LOTO PA ESRI #96 i gono A ARIAS attratta tata; PESCI 1 ICI] 22 CERTO Piet EI Rea tatgigloleroratezens Sla ona dn RI ETEITOTITO Pira - : : at 3 Pepapapne +97 citato 1 HER Gr ogagiraro —4- PI ROEIE allea aes. astoott FERVARDRUNIMERSIENE IV ZIRATTONE OP THE MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY, (3,204 dA le NI i; OF è raloe SÌ Mi TUA SA ia UUL 12. 1897 | BOLLETTINO DEI MUSEI id ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA \ i 5 i * ‘ DELLA R. UNIVERSITA DI GENOVA I DIRETTO DAI PROFESSORI CORRADO PARONA GIACOMO CATTANEO. (ZOOLOGIA) + (ANATOMIA COMBI) 1895-96 N° 28-55; IX TavoLE LI | P, Î i D ul $ GENOVA È i | TIPOGRAFIA DI ANGELO CIMINAGO Di Vico Mele 7, int. ò # ST1897. pa i Ra (ea DI INDICE DEL VOLUME 1. 1892-1894. — C. Parona e G. Cattaneo, Cenni storici. 1. G. Cattaneo, Influenza del letargo sulle forme e i fenomeni delle ec' ‘ lule ameboidi negli invertebrati. 2. T. ParLeccui, Nota sui cromatofori dei cefalopodi. È 5. F. Mazza, Caso di dicefalia derodimica in un Amnguzs fragilis (1 tay.) P. Loncni, L'eserina nella tecnica protistologica. i. ». G. CarTANEO, Sulle papille esofagee e gastriche del Zuvarus impertalis. È 6. E. SertI, Elminti dell’Eritrea e delle regioni limitrofe (1 tav.). 7. F. Mazza, Sul cuore della Cephaloptera Giorna (1 tav. . S. C. Parona, Di alcuni Tisanuri e Collembole della Birmania (1 tav., 9. C. Parona, Larva di Dermatobia (Torcel) nell'uomo. 3 10. G. Cartanro, Sull’anatomia dello stomaco del Pferopus medius (6 fio. 11. C. Parona ed A. PerucIa, Didymozoon Erocoeti Par. Per. (Monosto mum filum G. Wag.). 12. C. Parona, Aymenolepis Moniezti n. sp. parassita del Pleropus medéi . ed H. acuta Rud. dei pipistrelli nostrali. 13. A. Peruora, Sul 7richosoma del fegato dei Muridi. 14. P. Creresia, Della Suderztes domuncula e della sua simbiosi coi Mia guri (4 tav.). i 15. C. Parona, Sopra una straordinaria polielmintiasi da echinorinco nel Globicephalus Svineval pescato nel mare di Genova (1 tav.). 16. A. Lupi, Sulla natura della fosforescenza animale. 17. T. ParLeccHI, Sulla resistenza vitale dell’Anguillula dell’ aceto. ] 18. M. SaccHi, Sulle minute differenze fra gli organi omo dei pleu; ronettidi ‘1 tav.). } 19. C. Parona e G. CartanEO, Note anatomiche e ooloZiat sull’ etero cephalus Ruùpp. (1 tav.). 20. G. CattanEO, A proposito dell'’Arophrys Maggii (L tav.). 21. F. Mazza, Eteromorfie di alcuni pesci marini (2 tav.).” 22. S. OrLanpI, Note anatomiche sul Macroscincus Coctei Barb. d. Bo (2 tav). 23. G. CarranEo, Linneo evoluzionista ? } 24. G. CarranEo, Sullo stomaco del G/obicephalus Svineval e sulla dige stione gastrica dei delfinidi (1 tav.). 5 25. F. Mazza ed ‘A. PerucIa, Sulla glandola digitiforme (Leydig) nell. Chimaera monstrosa (2 tav.). 26. E. SertI, Osservazioni sul Distomum gigas Nardo {1 tav.). 27. E. Seti, La Elmintologia italiana del prof. C. Parona (Sunto critico INDICE DEL VOLUME ‘1895-1896. Utibe . G, Cartaneo. Delle varie teorie relative all'origine della metamer Me i 29. C. Parona, Elenco di alcune Collembole dell'Argentina (1 fig.). ve 30. M. Saccni, Sulla struttura degli organi. del veleno della Sc na Pei I. Spine delle pinne impari (1 tav... 1 A 31. C. Parona è A. Peruoia, Sopra 2 n. sp. di trematodi ectopa: ; di pesci marini de fig.). AÎ i > SR Va Se nei a (1 tav.). PAN pg 33. C. PARONA, ranigrntalog accrescimento degli incisivi nei Conigli a i os sn) e dopo il parto. ita i 35. C. Parona, Acari Ra dell’ ‘Eterocefalo (Sefig)o bis 6. 3: Ara A IL Spine delle pinne pari (1 ESA ife 37. A. Sappatini, Nota sugli Echinorinchi dei Cetacei (1 sof PE 38. V. ArioLa, Due nuove specie di Botriocefali (4 fig). wi: 39. P. CeLESIA, Intorno ad una coppia di gatti anuri dell’isola di i pi (1 tav.). : E 40. P. Ceresia, Ricerche RE sull’ eredità progressiva. oral 41. A. Brian, L’Euphausia Milleri comparsa in quantità straordinaria pun porto di Genova. G. Damiani, Sul Maurolicus amethystino-punctatus, ecc. . C. Parona, Una rettifica.storica sulla Nzlaria immitis. L. C. Parona, Di alcuni nematodi dei Diplopodi (1 tav.). IR i : n 45. C. Parona e V. ARIOLA, Bilharzia Kowalewskii n. sp. Da Larus: e E lanocephalus (1 fig.). i 46. C. Parona e A. PeruGIA, Due n. sp. di trematodi delle branchie Brama Rayi (4 fig.). : 47. V. Arrota, Sulla Bofkriolaenia plicata e sul suo sviluppo e fic. 48. G. Cattaneo, I fenomeni biologici delle cellule ameboidi, ecc. 259 S. OrLanpi, Di alcuni anellidi policheti del Mediterraneo (1 tav.). to “50. C. Parona, Intorno ad alcuni Distomi nuovi o poco noti (7 fig.). gl=G: Gar. Le sobbe e le callosità dei cammelli in AE questione dell'eredità dei caratteri acquisiti. Coni w bl tin sE Mede = E do v a 9 27 38. G. Carraneo, I fattori dell’ evoluzione biologica (Sunto di disco . inaugurale). SIR 4 o4. G. CatTANEO, In memoria di Raffaello Zoia (con ritratto). DO. c: Parona, Notizie storiche sopra i Dl Cetacei nei Ia italia» tunno 1896. DD Pt * N ll addgatenmo ; CALL ID! LI 74264 BOLLETTINO DEI NUSRI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N.° 28. 1895. GiAcOMO CATTANEO Delle varie teorie relative all’ origine della metameria, e del nesso fra il concetto aggregativo e differenziativo delle forme animali (1). Uno dei fatti più generali e interessanti della biologia è quello della vita sociale, in seguito alla riproduzione seg- mentativa o gemmipara, e dell’accentramento di tali società o colonie, in modo da formare individualità di grado supe- riore, in cui, mercè la divisione del lavoro e la localizza- zione delle funzioni fra i singoli individui aggregati, questi scendono al grado di organi. Già nei protozoi vediamo forme isolate, veri individui pri- mordiali, costituiti da una sola cellula (Cyta), e forme ag- gregate, come le uvelle, le dendromonadi, i falansterii ; quando gli individui unicellulari sono così intimamente uniti come nelle magosfere e nelle labirintulee, si ha un grado di passaggio a veri animali pluricellulari, o individui di secondo ordine (Blasti). Questi pure o possono presentarsi allo stato libero, con maggiore o minore differenziamento delle cellule che li compongono, in tessuti, organi e appa- recchi, o possono alla loro volta dare origine, mercè la gem- mazione, a forme aggregate. Le spugne, i celenterati cni- darii, alcuni vermi e tunicati ci offrono esempio di tali as- sociazioni. Ma in queste pure talvolta la società si fa più intima, come nelle pennatule, nei sifonofori e in qualche tu- nicato (Botryllus, Amaroecium), e passiamo così a una in- dividualità di 3.° ordine (Cladi), in cui gli individui inferiori, spesso ridotti al rado di organi, sono disposti in modo ra- diale, o arborescente, o in serie lineare. (4) Per una più estesa trattazione di questo argomento vedi G. CATTANEO, Manuale di embriologia e morfologia generale, cap. VI e VII Milano Hoepli, 1895. E come in una pianta parecchi rami, ciascuno dei quali porta parecchie gemme, sono riuniti in un solo tronco , così può determinarsi, pur negli animali, un’ individualità ancora più elevata, qualora parecchie colonie crescano su un sostegno comune, come in alcune complicatissime società li celenterati (coralli, gorgonie, madrepore, ecc.) (Corms). Nei citati animali i fatti dell’associazione successiva sono ben chiari, e da essi si ritraggono conclusioni evidenti. Ma lo stesso non può dirsi a proposito di altri animali, e spe- cialmente di alcuni tipi elevati, quali gli anellidi, gli echi- nodermi, gli artropodi e i vertebrati. In essi il fenomeno dell’ individualità è molto oscuro e si presta a differenti in- terpretazioni. Quando vediamo un anellide costituito di molti segmenti ben distinti, e fra loro eguali, in ciascuno dei quali si tro- vano ripetuti tutti gli organi del corpo, ci sorge facilmente l’idea che si tratti di un animale multiplo, paragonabile alla serie lineare degli individui del Microstomewm o della Ca- tenula, o alla serie delle proglottidi di una tenia. Ogni seg- mento, contenendo un paio di ganglii nervosi, di organi e- scretori, di sacchi gastrici, di glandole riproduttive, ecc., si presenta quasi come un individuo completo. Considerando le cose a questo modo, la metameria prover- rebbe dalla semmazione terminale di un individuo acamico, che generò dietro di sè una colonia. Tale infatti fu il eon- cetto che si fecero della cenesi della metameria Mouquin- Tandon (1827) (!) e ES (1832) (*), e che fu poi sviluppato da Haeckel (1866-78) (*): venne seguito da me pure nei miei varii lavori sull’ individualità (1879-83) (1) ), € da Perrier nel suo libro sulle colonie animali (1881) (?). Trovavamo una giustificazione di esso nel confronto coi tetti multipli o nell'esistenza della riproduzione agamica in varii anellidi, (!) A. Movguin-Taxpox, Monographie des Hirudinées, 1827. ) (°) Duaris, Sur la conformité organigue dans l'échelle animale, 1832. 7) E. Harcket, Generelle Morphologie der Organismen, 1886. Id. Die Individualitàt des Thierkirpers. Jen. Zeitschr. 1878. (5) . Carrano, Ze individualità animali, 1879. L'origine della meta- meria, ‘1882. Le colonie lineari e la morfologia dei molluschi, 1883, ecc V) E. Pranicn, Zes colonies animales. Paris. 18S1. i quali possono per gemmazione produrre delle vere colonie lineari di individui (SyZis, Nais, Nereis, Chaetogaster , Autolytus, Myrianida). Naturalmente la metameria degli artropodi e vertebrati non era da ritenersi come in essi for- matasi nel loro presente stato, ma siccome questi due tipi si fanno risalire agli anellidi, essi pure, per la loro origine, potean ritenersi come animali multipli. Recentemente parecchi zoologi proposero altre spiegazioni dell’origine della metameria. La formazione delle proglottidi dei cestodi fu spiegata con l'accrescimento della parte po- steriore del corpo, che aumentando in lunghezza per l’enor- me sviluppo degli organi sessuali, sì decentra in varie re- gioni, in ciascuna delle quali si ripete un complicato appa- recchio ermafroditico completo. La metameria esterna dei rotiferi fu considerata come una segmentazione locomotoria. in adattamento al modo di movimento, e senza connessione con la disposizione interna degli organi. E un’origine con- simile fu assegnata alla metameria degli anellidi e artro- podi, cominciata dal tegumento, come articolazione che fa- cilitava, col moto laterale del corpo, il moto di progressione, e si estese poi, dall'esterno all’interno, ai muscoli e ai vi- sceri. Molto speciosa è l'opinione di Sedgwick, che derivò la metameria degli articolati dalla disposizione radiale delle attinie, per lo sviluppo preponderante di un asse : opinione non giustificata nè dall’embiologia, nè dalla filogenia (1). Per Lang (?) l’origine della metameria sarebbe dovuta a un differenziamento interno, per cui gli organi assumono una disposizione seriale, che diventa sempre più distinta ed estesa, fin a imprimersi anche nelle parti esterne e appen- dicolari del corpo. Sarebbe una sorta di decentramento che suddivide un corpo prima semplice in tante porzioni omo- dinamiche. Lang osservò che, tra i turbellarii, i policladi non sono metamerici, mentre i tricladi cominciano a pre- sentare sacculazioni seriali dell’intestino, commessure ner- vose trasversali, organi secretori e riproduttori in ordine metamerico, e ciò senza che sia avvenuta alcuna gemma- (!) HarscHEek, Zoologie, 1391. (9) Lana, Gunda segmentata. ecc. Mitth. Zool. Stat. zu Neapel. 1881 e Vergleich. Anal. 4 zione e che il corpo sia esternamente anellato. Tale dispo- sizione notasi specialmente nella Gunda, chiamata per ciò appunto segmentata. Dall’organizzazione della Gunda passando a quella della sanguisuga, da questa a quella della branchiobdella si può arrivare grado a grado alla metameria completa degli a- nellidi. Anche l’Emery (!) sì avvicina a questa opimione. In conclusione le accennate teorie, per quanto diverse tra loro, hanno questo di comune, che si schierano contro la concezione aggregativa o coloniale della metameria, ammet- tendo solo, in un modo o nell’altro, una genesi per diffe- renziamento, sia questo dovuto ad accrescimento o decentra- mento di organi, o a condizioni di locomozione, e proceda o dall’esterno all’interno o dall’interno all’esterno. Le due essenziali concezioni dell'origine della metameria, che stanno fra loro di fronte, sono dunque quella aggregativa e quella differenziativa. Riguardo a questi due modi di vedere, io mi astenni da qualsiasi unilateralità, poichè, sebbene io abbia sempre in- clinato a considerare i cestodi e gli anellidi come $orme multiple, pure feci notare che in altri casi, nei tunicati, nei molluschi, negli stessi vermi esistono degli organi disposti in serie, e che hanno evidentemente tale disposizione non pel fatto di una gemmazione terminale, ma solo per diffe- renziamento; un intero capitolo del mio libro sulle Colonie lineari e la inorfologia dei molluschi è dedicato appunto alla Pseudo-metameria, cioè al complesso di quelle dispo- sizioni in serie lineare che hanno un'origine differenziativa e non aggregativa. Il mio concetto fu sempre che nè l’una nè l’altra delle due teorie si possa generalizzare a tutte le forme, ma occorre vedere, nei singoli casi, se sì tratta dell’uno o dell’altro fenomeno. Ora una generalizzazione troppo grande della teoria dif- ferenziativa mi pare quella di coloro che la applicano alla disposizione segmentata dei cestodi, che assai meglio, se- condo me, si spiega come un’aggregazione in seguito a gem- mazione. In favore di ciò parla l’esistenza di forme semplici, (14) Emery, Colonie lincari e metameria, Giorn. internaz. di scienze me- diche, 1883. prive di metameri, come l’Archigetes, ll Amphilina e il Ca- ryophylaeus, di altre con piccolo nùmero di proglottidi , come la Taenia echinococcus e la T. nana, e di altre in- fine con proglottidi numerosissime. In favore della teoria co- loniare depongono anche i rapporti fra lo scolice e le pro- glottidi, 11 primo dei quali corrisponde all’individuo agamo o nutrice, che produce una serie di individui sessuati; se il cestode a proglottdi non è una colonia, non so quali altri animali possano più evidentemente considerarsi come mul- tipli. Ma i contradditori osservano che vi sono cestodi privi di proglottidi, come la Ligula. e in cui tuttavia gli organi sessuali sì ripetono in serie, e altri, come il Botkrince- phalus, in cui la segmentazione esterna non corrisponde sempre ed esattamente all’ interna; e che l'ordine secondo cui avviene la produzione delle proglottidi non coincide con quello secondo cui ha luogo la gemmazione terminale. A questi argomenti risponderei che le forme di ligula e di botriocefalo, anzichè primitive, sembrano essere regredite; infatti la mancanza degli uncini nel botriocefalo adulto, che l' Emery accampa come segno della sua inferiorità, pare invece un carattere di regressione, poichè la sua larva li possiede, e mostra perciò di essere probabilmente discesa da una di quelle forme armate in cui di solito la segmen- tazione esterna corrisponde esattamente all’ interna. Quanto all’ altro argomento relativo all'ordine della for- mazione delle proglottidi, ciò che importa assodare si è se tale formazione ha luogo o no per gemmazione ; l'ordine per sè stesso non prova nulla: poichè la gemmazione può avvenire con successione differente. Nel Chaetogaster e nel Microstomum il 1.° individuo produce il 2.° e questo il 3.° e così via, onde ciascuno è figlio del precedente e l’ul- timo formato è il più giovane. Nel caso invece della Myria- nida e della Nais l'individuo gemmante è sempre il primo: e ciascun individuo nuovo è inserito tra il primo e l’ultimo formato, cosicchè l’individuo estremo della catena è sempre il più vecchio. E tutti questi individui non sono fra loro padri, figli e nipoti, come nel caso precedente, ma, essendo tutti derivati dallo stesso, sono fratelli. Ora il caso dei ce- stodi è simile appunto a questo della Myriarida e della 6 Nais, nelle quali si tratta di gemmazione vera. Siccome questa può avvenire nell’ uno o nell’ altro ordine, dando sempre pet risultato una società d’individui, il modo di suc- cessione non prova nulla in contrario allo stato coloniare dei cestodi. Anzi il tentativo di considerare la formazione delle proglottidi come un puro fenomeno d’ accrescimento, va sempre più perdendo terreno ; e il concetto primitivo di Steenstrup, che assomiglia la formazione delle proglottidi dei cestodi alla strobilazione delle meduse torna a prender piede; la sola differenza è che nelle meduse la gemmazione avviene al lato anteriore, e nei cestodi al lato posteriore dell'individuo agamo. Lo stesso Lang, che deriva la meta- meria da un differenziamento, ritiene che i cestodi siano colonie; e Hatschek, che per qualche tempo aveva consen- tito alla teoria dell’accrescimento, è ora tornato alla teoria coloniare. Quando però si parla dei cestodi, e magari anche degli anellidi, come di animali sociali, bisogna bene intendersi sull’estensione che si vuol dare al concetto di società e di individuo; poichè in origine il disparere fra i sostenitori dell’una e dell’ altra teoria è più che tutto fondato su un malinteso. Gli uni, considerando la ripetizione degli organi in ciascun segmento e il loro modo di formazione embrio- logica, spesso assimilabile a una gemmazione, sono portati, per analogia con altri organismi sicuramente sociali, a ri- tenere i singoli segmenti come individui. Gli altri ribattono che non si tratta di individui, perchè essi non sono completi e autonomi, ma più o meno deficienti in varie parti, e fra loro connessi nell’individualità del tutto. Stando a questo modo di vedere, si potrebbe sopprimere l’intera teoria co- loniare, poichè in tutte le società animali in cui havvi ac- centramento di funzioni e divisione del lavoro, gli individui non sono mai completi, nè affatto fra loro indipendenti. Ora le gastree formanti una spugna, ì polipi componenti un an- tozoo, le forme medusoidi costituenti un sifonoforo negheremo noi che siano individui. solo perchè, come tali, sono in parte incompleti, e comunicano tra loro per un sistema di canali, o, come nel caso dei sifonofori, sono fra loro diversissimi, e fortemente accentrati nell’unità totale ? Il concetto stesso di società implica una certa dipendenza reciproca fra gli 7 individui, altrimenti si avrebbe una pura aggregazione inorganizzata. Inoltre Mouquin-Tandon, Dugés e Haeckel non diedero le loro teorie coloniari come complete dimostrazioni embriologiche o filogenetiche, ma piuttosto come schemi morfologici, derivati dal confronto fra gli animali compatti e con perfetto accentramento dei loro organi e quelli in cui la vita è distribuita in varii centri regolarmente disposti , in modo che questi, sebbene in parte coordinati a un centro comune, pure sono in parte da esso indipendenti. Ora, qua- lunque genesi si ascriva alla metameria, si può sempre dire, in senso morfologico, che un organismo diviso in tanti centri semi-indipendenti non è più un individuo semplice; la sua personalità si è sdoppiata, si è moltiplicata. Anche se si volesse ammettere la teoria differenziativa della metameria, il concetto d’individuo multiplo, per gli organismi profon- damente metamerici, può tuttavia rimanere. Considerando poi la questione più a fondo, si vede che il differenziamento e la moltiplicazione per gemmazione non sono due fenomeni così profondamente diversi come a prima vista parrebbe. Come già notò il Leuckart, non si può fare una netta distinzione tra gemmazione e accrescimento. La gemmazione è dovuta anzitutto a una proliferazione cellu- lare, diretta in modo che un gruppo di cellule tende a ren- dersi indipendente dall’organismo su cui cresce. È in tal modo che su di un’ Hydra, per segmentazione e differen- ziamento di alcune cellule delle pareti del corpo, si forma una gemma. Se il circolo vitale della gemma si separa com- pletamente da quello del genitore, si ha un organismo nuovo isolato; ma se la separazione è incompleta, il nuovo orga- nismo continua a vivere col genitore e coi fratelli come una società. Dunque la gemmazione è un fenomeno di decen- tramento nel circolo vitale di un organismo, che giunge al risultato di dividere un individuo unico in due o parecchi individui più o meno autonomi e completi. Ma anche il differenziamento, così profondo e regolare da produrre una netta metameria del corpo, è un fenomeno di decentramento. In un organismo semplice i singoli organi e apparecchi si distinguono in tante masse staccate, e così disposte, che ciascun segmento del corpo, contenendo un articolo dei singoli organi, assume una propria individua- lità. Questo fenomeno, se non è esattamente eguale alla gemmazione, ha dei punti di contatto con essa, e ad ogni modo ì risultati sono eguali. Inoltre, mentre è facile rilevare la distinzione fra il dif- ferenziamento e la gemmazione profonda, che produce in- dividui completi e indipendenti, non è facile vedere una dif- ferenza fra una gemmazione incompleta, quale è quella che produce solitamente le colonie di individui aggregati, e in parte accentrati e comunicanti, e un accrescimento decen- trato che conduce alla formazione di segmenti omonimi e semi-indipendenti. Stando così le cose, l’interpretare la costituzione meta- merica degli anellidi in senso aggregativo o differenziativo è piuttosto una questione subbiettiva che obbiettiva; sebbene lo ritenga che i fatti accertati della riproduzione gemmipara in molti anellidi daranno sempre un gran peso alla franca interpretazione coloniare. La quale, anche per gli anellidi, torna ora a prender piede pur fra coloro che prima la re- spingevano, come l’Hatschek. Quanto ho detto fin qui per la metameria, si può applicare alla costituzione raggiata degli echinodermi. I bracci di al- cune stelle di mare sono tanto indipendenti tra di loro, che, se uno è staccato, non solo non può vivere e strisciare da solo nell’acquario, ma, com’era noto e come più precisamente provarono le esperienze di Preyer (1887), può gsemmare alla sua estremità dando origine alle caratteristiche forme a co- meta, donde la rigenerazione dell’asteria intera. Io stesso ho osservato questo fatto nello scorso anno, e non mì rimane alcun dubbio. Anche la riproduzione agamica o schizogonia di alcune asterie e ofiure, che pure ebbi campo di osservare, è un fatto dello stesso significato. E si comprende, come dinanzi a tali fenomeni venga spontaneo il ritenere l’asteria come una forma multipla, allo stesso modo come è multiplo il Botryllus fra i tunicati, con la sola differenza che in que- sto gli individui riuniti hanno la cloaca in comune e le asterie avrebbero invece la bocca. Ma anche considerando con Se- mon (!) le braccia delle asterie come organi appendicolari, (') Semon, Die Int'eicklung der Synapta digitata ecc. Jen. Zeitschr. 1888. Die Homologien innerhalb des Echinodermenstummes. Morphol. Jahrbuch. 1830. omologhi ai tentacoli delle oloturie, i fatti non variano ; la loro indipendenza si mantiene sempre la stessa e senza esempio in organi puramente appendicolari; chè, se il cro- staceo rigenera la zampa amputata, non si dà mai che la zampa rigeneri il crostaceo, mentre il braccio staccato del- l’asteria rifà l’ individuo completo. Anche ammettendo la forma dell’ echinodermo come ‘dovuta a un decentramento e non a una gemmazione, tale decentramento sarebbe stato così profondo, da produrre un risultato anatomo-fisiologico analogo a quello dato da una gemmazione vera. Derivata in un modo o nell’altro, sta il fatto che non solo come schema morfologico, ma anche in senso fisiologico, la personalità dell’asteria è multipla. Sono ben lungi dal credere che questo nesso evidente tra la concezione differenziativa e aggregativa delle forme a- nimali basti per risolvere la questione; ritengo tuttavia che se si studiassero più profondamente i fenomeni dell’ accre- scimento e della riproduzione negli anellidi e negli echino- dermi, non mancherebbero fatti significativi per una riso- luzione obbiettiva del problema nel senso morfologico. Ma per quanto riguarda la dottrina dell’individualità animale, ciò che importerebbe anzitutto assodare è il grado di in- dipendenza tra le parti che compongono l’anellide e l’echi- nodermo ; ed a questo punto fisiologico intendo rivolgere la mia attenzione con dirette osservazioni. Genova, gennaio 1895. JUL i618s 13, d04 BOLLETTINO DEE MUSBE DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N.0 29. 1895. CorrADO PARONA Elenco di alcune Collembole argentine ('). Le notizie sulla distribuzione geografica delle Collembole e dei Tisanuri sono ancora al presente molto deficienti, perocchè solo poche regioni vennero esplorate a tale intento. È per questo che, trattandosi precisamente di una località, della quale, per quanto mi consta, non sono finora citati tali insetti, credo utile registrare una piccola serie di specie che mi furono comunicate per lo studio dal Prof. Carlo Berg e dal Museo Civico di Genova. Queste specie spettano quasi tutte alla fauna dell’ Argentina e quelle che ebbi dal Museo Civico di Genova furono raccolte per la maggior parte nei dintorni di La Plata dal Prot. Carlo Spe- gazzini. Per diverse ragioni non mi fu possibile compierne lo studio prima d'ora e chiedo venia ai due egregi colleghi di tanto ritardo. 1. Sminthurus viridis Linn. Lubbock: Monogr. Collemb., p. 100, PI. I — Tullberg: Sverig. Podur., p. 80, Taf. III In abbondanza ne raccolse a La Plata lo Spegazzini. Vi si notano le solite varietà nella colorazione generale e nelle macchie. 2. S. luteus Lbk. Lubbock: Monogr. cit., p. 108, PI. HI. Molti esemplari col precedente. La Plata, racc. Spegazzini. (!) Estrat.: Annali del Mus. civ. di Genova. Vol. XXXIV, 1895. 3. S. pallipes Bourl. Lubbock: Monogr. cit., p. 109, PI. IV. Sulle erbe natanti negli stagni presso La Plata. Un esemplare racc. Spegazzini. 4. S. fuscus De Geer Lubbock: Monogr. cit., p. 101, PI. IL Una dozzina di esemplari presentanti varietà di tinte e di macchie raccolse il Prof. Spegazzini col precedente. 5. S. niger Lbk. Lubbock: Monogr. cit., p. 111, PI. VI. Sulle erbe natanti e coi precedenti ne raccolse una diecina lo Spegazzini. 6. S. multifasciatus Reut. Reuter: Collemb. Cald. viv., p. 21. — H. Schòtt: System. u. Verbreit. Paleàrtisch. Collemb., p. 27, Taf. I, fig. 15-17. La Plata. Raccolse sei esemplari lo Spegazzini. 7. Tomocerus plumbeus Linn. Lubbock: Monogr. cit., p. 138, PI. XIX. Numerosi individui raccolse Berg ad Adroguè presso Buenos Aires fra le macerie negli orti in Gennaio e Febbraio. Abbon- dantemente ne trovò pure ovunque sotto le foglie cadute lo Spegazzini a La Plata. 8. Seira (Sira) elongata Nic. Nicolet: Mém. Soc. Helvet., p. 73, PI. VII fig. 6. — Tullberg: Sverig. Podur., p. 41, Taf. VI, fig. 22. Il Berg ne trovò un esemplare a Montevideo. 9. Beckia albinos Nic. Nicolet: Mém. Soc. cit., p. 67, Pl. VII, fig. 7. — Lubbock: Monogr. cit., p. 149, PI. XXIV. Nei formicai e sotto le pietre, piuttosto rara, raccolse lo Spe- gazzini a La Plata. 10. Cyphodeirus longicornis, n. sp. Lungh. del corpo (escluso capo ed antenne) . . mm. 2 sai delle; amfemmne st ot Datidella codaltt.\ SE Gi «visto dal disopra, nascosto dal torace. Mesonoto prominente, lungo più del capo. Metanoto lungo circa la metà della lunghezza del capo. Primo segmento addominale lungo quanto il metatorace, il 2.° il doppio del primo, il 3.° poco meno del se- condo, il 4.° lunghissimo. Colore del corpo ed appendici uniformemente È D) antenne giungono appena alla metà 93 del corpo, nella specie americana egua- gliano la lunghezza del corpo intero, gialliccio (esemplari in alcool). Somigliantissimo al ©. capucinus Nic.; però mentre in quest’ ultimo le esclusa la coda. Tre esemplari raccolse il Prof. Berg a Buenos Aires. 11. Entomobrya multifasciata Tullb. Brook: Linn. Soc. Journ. Z. Vol. XVII, p. 275, PI. XI. Molti esemplari, variabili nella disposizione delle macchie, raccolse lo Spegazzini a La Plata. 12. E. intermedia Brook brookMemngSocaelt pi, PI OX fig 15, IO: Sulle piante presso gli stagni a La Plata lo Spegazzini ne prese numerosi esemplari. 13. E. albocincta Templ. Templeton: Trans. Entomol. Soc., Vol. I — Brook: Linn. Soc. cit., XVII, PI. X, fig. 7. — H. Schòtt: System. u. Verbr. oetaf II, fedi, Lo Spegazzini raccolse sotto le foglie tre individui che riferisco alla specie del Templeton. Infatti si presentano affatto simili ai disegni dati dagli autori succitati, però la fascia bianca del quarto segmento addominale non è in tutti i tre individui egualmente estesa, per modo che si scorge una prevalenza della fascia nera sulla bianca dall’uno all’ altro. Le antenne sono nere con stretto cerchio bianco alle articolazioni. 14. E. cincta Lbk. Lubbock: Monogr. cit., p. 162, PL XXXV. Fra le macerie negli orti di Adroguè, presso Buenos Aires, il Berg raccolse alquanti esemplari di questa bella specie, che non è da confondersi, come fece alcuno, colla precedente. 15. E. (Be Geeria) disjuncia Nic. Nicolet: Mém. Soc. cit., p. 71, Pl. VII, fig. 2. — Brook: Linn. Soc. cit. XVII, p. 275 (E. multifasciata). Conservo questa denominazione specifica, sebbene il Brook l’abbia passata in sinonimia (1. cit.), per un esemplare che pre- senta il disegno delle macchie, per altro ben determinato, af- fatto identico a quello della figura 2.8 (1. cit.) del Nicolet. La Plata. Sotto i sassi racc. Spegazzini. 16. Isotoma palustris Lbk. Lubbock: Monogr. cit., p. 169. Pochi esemplari raccolse lo Spegazzini in uno stagno dei dintorni di La Plata e moltissimi in altra pozzanghera. 17. Achorutes murorum Bourl. Templeton: Trans. Entom. Soc., Vol. I, Pl. XII, fig. b. — Parona: Ann. Mus. Civ. Genova, Vol. IV, Ser. II, p. 475, 1887. Comunissimo nei dintorni di Buenos Aires, principalmente sulle acque, sulla terra umida e sulle foglie bagnate di Brassica oleracea. Racc. Berg. 18. A. armatus Nic. Nicolet: Mém. Soc. cit., p. 57, Pl. V, fig. 6. — Lubbock: Monogr. cit., p. 180, PI. XL. 5) Frequentissima presso Montevideo e nel dipartimento Soriano della Repubblica Uruguajana; racc. Berg. Lo Spegazzini ne inviò pure un'abbondante raccolta fatta in stagni presso La Plata. 19. A. purpurescens Lbk. Lubbock: Monogr. cit., p. 181, PI. XLI. A Buenos Aires e contorni ne raccolse il Berg in grande quantità. Un esemplare coll’ indicazione La Plata (leg. Deiters) mi fu comunicato da S. A. Poppe di Vegesack. Altri individui catturò lo Spegazzini sotto le pietre a La Plata. 20. Japyx solifugus Halid. Haliday: Trans. Linn. Soc., Vol. XXIV. — Lubbock: Monogr. Collemb., p. 215, PI. LXV. Lo Spegazzini ne raccolse tre esemplari a Santa Catalina, presso Buenos Aires, nelle fessure di terra cretosa in un bosco umidissimo. € 13,201 BOLLETTINO DEI NUSBI DI ZOOLOGIA K ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N.° 30. 1895. MARIA SACCHI Sulla struttura degli organi del veleno della Scorpena. I. SPINE DELLE PINNE IMPARI. (Tav. IV). Bra già noto nell'antichità che le punture e le morsica- ture di molti pesci sono nocive. Aristotele (') enumera fra questi anche la scorpena (cxootis, cxoprtos) senza però dichiarare che le sue punture fossero propriamente di natura velenosa. Plinio (*) si spiega meglio notando che l’ azione dannosa delle armi di molti pesci non è solo meccanica, ma anche venefica. Poi, fin dopo il 1500, non si ha nulla di positivo su questo argomento ittiologico, che si prestò invece alla fantasia dei posti i quali attribuirono ad alcuni di questi animali delle proprietà tossiche esagerate. Ma si ritorna al metodo di osservazione con Belon (8), Rondelet (4), Salviani (9), Gesner (6), i quali, a descrizioni pariicolareggiate di parecchi pesci, aggiungono esplicite di- chiarazioni sulla virulenza delle ferite da varî di essi in- ferte, e descrivono i consecutivi fenomeni di attossicamento. (4) ARISTOTELE, Jlepc Td Coma intopias. Libro V e VIII. (2) C. Puinu SecunpI, Historia naturalis, Augustae Taurinorum, 1832, Vol. VII pag. 482 (lib. 32.9). « Inter venena sunt piscium, porci marini spinae in dorso, cruciatu magno laesorum ». In questo passo egli accenna precisamente alla scorpena, ri- levando la natura del male ch’ essa produce e localizzando l'organo del ve- leno nelle spine della pinna dorsale. (5) P. Becon, Za nature ei la diversité des Poissons avec leurs pourtraicts, Paris, 1090. (4) RonpeLer Histoire des poissons., Lyon, 1558. (3) L SaLviani, Aquatilium animalium historia, 1554-1: (6) C. Grsnrer, Historiae animalium, lib. IV. Zurigo 15: OT 20 Ma più tardi questi vengono recisamente negati come tali, dapprima da Aldrovandi (!) (1614), poi da Sonnini (?), da Lacépède (3) (1798-1803), da Cuvier, (4) (1828-1849), da Chenu (°); i quali, istituite delle osservazioni puramente macroscopiche, non trovarono mai, nè presso i denti delle murene, nè presso le spine dorsali, anali ed opercolari dei pesci già designati come velenosi, glandule evidenti e sca- nalature pronunciate adatte a condurre un liquido all’esterno; e ritennero pregiudizio volgare l’opinione dei pescatori, dei viaggiatori, nonchè dei naturalisti, che avevano già asserito venefiche le punture di varî pesci e le morsicature: delle murene, attribuendo gli effetti perniciosi delle punture alla vivacità con cui sì dibatte il pesce quando viene afferrato, alla profondità di penetrazione delle spine, alla loro sot- tigliezza, durezza e forma, e tutt’ al più all’introduzione nella ferita di un po’ della mucosità di cui il pesce è coperto. Finalmente nel 1841 Allmann (6) scoprì in ognuna delle due cavità coniche alla base della spina opercolare del 7ra- chinus una piccola massa polposa, ed espresse dubitativa- mente l’ opinione che potesse essere di natura glandulare e che il veleno stesse nella guaina polposa della spina. Poi Byerley (°) nel 1849 rappresentò delle spine operco- lari e dorsali del Zrachinus, e le glandule in connessione con le spine; ma i suoi reperti non furono molto apprez- zati da qualche osservatore che gli seguì, come Giinther (8) (1) U. ALpRovanpI, De piscibus et cetis, 1614. (°) Sonnini, ZHistoire générale et particuliere des poissons, (in Suites è Buffon). () Lacepèbe, Histoire naturelle des poissons, Paris, 1798-1803. 4) Cuvier et VarencieNNEsS, ZMisloîre naturelle. des poissons, Paris» 1828-1849. (*) Cnenu, Ercyclop. d' Histoire naturelle. (9) G.J. Arrwana, On the Stinging-properties of the lesser Weewer (Trach. vipera). Annals of Nat. Hist. Vol. VI, 1841, pag. 161. (7) BverLey, Proceed. Liter. and philosoph. Soc. of Liverpool, N. 5, 1849, p. 156. (%) A. Giinruer, Catal. of Fishes of British Museum, London 1859-1870. — The study of Fishes Edinburgh 1880. — Art. Ichthyolog. in Encycel. Brit., 1881. — On a poison-organ în a genus of Batrachoid Fishes, Proc. Zool. Soc. 1864, pag. 155. (D6) (1864), il quale pensava che la sostanza polposa vista da Byerley fosse semplicemente il liquido venefico stesso coa- gulato e indurito dall’ alcool in cui l’ esemplare era stato conservato: egli espose in altro lavoro (1880-81) che non crede esistano organi veleniferi speciali, ma ritiene per certo che la secrezione mucosa esterna vicina alle spine abbia proprietà venefiche. Questo stesso autore scopre frattanto e descrive nel 1864 la glandula velenosa della TRalassophryne reticulata, mentre press’ a poco in quel tempo Nadeaud (!) descrive la glandula velenifera della Synanceia brachio. Canestrini (?) ritiene attendibili le conclusioni di Byerley. Bleeker (3), Couch (‘), Yarrel (°), Macalister (9), Day (7), Seeley (8), Tybring (°), riferendosi tutti generalmente al Trachinus, sì esprimono analogamente; chi riportando le congetture popolari e notando che però non si sa nulla di certo sul posto dove stia il veleno (Day), chi dicendo che le ferite sono accidentali, non inferte a scopo di difesa o di offesa, e che ad ogni modo non producono emissione di alcun fluido venefico. Finalmente l’esistenza di questi organi del veleno, in pe- sci popolarmente noti come assal dannosi, si afferma di nuovo, per le osservazioni di Schmidt (19) (1875), che trovò, nelle scanalature delle spine, cellule glandulari di gran dimensioni; per quelle di Bottard (1879) sull’ apparecchio del veleno nella Synanceia, nella Scorpaena, nel Plotosus (!) Napraun, Essai sur les plantes usuelles des Taitiens. Montpellier, 1864. Ì (2) G. CanesrRINI, Compendio di Zoologia e anatomia comparata, I. Mi- lano 1869, pag. 307. (3) Breeker, Allas Ichthyoi. II (£) Couca, British Fishes, Vol. II, 1862. (9) YarrEL, British Fishes, Vol. II, pag. 3-8. (5) Macaisrer, An introduction of the systematic zoology and inorpho- logy, ete. Dublin and London. 1878. (7) F. Davy, he fishes of Great Britain and Ireland, London, 1881-82. (8) H. G. SeeLev, Cassell’s Nat. Hist., Vol. V, pag. 92, London. (9) O. TysrinG, Poîsonous Fishes (translated from the Danish by Hermann Jacobson). Bulletin of the United States Fish Commission, Vol. VI, 1886 pag. 148. (10) F. T. Scinupr, Om Fidrsingens Stik 0g Giftredshaber 1 Tav. Nordiskt. medic. Arkiv. Vol. 6, N. 2, 1875. e nell’Amphacanthus; per le successive di Gressin (1) (1884) su quello del genere Trachinus; di Parcker (?) (1888) su quello opercolare e dorsale del 7rachinus vipera e T. draco, dei quali figura sezioni trasversali e longitudinali delle spine opercolari, su cui maggiormente si estende, dicendo anche qualche parola e dando una figura delle dor- sali; egli mette in evidenza grossi ammassi glandulari a cel- lule grandi, nelle scanalature delle spine opercolari e dor- sali. Ultimamente ancora Bottard (3) (1859) dà brevemente la descrizione degli organi veleniferi di parecchi pesci: la sua memoria tratta specialmente dell'habitat delle forme stu- diate, della loro orismologia e anatomia macroscopica, dei loro costumi, dei caratteri fisici del veleno, dei danni delle punture, corredandoli riccamente di casistica; ma la parte originale istologica è appena sfiorata: a proposito della scorpena vi è figurato l’abbozzo di una sezione trasversale accompagnata da poche righe esplicative. La scarsità di particolari su organi così interessanti, mi indusse a rifarne lo studio. Le specie su cui istituii le mie indagini sono le tre scor- pene del nostro mare; la rossa ($S. scropha L.), la bruna (S. porcus L.) e la scorfanella (S. ustulata Lowe), per le quali non trovai differenze degne di nota, sicchè nella de- scrizione mi riferirò a tutte e tre contemporaneamente. Esaminai a fresco il tessuto della glandula del veleno isolando le singole cellule; eseguii numerose sezioni seriali trasverse e longitudinali; mi servii per la fissazione, ora (1) L. Gressin, Contrib. è l étude de l’appareil è venin des poissons du genre Vive. Thèse. Paris, 1884. Procedendo cronologicamente, troviamo fatta menzione di pesci che sono velenosi per le punture dei raggi delle pinne, nell’ Atlas des Poissons vénéneure del D. P. SAvrscHENKO medico maggiore della marina imperiale russa. Pietroburgo, 1886. Quest’ autore accenna appena ai pesci vulneranti; indicando erroneamente, come sede della glandula venefica, la base delle pinne dorsali e caudali (?!); egli si estende specialmente sui numerosi pesci, velenosi come cibo, il che non ha nulla a che fare con l'argomento che ci occupa. (2) W. N. Parcker, Or the Poisons-Organs of Trachinus. Proceed. of the scient. meetings of the Zool. Soc. of London, 1888. (3) A. Borraro, Zes Poissons venimeva. Contribution è lHygiene na- vale. Paris, 1889. UT del sublimato corrosivo in soluzione satura, ora di due parti di questo con una di acido acetico glaciale e una di alcool assoluto, ora di semplice alcool assoluto, ora di acido picrico o di liquido di Kleinenberg, qualche volta usai l’istantanea immersione in acqua bollente. Decalcificai con floroglucina e acido nitrico e, apprestate le spine in paraffina, osservai sezioni incolore o tinte con carmino acetico, o boracico, con picrocarmino, con ematossilina, con metile violetto, con metile verde, con verde iodio. k indispensibile fare se- zioni seriali se si vuole farsi un’idea esatta della forma delle slandule e delle sue relazioni coi tubi sottoposti che conducono ad esse ì vasi sanguigni. Queste specie hanno i primi undici raggi della prima pinna dorsale e il primo (iS. scropha L. e S. porcus L.) della seconda pinna o i tre primi (iS. ustulata Lowe) della seconda pinna, ossificati e solcati ai due lati da una sottile scanalatura che comincia a scolpirsi verso l’apice e si pro- lunga fin verso la base. Come è noto, alla pinna anale i primi tre raggi sono pure ossificati e scanalati; il secondo è più robusto di tutti. Organi veleniferi della pinna anale. — Nei giovani ed adulti osservati, i raggi della pinna anale variano in lunghezza circa dall'uno ai tre centimetri: per stabilire le dimensioni e le posizioni reciproche della parte glandulare e dell'osso, consideriamo un raggio di una scorpena bruna lungo mm. 25 (Tav. IV, fig. 1); a cinque millimetri dall’apice, innicchiate nelle due scanalature che decorrono dall’apice fin verso la base, cominciano le due glandule fusiformi, del massimo spessore di 3 dmm. (fig. 2, g2), che s° allun- gano per sei millimetri, cioè fino verso la metà della spina, dove, internatesi nella parte più profonda della scanalatura (in questo punto maggiormente pronunciata e protetta dai due margini sporgenti anteriore e laterale del raggio osseo), si continuano in due tubuli (fig. 2, c') 1 quali, dopo breve tratto, convergono in un’unica cavità centrale più ampia, ora unica (fig. 6, c), ora cavernosa (fis. 5. c), che conduce fino alla base della spina e che da passaggio a vasi san- suigni, i quali salgono per i due tubuli e vanno ad irro- rare il connessivo circostante alla glanduia per nutrirla. Questa va considerata come una glandula cutanea; verso il 6 suo apice inferiore o basale, cioè circa a metà della lun- ghezza della spina, ciò è dimostrato assai chiaramente dalla introflessione, nella profondità della scanalatura, della parte profonda della cute, in seno alla quale la glandula sì va ab- bozzando (fig. 10, A). Meglio di qualunque descrizione verbale, l'aspetto com- plessivo della spina ed annessi, osservata a piccolo ingran- dimento, e numerose sezioni longitudinali e trasversali di cui sono esempio le figure da 1 a 12, dimostrano la forma stiloide del raggio osseo e la forma a fuso allungato della glandula velenifera, nonchè la relazione di queste parti fra loro e con la guaina. La glandula è composta di molte cel- lule cilindroidi o coniche o piriformi di grandi dimensioni disposte radialmente, con la parte più assottigliata rivolta e pendente verso l’asse della glandula e con la base so- stenuta da sottili guaine connessive che partono dallo strato connessivo avvolgente, ricco di vasi sanguigni e comuni- cante con la guaina della spina. Cominciando l’ esame della spina dalla base, i’osso sì presenta forato da numerosi canaletti (fig. 4) conducenti vasi sanguigni. I tre raggi sono collegati da lamine tendinee (fig. 5, 2t) inserite tenacemente alla faccia posteriore del 1.° e 2.° raggio, e a quella anteriore del 2.° e 3.° raggio osseo, nel quale appare appunto una frangia abbarbicata che parte dalle lamine. I raggi spinosi lateralmente, e le lamine tendinee che li collegano, sono circondati da uno strato di tessuto connessivo (cs), sottile lungo la membrana interradiale, più grosso intorno al raggio, e pigmentato qua e là verso l’e- sterno; tutto è avvolto da uno strato di epitelio cilindrico (ep) ora teso, ora più o meno pieghettato, composto di al- lungatissime cellule cilindriche alte circa un decimillimetro, o anche soli 40 p. circa, negli avvallamenti delle lievi in- crespature. I condotti (fig. 4, c) che trovansi nell’osso in corrispon- denza dell’affioramento della pinna, ossia alla base della spina, allontanandosi dalla base si accentrano, fondendosi ora in una cavità unica (fig. 6, c), maggiore di ognuno sepa- rato, ora di nuovo allontanandosene alquanto per fondersi di nuovo sì da dar luogo ad una cavità cavernosa (fig. 5, 0): in questa forma questa cavità giunge fino ad un quarto 7 circa della lunghezza del raggio. Essa è tappezzata da un periostio e ripiena di tessuto connessivo ad ampie cellule po- liedriche trasparenti, contenenti qua e là sferici corpuscoli adiposi rifrangenti; questo tessuto connessivo areolare dà appoggio ai vasi capillari che salgono poi in due sottili con- dotti (c'), nei quali si è biforcata l’unica cavità ora semplice, ora cavernosa, e che conducono alle glandule velenifere. Questi due tubi, dapprincipio centrali e separati da un leg- giero sepimento di periostio, sì allontanano a poco a poco per portarsi simmetricamente verso la superficie dell’osso (fig. 8, 9), mentre in corrispondenza dei punti verso cui tendono, questa si addentra; è il principio della scanalatura (sc). Le ‘cavità tubulari vanno un po’ restringendosi per l’ingrossare del periostio ; il connessivo areolare che le riempiva si rende più compatto, più fibrillare dando sempre passaggio a capil- lari; la scanalatura alla superficie dell’osso va sempre più pronunciandosi a guisa di fenditura, in cui si introflette il connessivo sottoepiteliare che va quindi a raggiungere il periostio, e i tubi sono divenuti il fondo delle scanalature (fig. 9, 10 4); questo punto è circa a metà del raggio. In seno al tessuto introflessosi dall’esterno si abbozzano le due masse glandulari velenifere che occupano dapprima il fondo della strettissima scanalatura (fig. 10, A, g2), poi, coll’allargarsi di questa, gradualmente ingrossano (fig. 11) fino ad occupare ciascuna un quarto dello spessore del raggio, ossia insieme occupano tanto come metà dello spessore totale, restando entrambe per la maggior parte protette dai margini delle tre coste sporgenti (anteriore e laterali) dell'osso (fig. 10, b, gl). Le grosse cellule glandulari di cui sono composte (fig. 14-21), possono presentare in uno stesso piano della sezione, forme svariate, per lo più cilindroidi o coniche, o piramidali, ma anche piriformi, fusiformi, clavate ed ovoidi. Sono disposte con una certa regolarità radialmente in- torno ad un punto eccentrico (fig. 11, g7), oppure radial- mente intorno ad un lume lineare; così è principalmente per il tratto in cui la glandula ha uno sviluppo maggiore (fio. 10, B, g7): assume allora una forma la cui sezione trasversa è simile a quella di un triangolo con angoli ar- ro‘ondati e col lato volto all’esterno convesso. Parecchie di queste cellule glandulari, misurate, mi danno queste dimen- sioni di lunghezza e di massima larghezza: u 108 Xx p 36 u 88 X Lp 02 u 124 X u 40 pi 152 X 2) 36 I VAS < DA 52 dalle quali misure risulta che generalmente le cellule più lunghe sono assolutamente più sottili delle più corte, e ciò in relazione con la irregolarità della forma della glandula. La terza dimensione è, per lo più, uguale circa alla lar-. ghezza, talora assai minore. Le estremità libere delle cellule sono generalmente le più sottili. Queste cellule glandulari presentano un grosso e splen- dente strato corticale con una soluzione di continuità all’e- stremo libero (fig. 15, 17, 18,20 bc), come una boccuccia da cui sì vede talora uscire qualche filamento, che sarà probabil- mente un coagulo di veleno. Tale struttura ricorda quella «delle cellule cupuliformi e caliciformi della pelle dei pesci, le quali presentano appunto, come osservò il Leydig (1), questa boccuccia e la emissione di fili. Tali cellule glandu- lari velenifere sono evidentemente una trasformazione di quelle. Il protoplasma interno si presenta composto di gra- nuli a contorno splendente e contiene qua e là qualche gocciola oleosa rifrangente o qualche corpuscolo irregolare pure rifrangente. Il nucleo, abbastanza grande, nucleolato, non è sempre visibile, probabilmente per l’ opacità del denso e granuloso protoplasma, ma lo si può rendere evidente con varî mezzi, specialmente con l’uso del carmino acetico. Verso l'estremità apicale la glandula si va riducendo; le cellule sono meno numerose, più piccole e avvolte da molto connessivo col quale a poco a poco si confondono in una massa indistinta. In corrispondenza delle iniziali sca- nalature il connessivo è più compatto che nel resto della guaina, la quale, verso l’apice dell’osso, è assai più grossa (!) F. Leypi, Newe Beitriige ur anatomischen Kenntniss der Hautdecke und Hautsinnesorgane der Fische, Halle, 1879. e presenta qua e là profonde e sottili pieghe. L’epitelio ci- lindrico avvolgente, ora teso ora ondulato per seguire le pieghe cutanee, ha uno spessore di poco più di 1 dmm. Il nucleo d’ogni sua cellula si trova un po’ più all’interno della metà dell’altezza delle cellule; e mentre la metà profonda ha protoplasma denso e granuloso, la metà esterna costi- tuisce un’orlatura trasparente. Organi veleniferi della pinna dorsale. — Gli organi venefici delle spine della pinna dorsale hanno la stessa po- sizione di quelli delle tre spine ossee della pinna anale; sono due per ogni raggio situati verso l’apice: in una 2.* spina (di Sc. porcus L.) lunga tre centimetri e mezzo, a mezzo centimetro dall’apice, comincia la glandula che si protende fino a metà della spina. Negli ultimi raggi ossei la regione glandulare è più limitata e talora le glandule sono appena abbozzate. Nei raggi dorsali, la regione dell’osso lungo il tratto occupato dalla glandula, ha una forma leggermente diversa da quella dei raggi anali e così, in relazione, un po’ diversa è la forma della glandula: le cellule vi sono quasi sempre disposte a C in modo da non limitare bene tutt'in giro un lume che, verso l’esterno, è chiuso dal connessivo della guaina (fig. 13, g2). Le dimensioni delle cellule glandulari (fig. 22, 23, 24) press’a poco corrispon- dono a quelle degli organi anali; solo alcune cellule allun- gate e sottilissime hanno aspetto serpentiforme (fig. 24). L’ammasso glandulare delle spine della pinna dorsale è meno sviluppato di quello delle spine anali; queste ultime sono quindi, evidentemente, armi di un'efficacia maggiore. Com’è già noto, e come potei osservare per scorpene te- nute in acquario, il modo di ferire di questi pesci è affatto passivo: stuzzicate, erigono le pinne, ma non fanno mai alcun tentativo di offendere. L'apparecchio spinoso è una pura arma di difesa; infatti nelle sezioni delle spine non si nota mai un muscolo addetto alle glandule. La ferita si produce in chi tenta di carpirle, di schiacciarle, e solo per la pressione esercitata dai tessuti in cui la spina sì infigge ; poichè la guaina viene in parte ricacciata verso la base del raggio, premendo a sua volta sulle glandole sottoposte, le quali emettono in tal guisa il liquido venefico. 10 » » » » » SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA IV. Setondo raggio spinoso della pinna anale di una Scorpaena porcrs. (crandezza naturale). Raggio spinoso senza guaina, (ingrandito da cinque a sei volte), visto per trasparenza. gl, glandule velenifere. a, apice. b, base. c e c', cavità e condotti che danno passaggio a capillari. Sezione longitudinale di una porzione di raggio spinoso. gl, glandula. c', condotto per capillari. 4,5, 6, 7,8, 9, 10 A, 11, 10 B. Sezioni trasversali di raggi ossei 12. 14, 28, della prima anale, cominciando dalla base fino a sviluppo com- pleto della glandula. c, cavità contenente tessuto a cellule ampie e trasparenti, e ca- pillari. c', condotti in cui si è biforcata la cavità della parte inferiore della spina. sc, i condotti si aprono nelle scanalature. La fig. 10, presentando nella stessa sezione due livelli relativamente diversi delle spine 2.3 (10 B) e 2.8 (10 A) presenta in questa l’inizio basale della glandula, ed in quella il suo pieno sviluppo. lt, lamina tendinea interradiale. v, vasì sanguigni. cs, connessivo. ep, epitelio. Sezione trasversale verso l'apice del raggio osseo. sc, scanalature iniziali. gl, inizio apicale delle glandule velenifere. cs, connessivo. ep, epitelio. P, pieghe cutanee. Sezione trasversale di un raggio della pinna dorsale. gl, glandule velenifere. 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21. Cellule glandulari velenifere dei raggi anali. bc, soluzione di continuità della membrana corticale per cui esce il veleno. , 23, 24. Cellule velenifere delle glandule della pinna dorsale. Laboratorio di Anatomia comparata dell'Università di Genova. { bf 14204 BOLLETTINO DEI NUSBI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N.° 31. 1895. GC. Parona ed A. PERUGIA Sopra due nuove specie di Trematodi ectoparassiti di pesci marini. (Phylline Monticelliù e Placunella Vallei). Dall’egregio signor Antonio Valle, aggiunto al Museo civico di Trieste, abbiamo ricevuto alcuni trematodi ecto- parassiti di pesci, da lui stesso raccolti, due fra i quali sono molto importanti e da descriversi come specie nuove. Al prelodato sig. A. Valle rendiamo ben meritate e vivis- sime grazie per questo invio non solo, ma anche per quanto già in varie riprese ebbe a comunicarci per istudio, o in dono, dandoci argomento a parecchie pubblicazioni sopra i trematodi monogenetici ('). Oltre le due nuove specie delie quali passiamo a dare la descrizione, l’ ultime invio comprendeva altre specie già conosciute, che qui registriamo per la corologia elmintolo- gica italiana. 1. Microcotyle Labracis v. Ben. e Hes.: Labrax lupus, Trieste, 20 dicem. 1894. 2. M. Chrysophrii v. Ben. H.: Chrysophrys aurata, idem, 18 ottob. 1894. 3. Diplectanum echeneis Wag.: Chrysophrys aurata, idem, 21 dicem. 1894. (!) a) Di alcumi trematodi ectoparassiti di pesci adriatici, Annali Mus. civ. di Genova, ser. 2, Vol. IX, 1890 — 8). 3/esocotyle squillarum del Bo- pyrus: Bollet. scient. Univ. Pavia, An. XI, 1890 — ce). Dei trematodi delle branchie dei pesci italiani, Atti Soc. ligust. Sc. nat., Vol. 1.° 13990 — d). Contribuzione per una monografia del Gen. Microcotyle: Ann. Mus. civ, GimoiSeri 2; Voli X. 1390. 4. D. aequans Wagen.: Labrax lupus, idem, 21 dicem. 1894. . Dactylogyrus Van Benedenii Par. Per.: Mugil auratus, idem, 22 dicem. 1894. (DA PHYLLINE MONTICELLI N. Sp. Sulle branchie del Mugi! auratus (Trieste 22 gennaio 1894) venne trovato un unico esemplare di trematode ecto- parassita, da riferirsi al genere Phylline (Epibdella). Confrontata colle specie conosciuto, è facile accorgersi che notevolmente differenzia da tutte. Così dalla PA. Rippo- glossi O. F. Miill. sì distingue per le dimensioni molto mi- nori (PR. Rippoglossi 20-24 mm.), per la forma degli un- cini e per l’ assenza delle papille molto sviluppate nella specie del Miller. Dalla Ph. Sciaenae v. Ben. ancora per le dimensioni (Pl. Sciaenae 84 mm.) e perchè questa pure porta papille sul disco caudale. Dalla PA. Endorfi v. Linst. non tanto per le dimensioni e per l'assenza delle papille, quanto per il numero, forma e disposizione degli uncini. Ancora per questi caratteri non possiamo ascrivere il no- stro esemplare alle due forme recentemente indicate dal Seitaro Goto coi nomi di E. (Ph.) Ishikawe ed E. (Ph.) ovata, all’ultima delle quali per altro assomiglia, eccezione fatta delle dimensioni. Il trematode in discorso è quindi da ritenersi quale nuova specie, e l’indichiamo col nome dell’egregio collega prof. Fr. S. Monticelli. Corpo ovale. biancastro; ventose anteriori grandi e profonde : disco caudale ampio, ad orlo frangiato e senza papille. Porta due specie di uncini, dei quali i superiori sono lunghi, robusti e poco arcuati, con tallone assotti- gliato; gli inferiori molto più piccoli, sottilissimi e con base allargata. . Sbocco dell’apparato riproduttore laterale; ovario sfe- rico e situato inferiormente alla vescicola del germigeno; testicoli avvicinati sulla linea mediana ed inferiori al- l’ovario. Bulbo esofageo triangolare. Due paia di occhi disposti come nei congeneri. Lungh. del corpo . . 6 mm. Ventosa boccale, largh. 0,049 Largh. massima . . 2.5 mm. » » lungh. 0,056 Largh. del disco caudale 1.8 mm. Uncino grande, lungh. 0.016 Ovario, diametro . . 0,028 » » largh. 0,002 Testicoli, lungh. . . 0,044 piccolo, lungh. 0,011 » Tare ee AN0.05o Hapit. Mugil auratus (branchie): Trieste, 22 gennaio 1894 (racc. A. Valle). PLACUNELLA VALLEI N. Sp. Corpo allungato, ventose anteriori grandi; quattro occhi ben distinti; ovario rotondo, testicoli piccoli e poco appariscenti. Ventosa caudale grande e peduncolata con membrana marginale frangiata ; raggi poco distinti ; tre paia di uncini, di cui l'inferiore interno ad uncini lun- ghissimi, robusti e molto arcuati alla punta, il 2.° paio, all’esterno dei primi, e ad uncini grossi, ma corti, a triangolo allungato con un uncinetto alla punta infe- riore; il 5. paio è ad uncini più piccoli, sottili e situato al disopra del paio maggiore e vicino alla base del pe- duncolo. 0 i i LI X Carattere saliente di questa specie è ancora un pedun- colo molto pronunciato, cilindrico, che unisce il disco cau- dale al corpo. Questa specie, oltre che pel peduncolo del disco e per la forma degli uncini, differenzia dalle altre placunelle conosciute, per le dimensioni che sono minori di tutte. Alla base del peduncolo, negli esemplari più grandi, co- stantemente si trova, ravvolto allo stesso, un fascio di fila- menti che portano un gruppo alquanto notevole di uova, che nel suo assieme rassomiglierebbe ad una arborescenza di infusori vorticelloidi. Le uova sono a guscio trasparente, poco consistente, a forma ovalare col polo basale più as- sottigliato. Contenuto granuloso. Lungh. del corpo. . . 3 mm. Uncini maggiori . . . 0,055 Largh. massima . . . 0,042 » ; Medi SNA 005 Disco caudale, diam... 0,056 » piccol ARMENI .(00 1 Ventosa anter., diam. . 0,028 Uovo, lungh. (escl. filam.) 0,014 ». larghi ee Hasrr. Naucrates ductor (branchie): Trieste, Dicembre 1894 (racc. A. Valle). (Genova, Tipografia Ciminago Vico Mele 7. 1895. 22254 BOLLETTINO DEL NUSBI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N.° 32. 1895. ERNESTO SETTI Dipylidium Gervaisi n. sp. e qualche considerazione sui limiti specifici nei cestodi. (Tav. VI). I varii esemplari del cestode che qui descrivo furono tro- vati nell’intestino tenue di una genetta (Genetta tigrina Gray = G. abyssinica Rippel), proveniente dall’Eritrea e morta in Genova alla Villetta Di-Negro (Museo Civico). Essendomi già occupato, in precedenti lavori (*), della fauna elmintologica dell’ Eritrea e delle regioni limitrofe, tornami particolarmente gradita l'occasione di poter aggiun- gere qualche nota ancora sull’argomento:; tanto più perchè si tratta di una nuova specie, e perchè lo studio di questa mi ha condotto ad alcune considerazioni generali che pos- sono avere una certa importanza, essendo in rapporto con delle quistioni morfologiche tuttora discusse. Il materiale raccolto nell’intestino della genetta sopra menzionata risultava di una decina di esemplari completi e di molti frammenti più o meno ridotti. Il loro aspetto ge- nerale e la natura stessa del loro ospite m’indussero tosto a pensare che si trattasse di un teniade del genere Dipy- lidivm; un esame microscopico superficiale bastò a cam- biare l’ipotesi in certezza, mettendo bene in evidenza i ca- ratteri del genere stesso, cioè le aperture sessuali doppie ed opposte in ogni proglottide, nonchè un rostrello nello scolice, con parecchie serie di uncini. Allora, tenendo presente il diligentissimo studio del dottor (4) E. Serri, Sulle tenie dell'Hyrax dello Scioa; Atti della Soc. lig. di Se. nat. e geogr., Vol. II, pag. 316-324, Tav. IX; Genova 1891. E. Serri, Elminti dell'Eritrea e delle regioni limitrofe; Boll. dei Musei di zool. ed anat. comp. della R. Università di Genova, N.° 6, 1892: e Atti della Soc. lie. di Sc. nat. e geogr., Vol. IV, pag. 3-21, t .1; Genova 1895. Diamare, intorno al genere Dipylidiwm (1), ed esaminando in proposito il materiale esistente nella collezione elminto- logica del prof. C. Parona (alla quale appartiene anche la specie in discorso, gentilmente lasciata a mia disposizione), ho messo a rigoroso confronto la forma che avevo in istudio, con tutte le altre specie di dipilidii finora indicate, e mi sono presto convinto che quella non potevasi razionalmente identificare ad alcuna di queste. Il Dipylidiwm della genetta abissina ha, negli esemplari che ho esaminati, una lunghezza variabile fra uno e quattro centimetri ed una larghezza media di un millimetro (fig. 1); solo eccezionalmente ho trovato delle proglottidi più larghe di un millimetro e mezzo. Lo scolice è, a prima vista, ben difficilmente riconosci- bile, perchè piccolissimo e poco più largo delle prime pro- glottidi colle quali continuasi il suo lungo collo; la mas- sima larghezza è di mm. 0,25; la lunghezza, dall’apice del rostrello al limite inferiore delle ventose, è di mm. 0,15, e dalle ventose alle primissime proglottidi (tratto corrispon- dente al collo) di mm. 0,20-0,25 (2). | Le ventose, discretamente grosse e tondeggianti, deter- minano quasi nello scolice quattro lobi distinti, in mezzo ai quali emerge anteriormente il piccolo rostrello cilindro- conico (fig. 2), diviso in due parti di forma pressochè iden- tica (clava e bulbo secondo il Diamare). La parte anteriore del rostrello è armata di numerosi uncini, disposti alter- nativamente in parecchie serie, ma non in modo molto re- colare; anzi, siccome si staccano e sì spostano con la mas- sima facilità, e siccome le file estreme specialmente sì tro- vano sempre molto disordinate, non mi è possibile indicare il numero preciso nè degli uncini nè delle serie. Dirò sol- (1) V. DiamarE, Il genere Dipylidiums; Atti della R. Accad. delle Scienze fis. e mat. di Napoli, Vol. VI, Serie 2.8, N.° 7, Tav. E-II;-Napoli 1893. (® Nel dare le dimensioni dello scolice ho appositamente specificato i li- miti relativi, per evitare ogni incertezza d’ interpretazione. Il così detto collo, o tratto insegmentato, deve essere compreso nella lunghezza comples- siva dello scolice, perchè fa parte di questo effettivamente. Se poi si vuol distinguere dal collo la parte anteriore dello scolice, impropriamente chia- mata capo, bisogna indicarne i limiti perchè questi non sono sempre evi- denti. tanto che il numero approssimativo di queste ultime varia nei diversi esemplari da 8 a 12, comprendendo complessi vamente, in media, una sessantina di uncini. Questi sono tutti all’incirca della stessa forma, cioè fatti a spina (fig. 3), e la loro media lunghezza è di 10 micromillimetri. Le proglottidi sono di forme svariatissime, secondo i diversi esemplari, secondo le diverse parti dello strobilio, e secondo il loro diverso grado di maturità. Le prime sono sempre assai più larghe che lunghe, ma anche in quelle mature, cioè con gli organi genitali perfettamente svilup- pati, la larghezza è alquanto maggiore della lunghezza; soltanto le maturissime, completamente occupate dalle ta- sche uterine, si fanno più lunghe che larghe, assumendo la caratteristica forma a seme di cocomero. Eccettuate queste ultime e le primissime, tutte le altre proglottidi hanno i margini laterali liberi molto ondulati, e presentano nella loro parte superiore una convessità verso l’ esterno, dalla quale fuorescono i lunghissimi peni, che costituiscono, come diremo più sotto, il principale carattere specifico «i questo dipilidio (fig. 4 7). Le proglottidi, e sopratutto quelle più mature, sono unite fra di loro così debolmente, che riesce difficilissimo isolare degli esemplari completi del verme, o anche soltanto dei frammenti considerevoli di strobilio. Gli organi genitali incominciano a svilupparsi in pro- glottidi molto vicine allo scolice e sono già completamente formati a circa tre millimetri dallo scolice stesso, cioè verso il trentesimo anello. Naturalmente gli apparati sono dopplii ed opposti in ogni proglottide, come è carattere del genere, però non mancano eccezionali esempi di proglottidi con gli organi sviluppati da una parte sola. I testicoli tondeggianti, ma assai irregolari, sono piut- tosto radi e limitati al centro della proglottide (fig. 4 4). Nella parte superiore di questa, sono raccolti in due grossi gomitoli i deferenti, che nel loro ultimo tratto si riducono a due canalicoli a decorso sinuoso, ciascuno dei quali, di- ricendosi alquanto in basso, mette nella rispettiva tasca del pene, collocata pur sempre nella parte superiore della proglottide. La tasca è relativamente grossa, fatta ad otri- cello un pò incurvato, col fondo più in alto della bocca. Ne 4 fuoresce un pene cilindrico assai grosso, flessibile e lun- chissimo (mm. 0,9 in lunghezza e mm. 0,015 in diametro). Questo costituisce un carattere specifico molto importante, sia perchè costantemente sì trova in tutte le proglottidi perfette e in tutti gli esemplari, sia perchè serve a far di- stinguere a prima vista questo dipilidio da tutti gli altri finora descitti. Gli ovarii sono raccolti in due masse centrali, poste fra i testicoli e sotto i gomitoli dei deferenti. La vagina, in cui ron ho potuto distinguere un vero receptaculum se- minis, sbocca immediatamente al disotto della rispettiva tasca del pene (fig, 4, v). Le tasche uterine vanno gradatamente formandosi nelle proglottidi mature, a seapito degli altri organi e special mente dei testicoli; in fine riempiono poi da sole quasi tuita la proglottide, che in tal caso, già lo dissi, è solitamente di forma ellittica allungata, o a seme di cocomero (fig. 5), come le caratteristiche proglottidi mature di tutti i dipilidii. Queste tasche uterine sono abbastanza regolarmente rotonde, del diametro medio di mm. 0,05, e contengono sempre un unico uovo che ripete la forma della tasca stessa (fig. 6). I tronchi laterali del sistema escretore sono piuttosto piccoli e difficilmente riconoscibili per trasparenza. Riassumendo ora dunque i caratteri essenziali di questo dipilidio e confrontandoli con quelli indicati per le specie già ben note (!), si possono fondatamente dedurre le con- clusioni seguenti: i j.* Il dipilidio della genetta abissina si distingue da tutti gli altri in generale, per il diverso numero delle serie di uncini nel rostrello, e soprattutto per la presenza dei vi- stosissimi peni. 2.8 Scostasi inoltre particolarmente dal D. caninum, per avere dimensioni molto minori, aperture ses- suali sboccanti nella parte superiore anzichè nella inferiore della proglottide, e tasche uterine con un solo uovo invece (') Alla pagina 5 del citato lavoro, il dott. Diamare espone in un chiaro prospetto sistematico i caratteri distintivi delle quattro specie di dipilidii meglio accertate (2. caninuim, D. Trinchesii, D. Pasqualei, D. echinorhyn- coiles); io non.credo quindi di doverli descrivere nella presente memoria. di parecchi. 3.* Si distingue dal D. echinorRyncoides per i caratteri dello scolice: il rostrello è molto più breve e il fondo della invaginazione cefalica non è armato. 4.8 È di gran lunga più piccolo del D. Pasqualei e non ha il sistema escretore così sviluppato come in tale specie. 5.