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PiS'jS l\\x\ ré 7r BOLLETTINO SOCIETÀ DEI NATURAIBTI I3V IVAFOI^I VOLUME LXXXI - 1972 SOCIETÀ DEI NATURALISTI IN NAPOLI Via Mezzocannone, 8 1972 BOLLETTINO iiv VOLUME LXXXl - 1972 SOCIETÀ DEI NATURALISTI IN NAPOLI Via Mezzocannone, 8 1972 CONSIGLIO DIRETTIVO BIENNIO 1972-73 Prof. Arturo Palombi Prof, Piero De Castro Doti. Antonio Rodriquez Doti. Bruno De Simone Prof. Pio Vittozzi Prof. Napoletano Aldo Doti. Silvio Di Nocera Prof. Paolo Gasparini Prof. Felice Ippolito Prof. Tullio Pescatore Doti. Bruno Scotto di Carlo - Presidente - Vice Presidente - Segretario " Vice Segretario - Tesoriere - Bibliotecario - Redattore delle Pubblicazioni - Consigliere - Consigliere - Consigliere - Consigliere Hanno contribuito alla stampa di questo volume : la Presidenza del Consiglio dei Ministri il Ministero della Pubblica Istruzione il Consiglio Nazionale delle Ricerche il Banco di Napoli Boll. Soc. Natur. in Napoli voi. 81, 1972, pp. 3-22, 1 tav. La sistemazione Idrogeologlca nel bacini torrentizi dei Somma-Vesuvio (*) Nota del socio RAFFAELE MONTAGNA (Tornata del 28 gennaio 1972) Riassunto. — I problemi idrogeologici del Somma-Vesuvio sono identificati nella necessità di fissare le potenti coltri di detrito secco e sabbie sciolte che ne ammantano i versanti medio-montani nonché nella bassa pendenza delle propaggini, prospicienti il retroterra, che ostacola il deflusso delle torbide. Sono individuati altresi i problemi che la presenza stessa del Somma-Vesuvio, nato sulla costa di una pianura alluvionale, pone alFidrologia della retrostante pianura che viene cosi privata di uno sfocio immediato. Sono passate in rassegna le soluzioni più o meno atte ad assicurare un certo smaltimento delle portate solide anche in caso di ridotto funzionamento delle opere di trattenuta medio-montane indicando anche i limiti di ciascuna soluzione. Viene infine richiamata Fattenzione sul fatto che qualsiasi soluzione della sistemazione idraulica del versante N.E. del Somma-Vesuvio dovrà essere studiata nel contesto del bilancio idrico, sia superficiale che freatico, dell’intera pianura dei Regi Lagni. Abstract. — The geo-hydrologic problems of Somma-Vesuvio are identified in thè need of fastening thè thick covers of dry debris and loose sands wich cover thè medium-height slopes and in thè low slopes, facing thè hinterland, working against thè flow of « turbidites ». The problems that thè occurrence of thè Somma-Vesuvio edifice, grown up on thè coast of an alluvial plain, furnishes relative to thè geo-hydrology of thè alluvial plain are pointed out. The solution for ensuring thè get over of thè soiid flow, even if thè mìddle- mountain retaining Works do not suffice, are discussed and thè limits of each solution are indicated. Any solution of thè hydraulic arrangement of thè N.E. slope of Somma- Vesuvio must he studied within thè context of thè surfacial and phreatic hydric balance of all thè plain of Regi Lagni. (*) Manoscritto pervenuto il 15-12-1971. 4 — 1. Geomorfologia. Airestremità meridionale dell’arco preappenninico che delimita la pianura campana, lì dove questi rilievi si protendono nel mare a formare la penisola sorrentina, sorge, sul basamento di calcare cretacico^ il vulcano-strato del Somma- Vesuvio, cosidetto perchè costruito dalla alternanza di prodotti esplosivi ( piroclastiti sciolte : ceneri, sabbie, la¬ pilli lapidei, scoriacei e pumicei) e di prodotti effusivi (lave leucitte- fritiche). Il rilievo vulcanico, sorto pressoché interamente nel Quaternario, ha, approssimativamente, la forma di un cono bicuspide la cui genera¬ trice tende assintoticamente all’orizzonte, cioè di un cono il cui profilo, a pendenza decrescente dal vertice alla base, presenta una concavità rivolta verso l’alto. Questa variabilità di pendenza rispecchia non solo la variabilità della passata attività vulcanica e quindi della sua attuale costituzione litologica ma, soprattutto, la meccanica dell’accumulo dei prodotti sciolti. Nella vita di questo vulcano si sono alternate infatti attività esplo¬ sive, con eiezione di prodotti piroclastici sciolti, attività effusive, con eruzione di lave, ed attività miste. A secondo della minore o maggiore potenza dell’esplosione vulca¬ nica, i materiali sciolti eiettati si depositarono solo intorno al cratere, sotto un elevato angolo di scarpa corrispondente al loro angolo di attrito interno o si spinsero anche a distanza tale da ammantare le zone rag¬ giunte con un’esile coltre che conservò immutati i valori delle preesi¬ stenti pendenze. Analogamente, a secondo della minore o maggiore abbondanza lavica, le colate presentarono spessori minori o maggiori. Nel primo caso il raffreddamento e quindi l’aumento di viscosità magmatica, furono talmente rapidi ehe l’attrito sulla superficie di base prevalse sulla fluidità interna e le colate laviche si arrestarono in pros¬ simità del cratere rapprendendosi in esili coltri che ricalcarono l’elevata pendenza dei sottostanti materiali sciolti. Nel secondo caso, mancando le precedenti condizioni, le colate dila¬ garono fino alle estreme propaggini del vulcano dove si consolidarono in spessi banchi la cui superficie libera si dispose secondo quella bassa pendenza che corrisponde alla viscosità del magma a temperatura di irrigidimento. — 5 — Nei casi di potenza esplosiva o abbondanza lavica intermedia, come pure nei casi di attività mista, si determinò, ovviamente, una gamma di situazioni intermedie che valse a stabilire, tra le situazioni estreme di monte e di valle, una variabilità continua cbe consente di interpretare, almeno in parte, la progressiva riduzione di pendenza come conseguenza del progressivo impoverimento in prodotti sciolti ed arricchimento in lave nella struttura del vulcano-strato. Vedremo ben presto che tale interpretazione è prevalente per il versante S.W. ma del tutto subordinata per il versante N.E. dove altri fattori concorrono alla stessa costruzione morfologica in aggiunta alla minore differenziazione litologica. Piroclastiche per origine ma laviche per comportamento, furono invece le colate di fango che, originatesi dalFunione dei depositi sciolti con