cano il più delle volte con la cavità intestinale per mezzo di condotti. Nel caso degli Irudinei, dato' il loro particolare modo di nutrirsi col succhiare una notevolissima quantità di sangue, tanto da aumentare straordinariamente il volume del loro corpo, è noto che alla digestione del sangue sono adibite particolari glandole. Senza escludere l’ importanza di queste nella digestione del conte¬ nuto intestinale io ho pensato alla possibilità che, analogamente a quanto è noto per molti altri animali ematofagi, microrganismi viventi in sim¬ biosi con gli animali entrassero in gioco nell' esplicazione di questa funzione digestiva così intensa. E le mie ricerche sono state fatte per ora su di una specie molto comune 1' Hirudo medicinalis L. Devo subito comunicare che io non sono stato deluso nelle mie ricerche, perchè, malgrado non lievi difficoltà di tecnica, io ho potuto mettere in evidenza degli organi contenenti miriadi di microrganismi (con ogni probabilità blastomiceti) in immediata comunicazione con l'apparato digerente dell'animale in esame. Si tratta qui di una particolare funzione da questi probabilmente compiuta per accelerare e forse facilitare quel difficile e lungo pro¬ cesso digestivo che V animale deve compiere per smaltire la grande — 13 — massa di sangue che s’ infiltra in tutte le più recondite cavità di questo. La presenza di microrganismi in organi che sono in immediato e diretto contatto con 1' apparato digerente ha un grande interesse per¬ chè conferma l' ipotesi dei rapporti fra i simbionti e la funzione dige¬ stiva e lascia supporre che debbano essere presenti in un gran numero di ematofagi. Queste ricerche su Hlrudo medicinalis L., inoltre, allargano sempre più il campo delle simbiosi fisiologiche, messe in evidenza dal Pm- RANTONi; ed io spero di condurle a termine nel più breve tempo possi¬ bile, convinto di portare un contributo non spregevole all’ interessante argomento. Napoli, Stazione Zoologica, gennaio 1922. (Finito di stampare il 30 marzo 1922). Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli RENDICONTI DELLE TORNATE (PROCESSI VERBALI) (1921-1922) PKOCESSI VERBALI DELLE TORNATE (Anno 1931) Tornata del 20 febbraio 1921. Presidente : Monticelli — Segretario : Gargano. Soci presenti : Giordani M., Chistoni, Guadagno, Capobianco, Mar- cucci, Zirpolo, Califano, Pieranloni, Mazzarelli Giuseppe, Mazzarelli Gustavo, De Rosa, Quintieri L. Si apre la tornata in seconda convocazione alle ore 16. Il Segretario legge il processo verbale dell’Assemblea generale del 19 dicembre 1920, che è approvato. Il Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Il socio Gargano legge due lavori dal titolo : 1° Dei tumori spon¬ tanei nei mammiferi. Endotelioma della cavità pleurica in un gatto. 2° Di una speciale degenerazione delle cellule dei sarcomi, e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Giordani F. fa una comunicazione sulla stampa scienti¬ fica parlando: Dei fenomeni di catalisi e della velocità delle reazioni catalitiche. Il socio Pierantoni fa una comunicazione sulla stampa scientifica, parlando di una recente pubblicazione del prof. Grassi sulla malaria a Fiumicino e sulla possibilità che l’ infezione possa propagarsi direttamente da ammalato ad ammalato con le punture dei culex o delle pulci, che sa¬ rebbero i veicoli di diffusione. Il socio Mazzarelli Giuseppe fa una comunicazione sulla stampa scientifica parlando di una recente pubblicazione dello Shmit sul Zoarces viviparus, nel quale animale si verifica il fatto che il numero delle vertebre è in rapporto con la salinità delle acque marine. La tornata si chiude alle ore 17. IV — Tornata ordinaria ed assemblea generale del 30 maggio 1921. Presidente: Monticelli — Segretario: Gargano. Soci presenti: De Rosa, Chistoni, Mazzarelli Giuseppe, Marcucci, Cavara, Pierantoni, Mazzarelli Gustavo, Zirpolo, Salfi, Getzel, Carrelli. Si apre la tornata in seconda convocazione alle ore 16. Il Segretario legge il processo verbale della tornata 20 febbraio, che è approvato. Il Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Il Segretario dà lettura di un voto inviato dal Touring Club Ita¬ liano, tendente a modificare il progetto legge N. 204-A per la tutela delle bellezze naturali e gli immobili di interesse storico della Venezia Giulia. In tale voto il Touring Club Italiano coglie Toccasione per chie¬ dere venga riservato una parte del materiale residuale di guerra a lavori di perforazione di gallerie e grotte, per aumentare l’attrazione tu¬ ristica di quelle regioni. L’Assemblea si associa alla nobile iniziativa del Touring Club Italiano. Il socio Chistoni ricorda che il Comizio Agrario di Pozzuoli fin dal 1878 aveva stabilito una Stazione Metereologica Agricola, per lo studio dello sviluppo e della vita dei vegetali. Tale stazione da qualche anno cessò di funzionare, perché si ammalò gravemente il prof. Gen¬ naro Rimoli, che la dirigeva. Sventuratamente il prof. Rimoli cessò di vivere ed allora la Stazione Metereologica venne abbandonata. Trattan¬ dosi di una plaga tanto fertile il socio Chistoni fa rilevare l'opportunità di riordinare la Stazione Metereologica Agricola di Pozzuoli. L’Assemblea, plaudendo al socio Chistoni, incarica i soci Mazzarelli Giuseppe e De Rosa di trattare con le autorità di Pozzuoli, affinchè sia rimesso in efficienza detto Istituto. Il socio Pierantoni legge una memoria dal titolo: Sulia simbiosi ereditaria e sul suo significato fisiologico e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il Presidente comunica le dimissioni dei seguenii soci :- Ordinari residenti : Caprioli, Craifaleanu, De Biasio, Iroso, Mastrolilli, Monteforte, Ricciardi, Rippa. Ordinari non residenti: lasevoli. Misuri, Parisi, Raf¬ faele, Trinchieri. Aderenti: Filiasi, e prega Fassemblea di prenderne atto. Il Presidente comunica che il Consiglio direttivo ha trasferito alla categoria di soci non residenti, i soci Neppi, Oglialoro, Malladra ed alla categoria di soci aderenti il socio Lionetti. — V — Il Presidente comunica che il Consiglio direttivo propone la so¬ spensione, per mancata reperibilità, dei seguenti soci: Ordinari residenti : Angrisani, Arena, Kernot, Minervini, Palomby, Palk, Stefanelli, La Marca. Ordinari non residenti : Di Paola, Levi, Stilon, Rambaldi, Villani. Aderenti: Calogero, De Franciscis, Morese, Nicolosi, Roncati. L’Assemblea approva. E’ ammesso socio ordinario non residente il sig. Gennaro Biondi. Su proposta del socio De Rosa l’assemblea invia le congratulazioni al socio Capobianco per la sua recente elezione a deputato al Parla¬ mento per il Collegio di Salerno. Sono eletti Revisori dei Conti per il Bilancio 1920 i soci Giorda¬ ni F. e Caroli. L’Assemblea si scioglie alle ore 17,30. Tornata ordinaria ed assemblea generale del 19 giugno 1921. Presidente: Vice Pres. Pierantoni — Segretario: Gargano. Soci presenti: Cavara, Masi, De Rosa, Califano, Siniscalchi, Quin- tieri L., Marcucci, Cutolo, Giordani F. Si apre la tornata in seconda convocazione alle ore 16. Il Segretario legge il processo verbale della tornata ordinaria ed ' assemblea generale 30 maggio, che è approvato. Il Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Il Segretario legge la relazione sull’andamento morale e finanziario delle Società dei Naturalisti per l’anno 1920. Egregi Consoci^ Ho r onorifico incarico a nome della Presidenza e del Consiglio direttivo di leggervi la relazione sull’ andamento morale e finanziario della Società dei Naturalisti per l’anno 1920. Soci. — Il numero dei soci al 31 dicembre 1919 era di 118 divisi in soci ordinari residenti 66, soci ordinari non residenti 34, soci ade- denti 16. Con grande dolore dobbiamo ricordare la perdita di due nostri soci ordinari residenti, il prof. Vincenzo Gauthier, Vice presidente in ca¬ rica e il prof. Michele Geremicca, più volte presidente di questa Società. VI Il socio Gauthier è stato commemorato dal socio ordinario resi¬ dente Giordani Francesco nella Sala De Sanctis della R. Università, con¬ cessa gentilmente dal Rettore magnifico ed il socio Geremicca sarà an¬ che lui commemorato, in una tornata straordinaria dal socio ordinario residente Cavara Fridiano. Lo stato del post-guerra ha portato una se¬ rie di spostamenti nei domicili di molti soci, molti dei quali si^sono allontanati da Napoli, e molti dei quali hanno perduto il contatto con la Segreteria, per il che il Consiglio direttivo, preoccupato di questo stato di cose, che perturbava l'andamento amministrativo della Società dei Naturalisti, ha creduto di dovere adottare dei provvedimenti al ri¬ guardo di molti soci, provvedimenti che furono sottoposti alla vostra sanzione in una assemblea e che si riassumono: 1. ° Nel trasferimento dalla categoria di soci ordinari residenti a soci ordinari non residenti dei soci Oglialoro Agostino, Malladra Alessandro e nel passaggio a socio aderente del signor Lionetti Giovanni. 