rmi KTviÉÌ S mgm Wv '!& ^ymw f( *? ;ì«! \WWÌ “S^K'd \m L m H^p £ £$&m « Usili mwj mm émm flj? Uri \ìJ C> /m ? Jsfi Jfe yk (]SJ '4 f^m tl -fehv'H [M. i ?gj IMMI .Mai. BOLLETTINO BELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI IN NAPOLI VOLUME L X X I I - 196 3 PUBBLICATO SOTTO GLI AUSPICI DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE NAPOLI Stabilimento Tipografico G. Genovese Pallonetto S. Chiara, 22 1964 BOLLETTINO BELLA VOLUME L X X I I - 1 9 6 3 PUBBLICATO SOTTO GLI AUSPICI DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE NAPOLI Stabilimento Tipografico G. Genovese Pallonetto S. Chiara, 22 1964 GEREMIA D’ ERASMO Commemorazione del socio MARIA MONCH ARMONT ZEI (Tornata del 22 febbraio 1963) Ho accettato con animo grato ronorifìco incarico del nostro Presidente di commemorare in questa sede, che ne vide la fattiva operosità, l’indimenticabile mio Maestro, prof. Geremia D’Erasmo, nel primo anniversario della Sua morte. Temo tuttavia che la mia inesperienza e soprattutto la profonda commozione che mi domina per l’affetto filiale che mi legava a Lui, non mi consentirà un’esposizione ordinata e serena della Sua lunga e feconda opera. Conobbi Geremia D’Erasmo nell’ottobre 1944 quando, dopo gli eventi bellici della seconda guerra mondiale, cominciai a frequentare l’Istituto di Geologia per completare i miei studi. Ancor prima di raggiungere la laurea ebbi la disgrazia di perdere tragicamente il mio adorato Babbo e non potrò mai dimenticare quanto il prof. Geremia D’Erasmo mi sia stato vicino in quei tristi giorni. Tale circostanza mi legò da allora a Lui, nella cui bontà trovai un conforto al mio dolore. Egli, già duramente provato dalla vita, era sempre molto comprensivo verso chi soffriva. Conseguita la laurea, nel luglio 1945, fui da Lui trattenuta presso l’Istituto di Geologia e da allora ne ho seguito e talora diviso le ansie ed il lavoro fino alla Sua scomparsa. Ora più che il dovere di ricordarlo qui, in questo Sodalizio, dove è presente alla memoria di ciascuno di noi, è più vivo in me il bisogno di tributargli quella testimonianza di affetto filiale che ebbi per Lui, anche se altri, più degnamente di me, avrebbe potuto commemorarLo. Ma desidero ricordare in particolare le sue doti di bontà di cuore, di affabilità e di ricchezza di umani rapporti, la Sua personalità di Maestro, a cui debbo la guida nei primi passi della SU ITnfiOf : ! r : ì f- p « Q À ÌKST1TUT10N W* — 4 — carriera, l’incoraggiamento nei momenti difficili, l’aiuto illuminato che generosamente largiva a chi ricorreva a Lui. Geremia D’Erasmo, figlio di Pasquale e di Celeste Gigante, nacque a Carbonara di Bari il 23 marzo 1887. Iscrittosi alla Facoltà di Scienze Naturali nell’Università di Torino nell’anno 1904-1905, passò poi in quella di Napoli, dove completò gli studi universitari nel 1908. Si laureò all’età di 21 anni ed oggetto della sua tesi fu uno studio originale, geologico e paleontologico, sui calcari fossiliferi di Pietraroja nel Beneventano, che condusse sotto la guida del prof. Francesco Bassani. Subito dopo la laurea cominciò a prestare volontariamente l’opera sua nell’Istituto di Geologia dell’Università di Napoli, del quale occupò l’unico posto di assistente ordinario a cominciare dal dicembre 1911. Conservò questo ufficio ininterrottamente pei un ventennio e, fin dai primi anni, si dedicò con passione e completa dedizione al buon funzionamento dell’Istituto, cooperando alacremen¬ te, nel 1912, al trasferimento di questo dai vecchi locali del porti¬ cato del Salvatore, in quelli del monumentale chiostro di San Marcellino. Nell’aprile 1916 Geremia D’Erasmo ebbe la sventura di perdere, a pochi giorni di distanza, l’adorato padre ed il venerato maestro. Ma, anche se doppiamente orfano, Egli non si perse di coraggio, e nonostante su di Lui gravasse la responsabilità delle sorelle e del fratello, tutti più giovani di Lui, continuò senza posa il Suo lavoro. Per un semestre supplì nell’insegnamento il defunto Direttore ; poi, essendo stati temporaneamente affidati a Giuseppe De Lorenzo la direzione dell’Istituto e l’insegnamento, Egli potè dedicarsi con mag¬ gior lena all’attività scientifica e conseguire, nell’agosto 1918, la libera docenza in Paleontologia. Nel marzo 1919 la Facoltà di Scienze fu unanime nell’affidargli, quale continuatore dell’opera di Francesco Bassani, l’incarico del- P insegnamento della Paleontologia, Contemporaneamente Egli con¬ tinuò a dare la sua collaborazione all’Istituto di Geologia tanto nel triennio (1922-1925) in cui la cattedra fu tenuta da Giotto Dainelli. quanto negli anni successivi, nei quali tornò ad occuparla stabilmente Giuseppe De Lorenzo, Nell’anno 1930-1931 fu incaricato del corso ufficiale di Geologia applicata alle costruzioni nella Facoltà d’ingegneria e della direzione — 5 — del relativo Istituto. Tenne inoltre, dal 1930, il corso di Mineralogia e Geologia nella Facoltà di Architettura. Ternato in un concorso di Geologia, fu chiamato a ricoprire, nel 1932, la nuova cattedra di Paleontologia del nostro Ateneo. Nel 1942 passò poi alla cattedra di Geologia, lasciata vacante da Giuseppe De Lorenzo e tenne la direzione dei due Istituti fino al 1957, sino a quando cioè dovette lasciare Tinsegnamento per raggiunti limiti di età. Non per questo però la sua attività venne a cessare o a dimi¬ nuire, perchè Egli continuò a frequentare ITstituto, che tanto sa¬ pientemente aveva diretto, attendendo soprattutto alle sue ricerche preferite ed al riordinamento del Museo. Libero dagli obblighi didat¬ tici delTinsegnamento ufficiale, che aveva sempre disimpegnati con zelo instancabile, Egli si era infatti prefisso di provvedere ad una più opportuna sistemazione delle importanti collezioni litologiche e paleontologiche, che disgraziatamente non erano state risparmiate dalle offese belliche. La parte maggiormente danneggiata era la sala delle collezioni ittiologiche ed assai grande fu il suo dolore per la quasi totale perdita di tanto importante materiale scientifico fatico¬ samente accumulato e amorosamente ordinato. L’opera scientifica di Geremia D’Erasmo, assai vasta e com¬ plessa, è dimostrata da oltre 130 note e memorie, che abbracciano un periodo di cinquanta anni. Dando uno sguardo a tale ricca biblio¬ grafia si scorge subito che, pur non mancando lavori di Geologia stratigrafica, ricerche di paletnologia e di bibliografia, recensioni cri¬ tiche, argomenti di cultura varia e scritti commemorativi, il massimo dell’attività sia stato assorbito dallo studio di ittiofaune di svariata provenienza ed età. Il D’Erasmo fu un vero paleontologo, ed uno specialista nel campo della ittiologia fossile, la cui profonda conoscenza gli aveva procurato larga stima tra i più eminenti ittiologi delle diverse na¬ zioni. Le sue memorie, sempre ricche di numerose illustrazioni, rap¬ presentano il frutto di ricerche lunghe, pazienti e diligenti, pubblicate soltanto quando i risultati gli apparivano sicuri e definitivi. L’illu¬ strazione delle faune non venne mai da Lui considerata come fine a sè stessa, ma ebbe sempre di mira che la Paleontologia, storia della creazione organica, deve soprattutto avere un fine cronologico. Tale era la sua fama quale specialista in paleoittiologia, che più volte gli vennero affidate in studio ricche collezioni di pesci fossili facenti parte delle raccolte dei maggiori musei italiani; sicché le sue ricer- — 6 — che, feconde di risultati, potettero abbracciare materiali di studio delle più varie età, dal Trias al Quaternario. Non è qui il caso di esaminare in dettaglio la notevole mole di pubblicazioni di argomento strettamente paleoittiologico ; pur tuttavia un quadro sintetico della sua attività scientifica, in tale difficile campo della Paleontologia, suddiviso cronologicamente, varrà a mettere nella giusta luce ed a fare apprezzare l’opera vasta di scrupoloso indagatore. Ittioli ti triassici della provincia di Salerno furono illustrati in uno dei suoi primi lavori, con il quale oltre a far conoscere una nuova località fossilifera della zona, aggiungeva nuove specie all’ittio¬ fauna del Salernitano. Non privi d’interesse sono i contributi portati alla conoscenza dei pesci giurassici della Somalia. Nonostante la frammentarietà degli avanzi provenienti dalle vicinanze di Barrar, Egli riusciva infatti a ricostruirne l’habitat ed a stabilirne, anche se con riserva, l’età giu¬ rassica. Considerazioni ancora più interessanti gli permisero i resti provenienti dalla « serie di Lugli » ( Somalia meridionale) special- mente per la presenza del nuovo genere Priohybodus. Impulso senza confronto maggiore ebbe dai suoi studi la cono¬ scenza della ittiofauna cretacica, sia per la ricchezza del materiale esaminato che per la molteplicità delle località di provenienza. Fra le pubblicazioni maggiori meritano un particolare cenno la grande monografia illustrante la fauna dei calcari di Pietraroja, premiata al IX concorso Molon della Società Geologica italiana, nella quale viene illustrata una ricchissima collezione di fossili (circa 400 esem¬ plari) consistenti principalmente in pesci, rettili, anfibi e crostacei, il cui studio gli permise di giungere a conclusioni precise ed inte¬ ressanti sull’età dei calcari compatti cenerognoli ad ittioliti ; quella di Capo d’Orlando, in collaborazione col suo maestro Bassani; quella della Dalmazia e dell’Istria, ed infine quella di Comeno, con la quale venne ad aggiornare e ad accrescere le conoscenze sull’ittio- fauna cretacea del Carso Triestino, esaminandone criticamente la costituzione, descrivendone particolareggiatamente le varie specie, riassumendone i caratteri ecologici e climatologici e stabilendone i rapporti con le altre ittiofaune coeve dell’Italia e dell’estero. Va ancora ricordato, fra gli altri lavori riguardanti ittioliti cretacei, l’accurato studio di una raccolta di pesci fossili provenienti dal Brasile, di cui stabilì l’età cenomaniana. La fauna, pur risultando costituita per la massima parte da specie esclusive dei depositi brasi- — 7 — Ha ni, offriva lo stesso grado di evoluzione e spiccate affinità con quelle riscontrate in Europa, nell’America settentrionale ed in Australia. Ugualmente degno di nota è il complesso di lavori sui pesci neogenici d’Italia. Nelle poderose memorie vengono infatti magistral¬ mente illustrate le ittiofaune fossili, costituite da oltre duemila esem¬ plari, provenienti dagli scisti tripolacei e dalle sovrastanti marne ed argille gessose di Racalmuto, di Senigallia, del Gabbro. La descrizione degli ittioliti è accompagnata dagli opportuni confronti con le già note faune dei coevi giacimenti di Licata e di Gran ed è seguita da considerazioni riguardanti l’habitat e l’età di tali depositi. Ma non solo alla ittiologia fu rivolta l’opera paleontologica del D’Erasmo; che anche nello studio di altri vertebrati Egli rivelò ancora una volta le sue doti di solida preparazione, di acuta Gsser- vazione, di minuziosa e precisa descrizione, di ampio e sicuro con¬ fronto. Così meritano ancora speciale menzione le importanti mono¬ grafie scritte in collaborazione con De Lorenzo e quella, ultima in ordine di tempo, alla quale ebbi l’onore di collaborare io stessa, sui mammiferi quaternari e l’uomo paleolitico nell’Italia meridionale. In questi lavori sono esaminati, confrontati ed illustrati tutti i più importanti avanzi che YElephas antiquus italicus , VHippopoiamus amphibius e gli altri grandi mammiferi lasciarono nelle principali valli fluviali e nei depositi lacustri pleistocenici, mettendoli in rela¬ zione con le vestigia dell’attività dell’uomo paleolitico e discutendone le affinità specifiche e razziali, nonché la filogenia. A questo stesso gruppo di lavori, condotti con ampiezza di respiro e scrupolosità di metodo appartengono anche le ricerche sui resti di Elephas meridionalis rinvenuti in Abruzzo ed in Lucania. Non solo vengono illustrati gli importanti reperti, ma, con una visione spiccatamente naturalistica, vengono esaurientemente spie¬ gate le ragioni che impedirono a questo elefante pliocenico di rag¬ giungere nel mezzogiorno d’Italia la grande diffusione che vi ebbe invece, nel successivo Pleistocene, YElephas antiquus . Se i lavori di cui dianzi ho fatto cenno rivestono un carattere esclusivamente paleontologico, di non minore importanza appaiono quelli più spiccatamente geologici, fra i quali mi limito a ricordare quello riguardante l’esame del copioso materiale estratto dai numerosi pozzi profondi trivellati- della Campania, l’interessante illustrazione dei così detti crateri della pozzolana nei Campi Flegrei, la discus¬ sione su di un preteso centro eruttivo della pianura campana ad / — 8 — ovest di Aversa e la vasta ed esauriente trattazione sul mare plioce¬ nico nella Puglia, che rappresenta il risultato di un’approfondita analisi di una ricca bibliografia, dalla quale Egli seppe far scaturire un’armonica sintesi geologica e paleogeografica. Accuratissimo nella ricerca bibliografica, il D’Erasmo fu ben lieto di collaborare alla compilazione delle bibliografie geologiche d’Italia, fra le quali spiccano, quali modelli di meticolosità, preci¬ sione e completezza, quelle stese da Lui per la Campania e per la Puglia. La lunga serie di necrologie da Lui fatte per ricordare nelle varie Accademie i meriti di insigni colleghi italiani e stranieri scom¬ parsi, mentre dimostra i legami di schietta amicizia e di affetto che lo legavano ai più eminenti scienziati, ci permette altresì di intra¬ vedere, sotto la veste dell’uomo di scienza, le intime qualità di un animo nobile e profondamente sensibile. Le numerose benemerenze di Geremia D’Erasmo, largamente riconosciute nel mondo scientifico, gli procurarono meritati onori. Molti Sodalizi italiani e stranieri lo vollero socio. Oltre che della nostra Società a cui apparteneva dal 1929 e di cui era, da più anni, attivissimo Presidente, Egli era socio nazionale della Accademia dei Lincei, dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli alla quale era particolarmente legato facendone parte dal 1921 e di cui era Segretario dal 1931 ; Segretario generale della Società na¬ zionale di Scienze, Lettere ed Arti ; socio ordinario dell’Accademia Pontaniana, dell’Istituto d’incoraggiamento di Napoli. delLAccademia Pugliese delle Scienze ; corrispondente della Accademia delle Scienze di Torino ; era socio della Società Geologica Italiana, della Società Paleontologica Italiana, deìlTstituto italiano di Paleontologia umana ; era poi componente della Commissione per le bibliografie geolo¬ giche ; era stato anche componente del Comitato nazionale per la Geologia del Consiglio nazionale delle Ricerche e del Centro di Studi Silani ; vice presidente della Commissione geologica del Ser¬ vizio geologico d'Italia ; membro del Comitato tecnico e componente del Consiglio di Amministrazione dell’Osservatorio Vesuviano; mem¬ bro dell’Istituto italiano di Preistoria e Protostoria e della Paleonto- logical Society of America. Fra le tante società ed accademie che si sentirono onorate di averlo socio, a due Egli era particolarmente legato, sì che quasi si poteva considerare un tutt’uno la figura del nostro grande amico e maestro, con l’attività di esse. Intendo riferirmi alla nostra Società 9 — dei Naturalisti, per la cui sempre maggiore affermazione da alcuni anni dava tante delle sue cure e della sua attività assicurandone la vita ed il funzionamento ; e ben a ragione quindi noi lo volemmo nostro Presidente, riconfermandolo ripetutamente. Ma ancora mag¬ giore fu il suo attaccamento ed il suo interesse per la Società Nazio¬ nale di Scienze, Lettere ed Arti, già Società Reale, per il cui per¬ fetto funzionamento si prodigò in mille modi, soprattutto nel periodo post-bellico, allorquando la Società andava lentamente risorgendo dalle rovine della guerra. Oltre al già notato premio Molon della Società Geologica italia¬ na. conferitogli nel 1913, aveva ottenuto nel 1929 il premio della Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli; nel 1929 la medaglia d’oro della Società italiana delle Scienze (detta dei XL): nel 1931 il premio ministeriale per le Scienze naturali dell’Accade¬ mia dei Lincei. Era cavaliere della Corona d’Italia dal 1919. Nel 1959 era stato insignito di diploma e medaglia d’oro dei Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte. Alle alte qualità di scienziato e di maestro Geremia D’Erasmo univa quelle dell’animo nobile e gentile. Integro di carattere, delicato nei sentimenti, esemplare nell’ordine. Egli era cortese e comprensivo con tutti. In tutta la sua vita ebbe di mira l’adempimento del proprio dovere ed esigeva die anche gli altri si comportassero alla stessa maniera. Laboriosissimo, dedicava l’intera giornata all’attività del suo Istituto, occupandosi con grande zelo degli allievi, della biblio¬ teca, del Museo. L’insegnamento fu per Lui un apostolato ; quelle delle lezioni erano le sue ore più liete. Quante volte ebbe a dirmelo, mentre assieme preparavamo il materiale dimostrativo ! La precisione e la semplicità del suo linguaggio attirava i giovani alle lezioni, che furono sempre vero modello di sobrietà e di chiarezza. Non è perciò da meravigliare se molti dei suoi allievi raggiunsero posti preminenti, riconoscendo sempre in Lui il buon consigliere, il valido protettore, il dotto maestro di scienza e di vita. Egli soleva dire : « Cerco di trarre dal lavoro la forza per continuare a vivere ». La sua vita infatti fu tutt’altro che lieta, le avversità si accanirono più volte contro di lui privandolo, troppo prematuramente, degli affetti più cari. Nel 1943 mentre nulla gli faceva presagire la grave sciagura che stava per colpirlo, perse, alla tenera età di nove anni, l’unico figliuolo, Mario, che rappresen¬ tava lo scopo della sua vita. Ma il suo calvario non era finito ; dopo — 10 — alcuni anni, nell’aprile 1953, la sua rassegnata esistenza fu di nuovo messa a dura prova : la sua diletta compagna Rosetta, colpita da un’emorragia cerebrale, rimaneva semiparalizzata e priva di parola. Assieme alla buona sorella Lina assistette per 8 lunghi anni l’adorata moglie inferma e per quanto a volte fosse veramente stremato di forze, non venne mai meno al suo lavoro. Egli non volle mai avere troppi riguardi per sè e con l’andar degli anni la sua forte fibra cominciò naturalmente a dar segni di stanchezza. Ma bisognava indovinare, più che capire, che a volte non si sentiva bene ! Riservatissimo fino all’eccesso, Egli aveva sempre timore di dar fastidio ; visse molto modestamente e con semplicità di gusti. Il 4 febbraio 1962, nelle prime ore del mattino, in Napoli, mentre si dirigeva a dare il suo estremo saluto ad un congiunto deceduto a Bari, il prof. Geremia D’Erasmo chiudeva improvvisamente la sua vita terrena. Egli si è allontanato da noi in silenzio, quasi con quella discrezione che era per Lui un costume di vita. Signori , le mie disadorne parole, inadeguate alla esaltazione dei meriti di Geremia D’Erasmo, rappresentano soprattutto l’espressione vivis¬ sima del mio affetto e della mia gratitudine verso Tillustre Estinto. Io ebbi la fortuna di essere la sua allieva prediletta, e la Sua vene¬ rata memoria rimane scolpita nell’animo mio, come sono certa rimarrà imperitura nel cuore di voi tutti, fulgido esempio di virtù, di sapienza, di rara modestia ! Napoli , Istituto Paleontologico dell' Università, febbraio 1963. — Il — ELENCO CRONOLOGICO DELLE PUBBLICAZIONI 1. Sopra alcuni avanzi di pesci cretacei della provincia di Lecce . « Atti Acc. Se. fis. e mal. », s. 2a, voi. XV, n. 5, pp. 1-8, lav, 1. Napoli, 1911. 2. Risultati ottenuti dallo studio di alcuni Actinopterigi del calcare cretacico di Pietraroja in prov. di Benevento. « Atti Soc. it. Progr. Se. », IV Riun. (Napoli, 1910), pp. 797-800. Roma, 1911. 3. Recensioni di paleoittiologia. « Riv. ital. di Paleont. », voi. XVII I. Parma, 1912. 4. Appunti sui fossili del monte Libano illustrati da Oronzio Gabriele Costa. « Riv. ital. di Paleont. », voi. XVIII, pp. 91-100, tav. 1. Parma, 1912. 5. La ittiofauna del calcare cretacico di Capo d’Orlando presso Castellammare (Napoli). « Mem. Soc. it. d. Se. (detta dei XL) », s. 3a, voi. XVII, pp. 185-243, tavv. 6, figg. 15. Roma, 1912 (in collabor. con F. Bassani). 6. Il Saurorhamphus Freyeri Heckel degli scisti bituminosi cretacei del Carso triestino (Comen, Malidol e Vucigrad )„ « Boll. Soc, Adriatica di Se. nat. », voi. XXVI, pp. 45-88. figg. 15, tavv. 2. Trieste, 1912. 7. Su alcuni avanzi di pesci triassici nella prov. di Salerno. « Atti Acc. Se. fis. e mat. », s. 2a, voi. XVI, n. 1, pp. 12, figg. 4. Napoli, 1914. 8. La fauna e l’età dei calcari a ittioliti di Pietraroja (prov. di Benevento ). « Pa- laeont. ital. », voi. XX, pp. 29-86, tavv. 7 ; voi. XXI, pp. 59-112, tavv. 6. Pisa, 1914 e 1915. 9. Francesco Bassani. Coinmemorazione. « Boll. Soc. geol. it. », voi. XXXV, pp. IL- LXXVI. Roma, 1916. 10. Su alcuni ittioliti miocenici della provincia di Siracusa. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 3a, voi. XXVI. pp. 114-128, tav. 1. Napoli, 1920. 11. Su due specie di pesci delle arenarie langhiane bellunesi. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 3a, voi. XXVII, pp. 226-232, tav. 1. ]\apoli, 1921. 12. Contributo alla ittiologia dell’Italia meridionale. I. Un Picnodonte (Coelodus Costai Heckel ) del calcare di Alessano in prov. di Lecce ; IL Leptolepis uff. sprattiformis (de Blainville) Agassiz del calcare cretacico di Roccadevandro in prov. di Caserta ; III. Nuovi ittioliti delle argille marnose plistoceniche di Ta¬ ranto. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 3% voi. XXVIII, pp. 14-38, tavv. 4. Napoli, 1922. 13. Catalogo dei pesci fossili delle tre Venezie. « Mem. Ist. Geol. Univ. Padova », voi. VI, pp. 1-181, tavv. 6. Padova, 1922. 14. Giovanni Cappellini. Commemorazione. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 3a. voi. XXVIII, pp. 181-184. Napoli, 1922. 15. Il Petalopteryx elegans (Bassani) dei calcari cretacici dell’Istria e della Dalmazia. cc Boll. Soc. geol. it. », voi. XLII. pp. 109-120, tav. 1. Roma, 1923. 16. Su di un preteso centro eruttivo nella pianura campana ad ovest di Aversa. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 3a, voi. XXIX, pp. 28-35, tav. 1, fig. 1. Napoli, 1923. - 12 — 17. lttioliti miocenici di Rosignano - Piemonte e di Vignale. « Meni. Uff. geol. d’It. », voi. IX, p. 2a, pp. 7-39, tavv. 4. Roma, 1924. 18. Brevi osservazioni sul « Coelodus materanus Silvestri » del calcare cretacico delle Murge. « Riv. it. di Paleont. », voi. XXX, fase. 1° e 2°, pp. 13-16. Parma, 1924. 19. Nuovi vertebrati del calcare bituminoso di Ragusa in Sicilia , « Rend. Acc. Se. fis. è mat. », ?.. 3\ voi. XXXI. pp. 125-132. Napoli. 1925. 20. Su alcuni fossili dell’isola di Milo raccolti dal doti. Sonder. « Zeitschr. fiir Vulkan. », voi. Vili, pp. 230-237. Berlino, 1924. 21. A proposito del carbone delle Murge. « La Gazzetta di Puglia », a. XXXIX, n. 189, p. 3. Bari, 9 agosto 1925. 22. Avanzi eneolitici della caverna del Cervaro presso Lagonegro . « Atti Acc. Se. fis. e mat. », s. 2a, voi. XVII, n. 7, pp. 26, tavv. 6. Napoli. 1926. 23. Arambourg C. Révision des poissons fossiles de Licate. « Riv. it. di Paleont. », voi. XXXII, pp. 6-13. Pavia, 1926. 24. L’Elephas antiquus nell’Italia meridionale. « Atti Acc. Se. fis. e mat. », s. 2a, voi. XV IL n. 11, pp. 1-105, tavv. IO, figg. 21. Napoli, 1927 (in collabor. con G. De Lorenzo). 25. U Istituto di Geologia , Geografia fisica e Paleontologia della R. Università di Napoli. « Annali Oss. Vesuv. », s. 3a, voi. Ili, pp. 99-147, figg. 5, tavv. 7. Napoli, 1926. 26. Su alcuni ittioliti del Museo Civico di Storia naturale di Trento. « Studi tren¬ tini », classe II, a. Vili, pp. 12, tavv. 2. Trento, 1927. 27. Il petrolio nell’Italia meridionale. « Riv. di fis., mat. e se. nat. », s. 2a, voi. II, pp. 345-368, fig. 1. Napoli, 1928. 28. Studi sui pesci neogenici d’Italia. I. L’ittiofauna fossile di Racalmulo. « Giorn. Soc. di Se. nat. ed econ. », voi XXXV, pp. 42, tav. 1. Palermo, 1928. 29. Cenni geologici sui Campi Flegrei. « Atti XIX Congr. Naz. Assoc. it. idrol., elimat. e terap. fis. » (Campi Flegrei, 1928), pp. 162-173. Napoli, 1928. 30. Il Tetrabelodon ( Trilophodon ) angustidens Cuvier sp. della pietra leccese. «Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 3a, voi, XXXIV, pp. 220-235, tavv. 2. Napoli, 1928. 31. Ciro Chistoni. Commemorazione. « Atti Acc. Pontan. », voi. LIX, pp. 357-375. Napoli, 1929. 32. Studi sui pesci neogenici d’Italia. IL L’ittiofauna fossile di Senigallia. « Atti Acc. Se. fis. e mat. », s. 2a, voi. XVIII. n, 1, pp. 1-88. tavv. 4, figg. 13. Napoli, 1929. 33. Nuove osservazioni su l’Elephas antiquus dell’Italia meridionale. « Atti Acc. Se. fis. e mat. », s. 2a, voi. XVIII, n. 5, pp. 1-15, figg. 12. Napoli, 1930 (in collabor. con G. De Lorenzo). 34. Studi sui pesci neogenici d’Italia. III. L’ittiofauna fossile del Gabbro. « Atti Acc. Se. fis. e mat. », s. 2a, voi. XVIII, n. 6, pp. 118. tavv. 4. Napoli. 1930. 35. L’Elephas meridionalis nell’Abruzzo e nella Lucania. « Atti Acc, Se. fis. e mat. », s. 2a, voi. XVIII, n. 8, pp. 1-25, tavv. 3. Napoli, 1930. 13 — 36. Studio geologico dei pozzi profondi della Campania. « Boll. Soc. Naturai. », voi. XLIII, pp. 15-143. Napoli, 1931. 37. / crateri della pozzolana nei Campi Flegrei . « Atti Acc. Se. fis. e mat. », s. 2a, voi. XIX, n. 1, pp. 1-55, tavv. 6, figg. 5. Napoli, 1931. 38. Ancora su VElephas antiquus di Pignataro Interamna. « Rend. Ace. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. I, pp. 16-19. Napoli, 1931 ( in collabor. con G. De Lorenzo). 39. Avanzi di pesci della « Serie di Lugh » in Somalia. « Palaeontographia italica », voi. XXXII, pp. 29-34, figg. 5. Pisa, 1931. 40. Michele Guadagno. Commemorazione. « Boll. Soe. Naturai. », voi. XLIII, pp. 425- 434. Napoli, 1932. 41. S. Alberto Magno e le Scienze naturali . « Riv. di fis., mat. e Se. nat. », anno VI, fase. 3, pp. 158-160. Napoli, 1932. 42. L’uomo paleolitico e VElephas antiquus nella valle del Liri. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. II, pp. 40-44 . Napoli, 1932 (ristamp. in Bull, di Pa- letnol. ita!., anno LII. Roma, 1932 (in collabor. con G. De Lorenzo). 43. Necrologia di Raffaello Bellini. « Boll. Soc. geol. it. », voi. LI, pp. CLXI-CLXVI. Roma, 1932. 44. Relazione dei lavori compiuti dalla R. Accademia delle Scienze fisiche e mate¬ matiche durante Vanno 1931. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. II, pp. 3-6. Napoli, 1932. 45. La fauna della grotta dì Loretello presso Venosa. « Atti Acc. Se. fis. e mat. », s. 2a, voi. XIX, n. 4, pp. 18, tavv. 3. Napoli, 1932. 46. L’uomo paleolitico e VElephas antiquus nell’Italia meridionale. « Atti Acc. Se. fis. e mat. », s. 2a, voi, XIX, n. 5, pp. 107, tavv. 9, figg. 42. Napoli, 1933 (in collabor. con G. De Lorenzo). 47. Un capitolo inedito dei « Viaggi alle Due Sicilie » di Lazzaro Spallanzani. « Riv. di fis., mat. e Se. nat. », s. 2a, voi. VII, pp. 449-462. Napoli, 1933. 48. Relazione dei lavori compiuti dalla R . Accademia delle Scienze fisiche e mate¬ matiche durante Vanno 1932. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. Ili, pp. 3-7. Napoli, 1933. 49. Sui resti di vertebrati terziari raccolti nella Sirtica dalla Missione della Reale Accademia d’Italia (1932). «Rend. Acc. Lincei», Gl. Se. fis. », s. 6a, voi. XVII, 1° sem., pp. 656-658. Roma, 1933. 50. Il bradisismo di Paestum . « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. XV, pp. 157- 166. Napoli, 1934. 51. Su alcuni avanzi di vertebrati terziari della Sirtica. « Missione della R. Acc. d’It. a Cufra ». Fondaz. A. Volta, Viaggi di studio ed esplorazioni, pp. 23, tavv. 2, figg. 16. Roma, 1934. 52. Sopra alcuni avanzi di vertebrali fossili della Patagonia raccolti dal doti. E . Feruglio. « Atti Acc. Se. fis. e mat. », s. 2a, voi. XX, n. 8, pp. 26, tav. 1. Napoli, 1934. 53. Relazione dei lavori compiuti dalla R. Accademia delle Scienze fisiche e mate¬ matiche durante Vanno 1933. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. IV, pp. 3-6. Napoli, 1934. — 14 — 54. Il mare pliocenico nella Puglia. « Meni. geol. e geogr. tli G. Dainelli », voi. IV, pp. 47-138, 1 carta geol. 1:500.000, 1 carta moviin. vert. 1:1.000.000. Firenze, 1934. 55. Relazione sui lavori compiuti dalla R. Accademia delle Scienze fisiche e mate¬ matiche durante Vanno 1934. « Rend. Acc; Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. V, pp. 3-6. Napoli. 1935. 56. Avanzi di ippopotamo nelVltalia meridionale, « Atti Acc. Se. fis. e mat. », s. 2a, voi. XX, pp. 1-18, tavv. 2. Napoli, 1935 (in collabor. con G. De Lorenzo). 57. Il bradisismo di Paestum. « Pubblicazione dell’Ente per le Antichità ed i Mo¬ numenti della prov. di Salerno », n. II, pp. 32, figg. 18. Salerno, 1935. 58. La Società Reale di Napoli dalle origini alVanno 1934, pp. 19. Napoli, 1935. 59. Relazione dei lavori compiuti dalla R. Accademia delle Scienze fìsiche e mate¬ matiche nelVanno 1935. « Rend. Accad. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. VI, pp. 3-6. Napoli, 1936. 60. Commemorazione del socio straniero Henry Fairfield Osborn. « Rend. Accad. Se. fis. e mat. », s. 4', voi. VI, pp. 78-82. Napoli, 1936. 61. Incrostazioni calcaree simulanti organismi fossili. « Rend. Accad. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. VI, pp. 118-121, figg. 2. Napoli, 1936. 62. Sopra una roccia silicea rinvenuta nel sottosuolo di Minervino Murge. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. VI. pp. 236-242. Napoli 1936 (in collabor. con F. Penta). 63. 2a edizione della Geologia delVItalia meridionale di G. De Lorenzo, pp. 326, figg. 143. Napoli. Editr. Politecnica, 1937. 64. Relazione sui lavori compiuti dalla R. Accademia delle Scienze fisiche e mate¬ matiche nelVanno 1936. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. VII. pp. 3-9. Napoli, 1937. 65. Bibliografìa geologica della Calabria, con particolare riguardo alla Sila. « Studi Silani », pp. 48. Napoli, Itea, 1937 ( in collabor. con E. Abbolito). 66. Storia della Società Reale di Napoli, dalle origini alVanno 1937. Annuario Soc. Reale di Napoli per l’anno 1937, pp. 28. Napoli, 1937. 67. Relazione sui lavori compiuti dalla R. Accademia delle Scienze fisiche e mate¬ matiche nelVanno 1937. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. Vili. pp. 3-8. Napoli, 1938. 68. Ittioliti cretacei del Brasile. « Atti Acc. Se. fis. e mat. », s. 3a, voi. I, n. 3, pp. 44. Napoli, 1938. 69. Avanzi di elefante e di ippopotamo nella Valle del Seie . « Atti Acc. Se. fis. e mat. », s. 3a, voi. I, n. 4, pp. 11, tav. 1, figg. 14. Napoli. 1938. - « Rass. stor. salern. », a. II, n. 2, pp. 203-220, figg. 14. Salerno, 1938 (in collabor. con G. De Lorenzo). 70. Relazione dei lavori compiuti dalla R. Accademia delle Scienze fisiche e mate¬ matiche durante Vanno 1937-38. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. IX, pp. 3-8. Napoli, 1939. 71. Emanuele Quercigh. Commemorazione , « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. IX, pp. 108-116. Napoli, 1939. — 15 — 72. Il Vesuvio e i Campi Flegrei alla fine del Settecento nelle descrizioni di Lazzaro Spallanzani e di altri contemporanei. « Comm. Spallanzaniane Univ. di Pavia », voi. II, pp. 7-41. Pavia, 1939. 73. Carlo Fabrizio Parona ( 1855-1939 ). Commemorazione . « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. IX, pp. 130-147. Napoli, 1939. 74. Relazione sui lavori compiuti dalla R. Accademia delle Scienze fisiche e mate¬ matiche durante Vanno 1938-39 . « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. X, pp. 3-9. Napoli, 1940. 75. Due secoli di attività scientifica della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli . Suppl. al « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. IX, pp. 171. Napoli, 1940. 76. Relazione sui lavori compiuti dalla li. Accademia delle Scienze fisiche e mate¬ matiche della Società Reale di Napoli durante Vanno 1939-40. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. XI, pp. 3-9. Napoli, 1941. 77. Di Niccolò Braucci da Coivano ( 1719-1774 ) e della sua opera inedita dal titolo : Istoria naturale della Campania sotterranea. « Alti Acc. Se. fis. e mat. », s. 3a, voi. II, n. 2, pp. 48. Napoli, 1941. 78. Relazione sui lavori compiuti dalla R. Accademia delle Scienze fìsiche e mate¬ matiche della Società Reale di Napoli durante Vanno 1940-41. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. XII, pp. 3-8. Napoli, 1942. 79. Relazione sui lavori compiuti dalla R. Accademia delle Scienze fisiche e mate¬ matiche della Società Reale di Napoli durante Vanno 1941-42. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. XIII. pp. 3-10. Napoli, 1943. 80. Elementi di Geografìa fìsica. Voi. in 8°, pp. 342, figg. 40. Napoli, Morano, 1946 (in collabor. con G. De Lorenzo). 81. L’ittiofauna cretacea dei dintorni di Comeno sul Carso triestino. « Atti Acc. Se. fis. e mat. », s. 3% voi. II, n. 8, pp. 128, lav. 1, figg. 34. Napoli, 1946. 82. Giuseppe Checchia Rispoli. Commemorazione. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. XIV, pp. 268-278. Napoli, 1948. 83. I proboscidati fossili nello stato attuale della scienza. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. XV, pp. 41-53, figg. 3. Napoli, 1948. 84. Elementi di Geologia. Parte I. Litologia. Voi. in 8°, pp. 116. Napoli, 1949. 85. Appunti sulla costituzione geologica dell’ Italia meridionale. Op. in 8°, pp. 43, tavv. 4. Napoli, 1949. 86. Le date di pubblicazione della « Fauna del Regno di Napoli » di Oronzio Ga¬ briele Costa e di Achille Costa , « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. XVI, pp. 14-36. Napoli, 1949. 87. Nuovi rinvenimenti di pachidermi quaternari nella valle del Liri. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. XVI. pp. 160-168, tav. I, fig. 1. Napoli, 1949. 88. Relazione sui lavori compiuti dall Accademia delle Scienze fìsiche e matema¬ tiche durante gli anni 1943-1949 . « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. XVII, pp. 3-15. Napoli, 1950. 89. Annuario della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli per il 1930 (in collabor. con F. Nicolini). Napoli, 1950. 16 — 90. Sopra un teschio di Bos taurus primìgenius Bojanus recentemente rinvenuto a Pignataro Interamna. « Rend. Acc. Se. fìs. e mat. », s. 4% voi. XVII, pp. 259- 262, fìg. 1. Napoli, 1950. 91. Relazione sui lavori compiuti dall’ Accademia delle Scienze fisiche e matema¬ tiche durante Vanno 1950. « Rend. Acc. Se. fìs. e mat. », s. 4a, voi. XVIII, pp. 3-11. Napoli, 1951. 92. Annuario della Società Nazionale di Scienze , Lettere ed Arti in Napoli per il 1951. Napoli, 1951. 93. Relazione sui lavori compiuti dalVAccadeTnia delle Scienze fisiche e matema¬ tiche durante Vanno 1951. « Rend. Acc. Se. fìs, e mat. », s. 4a, voi. XIX, pp. 3-9. Napoli, 1952. 94. Annuario della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli per il 1952. Napoli, 1952. 95. Revisione degli ittioliti miocenici di Era studiati da Oronzio Gabriele Costa. « Rend. Acc. Se. fìs. e mat. », s. 4a, voi. XIX, pp. 125-144, tav. 1, fìg. 1. Napoli, 1952. 96. Nuovi ittioliti cretacei del Carso triestino. « Atti Museo Civico di Storia Natu¬ rale », voi. XVIII, fase. 4, pp. 81-122. tavv. 3, fìgg. 12. Trieste, 1952. 97. I pesci di Sahabi in Paleontologia di Saliabi ( Cirenaica ). « Rend. Acc. Naz. dei XL », s. 4a, voi. Ili, pp. 33-69, fìg. 1, tavv. 4. Roma, 1951. 98. A proposito di una nota del prof , Luigi Ranieri sul bradisismo del Serapeo di Pozzuoli. «Boll. Soc. geogr. ri. », s. 8% voi. VI, pp. 42-44. Roma, 1953. 99. Relazione sui lavori compiuti dall' Accademia delle Scienze fìsiche e matema¬ tiche durante Vanno 1952. « Rend. Acc. Se. fìs. e mat. », s. 4a, voi. XX, pp. 3- 10. Napoli, 1953. 100. Annuario della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli per il 1953. Napoli, 1953. 101. Relazione sui lavori compiuti dall'Accademia delle Scienze fisiche e matema¬ tiche durante Vanno 1953. « Rend. Acc. Se. fìs. e mat. », s. 4% voi. XXI, pp. 3-9. Napoli, 1954. 102. Annuario della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli per il 1954. Napoli, 1954. 103. La rideterminazione altimetrica del Serapeo di Pozzuoli eseguita dall'Istituto Geografico Militare nel 1953. « Boll. Soc. Natur. », voi. LXIII, pp. 37-44. Na¬ poli, 1955. 104. Ramiro Fabiani. «Atti Acc. Pontaniana », voi. V, pp. 445-449, Napoli, 1954. 105. Sul rilevamento geologico del foglio Ccrignola (175) quadrante III. « Boll. Serv. geol. d Tt. », voi. LXXV, pp. 680-681. Roma, 1954 (in collabor. con A. Lazzari, V. Minieri, M. Monch armoni Zei). 106. Ramiro Fabiani. «Boll. Soc. geogr. ital. », s. 8a, voi. VII, pp, 343-348. Roma, 1954. 107. Annuario della Soceità di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli per il 1953. Na¬ poli, 1955. — 17 — 108. Relazione sui lavori compiuti dall* Accademia delle Scienze fisiche e matema¬ tiche durante Vanno 1954. « Rencl. Ace. Se. fis. e raat. », s. 4a, voi. XXII, pp. 3-8. Napoli, 1955. 109. Relazione preliminare sul rilevamento del F. 175 - Cerignola ( Quadrante 11, Lavello ed aree adiacenti ). « Boll. Serv. geol. d’It. », voi. LXXVI, pp. 455- 462. Roma, 1955 (in collabor. con A. Lazzari, V. Minieri, M. Monchae- mont Zei). 110. Sopra un molare di T eleoceras del giacimento fossilifero di Sahabi in Cirenaica. « Rend. Acc. Naz. dei XL », s. 4a, voi. IV e V, pp. 89-102, figg. 14, tav. 1. Roma, 1953-1954. Ili Giovan Battista Alfano . Cenno necrologico. « Il Mattino ». Napoli, 28 dicem¬ bre 1955. 112. Il cranio giovanile di Elephas antiquus italicus di Pignalaro Interamna nella valle del Liri. « Atti Acc. Se. fis. e mat. », s. 3a, voi. Ili, n. 6, pp. 1-32, figg. 17, lavv. 5. Napoli, 1955 (in collabor. con M. Moncharmont Zei). 113. Annuario 1956 della Società Nazionale di Scienze , Lettere ed Arti in Napoli. Napoli, 1956. 114. Relazione sui lavori compiuti dall Accademia delle Scienze fisiche e matema¬ tiche di Napoli durante Vanno 1955. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4% voi. XIII, pp. 3-9. Napoli, 1956. 115. Pietra leccese. « Lexique stratigraphique international », voi. I, Europa, fase. 11, pp. 81-82. Paris, 1956. 116. Annuario 1957 della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli. Napoli, 1957. 117. Relazione sui lavori compiuti dalV Accademia delle Scienze fisiche e matema¬ tiche di Napoli durante Vanno 1956. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. XXIV, pp. 3-8. Napoli, 1957. 118. Commemorazione di Giuseppe C bacchia Rispoli. « Rend. Acc. Lincei ». Cl. Se. Fis., Appendice: Necrologi dei Soci defunti nel decennio die. 1945 - die. 1955, fase. 1, pp. 14-26. Roma, 1957. 119. Poche parole a ricordo di Giuseppe De Lorenzo, «Boll. Soc. Naturalisti», voi. LXVI. pp. 35-39. Napoli, 1957. 120. Maestri che scompaiono : Giuseppe De Lorenzo ( 1871-1957 ). «Boll. Un.v. degli Studi di Napoli», anno VII (1956-57), fase. 3, pp. 64-67. Napoli, 1957. 121. Commemorazione di Giuseppe De Lorenzo. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. XXIV, pp. 152-185. Napoli, 1957. 122. Annuario 1958 della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli. Napoli, 1958. 123. Relazione sui lavori compiuti dalV Accademia delle Scienze fisiche e matema¬ tiche di Napoli durante Vanno 1957 . « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. XXV, pp. 3-8. Napoli, 1958. 124. Bibliograf.a geologica d'Italia, Volume 111. Campania, pp. 556. Napoli, Geno» vese, 1958 (in collabor. con M. L. BeNassai Sgadari). — 18 125. La Vulcanologia nell’opera di Giuseppe De Lorenzo, a Bull. Vulcanol. », s. 2a, voi. XIX, pp. 203-220. Napoli, 1958. 126. Bibliografia geologica d’Italia . Volume III. Campania. Indice analitico , pp. 557- 625. Napoli, Genovese, 1959. 127. Annuario 1959 della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli. Napoli, 1959. 128. Relazione sui lavori compiuti dall’ Accademia delle Scienze fisiche e matema¬ tiche di Napoli durante l’anno 1958. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. XXVI, pp. 3-10. Napoli, 1959. 129. Il vulcanismo meridionale nell’opera di G. De Lorenzo. « Ann. Osserv. Vesu¬ viano », s. 6a, voi. Ili, pp. 1-23. Napoli, 1959. 130. Sopra alcuni avanzi ittiolitici delle arenarie di Harrar. « Studi sulla missione geol. dell’A.G.I.P. (1936-1938)», voi. IV, pp. 251-260, tav. 1. Roma, Acc. dei Lincei, 1959. 131. Bibliografia geologica d’Italia. Volume V. Puglia, pp. XXVI + 252. Napoli. Genovese, 1959. 132. Annuario 1960 della Società Nazionale di Scienze. Lettere ed Arti in Napoli. Napoli, 1960. 133. Relazione sui lavori compiuti dall Accademia delle Scienze fisiche e matema¬ tiche di ISapoli durante l’anno 1959. « Rend. Acc. Se. fis. e mat.», s. 4a, voi. XXVII, pp. 1-12. Napoli, 1960. 134. Nuovi avanzi ittiolitici della « serie di Lugli » in Somalia conservati nel Museo geologico di Firenze. « Palaeont. ilal. », voi. LV, pp. 1-23, figg. 22, tav. 1, Pisa, 1960. 135. Annuario 1961 della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli. Napoli, 1961. 136. Relazione sui lavori compiuti dall’ Accademia delle Scienze fìsiche e matema¬ tiche di Napoli durante l’anno 1960. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », s. 4a, voi. XXVIII, pp. 3-14. Napoli, 1961. 137. Giuseppe De Lorenzo. Commemorazione. « Problemi attuali di Scienza e di cultura», quaderno n. 50. Roma. Acc. dei Lincei. 11 marzo 1961 (pp. 5-26). Appunti di geologia sul Monte Bulgheria (Salerno) Nota dei soci PAOLO SCANDONE e ITALO SGROSSO e del dott. FRANCO BRUNO (Tornata del 29 marzo 1963) Precedenti conoscenze e stratigrafia. La regione che descriviamo è compresa tra Marina di Camerota, S. Severino, Celle di Bulgheria, S. Giovanni a Piro e Scario. Già nel 1882 De Giorgi [3], attribuendo alle « formazioni giu- raliassiche » i terreni che vi affiorano, notò con grande acutezza che al Bulgheria « sembra non potersi riferire nessuno dei sistemi geo¬ grafici del Salernitano » e che questo gruppo « forse rappresenta un frammento di catena sprofondato nel mare tra il Cilento e le Calabrie ». L’Oppenheim [7] riportò osservazioni inedite riferitegli dal Baldacci il quale aveva rinvenuto al Bulgheria Ellipsactinie in calcari grigi azzurrognoli, assieme a coralli e crinoidi. Queste El¬ lipsactinie sono citate anche dal Canavari [1]. Una descrizione più dettagliata del M. Bulgheria è opera di Di Stefano [4,5] il quale riconobbe dei calcari compatti grigio chiari che attribuì al Lias inf. per la presenza di una varietà di Rhynchonellina Seguenzae Gemm., e dei calcari a crinoidi grigio scuri, raramente ros¬ sastri, stratigraficamente sovrapposti ai primi. Nella parte alta dei calcari a crinoidi, laddove a questi ultimi si intercalano delle marne, lo stesso A. rinvenne Pentacrinus jurensis Quenst., Hildoceras bifrons Brug. e Hildoceras levisoni Simps. Al di sopra di questa formazione del Lias sup. veniva riconosciuto un Tito- (1) Questo lavoro, eseguito con il contributo del C.N.R., costituisce la premessa ad uno studio dettagliato sul Cilento sud-occidentale compreso nel programma di ricerche sull’Appennino meridionale svolto dallTstituto di Geologia dell’Università di Napoli sotto la guida del prof. Francesco Scarsella che qui vivamente rin¬ graziamo. — 20 — nico trasgressivo, con Ellipsactinie, facente passaggio verso l’alto ai calcari cretacei. Nel 1949 Mirigliano [6] rende nota la presenza del Pliocene tra Licusati e Porto degli Infreschi. Più recentemente Selli [10] nella regione in questione riferisce al Norico e Retico « dolomie e calcari dolomitici chiari o più spesso nerastri »; al Lias (c calcareniti silicifere »; al Dogger cc ealcareniti con interstrati marnosi » ; al Malm « calcareniti, brecciole e calcari scuri oolitici » ; al Cretacico inferiore « calcareniti e brecciole organogene nerastre » ; al Cretacico superiore « calcareniti e brecciole gradate » ; al Miocene ( Aquitaniano) trasgressivo, « calcareniti ». Nel 1962 Cestari [2], in una comunicazione al Convegno sulla geologia dell’Appennino, annuncia il rinvenimento di scaglia di età cretaceo superiore-eocenica. Dai nostri studi risulta che i terreni affioranti sono di età com¬ presa tra il Trias sup. ed il Plio-Quaternario. Lo studio del Plio- Quaternario sarà oggetto di un prossimo lavoro. I terreni più antichi affioranti sono rappresentati da una forma¬ zione costituita nella parte media e inferiore da dolomie grigio scure e nere ; in quella superiore da calcari dolomitici, compatti e concre- zionari grigio chiari. Tra questi tipi litologici esiste un passaggio graduale. Dove la stratificazione è ben evidente, come a Marina di Carne- rota e in molti tratti lungo la costa, le dolomie immergono a nord con debole inclinazione. La pendenza uniforme degli strati fa sì che, pre¬ scindendo da disturbi di scarso rilievo, procedendo dalla fascia co¬ stiera di Camerota verso l’interno si passi con regolarità a termini più recenti. Nelle dolomie nerastre e grige, microcristalline o distintamente saccaroidi di Marina di Camerota abbiamo rinvenuto numerosi gusci di molluschi tra i quali riconoscibili con certezza Gervilleia exilis Stopp. e Pleurotomaria solitaria Ben. L’età della parte più bassa delle do¬ lomie spetta cjuindi al Norico. Nei calcari grigio chiari compatti cui le dolomie fanno regolare passaggio, non abbiamo rinvenuto le Rhynchonellinae citate da Di Stefano. La formazione calcareo-dolomitica che chiamiamo nel suo in¬ sieme « formazione di Camerota » risulta quindi datata soltanto infe- — 21 — riormente da fossili norici ; superiormente è limitata da un elemento litologico caratteristico: la selce. Il complesso che segue le dolomie triassiche e i calcari dolomi¬ tici, compatti e concrezionari infraliassici, è rappresentato da calcari con selce. Più o meno dolomitico nella parte bassa esso è francamente calcareo nella porzione media e superiore. I calcari con selce sono de¬ tritici o, più spesso, minutamente delritici; si presentano ben stratifi¬ cali con strati di spessore variabile da 10 a 100 cm. . Nelle dolomie e nei calcari dolomitici basali non è raro rinvenire cristalli di pirite che presentano un anello di alterazione limonitica ; nella parte superiore della formazione invece compaiono interstrati marnosi giallastri dello spessore di qualche centimetro. Laddove questi interstrati diventano più frequenti i calcari contengono gusci di Rhynchonelle che formano veri e propri ammassi. Questo complesso affiora estesamente al M. Bul- gheria, nei rilievi tra questo e Camerota e Ricusati, nei dintorni di San Giovanni a Piro. I primi strati con Rhynchonnella formano la base di un com¬ plesso calcareo-marnoso-silicifero molto fossilifero. Le Rhynchonelle sono contenute in calcari detritici e pseudoolitici ; fra esse sono pre¬ senti Rhynchonella clesiana Leps. e Rhynchonella vigilii Leps. . Procedendo verso Paltò diminuisce la frequenza di R. clesiana ; contemporaneamente i calcari detritici sono gradualmente quasi del tutto sostituiti da marne giallastre spesso silicifere con ammoniti. Le marne contengono intercalati calcari detritici con radioli e piastre di Echini, articoli di Crinoidi, Rhynchonelle. Nella parte som¬ mitale del complesso ammonitifero si rinvengono calcari ricchissimi di piccole Rhynchonelle, nonché un livello a Posidonomya sp. Queste marne affiorano ampiamente al M. Bulgheria, alla Pornia, alla Picotta, alla Tragara ed in altre località. Le ammoniti riconosciute in queste marne sono (2): Calliphylloceras spadae (Meneghini) Ly tacer as dorcadis (Menighini) Lytoceras (Thysnolytoceras) cornucopiae (Young e Biro) Lytoceras sp. (2) Le determinazioni sono della dott. Lina Barbera dell’Istituto di Paleon¬ tologia delFUniversità di Napoli che ha suirargoinento un lavoro in corso di stampa. — 22 — Dactylioceras annidali! orme (Bonarelli) Dactylioceras sp. Catacoeloceras sp. Collina aculeata Parrisch e Viale Hildoceras bifrons (Bruguiere) Hildoceras sublevisoni Fucini Hildoceras sublevisoni raricostatum Mitzopulos Hildoceras semipolitum Buckmann Hildoceras caterinii Merla Hildoceras sp. Brodieia gradata (Merla) Brodieia alticarinata (Merla) Mercaticeras mercati ( Hauer) Phymatoceras elegans (Merla) Phymatoceras sp. Erycites sp. Harpoceras falciferum (Sovverrà) Harpoceras sp. F ontanelliceras fontanellense ( Gemmellaro) Canavaria li augi (Gemmellaro) Canavaria sp. Ludwigia sp. Dalle specie citate risulta evidente Fetà ( Lias superiore) dei se¬ dimenti che formano questo complesso ( 3). In perfetta continuità di sedimentazione alle marne ad ammoniti e da queste perfettamente limitati e datati nella porzione basale, se¬ guono calcari generalmente oolitici o pseudoolitici di colore grigio¬ azzurro chiaro o scuro. La roccia è spesso ricca di radioli di Echini, articoli di Crinoidi, e di Coralli. La parte alta del complesso in questione è composta da calcari (3) Associati alle ultime ammoniti e, per alcuni metri, nei calcari ad esse sovra¬ stanti, si trovano orbitolinidi riferibili a Dictioconus ( ?) cayeuxi Lucas. La presenza di questo fossile in questo particolare livello è di grande importanza perchè, essendo associato ad ammoniti, è databile con esattezza. Si può così correlare con questo un livello con gli stessi foraminiferi contenuto nella serie carbonatica in varii luoghi del- l’Appennino meridionale, assegnandolo alla fine del Lias. Un livello analogo è stato inoltre rinvenuto da uno di noi (ScANDONE 1962) anche nei calcari con liste e noduli di selce di S. Fele. — 23 — neri sottilmente stratificati a frattura subconcoide, ceroidi all’aspetto, ricchi di selce nera e subordinatamente biancastra. Subito sotto a questo livello, caratteristico al M. Bulgheria, sono ricchi di Ellipsacti- nie che riferiamo dubitativamente al Titonico. Ai calcari neri con selci nere seguono calcari detrici, pseudoolitici ed oolitici di colore grigio-azzurrognolo, anch’essi ben stratificati. Spo¬ standosi verso la parte medio-superiore del complesso prendono la prevalenza calciruditi e calcareniti che sono, a luoghi, vere e proprie bioclastiti con frammenti di rudiste e di Ostreidi. I calcari con frammenti di Rudiste fanno passaggio stratigrafico ad una formazione di tipo « scaglia » dal colore giallastro e rosato. Il pas¬ saggio netto e brusco, senza transizione graduale, è molto ben osser¬ vabile presso S. Giovanni a Piro e presso S. Severino. La porzione più bassa di questa scaglia è ricchissima di Globo- truncane e Globigerinidi ; le prime consentono di attribuirle una età maestrichtiana. La scaglia, prima giallastra, diventa rossa nella parte media, quindi variegata ed infine grigia. Alle Globotruncane si sosti¬ tuiscono le Globorotalie finche queste scompaiono e sono presenti quasi esclusivamente Globigerinidi e spicole di spugna. Questa formazione è stata di recente segnalata e studiata da Cestari [2]. Letti marnosi e calcarenitici limitano superiormente la « scaglia ». La parte più alta delle calcareniti contiene Miogypsina sp. . Il pas¬ saggio dalla scaglia eocenica alle calcareniti eomioceniche, visibile in molte località tra S. Severino e Centola, è realmente insensibile : sul terreno non si riconosce traccia alcuna di trasgressione. Riteniamo perciò possibile l’ammissione di una continuità di sedimentazione dalla scaglia con Globorotalie alle calcareniti con Miogypsine. Non si può, però, fare a meno di restare meravigliati dello esiguo spessore (alcune decine di metri) che spetterebbe aH’Eocene superiore e all’Oli¬ gocene, anche tenendo conto che si ha a che fare con sedimenti di tipo pelagico. Nè sinora si è rivelata di aiuto la micropaleontologia per risolvere questo problema, poiché nel suddetto intervallo si rinvengono solo Globigerinidi e spicole di spugne. I letti a Globigerinidi si alternano, nella parte alta della forma¬ zione, a quelli con macroforaminiferi (Nummuliti, Assiline, Lepidoci- cline, Miogypsine) che il pili delle volte mostrano chiaramente di essere fluitati. — 24 — Presso S. Severino le calcareniti eomioceniche sembrano far pas¬ saggio stratigrafico, verso Paltò, a sedimenti flyscioidi di tipo rn ar¬ ti o s o -argilloso- a r e i 1 a c e o e silicifero. Questo flysch è costituito essenzial¬ mente da un’alternanza di calcari marnosi di colore giallastro, rosso, bruno, verdastro che talora presentano le fessurazioni latenti della (( pietra paesina », argilliti grigio piombo con patina ocracea, brecciole. Questa formazione affiora da Scario fino a Centola, Esiste poi un altra formazione flyscioide che chiamiamo « flysch nero ». Esso è costituito da un’alternanza di calcari marnosi, marne argillose, brec¬ ciole, arenarie e argilliti ed è distinguibile dal precedente per il suo colore grigio scuro, quasi nero. Esso affiora nei dintorni di S. Giovanni a Piro. E interessante notare che in questo complesso esistono, oltre a frequenti brecciole con Nummuliti, Anfistegine, Eterostegine, Rotalidi dei livelli calcarei costituiti da ammassi di Discocicline e di Lepido- cicline che parlano in favore di un’età oligocenica. Nell’ammissione che questo flysch nero faccia parte della serie del M. Bulgheria, esso rappresenterebbe un’eteropia di facies della porzione più alta della scaglia e di tutto il complesso marnoso-calca- renitico. In favore di questa tesi parlano alcuni elementi, e cioè: a) il flysch nero affiora solo nei dintorni di S. Giovanni a Piro dove non è presente il Miocene calcarenitico ; b) nella zona dove affiora il flysch nero la scaglia, nella sua por¬ zione superiore, manca di quei termini che normalmente sottostanno alle calcareniti e ad essa sono direttamente sovrapposti (purtroppo a causa della copertura detritica non è riconoscibile con sicurezza la natura stratigrafica del contatto) terreni del flysch che presentano, ad una certa altezza, livelli con Lepidocicline ; c) il flysch nero sembra passare, verso l’alto, al flysch marnoso- argilloso-arenaceo. Secondo l’interpretazione da noi data a questa parte della serie del Bulgheria si sarebbe verificata una sedimentazione continua dalla scaglia al flysch marnoso-argilloso-arenaceo ; nel corso di questa sedi¬ mentazione, su un’area relativamente ristretta, si sarebbe verificata un’eteropia di facies durante l’Oligocene, per cui la sedimentazione di tipo flyscioide sarebbe iniziata in alcune zone (S. Giovanni a Piro) nell’Oligocene, in altre (S. Severino, Centola) nel Miocene inferiore. — 25 — Tettonica. Per quanto concerne la tettonica, il motivo strutturale principale è dato da una grande faglia inversa posta al margine orientale del massiccio che va da S. Severino sino a Scario. È da notare che questa faglia presenta presso Scario un rigetto massimo che va riducendosi verso S. Severino, sino a passare ad una piega faglia e quindi ad una piega. A S. Severino il piano di faglia presenta un’inclinazione com¬ presa tra 59° e 60°. L’inclinazione presso Scario si riduce a 30°-35°. Nella prima località i calcari con frammenti di rudiste formano il tetto e la scaglia rossa il letto, nella seconda località i calcari con selce sono direttamente sovrapposti al fìysch. Le faglie di distensione sono prevalentemente di direzione tir¬ renica e appenninica e sono posteriori alla faglia inversa. Conclusioni. Riassumendo quanto si è esposto viene riconosciuta nel M. Bul- gheria una serie che va dal Trias al Miocene con caratteristiche pecu¬ liari che la differenziano dalle altre serie carbonatiche dell’Appennino meridionale. Queste caratteristiche la fanno ritenere una serie di tran¬ sizione a sedimenti di mare più aperto o più profondo sconosciuti perchè non emersi o sprofondati nel Tirreno. È da notare che la differenziazione con la vicina serie carbona- tica del Cilento e dei monti di Sapri diventa marcata a partire dalla parte alta del Lias inferiore, inserendosi in quel fenomeno generale che ha interessato tutto l’Appennino centro - meridionale (Scar¬ sella 1958) e che ha individualizzato i due distinti bacini della « facies occidentale » e della « facies orientale ». Soltanto nel Miocene inferiore si ristabiliscono condizioni di uniformità giacche le calca- reniti a Miogypsina del Bulgheria presentano caratteristiche molto simili a quelle dei monti di Sapri che sono però trasgressive sui calcari senoniani o paleocenici. Si può quindi asserire che nel Cretacico superiore emergeva la dorsale carbonatica silentino-lucana mentre ad ovest di essa continuava la sedimentazione in dominio marino. Nel Paleocene e nell’Eocene locali ingressioni interessavano le aree emerse. La trasgressione gene- — 26 — rale del Miocene ristabilisce condizioni pressocchè uniformi con de¬ positi in un primo tempo calcarei, quindi marnoso-arenacei flyscioidi. RIASSUNTO Vengono descritte, nelle loro linee generali, la stratigrafia e la tettonica del gruppo del M. Bulgheria. La serie stratigrafica riconosciuta va dal Trias superiore al Miocene, con carat¬ teristiche peculiari che la differenziano dalle altre serie carbonatiche delTAppennino meridionale. Queste caratteristiche la fanno ritenere una serie di transizione a sedi¬ menti di mare più aperto o più profondo sconosciuti perchè non emersi o sprofon¬ dati nel Tirreno. La differenziazione si rende sopratutto marcata a partire dal Lias inferiore. Nel Miocene inferiore si ristabiliscono condizioni di uniformità. Il motivo tettonico principale è offerto da una faglia inversa che limita a NE il gruppo e decorre da S. Severino a Scario portando in quesf ultima località, all’acca- vallamento dei calcari infraliassici sul flysch miocenico. SUMMARY The subject of this note is thè description of thè stratigraphy and thè tectonic of thè M. Bulgheria, in generai lines. The stratigraphic series range from thè upper T rias till Miocene, having distinctive features by which is made different from others carhonatic series of thè southern Apennines. By these features is considered a trinsition series with sediments of open or dipper sea, unknow becouse not emerged or sinked under thè Tyrrhe- nian sea. The differenziation is over all marked from iower Lias. During thè lower Mio¬ cene were re-established uniform conditions. The main tectonic phenomenon is a reverse fault which ends towards thè North-East all thè group. In locality Scario thè calcareus sediments of thè « Infralias » are overlupping thè miocenic flysch. BIBLIOGRAFIA [1] Canavari M., Idrozoi titoniani della regione mediterranea appartenenti alla fa¬ miglia delle Ellipsactinidi. Mem. per serv. alla descr. carta geol. d’It., 4, p. 2a, pp. 155-210, tavv. 5. Firenze, 1893. [2] Cestari G., Segnalazione di « scaglia rossa » sul versante nord-occidentale del M. Bulgheria ( Cilento meridionale). Mem. Soc. Geol. It., voi. IV. Roma, 1962 ( in corso di stampa). [3] De Giorgio C,, Appunti geologici ed idrografici sulla prov. di Salerno ( circondari di Campagna e di valio della Lucania. Boll. Com. Geol., 13, pp. 39-55 e pp. 137- 148, tavv. Ili, IV ; 14, pp. 73-90. Roma 1882 e 1883. [4] Di Stefano G., Osservazioni sulla geologia del M. Bulgheria in prov . di Sa¬ lerno. Boll. Soc. geol. Tt., 13, p. 70. Roma, 1894. [5] Di Stefano G., Nuove osservazioni sulla geologia del M . Bulgheria in prov. di Salerno. Boll. Soc. geol. It., 13, pp. 191-198. 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Sulla presenza di una stazione paleolitica in un riparo sotto roccia nei dintorni di Cicciano (lNola)^* (1) 2 3 Nota dei soci ANTONINO IETTO e ITALO SGROSSO (Tornata del 29 marzo 1963) I rilievi della piccola dorsale rocciosa che forma la parte set¬ tentrionale della tavoletta 185-IV-INO-NOLA, sono costituiti da sedi¬ menti mesozoici della serie calcareo-dolomitica ; in essi sono rappre¬ sentati tutti i termini dal Lias inferiore al Cretacico superiore (2). Alla base di queste alture e sino a quote oscillanti intorno ai 250 metri, abbiamo ritrovato delle formazioni clastiche, plio-pleistoceniche, marine in buona parte (3), in lembi trasgressivi sulla sottostante serie mesozoica. Si tratta in prevalenza di conglomerati, che nella parte bassa passano a vere e proprie sabbie molto cementate, i quali formano un terrazzo, più o meno continuo, lievemente inclinato a valle e che ter¬ mina, intorno alla quota 150, con ripide scarpate di oltre 20 metri di altezza. In queste scarpate, si ritrovano, più o meno allineati, al¬ cuni probabili solchi di battigia, i quali a luoghi formano cavità, al¬ lungate in senso orizzontale e profonde al massimo 3-4 metri. In una di queste abbiamo trovato una breccia ossifera contenente, tra l’altro, numerosi manufatti litici in selce. Questa cavità è situata a quota 130 circa a monte di Masseria Can- (*) Lavoro eseguito con il contributo del C.N.R. (1) La presente nota, scritta in stretta collaborazione tra i due autori, s’inquadra nei lavori di completamento e aggiornamento della Carta Geologica d’Italia (legge 3 gennaio 1960 n. 15) eseguiti per conto del Servizio Geologico d’Italia sotto la dire¬ zione scientifica del prof. Francesco Scarsella. (2) Ietto A. e Sgrosso I., Il rilevamento geologico della tavoletta 185-IV-NO- Nola. (In corso di pubblicazione sul Bollettino del Servizio Geologico d’Italia). (3) Ietto A. e Sgrosso !.. Formazioni marine plio-pleistoceniche nei dintorni di Cicciano (Nola). Nel presente volume. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963. A. Ietto, I. Sgkosso. Sulla presenza di una stazione paleolitica , ecc. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963. A. Ietto, I. Sgrosso, Sulla presenza, ecc. Tav. II. — Tipologia dei manufatti litici in selce rinvenuti nei lembi residui dei materiali di riempimento. — 29 — de la io sita sulla strada provinciale Ciceiano-Aeerra (coordinate chilo- metriche della cavità: YF 5722-3448). Essa hà una profondità massima di tre metri ed è formata da due ambienti comunicanti, divisi ante¬ riormente da un pilastro centrale. Lungo le pareti e intorno al pilastro si notano appiccicati brandelli residui della breccia ossifera sino ad una altezza di 140 centimetri dal piano di calpestio i quali rappresentano il residuo del materiale che originariamente doveva aver riempita quasi tutta la cavità. Più estesa¬ mente, anche se con spessore meno rilevante (80-100 eoi, al massimo) questa breccia ossifera si ritrova anteriormente all’ingresso posto ad est ed anche, sempre nella parte orientale, sotto la parete in quel punto strapiombante. Questo riempimento è costituito da frammenti di ossa, talora di notevoli proporzioni, detrito calcareo a spigoli vivi, resti organici carbonizzati, oggetti e frammenti litici ed abbondantissimi gusci di gasteropodi polmonari (4), il tutto inglobato in materiale piroclastieo e variamente cementato. In un sommario esame degli oggetti litici rinvenuti (5) abbiamo potuto riconoscere alcune punte, delle lame e dei raschiatoi, tipici di un industria microlitica del Paleolitico superiore (Aurignaciano); in¬ sieme a questi numerose schegge atipiche e residui di lavorazione. La selce usata per la fabbricazione di questi oggetti è di vani tipi, vi si può riconoscere della selce bionda quasi trasparente, della selce color bianco latteo e di quella zonata molto calcarifera, delle breeciole diasprigne, inoltre diaspri verdi e rossi appartenenti al com¬ plesso degli « scisti silicei » che affiorano in Lucania e nei ditomi di Gì (foni Yallepiana (Salerno). Il luogo di provenienza della materia prima per la fabbricazione degli utensili è quindi vario; comunque fonte principale di approvvigionamento dovevano essere gli estesi af¬ fioramenti di flysch del vicino Avellinese a luoghi ricchi di diaspri compatti ed omogenei; la presenza però di selce bionda e di mate¬ riale proveniente dal complesso degli cc scisti silicei » confermano quanto già noto, cioè che gli approvvigionamenti di questa materia (4) La notevole abbondanza dei gusci di questi molluschi, nonché il fatto che questi appartengono tutti ad individui adulti, ci fanno ritenere che essi siano serviti da pasto agli abitatori di questa stazione. (5) Abbiamo prelevato soltanto il materiale trovato sciolto sul suolo della cavità e qualche frammento d’osso e di selce sporgente dal conglomerato, perchè ci ripro¬ mettiamo di eseguire razionalmente lo scavo senza alterare l’originaria stratigrafia del giacimento, e di studiarne i reperti. prima venivano effettuati anche in zone piuttosto lontane dalle sedi di residenza. A quanto ci consta il Paleolitico non era mai stato segnalato in questi dintorni; noi riteniamo invece che le molte cavità naturali che si aprono nei conglomerati addossati alla base dei rilievi che formano Finterà dorsale dell’Avelia, data la loro favorevole posizione, possano essersi prestati ad un insediamento umano in età preistorica. Di questo insediamento il giacimento da noi trovato rappresenta un chiaro indizio. Napoli , Istituto di Geologia delVU niversità , marzo 1963. RIASSUNTO Per la prima volta, nella zona, si segnala la presenza, nei pressi di Ciceiano, di un riparo sotto roccia con una breccia ossifera contenente, tra l’altro, manufatti in selce del Paleolitico superiore. SUMMARY In thè zone is for thè first tirile signalized, nearby Ciceiano, a cave filled with ossiferous breccia containing, among other things, flint band-manufactured goods of thè upper Palaeolithic. Nuovi aspetti delia tettonica della serie calcareo-dolomitlca mesozoica nel salernitano ( M1 2) Nota del socio ? ANTONINO IETTO (Tornata del 29 marzo 1963) Durante il rilevamento delle tavolette 185 - Il - SE - S. Cipriano Pi¬ ceni ino e 185 » II - SO - Salerno, è stato possibile osservare frequen¬ temente un fenomeno tettonico interessante la serie calcareo-dolomitlca mesozoica, del tutto particolare in considerazione delle precedenti vedute sulla geologia dell’Appennino campano. Infatti, la tettonica interessante i massicci calcarei e calcareo- dolomitici mesozoici della zona presa in esame, è stata finora conside- (1) La presente nota si inquadra nei lavori eseguiti su incarico del Servizio Geo¬ logico d’Italia in adempimento alla legge 3-1-1960 n, 15, riguardante il rilevamento ed aggiornamento' della Carta geologica d’Italia, sotto la direzione scientifica del Prof. Francesco Scarsella, Direttore dellTstituto di Geologia dell’Università di Napoli. In parte è stata svolta con contributi del C.N.R. (2) Al fine di una più agevole interpetrazione di quanto sarà esposto nel presente lavoro, si ritiene opportuno riportare il sommario di una nota dello stesso Autore in corso di stampa, opera citata [20] : « Le formazioni dei calcari a liste e noduli di selce, degli scisti silicei e del sovrastante complesso dolomitico, affioranti nei dintorni di Giffoni Valle Piana (Salerno), finora considerati come facenti parte di una serie unica e stratigrafica- meete continua attribuita interamente al Trias superiore, risultano invece appar¬ tenenti a due serie distinte ed in sovrapposizione tettonica ? a) una serie sottostante, stratigraficamente continua, probabilmente autoctona, costituita dalla formazione dei calcari a liste e noduli di selce e da quella degli scisti silicei, della quale alcuni termini sono stati datati come Lias ; b ) una serie sovrastante, continua, sovrascorsa sulla precedente e costituita, negl’immediati dintorni di Giffoni Valle Piana, da un complesso dolomitico-marnoso carnieo e, superiormente, dall’Hauptdolomit nerica. Al monte Accellica detta serie sovrascorsa, si estende fino a comprendere tutto il Giura superiore ed al monte Mai fino al Cretacico superiore, sempre in facies calcareo-dolomitlca ». — 32 — rata una tettonica di distensione con faglie generalmente verticali o subverticali ad andamento prevalente NO - SE e NE - SO [6, 18, 23]. Senonchè, osservazioni e studi da noi condotti nelle zone tra Salerno ed i Picentini, mettono in luce, per la prima volta in queste zone, la esistenza di particolari situazioni strettamente collegate ad una tettonica con effetti di compressione. Tavoletta 185 - II - SO - Salerno Monte Stella. A nord di Ogliara si eleva con aspri versanti il rilievo del Monte Stella che raggiunge la quota di 953 metri. Esso risulta costituito, in prevalenza, da formazioni cretaciche calcareo-dolomitiche con Ippu- riti, Requienie, Nerinee ecc., tettonicamente sovrapposti alle dolomie del Trias superiore, come si osserva chiaramente sul versante sud¬ occidentale. Tali dolomie si presentano generalmente di colore grigio cenere, straterellate o stratificate e con alternanze di livelli marnosi giallastri. L’età di questa formazione è carnieo-norica [20], Sul versante N, i calcari dello Stella, limitati da ripide pareti, vengono egualmente a contatto con le dolomie su descritte, ma qui la estesa copertura vegetale impedisce di intravederne con chiarezza i rapporti. Comunque, le chiare situazioni osservabili sul lato sud-occiden¬ tale, consentono di riconoscere una sovrapposizione tettonica di tutto il Cretacico calcareo -d oiomi tieo dello Stella sul Trias superiore preva¬ lentemente dolomitico. Ed infatti, quanto per citare la situazione di maggiore chiarezza, considerando un percorso da SO a NE e precisamente da Fuarde ( 1 Km. ad 0 di Ogliara) verso Pianello e Grotta degli Sbirri, si ha modo di osservare : dopo una lieve copertura di detrito frammisto a mate¬ riale piroclastico, affiora il complesso calcareo-marnoso a Myophoria vestita del Gamico [20], con una potenza approssimata intorno ai 150 metri. A questo complesso segue, in normale successione strati¬ grafica, la formazione delle dolomie grigio cenere carnico-noriche da — 33 — q. 375 a q. 550 circa. A queste dolomie si sovrappongono tettonica¬ mente i calcari ad Ippuriti di Grotta S. Salvatore (vedi foto 1). Fot. 1. — Contatto dolomie cornico-noriche (D) e calcari cretacici (C) sul versante S-SO del Monte Stella (sulla mulattiera da Case Mandrizzo al Serbatoio verso E). Ma quanto è più interessante osservare, è che la sommità della collina Pianelle è costituita da un lembo di calcari cretacici staccati dalla massa centrale dello Stella, e quindi in posizione di klippen, sovrapposti tettonicamente, con un piano di contatto che immerge di poco a S, sia al complesso calcareo-marnoso carnico, sia alle dolomie carnico-noriche (vedi sezione I e foto 1 bis). Ovest Fot. 1 bis. — Il Monte Stella visto da S : a) Complesso calcareo-marnoso a Myopho- ria vestita (Carnico); b) Dolomie carnico-noriche; c) Calcari cretacici in sovrapposizione tettonica. — 34 — Tavoletta 185 - li - SE - S. Cipriano Picentino Monte Monna. Il rilievo del monte Monna (q. 1195) risulta costituito da una successione litologica calca reo-dolomitica giurassica s. 1. : da q. 750 a q. 950 circa, una formazione stratificata costituita da alternanze di calcari grigio scuri, dolomia grigio perla oolitica, livelli di dolomia saccaroide grigia, calcari beige detritici. Segue una formazione, con potenza sui 40-50 metri costituita da calcare finemente oolitico grigio, ben stratificato. All’oolitico succedono, da q. 1000 circa, calcari e calcari marnosi grigio scuri o nocciola, a volte detritici, con piccole Rineonelle. Superiormente, infine, chiudono la successione, dei calcari neri, bituminosi, fogliettati, con abbondanti resti di Echi n oli e piccoli Lamellibranchi ; la potenza di questi calcari è sui 60-70 metri. L’età di tutta questa successione, osservabile sul versante SE del Monna, è difficile stabilirla in quanto non sono stati trovati fossili, sia macro che micro, di limitata distribuzione stratigrafica. Conside¬ rando, però, detta successione dal punto di vista litologico, essa risulta nettamente diversa dalle circostanti serie sia cretaciche che triassiche, mentre presenta marcate analogie con le vicine serie giuresi. Tutti questi terreni, verosimilmente quindi giurassici e con poten¬ za complessiva sui 500-600 metri, si sovrappongono tettonicamente alle dolomie del Trias superiore che formano la base del Monte Monna. Tale sovrapposizione tettonica, è bene evidente in zona Naso Aperto a NO di Castiglione dei Genovesi, lungo il tracciato della costruenda strada Castiglione-Calvanico. Qui e su tutto il versante occidentale, alla dolomia del Trias superiore in stato cataclastico, si sovrappone direttamente il calcare oolitico grigio. Altrove, invece, e cioè sul ver¬ sante settentrionale ed orientale, i terreni giuresi del Monna si sovrap¬ pongono alle dolomie carnico-noriche con i termini più bassi (calcari grigio scuri ecc.). Il piano di contatto tra le formazioni triassiche e giuresi, dalla media dei dati rilevati, risulta pressoché orizzontale, con una leggera immersione ad O-SO. Monte Castello ( Terravecchia ). Fenomeno analogo ai precedenti, interessa la collina subito ad O della frazione Mercato ( Giffoni Valle Piana). Anche qui. su una base di dolomia farinosa carnica, poggia tettonicamente una forma- — 35 — zione calcarea, disturbatissima da pieghe e fratture, di potenza non ben determinabile ma probabilmente sui 150-200 metri, costituita, in basso, da calcari grigio scuri straterellati o a banchi cui segue una pila di strati calcarei prevalentemente colitici di colore nocciola. Fot. 2. — Contatto dolomia farinosa (D) e calcari giurassici (G) al Monte Castello di Giffoni (versante SO). Sezioni sottili di una campionatura effettuata in questa formazione, hanno messo in evidenza associazioni faunistiche di tipo giurese s.l. (probabile Lias-Dogger). Il piano di contatto tra le formazioni giurassiche e triassiche, immerge a S-SO con inclinazione variabile ma contenuta fra i 20 ed i 40 gradi. Monte Cuculo . Alla base del versante S del Monte Cuculo, in zona Olivete Chiuso e Pimbo, si ha modo di osservare un’altra situazione analoga a quelle precedentemente esposte. Infatti, lembi di calcari compatti grigio scuri straterellati e calcari stratificati o a banchi generalmente colitici di colore grigio o nocciola, si sovrappongono tettonicamente alle dolomie grigio cenere carnico-noriche. — 36 — Questi calcari, del lutto eguali a quelli di Monte Castello, ven¬ gono similmente ascritti al Giura s.l. L’estenzione topografica degli affioramenti è relativamente note¬ vole, specie in contrada Pimbo dove raggiunge dimensioni di circa 1 Km. per 400-500 metri. La potenza è difficilmente valutabile e quanto mai variabile dati i numerosi disturbi. Comunque sembra non dover superare i 100 metri. I piani di contatto immergono a S con inclinazioni intorno ai 25°. Tavoletta 186 - III - SO - Montecorvino Rovella Monte Salvatore. Il Monte Salvatore ( q. 874), a N di Gauro, già considerato come costituito esclusivamente da dolomie massicce grige noriche [2], ri¬ sulta invece costituito da ben tre distinti complessi litologici, bene esposti sul versante O. Fot. 3. — ■ Il Monte Salvatore visto da 0: a) Scisti silicei; b) Dolomia bianca farinosa, base della serie dolomitica-calcarea sovrascorsa ; c) Calcari giurassici e cretacici in sovrapposizione tettonica alla dolomia farinosa. Inferiormente, e cioè ad E di S. Rocco e di Vassi, in sinistra oro¬ grafica del Picentino, affiora una parte della serie degli scisti silicei, già descritta in una precedente nota [20], potente circa 100 metri. Sugli scisti silicei si sovrappone tettonicamente la tipica formazione carnica della dolomia farinosa massiccia bianca o grigia, con potenza intorno ai 400 metri. Al di sopra della dolomia farinosa, poggia, an¬ cora per contatto tettonico, una formazione prevalentemente calcarea con potenza tra i 350-400 metri (fot. 3 bis). — 37 — Avendo già trattato gli scisti silicei e la dolomia sovrastante dal punto di vista sia tettonico che stratigrafico [20], si ritiene qui op¬ portuno esaminare soltanto i rapporti tra dolomia e calcari, con par¬ ticolare riferimento alla tettonica e stratigrafia di quest’ultimi. Per una più chiara esposizione consideriamo la successione lito¬ logica procedendo ad 0 verso E lungo la linea di sezione 3 (vedi sez. 3). I calcari che vengono direttamente a contatto con la dolomia Fot. 3 bis. — Contatto dolomia farinosa (D) e calcari giurassici (G) al Monte Salva¬ tore (versante 0, alla base della parete visibile nella foto 3). sono dei calcari grigi, detritici, a frattura scheggiosa, con rare alter¬ nanze di calcari oolitici e pseudooliticL Hanno una potenza valuta¬ bile sui 200 metri ed immergono a NE di circa 25-30°. Nella porzione basale di questa formazione, si rinvengono a tratti, alcuni strati ricchi di grossi gusci di bivalvi (probabili ostreidi) completamente spatizzati. La porzione terminale invece di questi calcari è caratterizzata dalla presenza di livelli a Cladocoropsis mira¬ bili s Felix, per cui può essere ascritta al Giura superiore (Malm) [29], Ai calcari a Cladocoropsis succedono, con netta discordanza an¬ golare (vedi fot. 5), dei calcari a grana fine di colore nocciola chiaro, — 38 — talora biancastri subcristallini, raramente grigi. La potenza di questa ultima formazione è sui 150-200 metri ed alcuni degli strati più alti sono delle vere e proprie biostrome a Rudiste s.s. (Cretacico sup.). Ricapitolando, quindi, i calcari del monte Salvatore, costituiscono una successione litologica composta da due formazioni calcaree di- Fot. 4. — Contatto dolomia farinosa (D) e calcari giurassici (G) al Monte Salvatore (estremità SO di Toppo Cocuzzo; vedere foto 6). stinte ed entrambe databili: una inferiore appartenente al Giura superiore ed una più alta appartenente al Cretacico superiore. I rapporti tra le due formazioni risultano chiaramente tettonici. Ciò in considerazione : della netta discordanza angolare tra esse esi¬ stente ; degli spessori che intercorrono tra i livelli a Cladocoropsis e quelli a Rudiste ; della mancanza di elementi a favore di un fenomeno trasgressivo dei terreni cretacici su quelli giuresi. Infatti, in tutte le zone prossime a questa in esame, e cioè dalla penisola Sorrentina ai Picentini, la serie calcareo-dolomitica. dal Giura superiore al Cretacico superiore, risulta continua e con una potenza non inferiore ai 1000 metri. In essa, inoltre, si rilevano, costantemente compresi tra i due livelli fossiliferi anzi citati, altri numerosi livelli fossiliferi tipici e cioè: livelli a Nerinee, livelli a — 39 — Kequienie, livello ad Orbitolina . Livelli questi die al monte Salvatore risultano assenti. Se ne deduce, che i calcari su descritti, sovrapposti alla dolomia careica, costituiscono a loro volta due distinte scaglie tettoniche, aseri- vibìli rispettivamente al Giura superiore ed al Cretacico superiore. Fot. 5. — Discordanza angolare tra calcari giurassici (G) e calcari cretacici (C) al Monte Salvatore (versante S di Ripe del Gauro. Ved. fot. 6 e sez. 3). Alla base del versante E del Salvatore, dove i calcari a Rudiste vengono a contatto laterale con la dolomia bianca farinosa carnica della base SO del monte Circhio, si ritrovano, lungo la linea di con¬ tatto, brandelli di flyseh. argilloso miocenico. I rapporti, però, tra calcari a Rudiste, dolomia e flyseh, non sono bene evidenti nel senso che non è chiaro se il flyseh sia preso lungo i piani tettonici delle scaglie calcaree, oppure se viene intrappolato lungo il piano della faglia normale, grosso modo N-S, che porta a contatto le formazioni del Salvatore con quelle del monte Circhio. Altra ipotesi è che la faglia normale esistente tra i calcari del Salvatore ad 0 e la dolomia ad E, porti nuovamente in affioramento il piano di sovrascorrimento della serie carbonatica sugli scisti silicei ed, in questo caso, anche sul flyseh miocenico. Se così è, il flyseh in parola, verrebbe ad essere sottoposto tettonicamente alla dolomia della — 40 — base SO del Circhio. Tale ipotesi, tra quelle enunciate, sembra la più probabile essendo la più avvalorata dai dati rilevabili sul terreno (vedi sez. 3). ❖ * * Oltre alle situazioni finora esposte, è facile rilevare nella serie mesozoica calcareo-dolomitica, fenomeni collegabili ad una tettonica con effetti di compressione. Ciò dicendo mi riferisco alla presenza di faglie inverse, fra cui la più tipica è quella tra Pezzale e Toppo Corno ad E di Sovvieco, con andamento E-0 e vergenza a S. Tale faglia inversa, causando la sovrapposizione della dolomia farinosa sul complesso calcareo-marnoso a Myophoria vestita , porta alla ripeti¬ zione, lungo la dorsale da Vassi al monte Licinici, delle due forma¬ zioni più basse della serie triassica qui affiorante. Conclusioni Contrariamente a quanto finora ritenuto e cioè che la tettonica della serie calcareo-dolomitica mesozoica nel Salernitano fosse esclu¬ sivamente una tettonica di distenzione con faglie normali verticali o subverticali, da quanto esposto in questo lavoro, risulta evidente l’esistenza di una tettonica con effetti di compressione, di età postcre¬ tacica e, con ogni probabilità, miocenica (3). A questa tettonica è da collegarsi il sovrascorrimento di tutta la serie carbonatica sugli scisti silicei [20] e tutti quei fenomeni ad esso connessi, esposti nel presente lavoro. Fenomeni che, a nostro avviso, possono essere inter- petrati soltanto ammettendo nel corpo della serie carbonatica, episodi di avanscorrimento di alcune formazioni rispetto ad altre. Posteriormente alla fase tettonica descritta, sia la serie carbona¬ tica dal Trias al Cretacico, che la sottostante serie dei calcari con selce e scisti silicei, sono state interessate da una tettonica a carattere iso¬ statico con faglie normali di rilassamento. Questa tettonica sarebbe stata caratterizzata, secondo gli AA. [6. 