% Differisce finalmente dal D. Trinchesii, e per i caratteri del rostrello e per la disposizione degli organi genitali; quantunque que- st’ultima specie gli assomigli più delle precedenti, avendo identiche dimensioni e presentando pure dei peni filiformi, | che, per quanto incomparabilmente più piccoli, fuorescono tuttavia per un buon tratto dalle tasche rispettive, renden- dosi ben manifesti a forte ingrandimento. Dopo le quattro specie ora menzionate, non ne restano per il confronto che altre due assai dubbie: il D. Genettae Ger- valis e il D. Monticellii Diamare. Quanto a quest’ultimo, mi basta accennare alla strana forma del suo rostrello (!) per differenziarlo a priori dalla specie che ho in esame. Ben maggiore considerazione meriterebbe invece |’ altra forma, giacchè, come il nome stesso appalesa, venne pure trovata in una genetta. Ma, come dalla imperfettissima de- scrizione e dalla troppo schematica figura che ne diede il Gervais (*), denominandola Halysis genettae, non riusci poi il Diamare a riscontrarvi con certezza nemmeno i caratteri del genere, così, evidentemente, io non ho potuto trarne al- cun carattere specifico che ne permettesse un efficace con- fronto con gli altri dipilidii. Osservo tuttavia che, se pur si volesse paragonare a qual- che altra specie questa Halysis genettae del Gervais, sa- rebbe sempre più ovvio il confronto con il D. Pasqualei 0 meglio ancora col D. echinorhynceoides (*), che non col di- (4) Dramare, l. c. p. 10-11, Tav. II, fig. 24 e 25. (&) P. Gervar, Sur quelques entozoaires taenioides et hydatides. Mém. de l’Acad. des Sc. et Lettr. de Montpellier, 1847, pag. 88-89, PI. I, fig. 2-2.8. {8) Se non si hanno caratteri sufficienti per poter identificare all’ 7a/ys2s genettae del Gervais la Taenia echinorhyncoides del Sonsino (V. Proc. verh. della Soc. tosc. di se. nat., adun. 13 genn. 1889), si può riscontrare però una concordanza quasi perfetta in tutti i termini che si hanno per il con- fronto delle due specie. Sembrami quindi che il Sonsino, nel descrivere il nuovo cestode, parassita del fennec, avrebbe dovuto almeno ricordare l'7a- lysis precedentemente trovata dal Gervais nella comune genetta. pilidio che ho qui descritto; giacchè, anche per il solo aspetto generale, si scosta assai più da questo che non da quelli. Nella Halysis genettae il rostrello è molto allungato, le di- mensioni del verme completo sono di 8 centimetri in lun- chezza e di 2 millimetri in larghezza massima, inoltre i peni non sono esternamente visibili, perchè altrimenti l’au- tore, che ha potuto scorgere i minutissimi mmeini del ro- strello, li avrebbe certamente notati. Del resto, se anche queste considerazioni non escludes- sero quasi la possibilità di identificare il cestode descritto dal Gervais con quello della genetta abissina, sarei tuttavia autorizzato a farne una nuova specie, perchè, secondo le norme stabilite nei congressi internazionali di zoologia (!), non è riconosciuta ad un autore la priorità, riguardo alla denominazione dei generi o delle specie, se non quando egli ne abbia chiaramente e sufficientemente definiti i caratteri in una propria pubblicazione. Ed è quasi inutile aggiungere che la descrizione della Halysis genettae dataci dal Gervais è tutt’ altro che chiara e completa. Io stabilisco quindi una nuova specie per il dipilidio della genetta abissima: ma, ad onore del Gervais stesso, voglio chiamarla Dipylidium Gervaisi. Esaminando i vari esemplari del nuovo Dipylidiwin, ho potuto riconfermare delle osservazioni che già altre volte avevo fatto, riguardo all’incertezza dei limiti specifici dei cestodi, e intravvedendo ora nelle medesime una particolare importanza, sembrami opportuno il notificarle. Come ho accennato nella descrizione generale della specie, i diversi esemplari che ho avuto disponibili, pur essendosi trovati tutti nello stesso ospite e nello stesso tratto d’inte- stino, differivano l’uno dall’ altro considerevolmente, per le dimensioni complessive, per la forma delle proglottidi, per il numero delle serie degli uncini, per varie altre particolarità, sia dello scolice che delle proglottidi. E le divergenze in questi caratteri erano talora così evidenti, che, chi le avesse (!) Regles de la nomenclature des ctres orguanisés, adoptées par les Congres internationaua de oologie (Paris, 1889: Moscou, 1892), Artiele 44. osservate in esemplari di diversi ospiti, le avrebbe piuttosto interpretate come vere differenze specifiche, che non come semplici variazioni individuali. Inoltre, anche tra i diversi segmenti di uno stesso esem- plare, ho trovato talora delle rilevantissime divergenze nel- l’intima organizzazione: per esempio, gli organi genitali sviluppati da una parte sola, oppure disposti, gli uni rispetto agli altri, in modo diverso. Fatti consimili ho frequentemente notato in altre tenie, quando ho potuto esaminarne numerosi esemplari di una medesima specie. E quasi tutti gli elmintologi che si sono particolarmente dedicati allo studio dei cestodi, hanno pure accennato, almeno in modo indiretto, alle frequentissime a- nomalie e alle notevoli variazioni individuali di questi or- canismi (). Ma generalmente si sono notate tali osservazioni piuttosto a titolo di curiosità che per attribuirvi particolare significato. Io credo invece che i fatti sopraccennati possano meri- tare una certa considerazione. Quella facilissima variabilità, che si estende talora anche a caratteri molto importanti, può intanto farci notare: che i limiti specifici dei cestodi sono molto difficili a determinarsi; che la maggior parte delle specie che si sono formate, mediante l’esame di un solo 0 di pochi esemplari, devono essere considerate come incerte: che è oramai necessaria una generale revisione dei cestodi, basando le distinzioni generiche e specifiche sopra un complesso di caratteri; che finalmente, da questa revi- sione riuscirà certo assai diminuito anzichè accresciuto il numero delle specie. Quei medesimi fatti ci suggeriscono ancora altre consi derazioni, in merito alle loro cause. Finchè la variabilità si appalesa in esemplari della stessa specie, ma provenienti da ospiti diversi, o da diversi organi di uno stesso ospite, si può in gran parte spiegare attribuendola alle varie in- finenze del parassitismo; ma quando la si riscontra in esem- plari che hanno avuto lo stesso ospite e lo stesso habitat, (1) Per quanto riguarda particolarmente il genere Dipylidium, sono men- zionate delle interessantissime anomalie, nel citato lavoro del Diamare (pag. 11; Nota). non si può più interpretare a questo modo. Io credo quindi che la principalissima causa, se non l’unica ammissibile, debbasi trovare nella spiccata individualità delle singole pro- glottidi, organismi di una colonia e non parti metameriche di un individuo. E ciò mi sembra così naturale, che ere- derei superfluo notarlo, se non vi fosse tuttora chi pone in dubbio la teoria aggregativa anche nei cestodi, e se quelli per contro, che l’hanno validamente propugnaia, non aves- sero dimenticato nelle loro argomentazioni le particolarità surriferite, che possono somministrare, a mio avviso, un’ot- tima prova in favore della teoria stessa. Dal museo zoologico della R. Università di Genova. Aprile 1895. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA V Dipylidivm Gervaisi n. sp. Fig. 1. Esemplare a grandezza naturale. » 2. Scolice molto ingrandito. » 3. Uncini a fortissimo ingrandimento. » 4 Proglottidi mediane con organi genitali perfettamente sviluppati (molto ingrandite). ti testicoli; 7 deferente; /.p. tasca del pene; p pene; 0v ovario; v vagina. » 5. Proglottide maturissima, occupata dalle tasche uterine (molto in- grandita). » 6. Tasca uterina a fortissimo ingrandimento. (Genova, Tipografia Ciminago Vico Mele 7. 1895. 2227 BOLLEITINO DEL MUSHI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N.° 33. 1895. CorrADO PARONA Anormale accrescimento degli incisivi nei Conigli (Tav. VII.) Nel Bulletin de la Société Zoologique de France (Tom. XIX, N. 7, pag. 117) si legge una interessante comunica- zione di Xavier Raspail, fatta alla Società nella seduta del 10 luglio 1894, sopra lo sviluppo esagerato degli incisivi in un coniglio. Questo coniglio presentava infatti i quattro in- cisivi, cresciuti in modo piuttosto regolare, ma prolungati molto più del normale; la mascella inferiore era deviata a sinistra, e l'apertura boccale molto beante, per l'arco di cerchio degli incisivi superiori, che comprimevano il piano boccale. All’autossia si rilevò inoltre un’alterazione morbosa, alla quale 1’ Aut. non esita assegnare la causa iniziale ed esclu- siva dell’anormalità degli incisivi. Notavasi cioè la distru- zione dell’alveolo al terzo molare inferiore di sinistra, per ul- cerazione che si era diffusa alla parte ossea del mascellare. La osteite internamente si era estesa ed aveva distrutta an- che porzione della lamina verso l'estremità della regione coronale (Tav. VII, fig. 3). Registrate altre secondarie alterazioni del sistema den- tario (premolari e molari), il Raspail conchiude ammettendo che l'eccessivo ed anormale sviluppo degli incisivi fu cagio- nato dal cessato funzionare degli stessi e quindi alla mancata usura dei loro apici, indispensabile per controbilanciare il continuo accrescimento in lunghezza dei denti, siccome si sa avvenire nei leporidi ed in altri roditori. La sospesa fun- zione alla sua volta, e quindi la cessazione della mastica- zione, era senza dubbio da riferirsi al dolore vivissimo por- tato dalla vasta affezione ossea. Questo curiosissimo caso del Raspail, per altro non nuovo nei rosicanti (1), mi richiamò alla memoria una consimile 0s- servazione da me fatta tanti anni or sono, e mi fece ricer- care un’ annotazione che io conservavo fin dal novembre 1879, relativa appunto ad un teschio di coniglio domestico molto rassomigliante al sopra menzionato. Inoltre non igno- ravo che nel Museo zoologico dell’ Università di Siena si conservava altro cranio di coniglio con incisivi pure anor- mali (2). Ora mercè, la gentilezza del signor Apelle Dei e delle autorità dell’ Università sienese, avendo avuta l’ opportunità di studiare quel caso e trovando, tanto in esso quanto nel mio, che se per l'alterazione principale assomigliavano a quello del Raspail, del Camerano (marmotta) e del Gadeau (lepre), non vi corrispondeva la causa efficiente, cioè l’osteite dlel mascellare inferiore, mi sembrò conveniente esporre que- sta breve relazione dei due esempi tuttora inediti. Il teschio di coniglio (Tav. VII, fig. 2), che osservai nel 1879, l’ebbìi da mio fratello D." Francesco, da Novara, ed appartenne ad un animale allevato in domesticità e morto li fame (3). Pervenne ad età adulta, come lo mostrano le dimensioni del cranio (dall’apice delle ossa nasali al mar- gine anteriore del foro occipitale misura 7 !/, cm.), l’ ossifi- cazione, ed ì denti premolari e molari. L’alterazione, come dissi, ricorda nel suo insieme quella già deseritta e disegnata dal Raspail. Infatti gli incisivi su- (4) Poco prima che io comunicassi questa noterella alla Società nostra, Camerano e Gadeau de Kerville, pure a proposito del caso Raspail, pre- sentavano alla Société zoologique de France (Sed. 25 febb.), due scritti per richiamare l’attenzione sopra consimili casi; il primo osservato in una marmotta del Museo zoolog. di Torino, ed il secondo sopra la lepre comune. L. Camerano: Développement eragéré des incisives chez une »Yarmotte: Bullett. Soc. Zool. de France. Tom. XX, N. 2, févr. 1895, p. 55. H. GADEAU pr KervinLr: Note sur une tete osseuse anormale de Lievre comun; ibid. NAZ: evi 1390 Spa. (3) ApeLLe Det: Catalogo sistematico del Gabinetto di Anatomia compa- rata dell'Università di Stena, 1880, p. 120. (7) A quell’ epoca donai il preparato al ricchissimo Museo d’ Anatomia comparata dell’ Università di Pavia, ed ora ringrazio l egregio amico prof. L. Maggi, direttore di quel Museo, che gentilmente lo mise a mia disposi- zione per poterlo presentare alla nostra Società. periori hanno curvatura normale, ma sono molto più lunghi di quel che siano i sani; sicchè essi si volgono non solo in basso ma anche molto all'indietro, giungendo quasi a toc- care la superficie superiore dei mascellari inferiori, distan- done soltanto tre millimetri; e quindi è fuor di dubbio che comprimevano le parti molli del pavimento boccale. Di essi il destro è più lungo del sinistro, ed entrambi hanno an- cora la punta quasi a scalpello. Incisivo sinistro lungo 2 cm.; destro lungo 2 cm. e 4 mm. Gli incisivi sopranumerarii sono normali, però un poco divergenti e misurano cinque millimetri di lunghezza. Allungatissimi sono gli incisivi inferiori, ma con regolare curvatura all’ avanti; il destro diverge alquanto all’ esterno, e la sua curvatura è meno sentita di quella del compagno. Entrambi hanno le estremità arrotondate ed hanno eguale lunghezza di cm. 31/,. I premolari e molari, tanto superiori che inferiori, sono hen sviluppati ed al completo (4): solo le loro protu- beranze mostransi più rilevate di quanto si riscontra nei casi normali. Le ossa sopramascellari e le sottomascellari sono sanissime, come lo sono tutte le altre, tanto da darci un bellissimo teschio. Il cranio del Museo zoologico di Siena (!) presenta una consimile alterazione (Tav..VII, fig. 1), ma in modo molto più esagerato dei casi di Pavia e di Parigi, e lo sviluppo eccessivo degli incisivi è avvenuto in maniera strana e dif- ferentissima dai precedenti. Dalle indicazioni favoritemi dal prelodato sig. A. Dei, e come risulta anche da una nota a pag. 120 del già citato catalogo del Museo sienese, si conosce che il preparato vi esiste da gran tempo e faceva parte della collezione lasciata dal prof. Pietro Duranti, che fu il primo insegnante di Ana- tomia comparata e fondatore dell’ annesso gabinetto nel- l’Università di Siena. Mancano pur troppo notizie sulla vita del coniglio. Il teschio è completamente normale ed appartiene ad un (1) Sono gratissimo al sig. Apelle Dei ed alla segreteria di quell’ Univer- sità, che gentilmente mi comunicarono 1 importante preparazione. giovane individuo, come lo dimostrano, fra gli altri ca- ratteri, le sue dimensioni poco notevoli (dall’apice delle ossa nasali al foro occipitale misura 6 !/, centim. di lun- ghezza). La mandibola inferiore presenta, nella porzione anteriore e più precisamente lungo il tratto della sinfisi, una devia- zione a destra ed alquanto in basso, però poco accentuata, sicchè le aperture alveolari degli incisivi sono rivolte da quel lato e non direttamente all’ avanti. I molari ben sviluppati e quali si offrono nei giovani co- nigli. Nessun fatto patologico appariscente sì riscontra nelle ossa mascellari superiori e nel restante del cranio. Tutta l'alterazione risiede quindi negli incisivi, siano su- periori che inferiori. I primi colpiscono l’oechio per la loro lunghezza smodata, ed ancor più per la deviazione che su- birono completamente verso l’esterno. Essi infatti sporgendo dal rispettivo alveolo in modo normale, invece di piegarsi fortemente all’ imbasso ed all’ indietro o ad arco, piegano bruscamente all’esterno, e si ripiegano all’ insù con curve simmetriche. In siffatto contorcimento girano sul loro asse, sicchè la superficie posteriore diventa superiore, e l’ante- riore, col caratteristico solco, passa inferiormente. L’estre- mità loro perde l’aspetto a scalpello; il destro termina a punta smussata ed il sinistro è acuminato. La lunghezza è per entrambi di 3 centim. e 2 millim. Gli incisivi sopranumerari sono normali nello sviluppo e nella loro disposizione, soltanto il destro è di poco più lungo dell’altro ed a punta arrotondata, mentre il sinistro è ancora a scalpello. I. destro lungh. 5. millim.; I. sinistro 4 millim. Gli incisivi inferiori sì comportano non meno stranamente, sia nella direzione che nei rapporti reciproci. Il destro sporge in avanti ed all’ imbasso e le faccie si contorcono pure in modo, che la superiore si fa esterna e le altre seguono il giro, sicchè il dente compie un semigiro sopra sè stesso. Misura 2,6 centim. e l’apice è tuttora a scalpello. L’incisivo di sinistra piega bruscamente a destra e pas- sando al disotto del destro, si dirige all'infuori ed all’ a- vanti per tre centim. e due millim. La punta è più arro- tondata di quella del destro. Da quanto si è riferito sopra i due casi risulta che, se l'alterazione anatomica è identica nel complesso in tutti eli esempi menzionati, altrettanto non si può dire dei par- ticolari e della cansa occasionante siffatto malanno. L’alterazione dentaria nel caso del Raspail fu dovuta, come giustamente sostenne l’autore, alla carie dell’osso mascellare, sia essa stata primitiva, oppure secondaria ad altri fatti patogenetici; ma nei due esempi, che ho ora de- scritti, identica causa non si può in alcun modo invocare a spiegazione del fatto. L’ anomalia descritta dal Gadeau fu certamente primitiva nel teschio e quindi la deviazione dei denti incisivi fu secondaria. Ammettiamo pure che nel coniglio di Siena la leggera deviazione laterale della sinfisi mandibolare abbia grado erado impedito il reciproco contatto fra gli incisivi infe- riori e superiori, e quindi abbia permesso l’ accrescimento continuo dei denti, arrestato soltanto dalla morte dell’ani- male, ma nell’ esempio del Museo di Pavia, lo si disse a bella posia, l’ intero cranio è sanissimo e non avvi accenno alcuno a deviazioni dallo sviluppo regolare per illuminarci sulla eziologia del male. Avvenuto l'eccessivo accrescimento soltanto negli incisivi superiori, si potrebbe pensare alla difficoltà ed impossibi- lità di chiudere la bocca e quindi alla cessata mastica- zione, ma cio è impossibile, giacchè non si può ammettere che l accrescimento contemporaneo dei superiori e degli inferiori. Anche il ricercare la causa in un vizio di prima for- mazione, come sarebbe pel caso del Gadeau, ove tutte le ossa della faccia ed in parte anche quelle del cranio of- frono una torsione a destra, non è accettabile, perchè il coniglio non avrebbe certamente potuto giungere all’età adulta, come effettivamente lo dimostra il suo cranio, stante il rapidissimo crescere degli incisivi medesimi (siccome av- viene nei leporidi), che avrebbe in breve impedito il rodere, o il masticare. Un altro fatto, non meno oscuro a spiegarsi, lo presenta l'esemplare di Siena, pel modo con cui si fece l’aceresci- mento straordinario degli incisivi. Infatti se lo sviluppo eccessivo, ma secondo la direzione normale, è chiaro nel- 6 l'individuo del Raspail ed in quello di Pavia, dove, ini- ziatosi il processo, l’aumento, sia pure rapidissimo, av- venne sempre nella direzione normale, ben diversamente troviamo in quello del Museo di Siena. La disposizione asim- metrica degli incisivi inferiori e quella simmetrica dei su- periori sono difficilmente spiegabili e fanno pensare che la deviazione si sia iniziata già negli alveoli e non per ragioni esterne. La causa iniziale patogenica mi sembra quindi affatto oscura pei due casi da me brevemente illustrati; e sol- tanto posso asserire che essa non fu certamente quella in- dicata dal Raspail pel suo caso, ma un’altra, o diverse altre ignote, escludendo però la rottura di uno o più inci- sivi, le malattie delle parti molli della bocca, od altro. Posso inoltre confermare la rapidità sorprendente di accrescimento dei denti incisivi ‘nei conigli. Nora. — Non ignoro che il Prof. P. Pavesi dell’ Università di Pavia venne recentemente in possesso di un cranio di lepre adulta simile a quello descritto dal Gadeau; lascio però all’ egregio amico l'illustrazione del nuovo ed interessante esempio. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA VII. Fig. 1.8 A: Cranio di Coniglio del Museo di Siena. » B: Incisivi inferiori. » C: Incisivi superiori. Fig. 2.8: Cranio di coniglio del Museo di Pavia » 3.8: Cranio di coniglio descritto e figurato da X. Raspail. mt) 0-2 A00 251928 BOLLETTINO DEI MUSRI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N234. | I, A0 1895. GiacoMO CATTANEO Sulla condizione dei fondi ciechi vaginali della « Didelphys Azarae », prima e dopo il parto. In un lavoro « Sugli organi riproduttori femminili del- l’Halmaturus Bennettii », pubblicato nel 1882 ('), dopo avere esposta l’intricata questione relativa alla terza va- gina, o vagina mediana, dei marsupiali, e alla sua sepa- razione o comunicazione col vestibolo urogenitale (V. Bi- bliografia, 1-24), esposi i risultati delle mie osservazioni sugli organi riproduttori di due femmine della suddetta specie, una giovane e che non avea mai partorito, e una adulta e che avea partorito di fresco; potei così stabilire in modo sicuro ciò di cui ancora si era in qualche dubbio: che il fondo cieco in questa specie è chiuso prima del parto, e aperto dopo il parto; cosicchè riusciva ormai evi- dente che la fecondazione, in questa specie, avviene per le vagine laterali e il parto ha luogo per la vagina me- diana, la quale, in tale occasione, si rende pervia per una larga fessura. Contemporaneamente, o poco dopo, altri lavori si succe- devano (V. Bibliografia, 25-30), con l’intento di sempre meglio definire la questione, e raccogliere una ricca sta- tistica sulle condizioni del fondo cieco vaginale, semplice o doppio, nelle varie specie di marsupiali. I risultati però sono ancor lungi dall’essere definitivi, perchè, in una metà dei casi almeno, non v’è la certezza che l’animale avesse o non avesse già partorito, o che l’epoca del parto fosse (!) Atti della Soc. It. di Scienze Nat. Vol. XXIV. ll lavoro porta però ia data del dicembre 1881. stata vicina o lontana. Occorre quindi tener nota di tutti i casi in cui le circostanze relative al parto sono sicura- mente stabilite, solo i dati sicuri essendo utili nella que- stione; ed è perciò che ora pubblico la presente nota sulla Didelphys Azarae. ; I risultati che finora si hanno, come potei ricavare da un'attenta rivista delle pubblicazioni citate nella 54blio- grafia, sono ì seguenti: Tra i RRizophaga fu trovata, in un sol caso, la comu- nicazione fra il fondo cieco vaginale e il vestibolo uroge- nitale, nel Phascolomys Wombat. Tra 1 Poephaga pare ormai accertato che presentino il fondo cieco chiuso prima del parto, e aperto dopo il parto, tutte le specie del genere Halmaturus (Bennettii. Billarderi, ruficollis, derbianus, ualabatus, agilis), e le forme affini: Osphranter robustus e Petrogale penicillata. Invece nei Macropus (maior, rufus. Parryi). nella Dorcopsis luctuosa . nell Hypsiprymnus murinus e nel Dendrolagus inustus il fondo cieco mediano, sempre chiuso prima del parto, è talora aperto, e talora an- cora chiuso dopo il parto. Pare quindi che in queste forme il meccanismo del parto per la vagina mediana non si sia ancora stabilito in modo definitivo, e il feto possa uscire anche attraverso le vagine laterali. In alcuni casi poi la circostanza del parto è dubbia; e in altri, in cui ll parto è avvenuto da lungo tempo, si può pensare, pel caso di un fondo iediano chiuso, a un rimarginamento suvecessivo della fessura. L» osservazioni quindi non sono attendibili se non nel caso di parto recente. Tra i Carpophaga, il Phascolaretos ha il fondo cieco sempre chiuso; lo stesso dicasi della Phralangista e del Petaurus. Ove le condi zioni sono meno conosciute si è nei Rapacia. Si ammette come generale in essi l’esistenza di due fondi ciechi sepa- rati, e costantemente chiusi; però le osservazioni sono scarse. E se si hanno notizie abbastanza precise per la Didelphys dorsigera e virginiana, per il Perameles e per il Da- syurus, nulla ho trovato a riguardo del 7ylacinus, della Phascogale, del Myrmecobius. e delle altre specie di Di- delphys. E riguardo a queste ultime non è da attendersi una disposizione costante, poichè, per questo importante particolare anatomico, le due già note diversificano assai AUG 13 1396 tra di loro. La dorsigera manca di fondi ciechi. © pre- senta quindi il tipo primitivo dei condotti di Wolff, simili a quelli dei monotremi, e in istretta connessione coll’ ap- parecchio dei rettili: invece la virgirniana ha già fatto un notevole progresso, presentando due fondi ciechi, quan- tunque tra loro distinti e costantemente chiusi. Importa dunque conoscere se questa parte dell’ apparecchio ripro- duttore femminile della Didelphys Azarae si avvicini piut- tosto al tipo della dorsigera o della virginiana, e quali differenze esistano tra la forma giovanile, e l’adulta dopo il parto. Mi trovai in ottime condizioni per compiere questa in- dagine, avendo tenuto viva per oltre un mese nel mio la- boratorio una femmina di D:delphys Azarae (*), che aveva da poco partorito e portava cinque piccoli nel marsupio. Appena questi sì furono completamente sviluppati, la D/- delphys venne sacrificata per preparazioni e ricerche ana- tomiche. Tosto rivolsi la mia attenzione all’ apparecchio ri- produttore, e notai ch’esso si avvicina a quello della Di- delphys virginiana. poichè possiede, al punto di sbocco dei due uteri nelle due vagine laterali, due fondi ciechi arro- tondati, fra loro completamente distinti, e non comunicanti direttamente in alcun modo col vestibolo nrogenitale. Nes- suna traccia in essi di preesistente fessura, talchè. essendo il parto avvenuto da poco. non si può pensare a un ri- marginamento. Quindi in questa specie il parto, come la fecondazione, non può avvenire che per le vagine laterali. Esaminai anche gli organi riproduttori femminili di due giovani (della lunghezza di cm. 15), e vidi che in essi in- vece la disposizione è più simile a quella della Dide/phys dorsigera, poichè i fondi ciechi sono affatto atrofici, e si ha quindi il tipo monotremoide primitivo. Qui pure | embrio- logia conferma la genealogia, ed è interessante poter così se- (1) Era stata portata dal Paraguay da un emigrante rimpatriato, e fu gentilmente donata al mio laboratorio dal Dr. Paolo Celesia , a cui rivolgo i miei ringraziamenti. Se ne p epararouo il cervello. il tubo digerente, gli organi riproduttori, e lo scheletro dell'adulta © di un giovane. La mia descrizione è sommaria, poichè ciò che importava era solo di verificare lo staio dei fondi ciechi dopo il parto. e non conveniva sacrificare il raro pre- parato. guire gli inizii dello sviluppo progrediente di questi organi, che dalla forma doppia, sì nell’utero che nelle vagine, pas- sano gradatamente a quella di utero bipartito e bicorne giungendo alla più elevata di utero semplic»., con fondo arrotondato. DA 00 i 16. sio Genova, 3 luglio 1895. BIBLIOGRAFIA (in ordine cronologico). . E. Home, Some observations on the mode of generation of the Kanguroo, with a particular Description of the Organs themselves. 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XIII) di questi Annali, col Prof. G. Cattaneo, pubblicai un lavoro illustrante ampiamente ('!) la struttura anatomica e la posizione siste- (') Pei particolari sulla vita e sull’organizzazione dell’ eterocefalo rimando il lettore alla memoria precitata, riguardo alla quale io ed il collega G. Cattaneo ritorniamo brevemente per una rettifica. Nel « Zoologischer Anzeiger, Litteratur pag. 561, 1893», fu annunziata questa nostra pubblicazione sull’ Heterocephalus, che venne poi riassunta nel « Zoologisch. Jah- resber. 1893 (Vertebrata, pag. 89) » colle seguenti parole: « Parona und Cattaneo fanden bei Heterocephalus keine Spur von Haaren in der Riickenhaut. Das Skelet wird oberflichlich beschrieben, ebenso Musculatur, Darmcanal, Gehirn und Ge- schlechtsorgane (7 9). Das Auge, welches auf Schnitten untersucht wurde, ist zwar klein, aber normal ». Ora, in questo riassunto si contiene un’ espressione inesatta, od incompleta, che potrebbe rendere impossibile non solo di determinare, ma anche di riconoscere l’animale in questione, poichè il notare semplicemente che esso è « privo di peli sul dorso » sembra significare che però nel resto del corpo ne sia normalmente fornito. Invece l’ eterocefalo manca di pelo, non solo sul dorso, ma su tutto il corpo, fuorchè qualche raro peluzzo sparso qua e là. [Veggasi la figura nel libro del Bottego: Il Giuba esplorato, pag. 39], ed il carattere spiccatissimo che lo distingue dai generi affini è appunto la pelle glabra (onde il nome di H. glaber). Nè ciò fu trovato da noi, ma dal Ruppell, che pel primo descrisse il curioso roditore africano; e venne più tardi confermato dal Phillips e dal Thomas. Cosicchè mentre il riassunto attribuirebbe a noi una novità vecchia, sorvola sulle molte novità genuine, che il nostro lavoro contiene, con un garbato oberAdechtich, riferito singolarmente alla descrizione di ciascun apparecchio. Eppure il nostro scritto, minuzioso e diffuso, è il più esteso che sia stato finora pubblicato sull’ ar- gomento; e, all'infuori di ciò che riguarda i denti ed alcune particolarità della pelle e del cranio, tutto il resto è nuovo per la scienza. Come risulta dalla nostra (!) Estr.: Annali del Mus. civ. di Genova, Vol. XV (XXXV), 1895. matica dell’ Meterocephalus glaber Riipp., l’ interessantissimo e strano roditore che il capitano Vittorio Bottego raccolse durante la sua esplorazione del Giuba. Per la gentilezza del March. G. Doria Direttore, e del Prof. R. Gestro Vice-direttore del Museo civico di Genova, avendone ottenuto in esame alcuni individui per lo studio sopramenzio- nato, fu mia cura ricercare con tutta attenzione se il raro mam- mifero albergasse per avventura dei parassiti, e mentre le mie osservazioni riuscirono infruttuose, per quanto minuziosissime , riguardo ad elminti (perchè nei tubi intestinali di otto esem- plari non mi fu dato di trovarne), esaminando invece la cute, potei incontrare, celati fra le sue pieghe, alquanti esemplari di due epizoi, al tutto nuovi, e dei quali sembrami opportuno qui brevemente parlare. Trattasi, a dire il vero, di due forme non adulte e perciò la loro descrizione, pur troppo, non sarà completa; ma consi- derando la rarità dell’ ospite e la regione donde proviene, ben poco nota dal lato faunistico, questi cenni potranno presentare qualche interesse. Entrambi le specie ebbi a riscontrarle quasi nascoste fra le numerosissime pieghe e grinze della pelle, la quale, siccome è no- torio, presentasi nuda ed è caratteristica dell’ eterocefalo ; e più precisamente in quella porzione che ricopre la regione interna degli arti posteriori e quella delle aperture sessuali. Stavano, prefazione e conclusione, nostro scopo era di far conoscere non solo dal punto di vista anatomico, ma anche sistematico e corologico, un mammifero finora quasi sconosciuto in Europa; e perciò ricavammo tutto il partito possibile dai due esem- plari (7 e 9) che furono messi a nostra disposizione. Naturalmente non si poteva pensare a ricerche embriologiche e fisiologiche o ad iniezioni, essendo essi adulti e conservati in alcool; e nessun risultato importante potevamo aspettarci da più minute ricerche istologiche o anatomiche (dato che esse fossero state possibili) in un rosicante che non differisce essenzialmente nella sua organizzazione dagli affini, e quando si pensi che una metà del materiale dell’ istologia moderna è data appunto dai rosicanti, di cui esistono monografie molto particolareggiate. Preghiamo quindi chi verràin seguito ad occuparsi di questo argomento di non fondarsi sull’ accennato frettoloso e superficiale riassunto, ma di ricorrere alla memoria originale, cui ben altrimenti giudicò il mammalogo Oldfield Thomas chiamandola « an èmportani and most valuable paper e amply detailed ». (Ann. Mus. Civ. Genova, XXXV, 1895, p. 1 e 2). PARONA e CATTANEO. la in diete AUG 13 1896 3 principalmente uno, in numero discreto sopra ogni ospite, ma non insieme, giacchè quell’ eterocefalo che portava il trombidio, non aveva il psoroptide e viceversa. Trombidium Bottegi, n. sp. (forma leptoide) [ Fig. 1-4]. Riescendo facile ascrivere una delle due forme al genere ben noto, passo senz’ altro a descriverla. Corpo quadrangolare, ad angoli arrotondati; non presenta restringimenti, e tutto il margine è intero e regolare (Fig. 1); peli corti e rari disposti senz’ ordine. Alla parte anteriore del dorso si elevano due lunghe appendici clavate. Rostro poco allun- Fig. 1. Fig. 2. Fig. 3. Fig. 4. (1) gato, con palpi a brevi articoli e terminati da due unghie e da una breve appendice tentacolare munita di lunghe setole (Fig. 2). Zampe relativamente brevi, massime quelle del terzo pajo che non sorpassano , dirette all’ indietro, l’ estremità posteriore del corpo; hanno pochi peli semplici e portano all’ estremità tarsali tre uncini. Le unghie sono tre (Fig. 4), come del resto è proprio del genere. Gli arti posteriori sono i più lunghi ed il loro ultimo anello è leggermente ingrossato. (1) La figura essendo di profilo, mostra soltanto l’unghia mediana e una delle laterali. Corpo incolore, trasparente; non vi si scorge traccia di organi genitali; e l'intestino è visibile, in un tratto rettilineo, per il contenuto nerastro. DIMENSIONI. mm. Lungh. del corpo (esempl. maggiore) . . 0,039 Largh. id. idem 0) Lungh. . id. (altro *esempli); (MOSSO 4052 Largh. id. idem LITRO Lungh: delirostro:.i Of Ni SEO Idem della zampa posteriore . . . 0, 018 Habit. — Sulla cute dell’ Meterocephalus gu ‘ Errer, rac- colto dal cap. Vittorio Bottego, 10 ottobre 1893. L’eterocefalo deve essere piuttosto frequente in quella regione, secondo le indicazioni date dal nostro esploratore, che lo ritrovò sul medio Ganàle, mentre dopo i Gurra non aveva più riscon- trato traccie di sua presenza. (V. Bòttego: Il Giuba esplorato, p. 298). ACOTYLOPUS, n. gen. ('). Acaro astigmato (?); corpo senza produzioni chitinose (squame, spina, ecc.) al dorso; tutti gli arti sprovvisti di ventose, ma ter- minati da unghie, o da lunghe setole rigide. Acotylopus Canestrinii, n. sp. (forma ninfale). [Fig. 5-8]. A corpo ovale (Fig. 5), arcuato al ventre per modo che di profilo appare reniforme (Fig. 6). Il margine del corpo non presenta rientranze nè ai lati, né posteriormente. Tegumento incolore e poco resistente, da rompersi anche a leggera pres- sione, e senza produzioni chitinose. (1) x (negativa); xotòAm fossa (ventosa); r00g piede. - d Rostro breve, triangolare e poco allungato. Arti brevi, costi- tuenti due gruppi, separati l’uno dall'altro da largo spazio. Gii Fig. 5. F.g. 6. anteriori più marginali dei posteriori, non oltrepassano il mar- gine del corpo (Fig. 7). Tutti gli arti mancano di ventose; quelli delle due prime paja terminati ciascuno da un’ unghia, quelli Fig. 1. Fig. 3. del terzo e del quarto invece da una lunghissima setola e muniti di una pennetta per ciascuno, elevantesi dall’ articolo basale (Fig. 8). DIMENSIONI. mm. Lungh. del'icorpo Ne ee Altezza id. EMO, tc ARMOR Lungh. ‘del arto le e LR Id. del 4.° id. (esclusa la setola). :. 0,02 Id: ‘dellazsetola delVe®arto . enon Jd..a*dellaSsetola. pennata <. °°... MMSOA0IO Appartiene a forme ninfali e perciò non è possibile indicarne i caratteri differenziali dei due sessi. Che siano ninfe lo dimo- strano i fatti che: in nessun esemplare si riscontrano aperture genitali, né uova; che gli organi boccali sono rudimentali, e che gli arti posteriori portano alla base delle lunghe setole piumate, o pennette. Dai caratteri più notevoli ora indicati si può ritenere che questa specie appartenga alla famiglia dei Psoroptidi, e sia molto affine al genere Sarcoptes, ma differisce, tanto da questo, come dagli altri generi della famiglia, per la completa e già segnalata mancanza di ventose a tutti gli arti, per presentare il 1.° e 2.° pajo terminati da un’ unghia, il 3.° e 4.° abortivi, cioè terminati da lunga e rigida setola; per l'assenza di pro- duzioni chitinose sul dorso; ed ancora per la bocca inferiore. Perciò mi credo autorizzato a stabilire un nuovo genere, il cui nome traggo dal carattere spiccatissimo dell’ assenza delle ventose agli arti anteriori; e dedico la nuova specie al Prof. Giovanni Canestrini, l'illustre studioso dell’Acarologia italiana, in segno di stima e di sincero affetto. Habit. — Sulla cute dell’ eterocephalus glaber; Errer; rac- colto dal cap. V. Bottego, 10 ottobre 1893. Sebbene lo stato di conservazione degli ospiti, a pelle nuda ed epidermide facilmente staccabile per l’azione dell’ alcool, non permettesse ricerche in proposito, tuttavia ho potuto constatare che questo acaride scava delle nicchie e dei solchi nel tessuto epidermoidale. Non ho però riscontrate vere gallerie o cunicoli. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE. Fig. 1. Trombidium Bottegi, X 65. 2. ore so » » » » » ») » » Genova, Marzo 1895. estremità del palpo x 260. ultimo arto sinistro x 260. estremità dell’ arto x 325. . Acotylopus Canestrinii, X 100. di profilo. zampa anteriore sinistra X 260. zampa posteriore destra Xx 260. / ; i È Genova— Tip. Sordo-muti. AUG 13 1896 BOLLETTINO DRE NUSBI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N° 36. /3 LIL 1895. MARIA SACCHI Sulla struttura degli organi del veleno della Scorpena. IDE SPINE DELLE PINNE PARI. (Tav. XI). Sconosciuta affatto è l’esistenza di organi veleniferi nelle pinne addominali della Scorpaena. Il primo raggio ante- riore di queste è ossificato, ma per essere assai più corto del secondo (cartilagineo e quadrifido all’ estremità, come eli altri che seguono) e ad esso addossato per mancanza di una membrana interradiale, a prima vista sfugge all’os- servazione. Questa è probabilmente la ragione principale per cui non sì tenne mai conto di questa spina come arma offensiva. E ciò tanto più nelle specie Scorpaena scropha L. e S., porcus L., in cui questo primo raggio delle addo- minali si trova per lo più completamente nascosto, perché incluso nella pelle anche in corrispondenza dell’apice della spina, sicchè non avviene, come nel caso dei raggi dorsali ed anali, che la guaina, già pervia, nell’ atto della puntura si arretri, lasciando che | estremo tratto dell'osso a nudo penetri nel corpo straniero, ma la puntura si effettua, previa perforazione della pelle, per semplice pressione del corpo straniero ferito; la pelle si rimargina forse poi, nascondendo ed includendo di nuovo la spina durante il tempo in cui il pesce non abbia avuto bisogno di usare delle sue armi. Così dico perchè varie volte anche in questa specie trovai l'apice libero. Nella Scorpaena ustulata Lowe non trovai la punta della spina inclusa dalla pelle, ma libera e cir- condata da una guaina mobile. Questo raggio spinoso, poco evidente, ma robusto, delle addominali, mi indusse a sup- porre ch' esso potesse rappresentare un’ altra arma difen- siva non solo meccanicamente, ma anche chimicamente per presenza di glandule velenifere. Preparai allora anche questa spina con la stessa tecnica già usata innanzi per lo studio dei raggi ossei delle pinne impari, e trovai infatti, nelle profonde scanalature laterali, un paio di glandule di svi- luppo non inferiore, se non anzi superiore (iS. ustulata). a quello delle altre spine dorsali ed anali. Per la struttura generale delle varie parti della spina, la descrizione data nel precedente lavoro sulle pinne im- pari vale per tutte e tre le specie S. scropha. S. porcus, S. ustulata., e così dicasi per la struttura delle cellule glandulari, ma non per la loro disposizione, perchè nella scorfanella, invece di essere disposte radialmente intorno a un lume che serve di condotto al veleno, nelle glandule di tutti i raggi veleniferi, compresi gli addominali, la di- sposizione è come verrà descritta in seguito. Una pinna addominale di S. scropha. lunga mm. 53, presenta il primo raggio osseo lungo 30 mm. In esso le slandule sono lunghe circa 1 cm. e cominciano a circa 4 mm. dell’ apice. Una pinna addominale di S. porcus, lunga mm. 35, pre- senta una spina ossea lunga 18 mm., con glandule lunghe circa mm. 6,5 a cominciare da mm. 2,5 dall’ apice. In queste due specie la elandula, allungata, ha forma di prisma, a base di triangolo equilatero, con spigoli arroton- dati: così pel tratto centrale, mentre è cilindroide verso le estremità assottigliate. Essa presenta lunghe cellule inserite alla superficie del prisma e rivolte con l'estremo libero al- l'interno verso un punto eccentrico prossimo alla guaina ed opposto al fondo della scanalatura dell'osso (Tav. XI, fie. 2, gl): è cilindroide verso le estremità assottigliate, con le cellule disposte intorno ad un lume pressochè centrale. La disposizione è simile a quella già deseritta per le spine impari. La dimensione delle cellule è pure su per giù la stessa: così si dà qui pure che le cellule più corte sono più larghe delle più lunghe. Ciò per un adattamento alla loro posizione, di spigolo o di faccia, e alla costipazione delle cellule. Una disposizione diversa hanno le cellule glandu- lari della Scorpaena ustulata, a I AUG 13 1896 In un individuo di questa specie una pinna addominale lunga mm. 17, ha il primo raggio ossificato lungo mm. 9, e le sue glandule circa 3 mm., e larghe al:massimo 400 L. e profonde 160 wu. Verso il mezzo della iunghezza del raggio, dal coimessivo della guaina che comincia ad introflettersi nell’inizio della scanalatura, partono varie cellule che si proiettano verso il fondo della scanalatura; di mano in mano che questa si allarga, restando ancora stretta la sua imboccatura, le cellule si vanno maggiormente allungando e disponendo a ventaglio nel fondo della solcatura dell’osso (fie. 3, g4). Varie trabecole di connessivo si introducono fra esse dando attacco ad altre cellule che si proiettano pure verso il fondo del solco. Nel tratto centrale la glandula ha forma di un prisma (a spigoli arrotondati) a base di iriangolo rettangolo con uri cateto lungo due volte e più l’altro; quivi la solcatura dell’osso, aperta al massimo, dà ricetto a lunghe cellule di- sposte parallelamente e inserite al connessivo della guaina nel tratto che le sta di fronte (fig. 4, gl). L’avere osservato sempre queste cellule tenacemente aderenti al connessivo della euaina per quanto le piccole sezioni vengano stra- pazzate e l’avere spessissimo notato il facile allontanamento dell’ intera elandula dal fondo del solco (fig. 3, a destra), e molti eranuli splendenti, che interpreterei coaguli di veleno, spesso raccolti sul fondo della scanalatura, dimostrerebbe che nel caso della Scorpaena ustulata il liquido venefico non si raccoglie nell’ interno della glandula, come nelle altre due specie, ma tra la glandula e il fondo della scanalatura, donde esso, per la compressione subita dal raggio durante la puntura, schizzerebbe fuori. Nella scorfanella, come dissi, questa disposizione delle cellule elandulari si ha non solo nelle spine delle pinne addominali, ma anche in quelle delle pinne anale e dor- sale. In questa specie notai anche, una volta, lo sdoppia- mento di una glandula come nella fio. 4, g0/. Per le dimensioni di queste grandi cellule si hanno al- l’incirca le variazioni ‘già notate per le cellule glandulari delle pinne impari: la lunghezza loro varia da 70 od 80 a 150 1 circa: per l'aspetto, le granulazioni, le forme ancora mi posso riferire alla nota precedente ed alle figure 5-10, SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XI Fig. 1. Pinna addominale sinistra (Scorpaera scropha L.). » raggio osseo. ) 2. Sezione trasversale del primo raggio osseo di pinna addominale (S. scropha L. e S. porcus L.) gl glandula velenifera. 3. Grossa sezione trasversale del primo raggio osseo di pinna addo- minale (S. ustulata Lowe). Verso 1’ estremità prossimale della glandula. A destra la g/, staccata dall’osso, sì presenta di fronte e aderente alla guaina. 4. Sezione trasversale del primo raggio osseo di pinna addominale (S. ustulata Lowe). Massimo sviluppo della glandula gf e sdop- piamento della glandula gl'; massima apertura del solco. 5, 6, 7. Cellule isolate di glandule di pinna addominale /S seropha L. e S porcus L.). 8, 9, 10. Cellule isolate di glandule di pinna addominale (8. vustulata Lowe). Laboratorio di Anatomia compareta dell'Universita di Genova. ——_- Gg __ AUG 13 1896 BOLLETTINO DEL MUSBI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N° 37. /3,0404 1895. ARNALDO SABBATINI Nota sugli Echinorinchi dei Cetacei. Nell’ illustrare un caso di polielmintiasi in un Globicefalo, il cui intestino fu trovato quasi ostruito da una immensa quantità di Eckrinorhynchus capitatus v. Linst., il prof. C. Parona ebbe occasione di notare come questa specie, in- sieme alle congeneri di altri Cetacei, abbisognasse di ul- teriori indagini (1). L’Ech. capitatus infatti, descritto e disegnato per la prima volta molto sommariamente dal Linstow nel 1880, da esemplari appartenenti alla collezione elmintologica del- l’Università di Kiel e provenienti da una Psewdorca cras- sidens Gray (*), non fu in seguito, almeno a quanto mì consta, studiato da nessun altro, lo stesso prof. Parona es- sendosi limitato, nella memoria citata, a determinarlo, dac- chè egli sì proponeva principalmente di mettere in evidenza, più che l’ elminto, la polielmintiasi in sè ed i suoi effetti negli animali conducenti vita libera. Ciò premesso, riassumo qui qualche osservazione che ho avuto agio di fare su questa specie col materiale messo a ‘mia disposizione dal predetto prof. C. Parona, al quale rendo le mie più vive grazie, aggiungendo alcuni cenni comparativi sulle specie affini. che furono sinora trovate (1) C. Parona, Sopra una straordinaria polielmintiasi da Echinorinco nel Globicephalus Svineval Flow. etc., in: Atti Soc. Ligust. Sc. Nat. e Geogr. vol. IV. Genova, 1893, p. 314, tav. X. (*) O. v. Linsrow, Helmintholog. Untersuchungen, in: Arch. fir Natur- gesch. Berlin, 1880. Band I, p. 41, tav. III, fig. 16. 2 nei Cetacei, e delle quali ecco la lista in ordine cronolo- gico : Ech. porrigens Rud. (1) della Balaenoptera borealis Les- son (?). Ech. pellucidus Leuck. (3) del Delphinus delphis L. » turbinella Dies.(*) (=ruber Collett (°)) della Balaenop- tera borealis Lesson, dell’Hyperoodon rostratum Wesm., e della Balaenoptera musculus Companyo. » brevicollisMalm (6) della Balaenoptera Sibbaldii Gray. » capttatus v. Linst. (*) della Pseudorca crassidens Gray e del G/obicephalus Svineval Flow. (= G. melas Gerv.). Le dimensioni massime dell’Ec4. capitatus adulto sono: lunghezza mm. 100.50, larghezza mm. 3; e le dimensioni minime: lunghezza mm. 17, larghezza mm. 0.50. La tromba risulta di due parti: l'anteriore che è armata generalmente da 12-14 file trasverse di uncini; — file per altro che in alcuni individui possono giungere fino a 16-18; — e la posteriore, che è inerme e lunga quasi quanto la parte armata (fig. 1 a, b). Gli uncini della tromba hanno due forme diverse; i po- steriori sottili, quasi diritti, tanto che non meriterebbero (!) C. A. Ruporpui, Ex/ozoorum Synopsis. Berolini, 1819, p. 71 e 325. — A. Wesrrump, De Helminthibus Acanthocephalis. Hannoverae, 1821, p. 23, tav. I-II. (*) La Balnena rostrata del Rudolphi e del Westrumb non è che la Balaenoptera borealis Lesson. Quanto poi all’ indicazione del Linstow, se- condo la quale I° Zeh. porrigens sarebbe ospitato dalla Balaena mysticetus, L., deve essere considerata erronea. Confr.: Jigerskiòld L. A. Finiges diber die Schmarotzer der nordatlant. Balinopteriden, in: Verh. Biol. Ver. Stockholm. Bd. 3, p. 127-133. (7) F. S. Leuckart, Breves animalium quorundam descriptiones. Hei- delbergae, 1828. ($, C. M. Digsinc, Zwòlf Arten von Acanthocephalen, in: Denkschr. k. Akad. Wien. Math. Cl. Bd. 11, 1856, tav. III, fig. 19-24. (® R. Correrr, On the esternal characters of Rudolphi's Rorqual etc. in: Proceed. -Zoolog. Soc. London. 1886, p. 255, fig. E. E°. (9) A. W. Marna, Monographie illustrée du Balaenoptere trouve le 29 Oct. sur la cote occidentale de la Suede. Stockholm, 1867. (7) O. v. Linsrow, /. €. — C. Parona, È. €. AUG ‘o 1396 neppure il nome di uncini, hanno una radice che, visti iso- lati, li fa rassomigliare ad una T (fie. 3). Gli anteriori in- vece, più grossi dei precedenti, sono ricurvi in modo che la punta forma colla radice un angolo molto acuto (fig. 2). Il rigonfiamento anteriore del corpo (bulbo), sul quale si innesta la tromba, e che contiene il ricettacolo, i lemnischi e il ganglio cerebrale, ha la superficie armata, non da uncini, ma da robusti aculei, corti, triangolari (fig. 4), disposti in serie alterne; e questi non la ricoprono uniformemente, ma in modo da dividerla in tre zone: una posteriore, una me- diana ed una anteriore (fie. l e, d, e). La zona posteriore (e) è quella formata dal cercine che circonda il bulbo in corrispondenza del suo maggiore diametro, e sul quale sono impiantate regolarmente 7- 12 file trasverse di aculei. La zona anteriore (c) è pure irta di aculei, disposti in 10-12 file trasverse, ma questi, a dif ferenza di quelli del cercine, che sono pressochè tutti della stessa grossezza, vanno gradatamente impicciolendosi dall’indietro ver- so l’avanti dell’ animale. Ma ciò che più d’ogni altra cosa caratterizza la specie in esame è la zona sgombra da aculei (d) situata immedia- tamente all’ innanzi del cercine; questa, più o meno re- golare, più o meno evidente, attraversata talvolta da una o due file oblique di aculei, come nella figura, esiste sem- pre; ed è da meravigliarsi che sia sfuggita al Linstow, il quale, non solo non ne fa cenno nella sua descrizione, ma non la fa neanche apparire dalla sua figura, come, del re- sto, non fa apparire il tratto inerme della tromba. Osservazioni che sento la necessità di avvalorare dicendo che i nostri esemplari furono confrontati con due esem- 4 plari-tipo inviati gentilmente im esame dal Linstow stesso, e ciò allo scopo di prevenire il dubbio che la nostra de- scrizione potesse riferirsi ad una specie non identica all’£. capitatus. Un altro fatto caratteristico, che mi è occorso di consta- tare in qualche individuo, è il seguente: alcune delle file di aculei della zona c, e precisamente quelle che sono con- tigue alla zona d, presentano, non di rado, ad un certo punto una soluzione di continuità, cosicchè l’area sottostante d, se osservata da un lato, si mostra con molta evidenza scombra da aculei, mentre se osservata dal lato opposto può lasciar credere, a chi non sia prevenuto, massime se ha sott’ occhio un individuo molto giovane, che non esista neppure una radura, e che le file del cercine formino un tutto continuo colle altre. Anomalia che ho creduto di mettere in rilievo, perché potrebbe, all’ occasione, far ritenere inesatto il numero di 10-12 dato per le file della zona c, la quale, per la irre- golare interruzione sopra accennata, può, in uno stesso in- dividuo, a seconda del come lo si osserva, mostrare un numero di file molto diverso. E qui viene naturale una domanda: l’area circolare tal- volta affatto inerme, talvolta armata da pochi aculei, signi- fica forse che questi sono in parte caduchi? Ho cercato di confrontare gli individui più maturi con quelli più giovani, per vedere se i primi avessero un numero di aculei superiore a quello degli altri, ma senza risultato. Ciò tuttavia non prova nulla. Poichè, se una perdita di aculei c'è, può benissimo avvenire durante il periodo lar- vale nell’ ospite o negli ospiti intermedii; e allora nes- suna meraviglia che i nostri Echinorinchi, in questa fase finale del loro ciclo evolutivo, ci si presentino tutti, su per giù, collo stesso aspetto, senza nulla rivelarci in proposito. Né il fatto che qui gli aculei caduti non hanno lasciato alcun vestigio, contrariamente a quanto si verifica in molti Cestodi (') e, fra gli Acantocefali, nell’ Ech. sphacrocephalus (4) C. Parona, H/ymenolepis Moniezi n. sp. parassita del Pteropus me- dius ete.; in: Musei di Zool. e Anat. compar. della R. Università di Ge- nova. N.° 12, 1893 ed Atti Soc. Ligust. Sc. Nat. e Geogr. vol. IV. 1893, p. 198. Bremser ('), può escludere l’ ipotesi della caducità, poichè c'è, per es., VEch. polynorphus Brems. che in uno degli ultimi stadii di sviluppo rimane colla tromba completamente liscia, senza alcuna traccia degli uncini spariti (?). Del resto, finche non si saranno trovate le larve, la que- stione non potrà essere risolta. In quanto poi al numero sia delle file degli uncini che degli aculei, sono giunto a risultati un pò diversi da quelli del Linstow, il quale, non facendo tale distinzione, assegna: Alla tromba: minimo 12 massimo 14 file trasverse di uncini Al bulbo: » 20 » 20. » » » Totale » 32 » 34 » » » mentre io ne assegno: Nilaitrombate st © 00 (0 minimo 12 massimo 18 file trasv. di uncini _ ( zona anteriore — » 7 » 12 d ; Al bulbo » 5 ( file trasv. di aculei » posteriore » 10 » 12 Totale (aculei e uncini) » 29 42 Molto simile all’Ec/. capitatus è VEch. pellucidus Leuck. Anch'esso ha la tromba subcilindrica, armata da 12-14 se- rie trasverse di uncini, ed anch’esso ha il corpo anterior- mente rigonfio ed armato da aculei, il cui numero per altro non è dato nè dal Leuckart (3), nè dal Diesing (4). Ma nel- lEch. pellucidus il ndnifiamenio sta all’indietro di quella strozzatura che si suol chiamare collo, mentre nell’Eck. ca- | pitatus avviene l'inverso. Un altro carattere che avvicina l’Eck. pellucidus all’Ech. capitatus è l’area circolare inerme nel mezzo degli aculei del bulbo, e la forma del corpo posteriormente allungata e cilindrica. o) Dusarpin F.. Histoire naturelle des Helminthes. Paris, 1845, p. 518- Id. Id. pag. 524. L. c. C. M. Dresinc, Systema Helminthum. Viadobonae, 1850-51. vol. II, (©) L’Ech. pellucidus è per altro molto più piccolo dell’Eck. capitatus ; il maschio è lungo mm. ©, la femmina mm. 12. Habitat: in Delphinus delphis L. e ultimamente pare sia stato trovato dal Leidy (1). Non mi fu possibile avere esemplari pei confronti. Sull’EcAh. turbinella Dies. (= ruber Collett (*)), di cui ho avuto a mia disposizione 12 esemplari provenienti da una Balaenoptera borealis Lesson, gentilmente inviati dallo Jigerskiòld in dono alla Collezione Parona, debbo dire che la descrizione e la figura date dal Diesing, come quelle date dal Collett pel suo Eck. ruber, non sono del tutto esatte, poichè tanto all’uno che all’altro autore è sfuggito un ca- rattere che questa specie ha in comune coll’Eck. cap tatus, ed è il tratto basilare inerme della tromba. Per quello poi che si riferisce alla tromba in sé stessa, le file trasverse degli uncini sono, secondo il Collett, circa 4, secondo il Diesing 6-7, e, secondo le mie osservazioni, perfettamente concordi con quelle del Borgstròm (8), da 12 a ld. Quanto al bulbo, il Diesing, come pure il Borgstròm, non dicono da quante file di aculei sia armato; secondo il Collet esse sono 10-12; 10 ne ho contate, su alcuni individui, fino a 15-16. L’Ech. turbinella sì presenta. a primo aspetto, identico ad un piccolo Eck. capitatus: ambedue gli Echinorinchi hanno infatti la tromba cilindrica, armata pressochè dallo stesso numero di file trasverse di uncini, e sono addirit- tura simili per la forma generale del corpo, per la forma del bulbo e per la lunghezza del collo. Senonchè il rapporto in lunghezza fra le due parti del corpo che sono così nettamente separate da quello strozza- mento a cui si è dato il nome di collo, è molto diverso nelle due specie esaminate allo stato di massimo sviluppo, (1) J. Ley, Notices of Entozoa, in: Proc. Acad. Nat. Sc. Philadelphia f. 1890, p. 410. i (?) Le due specie sono state identificate dal Monticelli: Osservazioni in- torno ad alcune specie di Acantocefali, in: Bollett. Soc. Naturalisti, Na- poli, vol. I, 1887. () E. Borostròn, Veber Ech. turbinelta, brevicollis und porrigens, in: Bihang till K. Svenska Vet.-Akad. Handlingar. Bd. 17, Afd. IV, N.° 10. ci poichè, mentre allora i due bulbi hanno dimensioni iden- tiche, la lunghezza della parte posteriore del corpo, nel- l’Ech. turbinella non supera i 28 mm., all’incontro nell’EcA. capitatus può superare-i 100. Nel eonfronto inoltre delle due specie un altro carattere differenziale è da notarsi, molto più importante del prece- dente, ed è la mancanza nell’ Ech. turbinella di quella zona inerme, che nell’Eck. capitatus e nell’Ech. pellucidus divide in due parti l’ area armata del bulbo. L’Ech. turbinella è, secondo Jigerskiòld, di gran lunga il più abbondante degli Acantocefali ed anche dei paras- siti in generale che s’ incontrano nei Balenotteridi. Si pre- senta sempre straordinariamente numeroso, anzi lo Jiger- skiòld afferma di non aver trovato un centimetro quadrato della parete interna dell’intestino di una Balaenoptera bo- realis, dove molti di questi Echinorinchi non fossero in- fissi; — proprio il caso dell’ Ech. capitatus nel Globice- phalus, a cui si è accennato in principio. Di tutti gli Echinorinchi dei Cetacei i due che hanno la maggiore somiglianza fra loro sono, senza dubbio, 1° Ec4. turbinella Dies. e V’Ech brevicollis Malm. Di quest’ ultimo non esisteva, fino a pochi anni fa, che la descrizione data dal Malm nel 1867; ma, come appare evidente dalle poche righe da cui essa descrizione è pre- ceduta, il Malm non aveva notizia dell’ Lech. turdinella, illustrato dal Diesing alcuni anni prima; epperò la descri- zione del Malm, nonchè la figura che 1’ accompagna, ap- paiono oggi insufficienti, poichè possono, su per giù, servire tanto per l’ una che per |’ altra specie. Nel 1892 il Borgstròm (!) ha pubblicato uno studio ana- tomico e istologico sull’EcAk. brevicollis Malm; ma disgra- ziatamente, non avendo avuto a sua disposizione che indi- vidui conservati in alcool, induriti colla tromba introflessa, non ha potuto darci una figura più istruttiva di quella del Malm. In compenso, per altro, ci ha fornito dei dati tali da distruggere assolutamente il sospetto che la specie creata (1) Mem. citata. Ss dal Malm possa identificarsi con quella del Diesing. Dob- biamo inoltre al Borgstròm la risoluzione di un altro dub- bio: egli afferma che quella specie che il Kaiser () ha chia- mata con riserva Eck. porrigens. e che quest’ ultimo au- tore descrive così minutamente, anch'egli senza darne una fisura intera, non è che l Eck. brevicollis Malm; cosicchè ora alla descrizione del Malm se ne sono aggiunte altre due. Dalle quali risulta, in sostanza, che le due specie si di- stinguono pei seguenti caratteri: a) Il rapporto fra la larghezza della parte posteriore del corpo e la lunghezza dell’ animale intero è per l’ EcA. brevicollis */,, per V'Ech. turbinella )/.. b) Nell'Ech. brevicollis 1’ asse longitudinale del bulbo fa sempre, coll’asse longitudinale dell’ intero corpo, un an- golo superiore a 135°; cosa che avviene mai nell’Ech. tur- binella. c) Nell’EcKn. brevicollis la superficie anteriore del bulbo è piana, mentre nell’Ech. turbinella è convessa. d) Di più le file longitudinali degli uncini della tromba nell’Eck. brevicollis sono 24-25, nell’Ech. turbinella 19-20. Mi rimarrebbe ora da dire qualche cosa sull’ Ech. por- rigens Rud., ma lo credo superfluo, considerando che que- sta specie, pel fatto d’ avere il bulbo inerme, e per avere un collo così straordinariamente lungo, si stacca tanto dalle altre di cui finora si è discorso, che non potrà mai dar luogo a dubbio di sorta. Aggiungerò piuttosto un quadro sinottico, il quale, met- tendo in evidenza soltanto i caratteri differenziali più sa- lienti di questo gruppo di Acantocefali, permetta una più facile determinazione delle varie specie. Dal Musco Zoologico della R. Università di Genova, luglio 1895. (1) J. E. Kaiser, Die Acanthocephalen und ihve Entwickelung. Cassel, 18983, in: Bibl. Zool. hrsg. von Leuckart u. Chun. Heft. 7. CHO AOSIRT] . 29 G[| "Wu 0SUN'] NO OLII Cc-g ‘uu 0SunT Ol 05487] €-3 "UU 03uN] "G-@ “UIWI ‘C-p Wi 09uNT ‘QULIQU] ‘ojuatuez -Z0.1)S O[[®p IZUEUUuI IV ‘CEI è o1onIod -odns ojoSue un odi09 OI9UI [Tp o[eurpupis uo] OSSE [09 BJ a]euTtpnyiS uo] Osse ONS [] ‘BUETd Q.101.19) -ue egiodns e] eH (C-3 ‘ur OSE] ‘g uu od] ‘TOmoe Ip asI0AsteI) o[1J è ep OJeuLIE 1] ‘0)uourez -20.19S O][op IZùguuI [[{V ‘BSSOAUO9 A.IOLI -o,ue otyiodns è[ eH ‘€ “uu OST] ‘e ua OSUNT ‘TOMmMog Ip 0819ASC.1) 9[Y OI -CI Ep o) guLIe H] ‘0JuAwI2Z -20.1)S O[[9p IZU BUI TV OTO « 0318] G-f 'UWI 05UN' (0109) 0} UQI2ZZ0.1]g GOTI] ) SUNT ‘OUILIQUI VHEIPOWI BUOZ Bu ep ouoz aNp Ur ISIA “Ip IO[NoV [p esIoASCI) o]y è ep 0pgeuLIE {] ‘0)uowrez RACE RIO II RIOT “TUTO -UIL Ip IfeuIpnyiduo] 91 Tè Up 9 osaoasta) 01 FI -3T Ep ezeuLIe ‘eoTuog ‘oSeq e[[e QUO] “Tuo -Un Ip Suo] 014 Ca-pà ep 0 9S10ASCI) 21 FpI-3I ep CIBULIE ‘ OLIPUTIOQUS ‘oseq e][e euI9U] ‘Turn TO Ip ITEWIPnIISUO] 21 03-6I Up 0 osIoAs}.1} 014 pI-SI Ep eqeuTe “BOTIPU]Io 09T ‘pa swo/etod ‘9g (0.0) SN ‘USSOAMOO 2.I0OL19] UE orogiodns e] eH :£ ‘ww ose] ‘e ‘wu 03Un] H ‘T]uepaoa.d ‘19p tsso15 nid to|moe Ip 0]1y &I-01 Ep EIEULTE 21011998 -0d e] ‘QULIOUI CURIPIWI E] ‘Tono Ip 9s19ASCI) A[Y gI -L Ep eqewIe ‘O I0OLIO] UE ] 1007 E 0.IONTUTISIP 0UOS -sod IS TA ‘(0][09) 0quawrez -Z01)S O[[9p I20200I TW Oqme ‘TUIOTIM TP OS.IOASVIY OTY FI-SI Bperewae ‘ogea( ‘ost B[[e ourIOU] ‘TUTO Tp t][eurpugisuce] 214 9QT-GI Ep 9 0sI0ASe1) ey 8I-I Ep eIewtIB ‘BOLIPUI]IO Equo], WITE,N £27702000249 ‘VIH =) ‘WA (MIO) «02924 ‘s0I( 2/)2U1Q4N] "Sponar] 82p190])9d ‘VI OS00I “WI[[Iut Ul afewa -TUR {ep gus -SBUI BZZ0 SUN] Sur] ‘A 877070009 "UH ‘2090799 10p njpuiLOUtYIST bop mmizuoisallip 1197;DUDI 19ua10s nId 10p 021]0u18 0Lpong di AUG 13 1896 BOLLETTINO DEE NUSRI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA SRI, 1895. VINCENZO ARIOLA Due nuove specie di Botriocefali. Nel genere Bothriocephalus si compresero, fino a pochi anni or sono, numerosissime specie, aventi fra loro carat- teri ben differenti, tanto per la forma esteriore, che per la interna organizzazione. Recentemente, alcuni autori si provarono a smembrare questo genere, formandone diversi nuovi; ma sul valore di questi ultimi non sono ancora d’ accordo gli elmintologi. Io mi sono proposto lo studio particolare di questa in- teressante quistione, e spero pubblicarne i risultati in un lavoro di revisione del gruppo dei botriocefali, per il quale mi occorrono ancora altre ricerche. Ora, intanto, presentandomisi |’ occasione di descrivere due nuove specie di tali cestodi, dirò solo che tra i generi e sottogeneri risultanti dall’ accennato smembramento, hav- vene uno, più d’ogni altro ben determinato e naturale, a cui per l'appunto devo ascrivere le suddette specie, ed è questo il sottogenere Diplogonoporus (!). (4) In una nota comunicata alla Società di biologia il 3 nov. 1894, il Blanchard [I] proponeva il genere Amph4itretus per alcune specie di bo- triocefali a duplice apparecchio di organi venitali. Ma accortosi tosto che il Lonnberg aveva gia precedentemente fatto il sottogenere Diplogonoporus, correggeva a penna la sua nota, e alla denominazione Amphitretus sosti- tuiva l’altra Diplogonoporus. In un più recente lavoro [2], il Blanchard risolleva la questione, e reclama la priorità per il suo genere, perchè dice: « il lavoro del Lònnberg veniva annunziato dallo Zoologiseher Anzeiger nel gennaio del ‘95, cioè dopo la pubblicazione della mia nota ». Io osservo che, quantunque il lavoro del Lònnberg sia stato annunziato tardi dallo Zool. Anzeig., pure era stato reso pubblico molto tempo prima negli atti della Korg. Svenska Akad. |7], e il Braun infatti nella grande sua opera sui Vermi [3], e precisamente nel fascicolo 36-37, venuto ajla luce fin dal settembre ’94, al N.° 1225 della bibliografia generale, cita e rias- sume il lavoro del Lòunberg, e più innanzi, nell’ elenco sistematico men- ziona il nuovo sottogenere con la data del 1891. Da quanto ho detto, chiaramente appare che il lavoro del Lònnberg, pub- hlicato prima di quello del Blanchard. ha diritto alla priorità, e che quindi il genere Amphitretus deve passare in sinonimia. Esso fu istituito dal Lonnberg [7] nel 1891, per una nuova specie trovata nella Balaenoptera borealis, e che, come indica precisamente la denominazione generica Diplogono- porus, presenta organi genitali duplici e indipendenti in ciascuna proglottide. Molte specie verranno, in seguito, a far parte di questo sottogenere ('), giacchè parecchie di qnelle descritte som- mariamente col nome di botriocefali, presentano pure organi genitali duplici: tali sono p. es. il B. fetrapterus v. Siebold, il B. Wageneri Monticelli, la KArabbea grandis Blanchard. Io vi riferisco per ora le due nuove forme, che mi furono gentilmente concesse in istudio dal Prof. Corrado Parona. IB DipLogoxoporus SertII n. sp. fig. 1 e 2. Nel Centrolophus pompilius erano note finora due spe- cie di botriocefalidi: il Bothriocephalus Wageneri Montie. e Vl Amphicotyle typica Dies. Il Diesing, avendo ricevuto dal Koch alcuni cestodi pa- rassiti di quel pesce, li descriveva, nel 1850 [4], sotto Y u- nica denominazione specifica di Dibothrium heteropleurum, osservando però che essi erano: unum minus corpore plano, alterum maius corpore uno latere convexro altero CONCavo. G. Wagener [9], quattro anni dopo, studiava egli pure le due forme, e riconosceva in quella 12inus corpore plùno un carattere importantissimo: la presenza cioè di una ven- tosa accessoria alla base di ciascun botridio, e ne formava quindi due specie distinte coi nomi di D. heteropleurum (quella con ventosa accessoria) e D. aus Centrolophi V altra. Della forma con ventosa accessoria più tardi il Diesing [5] formò il genere Amphicotile (A. typica), mentre l’altra ebbe recentemente dal Monticelli [8] il nome di Bothrio- cephalus Wageneri. (!) Notando fin d’ora che iu questo sottogenere devono prender posto nu- merose specie, e che d'altra parte il Blanchard, nel citato lavoro [1], aveva gia compreso in un genere distinto (Amphitretus) i botriocefalidi a doppio apparecchio genitale, elevo senz'altro a genere, la suddivisione del Lònnberg. AUG ‘3 1896 9 tO) Ora, è appunto nell'intestino di un Certrolophus pom- pilius che vennero trovate, oltre a numerosi esemplari di A. typica e B. Wageneri, i due individui per cui formo la nuova specie. Il prof. Parona, nel cedermi questi due esemplari, aveva già sospettato potersi trattare di specie nuova: lo studio che io ne ho fatto e di cui espongo qui i risultati, cambiò in certezza quel dubbio. Dei due esemplari, uno mi servi per le osservazioni é7 toto, l’altro preparai per le osservazioni anatomiche. Questi cestodi misurano circa 0" 35 di lunghezza; una delle due estremità, relativamente allargata, termina con una piccola sporgenza, che è lo scolice. Questo si affonda nella prima proglottide, mancando così ogni traccia di collo. Le proglottidi fin dall'inizio dello strobilio, sono assai più larghe che lunghe, e vanno insensibilmente allargandosi, a misura che si allontanano dalle scolice: verso i 10 em. hanno raggiunto la massima larghezza (mm. 8,027), ehe si mantiene quasi costante fino all’ ultimo tratto del verme: quivi sì fanno visibilmente più strette, ma nel tempo stesso più lunghe. Il seguente prospetto mostra le dimensioni dello scolice e delle proglottidi in vari punti. Scolice, lunghezza mm. 1.336 » larghezza apice » 0,334 » » base IA 1.* Proglottide, lungh. mm. 0,367; largh. mm. 2,204; Progl. mediana» o » 8,027 A 35 mm. dall’ estremità caudale lunehezza mm. 1,35: lar- chezza mm. 4,5. Verso il 1.° terzo del corpo cominciano a vedersi due striscie parallele, leggermente rossastre, che vanno facent- dosi sempre più visibili per maggiore intensità di colore. Sono disposte a lato della linea mediana, molto ravvici- nate tra loro, e si continuano così per circa 15 cm. Si fanno quindi irregolarmente interrotte per breve tratto, e infine si riducono ad una striscia sola, centrale, chie per- corre tutto il resto dello strobila. Tali striscie sono costituite dagli ammassi delle uova. Lo scolice, (fig. 1) al mi- Fig. l : croscopio, appare come un Ho cono tronco superiormente, Li e colla base convessa, un pò appiattito: porta due grandi botridi dorsoventra- li, non molto profondi, che ripetono la forma dello sco- lice stesso: non vi sono ven- tose accessorie. Le prime proglottidi sono ricurve, con la concavità verso la parte superiore; poi si fanno piane, legger- mente trapezoidali, e non vi sì scorge traccia di organi: vi si osservano però i cor- puscoli calcari, i quali sono minuti e in piccolo numero. L'apparecchio riproduttore (fig. 2), tanto maschile che femminile, è duplice in ogni proglottide, sicchè in ciascuna metà di essa vi sono organi maschili e femminili. Sulla linea mediana delle proglottidi si osservano due ovarii grossi, rotondi, rivestiti di uno strato di muscoli cir- colari (fig. 2, ov): da essi partono due condotti ovarici, molto visibili, ripiegati più volte su sé stessi a zig-zag, e diretti verso i margini dello strobila. Dopo alcune anse i condotti si allargano a campana, e ricevono le glandole del guscio; indi si restringono, e poi nuovamente si allar- gano per formare la vagina. I peni, piuttosto vistosi, sono, nelle rispettive tasche, col- locati vicino ai corpi a campana (fig. 2, fp, p). Sono co- stituiti da un asse centrale cilindrico, ai lati del quale sono inseriti aculei forti, divergenti, che ricordano le barbe di una penna: le tasche dei peni sono anch’ esse fortemente muscolari. Tanto il pene che la vagina mettono allo esterno, per mezzo di una cloaca comune: essa si apre alla som- mità di un rilievo, al lato dorsale , alquanto discosto dai margini. Verso Ia fine della catena gli organi genitali duplici si riducono ad un solo gruppo, e l’ apertura cloaclale diviene irregolarmente alterna or dall’ una, or. dall’ altra parte della proglottide. Le uova, numerosissime in ciascun ovario, hanno forma ellissoidale con un diametro longitudinale di 1 60, e tra- sversale di w 48: non hanno opercolo. I vitellogeni (fig. 2, v) irregolarmente tondeggianti, for- mano uno strato unico, al lato ventrale. Grossi testicoli, (fig. 2, #) globulari, ma in piccol numero, sono sparsi in tutto il corpo. Del sistema acquifero si scor- gono facilmente i due vasi longitudinali (va), scorrenti lungo i margini. L'insieme dei caratteri che sommariamente ho esposto, parmi sufficiente a dimostrare che questo cestode è ben distinto dagli altri due parassiti del Cenlrolophus pompi- lius. Un’ osservazione anche superficiale basta, invero, a far rilevare le differenze esistenti tra la nuova forma e il 2. Wageneri. Questo, infatti, è breve (lungh. massima 9 cm.), largo, con proglottidi embricate; botridi piccoli; ovarii spinti verso i margini; aperture genitali aprentisi su di una faccia, sbocchi degli uteri alla faccia opposta. Per contro: se ad occhio nudo, la nuova specie pare av- vicinarsi più all’Amphicotyle per la forma esteriore, all’os- servazione microscopica si vede che le differenze sono più grandi. Infatti I° Amphicotyle presenta una ventosa accessoria alla base di ciascun botridio, ed ha organi genitali semplici. Si può dunque conchiudere che non due, ma tre distinte specie di botriocefali esistono e convivono nel C. pompilius. Tuttavia, prima di stabilire la nuova specie, ho voluto compararla con le altre vicine, vale a dire con quelle che presentavano organi genitali duplici in ogni proglottide. Ho constatato che la mia specie rimane ben distinta dal B. tetrapterus v. Siebold [8], perchè questo ha capo cor- diforme, con quattro appendici a guisa di ali ai botridi: ha segmenti distintamente campanulati ed è lungo appena Do mm. Non poteva identificarsi col D. balenopterae Lònnberg [6], perchè l’ampia descrizione che di questo dà l’autore, lo di- mostra pienamente diverso: così, tralasciando tutti i carat- teri anatomici, basta notare che la sua lunghezza è quasi quadrupla di quella della nuova specie, con una larghezza 6 di 20 mm.; di più gli organi genitali sboccano al lato ven- trale. Similmente non può confondersi colla Krabbea grandis Blanchard [1], misurando questa 10 metri e più. La nuova specie sopra descritta dedico all’ amico dottor Ernesto Setti e la chiamo Diplogonoporus Settii. Il. DrpLoGonoporus LONNBERGI n. sp. (fig. 3 e 4). Di questo cestode ebbi a disposizione nove esemplari, rac- colti nell’intestino di un Centrolophus ovalis. Dopo le osservaz'oni compiute per la determinazione del D. Settii non mi fu difficile accorgermi che si trattava qui pure di un Diplogonoporus, ma di nuova specie. Gli esemplari variano alquanto l'uno dall'altro per le di- mensioni: il maggiore raggiunge em. 24 in lunghezza e mm. 3 in larghezza: il minore rispettivamente cm. 17 e mm. 2,1. Lo scolice è piecolo, ma piuttosto lungo, cuneiforme, con cupoletta terminale: mi sura mm. 0,67 di lunghezza. Botridii laterali, lunghi, po- chissimo profondi. Borpo as- sal sottile, quasi trasparente; di color bianco latteo. Il collo manca, e la for- mazione delle proglottidi comincia subito dopo il capo: le prime hanno aspetto moniliforme, poco più larghe che lunghe e vanno accrescendosi insensibilmente. A quasi un em. dallo scolice, dove cominciano ad allar- garsì, sì fanno più corte, divengono trapezoidali, con l’an- golo posteriore piuttosto sporgente, ma arrotondato. L'ultima proglottide, in tutti gli esemplari, è bifida, ma la divisione talvolta è prosonda e impegna tutta la pro- glottide: talvolta è limitata quasi al margine, e gli organi interni non hanno subìto aleuno spostamento. Gli organi genitali si presentano divisi im due eruppi in- dipendenti, ma essi, a differenza di quelli del D. Sett, nel quale all’ultimo tratto diventano semplici, si conservano n costantemente duplici sino alla fine (fig. 4). Cominciano a mostrarsi dopo la seconda metà del corpo. Le aperture ge- nitali, dorsali, sono tanto spinte verso i margini, che sì di- rebbero marginali. Gli ovarii contengono poche uova, e sono più lontani dalla linea mediana di quello che lo siano gli ovarii del D. Settii. Il pene è moltissimo sviluppato e misura up 334: dalla parte interna sì presenta ingrossato a mò di clava, e termina a punta ricurva. I testicoli, in molto maggior numero che nel D. Seltii, ma più piccoli, sono rotoadi od ovali. I vitellogeni non hanno forma determinata, sono numerosi, piuttosto piccoli, e costituiscono due serie, una alla faccia dorsale, l’ altra alla ventrale. Corpuscoli calcari numerosi, ma molto piccoli. Del si- siema escretore sì scorgono distintameute quattro canali longitudinali, due per ogni lato. In questa succinta descrizione ho già messo in evidenza le differenze più appariscenti, che esistono tra il suddetto cestode e il D. Seztii, e su queste credo inutile insistere. Lasciando pure da parte le diverse dimensioni, basta. un confronto soltanto superficiale tra le due specie, per accer- tarsi che esse sono affatto distinte. Il paragone istittiito tra il D. Settii e le altre specie ad apparecchio genitale du- plice, e che mi risparmio di ripetere qui, dimostra eziandio che la nuova specie non può confondersi con alcuna di quelle. Ho chiamato questa specie Diplogonoporus Lònnbergi in onore del distinto elmintologo svedese, E. Lònnberg a cui, come dissi, si deve l'istituzione del sottogenere Diplo- gonoporus. BIBLIOGRAFIA. 