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ES^SMITHS0N!AN~INSTI1 co 2; _ _ _ co z ,*,v co z x co o z s > ^ST" S ^ > N^TÌ^> s „ co z CO *, z — % 3 I ava 8 11 LIBRARIES SMITHSONIAN_lNST!TUTiON NOIXnXIXSM^NVINOSHXIWS S3IU 2 ,• ,, A “ /&%£&, 5 “! /SI STITUTION NOIXnXIXSNI^NVINOSHIIIAlS S3 I a V a 8 11 LIBRAR I ES^SMITHSONIAN“lNSTI z r* , z r* z /vb ___ m x^os^ìx ^ m x| 3 1 ava all LI B RAR I E$ SMITHSONIAN~lNSTITUT!ON%OIXnX!l$NI~NVINOSHXlWS S3 I H z co _ z co z co I A Z \y%àW'A/ f— Z , ///V t u^uwy - 5 > VS2/ s >•' s >’ STITUTION 05 NOIJ.nJLU.SNI NVINOSHilWS^SB I a Va a l’i'Xl B RARI ESIBRAR^s smithsonian^institution NoixnxixsMi^NviwosHxiws S3i ? .../ *,„A ^ i ,vC> ^ o CO Z U> CO LIBRARIES SMITHSONIAN INSTITUTION NOIlfìlllSNl NVINOSH1IWS S3IHVti8.l1_ co zz _ in _ zz . co 2 co LIBRARIES > NOIlfìlllSNl^ LIBRARIES NOIlfìlllSNl _ o ^ LIBRARI E SMITHSONIAN z » INSTITUTION NOI • z NOIlfìlllSNl NVINOSHilWS S3 I W VB 9 11 L I NOIlfìlllSNl NVIN0SH1IWS Haematopus ostrilegus Larus ridibundus Larus argentatus Larus argentatus cachinnans? Adulto Napoli, Istituto Zoologico, ottobre 1923. 1) Arrigoni degli Oddi, E. — Manuale di Ornitologia Italiana. Elenco degli Uccelli stazionari o di passaggio finora osservati in Italia. Milano 1904, p. 819. 2) Lebour, M. V. — A review of thè British Marine Cercariae. Parasito- logy. Voi. 4. Cambridge, 1911, p. 444, Sulla trasformazione del Nichel nell’intor¬ no del punto di Curie. Nota del socio ProL Washington Del Regno. (Tornata del 16 dicembre 1923) Le esperienze di P. Curie (1895) sullo stato paramagnetico delle sostanze, poco contributo portano alla conoscenza del com¬ portamento del nichel neirintorno del punto di Curie: da tali ricerche in effetti si rileva solamente che la temperatura di tra¬ sformazione magnetica è pel nichel prossima a 349° e che tra 373o ed 806° il coefficiente di magnetizzazione è indipendente dalla intensità del campo. Solo più tardi (1908) Weiss ed i suoi allievi iniziarono lo studio sistematico delle proprietà di questo metallo indicando per la prima volta la esistenza di una trasfor¬ mazione neirintorno del punto di Curie e scoprendo un nuovo effetto, massimo appunto neirintorno di questo punto, cioè l'ef¬ fetto magneto- calorico. Le prime esperienze del Weiss e del Beck j) ebbero il solo scopo di determinare calorimetricamente la temperatura del punto di Curie, definito come quello al quale corrisponde la perdita del ferromagnetismo spontaneo : le esperienze portarono al risultato che i valori della temperatura del punto di Curie, ottenuti per via magnetica e per via calo¬ metrica, coincidono (376°), e la grandezza della discontinuità nel valore del calore specifico al punto di Curie è la stessa di quella che si calcola in base all'ipotesi del campo molecolare. *) Weiss e Beck. — Journal de physique,\.W%. — 53 — Le esperienze successive (1911) eseguite con lo stesso me¬ todo impiegato dal Curie 9 portarono a stabilire resistenza di una trasformazione oltre il punto di Curie : qualora si portino i va¬ lori di a come ordinate e quelli della temperatura come ascisse si ottiene una retta che taglia l'asse delle temperature in corri¬ spondenza alla temperatura di 364° che, per rappresentare il punto di Curie, si trova ad essere alquanto, sebbene di poco, diversa da quella precedentemente trovata. Questo segmento però non si estende che solo fino a 412°, intervallo assai breve nel quale la costante di Curie ha il valore di circa 0,0066: al disopra della temperatura di 412° l'andamento è nuovamente rettilineo e si estende fino alla temperatura di 870° ed ancora oltre, come ri¬ sulta da recentissime esperienze, con una costante di Curie leg¬ germente più piccola ed uguale a 0,0055 che caratterizzerebbe il vero stato paramagnetico del nichel. Questa zona di trasformazione è messa in evidenza anche dalle ricerche successive fatte con un metodo diverso da quello di Curie. Determinando le isoterme magnetiche, intensità del campo — intensità di magnetizzazione, si ha la temperatura cor¬ rispondente alla perdita del ferromagnetismo spontaneo: da queste ricerche risulta come punto di Curie la temperatura di 356°, 5 che è diversa dalla precedente ma solo di pochi gradi e quindi può considerarsi in accordo a quella determinata con le prece¬ denti esperienze. Non così per la grandezza dell’intervallo di tra¬ sformazione: tracciando difatti i diagrammi, temperatura — intensità del campo, in corrispondenza allo stesso valore del coefficiente di magnetizzazione a si ha una relazione lineare, ma al crescere della temperatura, per un certo valore di questa, variabile ma di poco con o, si ha una variazione del gradiente pur mantenendosi la legge sempre lineare: secondo queste ricerche la zona di trasfor¬ mazione sarebbe compresa fra 356°, 5 e 373° cioè avrebbe grandezza di solo 18° invece dei 48° dati dalle esperienze precedenti. Le ultime ricerche del Weiss e del Piccard 2) fatte sul¬ l'argomento si riferiscono allo studio dell'effetto magneto calorico esteso anche al disotto della temperatura del punto di Curie: 9 Weiss e Foex. — Journal de physique, 1911, pp. 270, 744 e 805. 2) Weiss. — Journal de physique , Giugno 1921, p. 161. esse danno un diagramma completo fra 0° e 500° dal quale si rileva che il detto fenomeno ha un valore notevole in una re¬ gione che comprende il punto di Curie e abbastanza estesa dall'una e dall'altra parte di detto punto, che in queste esperienze risulta a 350°, con un valore massimo dell'aumento di temperatura che supera il grado in un campo di 23000 gauss. Dalle precedenti esperienze risulta dunque un buon accordo solo per la temperatura del punto di Curie che può ritenersi compresa nell'intervallo 356°-376° C. In quanto alla grandezza della zona di trasformazione è da osservare che mentre le prime esperienze del Weiss e del Beck, che si riportano nel seguente specchietto, mostrano che prima del salto brusco nel valore del calore specifico Calori specifici Temperature 00_i70 170 _ 1230,7 1230.7 — 197°,7 1970.7 — 247°, 7 247°, 7 — 295°, 7 295°, 0 — 318o,3 3180,3 — 3500,0 350°, 0 — 361 °,0 361°,0 — 375o,6 375°, 6 — 400°, 0 400°, 0 — 423°, 0 0,0977 0,1124 0.1195 0.1316 0,1343 0,1457 0,1457 0,1491 0,1527 0,1259 0,1297 si ha una zona nella quale il calore specifico resta costante (zona che non può essere se non una zona di trasformazione), le espe¬ rienze successive, per quanto discordanti sulla grandezza dell'in¬ tervallo, mettono in evidenza un'altra zona di trasformazione oltrepassato il punto di Curie. Il sospetto che si tratti di un'unica trasformazione che abbia quindi luogo in un intervallo di temperatura esteso, perchè com¬ preso fra i limiti di 300o-400o C., è avvalorata, a me pare, dalle misure ultime già citate sull'effetto magneto calorico, fenomeno che mostra una variazione notevole appunto nell'intervallo di tem¬ peratura 3000-400° C. mentre negli intervalli di temperatura adiacenti l'effetto è tanto piccolo da potersi quasi ritenere nullo. - 55 — Ad una netta conferma di questa ipotesi conducono le mie esperienze sulla tensione limite effettiva del nichel, in un' inter¬ vallo di temperatura che si estende dalla temperatura ambiente a quella di 500°, e della dilatazione elastica totale nello stesso in¬ tervallo di temperatura l). Da queste esperienze risulta, come si rileva del diagramma in alto della figura, un doppio andamento della legge di variazione della tensione limite effettiva prima e dopo del punto di Curie, doppio andamento che caratterizzereb¬ be i due stati del nichel, il ferromagnetico (stato a) ed il para- magnetico (stato (3), separati da un intervallo compreso fra 300° e 400° nel quale si ha una piccolissima diminuzione della ten¬ sione limite effettiva, mentre prima e dopo di questa tempera¬ tura si hanno variazioni notevolmente maggiori. Inoltre, come si rileva dalla tabella che segue, alla tempe¬ ratura di 300° si ha un valore della dilatazione elastica quasi uguale a quello che si ha alla temperatura di 400°, mentre an¬ che in questo caso, in due uguali intervalli di temperatura adia¬ centi a quello considerato , si hanno fortissime variazioni della detta dilatazione. 4) Del Regno. — Rendiconto della R. Accademia dei Lincei. Voi. XXXI, serie 5*, 1° semestre, fase. II, 1922. Id. id. 2° semestre, fase. V-Vl, 1922. — 56 — Tempe¬ ratura Diametro (d) Contrazione Ad Dilatazione elastica Coefficiente di POISSON Ad d lineare AL cubica AV d AL L L V 150 mm. 0, 51 0.129 0.355 0.099 0.36 1000 n 0.112 0.304 0.085 0.36 2000 « 0.099 0.276 0.077 0.36 3000 )) 0.083 0.210 0.046 0.39 4000 ;; 0.080 0.205 0.045 0.39 5000 V 0.043 0.108 0.024 0.39 Riassumendo: le numerose esperienze eseguite con metodi diversi per la determinazione del punto di Curie e deH'intervallo della trasformazione che sta a rappresentare Tintervallo di tem¬ peratura nel quale ha luogo il passaggio dallo stato a allo stato (3 pel nichel, portano ad una temperatura del punto di Curie compresa fra 356° e 376° e ad ammettere resistenza di una trasformazione , assai lenta , che si estende dai 300° ai 400° e che comprende il detto punto. Napoli. Istituto di fisica sperimentale della R. Università. I Crateri dell’Isola di Procida. Nota preliminare del socio Antonio Parascandola* (Tornata del 20 gennaio 1924) In seguito a mie ricerche sull' isola flegrea di Procida, ana¬ logamente a quanto è stato fatto per altri centri eruttivi dei Campi Flegrei specialmente dal De Lorenzo, ho potuto stabilire che in quest'isola esistono, oltre il cratere di Vivara, almeno quattro distinti avanzi di altri crateri, due dei quali già cono¬ sciuti da quelli che incidentalmente si occuparono di Procida. Gli altri due, almeno per quanto mi è noto , sono fino ad ora sconosciuti. I due primi sono: il cratere di " Socciaro „ com¬ preso tra la punta omonima e quella di Pizzaco , e T altro è quello contiguo al cratere di Socciaro, rappresentato dalla inse¬ natura chiamata la 11 Chiaia w. Gli altri due poi da me rilevati sarebbero il cratere della " Terra Murata „ che io chiamo così perchè sulla sua cima si trova la contrada detta “ Terra Murata „ e l'altro sarebbe quello del “ Pozzovecchio „ ad ovest di Procida. A quanto pare, si considera tutta la insenatura che va da Punta Pizzaco a Punta dei Monaci come derivante da un unico cratere; la quale cosa non è esatta, essendo questa inse¬ natura formatasi coll' intervento del cratere della “ Terra Murata „ che con parte del suo edifizio forma il lato nord-est della in¬ senatura suddetta. Non si può dire che la Punta dei Monaci e la Punta Pizzaco siano parti di un sol cratere, perchè la prima mostra ben distinta, negli strati di tufo giallo e bigio, la qua- quaversale esterna del cratere della “ Terra Murata „ che non può equivocarsi con la quaquaversale interna della “ Chiaia 58 — E ciò sarebbe confermato da una prima superficiale osser¬ vazione degli strati di tufo bigio e da una seconda più ac¬ curata osservazione degli strati di tufo giallo. Sembra strano che tale carattere del lato ovest della '* Terra Murata „ non si sia notato; per cui, a mio modesto parere, ciò soltanto sarebbe do¬ vuto bastare per concludere sulla esistenza di un altro centro erut¬ tivo oltre quelli già ricordati. In realtà però tutto Tedifizio costi¬ tuente il cratere della “ Terra Murata „ non si presta ad un facile riconoscimento per l'avanzata degradazione del cono craterico. De Lorenzo e Riva 1), riportando la descrizione di Abich del cratere di Vivara, riferiscono, a proposito delle brecce di questo cratere: "di simili brecce se ne trovano all’interno del cratere di Procida (punta della Lingua),,. Gli Autori citati 2), parlando degli strati di tufo su cui si erge il castello di Procida o Terra Murata, non li considerano come derivanti da un cono craterico. Non è chiaro nella descrizione di Abich di quale interno di cratere s’intenda parlare; la Breccia della Lingua è piuttosto verso 1' esterno, almeno che non si voglia considerare l’ interno del cratere sito dove ora è il canale , oppure tra lo Scoglio di Sant’Anna e la Punta della Lingua le quali cose non sono cor¬ rispondenti ai fatti da me osservati. Restava dunque a vedere se tutti i materiali costituenti il castello di Procida o Terra Murata spettassero a diversi centri eruttivi o ad uno solo o se del tutto fossero di provenienza dubbia. Ho potuto invece constatare che tutti questi materiali appar¬ tengono ad un cono craterico, di cui ora non ne resta che un rudero, che apriva la sua bocca fra Punta dei Monaci e Scoglio di Sant'Anna dove ora è mare profondo. Del cratere propriamente detto non esistono tracce essendo stato tutto coll'altra metà del cono distrutto dal mare. La parte di cono ora esistente è compresa tra la Punta dei Monaci e quella della Lingua. h De Lorenzo, G. e Riva, C. — Il Cratere di Vivara nelle Isole Flegree. Atti R. Acc. Se. Fisiche e Matematiche, voi. 10, p. 5. Napoli, 1901. 2) Op. cit. p. 44. — 59 — Il cratere della " Terra Murata „ si troverebbe in condizioni analoghe a quelle della penisoletta di Santa Margherita qualora questa avesse perduta l'isola di Vivara, che mostra così bene l'apertura craterica ed invita ad un facile riconoscimento. Difatti se non esistesse l'isola di Vivara forse fino ad ora si ignore¬ rebbe 1'esistenza di un centro eruttivo in quel luogo, poiché la penisoletta di Santa Margherita non sarebbe forse stata in con¬ dizioni tanto privilegiate da potersi far subito riconoscere come parte costituente di un centro eruttivo. Si troverebbe tale col¬ linetta in condizioni di riconoscimento forse più disagiate del cratere della "Terra Murata,,. Il cratere dì Vivara è da considerarsi come uno dei crateri costituenti l'isola di Procida, perchè disgiunta l'isola di Vivara da Santa Margherita, prevalentemente per cause esogene, a questa virtualmente si riattacca e per essa all' isola di Procida a cui è legata, come fa rilevare qualche storico di Procida, da un istmo sabbioso. Faccio notare che questa espressione può far pensare ad un eventuale acquisto che l'isola di Procida avesse fatto in se¬ guito ad un accumulo di sabbia. Invece l'istmo è prodotto dalle propaggini di Socciaro e da quelle di Santa Margherita, i cui edifizi vulcanici precedentemente avevano ben altra estensione, e la degradazione ha ridotto in sabbie le rocce preesistenti. Mi sono occupato di tutti i quattro crateri citati, ma in particolare modo di quello della "Terra Murata,, per le ragioni suddette. Per tali mie ricerche le lave nere scoriacee che si incontrano alla Punta della Lingua, alla spiaggia di Pioppeto e del Pozzo¬ vecchio e quelle bigie del Cottimo deriverebbero dai crateri da me individuati. Anzi queste lave non avrebbero alcun legame con quelle che si trovano a sud e ad ovest del Monte di Pro¬ cida, le quali spettano a due distinti crateri che pure mi è stato possibile riconoscere; quello di " Miliscola „ che io chiamo così perchè apre la sua bocca a sud-est dov' è la spiaggia omonima e quello sito ad ovest che è tra San Martino e la punta che, precede Torregaveta. Tra le lave dell' isola di Procida, al cratere di Socciaro, in uno scavo fatto nella località detta " Centane „ ho riscontrato la — 60 — presenza di una lava, probabilmente trachiandesitica, che fino ad ora in detta località, per quanto io sappia, non è stata da altri rinvenuta. Tutte le mie osservazioni sono poggiate su documenti stra¬ tigrafici e litologici. L'accurato storico di Procida, Michele Parascandolo q ri¬ porta come crateri l' insenatura della Chiaiolella * 2) a sud di Pro¬ cida e quella della Chiaia dell' Asino 3) che trovasi ad est del- l' isola tra la Punta della Lingua e lo scoglio di Sant'Anna. 10 ho escluso tali crateri perchè dovuti ambedue a cause diverse e non a centri eruttivi. 11 risultato completo del mio modesto studio pubblicherò non appena mi sarà possibile avere altri elementi. 4) Parascandolo, M. — Procida dalle origini ai tempi nostri. Benevento 1893. L. De Martino Edit. 2) Op. cit. p. 13 e 16. 3) Op. cit p. 14 n. 5. Note sulla biologia dell’ostrica ( Ostrea edulis L). 3, Le ostriche del Lago Fusaro del socio Prof. Giuseppe Mazzarelli (Tornata del 13 agosto 1922) Le ostriche che vivono nel lago Fusaro sono state solita¬ mente considerate dai pratici come costituenti una particolare varietà locale, distinguentesi per alcuni evidenti caratteri dalle altre varietà ben note di Ostrea edulis L. l). Pur sapendosi che in origine queste ostriche provennero da Taranto, per averle di là importate verso il 1780 il Trentanella per ordine di Re Fer¬ dinando I di Borbone 2), e che quindi esse dovevano apparte¬ nere alla var. lamellosa Auct., che è quella appunto alla quale appartengono le ostriche tarantine, si è dovuto credere che esse, subendo Y influenza del nuovo ambiente in cui erano state co¬ strette a vivere, e in cui si erano riprodotte, mercè nuovi ca- 0 Come già nelle precedenti mie note continuo a considerare la nostra ostrica indigena come appartenente ad un'unica specie, cioè all' Ostrea edulis L., non credendo possibile con la sola guida della conchiliologia di dar valore di " specie „ alle svariate forme descritte come tali da diversi Autori. Alcuni di tali "specie,, devono tuttavia considerarsi se non altro come varietà quando ben netti sono i caratteri conchiliologici di esse. Tale è il caso, conformemente del resto all’opinione del Carazzi ( Ostricoltura e Mitilicoltura, Milano, Hoe- pli, 1893, p. 9-10), dell’O. lamellosa Auct. (che corrisponde alFO. tarentina Issel) e dell'O. adriatica Lam. (corrispondente alla var. venetiana Issel). Alla prima ritengo, anche col Carazzi, che debba riferirsi altresì YO. tyrrhena, per la quale non mi pare che si abbiano ancora ragioni sufficienti per farne, non¬ ché una specie, nemmeno una distinta varietà. 