18. 23] dalla direzione pres¬ so celiò costante delle linee di faglia principali e cioè NO-SE (appen¬ ninica) e NE-SO (tirrenica). Senonchè, nella zona studiata, è stato possibile osservare come, assieme a faglie con andamento « appenni- (3) Ciò anche in base al ritrovamento, in zone poco a S, di lembi di flysch miocenico al di sotto delle dolomie del Trias, come riferito dal Dott. Ghelardoni dell’A.G.LP. Mineraria in un suo intervento alla relazione di Ietto A. [20] al Con¬ vegno su « La geologia delFAppennino » indetto dalla Società Geologica Italiana (Roma 13-14 dicembre 1962). — 42 — nico » e « tirrenico », numerosissime siano le faglie con andamento E-0 e N-S. Anzi, molte linee di dislocazione con andamento NO-SE o NE-SO risultano, in effetti, dovute all’incrocio di numerosi gruppi di faglie con andamento prevalente N-S ed E-O. A conferma di quanto detto basta considerare la situazione della valle del torrente Bonea presso Vietri sul Mare. Questa valle, infatti, incisa lungo una linea di dislocazione ad andamento appenninico, è in realtà sede di incrocio di numerose faglie ad andamento preva¬ lente N-S ed E-O. Inoltre la valle del fiume Irno, che divide la tavo¬ letta Salerno, corrisponde ad una linea di faglia con andamento chiaro N-S. Similmente, in destra alla valle dell’Irno. i rilievi dolo¬ mitici delle « Creste », hanno un allineamento N-S e sono lateral¬ mente bordati da innumerevoli piccole faglie che. mantenendo lo stesso andamento, preludono alla faglia principale del fondo valle. Anche qui, assieme a faglie N-S, si rileva la presenza di numerose faglie con andamento ortogonale E-O. Comunque, alle forze agenti nella descritta tettonica di disten- zione, sia Eautoclono (4) che Falloctono (5) hanno reagito con eguali modalità, dislocandosi uniformemente in zolle grosso modo mono- clinali. Ciò ha. tra l’altro, causato l’attuale smembramento del piano di contatto tra le due serie, portando spesso formazioni della serie autoctona a contatto laterale con formazioni della serie alloctona. Ciò, per esempio, avviene in contrada Scalelle a S di Sieti dove i calcari a liste e noduli di selce camici vengono a contatto laterale, per faglia normale, con le dolomie grigio cenere carnico-noriche. Questa successiva tettonica di rilassamento, in considerazione delle formazioni che interessa e all’esame delle situazioni tettoniche generali, è da considerarsi postmiocenica o, al massimo, a partire dal tardo Miocene. Napoli , Istituto di Geologia delVUniversità - Dicembre 1962 . (4) Le formazioni degli scisti silicei c dei calcari a liste e noduli di selce affioranti nei Pìcentini. vengono ritenute autoctone, sia per le loro condizioni di giacitura, sia perchè non si rilevano in campagna, nonostante la discreta distanza ed estenzione degli affioramenti, situazioni che possano autorizzare a supporre di¬ versamente. ( 5) L’alloctonia della serie ealcareo-dolomitica dei Picentini rimane tuttora un argomento aperto, nel senso di stabilire, mediante studi nelle rimanenti zone appenniniche, l'entità maggiore o minore del sovrascorrimento o, se invece, si può parlare di un vero e proprio carreggiamento. — 43 — SOMMARIO Vengono esposte alcune osservazioni sulle vicende tettoniche che hanno inte¬ ressato la serie mesozoica calcareo-doloniitica nel salernitano con particolare riferi¬ mento ai bordi meridionali dei Picentini. Questa serie presenta, frequentemente, delle lacune dovute alla sovrapposizione tettonica di formazioni più recenti su formazioni più antiche. La stessa, mostra anche delle ripetizioni dovute a faglie inverse con piani generalmente poco inclinati. Tutte queste Situazioni tettoniche vengono collegate al sovrascorrimento della serie calcareo-dolomitica mesozoica (Trias sup.-Cretacico sup.) sul complesso degli scisti silicei comprendente, nella zona dei Picentini, termini appartenenti al Lias. SOMMAR Y Some observations are exposed on thè tectonic intercourses wich have interested thè Mesozoic series caleareous-dolomitic in thè Salernitano country, with particular reference to thè southern edges of thè Picentini mountains. The said series frequently presents gaps due lo thè tectonic overposition of more recent formations on more ancient ones. The same series shows also repeti- tions, due to reverse faults, with scarcely inclined plains. These tectonic situations are all connected to overthrust of Mesozoic caleareous- dolomitic series (Trias sup.-Cretaceous sup.), on thè complex of thè scisti silicei, wich in thè series of Picentini mountains, compreends terms wich belong to thè Lias. BIBLIOGRAFIA [1] Anelli M. 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(tipo del Cauro ~WcrT Dolomia bianco formosa • CARNicq j*X. ~Z.\ Sasti silìcei • Trias suneatotìc-vas Calcari a liste e nodali di sette - (nerneo Super feci di loerapposlnotH tettonica Taglie normali certe ii • probabili Caratteristiche pirografiche e tecniche di alcune calcareniti plio-quaternarie della Piana di S. Eufemia (Calabria) Nota del socio ANTONIO VALLARIO (Tornata del dì 31 maggio 1963) § 1 — Premessa. Oggetto di questo lavoro è lo studio delle caratteristiche petro- grafiche e tecniche di alcuni materiali lapidei affioranti sulla sponda destra della bassa valle del fiume Amato. Lo studio è stato eseguito in occasione della sistemazione dei tronchi vallivi degli affluenti del fiume Amato che è curata dal Con¬ sorzio di Bonifica della Piana di S. Eufemia. Il problema applicativo alla base delle ricerche riguarda l’im¬ piego di tali rocce per il riempimento di gabbionate metalliche da utilizzare nella sistemazione delle sponde. Tali opere di difesa constano di due parti principali di cui una agente in ambiente subacqueo ed una saltuariamente immersa in acqua. Le opere immerse in acqua sono costituite da un cordolo situato al limite tra l’alveo e la sponda e da una piattaforma che dal còrdolo si spinge verso l’alveo. Alle spalle del còrdolo , verso la sponda, con una inclinazione di 45°, si estende la mantellata per una larghezza di circa 4 metri. Questa parte delle opere di difesa viene lambita dalle acque quando, in particolari ed eccezionali condizioni, aumentano le portate dei corsi d’acqua che generalmente sono molto modeste. La mantellata , il còrdolo e la piattaforma sono costruiti mediante Taccostamento di gabbionate metalliche in maniera da avere una struttura nel complesso resistente alle azioni erosive e, nello stesso — 46 — tempo, che reagisca plasticamente alle sollecitazioni meccaniche deri¬ vanti dalle spinte operate dalle acque in piena. Le rocce da utilizzare quindi per il riempimento delle gabbionate devono avere caratteristiche tecniche tali da sopportare e superare le azioni di disfacimento chimico e di disgregazione meccanica in modo da impedire che le gabbionate stesse subiscano deformazioni indipen¬ denti dalle forze spingenti delle acque fluenti. Per accertare tali caratteristiche si sono eseguite le esperienze di laboratorio che appresso si espongono. §2 — Cenni geologici. Il fiume Amato ha origine dal Monte Reventino (m. 1416) che è la cima più elevata dei rilievi che separano le valli dei fiumi Sam- biase, a nord, ed Amato a sud. La sua valle, inizialmente di modeste proporzioni, giunge nella piana ad est dell’abitato di Decollatura dove si congiunge col torrente Gallico di Stocco, proveniente dai piani di Soveria Mannelli. Di qui l’Amato si dirige in direzione nord-ovest fino a Tiriolo dove converge poi verso nord-est immettendosi nell’ampia pianura di S. Eufemia. L’Amato in regime di magra assai modesto, in periodo di piena è dannoso per la sua azione sull’estesa pianura alluvionale dell’ultimo tronco. Numerosi valloni ed incisioni solcano la sua valle. In condi¬ zioni di piene essi danno luogo a veri e propri corsi d’acqua a carat¬ tere torrentizio che irrompono con impeto nella valle principale. Fra i tributari di notevole interesse ricordiamo La Fiumarella, il fiume Cancello ed il S. Ippolito alla destra orografica ed i torrenti Torbido e Pesipe alla sinistra. La lunghezza del fiume è di circa 56 km. e la superficie del suo bacino imbrifero è di circa 412 kmq. La valle dell’Amato si amplia notevolmente allorquando il fiume, dopo le gole di Marcellinara, si immette nella Piana di S. Eufemia. Questa è costituita principalmente da terreni terziari in cui sono incisi tutti gli affluenti di sinistra dell’Amato, mentre quelli di destra, come il S. Ippolito, entrano subito nelle formazioni del Quaternario lasciando affiorare nelle valli le argille plioceniche sottostanti. I terreni più antichi affioranti in quest’area sono rappresentati da calcari con gessi in grossi banchi con immersione verso nord. Essi — 47 — rappresentano il termine superiore delle formazioni mioceniche ed affiorano in stretti lembi sulla sponda sinistra dell’Amato, poco a valle della confluenza col torrente Pesipe. La serie dei terreni pliocenici ha inizio con un potente conglo¬ merato con intercalazioni di livelli marnosi e sabbiosi. Gli elementi del conglomerato, molto irregolari, sono costituiti da scisti cristallini. Negli strati marnosi intercalati sono stati rinvenuti fossili che hanno permesso di datare questo complesso come parte basale del Pliocene inferiore. Il Pliocene inferiore è inoltre rappresentato da un complesso argilloso che progressivamente, verso l’alto, diviene più sabbioso. Le facies argillose persistono fino alla sommità della formazione rendendo impossibile la distinzione fra Piacenziano ed Astiano. Sul versante ionico della Calabria, invece, alle argille del Plio¬ cene inferiore segue un potente complesso marnoso con intercalazioni calcaree alla base. Gradatamente scompaiono poi le facies franca¬ mente marnose e si hanno alternanze di sabbie e marne. I materiali divengono sempre più grossolani da sabbiosi a vere e proprie ghiaie fino a conglomerati. Le diversità riscontrate nelle due serie mettono in evidenza le variazioni di facies, sempre più litorali, da oriente ad occidente. È da notare ancora che lo spessore dei sedimenti decresce dallo Ionio verso il Tirreno. Alla fine del Pliocene inferiore si assiste ad un approfondimento graduale del bacino di sedimentazione da ovest verso est. Tale varia¬ zione scompare alla fine del Pliocene ed i sedimenti dei due versanti sono caratterizzati da sabbioni, ghiaie e conglomerati. Nella valle del fiume Amato ai terreni argillosi e poi argilloso- sabbiosi seguono sedimenti detritici rappresentati da calcareniti e sabbioni fino a ghiaie ; questo complesso è ben stratificato e presenta una vergenza ad ovest. Tali livelli detritici e conglomerati costituiscono la base del Calabriano. La serie dei terreni plio-quaternari, i cui materiali sono oggetto di questa nota, è bene esposta sulla sponda destra del fiume S. Ippolito. — 48 — § 3 — Caratteristiche petrografiche e tecniche. Le prove di laboratorio sono state eseguite su campioni prele¬ vati nella formazione detritica soprastante ai sedimenti argilloso- sabbiosi del Pliocene superiore. I campioni provengono da un complesso ben distinto che trovasi intercalato ai sabbioni ed alle ghiaie stratificate che formano la base del Calabriano. Essi sono stati raccolti nel Vallone Molinelle a circa un chilo¬ metro a monte del ponte Calderaio, sul fiume Amato, sulla Strada Statale N. 280 ( F. 241-1 S.E. - Màida). Nel vallone Molinelle si segue abbastanza bene la successione dei terreni dal Pliocene al Calabriano. Qui, alla base, affiorano le argille che verso Paltò passano ad argille-sabbiose fino a sabbie. Addentran¬ dosi nel vallone per circa due chilometri si notano le formazioni detritiche, stratificate, soprastanti a questo complesso. A) Determinazioni chimiche e petrografiche. Per determinare il contenuto di carbonati si sono eseguite al¬ cune calcimetrie dei campioni in esame. È da precisare che per il campione n. 1 si è ritenuto sufficiente eseguire quattro prove di cui due polverizzando la parte esterna del campione, che era più alterata, e due sulla parte interna. Come si vede dalla tabella I i risultati delle quattro prove con¬ cordano e danno una media dell’80,79% di carbonati. TABELLA I. Calci metria prova II prova III prova IV prova Valori parziali Valori medi Campione n. 1 88,51 90,03 90,03 90,54 89,78 Campione n. 2 Parte fine 73,12 71,20 72,79 72,37 Parte grossolana 88,15 87,41 88,23 87.93 80.15 — 49 — Per il campione n. 2, meno omogeneo del precedente, che pre¬ senta alternanze di straterelli a grana fine e grossolana, si sono eseguite tre calcimetrie sulla parte fine e tre su quella più grossolana. Dai dati esposti nella tabella si può rilevare che la differenza tra i due gruppi di valori è del 15% circa. La media complessiva del campione n. 2 è dell’80,15%. Riconosciute nelle rocce in esame le quantità di carbonati in percento di peso è stato utile eseguire le analisi chimiche per defi¬ nirne la composizione. I risultati sono esposti nella tabella II (1). TABELLA II. Analisi chimiche ì Campione N. 1 Campione N. 2 Perdita a fuoco 39,25 35,03 Titolo di silice (Si02) 8,62 17,90 » » sesquiossido di ferro (Fe203) 0,40 0,55 » » allumina ( A1203) 1,11 1,16 » » calce (CaO) 49,15 43,20 » » magnesia (MgO) 1,40 2,10 Si sono inoltre eseguile delle osservazioni al microscopio su sezioni sottili delle rocce esaminate. Camp. n. 1. — La roccia rivela al microscopio una natura pre¬ valentemente clastica. Si nota una grande abbondanza di fossili, molti dei quali in frammenti, con cemento calcareo e con una notevole quantità di quarzo detritico. La roccia è interessata da frequenti litoclasi non tutte riempite da calcite spatica ed è attraversata da piccoli vacui e pori uniformemente distribuiti nella massa. Le dimen¬ sioni dei granuli costituenti la roccia sono uniformi e dell’ordine del millimetro. La microfauna è rappresentata da: Amphistegina , Globi ger inidi. Rotalidi , Briozoi , frammenti di Molluschi , radioli di Echinidi , (Tav. I). (1) Le analisi chimiche sono state gentilmente eseguite dal Dr. Gios afatte Mondelli, Assistente Ordinario alla Cattedra di Chimica Industriale del Politecnico di Napoli. — 50 - Camp. n. 2. — Anche qui trattasi di una roccia clastica con grande abbondanza di fossili spesso in frammenti. Il cemento è cal¬ careo e la quantità di quarzo detritico è notevole. La roccia ha struttura vacuolare non uniforme ed è costituita da alternanze di letti a grana fine, omogenei e compatti a struttura are¬ nacea con abbondanza di quarzo detritico, e di letti formati da fram¬ menti grossolani di gusci di organismi con struttura non uniforme e con una grande quantità di vacui delle dimensioni variabili da 0,2 a 0,6 cm. L’associazione faunistica e floristica è costituita da: Amphiste- gina , Globigerinidi , Rotalidi , Briozoi , Elphidium crispum Linnè, Textularidi , frammenti di Molluschi , radioli di Echinidi e Melohesie , (Tav. II). B) Proprietà tecniche. Per la razionale utilizzazione delle rocce in esame come mate¬ riale da costruzione si sono eseguite delle prove di laboratorio ten¬ denti a precisare alcune caratteristiche fisiche e meccaniche che hanno permesso di valutarne le proprietà tecniche. Delle caratteristiche fisiche si sono determinate : il peso specifico reale, il peso specifico apparente, il grado di compattezza, il coeffi¬ ciente di porosità, il coefficiente d’imbibizione riferito al peso, il coefficiente d’imbibizione riferito al volume ed il grado di saturazione. Tra le prove di resistenza meccanica si sono determinate la resi¬ stenza a compressione ed il logoramento per attrito radente. Le prove di laboratorio sia fisiche che meccaniche sono state eseguite in conformità a quanto precisato dalle norme italiane di accettazione dei materiali lapidei ( R. D. 16-11-1940, N. 2232). Si descrivono di seguito le modalità di esecuzione delle prove e si analizzano i risultati ottenuti. a) Caratteristiche fi siche. 1 — Peso specifico reale e peso specifico apparente. La determinazione del peso specifico reale è stata fatta con un picnometro ad acqua adoperando da 5 a 10 gr. di sostanza preven¬ tivamente polverizzata in modo da non lasciare residuo al setaccio di 900 maglie, ed essiccata in stufa a 110°. — 51 — Sono state eseguite complessivamente sei prove di cui due per il campione n. 1 e quattro per il campione n. 2. Si è ritenuto oppor¬ tuno eseguire più prove per il secondo campione in quanto esso è costituito da alternanze di straterelli a granulometria diversa. Le quattro prove hanno dato valori prossimi ma si può constatare che i primi due valori, prove eseguite polverizzando la parte a grana fine, sono leggermente inferiori agli altri due. Ciò potrebbe essere colle¬ gato ai dati calcimetrici che per la stessa parte a grana fine del campione n. 2 presentano valori del 72% di carbonati cioè dell’8% circa inferiore rispetto alla media assoluta del campione. Nella tabella III sono riportati i valori delle singole prove e le relative medie. TABELLA III. , V~m.ru ■■■■■ i unnr.!—. ~ r - . n, PESO SPECIFICO REALE Campione Campione Prove N. 1 N. 2 I Prova 2,729 2,711 II Prova 2,715 2,717 III Prova 2,726 IV Prova 2,729 Valore medio 2,722 1 II 2,721 I valori del peso specifico reale dei campioni esaminati rientrano nella categoria dei calcari discretamente compatti, come risulta dal confronto con altre tabelle riportate da vari Autori. II peso specifico apparente o peso di volume si è ottenuto facendo il rapporto tra il peso ed il volume di alcuni provini delle rocce in esame. Tutti i provini di forma cubica con volume, calcolato geometri¬ camente, variabile da 9 a 130 cc. sono stati essiccati in stufa a 110° fino al raggiungimento del peso costante. Tale operazione ha messo in evidenza la percentuale di acqua naturalmente contenuta in ogni campione. Nella tabella IV sono riportati i dati relativi alle caratteristiche dei provini sia allo stato naturale che dopo l’essiccazione. I valori del peso specifico apparente corrispondono a] peso di — 52 — TABELLA IV. P rovini Volume cm3 allo stato naturalo gr P E S C provini •essiccati gr ) acqua eliminata gr Percentuale acqua eliminata Valori singoli Valori medi 1' 130,25 310,01 308,44 1,57 0,51 1 " 130,16 305,83 304,10 1,73 0,57 rH C 1 a 13,57 31,79 31,62 0,17 0,53 CD Ib 11,17 26,28 26,12 0,16 0,61 c o 1 c 10,62 25,35 25,21 0,14 0,55 a s 1 d 13,07 31,70 31,51 0,19 0,60 CO U 1 e 9,65 23,85 23,72 0,13 0,55 1 f — 52,90 52,58. 0,32 0,60 lg — 38,27 38,00 0,27 0,71 1 h 34,00 33.79 0,21 0,62 0,58 2' 126,93 308.80 307,75 1,05 0,34 2" 125,71 306,63 305,62 1,01 0,33 2 A 12,39 30,95 30,83 0,12 0,39 g 2 B 13,40 33,41 33,28 0,13 0,39 CD 2 C 12,48 30,99 30,88 0,11 0,35 E O 2 D 10,78 27,00 26,93 0,07 0,26 CL S 2 E 12,45 31,07 30,98 0,09 0,29 CO QJ 2 F 12,57 30,79 30,70 0.09 0,29 2 G — • 20,08 19,96 0,12 0,60 2 H — ■ 30,70 30,56 0,14 0,46 2 I — 53,25 53,00 0,25 0,47 1 0,38 kg. 2373 e kg. 2466 al metro cubo rispettivamente per il campione n. 1 e per il campione n. 2. Il peso di volume rappresenta un importante parametro dal punto di vista applicativo ; esso infatti viene utilizzato per quanto riguarda i trasporti dei materiali ed i calcoli di carico. A volte con¬ viene riferire il valore del peso di volume allo stato naturale della — 53 — roccia ossia senza sottrarre l’acqua che i campioni contenevano natu¬ ralmente prime delle operazioni di essiccazione. Ciò permette di conoscere un dato che può presentare, in particolari condizioni, un interesse maggiore specialmente quando le rocce in esame sono molto porose e contengono naturalmente una notevole quantità di acqua. Nel caso in esame i valori del peso specifico apparente così calco¬ lati sono rispettivamente per i campioni n. 1 e n. 2 di 2387 e 2476 kg. al me. Le lievi differenze esistenti tra i valori calcolati con i due metodi prima detti sono da mettere in relazione alla bassa percen¬ tuale di acqua contenuta naturalmente nei due campioni di roccia e cioè 0,58%. per il campione ri. 1 e 0,38% per il campione n. 2. I valori del peso specifico apparente dei campioni in esame, determinati dal quoziente tra il peso dei provini asciutti ed il loro volume, rientrano tra quelli corrispondenti alle rocce calcaree discre¬ tamente compatte. Seguendo la classificazione del Salmoiraghi i valori ottenuti rien¬ trano nella categoria delle rocce mediocremente pesanti. Nella tabella V sono riportati i valori singoli e le medie gene¬ rali del peso specifico apparente dei due campioni. TABELLA V. PESO SPECIFICO APPARENTE Campione N. 1 Campione N. 2 1 Provini Valori singoli Valore medio Provini Valori singoli Valore medio r 2,368 2 ' 2,424 i" 2,336 2n 2,431 1 a 2.330 2 A 2,488 1 b 2,338 2 B 2,483 1 c 2,373 2 C 2,474 1 d 2,410 2 D 2,498 1 e 2,458 2 E 2,488 2 E 2,442 2,373 i 2,466 — 54 - 2 — - Grado di compattezza e coefficiente di porosità. Sulla scorta dei valori dei pesi specifici reale ed apparente sono stati calcolati il grado di compattezza ed il coefficiente di porosità. Per grado di compattezza s’intende il rapporto tra il peso spe¬ cifico e quello reale. Esso raggiunge l’unità nel caso che la roccia sia priva di pori. Per coefficiente di porosità s’intende il volume dei vuoti in per¬ centuale del volume della roccia ; esso corrisponde al rapporto tra il volume dei pori ed il volume totale della roccia allo stato naturale espresso in centesimi. I valori ricavati per i singoli provini e le medie dei due para¬ metri sono riportati rispettivamente nelle tabelle VI e VII. TABELLA VI. GRADO DI COMPATTEZZA Campione N. 1 Campione N. 2 Valori Valore Valori Valore Provini singoli medio Provini singoli medio r 0.870 2 ' 0,891 i" 0,858 2" 0,893 1 a 0,856 2 A 0,914 1 b 0,859 2 B 0,912 1 c 0,872 2 C 0,909 ld 0,885 2 D 0,918 0,903 2 E 0,914 2 F 0,897 | 0,872 0,906 Il grado di compattezza dei due campioni esaminati dimostra che trattasi di rocce poco compatte, ciò è messo in evidenza anche dal valore del coefficiente di porosità che è al limite tra le categorie delle rocce molto porose e di quelle abbastanza porose avendo valori del¬ l’ordine del 9% - 12%. Tali valori del coefficiente di porosità corrispondono ai calcari poco compatti ed ai travertini. 0050- 0 045- 0 040- 0 0 35- •v 0 a 0.030 - Y 0.025 - 0020- 0.015 - 0 010 - 0 005- ' 0.000 0 2 4 IO Fig. 1. — 55 — TABELLA VII. COEFFICIENTE DI POROSITÀ’ Campione N. 1 Campione N. 2 Valori Valore Valori Valore Provini singoli medio Provini singoli medio 1' 13,01 2' 10,91 1" 14,18 2" 10,66 la 14,40 2 A 8,56 1 b 14,10 2 B 8,74 1 c 12,82 2 C 9,08 1 d 11,96 2 D 8,20 1 e I 9,70 2 E 8,56 2 F 10,25 12,81 9,37 3 — Coefficiente d’ imbibizione e grado di saturazione. Per determinare il coefficiente d’imbibizione riferito al peso si sono adoperati tre provini per ogni campione del peso variabile da 20 a 55 gr. La determinazione del coefficiente d’imbibizione riferito al volume è stata condotta su provini di forma cubica del peso va¬ riante tra 20 e 30 gr. e con volumi dell’ordine di 10-12 cc. I provini sono stati essiccati in stufa a 110° fino a peso costante e sono stati poi immersi in acqua distillata per un tempo prolungato fino al raggiungimento del peso costante. Le prove sono state eseguite con temperature oscillanti tra 16°C e 19°C ed a pressione atmosferica. I due coefficienti d’imbibizione rappresentano l’acqua assorbita dall’unità di peso della roccia e l’acqua assorbita dall’unità di volume. II coefficiente d’imbibizione riferito al volume risulta il più utile in quanto è indipendente dal peso specifico della roccia. Nelle prove di imbibizione, la quantità d’acqua assorbita dai provini è in funzione del tempo fino al raggiungimento dell’imbibi¬ zione totale che può avvenire in tempi diversi a seconda del tipo di roccia. I provini qui esaminati hanno impiegato un tempo di trenta- quaranta giorni per raggiungere il peso costante. — 56 — Per avere dei dati confrontabili con quelli ottenuti in altri labo¬ ratori ed in conformità a quanto in uso nel laboratorio di geotecnica del Politecnico di Zurigo, si sono calcolati i coefficienti d'imbibizione riferendoli alla quantità d’acqua imbibita dopo 28 giorni di im¬ mersione. I coefficienti così ottenuti espressi in percento del peso e del volume di roccia hanno dato valori elevati corrispondenti a rocce molto porose del tipo dei travertini, come risulta anche evidente dal grado di compattezza e del coefficiente di porosità. Dei due campioni esaminati il primo raggiunge i valori più elevati. Nella fig. 1 sono riportate le curve di imbibizione. Il loro anda¬ mento mostra che il campione n. 1, a parità di tempo, ha assorbito, inizialmente, una maggiore quantità di acqua per poi raggiungere gradualmente il limite di imbibizione. Il campione n. 2 si è avvi¬ cinato più rapidamente del primo al limite di imbibizione. Nella tabella Vili sono riportati i valori dei coefficienti d’imbi- TABELLA Vili. Campione N. 1 Campione N. 2 Caratteristiche fisiche Provini Valori singolli Valori medi Provini Valori singoli Valori medi Coefficiente d’imbibizione lf 0,0413 2 G 0,0260 riferito al peso a 28 giorni Ir 0,0389 2 H 0,0222 i h 0,0426 0,0409 21 0,0221 0,0234 Coefficiente d’imbibizione i' 0,0696 2' 0,0481 riferito al volume a 28 giorni i" 0,0715 2" 0,0515 1 a 0,0855 2 A 0,0420 1 b 0,0788 2 B 0,0485 1 c 0,0791 2 C 0,0481 1 d 0,0757 2 D 0,0436 1 e 0,0663 2 E 0,0418 0,0752 2 F 0,0509 0,0468 Percentuale dei pori sa¬ turati d’acqua a pres¬ — — 58,70 — — 49,95 sione atm. 1 — 57 - bizione ed i valori delle percentuali dei vuoti saturati a pressione atmosferica nella imbibizione riferita a 28 giorni. Tali valori rappresentano il grado di saturazione della roccia e corrispondono al rapporto tra il coefficiente di imbibizione riferito al volume ed il coefficiente di porosità. b) Prove di resistenza meccanica. Tra le prove di resistenza meccanica si sono eseguite quelle di resistenza a compressione e quella di logoramento per attrito radente. Le prove sono state effettuate su provini opportunamente squa¬ drati e, per quanto possibile si sono mantenute le condizioni naturali della roccia specialmente per quanto riguarda il contenuto in acqua che è dello 0,58% per il campione n. 1 e dello 0,38% per il cam¬ pione n. 2. Le esperienze si sono svolte nel Laboratorio Prove Materiali dell’Istituto di Scienze delle Costruzioni del Politecnico di Napoli (2). 1 — Resistenza a compressione e gelività. Le prove di resistenza a compressione sono state eseguite con una pressa AMSLER da 100 tonn., su provini di roccia squadrati in cubi aventi il lato di cm. 7,1 circa e con una superficie di 50 cmq. Per ogni campione si sono eseguite quattro prove su provini allo stato naturale e quattro su provini congelati. I risultati di queste espe¬ rienze sono riportati nella tabella IX. Il congelamento si è ottenuto mediante immersione dei provini, già saturi d’acqua, in acqua distillata a + 35° C per la durata di 15 ore. Successivamente essi sono stati posti alternativamente di tre ore in tre ore in un frigorifero a — 10° C e poi di nuovo in acqua distil¬ lata a + 35° C. Questo ciclo, della durata di 24 ore si è susseguito per dieci volte. Alla fine di questo trattamento non erano visibili macroscopica¬ mente, modificazioni strutturali della roccia o segni di sgretolamento. Il campione n. 1 non presenta stratificazione interna, esso è uni¬ forme in massa, con vacui distribuiti uniformemente sulla superficie (2) Ringrazio sentitamente il Prof. Vincenzo Franciosi, Direttore delFIstituto di Scienza delle Costruzioni del Politecnico di Napoli, per avermi consentito di effettuare le prove di laboratorio. — 58 — dei provini. Nella massa si notano delle piezoclasi che durante lo svolgimento delle prove hanno rappresentato le prime direzioni di rottura dei provini ; questi, successivamente, all’aumentare del carico, si sono frantumati con distacchi disordinati delle parti. Il campione n. 2 è meno uniforme. In esso si notano alternanze di straterelli dello spessore variabile da 0,5 a 1,5 cm. formati da accumuli a granulometria diversa. Negli strati a grana fine, più compatti, sono rari i vacui mentre laddove la roccia è formata da accumuli grossolani si notano vacui di notevole grandezza ed in discreta quantità. I provini occorrenti per le prove di compressione sono stati rica¬ vati in modo da mettere bene in evidenza il maggior numero di stra¬ terelli, e le prove, come si vedrà in seguito, sono state eseguite con modalità diverse per mettere in risalto le variazioni del coefficiente di compressibilità al variare della direzione di carico rispetto alla direzione di stratificazione. Dai risultati ottenuti dalle singole prove dei due campioni si nota che il campione n. 1, più omogeneo, non presenta notevoli varia¬ zioni nei valori singoli sia nelle prove eseguite su provini allo stato naturale che su quelli congelati. Anche i valori medi dei due gruppi di prove possono ritenersi prossimi quindi è lecito supporre che il congelamento non abbia influenzato lo stato fisico dei provini lasciando inalterate quelle che erano le condizioni iniziali. I valori delle singole prove eseguite sul campione n. 2, sia sui provini allo stato naturale che su quelli congelati, presentano due massimi e due minimi. Tali differenze sono dovute alle diverse moda¬ lità di esecuzione delle prove, i valori massimi corrispondono a carichi normali alla direzione di stratificazione e i valori minimi corrispondono a carichi paralleli. Inoltre le prove a compressione per questo campione hanno dato valori notevolmente diversi a seconda dello stato fisico dei provini, precisamente il coefficiente di compressione corrispondente ai provini congelati risulta inferiore del 62% a quello calcolato su provini allo stato naturale. Possiamo quindi considerare geliva questa roccia. Dei due campioni di roccia esaminati il campione numero 1 pre¬ senta valori più elevati sia del coefficiente di porosità che del coef¬ ficiente di imbibizione e risulta essere poco o nulla gelivo ; il cam¬ pione n. 2 pur presentando valori più bassi dei predetti coefficienti deve invece considerarsi gelivo. L’esiguo numero di prove effettuate non permette di addentrarsi — 59 - in considerazioni relative alle relazioni esistenti tra porosità, imbibi¬ zione e gelività, ma consente di trarre alcune conclusioni abbastanza orientative ai fini delle applicazioni pratiche del materiale esaminato. I risultati delle prove sono esposti nella tabella IX. TABELLA IX. Campione' N. 1 Campione N. 2 Resistenza a compressione Valori Valori Valori Valori singoli medi singoli medi Resistenza a compressio¬ 377,62 ne su provini allo stato 436,73 naturale, kg/cm2 328,61 425,14 316,32 326,53 365,33 338,12 346,97 381,63 Resistenza a compressio¬ 299,61 240,49 ne su provini congelati, 1 kg/cm2 308,93 249,51 330,99 234,19 321,67 225,17 315,30 1 237,24 Confrontando tali risultati con quelli riportati da altri Autori, possiamo considerare le rocce in esame come calcari discretamente compatti. 2 — Logoramento per attrito radente. Queste prove sono state eseguite con un tribometro di AMSLER. I provini esaminati di forma prismatica, a base quadrata, con lato di cm. 7,1 circa, con altezza variabile da cm. 2,5 a cm. 2,7, del peso di circa gr. 354 sono stati sottoposti ad un carico di gr. 4158 corrispon¬ dente a 0,3 kg/cmq, come prescrivono le norme codificate per l’ac¬ cettazione delle prove. È stato misurato lo spessore dello strato abraso dopo 613 giri del piatto della macchia, corrispondenti ad un chilometro di percorso. Quale sostanza abrasiva si è usato il carborundum a grana 90, umet¬ tato con olio minerale. Per ogni campione si sono eseguite quattro prove di cui le prime — 60 — due operando su provini dello stesso campione e le secondo dispo¬ nendo contemporaneamente il provino da analizzare ed un saggio tipo di granito di S. Fedelino. Da queste prove quindi è stato possibile, misurando lo spessore dello strato abraso espresso in millimetri, conoscere l’indice di usura assoluto e, riportandolo all’indice di usura del granito di S. Fedelino, conoscere anche il coefficiente di usura relativo a questa roccia che viene considerata quale roccia tipo. Assumendo come unità l’indice di usura assoluta del granito di S. Fedelino è risultato che il campione n. 1 ha un indice di usura di 1,99 ed il campione n. 2 di 2,17. I dati relativi alle singole prove e le medie dei due campioni esaminati sono riportate nella tabella X. TABELLA X. LOGORAMENTO PER A T T R ITO R ADEN T E Granito Campione N. 1 Campione N. 2 Indici di usura San Valori Valori Valori Valori Fedelino singoli medi singoli medi Indice di usura assoluto 11,70 9,93 ( spessore dello strato abraso in nini.) 10,29 11,15 9.68 11,09 9,93 13,17 1 5,21 10,40 11.33 Indice di usura riferito al granito San Fede¬ lino 1 — 1,99 — 2.17 Tali valori consentono di rilevare che le rocce in esame presen¬ tano un indice di usura discretamente elevato e rientrano nella cate¬ goria delle rocce semidure. § 4 — Conclusioni. Le esperienze svolte permettono di trarre alcune conclusioni circa Futilizzazione delle rocce esaminate. Per la loro struttura e tessitura non si prestano ad essere lucidate — 61 — e non presentano particolari doti di pregio per essere adoperate come pietre ornamentali. Entrambi i tipi di rocce sono facilmente spaccabili e segabili, possono fornire conci anche di notevoli dimensioni. Sono rocce discretamente compatte, molto porose e facilmente usurabili. TABELLA XI. 1 Tabella riassuntiva Campione N. 1 Campione N. 2 Calcimetria 89,78 80,15 Peso specifico reale 2,722 2,721 Peso specifico apparente 2,373 2,466 Grado di compattezza 0,872 0,906 Coeff. di porosità 12,81 9,37 Coeff. d’imbibizione riferito al peso (%) 4,09 2,34 Coeff. d’imbibizione riferito al volume ( % ) 7,52 4,68 Grado di saturazione 58,70 49,95 Resistenza a compressione 346,97 381,63 Coeff. di usura assoluto 10,40 11,33 Coeff. di usura riferito al gra¬ nito San Fedelino 1,99 2,17 Il loro impiego risulta buono per murature ordinarie quali muri di controriva, rivestimenti di scarpate, muri di sostegno. Per l’elevata porosità, per il modesto grado di compattezza, per la notevole imbibizione e per l’alta usurazione si sconsiglia l’uso di tali rocce per murature a secco e si esclude la loro utilizzazione in ambiente subacqueo. Il loro impiego più comune, nella regione di estrazione, è per costruzioni di muri di sostegno e edilizia rurale. La disponibilità di tali rocce è notevole in quanto esse rappre¬ sentano un livello abbastanza potente e continuo che permette di cavarne cospicue quantità. — 62 — A volte, per l’estrazione del materiale, è necessario provvedere allo sbancamento delle argille ed argille-sabbiose alle (piali questi livelli sono intercalati. In questi casi il materiale argilloso viene local¬ mente utilizzato per la fabbricazione di mattoni. Nella tabella XI sono riassunti i dati delie esperienze di labo¬ ratorio. Napoli , Istituto di Geologia , aprile , 1963. RIASSUNTO Dopo una sommaria descrizione delle formazioni plioceniche affioranti nella valle del fiume Amato, vengono studiate le caratteristiche petrografiche e tecniche delle rocce in esame. Alle determinazioni chimiche e petrografiche seguono le proprietà tecniche che sono state suddivise in caratteristiche fìsiche (peso specifico reale, peso speci¬ fico apparente, grado di compattezza, coefficiente di porosità, coefficiente d’inibizione riferito al peso ed al volume e grado di saturazione) e prove di resistenza meccanica (resistenza a compressione e gelività e logoramento per attrito radente). Si analizzano infine i risultati ottenuti traendone adeguate conclusioni per lo impiego di tali rocce come materiali da costruzione. SUMMARY After a brief description of thè Pliocene formation outeropping in thè valley of Amato river, are studied thè petrographyc and technical properties of thè rocks in examination. To thè chemical and petrographyc test are follcwing thè technical properties which have been subdivided in physical characteristics (reai specific gravity, apparent specific gravity, degree of compactness, coefficient of porosity, soaking coefficient related to thè weight, volume, and degree of saturation) and test of mechanical resistence (compressimi resistence, freezing, and wearing out by rolling friction). At last are analysed thè results cbtained, inferring adeguate conclusions to use these stones as building materials. BIBLIOGRAFIA Cortese M. Descrizione geologica della Calabria. « Mem. descr. Carta Geol. d'It. », voi. IX, Roma, 1895. Ristampa Tip. Mariano Ricci, Firenze, 1934. Cotecch'ia V. Studi di geologia e petrografia applicata sui materiali lapidei da costruzione del medio bacino del fiume Fortore. « Geotecnica », fase. 6. anno II, Milano, 1955. De Stefani C. Escursione csientifica nella Calabria (1877-78), Jejo , Montalto e Capo Vaticano, « R. Acc. dei Lincei, Mem. Cl. Se. Fis, Mat. e Natur. », s. 3a, voi. XVII 1. Roma, 1884. — 63 — Desio A. Geologia applicala all’ Ingegneria. IL Hoepli, Milano, 1959. Gignoux M. Les formations marines pliocènes et quaternaires de V Italie du sud .et de la Sicilie. « Annales de FUni versi té de Lyon », n. s., fase. 36, Lyon- Paris, 1913. Ippolito F. Studi di petrografìa applicata su alcune rocce italiane . « Atti Fond. Politee. del Mezzogiorno », Napoli, 1942. M.oos A. (von) e Quervain F. (De). Tee emise he Gesteihkunde . Birkhauser, Basel, 1848. Palumbo E. Indicazioni litologiche generali, dati pratici e risultati sperimentali su pietre naturali da costruzione e da ornamento italiane. « L’Ingegnere », voi. 17, n. 2-4, Milano, 1943. Penta F. I materiali da costruzione deli' Italia meridionale . « Fond. Politec. del Mezzogiorno », voi. Il, Napoli, 1935. — Le rocce usate nelle costruzioni e alcune loro caratteristiche meccaniche . « An¬ nali dei Lavori Pubblici », anno 1937, fase. 5, Roma, 1937. Penta F. e Ippolito F. La pietra di Bellona. « Marmi, Pietre e Graniti », anno XV, n. 2, Carrara, 1937. Pinacci A. M. Prove sui materiali lapìdei. « Istituto Sper. Strad. Ricerche e Studi », voi. VII (1943-46), pagg. 21-27, Milano, 1947. Quervain F. (De) e Gschwind H . Die nutzbaren Gesteine der Schweiz. H. Huber, Bern, 1934. Rapina B. La pietra di Trami. « Geotecnica », fase. 5, anno III, Milano, 1956. Reveke G. Risultati di prove diverse eseguite nel Laboratorio prove materiali del R. Politecnico di Milano negli anni dal 1915 al 1932 . IL Hoepli, Milano, 1934, SalmgiragHi F. Materiali naturali da costruzione. U. Hoepli, Milano, 1892. Sequenza G. Le formazioni terziarie della Provincia di Reggio (Calabria). « Meni. R. Acc. Lince'., GL Se. Fis. Mat. e Nat. », (III) IV, pp» 1-446, tavv. 1-17, Roma, 1879. Talobre J. La mécanique des roches appliquée aux travaux publiques. Dunod, Paris, 1957. TAVOLA I. igg. 1 e Calcarenite con granuli di quarzo con Ampi liste gina, Briozoi, radioli di Echinidi e frammenti di Molluschi. Campione n. 1, (12 x). Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963. A. Vallario. Caratteristiche tecniche ecc „ - Tav. I. Fig. 2. Fig. 1. TAVOLA IL Fig, 1. — Calcarenite con Elphidium crispum LinnÈ, Briozoi e Melobesie. Campione n. 2, (15 x ). Fig. 2. — Calcarenite con Elphidium crispum LinnÈ, Globigerinidi e Briozoi. Campione n. 2, (12 x ). Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963. A. Vallario. Caratteristiche tecniche ecc. - Tav. II, Fig. 2. Il Paleocene nella zona di Pielravairano (Caserta), con alcune considerazioni sulla tettonica cretacica Nota del socio ITALO SGROSSO (*) (Tornata del 31 maggio 1963) Nel corso del rilevamento della tavoletta 172-IV-NO-Pietramelara si sono riconosciuti come paleocenici alcuni piccoli lembi di calcari affioranti a circa 100 metri di quota sulle pendici occidentali della Montagna di Bruno, piccola altura situata nell’angolo nord-orientale della tavoletta in questione. Questi lembi sono costituiti da calcari avana o biancastri, detritici, talora conglomeratici (1) e con plaghe rossastre, in placche trasgres¬ sive che si ritrovano su una superficie di oltre 500 metri quadrati, paggianti su calcari bianchi del Cretacico inferiore- (2). Data l’esigua potenza e la posizione in placche di questi sedimenti, non è stato possibile eseguire una serie, ma soltanto una campiona¬ tura sparsa. Il materiale esaminato in sezione sottile si è rivelato molto ricco di microfauna; l’associazione tipica è la seguente. Aeolisaccus kotori , fio Ialina, Spirolina , Quinqueloculina , Pyrgo . Triloculina , Alveolina, Microcodium, Orbitolites , Planorbulinidae V ernueìlinìdae , Rotalidae , Globorotalidae , Anomalinidae. Si ritiene paleocenica (3), o facente passaggio all’Eocene questa associazione fossilifera riferendosi ai recenti lavori di R. Selli 1960 [7] e di S. Sartori e U. Crescenti 1962 [5] che segnalano terreni in facies (*) La presente nota eseguita con il contributo del C.N.R. s’inquadra nei lavori di rilevamento e aggiornamento della Carta Geologica d’Italia sotto la direzione scientifica del prof, Francesco Scarseela. (1) Gli elementi presenti nel conglomerato sono di età variabile dal Cretacico inferiore al Cretacico superiore ; sono occasionalmente presenti frammenti di R ih liste. (2) In questo rilievo la serie è rappresentala sino al Cretacico superiore. (3) Sedimenti paleocenici sono già stati segnalati anche' nel vicino Matese (T. Pescatore 1961 [4], R. Signorini-G. Devoto 1962 [9]) ma in facies litologica diversa e con differente microfauna. — 66 — analoga sopra al Cretacico superiore. Le Alveoline presenti però, che sono in corso di studio da parte del dott. Bruno Scotto Di Carlo, sembrano di tipo nettamente eocenico. Frequenti, ma purtroppo indeterminabili sono resti spatizzati di Lamellibranchi cuoriformi a guscio molto spesso, che talora gremiscono la roccia (4). Poiché questi sedimenti paleocenici non sono sovrapposti ai calcari cretacei, ma ad essi appoggiati « lateralmente » per contatto trasgres¬ sivo, si deve ricostruire una morfologia già delineata prima dell’ingres- sione paleocenica. In un lasso di tempo relativamente così piccolo ( dal Senoniano inferiore) forze erosive subaeree non avrebbero potuto impiantar una morfologia così nettamente incisa (il Paleocene trasgredisce sui bordi di un rilievo) ; bisogna pertanto ricorrere a forze tettoniche che abbiano veramente innalzato ( 5) blocchi della pila calcareo-dolomitica già precedentemente fagliati. La fase tettonica tardo-cretacica, che ha provocato questa parziale ingressione, rappresenterebbe quindi la continuazione di quei movi¬ menti che già nel corso del Cretacico avevano variamente dislocato la pila carbonatica, stabilendo talora differenti condizioni di sedimen¬ tazione anche in zone vicine tra loro. Testimonianza di queste fasi tettoniche nelle serie del Casertano sono : 1) Le frequenti variazioni di facies nel Cretacico inferiore (6). 2) L’estesa lacuna stratigrafica generalmente marcata da bauxiti nel Cretacico medio (D’Argenio 1962 [2]). (4) Resti di Lamellibranchi analoghi si ritrovano abbondanti in alcuni livelli dei calcari paleocenici di Sapri ed in quelli che affiorano nella dorsale di M. Vesole. (5) Poiché il Miocene calcareo trasgredisce generalmente concordante (se discor¬ danza c’è è di pochi gradi) è da ritenersi che i varii spostamenti non abbiano avuto, almeno fino al Miocene, sensibili componenti orizzontali. (6) Spesso a calcari omogenei corrispondono calcari conglomeratici a cemento verdino e grigio (Coste di M. Grande e M. Virgo, Ietto 1963 [4]). Già in calcari del Noecoiniano sono talora presenti numerosi livelli conglomeratici a cemento rosso (Montagna di Bruno, M. S. Nicola); ciò che testimonierebbe la vicinanza di una facies continentale (del resto nel vicino Matese occidentale il Cretacico trasgredisce anche sul Trias, Selli 1957 [6]). Anche nel Matese orientale sono state notate ete- ropie nelPambito del Cretacico inferiore (Catenacci, De Castro, Scrosso 1962 [1]. (7) Alle volte a tetto della lacuna, marcata dalle bauxiti, si ritrovano calcari ad Ippuriti del Turoniano superiore o Senoniano (M. Fosco, M. Fossa nei pressi di Pietramelara etc.), alle volte dolomie e calcari con Cisalveoline del Turoniano infe- — 67 3) L’età variabile dei calcari a tetto della lacuna (7). 4) La presenza di serie continue, o in cui la lacuna non è chia¬ ramente dimostrabile, ma che comunque hanno caratteristiche litolo¬ giche e paleontologiche particolari, accostate a serie lacunose (8). Nel Turoniano superiore o Senoniano inferiore si ristabiliscono uniformi condizioni di sedimentazione con i calcari ad Ippuriti (9), che generalmente chiudono la serie mesozoica. Una generale emersione ha interessato le assise ealcareo-dolomi- tiche del Casertano e di buona parte dell’Italia meridionale dal Creta¬ cico superiore fino al Miocene (Selli 1957 [6]) (10). È pertanto interessante documentare una ingressione marina paleo- cenico-eocenica in una zona che generalmente si supponeva emersa. Ingressioni di questo tipo sono avvenute anche nel Cretacico ter¬ minale, ed infatti Ietto 1963 [3] segnala in una zona del Casertano (M. Virgo) un lembo di calcari e calcari conglomeratici maestrichtiani trasgressivi sul Cretacico inferiore (11). riore (M. Grande presso Caiazzo, Sgrosso 1963 [8], Coste di M. Grande presso Triflisco, Ietto 1963 [3]). Questi elementi, a mio avviso, sono di notevole importanza per dimostrare che Fingressione del Cretacico superiore è avvenuta su un substrato con zolle variamente dislocate. Anche il fatto che a M. Grande presso Caiazzo si ritrovino nella serie cretacica due distinti livelli con bauxite (e ciascuno dei due testimonia una lacuna stratigrafica, Sgrosso 1963 [8]) può spiegarsi soltanto con Fammissione di una tettonica a blocchi. (8) Nella Montagna di Bruno presso Pietravairano, per esempio, affiora una serie cretacica dolomitica e calcarea con frequenti livelli conglomeratici verdastri e rossi ; nella parte alta di questa nel cemento dei calcari conglomeratici si trovano Ippuriti, seguono infine calcari omogenei con Ippuriti ; si sono trovati inoltre al di sopra di un livello conglomeratico rosso calcari con microfauna del Cenomaniano superiore- Turoniano inferiore. Nel M. Fossa invece addossato per faglia alla Montagna di Bruno affiora il Cretacica con calcari a Requienie a letto del livello bauxitico e calcari ad Ippuriti del Turoniano superiore-Senoniano a tetto. Queste serie conglomeratiche, dove non sono documentabili lacune stratigrafiche e dove compaiono invece termini che mancano nelle serie normali, dovrebbero essersi, almeno in parte, sedimentate nello intervallo in cui in ambiente continentale si formavano le bauxiti. (9) Anche nell’ambito dei calcari ad Ippuriti però compaiono frequenti livelli conglomeratici che dovrebbero testimoniare episodi di instabilità nelle normali con¬ dizioni di sedimentazione. (10) Terreni paleocenici e paleogenici autoctoni (esclusi quelli delle serie fly- schoidi) sono stati recentemente segnalati (Selli 1960 [7]) in Italia meridionale soltanto a sud del fiume Seie. (11) Sia litologicamente che paleontologicamente questi sedimenti possono acco¬ starsi alla formazione dei cosidetti « calcari pseudocristallini » che nel Matese centro¬ occidentale trasgrediscono su una superficie molto incisa e poggiano anche su terreni molto antichi (Trias, Infralias, Lias, Giura, Cretacico inferiore). — 68 — In una precedente nota scritta in collaborazione con Catenacci e De Castro [1] segnalammo il ritrovamento di un esiguo lembo di calcari detritici con Nummuliti, grosse Alveoline ed altre forme eoce¬ niche, trasgressivi sulle bauxiti che affiorano sulla sommità della Serra Cavallo di Pastonico (Matese orientale). Questi lembi, che per caratteristiche litologiche e paleontologiche e per i loro stretti rapporti con la serie mesozoica sono da ritenersi autoctoni, rappresentano il residuo di affioramenti più vasti i cui elementi spesso si ritrovano rimaneggiati in terreni più recenti. Napoli , Istituto di Geologia dell’ Università, Aprile 1963. RIASSUNTO Viene segnalata, per la prima volta in Italia meridionale a N del Fiume Seie, la presenza di sedimenti paleocenici in facies neritica. Poiché questi poggiano tra¬ sgressivi, con contatto laterale sul Cretacico inferiore, si ammette una tettonica pre¬ paleocenica che si ricollega ad altre fasi tettoniche cretaciche. Come prova della esi- sistenza nel Casertano di queste fasi tettoniche, che avrebbero agito innalzando variamente blocchi fagliati, vengono addotti i seguenti motivi : 1) Le frequenti variazioni di facies in sedimenti coevi nel Cretacico inferiore. 2) L’esistenza di un’estesa lacuna stratigrafica nel Cretacico medio. 3) L’età variabile dei calcari a tetto della lacuna. 4) La presenza di serie continue o pressocchè continue accostate a serie chia¬ ramente lacunose. SUMMARY It is recogmzed, for first time in Southern Italy at norih of « Seie » river, thè existence of paleocenic neritic formation. Being these trasgressiv, with side contact, on lower Cretaceous it is admitted one pre-paleocenic tectonic wich is connected to other tectonic Cretaceous phases. As exemple of thè existence in Caserta country of these tectonic phases, wich could bave rised differently bloches faulted, fallowing demonstrative tests are cited : 1) The frequent variations of facies in thè formations of lower Cretaceous. 2) The large stratigraphic lack in thè middle Cretaceous. 3) The variable age of thè limestones lying on thè lack. 4) The presence of continuai serìes or almost continuai accosted at clearly lackly series. BIBLIOGRAFIA [1] Catenacci E.-De Castro P.-Sgrosso I., Complessi-guida del Mesozoico calcareo- dolomitico nella zona orientale del Massiccio del Matese. Mein. Soc. Geol. It. voi. IV, in corso di stampa. [2] D’Argenio B., Una trasgressione del Cretacico superiore nell' Appennino campano. Meni. Soc. Geol. It., voi. IV, in corso di stampa. — 69 — [3] Ietto A., Osservazioni stratigrafiche e tettoniche sul Cretacico dei Monti di Caserta . Boll. Soc. dei Naturalisti in Napoli, in corso di stampa. [4] Pescatore T., Una serie stratigrafica nel flysch a Sud-est del Matese ( Sannia ). Boll. Soc. Geol. It., voi. LXXX, fase. Ili, Roma 1961. [5] Sartoni S.-Crescenti U., Ricerche biostratigrafiche nel Mesozoico dell’ Appennino meridionale. Gior. Geol. XXIX, Bologna 1962. [6] Selli R., Sulla trasgressione del Miocene nelVItalia meridionale. Gior. Geol. XXVI, Bologna 1957. [7] Selli R., Il Paleogene nel quadro della geologia dell’ Italia meridionale. Mem. Soc. Geol. It., voi. III, Pavia 1962. [8] Sgrosso I., Il rilevamento geologico della Tav. 11 2-1 -NE Alife e 1-SE-Caiazzo. In via di pubblicazione sul Boll, del Serv. geol. d’It. [9] Signorini R.-Devoto G., Il Paleogene nel Molise. Mem. Soc. Geol. It., voi. Ili, Roma 1962. TAVOLA I. Fig. 1 - Spirolina sp. Associazione costituita da : Spirolina, Miliolidae, Alveolinidae, Planorbulinidae e Rotalidae. Calcare detritico talora conglomeratico. Preparato: A. 624 b (circa 28,5 x ). Località: Montagna di Bruno (Tav. 172 IV NO-Pietramelara). Età: Eocene (Paleocene?). Fig. 2 — Planorbulinidae. Associazione costituita da: Aeolisaccus kotori. Rotalina , Spirolina , Micro- codium, Orbitolites, Alveolina . Planorbulinidae, Miliolidae, Globorotalidae, Anomalinidae . Calcare detritico talora conglomeratico. Preparato: A. 624,1 (circa 28,5 x): Località: Montagna di Bruno (Tav. 172 IV NO-Pietramelara) Età: Eocene (Paleocene?). Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963. 1. Sgrosso, Il Paleocene nella zona di Pietravairano - Tav. I. TAVOLA II. Fig. 1 — Alveolina sp. Associazione costituita da: Aeolisaccus kotori. Spirolina. Rotalina , Mi- crocodium. Orbitolites, Planorbulinidae , Verneulinidae, Rotalidae, Glo- borotalidae . Anomalinidae . Calcare detritico talora conglomeratico. Preparato: A. 624,6 (circa 33 x ). Località: Montagna di Bruno (Tav. 172 IV NO-Pietramelara). Età: Eocene (Paleocene?). Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963. I. Sgrosso, Il Paleocene nella zona di Pietravairano - Tav. II. Cuneolina scarsellai n. sp. nel Cretacico dell’Appennino meridionale Nota del socio PIERO DE CASTRO (Tornata del dì 31 maggio 1963) Genere CUNEOLINA d’Orbigny, 1839 Cuneolina scarsellai n. sp. Tav. I; Tav. Il, figg. 1, 2. 1959 Cuneolina sp. (indicata come primitiva), Agip Miner., Micr. ital., Tav. LXXI11 GC 631 sez. 12583. Il materiale a disposizione è costituito oltre che da esemplari in sezione sottile anche da individui interi isolati dai residui di lavaggio provenienti dal «livello ad Orbitolina » (De Castro P.. 1963). Le cuneoline isolate provengono più esattamente dall’affiora- mento del predetto livello a S. Maria la Foce (tavoletta I.G.M.: 185 III NE, Sarno) ; la ricerca delle stesse in materiale analogo proveniente da Sorgente Sperlonga (tavoletta I.G.M. : 184 II SE, Punta Orlando) ha dato risultati praticamente negativi. Derivazione del nome : La specie viene dedicata al prof. Francesco Scarsella direttore dell’Istituto di Geologia dell’Università di Napoli. Descrizione : Guscio calcareo, imperforato, microgranulare, gene¬ ralmente conico compresso con sezione trasversale ellittica o ovale (quest’ultima sembra prevalere negli stadi giovanili). Eccezionalmente si riscontrano esemplari lievemente flabelliformi in corrispondenza delle ultime logge dello stadio adulto. In sezione longitudinale perpendicolare ai setti radiali le camere primarie sono subrettangolari, debolmente arcuate, con altezza della porzione interna della loggia maggiore dello spessore dei setti primari; l’altezza delle logge cresce, anche se con progressione non regolare, dall’apice alla base. Lo spessore delle pareti esterne delle logge è un pò minore o uguale a quello dei setti primari delle logge stesse. (*) (*) Lavoro eseguito col contributo del C.N.R. — 72 — Si riscontrano per lo più da sette ad otto coppie di logge; il numero massimo osservato è di 15. Setti primari debolmente convessi e di spessore crescente, anche se spesso con progressione non regolare, dall’apice alla base. Setti radiali a spessore variabile, per lo più compreso tra 0.006 e 0,013 mm., poco numerosi, diretti in senso radiale, talora obliquo, talora ondulati, spesso rudimentali e rappresentati in questo caso da semplici appendici che si dipartono dal tetto o dal pavimento della loggia arrestandosi ad una certa distanza da esso. A causa del loro sviluppo limitato o perchè mancanti, generalmente non sono osser¬ vabili nelle prime quattro logge (dopo lo stadio iniziale); si fanno via via più numerosi col progredire del numero d’ordine della loggia: una sezione trasversale in una loggia di uno stadio adulto avanzato ne ha messi in evidenza circa una diecina per lo più rudimentali. Setti secondari (short partitions di Henson 1948) rudimentali o mancanti; raramente osservabili ed in tal caso generalmente in logge dello stadio adulto. Stadio iniziale costituito da una loggia circolare dal diametro esterno variabile per lo più tra 0,044 e 0,063 mm., cui fa seguito pro¬ babilmente un brevissimo stadio di logge avvolte. Apertura stretta, allungata, alla base della camera. Misure più frequentemente riscontrate, espresse in min. : Altezza tra la prima loggia e la 4a loggia (1) 0.133-0.165 Spessore del setto primario della 4 a loggia 0.009-0.019 Altezza totale (2) della 4a loggia 0.038-0.045 Altezza tra la prima loggia e la 8a loggia 0.318-0.414 Spessore del setto primario della 8 0.013-0.025 Altezza totale della 8a loggia 0.051-0.068 Altezza tra la prima loggia e la 12a loggia 0.674-0.751 Spessore del setto primario della 12a loggia 0.023-0.028 Altezza totale della 12a loggia 0.070-0.105 (1) Ogni loggia è contata, dopo lo stadio iniziale, lungo una delle due file di logge contrapposte. (2) Comprendiamo nell’altezza totale della loggia anche lo spessore del setto primario. — 73 — spessore setto primario Rapporto - alla 4a loggia altezza totale della loggia » » » 8a » yy y > yy 12a » Camere per min. tra la prima loggia e la 4a loggia yy yy » » » » 8a » yy yy yy yy yy yy 12a » 0.29-0.33 0.24-0.38 0.17-0.54 24.0-30.0 23.2-25.1 16.0-17.8 Olotipo: Campione 767; preparato 767.33. Località dell’olotipo : S. Maria la Foce (tavoletta I.G.M.: 185 III NE, Sarno). Livello dell’olotipo : Livello ad Orbitolina. Tanatocenosi del livello dell’olotipo : alghe verdi ( Salpinge* por ella dinarica Radoicic+, oogoni di caracee-), foraminiferi ( Orbitolina spp.+ + , Miliolidae+ , Lituolidae~ tra cui Haplophragmoides e Ammo- baculites , Cuneolina scarsellai n. sp.~, altre cuneoline primitive), la- mellibranchi ( Neithaea atavo , Pholadomya cornueliana~ ), piccoli ga¬ steropodi-, piccoli radioli d’echinoidi~, ostracodi- ( Trachyleberididae ed Hemicytheridae ) (3). Altre località: Cava grande (tavoletta I.G.M. : 184 II SE, Punta Orlando), Monte Tobenna (tavoletta I.G.M. : 185 II SE, S. Cipriano Picentino), località Cavère della Civita di Pietraroia (tavoletta I.G.M.: 162 III SW, Cusano Mutri), Monte Castellone (tavoletta I.G.M. : 172 II NE, Castelmorrone), pendici meridionali di Monte la Foresta (ta¬ voletta I.G.M.: 185 III NE, Sarno). Distribuzione stratigrafica: Cuneolina scarsellai è stata riscontrata nelle serie neritiche del Cretacico inferiore. La sua dispersione verti¬ cale eguaglia, con buona approssimazione, quella riscontrata da Sartoni e Crescenti per Cuneolina laurenlii e C. Camposauri. Nella successione stratigrafica del Cretacico del Salernitano settentrionale ( fig. 1), Cuneolina scarsellai compare dopo C. camposauri e si estingue prima di C. laurentii all’altezza dei livelli a Barkerina riferibili con ogni probabilità all’Albiano. La dispersione verticale di C. laurentii (3) ++ = abbondante; + = frequente; = raro o oceasionale. — 74 — sembra nelle successione esaminata contenere sia quella di C. cam¬ posauri che quella di C. scar sellai. Rapporti e differenze: La specie descritta appartiene, assieme a C. Laurentii e C. camposauri , a quel gruppo di forme indicate nella letteratura come euneoline primitive a causa, o delle dimensioni generalmente piccole (4), o della scarsezza e della irregolare distri¬ buzione dei setti radiali e dei setti secondari. È solo con le due specie sopracitate che C. scarsellai presenta affinità. Essa si differenzia, però, nettamente da C. camposauri prin¬ cipalmente perchè quest’ultima è fornita di setti radiali regolari, numerosi, tutti di spessore pressoché uguale il quale eguaglia a sua volta quello dei setti primari, che risultano anch’essi, in prima appros¬ simazione, fra loro eguali. In comune con C. laurentii , C. scarsellai presenta la irregolarità della distribuzione dei setti radiali, sicché la distinzione delle due specie in sezione longitudinale normale ai setti radiali, può riuscire dubbiosa; Laltezza delle logge, gradatamente crescente in C. scarsellai , ed invece debolmente crescente in C. laurentii ; come pure il numero generalmente maggiore di logge per mm. osservabile in C. scarsellai , possono anche in questo caso fornire ottimi criteri per differenziare le due specie. In sezione longitudinale parallela ai setti radiali, la differenza tra le due specie è molto netta essendo questa sezione a Y in C. scarsellai ed a U in C. laurentii. Osservazioni: Delle tre specie menzionate C. laurentii è quella più abbondante; C. scarsellai e C. camposauri sono molto meno fre¬ quenti. C. scarsellai , in particolare, sembra raggiungere la maggiore diffusione da poco prima a poco dopo Laltezza stratigrafica del livello ad Orbitolina. Napoli , Istituto di Paleontologia , Maggio 1963. RIASSUNTO Viene descritta Cuneolina scarsellai, una nuova specie del Cretacico dell’Appen- nino meridionale, da annoverare assieme a Cuneolina laurentii e C. camposauri, con le quali presenta maggiori affinità, tra le forme indicate spesso come « cuneoline primitive ». (4) Non si esclude, in proposito, che la specie Textularia biarritzensis, istituita da Halkiard, possa essere una Cuneolina. Boll. Soc Boo AtÀ Cuneolina scarsellai n. sp. sul Cretacico delV Appennino meridionale. bo <»oo 1,00 )0e legenda CgJUjOmjj Q^MMAjAnisvJjL O/Wvn^ f cO'vn^GdLu 0 Mt a(aoJL ' pjyt Co p/ì^u/ <Ì6L 3 0 - 50 cw. . éWinvu Itcx/ jj^ìxziÌWaÌl tafcp'tiL xu7c. li Cu>^A/ W /Vi H.T^ ). c i OXJL le KlOU il KH VaJ Col. tOK.^ t cbJaaao doiùAAu ti t*, oìaJI c^kaO^o oJL uveo 'lM, lh&L.j pvc dJL 30-50 I^x. t JU + *C4 litoti**: AM) ; AptMO / iM aUaCi luam€«u l \*Xv^t oJj&XjO** i i UAAJUL> é^ntixL AvMlo 4oH%£o . (mXÌMMUj l LùÌMlKP d&fjOMvblX; ' djùl, C^ijkùkO 4CMAjO eSL HIAjO }oa iuXL aXc , alZ& f>vuu.'AK>n& . Calcxix^ anxCM o ‘ultcolaL . a CmzAuìjdÌlmA, \jÀX(M eichfl E~F^ 2>o fW* ^ajSUbt-u o o^Ofi t Apulo a™ ekt h innube 0 01*5*9 d*AO*i (LmJX/0 dt éL O'doito 'CvhA., li moLaU 4 4. Q) ' ^ A WUXl L-4yO / G 0A \jJW podo {^Ou^k. aàL Olito f u-vua> IjxLy) SCALE ^vo^iÌl q^o-Zoc^loo li Sodo >cAv2h topO^/iajiUs i : 15.000 U> io uà (L iQ /rHjdxx * i ^ Boll. Soc. Noi. in Napoli, 1963. dell’ Appennino meridionale. legenda il] CqJLùju-> OtnJnwJiynvJji O/vo/no^ coryaXLe 0 dlUi-o m -iOtaX. , pt n lo p-vtL/ <^®- 3o-5o c**-. f— >-_^T ^ 1 Colente ddùvuLtxs ì^maWÌl -iUaX. p/A. Jio hw, fta. }o - 5o caw,. Uveiti- OrU/Lt AmAÌIO 4 0-Q.vto . ■*'- ^ UULtflXo ( wltMtn dj>tjO+*s t te (Lòti QHjJIkC -ÌCukO ài IJSAO fyalxdLaL, fyJLk alta. puuM.'bioni . Co W on# 0 CUA.0- •ai itala)* a. (moJvu&ma. fallar Ai2iil k "i k TJ 3o{o».,« Cjf>ocL (* - alia, fuvoa» 1*xL) se al £ Ptofit. H'KlL ^tiaUgto jita IO /w — 75 — Nella successione dei sedimenti cretacici, da noi esaminata (fig. 1) Cuneolina scarscllai compare quasi alla stessa altezza stratigrafica delle altre due specie sopra citate e si estingue all’altezza dei livelli a Barkerina. Cuneolina scarsellai sembra così limitata, come C. laurentii e C. camposauri ai sedimenti di facies neritica del Cretacico inferiore. SUMMARY Description : Test calcareous, imperforate, microgranular, usually conic eompressed, elliptical or ovale in trasversai section ; thè ovale trasversai section seems to prevail in thè young stage, Exceptionally are found specimens sliglitly flabelliform in thè last chambers of thè adult stage. In longitudinal section, perpendicularlv to thè radiai septa, thè primary chambers are subrectangular, slightly areuated, with thè height of thè inner portion bigger than thè thickness of thè primary septa. The height of thè chambers increases whith nearly regular progression from thè apex to thè base. The radiai septa are variable in thickness and range between 0,006-0,013 mm. They are few numerous, radiai, semetimes oblique or wavy, often rudimentary and represented, in this case, by stups from thè floor or thè roof of thè chambers; because of its limitated growth or absence, they are not seen in thè first four or fi ve chambers (after thè initial stage); later thè radiai septa become more numerous as thè chambers increase in number : a trasversai chamber section in thè final stage of one specimen with many chambers, have pointed out about ten. Secondary septa (short partitions by Henson) rudimentary or absent; when observable they are in final chambers mostly. Initial stage made from a circular chamber with extern diameter variable between 0,044-0,063 mm. ; it is followed, probably, by a very little stage of coiled chambers. Cuneolina scarsellai occurs in neritic facies of lower Cretaceous. 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Preparati: 767.30, 767.19, 767.26, 767.27. Per tutti gli esemplari : 1 preparati sono tutti relativi allo stesso campione 767 (livello ad Orbi- tolina ). Ingrandimento : circa 55 x . Età probabile : Aptiano. Nota: gli stadi iniziali, ombreggiati, delle figg. 7, 9, 10 non lasciano chiara¬ mente vedere la loro struttura, a causa delle cattive condizioni di fossilizzazione. Le figure 2-10 sono disegni di sezioni sottili eseguite su esemplari isolati dai residui di lavaggio delle marne del livello dell’olatipo. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963, P. De Castro. Cuneolina scarsellai , ecc. - Tav. I. TAVOLA II Fig. 1. — Cuneolina scarsellai n. sp. Calearenite organogena con gasteropodi. Miliolidae ( tra cui Quinquelo- culina sp.. Spiroloculina sp., Sigmoilina sp.), Ophthalmidiidae , V alvu- linidae , Glomospira sp.. Cuneolina scarsellai n. sp., C. laurentii. Cuneolina sp. Preparato: A. 23.1 : (38.5x). Località: M. Tobenna (tav.: 185 II SE. S. Cipriano Picentino). Albi ano. Fig. 2. — Cuneolina scarsellai n. sp. Calearenite roganogena con Miliolidae (tra cui Quinqueloculina sp. e Spiroloculina sp.), Textulariidae, Valvulinidae , Trochamminidae , Lituo - lidae, Cuneolina scarsellai n. sp., Cuneolina laurentii , Cuneolina sp., dasicladacee e rari esacoralli. Preparato: A. 275 ; (38.5 x). Località: M. Castellone (tav.: 172 II NE, Castelmorrone). Cretacico inferiore. Figg. 3 e 4. — Cuneolina cfr. scarsellai. Calcare compatto con spicole di spugne, Miliolidae (tra cui Quinquelo¬ culina sp. e Spiroloculina sp.), Textulariidae, Valvulinidae . Trochammi¬ nidae, Cuneolina camposauri, C. laurentii. C. scarsellai. Cuneolina sp.. rari foraminiferi a guscio calcareo perforato. Preparati: A. 779. b. 4, A. 779. b. 10: (38.5x). Località: Cavère, Civita di Pietraroia (tav.: 162 III SW : Cusano Mutrii. Il campione A. 779. b. proviene dai noti livelli ad ittioliti di Pietraroia. Età probabile: Barremiano-Aptiano. Boll. Soc. Nat. in Napoli. 1963. 1 P. De Castro. Cuneolina scarsellai, ecc. - Tav. II. 2 La tettonica del gruppo del Monte Maggiore Nota dei soci BRUNO DARGENIO e TULLIO PESCATORE (Tornata del 31 maggio 196*) Premessa Il gruppo del M. Maggiore è costituito dai rilievi mesozoici che si estendono a sud del Matese, nell’ampia ansa del Volturno tra Capua e Pietravairano. In una nota precedente ( D’Argenio e Pescatore, 1962), si è trat¬ teggiata la stratigrafia del Mesozoico di questa regione, ma quasi nulla si è detto della tettonica. L’argomento ci è sembrato interessante e non privo di addentel¬ lati con i più ampi problemi strutturali che riguardano tutto l’Ap- pennino campano ; pertanto nella descrizione dei fatti tettonici osser¬ vati, si cercherà sempre di tener presente il quadro più generale e significativo della tettonica campana. I — Cenni di stratigrafia. La stratigrafia del gruppo del M. Maggiore, per quel che riguarda il Mesozoico, è stata oggetto di un nostro lavoro precedente (D’Ar- genio e Pescatore, 1962) e, successivamente, di uno studio crono- stratigrafico (Pescatore e Vallario, 1963). Il Cenozoico è stato ampiamente illustrato da Ogniben (1957, 1958). Diamo sommariamente alcune notizie sulla stratigrafia soffer¬ mandoci su qualche particolare della successione litostratigrafica che ci sembra interessante per la esatta comprensione dei fatti tettonici che si descriveranno. Per i riferimenti ai lavori precedenti, rimandiamo, per il Meso¬ zoico, ai citati lavori di D’Argenio e Pescatore e Pescatore e Val- lario e per il Cenozoico a quelli di Ogniben. — 78 — a) Mesozoico. Nella successione straligrafica del Mesozoico possiamo distinguere due parti che hanno subito una evoluzione diversa. Una parte inferiore rappresentata da quasi mille metri di dolomie, calcari dolomitici e calcari che si sedimentarono in conti¬ nuità dal Lias inferiore al Cretacico inferiore (Albiano) e una parte superiore rappresentata dai calcari del Turoniano-Senoniano ; le due parti sono quasi dovunque separate da un orizzonte hauxitico, testi¬ monianza della emersione cenomaniana. Un cenno merita la parte superiore che è costituita : in basso da un complesso calcareo-dolomitico con rapide variazioni laterali di facies, che rappresenta il primo ingredire del mare turoniano sul¬ l’area d emersione mediocretacica e, verso l alto, da un'alternanza di calcari e calcareniti con episodi biostromali (calcari a rudiste). L’area del M. Maggiore rappresentava, durante il Cenomaniano, il limite sud occidentale d’emersione della Piattaforma centrale con bauxiti (D’Argenio, 1962); pertanto, all’inizio del Turoniano la zona costituiva il primo fronte d’ingressione. A tale circostanza sono dovuti perciò i rapidi mutamenti laterali di facies del complesso basale. Notevole interesse presenta il sottogruppo del M. Maiulo (M.ti Maiulo-Caruso e Forca) e il M. Friento, nella parte sud orientale del gruppo, per le particolari situazioni stratigrafiche ivi esistenti. Vi sono infatti qui dei conglomerati attribuibili al Cretacico superiore che sono trasgressivi sul Lias e sul Giura, mettendo così in evidenza dei fatti tettonici d’età medio cretacica di un certo rilievo. Nel complesso il Mesozoico della nostra zona, mentre per la parte inferiore si presenta del tutto simile a quello del resto del- l’Appennino campano, salvo qualche riduzione negli spessori, nella parte superiore, turoniano-senoniana, si differenzia da parte dei coevi affioramenti dell’Appennino campano e per la presenza di una lacuna stratigrafica e perchè appartenente a differenti unità paleogeo¬ grafiche ( piattaforma centrale con bauxiti e fascia di transizione , D’Argenio, 1962). b) Cenozoico. I terreni cenozoici, costituiti essenzialmente dal Miocene, sono stati segnalati e descritti in dettaglio da Ogniben (1957, 1958) in due 79 — lavori che, insieme a quello di Selli (1957) sono da considerare basilari per la conoscenza e lo studio del Miocene campano. Pertanto, mentre rimandiamo a Ogniben (1957, 1959) per una descrizione più particolareggiata della stratigrafia del Miocene, ci sembra interessante mettere in evidenza come, nella sua distribuzione areale, la parte basale del Miocene (Formazioni di Mastroianni e di Montagnella) termina verso sud con la bassa Valle del Volturno, tra Limatola e Capua, limite meridionale della nostra zona. Questo limite per le facies mioceniche biostromali a nord del Seie, coincide, con buona approssimazione, col limite meridionale della piattaforma cen¬ trale con bauxiti, denunciando nel Miocene una persistenza di facies neritiche, biostromali, analoghe a quelle cretacee e limitate da linee strutturali di questa età ringiovanite. Il — Unità strutturali. Nel suo complesso il gruppo di M. Maggiore ha un perimetro grossolanamente rombico, le cui diagonali misurano ciascuna poco più di 20 chilometri e i cui angoli, corrispondenti ai quattro punti 80 — cardinali, sono dati da Monte Fossato a nord, M.te Santa Croce a est, M.te Raggelo a sud e M.te Coricuzzo a ovest ; entro questi limiti possiamo distinguere le seguenti unità strutturali : — a. le dorsali occidentali, ad andamento appenninico, tra M.te La Costa e M.te Raggeto Fig. 2. — Ubicazione delle sezioni della tavola 1. — b. la dorsale orientale, ad andamento appenninico, tra M.te Fos¬ sato e M.te Grande — c. la dorsale settentrionale, ad andamento est-ovest e a pianta grossolanamente triangolare — d. la dorsale centrale di M.te Friento e M.te Maiulo — e. graben di Formicola e di Riardo. — 81 a) Dorsali occidentali. Le due dorsali occidentali, parallele Ira loro, hanno andamento appenninico e sono separate dalla faglia di Bellona-Rocchetta il cui rigetto aumenta da sud est verso nord ovest, dove supera i mille metri, mettendo a contatto l’Infralias col Miocene calcareo, trasgressivo sul Cretacico superiore. In entrambe le dorsali gli strati immergono debol¬ mente verso est e verso est nord est. La dorsale esterna, spostata verso ovest, costituisce il tetto della grande faglia, la quale, specialmente verso sud est è quasi del tutto rasata ; questa dorsale, compresa tra M.te Tutuli e M.te Coricuzzo, è formata da ampi dossi, isolati da faglie d’andamento tirrenico e di modesto rigetto ; vi affiorano i calcari del Cretacico superiore con qualche lembo di Miocene trasgressivo. La dorsale interna, spostata verso est, è costituita da terreni che, procedendo verso la estremità meridionale, dall’Infralias giungono al Cretacico superiore ; anch’essa è limitata da faglie trasversali di mo¬ desto rigetto. Verso nord, infine, intervengono alcune complicazioni strutturali dovute alla vicinanza della più rilevata dorsale settentrio¬ nale, per cui, nella zona d’incontro, le direttrici tettoniche si discosta¬ no dalla media, ruotando anche di molti gradi. La dorsale interna è limitata anche ad est da una faglia appen¬ ninica, geometricamente analoga a quella tra le due dorsali (faglia di Bellona-Rocchetta) ma con rigetti minori. Sull’estremo bordo occidentale, infine, abbiamo elementi per supporre un'altra faglia ad andamento appenninico, ma non ne abbia¬ mo per giudicare dell’entità del suo rigetto. b) Dorsale orientale. Questa unità strutturale presenta molte analogie con le dorsali occidentali, a parte il rigetto delle faglie appenniniche periferiche che qui non supera i 300 metri. Gli strati immergono verso est e nord-est ma possono frequen¬ temente avere dei bruschi cambiamenti di direzione in relazione a faglie trasversali di minore entità. I terreni affioranti sono dati dal Cretacico inferiore e superiore e da placche di Miocene trasgressivo. In questa dorsale possiamo distinguere una parte settentrionale, tra M.te Fossato e i Monti della Costa, in cui affiora prevalentemente 82 — il Cretacico inferiore e una parte meridionale, che risulta leggermente ribassata rispetto a questa, e in cui affiora prevalentemente il Cre¬ taceo superiore. c) Dorsale settentrionale. La dorsale settentrionale ha una forma grossolanamente trian golare e vi si può distinguere una parte settentrionale (M.te Maggiore, Pizzo Madama Marta, M.te Melilo, M.te S. Angelo) e una parte meridionale (M.te Serrone, M.te S. Erasmo. M.te Etna). I terreni affioranti sono compresi tra l’Infralias, ad ovest ed il Cretacico superiore ad est. Una grande faglia, orientata da est-nord-est ad ovest-sud-ovest, limita il versante settentrionale di questa dorsale, con un rigetto decrescente verso oriente. Questa faglia maschera probabilmente una originaria struttura di compressione, come si può desumere, non solo dai rapporti geome¬ trici con i terreni adiacenti, ma anche dalle analogie nell’orientamento di queste direttrici che, nella parte meridionale della nostra zona, si riconoscono agevolmente come direzioni di compressione. I versanti meridionali di questa dorsale sono delimitati da faglie ad andamento appenninico. Altre faglie trasversali hanno un andamento meridiano e, verso est stabiliscono un graduale raccordo con la dorsale orientale. d) Il Sottogruppo del M. Maiulo e il M.te Friento. I rilievi che costituiscono il piccolo sottogruppo del M.te Maiulo (monti Maiulo, Caruso e Forca) sono limitati sul versante settentrio¬ nale da una faglia inversa che ripete il motivo caratteristico del versante meridionale della Valle del Volturno tra Limatola e Capua. Questa faglia che porta l’Infralias a sovrapporsi alle Arenarie di Caiazzo è orientata da est sud est a ovest nord ovest e giunge, leggermente deviando verso nord, fino al M. Fallano. II M. Friento, infine, sembra ripetere sul suo versante setten¬ trionale le situazioni dei Monti Maiulo, Caruso e Forca, anche se in condizioni d’osservazione non così evidenti. e) Graben di Formicola e di Riardo. 11 gra ben di Formicola ha un andamento quasi meridiano ed è dato da una zolla ribassata di forma irregolare, a tratti affiorante, — 83 compresa tra la dorsale settentrionale, il M.te Friento e la dorsale occidentale. Paragonabile a questo è la fossa di Riardo che ha un contorno grossolanamente quadrangolare ed è disposta con i lati mag¬ giori in direzione appenninica, in prosecuzione del graben di Formi¬ cola da cui è separato dalla dorsale settentrionale, precedentemente descritta. Ili — Conclusioni. Nel gruppo del M. Maggiore abbiamo distinte quattro dorsali ad andamento appenninico e una dorsale settentrionale ad andamento tirrenico. Quest’ultima costituisce un elemento di raccordo tra le dorsali occidentali e quelle orientali. Queste unità strutturali elementari (dorsali) sono tutte determi¬ nate da fatti disgiuntivi caratteristici di una tettonica che, nel com¬ plessivo stile rigido delFAppennino campano, possiamo definire, come si dirà meglio più avanti, di « tipo finale ». Possiamo individuare nel gruppo del Monte Maggiore una serie di eventi tettonici che hanno interessato questa zona fin dal Creta¬ cico medio. Si è infatti accennato ad un orizzonte bauxitico, presente al Monte Maggiore con notevole continuità. Questo orizzonte attesta una emersione avvenuta alla fine dell’Al- biano e protrattasi per tutto il Cenomaniano. La nostra zona costituisce la parte meridionale della piattaforma centrale con bauxiti che si estende verso nord ovest fin quasi alla altezza dell’Aquila e fa passaggio con una fascia di transizione (Sotto¬ gruppo del M.te Maiulo) ad un’area più meridionale con sedimenta¬ zione continua ( area esterna) (D’Argenio, 1962). Sull’orizzonte bauxitico trasgredisce in subconcordanza il Turo- niano con le facies di cui si è fatto cenno nella prima parte di questa nota. Possiamo pertanto datare come mediocretacei i primi eventi tettonici che interessano la nostra zona ; infatti il bordo meridionale, con i bruschi passaggi a zone con sedimentazione continua, è limitato da dislocazioni disgiuntive eli cui sono testimonianza le facies conglo- meratiche del M. Maiulo. Una oscillazione positiva possiamo registrarla probabilmente alla fine del Cretacico testimoniata dalla lacuna stratigrafica esistente tra — 84 — Senoniano e Paleocene nei finitimi M. Aurunci orientali, o tra Infra* cretaceo ed Eocene sul bordo nord occidentale del gruppo (Sgrosso, 1963). A questa emersione seguono le trasgressioni del Paleocene (al¬ meno sul bordo settentrionale del Gruppo) e del Miocene medio-infe¬ riore. Tutti questi fenomeni di tipo epeirogenetico furono accompa¬ gnati con ogni probabilità da dislocazioni disgiuntive riprese succes¬ sivamente dalla tettonica tardomiocenica e pliocenica. L’evoluzione della sedimentazione miocenica, in relazione alla tettonica di questo periodo è stata esaurientemente trattata da Ogniben (1958). La successione delle unità litostratigrafiche ci permette di rico¬ noscere un progressivo approfondimento del bacino, con passaggio da calcari organogeni, parzialmente biostromali, a sedimenti in parte dovuti ad accumuli di torbida e a risedimentazione. Secondo Ogniben (1958) verso ovest o verso sud ovest avveniva la sedimentazione delle Arenarie di Caiazzo , parzialmente eteropiche del Miocene autoctono e, probabilmente, ancora più a ovest o a sud ovest vi era il bacino di sedimentazione delle Argille Varicolori (Ogniben 1957, 1958). Alla fine del Miocene per la migrazione verso nord est del corru¬ gamento appenninico, si ebbe l’arrivo di coltri gravitative costituite dalle arenarie di Caiazzo e dalle Argille Varicolori. È probabile che si sia verificato dapprima la sovrapposizione delle A. V. alle arenarie, nella sede della normale giacitura di queste ultime, e poi la traslazione di ambedue le formazioni sull’autoctono del M. Maggiore. Per quanto riguarda l’età precisa di questi primi fatti traslativi, prodromi del più intenso sollevamento della nostra zona, non abbiamo elementi che ci permettano di determinarla con maggiore approssima¬ zione (tardo tortoniana o post-tortoniana) di quanto abbia fatto Ogniben. Nel finitimo gruppo del Taburno è stata possibile ad uno di noi (D’Argenio, 1963) distinguere e datare una prima fase « preorogene¬ tica », di età tardo miocenica, in cui si verificarono fatti gravitativi che hanno sovrapposto tettonicamente al Mesozoico coltri di arenarie molassiche e A. V., con lo stesso meccanismo illustrato da Ogniben (1957, 1958); una seconda fase orogenetica di compressione di età tardomioeenica-infrapliocenica con la formazione di dorsali allungate da est a ovest e limitate a nord da faglie inverse e locali sovrascorri- Boll. Soc. Nat. in Naj D’Argenio B., Pesca i)^- f CASERTA J Maggiore - Tav — 85 — menti ; una terza fase di sollevamento, di età medio pliocenica ; una fase finale di rilassamento tardopliocenica (e forse anche pleistoce¬ nica), che oblitera, con faglie distensive d’andamento appenninico e tirrenico, la iniziale tettonica di compressione. Possiamo pertanto rite¬ nere con buona approssimazione non improbabile una comunanza e una contemporaneità di vicende tettoniche. Nel Taburno, queste fasi sono più chiaramente ricostruibili nella loro successione, mentre ai M. Maggiore risulta particolarmente evi¬ dente la fase finale di distensione con allineamenti di faglie appen¬ niniche e tirreniche che hanno giocato un importante ruolo morfo¬ logico (tettonica di « tipo finale »). La seconda fase di compressione è però ancora visibile agli estre¬ mi meridionali (M.ti Maiulo, Forca, Caruso, M.te Friento) e setten¬ trionali (M.ti di Pietravairano) del gruppo. Possiamo pertanto supporre anche nella evoluzione tettonica re¬ cente del M. Maggiore quattro momenti elementari. La fase distensiva ha obliterato molte linee di compressione : ad esempio sul bordo nord della dorsale settentrionale, dove molti elementi fanno ritenere possibile una iniziale linea di compressione. Pertanto il gruppo di M. Maggiore rappresenta nell’Appennino campano un « complesso strutturale », caratterizzato principalmente da linee disgiuntive semplici e regolari e da limitate zone di intenso disturbo. Napoli, Istituto di Geologia delVUniversità, marzo, 1963. RIASSUNTO Dopo un breve riepilogo stratigrafico si esamina dettagliatamente la tettonica del gruppo del M. Maggiore, riconoscendovi alcune unità strutturali elementari che, nelTinsieme, caratterizzano nello stile rigido del Mesozoico campano, un tipo di tettonica in cui predominano le dislocazioni distensive a linee semplici, e in cui i fatti dovuti a compressione sono presenti solo sugli estremi bordi meridionale e settentrionale. Seguono alcune considerazioni sulla paleogeografia della regione e sulla suc¬ cessione degli eventi tettonici recenti. SUMMARY After short stratigraphic accounts, we examine in detail thè tectonic of thè « Gruppo del Monte Maggiore », and we acknowledge some elementary strutturai unities, which characterize in chìef rigid style of thè Mesozoic of Campania, a kind of tectonic where distension simple-lines dominate, and where coinpression lines are present only on thè extreme southern northen limits. There are then some considerations about thè paleogeography of that region and about thè suceession of thè recent tectonic events. — 86 - BIBLIOGRAFIA Bassani F., Il calcare a nerinee di Pignataro Maggiore in prov. di Caserta , « Remi. Acc. Se. fis, e mat. », s. 2, 4, pp. 199-205. Napoli, 1890. Cassetti M., Relazione sui lavori eseguiti nella valle del Volturno nell’anno 1893 , « Boll. Cora. Geol. d’It. », 25. pp. 258-274, fig. 1. Roma, 1894. Cassetti M., Sul rilevamento geologico di alcune parti dell’ Appennino ; eseguito nel 1896, « Boll. Coni. Geol. cTIt. », 28, pp. 347-371, tav. 1. Roma, 1897. 