1. R_Brancnarp, Notices sur les parasites de l Homme. 3.8 ser. Sur le Krabbea grandis et remarques sur la classification des Bothriocéphalines. Comptes rendus de la Soc. de biol. pag. 699, 1894. < » Sur une Tacnia saginata bifurquee. Mémoire de la so- ciété zoologique de France. Tom. VII, p. 241, nota, DI . M. Braun, Wirmer, in: Bronn's Klass. u. Ordnung. d. Thier-reichs. Bd. 5, 36 u. 37 Lief. pag. 1125 e 1136. Leipzig 1894. 4. C.M. Diesina, Systema Helminthum. Vol. I, pag. 594. Vindobonae, 1850. DI » Revision der Cephalocotyleen, in: Sitzungsber. d. K. Akad., pag. 244 e 249. Wien 1864. 6. E. Lòoxnpeng, Anatomische Studien iber Skandinavische Cestoden, IL, in: Rongl. Svenska Vetenskaps. Akademien Handlingar. Bd. 24, N.° 16. Stockholm. 1891. 7. F.S. MonmeceLti, Nole elmintologiche p. 198, in: Bollet. della Soc. dei Na- turalisti di Napoli, Ser. 1%, An. 4°, vol. 4° fasc. 2, 1890. S. » Note on some Entoz. in the collection of the British Museum. Proceed. of the Zoolog. Soc. of London, p. 521, 1889. i 9. G.R. Wagener, Die Entwwicklung der Cestoden. Breslau und Bonn, 1854 in: Nov. Act. Natur. Cur. XXIV Suppl. Dal Museo coologico della R. Università di Genova. Luglio 1895. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE. Fig. 1. Diplogonoporus Setti. Scolice, ingrand. 10 volte. Ds: » Sezione trasversa di mezza proglottide molto ingrandita: £ testicoli; 0v ovario; fp tasca del pene; p pene; va “anale escretore; v vitollogeni. . Diplogonoporus Lònnbergi. Scolice, ingrand. 10 volte. » A » Tre proglottidi mature i. gran. con ova- rii e peni. x DI Genova, Tipografia Ciminago Vico Mele 7. 1895. AUG ‘3 1896 BOLLETTINO DEI MUSRI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N° 39. 43, d 04 1895. PaoLo CELESIA Intorno ad una coppia di gatti anuri dell’isola di Man (Tav. XIII). La varietà dei gatti anuri indigena dell’isola di Man fu già illustrata dal Darwin nella prima edizione del- l’ Origine delle specie. Più tardi. ne fa cenno, ma solo incidentalmente, lo stesso autore nella Variazione degli animali e delle piante allo stato di domesticità, e 1 rag- guagli ch'egli ne dà, si ripetono con poche varianti in ogni trattato che si occupi un po’ diffusamente delle razze feline. Il primo che ne abbia fatto uno studio speciale è il Doederlein nella sua nota Ueder Schwanzlosen Katzen: completano la bibliografia dell’ argomento una serie di comunicazioni fatte dal De-Mortillet e dal Dareste alla Società antropologica di Parigi. Per quanto mi consta, in Italia non furono ancora 0g- getto di studio. Debbo alla cortesia del prof. Penzig. che, trovandosi in Inghilterra, ne fece insistente ricerca, la fortuna di posse- dere la coppia di gatti anuri che presento, e sui quali mi permetto di comunicare alcune considerazioni. La prima impressione che si riceve guardando questi animali, è quella di individui aventi una coda tronca 0 mutilata. La lunghezza di quest’ organo può variare assai: nella femmina che presento (di un color grigio con mac- chie nerastre) la parte ossea raggiunge i sei centimetri, mentre nel maschio (di color rossiccio con macchie rosso brune) non supera i tre. Toccando però il rudimento di coda, si sente che, invece p di essere tronco e diritto, esso va assottigliandosi all’ e- stremità e ripiegandosi ad uncino. Le vertebre della coda appariscono saldate insieme, non articolabili, anchilosate; la mobilità è limitata solo alle prime vertebre. Quasi a compensare la riduzione della parte ossea, le parti molli della coda si sviluppano formando un’ appendice termi- nata da un ciuffo di peli. Dispondendo di un numero maggiore di individui, si potrebbe attendibilmente stabilire, mediante il confronto, se esistano altre differenze morfologiche tra i gatti di Man e le razze caudate, come afferma il Darwin, o se la dissomiglianza si limiti alla brevità della coda, come vuole il Sanson. A me sembra che il maggiore sviluppo degli arti posteriori, che li rende attissimi al salto (come ho po- tuto constatare) venga in conferma all’ asserzione del Darwin. Ma non conoscendosi, per mezzo di una statistica, il limite delle variazioni individuali negli uni e negli altri, sì intende che l’ apprezzare le dissomiglianze fra le due varietà, dipende da criterii affatto subiettivi. Comunque sia, la divergenza non è tale da autorizzare alcun zoologo si- stematico, per quanto scrupoloso, ad erigere questa va- rietà a specie distinta, nè da lasciare alcun dubbio sulla loro derivazione da gatti domestici caudati (1). Lo studio di questa loro anomalia, più che per la cu- riosità di un raccoglitore, acquista oggi singolare interesse (') Come si vede nella tavola unita, il maschio presenta assai più spic- cati i caratteri della sua razza, quali sono, secondo il Darwin, la brevità della coda, la grossezza del capo e sovratutto il maggiore sviluppo degli arti posteriori. Che non si tratti di un fatto accidentale, voglio dire di una semplice differenza individuale, me lo fanno supporre le seguenti conside- razioni : i Il Sanson e il De-Mortillet nel riconoscere (astraendo dalla coda) la iden- tità dei gatti di Man coi gatti comuni, hanno probabilmente osservato il medesimo individuo. Cito le parole testuali del Sanson: « On nous a pré- « senté dernièrement, à la Société d’° Antropologie, un sujet sur lequel « j'ai pu constater qu'ils ne diffèrent que par là des autres chats dome- stiques. » Ora, siccome il volume del Sanson venne alla luce nel 1893, lo stesso anno in cui il De-Mortillet comunicava il suo lavoro (15 febbraio) alla Società Antropologica, non v ha dubbio che le loro osservazioni si riferi- scano allo stesso esemplare. Questo, come risulta dall’ estesa descrizione che ne dà il De-Mortillet, era di sesso femminile, e somigliava in ogni SI È i AUG 73 1898 3 quando la si consideri dal punto di vista della teoria evo- lutiva. Nella storia della sua genesi viene a riflettersi la questione tanto agitata della eredità delle mutilazioni. Il problema del « come » si sia formata la razza anura è intimamente connesso a quello del « dove » e del « quando » è avvenuta la divergenza dallo stipite dei gatti caudati. Mancando i documenti in proposito, nulla si può asserire di certo; ma non per questo reputo meno utile esporre brevemente le varie ipotesi. La prima fra queste, la più antica, vuole che la varietà si sia costituita nell’ isola stessa, in situ: in tal caso la sua formazione sarebbe piuttosto recente. Infatti il De-Mortillet osserva che i gatti domestici non sono stati introdotti nelle isole britanniche prima del nono secolo dell’ éra volgare, ed erano ancora rari nel decimo. Un’ altra ipotesi, certo non meno plausibile, è questa, che i primi individui anuri siano stati importati dal Giap- pone, ove si trovano anche attualmente molto numerosi, provenienti alla lor volta, dalle isole dell’ arcipelago malese. Non meno oscure sono le nostre cognizioni riguardo al determinismo di questa singolare anomalia. Libri e gior- nali popolari, ed anche scienziati autorevoli, fino a poco particolare (fuorchè nel colore e nella maggior brevità della coda) alla femmina che presento. La inesattezza di questi autori starebbe dunque in ciò, ch’ essi avrebbero descritti i caratteri della razza, fondandosi solo sull’ esame di una femmina. D'altra parte la diversa proporzione degli arti nel maschio che presento, non può avere, con ciò che dice il Darwin, il mero significato di una coin- cidenza fortuita. Si tratta dunque di una differenza sessuale, e ciò mi sembra stare in connessione evidente con quanto fu detto di questa razza, circa la mag- giore potenza ereditaria dei maschi anuri negli incroci: questo. anzi, sa- rebbe un aspetto diverso dello stesso fenomeno. Per conchiudere, parmi aver trovato nella razza anura di Man, un fatto di più in appoggio all’ induzione che considera l’ organismo maschile come una forma più evoluta nei suoi caratteri che 1° organismo femminile, e meno soggetta a riversioni ataviche. E si badi bene; non intendo parlare di veri e proprii caratteri sessuali secondarii, che sono pressochè fissi e dovuti ad una lunga selezione; ma di quelle differenze sessuali ancora oscil- lanti, d' indole fisiologica, che sono legate cioè colla stessa intima natura della sessualità, e che ne sono, in certo modo, una espressione. 4 fa, erano concordi nel citare questa come una prova lu- minosa della ereditarietà delle mutilazioni: ammettevano cioè che in seguito all’ uso reiterato per molte generazioni, presso gli abitanti dell’ isola, di amputare a quei gatti la coda, i discendenti abbiano finito per nascere anuri, e non mancano ancor oggi naturalisti eminenti che siano di que- sto parere. Appoggiano questa loro opinione col fatto ac- certato che nel Giappone, se ricompaiono per atavismo in- dividui caudati, la mutilazione si ripete ancora. Citano così una razza di cani anuri della Lapponia, ottenuti mediante ripetute amputazioni della coda. Quei cani vengono in tal modo ad essere meno esposti ai morsi dei lupi, contro i quali essi debbono lottare. L'uomo avrebbe ottenuta del pari una razza simile di cani in Inghilterra dove i pastori usavano anticamente recider loro la coda, poichè in que- ste condizioni non pagavano tassa. | Ma recentemente si sollevarono da taluni (Weismann, Doederlein, Bonnet, Sanson ed altri) dei dubbi sulla tra- smissibilità delle mutilazioni, e si imaginò un processo diverso per ispiegare la genesi di questa razza. Astraendo da casì sporadici di lesioni traumatiche ap- parentemente ereditate (il che deve ascriversi ad apprez- zamenti personali), l’ esperienza degli allevatori cì dice che i tentativi motodici, fatti in ogni tempo, per ottenere razze anure, o in altro modo incomplete, andarono sempre fallite. Il Sanson cita, a questo proposito, la razza degli agnelli merinos, ì quali, muniti di coda lunghissima che scende fino al tarso, ne hanno subito il taglio per centi- naia di generazioni, conservandola sempre di uguale lun- ghezza. Tentativi non meno infruttuosi furono fatti per ottenere in questo modo varietà di cani senza coda: e potrebbero anche citarsi le mutilazioni di rito praticate per migliaia di anni presso i popoli orientali. Non essendo ve- rosimile, come osserva il Sanson, che la eredità agisca in modo diverso nell’uomo, nei cani e nei gatti, si deve con- chiudere che l'opinione volgare è probabilmente erronea. D’ altra parte Hermann von Nathusius nota la frequenza di anomalie congenite nei cani e nei gatti, indipendenti da traumi subiti dai genitori. Ora, se si supponga che al- cunì individui anuri si presentino casualmente in una razza e che l’ uomo per amore di novità (') li scelga e ne fa- vorisca lo sviluppo, sì comprende come possa costituirsi a poco a poco, per selezione, una razza diversa. Data la variazione e la eredità, se si aggiunge l’ opera ausiliaria della selezione, si hanno tutti i fattori necessari alla evo- luzione di una specie. Sebbene il prender partito tra queste due scuole sia assai difficile, e per la complessità del problema, e per la autorità dei nomi che militano da entrambe le parti, non si può negare che l’ aspetto della coda ripiegata e non tronca e diritta, e sovratutto la tenacia con cui si tra- smette questo carattere, come avviene in generale delle malformazioni sicuramente spontanee (esodattilia ad es.). appoggino fortemente l’ ipotesi della selezione. Se inclino a considerare con Weismann questa razza come non dovuta agli effetti ereditati delle mutilazioni (?), non posso però convenire con lui che il processo della panmixia valga a spiegarne la origine (3). Ammetterei (4) I gatti resi anuri sono preferiti agli altri perchè creduti i migliori di- struttori di topi. Così pensano, ad esempio, gli Anconitani, presso i quali l’amputazione della coda nei gatti è praticata da gran tempo. (?) Le obiezioni che muovo sono rivolte contro gli effetti materiali di mutilazioni ereditate 22 fofo. Non è escluso invece, nel concetto dei Lamar- ckisti, che la continuata recisione dell'organo abbia potuto determinare una lenta regressione per disuso. Però anche in tal caso, non sarebbe facile spie- gare la deformazione sì marcata delle vertebre e la concomitante anchilosi. (3) « La tendenza della coda nei cani e nei gatti a divenire rudimentale, si spiega molto semplicemente eon ciò che ho chiamato altrove processo di panmizia. Il cane domestico ed il gatto domestico non hanno quasi bi- sogno della loro coda: almeno nè cani, nè gatti sono condannati a perire per il fatto di avere una coda incompleta. La selezione naturale non eser- cita dunque più alcuna influenza su di essa, e le imperfezioni casuali di questa parte non sono più eliminate per la soppressione degli individui che le posseggono: esse possono al contrario trasmettersi ai loro discen- denti. » Weismann: Ueber die Hypothese einer Vererbung von Verlet- zungen. Da principio m’ era venuto il dubbio che la panmixia di Weismann comprendesse anche i casi di scomparsa improvvisa di un organo; ma a pag. 406 dei suoi saggi sull’ eredità (Traduz. francese, 1892) leggo invece: « La panmixia, 0, se si vmole, la cessazione della selezione naturale ha. per effetto che il superfluo sia ridotto gradualmente a ciò che è sempli- cemente necessario. Per vero dire fali regressioni non possono compiersi che in modo molto lento, se la nostra spiegazione è giusta. » 6 invece la neogenesi del Kélliker e del Mantegazza (*), la quale fu provata per altre razze domestiche, e che designa non già la regressione graduale di parti divenute inutili per la cessata selezione naturale (come vuole la panmi- xia); ma invece la subita comparsa di caratteri (siano pure organi sovrannumerarii) non dannosi alla specie. La inverosimiglianza di questa ipotesi del Weismann, appli- cata ai gatti anuri, si palesa più chiaramente, quando si consideri il senso letterale del vocabolo panmixia, che suona incrocio universale, o meglio libero incrocio; il quale è in aperta contraddizione col carattere locale di formazione di questa razza. Un autore citato dal Wallace, nel suo Darwinism (pag. 136, 2.* Edizione), il Tait, dimostra che la coda è utile ai gatti selvatici per difenderli contro i rigori invernali. Ciò posto, è chiaro che i gatti di Man allo stato di natura sa- rebbero presto vinti nella concorrenza per la vita da altre razze meglio protette. Non è dunque il cessare della se- lezione naturale, bensì il subentrare della selezione arti- ficiale, che permise il formarsi di questa razza; tanto è vero che dove questa selezione specialissima non ha luogo, i gatti domestici sono caudati. Solo la condizione insulare del Giappone e di Man spie- gano come abbia potuto applicarsi ai gatti anuri una ri- gorosa selezione, impedendo che essi sì mescolassero con (!) A voler parlare propriamente, non si tratta qui della neogenesi per ata- vismo del Mantegazza, nel senso storico del vocabolo; ma piuttosto d' una neogenesi nel senso puramente letterale ed etimologico della parola (vedi a questo proposito anche G. Cattaneo, Embriologia e morfologia generale, pag. 21). Infatti, se pure nel caso dei gatti di Man si tentasse invocare un atavismo assai remoto a spiegare la prima comparsa dell’anurìa, non sarebbe possibile rinvenire tra i vertebrati alcuna forma antenata, per quanto arretrata nella serie filogenetica, che manchi di un organo omologo alla coda dei gatti. Più propriamente dovrebbe qui applicarsi il « neomor- fismo » del botanico Delpino. Col vocabolo neogenesi intendo solo sosti- tuire la perifrasi di Yves Delage « fixation des variations brusques sponta- nées (Yves Delage, Za structure du Protoplasme et les théories sur l’hé- rédité. Paris 1895, Chapitre III). Questo autore non parla, nel citato ca- pitolo, dei gatti di Man; egli accenna però altrove (pag. 266) ad anurìe accidentali ereditarie, e sono convinto ch’ egli spiegherebbe nello stesso modo la origine della razza di cui ci occupiamo. Per altre varietà dome- stiche mostruose dobbiamo invece ammettere l’azione dell’ atavismo. individui provenienti da altre località ove non aveva luogo tale scelta. L’isolamento dell’area abitata, nel caso dei gatti, è indispensabile, come osserva il Darwin, poichè le loro abitudini di vagabondaggio rendono gli incroci quasi inevitabili: difatti non si ha esempio di due razze di gatti domestici che si siano formate in una medesima località (1). r, A proposito di questi incroci è degno di nota ciò che ne dice il Canestrini, che cioè nella pluralità dei casì il prodotto somiglia al padre, vale a dire è anuro se il padre @ anuro, caudato se il padre è caudato. Di quest’ asser- zione che fu contraddetta dalle indagini del De-Mortillet (?), intendo verificarela esattezza mediante ripetute esperienze. In questa breve ricerca si può fare evidentemente un ultimo passo: consultare i principii generali della biologia per dedurne quelle conclusioni che sembrano più logiche, e confrontarle coi dati dell’ induzione. Si traita di vedere se la ereditarietà delle mutilazioni che non riceve alcuna conferma sicura dall’ esistenza dei gatti anuri, sembri verosimile dal punto di vista teorico. Credo inutile avvertire che, per chi accetta la ipotesi di Weismann sulla continuità del plasma germinativo, la controversia diviene oziosa; non così pei Lamarckisti, i quali, ponendo a base della evoluzione la eredità dei ca- ratteri acquisiti funzionalmente, ed appoggiandosi ad un buon numero di fatti, ritengono, se non come processo normale, almeno come eccezione, provata anche la eredi- tarietà delle mutilazioni. È questa una conseguenza legit- tima della teoria di Lamarck ? o se lo è, quali cause ne ‘intralciano comunemente l’azione e ne mascherano di so- lito gli effetti? Nel discutere ciò, dobbiamo fondarci su principii evidenti, ‘poichè l’ accettare come assiomi verità non dimostrate, condurrebbe a conclusioni meno attendibili. (1) Non è certo privo di significato il diffondersi di altri gatti anuri an- che in Crimea (Railliet: 7yaité de cool. med. et agric. 1895, pag. 1210); penisola la quale, com’ è noto, si unisce al continente per un istmo molto stretto. (2) Il De-Mortillet ottenne meticci anuri da madre anura, Quando, prendendo le mosse dalla teoria coloniare, di- cessi che gli organismi superiori sono aggregati di orga- nismi inferiori tra i quali è avvenuta una divisione del lavoro più o meno progredita, enuncerei una proposizione ripetuta da tutti, un fatto generalizzato più che una ipo- tesi, e solo rimarrebbe a discutere, nei singoli casi, il grado di complicazione della individualità, se, ad esempio, si tratti di una società di cellule, oppure di aggregati di società cellulari; ma quest’ultima controversia non cl toc- cherebbe. Il processo embriologico che ha dato origine ad un or- ganismo metamerico, ad es., ad una tenia, se consideriamo la catena delle proglottidi, come un individuo, assume ai nostri occhi il valore di un semplice accrescimento di parti. Se invece vogliamo dare alle singole proglottidi il valore di individui, tale processo deve considerarsi come una.vera e propria gemmazione. Ma comunque sia ciò, nè un colo- nista, nè un differenzista, supporrebbero che il mutilare la catena delle proglottidi abbia a produrre come inse- parabile conseguenza il ricomparire della mutilazione nei discendenti, poichè non cessa per il trauma la rigenera- zione continua che avviene allo scolice, ed in ogni caso il distacco delle proglottidi sarebbe ad un certo periodo della loro vita avvenuto spontaneamente. Si consideri un organismo più accentrato, un anellide: asportando alcuni segmenti, questi si rigenerano dopo il trauma. Qui dunque comincia a manifestarsi una dipen- denza tra mutilazione e rigenerazione: l’ una è la condi- zione determinante dell’ altra. Niuno dubita che, rifatte le parti perdute, l’ anellide riproducendosi per sessi, produr- rebbe un organismo completo simile a sé. Se finora la cosa è chiara, lo è meno invece nelle forme più accentrate, in quegli aggregati di parti, che siamo abituati a considerare come individui fisiologicamente ele- vati. V'è fra le parti costitutive di questi, una solidarietà così intima, che non se ne può togliere una, senza rom- pere, entro certi limiti, l’ equilibrio del tutto. Ma le cause che impediscono il rigenerarsi di parti per- dute in questi organismi già adulti, sussistono ancora quando essi si riproducono ? Vediamolo. 9 In un individuo fisiologicamente elevato la rigenerazione completa di parti importanti non può compiersi, essendo troppo progredita la specificazione dei suoi elementi : quando però esso si riproduca, tale facoltà rimane alla cellula riproduttiva, la quale rifà dalle fondamenta l’ edi- ficio cellulare, e risente gli effetti del trauma in una con- dizione in cui è dotata di un’ alta energia rigenerativa. La concezione vaga di una possibile rigenerazione em- brionale nei discendenti di individui mutilati, diviene più distinta quando se ne analizzino le cause. Il rigenerarsi dei segmenti di un anellide mutilato a- vrebbe la sua causa meccanica nel processo filogenetico che ha dato origine alla serie lineare dei metameri; ed anche in forme organiche più accentrate, la riparazione di lesioni sarebbe assimilabile al modo normale di svi- luppo embriologico. Se tali organismi si riproducono, la eredità individuale che tenderebbe a perpetuare quelie lesioni (1), viene a trovarsi in lotta con la forza atavica che diede origine all’ aggregazione dei suoi elementi e che fu attiva fin dai primordi della vita coloniare, forza che presiede tuttora alla segmentazione dell’ uovo e allo svi- luppo dell’ embrione. E infatti. quando si consideri la seg- | mentazione dell’ uovo come una forma di riproduzione agamica, non si trova una ragione plausibile, per la quale mutilazioni subite dal genitore debbano tradursi in un ar- resto di questa attività riproduttrice in qualche direzione, limitando il numero degli elementi inferiori (cellule o me- tameri) che vanno generandosi per costituire l’ organismo completo. Ed anche supponendo, come vorrebbe la ipotesi della pangenesi (la più favorevole alla ereditarietà delle muti- lazioni), che una lesione avesse per effetto di impoverire le cellule riproduttive di quelle gemmule che sarebbero provenute dalla parte amputata, non è escluso che rimanga in seguito all’embrione la facoltà di riprodurre, come or- ganismo autonomo, le parti di cui non aveva ricevuto dal generante gli elementi formatori normali. _——— (4) Questi sono tutti corollarì che si deducono dal principio generale dei Lamarckisti. 10 Darwin infatti suppone che, a fianco alle gemmule de- volute alla riproduzione sessuale, esistano altre gemmule di riserva (« cellule nascenti » 0 « gemmule parzialmente sviluppate »). Queste, che circolando nel corpo del geni- tore, già adulto, non potevano ricostituire la parte mutilata, potrebbero invece, avendo « affinità elettiva » maggiore colle cellule embrionali, svilupparsi e riparare la lesione nei discendenti. Prima degli esperimenti interessanti di Haeckel, Driesch, Roux, Wilson, Chabry, Zoia ed altri, non si conosceva quale enorme energia racchiude l’ uovo fecondato, nè di quale elevato grado di adattabilità è dotato l’ embrione nei primi stadii di sviluppo, nella quale ravviso un potente antago- nista alla eredità delle mutilazioni. Tali fatti, discussi finora solo dal punto di vista della epigenesi, mi sembrano gettare qualche lume anche sul problema che abbiamo brevemente trattato. Ritornando al caso particolare dei gatti anuri, si con- chiude essere la ipotesi della neogenesi la più verosimile, trattarsi cioè della comparsa saltuaria di un carattere nuovo, non però di atavismo, perchè i gatti anuri si fanno derivare da gatti caudati. Le medesime difficoltà che abbiamo esposto per la tra- smissibilità delle mutilazioni, qui non valgono. Se il mecca- nismo dell’ eredità funziona in modo normale (e come si suppone nella ipotesi di Lamarck), la rigenerazione em- brionale agisce antagonisticamente; ma se v'è un disor- dine, un’ anomalia nel meccanismo ereditario (come im- plicitamente vuole l'ipotesi della neogenesi) la rigenera- zione embrionale non può più nulla, poichè dessa appunto è una forza atavica; e nel trofismo delle cellule riprodut- tive o nei fenomeni ancora oscuri della coniugazione e dell’ intreccio dei caratteri paterni e materni deve ricer- carsi la causa di siffatte anomalie. Genova, 12 Dicembre 1895. BOLLETTINO DEI MUSRI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N° 40. )3, 404 1896. PaoLO CELESIA Ricerche sperimentali sulla eredità progressiva (Nota preliminare) (!). Neo-Lamarckismo e Neo-Darwinismo. Ipotesi di Weismann e di Galton: loro analogie. Valore probativo degli esperimenti di Brown-Séquard, Schmannkewitsch, Weismann, Galton, Bos e Rosenthal. Lo sperimenta- lismo nei fenomeni dell’ eredità: cenni critici. Piano delle mie indagini e primi risultati. Progetto di esperimenti nuovi sulla eredità di esercizio. Schema di ricerche complementari. E noto che, mentre regna il massimo accordo nel campo della biologia, quanto ad ammettere che l’organismo vada evolvendosi nella progressione indefinita dal semplice al complesso, dall’ omogeneo all’eterogeneo, dall’indistinto al- distinto, le massime divergenze sussistono ancora riguardo alle cause che determinano la evoluzione. La formula Lamarckiana delle variazioni stabilisce come fattore precipuo, l’ azione dell'ambiente nel senso più lato, coadiuvata dall’ uso e disuso delle parti, e fissata dalla cu- mulatrice eredità. A nuove condizioni di vita seguono nuove abitudini; queste a lor volta implicano l’uso maggiore di parti esistenti o cambiamento di funzione di organi già for- mati, e per eredità si trasmettono le minime variazioni pro- dotte dal mutato afflusso di sangue nei tessuti. Questa teoria, estesa da Lamarck all’ intiero mondo or- ganico, trova applicazione in molti fatti, e sembra dare una spiegazione attendibile della regressione degli arti negli ofidii e nei cetacei, degli organi visivi negli animali caver- nicoli, e di molte altre forme. Ma può l’uso o il disuso delle parti spiegarci l’ origine di alcune disposizioni come le spine delle piante, o meglio la evoluzione dei peli in setole e delle setole in ispine, il vario numero delle vertebre e delle mammelle, infine i fenomeni peculiarissimi del mimetismo (!) Ho delineato il metodo e l'oggetto di queste mie ricerche nella let- tura fatta alla società il 22 febbraié 1895. 2 (Spencer)? E come ci spiega l’esercizio il sorgere di nuovi apparecchi con funzione meramente passiva , come la mem- brana delle Velelle o del Draco, quella dei chirotteri, o dei gen. Pteromys e Anomalurus fra i rosicanti? E le forme più aberranti che ci presentano alcuni campioni della fauna pelagica (i molluschi dei gen. Cymbulia, Clio ecc.), la bocca enorme del Lophius e ancor più del Malacostus niger e del Melanocetus Johnsonii, pesci spettanti alla fauna abis- sale; o la sottigliezza estrema di altri pesci (Syngnathus acus)? Nonessendo ammissibile che l’attività dei singoli indi- vidui possa dirigere in questo senso le variazioni durante la loro vita, non si comprende come un tale effetto avrebbe potuto prodursi colla eredità continuata per innumerevoli generazioni. Indotta sovratutto da questi motivi (!), la scuola Neo-Dar- winista tende ad escludere la eredità dei caratteri acqui- siti per abitudine; essa considera piuttosto l'aspetto biolo- gico della evoluzione che il fisiologicc, la forma esterna degli animali e delle piante, i colori, gli adattamenti pro- tettivi, la parte « strategica » della lotta per l’ esistenza, quella che il Semper chiama con efficacia « fisiologia degli organismi » in opposizione alla intima fisiologia degli or- gani. Essa non crede necessario l’intervento dei fattori La- marckiani, ai quali già il Darwin aveva lasciato una parte secondarissima. Potrebbe ugualmente spiegarsi lo sviluppo delle specie colla mera selezione di variazioni fortuite, e lo attesterebbero le numerose razze ottenute dagli allevatori col mezzo della selezione artificiale, razze assai divergenti, come lo sono attualmente i piccioni messaggeri, gozzuti, tombolieri ecc., che tutti si fanno derivare dalla Columba livia. Chiunque considerasse questi animali, ignorando il (4) Si debbono ascrivere indubbiamente alla selezione naturale, anche al- cune disposizioni organiche, che sono utili solo in determinati momenti della vita (ad es. lo sviluppo ineguale delle chele in alcuni crostacei de- capodi, la formazione di una ventosa nel maschio di alcuni pteropodi pe- lagici, destinata del pari a favorire la copula, e la cui origine, per la bre- vità del tempo in cui vengono adoperate, non potrebbe ragionevolmente at- tribuirsi agli effetti ereditati dell’uso. Qui si debbono anche citare col Wal- lace, le grandi mascelle che presentano alcuni insetti, e che servono loro soltanto per rompere il bozzolo quando è terminata la vita larvale. AUG ‘3 1896 modo con cui furono ottenuti, sarebbe indotto ad invocare, la eredità d’esercizio : al contrario, conoscendo i mezzi pra- ticati ancor oggi dagli allevatori, possiamo asserire ch’essi furono ottenuti colla reiterata selezione di variazioni spon- tanee. Esempi non meno eloquenti della efficienza della sele- zione nello sviluppare o conservare caratteri nuovi, ci sono dati dalle società delle api e delle formiche, in cui le ope- rale presentano caratteri proprii e non li ereditano da altre operaie, poichè esse sono sterili; ma li ereditano, come di- . rebbe il Weismann, dal comune plasma germinativo. Queste ed altre considerazioni che sarebbe troppo lungo svolgere, hanno certamente modificato la ipotesi della pangenesi, se- condo la quale ogni organismo riprodurrebbe esattamente le partì dell’ organismo generante. I Neo-Darwinisti, ripudiato il concetto Lamarckiano delle variazioni, si atteggiano a continuatori dell’opera del grande naturalista inglese, e contano nelle loro file ingegni illu- stri (Wallace, Weismann, Galton, Romanes, Ray Lankester, Ball, e la maggior parte dei naturalisti inglesi). Ma di fronte a questi stà un numero non minore di filosofi e di scienziati valentissimi (Spencer, Haeckel, Virchow, Cope, Claus, Sanson, Semper, Eimer, H. Stanley, ecc.) i quali, pur ritenendo la selezione come un fattore importante, e ì con- cetti della scuola contraria come degni di considerazione, non vogliono escludere la cooperazione dei fattori Lamar- ckiani. È questa la scuola ch» dicesi: « degli evoluzionisti Francesi e Americani », sebbene la parte più attiva nello sviluppo della teoria e nella polemica sia stata sostenuta dallo Spencer. Lo Spencer nota la insufficienza della selezione natu- rale a spiegare apparecchi complicati di parti coope- ranti. L'esperienza del domesticamento, secondo lui, non è valida, perchè la selezione naturale sarebbe un processo solo lontanamente analogo alla selezione artificiale. Per questa si sceglie un tratto speciale della organizzazione, trascurando gli altri: invece in natura sopravvivono gli in- dividui che pel complesso delle loro facoltà sono più atti a perpetuare la specie; e viene favorito lo sviluppo di un ca- rattere speciale, solo nel caso ch’esso abbia un'importanza predominante. E infatti se bene si consideri, nell’uno è nel- l’altro caso, la unione sessuale avrebbe un effetto diverso, nella domesticità quello di sviluppare, sommandosi le ten- denze ereditarie simili dei riproduttori, un carattere desi- derato dall’allevatore, mentre in natura, unendosi individui che hanno ragioni diversissime di superiorità, la unione sessuale, non farebbe che fondere o livellare i caratteri. Ed ora mì sì permetta di osservare che tra questi due estremi di scuola non è possibile rimanere eccletici; poichè se la selezione a prima vista può sembrare un complemento della eredità di esercizio, in realtà tende ad esserne esclusa (1). Se, come opinava Lamarck, e come credono tuttora insigni naturalisti, le variazioni sono sempre opportune, perché prodotte dall’ attività degli avi, la selezione diviene quasi superflua: la sanzione ch’ essa dà, assume ai nostri occhi un valore tanto più cospicuo, quanto più libere e divergenti sono le stesse variazioni. La discrepanza tra le due scuole non si arrestò a questo punto, ma andò oltre quando vennero pubblicati i « Saggi sull’eredità » del Weismann. Quest’ autore ebbe il merito grandissimo di meglio definire i concetti della scuola Neo Darwinista, e di coordinarli in una sintesi vasta e pode- rosa, imaginando la sua ipotesi del « plasma germinativo », per la quale è stabilita una separazione fra cellule ripro- duttive e cellule somatiche, quelle sessuate e immortali, queste neutre e caduche. Queste ultime non infiuirebbero sul plasma germinativo che in due modi : 1.° fisiologicamente (nutrendolo) 2.° biologicamente (combattendo la lotta per la vita, e assicurando in tal modo la mescolanza dei plasmi germi- nativi più adatti). La sfera d’azione dell’eredità viene perciò ristretta ai ca- ratteri congeniti; la causa prima delle variazioni sarebbe da attribuirsi all’azione diretta dell'ambiente sulla struttura (!) Lo stesso Spencer che ammette l’uno e l’altro dei due fattori (sele- zione ed eredità dei caratteri acquisiti) li fa entrare in azione successiva- mente, imaginando due fasi nella evoluzione organica, la prima dovuta all'attività della selezione (sulle piante e sugli animali inferiori); la se- conda regolata specialmente dalla eredità dei caratteri acquisiti: (evolu- zione propria degli animali superiori). j | il Ì I | | 5 del plasma germinativo, lo sviluppo dei caratteri già ab- bozzati, alla riproduzione sessuale. Questi concetti, appoggiati da un corredo ricchissimo di fatti, trovarono favore presso i Neo-Darwînisti, e divennero anzi il fondamento delle loro speculazioni. Idee consimili, sebbene per una via affatto indipendente, furono enunciate dal Galton colla sua ipotesi delle « stirpi ». Il Galton sim- boleggia lo stipite come una catena da cui pendono anelli liberi; il Weismann ce lo rappresenta come un rizoma da cui partono ad intervalli rami laterali (stoloni). Ogni ramo sarebbe figlio del fusto che lo porta, e tutti i rami sareb- bero da considerarsi come fratelli. Con ciò non è da aspet- tarsi che da una modificazione locale di struttura prodotta in un individuo venga trasmessa agli altri: però ci rendiamo conto benissimo della loro somiglianza, poichè sono tutti derivati da un ceppo comune. Alle idee espresse dal Weismann fu mossa guerra sovra- tutto dallo Spencer, e si aprì un dibattito che è senza dubbio il più interessante che s’agiti in biologia. Ma nonostante il merito degli avvocati delle parti contrarie, non si può negare che, lungi dall’esser risolto, il problema si complicò, rivelandosi ad ogni passo, la straordinaria complessità del determinismo ereditario. La ragione di ciò stà nell’ avere discusso un problema di fisiologia coi soli dati anatomici, e d’altra parte nella generale trascuranza dei fisiologi odierni per il metodo comparativo. x i Esiste senza dubbio un materiale copioso di esperienze fatte inintenzionalmente (ad es. le mutilazioni di rito pra- ticate dai popoli orientali), ma i loro dati non hanno va- lore decisivo nel risolvere una questione così delicata, dove a ragione si esige la massima conoscenza di cause deter- minanti ed evidenza di risultati. La difficoltà di ideare una combinazione tale, per cui un organo venga mantenuto in uno stato di attività esagerata, o sottratto continuamente all'esercizio, senza produrre il deperimento dell’intiero or- ganismo, nè ledere la funzione riproduttiva, ha fatto fallire fino ad oggi qualunque tentativo di affrontare direttamente il quesito. Si agciunge la difficoltà di misurare gli effetti che si suppongono indotti dal mutato esercizio, alterati forse dall’ interferenza di numerose cause concomitanti o pertur- 6 batrici, quali le variazioni individuali spontanee, la diversa nutrizione; od anche mascherati dalla forza tenace dell’ata- vismo. Nè le ricerche di Brown-Séquard sulla epilessia trauma- tica ereditaria delle cavie, portarono maggior luce nel la.- birinto dei fatti contradditorii e delle ipotesi. Il Darwin ne conchiude cautamente « che gli effetti di certe lesioni sono alle volte ereditati ». Lo Spencer con più ardire ne infe- risce che « modificazioni di struttura, prodotte da modifi- cazioni di funzione, sono impresse sull’organismo intiero, in modo da renderne affetti i centri riproduttori, e far sì ch’essi si sviluppino in organismi che presentano le medesime mo- dificazioni ». Il Weismann fu tra i primi ad opporre obiezioni all’in- terpretazione degli autori citati. La lunga incubazione della malattia nei parenti, la maggior frequenza di eredità, quando si tratti di epilessia materna, spiegabile col maggior vo- - lume della cellula ovo in confronto al nemasperma, gli sug- geriscono l’idea che si tratti della trasmissione di germi infettivi, quale ha luogo effettivamente per la malattia del baco da seta. Il Nothangel pure ritiene verosimile « che nei casi in cui la epilessia è consecutiva ad una sezione dei nervi, una nevrite ascendente sia la causa della alterazione dei centri ». Quanto alle esperienze di Westphal, che pro- vocò epilessia ereditaria nelle cavie, percuotendone il cranio, si dovrebbe ritenere la “malattia, come effetto di una forte commozione del sistema nervoso. Ma, soggiunge il Wei- smann, si ammetta o non si ammetta l’ ipotesi di una in- fezione, rimane sempre la inconcepibilità di una trasmis- sione di alterazioni molecolari, irreconciliabile vuoi colla teoria epigenetica, vuoi colla teoria della preformazione (pangenetica). Hiram Stanley, in un articolo comparso in un noto pe- riodico americano, oppone a Weismann alcune contro- biezioni (*). Sorvolando sulla impossibilità di ammettere infezione nel caso di epilessia traumatica, riconosciuta dallo stesso autore, e concessa anche la ipotesi dei bacilli per (') Hiram SranLey, Professor Weismann on the transmission of Acqui- red Epilepsy. The American Naturalist. June 1890. # altri casi, come può la teoria infettiva semplificare il pro- blema? In realtà non fa che spostarlo, poichè se il bacillo dev’esser capace di indurre nel plasma germinativo non epilessia (poichè gli elementi nervosi vi sono contenuti solo potenzialmente) ma uno speciale disordine molecolare, che si tradurrà nella epilessia del nuovo organismo sviluppato: la stessa difficoltà fondamentale che il Weismann trova nella teoria epigenetica, sussiste ancora: « Come può il plasma germinativo ricevere dalle cellule somatiche non la peculiare struttura che caratterizza lo stato morboso del genitore in quello stadio, ma una tale costituzione mole- colare che si risolverà nella epilessia della discendenza fatta adulta? » Più recentemente il Ball, (') considerando sovratutto la ere- ditata imperfezione degli arti nelle stesse cavie, per effetto di sezioni del nervo ischiatico nei generanti, osserva ch’essa potrebbe spiegarsi ugualmente, come ogni altra mutilazione ereditata, coll’idea emessa dal Galton di una « completa consumazione della materia, altrimenti riproduttiva, nel- l'accrescimento della struttura corporea, » interpretazione, per altro, alquanto artificiosa. Riguardo a siffatti esperimenti, pur riconoscendo il grande interesse ch’ essi offrono al medico ed all’igienista, non si può negare che, quali testimonii della eredità di esercizio, essì prestino il fianco a molte e gravi obiezioni. Se essi ri- spondono in modo generale al quesito: « Può un disordine funzionale, provocato artificialmente, ripetersi nella discen- denza? », non dilucidano in alcun modo il punto capitale: « Sono esse ereditarie le modificazioni di struttura indotte da un continuato esercizio? » Io non dubito che lo stesso Weismann vorrà concedere la influenza del sistema nervoso sulla nutrizione del plasma germinativo; anzi, gli esperimenti di Brown-Séquard non fanno che allargare il campo dell’eredità indipendentemente dall'ipotesi Lamarckiana. L’azione coordinatrice del sistema nervoso, che presiede al trofismo delle parti, e che fu leso nei genitori, basti a spiegare la condizione anomala dei (!) Pratt Barr, Zes effets de lusage et de la desuetude sont ils hére- ditaires? 1591. nati, senza che vi si debba ravvisare, come fa lo Spenc r, « un carattere diffuso a tutto l’ organismo », e senza ri- correre all’ipotesi infettiva come fa il Weismann. La ne- vrosi epilettica è una delle forme che più spesso tradiscono l'esaurimento del sistema nervoso, e uno stato di deperi- mento preparato da cattiva nutrizione del germe, può ri- solversi nei disturbi epilettici. Che se poi sì imagini un contagio tra cellule somatiche e cellule germinali, parmi non possa reggere, per quanto sottile, l'argomento di Hiram Stanley. Anzitutto l’ipotesi di una infezione trasmessa, sem- plifichi o no il quesito, fu già provata per la malattia del baco da seta, epperciò in alcuni casi è un fatto da non di- scutere, e poi non vedo perchè, dato il rapido sviluppo em- brionale delle cavie (1), il microrganismo non possa rima- nere innocuo fino a che la struttura specifica dei tessuti sia risolta in uno stadio di sviluppo più avanzato, come ap- punto deve succedere nel citato caso del filugello (). I dubbi non fanno che moltiplicarsi, quando si conside- rino i risultati negativi di altri autori (3). Il Luciani estirpò (!) La gestazione dura circa 60 giorni, ma i piccoli nascono già forniti di incisivi e di peli; sicchè il primo differenziamento del tessuto nervoso deve compiersi molto prima. (2) È noto poi che gli effetti di una infezione possono anche trasmettersi da generante a generato, altrimenti che col passaggio diretto dei bacilli: basta la semplice diffusione delle toxine attraverso ai tessuti, o anche il mutamento indiretto ch’esse inducono nelle condizioni trofiche delle cellule, come provarono ultimamente le belle ricerche di Charrin (L’Aérédité en pathologie. Revue générale des sciences; 15 Janvier 1896). In modo analogo possono agire le sostanze tossiche non microbiche che si svolgono nell’organismo in determinate malattie od anche per eccessi di fatica. (3) Se i risultati di Brown-Séquard costituissero una prova « positiva » in favore della ereditarietà dei caratteri acquisiti, sarebbe certo illogico il contrapporvi fatti negativi, per quanto numerosi Lasciando da parte le sva- riate interpretazioni cui si prestano tali esperimenti, rimarrebbero ancora da schiarire alcuni dubbii. Brown-Séquard, se ben ricordo, non dice espli- citamente se la epilessia fu ottenuta subito, nei primi individui casualmente scelti, o se ifenomeni morbosi comparvero solo in alcunetra le cavie lese. Se quest’ultimo caso fosse vero, si dovrebbe tener conto anche di una se- lezione involontaria dei predisposti. Credo superfluo avvertire che la stessa tendenza nei discendenti, accompagnata da una distrofia delle cellule ger- minali, da cui essi provengono, varrebbe a spiegare i risultati di Brown- Séquard, anche senza invocare la eredità dei caraiteri acquisiti funzional mente, il cervelletto ad una cagna, e questa, accoppiata in seguito ad un cane integro, « condusse a termine la gravidanza, e st sgravò di 4 cani vivi, due dei quali morirono entro i due primi giorni, perchè schiacciati dalla madre incapace di ben regolare i movimenti (era divenuta emiplegica). I cervelli cli questi due cani non offrono rilevabili alterazioni: gli altri due vivono tuttora e non presentarono mai feno- meni morbosi ». Augusto Weismann che sostenne in modo così brillante la polemica collo Spencer, volle convalidare i suoi concetti col sussidio dell’esperimento, e tentò su vasta scala ricerche sulla « pretesa eredità delle mutilazioni », operando sulla coda dei topi albini. Gli esperimenti cominciati nell’ottobre dell’ 87 ebbero termine nel dicembre dell’ anno seguente. Nel corso delle ricerche si succedettero sei generazioni, na- scendo oltre 900 piccoli sempre integri e muniti di una coda di lunghezza normale. Più recentemente il Bos ripetè le indagini di Weismann sopra l5 generazioni, senza ottenere risultati diversi, e Ro- senthal venne alla medesima conclusione. Tali risultati confermano la legge ammessa finora della non trasmissibilità delle mutilazioni; ma non contraddicono la eredità di esercizio, che è il perno della teoria di La- marck, secondo la quale la compagine organica andrebbe lentamente plasmandosi per l’azione intima di forze lunga- mente operose. Un ragionamento deduttivo e le analogie tra le società cellulari o « somatiche » e le società « psichiche », ci condurrebbero a conchiudere rello stesso modo. Come una strage che avesse per effetto di eliminare dalla società umana un gran numero di individui addetti a determinati uffici (militari, ad es.) non riuscirebbe a mutare radical mente e durevolmente la costituzione della società per l’an- tagonista attitudine rigenerativa dell’ organismo sociale, e la idoneità ancora spiccata nei singoli individui superstiti a variare di uffici; così nelle società cellulari i traumi di qualsiasi genere, le stesse mutilazioni, avrebbero maggior efficacia sull’individuo direttamente leso che sulla specie, e non ci dovremmo aspettare di vederne subito trasmessi per intiero gli effetti. Le singole cellule del nuovo organismo che deriva dal genitore mutilato, sarebbero ancora atte nei 10 primi stadii dello sviluppo embrionale ad assumere quei caratteri che presentavano le cellule eliminate pel trauma, le quali non potevano rigenerarsi in seguito alla troppo progredita loro specificazione (1). Le interessanti ricerche di Smannkewitsch, il quale riuscì a trasformare nel corso di poche generazioni, l’ Artemia Miihlausenii in Artemia salina, e questa in Branchipus stagnalis, per addizione graduale di acqua nel mezzo in cui vivevano, mentre aggrediscono il problema della adat- tabilità organica da un punto di vista del tutto diverso, non concorrono però in alcun modo ad esplicare come operino le cause della variabilità, lasciando adito alle interpreta- zioni più disparate. Wallace interpreta siffatto passaggio (che fu pure conseguìto adottando l’ ordine inverso) come dovuto all’azione diretta dell’acqua marina sugli elementi riproduttori, e si comprende come la stessa obiezione valga per tutti gli esempi consimili, spiegabili o con una diversa nutrizione del plasma germinativo, o coll’azione diretta degli agenti fisici (calore, luce, ecc.) che la scuola Neo-Lamar- ckista designa coll’epiteto comprensivo di primarii, ed ai quali l’intiero organismo è permeabile. Eimer infatti rico- nosce che tale trasformazione può in un caso riguardarsi come un arresto di sviluppo. Ritenendosi il Branchipus stagnalis, che ha un maggior numero di segmenti, come la forma più evoluta, e formatasi secondariamente per adat- tamento alla vita nei laghi, sì deve supporre che l’ acqua marina possa determinare un arresto di sviluppo ad uno stadio inferiore. Ma d’altra parte, soggiunge l’ autore, do- vendosi ritenere l’ Arfemia MihIhausenii come una forma filogeneticamente più recente dell’ Arl/emia salina, non si può considerare la trasformazione di questa in quella come una riversione atavica. Ad ogni modo si converrà che per il breve tempo in cui si compie, la trasformazione non può interpretarsi come una evoluzione genuina di una forma nell’altra, ma piuttosto come una pseudo-evoluzione di cui na- tura ci porge numerosi esempi (neotenìa dei batraci ecc.) (2). (4) Per una trattazione alquanto più estesa dell'argomento vedi: P. CELESIA, Intorno ad una coppia di gatti anuri dell’isola di Man. Atti Soc. ligust. di Sc. nat. e geogr. Vol. VI, 1895. (*) Tacerò degli esperimenti interessanti di Massin (Die Erblichkeit ge- ll Questa rapida rassegna delle esperienze fatte fino ad oggi, basti a dimostrare quanto sia difficile escogitare un espe- rimento che riesca a convincere le parti contrarie. Lo spe- rimentatore dovrà muoversi in un campo assai ristretto, prevenendo ogni possibile obiezione, e rinunciare a risol- vere il problema con qualunque tentativo che implichi una diversa nutrizione delle cellule riproduttive o 1’ intervento diretto dei fattori primaril. Francis Galton (!), uno dei precipui fautori di Weismann, osservando che non sono ancora stati suggeriti esperimenti da accettarsi come prove risolutive, propone un piano di ricerche da istituirsi su animali ovipari, come pesci ed uc- celli, poichè essi permettono di escludere qualunque possi- bilità di educazione parentale o sociale. Ricorda poi 1’ espe- rimento che Darwin adduce, di un luccio allevato in una vasca divisa in due scompartimenti per una lastra di vetro, il quale, dopo aver tentato inutilmente di nutrirsi di piccoli ghiozzi che occupavano l’altra parte del recipiente, urtando più volte contro la parete interposta finì per rinunciare al bottino, anche quando fu rimosso l’ostacolo che lo separava dalla preda agognata. Ciò che importa, dice il Galton, sarebbe di osservare se una tale abitudine può divenire stabile dopo alcune generazioni. Tali ricerche concernenti non la atrofia o la ipertrofia funzionale, ma piuttosto la eredità di associazioni mentali e la sistemazione degli atti cerebrali in atti spinali o ri- flessi, introducono, secondo me inopportunamente, una nuova incognita nell’intricato problema, sebbene la facile variabi- lità degli istinti, e il carattere spiccatamente adattivo delle funzioni psichiche, permetterebbero una rapida attuazione delle indagini. Non mi consta che la proposta del Galton abbia avuto seguito. wisser Verstimmelungen. Bulletin. Acad. roy. de Belgique, XIV, pag. 772), il quale, asportata una parte di fegato ad una coppia di conigli, ne constatò la eredità, poichè in essi si viene a modificare la nutrizione del plasma germinativo; e rimane dubbio se essi debbano interpretarsi in senso favo- revole oppure in senso contrario al Weismannismo. Vedi per una ragio- nata discussione del tema: Yves Derace, Za structure du protoplasma et les théories sur l'herédité. pag. 899 e 234. Paris 1895. (1) Francis Garton, Zeasible Erperiments on the Possibility of transmit- ting Acquired Habits by means of Inheritance. 1890. 12 Ciò che v'ha di più strano nel percorrere la bibliografia, è l'atteggiamento sfiduciato dei naturalisti più insigni per questo genere di esperimenti. L’Eimer, riconoscendo la in- sufficienza dell’arte in confronto alla natura, come produt- trice di caratteri nuovi, osserva che lo sperimentatore si muove in un’ orbita assai limitata. Il Romanes nota la impossibilità di scindere gli effetti dell’uso da quelli della selezione e di altri fattori sempre attivi. Ancora più espli- cito è il Weismann: « Non vi sono osservazioni che pro- vino la trasmissione ereditaria dell’ atrofia o ipertofia fun- zionale, e non ci dobbiamo aspettare di ottenerne nel fu- turo » (e () L'esperimento ideale per troncare la questione che mi venne alla mente, due anni or sono, e che ora vorrei tentare, ad onta delle gravis- sime difficoltà ch’esso presenta, sarebbe questo: Sostituire per innesto ai testicoli di un dato animale i testicoli di un maschio di varietà o specie affine; in seguito fecondare coi nemaspermi dei testicoli innestati una femmina delle specie a cui questi appartengono. Se gli organi così innestati (basterebbe uno solo) sono capaci di vivere senza subire una degenerazione, e la segmentazione delle loro cellule con- tinua, se infine il nuovo « soma » da cui essi ricevono nutrimento, im- prime loro alcuni caratteri che gli sono proprii, questi dovranno palesarsi nel nuovo organismo, e con ciò sarebbe dimostrata nel modo più luminoso la trasmissione ereditaria tanto discussa. Per ciò fare si dovrebbero scegliere due specie o varietà che incrociate non rimangano sterili (ad es. lepri e conigli, conigli selvatici e conigli do- mestici, gatti anuri e gatti caudati ecc.) poichè se la trasmissione dei ca- . ratteri avesse luogo, la fecondazione praticata in seguito avrebbe il valore di un ibridismo. Tali innesti, forse anche inattuabili negli organismi superiori, non lo sono affatto negli inferiori. Nelle piante, ad es., l'innesto è praticato ogni giorno, e il Darwin cita una serie numerosa di ibridi, ottenuti in questo modo. Però, se fali ibridi si riproducono per semi, essi danno una pianta che somiglia alla pianta madre e non al nuovo sostegno: ciò del resto, per chi consideri la indipendenza delle singole gemme, ognuna delle quali rap- presenta un individuo, è da aspettarsi. L'esperimento sarebbe invece dimostrativo e la attuazione meno difficile, se sì tentasse: a) su animali inferiori, come le idre (ad es., tra l’ Hydra viridis e la grisea), nelle quali l'adesione dei tessuti sembra compiersi in modo sor- prendente, (Perrier). 3) Oppure su animali della stessa specie o anche della stessa varietà, ma dotati di qualche carattere individuale che si suppone ereditario (Tra una cavia resa epilettica ed una cavia integra, tra un gatto anuro ed un gatto caudato). 15 Pieno di fiducia nella validità dell'esperimento come unico mezzo per giungere al vero, io mi sono indotto ad occu- parmi dell'argomento sì attraente, non dissimulandomene però le difficoltà. Ritornando agli esperimenti di Weismann, Bos e Rosenthal, io credo che non sarebbe stato impossi- bile impiegare più utilmente un materiale così prezioso. È appunto mia intenzione esporre succintamente quali concetti mi abbiano guidato nel preparare il piano delle mie in- dagini. Numerose osservazioni attestano che alcuni organi regre- dienti negli animali domestici non subirono diminuzione di volume, forse perchè un cibo copioso permise la nutrizione di tessuti inattivi; mentre, sia per disuso, sia per la legge Galtoniana della « regressione autonoma » avvengono atrofie dei nervi e dei muscoli che presiedono all’attività delle sin- gole parti. I nostri mammiferi domestici, ad es., ('!) discen- dono verosimilmente da specie selvatiche a orecchie diritte. Questa condizione dei padiglioni, ed anche la loro mobilità, era utilissima per raccogliere i minimi suoni e sovratutto per riconoscerne la direzione. Tuttavia essi presentano oggi orecchie più o meno cadenti: così le troviamo in molte razze di maiali, di cani e di conigli. Anzi riguardo ai conigli vi sarebbero alcune forme di passaggio dal tipo selvatico al tipo domestico, voglio dire di quelle varietà designate dagli allevatori francesi coll’epi- teto di demi-lopes, pel fatto ch’ esse presentano un solo Qualche cosa di simile (solo dal punto di vista operatorio) sarebbe già stato tentato. « Hunter aurait... réussi,à greffer les testicules d’un coq dans l’abdomen d’une poule. Mais il faut se méfier de la réalité de ces greffes merveilleuses rapportées par des auteurs anciens ». Yves DELAGE, Les {héorves sur l'hérédité. (Nota a pag. 104). Può darsi che questi miei progetti siano chimerici: osserverò soltanto che nel concetto di Weismann di un plasma germinativo autonomo, che riceve dalle cellule somatiche il solo nutrimento, l'innesto di un ovario 0 di untesticolo dovrebbe essere meno difficile che quello di ogni altro organo, devoluto alla conservazione dell’ individuo. (4) Francis GaLron, fondandosi su dati sperimentali, è giunto ad enun- ciare la legge della « riversione alle mediocrità », per la quale uno stipite che abbia subìto col solito processo selettivo, una modificazione dei suoi caratteri, tende a ritornare verso la condizione primitiva, anche quando i riproduttori vengono scelti. pel grande sviluppo di quel dato carattere, 14 orecchio pendente, in seguito all’atrofia dei muscoli eleva- tori della conca auricolare. E importante osservar: che questa condizione delle orec- chie non implica affatto una diminuzione di volume: al contrario il Darwin avrebbe notata la tendenza ad un pro- gressivo allungamento dei padiglioni. Il Livingstone attri- buisce la atrofia dei muscoli auricolari al disuso, e, se vo- lessimo accogliere questa spiegazione (vivamente osteggiata dal Wilkens) dovremmo supporre che fenomeni analoghi abbiano a manifestarsi nei topi, cui fu recisa la coda per molte generazioni (1); donde apparisce come gli esperimenti di Weismann (e lo stesso autore ne conviene) siano insuf- ficienti per inferire contro la legge di Lamarck. Non basta la mera constatazione di un volume costante dell’ organo mutilato negli avi, per escludere la ereditarietà dei carat- teri acquisiti; ma ognun vede che sarebbe stato più oppor- tuno esaminare le condizioni fisiologiche della parte rimasta inattiva. Che dire di altre condizioni sperimentali che gli autori citati trascurano, come sarebbe il vario modo di unione sessuale, in cui ogni allevatore illuminato riconosce la mas- sima efficacia nell’affievolire od accrescere la potenza tra- smissiva dei caratteri individuali? Diremo con Claude Ber- nard <«... l’expérimentateur agit sur les phénomènes quand il en connait les causes déterminantes ». Lo stesso autore ci insegna che a fianco a un determinismo semplice (la mu- tilazione nel caso nostro) esiste un determinismo complesso (per noi la varia interferenza delle tendenze individuali nella unione dei sessi, astraendo da una lunga catena di fenomeni secondarii il cui determinismo ci sfugge). Io credo perciò che l’accoppiare individui nei gradi più diversi di consanguineità sia un fatto di primaria impor- tanza, non solo per prevenire la sterilità improvvisa che tolse a Weismann di continuare le sue indagini, ma anche (') Anche Yves DeLacE nel suo recentissimo trattato: Za structure du protoplasma et les théories sur l’ heredité, si accorda con me nel ritenere che gli effetti della dissuetudine sono paragonabili a quelli delle mutila- zioni, sebbene egli stimi necessario sopprimere intieramente una specie di tessuti rappresentati in un organismo, per vederne in qualche modo ere- ditati gli effetti (Vedi pag. 808 del lavoro citato). 15 per modificare in vario modo le manifestazioni dell’intimo meccanismo ereditario. Essendo però assai divisi i pareri degli scienziati a questo riguardo, si comprende come io abbia dovuto procedere per tentativi. Se, come opina il Sanson, la consanguineità è la forma di nozze più favorevole allo sviluppo dei caratteri acqui- siti, dovremmo aspettarci, a parità di altre cause, un ef- fetto più intenso in questo caso che in quelli di unione non consanguinea. « L’hérédité fonctionne en cas de consangui- nité », dice il Sanson, « suivant un mode spécial qui a pour effet de la rendre, sinon infaillible, du moins d’ en aue:menter considérablement les chances, ce que nous avons formulé en disant que la consanguinité élève l’hérédité è sa plus haute puissance ». I partigiani della teoria opposta (Devay, Boudin ece.) incolpano le nozze consanguinee di produrre malforma- zioni congenite e arresti di sviluppo: il che tradotto nel nostro linguaggio sperimentale, significherebbe che « la consanguineità fra parenti è favorevole all’atavismo e sfa- vorevole alla supposta eredità progressiva ». Comunque sia, io reputo queste condizioni sperimentali indispensabili per chiunque voglia aggredire con metodo veramente vigoroso ed obbiettivo i fenomeni della eredità organica, condizioni alle quali finora troppo poco si era badato. Un’altra modificazione che credo utile agli esperimenti di Weismann sta in ciò, che mentre egli permise il rapido succedersi delle generazioni, ottenendone sei in un anno; io, coll’ intento di favorire lo sviluppo dei caratteri acqui- siti (se ciò è possibile), ho adottato come individui della se- conda generazione quelli nati da genitori dell’età di cinque mesi. Se si suppone esistere realmente questa forma di ere- dità, è ovvio che gli effetti dovranno essere tanto maggiori, quanto più è lungo il tempo per cui le cellule somatiche hanno potuto reagire sulle cellule germinative. In alire parole, se ammettiamo la eredità progressiva, la evoluzione di una famiglia, come quella di una specie, non € tanto in funzione del numero delle generazioni, quanto in funzione del tempo (1): al contrario, per chi accoglie la (') Nello scorrere i « Principî di biologia » dello Spencer, trovo enun- ciata la stessa idea : 16 teoria di Weismann, il rapido rinnovarsi delle generazioni è condizione essenziale del progresso, permettendo il ripe- tersi frequente delle variazioni spontanee e degli atti se- lettivi. i Dispongo ì miei esperimenti come segue : Una prima famiglia (A) (discendente da una coppia nata il 15 agosto 1894) viene tenuta separatamente in apposita gabbia; un’altra (58) (che discende da quattro femmine e tre maschi nati il 25 ottobre 1894) trovasi in altro scomparti- mento; una terza è destinata a fornire individui di controllo. In ciascuna famiglia ho stabilito separazioni nel modo op- portuno per ottenere nozze in gradi diversi di consangui- neità: un incrocio tra le due famiglie è sempre possibile qualora compaia sterilità improvvisa. Dalla prima coppia nacquero (7 gennaio, 1.° febbraio, 25 febbraio, 21 marzo, 16 aprile, 7 settembre, 1. ottobre) 86 pic- coli sempre integri e muniti di una coda di lunghezza nor- male (variante fra i 10 ei 12 mm.). Dalle altre coppie nac- quero oltre 250 piccoli nelle stesse condizioni degli altri. Dieci giorni dopo ogni parto, viene tagliata la coda ai nati, e lasciata integra solo ad uno o due che sono desti- nati alle ricerche che dirò in seguito. Per escludere la obiezione che siano stati trasmessi germi infettivi, gli in- dividui mutilati vengono trattati antisetticamente con subli- mato corrosivo. i Dei nati il 7 gennaio 1895 (A) sopravvisse solo una fem- mina cui avevo lasciata la coda. Cominciai in seguito ad accoppiare i topi nella forma più stretta di consanguineità (ossia tra genitori e nati) per far poi tentativi in altre maniere (unione tra fratelli ecc.). Dal- l'unione del maschio adulto (4) con la femmina munita di coda e nata dallo stesso il 1.° gennaio, nacquero due indi- vidui di cui uno integro e l’altro privo affatto di coda. Solo con grande cura sono riuscito ad allevarlo fino all’ età di 20 giorni; poichè, come sogliono fare al primo parto, la « Si esige un tempo lunghissimo a che un organo, modificato per au- mentata o diminuita funzione, possa reagire sull’organismo in modo da far insorgere i cambiamenti correlativi necessarii alla produzione di un nuovo equilibrio: eppure, solo quando questo nuovo equilibrio si sia stabilito, po- tremo aspettarci di trovarne la pieza espressione nelle « unità fisiologiche » De madre mostrava di non curarsene, e dovetti affidarne l'allattamento ad altra femmina. Ora è conservato in al- cool a documento delle mie ricerche (1). Il fatto è tanto più singolare quando si consideri che, fra oltre 900 casi osservati da Weismann, ed altri non meno numerosi notati da Bos e da Rosenthal su 15 genera- zioni, non un solo individuo presentò coda più corta o ru- dimentale; e perchè, come osserva il Bonnet (?), non si re- gistrano negli annali della scienza casi di topi nati anuri per anomalia spontanea (mentre ciò ebbe a verificarsi. più volte nei cani e nei gatti) la quale cosa rende tali animali particolarmente adatti alle ricerche di cui ci occupiamo. Mi sembra opportuno l’avere fissato esattamente tutte le condizioni in cui si constatò questo fatto interessante (età esatta dei genitori, loro grado di consanguineità, sesso del genitore anuro ecc.) perchè non si deve disperare in tal guisa di ottenere una ripetizione del fenomeno, se abbiamo realmente a che fare con un’anuria congenita e con un caso genuino di eredità (5). Avendo abolito un organo, e con esso la sua funzione, (!) Da principio credevo fermamente che si trattasse di un nato anuro, ma in seguito vedendo che gli stessi topi della quinta generazione nascono ‘ integri, ed osservando con quale facilità le madri usino: mangiare i loro piccoli o parte di essi, m'è venuto il dubbio che: possa trattarsi di una le- sione fatta dalla madre, sebbene non molte ore dopo la nascita io non tro- vassi la minima traccia di una ferita cruenta. Un esame anatomico accu- rato dell'individuo che conservo potrà illuminarci sulla natura di tale anuria, rivelandoci se alla mancanza di coda si associno in questo caso altre ano- malìe, come ad es. quella osservata da Geoffroy St. Hilaire in un cane anuro mostruoso. In questo il midollo spinale non occupava tutta la lunghezza del canal vertebrale, ma scendeva solo fino alla parte superiore della re- gione lombare come si osserva normalmente nell'uomo. (2) Riferisco le parole testuali di Bornet : « Je propose de faire l’ expérience sur des souris blanches ou sur des rats blanes, chez lesquels on ne connait pas de courtes queues résultants d’un vice de conformation ». (3) Chi sostiene il nocumento delle nozze consanguinee potrebbe qui ravvisare un caso di anuria spontanea, un arresto di sviluppo determinato dalla grande differenza di età fra i genitori e dalla troppo stretta con- sanguineità. Queste considerazioni mi fanno ritenere le unioni in vario grado di parentela come più opportune e più significative negli esperimenti sulla eredità di esercizio. (0.0) vorrei tentare di riconoscerne le condizioni fisiologiche. Ri- spetto ai nervi coccigei, a me sembra che la velocità con cui vengono trasmessi gli stimoli, sia uno dei caratteri fun- zionali più salienti. Se il disuso può indurre nelle fibre sen- sorie o motorie una minore permeabilità agli stimoli, dob- biamo aspettarci che ricerche delicatissime possano rivelar- cela. E noto come da Helmbholtz in poi le indagini sulla velo- cità di trasmissione dei nervi, sono andate sempre più estendendosi; ed ora, per mezzo del cronoscopo di Hipp o del D’Arsonval (*), o col metodo grafico, non è difficile ot- tenere espressa in centesimi o in millesimi di secondo, la velocità di propagazione della corrente nervosa, la quale sembra oscillare entro limiti amplissimi (2). Saggiando con simili metodi i nervi coccigei delle suc- cessive generazioni, se si riconosce una decrescente ido- neità alla funzione in confronto alla media consueta otte- nuta da altri individui di controllo, è lecito indurre « che modificazioni intime nella struttura molecolare di uno dato organo, prodotte dalla dissuetudine, sono ereditarie. » Analoghi esperimenti tento sui muscoli coccigei determi- nando le condizioni della loro contrattilità (il periodo della eccitazione latente, ecc.) in confronto a quella presentata dagli antenati. Se gli esperimenti daranno un risultato negativo nel senso di una velocità sempre uguale, il negare recisamente la ere- dità di esercizio sarebbe forse prematuro, potendosi richie- dere un tempo grandissimo a produrre un risultato apprez- zabile, sebbene la dinamica di un corpo c> ne accusi i mi- nimi cambiamenti nell’assetto molecolare, allo stesso modo che i più gravi disordini funzionali del sistema nervoso ci si palesano, senza che, nella pluralità dei casi, possa av- vertirsi un’ alterazione degli elementi istologici o dei tessuti. Io tento insomma una riprova sperimentale della propo- sizione dello Spencer sulla genesi dei nervi: « Un’ onda di (!) Nel mio lavoro definitivo spiegherò come io sia riuscito ad adattare il metodo cronoscopico a ricerche sugli animali. (*) Alcune delle difficoltà tecniche che incontrerò in queste ricerche, per la tenuità dei nervi della coda, verranno eliminate estendendo la mutila- zione ad organi più importanti e ad animali di maggior mole. 19 commozione molecolare diffusa da un centro, e propagan- tesi per una linea, lungo la quale si trova il più gran nu- mero di molecole, suscettibili di subire facilmente la tra- sformazione isomerica, avrà per effetto di modificare ulte- riormente codesta linea, e rendere più spiccato il carattere della sua conduttività, grazie all’ attitudine che hanno tali molecole a trasformarsi facilmente ». Se il differenziamento del tessuto nervoso si compie real- mente in questo modo, se la materia si organizza siffat- tamente sotto la incidenza delle forze, dobbiamo aspettarci che l’esercizio nel tessuto già differenziato, produca un ef- fetto analogo: col ripetersi degli stimoli, un’agevolata dif- fusione dell’onda nervosa (!). Non dissimile è il comune con- cetto che noi ci facciamo sull’ efficacia dell’abitudine nel coordinare i nostri atti a determinati scopi della vita indi- viduale, la quale consistereLbe sovratutto nello spianare le vie nervose alle onde sensitive e motrici. Sicchè, riassu- mendo, i postulati su cui poggiano queste ricerche, sono da un lato la legge Spenceriana: « il moto segue la via di minima resistenza », e poi quest'altro: « la via battuta. dalle vibrazioni tende a divenire la via di resistenza dimi- nuita ». Il punto critico per noi sta nel vedere se questi effetti sono ereditarii, come primo sostenne il Lamarck. Al con- trario, nel concetto del Weismann, essendosi i tessuti dif- ferenziati per cause accidentali, blastogeniche, si potrebbe imaginare che una quantità maggiore o minore di acqua com- binata in definite direzioni possa produrre linee di diversa conduttività nella massa primitivamente organizzata, e quindi una selezione degli individui moglio all'uopo forniti. La quale idea si accorderebbe coi risultati di Oehl che trovò una certa analogia fra il comportamento dei nervi e quello dei liquidi alla corrente elettrica sotto l’influenza della tem - peratura. Frattanto, avendo la opportunità degli apparecchi neces- sarii, mi applico a ricerche comparative sulla velocità di (!) « Nel caso che il nervo cada in disuso, si deve invece ammettere un aumento nella resistenza alla trasmissione degli stimoli ». 