l’acqua dei violenti temporali che spesso accompagnano tali esplo¬ sioni, colarono sui fianchi del vulcano contribuendo al modellamento delle sue forme. Su questa costituzione litologica e morfologica, fondamentalmente comune all’intero rilievo vulcanico, si sovrappone però una generale sproporzione volumetrica determinata da una asimmetrica distribuzione dei prodotti sciolti. Per meglio intendere quanto segue, occorre precisare che, in realtà, quelle che, in sede di classificazione del locale comprensorio di bonifica idraulica, furono distinte col nome di falda meridionale e falda setten¬ trionale del Somma- Vesuvio sono rispettivamente il versante S.W. ed il versante N.E.. Per quanto concerne il versante S.W., che convenzionalmente con¬ tinueremo a chiamare falda meridionale, la presenza del mare, ubicato appunto a S.W. del vulcano, e l’azione dei venti dominanti che, spirando da S.W. a N.E., ostacolarono l’accumulo per deposizione eolica dei pro¬ dotti sciolti, hanno entrambe limitato lo sviluppo di questa falda conica dimodoché la sua generatrice risulta più breve e più ripida. Per quanto concerne invece il versante N.E., che convenzional¬ mente continueremo a chiamare falda settentrionale, l’assenza del mare e l’azione dei venti dominanti, che favorirono l’accumulo per deposi¬ zione eolica, hanno entrambe esaltato lo sviluppo di questa falda conica verso il retroterra dimodoché la sua generatrice risulta più lunga e meno ripida (*). (*) Su questo andamento di fondo, che ha agito nel tempo con la frequenza — 6 — L’ordine di grandezza del rapporto tra i volumi avviluppati dalle due falde è, alFincirca, di 1 a 2. Mentre quindi le lave possono ritenersi, in prima approssimazione, distribuite egualmente tra le due falde, i materiali sciolti e le colate di fango che spesso ne derivarono sono invece molto più abbondanti nella falda settentrionale. Anche la falda settentrionale presenta però profili a pendenza de¬ crescente da monte a valle malgrado le lave basali, che abbiamo visto abbassare i valori della pendenza, risultino, in questa falda, abbondan¬ temente coperte ed oltrepassate dai prodotti sciolti e malgrado questi ultimi siano capaci di accumularsi sotto un più elevato angolo di scarpa. Sappiamo infatti che la concavità dei profili, oltre ad essere una caratteristica del progressivo arricchimento in lave da monte a valle, è sopratutto una caratteristica degli accumuli di detrito secco. In tali accumuli, a parte una eventuale variazione progressiva del¬ l’angolo di attrito con la classazione granulometrica e con l’arrotonda¬ mento, da monte a valle, dei singoli elementi lapidei, è evidente la pre¬ senza dei due diversi valori dell’angolo di riposo : quello superiore in corrispondenza del quale il materiale si distacca da monte e comincia a franare e quello inferiore in corrispondenza del quale il materiale franato si arresta depositandosi a valle. Tale differenza tra i due angoli di riposo non sarebbe tuttavia sufficiente e giustificare la variazione di pendenza esistente se non si tenesse conto anche del fatto che : — il valore dell’angolo di riposo aumenta molto col costipamento del detrito ed il costipamento diventa tanto minore quanto più il ma¬ teriale si allontana dal punto di distacco ; di un evento ad elevata probabilità, si sovrappose, inserendosi come evento acci¬ dentale, l’eruzione pliniana del 79 d.C.. Attraverso una meccanica particolare, del tutto diversa da quella generale dell’andamento di fondo, questa eruzione conferì al vecchio Somma, preesistente come vulcano al successivo Vesuvio, un’asimmetria concorde con quella prodotta nel tempo dal suddetto andamento. È noto infatti che questa eruzione provo( ò il collasso della sola falda S.W. del Somma dando luogo così ad una caldera semicircolare svasata verso il mare perchè priva dell’orlo ad esso prospiciente. I depositi eiettizi, che da allora in poi continuarono ad accumularsi su questa svasatura, finirono per formare il cono del successivo Vesuvio, L’orlo N.E. della caldera del Somma ed il cono vesuviano conferiscono, all’in¬ tero rilievo, l’attuale aspetto di un cono bicuspide. — 7 — — la concavità del profilo da accumulo di detrito si sovrappone alla concavità da progressivo arricchimento in lave da monte verso valle ; — l’originario profilo del deposito di prodotti sciolti, eiettati da un vulcano, corrisponde ad una gaussiana (priva della parte corrispondente al cratere) ove ogni ordinata della curva è proporzionale alla probabilità di accumulo, ad una distanza dall’asse del cratere, rappresentata dalla ascissa corrispondente ; probabilità che si riduce assintoticamente con l’aumentare di detta distanza ; — ai suddetti modellamenti si sovrappone ancora, nel corso dei tempi, quello effettuato dal dilavamento delle acque meteoriche capace anch’esso di conferire concavità ai profili. Numerosi valloni incidono la superficie del vulcano irradiandosi dal cratere secondo le generatrici del cono. Queste incisioni, più o meno profonde a secondo che l’erosione in¬ tercetti o meno una colata lavica del vulcano-strato, hanno tutte in comune la caratteristica di conferire alle acque torrentizie una notevole portata solida. 2. Destinazione colturale. Circa i % dell’intera superficie sono destinati a coltura mentre il rimanente quarto è costituito, prevalentemente, dall’incolto sterile della sommità del vulcano e, subordinatamente, da esigui rimboschimenti fo¬ restali. Nella superficie destinata a coltura si distinguono : — la fascia collinare con colture arboree specializzate (vigneti e frutteti) ; — la fascia circumbasale, con colture ortive. 3. Situazione economico-sociale. L’economia della parte montana è basata esclusivamente sulle attrat¬ tive turistiche offerte dalla sommità del vulcano. L’economia della parte collinare e valliva, ad eccezione della fascia costiera, è prevalentemente agricola. Sulla fascia costiera, compresa tra San Giovanni a Teduccio e — 8 Castellammare di Stabia, sono invece distribuiti numerosi ed importanti complessi industriali e Finsediamento umano tocca gli indici più elevati d’Italia. Se a ciò si aggiunge che buona parte della falda settentrionale è tributaria dei Regi Lagni proprio nella zona interessata dall’istituendo insediamento industriale, si comprende la grande importanza economico- sociale dell’efficienza del sistema scolante vesuviano. 