2. ® Nell'accettazione delle dimissioni dei soci Caprioli, Craifaleanu,' De Biasio, Iroso, Mastrolilli, Monteforte, Ricciardi, Rippa, lasevoli. Mi¬ suri, Parisi, Trinchieri e Filiasi. 3° Nella sospensione per mancata reperibilità dei soci Angrisani, Arena, Kernot, Minervini, Pàlomby, Palk, Stefanelli, La Manna, Di Paola, Levi, Stilon, Ranfaldi, Villani, Calogero, De Franciscis, Morese, Nico- losi-Roncati. In tal modo eliminati elementi che non prendevano più parte alle varie attività sociali, la Società dei Naturalisti potrà più agilmente pro¬ cedere verso i suoi destini di incremento delle scienze naturali , e di civiltà sorretta dal buon volere dì un gruppo di vecchi soci, che vanno trasfondendo in nuove e giovani energie il loro attaccamento ed il loro affetto verso la Società istessa. Bollettino. — Il Bollettino che fra giorni sarà distribuito ai soci e sarà inviato alle numerose Accademie e Società corrispondenti è il Voi. 33 (Voi. XIII della serie seconda). È un volume di circa 300 pagine con numerose tavole e figure intercalate nel testo. Come i volumi precedenti è diviso in tre parti: la prima Atti com¬ prende i lavori originali dei soci, cioè le Memorie e le Note ; la se¬ conda le Comunicazioni verbali ed infine i Rendiconti delle tornate con r elenco dei soci e con il notamento delle pubblicazioni pervenute in cambio ed in dono. Tornate. — La Società si è riunita dodici volte in tornate ordina¬ rie e tre volte in assemblea generale. 1 — VII — Voti e deliberati. — In seguito ad una proposta del socio Milone suirordinamento della Stazione Zoologica di Napoli fu nominata una commissione composta dei soci Milone, Mazzarelli Giuseppe, e Cavara per riferire nel più breve tempo e per portare aH’approvazione deH’As- semblea una relazione da inviarsi al Ministero della P. I. onde sospen¬ dere 0 far modificare alcune disposizioni emanate dal Ministero istesso, che tendevano a far perdere al cennato Istituto libero italiano ed inter¬ nazionale, ottenutosi col decreto che lo erigeva in ente morale all’ini¬ zio della guerra dopo l’abbandono dell’antico concessionario signor Ri¬ naldo Dohrn. La commissione portò infatti all’ assemblea la relazione , che , ap¬ provata, trovasi nell’Archivio Sociale e che la Presidenza credette utile non trasmettere, giacché si era diffusa la voce , per altro ben fondata, che fosse intenzione del Ministero della P. I. di restituire al Dohrn la Stazione Zoologica, il che significava darla ad una università germanica, giacché il Dohrn (per le mutati condizioni create dalla guerra) non avrebbe potuto avere né l’autorità morale né i mezzi per gestirla. La Società dei Naturalisti emise quindi un primo voto di protesta al Ministero della P. 1. voto al quale ne seguì un secondo, ed en¬ trambi questi voti furono inviati a tutti i Ministri , a tutti i Senatori e Deputati, a tutte le Facoltà di Medicina e Chirurgia e di Scienze Naturali, a tutte le Accademie Scientifiche, tanto da orientare l’opinione pubblica italiana contro un provvedimento che avrebbe novellamente as¬ servita la libera scienza al giogo teutonico. Questo movimento d’ostilità creatosi contro il Ministro della P. L affrettò la promulgazione di un decreto che annullava quello che eri¬ geva la Stazione Zoologica di Napoli in ente morale, il che significava darle novellamente al signor Dohrn, quando infine il Municipio di Na¬ poli , con atto di sovranità , passando sopra ad una trita burocrazia, prese possesso del detto Istituto che é di sua proprietà. E così il movimenlo iniziato dalla Società dei Naturalisti ha po¬ tuto ridare all' Italia ed a Napoli un Istituto , che é una delle sue più belle glorie. Attività scientifica. — I lavori pubblicati nel Bollettino sono tre- ■ dici. Dei tredici lavori otto sono di anatomia e zoologia, due di geologia e vulcanologia, uno di chimica, uno di metereologia ed uno di microbiologia. I lavori di Anatomia e Zoologia sono i seguenti : D'Evant. — 1° Intorno ad ana rara anomalia della vena iliaca comune. 2° Forme abortive umane. Osservazione 2^ — vili ZiRPOLO. — 1° Sulla rigenerazione delle braccia di Asterina gib¬ bosa Penn, 2° Sulla rigenerazione del Zoobotryon pellucidum Ehrbg. Masi. — Sul voluto rapporto fra V involuzione della borsa di Fa¬ brizio e la maturazione delle glandule sessuali negli uccelli. PiERANTONi. — Sulla simbiosi ereditaria e sul suo significato fi¬ siologico. PoLicE. — Sui rapporti tra le fibre radiali e gli elementi visivi nella retina di Axolotl di Amblystoma mexicanus. Neppi. — Revisione delle specie di Aglaophenia del golfo di Napoli. I lavori di Geologia e Vulcanologia sono i seguenti : Alfano. — Le registrazioni sismiche rilevate nella sezione geodi¬ namica delV Osservatorio di Valle di Pompei nelVanno 1919. Magliano. — Il monte Cervaro presso Lagonegro in Basilicata. II lavoro di Chimica è il seguente : Geremicca. — Sulla materia colorante del frutto delV arancio. Il lavoro di Microbiologia è il seguente : ZiRPOLO. — Studio sulla bioluminescenza batterica. 3° Azione dei raggi emanati dal bromuro di radio. Il lavoro di metereologia è il seguente : Chistoni. — Eliofanografia, Eliofanometro ed Eliofania. Biblioteca. — Per assicurare il ricco patrimonio librario il Consi^ glio direttivo, sempre nei limiti del Bilancio, ha rivolto le sue cure per la rilegatura dei volumi e per completare le collezioni estere, che a causa della guerra erano restate interrotte. Escursioni. — Oltre l'annuale gita al Vesuvio, se ne è fatta un'al¬ tra al lago Fusaro alla stazione sperimentale di ostricoltura, ospitati gen¬ tilmente dal nostro socio ordinario residente Giuseppe Mazzarelli. Bilancio. — Come rileverete dalla lettura dei revisori dei conti, anche quest'anno il Bilancio si chiude in pareggio e di questo va dato grande lode alla Presidenza ed al Consiglio direttivo, che in condizioni così difficili di esistenza, hanno potuto far fronte alle ingenti spese e principali fra tutte la pubblicazione e spedizione del Bollettino. Egregi Consoci^ Quest'anno non si è proceduto al rinnovamento del Consiglio di¬ rettivo, che resta giusta il deliberato dell’ Assemblea incarica fino al 31 dicembre 1921, e solo in quell'epoca sarà proceduto all'elezione del Presidente e dei due consiglieri meno anziani. IX E nel chiudere questa relazione il Consiglio direttivo propone un voto di lode ai volenterosi soci che lo hanno coadiuvato, e cioè al socio Giordani Mario, Vice-segretario, al socio Zirpolo Giuseppe, Redattore del Bollettino , al socio Salti Mario , Bibliotecario ed al socio Enrico Cutolo, Cassiere. Il socio Giordani F., anche a nome del socio Caroli assente legge la relazione sulla revisione del Bilancio consuntivo 1920. Il Segretario legge il Bilancio consuntivo 1920, che è approvato. Il Segretario legge il Bilancio preventivo 1921, che è approvato. Su proposta dei socio Siniscalchi, l’assemblea formula il seguente voto a prò del museo Trinchese da inviarsi al Municipio di Napoli: X « La Società dei Naturalisti in Napoli riunita in Assemblea generale, il giorno 19 giugno 1921, considerando: « Che fra le maggiori e speciali iniziative che seguendo il sano pro¬ gresso dei tempi, intendono al miglioramento morale ed economico del popolo è il Museo Trinchese, inteso ad aumentarne la coltura scien¬ tifica e tecnica. « Che contingenze, se non esigenze nel periodo bellico turbarono la serenità e la consistenza di collezioni ed apparecchi neces&arii al geniale ed opportuno insegnamento pratico dimostrativo di fanciulli ed adulti. « Mentre tributa sempre lodi all' ideatore e direttore di quel Museo prof. Alfonso Siniscalchi — si augura che l'Amministrazione Comunale ritenendolo utile e decoroso per la Città voglia intervenire con la de¬ bita larghezza di mezzi alla restaurazione e all' incremento del Museo Trinchese danneggiato assai sensibilmente. « Delibera di far voti in questo senso, convinta che, così operando, contribuisce come meglio sente nell’interesse del paese L’Assemblea si scioglie alle ore 17,30. Tornata ordinaria ed assemblea generale del 24 luglio. Presidente: Monticelli — Segretario : Gargano. Soci presenti: Siniscalchi, De Rosa, Cutolo, Zirpolo, Marcucci, Giordani F., Morgera, Quintìeri L. Intervengono all’Assemblea la famì¬ glia ed i congiunti del compianto prof. Nicola Terracciano. Si apre la tornata in seconda convocazione alle ore 16. X Il Segretario legge il processo verbale della tornata ordinaria ed assemblea generale del 19 giugno 1921, che è approvato. Il Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. II socio Cavara legge la commemorazione: Nicola Terracciano bo¬ tanico napoletano. Il socio Zirpolo fa una comunicazione dal titolò : Sulla ecologia del Zoobotryon pellucidam Ehrbg. e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Su proposta del Presidente l'Assemblea invia le congratulazioni al socio Aniìe che è stato nominato Sottosegretario di Stato alla Pubblica Istruzione. L’Assemblea si scioglie alle ore 17,30. Tornata del 4 dicembre 1921. Presidente: }Aoì^t\celu — Segretario : Gargano. Soci presenti: Giuseppina Monticelli, De Rosa, Siniscalchi, Gior¬ dani F., Giordani M., Marcucci, Zirpolo, Cutolo, Sbordone, Mazzarelli Giuseppe. Si apre la tornata in seconda convocazione alle ore 15,30. Il Segretario legge il processo verbale della tornata ordinaria ed assemblea generale del 24 luglio che è approvato. 11 Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Su proposta del Presidente, l’Assemblea invia al socio Milone le condoglianze per la morte del fratello. Il socio Cutolo riferisce su alcune esperimenti dell’ingegnere Perret di Washington, intesi a dimostrare che il corpo umano emanerebbe anche a distanza una forza che può essere messa in evidenza con spe¬ ciali apparecchi ideati dal Perret. Si stabilisce la nomina di una commissione composta dei soci Monticelli, Gargano, Chistoni, Giordani F. e Capobianco perchè esa¬ mini gli esperimenti di Perret e perchè riferisca. La tornata si chiude alle ore 17. XT Tornata deU’ll dicembre 1921. Presidente: Monticelli — Segretario: Gargano. Soci presenti: Giuseppina Monticelli, Siniscalchi, Mazzarelli Giu¬ seppe, Mazzarelli Gustavo, Giordani M., Giordani F., De Rosa. Si apre la tornata in seconda convocazione alle ore 16. Il Segretario legge il processo verbale della tornata ordinaria del 4 dicembre che è approvato. Il Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Il socio Mazzarelli Gustavo legge una Memoria dal titolo : La secca di Pampano e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio De Rosa fa una comunicazione sulla stampa scientifica, parlando di una pubblicazione del prof. Cascella dal titolo : Un pre¬ cursore di Mendel. Su proposta del socio Giordani F., l'Assemblea approva il seguente voto da trasmettersi al Ministro della P. I. e degli Esteri, allo scopo di vedere completate, nelle Biblioteche dei nostri istituti scientifici, la raccolta dei giornali dei paesi ex nemici, interrotta durante il periodo bellico. rt In vista della circolare emanata dal Ministero della P. I. N® 21444 in data 15 Settembre 1919, con la quale si interpellavano i Laboratori Scientifici e le Biblioteche degli Istituti di Istruzione Superiore, onde facessero presenti i loro desiderata per l’acquisto di giornali scientifici pubblicati negli stati ex-nemici e non potuti acquistare durante la guer¬ ra, col proposito di ottenerli in conto riparazioni; « Tenuto conto del fatto che, in conseguenza della predetta Circolare è stato fatto divieto agli Istituti dipendenti dal Ministero della P. I. di acquistare direttamente le annate ed i fascicoli relativi al periodo bel¬ lico e mancanti alle collezioni; « Riaffermando l’assoluto bisogno per gli studiosi di tenersi al cor¬ rente della documentazione scientifica, nonché l’altro importantissimo di non guastare l’integrità delle collezioni per ogni documentazione futura; « Avendo constatato che, a quasi due anni di distanza, i volumi pro¬ messi in conto riparazioni non sono stati ancora forniti ai vari richie¬ denti, mentre è noto per varie fonti e per la stessa pubblicità dei pe- — XII riodi scientifici che una incetta attivissima è stata fatta pel tramite delle Commissioni per le riparazioni degli stati alleati ed associati; fa voti « Perchè si voglia al più presto provvedere a dar corso alle doman¬ de a suo tempo avanzate, onde evitare a tutti i nostri Istituti il danno incalcolabile di rimanere in parte privi dei giornali in parola e di do¬ verne una buona parte acquistare a prezzi proibitivi ». E’ ammesso socio ordinario residente l'ingegnere H. Perret. La tornata si chiude alle ore 17. PROCESSI VERBALI DELLE TORNATE (A.nno 193S) Tornata ordinaria ed assemblea generale del 6 gennaio 1922. Presidente: Monticelli — Segretario: Gargano. Soci presenti : Giordani M., Giordani F., Malladra, Siniscalchi, Ca- lifano, De Rosa, Viglino, Mazzarelli Giuseppe, Mazzarelli Gustavo, Zir- polo, Chistoni, Marcucci, Monticelli Giuseppina, Finizio, Geremicca Alberto, Milone, D'Evant, Morgera, Quintieri L., Pierantoni. Si apre la tornata in seconda convocazione alle ore 16. Il Segretario legge il processo verbale della tornata 11 dicembre, che è approvato. Il Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Il socio Zirpolo legge una nota dal titolo : Studi sulla biolumine¬ scenza batterica, 5. Azione dei sali di cerio ^ e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino, e fa una comunicazione: Sulla presenza di organi sim¬ biotici nelVHirudo medicinalis.. Il socio Malladra legge una Memoria dal titolo : Relazione sulla attività del Vesuvio durante V anno 1918, e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il Presidente apre la discussione sul progetto del Ministro della P. 1. Corbino, concernente le lauree miste in Fisica e Scienze naturali e 1' assemblea nomina una commissione composta dai soci Chistoni, Mazzarelli Giuseppe, Giordani F., Milone e De Rosa affinchè nel più breve tempo riferiscano aH’Assemblea una relazione da inviarsi al Mi¬ nistero della P. I. ed alla quale si dà la maggiore diffusione, per orien¬ tare l’opinione pubblica contro una legge, che suona un decadimento delle scienze naturali. Si procede all’elezione delle cariche e cioè del presidente e dei due consiglieri meno anziani e di due revisori dei conti per il Bilancio con¬ suntivo 1921 e risultano eletti per il biennio 1922-23 Consiglieri: Giordani Francesco w Zirpolo Giuseppe Revisori dei Conti : Alfonso Siniscalchi w w Leopoldo Marcello — XIV — Il Segretario legge^ seduta stante, il processo verbale delPAssem- blea che è approvato. L’Assemblea si scioglie alle ore 17,30. Assemblea generale del 5 marzo 1922. Presidente'. Cmoho — Segretario : Gargano. Soci presenti : Marcello, Siniscalchi, Giordani F., Giordani M., Chi- stoni, De Rosa, Monticelli, Califano, Milone. Si apre la tornata in seconda convocazione alle ore 16. Il Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Il Segretario legge la relazione sull’andamento morale e finanziario della Società dei Naturalisti per l’anno 1921. Egregi Consoci, Nell'assemblea generale del giorno 6 gennaio 1922 sono state in¬ dette le elezioni per la carica a Presidente di questa Società e per due consiglieri, in sostituzione rispettivamente del nostro socio benemerito prof. Francesco Saverio Monticelli e dei soci proff. Luigi Quintieri ed Ernesto Marcucci, che avevano compiuto il biennio. E così si è andata ripristinando 1’ antica consuetudine sancita dal nostro regolamento, deiralternarsi delle cariche del Consiglio direttivo, consuetudine, che oggi porta al banco della Presidenza uno dei più af¬ fezionati soci della Società dei Naturalisti, il prof. Enrico Cutolo, che con le sue alte doti di mente e di cuore avrà la fortuna di vedere rea¬ lizzato il sogno di noi tutti , di trasferire la sede sociale nel vecchio edificio universitario in sale eleganti e decorose, e potere quindi assi¬ curare alla scienza ed agli studiosi la ricca Biblioteca, della quale siamo orgogliosi. E col socio Cutolo furono eletti consiglieri i due proff. Francesco Giordani e Giuseppe Zirpolo, che in ogni circostanza hanno dimostrato al nostro sodalizio grande amore ed attaccamento. Il Consiglio direttivo ha anche provveduto a circondarsi dell’aiuto di altri soci volenterosi per l’esplicamento delle sue funzioni, riconfer¬ mando nella carica di vice-Segretario il socio Mario Giordani , ed in quelle di Bibliotecario il socio Salfi, in quella di Redattore del Bollet¬ tino il socio Zirpolo , e nominando cassiere il socio Marcucci. E prima di iniziare la mia relazione sull’ andamento morale e fi- XV nanziario della Società dei Naturalisti per V anno 1921 debbo annun¬ ziare che il nostro Vice-Presidente, prof. Umberto Pierantoni ha vinto il concorso per la Cattedra di Zoologia nella R. Università di Sassari, e che con dolore e con orgoglio ci siamo dovuti allontanare da questo nostro vecchio socio ed amico. 