2) trasmissione degli stimoli, degli atti riflessi, istituendo un confronto tra specie domestiche e specie selvatiche, tra nervi e muscoli filogeneticamente progredienti e nervi (sen- soril o motorii) e muscoli regredienti od anche rudimentali. Se in tutti i casi sovra esposti le oscillazioni nella tra- smissibilità e contrattilità saranno indipendenti dalle con- dizioni biologiche dei singoli animali, e dall’attività speci- fica dei tessuti, allora abbiamo un nuovo appoggio alla teoria di Weismann, Wallace e Galton; ma se, come credo, nelle singole specie notasi una differenza fra varietà do- mestiche e selvatiche, e nello stesso individuo un diverso comportamento fra nervi progressivi e nervi regressivi, al- lora non possiamo pronunciarci per l'una o per l’altra teoria; poichè non avendo seguìto lo sviluppo di quelle date varietà o specie, nè la selezione ch’essi subirono nel dome- sticamento, non è lecito inferire che la maggiore resistenza opposta dai nervi sia dovuta al minore uso. Queste ricerche stabiliranno anche, fino ad un certo segno, la legittimità degli esperimenti che istituisco sui topi. In- fatti la mancanza di studil comparativi ragionati in questo campo, lascia sussistere ì dubbii più gravi nelle stesse pro- posizioni che lo Spencer enunciò con tanta limpidezza. Se, come dichiara categoricamente il Frédéricq (!), la velocità di trasmissione nervosa è affatto indipendente in ogni in- dividuo dall’esercizio, è chiaro che le mie esperienze non sarebbero conclusive. Ma allora si potrebbe chiedere al- l’ illustre fisiologo, che professa le dottrine Lamarckiane, come avrebbero potuto fissarsi questi caratteri nel tessuto nervoso, se non coll’azione accumulata delle variazioni in- dividuali. Le ricerche, che, nienaglie per qualche tempo, sto per riprendere, lasciano intravvedere fin d'ora una trasmissi- bilità degli stimoli maggiore nelle specie selvatiche che nelle domestiche; ma le prove fatte fino ad oggi sono troppo incomplete perchè io mi senta autorizzato ad enunciare una (1) « Soit dit en passant, l’exercice n'a aucune action sur le temps perdu dans les muscles ou dans les nerfs, il n’influence que le temps perdu dans le centre nerveux, le cerveau, pour l’élaboration des ordres de la volonté ». Léon Frédéricq : La lutto pour l'eristenco che: les animaur marins, pag. 136. Paris .889." 21 lege. Non avendo pol soddisfatto a tutte le cautele che si esigono in simili ricerche, per quanto concerne la tempe- ratura (la velocità dell’onda nervosa dipende sovratutto dalla temperatura) mi riservo a render conto esatto e completo dei miei risultati nel lavoro definitivo. Osserverò in ultimo come in alcune delle mie indagini molte delle difficoltà che incontrano i fisiologi nello studio dei fenomeni psicofisici siano soppresse; poichè io comincio dal considerare la sola trasmissione motrice periferica, vale a dire l’ultima fase di ogni manifestazione psichica, e che comprende il tempo impiegato nel nervo e il periodo la- tente dell’eccitazione muscolare. La fisiologia infatti ci in- segna che la sfera motrice si può isolare dalle altre e sot- toporre a condizioni sperimentali proprie ed esclusive, mentre tutti i fenomeni della sfera sensoria sono legati nell’ espe- rimento ai fenomeni motoril e lo sperimentatore non potrà mai isolarli o prescindere da questi. Genova, Tip. di Angelo Ciminago, Vico Mele, 7, 1896. 7 AUG 13 1896 BOLLETTINO DEL MUSBI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N° 41. 3,44 1896. ALESSANDRO BRIAN L’Euphausia Miilleri comparsa in quantità straordinaria nel golfo di Genova. Come certi molluschi pelagici (Pteropodi, Eteropodi), ta- luni crostacei emigrano spesso da un luogo all’altro delle acque marine. In ispecie gli Schizopodi, che quasi regolar- «mente vivono in moltitudini notevolissime, attirarono da tempo l’attenzione dei naturalisti per il loro procedere alla superficie del mare, quando esso è calmo e il cielo è se- reno, formando grosse schiere ed avanzando compatti spesso verso le coste, attratti da condizioni esteriori e dal nutri- mento favorevoli. Una tale emigrazione fu constatata dapprima nei mari europei e sulle loro coste per parecchie specie di Mysis (1), ma simile fenomeno s'è visto ripetersi nel corso di quest’ul- timo decennio per altri generi, come p. es.: Euchaetomera. Siriella, Anchialus, Stylocheiron, Nematoscelis, Thysa- noéssa, Thysanopoda, Nyctiphanes ed Euphausia (2). Ad ogni modo queste migrazioni, ben confermate, sono tuttora non numerose, per il che parmi degno di noia il riferire brevemente di una avvenuta recentissimamente. L’otto febbraio passato, col mare tranquillo e collo stato del cielo ottimo, apparvero sulle coste di Genova, forme di (1) « Cancer pedatus. Habitat versus superficiem maris groenlandici stu- penda moltitudine, raro littus vel fundum appropinquans. » (Otho Fabri- cius, Fauna Groenlandica , 1780. p. 245). (2) GersTAEcKER A., Arthropoda in: A/assen und Ordnungen des Thier- Reichs. Leipzig und Heidelberg 1866-95, p. 655. Schizopodi della specie Euphrausia Miilleri Cl., in numero rilevantissimo, specie che per quanto mi consta non fu an- cora notata da noi. Il mattino stesso, al mercato, sovrab- bondava, e a detta dei pescatori, da Chiavari a Genova e Sampierdarena, detti crostacei s'addensavano di tanto che, in certi punti, se ne traevano dall’ acqua, le reti piene o con qualsiasi altro mezzo, trovato al momento opportuno. La specie in parola, a primo aspetto, sembra una larva di de- capodo. Cosmopolita e già nota ai naturalisti, tralascio qui di descriverla. In virtù della loro facile riproduzione, gli Schizopodi in generale, e ciò è anche detto per le Euphausie, nelle con- dizioni favorevoli di nutrizione, crescono talvolta in siffatte masse da riuscire quasi unico pasto ai cetacei, (alle balene dei mari nordici) (') oltrechè ad uccelli e pesci diversi. Ma dalle osservazioni fatte finora sull’ emigrazione loro, nulla si sa ancora di certo. Secondo riferisce il Gerstaeker, (2) non si può coneludere se questa emigrazione si presenti costantemente ed esclu- sivamente per alcune specie appartenenti ai generi del gruppo sopraddetto, o se queste abbandonino gli alti fondi per portarsi alle acque basse. In questa incertezza sì trovano gli ittiologi, pur essi di- scordi, nell’affermare l'emigrazione di alcuni pesci. Così per le arringhe Bloch e Noél la negarono, contrastando un’opi- nione radicatissima nei pescatori, e pretendendo, forse con molta ragione, che vivano a grandi profondità nel mare, e non vengano che temporariamente alla superficie, al mo- mento della riproduzione. Per contro un risultato decisivo pare conseguito, dopo ricerche accurate, dal Pavesi, sulla migrazione degli ento- mostraci. Questi vivrebbero a banchi numerosi in diversi strati d’acqua secondo la luce, cioè migrando dalla super- ficie ad una certa profondità di giorno e da questa venendo a galla di notte. (3) (') Breum A. E., Za vita degli animali. Trad. it. di Branca e Traver- sella, Vol VI. ‘Invertebrati) pag. 693. Torino, 1873, (2) loco citato. (3) Pavesi P., Zatorno all’ esistenza della fauna pelagica 0 d’ alto lago anche in Italia. 1877. F c] AUG ‘3 1896 Per non dilungarmi di più in altre citazioni, da quanto precede ho creduto bene registrare questa eccezionale com- parsa dell’ Euphausia Milleri Cl. nel nostro golfo, se- guendo altri, come ad esempio fra nci il De-Filippi, (*) che segnalò nel 1865, alla Spezia, la comparsa di una specie di Caridina luminosa, presentatasi in grande quantità nelle ore notturne lungo le spiagge della città. E non saranno fuori d’interesse le note e i dati che alcuno potrà sommi- nistrare su tali comparse, potendo queste in qualche modo contribuire allo studio, e servire utilmente di guida allo svolgersi di un tema sì importante e poco noto, quale è l'emigrazione degli invertebrati. (!) De-Fiuippi F., Atti Soc. Ital. Se. Nat. Vol. VIII, pag. 265. Milano, 1865. Genova, Tip. Ciminago. 1896. AUG 13 1996 BOLLETTINO DEL MUSHI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N° 42. 13,204 1896. GracoMO DAMIANI Sul « Maurolicus amethystino-punctatus » Cocco nuovo pel Golfo di Genova, con note sugli « Sternoptychide » mediterranei. Aggiungo alla già ricca serie di Pesci del golfo di Ge- nova questo altro al certo interessante e singolare. Ne ebbi una ventina di esemplari il 15 corr. tra un cumulo di Euphausia Milleri Claus, (schizopodo pur esso interes- sante pel golfo) sul quale, specialmente per la sua com- parsa in copia veramente straordinaria, disse l’amico e com- pagno di studî A. Brian. Ebbi agio di studiarlo nel Gabinetto di Zoologia diretto dal chiarissimo prof. Corrado Parona, al consiglio ed alla cortesia del quale debbo la presentazione di questa notizia. La diagnosi specifica non mì lasciò dubbio per quanto mi mancassero esemplari di confronto. Le dimensioni (lung. mill. 45-55) la forma trapezoidale, la lunghezza rispetto all’ altezza della dorsale e la formula pinneale corrispon- devano al Maurolicus amethystino-punctatus Cocco, altri caratteri secondarî avendo comuni questa specie colle altre due: M. Porceriae Cocco, e M. attenuatus Cocco. Gli pseudo-ocelli disposti in serie lungo la linea centrale, specialmente, e in prossimità della caudale, apparivano in rilievi sferoidali brillanti del più vivo ametista. Punti più o meno brillanti, e questi di un bagliore metallico, pre- sentavano la regione assai protratta del muso, presso le narici, e la preopercolare ed opercolare. Di questi bottoni fosforescenti, caratteristici di molti Sternoptychidae, Sco- pelidae, Stomiatidae, molto si è discusso e discutesi tut- tavia, non tanto sulla loro morfologia quanto sulla funzione. Da taluni si credono occhi accessorî, da altri ghiandole (?), da altri ancora perfino organi elettrici. Ne è nota però, per gli studî di Ussow (« Ueber den Bau der sogennanten Augenàihnlichen Fleck: einig. Fische; Boll. Soc. Nat. de Moscou, 1879 »), di Leydig (« Ueber die Naben: des Chao- liodus Sloani:; Arch. f. Anat. u Phys. 1879 ») e di Emery (« Arch. Ital. de Biologie, tom. 5, fasc. 3, 1884 ») l’intima costituzione che varia, può dirsi, da genere a genere. Ripor- tansi però tutti alla forma tipica, cioè a una macchia fog- giata a lente oppure ovale, racchiusa nella cute, formante un corpuscolo coperto di sottili scaglie e inviluppato da muscoli. Si hanno notevoli differenziazioni negli strati in- terni con elementi cellulari senza dubbio in relazione con nervi. L'autore riconosce nelle sue conclusioni la somi- glianza tra questi occhi accessorî e gli organi visivi di molti invertebrati (Mysis, Euphausia. Polyophthalmus). Presso gli Sternoptychidae questi bottoni fosforescenti va- riano notevolmente. Hanno foggia di organi visivi (Stomtias, Chaoliodus); struttura sferoidale (Maurolicus, Gonostoma); di foggia intermedia tra le dette (Argyropelecus). Ancora secondo Ussow nei Mawrolicus si distinguono due sorta di epitelî ed una cavità interna data da filamenti luminosi. Giinther (Introduct. to the study of Fishes, London 1880) dice che la luminosità cessa col cessar della vita del pe- sce. Ma a che giova questo potere luminoso ? La difficoltà di dimostrarlo è grande giacchè nulla sappiamo della vita di questi pesci, quasi sempre delle grandi profondità. A rischia- rare il fondo? A richiamare piccoli animali per il nutrimento ? Emery (l. cit.) soggiunge: « ils pratiqueraient en quelque sorte la péche aux fiambeaux ». Certo che devesi credere a una funzione protettiva in rapporto coll’ ambiente, per quanto sia oscura la biologia delle specie abissali, molte delle quali (Sternoptychidae, Scopelidae) sembrano divenire pe- lagiche di notte. Dallo studio corografico della nostra specie, il dubbio di una specie nuova pel golfo di Genova si è mutato in cer- tezza. Non dico pel Mar Ligustico perchè a Nizza è stata rinvenuta, sebbene « excessivement rare » (Moreau). Risso nelle sue opere itt'ologiche non la cita per Nizza. Parla di uno Scopelus angustidens (sibi) che sembra sinonimo del Mau- rolicus attenuatus Cocco, citato pur esso per Nizza dal Moreau. Il Bonaparte lo limita alla Sicilia. AUG |3 1896 Il genere Vawrolicus fu fondato dal Cocco, il natura- lista siciliano al quale molto deve la ittiologia del Medi- terraneo, in onore del Maurolico (un curioso della natura del XVI sec.). Cocco ebbe ad occuparsi singolarmente dei generi e delle specie, anche oggi tra i più rari del Medi- terraneo, di Sternoptychidae e Scopelidae. pescati a Mes- sina. In fatti, Nizza, e Messina col suo stretto, costituiscono pel Mediterraneo le due più importanti stazioni ittiologiche, non solo in fatto di pesci pelagici e abissali, ma di altre specie non meno rare variamente batimetriche; e ciò per condizioni particolari d’ ambiente, determinate, a quanto pare, da correnti. Nizza, ad esempio, molto ritrae della it- tiofauna delle Canarie e delle Azorre e con essa Messina (!) e il mare di Sicilia, il che darebbe valore al fatto della continuazione nel Mediterraneo di aree di distribuzione di specie proprie all’Atlantico, pur conservando il primo una fisionomia peculiare. Il genere Mawrolicus figura nel Me- diterraneo con due delle tre specie (Maur. Porceriae, M. attenuatus; la terza M. borealis Nilss. è atlantica) esse pure rinvenute rarissimamente a Nizza e nel mar di Sicilia. La stessa famiglia degli Sternoptychidae. meno il ge- nere Sternoptyx (>) (S. diaphana Hermann, Atlantico tro- picale), è mediterranea negli altri generi: Argyropelecus, Coccia. Gonostoma. Odontostomus, Chauliodus. Di questi il prime ha una sola specie mediterranea, A. Remigymnus Cocco, insieme e atlantica; le altre, A. Olfersii Cuv., A. Durvilii G. e Val., A. aculeatus Cuv. e Val. sono esclu- sivamente atlantiche. | L’ Argyropelecus heinigymnus, circa un decennio fa fu rinvenuto per la prima volta nel golfo di Genova, a Por- (1) Da Messina, vero vivaio di rarità ittiche, il Dr. L. FaccioLÀ recente- mente descriveva due nuove specie di Scopelidae: Scopelus uracoclampus fin Nat. Sicil. Anno HI, N. 2) e Sc. Doderleini (ibid. Anno I, N. 9): e da Nizza il Moreau (1888) lo Scopelus Veranyi (V. Suppl. H. N. de Poissons de la France). (2) Ai Chauliodontidae, l’'ittiologo nord-americano Tu. Gil aggrega due nuovi generi: Sjg7:0ps con una specie S stigmaticus, pesce di grande pro- fondità rinvenuto nell'Atlantico settentrionale (1883) e Cyclothone, C. lusca pure nell’Atlantico settentrionale. (Note on the Sternoptychidae; Proc. U. S. Nat. Mus.. Vol. 7, 1884). 4 tofino, da Haeckel alla pesca di superficie. Era gia noto per Nizza e Messina ove il Giglioli, dopo una forte burrasca dal 25 al 28 settembre 1878, ebbe a catturarne nel porto circa 700 individui. Quella pesca miracolosa fruttò non poche altre rarità di Sternoptichidi e Scopelidi. A tutt'oggi, a quanto mi sappia, gli Sternoptychidae del golfo di Genova, dei quali nell’ elenco del Verany figura il solo Odontostomus (0. Balbo Risso}, si è aceresciuto delle specie seguenti: Argyropelecus heinigyimnnus (Portofino; Haeckel). Gonostoma denudattin (qualche ind.; Borgioli). Chauliodus Sloani (luglio 1885, fondo del porto, ora al Museo civ.; Borgioli). Odontostomus Balbo, già citato (un es. nella collez. del Museo zool. Univ.). Maurolicus amelhystino-punctatus (foce del Bi- sagno, 15 febbraio 1896). Molti individui di A. hemigymnus e Chauliodus Sloani li ebbe il Giglioli nelle tre esplorazioni talassografiche del « Washington » (1881, 82, 83) in differenti stazioni medi- terranee. Ed ora qualche considerazione sul valore sistematico dei due gruppi tanto affini, Sternoptychidae e Scopelidae. Già il Bonaparte nel suo Prospetto metodico dei pesci europei li univa formandone un'unica famiglia Scopeli- dae, distaccandone però i Chauliodontidae oggi riuniti agli Sternoptychidae. Il Moreau, nel suo recente trattato, segue il Bonaparte in quanto considera questi come una sotto-famiglia degli Sco- pelidae, ma li restringe al solo genere Argyropelecus, ag- eregando il Maurolicus agli Scopelini propriamente detti, ai quali, nel supplemento, aggiunge il gen. IeRlyococcus Bp., (Coccia Giinth.), formando così un gruppo eterogeneo nella sua vastità. Giinther, più giustamente. distingue le due famiglie, sud- dividendo a sua volta gli Sternoptychidae in sottofamiglie molto naturali. STERNOPTYCHINA (A,gyropelecus. Sternoptyz). Coccuna (Coccia, Maurolicus). CHauLIODONTINA (Gonostoma, Chauliodus). Il Giglioli nel suo Catalogo segue per gli Sternoptychidae il Giinther; agli Scopelidae assegna i generi Saurus, Au- lopus, Scopelus, Clorophthalmus, Odontostomus, Paralepis, Sudis. Il Moreau aggrega l’ Odontostomus, con più ragione, al Chauliodontidae, pur persistendo a considerare questo gruppo come facente parte degli Scopelidae. Gli Sternoptychidae hanno tale valore sistematico da doversi erigere a famiglia autonoma, per quanto biologica- mente e morfologicamente vicini agli Scopelidae. Solo al genere Chauliodus dovrebbe seguire 1 Odonto- stomus, con il Moreau, sia che aggreghisi il primo agli Scopelidae propriamente detti (Moreau) o agli Sternopty- chidae (Giinther). L’Odontostomus formerebbe così con l’affine Chauliodus e Gonostoma la suddivisione dei Chauliodontidae; suddi- visione molto naturale che potrebbe anco avere valore di famiglia come ebbe a considerarla il Bonaparte, il quale vi aggregava gli Stomiatidae per molti caratteri affini al detto sruppo, ma da esso oggi mai staccati in famiglia autonoma. Dal Museo Zoologico della R. Università, febbraio 1896. BIBLIOGRAFIA A. Risso, Ichtyologie de Nice, 1 vol. Paris, 1810. — Scopelidi de Nice; Atti R. Acc. Sc. di Torino, 1820, Vol. XXV. — Hist. nat. de l’ Europe merid. (Vol. III Paris, 1826. C. Bonaparte, Iconografia della Fauna Italica, Roma 1846. A. Sassi e Verany, Catalogo dei Pesci del golfo di Genova. (in descriz. di Genova e del Genovesato, 8? riun, Scienz. It., Genova, Ferrando, 1846.) M. Spinora, Lettres s. quelq. poissons peu connus du golfe de Genes à M. F. Saint-Fond: Ann. d’Hist, nat. X. Paris, 1807. G. CankstRINnI, Pesci. Fauna d’ Italia. Milano, Vallardi, pag. 120. A. Giinrner, Cat. of British. Mus., Fishes. (Physostomi) Vol. 5, 1864. E. H. GioLiot), Catalogo dei Pesci Italiani in Cat. Esposiz. intern. di pesca a Berlino, Firenze, 1880. In. e A. Isser, Pelagos. Saggi sulla vita del mare, Genova, Sordomuti, 1884. C. Emery, Intorno alle macchie splendenti della pelle nei pesci del gen. Scopelus ; in Arch. Ital. de Biologie, Tom. 5, fasc. 3, 1884. D. Vixcisuerra. Appunti ittiologici del Mediterraneo: in Ann. Mus. civ. di Genova, 1885. Serie II, Vol. 2. Resultati ittiologici del « Violante »; ibid. Vol. XV. C. Boxapa®te, Prospetto metodico dei Pesci europei, Napoli, 1846. RE FaccioLA, Cenni sui principali caratteri delle specie di Sternoptychidaé; in Naturalista sicil., Anno II, N. 8. E. Monrau, Hist. Nat. de Poissons de la France; Vol. III, e suppl. Paris, Masson, 1881-91, dr n AUG 13 1896 BOLLETTINO DEI NUSBI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N° 43. /3,244 1896. Corrapo PARONA Una rettifica storica sulla « Filaria immitis ». Radunando materiale per la storia dell’ elmintologia ita- liana, della quale da tempo non breve vado occupandomi, venni a conoscenza di molte inter *ssanti notizie, che atte- stano quanto gli italiani abbiano contribuito allo studio di quest’ importantissimo ramo di scienza. Per altro ebbi a riscontrare alcuni scritti, che dimostrano negli autori una certa deficienza di cognizioni sopra quanto già da altri era stato menzionato, nonchè alquante inter- pretazioni, che debbonsi ritenere erronee e che necessitano opportune rettifiche. Lasciando ad altra occasione l’intrattenere di esse, non credo dover tacere di una, sia per il nome dell’ autore che l’ha commessa, e che fu fra i più benemeriti dell’ elmin- tologia nostra, sia perchè l’errore viene a stabilire una priorità che non può sussistere. L’Ercolani, che lasciò traccia non peritura nello studio dei vermi parassiti ed il cui valore parmi avere messo in piena luce nel mio libro sull’elmintologia italiana (!), in una pubblicazione (2), che non fu certamente l’ ultima cui andò legato il suo nome, così scriveva relativamente alla filaria del cuore del cane: « La cognizione che vermi albergano nel cuore dei cani e ne cagionano la morte, è del resto assai più antica di quello che generalmente si crede; ho trovato nel Trattato Cinege- tico di Francesco Birago, Signore di Metono e di Siciano , edito a Milano nel 1696, che parlando di una infermità in- curabile dei cani scrisse egli: Patisce il cane un’altra in- (1) Z’elmintologia italiana da’ suoi primi tempi all'anno 1890; Vol. XII, Atti R. Università di Genova, pag. 41, Parte 1.8, 1894. (2) Osservazioni elmintologiche sulla dimorfobiosi nei nematodi, sulla Filaria immitis, ecc. Memorie dell’ Accad. d. Sc. dell'Istituto di Bologna: Ser. 3.8, Tom. V, pag. 420, 1874. firmità, la quale è incurabile. . .... ma non pericolosa per gli altri cani, nè per gli huomini, et è, che al cane si generano ne i rognoni «due vermi: li quali sono lunghi quasi mezzo braccio, et più, grossi come un dito, rossi come fuoco: questi vermi sì mouono, et vanno al cuore del cane, et gli fanno venir vomito, ma non vomitano cosa alcuna, et à me sono morte due Leuriere di questa infirmità; et non sapendo, che male fosse il loro, le feci aprire, et ad una intorno al cuore trouvai uno di questi vermi, et uno ne rognoni, all’altra trouvai due vermi ne i rognoni: a que- sto male non vi è rimedio alcuno; poichè per essere i vermi fuora dell’ interiora, il rimedio non può giovar loro (!). È il Birago (continua l’ Ercolani) il solo ed il primo che fra gli antichi scrittori, che sono tanti, sulle malattie dei cani accennasse allo Strongilo gigante dei reni, e che il verme da lui trovato intorno al cuore fosse la Filaria im- mitis dei moderni e non la detta specie di Strongilo, pare probabile, tanto più che in questi ultimi tempi il Davaine sospettò molto di un’ osservazione del Jones che pretese di aver osservato il detto Strongilo nel cuore di un cane. Co- munque sia le osservazioni del Birago che non trovai ri- petute da alcun altro fino ai modermi elmintologi dovevano essere ricordate ». In seguito a così esplicita dichiarazione, esposta da una autorità in argomento quale fu l’ Ercolani, io stesso, impos- sibilitato dapprima a verificare ed a meditare l’ originale del Birago (avendo dovuto, nell’ allestire la mia citata opera, limitarmi a prender visione dello stragrande numero di scritti [1146] che più specialmente si riferivano ad elminti, e non di un trattatello cinegetico), (*) a pag. 116, Parte 1.2, scrivevo: « Così ricorderemo, come disse l’ Ercolani, che devesi a Francesco Birago una fra le più antiche osserva- (!) Trascrissi il brano del Birago copiandolo fedelmente dall’ originale, a differenza di quanto ha creduto di fare l’ Ercolani, che lo ridusse al modo di scrivere moderno. Io lo copiai da una edizione che, a dire il vero, è del 1626, e non saprei se la data segnata dall’ Ercolani (1696) sia un /ap- sus calami, o se realmente si riferisce ad una edizione posteriore, il che non credo, data l'indole del libro. (*) Trattato Cinegetico, ouero della Caccia, del sig. Francesco Birago, ecc. Milano, G. Batt. Bidelli, 1626. uo AUG 13 1896 3 zioni di filaria al cuore del cane; e di conseguenza, regi- strando nel catalogo degli elminti italiani (Parte 2.?, pag. 240) la Filaria immitis, a capo degli autori italiani, che di essa ne parlarono, nominai il Birago. In oggi però, avuta l’ opportunità di avere sott’ occhio il trattato cinegetico del Birago, lo lessi con molto interesse, principalmente al Cap. 18, dove, a pag. 59, tratta appunto delle infermità del cane e trovai il brano riportato dall’Er- colani. Gra, riflettendo sopra quanto scrisse il Birago, credo che difficilmente si potrebbe in modo più preciso specificare, non la filaria, ma unicamente lo strongilo, altrimenti chia- mato verme del rene, perchè appunto « si annida nei ro- gnoni, ed è grosso come un dito (a vero dire un dito sot- tile), lungo mezzo braccio (!), e rosso come fuoco ». I due vermi che sì generano nei rognoni come disse il Birago, non si riferiscono a due specie, ma a due individui fors anche maschio e femmina, perchè se avesse alluso a due specie, avrebbe descritto anche la seconda, come he- nissimo descrisse la prima. Per altro il Birago non poteva confondere lo strongilo colla filaria, essendo questa ben più sottile dell’altro (2) e con caratteri tanto differenti, che non potevano sfuggire a lui, come non lo possono ad altri, che pure non siano molto addentro negli studi elmintologici. Inoltre il Birago dichiara che detti vermi li trovò nei reni, ad eccezione di uno che raccolse infor7z0 al cuore. — È pur vero che l’Ercolani stesso disse trovarsi la filaria nel tessuto congiuntivo sottocutaneo più spesso che nel cuore; che altri autori (Leidy, Lanzilotti-Buonsanti , ecc.), raccolsero la Filaria iminitis in organi, o parti che non erano il cuore; ma è pur certo che la filaria vive essen- zialmente nel cuore destro, e che il Birago volle intendere soltanto lo strongilo, giacchè se fosse altrimenti, enume- rando i vari esemplari di vermi da lui trovati nel corpo dei due levrieri, avrebbe accennato alle differenze di forma fra quello del cuore e quello del rene, ed invece disse: (t) Il braccio milanese corrisponderebbe a 60 centim. (3) maschio della filaria, lungh. 12-18 cent., largh. 0,7!", 0,9% — fem- mina lungh. 25-30 cent., largh. 1,9, ]I,mw 3, intorno al cuore trovai uno di questi verini ed uno nei rognoni (1). | In conseguenza io credo che l’ Ercolani abbia tratta una deduzione non esatta, e che non sia possibile ritenere quello del Birago, quale caso di Filaria immitis. ossia del cuore; e tale da collocarsi, come lo stesso Ercolani volle insistere, insieme agli altri dell’ Oreste e del Corvini, i quali pure « citarono osservazioni di ilaria immitis rinvenute a Mi- lano nel cuore destro di cani » (*). Da quello che precede parmi necessario rettificare quanto disse l’ Ercolani riguardo alla filaria del cane; giacché esposto da lui, autorità conclamata in elmintologia, perpetua un errore non lieve. Sono per altro convinto che, pur rile- vando questa circostanza, non verrò per nulia a menomare la gloria dell’ elmintologo bolognese; ma anzi penso essere più opportuno che tale rettifica venga fatta da un conna- zionale dell’ Ercolani e non da altri: i quali, pur tenendo in considerazione l’elmintologia italiana, non avrebbero man- cato di pubblicarla con critica, fors’ anche poco benevola. (Genova, 10 Febbraio 1896. (!) Senza voler qui ricordare casi parecchi di strongili stati raccolti in varie parti del corpo, menzionerò soltanto che. nella mia raccolta elmin- tologica, conservo una femmina di strongilo, trovata libera nella cavità pe- ritoneale di un cane dal Dott. E. Sacchi (Genova, giugno 1891). (2) ErcoLaniI, l. c. Genova, Tip. Ciminago Vico Mele, 7. AUG 13 169 BOLLETTINO DEE MUSRI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N° 44/3, 044 1896. Corrapo PARONA Di alcuni nematodi dei @uiztò Iplpode (Tavola I.8) Dall’ egregio mio scolaro Filippo Silvestri, noto studioso dei miriapodi, ebbi in varie riprese alcuni nematodi da lui stesso raccolti nell’ intestino di diverse specie di diplopodi e più specialmente dello Spirostreptus Mentaweiensis Silv. dell’isola Mentawei, del Platyrhacus Modiglianii Silv. e Sphaeropoeus hercules Brandt entrambi di Sumatra, e del Pachyjulus communis Savi della Sicilia (Palermo). Gabel, nel suo scritto sugli ossiuri (!), diceva ben a ragione come lo studio degli entozot che vivono negli insetti fu sempre trascurato, e che le poche osservazioni finora fatte non sono sufficienti per avere una discreta conoscenza del- l'importante argomento. Lo stesso, per non dire di più, si dovrebbe ‘asserire per i vermi parassiti dei miriapodi, dei quali, se il numero non è al tutto scarso, le osservazioni in massima parte sono incerte. Non interessandoci delle specie state indicate dal Leidy (1850-56), perchè poco attendibili, raccolte nel genere TWe- lastomum, che il Gabel non vorrebbe ammettere, al pari degli altri generi stabiliti dal Leidy, abbiamo tuttavia po- che specie di elminti ospiti dei miriapodi. Difatti oltre le due specie (Isacis acuwminata, I. macro- cephala) state descritte da D’Udekem nel 1859 (?), abbiamo le più recenti, rese note quasi tutte dal Linstow e che sono: Agamonematodum juli, Filaria glomeris ed Oxyuris 000- costata. A quanto mi consta nei julidi poi non furono in- dicati che le due specie di /sacis già notate, i tre nema- {!) Observat. et developpem. des Deyurides, Archives d. Zoolog. expérim. et génér. T. VII, p. 283, 1878. (2) Notices sur quelq. parasites du « Julus terrestris », Bullet. de l’ Acad, royale d. sc. d. Belgique, 28 An.° II, p. 552, 1859. todi del Leidy (Anguillula attenuata. A. agilis, Isacis infecta) e | Agomonematodum juli del Linstow. Perciò parmi utile pubblicare le osservazioni che ho potuto fare sopra aliri parassiti di tali artropodi, i quali, uno eccet- tuato, hanno inoltre notevole importanza perchè apparten- gono a paesi pei quali l’ elmintologia è al tutto sconosciuta. 1. Oxyuris PR n. sp. (Tav. I, fig. 1-3). Femmina : Snezza 2 1/, millim.; largh. mass. 0,2] mm Corpo allungato, assottigliato alle due estremità, coda a lesina e che raggiunge circa un terzo della lunghezza totale del corpo. Questo è trasparente, striato trasversalmente come fosse anellato, e coi margini quindi finamente seghettati. Gli anelli sono molto palesi nel terzo anteriore del corpo e poi vanno gradatamente rendendosi meno distinti. Bocca trilobata, esofago dritto in alcuni esemplari, *fles- suoso in altri, lungo 0,252, largo 0,014; bulbo pressochè sferico, robusto, con placche grandi, e con diametro che giunge a 0,112. L’intestino è rigonfio nella sua porzione anteriore e non offre fondi ciechi, come non è raro trovare in altri ossiuridi (ad es. degli insetti). In alcuni esemplari (ciovani?) l'intestino è rettilineo, in altri (adulti?) forma una 0 più anse, poi prosegue diritto fino all’ano, ove però presenta una dilatazione ovalare, circondata da glandole. Molte fibre muscolari raggianti circondano l’ ano e costi- tuiscono un rilievo postanale. La coda misura 0,910. Ovario duplice, e nel complesso, l’ apparato riproduttore femminile non differisce da quello delle altre specie con- generi. L’ estremità posteriore dell’ ovario giunge a li- vello della dilatazione anale, e l’ anteriore non oltrepassa il rigonfiamento postesofageo. L’ apertura genitale trovasi fra i due quinti posteriori ed i tre anteriori; essa è ampia e con orli rilevati. Le uova sono grosse, ovalari, con conte- nuto in segmentazione, e non offrono l’appiattimento laterale che si riscontra in moltissime uova di ossiuri. Diametro longit. 0,098; trasverso 0,070. Maschio: lungh. 2 millim.; largh. mass. 0,168. Oltre ai caratteri comuni colla femmina, presenta il te- sticolo che oltrepassa la metà del corpo : pene grossissimo, arcuato e senza «dilatazione basale. (od N Lia AUG 33 1896 3 Habit. In intestino posteriore del .Jw/us communis, Pa- lermo 1895 e Aprile 1896, racc. F. Silvestri: Julus sp.? Genova, 4 Agosto 1890. 2. 0. sphaeropoei, n. sp. (Tav. I, fie. 4, Db). Maschio : ignoto. Femmina : lunghezza 4 millim.; largh. mass. !/, mm. Corpo tozzo, con appendice caudale sottile e lunga circa un terzo del totale del verme. È comPfetamhenie striato di traverso, come fosse anellato ed i margini riescono perciò seghettati. I primi anelli sono lunghi 0,028, gli ultimi 0,084 e se ne conterebbero 53, terminando alla base della coda. Il capo non differenzia da quello degli altri ossiuri ed è ‘largo 0,042; esofago stretto e lungo (*/, di millim.), termina con un primo bulbo sferico, largo 0,140, al quale segue immediatamente un secondo, molto più grosso ed ovale (diam. longitud. 0,336, trasversale 0,434). Intestino rettili neo, senza rigonfiamenti; ano a 0,140 dalla base della coda. Ovario unico che principia a livello della vulva e dirigesi all’ indietro fino quasi all'apertura anale: poi si ripiega all’innanzi e, mutatosi in ovidotto, si spinge fino alla base del bulbo esofageo posteriore, ove ripiegandosi di nuovo si dirige verso l'apertura vulvare. Prima però di sboccarvi l’ovidotio descrive un arco a concavità in basso. La vulva è situata a due terzi circa della lunghezza del corpo e più, precisamente ad un millimetro dall’ apertura anale. Le uova sono grosse, ovali, con diametro longit. di 0,420 e trasver- sale di 0,280. Habit. Nell’intestino dello SpRaeropoeus hercules. Su- matra, racc. F. Silvestri (V.: Chilopodi e Diplopodi di Su- matra: Ann. Mus. civ. Genova, vol. XXXIV, p. 722, 1895). 3. 0. platyrhaci, n. sp. (Tav. I, fig. 6, 8). Femmina: lunghezza 3 millim.; largh. mass. !/, millim. Corpo allungato, finamente striato; coda che ragguaglia un terzo della lunghezza totale, ed affilatissima. Esofago allungato (0,322) distinto in due porzioni avanti di sboc- care al bulbo. Questo è eloboso, (diam. 0,084) ed è seguito dall’ intestino rettilineo fino all’ano, ove trovasi un cercine di glandolette. L’ovario è duplice, e le estremità si trovano entrambi anteriormente a livello del bulbo esofageo: l’ ovidotto si svolge in varie anse, che occupano la parte mediana del corpo. L’ apertura genitale si apre poco sotto la metà del corpo ed è piuttosto ampia. Le uova, a doppio contorno, hanno il guscio alquanto schiacciato ad un lato; il conte- nuto è già in segmentazione avanzata. Misurano 0,140 nel diametro maggiore e 0,070 nel minore. Maschio: lamghe®a 2 millim.; largh. mass. 0,0280. Oltre ai varî caratteri comuni colla femmina offre : te- sticolo che oltrepassa la metà del corpo e, mantenendosi a contatto col tubo digerente, va a terminare alla base cau- dale con una spicula arcuata, a tallone dilatato e con tinta rosea; essa spicula ha la lunghezza di 0,084. Habit. Intestino di P/atyrhacus Modiglianii, Sumatra (Si-Rambè) racc. F. Silvestri (V. l. e. in: Ann. Mus. civ.) 4. 0. sumatrensis, n. sp. (Tav. I, fig. 9-10). Maschio: ignoto. Femmina: lunghezza 4 millim.; largh. mass. 1/, millim. Corpo lanceolato, poco assottigliato all’ avanti, fortemente striato ed anelli molto appariscenti. I maggiori sono lunghi 0,028. Coda molto sottile, lunga ed arcuata. Esofago molto lungo (0,560) e poco dilatato; bulbo esofa- sco globoso, di poco più largo dell'esofago stesso. Intestino flessuoso che si ristringe gradatamente fino all’ano. L’ovario ed il restante dell’ apparecchio riproduttore non è visibile per l’ enorme quantità di uova, che riempiono totalmente i due terzi posteriori del corpo. Uova ovali, a tinta giallastra ed a guscio striato: lungh. 0,098, largh. 0,028. Differenzia dall’O. platyrhaci. col quale convive, per le dimensioni maggiori, per la forma e numero immenso di uova e per altri minori caratteri. Habit. Nell’intestino del Platyrhacus Modiglianii. Su- matra (Si-Rambè). 5. Isacis Silvestrii n. sp. (Tav. I, fig. 11-14). Femmina: Lungh. 5 millim.; largh. mass. 0,210. Corpo filiforme, molto più assottizliato all’ indietro ehe non sia nel masch'o, trasparente e non striato. Tubo digerente come nel maschio, ano che si apre a 0,238 dall’apice della coda. Ovario duplice, che inizia anteriormente poco sotto il bulbo esofageo e posteriormente dopo l’ apertura genitale che tro- vasi alla meta del corpo: ovidotti non molto lunghi, ricolmi di uova grosse, ovali, e la maggior parte in segmentazione. Diametro maggiore delle uova 0,072, minore 0,042. Maschio: lungh. 4 millim.; larg. mass. 0,168. Corpo pure filiforme, arrotondato all’innanzi e con punta poco accentuata alla coda; non striato. Capo con tre labbra ed un paio di papille; esofago che si allarza subito in un lungo bulbo anteriore, il quale, dopo lieve strozzatura, mette in un secondo, sferico; esofago lungo 0,324, larch. mass. 0,140; bulbo posteriore diametro 0,084. Intestino rettilineo largo quanto il bulbo e che si restringe in prossimità del- l’ano, il quale dista 0,056 dall’apice caudale. Testicolo tu- bulare che comincia a circa la metà del corpo e formando alquante anse a ridosso del tubo digerente, si porta all’indie- tro fino quasi all’ano, ove termina con una spicula molto grossa, fortemente arcuata e colla base rotondeggiante. Lun- ghezza della spicula è di 0,210. Sono visibili tre paia di pa- pille preanali. Si riscontrano, ospiti nel Platyrhacus, delle forme agame da riferirsi forse a questa stessa specie. Habit. Sphaeropoeus hercules, Sumatra, (località citate dal Silvestri in Ann. Mus. civ. cit.). Platyrhacus Modiglia- nii, Sumatra (Si-Rambè), racc. F. Silvestri. 6. 1. Modigliani, n. sp. (Tav. I, fig. 15-19). Femmina: lungh. 8 millim.; largh. mass. 0,490. Corpo non striato. allungato, assottigliato a lancia alla regione caudale, arrotondato anteriormente. Bocca con due paia di papille; esofago largo 0,098, a forma di coppa, con glandole nella parte anteriore: bulbo esofageo globoso, più largo dell’ esofago (0,140). Intestino quasi diritto in tutta la sua lunghezza, solo spostato late- ralmente nella regione ricolma dalle uova. Di seguito al bulbo esofageo, l’ intestino, per un tratto di 0,560, è un poco ri- gonfio e con numerosissime papille. Poco prima dell’ aper- iura anale (0,210) l’ intestino presenta una strozzatura, e lano dista 0,252 dall’ apice caudale. 2 Ovario unico col fondo rivolto anteriormente, e che si spinge poco oltre la metà del corpo; ovidotto diretto po- steriormente e che giunge ai tre quarti posteriori della lunghezza del corpo. Utero ampio con grande quantità di .uova. Apertura vulvare dopo la metà del corpo, ovale ed ampia. Uova ovali, lunghe 0,084, larghe 0,070; la maggior parte in segmentazione anche avanzata. Maschio: lunghezza 5 millim.: largh. 0,280. Oltre ai caratteri della femmina, presenta: la coda ripie- gata e mucronata all’apice: mucrone lungo 0,028. Il testi- colo unico, tubulare iniziante verso la metà del corpo, si diri e poi posteriormente lungo l'intestino e termina con una spicula fortemente arcuata, ma non molto lunga (0,252). Sono visibili due papille preanali e sei postanali. Habit. Spiroptreptus Mentareiensis. Isola Mentawei, Sereim (Sipora); racc. F. Silvestri. 29 Aprile 1895. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1.3 Oryuris pachyjuli, n. sp. femmina : ». vulva: p. e. poro eseretore? DI Ra » » coda della femmina; 4 ano, g. 7. glandole anali, ov estremità dell’ ovario. ) 32 » » maschio: pene. » 48 0. sphaeropoci, n, sp. femmina: v vulva. > ME » vulva e canale vaginale con uovo. » 6.80. platyrhaci. n. sp. femmina, parte anteriore del corpo; 0» estre- mità dell’ ovario. DISERAS » UOVO. DINO » coda del maschio. » 9.8 0. sumatrensis, n. sp. femmina. > » uovo. » 11.8 Zsacis Silvestrii, n. sp. coda della femmina. da dz » UOVO. DA » maschio: coda: p. a. papille preanali. SE CSR » pene. » 15.8 Z Modigliani, n. sp. parte anteriore della femmina. Delos » coda 4 ano. Daze » uovo. i oleka » maschio, estremità caudale. » 8.2 » pene. Genova, Aprile 1896. AUG ‘3 1698 BOLLETTINO DEI NUSRI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N° 45/3404 1896. C. Parona e V. ARIOLA Bilharzia Kowalewskii n. sp. nel Larus melanocephalus [Nota preventiva]. Il 25 marzo del 1895, alla sezione di un gabbiano corallino ucciso dal Marchese Gino Pinelli presso Albenga , racco- gliemmo nel cuore un trematode, che attrasse tosto la no- stra attenzione, sia per la sede insolita, sia pei suoi ca- ratteri. i Sebbene il fatto nuovo ci sorprendesse, tuttavia non fu difficile persuaderci che si trattava d’un esemplare di sesso maschile del genere bi/harzia, il che ci spinse ad iniziare tosto insistenti ricerche per procurarci altri esemplari, ed in ispecial modo la femmina. Ma pur troppo le nostre indagini, quasi non interrotte per un anno, riescirono infruttuose e quindi non ci fu possi- bile poter dare una descrizione dettagliata e completa, per quanto fossimo persuasi che si trattasse di un nuovo rap- presentante del gruppo, e del massimo valore, giacchè, come ognuno conosce, il senere era fin qui rappresentato da po- chissime specie (due accertate ed una inguir.). ma nessuna di esse ospite degli uccelli. Avremmo continuate le nostre ricerche senza far pub- blico per ora l'importante reperto, se in oggi non avessimo ricevuto dal collega elmintologo Mieczyslaw Kowalewski una importante memoria (1) che tratta di una nuova specie di Bilharzia |B. polonica), da lui raccolta nei vasi san- guigni di anitre selvatiche [Anas boschas fera ed Anas crecca) (2); scritto che viene a confermare l’ esistenza della (1) M. Kowarewsky, Studya helmintologiczne, I: Akadem. Krakow, Tom. XXXI, 1395. () L'egregio collega per lettera (29 Marzo) ci comunicava avere trovati altri esemplari di 2. polonica anche nella Anas querquedula. bilharzia anche negli uccelli ed in particolare nei palmi- pedi. Crediamo perciò nostro debito pubblicare 1’ osservazione da noi fatta, per quanto incompleta, mancandoci tuttora la femmina. Ciò non di meno dobbiamo ritenere questo elminto come specie distinta da tutte le altre, ed anche da quella ora segnalata dal Kowalewski, e della quale riportiamo la diagnosi, onde meglio ne appariscano le differenze. B. polonica M. Kow. Animalcula generi distomum magis similia. Corpus maris et feminae lanceolatum.... — gd: aper- tura genitalis maris margine sinistro corporis, hoe loco for- titer ventraliter involuto, ab acetabulo ventrali circa 0,8 mm. distans. Vesiculae testiculares numerosae, lateribus intestini uniti sitae, totam partem posteriorem corporis post apertu- ram genitalem occupantes. Vas deferens longum. Vescicula seminalis magna, elongata. Bursa penis vesicula seminali major, fusiformis, ductum ejaculatorium numerosissimis cel- lulis prostaticis cireumdatum includens, inter hanc vesiculam et aperturam genitalem posita. Initium latissime aperti canalis eynecophori spatio paulo post aperturam genitalem — Lon- Sit. £ ‘circa 2,1 mmyilatit. maxi 2 o — longit. og circa 4 mm.; latit. max. circa 0,52 mm. La bilharzia da noi rinvenuta nel Larus pre- senta i seguenti caratteri, che per altro sono da ritenersi provvisorî, essendo basati sopra un unico esemplare e non conoscendosi ancora la femmina. B. Kowalerwskii n. sp. (1). 9 ignota. o lungh. 14 mm.; largh. mass. 1 mm. (V. fig.). Corpo allungato senza distinzione di capo; 3 quinto anteriore appiattito, il restante a doccia. Canale ginecoforo che comincia subito dopo l’acetabolo ven- trale e si prolunga fino all’ estremità caudale. Superficie del corpo liscia, senza tubercoli e senza spina. di I ent È CR” M Ù cesso: et poti È a RE ad fr rey Teen De APRZLI TE 7 (!) Dedichiamo la nuova specie a M. Kowalewski, il quale contempo- raneamente a noi (Marzo 1895) ebbe aîtrovare un altro rappresentante del genere, ospite degli uccelli. | I | © AUG 73 1896 Ventosa boccale terminale, foggiata a coppa, meno ampia della ventrale, con un diametro di 0,364. Esofago senza bulbo, largo, che si biforca a tre quarti di millimetro dalla ventosa boccale e appena sopra l’ acetabolo ventrale. Que- sto, che supera in diametro (0,560) la ventosa boccale è perfettamente circolare e probabilmente peduncolato. L’inte- stino tosto si divide in due rami, dirigentisi, con andamento serpentino e sempre separati, fin quasi all’ estremità poste- riore, ove si intrecciano, ma non sì uniscono; presentando in questo carattere una essenziale differenza con tutte le altre specie del genere. Le vescicole testicolari sono di forma esagonale e dispo- ste in due file, che appaiono a 0,490 dalla ventosa ventrale e scompaiono a livello dell’ ultimo quarto del corpo. Nou fu possibile precisare la disposizione delle altre parti del- l'apparecchio riproduttore, e da quanto si può arguire l’a- pertura sessuale trovasi come nelle altre specie. Le dimensioni ed i caratteri sopra esposti della n. sp. ci dispensano dall’enumerare le differenze che si possono no- tare fra essa, la 5. polonica e le altre specie conosciute. Se la presenza del canale ginecoforo e la sede del verme nel circolo sanguigno ci inducono a considerarla come una specie distinta del gen. Biharzia, tuttavia non è possibile non segnalare la disposizione dell’ intestino biforcato in tutta la sua estensione, il che non si accorda con quanto si verifica nelle altre specie. Soltanto nuove osservazioni e la scoperta della femmina, potranno permettere a noi, o ad altri cui ne raccomandiamo la ricerca, di precisare il posto che spetta a questo elminto, cioè se dovrà costituire un altro genere, o se sarà da modificarsi in parte la diagnosi del genere Bilharzia. Genova, 31 Marzo 1896. AUG ‘3 1396 BOLLETTINO DEE NUSRI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N° 46. /8,d04 1896. — C. Parona e A. PERUGIA Sopra due nuove specie di trematodi parassiti delle branchie del Brama Rayi. I. Octobolhrium Brainae n. sp. Adulto: Lungh. 19 millim.; largh. mass. 8 millim. Corpo lanceolato, colla porzione anteriore (circa 2 milim.) ristretta; poi gradatamente si allarga fino a raggiungere i tre millim. di diametro; da ultimo, dopo aver presentato uno strozzamento poco notevole, si continua col disco cau- dale , triangolare, con ventose peduncolate. Tra l'ultimo paio delle ventose questo disco si prolunga in una breve ap- pendice, la quale porta due paia di uncini. L’estremità anteriore del corpo ha il mar- gine attondato e presenta le due ventose boccali di forma ovale. La bocca, che si apre poco sotto le ventose, è rotonda ed inerme: l’esofazo è molto lungo (circa 1!/, millim.), ed appena oltrepassata l’ apertura genitale si biforca. Il tubo digerente, nel restante, non si scosta dalla disposizione comune per tutti i congeneri. Gli organi maschili e femminili nulla pre- sentano di differente da quanto è noto ne- gli octobotridi. È solo a segnalarsi l’arma- Li de tura genitale di forma globosa, con rima ovale e circondata da una corona di uncini, disposti in unica serie. Essi sono in numero di 32 e presentano una capoccia e la punta di poco arcuata (Fig. 1.*). Misurano 0,025 di lunghezza AI livello in cui la parte anteriore ristretta del corpo si allarga nella susseguente si scorgono due grandi aperture ovali, disposte simmetricamente e cir- condate da fasci notevoli di fibre muscolari (pori eseretori). Si pe L’appendice del disco, a forma di lin- rl 2) quetta, sporgente fra 1’ ultimo paio delle di 27 ventose, misura mm. 0,532 e porta due paia È ; di uncini di dimensioni e di forme diffe- assai) venti (Fi. 2.9). I primi due, più grandi, mi- | I( surano 0,042 di lunghezza, gli altri. ap- I BOLLETTINO DEE MUSRI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N° 49. /3,241/ 1896. SIGISMONDO ORLANDI Di alenni anellidi policheti del Mediterraneo. (Tav. II) Presento in questa nota l’elenco sistematico di un certo numero di anellidi trovati in differenti punti dei Mediter- raneo, nei quali le ricerche fino ad ora fatte o furono nulle, come per il mare Jonio e la costa meridionale della Sicilia, o molto scarse, come per la Sardegna (!) ed il golfo di Ge- nova (?). Debbo alla cortesia del Prof. Corrado Parona dell’ Uni- versità di Genova, l’aver potuto studiare gli anellidi rac- colti negli anni 1893-94 dalla R. Nave Italiana Washington durante la sua campagna idrografica nel Mediterraneo, e quelli della collezione appartenente al Museo zoologico del- l’Università di Padova. A questi aggiunsi alcune specie del golfo di Genova, che in parte si trovavano presso i due Musei, Universitario e Civico, di questa città, in parte sono state raccolte da me nel 1893-94, insieme a molte altre fino ad ora indeterminate e che mì serviranno in seguito per un lavoro più generale: essendomi proposto lo studio di questo ramo della fauna del golfo, fino ad ora trascu- rato, se si toglie il breve elenco di anellidi dato dal Verany. Potrei anche unire a queste un numero considerevole di specie raccolte a Napoli nel primo semestre dello scorso anno, durante il quale ottenni di occupare un tavolo di studio presso quella Stazione Zoologica, ma troppo bene è (') Da breve tempo lo studio degli anellidi di Porto Torres (Sardegna) è stato intrapreso dal Monticelli, come risulta dalla. sua Comunicazione riassuntiva (Bollettino dei Naturalisti di Napoli, anno IX, 1895, fase. H, p- 83) che riguarda i Polyophthalmus e la Dodekaceria concharum Oested: prima serie delle « Contribuzioni allo studio della fauna di Porto Torres ». (#} Verany, Ca 'alogo An?llidi in: Deseriz. di Genova e del Genovesato » MObSi, pao.59: conosciuto questo ramo della fauna partenopea per le opere di eminenti naturalisti, quali Delle Chiaie, i due Costa, Claparede, Panceri, Eisig, Lo Bianco, ecc., perchè possano tornare opportune altre indicazioni sopra le specie già ri- scontratevi e descritte. Potrei però citare un certo numero di maldanidi, per la maggior parte specie nuove o non mai trovate a Napoli, ma mi riservo a dare di queste una mi- nuta e, per quanto mi sarà possibile, diligente descrizione accompagnata da figure, in un lavoro particolare sulla loro struttura anatomica ed istologica, della quale mi occupai nel semestre in cui mi trattenni a Napoli. Devo finalmente osservare che fui indotto a pubblicare intanto questi brevi cenni sopra specie tutte già note (ad eccezione di una), non quale contributo alla maggiore co- noscenza degli anellidi, ma bensì della loro distribuzione nel Mediterraneo. E sento il dovere di attestare la mia riconoscenza al chiarissimo professore Corrado Parona per la generosa o- spitalità che costantemente mi accordò nel gabinetto di cui è direttore. Susorp. RAPACIA Gr. Fam. APHRODITEA Gr. Ehl. Aphrodite aculeata L. — Quatrefages, Hist. nat. des An- nelés. I, p. 191, pl. 6, fig. I. Claparède, Les Annél. chét. du golfe de Naples, p. 42. Habit. MarsIGLIA (Marion): Nizza (Risso'; Genova (Verany): NapoLI (Delle Chiaie, Costa, Claparède, etc.); Trieste, FIUME (Stossich); Lussin (Grube, Stossich). GeNova (Mus. zool. universit. e Mus. civico); NapoLi 1884 (Mus. zool. di Padova). Hermione hystrix Sav. (Kbg.) — Quatrefages, I. e. I, p. 203, pl. 6, fig. 9-14. Claparède, 1. c. p. 48. Habit. MarsIeLIA (Marion et Bobretzky); Gexova (Verany); NapoLi (Delle Chiaie, O. Costa, Claparède); Lussin, NERESINE, Urivizza, CiGAaLE (Grabe): Trieste, Porrori (Stossich). GeNxova (Mus. zool. Univ.}: Secca DI AMENDOLARA (GOLFO bI Taranto): dragando da 30 a 40 m. di fondo, Settembre ner", dii Ai DI FEB 9 1897 1893, (R. Nave Washington); Mark DI scracca 1882 (Mus. zool. di Padova). Pontogenia chrysocoma Clpde. -- Claparède 1. c. p. 59, pl. I, fig. 3. Habit. MarsiGLIa (Marion et Bobretzky): Napoti (0. Costa, Claparède). MARE PICCOLO (TARANTO), ISOLA DELL’ASINARA (SARDEGNA): Settembre 1893, Agosto 1894, alla costa sotto le pietre (R. Nave Washington). Polynoe areolata Gr. — Grube, Arch. fiir Naturg. XXVI, pi v2; 1860, Claparéde, l. c. p. 71, pl. II, fig. 5. Habit. NapoLi (Claparède, Panceri, O. Costa); CHERSO, Porrorî, Lussin, NerEsine (Grube, Stossich). SECCA DI AMENDOLARA (GoLro pi TARANTO), Settembre 1893, dragando da 30 a 40 m. di fondo (R. Nave Washington). Lepidonotus clava Johnst. — Quatrefages, (Polynoe mode- sta) I. c. I, p. 243. Claparède, (Polynoe Grubiana). Supplé- meniep 29 pl. die 2. Habit. MarsIGLIA (Quatrefagos, Marion et Bobretzky): Nizza (Risso); Genova (Verany); Napoti (Delle Chiaie, Grube, Cla- parède); ZaoLe (v. Marenzeller); Lussin, Crivizza (Grube). «Genova (porto) Maggio-Luglio 1894. Questo anellide, che si trova molto di frequente nel porto di Genova e sopratutto fra le alghe della scogliera, corri- sponde esattamente alla descrizione data dal Claparéde I. c. per la Polynoe Grubiana (sin. secondo il Carus (!) del Lepidonotus clava Johnst.), eccetto che per il colore, a ca- gione del quale si scosta più o meno da questa a seconda degli individui, avendo essi le macchie oscure delle elitre di un colore bruno olivastro o bruno cupo, con, differenze di intensità da un esemplare ad un altro. Però, come ho potuto constatare anch'io frequentemente, avendo il colore una importanza relativa quale carattere specifico per molti anellidi, credo che esso non basti da solo a distinguere una specie da un’altra già descritta, se non vi sono differenze di caratteri più stabili. (1) Prodromus faunae mediterr. Vol. I, p. 202. Fra i vari esemplari di questo afroditide ne riscontrai uno che presenta una strana anomalia dovuta ad asimme- rica disposizione delle elitre e dei cirri superiori nei pa- rapodi della parte posteriore del corpo. Gli individui di conformazione normale sono muniti di 12 paia di eZitre, portate dai parapodi dei segmenti setigeri 1, 3,4, 6, 8, 10, 127145 T6° 18, 20, 22. Come‘emoressono sprovvisti del cirro superiore questi parapodi, mentre lo portano tutti gli altri alternantisi con essi e gli ultimi quat- tro privi di elitre. Fino al 15° segmento il suddetto esem- plare non presenta alcuna deformità; nella parte seguente invece sì nota subito un sensibile restringimento. Inoltre, mentre nel lato destro la. distribuzione delle elitre continua invariata, cioè le portano ancora i quattro parapodi 16, 18, 20 e 22, sul lato sinistro cessa completamente a cominciare dal: 15°, e da questo fino al 27°, ossia all’ultimo; tutti sono forniti di cirro superiore, cosicchè sul lato destro resta in- variata la disposizione delle elitre propria del gen. Lepi- donotus, mentre sul sinistro ì segmenti della parte poste- riore assumono la forma caratteristica del gen. Hermadion, nel quale i detti segmenti sono privi di elitre e tutti mu- niti di cirro superiore (Tav. II, fie. 1). Polyodontes maxillosus Aud. et Edw. -— Delle Chiaie, De- scrizione ecc., V. p. 106, Tav. 99, fis. 1-5 Quatrefages} Ate. I, p. 214. Claparède, Annél. chétop. p. 82, pl. II, fig. 2. Habit. NapoLI (Delle Chiaie, 0. Costa, Claparède); ApriaTICO Ranzani, Renier). Gexova (porto) Luglio 18983 (Mus. Zool. Univ.): un esem- plare incompleto, parte anteriore, della lunghezza di mm. 130 per ‘una larghezza di mm. 25; Marr di Scracca 1893 Mus. zool. di Padova): piccolo esemplare pure incomple‘o di circa mm. 40 di lungh. per mm. 12 di largh. Psammolyce arenosa Clpde. — Delle Chiaie, Memorie (Si- galion arenosum), tav. LXXX fie. 5. Claparède 1. c. p. 102, pli Vi fie:'3; Habit. MarsiGLIA (Marion); Naroti (Delle Chiaie, O. Costa, Ulaparéde). Gexova (antiporto) m 15 di fondo. Luglio 1894. pl cienolepis Clpde. — Claparède, 1. e. p. 88, pi, IV, li. pisseVaretio. 2 i NapoLi (O Costa. ai (rexova (antiporto) m. 15 di fondo. Luelio 1894. Fam. AMPHINOMEA EAl. (Sav.). Euphrosine Audouini CIpde (G. Costa). — Costa G. 0. (Lo- phonota Audouini) Fauna del Regno di Napoli: Aneliidi, Dav. JM, fig. 1-6. Claparède, 1. c. p. 108, pl. IX, fig. 8. Habit. MarsieLia (Marion et Bobretzky); NapoLi (Costa, Claparéède); Lussin, Crivizza, NERESINE, OsseRo, CiGALe, VIL- LAFRANCA (Grube). Quarxero (Eblers). an AvriatIco (Mus. zool. di Padova). Fam. EUNICEA Gr. Eh. Diopatra neapolitana D. Ch. — Delle Chiaie, (Nereis cu- prea) Memorie II, p. 424, tav. XXVIII, fig. 9-16. Claparède Wekp:022. pl VI; fis. 4. Habit. NapoLi (Delle Ch'aie, Costa, Claparède); ApRrIATICO (Grube). SestRI PONENTE; 10-15 m. di fondo. Giugno 1894. Eunice torquata Qtrfce. —- Quatrefages, l. e. I, p. 312. . Habit. Port-VexprEs (Chaparède); Nizza e MARsI- GLIA (Marion et Bobretzky); MarsIeLIA, Nizza, PaLERWO (Coll. Mus. Paris; Quatrefagesì; Trieste (Stossich); NERESINE, Lussin, Crivizza, CicaLe, CHerso, ZAaoLE, Porrtork (Grube) : ApriatIco (v. Marenzeller); LaGosra (Heller). Genova. ( Mus. zool. univ:). Isola S. Sterano (Sardegna) Agosto 1894, alla costa ad 1 m. di fondo (R. nave Wa- shington). Eunice Harrassii Aud. et Edw. — Audouin et M. Edwards, Rinn.ise. nat. 1893. T. XXVII, pi 2loeTe XXVI; pl, XI, fio. 5,.6,:7, 10. N. Quatrefages, 1; e. I:=p-7307; pi. 10, fig 3. Habit. Marsi@gia (Marion et Bobretzky, Jourdan}: UaxNEsS (Grube); Nizza (Risso); NapoLi (Panceri); Tris, MARTINSICA, Portork; CÒerso, Lussin, CIALE, LAGOSTA (Stossich); Muc- GIA (v. Marenzeller). GaLLipoLi (Mare JoxIo), Aprile 1893, pescato presso alla costa (R. nave Washington). Eunice taenia Clpde. — Claparéde, Glanur. zoot. p. 120, pl. IV oso Habit. Porr-Venpres (Claparède ); Napori (Claparede, Panceri). Isola S. Srerano (Sardegna), Agosto 1894, alla costa sotto le pietre. (R. nave Washington). Eunice sp? L'unico esemplare, mentre si approssima per molti earat- teri specifici ad alcuna delle Eunici già note, differisce da queste per altri, così che non è possibile darne una deter- minazione sicura, nè descriverlo come specie nuova, non potendola caratterizzare con sufficiente precisione. Credo si tratti piuttosto di un individuo appartenente ad una delle maggiori specie, non ancora giunto a completo sviluppo. Habit. Secca pr AmeNpoLARA (GoLro DI TARANTO), Settem. 1893, dragando da 30 a 40 m. di fondo. (R. nave Washington). Lysidice Ninetta Aud. et Edw. — Quatrefages, l. c. p. 375. Claparède (L. Mahagoni) Glanur. zoot. p. 116, pl. II, fig. 4. Habit. Port-VenprEs (Claparède); MarsiGLia (Marion et Bobretzky); NapoLi (Costa A. Quatrefages, Ehlers); CHEkso, Lussin, MartInsICA (Grube). Genova (porto), Maggio 1894. Halla parthenopeia A. Costa. — Delle Chiaie, Memorie, ll, 175, T. XLIV, fig. 2. Claparede, Annél. chét. p. 137, pl: VII, fis. (3.e pio XXXfione. Habit. Napoci (Delle Chiaie, A. Costa, Chaparède). Genova (porto), Luglio 1893. (Mus. zool. univ.). Lumbriconereis Nardonis Gr. — Grube, Actin. Echin. und Wiirmer, p. 79. Claparède, 1. e. p. 147, pl. IX, fig. 3. Habit. MarsIieLiA ( Marion et Bobretzky); NapoLi (Clapa- a “ = ti réde); ZAoLE, MartINsICA (Olaparéde); Ossero, Lussin, CHERSO (Grube). Genova (spiaggia alla foce del Bisagno), Giugno 1894. Lumbriconereis brevicesis Ehl. — Claparéède (L. impatiens), IaicipiIdb, pl. Deufio, 2: Habit. ALGERI (Marion ; Porr-VENnbkES (Claparède)?, NapoLi (Delle Chiaie, Claparede, Ehlers, Panceri); LussinpIccoLO (Grube); Cherso (Stossich). SECCA DI AMENDOLARA (GoLro pi Taranto), Settem. 1893, dragando da 30 a 40 m. di fondo (R. nave Washington). Notocirrus Hillairii Clpde., D. Ch. — Claparéde, 1. c. p. 150, DECISE fio. 4. Habit. NApoLi (Delle Chiaie, Claparède); LussinpiccoLO {Grube, Stossich): Lesina (Stossich). Gixova (porto), Giugno 1894. Fam. LYCORIDEA Sav. Gr. Nereis Dumerilii Aud. et Edw. — Claparèdo, (N. perito- nealis) l. c. p. 157, pl. IX, fig. 5; (Heteronereis Malmgreni) p. 173, pl. XI, fig. 1. id. (N. Dumerilii), supplément p. 44, pl. II-VI. Habit. MarsIGLIA (Moquin-Tandon, Marion et Bobretzky): Napoti (Claparède); Mepirerranto loc? (Ehlers); QuarNERO (Heller); Porore, CHERSO (Grube). Isola S. STEFANO (SARDEGNA), Agosto 1893; alla costa ad 1m. di fondo (R. nave Waskington). Parecchi esemplari della forma Heteronereis Malmgreni Clpde, si ebbero dalla pe- sca pelagica notturna. MARE PICCOLO (TARANTO); ISOLA DELLA MappaLENA, Agosto del 1893 e 1894 (R. nave Waskinglon). N- (Heteronereis) Oerstedii Qtrfos. — Quatrefages, 1. e. pio pl28fio lieto; pl..7, digg 1-7. Habit. SriciLia (Quatrefages). Corrone, (pesca pelagica notturna), Agosto 1898 (R. nave Washington}. Fam, NEPHTHYDBEA Gr Nephthys scolopendroides D. Ch. — Grube. (N. neapolitana) Actin. Echin. und Wirmer p. 71. Claparéde Annél. chétop. D:176;: pl VIdiaali Habit. MarsicLIA (Marion); NapoLi (Grube, Claparede):; Lr- sina (Stossich). i Manp pi Sciacca 1882 (Mus. zool. di Padova). Fam. GLYCEREA Gr. Giycera dubia Blnv. — Quatrefagos, 1. e. H, p. 179. Mare pI Sciacca 1882 (Mus. zool. di Padova). Goniada emerita Aud: et Edw. — Quatrefages, l. e. II, p_al9: Habit. MarsieLIA (Marion et Bobretzky); Nizza (Laurillard, Quatrefages). | Mare DI Sciacca, 1882 (Mus. zool di Padova). . Fam. SYLLIDEA Gr. Ehl. Myrianida fasciata M. Edw. M. Edwards. Ann. se. nat. 34 ser. t. III, pl. XI, fig. 65-68. o Habit. Sicilia, Favignana (M. Edwards). Genova (porto) Maggio 1894. Fra le al&he attaccate alla scogliera del porto, alla profondità di m. 1.50 circa trovai tre esemplari di questa specie; uno dei quali era in via di riproduzione, portando all’estremità posteriore una catena formata da sei piccoli individui. Fam. PHYLLODOCEA (Gr.) Ehl. Phyllodoce Paretti Blainv. — Quatrefages, 1. c. I. p. 180. Habit. Marsi@LIa (Marion et Bobretzky): Genova (Verany); PaLermo (Grube): Narori (Delle Chiaie): NerEsINe. CRIVIZZA, . BoLvanipa (Grube). 9 Isola S. Sterano (Sardegna), alla costa, m. 1 di fondo, Agosto 1894, (R. nave Washington). Fam. ALCIOPEA Aud. et Edw. Asterope candida Clpde (D. Ch.). — Delle Chiaie, (Alciopa candida). Descrizione, t. II, p. 98; t. V, p. 104. Claparéède, Supplement, p_ 108, pl. X, fig. 1. Habit. Messina (Hering. C. Lovén); PaLermo, TorrkE DEL- L'IsoLa (Quatrefages); Napori (Krohn, A. Costa, Claparéede). Caro BeLLavista, Marzo 1894 (R. nave Washington). Subord. GYMNOCOPA (Gr. Fam. TOMOPTYERIDAE Gr. Tomopteris onisciformis Eschltz. — Eschscholtz, Isis, t. 16, p. 736, pl. 5, fig. 5. Busch, Ein. tiber die T. onisciformis, p. 180-186, pl. 7, fig. 5. Leuckart und Pangenstecher Un- tersuch. iber nied. Seeth., p. 558, pl. 20, fig. 1-6. — Qua- trefages, (Escholtzia quadricornis) 1. c. II, p. 225. Per quanto a me consta questa bella specie non fu mai segnalata fra gli anellidi del Mediterraneo (1). Gli esem- plari che ho avuto in esame sono sette, ma tutti in uno stato di conservazione certamente non ottimo, ed incom- completi, mancando essi della parte posteriore attenuata e priva di parapodi. Ad onta di tutto questo credo poter e- seludere che si tratti tanto del 7. scolopendra Kfrstn., già trovato a Messina (?) ed a Gibilterra (3), quanto del 7. vitrina Vjdsk. riscontrato a Trieste (4), e poter invece as- segnarlo alla specie 7°. onisciformis Eschsltz., basandomi (') Il Panceri (Cat. Anell. Gef. e Turbell. d'Italia, p. 12) mette fra gli anellidi italiani anche il 7. onisciformis come trovato dal Kefer-tein a Messina: ma credo sia incorso in un errore di nomi, dovendosi invece intendere 7. scolopendra Kfrt. (Keferstein, Einige Bemerk. iber Tomopte- ris p. 360-367). (2) KEFERSTEIN, l. c. (3) Quov et Gamarp, Observ. zool. faites a bord de 1° Astrolabe p. 235. (*) Vesbovsky, Beitràge zur Kenntniss der Tomopteriden. 10 specialmente sulle descrizioni e sulle figure di Busch, di Leuckart e Pagenstecher, e di Quatrefages. Credo poi che si debba comprenderlo nuovamente sotto il nome di Z'omopteris onisciforinis, impostogli dall’ Esch- scholtz, piuttosto che sotto quello di Escholtsia (od Esch- scholtzia) quadricornis del Quatrelages, perchè come os- serva il Claparéde (!), per quanto riguarda il genere fu già dimostrato dal Carpenter che la suddivisione dei To- mopteri in due sottogeneri non ha ragione di sussistere, essendo basata su caratteri non stabili (?). Per quanto ri- guarda la specie, credo si debba, per diritto di priorità, conservargli il nome assegnatogli dall'Esehscholtz (il quale non dà però i caratteri sufficienti per una determinazione) e riconfermatogli dal Busch con una descrizione più com- pleta e con buone figure. Capo BrLLAvIsTA, Agosto 1894: pesca pelagica a m. 100 di fondo (R. nave Waskington). Subord. LIMIVORA (Gr. Fam. ARENICOLIDAE Qtrfgs. Arenicola Grubii Clpde. — Claparéède 1. c. p. 296, pl. XIX, fic. 2. Lo Bianco, Gli anell. tubic. del golfo di Napoli, pagio; Habit. Catania (Grube); Napori (Claparède, Lo Bianco). Genova, Giugno 1894. Fam. ARICI[DAR (Aud. et Edw.) Sars. Malmgr. Aricia ligustica n. sp. Tav. II, Fig. 3-12. Corpus long. 7bmm, lat. Sv», 5, segmentis 160-170; lo- bus cephalicus brevis el acuminatus, tuberculis occipi- (') Zes Ammel. chetop. p. 560. (2) Come ho già notato più sopra, questa osservazione è stata fatta dal Claparède (1. c. p. cit.), ed io la riporto qui (sebbene non abbia potuto ve- rificarla per le infruttuose ricerche da me fatte dei lavori del Carpenter) rimettendomi pienamente alle conclusioni del succitato autore. i gr... ASA DE, SOMLS ll talibus exiguis. Papillae ventrales in segmentis 17°-22°; pedum mutatio in segmento 25°: branchiae incipientes moi, ; Il segmento cefalico (fig. 3, s.c.) è molto breve, conico, colla punta un poco rivolta in alto (fie. 4, s.c.) ed affatto sprovvisto di occhi. Il segmento boccale (fig. 3 e 4, s. D.), che col primo forma il capo, è molto più largo ed ha pure la forma di cono, ma con troncatura anteriore. Alla parte dorsale del capo — sulla linea di divisione di questi due anelli — sono situati, uno per lato, due piccoli tubercoli, aventi l’aspetto di bottoni poco salienti (fig. 304, t.0.). I seg- menti che a questo seguono sono già provvisti di parapodi ed aumentano gradatamente, ma anche considerevolmente, secondo il diametro trasversale, poco secondo il perpendi- colare, (fie. 5). Al 18°-22° anello il corpo raggiunge la mas- sima larghezza, quindi si restringe di nuovo fino al 40°, ossia ad un quarto circa della lunghezza totate dell’ ani- male; dopo si mantiene costantemente dello stesso diame- tro, eccetto che nell’estremità posteriore, la quale termina in punta. I parapodi sono di due forme caratteristiche, una alla regione anteriore, l’ altra alla posteriore; però nei primi segmenti si notano alcune variazioni che accennerò in se- guito. Nei primi (fig. 6) il ramo superiore porta un fascio di setole s.f. ed un breve lobo /b.; l’ inferiore un lungo a- culeo a, 12-14 papille marginali linguiformi p, e due di- stinti fasci di setole s. 7. ed s_». Alla parte dorsale si trova anche una branchia 0; però questa non farebbe veramente parte del parapodo, essendo, nella regione anteriore, im- piantata molto vicino alla linea mediana dorsale, e quindi discosta dal parapodo. A misura che si procede verso la estremità posteriore del corpo, si porta sempre più vicina al lobo superiore del parapodo, aumentando anche note- volmente in lunghezza. Credo bene osservare che non ho riscontrato le ciglia vibratili ai margini di esse, come già furono descritte in altre specie da alcuni autori; però mi sembra si debba ritenere che questo fatto non provi la loro mancanza, ma sia conseguenza dell’azione dell’ alcool sul- l’animale. Questa forma di parapodi è limitata a soli dieci anelli e 12 cioè al 13°, 14°, 15°... 22° I primi dodici differiscono da questi per la mancanza dell’ aculeo a; inoltre le branchie non compaiono che al settimo segmento setigero sotto forma di brevi prominenze, che aumentano in lunghezza col pro- gredire dei segmenti. Ben poco mi resta a dire riguardo alle setole, non scostandosi esse di molto da quelle di altre specie già descritte, e quindi, invece di darne una detta- gliata descrizione mi limiterò ad accennare ai loro carat- teri principali. Le superiori (fig. 6 s. 7.) sono lunghe e sot- tili, col margine convesso seghettato (fig. 7 e 8); 1’ aculeo (fig. 6 a), di color giallo-bruno, è robusto e molto sporgente all’esterno (fig. 9); le setole del ramo inferiore (fig. 6. s. 1.), poste fra le lobature marginali, sono molto più brevi delle superiori e più larghe alla base, con striature oblique di- sposte a guisa delle barbule di una penna (fig. 11); altre setole più robuste, ricurve in punta, con dentellature supe- riori nel tratto ricurvo (fig. 10) formano una massa com- patta (fie. 6, s. r.) alla base delle lobature marginali. Que- ste ultime si possono quasi considerare come disposte su tre file, non però ordinate nel modo descritto dal Clapa- reéde (!) per l'A. foetida, ma numerose ed avvicinate l’una all'altra sulla prima linea, in piccola quantità e sparse nelle due seguenti. Nei parapodi della regione posteriore del corpo (fig. 12) i due rami, superiore ed inferiore, sono poco distinti. Il primo è costituito da una lunga branchia db molto avvici- nata ad un lobo pure assai sviluppato /. s.; alla base del quale stanno due acicuii «a. c., che non sporgono all’esterno, ed un fascio di lunghe setole s. f. Fra questo lobo /. s. e P’in- feriore Zi. si trova un’ appendice lm, stretta, lunga e ter- minante in punta. Il ramo inferiore è formato da un lobo Z. i. diviso in due lunghi denti saldati alla base; da un fa- scio di setole s. é. e da un aciculo a. c'. che, al pari dei due superiori, non sporge all’esterno; e per ultimo da una pic- cola lobatura p 7. Le setole dei due rami non hanno nulla di speciale che meriti una descrizione, essendo per la loro forma uguali a quelle del ramo superiore dei parapodi an- teriori, che ho rappresentato nelle figure 7 ed 8. (tile p(307, fav. DOGS 0208 bi 15 AI 16. segmen'o.\setigero. compaiono le prime papille ventrali (fig 5, p. v.)in numero di cinque per lato, le quali nei seguenti anelli aumentano tanto da raggiungere la’ li- nea ventrale mediana nel. 19.°, dopo il quale diminuiscono, scomparendo affatto nel 22.°. Fam. AMPHICTENEA (Gr.) V. Crs. Pectinaria auricoma Miill. — Miiller (Amphitrite auricoma) Zool. danica Vol..I, p. 26, tav. XXVI: Lo. B'anco l. ec. p: 47. Habit. MarsieLIAa (Marion); Genova (Verany); NapoLi (Pan- ceri, Claparède, Lo Bianco); MartInsica (Grube); CHerso, Ossero (Stossich). I eizi Genova (porto), m. 8 di fondo, Giugno 1894. Fam. TEREBELLACEA Gr. Amphitrite Johnstoni Malmer. — Malmeren, Nordiska Hafs Annulater p. 377, tav. XXI, fis. ol. La descrizione e le buone figure del Malmgren permet- tono la determinazione sicura di questo anellide nuovo per il. Mediterraneo. Mark PICCOLO (Taranto), Agosto 1893: sotto alle pietre entro tubi di sabbia. (R_ nave Washington. Lanice cenchilega Pall. — Lo Bianco, I. c. p. 4. Habit. NapoLi (Delle Chiaie, Claparède, Lo Bianco): ZaoLk (v. Marenzeller). Isola S. SrEravo (SarpEGNA). Agosto 1894, alla costa ad lm. di fondo. (R. nave Washington). Polymnia nebulosa Mont. — Claparède (Z'erebella Mleckelii) ep 390, pi MXVIIL fie.)3. LoBlanco, il. e:)p.050 Habit. MarsiGLIA (Marion et. Bobretzky}: VILLAFRANCA (Grube); SiciLia (M. Edwards); NapoLi (Delle Chiaie, A Co- sta, Claparède, Lo Bianco): Trieste (v. Marenzeller) CHerso, Lussin (Grube). i an AvriatIco (Mus. Zool. di Padova). Fam. SERPULACEA Burst, Spirographis Spallanzanii Viv. — Grube, ( Sabella Jose- phinae). Arch. f. Nat. 1846, p. 53, t II, fig. 6. Claparéde, pica spl XX n | Habit. MarsigLiA ( Marion et Bobretzky ): Nizza (Risso); Genova (Verany); NapoLi (Delle Chiaie, Claparède, Lo Bian- co); Trieste, Fiume (Stossich), CHERSO, LUSsINPICCOLO, CRIVIZZA (Grube). Genova (porto), m. 1.50 di fondo; Maggio 1894. Isola S. STEFANO (SARDEGNA), Agosto 1894, alla costa a m. 1 di fondo. (R. nave Washington). Serpula Philippii M6rch. — Quatrefages, (S. interrupta) GS pa90 2 pela 92) Habit. MepirerRANEO {Philippi); MarsIGLIA (Marion et Bo- bretzky); PaLeRMo, Quatrefages); NapoLi (Philippi, Scacchi, Panceri, Lo Bianco); TrIEstE, LUSSIN GRANDE € PICCOLO, Cuerso (Grube); Triste (Stossich). an ApriatIco (Mus. zool. di Padova). Serpula aspera Phil. — Claparède, I. c. p. 439, pl. XIX, fio. 4. Habit. MepitERRANEO (Philippi); MarsiGLIA (Marion et Bo- bretzky); Napori (Clapar. de, Lo Bianco); CigaLe, Lussix piccoLo, CHERSO, PortorE (Grube). Secca pi AmenpoLara (GoLro pi Taranto), Settem. 