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Scarsella F., Sulla presenza del Lias nell’Isola di Capri. « Rend. Acc. Se. fis. mat. », s. 4, 28, pp. 391-394. Napoli. 1961, — 87 — Selli R., Sulla trasgressione del Miocene nelV Italia meridionale . « Giorn. di Geol. », s. 2, 26, pp. 1-54, tavv. 9. Bologna, 1957. Selli R., Il Paleogene nel quadro della geologia delVItalia Meridionale. « Mein. Soc. Geol. Ital. », 3, pp. 737-789. tav. 1. Pavia, 1963. Sgrosso 1., Il Paleocene a Pietravairano. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 72, Napoli, 1963. Ufficio Geologico, Carta geologica d’Italia, 1 : 100. 000, Caserta ( F . 172), rilev. da M. Cassetti e P. Moderni. Novara, 1912. Brecce di disseccamento intraiormazionali ( edgewise breccias) nel Cretacico inferiore del Matese Nota del socio BRUNO D ARGENIO (Tornata del 31 maggio 196J) Nello scorso anno avevo segnalato, a tetto delle bauxiti della Regia Piana, nel Matese orientale (F. 162, III SO), la presenza di impronte di disseccamento (sun cracks) e mi ero soffermato ad illustrarne le caratteristiche genetiche e il significato ambientale (D’Argenio, 1962 a). Successivamente ho rinvenuto anche nei calcari ad ittioliti del Matese, alla Civita di Pietraroia, località ben nota per le ricche faune di vertebrati fossili, questi poligoni di disseccamento, associati a brecce intraformazionali di tipo speciale (edgewise breccias della letteratura anglo-americana). Per l’interesse che presentano tali strutture sedimentarie, desi¬ dero segnalarle ed illustrarle brevemente, rimandando ad un lavoro di maggiore impegno l’esame sedimentologico e paleoambientale dei calcari ad ittioliti. Gli elementi delle brecce intraformazionali che vanno sotto il nome di « edgewise breccias », derivano dallo smantellamento di superfici disseccatesi per un momentaneo ritiro delle acque e sono sempre di trasporto molto limitato, in modo che non si verificano fenomeni di arrotondamento. Queste brecce di disseccamento non sono associate a deforma¬ zioni contemporanee ma si rinvengono insieme a zone disseccate e ad altre strutture caratteristiche delle linee di riva. Pertanto esse non indicano alcuna notevole lacuna nella sedi¬ mentazione (Pettijohn, 1957). Le « edgewise breccias » sono sempre in livelli sottili, gli elemen¬ ti sono piatti e monogenici. — 89 — A volte però possono essere anche in relazione con piegamenti subaquei, con strati gradati o con scogliere o possono, in casi parti¬ colari essere prodotte da correnti di torbidità (Natland e Kuenen, 1951). È evidente che queste ultime ipotesi genetiche non sono adatte al nostro caso. Le brecce intraformazionali della Civita di Pietraroia sono for¬ mate da elementi poligonali appiattiti, di dimensioni variabili tra i pochi millimetri e i 4-5 cm. di lato e si rinvengono intercalate in esili livelli nei calcari sublitografici che costituiscono il litotipo fon¬ damentale dei calcari ad ittioli ti. Gli elementi di queste brecce si presentano per lo più silicizzati, ma vi sono anche elementi francamente calcarei ed altri in cui la sili- cizzazione è avvenuta solo parzialmente. Le brecce sono originate dal rimaneggiamento intraformazionale di superfici disseccate di cui si rinvengono ancora pochi e limitatis¬ simi affioramenti. Sulle testate di alcuni strati infatti si possono osservare delle caratteristiche sua cracks , che hanno però dimensioni differenti da quelle descritte per la Regia Piana ( D’Argenio, 1962 a); poiché mentre quelle sono alquanto più grandi, queste rientrano perfetta¬ mente nella media indicata da Shrock (1948), (1). Anche le superfici disseccate, come gli elementi delle brecce, sono quasi sempre silicizzate. Altri elementi di differenza stanno nel contorno che qui è irrego¬ larmente triangolare o trapezoidale, mentre alla Regia Piana i poli¬ goni sono regolari ed esagonali ; e nel profilo che qui è piatto, mentre alla Regia Piana è piano-convesso. Il motivo di tali differenze può ricercarsi nella diversa granulo¬ metria del materiale disseccato e forse anche nel diverso ambiente in cui avvenne il disseccamento (D’Argenzo, 1962 a). Dal punto di vista ambientale risulta interessante Fassociazione di queste due strutture : impronte di disseccamento e brecce intra¬ formazionali. Le impronte di disseccamento ben si accordano con le caratteri- fi) Le dimensioni medie dei poligoni di disseccamento oscillerebbero tra i 2.5 e i 5 cm. di lato (Shrock, 1948). Alla Civita di Pietraraia ho però successivamente rinvenuto anche altre superfici disseccate, indisturbate e non silicizzate, i cui poligoni sono ugualmente irregolari, ma hanno maggiori dimensioni (fino a 15-20 cm. di lato). 90 - stiche ambientali dei calcari ad ittioliti . così come sono state somma¬ riamente descritte (D’Argenio, 1962 b). Infatti tali strutture furono originate da una breve emersione che permise l’essiccamento del fango calcareo del fondo. Ciò fu possibile agevolmente in acque calme e molto basse, quali dovevano essere quelle in cui andavano depositan¬ dosi i calcari ad ittioliti (ambiente lagunare). Il rimaneggiamento dei poligoni invece rappresenta un elemento perturbatore in questo ambiente normalmente calmo, e sta ad indi¬ care un saltuario rapporto col mare aperto. RIASSUNTO Si segnala la presenza di brecce di disseccamento intraformazionali nei calcari ad ittioliti del Cretacico inferiore del Matese orientale ; se ne descrivono le carat¬ teristiche e se ne illustra brevemente il significato ambientale. SUMMARY Edgewise breccias in lower cretaceous calcari ad ittioliti of eastern Matese are pointed out and described, and their paleoenvironmental significance is shortly outlined. BIBLIOGRAFIA Cox G. H. e Dare G. L., 1916, Geological criteria for determining thè structural position of sedimentary heds. « Bull. Missouri Univ. School Mines », 2, f. 4, pp. 1-59. D’Argenio B., 1962 a, Impronte di disseccamento ( sun cracks ) nelle bauxiti del Matese. « Boll. Soc. Nat. in Napoli », 71, pp. 90-102, tavv. 2. Napoli, 1963. — 1962 b. Una trasgressione del Cretacico superiore nelV Appennino campano. « Mem. Soc. Geol. it. », 4, pp. 57, figg. 10, tavv. 8, Bologna, 1963. D’Erasmo G., 1914, La fauna e l’età dei calcari ad ittioliti di Pietraroia ( Prov . di Benevento). « Paleont. Ital. », 20, pp. 29-86, tavv. 7 ; 21, p. 59-112, tavv. 6, Pisa 1914-1915. Dumbar C. C. e Rodgers J., 1959, Principles of Stratigraphy. New York, Wiley and Sons. Faibridge R. W., 1946, Submarine slumping and location of oil bodies. « Bull. Am. Ass. Petr. Geol. », 30, pp. 84-92, Tulsa. F exton C. L. e Fenton M. A., 1937, Belt series of thè north : stratigraphy , sedi- mentation, paleontology. « Bull. Soc. Geol. of America », 48, pp. 1873-1890 Field R. M„ 1916, A preliminary paper on thè origin and classi fìcation of intra- formational conglomerates and breccias. « Ottawa Naturalist », 30. pp. 29-36. 47-52 e 58-66. — 91 — Foerste A. F., 1917, lntraformational pebb'les in thè Richmond Group, at Win¬ chester, Ohio. « Journ. of Geol. », 25, p. 304. Hyde J. E., 1908, Dessication conglomerates in thè Goal Measures limestones of Ohio. « Am. Journ. of Se. », serie 4, 25, pp. 400-408. Leith C. K., 1925, Silicification of erosional surfaces . « Econ. Geol. », 20, pp. 513-523. Kindle E. M., 1917 a, Some factors affecting thè development of mud craks. « Journ. of Geol. », 25, pp. 1-56. — 1917 b, Diagnostic characteristics of marine clastics. « Bull. Geol. Soc. of Am. », 28, pp. 905-916. Kindle E. M. e Cole C. H., 1938, Some mud crack experiments. « Geol. Meere und Binnengewasser », 2, (2), pp. 278-283. Me Kee E. D., 1945, Cambrian history of thè Grand Canyon regioni part. I. Stratigraphy and Ecology of thè Grand Canyon Cambrian. « Carnegie Inst. Pubi. n. 563 », pp. 65-70. Washington. — 1954, Stratigraphy and history of thè Moenkopi formation of Triassic age. « Mem. Geol. Soc. of America », n. 61. Pettijohn F. J., 1957, Sedimentary Rocks . New York, Harper & Brothers. Natland M. L. e Kuenen P. D., 1951, Sedimentary history of thè Ventura Basin, California, and thè action of turbidity currents. « Soc. Econ. Paleont. and Min. », spec. pubi. n. 2, pp. 76-107. Norton W. H., 1920, Wapsipinicon breccias of Jowa. « Jowa Geol. Survey », 27, pp. 355-547. Twenofel W. H. e Collaboratori, 1932. Treatise on Sedimentation. Baltimore, The Williams and Wilkins Co. Walcott C. D., 1894, Paleozoic intra-formational conglomerates. « Bull. Soc. Geol. of America », 5, pp. 191-198. TAVOLA I. Fig. 1 . — Civita di Pietraroia, località Le Cavere, calcari ad ittioliti. Impronte di disseccamento sulla superbe e di uno strato. I poligoni di disseccamento sono conservati solo nella parte superiore del campione ; in basso si può osservare il riempimento delle fessure in rilievo. Un terzo circa della gran¬ dezza naturale. Fig. 2. — Civita di Pietraroia, località Le Cavere, calcari ad ittioliti . Brecce di dis¬ seccamento (edgewise breccia) nel corpo di uno strato. Gli elementi, pro¬ venienti dalle superfìci disseccate sono silicizzati e sono stati messi in evidenza dalla dissoluzione del calcare. Un terzo circa della grandezza naturale. Fig. 3. — Civita di Pietraroia, località le cavere, calcari ad ittioliti. Breccia di dis¬ seccamento ( edgewise breccia ) ad elementi calcari (il campione è leg¬ germente ingrandito). Fig. 4. — Civita di Pietraroia, località Le Cavere, calcari ad ittioliti. Breccia di dis¬ seccamento ( edgewise breccia ) ad elementi parzialmente silicizzati. Il campione è leggermente impiccolito. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963. D’Argenio B. Brecce di disseccamento, ecc. - Tav. I. Kilianina PFENDER ed Orbitammioa BERTHELIN (?) (Foraminifera) nella zona a Pfenderina (Batoniano) dell’Appennino meridionale Nota del socio PIERO DE CASTRO (Tornata del 31 maggio 1963) Le ricerche biostratigrafiche che l’Istituto di Paleontologia con¬ duce sui gruppi montuosi delPAppennino meridionale hanno per¬ messo di esaminare nuovo materiale proveniente dai livelli giurassici di facies neritica dei Monti Lattari (Penisola sorrentina) (De Castro P., 1962). I dati emersi si aggiungono a quelli precedentemente resi noti confermando l’età (Batoniano) già supposta per la zona a Pfenderina (De Castro P., 1962, 1963). Lo studio di numerose sezioni sottili relative a campioni dei pre¬ detti livelli, provenienti dai dintorni di Positano (località: i Cannati), ha permesso infatti di riscontrare, tra l’altro, numerosi esemplari di Kilianina blandisti Pfender ed altri riferibili, probabilmente, ad Orbitammina elliptica D’Archiac ; riferisco solo dubitativamente alcuni esemplari a quest’ultima specie a causa del loro cattivo stato di conservazione e del numero ridotto degli individui osservati, II materiale che ha fornito le specie citate è rappresentato da una calcarenite grigio scura, lievemente marnosa, fetida alla percus¬ sione, contenente la seguente associazione: Pfenderina salernitana Sartoni e Crescenti Pfenderina sp. M eyendorffìna bathonica Aurouze e Bizon Kilianina blancheti Pfender (?) Orbitammina elliptica D’Archiac P scudo dir ysalidina sp. (?) (*) (*) Lavoro eseguito col contributo del C.N.R. — 94 — Arninob acuii te s sp. Pseudocy clamm ina sp. Trocholina sp. V alvulinidae T haumato por ella pari ovesiculif era (Raineri) dasicladacee, probabili codiacee, esacoralli. La presenza, nella zona a Pfenderina, di livelli con Meyendorffina bathonica e, probabilmente, con Orbitammina elliptica riveste una notevole importanza; riferendosi al bacino di Parigi, Maync (1961), in¬ fatti, scrive: « Dans tous les sondages effectués dans le bassin de Paris où Orbitammina elliptica fut trouvée, elle est strictement limitee aux calcaires du Bathonien supérieur ( zone à Clydoniceras discus ) et elle y est toujours associée à Meyendorffina bathonica Aijrouze et Bizon qui est cependant beaucoup plus commune... V apparition de Meyen¬ dorffina bathonica et d’ Orbitammina elliptica constitue un repère Constant et important pour fixer le toit du Bathonien supérieur ». La presenza di Kilianina blancheti , non ancora segnalata, mi sembra, in queste zone delPAppennino, costituisce una ulteriore con¬ ferma a quanto sojira; questa specie, che ricorre frequente nel Ba- toniano di Francia (Dufaure, 1958; Nouet, 1958; Aurouze et Bizon, 1958), compare spesso, infatti, nelle stesse associazioni conte¬ nenti sia Meyendorffina che Orbitammina (Aurouze et Bizon, 1958). Napoli , Istituto di Paleontologia, Maggio 1963. RIASSUNTO Viene segnalata, nei Monti Lattari (Penisola Sorrentina), la presenza di Kilianina blancheti Pfender e di forme attribuibili, forse, al genere Orbitammina Berthelin. Questi dati confermano l’età (Betoniano) già assegnata dallo scrivente ai livelli giurassici con Pfenderina. SUMMARY Kilianina bianchetti Pfender and specimens perhaps referring to Orbitammina Berthelin are pointed out in Monti Lattari (Penisola sorrentina). By this way is confirmed thè age ( Bathonian) asribed jet, by thè Author, to jurassic levels with Pfenderina. BIBLIOGRAFIA Aurouze G. et Bizon J. J. 1958 Rapports et différences des deux genres de foraminif eresi Kilianina Pfender et Meyendorffina n . gen. Rev. Micropaléont., voi. 1, n. 2, pp. 67- 74, fig. 1, tavv. 3, Paris. — 95 — De Castro P, 1962 11 Giura-Lias dei Monti Lattari e dei rilievi ad ovest della valle dell’Imo e della Piana di Montoro. Boll. Soc. nat. in Napoli, voi. 71, anno 1962. pp. 34, figg. 5, tavv. 19. Napoli. 1963 Sulla presenza del Giura ( Dogger e Maini ) nei Monti Aurunci. Boll. Soc. nat. in Napoli, voi. 71, anno 1962, pp. 16-19, tavv. 4. Napoli. Dufaure P. 1958 Contrìbution a Vétude strati graphique et micropaléontologique du Juras - sique et du Néocomien, de V Aquitaine à la Provence. Rev. Micropaléont.. voi. 1, n. 2, pp. 87-115, fig. 1, tavv. 6. Paris. Garrot H., Lacassagne R. et Nouet G. 1959 Caractères microstratigraphiques du Dogger des Ardennes et liaison avec certains sondages de Normandie . Rev. de Micropaléont., voi. 1, n. 4, pp. 200-216, figg. 3, tav. 1. Paris. Maync W. 1961 Note sur le genre Orbitammina ( foraninifère ) et sa repartition strati- graphique. Rev. Micropaléont., voi. 4, n. 1, pp. 7-16, fig. 1, tavv. 2. Paris. Nouet G. 1958 Caractères stratigraphiques et micropaléontologiques du Bathonien , de la basse N ormandie au Boulonnais. Rev. Micropaléont., voi. 1, n. 1, pp. 17- 21, tavv. 2. Paris. Pfender J. 1933 Sur un foraminifère nouveau du Bathonien des montagnes d’Escreins ( Hautes-Alpes ). Kilianina blancheti nov. gen., nov. sp. Ann. Univ. Gre¬ noble, n.s., Sect. Se. et Méd., voi. 10, n. 1-2, pp. 243-252, tavv. 3. Grenoble. Sartoni S. e Crescenti U. 1962 Ricerche biostratigrafìche nel Mesozoico dell’ Appennino meridionale. Giornale di Geologia, ser. 2, voi. 29, pp. 161-302, una tabella, tavv. 4-2. Bologna. TAVOLA 1 Fig. 1. — (?) Orbìtammina elliptica (D’Archiac), sezione obliqua. Preparato 556.15. Fig. 2. — (?) Orbitammina elliptica (D’Archiac), sezione trasversale. Preparato: 556.28. Fig. 3. — Kilianina blancheti Pfender, sezione longitudinale subassiale. Preparato: 556.28. Fig. 4. — Kilianina blancheti Pfender, sezione longitudinale obliqua. Preparato: 556.15. Fig. 5. — Kilianina blancheti Pfender, sezione trasversale. Preparato: 556.18. Per tutti gli esemplari : Ingrandimento : 26.7 x . Località: I Cannati (tav.: 197 IV NW, Positano). Età : Batoniano. Boll. Soc. Nat. in Napoli. 1963. P. De Castro. Kilianina Pfender , ecc, - Tav. I. Osservazioni stratigrafiche e tettoniche sul Cretacico dei monti di Caserta (*) Nota del socio ANTONINO IETTO (Tornata del 28 Giugno 1963) 1. — Premessa, Oggetto delle osservazoni esposte nel presente lavoro, sono le formazioni cretaciche che costituiscono quasi tutti i rilievi circostanti Caserta e compresi, precisamente, tra Nola, S. Agata dei Goti, For¬ micola e Caserta. La bibliografia relativa, anche se scarsa nel complesso, data co¬ munque a partire dal 1867 con i lavori di G. Tenore (1867-1872) [22- 23]. Ritroviamo successivamente i lavori di M. Cassetti (1894-95- 1913) [2-3-4], al quale è anche dovuto il primo rilevamento della zona, e Parona (1901-18) [16-17]. Tra gli autori più recenti, si ri¬ cordano B. D’Argenio (1962) [5], B. D’Argenio e T. Pescatore (1962) [6], A. Ietto (1963) [12] al quale è anche dovuto l’ultimo rilevamento dei dintorni di Caserta [20], A. Ietto e I. Sgrosso (1963) [13] ed I. Sgrosso (1963) [21]. Dal punto di vista geologico, l’area presa in esame, presenta delle serie calcareo-dolomitiche mesozoiche, continue dall’Infralias al Cre¬ tacico, le quali costituiscono le zone più rilevate. Le zone pedemontane risultano invece costituite prevalentemente da terreni terziari in facies di flysch arenaceo-argilloso con estese coperture di materiali pirocla¬ stici ed alluvioni. Le serie mesozoiche presentano, dalPInfralias al Giura superiore, facies piuttosto monotone, calcareo-dolomitiche o calcaree, con depositi (1) La presente nota si inquadra nei lavori di aggiornamento e rilevamento della Carta geologica d’Italia, condotti sotto la direzione scientifica del Prof. Fran¬ cesco Scarsella, direttore dell’Istituto di geologia deUTJniversità di Napoli. In parte è stata anche svolta con contributi del C.N.R. — 98 — di tipo neritico. Denotano cioè un ambiente di sedimentazione piut¬ tosto costante nel tempo con caratteristiche del tutto simili a quello in cui si sono depositate le serie coeve della penisola sorrentina e del gruppo dei Picentini [8], Durante il Cretacico inferiore, però, tale ambiente di sedimenta¬ zione subisce una notevole evoluzione, specie nelle aree subito a nord di Caserta. La litologia delle serie corrispondenti mostra, infatti, gli effetti di condizioni di forti instabilità batimetriche (calcari con¬ glomeratici monogenici ad elementi e cemento coevi), le quali poi, nel Cretacico medio, culminano nell’emersione delle zone a setten¬ trione del Volturno (gruppo del monte Maggiore). In conseguenza di ciò, quindi, l’area in esame presenta, dal Cretacico inferiore al Turo- niano, ambienti di sedimentazione notevolmente diversi tra loro, i quali, comunque, possono essere distinti in due principali : uno settentrionale sede di notevole instabilità del fondo e caratterizzato da momenti di parossismo tettonico nel Cretacico medio (emersione del gruppo del monte Maggiore) con tutti i fenomeni ad esso connessi (formazione di bauxite sulle zone emerse e conglomerati poligenici ai bordi di esse) ed uno meridionale dove le condizioni di sedimenta¬ zione permangono pressocchè eguali a quelle dei periodi più antichi e che risente solo occasionalmente (formazione degli ammassi di brecce intrafonnazionali di contrada Palombara) dei fenomeni che si succedono più a nord. Col Cretacico superiore (Turoniano-Senoniano p.p.) sia per l’ambiente settentrionale che per quello meridionale si ripristinano condizioni eguali di sedimentazione (calcari detritici a Cisalveolina, livelli biostromali a Rudiste s.s.). Per comodità di esposizione, indichiamo rispettivamente questi due ambienti con i termini di: « Zona meridionale » e « Zona set¬ tentrionale )>. 2. — Stratigrafia. Zona meridionale (Fig. 2. - Serie di M. S. Angelo) Questa zona comprende tutti i rilievi a S e SE della piana di Valle di Maddaloni. Qui i sedimenti del Cretacico, in facies neritica. sono generalmente costituiti, salvo rare intercalazioni dolomitiche, da calcareniti e calcilutiti di colore prevalente avana o grigio chiaro con resti frequenti di diceratidi, nerinee ed acteonidi, specie nella parte media e inferiore della serie. A questi fossili vanno via via — 99 - sostituendosi verso l’alto le Rudiste s.s. le quali, nella porzione som¬ mitale, diventano tanto abbondanti da dare luogo a facies semicostruite ( Turoniano-Senoniano). La serie, però, dei terreni cretacici, con una potenza di circa 1000 metri, presenta nell’insieme una certa monotonia, la quale viene interrotta soltanto da alcuni livelli tipici e di facile riconoscimento in campagna: livello ad Orbitolina (Aptiano); calcari a Cisalveolina (Turoniano); livelli biostromali a Rudiste s.s. (Turoniano-Senoniano). In alcuni affioramenti della serie cretacica, poco al di sotto dei calcari a Cisalveolina , si osservano ammassi di « brecce intraforma- zionali » [11], ad elementi dolomitizzati e cemento dolomitico. Tali brecce sono osservabili, nel loro migliore affioramento, in contrada Palombara, nei rilievi al limite nord-occidentale della tavoletta Nola. La formazione ha uno spessore massimo sui 20 metri ed include elementi con diametro da pochi centimetri fino 1-2 metri. Lo studio delle microfacies della serie cretacica, ha permesso di osservare come l’intera successione dei terreni risulti ricca di fora- miniferi, ostracodi ed alghe. Per il Cretacico inferiore, tra i foraminiferi, si riscontra l’abbon¬ danza di Miliolidi cui si accompagnano Orbitolinidi, Valvulinidi, Textularidi. Alcuni rappresentanti di queste famiglie assumono im¬ portanza stratigrafìea soltanto in considerazione dell’abbondanza o meno dei propri individui in alcuni livelli. Così, mentre, per esempio, le Cuneoline primitive (C. scarsellai , C. camposauri ) sono esclusive o quasi di tutto il Cretacico inferiore, Orbitolina assume notevole importanza stratigrafica a causa di un suo particolare addensamento di individui in un piccolo intervallo di pochi metri, pur essendo più ampia la sua distribuzione. È questo il cc livello ad OrbitoUna » Auctorum. Le alghe, sempre nel Cretacico inferiore, assumono una grande importanza. Sono infatti indicative per alcuni generi determinate specie e per altri generi le quantità con cui si presenta una specie determinata. È quest’ultimo, per esempio, il caso di Salpingoporella annulala che, per quanto presente già nei livelli giurassici, la sua ricorrenza in numerosi individui nei livelli del Cretacico, indica gene¬ ralmente terreni più antichi o al più coincidenti col Barremiano. Una maggiore importanza, a causa della sua ben localizzata distri¬ buzione stratigrafica, ha Salpingoporella dinarica abbracciarne, secon¬ do Radoieic, un intervallo compreso tra il Barremiano e l’Aptiano. Le dasycladacee permettono poi, in particolare, di localizzare delle — 100 — altezze stratigrafìehe molto precise eom’è, per esempio, il caso di Neomacro por ella cretacica Sartoni e Crescenti. Come si rileva per i macrofossili, anche in microfacies, è diffìcile, come per tutti i terreni di transizione, stabilire quale sia il limite tra Cretacico inferiore e Cretacico superiore. Lo stato attuale delle conoscenze ei consente di porlo in un punto imprecisato di un inter¬ vallo compreso tra la estremità superiore della zona a Salpingo por ella dinarica ed i primi livelli cenomaniani a Sellialveolina viallii [4]. La successione microfaunistica che segue la zona a Salpingo por ella dinarica , per quanto abbia caratteri propri che la differenziano dai livelli sottoposti, presenta comunque uno spessore sensibile in cui difficilmente si riescono a rintracciare livelli caratteristici, come, per esempio, i livelli a Barkerina . A questo spessore di successione distinto da Crescenti e Sartoni [18] come « cenozona a Cuneolina pavonia parva », seguono i livelli a Sellialveolina viallii e quindi quelli a Cisalveolina , riferiti rispettivamente al Cenomaniano ed alla base del Turoniano. Col Turoniano, la comparsa di forme nuove ( Dicyclina schlumbergeri ) e l’affermarsi di forme che, se già presenti, erano molto poveramente rappresentati ( foraminiferi a guscio calcareo perforato, Aeolisaccus kotori , Tanniate por ella parvovesiculifera) rende agevole il riconoscimento dei piani successivi. Zona settentrionale Sono compresi nella zona settentrionale tutti i rilievi a NO della piana di Valle di Maddaloni fino alle propaggini meridionali del gruppo del monte Maggiore. La successione dei terreni cretacici mostra una sedimentazione continua fino ai livelli biostromali a Rudiste s.s. (Turoniano-Seno- niano) eccetto che nei rilievi più settentrionali e cioè Monte Raggelo e Costa di Monte Grande. Qui la normale successione presenta una lacuna mediocretacica marcata da un livello di bauxite di spessore dai 60-70 cm. fino ad oltre i 2 metri. I calcari a letto della bauxite sono dei calcari grigi o nocciola ricchi di requienie e gasteropodi e di età compresa tra l’Albiano ed il Cenomaniano (probabile Al- biano) (2). A tetto della bauxite, invece, a Costa di Monte Grande, poggiano dei calcari detritici o compatti rossastri con banchi di (2) Questi, infatti, a Costa di Monte Grande presentano, in microfacies, la seguente associazione: Miliolidi, Textularidi, Lituolidi, grandi Valvulinidi, Nummoloculina , Cuneolina pavonia , gasteropodi, gusci di lamellibranchi. Al Monte Raggeto : grandi — 101 dolomia grigia saccaroide e calcari dolomitici. Questi passano supe¬ riormente a calcari biancastri o rosati compatti i quali contengono, ad una distanza di circa 70 metri dalla bauxite, numerosi livelli a Cisalveolina e coralli (Turoniano inferiore) (3). Ma, oltre che per la presenza dello jatus mediocretacico, pre¬ sente, per altro, solo nei rilievi situati al limite nord dell’area in esame, le successioni dei terreni cretacici della Iona settentrionale si differenziano notevolmente da quelle della zona meridionale per i seguenti altri motivi: a) scomparsa del livello ad Orbitolina , pur restando presenti alla medesima altezza stratigrafica (4) ed in alternanza ai calcari (5), i livelli argillosi conglomeratici verdi che ad esso si accompagnano (Monte S. Michele, Vallone Starza, Monte Castello di Castel Morrone ecc.); presenza nel Cretacico inferiore di livelli di calcari conglome¬ ratici monogenici in cemento calcareo marnoso verdino, ad elementi e cemento con faune coeve (Monte S. Michele presso Maddaloni, Colle Pentirne ecc,); presenza nel Cretacico superiore, al di sotto dei calcari a Cisalveolina , di bancate di calcari conglomeratici poligenici con elementi di varia età (Lias- Giura) e di grandezza variabile fino ai 10-15 erre, massimo e con cemento calcarenitico (Monte Calvi, Monte Cerreto ecc,) ; episodi bioermali a grosse rad ioli li, coralli ed alghe nel Cretacico superiore del Monte Calvi. Tutte queste situazioni, pur non presentandosi in un’area defi¬ nibile, sono comunque osservabili più frequentemente nei rilievi che costituiscono la parte sud della zona settentrionale, tra Maddaloni e Castel Morrone ( fig. 2, serie di Monte Calvi); Valvulinidi, Orbitolinidi, Nummoloculina , Quinqueloculina , Cuneolina pavonia , Cuneo¬ lina cf. camposauri, Ostracodì, Coralli, Taumato por ella, frustali di Caraeee. (3) Per quanto compreso tra la bauxite ed i calcari a Cisalveolina non si hanno elementi per poter datare con precisione, data la microfacies poco indicativa rinvenuta nei calcari: Ostracodi, Miliolidi, Oftalmididi ecc. Al Monte Raggelo, a tetto della bauxite, si estende per un breve tratto (7-8 metri di spessore) la stessa successione di Costa di Monte Grande. La tettonica e la estesa copertura non consentono, però, di seguire l’intera successione dei sedimenti che poggiano sulla bauxite. (4) Infatti, le microfacies dei calcari che succedono, in serie, alla zona con alter¬ nanze di livelli verdi aegilloso-conglomeratici, mettono in evidenza : numerosi fora- miniferi, tra i quali, oltre a Cuneolina pavonia ed a Barkerina, sono presenti forme appartenenti per lo più alle famiglie delle Texiularidae , Mìliolidae, Valvulinidae, Lituolìdae, Ophtalmididae ecc. ; dasyeladacee ; resti di lamellibranchi e gasteropodi. Si rinvengono, cioè, le stesse associazioni che si ritrovano nei calcari delle serie della zona meridionale, poco al di sopra (40-50 m.) del tipico livello ad Orbitolina. (5) Questi calcari, per altro, risultano spesso ricchi di orbitolinidi. b) assenza sia del livello ad Orbitolina che dei livelli argilloso- conglomeratici verdi (Monte Virgo); i terreni del Cretacico inferiore costituiti prevalentemente da calcari conglomeratici monogenici (6) ad elementi e cemento con fauna coeva, con alternanze di calcari colitici e raramente calcari detritici (Monte Virgo); abbondantissimi nel Cretacico superiore i calcari conglomeratici poligenici con ciottoli di varia età, in cemento calcarenitico (Monte Mesarinolo, Collina di S. Eligio - fig. 2, serie omonime); talora, forte diminuzione dei macro¬ fossili specie nel Cretacico inferiore (Monte Virgo, Croce Santa ecc.), dove ai fossili solitamente presenti ( diceratidi, nerinee ecc.) si sosti¬ tuiscono talora rari livelli a Caprinidi (Monte Virgo). Queste situazioni, similmente a quelle esposte nella lettera a) del presente paragrafo, non si osservano in un’area delimitabile, ma pur tuttavia sono più frequenti nei rilievi cretacici tra S. Maria Capua Vetere e Limatola, (fig. 2, Serie di Monte Virgo). In quest’area e precisamente al Monte Virgo, a nord di Caserta Vecchia, in corrispondenza del rudere di Torre Lupara, si ritrovano dei calcari biancastri o nocciola chiari, detritici, con aspetto cristal¬ lino, ricchi di piccoli frammenti di gusci di ì udiste. Le microfacies hanno permesso di osservare associazioni tipicamente maestrichtiane: Orbitoides media (D’Archiac) Orbitoides sp. Siderolites calcitrapoides Lamarck Omphalocyclus macroporus (Lamarck) Rotalidi Tali calcari, con placche di piccolo spessore e di limitata super- fice, poggiano in posizione trasgressiva mediante esili letti conglome¬ ratici, sulle testate degli strati dei calcari della zona a Salpiamo por elio dinarica ( Barremiano-Aptiano) (fig. 2, Serie di Monte Virgo); c) ricomparsa dei livelli verdi conglomeratici nella parte alta della zona a Salpingo por ella dinarica , ma è ancora assente il tipico livello ad Orbitolina; rari livelli conglomeratici ad elementi e cemento coevi nel Cretacico inferiore; i terreni del Cretacico inferiore risul- (6) Le microfacies dei calcari conglomeratici, sia del cemento che dei ciottoli, mettono infatti in evidenza : Bacinella irregularis , Salpingo por ella dinarica , cuneoline primitive ed altri resti meno indicativi appartenenti ad alghe (Dsaycladacee e Co- diacee), foramimferi ( Textularidi, Valvulinidi. Lituolidi. Miliolidi), rari resti di gaste¬ ropodi e lamellibranchi. — 103 - tano costituiti, nella parte più bassa, quasi esclusivamente, salvo rare alternanze di calcari dolomitici, da dolomie bianche saccaroidi in banchi, alle quali si sostituiscono gradatamente (Collina di S. Iorio Fig. 1 — Distribuzione delle facies nel Cretacico medio (Cenomaniano-Turoniano). 1) Aree emerse (serie di Costa di Monte Grande); 2) coglomerati poligegenici a cemento calcareo o calcareo-marnoso e ad elementi di varia età (Lias, Giura, Cretacico inferiore) (serie di Monte Mesarinolo e Collina di S. Eligio); 3) calcari e calcareniti con frequenti intercalazioni di calcari conglomeratici a cemento calcareo e ad elementi di varia età, con frequenti episodi biostromali ad Ippuriti e qualche raro episodio bioermale a grosse Radioliti, Ippuriti, Acteonidi, Nerinee e coralli (serie di Monte Calvi); 4) calcari, calcari dolomitici e dolomie, talora in facies biostromale ad Ippuriti e con qualche ammasso di brecce intrafor- mazionali a cemento dolomitico ed elementi dolomitizzati. e Costa di Monte Grande) o talora bruscamente (Monte Raggeto) dei calcari generalmente a grana fine di colore prevalente dal grigio al grigio scuro con livelli ricchi di diceratidi, nerinee ecc. ; presenza — 104 — in alcune serie (Costa di Monte Grande, Monte Raggeto) della lacuna mediocretacica, della quale s’è già detto, marcata dai livelli di bau¬ xite, il cui tetto è costituito da ritmiti calcareo-doloinitiche e qualche livello conglomeratieo. Queste variazioni sono più frequentemente osservabili nei rilievi compresi lungo una fascia che va da Capua a Caiazzo e cioè all’estre¬ mità nord della zona settentrionale ( fig. 2, Serie di Costa di Monte Grande). 3. — Tettonica. Tettonica cretacica Da quanto esposto in stratigrafia, il primo importante fenomeno tettonico che ha interessato la serie dei terreni cretacici, si individua nelTemersione di alcune zone (Monte Raggeto e Costa di Monte Grande) durante il Cretacico medio. Tale fatto tettonico, espressione parossistica di tutte quelle oscillazioni batimetriche che si sono suc¬ cedute nel Cretacico inferiore ed alle quali è dovuta la formazione dei calcari conglomeratici ad elementi e cemento coevi, è caratteriz¬ zato da un sollevamento a carattere tabulare con fratture verticali, un sollevamento cioè di tipo epeirogenetico, come testimonia la quasi perfetta concordanza tra le pile calcaree a letto ed a tetto dei livelli di bauxite e la presenza di serie continue a stretto contatto con quelle lacunose. A tetto della bauxite, i sedimenti cretacici comprendono: proba¬ bilmente la parte alta del Cenomaniano, il Tu romano e parie del Senoniano. Sul finire del Cretacico si ha una seconda fase tettonica, come testimonia la trasgressione dei calcari maestricthiani del Monte Virgo. Circa la estensione e le modalità di tale fenomeno, nell’area da noi studiata, non si può dire molto data la esiguità dei dati a disposizione. È certo, comunque, che tale fatto si inquadra in uno dei momenti di un fenomeno tettonico molto più ampio, il (piale raggiunge, per queste zone dell’ Appennino, il suo massimo sviluppo nei rilievi occi¬ dentali del gruppo del Matese e che sembra avere avuto, in grandi linee, modalità del tutto simili a quello mediocretacico da noi osser¬ valo. Nelle zone occidentali del gruppo del Matese, infatti, sul Trias. — 105 — sul Lias, sul Giura e sul Cretacico inferiorè trasgrediscono direttamente, in subconcordanza, i calcari cristallini del tardo Cretacico. Di tale ampio fenomeno tettonico, nella zona da noi presa in esame, la trasgressione del Monte Virgo ne è l’unica traccia. Tettonica post-cretacica Ulteriormente ai fenomeni tettonici del tardo Cretacico, l’area in esame risulta interessata da una ripresa dei moti tettonici, il che è confermato dalla presenza del Miocene trasgressivo sul Cretacico. Il primo episodio osservabile, è costituito dall’ digressione del mare mediomiocenico con deposizione di calcari, calcareniti e marne con stratificazione concordante a tetto dei calcari cretacici. Segue, quindi, nel Miocene superiore una emersione delle pile sedimentarie, caratterizzata anche da spinte a marcata componente tangenziale, il che porta frequentemente i terreni cretacici, e miocenici in facies calcareo-marnosa, in sovrapposizione tettonica sui materiali plastici miocenici in facies di arenarie o flysch. Infine, una tettonica di rilassamento mio-pliocenica sblocca va¬ riamente in zolle, grosso modo monoclinali, mediante faglie dirette verticali o subverticali, le pile calcareo-dolomitiche della serie me¬ sozoica. Il mancato ritrovamento di formazioni eo-oligoceniche, non ci consente di affermare o meno eventuali fasi tettoniche terziarie pre¬ mioceniche. Napoli , Istituto di Geologia, Aprile 1963. RIASSUNTO Vengono esposte alcune osservazioni sulla stratigrafia e sulla tettonica dei rilievi cretacici dei dintorni di Caserta. L’Autore delimita due ambienti di sedimentazione: una con serie continue a facies neritica a sud ed uno con episodi di continentalità a nord : indicati, rispetti¬ vamente, come « zona meridionale » e « zona settentrionale ». Particolare considerazione viene data alle varie successioni lito-biostratigrafiche ed alle loro frequenti eteropie. Nella zona settentrionale, si individuano, inoltre, durante il Cretacico, due prin¬ cipali fasi tettoniche : una mediocretacica ( Albiano-Cenomaniano) ed una tardocretacica (Senoniano). SUMMARY Here are exposed some observations on thè stratigraphy and tectonic of creta- ceous mounts of Caserta’s country. The Autor is pointing out two particular anvoiroments of sedimentation : one 106 — with continuai series, neritic facies, in southern, and other one, at northern, with Continental manifestations; pointed, rispectively, as « southern zone » and « northern zone ». It is particularly put in evidence thè various lito-biostratigraphic subseguences and their frequent eteropies. In thè northern zone, are recognized, also, during thè Cretaceous two principals tectonic phases : one niiddle-cretaceous ( Albiano-Cenomaniano) and an other one late-cretaceous (Senoniano). BIBLIOGRAFIA [1] Bassani F. Il calcare a Nerinee di Pignataro Maggiore in provincia di Caserta. Rend. Acc. Se. fis. e mat., s. 2, 4, Napoli 1890. [2] Cassetti M. Relazione sui lavori eseguiti nella valle del V oltruno nelVanno 1893. Boll. Com. Geol. d’It., 25, Roma 1894. [3] Cassetti M. Osservazioni geologiche eseguite nelVanno 1894 . in alcune parti delV Appennino meridionale. Boll. Com. Geol. d’It., 26, Roma 1895. 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Calcarenite organogena con Sellialveolina viallii Colalongo, Cuneolina pavonia parva Henson, Nezzazata simplex Omaha e Miliolidae. Caserta Vecchia (Tav. 172-II-NE-Castel Morrone). Prep.: 702 (16,5 x). Cenomaniano. TAVOLA V. Calcarenite organogena con Bacinella irregularis Radoicic, Textularidae, Miliolidae, Lituolidae. Monte Virgo (Tav. 172-II-NE-Castel Morrone). Prep.: B 44-2 (10,5 x ). Barremiano-Aptiano. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963. Ietto A., Osservazioni stratigrafiche, ecc. - Tav. V. Soc. Nat. in Napoli, 1963. Ietto A., Osservazioni strati grafiche, ecc. - Tav. VI. yQyiùnvuT O [Jctto : Lece en or RiuiAfe cutx GOU^ £o/Vviì/(aX| CÀ ool AJ^/yn£/vCU oU nTqjÙA - B^o£A/mXA f^ìdNTE 5, fi nice lo \j^ 8x&ce& ùwt m|o vwtk ' / N^‘ ^UXVUxSx m*m 6a juuxif'^, CcJltoja co^^yv^LnJxl CÀ £HiÌ JtSlRfrtv^j^ C4/wv^rdo 6o€aC— BOB. LVeM* fflfijiMoòo-- c ov\z &. V^/odC - 5^ L-cSjo (u> L Ot^t+o^Cp^s* 1 v~l - . ItJZZSL a T~T // //- ^crniwct ^D«>^yvvv’A 4&£«moìeU J _ L 900 CRETACICO SOPfRlO RE -45 0 CRETACICO I NFÉRIORE Tn. L o A., Osservazioni stratigrafiche, ecc. - Tav. VI. Nat. in Napoli, 1963. /intimì/no Jctto : S cÀjbrrun. 'jticutiqrofi'&p oLeM' ^tiulocU&- liùù ENOO flfl RiLokMe 4-1- gLocd&dW A i(WpX^C^ . * Oii^oiW. v 5^ÌM^opotn£k gg €a(1~ : LVt& iSw^i-^>io- ccm. ^D'rnJWcCUtÀ VU/uÌa. - ^ Dormila ■òe^efi^oìd.’. Costa di Collina t>i tAO Nrf MeSfiRlNOlO flo/trf CfìVi i f'OoNTG 5. finite lo CRETACICO SUPERIORE -450 > CRETACICO INFERIORE 900 Formazioni marine plio-pleistoceniche nei dintorni di Cicciano (Nola) Nota dei soci A. IETTO e I. SGROSSO (1) (Tornata del 28 giugno 1963) Si segnala la presenza di formazioni marine plio-pleistoceniche che poggiano alla base del versante meridionale dei rilievi più occi¬ dentali della dorsale dell’Avelia (tav. 185 - IV - NO - NOLA). Sono con¬ glomerati, conglomerati a cemento arenaceo ed arenarie che si ritro¬ vano sino a poco oltre i 250 metri di quota in placche residue più o meno estese ed in genere di piccolo spessore. La potenza maggiore, valutabile intorno ai 20 metri, si riscontra in un terrazzo, inclinato verso la pianura, che questi sedimenti for¬ mano alla base del versante in corrispondenza di Monte S. Angelo a Palomba (tav. 1). L’orlo di questo terrazzo che si estende per oltre 500 metri, si sviluppa intorno ai 150 metri di quota e forma una ripida scarpata, in alcuni punti strapiombante, che raggiunge e talora supera i 20 metri d’altezza. Alcuni metri sotto il ciglio di questa scarpata si ritro¬ vano numerose cavità allungate, orizzontali e grosso modo allineate tra di loro (2). Questi soggrottamenti sono probabilmente dovuti alla erosione subaerea che ha asportato il materiale conglomeratico meno consistente, però non si esclude, e la loro forma e posizione darebbe credito ad una tale ipotesi, possa trattarsi di solchi di battigia. La composizione litologica di questa formazione ammette fre¬ quenti passaggi laterali ; comunque dall’alto verso il basso, con pas¬ saggio graduale, abbiamo riscontrato : conglomerati stratoidi a cemento (1) Questa nota, scritta in stretta collaborazione dai due autori s’inquadra nei lavori di rilevamento e aggiornamento della Carta geologica d'Italia condotti sotto la direzione scientifica del prof. F. Scarsella. E’ stata svolta con contributi del C.N.R.. (2) In uno di questi soggrottamenti abbiamo trovato una breccia ossifera con¬ tenente, tra l'altro, manufatti in selce riferibili al Paleolitico superiore [1]. — 110 — calcitico rosso, con pendenza conforme al pendio, sino a circa quota 200 ; conglomerati a cemento sabbioso rosso e arenarie rossastre con stratificazione indistinta sino al piede del versante (a quota 70 circa). Nelle arenarie sono spesso intercalate sacche e letti di conglomerati e livelletti, per lo più lentiformi, di piccoli ciottoli arrotondati (tav. 2). Gli elementi che compongono il conglomerato appartengono alla serie calcareo-dcdomitica che forma il substrato (3), generalmente appaiono poco arrotondati e nei livelli a quota più alta sono addirittura a spi¬ goli vivi; le dimensioni sono molto variabili, prevalgono i cittoli di alcune decine di centimetri cubici però non mancano, specialmente alla base della scarpata, blocchi e pacchi di strati dell’ordine del metro cubo. Non si sono trovati fossili per datare questa formazione: noi pensiamo che per la morfologia e la quota del terrazzo e sopra a tutto per la composizione litologica delle arenarie (4) si tratti di sedimenti marini di età plio-pleistocenica è, dubitativamente, li po¬ niamo in relazione con le argille del quaternario antico che sono state ritrovate al di sotto dei depositi vulcanici e delle alluvioni a profon¬ dità varia nella piana di Sarno (5) e di circa 70 metri nella piana di Maddaloni ( 6). L’attuale dislivello massimo tra la formazione con- glomeratico-sabbiosa in questione e le argille si aggirerebbe quindi in¬ torno ai 300 metri ed è, a nostro avviso, da mettere in relazione con le faglie di direzione E-O, marginali ai rilievi della dorsale del¬ l’Avelia. I movimenti tettonici tardivi che hanno provocato questo feno¬ meno dovrebbero essere quindi molto recenti e da porsi in relazione (come è già stato fatto da A. Lazzari [31) con i fenomeni di evolu¬ zione dell’apparato vulcanico del Somma-Vesuvio. Napoli , Istituto di Geologia dell’Università . giugno 1963. (3) Nei piccoli rilievi rocciosi che affiorano nella parte settentrionale della tavo¬ letta 185 - IV -NO -NOLA, abbiamo riscontrato la presenza di terreni compresi tra il Lias inferiore ed il Cretacico superiore [2], (4) Queste arenarie, il cui cemento è calcitico, hanno rivelato in sezione sottile una altissima percentuale di quarzo (oltre l’80%). (5) Questa notizia è stata tratta da un lavoro di A. Lazzari [3]. (6) Questo dato inedito è dovuto ad uno di noi (Ietto) ehe ha ritrovato alla periferia deirabitato di S. Marco Evangelista delle argille plio-pleistoceniche prove¬ nienti da un pozzo profondo 72 metri, trivellato per ricerca idrica. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963. Ietto A. e Sgrosso I., Formazioni marine plio-pleistoceniche, ecc. - Tav. : Veduta generale del terrazzo conglomeratico-sabbioso nei dintorni di Cicciano. Vista da sud. Livellette eonglomeratico nelle sabbie cementate alla base della scarpata del terrazzo. In basso a destra, una sacca di conglomerato cemento sabbioso. — Ili — RIASSUNTO Si segnala la presenza di formazioni marine plio-pleistoceniche nei dintorni di Cicciano (Napoli). Litologicamente sono conglomerati a cemento sabbioso e sabbie molto cementate, le quali contengono un’elevata percentuale di quarzo. Stratigraficamente questi sedimenti, che poggiano in placche discontinue sui ri’ lievi mesozoici sino a circa 200 m. di quota, sono posti dubitativamente in relazione con formazioni argillose di età pleistocenica esistenti a profondità variabili nella piana del Vesuvio. SUMMARY It is segnaled thè presenee of marine plio-pleistocenic formation in thè Cicciano’s country (Naples). Lithologically they are conglomerates with sandy cement and sands well cemented, wich have an high quarzo percentage. Stratigraphically these sediments, wich lay-down in discontinual spots on thè mesozoic sediments. untili about 200 m. above sea level, they are doubtly in relation with clay formations, of pleistocenic age, existoing at various depth in thè Vesuvio’s plain. BIBLIOGRAFIA [1] Ietto A. e Sgrosso L, Segnalazione di una stazione paleolitica in un riparo sotto roccia nei dintorni di Cicciano (Nola). Boll, della Soc. dei Nat. in Napoli. Voi. LXXII, 1963. [2] Ietto A. e Sgrosso L. Il rilevamento geologico della tavoletta 185-IV-NO-NOLA. In corso di stampa sul Boll, del Serv. Geol. d’It. [3] Lazzari A., Le condizioni geologiche delle coste tirreniche dell’ Italia meridio¬ nale nel corso del Pliocene-Calabriano e loro importanza bio- geo grafica. Estratto dal N. 10 degli Annali del Pontificio Istituto Superiore di Scienze e Lettere « S. Chiara » in Napoli. Osservazioni geologiche su alcune zone del Malese (Appennino Campano) (0 Nota del socio ANTONINO IETTO (Tornata del 29 novembre 1963) Durante i lavori di rilevamento geologico della parte occidentale del Massiccio del Matese, svolti dall'aprile al novembre 1963, è stato possibile osservare delle situazioni che presentano notevole inte¬ resse circa la ricostruzione degli eventi geologici non solo del Matese ma anche delle aree circostanti. Scopo del presente lavoro è appunto la segnalazione degli aspetti più rilevanti di tali situazioni. L'area presa in esame interessa, grosso modo, le zone delle tavo¬ lette I.G.M. 161 - II - SO - S. Angelo d’Alife e 161 - II - NO - Gallo. Qui, tutti i maggiori rilievi e l’impalcatura stessa del gruppo del Matese, sono costituiti da sedimenti dolomitici, calcareo-dolomitici, calcarei e calcareo-conglomeratici appartenenti alla serie carbonatica mesozoica. Su alcune cime e sui pianalti, specie a nord della valle di Letino, si ritrovano affioramenti di sedimenti cenozoici. relativamente di limi¬ tata estensione, trasgressivi sui terreni mesozoici. I terreni più antichi affioranti sono costituiti da dolomie bian- costre in banchi, con Worthenia, Megalodon , ortoceratidi e alghe (probabili Diplopore). Queste dolomie, la cui potenza non è inferiore ai 700 metri, spettano al Trias superiore; esse costituiscono le aree maggiormente rilevate della tavoletta S. Angelo d’Alife (Monte Bot- tella, Monte Lodarci, Monte Acuto, Serra delle Pozzelle ecc.) e la base delle potenti dorsali dei monti: Favaracchi, Cappello, Croce e Cese di Cangio ; tutti nella tavoletta Gallo. A queste dolomie seguono, nella dorsale di monte Cappello e in ( 1 ) La presente nota si inquadra nei lavori di rilevamento ed aggiornamento della Carta geologica d’Italia per conto del Servizio Geologico d’Italia e sotto la direzione scientifica del Prof. Francesco Scarsella ed è stata svolta con contributi da parte del C.N.R. — 113 — quella delle Cese di Cangio, dei calcari dolomitici grigi con alternanze di calcari conglomeratici i quali fanno passaggio, col risalire della serie, a calcari conglomeratici con rare alternanze di calcari detritici rossastri, verdi o avana. Questi conglomerati, con ammassi talora di spessore sui 100 metri, localizzati a varie altezze stratigrafiche, pre¬ sentano un massimo addensamento nei terreni dalFInfralias al Dogger. È interessante osservare come gli elementi dei conglomerati ed il ce¬ mento tra i ciottoli, presentino fauna coeva. Ciò ha consentito la da¬ tazione dei vari complessi, datazione che è stata ulteriormente con¬ fermata dalle microfacies rinvenute nelle alternanze tra gli ammassi conglomeratici stessi. Nei terreni del Malm e del Cretacico inferiore, le facies conglomeratiche assumono una minore stensione, mentre di¬ ventano prevalenti i calcari detritici ed oolitico-detritici. Tutta l’intera serie dei terreni mesozoici che si estende in conti¬ nuità stratigrafica, dal Trias superiore ad ortoceratidi, al Lias ad Orbi- topsella praecursor e Palaeodasycladus mediterraneus , al Giura a Cladocoropsis , fino al Cretacico inferiore, raggiunge una potenza del¬ l’ordine dei 2000 metri. Detta serie affiora, per intero, anche se varia¬ mente dislocata in numerose zolle da faglie verticali con ribassamento maggiore verso est, nella dorsale a sud di Letino e congiungente i monti: Favaracchi, Cappello e Ianara. Nei rilievi a nord di Gallo e Letino, invece, questa stessa serie si presenta troncata a varie altezze da una trasgressione avente a tetto sedimenti del Cretacico superiore. Tali sedimenti sono costituiti, prevalentemente, da calcari biancastri detritici, subcristallini, con fauna maestrichtiana negli strati più alti. Questi calcari trasgrediscono quasi in concordanza su formazioni meso¬ zoiche via via più giovani man mano che si procede da ovest verso est. Trasgrediscono; infatti, sul Trias dolomitico al monte Croce, Cianna- miello, Coppare ecc., sul Lias e sul Giura, rispettivamente al monte Cese di Cangio e Costa Tre Faggi, sul Cretacico inferiore al monte Alto a sud di Roccamandolfi. Sui calcari del Maestrichtiano e sul resto delle formazioni meso¬ zoiche, trasgredisce il Miocene con una pila di sedimenti in facies calcarea e calcareo-marnosa in basso e, superiormente, in facies di flysch argilloso-marnoso-arenaceo ed in facies molassica (valle tra Le¬ tino e Gallo, monte Croce, monte Ciannamiello, monte Civita, Scino, Casamura, colle dell’Antica, Castelluccio ecc.). Tettonicamente, la zona presa in esame, si rivela di notevole in¬ teresse. Questa risulta, infatti, interessata da fenomeni di forte instabilità — 114 — tettonica a partire dall’Infralias, con fasi più o meno accentuate per tutto il Giura, il che è testimoniato dalle formazioni conglomeratiche a cemento ed elementi coevi. Tali fenomeni, nelle dorsali a sud di Letilo e Gallo, non sem¬ brano avere avuto ampiezza tale da portare in emersione le aree in¬ teressate ; infatti nella serie mesozoica, sono presenti tutti i termini dal Trias superiore al Cretacico inferiore. Altrettanto non si può, però, dire per le zone nord-occidentali, là dove cioè la serie mesozoica ri¬ sulta interrotta dalla trasgressione tardocretacica ai livelli triassici o Lassici. Tale ampia lacuna va via via restringendosi man mno che ci si sposti verso est, fino a raggiungere un minimo, contenuto nell’am- bito del Cretacico stesso, nella zona del monte Alto a sud di Rocca- mandolfi. Dalle situazioni esposte risulta, quindi, evidente per le zone a nord e nord-ovest di Gallo e Letino, l’esistenza di una struttura ri¬ gida, ad horst, delimitata da faglie normali con rigetti talora notevoli dell’ordine di non meno di 4-500 metri e le cui aree culminanti sono da individuarsi nelle zone dei monti : Coppare, Falasca, Croce e Cian- nainiello. Circa il periodo nel quale tali strutture hanno iniziato a delinearsi, sono indicativi gli ammassi conglomeratici dei quali si è già detto e che si ritrovano appunto nelle vicine serie continue dei terreni mesozoici a partire dal Trias superiore (Infralias). Dati insuf¬ ficienti, si hanno invece circa il periodo di emersione di tali strutture, specie per i punti di culminazione, là dove, cioè, la lacuna mesozoica raggiunge la sua massima estensione ovverossia dal Trias superiore al Maestrichtiano. L’esame, però, delle situazioni geologiche generali, consente almeno di affermare che tali aree sono rimaste emerse ri¬ spetto all’ingressione mediocretacica, marcata dai livelli di bauxite e rilevabile nelle zone del Matese centro-orientale, nel Casertano a sud, nei monti di Cassino ad ovest e così via, eccetto che nella depressione molisano-sannitica a nord. Tutta l’area considerata ritorna, infine, nel dominio marino nel tardo Cretacico, i cui sedimenti, a testimonianza di un precedente sollevamento di tipo epeirogenetico, trasgrediscono quasi in concor¬ danza sui vari termini della serie mesozoica. La trasgressione, infine, dei sedimenti miocenici sui sedimenti mesozoici, testimonia l’esistenza di una prima fase tettonica postcre- — 115 — tacica (2). La posizione delle formazioni mioceniche che riposano in concordanza con le formazioni sottostanti, lascia supporre che i moti tettonici anteriori alla trasgressione miocenica, abbiano avuto caratte¬ ristiche eguali a quelli anteriori alla trasgressione cretacica ; siano stati cioè dei moti epeirogenetici. In tale fase tettonica ed in quella successiva mio- pliocenica, ven¬ gono in parte riprese e spesso fortemente esaltate, quelle linee di frat¬ tura e quindi di minor resistenza iniziatesi, come s’è visto, in periodi molto più antichi ed aventi direzioni prevalenti est-ovest e nord-sud. Napoli , Istituto di Geologia dell’ Università , dicembre 1963. RIASSUNTO Nel presente lavoro, vengono svolte alcune osservazioni sulla geologia della parte occidentale del gruppo del Matese (Appennino campano). Si segnala, nella serie mesozoica, la presenza di formazioni conglomeratiche, con alternanze calcaree, dal Trias superiore al Giura superiore, il che viene posto in rela¬ zione a moti di instabilità tettonica. Viene, inoltre, riconosciuta per le zone a nord di Letino e Gallo Matese, una struttura ad horst delineatasi nel Mesozoico mediante faglie normali con direzione prevalente E-0 e N-S, definitivamente spianata con la trasgressione del tardo Cretacico. SUMMARY Here are exposed some observations on thè geology of western part of Matese’s group (Appennino Campano). Here is signaled in thè mesozoic series thè presence of conglomeratic formations from upper Trias to upper Jurassic. That is put in relation whit tectonic instability phases. It is also recognized for thè zones at north of Letino and Gallo Metese a horst structure begun in thè Mesozoic throw normal faults with preminent directions cast-west and north-south, in definitive weared away by thè trasgression of thè last Cretaceous. BIBLIOGRAFIA [1] D Argenio B., Una trasgressione del Cretacico superiore nell’ Appennino cam¬ pano. Mem. Soc. Geo!. It., voi. IV, in corso di stampa» [2] D’Argenio B., Lìnee isopiche e strutturali cretaciche persistenti nell9 Appennino Campano. Rend. Acc. Se. Fis. e Mat., Napoli 1963. (2) Stando alle attuali conoscenze, nella zona da noi esaminata, non sono stati rinvenuti sedimenti cenozoici pre-miocenici. Sono comunque tuttora in corso lavori tendenti ad accertare o meno la esistenza, tra i sedimenti cenozoici, di formazioni paleogeniche. — 116 — [3] Devoto G., La serie stratigrafica di monte S. Croce ( Venafro ). Mem. Soc. Geol. It., voi. IV, in corso di stampa. [4] Ietto A., Osservazioni stratigrafiche e tettoniche sul Cretacico dei monti di Caserta. Boll. Soc. Nat. in Napoli, Napoli 1964. [5] Ietto A., Relazione al rilevamento geologico del Foglio 172-Caserta. Boll. Serv. Geol. d’It., anno 1963, in corso di stampa. [6] Manfkedini M., Osservazioni geologiche sul Lordo interno della depressione molisano-sannitica ( Italia meridionalei. Mem. Soc. Geol. It., voi. IV, in corso di stampa. [7] Manfredini M., Struttura tettonica della penisola Italiana. Boll. Serv. Geol. d'It., Roma 1963. [8] Pescatore T., Rapporti tra la depressione molisano-sannitica e V Appennino calcareo . Boll. Soc. Nat. in Napoli, Napoli 1964. [9] Pescatore T., Affioramenti di flysch cretacico nell’alta valle del Volturno. Mem. Soc. Geol. It., voi. IV, in corso di stampa. [10] Sgrosso I., La trasgressione miocenica nel Matese centrale. Boll. Soc. Nat. in Napoli, Napoli 1964. [11] Sgrosso I., Il Paleocene nei dintorni di Pietravairano (Caserta). Boll. Soc. Nat. in Napoli, Napoli 1964. [12] Signorini R.. Osservazioni geologiche nell’alto Molise. Boll. Soc. Geol. It., 80. Roma 1962. [13] Signorini R. e Devoto G., Il Paleogene nell’alto Molise. Mem. Soc. Geol. It.. voi. Ili, Roma 1962. Fossette di degassazione (gas pits) nei calcari ad ittioliti della Civita di Pietraroia in provincia di Benevento ( ) Nota del socio BRUNO D’ARGENIO (Tornata del 29 novembre 1963) Già da alcuni mesi avevo illustrato un sottile livello di brecce intraformazionali di tipo speciale ( edgewise breccias) nei calcari ad ittioliti della Civita di Pietraroia (D’Argenio, 1963, a), quando ho avuto modo, in una escursione fatta alla ricerca di ittioliti, di notare, sulla faccia superiore di alcune placche calcaree d’interstrato quasi completamente silicizzate, alcune fossette circolari dovute a degassa¬ zione ( gas pits), eccezionalmente conservate. Sebbene sia già quasi pronto un lavoro di carattere più generale sui calcari ad ittioliti del Matese orientale (D’Argenio, 1963, b) a cui rimando per ogni altra notizia di carattere stratigrafico sulla loca¬ lità del rinvenimento, preferisco segnalare a parte queste strutture sedimentarie, non tanto per il loro interesse paleoambientale, quanto per poter discutere, senza i limiti che l’economia generale di quel lavoro mi avrebbe imposto, i motivi che, in un gruppo di strutture fisiche e organiche esogene molto simili tra loro, mi hanno indotto ad attribuire queste che descriverò a fenomeni di degassazione. 1. Intercalate nei calcari infracretacei della Civita di Pietraroia ( calcari ad ittioliti) D’Argenio, 1962 b ; 1963, a, b) si rinvengono delle placche calcaree lentiformi, quasi completamente silicizzate. Queste placche, per la maggior parte, hanno un colore da bianco latte a giallo molto chiaro, sono oblunghe, a contorno irregolarmente lobato e raggiungono i 60-80 cm. di lunghezza e circa la metà in larghezza; non mancano tuttavia delle placche subcircolari. Il loro (*) (*) Lavoro eseguito col contributo del C. N. R. 118 — spessore varia tra 1 e 6 cm. al centro, mentre verso la periferia vanno rastremandosi più o meno regolarmente. Le due facce rispetto al piano equatoriale possono essere simmetriche o asimmetriche, con facce convesse sui due lati o solo su uno, in modo che l’altra faccia rimane piatta o addirittura leggermente concava. Sulla loro superficie, in particolare, si possono notare delle cavità crateriformi, con un diametro quasi sempre inferiore al centimetro ed una profondità inferiore al millimetro. Il loro contorno è subcircolare, a volte nettamente ovale. Le circonda un bordo appena rialzato di una frazione di millimetro. Queste fossette sono riunite in gruppi da 3-4 a 10-12, e non man¬ cano fossette doppie o triple, i cui bordi si intersecano a mo’ di minuscole uvala. Talora è ancora conservato un piccolo rilievo centrale che emerge, a mo’ di conetto, nel centro della cavità. Il raccordo tra il fondo piatto delle fossette e il bordo sovente è netto e in un paio di casi le pareti, che non superano mai il milli¬ metro d’altezza, sono strapiombanti. Vi sono infine due di queste strutture che hanno forma e dimen¬ sioni diverse e che si descriveranno più avanti. Un esame attento permette di rinvenire queste fossette anche su qualche elemento dei conglomerati intraformazionali, originatisi per rielaborazione di superfici disseccate e parzialmente silicizzati anche essi (D’Argenio, 1963, «). Queste cavità, per la loro forma, le loro dimensioni e le caratte¬ ristiche del bordo si possono considerare come impronte fisiche dovute a risalita di bolle di gas in un fango ancora molto ricco d’acqua (gas pits). Fossette subcircolari che, almeno apparentemente, possono essere attribuite ad altre cause, sono state da oltre un secolo descritte da Autori inglesi e americani e le osservazioni di Lyell (1851) conser¬ vano ancor oggi tutta la loro validità. Le più note fra le impronte fisiche di questo tipo sono indubbia¬ mente quelle dovute a gocce di pioggia ( raindrop imprints) segnalate dagli Autori, in terreni che vanno dal Precambrico al Cenozoico e al recente, da oltre un secolo (Beane, 1844, 1845; Desor. 1850, 1852; Lyell, 1851, ecc.) ; tuttavia poiché impronte analoghe possono essere dovute a cause fisiche di tipo diverso ( tabella I) che agiscono quasi sempre su sedimenti che hanno le stesse caratteristiche, le fossette che si formano hanno le stesse probabilità di essere « fossilizzate » — 119 — ed è possibile trovare associate due o più tipi di fossette in uno stesso luogo. Le osservazioni compiute soprattutto con la riproduzione in labo¬ ratorio di queste strutture sedimentarie di tipo particolare ci permet¬ tono però, con buona approssimazione, di distinguere alcuni tipi, a meno che non siano state successivamente deformate. Inoltre consi¬ derazioni di carattere generale e osservazioni compiute in posto sugli strati immediatamente sovrastanti e sottoposti possono contribuire a chiarire ulteriormente altri dubbi. Nel nostro caso è stato possìbile interpretare queste piccole cavità come fossette di degassazione (gas pits ) integrando le conclusioni così ottenute con considerazioni paleoambientali ricavate dalle osservazioni di campagna. 2, Si sono interessati a queste strutture molti Autori che le hanno studiate nei sedimenti antichi, nella natura attuale e riproducendole sperimentalmente ( Buckland, 1842; Clark, 1923; Kindle, 1916; Lyell, 1851; Madigan, 1928; Maxson, 1940; Quirke, 1939; Shrock, 1948; Twenhofel, 1921, 1932), Tentativi di classificazione sono stati fatti da Twenhofel (1921) e Shrock (1948); nella tabella I viene schematicamente illustrata una classificazione di queste strutture. Twenhofel (1921) ha distinto sperimentalmente otto differenti modi di formazione di queste fossette che divide in due gruppi. Un primo gruppo di impronte si possono produrre solo su superile i esposte direttamente albana per le seguenti cause : a) gocce di pioggia ; b) chicchi di grandine ; c) spruzzi d’acqua ; d) sgocciolamento, A quest’ultime, cui accennava già Lyell (1851). il quale descrive gocce d’acqua cadute dalle ali degli uccelli e simili, ritengo vadano aggiunte le impronte che possono formarsi per stillicidio. Ho osser¬ vate queste impronte in alcune grotte ( ad es. nella grotta del Festo- laro, presso l’abitato di Valle dell’Angelo nel Cilento) nei materiali non calcarei (sabbie siltose molo fini), trasportativi dalle acque cor¬ renti che li avevano dilavati in superficie, e asciugati dalle cor¬ renti d’aria. Queste fossette da stillicidio possono essere fossilizzate da incro- - 120 - stazioni calcaree che ne modellano una controimpronta e ne permet¬ tono la conservazione. Un secondo gruppo di impronte si forma solo in acque molto basse ed è dovuto : a) a bolle d’aria flottanti che si vanno ad ancorare al fondo a causa della deposizione di una pellicola fangosa sulla loro superficie; b) a bolle d’aria che risalgono dal fondo perchè scacciate per costipamento ad opera di nuovi sedimenti che si depositano ; c) a bolle d’aria che, per il variare del livello dell’acqua, si sollevano o si abbassano verso il fondo fino a che, diminuendo ulte¬ riormente il livello dell’acqua, si rompono sul fondo; d) a bolle di gas che si sollevano nel fango, per il decomporsi della materia organica contenutavi, fino alla superficie, dove riman¬ gono o scoppiano. Shrock (1948) invece distingue: 1) Fossette formatesi per correnti ascendenti di gas e di liquido a cui appartengono : a) strutture a incavo e rilievo ( Pits and Mounds) ; b) fossette di acque risalienti ( Spring Pits); c) fossette di degassazione ( Gas Pits). 2) Impronte a cui, tra quelle aventi forma di fossette subcircolari, appartengono : a) impronte di gocce di pioggia ( Raindrop imprints); b) impronte di chicchi di grandine ( Hailstone Imprints); c) impronte di bolle d’aria, ( Bubble Impressions) che corri¬ spondono a quelle contrassegnate con le lettere a), b) e c) del secondo gruppo, nella classificazione di Twenhofel (1921). 3. A quali di queste strutture, tutte simili tra loro, vanno assegnate quelle presenti alla Civita di Pietraroia? Esaminiamo le cause gene¬ tiche in relazione alla morfologia e alla distribuzione nello spazio delle fossette. Nella Tabella I abbiamo distinti tre gruppi di strutture sedi¬ mentarie simili tra loro, ma dovute a cause diverse. Incominciamo con l'escludere un'origine dovuta a gocce di piog¬ gia o a chicchi di grandine, poiché a parte la scarsa profondità delle fossette e la piccola altezza del margine rialzato che le circonda, la loro distribuzione è poco fitta e soprattutto poco uniforme. 11. Soc Nat. in Napoli, 1963. e di detassazione (gas pits) nei calcari ad ittioliti , ecc. CL/2COLARI (*) FOSSETTE FORMATE DA CORRENTI F FORMATE DA BOLLE D’ARIA ASCENDENTI SU SUPERFICI ESPOSTE ALL’ARI FLOTTANTI IN ACQUE MOLTO BASSE Struttura RUTTURE INCAVO RILIEVO ts and mnds Is SETTE C ACQUE F ALIENTI ring pits FìSETTE DI djassaIzione Gì pits C a u s Piccole correnti ascen¬ denti di bolle di gas o di acqua, durante la floc¬ culazione di materiali colloidali o la precipita¬ zione di fango calcareo microcristallino o la ra¬ pida sedimentazione di particelle argillose sul fondo. Correnti d’acqua, talora anche di notevole enti¬ tà, ascendenti durante il costipamento dei sedi¬ menti. Correnti o bolle di gas ascendenti, dovute, gene¬ ralmente, alla decompo¬ sizione della materia or- Bolle d’aria o di gas flottanti che si ancorano al fondo per la deposi¬ zione di una pellicola fangosa sulla superficie. Bolle d’aria che risalgo¬ no dal fondo per il co¬ stipamento dovuto alla deposizione di nuovi se¬ dimenti. Bolle d’aria che, per il variare del livello della acqua, si sollevano o si abbassano sul fondo, do¬ ve possono rompersi. Sedimento Caratteri della struttura fondo. Diametro da mm. 2 a i 2 profondità: da mm. 1 a ’l R. j g 1 1 Fossette •1 ACQUE RISALIENTI Correnti d’acqua, talora anche di notevole enti¬ tà, ascendenti durante Argille, argille siltose. sabbie, fanghi Piccole depressioni a contorno subcircolare. Le particelle più grossolane si dispongono sul fondo della depressione, quel¬ le più sottili ne costi¬ Impronte di CHICCHI DI GRANDINE Chicchi di grandine su superfici asciutte o an¬ cora umide. Argille, argille siltose, sabbie, fanghi Fossette simili a quelle provocate dalle gocce di pioggia; i bordi sono an¬ cor più nettamente rial¬ CQ Bolle d’aria che risalgo¬ no dal fondo per il co¬ stipamento dovuto alla deposizione di nuovi se¬ § ri a poco più ezza allo stato Spnns pio il costipamento dei sedi- calcarei. Hailstones imprints calcarei. zati. Diametro: da mm. 5 a | dimenti. 1 ■g j tuiscono il bordo rial- mm. 10; 0 jj §■ “ Diametro: fino a cm. 60. Profondità: da cm. 5 a profondità: fino a mil¬ limetri 5. 1 'Si. 1 ° cm. 15. s § C 8 - - - < i I g 1 -s Fossette di "SCASSATONE Gas pits Correnti o bolle di gas ascendenti, dovute, gene¬ ralmente, alla decompo¬ sizione della materia or¬ ganica. Argille, argille siltose. sabbie fini, fanghi calcarei. Fossette subcircolari, con i bordi di solito poco rialzati; più raramente sotto forma di rigonfia¬ mento anulare che cir¬ conda la fossetta stessa. Diametro: da pochi mil¬ Impronte di STILLICIDIO 0 Di SGOCCIOLA MENTO Drip imprints Gocce d*acqua su super¬ imi inconsolidate asciut¬ te o umide. argille siltose. Fossette simili a quelle provocate da gocce di pioggia. Mancano le fos¬ sette a contorno ellitti¬ co, dovuto a traiettorie oblique. Bolle d’aria che, per il variare del livello della acqua, si sollevano o si abbassano sul fondo, do¬ ve possono rompersi. subcircolari di d limetri ad oltre 2 metri; 0} profondità da min. 1 a 1 <*' Da Buckland, 1812; Lyell, 1851; Kindle, 1916; Twenhofel, 1921, 1932; Clark, 1923; Madican, 1928: Quirke, 1930; Simpson, 1936; Maxson, 1940; Shrock, 1948 ecc. . — 121 — Possiamo anche escludere l’origine dovuta a bolle d’aria flottanti per il contorno spesso ovale di queste fossette; inoltre anche gli Autori che le hanno sperimentalmente studiate (Twenhofel, 1921) concordano nel ritenere poco probabile una simile causa diffusamente agente. Non si conoscono infine strutture sedimentarie fossili di questo tipo. L’ipotesi più probabile rimane quella d’un’origine dovuta a risalita di gas o di liquido nella fancbiglia del fondo. In questo gruppo di fossette possiamo inoltre escludere quelle dovute ad acque risalienti dai sedimenti presenti in profondità e ancora imbibiti ( spring pits ), perchè il processo genetico di tali strutture avrebbe deformato sensibilmente le sottili lamine che costi¬ tuiscono la placca su cui queste sono presenti. Anche le strutture « a incavo e rilievo » (pits and mounds) sono da escludere perchè si dispongono normalmente con regolarità ad occupare tutta la superficie disponibile, in quanto sono originate da un processo di rapida deposizione di particelle di fango in sospen¬ sione con espulsione di piccole correnti di bollicine d’acqua o di gas. Non rimangono pertanto che le fossette dovute a degassazione le quali si formano a causa della risalita di bolle di gas in sedimenti ancora molli appena emersi o sotto un velo d’acqua. Queste bolle di gas sono generalmente dovute alla decomposizione della materia organica presente nel fango del fondo. A tale causa dunque possiamo attribuire con buona probabilità queste strutture. A convalidare infine tale attribuzione vi sono due gas pits di maggiori dimensioni che sono formate ciascuna da una fossetta di circa 15 mm. di diametro, profonda 2 inm. e circondata da un anello rialzato largo circa un centimetro. Queste ultime fossette, che sono molto simili a quelle figurate da Me Kee (1945) nel Cambriano dell’Arizona, per le loro dimen¬ sioni e, soprattutto, per la loro forma non possono essere confuse con strutture dovute ad altre cause. Concludendo possiamo attribuire le strutture descritte, alcune con certezza altre con buona probabilità, a processi di degassazione che trovano riscontro nell’ambiente di sedimentazione dei calcari ad ittioliti i quali si sono depositati in un ambiente lagunare, tranquillo, con saltuarie, temporanee emersioni. Il fondo di questa laguna era costituito da un fango calcareo ricco di materia organica in decomposizione da cui si liberavano i gas che, risalendo e sfuggendo, o dal fondo temporaneamente emerso — 122 — o sotto un velo d’acqua, originavano le fossette descritte. Un processo di silicizzazione penecontemporaneo ha infine conservato perfetta¬ mente, insieme ai modelli esterni di un piccolo asterozoo e di fram¬ menti di ittioliti, queste delicate strutture sedimentarie. Napoli, Istituto di Geologia dell’ Università, settembre 1V63. RIASSUNTO Le strutture sedimentarie oggetto di questa nota, si rinvengono su alcune placche d’interstrato, quasi completamente silicizzate, intercalate nei calcari ad ittioliti della Civita di Pietraroia. È stato possibile, procedendo per analogia e per esclusione, interpretare queste strutture, che hanno forma di piccole cavità, come fossette di degassazione ( gas pits ), dovute ai sedimenti presenti sul fondo ricchi di sostanze organiche in decom¬ posizione. SUMMARY Gas Pits in thè Calcari ad ittioliti of Civita di Pietraroia (Matese) are described. These structures are dist nguished from other similar tavities by analogie crìteria. BIBLIOGRAFIA Rarrel L, 1912. Criterio for thè recognition of ancient delta deposits. « Bull. Geol. Soc. Am. », 23, pp. 377-446. Blackyvelder E., 1941. Significance of rain prints. « Bull. Geol. Soc. Am. ». 52. pag. 1944. Buckland W., 1842. 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On thè formation of rain impressions in clay. « Boston Soc. Nat. Hist. Proc. », 5, pp. 253-254. Tavola I . Fig. 1 . Pietraroia, calcari ad ittioliti. Placca di selce bianca, debolmente calcarifera, con piccole fossette di degassazione. Al centro della figura, verso il basso, una gas pit di dimensioni maggiori. V4 circa della grandezza naturale. Fig. 2. — Un particolare della fig. 1. In bsso a sinistra il modello esterno di un piccolo asterozoo. 2/3 circa della grandezza naturale. Fig. 3. — Un altro particolare della fig. 1. In alto una fossetta crateriforme, con un piccolo rialzo centrale. Al centro a sinistra fossette a fondo piatto e a bordo leggermente rialzato. 2/3 circa della grandezza naturale. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963, l)'A kg emo B., Fossette di degassazione, ecc. - Tav. I, 2 Fig. I. — Pietraroia. calcari ad ittioliti. Piccole gas pits su poligoni di una superficie disseccata. Grandezza naturale. Fig. 2. — Impronte attuali di gocce di pioggia (alveo del torrente Lossauro, gruppo del Taburno-Camposauro). Leggermente ridotto. Fig. 3. — Pietraroia, calcari ad ittioliti. Probabili fossette di degassazione irregolari su una placca silicea d interstrato. 1/3 della grandezza naturale. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963. D’Argenio B.. Fossette di degassazione, ecc. - Tav. IT. 2 3 Trasgressioni mesozoiche e terziarie nell’alta valle dell’Àgri tra Paterno e Marsico Nuovo (Potenza) (*) Nota del socio PAOLO SCANDONE (Tornata del 29 novembre 1963) Nell’alta valle dell’Agri affiorano terreni appartenenti tanto alla serie carbonatica quanto alla serie calcareo-silico-marnosa, nonché for¬ mazioni flyscioidi di posizione ancora incerta. La Carta Geologica ufficiale (Foglio 199 - Potenza) riporta, nella zona in esame, scisti silicei mediotriassici, dolomie cristalline del Trias superiore, calcari bianchi cristallini con Nummuliti, e flysch argilloso- arenaceo dell’Eocene. È stata presa in esame la serie carbonatica tra Paterno e Marsico- nuovo. In essa sono stati riconosciuti dei complessi litostratigrafici che inducono a considerare la regione come la parte marginale della zona neritica a sedimentazione calcareo-dolomitica, al limite con la fossa lucana già individualizzata nel Cretaceo superiore (1). I terreni più antichi affioranti sono rappresentati da dolomie biancastre micro e macrocristalline, finemente e grossolanamente de- tritiche, frequentemente concrezionari. Queste dolomie sono troncate in basso, come già notò Signorini [18], da un piano di sovrascorri- mento e poggiano sugli scisti silicei con locali interposizioni di lenti fortemente laminate di flysch. A causa del sovrascorrimento esse sono in stato cataclastico nella loro porzione inferiore e la tettonizzazione così spinta maschera l’originaria stratificazione. Bali.) acci e Viola [1] attribuirono il complesso dolomitico al Trias superiore (dolomia principale) per la presenza di Gervilleia (*) Lavoro eseguito con il contributo del C. N. R. (1) Nell’ammissione dell’autoctonia della serie calcareo-silico-marnosa la fossa lu¬ cana doveva essere individualizzata già nel Trias. — 126 — exilis e Megalodon sp. Presso Facquedotto delFAgri a monte di Pa¬ terno ho rinvenuto anche qualche Ammonite indeterminabile e rari modelli interni di Megalodonti. Lo stato di fratturazione della roccia è però tale che non mi è stato possibile raccogliere esemplari integri di questi ultimi. Abbondanti sono i Gasteropodi e le forme concrezio- nari del tipo attribuito dagli antichi Autori ad Evinospongie. Nella parte più alta della serie compaiono frequenti intercala¬ zioni calcareo-dolomitiche e finanche francamente calcaree. Le dolomie descritte non differiscono alcunché dalle altre dolomie norico-infraliassiche della Lucania e del Salernitano. Le condizioni di sedimentazione dovevano quindi presentare la più monotona unifor¬ mità nelFambito di un'area molto vasta. Nell’intervallo compreso tra Flnfralias ed il Giurassico supe¬ riore (2) una fase tettonica di vaste proporzioni fratturò il piastrone carbonatico determinandone una suddivisione in blocchi variamente dislocati. Trasgressivi sulle dolomie, nel versante meridionale della Serra di Capurso, si rinvengono calcari ad Ellipsactiniae. Si tratta di cal¬ cari grigi organogeni e detritico-organogeni, subordinatamente oolitici e concrezionari, mal stratificati, ricchissimi di Ellipsactinie, Coralli, Gasteropodi (Nerinee). In sezione sottile si rinvengono Trocholine. L’età di questi calcari è probabilmente titonica. Sui calcari ad Ellipsactinie trasgredisce un complesso rappresen¬ tato da calcari pseudo-saccaroidi bianchi ( 3). I termini inferiori di questo complesso sono costituiti da calcari conglomeratici. Tra i ciottoli del conglomerato si riconoscono fram¬ menti di calcari ad Ellipsactinie e di calcari del Cretaceo superiore. Questi ultimi sono presenti in estesi affioramenti a sud e ad ovest della zona in esame. Procedendo verso l’alto i calcari passano da conglo¬ meratici a detritici. Il tipo litologico più caratteristico è rappresentato da calcari bianchi pseudosaccaroidi con frammenti di Rudiste che possono raggiungere finanche le dimensioni del decimetro. Gli strati (2) Non ho ancora dati sufficienti per indicare l’età di questo fenomeno. Le ri¬ cerche in corso nei monti tra il vallo di Diano e la valle dell’Agri potranno forse permettere ulteriori precisazioni. (3) Il dott. T. Pescatore presso Atina (gruppo della Meta) riconosce una situa¬ zione analoga: dolomie norico-infraliassiche, calcari ad Ellipsactinia titonici, calcari pseudosaccaroidi bianchi maestrichtiani. — 127 — hanno una potenza media di 20-30 cm. Nella parte più alta della serie si rinvengono intercalazioni di calcari a grana più fine, fissili, lastroidi, che presentano tra lastra e lastra sottilissime spalmature marnose verdine. Questi calcari fissili si sostituiscono con gradualità a quelli più grossolanamente detritici e formano un livello ben marcato della potenza di trenta metri circa. Alla sommità di questo livello ricompaiono banchi di calcari pseudo-saccaroidi detritici e grossola¬ namente detritici che sono però presto nuovamente sostituiti dai fissili. Dopo qualche metro queste assise sono interrotte da una lacuna. L’età del complesso descritto è maestrichtiana, come è dimostrato dall’associazione rinvenuta : Orbitoides media , Siderolites sp., Globo- truncana stilarti, Globotruncana del gruppo della G. lapparanti , Rota¬ lidi, Briozoi, radioli di Echinidi, Alghe (Codiacee). Sui calcari fissili giacciono, trasgressivi, calcari con Nummuliti ed Alveoline. La trasgressione è molto ben visibile al Castello di Lepre ad ovest di Marsiconuovo. La base della serie eocenica è rappresentata da calcari detritici e conglomeratici rimaneggianti terreni triassici, titonici, turoniani e e maestrichtiani, e da calcari ricchissimi di Alveoline. La trasgressione dovette verificarsi nel Cuisiano superiore, com’è dimostrato dalle specie di Alveoline trovate in associazione (4): Glomalveolina minutala , Alveolina fornasinii , Alveolina cremae , Al¬ veolina pinguis , Alveolina distefanoi , Alveolina cfr. frumentiformis , Alveolina del gruppo dell’A. indicatrix. Circa le condizioni di giacitura di questi sedimenti eocenici gli antichi Autori erano concordi nel considerarli trasgressivi sui calcari cretacei ippuritici o su sedimenti anche più antichi. De Lorenzo [4] a riguardo scrive: « Tanto sul Cretaceo che sul Trias superiore si appoggiano poi i calcari nummulitici grigi e bianchi, che si trovano tra Radula, Brienza e Marsiconuovo . . . i cal¬ cari bianchi e grigi con nummuliti, frammenti di rudiste, pettini costati, briozoi, litotamni etc., si estendono sulla falda occidentale del¬ l’ellissoide del Cugnone, costituito da scisti e calcari del Trias medio ». È da precisare che l’appoggio di questi calcari sugli scisti silicei presso il Cugnone non è stratigrafico bensì tettonico, come già rico¬ nosciuto da Signorini [18]. (4) Il dott. B. Scotto, che ha determinato le specie citate, ha in corso di studio le biofacies della regione in oggetto. — 128 — Baldacci e Viola [1], pur riconoscendo che i calcari cristallini bianchi rappresentano la parte più bassa della serie trasgressiva, li considerano tuttavia un complesso unico con i calcari nummulitici. Essi sono viceversa di età più antica e vanno esaminati con particolare attenzione perchè rivestono un significato paleogeografico della mas¬ sima importanza. Selli [17], in una nota a piè di pagina del lavoro sulla trasgres¬ sione del Miocene nell’Italia meridionale, ammette la possibilità che ai calcari attribuiti all’Eocene di Marsiconuovo spetti un’età mioce¬ nica, ma lascia aperto il problema. Recentemente Grandjaquet [7], riferendosi ai calcari a Num- muliti nel quadrilatero Sala Consilina, Marsico Nuovo, Brienza, Polla, scrive che « Cet ensamble est intercalè tectoniquement dans des flyschs polygeniques d’age Miocene ». Evidentemente quest’A., nel suo lavoro di sintesi regionale, non deve avere studiato nel dettaglio la serie carbonatica. Ricchissima di resti di organismi, la serie eocenica è rappresen¬ tata da calcari grigi e bianchi detritici e addirittura conglomeratici. In associazione si rinvengono Nummuliti, Alveoline, Discocycline, Orbitolites sp., Rotalidi, Briozoi, radioli di Echinidi, Alghe coralline e Melobesie. Gli ultimi strati giungono forse al Luteziano. Anche le assise eoceniche vengono troncate da una trasgressione e sono ricoperte da calcareniti e calciruditi mal distinguibili, litologi¬ camente, dai sedimenti eocenici. Quest’ultima serie affiora al Castello di Lepre con una potenza di dieci o venti metri al massimo. In associazione si trovano Lepidocicline, Operculine, Anphiste- gine, Miogipsine. Si è detto, inizialmente, che la regione in esame rappresenta una parte marginale della zona neritica a sedimentazione c alca reo-dol orni¬ ti ca. al limite con la fossa lucana. Nel Mesozoico medio-superiore la regione è caratterizzata da una grande instabilità tettonica e nel Cre¬ taceo superiore doveva presentarsi sotto forma di arcipelago. A sud e ad ovest le Rudiste, che formavano estese biostrome, trovavano fa¬ vorevoli condizioni di vita. Durante il Maestrichtiano, nella parte occidentale della depressione e nella zona di transizione a quella biostromale, si accumularono depositi clastici formati a spese delle biostrome, in parte eteropici di queste, in parte più recenti. 