11 socio Pierantoni aveva , per sua squisita delicatezza , rassegnate le dimissioni dalla carica di Vice-Presidente , dimissioni che la Presi¬ denza ed il Consiglio direttivo hanno rigettato, accordandogli invece un congedo. Soci. — Il numero dei soci al 31 dicembre 1920, come risultava dai nostri registri, era cospicuo, ma purtroppo (come ebbi a dirvi nella mia relazione precedente , che , per ragioni indipendenti dalla volontà del Consiglio direttivo, non potette essere letta prima del giugno 1921) questo numero non corrispondeva nè amministrativamente nè moral¬ mente al numero effettivo. Ed il Consiglio direttivo , dopo di avere espletato con poco successo una inutile corrispondenza con questi soci, che avevano perduto il contatto con la Segreteria, e per molti dei quali s'ignorava l' indirizzo , credette opportuno adottare un provvedimento, che ha evitato inutili spese di corrispondenza, e cioè di dichiararli so¬ spesi per mancata reperibilità, giacché mancavano gli estremi per pro¬ porli alla radiazione per mora. E così con questo provvedimento , sanzionato dall’ Assemblea del 30 maggio il numero dei soci è stato ridotto a 77 , così ripartiti , soci ordinari residenti 45, soci ordinari non residenti 24 e soci aderenti 8. Per vero se il numero dei soci è diminuito, la Società non ha nulla perduto, giacché questi soci non partecipavano da molto tempo alle attività sociali. Sono stati ammessi come soci ordinari residenti il prof. Ferdi¬ nando Arena e l’ingegnere Franck Perret, è stato ammesso come socio ordinario non residente il signor Gennaro Biondi. Nella categoria dei soci aderenti è stato ammesso il signor Giulio Alfieri. Bollettino. — Le gravi condizioni nelle quali verte la stampa scien¬ tifica in genere per l’aumento sensibile subito dal prezzo della carta e dell’ aumento delle spese di composizione , stampa ecc. hanno portato un ritardo nella pubblicazione del nostro Bollettino, in guisa che pub¬ blicatosi il volume 1920 (Voi. 33 della collezione o 18 della seconda serie) il voi. 1921 (Voi. 34) non potrà essere distribuito ai soci ed alle società scientifiche , con le quali siamo in cambio prima di due o tre mesi. XYI Come i volumi precedenti , anche questo sarà diviso in tre parti: la prima comprende i lavori originali dei soci cioè le Memorie e le Note, la seconda le Comunicazioni verbali éd infine i Rendiconti delle tornate con 1' elenco dei soci e con il notamento delle pubblicazioni pervenute in dono ed in cambio. Tale volume è stampato dalla Officina cromo-tipografica Aldina, che nulla ha trascurato affinchè esso abbia una decorosa veste tipografica e non sia per nulla inferiore agli altri della collezione. Tornate. — La Società si è riunita sette volte in tornate ordinarie, quattro volte in assemblea generale e due volte in tornate straordinarie. Le due tornate straordinarie sono state adibite alla Commemora¬ zione di due nostri soci, il prof. Vincenzo Gauthier ed il prof. Michele Geremicca. Il socio Gauthier è stato commemorato il 13 marzo 1921 dal socio prof. Francesco Giordani ed il socio Geremicca dal socio prof. Fri- diano Cavara il 18 dicembre 1921. Le commemorazioni si sono fatte nella Sala De Santis della nuova Università, sala che il Rettore Magnifico gentilmente ci ha concesso ed hanno avuto tutta la solennità che merita¬ vano professori del valore dei cari estinti e soci così devoti alla Società. Voti e deliberati. — Come sempre la Società non ha mancato di esplicare la sua attività in tutte le quistioni che avessero avuto atti¬ nenza con la scienza e con la scuola. Allo scopo di vedere ripristinato il- Museo Trinchese, così poco op¬ portunamente adibito, durante la guerra, ad ospedale di riserva, fu for¬ mulato il seguente voto al Municipio di Napoli: “ La Società dei Naturalisti in Napoli, riunita in Assemblea gene¬ rale il giorno 19 giugno 1921, considerando: “ Che fra le maggiori speciali iniziative che seguendo il sano pro¬ gresso dei tempi intendono al miglioramento morale ed economico del popolo è il Museo Trinchese, inteso ad aumentare la cultura scientifica e tecnica. " Che contingenze, se non esigenze nel periodo bellico turbarono la serenità e la consistenza delle collezioni ed apparecchi necessari al geniale ed opportuno insegnamento pratico dimostrativo di fanciulli ed adulti. “ Mentre tributa sempre lodi all’ ideatore e direttore di quel Museo prof. Alfonso Siniscalchi, si augura che l’Amministrazione Comunale ritenendolo utile e decoroso per la Città voglia intervenire con la de¬ bita larghezza di mezzi alla restaurazione ed all’ incremento del Museo Trinchese danneggiato assai sensibilmente. — XVII " Delibera di far voto in questo senso convinta che così operando contribuisce come meglio sente nell’interesse del paese,,. “ Ed infatti il Museo Trinchese ora va ripristinandosi mercè la te¬ nacia e l’affettuoso attaccamento del suo direttore prof. Alfonso Sini¬ scalchi. “ In seguito a proposta del socio Francesco Giordani fu votato il seguente voto da inviarsi al Ministero della P. 1. e degli Esteri allo scopo di completamento delle collezioni di giornali tedeschi delle no¬ stre biblioteche. “ La Società dei Naturalisti in Napoli, in vista della circolare ema¬ nata dal Ministero della P. I. N. 21444 in data 15 settembre 1919, con la quale si interpellavano i Laboratori Scientifici e le Biblioteche degli Istituti di Istruzione superiore, onde facessero presente i loro deside¬ rata per l’acquisto di giornali scientifici pubblicati negli stati ex nemici e non potuti acquistare durante la guerra, col proposito di ottenerli in conto riparazioni. "Tenuto conto del fatto che, in conseguenza della predetta Circo¬ lare è stato fatto divieto agli Istituti dipendenti dal Ministero della P. L di acquistare direttamente le annate ed i fascicoli relativi al periodo bellico e mancanti alle collezioni. " Riaffermando l’assoluto bisogno per gli studiosi di tenersi al cor¬ rente della documentazione scientifica nonché 1’ altro importantissimo di non guastare l’integrità delle collezioni per ogni documentazione futura. " Avendo constatato che, a quasi due anni di distanza i volumi pro¬ messi in conto riparazioni non sono stati ancora forniti ai vari richie¬ denti, mentre è noto per varie fonti e per la stessa pubblicità dei pe¬ riodici scientifici che una incetta attivissima è stata fatta pel tramite delle Commissioni per le riparazioni degli stati alleati ed associati fa voti perchè si voglia al più presto provvedere a dar corso alle domande a suo tempo avanzate, onde evitare a tutti i nostri Istituti il danno in¬ calcolabile di rimanere in parte privi dei giornali in parola e il doverne una parte acquistare a prezzi proibitivi „. " Purtroppo le collezioni giornalistiche estere dei nostri Istituti scien¬ tifici, per quanto riguarda gli anni bellici, sono ancora incomplete , e non si sa se ciò sia da addebitarsi a malvolere o ad insipienza di co¬ loro che avrebbero dovuto tutelarne i diritti „. Attività scientifica. — I lavori pubblicati nel Bollettino 1921 sono sette, più due commemorazioni. Dei sette lavori 2 sono di zoologia, 1 di XVIII microbiologia, 1 di geografia fisica, 2 di patologia comparata ed 1 di vulcanologia. I lavori di Zoologia sono i seguenti : ZiRPOLO. — Sulla ecologia del Zoobotryon pellucidum Ehrbg, PiERANTONi. — Pesci luminosL II lavoro di Microbiologia è il seguente : ZiRPOLO. — Stadii sulla bioluminescenza batterica. 