4. Geologia tecnica. Malgrado la costituzione litologica del rilievo vulcanico varii con una certa contnuità dalla parte sommitale alla parte basale per progres¬ sivo arricchimento in formazioni lapidee compatte (colate laviche leucit- tefritiche), i materiali affioranti sono costituiti, pressocchè ovunque, ma in special modo nella falda settentrionale, dai materiali sciolti di coper¬ tura (ceneri, sabbie e lapilli lapidei, scoriacei e pumicei). La parte montana (incolto sterile), dove questi materiali aridi non sono trattenuti da alcuna vegetazione, si presenta come una enorme di¬ scarica di forma conica. A caratterizzare con immediatezza l’erodibilità e franosità di questo incolto sterile gioverà riferirsi, mentalmente, alla stabilità di un pendio costituito da materiale lapideo sciolto ( macereto) la cui granulometria varii da sabbione a breccia ed il cui angolo di scarpa sia prossimo al valore superiore dell’angolo di riposo. Anche, in assenza della ovvia de¬ gradazione meteorica le alternanze termiche, particolarmente il gelo ed il disgelo, producono, nel detrito secco, spostamenti, tra i quali, quelli verso il basso sono ovviamente irreversibili e si sommano indefinitamente col ripetersi dei cicli termici diurni ed annuali. Laddove la morfologia consente a questi spostamenti di localizzare accumuli sotto un angolo di scarpa pari al valore superiore dell’angolo di riposo, si verificano frane di detrito secco. Procedendo dalla fascia collinare verso quella circumbasale, la stabilità dei versanti aumenta sia per la progressiva riduzione di pendenza, che per il progressivo aumento della vegetazione. Lungo i valloni, invece, se una certa riduzione progressiva di pen¬ denza, da monte a valle, riduce la possibilità di scoscendimento del de¬ trito secco, l’aumento del bacino sotteso aumenta le portate scolanti e la possibilità di erosione da parte delle acque. Nella falda settentrionale, ove prevalgono fortemente i materiali C?5 fO © © 3- i’ n s. g ® w S Bi S > o‘ © ^ cg > re ^ O ^ O --a ^ n J” ^ . p 2 w re"* S f c M > o S ■ ^ M SS 2 3 > o' £. CK re « • o o M 2 2. S » 2 M K S. p. o S o 5 g- ® 2 > » m 2 o o et) ^ > p ^ CR ^ i_ ago > w o S M. O «*i> re o re © ™ NM w © 1— ( " 1 ? a- ff 2 > M a w > r*. -* r* '>© P ^ r O M § 9 ^ H 3 InS 3 ^ P >■ 3 VC 2* io re 2 ^ |2 ^ > w ft j > p to re H o to 2" CK a- 3 85 S- G 2. O "• o > 0<ì ^ re ® 1— 1 © vO ^ O F 0^ F s F . S- F o 9 5 m H 5 o 9 o n H H H W > m (j) d 2 H > e M C#3 >■ O a O » > H > n o o w — 9 — sciolti, le incisioni sono ovviamente più profonde e più ampie il che è sufficiente, da solo, a dimostrare che le portate solide sono più abbondanti e costituite, pressocchè esculsivamente, da tali materiali. Nella falda meridionale, ove i materiali sciolti sono meno abbon¬ danti e le lave risultano in proporzione più diffuse, le incisioni, attraver¬ sata la coltre incoerente, finiscono spesso per intercettare le sottostanti colate laviche presenti come intercalazioni nella struttura del vulcano- strato. La presenza di queste lave limita perciò la profondità e l’ampiezza di queste incisioni il che dimostra, a sua volta, che le portate solide sono meno abbondanti ma costituite, oltre che da materiali sciolti, anche dai prodotti di erosione delle lave. Il prodotto di erosione delle lave, sia compatto che scoriaceo, è egual¬ mente costituito da elementi a spigoli vivi, sia per la durezza dei silicati costitutivi, sia per il tipo di fratturazione dei tramezzi separanti i vacuoli delle scorie. La forma di tali elementi lapidei è ovviamente determinante nella loro capacità erosiva per cui nella falda meridionale, ove la brevità dei percorsi di fluitazione limita l’arrotondamento degli spigoli e la classa- zione granulometrica, si impone una certa mole di opere di protezione del fondo e delle sponde degli alvei. 5. Idrologia ed eventi calamitosi. La rilevante sproporzione nello sviluppo volumetrico e nella costi¬ tuzione litologica delle due falde, unitamente alla progressiva riduzione di pendenza della generatrice del cono, condiziona completamente l’idro¬ logia dei bacini vesuviani. Per quanto concerne infatti la falda meridionale, il suo minore sviluppo per difetto di accumulo di prodotti sciolti e la presenza del mare hanno determinato il triplice vantaggio di : — rendere più breve e più ripida la generatrice del cono dimodoché i profili dei corsi d’acqua assicurano, di norma, un rapido convogliamento delle torbide anche nei tratti vallivi ; — ridurre le portate solide per la resistenza all’incisione opposta dalle lave ; — assicurare un totale ed immediato recapito marino alle portate sia liquide che solide. Per quanto concerne invece la falda settentrionale, la sua situazione — 10 — antitetica di maggiore sviluppo per eccesso di accumulo di materiali sciolti e l’assenza del mare hanno determinato il triplice svantaggio di : — allungare la generatrice del cono con notevole perdita di pen¬ denza dimodoché i profili dei corsi d’acqua non riescono ad assicurare il convogliamento delle torbide lungo le aste vallive ; — aumentare le portate solide per la facilità di incisione dei pro¬ dotti sciolti; — privare corsi d’acqua, a pendenza ormai bassa, di un immediato recapito. Prima che l’uomo impostasse le sue sistemazioni idrauliche, le acque della falda settentrionale vesuviana contribuirono, unitamente a quelle provenienti dall’arco preappenninico, ad instaurare e conservare un regime palustre lungo l’arco di gronda pedemontano del Somma. La canalizzazione dei « Regi Lagni », che lambisce tangenzialmente la circonferenza di base del cono vesuviano, ha consentito di recepire le acque di quel settore centrale di falda ubicato a cavaliere del punto di tangenza, sopperendo così al difetto di recapito ma non a quello di pendenza. Al difetto di pendenza si ovviò talvolta, indirettamente, inse¬ rendo qualche vasca di sedimentazione e laminazione a monte dei tratti terminali ; tratti che furono così chiamati a convogliare acque preventi¬ vamente chiarificate