129 - A monte di Paterno, sulla strada dell’acquedotto dell’Agri e presso la sorgente Amoroso, affiorano calcari detritici bianchi con intercalazioni di marne e marne argillose rosse. Questa formazione può ritenersi, a grandi linee, isopica di quello che Zoja [23] defi¬ nisce « flysch calcareo ». Litofacies e biofacies dei calcari con intercalazioni marnose e di quelli pseudo-saccaroidi sono molto simili. Nei primi si rinvengono : Orbitoides media , Siderolites sp., Globotruncana del gruppo della G. / apparanti , Accordiella conica , frammenti di Rudiste. Ritengo che questa formazione, di età maestrichtiana, rappresenti una facies di mare più aperto, leggermente eteropica dei calcari pseudo-saccaroidi. Gli originari rapporti non sono più riconoscibili a causa del so- vrascorrimento della serie carbonatica. Purtroppo non sono ancora chiariti definitivamente i rapporti tra questo « flysch » cretaceo ed il flysch galestrino sottostante. Qualora si dimostri che il passaggio tra le due formazioni è stratigrafico (la qual cosa, già ipotizzata da Radina [15] a S. Fele, sembra probabile in questa ed in molte altre località della Lucania) si avrebbe un nuovo dato in favore dell’ipotesi dell’autoctonia della serie calcareo-silico- marnosa. Le situazioni descritte, e le vicende paleogeograficlie che da esse possono dedursi, se sono nuove per la Lucania, non lo sono per altre regioni dell’Appennino meridionale. In particolare, nel 1957 Selli [17] segnala nel Matese calcari bianchi detritici che ritiene depositi di periscogliera. Questi calcari sono isopici dei calcari pseudo-saccaroidi descritti. Pescatore [14], Manfredini [9], D’Argenio [2], Devoto [6], Ietto [8], Sgrosso [21], Vallario [22] nei gruppi Matese, Mainarde, M.ti della Meta rinvengono i calcari maestrichtiani trasgressivi su ter¬ mini triassici, giurassici e cretacei della serie carbonatica. Nella depressione molisano-sannitica viene convalidata l’ipotesi di Scarsella [16]. Signorini [19], Signorini e Devoto [20], Pesca¬ tore [11-14], Manfredini [9, 10] riconoscono un flysch cretaceo¬ paleogenico che ritengono autoctono ed eteropico dei massicci calcarei. In Lucania Pescatore [12] opera la prima correlazione tra il flysch della zona di Pescopagano - S. Fele e quello che borda il ver¬ sante sud-orientale del Matese. Questa correlazione può essere spinta, alla luce dei nuovi dati, ancora più a sud, almeno sino all’alta valle dell’Agri. — 130 — I calcari pseudo-saccaroidi maestrichtiani , riconosciuti per la prima volta, in Lucania, trasgressivi sui massicci calcarei rappre¬ sentano, il termine comune alla serie carbonatica ed alla serie dei flysch. Napoli, Istituto di Geologia dell’lJ niversità, novembre 1963. RIASSUNTO Nei monti tra Marsico Nuovo e Paterno affiora una serie così costituita dal basso in alto : 1) dolomie cristalline triassiche; 2) calcari ad Ellipsactinie, probabilmente titonici, ricchissimi di coralli ; 3) calcari pseudosaccaroidi bianchi, di età maestrichtiana con Orbitoides, Side- rolites, Globotruncana ; 4) calcari con Nummuliti, Alveoline, Discocycline. Melobesie, di età eocenica ; 5) calcari conglomeratici con Miogipsine ed Amphistegine del Miocene inferiore. I calcari pseudocristallini bianchi rappresentano una facies di transizione verso i depositi flyscioidi cretaceo-paleogenici della fossa lucana, contenenti livelli con le stesse litofacies e biofacies. SUMMARY In thè high valley of Agri between Paterno and Marsicormovo there are thè following lithostratigraphic complexes : a) triassic withe saccharoìdal dolomite; b) grey limestones with Ellipsactinia (prohably Titonic); c) white destritical pseudosaccharoid limestones ( Maestrichtian) : d) limestones with Nummulites and Alveolina (Upper Cuisian); e) calcarenitic complex (Burdigal. - Aquitan.). Among this complexes there is a stratigraphical break. The country represents a marginai part of thè neritic area with limy and dolo- mitic sediments towards thè lucana depression. BIBLIOGRAFIA [1] Baldacci L. e Viola C., Sull’ estensione del Trias in Basilicata e sulla tettonica generale dell’ Appennino meridionale. Boll. Comm. geol. d’It., 25, n. 4, pp. 372-390. Roma, 1894. [2] D’Argenio B., Linee isopiche e strutturali cretaciche persistenti nell’ Appennino campano. Rend. Acc. Se. fìs. e inat., s. 4a, voi. 30, Napoli, 1963 (in corso di stampa). [3] De Lorenzo G., Osservazioni geologiche nell’ Appennino della Basilicata meri¬ dionale. Atti Acc. Se. fìs. e mat., s. 2a, 7, n. 8, pp. 1-31, figg. 12. Napoli. 1895. [4] De Lorenzo G., Studi di geologia nell’ Appennino meridionale. Atti Acc. Se. fìs. e mat., s. 2a, 8, n. 7, pp. 1-128, figg. 12. Napoli, 1896. 131 — [5] De Lorenzo G., Reliquie dei grandi laghi pleistocenici nell’Italia meridionale. Atti Acc. Se. fis. e mat., s. 2a, 9, n. 6, pp. 74, figg. 30, tavv. 5. Napoli, 1898. [6] Devoto G., La serie stratigrafica di Monte S. Croce (Venafro) . Meni. Soc. Geol. It., 4, pp. 5, tavv. 6, fig. 1. Bologna, 1963. [7] Grandjacquet C., Schèma structural de VApennin campano-lucanien (Italie). Rev. de géol. phy. et de géol. dyn., (2), 5, fase. 3, pp. 185-202, figg. 14. Paris, (1962) 1963. [8] Ietto A., Osservazioni geologiche su alcune zone del Matese, (nel presente volume) . [9] Manfredini M., Osservazioni geologiche sul bordo interno della depressione molisana-sannitica ( Italia meridionale ). Meni. Soc. geol. it., 4, pp. 15, tav. 1. Bologna, 1963. [10] Manfredini M., Schema dell’evoluzione tettonica della Penisola Italiana. Boll. Serv. Geol. d’It.. 84. pp. 3-27, tavv. 2. Roma. 1963. [11] Pescatore T., Una serie stratigrafica nel flysch a Sud-Est del Matese ( Sannio ). Boll. Soc. geol. Ital.. 80. fase. 3, pp. 3-7, tavv. 2. Roma, 1961. [12] Pescatore T., Ulteriori osservazioni sul flysch a sud-est del Matese. Boll. Soc. geol. Ital.. 80, fase. 4, pp. 1-9, tavv. 5. Roma, 1962. [13] Pescatore T., Confronto tra serie stratigrafiche a nord e a sud-est del Matese. Boll. Soc. dei Natur. in Napoli, 71, pp. 61-65, tavv. 2. Napoli, 1963. [14] Pescatore T.. Affioramenti di flysch cretaceo nell’alta valle del Volturno ( Alto Molise ). Mem. Soc. Geol. Ital., 4. Bologna. 1963 (in corso di stampa). [15] Radina B.. Rilievo geologico della zona compresa tra S. Fele , Bella e Muro Lucano. Boll. Soc. geol. Ital., 77, fase. 3, pp. 183-203, figg. 8. tavv. 2. Roma. 1958. [16] Scarsella F., I rapporti tra i massicci calcarei mesozoici ed il flysch nell’ Ap¬ pennino centro-meridionale. Boll. Soc. geol. Ital.. 75 (1956), fase. 3, pp. 115-137. Roma, 1957. [17] Selli R,. Sulla trasgressione miocenica nell’ Italia meridionale. Giorn. di Geologia, Ann. Museo Geol. di Bologna, s. 2a, 26 (1954-1955), pp. 1-54, tavv. 9. Bologna, 1957. [18] Signorini R.. Sulla tettonica dei terreni mesozoici nell’ Appennino lucano. Rend. Acc. dei Lincei, Cl. Se. fis., s. 6a, 29. pp. 558-562. Roma. 1939. [19] Signorini R., Osservazioni geologiche nell’alto Molise. Boll. Soc. geol. Ital., 80. fase. 3, pp. 216-224. Roma, 1961. [20] Signorini R. e Devoto G., Il Paleogene nell’alto Molise. Mem. Soc. Geol. Ital., 3, pp. 461-514, tavv. 3, figg. 4. Pavia, 1962. [21] Sgrosso I., La trasgressione miocenica nel Matese centrale, (nel presente vo¬ lume). [22] Vallario A., Osservazioni geologiche nella zona di Capriati al Volturno (Ca¬ serta). (nel presente volume). [23] Zoja L., Il flysch calcareo di Pescopagano (Avellino) . Boll. Soc. geol. Ital.. 76. pp. 371-383, figg. 8. Roma, 1957. Osservazioni geologiche nella zona di Capriati a Volturno (Caserta) (*) Nota del socio ANTONIO VALLAR10 (Tornata del 29 novembre 1963) Pre MESSA. L’Appennino meridionale è caratterizzato da una serie calcareo- dolomitica, mesozoica, sulla quale poggiano trasgressivamente i ter¬ reni del Miocene. La serie mesozoica è stata illustrata nei suoi particolari da vari Autori che ne hanno messo in evidenza la successione lito-bio-strati- grafica. In questa serie si possono distinguere due zone una con continuità di sedimentazione dal Trias superiore al Cretaceo superiore ed una che presenta una lacuna nel Cretaceo medio in corrispondenza degli affioramenti bauxitici. Fra queste due serie esiste una zona di transizione con complessi conglomeratici nel Cretacico medio. Queste differenze danno una idea della evoluzione paleogeografica dell’Appennino meridionale ; mettono in evidenza la presenza di un bacino ai cui margini emersioni parziali ed irregolari avvenute nel Cretaceo medio hanno permesso la formazione di depositi bauxitici, in ambiente continentale, ed il depositarsi dei complessi conglome¬ ratici, nella zona di transizione. La serie calcareo-dolomitica mesozoica di facies neritica ha uno spessore di 2500-3000 metri circa. NelLarea nord-orientale e nella parte settentrionale del Matese affiora una serie di terreni con caratteristiche litologiche e faunistiche diverse da quelle della serie calcareo-dolomitica mesozoica propria dell’Appennino meridionale (facies orientale). (*) Lavoro eseguito con il contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche. — 133 — La serie è costituita alla base da livelli diasprigni cui seguono calcari, calcari detritici, conglomerati, brecciole calcaree con interca¬ lazioni di marne rosse. Essa è designata come flysh cretacico, sebbene da qualche autore questa denominazione sia ritenuta solo in parte appropriata. L’età è compresa fra il Cretaceo medio e l’Oligocene. I rilevamenti effettuati nella zona di Capriati a Volturno, sul bordo occidentale del Matese, hanno portato al riconoscimento di una serie stratigrafica comprendente nella parte inferiore i termini della serie mesozoica carbonatica (Trias-Lias-Giura) e nella parte superiore i termini della serie del flysh (Cretaceo). Descrizione delle serie stratigrafiche. Nell’area rilevata compresa nella tavoletta 161 - III - NE Capriati a Volturno, possiamo distinguere morfologicamente due unità. Una a nord-ovest, designata come la dorsale Fortegrega-Capriati, che fa parte della propagine più occidentale del Matese, ed una a sud, separata dalla prima dall’ampia conoide del fiume Sava, che è la dorsale di Ciorlano, limitata dalle valli del' Volturno, del Lete e del Sava. A queste due unità morfologiche corrispondono caratteristiche strutturali e stratigrafiche diverse.' La dorsale Fontegrega-Capriati è costituita alla base dalle dolomie del Trias superiore con Megalodon e W orthenia : seguono quindi do¬ lomie cristalline zonate dell’Infralias. Il complesso dolomitico è potente dai 400 ai 500 metri. Su questo complesso poggia in trasgressione una serie prevalen¬ temente conglomeratica del Cretaceo superiore con Orbitoides m.edia. Il piano di contatto, nella zona in esame, è rappresentato dalla base di un bancone conglomeratico potente 10-15 metri, a luoghi va¬ riabile fino a spessori di 30-40 metri, e spesso dolomitizzato. Il complesso continua con calcareniti e calcari pseudosaccaroidi bianchi con intercalazioni, nella parte superiore, di banchi ricchi di frammenti di r udiste, con qualche raro esemplare ben conservato. Lo spessore della serie è dell’ordine dei 200 metri. Seguono poi calcareniti, calcilutiti e brecciole calcaree con Num- muliti ed Alveoline, presumibilmente di età paleogenica. La serie termina con terreni miocenici rappresentati da calcari — 134 — con Pettinidi, Qstreidi, Briozoi e Litothamni, cui seguono marne cal¬ caree ed argille marnose. Va messo in evidenza che il contatto tra le dolomie del Trias- Infralias ed i calcari bianchi del Cretaceo superiore appare bene esposto lungo la strada che da Capriati a Volturno porta a Gallo. Esso è sicuramente un contatto stratigrafico per trasgressione. La dorsale di Ciorlano è suddivisa strutturalmente in una area settentrionale ed in una meridionale ; il distacco fra queste due zone è netto e può essere individuato strutturalmente da una faglia, con andamento NE-SO, di notevole rigetto. La parte settentrionale, costituita dai monti Cupamazza e Tur- chetto, presenta una successione stratigrafica simile a quella descritta per la dorsale di Capriati. Anche qui appare evidente la sovrapposi¬ zione stratigrafica fra le dolomie del Trias-Infralias ed i calcari pseudosaccaroidi bianchi cretacei. Il passaggio è visibile in località S. Lucia. L'area meridionale della dorsale di Ciorlano comprende i rilievi di Colle del Campo (m. 765), Colle la Croce (m. 811) e Colle Cupone (m. 717). La successione stratigrafica risulta qui differente. I calcari bianchi del Cretaceo sono trasgressivi sui terreni del Lias-Giura che non affiorano nell’area settentrionale e nella dorsale di Capriati. Quasi tutta l’area meridionale della dorsale di Ciorlano è costi¬ tuita da terreni del Giura-Lias della serie carbonatica e solo a Colle Nipri, in prossimità dell’abitato di Ciorlano, ed a nord ed est di Malie affiorano i calcari bianchi del Cretaceo. Il contatto tra le formazioni del Giura-Lias ed i calcari bianchi cretacei si segue nettamente per un discreto tratto compreso fra Casino di Malie e la località Cesamaniero poco a nord di Colle Cupone (1). (1) Il contatto dei calcari bianchi del Cretaceo superiore con le formazioni sot¬ tostanti è segnato a volte da depositi di minerali di ferro e manganese. Nell’area rilevata si sono osservati due affioramenti di tali minerali. Il primo nella dorsale di Capriati a Volturno, nel Vallone Conche, a nord dell’abi¬ tato di Fontegreca. Qui si rinviene un affioramento di minerali manganesiferi al contatto delle dolomie del Trias-Infralias con i calcari pseudosaccaroidi bianchi del Cretaceo superiore. Questo affioramento veniva coltivato per l’estrazione del man¬ ganese. L’altro affioramento è stato osservato nella dorsale di Ciorlano in località Cesa¬ maniero a nord-est di Colle Cupone; esso segna il contatto fra i calcari del Giura-Lias — 135 - Le formazioni del Giura-Lias sono costituite da calcari, calcari dolomitici e calcari detritici, a luoghi conglomeratici, con dei livelli dolomitici. L’età è compresa tra il Lias medio ed il Dogger (Ba- toniano). La successione litobiostratigrafica è rappresentata alla base da calcari compatti avana e calcari detritici con Palaeodasycladus medi- terraneus Pia ed Orbitopsella praecursor GÙmbel, cui si associano poi molluschi della facies a Lithiotis ( Ccnozona a Palaeodasycladus mediterraneus p.p.). Seguono poi calcari grigi ed avana, con rare intercalazioni di calcari oolitici e pseudoolitici e con qualche bancone di dolomie ma¬ crocristalline biancastre. In questo complesso si rinvengono : Thauma- toporella parvovesiculifera Raineri, Textularidi, Valvulinidi (Ceno- zona a Thaum alo por ella parvovesiculifera). La serie carbonatica termina con calcari nocciola e grigi a luoghi detritici. Si rinvengono Coralli e Gasteropodi. La microfauna è costi¬ tuita da: Pfenderina salernitana Sartoni e Crescenti. Textularidi, Valvulinidi ( Cenozona a Pfenderina salernitana ). Conclusioni. Base comune delle due serie illustrate sono i termini della serie calcareo-dolomitica mesozoica dell’Appennino meridionale. Le caratteristiche litologiche riscontrate sono di ben poco diffe¬ renti da quelle dei massicci mesozoici (Matese, Monte Maggiore, Monte Taburno, ecc.). Le successioni biostratigrafiche sono invece per¬ fettamente corrispondenti. Le formazioni cretacee costituite da calcari, conglomerati, calca- reniti, in parte eteropiche dei calcari a rudiste, sono trasgressive sui termini triassici, liassici e giurassici della serie carbonatica. Il contatto fra la serie conglomeratica elei Cretaceo superiore ed i termini del Trias o del Giura-Lias sono pseudoconcordanti. ed i calcari pseudosaccaroidi bianchi del Cretaceo superiore. Trattasi di minerali di ferro e precisamente di gothite. L’affioramento si segue nettamente per qualche de¬ cina di metri; lo spessore è variabile da pochi centimetri a qualche decimetro. Entrambi gli affioramenti sono stratigraficamente localizzati alla base della tra¬ sgressione dei calcari pseudosaccaroidi bianchi del Cretaceo superiore. Il significato e la genesi di tali depositi sarà oggetto di una nota in corso di elaborazione. — 136 — 1 regolari passaggi stratigrafici tra i termini del Trias o del Giura-Lias con la serie conglomeratica del Cretacico superiore portano a considerare la ipotesi della presenza di due fasi tettoniche, una di età liassica ed una anteriore al Cretaceo superiore a cui corrisponde la lacuna compresa tra il Giurassico superiore (Malm) ed il Cretaceo inferiore. Da ciò si può dedurre che i movimenti che hanno interessato questa zona sono di tipo epirogenico ed hanno originato una struttura a faglie. I calcari conglomeratici del Cretaceo, nella zona in esame, pog¬ giano trasgressivamente sul paleoautoctono mesozoico, nella zona più a nord seguono in continuità di sedimentazione alle formazioni calcareo-selciose del Cretaceo medio, che passano a costituire il cosid¬ detto flysch « Molisano-Sannitico ». Da quanto detto si deduce una autoctonia delle formazioni flyscioidi. La zona studiata rappresenterebbe un’area della fascia di transi¬ zione tra la facies neritica dei calcari mesozoici dell’Appennino me¬ ridionale e le facies più profonde dei termini flyscioidi della serie Molisano-Sannitica. Napoli, Istituto di Geologia, 29 novembre 1963. RIASSUNTO 11 rilevamento della tavoletta 161 - III - NE Capriati a Volturno, ha permesso di considerare quest’area come parte della zona di transizione tra la serie calcareo-dolo- mitica mesozoica e la serie calcareo-selciosa conglomeratica cretaceo-oligocenica, che affiora più a nord. La serie calcareo-dolomitica mesozoica è rappresentata da dolomie del Trias supe¬ riore, da calcari e calcari dolomitici del Lias e del Giura (Dogger). La serie conglomeratica affiorante è costituita da conglomerati, calcareniti e cal¬ cari pseudosaccaroidi bianchi del Cretaceo superiore. I terreni della serie conglomeratica cretacea poggiano in trasgressione sub-co ri¬ cordante sui terreni della serie carbonatica mesozoica. La serie conglomeratica viene considerata autoctona. SUMMARY The survey of thè zone near Capriati a Volturno (West Matese) niade us able to think this area as a part of thè transitional zone between mesozoic calcareus-dolo- mitic series and Cretaeeous-oligocenic calcareous-flint conglomeratic series, ouctcropping toward North in thè Molisano-Sannitica Trough. — 137 — The mesozoic ealcareous-dolomitic series is formed by Upper Triassic dolomites, Liassic and liurassic limestone and dolomitic-limestones. The conglomeratic series outcropping is formed by conglomerates, calcarenites and Upper Cretaceous pseudo-saccharoidal, withe limestones. The cretaceous conglomeratic series overlies in sub-conformable trasgression thè mesozoic carbonatic series. The conglomeratic series is considered as autochthonous. BIBLIOGRAFIA Catenacci E., De Castro P. e Sgrosso I., Livelli-guida del mesozoico calcareo-dolo- mitico nel massiccio del Matese. Mem. Soc. Geol. Ita!., voi. IV, Bologna, 1963. D'Argento B., Contributo allo studio di una trasgressione medio-cretacica neW Appen¬ nino campano. Mem. Soc. Geol. Ital., voi. IV, Bologna, 1963. Mànfredini M., Osservazioni geologiche sul bordo interno della Depressione Molisano - Sannitica ( Italia meridionale). Mem. Soc. Geol. Ital., voi. IV, Bologna, 1963. Pescatore T., Una serie stratigrafica nel flysch a SE del Matese. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. 80, Roma, 1961. — Ulteriori osservazioni sul flysch a SE del Malese ( Sannio ). Boll. Soc. Geol. Ital.. voi. 80, Roma, 1961. — Affioramenti di Flysch Cretacico nelValta valle del Volturno. Mem. Soc. Geol. Ital., voi. IV, Bologna, 1963. Scarsella F., I rapporti fra i massicci calcarei mesozoici ed il flysch nelV Appen¬ nino centro-meridionale. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. 75, Roma, 1956. Scarsella F. e Mànfredini M., Relazione preliminare sul rilevamento geologico del gruppo del Matese. Boll. Serv. Geol. d’Ital., voi. 76, Roma, 1955. Selli R,, Il Paleogene nel quadro della geologia dell’Italia meridionale. Mem. Soc. Geol. Ital., voi. III, Roma, 1962. Signorini R.. Osservazioni geologiche nell’alto Molise. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. 80, Roma, 1961. Signorini R. e Devoto G., Il Paleogene nell’alto Molise. Mem. Soc. Geol. Ital.. voi. Ili, Roma, 1962. I filoni sedimentari del Taburno-Camposauro (Appennino cani pano) (*) Nota del socio BRUNO D’ARGENIO (Tornata del 29 novembre 1963) Premessa È noto l’interesse che presentano i filoni sedimentari . in quanto strutture da cui è possibile ricavare elementi di notevole importanza per considerazioni di carattere stratigrafico, tettonico e paleogeografico. La letteratura italiana sull’argomento è pressocchè inesistente e l’unica segnalazione per l’Appennino è quella di Scarsella (1958), che descrive i filoni sedimentari del Calcare Massiccio hettangiano del Corno Grande (Gran Sasso d'Italia), riempiti da dolomie del Lias medio e da conglomerati paleogenici. L’argomento è però oggetto di numerosi lavori fuori d’Italia e gli Autori (Newsom, 1903 ; Pruvost, 1943; Shrock, 1948) hanno proposto alcune classificazioni per organizzare in un quadro unico le varie strutture descritte, le quali, se morfologicamente sono tra loro collegabili, differiscono spesso per genesi in modo sensibile. Una breve rassegna di tali classificazioni è in Scarsella (1958). I filoni del Taburno-Camposauro Shrock (1958, p. 212) distingue due categorie di filoni sedimen¬ tari geneticamente diverse : a) filoni formatisi per intrusione di materiale clastico o fluido, derivato da strati sottostanti e messo in posto per pressioni anormali, e fi) filoni formati per introduzione di materiali dall’alto : b1) per una certa pressione o, fi2) per semplice riempimento di una fessura o frattura preesistente. I filoni che si descriveranno sono tutti di quest’ultimo tipo e il (*) Lavoro eseguito col contributo del C. N. R. — 139 — loro interesse risiede appunto nell’essere collegati con le principali vicende paleogeografiche mesozoiche e cenozoiche del gruppo del Taburno-Camposauro. Questi filoni, salvo qualche eccezione, sono tutti di piccole dimen¬ sioni : non superano in genere i 15 cm. di larghezza e si possono seguire con continuità sul terreno per pochi metri o poche diecine di metri. In alcuni casi eccezionali possono raggiungere anche il metro di larghezza, e circa un centinaio di metri di lunghezza. Possiamo distinguere tre gruppi di filoni in base alla età del loro riempimento : — filoni turoniani - — filoni senoniani — filoni elveziani. Filoni turoniani. Geneticamente questi filoni sono connessi con i fenomeni epeiro- genetici che, sul finire del Cretacico inferiore, portarono alla emersione parte deH’Appennino campano, riportandolo poi, nel Turoniano, nel dominio marino ( D’Argenio, 1962,6). Si riconoscono due tipi di filoni, connessi probabilmente con due momenti distinti nell’avvicendarsi dei movimenti epeirogenetici me¬ diocretacei. Il primo tipo è dato da filoni di piccole dimensioni, talora facenti passaggio a forme non più « filoniane », quali piccole tasche o ondu¬ lazioni della superficie d’emersione mediocretacica. La larghezza di tali filoni non supera mai i 5-8 cm. e la loro lunghezza si segue sul terreno per alcuni decimetri. In vari casi si osservano le sponde ondulate, carsificate e orlate da un velo calcitico. Le fessure, successivamente carsificate, si sono formate durante l’emersione o, comunque, in tale periodo sono state allargate e model¬ late. Il riempimento invece è marino, si è verificato durante l’in- gressione turoniana ed è dato da una pasta calcarea grigia, a grana fine, con strutture di tipo fluidale, in straterelli con diversa tonalità di grigio sovrapposti. Contemporaneamente avveniva il riempimento del secondo tipo, dato da fratture di dimensioni variabili, da pochi centimetri a 1-2 decimetri di larghezza. Queste fratture, però, sono, con ogni verosi- — 140 — miglianza, connesse con ì movimenti di sommersione precedenti e contemporanei a 1 1 ingressione. Il riempimento, che in molti casi non si distingue che ad un esame molto attento della roccia incassante, è simile a quello dei filoni precedenti, con toni rosso-bruni e mancanza di strutture di tipo fluidale. Tutti questi filoni sono localizzati nei calcari del Cretacico infe¬ riore e il materiale che li riempie è di età turoniana ( 1). Località principali di affioramento sono il Monte Pentirne, il Monte San Michele e il Colle della Noce, nel sottogruppo del Camposauro. Filoni senoniani Questi filoni sono connessi con una breve emersione documen¬ tabile solo sul bordo orientale del Taburno-Camposauro, di probabile età senoniana. Con tale emersione sono collegati gli affioramenti più vistosi dei cosiddetti « marmi di Vitulano ». Anche qui possiamo distinguere un primo tipo di filoni di piccole dimensioni, con le sponde carsificate e di riempimento subaereo ; e un secondo tipo di filoni di riempimento certamente marino. Questi ultimi sono in relazione con la successiva ingressione, anch’essa documentabile solo sul bordo orientale del Camposauro e di età probabilmente compresa tra il Senoniano superiore (Maestrich- tiano ?) e il Paleocene. Nel primo tipo, con maggiore evidenza che nelle analoghe strut¬ ture turoniane, siamo di fronte a un carsismo fossile, con forme che non sono più da considerare filoni sedimentari in senso stretto. Il riempimento è costituito in questi casi da bauxiti rielaborate, brecce policrome e calcari cristallini, zonati, di tipo alabastrino. Il secondo tipo è dato da piccoli filoni di riempimento penecon¬ temporaneo alla formazione delle fratture e posteriori ai primi. (1) T calcari a diceratidi che costituiscono la roccia incassante questi filoni appartengono aH’Aptlano, rappresentando la parte alta della cenozona a Cuneolina camposauri (Sartori e Crescenti, 1962). Le calcilutiti che riempiono i filoni e i calcari immediatamente a tetto di questi, rappresentano la parte basale della trasgres¬ sione turonina e contengono Dicyclina Schiumò ergeri. Accordiella conica e, in qualche caso, anche globotruncane ( Globotruncana lapparenti tricarinata) (Quereau). — 141 — 11 riempimento è dato da una pasta calcarea grigia, con fini elementi detritici provenienti dalla roccia incassante ( 2). Questi filoni sono presenti solo nei calcari turoniani e sono ubicati tutti al Colle della Noce e al Monte Camposauro. Filoni Langhiano-Elveziani. Questi filoni geneticamente sono collegati con i fenomeni tetto¬ nici pre- ed inframiocenici ; il riempimento è dato da calcari, calca¬ roni ti e marne siltose del Langhiano superiore-Elveziano ( 3). Le loro dimensioni sono variabili, da pochi centimetri al Colle della Noce ad oltre un metro al M.te Pentirne. A differenza dei filoni cretacei questi miocenici si possono se¬ guire talora per qualche decina di metri e, in casi eccezionali, per parecchie decine di metri (M. Pentirne). Un altro elemento di distin¬ zione è dato dal fatto che questi filoni possono attraversare tutti i terreni del Mesozoico fino al Lias (Monte San Michele, M. Taburno). Gli esempi più belli si hanno però sempre alla base della tra¬ sgressione miocenica (Colle della Noce). I materiali del riempimento sono non solo calcarei, ma anche marnosi, o calcarenitici, di colore giallo, grigio e rosso. Manca, a quanto è dato vedere, un riempimen¬ to subareo anche parziale. Conclusioni. Tutte queste strutture ora descritte sono ricollegabili ad un ciclico ripetersi di fenomeni paleogeografici che, col susseguirsi di regressioni e ingressioni, produssero le condizioni atte alla loro forma¬ zione e alla loro « fossilizzazione ». Riassumendo possiamo perciò dire che i filoni sedimentari del Taburno-Camposauro : — sono tutti epigenetici ; — sono in piccola parte di riempimento subareo e per il resto di riempimento marino ; (2) Non ho rinvenuto, nel materiale di riempimento di questi filoni, fossili di sicuro valore stratigrafico, ma i calcari che sono immedatamente a tetto appar¬ tengono, almeno in parte, al Maestrichtiano con Orhitoides sp. e Monolepidorbis sp. (3) Il riempimento di questi filoni è dato da calcareniti ad Amphistegina sp. con litotamni e frammenti di valve di lamellibranchi, che corrispondono alla parte basale della trasgressione miocenica (D’Argenio, 1961 a, 1963 b). — 142 — — sono in relazione con i più importanti eventi paleogeografici del Taburno-Camposauro (D’Argenio, 1961 b, 1962, 1963 a, b) ; — sono ubicati in una fascia larga pochi chilometri che corre, da nord a sud, lungo il bordo orientale del Taburno-Camposauro e, da est verso ovest, lungo il versante meridionale del Taburno. Il ripetersi nel tempo degli stessi fenomeni è pertanto dovuto alTanalogia che presentano tra loro le vicende tettoniche mesozoiche e cenozoiche che hanno interessato in particolare questa parte del gruppo del Taburno-Camposauro. Napoli , Istituto di Geologia delVUniversità , ottobre 1963. RIASSUNTO Si descrivono i filoni sedimentari del Taburno Camposauro, distinguendo, in base all’età del loro riempimento, filoni turoniani, senoniani e langhiano-elveziani. Seguono alcune considerazioni sul signficato paleogeografico di tali strutture. SUMMARY Clastic dikes of Taburno-Camposauro Mountains are described and, on thè ground of their filling, turonian, senoian and langhian-elvetian dikes are distin- guished. Some considerations on paleogeographic signifìcance of these structures follow. BIBLIOGRAFIA Campbell M. R., 1904. Conglomerate dikes in Southern Arizona. « Amer. Geol. », 33, pp. 135-38. Case E. C., 1895. Mud and sand dikes of thè Withe River Eocene. « Amer. Geol. », 15, pp. 248-254. Croneis C. e Scott H. W., 1933. Scolecodonts and Conodonts from fissure filling in tlie Niagaran of Illinois. « Bull. Geol. Soc. of Am. », 44, pp. 207-208. IFArgenio B., 1959. Osservazioni geomorfologiche sul gruppo del Taburno. « Boll. Soc. Nat. m Napoli », 68, pp. 12, tavv. 5. Napoli. D’Argenio B., 1961 a. Sul Miocene autoctono del M. Camposauro. « Boll. Soc. Nat. in Napoli », 70, pp. 5. Napoli. TTArgenio B., 1961 b. Osservazioni sulla genesi e Vetà dei « Marmi di Vitulano » e sulla paleo geo grafia del Monte Camposauro. « Boll. Soc. Nat. in Napoli », 70, pp. 12, tavv. 4. Napoli. D’Argenio B., 1962. Una trasgressione del Cretacico superiore nelV Appennino cam¬ pano. « Mem. Soc. Geol. Ital. », 4, pp. 52, figg. 10, tavv. 8. Bologna, 1963. D’Argenio B., 1963 a. Linee isopiche e strutturali cretaciche persistenti nelV Appen¬ nino campano. « Rend. Acc. Se. Fis. e Mat. », serie IV, 30 (1963). IFArgenio B., 1963 b. — Lineamenti tettonici del gruppo del Taburno. «Atti Acc. Pontaniana », n. s., 13. Napoli. Diller J. S., 1890. Sandstone dikes. « Bull. Geol. Soc. Am. », 1, pp. 401-442. — 143 - Gkabau A. W., 1900. Siluro-Devonic contact in Eric Co New York . « Bull, Geol. Soc. Am.», 11, pp. 347-376. Lawler T. B., 1923. 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Filone sedimentario nelle calciruditi senoniane (Marmi di Vitulano p. p.), riempito dalle calcareniti del Miocene. Boll. Soc. Nat, in Napoli, 1963. D’Argenio B. I filoni sedimentari , ecc. - Tav. I. Tavola II, Fig. 1. — M.te Camposauro. Microfacies del riempimento di un filone miocenico: calcareniti con litotamni, Amphistegina sp. briozoi e frammenti di valve di lamellibranchi ( x 10, circa). Fig. 2. — M.te Pentirne. Microfacies del riempimento di un filome turoniano (?): calcirudite con Globotruncana lapparenti tricarinata ( Quereau ), Globotruncana sp. ( x 10 circa). Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963. D’Argenio B. I filoni sedimentari, ecc. - Tav. II, 2 km’ La trasgressione sopracretaeica nei Monti d’Ocre (Abruzzo aquilano) Nota del socio BRUNO D’ARGENIO (Tornala del 29 novembre 1963) Durante lo scorso anno ho illustrato con alcune note una tra¬ sgressione sopracretacica nelUAppennino campano, di cui non era stata fino ad allora data notizia ( D’Argento, 1962 a,b). In considerazione dell’interesse generale di tale fenomeno dal punto di vista stratigrafico, tettonico e soprattutto paleogeografico, ho ritenuto utile estendere le mie ricerche anche più a nord, dove avevo motivi per ritenere che le osservazioni fatte in Campania potessero trovare conferma in analoghe situazioni, dando a tale tra¬ sgressione una estensione e un’importanza ancora più vasta ; infatti veniva in tal modo ad essere presa in esame una considerevole parte dell’Appennino centro-meridionale, lungo i duecento chilometri circa che, in linea d’aria, separano l’Aquila da Benevento, punti estremi dell’area esaminata. Con questa nota desidero illustrare, brevemente, le caratteristiche della ingressione turoniana e dell’ampiezza della lacuna stratigrafica nei Monti d’Ocre, rimandando, per l’inquadramento generale del problema, a quanto ho scritto precedentemente (D’Argenio 1962 a, b ; 1963 a, b; D’Argenio e DeCunzo, 1963). I Monti d’Ocre costituiscono la parte più settentrionale della area esaminata, può darsi però che non rappresentino il punto più settentrionale in cui è documentabile la lacuna mediocretacica e l’in- gressione turoniana. Questi monti, ben noti nella letteratura geologica per gli studi di Parona, costituiscono un sottogruppo del Velino. Le conoscenze stratigrafiche di dettaglio sono a tutt’oggi, quelle illustrate da Parona (1907, 1909). (*) (*) Lavoro eseguito col contributo del C.N.R. — 146 — Nel triangolo compreso tra l’Aquila, Tornimparte e Rocca di Mezzo, possiamo riconoscere, dal basso verso l’alto, la seguente suc¬ cessione litostratigrafica. 1) Calcari, calcari dolomitici e dolomie privi di macrofossili nella parte bassa, ma con faune talvolta molto abbondanti verso l’alto ; i microfossili sono saltuariamente presenti ( Giurassico-Cretacico infe¬ riore); spessori affioranti almeno 400 m. ; 2) calcari bianchi, compatti, subcristallini, a piccoli diceratidi e rari radiolitidi, con spessori variabili tra i 50 e i 100 metri (Aptia- no-Albiano) ; 3) orizzonte bauxitico ( == lacuna stratigrafìca) con spessori tra i pochi centimetri e i 15 metri (spessore massimo osservato); 4) parte basale delVingressione , costituita da conglomerati in strati e banchi, con alternanze di marne verdi ; gli spessori comples¬ sivi variano tra pochi metri e un massimo osservato di circa 40 metri (Turoniano inferiore); 5) calcari bianchi a ippuritidi e radiolitidi, talora biostromali ( Turoniano-Senoniano) ; 6) calcareniti mioceniche a pettinidi. Le considerazioni più interessanti sono quelle che si possono fare esaminando le caratteristiche che accomunano o rendono diverse le situazioni nord - abruzzesi da quelle campane : vediamole ra¬ pidamente. La comunanza di caratteri tra le situazioni abruzzesi e quelle campane ha un duplice aspetto: litologico e stratigrafico. In particolare, nella seconda parte della successione vi sono inter¬ calazioni di calcari nerastri, sottilmente stratificati e di marne verdi, talora con piccole orbitoline, che spettano all’Aptiano e che corri¬ spondono alle isopiche facies campane ( cenozona a Cuneolina cam¬ posauri Sart. e Cresc. di Sartoni e Crescenti, 1962). Nella terza parte della successione la corrispondenza litostrati¬ grafica è anch’essa molto notevole; a ciò si aggiunga, per le biofacies, la concordanza pressocchè completa delle associazioni, che permette di attribuire all’Albiano (Cenomaniano inf. ?) il tetto della serie in- fracretacica (cenozona a Cuneolina pavonia parva Henson di Sartoni e Crescenti, 1962). Analogie notevoli presenta anche la quinta parte della successione costituita da calcari a rudiste. Si possono però osservare, a partire dalle bauxiti, alcune diffe- — 147 — renze, soprattutto litologiche. Le bauxiti, ad esempio, raggiungono spessori maggiori di quelle dell’ Appennino campano e non hanno che rari passaggi laterali a brecce; a volte tali brecce compaiono alla base o in sacche nelle stesse bauxiti ; gli elementi di cui sono costi¬ tuite appartengono tutti ai calcari dell’immediato letto. L’elemento di maggiore diversità è dato comunque dalla base della ingressione, i cui conglomerati, in strati e banchi, non trovano corri¬ spondenza nelle facies campane, i cui scarsi conglomerati basali della ingressione turoniana differiscono da questi per litofacies. Maggiore è invece l’analogia delle microfacies che permettono di datare come Turoniano inferiore questa parte della serie cretacica (cenozona a Cuneolina pavonia parva Henson e a Dyciclina Schlum- bergeri Mun. Chalm. di Sartoni e Crescenti, 1962). Questa unità litostratigrafica presenta inoltre variabilità laterali molto sentite e merita pertanto un più accurato ed attento esame, che ci si ripromette di effettuare in seguito. Concludendo possiamo dire che : — - nei monti d’Ocre esiste una lacuna stratigrafica all’altezza del Cretacico medio, comprendente almeno il Cenomaniano ; — tale lacuna si riscontra anche nell’Appennino campano dove però sembra essere di poco meno ampia ; più strette analogie si pos¬ sono invece notare, a sud del Fucino, nella Marsica (D’Argenio e De Cunzo, 1963). — la trasgressione del Cretacico superiore ha caratteristiche che, mentre si ricollegano bene con quelle della Marsica, differiscono alquanto da quelle campane : ciò è indubbiamente dovuto ad un iniziale diverso ambiente di sedimentazione (di tipo deltizio?); — le analogie riscontrate permettono di considerare però, nel suo insieme, buona la corrispondenza nella successione dei fenomeni paleogeografici, quali sono stati ricostruiti per V Appennino campano. Pertanto è da ritenere che nell’Appennino centro-meridionale, a partire dall’Aquila fino all’altezza di Benevento, in corrispondenza delle attuali bauxiti o delle loro facies laterali (D’Argenio, 1962, ò), durante il Cenomaniano si estendeva con continuità, forse in qualche parte interrotta, un’area di emersione, piatta e allungata, su cui si andavano accumulando, con maggiore o minore discontinuità, quegli estesi depositi di materiali, che hanno poi dato luogo alle attuali bauxiti. Napoli , Istituto di Geologia delV Università, novembre 1963. — 148 — RIASSUNTO L’orizzonte bauxitico dei Monti d’Ocre attesta la presenza di un’area d’emer¬ sione cenomaniana anche nell’Abruzzo aquilano. Si danno alcuni cenni sull’ampiezza della lacuna stratigrafica e si mettono in evidenza gli elementi in comune tra le situazioni campane c quelle abruzzesi. SUMMARY Bauxites of Monti d’Ocre prove thè emergence of this zone durmg thè Cenomanian. In this paper some accounts on stratigraphical lacuna in « Abruzzo aquilano » are stated and analogies with Campan Apennines are signaled. BIBLIOGRAFIA Cassetti M., 1901. La bauxite in Italia. « Rass. Min. », 15, pp. 17-18. Torino. Cassetti M., 1902. Dal Fucino alla Valle del Liri . Rilevamento geologico fatto nel 1901. « Boll. Com. Geol. d’It. », 33, pp. 158-177. Roma. Cassetti M., 1915. Appunti geologici su alcune regioni della Capitanata dell’Irpinia e delV Abruzzo chietino e aquilano . « Boll. Com. Geol. d’It. », 44, (1913-1914). Roma. Cavinato A., 1948. Geologia e genesi delle bauxiti. « Mem. Ist. Geol. Univ. di Pa¬ dova », 15, n. 6, pp. 1-50, figg. 12. Padova. Crema C., 1920. Osservazioni sui giacimenti di bauxite dell’ Appennino, delV Istria e della Dalmazia. « Rend. Acc. Lincei », cl. Se. Fis., s. 5, 29, pp. 492-496 Roma. D’Ambrosi C., 1943. Intorno alla genesi del saldarne, della bauxite e di alcuni minerali di ferro del Cretaceo dell’Istria. « Boll. Soc. Geol. It. », 61, fase. 3, pp. 411-434, tav. 1. Roma. D’Argenio B., 1962 a. Impronte di disseccamento ( sun cracks ) nelle bauxiti del Matese . « Boll. Soc. Nat. in Napoli », 71, pp. 90-102, tavv. 2. Napoli, 1963. D’Argenio B., 1962 b. Una trasgressione del Cretacico superiore nelV Appennino campano. « Mem. Soc. Geol. It. ». 4, pp. 52, figg. 10, tavv. 8. Bologna, 1963. D’Argenio B., 1962 c. Sull’età dei livelli a requienie nell’ Appennino campano. (' Boll Soc. Nat. in Napoli », 71, pp. 146-156. Napoli, 1963. D’Argenio B.. 1963 a. I filoni sedimentari del Taburno-Cam posauro ( Appennino Campano). « Boll. Soc. Nat. in Napoli », 72 (1963). Napoli. D’Argenio B., 1963 b. Linee isopiche e strutturali cretaciche persistenti nello Appennino campano. « Rend. Acc. Se. fis. e mat. », serie IV, 30 (1963). Napoli. D’Argenio B. e De Cunzo T., 1963. Sulla presenza di pollini e resti di insetti nelle bauxiti della Morsica. « Rend. Acc. Se. Fis. e Mat. », serie IV, 30 (1963). Napoli. De Weisse I. G., 1948. Les bauxites de VEurope centrale ( Prov . dinarique et Hongrie ). « Mem. Soc. Vaudoise Se. Nat. », 9. n. 1, pp. 1-162. figg. 14, tavv. 3. tab. 5. bibl. Losanna. — 149 — Parona C. F., 1907. Risultati di uno studio sul Cretaceo superiore dei Monti di Bagno presso V Aquila. « Rend. Acc. Lincei », ci. Se. fis. e mat., s. V, 16, 2° sem., pp. 229-236. Roma. Parona C. F., 1924'. Trattato di Geologia , con speciale riguardo alla geologia di Italia. II ed. Milano, Vallardi. Parona C. F. e Collab. 1909. La fauna coralligena del Cretaceo dei Monti d’Ocre nelV Abruzzo aquilano. « Mem. per servire alla descr. della carta geol. d’It. », 5, pp. 242, tavv. 28. Roma. Sacco F., 1907. Gli Abruzzi. Schema geologico . « Boll. Soc. Geol. d’It. », 26. f. 3. Roma. Sartoni S. e Crescenti U., 1962. Ricerche biostrati grafiche nel Mesozoico dello Appennino meridionale. « Giorn. di Geol. », serie II, 29. pp. 161-302, tavv. 52. Bologna. Segre A. G., 1950. La struttura delVArco abruzzese interno. « Contr. di Se. Geol. », suppl. a la « Rie. Se ent. », C.N.R., 20. Roma. La trasgressione miocenica nel Malese centrale Nota del socio ITALO SGROSSO (1) ( Tornata del 29 novembre 1963} La trasgressione miocenica è un fenomeno generalmente ricono¬ sciuto in quasi tutto l’Appennino meridionale ed è stata ampiamente descritta anche nel massiccio del Matese (Selli 1957 [3]). Nel Matese centrale e più precisamente nella zona centro-settentrionale della ta¬ voletta 161 - III - SE - Roccamandolfì (2), sedimenti miocenici non erano mai stati segnalati. Ho potuto constatare invece che il Miocene è presente e trasgre¬ disce sul Mesozoico con modalità diverse da quelle sino ad ora de¬ scritte in altre località : esso infatti si ritrova, in piccoli lembi ed in placche residue, su una superficie morfologicamente evoluta e poggia indifferentemente (3) su terreni del Lias del Giura, del Cretacico infe¬ riore, del Cretacico superiore e del Maestrichtiano-Paleocene (4). Questi sedimenti miocenici trasgressivi sono costituiti prevalen¬ temente da marne calcaree verdine, talora giallastre, grigio-azzurre e avana e, solo occasionalmente, rossastre : esse sono per Io più conglo- (1) Questa nota si Inquadra nel lavori di «rilevamento e aggiornamento della Carta Geologica dTtalIa » (legge del 3-1-1960, n. 15) eseguiti per confo del Servizio Geologico d’Italia sotto la direz one scientifica del prof. Francesco Scarsella, Lavoro eseguito con il contributo del C. N, R. (2) In particolare la zona presa In esame è quella compresa fra il M. Mlletto e il M. La Gallinola ed I rilievi situati ad ovest, a nord e a nord-est di questi. (3) Signorini (1950) [4], in zone più occidentali notava che il Miocene, sempre concordante, trasgredisce su terreni di età diversa (Cretacico superiore, Cretacico in¬ feriore e forse Giura). Pescatore (1962) [2] riconosce, in zone ancora più occiden¬ tali, terreni miocenici trasgressiv sul Giura superiore. Nella vicina zona di Gallo Il Miocene trasgredisce anche sulle dolomie del Trias ( .omunicazione orale del dott. Ietto). (4) Formazione dei cosi detti calcari « pseudosaccaroidi » (Pescatore, 1962 [21). — 151 — meratiche con piccoli frammenti calcarei (5) a spigoli vivi immersi nella pasta. Talora invece si ritrovano veri e propri conglomerati con elementi di grandezza variabile, generalmente non superiore al deci¬ metro cubo; il cemento marnoso di questi conglomerati, talvolta ab¬ bondante, è più spesso così scarso e incoerente che questi si sgretolano facilmente sotto i colpi del martello. Queste marne sono molto ricche di microfauna : facilmente rico¬ noscibili anche con la sola lente sono Orbuline e Globigerine e, più raramente, Anphistegine ( « formazione di Longano » Selli 1957 [3], attribuita all’Elveziano). I materiali sopradescritti, che, come già detto, si ritrovano in affioramenti molto poco potenti (lo spessore massimo non raggiunge i due metri) e tanto poco estesi da essere difficilmente cartografabili, offrono svariatissime condizioni di giacitura, poiché possono poggiare anche sulle testate stesse degli strati della serie mesozoica ; più fre¬ quentemente però essi riempiono fratture e piccole cavità preesistenti ed a volte formano veri e propri filoni sedimentari che si possono se¬ guire per parecchie decine di metri. In tutta la zona di M. La Gallinola e nelle alture immediatamente a nord di questo, le marne ad Orbulina poggiano in prevalenza sui calcari del Cretacico superiore e, meno frequentemente su quelli del Cretacico inferiore; nella zona M. Miletto - Colle Tamburo poggiano principalmente sul Cretacico inferiore, che è il termine che affiora più estesamente; quindi sul Giura e sul Lias ; non sono rappresen¬ tati terreni del Cretacico superiore. La superfìce morfologica sulla quale ha trasgredito il Miocene era molto simile a quella che appare adesso con un carsismo assai evoluto e con ampie valli mature ; infatti sul fondo e sui lati di quasi tutte le doline e negli ampi campi carsici, molto numerosi nella zona, sono riconoscibili i calcari conglomeratici a cemento marnoso e le marne, le quali riempiendo le fratture dei calcari sottostanti li hanno impermeabilizzati ed hanno pertanto arrestato, o per lo meno rallen- che trasgrediscono su di una morfologia mossa e poggiano, nella tavoletta di Rocca- mandolfi, sul Lias, sul Giura, sul Cretacico inferiore e forse anche sul cretacico superiore. ( 5) Si trovano elementi appartenenti a tutti i termini della serie mesozoica su cui questa formazione trasgredisce ed anche piccoli frammenti di marne molto calcaree color avana scuro contenenti la stessa microfauna del cemento. — 152 — tato, il processo di carsificazione (6). In alcune zone faglie recenti hanno poi ringiovanito il ciclo carsico ribassando il livello di base (7). Le marne, sempre però in piccolissimi affioramenti o addirittura in leggere spalmature, si ritrovano lungo i fianchi di alcune ampie valli che si estendono tra il M. Miletto e il M. La Gallinola e persino lungo le ripide pareti di alcune alture a N E del M. La Gallinola. Una morfologia così profondamente incisa già prima delLingres- sione miocenica non può spiegarsi se non ammettendo resistenza di fasi tettoniche che abbiano variamente fagliato ed innalzato blocchi della serie mesozoica (8) permettendo e facilitando l’azione degli agenti esogeni che hanno avuto modo di agire in tutto il lasso di tempo com¬ preso nella lacuna stratigrafica paleogenica. E poiché nel Matese occi¬ dentale e settentrionale i calcari « pseudosaccaroidi » del Cretacico Superiore-Paleocene trasgrediscono pressocchè concordanti su terreni di varia età (Triassico, Giurassico e Cretacico) significa che già prima di questa fase tardo-cretacica si erano avute condizioni tali da im¬ piantare una morfologia così mossa. Questa morfologia, a mio avviso, può spiegarsi soltanto nella ammissione di una struttura tettonica a « blocchi » limitati da faglie e non è pertanto esclusivamente in fun¬ zione del tempo trascorso in emersione ; tanto vero che il Miocene calcarenitico trasgressivo giace generalmente concordante sul Creta¬ cico superiore. Pertanto le particolari modalità con cui i sedimenti marnosi trasgrediscono sul Mesozoico nel territorio in esame sono dovute alle vicende paleogeografiche che vi si sono verificate, condi¬ zionate queste ultime dalla instabilità tettonica della zona. Da notare inoltre che in tutto il territorio in questione non ho rinvenuto affioramenti di calcari e calcareniti a Pecten Briozoi e Litotamni ( « formazione di Cusano » Selli 1957 [3] che si affiorano estesamente nelle zone vicine e sono generalmente sottoposti alle (6) In qualche caso, come per la sorgente Capo d’acqua nei pressi di Campi- tello, questa formazione ha importanza dal punto di vista idrogeologico poiché fun¬ ziona da livello impermeabile. (7) Per esempio, quanto accennato è molto ben visibile nella zona sovrastante il lago Matese a sud del M. Miletto e del M. La Gallinola dove si possono vedere alcune ampie valli sospese. (8) Anche nel Casertano vengono riconosciute analoghe fasi tettoniche (Sgrosso 1963 [5], Ietto 1963 [1]. — 153 — marne ad Orbulina ; nè ho ritrovato tracce di esse tra gli elementi del conglomerato a cemento marnoso ( 9). Napoli, Istituto di Geologia dell’Università , novembre 1963. RIASSUNTO Vengono segnalati sedimenti miocenici affioranti su una vasta area nella tav. 161 - III » SE - Roccamandolfi. Essi trasgrediscono con modalità del tutto particolari su una superficie morfologica accidentata. Si tratta di marne e conglomerati a ce¬ mento marnoso che poggiano su tutti i termini della serie mesozoica (Lias-Giura- Cretacico inf. e sup„). Queste particolari modalità vengono collegate con le vicende paleogeografiche della regione. In zone vicine, viceversa, il Miocene trasgredisce, come generalmente avviene nll’Appermino meridionale, concordante sul Cretacico superiore. SUMMARY Miocenic sediments are noted in a great area on thè tav. 161 - III - SE - Rocca¬ mandolfi. They are marls and conglomerates transgressiv on thè all complexes of thè 1 iny and dolomitic mesozoic System ( Lias-Jurassic-Lower and Upper Cretaceous). This particular modality is thè consequence of thè palaeogeographic vicissitudes of thè area. 1, AVORI CITATI [1] Ietto A., Osservazioni strati grafiche e tettoniche sui Monti di Caserta. Boll. Soc. dei Naturalisti in Napoli, 72. Napoli 1963 (in corso di stampa). [2] Pescatore T., Affioramenti di flysch cretacico nelValta valle del Volturno (Alto Molise). Meni. Soc. Geol. It., voi. IV, Roma 1962 (in corso di stampa). [3] Selli R., Sulla trasgressione del Miocene nelVItalia meridionale. Gior. Geol. XXVI, Bologna 1957. [4] Signorini R., Devoto G., Il Paleogene nel Molise. Mem. Soc. Geol. It., voi. Ili, Roma 1960. [5] Sgrosso I., Il Paleocene nella zona di Pietravairano (Caserta), con alcune consi¬ derazioni sulla tettonica cretacica. Boll. Soc. dei Naturalisti in Napoli, 72, Napoli 1963 (in corso di stampa). (9) Anche Selli 1957) [3] nota che nel Molise la formazione di Cusano non è ben rappresentata. Fig. 1. Fig. 2. Tavola I. Orbulina. Associazione costituita da: Globigerina, Globigerinoides , Gobloquadrina, Anomalinidae, Lamellibranchi, radioli di Echinoidi. Marna calcarea talora conglomeratica. Preparato: S. 192, 3 (circa 28,5 X ). Località : Campo Puzzo ( tav. 161 ■ II - NE - Roceamandolfi). Età : Elveziano. — Orbulina. Associazione costituita da : Globigerina, Globigerinoides, Globoquadrina, Anomalinidae, Lamellibranchi, radioli di Echinoidi. Marna calcarea talora conglomeratica. Preparato: S. 192, 3 (circa 28.5 X ). Località : M. Gallinola (Tav. 161 - II - NE ■ Roceamandolfi). Età : Elveziano. Sgrosso I., La trasgressione miocenica, ecc. - Tav. I. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963. Tavola II. Fig. 1. — Globi gerinidae. Associazione costituita da : Globigerina , Globi gerinoides, Globo quadrino, Anomalinidae , Lamellibranchi, radioli di Echinoidi. Marna calcarea talora conglomeratica. Preparato: S. 192, 2 (circa 28,5 X ). Località : Campo Puzzo (tav. 161 - II - NE - Roccainandolfi). Età : Elveziano. Fig. 2. — Globi gerinidae. Associazione costituita da: Globigerina , Globigerinoides, Globo quadrino, Anomalinidae, Lamellibranchi, radioli di Echinoidi. Preparato: S. 190, 2 (circa 28,5 X ). Località: Campo Puzzo (tav. 161 ■ II - NE - Roccamandolfi). Età : Elveziano. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963. Sgrosso I., La trasgressione miocenica, ecc. - Tav. II. Ciottoli d’argilla armati nel vallone del Demosito (Irpinia) (i) Nota del sodo TULLIO PESCATORE (Tornata del 29 novembre 1963) I primi chilometri elei tracciato della S.S. n. 303, che si innesta al Passo di Mirabella sulla strada statale delle Puglie, corre lungo una cresta poco accidentata che rappresenta lo spartiacque tra i bacini imbriferi del torrente Ufita e del Fredane, ambedue affluenti del Calore nel bacino del Volturno. Nella zona di Gesualdo, Frigento e Fontanarosa, proprio nel primo tratto della S.S. n. 303, prendono origine diversi valloni che versano le loro acque nel torrente Fredane. Tra questi, il vallone del Demosito prende origine a nord di Gesualdo, e percorre un primo tratto in direzione est-ovest, poi, ap¬ prossimativamente, secondo la direttrice nord-est/sud-ovest; nell’ul- timo tratto, un po’ ingrossato da altri valloni, prende il nome di vallone la Ferranina e si versa due chilometri a nord di Paternopoli nel torrente Fredane. La lunghezza di tutto il vallone non supera i sette chilometri. Il suo corso per un primo tratto attraversa un’alternanza di calcari, e marne rosse, poi scorre in un complesso costituito prevalentemente da argille scagliose rosse e verdi, nelle quali sono intercalati numerosi livelli calcarei, calcareo-marnosi, diasprigni; in questo ultimo tratto e precisamente ad ovest di Gesualdo sono state rinvenute ciottoli di argilla armati (2). (1) Lavoro eseguito con il contributo del C.N.R. (2) La definizione di ciottoli d’argilla armati corrisponde all’inglese « armoured mud balls », ed è stata usata dato che non esistono, nella letteratura geologica ita¬ liana a me nota, riferimenti sull’argomento. — 156 — Cenni geologici. Le formazioni e i complessi affioranti nella zona, si possono cosi suddividere : a) Complesso delle « Argille varicolori »: argille rosse e verdi, scagliose, con intercalazioni calcaree, calcareo-marnose, diasprigne («terreni caotici» Selli 1962). h) «Formazione di S. Croce» (Selli 1962): calciruditi, cal- careniti, calci l utiti con Nummuliti e Alveoline, con intercalazioni di marne e marne argillose rosse ; calcari pseudosaccaroidi bianchi e brecce calcaree alla base. c) «Formazione di S. Giorgio» (Selli 1962); arenarie tipo « molassa », quarzoso-micacee, debolmente cementate, con intercala¬ zioni di argille e di conglomerati. d ) «Serie calcareo-marnoso-silicea di Frigento » (Iacobacci e Martelli 1956): marne, marne argillose, calcari marnosi, arenarie e livelli diasprigni. Questa serie presenta notevoli analogie con la « For¬ mazione del Brusco» Selli 1962 («scisti galestrini»), e potrebbe quindi essere considerata un lembo della « coltre lucana » di questo Autore. e) Formazioni plioceniche, costituite a luoghi, da argille az¬ zurre, sabbie gialle, conglomerati. Se si esclude il Pliocene, esiste disparità di vedute in merito ai rapporti tra queste formazioni per gli Autori che si sono interessati di questi problemi. Selli (1962) considera la « Formazione di S. Croce » formata da zolle, di probabile età langhiana, inglobate nei « terreni caotici » delle « Argille varicolori », e costituenti insieme la « coltre sanni- tica ». Anche le « molasse », « Formazione di S. Giorgio », sono con¬ siderate alloctone. Alcuni Autori (Iacobacci e Martelli 1956, Ardigò 1957) con¬ siderano queste formazioni essenzialmente autoctone, ma dovute a fe¬ nomeni di risedimentazione ( Olistostroma) e di età miocenica. Altri Autori, infine, considerano queste formazioni sostanzial¬ mente autoctone e di età compresa tra il Cretacico superiore e il Miocene (Scarsella 1957, Manfredi m 1963, Pescatore 1963). « Ciottoli d’argilla armati » Il vallone del Demosito, ad ovest di Gesualdo, è inciso essenzial¬ mente nel complesso delle « Argille varicolori », per cui lunghi tratti delle sue sponde sono in frana. — 157 — L’acqua scorre solo nei periodi di pioggia. La portata è estremamente variabile durante la stagione delle pioggie, ed è, pressocchè nulla, nel periodo estivo. Le frane e lo scalzamento delle ripe, fanno smottare, a varie riprese, blocchi più o meno grandi di argilla lungo il vallone. Questi blocchi di argilla sotto Fazione delle acque possono rotolare assu¬ mendo forme irregolari, tendenzialmente ellissoidali, sulla cui super¬ ficie può aderire qualche ciottolo; oppure possono rompersi in fram¬ menti più piccoli. I frammenti di argilla di 5-15 centimetri di diametro, derivati o dal diretto scalzamento della ripa, od anche, dalla rottura di blocchi più grandi, vengono facilmente trasportati e rotolati dalla corrente. Nel rotolamento, sulla superficie di queste sfere di argilla aderi¬ scono dei ciottoli fino a che essa non ne sia completamente coperta. Ne risulta così un nucleo argilloso rivestito esternamente da ciottoli di varia grandezza ; tra questi ultimi viene a inserirsi un rivestimento di materiale sabbioso, il tutto tenuto insieme dal nucleo argilloso. Le dimensioni di queste sfere sono proporzionali alla grandezza del nucleo argilloso. Bell (1940) ha notato che le dimensioni delle sfere non dipendono dalle dimensioni del nucleo di argilla o dalla capacità di trasporto della corrente, bensì dalla forza di coesione del¬ l’argilla. Nel caso specifico, il nucleo di argilla è costituito sempre da « argilla scagliosa » la cui forza di coesione possiamo ritenere costante, di modo che le dimensioni delle sfere di argilla dipendono dalle dimensioni del loro nucleo ; ciò d’altronde è valido solo in prima approssimazione in quanto la forza di coesione che determina il rivestimento delle sfere di argilla è funzione anche della natura litologica dei ciottoli del rivestimento. Le dimensioni dei ciottoli del rivestimento possono variare da 2 a 5 cm«, le loro dimensioni massime dipendono dalle dimensioni del nucleo argilloso. La superficie del rivestimento di queste sfere di argilla è secondo Bell funzione lineare del diametro del nucleo argilloso. La maggior caratteristica di questi ciottoli d’argilla armati è la loro sfericità; essa varia tra 0.70 e 0.90, fino a valori di quasi 1, Bell considera che vi è uno stretto rapporto tra la distanza percorsi/ e la sua sfericità media, sfericità che varierebbe con la radice qua¬ drata della distanza del percorso : la sfericità media di una sfera che — 158 — ha percorso 400 m., 1.600 m., 3.500 in., sarebbe rispettivamente di 0.73, 0.88, 0.89 e così via. Indubbiamente vi è una relazione tra la distanza percorsa e la sfericità media di una sfera, ma sembra diffìcile stabilire anche me¬ diante uno studio statistico, un rapporto così diretto tra questi due fattori ; altri fattori possono influenzare questo rapporto e innanzi¬ tutto il grado di plasticità del nucleo di argilla stessa. Queste sfere possono subire delle deformazioni nel superare un ostacolo ; sono state rinvenute alcune sfere di argilla contro dei ciot¬ toli che esse non hanno potuto superare ; le sfere si mostrano schiac¬ ciate nel lato sotto corrente contro Tostacelo ; potrebbe così spiegarsi la presenza di sfere di argilla ad alto indice di sfericità associate ad altre più irregolari per la medesima distanza percorsa. I ciottoli di argilla armati ritrovate nel vallone del Demòsito, non hanno percorso distanze notevoli, nonostante i valori relativamente alti dell’indice di sfericità; il vallone infatti attraversa tratti preva¬ lentemente argillosi e tratti prevalentemente calcarei. Queste zone di¬ vidono il vallone in tratti in cui le sfere sono abbondanti : zone ar¬ gillose e inizio delle zone calcaree, da altri tratti, in cui le sfere di argilla mancano completamente. Si può seguire lo svolgimento del fenomeno dalla zona argillosa, generalmente franosa, che fornisce il materiale che verrà elaborato dalla corrente, indi la formazione dei blocchi irregolari e delle amigdale di argilla appena elaborate dalla corrente, e di ciottoli di argilla armati più o meno sferici, dapprima con ciottoli di piccole dimensioni con più alto grado di sfericità, fino a quelli di diametro di 20-30 cm., quasi perfettamente sferici. Una zona calcarea può in¬ terrompere il fenomeno. A luoghi addensamenti di ciottoli d’argilla armati possono tro¬ varsi prima di un gomito del vallone e mancare nella zona a valle, ciò può essere determinato da particolari condizioni morfologiche e idrologiche nell’alveo. II percorso dei ciottoli d’argilla risulta molto ridotto, e non supera i 500 metri ; gli alti valori dell’indice di sfericità possono es¬ sere spiegati con un elevato grado di plasticità delle argille, le quali nel rotolamento, sotto l’azione della corrente, acquistano facilmente una forma sferica o subsferica. — 159 — Riepilogo. Si segnalano, nel vallone del Demosito, subaffluente del Calore, nell’Irpinia, ciottoli d'argilla armati nei terreni delle « Argille varico¬ lori ». La loro presenza può ascriversi alle caratteristiche di plasticità e di coesione delle argille scagliose rosse e verdi ; esse, scalzate dalla sponda forniscono delle amigdale di argilla che, elaborate dalla corrente, si rivestono di ciottoli e di sabbia dando luogo a ciottoli d'argilla armati, che presentano un elevato grado di sfericità. Napoli , Istituto di Geologia , novembre 1963. RIASSUNTO Si segnalano nel Vallone del Demosito, sub-affluente del Calore (Irpinia) dei ciot¬ toli d’argilla armati (armored mud balìs) ; se ne illustrano e discutono le caratteri¬ stiche strutturali e le modalità genetiche. SUMMARY Armored mud balls are pointed in « Vallone del Demosito » sub affluent of Ca¬ lore (Irpinia); their structural caracteristics and their genetic modalities are illustrated and examinated. BIBLIOGRAFIA ArdtgÒ G.. Osservazioni geologiche sulle alte valli del Calore e delVOfanto ( Appen¬ nino Meridionale ), Boll. Serv. Geol. d’It., 79, f. 3-4-5. pp. 565-577. Roma, 1957. Bell H. S., Armored mud balls their origin. nroperties end role in sedimentation, Jour. of GeoL, 48. pp. 1-13, Chicago, 1940. Haas W# H., Formation of clay balls , Jour. of Geol., 35, pp. 150-157, Chicago, 1927. Iacobacci A. e Martelli G., Appunti sul rilevamento geologico nei fogli 173 - Bene- vento e 174 - Ariano Irpino ( Appennino Meridionale ), Boll. Serv. 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(I ciottoli d’argilla non sono stati fotografati in posizione naturale). Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963. Pescatore T., Ciottoli d’argilla armati , eco. - Tav. I. * La successione stratigrafica dal Giurassico superiore al Cretaceo medio nel versante meridionale di Pizzo Cefalone (Gran Sasso d’ Italia) W Nota del socio VALERIA ZAMPARELLI (Tornata del 29 novembre 1963) 1) Premessa. La presente nota s’inquadra in una serie di ricerche stratigra¬ fiche che chi scrive sta compiendo nel gruppo del Gran Sasso d’Italia, sulla base del rilevamento geologico eseguito dal Prof. F. Scarsella, per completare con lo studio delle microfacies le conoscenze partico¬ lari su questa regione. Con questa prima nota viene presa in esame Ja parte della serie che va dal Giurassico superiore al Cretaceo medio. Con gli studi successivi della parte più bassa e di tutto il Terziario, si cercherà di dare un quadro più dettagliato della stratigrafia del Gran Sasso, così im¬ portante nel quadro geologico e paleogeografico dell’Appennino centro¬ meridionale, poiché in esso è rappresentata la tipica facies di transi¬ zione con tutti i termini di passaggio alla facies umbra ed a quella tipicamente abruzzese. La campionatura è stata eseguita sul versante meridionale di Pizzo Cefalone ( 140-III-NO-Gran Sasso): consta di 326 campioni prele¬ vati ogni due metri circa. Il tratto di serie studiata ha una potenza complessiva di circa 600 metri. (1) La presente nota è stata eseguita con il contributo del C.N.R. Ringrazio il Prof. F. Scarsella che mi ha affidato Fincarico di questo studio guidandomi nella ricerca ed il dr. P. Scandone per l’aiuto datomi nella campionatura. — 162 2) Studi precedenti. Tutti gli studi compiuti dai precedenti rilevatori si ritrovano com¬ pendiati e completati nei lavori di F. Scarsella, che ha distinto i vari complessi litostratigrafici in base a criteri litologici e paleonto¬ logici (soprattutto con macrofossili). Questi risultati figurano nella carta geologica d’Italia, foglio 140 - Teramo, in corso di stampa. 3) Litostratigrafia. Nella serie in esame si distinguono, dal basso verso Tallo, i se¬ guenti complessi litostratigrafici : a) calcari non stratificati, coralligeni ( bioclastiti), spesso con caratteri di bioherma. Questo complesso, che altrove raggiunge 300- 400 m. di spessore (Corno Piccolo, parete E di Pizzo Intermesoli), misura 70-80 m. ( Dogger?-Malm) (2); b) calcari sottilmente stratificati, bianco giallognoli, finemente detritici, o addirittura compatti, spesso lastroidi, con intercalazioni di straterelli di selce. Vi sono contenuti vari aptici. Nella porzione infe¬ riore possono anche rappresentare uiTeteropia del complesso prece¬ dentemente descritto. Verso Paltò si passa gradualmente alla maiolica s.s., costituita da calcilutiti sottilmente stratificate (10-15 cm), bian¬ castre spesso finemente detritiche. Tutto il complesso b ) ha uno spessore aggirantesi sui 300 m. ; i primi 100 m. circa di serie, ricchi di selce, sembrano parallelizzabili con gli cc scisti ad aptici »; la parte che si può attribuire più strettamente alla maiolica raggiunge i 200 m. (Titonico inf. - Barremiano) ; c) ealcareniti e calciruditi bianco grigiastre distinte in grossi banchi (da 2 a 6 m. di spessore). Nella parte medio-inferiore di questo complesso si rinviene intercalato tra ealcareniti un sottile (20 cm.) livello di marne giallastre o verdastre ricche di Orbitoline. Verso l’alto (2) Al di sotto del complesso descritto affiorano per una cinquantina di metri calcari detritici, talvolta oolitici, nocciola, con intercalazioni di calcari a grana più sottde. La microbiofacies neritica, è costituta da Trocholina sp., Textularidi, Valvu- linidi, frammenti di Codiacee, coralli e frammenti di Crinoidi. Questi calcari, che poggiano su calcari marnosi grigio-verdastri ammonitiferi del Lias sup. contenenti radiolari, zoospore di Globochaete alpina, lamellibranchi pelagici e rari foraminiferi a guscio arenaceo, non sono stati ancora datati con esattezza perchè sono tuttora incerti i limiti cronologici inferiore e superiore. — 163 — il complesso, che nella località in esame si aggira sui 150 m., viene di nuovo gradualmente sostituito da sedimenti più fini, che costitui¬ scono la tipica scaglia. 4) Cronostratigrafia. Il complesso a) dei calcari coralligeni, datato come Malm dai macrofossili (Ellip sactinia, coralli), contiene nella parte più alta Clypeina jurassica F. e Kurnubia sp. In associazione: T rocholina sp. Textularidi, Valvulinidi, frammenti algali, frammenti di Crinoidi. Titonico. I calcari, sottilmente stratificati che, come già detto, succedono regolarmente alla scogliera, rappresentano la parte alta del Giurassico in facies pelagica comprendendo tutto il Titonico. Micropaleontologicamente si può distinguere il Titonico medio¬ inferiore (con caratteristiche di litofacies e di biofacies simili a quelle degli scisti ad aptici della facies umbra) dal Titonico superiore ( maiolica). Nel Titonico medio-inferiore i calcari presentano in sezione sot¬ tile una struttura microcristallina, a volte finemente detritica, ed una microfacies a Saccocoma. I frammenti di questo crinoide, in cattivo stato di conservazione, sono visibili anche sulle vecchie superfici della roccia. In associazione si rinvengono numerose zoospore di Globo- chaete alpina Lombard, forme « incertae sedis » come Stomiosphaera moluccana W., Radiolari, spicole di spugna, frammenti di Echinidi e rari foraminiferi arenacei (Textularidi). Nella parte più detritica di questi calcari sono contenuti fram¬ menti di alghe ( Dasycladacaee, Codiacaee?), Textularidi, Valvulinidi. II genere Saccocoma è frequente sin dai primi strati e si ritrova anche nella parte bassa del Titonico superiore, quando, in associazione, compaiono anche le prime forme di Calpionella alpina Lorenz. La potenza del Titonico inferiore-medio si aggira sui 100 m. Nel Titonico superiore oltre ai frammenti di Saccocoma si tro¬ vano, come s’è detto, i primi Tintinnidi che diventano più frequenti via via che si passa alla tipica maiolica. Le forme presenti sono attri¬ buibili quasi esclusivamente a Calpionella alpina alla quale si associa, con rari individui, Calpionella elliptica Cadisch. È probabilmente presente anche il genere Crassicollaria Remane., — 164 — ma il cattivo stato di conservazione, che non permette l’osservazione di individui completi, rende assai difficile un’esatta determinazione di questo genere che si differenzia particolarmente per la zona orale. Il Titonico superiore si aggira sui 40 m. di spessore dei quali gli ultimi 10-15 m. costituiti esclusivamente da un’associazione a Calpio- nella alpina , rare C. elliptica , Radiolari. Globochaete alpina Lombard. Stomiosphaera moluccana Wanner. Berrasiano. Si assume come limite del Titonico sup. e inizio del Berriasiano nel complesso della maiolica, l’aumento numerico degli individui di Calpionella elliptica nella associazione a Tintinnidi. Sono presenti oltre a C. elliptica e C. alpina , altre forme più rare come Tintin- nopsella cadischiana Colom, Tintinno psella longa (Colom), Calpio - nellites uncinata Cita e Pasquaré. In associazione si rinvengono zoospore di Globochaete alpina , e frequenti Stomiosfere. Il Berriasiano ha lo spessore di una ventina di metri. Neocomiano - Barremiano. In questi piani del Cretaceo inferiore continua, nella serie in esame, il tipo litologico della maiolica. Si osserva una diminuzione di C. alpina e C. elliptica ed una maggiore frequenza di altri Tintinnidi quali Tintinno psella carpathica (Murgeanu e Filipescu), Tintin- nopsella longa , Tintinno psella cadischiana , A mphorelliana subacuta Colom, Calpionellites neocomiensis Colom, etc. Il limite Neocomiano- Barremiano non è riconoscibile poiché si passa a calcari privi di Tin¬ tinnidi ricchi esclusivamente di Radiolari e spicole di spugna. Questi possono già rappresentare il Barremiano. Anche in altre località delTAhruzzo (M. della Grotta, Morrone) Raffi e Forte, in una serie pressoché identica a quella in esame, attri¬ buiscono al Barremiano un complesso molto simile con la stessa asso¬ ciazione. Il complesso Neocomiano-Barremiano raggiunge i 150 m. circa di spessore. La pasta della maiolica è molto ricca di Nannoconus , che assu¬ mono importanza litogenetica. Per la determinazione specifica di questi microorganismi sarebbe necessario uno studio più accurato al microscopio elettronico. — 165 — A ptiano - Albiano. Il complesso c) sovrastante la maiolica forma da solo tutta la pi¬ ramide di Pizzo Cefalone. Le calcareniti contengono Orbitolinidi, frammenti di rudiste, frammenti di Crinoidi, foraminiferi arenacei ed alghe codiacee. Le calciruditi contengono anche, tra l’altro, ciottoli di maiolica, frammenti di ellipsactinie, ecc. Il limite inferiore di questo complesso, che comprenderebbe nel suo insieme i piani Aptiano e Albiano, non è paleontologicamente ben accertabile; non si può escludere che esso comprenda nella sua parte inferiore anche parte del Berremiano. Nella porzione medio-inferiore del complesso, nel livello marnoso verdastro è presente una ricca associazione ad Orbi- toline. È possibile che questo livello sia correiabile con quello ad Orbitolina della serie di facies abruzzese-campana; la microfauna è tuttora in corso di studio. Il limite superiore del complesso è costituito dalla base della scaglia sicuramente cenomaniana per la presenza di Rotalipora ap¬ penninica Renz ; il passaggio : calcari detritici-scaglia è però graduale per cui la parte più alta dei banconi potrebbe già essere cenomaniana. In conclusione questo complesso, essendo posto in successione re¬ golare tra il Cretaceo inf. ( Neoc.-Barremiano) ed il Cenomaniano, comprende i piani dell’Aptiano e dell’Albiano. In altre località del Gran Sasso (M. Camicia) nello stesso com¬ plesso si sono rinvenute forme come Ticinella sp. che confermerebbero questa datazione. 5) Conclusioni. Da questo primo studio stratigrafico sul Mesozoico superiore del Gran Sasso, nella serie di Pizzo Cefalone, è risultata una suddivisione più particolareggiata del Titonico e del Cretaceo inf. Nella serie le associazioni pelagiche si seguono regolarmente dal Titonico fino al Neocomiano-Barremiano e vengono sostituite da asso¬ ciazioni tipicamente neritiche nell’Aptiano-Albiano. In questi ultimi piani è presente un livello marnoso ad Orhitoline che può forse essere correlato con l’analogo livello della facies abruz¬ zese-campana. — 166 — RIASSUNTO Si descrive una serie (lato meridionale di Pizzo Cefalone, Gran Sasso) che include il Giurassico superiore e il Cretacico inferiore. La serie comincia col Titonico, rappresentato da sedimenti sottili, comparabili cogli « scisti ad aptici » dell’Umbria, con microfacies « Saccoma ». Seguono calcari a grana fina con Saccocoma e Colpionella Alpina del Titonico superiore e una forma¬ zione ( maiolica ) con una microfauna (tintinniti) includente Barrasiano, Neocomiano, Barremiano. La serie è chiusa da calcareniti con Orbitoline delTAptiano Albiano. SUMMARY Here is described a series (Southern side òf Pizzo Cefalone, Gran Sasso), including thè Upper Jurassic and thè Lower Cretaceous. The series begin with Titonic represented by fine sediments, compared to thè « scisti ad aptici » Umbrian, having a microfacies « Saccocoma ». Are fallowing fine limestones including Saccocoma and Calpionella alpina of thè Upper Titonic and a formation ( maiolica ) having microfauna (Tintinnidi) including thè Berrasian, Neocomian, Barremian. The series in examination is terminated by calcarenit having Orbitolina of thè Aptian Albian. BIBLIOGRAFIA [1] Agip Mineraria, Microfacies italiane. Milano, 1959. [2] Bonet F., Zonifìcatiòn microfaunistica de las calizas crétacicas del este de Mexico. 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C* TU»- _ tw^*V*^oU- c.) antichi: AB'F' = Paleo-Imo (proiezione secondo NS), C'B' = Paleo-Lavinaro (proiezione secondo EW ribaltata di 90° sul piano della figura). 1 profili trasversali delle valli attuali (a tratto continuo) e i corrispondenti presumibili per le valli antiche (in tratteggio) sono riportati in assonometria a 30°. Le unità assonometriche (rispettivamente di altezza, lunghezza e profondità) stanno fra loro nei rapporti di 5 : 1 : 1 . Ingolfamenti marini giurassici nel Cile settentrionale Nota del dott. GIOVANNI CECIONI (presentata dal socio LORENZO CASERTANO) (Tornata del 29 novembre 1963) In Sud America si parla impropriamente di un geosinclinale an¬ dino come se questo fosse esistito in continuità e fosse stato uno solo. In generale si ammette per antonomasia che sia quello mesozoico ; però non è stata presa la precauzione di vedere se esistono le condi¬ zioni necessarie e sufficienti per affermare che è un geosinclinale e di che tipo : qualsiasi sedimento mesozoico si depositò in quello quasi per definizione. L’autore vuol dare con la presente nota un riassunto di un suo prossimo lavoro più esteso con il fine di divulgare le sue idee prin¬ cipali, perchè queste eventualmente possano essere prima di tutto criticate e poi di guida alle interpretazioni di altri dati, non neces¬ sariamente collegati alla stratigrafia. Che non si tratti sempre di un solo e vero geosinclinale, nè che questo sia stato esclusivamente mesozoico, lo dimostrano i diversi dati, riassunti brevemente, prendendo in considerazione le Ande al S del 18° parallelo S, dove queste si presentano approssimativamente alli¬ neate secondo i meridiani. 1) Nel Paleozoico inferiore del Nord Argentino e Bolivia meri¬ dionale si sviluppò una fossa instabile, nella quale si depositarono- spessori notevoli di tipico flysch, con grauvache a stratificazione gra¬ data argillosa, aventi vari tipi di impronte nella base, a volte piegate in pieghe sinsedimentarie dovute a varie cause. Le concrezioni cal¬ caree sono quasi sempre fossilifere e l’età dei fossili è dell’Ordovicico come già si mise in evidenza ( Loss, 1949; Legioni, 1949, 1951, 1953). All’oriente della Serrania di Zapla, o nel Dique de la denega, o nella Provincia di Salta, i depositi fossiliferi dell’Ordovicico son tipica- — 178 — mente costieri, molassici (Cecioni, 1953); lo stesso succede verso l’Occidente della fascia del flysch, dove la formazione Aguada de la Perdiz ( Garcia et al., 1962) è marina, costiera e dell’Arenigiano, e la formazione Gualchagua presenta Scolytus e sembra essere un pas¬ saggio laterale continentale dell’Ordovicico in Cile. Non furono osser¬ vate colate sottomarine ed il flysch è attraversato da granodiorite pro¬ babilmente giurassico-cretacea. Il flysch ordovicico del Nord Argentino e della Bolivia meridionale si depositò senz’altro in una fossa instabile, che rappresenta forse una antefossa parallela ad un geosinclinale, ubicato probabilmente più ad Occidente perchè la fauna cambrica è tipicamente nordamericana, mentre quella ordovicica, specie per i suoi nautiloidei, è tipicamente europea (Cecioni, 1953). 2) Il Devonico di questa stessa area si presenta con facies mo¬ lassi ca„ anche con depositi di delta (De Benedetti, 1948; Cecioni, 1953), però Weeks (1948) ricorda che nella Bolivia orientale esistono depositi devonici la cui facies è simile a quella del flysch. La ante¬ fossa ordovicica si spostò forse col suo asse verso l’oriente nella ondata geotettonica del Paleozoico? I depositi gothlandici, anche i più bassi ed i più orientali, del Nord Argentino, aumentano sì di spessore da W verso E, ma conservano la loro facies inolassica. 