2) Costa O. G. — Del Fusaro. Napoli, 1860. — 62 — ratteri acquisiti (come suole credersi) per adattamento alle nuove condizioni di esistenza, avessero gradatamente acquistata una nuova facies. Questo comune concetto pareva avvalorato anche dagli Autori, i quali, da Oronzo Gabriele Costa i) al Carazzi 2); dichiarano r "ostrica del Fusaro „ distinguibile da tutte le altre ostriche per avere il guscio ricoperto da una sorta di patina nera, ed avere anche il mantello più scuro (Carazzi), oltre al noto carattere della considerevole concavità della sua valva inferiore (ostriche “ gibbose „). Poco più di mezzo secolo di permanenza nel nuovo ambiente sarebbe stato quindi sufficiente a differenziare una nuova varietà locale, perchè a peculiari caratteri dell'ostrica del Fusaro accenna già il citato Costa sin dal 1849 1 2 3). D'altra parte, pur sapendosi che vi erano stati periodi in cui le ostriche erano quasi scomparse dal detto lago 4), e si era stati costretti a im¬ portarne nuovamente da Taranto, come avvenne nel 1870, si ri¬ teneva per fermo, non so in base a quali prove, che le nuove immesse non erano attecchite, anzi erano morte per la maggior parte, e che invece le ostriche della varietà locale superstiti — non essendo ammissibile che proprio tutte fossero state distrutte, il che è certamente giusto — avuto un periodo favorevole al loro sviluppo, si fossero di bel nuovo intensamente propagate, sì da ripopolare nuovamente il lago con la loro genuina discendenza5). 1) Op. cit. 2) Op. cit. 3) Op. cit. Questa memoria porta la data del 1860, ma venne scritta nel 1849, come dichiara lo stesso A. 4) Costa A . — La pesca nel golfo di Napoli : Atti R. Ist. Incoraggiamento. Napoli, voi. 7, ser. % 1871. 5) Sia o non sia vera la cennata diceria merita di essere menzionato il co¬ lossale bluff degli affittuari del tempo, che, con promessa di uno speciale pre¬ mio da parte del Ministero di Agricoltura, si impegnarono a ripopolare di ostriche il Fusaro in soli tre anni, pur essendo questo lago, come si affermava, restato privo affatto di tali molluschi. Essi invero depositarono dap¬ pertutto nel lago, sulle " rocchie „, sulle pietre del fondo, sul fondo stesso, al momento opportuno, grandi quantità di ostriche di ogni età, fatte venire appositamente da Taranto (allora costavano pochissimo), e così mediante queste ostriche, che non erano nate nel Fusaro, conseguirono, anche prima del tempo stabilito, e in seguito a parere tecnico (!), il premio promesso! Poco persuaso del valore dei caratteri distintivi attribuiti alle ostriche del Fusaro, mi proposi di farne oggetto di attento Fig. 1. — Ostrica del Fusaro, vista dalla valva inferiore, appartenente alla var. lamellosa (lamelle larghe), fissatasi sulle pietre della banchina nella produzione del 1918, ed al¬ levata nei « quadrati di fondo » (medesimo esemplare della fig. 5). esame, valendomi del copiosissimo materiale che offrivano le pesche quotidiane eseguite a scopo commerciale nel detto lago dall'Azienda demaniale, la cui direzione tecnica mi era stata af- Ciò non vuol dire per altro che il ripopolamento, più tardi però, naturalmente, non sia avvenuto negli anni successivi. Ma anche allora si ebbe un nuovo bluff. Avendo nel 1895 i medesimi fittuari bisogno di dimostrare, ad evitare un falli¬ mento, di avere grandi capitali, che sarebbero stati rappresentati dal prodotto ostreicolo del lago Fusaro, in seguito a perizia, in cui la buona fede del Costa Achille fu evidentemente sorpresa, giunsero a provare di avere nel lago in quell'anno oltre tre milioni e mezzo di ostriche, di cui più di un milione e duecentomila commerciabili ! E queste cifre paradossali (stante gl’ insufficienti metodi di coltura allora adoperati) essi potettero ottenere moltiplicando p. es. il numero delle ostriche rinvenuto su di una delle pietre costituenti le rocchie — e certo di una delle più affollate — per tutte le pietre che si presumevano co¬ stituire tutte le rocchie, e così di seguito, per le pietre del fondo, quelle della banchina, ecc. ecc. ! (Cfr. Costa Achille, La produzione del lago Fusaro : Atti R. Ist. Incoraggiamento, voi. 9, ser. 4», Napoli, 1896). — 64 — fidata dallo Stato sin dall'ottobre del 1918 i); ed ecco i risultati a cui sono pervenuto: 1. Patina nera delle valve e color nero del mantello. — Tutte le ostriche del Fusaro, specialmente se di fondo, mostrano una tale patina nera, ed effettivamente si può dire che essa patina è caratteristica di tali ostriche, sì da poterle far riconoscere con grande probabilità. È vero che anche le ostriche reali che si pescano a mare a Torre Gaveta — in quantità trascu¬ rabili del resto — possono mostrare una simile tinta; ma questa nelle ostriche del Fusaro è, di solito, molto più intensa, e riveste completamente le valve. Tuttavia non è questo un carattere pe¬ culiare delle ostriche che nascono nel Fusaro: qualunque ostrica, di qualsiasi provenienza, immersa nelle acque di questo lago dopo alcuni mesi si mostra anch'essa completamente nera. Così è avvenuto anche di ostriche esotiche immesse, per accli¬ matarle, nel lago stesso, come l' ostrica portoghese. ( Gryphaea annidata ), introdottavi forse venti anni fa, e che non sembra si sia riprodotta, i cui pochi individui superstiti, vec¬ chissimi, che si pescano ancora, sono completamente neri, e di un'ostrica perlifera ( Meleagrina radiata ), introdotta in pochi esem¬ plari nello scorso aprile, i quali esemplari mentre avevano il loro guscio di color bianco-calce 1' hanno ora interamente nero. Egualmente, come ben può immaginarsi, le ostriche tarantine o venete diventano quindi in breve tempo nere al pari di quelle nate nel lago. Quanto al color nero del mantello, non sempre accentuato, esso appare, nel medesimo modo della patina nera sulla conchiglia, sulle ostriche che vivono da qualche tempo nel Fusaro, vi siano o non vi siano nate 2). 2. Concavità della valva inferiore. — La concavità della valva inferiore, alle volte considerevolissima, non ha alcuna importanza come segno di riconoscimento delle ostriche 9 Mazzarelli G. — Notizie sul lago Fusaro : Atti R. Ist. Incoraggiamento. Voi. 73 (ser. 7*) Napoli 1921, p. 155-198. 2) Quale sia la causa di questo color nero, che riveste anche i gusci vuoti giacenti nel fondo, e si osserva perfino attorno alla colonna vertebrale delle tri¬ glie ( Mullus ) viventi nel lago, come ho già notato altrove (cfr. op. cit.), non è possibile dire per ora. — 65 — del Fusaro, e tanto meno come carattere di varietà o " razza „. Nello stesso lago secondo il genere di coltura predomina la for¬ ma " gibbosa „ ovvero quella appiattita, come già ho potuto pre¬ cedentemente dimostrare l). La forma gibbosa predomina ne¬ gli allevamenti di fondo (fig. 1), quella appiattita negli alleva¬ menti eseguiti a mezz'acqua, sia sugli 11 zipoli „ lavorati a per- golaro secondo il metodo tarantino, sia nelle cassette adoperate col metodo francese (donde il nome de " huìtres plates „ dato in Francia alle ostriche indigene, in opposizione alle ostriche portoghesi che hanno la valva inferiore molto concava). Sulle " rocchie „ 2), che si sollevano dal fondo per terminare a un metro circa, in media, sotto il livello dell'acqua, la forma gib¬ bosa si osserva anche ; ma in generale non così considerevole come la si rinviene fra le ostriche di fondo, sia nate liberamente qua e là su corpi solidi di varia natura, sia poste ad allevare nei così detti “ quadrati di fondo A parità di età le ostriche poste ad allevare sul fondo si sono mostrate in generale più gibbose delle ostriche rimaste aderenti alle pietre delle “ rocchie Ma la gibbosità delle ostriche del Fusaro, a parte, sino a un certo punto per altro, la ubicazione di esse nel lago, dipende altresì da un altro fattore : la loro origine. Infatti queste ostriche non provengono soltanto, come è comune credenza, dalle ostriche di Taranto, che, come si è già accennato, appartengono alla var. la- mellosa dell ’Ostrea edulis , ma anche da quelle dell'alto Adria¬ tico, delle lagune venete particolarmente, le quali invece appar¬ tengono alla var. adriatica 3). Ora le ostriche di quest'ultima varietà hanno, fra gli altri ca¬ ratteri, quello di una maggiore concavità della valva inferiore, sono cioè generalmente gibbose: ne consegue che le ostriche di origine adriatica che si rinvengono nel lago Fusaro, hanno, in via generale, e a parità di ubicazione, la concavità della valva inferiore maggiore ù Mazzarelli G. — Op. cit. 2) Per la nomenclatura ostreicola relativa al Fusaro, cfr. Mazzarelli, op. cit. 3) Il Praus ( Elenco delle conchiglie del golfo di Napoli, ecc. : Annuario Mus. zool. Univ. Napoli, [n. s.] voi. 4] n. 11-1914) fra i vari esemplari di ostrica provenienti dal Fusaro non ne cita alcuno appartenente alla var. adriatica. di quella delle ostriche di origine tarantina, sono cioè di que- st'ultime maggiormente gibbose. Si può dunque conchiudere che nè la patina nera, nè la più o meno forte concavità della valva inferiore sono caratteri mor¬ fologici, sì da potere con la loro concomitanza individuare una data varietà o “razza locale „ dell’ Ostrea edulis, quale dovrebbe Fig. 2. — Ostrica del Fusaro, vista dalla valva inferiore, appartenente alla var. lamellosa (lamelle strette), fissatasi su di una «rocchia» nella produzione del 1920, e alle¬ vata nei « quadrati di fondo » (gr. n.). essere in tal caso Y “ ostrica del Fusaro „, ma sono semplicemente l'espressione di un aspetto che può assumere qualsiasi ostrica che sia posta a vivere in determinate condizioni ambientali, quali sono quelle del lago Fusaro, per quanto concerne la formazione della patina nera che riveste le valve, e in differenti condizioni statiche (se sul fondo o sospese a mezz'acqua) nei riguardi del mezzo ambiente. Ho detto poc'anzi che le ostriche del lago Fusaro proven¬ gono anche da ostriche dell' alto Adriatico ivi importate. Infatti mi consta, da informazioni assunte, che tale importazione si è verificata a più riprese durante l'ultimo periodo di fidanza del - 67 — lago, sin verso il 1916 o 1917. Ed invero per i peculiari caratteri inerenti alla loro gibbosità le ostriche della varietà adriatica , che poi sono anche ostriche di fondo, si prestano meglio delle altre agli allevamenti che si praticano al Fusaro !). Dal copiosissimo materiale di ostriche di questo lago che ho potuto esaminare mi risulta che le ostriche della var. adriatica costituiscono forse il 25° lo, se non più, di tutte le ostriche del Fusaro, appartenendo le ri- - Fig. 3. — Ostrica del Fusaro, vista dalla valva inferiore, appartenente alla var. adria¬ tica, fissatasi su di un guscio vuoto di Modiola barbata nella produzione del 1920 (gr. n.). manenti alla var. latnellosa (fig. 3 e 4) di origine tarantina (e in pic¬ cola parte forse anche tunisina, perchè pare che, quando furono im¬ messe nel Fusaro delle ostriche portoghesi, e cioè, come s'è detto, della specie Gryphaea angulata, vi siano state immesse anche delle ostriche provenienti da allevamenti praticati in Tunisia, ostriche 9 Beninteso che l'affittuario del tempo, il quale non eseguiva più colti¬ vazioni di ostriche, agiva alla cieca, e al solo scopo di tenere in deposito per la vendita una maggior quantità di ostriche, che, scarseggiando al Fusaro, egli, specialmente per il Natale, faceva venire da Venezia come da Taranto. per altro simili a quelle tarantine, per appartenere anch’esse alla var. lamellosa dell ’Ostrea edulis 1). Fra le ostriche adriatiche che si pescano al Fusaro si trovano ancora dei vecchi esemplari, di almeno cinque o sei anni di età, importati direttamente da Ve¬ nezia; ma la grande massa di ostriche adriatiche più giovani è costituita evidentemente dalla discendenza di tali riproduttori. Esse sono riconoscibili a prima vista per le note caratteristiche coste che s' irradiano a partire dal cardine verso la periferia, di¬ stinguendosi così nettamente dalle altre di origine tarantina, che, per la maggior parte, presentano una evidente struttura lamellare. S'intende che le coste e la struttura lamellare a cui s'è accennato riguardano soltanto la superficie della valva inferiore (morfolo¬ gicamente cioè quella di sinistra), chè la valva superiore (di de¬ stra) è, in entrambe le varietà, sempre finamente lamellare. Queste ostriche adriatiche poi, oltre all'avere, come si è no¬ tato, la valva inferiore quasi sempre molto concava, presentano di frequente, non sempre, massime se adulte, ai lati del cardine un'espansione auriculare simile a quella che si osserva nel gen. Pecten (fig. 4). Non v'ha alcun dubbio, in verità, che le ostriche adriatiche si siano riprodotte e propagate nel Fusaro, dove pare si siano cominciate a introdurre verso il 1913 mediante qualche migliaia di giovani esemplari (ostrichine di 3-5 cm.), risultanti dallo scarto delle ostriche commerciabili che venivano ritirate da Venezia. In¬ fatti, mentre, come si è detto, si rinvengono ancora sul fondo del lago dei vecchi esemplari di tale varietà, nati evidentemente nelle A) Non ho osservato al Fusaro, nel lago, la presenza della così detta Ostrica reale, cioè dell' ostrica indigena del Tirreno (per alcuni rappresentante di una speciale varietà tyrrhena ), che nasce spontaneamente lungo le scogliere littorali del golfo di Napoli e di quelle fuori di esso, e che ho invece rinve¬ nuta nel lago Lucrino (dove per altro da grandissimo tempo non si esercita più l'ostricoltura). Del resto essa é talmente somigliante all'ostrica tarantina che, al caso, annerita, e con la valva inferiore concava, riescirebbe difficile ri¬ conoscerla. D’altra parte ho veduto a Pozzuoli piccoli allevamenti di ostriche reali, eseguiti con grande amore dall’avv. Damasco, e ho notato che esse cre¬ scendo rassomigliano talmente a quelle tarantine da non essere più possibile, ad un dato momento, di distinguerle da queste, o almeno da essere molto dif¬ ficile una siffatta distinzione. lagune venete, come lo dimostrano i gusci di Cardium sui quali essi sono fissati e che sono ancora riconoscibili (i Cardium non vivono nel Fusaro se non nei canali delle foci, e sono invece co¬ muni nelle cennate lagune), nella produzione del 1920 si sono svi¬ luppate e sulle fascine e sulle nuove rocchie, la cui ricostruzione è cominciata solo dal marzo del 1920, e sulle pietre o sui gusci vuoti del fondo, non poche giovani ostriche sempre della me¬ desima varietà. E giovani ostriche adriatiche furono trovate in buon numero fissate sulle pietre della banchina, al limite della bassa marea, fra la produzione del 1918, la quale venne poi allevata nei " quadrati di fondo Ostriche adriatiche di ogni Fig. 4. — Ostrica del Fusaro, vista dalla valva inferiore, appartenente alla var. adria- tica, fissatasi su di una pietra di tufo del fondo (forse già appartenente a qual¬ che vecchia « rocchia»?) in una produzione anteriore a quella del 1918 (gr. n.). età, anche anteriore al 1918, e sopratutto più giovani, e quindi nate nel lago, si trovano altresì fissate su gusci di cozze pelose (Modiola barbata ), mollusco d'altra parte che non sembra alli- — 70 — 1 gnare nelle lagune venete, per le quali almeno non è citato nè dal Bullo !), nè dal Ninni * 2), mentre invece, com'è noto, è assai abbondante al Fusaro 3), nonché su rami di vecchie fascine, col¬ lettori non usati nelle lagune venete, ovvero in pietre di tufo vulcanico esistenti nel fondo (fig. 5). UOstrea edulis L. var. lamellosa Auct. e l'O. e. L. var. adriatica Lm., pur riproducendosi runa accanto all'altra, non sembra che diano luogo a fenomeni di ibridazione : questa è almeno l'impressione che si ha esaminando le diverse conchiglie le quali, di solito, mostrano nettamente distinto il carattere più saliente delle due varietà : la presenza o l'assenza, rispettiva¬ mente, delle coste della valva inferiore. E' vero che non sempre tale carattere appare evidente, ma è probabile che ciò avvenga entro il campo di variabilità in cui oscillano i caratteri di tutti gli individui appartenenti ad una data varietà. Tuttavia non è possibile negare che un tale fenomeno avvenga o possa avve¬ nire ; ma certo ove avvenisse sarebbe molto difficile dimostrarlo con la sola osservazione delle conchiglie. A quanto ho sopra esposto si potrebbe obbiettare che an¬ che fra le ostriche di Taranto e del Tirreno si rinvengono in¬ dividui nei quali si osservano delle coste più o meno simili a quelle delle ostriche adriatiche, e che per conseguenza non tutte le ostriche tipo adriatico che vivono nel Fusaro potrebbero es¬ sere davvero discendenti da ostriche dell'Adriatico. La presenza fra le ostriche della var. lamellosa di individui forniti di coste più o meno appariscenti è effettivamente cosa nota, e fu già ricordata dal Carazzi, il quale a torto, secondo me, li considerò T) Bullo G. — Piscicoltura marina. Parte 1. Padova 1891. 2) Ninni E. — La pesca nell' Adriatico : Bollettino del Min. dell’ Industria. Roma 1917. 