e regimate. I corsi d’acqua di questo settore fanno capo quindi ai Regi Lagni : — direttamente, come il torrente Spirito Santo ; — a mezzo del a lagno Campagna », che raccoglie le acque dei tor¬ renti Casaferro e S, Sossio (quest’ultimo costituito, a sua volta, dalla con¬ fluenza dei torrenti Purgatorio e Leone) ; — a mezzo del collettore Alberolungo, che raccoglie le acque dei torrenti Piazzolla-Rosario, S, Teresa, Costantinopoli e Macedonio. Per quanto concerne i due settori laterali a cavaliere del prece¬ dente, poiché, con l’allontanamento dal punto di tangenza, la distanza dai Regi Lagni aumentava oltre ogni ragionevole limite di riduzione di pendenza, furono adottate due soluzioni diverse a secondo della ri¬ spettiva distanza di ciascun settore dal mare. I torrenti del settore distale ( Camaldoli, Pepparulo, Palomba e S. Leonardo) furono dotati di un recapito artificiale costituito da altret¬ tante vasche di assorbimento. Essendo svincolati dal recapito marino, la posizione di queste va- — li¬ sche potè essere approssimativamente ubicata a quella progressiva della generatrice del cono che tagliava fuori, isolandolo a valle, il tratto terminale a bassa pendenza, risolvendo così, simultaneamente, sia pure in maniera non del tutto soddisfacente, il problema del recapito e quello della pendenza. I torrenti del settore prossimale ( Pollena, Maddalena, Molare e Faraone, escluso lo Zazzera la cui posizione ancora distale impose, anche qui, la costituzione di un recapito artificiale nella vasca Tamburriello), furono intercettati da un canale pedemontano ( canale diversivo degli alvei di Pollena) che convoglia a mare le acque in corrispondenza del¬ l’abitato di San Giovanni a Teduccio. Questo canale di gronda, separando la falda acclive dalla depres¬ sione di Napoli e Volla, intercetta tutte le torbide montane provenienti dalla sua sinistra idraulica ed impedisce loro di raggiungere quelle an¬ tiche paludi i cui colatoi, a bassa pendenza, possono smaltire solo acque prevalentemente drenate. Gli eventi calamitosi che hanno interessato questi bacini sono con¬ sistiti essenzialmente nelle eruzioni vesuviane del 1906 e del 1944. Le colate laviche hanno spesso sepolto alvei ed intere vasche di sedimentazione e di assorbimento spostando talvolta le linee di impluvio e di displuvio con conseguente mutamento dell’idrologia superficiale. Ai depositi eolici di materiali eiettizi che avevano interrito, pressoc- chè istantaneamente, gli alvei si suecedevano i depositi alluvionali dei torrenti di fango generati dalla fluitazione dei prodotti sciolti ad opera delle acque temporalesche che solitamente accompagnano le eruzioni. Soltanto la repentina scomparsa o paralisi di un sistema scolante può fornire l’esatta misura della funzione del medesimo. 6. Lavori eseguiti o in corso. Come si legge nel 1° volume del « Piano regolatore delle bonifiche » pubblicato dal Ministero dei Lavori Pubblici nell’anno 1917, la « boni¬ fica )) della zona vesuviana « fu iniziata fin dai primi anni del decorso secolo e vi provvedevano i Comuni interessati con l’esecuzione di lavori saltuarii tenendo di mira esclusivamente gli interessi locali e cercando di risolvere simultaneamente i problemi della viabilità e dello scolo delle acque. Dal 1855 vi provvide lo Stato prima con i rescritti 11 mag¬ gio 1855 e 28 luglio 1859, emanate dall’antico Governo Napolitano, — 12 — poscia con le attuali leggi 25 giugno 1888 e 18 giugno 1899 integrate da quelle 22 marzo 1900 n. 195 (testo unico) » . . . . « Appena venne l’eruzione (vesuviana) e prima aneora della legge 19 luglio 1906, furono, a cura dei Ministeri dei Lavori Pubblici e dell’Agricoltura, iniziati i lavori di difesa o di ripristino così forestali come idraulici ». Successivamente, con la suddetta legge 1906 e seguenti, lo Stato ha continuato ad effettuare interventi saltuari e prevalentemente manu¬ tentori! e ciò perchè, conseguita la bonifica dal punto di vista igienico- sanitario, ci si preoccupò soltanto di conservare tale risultato differendo quel conseguimento di ulteriori possibilità economico-sociali realizzabile attraverso una più completa sistemazione idraulica. 7. Problemi principali dei bacini. Come eonseguenza dei mutamenti morfologici prodotti dalle eru¬ zioni vesuviane del 1906 e del 1944, parte della preesistente sistema¬ zione montana ha perduto ogni funzionalità. La doppia pendenza trasversale dei preesistenti valloni ha fatto convergere, verso queste direttrici preferenziali, il convogliamento dei nuovi materiali sciolti che, capaci di scoscendere anche in assenza di un veicolo liquido (vedere § 4), hanno spesso elevato la pendenza dei profili fino ad un valore massimo eorrispondente al proprio angolo di attrito interno. Scomparsa così la gradonatura dei profili precedentemente realiz¬ zata, numerose briglie sono risultate completamente sepolte da tali ma¬ teriali o ridotte al ruolo di muri di sottoscarpa. Ovviamente la pendenza eorrispondente alla condizione di equi¬ librio limite rende estremamente instabili questi materiali sciolti che, rapidamente erosi, vengono fluitati a valle dove si ritrovano gli effetti di questi squilibri montani. La sistemazione idraulica della parte montana si identifica quindi col fissaggio delle grandi falde di detrito secco che ammantano il (( gran cono ». Sui versanti questo problema è esclusivamente di natura forestale identificandosi esso con la scelta ed impianto di quella particolare essenza rustica capace di attecchire sul macereto. Lungo le incisioni torrentizie la trattenuta dei materiali richiede — 13 — opere trasversali elastiche capaci di adattarsi allo scorrimento del ma¬ cereto cioè briglie a gabbionate. A valle del macereto, le categorie di opere necessarie al completa¬ mento della sistemazione idraulica delle aste medie dei torrenti non esulano dallo schema tradizionale che, procedendo da monte, prevede la costruzione o ricostruzione di briglie e, più a valle, negli alvei-strada, catene di fondo e tratti di muri spondali tendenti ad evitare il tra¬ sporto solido trasversale. Sia la sistemazione della parte montana che quella della parte intermedia richiedono quindi una propria soluzione