1893, dragando da 30 a 40 m. di fondo. (R. nave Washington). Hydroides uncinata Phil. — Quatrefages, (Serpula unci nata) 1. c. 11, p. 507, pl. 16 bis, fig. 12. Lo Bianco, I. c. p. 84. Habit. MeprrerranEo ( Philippi, Quatrefages); MARSIGLIA { Marion et Bobretzky ); Napoti ( Delle Chiaie, Lo Bianco); CHÒerso, Ossero (Grube). an ApriatIco (Mus. zool. di Padova). Protula protula Cuv. — Quatrefages (Pr. Rudolphi) |. c. Il, p. 468. Claparède, (Pr, intestinum) |. c. p. 481, pl. XVI, fic. 4. #: Habit. Mepirerganeo (Philippi); MarsieLia (Marion et Bo- bretzky); Nizza (Risso): Napori (Claparède, Lo Bianco); Lussix (Grube); penisola MerANA. Grecia (Brullé). Nori (GoLFro ni Genova) 1892. Vermilia multivaricosa M6rch. — Claparède (Psygmobran- chus mullicostatus) 1. c. p. 435, pl. XXX, fig. 6. Habit. MeprreRRANEO (Philippi): MarsiGLIA (Marion); Na- poi (Claparède, Lo Bianco); MartInsica, Lussin GRANDE, Urivizza, Neresine (Grube). SECCA DI AMENDOLARA (GoLro pi TARANTO , Settembre 1893, dragando da m. 30 a 4) di fondo {R. nave Washington). = 15 BIBLIOGRAFIA Aupovin V. et Milne Ebwanbs H., Classification des Annélides el des- cription de celles qui abitent les cotes de la France in Aun. 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Aricîa ligustica n. sp. — Lobo cefalico molto ingrandito, prona- zione; s. c., segmento cefalico, 5. ). segmento boccale 7.0. vnBarsoli caso laterali. sata » 4. Zd. — Lobo cefalico molto ingrandito, visto di profilo; s..6. seg- mento cefalico, s. d se egmento bcecale, /. 0. tubercoli occipitali. | » 5. Zd. — Parte anteriore, supinazione; p. v. papille ventrali. In- erandimento —. ; » » TE . Id. — Parapodo della regione anteriore; d. branchia, s. f. fascio superiore di setole, /. lobo superiore, 4. aculeo, . papille del ramo inferiore, s. 7. setole marginali del ramo inferiore, s. r. se- . . 27 tole ricurve. Ingrandimento —. . Id. — Porzione di una setola del ramo superiore dei parapodi anteriori e dei due rami dei posteriori vista di faccia. Molto in- grandita. Id. — La stessa di profilo. Id. — Estremità superiore dell’aculeo. Molto ingrandito. Id. — Estremità superiore di una setola ricurva. Molto ingrandita. Id. — Setole del ramo inferiore dei parapodi anteriori. Molto ingrandita. . Id. — Parapodi della regione posteriore; d. branchia, /. s. lobo superiore, 4. €. aciculi, s. f. fascio superiere di setole, /. 72. lobo mediano, /. 7. lobo inferiore, s. é. fascio inferiore di setole, 4. c'. a . DARE . 12 aciculo, p. l. piccolo lobo inferiore. Ingrandimento —. Genova, Tipografia Ciminago. 1896. B 9 1007 TN BOLLETTINO DEI MUSRI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N° 50. /3.2Lot 1896. CorrADoO PARONA Intorno ad alcuni Distomi nuovi o poco noti. 1. Drsromum (Dicrocoelium) tursionis Marchi D. = rLongGIssimum Poirier. Nei delfini furono indicati come parassiti alquanti distomi (Linstow : Compend. Helminth., p. 60 e seg.; Stossich: Dist. dei mammiferi, p. 37, 1892), due specie dei quali attrassero re- centemente la mia attenzione. Sarebbero, in ordine di tempo, il D. tursionis Marchi (Atti Soc. ital. Sc. nat., vol. XV, p. 304, tav. V, fig. B; 1872) ed il D. longissimum Poirier (Bullet. Soc. philom.; ser. VII, tom. X, tav. II, fig. 6, Paris 1880). Il D. tursionis, registrato dallo Stossich (1. cit.) fra le sp. inquir., volli attentamente esaminare con alcuni esemplari, che conservo nella mia collezione, e che sono da considerarsi come tipici, perchè gentilmente donatimi dallo stesso prof. Pietro Marchi. Orbene essi mì richiamarono tosto alla me- moria la figura e la descrizione che il Poirier (l. cit.) ebbe a dare, tredici anni più tardi, del D. longissimum, ed ho potuto convincermi che le due forme sono da considerarsi come una ed identica specie. Infatti ambedue le specie misurano 20 millim. di lun- ghezza, e le differenze nella larghezza, essendo solo di mezzo millim., è insignificante. La descrizione e le figure date dai due autori sì accor- dano quasi in ogni punto; per quanto la descrizione del D. tursionis, dovuta al Marchi, sia troppo succinta, e le fisure del verme e dell’uovo siano alquanto grossolane. Il Poirier, per altro, fa notare che il D. longissimum di- versifica dal D. tursionis per la superficie del corpo senza aculei, per la forma svasata della ventosa boccale, pei te- sticoli lobati e per la forma delle uova, distintamente acu- minata ad uno dei poli. Però, dalle mie osservazioni sul D. tursionis, risulta che gli aculei sono rari, brevissimi e limitati alla porzione an- teriore (!/3) del corpo; che essi sono visibili soltanto a forte ingrandimento, e certamente non possono esserlo a quello di sette volte appena, siccome il Poirier ebbe a disegnare il suo distoma. Del resto ad un esame anche superficiale, ognuno si con- vince che le differenze indicate fra le due specie tosto scom- paiono. Infatti la ventosa boccale, se lievemente compressa dal vetrino copraoggetti, assume la figura disegnata dal Poirier, cioè svasata al suo margine, più di quanto indicò il Marchi. I testicoli con tutta evidenza sono lobati, ed af- fatto simili a quelli tratteggiati del Poirier; offrono per- sino lo stesso numero di lobature, e cioè: cinque al testi- colo anteriore e sei al posteriore, precisamente come as- serisce il Poirier. Però nell’esemplare più piccolo, dei tre che posseggo il testicolo anteriore ha solo tre lobi ed il po- steriore quattro. Lo sbocco cloacale è ampio e situato immediatamente al di sopra della ventosa ventrale. Le uova sono identiche a quelle figurate dal Poirier, ed infatti sono opercolate, acu- minate al polo posteriore, e per di più hanno identiche di- mensioni. Ecco alcune misure, indicate dagli autori e com- parate colle mie, che persuaderanno maggiormente dell’ î- dertità delle due specie : Dist. longissimuin Dist. lursionis (Poirier) | (Marchi) (Parona} Lungh. del verme . ... 20 mm. 20 mm. | 1.° esem. 20 mm. ZIO NS O ma | Sia Largh. I i ra 1,59 mm. l mm. l 5, Mmm. Ventosa boccale . . .. . QS (pue 765 0,80 bio ame IU oum 8 | qum 80 0,85 Distanza fra le 2 ventose 3-4 mm. ; QU 004 [sc] © 6, mm. VUova-luneh Sese nni 0,056 | 0,050 | 0,056 IE OIOSSN (O2S NN 0,028 Aculei., lungh. - | 0,02-0,025 | (molto var.) 0,014 i ui FEB 9 1897 : Epperò parmi evidente che ì distomi stati descritti dal Marchi e dal Poirier, debbansi considerare come unica specie; il cui nome, per legge di priorità, dovrà essere quello di D Zursionis; in sinonimia del quale passerebbe ‘quindi quello di D. longissimum Poir. (1). La descrizione che ne diede il Poirier, più che sufficiente a caratterizzare la specie, e le figure molto fedeli del verme dallo stesso aggiunte al suo lavoro, mi dispensano di di- lungarmi sopra questo interessante trematode. 2. Disromum (Lrachylaimus) DIDELPHIDIS N. Sp. (Fig: 1.9). Nei marsupiali, oltre al Distomum hepaticum Abilg. ed all’ Hemistomuin pedatum Dies., furono menzionate due specie di trematodi del gen. RRopalophorus (R. coronatus Rud. ec R. horridus Dies.), e recentissimamente il Distomum opisthotrias Lutz; di quest’ultimo diremo più innanzi. Nella Didelphis marsupialis (var. Azarae) finora non era stato indicato alcun parassita dell'ordine dei trematodi, e perciò fui lieto quando, in una femmina di questo didelfide, pro- veniente dal Paraguay, e che offrì 1’ occasione al collega G. Cattaneo di scrivere una interessante memoria sulla condizione dei fondi ciechi vaginali prima e dopo il parto (Atti Soc. ligust. Sc. nat., vol. VI, 1895) raccolsi (23 marzo 1893) nel suo intestino tenue due esemplari di distoma, da riferirsi a specie tuttora sconosciuta, e che qui brevemente descrivo. Lunghezza del corpo 5-6 millim., largh. mass. 1 ?/, mill. Corpo appiattito, allungato, alquanto ristretto alle due estremità, ma di più alla posteriore; superficie inerme, pre- senta color biancastro, con macchiature giallastre, dipen- denti dall’accumularsi delle uova e dal vitellogeno. Ventosa (1) E superfluo accennare che il 2. lorgissimum Poir. non è da confon- dersi col D. /ongissimum v. Linst., descritto due anni prima come paras sita dell’ Ardea stellaris (Arch. f. Naturgesch. 18383, pag. 308). Sarebbe desiderabile, come stabiliscono le norme tassonomiche, che i sistematici evi- tassero il grave errore di usare nomi specifici gia adottati per altre specie del medesimo genere. boccale orbicolare, grande mm. 0,560. L’acetabolo, più am- pio (0,750), rilevato e globoso, dista dalla bocca poco più del proprio diametro. Cloaca genitale situata poco sopra la ventosa ventrale. La faringe è globosa, del diametro di 0,350 e trovasi immediatamente sotto la ventosa boc- cale. L’intestino si biforca direttamente dalla faringe (Brachylaimus) e quindi manca il tratto esofageo. I due rami dell’intestino sono larghi 0,070 e non hanno appendici nè anteriori, nè laterali, terminando pressochè all’ estremità posteriore del corpo a fondo cieco. I due testicoli sono situati a circa la metà del corpo, e più precisamente il primo a tre millim. dall’apice anteriore, e l’altro di poco più all’ indietro; formano due masse non molto grandi (0,322), irregolarmente tondeggianti, ma per nulla lobate. Dei deferenti non è vi- sibile che l’ultima porzione, la quale mette fine alla cloaca genitale. L’ovario giunge pressochè alle dimen- sioni di un testicolo e sta poco dietro la ventosa ventrale; l’o- vidotto e le glandole del guscio nulla presentano di partico- lare; l’utero è lunghissimo, ampio e palesissimo per l'enorme quantità di uova; occupa quasi tutta la metà posteriore del corpo, svolgendosi in anse ravvicinate, fra i due rami del- l’intestino, fino al limite posteriore del corpo, per rimontare poscia verso l’avanti giungendo allo sbocco cloacale, ove poco prima vi forma un arco di fianco alla ventosa ven- trale. I vitellogeni sono collocati, a modo di due nastri, dal livello dell’acetabolo ed anche prima, fino quasi all’ estre- mità caudale, e ricoprono in tutto questo tratto i rispettivi rami dell’intestino. Le glandole vitellogene sono a gerap- poli piuttosto grossi (0,056-0,070. Le uova, di color giallastro, hanno guscio liscio, sono perfettamente ovali e misurano 0,056 in lunghezza, 0,014 in larghezza. L'apparato escretore è visibile soltanto nella sua parte terminale, ove presenta un foro ampio, con dilatazione im- butiforme. La descritta specie di distoma appartenendo ad un ge- nere molto differente da quelli, che furono indicati parassiti, come si disse, dei marsupiali, non abbisogna di compara- zione alcuna con essi. Invece è a notarsi come il dott. Adolfo Lutz nell’anno passato ebbe a descrivere (!), col nome di Distomum opisthotrias, una nuova specie di distoma, da lui rinvenuta nella Didelphis marsupialis (var. aurita), ma che per altro differenzia da quella di cui ora si è trattato. Ecco infatti 1 caratteri principali del D. opiîsthotrias: Lungh. 4 millim.; larg. 1,1 mm. Corpo coperto di minutis- simi aculei; due testicoli collocati alla parte posteriore e sulla linea mediana, lì’ un |’ altro separati dall’ ovario, sic- chè si scorgono tre corpi l’ uno di seguito all’ altro sulla linea mediana, dal qual carattere l’ autore trasse il nome specifico; vitellogeni laterali, ma poco allungati: sbocco cloacale in corrispondenza del testicolo anteriore e quindi situato molto all’ indietro; ventosa ventrale meno ampia della boccale. Senza occuparci di altre minori differenze, parmi che ha- stino le indicate per conchiudere essere le due specie fra loro ben distinte ; giacchè il D. opisthotrias spetta al gruppo Opisthorchis, al pari del D. felinewm Riv. proprio dei car- nivori; ed anche sarebbe un Urogonimus, se prevalesse il carattere del posto dello sbocco cloacale; ma questo non sì può in nessun modo applicare al distoma ora descritto. 3. Disromum (Brachylaimus) weropis Rud. = D. TRIANGULARE Nies. Nel Merops apiaster viene menzionato un solo distoma col nome di D. triangulare datogli dal Diesing (Syst. hel- minth I. p. 351) e descritto colla seguente diagnosi: « Corpus ovale, depressiusculuimn; os anticum oblongum: acetabulum ore minus, superum, apertura subtriangulari; longit. Weglant. = duneh. 2 mm: largh. (0,5wum.). >» \ (!) Distoma opisthotrias um novo parasita do gambi: Revista do Museu Paulista, Vol. I, pag. 181-193; Tav. II, Sao Paulo 1895. 6 Anche il Dujardin (Hist. natur. des Helminth. p. 444) lo ebbe a menzionare, però come specie rara e dubbia; il che disse pure lo Stossich recentemente (Distomi degli uccelli: Atti Soc. Adriat. Sc nat., vol XIII, 1892), giacchè lo col- locò fra le sp. inquir., e limitossi a tradurre la frase dia. enostica del Diesing. Dal mio egregio scolaro, signor Lorenzo Dufour, ebbi tre esemplari (uno guasto) di distomi, da lui stesso raccolti nell’intestino di un vespiere (Genova, 30 maggio 1890), 1 quali nel complesso dei loro caratteri corrisponderebbero al D. triangulare del Diesing, ma non presentano però la ventosa ventrale triangolare, carattere col quale l’elminto- logo viennese volle determinarle la specie, sebbene nella diagnosi dicesse « apertura subtriangulari ». Lungh. del corpo 4 millim.; largh. mass. 1 1/, millim. Corpo inerme, gialliccio nella porzione anteriore, bruno intenso posteriormente: è depresso, ovale, alquanto dilatato an- teriormente in tutta l’ estensione della ventosa boccale. Questa è grande (dia- metro trasversale ed altezza 1/, millim), foggiata a coppa e con apertura ampia (0,238). La ventosa ventrale, situata a metà del corpo, è circolare, pure grande (0,226), con apertura circolare e larga, sicchè nei tre esemplari in esame ri- corda per nulla il carattere dal Diesing considerato come specifico. Faringe sferica (diam. 0,180), diret- tamente a contatto colla ventosa boc- cale; l’intestino si biforca dalla faringe, ed i due rami si prolungano fino quasi all’ estremità posteriore del corpo; per il che l’ascerive ai Brachylaimus. L'apparecchio maschile consta di due testicoli ovali, non lobati, e situati all’innanzi dell’acetabolo; misurano 0,250 millim.; le altre parti dell’ apparato maschile non sono vi- sibili. L’ovario giace poco sotto la ventosa ventrale; è piccolo ed ovalare; ovidotto lunghissimo, formando numerosissime 7 anse, che stanno ai due margini della parte posteriore del corpo e poi rimontano lungo la linea mediana fino a li- vello dell’acetabolo. Ivi l’ovidotto si dilata alquanto prima di giungere alla cloaca, la quale presenta un’ apertura molto ampia, situata poco sotto la faringe. Le glandole del vitellogeno sono a grappoli, formanti due nastri ai lati del corpo, che dal livello inferiore dei testicoli si spingono fino al terzo posteriore del corpo. Le uova sono elittiche, a guscio bruno, con opercolo, ed alquanto acuminate ad uno dei poli; diam. longitud. 0,028: trasversale 0,014 (V. fig. a lato di quella del verme). Da quanto si è brevemente esposto, credo potersi riferire questo distoma a quello che Diesing, come si disse, volle chiamare D. triangulare; ma però non essendo bene ap- propriata la denominazione specifica, perchè basata sopra un carattere non stabile, parmi miglior partito ritornare al nome più antico che gli aveva già assegnato il Rudolphi (Catal. Entoz. Vien. 72; Synops. 120) di D. meropis. Non escludo per altro che il posto dei due testicoli, qualche altro particolare di struttura, e le dimensioni, potrebbero indurre a considerare gli esemplari da me descritti costi- tuenti una nuova specie, ma questi caratteri non mi sem- brano però tali da dover accrescere maggiormente il nu- mero già stragrande delle specie del genere Dislomum. 4. Disromum (Echinostomum) coronarium Cobb. (Fig. 3.2) Di questo bellissimo distoma, che per quanto mi consta fu dal Cobbold (Entozoa, ecc., pag. 17, fig. 3.2, London 1864) semplicemente nominato, ma non descritto, io raccoglievo fin dal 1880 (24 febbraio), all’autopsia di un Alligator mis- sissipiensis, insieme a numerose Physaloptera mucronala Dies., varii esemplari, i quali, tuttora ben conservati, mi permettono di dare alcuni dettagli. A ciò sono indotto dal fatto che nessun autore ebbe ad occuparsene, ec che detto verme è ancora poco noto (Stossich. Dist.. dei rettili: Bol- lett. Soc Adriat. Sc. nat. Vol. XVI, Trieste 1895, pag. 230 ; sp. inquiri.). DI Lunghezza del corpo 12-14 millimetri; larghezza mas- sima 0,504. Corpo allungato, biancastro nella parte anteriore, rosso bruno nel restante, per le glandole vitellegene e per le uova numerosissime. E caratteristica la estremità anteriore del corpo, che si dilata a capocchia e porta una corona di uncini. La ventosa orale è api- cale, imbutiforme, ed al margine suo sì im- piantano appunto gli uncini. Questi, in nu- mero di ventiquattro, sono tozzi, a punta arcuata e rivolta verso l’ interno del cerchio; misurano 0,112 in lunghezza, e si staccano con grande facilità, per modo che pochi sono gli individui portanti la corona al completo (0 fig. 3.2). Esofago senza vero bulbo, ma solo una dilatazione poco rilevante. L’intestino si biforca all’innanzi dell’acetabolo, e si prolunga coi fondi ciechi fino all'estremo caudale. Ventosa ventrale a cupola, rilevata; larga 0,238, alta 0,280. I testicoli sono due, grossi e globosi, l’uno dietro l’altro e situati alla parte posteriore del corpo ; misurerebbero 0,350 in diametro. L’ovario trovasi pure molto all’ indietro e cioè poco prima del testicolo anteriore; è rotondeggiante e più piccolo dei testicoli. A breve distanza da esso, ed anteriormente, si ve- dono i rami trasversali dei vitellogeni. Questi lungheggiano i lati del corpo, dal testicolo inferiore fino quasi alla ven- tosa ventrale; sono a grappoli e disposti lateralmente ad un canale mediano. L’ovidotto è sviluppatissimo e ripieno di uova; dirigendosi all’ avanti, forma numerosissime anse fra loro avvicinate; oltrepassato l’acetabolo esso termina all'apertura cloacale, la quale corrisponde alla biforca- zione dell’ intestino. Le uova sarebbero piriformi nella grandissima maggio- ranza, però alcuni sono ovalari. Misurano appena 0,014 in lunghezza (ec fig. 3.2). Il D. coronarium non ha alcun rapporto coi D. pyrida- tum Brems, né col D. pseudostomim v. Willem. S.; in- "o vece è molto somigliante, direi quasi identico, al D. croco- dili del Poirier (1). Infatti quest’ultimo distoma ha « Corps allongé blanchatre dans sa moitié antérieure, à teinte plus foncée dans la moitié postérieure, qui renferme les glandes du vitellogene. Lon- gueur du corps 10 mm. largeur 0,8 mm. ». Inoltre presen- terebbe: ventosa boccale piccola, e situata alla sommità di una piccola massa conica, con corona di uncini in numero di dodici per ciascun lato (= 24); ventosa ventrale sferica : orificio genitale immediatamente sopra l’ acetabolo. Differenzierebbe però per la forma del capo, pei testicoli che non sarebbero situati così all'indietro, e per la forma delle uova. Ma è da notarsi peraltro che il Poirier non fece alcun cenno del distoma del Cobbold, e quindi senza dubbio i&no- rava la fisura e la determinazione dell’elmintologo inglese. Ascrivo il D. coronarium agli Echinostomi, stante la pre- senza dell’armatura boccale, sebbene potrebbe anche venir compreso nel nuovo sottogenere Opisthorchis. 5. Disrowum (Opisthorchis) cauparum Polonio (Fig. 4.8). Antonio P. Poionio in un lavovo (?) ben poco noto, deseri- veva nel 1859, fra altri elminti, questo distoma , colla se- guente diagnosi: « Corpus antrorsum rotundatum , medio incrassatum, retrorsum acuminatissimum ; collum cylindri- cum, os anticum subglobosum; acetabulum ore majus ad colli basim, globosum, apertura circulari. Long. 0,006; crass. 0,02. Habitac. Natrix. torquata et. viperina; in eorum ven- triculis, Aprili et Junio, Patavii, (Polonio) ». Ora questo distoma non fu indicato da alcun autore, e particolarmente dallo Stossich, che non lo notò nel suo citato (1) Trématodes nouv. ou peu connus: Bullet. Soc. philomatiq. de Paris, ser. VII, tom. X, pl. I, fig. 4, 1885-86. (2) Prospectus helminthum qui in replilibus et amphibiis faunue italicae continentur. Patavii, typ. A. Bianchi, 1859, p. 6. 10 elenco dei distomi dei rettili, e dal Linstow che non lo elencò nel « Compendium Helminth. » Anzi, che il Linstow l’ignorasse, lo dimostra anche il fatto che, con identico nome di D. caudatum. nel 1873 descrisse un distoma deli’ Ly naceus europaeus. Probabilmente la causa di tale dimenti- canza si è che lo scritto del Polonio fu stampato a parte (Padova, tipogr. A. Bianchi 1859) e perciò, come spesso av- viene di siffatte pubblicazioni, restò in un completo ‘oblio, stante la difficoltà di procurarselo. Avendo potuto, per somma cortesia del collega prof. G. Canestrini, esaminare questo distoma sopra gli esemplari tipici del Museo di Padova, credo opportuno farlo conoscere, riportandone la diagnosi ed aggiungendo alcune poche altre indicazioni (tratte dalle mie note), siccome me lo permise lo stato poco buono di conservazione dei preparati. Lungh. 5 millim.: largh. 1 3/, millim. (la lieve differenza fra queste misure e quelle date dal Polonio, certamente di- pende dall’ azione dell’ alcool). La descrizione della forma generale del corpo data dal Polonio, più sopra trascritta, corrisponde perfettamente; aggiungerò solo che il distoma è inerme. La ventosa boccale si presenta circolare e con ventosa, ma i rami dell’ intestino non sono più visibili. La ventosa ventrale è più grande della boccale, misurando 1 millim. in diametro, ed è situata nel punto in cui il corpo comincia ad allargarsi. Una massa bruna, ovoidale, e collocata subito dopo la ventosa ventrale è da considerarsi come ovario; l’ovidotto e l'utero si spingono all’ in- Fig. 4* dietro, fino al punto in cui il corpo si prolunga in una specie di appendice caudale. Abbondantissime le uova, che sono ovali; Innghe 0,098 e larghe 0,056. Dalla presenza delle uova sul davanti della ventosa ventrale ar- guisco che l’ apertura cloacale debba trovarsi nella parte anteriore di essa. I vitellogeni, a grossi grappoli, occupano i lati del eorpo, dall’ovario fino alla base della coda. Due testicoli ovali e grossi (diam. 0,448) sono situati al terzo posteriore del corpo, uno anteriormente all’ altro. diametro di 0,560; bulbo esofageo contiguo alla 11 Ripeto che lo stato di conservazione poco confacente non mi permise maggiori osservazioni: quanto ho potuto rica- vare riassunsi brevemente e riportai nel disegno che unisco, giacché di questa specie finora non fu data alcuna figura. ‘ Non potendo ascrivere ad alcuni dei sottogeneri stabiliti sulla disposizione dell’intestino, per la ragione accennata, parmi poter assegnare questo distoma al sottogenere Opi- sthorchis. 6. Disrowum (Brachylaimus) LiNGUATULA Rud. xudolphi: Entozoorum Synops. 100 et 383, App. 679. Dujardin: Hist. nat. d. helminth., p. 454. Diesing: Syst. helminth., I, p. 353. Cobbold: Synops. of the Distomid., p. 18. Stossich: Distomi degli anfibi, p. 11 (sp. inquir.). Il Diesing caratterizza questa specie colla seguente dia- gnosi: « Corpus ellipticum depressiusculum. Os terminale orbiculare. Acetabulum ore minus, superum, apertura cir- cul Monolt. 1-1 IU lat. Lo! Di questa specie ebbi dal Museo di Berlino (Giugno 1893) due esemplari, con la scritta « Rudolphi (ex orig. )». Volli quindi attentamente osservarli, e qui riporto quanto mi fu possibile riscontrare. | Lungh. del corpo 2-2 !/ millim,; largh. mass. !/5-/3, di millim. Il corpo è depresso, elittico, ma poco ristretto anterior- «mente. Esso non è inerme, come riferì lo Stossich (1. c.) ma ricoperto anteriormente da piccolissimi aculei, quasi fossero peli fitti, e che diminuiscono verso l’ indietro, senza però scomparire del tutto, ed infatti si osservano anche al margine caudale. Molto più abbondanti trovansi sul con- torno dello sbocco sessuale. Ventosa boccale circolare, del diametro di 0,140; bulbo esofageo subtriangolare, immediatamente dopo la ventosa boccale; intestino che si biforca direttamente dal bulbo e si prolunga coi due rami ciechi fino all’ estremo posteriore. La ventosa ventrale, di poco più grande (0,82) della boccale, come dissero tutti gli autori, sta poco prima della metà del corpo, e dista dalla ventosa boccale 0,630. 12 Già 11 Rudolphi (Mantiss. p. 385) aveva notata l’ apertura sessuale « Ante porum ventralem exiguum tuberculum ». Esso sbocco è situato alla metà fra le due ventose, ed è appariscente. Ovidotti ed uteri, ripiegati e molto lunghi, occupano la linea mediana del corpo, avanti, so‘to e dietro la ventosa ventrale, giungendo fino all’ estremo anteriore, fra i due rami dell’intestino. Sono ripieni di uova brune, ovali, e pic- colissime: lungh. 0,028, largh. 0,014. I vitellogeni formano due zone ai lati del corpo, a r!idosso dei duc rami intestinali, dall’ apertura sessuale fino quasi all’ estremità posteriore. I testicoli, a quanto mi sembra, sarebbero due, collocati in prossimità e dietro la ventosa ventrale; però la erande massa di uova e l’opacità del corpo, stante la prolungata azione dell'alcool sui due esemplari che posseggo, mi im- pedirono di stabilire la forma e la posizione loro. Habitat: Rana musica, Brasile. 7. Disrowum (Brachylaimus) woxas Rud. Rudolphi: Entozoor. Synops., p. 679. Dujardin: Hist. nat. d. helminth., p. 453. Diesing: Syst. Helminth., I, p. 350. Cobbold: Synops. of Distomid., p. 19. Stossich: Dist. d. anfibi, p. 12. Di questo piccolo distoma ebbi alquanti esemplari dal Museo di Berlino, dall’ esame dei quali posso ricavare alcuni dettagli e la figura: Lunghezza del corpo #/, di millim.; diam. mass. 0,420. Già Rudolphi disse, e gli altri autori ripe- terono, che questo verme presenta corpo sub- ovale, depresso, con ventose amplissime ; e le uova mature raccolte nel centre del corpo. La ventosa boccale misura in diametro 0,182, è orbicolare, con apertura ovale: bulbo esofageo glo- 13 boso, piccolo in proporzione alla ventosa boccale, alla quale è contiguo: rami intestinali pariono direttamente dal bulbo, ma non si possono seguire oltre la ventosa ventrale stante la massa delle uova. Essa è ovale e larga 0,168. L’ovario sta poco sotto la ventosa boccale; i vitellogeni sono laterali e situati alla parte anteriore del corpo. L’a- pertura sessuale trovasi subito dopo il bulbo esofageo ed appare coi margini frangiati. Le uova sono perfettamente ovali, di color bruno ed oper- i colate; lungh. 0,042; largh. 0,014. Habit.: Siphonops (Amphisbaena) annulatus; Brasile. 8. Disromum (Dicrocoelium) crassicoLre Rud. (= D. ENTERARCHOS De Fil. = D. SALAMANDRINAE PERSPICILLATAE SONS.) Ebbi recentemente occasione di esaminare, per gentile con- cessione del collega L. Camerano, nella collezione elminto- logica del Museo Zoologico dell’Università di Torino, e della quale riferirò altrove fra breve, alcuni esemplari di un pic- colo distoma, conservati in un vasetto portante un cartellino scritto da mano del prof. F. De Filippi « D. enterarchos n. sp. » Però, per quante ricerche abbia fatte nei lavori del De Filippi, non mi fu possibile trovarne la descrizione, né, a dichiarazione del predetto prof. Camerano, trovansi note manoscritte in argomento presso il Museo torinese, che fu diretto dal De Filippi. Ora questo distoma, più che ad una n. sp., trovai di doverlo riferire al D. crassicolle Rud., che è comune nelle sala- mandre e nei tritoni. Soltanto ne differenzierebbe per le dimensioni, di poco inferiori da quelle del D. crassicolle ; . ma ciò certamente dipende dall’ azione troppo prolungata dell’alcool, valutabile a non meno di quaranta anni, e cioè dall’epoca in cui il nostro elmintologo si occupava delle sue celebrate ricerche sullo sviluppo dei trematodi (1855-59). Avevo redatte alcune note sopra questa specie, ritenuta nuova dal De Filippi, quando il tre giugno corrente anno ricevetti in dono dal prof. P. Sonsino una breve nota, colla quale descrive una n. sp. di distoma della salamandrina , che attrasse vivamente la mia attenzione, sembrandomi che 14 essa, sebbene non disegnata, corrispondesse alla specie so- pra notata dal De Filippi vivente nel medesimo ospite, e quindi al D. crassicolle. Fasciola Salamandrae Fréòlich : in Naturf. XXIV, st. 119, tab. IV, S-10 | Distoma Salamandrae Zeder: Naturg. d. Eingeweidew. 215. LIE D. crassicolle Rudolphi: Entoz. hist., II, 378; Synops. p. 112 et 380. Dujardin: Hist. nat. d. Helminth., p. 404. Diesing: Syst. Helminth., I, p. 356; Sitzungsb. Akad. Wien. XXXII, 1858, p. 339. Creplin: Wiegmann’s Arch., 1846, p. 147-148. Cobbold: Synops. of the Distomid., p. 18. Stossich: I distomi degli anfibi: Bollett. Soc. Adriat. Sc. Nat o1MMAVaE Braun: Die Thierisch. Parasit. d. Menschen 1895, p. 128, fio. 42. D. enterarchos De Filippi (ined.): Mus. Zool. Univ. Torino. D. Salamandrinae perspicillatae Sonsino: Entozoi della Salam. persp.: Proc. verb. Soc. tosc. Sc. nat. 1896. A dimostrare il mio asserto sull’ identità specifica di dette forme, senza molto dilungarmi, basterà mettere a confronto i caratteri indicati dagli autori pel D. crassicolle e dal Sonsino pel D. Salamandrinae persp. Distomum crassicolle Rud. D. Salamandrinae perspicill. Sons. Juncshdelicorpo ife. 8-4. Pt VR fr 2-S mill Taro ee e) one ERA A AL Corpo colorato in fulvo per le uova Color giallo oscuro nella metà po- nei 5/, posteriori. steriore, salvo all’estremità posteriore. Corpo depresso, ovale. oblungo; Ovale depresso, concavo-convesso all'indietro alquanto ottuso. nella direzione specialmente dell'asse, Tegumento sparso di minutissime Tegumento coperto di spine. spine, lunghe 0 01. $ Ventosa boccale terminale, ordina- V. h. subterminale, un poco più riamente più grande, ad orificio trian- grande della ventrale, golare, od orbiculare. Vent. hocc, um 25 a nn Ventosa ventrale (Omm 20 — Omm 50), anteriore orbicolare. Esofago sottile e lungo Om 23. Due rami intestinali molto brevi, rigonfi al fondo cieco e divergenti; assomiglierebbero a quelli dei Br4- chycocelium. Ghiandole vitellogene situate ai lati del corpo e nella parte anteriore. Testicoli (tre, Dujardin?) bianchi, globosi, situati all'indietro della ven- tosa ventrale. (Vegg. fig. 42 cit. di Braun). Ovidotti ripiegati un gran numero di volte e con uova a guscio di co- lor fulvo. Uova lunghe 0,048 — 0,055. Aperture genitali contigue alla ven- tosa ventrale. (Braun, l. cit., disegna l'apertura e la borsa del pene avanti la ventosa ventrale). Pene piuttosto sottile, ripiegato in una borsa poco voluminosa e posta al lato destro della ventosa (Dujardin). Alla ventosa boccale, segue piccola faringe. Corto esofago. Esofago dividesi in due grossi e corti ciechi intestinali che hanno il fondo a livello della ventosa ventrale. Vitellogeni a grossi acini, laterali, dal livello del bordo posteriore della ventosa ventrale, non raggiungono la faringe. i - Testicoli laterali dietro il livello del limite posteriore della ventosa ventrale; testicolo sinistro un poco indietro del destro. Ovario al dorso ed un poco a si- nistra della ventosa ventrale. Utero con anse piene di uova; occupa la metà posteriore, ed invade. un poco anche la metà anteriore del corpo. Uova lunghe 40 n; larghe 29 p. Orifizi genitali davanti alla ven- tosa ventrale. Cirro non bene distinto e racehiuso in borsa ovale. Dujardin asserisce che il corpo del distoma, durante la vita, si può allungare di molto, il che spiega la differenza nelle misure di lunghezza segnate dagli autori. Alcuni ca- ratteri del Dujardin sono forse poco attendibili, e così egli probabilmente considerò quale terzo testicolo l’ovario glo- bulare, anteriore al testicolo del lato corrispondente, e gli ovaires blancs en cordons saranno state porzioni dell’ovi- dotto vuote di uova. In quanto all'identità fra gli individui 16 del De Filippi e quelli del Sonsino non posso avere più dubbii, avendo potuto mettere a minuto confronto i due tipi i quali corrispondono completamente nei loro carat- teri e riproducono per bene la fieura del Braun; tanto che se dovessi dare la figura del D. Salamandrinae o del D. enterarchos non troverei di meglio che copiare fedelmente quella del Braun. 9. Disromum /Dicrocoelium) peNpRrITICUM Rud. (Fig. 6.4). *udolphi: Synops., p. 93 e 364. Dujardin: Hist. d. Helmin., p. 460. Diesing: Syst. Helm., I, p. 336. Cobbold: Synops. of.the Distomid., p. 22. Carus: Prodr. Faunae mediterr., I, p. 181. Stossich: Distoma dei pesci ecc., pag. 47. È un bellissimo elminto ancora poco noto, giacchè le in- dicazioni più estese che si hanno, sono tuttora quelle da- teci dal Rudolphi, mentre tutti gli altri autori sì limita- rono a riferire la diagnosi fatta dal Diesing. Avendo avuto alcuni esemplari (ex origin.) dal Museo di Berlino, credo opportuno darne la figura ed aggiungere quelle osservazioni che mi fu possibile praticare. Premetto, anche a schiarimento ed a complemento di quanto dirò, la descrizione del Rudolphi, l. cit. : « Entozoa plana, alba, vasis fuscescentibus, rarius oblonga, plerumque ovato-laneeolata, aut lanceolata-ovata, unam cum dimidia, vel duas, rarius tres lineas longa, latissima parte fere lineam attingentia. Pori semiglobosi, mediocres, ventralis major. Pars an- tica angustissima, sensim versus Corpus ampliata, vix quartam totius longitudinis partem sibi sumens. Margines corporis integri; apex posticus aut rotundatus aut atte- nuatus et plus minus acutus. Cirrus in nullo specimine exsertus est, sed pone porum anteriorem macula rotunda opaca illius receptaculum indicat, uti maculae quaedam opacae (pariter tamen albae) majores pone porum ventralem eadem directione obviae ovaria ri sistunt. Vasa triplicia sunt: primum magnum ramosissimum fuscum, fere Jungermanniam tamarisciformem referens, me- diam maximamque corporis partem sibi vindicat; ad latera medii corporis porro vasa minora fusca, pariter ramosissima dantur; inter illa vero a poro antico usque ad finem cau- dalem utrinque vas simplex album cursu andulato exhibetur. A pori antici media parte ad cirri receptaculum vas bre- vissimum rectum et album decurrit, quod maximi fuscì forsan initiam erit, unde illa tria tantum numeravi. » « Maximam speciminum copiam cel. Spedalieri in intestinis Xiphiae gladii reperit et benevole mecum communicavit; ipse duobus in gladiis ne unicum quidem offendi ». Lungh. del corpo 3-6 mill.; largh. 2 mill. Nella descrizione generale, siccome per altro appare dalla figura che unisco, giacchè non fu data da nessuno, si accorda benissimo colla descrizione sopra riportata di Rudolphi. La ven- tosa boccale è sferoidale e misura 0,224 mill. in diametro: ad essa segue una piccola faringe ed un breve esofago, che uguaglia quasi la lun- ghezza della ventosa boccale. L’intestino si bi- forca poco innanzi allo sbocco cloacale, è molto visibile, ampio e flessuoso nel suo decorso fino - all’ estremità caudale. Ventosa ventrale circolare, misura 0,280 ed è quindi maggiore della boccale ; è collocata molto avanti, distando dall’ apice anteriore soltanto mezzo millimetro circa. I testicoli sono due, lobulati, grossi 0,308 circa, sebbene l'anteriore sia maggiore, e sono situati appena dopo l’ ace- tabolo, l'uno dietro l’altro. ‘ L’ovario è bilobo, sta poco all’ indietro dei testicoli, e quindi quasi alla metà del corpo; i vitellogeni formano due grappoli, a grossi acini, ai lati del corpo, ma sono poco allungati, ed infatti cominciano a livello dell’ ovario e pro- lungansi all’ indietro per 0,630 mm. Caratteristiche sono le ramificazioni uterine, spiccatamente dendritiche, per il che fu ben appropriato il nome specifico impostogli dal Rudolphi: formano canali, a color variabile dal giallo al bruno, a seconda della quantità delle nova 1$ contenute, ed occupano tutta la metà posteriore del corpo, formandovi appunto fitte ramificazioni a dendriti. Il canale vaginale portasi all’ innanzi, oltrepassa appena la ventosa ventrale, e sbocca all’ esterno con ampia apertura. Le uova sono ovali; guscio a forte tinta giallo-bruna :; misurano 0,042 in lunghezza e 0,028 in larghezza. Il poro escretore, all’apice caudale, facilmente visibile è preceduto da una dilatazione ovale, larga ed allungata. 10. Disrowum (Brackylaimus) serpentATUM Molin. (Fig. 7.2). Molin: Nuovi Myzelmintha ecc.: Sitzungsber. k. k. Akad. Wien, Bd. XXXVII, p. 830, 1859. Carus: Prodromus faunae mediterr., I, p. 131. Stossich: Distomi dei pesci, p. 54-55. Parona: L’ Elmintolog. Italiana (sistematica), p. 156. Di questo distoma, a quanto mi consta, non fu raccolto che l’unico esemplare trovato dal Molin (Padova, 8 aprile 1859) nell’intestino del Sayrîs Camperii (= Scomberesox Rondeletti), che servì all’ autore per la descrizione della nuova specie, ben distinta dal D. gobulus per la forma del corpo e della ventosa. Riporto per intero la diagnosi del Molin, alla quale posso 3 aggiungere alcuni dettagli e la figura, avendo io pure ri- scontrato un unico esemplare nell’ospite succitato (Genova 7 luglio 1890). | « Corpus inerme, teres, retrorsum attenuatum, apice po- steriori obtuse-truncato; os subterminale anticum; collum breve, conicum, inferne inflexum; acelabulum sphaericum, ore multo majus. ad colli basim, prominulum; apertura genitalis oris propinqua; A us escretorius ini sso, Longit. 0,005; crassit. 0,001 » Lungh. del corpo 6 mill.: Lai Te Fra i particolari sopra segnalati dal Molin è notevole l’ estremità posteriore che è troncata. La ventosa boccale è ovale, larga, 0,308, lunga 0,350; bulbo esofageo contiguo alla ventosa; intestino tipo brachylaimus è poco distinto. La ventrale, alquanto prominente, è grandissima e circo- 19 lare, con un diametro di 0,616 e dista di poco dall’ estre- mità anteriore, cioè di quasi un millimetro. I testicoli sono due, grossi ed ovali, il cui dia- metro maggiore giunge a 0,518: situati Y uno dopo l’ altro, precedono di poco l’ovario. Si os- serva un larghissimo deferente, che scorre con andamento sérpentino parallelamente all’ovidotto, e sbocca con esso alla cloaca. ;‘l L’ovario è grande (0,448), situato al terzo po- | steriore del corpo; vitellogeni ramosi, laterali, ma poco allungati. Ovidotto a spira larga, che dirigesi all’ indietro, e poi rivolgendosi all’ a- vanti, a livello dei testicoli, presentasi quale canal vaginale rettilineo, che si spinge fino a livello del bulbo esofageo, ove sbocca con larga aper- tura cloacale. Uova abbondantissime, giallastre con diametro longitud. di 0,042 e trasvers. di 0, 014. Il Molin disse d’ aver voluto chiamare questo distoma col nome di serpentatum, perchè le ovaia traspaiono attraverso il corpo come una linea rossastra serpentata; ma a vero dire piuttosto che quelle è il deferente che ha andamento serpentino. Questa specie potrebbe anche essere aseritta al gruppo dei Cepha- logonimus. biongi Genova. Maggio 1896. FEB 9 “227 BOLLETTINO DEL NUSRI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N° 51. /3,204 | 1896. G. CATTANEO Le gobbe e le callosità dei cammelli, in rapporto alla que- stione dell’ ereditarietà dei caratteri acquisiti. Mentre i naturalisti continuano a discutere in vario senso sul problema dell’ereditabilità dei caratteri acquisiti, ì tec nici e gli allevatori danno la questione come risolta per gli animali domestici, nel senso che i caratteri acquisiti sono spesso ereditarii (!); e ai loro asserti non si può negare attenzione, perché l'allevamento è un’ esperienza biologica, per quanto inintenzionale, fatta sun grande scala e per lun- ghissimo tempo, e quindi ben più importante di quelle che su tale argomento si possono istituire nei laboratorii. Ho voluto perciò dare uno sguardo alla storia di alcuno tra gli animali da più antico tempo domestici, per cercare qualche fatto che testimoniasse con evidenza nella contro- versa questione; e, tra le particolarità anatomiche osser- vate, due specialmente mi si presentarono degne di con- siderazione: le gobbe o la gobba dorsale dei cammelli e dei dromedarii, e le callosità che questi animali presentano alle ginocchia e allo sterno. Su questo argomento si era già espresso con molta lucidità il Buffon (?), il quale dice: « Sotto al petto, sullo sterno, vè una grossa e larga callosità, dura al pari del corno, e di simili ve ne sono a tutte le giunture delle gambe, e (!) Il Sanson, (Z'héredite normale et pathologique, 1893, p. 32) dice apertamente : « S’il est vrai que toutes les modificat'ons survenues chez l'in- dividu sous des influences connues ou inconnues ne sont point transmis- sibles à sa déscendence, il est pourtant incontestable que bon nombre d’entre elles montrent qu’elles sont douées de la puissance héréditaire. L’obser- vation le prouve tous les jours, et la notion de ce fait, solidement établie, est d’ailleurs lune des bases essentielles de la zootechnie ». Dello stesso parere è Wicckens, in Die Vererbung erworbener Figenschaften ece. Biolog. Centralblatt, Vol. XIII, 1893. (*) Burron, Storia naturale. Venezia 1788, vol. XXXI, pag. 95-97. benchè tali callosità si trovino in tutti i cammelli, chiara- mente apparisce ch’ esse non sono già naturali, ma prodotte dall’eecesso del costringimento e del dolore, poichè spesso trovansi piene di marcia ; il petto e le gambe sono dunque difformate da queste callosità; il dorso è ancora più sfigu- rato dalla doppia o semplice gobba; sì le callosità che le gobbe colla generazione si perpetuano:; e siccome egli è evidente che questa prima difformità non proviene che dal- l'abitudine, per cui codesti animali vengono costretti, appena nati, a giacersi su lo stomaco colle gambe ripiegate sotto il corpo, e a portare in tal situazione, in un col peso del corpo loro, altri di cui si caricano a bella posta (*), si dee similmente presumere che la gobba o le gobbe del dorso non abbiano avuto altra origine che la compressione dei pesi stessi, i quali, inegualmente premendo certe parti del dorso, avranno fatto rilevare la carne e gonfiare il grasso e la pelle, giaceh3 queste gobbe non sono ossee, ma sola- imente composte d'una sostanza grassa e carnosa; laonde le callosità e Ie gobbe saranno egualmente riguardate quali difformità prodotte dalla continuazione della faticare dalla violenta positura del corpo: non essendo da prima state che accidentali e degli individui, sono poi divenute eene- rali e permanenti nell’ intera specie ». Questa supposizione, esposta oltre un secolo fa dal Buffon, è degna di nota; e ad essa diede una consistenza obbiet- tiva il Lombroso (?). paragonando la gobba del cammello e dello zebù e i cuscinetti adiposi delle ottentotte ai lipomi dei facchini. Egii ricorda le notizie date da Tardieu, Layet, Bachon, Vernois, Billroth, Fischer, Berutti sulle alterazioni prodottesi nella pelle, nel connessivo sottocutaneo, nei mu- scoli, nelle ossa in seguto a pressioni e irritazioni locali; 1) Allude all’usanza citata nel Voyage de Tavernier, vol. I, pag. 161, che al cammellino neonato gli Arabi usino piegare le quattro zampe sotto il ventre e coprire il dorso fino a terra con un tappeto, sugli orli e sul mezzo del quale mettono pietre pesanti, onde quello non possa alzarsi ; e lo lasciano in questo stato per quindici o venti giorni, per avvezzarlo a stare inginocchiato. . () C. Lomproso, Sur le lipome des portefaix, la steatopygie des hotten- totes et la bosse des chameaux et des zébus. Bulletin de la Société d’an- thropologie de Bruxelles. Vol. IL fasc. 3.0 1884. "a FEB 9 1897 w notevoli sopratutto un lipoma che s'era sviluppato sul petto d’un maestro di scherma, nella regione ove riceveva soli- tamente i colpi di fioretto, e le ossificazioni del deltoide nei soldati di fanteria (in quel punto della spalla su cui preme il fucile) e dei muscoli della gamba dei soldati di caval leria (il così detto « osso dei cavalieri »). Inoltre il Lom- broso rende conto delle sue interessanti osservazioni su oltre cento facchini, in cui trovò frequentemente, alla re- gione del collo e del dorso, ispessimento di tessuti, iper- trofia del connessivo sottocutaneo, callosità, lipomi, ver- ruche, accrescimento della pigmentazione e dei peli e per- fino, circa nella metà dei casi, allungamento delle apofisi spinose delle vertebre. La connessione evidente tra tali al- terazioni e tumori e la pressione e irritazione esercitata a lungo sulla parte, conduce il Lombroso al minuto raffronto coi tumori, dirò così, fisiologici, del cammello, dello zebù e delle ottentotte, pei quali si possono accampare cause efli- cienti dello stesso genere di quelle che produssero i lipomi dei facchini: tali sarebbero per le ottentotte l’uso di portare i bambini sulle natiche (!), per lo zebù la pressione del vioco e pel cammello quelle del basto e del pesantissimo carico. Nell'ipotesi del Lombroso è implicita l’idea ch» queste al terazioni siano ereditarie; egli .però non si occupa espres- samente della questione e in qualche punto accenna anche all’azione della selezione artificiale. Ond’è ch'io vorrei ora considerare lo stesso argomento, o almeno la parte che riguarda le gobbe dei cammelli e le loro callosità, dal punto di vista dell’ ereditarietà dei caratteri acquisiti: perchè i biologi neodarwinisti (?) potranno bensì consentire col Lombroso in ciò, che anatomicamente e istologicamente i () L’ interpretazione del cuscinetto delle ottentotte come una sorta di « lipoma professionale » era già stata data dal Lombroso fin dal 1870 nel suo libro: Z'uomo bianco e l'uomo di colore; al suo sviluppo contribuisce però certamente la selezione sessuale, essendo la steatopigia considerata dagli ottentotti, caffri, bongos ecc. come un carattere di bellezza. (2) Così chiamo, secondo l’uso, gli avversarii dell’ eredità progressiva, pur trovando il termine improprio, perchè se Darwin diede importanza predominante alla selezione, non negò mai l' ereditabilità dei caratteri acquisiti. i 4 tumori e i calli dei facchini sono simili aile gobbe e alle callosità dei cammelli; ma osserveranno che non vi è al- cuna prova dell’ereditabilità dei primi, mentre le seconde sono ereditarie, e, come tali, non possono rappresentare un carattere acquisito per l’uso e divenuto specifico. Pei neo- darwinisti le spiegazioni sull’origine delle gobbe e callosità dei cammelli non potrebbero essere che due: o selezione degli individui meglio dotati di tali caratteri. dato che questi siano utili, o alterazione dovuta bensì all’ uso, ma individuale, non ereditaria, e che è generale solo in quanto tutti gli individui sono assoggettati alle stesse cause pro- duttrici. Per risolvere la prima parte del dilemma, cercai atten- tamente in tutti i libri che ebbi a mano, relativi alla storia dei cammelli, se questi fossero 40 arnligquo e siano tuttora sottoposti a una selezione artificiale, con lo scopo espresso di conservare e accrescere la gobba dorsale; ma nessun cenno relativo a ciò mi fu dato trovare. Si usa bensi, in alcuni paesi, una cernita nella riproduzione dei cammelli, ma solo avendo riguardo alla loro forza e snellezza e alla rapidità del corso. Una selezione accurata è fatta dal no- madi Tuareg del Sahara « i quali sono così diligenti nel- l'allevamento del Mahari (dromedario da corsa), quanto è l'arabo in quello dei cavalli: gli alberi genealogici sono trasmessi, e molti dromedarii vantano una genealogia assai più lunga che i discendenti dell’arabo Darley ». Così Tri- stram, riportato da Darwin {!). Però, se in questa selezione v'è qualcosa che riguardi la gobba, si può dire che si tratta di una selezione negativa, poichè il Mahari non solo non ha una gobba più sviluppata di quella degli altri drome- darli, ma « ha sul dorso una così piccola protuberanza, che quasi non oltrepassa il garrese; gli arabi perciò lo dicono cammello senza gobba » (*). E infatti non si com- prende quale vantaggio potrebbe ricavare l'allevatore dallo (!) H. B. Trisrram, Z%e great Sahara 1860, pag. 258. — C. Darwin, Variazione degli animali e delle piante allo stato domestico, tradotto da G. Canestrini. (?) L. Lomparpini, Dei cammelli ed in ispecie di quelli custoditi nelle cascine reali di S. Rossore, pag, 16. Annali delle Università toscane. Pisa, 1879. sviluppare una protuberanza, che, se voluminosa oltre mi- sura, è piuttosto di incomodo, che di vantaggio nella bar- tatura e nell’ imposizione del carico, che non presenta va- lore come materia alimentare, ed è spesso soggetta a ma- lattie (')- Anche i turcomanni, invece di cercare l’accresci- mento delle gobbe, ne amputano una, e procurano, con gli incrociamenti, di ottenerne una sola invece di due. Non vi sono quindi prove per ammettere che la gobba lei cammelli siasi sviluppata in seguito a selezione artificiale. Si potrebbe però pensare che al suo mantenimento abbia contribuito la selezione naturale, poiché tale protube- ranza contiene, oltre a tessuto connettivo, anche dell’adipe, e questo viene in parte riassorbito durante periodi lunghi di digiuno, talchè nei cammelli assai dimagrati anche la gobba diminuisce di volume. In quest'amm isso di materiale di riserva sì potrebbe vedere un caraitere utile, che, nei ‘asi di penuria, agevoli la sopravvivenza ai meglio forniti. Tale ragionamento soddisferebbe, specialmente se si trat- tasse di animale allo stato di natura ed esposto completa- mente alla lotta per la vita: si tratta invece di un animale domestico, del più antico animale domestico, fornito di nu- trim:nto dal padrone, il quale ha tutto I interesse a non perder un oggetto che rappresenta per lui il più grande valore. Se le selezion» naturale avesse operato in modo da sviluppare la gibbosità, dovremmo trovarne meglio fornite le forme selvatiche della famiglia dei camelidi e i cammelli stessi rinselvatichiti. Invece i camelidi d’ America, tra cui il suanaco e la vigogna allo stato selvaggio, mancano di questo supposto materiale di riserva, sebbene vivano su monti aridi e in altipiani poco ubertosi. Cammelli selvaggi, o meglio rinselvatiehiti, esistevano ed assistono nei deserti dell’Asia centrale, usando i calmucchi, dare la libertà agli animali domestici, quando più loro non servano; il Ritter, sulla fede di Hadschi Chalfas, geografo turco del secolo XVII, nota che nel Turchestan orientale si dava loro la caccia, e il Prejevalsky, nei suoi viaggi in (!) Il Lombardini (op. cit.) dice che la gobba dei cammelli va spesso s0g- getta a piaghe, flemmoni, indurimenti e degenerazioni, e qualche volta fors'anche ad affezioni cancerose (Vallon). 6 Mongolia, uccise, circa vent'anni or sono, due di tali cam- melli vicino a Lob-Nor. Orbene, se la gibbosità fosse favo- rita dalla selezione naturale, questi cammelli selvaggi, più dei domestici soggetti alla concorrenza vitale, in luoghi sabbiosi e brulli, dovrebbero averla meglio di essi svilup- pata. Invece si nota precisamente il contrario ; gli individui osservati dal Prejevalsky avevano una gobba piccola, una metà appena del normale; in quelli di cui parla il Ritter, essa era « appena visibile » (1). Ci manca dunque qual- siasi prova sicura per asserire che le gibbosità dipendano dalla selezione naturale; e, ammettendo anche l’ utilità di queste riserve adipose, non sì comprende perchè non siano rimaste diffuse nel tessuto sottocutaneo, come in tanti altri animali, ma nel cammello siansi localizzate al dorso, pro- prio in corrispondenza al luogo ove si poneva il carico. Tale coincidenza è per lo meno strana. Rimane a vedersi se la gibbosità non possa essere un carattere individuale, che si sviluppa bensì per la pressione del carico negli animali che lavorano, ma non è trasmissi- bile. Se così fosse bisognerebbe constatare che i cammelli neonati sono privi di gobba, e l’assumono solo da che co- minciano a lavorare; e che gli individui da corsa e i sel- vaggi, 1 quali non portano carichi, non la posseggono mai. Invece il Lombardini osserva che, mentre manca la gibbo- sità in embrioni lunghi 160 millimetri, indizii di essa co- minciano a scorgersi quando l’ animale raggiunge. i 260 millimetri; il neonato ha già una gobba distinta che di- viene simile a quella dell’adulto alla fine del primo mese di età, e prima, naturalmente, che il cammello abbia lavo- rato. Quanto ai cammelli selvaggi e a quelli da corsa, già vedemmo che sebbene la loro gobba sia assai piccola, pure ve n’è sempre qualche traccia. Si tratta dunque, indubbia- mente, di un carattere trasmissibile per eredità. Rimosse le obiezioni possibili dal punto di vista neodar- winistico, occorre dare uno sguardo alla storia del cam- mello, per vedere se la soluzione dell’eniema non riuscisse più chiara nel senso lamarckista. Anzitutto sarebbe impor- (!) Nel senso lamarckista, il diminuire della gobba nel cammello da corsa e in quello rinselvatichito sarebbe un etfetto del disuso. Lt . tante conoscere se la forma originaria selvatica a cul ri- monta il cammello domestico avesse o no le gibbosità; ma la schiavitù di questo ruminante rimonta a così antico tempo e fu operata su un’area così vasta, che più non esiste la forma selvatica, e le orde libere dell’Asia centrale sono ormai da tutti ritenute come discese da forme domestiche. Tuttavia si conoscono gli scheletri fossili di animali, a cui rimontano i camelidi presenti; e questi fossili appartengono al pliocene dell’India Settentrionale (Camelus siralensis) e al miocene dell’America del Nord (Procamelus) (!). i La connessione tra queste e altre forme fossili affini, c tra esse e i camelidi viventi sì nell’antico che nel nuovo con- tinente, dimostra la diretta affinità tra i cammelli e le auchenie (2); e più precisamente parrebbe che il Proca- melus dell'America settentrionale, antenato dell’Auchenia, sia poi passato nell’Asia per le regioni nordiche, e ivi abbia originato il Merycotherium sibiricuimn, che è la specie più affine al cammello, se pur non è semplicemente l’originaria forma selvatica dello stesso. Ora, siccome le auchenie sono prive di gipbosità, e nelle apofisi spinose dei fossili non fu- rono notate quelle ipertrofie che nel cammello stanno in rapporto con la gobba, pare doversi concludere che gli an- tenati del cammello domestico erano privi di gobba, e che questo carattere è realmente, come supponeva il Buffon, un segno della lunga schiavitù. È interessante, a questo proposito, l’osservare, in un di- segno dell’opera di Layard su Ninive e Babilonia, riportato dal Lomb.rdini, come nel cammello antico la gobba sembri più bassa che non sia al presente. Che poi la domesticità abbia potuto influire in modo da produrre due diverse forme di cammelli, l’una con una sola gobba, o Camelus dromedarius, l’altra con due gobbe, 0 Vamelus bactrianus, è ormai sufficientemente chiarito, dopo le lunghe discussioni che furono fatte su queste argomento. (1) Cope, Ze phylogeny of the Camel. Proceed. ot the Acad. of Nat. Sc. of Philadelphia, 1875. Cfr. LomBroso, op. cit. pag. 10, e LomBARDINI, 0p. cit., pag. 47-50, e 107-109. (2) Confermata del resto dalla comunanza di due disposizioni singolaris- sime tra i mammiferi : le celle acquee dello stomaco e i globuli rossi el- littici. Do Uome già aveva intuito il Buffon, e come con grande copia di argomenti ha dimostrato il Lombardini, il cammello bat- triano e il dromedario non costituiscono due specie distinte, Ina sono semplici varietà, con gradi intermedii insensibili. Queste varietà, a una e a due gobbe, si accoppiano tra di loro, dando origine a meticci, che costituiscono alla loro volta delle ‘sub varietà. ora con una, ora con due gobbe più o meno distinte (!); e i meticci sono indefinitamente fe- condi (?). Pare poi accertato che il cammello a due gobbe sia più antico del dromedario, il quale da esso deriverebbe; poichè, come dice il Lombardini, davanti alla grande gobba del dromedario s’osserva spesso, tanto nell’adulto che nel- l'embrione, una piccola gobba rudimentale; « allora la su- (4) « Le varietà del cammello nell’ Anatolia sono parecchie, e non tutte da potersi rapportare all'una o all'altra delle due forme tipiche, unigibba e bigibba; per centrario alcune sono il prodotto del miscuglio d’entrambe. Tra esse varietà, la più importante, non fosse altro per numero d’individui, è quella formata dal cammello bigibbo proveniente dalla Crimea e dalla cammella araba. Burckhardt che ricorda questa forma meticcia non dice chiaro s'ella abbia gibbosità semplice o doppia: nè io ho potuto avere tra mano l'opera originale di questo illustre viaggiatore, sibbene la traduzione che ne da Eyries, a tenore della quale parrebbe si dovesse credere che essa forma presenta una sola sporgenza dorsale I turcomanni ne posseggono anco un'altra, la quale nasce dal loro cammello comune e dalla cammella araba; ma è debole, quindi mal propria alla fatica; la viene denominata Kufurd. Con i cammelli comuni ottenuti nel modo gia detto, è prodotta una terza forma di questi animali, che sono chiamati délz, cioè matti, perchè sì conservano sempre intrattabili. Inol re, congiungendo il cammello con duplice gibbosità alla cammella turcomanna, si ottengono colà i #4, piccoli cammelli con fattezze regolari, ma con doppia gibbosità poco appariscente. I turcomanni sogliono tagliarne una, appena che i cammellini così ot- tenuti vengono alla luce, e ciò fanno perchè loro sembra che una sola spor- genza dorsale li renda meglio acconci al lavoro..... finalmente il cammello turcomanno, conosciuto dai viaggiatori sotto il nome di Maza, nasce da padre bigibbo, e da madre della varietà comune del paese ». LomBARDINI, Op. Cilia7=28. l (£) « Nel Turan, secondo le osservazioni di Eversmann, vi sono tre sorta di cammelli, che, unendosi tra loro, danno prodotti fecondi. Le si distin- guono coi nomi di Ar, Nar e Zuk. Lair è il cammello battriano con gib- hosità doppia, pelo lungo e lanoso. Il nair raffigura il cammello comune e volgare, ma se ne distingue per avere il pelo lungo. Infine il luk ha la gibbosità semplice, ma è più grosso degli altri due, e differisce anco per- che il suo pelo é lanoso, morbido, corto, ricciuto e assai scuro. Il luk è proprio soltanto della Bucaria, la quale, tra i due estremi nord-est e sud- perficie del dorso è come se ad un cammello battriano si avesse escisa regolarmente buona parte della gobba ante- riore, ed in cui |’ altra si fosse un poco allungata verso quest’uliima. » (loc. cit. pag. 112). Questa frase richiama alla mente l'usanza dei turcomanni, di amputare una delle gobbe ai cammellini neonati; usanza che ha forse un alto si- gnificato nel passaggio dal cammello bigibbo all’ unigibbo. In conclusione, poichè le specie selvatiche dei camelidi o tilopodi non hanno gobba, e la formazione di questa non st può spiegare con la selezione o come carattere pura- mente individuale, nè si dà il caso di altri animali allo stato di natura che presentino siffatte escrescenze, si è in- dotti col Lombroso a classificarle tra i « tumori professio- nali », acquisiti nella domesticità per la pressione e 1’ ir- ritazione esercitata, in un grandissimo numero di genera- zioni, su una o due regioni del dorso (secondo il modo di bardatura), e divenuti ereditarii e stabili nella specie ; mantenendosi essi col continuare dell’ uso, e di mano in mano regredendo in caso di disuso. Se non si ammette l’ ereditarietà dei caratteri acquisiti , par difficiie esplicare il caso del cammello secondo la teoria evolutiva. Qui naturalmente si presenta in’ obbiezione: perchè la imposizione di carichi sui cammelli avrebbe dovuto deter- minare la formazione di tumori, mentre lo stesso risultato non si ebbe nel lama, che pur serve come bestia da soma, nonchè nel cavallo e nell’asino? Ma, oltre che il cam- mello è domestico da tempo assai più antico dei citati ani- mali, e gli si Impongono pesi relativamente assai più gravi (al lama, che viaggia tra le montagne, non si dà un carico superiore al mezzo quintale), è necessario osservare che la reattività dei varii organismi agli agenti esterni non è sempre est, offre il maggiore numero di varietà intermedie di animali. Eversmann dice, parlando delle forme secondarie qui indicate, che nel marzo e nell’a- prile s' uniscono il cammello battriano e la cammella comune; ed i cam- melli della terza forma tra loro; i prodotti degli uni e degli altri sono fe- condi, e quindi si moltiplicano. Egli aggiunge poi un’ avvertenza impor- tantissima, cioé che non sì può stabilire innanzi se i prodotti di cosiffatti miscugli di razze avranno una gibbosita o due. Immer sind sie bastarden, |, und nicht von reiner Art. » Lowsarpini, loc. cit., pag. 30. 10 la stessa. In alcune delle nostre razze bovine l’uso del giogo sul collo non determinò cambiamenti sensibili, mentre in altre si nota un* ipertrofia delle prime vertebre dorsali, e nello zebù la massa adiposa, che nei nostri non si è svi- luppata. Del resto i lipomi e i calli professionali non si producono in tutti i facchini, ma specialmente in alcuni di essi. Per quanto poi riguarda gli equini, non è sconosciuto il caso di produzione di tumori in seguito alla pressione del basto. Talvolta i cavalli hanno rialti adiposi nei punti ove la sella esercita maggior pressione, e un vecchio asino della Pantellaria, per quanto seppi testè , li presenta svi- luppatissimi. Ma più notevole è il fatto descritto nel 1888 dal prof. Fogliata (!), di un’ asina dell’ Appennino toscano che aveva servito lungamente al basto, e che « alla regione dorsale e ai lati sopra le costole presentava un notevole rialto, molle, adiposo, della forma e dell’ estensione dell’ im- pronta di un ordinario basto da montagna ». Da questa asina, accoppiata con un asino comune, nacque un’asinella che « ha la stessa particolarità della madre ; il guancialetto adiposo che riveste il dorso e che arriva fin quasi alla metà lun- chezza delle costole, ha lo spessore non inferiore a 5 centi metri: esso ha un contorno netto, i suoi confini terminano a picco; è una massa adiposa che direbbesi distinta, è un vero lipoma, certamente identico a quello descritto da Lom- broso producentesi nei facchini; ha la stessa natura della gobba del cammello; subisce maggiore o minore sviluppo secondo del erado di nutrizione dell'animale; esso è stato positivamente prodotto dalla compressione esercitata sul dorso dal basto. Anche il pelo su tutta 1 estensione del lipoma è più lungo e fitto, ciò che pure si accorda con le osservazioni del Lombroso sui facchini che hanno il lipoma coperto di peli, e colla gobba del cammello, che è coperta da fitta e lunga lana. L’interessante è che quest’asinella non ha mai servito a basto e che questa sua particolarità ha ereditato interamente dalla madre sua, la qual cosa prova indiscutibilmente che cotesto carattere acquisito, per (4) G. FoGLiara, (Guanciali adiposi dorsali ereditarii, osservati in un'asina. (rioruale d' ippologia, 1888. ìl effetto di compressione sul dorso, è diventato carattere ere- ditario ». Se tutti i fatti citati finora sono inesplicabili quando non si ammetta l’ereditarietà dei caratteri acquisiti, ve ne sono altri in cui l’evidenza è ancora maggiore; alludo alle cal- losità dei cammelli e dei dromedarii. È noto che questi animali hanno acquistato | abitudine di inginocchiarsi al comando dv loro conduttori per farsi imporre e togliere il carico, e ripetono più volte al giorno quest’ esercizio per tutta la loro vita. Ond’è che in tutti i punti del corpo che toccano e premono il suolo nella posizione prona si sono sviluppati dei calli, evidentissimi specialmente al cosidetto « ginocchio anteriore » (articolazione radio-carpale), alla erascella (articolazione tibio-femorale), oltre una larga pia- stra in corrispondenza allo sterno. Sono calli simili a quelli che si formano in qualsiasi animale e nell’ uomo stesso sulle ‘regioni della cute abitualmente soggette a pressione e stro- finio, e che costituiscono una sorta di segno professionale. E sono talmente considerati come alterazioni dovute al modo di vita, che generalmente i sistematici non li notano tra i caratteri specifici, e il Lombardini, nella sua monografia del cammello, non ne fa cenno a proposito dell’ anatomia lei tegumenti. Che non siano caratteri specifici è provato anche dal fatto che il Prejevalsky, il quale catturò e osservò cammelli selvatici o rinselvatichiti. non trovò callosità alle loro « ginocchia ». Per la questione dell’ eredità dei caratteri acquisiti era importantissimo verificare se questi calli sono ereditarii ; e l'osservazione decisiva doveva consistere nell’ esaminare cammellini neonati o di pochi mesi, e quindi naturalmente ron ancora assoggettati al lavoro, per vedere se presentano traccia di questa ipertrofia della cute. Perciò mì rivolsi al- l’egregio dott. Fogliata di Pisa, il quale, dopo aver visitato al parco di S. Rossore i cammellini nati quest'anno, e che avevano da uno a tre mesi, mi riferì che al momento della nascita essi presentano il pelo sì alla regione sternale, che al ginocchio e alla erascella; ma dopo pochi giorni il pelo cade in corrispondenza allo sterno, dove si appalesa la piastra cornea, che è poi permanente: tutti i cammellini osservati avevano tale piastra più o meno ampia e priva 12 £ # di peli. Al ginocchio e alla grascella avevano ancora il pelo, ma sotto di essa si sentiva il cuoio ingrossato e in- durito (1). i Dunque le callosità dei cammelli sono ereditarie, e assai precocemente. Ho esteso le mie osservazioni ai camelidi americani ; e nella spoglia del lama che esiste al Museo Zoologico del- l’Università di Genova trovai evidenti le callosità, prive di peli, sì al « ginocchio » che alla grascella; mentre tali regioni mi si presentarono prive di calli e coperte normalmente di pelo nel guanaco che vive alla Villetta Di Negro (Genova). Quando si pensi che il suanaco rappresenta la forma sel- ‘vatica del lama, e che questo viene adoperato quale bestia da soma, appare evidente il significato di tale reperto. Il ricordare questi fatti relativi ai camelidi, e favorevoli alla ereditabilità dei caratteri acquisiti, potrebbe parere inutile dopo le osservazioni del Buffon, del Lombardini, e del Lombroso; e invero, una diecina d’anni fa, questo mio lavoro sarebbe stato superfluo. Ma poichè una scuola di biologi, fondandosi su concetti teorici e ipotesi schematiche, non vuole tener conto di constatazioni mille volte ripetute, che fanno parte dell’ esperienza dell’ umanità e sono con- fermate dalla zootecnia, mentre nel campo embriologico, ai fatti che si accampano come favorevoli alle nuove idee se ne aggiungono ogni giorno altri che sono con esse incon- ciliabili, credo non inutile un richiamo all’ osservazione schietta dei fenomeni più ovvii e famigliari, temendo che, a forza di- cavillare e sottilizzare in astratto, diventi dif ficile comprendere anche ciò che, a mente non prevenuta, torna evidente per tutti. (Genova, giugno 1896. (!) Ringrazio seut:tamente il prof. G. Fogliata delle preziose informazioni che ebbe la gentilezza di favorirmi. Si noti che i cammelli di S. Rossore lavorano al trasporto della legna dai boschi. Genova, Tip. Ciminago Vico Melo, 7. °°" oLLBTTINO DRI NUSHI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITA DI GENOVA N° 52. /4, Loy 1896. — VINCENZO ARIOLA Sopra alcuni Dibotrii nuovi o poco noti e sulla classificazione del gen. Bothriocephalus. (Tav. IV). JE 1. BorHRIOCEPHALUS LABRACIS Duj. (fig. 1 e 2). Bothriocephalus labracis Dujardin (13) p. 613 — Stos- sich (33) p. 10. Dibothrium labracis Diesing (10) p. 595 e (II) p. 243. Nella breve e incompleta descrizione che il Dujardin dà per:questo dibotrio del labrace, esprime il dubbio che esso non costituisca una specie a sè distinta, ma che possa es- sere riunito a qualcun’altra di quelle che vivono nei pesci, | quando esse siano meglio conosciute. Il Diesing perciò, nel « Systema Helminthum » colloca il 8. ladracis tra le specie inquirendae; ma più tardi, lo stesso autore, avendolo po- tuto forse osservare, e trovarvi caratteri specifici distinti, nella « Revision » (11) lo considera come specie buona. Anche lo Stossich (33), che riscontrò questo botriocefalo pure nel pesce spinola a Trieste, lo riguarda come specie indipendente. — A Genova ne furono trovati esemplari dal prof. Parona nello stesso ospite; e con questi ho potuto studiarlo e ripro- durne. il disegno; onde a complemento delle poche notizie date dal Dujardin, espongo qui sommariamente il risultato delie mie osservazioni. Le scolice è oblungo, quadrangolare , troncato anterior- mente; in qualche esemplare si mostra un po’ rigonfiato verso la parte superiore: misura 2-3 mm. in lunghezza, con una larghezza massima di mm. 0,63 e minima di 0,42. (Du- jardin dà come lunghezza mm. 3-3,6 e larghezza 1-1,2: Stossich: lunghezza mm. 3 e larghezza 0,75). I botridii sono dorsoventrali, lunghi, aiquanto aperti e profondi. Il collo manca e le prime proglottidi sono subtrapezoidali con gli angoli posteriori sporgenti. Allargandosi insensibilmente lo strobilio, esse diventano rettangolari, con gli angoli arrotondati. La massima lar- ghezza, che è di 3 mm., si riscontra a 10 cm. distante dallo scolice; poi essa subisce una lievissima diminuzione, e nella parte terminale è ridotta a 2 mm. In questo cestode, le proglottidi asessuate del primo tratto sono più lunghe delle mature; così, mentre le an- teriori misurano oltre mezzo millimetro, quelle del massimo diametro e le terminali si mostrano appena come finissime striature. Gli organi genitali appaiono maturi piuttosto lontano dallo scolice (verso i 13 cm.) e sono costituiti da un gruppo unico in ogni ploglottide: hanno sbocco laterale. Il pene e la vagina mettono all’esterno per mezzo di una cloaca unica, circolare: il pene sta superiormente, la vagina al disotto. Quello è sottile, quasi cilindrico, clavato all’ estremità; è lungo p 89, ed è contenuto in una tasca, la quale misura u 186 in lunghezza e w 64 trasversalmente nel diametro maggiore. I testicoli osservati per trasparenza sono disposti da una parte e dall’ altra della linea mediana longitudinale. Hanno forma e grandezza diversa: generalmente sono globulari, ma si presentano anche allungati e talvolta poliedrici. Il loro diametro è di p 67. La vagina è formata da un grosso canale, parallelo alla tasca del pene, e va restringendosi verso 1’ interno della proglottide, dove si ripiega e si ravvolge. Le uova sono raccolte in una massa unica, la quale sì mostra ora da una parte, ora dall’altra della linea mediana longitudinale degli anelli. Queste uova sono poco numerose, anche in una ploglottide terminale completamente matura ; hanno forma ellittica, non presentano opercolo e misurano u. 74 in lunghezza e 45 in larghezza. La loro uscita sì fa per mezzo di un’ apertura uterina, che sbocca nella faccia opposta a quella in cui è la cloaca genitale. I vitellogeni sono disposti nel parenchima al disotto dello strato muscolare subcuticolare. FEB 9 1897 Del sistema escretore si vedono due vasi longitudinali per ogni lato. I corpuscoli calcari sono molti e sparsi per tutto il corpo. Lunghezza totale fino a 33 centimetri. Habitat: Labrax lupus: intestino. Genova (Coll. C. Parona). 