5. Azione dei sali di cerio. Il lavoro di Geografia fisica è il seguente: Mazzarelli Gustavo. — La secca del Pampano. I lavori di Patologia comparata sono i seguenti : Gargano. — 1° Dei tumori spontanei nei mammiferi. Endotelioma della cavità pleurica di un gatto. 2° Di una speciale degenerazione delle cellule dei sarcomi. II lavoro di Vulcanologia è il seguente : Malladra. — Relazione sulV attività del Vesuvio durante Vanno 1918. Le commemorazioni sono le seguenti : Giordani Francesco. — Commemorazione di Vincenzo Gauthier. Cavara. — Commemorazione di Michele Geremicca. Biblioteca. — La Biblioteca anche quest’anno si è accresciuta per i nuovi cambi e per le numerose pubblicazioni pervenute in dono e certamente, appena potrà essere trasportata nella nuova sede, sarà cura del Consiglio direttivo di procedere con risorse extra-Bilancio alla nuova scaffalatura ed alla rilegatura delle collezioni. Bilancio. — In virtù dell’aumento della quota sociale, proposta dal passato Consiglio direttivo, e sebbene sieno nell’anno 1921 venuti meno non pochi cespiti, pure il Bilancio si è chiuso con supero di circa lire mille. Egregi Colleghiy nel terminare questa esposizione, sono lieto di esprimere la fiducia del Consiglio direttivo, che l’anno 1922 sia uno dei più fortunosi per la nostra Società, l'anno nel quale essa, spostatasi in una sede ampia e decorosa potrà attendere con maggiore tranquillità alle sue finalità scientifiche. I Soci Siniscalchi e Marcello leggono la relazione sulla revisione del Bilancio consuntivo 1921. II Segretario legge il Bilancio consuntivo 1921, che è approvato. Il Segretario legge il Bilancio preventivo 1922, che è approvato. Sono eletti soci ordinari residenti la professoressa Maria Bakunin, r ingegnere Pomilio ed il prof. d'Emilio. XIX — Sono eletti soci ordinari non residenti la sig.na Maria Fiore e Ro¬ saria Valerio ed il signor Costantino Dalla Brida. Il socio aderente Sbordone è trasferito alla categoria di socio or¬ dinario non residente. Su proposta del socio Chistoni TAssemOlea trasmette al Ministero della P. I. il seguente voto, tendente alla livellazione del Serapeo ed alla manutenzione in genere dei monumenti dei Campi Flegrei. " La Società dei Naturalisti di Napoli essendo venuta a conoscenza che per iniziativa del Comitato vulcanologico universitario, l’ Istituto Geografico Militare di Firenze intraprenderà una nuova livellazione di precisione dei Campi Flegrei, plaude a tale iniziativa e ad unanimità fa voto che tutti gli enti pubblici che hanno relazione nei Campi Fle¬ grei, ed in ispecie il Ministero dell' Istruzione, che ivi possiede diversi monumenti, concorrano nella spesa necessaria, e che il lavoro, d’ inte¬ resse altamente scientifico, sia compiuto nel più breve tempo possibile. " La Società ricorda che ai tempi borbonici per opera del Niccolini i Campi Flegrei, ed in speciale modo, il bradisisma flegreo, vennero accuratamente studiati ; ricorda che nel 1905 dalF Istituto Geografico Militare di Firenze venne eseguita una nuova livellazione, che avrebbe dovuto essere ripetuta almeno dopo un quinquennio; ricorda i voti emessi da questa Società, dalla Reale Accademià delle Scienze di Na¬ poli e dalla Sovraintendenza ai Monumenti, perchè il bradisisma puteo- lano fosse accuratamente studiato e perchè il Serapeo fosse sgombrato dal terreno che vi si è accumulato e vi fosse immesso il mare e col¬ locato opportuno mareografo, e prende occasione per rinnovare il voto che i Campi Flegrei continuino ad essere sempre studiati e che il Tempio di Serapide sia ridotto in modo da fare ottima impressione a tutti coloro che lo visiteranno (siano italiani o stranieri) così che le famose tre colonne, ricordate in qualunque testo elemtentare di Storia Naturale, appaiano nel loro splendore e ognuno possa verificare le traccie dei litodomi che le attaccarono quando erano sommerse nel mare „. L’Assemblea si scioglie alle ore 17. Tornata del 30 aprile 1922* Presidente : Cutolo — Segretario : Gargano Soci presenti : Chistoni, De Rosa, Giordani M. Giordani F., d' E- milio, Marcello, Zirpolo, Mazzarelli Gustavo, Serao, Califano, Bakunin, Dalla Brida, Pomilio, Milone. XX Si apre la tornata in seconda convocazione alle ore 16. Il Segretario legge il processo verbale deU'Assemblea generale del 5 marzo, che è approvato. Il Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Su proposta del socio Chistoni è votata la seguente relazione ten¬ dente ad istituire nella Università di Napoli una laurea in geografia: » La Società dei Naturalisti di Napoli venuta a conoscenza, in se¬ guito a notizie rilevate dalla Rivista Mensile « 1’ Universo w pubblicata dall' Istituto Geografico Militare (p. 163) e dagli Atti dell’ Vili Congresso Geografico italiano (Voi. 1, p. 49, Firenze 1921) che all'Università di Torino si conferirà la Laurea in Geografia, crede doveroso far noto : » Che fin dal U Congresso geografico italiano tenutosi a Genova nel sett. 1902 ^) ed in tutti gli altri successivi Congressi venne sempre propugnata la convenienza che le più frequentate Università italiane fos¬ sero messe in grado di poter conferire o la Laurea in Geografia od uno speciale diploma. w Che sin dal 1903, discutendosi nella Società dei Naturalisti di Na¬ poli un progetto di legge per la riunione di cattedre nelle scuole secon¬ darie, essendo presidente il prof. M. Geremicca, a sua proposta venne emesso il voto : » perchè V insegnamento scientifico trovi il suo completo svolgimento w si rende necessaria la istituzione di una Laurea in Geografia, il cui » insegnamento procede ora frazionato, monco e talora in modo affatto » primitivo M 2). « Che nell’anno successivo (1904) al Congresso geografico italiano tenutosi a Napoli, il Geremicca 3) espose quanto la Società dei Natu¬ ralisti aveva fatto perchè nell’ Università di Napoli fosse conferita la lau¬ rea in Geografia. >/ Che nello stesso Congresso il prof. De Grazia 4) lesse una Nota Atti del lo Congr. Geogr. Ital. Genova 18-25 sett. 1892, Voi. I, p. 313. Il Prof. Dalla Vedova svolse una relazione suirinsegnamento della Geografia nelle Università in rapporto specialmente al fine professionale di esso. 2) Boll. Soc. Nat. Napoli, Voi. 17, 1903, p. 299. ^) Atti del 5o Congr. Geogr. Ital. Napoli 6-11 aprile 1904, Voi. 2, p. 149, Prof. M. Geremicca : Sulla opportunità di istituire una laurea in Geografia. 4) Idem. p. 159 del lo Voi. e p. 243 del 2o Voi. A Firenze nel 1902 fu istituita presso T Istituto Superiore una scuola di Geografia, ma questa durò appena pochi anni. XXI dal titolo : La Scuola di Geografia in Firenze ed una futura in Na¬ poli, con la quale dimostrò che nella Università di Napoli esistono tutti gl' insegnamenti che permetterebbero di istituire una Scuola di Geo¬ grafia che potesse conferire Lauree speciali. w Che i prof. C. Chistoni e G. De Lorenzo hanno inviato al Mini¬ stero della P. 1. in data 3 luglio 1919 un memoriale in cui si propone la istituzione di una Scuola di Geografia in Napoli. w Che la Facoltà di Lettere e Filosofia fin dal 1929 ha fatto eguale proposta, valendosi del decreto 13 die. 1919 nP 28337. » La Società dei Naturalisti in Napoli, che, come Società scientifica è stata la prima a proporre che nell’Università di Napoli si conferisca la Laurea in Geografia non solo plaude alle proposte surriferite, ma ri¬ torna sul suo asserto che tale Laurea non richiede alcuna spesa da parte dello Stato, in quanto nella nostra Università oltrecchè esistere gl’in¬ segnamenti fondamentali per tale Laurea, cioè Geografia generale. Geo¬ logia, Geografia fisica. Fisica terrestre. Geodesia ed Astronomia esistono anche gl’insegnamenti di ordine complementare, quali l’Antropologia, la Statistica, 1’ Economia politica, ecc. w. Il socio Zirpolo legge una nota dal titolo : SuWomeofagismo della Asterina gibbosa Penn. e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Mazzarelli Giuseppe legge una nota dal titolo : Sulla bio¬ logia delVOstrea edulis e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Marcello