3) La Modiola barbata esiste per altro, in mare, nell’Alto Adriatico, come riferiscono fra gli altri il Grube {E in Ausflug nach T riest and dem Quarnero, Berlin 1861, p. 121) e, recentemente, il Coen {Contributo allo studio della fauna malacologica adriatica : R. Comit. Talass. Ital. Mem. 46-1914 p. 17); ma, come si è detto, non sembra vivere nelle lagune venete, donde provengono le ostriche importate al Fusaro. — 71 — come individui della var. adriatica' ); ma deve osservarsi che ad ogni modo la grande massa degl' individui provenienti dall'alto Adriatico (var. adriaticà) e dei loro discendenti si distingue nettamente, per T indicato carattere della presenza delle coste, dalla grande massa degl' individui provenienti da Taranto (var. lamellosa ), ed egualmente dei loro discendenti. Fra quelli di quest'ultima varietà si trovano, è vero, individui in cui le lamelle della valva inferiore, che sono sempre in tutte le ostriche ra¬ dialmente orientate, mostrano più accentuata una tale disposi¬ zione radiale, specialmente quando esse sono più larghe del solito e, accentuando la loro abituale ondulazione, si presentano nei nodi sollevate in forma di tegole : il fenomeno suol presen¬ tarsi anzi in modo affatto irregolare, sì che il più delle volte solo poche coste paiono individualizzarsi, e perfino una sola; e così del pari fra gl'individui della varietà adriatica si trovano degli esemplari a coste direi quasi attenuate, perchè le lamelle, essendosi tutte egualmente sollevate, ed arricciate addirittura, vengono tutte a portarsi quasi allo stesso livello, riducendosi per lo meno di molto la loro ondulazione, e quindi le primitive differenze fra i nodi e i ventri : cosicché la superficie della valva inferiore vien quasi ad assumere un aspetto uniformemente la¬ mellare come nell'altra varietà. Anche qui però il fenomeno si presenta affatto irregolarmente, sì che in molti casi, mentre al¬ cune coste si attenuano, le altre invece si distinguono netta¬ mente. Bisogna poi notare che tali peculiari disposizioni si ma¬ nifestano, in ogni caso, durante l'accrescimento dell'ostrica, e sovente dipendono da azioni meccaniche di varia natura che la conchiglia ha dovuto subire: la pressione p. es., in taluni casi, di un corpo sulla conchiglia stessa o su di una parte di essa, ecc. 2). h Op. cit. p. 10. 2) Va da sé che io non credo si possano ammettere le altre varietà di Ostrea che si ritiene possano convivere e con V adriatica e con la lamellosa (e che anzi furono addirittura descritte come specie ), quali per es. l'O. e. cornucopiae L., che il Grube (op. cit.) registra a Trieste, l’O e. cristata Born, che il Cori ( Der Naturfreund am Strande der Adria , Leipzig 1910, fig. 114) registra anche a Trieste e il Praus (op. cit. p. 2) a Napoli, l'O. e. depressi- formis Mont. egualmente registrata a Napoli dal Praus. — 12 — Ma, a prescindere da ciò, io penso che senza dubbio fra i valori medi intorno a cui oscillano i caratteri della var. adria- tica , e i valori medi intorno a cui oscillano i caratteri della var. lamellosa — se, come pare, queste due varietà effettivamente esistono — quelli concernenti la conformazione della valva inferiore, ove fosse possibile uno studio statistico al riguardo, risultereb¬ bero rappresentati: dalla presenza di un dato numero di coste nettamente riconoscibili nella prima, e invece dall'assenza di coste nella seconda, perchè ciò effettivamente risulta dall'espe¬ rienza. E di ciò è prova il fatto che praticamente si riconoscono senz'altro, almeno nella maggior parte dei casi, le ostriche delle due cennate varietà in mezzo al materiale uniformemente anne¬ rito e gibboso che si trae dal lago Fusaro. Infine risulta da tutto ciò evidente che le rinomate ostriche del Fusaro non costituiscono punto una particolare varietà lo¬ cale, ma rappresentano solo un miscuglio di ostriche di diversa provenienza che assumono soltanto una comunanza di aspetto dovuta al color nero delle valve e, sempre che siano allevate sul fondo, ad una maggiore gibbosità. La quale, pur essendo molto considerevole nelle lamellose di fondo (fig. 5), caeteris pa¬ rlò us, si accentua specialmente nelle ostriche adriatiche, in cui già esiste come carattere, forse perchè esse sono, ab origine , ostri¬ che di fondo, e sul fondo vengono tradizionalmente nella loro Devo però osservare che per quanto concerne la var. producta, descritta recentemente dal Coen (op. cit.) come varietà delhO. cidrìatica (considerata da lui come specie) si tratta forse effettivamente di una forma ben distinta, non solo da quella che il Coen chiama var. regularis ùtWadriatica, ma dal- Yadriatica stessa. La sua forma allungata, al pari di quella di un'Ostrica por¬ toghese, e sopratutto lo speciale profondo solco che si trova in corrispondenza del cardine, ben visibile anche nella figura del Coen (op. cit., fig. 24), insieme all'assenza di coste sulla valva inferiore, danno a quest'ostrica un aspetto tutto particolare. Inoltre in un individuo che io ho avuto agio di esaminare, fra molti esemplari fattimi venire per confronto da Venezia e Trieste, lo spessore della conchiglia è veramente straordinario, e tale da farmi ricordare quello assunto dalle ostriche portoghesi. E' vero che questo individuo é certamente vecchio, ma fra le altre ostriche adriatiche o tarantine forse anche più vecchie non ho mai osservato un così notevole spessore delle loro valve. patria allevate. Infatti tale gibbosità si presenta in modo spic¬ catissimo in un'altra specie di ostrica (non mangereccia questa), YOstrea [ Gryphaea ] cochlear Poli (fig. 2), tipica ostrica non solo di fondo ma, relativamente, anche di alti fondali, vivendo, al dire Fig. 5. — Valva inferiore (lato concavo) di un’ostrica del Fusaro della var. lamellosa, del¬ l’età di circa 20 mesi, appartenente alla produzione del 1918 fissatasi sulle pietre della banchina e allevata nei «quadrati di fondo » (gr. n.). vata a 105 m. nel golfo di Napoli sul banco del Pampano, a 144 m. in pieno Mediterraneo a circa dieci miglia a sud del Capo Teulada in Sardegna, fra il materiale della campagna del “ Volta „, e a 200 m. circa fra altro materiale raccolto nei giacimenti co¬ di Sciacca (fig. 6). Ma un altro carattere è comune alle ostriche del Fusaro, Fig. 6. — Valva inferiore (lato concavo) di Ostrea [Gryphaea] cochlear Poli pescata sulla secca^del Pampano (golfo di Napoli) a 105 m. di profondità. qualunque sia la loro origine, e cioè il loro squisito sapore, che ha dato loro sì larga e giusta rinomanza. Da che cosa dipenda questo fatto industrialmente così importante, è, come può coni- — 74 - prendersi, difficile, se non impossibile, dire nello stato attuale delle nostre conoscenze al riguardo, perchè non si tratta certo di semplice ingrassamento, e nemmeno d'altra parte può forse pen¬ sarsi alla influenza di qualche speciale alimento, nel senso co¬ mune della parola, perchè non sappiamo nemmeno se le ostriche mangino; tranne che il fatto non dipenda, dalla natura delle so¬ stanze organiche solute nelle acque del lago, se tali sostanze esi¬ stono, e nella quantità necessaria, e se effettivamente la nutri¬ zione dell'ostrica si effettua, per lo meno principalmente, me¬ diante tali sostanze 1). Gli allevamenti del lago Fusaro sono dunque degli alleva¬ menti misti, e ciò è ben favorevole all'incremento dell'ostricol¬ tura in quel lago, perchè dimostra che ivi possono egualmente prosperare ostriche non solo di diversa provenienza, ma anche di varietà distinte come la lamellosci e Yadr Litica , che pur vi¬ vono in condizioni ben diverse, concernenti sia la natura del fondo, sia, e ancor più, i caratteri fisico-chimici delle acque. Il problema quindi del ripopolamento del Fusaro per quanto concerne le ostriche, cessata ormai la esiziale epizoozia che ha imperversato in questi ultimi anni, può essere razionalmente e rapidamente risoluto, importando da Taranto, e specialmente 4) S' intende che qui si allude alle note teorie del Carazzi ( Contributo alV istologia e alla fisiologia dei Lamellibranchi. Ricerche sulle ostriche verdi: Mitth. Z. Stat. Neap. Bd. 12-1896 p. 381 ; e Nutrizione degli animali ma¬ rini: V assorbimento nei molluschi lamellibranchi: Rassegna Se. Biol. Anno II, 1920, p. 33-54), e del Pììtter ( Die Ernàhrung der Wassertiere und der Stoffhaushalt der Gewàsser, Jena, Fischer, 1909), a cui ho già accennato nella mia precedente nota. (2. La sorte del “ fregolo bianco „ nelle ostriche madri tenute in piccoli acquari: in questo bollettino, voi. XIV; 1921-22, p. 234-237). Ad ogni modo è bene qui ricordare che esperienze ormai di vecchia data dello Schultz ( Ueber Reductionen. IV. Ueber Hunger bei Asterias rubens und My- tilus bald nach der Metamorphose : Archiv f. Entwicklungsmech., Bd. 25, 1908, p. 404) avrebbero dimostrato, in organismi affini alle ostriche, come i mitili o cozze, resistenza di veri processi digestivi, non solo ma anche di veri processi di riduzione consecutivi a un digiuno prolungato, per quanto non assoluto. Quanto poi all' ingrassamento vi sono ostriche di Taranto o di Venezia ben più grasse di quelle del Fusaro, ma, specialmente queste ultime, ad esse bene inferiori per sapore. 75 — dall'Alto Adriatico, metodicamente per un certo numero di anni, considerevoli quantità di giovani ostriche, preferibilmente giovani, perchè più facilmente "adattabili,, al nuovo "clima,,, da servire come riproduttori) senz'alcuna tema di danneggiare l'incremento della inesistente varietà locale, di cui parecchi, in buona o in mala fede, hanno fantasticato. R. Osservatorio Idr oh iologico del Lago Fusaro (Napoli), agosto 1922. Finito di stampare il 3 maggio 1924. Nuovo Oyrodactylide parassita nella cavità olfattiva di Amiurus catus L. Nota del socio Dr* L. Connetti de Martiis (con una figura) (Tornata del 17 dicembre 1923) Uno studio svolto recentemente suirocchio di Amiurus catus i) mi ha offerto l'occasione di esaminare varie serie di sezioni del capo di giovani esemplari dell’interessante specie nord-ameri¬ cana. Potei così notare la presenza, in ciascun esemplare, di buon numero di piccoli Trematodi nelle cripte comprese fra le creste della mucosa delle cavità olfattive. Dilacerando il muso di altri esemplari, sia giovani che adulti, di Amiurus catus rinvenni pure in essi costantemente i parassiti, e li potei isolare interi. Dall’esame delle sezioni e dei preparati in toto mi riuscì facile riconoscere nei piccoli Trematodi dei Gyrodactylidi riferibili al genere Ancyrocephalus Creplin 1839 (== Tetraonchus Diessing 1858) 2). Essi stanno attacati alla mucosa infiggendo in questa i grossi uncini del pexoforo. Già la sede in cui si presentano è interessante : invero non mi consta che siano noti altri esempi di Gyrodactylidi parassiti nelle cavità olfattive di pesci, tipica è la loro presenza sulle branchie, dove invece io non li ho trovati. I vari esemplari che ho preso in esame appartengono tut- 4) Vedi: Atti Soc. It. Se. Nat. 1924 (in corso di pubblicazione). 2) Come ha dimostrato Lììhe nel 1909 ( Parasitische Platwiirmer in: Bra- UN, Siisswasserfauna Deutschlands. Heft 17, p. 18) e poi Wegener, G. Die Ectoparassiten der Fische Ostpreussens. Scrift. Physik.-Oeconomisch. Gesellesch* Kònigsberg, 50 Jahr. 1909, p. 207. — 17 — ti ad una medesima specie che offre qualche rassomiglianza con A. cruciatas (Wedl) ; così ad es. ha in comune con questa spe¬ cie la comunicazione fra i due rami deirintestino nella regione posteriore del corpo. Ne differisce però per alcuni caratteri, fra cui : le dimensioni sensibilmente minori, la mancanza di palpi all'estremità anteriore, le dimensioni e la forma dei quattro un¬ cini principali, la forma del pexoforo, ecc. Dedico il nuovo Gyrodactylide qui descritto al ch.mo elmintologo Prof. Mon¬ ticelo del R. Ateneo napoletano che ha pubblicato nel 1893 una revisione del genere Tetraonchus . Ancyrocephalus monticeli!! ri. sp. Lunghezza mm, 0,25 a 0,30, larghezza a metà del corpo mm. 0,06 a 0,09. Forma tozza o mediocremente allungata, a seconda dello stato di contrazione, di regola più ingrossata a metà del corpo. La regione anteriore è un pò appiattita in senso dorso-ventrale, e mostra, se vista di piatto, contorno arroton¬ dato o lievemente trapezoide con angoli arrotondati, di cui due laterali all'altezza degli occhi, due davanti agli occhi. Il pexoforo ha il diametro trasverso maggiore di quello sagittale, tuttavia il primo non supera la massima larghezza del corpo ; precede il pexoforo una costrizione più o meno pronunciata. La con¬ cavità del pexoforo è rivolta ventralmente ed all'indietro, le due membrane laterali sono munite ognuna di cinque aghi fra loro subuguali, incolori o jalini , non uncinati ma un po' arcuati in modo da accompagnare la curvatura delle membrane : la punta degli aghi sporge sul margine libero delle membrane. Non ho potuto riconoscere aghi situati davanti o dietro ai quattro grossi uncini. Di questi, anch' essi incolori e jalini, due maggióri sono ventrali, due minori dorsali. Uncini ventrali. (Fig. 1 A). Hanno curvatura assai pro¬ nunciata, a compiere un’ampio semicerchio, e terminano in punta dolcemente attenuata. La parte basale, sublaminare, lascia riconoscere una lunga apo- fisi quasi dritta che continua l'asse dell’uncino: l'apofisi è diretta ventralmente e in fuori, sopratutto quando in due uncini sono retratti e quindi fra loro ravvicinati col tratto distale. La base di — 78 — ogni uncino è accompagnata da un'incavatura e da una sporgenza angolosa entrambe mediali. Nelle incavature s'incastrano le due estremità del pezzo mediano, sorta di copula incolora e jalina, che sorregge i due uncini e ne permette i movimenti coordinati. Il pezzo mediano è sublaminare, consta di una porzione trasversa Fig. 1. — Ancyrocephalus monticellii n. sp. A uncini ventrali del pexoforo e relativo pezzo mediano, B uncini dorsali id. id. Tutte le parti viste di prò* spetto, X 550. e di due brevi tratti obliqui e divergenti in avanti; la porzione trasversa mostra tre lievi sporgenze al margine posteriore. Distanza fra la punta dell'apofisi basale e il vertice della curvatura dell'uncino rnm. 0,06 a 0,07. Lunghezza dell'apofisi mm. 0,02 a 0,03. Distanza fra le due estremità del pezzo me¬ diano o copula circa mm. 0,05. Uncini dorsali (Fig. 1 B). Hanno forma simile a quella degli uncini ventrali, ma sono più piccoli, più sottili, e offrono nel tratto distale una curvatura meno pronunciata. L'apofisi ba¬ sale è diretta dorsalmente e in fuori, sopratutto quando gli un¬ cini sono retratti, cioè con le porzioni distali ravvicinate e rac¬ colte nella conca del pexoforo. Il pezzo intermedio o copula è la¬ minare, curvato ad angolo aperto all’indietro : la distanza fra le sue due punte è di circa mm. 0,05. In sezioni tinte con emallume e fucsina acida di esemplari fissati con sublimato picro-acetico ho notato che i pezzi media¬ ni o copule trattengono facilmente il colorante piasmatico, non così gli uncini e gli aghi che appaiono ingialliti dall' acido picrico. Gli apici delle apofisi basali dei quattro uncini, quando que¬ sti sono retratti, segnano i limiti delle membrane laterali del pe- xoforo; questo nei tratti mediani interposti agli apici delle apofisi appare emarginato. Il capo porta due paia di occhi con pigmento nero, situati un paio dietro l'altro, in corrispondenza del margine anteriore del faringe (retratto). La distanza fra i due piccoli occhi del pri¬ mo paio è un pò maggiore di quella che intercede fra i due occhi, più grossi, del secondo paio. Ai margini laterali del capo, davanti agli occhi, sono riconoscibili le porzioni terminali delle ghiandole cefaliche per la maggiore affinità che esse mostrano colorante piasmatico (fucsina acida, eosina), ma non mi è stato possibile precisare il numero di dette ghiandole. La cuticola, che è sottile sulle varie regioni del corpo, nè offre speciali striature, trattiene essa pure il colorante piasmatico. La parete del corpo lascia distinguere due strati muscolari, tra¬ sverso e longitudinale, il primo ha fibre più robuste. La bocca è situata ventralmente * 2) all'altezza del secondo paio d'occhi. Il faringe, globoide, contiene nello spessore delle pareti grosse ghiandole cianofile lobate interposte alle fibre mu¬ scolari radiali. Segue al faringe un breve tratto intestinale im¬ pari, tosto diviso nei due rami laterali, a lume ampio e semplice, che in vicinanza del pexoforo si saldano fra loro a formare una cavità unica. Le cellule epiteliali claviformi sporgono nel lume intestinale con un grosso lobo alveolato. Il testis e l'ovario costituiscono rispettivamente una massa impari mediana, attenuata all'estremità posteriore, compresa nel tratto medio del corpo. Il testis è situato dorsalmente rispetto all'ovario, e si protende più all'indietro, mentre l'ovario mostra 1) Denominazione usata da Maclaren (loc. cit.) e da Goto e KiKUCHi (1917, Journ. Coll. Sci. Tokyo, Voi. 39, art. 4). 