2. BorHRIOCEPHALUS ANGUSTATUS Rud. Bothriocephalus angustatus. Rudolphi (31) p. 139 e 476 — Dujardin (13) p. 614 — Carus (7) p. 120 — Parona (26) p- 320 — Stossich (35) p. 169. Bothriocephalus affinis, Leuckart (16) p. 4l. Dibothrium angustatum, Diesing (10) p. 594 e (11) p. 240. Avendo potuto studiare questo cestode, aggiungo qualche breve cenno in proposito. Le uova sono ellissoidali: hanno contorno molto sottile e non presentano opercolo. Misurano vu 70 nel diametro lon- gitudinale e 51 nel massimo trasversale. Lunghezza totale del verme cm. 8,5-9; larghezza mm. 0,9. Habitat: Scorpaena porcus: intestino. Apr. 1881. Ca- gliari. Il Diesing e più tardi il Carus esprimevano il dubbio che questo dibotrio potesse essere una varietà del B. punc- tatus. Osservo che esso tanto per le dimensioni del corpo, quanto per i caratteri dello scolice nulla ha di comune col D. punctatus, che ha una lunghezza totale di circa 50 cm., e quindi costituisce una specie propria, quale appunto l’hanno ritenuta il Rudolphi, il Parona, ed altri elmintologi. 3. BOTHRIOCEPHALUS MINUTUS n. sp. (fie. 3-5). Negli intestini di una gran quantità d’individui di Sy7- gnatus acus (1) riscontrai dei piccoli cestodi vivi. Alla ispe- zione microscopica, vidi che essi erano del gruppo dei di- botrii, e che per la disposizione delle aperture genitali do- vevano essere ascritti al gen. Bothriocephalus, s. s. Inoltre (!) Erano più o meno digeriti, nello stomaco di un Brama Rayi, dal quale erano stati inghiottiti. 4. constatai trattarsi di una nuova specie non avendoli potuto riferire a nessuna di quelle finora conosciute. Lo scolice è piccolissimo, e ad occhio nudo non lo si di- stingue dal restante del corpo: costituisce la parte più sottile del cestode, per cui questo termina anteriormente a punta acuminata. Ingrandito, sì mostra di forma quasi ovale, poco più lungo che largo, troncato all’ apice e con una piccola concavità alla parte terminale; è lungo mm. 0,28. Le bo- trie sono dorsoventrali; non grandi, ma discretamente pro- fonde, si estendono dall’apice fino a mezzo lo scolice, ed hanno forma ovoidale. Il collo manca, e lo strobilio comincia immediatamente dietro il capo. I primi anelli, larghi quanto la base dello scolice, sono piani e con gli spigoli arrotondati; man mano gli angoli posteriori si fanno sporgenti. A 2 mm. dallo sco- lice le proglottidi diventano perfettamente trapezoidali, negli ultimi 10 mm. sono subquadrate e l° ultima è arrotondata posteriormente. Riporto alcune dimensioni tratte dalle mi- sure fatte sull’animale nei diversi punti del corpo: 1.* proglottide largh. mm. 0,27; lungh. mm. 0,03 Ao dalloiscoliee imm 075065 vt 026 ART, » » » 0,95 » Da ROLLE penultima proglottide » 0,75 d sE 0.50 Dopo i primi sei millimetri, seneralmente le proglottidi hanno organi genitali con uova mature. Esse in taluni esem- plari mostrano delle irregolarità : così in un individuo di 16 mm., soltanto nelle ultime proglottidi sono sviluppati. In un altro esemplare di 26 mm. ad una distanza di 8 mm. dallo scolice, quattro o cinque proglottidi sono completamente ma- ture ed hanno uova; le seguenti ne sono prive, e soltanto nei due ultimi anelli ricompariscono le uova. Gli organi genitali, raccolti in un unico gruppo per cia- scuna proglottide, come ho già detto, sono laterali. Su di una faccia, nel centro di essa vi è un’ apertura circolare che serve di sbocco per il pene e per la vagina. Il pene è corto e piuttosto spesso; un po’ ricurvo alla estremità anteriore, e talvolta sporge dalla sua tasca; misura p. 80 in lunghezza. I testicoli sono numerosissimi e sparsi per tutta la pro- ce ur 3 glottide; hanno per lo più forma quasi ovale, sono grossi, misurando nel diametro longitudinale u 40 e nel tra- sversale 27. Nel mezzo della faccia opposta a quella in cui sboccano il pene e la vagina, si osserva l'apertura uterina, allun- gata nel senso trasversale © molto stretta. Le uova sono adunate in una massa unica e si mostrano numerose negli anelli completamente maturi, tanto che in molti di essi for- . mano un piccolo rilievo, a guisa di papilla, di un color rosso cupo. Esse sono ovali, e misurano p 63-67 longitudi- nalmente e 35-38 nel diametro massimo trasversale. Hanno guscio sottile e non presentano opercolo. I corpuscoli calcari sono pochi e piccoli, e sparsi per tutto il corpo. Degli esemplari uno misurava cm. 4,8. con una larghezza eccezionale di 1,5 mm.; un altro aveva cm. 4 in lunghezza; i rimanenti variavano da 2 a 3 cm. e tutti presentavano organi genitali sviluppati. Un esemplare di 6 mm. era ases- suato. Habit. Intestino di Syngnatus acus: un solo individuo per ogni pesce. Genova, 14 Marzo 1896. 4. BOTHRIOCEPHALUS CRASSICEPs Rud. Bothriocepnalus crassiceps. Rudolphi, (31) p. 139 e 476. - Nitzsch (25) p. 98. — Dujardin (13) p. 616. — Stossich (34) p. 10. — Carus (7) p, 120. — Parona (26) p. 487. Bothriocephalus pilula, Leuckart (16) p. 45. Dibothrium crassiceps. Diesing (19) p. 587 e (II) p. 236, — Molin (20) p. 134. — G. Wagener (37) p. 61. Il prof. Parona ha riscontrato questo parassita nel Mer- Iucius esculentus, e î suoi esemplari non differiscono dai tipici indicati per la prima volta dal Rudolphi nello stesso ospite. Tuttavia sul corpo si osservano macchie scure molto spor- genti, costituite dalle masse di nova. -Tali rilievi non sono propriamente nella linea mediana, ma collocati a destra 0 a sinistra di essa, formando in tal modo una striscia a zig zag. L’apertura genitale maschile sbocca sulla faccia dorsale, e sulla opposta si apre l’ utero. In alcune proglottidi l’ovario è bilobo; le uova sono el- lissoidali e mancano di opercolo. Lunghezza massima del cestode em. 40. 5. BOTHRIOCEPHALUS HIANS Dies. Bothriocephalus Phocae foetidae, Creplin (8) p. 68. — Dujardin (13) p. 613. Dibothrium hians, Diesing (10) p. 588 e (II) p. 238. Bothriocephalus hians, Parona (26) p. 487. — Matz (19) p. 98. Insieme a moltissimi esemplari di 5. elegans Krabbe e B. polycalceolus Ariola ('), vivevano nell’intestino tenue di una Phoca vitulina una gran quantità di botriocefali della lunghezza superiore ai 18 cm. Sebbene queste dimensioni non corrispondessero esattamente a quelle indicate dagli altri autori, tuttavia per il complesso dei caratteri e per la forma dello scolice non ho potuto riferire questi esemplari che alla specie 5. hians. Gl’individui, tranne qualcuno, non hanno ancora organi genitali sviluppati, e tutti sono fortemente contratti. Lo sco- lice però risponde esattamente al disegno dato dal Diesing. È ovale e porta due botridii laterali, ovali, aperti. Misura mm. 2.4 in lunghezza e 1.8 in larghezza. Il collo manca e le prime proglottidi sono brevissime e rettangolari: in seguito accrescendosi raggiungono 6 mm. di larghezza e poco più di 1 mm. di lunghezza. Le uova sono molto corte e opercolate. | Qualche esemplare si mostra bifido nella porzione poste- riore dello strobilio. 6. BOTHRIOCEPHALUS seRrRATUS Dies. Bothriocephalus iatus, v. Siebold (32) p. 305. » canis, Ercolani (14) p. 249. Dibothrium serratum, Diesing (10) p. 588, (I) p. 239, (12) p. 26. (4) In un altro mio lavoro (2) ho trattato piuttosto diffusamente di que- ste due specie, ed ivi ho dato pure uno specchietto comparativo di tutti i botriocefali parassiti delle foche. Nella collezione del prof. C. Parona ve ne sono diversi frammenti, dei quali il più lungo misura cm. 20. Non sono molto ben conservati per poter dare una descrizione com- pleta di questa specie; tuttavia essendo assai monche le notizie che intorno ad essa si hanno, non sarà inutile ri- pertare le osservazioni che da quegli esemplari ho potuto ricavare. Capo lineare, coll’apice arrotondato: i botridii sono dor- soventrali, allungati e stretti. Collo breve, filiforme. Le prime proglottidi sono brevissime: le seguenti sono tre volte più larghe che lunghe, cuneiformi, col margine inferiore spor- gente: l’ultima proglottide è arrotondata posteriormente. Gli organi genitali sono laterali: le masse di uova, fa- cilmente visibili per il loro colore cupo, formano una stri- scia, che non trovasi nella linea mediana dello strobilio, ma è spinta di molto verso uno dei margini. Le uova hanno forma ovale col diametro longitudinale di u 64 e il trasversale di 46; sono opercolate. I testicoli. grandissimi, occupano una zona circolare nelle proglottidi, al disopra della quale avvi un potente strato di muscoli circolari. Lunghezza dello scolice mm. 2, largh. 0,5. Larghezza del corpo mm. 9. Habit. Canis familiaris. intestino. Milano (racc. Ernesto Parona). 7. BOrHRIOCEPHALUS BELONES Du). Bothriocephalus belones, Dujardin (13) p. 616 — Stos- sich, (33) p. 10 — GCarus, (7) p. 121 — Monticelli, (21) p. 428 e (22) p. ]1 — Matz, (19) p. 116, nota — Parona, (26) p. 487. Dibothriwm belones; Diesing (10) p. 595 — Wagener (37) p. 76 Ptychobothrium belones, Lònnberg (17) p. 36. Sebbene questo cestode, come si vede dalla riportata bi- bliografia, sia stato largamente trattato e discusso, pure io, avendo avuto materiale abbondante e ben conservato, l’ ho studiato ed ho visto che era necessario fare qualche lieve rettifica alle precedenti descrizioni. In esemplari adulti non ho osservato mai traccia di collo, come da qualche autore è stato indicato. Le proglottidi sono rettangolari o leggermente subtrape- zoidali; circa quattro volte più larghe che lunghe. Il sistema escretore che il Lònnberg non ha potuto ve- dere, nei miei esemplari, tanto per trasparenza che in se- zione, è visibilissimo: esso risulta di due canali longitudi- nali principali per ogni lato, ed altri minori. Uova lunghe w 64, larghe 48. Per questo botriocefalo, il Lòonnberg propose il gen. Py- chobothrium, a causa delle botrie molto sviluppate. Ma il Monticelli con buone ragioni lo contesta, e a lui sì uniscono il Matz ed altri. Il Blanchard (6) ammette il detto genere non solo, ma ve ne ascrive altre due specie (B. claviceps e B. punctatus). sostenendo che: « est légitime l’établissement d’un genre nouveau en faveur de ces trois Cestodes à caractères ana- tomiques si particuliers ». Avendo io osservato anche le altre due specie, a cui il Blanchard accenna, ho potuto assicurarmi che nessun ca- rattere particolare presentano per doverle scindere dal gen. Bothriocephalus e raccogliere in un gen re nuovo: esse perciò conservano la loro primitiva posizione sistematica. 8. BOTHRIOCEPHALUS TRACHYPTERI. E un unico esemplare molto hen conservato, riscontrato in un trachittero (fig. 6). Lo scolice (fig. 7) è relativamente grande misurando quasi 2 mm.: è allungato, più largo alla base che all’apice, dove si mostra troncato e con distinta cupoletta terminale. Porta due botridii, che dalla cupoletta vanno fino alla base: sono lunghi, poco profondi, ovali, con labbra salienti, molto pronunziate, e prolungantisi all’indietro oltre lo sco- lice stesso. Il collo manca, e lo strobilio, le cui proglottidi si mo- strano come finissime striature, invisibili ad occhio nudo, comincia subito dopo lo scolice. Il verme è perfettamente cilindrico fino alla estremità posteriore. Il suo diametro è quasi costante, tranne nell’ul- timo breve tratto, dove lievemente diminuisce. SAMO di Pi dCi Gi GI SENT DIE 9 Lunghezza totale 19 mm.; diametro del corpo mnee25ì Non disponendo che di un esemplare solo e dovendalo conservare, non è stato possibile di prepararlo per istu- diarne gli organi interni. L’ ho tuttavia compresso e reso abbastanza trasparente, ma gli organi genitali non erano ancora accennati: per cui questa specie deve considerarsi come inquirenda. Habit. Trachyplerus liopterus: Genova, 20 maggio 1885. Due altri esemplari, molto differenti dalla specie sopra indicata sono del Trachypterus iris (fig. 8 e 9); sono molto appiattiti e perciò sì mostrano trasparenti. Il capo è molto più grosso (mm. 4) di quello che sia nell’esemplare descritto; manca la cupoletta terminale ed è soltanto troncato all’apice. I botridii marginali sono lunghi ma stretti e con margini sottilissimi: le labbra si proten- dono posteriormente e formano quasi due ali. Il corpo nei primi 4 mm. non è segmentato: poi comincia a mostrarsi finamente striato, e le proglottidi vanno insen- sibilmente allungandosi fino alla estremità posteriore. Esse nel primo tratto sono perfettamente rettangolari, poi diven- tano lezgermente subtrapezoidali, e l’ultima, più lunga delle altre, ha il margine posteriore arrotondato. Il corpo, a cominciare dalla base dello scolice, va gra- datamente restringendosi; così nella parte superiore misura in larghezza mm. 1,5 e alla fine soltanto mm. 0,7. Lun- ghezza totale mm. 32. Neppure in questa forma ho visto organi genitali svilup- pati, per cui anch’essa, come la precedente, deve essere com- presa per ora tra le specie inquirendae. Habit. Trachypterus iris, intestino 26 giugno 1891, Ge- nova. Ho confrontato la descrizione del B. macrobothrium Mon- ticelli (24) del Trachypterus sp., dell'Isola di S. Maurizio con le forme sopra descritte, ma queste ne differiscono gran- demente; per cui è da ritenersi che rappresentino forme giovani di nuove specie. 10 9. BOTHRIOTAENIA FRAGILIS, Rud. Bothriocephalus fragilis, Rudolphi (30) p. 45 e (31) p. 138 — Leuckart (16) p. 20 — Dujardin (13) p. 616 — Stossich (34) p. 7 — Matz (19) p. 117. Dibothrium fragile, Diesing (10) p. 593 e (II) p. 243. Questo cestode del genere Bothriocephalus fu recente- mente dal Blanchard (6) passato in quello di Bo/friotaenia. La diagnosi che sì ha di questo parassita è insufficiente; ond’io a completarla aggiungo alcune mie osservazioni, fatte sopra materiale gentilmente favoritomi dall’ egregio prof. M. Stossich di Trieste. Scolice piccolo, un po’ arrotondato, con botridii dorso- ventrali, profondi, orbiculari. Collo breve. Le proglottidi sono rettangolari e senza angolo posteriore sporgente: tal- volta presentano una divisione secondaria trasversale. Sono molto corte anche in quella parte dello strobilio in cui gli organi genitali sono maturi. Gli organi della riproduzione sono formati costantemente d’un unico gruppo per ciascuna proglottide. Il pene è lungo, molto sottile, quasi cilindrico: misura uv 256 in lunghezza e 32 nel diametro circolare; ha sbocco perfettamente mar- ginale. La sua tasca è poco muscolosa ed è lunga 320; è collocata un po’ più all’ indentro del margine, lasciando così il pene libero per breve tratto. Presso la tasca del pene, si vede un canale dirigersi nell’ interno della ploglottide: nelle sezioni non si scorge chiaramente il suo percorso; è probabile che sia il canal deferente, con lume abbastanza grosso. Anche la vagina sì apre marginalmente, nello stesso punto in cui sbocca il pene, per cui si forma una cloaca unica per ambedue gli organi. Le uova sono in grandissimo numero, e occupano nelle proglottidi completamente mature tutto lo spazio da un mar- gine all’altro. Sono ovali e piccole, misurando p. 51 nel dia- metro longitudinale e 26 in quello trasversale. Hanno gQu- scio sottile e non presentano opercolo. I corpuscoli calcari sono globulari od ovoidali. Lunghezza totale fino a 20 centim.; larghezza da mm. 3-6. Habit. Alosa finta: intestino tenue. Trieste (Stossich). 1] 10. BOoTHRIOTAENIA LONGISPICULA Stoss. Bothriocephalus (?) long:spiculus Stossich (36) pag. 40. Bothriotaenia longispicula Ariola (3) pag. 40. In un recente lavoro di revisione del gen. Bothriotaenia. il Riggenbach (29) non considera il Bothriocephalus lon- gispiculus come botriotenia, sebbene possegga le aperture genitali marginali. Già altrove, incidentalmente, notai che esso deve entrare a far parte del gen. Bothriotaenia ; ora, avendo osservato alcuni frammenti del detto cestode, favoritimi pure dal prof. Stossich, posso riconfermare, per diretta osservazione, ciò che altra volta dissi. Gli organi genitali sboccano marginalmente e il pene, visibile ad occhio nudo, sporge all’esterno per più di mezzo millimetro, essendo internamente sorretto da una tasca mu- scolosa molto potente. Ho praticato sezioni su tutto il materiale disponibile, ma non ho incontrato che proglottidi maturissime, completa- mente ripiene di uova, ciò che m’ impedisce di dare una descrizione particolareggiata degli organi interni. Ad ogni modo ho potuto constatare ad evidenza che i caratteri generici essenziali sono quelli delle botriotenie. Hi I pochi cestodi conosciuti dagli antichi elmintologi, come appartenenti al gruppo dei botriocefali, erano compresi nel enliaciaL'lataErectangulunm I claviceps, D. proboscidea, ecc.). Al principio del secolo, il Rudolphi, nel 1.° volume della nota sua opera sui vermi intestinali (30), al capit. VII, « Monographiae Vermium », p. 11, adottò per la prima volta la denominazione Bothriocephalus per la Taenia so- lida degli autori. Nel 2.° volume (parte I, p. 7) enumerando i generi in cui egli suddivise l’ ordine dei Cestodi, diede la diagnosi del nuovo genere (!), proposto per le specie che (!) Corpus molle, elongatum, depressum, articulatum. Caput subtetrago- num; foveis duobus (suctoriis) oppositis. 12 differiscono dalle tenie per avere due solchi allungati (bo- tridî), invece di ventose allo scolice. In esso genere (vol. Il, parte II, p. 37) collocò 19 specie, di cui 13 accertate e 6 dubbie, tolte quasi tutte dal gen. Z'uenia e così ripartite : A. Inermes (Gymnobothria) colle specie: B. claviceps, B. proboscideus. B. rugosus, B. fragilis, B. infundibuliformis, B. granularis, B. rectangulum . B. punctatus, B. nodosus, B. solidus, B. macrocephalus. B. Armati (Echinobothria) colle specie : B. corollatus, B. paleaceus. C. Species dubiae: B. Gadi Merlucti, B. Gadi Callariae. b. Gadi Barbati. B. Gadi Morrhuae, B. Salmonis Eriocis, B. Salmonis Carpionis. Più tardi lo stesso autore, nella Synopsis (31), descriveva altre dieci nuove specie (5. plicatus, B. microcephalus, B. angustatus, B. crassiceps, B. cylindraceus, B. auri- culatus, B. tumidulus, B. coronatus, B. uncinatus e B. verticillatus) e intorno a molte dava minuti e interessanti particolari: onde il Van Beneden (4) disse di lui: « Rudolphi a le mérite d’avoir décrit les espèces de manière, à pouvoir les distinguer facilement entre elles et d’avoir par là ré- pandu le goùt de cette étude ». Inoltre essendosi accresciuto nel frattempo il numero delle ‘ specie, e tra le nuove essendovene alcune a quattro botridî, modificò la diagnosi del genere per potervi comprendere queste ultime forme. 1 Fece quindi una prima elementare partizione del genere, nel modo seguente: Gen. BorHrIocEePHALUS Rud. Corpus elongatum, depressum, articulatum. Caput subte- tragonum, bothriis duobus vel quatuor oppositis. A. Inermes (Gymnobothria). a. Dibothrii: B. Zatus Brem., B. plicatus R., B. cla- viceps R., B. proboscideus R., B. infundibuliformis R., B.rugosus R., B. microcephalusR., B. fragilità: granularis R., B. rectangulum R., B. punctatus R., B. angustatus R., B. solidus R., B. nodosus R. ‘4 LO) 4] Ò '.] 1 i 3 15 b. Tetrabothrii: 5. macrocephalus R., B. cylindra- ceus R., B. auriculatus R., B. tumidulus R. B. Armati (omnes tetrabothrii). a. Uncinati, Onchobothrii: B. coronatus R., B. un- cinatus R., B. verticillatus R. b. Proboscidei, Rhynchobothrii: 58. corollatus R., B. paleaceus R. Species dubiae: 5. Squali glauci, B. Gadi Redianus, Bb. Gadi barbati, B. Gadi morrhuae, B. Gadi callariae, B. cepolae, B. barbatulae, B. eriocis, B. carpionis. Questa classificazione è tipica nella sua semplicità: le due grandi divisioni in inermi ed armati, e la loro suddivisione nei quattro gruppi minori, la rendono per quel tempo un perfetto modello. Altrettanto non sì può dire di quella proposta dal Leuckart (16) nella sua estesa monografia sui botriocefali, venuta alla luce poco dopo la Synopsis del Rudolphi. In quella monografia il Leuckart accetta il gen. BotAhrio- cephalus R. e ne adotta anche la diagnosi, ma con note- voli modificazioni. Im esso comprende 29 specie, che così divide : Gen. BorHRIocEPHALUS Rud. Capite foveis suctoriis duabus vel quatuor instrueto, simplici vel anthoideo, polymorpho. Corpore elongato, compresso. _L Corpore articulato. A. Capite anthoideo (foveis distinctis). a armato. z. tentaculato: B. tubiceps L., B. planiceps L. 6. non tentaculato: 5. difurcatus L. b. imerme: B. echeneis L., B. flos L., B. macroce- phalus R. B. Capite simplici (foveis indistinctis): 5. truncatus L., B. proboscideus R., B. sagittatus L., B. punctatus R., B. affinis L., B. infundibuliformis R., B. fragilis R., B. Cyprini phoxini L., B. rectangulum R., B. pilula L., B. solidus R., B. latus Brem., B claviceps R. II. Corpore non articulato. A. Capite tentaculato: 5. claviger L., B. labiatus L., B. patulus L. 14 B. Capite non tentaculato: £5. tricuspis L. Species dubiae: B. verticillatus R., B. Cepolae rube- scentis., B. Lophii piscatorii, B. Cobitis Barbatulae, B. rugosus R., B. nodosus R. Come sì disse, il Leuckari comprende 29 specie nel ge- nere: di esse 16 sono descritte da lui con nomi nuovi, una dal Bremser, e delle 31 specie, che il Rudolphi enumera nella Synopsis, ne accetta soltanto 12, delle quali, ne passa tre fra le specie dubbie (5. verticillatus, B. rugosus, B. no- dosus). Il Leuckart modificando la classificazione semplice ma esatta del Rudolphi, e comprendendo nel gen. Lothrioce- phalus specie con caratteri tanto diversi (a corpo non arti- colato), e che in oggi formano tipi distintissimi, complicava la costituzione di esso, alterando eziandio il concetto del- l’ autore. Qualche esempio varrà a chiarire il mio asserto. Il 2. tubiceps L. e il B. planiceps L. furono, subito dopo, dal De Blainville (5), passati tra i rincobotrii (R/. paleaceum e Rh. corollatum). e collocò il 5. planiceps L. nel genere Onchobothrium, da esso stesso proposto. Il B. /los è un antobotrio (A. auriculatum); i B. lab. atus e B. claviger erano già stati dal Rudolphi descritti come tetrarinchi (7°. discophorus e T. attenuatus), ecc. Delle denominazioni specifiche adottate dal Leuckart, ap- pena qualcuna ne sopravvive; perchè parecchie entrano a far parte di famiglie e di ordini differenti, altre sono pas- sate in sinonimia con le specie del Rudolphi, che le aveva precedentemente indicate e descritte nella Synopsis con nomi differenti. Nel 1829, il Creplin (9) raccolse in un’ unica specie le due di Rudolphi A. nodosus e B. solidus e formò con essa il nuovo genere Schistocephalus (Sch. dimorphitis). molto vicino al genere botriocefalo. Per circa un ventennio dopo, tranne qualche autore, che, occupandosi di sistematica non fece che ribadire le cose del Rudolphi, le osservazioni sui cestodi, furono in gran parte rivolte alle ricerche anatomiche e alla conoscenza degli or- gani interni; tuttavia questo periodo è da considerarsi come il più fecondo per la sistematica stessa, perchè in esso sì a 19 prepararono i nuovi concetti a cui dovevano informarsi i futuri elmintologi. Nel 1845 comparve il trattato del Dujardin (13) sui vermi intestinali, trattato che per la chiarezza e la precisione delle descrizioni, ancora presentemente, è molto utile per la de- terminazione delle specie. Tra le altre innovazioni, impor- tante è la separazione del sottogen. RAynchobothrium RR. che egli eleva saggiamente ad ordine dal genere 5otRrio- cephalus: descrive due nuove specie: 5. Labracis e B. Be- lones. i La sua classificazione però non potè risentire ancora l’in- fluenza dei recenti studi ed è redatta su quella del Rudolphi. Ecco la diagnosi del genere e la partizione che di esso fa il Dujardin : « Vers à corps mou, déprimé, fort allongé, composé d’un trés grand nombre d’articles: renflement céphalique, oblong; tétrasone ou tronqué aux deux extrémités, et pourvu de deux fossettes latérales, étroites, allongées, ou de quatre oreillettes, ou de quatre fossettes armées de crochets; — orifices des ovaires situés au milieu de chaque article ». Lo divide in 3 sezioni: I. Bothriocéphales vrais. Ayant deux ventouses ou fossettes longitudinales opposées, (con 17 specie). II. Bothriocéphales anthoides. Téte munie de quatre appendices en forme d’oreillettes ou de pétales, et inermes (con 3 specie). III. Bothriocéphales armés. A quatre fossettes ou ventouses oblongues armées chacune à l’extrémité d’un ou deux crochets biforqués (con tre specie). Come si vede dalla diagnosi, anche il Dujardin nel gen. Bothriocephalus comprendeva molti degli odierni generi, ma egli lo aveva preveduto, e nelle considerazioni intorno ad esso, sì esprimeva con queste parole: « Sous ce nom on comprend plusieurs types qui devront constituer des genres ou des sous-genres, quand ils seront Inieux connus ». E il Diesing, il quale cinque anni dopo pubblicava il suo « Systema Helminthum » colmava la maggior parte delle lacune lasciate dal Dujardin, dando fin d’ allora un quasi 16 completo ordinamento di questo importantissimo gruppo dei cestodi e fondando su caratteri naturali i criteri della sua classificazione. Egli, attribuendo alla parola « botriocefalo » il significato vero (cestodi con numero qualsiasi di botridî allo scolice), eleva a tribù (Bo!llriocephalidea) il sen. Bothriocephalus R., e questa suddivide in sottotribù e sezioni, con 19 generi. Nella seconda sezione Dibothria, della sottotribù Gymno- bothria (a botrie inermi), comprende 4 generi: Ligula, Schi- stocephalus. Dibothrium. e Sclenophorus: suddivide poi il cen. Dibothrium in 2 sezioni: I. Bothriis marginalibus. IE » lateralibus. Nel 1863 (11) converte la sezione Dibothria in famiglia, e vi colloca i generi: Ligula, Schistocephalus, Dibothrium, Echinobothrium. Triaenophorus e Amphicotyle (questo ultimo nuovo). Da 21 specie, con 2 inquirendae, che tante ne compren- deva il gen. Dibothrium nel Syst. Helm., salivano a 32 nella « Revision »; e il Diesing dava fin d’ allora la ra- zionale divisione, che qui riporto: Conspectus disposizionis specierum. * Caput bothriis marginalibus. « Aperturae genitalium laterales sp. 1-6. » » marginales sp. 7. » » iguotae sp. 8. ** Caput bothriis lateralibus. [EN] x Aperturae genitalium laterales sp. 9-18. (6 » » marginales sp. 19-20. » » ignotae sp. 21-28. Species inquirendae 29-32. Dopo 25 anni le specie di botriocefali erano state più che duplicate, e inoitre molte presentavano caratteri differen- ziali notevoli, talehè anche il genere, come era stato or- dinato dal Diesing, (') era divenuto insufficiente, e nuove mo- dificazioni dovevano essere introdotte. (') Dopo Diesing non vi fu una regola costante nella denominazione ge- nerica, perchè alcuni adottarono il vocabolo Dibothrium, altri, e furono i più, conservarono l’antica denominazione Bothriocephalus. 17 Il Lonnberg (1889) per il primo riconobbe l’ insufficienza di esso e propose il gen. Ptychobothrium (16) per il Bo- thriocephalus belones, con i seguenti caratteri: « Collum pullum; proglottides latiores quam longae, distinctae. Aper- turae genitales ventrales in sulco mediano sitae. Aperturae uteri dorsales medianae ». Nel 1890 il Monticelli instituì (21) il gen. AncRistrocephalus per la specie 5. microcephalus, a cui più tardi aggiunse il B. polypteri. « aventi per carattere generico degli uncini allo scolice »; ed il gen. Pyramicocephalus (24) per il B. anthocephalus « avente lo scolice conformato a cavolfiore ». Nel 1891, il L5nnberg (18) propose il subgenere Diplo- gonoporus per un nuovo botriocefalo della Balaenoptera borealis, « ad apparecchio genitale duplice in ciascuna pro- glottide »; e il Railliet (28) nell’anno dopo il gen. Bothrio- taenia per il B. longicollis Mol. « a pori sessuali marginali ». Nel 1894, a proposito di un botriocefalo dell’uomo de- scritto da Ijima e Kurimoto (15), senza nominarlo, il Blan- chard (6) propone lo smembramento dell’ antico genere Bothriocephalus in cinque generi distinti: 1.° Bothriotuenia Raill. 1892. Pores sexuels marginaux. 2.° Bothriocephalus Rud. 1808. Appareil génital simple ; pores sexuels percés sur la ligne médio-ventrale: le sinus génital en avant, l’orifice utérine en arriére. 3.° Ptychobothrium Lénnb., 1889. Appareil génital sim- ple; sinus génital sur la ligne médio-ventrale, orifice utérin sur la ligne médio-dorsale. 4° Krabbea R. Blanch. 1894. Appareil génital double: sur le ventre, deux rangées latérales de pores sexuels, composés dans chaque anneau par le sinus génital en avant et l’orifice utérin en arrière. 5° Amphitretus R. Blanch. 1894. Appareil génital dou- ble. Les pores sexuels s’ouvrent de part et d’autre de la ligne médiane, les sinus génitaux sur la face ventrale, les orifices utérins sur la face dorsale. Anche la classificazione suesposta, parmi debba subire radicali modificazioni; per cui farò un rapidissimo esame di essa. Ho già dimostrato altrove (1) che il gen. Amphitretus passa in sinonimia, e viene sostituito dal cen. Diplogonopo- 15 rus Lònnb. precedentemente istituito; l’altro n. gen. Arabbea deve anch’ esso rientrare nel detto gen. Diplogonoporus, perchè, come questo, presenta organi genitali duplici in ciascuna proglottide. Il solo carattere differenziativo dello sbocco uterino nella stessa faccia in cui sì apre il seno ge- nitale, invece che nella faccia opposta, non mi pare suffi- ciente per la distinzione in due generi, tanto più che non sempre è facile, per lo stato di conservazione dei parassiti, discernere l’ apertura uterina. È Per analogo motivo, credo non potersi conservare il gen. Ptychobothr.um, perchè il B. belones è destituito affatto dei caratteri necessarii a formare un genere indipendente. I botridii più o meno sviluppati e in diverso modo disposti potranno servire alla differenziazione della specie, ma non mai a quella del genere. Nella sua proposta di classificazione inoltre il Blanchard, non fa cenno dei due generi del Monticelli, sopra menzio- nati. Ora io osservo che se il gen. Pyramicocephalus, per le stesse ragioni del gen. Ptychobothrium potrà rientrare nel genere tipico, altrettanto non sì può dire del gen. Arnchi- strocephalus, il quale presenta il carattere molto impor- tante degli uncini allo scolice. Non si può negare che nei botriocefalidi, più che negli altri gruppi dei cestodi evvi grande confusione, per cui non è possibile dare per ora una classificazione definitiva; ciò non sì potrà fin quando non si saranno fatte complete re- visioni dei singoli generi. Tuttavia ne propongo una, la quale, se non sarà per- fetta, potrà almeno considerarsi come un più razionale ten- tativo verso una completa e naturale costituzione di questo importante ramo dei dibotrii. Certo è che il gen. Bothriocephalus nor deve rimanere, così com’è attualmente costituito, e può essere smembrato nei quattro generi: Bothriocephalus Rud., Anchistrocepha- lus Moutic., Diplogonoporus Lònnb. e Bothriotaenia Raill., i quali uniti al gen. Schistocephalus Crepl. formeranno la famiglia Bothriocephalidae s. s., distinta per i seguenti ca- ratteri : 19 Fam. BoTHRIOCEPHALIDAE. « Scolice di forma variabile, globoso. ovoidale, depresso, con due infossature inermi per lo più allungate, dette botrie o botridii, opposti, marginali o dorsoventrali, al- lungati, ovali 0 suborbicolari. Collo per lo più depresso, raramente cilindrico, a volte mancante. Strobilio nastriforme, con proglottidi generalmente as- sai più larghe che lunghe, anche se mature. Apparecchio genitale semplice. 0 in duplice gruppo per ciascuna proglottide. Aperture genitali sulle facce o ai margini. con sbocco unico, comune al cirro e alla vagina o con sbocchi distinti. collocate nella stessa faccia. od opposte nelle due facce ». Per il carattere notevolissimo dell’ apparecchio genitale riunito in un gruppo unico o formante due gruppi indipen- denti, questa famiglia è suscettibile di una prima parti- zione in due sottofamiglie : I. Sottofamiglia: Monocorxoporipar 1896. Apparecchio genitale unico in ciascuna proglottide. II. Sottofamiglia: DirLogonoporipaE 1896. Duplice gruppo di organi genitali in ciascuna proglottide. La 1.8 sottofamiglia va suddivisa in 4 gen.: 1° Gen.: Bothriocephalus Rud. 1808. Aperture geni- tali laterali e scolice non diviso. 2. Gen.: Schistocephalus Crepl. 1829. Aperture geni- tali laterali, scolice profondamente diviso, botridii marginali. 3. Gen.: Anchistrocephalus Montic. 1890. Aperture venitali marginali e corona di uncini alla cupoletta termi- nale dello scolice. 4° Gen.: Bothriolaenia Raill. 1892. Aperture genitali marginali e scolice inerme. i La 2.2 sottofamiglia comprende l’unico genere: Diplogonoporus Liònnb. 1891. Duplice apparecchio di or- gani genitali in ciascuna proglottide. Dove fu possibile, ho suddiviso ciascun genere, in due se- zioni, a seconda che presentano botridii marginali o dorso- ventrali. Ecco uno schema della proposta classificazione. 20 Fam. BoTHRIOCEPHALIDAE. I. Sottofam. MonoGoxoPORIDAE. \ 1° Gen. Bothriocephalus Rud. a. Botridè marginali: B crassiceps., Rud., B. an- gusticeps Olss., B. dendricus Nitzsch, B. sulcatus Molin, B. polycalceolus Ariola..,...... b. Botridî dorsoventrali: B. latus Brems., B. an- gustatus Rud., B. anthocephalus Rud., B. claviceps Rud., , B. hians Dies., B. ditremus Crepl., B. felis Crepl., B. labracis Dujard., b. belones Dujard., B. serratus Sieb., B. cordatus R. Leuck., B. cestus Leidy, B. fuscus Krabbe, B. macrobothrium Montic., B. negle- ctus Lònnb., 5. peltocephalus Montic., B. quadratus v. Linstow., 5. platycephalus Montie., B. restiformis Lin- ton, B. minutus Ariola, B. Zschokkei Fuhrm....... 2° Gen. Schistocephalus Crepl. Sch dimorphus Crepl. 3. Gen. Anchistrocephalus Montic. A. microcephalus Rud., A. polypteri Mont. 4° Gen. Bothriotaenia Raill. a. Botridî marginali: B. longicollis Molin, b. fis- siceps'Qreplo>. b. Botridì dorsoventrali: B. fragilis Rud., B. in- fundibuliformis Rud., B. longispicula Stossich, B. palumbi Montic., B. plicata Rud., B. rugosa Rud., B. rectangula RUSS II. Sottofam. DIPLOGONOPORIDAE. 1. Gen. Diplogonoporus Lénnb. (= Amphitretus Blanch. e Krabbea Blanch.). Botridî dorsoventrali: D. tetrapterus v. Sieb., D. Wageneri Montic.. D. lonchinobothriwm Montie., D. Settii Ariol., D. Lònnbergi Ariol., D. balaenoplerae Lònnb........ Genova, novembre 1896. BIBLIOGRAFIA 1. Agiora V., Due nuove specie di botriocefali. Atti della Soc. Ligust. di sc. nat. e geogr. vol. VI, anno VI, pag. 247, nota. 2. In., Note intorno agli Elminti del Museo zoolog. di Torino. Boll. dei Musei di Zool. ed Anat. comp. della R. Università di Torino, vol. aero 9NILBI6Ì 3. In., Sulla Bothriotaenia plicata Rud. e sul suo sviluppo, Atti della So- cie à Ligust. di Sc. Natur. e Geogr., vol. VII, fasc. II, p. 117, nota. 4. Benepen P. I. van, Recherches sur la faune littorale de Belgique. Les vers cestoides. 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Porzione terminale dello Strobilio (molto ingrand.). © Cd FEB 9 1897 BOLLETTINO DEI NUSBI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N° 58. 13, 244 1996. G. CATTANEO I fattori dell'evoluzione biologica, (Sunto). Invitato dalla Facoltà di scienze dell’ Università di Genova ‘a pronunciare il Discorso inaugurale per l'apertura del- l’anno scolastico 1896-97, scelsi a tema del mio dire una tra le questioni che furono più vivamente discusse nel «campo biologico durante gli ultimi anni, quella dei fattori dell'evoluzione: il dibattito cioè tra i neo-darwinisti e i neo- -lamarckisti, tra gli avversaril e i fautori della eredita- rietà dei caratteri acquisiti. Il discorso, letto il 5 noveînbre scorso nell'Aula Magna, è stano nato per intero nell’Annuario della R. Università di Genova (1896-97) (1). In questo £0/- lettino non ne darò che un brevissimo sommario. «La parte stor ica della teoria dell’ evoluzione può dirsi ‘ormai assodata: poichè, sebbene esistano ancora molte la- ‘cune nelle cognizioni filocenetiche ed embriologiche, pure il principio di una evoluzione dal semplice al complesso è ormai inconcusso nella biologia, la quale, fondandosi su di esso, sì è completamente rinnovata. Invece molto discussa è la parte fisiologica della teoria, riguardante l origine delle variazioni e il loro modo di trasmettersi, e siamo an- cora ben lungi da una dottrina universalmente accettata a proposito di questi faltori. Dei quali diedi |’ elenco più completo che mi riuscì possibile, accennando all’ influenza diretta dell'ambiente, e a quella indiretta, in seguito al _ (4 Trovasi anche, in opuscolo a parte (di pag. 62, in 8°), presso la li- breria Beuf.di: Genova; i 2 cambiamento delle abitudini e all’ uso e disuso degli or- gani (lamarckismo), alla neogenesi del Kélliker, del Man- tegazza, del Giibler, già abbozzata dai Geoffroy Saint-Hilaire, alla selezione artificiale, naturale e sessuale del Darwin, alla selezione fisiologica del Catehpool e del Romanes, alla segregazione del Wagner, all’amphimixis del Weismann, all’ ibridismo del Gràberg, alla influenza nervosa dell’ Orr e del Cope, alle cause extraterrestri del Richter e del Preyer; a quelle extrafisiche del Wallace e del Fogazzaro. Parlai in seguito della eredità dei caratteri, e delle due correnti che dominano in tale questione, secondo che si ri- tengono trasmissibili o no le acquisizioni fatte durante la vita, della interpretazione dei fatti embriologici secondo 1° uno o l’altro modo di vedere, e delle numerose teorie escogi- tate per ispiegare i fenomeni dell’eredità, quali quelle delle unità fisiclogiche, delle gemmule, dei plastiduli, dei mi- crozimi, dei pangeni, del plasma germinativo e suoi ele- menti, ecc. I fattori evolutivi finora nominati furono sotto- posti a critica e discussione nei loro punti fondamentali. Ma dove specialmente mi trattenni, fu sulla questione della trasmissibilità dei caratteri, che forma il perno della lotta tra neo-darwinismo e neo-lamarckismo (due brutte parole, che esprimono molto male il concetto, poiché: se. il Darwin diede gran valore alla selezione, non la considerò come fat- tore unico, nè sconfessò mai i fattori lamarckiani dell’ in- fiuenza dell'ambiente e dell’uso degli organi, come fanno invece i neodarwinisti; e d’altra parte coloro che oggi so- stengono i principii lamarekiani, non negano il. ragionevole assentimento alla selezione darwiniana; essi, chiamati neo- lamarckisti, sono assai più vicini alla originaria teoria del Darwin, che non gli avversarii, i quali esagerano in modo unilaterale una sola parte delle dottrine del maestro). — Parlai dei risultati negativi ottenuti nelle ‘esperienze sul- l’eredità delle mutilazioni, e, per contrapposto; dei casi na- turalmente occorsi di trapasso di lesioni, segnicicatriziali, ecc. discutendone il significato. Ma specialmente.ricordai l’evo- luzione psichica degli animali domestici e: caratteri pro- gressivi e regressivi di quelli allo stato sia di. natura che di schiavitù, di cui l’ eredità cumulativa offrirebbe una spie- gazione evidente. Fra i molti, sarebbero sopratutto. persua- FEB 9 1897 sivi la trasmissione ereditaria delle gibbosità e dei calli dei cammelli, caratteri evidentemente acquisiti (secondo quanto dimostrai in un lavoro, pubblicato al N.° 51 di questo Bollettino) (1), e il caso dei paguri. « Ecco dei crostacei, di- cevo, che sono in tutto costituiti. come gli altri decapodi, ma che, avendo l’abitudine di innicchiare l'addome in con- chiglie vuote di molluschi gasteropodi, hanno risentito pro- fonde modificazioni, relative al loro modo di vivere..... Com'è possibile spiegare il caso con la sola selezione? Neppure il Ball, che ha fatto un capolavoro dialettico, per tirare alla fil'era selettiva anche i fatti più ribelli, ha osato toc- care il difficile problema: perchè bisognerebbe ammettere l'una o l’altra di quesie due ipotesi egualmente assurde: o che da un crostaceo del tipo di un omaro sia nata una forma mostruosa, la quale, in modo fortuito, era foggiata proprio in guisa da essere adatta a collocarsi e fissarsi entro una conchiglia spirale, e tale anomalia, essendo utile, fu conservata dalla selezione; ovvero che il fenomeno sia solo individuale, non ereditario, provocato direttamente nei singoli dalla vita tubicola, talchè un paguro che fosse co- stretto a viver fuori dalla conchiglia non assumerebbe gli adattamenti specialissimi che abbiamo indicato. Il primo caso si esclude da sè; che per un fatto meccanico e inco- sciente un corpo si deformi spontaneamente in modo da riuscir quasi il modello di un altro ad esso estraneo; che insomma gli adattamenti speciali dei paguri siano prece- denti alle loro abitudini, e non invece un effetto di esse, è tale supposizione che raggiunge il grado estremo del- l’improbabilità. Che poi l’ adattamento sia solo individuale, ‘è smentito dall'esperienza. Le larve dei paguri sono da prin- cipio simmetriche, e diventano asimmetriche, specialmente nelle zampe, prima di entrare nella conchiglia. Gli effetti di tale adattamento sono dunque ereditarii ». Passai in seguito a discutere il concetto della separazione tra cellule somatiche e germinative, mostrando con argo- menti fisiologici ed embriologici com’esso sia infondato, e come cada con ciò la principale obiezione teorica alla ere- (1) Ze gobbe e le callosità dei cammelli, in rapporto alla questione del- V ereditarietà dei caratteri acquisiti. Rendie. Istit. lomb. Milano 1896. dità progressiva. La quale non dev'essere discussa solo in base a reperti micrografici di dubbia significazione, o ad esperienze fisiologiche che, in confronto all’ampiezza della questione, ben si possono dire anguste ed estemporanee, ma con le viste comprensive e coi ragionamenti induttivi del. geologo e del paleontologo, usi a calcolare la efficienza che azioni minime, e in breve tempo insensibili, possono acquistare quando durino ininterrotte per enormi periodi di tempo. E dimostrai finalmente che la selezione, unico fattore adottato dai neo-darwinisti, per quanto solida come conclusione sintetica, non ha nè il carattere di un fat- tore attivo, né quella profondità di effetti, che essi vorreb- bero. « Che di due organismi, il meglio dotato sopravviva al disadatto, si comprende facilmente; ma la ragione per cui uno la vince sull’ altro sta solo in ciò, che i due non sono nati e non sì sono mantenuti eguali fra di loro; perché la selezione possa aver luogo, occorre che siano già avve- nute delle differenze. Perciò la selezione, piuttosto che causa delle variazioni, è una conseguenza di esse; le cause altive sono precedenti alla scelta, e questa non fa che dirigere in un certo s°nso, determinato dalle circostanze, il moto evolutivo; essa è, per così dire, il timone dell'evoluzione, non il propulsore..... Non voglio con ciò disconoscere i grandi meriti di Wallace, di Galton e di Weismann..... ma credo seguire un indirizzo di più schietto, di più sano natura- lismo, riconoscendo con Lamarck, con Darwin, con Haeckel, con Spencer e con Cope nell’ azione stessa dell’individuo e del mezzo l’ origine dell’ evoluzione biologica-». PER Genova, Tipografia Ciminago, Vico Mele, ?. 1897. MILO IR07 BOLLETTINO DEL MUSBI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA N° 54 13.0 1996. ‘ G. CATTANEO In memoria di Raffaello Zoia. La funesta notizia, diffusa dai giornali sul finire dello scorso settembre, che i fratelli Raffaello e Alfonso Zoia erano periti in una gita alpina sul Gridone in Val Vigezzo, destò il più vivo dolore e il più sincero compianto in quanti li conoscevano. La stima e la simpatia profonda ond’erano circondati, il nome insigne e riverito della famiglia, il caso straordinario di due figli rapiti ad un tempo e in sì dolo- roso modo all’affetto dei genitori, la singolarità stessa della grave catastrofe, avvenuta non per valanga o precipizio, ma in seguito ad assideramento e mal di montagna, a soli duemila metri d’altezza, con esempio raro e quasi unico nella storia delle disgrazie alpine, tutto contribuì a ren- dere l’impressione più profonda e più forte. Ma, se così fu per la maggior parte dei conoscenti, è facile pensare l’ef- fetto che tale improvvisa notizia destò in chi era legato dai più stretti vincoli d’amicizia con gli estinti, in chi avea potuto conoscere a fondo di essì le qualità veramente rare e preziose, in chi, dedito agli stessi studii, era in grado di | sentire tutta la gravità della perdita che in essi avea fatto l’ avvenire. Alfonso, il biondo adolescente, allegro ed arguto, mite come una fanciulla, ma pieno d'energia di volontà, non meno che di costanza al lavoro, avea già dato di sé le migliori speranze negli studii di medicina, e, com’ebbe a dire presso il suo feretro uno dei suoi illustri maestri, il prof. C. Golgi, egli « al suo banco in laboratorio sapeva quasi isolarsi dal mondo, assorbito nell’osservazione, aspi- rando a continuare le nobili tradizioni della famiglia nello | studio della intima organizzazione del corpo umano ». Raffaello poi, di otto anni maggiore, non solo avea dato delle speranze, ma prodotto già i frutti più sodi e prege- voli del suo ingegno e della sua attività: appena ventiset- tenne, si era fatto favorevolmente conoscere nel campo scientifico con ricerche incisive, coscienziose, accuratissime, e il suo nome, già universalmente stimato, sarebbe certa- mente diventato insigne. Ora chi, come lo scrivente, poteva debitamente apprez- zare queste circostanze, e insieme immaginarsi lo strazio indicibile in una famiglia che viveva strettamente unita nei più intimi e nobili affetti, rimase assolutamente coster- nato per l’crribile fine dei due fratelli. Lontano in quei gicrni dal luogo della sciagura e dalla mia città natale, non potei deporre un fiore o un addio sulla zolla che s'era chiusa per sempre sulle salme dei carissimi amici. Tanto più vivo perciò mì sorse in cuore il proposito di parlare di essi, di stendere almeno, a mente più calma, una breve commemorazione scientifica del giovane naturalista, che mi era stato prima allievo e poi compagno di studii e d’ideali. Non che sia mancato ad esso, ed al minore fratello, il compianto più vivo e la lode più sincera da chi li poteva conoscere e meritamente pregiare; basta ricordare le pa- role pronunciate presso la loro bara dai professori Golgi, Pavesi, Rampoldi e da parecchi colleghi ed amici, basta leggere ì necrologi affettuosi che di essi scrissero il prof. Monti in un giornale cittadino e il prof. Maggi nel £0l- lettino scientifico : ma io desideravo addentrarmi un po’ più nell’ argomento, dare un riassunto dei lavori di Raffaello, mostrare l’intima armonia che esisteva in lui tra le virtù dell’uomo e l’ingegno dello scienziato, con esempio che sì vorrebbe veder più frequente Perciò scrivo queste righe. Spero che l’ amicizia non mi farà velo nel giudicare l’opera sua e il suo carattere ; l’attenermi scrupolosamente al vero è un rendere omaggio a lui che ne fu così schietto cultore. E se queste pagine non riusciranno in tutto de@ne di lui, rappresentano però nella mia intenzione un tributo ch’ io sento di dovere alla sua cara memoria. % UUL 12 1897 Raffaello nacque il 10 marzo 1869 a Pavia, secondoge- nito di Giovanni Zoia, professore d’ anatomia umana in quella Università, e di Adriana Panizza, figlia del celebre anatomico. Le più onorevoli tradizioni scientifiche aleggia- rono sulla sua culla, insieme ai più generosi sentimenti patriottici, nell'ambiente in cui erano vissuti i Cairoli. Una Cairoli era stata la prima moglie di Bartolomeo Panizza, e sempre poi i superstiti delle due famiglie aveano conti- nuato le più cordiali relazioni. Il piccolo Raffaello fece in casa i primi studii, assistito nrincipalmente dalla madre, donna di alti sensi e di carattere ad un tempo dolcissimo ed energico, che, insieme allo sposo, esempio egli pure d’ogni virtù domestica e cittadina, allevò i figli con vero intelletto d'amore. Erano essi d’ottima indole, e riuscirono perfetti per la mirabile educazione. Io lo ricordo il caro fanciullo come una delle più soavi memorie dei miei anni di studente. In quelle indimentica- bili serate che si passavano nella casa ospitale degli Zoia, nell'ambiente più puro e sereno, fra una corona d’ illustri professori e di giovani promettenti, il biondo fanciullo facea frequenti apparizioni, serio e modesto in viso, riservato e composto negli atti. A nove anni e mezzo incominciò gli studii classici nel ginnasio-liceo della città natia, e fu sempre primo o tra i primi fin alla licenza liceale. La sua istru- zione e lo sviluppo delle sue facoltà mentali si andava cor- roborando con le geniali occupazioni domestiche ; attese al disegno, alla plastica, giungendo a ritrarre con buon gusto e con sentimento del vero le amate sembianze della madre e dell’avo; s’addestrò al pianoforte, alla scoltura in legno; sì divertiva con le raccolte entomologiche, e sopratutto si coltivava con la lettura tanto di libri letterarii, quanto di opere scientifiche e geografiche, mostrando anche tendenze artistiche con la recitazione di bozzetti drammatici, con la composizione di versi non volgari; talchè, quando si affacciò agli studi universitarii, egli aveva già una preparazione in- tellettuale, quale raramente è dato di trovare in un giovi- netto diciasettenne; cognizioni abbastanza estese e sicure, giudizii indipendenti, idealità nobilissime, e tutto ciò senza d la minima pretesa, anzi con l' ornamento ingenuo della più sincera modestia. Questa stessa larghezza di cognizioni e d’indirizzi lo rese per qualche tempo indeciso sulla facoltà universitaria a cui dovesse inscriversi, in una cosa però ben fermo, cioè nel lasciare le carriere pratiche, e nel dedicarsi esclusivamente agli elevati studii dottrinali. Esitò fra le matematiche, la letteratura, la filosofia; finalmente trovò la sua vera vao- cazione, preparata già nell'ambiente in cui viveva e nelle tendenze ereditarie, e si decise per le scienze biologiche, coltivate con tanto onore dall’ avo materno e dal padre. Inscrittosi dunque all’Università di Pavia nel novembre del 1886 per la laurea in scienze naturali, non solo seguì con esemplare diligenza e profitto i corsì obbligatorii, in modo da ottenere in futti gli esami il massimo dei punti e in alcuni anche una lode speciale, ma frequentò pure le le- zioni di anatomia umana e di geografia, e i corsi liberi della Facoltà; e, con raro ardimento per un naturalista, quello di calcolo integrale e differenziale. Fu durante questo periodo ch’io ebbi i più frequenti rap- porti con lui, partecipando egli alle conferenze e alle eser- citazioni ch'io davo come professore aggiunto nella scuola di magistero; e già fin d’allora potei notare l’accuratezza e finezza sua nei lavori di dissezione e nelle osservazioni microscopiche. Quante ore trascorrevamo insieme nei più amichevoli e vivaci colloqui! Dalla preparazione che ci stava sott'occhio passavamo a discussioni scientifiche gene- rali, e con compiacenza ammiravo la felice quadratura della sua mente. È frequente tra i giovani che più precocemente sì distinguono nelle scienze la tendenza a dedicarsi tosto ed esclusivamente ad una disciplina speciale, affettando quasi disprezzo per le altre che poco conoscono. Questo si- stema può bensì produrre talvolta dei ricercatori fecondi, ma più specialisti, che scienziati nell'ampio senso della pa- rola. Raffaello, che s’era dato agli studii biologici per vera passione, e non era ansioso della materiale riuscita, aveva fin d’allora tutte le tendenze d’uno scienziato sintetico. Si interessava assai agli scritti di filosofia positiva, quanto aborriva dalle vuote formole della dialettica, e teneva in alto pregio le scienze fisico-chimiche, come base degli studii ; N i ì Mi Ù 7 DAI biologici. Specialmente lo attirò, come ramo più giovane e pieno di attrattive, l'anatomia e la fisiologia comparata; e gia prima di raggiungere la laurea pose mano a una pic- cola ricerca sulla vera natura di alcuni muscoli dei mol- luschi, ritenuti striati da R. Blanchard e lisci dal Fol, e con precise osservazioni riuscì a risolvere chiaramente la questione. Ma a lavoro di maggior lena si poneva nell'ultimo anno di studio, per la dissertazione da presentare alla laurea. Egli attese a una completa revisione degli studii fatti sul- l’idra, corroborandola di ricerche morfologiche e fisiologiche originali (difficili per la natura dell’animale e in un campo già mietuto da insigni biologi), le quali, nella loro varietà e nella loro candida schiettezza, arieggiavano quelle dello Spallanzani. La commissione apprezzò tanto questo lavoro, non meno delle altre prove date dallo Zoia nel corso dei suoi studii, che, il 4 luglio 1890, gli conferì la laurea in scienze naturali con pieni voti e con lode speciaie. Dal 1890 in poi, pel mio trasloco a Cagliari e poi a Ge- nova, fu interrotta la frequenza dei nostri rapporti, ma non la corrispondenza epistolare e scientifica; non mancavamo mai di trovarci quand’io passavo da Pavia ed egli da Ge- nova, e per parecchi anni nelle vacanze sul lago di Como, che egli tanto prediligeva. Cosicchè potei seguire passo a passo lo svolgersi degli ulteriori suoi studii, e ì progressi che veniva di mano in mano facendo nelle ricerche scien- tifiche e nella considerazione altrui. Dopo la laurea, cominciò anche per lui quel periodo di febbrile attività, che è caratteristico per chi aspira alle vette più elevate del sapere, e che, dal modo con cui è in- dirizzato, decide quasi sempre di tutta la vita. Ma è giu- stizia notare che, in tale inevitabile gara alla conquista del - l'ignoto, egli si mantenne consono a quei virtuosi e nobili principii che avea attinto nella sua famiglia ed erano na- tura in lui. Combattè valorosamente, ma con la ‘sola arme degli uomini superiori, l’ assiduo e coscienzioso lavoro. Tra i giovani che si danno alla carriera scientifica, ta- luni, docili e assidui, se hanno la fortuna di fruire della direzione di un insigne maestro, percorrono tranquilli la loro via, e giungono sicuramente e senza scosse alla meta, riuscendo spesso buoni insegnanti e scienziati, di rado però assorgendo alle maggiori altezze. Altri, d’ingegno più vivo e di più impaziente ambizione, combattono la lotta per pro- prio conto, sfruttano alacremente, abilmente i filoni più promettenti della scienza e i più validi patrocini, e, dopo un viaggio più o meno tempestoso, arrivano presto in porto, imponendosi a tutti con la loro instancabile iniziativa e con qualche felice trovato. Altri infine, più idealisti e contem- plativi che pratici, trovandosi a disagio nel convenziona- lismo che invade anche il campo scientifico, ascoltano più il loro intimo pensiero che le lusinghe delle fuggevoli mode e tendono ad isolarsi; sono spesso i più convinti, i più ap- passionati cultori della scienza, di rado i più fortunati; pure è tra di loro, se li assiste un proporzionato ingegno e con- dizioni favorevoli, che sorgono quei pochissimi, i quali danno nuovi indirizzi al sapere o lo rendono fecondo al- l’ umanità. Non mancano poi, tra i tipi principali, varietà intermedie. Raffaello colto. intelligente, d’animo candido e puro, segui con molto criterio i consigli che gli erano dati dai suoi maestri, ricercò con fiducia e con riconoscenza quelle fonti a cui meglio poteva apprendere, ma conservò sempre l’in- dipendenza del suo carattere, si mantenne sempre lui. E ciò mostrò non meno nei concetti di scienziato, che nelle convinzioni e nella pratica di cittadino, affrontando serena- mente le critiche e i danni che gliene poteano venire. Nel 1890 fu nominato per un biennio assistente alla cat- tedra d’anatomia e fisiologia comparata dell’ Università di Pavia, e in quel tempo, oltre all’ adempimento delle cure attinenti al suo ufficio, allargò le sue ricerche sull’'idra, studiandone in particolare il sistema nervoso col metodo di Ehrlich, che applicò anche agli idroidi marini, in un breve soggiorno nel mio laboratorio a Genova; e condusse a ter- mine due pazientissimi studii di citologia. Il primo di questi, consigliatogli dal suo maestro prof. Maggi, e ch'egli compì insieme al fratello superstite D." Luigi, egli pure distintis- simo giovane, riguarda certi piccolissimi elementi che si rinvengono più o meno diffusi nel protoplasma cellulare. Già descritti molti anni prima dal Maggi col nome di pla- dl stiduli, erano stati da poco nuovamente studiati, con una tecnica speciale, dall’Altmann, che lì chiamò dioblasti, e che attribuì loro una grande importanza nell’ organizzazione. Impiegando la tecnica accennata, i due valorosi giovani fe- cero un’escursione completa nella serie ascendente degli animali, e riscontrarono tali plastiduli non meno nei pro- tozol, che nei celenterati, nei vermi, negli echinodermi, nei molluschi, negli artropodi e nei vertebrati. Sebbene di non grande mole, tale memoria, per l’assiduo, minuzioso lavoro che costò per molti mesi ai due fratelli, ben si può dire di lunga lena. Un altro argomento citologico, a cui si applicò da solo Raffaello nel 1892, è la ricerca delle cosidette sostanze cromatofile dell’Auerbach nei ciliati, lavoro esso pure di molta finezza e pazienza, richiedendosi l’isolamento, e la sezione al microtomo di animali così piccoli come gli in- fusoril. Desideroso di allargare l’orizzonte delle sue cognizioni e d’acquistare famigliarità con la fauna marina, egli passò due mesi delle vacanze estive (settembre e ottobre 1891) alla Stazione zoologica di Napoli, studiandovi nuove forme di idroidi e alcuni fenomeni fisiologici, relativi alla trasmissione degli stimoli nelle loro colonie. Riconfermato assistente anche per l’anno 1892-93, con- tinuò i suoi studil sulle sostanze cromatofile, estendendoli ai protozoi succhiatori e alle uova di un ascaride e d’un afide, e ricavandone risultati così notevoli, che furono com- mendati dallo stesso Auerbach. Nel gennaio e febbraio del 1893 lo troviamo nuovamente a Napoli, intento all’ osser- vazione delle cellule colorate dell’ectoderma di alcuni idroidi. Tornato a Pavia, attese a una ricerca microchimica sulla localizzazione del fosforo nel peduncolo delle vorticelle, im- portante per determinare la natura muscolare o meno del filamento contrattile. i Instancabile nel lavoro, a cui cercava argomento in campi diversi, e persuaso dell'importanza della chimica per gli studii di biologia (su ciò sempre insiste nelle sue lettere), nel settembre e ottobre del 1893 accompagnò il fratello Luigi a Basilea, e si occupò con lui nel laboratorio di chi- mica fisiologica del prof. Bunge. Avendo poi vinto per concorso, con ?°/,,, un assegno di perfezionamento all’interno, sì recò ai primi di gennaio del 1894 a Messina, nei laboratorio del prof. Kleinenberg, e scelse a tema di studio un argomento non meno attraente che difficile di embriologia. Già precedenti ricercatori avea- no accertato, per alcuni tipi animali, il fatto inopinato che, anche distruggendo parecchie delle sfere di segmentazione, lo sviluppo dell’uovo avviene egualmente ; risultato impor- tantissimo per risolvere parecchie questioni attinenti alla eredità del caratteri e alla teoria dell'evoluzione. Egli studiò il problema specialmente sulle uova delle meduse, fin al- lora non per anco sottoposte a tali prove, e, lavorando as- siduamente per sei mesi, giunse a risultati così felici, che il suo lavoro ebbe l'onore d'esser pubblicato nell’ Archiv fi Entwicklungs-Mechanik del Roux, il quale scrisse nel necrologio dello Zoia che tale memoria era un ornamento del suo giornale. Ai primi di febbraio dell’anno seguente abbandonava nuo- vamente Pavia, avendo ottenuto, ancora con %/,; l'assegno di perfezionamento all’estero della Cassa di Risparmio di Milano, e andava a Berlino a continuare i suoi studii em- briologici nel laboratorio di Oscar Hertwig, che gli assegnò per tema l’embriologia dell’ Ascaris megalocephala , spe- cialmente in quei punti ch’erano ancora oscuri. Con grande amore si applicò a questa ricerca, conducendola a termine con tanta soddisfazione del maestro, che la memoria fu stampata in tedesco dallo stesso Hertwig nell’ Archiv fur mikroskopische Anatomie. | Durante l’anno scolastico 1895-96 rimase a Pavia, nuo- vamente assistente del prof. Maggi, che lo amava come figlio. Il suo valore cominciò ad essere così da tutti rico- nosciuto, ad onta della sua quasi timida modestia, che già nel 1895 la Società dei XL di Roma gli aveva assegnato Ja medaglia d’oro per le scienze naturali, e nel 1896 1’ I- stituto lombardo di Milano lo nominava Socio corrispondente. Ma queste legittime compiacenze non erano rimaste sce- vre da un’ amara delusione. Nel novembre del 1894 avea chiesta la libera docenza per titoli in anatomia comparata, e la Facoltà di scienze a Pavia avea accolta ad unanimità la relazione alla Commissione, proponendo al Ministero la 9 nomina. Nessuno dubitava ch’essa sarebbe stata accolta fa- vorevolmente, ed egli già si apparecchiava a dare un corso d’embriologia, quando giunse la risposta negativa del Con- siglio superiore. Quali possano essere state le cause di tanta severità, dopo non lontani esempii di maggiori indulgenze, è ormai vano indagare; se furono estranee alla scienza, portano con sè la loro critica: giova meglio credere a una determinazione di massima, intesa a circoscrivere pel mo- mento il numero delle libere docenze. | Colpito, ma non iscoraggiato dall’inaspettata ripulsa, si acconciò a chiedere la docenza per esame, e però si ac- cinse ad un lavoro sullo stato presente degli studi relativi alla fecondazione, da presentare come dissertazione : lavoro che richiedeva una lunga e grave fatica, trattandosi di rias- sumere e sintetizzare numerose memorie in varie lingue sull’argomento, e di orientarsi in mezzo all’intricato dedalo di opinioni spesso oscure e discordanti onde la questione è ancora irta. Condusse a termine anche questo scritto (prima litografato, e che ora si va pubblicando nel £Lollet- tino scientifico), dando prova non meno di serupolosa di- ligenza, che di corretto giudizio critico. Alla fine di maggio presentò la tesi, e si preparava a sostenere la prova orale, ma la dimissione di uno dei membri della Commissione, e poi il periodo degli esami universitarii, fecero rimandare la cosa a dopo le vacanze. Ahimè, lo sven- turato moriva senza aver potuto raggiungere questa giusta soddisfazione del suo amor proprio, questa dovuta ricom - pensa al suo merito! ma egli l’avea già ottenuta nell’opi- nione di coloro che lo conoscevano. A parecchi altri lavori avea posto mano, che rimasero incompiuti per la improvvisa fine: sui parassiti del Lex- ciscus pigus) (suggeritogli dal suo maestro in zoologia, prof. P. Pavesi), sull'embrioiogia dell’idra, del Chaetogaster, di un Cyclops, sulla fecondazione incrociata nei vegetali -(in- sieme al collega botanico Montemartini), sullo sviluppo del- l’Ascaris con tre cromosomi ; inoltre un raffronto fra la coniugazione dai protozoi e la fecondazione degli animali superiori, fra nucleo e protoplasma, cariocinesi e feconda- zione; appunti sulla fauna dei fossati e degli stagni dei dintorni di Pavia, ecc. Nelle sue note vidi anche varii pro- 10 getti di esperienze e osservazioni ben ideate, che gli erano suggeriti dalla lettura dei lavori altrui o dalle ricerche già compiute. Quanta attività in così breve tempo! Un fato crudele lo spense, proprio quando egli, divenuto padrone della sua scienza e dei suoi argomenti speciali, allargava le ali a più ampli e fecondi voli! L'aspetto di Raffaello Zoia ispirava subito simpatia. Di statura media, di tenui membra, portava però nella per- sona diritta e nei movimenti decisi l'impronta del vigore e della franchezza; e sul volto severo, ornato di biondi ca- pelli e di fulva barba, appariva spesso un sorriso buono e intelligente. L’ingegno suo era sereno, equilibrato. Non aveva que- gli scatti e quei lampi che abbagliano e fanno rumore, ma tutte le qualità più sicure di solidità e di resistenza. Aveva, quasi da solo, imparato parecchie lingue: oltre il francese e il tedesco, che parlava correttamente, leggeva con faci- lità l'inglese, traduceva dal russo, dall’ olandese e dallo svedese. Era ingegnoso, minuzioso, se vuolsi, nelle sue ricerche, ma non era un empirico. La sua mente era ad un tempo analitica e sintetica, felice combinazione che ben di rado sì trova nella stessa persona, perchè chi è portato all’os- servazione diligente è spesso meno atto alle ardite induzioni, e chi ama spaziare nel campo delle teorie e delle sintesi, manca talora della pazienza necessaria all’ osservazione e allo sperimento. Egli non si cristallizzava, come tant’altri, negli indirizzi in onore pro tempore, ma sentiva il pregio di tutte le tendenze intellettuali che guidano al vero. Egli, che aveva dato il meglio della sua attività alla morfologia, comprendeva ch essa non rappresenta tutta la biologia, che le forme sono il risultato di energie molteplici, che occorre studiare, se dall’effetto si vuol risalire alla causa, talchè in una sua lettera scriveva: « per quanto sian belle ana- tomia e istologia, la vera scienza della vita è pur sempre la fisiologia ». E verso questa sempre tendeva. Sopratutto egli era sincero, e non mai riteneva di aver assodato un fatto, se prima non l’avea osservato più volte dn tn si n Ri ia DA ll e sotto diversi aspetti, provando e riprovando: nè mancava di notare da sé stesso le lacune e le imperfezioni dei suoi lavori. Anzi talora, nel riandare gli scritti suoi precedenti, qualche dubbio lo assaliva sui punti controversi, e si vol- geva subito a chiarirlo. Desiderava, per esempio, ripetere alcune osservazioni sulla struttura del sistema nervoso del- l’idra, dubitando che qualche elemento tinto coll’ azzurro di metilene non fosse di natura nervosa. La sua esposizione era limpida e succosa; nessuna frase che tendesse a magnificare il suo lavoro; nessun riempi- tivo inutile, ma solo la succinta relazione di quanto avea visto di notevole. Lavori ch’ eran durati mesi e mesi rias- sumeva in poche pagine, ove nessuno di coloro che non l'hanno visto all’ opera crederebbe sia condensata tanta fatica. Preciso nell’osservare, sottile nel ragionare, era al tempo stesso assai indefesso al lavoro e di energica volontà. A Messina, per non interrompere osservazioni che dovea fare di 10 in 10 minuti sullo sviluppo dei blastomeri isolati, stava fin dodici ore di seguito al suo banco di laboratorio e desinava studiando. A Berlino portava a casa la sera uteri di ascaridi pieni d’uova, e nella notte caricava la sveglia di due in due ore per fissarne i pezzi, senza per- dere alcuno degli stadii immediatamente successivi. Faceva anche estese letture di trattati e memorie scientifiche, per propria istruzione e senza alcuna applicazione del momento, vegliando per interi mesi gran parte della notte; strapazzo che scosse qualche volta la sua salute. E s’interessava tanto d’ogni argomento, che una volta ebbe a scrivere: « questa tendenza non so se mi sarà di utilità, perchè, per il modo in cui si fa sentire, m’impedisce di continuare a lungo nella stessa occupazione; temo non mi debba stornare da uno scopo fisso ». Il fatto però provò che il suo timore era esa- gerato. Era alieno dalle polemiche, e quando avea appunti da fare o spiegazioni da dare a qualche naturalista che la- vorava nello stesso campo, preferiva discutere privatamente in via epistolare, dimostrandosi ad un tempo franco e cor- tese. Era in corrispondenza scientifica con non pochi biologi italiani e stranieri, da cui riceveva larghi omaggi di opu- scoli e di memorie. 