comune ad en¬ trambe le falde. Diversa è invece la soluzione richiesta dalla parte valliva a secondo che si tratti della sistemazione della falda meridionale o di quella settentrionale. Per quanto concerne infatti la falda meridionale, la buona pen¬ denza, che consente di smaltire rapidamente le torbide, richiede, in contropartita, integrazioni e manutenzioni delle opere di difesa del fondo e delle sponde degli alvei che vengono facilmente attaccate dalla vio¬ lenza delle acque cariche di detrito lapideo a spigoli vivi. Il versante costiero, già densamente popolato, ha recentemente su¬ bito un notevole sviluppo per cui molti tratti terminali dei corsi d’ac¬ qua, nell’attraversare gli abitati, sono stati necessariamente coperti. La necessità di smaltire rapidamente le torbide attraverso sezioni spesso ristrette, siano esse coperte o non, comporta la necessità di conti¬ nuare a contare sui buoni valori della pendenza esistente anche a costo di difendersi, costantemente, dall’erosione. La sistemazione delle aste vallive della falda meridionale si ridurrà quindi a contenere i fenomeni erosivi mediante revisione ed integrazione delle difese spondali e della pavimentazione di fondo. Laddove però, nelFattraversare gli abitati, gli alvei furono dappri¬ ma ristretti tra sponde anguste e successivamente dotati di vasche di espansione e di laminazione, inserite a monte degli abitati stessi per evitar loro i pericoli della tracimazione o della circolazione forzata, la sistemazione delle aste vallive dovrà essere ovviamente accompagnata da vigili e tempestivi espurghi manutentorii di dette vasche. È il caso delle vasche « Buongiovanni » e « Fosso Grande » inse¬ rite rispettivamente nel eorso del torrente omonimo e del torrente Farina, a protezione degli abitati di San Giovanni a Teduccio e di San Giorgio a Cremano, nonché delle vasche « Carotenuto », « Balzani », « Tuccillo » — 14 — e (( Penniniello », tutte inserite lungo il corso dell’alveo-strada « Promi¬ scuo », a protezione degli abitati di Boscoreale, Boscotrecase e Torre Annunziata. Per quanto concerne invece la falda settentrionale, quello eccesso di accumulo di materiali sciolti esteso alle più lontane ed attenuate pen¬ dici, vi ha localizzato, conseguentemente, un elevato potere assorbente ed una bassa pendenza dei versanti. Elevato potere assorbente e bassa pendenza fanno sì che i mate¬ riali di trasporto, privati del loro veicolo liquido, diano luogo ad inter¬ rimenti che, procedendo da monte a valle, riducono progressivamente la sezione idrica degli alvei conferendo loro un aspetto imbutiforme. A questo punto sembrerebbe che, una volta realizzate le previste opere di trattenuta medio-montana ed espurgati gli alvei vallivi nonché le vasche di assorbimento o di sedimentazione, sia per determinarvi una certa « chiamata allo sbocco » sia per evitare un eventuale interrimento regressivo da valle verso monte, non dovrebbero più verificarsi interri¬ menti del genere a meno che non dovessero verificarsi ulteriori eruzioni vesuviane. In realtà se da un lato è tecnicamente ed economicamente impos¬ sibile impostare una sistemazione idraulica in funzione di tali eventi, imprevedibili nei loro effetti e quindi nelle opere atte a fronteggiarli, è pur vero che le recenti alluvioni delFautunno 1966 hanno richiamato Fattenzione su altro tipo di eventi i cui effetti sono più prevedibili e quindi più fronteggiabili. Evince cioè la necessità di impostare le sistemazioni idrauliche in funzione di maggiori portate critiche adottando soluzioni integrate atte ad assicurare il funzionamento delFintero sistema scolante anche in difetto di funzionamento di una parte di esso prescindendo compieta- mente dalFaffidamento sulla tempestività di interventi manutentorii. Tenuto conto infatti che, per la loro natura sabbioso-lapidea, i materiali di copertura del vulcano sono pressoché privi di coesione interna, potrebbero verificarsi precipitazioni a carattere eccezionale ca¬ paci di « saturare » e superare, con i relativi trasporti solidi, il potere di trattenuta delle opere da realizzare riproducendo effetti simili, dal punto di vista idraulico, a quelli prodotti delle eruzioni vesuviane. Sembra opportuno a questo punto effettuare una breve rassegna delle soluzioni più o meno atte ad assicurare un certo smaltimento delle portate solide in caso di ridotto funzionamento delle opere di trat¬ tenuta medio-montana, indicando anche i limiti di ciascuna soluzione. — 15 — Nel caso di ridotto funzionamento delle opere di trattenuta, la restrizione imbutiforme degli alvei, da monte a valle, si verifica già nei tratti a monte delle vasche cioè prima ancora che le portate solide abbiano raggiunto la predisposta destinazione. 7. 1. ~ A tale restrizione sembrerebbe, in prima approssimazione, potersi ovviare con un unico accorgimento capace di correggerne, simul¬ taneamente, entrambe le cause. L’impermeabilizzazione dei tratti di alvei interessati neutralizze¬ rebbe infatti, di per se stessa, il potere assorbente e, attraverso la ridu¬ zione degli attriti, compenserebbe indirettamente il difetto di pendenza soprattutto nei confronti del trasporto di fondo. In realtà tale accorgimento non può essere adottato sistematica- mente senza incorrere in uno squilibrio delle portate liquide perchè la portata freatica, che giunge ai Regi Lagni modulata dalla filtrazione, si ridurrebbe a favore di quella superficiale che, oltre a non essere mo¬ dulata come la precedente, usufruirebbe anche della migliorata velocità di deflusso in alvei rivestiti subendo così aumenti di portate e riduzione dei tempi di corrivazione. Al costo dell’impermeabilizzazione si aggiungerebbe così, a secondo del recapito, il costo del maggior dimensionamento delle vasche di assor¬ bimento o delle vasche di sedimentazione e successivi colatoi di pianura dove, peraltro, il potere assorbente è notevolmente ridotto dalla pre¬ senza di limi sottili che, caratterizzando il fondo alveo e l’origine palustre di quelle pianure, riducono il coefficiente di permeabilità. 7. 