2) E’ verosimilmente errata l'indicazione dell' indicazione della bocca al¬ l'apice del capo data da Mac Callum ( 1915, Zoologica New York, I ) nelle figure delle quattro specie da lui descritte. — 80 — 1 la porzione racchiudente i più grossi oociti estesa più in avanti del margine anteriore del testis. Gli oociti maggiori misurano 10-15 micr. in diametro, il loro nucleo 6 micr. il nucleolo 4 micr. I due vitellari sono estesi nella regione occupata dall’in- testino, più ravvicinati alle pareti ventrale e laterali del corpo. Le più grosse cellule vitelline hanno un diametro medio di 10 micr. con nucleo di 3-4 micr. Assai meno chiara, data la minutezza degli esemplari, mi è risultata la disposizione degli organi distali dell'apparato ri- produttore. Il foro genitale (? due pori ravvicinati) impari mediano ventrale, è circa al confine fra il primo e il secondo quarto della lunghezza totale del corpo. Il bulbo eiaculatore è accom¬ pagnato da un cirro provvisto di tubo chitinoso, arcuato e pro¬ trattile, lungo circa mm. 0,03, poco attenuato all'estremità che è tronca obliquamente J). Non mi è stato possibile riconoscere la posizione del poro vaginale nè del poro escretore. Due esemplari racchiudevano l’uovo pronto per essere de¬ posto; in questo la cellula uovo era accompagnata da circa una cinquantina di cellule vitelline. Trovai pure, in una cripta della cavità olfattiva, un uovo deposto: il guscio è munito di una bre¬ ve appendice. Loc: Ceresole d’Alba, prov. di Cuneo 2). La presenza costante di buon numero dei parassiti in en¬ trambe le cavità olfattive induce a credere che questa sede sia assai favorevole alla permanenza dei parassiti stessi, non solo perchè ben riparati, ma ancora perchè in essa trovano suffi¬ ciente nutrimento, dato, oltreché dal muco, anche da piccole cellule uscite attraverso la mucosa. Queste si trovano libere nel lume intestinale dei parassiti, ma gli elementi corrispondenti com¬ paiono pure frequenti fra le altre cellule epiteliali della mucosa, fino a raggiungere la superfice libera. Si tratta di leucociti mi¬ granti, facilmente distinguibili dalle attigue cellule epiteliali, per *) Forse in seguito a rottura. 2) Gli esemplari di Amiurus catus vennero posti a mia disposizione dal Dr. Comm. E. Festa al quale rinnovo i sensi della mia viva gratitudine. — 81 — la forma, per le dimensioni più ridotte, sia del citoplasma che del nucleo, e ancora per la struttura di quest'ultimo. Già è nota nei Vertebrati la migrazione di leucociti attraverso l'epitelio ol¬ fattivo: nel caso qui ricordato essa è probabilmenle collegata alla azione irritante che determinano i parassiti sulla mucosa stessa. Dall’Ist. di Anat. e Fisiol. compar. della R. Università. Torino, Palazzo Carignano. Finito di stampare il 3 maggio 1924. Francesco Balsamo Commemorazione fatta dal socio Prof. Ffidiano Cavata (Tornata del 20 gennaio 1924) Il giorno 9 del brumoso novembre 1922 serenamente spe- gnevasi come serenamente era vissuto Francesco Balsamo dopo lunga malattia sopportata con fortezza di animo e raro senti¬ mento di delicatezza pei suoi cari doloranti per le gravi sue sof¬ ferenze. La sua dipartita, purtroppo non inopinata, fu tuttavia cagione di profonda mestizia per i Suoi congiunti che Adora¬ vano e per quanti ebbero la fortuna di conoscerlo e di apprez¬ zarne le virtù, il carattere, l'ingegno eletto. Francesco Balsamo fu raro esempio di bontà, di rettitudine, di nobiltà di sentire e di oprare. Alle doti dell'animo, accoppiò pregi inestimabili dello spirito e della mente; fu cultore esimio ed appassionato delle scienze, ed insegnante valoroso ed efficace, appunto per le vaste e profonde cognizioni. Di Lui si può ben dire che la modestia fu pari alla grande coltura. Nacque in Napoli il 20 Maggio 1850 ed ebbe a genitori l'in¬ gegnere Pasquale, di grande ingegno e reputazione, e Carolina Fergola. Fece i suoi primi studi sotto la direzione paterna, con l'aiuto anche di valenti maestri quali: l'abate Toscano che gli insegnò filosofia e le matematiche, ed il Prof. De Rosa, orientalista pre¬ claro, che gli apprese le lingue classiche. Poteva così agevol¬ mente ottenere la licenza liceale ed iscriversi alla Università. Ma FRANCESCO BALSAMO 1850 - 1922 — 83 — durante gli stessi studii letterari, Francesco Balsamo aveva di¬ mostrata tanta predilezione per le Scienze fisiche e naturali che prima ancora di presentarsi alla licenza liceale, frequentò, da udi¬ tore, i corsi di Scienze alla Università e specialmente il labora¬ torio di Fisica, addestrandosi nell'uso degli apparecchi e pre¬ stando l'opera Sua nell'allestimento delle esperienze, sia per uso delle lezioni, che per ricerche scientifiche. Nel 1874 riportava il diploma di laurea in Scienze Naturali nella nostra Università; ma iscrittosi anche nella Facoltà di Me¬ dicina e Chirurgia, ne usciva laureato dopo due anni, e cioè nel 1876. Non pertanto, attratto verso gli studi delle Scienze Na¬ turali, Francesco Balsamo, sacrificando il maggior guadagno, ab¬ bandonava l'esercizio della Medicina, e con rara abnegazione si dava interamente alle Scienze, e più particolarmente alla Botanica attiratovi dalla fama e dalle personali doti di mente e di cuore dell'illustre botanico Barone Vincenzo Cesati, Direttore del no¬ stro grande Orto botanico. A questo il Balsamo diede la intel¬ ligente e gratuita opera sua dal 1873 al 1882, coadiuvando il Di¬ rettore nel riordinamento sia dell'Erbario di lui, sia delle colle¬ zioni e della biblioteca dell'Istituto botanico. In tutto questo tempo, sotto la guida del Cesati, come dei di lui coadiutori, Giuseppe Antonio Pasquale e Gaetano Lico- poli, che tutti gli furon larghi di consigli, il Balsamo potè ac¬ crescere e rafforzare le sue cognizioni nel campo della Botanica generale e specialmente in Crittogamia, ove divenne ben presto cultore esimio. Nominato pel 1881-82 assistente provvisorio presso 1' Orto botanico, fu, dopo la morte del Barone Cesati, avvenuta nel Febbraio del 1883, promosso a Coadiutore del Prof. G. A. Pa¬ squale che aveva assunto la Direzione dell'Istituto botanico. In tale ufficio fu successivamente confermato dal Pasquale stesso fino al 1893, e di poi dal Prof. Federico Delpino che gli suc¬ cesse, fino al 1900, anno in cui, in seguito a nuova disposizione di legge, dovette rinunziare, per ragione di cumolo, essendo an¬ che insegnante nelle Scuole medie; poiché fin dal 1886 il Bal¬ samo impartiva lezioni di Scienze fisiche e naturali nel Regio educatorio " Principessa Margherita „ ed era pure incaricato dello stesso insegnamento nel R. Liceo “ A. Genovesi „ ove divenne titolare, in seguito a concorso, nel 1900. Intanto Francesco Balsamo aveva ottenuto, col massimo dei punti la libera docenza in Botanica, che esercitò, con grande pro¬ fitto dei giovani studenti universitari, fino agli ultimi anni di Sua vita. Essendo poi caduto infermo il Prof. Pasquale, fu chiamato nel 1888-89 a supplirlo nell’insegnamento ufficiale della Botanica ed anche nella Direzione dell' Istituto, e così negli anni succes¬ sivi fino al 1893. Tenne questo delicato ufficio con la più grande scrupolosità ed abnegazione in momenti assai difficili, quando il grande Orto botanico veniva minacciato di falcidia delle sue terre per un vasto progetto di trasferimento in questa località, degli Istituti Universitari. In tanto trambusto, e nonostante le gravi cure dell’insegna- mento all' Università e nelle Scuole medie, il Balsamo non tra¬ lasciò mai di dedicarsi ai suoi prediletti studi, e le numerose sue pubblicazioni, delle quali non poche assai importanti, stanno ad attestare della sua bella operosità e del Suo ingegno vivissimo. Colpito negli ultimi anni da grave infermità agli occhi, non gli fu dato di perseguire i Suoi studi, e parecchi lavori già da Lui iniziati od annunziati in precedenti memorie, rimasero ine¬ diti o non terminati. Dalla produzione scientifica che ci ha lasciato, Francesco Balsamo ci appare insieme un naturalista, nel significato che si dà oggi a questa parola, ed un fisico. Come naturalista Egli at¬ tinse alla Scuola dominante del tempo che era in Italia, preva¬ lentemente sistematica. Il primo maestro suo il Cesati, che pure avea assai estesa coltura, fu sopratutto un valente crittogamista, e da buon organizzatore di studi, si fece una Scuola, assegnando ai migliori suoi allievi lo studio dei vari rami della Crittogamia, e così assegnò a Camillo Giordano lo studio delle Briofite, ad Orazio Comes quello dei Funghi, ad Antonio Jatta i Licheni, e a Francesco Balsamo le Alghe. La direttiva dell'illustre Maestro non poteva riuscire più fruttuosa, poiché dai quattro suoi eletti allievi si ebbero i più cospicui contributi alla conoscenza delle Crittogame cellulari non — 85 — solo dell'Italia meridionale, ma di altre provincie del nostro paese e di varie contrade del globo. Francesco Balsamo datosi con ardore allo studio delle Al¬ ghe divenne in breve un distinto cultore e un micrografo insi¬ gne. Illustrò queste crittogame in una serie di pregevoli pub¬ blicazioni fra le quali amo citare: Le diatomee della cascata di Caserta (1880); Le Alghe della Baja di Assab (1883); Reliquie Cesdtiane (Alghe 1885); Sulla Storia Naturale delle alghe di acqua dolce del Comune di Napoli (1883), monografia questa di notevole pregio, anche per i dati fisiografici accurati che ne for¬ mano la parte introduttiva. La memoria fu premiata dalla R. Ac¬ cademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli. Pubblicò pure Homonymiae Algarum (1888), Y Index adF. Tr. Kuetzingi Species Algarum (1892) e Ylconum Algarum index adjecta ge¬ nera Algarum omnium , opere tutte di grande pazienza ed insieme di grande utilità, sul tipo di quelle del Pritzel per le Fanerogame e del Saccardo per i Funghi, che agevolano di tanto le ricerche bibliografiche agli studiosi. Ci diede pure: Le Diatomee conte¬ nute nel canale digerente di alcune Aplisie , ecc. (1890); Primo elenco delle Diatomee del Golfo di Napoli (1903); ed un Con¬ tributo sulle Alghe del Congo raccolte da Zenker (1903), ed altre ancora. Seguendo il suo Maestro, coltivò pure il Balsamo lo studio delle Fanerogame, e della sua estesa conoscenza in tale ramo fanno testimonianza, parecchi suoi lavori di floristica esotica quali : Elen¬ co delle Piante raccolte in Africa da G. Licata (1890); Contributo alla Flora africana ; Piante delle Canarie e del Congo raccolte da Zenker (1892); Mezza Centuria di Piante del Congo (1895); Sulla Boldoa e Boldea Auct. Note critiche (1900), accurato stu¬ dio questo sulla nomenclatura di tal pianta medicinale, che lo porta a proporre una riforma del nome ( Boldua Bals.) per ov¬ viare alle incongruenze degli autori. Merita pure menzione un lavoro giovanile del Balsamo sul- l’ Isola d' Ischia, il quale con diligenti ricerche sul campo geo¬ logico e botanico porta un contributo cospicuo alla storia na¬ turale dell'isola tanto travagliata dai vulcani e dai terremoti. La tendenza manifestatasi in Francesco Balsamo fin da gio¬ vanetto per la Fisica rigermogliava in lui dopo essersi dato — 86 — alla Botanica , e glie ne porgeva il destro lo studio delle Dia- tomee la cui fine e delicata struttura richiede speciali metodi d' indagine microscopica e di preparazione. In un suo lavoro dal titolo : Sulla visibilità delle strie delle Diatomee Iti rapporto al sistemi ottici ed al mezzi di inclusione (1891), Egli tratta, con grande competenza, dei rapporti tra apertura numerica degli obiettivi, l'indice di rifrazione dei liquidi in cui si preparano le Diatomee per l'osservazione e le sottili strutture che queste di¬ mostrano e che possono rendersi più o meno evidenti. Studiosissimo dei metodi di preparazione delle Diatomee appunto per ottenere una migliore visibilità delle finissime strie del guscio di queste alghe, fece oggetto di altro suo lavoro il Joduro di Metilene, come liquido d'inclusione ed il cui indice di rifrazione permetteva l'osservazione con immagini nettissime senza o quasi aberrazioni cromatiche, anche colle specie di più difficile risoluzione quali i Pleurosigma, le Nitzschia, le Surlrelle, l' Amphipleura ecc. Ma un'indagine di più grande importanza scientifica, sia dal lato fisico che da quello della fisiologia vegetale, sedusse per parecchi anni il nostro Balsamo, e fu quella relativa all'as¬ sorbimento delle radiazioni da parte degli organi verdi delle piante. Già in due note di carattere preliminare, una presentata alla Società di Naturalisti nel 1891, e l'altra alla Riunione della Società botanica in Napoli 1892, esponeva lo scopo ed i limiti del lavoro al quale si accingeva. Ma fu in un'ampia memoria pubblicata nel 1893 dal titolo: Ricerche sulla penetrazione delle radiazioni nelle piante , che il Balsamo espose la vasta trama del lavoro in una lucida introduzione, ribadendo il concetto che la luce nel suo passaggio a traverso i tessuti della pianta, in¬ contrando mezzi eterogenei per densità, rifrangibilità e struttura molecolare, perde una parte della sua forza viva, la quale nel¬ l'organismo si converte in energia chimica, meccanica e forse anche elettrica. Tre, perciò, sono i lati del complesso problema e cioè: l.° il metodo delle ricerche sperimentali; 2.° la sua ap¬ plicazione agli organi delle piante; 3.° T indagine, a base di cal¬ colo, sui dati sperimentali per la soluzione di questioni inerenti alla meccanica delle funzioni e alla trasformazione dell'energia nell'organismo vegetale. La memoria è tutta dedicata alla prima — 87 — parte, ed è precisamente lo studio posto dal Balsamo nella ri¬ cerca e ideazione dei mezzi e degli apparecchi per 1' installa¬ zione di così delicate ricerche che rivela la di Lui soda cultura e genialità in fisica e particolarmente nell'ottica e nell'elettricità. Notevoli poi sono le considerazioni che alla fine della Me¬ moria dedica il Balsamo sulla ricerca dei possibili errori di os¬ servazione e loro correzioni a base di calcoli laboriosi. In altro lavoro si occupava il Balsamo dell' ingrandimento dell'immagine nel microscopio mediante l'uso di un sistema di¬ vergente, quale fu un tempo suggerito dal Selligne, coll'aggiunta di una lente biconcava, ma correggendo con opportuni diaframmi le aberrazioni sferiche e cromatiche. Anche i fenomeni di diffrazione, che presentano all'osserva¬ zione microscopica molti corpi organizzati, furono dal Balsamo studiati, come si rileva da alcune sue memorie, e così in quella: Sui fenomeni di diffrazione di alcuni corpi organizzati in rap¬ porto alle esperienze dell' Abb e (1903), proponendosi di verificare gli esperimenti di questo illustre fisico, e di sostituire, ai di lui reticoli artificiali, i corpi che presentano tali fenomeni, quali le squamette delle ali dei Lepidotteri, delle Lepisma e Sapphirine, come anche i gusci di Diatomee. In questi oggetti ebbe, infatti, a notare spettri di diffrazione, ed effetti notevoli di colori interferenziali. E su tale argomento, approfondendo ancora le sue ricerche, presentava nel 1906, altra memoria al Reale Istituto d'incorag¬ giamento, a proposito di un Apparecchio per la osservazione dei colori interferenziali , da lui ideato per poter osservare, in tutto il loro splendore, questi colori nei corpi organizzati su indicati. Tale apparecchio molto ingegnoso, applicato al microscopio si prestava altresì, con opportune varianti, a molteplici altre ricer¬ che, così per ottenere immagini negative a fondo oscuro; per le osservazioni ultramicroscopiche ecc. Dopo che le ricerche di Pictet e Callietet, di Linde e di Dewar portarono alla liquefazione dell'aria, e che nell' Istituto di Chimica farmaceutica della nostra Università fu installato l'ap¬ parecchio per l'aria liquida, il Balsamo pensò ad istituire una serie di ricerche intorno all'azione di essa sugli organi vegetali, nella considerazione che se per l'addietro non si erano speri- — 88 — ! meritate, a tale riguardo, temperature più basse di — 13°, col- l'aria liquida si poteva disporre di una temperatura di — 180°. In una sua nota preliminare, apparsa nel 1900, Egli espone i risultati delle sue esperienze con foglie, fiori, tuberi e semi di varie piante assoggettati all'azione dell'aria liquida, dai quali emerse che all'infuori di effetti riguardanti la consistenza, l'aspetto, il colore degli organi, l'odore nel caso dei fiori, gli organi stessi non perdono la loro vitalità e riacquistano, dopo cessata l'azione, la loro struttura ed anche i loro caratteri esterni. Altri lavori del Balsamo dovrei ancor citare, riflettenti ar¬ gomenti di biologia, di fisica e di chimica fisiologica che var¬ rebbero a sempre più confermare la vasta di Lui coltura. Pub¬ blicò anche varii testi per le Scuole medie, il cui merito intrinseco è dimostrato dall'essersi subito esauriti. Mi è caro ricordare poi la preziosa collaborazione che Egli si compiacque dare al Ballettino dell'Orto botanico nostro, in occasione della celebrazione del Centenario di questo, con i Cenni biografici e storici sui Botanici e Botanofili napoletani che il Balsamo in collaborazione con Michele Geremicca e con squisito senso di devozione verso tanti pionieri della Botanica napoletana, mirabilmente ritrasse nei particolari della loro vita e delle loro opere. Questo ricordo mi è particolarmente grato come quello delle grandi benemerenze di Francesco Balsamo verso 1’ Orto bota¬ nico nel quale trascorse da Assistente volontario, da Coadiutore, da Direttore incaricato, i migliori anni della sua laboriosa vita, spendendo opera materiata di entusiasmo e di genialità a tutto beneficio della Scuola e della Scienza. Le sue preclare virtù di mente e di cuore lo resero caro a direttori, a colleghi, a studiosi. Rammento sempre la illimitata stima che di lui nutriva Federico Delpino, il geniale biologo, il quale riconosceva ed ammirava la grande competenza nelle Scien¬ ze positive del Balsamo e le di Lui eccellenti qualità di micro¬ grafo; e ben a malincuore dovette privarsi del di Lui aiuto, quan¬ do il Balsamo si decise ad optare per l' insegnamento secondario. Le rare doti dell'Uomo, voi tutti le avete presenti: bontà e gentilezza d'animo personificate; affabilità di modi; scrupoloso senso del dovere verso se stesso, verso la famiglia, verso la Scuola — 89 — e la Società. La sua conversazione era delle più attraenti : aveva sobria ed incisiva parola e prontezza d'intuito; traspariva, senza ostentazione alcuna, la sua vasta conoscenza nel campo delle Scienze, delle Lettere e delle Arti belle, specie la pittura e la mu¬ sica che coltivò con rara maestria. Nella famiglia fu di una tene¬ rezza di affetti senza pari. Alla venerata memoria di Francesco Balsamo, del modesto quanto insigne naturalista e fisico, dell’insegnante colto ed af¬ fettuoso, del cittadino esemplare da tutti in vita ben amato e stimato, dai suoi cari adorato, vada il presente tributo di stima profonda, di perenne, dolce ricordanza. Pubblicazioni di Francesco Balsamo 1. Nozioni elementari di Cosmografia . Napoli, 1881, di pag. 117 e 2 tav. autogr. 