legge una nota dal titolo : Ossservazioni su due casi teratologici di Raphanus sativus, e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. La tornata si chiude alle ore 17. Tornata del 4 giugno 1922. Presidente: Cutolo — Segretario: Gargano. Soci presenti : Giordani M., Mazzarelli Giuseppe, Giordani F. Zir¬ polo, Marcucci, Muratore, Chistone, Cavara, Califano. Si apre la tornata in seconda convocazione alle ore 16. Il Segretario legge il processo verbale della tornata 30 aprile, che è approvato. Il Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Il socio Chistoni fa presente lo stato deplorevole in cui si trova il Serapeo e riferisce un recente ed insulso provvedimento del Municipio di Pozzuoli, il quale, per bonificare la zona, vuole riempire di terreno — XXII il Tempio. Il socio Chistoni ritiene quindi necessario che la Società dei Naturalisti si interessi della cosa, suggerendo, per ovviare all’ incon¬ veniente della malaria, di aprire una comunicazione col mare; inoltre egli vorrebbe far collocare sul posto un mareografo per poter registrare i continui movimenti del mare. L’Assemblea, plaudendo alla proposta del socio Chistoni, delega il Presidente, perchè si occupi della cosa. Il socio Zirpolo legge una memoria dal titolo: Osservazioni sulla biofotogenesi e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Gargano legge una Memoria dal titolo: Inclusione di cellule negli epiteliomi^ e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Mazzarelli Giuseppe legge due note dal titolo : 1° Biologia delVHaminea hydatis 2° Sull'origine del rene definitivo degli Opistob ranchi, e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Gargano legge una nota dal titolo: Azione del radio sugli epiteliomi, e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Sono ammessi soci ordinari residenti i signori Capozzoli, Corradini, del Regno e Fiore. E' ammesso socio ordinario non residente il signor Prof. Lo Giudice. La tornata si chiude alle ore 17,30. Tornata ordinaria ed Assemblea generale del 9 luglio 1922. Presidente : Cutolo — Segretario : Gargano. Soci presenti: D’Evant, De Rosa, Carrelli, Serao, Mazzarelli Gu¬ stavo, Mazzarelli Giuseppe, Zirpolo, Marcucci, Salfi, Fiore, Bakunin, Pierantoni. Si apre la tornata in seconda convocazione alle ore 16. Il Segretario legge il processo verbale della tornata 4 giugno, che è approvato. Il Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Il socio Mazzarelli Giuseppe legge una nota del socio Lo Giudice dal titolo: La pesca delle acciughe, e ne chiede a nome dell’autore la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Gargano legge una memoria dal titolo : Le alterazioni prodotte nel fegato della Lacerta muralis Laur, dal Cysticercus dithy- ridium, e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. — XXIII In seguito alla recente sentenza della Corte di Appello di Napoli, che immetterebbe il signor Rinaldo Dohrn nella concessione della Sta¬ zione Zoologica di Napoli, il Presidente apre la discussione. L’Assemblea approva il seguente voto da trasmettersi alle autorità affinchè sia mantenuta l’ italianità di detto Istituto. « La Società dei Naturalisti in Napoli, che allo scoppiare della guerra fu la prima a levare la voce in prò della italianità della Sta¬ gione Zoologica di Napoli, determinando l'ampio ed unanime movi¬ mento che portò alla costituzione dell'ente autonomo italiano, « che non mancò di appoggiare con voti e deliberati lo sviluppo e l'affermazione di essa quale Istituto scientifico internazionale, con direzione ed amministrazione italiana, « che quale libera istituzione protestò col voto del 10 ottobre 1920 contro le ingiurie dei naturalisti tedeschi, che nell'Assemblea di Neuheim ne invocavano il ritorno alla Germania, proclamando la incapacità degli italiani a reggerne le sorti, « plaudendo alla nobile ed elevata discussione fatta in Consiglio Comunale nella seduta del 24 giugno e della deliberazione dell'alto consesso di perseverare nella lotta per l' italianità del glorioso Istituto, « stigmatizzando ancora una volta la protervia dei naturalisti te¬ deschi che per bocca del loro Presidente nella recente riunione di Gottinga insistevano ancora nel desiderio di vedersi nuovamente in possesso dell' Istituto, associandosi ai voti del Consiglio Comunale di Napoli e dei maggiori enti scientifici, naturalistici italiani fa voti « che il Governo del Re voglia definitivamente provvedere a ren¬ dere il glorioso Istituto un Ente con carattere internazionale, ma con direzione ed amministrazione italiana ». E' ammesso socio ordinario non residente il prof. Giulio Cotronei. L'Assemblea si chiude alle ore 17,30. CONSIGLIO DIRETTIVO PER l’anno 1922 Cutolo Enrico Pierantoni Umberto Gargano Claudio Giordani Mario De Rosa Francesco Capobianco Francesco Giordani Francesco Zirpolo Giuseppe Marcucci Ermete Salti Mario Zirpolo Giuseppe Presidente Vice-Presidente Segretario Vice-Segretario Consiglieri Cassiere Bibliotecario Redattore del Bollettino CONSIGLIO DIRETTIVO PER l’anno 1923 Cutolo Enrico Chistoni Ciro Monticelli Francesco Sav, Giordani Mario Salti Mario Zirpolo Giuseppe Giordani Francesco Quintieri Luigi Guadagno Michele Marcucci Ermete Salti Mario Parascandola Antonio Zirpolo Giuseppe Presidente Vice-Presidente Segretario Vice-Segretarii Consiglieri Cassiere Bibliotecario Vice-Bibliotecario Redattore del Bollettino / / ELENCO DEI SOCI (/ Gennaio 1923) BENEMERITI DELLA SOCIETÀ t Praus-Franceschini Carlo. Monticelli Francesco Saverio — Via Ponte di Ghiaia 27. Cutolo Enrico — Via Roma 404. SOCI ORDINARI RESIDENTI 1. Aguilar Eugenio — Vico Neve a Materdei 27. 2. Arena Ferdinando — Via Roma 129. 3. Bakunin Maria — R. Politecnico {Napoli) 4. Bruno Alessandro — Via Bari 30. 5. Capobianco Francesco — Via Sapienza 18. 6. Capozzoli Rinaldi — Corso Vittorio Emanuele 475. 7. Caroli Ernesto — Istituto Zoologico della R. Università. 8. Carrelli Antonio — S. Domenico Soriano 44. 9. Cavara Fridiano — R. Orto Botanico ^ Napoli. 10. Chistoni Ciro — Istituto di Fisica terrestre R. Univ. Napoli. 11. Corradini Flavio — Largo Dogana Nuova 4ò. 12. Cutolo Enrico — Via Roma 404. 13. D'Emilio Luigi — Via Depretis 41. 14. D’Evant Teodoro — Cisterna dell olio 25. 15. De Rosa Francesco — Via S. Lucia 62. 16. Del Regno Washington — Ist. Fisica R. Università Napoli. 17. Della Valle Antonio — Via Salvator Rosa 259. 18. Fenizia Gennaro — Via Foria 136. 19. Fiore Guido — Via Scarlatti 67. 20. Fedele Marco — Stazione Zoologica Napoli. 21. Forte Oreste — F/a Monteoliveto 37. 22. Gargano Claudio — Via S. Lucia 62. 23. Gargiulo Antonio — Via Venezia 33. 24. Getzel Demetrio — Via dei Mille 59. 25. Geremicca Federico — S, Teresa degli Scalzi 118. 26. Giordani Francesco — Corso Umberto I 34. 27. Giordani Mario — Corso Umberto 1 34. 28. Guadagno Michele — Via Foria 193. XXVIII 29. Marcello Leopoldo — Piazza Cavour - Farmacia Marcello, 30. Marcucci Ermete — Calata S. Severo alla Pietrasanta 27, 31. Mazzarelli Giuseppe — Via Michele Zannotti al Rettifilo 13. 32. Mazzarelli Gustavo — » » » » » 33. Milone Ugo — Via S. Lucia 173. 34. Monticelli Fr. Saverio — Ponte di Chiaia 27. 35. Morgera Arturo — Via Università 25. 36. Muratore Giuseppe — Via Francesco Saverio Correrà 207. 37. Parascandola Antonio — Corso Umberto 1. 153. 38. Pellegrino Giuseppe — 5. Carlo alle Mortelle 7, 39. Pierantoni Umberto — Galleria Umberto I, 27. 40. Police Gesualdo — Via Bausan 11. 41. Pomilio Umberto — Via S. Lucia 15, 42. Pozzi Olimpio — Soc. Generale Illumin. via Paolo E. Imbriani. 43. Quintieri Luigi — Via Amedeo 18. 44. Quintieri Quinto — Via Amedeo 18. 45. Romano Pasquale — Via Porta Medina 44. 46. Salti Mario — Via Montesilvano 30. 47. Sbordone Domenico — S. Domenico Maggiore 3. 48. Scacchi Eugenio . — Istituto di Mineralogia della R, Università. 49. Schettino Mario — Via Seberzia a S. Lucia 31. 50. Siniscalchi Alfonso — Via Salvator Rosa 249. 51. Trani Emilio — Via Campanile ai Miracoli 47. 52. Viglino Teresio — Piazza Dante 41. 53. Zirpolo Giuseppe— Via Duomo 193. SOCI ORDINARI NON RESIDENTI 1. Alfano Giov. Batt. — Osservatorio Meteorico-Geodinamico Valle di Pompei. 2. Biondi Gennaro — Resina. 3. Buffa Edmondo — Via Cavour 325, Roma. 4. Califano Luigi — Vico Forino a Foria 7. 