3) L’Antracolitico della parte andina presa in considerazione, si presenta nell’area settentrionale con facies continentale e sono scarse le invasioni marine (Calli, 1957). È probabile che i depositi conti¬ nentali antracolitici continuino a depositarsi anche nel Trias perchè ad un determinato momento presentano colate andesitiche, che il Prof. J. Munoz Cristi ammette essere esclusive del Mesozoico. Non esi¬ stono sedimenti marini che indichino una facies più profonda della piattaforma continentale. Però in Porto Manso si presentano depositi marini con Belle- rophon (Lexique) con tipica facies di flysch nella parte nord dell’af¬ fioramento; è probabile che siano i più alti. Al S si hanno depositi molto simili al nostro macigno toscano che passano lateralmente a wildflysch; la variazione si può osservare perfettamente nel terreno. Il macigno presenta stratificazione gradata argillosa e vari tipi di im¬ pressioni nella base dei banchi. Le brecce del wildflysch in maggior parte son dovute a scivolamenti sottomarini perchè la grandezza dei blocchi è incompatibile con un trasporto per correnti torbide. Le brecce prevennero chiaramente ma approssimativamente dal S. Gli — 179 — affioramenti più meridionali di Puerto Manso ritornano a presentare facies di flyscli con grauvache a stratificazione gradata argillosa e con¬ volute bedding: sembrano rappresentare pacchetti di sedimenti sopra i quali scivolarono le brecce. Anche in questo caso non possiamo dire se stiamo in un vero geosinclinale o in una antefossa ; forse uno studio più dettagliato della serie e della petrografia delle brecce potrebbe dare una soluzione. Poco più ai S la formazione Huentelauquen presenta depositi marini di facies poco profonda (Cecioni, 1962 b) però non sappiamo se son contemporanei a quelli di Puerto Manso. Nell’Arcipelago Patagonico, l’autore scoprì circa 5000 km2 di affioramenti che appartengono in maggior parte all’Antracolitico (Cecioni, 1955). La loro facies indica chiaramente una notevole pro¬ fondità marina : spessori enormi di calcari con fusulinidi, sedimenti arenoso-argillosi che probabilmente rappresentano un flysch, le cui grauvache forse, se studiate al microscopio, potrebbero presentare stratificazione gradata argillosa, non visibile ad occhio nudo per il metamorfismo che interessa più o meno questi sedimenti. Ma che stiamo in un vero geosinclinale è dimostrato dal fatto che uniti con i calcari fossiliferi troviamo radiolariti, diaspri varicolori, esattamente uguali a quelli della formazione argilloscistoso ofiolitifera dell’Appen- nino Settentrionale e, come questi, legati a rocce verdi. All’oriente troviamo depositi antracolitici marini di facies poco profonda che si assottigliano sempre più verso l’E (Feruglio, 1949-50). Inversamente ingrossano i depositi continentali in parte di origine glaciale. Eviden¬ temente stiamo al bordo del Continente di Gondwana. La linea di costa di questo geosinclinale sembra che non doveva essere N-S ma NW-SE molto approssimativamente, se consideriamo che al N, in Cile, prevalgono depositi continentali. Quelli di Puerto Manso potreb¬ bero rappresentare allora una antefossa al margine NE del vero geo¬ sinclinale. La possibilità di una direzione della linea di costa NW-SE sarebbe confermata dai dati tratti dai sedimenti mesozoici, come vedremo. Come si è visto fino ad ora, nella parte delle Ande presa in con¬ siderazione, abbiamo senz’altro una fossa instabile nell’Ordovicico, una nel Devonico, e due ( Puerto Manso e Arcipelago) nell’Antracoli- tico, separate da depositi molassici. Queste due ultime aree instabili continueranno ad essere fortemente instabili nel Giurassico, mentre le altre, chiuse e saldate, costituiranno aree di subsidenza semplice. — 180 ❖ * * Il Mesozoico si sviluppa in questa parte delle Ande in modo su¬ perbo e molti lavori sono stati pubblicati. Per avere una idea appros¬ simata tanto della geologia come della bibliografia sarà sufficiente leggere Pultimo ed ottimo lavoro di Harrington (1962). Ma poco si fece per stabilire in che ambiente presero origine questi sedi¬ menti mesozoici. Per quanto consta gli unici che si riferiscono con dettagli a depositi di flysch sono Harrison che lo riconobbe nel Cal- ìoviano del Perù ed il sottoscritto che lo studiò nella Provincia di Magellano e dette qualche indicazione sulla facies della formazione Los Molles ( Legioni, 1961, p. 19; 1962 a) (1). Nel Triassico cileno predominano sedimenti continentali a volte con abbondanti colate andesitiche nel Norte Grande e cheratofiri più al S. I fossili che permettono le datazioni cronologiche sono general¬ mente le piante. Nella località La Temerà esistono conglomerati potenti con ciot¬ toli di porfido quarzifero ; ci sono anche alcune intercalazioni argil¬ lose con piante. Non si conosce attualmente da dove provenne il materiale. Più al S, in Alto del Carmen, si sono misurati 400 m di porfido quarzifero e rocce annesse, che passano verso Paltò a potenti conglomerati e arenarie con alcune intercalazioni di argille marine, testimoni di brevi inondazioni marine triassiche. Questi porfidi quar¬ ziferi probabilmente fornirono il materiale anche ai conglomerati di La Temerà. La stessa litologia, conglomerati arenarie e argille continentali, si sviluppa verso il SSE di Alto del Carmen, in Argentina, come in Cacheuta e nel Cerro La Brea. La flora di Cacheuta e quella di La Temerà si rassomigliano molto avendo 9 generi di piante in comune, ma in La Temerà esistono per lo meno 8 generi che non sono stati segnalati nella numerosa flora di Cacheuta, ciò che indica un ambiente diverso. Verso Poccidente, nel Cerro Talinai, il Triassico è rappresen¬ tato da 1009 m di sedimenti conglomeratico-arenosi, continentali che riposano e son ricoperti da una serie sottile di argille marine fossilifere. La stratificazione incrociata di tipo deltaico delle arenarie e conglomerati fa sospettare che il materiale provenne dal NE, ma (1) Recentemente in Cuba è stata messa in evidenza una magnifica serie con facies di flysch, appartenente al Cretaceo superiore e che fa parie del Gruppo Habana (Bronnimann P. and Rigassi D., 1963, Contribution to thè Geology and Paleontology of thè area of thè City of La Habana, Cuba , and its Surroundings. Eclogae Geologicae Helvetiae, voi. 56, pp. 193-480). 181 Foto 1. — Pieghe sinsedimentarie nei fìysch della formazione Caleta Lìgate, Bajociano, al sud di Iquique (Foto Varela). Foto 2. — Alternanza di turbiditi fini, con stratificazione gradata argillosa, e lutiti oscure nel flysch della formazione Caleta Santiago, Calovìano al sud di Iquique (Foto Varela). — 182 orco t rono più studi dettagliati prima di affermarlo categoricamente. È seduttrice la idea che questi conglomerati rappresentino approssi¬ matamente quelli di Alto del Carmen e di Cacheuta e che nel Cerro Talinai abbiano un maggiore sviluppo i sedimenti di facies franca¬ mente marina. Foto 3. — Macigno paraconglomeratico, non nella base stessa, depositato da una cor¬ rente torbida, viscosa, che correva sul fondo e che si arrestò bruscamente; con questa fermata brusca restano al loro posto gli elementi costituenti la turbidite e la loro posizione e differenza di massa indica variazioni di velocità, come se questa « fossilizzasse » nel banco. Formazione Puerto Manso, località tipo, al sud del porto. Carbonifero. Questa ultima facies si sviluppa al massimo nel Trias dell’area del Quereo un poco più a S, dove sembra essere un pò più giovane. Qui il Trias per mezzo di argille limolitiche (limolite = silstone) rosse e forse continentali si appoggia discordantemente sulla forma¬ zione Los Vilos di età sconosciuta fino ad oggi. Si depositarono da prima conglomerati e arcose di tipo costiero, ma poi la facies diventò più profonda e con molta probabilità si depositarono banchi arenosi, conglomeratici nella base, per mezzo di correnti torbide. Terminato questo episodio, per riempimento e/o movimento isostatico positivo, ritorna a presentarsi una facies meno profonda, di shelf, inolassica sopra la ({viale cominciano le prime colate di cheratofìri, probabil- 183 — mente sottomarine. Una magnifica flap slructure indica chiaramente che il fondo marino era allora inclinato da NW a SE. La formazione Los Molles comincia con sedimenti lacustrini, prima liinolitico-arenosi, poi Imitici con piante terrestri del Norico superiore ed infine arenosi oscuri con molti minerali ferrosi. Verso Foto 4. — - Vista presa con l’asse ottico in parallelo alla direzione degli strati. Si os¬ serva in questo flysch di poco spessore una piega gravitazionale indicante la maggiore profondità del fondo marino di allora (a sinistra). I restanti banchi sono in parallelo e non sono stati interessati da questo movimento. Formazione El Quereo, località tipo, lato nord della insenatura. Triassico. l’alto di questa ultima serie cominciano le prime intercalazioni marine che si sviluppano sempre di più fino a che si stabiliscono definitiva¬ mente nel Retico-Lias. Più al S del parallelo 40° affiorano diversi sedimenti triassici la cui flora è stata studiata dettagliatamente, per esempio in Lan- guineo, Pampa Agnia, Rio Genita, Nueva Lubeka, Santa Cruz e EsqueL Questa flora presenta 12 generi in comune con quella di Cacheuta. Los Molles e La Brea, però esistono 10 generi che sono esclusivi di questa area. Per quanto si può dedurre da alcune pubblicazioni e da comunicazioni verbali di alcuni ricercatori si può escludere che i depositi marini triassici generalmente al NW delle località sopra indicate di questa nuova area non presentano facies di flysch, ma — 184 Foto 5. — Tipico flysch della formazione Los Molles, Triassico-Liassico ; base del membro del flysch (Foto lzquierdo). Foto 6. — Struttura dovuta a scivolamento gravitativo, da destra a sinistra; allo stesso fenomeno sono dovuti anche gli stiramenti e gli ispessimenti. Flysch della formazione Los Molles, Triassico-Liassico. — 185 — sempre di poca profondità, passando a continentali verso il SE, come per esempio nella valle del Rio Bio Bio. Foto 7. — Struttura dovuta a scivolamento gravitativo. I banchi sopra (sinistra) e sotto (destra) sono in parallelo. L’ala sinistra è stata sollevata e piegata in¬ dietro verso la maggiore profondità del fondo marino di allora. Formazione Los Molles, nel flysch quando comincia ad avere banchi brecciosi di wildflysch. Concludendo, nel Triassico abbiamo tre aree di sedimentazione, quella del N è esclusivamente continentale, quella del S è di facies mista, e quella centrale è sì di facies mista però presenta indizi che la fossa sedimentaria marina era instabile. Per la presenza di flysch e di colate sottomarine acide si può pensare che la fossa centrale era un geosinclinale installato sul bordo del continente. 186 — Nel Nord Argentino e nel sud della Bolivia esistono vasti affiora¬ menti della Formazione Petrolifera (Calcare Dolomitico e Marne Molticolori) attribuite al Cretaceo (scuola tedesca), al Paleozoico su¬ periore (Picard) e al Lias (da Bonarelli e scuola italiana). Gli Foto 8. Code di turbiditi, cadute ritmicamente sul fondo marmo in declivio, nel quale alcuni depositi sono stati interessati da scivolamenti, piegandosi. Queste ardesie nere non presentano ammoniti, mentre le limoliti ne sono ricchissime. Queste ammoniti sembrano indicare il Trias medio, mentre il deposito è di età liassica. Questa facies è stata interpretata come schlier. Parte alta del flyseh della formazione Los Molles, nella cava di ardesia. Triassico Liassico. Il decimetro dà il valor della scala. studi effettuati in Perù (Haas, 1950) dimostrano che la determinazione cronologica corretta era quella di Bonarelli (che non lo venne a sapere), così che FOrizzonte Calcareo Dolomitico, di dove provengono 187 i fossili, deve essere considerato oggi del Lias. In questo stesso oriz¬ zonte, a Miraflores, vicino a Potosì, Bolivia, furono da tempo trovati tre echinodermi, i quali indicano per lo meno localmente una facies marina anche se di poca durata. Ciò ci induce a pensare che l’Oriz¬ zonte Calcareo Dolomitico e probabilmente le sovrapposte Marne Mol- ticolori si depositarono in laghi estesi, su per giù nel senso N-S e Foto 9. — Magnifica discordanza idrodialema prodotta dalla azione erosiva delle cor¬ renti torbide sopra una turbidite già depositata. Il Prof. M. Ksiazkiewicz, del¬ l’Università di Cracovia, osservò « current bedding to thè right in thè basai bed just above thè diseonformity », osservazione che appoggia fortemente la inter¬ pretazione data. che localmente, in Miraflores, si verificò una rapida incursione mari¬ na dell’W verso l’E, perchè verso l’oriente mancano depositi marini Massici, abbondanti invece sulla costa pacifica. A questo ambiente liassico, tipicamente continentale, però con rilievo dolce e di altezze modeste, segue verso l’occidente un am¬ biente marino costellato di ìsole, nel quale si depositarono i sedimenti della vallata di Aroma e del Cerro Longacho. Nel primo di questi furono riconosciuti depositi molto simili a quelli del Cerro Longacho, oltre che marne multicolori specialmente verdi che ricordano le Marne Molticolori argentine. In Cile hanno uno spessore di 300 m e riposano su depositi marini sinem ariani che a loro volta coprono — 188 — con marcata discordanza angolare depositi correiazionati alla forma¬ zione E1 Toco del Paleozoico superiore. I depositi in comune tanto nel Cerro Longacho che nella valle di Aroma, sono sedimenti ritmici marini che l’autore considera ap¬ partenere alla facies di schlier. Ancora più verso l’occidente si tro¬ vano depositi marini con facies di flysch e che costituiscono la forma¬ zione Caleta Buena (Cecioni, 1963). Foto 10. — Turbidite della formazione Los Molles. Come nella foto 3, i grani più grossi non si trovano nella base stessa, ma generalmente al tetto del terzo infe¬ riore, dove è maggiore la velocità e/o la viscosità della corrente torbida. Solo eccezionalmente i grani più grossi sono nella base, evidentemente quando la fermata non è stata sufficientemente brusca. Il Prof. L. Casertano ed il sotto- scritto arrivarono alle stesse conclusioni osservando le foto delle turbiditi ripro¬ dotte artificialmente da Kuenen e Migliorini, nelle quali si osserva che i grani grossi sono abbastanza alti. « Gli altri depositi marini Lassici che si trovano nel Norte Grande indicano che il mare nel cpiale si depositarono aveva la sua massima profondità verso l’occidente)) (Cecioni, 1963), quantunque si pre¬ sentassero diverse irregolarità topografiche perchè se il sottoscritto ha visto il Liassico di Pedernales sovrapporsi a depositi molto antichi (forse della formazione Gualchagua) e su graniti del Carbonifero, in Quillagua, secondo Mordojovich (1960) il giurassico più basso è rap¬ presentato dal Calloviano che riposa direttamente con le sue arenarie — 189 — costiere fossilifere e a re osi eh e su depositi paleozoici. « Dai calcari liassici arenosi di costa del Cerro del Abra, del Cerro Mesa di Pan de Azucar, di La Temerà e di Limon Verde, si passa a facies marina più profonda come nei Cerritos Bayos, in Pedernales, in Potrerillos » (Cecioni, 1963). Come in Caleta Buena al Lias medio segue verso l’alto e con continuità di sedimetnazioee il Bajociano (in parte anche con facies di flysch) e come nella zona di Pan de Azucar il Lias inferiore fossi¬ lifero è piegato e coperto con marcata discordanza angolare da depo¬ siti bajociani (Cecioni, 1960), si conclude che si verificò una oroge¬ nesi probabilmente corrispondente alla Orogenesi di Dunlap e che verso l’occidente della fossa, dove si depositò il flysch Lassi co. prima ricordato, doveva esistere una penisola o meglio forse un arco di isole, terre per le quali si propose il nome di Terra di Psiloceras (Cecioni, 1963), la quale separerebbe malamente il geosinclinale tarapaqueno da quello aconcagiiino-eeuquenico. Garcia (inedito) per supporre la presenza di una terra emersa nello stesso luogo si basa sul fatto che nel lapso Lias-Calloviano si ebbe una forte attività vulcanica con formazione di brecce pirocla¬ stiche e depositi continentali annessi (formazione La Negra). La in¬ stabilità in questa parte durante il Lias si può dedurre anche dai depositi coevi dell’Argentina, dove le Marne Verdi, immediatamente sopra l’Orizzonte Calcareo Dolomitico, presentano chiari scivolamenti subacquatici di pacchetti di sedimenti ; gli stessi cristallini di anal- cima, formatisi nella marne, presentano deformazioni singenetiche ed otticamente si comportano come aniso tropi. Dobbiamo tener presente che i depositi marini liassici fino ad ora ricordati contengono numerose ammoniti appartenenti al gruppo delle Arietiti, le quali mancano o sono molto rare (Cerro Pulmahue) più al Sud dove prevalgono invece Arcestes , Oxynoticeras , Harpoceras e Peroniceras . La formazione Lau taro comprende tutto il Lias (Se- gerstrom, 1959) e questo riposa sopra un granito come succede anche in parte in Pedernales. In Alto del Carmen, sopra i depositi marini costieri del Trias medio, parte bassa (Anisico), si trova una serie porfiritica con brecce e ceneri, le quali verso il Nord cominciano nel Bajociano. Si imposta allora subito il problema se il contatto sedimenti triassici-vulcaniti in Alto del Carmen è concordante o di erosione. Verso il Sud questa formazione è rappresentata da lembi isolati, allineati ali’incirca N-S, — 190 — di sedimenti marini costieri come in Tres Cruces (Segerstrom, 1959) y Dona Ana ( Thiele, inedito). Ancora più al Sud il Lias basale è marino costiero nel Cerro Fulmahue e assai più profondo in Los Molles, però sempre di shelf. In questa ultima località i depositi di shelf sembrano essersi deposi¬ tati da correnti dirette verso N 70 E. Si deduce questo dalTorienta- mento (N 20° \\ ) di ripple marks asimmetrici (fianco E più incli¬ nato), dalla stratificazione incrociata (N 30° W) e da tre tasche (fronte N 30° W), dovute a discesa verticale differenziale di sabbie in fanghi, accompagnata anche da una discesa gravitazionale subacquatica. A questi depositi seguono una cinquantina di metri di lutiti nere di facies profonda, ma tra gli uni e gli altri esiste uno spessore limitato a pochi metri di depositi ritmici sottili di lutiti alternantisi ritmica- mente con limoliti e che ricordano la facies di schlier. Le ammoniti che si ritrovano tanto nelle limoliti (più frequenti) che nelle lutiti sembrano indicare il Lias inferiore ; ma quelle delle limoliti sono sempre accompagnate da ciottoli di un centimetro di diametro, mentre le ammoniti presentano un diametro massimo di 11-12 cm. Furono trovati anche ossi allineati che sembrano essere stati traspor¬ tati da correnti dirette verso N 70° E, ciò che fa presumere anche qui una linea di costa all’occidente allineata N 20°-30° W. Evidentemente si può confermare qui che lo schlier rappresenta una facies pecu¬ liare prodotta dal passaggio in alto di correnti torbide non in contatto con il fondo, sul (piale lasciano cadere il materiale che non possono trasportare a quella velocità e viscosità. Occorrerà effettuare studi paleontologici molto esatti per vedere se esiste una differenza di età tra le ammoniti delle lutiti e quelle con ciottoli delle limoliti, che apparentemente dovrebbero essere un pò più vecchie. Con questo primo accenno alla presenza di correnti torbide nel bacino sedimentario di Los Molles (sono stati contati 24 banchi pro¬ dotti da queste), Fambiente ritorna tranquillo ma con facies più pro¬ fonda indicata dalle lutiti nere. Improvvisamente sopra a queste lutiti nere si presenta brusca¬ mente una serie assai potente del più tipico flysch con grauvache con stratificazione gradata argillosa, con solchi di trascinamento ad assi paralleli ma di diametro costantemente minore che indicano che le correnti torbide scendevano con senso verso N 20° E. In questa stessa serie si può osservare una piega chiusa, in una grauvaca, prodotta da scivolamento gravitazionale subacqueo ; 1 asse, restituito, ci dice che la pendenza di quel fondo allora era verso il N approssimatamente — 191 — però non oltre 20° ail’E o all’W. Seguono alcuni banchi di pochi metri, costituiti da brecce, di tipo wildflysch, nei quali si possono misu¬ rare solchi di trascinamento e imbricazioni, i quali indicano nuova¬ mente correnti verso il N. Una piega come la anteriore, ma più piccola, dà una caduta verso N 30° W. Sempre in questa serie di flysch, che è la più potente, si osserva un filone intrusivo di roccia acida, un cheratofìro, che è poco poste¬ riore alla sedimentazione e anteriore allo scivolamento gravitativo subacquatico deirinsieme sedimento-intrusivo ; la pendenza massima di quel fondo marino era da S verso N ; dovuto a questa caduta il filone si è in parte piegato (non completamente raffreddato?) in parte rotto per piccole faglie inverse. Pochi centimetri sopra e sotto a questa serie scivolata, gli strati sono in parallelo e con la stessa dire¬ zione N 16° E, ciò che indica che tanto lo scivolamento quanto la intrusione acida avvennero durante la sedimentazione. Un poco più in alto si trovano banchi sottilissimi, ritmici di lutiti e limoliti chiare in parte rossicce, la cui facies ricorda quella dello schlier. Nelle vicinanze c’è una cava per lavagne. Si trovano Monotis e Belemniti orientati in parallelo (N 22° E). Questo schlier si presenta ancora una volta altamente fossilifero però solo nelle li¬ moliti ; questo dato è sicurissimo. Studi paleontologici futuri dovranno confermare o no il sospetto che queste ammoniti, più alte stratigra- ficamente di quelle del Lias basale sembrano indicare niente di meno che il Triassico medio; i dati litologici ci permettono sospettare che sono ammoniti risedimentate. Sembra almeno in Cile un problema co¬ mune a tutto lo schlier, compreso qeullo di Cerro Longacho e Valle Aroma. Sopra il flysch ci sono 6 banchi potenti di macigno ed il banco più basso è un vero wildflysch ; nel secondo banco, che per colore esterno cd interno è incredibilmente uguale al nostro macigno toscano, i solchi di trascinamento indicano correnti torbide dirette al N. Nel terzo banco si può osservare un canale di erosione subacquea prodotto da corrente forse torbida in una turbidite appena depositata ; la di¬ rezione è N 22° E (dubbio il senso). Nel quarto banco i solchi di tra¬ scinamento indicano direzione della corrente torbida verso N 30° E. Seguono ancora verso l’alto uno spessore ridotto di flysch e schlier (100 m approssimatamente) e nel quinto banco di macigno che segue i solchi di trascinamento vanno verso N 30° E ; nel sesto banco di ma¬ cigno detti solchi son quasi paralleli a quelli disotto (N 23° E) però si osserva anche, e nella parte alta, una piega dovuta a caduta gra- — 192 — vitazionale che indica una pendenza massima del fondo marino verso N 40° W all’incirca. I dati sopra rij3ortati permettono stabilire: 1) che il bacino dove si depositò la formazione Los Molles fu dapprima un'area di sedimentazione lacustre, nella quale penetrò una o due volte il mare, come episodio corto, e che dopo fu definitiva¬ mente marina ; la linea della sua costa occidentale era allineata appros¬ simatamente N 20° W ; 2) che questo bacino marino si sprofondò, fu tettonicamente instabile e fu interessato per intrusioni ( probabilmente anche per effusioni) di rocce acide ; la presenza di queste oltre a quella del flysch, schlier e wildflysch, permette affermare che questo bacino era un vero geosinclinale marginale, cioè sul bordo del continente secondo il concetto esposto recentemente da De Sitter (1963). 3) questo geosinclinale era allungato all’incirca nel senso N 20° W ed il materiale terrigeno depositato da correnti torbide di¬ rette prima verso N 70° E e poi verso il N con cambio graduale; ma quando la ridepositazione è prevalentemente arenosa (macigno) le cor¬ renti ritornano a correre verso N 79° E. 4) mentre questo geosinclinale riceveva gran quantità di mate¬ riale terrigeno proveniente dallo shelf, e per correnti torbide, lo shelf stesso soffriva l’effetto di movimenti orogenetici, o meglio tectogenesi nel senso di Haarmann, perchè contemporaneamente nell’area di Pan de Azucar, come si è dimostrato, si sviluppava una orogenesi s.s. che è stata riferita a quella di Dunlap ; 5) le discordanze angolari osservate nella Quebrada del Pobre, Cordillera de la Costa, tra la Valle de la Ligua e la Costa de Barriga (Thomas, 1958) e nella Cordillera di Elqui (nelle Ande principali), e che separano il Trias dal Liassico medio, possono essere attribuite alla stessa Orogenesi di Dunlap; 6) dobbiamo ammettere un’altra volta che all’occidente del geosinclinale di Los Molles, esisteva una terra o penisola ( poco pro¬ babile un arco di isole), dalla quale principalmente proveniva il ma¬ teriale terrigeno. A questa terra il sottoscritto già da tre anni, nel corso di Geologia Storica, ha dato il nome di Terra di Arcestes , nome che qui si propone formalmente. Nel Lias (Sinemuriano e Lotharingiano), secondo Harrington (1962), questo stesso geosinclinale continua con facies apparentemente molassica fino nel Neuquen, onde il nome di geosinclinale aconcagiiino- neuquenico. Però lo stesso A. riconosce che questo bacino marino era — 193 — indipendente da quello nel quale si depositarono i sedimenti liassici marini del Chubut e della Patagonia, sopra i quali non si conoscono dati direzionali, dati che occorre sempre prendere sul terreno, allo stesso modo che si prende direzione e inclinazione degli strati, come dice il Dr. M. Kay, professore di stratigrafia dell’Università di Columbia. La Terra di Arcestes separerebbe il geosinclinale di Los Molles, o meglio aeoncagiiino-neuquenico, dal bacino liassico patagonico, nel quale si ha continuità di sedimentazione fino al To orci a no. Qui la serie sedimentaria è interrotta da eruzioni. ❖ ❖ ❖ Il Dogger è rappresentato da sedimenti marini bajociani e brecce, piroclastici e sedimenti arenosi continentali, forse bathoniani, non fossiliferi. Sembra che alcuni sedimenti marini nella Cordillera della Costa del Norie Grande per il loro contenuto paleontologico possano attribuirsi al Bathoniano, ma non si è pubblicato niente al riguardo ; se anche così fosse è chiaro che il Bathoniano marino è ben poco rap¬ presentato là. I sedimenti marini costieri del Dogger si trovano nel Norie Grande, nella Provincia di Antofagasta, fra Quillagua e Copiapó e la loro facies marina costiera arenosa si trova piu verso LE, come in Caracoles e al S come in Pedernales, mentre la facies più profonda, marnosa, si trova in Moctezuma e Cerritos Bayos. Di facies ancor più profonda il Bajociano si trova nella Cordil¬ lera della Costa nella Provincia di Tarapacà, dove tanto al S di Iquique come in Caleta Camarones ed in alcune località delFinterno della Cordillera della Costa, i sedimenti con abbondanti humphrie- sianum riferiti alla formazione Caleta Ligate, presentano facies di fiyseh e di wildflysch. Le turbiditi bajociane provengono in prevalenza dal SE e dall’E, essendo poche quelle provenienti dall’W e dal SW, le quali invece sono più sviluppate nel Calloviano. I sedimenti bajociani immediatamente al Sud di Potrerillos si presentano con facies assai profonda, essendo rappresentati da 50 m di calcari, nel Transito, con Coeloceras cosmo politura (Biese, 1957 a); però andando verso il SW, cioè a Longotoma e La Ligua, il Bajociano si presenta in generale con facies più costiera, con arenarie e brecce vulcaniche verso il tetto (formazione Horqueta), presentando inoltre due colate potenti di cheratofiri (formazione E1 Melon, Thomas, cor¬ retta da Aoste et al., 1960). 194 Questa situazione ci indica una sempre più progressiva erosione della Terra di Arcestes e teoricamente i sedimenti bajociani di questa area dovrebbero procedere dall’W approssimatamente. Dal lavoro di Thomas ( 1958) si ricava che il calcare della formazione E1 Melon, di facies costiera, sparisce verso il N dove la facies sembra più profonda. Verso il Sud il mare bajociano avanza fino al Neuquen orientale, dove i sedimenti sono rappresentati da una successione monotona di calcari arcosici, di varie centinaia di metri di spessore, di facies infraneritica ( Groeber, 1952, p. 257) con alcune argille che riposano su conglo¬ merati, indicando così nelTinsieme una facies epineritica. Non è un problema, come lo è per Groeber, la provenienza di questi depositi clastici, considerando lo schema paleogeografico qui presentato. Ancora più al Sud, secondo Harrington, cioè nel Chubut, deve essersi sviluppato un altro bacino indipendente. ❖ * ❖ I depositi calloviani in Cile meritano una illustrazione a parte degli altri sedimenti del Malm. Si dà come sicuro che il Calloviano si presenta con facies trasgressiva, mancando il Bathoniano ; però questo potrebbe succedere solo in quelle zone corrispondenti alle isole o pe¬ nisole del Dogger, come per es. quella di Quillagua. Nel Norte Grande, vicino alla Stazione E1 Godo (Cecioni e Garcia, 1960), il Calloviano è rappresentato da calcari, lutiti, con Reineckeia , i quali sono molto simili litologicamente alle lutiti e cal¬ cari (alberese) della formazione argilloscistoso ofiolitifera dell’Appen- nino Settentrionale ; ancora più verso l’E, sopra questa serie, ci sono rocce basiche, di tipo diabasico, che presentano molte analogie con le rocce verdi della menzionata formazione appenninica; disgraziata¬ mente nel Godo non sembrano ricoperte da sedimenti marini e la loro età è perciò argomento di discussione. Sotto ai sedimenti di E1 Godo, affiora una breccia andesitica che meritò uno studio dettagliato, perchè taglia discordantemente 200 m di sedimenti bajociani altamente fossiliferi (Cecioni e Garcia, 1960, fig. 2). Qui non esiste il minimo dubbio di un hiatus e di una discor¬ danza. Ancora più all’oriente furono studiati depositi di un calcare breccioso di shelf, che Alvarez denominò formazione Cholita, e più ancora al NNW, a Negreiro, questi si ingranano con sedimenti argil¬ losi, indicando una facies più profonda. Sempre nello stesso senso, a — 195 — Chiza, troviamo lutiti fossilifere di facies profonda però con le stesse ammoniti. Questi fatti confermano una volta di più che il bacino di sedi¬ mentazione calloviano nel Norte Grande si approfondiva verso il NNW, come prima. Se analizziamo ora i depositi calloviani verso l’occidente di E1 Godo, ci troviamo con la formazione Caleta Santiago, la quale pre¬ senta la tipica facies di flysch e alcuni banchi potenti delle sue brecce ricordano molto il wildflysch. Secondo gli studi effettuati recentemente dal Sr. Varela, la maggior parte delle turbiditi sembrano prove¬ nire dall’W e dal SW. Mai si è potuto stabilire, nei depositi calloviani e bajociani, una provenienza dal NW, neppure sotto forma di sospetto. I risultati delle misure effettuate nei sedimenti calloviani della formazione Caleta Santiago, riconfermano la paleogeografia stabilita anteriormente. Di più: il Sr. Floreal Garcia in Quillagua trovò una arenaria calcarea costiera con Reineckeia. Verso l’estremo N del Cile invece il Calloviano è rappresentato dalla formazione el Morro ( Ce- cioni e Garcia, 1960), la quale presenta la tipica facies di flysch (con Posidonomya e rami con lo stesso orientamento) nel quale si possono os¬ servare lave a guanciali ( pillow-lava) poco frequenti o sconosciute nel flysch. Possibilmente una facies più profonda di quella di Quillagua si presenta in Cerritos Bayos con il calcare oolitico e marne del Callo¬ viano (Biese, 1957 b). In Caracoles i lavori attualmente inediti di F. Garcia misero in evidenza una serie di lutiti calcaree, arenose alla base, e con filaretti di gesso in alto, appartenenti al Calloviano. Questi indicano una facies più profonda di quelli di Cerritos Bayos e conse¬ guentemente di Quillagua ; però i filaretti di gesso indicano che il bacino si riempì o fu sollevato o l’uno e l’altro. Calcari gialli in banchi grossi, costieri, con porfiriti e ceneri, si trovano sul versante occidentale della Cordillera de los Andes, 150 km all’oriente di Taltal, nella Quebrada el Chaco (Lexique). Una facies molto più costiera si trova in Pedernales dove esistono calcari arenosi, gialli, fossiliferi, del Calloviano. Più a Sud si trova una facies più profonda nel Calloviano del Transito (Biese, 1957 a), dove si misero in evidenza piccoli spessori di marne, le quali con la loro facies e spessore contrastano assai con la facies e notevole spes¬ sore del Calloviano di Cerritos Bayos e Pedernales. È possibile che anche nel Calloviano gli ingolfamenti tarapa- queiìo e aconcagiiino-neuquenico si presentassero separati, quantunque — 196 un pò più al Nord, in Manflas, si trovino calcari probabilmente ca Uo¬ vi ani (Groeber, 1952, p. 231). Nel Neuquen e Mendoza il Calloviano è rappresentato da arenarie bianche, in parte conglomeratiche, e con ligniti, lutiti calcaree, cal¬ cari bituminosi, calcari arenosi e ogni tanto arcose verdi. Al N del Rio Atuel, Mendoza, è presente anche un livello di gesso. Questa facies tipicamente costiera indica chiaramente una minor profondità in relazione ai 50 m di marne del Transito (Groeber, 1952). In più in questa stessa area il Lias-Dogger presenta una facies di mare aperto che contrasta con la facies arenosa del Calloviano. Qui, come in Ca- racoles, la presenza del gesso indica nuovamente riempimento o sol- levamento o entrambi. Si può quindi pensare che, anche se fossero stati molto probabil¬ mente separati, nei due bacini si svolsero gli stessi avvenimenti, ma quello aconcagiiino-neuquenico sembra essere più antico per avere sedimenti triassici marini di facies profonda, mentre fino ad oggi nel bacino tarapaqueno non si conoscono sedimenti marini triassici, e per quello che si conosce oggi la sedimentazione nel Trias fu nettamente continentale. E se ora prendiamo in considerazione che il Calloviano di Caleta Santiago e quello di E1 Morro presenta facies di flysch, si può pen¬ sare che con più probabilità si ebbe un sollevamento orogenico. Il gesso che si osserva in filarelli nel Calloviano del bacino acon- cagiiino-neuquenico si presenta anche nel bacino tarapaqueno però nei sedimenti del giurassico più alto, titoniani, verso TW e nel Callo¬ viano molto costiero sulla sponda orientale del bacino. A cominciare dal Bajociano il Chubut occidentale si presenta come terra emersa, nei laghi della quale vissero abbondanti rettili. Dall’altro lato è possibile che le potenti effusioni andesitiche della Cordillera de la Costa, nel Norie Grande, possano in parte essere bathoniane. ❖ ❖ * Il Maini superiore nel bacino tarapaqueno presenta facies sempre più litorale dall’ W verso l’E. La facies della formazione E1 Godo (parte alta e più importante) e Los Tarros son relativamente pro¬ fonde ma probabilmente senza scendere dallo shelf. Però verso l’E la formazione Agua Santa presenta una notevole percentuale di cal¬ cari oolitici costieri e in Pachica l’Oxfordiano con Arisphinctes harringtoni ( fossile presente anche nella Quebrada Mani secondo un — 197 — rapporto inedito del Sr. J. Tavera) si presenta con una alternativa di banchi di arenarie, ogni tanto conglomeratiche, e lutiti nei quali vi sono abbondanti ripple-marks oscillatori, orientati da N-S a N 18° W„ indicando così che localmente esisteva una linea di costa, quella orien¬ tale del bacino tarapaqueno. Anche all’Oriente di Arica Garcia (e successivamente altri ricercatori) misero in evidenza una serie luti- tica oxfordiana di facies più profonda di quella che tiene la coeva di Pachica. Nella formazione Chacarilla, dove furono trovate enormi im¬ pronte attribuite a rettili (Galli, 1957), si trovano gli stessi ripple- marks con lo stesso orientamento. In alcune parti, come in Negreiro, sopra l’Oxfordiano troviamo banchi di gesso, già attribuito al Gesso Principale (Cecioni e Garcia, 1960), ma che per la sua litologia, troppo pura, potrebbe anche non essere marino ; non è coperto da sedimenti marini ed il sottoscritto sospetta che terreno. Nel Norte Grande sedimenti marini fossiliferi più alti dell’Oxfor- diano non sono stati trovati, o non sono stati dati a conoscere ; spesso si ha usato il termine Oxfordiano in maniera antiquata, diversa da quella che usa il presente autore e che comprende le zone lamberti- bimammatum. La unica eccezione si trova nella formazione Huan- tajaya ad oriente di Iquique (Cecioni, 1961). Più al Sud, nello stesso bacino terapaqueno, Loxfordiano è rap¬ presentato malamente e a volte si presenta gessosso, e questo gesso come al solito si attribuisce al Gesso Principale, la cui località tipo (se così si può chiamare) è nel bacino aconcagùino-neuquenico. Se la facies è la stessa, può darsi che la età sia alquanto diversa come al¬ trove si è messo in evidenza (Cecioni, 1960). La facies del Oxfordiano è costiera e la sua estensione fa sospettare che strati di questa età o furono erosi dopo la Orogenesi Nevadiana o non furono depositati, presentandosi allora la regione come un mare sottile limitato all’E al S e all’W da terre, però cosparso di isole. Non si può escludere senz'alto la concomitanza dei due fenomeni. Nel bacino aconcagùino-neuquenico e specialmente nella sua parte rivolta verso l’attuale Cordillera de los Andes, al Calloviano arenoso succede generalmente un Oxfordiano argilloso coperto a sua volta dal Gesso Principale, in parte attribuibile alFOxfordiano alto potrebbe avere un’età recente. Occorrono più studi di — 198 — ( Rauraeiano) in parte e raramente (Lexique) al Kimmeridgiano medio e inferiore ; questo nel Neuquen settentrionale» Questo Gesso Principale, e sicuramente marino, è coperto gene¬ ralmente da argille calcari e marne fossilifere, che mentre mostrano una facies litorale regressiva, indicano anche che questi ultimi ele¬ menti sedimentari possono essere un passaggio laterale di facies o un equivalente del Gesso Principale kimmeridgiano del Neuquen setten¬ trionale, indicando così in questa ultima area una permanenza ulte¬ riore e continua di una facies francamente marina, riservandosi solo alPultimo le condizioni alogene. Nella Cordillera della Costa, al S di Tal l ai, non si sono rico¬ nosciuti fino ad oggi sedimenti marini del Malm. Secondo Munoz Cristi (1960, p. 7) il fatto di avere « formazioni triassiche e neoco- miane relativamente vicine, » . . indicherebbe che questa regione era un area positiva durante il lapso compreso tra il Sopratriassico ed il Neocomiano », Si può pensare che al N dell’area di La Ligua il Malm possa essersi forse depositato e che al S il Giurassico si sia deposto trasgressivo « sopra una superficie accidentata originata come conseguenza di movimenti tettonici sopratriassici » (Munoz Cristi, 1960). Lomnitz (1962, p. 360) afferma senza specificare il perchè, che il Cile centrale (fra il 33° e 37° S) è sul fianco occidentale del geosinclinale. La ricostruzione a fondo di sacco che presenta Groerer (1952, p. 280), per quanto si riferisce alla chiusura australe del geosinclinale aconeagiiino-neuquenico, è assai simile a quello che si presenta qui. Effettivamente nella porzione più australe di questo bacino sedimen¬ tario, la sedimentazione clastica calloviana passa lateralmente a una deposizione chimica calcarea, la quale indicherebbe, secondo Groeber, una maggiore estensione localmente dei mari oxfordiani. La maggiore estensione dei mari non implica però una loro maggior profondità, perchè insieme ai calcari conchigliari si costituiscono anche le uniche barriere coralline (come a Vaca Muerta) fino ad oggi conosciute in questa parte meridionale delle Ande. Secondo Groeber, i passaggi di facies degli bioherms indiche¬ rebbero probabili movimenti precursori della Orogenesi Nevadiana, però solo localmente, essendo il Calloviano tagliato di sghembo nella sua parte alta. Però questa attività orogenetica ebbe la sua massima espressione dopo la deposizione del Gesso Principale, presente anche qui e che può passare lateralmente a calcari. In alcune parti la grande abbondanza di organismi porta alla for- — 199 — inazioni di dolomia come nel Cerro Puchenque e in Rahne Co. Con¬ dizioni eusiniche infraneritiche sono state riconosciute nell’Arrovo La Manga, le quali per la loro facies ricordano molto quelle della parte superiore della formazione Huantajaya all’E di Iquique. Quasi alla fine dell’Oxfordiano la linea di costa orientale della parte S del bacino aconcagiiino-neuquenico ritorna a stabilirsi su per giù sull’antica linea di costa del Bajociano. Al Sud della Terra di Alcestes il Giurassico alto marino è praticamente sconosciuto. Il fatto che il Sr. Ricardo Fuenzalida P. abbia trovato in Alto Palena un ammonite oxfordiano in un ciottolo calcareo che faceva parte del con¬ glomerato basale neocomiano, ci permette affermare che qualche braccio di mare, anche se ridotto, doveva pur esistere sopra il mas¬ siccio del Deseado. Sopra il Gesso Principale, sia questo massiccio o in filaretti, nel bacino tarapaqueilo non si presentano depositi marini fossiliferi del Kimeridgiano, o fino ad oggi non sono stati pubblicati dati al rispetto. Ciò non ostante all’oriente di Iquique esiste una serie marina mono- clinale, continua che presenta ammoniti a diversi livelli, cominciando dal Calloviano e terminando nel Titonico inferiore. A questa serie in prevalenza lutitica e gessosa fu dato il nome di formazione Huantajaya (Cecioni, 1961), la quale quindi rappresenta uno degli ultimi sedi¬ menti marini, indicando una persistenza del mare in questa area, mare molto sottile e con una certa quantità di sapropel, perchè le lutiti trattate con tetracloruro lasciano andare idrocarburi fluore¬ scenti; questi, dovuti al clima desertico secco, danno una colorazione cenerognola sulle superfici esterne delle lutiti che dentro però riman¬ gono nere. Mentre all’oriente (formazione Chacarilla) e al Sud (Cerro Mo rado) si depositano sedimenti lacustri di grande spessore, nell’area di Iquique il sollevamento ancora non si effettua in forma definitiva. In questo bacino quindi appare chiaro che il sollevamento riferito alla Orogenesi Nevadiana, cominciò dal Sud e si propagò verso il Nord, dove deve aver avuto la sua massima espressione nel Titonico alto. In questo bacino dal Triassico a tutto il Titonico inferiore se¬ guono anche se in forma decrescente le eruzioni vulcaniche sottomarine di tipo andesitico. È possibile anche una colata più basica (diabase) all’oriente del Godo. La presenza di questi rappresentanti effusivi di magmi granodioritici e dioritici in un geosinclinale ci induce a pen¬ sare che questo è circumcontinentale al di fuori del continente, cioè non impiantato su questo ma sul manto basaltico e che quindi la Terra — 200 — di Psiloceras era piuttosto un arco di isole con grande attività vulca¬ nica, essendo però questa ridotta assai tra i paralleli 19° e 21°, dove predominano sedimenti marini. Così il geosinclinale tarapaqueno si trova impiantato proprio tra il massiccio delle Sierras Pampeanas ed 11 massiccio patagonico, sulla cui giuntura si trovano graniti ( Cile) e dioriti (Argentina) del Paleozoico, specialmente dal 26" al 32° parai. Sud, alla stessa altezza dove il bordo occidentale del massiccio delle Sierras Pampeanas, costituisce una delle aree più stabili. Constatiamo ora una differenza sostanziale tra il magmatismo del geosinclinale tarapaqueno, essenzialmente proveniente da magmi dio- ritici (e che segue fino al Quaternario per lo meno, con le daciti della formazione Alto di Pica) e quello del geosinclinale aconcaguino- neuquenico essenzialmente proveniente da magmi di tipo granitico con le sue immense colate di cheratofiri. Se fosse corretta la ipotesi di Fenner (1960, p. 61), che a parità di durata nel processo della differenziazione magmatica, vulcani di grande altezza emetterebbero rioliti e quelli bassi andesiti, si po¬ trebbe supporre che la Terra di Psiloceras doveva essere morfologica¬ mente più bassa (e quindi più facilmente smembrata in un arco di isole) che non la Terra di Arcestes ; il cui nucleo è costituito dal mas¬ siccio patagonico. È possibile che la Terra di Psiloceras al terminar del Giurassico da arcipelago che forse era si sia trasformata in una vera penisola ; effettivamente al N di Taltal, approssimatamente dopo la Orogenesi Nevadiana e dopo la intrusione del batolito corrispondente, si deposi¬ tarono spessori notevoli di conglomerati, e tutti questi si depositarono da W verso E, e come alcuni di questi sono attualmente erosi dal- FOceano Pacifico (come la formazione Atajana in Caleta Chica, 50 km al N di Pisagua), vuol dire che al terminar del Giurassico si estendeva una terra di notevoli dimensioni ad W dell’attuale linea di costa. Che abbia avuto una estensione ampia si può affermare con¬ siderando che la formazione Atajana, nella sua località tipo, cioè a 12 km dalla costa attuale, presenta depositi, incluso lacustri, di 1400 m di spessore. E come i ciottoli si presentano abbastanza consumati, dobbiamo ammettere un certo trasporto fluviale. In altre parti, più verso il SE, sopra il probabile Kiminerdgiano troviamo o depositi vulcanici o depositi marini titonico-neocomiani, qui però trasgressivi. Cioè il mare titonico neocorniano invade le aree che per primo furono interessate da un movimento epeirogenetico nevadiano, e poi invade le aree più al N che effettivamente furono — 201 interessate dalla vera e propria Orogenesi Nevadiana. Si depositò così la formazione marina Blanco-Way sopra la formazione continentale Atajana-Coloso e concordantemente. Si ammette che nel Norie Grande fra i depositi giurassici e quelli cretacei, al N del Cerro Morado, compreso, esista una discordanza angolare, quantunque questa non sia visibile nel terreno, inteso nel senso di poter vedere in uno stesso piano le due seguenze sedimen¬ tarie sovrapposte, e con angoli diversi, separate così per una antica superfìcie di erosione. Però il fatto che la seguenza inferiore è interes¬ sata da un tettonismo complicato che non si presenta nella superiore, anche se a pochi metri di distanza (la minima registrata dal sotto- scritto fu di 4 m, e che la seguenza superiore presenta ciottoli fos¬ siliferi della inferiore, ci permette affermare che esista una discor¬ danza e che è angolare. Nella area interessata per il solo movimento epeirogenetico, cioè in questo bacino al S di Taltal approssimatamente, si sviluppò nel Titonico-Neocomiano un movimento di segno contrario a quello ante¬ riore, cioè un leggero sprofondamele che permette al mare avanzare e depositare sedimenti di shelf non profondi. È la fine del geosincli¬ nale tarapaqueno e deH’aconcaguino-neuquenico, perchè non risulta nessuna sedimentazione marina di facies profunda, con flysch, in questa parte delle Ande presa in esame. Nella zona subandina, e cioè nella fossa Magallanica, avremo flysch cretaceo, senza vulcaniti, e per questo il presente autore la considera una antefossa o miogeosinclinale. I dati sopra esposti fanno sospettare che la zona limitrofa tra i due geosinclinali qui menzionati, compresa ora tra i paralleli 28° e 32°, doveva essere una zona assai stabile, la quale coincide grosso modo con quella regione nella quale non si sviluppa bene il Vallo Centrale, dove non esiste attualmente un vulcanismo nè sorgenti ter¬ mali, come mi facevano osservare i Sr. Proff. Ann de Gryss e Lorenzo Casertano. Con relazione alle osservazioni di quest’ultimo vedi le due note citate in bibliografia (Casertano, 1959 e 1962). In questa stessa area stabile, interessata da movimenti epirogenetici, uno dei quali produsse la discordanza angolare tra il Trias ed il Lias medio (Calcari con Hildoceras della Cordillera de Elqui, secondo Thiele, inedito) e che in questo lavoro è stata attribuita alla Orogenesi di Dunlap, nè il mar del Giurassico medio e superiore, nè il mar cre¬ taceo poterono penetrare essendo questa area paleotopograficamente troppo alta. Per quanto si riferisce al Vallo Centrale del bacino tarapaqueno, — 202 o Pampa del Tamarugal, si può avanzare una ipolesi di lavoro ammet¬ tendo che sin dai tempi della Orogenesi Nevadiana questa stessa parte era un'area depressa, chiamata Pre-Pampa del Tamarugal (Cecioni, 1961) e conseguentemente erosa sin dai tempi pre-Atajana e post- Nevadiana, e sembra che così quasi sempre restò fino ad oggi cioè fino a quando i depositi recenii non la riempirono, trasformandola in un piano (pampa). Le perforazioni effettuate recentemente per ri¬ cerche petrolifere trovarono, sotto i sedimenti giovani di riporto, strali sedimentari durissimi, continentali riferibili forse al Triassico, ciò che fa pensare che la base di questa pampa è una superficie di erosione, le cui parti più elevate, ma interrate dai depositi di riporto, sono costituite da sedimenti antichi, vecchie colline sotterate, mentre se fosse stato un graben, come si è detto e si dice ( Mordojovich, 1960) dovremmo trovare sedimenti più giovani nelle parti meno sprofondate o più sollevate. È in cerca di questi sedimenti giovani, protetti dalla presunta erosione, che si dirigevano le perforazioni petrolifere, ma gli alti strut¬ turali risultarono essere alti paleotopografici. La pronunziata rottura della gradiente regionale, che gli studi gravimetrici misero in evidenza al piè della Cordillera de los Andes, e che è la stessa, ma con valori minori, che si osserva al piè delle Alpi, potrà essere spiegata sì come una faglia, però mancano prove di una faglia importante al bordo occidentale della Pampa del Ta- marugal. Forse siamo in presenza di un gran blocco o insieme di blocchi che ruotarono e ruotano verso Tallo e verso TW dovuto alla variazione volumetrica effettuata durante la alimentazione dei serbatoi magmatici da W verso E attraverso condotti necessariamente strozzati e inclinati leggermente da E verso W. Simili blocchi sollevati nella sua parte orientale, sarebbero soggetti in questa parte a forte erosione. La ipotesi di Fenner (1960-1961) sembra oggi la più accettabile. Così sarebbe più comprensibile il continuo spostarsi da W verso E dell’asse del geosinclinale mesozoico, ondala che ripete perlomeno quella del Paleozoico inferiore, ma anche lo spostamento nello stesso senso della attività vulcanica dal Lias ad oggi. Se non fosse così dovremmo avere vulcani nella Pampa, dove non ci sono ; anche nelle epoche passate il magma che dette luogo al ba- tolito avrebbe potuto trovare in questa stessa area una maggiore faci¬ lità di penetrazione ed invece il batolito sotto la Pampa del Tama¬ rugal, secondo gli ultimi dati delle perforazioni petrolifere, si trova ad una profondità inferiore ai — 1000 in, così che il tetto del bato- — 203 — lito, al margine orientale della Cordillera de la Costa, presenta una caduta di oltre 2000 m a pochi chilometri di distanza. Se si volesse determinare una relazione tra paleogeografia e tet¬ tonica, si dovrebbe osservare che tanto nel geosinclinale tarapaqueno che in quello aconcagiiino-neuquenico il loro asse era orientato appros¬ simatamente N 15° W con inclinazione al N, in base agli studi sulla facies e sulla provenienza del materiale, o in base alle altre indica¬ zioni meccaniche, che sono state in parte esposte. Nel piano geolo¬ gico del Cile o in parte nella fig. 4 del lavoro di Lommitz (1962) o nella fig. 3 del lavoro di Cecioni (1961 a) si può osservare che le linee tettoniche principali del Norte Grande cileno sono orientate N 20° E e poche altre N 15° E. Esiste cioè una angolarità di 30° tra i principali elementi, il paleogeograco ed il successivo strutturale. Questa constatazione, nuova per le Ande, fu messa in evidenza da poco nelle Alpi e, con più dati geometrici, nella Sierra Nevada, solo che in questa ultima i geosin¬ clinali sono diretti al SSW, verso dove hanno la loro massima pen¬ denza ; le linee strutturali invece sono dirette NNW - SSE : in altre parole, da questo punto di vista queste due catene. Ande meridionali e Sierra Nevada, sarebbero una la immagine speculare delEaltra. Un’altra e ultima osservazione riguarda la eccessiva e non giusti¬ ficata generalizzazione che si fà sui geosinclinali, specialmente quando si dice che le rocce basiche si mettono in posto all’inizio della forma¬ zione della fossa profonda subsidente per un lungo periodo, il geosin¬ clinale che precede l’orogeno, e che il flysch chiude la fase finale con i suoi sedimenti sinorogenetici. Ma giustamente De Sitter (1963) fa osservare che proprio le catene più lunghe sono le meno conosciute. Ora, in questa piccola porzione delle Ande, nella quale abbiamo tro¬ vato certi dati che permettono formulare la ipotesi di lavoro che esistevano due geosinclinali nel mesozoico, — porzione che rappre¬ senta molto meno di un terzo delle Ande, ma che è tre volte più grande delle Alpi, dei Carpazi e degli Appalacchi — si osserva : 1) che il vulcanismo, acido o neutro che sia, in parte è posteriore ad alcune formazioni con facies di flysch; 2) che questa facies non si presenta al finale del ciclo geotettonico, perchè è coperta sempre da depositi con facies marina e poi continentale, molassici, che sempre indicano movimenti isostatici o eustatici ; e questo si può osservare anche nella conca magellanica, che il sottoscritto ha considerato un miogeosinclinale o una antefossa, la quale rappresenta in Cile la ul- — 204 lima espressione delle intime relazioni tra sedimentazione e processi orogenetici. RIASSUNTO L’A. dimostra che la geosinclinale mesozoica delle Ande Meridionali deve esser suddivisa almeno in due parti: il bacino (ingolfamento) tarapaqueno e il bacino aconcaguino-neuquenico. Se ne descrivono la stratigrafia sedimentaria e le rocce vulcaniche e se ne ricostruire la storia geologica. SUMMARY The author expones thè idea that thè andean mesozoic geosynclinal of thè southern Andes could be at last divided in two parts : thè tarapaqueno and thè aconcaguino-neuquenico. In thè first one, trias has a Continental facies, and, from lias up to callovian, flysch deep sea deposits alternated with thick andesitic pyroclastic layers. Such layers are also found with a less thickness from oxofordian up to lower titonic intercalated with a regressive molassic facies. The tectogenic activity of this geosynclinal ends at thè latest calovian, while, at thè late lower titonic, there is thè development of thè nevadian orogenesis with granite intrusions, followed by a short neocomyan transgression. In thè second geosynclinal. thè aconcaguino-neuquenico one, triasic Continental deposits changing westward to mixed sediments and then, gradually, to molasses and flysch deep sea facies, are found thè tectogenic activity appears to be restricted to trias and lower lias only, as according to thè references, thè subsequent sediments are molassic. The magmatic activity coeval with thè tectogenesis has given rise to thick layers of acidic lavas. It is related with thè Dunlap orogenesis, whose effects are found both in thè triassic-liassìc flysch and in thè trias-lias angular discordance. The latter one can be observed in thè « Quebrada del Pobre » and in thè « Cordillera de Elqui », just as that observed in thè western area of thè tarapaqueno geosynclinal and in thè transient sea trasgression in miraflores dolomitic-limestone layers (Potosì, Bolivia). The tarapaqueno geosynclmal is different from thè aconcaguino-neuquenico on not only for its junger age, but also for its dioritic magmatism in respect of thè granitic* magmatism of thè latter one. Therefore, thè tarapaqueno geosynclinal must be considered as a circumcontinental one, estabilished on thè basaltic mantle, with Continental fragments. The aconcaguino-neuquenico geosynclinal must be considered of marginai type, i.e. established on thè Continental edge. Both were shared by a-bow of islands probably forming a peninsula and then during neocomyan a high and wide land sloping eastward. Actaully, during neocomyan, this Continental deposits were formed by rivers fìowing eastward. The land sharing thè two described geosynclinal was probably formed by a rigid blok corresponding to thè area, where, nowadays. The centrai valley is not well developped and where active volcanoes and thermal springs are lacking. The centrai valley appears not to be a trench, but its origin seems to be due to volcanic activity supported through westward tilted magmatic Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963. G. Cecioni - Ingolfamenti marini giurassici , ecc. — Distribuzione delle terre e dei mari durante il I.ias in Cile. La ricostruzione al Sud del Chubut è opera di Harrington (1962). ;&c ■e 3 ;q 72 70 68 66 — 205 — chainbers ; for such a reason thè easterne edge of this rigid block has been affected by an always increasing erosive activily ending with thè filling during quaternary age. Besides, it can ben observed in both geosynclines that there is a strong angularity (30°) between thè paleogeographic and subsequent structural features ; this relationship has been pointed out recently in thè Alps and thè Sierra Nevada ; but its explanation is stili a metter of discussion. BIBLIOGRAFIA Aliste H., Perez E., Carter W.„ 1960, Definicion y edaci de la formacion Patagua Prov. de Aconcagua, Chile. Minerales Rev. Ing. de Minas ano XV, n. 71. Biese W., 1957 a, Zur Verbreitung des marinen Jura im chileniscen Raum der andinen Geosyncìina. Geol. Rundschau Bd. 45, heft. 3. — 1957 b. Der Jura von Cerritos Bayos, Calama. Geol. Jahrb. Bd. 72. Casertano L., 1959, Sui vulcani attivi chileni. Ann. Osserv. Ves., Serie VI, Voi. 3, pp. 155=174. — 1962, Der Vulkanismus in Chile. Peterm. Geogr. Miti., 2° Quat., pp. 106-110. Cecioni G., 1949, Osservazioni sull' anticlinale di Zapla, prov. di Jujuy ( Argentina ). Boll. Soc. Geol. Ital., voi. 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Prescindendo dalla descrizione dei rapporti intercorrenti tra queste due serie, la qual cosa già oggetto di altro lavoro [13], esula dai fini di questa nota che ha tutti i caratteri di una semplice segna¬ lazione, esaminiamo brevemente la serie calcareo-silico-marnosa, ben nota in letteratura come serie « dei calcari con liste e noduli di selce » e degli « scisti silicei ». In essa venivano finora distinti quattro complessi : 1) calcari con selce; 2) calcari di scogliera ; 3) scisti silicei ; 4) flysch galestrino. I calcari di scogliera erano interpretati dal De Lorenzo [1-7] come episodi locali eteropiei degli scisti silicei. Questo Autore riporta nei suoi lavori numerosi esempi come prova dei legami stratigrafici intercorrenti tra scogliere e scisti. (*) (*) Lavoro eseguito con il contributo del C.N.R. (1) Con molta probabilità la serie calcareo-silico-marnosa è il risultato di una sedimentazione continua non soltanto sino al Cretaceo inferiore o medio (flysch gale¬ strino) bensì sino a tutto il Paleogene. La ricostruzione della sua porzione superiore, però, risulta ancora estremamente difficile. — 208 — Alcuni Autori, però, notarono che questi presunti passaggi strati¬ grafici si risolvevano in realtà in rapporti tettonici. In particolare: Mojsisovics [9], senza conoscere le situazioni di campagna ri¬ teneva di natura tettonica gli « intimi legami » voluti dal De Lorenzo. perchè riconosceva nei calcari una fauna ladinica (2) incompatibile con l’età carnica che veniva attribuita allora a tutto il complesso degli scisti silicei. Lucini [8] riconosceva sul terreno effettivi rapporti tettonici ed ipotizzava che i calcari di scogliera potessero rappresentare un livello più basso dei calcari con selce, ciò in accordo con Mojsisovics e Quitzov [11]. Senonchè, nel corso di numerose escursioni in Lu¬ cania ho potuto accertare che quegli « scisti silicei » che si trovano sempre o quasi sempre associati ai calcari di scogliera anche se, al¬ meno apparentemente, non sono ad essi legati da rapporti stratigra¬ fici, costituiscono in realtà un complesso differente dalla formazione dei veri e propri scisti silicei e per giacitura e per caratteri sedimen¬ tologici. A questo complesso, sinora mai distinto, dò provvisoriamente il nome di « marnoscisti ad Halohia » ( 3). La sua area di affioramento è molto vasta : in affioramenti discon¬ tinui esso si estende dalla valle di Rivello fin presso Tito ed Abriola. Gli affioramenti più rappresentativi sono nel Lagonegrese ( Roc¬ ca zzo. alta valle del Chiotto, Tempa la Secchia, Rocca Rossa, Murge del Principe, ecc.) e nella regione compresa tra Marsiconuovo e Tito (M. Facito, M. dell’Arena, Tempa del Lupo, la Cerchiara e Schiena Rasa ecc.). Si tratta di un complesso essenzialmente marnoso o marnoso- selcifero che presenta una forte variabilità tanto in senso verticale quanto in senso orizzontale. Questa variabilità non consente di defi¬ nirlo univocamente con una « serie tipo » ; bisognerebbe piuttosto (2) Si tratta di Ammoniti il cui stato di conservazione è però, dallo stesso De Lorenzo che le raccolse, giudicato tale da non consentire sicure determinazioni specifiche. (3) Nel vallone della Cerreta presso Campagna, Nicosia e Tilia [10] segnalano un affioramento di marne color nocciola con Halobie senza però precisarne i rapporti di giacitura con le altre formazioni mesozoiche. In una escursione nella zona con il Prof. Scarsella ed in numerose altre con il dott. Sgrosso mi sono potuto rendere conto che presso Campagna gli affioramenti di queste marne sono in realtà parecchio estesi ed esse corrispondono perfettamente, per fauna e per caratteri litologici, ai marnoscisti ad Halobia della Lucania. P. Scandone, Marnoscisti ad llalobia in Lucania - Tav. I Halobiae e Posidonomyae in marne argillose rosse. (Circa il doppio delle dimensioni reali). — 209 — descriverne le varie successioni che appaiono nelle diverse località di affioramento. Ciò sarà oggetto di altro lavoro. In generale prevalgono, o almeno costituiscono i livelli più carat¬ teristici di questa formazione, in tutta la Lucania, siltiti e marne rosse, giallastre e verdognole. Quando queste marne sono selcifere si ha una spiccata somiglianza con gli scisti silicei tanto più che possono essere presenti veri e propri diaspri; quando sono argillose (e sono queste, in genere, le più riccamente fossilifere), altrettanto spiccata è la somi¬ glianza con le argille varicolori. Tutto questo ha fatto sì che venissero a volte confuse con gli scisti silicei, a volte col flysch e con le argille scagliose. Anche chi scrive le aveva confuse, in un primo tempo, nel Lago- negrese, con gli scisti silicei [14]. Frequentemente si incontrano calcareniti e siltiti con fogliettatura obliqua (cross lamination), increspature di fondo ( ripple marks), e, in generale numerose impronte fìsiche. In misura minore sono inoltre presenti brecciole e conglomerati. Gli elementi di questi ul¬ timi sono costituiti quasi esclusivamente da frammenti di calcari di scogliera, e si ritrovano in vicinanza delle scogliere stesse. Si tratta il più delle volte di brecce di scogliere che, partendo da queste, si incu¬ neano nelle marne. I contatti tra marnoscisti, calcari con selce e calcari di scogliera sono quasi dappertutto confusi e tettonizzati. In alcune località è stato però possibile riconoscere sicuri legami stratigrafìci tra queste for¬ mazioni. Nel Lagonegrese, nel versante meridionale di Tempa la Secchia (210-1 SO - Rocca Rossa) circa 400 m. ad ovest della sorgente con abbeveratoio ubicata a q. 1140, i calcari di scogliera sono sormontati regolarmente dai marnoscisti. Al passaggio si trova un conglomerato costituito da ciottoli di marnoscisti e di calcari cementati da una matrice silico-marnosa rossa e verdognola. Analoghe condizioni di giacitura si osservano alle pendici sud¬ orientali delle Murge del Principe. Molto più a nord, presso Sasso di Castalda, tra Piano d’Aria e la Cerchiara (199 -IV SE - Tito) si osservano intercalazioni di marno¬ scisti nei calcari di scogliera con passaggi stratigrafìci dagli uni agli altri. Qui le marne sono straordinariamente ricche di Halobia e Posidonomya. Altri passaggi stratigrafìci in senso laterale oltre che verticale si — 210 — osservano bene presso Marsieonuovo, nel versante occidentale della Tempa del Lupo. È da osservare che mentre è relativamente facile trovare dei passaggi stratigrafici dai marnoscisti ai calcari di scogliera, o viceversa, in senso verticale, ben più difficilmente sono conservati i passaggi in senso laterale. Ciò è dovuto essenzialmente alla differente reazione opposta dai due complessi alle sollecitazioni tettoniche, essendo i marnoscisti molto plastici, le scogliere estremamente rigide. Tuttavia, in seguito a ricerche svolte su un’area abbastanza vasta, in Lucania, ritengo che quasi sempre si tratti, tra scogliere e marnoscisti, di contatti originariamente stratigrafici anche se successivamente tettonizzati. Al passaggio tra una formazione e l’altra si rinviene frequente¬ mente il conglomerato di cui si è fatto cenno in precedenza a propo¬ sito di Tempa la Secchia. Questo conglomerato è presente spesso nel corpo stesso delle scogliere, soprattutto nella loro parte periferica, e lo si trova poi, ben distinto in banchi, a costituire intercalazioni nei marnoscisti. Ho raccolto Halobie nelle marne, nel conglomerato e nei calcari di scogliera. Da quanto detto risulta, senza ombra di dubbio, che tra marno¬ scisti ad Halobia e scogliere esistono passaggi stratigrafici in senso laterale e verticale. Rimangono ora da chiarire i rapporti tra marnoscisti e calcari con selce. A questo riguardo sono molto significative alcune situazioni nei dintorni di Marsieonuovo. Sul versante settentrionale di Manca di Vespe si osservano i marnoscisti, fossiliferi, passare superior¬ mente con gradualità ai calcari con selce. Analoga successione stra¬ tigrafica è visibile sul versante sud-occidentale delle Coste i Monti, presso la sorgente Cuio. La situazione, comunque, più chiara e con migliore esposizione è rilevabile nella zona nord-occidentale della tavoletta Marsieonuovo, nel vallone tra S. Michele e il Savuco. Ai mar¬ noscisti ad Halobia succedono qui, con la massima regolarità, calcari con liste e noduli di selce con livelli marnosi nella parte bassa. Ad una cinquantina di metri sopra la zona di passaggio si rinviene il livello ad Halobia del tipo descritto da Ricchetti [12] tra Pignola ed Abriola. I calcari con selce diventano quindi dolomitici con inter¬ calazioni calcaree. In questo tipo di calcari dolomitici la distanza tra gli ultimi marnoscisti ed i primi scisti silicei, cioè lo spessore reale del complesso calcareo-dolomitico, è di circa duecento metri, al mas¬ simo duecentocinquanta. Senonchè al M. Lama segnato nel Foglio 199 come « Limite Onciello » affiora una serie nei calcari con selce di — 211 — circa trecentocinquanta metri senza che compaiono i marnoscisti ad Halobia. Non sappiamo se essi siano presenti al disotto dei calcari. In questa località ho trovato un nuovo livello ad Halobia , finora non segnalato, nella parte più bassa affiorante della formazione. Le Halobie sono in corso di studio. Le situazioni di Manca delle Vespe, Coste i Monti e Savuco dimo¬ strano che i marnoscisti sottostanno regolarmente ai calcari con selce dolomitici. Al tempo stesso la situazione di M. Lama può essere inter¬ pretata in due modi : a) la serie calcareo-dolomitica (250 m.) è equivalente, come intervallo cronologico, alla serie interamente calcarea (350 m.) ; cioè varia soltanto la potenza dei due complessi. b) la serie interamente calcarea risulta eteropica del complesso calcareo-dolomitico + parte del complesso dei marnoscisti. Questa questione non è ancora risolta. Concludendo si può affermare che i marnoscisti ad Halobia in Lucania occupano una posizione stratigrafica abbastanza ben definita : essi sono, cioè, la base dei calcari con selce dolomitici, ed al tempo stesso potrebbero rappresentare, almeno parzialmente, una variazione laterale di facies dei calcari con selce non dolomitici. Poiché, infine, le scogliere ne rappresentano locali episodi eteropici resta definito anche Cambiente di sedimentazione, di profondità assai modesta. Napoli, Istituto di Geologia dell’ Università, novembre 1963. RIASSUNTO Viene distinto in Lucania, per la prima volta, un complesso triassico marnoso- siltitieo cui viene dato il nome di « Marnoscisti ad Halobia ». Esso occupa, nella serie calcareo-silieo-marnosa una posizione stratigrafica abbastanza ben definita : costituisce, cioè, la base dei calcari con selce dolomitici e al tempo stesso potrebbe rappresen¬ tare, almeno parzialmente, una variazione laterale di facies dei calcari con selce non dolomitici. Le scogliere triassiche del Lagonegrese e, in generale, della Lucania, rappresen¬ tano locali episodi eteropici di questo complesso. SUMMARY For thè first time in Lucania has been noted a triassic marly siltitic complex named « Marnoscisti ad Halobia » placed in a definite stratigraphic position in thè serie of thè « scisti silicei ». It is thè base of thè dolomitic limestones with nodules — 212 — of chert. Also it coniti atleast represente partially a facies variation of thè non dolo¬ mite limestones with nodules of chert. The triassic reefs of thè Lagonegro sorrounthngs represent eteropic formations of this new complex. BIBLIOGRAFIA [1] De Lorenzo G., Osservazioni geologiche nei dintorni di Lagonegro in Basili¬ cate i. Rend. Acc. Lincei, Gl. Se. fis., s. 5a, 1, f. 9, pp. 316-317. Roma, 1892. [2] De Lorenzo G., Sul Trias dei dintorni di Lagonegro in Basilicata ( piano Car- nico e piano Juvavico di Mojsisovics ). Atti Acc. Se. fis. e mat., s. 2a, 5, n. 8, pp. 1-48, figg. 26. Napoli, 1893. [3] De Lorenzo G., Le montagne mesozoiche di Lagonegro. Atti Acc. Se. fis. e inat., s. 2a, 6, n. 15, pp. 1-124, tavv. 2, figg. 84. Napoli, 1894. [4] De Lorenzo G., Bemerkungen iiber die Trias des siidlichen Italiens und Sici- liens. Verhandl. geol. Reichsanst., n. 17-18, pp. 483-484. Wien, 1895. [5] De Lorenzo G., Nodi ein W ort iiber die Trias des siidlichen Italiens und Siciliens. Verhandl. geol. Reichsanst., n. 9, pp. 275-277. Wien, 1896. [6] De Lorenzo G., Fossili del Trias medio di Lagonegro. Paleont. it., 2, pp, 113-148, tavv. 6. Pavia, 1896. [7] De Lorenzo G. e Bose E., Geologische Beobachtungen in der siidlichen Ba¬ silicata und dem nordivestlichen Calabrien. Jahrh. geol. Reichsanst.. 46, heft 2, pp. 235-268, figg. 8. Wien, 1896, [8] Lucini P., Alcune osservazioni sui rapporti tra la formazione del « flysch » e quella degli scisti silicei sul territorio di Lagonegro in Basilicata. Boll. Soc. geol. it., 75, fase. 1, pp. 16-23, figg. 4. Roma, 1956. [9] Mojsisovics E., Zur Alterbestimmung der sicilischen und suditalienischen Halobienkalke. Verhandl. d. K. K. geol. R. A., n. 6, pp. 197-201. Wien, 1896. [10] Nicosia M. L. e Tilia A., Nota preliminare su un affioramento a fauna trias¬ sica rinvenuto nel vallone della Cerreta nel territorio del Comune di Campagna ( Prov . di Salerno ). Boll. Serv. Geol. d’Italia, 82, pp. 13-14. Roma, 1962. [11] Quitzoyv H. W., Der Deckenbau des Kalabrischen Massiv und seiner Randge- biete. Abh. a. Ges. d. Wiss. zu Gottingen, Math.-Phys. Kl. Ili, Folge, Heft 13, seit 63-179, tavv. 3. Gottingen, 1935. [12] Ricchetti G., Geologia del nucleo mesozoico di Pignola e Abriola (Potenza) . Boll. Soc. Geol. Ital., 80, fase. 3, pp. 247-268, tavv. 2, figg. 10. Roma, 1961. [13] Scandone P., Nuove vedute sulla geologia dei dintorni di Lagonegro. Rend. Acc. Se. fis. e mat.. s. 4a, 28, pp. 436-444, tavv. 2, fig. 1. Napoli, 1961. [14] Scandone P., Stratigrafia degli scisti silicei della Lucania. Nota preliminare. Mem. Soc. Geol. it., 4, 1962 (in corso di stampa). Rapporti tra depressione molisano-sannitica e Appennino calcareo ^ Nota del socio TULLIO PESCATORE (Tornata del 27 dicembre 1963) Premessa Vengono esposti, preliminarmente, i risultati di un lavoro sulla stratigrafia della depressione molisano-sannitica (Manfredini 1963) e sui suoi rapporti con UAppennino calcareo. La piattaforma centrale con bauxiti ( D’Argenio 1963) ha un andamento quasi meridiano a nord (M.ti D’Ocre, Sirente, Monte Mar- colano, Monte Cesima), e pressocchè secondo i paralleli a sud (Matese, Monte Maggiore, Camposauro). Ai margini orientali e nord orientali di questa piattaforma si estende la depressione molisano-sannitica che è oggetto di questo la¬ voro ; esso riguarda principalmente le formazioni del Sannio e del Molise, e subordinatamente quelle del gruppo della Meta e della zona S. Fele, Pescopagano. Le successioni stratigrafiche studiate costituiscono le facies mar¬ ginali della piattaforma centrale con bauxiti e sono in parte etero- piche delle biostrome a Rudiste. Esse rappresentano le facies carat¬ teristiche di un bordo interno di una depressione tettonica, come aveva affermato Manfredini (1963). D’altro canto conosciamo solo queste facies marginali della depressione molisano-sannitica , mentre si ignorano quelle delle zone centrali. Diverse interpretazioni sono state proposte da vari Autori sull’età della depressione, e sui rapporti tra depressione e Appennino calcareo. — Autoctonia delle formazioni affioranti nella depressione mo¬ lisano-sannitica , con passaggi laterali alla serie carbonatica ; la de- (*) (*) Lavoro eseguito con il contributo del C.N.R. — 214 — pressione si sarebbe individuata nel Cretacico (Scarsella 1957, Manfredini 1963, Signorini 1961, Signorini e Devoto 1962, Pesca¬ tore 1961, 1962, 1963); — Autoctonia delle varie formazioni, la loro genesi sarebbe dovuta a fenomeni di risedimentazione, la loro età sarebbe del Mio¬ cene superiore (Beneo 1956, Iacobacci e Martelli 1957); — Alloctonia delle formazioni della depressione ( « coltre san- nitica ») ; la messa in posto sarebbe del Tortoniano superiore (Selli 1963). Questo studio porta a convalidare, in complesso, le ipotesi su questo problema delTAppennino meridionale formulate da Scarsel¬ la (1957); autoctonia complessiva delle formazioni della depressione e rapporti originariamente stratigrafici tra queste formazioni e quelle dell’Appennino calcareo. A risultati sostanzialmente simili è giunto anche Manfredini (1963); secondo questo Autore la depressione si sarebbe individuata nel Cretacico medio. S A n n i o Nel Sannio, alle propaggini orientali del Matese, è stata rico¬ struita una serie costituita dalle seguenti formazioni : Formazione di Monte Coppe (1): alternanza di selce varicolore (rossa, gialla, nera), calcareniti, e calcilutiti tipo a scaglia bianca», con Orbitolina sp., Globotruncana renzi Tu al M AN, Globotruncana lapparenti cfr. coronata Bolli. Cenomaniano-Turoniano inferiore. Formazione di Coste Chiavarine (2): calcareniti a cemento spa- tico, con liste e noduli di selce ed intercalazioni di livelli selciosi alla base. I fossili rinvenuti sono : Globotruncana lapparenti tricarinata Quereau, Thaumatoporella parvovesiculifera (Raineri). Cuneolina sp., Dicyclina sp. Turoniano-Senoniano fino al Campaniano. Formazione di Monte Calvello (3): calcari pseudosaccaroidi bian¬ chi, con cemento cristallino spatico, brecciole calcaree e calciruditi (membro calcareo); calciruditi, brecciole calcaree, marne rosse tipo « scaglia » ( membro calcareo-marnoso). I fossili rinvenuti sono : Orbi- toides media , ( D’Archiach), Siderolites calcitrapoides , Lamark. (1) Da Monte Coppe, rilievo 3 Km. ad E di Cerreto (Benevento). (2) Da Coste Chiavarine, località 3 Km. a N di S. Lupo (Benevento). (3) Da Monte Calvello, rilievo 4 Km. a ONO di Pontelandolfo (Benevento). 