2. Commemorazione del Barone Prof . V. Cesati. Napoli, 1883, di pag. 24. 3. Cenno geoio gico-botanico sulV Isola d' Ischia. Napoli, 1883, 8° di pag. 12. 4. Le Diatomee della Cascata di Caserta. Napoli, 1884,8° di pag. 15. 5. Alghe della Baia di Assab, raccolte da G. B. Licata in Bull. Soc. Afric. d’Italia. Anno IV, 1885. 8° di pag. 8 con 1 tav. 6. Reliquie Cesatiane (Alghe) Rend. R. Acc. d. Se. Fis. e Mat. di Napoli, 1885, di pag. 5. 7. Sulla Storia naturale delle Alghe di acqua dolce del Comune di Napoli. Atti della R. Acc. d. Se. Fis. e Mat. di Napoli, 1885, 4° di pag. 84, con 2 tav. 8. Le Desmidieeì il Lichene marinoì Crittogame parassite del corpo umano , in Atl. di Bot. popol. del Petraroia. Napoli, 1885 con 3 tav. col. 9. Homonymiae Algarum in plantis animalibusque Tetitamen. Neapoli, 1888, 8° di pag. 25. 10. Quadri sinottici di Botanica (Morfologia e Fisiologia). Napoli, 8° gr. 1889 di pag. I-XXIV, 52. 11. Diatomee contenute nel canale digerente di alcune Aplisie etc. Bull. Soc. Nat. di Napoli, voi. IV, di pag. 8 e 1 tav. 12. Elenco delle piante raccolte in Africa dal Prof. G. B. Licata. Bull. Soc. Afric. d’Italia. Anno X, Napoli, 1891, di pag. 8. 13. Sulla visibilità delle strie delle Diatomee in rapporto ai sistemi ottici ed ai mezzi di inclusione . Bull. Soc. d. Natur. in Napoli. Anno V, 1891. 14. SulV assorbimento delle radiazioni nelle piante. Nota preliminare. Bull. Soc. d. Natur. in Napoli. Anno V, 1891, di pag. 9. 15. Riassunto della nota precedente in Bull. Soc. Botan. italiana. Fi¬ renze, 1891. 16. Manipolo di Alghe napoletane. Centuria la Bull. Soc. Natur. di Napoli. Anno VI, 1892, di pag. 21. 17. Contributo alla Flora africana. Piante delle Canarie e del Congo raccolte da G. Zencker. Centur. l.a Rend. Accad. d. Se. Fis. e Mat. di Napoli. Fase. 6° 1892, 4° di pag. 14. 18. Index ad F. Tr. Kaetzingii “ Species Algarum » perfectus. Neapoli 1891, di pag. 64. — 91 — 19. Ad. Homonymiam Algaram addenda . Neapoli, 1893, 8° di pag. 12. 20. Santo delle Lezioni di Botanica dettate nella R. Università ecc. Napoli, 1893, di pag. 36, (autogr.) 21. G. A. Pasquale. Cenno necrologico. Bull. Soc. Afr. d’Italia. Anno . XII, 1896. 22. Il Ioduro di Metilene nella preparazione delle Diatomee. Napoli, 1893, 8° di pag. 7. 23. Ricerche sulla penetrazione delle radiazioni nelle piante. Parte I. Metodo di ricerca. Napoli, 1893, 8° gr., di pag., 54, con 2 tav. 24. Necrologia di G. A. Pasquale. Annuario d. R. Università di Napoli, 1893, di pag. 8. 25. Mezza Centuria di piante del Congo, in Bull. Soc. Afric. d’ Italia. Napoli, 1895, di pag. 10. 26. SulVuso di un sistema divergente per ingrandire V immagine nel microscopio. Boll. Soc. Natur. Napoli, 1895. 27. Intorno ad una sostanza colorante della Salpichroma r bombo idea. Bull. Soc. Natur. di Napoli. Anno X, 1896. 28. Iconum Algaram Index. 4° Fase. 7-X, 1895-1900. 29. Cenno necrologico di A. Costa. Boll. Soc. Afric. Napoli, 1899. 30. Sommario di Botanica generale e sistematica. Napoli, 16°, 1900. 31. Sulla Boldoa Juss. e Boldea Auct. {Boldua Nob .) Note critiche, Napoli, 1900, pag. 8. 32. DelVazione delVaria liquida sui tessuti delle piante. Napoli, 1900 di pag. 8. 33. Exsiccata della Phycotheca italica (Fase. I, N. 12 specie). 34. Sulla formazione delle immagini nel microscopio in rapporto alle esperienze di Abbe. Boll. Soc. Natur. Napoli, 1903. 35. Primo elenco delle Diatomee del Golfo di Napoli. Boll, di Soc. Natur. 1903, pag. 13. 36. Su i fenomeni di diffrazione di alcuni corpi organizzati ecc. Ibid. 1903, di pag. 9. 37. Apparecchio per la osservazione dei colori interferenziali. Atti R. Ist. d’Incoragg. di Napoli, Ser. VI, voi. Ili, 1907, di pag. 6, con 1 tav. 38. Botanici e Botanofili Napoletani. Cenni Biogr. e Storici in Bull. dell’Orto Bot. d. R. Università di Napoli, T. Ili, 1910, di pag. 21 con ritratti. Finito di stampare il 3 giugno 1924. Sul metodo seguito per la determinazione delle temperature nei Campi Flegrei. Nota del socio Dott. Francesco Signore (Tornata del 16 marzo 1924) In tutte le mie determinazioni di temperature mi son servito di un termometro a mercurio a massima, graduato fino a 300° cen¬ tigradi, debitamente verificato. La temperatura media di tutta la zona Flegrea si aggira intorno ai 100° C. ; fa solamente ecce¬ zione la temperatura della Bocca Grande e della Bocca del 21 aprile 1921 della Solfatara di Pozzuoli le quali hanno per tempe¬ ratura massima: la prima 162°, 5 e la seconda 143°, 5. Ho fatto uso del termometro a mercurio, a preferenza di ogni altro apparecchio, perchè di facile trasporto, perchè può collocarsi convenientemente in ogni fenditura e perchè in mezzo ai fumi caldi delle fumarole non è in generale comodo, e tal¬ volta riesce impossibile, fare operazioni, anche semplicissime, per ricavare la temperatura. Il termometro a massima una volta re¬ sosi stazionario, può essere tolto, portato a distanza e letto con tutta comodità. La zona flegrea, come tutti i luoghi ove si hanno emana¬ zioni di vapori e gas ad alta temperatura, va continuamente mu¬ tando d’aspetto, sia per le piogge che producono continui spro¬ fondamenti, sia per la disgregazione operata dai vapori. Le rocce, che sono a contatto con i vapori diventando di giorno in giorno sempre più incoerenti, franano e ostruiscono le vie di uscita dei vapori, i quali espandendosi ove trovano mi¬ nore resistenza, cercano attraverso questi depositi di detriti quei — 93 — ■ punti che sono più facili ad essere attraversati. Avendo questi depositi generalmente la forma di conoidi, offrono minore resi¬ stenza verso i vertici; e cosi le fumarole dai fondi dei crateri si vedono spostare man mano verso le pareti e trasportarsi sem¬ pre in posizione più elevata. Questa constatazione ho avuto occasione di farla durante la mia permanenza ai Soffioni boraciferi di Larderello. Per questa ragione non è esatto quello che generalmente credono, la più parte degli autori che i soffioni presentino il fe¬ nomeno dell'emigrazione, cioè: "ciascun soffione non ha che una vita temporanea (Mercalli, Vulcani attivi. Milano 1907, pag. 286) e, dopo un tempo più o meno lungo, a poco a poco s' indebo¬ lisce per cessare totalmente. Allora compare un nuovo soffione in luogo non lontano sempre in posizio¬ ne più elevata. In tal modo i soffioni di un dato distretto emigrano dalle parti inferiori a quelle superiori della valle,,. Ora dalle stesse parole del Mercalli ognuno vede che il fenomeno dipende unicamente dal franamento continuo dei materiali di vetta, i quali vanno ad ostruire le uscite dei vapori e dei gas nelle parti più basse. Le perforazioni hanno mostrato sperimentalmente la mia asserzione, giacché nei luoghi ove si era creduto emigrato il soffione, questo si è subito presentato non appena si è perfo¬ rato lo strato di detriti depositato dai continui franamenti dis¬ gregati. Dimodoché non è possibile, in tali zone , far confronti di temperature misurate in un medesimo luogo, ma bisogna farlo fra le temperature massime riscontrate in varie epoche in tutta la zona in esame. Come si vede la misura delle temperature si riduce alla ricerca, per ciascuna zona, della temperatura massima. E' questa ricerca che chiede tempo, lavoro e sacrifizio non indif¬ ferenti. Il suolo dei Campi flegrei è cosparso di fumarole, le quali non sono dei fori determinati, ma delle estensioni più o meno ampie, da cui vengono fuori i gas e i vapori, le quali presentano in due punti, anche vicinissimi, variazioni considerevoli di temperatura. Queste fumarole o bocche, vanno studiate col medesimo cri¬ terio da me seguito, per lo studio della bocca del 26 aprile 1921, — 94 — della Solfatara di Pozzuoli. (Signore F., Brevi notizie sulla nuova bocca della Solfatara di Pozzuoli. Rend., R. Acc. Se. Napoli; (3) Voi. 27, 1921). Esso consiste nel dividere in quadranti la zona da studiare, contenga questa anche delle sorgenti termali, e cercare di acco¬ starsi man mano al luogo ove si mostra la temperatura mag¬ giore. Determinata questa zona, o queste zone, rifare di nuovo lo stesso procedimento fino a determinare quelle fumarole che presentano la massima temperatura, e in ciascuna di queste ap¬ plicare ancora lo stesso procedimento, fino a determinare per ognuna la temperatura massima. Queste temperature massime son quelle che ritengo per le fumarole nell’ istante in cui eseguo 1' os¬ servazione. Le temperature sono state prese sempre col termometro com¬ pletamente immerso nel suolo ed a contatto con questo. Con tale procedimento son venuto a individuare, per il Cra¬ tere di Agnano, due località in cui si mostrano le temperature massime. La prima definita dalle coordinate geografiche : lat. 40° 49', 6 N. — long. 1° 43', 1 Est. M. Mario. Comprende le stufe di S. Germano, ove il 20 aprile 1923, alle 15h mentre la pressione barometrica era 757,0 e la tempe¬ ratura dell’ aria esterna 17°, 0; trovai nelle stufe adibite alle donne, e precisamente nella fumarola a destra entrando, la temperatura massima di 102°, 0 C. La seconda località ha per coordinate geografiche: lat. 40° 49’, 2 N. — long. 1°41', 6 Est. M. Mario. In essa il 5 maggio 1923, alle llh 35m , colla pressione at¬ mosferica di 762,0 e la temperatura dell' aria di 25°, 0, trovai la temperatura massima di 98°, 5. Per le Stufe di S. Germano le uniche misure di tempera¬ ture eseguite con termometro sono quelle riportate dal S. Claire- Deville (S. Claire-Deville, H. — C. R. Ac. Se. Paris, Tome 43. Sèance du 20.10.1856 — Id. Sur le s Emanations vulcaniques des Champs Phlegréens — C. R. Ac. Se. Paris, Tome 54. Sèance du 10. 3. 1862), e vanno dal 1856 al 1862. Tra queste determinazioni, la massima temperatura misurata fu di 97°, 0, il giorno 8 gennaio 1862; se confrontiamo questo va- lore con quello misurato il 20 aprile 1923, troviamo un aumento di temparatura di 5° in 61 anni, ossia, un aumento medio decen¬ nale di 0°, 8. Non intendo con ciò che si possa asserire che il fenomeno di innalzamento di temperatura debba ritenersi con¬ tinuo; con grande probabilità avrà un andamento discreto, come con tutta probabilità è discreto il fenomeno del bradisisma, pel quale però è valso 1' uso di indicare la quota media annua. Nei Monti Leucogei intorno al 1780, troviamo varie misure di temperature, eseguite da osservatori diversi (de la Condamine, H. Ex. d'uti Voyage en Italie. Ac. Roy. Se. Paris, 1757; — Della Torre, C. N. Storia e fenomeni del Vesuvio , Napoli, 1757, pag. 114; — Andria, N. Trattato delle acque minerali , 1783), che vanno da 85° a 86°, 25; ora paragonando il massimo valore 86°, 25, tro¬ vato da de la Condamine il 1755, con quello misurato il 1923, risulta un aumento nella temperatura di 12°, 25 in 168 anni, vale a dire un aumento medio decennale di 0°, 74. Questo valore ri¬ sulterebbe di 0°. 5, se si confronta la temperatura determinata dal Mercalli, (97°, 5), il 1° novembre 1901 (Mercalli, G. Sullo stato attuale della Solfatara di Pozzuoli , Atti Acc. Pontan. Voi. 37) con quella del 1923. In ogni modo possiamo ritenere che la temperatura del Cra¬ tere di Agnano dall'Ottocento a oggi ha subito un sensibile in¬ cremento e in ragione di un aumento medio decennale che di pochissimo differisce da 0°, 7. Napoli, Istituto di Fisica terrestre 15 Febbraio 1924. Finito di stampare il 16 giugno 1924. Agostino Oglialoro -Todaro Commemorazione fatta dal socio Dott* Oreste Forte (Tornata del 27 aprile 1924) E' quasi un anno. Mentre il mondo intellettuale si prepara a festeggiare tra po¬ chi giorni, con forma eccezionalmente solenne, il giubileo del se¬ colare nostro maggiore istituto; mentre da ogni regione quella collettività umana che non ha patria, perchè ogni patria è la sua, la collettività del Sapere, accorre qui, attratta dall'invito di que¬ sta ospitale metropoli e non meno dal sorriso di aprile, dell'a¬ prile di Napoli nostra; mentre sacerdoti di Minerva e goliardiche legioni si apparecchiano a fraternizzare nella glorificazione della ricorrenza centenaria; noi siamo qui raccolti nella rimembranza di un lutto, nella constatazione dolorosa di un triste vuoto in quella magnifica collana di veterane Figure, che consegnano alle generazioni nuove il testamento ricevuto dai Sommi che Le pre¬ cedettero, insieme con la tradizione di gloria, che esso racchiude. Affinchè quel vuoto non sfugga inosservato, affinchè di Co¬ lui, che doveva occuparlo, almeno lo Spirito non resti estraneo all' imponente convito, noi Lo rievochiamo appunto oggi, alla vigilia di quello spirituale tripudio, ove anche la Sua persona non avrebbe dovuto mancare. E' quasi un anno. Da poco congedato per regolamentare disposizione dall'in- segnamento e dalle cure universitarie, che avevano fino allora assorbita quasi per intero ogni Sua più minuta attività; sottratto AGOSTINO OGLIALORO-TODARO 1847 - 1923 ■ - ■ r-.y — 97 — da un giorno all'altro a quell'ambiente,. dal quale soltanto traeva nutrimento e vita il Suo Spirito, Agostino Oglialoro, il 21 giu¬ gno 1923, lasciava per sempre quelle mura, fra le quali per 42 anni — dal 1881 — aveva vissuta la parte migliore della Sua esi¬ stenza; esulava da quelle aule, dove la Sua voce vibrò ascoltata da migliaia di studiosi attraverso successive generazioni; da quelle aule, che Egli non volle mai abbandonare, neanche per trasfe¬ rirsi nel più degno asilo scientifico da Lui stesso creato; perchè non seppe mai distaccarsi da quegli avanzi, che invecchiavano con Lui e di cui ciascuno, dallo scrittoio all'asta di penna, rap¬ presentava per Lui un ricordo. Rientrando nelle vecchie sale di quel vecchio istituto ognuno di noi rivede, vivente ancora d'inesauribile energia, la venerata figura del Maestro, dal quale ognuno di noi ricorda di aver ri¬ cevuta qualche buona e generosa azione, e ode ancora la cadenza di quel passo caratteristico, che ne annunziava l'atteso avvicinarsi. Affollato sempre quello spazioso anfiteatro, dove la sua dotta parola e le molteplici interessanti esperienze attiravano una fitta e promiscua scolaresca, che da quelle lezioni traeva insegnamento e diletto, fu affollato del pari in quel triste giorno, quando di quelle care tradizioni compivasi il funerale. Ed in quel giorno la folla non era soltanto di allievi studiosi: costoro in maggior parte si erano raccolti all'ultimo varco dell'Ateneo, per rendere, a nome di questo, l'ultimo omaggio al Maestro, di cui ora non restavano che la memoria ed il rimpianto, dopo che ne fosse sortita la venerata salma; la folla era ricca di altri maestri, di cui non pochi furono già discepoli di Lui; di Autorità, che ne ave¬ vano sperimentata la probità e la dottrina; di colleglli, che furono altrettanti Suoi amici; di persone, che furono da Lui in un modo qualsiasi beneficate, ed il numero di queste ultime non era il più scarso. Ad un certo punto, nonostante la eccezionale ampiezza, quel¬ l'anfiteatro non contenne più quella folla, ed ogni adiacenza fu invasa; perchè nessuno di coloro, cui era giunto tempestivamente il triste annunzio, volle mancare al mesto convegno. Ed Egli era anche allora al Suo solito posto: innanzi a quel banco, ormai inconcepibile senza pensare a Lui; ma questa volta non vedemmo la disinvolta maestrìa di quelle mani adoperarsi — 98 - nella esecuzione di quelle eleganti e complicate esperienze; non vedemmo la Sua simpatica figura seduta su queirarcaica poltro¬ na, più vecchia di Lui, dove amava riposarsi, allorquando alter¬ nava le Sue dotte lezioni con quelle indimenticabili conferenze, di cui servivasi per sminuzzare ancora più la Sua dottrina a be¬ nefizio di coloro che vi assistevano; non udimmo quella parola grave, ordinata e persuasiva, con la quale riusciva magistralmente a dissimulare o a dissipare tutte le difficoltà, che creavano nella mente dei novizi il tradizionale preconcetto di astrusità attri¬ buita alla scienza della trasformazione della materia, le cui re¬ gole, al contrario, esposte ed illustrate da Lui, finivano con l'ap¬ parire come cose ovvie. Nulla più di tutto ciò vedemmo o udim¬ mo questa volta; della Sua voce spenta per sempre non restava che l'eco rievocata nella memoria nostra; quel corpo, ravvolto ormai inerte nel funebre involucro, si apparecchiava ad essere non altro che uno fra i tanti esempi di quella materiale trasfor¬ mazione. Dopo 76 anni — dall’ll Agosto 1847, giorno in cui nacque a Palermo — quegli elementi, che incessantemente sostituendosi furono pur sempre Lui e dominati da Lui, si svincolavano ri¬ belli, infine, da quel dominio, avidi forse di andare schiavi di nuove e più fresche energie e proseguire in altra sede la propria vita. Quanto mistero ! Altri parlarono di Lui appena dopo la Sua morte, per ren¬ dere onore alle Sue virtù e ricordare la Sua attività scientifica nella svariata ed interessante, se non abbondante, produzione bibliografica, nonché la Sua opera d'insegnante. Voi ascoltaste con ammirazione quelle parole commemorative pronunziate in altre sedi, quando ancora era recente il lutto dell'Ateneo e dei Consessi scientifici, dei quali Egli fece parte. Ed io farei torto a quegli illustri che mi precedettero, se osassi qui ripetervi quanto da loro vi fu detto con ornata e suggestiva eloquenza e con quella autorevole competenza di giu¬ dizio, che a me fanno difetto. Ciò, d'altra parte, sarebbe, oltre che ozioso, inopportuno; nè tale fu l'intento della Società dei Naturalisti, quando pensò di onorare anch'essa uno dei suoi più vecchi benemeriti e scelse me per tale compito, dopo che la pa- rola di oratori più cospicui ed autorevoli era stata altrove da voi stessi ascoltata. La nostra doveva essere non la commemorazione solenne ed ufficiale, ma piuttosto una rievocazione integrativa di quella, destinata a ricordare a noi stessi, che fummo quasi tutti Suoi diletti discepoli, a noi che piantammo il germe di questo soda¬ lizio, quanto dovemmo a Lui, come a tanti altri amati e com¬ pianti Maestri, di appoggio, di incoraggiamento, di protezione e di consigli, che ci diedero forza di lottare e vincere nel curarne amorevolmente il rigoglioso sviluppo, e con quanta costante sim¬ patia Egli c'infondeva il Suo magnifico esempio di volontà ed energia, che ci fu di tanto efficace suggestione. Noi volevamo procurare a noi stessi il godimento spirituale di una cara remi¬ niscenza, riandando le vicende che ci legarono a Lui come stu¬ diosi, come discepoli, come ammiratori. Forse il nostro Consiglio Direttivo, dopo la prova di oggi, non resterà contento della scelta fatta. Se per questa esso fu guidato dal criterio di affidarsi ad uno, che era stato il più lun¬ gamente fra tutti accanto a Lui nella qualità di discepolo e poi di collaboratore e che per tale comunanza di vita scientifica, prolungata per ben 18 anni, aveva tramutati quei rapporti in vero attaccamento di devota venerazione, tanto da fargli nutrire il più vivo desiderio di saper parlare di Lui per onorarne la memoria, certo la scelta non poteva essere dubbia. Chi ha l'onore di par¬ larvi, sebbene vivente in appartato e modesto raccoglimento e per quanto privo di ogni titolo notorio, che gli permettesse di aspirare ad una particolare considerazione, ne possedeva pur uno, che lo autorizzava a mostrarsi nella cerimonia di oggi: la ven¬ tura, cioè, che egli ebbe di aver trovato nel Maestro la guida, il consiglio, l'ammaestramento, la protezione, il conforto, quando nel momento e col bisogno di formare la propria educazione scientifica ed il carattere morale, negli anni più verdi della sua età e della sua carriera, divenne prematuramente orfano delle paterne cure. Per tale ventura quel sentimento filiale, che era stato privato del suo naturale sbocco, non poteva rivolgersi che verso la grande Anima del venerato Maestro. E così fu. Nei quattro lustri i rapporti fra quell'Anima grande e quell'orfano avido di disciplinare mente e cuore sotto un Esempio, non po- — 100 — tevano che legare per sempre la gratitudine dell'allievo verso ramato Maestro. Ma se si volle, invece, con quella scelta, procurare a voi il sollievo di una parola gradita, degna della solennità dell'occa¬ sione e dell'altezza di Chi si voleva onorare, ahimè, quale di¬ singanno per il Consiglio e quale delusione per voi. Tuttavia oso confidare sull'indulgenza del primo e sulla benevolenza vo¬ stra, purché vogliate riferirvi a quell'unico titolo, per il quale vi parlo, ascoltandomi con pazienza, e rendendo così, accanto a quello di omaggio, anche un tributo di sacrifizio alla memoria del Caro compianto. Coloro fra di voi che, per essere un poco più di me inol¬ trati nel cammino della vita, potettero assistere all'ingresso di Agostino Oglialoro nell'Ateneo napoletano, furono testimoni diretti delle vicende, che amareggiarono nei primi tempi quel¬ l'ingresso; vicende delle quali io non potei raccogliere che poco dopo il racconto. Un istituto chimico, che rispondesse a tal nome, non esi¬ steva, in quell'epoca, a meno che sotto il detto nome non si vogliano comprendere pochi banchi inadatti, alcuni barattoli e qualche grossolano fornello, in un locale umido e mal distri¬ buito e dove, fino allora, nessuna vera e propria ricerca scien¬ tifica aveva trovato il modo e l'ambiente di compiersi. Esistevano, invece, basse gelosie e competizioni personali, le cui manifestazioni, se pur tollerabili, quando siano contenute ed esplicate nei confini della correttezza, se non della nobilità e della cavalleria, diventano condannevoli ed insopportabili, allor¬ ché degenerano in ribellioni volgari, ostruzionismo ignorante e finanche — ho vergogna a dirlo — minaccia alla tranquillità ed alla integrità stessa personale. Se non che Agostino Oglialoro aveva cuore adamantino, non soltanto per la sua limpidezza, ma ben anche per la sua fortezza ed invulnerabilità; Egli aveva e- nergia non comune di lottatore, possedeva sopratutto l’ascen¬ dente del Suo galantomismo e della Sua lealtà, e queste doti Gli permisero di aver subito ragione di quella ostile zavorra, a debellare la quale non fu trascurabile sussidio l'entusiasmo della nuova gioventù studiosa sopraggiunta, che riconobbe, con l'i- stinto del cuore non corrotto, le virtù che circondavano la fi¬ gura del nuovo Maestro e volle col suo generoso slancio con¬ tribuire allo sbaraglio. Più facile fu a Lui, con quelle virtù, conquistarsi la stima immediatamente e l'amicizia in breve di quei contemporanei della Facoltà di Scienze Naturali, che si chiamavano Arcangelo Scacchi, Luigi Palmieri, Sebastiano Nicolucci, Salvatore Trin- chese, Gilberto Govi, Guglielmo Guiscardi, Giovanni Paladino, Achille Costa, Antonio Pasquale, che Lo hanno preceduto nel sepolcro, carichi di gloria, se non tutti di anni, nonché, man mano, di tutti gli altri valentuomini, che formavano il Corpo Accademico di quell'epoca, tanto glorioso per i nomi che van¬ tava. Bisognava sentir parlare di Lui quella eccelsa cima di scienza, che fu Arcangelo Scacchi, per giudicare in quale considerazione era salito il giovine ospite in quella senile ed eletta famiglia di celebrità. Raggiunta la necessaria e sospirata calma, Oglialoro potè darsi tutto alla Sua opera migliore, quella che resterà a perpe¬ tuare la Sua benemerenza: la creazione dell'Istituto chimico; opera nella quale non abbandonò mai l'impronta ricevuta dai Suoi stessi grandi Maestri Cannizzaro e Paterno. Del primo volle addirit¬ tura collocare il nome fra i sommi — accanto a Lavoisier — che fregiavano la volta del rinnovato grandioso anfiteatro, al che il Sommo, grande anche nella modestia, non mancò, leggendolo, di protestare esclamando: "perchè molestare anche i viventi?,, Circondato anche allora da abili collaboratori, Egli potè nel¬ l'opera stessa rapidamente avviarsi, non risparmiando alcun sa¬ crifizio, perfino ricorrendo nei casi estremi a personali anticipi finanziarii, pur di affrettare la sospirata sistemazione dell'istituto e poter cominciare ad accogliere intorno a sè gli studiosi. Consentite che fra i primi valorosi Suoi collaboratori, ac¬ canto al nome di Orazio Rebuffat — un altro cui sento il bisogno di esternare pubblicamente la mia gratitudine affettuosa e devota per tutto quello che debbo a lui — di colui che fu in quell'ini¬ zio il braccio destro del suo direttore e che a sua volta fu mae¬ stro di altre generazioni di chimici, che onorò ed onora la scuola da cui deriva ed è oggi decoro autentico del nostro Politecnico; accanto a quel nome io ricordi quello di un altro nostro Caro, — 102 — da lungo tempo scomparso: Antonio Cabella, la più bella, la più semplice figura di candida bontà, che visse in quella na¬ scente famiglia di studiosi. E consentite ancora che parlando di Agostino Oglialoro, 10 non manchi di rivolgere un pensiero alla memoria di un altro illustre, che fu di Lui l'amico inseparabile: Francesco Mauro; 11 prodigioso analista, prematuramente rapito alla scienza ed agli affetti, e del cui organismo la distruzione fu probabilmente ac¬ celerata dal continuo contatto con quel Fluoro, che formò l'ar¬ gomento particolarmente prediletto dei suoi studi sperimentali. Creato l'ambiente, cominciarono gli studiosi ad affluire nel¬ l'istituto del Professore Oglialoro, trovandovi, se non dovizia di mezzi, ospitalità generosa e direzione sapiente. Fummo una diecina, in quei primi anni, i frequentatori del¬ l'istituto chimico, formando un gruppo, ove fraternizzammo fra noi, aiutandoci a vicenda nell'arredamento, fra mille mancanze, dei nostri posti da lavoro e nel compimento delle nostre eser¬ citazioni, i provetti guidando i novizi, sotto l'ammaestramento di Lui e dei Suoi assistenti. Rigidamente intransigente per quanto riguardava assiduità, nettezza, precisione e probità nel lavoro, Egli non ci risparmiava all'occorrenza richiami e rimproveri, talora di una violenza ter¬ ribile — ricordate? — tali che noialtri davvero non si ricadeva per una seconda volta in una medesima colpa. Ma poi, poco dopo di una di quelle indimenticabili strapazzate, Egli imman¬ cabilmente ritornava presso il disgraziato, che la aveva meritata, per cancellare con una parola, con un sorriso, ogni turbamento dell'animo e non lasciare in noi se non il ricordo ed il penti¬ mento della colpa commessa, col deciso proposito di scansare la recidiva e col senso di gratitudine per il nuovo, per quanto duro, ammaestramento ricevuto. L' indirizzo da Lui tenuto consisteva nell' addestrarci sopra tutto ed il più lungamente possibile nel lavoro analitico, che rappresentava in massima parte il nostro tirocinio di laboratorio, educandoci alla minuta pratica sperimentale, all'osservazione ed allo apprezzamento razionale dei fatti, abituandoci alla scrupo¬ losa consultazione bibliografica nei casi particolarmente com¬ plessi, ed alla discussione dei problemi, spesso insidiosi, che la — 103 — ricerca analitica può presentare. Ben sei mesi circa eravamo trattenuti a praticare la così detta “ analisi per via secca „ con la guida del Landauer e non meno di un anno quella per “ via umida „ seguendo il classico trattato del Fresenius, che Egli soleva chiamare " il vangelo dei chimici,,. Dopo un così lungo tirocinio analitico qualitativo un periodo assai più breve, di soli pochi mesi, dedicavamo ad esercitazioni di quantitativa, scelte opportunamente e svariatamente, ed infine ci si affidavano dei lavori sintetici sperimentali, per lo più scegliendoli fra quelli destinati ad illustrare sempre con nuovi esempi le vedute geniali e nuove che Egli aveva da poco espresse intorno alla nota ed interessantissima reazione di Perkin; ovvero a portare nuovi contributi in altri studi, che erano oggetto di altre ricerche ini¬ ziate da Lui. Le esercitazioni sperimentali venivano talora alternate con discussioni teoriche, di cui assegnava i temi ad alcuni di noi, o con recensioni di lavori di chimici illustri, o con referenze bi¬ bliografiche del giorno, ovvero con conferenze didattiche, per quelli di noi che eravamo iscritti alla Scuola di Magistero. Quante correzioni e buoni consigli ci prodigava in queste ultime e con quale premura ci raccomandava sopratutto : " non ereditate il di¬ fetto del vostro maestro: la fretta nel dire,,. Ed allorquando taluno di noi faceva cattiva prova nella conferenza — caso non infrequente — Egli ne sorrideva nel correggerci, ed a cancellare in noi la mortificazione e lo sconforto qualche volta aggiungeva : " non vi sgomentate, chè pure a me non è mancato di fare qualche lezione forse anche peggiore di questa „. Io non posso permettermi, e non me ne sento la compe¬ tenza, di giudicare intorno alla opportunità ed alla efficacia di quell' indirizzo ed ai frutti che potè dare nella scolaresca che Egli formava; ma non può negarsi tuttavia che, a parte le ricerche speculative di scienza teorica o di filosofia scientifica, la palestra più adatta a formare dei buoni lavoratori e sperimentatori nella chimica è appunto Y esercizio analitico , come quello che rac¬ chiude in sè quasi tutti i problemi generici , che possono pre¬ sentarsi in una ricerca sperimentale; mentre nello stesso tempo apre il campo a qualsiasi indirizzo pratico professionale, che il futuro chimico avrà opportunità o necessità di seguire. La que- 104 — stione merita, infatti, di esser messa bene nei suoi termini: una scuola scientifica universitaria deve bensì mirare a produrre pos¬ sibilmente anche degli scienziati; ma sopratutto deve sforzarsi di formare dei buoni professionisti; poiché la maggior parte di quelli che frequentano 1’ Università non chiede altro, nè vi è mezzo altrove di conseguire siffatta finalità. Oggi la laurea in Chimica non costituisce soltanto un titolo dottorale ed accademico, ma è altresì garanzia di attitudine e capacità pratica professionale. Ora, questo criterio, che è poi quello che deriva dalla considerazione del sistema tenuto dal Prof. Oglialoro nella Sua scuola ai tempi cui mi riferisco, non è il meno da aver presente ; nè si può co¬ scienziosamente affermare che i frutti ne siano stati tutti cattivi nella numerosa schiera di scolari, che Egli produsse. D’altronde, come altri ben disse, per quanto egli avesse precipuamente mirato all’educazione analitica dei Suoi allievi, non imponeva alcun limite o restrizione alle particolari tendenze di questi ultimi ; chè anzi queste Egli favoriva con tutto ciò che da Lui potesse dipendere, di mezzi e di sapere, come se ne ha prova in non pochi lavori sperimentali e ricerche originali com¬ piute nel Suo laboratorio. Comunque sia, la scuola di chimica del Professore Oglia¬ loro andò di anno in anno accreditandosi, come stette a dimo¬ strare l’impressionante accrescersi del numero dei frequentatori regolarmente iscritti al corso dì Chimica, senza parlare dei non pochi cultori di scienze mediche e naturali o di ingegneria, che desideravano addestrarsi nella chimica sperimentale o condurre delle particolari ricerche nel proprio campo. Si aggiunga altresì che nei primi anni, quando ancora non esisteva un laboratorio di chimica farmaceutica, ove si potesse lavorare; quando, cioè, non ancora era stato creato dal nuovo titolare quel meraviglioso istituto di Chimica farmaceutica e tossicologica, che oggi col nome del suo fondatore e direttore, Arnaldo Piutti, forma vanto ammirato ed invidiato del nostro Ateneo, anche gli studenti della Scuola di Farmacia chiedevano asilo, in quel periodo, nel¬ l'istituto di Chimica generale. Ed Egli non chiuse mai le porte a nessuno, fino a quando Glielo consentirono la legge della impenetrabilità della materia, in quanto allo spazio, e quella della non creabilità della medesima, in quanto ai mezzi. Si giunse così ad uno stato di vero affollamento, che si prolungò per parecchi anni, con una pleiade di studenti laureandi, che nell'istituto compivano esercitazioni e ricerche, e con cen¬ tinaia di studenti di Farmacia, che ogni anno erano addestrati in periodiche esercitazioni di analisi qualitativa. Cosicché, con dotazione limitatissima e con scarsissimo personale assistente, Egli seppe compiere il miracolo di ospitare generosamente e proficuamente un vero stuolo di studiosi nel proprio istituto, superanti in numero quello di ogni altro laboratorio consimile di altri primari centri italiani di coltura, senza con questo e per questo imporre mai alcuna tassa o contributo di laboratorio, e provvedendo con le sole risorse ordinarie di quest'ultimo al consumo di prodotti e materiale scientifico ; almeno fino a pochi anni or sono, cioè fino a che la falcidia della dotazione, asso¬ ciata all'incredibile rincaro del materiale, non rese addirittura impossibile ciò che fino allora era stato soltanto un paradosso. Tutto ciò, o Signori, non credete voi che, nel bilancio di quella incessante attività, equivalga ad una ricca produzione bi¬ bliografica personale, in quanto alla utilità altruistica derivante dall'opera di quel Maestro? Non vi pare che, se Egli fosse stato meno preoccupato della cultura pratica dei giovani anzi¬ ché dell' interesse, anch'esso nobilissimo, ma meno altruistico, di arricchire la propria produzione sperimentale, avrebbe ben po¬ tuto distribuire abbondante lavoro fra quei giovani, non già in esercitazioni analitiche, le quali tornavano, ad unico ed esclusivo vantaggio di costoro, ma in lavori sintetici derivanti dallo sfrut¬ tamento di tutte le Sue già iniziate ricerche sulla inesauribile reazione di Perkin, sulla costituzione della picrotossina, per li¬ mitarmi alle più importanti, e così pubblicare ogni mese, sia in proprio nome, sia con la collaborazione di altri, una ricca serie di risultati sperimentali ? Il merito di Lui in fatto di produzione scientifica non deve ricercarsi nel numero di lavori pubblicati da Lui e dalla sua scuola, ma piuttosto nella potenzialità