5. Celentano Vincenzo — Vico Minatoli a Foria 33, Napoli. 6. Cerruti Attilio — Piazza Carbonella 2, Taranto. 7. Colombo Giuseppe — S. Biagio dei Librai 39. 8. Conti Pasquale — Villa Pane, Vomero. 9. Cotronei Giulio — Agostino Depretis 99 - Roma. 10. D'Avino Antonio — R. Liceo Nocera Inferiore. 11. Dalla Brida Costantino — Via Amedeo 9. 12. Fiore ÌAmdi — Corso Vittorio Emmanuele 466. XXIX 13. Foà Jone — Via Cisterna delVOlio 18 f Napoli. 14. Geremicca Alberto — Largo Avellino 4. 15. Guarnieri Francesco — Etacion Alien, Rep. Argentina. 16. Lo Giudice Pietro — Ist. zoologico R. Univ. Messina. 17. Magliano Rosario — Lagonegro. 18. Malladra Alessandro—/^. Osservatorio Vesuviano, Resina. 19. Mauro Anna Maria — Massafra {Lecce). 20. Mingioli Paolo — Materdei 8. 21. Neppi Valeria — Via Milano 3, Trieste. 22. Piccoli Raffaele — Via Cisterna dell olio 18, Napoli. 23. Palombi Arturo — Corso Garibaldi 84. Portici. 24. Patroni Carlo — R. Istituto Tecnico, Palermo. 25. Sbordone Annibaie — S. Domenico Maggiore 3. 26. Serao Carlo — Via Fiorentini 60. • SOCI ADERENTI 1. Alfieri Giulio — Via Posillipo 166. 2. Caruso Antonio — Via Ponienuovo 28. 3. Cutolo Claudia — Villa Claudia, Vomero. 4. Cutolo Costantino — Villa Duretti, Vomero. 5. Fidasi Giuseppe — Riviera di Chiaia 263. 6. Monticelli D’Afflitto Giuseppina — Ponte di Chiaia 27. Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio il . ^ . ^wL<« Acireale Bologna Brescia Cagliari Cassino Catania Ferrara Firenze ile puili[a2ioni peneoi ip (Pile {31 dicembre 1922) EUROPA Italia — R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti degli Ze¬ lanti {Memorie, Rendiconti). — Bollettino della R, Stazione sperimentale di agrumi- coltura e frutticoltura. — Société de la Flore Valdòtaine {Bollettino). — R. Accademia delle Scienze dell'Istituto {Rendiconti). — Commentari dell’Ateneo. — Bollettino della Società tra i Cultori delle Scienze mediche e naturali. Bollettino della Società Regionale contro la malaria. — La Meteorologia pratica. — R. Accademia Gioenia {Bollettino, Memorie). — Acc. di Scienze Mediche e Naturali. — Archivio per l’Antropologia e l’Etnologia. Società Botanica Italiana {Bollettino). Nuovo Giornale Botanico italiano. Bollettino bibliografico della Botanica italiana. Monitore Zoologico Italiano. « R e d i a Giornale di Entomologia. R. Società toscana di Orticoltura {Bollettino). R. Accademia dei Georgofili {Atti). Società entomologica italiana {Bollettino). L’Araldo Medico — Periodico bimestrale. Bollettino meteorologico dell’Osservatorio Ximeniano dei PP. delle Scuole Pie. ~ IV - Genova Intra Lodi Lucca Milano Messina Modena Napoli Padova Palermo — R. Accademia medica (Bollettino, Memorie) Museo civico di Storia Naturale {Annali). Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Università {Bollettino). Società ligustica di Scienze Naturali e Geografiche {Atti). Rivista ligure di Scienze, Lettere ed Arti. — Scuola Industriale. — R. Stazione sperimentale del Caseificio {Annuario). — R. Accademia lucchese {Atti). — Società Italiana di Scienze Naturali e Museo civico di Storia Naturale {Atti). — Rassegna Tecnica. Giornale di Ingegneri, Architetti, Agronomi ed Arti industriali. — Atti della Società dei Naturalisti e Matematici. Bollettino della Società Medico-Chirurgica di Modena. — R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche {Memorie, Rendiconti, Annuario) Accademia Pontaniana (Atti). Annuario del Museo Zoologico della R. Università. di Napoli (Nuova Serie). Orto Botanico della R. Università {Bollettino). Gl’Incurabili. Stazione Zoologica di Napoli {Pubblicazioni). Annali di Nevrologia. Rivista Agraria. Società Africana d’Italia {Bollettino). Appennino meridionale. Bollettino trimestrale del Club Alpino Italiano. — Sezione di Napoli. Atti del R. Istituto d’incoraggiamento, L’Agricoltura. La Medicina sociale. — Accademia scientifica veneto-trentino-istriana {Atti) R. Stazione bacologia {Annuario). La Nuova Notarisia. La Voce dei Campi e dei Mercati. Il Raccoglitore — Il Naturalista siciliano. Giornale del Collegio degli Ingegneri agronomi. R. Istituto Botanico. Contribuzioni alla Biologia vegetale. R. Orto Botanico e Giardino coloniale {Bollettino) - V - Palermo Perugia Pisa Portici Roma Rovereto Sassari Scafati Siena Torino Trieste Udine Venezia — Annuario biografico del Circolo Matematico. — Annali della Facoltà di Medicina e Memorie della Accademia Medico-chirurgica. — Società toscana di Scienze Naturali {Memorie^ Pro- cessi verbali). — R. Scuola Superiore di Agricoltura {Annali). Annali della stazione per le malattie infettive del bestiame. Laboratorio di Zoologia generale ed Agraria {Bol¬ lettino). — R. Accademia dei Lincei {Rendiconti). R. Accademia Medica {Bollettino, Atti). R. Comitato Geologico Italiano {Bollettino). Ministero di Agricoltura {Annali). Laboratorio di Anatomia normale della R. Università {Ricerche). Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei {Atti). Società Zoologica Italiana {Bollettino). Società Italiana per il Progresso delle Scienze {Atti). R. Stazione chimico-agraria sperimentale {Annali). Archivio di Farmacognosia e Scienze affini. Gazzetta Chimica. Annuario bibliografico italiano delle scienze Medi¬ che ed affini. Rassegna di pesca. — Accademia degli Agiati {Atti). Museo civico {Pubblicazióni). ' — - Studi sassaresi. Bollettino tecnico della coltivazione dei Tabacchi. — Rivista italiana di Scienze Naturali. — R. Accademia delle Scienze {Atti). Club Alpino Italiano {Rivista, Bollettino). Musei di Zoologia e di Anatomia comparata della R. Università {Bollettino). — Scienza ed Arte. — Mondo Sotterraneo Rivista di Speleologia. ™ L’Ateneo veneto. Bollettino bimestrale del R. Comitato Talassografico Italiano. - VI - Verona Valle di Pompei Helsingfors Bordeaux Cherbourg Langres Levallois-Perret Nancy Nantes Nice Paris Bruxelles Louvain Budapest Kolozsvar Accademia di Agricoltura, Scienze, Lettere, Arti e Commercio Memorie). Bollettino dell'Osservatorio meteorico-geodinamico. Finlandia Societas prò Fauna et Flora fennica [Acta, Medde- landen). Francia Société d' Océanographie du Golfe de Gascogne (Rapports). Société nationale des Sciences 'Naturelles et Mathé- matiques {Mémoires). Société de Sciences Naturelles de la Flaute Marne {Balletin). Association des Naturalistes {Balletin). Société des Sciences et Réunion biologique de Nancy {Balletin des séances). Bibliographie Anatomique. Société des Sciences Naturelles de 1' Quest de la France {Balletin). - Riviera scientifique. -Journal de l' Anatomie et de la Physiologie de l’homme et des animaux. Société Zoologique de France {Balletin Mémoires). Muséum d'FIistoire Naturelle {Balletin). La feuille des jeunes naturalistes. La Revue de Phytopathologie et des maladies des Plantes. L’Astronomie. Belgio Bulletin sismique. Société Royale Zoologique. ■ La Cellule. Ungheria Aquila - Zeitschrjft des K. Ung. Ornith. Institutes. Mùzeumi Fùzetek az erdelynemzeti Asvàni tàrànak. Graz Brunn Wien Bonn Giistrow Berlin Leipzig Giessen Cambridge London Plymouth Tromsoe Amsterdam - VII - Iugoslavia Mitteilungen des Naturwisssnschaftlichen Vereins fur Steiermak. Czeco - Slovacchia — Verhandl. des Naturforsch. Vereins. Austria — Verh der K-K. Zoologisch. - botanisch. Gesellschaft. Annalen des Naturhistorischen Hof Museum. Germania — Naturshistorische Vereins derpreussischen Rheilande. “ Archiv des Vereins der Freunde der Naturgeschichte, — Verhandlungen des BotanischesVereins der Provenz Brandeburg. Sitz. der Gesellsch. Naturfosch. Freunde. — Herbarium. — Bericht der Oberhessischen Gesellschaft fiir Natur und Fleilkunde. Inghilterra Philosophical Society (ProceedingSf Transactions), — Royal Society {Proceedings, Reports of thè Sleeping sickness Commission ) . — Marine Biologica! Association of thè United King- dom (Journal). Norvegia — Tromsoe Museum. Olanda — Academie Royal e {Memoires). - vili - Coimbra Lisbona Barcelona Cartuja Madrid Zaragoza Valencia Upsala Stockholm Chur Lugano Zurich Tokyo Portogallo — Annaes scientificos da Academia Polytecnica do Porto. — Bulletin de la Société Portugaise de Sciences Na- turelles. Spagna — Institució catalana d’Historia Naturai {Butleti). La Ciencia Agricola. Butleti del Club Montanyenc. Ayuntamento de