2. - Una soluzione più semplice ed economica potrebbe forse consistere nell’introduzione di una seconda vasca (o ridimensionamento ove già esiste) all’inizio della restrizione imbutiforme di ciascun alveo. In tal modo la vasca introdotta a monte assumerebbe prevalente¬ mente la funzione di vasca per la sedimentazione del trasporto di fondo mentre quella già esistente (o da costruire) a valle assumerebbe preva¬ lentemente la funzione di vasca per la sedimentazione del trasporto in sospensione, a parte la funzione laminatrice che, nel caso di recapito nei Regi Lagni o nel canale Pollena, sarebbe comune ad entrambe le vasche. 7.3. - Una variante della precedente soluzione potrebbe consistere nell’estendere anche ai due settori tributarii del mare ( attraverso i — 16 — Regi Lagni o attraverso il canale Pollena) la soluzione del recapito artificiale già adottato per il settore non tributario. Ciò potrebbe essere realizzato aumentando opportunamente l’esten¬ sione delle due vasche suddette in modo che l’aumento della capacità di invaso venga ottenuto attraverso un aumento della superficie assor¬ bente ed evaporante tale da sopperire all’intero travaso nei Regi Lagni od a buona parte di esso qualora dovesse risultare più conveniente relegare gli emissarii delle vasche alla funzione di scolmatori delle sole piene eccezionali. 7.4. - È da considerare infine la possibilità, apparentemente più costosa, di risolvere il problema delle aste valli ve della falda setten¬ trionale con la soluzione radicale di tagliarle fuori, previa decantazione in vasche ubicate alla base delle ramificazioni medio-montane, intercet¬ tandole con un canale di gronda che avvolga l’intero cono vulcanico e scarichi a mare ai due estremi. Questo canale dovrebbe quindi seguire la traccia di una opportuna sezione conica dalla cui inclinazione dipen¬ derebbe non solo la capacità di smaltimento della frazione solida, even- ttualmente eccedente dalla preventiva decantazione, ma anche l’esten¬ sione delle due parti di falda rispettivamente sottesa a monte ed esclusa a valle. Qualora quest’unica sezione conica, pendente da N.E. a S.W., non dovesse assicurare un’idonea pendenza si potrebbe sempre ricorrere, in sostituzione, ai rami più idonei di distinte sezioni coniche diversa- mente inclinate. Il costo di tale canale, della lunghezza di circa 30 Km, verrebbe notevolmente ridotto, se non addirittura compensato, dalle seguenti eco¬ nomie derivanti dalla sua adozione : — annullamento dei costi della sistemazione delle aste e vasche vallive ; — riduzione del dimensionamento o del franco di sicurezza della sezione idrica dei Regi Lagni per sottrazione delle portate vesuviane ; — riduzione, a meno della metà, del costo dello svincolo della viabilità locale dallo scolo delle acque. Tale ultimo beneficio richiama infatti un importantissimo pro¬ blema dei bacini vesuviani consistente appunto nella necessità di svin¬ colare completamente buona parte della viabilità locale dallo scolo delle acque ; funzioni troppo spesso fuse, da antica data, nella soluzione promiscua dei cosiddetti alvei-strada. — 17 — 7. 5. - A conclusione della rassegna effettuata sulle soluzioni e relativi limiti occorre richiamare l’attenzione sul fatto che qualsiasi soluzione della sistemazione idraulica delle aste vallive della falda set¬ tentrionale del Somma- Vesuvio dovrà essere studiata nel contesto del bilancio idrico sia superficiale che freatico dell’intera piana dei Regi Lagni tenendo conto di quanto segue. 7. 5. 1. - Portate superficiali dei Regi Lagni. Potranno diminuire per effetto : a) di una eventuale deviazione delle portate dei torrenti del Nolano ( Sasso- Avella, Gaudo e Quindici) per le quali sussisterebbe una certa tendenza all’intercettazione mediante un canale pedemontano che dovrebbe immetterle, previo percorso in galleria, in un affluente di sinistra del fiume Volturno, cioè Piscierò; b) di una eventuale sottrazione delle portate dei torrenti del settore centrale della falda settentrionale del Somma- Vesuvio per im¬ missione in vasche assorbenti o per deviazione nel golfo di Napoli come precedentemente esposto ai punti 7. 3 e 7.4. Potranno aumentare per effetto : a) delle immissioni che vi saranno praticate sotto forma di sca¬ richi degli insediamenti industriali ed umani ivi previsti dai piani di assetto territoriale ; b) della impermeabilizzazione cui andranno soggette estese su- perfici di detti insediamenti. 7.5.2. - Portata freatica della piana dei Regi Lagni. Potrà diminuire per effetto: a) degli emungimenti che verranno praticati dai previsti inse¬ diamenti ; b) del mancato impinguamento : — in corrispondenza delle superbe! che verranno impermeabilizzate ; — in conseguenza dell’eventuale citata deviazione delle portate no¬ lane e vesuviane [7. 5. 1. - a) e 7.4.}. Potrà aumentare per effetto dell’eventuale citata immissione in vasche assorbenti delle portate vesuviane (7. 3). È quindi ovvio che una variazione delle portate superficiali dei Regi Lagni avverrebbe, quasi sempre, a spese della portata freatica e quindi del livello della relativa falda ; variazione che, se spinta oltre un 2 — 18 — certo limite, può comportare influenze dannose sia agli insediamenti che all’agricoltura. Sappiamo infatti ( Terzaghi-Peck) che uno strato di terreno im¬ merso in una falda esercita, su di un piano orizzontale di riferimento posto ad una certa profondità sotto la superficie libera della falda, una forza peso ( pressione normale) data dalla somma : — di una pressione idrostatica trasmessa unicamente attraverso l’ac¬ qua interstiziale e pari a quella che si otterrebbe se l’intero strato fosse occupato dalla sola acqua ( pressione neutra) ; — di una pressione litostatica trasmessa unicamente attraverso i punti di reciproco contatto tra i varii granuli (pressione effettiva) e pari al peso di tutti i granuli dello strato alleggeriti da una sottospinta di galleggiamento pari alla pressione idrostatica o pressione neutra. Una depressione freatica si identifica dunque con una riduzione della pressione neutra e della sottospinta e comporta quindi un identico aumento della pressione effettiva che sola interessa la portanza di un terreno. Una depressione freatica equivale dunque alla imposizione di un sovraccarico uniformemente ripartito sulla intera superficie