12 I suoi affetti domestici erano d’una profondità e d’una delicatezza senza pari, frutto non meno della sua dolce indole, che dell’ ambiente elevato e gentile in cui era ere- sciuto. All’intima affezione e alla confidenza illimitata pei genitori, univa una profonda riconoscenza per l'educazione avuta e per l'esempio da loro ricevuto nella vita famigliare e cittadina. I suoi due fratelli erano per lui i più cari ed intimi amici. Se un delicato riguardo non mi vietasse di sollevare il velo del sacrario domestico, potrei citare fatti significanti e lettere commoventi — specie quelle ch’ egli scrivea ai genitori e ai fratelli nelle solennità di famiglia, e nelle lunghe assenze da Pavia per ragione di studio. Ogni giorno da Napoli, da Messina e da Berlino mandava una lettera alla madre, tutte informate ai più teneri e nobili affetti. l : La bontà del suo cuore egli estendeva anche agli amici, che lo ricorderanno sempre con profondo rimpianto, e si irradiava verso tutti, in un caldo sentimento umani- tario. Il quale, avvalorato dalle conclusioni più elevate della scienza, lo portò naturalmente ad addentrarsi negli studii sociologici e ad occuparsene praticamente, non a scopo settario o ambizioso, ma con un alto tine di bene e di progresso. L'uomo completava lo studioso: alla formola teorica di « scienza per la scienza », che degenera talvolta in quella più pratica di scienza per gli scienziati, egli pre- feriva quella veramente ideale di scienza per la verità e per l'umanità, e ai suoi amici godeva ripetere che era lieto dei suoi successi scientifici, anche. perchè essi gli avrebbero accresciuto autorità per l’ apostolato umanita- rio. E dopo aver passato la giornata nei più arduì studil, non disdegnava impiegar le serate nello sminuzzare ai poveri il pane dell’alfabeto. Vera carità d’uomo illuminato e di filantropo! Per dare un'idea della sua elevatezza morale, mi basterà ricordare che quando furono a Pavia chiamati in giudizio alcuni giovani che partecipavano alle sue opinioni, egli si pose in prima linea d’una lista di “ centocinque compagni, e andando a sedere tra gli imputati disse al magistrato: —- anch'io, anche noi, che voi avete vo- luto risparmiare, siamo rei della stessa colpa: processateci tutti! — Il magnanimo tratto contribuì all’assoluzione degli " AA ei a ep a da 13 accusati. Ora, davanti a questo fatto (che dà indizio di un così puro sentimento della giustizia, e di un così profondo disinteresse personale), a qualunque indirizzo si appartenga, si può discutere, ma si deve ammirare. Sobrio e austero nel modo di vivere, era alieno da tutti i bisogni fittizii ormai connaturati nel più delie persone agiate, e anche i suoi divertimenti erano maschi e severi. Amava tutti i forti esercizii del corpo, e specialmente il remare e il nuotare, ma sopratutto il camminare e il viag- giare. Visitando paesi nuovi si interessava di tutte le loro bellezze artistiche e naturali, e gli incanti di Napoli e della Sicilia lo rapirono. La sua predilezione era però per la montagna; nè è rara in ‘chi più si eleva con la mente questa passione per le vette più eccelse, ove le miserie e le piccolezze umane sembrano scomparire, ove pare di trovarsi in un mondo più limpido e puro. Senz’ aver mai fatto escursioni alpine di prim’ ordine, avea raggiunto le cime di molti ragguardevoli monti, tra cui il pizzo Corvatsch presso Silvaplana (3500 m.), il Montenero in val Malenco (3000 m.), il Pizzo Forno (2900), il Lucomagno (2700), il Furka (2450), il Moncodine, il Legnone, il Vesuvio, ecc. Egli era dunque allenato alle lunghe passeggiate e alle ardue salite, e riesce ancora incomprensibile come siasi perduto col fratello in un’ ascensione assai meno difficile di molte altre compiute felicemente. | La Rivista mensile del Club alpino italiano (ottobre 1896) dà una breve relazione della catastrofe, dichiarandola « avvenuta in condizioni tali da essere quasi senza prece- denti negli annali dell’ alpinismo ». — Riporterò la parte essenziale. « Il 24 settembre u. s. (1896) alla mezzanotte, con tempo bello, il dott. Filippo De-Filippi, col dott. Raffaello Zoia e suo fratello Alfonso, studente, partirono da Craveggia (Ossola) per salire le roccie del Gridone dalla valle Vigezzo (versante nord), scendendo alla Bocchetta del Fornale e in valle Cannobina. Alle 8 antim. erano arrivati al piede della parete, sul costone di confine, detto Testa di Misello. A _mezzodì raggiunsero il crestone terminale del Gridone, senza incontrare nessuna vera difficoltà alpinistica. Di qui si doveva percorrere la cresta non difficile, e, superando tre 14 spuntoni quotati m. 2126, 2060, 2154, raggiungere il comodo sentiero della Bocchetta del Fornale. Verso le 12.30 improvvisamente il tempo si fece buio, persistendo sempre vento da nord, e cominciò a nevicare fittamente; quasi subito i due fratelli Zoia apparvero stanchi, incerti, e colti dall’ apatia morale e fisica caratteristica del mal di montagna. Queste condizioni e la neve fresca non per- mettevano neppure di pensare a ridiscendere la parete per la quale si era saliti, via del resto non meno lunga della facile cresta che metteva capo alla Bocchetta del Fornale. Il procedere innanzi si fece presto lentissimo; l’unico membro della carovana in buone condizioni di salute avea molta difficoltà a ottenere dai compagni che si procedesse almeno senza fermarsi, e vedeva crescere in loro la sfiducia e lo scoramento. Alle 16 avevano appena superato il primo spuntone (2126 m.), percorrendo circa 4/; della cresta. Sva- nita ogni speranza di raggiungere il colle prima di notte, tenta- rono una discesa diretta per un canalone a sud della cresta, ar- restata dopo circa mezz'ora da un salto di roccia di una trentina di metri. Con molto stento la carovana ritornò sulla cresta; erano le 17.30, e pareva notte fatta. Verso le 18 i tre compagni ripa- ravano per pernottare in un piccolo ripiano sotto la cresta, bene difeso dal vento. Il dott. Raffaello appariva il più malato, e, mal- grado il massaggio continuo, si faceva apatico ed inerte. A mez- zanotte era ancora sveglio, ma incosciente; alle 2 morì. » Poco dopo, in simili condizioni, spirava il fratello. Le cause della catastrofe sono riferite, nell’ articolo ci- tato, alla violenza e subitaneità del temporale scatenatosi sul Gridone, alla diminuzione di pressione da esso cagio- nato, al raffreddarsi improvviso dell’aria, allo strapazzo fisico con una notte simile dopo una giornata intera di marcia; tutte cose che però per sè stesse non basterebbero a spiegare una così rapida fine di entrambi. Forse è lecito pensare, io credo, che essi avessero fatto eccessivo asse- gnamento sulle loro forze fisiche, dopo parecchi anni di lavoro intellettuale intenso e continuato, con una fibra bensì sana e resistente, ma sensibile e delicata. Le salme, trasportate a Craveggia, ove le attendevano gli angosciati parenti, proseguirono per Pavia. ove tutta la popolazione, con inusato concorso e manifesti degni di dolore, volle rendere omaggio non meno alla sventura che alla virtù. Nè minore fu il compianto nel campo scientifico : basta leggere le lettere inviate alla famiglia dai nostri più PR E TRE, OL pe nl 15 insigni biologi, e da parecchi anche stranieri, tra cui Altmann, Auerbach, Balbiari, Brauer, Driesch, Frey, Giard, Haeckel, Heidenhain, O. Hertwig, Mitrophanow, Roux, Riickert, Flemming, tutte con le più onorevoli espressioni di stima pel giovane naturalista estinto. Così le nevose cime alpine, che nel 1882 avevano tolto la vita all’insigne embriologo inglese Balfour appena tren- tenne, la tolsero pochi anni dopo a una fulgida speranza dell’embriologia italiana! E, quel chè più doloroso, spen- sero nel giovane: dolce ed ardito l’uomo ornato delle più care virtù. Specialmente a questa rara elevatezza morale, che pongo al di sopra d'ogni, sia pur meritata, rinomanza scientifica, ho creduto giusto d’ intessere in queste pagine una affettuosa corona. 16 Fic I lavori scientifici di Raffaello Zoia sommano a 20 {oltre 400 pagine, con 25 tavole) e si possono, per il loro argo- mento, distinguere in tre gruppi: I. Stud? istologici e ci- tologici; Il. Sugli idroidi ed altri celenterati; Il. Em- briologici. STUDII ISTOLOGICI E CITOLOGICI. 1. Sulle fibre della porzione maggiore del muscolo ad- duttore dell’Ostrea edulis. Bollettino scientifico, Anno XII, fascicolo 1°, Pavia 1890; di pagine 4 con 1] tav. R. Blanchard aveva pubblicato nel 1880 una Note sur la présence de muscles striés chez les mollusques acéphales monomyares. Fol nel 1888 negò la presenza di vere fibre striate nel muscolo d’occlusione del Pecten. Blanchard rispose soste- nendo i fatti già asseriti, e riconosciuti pure da Tourneaux e Barrois. Lo Zoia pose fine alla questione, mostrando che in realtà questi muscoli appartengono al tipo liscio, ma che, essendo le loro fibrille disposte obliquamente o a spi- rale, ne risulta, come pura apparenza, l’effetto di striature a losanga. oblique, incrociate, ecc. 2. Intorno ai plastiduli fucsinofili (bioblasti dell’ Alt- mann) (in collaborazione col fratello dott. Luigi). Memorie del R. Istituto lombardo, Vol. XVI, Milano, 1891; di pa- gine 34 in 4.°, con due tavole. (Sunto in Bollett. scientif. Arch. f. Anat, und Physiol., Arch. ital. de biologie e Rend. Istit. lomb. dello stesso anno). R. Altmann, adoperando uno speciale processo tecnico (fissazione con una miscela osmio- bicromica, colorazione con fucsina acida, decolorazione dif- ferenziale con acido picrico) scoperse nelle cellule di pa- recchi vertebrati e del Dytiscus dei corpicciuoli granulari o bacillari, ch'egli chiamò bioblasti, e che corrispondono evidentemente, sia per la forma che per il modo con cui sono interpretati, ai plastiduli che il prof. Maggi già aveva descritto fin dal 1878. I fratelli Zoia decisero di estendere a tutti i tipi animali le ricerche dell'Altmann, raccolte nel suo libro Die Elementarorganismen und ihre Beziehungen zu den Zellen, 1890, e completarono il loro quadro, in cui 17 rimase la sola lacuna dei mesozoi e dei molluscoidi. Per dare una idea della estensione del lavoro noterò che essi, tra i protozoi, studiarono Amoeda limaz, varie monadi, Paramecium, Opalina ranarum, Colpoda cucullus, Stentor polimorphus, Entodinium, Diplodinium, ecc.; tra i celenterati: Spongilla fluviatilis e Hydra vulgaris; tra vermi: una turbellaria, Ascariîs megalocephala, Serpula uncinata, Hirudo medicinalis, Aulostomum gulo; tra gli echinodermi: Comatula mediterranea, Asteracanthion tenuispinis, Strongylocentrotus lividus; tra i molluschi: Helix pomatia e Acanthopsole rubrovittata; tra gli ar- tropodi: Asfacus fluviatilis, Tegenaria domestica, Hydro- philus piceus; tra itunicati: Ciona intestinalis; tra i ver- tebrati la tinca, la salamandra acquaiola, la raganella, la rana, il rospo, il geco, il ramarro, la lucertola, la capinera, il gallo, lo zigolo giallo, il.coniglio, il topo, il porcellino d'India, il cane, il gatto e l’uomo. Di queste svariatissime specie sottoposero alla prova i diversi tessuti, e notarono nelle cellule di tutti gli organi la presenza costante dei plastiduli fucsinofili, indagandone i fenomeni vitali, e loro attribuendo una funzione nutritiva. La natura di questi elementi è ancora oscura, nè molti ammettono il loro va- lore di organismi associati, ma, lasciando le interpretazioni e le teorie, si può affermare che in questo lavoro le consta- tazioni di fatto sono eseguite con grande diligenza su un vasto materiale, e, qualunque sia il significato dei bioblasti, la loro presenza in tutta la serie animale fu accertata per la prima volta dai fratelli Zoia. 3. Sulle sostanze cromatofile del nucleo di alcuni ci- liati. Bollettino scientifico, Anno XIV, fasc. 4.°, Pavia, 1892; di pagine 10. (Sunto in Arch. it. de biol., 1893). Le ricerche di Ogata, Lukjanow, Hermann e Auerbach avevano asso- dato che nel nucleo delle cellule esistono sostanze diverse, distinguibili per la facilità maggiore o minore con cui as- sumono questa o quella colorazione. Lo Zoia si propose di studiare questa particolarità negli infusorii ciliati (Para- mecium, Opalina, Balantidium, Spirostomum, Stentor, Vorticella, Zoothamnium. Chilodon, Gastrostyla), in cui fino allora non era stata studiata; e adoperando la miscela di Biondi -su sezioni sottilissime (di 2-3 micromillimetri) IS degli organismi studiati, riscontrò la natura cianofila del macronucleo, ed eritrofila dei granuli contenutivi; dunque anche.nel nucleo dei ciliati esistono le due sostanze cro- matofile dell’Auerbach. 4. Contribuzione allo studio delle sostanze cromatofile nucleari di Auerbach. Bollettino scientifico, Anno XV, fascicolo 2, Pavia, 1893; di pagine 15. Continuando il suo precedente studio sulle sostanze cromatofile, il dott. Zoia lo estese alle cellule, sì libere che associate in tessuti, du- rante i fenomeni della riproduzione. E nel macronucleo di parecchi ciliati (Histrio, Gastrostyla) vide un intreccio di sottili filamenti cianofili, frammezzati da spazii chiari; la sostanza eritro‘ila era pure disposta a filamenti, e non a granuli, come nello stadio di riposo. Tra gli elementi ses- suali dell’Ascaris megalocephala trovò che il nucleo degli spermatozoi è cianofilo e intorno ad esso sta il corpo pro- toplasmotico eritrofilo; e il nucleo dell’ ovo, generalmente eritrofilo allo stato di riposo, diventa cianofilo quando è in via di riproduzione. La sostanza cianofila non manca nep- pure nelle uova partenogenetiche. ». Sulle sostanze cromatofile del nucleo dei succhia- tori e flagellati. Bollettino scientifico, Anno XV, fasc. 4°, Pavia, 1893; di una pagina. Anche nei succhiatori e fla- gellati trovò gli elementi cianofili ed eritrofili. Questi lavori sulle sostanze cromatofile, per quanto rivolti ad argomento non ancora uscito dallo stadio empirico (non avendo tali colorazioni un chiaro significato chimico), furono general- mente lodati per l'accuratezza dell’ osservazione e la niti- dezza dei risultati. 6. Localizzazione del fosforo nel peduncolo delle vor- ticelle. Bollettino scientifico, Anno XVI, fasc. 4°, Pavia, 1894; di pagine 3. Lilienfeld e Monti avevano trovato sensibile alla reazione microchimica del fosforo specialmente il tes- suto muscolare. Lo Zoia nel filamento contrattile del pe- duncolo delle vorticelle ottenne debolmente la reazione; ne provò allora un’altra col cloruro stannoso ed ebbe colo- rato in azzurro detto filamento, che manifestossi così di natura muscolare, 19 STUDII ANATOMO-FISIOLOGICI SUGLI IDROIDI E ALTRI CELENTERATI. pai 7. Alcune ricerche morfologiche e fisiologiche. sulla Hydra. (Tesi di laurea). Bollettino scientifico, Anno XII, fasc. 3° e 4°, e Anno XIII, fase. 1°, Pavia, 1890; di pagine 90, con 6 tavole. Sunto in Arch. ital. de biologie, 1891. E un lavoro monografico in cui, dopo aver esposta la storia dell’ argomento, l’ autore passa in rassegna tutti gli ele- menti istologici dell’ idra, discutendo le ricerche altrui e aggiungendo le proprie; e specialmente si trattiene sulla parte fisiologica. Se non vi si contengono scoperte rile- vanti, in ogni capitolo vi hanno però osservazioni origi- nali, che completano e connettono quanto già si sapeva, notevoli specialmente quelle che si riferiscono agli elementi muscolari e ai nematocisti. Le esperienze fisiologiche ri- guardano i movimenti di estensione e contrazione dell’idra, anche inseguito ad eccitamenti chimici o elettrici, il mec- canismo dello scatto delle cellule urticanti, il senso tattile, termico, visivo, acustico. la coscienza, ecc., il tutto con par- ticolari curiosi e attraenti. E quanto alle idee e teorie ge- nerali sulla natura primitiva e non regredita dell’idra, sul- l'analogia fra gemme e tentacoli, sulla derivazione dell’idra dalla protoidra, ecc., osserverò, contro i possibili contraddit- tori che in questi animali i fenomeni di accrescimento non sono così chiaramente distinti da quelli di riproduzione, da non lasciar adito a interpretazioni personali; e quelle dello Zoia sono ben più ragionevoli di talune congetture morfo- logiche e filogenetiche di cui hanno dato saggio parecchi moderni naturalisti. E ad ogni modo ben di rado accade di veder presentata alla laurea da un giovane di vent’ anni una dissertazione di tanto valore. 8. Intorno ad alcune particolarità di struttura del- Y idra. Rendiconti del R. Istituto lombardo, Vol. XXII, fasc. 9°, Milano 1891; di pagine 13, con due tavole. (Sunto in Zoolog. Anzeiger, 1892 e Arch. it. de biol., 1893). L’au- tore ritorna ai suoi studii sull’idra, colorandone il sistema nervoso con l’azzurro di metilene. In questo modo riuscì a constatare la presenza di numerosi elementi nervosi, 0 a cellula multipolare, o a gomitolo; in alcuni idroidi marini 20 (Eudendrium. racemosum, Tubularia mesembryanthe- imum) ottenne analoghi risultati. 9. Sulla trasmissibilità degli stimoli nelle colonie di idroidi. Rendiconti del R. Istituto lombardo, Vol. XXIV, fasc. 20°; di pagine 9, con una tavola. (Sunto in Bollett. scientif., 1891 e Arch. it. de biol. 1892). Qui lo Zoia estende agli idroidi marini alcune esperienze fisiologiche che ‘avea fatto sull’ idra, adoperando come stimolo un rocchetto Du Bois-Reymond e giungendo all’importante risultato che l’ec- citamento prodotto in un individuo si estende agli individui dello stesso o di altri rami, con leggi costanti di succes- sione; ciò sparge nuova luce sui rapporti sociali di questi organismi. 10. Sw alcuni esemplari di Dendroclava Dohrnii W. Bollettino scientifico, Anno XIII, fase. 3-4. Pavia, 1891; di pagine 3. L’autore dà notizia dal rinvenimento di questa rara forma in acqua superficiale, mentre prima era con- siderata solo come di grandi profondità; e aggiunge alcuni particolari tassonomici e anatomici. 11. Le cellule colorate dell’ectoderma di alcuni idroidi. Bollettino scientifico, anno XV, fasc. 2°, Pavia, 1893; di pagine 8, con una tavola. A Napoli, in alcuni idroidi (Ser- tularella, Halecium, Aglaophenia, ecc.) Vl autore notò il fatto eccezionale della presenza di cellule colorate in giallo o in verde nell’ ectoderma, le quali non sono da confon- dersi con le zooclorelle o zooxianteile parassite o commen- sali, ma sembrano cellule glandulari. 12. Intorno ad un nuovo idroide (Umbrellaria Aloysti) n. g. n. sp. Mittheilungen aus d. zoolog. Station zu Neapel, Vol. X, fasc. 4, 1793; di pag. 8, con una tavola. Questa nuova forma d'idroide, ch’egli dedica al fratello Luigi, ha i seguenti caratteri generici: Idrocaule rudimentale, rive- stito di perisarco pure rudimentale; idranti con un solo verticillo di tentacoli filiformi sotto l’ipostoma conico. Idro- riza filiforme, ramificata, strisciante. Nematocisti di due for- me; e caratteri specifici : idranii sorgenti con un brevis- simo peduncolo dalla idroriza filiforme, strisciante, ramifi- cata. Perisarco anulato nella sua porzione idrocaulare. Ten- tacoli 10-15. 13. Una nuova inedusa (Octogonade mediterranéa) n de. eli 2) o. h. sp. Bollettino scientifico, Anno XVIII, fase. 3-4, Pavia, 1895; di pagine 6, con una tavola. La trovò a Messina, e ha questi caratteri generici: Leptomedusa con $ canali ra- diali, semplici, che sorgono separatamente dalla periferia gastrale. Stomaco cilindroide senza peduncolo. Bocca con 8 labbra. Vescicole marginali con molte otoliti. STUDII EMBRIOLOGICI. 14. Sullo sviluppo dei blastomeri isolati dalle vova di alcune meduse. Anatom. Anzeiger, Vol. X, Jena, 1894; di pagine 4. 15. Sviluppo dei blastomeri isolati ed anomalie di seg- mentazione nelle uova di echini. Rendiconti del R. Isti- tuto lombardo, Vol. XXVII, Milano, 1894; di pagine 4. 16. Sullo sviluppo dei blastomeri isolati dalle uova di alcune meduse (e di altri organismi). Archiv fùr Entwi- cklungs Mechanik der Organismen, Vol. I, du 1895; di pagine 59 con 7 tavole. In questi tre a (i primi due dei quali sono note pre- liminari), l’autore raccoglie il frutto dei suoi studi a Mes- sina, su un importantissimo argomento. Già parecchi autori (Roux, Chabry, Driesch, Wilson, Hertwig, Morgan, Chun) aveano provato che, distruggendo una o più sfere dell’uovo in via di segmentazione di ctenofori, echini, tunicati, te- leostei, anfibii e dell’Ammphioxus, lo sviluppo ha luogo egual- mente come dall’uovo intero. Il dott. Zoia estese tali ricerche alle meduse (Clytia, Laodice, Mitrocoma, Liriope, Gery- onia), abbandonando il metodo dello scuotimento, che riesce dannoso per le loro uove delicatissime, e usando in- vece un ago arrotato per operare la separazione dei bla- stomeri sotto 11 microscopio. Trovò che una frazione anche assai piccola (!/s. 1/16) dell’ uovo presenta uno sviluppo identico a quello dell’uovo intero, dando una larva più piccola, ma normale. Negli echini e nell’Amphioxus da !/ sì erano ottenuti solo i primi stadii, senza raggiungere una larva compiuta; nelle meduse i risultati sono dunque finora più significanti che in tutti gii altri animali studiati. Questo studio è condotto con esemplare valentia sì nella parte spe- rimentale che critica, e onorerebbe qualunque embriologo. o TO Ripetendo poi le esperienze del Driesch sugli echini, s'in- contrò in parecchie anomalie, talune delle quali spieghe- rebbero la formazione dei mostri doppii. 17. Genealogia dei blastomeri — Varie modalità di sviluppo dei blastemeri isolati. Bollettino scientifico, Anno XVII, fasc. 2, Pavia, 1895; di pagine 4. E un riassunto storico-critico dell’ argomento. 18. Sull’indipendenza della cromatina paterna e ma: terna nel nucleo delle cellule embrionali. Anatomischer Anzeiger, Vol. XI, Jena, 1895; di pagine 5. E una ricerca breve, ma finissima. Il Rickert avea provato che gli ele- menti cromatici dell’ovo del Cyclops ferox ad ogni cario- cinesi sì mostrano distinti in due gruppi, ch'egli ritiene l’uno paterno e l’ altro materno. Per accertare questa in- dipendenza, lo Zoia approfittò della fecondazione incrociata tra l Ascaris megalocephala var. bivalens e var. univa- lens, già osservate da Meyer e Herla, caso utilissimo per la facilità di distinguere il cromosoma unico d’un sesso dai due dell'altro. In seguito a incrociamento tra femmina di valense maschio univalens, egli vide il cromosoma paterno, più piccolo, ricomparire distinto dai due materui ad ogni mitosi fino alio stadio della piastra equatoriale. Ognuno comprende | importanza d’aver accertato che la cromatina paterna e materna restano, fin a un certo punto, indipen- denti nel nucleo delle cellule embrionali. 19. Untersuchungen itber die Entwicklung der Ascaris megalocephaia. Archiv fiv mikrosk. Anatomie, Vol. XLVII, Bonn, 1896; di pagine 44, con 2 tavole. È questo il lavoro da lui compiuto nel laboratorio di O. Hertwig a Berlino, e uno dei suoi più diligenti e perfetti studii. L' embriologia dell’Ascaris megalocephala era già stata studiata da altri autori (Boveri, Herla, Sala, Van Beneden) anche per quanto riguarda i primi siadil; il merito principale del lavoro dello Zoia sta nell’accuratezza con cui egli seguì il metodo ado - perato da Whitmann, Hallez, Samassa, Spemann, Kofoid, Wilson, ecc., di descrivere cioè non solo i varii stadii suc- cessivi, ma di seguire la derivazione o genealogia dei sin- golì blastomeri, cominciando dai primi due. Tale ricerca è importantissima per lo studio dell’organogenesi, dopo le tante teorie relative all’ origine dei foglietti embrionali, e Vv w di Ki i È k i RE E II n 23 specialmente del mesoderma. Queste osservazioni esigono, come si comprende, una pazienza ed una abnegazione senza pari, dovendosi raccogliere, preparare, e mettere in serie tutti gli stadii da 2 a 84 e più blastomeri, comprese le forme intermedie in mitosi, e identificando, per qualche carattere di differenziamento precoce, i singoli blastomeri e i loro derivati; e per eliminare ogni possibilità d'errore, le osser- vazioni devono essere ripetute molte volte per ogni stadio. Allo scopo di fissar meglio le idee, lo Zoia si servì di sferette di cera variamente colorate, le quali riuniva in modo che ripetessero plasticamente la disposizione dei singoli blasto- merì; egli stesso mi mostrò e spiegò questa sua ingegnosa collezione. Dalla prima divisione alla gastrulazione, le cel- lule con riduzione cromatica (A, B, C, D), e le restanti (P. , P. !, ecc.) sono seguite fino alla formazione dei fo- glietti; la cellula sessuale primordiale appare nell’ Ascaris alla 6.8 generazione. Tentò, ma infruttuosamente. sulle uova di questo nema- telminto, le ricerche sullo sviluppo di blastomeri isolati; gli riuscì invece di accertare parecchie anomalie di segmen- tazione. 20. Sfato attuale degli studii sulla fecondazione (Dis- sertazione di libera docenza). Bollettino scientifico, Anno XVIII, fasc. 2, 3, 4 (continua); di oltre pagine 100, con ta- vole. E una rivista, meglio un trattato sul tema della fe- condazione, in cui sono riassunti i fatti, le discussioni, i problemi relativi all’importante argomento, e sono citati ben 250 lavori pubblicati negli ultimi anni e quasi tutti consultati direttamente: nè può considerarsi come un semplice lavoro ci compilazione, perchè l’intricata materia è lumeggiata criticamente da chi, per la sua speciale com- petenza, poteva darne giudizio attendibile. Questa escur- sione nel difficile campo stava già diventando per lo Zoia il punto di partenza per nuove e svariate ricerche, che na fortuita quanto funesta congiuntura ha inesorabilmente troncato. Gen PAIA Ova, Tipografia Ciminago, Vico Me i YUL 12 18970 so BOLLETTINO DEI MUSEI DI ZOOLOGIA E ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIVERSITÀ DI GENOVA No 55. /3, dI 1896. Corrapo PARONA Notizie storiche sopra i grandi Cetacei nei mari italiani ed in particolare sulle quattro Balenottere catturate in Liguria nell’ autunno 1896. (1) La comparsa quasi contemporanea (6 e 14 settembre, 18 e 24 ottobre 1896) di quattro colossali esemplari di balenottera avveratasi in differenti punti del litorale ligustico, fra loro però poco lontani, è senza dubbio un fatto di grandissima impor- tanza per il naturalista, e degno di essere registrato per la storia naturale del Mediterraneo. Ed in vero, richiamando alla memoria quanto si conosce delle catture dei grandi cetacei che comparvero nel nostro mare, si ritrova che, mentre i capodogli possono essere spinti sulle spiaggie in numero notevole, perchè maggiormente gre- garli, questo mai si verificò, o non risulta, per le balenottere. Un tale avvenimento possiamo ora segnalarlo fra noi in Li- guria; poichè, come ognun sa, nei mesi di settembre e di ot- tobre scorsi e più precisamente nello spazio non lungo di 47 giorni, furono tratte alla spiaggia quattro esemplari di Ba- laenoptera musculus. (!) Estr. Atti Soc. ital. di sc. nat. Vol. XXXVI, (i) C. PARONA. La prima apparve a Pietra Ligure, la seconda a Capo Vado e rimorchiata a Savona, la terza a Genova, e la quarta a Fra- mura. Il fatto è importante non solo per il numero, ma ancora per la regolare distribuzione di esse, da ponente a levante, che non può considerarsi al certo come affatto accidentale. Questo avvenimento mi indusse a ricercare con tutta dili- genza casì consimili che, per quanto riguarda il Mediterraneo, ben sapevo non essere stati rari, particolarmente sulle coste d’Italia. Le mie indagini, dichiaro fino d’ora, le limitai esclusiva- mente ai maggiori cetacei, che furono registrati più o meno frequenti nel nostro mare; si riferiscono quindi soltanto al ca- podoglio, alla balena franca, ed alle balenottere, e potei rac- cogliere in breve non poche, molto sparse e tuttavia interes- santi notizie per la storia di questi colossi, fra le quali alcune dimenticate; ma che, riunite in un solo corpo, credo serviranno. a facilitare di molto uno studio completo della cetologia me- diterranea. La narrazione di queste catture è sempre importante, perchè ci permette di conoscere l’antica distribuzione di animali che vanno facendosi sempre più rari, dopochè l uomo seppe farne la caccia e perseguitarli per tutti i mari. Infatti gli arenamenti dei grandi cetacei nel Mediterraneo hanno un interesse speciale, perchè, se questo mare interno fu senza dubbio altra volta abbastanza popolato da simili animali, siccome è a congetturarsi dalla conoscenza che ne aveva già Aristotile, è di capitale importanza seguire il loro graduale e progressivo diradarsi, ed è quindi necessario far tesoro di tutte le notizie che trovar si possono sull’argomento. Più che in ogni altra contrada del Mediterraneo, nell’ Italia che, per la sua forma allungata è lambita da un vastissimo tratto di mare e si protende come diga nel centro di esso, av- Eu Ss UL 12 1897 DAR NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, ECC. 8) viene facilmente che qualche cetaceo, questi colossi della fauna pelagica, affranto dalle lotte combattute contro le tempeste, 0 privo da lungo tempo degli alimenti che gli sono proprii e che non riesce a trovare nei nostri mari, possa accostarsi di molto al lido e ben anco arenare sulla spiaggia. Le ricerche degli antichi documenti non sono sempre facili e nel caso nostro possiamo dire sono molto difficili; svariate essendo le cause che ne fanno ostacolo. Di molti arenamenti, o catture di grandi cetacei non fu tenuto calcolo, o le notizie andarono perdute. Quelle che sono riferite dal volgo, e talora anche da persone colte, hanno poca attendibilità, essendo spesso fra loro contraddittorie, poco esatte, e sempre esagerate. Di molti casi non se ne occuparono gli studiosi, e quindi non fu possibile verificare o constatare la specie, ed allora natural- mente le notizie hanno poco valore, non potendosi affermare se si trattava dell’una o dell'altra specie. Divido il presente scritto in tre capitoli principali, nel primo dei quali riunisco tutto quanto ho potuto conoscere relativa- mente al fisetere o capodoglio, nel secondo quel che fu detto della balena vera, e nel terzo le notizie sulle balenottere (B. musculus e B. tursio); aggiungendo per ultimo un prospetto riassuntivo di tutti i casi dei quali si ebbe a fare relazione speciale. | 4 C. PARONA. CAPODOGLIO (CACCIALOTTO, CAPIDOGLIO, FISETERE). a) Phiseter macrocephalus Linn, = Catodon macroce- phalus Gray. b) Ph. tursio Linn. = Delphinus Bayeri Risso. Col nome di Capodoglio si indicarono individui di cetacei, fors anche differenti, che furono presi tratto tratto nel Mediter- raneo e nell’Adriatico, o spinti sulle coste italiane; ed è del pari indicata con tale nome la maggior parte dei resti che si conservano nei varii musei di zoologia e di anatomia compa- rata, come pure presso privati, in uffici pubblici, e perfino nelle chiese. Raccolgo le varie notizie in un solo capitolo, sebbene vi si comprendano due specie, che la maggior parte dei naturalisti considerano distinte ed entrambe riscontrate nel Mediterraneo. Questo faccio perchè in alcune descrizioni non ne è facile distinguere, se si tratti di Physeter tursio, o di Catodon ma- crocephalus. Gli antichi, a dire il vero, non fanno menzioni attendibili del capodoglio. — Plinio! parla bensì di un grande cetaceo, che sarebbe stato preso, al suo tempo, nel porto di Ostia; ma forse era un’orca, e l’Odoardi?® infatti la dice chiaramente un orca di smisurata grandezza, che fu trucidata dai soldati del Pretore Claudio Principe (loc. cit., pag. 190). Paolo Giovio RONAGUE: RISE MSI. 2 V. Bibliogr. N. 35. NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, ECC. 5 (n. 1483, m. 1559) al Cap. II della sua opera! menziona un capodoglio arenatosi sulle coste dell’ Etruria. Negli Annali di F. Casoni, sotto la data del 1620 si legge: “« Nel cominciamento di settembre (1620) restò la plebe di nuovo stupore soprafatta, essendosi per mancamento di fondo e di acqua rimaso a secco nella spiaggia di Sampier d’arena un mostruoso pesce di mole sì smisurata, che facevasi giudi- zio non esserne giammai comparso eguale nel Mediterraneo; la qual bestia, tagliata a pezzi con le scuri, rendette olio in gran copia. In questo istesso anno in Tirano, terra di Corsica vicino a Bonifazio, fu presa una balena, o altro pesce che ei si fosse, di corpo medesimamente smisurato, che giusta la relazione mandata al Senato dal Governatore di quell’isola sopravvan- zava al peso duemila cantara e racchiudeva nelle viscere un Feto di 70 cantara, dalla quale Balena estrassesi ancora olio a dovizia. ,,° Aurelio da Genova, nel suo: Tractatus chronologicus, ecc. Genuae, 1720, a pag. 299, ricorda lo stesso caso scrivendo: « Anno 1620, Genuae ad littus S. Petri de Arena ejectus est pisci, cujus pondus erat librarum 9000 (Hist. Genuensis). ,, © Notizie storiche sopra arenamenti o catture di capodogli si riscontrano in parecchi autori, che ebbero ad occuparsi in modo generale, o di casi particolari; ma le più dettagliate sono quelle indicate nei lavori dell’ Haeckel Jac., del Nardo e del Brusina 1 Histor. sui temporis, 1494-1547. (Edit. franc. Paris, 1579.) ° Annali della Repubblica di Genova. Tom. V, pag. 11, Genova, 1800 ® Parlando di casi antichi registrai quello del Casoni e dell’Aurelio, sebbene da quanto riferiscono non si possa arguire a quale specie di cetaceo appartenesse. 6 C. PARONA. per l'Adriatico, del Riggio per la Sicilia e del Pouchet G. per i rinvenimenti di grandi cetacei occorsi nei secoli passati. E per vero fu il Pouchet* che nel 1893 rese noti varii casi dimenticati, che per noi sono oltremodo importanti, riferendosi precisamente alle nostre coste. Egli li riscontrò nelle postille che J. Faber fa seguire ai di- segni del Recchi nell'opera dell’ Hernandez, Storia naturale del Messico, ® e precisamente riguardano una Balaena bisca- yensis, un cetaceo di specie incerta, ed un capodoglio. Quest’ ultimo sarebbe stato osservato dal Principe Cesi ed avrebbe investito sulla spiaggia di Astura, presso l’antica città di Nettuno, ove lo stesso principe si era recato per racco- gliervi oggetti rari. Il Faber ne ebbe una vertebra ed un dente, che paragonò a quelli di ippopotamo “ che veder si possono in Roma ,.? Questo particolare persuade il Pouchet trattarsi sicuramente di un capodoglio. Fra i casi più antichi, storicamente menzionati, uno è certa- mente quello del fisetere comparso il 10 aprile 1713, nel porto di Pesaro, pesante 130,000 libbre romane (= a 43,000 chilogr.) 1 V. Bibliogr. N. 88. ? V. Bibliogr. N. 27. (È nel seguito dell’ opera che, colla stessa im- paginatura, si riscontra: Aliorum Nov. Hisp. Animalium N. A. Rec- chi imagines et nomina J. Fabri Lyncei, ecc. Expositione: pag. 568.) ? Ecco il testo latino (pag. 571): “ Non desuerunt tamen nostra quoque memoria aliae Balaenarum species, dentibus non coriaceis aut corneis, sed veris ac osseis prae- ditae, quarum una Asturae loco non multum ab antiquissimo Neptuni maritimo oppido distante, in maris littus projecta occubuit. Hoc cum littus eodem tempore animi et observandarum simul quarundam ma- ritimarum gratia raritatum, forte fortuna idem Princeps Caesius Ie- geret, vertebram ex cauda et dentem ex eadem Balaena nactus est, non absimilem plane illis, quibus Hippopotamos hic Romae instruc- tos vidimus. ,. NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, ECC. ti e lungo circa 80 palmi (= a 18 met.). Di tale cetaceo evvi una figura incisa da Domenico Franceschini e dedicata a S. E. Don Vincenzo Giustini di Roma. ‘ Alcuni ritengono sia lo stesso esemplare che fu poi descritto dall'abate Ranzani, ° sebbene gli si assegni una data posteriore di due anni e le dimensioni non corrispondano. Trascrivo la narrazione del fatto che leggesi a pag. 696 degli Elementi di Zoologia del valente naturalista bolognese: “ Nelle vicinanze del porto di Pesaro a’ 18 Aprile 1715 fu preso un fisetere maschio, il quale parmi si debba ascrivere alla presente specie (C. macrocephalus). Due figure io ne pos- seggo, luna ‘incisa in rame da Domenico Franceschini, l’altra disegnata da certo Bartolomeo Griffo genovese, il quale misurò codesto fisetere, o sia capodoglio, come egli lo chiamò. Seb- bene si abbia tutta la ragione di giudicarle ambedue difettose, pur tuttavia, confrontandole con quelle di Shaw, non si può a meno di sentirsi mosso a credere che tutte e tre rappresen- tino, con più o meno esattezza, la stessa specie. La circonfe- renza della testa di questo fisetere era di 27 piedi e 6 pollici di Parigi; la mascella inferiore aveva 48 denti, la circonfe- renza della parte anteriore del tronco era di piedi 29 circa; la lunghezza delle pinne pettorali di piedi 4'/,; la massima larghezza della pinna caudale di piedi 13; la lunghezza totale di piedi 55. Queste dimensioni notate da Franceschini e da Griffo, mi sono state confermate dal pregiatissimo signor mar- chese Francesco Baldassini, esimio coltivatore della zoologia, il quale a mia istanza ha raccolto notizie autentiche su di un tal cetaceo, e me le ha cortesemente comunicate. Allorchè que- sto fisetere si senti ferito dai fucili scaricatigli contro da molte 1 V. PROCACCINI Ricci; Bibliogr. N. 39. ? V. Bibliogr. N. 40 e N. 30. 8 C. PARONA. parti, diè, al dire del Franceschini, orrendi muggiti; e, coi suoi impetuosissimi e violenti moti, sconvolse talmente il mare da eccitarvi quasi una burrasca. Anche nel mare vicino ad Ascoli fu preso, non ha gran tempo, un fisetere forse simile al precedente. Un grosso fram- mento del cranio del medesimo, nel quale scorgesi indizio si- curo della mancanza di simmetria nelle narici, mi fu mandato in dono dal sig. Antonio Orsini, naturalista di gran merito, all'amicizia e generosità del quale vado debitore di molti 0g- getti assai pregievoli, onde è stato da me recentemente arric- chito il Museo di Storia naturale. ,, Il Bourguet ! descrive una “ balena dentata senza pinna dor- sale ,, stata pescata, nell’anno 1715, nel golfo veneto, ma non ne precisa la località; e di esso cetaceo ebbe a riferire anche il Klein nell'opera sua: De piscibus per pulmonibus spiran- tibus a pag. 15 (Balaena dentatae). Nel Museo di Pisa si conserva una mascella inferiore di ca- podoglio, che venne donata al Granduca Cosimo III dei Medici dal sergente maggiore Fortunio Desideri di Populonia, ed ac- cettata con lettera del 26 gennaio 1715. ° Il canonico Antonino Mongitore, ® al dire del Riggio e più specialmente del Minà-Palumbo, come verrò citando più innanzi, quando parla di mostri marini, riporta che Nicolò Serpetro (Mercato delle meraviglie della natura, por. 10, log. off. 3, pag. 352) ebbe a descrivere una fiera lunga sessanta palmi, la cui testa era di tre braccia. Il Mongitore ne dà anche la figura 1 Sur la formation des sels et des cristaux, pag. 10. ? V. Bibliogr. N. 42. ° V. Bibliogr. N. 33. (Vol. II, pag. él.) ani A NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, ECC. 9 (pag. 61), che, sebbene molto grossolana, e fors'anche poco esatta, dona un’ idea abbastanza chiara della specie a cui appartiene. Il muso alquanto grosso, la mancanza della pinna dorsale, la smisurata grossezza del corpo e la forma della ma- . scella inferiore nonchè della coda, attestano essere un fisetere. ‘ Mina-Palumbo ® aggiunge che, al caso precedente, con pro- babilità, si deve assegnare al capodoglio anche l’altro animale, stato descritto pur esso dal Mongitore (l. cit. Vol. II, pag. 99 con tav.). Narra infatti quest’autore “ che nel litorale di Mazzara, dopo una grande tempesta, nel 1734 si videro dodici pesci di smisurata grandezza, sei maschi ed altrettante femmine, con mammelle bianche e capezzolo rosso; di color simile al Grongo, di palmi 72 (= met. 18,90) e la circonferenza di palmi 40 (= 10,50), dai quali si ottenne molto olio. La maggior pin- guedine era alla testa, in niente dissimile allo spermaceti anche nell’odore. Il muso era così denso nel suo callone che cedevano alla sua durezza il fuoco e le mannaie; le coste erano bianche, grosse quattro onze; la carne rossa tanto che dava nel nero, di buon gusto; i denti erano solamente nella mascella inferiore, ma vacanti più della metà, ed i maggiori grossi quanto una spola da tessitore. Le coste conservansi nel Collegio dei ge- suiti di Palermo, unitamente a due ossa delle mascelle e porzione della mascella inferiore ,,. Queste attualmente trovansi _ 4 Il canonico palermitano nella sua opera (loc. cit., Vol. II) registra inoltre altri casi di pesci giganteschi, arenatisi sulle coste siciliane: a Bonagia presso Trapani (18 febbr. 1616), a Mascali (1700), ad Aci Reale, a Castroreale (1727), alle tonnare di Solanto (maggio 1770), a Milazzo (1715), a Mazzara (1735), a Messina, a Cefalù, ecc., che forse si potreb- bero riferire a cetacei; ma sono narrazioni tanto fantastiche, che non è possibile prenderle in seria considerazione. 2 V, Bibliogr. N. 32. 10 C. PARONA. però nel gabinetto zoologico dell’Università di Palermo, e seb- bene le coste possano lasciar qualche dubbio, tuttavia la ma- scella inferiore, armata di denti conici, bianco-giallognoli come avorio, un poco curvi all'indietro, con intervalli fra loro, danno la certezza trattarsi di un fisetere. Con questo esemplare, di- chiara Minà-Palumbo, si ebbe l’affermazione dell’esistenza di tale cetaceo nei mari della Sicilia. Seguendo, per quanto ci è possibile, la serie cronologica, troviamo che il Grisogono * nel 1780 scriveva: “ Già parecchi anni (1750?) a Pelles (Pelesà), non lontano da Rogosnica di Sebenico, fu preso un Capo d’oglio, dal Mediterraneo per av- ventura introdottisi nel Golfo veneto, e che poi s’andiede a perdere nelle acque basse di quel porto. Investì su la spiaggia e fu da quei contadini ucciso a colpi di scure. Dalle sue carni dopo maltrattate, hanno voluto estrarne dell’olio, e sebbene im- periti ne trassero presso che la quantità di 20 barili. Da alcuni pezzi di dorso spinale, che si conservano in qualche casa no- bile di Sebenico, si può congetturare che egli era uno dei ce- tacei di mediocre grandezza. ,, L. De Sanctis, nel lavoro sul capodoglio che avremo occasione di menzionare, registra un elenco di casi d’arenamento, e fra questi uno avvenuto a Villafranca nel 1726, ma aggiunge che . la figura datane dal Vallisnieri lo farebbe somigliante piuttosto ad un delfino. L’Odoardi,° in una lettera al Vallisnieri (pag. 190), scri- veva: “ una balena di non poca mole venne presa da non pochi anni (l'A. scriveva nel 1791) nelle acque di Duino, la figura 1 V. Bibliogr. N. 24, pag. 4l. ? V. Bibliogr. N. 35. Sa di NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, ECC. 11 della quale, dipinta in tela, come ne vengo assicurato, conser- vasi in quel castello presso il signor conte Filippo della Torre. ,, Teodoro Briinnich faceva breve indicazione nel suo libro della ittiologia marsigliese! di altri fiseteri colle seguenti parole: “Caetaceorum descriptionem non feci ullam, nec vidi, quos hoc anno in littore Fanoensis et opposito Dalmatiae reliquit mare, Ex Physeterorum fuere genere, Italis Capo d'Oglio dicta.,, Sono citati anche da Giorgio v. Martens nel suo: Reise nach Venedig (2 Theil, 1824; pag. 394-395). Il 27 novembre del 1764 fu preso un fisetere sulle spiaggie di Rovigno. “ Questo mostro marino, così leggesi nel Giornale d’ Italia,° vi perdette la vita dopo orribili divincolamenti e muggiti per rimettersi in mare e per liberarsi dai lacci, onde da alquanti ed esperti pescatori era stato avvinto per la coda. La lunghezza di tutto l animale, compresa la coda, era di piedi 37 (= metri 11,84 circa), e la circonferenza del corpo piedi 2 ‘/,; aveva una mandibola lunga 5, armata solamente al di sotto di 38 denti, grossi ognuno quanto il dito pollice d’un uomo grande. Fra il labbro superiore e gli occhi aventi il diame- tro d’un piede vi giaceva il forame dello sfiatatoio ; largo piedi uno, mercè il quale soffiava l’acqua in guisa che salir la faceva all’altezza di alquanti passi; teneva armati i fianchi di due uni- che ali, lunghe piedi 2 ‘/,; la sua coda era lunga piedi 5, e larga piedi 10; l'osso della schiena era grosso quanto un gran tronco di rovere; quello del cranio era fatto a foggia di punte di diamante; gli integumenti adiposi avevano un abbondante palmo di lardo sopra il dorso, e più di due sopra il capo. Aggiun- ! V. Bibliogr. N. 6. ? V. Bibliogr. N. 23 e N. 34. EI C. PARONA. gesi, riguardo ad alcune parti interne, che il suo fegato diviso in tre lobi, pesava libbre 500; il cuore di figura acuminata libbre 67, ed il pene libbre 154. Il giorno dietro questo cada- vere, esalando incredibile fetore, convenne, per ordine del- l’Eccell. Podestà di Rovigno e del Collegio di Sanità, gittar in mare la maggior parte della carne, e tutta l'ossatura del me- desimo. Da ciò ne venne che non si poterono fare ulteriori e più esatte osservazioni, e che i pescatori non ebbero agio di riempiere circa cento barili d’olio, che da un mostro così fatto sì erano lusingati di ritrarre; mostro, che nel suo totale fu con- siderato avere dalle quaranta alle cinquanta mila libbre di peso. ., Il Nardo * dice che, viaggiando nel 1822 in quel paese, da più d'uno sentì ricordata tale pesca, e dalla figura che gli fu presentata riconobbe appartenere al fisetere macrocefalo. Al 81 gennaio dell’anno 1767 alla Villa di Torrete, quindici miglia lontano da Zara, fu preso un fisetere di 48 piedi (— me- tri 15,56) di lunghezza.° Buona parte del suo scheletro venne inviata a Venezia, per passare poscia al gabinetto dell’ Univer- sità di Padova, unitamente ad una relazione dedotta dal co- stituito di alcuni che furono presenti alla cattura. Il veder fi- gurata una tale specie con pinna dorsale farebbe però credere che fosse il Ph. microps L., ovvero il Ph. mular Lacèp., se non allontanasse da questa idea quanto ebbe a scrivere il Cu- vier nella sua grande opera (cfr. Nardo). Il Risso ® alla specie Delphinus tursio, pag. A, dopo la descrizione, aggiunge: “ Je ne crois pas impossible qu’on dùt ! V. Bibliogr. N. 84 cit. ° Il Cornalia direbbe: 87 piedi. ° V. Bibliogr. N. 44. iaia NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, ECC. 13 rapporter, à son espéce le cétacée échoué en 1768 sur nos ri- vages, le quel, d’après une note manuscrite que je posséède, n’avait pas moins de huit métres de longueur. “La prise du souffleur, ou caudues, capidoglio, par nos pécheurs, donne toujours lieu à des rejouissances parmi eux: ils ornent de fleurs leur capture, la promènent dans les diffé- rentes parties de la ville en poussant des cris d’allégresse, et obtiennent de l’argent des personnes riches, devant la maisons desquelles ils s’arretent. ,, Inoltre lo stesso autore, col nome di Delphinus Bayeri, de- scrive (pag. 22) un cetaceo, che la maggior parte dei siste- matici ascrivono al Ph. tursio; cetaceo che misurava 14 m. ed erasi arenato a Nizza nel 1726. La figura di esso, posse- duta dal Risso, viene considerata da lui come identica a quella del Bayer (Acta Med. Ac. Caes. Nat. curios. Vol. III, pag. 2, Tab. I, fig. 2) e che Cuvier, in una delle note nel Règne ani- mal (I, 284), assegnò al fisetere di Lacèpède. Risso, enume- rando i caratteri offerti dal cetaceo di Nizza, insiste però nel sostenere non potersi identificare al fisetere, Al principio dell'autunno 1775 veniva preso un capodoglio a Marotta, terra all’ovest di Sinigaglia, come si legge nella lettera già citata di Procaccini Ricci, e come citarono varii autori, (V. Trois: in Provincia di Venezia, ecc. pag. 106.) In una nota all'elogio del dott. Gius. Val. Vianelli, stato scritto dall'abate Ravagnan,* rilevasi essersi quel medico oc- cupato a fare la dissezione anatomica di uno smisurato cetaceo portato da straordinaria marea sul lido di Po di levante, poco ! In: Le marine ed altre poesie di Gius. Valent. Vianelli di Chiog- gia, premessovi il di lui elogio di Girolamo Ravagnan: Venezia, Stamper. Zerletti. — Nota N. 39, pag. 62. (Bibliografie particol. di Medici ital. Vol, XXX, in, Biblioteca Università di Padova.) 14 C. PARONA. lungi da Chioggia; pare si trattasse di un fisetere. Di esso il dott. Vianelli aveva letta una memoria all'Accademia sacra di Chioggia, ma gli scritti suoi andarono smarriti. Tre individui di capodoglio apparvero nel porto di S. Elpidio, località prossima a Fermo, nell’anno 1805. Il teschio d’uno di essi conservasi tuttora nel comune di quella terra. Ad uno scritto del Riggio, che ci interesserà più tardi, S. Brogi aggiungeva quanto segue: “ Nel Museo di proprietà della R. Accademia dei Fisiocritici in Siena si conserva la ma- scella inferiore destra di un Capodoglio. Essa misura m. 4,15 di lungh. con 21 cavità alveolari. Ho sentito più volte rac- contare dall’egregia donna Sig.* Palmira Fonio, che da molti anni si occupa con amore ed intelligenza di questo museo, es- sendo la moglie del custode, esserle stato riferito dai contem- poranei, che essendo nei primi anni di questo secolo, il Pro- fessore Gasparo Mazzi, insigne naturalista per i suoi tempi, ad Orbetello, e saputo dell’arenamento in quei dintorni di un ca- podoglio del quale non erano rimaste che le ossa, fece coprire e porre al riparo meglio che potè le ossa stesse e venne a Siena per prendere gli opportuni accordi onde trasportare qua questo scheletro; ma tornato sul posto non vi trovò più che una mascella la quale, come ho detto, si conserva tuttora nel Museo dei Fisiocritici. Pare che con essa fossero portati alcuni denti, ma di questi non ne resta più traccia. Rovistando fra i documenti dell’ Accademia si potrebbero forse trovare notizie più estese e precise. , (Rivista ital. di Sc. nat. Anno XIII, pag. 4, 1893.) ! 1 Verso il 1880 arenò un grosso fisetere presso la costa della ma- remma'-senese e venne sotterrato fra la bocca dell’Ombrone e Castiglioni. Questa notizia la debbo all’egregio signor Apelle Dei, dietro richiesta NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACRI, ECC. 15 La memoria del Nardo, ! nella quale trovasi enumerata una serie di capodogli arenatisi nell'Adriatico, fu scritta a proposito di un altro caso scoperto nel porto di Chioggia. “ Nel 1810 facendosi alcuni scavi nel canale così detto “ poco pesce ,,, che è uno dei rami medii della confluenza del porto di Chioggia, si estrasse dall'acqua la metà di mandibola inferiore, la quale appartenne ad un fisetere, che devesi stimare uno dei maggiori pervenuti nelle nostre acque, se pure tal pezzo non giunse in tal sito in altra maniera trasportato. Ne fece acquisto in allora il fu mio zio l'abate Giuseppe Mario Nardo (conosciuto specialmente pel suoi lavori tassidermici) e conservossi nel suo Museo di animali marini, indi nel mio, fino al giorno d'oggi, che mi procuro l’onore di farne dono a questo I. R. Istituto (veneto). Per quanto ricordo non venne tentato il rinvenimento di altre parti a questo scheletro spettanti e fu riferito essersi trovato quel pezzo a molta profondità. Egli aveva le stesse marche caratteristiche, che offre pre- sentemente (1854), ed abbenchè sia da ritenersi fosse in quel luogo da lunga serie di anni, non rimarcavansi in esso le al- terazioni che sogliono provare le ossa di altri animali, rima- nendo lungamente sott'acqua fra il fango marino, anzi pareva passato a quasi fossile condizione. ,, O. G. Costa * riferisce di due arenamenti di grandi cetacei, uno dei quali ritenne essere di capodoglio. Descrive il caso colle seguenti parole : del Prof. Ercole Giacomini. Nel Museo dell’ Accademia dei Fisiocritici a Siena vien custodita infatti una mascella destra, che è quella di cui parla il Brogi. 1 V. Bibliogr. N. 34. ? V. Bibliogr. N. 13. 16 C. PARONA, “ Verso la metà di ottobre del 1833 venne sospinta (la se- conda balena) sulla spiaggia di S. Cataldo, presso Lecce, nel luogo detto Canal Zoccato. Lo stesso dott. Manni (che si oc- cupò, come diremo, della prima: Balenoptera musculus) si portò sopra luogo a vederla, ma non s'intende perchè ciò avesse fatto sì tardi (12 o 13 giorni dopo l’apparizione sul lido, giusta la sua relazione) ed a solo oggetto, sono le sue parole, di soddisfare all’irresistibile curiosità che anima avido genio del naturalista, nè per qual motivo raccolse da altri gli elementi dei caratteri di questo cetaceo. Per la qual cosa, la descrizione che ne dà si risente di tutte le colpe dell’igno- ranza. Un pessimo sbozzo della figura fu fatta da un prete, imperito di disegno e di zoologia, sopra luogo, il quale fu emendato dal signor Tondi, senza aver neppur veduto l'oggetto reale! Quindi non si può contare affatto sulle caratteristiche trasmesseci dal sig. Manni per giudicare della specie di questo individuo. Nulla meno per non perderne dei tutto la traccia, trascriverò qui quanto egli stesso ne dice, nella relazione ma- noscritta trasmessa alla R. Accademia delle Scienze. FSM Ambo i caratteri della classe e dell'ordine ma- nifestano ‘quelli dell’ordine. Imperocchè essendo quattro i cetacei, quattro differenti generi di cetacei esister deb- bono. Dai quali, dopo aver esclusi i generi Monodon, Balaena e Delphinus, ritiene che il cetaceo di cui è parola debba ap- partenere al gen. Physeter, a causa dei denti della mascella inferiore e della fisiola del capo. In quanto alla specie così si esprime: “ I/ capo lungo al di là di 10 palmi, e la intiera lunghezza del corpo in palmi 74; denti in tutta la mascella inferiore soltanto, sarà per fatto il Ph. macrocephalus. ,, Non fa al caso nostro seguire il Costa nelle considerazioni sopra altri caratteri enumerati dal Manni, che lo portano ad (a NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI GCETACEI, ECC. 17 emettere il dubbio che si potesse anche trattare della Bale- noptera musculus, Il dott. Muller, medico distrettuale, scriveva alla Gazzetta di Zara (11 marzo 1837); “La spiaggia di Budua offrì nella giornata del 4 corrente un aspetto di sommo interesse pei cul- tori dell'anatomia comparativa. Da parecchi giorni soffiava un forte vento da sud, che indirettamente procurò il piacere a questa popolazione d’osservare un essere marino, dal gonfio suo seno quivi gettato, L’immensa sua mole di circa 12,000 funti occupava gia uno spazio di 20 Klafter. In primo grado la pu- trefazione, la mancanza di qualche parte del suo corpo, nonché la premura datasi da taluno per esperimentare la quantità di olio che poteva ricavarsene, ci tolse l'ambito bene d’osservare appieno quei caratteristici segni, che atti fossero a pronunciar un retto giudizio sul luogo, che occupa nel sistema zoologico. Intanto la sua figura conica, la sua bocca piccola assai in confronto delle strabocchevoli fauci, l’abbondanza d’oliog. di latteo colore, trovantesi in particolari canali della testa, la quale formava la terza parte di tutto il corpo, e finalmente la trachea innanzi agli occhi, (sic!) svegliarono l’opinione appar- tenere esso al genere Physeter e probabilmente alla specie macrocephalus. ,, Il medico di Budua dott. Francesco Danilo, scrisse il Bru- sina, ! trovandosi (1845, o 1846) al Lazzaretto di Castel La- stua, si imbattè presso Pastrovicchio in un enorme capodoglio morto e galleggiante sulle acque, e che egli ritenne fosse perito “ per aver battuto con la testa contro qualche scogliera,,. vec Biblioaro Nc:d. 18 C. PARONA. Il 15 agosto del 1853 sei individui di fiseteri, di bella gran- dezza, venivano presi a Cittanova nell’ Istria. Sopra questo av- venimento abbiamo una dettagliata relazione di Jac. Haeckel. * L’aut. asserisce essere. rara la comparsa del capodoglio nel- l'Adriatico, e che molte notizie provengono semplicemente da tradizioni popolari. Dopo i casi segnalati dal Briinnich e dal Ranzani, decorsero ben 86 anni senza che si avessero indica- zioni accertate da altri, e fu quindi del massimo interesse la presa, non di uno isolato ma di sei insieme, fatta a Cittanova. Era la mattina del giorno sopraindicato, quando alcuni abi- tanti della piccola città credettero vedere sorgere un nuovo scoglio là dove eravi mare, ma postisi in barca si avvicinarono e grande fu il loro stupore nel ravvisare invece sei capodogli che si erano investiti. La grande notizia si sparse in un lampo e fu un tripudio per quella povera popolazione; fu un assalto con fucilate, gli animali furono accerchiati e spinti a sbattere contro la spiaggia, dove con sforzi grandissimi e con temera- rietà gli assalitori riescirono ad allacciar loro le code con cor- dami, ed a trarli a secco. Quattro dei maggiori (lunghi 37 piedi viennesi — m. 11,84) furono tosto trucidati, scarnati, ed. enormi masse di grasso furono esportate. Il Governatore ed il Podestà di Trieste, avuta notizia del fatto, si recarono sul luogo, ove giunsero in tempo per poter vedere ancora viventi i due piccoli, che, assicurati alla riva, espellevano dai loro sfiatatoi colonne d’ acqua alte due piedi; e constatarono che erano da riferirsi al Physeter macro- cephalus. Uno scheletro, il più completo, fu donato al civico Museo di 1 V. Bibliogr. N. 25; e Wiener Zeitung, 81 august 1853. -- Gaz- zetta di Venezia, N. 186 e 199, 1858. — Osservatore Triestino, N. 211, 1853. NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, ECC. 19 Trieste, un secondo, raccolto dall’Haeckel, fu mandato al Museo zoologico di Vienna; un terzo fu messo insieme con avanzi ! dal prof, Roth pel Museo di Monaco. Il prof. Hyrtl acquistò in seguito il cranio del quarto esemplare per il Museo di ana- tomia comparata dell’ Università viennese, quello del quinto fu inviato a Berlino; ed.il cranio del sesto, per deliberazione del Consiglio del comune di Cittanova, fu conservato nel palazzo comunale a memoria del grande avvenimento. Seguendo la serie cronologica degli arenamenti di capodogli, veniamo all'anno 1861, quando, come scrive il Riggio, ° un ca- podoglio capitava a Mazzara, presso la baia di S. Vito, e da esso sì estrasse enorme quantità d’olio. Cinque o sei anni addietro altro esemplare arenava all’isola di Favignana, ma non si sa cosa ne sia stato fatto. Nell'anno 1868, sulle coste di Tropea nella Calabria, investiva un fisetere, il cui scheletro, preparato per cura del prof. S. Ri- chiardi, si custodisce ora nel Museo di Bologna. Il Lessona, in una nota a pag. 261 dell’opera illustrata di Vogt e Specht, nonchè nella sua Storia naturale illustrata (I mammiferi, pag. 925), ricorda altro caso di arenamento di cinque giovani capodogli, avvenuto in Sicilia, il 6 febbraio 1873, sulla spiaggia di Marza presso Pozzallo (punta S. E. dell’isola). Le burrasche avvenute nell’ aprile dell’anno 1872 gettarono sulla spiaggia detta il Tombolo, presso Porto S. Stefano, un caccialotto. Era lungo 12 metri. Aveva denti bellissimi, e la circonferenza dei sei più grossi era di 14 centim.; la pelle era brunastra e morbida. Fu fatto a pezzi e sotterrato, e l’Arci- 1 Secondo il Pouchet (loc. cit. Le Cachalot, pag. 681) disgraziatamente le ossa furono mescolate, e quindi il valore di tali scheletri riescì dimi» nuito di molto. ? V. Bibliogr. N. 43. (SS) 20 C. PARONA. prete di S. Stefano, Signor Luigi Brizzolari (che ebbe a dare queste notizie al Signor A. Dei di Siena) fu in possesso di una vertebra e di un dente, che potè avere per caso. Il cra- nio e parti dello scheletro si conservano nel Museo dei ver- tebrati a Firenze. Nel 1874 un magnifico fisetere veniva preso a Porto S. Gior- gio, poco lungi da S. Elpidio ove, come si disse, nel 1805 ne erano stati catturati altri tre. Fu un avvenimento dei più in- teressanti, ne parlarono a lungo i giornali d’Italia sotto il nome di Pesce di S. Giorgio, e diede occasione al prof. Leone De Sanctis di pubblicare una importante memoria anatomica ‘ Sopra questa specie di cetaceo. Trascriverò quanto disse il De Sanctis relativamente alla cattura, rimandando alla memoria citata chi desiderasse co- noscerne l’organizzazione interna. Noterò soltanto che, mentre i visceri in buona parte passarono al Museo di Anatomia com- parata dell’ Università romana, lo scheletro fu acquistato da un proprietario di serraglio ambulante. “Il Ministero dell'istruzione pubblica, ricevuto avviso dal chiarissimo signor conte Luigi Salvadori sindaco di porto San Giorgio, che un capodoglio si era arenato in quella spiaggia nella notte del 10 marzo 1874, mi diede speciale missione di raccoglierne gli organi pel Museo zoologico-zootomico dell’ Uni- versità di Roma. Giunto sul luogo ebbi le seguenti notizie, che credo utile qui riferire, potendo servire in casi consimili. Alle ore 3 antim. del giorno 10 marzo il telegrafista della Stazione ferroviaria, presso la riva del mare, vide muovere nell’acqua una massa nera, che suppose essere un battello capovolto; solo alle 6 del mattino fu 1 V. Bibliogr. N. 16. À PERA IA #Y Do NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, Ecc. 21 scoperto l’animale da alcuni pescatori che percorrevano il lido, ed in breve si diffuse la notizia nel vicino paese dell’arenamento di un grosso cetaceo. L'animale era giunto a capofitto contro la sponda, vi si era fortemente incuneato, ed. aveva la enorme coda allo scoperto, che agitava di tanto in tanto per divinco- larsi, ma inutilmente; e solo potè descrivere un semicerchio il cui centro era la testa. Lo sfiatatoio gettava nell'intervallo di uno, o due minuti una colonna d’acqua ad una altezza approssimativa di 0.270. Nel giorno 11 i movimenti del cetaceo si fecero sempre più lenti. La pinna codale che sporgeva fuori l’acqua era mossa solo dalle onde del mare agitato, lo sfiatatoio gettava ad intervalli più lontani e la colonna d’acqua scemava in altezza; finalmente alla sera di quel giorno ogni movimento cessò e con esso ogni indizio di vita. Si disse da alcuni marinai, lasciati a guardia, di avere udito durante la notte alcuni muggiti, che paragona- vano al suono della buccina o tromba marina. Il lavoro per l’estrazione del cetaceo dalle acque sulla sponda asciutta fu lungo e faticoso; sebbene vi fossero marinai esperti e forniti di grosse gomene, si incontrarono gravi difficoltà. ,, Il De Sanctis a lungo descrive gli sforzi fatti nei giorni 10, 11, 12, 13, successivi, col concorso di marinai della pirocor- vetta S. Giovanni, per tirare a terra l’animale, al che più di tutto vi contribuì la marea, facendolo rimuovere dal posto, ro- tolare sul proprio asse, finchè si riescì a trascinarlo a parecchi ‘metri di distanza dalla riva, dove rimase adagiato sul suo lato destro, sòpra alcune travi, affinchè non si sprofondasse nel- l’arena. ‘L’esemplare era lungo 15 metri; l’autore inoltre, in un pro- spetto, registra molte altre misure fatte sul cetaceo. Siccome lo scheletro del capodoglio era la sola parte già ac- curatamente studiata dagli anatomici, conoscendosene non pochi 22 C. PARONA. esemplari nei vari musei, così il De Sanctis credette non oc- cuparsene, per rivolgere tutte le sue indagini sui principali visceri; e dopo lungo lavoro potè farne uno studio anatomico abbastanza completo, presentando, per la prima volta, le figure di quasi tutti gli organi, eseguiti con cura e precisione dal signor Adolfo Apolloni. P. J. Van Beneden (Bullett. Academ. roy. d. Belg. 1885, pag. 716) scrive: “ un individu isolé est venu à la còte en 1874 à Ancone,,. Un frammento di cranio di capodoglio fu pescato, nel 1875, poco lungi dal lido di Venezia. Così asserisce il Trois. Il Museo di Firenze possiede il cranio e lo scheletro muti- lato del capodoglio stato ucciso ad Orbetello. Come pure a Roma si trova lo scheletro di un altro fisetere catturato a Palo. Il prof. Brusina ° riferi sopra un capodoglio, del quale parlò per primo La Gazzetta di Zara dell’11 maggio 1885. Questo cetaceo fu rinvenuto morto fra le isole di Curzola e Lagosta ai 10 di maggio, ed era un giovane individuo lungo metri 9.40. A qualche giorno di distanza, cioè il 20 luglio, ne fu veduto un altro negli stessi paraggi, e che probabilmente era stato com- pagno al primo. Sopra questi casi il prof. Brusina si dilunga in particolari (1. c., pag. 62-66), e ne fa pure cenno il Ko- lombatowic (1. cit., pag. 50). Nel 1887 arenavano 7 grossi cetacei presso la Torre S. Gio- vanni fra Gallipoli e S. Maria di Leuca. Ciò avvenne in uno 1 V. Bibliogr. N. 45. ? V. Bibliogr. N. 7, e N. 28. NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, ECC. 23 stretto canale formato da una striscia di scogli e la terra e detto: le secche di Ugento. La notizia la debbo al Sig." Gaetano Cassanello, Cap.° di fregata, che in quell’epoca trovavasi al comando della R. Nave Guardiano e che dovette per ragioni di servizio, recarsi sul posto; ed al Sig.” Sindaco di Gallipoli, Comm.° (G. Ravenna. Con tutta probabilità trattavasi di capodogli e non credo che sia stata conservata alla scienza, o almeno a qualche Mu- seo, qualsiasi parte del corpo loro. Ed eccoci ai casi non poco importanti stati riferiti diffusa- mente dal Riggio. ‘ Nel 1891 presso il paesello di Sferracavallo, a pochi chilo- metri da Palermo, incagliò un capodoglio, forse morto prece- dentemente. Esso fu veduto da alcuni pescatori, i quali, essendo il mare assai cattivo, non poterono estrarne che la sola man- dibola ed alcuni denti, dalla corona assai corrosa, segno di in- dividuo di una certa età; il resto del corpo fu trasportato al largo e null’altro si potè avere, ad onta delle promesse fatte. La mandibola fu acquistata dal dott. Riggio pel gabinetto di |. Storia naturale dell’ Istituto tecnico di Palermo. È lunga metri 1,98; e vi si possono contare 24 cavità alveolari nel lato destro e 23 nel sinistro. A dimostrare ancora come il capodoglio non sia raro nel Mediterraneo, sta il fatto dell'’arenamento di ben sette individui, tutti in una volta, e del quale avvenimento ne parlò il Riggio, sopra citato. “ La sera del 25 novembre 1892, scrive l'Autore, in Mar- sala, poco dopo il tramonto e con mare assai tranquillo, alcune ! V. Bibliogr. N. 43. DA C. PARONA. persone che si trovavano fuori Porta Nuova lungo 1’ amena passeggiata in riva al mare del Capo Boeo, o Lilibeo, avver- tirono, alla distanza di qualche chilometro dalla spiaggia un insolito rumore ed il rapido passaggio di una massa nera sor- montata da una specie di nebbia biancastra, che si dirigeva da ovest verso est. Presso a poco alla stessa ora, come si venne a sapere poi, da alcune persone dell'Isola lunga, fu avvertito un fortissimo rimescolio delle acque ed un assordante rumore, che fu rite- nuto allora per terremoto. L'indomani 26, dagli abitanti del- l'isola predetta furono osservate, alla distanza di circa un chi- lometro, delle grandi masse a guisa di navi che lanciavano di tratto in tratto dei getti d’acqua (vapor acqueo?) ad una di- screta altezza. Capirono allora che si trattava di pesci di smi- surata grandezza; ciò non ostante non seppero decidersi ad avvicinarli, e fu solo l'indomani 27 che poterono avvertire del fatto una barca peschereccia, la quale più ardita si avvicinò e potè constatare che realmente si trattava di sette grandi, anzi enormi pesci che si dibattevano furiosamente in un basso fondo poco discosto dell’isola predetta. Nello stesso tempo uno dei marinai (Mario Scardino Gerardi) tagliò ad uno degli animali un pezzo di pelle e la portò al municipio di Marsala. Allora si recarono sul luogo per i primi i signori Antonino Bertolini, di- rettore dell’ Uffizio municipale d’igiene in Marsala ed il signor Marco Luna da Trapani, i quali constatarono che non si trat- tava di pesci, ma bensì di cetacei e precisamente di sette grandi capodogli arenati colà. I suddetti signori mi assicurarono che i capodogli facevano sentire di tratto in tratto una specie di muggito caratteristico. Lo specchio d’acqua, nel quale si dibattevano, era assai li- mitato, e tutti i cetacei erano vicini l’uno all’altro, in un basso fondo oscillante tra la profondità di uno a due metri. Essi sta- NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, ECC. 25 vano coricati di fianco in modo che solo una parte del loro corpo emergeva fuori dell’acqua. Il punto preciso dove avvenne l’arenamento è posto fra l’isola di Favignana e la spiaggia di Marsala, di fronte all’ isola Grande o Longa, che chiude il cosidetto Stagnone di Marsala, cioè l’antico porto di questa città, e precisamente rimpetto la estremità dell’isola detta Frate Janni, dalla quale distavano circa un chilometro, e 5 o 6 dalla spiaggia di Marsala. ,, Erano giovani individui, che, misurati dal signor Marco Cia- lona, preparatore nel Museo zoologico dell’Università di Pa- lermo, risultarono lunghi rispettivamente: metri 11,30; 11,25; IEZZO ET2: TT Il prof. Kleinenberg si recò colà, per incarico del Governo, e potè constatare che erano tutti maschi, ed un individuo, ri- tenuto dapprima femmina, era pure un maschio col pene com- pletamente ritirato. Il governo li vendette per sole lire 570 ad una società di Marsalesi, coll’obbligo però di consegnare gli scheletri al prof. Kleinenberg. Di questi sette capodogli, uno andò a male, perchè si disgregò prima di arrivare a terra, e fu rinunziato dal Klei- nenberg, gli altri sei furono distribuiti, col consenso del Mini- stero, in questo modo: uno al Liceo di Trapani, uno a Mar- sala, che lo richiese per ricordare il memorabile avvenimento, e gli altri quattro ai musei zoologici universitari di Messina, Pa- lermo, Napoli e Pisa. Nel 1894 (maggio) da pescatori e da molti cittadini di Por- toferraio (Is. Elba) furono avvisati due enormi capodogli (?) che nuotavano nella rada sollevando tratto tratto grandi getti d’acqua a notevole altezza. Allontanatisi dalla rada stessa furono poi veduti all’ Eufola, ssomentando non poco gli addetti alla ton- nara (G. Damiani, in litt.).- 26 C. PARONA. IRE BALENA DEI BASCHI. Balaena biscayensis Eschr. = B. tarentina Capell. La storia della balena franca nel Mediterraneo si riduce a poca cosa giacchè, dei grandi cetacei di questo mare, essa è la più rara, anzi veramente eccezionale. Fino a pochi anni or sono si considerava quale unico esempio quella così detta di Taranto (1877); ma in oggi ne sarebbero stati aggiunti due altri casi, pur essi del litorale italiano. Infatti il Pouchet ! ne menzionava nel 1893 uno molto an- tico, la storia del quale ricavò dal Faber, che già ebbimo a citare (pag. 568-569 dell’opera dell’ Hernandez). Un arenamento di cetaceo, dice Faber, ebbe luogo nel feb- braio 1624 presso il castello di Santa Severa, a circa trenta miglia da Roma. L’animale era lungo 91 palmi e largo 50; la bocca lunga 16 e larga 10, con lingua di 20 palmi, tutta piena di grosse fibre di carne rossa. I fanoni più lunghi (corneas Jaminas nigriusculas, splen- dentes et oblongas) misuravano sei palmi; la larghezza era di quattro dita, e spessi quanto l'unghia del dito piccolo. Seguono molti altri dettagli sugli occhi, sulla cute, sulle pinne e sulla coda, i quali, specialmente quelli della grandezza dell’animale, della lingua e delle dimensioni dei fanoni, non possono lasciar dubbio alcuno che si trattasse della Balaena biscayensis. ! V. Bibliogr. N. 88 (in Nota). NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETAOCHI, Ecc. . 27 I fanoni di questa balena, tolti per intero, furono offerti al principe cardinale Francesco Barberino, e in seguito andarono a far parte della collezione dovuta “ a Nobilissimo Equite Cas- siano Puteano Lynceo ,,. Il Pouchet, menzionando i casi di balene nel Mediterraneo, aggiunge avere essi particolare interesse, perchè avvennero tutti alla stessa epoca dell’anno, e ciò sembrargli non essere effetto di una semplice coincidenza. Il prof. F. Gasco,' già prima del Pouchet (1879), scriveva: « Alla cortesia dei prof. Japetus e Johannes Steenstrup io debbo parimenti una notizia che tornerà gradita a tutti i naturalisti italiani. La balena catturata nel 1877 a Taranto non è punto la prima che penetrò e morì nel Mediterraneo. Or sono otto secoli essa fu preceduta da un’altra vera balena, la quale fu eziandio uccisa lungo la costa occidentale dell’ Italia meridionale. “Questo gran pesce di forma incredibile , non era cono- sciuto dagli abitanti d’Italia. Ma Gulielmus Appulus che scrisse l’ “ Historicum poema de rebus Normannorum in Sicilia, Appulia et Calabria gestis , ci fa sapere che Roberto Gui- scardo, Duca Normanno, ? conosceva quel mostro marino, il suo modo di vivere, e con quali processi lo si poteva prendere. Roberto Guiscardo diresse la pesca, catturò il cetaceo e fattolo dividere, lo distribuì, quale alimento fra i suoi e fra quelli che avevano assistito alla straordinaria caccia, nell’ istesso modo che sulla Normandia soleasi praticare. i È riconosciuto che il poeta G. Appulo, quantunque scrittore medioevale, serbò la nomenclatura antica. Quindi con molta probabilità questo mostro marino fu proprio catturato nel golfo, 1 V. Bibliogr, N. 20. ? Nato nel 1015, morto nel 1082. 