215 — Pseudosideroliles ridali DouvillÉ, Sulcoperculina sp., Globot runcana lapparenti lapparenti Bolli, Globotruncana lapparenti tricarinata Quereau ; e, nella parte alta, Globorotalia sp., Miscellanea cfr. mi- scella ( D’Archiach), Maestrichtiano-Paleocene. Formazione di Monaci (4): calcareniti, calcilo liti con Nummuliti e Alveoline (membro calcareo); calcareniti con Nummuliti e Alveoline e marne rosse tipo « scaglia » (membro calcareo-marnoso). Eocene. Formazione di Morcone ( 5) : calcareniti, marne e marne argillose con Lepidocyclina sp. Oligocene. Formazione di Monte Moschiaturo (6): « marne calcaree a strut¬ tura lamellare di colore verdastro, passanti gradualmente verso l’alto a marne calcaree di colore avana scuro » (Manfredini 1963). Aqui- taniano-Langhiano. Formazione di S. Giorgio (Selli 1963): arenarie quarzoso-micacee a cemento marnoso, tipo molassa. Alla base è presente un conglome¬ rato ad elementi calcarei, poligenico, con Pettinidi e Ostreidi ( forma¬ zione di Cusano — Selli 1957). Miocene medio superiore. A luoghi (Monte Moschiaturo, Manfredini 1963, Zanfrà 1963), questa serie sembra continua dal Cenomaniano al Miocene inferiore ; a luoghi la continuità di sedimentazione arriva solo all’Eocene, mentre l’Oligocene è trasgressivo sui calcari con Nummuliti. I «calcari selciferi e ittiolitiferi di Pietraroia » (Catenacci e Manfredini 1963, D’Argenio 1963), potrebbero rappresentare la facies di transizione tra la serie descritta e la serie carbonatica (Catenacci e Manfredini 1963). Zone di transizione potrebbero essere considerate il Pesco Rosito, dove al di sopra del livello bauxitico sono presenti dei calcari pseudo- saccaroidi bianchi simili a quelli della depressione ; e la zona di Guardiaregia, dove Lipparini (1956) segnala delle marne tipo «sca¬ glia » del Maestrichtiano-Paleocene poggianti sui calcari a Rudiste. Più ad est, nei monti del Sannio, questa serie, o livelli di questa serie, si trovano sovrapposti tettonicamente alla formazione di S. Gior¬ gio, con l’interposizione di lembi di Argille varicolori o terreni caotici (Selli 1963). (4) Da Monaci, abitato 2 Km. a N di Pontelandolfo (Benevento). (5) Da Morcone, abitato 25 Km. a N di Benevento. (6) Da Monte Moschiaturo, rilievo 2 Km. a NE di Pietraroia (Benevento). — 216 — Molise (Matese settentrionale) Nel Matese settentrionale esistono zone di graduale transizione dalla piattaforma centrale con bauxiti alla depressione. Nella zona di Gallo, Fontegreca, Venafro è stata rinvenuta una serie costituita dalle seguenti formazioni : Formazione di Fontegreca ( 7) : Dolomie e calcari dolomitici con Megalodon sp. e W orthenia sp. del Trias superiore-Infralias. Questa dolomia costituisce la parte basale affiorante della serie mesozoica car- bonatica di quasi tutto TAppennino. Formazione di Monte Calvello : (membro calcareo) calcari pseudo- saccaroidi bianchi del Maestrichtiano. Formazione della Montagnola (Selli 1957): calcari con Num- muliti ed Alveoline rimaneggiate, con Lepidocyclina sp. ; da attribuire, probabilmente al Miocene inferiore. Spostandosi da questa zona (Gallo, Fontegreca) verso la piatta¬ forma centrale con bauxiti , abbiamo i calcari pseudosaccaroidi bianchi trasgressivi su termini della serie carbonatica mesozoica via via più recenti: sul Giura (Ciorlano, Letino), e sul Cretacico inferiore (Mon¬ te Miletto) (Ietto 1963, Sgrosso 1963, Vallario 1963). Spostandosi verso nord, verso la depressione (Monte Patalecchia), invece, la serie risulta costituita da : Formazione di Fontegreca : dolomie del Trias-Infralias. Formazione di Indiprete (8): brecce poligeniche a cemento cal¬ careo spatico, i cui elementi sono costituiti dai calcari della serie car¬ bonatica trasgressive sulle dolomie. Questa formazione presenta intercalazioni di livelli selciosi nella parte alta dove fa passaggio alla formazione di Monte Coppe (Ceno- maniano-Turoniano inferiore). Alla formazione di Indiprete seguono, quindi, le formazioni cre¬ taciche isopiche di quelle rinvenute nel Sannio. Per quanto riguarda il Terziario esistono problemi ancora aperti. Nella zona di Monte Croce, le Nummuliti e le Alveoline si ritro¬ vano associate alle Lepidocicline e sono da considerare rimaneggiate, per cui questi calcari a Nummuliti e Alveoline sono da attribuire al Miocene. Nella zona di S. Agapito e di Longano, fossili sicuramente mioce- (7) Da Fontegreca, abitato 12 Km. ad E di Venafro (Campobasso). (8) Da Indiprete, abitato 11 Km. ad E d’Isernia (Campobasso). — 217 — nici ( Lepidocicline e Miogipsine) si ritrovano solo nella parte som¬ matale dei calcari con Nummuliti e Alveoline. A Pietrereie, ai calcari con Nummuliti e Alveoline seguono forma¬ zioni calcaree e marnose dell’Oligocene; situazioni simili sono state segnalate da Signorini (1961) nella zona a sud di Civitatanova del Sannio. A Macchiagodena, infine, esiste una continuità di sedimentazione dal Cretacico superiore al Miocene ( Signorini e Devoto 1962). I calcari con Nummuliti e Alveoline presentano in queste zone particolari facies: sono spesso gradati verticalmente con mescolamento di fauna bentoniea e planctonica. Vari Autori considerano questi fossili rimaneggiati e attribuiscono queste formazioni complessiva¬ mente al Miocene. Sembra esistere un passaggio graduale dalle zone a sedimenta¬ zione continua (Macchiagodena), a zone nelle quali i calcari con Nummuliti e Alveoline avrebbero, al più, un’età oligocenica, ed infine a zone in cui sarebbero miocenici. Una simile ipotesi è stata già avan¬ zata da Signorini (1961). In definitiva, se l’ipotesi risultasse esatta, le formazioni terziarie sarebbero, nelle zone centrali, in continuità di sedimentazione sui calcari maestricbtiani, e trasgressive nelle zone marginali della de¬ pressione ; la base della trasgressione sarebbe più recente avvicinandosi alla Piattaforma centrale con bauxiti. II problema resta comunque aperto fin quando non si datino con sicurezza i calcari con Nummuliti e Alveoline. Nel Miocene possiamo distinguere : Formazione di Cusano (Selli 1957): calcari ad Ostree, Pecten, Litotamni. Langhiano superiore. Formazione di Longano (Selli 1957): marne e calcari marnosi ad Orbuline e Globoquadrine. Elveziano. Formazione di Frosolone (Selli 1957): marne, marne argillose, argille ed arenarie. Elveziano-Tortoniano. Da notare che a Monte Patalecchia affiora una serie costituita alla base da termini appartenenti alla serie carbonatica (dolomie del Trias-Infralias) e alla sommità, da i termini della serie della depres¬ sione molisano-sannitica. Gruppo della meta. Nel gruppo della Meta, Manfredini ( 1963) ha segnalato una serie costituita dalle formazioni della depressione molisano-sannitica — 218 — in continuità di sedimentazione su quelle della serie carbonatica ; le formazioni della depressione sono risultate trasgressive sul Giura superiore. Nella parte meridionale del gruppo della Meta è stata ricostruita una serie costituita da : Formazione di Fontegreca : dolomie e calcari dolomitici del Trias- In f rali as. Formazione del Canneto (9): Calcari ad Ellipsactinie, Nerinee, Coralli, Alghe. Questa formazione poggia in trasgressione pseudocon- cordante sulla sottostante formazione dolomitica. Titonico? Formazione di Indiprete : brecce calcaree a cemento verde: iso¬ piche delle brecce di Indiprete. A luoghi (La Meta) seguono tutte le altre formazioni cretaciche della depressione molisano-sannitica ; a luoghi (Rocca Altiera) le for¬ mazioni di Monte Coppe, Coste Chiavarine, sono sostituite dalla forma¬ zione di Rocca Altiera (10) (calcari pseudosaccaroidi bianchi) che ha un’età compresa tra il Cenomaniano e il Maestrichtiano. Avvicinandosi cioè, alla piattaforma centrale con bauxiti (Monte Marcolano), i livelli diasprigni (La Meta) della depressione sono sosti¬ tuiti da livelli prevalentemente calcarei (Rocca Altiera). Zona di Pescopagano e S. Fele La serie della depressione molisano-sannitica affiora verso sud, fino alla Lucania meridionale; si hanno segnalazioni di formazioni con facies analoghe fin nella valle del Sinni (Annoscia e Mantovani 1957). Nella zona di Pesco Pagano e in quella di S. Fele è stata segnalata una serie, rispettivamente da Zoja (1957) e da Radina (1957) di età compresa tra il Cretacico medio e l’Eocene, che è risultata isopica di quella della depressione molisano-sannitica (Pescatore 1962). Non è improbabile, come ipotizzato dagli Autori citati, che questa serie rappresenti la continuazione verso l’alto degli scisti galestrini . Nella zona di Marsico Nuovo (Scandone 1963) ha segnalato una serie simile a quella rinvenuta nel gruppo della Meta; in essa il Tito¬ nico è trasgressivo sul Trias-Infralias, e il Cretacico superiore è, a sua volta, trasgressivo sul Titonico. (9) Da Canneto, Val di Canneto, 3 Km. a NNE di Pieinisco (Frosinone). (10) Rocca Altiera, rilievo 3 Kin. a NNE di Settefrati (Frosinone). — 219 Rapporti tra depressione e appennino calcareo Le formazioni della depressione molisano-sannitica presentano sicuri contatti stratigrafici con quelle della serie carbonatica mesozoica nel Matese settentrionale (Monte Patalecchia), dove sono trasgressive sul Trias, e, nel gruppo della Meta (Val Canneto, La Meta), dove sono trasgressive sui calcari del Titonico; in ambedue i casi, la base della serie è caratterizzata da livelli conglomeratici, costituiti da brecce con elementi della serie carbonatica mesozoica. Si tratta probabilmente di brecce, formatesi ai piedi di una falesia, che non hanno subito quasi alcun trasporto. Le formazioni della depressione costituiscono le facies marginali della piattaforma centrale con bauxiti , e sono in parte eteropiche dei calcari a Rudiste. Esse rappresentano le facies del bordo interno della depressione. Come ipotizzato da Scarsella (1957) e Manfredini (1963) la depressione molisano-sannitica è da ricollegare alla mio geosinclinale umbro-marchigiano-sabina. Si spiegano così le notevoli analogie di facies che questi Autori hanno segnalato tra alcune formazioni della depressione e quelle sincrone della miogeosinclinale. Manfredini (1963) afferma che « la Depressione molisano sanni- tica sembra... acquistare la stessa posizione tettonica della Miogeosin¬ clinale umbro-marcliigiano-sabina, di cui in un certo senso appare come la continuazione verso Sud. La differenza principale fra queste due unità tettoniche è che, mentre la Miogeosinclinale umbro-marchi¬ giano-sabina è stata abbozzata nel Lias medio superiore, la supposta Miogeosinclinale molisano-sannitica acquista la sua prima individua¬ lità nel Cretaceo medio ». La base della serie della depressione è stata datata Cenomaniano. In questo periodo quindi si sarebbe individuata la depressione mo¬ lisano-sannitica. Nella serie di Val Canneto, i calcari ad Ellipsactinie del Titonico, sono trasgressivi sul Trias-Infralias, attestando una fase tettonica di età compresa tra ITnfralias e il Giura superiore. Sembra quindi che una medesima fase tettonica abbia individua¬ lizzato nelTAppennino centro meridionale, la miogeosinclinale umbro- marchigiano-sabina a nord, e una zona, a sud prevalentemente emersa nel Giura-Lias e nel Cretacico inferiore, che costituirà il bordo interno della depressione molisano sannitica nel Cretacico medio. — 220 — Ciò conferma ulteriormente i presunti legami tra la miogeosin- clinale umbro-marchigiano-sabina e la depressione molisano-sannitica. Nel Matese, probabilmente, i sollevamenti iniziati nel Lias si sono spostati nel tempo dal bordo della depressione verso la piattaforma centrale. Solo nel Cretacico questi movimenti avrebbero interessato diret¬ tamente l’area della piattaforma, determinando l’emersione di essa e la formazione dei depositi bauxitici. L’area esterna (D’Àrgenio 1963) caratterizzata da una sedimen¬ tazione continua dal Trias superiore al Cretacico superiore, non sem¬ bra, invece, esserne direttamente interessata. Questi moti epirogenetici hanno probabilmente interessato tutto l’Appennino. Merla (1938) indica il Lias medio come periodo nel quale è iniziata la individualizzazione dei vari bacini dell’Italia centrale ( facies tosco-maremmana, facies umbra, facies abruzzese-sabina). Eventi tettonici liassici sono stati segnalati da Scarsella in Umbria (1950) e nel gruppo del Gran Sasso d’Italia (1957); Giannini (1960) ne segnala, invece, nella Montagna dei Fiori (Ascoli Piceno- Teramo). La differenziazione della serie del Monte Bulgheria (Cilento) rispetto a quella delTAppennino calcareo, sarebbe iniziata nel Lias inferiore (Scandone, Sgrosso e Bruno 1962). Probabili eventi tettonici liassici sono stati segnalati nel Matese settentrionale da Ietto 1963 e Vallario 1963. In Lucania, Scandone 1963 segnala una fase tettonica compresa tra l’Infralias e il Giura superiore. Sembra quindi che una fase tettonica liassica abbia portato, nel- l’Appennino centro meridionale, all’individualizzazione di vari bacini che subirono poi una differente evoluzione. Ai fenomeni di sollevamento, iniziati nel Lias sono seguiti nel Cretacico medio ( Cenomaniano) dei movimenti di subsidenza che indi¬ vidualizzarono la depressione molisano-sannitica rispetto alla piatta¬ forma centrale con bauxiti. Questi movimenti hanno interessato il bordo della depressione, zona per prima sollevata dalla tettonica liassica. Dal bordo, i movi¬ menti di subsidenza si sono poi spostati verso la piattaforma centrale. Questa subsidenza determinò la sedimentazione dei livelli con¬ glomeratici e diasprigni, basali della serie molisano-sannitica, mentre sulla piattaforma centrale si aveva la formazione dei depositi bauxitici. — 221 — Nel cretacico superiore si ebbe la trasgressione dei calcari a Rudiste dall’area esterna verso la piattaforma e cioè da W e SJV a E e NE ( D’Argenio 1963); contemporaneamente si ebbe una tra¬ sgressione dal margine della depressione molisano-sannitica verso la piattaforma, e nel Matese da N e NW verso S e SE. Punto d’incontro di questi movimenti digressione opposti sono, nel Matese, i calcari pseudosaccaroidi bianchi maestrichtiani. Sia a N che a S, infatti, la base della trasgressione cretacica è più antica (Turoniano, Cenomaniano). Il limite della piattaforma centrale, è comunque segnato dal limite dei calcari a Rudiste; marginalmente da essi, si passa alle formazioni della depressione molisano-sannitica con i calcari pseudosaccaroidi bianchi. Nei periodi successivi queste due aree subiscono un’evoluzione differente. La zona priva di bauxiti o protoappennino (D’Argenio 1963) costituirebbe già il bordo della depressione molisano-sannitica. Infatti sulla dolomia del Trias Infralias non poggiano solo i calcari pseudo¬ saccaroidi bianchi del maestrichtiano, ma tutti i termini della serie molisano-sannitica (Monte Patalecchia). Nella parte meridionale del gruppo della Meta (Settefrati, La Meta) le formazioni della depres¬ sione, sono trasgressive sui calcari ad Ellipsactinie del Titonico, a loro volta trasgressivi sulle dolomie del Trias-Infralias ; le formazioni basali della depressione sono selciose ad oriente (La Meta) e diventano cal¬ caree avvicinandosi alla piattaforma centrale con bauxiti (Monte Marcolano). A questa area, che risultò prevalentemente emersa nel Giura-Lias e nel Cretacico inferiore, si potrebbe estendere il nome di « Proto¬ appennino ». In questa stessa zona nel Cretacico medio si individua il bordo interno della depressione molisano-sannitica. Nel Matese il passaggio tra la depressione e l’Appennino calcareo si realizza con i calcari pseudosaccaroidi bianchi ; essi sono trasgressivi su termini della serie carbonatica, dal Trias al Cretacico inferiore, man mano più recenti, avvicinandosi alla piattaforma centrale con bauxiti. I calcari pseudosaccaroidi bianchi indicano una facies di peri- scogliera ; essi sono in parte formati a spese dei calcari biostromali a Rudiste. Frammenti di Rudiste sono abbondanti in questi calcari; a luoghi le Rudiste sono quasi intere anche se evidentemente usurate. In questa formazione solo in due luoghi si è avuto modo di osservare biostrome a Rudiste: nella zona di Monte Patalecchia e in quella di Forca di Cervaro ; si tratta di Rudiste sicuramente non usurate in — 222 — calcari compatti, avana, nettamente diversi dai calcari pseudosacca¬ roidi bianchi. D'altro canto i calcari pseudosaccaroidi sono rari nella formazione dei calcari a Rudiste. Sembra quindi che il passaggio laterale tra queste due forma¬ zioni avvenga al limite di una rottura di pendenza. La piattaforma centrale con sedimentazione biostromale, si rac¬ cordava probabilmente in corrispondenza di una dislocazione tettonica con la depressione molisano-sannitica di profondità maggiore; in essa si accumulavano i detriti della scogliera a Rudiste a costituire poi i calcari pseudosaccaroidi bianchi. Le dimensioni degli elementi di questi calcari diminuiscono spostandosi verso il centro della de¬ pressione. Le fasi tettoniche terziarie accentuano ancora di più queste differenze. Nell’Eocene, nell’Appennino calcareo, abbiamo una emersione quasi generale : a luoghi è presente il Paleocene e rari lembi di Eoce¬ ne ; nella depressione continua nel complesso la fase di abbassamento. Se, come supposto, le Nummuliti e Alveoline sono a luoghi ri- maneggiate, nel Matese settentrionale si sarebbe avuto una trasgres¬ sione che, iniziata probabilmente nell’Eocene, dalla depressione si sarebbe spostata verso la piattaforma. La trasgressione avrebbe rag¬ giunto la piattaforma solo nel Miocene medio superiore. Resta aperto però il problema della provenienza dei fossili ri- maneggiati. Il Miocene presenta facies differenti nella piattaforma centrale e nella depressione molisano-sannitica , anche se queste facies diverse sono ben correiabili tra di loro, almeno per il Molise. Nel Sannio invece, la serie miocenica è differente ed è costituita essenzialmente da arenarie quarzoso-micacee di tipo molassa con livelli calcarei con Ostree, Litotamni e Briozoi alla base. Queste arenarie sono state considerate da qualche Autore para¬ utoctone ( Arenarie di Caiazzo , Ogniben 1958), da altri alloctone ( formazione di S. Giorgio , Selli 1962), altri infine le considerano autoctone (Manfredini 1963); in questo schema sono considerate sostanzialmente autoctone. Dopo la deposizione delle molasse, che si rinvengono identiche nella parte alta della serie miocenica del Molise ( Formazione di Fro- solone , Selli 1956) si sono verificati gli eventi tettonici che hanno portato l’Appennino alla sua attuale configurazione. Si sono verificati, con fenomeni essenzialmente gravitativi, gli ar¬ rivi delle coltri di Argille varicolori o terreni caotici (dal Tortoniano — 223 — superiore secondo Selli, 1963), coltri di provenienza probabilmente tirrenica. Sono seguite quindi delle fasi di compressione che hanno portato l’Appennino calcareo a spostarsi verso NE e verso E. Questi movimenti spiegano il sovrascorrimento verso NE ed E delle facies marginali dell’Appennino calcareo. Con lo spostamento deìFAppennino verso NE ed E si spiega la struttura del margine orientale del Matese, ove si ha direttamente a contatto i calcari a Rudiste della piattaforma centrale e le formazioni della depressione molisano sannitica ; mentre più a NO (Matese setten¬ trionale) si possono ancora seguire i passaggi dalla piattaforma alla depressione. La presenza nella serie della depressione molisano-sannitica di livelli plastici, marnosi e selciosi, avrebbe favorito lo slittamento di queste formazioni sul substrato rigido della serie carbonaiica me¬ sozoica ( Trias-Infralias?) con strutture di scendimento (Signorini 1957). La traslazione verso NE e E sarebbe stata poi facilitata dalla presenza di Argille varicolori che si rinvengono interposte tra le mo¬ lasse e le formazioni della depressione (Monti del Sannio). Gli spo¬ stamenti orizzontali verso NE ed E della serie della depressione mo¬ lisano-sannitica rispetto alla serie carhonatica avrebbe un valore mas¬ simo intorno ai 15-20 km. Le formazioni molisano sannitiche, sarebbero quindi a luoghi autoctone (Molise) e a luoghi parautoctone (Monti del Sannio). Le Argille varicolori , invece, sedimentatesi probabilmente in un bacino delFarea tirrenica, sarebbero alloctone. Napoli , Istituto di Geologia , dicembre 1963. RIASSUNTO Vengono esposti i risultati di un lavoro sulla stratigrafia della depressione moli¬ sano sannitica e sui suoi rapporti con FAppennino calcareo. La serie stratigrafica del bordo della depressione risulta costituita da varie formazioni di età compresa tra il Cenomaniano e il Miocene superiore. Questa serie presenta sicuri contatti con la serie carbonatica mesozoica a Monte Patalecehia e nella parte meridionale del gruppo della Meta; a luoghi risulta sovrapposta alle molasse (Monti del Sannio) con Linterposi- zione di Argille varicolori. Si conclude che le formazioni della depressione molisano sannitica sono a luoghi autoctone e a luoghi parautoctone. Viene segnalata una fase tettonica liassica che ha portato alla prima differenziazione del bacino di sedimentazione dell’Appennino calcareo da quello della depressione molisano sannitica. — 224 — SUMMARY yf; vi . ; ih], The results of a work about thè stratigraphy of depressione molisano-sannitica, and its relations with thè Appennino calcareo are exposed. The stratigraphic series is costitued by several formations which go from thè Cenornanian to thè Upper Miocene. This series presents sure contacts with mesozoic carbonatic series at Monte Pa- talecchia, and in thè southern part of thè Gruppo della Meta ; in some places it is surposed on thè molasse with interposition of Argille varicolori, ^e conclude that thè formations are in some places autochtonous and parautochtonous. We describe a tectonic phase of Lias which has brought to thè first differen- tation of thè sedimentary facies of thè Appennino calcareo from thè depressione molisano-sannitica. BIBLIOGRAFIA Accordi B., Lineamenti strutturali del Lazio meridionale e dell’Abruzzo occidentale, Mem. Soc. Geol. It., 4, Bologna 1963. Annoscia E. e Mantovani M. P., Fossili maestrie htiani nel (lysch della valle del Sinni . Boll. Soc. Geol. It., 76, f. 1°, pp. 28-33, figg. 7, Roma, 1957. Bally A., Geologische Unter such unger in den SE-Abruzzen. Zurich, 1954. Beh km ANN R. B., Die Faltenbogen des Apennins und ihre palaogeographische Entwic- klung. Abh. Ges. 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La serie stratigrafica è in complesso simile a quella degli altri gruppi calcarei dell’Appennino campano. Caratterizzata da una sedi¬ mentazione continua dal Trias superiore al Cretacico inferiore con una fase di continentalità testimoniata dalLorizzonte bauxitico, i cal¬ cari a Rudiste, trasgressivi, chiudono la serie mesozoica. A luoghi si rinviene trasgressivo il Paleocene ; più estesa è la trasgressione miocenica. La tettonica del gruppo è caratterizzata da faglie dirette ad anda¬ mento appenninico ; le faglie ad andamento tirrenico sono invece secondarie. Si rinvengono anche delle faglie inverse ad andamento est-ovest con immersione verso sud. Il gruppo del M.te Maggiore è costituito, nel complesso, da varie monoclinali delimitate da faglie ad andamento appenninico. (*) (*) Lavoro eseguito con il contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche. — 229 — Descrizione dell’affioramento. Le impronte di fondo affiorano cinquecento metri a nord-ovest di Profeti. In questa zona è stata effettuata una campionatura per determinare la posizione stratigrafica delle impronte. Fig. 1. — Schizzo geologico deiraffioramento. 1. Calcari e calcari magnesiaci; — 2. Dolomie calcarifere con impronte di fondo; — 3. Calcari dolomitici e dolomie calcarifere ; — 4. Dolomie. La base della serie è costituita da banchi di dolomia saccaroide di colore grigio. I banchi di dolomia hanno una potenza di 5-8 metri, lo spessore complessivo è di 30 m. circa. Segue qualche strato di dolomia saccaroide di colore grigio cupo, della potenza di 30-50 cm. Si arriva quindi a dolomie microcristalline straterellate dello spessore di 0.5 - 1 cm., intercalate a strati dello spessore di 10 - 15 cm. La — 230 — potenza di quest’ultimo orizzonte è di circa 10 metri. In esso sono state rinvenute le impronte di fondo. La serie continua con alternanza di calcari dolomitici, calcari e dolomie, in strati della potenza di 20-30 cm., per uno spessore com¬ plessivo di circa 15 m. Nei calcari si rinvengono delle Requienie ; questi fossili sono a volte isorientati e denotano una struttura fluidale. Nei calcari dolomitici i fossili sono parzialmente distrutti al processo di dolomitizzazione. Ai calcari ceroidi bianchi a Requienie, segue l’orizzonte bauxitico. I calcari a Requienie hanno uno spessore di circa 50-60 metri. I fossili rinvenuti : Salpingo por ella dinarica Raidocic, Cuneolina camposauri Sartoni e Crescenti, Haplophragmoides sp., Textula- ridae, Miliolidae, e nella parte alta Orbitolinidae ; fanno datare come Aptiano-Albiano questo affioramento. Impronte di fondo. Il pacco di strati nel quale si rinvengono le impronte di fondo ha uno spessore di circa 10 metri; è una fìtta alternanza di strate- relli dello spessore di 0.5 - 1 cm. e di strati di 10-15 cm. Le impronte si rinvengono indifferentemente sia negli straterelli che negli strati. Si tratta di impronte di fondo simmetriche, asimme¬ triche e irregolari. Gli indici d’onda, rapporto fra la lunghezza e l’altezza d’onda, sono elevati con valori oscillanti tra 10 e 15. Le impronte di fondo simmetriche sono riferibili ad onde, quelle asimmetriche sono riferibili probabilmente a correnti e presentano una leggera inclinazione della cresta dell’onda nel senso della corrente. Le impronte irregolari sarebbero da considerare come il risultato di azioni interferenti di onde e di correnti. Le impronte di fondo asimmetriche attribuibili ad azioni di cor¬ renti non presentano la laminazione obliqua di questo tipo di im¬ pronte, esse o sono dovute ad azioni di onde interferenti, oppure, il processo di dolomitizzazione ha distrutto la laminazione obliqua. Sono state invece osservate le strutture interne distintive delle impronte d’onda, cioè la sovrapposizione di lamine ondulate. Le impronte di fondo si formano in un mare generalmente poco profondo, al di sotto dei 100 metri, solo le impronte di correnti, in 231 particolari condizioni, possono formarsi a profondità maggiore (oltre i 1000 metri). Nel caso in esame le impronte sono per la massima parte da attribuire all’azione del moto ondoso, ciò fa supporre che si siano formate a piccola profondità. L'associazione microfaunistica conferma questa ipotesi. Le impronte dì fondo si formano in sedimenti incoerenti e gra¬ nulari e non in sedimenti coerenti o a grana molto fine. Dolomitizzazione Il livello con impronte è costituito da dolomie microcristalliee, straterellate. Queste dolomie passano lateralmente a dolomie sac¬ carosi, massicce. Il passaggio è graduale, ma rapido, e avviene in 20-30 metri. Si nota una progressiva scomparsa delle impronte di fondo man mano che si passa dai livelli stratarellati alle dolomie saccaroidi mas¬ sicce. In quest 'uh ime le impronte di fondo scompaiono del tutto. Il processo di dolomitizzazione ha progressivamente distrutto le strut¬ ture sedimentarie ; è possibile osservare lo stesso fenomeno per alcuni fossili che, a volte, sono parzialmente obliterati da questo processo. Si è studiata una serie di campioni raccolti orizzontalmente a partire dalle dolomie saccaroidi massicce fino a giungere al livello di straterelli con le impronte di fondo e di nuovo alle dolomie mas¬ sicce per una lunghezza di circa 30 metri. Su questi campioni si sono determinate le percentuali di carbo¬ nati di calcio e di magnesio e quindi la percentuale di dolomite. I risultati sono esposti nel grafico di fig. 2 dove sulle ascisse sono riportati i campioni nella loro successione naturale e sulle ordinate le percentuali dei carbonati. Le curve rappresentano le variazioni orizzontali dei carbonati. L’andamento delle curve mette bene in evidenza che le impronte di fondo si sono conservate dove il tenore di dolomite è minore. È stata pure eseguita la titolazione dei carbonati di calcio e ma¬ gnesio in una campionatura verticale che ha avuto inizio alla base del¬ l’affioramento studiato fino a raggiungere i calcari soprastanti ai livelli con impronte di fondo. La campionatura interessa uno spessore di circa 40 metri. I risultati sono riportati nel grafico della figura 3 ; le curve indi- Percentuale dei carbonati' cano le variazioni verticali dei carbonati, esse mostrano un andamento piuttosto discontinuo con termini più dolomitici alla base e termini francamente calcarei alla sommità della serie analizzata. Fig. 2. — Variazione delle percentuali di carbonati di calcio e di magnesio nella serie orizzontale. In ascisse è riportata la serie dei campioni prelevati in orizzontale lungo l’af¬ fioramento con impronte di fondo. La serie ha una lunghezza in orizzontale di circa venti metri, i campioni sono stati raccolti ogni due metri circa. In ordinata sono riportate le percentuali in peso del carbonato di calcio (curva A) e del carbonato di magnesio (curva B). È stata inoltre tracciata la curva C che rappresenta la percentuale di carbonato di calcio che si combina con il carbonato di magnesio presente nei singoli cam¬ pioni a costituire il carbonato doppio di calcio e magnesio. La zona tratteggiata rappresenta la percentuale di carbonato di calcio libero nei singoli campioni. Le impronte di fondo si rinvengono nelle dolomie calcarifere (campioni da nu¬ mero 3 a 8 ; tavola I, fig. 1 e 2) ; esse sono totalmente o quasi obliterate nelle dolomie saccaroidi massicce (campioni numero 1-2 e 9-10; tavola II, fig. 1 e 2Ì. Le determinazioni dei carbonati sono state eseguite mediante tito¬ lazione EDTA del calcio e del magnesio. 233 Varie sono le interpretazioni circa i processi di dolomitizzazione; essi si possono così raggruppare : Fig. 3. — Variazioni delle percentuali di carbonato di calcio e di magnesio nella serie verticale. In ascisse sono riportate la serie dei campioni prelevati in successione stratigra¬ fica normale, lungo raffioramento con impronte di fondo ; la potenza della serie e di circa 35 m., i campioni sono stati prelevati ogni 1,8 m. circa. In ordinata sono state riportate le percentuali in peso del carbonato di calcio (curva A) e del carbonato di magnesio (curva B) ; la curva C rappresenta la percentuale di carbonato di calcio che si combina con il carbonato di magnesio presente nei singoli campioni a costituire il carbonato doppio di calicò e ma¬ gnesio. La zona tratteggiata rappresenta la percentuale di carbonato di calcio li¬ bero nei singoli campioni. La zona con impronte di fondo corrisponde ai campioni n. 11-12-13. La serie è dolomitizzata alla base e calcarea alla sommità. — formazione epigenetica di dolomia da un calcare — dolomitizzazione di un fango calcareo — precipitazione chimica di dolomite. — 234 — La dolomitizzazione di un fango calcareo è il processo di dolo¬ mitizzazione che sembra più rispondente ai fatti osservati. Le impronte di fondo attestano l’esistenza di un sedimento granu¬ lare al tempo della loro formazione ; esse poi sono state in parte di¬ strutte dal processo di dolomitizzazione. I fossili rinvenuti isoorientati e le impronte di fondo provano una azione di onde e di correnti; Riviere A. (1939) reputa fattori favorevoli alla dolomitizzazione le azioni di onde e di correnti in sedimenti calcarei in acque molto basse. Degna di nota risulta l’interpretazione che Cayeux L. (1935) e Geze B. (1949) hanno dato ad una « rottura di equilibrio » del fondo del mare come agente favorevole al processo di dolomitizzazione. Tale « rottura d’equilibrio » potrebbe essere determinata dalla ten¬ denza al sollevamento del bacino ; sollevamento che precede l’emer¬ sione successiva testimoniata dall’orizzonte bauxitico. L’orizzonte bauxitico, è localizzato 60 metri circa al di sopra della zona dolomitizzata. Questo processo di dolomitizzazione potrebbe essere connesso al fenomeno di emersione. Conclusioni Le impronte di fondo rinvenute nella dolomia di Profeti sono riferibili ablazione di onde e probabilmente all’azione di correnti. La presenza di impronte di fondo permette di stabilire che il sedimento era incoerente e granulare quando si formavano le impronte. Il processo di dolomitizzazione ha successivamente, in parte di¬ strutto, le impronte di fondo. Napoli , Istituto di Geologia, dicembre 1963. RIASSUNTO Vengono segnalate delle impronte di fondo nelle dolomie di Profeti (Caserta), M.te S. Angelo, nel Gruppo del M.te Maggiore. Le impronte si rinvengono in dolomie microcristalline sottostanti ai livelli a Requienie dell’Aptiano-Albiano dell’Appennino campano. Le impronte di fondo, sono attribuite all’azione di onde e presumibilmente di corrente. Il processo di dolomitizzazione, ha in parte distrutto queste strutture sedi¬ mentarie. — 235 — SUMMARY This paper describes some ripple marks in thè dolomites of Monte S. Angelo ( Gruppo del Monte Maggiore ), near Profeti (Caserta). The ripples are developed in some cryproerystalline dolomites, on top of thè livelli a Requienie of Aptian-Albian age. There are aqueous oscillation ripple marks and, probably, aqueous current ripple marks. The dolomitization partly destroyed thè sedimentary structures. BIBLIOGRAFIA Bissel H. J. e Chilingar G. V.. Notes on diagenetic dolomilisation, Journ. Sedim. PetroL, 28, pp. 409-497, 1958. Cassetti M., Relazione sui lavori eseguiti nella valle del Volturno nell’anno 1893, Boll. 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II. Fig. 1. Fig. 2. Impronte di fondo parzialmente (fig, 1) e totalmente (fig. 2) obliterate nelle dolomie saccaroidi. Rilevamento topografico del fondo del Lago d’Averno H Nota dei soci ALESSANDRO OLI VERI DEL CASTILLO e ERNESTO PERCOPO (Tornata del 27 dicembre 1963) Nel quadro di una campagna gravimetrica di dettaglio recente¬ mente eseguita nella zona Averno-Mofete si è presentata la necessità di conoscere la topografia del lago d 'Averno onde consentire il calcolo dell’effetto di vuoto, cui è dovuta l’alterazione delle misure di gravità. In particolare essendo state eseguite misure di g anche sull’acqua del lago, ove tale effetto è molto sensibile, è stato necessario predisporre la conoscenza della morfologia sommersa con la maggiore precisione possibile. Invero già nel passato furono eseguite all’Averno misure bati- metriche, ma i mezzi allora a disposizione non erano tali da consentire la precisione oggi necessaria, nè, del resto, i risultati sono stati di utilità pratica dal punto di vista degli studi morfologici. Nel 1897 Gunther riprodusse una carta batimetrica del lago ; più recente¬ mente l’Ing. C aizzi effettuò uno studio particolareggiato del fondo e disegnò una carta batimetrica, della cui esistenza si legge in una comunicazione del Prof. Platani a. ma che non fu mai pubblicata. Infine il Prof. Giotto Dainelli nella sua « Guida alle escursioni ai Campi Flegrei » riproduce in scala molto ridotta la batimetria dello Averno nelle linee più generali. Perciò, in considerazione e della immediata necessità pratica pre¬ sentatasi e dell’utilità che ne sarebbe derivata ai fini della estenzione delle conoscenze morfologiche della zona, con l’ausilio delle apparec¬ chiature più moderne si è effettuato un rilevamento batimetrico molto accurato i cui risultati sono oggetto di questa nota. (*) (*) Questo lavoro è stato eseguito nel quadro della ricerca geofisica in corso ai Campi Flegrei, con i contributi del Consiglio Nazionale delle Ricerche, sotto la dire¬ zione del Prof. Giuseppe ImbÒ, Direttore dell’Istituto di Fisica Terrestre dell’Uni¬ versità di Napoli. — 238 — I. — Apparecchiatura adottata Per il gentile interessamento della Prof.ssa Giuseppina Aliverti abbiamo ottenuto in prestito un equipaggiamento standard Echo- Sounder tipo MS.26-F della Kelvin & Hughes ed un batitermometro Askania entrambi facenti parte della dotazione del gabinetto di Mete¬ orologia ed Oceanografia dell’Istituto Universitario Navale di Napoli. Si ringrazia la Prof.ssa Giuseppina Aliverti per i preziosi sugge¬ rimenti sulla pratica utilizzazione degli strumenti messi a nostra disposizione. L’Echo Sounder MS.26-F è un'apparecchiatura realizzata con grande accuratezza, che, per la semplicità del suo impiego e per la grande sensibilità degli apparati di misura, consente i rilievi del fondo dei bacini idrici, con fondali relativamente poco profondi, con grande precisione. Rinviando alle note specializzate per l’illustrazione più detta¬ gliata, ci si limita ad una breve descrizione delle caratteristiche stru¬ mentali delPEcho Sounder per consentire una visione d’insieme dello strumento e del suo funzionamento. Nella Fig. 1 sono schematizzate le parti componenti costituite da un generatore di corrente conti¬ nua [1], un apparato di distribuzione [2], un Registratore amplifi¬ catore [3], un Trasduttore fuoribordo [4] ed un comando a pedale [5]. Tutti questi elementi occupano uno spazio molto limitato e possono essere sistemati con facilità anche su imbarcazioni di modeste dimen¬ sioni, montati su appositi sostegni o anche semplicemente appoggiati sulle panche di una barca. Il Trasduttore va applicato mediante un apposito sostegno alla sponda delTimbarcazione in modo che il conte¬ nitore degli elementi trasducenti risulti bene immerso nell’acqua. Il generatore di corrente continua, costituito da una comune batteria di piombo o ferro-nichel da 24 Volts, fornisce corrente all’apparato di distribuzione (attraverso l’interruttore principale ed i fusibili con¬ tenuti nella scatola del registratore amplificatore). L’apparato di distribuzione ha tre funzioni : mediante un Con¬ vertitore Rotary trasforma l’alimentazione da corrente continua in corrente alternata a 115 Volts; la corrente alternata uscendo dal con¬ vertitore viene raddrizzata e trasformata nelle varie tensioni sia in continua che alternata necessarie al funzionamento delle varie parti dell’apparecchiatura ; inoltre da tale apparato sono sviluppati gli im- — 239 pulsi elettrici ad alta tensione occorrenti a far funzionare il Trasdut¬ tore trasmittente ; tali impulsi sono regolati da un apposito interrut¬ tore nell’apparato registratore ; una spia luminosa consente di verifi¬ care dall’esterno il funzionamento dell’apparato. Fig, 1„ — Unità componenti l’Echo Sounder MS - 26/F. Il Trasduttore è composto da due unità trasducenti, una trasmit¬ tente e l’altra ricevente costituite da un pacco di sottili lamelle di nichel circondate da un filo a bassa resistenza ; gli impulsi elettrici ad alta tensione attraversanti il filo provocano vibrazioni delle lamelle del Trasmittente e, conseguentemente, emissione di onde acustiche; inversamente le onde riflesse raggiungenti il ricevitore provocano vibrazioni delle lamine che sono immerse in un campo magnetico permanente, per cui nei suoi avvolgimenti vengono indotti piccoli — 240 — impulsi di tensione inviati al Registratore. Due riflettori a doppia volta incorporati nel Trasduttore dirigono l’uno le onde sonore trasmesse verso il basso, l’altro le onde riflesse verso l’unità ricevente. Gli im¬ pulsi di tensione inviati dal Trasduttore al registratore attraverso lo apposito cavo hanno ampiezza molto limitata ; essi vengono notevol¬ mente amplificati mediante un preamplificatore ed un amplificatore, contenuti nell’apparato Registratore-amplificatore, che consentono il raggiungimento di un’ampiezza sufficiente a che avvenga la registra¬ zione ; una apposita manopola regola il guadagno dell’amplificatore in modo da ottenere la registrazione più nitida. Il meccanismo registratore incorpora un tamburo cilindrico ruo¬ tante a mezzo di un motore a velocità costante. Una penna o stilus è attaccata sul bordo del tamburo e ruotando attraversa il foglio di registrazione su] quale lascia tracce ben distinte al sopraggiungere degli impulsi elettrici. Le tracce corrispondono a un segnale costante ed intermittente che rappresenta la marca del tempo, un altro segnale fornisce l’istante di uscita degli impulsi dal Trasduttore trasmittente, che sono controllati mediante un apposito interruttore di trasmissione montato nel tamburo, un altro segnale indica l'istante di arrivo al Registratore degli impulsi captati dal Trasduttore ricevente, oppor¬ tunamente amplificati. In tal modo il Registratore fornisce diretta- mente la soluzione dell’equazione : dove fi è la profondità dello strato d’acqua al di sotto del Trasduttore, V è la velocità del suono nelTacqua, t l’intervallo di tempo tra la trasmissione dell’onda e la ricezione della sua riflessa dal fondo. Per il Registratore è stata calcolata una velocità del suono pari a 1500 m/sec., che è la velocità media del suono nell’acqua di mare. Per un’interpretazione molto precisa delle registrazioni è necessario apportare opportune correzioni per la variazione della velocità delle onde acustiche nell’acqua al variare della temperatura e della salinità. La velocità è calcolata mediante la formula 2) V = 1410 + 4.21 T — 0.037 T2 + 1.14 S dove V è la velocità in m/sec.; T è la temperatura in gradi centigradi; S la salinità in parti per mille. — 241 Il Registratore può funzionare a due velocità, relative ciascuna ad un’intervallo di profondità diverse; ad alta velocità, da usare per fondali bassi da 0 metri fino ad un massimo di 80 metri ; a bassa velocità per fondali più profondi da 0 metri a 160 metri. Per le registrazioni di fondali maggiori di 15 o 30 m. a seconda della velocità del tamburo usata, si deve effettuare un’operazione di cambiamento di scala che consiste nel ruotare rapidamente, mediante un’apposita manopola, durante la registrazione, la posizione dello zero della penna. Tale operazione può essere compiuta 5 volte, corrispon¬ denti ciascuna ad uno spostamento dello 0 di 60°, in modo che la sesta rotazione riporti la penna nella posizione iniziale. Ciascun inter¬ vallo di scala indaga un campo di 15 o 30 m., rispettivamente ad alta o bassa velocità. Lo strumento è però calcolato in modo tale che le scale risultino sovrapposte di 5 o 10 metri; in modo che nella seconda posizione la profondità misurata va da 10 a 25 o da 20 a 50 metri. In pratica perciò i cambiamenti di scala possibili sono 8 invece di 5 ; tale accorgimento consente di non perdere la registrazione nel caso di un’improvvisa inversione dell’andamento del fondo che possa venire registrata durante l’operazione di cambiamento di scala. Il principio sul quale è basata l’estensione della profondità misurabile è molto semplice : esso si ottiene con l’anticipazione del segnale di uscita che avviene prima che la penna abbia raggiunto la carta di registrazione e quindi l’intervallo di tempo tra questo e la regi¬ strazione dell’impulso riflesso diventa maggiore, consentendo all’onda acustica di effettuare un percorso maggiore. Per tale motivo il segnale di uscita non viene più registrato fuori della prima scala, ma poiché è nota la profondità (registrata) all’atto del cambiamento di scala, tale segnale è superfluo. Poiché il Trasduttore viene disposto in acqua ad una certa pro¬ fondità ( generalmente un metro è sufficiente), e la registrazione indica il percorso effettuato dall’onda acustica a partire dalla base inferiore del Trasduttore e ritornare ad esso, il Registratore è fornito di appo¬ site guide degli interruttori di trasmissione (vedi sopra), che possono essere regolate in modo da variare sul foglio di registrazione l’inizio del segnale di trasmissione, che può essere facilmente portato a coin¬ cidere con la posizione corrispondente alla profondità del Trasduttore rispetto alla posizione di riferimento (profondità O), indicata dal margine sinistro delle marche del tempo. La profondità del Trasdut¬ tore va misurata ogni qual volta esso viene sistemato ex novo alla imbarcazione. — 242 — La carta di registrazione è mossa verso il basso da appositi rulli ed ingranaggi a velocità costante pari a 25 mm. per minuto. La carta di registrazione è di tipo speciale (Teledeltos) sensibile al calore e la registrazione avviene al sopraggiungere degli impulsi generati dall’onda riflessa o, per i segnali costanti, per la chiusura dei circuiti prodotta meccanicamente. 2. — Precisione del rilevamento Prima di iniziare il rilevamento batimetrico. si è reso necessario un accurato studio preventivo onde fissare il criterio operativo che, in relazione alla particolare morfologia del lago, apparisse quale il più idoneo al superamento delle difficoltà di ordine pratico ed al tempo stesso consentisse la più fedele riproduzione del fondo lacustre. La carta catastale (scala 1 : 2000) della zona in esame forniva un numero sufficiente di punti noti, facilmente identificabili, tali da permettere di avere lungo tutto il bordo del lago dei precisi caposaldi di riferimento a cui appoggiare il rilevamento batimetrico. L’ubica¬ zione di tali caposaldi, posti pressocchè ad intervalli regolari, lungo le sponde, è stata rapidamente effettuata con l’uso di una rollina metrica. Gli allineamenti per i profili batimetrici potevano essere realiz¬ zati con cavi di nylon, con galleggianti di riferimento posti ad inter¬ valli uguali. L’assenza di moto ondoso e le particolari condizioni di calma della superficie del lago consentivano questa soluzione. Il problema principale restava dunque quello di stabilire quali fossero gli allineamenti lungo i quali si sarebbe dovuta effettuare la registrazione ecometrica. La morfologia esterna indicava che le forti pendenze delle pareti crateriche dovessero continuare anche al di sotto della superficie del lago; caratteristica ilei resto comune alla maggior parte dei laghi craterici. Si è vista quindi la necessità di effettuare un’indagine particolarmente accurata lungo le coste, ove le forti variazioni di profondità avrebbero facilmente potuto indurre ad errori. Il giorno 20 aprile c. a. furono portate al lago d’Averno le apparecchiature necessarie e montate su di un’imbarcazione munita di motore fuoribordo, di grandezza sufficiente per la comoda sistema¬ zione del pilota e dell’operatore. Controllato il funzionamento del- l’Echo Sounder, dopo aver misurato la profondità in acqua del Trasduttore (vedi paragr. 1), si iniziò il rilevamento. — 243 — Una prima esplorazione di insieme ha portalo all’individuazione di una piattaforma perfettamente pianeggiante nella zona centrale del lago, alla profondità di circa 34 metri ed ha confermato la pre¬ vedibile forte pendenza del fondo in corrispondenza delle pareti crateriche. Queste constatazioni fornivano gli elementi necessari per stabi¬ lire il miglior criterio operativo e quindi consentivano l’inizio del rilevamento sistematico. Si è stabilito di effettuare un profilo diametrale da sponda a sponda per avere una registrazione continua attraverso l’intero bacino e dì seguire, per lo studio sistematico, una poligonale costituita da successivi allineamenti di poco discosti dal bordo del lago (vedi Tav. I). La poligonale, come il profilo diametrale, è stata realizzata con cavi di nylon sottesi da caposaìdi prefissati ; dei galleggianti sono stati posti a distanza nota da tali caposaldi per l’individuazione dell’inizio e della fine del profilo ecometrico ; sulla registrazione mediante il comando a pedale, veniva lasciato il segnale di partenza e di arrivo in corrispondenza di detti galleggianti. In tal modo, mantenendo costante la velocità dell’imbarcazione e tenendosi perfettamente alli¬ neati nella direzione del cavo, si otteneva la registrazione continua delle profondità tra i due punti noti. Inoltre, onde consentire l’esatta visione della pendenza delle pa¬ reti crateriche verso il centro del lago, sono stati previsti numerosi profili radiali limitati ad un breve percorso, con inizio in corrispon¬ denza della piattaforma a profondità costante fino al raggiungimento della pendenza uniforme del fondo in prossimità della riva (vedi Tav. I). Tali profili sono stati realizzati in maniera differente rispetto a quelli lungo la poligonale ; infatti si è preferito adottare l’indivi¬ duazione del punto in acqua a mezzo di uno strumento ottico da terra. Posto in stazione lo strumento ottico, munito di reticolo diastimo- metrico, su di un caposaldo noto e traguardando un altro punto noto sulla sponda opposta del lago si stabiliva l’allineamento che l’imbar¬ cazione avrebbe dovuto seguire durante la registrazione. Su una stadia montata a bordo in posizione pressoché verticale riusciva agevole per l’operatore a terra, in relazione alla limitata velocità dell’imbarca¬ zione ed alla calma della superficie lacustre, leggere la distanza di partenza e di arrivo, in corrispondenza dei segnali di inizio e fine della registrazione comunicati dall’operatore a bordo. Poiché il segnale di partenza veniva dato ad imbarcazione ferma e quello di arrivo — 244 — a pochi metri da terra, l’errore nella valutazione delle distanze lette alla stadia poteva ritenersi trascurabile ai fini dell’elaborazione gra¬ fica dei dati. 3. — Interpretazione dei diagrammi Per ottenere gli esatti valori delle profondità del bacino lacustre bisognava apportare correzioni ai valori registrati in rapporto alla variazione della velocità del suono, funzione della temperatura e della Fig. 2. — Diagramma batitermometrico del lago d’A verno. salinità dell'acqua, rispetto a quella media di riferimento assunta dalla casa per la taratura dello strumento. Prendendo spunto dalla necessità di conoscere la temperatura media delle acque, si è ritenuto opportuno eseguire al lago d’Averno un rilevamento termometrico di dettaglio, che consentisse anche dedu¬ zioni di carattere più generale in connessione alla presenza nel lago di sorgenti termali. Le numerose misure eseguite su una vasta rete di punti hanno consentito l’accurato esame delle temperature nelle acque del lago, il cui andamento qualitativo presenta caratteristiche comuni a quelle degli altri bacini lacustri. Nella fig. 2 si riporta un diagramma dello andamento della temperatura dalla superficie al fondo in corrispon¬ denza della zona centrale del lago che può essere assunto come rife* rimento in quanto su tutto il lago, nei punti di osservazione, l’anda¬ mento dalla superficie al fondo è risultato identico anche in corri- — 245 — spondenza di profondità minori. Per integrazione grafica della curva indicata, resa legittima dalla assimilabilità ad un cilindro del volume occupato dalle acque del lago, data la forte pendenza delle pareti, si è ottenuto il valore medio della temperatura pari a 12,3°. Il diverso valore deducibile in corrispondenza delle zone più vicine alla costa, dove i fondali sono più bassi, non è stato preso in considerazione in quanto l’entità delle correzioni, dovute all’effetto termico, poiché funzioni della profondità, è trascurabile. Dall’esame di una serie di campioni è stato possibile determinare, con un normale densimetro, la densità apparente dell’acqua del lago, risultata pari a 1,015 gr/cmc. Dalla tabella fornita dalla casa risulta che a tale valore della densità, alla temperatura tra 12° e 14°, corri¬ sponde la salinità in parti per mille pari a 20. Introducendo nell’equa¬ zione 2), § 1, i valori determinati di temperatura e salinità si è otte¬ nuta la velocità media del suono nell’acqua del lago di 1479 m/sec. Alla massima profondità registrata, di 34 metri, corrisponde una corre¬ zione additiva di 0,48 metri. I valori delle profondità letti sulle registrazioni sono stati ripor¬ tati su ciascun profilo riprodotto sulla carta del lago in scala 1 : 2.000 con intervalli corrispondenti a distanze lineari reali di 10 metri. La riproduzione sui profili radiali e trasversali ha consentito di verificare la coincidenza delle profondità osservate nei punti di inter¬ sezione. La fitta rete di punti quotati, in tal modo ottenuti, ha con¬ sentito, per interpolazione grafica, la fedele riproduzione topografica del fondo lacustre (riportata nella Tav. II f.t.), dove le isoipse sono state costruite con equidistanza di 5 metri e di 1 metro per le zone a minor pendenza. 4. — La carta topografica del fondo La carta topografica costruita pone assai bene in evidenza le caratteristiche del cratere sommerso, la cui visione suggerisce alcune particolarità di un certo interesse. La forma tronco-conica del bacino è caratteristica ; la vasta piat¬ taforma che si osserva in corrispondenza della zona centrale del lago è perfettamente giustificata dall’accumulo di sedimenti leggeri di origine eolica, alluvionale e piroclastica che hanno costruito sul fondo uno spesso strato di limo, il quale per la sua fluidità ha assunto gia¬ citura orizzontale. Probabilmente la profondità del cratere all’origine fu notevolmente maggiore di quanto appaia attualmente, come lascia — 246 — dedurre insieme all’accumulo di sedimenti certamente notevole, anche l'eccessiva estensione della piattaforma di fondo rispetto all’ampiezza del cratere stesso in corrispondenza della superficie del lago. Mentre nel suo insieme l’andamento delle pareti appare molto regolare, al più dettagliato esame esso consente deduzioni sull’evo¬ luzione morfologica del cratere. Da un lato la maggiore conservazione delle pareti sommerse ri¬ spetto a quelle subaeree del cratere si accorda con la presenza dello scudo acqueo agli agenti atmosferici, tuttavia alcune coincidenze negli andamenti topografici, subaerei e subacquei, lascerebbero dedurre che in un tempo relativamente recente il cratere possa essere stato total¬ mente o quasi emerso (*). Sono tipiche le evoluzioni morfologiche avvenute durante il periodo di sommersione : evidenti alcune conoidi lungo i bordi dovute all’accumulo del materiale alluvionale riversatosi nel lago in corri¬ spondenza dei canali di scarico, naturali ed artificiali, esistenti lungo le pareti emerse. Nitido è pure il più dolce declivio della parete Est del cratere determinato dalla recente eruzione del limitrofo Monte Nuovo. La possibilità che una parte della evoluzione morfologica sia stata subaerea è indicata dalla presenza sulla parete Nord del cratere, nell’area sommersa, dello sperone tufaceo chiaramente visibile sulla carta ed il cui modellamento sembra potersi attribuire a fenomeni di erosione. La piccola separazione tra i due blocchi, emerso e som¬ merso, in corrispondenza della costa, può essere attribuita all’opera dell’uomo che ha reso coltivabile l’intera fascia circumlacustre. Inoltre sia sulla parete Nord che su quella Sud appaiono distinte le tracce di ben conservati solchi la cui formazione, pur potendo essere dovuta a fattori occasionali, sembra legittimamente attribuibile alla normale azione delle acque dilavanti. Mentre l’incognita età del vulcano non consente di affermare che il medesimo sia stato interessato dai fenomeni eustatici connessi all’ultima glaciazione, l’accentuato fenomeno bradisismico, a cui è soggetta l’intera zona flegrea, potrebbe da solo giustificare l'interpre¬ tazione su esposta. Si ringrazia vivamente il Prof. Giuseppe Imbò per i consigli for¬ niti nel corso della realizzazione del presente lavoro. Istituto di Fisica Terrestre , Università di Napoli , dicembre 1963. (*) Paraseandola [12], p. 77. — 247 RIASSUNTO Mediante un accurato rilevamento ecometrico è stato possibile costruire la carta topografica i( equidistanza tra le isoipse 5 metri) del fondo del lago d’Averno. Il risultato ha consentito alcune osservazioni di carattere morfologico sull’evolu¬ zione dell’originario cratere. SUMMARY By means of a careful echo-sounding survey on thè Averno’s lake, a topographie map of bottom has been drawn (thè contour lines are drawn every 5 m.). The result has allowed some morphological deductions regarding thè evolution of thè originai crater. BIBLIOGRAFIA [1] Aliverti G., Lezioni di Meteorologia ed Oceanografìa. Napoli, Liguori Edit., 1962. [2] Caldi P., Termologia del lago di Bracciano', onde interne. Annali di Geofisica. Voi. XII, n. 1, Roma (1959). [3] Dainelli G., Guida alle escursioni ai Campi Flegrei. Atti XI Congr. Geogr. Ital., Napoli, 1930. [4] Gunter R. T., Contribution to thè study of Eart-Movements in thè Bay of Naples. Oxford, Parker & Son - Rome, E. Loescher & Co, 1903. [5] ImbÒ G., Appunti dalle lezioni di V ulcanologia. Napoli, Centro Univer. Edito¬ riale, ORUN. [6] Oliveri Del Castillo A., Studio del bradisismo flegreo mediante osservazioni mareo grafiche. Atti X Convegno Ann. Ass. Geof. Ital. (Roma, 18-19 Novembre 1960), pp. 207-213, Roma. [7] Oliveri Del Castillo A., Il bradisismo delVisola d’ Ischia. Atti XI Convegno Ann. Ass. Geof. Ital. (Roma, 15-16 Novembre 1961), pp. 319-324, Roma. 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Il primo a segnalare faune a cefalopodi nella regione è Di Ste¬ fano (1894) che in un suo lavoro sulla geologia della zona parla di un complesso di marne gialle ad ammoniti con : Hìldoceras bifrons (Bruguiere) Hildoceras levisoni (Simpson) Leioceras opalinum (Reinecke). Più recentemente Scandone, Sgrosso e Bruno (1963) in un loro lavoro sulla geologia della zona hanno segnalato la presenza di una più ricca fauna di ammoniti. Gli esemplari da loro raccolti hanno for¬ nito la maggior parte del materiale di questo lavoro. In seguito mi sono personalmente recata nelle singole località ove erano segnalate le marne gialle ad ammoniti ed ho raccolto abbon¬ dante materiale che ha ulteriormente arricchito la fauna studiata. (1) Questo lavoro è stato eseguito con il contributo del C.N.R. nell’ambito delle ricerche geo-paleontologiche nell’Italia centro-meridionale sotto la direzione della Prof. Angiola Maria Maccagno, Direttore dell’Istituto di Paleontologia dell’Uni¬ versità di Napoli. Ringrazio la Prof. A. M. Maccagno, Direttore dell’Istituto di Paleontologia, il Prof. F. Scarsella, Direttore dell’Istituto di Geologia per i loro preziosi consigli nell’elaborazione di questo lavoro. Ringrazio i Dott. Scandone dell’Istituto di Geologia dell’Università di Napoli, Sgrosso del Servizio Geologico e Bruno dell’Istituto di Botanica dell’Università di Roma per avermi fornito gran parte degli esemplari oggetto del mio lavoro. — 250 — Le ammoniti provengono dalle seguenti località : a) M. Bulgheria, località Vrugolego, al di sopra di sorgente Remite h) Valle di Tragara, lungo la strada per Licusati c) Toppa La Carpinosa Fig. 1. — Posizione Topografica degli affioramenti di marne gialle ad ammoniti presso Scario. Con l’asterisco sono segnate le località fossilifere. Scala 1:30000. d ) Toppa Camselle e) M. Picotta, sopra torre Spinosa, presso Scario /) Serra Pernia. Le principali località fossilifere sono indicate negli schizzi topo¬ grafici delle figure 1-2 nel testo. Tutte le ammoniti provengono dal « complesso delle marne gialle ad ammoniti ». Esso consta di un’alternanza di calcari, calcareniti leg¬ germente marnosi e stratificati e marne. — 251 — Associati alla fauna ad ammoniti sono stati rinvenuti abbondanti brachiopodi, aptici, lamellibranchi, crinoidi (entroclii). È da tener presente che analogamente a quanto avviene in altre parti non si tro- F g. 2. — Posizione stratigrafica degli affioramenti delle marne gialle ad ammoniti di M. Bulgheria (Vrugolego). Con l’asterisco sono segnate le località fossilifere. Scala 1:25000. vano mai nello stesso punto ammoniti ed aptici assieme ma essi pur appartenendo allo stesso livello si trovano sempre in luoghi diversi. Data la particolare natura del materiale, (calcari e calcareniti compatti e solo leggermente marnosi), è stato difficile isolare le am¬ moniti. Le forme isolate erano nella maggior parte dei casi già messe in evidenza dagli agenti esterni. Per ricavarne i rapporti diametrali, — 252 ove non era possibile in altro modo, sono state fatte delle sezioni orientate passanti per la camera embrionale. Poiché non sempre le fotografie sono state chiare ho dovuto ese¬ guire dei disegni da fotografia che per la loro schematicità risultano di più immediata comprensione. La posizione stratigrafica del complesso è ben definita in quanto riposa sopra dei calcari grigi a crinoidi del Lias medio ed è supe¬ riormente a contatto stratigrafico con calcari detritici, pseudoolitici a loro volta coperti dalla scogliera titonica. Posso inoltre datare la base e la parte alta del complesso, consi¬ derando infatti le ammoniti raccolte nei singoli livelli posso affermare di aver rinvenuto nella parte basale Canavaria haugi ( Gemmellaro), specie tipica del Domeriano e rinvenuta sia a M. Domaro che a Taor¬ mina, mentre nella parte alta del complesso ho rinvenuto Leioceras opalinum ( Reinecke) specie tipica dell’Aalenino ed in particolare della zona che porta il suo nome che rappresenta TAaleniano più basso. La successione stratigrafica delle varie forme di ammoniti à rappresentata nella II tavola nel testo. Poco più sopra ho detto che la specie Leioceras opalinum (Reinecke) è tipica dell’Aaleniano, in questo modo ho accettato resi¬ stenza del piano Aaleniano tanto controversa. Arkell (1956) afferma che TAaleniano non esiste ma le tre zone ad ammoniti che lo costituiscono fanno parte del Dogger inferiore ed in particolare del Baiociano. Donava n (1958) per la formazione del «Rosso Ammonitico » include TAaleniano nel Lias. I geologi francesi tra cui Gignoux e Termier ammettono l’esi¬ stenza di questo piano e lo includono nel Lias. I geologi tedeschi con alla testa Haug ammettono anche loro resistenza del piano e lo includono nel Dogger. In questo lavoro io accetto le decisioni del congresso internazio¬ nale del Lussemburgo ed ammetto l’esistenza di questo piano ; lo considero stratigraficamente facente parte del Dogger ma contempo¬ raneamente lo considero facente parte della parte più alta del Giu¬ rassico inferiore al passaggio con il Giurassico medio rappresentato dal Bajociano-Batoniano. Una fauna per molti aspetti simile alla mia è stata studiata di recente da Fantini (1962) per M. Domaro. — 253 — La fauna da me studiata si compone di centosei individui rag¬ gruppati in 15 generi e 27 specie. Essa si trova attualmente presso il Museo di Paleontologia dell’Università di Napoli. Faccio seguire l’elenco delle specie da me prese in esame secondo l’ordine sistematico proposto nel Treatise of invertebrate paleontology di Moore (1956). Genere Calliphylloceras Spath 1927 Calliphylloceras spadae (Meneghini) Genere Lytoceras Sue ss 1865 Lytoceras dorcadis (Meneghini) Lytoceras ( Thysanolytoceras ) cornucopiae (Young & Bird) Lytoceras sp. Genere Dactylioceras Hyatt 1867 Dactylioceras annulatiforme ( Bonarelli) Dactylioceras sp. Genere Collina Bonarelli 1893 Collina aculeata Parrisch e Viale Genere Catacoeloceras Buckman 1923 Catacoeloceras sp. Genere Canavaria Gemmellaro 1886 Canavaria haugi (Gemmellaro) Genere F ontanelliceras Fucini 1931 Fontanelliceras fontanellense (Gemmellaro) Genere Harpoceras Waagen 1869 Harpoceras falciferum ( Sowerby) Genere Hildoceras Hyatt 1867 Hildoceras bifrons (Brughière) Hildoceras sublevisoni Fucini Hildoceras sublevisoni raricostatum Mitzopulos Hildoceras semipolitum Buckman Hildoceras caterinii Merla Genere Mercaticeras Buckmann 1913 Mercaticeras mercati ( Hauer) Genere Phymatoceras Hyatt 1867 Phymatoceras elegans Merla Genere Brodieia Buckman 1898 Brodieia gradata (Merla) Brodieia alticarinata (Merla) Genere Erycites Gemmellaro 1886 Erycites sp. — 254 Genere Ludwigia Bayle 1878 Ludwigia sp Genere Leioceras Hyatt 1867 Leioceras opalinum ( Reinecke). Fig. 3. — Sezione di giro di ammonite con spiegazione della nomenclatura usata nel dare i rapporti biometrici. D = diametro; H = altezza dall’ultimo giro; S = spessore dell’ultimo giro; L = larghezza dell’ombelico. (Ridisegnato da Erben). Prima di iniziare le descrizioni paleontologiche delle singole specie voglio premettere alcune considerazioni di carattere generale. La classificazione da me usata in questo lavoro è quella di Arkell, Fischer, Wright e Donovan del Treatise on invertebrate Paleonto- logy edito da R. C. Moore. — 255 Fui fa la sinonimia riportata è stata attentamente esaminata ed ho riportato i lavori a parer mio più importanti. Non descrivo le forme già ampiamente descritte, ma confronto le forme in mio possesso con quelle citate in sinonimia. Prima di iniziare le descrizioni sistematiche voglio dare spiega¬ zione della terminologia da me usata nell’indicare le misure ed i rapporti biometrici (Figura 3 nel testo). Oltre ai valori assoluti delle dimensioni degli esemplari ho considerato per ogni singola specie i rapporti relativi al diametro dell’altezza dell’ultimo giro ( H ), dello spessore dell’ultimo giro (S), e della larghezza dell’ombelico (L) e H S L li ho indicati rispettivamente con— 7-^-e considerato inoltre lo spessore relativo dell’ultimo giro che ho indicato con H Descrizione paleontologiche Tipo MOLLUSCA Classe CEPHALOPODA Ordine A mino noidea Sottord. Phylloceratina Arkell 1950 Superfam. Phyllocerataceae Zittel 1884 Famiglia. Phylloceratidae Zittel 1884 Sottofam. Calliphylloceratinae Spath 1927 Genere Calliphylloceras Spath 1927. Calli phylloceras spadae (Meneghini) (Fig. testo 4-5, Tav. I fig. 1-2, Tav. testo 1 fig. 3) 1867-81 Ammonites ( Phylloceras ) spadae Meneghini - pp. 93, tav. XIX, fig. 1-4. 1915 Phylloceras spadae Principi - tav. XV, fig. 3-5. 1936 » » Negri - pp. 161, tav. II. fig. 2 (cum syn). 1939 » » Ramaccioni - pp. 161, tav. XI, fig. 2. Conchiglia abbastanza involuta, fianchi degradanti leggermente verso l’ombelico. Area ombelicale abbastanza ampia ; area esterna priva di carena. Linea lobale con prima sella laterale tetrafilla e selle successive rispettivamente trillile, difille, mono fi Ile. — 256 DIMENSIONI: D H S L H/D S/D L/D S/H mm. 55 30 15 6 0,54 0,29 0,10 0,5 Nella fauna da me studiata ho rinvenuto un solo esemplare di Calliphylloceras spadae (Meneghini) in ottime condizioni di fossi¬ lizzazione. Ho anche la relativa controimpronta. Il modello interno da me studiato presenta la superficie dei fianchi coperta da una sottile e leggera patina limonitica che permette di osservare in tutti i particolari la caratteristica linea lobale. Ho potuto metterla ulteriormente in evidenza disegnandola al microscopio con inchiostro di china e con un pennino molto sottile. Fig. 4. — Calliphylloceras spadae Meneghini {disegnato da fotografia) grandezza naturale. L’individuo corrisponde perfettamente al tipo di Meneghini de¬ scritto da Negri nella sua revisione delle ammoniti liassiche lom¬ barde (1933). Non faccio alcuna discussione sulla specie in esame in quanto, corrispondendo il mio individuo a quello descritto dal Negri, ritengo valida quella fatta per il tipo. L’ombelico che è uno dei principali elementi diagnostici della specie è parzialmente riempito da materiale marnoso. — 257 — Distribuzione stratigrafica : Calliphylloceras spadae (Mene¬ ghini) è limitato stratigraficamente al Toarciano e si rinviene di frequente nella parte medio superiore di questo piano. Molto rara¬ mente si rinviene nel Toarciano inferiore. Fig. 5. — Calliphylloceras spadae Meneghini. Linea lobate ridisegnato da Negri. Distribuzione geografica: la diffusione geografica di questa spe¬ cie sembra essere limitata al Toarciano italiano in facies di Rosso Ammonitico ed in facies di transizione. Sottord. Lytoceratina Hyatt 1869. Famiglia Lytoceratidae Neumayr 1875 Sottofam. Lytoceratinae Neumayr 1875 Genere Lytoceras Suess 1865. Lyloceras dorcadis (Meneghini) (Tavola testo I, fig. 2) 1867-81 Ammonites ( Lytoceras ) dorcadis Meneghini - pp. 197, tav. XXI, fig. 1. 1906 Lytoceras dorcadis Parrisch Viale - pp. 145, tav. Vili, fig. 3-4 (cum syn). 1939 » » Ramaccioni - pp. 163, tav. XI, fig. 7. 1943 » » Maxia - pp. 92. 258 — Conchiglia di media involuzione, ombelico ampio, fianchi con¬ vessi degradanti uniformemente verso l’ombelico. Area ventrale arro¬ tondata. In mio possesso ho solo due esemplari di questa specie. In uno di essi è visibile la linea lobale solo parzialmente conservata e si con¬ servano anche tracce del guscio. DIMENSIONI: D H S L H/D S/D L/D S/H rum. 35 14 9,5 13 0,40 0,34 0,38 0,67 36 11 9,5 9 0,30 0,30 0,30 0,71 1 Gli esemplari in mio possesso mostrano molto evidenti le carat¬ teristiche descritte da Meneghini e corrispondono perfettamente alla forma tipo ed a quella descritta da Parrisch e Viale. Distribuzione stratigrafica : la distribuzione stratigrafica di questa specie sembra essere limitata al Toarciano basso ma io, avendola rinvenuta nei livelli immediatamente sovrastanti a quelli con fauna tipica del Domeniano, ritengo che possa estendere in basso sino al Domeriano. Distribuzione geografica: la distribuzione geografica di questa specie è limitata alle Prealpi lombarde, ed all’Appennino centrale. È la prima volta che essa viene rinvenuta in terreni dell’Italia meridionale. Lytoceras ( Thysanolytoceras ) cornucopiae (Young & Biro) 1867-81 Ammonites ( Lytoceras ) cornucopiae Meneghini - pp. 103, tav. XXII, fig. 1 (cum syn.). 1915 Lytoceras cornucopiae Principi - pp. 441. tav. XVII, fig. 1. 1943 » » Maxia - pp. 93, tav. I, fig. 6. 1947 » » Lippi Bomcambi - pp. 128. Ometto la descrizione di questa specie perchè molto nota ed am¬ piamente descritta. L’individuo da me preso in esame si presenta in pessime condi¬ zioni di fossilizzazione in quanto la superficie dei fianchi è tutta erosa. Solo parzialmente, in alcuni punti, si intravedono le caratteristiche — 259 specifiche. Nonostante ciò ho potuto fare una precisa determinazione di questa forma in quanto esistono molte ed accurate determinazioni di essa. La linea lobale si intravede solo parzialmente e si vede solo la parte più interna di essa ; posso dire però che appartiene alla specie in esame in quanto ho potuto confrontarla con quella di un individuo da me determinato proveniente dal Rosso Ammonitico Umbro che mentre presentava un fianco nelle stesse condizioni di erosione pre¬ sentava l’altro fianco in perfette condizioni di conservazione con la linea lobale completamente integra. Non posso dare alcuna dimenisone. Distribuzione stratigrafica : la distribuzione stratigrafica di questa specie è limitata al Toarciano medio superiore. In Europa infatti con questa specie è stata distinta una zona del Toarciano. In Italia ciò non è stato possibile in quanto questa specie pur essendo presente non lo è in un tale abbondanza da permettere una distin¬ zione di una zona con la sua presenza. Distribuzione geografica: la distribuzione geografica di questa specie è amplissima in quanto, rinvenuta per la prima volta nei terreni delFYorkshire, è stala successivamente rinvenuta in tutti i terreni Las¬ sici europei ed asiatici. Lytoceras sp. Le condizioni di fossilizzazione di due individui della fauna mi hanno permesso di dire solo che essi sono dei Lytoceras. sp. ind. Uno di essi per le sue caratteristiche di involuzione e per la sezione del giro potrebbe essere attribuito al Lytoceras dorcadis (Me¬ neghini) ma gli elementi diagnostici in mio possesso sono troppo pochi per permettermi di dire ciò. Il secondo potrebbe essere attribuito al Lytoceras velifer Bona- relli ma mi impediscono di poter affermare ciò i pochi elementi in mio possesso. In nessuno dei due si vede la linea lobale. Non posso dare alcuna dimensione perchè i frammenti in esame sono ambedue parzialmente inglobati in materiale roccioso : Distribuzione stratigrafica : La distribuzione stratigrafica delle due specie a cui potrei dubitativamente attribuire i miei due Lytoceras sp. è per ambedue limitata al Toarciano inferiore. — 260 — Distribuzione geografica: La distribuzione geografica di queste specie è limitata a tutto LAppennino, alle Prealpi lombarde, ed alla Sicilia. Sottord. A mino ni lina Hyatt 1889 Superfam. Eoderocerataceae Spath 1929 Famiglia Daclylioceratidae Hyatt 1867 Genere Dactylioceras Hyatt 1867. Dactylioceras annulatiforme ( Bonarelli) 1867-81 Ammonites ( Coeloceras ) desplacei D’Orb.-Meneghini - pp. 76. tav. XVI. 1897 Coeloceras annulatiforme Bonarelli - pp. 212, fìg. 78. fìg. 8. 1930 » » Mitzopulos - pp. 87, tav. VII, fìg. 4 a-b. 1931 » » Monestier - pp. 62, fìg. 22-28. 1939 Dactylioceras ( Coeloceras ) annulatiforme Ramaccioni - pp. 185, tav. XII; fìg. 8 (cum syn.). 1943 » » » Maxia - pp. 113, tav. III. fìg. 4. 1947 » » » Lippi Boncambi - pp. 143. In mio possesso ho un solo esemplare appartenente a questa specie, in pessime condizioni di fossilizzazione. L’involuzione varia dall’interno verso l’esterno in modo tale che mentre nei primi giri si ha una forma decisamente involuta negli ulti¬ mi giri si tende ad una forma completamente evoluta. L’ornamenta¬ zione varia in modo analogo dall’interno verso l’esterno; nella parte interna della conchiglia è costituita da coste più grosse terminanti al margine esterno con robusti tubercoli mentre nella parte più esterna ed in corrispondenza della camera di abitazione è costituita da coste fitte e sottili che si prolungano sull’area ventrale senza interrompersi. DIMENSIONI: D H S L H/D S/D L/D S/H mm. i - 18 6 8 8 0,30 0,44 0,44 1,3 Il mio esemplare corrisponde perfettamente a quello descritto da Meneghini e successivamente emendato da Bonarelli. Distribuzione stratigrafica : la distribuzione stratigrafica di questa specie è limitata alla parte bassa del Toarciano. — 261 Distribuzione geografica: la distribuzione geografica di questa specie è limitata al bacino del Mediterraneo ed essa è particolarmente abbondante nel Lias superiore in facies di Rosso Ammonitico. Dactylioceras sp. In mio possesso ho diversi frammenti di Dactylioceras di cui non ho potuto fare determinazione specifica per lo stato di fossilizza¬ zione e di frammentarietà. Le condizioni di usura dei campioni fanno quasi scomparire sulla superficie dei fianchi la caratteristica ornamen¬ tazione che in èuesto genere ha tanta importanza diagnostica. Tre di essi potrei attribuirli al Dactylioceras commune (Sowerby) ma, avendoli confrontati con un topotipo, ho potuto vedere come gli elementi diagnostici sono quasi del tutto assenti, per poter fare una attribuzione sia pure dubitativa. La linea lobale non è visibile in nessuno di essi e la determi¬ nazione generica è stata fatta in base alle caratteristiche di avvolgi¬ mento ed alLornamentazione parzialmente visibile. Distribuzione stratigrafica : la distribuzione stratigrafica del genere è limitata al Lias superiore e specialmente nella parte bassa di esso. Distribuzione geografica: la distribuzione geografica di questo genere è molto ampia, infatti esso si rinviene con la stessa abbondanza sia in terreni europei che in terreni americani. Genere Catacoeloceras Buckman 1923. Catacoeloceras sp. In mio possesso ho due frammenti che attribuisco a questo genere. Essi mostrano i giri abbastanza alti e la loro ornamentazione è costituita da coste semplici che si biforcano al margine esterno. Non posso dare alcuna dimensione perchè essi sono inglobati in roccia ; non si vede alcuna traccia di linea lobale. I pochi elementi in mio possesso possono solo farmi dire che essi sono dei Catacoeloceras Buck, ma non mi permettono di fare determinazione specifica. Sono molto vicini per Lornamentazione al Catacoloceras desplacei (D’Orb.) ma un più accurato esame mette in evidenza sull’area esterna una ornamentazione di tipo Catacoeloceras crassum (Sowerby) — 262 — ma essendo le differenze con ambedue le specie notevoli non posso attribuirli a nessuno delle due. Distribuzione stratigrafica : la distribuzione straligrafica delle specie in esame è limitata al Toarciano superiore. I due frammenti raccolti in serie sono risultati appartenenti agli strati a Leioceras opalinum (Rein). Distribuzione geografica: la loro distribuzione geografica è molto ampia in quanto si rinvengono in tutti i terreni liassici dei paesi del bacino del Mediterraneo. Genere Collina Bonarelli 1893. Collina aculeata (Parrisch Viale) 1906 Collina aculeata Parrisch Viale - pp. 165, tav. IX, fìg. 4-6. 1939 » » Ramaccioni - pp. 196 (cum syn). Ho potuto esaminare due individui di questa specie. Essi presentano tutte le caratteristiche ben evidenti, ravvolgi¬ mento e rornamentazione sono quelli tipici della specie e sono molto ben evidenti gli aculei al margine esterno. Non vi è traccia di linea lobale. DIMENSIONI: D H mm. 70 18 35 10 L H/D | S/D L/D S/H 36 0,25 , 0,21 0,5 0,8 19 0,35 _ 0,5 — Di ogni ammonite ho la relativa controimpronta in cui appaiono più evidenti le caratteristiche specifiche. Le condizioni di fossilizzazione sono buone e gli individui sono fossilizzati in marne verdastre senza alcuna patina limonitica. Distribuzione stratigrafica: la distribuzione stratigrafica di questa specie è limitata al Toarciano. Distribuzione geografica: la diffusione geografica finora cono¬ sciuta di questa specie è limitata alFAppennino centrale. — 263 Superfam. Hildocerataceae Hyatt 1967. Famiglia Hildoceratidae Hyatt 1867 Sottofam. A rieticeratinae Howarth 1855 Genere Canavaria Gemmellaro 1886. Canavarìa haugi (Gemmellaro) (Tav. II, fig. 1) 1885 Harpoceras ( D'umortieria ) haugi Gemmellaro ■ pp. 5, tav. I. fig. 1-3., 1900 Canavaria haugi Bettoni - pp. 54; tav. IV, fig. 1. 1908 » » Fucini - pp. 17, tav. I, fig. 18. 1908 b. » » Fucini - pp. 92. 1914 » » Zuffardi - pp. 588. 1962 » » Fantini - pp. 529. tav. XL, fig. 1. Nella fauna da me studiata questa specie è rappresentata da quattro esemplari in perfette condizioni di fossilinizzazione. Essi sono fossilizzati in marne verdastre e mostrano molto ben evidenti le caratteristiche generiche e specifiche descritte da Gem¬ mellaro. Nessuno però degli esemplari da me studiati è in condizioni di perfetta integrità. DIMENSIONI: D H S L H/D S/D L/D S/H mm. 61 21 12 30 0,30 0,20 0,5 0,6 69 23 20 37 0,32 0,30 0,5 0,8 40 13 10 18 0,32 0,25 0,45 0,9 Gli individui da me esaminati pur corrispondendo a quelli de- scritti da Gemmellaro differiscono da quelli descritti da Bettoni e da Fantini per le faune di M. Domaro e da quelli descritti da Fucini per le faune di La Spezia. Le maggiori differenze sono nelle dimen¬ sioni e secondariamente nella sezione del giro e nelFandainento delle coste. Distribuzione stratigrafica : questa specie trovata per la prima volta a Taormina è stata sempre considerata come rappresentativa della parte più alta del Domeriano. — 264 — Distribuzione geografica: la distribuzione geografica di questa specie è molto ampia in quanto essa è diffusa in tutti i terreni Do- meriani italiani ed anche in alcuni terreni della Francia e della Ger¬ mania. Essa è presente sia nelle facies di transizione che nelle facies più decisamente pelagiche. Canavaria sp. Numerosi sono i frammenti da me attribuiti a questo genere ma il loro stato di frammentarietà mi ha impedito di farne determina¬ zione specifica. Le loro ornamentazioni caratteristiche e l’area asterna piuttosto ampia mi hanno permesso di dire che sono degli Hildoce- ratidae primitivi. Alcuni di essi per le loro caratteristiche potrebbero appartenere al gruppo della Canavaria haugi (Gemmellaro), mentre altri al gruppo della Canavaria haugi non Gemmellaro ma Fucini. Gli elementi in mio possesso utili per farne un’ulteriore deter¬ minazione sono troppo pochi. Non posso dare alcuna dimensione e la linea lobale non è visibile. Distribuzione stratigrafica : la distribuzione stratigrafica di questa specie è limitata al Domeriano. Distribuzione geografica: La ditsribuzione geografica è limitata a tutte le regioni sul bacino del Mediterraneo. Genere Fontanelliceras Fucini 1931. Fontanelliceras fontanellense (Gemmellaro) 1885 Harpoceras fontanellense Gemmellaro - pp. 12, tav. II, fig. 1-2. 1931 » » Fucini - pp. 110, tav. Vili, fig. 23 (cum syn.). I tre esemplari da me presi in esame si mostrano tutti in ottime condizioni di fossilizzazione e sono identici alla forma tipica di Gemmellaro. DIMENSIONI: D H S L 11/D S/D L/D S/H mm. 44 18 10 20 0,40 0,25 0,40 0,56 46 14 9 20 0,36 0,20 0,42 0,54 265 — TABELLA 1 Quadro di distribuzione geografica M. Bulgheria Calliiphylloceras spadae (Mgh.) Lytoceras dorcadis (Mgh.) Lytoceras cornucopiae ( Y. & B.) Lytoceras sp. Dactylioceras annulatiforme (Bon.) Dactylioceras sp. Catacoeloceras sp. Collina aculeata Par e Vi al. Fontanelliceras fontanellense (Gemm.) Canavaria haugi (Gemm.) Canavaria sp. Harpoceras falciferum (Sow.) Harpoceras sp. Hildoceras hifrons (Brug.) Hildoceras sublevisoni Fuc. Hildoceras sublevisoni raricostatum Mitz. Hildoceras semipolitum Buck. Hildoceras caterinii Mer. Mercaticeras mercati ( Hauer.) P hymatoceras elegans (Mer.) Phymatoceras sp. Brodieia gradata (Mer.) Brodieia alticarinata (Mer.) Erycites sp. Ludwigia sp. Leioceras opalinum (Rein.) M. Doniaro Taormina G. Sas=o (2) Appen. centrale X x (?) X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X (2) L’elenco delle specie di ammoniti presenti al Gran Sasso fa parte di un mio lavoro sulle faune di ammoniti di quella regione in corso di elaborazione e che uscirà nei primi mesi del ’64. — 266 — La specie presenta tutti i caratteri degli Hildoceratidae primitivi ; la piccolissima involuzione, le coste poco proverse che scompaiono sulLarea ventrale, Larea ventrale abbastanza ampia e la sezione dei giri subrettangolare. Distribuzione stratigrafica : la distribuzione stratigrafica di questa specie è limitata al Domeriano. Distribuzione geografica: la distribuzione geografica di questa specie è limitata alle faune di transizione delLItalia centro meridionale. Sottofam. Harpoceratinae Hyatt 1867 Genere Harpoceras Waagen 1869. Harpoceras faiciferum (Sowerby) (Tav. IV, fig. 4) 1906 Harpoceras falcifer Sow. Parrisch Viale • pp. 147, tav. IX. fig. 1-3. 1908 » » Principi - pp. 218. tav. VII, fig. 15. 1947 » » Lippi Boncambi - pp. 140. I tre esemplari in mio possesso che attribuisco a questa specie differiscono leggermente tra di loro riguardo airornamentazione. Mentre per le dimensioni essi sono molto vicini tra di loro e molto vicini alla forma tipo, Pornamentazione ne differisce leggermente in quanto mentre in alcuni di essi si hanno sottili coste falciformi in altri due individui le coste si fanno più spesse e più distanziate. L'an¬ damento di esse però rimane lo stesso e la loro posizione rispetto all'area ventrale è immutata per tutti gli individui. Nonostante questa differenza nell ornamentazione ritengo che i tre esemplari appartengano tutti alla stessa specie. Questa differenza era stata già osservata da Parrisch e da Viale nel loro lavoro relati¬ vamente ad una fauna del Rosso Ammonitico. DIMENSIONI: D H S L H/D S/D L/D S/H mm. 50 18 8 13 0,36 0,16 0,26 0,45 43 17 9 14 0,37 0,22 0,28 0,50 33 14 7 13 0,34 0,21 0.24 0,50 — 267 — TABELLA 2 Quadro di distribuzione stratigrafica Domeriano Toarciano Calliphylloceras spadae (Mgh.) Lytoceras dorcadis (Mgh.) Lytoceras cornucopiae (Y. & B.) Lytoceras sp. Dactylioceras annulatiforme (Bon.) Dactylioceras sp. Catacoeloceras sp. Collina aculeata Par. e Vial. Fontanelliceras fontanellense (Gemm.) Canavaria haugi (Gemm.) Canavaria sp. Harpoceras falciferum (Sow.) Harpoceras sp. Hildoceras bifrons (Brug.) Hildoceras sublevisoni Fuc. Hildoceras sublevisoni raricostatum Mitz. Hildoceras semipolitum Buck. Hildoceras caterinii Mer. Mercaticeras mercati (Hauer.) Phymatoceras elegans (Mer.) Phymatoceras sp. Brodieia gradata (Mer.) Brodieia alticarinata (Mer.) Erycites sp. Ludwigia sp Leioceras opalinum (Rein.) Aaleniano — 268 — La linea lobale è solo parzialmente visibile in quanto la superficie dei fianchi è coperta da una patina limonitica parzialmente asportata. I fossili sono fossilizzati in marne gialloverdastre e coperti da una patina limonitica. Distribuzione stratigrafica : questa specie, diffusa in tutti il Toarciano in Europa è considerata distintiva di una zona. In Italia secondo Donovan (1958) ciò non è possibile in quanto pur rinvenen¬ dosi non si trova in tale abbondanza da giustificare una zona. Essa è sostituita dal Mercaticeras mercati ( Hauer) che si rinviene con mag¬ giore abbondanze. Distribuzione geografica : la distribuzione geografica di questa specie è molto ampia e praticamente illimitata in quanto essa è rinve¬ nuta in tutti i terreni sia con faune di tipo Mediterraneo che non faune di tipo Americano. Harpoceras sp. Ho attribuito al genere Harpoceras Waagen due frammenti di ammoniti, rornamentazione è quella tipica del genere sopra indicato. A prima vista la specie ad essi più vicina è YHarpoceras radians ( Rein.) ma le condizioni di frammentarietà non mi permettono di far una attribuzione specifica sia pur dubitativa. Non posso dare alcuna dimensione. Non è visibile alcuna traccia di linea lobale. Distribuzione stratigrafica: la distribuzione stratigrafica della specie a cui potrei attribuire i frammenti di ammonite è limitata al Domeriano. Distribuzione geografica: la distribuzione geografica di questa specie è limitata a tutte le regioni ove affiora del Lias medio ad ammoniti ed in particolare è presente nell’l orkshire ed in Italia nell’Appennino centrale e nelle Prealpi. Nelle facies di transizione non è così abbondante come altrove. — 269 — Sottofam. Hidoceratinae Hyatt sbcs Genere Hildoceras Hyatt 1867. Hildoceras bifrons ( Bruguiere) (Tavola III, fig. 1) 1874 Ammonites bifrons Bkijg. Dumortier - pp. 48, tav. IX, fig. 1-2. 1882 » » Wright - tav. LIX. 1918 Hildoceras bifrons Brug. Blckmann - tav. CXIV. 1933 » » Merla - pp. 52, tav. VII; fig. 9 (cum syn.). 1943 » » Maxia - pp. 105. 1947 » » Lippi Boncambi - pp. 137, tav. II, fig. 12. Non faccio alcuna descrizione di questa forma perchè molto nota e diffusa ed esaurientemente descritta dagli AA. Le condizioni di fossilizzazione dei 18 esemplari non sono delle migliori in quanto non ho alcun individuo completo e perfettamente isolato. In tutti però sono visibili le caratteristiche specifiche. In nessuno è visibile la linea lobale. DIMENSIONI: D H S L 1 H/D S/D ' L/D H/S min. 43 16 9 16 ; 0,37 0,2 0,34 0,5 55 18 9 26 0,32 0,18 0,40 0,5 32 11 8 7 ! 0,37 0,25 0,3 0,3 53 20 9 24 ! 0.32 0,18 0,37 0,6 40 13 6 14 0,31 0,18 0,4 0,4 35 11 8 11 0,4 0,22 0,4 0,4 13 7 5 6 0,4 0,30 0,31 0,4 39 13 7 16 0,36 0,17 0,38 0,3 22 8 ; 4 7 0,38 0.18 0,40 0,5 42 16 9 14 0,4 0,20 0,40 0,5 39 13 8 13 0,3 0,20 0,30 0,6 49 16 i 8 14 i 0,32 0,16 0,35 0,5 Tutti gli individui da me esaminati differiscono sempre per un solo carattere dalla forma tipica in quanto mentre in questa si ha la sezione del giro rettangolare nei miei individui la sezione del giro tende a diventare ellittica. — 270 — L’area esterna è però differenziata in una carena fianheggiata da profondi solchi. Distribuzione stratigrafica : la distribuzione stratigrafica di questa specie è limitata al Toarciano inferiore ed in alcune regioni si distingue con questa specie una zona e precisamente quella al di sopra della zona a Dactylioceras tenuicostatum ( Y., B.). In Italia questa specie per la sua rarità non permette la distinzione di una zona con la sua presenza e viene considerata come tipica della zona a Merca- ticeras mercati (Hauer). Distribuzione geografica: la distribuzione geografica di questa specie praticamente non ha alcun limite. In Italia però non è così Hidoceras sublevisoni Fucini (Tavola II fig. 2 e Tavola III fig. 4) 1867-81 Ammonites bifrons Brug. Meneghini - tav. 1, fig. 2, tav. 21. fig. 1-4. 1919 Hildoceras sublevisoni Fucini - pp. 182. 1930 » » Mitzopulos - pp. 48, tav. IV, fig. 8. 1933 » » Merla - pp. 51, tav. VII, fig. 1-10. 1947 » » Lippi Boncambi - p. 130. Conchiglia seminvoluta, l’involuzione è maggiore che non nel- YHildoceras bifrons Brug. L’area ventrale è leggermente più ampia e l’ornamentazione è nettamente distinta in due zone dal solco che corre a metà del fianco. Sezione dei giri ellittica. Ho studiato otto esemplari di questa specie tutti abbastanza ben conservati anche se non tutti erano integri. In nessuno è visibile alcuna traccia di linea lobale. DIMENSIONI: D H S L H/D S/D L/D S/H mm. 55 19 7 24 0,37 0,13 0.43 0,5 65 25 14 — 0,32 0,20 — 0,3 56 18 9 28 0,40 0,15 0,5 0,4 50 20 — 25 0,38 0,5 0,4 21 8 6 7 0,38 0,28 0,4 0,7 49 20 13 30 i 0,40 0,26 0,5 0,6 — 271 — Tutti gli esemplari corrispondono perfettamente alla forma tipica ed alle forme successivamente descritte come appartenenti a questa specie. Distribuzione stratigrafica : la distribuzione stratigrafica di questa specie è limitata al Toarciano inferiore. In Italia, in facies di Rosso ammonitico DonovAiN ha distinto una sottozona ad Hildoceras sublevisoni nella zona a Mercaticeras mercati (Hauer). Distribuzione geografica- la distribuzione geografica di questa specie non ha limite ma essa sembra essere più ampiamente rappre¬ sentata nel bacino del Mediterraneo. Hidoceras sublevisoni raricostatum Mitzopulos (Tavola II, fig. 3 e tavola III, fig. 2) 1930 Hildoceras sublevisoni Fuc. var. raricostatum Mitzopulos - pp. 49, tav. IV, 1933 » » » fig. 9 a-b. Merla - pp. 107, tav. XI, fig. 21. 1943 » » » Maxia - pp. 107, tav. II, fig. 5. 