topografica interessata e precisamente, nella fattispecie, ogni metro di abbassamento della falda equivale alla imposizione di un sovraccarico di una tonnellata per ogni metro quadrato dell’intera pianura dei Regi Lagni. È noto che tale evenienza potrebbe condurre a fenomeni di subsi¬ denza pericolosi per i manufatti degli insediamenti. In caso di innalzamento freatico potrebbe invece determinarsi una condizione di umidità dannosa sia ai fabbricati che alla relativa abitabilità se non persino al clima della pianura. Per quanto concerne infine l’agricoltura, una depressione freatica potrebbe determinare uno spostamento dalle ricche colture ortive a quelle più povere dei terreni asciutti, mentre un innalzamento freatico potrebbe ridurre il franco colturale fino a determinare la marcescibilità di deter¬ minate colture. La regolazione del livello freatico può essere ovviamente realizzata attraverso la regolazione del potere drenante dei Regi Lagni cioè attra¬ verso un opportuno dimensionamento della sua sezione idrica. Se infatti bisognerà tener conto della condizione che la sezione scolante deve poter garantire lo smaltimento della somma di due portate caratteristiche : quella superficiale, corrispondente alle maggiori portate critiche, e quella freatica, corrispondente alla portata ottimale, si dovrà — 19 — tener conto, tra l’altro, della condizione che lo sviluppo del con¬ torno drenante o la forma della sezione, allargata o approfondita per modificare il gradiente di permeazione, devono poter garantire il conte¬ nimento del drenaggio entro limiti ammissibili. In tale soluzione, il dimensionamento della sezione idrica dei Regi Lagni risulterà dunque condizionato dalla sottrazione o meno delle por¬ tate nolane e vesuviane e, nell’affermativa, risulterà ancora condizionato non solo dal tipo di tale sottrazione, cioè daU’immissione in falda od in canali pedemontani, ma anche dalla eventuale funzione deviatrice o scol- matrice dei pedemontani stessi. 8. Conclusione. 8.1.1. - U assetto morfologico del Somma- Vesuvio evidenzia: — che la generatrice del cono vulcanico è costituito da un profilo a pendenza decrescente da monte verso valle cioè da un profilo caratte¬ rizzato da una concavità rivolta verso l’alto ; — una generale sproporzione tra i volumi avviluppati dalle due falde coniche: quella di N.E., prospiciente il retroterra e quella di S.W. prospiciente il mare. Questa sproporzione è determinata da una asimmetrica distribuzione dei prodotti sciolti che, eiettati nel corso delle varie eruzioni vulcaniche, si depositarono più abbondantemente sul versante di N.E. che non su quello di S.W.; — l’assenza deH’immediato sfocio a mare per le acque del ver¬ sante di N.E.. 8. 1. 2. - La costituzione litologica del Somma- Vesuvio evidenzia la presenza di potenti coltri di « detrito secco » e sabbie sciolte che : — ammantano i versanti medio-montani dell’intero rilievo ; — si estendono, sul versante di N.E., anche alle più lontane ed attenuate pendici. 8. 1. 3. - Queste caratteristiche (8.1.1. - 8.1.2.) — pongono l’arduo problema del fissaggio delle coltri medio¬ montane, di detrito secco e sabbia sciolta, per contenere la franosità ed erodibilità dei versanti ; — localizzano nella fascia circumbasale di N.E., accanto all’elevato potere assorbente comune ai predetti versanti, una pendenza insuffi- — 20 — ciente per il deflusso delle torbide ad elevato trasporto solido differen¬ ziando, profondamente, la idrologia di questa fascia per una difficoltà di deflusso praticamente assente nella fascia di S.W.„ 8. 2. - Se questi sono in sintesi i problemi delFidrogeologia del Somma- Vesuvio, ben più complessi sono invece i problemi che la pre¬ senza stessa di questo rilievo pone alla idrogeologia della retrostante pianura campana. — Se ci rifacciamo a quel momento imprecisato del Pleistocene superiore allorché, sulla spiaggia di una pianura alluvionale che si sviluppava a spese delFerosione dell’arco calcareo-dolomitico dei Preap¬ pennini, nasceva, dalle eruzioni vulcaniche, un rilievo di tutt’altra co¬ stituzione litologica ; — se ripercorriamo tutto il tempo successivo durante il quale questo rilievo si accresceva ; — si comprenderà quale grosso problema idrogeologico pose questo vulcano che veniva a tagliare la strada ai corsi d’acqua che solcavano la pianura allungandosi con essa. Mentre cresceva il vulcano, la pianura cresceva più rapidamente di prima perchè ai precedenti depositi alluvionali si aggiungevano i nuovi depositi eolici delle eruzioni vulcaniche e si aggiungevano o si sostituivano i nuovi depositi alluvionali prodotti a spese dei più erodibili depositi eolici che andavano ammantando sia i rilievi calcareo-dolomitici che, lo stesso Somma. Aumentando gradualmente di mole, il vulcano deviava sempre più verso l’alto i venti caldi marini, carichi di vapor d’acqua, fino a spin¬ gerli nelle fasce altimetriche di minore temperatura e maggiore conden¬ sazione. Ad una piatta estensione di pianura a minore piovosità si an¬ dava cosi sostituendo un crescente rilievo a crescente piovosità. Ad una rete idrografica fluente dal retroterra verso il mare si andava sovrapponendo, localmente, una nascente rete fluente in senso opposto e cioè quella del versante N.E. del crescente Somma. La rete preesistente perdeva il suo sfocio e la nuova ne cercava invano uno proprio. Si aggiunga infine che l’abbondanza di prodotti sciolti del versante di N.E. alimenta, con il suo elevato potere assorbente, una potente falda freatica fluente anch’essa in senso opposto a quella della pianura cam¬ pana e che l’incontro delle due falde dà luogo ad un reciproco rigurgito. Acque superficiali prive di scolo ed acque freatiche rigurgitate — 21 — davano vita, lungo l’arco di gronda pedemontano del Somma, ad una ca¬ tena di paludi che, dagli orti di Schito, attraverso l’agro Sarnese e Nocerino, l’agro Nolano, il Boscofangone ed il pantano Acerrano, andava fino alle paludi di Napoli e Volla. In una economia prevalentemente agricola ed alla luce delle cogni¬ zioni della sua epoca sulla convenienza o meno di determinate scelte, l’uomo scelse di anticipare il suo possesso su queste terre senza attendere che a ciò