della Sua mente e della Sua coltura, ove il germe di siffatta produzione era tutt'altro che assente, sebbene Egli non avesse creduto di sfruttarlo, prefe¬ rendo sacrificarlo generosamente al fine di alimentare altri ger- — 106 — mogli, assai meno decorativi per Lui stesso, ma ben più pro¬ duttivi di altrui utilità. E che tale potenzialità non Gli facesse difetto bene appare, quando si considerino l'indole e l'estensione delle ricerche che Egli aveva abbracciate, nonché l’importanza di quei primi e non pochi lavori da Lui pubblicati, da solo o in collaborazione; ma che ad un certo punto dovettero arrestarsi, perchè divenne in¬ conciliabile, con quei mezzi e nelle indicate circostanze, la ric¬ chezza della produzione bibliografica con la cura coscienziosa e completa del laboratorio e della coltura dei giovani. Eppure, malgrado tutto ciò, una non disprezzabile produ¬ zione si ebbe dalla Sua scuola fin quasi al 1900, epoca dalla quale, presso a poco, tale produzione si arresta, sebbene non mancassero a Lui, anche dopo quell'epoca, ottimi collaboratori. Basterebbe fra questi ricordare Colei, che Gli fu dapprima al¬ lieva e poi Compagna diletta nella vita e nello studio, che ne risparmiò le ultime energie con la propria molteplice ed instan¬ cabile attività e che oggi, oltre alla considerazione raggiunta con la propria opera, raccoglie e concentra per sé la devozione di tutti coloro che amarono il compianto Consorte. Nè può dirsi che la popolazione scolastica fosse divenuta più affollata ; nè che la tradizionale ed opprimente scarsezza di mezzi o di personale o di risorse si fosse resa più acuta che nel precedente periodo. Ebbene, non manca la spiegazione di tale arresto. Anzitutto la gravissima malattia, che Lo colpì molti anni or sono, mante¬ nendo tristemente ansiosi e perplessi i Suoi cari e la Sua scuola, lasciò nel suo ben ferreo ma non più giovanile organismo una traccia, che non Gli permise più come prima di far tutto per gli altri senza curare se stesso. Inoltre presso a poco in quel medesimo periodo le cariche molteplici che Egli coprì: - Con¬ sigliere di Amministrazione degli Ospedali riuniti, Delegato del Comune presso la R. Stazione Sperimentale delle Pelli, Presi¬ dente della Giunta di Vigilanza della R. Scuola Professionale Regina Margherita, R. Commissario nella R. Scuola Veterinaria, Sub-Commissario per la pubblica istruzione al Municipio, Ret¬ tore deH'Università per due bienni, componente il Consiglio di Amministrazione della Stazione Zoologica — nonché il prolun- — 107 — garsi di incarichi già precedentemente posseduti: — Direttore della Scuola di Magistero, componente il Consiglio Provinciale Sanitario, insegnamento speciale della chimica agli studenti di Farmacia, Tesoriere della Società Reale — eppoi ancora: — le cure per la ordinaria lezione e per il suo scrupoloso e ricco arredamento sperimentale, l'amministrazione del Suo movimentato laboratorio, la creazione del nuovo istituto di Chimica, le in¬ cessanti e prolungatissime sessioni ordinarie, straordinarie ed ultra-straordinarie di esami, la partecipazione a mille svariate commissioni di ogni genere — tutte queste cariche assorbivano per intero la Sua benché non scarsa attività; perché Egli di tali cariche non sapeva assumere soltanto la parte onorifica e deco¬ rativa, ma amava disimpegnarne le corrispondenti mansioni con assiduità, scrupolosità e coscienza. Ed allora chi oserà affermare che egli non fosse stato un gran lavoratore, sol perchè il frutto del Suo incessante lavoro Egli preferì donare agli altri anziché servirsene per aumentare la propria notorietà e considerazione? E dite ancora, o signori : a formare la benemerenza di un uomo dotto e laborioso, è proprio necessario che costui lasci in opuscoli e periodici tracce di questa dottrina e laboriosità anziché in documenti umani ed in opere materiali di indiscuti¬ bile utilità? Chi mai ha visto quest’uomo concedersi, oltre all'indispen¬ sabile e limitato riposo fisiologico, un ozioso svago, che lo avesse anche per un'ora sola sottratto alla Sua predilezione per il la¬ voro? Le sole divagazioni, che Egli concedevasi, consistevano talvolta in rare passeggiate escursive, che in particolari occasioni amava fare in compagnia dei Suoi assistenti e discepoli: la sola famiglia che pur lungo tempo era riuscito a crearsi, oppure quelle periodiche ed originali tornate della “ Società di Gastricoltura fra i Professori Universitari „, sorta per affratellare in simpatici con¬ viti e nella soddisfazione del più confessarle degli appetiti quella schiera di eletti già sazi dei più elevati attributi dello spirito e della sapienza. Siffatto eccessivo raccoglimento nel lavoro Lo faceva appa¬ rire di temperamento chiuso a coloro che non Lo conoscevano intimamente e che perciò Lo riguardavano come un misantropo. Nulla di più ingiusto : nessuno si rivolse mai invano a Lui per — 108 — aver prove di amicizia, quando questa fosse meritata, o per aver comunque sollievo nella necessità. Gli ripugnava soltanto la no¬ torietà ostentata e tutta la Sua vita si svolse in un triplice apostolato: lavoro, onestà, giustizia. Oggidì le cose sono mutate e molte buone ragioni si hanno per aspettarsi dalle nuove generazioni di chimici, che si forme¬ ranno nel novello istituto, una copiosa produzione scientifica, che manterrà sempre più alta la riputazione di quest'ultimo. So¬ pratutto ne affidano il valore personale, la coltura profonda, l'at¬ tività mirabile associate alla giovanile energia del nuovo titolare, Professor Zambonini, succeduto al vecchio Maestro che oggi ono¬ riamo, ed il cui recente ingresso nella Facoltà di Scienze fu me¬ ritamente salutato con compiacimento vero; e se il modesto plauso anche di chi vi parla può avere per Lui un benché minimo va¬ lore, voglia ben degnarsi di raccoglierlo, almeno come signifi¬ cato di ammirazione ed omaggio. In secondo luogo oggi non vi è più da creare un istituto, ma tutto al più ampliarlo e corre¬ darlo alla stregua delle esigenze sempre nuove della scienza, con mezzi i quali è da augurarsi non subiscano ulteriori falcidie e siano, anzi, portati a misura più degna dell’opera cui sono de¬ stinati. Non manca, infine, l’affluenza della scolaresca attratta dall'interesse sempre crescente, che va guadagnando rapidamente anche qui la scienza che coltiviamo. Signori, vi ho parlato come ho saputo di Agostino Oglia- loro cercando nel tracciarne l'opera benemerita, di lumeggiarne sopratutto la Figura di serietà, di probità e di virtù che Egli amò conservare modesta; mentre attraverso questa disadorna analisi della Sua vita Essa ci appare gigantesca. Figura che nes¬ sun gesto della Sua non breve esistenza offuscò per un attimo solo. Quella Figura oggi nell'animo nostro, compreso nella cara reminescenza, si rievoca in tutta la Sua meravigliosa limpidezza, e come sempre noi La invocheremo, ogni qual volta sentiremo il bisogno di ispirarci ad un Esempio di suprema bontà. CARICHE PUBBLICHE ed ONORIFICENZE 1872 - 2.° Preparatore nel Lab. chimico R. U. di Palermo 1873 _ i o lolJ 11 il lì lì ìì 1874 - 2.° „ „ „ „ Roma 1875 - 1 0 ìì ii a ìì a 1876-79 - Assistente Vice-Direttore „ „ „ 1880 - Vince il concorso per Professore ordinario a Messina 1881 - „ „ „ „ Torino 1882 - E’ trasferito a Napoli in seguito a sua domanda 1888 - (Fino alla morte) - Membro del Consiglio Provinciale Sanitario 1896- 98 - Direttore della Scuola di Farmacia 1906-09 - „ 1897- 22 - Incarico del corso di Chimica ai Farmacisti 1901-05 - Consigliere di Amm.ne degli Ospedali riuniti 1904-06 - Delegato del Comune presso la R. Staz. sper. delle Pelli 1905 - Consulente chimico onorario dei Pellegrini 1904-21 - Direttore della Scuola di Magistero e Presidente della me¬ desima 1897-99 - Rettore della R. Università 1917- 19 - „ „ 1918- 21 - Componente del Consiglio di Amm.ne della Stazione Zoo¬ logica 1898 - Cavaliere dell'ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 1902 - Cav. Uff. 1905 - Commendatore „ della Corona d’Italia 1920 - Grande Ufficiale ,, ,, ,, 1922 - Commendatore dei SS. Maurizio e Lazzaro Fu Socio Onorario dell’Ordine dei Sanitari, dell’Associazione di Mutuo Soccorso fra gFImpiegati di Farmacia, dell’Associazione Farma¬ ceutica Napoletana. Fu Socio Ordinario delFAccademia Pontaniana, della Società Reale (ove tenne per 30 anni la carica di Tesoriere Generale), dell'Istituto d’incoraggiamento. Fu Preside della Facoltà di Scienze Naturali. Pubblicazioni di A. Oglialoro Azione del bromo sul cloralio (1884). Allilato di cloralio (1874). Sull'essenza di pepe cubebe (1875). Sintesi dell’acido fenilcinnarnico (1878). Studio sul Teucrium fruticans (1878). Sulle reazioni caratteristiche della picrotossina (1879). Sintesi della fenilcumarina 1879). Sull’acido p-ossifenilcinnamìco e suH’ossimetilstilbene (1879). Sintesi dell’acido ossifenilcinnamico (1880). Azione dell'acido nitrico sulla teucrina (1883). Sullo zolfo delle fumarole del M. Cito nell’Isola d’ Ischia (1884). Disinfezioni (1884). Sintesi dell’acido metilatropico (1885). Sintesi deH’ossifenilcumarina (1887). Sintesi deH’acido benzilcinnamico (1890). Brevi notizie sull’acido picrotossinico (1894). Analisi chimica dell’acqua delle Cardarelle presso Riardo (1894 in col¬ laborazione con O. Forte ed A. Cabella). Analisi chimica delle acque minerali di Castellammare di Stabia (1894 in collaborazione con F. Mauro, F. Vetere, O. Rebuffat, A. Ca¬ bella, O. Forte e V. Vetere). Analisi chimica dell’acqua Amaturo sull’Irno (1895 in collaborazione con O. Forte e A. Cabella). Analisi chimica dell’ acqua di Marigliano (1896 in collaborazione con O. Forte ed A. Cabella). Acque del Gurgitello delle Terme Belliazzi (1899 in collaborazione con O. Forte ed A. Cabella). Sulle perdite che avvengono nella ricerca tossicologica dei corpi vola¬ tili (1900). Poche notizie sulle sabbie emesse dal Vesuvio (1906). A. Oglialoro ed A. Paterno. Studi sul cloralio (1873). Ricerche sulla picrotossina (1876). Sopra un nuovo acido estratto dalla Lecanora Atra (1877). Nuove ricerche sulla picrotossina (1879). Sulla supposta identità della colombina con la limonina (1879). Ricerche e considerazioni sulla natura chimica della picrotossina (1881). A. Oglialoro e L. Palmieri. Sul terremoto dell'Isola d’ Ischia del 28 luglio 1883 (1883). A. Oglialoro ed O. Forte. Acidi cresolcinnamici e metacresolglicolico (1890). Azione dell’acido iodidrico e fosforo rosso sull’idrato di picrotossina (1891). Sul processo Selmi per la ricerca tossicologica dell'arsenico (1896). A. Oglialoro e G. Cannone. Sull’acido ortocresolglicolico (1888). A. Oglialoro e M. Bakunin. Sugli acidi meta- e paranitrofenilcinnamici (1890). A. Oglialoro, M. Ba1 Torelli B. — Osservazioni sull’apparato digerente dei Cymothoidae pag. Geremicca F. — Ricerche sulla materia colorante dell’arancio. . » Gargano C. — La presenza di strutture filamentose in alcune affe¬ zioni patologiche . . Colomba G. — Sul valore ereditario del carattere "file di granèlli,, nella spiga- del granturco ....... „ Palombi A. — Di un nuovo ospitatore della cercaria dell’ Echitio- stomum secundum Nicoll 1906: Mytilus gallo provin- cialis Lamk. . . . . ,, Del Regno W. — Sulla trasformazione del Nichel nell’ intorno del punto di Curie . . „ Parascandola A. — I Crateri dell’Isola di Procida . . . . „ Mazzarelli G. — Note sulla biologia dell’ostrica ( Ostrea ediilis L.) „ CogneTti L. — Nuovo Gyrodactylide parassita nella cavità olfattiva di Amiurus catus L. . . „ Cavara F. — Commemorazione di Francesco Balsamo. . . „ Signore F. — Sul metodo seguito per la determinazione delle tem¬ perature nei Campi Flegrei ....... „ Forte O. — Commemorazione di Agostino Oglialoro Todaro . „ Mazzarelli G. — Un nuovo tipo di evaporimetro galleggiante . „ Guadagno M. — Notizie sul pozzo artesiano recentemente trivellato nella piazza S. Maria La Fede in Napoli .... „ Salfi M. —Osservazioni sulla ecologia di alcune specie, di Locasti - dae e Phasgonuridae . „ Zirpolo G. — Ricerche sulla rigenerazione degli Ctenofori . . „ Mazzarelli G. — Note sulla biologia' dell’ostrica ( Ostrea edulis L.) „ PlERANTONl U. — La fosforescenza e la simbiosi in Microscolex phosphoreas (Ant. Dug.) . „ Gargano C. — Processi rigenerativi, che si svolgono nelle arterie, in seguito al denudamento ed alla ablazione della tunica avventizia . „ Grande L. — Note di floristica . . . „ Giordani M. — Gli olii distillati dagli scisti bituminosi di Barcel¬ lona in Sicilia . . . . . . . . . „ Giordani M. — Studii sull’ estrazione della cellulosa a mezzo del . 3- 16 27 40 49 52 57 61 76 82 92 96 112 120 129 153 158 179 197 217 246 260 Del Regno W. — Le idee attuali sulla struttura della materia . pag. 272 Salfi M. — Contribuzione alla conoscenza degli Ortotteri libici. — 1. Locustidae marmarici . . „ 288 Zirpolo G. — Ulteriori notizie di asteroidi anomali. . . . „ 305 Gargano C. — Dei tumori spontanei negli uccelli. Il sarcoma aviario „ 347 COMUNICAZIONI VERBALI Colomba G. — Su di un caso di " frutto gemino „ in un Pirus malus L . pag. 3 Zirpolo G. — Zoobotryon pellucidam Ehrbg = Z. verticillatum (Delle Chiaje) . „ 6 Zirpolo G. — Su di una Beroè ovata con doppia apertura orale . „ 8 Cavara F. — Alcuni risultati di incrocii in. conigli .... „ 10 Cavara F. — Di una discendenza sterile nell’ Iris pallida Lam. . „ 13 RENDICONTI DELLE TORNATE (PROCESSI VERBALI) Processi verbali delle tornate 1924 . pag. ni Consiglio Direttivo per l’anno 1925 . „ xxv Elenco dei socii . „ xxvn Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio e in dono. . „ iii-xm Relazione su di una escursione fatta il 10 maggio 1923 nella plaga puteolana del socio D t. Francesco Signore (Tornata del 20 gennaio 1924) Il diletto mentale non è prodotto che dal- 1' assentimento ad una idea ; l' interesse, dalla speranza di trovare in quell'idea, contemplan¬ dola, altri punti di assentimento e di riposo... Manzoni, Epist., Voi. I, p. 306. Pozzuoli sorge sulle rovine dell'antica Dicearchia, città della giustizia, che si chiamò poi Puteoli, secondo quanto afferma Strabone, per la quantità enorme di emanazioni gassose e di pozzi esistenti nel suo territorio. I primi abitatori di queste contrade vanno ricercati tra gli Ausoni e gli Opici, e non è il caso di parlare dell' uomo prei¬ storico, poiché proprio tra la fine del pliocene al principio del pleistocene, epoca in cui si ritiene che cominci la presenza del¬ l'uomo sulla terra, questi luoghi iniziavano la loro azione vul¬ canica i). I Calcidesi venuti dal mare nel XI secolo a. C., fondarono Cuma la quale a sua volta fondò Dicearchia, Avella e Partenope, che si divise in due, Pelepoli e Napoli, rimanendo quest'ultimo nome a disegnare la Capitale del Mezzogiorno 2). *) De Lorenzo, G. — Studi di geologia sull' appetiamo Meridionale. Atti R. Acc. Se. Napoli, Ser. 2a, voi. 8, 1896. Idem. Geologia e Geografia fisica dell'Italia Meridionale. Bari, Laterza, 1904, pag. 165 e segg. Idem. L'attività vulcanica nei . Campi Flegrei. Rend. R. Acc. Se. Napoli. Fase. 5 a 7. Maggio a Luglio 1904. 2) Porena, F, — Campania Felix ! Rassegna Italiana di Napoli, anno 1903. — 2 — Verso l'ottavo secolo a. C., i Cumani caddero sotto il do¬ minio Etrusco, e dopo, sotto quello dei Sanniti, che vi regna¬ rono fino a che non vennero, verso la metà del IV secolo a. C., i Romani a soggiogarli. Così Dicearchia si trasforma in uno dei più grandi porti per lo sviluppo del commercio in Oriente e prende il nome di Poz¬ zuoli. Accanto ad essa la decadente Repubblica fece assorgere Baia alla più grande Stazione Termo-balneare e Pompei al primo posto di villeggiatura. I fasti e il lusso di queste città andarono travolti e scomparirono, con la fortuna dell’Italia, nel mutamento della sede dell' Impero, che trasportò tutto sulle sponde del Bo¬ sforo, abbandonando l'immensa popolazione che, per vivere, si dette alla distruzione dei monumenti per venderne i marmi e gli ornamenti. All' opera di distruzione degli uomini si unì quella ancora più potente della natura, che cominciò col terremoto del 63 d. C. e finì con l'eruzione del Monte Nuovo del 1538. Queste contrade cominciano di nuovo ad essere meta dei turisti verso il seicento e raggiungono un rilevante sviluppo, sotto Carlo III di Borbone, coll'inizio, nel 1750, dei primi scavi del Tempio di Serapide *)• In tutti i libri di geografia fisica e di geologia si trova ri¬ prodotta la vignetta della tre famose colonne foracchiate dai li¬ todomi, le quali ci mostrano le varie vicende cui è andata in¬ contro tutta la costa, da Coroglio a Miseno, per effetto del bradisisma 2). 11 Tempio di Serapide, 0 Serapeo, quale ora si osserva, fu costruito all’epoca imperiale sulle vestigia di un altro edificio, che s'era abbassato per il bradisisma. A) Niccolini, A. — Descrizione della gran terrna pateolana volgarmente detta Tempio di Serapide. Napoli, Stamperia reale, 1846, pag. 2 della parte Geologica. Notizie archeologiche molto estese il lettore le può trovare nell’opera: Dubois, Ch. - Pouzzoles antique. Paris, Fontemoing, 1907, pag. 194. Sento il dovere di ringraziare pubblicamente il Prof. Spano per le preziose informa¬ zioni fornitemi al riguardo. 