1947 » » » Lippi Boncambi - pp. 139, tav. II. fig. 15-16. I sette individui da me studiati sono in discrete condizioni di fossilizzazione. Essi sono seminvoluti ed hanno un’area ventrale piuttosto ampia percorsa da due solchi e da una prominente carena. Le condizioni di isolamento dei singoli individui sono molto variabili. DIMENSIONI: D H S L H/D S/D L/D S/H mm. i 65 23 _ _ 28 0,35 T 0,4 m 47 15 8 24 0,31 0,20 0,5 — 40 — 15 — 0,4 — 60 18 15 15 0,30 0.25 0,4 0,7 1 | 44 13 9 KB 0,27 0,20 i 0,7 La linea lobale non è mai visibile. L’ornamentazione corrisponde perfettamente a quella tipica della specie in esame e si presenta con coste spesse e distanziate percosse a metà da un solco che divide l’ornamentazione in due parti. — 272 Distribuzione stratigrafica : la distribuzione stratigrafica di questa specie è limitata al Toarciano inferiore ed in particolare alla zona a Mercaticeras mercati ( Hauer). Distribuzione geografica: questa specie pur avendo un’amplis¬ sima distribuzione geografica si trova particfolarmente localizzata nei terreni Italiani. Hildoceras semipolitum Buckman (Tavola IV, fig. 1) 1867-81 Ammonites bifrons Brug. Meneghini - tav. I, fig. 3-4. 1915 Hildoceras semipolitum Buckmann - pp. 212, tav. XXII, fig. 30. 1915 » » Fossa Mancini ■ pp. 19. 1933 » » Merla - pp. 52, tav. Vili, fig. 3-6-7. 1943 » » Maxia - pp. 106. 1947 » » Lippi Boncambi - pp. 138, tav. V, fig. 10. In mio possesso ho sei individui di questa specie in ottime con¬ dizioni di fossilizzazione. Non descrivo questa specie in quanto molto nota e diffusa ed ampiamente descritta. DIMENSIONI: D H S L H/D 1 S/D L/D S/H mm. 37 12 8 10 0,37 0,24 0.21 0,6 47 18 11 15 0,38 0,23 0,31 0,6 28 14 6 12 0,38 0,21 0,33 0,4 50 20 9 19 0,5 0,3 0,31 0,4 La linea lobale non è mai visibile. Questa ammonite per lungo tempo è stata considerata in sinonimia con VHildoceras bifrons Brug. ma poi ne è stata distinta per le sue diverse caratteristiche di ornamentazione. Distribuzione stratigrafica: la distribuzione stratigrafica di questa specie è limitata al Toarciano inferiore ed in particolare alla zona a Mercaticeras mercati (Hauer) in cui rappresenta la specie ti¬ pica di una sottozona (Donovan 1958). — 273 Distribuzione geografica : questa specie, molto diffusa in tutto il mondo si rinviene in particolare abbondanza nei terreni Liassici Italiani. Hildoceras caterinii Merla (Tavola III, fìg. 5) 1867-81 Ammonites bifrons Brug. Meneghini - pp. 10, tav. I, fìg, 3. 1933 Hildoceras caterinii Merla - pp. 53, tav. VII, fìg. 5. Ho esaminato tre esemplari di questa specie in discrete condi¬ zioni di fossilizzazione. Il grado di involuzione diminuisce negli ultimi giri e contempo¬ raneamente si ha una variazione di ornamentazione in quanto il carat¬ teristico solco che corre a metà del fianco compare solo in corrispon¬ denza della camera di abitazione. 1 DIMENSIONI: D H S L h/d S/D L/D S/H mm. 60 20 14 25 0,33 0,23 0,41 0,7 42 14 1 9 15 0,33 0,21 0,36 0,65 Questa specie è molto caratteristica e facilmente distinguibile e gli individui in mio possesso corrispondono perfettamente al tipo di Merla. Distribuzione stratigrafica : la distribuzione stratigrafica di questa specie è limitata alla parte più bassa del Toarciano. Distribuzione geografica: la distribuzione geografica di questa specie sembra essere limitata all’Appennino centro meridionale. Genere Mercaticeras Buckman 1913. Mercaticeras mercati (Hauer) 1856 Ammonites mercati Hauer - pp. 13, tav. XXIII, fìg. 4-5. 1867-81 » » Meneghini - pp. 33, tav. Vili, fìg. 1. 1933 Mercaticeras mercati Merla - pp. 45, tav. VI, fìg. 4-7. 1939 » » Ramaccioni - pp. 170. — 274 — 1943 Mercaticeras mercati Maxia - pp. 103. 1947 » » Lippi Boncambi - pp. 134. tav. II, fig. 2. Nella fauna damme studiata ho ritrovato un solo esemplare di Mercaticeras mercati (Hauer) in ottime condizioni di fossilizzazione. Anche se non è completo posso riscontrarvi sia l’ornamentazione che Tavvolgimento tipico della specie. DIMENSIONI: D H S L H/D S/D ! _ L/D S/H mm. 50 16 8 20 0,31 0.16 0,40 0,5 L'individuo da me esaminato non mostra alcuna traccia della linea lohale. Esso corrisponde perfettamente alla forma tipica ed a quelle citate in sinonimia. Distribuzione stratigrafica : la distribuzione stratigranca della specie in esame è limitata al Toarciano inferiore di cui in Italia, in facies di Rosso Ammonitico rappresenta la specie tipica della zona che porta il suo nome. Distribuzione geografica: la distribuzione geografica di questa specie non ha praticamente alcun limite ed essa si rinviene con la stessa abbondanza in faune di tipo europeo ed in faune di tipo americano. Famiglia Hammatoceratidae Buckman 1887 Sottofam. Phymatoceratinae Hyatt 1990m Genere Phymatoceras Hyatt 1867. Phymatoceras elegans (Merla) 1933 Denckmannia elegans Merla - pp. 17, tav. I, fig. 3-5-12. Ho attribuito a questa specie due individui in ottime condizioni di fossilizzazione che presentano ben evidenti rornamentazione e lo avvolgimento caratteristico. Essendo ambedue incompleti non dò alcuna dimensione. Non vi è alcuna traccia di linea lohale. — 275 — Distribuzione stratigrafica : la distribuzione stratigrafica di questa specie è limitata alla parte alta della zona a Brodieia bay ani (Dum). Distribuzione geografica : la distribuzione geografica di questa specie è limitata all’Italia ed al Bacino del Mediterraneo. Phymatoceras sp. Ho esaminato diversi frammenti di ammoniti cbe. dato il loro stato di conservazione non ho potuto determinare specificamente. In particolare posso dire che in alcuni di essi l’ornamentazione è del tipo Lillia mentre in altri del tipo Denckmannia e Phymatoceras (Merla 1933). Non posso dare alcuna dimensione ne è visibile la linea lobale. Distribuzione stratigrafica: la distribuzione stratigrafica di queste forme è limitata alla parte alta del complesso a M. Bulgheria e quindi posso dire che esse sono distribuite stratigraficamente nel Toarciano superiore. Distribuzione geografica : la distribuzione geografica di questo genere è molto ampia e si rinviene in quasi tutti i terreni liassici del mondo. Genere Brodieia Buckman 1898. Brodieia gradata (Merla) (Tavola testo I, fig. i) 1933 Brodiceras gradatimi Merla - pp. 36, tav. IV, fig. 6-8 < cuna syn.). 1947 » » Lippi Boncambi - p. 132. Ho attribuito a questa specie un frammento di giro abbastanza ben conservato che mostra parte della linea suturale. La conchiglia presente media involuzione e rornamentazione tende a scomparire in corrispondenza della camera di abitazione. La superficie della conchiglia si presenta coperta da una patina limonitica che contribuisce a mettere maggiormente in evidenza i diversi caratteri. — 276 D H s L H/D 1 S/D L/D S/H DIMENSIONI: mm. 30 10 6 12 0.33 0,20 0,40 0,6 Il mio individuo corrisponde perfettamente al tipo di Merla. Distribuzione stratigrafica : la distribuzione stratigrafica di questa specie è limitata al Toarciano superiore. Distribuzione geografica: questa specie da me rinvenuta a M. Bulgheria è stata finora rinvenuta solo nel Rosso Ammonito Umbro e Lombardo. Brodieia alticarinata (Merla) 1933 Brodiceras alticarinatum Merla - pp. 37, tav. IV, fig. 2. 1943 » » Maxiia - pp. 101, tav. II, fig. 2. 1947 » » Lipfi Boncambi - pp. 133, tav. V, fig. 1. Alla fauna appartiene un solo esemplare di questa specie. Esso è in buone condizioni di fossilizzazione e non ne faccio alcuna descrizione perchè la mia forma corrisponde perfettamente alle forme citate in sinonimia. DIMENSIONI: D H ! S L H/D S/D L/D S/H mm. 28 11 7 10 0,39 0,25 0,35 0,6 Non è visibile alcuna traccia di linea lobale. Distribuzione stratigrafica: la specie in esame è stata finora rinvenuta sempre nella parte più alta del Toarciano quindi a mio parere si può considerare tipica di questo piano. Distribuzione geografica : la distribuzione geografica di questa specie sembra essere limitata ai terreni italiani. — 277 Sottofam. Hammatoceratinae Buckman 1887 Genere Erycites Gemmellaro 1886 Erycites sp. Ho determinato come Erycites sp. ind. un frammento di giro di ammonite in cattive condizioni di fossilizzazione. DalFornamentazione parzialmente visibile e dalla sezione del giro ho potuto individuare le caratteristiche generiche. Per alcuni caratteri mi ricorda VErycites elaphus Merla ma non ho sufficienti elementi per poter affermare ciò. Non posso dare nessuna dimensione nè si vede la linea lobale. Distribuzione stratigrafica : la distribuzione stratigrafica di questo genere e della specie a cui potrebbe appartenere il frammento in esame è limitata all’Aaleniano. Distribuzione geografica: la distribuzione geografica di questa specie è limitata ai terreni italiani. Famiglia Graphoceratidae Buckman 1905 Sottofam. Graphoceratinae Buckman 1905 Genere Ludwigia Bayle 1878. Ludici già sp. Ho esaminato un’impronta di ammonite in ottime condizioni di fossilizzazione di cui ho ricavato un calco. L’individuo mostra tutte le caratteristiche del genere Ludwigia Bayle ; mentre l’avvolgimento e la sezione dei giri sono quelli della Ludwigia murchisonae (Sowerby) l’ornamentazione è troppo poco visi¬ bile per potermi permettere di fare una determinazione sia pur dubitativa. Distribuzione stratigrafica: questo frammento, raccolto in serie, si trova a M. Bulgheria nella parte alta del complesso, quindi nella zona a Leioceras opalinum (Rein). Famiglia Leioceratinae Hyatt 1867 Genere Leioceras Hyatt 1867. Leioceras opalinum ( Reinecke) (Fig. 6 testo, tavola lesto 1. fìg. 1, tav. IV, fig. 2-3) 1818 Nautilus opalinum Reinecke - pp. 55, tav. XLIX, fig. 1-2. 1935 Leioceras opalinum P. Dorn - pp. 55, tav. XXIV, fig. 3, tav. XXIX, fig. 3. — 278 — 1963 Leioceras opalinum Rieber - pp. 31, tav. VI, fìg. 2, tav. XIII. fig. a, tav. XVI, fìg. s-t ( curri syn.). La fauna da me presa in esame mi ha fornito due esemplari di Leioceras opalinum (Rein.) in ottime condizioni di fossilizzazione. Di ognuno di essi ho la relativa controimpronta. Non dò la descrizione della specie in quanto molto tipico ed esaurientemente descritta dagli AA. citati in sinonimia. DIMENSIONI: D H S L H/D S/D L/D S/H mm. 48 22 9 11 0,4 0,18 0,22 0,4 130 65 20 20 0,5 0,15 0,15 0,3 La specie in esame corrisponde a tutte quelle citate in sinonimia ma differisce morfologicamente da quella di Rieber ; lo stesso autore però dice il suo materiale è particolarmente deformato. Distribuzione stratigrafica : questa specie è caratteristica del- FAaleniano. Ad essa è associata una fauna molto speciale che è quella degli strati cosidetti a Leioceras opalinum (Rein.). Distribuzione geografica: la distribuzione geografica di questa specie è molto ampia ed essa si rinviene in tutto il mondo nei terreni dell’Aaleniano. In Italia pur essendo presente nelle facies di transizione in grande abbondanza è rara nelle facies di « Rosso Ainmonitico ». Conclusioni In questo studio sulla fauna di ammoniti di M. Bulgheria ho potuto fare diverse osservazioni. Bisogna osservare come livelli ad ammoniti non si rinvengono mai nella stessa località dei livelli ad aptici e ciò serve ancora una volta a provare come gli aptici rappresentino un sedimento di mare più aperto. Si potrebbe fare con uno studio accurato delle variazioni di fauna di ammoniti e di aptici una ricostruzione paleogeografica. I miei successivi lavori saranno impostati in questo senso. Nella fauna in esame la maggior parte degli individui appartiene 279 — alla superfamiglia Hildocerataceae Hyatt mentre i sottordini Phyllo- ceratina Arkell e Lytoceratina Hyatt sono scarsamente rappresen¬ tati. Se si ammette che Phylloceratina Arkell e Lytoceratina Hyatt siano forme batipelagiche mentre le Hildocerataceae Hyatt siano Fig. 6. — Leioceras opalinum Reinecke. (Disegno da fotografia in grandezza na¬ turale). forme di ambiente più neritico si traggono immediate conseguenze per il carattere neritico della formazione. Oltre a questo bisogna tener presente come solo in rari casi si hanno ammoniti intere in tutte le loro parti ; in genere o manca la camera di abitazione o mancano i primi giri ; tutto ciò fa pensare ad un ambiente di tipo neritico con profondità ridotta e variabile — 280 da punto a punto in modo che mentre in un punto si depositavano ammoniti, variando la profondità, altrove si depositavano aptici. All’accumulo delle ammoniti da parte delle correnti sarebbe dovuto lo stato di frammentarietà in cui si rinvengono i fossili. Faune simili a quella da me presa in esame sono state rinvenute in Calabria e Sicilia (Fucini 1905-1935; Gemellaro 1885-1886) ed in Italia centrale al Gran Sasso (Zuffardi 1914). In una tabella di distribuzione geografica (Tab. I) paragono la fauna da me studiata con quelle di Taormina, Gran Sasso, M. Domaro, Appennino centrale. La maggiore somiglianza la fauna la ha con quella dell’appennino centrale in quanto in questa regione tutti i livelli del Lias medio e del Lias superiore sono abbondantemente fossiliferi. Bisogna però osservare che nell’appennino centrale i piani sono rappresentati da complessi litologicamente distinti (Corniola e Rosso Ammonitico) mentre a Taormina, ed al Gran Sasso i complessi rappresentanti i diversi piani si presentano con notevoli analogie lito¬ logiche con quello delle « marne gialle ad ammoniti » di M. Bul- gheria ; ciò appare tanto più evidente se si pensa che mentre nell’Ap- pennino centrale si hanno facies più decisamente pelagiche a M. Bul- gheria, a Taormina ed al Gran Sasso si hanno delle facies di transizione. Nella tabella di distribuzione stratigrafica (Tab. Il) si può osser¬ vare come il complesso delle « marne gialle ad ammoniti rappresenti una serie comprensiva del Domeriano, Toarciano, Aaleniano in quanto nella fauna da me rinvenuta e studiata vi sono le principali specie tipiche delle zone di questi diversi piani. Ho intenzione di estendere lo studio sulle faune del Dome na¬ no- A ale ni ano ad altre località delFItalia meridionale e di fare delle correlazioni tra le varie faune in modo di poter distinguere in questi piani ed in queste facies di carattere tutto particolare delle zone con ammoniti. A questi studi intendo accompagnare degli studi di carattere ecologico sulle ammoniti. In conclusione posso dire che il complesso delle « marne gialle ad ammoniti » rappresenta i piani Domeriano, Toarciano, Aaleniano e che l’ambiente doveva essere di tipo neritico con bacino con pro¬ fondità variabile da punto a punto. Napoli . Istituto di Paleontologia , dicembre 1963. 281 LAVORI CONSULTATI Arkell W. J. 1933. 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Sopra alcuni Harpoceratidi di Taormini. Atti Soc. Econ. Palermo, pp. 1-20, tav. II, Palermo. Hauer W. 1856. Beitrage zur Kenntniss Capricorner. Sita. K. Akad. Wiss., t. XIII, Wien. Lippi Boncambi C. 1947. Ammoniti del lias superiore dell’ Umbria centrale. Riv. Ital. Paleont. e Stratigr., f. 4, pp. 123-152, tav. 2, Milano. Maxia C. 1943. La serie liassica nei M. Cornicolani e Lucretili. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. LXVII, Roma. Meneghini G. 1867-81. Monographie des fossiles du calcaire rouge am monitique de l’ombrie. Paleont. lombarde, 4eme serie, Milano. 1881. Fossiles du Mecolo. Paleont. Lomb., 4eme serie, Milano. Merla G. 1933- 34. Ammoniti giurasi dell’Appejinino centrale presenti al Museo di Pisa. Paleont. Ital., voi. XXXIII. pp. 1-54, tav. Vili, voi. XXXIV, fig. 5, tav. IV, Pisa. Mitzopulos S. 1930. Cephalopoden aus den B riama . Pragmata Akad. Athene, t. B 1. Monestier E. 1921. Ammonites toarcien de V Aveyron. Mem. Soc. Geol. Frane., T. 54. 1931. 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Sono state infatti rinvenute tra le specie tipiche del Domeriano Canavaria haugi (Gemellaro) e F ontanelliceras fontanellense (Gemellaro); tra le specie ti¬ piche del Toarciano Hildoceras bifrons (Brucuiere), Mercaticeras mercati (Hauer), Hildoceras sublevisoni Fucini, Hildoceras semipolitum Buckman ; testimoniano la presenza dell’Aaleniano Leioceras opalinum (Reinecke), Ludwigia sp., Erycites sp. La facies è di tipo neritico in quanto la maggior parte delle specie appartiene alla superfamiglia Hildocerataceae Hyatt. È la prima volta che si segnala la presenza di una cosi ricca fauna di ammo¬ niti per la regione; precedenti studi avevano segnalato solo tre specie (Dì Ste¬ fano 1894). Faune simili a questa in esame sono state rinvenute al Gran Sasso, in Calabria ( Bocchi gliero, Longobucco), in Sicilia (Taormina, Palermo, Trapani). Esse sono in genere caratteristiche delle facies di transizione. RÉSUMÉ Dans ce travail on parie de la faune d’Aminonites qui a été trouvé à M. Bulgheria (Salerno). Cette faune a été trouvé dans les marnes jaunes avec ammonites «marne gialle ad ammoniti» (Dì Stefano 1894), 284 — Les marnes representent un complex de couches du Domerien, Toarcien et Aalenien. On trouve dans la partie inferieure du complex Canavaria haugi (Gemellaro) et Fontanelliceras fontanellense (Gemmellaro), éspéces Domeriennes. Dans la partie moyenne on trouve Mercaticeras mercati (Hauer), Hildoceras bifrons ( BruguiÈre), Hildoceras semipolitum Buckmann, Hildoceras sublevisoni Fucini éspéces tipiques du Toarcien; dans la partie superieure du compex on trouve Leioceras opalinum (Reinecke) tipique du Dogger Inférieur. La facies est une facies neritique. C’est la première fois qu’on trouve une si riche faune d’Ammonites dans la région de Salerno; avant pour cette région on ne connessait pas que trois éspéces. Une faune comme celle de M. Bulgheria on peut la trouver au Gran Sasso, en Calabria (dans la région de Bocchigliero et Longobucco) et à Taormina et Palermo en Sicile. SUMMARY In this work is described an Ammonites fauna from M. Bulgheria (Salerno). This fauna is found in yellow marls « marne gialle ad ammoniti » (Di Stefano 1894). This complex is representative of Domerian, Toarcan and Aalenian. We have on thè lower part of thè complex Canavaria liaugi (Gemellaro) marker of Domerian with Fontanelliceras fontanellense (Gemmellaro); in thè middle part Mercaticeras mercati (Hauer), Hildoceras bifrons ( Brucuiere), Hildoceras sublevisoni Fucini; Hildoceras semipolitum Buckmann, Phymatoceras elegans (Merla) all species markers of Toarcian. On thè higher part of thè complex we have Leioceras opalinum (Reinecke) marker of lower Dogger. The facies of thè complex is neritic. It is first time that we note a rich ammonites fauna in Campania (South of Italy). We have similar fauna in Gran Sasso, in Calabria (near Bocchigliero and Longobucco) in Sicily (Near Taormina and Palermo). In thè past we know for M. Bulgheria only tree species of ammonites. TAVOLA 1. Linee lobali delle ammoniti di M. Bltlgheria Fig. 1. — Linea lobale di Leioceras opalinum (Reinecke), in grandezza naturale. Fig. 2. — Linea lobale di Lytoceras dorcadis (Meneghini), in grandezza naturale. Fig. 3. — Linea lobale di Calli phylloceras spadae (Meneghini), in grandezza na¬ turale. Fig. 4. — Linea lobale di Brodieia gradata ( Merla), in grandezza naturale. Boll. Soc Nat. in Napoli, 1963. Barbera C., La fauna di M. Bulgheria, eco. - Tav. 1. TAVOLA 2. Profilo geologico deiraffioramento del « Complesso delle marne gialle ad ammoniti » a B. Bulgheria località Vrugolego. Scala 6 cin = 100 m. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963. Barbera C., La fauna di M. Bulgheria , ecc. - Tav. 2. TAVOLA I. Fig. 1. — Calliphylloceras spadae (Meneghini). Marne gialle ad ammoniti di Torre spinosa (Scario) x 1.5. Fig. 2. — Particolare della figura precedente x 2. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963. Barbera C., La fauna di M. Bulgheria, ecc. - Tav. I. TAVOLA II. Fig. 1. — Canavaria haugi ( Gemmellaro). Marne gialle ad ammoniti; V rugolego (M. Bulgheria) ; grandezza naturale. Fig. 2. — Hildoceras sublevisoni Fucini. Marne gialle ad ammoniti; Serra Pernia ; grandezza naturale. Fig. 3. — Hildoceras sublevisoni raricostaum Mitzopulos. Marne gialle ad ammoniti; Toppa Caruselle; grandezza naturale. TAVOLA III. Fig. 1. — Hildoceras bìfrons (Bruguiere). Marne gialle ad ammoniti ; Vrugolego (M. Bulgheria) ; grandezza naturale. F g. 2. — Blocco di roccia con Hildoceras sublevisoni raricostatum Mitzopulos. Marne gialle ad ammoniti; Torre spinosa (Scario); x l/j. Fig. 3. — Lamellaptychus sp. Marne gialle ad ammoniti: Tragara (presso Licusati) ; grandezza naturale. Fig. 4. — Hildoceras sublevisoni Fucini. Marne gialle ad ammonti; Torre spin si (Scario); grandezza naturale. Fig. 5. — Hildoceras caterinii Merla. Marne gialle ad ammoniti; Vrugolego (M. Bulgheria): grandezza naturale. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963. Barbera C., La fauna di M. Bulgheria , ecc. - Tav.. III. 4 Fig. 1. Fig. 2. Fig. 3. Fig. 4. TAVOLA IV. — Hildoceras semipolitum Buckmann. Marne gialle ad ammoniti; Torre spinosa (Scario); grandezza naturale. — Leioeeras opalinum ( Reenecke). Marne gialle ad ammoniti ; Torre spinosa ( Scario) ; xl/2. — Leioeeras opalinum ( Reinecke). Marne gialle ad ammoniti; Vrugolego (M. Bulgheria) ; frammento grandezza naturale. — Harpoceras faciferum ( Sowerby). Marne gialle ad ammoniti; Serra Pernia; grandezza naturale. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963. Barbera C., La fauna di M. Bulgheria, ecc. - Tav. IV. Bocca eruttiva presso Presenzano (Caserta) Nota del socio ITALO SGROSSO e del dott. ROSARIO AIELLO (*) (1) (Tornata del 27 dicembre 1963) A lato della strada che sale a Presenzano (margine centro-orien¬ tale della tavoletta 161-III-SW-Mignano Montelungo e centro-occiden¬ tale della tavoletta 161-III-SE-Pratella), trecento metri circa prima dell’abitato, è aperta una grossa cava di pietrisco che utilizza il mate¬ riale lavico di una colata che si estende per alcune centinaia di metri quadrati. La località, nella tavoletta « Pratella » è designata come « Cave di S. Rocco » ed è situata a circa 300 m. di quota. In questa zona affiorano dolomie bianche, cristalline, ben strati¬ ficate, talora zonate e con stratificazione interna, prive di fossili signi¬ ficativi ; esse vengono attribuite, per la loro posizione nella serie, all’Infralias, cioè all’intervallo stratigrafico compreso tra il Trias supe¬ riore fossilifero ed il Lias fossilifero. Questi sedimenti sono ricoperti, soprattutto nella parte bassa del versante, da una breccia ad elementi prevalentemente dolomitici, a spigoli vivi e cemento calcitico talora rossastro, la quale, mal stratificata, poggia con inclinazione conforme al pendio e, con spessore decrescente verso l’altro, ricopre, più o meno uniformemente la serie mesozoica sino a circa 350 m. di quota. La base del rilievo è inoltre coperta da un’ingente quantità di detrito calcareo-dolomitico sciolto, misto a materiale piroclastico prevalente¬ mente humificato ; verso i 300 m. di quota invece affiora il materiale lavico con spessore variabile da pochi centimetri a circa dieci metri ( lungo il fronte di cava). Questa lava si presenta di colore grigio-ferro ed a tessitura com¬ patta in tutto il proprio spessore, tranne che nella zona superficiale, dove per circa un metro e talora sino a tre metri, appare scoriacea e (*) La presente nota, scritta in stretta collaborazione dai due Autori, s’inquadra nei lavori di completamento ed aggiornamento della Carta Geologica d’Italia eseguiti per conto del Servizio Geologico d’Italia sotto la direzione scientifica del Prof. Fran¬ cesco Scarsella. (1) Lavoro eseguito con il contributo del C. N. R. — 286 — talora fortemente alterata ed in parte Immifìcata ; in questo caso assume un colore caratteristico giallo-rossastro. Sono presenti numerose dia¬ clasi che facilitano la coltivazione della cava. Abbastanza frequenti nella massa sono degli inclusi tondeggianti, biancastri e friabili, con Fig. 1. — Ubicazione della bocca eruttiva (triangolino nero) rispetto alle lave ed ai tufi del Roccamonfina (spazio quadrettato); il tratteggio orizzontale rappre¬ senta gli affioramenti della serie calcareo-dolomitica prevalentemente mesozoica e lo spazio bianco le alluvioni ed i tufi rimaneggiati. diametro variabile da pochi centimetri ad oltre trenta, costituiti in prevalenza da minerali argillosi (2). Da notare inoltre la presenza (2) Questi minerali probabilmente dovuti all’aterazione degli originali inclusi dolomitici a contatto con la lava sono attualmente in corso di studio da parte del dott. Errico Franco dell’Istituto di Mineralogia dell’Università di Napoli. — 287 — di grossi fenocrislalli di leucite e di augite di origine primaria con¬ centrati in alcune zone della massa lavica ; sono poi riconoscibili, anche se non molto frequenti, bei cristalli esagonali di mica biotite, con diametro sino a 2 cm. Fig. 2. — Fronte di cava, dell’altezza di 10 m. circa. È ben visibile in primo piano il paleosuolo sottostante alla colata All’esame microscopico sono evidentissimi i cristallini di leucite che costituiscono la massa di fondo (Tav. 1, figg. 1 e 2) e, in misura molto minore, i cristallini femici di pirosseno augitico (Tav. 1, fig. 3) ed egirinico ( egirinaugite) ; sono anche presenti cristallini più o meno alterati di mica biotite; minerale accessori: la magnetite (Tav. 1, fig. 4) e l’olivina; il tipo magnatico corrispondente a questa associa¬ zione mineralogica è il leucititico. Data la relativa vicinanza del bacino magmatico del Roccamonfìna questa lava si può inquadrare nella serie stratigrafica di questo vulcano, e, più precisamente è da riferirsi ad uno dei primi periodi di attività 288 — per Io meno da quanto risulta da studi stratigrafici eseguiti nel settore meridionale di questo apparato vulcanico ( 3). La particolarità di questa lava consiste nella giacitura ; essa infatti fuoriesce da una faglia che interessa le dolomie e le brecce che la Fig. 3. — Incluso argillificato nella massa lavica. ricoprono ; l’apertura principale da cui è stato emesso questo mate¬ riale non è visibile perchè ricoperto dalla lava stessa ; è invece visibile, proprio alLaltezza della strada nei pressi della cava, il contatto late¬ rale con le brecce, che vengono anche, parzialmente, ricoperte da una piccola parte della colata. È questa la prima segnalazione, nelle zone adiacenti al Rocca- monfina, di una bocca vulcanica con siffatta giacitura; anche nei dintorni del Somma- Vesuvio, a quanto ci consta, non sono segnalati fenomeni simili, mentre invece situazioni analoghe sono da tempo note nei monti Ernici. Lungo i bordi dello stesso rilievo più a Sud esistono altri affioramenti analoghi in corso di studio. (3) Aiello R., Studi petrografìci sul settore meridionale del vulcano di Roc- camonfina. Rencl. Acc. Se. fìs. e mat., 4, XXIX (1962), Napoli. — 289 A I di sotto della lava, e frapposto tra questa e le brecce, si nota in più punti la presenza di un materiale argilloso rossastro, parzial¬ mente alterato, che talora è frammisto a detrito minuto, dolomitico, anch’esso parzialmente alterato; lo spessore di questo materiale, dove Fig. 4. — Contatto (tratteggiato) tra le brecce (A) e la lava (B) alterata e scoriacea. è stato possibile misurarlo, e cioè sotto il fronte di cava, può raggiun¬ gere i tre metri. I frammenti dolomitici contenuti in questo materiale appaiono tanto più alterati quanto più ci si avvicina alla zona di contatto con la colata, dove appaiono argillificati nella stessa maniera degli inclusi della lava. Si tratta probabilmente di un paleosuolo formato in pre- — 290 — valenza di materiale piroclastico ; non è da escludere però che possa trattarsi di lembi residui di una formazione lacustre (4) che si esten¬ deva intorno ai 300 m. di quota e poggiava sui bordi dei rilievi meso¬ zoici che circondano Ja pianura; infatti lateralmente alla colata, verso N, affiora un piccolo lembo di questa formazione. Anche questo sedi¬ mento lacustre è formato in prevalenza da materiali piroclastici più Fig. 5. — Sezione rappresentativa del lutto schematica della zona ad W della cava di pietrisco nei pressi di Presenzano. o meno argillificati ; fra i minerali argillosi predomina Lhalloysite nella forma più idrata (4H20). A quote superiori a quelle di questo affioramento, più esteso e potente, si trovano numerosi altri piccoli affioramenti di materia¬ le lavico, che presentano, in proporzioni ridotte, la stessa giacitura della lava sottostante ; infatti a varie altezze, sino a circa 409 m. di quota, si vedono fratture o faglie di piccolissimo rigetto, da cui fuori¬ escono masserelle di lava, la quale, al contatto con le dolomie o le brecce appare scoriacea ed alterata, e spesso ingloba frammenti dolo¬ mitici. Al di sotto di queste fratture si trovano piccole colate estese per alcune decine di metri quadrati. Queste faglie sono tutte alFincirca parallele fra loro ed alla faglia principale, a forte rigetto, che con direzione all’incirca N-S borda il rilievo in questa zona. (4) Lo studio di questa formazione lacustre è stato effettuato da Tullio Pe¬ scatore ed Italo Sgrosso c sarà reso nolo in un lavoro di prossima pubblicazione. — 291 — È sintomatico inoltre che nei pressi di queste grandi faglie che limitano i massicci mesozoici (nei dintorni del Roccamonfina), spe¬ cialmente dove affiorano i terreni più antichi, si abbiano manifesta¬ zioni di acque minerali ed emissioni di C02 (Rialto, Pratella...) (5). Napoli, Istituto di Geologia dell' Università* dicembre 1963. RIASSUNTO Viene segnalata per la prima volta e descritta una bocca eruttiva che ha la parti¬ colarità di fuoruscire da fratture che si aprono nella dolomia della serie mesozoica calcareo-dolomitica che affiora nelle vicinanze di Presenzano (Caserta). La lava che fuoriesce da queste fratture è una leucitite e pertanto viene consi¬ derata appartenente al vicino bacino magmatico del Roccamonfina. RÉSUMÉ Les Auters decrirent une bouche eruptive, jamais signalé jusqu’aujourd’hui. Elle a la particularité de sortir par des fractures qui s’ouvrent dans la dolomie de la sèrie mesozoique calcaire-dolomitique prés Presenzano (Caserta). La lave qui sortes par ces fractures est una laucitite; pour cela elle est con- sidéré faisant partie du voicin bacili magmatique du Roccamonfina. SUMMARY The Autors describe a eruptive mouth, never signaled till now ; thè mouth has thè peculiarity of coming out from some rifts, which open into thè dolomia of thè mesozoic ealcareous-dolomitic series near Presenzano (Caserta). The lava coming out from these rifts is a leucitite and therefore it has been considered as belonging to thè neighboring Roccamonfina magmatic basin. (5) Ringraziamo il Prof. Antonio Scherilf.o per i consigli di cui ci è stato prodigo e per l’interesse mostrato al nostro lavoro. Tavola I. Fig. 1. — Cristallini di leucite che costituiscono la massa di fondo. Preparato P7 ( X 40). Fig. 2. — Leucite a Nicols incrociati Preparato P3 ( X 60). Fig. 3. — Pirosseno augite. Preparato P5 ( X 60). Fig. 4. — Cristallini di magnetite. Preparato P5 ( X 40). Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1953 : Sgrosso I., Aiello R. Bocca eruttiva , ecc . - Tav. I. 3 4 I Isolamento delie y -globuline da plasma di coniglio iperimmune Nota del socio TEODORO DE LEO e del Dott. AUGUSTO BIONDI (Tornata del 27 dicembre 1963) 1) Premessa Nel corso di ricerche, per le quali era necessario disporre di anti¬ proteine, fu preso da noi in considerazione Pisolamento, nelle migliori condizioni, di v-globuline immunologicamente attive dal plasma di coniglio. Dall’esame della relativa letteratura due metodi apparvero adatti allo scopo e cioè la precipitazione frazionata mediante salatura o quella mediante solventi organici a basse temperature. Ricerche preli¬ minari ci fecero scartare il primo metodo in quanto esso è notevol¬ mente lungo, dovendosi allontanare per dialisi le elevate quantità di sale precipitante e tale operazione dava origine ad inconvenienti diversi quali l’inquinamento batterico delle proteine, il decadimento della loro attività specifica immunitaria ecc. ecc. Siamo stati indotti da tali considerazioni a verificare se il secondo metodo ed in particolare quello di Cohn, utilizzato finora solo per il frazionamento delle proteine del plasma umano, fosse o meno appli¬ cabile all’isolamento delle antiproteine da plasma di coniglio. Nella presente nota riferiamo i risultati ottenuti. 2) Parte sperimentale e risultati 2-1. Soluzioni e materiale adoperato. a) Tampone acetato : si prepara unendo due volumi di sodio acetato 4 M. con quattro volumi di acido acetico 10 M e portando il — 294 — tutto a dieci volumi con acqua distillata; il tampone ha una molarità di 0,8 e un pH. = 4. b) Alcool etilico : si utilizza una soluzione di alcool in acqua al 53,3% (v/v) avente una densità a 25°C — 0,919. c) Sodio bicarbonato 0,01 M. d) Sodio cloruro 0,0015 M. e) Tampone acetato - bicarbonato: si prepara sciogliendo, in 63 mi di sodio acetato 4 M, 15,2 g di sodio bicarbonato ( = 0,19 M) e portando il tutto ad 1 litro con acqua. Il tampone ha una mola¬ rità = 0,44 ed un pH = 7,9. /) Centrifuga refrigerata International mod. PR 1. 2-2. Preparazione del plasma iperimmune. Il plasma di coniglio iperimmune si preparava trattando con antigeni proteici conigli maschi adulti, a giorni alterni ed a dosi cre¬ scenti e cioè con 2 mg per il primo ciclo di tre iniezioni, 4 mg per il secondo e 8 mg per il terzo ; delle tre iniezioni le prime due venivano praticate per via sottocutanea, la terza per via endovenosa. Durante tale periodo Fattività anticorpale del sangue veniva periodicamente sag¬ giata prelevandone campioni ed analizzandoli sia su piastra che in provetta. Alla fine dei tre cicli di iniezioni si raggiungeva di regola la massima attività anticorpale; gli animali venivano, allora sacrifi¬ cati, il sangue prelevato, reso incoagulabile con citrato sodico (12 ml/90 mi sangue) e da esso si otteneva per centrifugazione il plasma. Su di esso veniva sempre dosata la concentrazione proteica totale col metodo del biureto secondo Gornall [1]. Alla fine del terzo ciclo, è stata saggiata l’attività anticorpale del siero ; la presenza di anticorpi in quantità sufficiente è stata rive¬ lata mediante la tecnica di diffusione su agar e dopo 18 ore si è potuto osservare una netta banda di precipitazione; è stato inoltre osservato la presenza di un precipitato in provetta nelle quali sono state poste quantità di siero diluite fino 1:10240 con quantità fissa Tantigene ; per tutti i sieri si è potuto osservare la presenza del precipitato fino alla diluizione di 1:5120. 2-3. Isolamento delle y-globuline. L’isolamento delle fu da noi effettuate utilizzando, il metodo VI di Cohn [2] a cui furono apportate diverse modifiche. — 295 — Tale metodo consta, di tre precipitazioni (vedi schema in figura N. 1) eseguite nel modo seguente: a) prima precipitazione : il valore del pH del plasma viene aggiustato a 7,2 mediante il tampone di acetato e la sua concentra¬ zione proteica portata, mediante acqua distillata, al 5,5%; il tutto si porta, poi, alla temperatura di — 3°C, agitando lentamente per evitare la formazione di ghiaccio e a tale temperatura si aggiunge, nello spazio di un ora, tanto etanolo da ottenere una concentrazione finale di esso dell’8% (177 mi etanolo/litro plasma). Dopo aver lasciato il tutto a — 3 C per tre ore si separa il precipitato formatosi per centrifugazione (550 g x 30' a — 3 C) ottenendo così il precipitato 1 e il supernatante I. b) seconda precipitazione : il valore del pH del superantante I viene stabilizzato mediante aggiunta di NaHC03 0,01 M (15 ml/litro supernatante) che forma, con la C02 presente nel plasma, un tam¬ pone; successivamente, mediante aggiunta del tampone acetato, si porta il valore del pH a 6,7. Con le stesse precauzioni descritte in precedenza il tutto si porta alla temperatura di — 6°C e si aggiunge nello spazio di tre ore, tanto alcool etilico, da ottenere una concen¬ trazione finale del 25%. Il tutto si lascia alla stessa temperatura per altre quattro ore ed infine centrifugando (550 g x 30' a — 6°C) si ottengono precipitato li ed il supernatante II. c) terza precipitazione : il precipitato II, disciolto in NaCl O, 0015 M, in modo da ottenere una concentrazione proteica dell’1% viene portato a pH 7,2 mediante tampone di acetato-bicarbonato; si aggiunge poi, dopo aver portato il tutto a — 5cC, tanto alcool etilico da portare la concentrazione finale al 20% (480 ml/litro soluzione) effettuando l’aggiunta al solito modo e nello spazio di 3 ore. Dopo altre tre ore alla stessa temperatura si centrifuga (550 g x 1 ora a — 5cC) ottenendo così il precipitato III. Il precipitato III viene sciolto in tampone di fosfato in modo da ottenere una soluzione proteica alla concentrazione voluta. Il metodo è stato da noi controllato sottoponendo ad elettroforesi su carta sia il plasma di partenza, sia il supernatante I e II sia i pre¬ cipitati I, II e III. I risultati riportati nella tabella e nella figura N. 2 mostrano che la prima precipitazione isola dal plasma di coniglio, che contiene sei frazioni proteiche separabili per elettroforesi, nel supernatante I cinque frazioni; successivamente la seconda precipita¬ zione isola, nel precipitato II y-globuline impure da albumine e %glo- buline. La terza precipitazione dà y-globuline pure. — 296 — In definitiva le modifiche da noi apportate al metodo VI di CoHN per renderlo applicabile airisolamento delle ^-globuline di coniglio sono le seguenti : a) nell’eseguire la seconda precipitazione il pH del superna¬ tante I fu portato da 6,9 (valore originale del metodo) al valore 6,7 in quanto effettuando col plasma di coniglio la precipitazione a 6,9 il supernatante II contiene ancora ^-globuline, cioè la seconda precipi¬ tazione a tale pH non è quantitativa. b ) per ottenere un pH 6,7 si tamponò prima con una soluzione di NaHCOg 0,01 M evitando così la influenza variabile da campione della C02 disciolta nel plasma, sul tampone di acetato successivamente aggiunto per portare il pH al valore desiderato. c) il precipitato II fu purificato col metodo di Deutch e coll. [3] che permette di ottenere ^-globuline pure. (Tale procedi¬ mento non è seguito nel metodo di Cohn). 3) Conclusioni. Le modificazioni su riferite apportate al metodo di Cohn VI, messo a punto dalTA. per isolare le frazioni proteiche del plasma umano, ci hanno permesso Tisolamento dal plasma iperimmune di co¬ niglio delle frazioni y-globuliniche ad elevato grado di purezza ritro¬ vabile mediante elettroforesi. Tale metodo notevolmente rapido, in quanto l’isolamento delle Y-globuline può essere portato a termine nello spazio di circa 16-18 ore, risultò di particolare utilità, non solo per la separazione di y-globuline pure dal plasma normale di coniglio ma anche per la sepa¬ razione di y-globuline pure dal plasma di coniglio iperimmunizzato con riduzione al minimo del decremento dell’attività specifica im¬ munitaria. A tale scopo si è proceduto come per i sieri interi, alla eviden¬ ziazione dell’attività antieorpale sia mediante diffusione su agar, sia mediante precipitazione in provetta con diluizione crescente di y-globuline. Si è potuto osservare che non vi è stata diminuzione della atti¬ vità antieorpale in quanto il precipitato era visibile anche con dilui¬ zione 1 : 5120. Esso quindi si presta bene sia nel campo della ricerca scientifica che in quello della preparazione a scopi terapeutici di tali sostanze. — 297 — TABELLA Risultati del controllo elettroforetico del metodo di isolamento delle ^-globuline dal plasma di coniglio. Elettroforesi n. Materiale sottoposto a migrazione Risultati 1 Plasma Frazioni Albumine, Globuline ai , ci, , fi, , fio e y . 2 Supernatante I Albumine, Globuline 04 , a2 , B, e y . 3 Precipitato 1 Albumine e Globuline B2 . 4 Supernatante 11 Albumine, Globuline 04 , a2 e B, . 5 Precipitato 1 1 7 4- tracce Albumine e B-Glo- buline. 6 Precipitato III y-Globuline. Metodo: Apparecchio verticale tipo Williams [4]; tampone dietilbarhiturato pH 8,6. u 0,075; carta Whatman n. 1; volts 200/striscia lunga 36 cm ; 1 mA/strisc?a larga 4 cm; durata separazione 18 ore. RIASSUNTO Gli AA. hanno messo a punto un metodo rapido e adatto per l’isolamento delle y-globuline nel plasma di coniglio iperimmune, controllando mediante elettroforesi su carta e determinazioni immunologiche, le varie operazioni eseguite. SUMMARY The AA. have performed a fast and suitable method for thè isolation of y-glo- bulins from iperimmune rabbit plasma, by cecking thè various steps of thè method with paper electrophoresis and immunological determinations. BIBLIOGRAFIA [1] Gornall A. G., J, Biol. Chem., 751, 177 (1949). [2] Cohn E. J., Strong L. E., Hughes W. L. Jr., Muldford D. J.. Ashworth J. N., Melin M. and Tailor H. L. J. Am. Chem. Soc., 459, 68 (1946). [3] Deutsch H. F., Gosting L. J., Alberty R. A. and Williams J. W. J. Biol Chem., 109, 164 (1946). [4] Williams F. G. et al., Science, 829, 121 (1955), Ili PRECIPITAZIONE II PRECIPITAZIONE I PRECIPITAZIONE — 298 — PLASMA pH 7,2, concentrazione proteica 5,5% tem¬ peratura — 3°C; concentrazione in alcool eti¬ lico 8% tempo 4 ore; Centrifugazione a 550 g x 30' a — 3°C PRECIPITATO - 1 SUPERNATANTE - 1 pH 6,7 ; temperatura — 6°C con¬ centrazione in alcool etilico 25% tempo 6 ore; Centrifugazione a 550 g x 30' a — 60°C PRECIPITATO - II SUPERNATANTE - II Si scioglie in NaCl 0,0015 M con¬ centrazione proteica 1%; pH 7,2; temperatura — 5°C ; concentrazio¬ ne finale in alcool etilico 20% ; tempo 6 ore (centrifugazione a 550 g x 60' a — 5°C) PRECIPITATO - III Fig. 1. — Schema del metodo per Lisciamento delle y-globuline dal plasma di coniglio. Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963. De Leo T. e Biondi A., Isolamento delle y-globuline, eco. Controllo elettroforetico del metodo d’isolamento delle y-globuline dal plasma di coniglio STUDI SPELEOLOGICI E FAUNISTICI SULL'ITALIA MERIDIONALE SUPPLEMENTO AL BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI IN NAPOLI N. 26 Aprile 1963 La grotta del “Festolaro,, presso l’abitato di Valle dell’Angelo (Cilento) e il suo significato nel quadro della evoluzione del carsismo silentino Nota del socio BRUNO D’ARGENIO (Tornata del dì 25 aprile 1963) Premessa. Uno degli aspetti morfologici più caratteristici dei gruppi cal- careo-dolomitici mesozoici del Cilento, e di quello del M. Cer- vati in particolare, è indubbiamente rappresentato dal contrasto tra le forme giovanili e ardite che li scompongono e li delimitano, impo¬ nendosi immediatamente all’osservatore, e le superaci antiche, pene- planate e ricchissime di fenomeni carsici, sollevate ad altezze spesso superiori ai mille metri, e conservate per tratti anche estesi. L’intenso sollevamento, iniziato già prima della fine del Pliocene e continuato durante il Quaternario, ha provocato l’infossarsi della rete idrografica e lo svilupparsi del carsismo ipogeo che è tra i carat¬ teri geomorfologici peculiari della regione. La grotta del Festolaro, che costituisce l’oggetto di questa nota, è infatti una delle numerose cavità carsiche di cui il gruppo del Cer- vati è ricco, e non certo delle più grandi. Tuttavia mi hanno indotto a segnalarla e a descriverla alcune sue caratteristiche particolari che consentono interessanti considerazioni non solo sulla grotta ( 1), come fatto morfologico elementare, ma anche sui fenomeni carsici ipogei del Cilento ; il loro studio sistematico e la loro interpretazione gene- (*) (*) Lavoro eseguito col contributo del C. N. R. (1) L’esplorazione ed il rilevamento della grotta del Festolaro furono eseguiti in più riprese tra i mesi di giugno e settembre 1961. Desidero ringraziare qui gli amici dottori Tullio Pescatore ed Antonio Vallario per la loro collaborazione, rispettivamente nel rilevamento della grotta e nelle escursioni orientative sul terreno. — 300 — rale vanno inquadrati nella storia geologica della regione, rappresen¬ tando, nella evoluzione geomorfologica di quest’ultima, un momento che va considerato nel suo divenire: cioè quale anello di congiunzione tra i fatti stratigrafici, tettonici e morfologici antichi e i fatti geomor¬ fologici attuali. I. Dati catastali La grotta del « Festolaro » è ubicata sul versante occidentale del Monte l’Ausinito, gruppo del Cervati, in tenimento del Comune di Valle dell’Angelo (Salerno) e non era finora nota che localmente. La grotta non è segnata sulla tavoletta « Pruno » dell’I.G.M. (F. 209 Vallo della Lucania, I NE, Pruno), risulta invece segnata un’altra cavità, a quota 1000 circa, sempre sul versante occidentale del- FAusinito. La grotta del « Festolaro » è ubicata a quota 635, nell’impluvio a sud della località Piano del Pero ; questo impluvio, che confluisce nel F. Calore dopo un percorso di circa 300 metri, è orientato da est ad ovest, quasi nel proseguimento delFultimo tratto del Calore stesso prima dell’abitato di Laurino. Le coordinate I.G.M. (sistema U.T.M.) sono 33 T WE 301 647. Anche la sorgente che sgorga presso la grotta è riportata ad una quota di oltre 15 metri più in basso, cioè a quota 607 anziché 625. La grotta del Festolaro. La grotta, limitata a monte e a valle da due laghetti, ha uno sviluppo complessivo di circa 160 metri così ripartiti: cunicolo d’in¬ gresso e diverticoli ciechi presso l’ingresso: m. 14; galleria superiore: in. 56; cunicolo e caverna inferiori e laghetto a valle: m. 68; galleria terminale e laghetto a monte: m. 24. La distanza massima tra i due punti estremi del convacuo è di circa 95 metri, il dislivello tra il fondo del laghetto a monte e quello del laghetto a valle è di poco superiore ai 10 m. ; pertanto questa cavità, nel complesso, può considerarsi un paravacuo (2). Si accede alla grotta da un cunicolo di piccolo diametro attra¬ verso cui si penetra nel corridoio superiore, dopo un tratto in pendio (2) Poiché non disponiamo, a tutt’oggi, di una terminologir speleologica univer¬ salmente accettata e, d’altro canto, si rende necessario nella descrizione l’uso di — 301 ricoperto da detrito convogliato nella grotta dalle acque meteoriche, che percorrono l’impluvio esterno. Appena all’altezza della galleria superiore si apre sulla sinistra un cunicolo che, dopo un percorso di 8 metri in leggero pendio, si biforca interrandosi però rapidamente ; inoltre una fessura, appena all’inizio del corridoio, mette quest’ultimo in comunicazione con una caverna che costituisce la parte terminale del cunicolo inferiore. a) Galleria superiore . La galleria superiore ha un profilo a contropendenze, con una sezione trasversale complessa in cui ad una iniziale morfologia che- mioclastica si è sovrapposta in più punti una morfologia graviclastica ; ne risulta pertanto una cavità a profilo trasversale più sviluppato in larghezza che in altezza con restringimenti che rendono faticoso in alcuni punti il passaggio, soprattutto quando le frange stalattitiehe che pendono dal soffitto e i crostoni stalagmitici che pavimentano la cavità provocano ulteriori diminuzioni dell’altezza della galleria. In alcuni punti fessure strette e impraticabili mettono in comunicazione la galleria col sottostante cunicolo. Nel tratto iniziale e in quello medio esistono inoltre due pilastri stalattostalagmitici di non rilevante diametro. Inoltre alcune aree della volta, soprattutto in corrispondenza di distacchi recenti, sono tapezzate da piccole stalattiti tubulari. b) Galleria terminale. Dopo un percorso di circa 56 metri si apre verso est una seconda galleria, lunga circa 20 metri, alta da 3 a 5 metri e larga da 3 a 7 metri, in cui la morfologia graviclastica non ha che in piccola parte obliterato la precedente morfologia chemioclastica. Più limitati risultano anche i processi di incrostazione, forse per la maggiore distanza dall’ingresso di questa parte della grotta. Anche durante la stagione estiva il pavimento della galleria è parzialmente allagato dalle acque che traboccano dal laghetto, che termini ben definiti nel loro significato soprattutto sistematico, ho ritenuto oppor¬ tuno limitarmi a quei termini di cui esiste una definizione aggiornata e precisa. A questo scopo oltre che della letteratura speleologica recente, mi sono servito in particolare dei due pregevoli lavori sui problemi della nomenclatura speleologica d Anelli (1959) e Maucci (1961). — 302 — rappresenta la prosecuzione verso est della galleria stessa e l’ultima parte della grotta. Alla estremità occidentale di questa galleria vi è l’imboccatura del cunicolo inferiore. c) Laghetto a monte. Il pavimento della galleria terminale si deprime verso est, dando luogo ad una cavità di forma ovale della lunghezza di circa 8 metri, con una sezione subcircolare del diametro di 5 metri circa, occupata dalle acque per un'altezza di 1,5 m. durante la stagione estiva e con una strozzatura mediana in corrispondenza della quale una frangia di stalattiti scende fin quasi a lambire le acque, costituendo un diaframma che rende poco agevole il passaggio. All’estremità orientale del soffitto si apre un camino, del dia¬ metro di 60 centimetri. Il profilo di questa parte della grotta è modellato da fatti effo- rativi che appaiono evidenti soprattutto nell’estremità orientale, in corrispondenza del camino, che non è stato però esplorato. Sul fondo del laghetto e appoggiati alla parte sommersa della parete orientale, vi sono inoltre materiali fangosi in parte di prove¬ nienza esterna, ivi convogliati dalle acque che percorrono il camino. In questo fango si riconoscono tre elementi costitutivi di diversa origine : ciottoletti calcarei e dolomitici di dimensioni di poco supe¬ riori ad 1-2 irmi., usurati meccanicamente durante il trasporto ; gra¬ nuli di quarzo e pagliuzze di mica ; piccole pomici giallicce. Il quarzo e la mica provengono dai terreni miocenici ancora presenti, in lembi residui, sulla sommità dei rilievi o nelle conche tettonico- carsiche di maggiori dimensioni, mentre le pomici sono il residuo del dilavamento dei tufi vulcanici. I ciottoletti calcarei e dolomitici sono probabilmente quasi tutti di provenienza ipogea. L’acqua presente nel laghetto normalmente non proviene dal ca¬ mino ma sorge da alcune fratture in prossimità del fondo. La portata di questa sorgente in agosto è di circa 1,5 litri/sec. e poco meno in settembre (misure eseguite nel 1961). L’acqua sgorga limpida e in leggerissima pressione, tale da non provocare alcuna apparente turbolenza. d) Cunicolo e caverna inferiore. All’estremità occidentale della galleria terminale si apre un cuni¬ colo che, passando al di sotto della galleria superiore ad una distanza 303 — variabile da 1 a 5-6 metri dal fondo di quest’ultima, convoglia le acque che sorgono nel laghetto a monte in un altro laghetto, posto all’estremità occidentale della grotta. Questa parte della grotta per oltre 50 metri ha un profilo longitudinale a gradinata (3 gradini prin¬ cipali) ed un lume molto ridotto, con un diametro che oscilla tra i 50 e gli 80 centimetri e con sezioni trasversali efforative, che mo¬ strano diffuse sovraimposizioni di un’attività gravitazionale. Negli ultimi 15 metri, dopo l’ultimo gradino, il cunicolo si allarga in una caverna irregolare ; il suo fondo, che non è allagato durante la sta¬ gione estiva, è a pochi centimetri dal pelo delle acque che riempiono l’adiacente laghetto a valle, estrema parte occidentale del convacuo. Nella parte mediana il soffitto di questa caverna si raccorda a mo’ d’ortovacuo con la fessura presente nel tratto iniziale della gal¬ leria superiore. La caverna ha una morfologia graviclastica deformata dallo spo¬ stamento di un pacco di strati che costituiva il suo soffitto e che hanno ruotato leggermente verso ovest, dando origine alle fessure che la met¬ tono in comunicazione con la galleria superiore e con il laghetto a valle. e) Laghetto a valle. Dalla caverna si accede al laghetto a valle mediante una fessura disposta verticalmente, alta circa 3 metri e larga non più di 40 centi- metri alla base ; le acque vi defluiscono attraverso un cunicolo e fio¬ ra ! i v o di un paio di metri, posto ad un livello più basso. Il laghetto occupa il fondo di una caverna a pianta ovale di 5x7 metri, allungata da est ad ovest, con un'altezza del fondo di circa 6 metri. Il laghetto è occupato dalle acque per circa tre metri nella parte centrale durante la stagione estiva ed è provvisto di due cunicoli laterali che funzionano da sfioratori e da cui le acque, traboccando, fuoriescono dall’invaso. La morfologia di questa parte della grotta è chemioclastica solo nella metà superiore, ma risente nel complesso di notevoli azioni idromorfe. Conclusioni. Nel suo insieme la grotta del Festolaro è un paravacuo a due vani sovrapposti, con una iniziale morfologia chemioclastica (galleria — 304 — superiore, galleria terminale) e parzialmente efforativa (laghetto a monte) nel vano superiore, modificata da successivi fatti idromorfi e graviclastici ; e con una morfologia efforativa e gravitazionale quasi sempre iniziale (cunicolo inferiore) ma anche sovrimposta (caverna inferiore, laghetto a valle) nel vano inferiore. La sorgente del Festolaro. Un cenno merita la sorgente del Festolaro, per il significato che assume nel quadro della genesi e della evoluzione della grotta. La sorgente reale non corrisponde alla cosiddetta sorgente geolo¬ gica, poiché sgorga dal detrito che riempie l’impluvio del Festolaro poco più di 10 metri a valle dell’imboccatura della grotta, cioè quasi un metro più in basso rispetto agli sfioratori del laghetto a valle, da cui l’acqua proviene. Ma la quantità d’acqua che fuoriesce è nettamente inferiore a quella che si versa dal cunicolo inferiore nel laghetto a valle, cioè, in definitiva, rispetto a quella che trabocca dagli sfioratori ; ciò fa sup¬ porre che parte delle acque si perdano nel subalveo dell’impluvio, defluendo entro il detrito che lo riempie con spessori via via cre¬ scenti verso le quote più basse. Tuttavia la presenza dei due sfioratori, entrambi prodotto di un'azione efforativa. fanno ritenere non improbabile che parte delle acque possano confluire in altre cavità poste a quote inferiori, la cui presenza è indirettamente dimostrabile, come si vedrà in seguito. A proposito di questa sorgente infine v’è da osservare che essa non sembra corrispondere alla sorgente Festolaro riportata nell’elenco delle sorgenti italiane del Servizio Idrografico (Ruggiero, 1942. pag. 326) pur essendo ubicata press’a poco nella stessa località. Infatti al n. 3225 dell’elenco è riportata una sorgente, « sgorgante all’imbocco di una grotta scavata nel calcare », che in giugno (23.6.1932) erogava circa 12 litri/sec.; una massa d’acqua quasi dieci volte maggiore di quella calcolata nel 1961. Ma più che questo dato, soggetto in terreni carsici alle più grandi fluttuazioni, non convincono la quota di m. 1080 e le coordinate (2° 55' 42" di longitudine e 40° 18' 17" di latitudine) che corrispon¬ dono press’a poco al rilievo di Tempo degli Annicchi , 3 Km. a sud del Festolaro, poiché tale rilievo, la cui sommità peneplanata oscilla — 305 — tra i 1250 e i 1300 metri, non possiede sorgenti perenni a quote in¬ feriori ai 1256 metri (3). Pertanto non credo si debba tener conto dei dati forniti dal Servizio Idrografico, per considerazioni riguardanti una eventuale variazione di portata della nostra sorgente. IL Cenni litostratigrafici Il monte l’Ausinito insieme al più occidentale M. Pescorubino costituisce l’estrema propaggine nord occidentale di una dorsale d’an¬ damento appenninico, che si spinge con la Serra di Cervati e la cima di Mercori verso sud-est per quasi 12 chilometri, fino al M. Cervati stesso. Vi affiorano circa 700 metri di calcari, calcari dolomitici e do¬ lomie tutti appartenenti al Cretacico. Nella successione litostratigrafica del M. l’Ausinito possiamo di¬ stinguere due parti. La prima è data da calcari e calcari dolomitici grigi, con diceratidi e talora nerinee a cui sono intercalati strati e banchi di dolomia cristallina grigia o giallina. La dolomitizzazione ha quasi del tutto cancellate le strutture organiche; a volte però solo parte di uno strato presenta bande dolomitiche. Rari sono gli inter- strati argillosi verdi ; verso la sommità di questa prima parte sono intercalati pochi metri di straterelli calcarei fissili, grigi o nerastri che ricordano le litofacies dei calcari ad ittioliti del Matese o dei Monti Lattari. Dal punto di vista biostratigrafico alcuni campioni prelevati in serie permettono di riconoscervi, dal basso, parte della cenozona a Cuneolina camposauri Sartoni e Crescenti e la cenozona a Cuneo¬ lina pavonia parva Henson (Sartoni e Crescenti, 1962). Tali asso¬ ciazioni denotano la presenza del Cretaceo inferiore e medio (Neocomiano-Cenomaniano). Lo spessore di questa parte della serie cretacica è di circa 300 metri. La grotta del Festolaro è appunto sca¬ vata in questa porzione della successione litostratigrafica, in corrispon¬ denza di alcuni strati di dolomia. (3) Sul Foglio Vallo della Lucania, alla scala 1 : 100.000 è segnato però un Vallone Festolaro. pressappoco in corrispondenza del punto indicato da Ruggiero (1942) e dove l’attuale rilevamento aereofotogrmmetrico segna Fugolo dei Mulitani. Potrebbe pertanto essere ubicata in questo impluvio la sorgente a cui si riferisce Ruggiero nel suo elenco. — 306 1 1 ruolo di queste intercalazioni dolomitiche nella circolazione idrica ipogea è messo in evidenza anche in superficie da zone di più rigogliosa vegetazione che si notano in corrispondenza di tali livelli, oppure da zone di umidità o addirittura da venute d’acqua di pic¬ cola entità, ma diffuse orizzontalmente per alcuni metri. La seconda parte della succesione è data da calcari e calcari do¬ lomitici grigio chiari, avana e bianchi, in cui le dolomie risultano più rare o addirittura assenti. Verso l’alto vanno scomparendo i diceratidi mentre divengono sempre più abbondanti le rudiste con tipiche facies biostromali ; non mancano acteonidi, nerineidi ed altri turricolati. In questa parte sono ancora presenti le associazioni della ceno- zona a Cuneolina pavonia parva Henson e poi, verso l’alto, quelle della cenozona a C. pavonia parva e Dyciclina schlumbergeri Munier- Chalmas (Sartoni e Crescenti, 1962). L’età di questa seconda parte oscilla pertanto tra il Cenomaniano e il Senoniano ; gli spessori si aggirano sui 400 metri circa. Il Mesozoico superiore calcareo dolomitico costituisce il basa¬ mento e l’ossatura fondamentale della regione, ma non è il solo terreno affiorante. Sebbene non ci interessino direttamente, vale la pena accennare ai terreni terziari che seguono in trasgressione al Cretacico : il Paleocene e il Miocene. Il Paleocene è costituito da un’alternanza di calcari compatti, calcareniti e calciruditi con intercalazioni di marne verdi ed ha in genere poche decine di metri di spessore (Formazione di Trentinara, Selli, 1962). I terreni paleocenici poggiano in subconcordanza sul Cre¬ tacico superiore dove sono sovente trasgressivi, pur non mancando località in cui, almeno apparentemente, sembra che vi sia continuità di sedimentazione ; quando questi terreni sono presenti con spessori meno modesti, comprendono anche l’Eocene inferiore. Il Paleocene- Eocene inferiore è troncato dalla trasgressione miocenica. Il Miocene è dato da calcareniti giallastre che, in frattura fresca, mostrano plaghe residue di colore grigio-azzurro, in strati e banchi irregolarmente partiti, con rari interstrati marnosi, con litotamni gene¬ ralmente in frammenti usurati e nidi di pettinidi. Questi terreni corrispondono alla Formazione di Roccadaspide di Selli (1957). Verso l’alto seguono arenarie quarzose con passaggi a brecciole e puddinghe e interstrati marnosi che, localmente, possono aumentare di spessore (Formazione di Capaccio, Selli, 1957). Le calcareniti della Formazione di Roccadaspide sono a volte — 307 — ancora presenti in piccoli lembi residui sui rilievi, mentre le arenarie e le marne della Formazione di Capaccio, che sono affette spesso da fenomeni di scivolamento gravitativo, possono rinvenirsi nelle depres¬ sioni carsico tettoniche, che le hanno risparmiate dall’erosione. I terreni quaternari infine sono dati da terre rosse, esili e discon¬ tinue coltri di materiali piroclastici generalmente umificati, alluvioni, conoidi e detriti di falda. Cenni dì tettonica. I lineamenti tettonici della regione sono determinati da faglie appenniniche che separano tra loro dorsali monoclinali che hanno uguale andamento. Queste faglie hanno avuto il ruolo morfogenetico principale, im¬ primendo i caratteri essenziali non solo all’orografia ma anche all’idro¬ grafia epigea ed ipogea. Altre faglie, pressocchè perpendicolari alle prime ma di minore importanza, formano con queste i sistemi principali, con notevole costanza d’orientamenti. Le dorsali delimitate da questi sistemi di faglie costituiscono delle monoclinali complesse con immersione prevalenti a N e NE, come appunto la dorsale M. L’Ausinito-Cima di Mercori in cui è ubicata la grotta del Festolaro. Tuttavia la grotta non è impiantata su una di queste faglie, ma su una faglia orientata quasi da est a ovest. Tali faglie, orientate secondo i paralleli ( o da WNW ad ESE) insieme ad altre che hanno direzioni a queste perpendicolari, formano un sistema secondario come importanza, ma forse geneticamente più antico. Le faglie d’andamento appenninico sono tutte dirette, con piani prossimi alla verticale; frequenti sono le associazioni a gradinata. Le faglie orientate da E a f sono anch’esse dirette, con piani fortemente raddrizzati e con rigetti più modesti. Storia geologica della regione. È noto che i tratti morfologici fondamentali di una regione vanno interpretati alla luce della sua evoluzione paleogeografica : anche nel nostro caso tale criterio conserva il suo valore, perchè l’esame della storia geologica del Cilento ci consente di considerare l’attuale car- — 308 — sismo superficiale ed ipogeo come un particolare momento nella evoluzione geomorfologica recente di questi gruppi montuosi. Dai dati stratigrafici esposti precedentemente possiamo risalire alla evoluzione paleogeografica della nostra regione. In particolare risulta interessante l’esame degli avvenimenti che si verificarono durante il Cenozoico, poiché i movimenti epeirogene- tici medio cretacei, pur tanto diffusi nell’ Appennino abruzzese¬ campano ( D’Argenio, 1962) non si fecero qui risentire, come è dimo¬ strato dalla continuità di sedimentazione e dalla costanza dei litotipi nella successione stratigrafica. Nel Ceonozoico possiamo registrare due gruppi di eventi tettonici e paleogeografici : a) eventi epeirogenetici, h) eventi orogenetici. a) Gli eventi epeirogenetici si ripetettero ritmicamente e fu¬ rono accompagnati da parziali emersioni o da parziali trasgressioni fino al Miocene. Possiamo ricordare qui la trasgressione Paleocenica (Selli, 1962) che è in relazione ad un sollevamento tardocretacico e ad una som¬ mersione parziale paleocenica, e la trasgressione luteziana, meno estesa della precedente. Forse durante tutto l’Eocene superiore e l’Oligocene la regione rimane nel dominio degli agenti atmosferici. Nel Miocene inferiore, infine una grande trasgressione riporta il mare sulle terre emerse. Tutti questi fenomeni epeirogenetici furono probabilmente ac¬ compagnati da dislocazioni essenzialmente disgiuntive a grandi e sem¬ plici linee. h) Gli eventi orogenetici si verificarono tra la fine del Miocene e il Pliocene. Non ci addentreremo in un esame dettagliato di questi fenomeni sia perchè esulano, in questi loro aspetti particolari, dal tema che stiamo trattando, sia perchè non ancora esiste una uniforme identità di vedute in proposito. Possiamo distinguere però almeno quattro fasi principali, alcuni aspetti delle quali sono controverse. Una prima fase comprenderebbe degli inturgidimenti del rigido calcareo dolomitico mesozoico o comunque dei sollevamenti nel retro¬ terra tirrenico che avrebbero provocato lo scollamento e lo sposta¬ mento di masse di sedimenti sotto forma di coltri gravitative, che si sarebbero tettonicamente addossate e sovrapposte alla nostra regione (Selli, 1962). SFIORATORI SE Z ! OHE Ì Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1963. Planimetria e sezioni della grofe Feslolaro Crostoni sìalagmihci e sta latti tic, I1»-1 i 1 Calcari j-r,J ~i ~' Calcari dolomitici rrLTtlrk dolomie B. D’Argeìnio. La grotta del Festolaro , ecc. - Tav. I. PLANIMETRIA — 309 — Una seconda fase, compressiva, avrebbe interessato il Mesozoico suddividendolo in « scaglie tettoniche » delimitate a oriente da faglie con piano fortemente raddrizzato o da faglie decisamente inverse. La terza fase comprenderebbe fatti distensivi che, cessata la com¬ pressione, avrebbero nel complesso abbozzata Fattuale fisionomia oro¬ grafica della regione, obliterando talora le originarie strutture da compressione. La quarta fase infine, strettamente connessa con la precedente, comprende tutta una serie di fenomeni, probabilmente in parte an¬ cora in atto, che hanno portato ad estesi sollevamenti del Mesozoico, sollevamenti che, presumibilmente dovuti ad un aggiustamento iso¬ statico regionale, sono comuni a tutta Farea sud-appenninica. Cicli morfologici antichi. L’evoluzione paleogeografica della regione, così come è stata trat¬ teggiata, ci conduce ad esaminare, prima del ciclo morfologico attuale, i cicli morfologici cenozoici e per correlarli con quello in atto e per mettere in evidenza l’eventuale persìstere delle cause generali che in¬ fluirono su quei cicli morfologici oggi fossili o in via di fossilizza¬ zione. Si è visto che alla fine del Cretacico la regione conobbe una prima blanda e parziale emersione, non abbiamo però elementi per dimostrare che si siano verificate in questo caso condizioni atte all’in- staurarsi di un ciclo morfologico di tipo carsico. il Paleocene, che talora non si riesce a distinguere nettamente dal sottostante Cretacico superiore, laddove è trasgressivo poggia su una superficie di strato che non mostra segni apparenti d’una attività erosiva ; può darsi però che tali morfologie erosive siano state cancel¬ late dalla ingressione. La trasgressione Miocenica invece avvenne su una superficie co¬ stituita dal Cretacico e dal Paleocene, che si presentano in molti punti profondamente incisi, con superfici ondulate, scanalate, con frat¬ ture i cui bordi sono arrotondati presumibilmente dalla dissoluzione. A luoghi la base del Miocene calcarenitico è ricco di elementi breccioidi del sottostante Cretacico, tali da far pensare a grize appena rielaborate dalla ingressione. Spesso la trasgressione è segnata da vere e proprie sacche scavate nei calcari del Paleocene o del Cretacico e riempite da materiali rossi e giallastri di tipo bauxitico che, in questa posizione, non erano ancora stati segnalati nella regione. — 310 — Nel complesso ci si trova di fronte ad un carso epigeo olofossile completo (Llopis Llado, 1953). Per quanto mi è stato possibile osser¬ vare, mancano completamente fenomeni carsici ipogei, ciò potrebbe mettersi in relazione sia al fatto che la regione non dovette elevarsi mai troppo dal livello del mare, sia alla mancanza di favorevoli pre¬ messe tettoniche. Nel Pliocene un nuovo ciclo morfologico si instaura con il primo emergere delle masse calcareo-dolomitiche mesozoiche ancora rico¬ perte dai terreni cenozoici. Per la evoluzione di questo ciclo morfologico, su cui si è so¬ vrimposto il ciclo attuale, possiamo supporre un meccanismo analogo a quello adottato dagli Autori per Carso triestino (D’Am¬ brosi, 1954, 1961). Con la differenza che, nel nostro caso, la successiva minuta sud- divisione della regione in blocchi monoclinalici, con faglie nel com¬ plesso dirette, accompagnate sovente da rotazioni, rende pressoché impossibile, nel suo insieme, la ricostruzione di una paleoidrografia epigea pliocenica. Infatti tale suddivisione, abbozzata durante il primo sollevarsi della regione, accentuatasi sempre più nelle fasi di distensione e sol- levamento, complicata dalla mancanza in affioramento di vaste zone sepolte sotto i sedimenti terziari e quaternari (graben), maschera attualmente, nel gioco complesso delle zolle sollevatesi in modo diffe¬ renziale, delle rotazioni e degli affossamenti, l’idrografia epigea che certo dovette essere attiva durante il Pliocene. L’infossamento di tale idrografia, in conseguenza del sollevamento, si realizzò evidentemente per gradi, tra il Pliocene e il Quaternario, mentre la nuova rete idrografica rimaneva legata alle aree tettonica- mente depresse e più ricche di terreni impermeabili. Ma per la sempre maggiore autonomia che andarono acquistando i grandi blocchi monoclinalici nel loro sollevarsi, con ogni verosi¬ miglianza questa gradualità fu diversamente risentita, come ci testi¬ moniano le superfici morfologiche relitte a quote diverse. Questo gioco risulta ancor più complicato nella sua interpreta¬ zione per il sovrapporsi ai fenomeni di sollevamento dei fatti eusta¬ tici quaternari che inteferirono con quelli, in modo tale che, soprat¬ tutto a distanza della costa, è ora impossibile ricostruire l’effettivo intervento di ciascuno di essi. Pertanto risulta puramente convenzionale il limite tra ciclo morfologico plio-quaternario e ciclo attuale, soprattutto per quanto riguarda il fenomeno carsico. — 311 — III. Ciclo morfologico attuale Prescindendo dai terreni cenozoici, il contrasto morfologico tra le forme giovanili, tra le pareti da faglia talora strapiombanti, e le superfìci relitte, peneplanate, si ripete fedelmente nella morfologia ipogea, come ha fatto osservare anche Llopis Llado (1958). L’attuale ciclo morfologico è infatti una sovraimposizione relati¬ vamente recente dovuta ad un generale anche se disuniforme solle¬ vamento. In superficie colpisce subito il paesaggio ricco, come si è ora detto, di forme giovanili, troncato alla sommità dei rilievi da super- fici peneplanate, talora anche estese, crivellate di uvale e doline, con valli chiuse, grize e karren semicoperti. Nella morfologia ipogea abbondano le cavità ad andamento suborizzontale (paravacui) collegate da pozzi e camini (ortovacui) con un’associazione di tipi morfologici che testimoniano il sovrapporsi dei fenomeni di sollevamento. I paravacui si conservano estesamente quando sono ancora pros¬ simi all’attuale livello di base, come per esempio nelle grotte di Castelcivita, ma quando sono sollevati il loro sviluppo orizzontale è notevolmente ridotto. Lo stesso vale per l’attuale circolazione idrica ipogea, sebbene in certi casi la presenza di livelli meno solubili come le dolomie possano conservarci delle falde a pelo libero sospese anche a quote notevoli rispetto al fondo valle. Tale è appunto il caso della sorgente del Festolaro. Vediamo dunque, nel quadro così tratteggiato della attuale situa¬ zione geomorfologica e delle sue relazioni con gli antichi fatti mor- fogenetici, il significato della grotta del Festolaro. Considerazioni genetiche sulla grotta del Festolaro. Si è detto che, nel suo insieme, la grotta del Festolaro è un para¬ vacuo a due vani sovrapposti. Queste cavità hanno caratteri morfologici e quindi genetici diversi. II vano superiore ha una morfologia chemioclastica iniziale che — 312 — è da mettere in relazione alle alternanze dei litotipi in cui è scavata la grotta. Come si può rilevare dalla Tavola I (in cui peraltro la rappre¬ sentazione dei litotipi è necessariamente schematizzata e indicativa) siamo in presenza di strati dolomitici alternati a strati calcarei e calcareo-dolomitici. Gli strati dolomitici oltre che meno solubili risultano anche più fragili e pertanto è da ritenere che, in corrispondenza di un livello di base stratigraficamente più alto dell’attuale, si sia originata una cavità, forse con iniziale sezione dflnterstrato dovuta al livello dolo¬ mitico di base, sezione che però ha assunto in definitiva una morfologia ehemioclastica. Un ruolo da non sottovalutare ha avuto ovviamente la faglia lungo cui sono impiantati sia l impluvio che la grotta ; tale faglia non solo ha costituito la premessa tettonica al fatto carsico, ma ha condizionato il suo sviluppo spaziale e il suo sviluppo morfologico. Il cunicolo inferiore ha invece una morfologia gravitazionale ed efforativa che rivela la sua connessione con i successivi fenomeni di sollevamento, cioè con l’allontanarsi del livello di base dal fondo della grotta. Attualmente infatti il fondo valle, rappresentato dal F. Calore, è di oltre 100 metri più basso degli sfioratori del laghetto a valle. A questi ultimi fenomeni potrebbero ricollegarsi anche i fatti gravilastici della galleria superiore con crolli di parti del soffitto. Infine i due laghetti o, più esattamente, le cavità che li ospitano, indipendentemente dalla loro morfologia, rappresentano un tratto d’unione tra i fatti morfologici precedenti e successivi all’originaria grotta del Festolaro. Il laghetto a monte, con il suo camino è certo in comunicazione con altre cavità ad andamento suborizzontale. Ciò è provato non tanto dalla presenza verso l’alto di altri livelli dolomitici analoghi a quelli che hanno permesso l’impiantarsi della iniziale grotta del Festolaro, quanto dal periodico affluire di grandi quantità d’acqua attraverso il camino che rappresenta l’emissario di un’altra cavità sovrastante. Inoltre il materiale trascinato dalle acque denota, nei suoi costituenti, un’azione prolungata di trasporto, azione che appunto presuppone la presenza di uno o più paravacui sovrapposti. È probabile, nel quadro generale prima delineato, che tali para¬ vacui siano geneticamente antecedenti al nostro. Il laghetto a valle, con i suoi sfioratori di troppo pieno non versa — 313 — tutte le sue acque all’esterno ; lo deduciamo non solo dalla minor quantità di acqua erogata dalla sorgente reale, ma anche dalla mor¬ fologia efforativa dei cunicoli che si intravedono in continuazione degli sfioratori ; cunicoli che sembrano costituire l’equivalente della parte alta, iniziale, del camino presente a tetto dell’altro laghetto. Questi cunicoli cioè potrebbe costituire un collegamento con altre cavità sottostanti che sono probabilmente presenti tra il fondo valle e la nostra grotta. Conclusioni La grotta del Festolaro rappresenta un paravacuo originatosi in una fase antecedente almeno all’ultimo sollevamento e da questo mo¬ dificato con fenomeni di crollo e con la escavazione di un vano sotto¬ stante, pertanto è un tipico caso di carsismo inerofossile imperfetto (Llopis Llado, 1953). Essa ben si presta a rappresentare 1’ attuale momento mor¬ fologico ipogeo nel generale sviluppo del fenomeno carsico silentino, poiché costituisce un tratto d’unione tra gli eventi geomorfologici appena trascorsi e quelli in atto, ai quali ha tentato di adeguarsi, costituendo, nella circolazione idrica sotterranea, un gradino inter. medio verso il fondovalle. Napoli , Istituto di Geologia dell’ Università, marzo 1963. RIASSUNTO Viene segnalata e descritta una grotta dello sviluppo complessivo di 160 metri, situata sul versante occidentale del M. L’Ausinito (gruppo del Cervati). Premessi alcuni cenni stratigrafici e tettonici sulla zona, se ne tratteggia la storia geologica e si espongono alcune considerazioni sui fenomeni descritti, nel quadro della evo¬ luzione del carsismo silentino. SUMMARY This paper describes a cave (grotta del Festolaro) with a total developement of 160 m., placed on thè western side of thè Monte TAusinito (Cervati Mountains). After short stratigraphic and tectonic accounts on thè zone, its geological history is outlined and some consideration on described phenomena are stated, examining these facts by thè light of evolution of karst phenomena in Cilento District. — 314 — BIBLIOGRAFIA Anelli F., 1959, Nomenclatura italiana dei fenomeni carsici . « Le Grotte d’Italia », serie III, voi. II. Castellana. Chardomnet J., 1955, Traile de Morphologie . Parigi, Masson. D’Ambrosi C., 1942, Uno sguardo al carsicismo senoniano in Istria. « Atti R. Ist. Veneto Se. Lett. ed Arti», tomo CI (1941-42), pt. II, Cl. Se. Mat. e Nat., pp. 291-296. 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La grande variabilità della composizione mineralogica e, di con¬ seguenza, chimica delle terre rosse italiane soggette a numerose ricer¬ che da parte di illustri studiosi, sta a dimostrare che la genesi di questi particolari tipi di terreni, qualunque essa possa essere, è certamente influenzata da un insieme di fattori quali quelli accidentali, climatici, meccanici, fisici, fisico-chimici, che, di volta in volta, con il preva¬ lere dell’uno sull’altro, consentono una distribuzione diversa dei vari costituenti. Studiare, a parità di condizioni di giacitura, i rapporti tra la composizione chimica e mineralogica delle terre rosse e quella delle rocce di contatto, soprattutto per quanto concerne la costituzione dei relativi residui insolubili, io penso possa essere utile al fine di apportare un contributo, anche se non completamente nuovo, purtut- tavia certamente determinante per il problema del processo genetico di questo tipo di terreno, che, appunto perchè tanto discusso, si presenta sempre attuale ed affascinante. D’altra parte è facilmente intuibile che, per quanto notevole possa essere il contributo apportato da uno studio su di un singolo giacimento, esso rappresenta purtuttavia un contributo isolato e per¬ tanto poco sufficiente ai fini di un discorso ad ampio raggio: nasce di qui l’idea di uno studio sistematico. In una serie di note di cui questa ne è soltanto la prima, verranno prese in considerazione le terre rosse dell’Italia centrale e meridio¬ nale presenti sia sul versante tirrenico che adriatico, a partire da quelle che, anche se abbastanza diffuse, sono fino ad oggi le meno conosciute. — 316 — In questa prima nota vengono studiate le terre rosse del Golfo di Gaeta. 1 — Giacitura della terra rossa di Gaeta. Un aspetto della composizione geologica del territorio di Gaeta che è apparso, dopo avere preso attentamente in esame la stratigrafia della zona, anche se noto, non certo sufficientemente illustrato, è quello riguardante la presenza della cosiddetta cc arena rossa » che ricopre quasi tutto il versante sud-occidentale a partire dalla località « il Piano » fino alla spiaggia di S. Agostino, il che equivale a dire tutta la fascia costiera che si affaccia sul Golfo di Gaeta. Il colore, la composizione chimica e mineralogica, l’analogia di giacitura, sopra i calcari massicci, hanno permesso di ascrivere questi terreni, a prima vista, tra le tipiche cc terre rosse ». Tenendo presente il foglio 171 della Carta d’Italia (Gaeta), pre¬ cisamente la tavoletta IV S.O. (1 : 25.000), la zona studiata e presa in esame coincide presso a poco con i confini territoriali del Comune di Gaeta ed è rinchiusa a Nord tra i Bassi Aurunci ed il Mar Tirreno a S.O., il quale delimita anche la parte occidentale coincidente con l’inizio del Golfo di Gaeta, compreso tra il massiccio Au ranco, il vulcano di Roccamonfina e la dorsale di Monte Massico. La terra rossa è stata rinvenuta a partire dalla località cc Fossato Longato » fino alla località cc II Piano ». Tale zpna è delimitata a Nord dalla strada comunale che collega S. Agostino con la contrada cc La spiaggia », ed a Sud dalla strada statale 213 (Via Fiacca), con uno sviluppo areale di circa tre chilometri quadrati ed uno in lun¬ ghezza di circa cinque chilometri. La sede stradale della S.S. 213, tagliata proprio attraverso questa formazione, appare affiancata in particolar modo sul versante Nord, per quasi tutta la lunghezza del suo percorso, attraverso il territorio di Gaeta, da banchi di terra rossa di colore vivo, giacente sopra cal¬ cari con evidenti segni di erosione e di fratture tipo calanchi, dovuti alla azione delle acque dilavanti, con uno spessore massimo di cin¬ que o sei metri. La terra rossa è essenzialmente localizzata sulle propaggini set¬ tentrionali di Monte a Mare (altezza m. 62), su quelle settentrionali e meridionali del Monte Cologna (metri 156), Monte Cristo (m. 197), il Colle (m. 152), Monte Lombone (ni. 117). A nord tutti questi rilievi sono separati dalla valle del Fossato — 317 — Longato, da quelli più alti appartenenti ai Bassi Aurunci: Monte Lisandro (m. 296), Monte di Mezzo (m. 343), Monte Le Yignole (m. 262), Monte Dragone (m. 356), Monte Lauro (m. 403), dove non è stata riscontrata la presenza della terra rossa. Tutti questi rilievi non si differenziano litologicamente in quanto sono costituiti da calcari compatti, stratificati o brecciati, interca¬ lati da dolomie, appartenenti al Mesozoico. Sul mare costituiscono spesso promontori, con falesie talora precipiti, che al Monte Vanne- ] animare ed al Monte Orlando raggiungono rispettivamente i 257 e 170 metri. La zona costiera è caratterizzata da frequenti articolazioni coin¬ cidenti con i luoghi di maggiore fratturazione dei calcari, dove quindi l’azione demolitrice del mare trova le condizioni più favorevoli. Tutti i promontori poi, Vannelammare, S. Vito, Scissura, Torre Viola, La Catena, M. Orlando sono frammezzati da arenili che occu¬ pano le lunghe lunate interposte, come la spiaggia di S. Agostino (Km. 2,4 di lunghezza), e la spiaggia di Serapo (Km. 1,8), dinanzi alla falesia che le limita verso l’interno. Tali insenature erano un tempo occupate da laghi litoranei che, successivamente, per il conti¬ nuo apporto di sabbia da parte dei venti e del moto ondoso, furono riempite per colmata. Gli arenili in questione sono costituiti da sabbia silicea di colore giallo chiaro, molto fine. Del tutto diversa dalla riviera di ponente di Gaeta è il versante orientale, privo o quasi di spiagge, probabilmente sommerse dai moti bradisismici che hanno provocato parzialmente, con molta pro¬ babilità, la fenditura e la sommersione del Monte Conca. Infatti, secondo il Baratta [1] tra il Rione di Portosalvo e quello di S. Era¬ smo, esisterebbe un centro sismico. Questo versante orientale è privo di terra rossa, ma le pendici orientali di M. Lauro e quelle nord-oc¬ cidentali di M. Conca (m. 190), registrano la presenza di una terra argillosa di colore rosso vivo, che è presente anche più a Nord verso Itri ed oltre. Uno studio su questo particolare tipo di terreno è già in corso ed i relativi risultati verranno comunicati in una pros¬ sima nota. 2 — Notizie geologiche della zona in esame. Ai primi rilevamenti geologici della zona di Gaeta eseguiti dal Cassetti nel 1896 [2] e nel 1900 [3], sono da aggiungersi quelli re- — 318 — centi di Segre [4, 5, 6, 7] che in diverse pubblicazioni si è occupato della stratigrafia, della tettonica, della morfologia del Golfo di Gaeta. Senza voler tracciare un quadro minuzioso del rilevamento (che nella presente nota ha funzione per poter definire la posizione stratigrafiea della terra rossa) gli Autori citati sono concordi nel ramine t lere che nei monti di Gaeta è possibile distinguere un complesso liassico ed uno cretacico. Precisamente: 1) Lias medio costituito da calcari dolomitici compatti e dolo¬ mie cristalline in potenti massi sempre molto fratturati, appartenenti al Sinemuriano, e di calcari scuri, compatti, scheggiosi, in facies coralligena con tracce di briozoi (Domeriano), rilevati alla base del Monte Orlando, del Monte Lombone nelle zone denominate La Nave, Torre Viola e Torre Scissura. Superiormente calcari straterellati, con alternanze più cristalline, grigi chiari o scuri con facies a brachiopodi. 