28 C. PARONA. di Taranto, poichè anticamente per Calabria s’intendeva la Terra d'Otranto e l’attuale Calabria si chiamava Brutium. La conoscenza che il Duca Roberto Guiscardo aveva del cetaceo ed il modo con cui fu preso, indica chiaramente che trattavasi di una vera Balena e non di una Balenottera, cui i Normanni non davano la caccia. In quei tempi i balenieri nor- manni cacciavano sempre la stessa specie, la Balaena bisca- yensis Eschricht.,,* Non interessando in particolar modo all’argomento che stiamo trattando, l’altro caso riferito dal Pouchet ? della balena are- natasi ad Algeri, ci resta soltanto di parlare, sulla cattura di una vera balena occorsa in Taranto che, senza dubbio, fu fra le più importanti, sia per la rarità del caso, sia per l’esem- plare bellissimo e perfetto, e sia per l'illustrazione che con splendide memorie ne fecero due nostri naturalisti, Furono difatti Giovanni Capellini, l'illustre geologo della Università di Bologna e Francesco Gasco, il compianto collega ! Trascrissi quanto ebbe a dire il Gasco onde essere esatto il più pos- sibile nel raccogliere i casi storicamente noti; ma però, esprimendo fran- camente il mio pensiero, dirò che dalla narrazione ed ancora dalla lettura dei versi del poeta Appulo, da lui ricordati, non si riscontra alcun carat- tere saliente da far persuasi trattarsi della vera balena, piuttosto che di altro cetaceo. Inoltre anche il metodo di caccia, ritenuto dal Gasco come decisivo per asserire che si trattasse della balena franca, non ci convince pur esso, giacchè, anche concesso che il Duca Roberto conoscesse i me- todi di caccia dei balenieri normanni contro la balena dei Baschi, ciò non dimostra fosse veramente questa, ma al più indica che lo stesso Duca seppe applicarli nel caso del cetaceo in parola, sia che esso fosse realmente una balena vera, o piuttosto una balenottera, od anche un capodoglio. Epperò parmi sia soltanto da registrarlo quale cattura di un grande cetaceo, ma di specie indeterminata, mancando qualsiasi ca- rattere specifico. ° V. Bibliogr. N. 37. al NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, ECC. 29 dell’ Università di Roma, che dottamente descrissero la balena franca di Taranto. * | Non è il caso di ricorrere, per ricordare l importante avve- nimento, alle numerose relazioni comparse sopra i periodici di quel tempo, trovandosi nelle memorie dei sullodati colleghi dettagliati ragguagli dell’arenamento del cetaceo. Trascrivo in- vece la narrazione dettata dal Capellini, solo aggiungendovi, quale complemento, alcune poche altre notizie, che tolgo da quella del Gasco. “La mattina del 9 febbraio di quest'anno 1877 il sig. Fer- dinando Hueber trovandosi a diporto lungo la riva sinistra del golfo di Taranto, a 2 chilometri circa dalla città, a non molta distanza da terra (in vicinanza della Torre d’Ajala) scorgeva una massa nera galleggiante che a prima giunta sospettò po- tesse essere un battello rovesciato; ma ben presto accortosi che quel corpo si muoveva e visto innalzarsi da esso getti di vapore condensato e acqua polverizzata, capì che si trattava di un grosso cetaceo; il quale entrato nel golfo dal lato di sud-ovest presso il Faro, s'avanzava lentamente lungo la costa tenendosi a breve distanza da esso e rasentando alcuni scogli sporgenti alquanto più degli altri, sicchè il sig. Hueber stando sovr’uno di essi ebbe la soddisfazione di ammirarlo, mentre si dirigeva verso il ponte di Napoli e potè ruzzolargli sul dorso una grossa pietra, senza pèrò che l’animale desse segno di essersene neppur accorto. Si narra che il capitano Scialpi, veduto egli pure il malca- pitato cetaceo, si adoperasse a radunar gente per catturarlo ; 1 V. Bibliogr. N. 8, e N. 17. ? Corriere di Taranto, 18 febbraio 1877 (art. dell’ avv. Filippo Ric- ciardi.. — Il cittadino Leccese, 18 febbraio 1877. — Gazzetta del po- polo di Torino, 22 febbraio 1877. 30 C. PARONA. ma nel frattempo essendosi questo avanzato fin presso il Ca- stello, gli furono tirate le due prime fucilate. Proseguendo im- pavido verso la dogana regia e quindi verso la Punta dei tonni, fu fatto bersaglio a numerose scariche di fucili e re- volvers fino a che, tutto ciò riescendo inefficace e. mancando all'uopo le armi si pensò di ricorrere ad una cartuccia di di- namite (lanciata dal sig. Scialpi) la quale lanciata sotto il ven- tre del cetaceo lo stordì siffattamente che, perduto per breve tempo l’uso delle natatoje, quasi fosse morto sì rovesciò sul dorso. Immantinente un ardito marinaio per nome Vince. Marinò, coadjuvato da alcuni compagni, gettò una grossa fune, con nodo scorsoio, attorno al corpo del colosso, ma questo rotto il laccio, si diresse di bel nuovo verso la dogana regia ove il Marinò, tornando una seconda ed una terza volta all’assalto, riescì ad allacciarlo per modo che, non potendo più strappare il nuovo canapo, tormentato in più modi, fu poi da robuste braccia e con congegni diversi sul far della sera tirato a terra e verso mezza notte era morto. ,, “ Era una Balena ,, e lo affermarono il sig. J. Hueber ed il prof. Lucarelli. Il cetaceo venne copiato all’acquarello dal sig. Alessandro Hueber, fratello del Ferdinando citato, dal quale il Capellini trasse poi il disegno che orna la sua memoria; nonchè dal pittore signor Errico Marrullier con altro acquarello, che servi per la tavola d’assieme, annessa allo scritto del Gasco. La balena di Taranto era una femmina, che tratta a terra fu esposta al pubblico per varî giorni, e poi venne acquistata dal Museo di Anatomia comparata di Napoli, ove alcuni vi- sceri ed il magnifico scheletro costituiscono vere rarità anato- miche di quell’ Istituto, gloria di Paolo Panceri. Si ottennere 3521 chilogrammi d’olio, ed i due sistemi di Ladinia iii ii NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, Ecc. 51 fanoni vennero staccati intieri dalle mascelle e conservati, im- mergendoli nel bagno di una soluzione d’allume. Lunghezza totale dell'animale metri 12, circonferenza del corpo metri 6.30. Non seguiremo i due illustratori della balena di Taranto nella lunga narrazione delle trattative e delle peripezie incontrate, e neppure nelle descrizioni anatomiche ; solo ricorderemo che, riguardo alla identificazione specifica di essa, il Capellini volle riscontrarvi caratteri tali da elevarla a specie distinta (B. ta- rentina), mentre il Gasco dimostrò trattarsi della vera Balaena biscayensis dell’ Eschricht. IE (CO BALENOTTERA, Rorqualo. (Physalus antiquorum Gray = Balaena boops Linn. = Balaenoptera musculus Flemm.) La balenottera sarebbe specie non rara nel Mediterraneo, ne ciò deve recar meraviglia perchè, quantunque sembra preferisca la dimora dell'Atlantico settentrionale, essa è quasi cosmopolita. Si conoscono abbastanza esattamente da circa un paio di secoli gli arenamenti dei capodogli sulle coste europee, ma non si può dire lo stesso per le balenottere. Infatti le notizie pre- cise che si hanno della sua presenza nel mare nostro sono poco numerose; e riesce difficile raccogliere i «documenti sulle cat- ture di questo misticete fra noi. Il Pouchet, che ho già menzionato a proposito dei cetacei precedenti, accennerebbe (1. cit.) al caso più antico. Il secondo arenamento, scrive l’autore francese, del quale riferì J. Faber (1. cit., pag. 569), ebbe luogo nel 1620 sulle coste della Cor- 32 C. PARONA. sica. Ma il nostro antico autore non l’ha veduto e la descri- zione contiene evidenti inesattezze. « Similis, sed ingentior bellua anno MDCXX circa Corsicam et ipsa jam mortua reperta fuit, longa pedes centum. Solum lar- dum sine carnea pinguedo pendebat librarum centum et tri- ginta quinque millia . . . Triginta duabus spina dorsi vertebris constabat, ex quibus varia sedilia conficiebatur. Et cum haec faemina esset, utero faetum conclusum gerebat, pedes longum triginta, pondere mille ac quingentarum librarum. ,, L'animale, continua Pouchet, era senza dubbio una grande 5. musculus, di sesso femminile e gravida di un piccolo, lungo. 30 piedi, mentre la madre ne misurava cento; e tale è infatti la proporzione del feto a termine per questi animali. Un altro caso troviamo registrato nell’opera di O. G. Costa.! “ Un cetaceo approdò (5 maggio 1827) nella località detta Botte, il quale, incuneato tra gli anfratti di quelle orride balze, non permise di essere tirato a terra, nè rigettato in mare. La folla di rozza gente accorsa allo spettacolo di questo vivente, straniero affatto ai loro occhi, contenta dapprima di averlo am- mirato, fu poi dal fetore che tramandava molestata acremente. Quindi a gara gli avidi di impadronirsi di qualche suo brano, ed i vigili della pubblica salute, ne affrettarono la distruzione, talchè giunsero tardi ed inutili gli ordini del governo coi quali si prescriveva la conservazione del suo scheletro per arricchire il Museo zoologico della R. Università. ,, È precisamente lo stesso cetaceo che venne descritto da Pa- squale Manni di S. Cesario? in una relazione non poco biz- 1 V. Bibliogr. N. 13. ? V. Bibliogr. N. 81. i i NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, ECC. 39 zarra, e ricavata da varì rapporti, in particolar da quello di Francesco Sossi-Sergio. Il Manni giudicò bene trattarsi di una Balaenoptera musculus, con dorso oscuro e ventre bianco, con canaletti della curvatura e della lunghezza di un dito; con ala dorsale e con bocca smisurata e con un giro di la- mine di sostanza cornea, distanti un dito l’una dall’altra, pun- tute e pelose, in numero di circa 800 e lunghe circa 2 ‘/, palmi (= 61 centim.). La lunghezza totale del corpo era di 120 palmi; il diametro del corpo circa la terza parte della lunghezza dalla testa al principio della coda. Si calcolò l’intero peso a più di mille cantaja. Il cranio, che venne acquistato dal signor Bacile, misurava dal muso al foro occipitale 18 palmi di lunghezza ed aveva un diametro massimo di palmi 19. Le mascelle rivolte in su erano lunghe 16 palmi ed avevano il diametro di palmi uno e mezzo circa. Il suo membro genitale, era lungo circa 8 palmi (= 2,08 m.) ed altrettanti ne aveva di circonferenza. I testicoli erano della dimensione consimile a due barili della capacità di 24 mezze per cadauno, calcolando ogni mezza di 12 caraffe. A proposito di quest’avvenimento venne pubblicato in Na- poli un libro Sui Ceti di anonimo autore. È uno scritto di compilazione, nel quale si tratta delle più disparate cose e di disquisizioni finaliste, ecc.; e dove, quale appendice, è mala- mente descritta la balena di Otranto, Il titolo del curioso libro non è meno curioso, come qui si trascrive: Le avventure del gigante del mare rinvenuto morto nei primi giorni di maggio 1827 presso Otranto, città del Regno di Napoli. Sto- ria dei Ceti estratta dall'opera del Conte di Lacépéede, al- Pimmortale memoria di Pitagora, che visse prima di Omero e di Esiodo e fu maestro dei filosofi, dei legislatori e dei poeti. Napoli, 1827; tipogr. Angelo Trani, pag. 139, con una 9 34 C. PARONA. tavola (a pag. 104. Appendice al libro I. Del ceto rinvenuto sulla spiaggia di Otranto). Debbo ai miei colleghi ed amici prof. A. Costa e F. S. Mon- ticelli, l'indicazione di quest'opera; scritto affine a quello del Manni, la cui dicitura non è meno enfatica e prolissa. Van Beneden *! ricordò il caso di balenottera che arenò nel 18381 vicino a Muggia, non lungi da Trieste, il cui teschio si conserva presentemente nel Museo di Monaco. Di questo caso ne parla pure il Brusina, È aggiungendo: “ Ho domandato al-. l’amico prof. Stossich se poteva riscontrare nei giornali di quel tempo notizie particolareggiate di questo notevole avvenimento, ma non ha potuto trovar nulla ad onta di lunghe e pazienti ricerche. Lo stimatissimo collega R. Hertwig, professore alla Università di Monaco, non potè egli pure darmi dettagli spe- ciali; soltanto mi comunicò che la mascella inferiore misura 2,50 metri di lunghezza e che la massima larghezza, misurata all’ arcus zygomaticus, è di metri 1,70.,, Di una balenottera data in secco sulle spiaggie della Liguria il Genè ® scrisse: « Al principio dell’anno 1845‘ il mare da più giorni agi- tato da furiosa procella, spinse verso le coste di Bordighera, tra Ventimiglia e San Remo, il cadavere già putrescente di una balenottera lunga 24 metri. I pescatori che l’avevan tratta sul 1 Annales du Musée R. d’ Hist. nat. de Belgique. T. XIII, 5.° part., pag. 120. Bruxelles, 1886. ? V. Bibliogr. N. 7 (pag. 47). 3 V. Bibliogr. N. 21, Vol. II, pag. 391-392. * Lessona (in Vogt e Specht, loc. cit.) mette la data 10 novembre 1845, e Cornalia (loc. cit., pag. 70) quella di novembre 1845; cadendo entrambi in errore di epoca. | È NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACHI, ECC. 39 lido, la chiesa parrocchiale cui l'avevano donata, l’ammiragliato che ha diritto di proprietà su tutti gli oggetti che il mare getta alla spiaggia, ed il fisco, se ne disputarono per più giorni il possesso; ma esso era. dovuto alla scienza; e la scienza me- diante la mia pronta intervenzione e grazie alla illuminata mu- nificenza del Re, ne fu fatta padrona. Lo scheletro di questo enorme cetaceo giace ora (1850), scomposto nel cortile e nei magazzini di questo palazzo in aspettativa di un padiglione sotto al quale possa essere collocato. Ma e donde e come venne questo gigante, che ha per naturale soggiorno gli incommen- surabili spazii dell'oceano? A giudicarne dalla condizione dello scheletro, il povero animale ricevette un giorno forse nei mari del Nord una cannonata, la di cui palla solcandogli esattamente la linea mediana longitudinale del dorso, gli scavezzò le apo- fisl spinose di un gran numero di vertebre; cacciato dalla paura o dal dolore andò probabilmente vagando per l'Atlantico finchè il caso gli fece infilare lo stretto di Gibilterra. La lunghissima e profonda ferita si rimarginò, le apofisi delle vertebre si ri- formarono, ma il corpo di uno di queste ossa fu preso da ne- crosi e poi da carie, per cui andò interamente disfatto. Il dis- facimento di questo osso deve aver lasciato allo scoperto ed of- ‘fesa altrimenti la parte di midollo spinale che eravi contenuto e il poveretto, nel mezzo forse del cammino della vita dovette morire. Io intanto ho forti ragioni per credere che egli stan- ziasse al nord della Corsica, giacchè da memoria d’uomini ve- devasi appunto da coloro che navigavano in quel tratto di mare, aggirarvisi solitario e tranquillo, un enorme cetaceo. To stesso lo vidi tre volte nell’andare e venire dalla Sardegna, e lo vidi un giorno a sì moderata distanza da poterne quasi de- terminare le dimensioni e da poter perfino distinguere gli altis- simi getti d’ acqua, che ad intervalli faceva uscire dagli sfiatatoi. ,, 36 C. PARONA. Il Genè pensa che questo cetaceo di Corsica sia precisa- mente quello che andò a battere sulla spiaggia ligure, anche perchè avendo egli scritto in quell’isola per averne notizie, dopo il fatto di Bordighera, n’ ebbe in risposta che il grande animale era da poco tempo sparito. Lessona (St. nat. cit. pag. 927), dopo aver riportata la nar- razione del Genè aggiunge: “ Giuseppe Genè morì senza avere quella soddisfazione che pur tanto avrebbe meritato, di metter su quello scheletro di balenottera. Ciò fece poi il De Filippi, che fu il creatore del Museo di Anatomia comparata dell’ Uni- versità di Torino, ed ora tale scheletro è uno degli ornamenti più belli di quel Museo. ! ,, Nel catalogo dei mammiferi della Sicilia, Minà-Palumbo, al paragrafo Balaenoptera (pag. 128), scrive: “Con dubbio riporto questa specie, ma sulla narrazione di antichi storici siciliani si può asserire che ne’ remoti tempi non doveva essere molto rara; si trovano coste di balena in Gir- genti e nel gabinetto zoologico di Palermo; e Boudant accenna ad ossa fossili di balene trovate nelle grotte ossifere di Sicilia. Nulla poi di difficile di essersi veduta nei mari di Sicilia, essendosi rinvenuta nel 1699 all'imboccatura del Weser, nel 1819 nell’ Holstein; nel 1829 una balena morta fluttuava nelle acque vicino a Port-Vendres, che fu acquistata dal dott. Cam- pagnon; al 27 maggio 1828 ne arenò un’altra a Perpignano, lunga 76 piedi; ed ora sono pochi anni (l’autore scriveva nel 1868) una, pure morta galleggiava, nel mare fra Genova e. l’isola di Caprera e portava una profonda piaga prodotta da una palla di cannone. 1 V. Bibliogr. N. 29. e | n, Saia e NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACHI, ECC. 37 A ciò potrei anche aggiungere la tradizione di una balena arenatasi a Messina, e di un’altra a Palermo nella spiaggia di Mombello, dopo una tempesta che si prolungò per otto giorni. Quest'ultima era lunga palmi 64 (= metri 4,80).,, Cornalia nell'elenco bibliografico del suo lavoro sui mammi- feri ! registra: “ Rossi Vincenzo, Sopra una balena arenata nel litorale di Marotea, 1846, manoscritto comunicato dal prof. A. Costa,,; ma non sono riescito ad avere maggiori rag: guagli in proposito. A Portoferraio (Isola d'Elba), mi scrisse il mio scolaro G. Da- miani, una “ balena ,,, certo del genere balaenoptera, arenò il 30 luglio 1857, a libeccio del porto presso il Lazzaretto. Misurava 21 m. di lunghezza. Tirata a secco, e putrefando, per ragioni igie- niche, fu trascinata per mare all’ Eufola e colà dal solo fegato si estrassero dieci grossi barili d’olio. Il restante della carcassa fu sommersa con grossi pesi e spolpata dai pesci. Dello sche- letro conservansi tuttora alla tonnara dell’ Eufola la colonna vertebrale e le mandibole. Due fanoni di Balenottera, colla data agosto 1859, si conservano nel Museo dei vertebrati in Firenze e provengono da individuo pure catturato all'isola d’ Elba. Altra balenottera diede in secco ad Alghero in Sardegna (1861?), già ferita da una palla di cannone, tiratagli da una nave in alto mare. In luogo se ne cavò molto olio, ed il suo scheletro fu fatto vedere in Genova per qualche tempo e poi acquistato dal geologo Frappoli e donato al Museo civico di Milano. Misurava 20 metri. Non è improbabile sia stata. quella che ebbe a menzionare il Minà-Palumbo, galleggiante fra Ge- nova e Caprera. N BiblioetENS® 12: 38 C. PARONA. Dall’amico Prof. Angelo Andres seppi, che le ossa della ba- lenottera giacciono ancora nei magazzeni del Museo succitato; che nel 1894 se ne era cominciata la montatura per esporle nelle sale del nuovo Museo, ma fu sospesa l’operazione, ed il tutto tornò nei sotterranei in attesa di tempi più propizî. Seppi ancora che le ossa dello scheletro sono ben conservate, e che ne mancano solo. poche, cioè alcune carpali, metacarpali e fa- langi; dippiù qualche vertebra costale e lombare è mutilata. Il prof. Capellini, nelia sua memoria sulla balenottera del 3 Mondini,‘ e della quale diremo più innanzi, scrive che nel Museo di zoologia e di anat. comp. dell’Università di Roma trovansi le ossa timpaniche del bellissimo esemplare di Phy- salus antiquorum, che fu preso a Civitavecchia il 4 marzo 1866; e del quale in un salone dell'orto botanico se ne con- serva lo scheletro. ; Di altre quattro o cinque »balenottere, che vennero ad are- narsi sulle coste della Liguria, o sulle spiaggie vicine, ne ebbe ragguaglio il prof. Lessona durante il decennio (1355-1865) di sua dimora in Genova, ma non sono specificati i varî casì. | « Una balena perduta nell'Adriatico, scrive il Brusina,? si arenò nella valle di Pago (12 luglio 1862). Tratta dai nostri alla spiag- gia, fu trovata del peso approssimativo di funti 30 a 35,000. La sua lunghezza è di piedi 42, su 20 o 22 di larghezza. Le mascelle sono lunghe 8 piedi e mezzo e la dentatura consta di due file di balene (sic!), frastagliate gradatamente a forma di tasti di pianoforte della lunghezza di 1 piede e un quarto fino a 4 pol- lici circa e sono in numero di 900, La coda del mostro è 1 V. Bibliogr. N. 9. 2 V. Bibliogr. N. 7, pag. 48. NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, ECC. 39 larga 1 klaft. e 2 piedi. Si calcola, ad onta che qui non ci sia gente dell’arte, di estrarre da 50 a 60 barili d’olio.,, Il prof. Brusina, aggiunge altri dati che non mi è pessibile riportare, essendo la memoria scritta in croato. Nel Museo zoologico di Pisa, dice il Richiardi,! si conser- vano il teschio incompleto, la mascella inferiore ed alcune ver- tebre di B. musculus, stati donati dall'avvocato Giuseppe Mag- gei nel 1839, da Marciana dell’isola d’Elba.? Inoltre porzione di teschio, vertebre e coste di altra balenottera furono inviate in dono dal sergente maggiore Fortunio Desideri da Populonia al Granduca Cosimo III de’ Medici, ed accettate con lettere 10 aprile e 29 settembre 1714. Per ultimo il prof. Richiardi, nella stessa memoria, descrive la cattura di altra balenottera. “ Nel giorno 10 giugno 1871. Le onde del mare gettavano nel piccolo seno detto delle Corazze tra l’Ardenza e l’Antignano presso Livorno, un cetaceo che in stato di avanzata putrefa- zione il dott. Federico Castelli (che a quell’ epoca non avevo ancora la fortuna di conoscere) non potè darmene avviso, però provvide, nel modo migliore che gli fu possibile affinchè fosse utilizzato e facendolo consegnare al sig. Prampolini, il quale, estratto dalla pelle l’olio ed impiegate le altre parti molli alla fabbricazione del guano, ne salvò la maggior e miglior parte dello scheletro: Questo fu da lui più tardi donato allo spetta- bile municipio di Livorno, e quegli amministratori giudicarono sapientemente miglior partito che fosse conservato in un Museo e lo donarono al Museo zoologico-zootomico di Pisa. 1 V. Bibliogr. N. 42. ? Il signor G. Damiani mi assicura che i vecchi Elbani ricordano be- nissimo la cattura del 1889 a Marciana. 40 C. PARONA. E una Balaenoptera musculus, femmina, lunga poco più di 9 metri e dell’età approssimativa dagli otto ai 10 mesi. Lo scheletro non è completo, ma nondimeno assai interes- sante, essendo uno dei più piccoli che furono raccolti e studiati, eccettuato l'individuo catturato a Port Vendres nel 1859 e che sì conserva nel Museo di Perpignano. Il teschio manca delle ossa zigomatiche e delle lacrimali, così pure andarono perdute le ultime vertebre comprese nella natatoia caudale, una parte delle ematoapofisi, la massima parte di quelle del carpo, metacarpo, falangi e lo sterno.,, Il Museo dei vertebrati in Firenze possiede un fanone di 5. musculus adulto catturato a Diano Marina 1’8 novembre 1872, siccome mi avverte l’egregio amico Prof. Enrico H. Giglioli. Nel giornale il Secolo di Milano (26-27 settembre 1894) trovasi descritta “ La pesca di una balena a Gallipoli ,, che qui credo di riportare, non avendo trovata altra indicazione. “Sono giunto qui * per vedere la balena catturata ed uccisa il 20 settembre in questo mare, a pochi metri della città nella Tonnara, il bacino chiuso ove si fa pesca di una grande quan- tità di tonni. Lo spaventoso mostro marino fu rimorchiato per una parte sulla riva; l’altra parte s’ allunga nell’ onda insanguinata dal continuo efflusso dell'immenso animale, che sta per essere preso d’assalto da una folla di popolani accorsi con coltelli e con ceste per fare provviste abbondanti. Un ordine sindacale permette l’assalto. È una carne quella della balena che non fa male; i sanitari comunali ne hanno fatto cuocere un grosso pezzo che è stato trovato di buon sapore. ! L’Autore dell’articolo si firma coll’ iniziale V. NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, Ecc. 41 CI Il colossale animale è lungo una ventina di metri. Ha la forma, nell'insieme del corpo, di una immensa ma imperfetta elisse. La massima larghezza, che è alla testa, dove si nota un rigonfiamento, può avere un diametro di 7 od 8 m. L’apertura della bocca e lunga 2 metri. I fanoni, Je lamine ossee (sic!) di cui è contornato l’interno della bocca delle balene, ed al cui numero si può calcolare in qualche modo l'età, potevano essere un 500. * Ecco come questo colosso del mare venne catturato. La mattina del 20 settembre si scatenò un furioso temporale che naturalmente sconvolse il mare e cagionò una furiosa ma breve tempesta. Un marinaio sorpreso non trovò altro sicuro asilo che il seno della tonnara. Stando colà vide arrivare il formidabile pesce, che precisamente prese posto nel vasto seno di mare, forse per ripararsi dai furori della tempesta. Il marinaio spa- ventato, dapprima come meglio potè chiuse la comunicazione della tonnara e poi, quando il tempo glielo permise, si di- resse su Gallipoli. Quivi raccontò l'accaduto. Sei barconi furono allestiti in poco tempo ed oltre cinquanta marinai partirono armati. Giunti alla tonnara la balena fu trovata rinversata, tanto che lasciava vedere una buona parte dal ventre bianco. I marinai con lunghi coltelli, passando vicino al mostro gli infersero nu- merosissimi colpi. Ad un tratto il mare a loro d’intorno si colorò in rosso. Ma la possanza del gran gigante del mare d’un trattò si fece manifesta. Un grido terrorizzante ed un tonfo inaudito prodotto da un colpo della formidabile coda, fu udito fino da lungi. ' L’aver constatato la presenza dei fanoni induce a credere si trat- tasse realmente di una balenottera, sebbene, avendo poco prima detto che la massima larghezza era alla testa, potesse far pensare al capodoglio. 42 C. PARONA. In quel momento dagli sfiatatoi posti sulla gobba uscì una fontana altissima d’acqua e si videro sommergersi e sconquas- sarsì tre barche. Fortunatamente tutti i marinai furono salvi. La balena intanto si agitava e mandava grida spaventose di dolore; dopo un paio d’ore dall'inizio della lotta era morta.,, Il prof. Carazzi! scriveva come durante gli scavi stati fatti al principio del 1889, nel golfo di Spezia, erano state messe allo scoperto delle grandi ossa di cetaceo. Dall'esame fatto in quei giorni potei convincermi che l’animale esisteva tutto in- tero e che doveva essere andato a morire in quel bassofondo per poi essere poco per volta ricoperto dal sedimento marino, ma essendo le ossa, specialmente quelle del cranio e le diafisi vertebrali molli assai, perchè impregnate d’acqua, non potè con- servare che alcuni pezzi di mascellare e di mandibola, ma in- completi, grandi porzioni della 1.% 2.8 3.2 costola, parecchie ema- toapofisi, delle diafisi dei corpi vertebrali, una intera caudale e l’epistrofeo, che riescì a ricostruire quasi per intero. Il tutto si conserva nel Museo civico di Spezia. È superfluo accennare che questo caso è da riferirsi ai subfossili, sebbene non cessi perciò di aver molta importanza. Ho notizie che all’Elba, dopo il caso di Marciana, altri non ve ne furono in quest’ultimo trentennio. Nel 1893 però una bale- nottera entrò nella darsena di Portoferraio, ma non fu possi- bile catturarla, avendo essa immediatamente preso il largo (G. Damiani). Inoltre un mostro marino sarebbe stato visto ed inseguito dai pescatori di Portoferraio nel giugno del corrente anno 1896 (G. Bocca). 1 V. Bibliogr. N. 10. NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, ECC. 43 Leggesi nel giornale II Popolo Sardo, N. 323 (24 dicem- bre 1896) “ Di questi giorni anche sulle spiaggie della Sar- degna ne è stata trovata una (Balena) di dimensioni piutto- sto discrete. Venerdì scorso (18 dic.) infatti Enrico Costa, An- gelo Cossu, Efisio Rocca, Girone Palumbo ed Efisio Vadilonga, noti pescatori di morene, che erano a bordo della barca di proprietà di Giuseppe Vadilonga, presso l’isola Serpentara, a levante dell’isola dei Cavoli, trassero a secco una balena morta, che ad occhio e croce giudicarono potesse pesare un trenta. quintali. ,, Dall egregio prof. Felice Mazza ricevevo in seguito gentile comunicazione del fatto, a complemento delle poche notizie sul caso. La Balenottera (?) fu riscontrata precisamente all’ isola Serpentara e pare fosse un maschio, che i pescatori asserirono dovesse pesare circa 30. chintaris. Probabilmente la parola sarda chintaris fu tradotta in quintali, invece che cantari. Ora il cantaro essendo di 100 libbre, il peso vero del cetaceo si dovrebbe ridurre a 12 quintali. A quanto sembra i pescatori rimorchiarono la carcassa in qualche recondito anfratto di spiaggia, allo scopo di ricavarne l’olio, senza essere disturbati da chicchesia. Sorge facile il sospetto che questo cetaceo sia quello che fece tanto parlare di sè a Genova e che si seppe essere riap- ‘parso a poche miglia da terra innanzi a Cogoleto; e che dopo tanti giorni andasse a finire misteriosamente all’isola Serpen- tara. E però a notarsi che la balenottera di Genova era una femmina, mentre questa pare fosse un maschio. 44 C. PARONA. III, (B. Balenoptera rostrata Gray.= Pterobalaena minor Eschr. — Sibbaldius Mondinii Capell. Riunisco ora quanto si conosce relativamente a catture di balenottere, da riferirsi non alla B. musculus, ma alla B. ro- strata, sebbene alcuni autori (specialmente pel primo caso del quale ora dirò) non vadano d'accordo nell’assegnarla all'una od all’altra specie. ! Van Beneden,? parlando di una B. rostrata arenatasi nel golfo di Cavalaire (Département du Var) assevera quella cat- tura portare a cinque il numero di balerottere dal rostro, che finora si riscontrarono nel Mediterraneo; quattro delle quali si sarebbero perdute negli stessi paraggi. La prima è quella del Mondini (Adriatico 1771), la seconda quella di Saint-Tropez (maggio 1840), la terza arenò presso Palavaz alla fine del settembre 1870, la quarta fu presa nel porto di S. Giovanni di Villafranca (18 febbraio 1878). Di esse ci interessano soltanto la prima e l’ultima. La balenottera, così detta del Mondini, perchè egli ne parlò pel primo, ha una storia speciale in seguito alla pubblicazione del prof. Capellini, che mise in luce le osservazioni del Mondini, ed a quella del prof. Richiardi, il quale però volle ritenerla un giovane di B. musculus, della quale opinione si manifestò pure il Giglioli. 1 Trattandosi di un lavoro puramente storico non credo dover discu- tere sopra una più precisa sinonimia. ? V. Bibliogr. N. 5. NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, ECC. 45 Riporto quasi per intero l'importante cenno storico che il Capellini! diede di questa balenottera, il di cui cranio si.cu- stodisce nel Museo d’Anatomia comparata di Bologna. Da varie ed autorevoli testimonianze risulta che nel 1771 nella peschiera di Bologna, fu trasportato il cadavere di una piccola balena, la quale esaminata e studiata da Gaetano Monti, Ferdinando Bassi e Carlo Mondini, fu da quest’ultimo, in parte, preparata per il patrio Museo di Storia naturale. L’anno dopo, e precisamente il 26 marzo 1772, C. Mondini leggeva a questa nostra Accademia delle Scienze una memoria dal titolo: “ De capite Balaenae,, e descriveva ed illustrava con tavole i resti del piccolo cetaceo, che giudicava riferibile alla Balaena boops di Linn. Disgraziatamente il lavoro dell’ Illustre accademico, essendo rimasto per lunghi anni inedito, da ultimo andò perduto, per cui più non ci restano che alcune tavole ridotte dai disegni originali, e riconosciute inesatte anche dall’ Alessandrini. Le prime notizie pubblicate intorno ai resti della piccola ba- lenottera del Mondini si trovano negli Elementi di zoologia dell'abate Ranzani, stampati a Bologna nel 1821. L’erudito naturalista, in una nota a pag. 708, che fa seguito alla descri- zione della terza specie del gen. Balaena si esprime negli stessi termini che riportò il Capellini; e perciò è inutile qui ripetere. Più tardi Cuvier, avuti dal Ranzani le figure del teschio, dichiarava che era simile alla balenottera del Museo di Ber- lino, ossia al Rorqual du Nord; ammettendo così che nel Me- diterraneo esistessero due specie. Sull'argomento insiste il Capellini, riportando anche quanto disse l’Alessandrini nel suo Catalogo,” pubblicato nel 1854, ai ! V. Bibliogr. N. 9. ? V. Bibliogr. N. 1. 46 C.. PARONA. N. 1028, 1029 e 1030. Collocata la preparazione del teschio nel Museo di Storia naturale di Bologna, ivi rimase fino al 1826,. nel quale anno passò a quello di anatomia comparata. Nel 1827 l'ottimo prof. Francesco Mondini, figlio del sullo- dato Carlo (continua il prof. Capellini), fece dono al gabinetto anche del manoscritto autografo della Memoria del proprio padre, non mai pubblicata, cui erano unite sei tavole in foglio, rappresentanti il teschio in diversi aspetti, nonchè le princi- pali ossa che lo compongono, disgiunte le une dalle altre, com- presi gli ossicini dell’ udito. Dopo altre considerazioni, sul parere datone dal Van Beneden e sopra lo scritto del Richiardi, il prof. Capellini, così con- chiude (pag. 441): “ Risulta dal fin qui detto che i resti della balenottera del museo di Bologna provengono da un individuo che fu pescato nel bacino del Mediterraneo, probabilmente sulle coste dell'Adriatico, e fu venduto nella peschiera di Don nel 1771. Dai confronti fatti si ricava: che assomiglia grandemente a quella della B. borealis, o Sibbaldius laticeps, ed un poco alla vera Balaenoptera rostrata. Piccolissime sono le somi- glianze colla Balaenoptera musculus. , Il Capellini propose chiamarla Sibbaldius Mondini, espo- nendone i caratteri specifici, e facendo considerazioni sulle dif- ferenze sue colle altre specie. L'individuo di B. rostrata di cui parla il Giglioli, ! prescin- dendo dall’asserzione sopra indicata del Van Beneden, sarebbe il primo ed il solo accertato della specie, stato preso finora nei nostri mari; giacchè la B. Mondini del Capellini, secondo il (VI Biblioor®#N"%22. i 5 È î NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, Ecc. 47 parere dei vari sistematici, altro non sarebbe che un giovane della Balaenoptera musculus. L’esemplare, in discorso, entrò la mattina del 18 febbraio 1878 nel piccolo porto di S. Giovanni di Villafranca, ove fu sbarrato con rete palamitiera. Il cetaceo fu inseguito dai pe- seatori Marco Allari e Francesco e Giuseppe Giordan; ebbe un solo colpo d’arpone, e trascinò la barca per circa mezz’ ora, soccombendo poco dopo essere stato tirato a terra. . Misurava tre metri e cinquanta centim. di lunghezza; pesava trecentoventi chilogrammi. Era un maschio di color nero lu- cente, meno le parti inferiori ed una larga macchia di un bianco puro sopra ciascuna pinna; i fanoni erano giallastri; lunghi di 9 a 10 centimetri, sulla linea mediana del rostro. Il Museo di Firenze possiede l’animale preparato in pelle col palato ed i fanoni in posto. Alcune parti dello scheletro ed i visceri trovansi nel Museo di Anatomia comparata dell’ Univer- sità di Genova e sono: lo stomaco, è porzioni dell’ intestino tenue e crasso. Ed ora restami di riferire intorno agli arenamenti di Balae- noptera musculus, che si verificarono in questi tempi sulle spiaggie liguri; e cioè di quello occorso nel 1878, e dei quattro | stati, come si disse, segnalati nell’ autunno presente. Del primo caso ricavo le notizie da un articolo comparso nel giornale locale Supplemento al N. 285 del Caffaro (12 ot- tobre 1878), dovuto ad un noto collega, che volle celarsi. sotto le iniziali D. V.! 1 V. Bibliogr. N. 14. 48 C. PARONA. Dopo aver descritto la cattura di un Grampus Rissoanus incappato, insieme a 4 altri compagni (che riuscirono però a sfuggire) nelle reti a Camogli il 30 settembre 1878, scrive: Balenottera di Monterosso. — “Il giorno seguente a quello della presa del Grampus, vale a dire il 1° ottobre verso l’una pomeridiana, alcune barche della terra di Monterosso (promon- torio di Spezia) scorgevano in alto mare alla distanza di qual- che miglio dalla punta del Mesco, uno strano oggetto galleg- giante sul livello delle onde, ed il quale non sapevano indo- vinare che fosse. Corsero parecchie imbarcazioni a sincerarsi della natura di esso, nel mentre che il restante della popola- zione s’inerpicava su per l’erta del diroccato castello, conver- tito oggi in cimitero, e col puntar cannocchiali si studiava di sciogliere il problema, quando con sorpresa grande dei più, che ritenevano trattarsi di un bastimento capovolto, si venne a riconoscere che quella massa era il cadavere di un grosso mostro marino. Il rev. Pastine che, insieme all’ avv. Sabbia aveva contri- buito con la propria barca a trarre a terra il cetaceo, ne av- vertiva tosto con telegramma il capo dell’autorità municipale di Genova ed il dottor Mangiamarchi di Monterosso ne scri- veva alla Segreteria della nostra Università. Non era un capodoglio, ben noto ai nostri pescatori; non po- teva adunque essere che una balena! E difatti nel linguaggio volgare quell’animale non porta altro nome. Era però impor- tantissimo il sapere se trattavasi di una vera balena, oppure di una balenottera. Lo stato di putrefazione avanzata, in cui trovavasi quel ca- davere, non permetteva pel momento una più esatta determi- nazione, poichè non era possibile conoscere con certezza se l’animale, il quale doveva aver cessato di vivere da qualche settimana, presentava o no la pinna dorsale che manca nelle n° it ein are pe NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, Ecc. 49 balene e si trova nelle balenottere; poichè, quantunque ne man- casse attualmente, pure quell’appendice poteva avere esistito durante la vita, ed essere poi, dopo la morte del cetaceo, stata lacerata da un pesce cane, o pel rammollimento dovuto alla putrefazione strappata da un colpo di mare. D'altra parte le numerose solcature che, partendo dalla parte inferiore della bocca, scendevano sino alla regione addominale avevano già indotto la convinzione che quella fosse una bale- nottera, quando una fortunata combinazione valse a dimostrare ciò con certezza. I pescatori, proprietari di questo gigante marino, e che se ne stavano togliendo carne per farne olio, nell’aprire la cavità addominale si imbatterono in un utero gravido, contenente un feto provvisto di pinna dorsale. Con questa avventurosa sco- perta fu tolto ogni dubbio sulla determinazione dell’animale. Il cetaceo di Monterosso appartiene alla sottofamiglia dei misticeti ed alla specie Balaenoptera musculus (L.) o Ror- qual. Il cetaceo fu lasciato immerso nell’acqua per arrestare il più possibile il corso rapido della putrefazione. A quest’ ora (12 giorni dopo) ne sono stati estratti più di venti barili d’olio, che daranno a quelle popolazioni un non indifferente guadagno. L’ animale è lungo circa metri 22, ed ha una circonferenza massima di metri 5. L’osso mascellare inferiore misura in lunghezza metri 3,60. I fanoni sono andati completamente perduti. Il feto, che si rinvenne nel ventre, è lungo metri 4 e mezzo, ha uno scheletro solo in parte ossificato, e presenta appena traccia di fanoni; se ne poterono conservare alcuni organi. È fortuna che esso non abbia sofferto della putrefazione materna, perchè può dirsi un esemplare di un valore scientifico rile- vantissimo. 50 C. PARONA. Questo prezioso oggetto è ora divenuto proprietà del Museo civico di Storia naturale. ,, Il compianto prof. Francesco Gasco, in quel tempo Direttore del Museo zoologico dell’ Università di Genova, dopo lunghe trattative e controversie, come sempre accadono in queste cir- costanze, riescì a fare l’acquisto dello scheletro pel prezzo di lire 600; somma stata messa a sua disposizione dal benemerito Consorzio Universitario. Eseguite le prime operazioni in posto, le ossa della balenottera vennero trasportate a Sestri-Ponente ed immerse in vasche state gentilmente offerte dai signori fra- telli Lombardi, per la macerazione e lo sgrassamento. L’ammasso delle ossa, pulite ed essiccate per bene, pesava circa 3000 chilogrammi. In pochi mesi lo scheletro venne montato, sotto. la guida del Gasco, con molta abilità dal preparatore B. Borgioli in una delle due grandi sale del Museo, Le spese successive furono ancora ‘sostenute dal prelodato consorzio, con altro sussidio di lire 2700; e lo scheletro della balenottera di Monterosso, per merito esclusivo del Consorzio Universitario, costituisce pur sempre uno dei migliori preparati del Museo Universitario. ! Trascrivo le misure delle principali parti dello scheletro, non essendo stato finora descritto da alcuno. Lunghezza totale dello scheletro . . . metri 18.45 TIdemdel:-cranio = LOSE e so 4.46 Larghezza massima del cranio . . . S 1.99 Colonna vertebrale (lungh.) . ‘. . . » 14.15 1 Cadde quindi in errore Van Beneden P. J. quando, parlando del l’investimento di Monterosso, dice: “ mais le squelette de la mère a eté abandonné ,, (V. Bibliogr. N. 4). È. lunghezza (in curvatura). . metri 4.42 i Mascella | idem (in linea retta) . SIAT È. inferiore ) altezza mass. (in linea retta) Ù 0.36 È \ larghezza del capo articolare 3 OOo 3 / lunghezza del corpo e grandi 3 | corna . a 0:92 È. idem del corpo . va 0.26 È Cn larghezza del corpo (fra le È suture) ao 3 0.14 ; lunghezza grandi corna (in edlineaNzetta) NC 0.40, \ idem piccole corna fs 0.45 i {( lunghezza (in linea retta) È 0.57 ‘ ( idem (in curvatura) si 0.44 lunghezza . 3 1.20 È altezza . È 5 0.70 0 Scapola. lunghezza (on acromion (n ‘3 projezione) » 0.84 idem apofisi corousido MRIRO AdS lungh. del braccio (esternam.) È 0.50 idem dell’avambr.( ) 3; 0.84 idem del carpo . n 0.16 Arto idem del 5.° dito I 005% toracico | idem ,,. 4.° ,, SISI Ro 0.78 eden as (ud). sO 14 Te ERO 0:80 \ Idem deo È si 0.64 E lunghezza (in linea ue) D: 0.43 È Ossa diametro massimo . DI 0.10 9 pelviche ) distanza dall’ estremità o bi: rachide 3 5.94. È: Numero delle vertebre 60 — Numero delle coste 15. NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, ECC. dI PI ( D C. PARONA. È increscevole che il Gasco non abbia potuto pubblicare, come aveva stabilito e come a me stesso più volte aveva confi- dato, gli studî importantissimi fatti sui grandi cetacei in ge- nerale e sopra la balenottera di Monterosso in particolare; giacchè senza dubbio egli, precedendo molti altri, avrebbe por- tato un notevole contributo allo studio di questi colossi, tuttora poco conosciuti in molti particolari. Balenottera di Pietra Ligure. — Nel pomeriggio del giorno 6 settembre 1896 alcuni pescatori, nonchè il signor cav. An- drea Ghirardi di Pietra Ligure, videro galleggiare poco lungi dalla spiaggia, inarcantesi fra Pietra Ligure e Borgio un enorme mostro marino, valutato della lunghezza di circa 23 metri. Lanciate in mare alcune barche, G. B. Cervetto, i fratelli Ghi- rardi e Tiscornia, ottenutone il permesso dal delegato del porto e dal sindaco, raggiunsero l’animale, e osservatolo attentamente, non tardarono a riconoscerlo per una balena, che constatarono morta da tempo. Era trascinata dalla corrente da ponente a levante, e offriva traccie di morsicature in varie parti del corpo, Le sunnominate persone e certo Pietro Prato, riuscirono ad avvolgere intorno al cetaceo alcune funi ed a rimorchiarlo, con grandi sforzi di remi, a terra, ove giunse verso le dieciotto ore. La balena, ravvolta da erbe marine, esalava gia forte puzza, ed al mattino successivo fu tratta interamente in secco, a qualche centinaio di metri verso levante dall’abitato della Pietra; e si principiò tosto il lavoro per cavarne olio. Fu immane la fatica per metterla sulla spiaggia; argani e catene fortissime vi occorsero; ed il merito principale e diffi- cile devesi al signor Giuseppe Accame, noto armatore, che di- resse la manovra con buon numero di marinai. Frattanto l’egregio sindaco del comune, signor Nicolò Bosio, telesrafava al Ministero della Istruzione, per avvertirlo dell’av- venimento, ed aveva tosto risposta col seguente telegramma: NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, ECC. 93 “ Ringrazio comunicazione circa cetaceo rimorchiato codesta spiaggia. Si recherà subito costì il Direttore Museo Storia na- turale Università Genova per dare disposizioni d’ accordo con Vossignoria. Pel Ministro, FERRANDO. , Infatti il giorno 9 successivo, io mi recavo colà, accompa- gnato dal signor B. Borgioli, preparatore al Museo zoologico di Genova, per esaminarvi e riferire sulla specie e sulla con- dizione del cetaceo pescato. Fummo tosto sul posto insieme al gentilissimo signor Sindaco sullodato,* e coi signori P. Rem- bado e J. Mazza; visitammo .per minuto l’animale, che tro- vammo però in gran parte già scarnato, Una grande quantità d’ossa era già ripulita ed ammontic- chiata sulla spiaggia, quasi tutta la massa delle carni, dietro opportune disposizioni impartite dal signor Giov. Batt. Valle, medico locale, era stata sepolta in profonde buche qua e là poco distante dal luogo di operazione. L’estrazione dell’olio fu scarsa, e ciò più che ad altre cause, si dovette alla mancanza di attrezzi opportuni ed all’imperizia dei lavoranti che si tro- vavano innanzi ad un’ assoluta novità. Mi fu per altro possibile stabilire, senz’alcun dubbio, che si trattava di un maschio adulto di Balaenoptera musculus ; il che si poteva anche rilevare da buone istantanee fotografiche, che l’egregio signor ragioniere Edoardo Piccaluga di Torino ebbe la bontà di regalarmi, del che gli rinnovo qui i miei mi- gliori ringraziamenti. ° ! Verrei meno al mio dovere ed a’ miei sentimenti se non segnalassi la squisita cortesia e l’attività del sig. Sindaco Nicolò Bosio in questa circostanza, epperò col massimo piacere qui gli tributo le ben meritate lodi, gli attesto i sensi di mia stima, e gli esprimo l’animo mio gra- tissimo. * Una di queste fotografie con altre, di cui farò menzione in seguito, fu riprodotta in fototipia ed unita ad un mio articolo: I colossi dei no- D4 C. PARONA. Lo stato di putrefazione troppo avanzata non permise pur troppo di occuparci dei visceri, come sarebbe stato mio desi- derio vivissimo e di grande interesse per la scienza. Impartite tutte le disposizioni per terminare il lavoro della preparazione dello scheletro e per la successiva macerazione, il signor Sindaco mi comunicava una lettera, ricevuta in quel momento, del dottor E. Pontremoli, medico al governo di S. A. S. il Principe Alberto di Monaco, con notizie interessanti e re- lative alla caccia fatta, alquanti mesi prima, dal Principe stesso, a bordo del proprio Yacht “ Princesse Alice ,, tra la Corsica e la Liguria, con ferimento di una balenottera, che lasciava credere fosse precisamente quella di Pietra Ligure. Questa notizia mi venne riconfermata con altra lettera, 20 set- tembre prossimo passato dallo stesso signor dottore, nonchè dif- fusamente esposta in uno scritto, datato da Bath 19 settembre p. p., che S. A, S. il Principe ebbe la bontà di inviarmi, e che, per la sua importanza, mi permetto riassumere, Dopo aver manifestato il suo vivo interessamento per la cattura del cetaceo, esprime l’opinione che si tratti dell'animale da lui ferito il 26 maggio p. p. e che dovette però abbando- . nare, per circostanze da lui indipendenti. Il dottor Jul. Ri- chard, imbarcato con lui per le ricerche zoologiche, il Prin- cipe stesso e quanti erano a hordo poterono a lungo osservare il cetaceo e persuadersi essere una balenottera. Venne perse- guitata da cacciatore scozzese, che espressamente teneva a bordo stri mari, comparso nell’ Illustrazione italiana, N. 48, Milano, Ed. Tre- ves, 29 novembre 1896. Debbo in proposito avvertire un errore occorso nella composizione dell’ articolo, e cioè che la fotografia sotto la quale sta scritto balena di Pietra Ligure è quella di Savona e viceversa. Inoltre. per maggior esattezza invece di “ Balena di Pietra Ligure ,, leggasi Ba- lenottera di Pietra Ligure. PROTEINE A E ET TRE o ian AT si AREA Td Di No É a NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACFI, ECC. 55 per la caccia alle balene e che riescì a colpirla con una palla del cannone ad arpone. pet Ora siccome la balenottera di Pietra Ligure presentava alcune coste con traccia di fratture, S. A. il Principe ritiene che real- mente sia quella che venne ferita nell’ epoca accennata dal colpo di arpone, e che, dopo averla seguita per 5 o 6 miglia al sud di Monaco, verso Capo La Garroupe (Antibes), do- vette abbandonare, insieme a 600 metri di corda, stante la persistente velocità del cetaceo ed il sopravvenire della notte. Valuta la lunghezza della balenottera di 20 metri circa, e la larghezza di cinque o sei, e conchiude asserendo: “« L’étude que j'ai commencée des cétacés de la Méditerranée montre qu'elle fournit un terrain peu connu et peut étre riche ‘ pour la science. , La balenottera di Pietra Ligure misura infatti 20 metri circa di lunghezza e 6 di larghezza. Lo scheletro fu trovato in buone condizioni, e non fu pos- sibile riscontrare traccia di ferite esterne. Al lato sinistro del torace però si notano calli, o ingrossa- menti ossei, per preavvenute fratture alle coste 7.2 8.2 9. 10.8 11. e 12.a Questi ingrossamenti sono disposti lungo una linea obliqua, che da circa la metà lunghezza della 7.° costa ascende verso la colonna vertebrale, regolarmente avvicinandosi ai capi | articolari delle singole coste. La distanza delle varie callosità dal capo articolare per ciascuna costa è di: _ 1 metro 15 cent. — 7.8 costa 54 cent. — 10.8 costa GO E GIANO ARE, dea; 60 pi — 9.8 35 92 ia) SZ, Dette callosità hanno una lunghezza, decrescente dalla 7. alla 12.°, variante dai 20 agli 8 centimetri. 96 C. PARONA. Tutto questo si può ritenere, senza però poter assicurare, che sia in rapporto con quanto ebbe a scrivere S. A. il Prin- cipe di Monaco. Lo scheletro, benissimo riescito, ad eccezione dello sterno e di qualche pezzo del joide che furono trovati rotti, certamente nell'operazione faticosa di trarre a terra il cetaceo, il quale era destinato al Museo universitario di Genova, fu dal Governo, dietro desiderio espresso, donato al Principe Alberto di Monaco. Perciò terminati i lavori di macerazione, io stesso consegnavo detto scheletro al Console generale del Principe, ed ora verrà montato nel palazzo principesco a Monaco. L’ammasso delle ossa fu verificato ascendere al peso di 2050 chilogr. alla bilancia della Stazione ferroviaria di Pietra Ligure. La lunghezza dello scheletro è circa di m. 18,20; il cranio ne misurava m. 4,95, Balenottera di Savona. — Nel pomeriggio del giorno 14 settembre 1896, verso le ore sedici, i piloti del porto di Sa- vona furono messi in moto, perchè dai semaforo di Capo Noli veniva telegrafato essere in vista, all'altezza di Capo Vado, di- stante circa sette od otto miglia, a sud in alto mare, una car- cassa di brigantino naufragato. Una barca a vapore, con a bordo il nostromo della capita- neria, usciva tosto in quella direzione e, giunta sul luogo, si imbatteva invece nel cadavere di una balena, di poco più pic- cola (18 metri circa), ma che ricordava perfettamente quella di Pietra Ligure. L’imbarcazione, dopo aver assicurato il cetaceo con forte nodo attorno alla coda, navigando per circa un’ora giungeva a Savona, ove dietro ordini della Capitaneria del porto, lo si rimorchiava alquanto lontano della città, nella località detta “il Ritano del termine,,, e lo metteva al sicuro, mediante corde dee NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACHI, Eco. 57 ed ancore, in attesa della disposizione del Ministero, al quale, come di regola, si era immediatamente telegrafato per annun- ziarne la cattura e chiederne istruzioni. L'animale misurava circa 18 metri di lunghezza e dieci di dia- metro, e si suppose dapprima fosse altro esemplare di quelle balenottere state ferite dal Principe di Monaco nella crociera, gia sopra. menzionata; era in istato di avanzata putrefazione. Fu osservato che, al momento in cui il grande cadavere ve- niva catturato, aveva un corteggio di pesci cani (an Carcha- rodon Rondeletii) e di altri grossi pesci (an Polyprion cernium). Questa balencttera, che ben presto e con tutta certezza fu dato assegnare alla specie Balaenoptera musculus,' e che veniva ad approdare a poca distanza da quella di Pietra Li- gure, ° venne tosto fatta a pezzi per ritrarne l’olio; e se ne ebbero infatti, di impuro circa 48 quintali, che purificato si ridusse a 25 circa. Siccome aveva disposto il Ministero dell’ Istruzione pubblica, che assegnava al Museo zoologico dell’ Università di Torino, lo scheletro venne allestito con ogni cura e premura dal signor | B. Borgioli, preparatore al Museo zoologico genovese, espres- samente incaricato dell'operazione, sicchè in pochi giorni potè essere inviato a destinazione. Il peso dello scheletro risultò, alla bilancia della stazione fer- roviaria di Savona, di chilogrammi 2880. Constandomi che l’egregio collega ed amico prof. Lorenzo Camerano, direttore del Museo succitato, si occuperà dello stu- 1 La constatazione della specie risulta ad evidenza anche da alquante fotografie, inviatemi dall’egregio avv. Augusto Puccio di Albissola ma- rina; del che gli sono grato, non che da quelle gentilmente trasmes- semi dal sig. Giulio Vivaldi di Savona ed abilmente fatte dal sig. Cap.° Giorgio Cavallini, del 64° Regg.° Fanteria. 2 Fra Capo Noli e Pietra Ligure, in linea retta, correrebbero 12 miglia. 58 C. PARONA. dio di tale scheletro, così voglio limitarmi a quanto ora ho ri- ferito relativamente alla cattura. Balenottera di Genova. — A questi due casi, già per sè notevoli, se ne aggiunse in seguito un terzo; cioè quello di altra balenottera stata spinta, dai persistenti venti meridionali, verso le coste liguri. Intorno al mezzodì del 19 ottobre p. p. il rimorchiatore Genova del nostro dipartimento, faceva rotta verso il porto, di ritorno dall'avere condotto al largo il brigantino a palo Barbara Preve, allorquando giunto alla distanza di circa 15 miglia, verso sud, l'equipaggio scorse una massa galleggiante che, pure in questo caso, come sempre, fu scambiata per un bastimento capovolto, e che la corrente trascinava in marcatissima direzione di mez- zogiorno. Avvicinatosi s'accorse d’avere d’innanzi un grosso cetaceo, piegato di fianco, e naturalmente si diede opera per imposses- sarsene e rimorchiarlo a Genova. L'operazione non era senza difficoltà, sia pel mare molto agitato, sia per una schiera poco lusinghiera di pescicani ver- doni (Carcharodon) ed altra compagnia di simile genere, che facevano ridda attorno al cadavere. Il capitano del rimorchiatore, Francesco Calotto, sceso in una imbarcazione con alcuni marinai, dopo molto lavoro e non poche precauzioni, rescì ad avvolgere con grossa gomena un cappio attorno alla coda del cetaceo. Assicurata la legatura e tornati a bordo del vaporetto, fu ripreso il ritorno, giungendo in porto verso le ore 16. La balena fu fatta ormeggiare nell’avanporto, alla boa che serve per la rettifica delle bussole; misurava 21 metri circa di lunghezza; e fu calcolata del peso approssimativo d’una tren- tina di tonnellate. NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACRI, ECC. 59 Si notavano il dorso ed i fianchi di color nero catrame ed il ventre bianco eburneo coi lunghi solchi, che dalla gola si dirigevano verso l'apertura anale. Non era per nulla in istato di putrefazione, e tutto faceva ritenere che fosse morta da po- chi giorni, . L'autorità portuaria di Genova avvisava e chiedeva imme- diatamente istruzioni al Ministero, e lo scrivente telegrafava pure al Ministro dell’ Istruzione pubblica, pregando che il ce- taceo fosse assegnato al Museo dell’ Università genovese. Il giorno appresso, in una barca a vapore, gentilmente messa ‘a disposizione dalla capitaneria del porto, accompagnato dal- l'assistente dott. E. Setti e dal preparatore B. Borgioli, mi re- cavo a visitare il cetaceo; e non fu difficile, dai caratteri ben appariscenti, stabilire che si trattava di un esemplare adulto e di sesso femminile, della Balaenoptera musculus.* Lo stato di sua conservazione era perfetto, ed ogni sua parte completa, non esclusi i fanoni, per quanto si potessero scorgere soltanto in parte essendo il capo sommerso, * Non annoierò il lettore, narrando tutte le peripezie che si 1 Vennero eseguite non poche fotografie ben riescite; ed in proposito colgo l’ occasione per ringraziare il bravo mio scolaro Enrico De Negri, che ebbe il gentil pensiero di regalarmi una copia, fatta con molta abi- lità ed arte. Segnalo pure altra, dovuta alla Fotografia Americana, che ritrae l’animale al momento d’essere trascinato al largo; e quelle poste in commercio dai fratelli Rubatto di Genova. 2 È quindi non conforme al vero la notizia che ne diede la Revue Scientifique, N. 20, pag. 631 (14 nov. 1896), e che trascrivo per dimo- strare l’asserto e perchè ne risultino le varie inesattezze: “ Une baleine è Génes. La baleine, on le sait, se rencontre rarement dans la Méditerranée. On en voit pourtant è l’occasion dans cette mer intérieure, où elles penetrent par le détroit de Gibraltar. C'est ainsi qu’au milieu d’octobre dernier, une baleine a été rencontrée, morte, aux environs de Gènes, 60 C. PARONA. succedettero per dieci giorni; le contrarietà e le lungaggini, in- dipendenti dalle autorità locali, che ostacolarono le operazioni per metter mano alla dissezione del cadavere. Risultato definitivo fu, pur troppo, che, dopo quasi due set- timane di permanenza nell’ avamporto, l animale dovette, per ragioni impellenti d’ igiene pubblica, essere rimorchiato in alto mare, oltre le 25 miglia, ed abbandonato alle onde. Così si perdette l’eccezionale occasione di avere a disposi- zione il cadavere d’una balenottera, in buonissimo stato di con- servazione, il che avrebbe certamente permesso uno studio, forse completo, sull’organizzazione interna; studio che restò - pur sempre allo stato di desiderio da parte di tutti i natu- ralisti. In tante controversie, spiace doverlo dire, non intervenne al- cun ajuto estraneo per provvedere al bisogno, come era a spe- rarsì in una città tanto doviziosa, e come sarebbe certamente avvenuto in altre, là dove la scienza pur vale qualche cosa. In identica circostanza, ricorderò a titolo di elogio, la città di Caen, il cui Consiglio comunale mise a disposizione ben 5000 franchi, onde fosse conservato lo scheletro di una balenottera arenatasi sulla sua costiera, e che era destinato non a decoro del Museo della città stessa, bensì per quello di Parigi. (Y. Delage, loc. cit.) et remorquée dans le port pour étre utilisée, à la grande joie des ha- bitants. Cette baleine, d’après un naturaliste italien, serait un Balenoptera musculus de belle taille. C’est la troisième baleine qu’on trouve sur la cote de Ligurie, depuis moins de deux mois: deux autres ont échoué à Loano et Savone. L’une de celles-ci est considérée comme étant un ani- mal qui aurait été blessé par la Princesse Alice (sic!) dans l’Atlantique. La question de savoir si la baleine de Gènes est bien la B. muscu- lus est è élucider, car la Méditerranée renferme un animal assez simi- laire, le rorqual ou — dos de rasoir. —., i ; î 4 4 dai ii dd ea enon SE SICA NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, Ecc. 61 Le pratiche ufficiali durate a lungo, e che a vero dire si riducevano semplicemente a questione di spesa; le esorbitanti pretese del personale che doveva metter mano ai lavori, furono le cause della mal riescita impresa. Balenottera di Framura. — Ed ecco che ad intervallo di pochissimi giorni veniva l’ annunzio della comparsa del cada- vere di una quarta balenottera a Framura, piccola località non lungi da Monterosso, ove, come si disse, nel 1878 era già stato catturato altro cetaceo di identica specie. Verso le ore nove del giorno 23 ottobre p. p. lo studente Ruggiero La Veglia, da una finestra della stazione ferroviaria, prospiciente il mare, scorse alla distanza di circa un miglio, ‘una massa nereggiante che si avvicinava a terra, sospinta dai marosi e da furioso vento di libeccio. Bene osservandola s’accertò trattarsi di un grande animale marino, il cui profilo corrispondeva perfettamente a quello che era stato pescato la domenica avanti nelle vicinanze di Genova, Avvisato tosto il delegato di porto, signor Galli, si pensò al modo di trascinarlo alla spiaggia, ma le onde erano enormi, mancavano battelli capaci di resistere alla furia del mare e quindi si decise d’aspettare che il vento ed il mare stesso av- vicinassero l'enorme massa a terra, ciò che avvenne verso le ore 12 e precisamente nella località detta Arena, ove però vi giunse dopo essere stata sbattuta e sconquassata in malo modo contro la scogliera. Appena fu possibile avvicinarla il cantoniere ferroviario Ratti riesci, non senza pericolo, a legare la coda del cetaceo con del filo da telegrafo, e quindi assicurarlo meglio con funi pro- curate dai signori Leopoldo Bertamino e Costa Domenico, i quali coi sopranominati erano accorsi a prestare aiuto. 62 C. PARONA. La fortissima mareggiata della ‘notte successiva scostò la balena di circa sessanta metri verso levante, facendola inve- stire sulla spiaggia, a pochi passi dalla galleria della ferrovia. Ma nel tragitto urtò più volte contro gli scogli e quindi venne completamente sventrata, spezzata in due, e sì staccarono varie ossa, state però ripescate e custodite dal guardiano Ratti. Il Sindaco, signor Luigi Costa, stante l’avanzata putrefazione dispose che per ragioni d’igiene si iniziassero subito i lavori .dello scarnamento e del ricavo dell’olio; e pare che quest’ ul- tima operazione sia riescita soddisfacente. Il delegato di porto inoltre avvertiva immediatamente la Ca- pitanieria di Spezia e quindi il Ministero, il quale, alla sua volta, rispondeva aver assegnato il cetaceo al Museo zoologico del- l’Università di Pavia. Nella seconda notte, dacchè erasi arenato, la mareggiata che si era fatta sempre più violenta, asportò la parte caudale, che era ancora da spolparsi, per una lunghezza di circa due metri e mezzo e non fu più possibile rintracciarla. Avvertito di questo il direttore del Museo zoologico di Pavia, prof. Pietro Pavesi, rinunziava allo scheletro, fattosi incompleto per forza mag- giore. Mi consta che il teschio ed i fanoni, furono in seguito ri- | chiesti dal direttore del Museo zoologico di Firenze, prof. E. H. Giglioli. Il cetaceo fu esaminato dal signor B, Borgioli, colà inviato da me, dietro preghiera dell'amico Pavesi, per le pratiche ed ope- razioni necessarie; e potè stabilire trattarsi di altro esemplare di Balaenoptera musculus, giovane e di sesso maschile; ed ebbe a registrare le seguenti misure, che gentilmente mi co- municò: NOTIZIE STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, ECC. . 68 Lunghezza totale . . . . . metri 14,00 - Circonferenza ( CIRCONNA Ri Roi 3 7,00 Iunehezza del:ceranio.\. Givi, 002,80 - della mandibola . ,, 2,80 Larghezza fra i due lobi della pinna caudale (circà). . .- ,, > 3,50 Hanon (pulunshmé so, 0,45 ONIpugcon ide 010 Fu senza alcun dubbio del più alto valore, e lo ritengo finora unico pel Mediterraneo, l’avvenimento della apparizione, a breve distanza di tempo e di luogo, * di quattro grandi esemplari di Balaenoptera musculus sul litorale ligustico, ed è tale da at- tirare tutta l’attenzione dello studioso. Ciò con ogni probabilità è da ascriversi all'emigrazione av- venuta, per ragioni non facili a trovarsi, di un certo numero di balenottere, che contemporaneamente penetrarono nel Medi- . terraneo. E dato ritenere che il loro numero fosse anche note- vole, perchè oltre a quanto ebbe a segnalare il Principe Al- berto, di alcune balenottere incontrate nel Ligustico, consta che varî navigli a vela od a vapore ebbero ad incontrare in questi ultimi tempi nei loro viaggi attraverso il golfo di Genova pa- recchi colossali cetacei, Lo stesso fatto affermava il prof. G. Bocca in un articolo nel Supplemento al Caffaro (22 ottobre 1896), e cioè che dal mag- gio erano in vista, viventi e scorazzanti nel Tirreno dei ceta- cei, che egli potè stabilire essere balenottere. ! Le distanze in linea retta fra le varie località ed in miglia marine sono: Pietra Ligure-Savona 14 m. — Savona-Genova 20 m. — Genova- Framura 42 m, — Pietra Ligure-Framura 66 m. 64 C. PARONA. Così pure seppe che una frotta di questi fu osservata da bastimenti fra Capo Mele e la Corsica, per più volte e per più ore, nello scorso estate. Aggiunge ancora, per notizie da lui as- sunte, che non solo il Principe di Monaco, ma anche altri si- gnori americani e francesi, a bordo delle proprie navi lusorie, ebbero nell’estate scorso ad organizzare vere battute venatorie nel Mar Tirreno, Il prof. Giovanni De Negri mi avvertiva che il 80 agosto alle ore 4 dall’isolotto di Bergeggi, si scorgeva un grosso ce- taceo, forse una balena. Essa misurava circa 20 metri; correva verso ponente colla velocità di circa dieci miglia all’ora, la- sciando dietro di sè una scia spumeggiante. Del caso ne aveva informato il giornale Secolo XIX di Genova, 3-4 agosto. Per ultimo accennerò quanto verbalmente, ebbe a raccontare il signor Carlo Fondini, capitano marittimo, e cioè che nei mesi autunnali scorsi due vapori postali olandesi, della linea Amster- dam-Genova-Batavia, s' imbatterono in alcuni di tali cetacei; e che ad uno di essi, al “ Prinz Heinrich ,, capitò di soprag- giungere una grossa balena e d’investirla così violentemente, ‘ da obbligarlo a dar macchina indietro per poterla disincagliare dalla prora. È noto ancora come nell'Atlantico, ed in modo speciale nelle vicinanze delle Azorre, e nel percorso della grande e tepida corrente, non è raro incontrare grandi cetacei più che altrove; e che in quei luoghi, ‘raccogliendo acqua del mare, si faccia abbondantissima pesca di animalucci, pascolo prediletto delle balene. Ciò stabilito non è difficile ritenere che questi colossi, pere- grinando in quelle località, possano, o trascinati loro malgrado, od anche volontariamente, seguire la forte corrente superficiale, che tutti conoscono; penetrare per lo stretto di Gibilterra nel NOTIZIE. STORICHE SOPRA I GRANDI CETACEI, Eco. 65 Mediterraneo, e siano così comparsi inaspettati e ad intervalli sulle nostre coste. Constatata la presenza di una schiera di tali cetacei nel mare ligustico in questi ultimi tempi; conosciuto il loro itine- rario, non riesce difficile lo spiegare l'avvenimento delle quattro balenottere che vennero ad investire sulla riviera ligure. A chi non sono ignoti i costumi loro, è facile comprendere come questi cetacei non potessero a lungo trovare nel mare Mediterraneo le condizioni indispensabili per la loro esistenza, e più precisamente i mezzi di vivere. Durante la calda sta- gione, senza che fosse loro disponibile cibo in abbondanza, tut- tavia potevano averne a sufficienza; ma in seguito, facendosi meno copiosa quella fauna pelagica che costituisce il sosten- tamento di essi, ne venne di conseguenza che dovettero bat- tere il mare, affannandosi alla ricerca del nutrimento sempre più deficiente, avvicinarsi maggiormente alle coste ed investirvi, soccombendo per fame. Questo mio concetto sarebbe avvalorato dal fatto, molto evi- dente consultando le date di catture dei maggiori cetacei, regi- strate nel prospetto che unisco al presente scritto, che la grande maggioranza di arenamenti o di pesca di essi, sulle nostre co- ste italiane, avvenne sopratutto nei mesi meno caldi dell’anno. E questo sostengo per quanto in disaccordo con quanto volle dichiarare il Bocca (1. cit.), il quale ritenne invece che le balenottere nostre siano tutte morte in seguito a colpi di can- none-revolver; dimostrato ciò perfino da “ ferite incrostate di sangue ,, (!). , To quindi, “ più o meno autorevole per scienza da gabinet- to,, sono meglio convinto che questi cetacei siano morti di fame, piuttosto che ricorrere ai cannoni-revolvers, ai yachtmanns americani o francesi, o alla supposizione verosimile (!) di combattimenti fra capodogli e balene, colla peggio di queste ultime disgraziate. 66 C. PARONA. Inoltre la straordinaria e contemporanea comparsa di dette. balenottere sulla nostra riviera, si potrebbe spiegare richia- mando alla memoria che durante quasi tutto l’ autunno spi-. rarono con costanza venti meridionali. Di conseguenza questi cetacei, incontrata la morte, sia stata essa naturale, o per fame, o per ferite, od altro, trovandosi passivamente in balia delle onde e del vento, dovettero per necessità, con maggiore o minor velocità a norma della forza del vento ed ancor meglio del moto ondoso delle acque, essere sospinti dalle regioni meridio- nali verso il grande arco del litorale ligustico. Un ultimo fatto non meno importante e che merita quindi di essere segnalato, fu quello che i quattro investimenti avven- | nero con tutta regolarità; cioè l’uno di seguito all’altro, da po- nente a levante: Pietra Ligure, Savona, Genova, Framura; e precisamente quello di Pietra Ligure il 6, quello di Savona il 14 settembre, a Genova avvenne il 18 ed a Framura il 25 ottobre; il che equivale allo spazio di tempo di 47 giorni. Orbene siffatta regolarità non può certamente essere al tutto fortuita, ma, senza dubbio, va attribuita ad una causa speciale, che indicherei col succedersi dei venti meridionali dallo sci- rocco al libeccio, ed ancora a correnti, o con maggior preci- sione al moto ondoso del mare, durati a lungo, e diretti costan- temente da ponente a levante. Vogliasi o meno dar valore a queste mie brevi considera- zioni, è fuor di dubbio che la comparsa dei quattro esemplari di quella identica specie, in così breve spazio di tempo, ed in un ristretto tratto del litorale, costituisce un fatto del più alto valore per la storia dei colossi del nostro mare, e meritava quindi che ne rimanesse un documento nella Cetologia medi- terranea, Genova, 30 dicembre 1896. di meo & tr, ti Pnea CUI IPA SERIES lav V oge (GIN AMIITE Ya ILU ust E Atti Voc. L. 2g -das. £E.Segti ervalsi n.sp. sÀ Dipvlidium (, Atti Soc.ligustica Sc. nat. Vol. VI. Tav. VIL Lit.Bruni- Pavia C.Parona,dis, Atti Soc Ligust. Sc. Nat_e Geogr. VolVI. Miacehi-dis. Lit.F Brun: Favia «puruuofi “9 € Se “Sg Soros “Lg SIA ‘Sg — ‘0sspq UL 0fjD {bp 2 Vagsop v VAjSUIs vp 9pa0044 aUoXDsIUNU DT TTT TT e IF x: RT x VENERE ERRE ION EDT TOPI A PTT ili Tav. XII Fototipia Stab. Armanino Atti della Soc. Ligust. di Sc. Nat, Vol. VI. Wav, n? Ilsa Lessa NUR LIFE Bratizi-Favio. CSSSIETIIZICEA TROIE LITI DE \ LR Ì | LIL TELILI Ì DI SONE ORE ERE OS Sa ESITI ATI SET - int |22) Jul CParora. dis. ‘ Attid Soc.ligust di Sc.nat.Vol. VII. A, Atti Soc Ligust sc nat Vol VII Tai RalgEst i | S.0rlandi-Lepidonotus clava Johnst-Aricia ligustica n.sp “Ln MOrTUTINIANANIIte, Lit Razzano SRL Caino ici ii SII ni) 1 Rie e n 21 STE LISTA SIR ORO PERL RES 2 TRI 7 #3: #9 esci attrae ialulu—serezizonemo letale lo u_olorizorertezozio? porro nantes Lato tero-o_e_o-0-97eni LOL pere rr rn natia ct cei