2) De Lorenzo, G. — / Campi FlegreL Bergamo, Arti grafiche, 1909, pag. 125 e segg. - Si veda anche; D’Ancoraa, M. C. - Guide du voygeur pour les Antiquités , etc., de Pouzol et des environs, traduit par M. A. Barles de Manville. Napoli, Zambraia, 1792, pag. 49. — 3 — E' di forma rettangolare con m. 75 di lunghezza e m. 58 di larghezza, col lato minore rivolto verso il mare e nel quale si apriva l'entrata; mentre sull'opposto lato vi era una cella ad abside semicircolare ornata con tre nicchie che contenevano statue. Il frontespizio della cella era costituito da quattro colonne in marmo cipollino alte m. 11,780. Di queste, tre sono ancora in posto e son quelle attaccate dai litodomi. All'interno vi erano 36 botteghe, con le aperture alternati¬ vamente all'interno ed all'esterno, che servivano per la vendita di commestibili, essendo l'edificio un mercato {macellimi). L'interno era costituito da una corte quadrata, cinta da un portico composto di colonne di granito e di cipollino, la quale aveva nel centro un podio circolare di m. 18,23 di diametro. All'intorno del podio si elevavano sedici colonne in marmo afri¬ cano che sorreggevano con la loro trabeazione, forse, una per¬ gola. Nel centro di questa costruzione circolare non si sa, con precisione, cosa vi fosse. Di questo edificio, che, con i suoi due piani, rappresentava la costruzione più vistosa della Pozzuoli bassa, non restano che le tre colonne di cipollino, ove la scienza ha posto tre capisaldi di livellazione di precisione, e un ammasso di tronchi di colonne e trabeazioni semimmerso in uno stagno che d'estate costituisce uno dei focolai di malaria. Qualche anno addietro le Autorità comunali di Pozzuoli volevano risanare il luogo interrando di nuovo l'edificio. Veramente uno dei metodi per risanare i luoghi acquitri¬ nosi è proprio quello delle colmate, e qui da noi è stato pra¬ ticato al lago di Agnano, a Licola e a Varcaturo, e ha dato ot¬ timi risultati ; ma vi è anche l'altro delle foci, come fu fatto al Lucrino, all'Averno, al Fusaro e al Mare Morto, il quale dà ottimi risultati quando le foci son praticate con coscienza e tenute sempre in efficienza. Questo secondo metodo è quello che s'impone per il Serapeo, e non sono mancati voti in que¬ sto senso, voti che son sempre rimasti lettera morta. Il Sera¬ peo è già in comunicazione col mare, ma il canale è total¬ mente abbandonato, che non permette più il passaggio dell'ac¬ qua, e, di più, non è costruito in modo da dare affidamento, anche quando fosse stato ripulito, poiché è angusto e non ri- — 4 — sponde a tutte le volute esigenze. Per risolvere sul serio la que¬ stione bisogna affrontare totalmente il problema, che consiste nel costruire due foci che permettono il libero passaggio dell'acqua del mare. Così facendo si potrà avere la perfetta circolazione dell'acqua e, quindi, il totale risanamento. Il Serapeo, dopo il terremoto del 63 d. C. fu restaurato ed il suo pavimento, secondo quanto afferma il Niccolini i), era di circa 5 metri sul livello del mare. Altri lavori di restauro furono eseguiti verso il 250 dopo Cristo, e da quest'epoca dovette co¬ minciare l'abbassamento poiché non si hanno più notizie. I de¬ positi sotto cui venne coperto si succedono nell'ordine seguente: strato di circa 60 cm. di calcare oscuro con serpule (il che ci in¬ dica che già il Tempio veniva inondato dalle acque marine miste ad acqua dolce, che deposero il carbonato di calce); tufo vulca¬ nico di un metro e mezzo circa di spessore, derivante forse dal¬ l'eruzione della Solfatara del 1198; indi un deposito di circa un metro di spessore con qualche Planorbis , e finalmente un am¬ masso vulcanico, di spessore ancora di qualche metro, coprì tutti i materiali sottostanti * 2). Lo studioso ed il turista che si recano da Pozzuoli alla Solfatara trovano in ogni dove ruderi che meritano la loro at¬ tenzione e trovano in essi sempre da imparare qualche cosa. Lo spettacolo che la natura offre mentre si percorrono quelle poche centinaia di metri per giungere alla Solfatara è dei più attraenti e per la vastità del mare e per le linee morbide dei vari coni vulcanici dei Campi Flegrei. L'occhio si può spaziare a suo pia¬ cimento: da Capri al Monte Barbaro, da Capo Posillipo al Monte Nuovo, dal seno di Baia col suo Castello al vulcanetto di Ni- sida. Io credo che questa varietà di forme ed il clima dolce con¬ tribuirono a fare di Pozzuoli una delle più belle e ricche Città marittime dell'Antichità. h Niccolini, A. — • L. C. pag. 31. L’autore, forse per notizie errate, parla di restauri eseguiti dopo il terremoto del 73 d. C. ; in quest'anno non vi fu , alcun terremoto, invece, ve ne fu uno disastroso per Ercolano, Pompei, Stabia, Nocera, Pozzuoli, avvertito fino in Asia, il 5 febbraio del 63 d. C. Io credo che l'autore si volesse riferire proprio a questo. A tale scopo si confronti : Mer- calli, G. - Vulcani e fenomeni vulcanici. Milano, Vallardi, 1883, pag. 282. 2) Mercalli, G. — L. C. pag. 22. La Solfatara, Forum Vulcani degli antichi, è il centro vul¬ canico più attivo dei Campi Flegrei, e come lo stesso nome in¬ dica si trova allo stato di solfatara. La sua attività è andata man mano diminuendo, come è andata diminuendo quella di tutti i Campi Flegrei, ma è lontana dallo spegnersi, e, forse, non è da escludere il caso che possa di nuovo riaccendersi, come avvenne nel 1198. La sua forma è ellittica con l'asse maggiore di circa m. 770 ed il minore di in. 580; mentre il perimetro superiore si aggira intorno ai 2 chilometri e 200 metri, ed il suo piano si eleva di m. 92 sul livello del mare. Per la sua costituzione geologica, la Solfatara appartiene, seguendo il De Lorenzo !), al 3° periodo dei campi Flegrei , il quale è caratterizzato da eruzioni subaere con materiale preva¬ lentemente frammentario di natura trachiandesite di una tinta ge¬ nerale grigiastra; ed è intimamente connessa al cratere centrale di Agnano, da cui ebbe origine, cogli Astroni, per successive esplosioni ed eruzioni. Le pareti del cratere sono formate da tufi e conglomerati vulcanici, e da masse di trachite. La massa mag¬ giore s'innalza a sud a costituire la Punta meridionale della Sol¬ fatara ed il principio della grande corrente lavica costituente la parte superiore del monte Olibano. Ai piedi di questa massa, se¬ guendo il De Luca ed il Mercalli, troviamo la Piccola Solfa¬ tara, la quale costituisce una delle zone più attive, e con le sue continue esplosioni riproduce in piccolo ciò che avvenne in tutti i Campi Flegrei. Ed è in questa zona, come osserva anche il Mercalli 1 2), che da tre secoli circa si va spostando l'attività della Solfatara, ed ove da un certo tempo si vanno notando temperature di poco inferiori, come ci mostra la Bocca del 21 aprile 1921 con la sua temperatura massima di 143°, 5 centigradi, a quelle della Bocca Grande, la quale dista dal punto centrale della Piccola Solfatara di circa 150 metri. Interessante è il feno¬ meno dell'aumento di condensazione del vapore d'acqua, che qui si osserva, quando vengono avvicinate ad una delle fuma- 1) De Lorenzo, G. — Fattività vulcanica dei Campi Flegrei, pag. 13. 2) Mercalli, G. — Sullo stato attuale della Solfatara di Pozzuoli. Atti Accademia Pontaniana, Voi. 37, pag. 14. Napoli, 1907. - 6 — role delle fascine, delle torce di resina accese, o anche una sem¬ plice sigaretta. Questo fenomeno fu notato, certamente, anche da Breislack verso il 1795, il quale si serviva appunto di un corpo accesso per mettere in evidenza le mofete. Però il De Luca e il Palmieri ne fanno espressamente parola nei loro lavori, ma senza darne spiegazioni. Solamente nel 1908 il Prof. Lo Surdo, in una interessante nota , pubblicata nel “ Nuovo Cimento „ !) mostra che i fenomeni, i quali si osservano alla presenza di torce di resina o di fascine accesse, si ottengono pure e con grande vistosità se si fa arrivare sulle fumarole una corrente di aria ionizzata con ioni grossi e pesanti, oppure contenendo nu¬ clei non carichi di elettricità. In sostanza il fenomeno di con¬ densazione che si osserva alla Solfatara non è caratteristico di quelle fumarole; ma rientra nella stessa categoria di quelli che si potrebbero produrre su di un semplice getto di vapore d'acqua. Grande interesse mostra anche la zona completamente caoliniz- zata che costituisce la parte completamente sterile della Solfa¬ tara. Io ritengo col Mercalli che essa deve corrispondere alla area dell'antico lago fangoso della Solfatara di cui fa parola il Burchardi nel 1494, e che I'Hamilton verso il 1770 1 2) do¬ vette trovare prosciugato. In questa zona si producono, durante stagioni di forte pioggia, sprofondamenti, pseudo-vulcanetti, che lanciano a discreta altezza del fango bollente, e che hanno tem¬ perature intorno ai 100°, però non è questa la temperatura mas¬ sima della zona : poiché vi sono punti in cui essa raggiunge i 107° centigradi. Da perforazioni fatte in vari punti è risultato che a circa 10 metri di profondità, si riscontra uno strato suf¬ ficientemente duro la cui temperatura varia intorno ai 100° cen¬ tigradi. La temperatura massima è data dalla Bocca Grande. Essa costituisce il punto più attivo della Solfatara e di tutti i Campi Flegrei, la temperatura massima riscontrata in questi ultimi tempi, ed in varie riprese, è stata di 162°, 5 centigradi. Ho detto in 1) Lo Surdo, A. — La condensazione del vapor d'acqua nelle emanazioni della Solfatara di Pozzuoli. 11 Nuovo Cimento, Sez. V, Tomo 16, Pisa, 1908, pag. 315. 2) Mercalli, G. — Sullo stato attuale etc. pag. 7. — 7 — questi ultimi tempi, poiché la sua attività, come quella di tutti i Campi Flegrei, ha subito dei massimi e minimi, ed ora procede verso un massimo. Quest'aumento di attività coincide con l'inizio del nuovo abbassamento del Tempio di Serapide, il quale segue evidentemente tutte le varie vicende della costa da Coroglio al Capo Miseno. L'attività vulcanica dei Campi Flegrei ed il bradi- sisma come ebbi già a dire in una mia comunicazione verbale del luglio scorso, sono intimamente connessi tra loro. Le zone di massima attività vulcanica sono quelle ove mag¬ giormente si sentono i fenomeni bradisismici, dove questi fenomeni mancano, o sono impercettibili, come a Napoli, Nisida, Capo Mi- seno, manca ogni attività vulcanica o al più si trovano delle mofete. Questa relazione mi è risultata dal confronto tra la carta termica dei Campi Flegrei, da me costruita, e i dati delle varie livella¬ zioni di precisione eseguite in questa zona fino al 1923 dall’ I- stituto Geografico Militare. Scorrendo la storia di questi luoghi vediamo che anche per il passato, abbassamento ed attività vul¬ canica sono stati sempre intimamente connessi. E difatti, con il massimo abbassamento del Tempio di Serapide , verificatosi se¬ condo il Niccolini , verso il IX o X secolo , secondo altri nel 1198, troviamo l'eruzione della Solfatara, e temperature elevate nel lago di Agnano, tanto da impedire che in esso allignasse qualunque specie di animali acquatici, come attestano i seguenti versi del medico-poeta Alcadino, vissuto al tempo di Federico II: . Iacus est ranis, plenusque colubris, Nec fera, nec pisces inveniuntur ibi. l) Col cessare, al principio del secolo XVI, il secondo ab¬ bassamento, forse il principale secondo Mercalli 2), che abbia su¬ bito la costa tra Pozzuoli e Baia, abbiamo la grande e fulminea eruzione del Monte Nuovo, 28 Settembre 1538. Qui ricomincia di nuovo il sollevamento del tempio di Serapide e con esso vengono alla luce le spiaggie basse al nord e a sud di Pozzuoli. Da quest'epoca mentre il Tempio di Serapide si va solle- 9 Bartolo, S. — Breve ragguaglio del Bagni di Pozzuoli. Napoli, Ron- caglio, 1667, pag. 42. 2) Mercalli, G. — Vulcani e fenomeni vulcanici , pag. 21 e segg. — 8 — vando , secondo ci avvisano il Breislack l) ed il Niccolini 2), l'attività vulcanica dei Campi Flegrei si va riducendo a così meschine proporzioni da far ritenere che sia sul punto di scom¬ parire completamente 3) ; essa, però, ricompare verso il 1822, col cominciare del secondo periodo di sommersione del Tempio di Serapide, e va tuttora aumentando, come risulta dalle misure di temperatura che da anni sto eseguendo. Come si vede il Tempio di Serapide non ha solamente in¬ teresse storico- archeologico, ma ha sopratutto interesse scientifico. DalVIstituto di Fisica Terrestre della R. Università di Napoli. 4) Breislack, S. — Voyages physiques dans la Campanie. Tom. II. Pa¬ ris, Dentu, IX (1801), a pag. 161 scrive: «le pavé du tempie de Serapis est maintenant un peu plus bas que le niveau de la mer dans les hautes ma- reés, en sorte que pour en évacuer les eaux qui se rassemblent dans son en- ceinte'par l’effet des pluies, il a fallii y établir une pompe». 2) Niccolini, A. — L. C. a pag. 1 della « Parte geologica » Scrive : « Al- T incominciare dell'anno 1807 mi recai ben dieci volte in quel recinto per di¬ segnare i suoi preziosi avanzi architettonici, trattenendomivi le intere giornate senza vedere stilla di acqua marina sull'ambulacro del portico quando non soffiavano i venti meridionali. Premetto tal circostanza per dire che ritornatovi dopo 15 anni, chiamato dall’ incarico di cui venni onorato di dirigere i lavori che vi si facevano di Sovrano Comando, trovai che le giornaliere maree sali¬ vano sul menzionato ambulacro penetrando l'acqua marina... » 3) Breislack, S. — L. C. a pag. 51 scrive; C’est ainsi que 1’ exhalaison du gaz hydrogène sulfurè qui jaillit des étuves de St. Germain, voisines de la grotte, ont beaucoup perdu de leur ancienne abondance ». Riferendosi all'an¬ tica terma romana osserva: « Aujourd’hui les mèmes anciens canaux ne four- nissent plus de vapeurs, ce qui donne à-la-fois l'explication de l’état de ruine de cette ancienne fabrique, qui lors mème qu'elle subsisterait, ne pourrait pas servir a son premier usage, et la preuve de la diminution de la quantité des vapeurs dans ce lieu ». Più sotto ancora: «...la cause de l’ancienne conflagra- tion des Champs - Phlégréens,... semblent s’approcher peu a peu de leur en- tière extinction ». Ora è notorio che l'attività delle stufe di S. Germano non è per niente scomparsa, e che esse, unite ad altre di nuova costruzione, rispon¬ dono benissimo alle esigenze della nuova Grande Terma di Agnano. La tem¬ peratura massima delle Zona delle Stufe di S. Germano, il 5 maggio 1923, alle 17h (pressione barometrica 767,4 ; temperatura dell’aria 24°, 8 C,) era di 102o, 0 C. Notizie relative al Cratere di Agnano si trovano anche nei prege¬ voli lavori : Spallanzani, L. - Viaggio nelle due Sicilie. Pavia, Comini MCCXC1I, pagg. 70 e 93 e Hamilton. - Oavres complettes, Paris, Moutard 1781, pagg. 183 e 189. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE 1 e 2 Fig. 1. — Veduta d’insieme della Solfatara Fig. 2. — Solfatara - La Pietra Spaccata Fig. 3. — Piano dell'antico lago della Solfatara Fig. 4. — La Bocca Grande della Solfatara Fig. 5. — Solfatara — La Piccola Solfatara. Fig. 6. — Solfatara — La Trincea della Piccola Solfatara. Fig. 7. — Solfatara — La bocca del 21 Aprile 1921 nella Piccola Solfatara. (Fotografie eseguite daW Autore) TAVOLE Boll. d. Soc. dei Nat in Napoli, Voi. XXXVI. Fig. 1. Fig. 2. Tav. /. Fig. 3, Fig. 4. Tav. 2 , Boll. d. Soc. dei Nat. in Napoli Voi. XXXVI. Fig. 6. Tav. 2. Fig. 7. Boll, della Soc. dei Naturalisti in Napoli , Voi. XXXVI . ■II. della Soc. dei Naturalisti in Napoli, Voi. XXXVI. Bali, Sfoc J/aZ.ìn , Vccpo/z Voi. XXXVI JfyZ. S'oclf ù. oUs . Ho.ll.X’oc JVàZ.in /Topo IC Voi. XXXVI Tav. 4 ^Z.S’cOfù.oUs. Boll. d. Soc. d. Naturalisti in Napoli , Voi. XXXVI Tav. 5 OFFICINA CROMOTIPOGRAFICA ALDINA - NAPOLI 4 9 f- Boll. d. Soc. d. Naturalisti in Napoli, Voi. XXXVI Tav. 6. Boll. d. Soc. d. Naturalisti in Napoli, Voi. XXXVI Tav . 7. | : Boll. d. Soc. d. Nàturalisti in Napoli, Voi. XXXVI Tav. 8. U BRARY, - Regno W. — Le idee attuali sulla struttura della materia .Fi M. — Contribuzione alla conoscenza degli Ortotteri libici. — I . Locustidae marmarici . tPOLO G. — Ulteriori notizie di asteroidi anomali. .RGANO C. — Dei tumori spontanei negli uccelli. Il sarcoma aviario COMUNICAZIONI VERBALI COLOMBA G. — Su di un caso di "frutto gemino,, in un Pirus malli s L. . . . ^IRPOLO G. — Zoobotryon pellucidam Ehrbg — Z. verticillatum (Delle Ghiaje) . „ 6 Zirpolo G. — Su di una Beroe ovata con doppia apertura orale . „ 8 CÀVARA F. — Alcuni risultati di incrocii in conigli .... „ 10 Cavara F. — Di urìà discendenza sterile nell' Iris pallida Lam. . „ 13 RENDICONTI DELLE TORNATE (PROCESSI VERBALI) Processi verbali delle tornate 1924 . Consiglio Direttivo per l'anno 1925 . Elenco dei socii ......... Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio e in dono. Gli autori assumono la piena responsabilità dei loro scritti. Per quanto concerne la parte scientifica ed amministrativa dirigersi al SEGRETARIO DELLA SOCIETÀ* Dr. Prof. Giuseppe Zirpolo presso la Sede R. Università — Via Federico II di Svezia pag. Ili „ XXV „ XXVII „ Itl-XIII pag. 272 „ 288 „ 305 „ 347 Prezzo dfìl or ARATI t, a Tfnlnma T inn 2 2 v. > > LIBRARI ES^SMITHSONIAN' INSTITUTION NOIinillSNI NVINOSHIIWS^SB I ava 8 112 CO ^ _ co ~ co - ili A v' CO oc < £Z 3 pl^ 5 ^fjP^ O V^gg/ 52 N^lliyx O " _ -^ c *N0linillSNI^NVIN0SHimS2S3 lava SIIGLI B rari es^smithsonian^institution2 3 ? ^ ^ ^ ^ /^55SSK ^ m 2 '^•*22^ n LIBRARI ES SMITHSONIAN~INSTITUTIONt/>NOIinillSNI_ NVIN0SH1IIAIS S3 I a Va 8 H z: -< co z co 2 NOIinj.llSNI_NVINOSH.MWS S3iaVaaH LIBRARIES SMITHSONIAN INSTITUTION — VMPK/ CQ r V2 O _ O i -* z -J Z . 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