Barcelona. — Boletin mensuel de la Estaciòn Sismologica. — Memorias de la Reai Siciedad espanola de Histo- ria Naturai. Sociedad espanola de Historia Naturai (Anales^ Bo- letìn). — Sociedad hiberica de Ciencias Naturales (Boletin)' Associación de Labradores de Zaragoza y su pro¬ vincia, Anales de la Facultad de Ciencias. — Anales de l’Instituto Tecnico. Svezia ^ Geological Institution of thè University of Upsala (Bulletin). — K. Vet. Akadems-Bibliothek (Arkiv for Botanik, Arkiv for Zoologi). Svizzera — Naturforschenden Gesellschaft Qrmhnndtn'sQahres- bericht). — Società ticinese di Scienze Naturali (Bollettino). — Societas Entomologica. ASIA Giappone — Annotationes Zoologicae japonenses. AFRICA Cairo Buenos -Ayres Rio de Janeiro Nicteroy Halifax Santiago Bogotà Messico Puerto Bertoni Egitto Société Entomologique d' Ègypte {Balletin , Mé- moires). AMERICHE Argentina Museo nacional {Anales, Comunicaciones). Brasile Archivos do Museu Nacional. Escola sup. de Agricultura. Canada Nova Scotian Institute of Scienze. Société scientifique du Chili {Actes). Colombia E1 Agricultor. — Organo de la Sociedad de los Agricultores colombianos. Revista del Ministerio de Obras publicas. Messico Sociedad Cientifica Antonio Alzate {Memorias, Revista). Institùto Geologico (Boletin, Perargones). Anales del Institùto Medico Nacional. La Naturaleza. Boletin de la dereccion d’Estudios Biologicos. Revista Mesicana de Biologia. Paraguay Estacion Agronomica. - X - Perù' Lima Boletin de la Societad geografica. San Salvador San Salvador — Museo Nacional (Anales). Stati Uniti Berkeley — University of California {Publications, Balletin), Boston — Society of Naturai Hi story {Proceedings). Brooklyn — Cold Spring Harbor Monographs. Chaphell Hill -- Elisha Mitchell scientific Society (Journal). Cincinnati — Bull, of thè Lloyd Library of Botany etc. Mìnneopolìs — The University of Minnesota. Urbana — Illinois biological monographs. Bull, of thè state Laboratory of Hist. Nat. Chicago — Academy of Sciences (Bulletin, Annual Report). Field Museum of Naturai History (Department of Botany). Madison — Wisconsin Academy of Sciences, Arts and Lettres (Transactions). Wisconsin Geological and Naturai History Survey (Bulletin). Missoula — Bulletin of thè University of Montana (Biologica Series). New York — Botanical Garden (Bulletin). Notre Dame Indiana — The American Midland Naturalist. Philadelphia —Academy of Naturai Sciences (Proceedings). Saint Louis — Academy of Science (Transactions), Missouri Botanical garden (Annual Report). Springfield (Massachussets) — Museum of Naturai History. Tufts College (Massachussets) — Studies. Washington — United States Geological Survey (Annual Report)*. U. S. Department of Agriculture. — Division of Ornithology and Mammalogy (Bulletin North Ame¬ rican Fauna). Smithsonian Institution (Annual Report). Washington Montevideo — U. S. National Museum (Balletin), U. S. Department of Agriculture (Jearbook). U. S. Department of Agriculture. — Bureau of Ani¬ mai Industry (Annual Report). Carnegie Institution of Washington (Publications). The Rockfeller Sanitary Commission for thè Era- dication of Hookworm Desease. Uruguay — Museo nacional. Seccion historico-filosofica (Anales, Cornuti icaciones ) . INDICE ATTI (MEMORIE E NOTE) Giordani F. — Commemorazione di Vincenzo Gauthier. — Con ritratto . . . . pag. Cavara F. — Commemorazione di Nicola Terracciano — Con ritratto . . Gargano C. — Dei tumori spontanei nei mammiferi. — Endotelio- ma della cavità pleurica in un gatto . . ZiRPOLO G. — Studi sulla bioluminescenza batterica . „ Cavara F. — Commemorazione di Michele Geremicca. — Con ritratto. . . . . , . . . . „ Malladra A. — L'attività del Vesuvio neH'anno 1918 . . . „ ZiRPOLO G. — Osservazioni sulla biofotogenesi . . Gargano C. — Di una speciale degenerazione delle cellule dei sarcomi . „ Mazzarelli G. — Note sulla biologia dell'Ostrica {Ostrea edulis L.). „ ZiRPOLO G. — Notizia di wxì’Astenas glacialis O. F. M u 1 1 e r con sei braccia pescata nel Golfo di Napoli . . . . „ Marcello L. — Breve nota su alcuni casi teratologici nel Raphanus sativus . „ ZiRPOLO G. — SuH’omeofagismo dtW Asterina gibbosa Perni. . . „ Gargano C. — Inclusioni di cellule negli epiteliomi. . . . „ Gargano C. — Azione del radio sugli epiteliomi . „ Mazzarelli G. — La " secca „ del Pampano . „ COTRONEI G. — Ricerche sui pancreas dei Petromizonti . . . „ Lo Giudice P. — Le acciughe dei mari italiani . ... „ Gargano C. — Esperimenti di cultura in vitro di tessuti di Belaci. „ Carrelli A. — La decomposizione elettrica delle righe spettrali . „ Del Regno W. — Gli elementi diottrici dell'occhio afachico . . „ Mazzarelli G. — Nota sulla biologia dell'ostrica {Ostrea edulis L.). „ Guadagno M. — La vegetazione del Monte Nuovo e le sue origini. „ PiERANTONi U. — Sulla biofotogenesi simbiotica . . . . „ 3 19 33 46 51 69 128 133 151 160 163 166 169 180 182 194 197 210 216 230 234 238 307 COMUNICAZIONI VERBALI ZiRPOLO G. — Sulla biologia del Zoobotryon pellucidam Ehrbq. pag. 3 Carrelli A. — Sul raggio deiratomo . „ 7 ZiRPOLO G. — Sulla presenza di organi simbiotici ntW’Himdo me- dicinalis L . . 12 RENDICONTI DELLE TORNATE (PROCESSI VERBALI) Processi verbali delle tornate 1921 . pag. iii » » » » 1922 . . XIII Consiglio direttivo per l’anno 1922-923 . . . „ xxv Elenco dei socii . . xxvii Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio . • . . . » ni Gli autori assumono la piena responsabilità dei loro scritti. TAVOLE Boll. d. Soc. dei Nat. in. Napoli, Voi. XXXIV. Tav. 1 Boll. d. Soc. dei Nat. in Napoli, Voi. XXXIV. Tav. 2. fig. 3. Fig. 4. I Boll. d. Soc. dei Nat. in Napoli, Voi. XXXIV. Tav. 3 Fig-. 5. Boll. d. Soc. dei Nat. in Napoli, Voi. XXXV. Tav. 4, Fig. 2, . 4"i ^ '‘ '>•' li' .M r- >’ / ' -' ^X ' - : ^ ^ ^ ' ‘ - ■.•;:< ' ; . v.v» ^ ''V> 7 "*■■■' -^^ ■' ' ' ‘ xx' ■ ■vf'v: ,..' ': ■■■'';■ ■ :■■ ^«-:''v;'-^-’vV-''-"'''"^,ìp V':.:--J^-\ : ■• •: ' , jÌXXr'-{^ • ' - :- ::• '-.XXiX>7.yV',\ 'p/'^X-v^X : •.“, XX" -X-XXXv '■X' '■"V. . 'vi . :'v /v- ‘ • :K- '■ V' '.: . 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' ® .:. <^" ' IF XX I " ^ :x I , ^ I \ ^ l«*® * »S, « % i *> « ^-r>4: - ^ I K.SSr'nv tJ*^. Fig. 3. '' ì>v^,-^Am=ì 4, . „ -i.'..fiia^«fs,-^^« ■.. - -ei''.'Kv X ^' ■ "■%fe f ■ ' ■^è4 ^ #oa, \ '^Vk V, \ V-JS% ^ V % '"e *''^■1^’- ^'i ©t*t? "Ij ''-%■ I i 'j % ' 0 y' ^1 ^ 'cyx . 'É\ Fi'-' é"!: .'? '■-'"■■ ■ >■. i ?• ■ . ■ *-»-i.K^é --^,0^ V , *.' ^- ■*^ f S ^ ■' ,. -v- 'i ,VV,' 1^ ■ ?!>, fi, % •., ‘^'" ^ R..varai-i stó. vi.' Fig. 4. Tav. 5. Boll. d. Soc. dei Nat. in Napoli, Voi. XXX V. Tav. 6. C. Gargano ad nai. del. Tav. 7 r Boll. d. Soc. dei Nat. in Napoli, Voi. XXXV. Fig. 15. Fig. 16. Fig. 18. C. Gargano ad nat. del. Boll. d. ' Soc. dei Nat. ia Napoli, Voi. XXX V. Tav. 8. Fig. 19. Fig. 20. Fig. -21. Fig. -23. Fig. 22. Fig. 24. { Ce Gargano ad nat. del. ^oU. d. Soc. deò Voi-^XX/^. Tht/. S. Q"J [«.j ’ay/^n/i/y Piojut esi^uiiu e*t 0 US itii.'ó .. ffazzu/'e/Zi ScoUco y 3000 Se^ni. c^nueftiùzn ; quello ùi lasxp la /j/'c/vnditd deà/’/fueuiàt \/òÒ]l^aàncàM seffn/Ua, sulla caria /i* /g? del A./stdulo /drc^ru/ì'ca _ lùtea àaiunetrÙM. dlctreet ISdai^seynata^ sulla caria ni /27 del JU/. X Hoccia, dove non esìste altra., ùidloaaìone il /hnoio e /annoso L... :..J Zo/ta. ecctcpct/a. doUla- ,, Sec<.CL^„ Fosixtone ffeeffraUcO' del punta %\Lat IrO^ lt5'23'' di' Zon^ /i>-*//‘7"E llr. u - ^ ^ih JS* ì; g « \ V Bell- d. eU^ ^yrat-in.jrap*u y,/jwy. Ttu-. /O. C2y^Z^-Ct ;. cZ-e^ 'a/np^io Cft. Aez.i^n^ f/e^ ^rLar>ey ■rrva^ey ■/. 3S0(? I I . . <'- > ». ■ .1922^ . . Consiglio direttivo per Tanno 1922-923» . ; . Elenco dei socii . . . . . . . . . Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio . ^ pag. Ili „ XIII „ XXV ■„ XXVII III Gli autori assumono la piena responsabilità dei loro scritti. ^ — — — .. tysm Per quanto concerne la parte scientifica ed amministrativa dirigersi al SEGRETARIO DELLA SOCIETÀ’ .A : . Dr. Prof. Fr. Sav. Monticelli 7 i ; ; R. Università — Via Mezzocannone ' 4’ » ' ì ? 1 l r I' . Y f ’t I Li SMITHSONIAN INSTiTUTfON LIBRARliS 3 9088 01315 8373 / , ’J J ■ ’i J» J k b I ] » * 1 » » . >i *• 9 ì 1 ■ M »l ^ J ’ * > i^- 1 V i ^ * > .’ v"'.;.: ■1^. ► ’V» , VJ 9K9l '' . \ 9^ - .*/■■' > » ' * > 7 o > ■ :■■ ' ^ '■/ 'J^- Jr- ,