2) Infracretacico e Mesoeretacico. Sembra che sia presente una notevole discordanza o che almeno il Mesozoico medio debba trovare la sua parte basale immersa in orizzonti più distintamente dolomi¬ tici. La serie è costituita da calcari dolomitici (dolomie del Cassetti) di notevole potenza, riferiti all’Albiano ed all’Urgo-Aptiano. Terreno cretaceo compare a Monte Orlando formando la parte più alta e sulle colline che fronteggiano il borgo di Gaeta. Il Mesocretaceo è costi¬ tuito da calcari cristallini compatti, grigi, con intercalazione calca- reo-dolomitica con due orizzonti, talora fossiliferi, costituenti un unico complesso il più delle volte, riferito al Cenomaniano, con un livello inferiore a Requienie ed un livello superiore a Toucasie e Radiolitidi. Quest’ultimo livello è presente a Torre di Orlando, a Torre Atrantina, a Monte S. Agata, Monte Rotondo e Monte Conca. I calcari ippuritici chiari in grossi banchi a Radiolitidi appartengono al Turoniano. Addossati ai rilievi ed in special modo sulle pendici degli stessi è posta la terra rossa che, come si vedrà meglio in seguito, è costituita in prevalenza da quarzo, e costituisce un livello piuttosto compatto, anche se in realtà si disgrega con relativa faciltà. L’aspetto macrosco¬ pico, il colore, la composizione mineralogica e soprattutto la giacitura permettono di accostarla a quella che in posizione perfettamente analoga Blanc [8] trovò per il promontorio del Circeo. Tale forma¬ zione, come riferisce appunto Blanc [9] è stata assegnata al Pleisto¬ cene e precisamente al Post-Tirreniano. — 319 — 3 — Analisi granulometriche della terra rossa di Gaeta. La terra rossa oggetto del presente studio è stata prelevata lungo tutto il tratto di costa affacciantesi sul Golfo di Gaeta. I campioni sui quali sono state condotte le varie determinazioni sono stati pre¬ levati da quelle zone ove lo strato di terra rossa presentava la mas¬ sima potenza e dove il prodotto appariva certamente in posto. Il campione N° 1 è stato prelevato a quota metri 175 sulle pen¬ dici nord di Monte Cristo, il campione N° 2 in località La Catena, lungo la strada comunale che, rasentando il cimitero di Gaeta, con¬ duce alla Statale 213 (Via Fiacca quota metri 40 sul livello del mare). Quale campione di sabbia giallina è stato effettuato il prelievo dalla spiaggia di Serapo che, compresa tra le ultime propaggini del M. Or¬ lando e La Catena, è situata in corrispondenza della zona che ha for¬ nito i campioni di terra rossa (campione N° 3). L’analisi granulometrica relativa a questi campioni in particolare ed a tutti gli altri che sono stati successivamente presi in considera¬ zione è stata eseguita nei limiti della scala Wentworth [10]. Nella Tabella I vengono riportate le percentuali rispettivamente ricavate per le tre principali frazioni: sabbia, limo ed argilla. TABELLA I. Limite delle dimensioni dei granuli (in mm.) Tipo di sedimento | 1 Percento di trattenuto (in peso) 1 2 3 1 0.50 sabbia grossolana 1.45 0.50 0.25 sabbia media 10.60 \ 6.40 \ 8.10 \ 0.25 0.125 sabbia fine 65.10 > 94.60 67.25 > 97.50 87.90 \ 99.70 0.125 0.062 sabbia finissima 18.90 ) 22.40 ) 3.70 ) 0.062 0.0038 limo 2.70 1.50 0.22 inf. a 0.0038 argilla 2.70 1.00 0.08 100.00 100.00 100.00 — 320 — 4 — Composizione mineralogica della sabbia. La separazione dei minerali leggeri è stata ottenuta impiegando come liquido bromoformio puro, (densità 2,8). I minerali, descritti in ordine di abbondanza, con le caratteristiche più importanti e si¬ gnificative ai fini del presente studio, sono i seguenti : 1) Minerali con densità inferiore a 2,8. Quarzo. — È il costituente dominante e si presenta in due tipi nettamente distinti. Il primo tipo, che è prevalente, è costituito da granuli perfettamente arrotondati, con superficie smerigliata e rico¬ perti da una patina di pigmento rosso giallastro, resistente ai ripetuti lavaggi con acqua distillata. In sezione sottile i granuli presentano alti colori di interfenza disposti concentricamente, la qual cosa depone a favore di un lungo trasporto. Il secondo tipo, che rappresenta la parte minore, è costituito da frammenti scheggiosi che presentano spigoli vivi o tutto al più leggermente smussati, talvolta limpidissimi e trasparenti, altre volte opachi e sprovvisti di patina rosso giallastra. Questo secondo tipo, che non è stato mai osservato nella frazione grossolana e media della sabbia, aumenta nella frazione fine e finissima. Calcedonio. — Si presenta in misura ridotta in piccolissimi aggre¬ gati granulari, che sono stati identificati tenendo conto della partico¬ lare struttura a mosaico, tipica di questo componente, e, mediante la determinazione dell’indice di rifrazione (n = 1,53). Plagioclasio. — È risultato quasi completamente assente in tutte le frazioni della sabbia. È stato possibile metterlo in evidenza solo in sezione sottile, ove, più che mai raro, si presenta in piccoli cristalli corrosi ai bordi, in geminati polisintetici secondo la legge dell’albite. Granuli carboniosi. — Sono risultati rarissimi in tutte le frazioni della sabbia. Non è stato possibile identificare alcuna struttura: qual¬ che raro granulo è risultato prevalentemente nero ed opaco. Vetro vulcanico. — Rari frammenti quasi esclusivi della frazione fine della sabbia, poco trasparenti, con superficie scheggiosa di colore verde intenso. 2) Minerali con densità superiore a 2,8. Pirosseno. — Si presenta quasi esclusivamente in forma di cristalli allungati secondo la direzione dell’asse delle 2, con prevalente svi¬ luppo delle forme {100}, {010}, di colore a volte verde chiaro, a — 321 — volte verde più carico, limpidi, con sfaldatura parallela alla (010), terminanti a forma tipicamente dentata. Tale dentatura evidentissima dopo purificazione del minerale, risulta riempita da un pigmento di colore rosso arancione che è ben visibile anche nelle direzioni dei piani di sfaldatura paralleli alla (010). In sezione sottile è stata osservata l’assenza di pleocroismo, per cui è da escludere l’appartenenza al gruppo delle titanoaugiti o egi- rinaugiti : il valore di 2V è risultato uguale a 61°, valore che è molto vicino a quello riscontrato per le augiti diopsidiche, la qual cosa ben si accorda anche con i risultati dell’analisi chimica globale. La per¬ centuale di questo componente, molto scarsa nella frazione grosso¬ lana della sabbia, diviene più elevata nella frazione media ed in quella fine. L’arricchimento di questo componente è stato raggiunto con lo impiego del separatore isodinamico Frantz, utilizzando una intensità di corrente di 0,8 Amps, una inclinazione angolare di 20° ed una la¬ terale di 5°. Magnetite. — Non è quasi mai presente ben cristallizzata: utiliz¬ zando grande quantità di sabbia e concentrando fortemente questo componente è stato possibile, molto raramente, osservare qualche cri¬ stallo di forma ottaedrica combinata con la rombododecaedrica. La maggior parte si presenta sotto forma di granuli che hanno perduto la tipica lucentezza metallica. Ripetuti arricchimenti del minerale hanno consentito, dopo suc¬ cessive purificazioni, di raccogliere una quantità sufficiente per una analisi quantitativa. Scopo principale quello di accertare a quale tipo di magnetite potesse accostarsi. Lo studio analitico, con la deter¬ minazione ponderale del titanio con il metodo Tornton sotto forma di TiO, , ha permesso di ascrivere la magnetite in esame tra quelle tipicamente titanifere. Nella Tabella II vengono riportati i valori analitici rinvenuti, con i calcoli relativi per la determinazione della formula del minerale. La presente analisi si riferisce alla magnetite della terra rossa di Gaeta, isolata dai campioni prelevati in località Monte Cristo (An. Sinno). — 322 — TABELLA II. Fe203 53.02 FeO 35.20 Ti02 7.50 CaO 1.80 Detrazione : CaO = 0.009 MgO 0.74 P205 = 0.003 MnO L10 Residuo CaO = 0.022 Si02 0.30 p205 0.32 Res. Ins. 0.12 100.10 Rapporti atomici dei metalli nel minerai© Rapporti atomici delFossigeno Rapporto metallo/ossigeno Fé'" = 0.662 0.993 Fe" = 0.488 0.488 Ti = 0.094 0.188 1.294 - 0.431 Ca = 0.022 0.022 3 Mg = 0.018 0.018 Mn = 0.015 0.015 1.724 -- 0.431 1.294 1.724 4 È stata calcolata la formula relativa che è la seguente: (Fe"G,93, Ca0.05, Mn0.'0S, Mg0.03) 1<04 (Ti0.22, FeVsa» Fe'"0.56) 0, Tale magnetite può essere ascritta tra i tipi di magnetite titanifera messa in evidenza come il tipo corrente presente sulle spiagge dei Campi e delle Isole flegree [II], derivante dal disfacimento dei tufi vulcanici [12]. Ossidi di ferro non magnetici. — Sono diffusi in misura ridottis¬ sima esclusivamente nella frazione fine della sabbia. Si presentano in granuli opachi, di color nero, facilmente confondibili con la ma- 323 — gnetite ma, differenziati dalla stessa, per mancanza di proprietà ma¬ gnetiche e per la presenza di patina di color rosso o giallo-arancio, dalla quale sono quasi completamente circoscritti. Granati. — Sono risultati molto rari. Quelli osservati hanno forma irregolare, con spigoli vivi, con colore variabile tra il roseo ed il rosso. Ancora più raramente è stata osservata qualche forma cristal¬ lina, identificabile con il rombododecaedro. Miche. — Cristalli molto rari identificabili con la muscovite, più diffusa, o con la biotite, che, il più delle volte, si presenta alterata con riflessi giallo-rossastri, dovuti alla presenza di ossidi idrati di ferro, derivanti dalla alterazione del ferro stesso. Rarissimi i cristalli di olivina, di tormalina e di orneblenda, comunque sempre alterati. Assoluta l’assenza di fossili. Le osservazioni relative all’eventuale presenza di fossili sono state condotte presso l’Istituto di Paleontologia della Università di Napoli. 5. — Composizione mineralogica del limo. L’esame di questa frazione ha permesso di individuare, quali costituenti essenziali, frammenti di quarzo e di pirosseno, con spora¬ diche laminette di mica biotite, riconoscibili per la loro lucentezza. Al diminuire delle dimensioni dei granuli, corrisponde l’aumento del pigmento ocraceo che rende diffìcile l’interpretazione dei fram¬ menti. L’analisi roentgenografica, mediante il metodo di Debye, ha for¬ nito la presenza dei seguenti costituenti: o Quarzo. — Predominante. (Interferenza fortissima a 3,33 A). o o Pi rosseno. — Del tipo diopsidico (Interferenze a 2,98 A, 2,88 A, 2,53 A). o o Mica. — Di tipo muscovite (interferenze a 3.23 A, 2,73 A). o o Illite. — Interferenza fortissima a 9,98 A, forte a 4,47 A. Com¬ ponente argilloso essenziale e prevalente. o Caolinite. — Interferenza forte a 7,15 A. L’analisi termodifferenziale, eseguita sulla frazione passante a 325 Mesh, ha confermato la presenza deli’illite. La prima perdita 324 — di H20 è stata registrata a 600° C. circa, primo picco endotermico comune anche alla caolinite. Il secondo picco esotermico, registrato a 960° C. circa, appartiene alla caolinite. Registrato un picco endoter¬ mico appena accennato a circa 400° C. da collegarsi, probabilmente alla presenza di goethite. 6 — Composizione mineralogica e chimica della frazione ar¬ gillosa. Le determinazioni ottiche dei componenti di questa frazione non hanno fornito alcun risultato, in quanto alla diminuzione delle dimen¬ sioni dei granuli, corrisponde un notevole aumento del pigmento ocraceo che agglutina e circoscrive le minute particelle dei compo¬ nenti di questa frazione. La scarsa cristallini tà degli idrossidi di ferro ha sempre confe¬ rito agli spettrogrammi un annerimento diffuso, che ha reso alquanto dubbia la interpretazione degli stessi. Per la sicura interpretazione dei componenti mineralogici di questa frazione si è ricorso allora alla eliminazione degli ossidi e degli idrossidi di ferro liberi, me¬ diante la solubilizzazione degli stessi. Tale solubilizzazione si è otte¬ nuta scartando tutti i metodi basati sull’impiego di acidi o di basi forti e comunque di tutti quei metodi che, basati sulle forti varia¬ zioni di pH dell’ambiente, o rischiano di far alterare il componente argilloso, oppure consentono solo parzialmente, l’estrazione del ferro libero presente sotto forma di ossido o di idrossido. Si è preferito seguire il metodo proposto da Mehra e Jack¬ son [13], secondo il quale la solubilizzazione dei componenti di ferro libero avviene in ambiente neutro ( pH 7,1), ottenuto con l’impiego di una soluzione tampone di 1 M di NaHC03. Grammi 4 di sostanza sono stati trattati con cc. 40 di citrato sodico 0,3 M in presenza di cc. 5 di bicarbonato sodico 1 M, con la aggiunta di gr. 1 di ditionite sodica e di cc. 10 di una soluzione satura di cloruro sodico. Dopo una permanenza a bagno maria di circa 30% la soluzione è stata centrifugata a 2000 giri ottenendo: 1) un supernatante im¬ piegato per la determinazione spettrofotometrica del ferro; 2) un centrifugato di colore rosa pallido posto successivamente nel leviga¬ tore di Andreasen dal quale, dopo 72 ore di decantazione, è stata pre¬ levata la sospensione compresa tra cm. 0 e cm. 10 (dimensioni delle particelle inferiori a 2 p). 325 — La determinazione degli ossidi ed idrossidi di ferro liberi è stata eseguita allo spettrofotometro a 480 mimi, con il metodo al tiocia- nato [14] usando una soluzione dello stesso al 7,6%, quale indicatore. La curva delle concentrazioni ha fornito per il Fé'" un valore di TABELLA III. N° Int. O d in A Minerale No Int. O d in A Minerale 1 f 9,98 Illite 16 dd 1,99 Illite 2 d 7,15 caolinite 17 dd 1,85 Illite 3 md 6,14 bohemite 18 d 1,82 quarzo 4 ff 4,47 Illite 19 dd 1,73 muscovite 5 md 4,26 quarzo 20 dd 1,66 quarzo 6 dd 3,89 Illite 21 d 1,54 quarzo 7 dd 3,63 Illite 22 d 1,50 Illite 8 ff 3,33 quarzo 23 d 1,37 quarzo 9 d 3,23 muscovite 24 dd 1,29 Illite 10 md 3,09 Illite 25 dd 1,24 quarzo 11 md ' 2,85 Illite 26 dd 1,20 quarzo 12 mf 2,56 Illite 13 d 2,46 Illite 14 dd 2,22 Illite 15 dd 2,14 Illite 1 1 1 5,47%, che, trasformato in ossido, permette di calcolare per Fe203 un valore del 15,90%. Il decantato costituito da particelle di diametro inferiore a 2 p, è stato analizzato ai raggi X. I risultati relativi ottenuti sono riportati nella Tabella III (Metodo di Debye, camera mm. 114.8. radiazione Cu K filtrata su Ni). Il costituente essenziale della frazione argillosa è risultato quindi essere l’illite che, con caolinite e quarzo, rappresentano i componenti prevalenti. In proporzioni minime sono risultati presenti anche la mica muscovite e la bohemite che, normalmente come è stato accertato, ac¬ compagna i minerali del gruppo delle argille [15]. — 326 — Per poter riconfermare mediante altri mezzi di indagine, i risul¬ tati fin qui ottenuti si è ritenuto opportuno completare le ricerche sulla frazione argillosa facendo ricorso all'analisi termodifferenziale ed alla analisi quantitativa. Questa volta si è operato sulla frazione Fig. 1. — Analisi termodifferenziali della frazione argillosa della « terra rossa » di Gaeta. a) Terra rossa di Monte Cristo. b) Terra rossa de « La Catena ». c) Sabbia giallina della Spiaggia di Serapo. argillosa integrale, avendo questa ricerca lo scopo precipuo di poter individuare i composti di ferro. Le curve termodifferenziali riportate nella figura 1 si riferiscono alla frazione argillosa della terra rossa di Monte Cristo (curva a), alla — 327 — medesima frazione della terra rossa de « La Catena (curva b), alla frazione argillosa della sabbia gialla di Serapo (curva c). Ora, mentre da un lato l’andamento delle curve a e h riconferma la composizione mineralogica accertata mediante l’analisi roentgen- nografica, dall’altro poco aggiungono circa il tipo di minerale o di minerali in cui è presente il ferro. Il piceo endotermico intorno ai 400° C., appena rilevabile nella frazione del limo, è qui assente. D’altra parte è presupponibile (ed i risultati dell’analisi chimica della frazione argillosa lo confermano) che gli idrossidi del ferro sono relativamente più concentrati nella frazione del limo. La curva c poi, relativa alla frazione argillosa delle sabbie di Serapo, ha consentito di rilevare accanto alla presenza di illite e caolinite, quella di dolomite e calcite (picchi endotermici rispettiva¬ mente a 800° C. ed a 950° C.). Nella Tabella IV, accanto ai risultati dell’analisi chimica quan¬ titativa relativa alla frazione argillosa della terra rossa di Monte Cristo, vengono riportati i tenori percentuali dei vari componenti, calcolati sulla base dei rapporti molecolari e sulla base dei risultati ottenuti attraverso le analisi roentgenografìche e termodifferenziali. TABELLA IV. ANALISI ILLITE KAOLINITE COETHITE EMATITE QUARZO RESIDUI Si02 43.68 21.60 5.64 16.48 Ti02 0.20 0.20 ai2o3 23.20 18.40 4.80 Fe203 16.76 4.50 12.26 MnO 0.10 0.10 MgO 0.16 0.16 CaO 0.24 0.24 K20 5.60 5.60 Na20 0.60 0.60 h2o+ 4.38 2.16 1.70 0.52 h2o- 5.02 5.02 ■ 99.94 47.76 12.14 5.02 12.26 16.48 6.22 Analisi della frazione argillosa della terra rossa di Monte Cristo (An. Sinno). — 328 — Considerando la quantità di Si02 legata a K20 e ad A1203 per costituire la molecola della illite (per la quale è stata considerata la formula K20 . 3A1203 . 6 Si02 . 2 H20), e, legando al residuo di A1203 la quantità di Si02 per costituire la molecola della caolinite (calcolata in base alla formula A1203 . 2 Si02 . 2 H20), sì è dedotta una quantità di Si02 libera pari al 16.48%, la qual cosa, come ave¬ vano del resto già messo in evidenza i raggi X, pone il quarzo tra i componenti principali anche del complesso argilloso. Per quanto riguarda poi il valore di Fe203 è possibile osservare che il relativo tenore percentuale ottenuto per via ponderale è in eccesso del 0.86% rispetto a quello ottenuto per via spettrofotome¬ trica. Tale eccesso lascia quindi prevedere o una incompleta solubi- lizzazione degli ossidi ed idrossidi liberi (il che potrebbe anche essere probabile) oppure (e ciò sembra ancora più probabile) che il ferro stesso faccia parte integrante del reticolo cristallino della ìllite o della caolinite. Si può comunque affermare che il ferro è interamente presente sotto forma di Fé"', per costituire essenzialmente la molecola della ematite e, solo secondariamente, quella della goethite o di altro idrossido che non è stato possibile accertare. 7 — Analisi chimiche della terra rossa di Gaeta. La terra rossa a tout venant » prelevata dalle località Monte Cristo e La Catena, parallelamente alla sabbia gialla di Serapo (allo scopo di poter cogliere le variazioni ed i rapporti tra la composizione chimica e mineralogica terra rossa-sabbia gialla) è stata analizzata quantitativamente: i relativi valori sono riportati nella Tabella V. Le analisi riguardano : 1) Terra rossa di Gaeta, località Monte Cristo, quota m. 175 sul l.m. (An. Sinno). 2) Terra rossa di Gaeta, località « La Catena », quota m. 40 sul l.m. (An. Sinno). 3) Sabbia gialla di Gaeta, località spiaggia di Serapo ( An. Sinno). — 329 — TABELLA V. 1 2 3 Si02 76.06 77.50 61.80 Ti02 0.40 0.30 0.04 ZrO? tracce tracce assente A1203. 9.90 8.30 9.74 Fe203 2.98 2.10 0.50 FeO 0.58 0.65 0.16 MnO 0.16 0.08 0.04 MgO 1.40 1.04 0.58 CaO 2.96 2.70 12.72 k2o 1.90 1.70 1.42 Na20 0.34 1.04 0.98 h2o+ 1.48 1.42 1.60 h2o- 0.42 0.30 0.04 co2 1 1.40 1.32 9.68 so3 0.12 0.40 0.28 CI 0.24 0.34 0.72 P203 0.05 0.04 — n205 • 0.90 ... 100.39 100.13 100.30 u II c 0.06 0.08 0.18 100.33 100.05 100.12 Sulla scorta dei valori analitici ottenuti sono stati calcolati i co¬ stituenti mineralogici con le relative percentuali. I risultati sono ripor¬ tati nelle Tabelle VL VII ed Vili. TABELLA VI. — 330 — « VI © CU ss o o ^ SO o\ so ^ rt d r-ì O 2 C/3 q o o i— i 6 > £3 H Boll. Soc. Nat. Napoli, 1963. Sinno R. Studio sulle terre delV Italia, ecc. - Tav. V. Fig. 1. — Curve granulometriche di Doeglas relative alle località indicate. 9) Fossato Casarevole 10) Il Piano 11) Serapo - (sabbia giallina). Soc. Nat. Napoli. 1963. Sinno R. Studio sulle terre rosse dell’Italia, ecc. - Tav. VI. Boli- Carta topografica del Golfo di Gaeta (foglio 171 IV S.O.; Scala 1 : 25.000) Affioramenti di «terra rossa località di prelevamento dei campioni. Boll, Soc. Nat. Napoli, 1963. Sinno R. Studio sulle terre rosse deW Italia , ecc. ■ Tav. VII Fig. 1. — Terra rossa di Gaeta. Granuli di quarzo - (ingr. x 10; nicol =) Fig. 2. — Terra rossa di Gaeta. Quarzo, pirosseno, magnetite, e noduli opachi di ossidi di ferro. - (ingr. x 10; nicol =). , Boll. Soc. Nat. Napoli, 1963 Sinno R. Studio sulle terre rosse dell'Italia , ecc. - Tav. Vili Fig. 1. — Monte Lombone (m. 117) - All’altezza del livello stradale (S.S. 213) affiora la terra rossa. Fig. 2. — Spiaggia di Serapo. Boll. Soc. Nat. Napoli, 1963. Sinno R. Studio sulle terre rosse dell' Italia, eco. - Tav. Fig. 1. — La Catena ■ Affioramento di terra rossa sul calcare cretacico. Fig. 2. — La Catena - Cava di terra rossa. Boll. Soc. Nat. Napoli, 1963 Sinno R. Studio sulle terre rosse dell’ Italia, ecc. Tav. X. Fig. 1. — Cava Conca (Gaeta). Fig. 2. — Calcare marnoso costituente il livello superiore della parete. — 341 — TABELLA XIII. 3 N° In. O d in A Minerale N° In. O d in A Minerale 4 f 10 illite 15 dd 1.98 illite 1 dd 4.90 » 16 md 1.94 » 2 f 4.46 17 md 1.82 quarzo 1 3 mf 4.24 quarzo 18 dd 1.73 muscovite 5 ff 3.33 » 19 dd 1.67 quarzo 6 dd 3.23 muscovite 20 d 1 1.54 quarzo 7 dd 3.09 illite 21 m 1.50 illite 8 dd 2.85 » 22 md 1.37 quarzo 9 f 2.56 » 23 d 1.34 illite 10 d 2.45 » 24 dd 1.25 quarzo 11 dd 2.39 illite 25 dd 1.20 » 12 dd 2.26 quarzo 26 dd 1.08 » 13 dd 2.23 illite 14 d 2.14 1 illite l Poiché la forma delle curve consente di conoscere l’origine del sedimento, è possibile dedurre che alla formazione della terra rossa di Gaeta concorse prevalentemente la componente eolica. Questa deduzione ben si accorda del resto con l’uniformità di arrotonda¬ mento presentato dai granuli di quarzo (che, come si è visto in pre¬ cedenza, rappresenta il componente essenziale di questo particolare tipo di terra rossa), così costante da poter attribuire solo al vento, con determinate condizioni di velocità, un trasporto con accumulo di granuli prevalenti di determinate dimensioni. Poiché è noto che l’arrotondamento dei granuli diminuisce con il diminuire delle dimen¬ sioni del diametro, è possibile spiegare anche la presenza nella fra¬ zione sabbiosa fine, di frammenti di quarzo a spigoli vivi, presenza che, nulla nella frazione grossolana, rarissima nella frazione media, diviene più sensibile nella frazione fine, ove, solo grazie alle loro dimensioni, i frammenti poterono sottrarsi all’azione erosiva del vento. Venendo ora al particolare e confrontando tra loro le varie curve — 342 — ricavate, mentre il tratto intermedio relativo ai valori compresi tra il 10% ed il 90% circa si mantiene pressocchè identico per tutte, il tratto iniziale, variabile in linea di massima in funzione dell’al¬ tezza a cui è stato prelevato il relativo campione, consente di poter classificare le curve stesse in tre tipi principali e precisamente: un primo tipo, al quale appartengono le curve 1, 2, 3, 4 della Tavola III, in cui il tratto iniziale è completo, il che equivale a dire che sono rappresentate tutte le frazioni granulometriche dalla più grossolana alla più fine; un secondo tipo, al quale appartengono le curve 5, 6, 7, 8 della Tavola IV, in cui il tratto iniziale è incompleto, mancando la fra¬ zione granulometrica grossolana compresa tra le dimensioni da 1000 a 700 [i ; un terzo tipo, al quale appartengono le curve 10, 11 della Tavola V, in cui il tratto iniziale manca completamente, non essendo rappresentate le frazioni granulometriche comprese tra 1000 e 400 |X. Tale andamento porta a pensare che la terra rossa originaria¬ mente deposta a determinata altitudine, arricchì sempre più la sua frazione media e fine a spese della sua frazione grossolana che intanto andava sempre più suddividendosi: in altri termini ciò porta ad ammettere un processo evolutivo della terra rossa, seguente alla sua deposizione. Quali furono gli agenti di questa evoluzione? A questo interrogativo risponde chiaramente il profilo della curva relativa alla sabbia giallina della spiaggia di Serapo (curva 11 della Tavola V, il cui andamento si avvicina notevolmente a quelle del terzo tipo. Non essendo possibile ammettere la formazione di una spiaggia senza Tintervento di una azione combinata del vento e dell’acqua, ne consegue che anche la terra rossa dovette essere interessata, suc¬ cessivamente al suo deposito, ad un tipo di azione analoga. Per quanto riguarda poi il diverso grado di differenziazione delle varie curve più o meno accentuato, è evidente che ciò possa mettersi in rapporto con Tintensità delle due azioni che, certamente, dovette variare nel tempo. Tutte le curve poi, compresa quella relativa alla sabbia di Serapo, presentano un punto di flesso in corrispondenza delle dimensioni comprese tra 200 e 250 [jl. Esistendo, sempre secondo Doeglas, un rapporto diretto tra dimensioni dei granuli ed intensità dell’agente che ha prodotto l’accumulo dei materiali, è possibile dedurre Tesi- — 343 — stenza di almeno due valori principali relativi alla intensità dello agente stesso. Scindendo le curve nei due tratti costituenti è possibile ancora ricavare che il tipo di terreno studiato appartiene ai sedimenti origi¬ nati oltre che per apporto eolico, anche per trasporto idrico. Tale materiale, soprattutto nella parte più grossolana, subì una evoluzione, nel senso che Fazione combinata del vento e delle acque consentirono una maggiore frammentazione e suddivisione prima, ed una nuova classificazione e quindi deposito, successivamente. CONCLUSIONI Il presente studio sulla terra rossa presente lungo tutto l’arco costiero del Golfo di Gaeta, unitamente a quello sui residui insolubili delle rocce di base, permette di formulare le seguenti considerazioni. 1) È innegabile, almeno a prima vista, anche se lini italamente ad alcuni componenti, che esista una analogia di composizione mine¬ ralogica tra terra rossa e resìduo insolubile delle rocce di base. Tale analogia è relativa a quattro componenti e precisamente quarzo, illite, caolinite, e, probabilmente, muscovite. Per quanto riguarda però specificatamente il quarzo non si riesce a comprendere il tipo di processo al quale questo componente dovette essere interessato per potersi trasformare da minutissimi frammenti cristallini in granuli arrotondati e del valore massimo di mm. 1 di diametro. 2) L’associazione illite-caolinite,' con il primo componente di gran lunga prevalente sul secondo, che permette di ascrivere la terra rossa di Gaeta tra le tipiche terre rosse mediterranee, è effettivamente presente nel residuo insolubile del calcare di base, anche se in mi¬ sura molto ridotta. Questo se da un lato richiede un processo di dissoluzione molto intenso, dall’altro porta, di conseguenza, un a» spetto della roccia, interessata a tale processo, del tutto particolare. Tale aspetto manca assolutamente nei calcari di base alla terra rossa. 3) Anche volendo ammettere un processo di dissoluzione del calcare, ciò è in netto contrasto sia con la forma granulare del com¬ ponente prevalente della terra rossa, vale a dire del quarzo, sia con la presenza di minerali pesanti e di origine vulcanica, quali magne¬ tite e, principalmente, pirosseno che costituisce circa l’8% della com posizione globale. 4) Considerando poi la mancanza di stratificazione della terra rossa ed in particolare la sua giacitura sopra colline a sommità quasi 344 — pianeggiante, o sopra terrazze di origine fluviale o marina (tipiche delle regioni di accumulazione eolica secondo Richthofen [35]) questi due argomenti costituiscono un ottimo presupposto per consi¬ derare l’origine eolica di questi terreni. 5) È noto che Fazione del vento non provoca gli stessi effetti sui vari componenti sui quali agisce: gli ultimi granuli ad arroton¬ darsi sono proprio quelli dei minerali leggeri, principalmente tra essi, il quarzo. Se nella terra rossa di Gaeta è proprio questo componente ad avere il tipico aspetto arrotondato, con superfici smerigliate, ciò non solo indica un trasporto eolico ma una provenienza diversa e, soprattutto una lunghezza diversa del percorso, molto diverse da quelle che interessarono il pirosseno che, a parità di grandezza, si presenta a spigoli vivi. La breve distanza ed il percorso insufficiente, unitamente alla origine vulcanica del pirosseno, potrebbero mettersi in relazione con Fattività vulcanica di Roccamonfina. che avrebbe potuto fornire que¬ sto componente, unitamente alla magnetite. La considerazione fatta richiederebbe la presenza tra i compo¬ nenti della terra rossa di termini sialici quali feldspati o feldspatoidi (tipo plagioclasi o tipo leucite che, con il pirosseno, costituiscono i minerali essenziali costituenti i prodotti di Roccamonfina) che, al contrario, fatta eccezione per qualche più che mai raro cristallo di plagioclasio, non sono stati mai osservati quali costituenti. D’altronde, però, se si pensa alla loro relativamente più facile alterabilità, nei confronti del pirosseno, anche questo apparente con¬ trasto trova la sua causa, per cui si sarebbe indotti a pensare che il processo di alterazione dei plagioclasi e della leucite che condusse all’arricchimento dei minerali illite e caolinite, i quali già facevano parte, per trasporto eolico, della terra rossa, fu Io stesso che, in mi¬ sura minore, consentì l’alterazione del ferro del pirosseno, trasfor¬ mandolo nel suo ossido ed idrossido. Appare di conseguenza che una tale alterazione sia più compa¬ tibile con un ambiente idrico, il che ben si accorda anche con l’in¬ terpretazione delle curve di Doeglas. Concludendo, si può affermare che se anche nella genesi della terra rossa di Gaeta, contribuì la dissoluzione del calcare cretacico, tale processo dovette essere molto relativo. Determinante ed essen¬ ziale ai fini della formazione del deposito dovette essere la compo¬ nente eolica, non disgiunta dall’azione della componente idrica successiva. Istituto di Mineralogia della Università di Napoli - Dicembre 1962. — 345 — RIASSUNTO È stato eseguito uno studio sedimentologico, mineralogie o e chimico sulla « terra rossa » presente lungo l’arco costiero del Golfo di Gaeta, dalla località « il Piano » fino alla « Piana di S. Agostino ». L’analisi chimica e mineralogica delle varie frazioni ha dimostrato la costante presenza del quarzo, quale componente prevalente, associato a minerali pesanti, prin¬ cipalmente pirosseno e magnetite titanifera. Mediante l’analisi roentgenografica e termodifferenziale è stata messa in evidenza la composizione mineralogica della frazione argillosa che è risultata essere costituita in prevalenza da illite, e, secondariamente, da caolinite. È stato successivamente studiato il complesso della serie cretacica sottostante con particolare riguardo alla composizione mineralogica e chimica dei residui insolubili. Con l’aiuto delle curve granulometriche di Doeglas viene discussa la probabile genesi della « terra rossa » di Gaeta. SUMMARY A mineralogical, chemical, sedimentological study on thè « terra rossa » was carried out, along thè Coastal arch of thè Gulf of Gaeta (South Italy), from thè zone « il Piano » as far as thè « Piana di S. Agostino ». The chemical mineralogical analysis of thè various fractions has shown thè Constant presence of quartz, as prevailing component, associated with heavy minerals chiefly pyroxene and titaniferous magnetite. Through Roentgen and thermodifferential analysis it was given evidence of thè mineralogical compositon of thè clay fraction which resulted to be forni ed of illite prevalently, and kaolinite, secondly. It was successively studied thè complex of thè underlying cretaceous series with particular regard to thè mineralogical chemical composition of thè insoluble residues. By thè help of Doeglas granulometrie curves it was discussed thè probable genesis of thè « terra rossa » of Gaeta. BIBLIOGRAFIA [1] Baratta M. I terremoti d’Italia. Roma 1936. [2] Cassetti M. Sulla costituzione geologica dei monti di Gaeta. Boll. Coni. Geol. Ital. 27 (1896). [3] Cassetti M. Sulla costituzione geologica dei Monti di Gaeta. Boll. Com. Geol. Ital. 31 (1900). [4] Segre A. G. 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Piperni, tufi pipernoidi, tufi campani Nota del socio ANTONIO SCHERILLO (Tornata del 27 dicembre 1963) Nella parte prima del presente lavoro (1) mi sono occupato del problema delle piroclastiti in rapporto all’evoluzione vulcanica in generale, e alla differenziazione nel corso di un’eruzione in parti¬ colare, traendo esempio dalle piroclastiti dei vulcani Sabatini e del Vulcano di Vico e dai prodotti dell’eruzione vesuviana del 1944. Ora tratto il problema delle piroclastiti della Campania. Parlo di a tufi campani » e non di « tufo campano », come si usa, perchè non è sicuro che quelle piroclastiti che rappresentano la più tipica formazione della Terra di Lavoro, siano il prodotto di un unico vul¬ cano e, più precisamente, che siano sempre di origine flegrea. Analogamente parlo di « piperni » e non di « piperno » perchè questa roccia non è esclusiva della base della collina dei Camaldoli tra Soccavo e Pianura. Comunque si tratta sempre di piroclastiti appartenenti a quello che De Lorenzo ha chiamato « primo periodo flegreo ». Come è noto, macroscopicamente il tufo campano tipico si pre¬ senta di color grigio chiaro, non molto coerente, con pomici e scorie nere con disposizione caotica, il tufo pipernoide ha gli inclusi ridotti a forma lenticolare, con disposizione parallela, mentre il piperno accentua ancora questo carattere (le « fiamme » corrispondono alle pomici e alle scorie del tufo campano) ed è fortemente cristallino e molto coerente. Per non uscire dai limiti, considero le piroclastiti sopratutto dal punto di vista chimico. Per quanto riguarda la composizione mine¬ ralogica riporto i risultati delle indagini coi raggi X e coll’A. T. D. (1) Scherillo A., Piroclastiti ed evoluzione vulcanica. Parte I. Boll. Soc. Natu¬ ralisti, voi. 71, Napoli 1963 pag. 181-200. — 348 — che, per queste rocce, rivestono speciale importanza. In altra sede si potrà procedere alla descrizione petrografia ; il mio scopo è di cercare di stabilire le caratteristiche chimiche di tali piroclastiti e allo scopo mi sono servito, oltre che dei valori di Niggli (2), dei rapporti: si : m : al si : f : m si : al : f che riguardano i componenti meno « mobili » delle piroclastiti, cioè si , al , f , m. È noto infatti che c e ale possono subire in queste rocce fortissime diminuzioni. Nel caso presente il calcolo dei « rapporti caratteristici » po¬ trebbe apparire superfluo, perchè il tipo trachitico alcalino risulta evidentissimo, ma si tratta appunto di stabilire una volta per tutte, i « rapporti » per le piroclastiti trachitiche alcaline. Ho eseguito quindi il calcolo sul maggior numero possibile di analisi chimiche mie e di altri autori. Le analisi chimiche indicate con numeri romani sono originali (3). Come ho avvertito, l’origine flegrea non è sicura per tutte queste piroclastiti. La pomice trachitica (trachite vitrofirica) del pozzo Maia¬ loni a Pompei potrebbe rappresentare uno dei primi prodotti del Somma e così pure anche qualche altro tufo del Nocerino. Rimane poi sempre aperta la questione dell’eventuale esistenza di centri vulcanici locali che potrebbero aver emesso alcuni tufi, come p. es. quello di S. Prisco (Caserta) tanto ricco di inclusi (anche blocchi di ossidiana) talora di notevoli dimensioni. Ad ogni modo, quale ne sia l’origine, sui nostri tufi della Cam¬ pania esistono forse idee non esatte. In Campania, (o meglio nella pianura campana) non si trovano soltanto i tufi campani grigi, più o meno pipernoidi e i piperni, ma anche dei tufi analoghi (ma non identici) al nostro tufo giallo napoletano. Tali sono il « tufo di Casal¬ nuovo di Napoli », il « tufo di Aversa », il « tufo di Caserta e di (2) Nel calcolo dei valori di Niggli ho unito i rapporti molecolari MnO FeO (tot.) e, finché è stato possibile, ho detratto da natr le quantità corrispondenti a Cl9 e da c quelle corrispondenti a S03 e a P20_ . (3) Per le analisi (a) ( b ) ( g ) ( h ) v. Narici E., Contributo alla petrografìa chi¬ mica della provincia magmatica campana e del Monte Vulture . Zeit, fiir Vulk.. voi. 14. Berlino 1932, pag 210-239 Per le analisi (c) (d), (c) (/) v. Zambonini F.„ Le ricerche chimiche eseguite sui minerali della zona vulcanica della Campania nel- VIstituto di Chimica Generale della R. Università di Napoli negli anni 1923-29. Boll. Soc. Geol. It., voi. 49. Roma 1930, pag. 1-264. — 349 — Maddaloni », il « tufo di Castel S. Giorgio (Nocera) ». Si tratta di tufi rossastri o giallastri a pomici nere. Per il « tufo di Caserta » v. an. XIV, XV, XVII, per il « tufo di Maddaloni » v. an. XVI, per il « tuffo di Aversa » v. an. XIX, per il « tufo di Castel S. Giorgio » v. an. XI. L’analisi del « tufo di Casalnuovo » non è riportata nel presente lavoro. Dai risultati delle analisi questi tufi appaiono legger¬ mente più basici dei tufi campani tipici. Dal punto di vista mineralogico, mentre il tufo campano, il tufo pipernoide e il piperno, poverissimi di H20, danno coi raggi X lo spettro, molto evidente, del sanidino, nei tufi giallo-rossastri, più idratati, accanto allo spettro del sanidino compare anche quello delle zeoliti ( phillipsite, cabasite). La zeolitizzazione è molto avanzata nel tufo di Maddaloni, appena iniziata nel tufo rossastro di S. Marcellino di Aversa. Nei! la pianura campana, tranne nel settore sud occidentale dove la situazione stratigrafica è diversa, non esistono sopra ai tufi potenti formazioni di pozzolane, nè il mappamonte, ma, sopra il tufo, soltanto il cc cinerazzo ». Seguono gli ultimi lembi dei prodotti del « terzo periodo ». Per « cinerazzo » si intende una piroclastite incoerente che dà coi raggi X lo spettro del sanidino, mentre le nostre pozzolane mo¬ strano di essere quasi completamente amorfe. Ora, mentre la base vetrosa delle pozzolane, opportunamente cimentata, si zeolitizza, un cinerazzo tipico non ha alcuna proprietà idraulica e non può esser zeolitizzato (4). Il cinerazzo di Carinaro ( an. XVIII) fornisce lo spettro del sani¬ dino, ma pare che la roccia contenga ancora la base vetrosa in propor¬ zioni non trascurabili ed è così che il tufo di S. Marcellino di Aversa, che, come posizione stratigrafica è immediatamente sottostante al cinerazzo, mostra sempre le linee del sanidino e in più esaminato coll’A.T.D., accenna ad un principio di zeolitizzazione (a phillipsite) Tale zeolitizzazione si sviluppa a spese della residua base vetrosa del cinerazzo. Il processo è più avanzato nei tufi del Casertano e in quello di Castel S. Giorgio, che però, accanto alle righe delle zeoliti (cabasite, phillipsite), mostrano, in genere, ancora quelle del sanidino. (4) Sersale R., Genesi e costituzione del tufo giallo napoletano. Rend. Acc. Se. Fis. e Matem., serie IV, voi. 25. Napoli 1958, pag. 181-207. Io. Ricerche sulla zeolitiz¬ zazione dei vetri vulcanici per trattamento idrotermale . Nota 1. Herschelite da vetro ricavato attraverso la fusione di roccia eminentemente sanidinica. Ibid., serie IV, voi. 26, pag. 15-22. — 350 — A S. Benedetto e a S. Nicola la Strada la successione dall’alto al basso del « complesso del tufo giallo » è, schematicamente, la seguente: a) cinerazzo, in parte sanidinico ; b) tufo grigio, in parte sanidinico ( an. XIV); c) tufo giallo ( an. XV, XVI, XVII), sanidinico e zeolitico. Nel tufo di S. Pietro di Caiazzo la varietà grigia (an. XX) è sani- dinica, la gialla (an. XXI) è sanidinica e zeolitica. I rapporti : tufo di Caserta - tufo Campano e tufo di Castel S. Gior¬ gio - tufo di Piano (equivalente del tufo campano) non sono diretta- mente precisabili. I tufi di Fiano e di Castel S. Giorgio sono entrambi in posizione pedemontana, ma a Fiano manca il tufo giallo, a Castel S. Giorgio il grigio. Nel Casertano i tufi campani di S. Prisco, Puccianiello, S. Cle¬ mente sono in posizione pedemontana, i tufi di Caserta appaiono in piena pianura. Come sempre in casi simili le descrizioni dei risultati delle perfo¬ razioni non conducono a conclusioni sicure perchè le descrizioni stesse sono imprecise e insoddisfacenti ; pare comunque che nel Casertano sotto la fascia dei tufi gialli si inizi un tufo grigio, molto compatto, del tipo del tufo di Puccianiello (o, meglio della parte basale di questo). Resta naturalmente da stabilire se si tratti dei prodotti suc¬ cessivi di una stessa eruzione o di due eruzioni diverse. Inoltre per i rapporti : parte superiore di tufo di Puccianiello ( an. Vili) — tufo di S. Clemente (an. XII e XIII) — tufi di S. Benedetto e S. Nicola la Strada non si può neppure escludere il passaggio laterale. La zona in cui affiora il piperno (oltre alla base meridionale della collina dei Camaldoli) e il tufo pipernoide è la fascia occiden¬ tale della pianura campana tra Literno e il quadrivio di Ischitella. Qui manca il tufo giallo. Il tufo di Parete (an. f) non è affiorante. Per la posizione stratigrafica del piperno di via F. Palizzi a Napoli (an. IV) e della trachite di via F. Crispi in Napoli (an. I) rimando ad un mio precedente lavoro ( 1). Nelle tabelle seguenti sono riportate le analisi delle piroclastiti (e di una colata lavica nellan. I) coi relativi valori di Niggli e i « rapporti caratteristici ». (1) Scherillo A., 1 a tufi antichi » ira S. Maria Apparente e via Parco Grifeo in Napoli. Boll. Soc. Naturalisti, voi. LXVI, Napoli, 1957, pag. 69-84. — 351 — TABELLA I. Ossidiane, lave scoriacee, pomici del « primo periodo flegreo ». VALORI ANALITICI (I) (II) (HI) (a) Si02 59.67 59.37 58.31 61.28 Ti02 0.40 0.40 0.25 0.47 Zr02 0.09 0.02 0.06 — AIA 18.53 18.50 19.19 19.74 *>A 2.51 1.91 2.67 1.34 FeO 0.98 1.75 1.54 0.64 MnO 0.16 0.18 0.16 0.13 MgO 0.59 0.55 0.37 0.56 CaO 1.91 1.65 1.83 2.24 BaO tr. tr. 0.02 . — k2o 7.60 7.87 6.12 6.72 NaaO 6.49 6.24 6.35 5.54 CI 0.70 0.64 0.03 0.09 so3 0.22 0.31 0.01 — PA 0.22 0.08 0.05 0.48 «A ass. 0.39 0.04 0.11 ha 0.23 0.65 2.83 1.41 100.30 100.51 99.83 100.75 o/ci2 0.16 0.15 0.02 100.14 100.36 100.73 VALORI DI NIGGLI (1) (II) (III) (a) si 223.9 220.8 218.4 239.7 al 40.8 41.4 42.3 45.2 f 10.6 l 1 11.1 ) 13.0 J 1 6.6 ) 1 m 3.4 ^ • 14.0 «M 14.2 2.0 \ > 15.0 3.3 ] • 9.9 c 5.6 5.1 5.2 7.3 kal 18.3 ( ) 18.7 ì 14.6 ( ) 16.7 ( ) natr 21.3 < j 39.6 20.6 ) • 39.3 22.9 < 37.5 20.9 < 37.6 aq 2.7 12.5 35.9 19.7 k 0.46 0.48 0.39 0.45 mg 0.24 0.22 0.13 0.34 Si° 0.87 0.85 0.87 0.96 (I) Trachite scoriacea, Via Francesco Crispi, Napoli. (II) Proietto ossidianico nel « tufo campano » di S. Prisco (Caserta). (Ili) Pomice nera dal «tufo antico». Galleria dell’acquedotto tra Capodimonte e le Fontanelle (Napoli). (a) Scoria trachitica : S. Angelo in Formis (an. Narici). 352 TABELLA IL Piperni ( tufi pipernoidi). VALORI ANALITICI (b) (c) (IV) (V) Si02 60.13 60.17 59.47 60.06 Ti02 0.51 0.43 0.38 0.35 Zr02 — tr. 0.08 0.09 AIA 19.73 18.58 18.88 18.22 3.06 2.78 3.11 2.58 FeO 0.52 0.50 0.70 0.81 MnO 0.21 0.22 0.18 0.20 MgO 0.32 0.50 0.63 0.64 CaO 1.86 1.98 2.24 2.09 BaO — 0.01 tr. 0.13 k9o 7.30 7.17 7.83 7.68 Na90 5.84 6.23 5.08 5.75 CI 0.17 0.38 0.49 0.53 so. — — 0.23 0.07 pÀ 0.18 0.05 0.15 0.10 h2o- 0.07 0.13 0.21 0.15 h2o+ 0.20 0.76 0.27 0.58 100.10 99.89 99.93 100.03 0/Cl2 0.04 ' 0.09 0.11 0.14 100.06 99.80 99.82 99.89 VALORI DI NIGGLI (b) (c) (IV) (V) si 222.2 224.9 223.7 226.7 al 42.8 40.8 41.8 40.5 f 10.8 ) 9.9 ) 11.5 ) 10.4 ) m 1-8 \ 12.6 2.7 126 3.6 15J 3.6 \ c 6.6 8.1 7.5 7.9 kal 17.4 ) 17.2 ) 18.7 ) 18.6 ) natr 20.6 < 38.0 21.3 \ 38 5 16.9 35‘6 19.0 \ aq 3.4 11.0 5.9 9.1 k 0.46 0.45 0.52 0.49 mg 0.15 0.21 0.24 0.26 Si° 0.88 0.89 0.94 0.90 (b) Piperno (media parti chiare e scure), Pianura (an. Narici). (c) Piperno (media parti chiare e scure); Soccavo (an, Zambonini). (IV) Piperno. Via F. Palizzi, Vomere, Napoli. (V) Piperno (tufo pipernoide). Vallone delle Fontanelle, Napoli. 14.0 37.6 TABELLA III. Tufi campani pipernoidi. VALORI ANALITICI (d) (c) (f) Si02 60.87 60.56 59.20 Ti02 0.42 0.45 0.56 Zr02 — — 0.03 ai3o3 19.06 18.75 18.36 Fe203 3.34 3.43 3.81 FeO 0.05 0.46 0.22 MnO 0.27 0.26 0.19 MgO 0.66 0.57 0.70 CaO 1.98 2.17 2.32 BaO 0.01 0.01 0.02 k2o 7.13 7.24 7.55 Na.,0 5.12 4.72 4.64 CI tr. 0.04 0.20 so, 0.09 0.05 0.09 0.08 0.06 tr. co. 0.09 0.09 0.08 H,0- 0.65 0.92 0.61 h'o- 0.50 0.72 1.08 10032 100.50 99.66 o/ci2 0.01 0.05 100.49 99.61 VALORI DI NIGGLI (d) (c) (f) si 233.1 229.9 223.2 al 43.0 41.7 40.8 f 10,6 l 12.1 ) 12.0 ; m 3.2 \ 13.8 3.2 < 15.3 4.1 < c 6.9 8.2 8.7 kal 17.5 ) 17.5 ) i8.i ; natr 18.8 S 36.3 17.3 } 34.8 16.3 < aq 14.7 16.5 21.1 k 0.48 0.50 0.53 mg 0.25 0.21 0.25 Si° 0.95 0.97 0.94 (a) Tufo campano; Fiano (Nocera) (an. Stella Starrabba). (e) Tufo campano ibid. (an. Zambonini). (f) Tufo campano; Parete (Aversa) (an. Zambonini), 354 TABELLA IV. Tufi campani grigi. (VI) (VII) (Vili) Si02 59.82 59.57 60.09 Ti02 0.50 0.38 0.32 Zr02 0.04 0.06 0.07 ai3o3 19.44 18.98 18.42 3.56 3.00 3.53 FeO 0.42 0.45 0.48 MnO 0.20 0.14 0.16 MgO 0.27 0.61 0.90 CaO 1.58 2.78 2.45 BaO 0.13 tr. 0.06 k2° 7.72 6.90 7.84 Na2° 4.70 5.09 4.59 CI 0.03 0.10 0.20 s°3 0.07 0.05 0.03 p2o5 0.09 0.22 0.10 h20- 0.72 0.45 0.22 h2o+ 0.82 1.70 0.98 100.11 100.48 100.44 o/ci2 0.01 0.02 0.05 100.10 100.46 100.39 VALORI DI NIGGLI (VI) (VII) (Vili) si 230.0 221.7 222.5 al 43.7 41.5 40.1 f 12.2 ) 10.5 ) 11.8 ) m 1.6 13'8 3.4 13-9 4.8 S 16,6 c 6.1 10.1 9.1 kal 18.9 ) 16.4 ) 18.5 ) natr 17.5 ] 36-4 18.1 j 34‘5 15.7 f 34'2 aq 19.6 26.9 14.8 k 0.52 0.48 0.54 mg 0.12 0.24 0.29 Si° 0.94 0.93 0.94 (VI) Tufo pipernoide ; Literno. (VII) Tufo grigio; S. Prisco (Caserta). (Vili) Tufo grigio: Puccianiello. TABELLA V. Tufi della Penisola Sorrentina e di Castel S. Giorgio (IX) (X) (XI) Si°2 59.67 58.14 55.32 Ti02 0.48 0.45 0.40 Zr02 0.10 0.07 0.04 AIA 17.85 17.09 17.26 Fe303 2.57 3.29 3.08 FeO 1.26 0.35 1.00 MnO 0.16 0.17 0.16 MgO 0.69 0.91 1.06 CaO 2.53 2.39 3.64 BaO 0.13 0.18 0.07 Kf)0 8.03 7.58 6.28 Na20 4.29 5.34 3.11 CI 0.11 0.84 0.04 so3 0.05 0.12 0.03 P205 0.08 0.12 0.1'5 h2o- 0.51 1.24 2.33 h2o+ 1.17 1.66 6.12 99.68 99.94 100.09 0/Cl2 0.03 0.20 0.01 99.65 99.74 100.08 VALORI DI NIGGLI (IX) (X) (XI) si 226.4 222.7 214.4 al 40.0 38.7 39.8 f 11.6 ) 11.2 ) 12.8 ) m 3.9 15'5 5.3 \ 16.5 6.3 19J c 9.8 9.2 14.1 kal 19.3 ) 18.6 ) 15.6 ) natr 15.4 j 34'7 17.0 ) 35.6 11.4 ^27*° aq 22.0 37.0 109.3 k 0.55 0.52 0.58 mg 0.25 0.32 0.33 Si0 0.95 0.92 1.03 (IX) Tufo grigio; Pastena ( Massalubrense). (X) Tufo grigio; Sorrento, Marina Piccola. (XI) Tufo giallo chiaro; Castel S. Giorgio (Nocera). 356 TABELLA VI. Tufi di Caserta. VALORI ANALITICI (XII) Tufo grigio incoerente; S. Clemente, Caserta. (XIII) Tufo giallo incoerente; S. Clemente, Caserta (XIV) Tufo grigio coerente; S. Benedetto, Caserta. (XV) Tufo giallo coerente; S. Benedetto, Caserta. (XII) (XIII) (XIV) (XV) Si02 59.95 59.32 55.16 53.07 Ti02 0.40 0.40 0.43 0.46 Zr02 0.05 0.08 0.03 tr. AIA 19.10 18.52 18.03 15.38 Fe203 3.44 3.83 2.09 3.38 FeO 0.30 0.20 1.61 0.63 MnO 0.16 0.17 0.11 0.12 MgO 0.71 0.93 1.07 0.95 CaO 2.00 2.32 3.26 3.18 BaO tr. 0.03 0.05 tr. k2o 7.23 8.58 9.22 8.05 Na20 5.15 3.65 2.78 2.58 CI 0.02 0.06 0.07 0.12 so3 0.08 0.02 0.08 0.06 PA 0.20 0.11 0.06 0.58 h2o- 0.54 0.79 2.46 4.56 h2o+ 0.71 0.77 4.14 7.48 100.04 99.78 100.65 100.60 o/ci2 0.01 0.02 0.03 99.77 100.63 100.57 VALORI DI N1GGLI (XII) (XIII) (XIV) (XV) si 223.5 221.8 202.4 222.3 al 41.8 40.6 38.8 37.9 f 11.2 J 1 11.9 ; 1 11.0 } ! 13.4 ) m 4.0 S ; 15-2 5.4 \ > 17.3 5.9 S > 16.9 6.0 ( c 7.2 8.5 12.8 11.3 kal i7.2 ; i 20.6 ; ) 21.6 j ) 21.4 ) natr 18.6 < | 35,8 13.0 < > 33.6 9.9 < > 31.5 10.0 ) aq. 15.2 19.5 80.0 167.3 k 0.48 0.61 0.69 0.68 mg 0.26 0.31 0.35 0.31 Si° 0.92 0.95 0.90 0.98 19.4 31.4 357 — TABELLA VII. Tufi di Caserta e di Aversa. VALORI ANALITICI (XVI) (XVII) (XVIII) (XIX) Si0o 51.92 52.14 56.64 54.98 Ti02 0.45 0.50 0.40 0.40 Zr02 0.04 0.05 0.02 0.06 AIA 16.42 16.57 18.91 18.18 F 19 2 6.7 ) ' 7.1 j 20’4 c 17.9 18.8 14.1 15.6 kal 15.0 ) 15.7 ) 16.2 ) 15.4 ) natr 8.4 j 23'4 8.2 j 23*9 14.8 \ 3L0 10 9 ; 26.3 aq 167.0 166.0 10.0 66.0 k 0.64 0.66 0.52 0.59 mg 0.40 0.32 0.35 0.35 Si° 1.06 1.07 0.81 0.95 (XVI) Tufo giallo coerente; Maddaloni. (XVII) Tufo giallo coerente; S. Nicola La Strada, Caserta. (XVIII) Cinerazzo ; Carinaro, Aversa. (XIX) Tufo rossastro; S. Marcellino. Aversa. 358 — TABELLA VIXL Pomici e scorie di Tramonti e di Pompei (Scavo Maialoni). (g) (h) Si02 59.88 58.72 Ti02 0.47 0.62 VALORI DI NIGGLI Zr02 — — A12°3 19.24 18.37 (g) (h) Fe203 4.00 0.93 FeO 0.31 2.18 si 208.8 212.3 MnO 0.27 0.15 al 39.4 39.2 MgO 0.88 1.04 f 12.1 » 9.5 / CaO 3.13 3.14 ( 16.7 m 4.6 \ 5.6 1 BaO _ _ c 11.9 11.4 k2o 6.91 8.04 kal 15.3 ) 18.1 j Na O 5.06 4.66 > 32.0 ( natr 16.7 ) 16.2 \ CI _ _ aq 3.1 24.0 so3 — — 0.06 0.16 k 0.48 0.53 H20- 0.09 0.59 mg 0.27 0.37 h2o+ 0.17 1.41 Si° 0.92 0.89 100.47 100.01 (g) Scoria trachitica ; Val Tramonti (an. Narici). ( h) Tradiate vitrofirica ; Scavo Maialoni. Pompei (an. Narici). 15.1 34.6 — 359 — TABELLA IX. Rapporti caratteristici. Rapporti caratteristici VI) Tufo pipernoide ; Literno b) Piperno ; Pianura III) Pomice; tufo Fontanelle c) Piperno ; Soccavo d) Tufo campano; Fiano a) Scoria trachitica; S. Angelo in F. II) Ossidiana; S. Prisco e) Tufo campano; Fiano I) Trachite scoriacea; Napoli, Via Crispi VII) Tufo campano; S. Prisco V) Tufo pipernoide; Fontanelle IV) Piperno; Napoli. Via Palizzi IX) Tufo grigio; Pastena XII) Tufo grigio ; S. Clemente, Caserta f) Tufo pipernoide; Parete Vili) Tufo campano ; Puccianiello g) Scoria trachitica; Val Tramonti X) Tufo grigio; Sorrento XIII) Tufo grigio ; S. Clemente, Caserta h) Pomice; Pompei, pozzo Maialoni XV) Tufo giallo; S. Benedetto, Caserta XVII) Tufo giallo ; S. Nicola la Strada XIV) Tufo grigio; S. Benedetto, Caserta XI) Tufo giallo; Castel S. Giorgio XIX) Tufo rossastro; S. Marcellino, Aversa XVIII) « Cinerazzo » ; Carinaro. Aversa XVI) Tufo giallo; Maddaloni si :m :al si :f :m si : al : f 143.7:1:27.4 18.8:1:0.13 5.26:1:0.28 123.4:1:23.7 20.6:1:0.17 5.19:1:0.25 109.2:1:21.1 16.8:1:0.15 5.16:1:0.31 83.3:1:15.1 22.7:1:0.27 5.51:1:0.24 72.9:1:13.4 22.0:1:0.30 5.42:1:0.25 72.6:1:13.6 36.3:1:0.50 5.30:1:0.14 71.2:1:13.4 19.9:1 :0.28 5.33:1:0.27 70.2:1:13.0 18.6:1:0.26 5.39:1:0.29 67.0:1:12.0 21.1:1:0.32 5,61:1:0.26 65.2:1:12.2 21.1 : 1 :0.32 5.34:1:0.25 62.9:1:11.2 21.8:1:0.34 5.63:1:0.26 62.1:1:11.6 19.6:1:0.31 5.35:1:0.27 58.0:1:10.3 19.5:1:0.34 5.66:1:0.29 55.9:1:10.4 20.0:1 :0.36 5.35:1 :0.27 54.5:1:9.95 18.6:1:0.34 5.47:1:0.29 46.2:1:8.33 18.8:1:0.41 5.55:1:0.29 45.4:1:8.54 17.2:1:0.38 5.31:1:0.31 42.0:1:7.28 19.9:1 :0.47 5.79:1 :0.29 41.0:1:7.50 18.6:1:0.45 5.46:1:0.29 37.9:1:6.94 22.4:1:0.59 5.46:1:0.24 37.0:1:6.31 16.6:1:0.45 5.87:1:0.35 36.2:1:6.80 17.3:1:0.48 5.33:1:0.31 34.3:1:6.58 18.4:1:0.54 5.22:1:0.28 34.0:1:6.58 16.7:1:0.49 5.43:1 :0.33 27.3:1:5.31 14.6:1:0.53 5.12:1:0.35 27.2:1:5.33 14.6:1:0.53 5.11 :1:0.35 25.3:1:4.75 17.0:1:0.67 5.37:1:0.31 360 — TABELLA X. Tufi di S. Pietro di Caiazzo. (XX) (XXI) Si02 55.42 52.98 Ti02 0.50 0.46 VALORI DI NIGGLI Zr02 tr. 0.07 (XX) (XXI) AIA 17.68 16.24 si 196.2 210.8 3.81 3.21 al 37.0 39.0 FeO 0.60 0.84 f 12.2 } ! 12.6 MnO 0.10 0.10 m 7.0 ! > 19.2 7,6 MgO 1.37 1.27 c 15.1 11,5 CaO 3.96 2.89 kal 16.4 ] ì 20,4 BaO 0.17 tr. natr 1,3 ! > 28.7 8.9 K/J 7.20 8.02 aq 67.7 153.2 Na30 3.67 2.30 CI — 0.08 k 0.57 0.70 so. 0.08 0.12 mg 0.36 0.36 PA 0.07 0.09 Si° 0.91 1.00 h2o- 1.96 4.50 h2o+ 3.79 6.99 100.38 100.16 o/ci2 0.02 100.14 (XX) S. Pietro di Caiazzo; tufo grigio (an. F. Rippa). (XXI) Ibidem; tufo giallo (an. F. Rippa). si ; m : al si ; f : m si ; al 16.1 ; 1 : 0.57 5.30 ; 1 16.8 : 1 ; 0.60 5.38 : 1 20.2 29.3 : f : 0.33 : 0.32 (XX) (XXI) 28.0 : 1 : 5.43 27.8 ; 1 : 5.20 — 361 È importante notare che nessuna delle piroclastiti ha mostrato di contenere minerali argillosi, salvo il tufo grigio di S. Benedetto (XIV) che contiene halloysite, come si rileva coll’A.T.D. però in quantità minima. Perciò i cc rapporti caratteristici » mantengono tutto il loro valore; infatti la zeolitizzazione può essere accompagnata da una diminuzione di c + ale , ma gli altri coefficienti non vengono modificati in modo apprezzabile, come è dimostrato dal confronto tra i rapporti del cinerazzo di Carinaro e quelli del tufo di S. Marcellino di Aversa. Se prendiamo come specialmente significativo il rapporto si : m e scartiamo i termini i cui tale rapporto è eccezionalmente alto, pos¬ siamo fare tre gruppi, per quanto delimitati arbitrariamente. Il primo comprende, piperai, tufi pipernoidi e tufi campani e ha si : ni com¬ preso tra 90 e 60, il secondo tufi pipernoidi e tufi grigi (salvo XIII) con si : m tra 60 e 40, il terzo tufi per lo più zeolitici con si : m tra 40 e 25. I rapporti caratteristici medi sono : si : ni : al si : 1°) 69.3 : 1 : 12.8 29.8 : 2°) 49.0 : 1 : 9.0 19.0 : 3°) 31.8 : 1 : 5.9 16.5 : Sui prodotti del « secondo » riferirò in note successive. / : 77i si : al :/ 1 0.30 5.40 : 1 0.26 1 0.39 5.50 : 1 0.29 1 0.54 5.40 : 1 0.33 e del « terzo periodo flegreo » RIASSUNTO Per contribuire allo studio dell’evoluzione dei vulcani della Campania, si ripor¬ tano e si discutono le analisi chimiche di prodotti piroclastici del « primo periodo flegreo ». SUMMARY Reference is given on thè chemical composition of ancient volcanic tuffs (« pyro- clastites ») of Campania, in order to establish thè related volcanic evolution. - ' . Verbale dell’adunanza del 25 gennaio 1963 Presidente: M. Sàlfi Segretario: P. Vittozzi Soci presenti: Bottini, D’Argenio, Fondi, Franco Enrico, Lazzari, Mazzarelli. Moncharmont, Moncharmont Zei, Napolitano, Parascandola, Pescatore, Quagliariello, Sinno. Ha scusato l’assenza il presidente Scherillo. Verbale dell’adunanza del 22 febbraio 1963 Presidente: A. Scherillo Segretario: P. Vittozzi Soci presenti : Covello, D’Argenio, De Castro, De Cunzo, Di Leo, Giacomini, Imbò, Lambertini, Majo I., Mazzarelli. Moncharmont, Moncharmont Zei, Mondelli, Montagna, Napolitano, Oliveri, Orrù, Pappalardo, Parascandola, Pescatore, Pierantoni, Piscopo, Quagliariello, Romano, Sersale, Sinno, Speranza, Vallano, Zainparelli. Scusa l’assenza il Socio Palombi. Dopo brevi parole del Presidente la socia Maria Moncharmont Zei, commemora il prof. Geremia D’Erasmo, Presidente della Società dei Naturalisti. Dopo una breve sospensione dell’adunanza in segno di lutto si procede alla nomina dei revisori dei conti per il 1962, chiamando quali effettivi i soci Sinno e Quagliariello e quale supplente il socio Franco E. 11 Presidente propone di porre in votazione l’elezione a soci residenti del dott. Pietro Dohrn. direttore della Stazione Zoologica di Napoli, al posto del com¬ pianto prof. Rinaldo Dohrn e della prof. Angiola Maria Maccagno al posto del compianto prof. Geremia D’Erasmo. Le proposte sono accettate all’unanimità. Per le altre domande, non essendovi disponibilità nel ruolo dei soci il Presi¬ dente, in conformità di quanto è stato stabilito dal Consiglio Direttivo, chiede alla assemblea che gli sia conferito il mandato di studiare insieme al Segretario il modo di accogliere le domande di naturalisti qualificati senza derogare dalle norme statutarie. L’assemblea approva all’unanimità. Verbale dell’adunanza del 28 marzo 1963 Presidente: A. Scherillo Segretario: P. Vittozzi Soci presenti : D’Argenio. De Castro, Desiderio, Lazzari, Maccagno, Moncharmont Zei, Montagna, Pescatore, Romano, Vitagliano. — 364 — Nei riguardi deirammissione dei nuovi soci, il Presidente, dopo aver precisato ohe numerose sono le domande presentate e tutte degne di accoglimento, propone, in base al mandato conferitogli nella seduta precedente d'intesa col Consiglio e col Segretario, quanto segue : a) sottoporre a votazione da parte dell’Assemblea, la nomina a soci non residenti dei dottori Giorgio Donzelli e Uberto Crescenti; b) sottoporre alla votazione dell’Assemblea raccoglimento delle rimanenti do¬ mande presentate che vengono da parte di assistenti o borsisti. Essi, per non dero¬ gare dalle norme statutarie, saranno accolti in una categoria di « Soci in soprannumero » in attesa di essere gradualmente assorbiti tra i Soci ordinari, residenti e non residenti. L’Assemblea approva e si passa quindi alle relative votzaioni, tutte approvate all’unanimità. Risultano eletti quindi fra i soci non residenti i dottori Giorgio Donzelli e Uberto Crescenti e tra i soci in soprannumero il doti. Enrico Abignente, il dott. Paolo Gasparini, il dott. Giuseppe Guzzetta, il dott. Antonino Ietto, il dott. Antonino Palumbo, il dott. Paolo Scandone, il dott. Italo Sgrosso. Comunicazioni Scientifiche : e note per il Bollettino. 1) Scandone, Sgrosso, Bruno; « Appunti di Geologia sul M. Bulgheria »; 2) Ietto, Sgrosso: « Segnalazione di una stazione paleolitica in una grotta nei dintorni di Cicciano (VoZa)»; 3) Ietto : « Nuovi aspetti della tettonica nella Serie calcareo-dolomitica del Salernitano ». Verbale dell’adunanza del 28 aprile 1963 Presidente: F. Scarsella Segretario: P. Vittozzi Soci presenti: Ciampa, Crescenti, De Castro, De Cunzo. Franco E., Guzzetta, Imbò, Lazzari, Maccagno, Mazzarelli, Moncharmont Zei, Montagna, Oliveri, Palombi, Pescatore, Scandone, Selim, Sgrosso, Sinno. Vallano, Zamparelli. Il socio Sinno legge anche a nome del socio Quagliariello la relazione dei revisori dei conti relativi al bilancio 1962, proponendone l’approvazione. La relazione viene approvata all’unanimità. Verbale dell’adunanza del 30 maggio 1963 (la Convocazione) Presidente: A. Scherillo Segretario: P. Vittozzi Soci presenti : Gasparini, Montagne, Pacella, Palumbo, Quagliariello, Sinno. Constatato che ai fini della elezione alle diverse craiche Sociali non si è rag¬ giunto il numero legale dei soci prescritti dall’art. 10 dello Statuto, il Presidente rinvia la seduta al 30 maggio, in seconda convocazione. — 365 — Verbale dell’adunza del 31 maggio 1963 Presidente: A. Scherillo Segretario: P. Vittozzi Soci presenti : Badolato, Bonasia, Bottini, Ciampa, Covello, Crescenti, D’Argenio. De Castro, Di Leo, Fondi, Franco E., Gasparinj, Gervasio, Ietto, Imbò, Lazzari, Mon- charmont Zei, Montagna, Napoletano, Orrù, Pacella, Palombi, Palumbo, Pescatore, Pierantoni. Quagliariello, Scandone, Scarsella, Sgrosso, Sinno, Vallario, Zamparelli. Il Presidente comunica che, mercè Fattivo interessamento del consocio Bottini, il Consiglio di Amministrazione dell’Università di Napoli ha elevato il contributo per la Società a L. 50.000. Comunicazioni Scientifiche e note per il Bollettino. 1) Vallario: « Proprietà tecniche delle calcareniti mioceniche della Piana di Sanf Eufemia (Catanzaro)»; 2) D’Argenio: a La tettonica del gruppo del Monte Maggiore ( Caserta ) » ; 3) D’Argenio: a Conglomerati intraformazionali di tipo speciale ( edgewise con¬ glomerate) nei calcari ad ittioliti di Pietraroia ( Matese ) »; 4) D’Argenio: « La grotta del Festolaro presso V abitato di Valle delV Angelo (M. delVAnsinito, gruppo del Cercati )»; 5) De Castro: « Cuneolina Scarsellai n. sp. nel Cretacico delV Appennino Me¬ ridionale »; 6) Sgrosso: all Paleocene nella zona di Pietravairano (Caserta) con alcune considerazioni sulla tettonica cretacica » ; 7) Ietto: a Osservazioni strati grafiche tettoniche sul cretacico dei monti di Caserta ». Si passa quindi all’elezione delle cariche sociali. Il seggio è così costituito: prof. Ottavio Bottini (presidente), prof. Renato Sinno (segretario), dott. Teresa Quagliariello e Lucia Di Leo (scrutatori). Risultano eletti per il triennio maggio 1963-maggio 1966 i seguenti soci: Presidente : prof. Antonio Scherillo Vice Presidente : prof. Valerio Giacomini Segretario : prof. Pio Vittozzi. Consiglieri : prof. Giuseppe Imbò, prof. Antonietta Orrù. prof. Mario Covello, prof. Ugo Moncharmont. Verbale dell’adunanza del 28 giugno 1963 Presidente: A. Scherillo Segretario: P. Vittozzi Soci presenti: De Cunzo, Di Leo, Franco E., Ietto. Parascandola. Pescatore, Romano, Sgrosso, Vallario. Comunicazioni Scientifiche e note per il Bollettino. 1) Ietto: a Formazioni clastiche marine plioquaternarie nei dintorni di Nola ( Napoli ) » ; 2) Parascandola : « Incrostazioni calcitiche nel teatro di Ottaviano ». — 366 — Verbale dell’adunanza del 29 novembre 1963 Presidente: A. Scherillo Segretario: P. Vittozzi Soci presenti: Bottini, Casertano, De Castro, De Cunzo, Franco E., Giacomini, Guzzetta. Ietto, Maccagno, Mazzarelli, Merda, Montagna, Moncharmont Zei, Oliveri, Palombi, Pellegrino, Pescatore. Quagliariello. Romano, Scandone. Scarsella, Sgrosso, Sinna, Vallario, Zamparelli. Il Presidente comunica che FEnte Cellulosa e Carta ha assegnato un contri¬ buto per il Bollettino di L, 150.000. Comunicazioni Scientifiche e note per il Bollettino. 1) Cecioni : « Ingolfamenti marini giurassici nel Cile meridionale » (presentatore Casertano) ; 2) Ietto: « Osservazioni geologiche su alcune zone del Matese »; 3) Pescatore: « Ciottoli di argilla ” armati ” nel vallone di Demosito ( Irpinia ) »; 4) D’Argenio: a Fossette di degassazione (gas pits ) nei calcari ad ittioliti della Civita di Pietraroia ( Matese Orientale) » ; 5) D’Argenio: «/ filoni sedimentari del Taburno-Campo sauro. ( Appennino Campano ) » ; 6) D’Argenio: « La trasgressione sopracretacica dei Monti d’Ocre »; 7) Scandone: a Trasgressioni mesozoiche e terziarie nell’alta valle dell’ Agri tra Paterno e Marsiconuovo ( Lucania ) » ; 8) Scandone: « Marno scisti ad Halobia in Lucania »; 9) Vallario: « Osservazioni geologiche nella zona di Capriati al Volturno ( Caserta) » ; 10) Sgrosso: a La trasgressione miocenica nel Matese Centrale »; 11) Zamparelli: « La successione stratigrafica dal Lias superiore al Cretacico Medio nel versante meridionale di Pizzo Cef alone ( Gran Sasso d’Italia) » ; 12) Guzzetta: ((L’evoluzione morfologica del bacino del fiume Irno nel Sa¬ lernitano ». Verbale dell’adunanza del 27 dicembre 1963 Presidente: A. Scherillo Segretario: P. Vittozzi Soci presenti : Badolato, Ciampa, D’Argenio. De Castro, De Cunzo, De Leo, Gasparini, Guzzetta, Maccagno, Monscharmont Zei, Oliveri, Orrù, Palombi, Pesca¬ tore, Quagliariello, Sgrosso. Comunicazioni Scientifiche e note per il Bollettino. 1) Pescatore-Vallario : « Impronte di fondo nelle dolomie di Profeti ( Caserta ) »; 2) Pescatore: «/ rapporti tra la depressione molisano-sannitica e V Appennino calcareo » ; 3) Barbera: « La fauna di ammoniti di M. Bulgheria » (presentatore Maccagno); 4) De Leo-Biondi: « I solatìi ento delle globuline da plasma , iperimmune di coniglio » ; 5) Sgrosso-Aiello : a La lava di Presenzano (Caserta) »; 6) Scherillo: « Piroclastiti ed evoluzione magmatica - Parte II ». ELENCO DEI SOCI AL 31 DICEMBRE 1963 SOCI ORDINARI RESIDENTI 1. Abignete Enrico - Istituto Chimica Farmaceutica. Università. Napoli. 2. Andkeotti Amedeo ■ Ingegnere. Napoli, Via S. Giacomo 15 (tei. 321.702). 3. Antonucci Achille - Preside nel Liceo di Isernia. Napoli, Via Girolamo Santa¬ croce, 191 C (tei. 240.525). 4. Augusti Selim - Ord. di Scienze nei Licei. Napoli, Via Cimarosa, 69 (tei. 377.855). 5. Badolato Franco - Assist. Istituto di Fisiologia generale Università di Napoli. Napoli, Via Mezzocannone, 8 (tei. 323.411). 6. Bottini Ottaviano - Prof. ord. di Industrie agrarie nell’Università. Napoli, Via Roberto Bracco, 71 (tei. 329.745). 7. Califano Luigi - Prof. ord. Patologia generale Università. Napoli, Via Roma, 368 (tei. 312.784). 8. Capaldo Pasquale - Napoli, Traversa Giacinto Gigante, 36 (tei. 370.184). 9. Carrelli Antonio - Dirett. Ist. Fisico Università. Napoli, Piazza d’Ovidio, 6 (tei. 313.844). 10. Castaldi Francesco - Lib. doc. di Geografia, Via Aniello Falcone, 260 (tei. 373.890). 11. Catalano Giuseppe - Prof. ord. f.r. di Botanica Università. Napoli, Via Luigia Sanfelice, 5 (tei. 375.959). 12. Ciampa Giuseppe ■ Assist. Ist. Chimica Farmac. Università. Napoli, Piazza Bovio, 33 (tei. 324.033). 13. Covello Mario ■ Dirett. Ist. Chimica Farmaceutica Università. Napoli, Via Leopoldo Rodino, 22 (tei. 322.038). 14. Crescenti Uberto - c/o Petrosud - Via C. Colombo. Pescara. 15. Cutolo Costantino - Ingegnere. Napoli. Via Salvatore Di Giacomo a Marechiaro, 24 (tei. 301.470). 16. D’Argenio Bruno - Assist, di Geologia Università. Napoli, Largo S. Marceli no, 10 (tei. 321.075). 17. De Cunzo Teresa - Assist. Ist. di Geologia Università. Napoli, Largo S. Marcel¬ lino, 10 (tei. 321.075). 18. De Leo Teodoro - Assist. Ist. di Fisiologia generale Università. Napoli, Via Mezzocannone, 8 (tei. 323.411). 19. De Lerma Baldassarre - Dr. Ist. di Biologia generale Univ. Napoli, Via S. Strato a Posillipo, 25 (tei. 301.099). 20. Della Ragione Gennaro - Ord. Scienze nel Liceo Scientifico V. Cuoco. Napoli, Via S. Pasquale a Chiaia, 20 (tei. 235.821). 21. Desiderio Carlo - Prof, di Scienze Naturali. Napoli, Viale Augusto, 79 (tei. 305.493). 22. Di Leo Lucia - Napoli, Via Lepanto, 21 (tei. 615.426). 23. Dohrn Pietro - Acquario, Villa Comunale. Napoli. 24. Donzelli Giorgio - Società Idrocarburi. Castelgrande (Benevento). — 368 — 25. Florio Armando - già ord. 2° Liceo Scient. Napoli, Via Simone Martini, Parco Mele, isolato B (tei. 366.575). 26. Fondi Mario ■ Assist. Ist. di Geografia Università. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 324.301). 27. Franco Enrico - Assist. Ist. di Mineralogia Università. Napoli, Via Mezzocan¬ none. 8 (tei. 323.388). 28. Galgano Mario - Dirett. Ist. d'istologia e di Embriologia, Università. Napoli. Vico Latilla, 18 (tei. 313.635). 29. Gasparini Paolo - Istituto Fisica Terrestre. Univ. di Napoli. 30. Gervasio Angiola Maria - Napoli, Via nuova S. Maria Ognibene, 2 (tei. 232.512). 31. Giacomini Valerio - Dirett. Ist. di Botanica Università. Napoli, Via Foria, 223 (tei. 341.842). 32. Guzzetta Giuseppe - Istituto di Geologia. Università Napoli. 33. Ietto Antonio - Istituto di Geologia. Università Napoli. 34. ImbÒ Giuseppe - Dirett. Ist. di Fisica Terrestre Università e Direttore Osserva torio Vesuviano. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 324.935). 35. Lambertini Diana - Ass’st. di Chimica Industriale Università. Napoli, Corso Umberto I, 228 (tei. 226.071). 36. Lazzari Antonio - Prof. ine. di Geografia Fisica Università. Napoli, Via Aniello Falcone, 56 (tei. 379.312). 37. Maccagno Angiola Maria - Dr. Ist. di Paleontologia dell’Università di Napoli. Largo S. Marcellino, 10. 38. Majo Andreotti Ester - Ltb. doc. di Geografia Fisica Università. Napoli, Via S. Giacomo, 15 (tei. 321.702). 39. Majo Ida - Ord. di Scienze Nat. nei Licei. Napoli. Via Monte di Dio, 74 (tei. 397.699). 40. Malquori Giovanni - Dirett. Ist. di Chimica Industriale Università. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 322.904). 41. Maranelli Adolfo - Preside Ist. Tecn. Comm. di Torre del Greco. Napoli, Via Michelangelo da Caravaggio, 76 (tei. 389.205). 42. Mazzarelli Gustavo - Prof. ine. Topografia e Cartografia Università. Napoli, Via Cimarosa, 50 (tei. 366.555). 43. Mezzetti-Bambacioni Valeria - Dirett. Ist. e Orto Botanico. Facoltà di Agraria. Portici (tei. 334.967). 44. Migliorini Elio - Drett. Ist. di Geografia Università. Napoli, Largo S. Marcel¬ lino, 10 (tei. 324.301). 45. Minieri Vincenzo - Ord. di Scienze nat. nei Licei. Napoli, Via Suarez, 38 (tei. 365.789). 46. Mirigliano Giuseppe - Prof. ine. di Oceanografia nell’Università di Bari. Napoli. Via E. De Marinis, 1 (tei. 327.846). 47. Moncharmont Ugo - Ord. Scienze nat. nel Liceo « Vitt. Em. II ». Napoli, Via A. Falcone, 88 (tei. 375.003). 48. Moncharmont-Zei Maria - Lib. doc. di Paleontologia nell’Università. Napoli. Via A. Falcone, 88 (tei. 375.003). 49. Mondelli Giosafatte - Ist. di Chimica Industriale Università. Napoli, Via Mez¬ zocannone, 16 (tei. 322.595), — 369 50. Montagna Raffaele • Assist. Ist. Fisica Terrestre Università. Napoli, Via S. Altamura, 1 (tei. 372.895). 51. Napoletano Aldo - Meteorologo dell’Areonautica. Napoli, Prolungamento Viale Malatesta, 20 (tei. 361.871). 52. Nicotera Pasquale - Assist. Ist. di Geologia appi. Fac. Ingegneria. Napoli, Via Mezzocannone, 16 (tei. 323.818). 53. Oliveri del Castillo Alessandro - Assist. Ist. Fisica Terrestre Università. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 321.805). 54. OrrÙ Antonietta - Dirett. Ist. di Fisiologia generale Università. Napol , Via Rocco Galdieri, 16 (tei. 301.818). 55. Pagella Maria Luisa - Assist. Ist. Fisica Terrestre Università. Napoli, largo S. Marcellino, 10 (tei. 321.805). 56. Palombi Arturo - Prof. ine. di Zoologia gen. agraria Università. Ispett. Centr. Min. P.I. Napoli, Via Carducci, 29 (tei. 391.825). 57. Palumbo Antonio - Istituto di Fisica Terrestre. Università di Napoli. 58. Pannain Papocchia Lea - Preside negli Educandati di Napoli, Via G. Carducci, 29 (tei. 391.725). 59. Parascandola Antonio ■ Prof. ine. di Miner. e Geol. nella Fac. di Agraria Università. Napoli, Via Mezzocannone, 8 (tei. 323.388). 60. Pellegrino Oreste - Assist. Ist. di Botanica Università. Napoli, Via Gaetano Donizetti, 5 (tei. 366.710). 61. Pescione Adelia in Messina - Prof. Scienze nat. Ist. tecnico G. B. Della Porta. Napoli, Via Nevio, 102 (tei. 385.672). 62. Pierantoni Angiolo - Chimico nel Laborat. Igiene e Profilassi della Provincia. Napoli, Galleria Umberto I (tei. 233.255). 63. Piscopo Eugenio - Assist. Ist. Chimica Farmaceutica Università. Napoli, Via eLopoldo Rodinò, 22 (tei. 322.038). 64. Quagliariello Teresa - Assist. Ist. Fisica Terrestre Università. Napoli, Via Salvator Rosa, 299 (tei. 340.692). 65. Rippa Anna - Ord. di Scienze nat. nel Liceo Umberto I. Napoli, Piazzetta Marconiglio. 4 (tei. 352.616). 66. Romano Giuseppe - Prof. ord. Chini, e Merceologia negli Ist. tecnici commerc. Napoli, Via Gerolomini, 11 (tei. 212.143). 67. Salpi Mario - Dirett. Ist. di Zoologia Università. Napoli, Corso Umberto I, 118 (tei. 329.092). 68. Scandone Paolo - Istituto di Geologia. Università di Napoli. 69. Scarsella Francesco - Dirett. Ist. di Geologia Università. Napoli, Largo S. Mar¬ cellino, 10 (tei. 321.075). 70. Scherillo Antonio - Dirett. Ist. di Mineralogia Università. Napoli, Via Mezzo¬ cannone, 8 (tei. 323.388). 71. Sersale Riccardo - Prof, di Chimica appi, industriale nella Fac. Ingegneria. Bari. 72. Sgrosso Italo - Istituto di Geologia. Università Napoli. 73. Sinno Renato - Lib. doc. di Mineralogia Università. Napoli, Via Ottavio Caiazzo, 9 (tei. 379.259). 74. Tarsia in Curia Isabella in Del Giudice - Prof, di Scienze nat. nel Liceo « San- nazzaro ». Napoli. Corso Umberto I, 106 (tei. 329.368). 75. Torelli Beatrice - Lib. doc. di Zoologia Università. Napoli. Via Luca Da Penne, 3 (tei. 385,036). — 370 76. V iggiani Gioacchino - Lih. doc. di Ecologia agraria Università. Napoli. Via Posillipo, 281 (tei. 300.002). 77. Vitagliano Vincenzo - Assist. Ist. Chimica fisica Università. Napoli, Via A. Manzoni, 30. 78. Vittozzi Pio - Lih. doc. in Fisica Terrestre Università. Napoli, Via Battistello Caracciolo, 93 (tei. 215.660). SOCI ORDINARI NON RESIDENTI 1. Antonucci Nicola - Prof, Di Scienze naturali. Caserta, Corso Trieste, 78. 2. Boisio Maria Luisa ■ Genova, Via Assarotti, 42/13 A (tei. 893.421). 3. Bonasia Vito - Assist. Osserv. Vesuviano. Resina (Napoli). 4. Capone Antonio - Doti, in Chimica. Napoli. 5. Casertano Lorenzo - Lih. doc. in Vulcanologia, Osserv. Vesuviano. Resina (Na¬ poli) (tei. 334.969). 6. Cocuzza Silvestri Salvatore - Lib. doc. di Vulcanologia. Università. Catania. Casella Postale 345. 7. Costantino Giorgio - Lib. doc. Entomologia Agraria, Direttore delTOsservatorio di Fitopatologia per la Calabria. Catanzaro, Via Giuseppe Sensales, 26. 8. Cotecchia Vincenzo - Prof. ine. di Geologia Applicata Fac. Ingegneria Univer¬ sità. Bari, Corso Cavour, 2. 9. D’Ancona Umberto - Dirett. Ist. di Zoologia Università. Padova, Via Loredan, 6. 10. De Castro Piero - Assist, voi. Ist. di Paleontologia Univ. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 321.075). 11. Fadda Giuseppe - Direz. Gen. Istruz. Tecnica. Minisi. P.I. Roma, Via Leopoldo Nobili, 40 (tei. 551.803). 12. Franco Domenico - Prof, di Scienze nat» nel Liceo Classico « P. Giannone », ( Benevento). 13. Gianfrani Alfonso - Assist. Osserv. Vesuviano. Resina (Napoli). 14. Giordani Mario - Prof, di Chimica analitica Università. Roma, Piazza Bres¬ sanone, 3 (tei. 815.834). 15. Goccia Oscar - Prof, di Scienze nat. negli Ist. Tecnici Napoli, Via Antonio Por¬ pora, 19 (tei. 366.371). 16. Jovene Francesco - Prof, di Scienze nat. Ischia, Via Acquedotto. 17. Jucci Carlo - Dr. Ist. di Zoologia Università. Pavia, Viale XXI Febbraio. 2 (tei. 25.740). 18. La Greca Marcello - Dir. Ist. di Zoologia Università. Catania. 19. Lucchese Elio - Prof. ine. di Entomologia Agraria Università. Perugia, Via Assisana, 22. 20. Maini Padre Dante - Rettore Pontificio Istituto Sup. Scienze e Lettere Santa Chiara, Napoli (tei. 320.332). 21. Maino Armando - Salita S. Nicola da Tolentino, 1/B, Roma. 22. Mancini Fiorenzo - Dir. Ist. Geologia appi. Fac, Agraria. Firenze, Piazzale delle Cascine. 23. Mendia Luigi - Prof. ine. di Ing. Sanitaria Fac. Ingegneria. Università Napoli. Via Mezzocannone, 16. — 371 — 24. Merola Aldo - Prof, di Botanica Università. Napoli, Orto Botanico. 25. Miraglia Luigi - Dottore in Scienze Naturali (attualmente in Asuncion (Para¬ guay), Gas ili a de Correo, 792). 26. Montalenti Giuseppe - Dir. Ist. di Genetica Univ. Roma, Via Cola di Rienze, 297 (tei. 352.261). 27. Pappalardo Albina - Assist. Ist. di Geologia Università. Torre del Greco (Napoli). Corso Vitt. Eman., 62 (tei. 361.655). 28. Parenzan Paolo - Via Roma, 12 - Taranto. 29. Parenzan Pietro - Via Roma, 12 - Taranto. 30. Pasquini Pasquale - Dir. Ist. di Zoologia Università. Roma, Viale Regina Elena, 324 (tei. 450.686). 31. Penta Francesco - Prof, di Geologia Applicata Fac. Ing. Roma, Via dei Late- rani, 36 (tei. 776.796). 32. Pergonic Enrico - MicropaleonSologo Agip. Mineraria, S. Donata Milanese ( Milano). 33. Pescatore Tullio - Assist, ine. di Geologia Univ. Napoli, Largo S. Marcellino, 10 (tei. 321.075). 34. Radina Bruno - Lib. doc. Geologia applic. Università. Bari, Via Fratelli Ros¬ selli, 32. 35. Rodio Gaetano - Già prof, di Botanica Università. Catania, Via Antonino Longo, 19. 36. Ruffo Sandro - Lib. doc. Zool. Assistente nel Museo Civico Storia Natsirale. Verona, Lungadige, Porta Vittoria, 9. 37. Ruocco Domenico ■ Prof. ine. di Geografia econ, nella Fac. di Econ. e Comm. Napoli, Via Aniello Falcone, 426 (tei. 385.211). 38. Scorza V ncenza in Esposito - Roma, Corso Novara, 51. 39. Sicardi Ludovico - Dott. in Chimica. Torino, Corso XI febbraio, 21. 40. Tosco Umberto - Dir. Laboratorio Crittogamico Ufficio Igiene e Sanità. Torino, Corso Giovanni Agnelli, 107 (tei. 366.840). 41. Trotta Michele - Dott. in Med. veterinaria. Salerno, Via Michele Conforti, 13 42. Trotter Alessandro - Prof, emerito di Paleontologia vegetale, Vittorio Veneto (Treviso), Via Cavour, 15. 43. Vallario Antonio - Assist, ine. di Geologia applfl nella Fac. di Scienze. Napoli, Via Girolamo Santacroce, 19 c. 44. Vichi Lue ano - Lib. dee. in Giacimenti minerari Scc. Montecatini, Settore Mi¬ niere. Milano, Via Turati, 18. 45. Zamparelli Valeria - Assist, voi. Ist. di Paleontologia Napoli, Salita Arenella, 13 A (tei. 360.372). 46. Zavattari Edoardo - Prof. ord. f.r. di Zoologia Università. Genova, Via Cire¬ naica, 8/7. . INDICE Moncharmont Zei M. — Geremia D’Erasmo . . pag. 3 Scandone P., Sgrosso I., Bruno F. — Appunti di geologia sul Monte Bulgheria (Salerno) . » 19 Ietto A., Sgrosso I. — Sulla presenza di una stazione paleolitica in un riparo sotto roccia nei dintorni di Cucciano (Nola) . 28 Ietto A. — Nuovi aspetti della tettonica della serie calcareo-dolomitica mesozoica nel salernitano ........... 31 Vallarlo A. — Caratteristiche petrografiche e tecniche di alcune calca- reniti plio-quaternarie nella piana di S. Eufemia (Calabria) . . » 45 Sgrosso I. — Il Paleocene nella zona di Pietravairano (Caserta), con alcune considerazioni sulla tettonica cretacica . » 65 De Castro P. — Cuneolina scarsellai n. sp. nel Cretacico dell’Appen- nino meridionale » 71 D’Argenio B., Pescatore T. — La tettonica del gruppo del Monte Maggiore » 77 D’Argenio B. — Brecce di disseccamento intraformazionali ( edgewise hreccias) nel Cretacico inferiore del Matese . » 88 De Castro P. — Kilianina Pfender ed Orbitammina Berthelin (?) (Foraminifera) nella zona a Pfenderina (Batoniano) dell’ Appennino meridionale . » 93 Ietto A. — Osservazioni stratigrafiche e tettoniche sul Cretacico dei monti di Caserta ............. 97 Ietto A., Sgrosso I. — Formazioni marine plio-pleistoceniche nei dintorni di Cicciano (Nola) . » 109 Ietto A. — Osservazioni geologiche su alcune zone del Matese (Appen¬ nino Campano) ............. 112 D’Argenio B. - — Fossette di degassazione (gas pits) nei calcari ad ittio¬ li ti della civita di Pietraroia in provincia di Benevento ...» 117 Scandone P. — Trasgressioni mesozoiche e terziarie nell’alta valle dello Agri tra Paterno e Marsico Nuovo (Potenza) ...... 125 VallArio A. — Osservazioni geologiche nella zona di Capriati a Vol¬ turno (Caserta) . » 132 D’Argenio B. — I filoni sedimentari del Taburno Camposauro (Appen¬ nino campano) ............. 138 D’Argenio B. — La trasgressione sopracretacica nei Monti d’Ocre (Abruzzo aquilano) .............. 145 Sgrosso I. — La trasgressione miocenica nel Matese centrale ...» 150 — 374 — Pescatore T. — Ciottoli d’argilla armati nel vallone del Demosito (Irpinia) ............ Zamparelli V. — La successione stratigrafica dal Giurassico superiore al Cretaceo medio nel versante meridionale di Pizzo Cefalone (Gran Sasso d’Italia) ............ Guzzetta G. — L’evoluzione morfologica del bacino dell’Imo (Campania) Cecioni G. — Ingolfamenti marini giurassici nel Cile settentrionale . Scandone P. — Marnoscisti ad Halobia in Lucania . . . . . Pescatore T. — Rapporti tra depressioni molisano-sannitica e Appennino calcareo ............. Pescatore T., Vallario A. — Impronte di fondo nelle dolomie di Profeti (Caserta) ............ Oliveri del Castillo A., Percopo E. Rilevamento topografico del fondo del Lago d’Averno ........... Barbera C. — La fauna ad ammoniti di M. Bulgheria ( Salerno i . Sgrosso I., Aiello R. — Bocca eruttiva presso Presenzano (Ca erta) De Leo T., Biondi A. — Isolamento delle y-globuline da plasma di coniglio iperimmune ... ....... pag. 155 » 161 » 169 » 177 » 207 » 213 » 228 » 237 » 249 « 285 » 293 STUDI SPELEOLOGICI E FAUNISTICI SULL’ITALIA MERIDIONALE D’Argenio B. — La grotta del « Festolaro » presso l’abitato di Valle dello Angelo (Cilento) e il suo significato nel quadro della evoluzione del carsismo silentino ........... pag. 299 GRUPPO DI RICERCA PER LA MINERALOGIA DEI SEDIMENTI DEL C.N.R. Sinno R. — Studio sulle terre rosse dell’Italia centrale e meridionale. La terra rossa di Gaeta. Nota I . pag. 315 Scherii.lo A. — Piroclastiti ed evoluzione vulcanica. Parte II: Piperni, tufi pipernoidi, tufi campani .......... 347 PROCESSI VERBALI DELLE TORNATE E DELLE ASSEMBLEE GENERALI ED ELENCO DEI SOCI Processi verbali delle tornate e delle assemblee generali . . . pag. 363 Elenco dei soci ordinari residenti al 31 dicembre 1963 .... » 367 Elenco dei soci ordinari non residenti ........ 370 Finito di stampare in Napoli nello Stab. Tip. G. Genovese il 30-IX-64 Direttore responsabile : Prof. MICHELE FUI ANO Autorizzazione della Cancelleria del Tribunale di Napoli - n. B 649 del 29-11-1960 iPj Bfe-Srffl f V %àÉ ^ % wj\w> ■ Qa ImAMèjt v«S ilil '^S&^lSPg /VW S !*£jgÈ |É|| *> > épmm ;: ferii ||F^ 4sfò ^$3 2* J viìii 'i-^Jwil^ SlSfe ^ émm. IH» \ 435# W » IH1»] «Il €t3ps ÉÈ4l^‘b $0m ^ »U* JXÌ •* lìgi# >*- «Sii mmr^ ivrfwSji F*!') ¥ \j£ 1 iLV', ),a. /a 2» t, m: mmf ^ ÉH SE? A, *\ XSgg& sP iilp^'Sll fo. w^istsEssy