provvedesse la natura con le sue colmate spontanee. Per guadagnarsela egli ha dovuto battere due strade opposte a quelle che avrebbe seguito l’evoluzione geomorfologica: A) Prosciugare i bacini palustri svuotandoli anziché colmandoli. Venivano così a mancare quelle grandi distese di acqua che, con la loro massa e con la loro immobilità, avrebbero smorzato l’impeto delle torbide torrentizie imponendo loro di sedimentare proprio in quei bacini che sarebbe occorso colmare. Per realizzare questo svuotamento, contrario al processo naturale, l’uomo ha dovuto inoltre anticipare la scelta della direttrice scolante ricalcando, con la canalizzazione dei Regi Lagni, quella linea di im¬ pluvio che la topografia attuale gli offriva e cioè una linea più lunga e faticosa di quella che la natura, col tempo, gli avrebbe potuto allestire migliorando, con le sue colmate spontanee, la pendenza dei due archi di gronda pedemontana. B) Ostacolare l’erosione dei bacini montani ed il conseguente trasporto solido. Occorreva infatti impedire che i materiali di trasporto, privati or¬ mai dei bacini di sedimentazione palustre, sedimentassero invece nella canalizzazione di scolo e di drenaggio intasandola fino a tracimare e, alluvionando quei bacini guadagnati all’agricoltura, riproponessero la soppressa colmata spontanea. Per ostacolare l’erosione l’uomo ha dovuto imbrigliare le ramifica¬ zioni apicali dei torrenti anche se questa pratica ha bloccato la forma¬ zione delle pianure alluvionali e, laddove l’apporto torrentizio si batte con l’asportazione marina, sia suonato l’allarme del mancato ripasci- mento delle spiagge. Qualunque sia stata la convenienza o meno di questa scelta, sta di fatto che ormai essa ha dato vita ad una nuova realtà dalla quale non si può più prescindere specialmente laddove il nuovo assetto terri¬ toriale ha destinato queste terre a particolari insediamenti produttivi. Si deve quindi concludere che è proprio la rivalutazione della destinazione di queste terre che impone all’uomo non solo di conti¬ nuare questa lotta, che un giorno egli intentò a quel processo naturale di bonifica che pende sempre sul suo capo, ma di continuarla con un congruo margine di sicurezza anziché, come ha fatto finora, ai margini della propria sconfitta. BIBLIOGRAFIA Ministero dei Lavori Pubblici, 1917 - Piani regolatori delle bonifiche. Voi. 1°. Stabilimento Tipo-litografico del Genio Civile, Roma. Rittmann a., 1967 - I vulcani e la loro attività. Cappelli editore, Rocca San Ca- sciano. Rittmann A. e Ippolito F., 1947 - Sulla stratigrafia del Somma-V esuvio. Atti Fond. Politecnica del Mezzogiorno, voi. Ili, Napoli. Romiti G, e A., 1961 ■ Sistemazioni dei bacini montani. U.T.E.T., Torino. ScHEiDEGGER A. E., 1961 - Tlieoreticol geomorfology. Springer-Verlag. Berlin-Gdttin- gen-Heidelberg. Terzaghi K., Peck R. B., 1967 - Soil Mechanics in Engineering Practice. John Wiley & Sons Ine., New York-London-Sydney. Todd D. K., 1964 - Ground water hydrology. John Wiley & Sons Ine., New York- London-Sydney. Valentini C., 1930 - Sistemazioni dei torrenti e dei bacini montani. Hoepli, Milano. Licenziato alle stampe il 25 giugno 1972. Boll. Soc. Natur. in Napoli voi. 81, 1972, pp. 23-29, 1 tab., 5 figg. Nuovo rinvenimento dì Marìaiite nei Campi Flegrei ( Monte di Precida ) Nota di AUGUSTO SENNO presentata dai soci ANTONIO SCHERILLO e RENATO SINNO (Tornata del 28 aprile 1972) Riassunto. — Si comunica un nuovo ritrovamento di Marialite nei Campi Flegrei (Monte di Precida). La sua identità è stata riconosciuta attraverso la diffrazione ai raggi X. I cristalli hanno dimensione media di cinque mm. e sono di un colore grigio- verdastro. Abstract. — In this paper thè autor announce thè new disco very of « Maria- lite » in thè Phlegrean Fields (localitys mount of Precida). The identity of this minerai has been recognaized with X-ray diffractions methods. The cristals bave thè size of about fi ve mm. and are pale greenish coloured. La zona sud-orientale di Monte di Precida, denominata Monte Grillo, raggiunge nel suo punto di massima altezza la quota di 145 metri (fig. 1); è delimitata verso mare da ripide pareti alla cui base corre una stretta spiaggia. La serie del monte Grillo (ViGHi, 1950) è formata dalla base fino alla sommità da una sequenza di strati di scorie e pomici di grandezza variabilissima e a spigoli vivi, cui si alternano più o meno regolar¬ mente livelli di ceneri (fig. 2). Nella parte basale del complesso questi prodotti sono stati tra¬ sformati secondariamente per processi di zeolitizzazione in litoidi, con¬ ferendo alFinsieme una colorazione giallastra. Questa trasformazione secondaria ha interessato soltanto la parte basale della serie del monte Grillo ; essa va gradualmente diminuendo di intensità sia verticalmente che lateralmente, in modo che attualmente si osserva un passaggio laterale verso prodotti non trasformati. — 24 — A tetto della serie poggia, in discordanza, una formazione tipo « Breccia Museo » ; questa è poligenica e i blocchi che la costitui¬ scono hanno dimensioni che raggiungono anche un metro di dia¬ metro, ma che mediamente hanno un diametro intorno ai trenta- sessanta centimetri. ùiiSr/tttir Fig. 1. — Dai tipi deiri.G.M., fg. 184, III NO, M. di Precida, aut. 555 del 4-5-1972). Litologicamente è una breccia senza matrice con elementi subar¬ rotondati, quasi a contatto, che nell’insieme simulano un andamento stratoide. I blocchi sono di varia natura, da lavici ad ossidianici, a cui si aggiungono blocchi scoriacei e pomicei che spesso aU’esterno presen¬ tano una crosta ossidianica in conseguenza della velocità di raffred¬ damento e dell’alta viscosità del vetro e assumono un aspetto a a cro¬ sta di pane », In questa zona abbastanza interessante dal punto di vista mine¬ ralogico, ho compiuto varie volte escursioni raccogliendo campioni di minerali. — 25 — È proprio durante una delle ultime escursioni effettuate nel mese di marzo del 1972, raggiungendo il monte Grillo dal basso, che ho potuto notare che una parte dello stesso era franato verso il mare per una discreta estensione (fig. 3). Fig. 2. — Monte Grillo e sullo sfondo il Capo Miseno. Ho potuto risalire la frana costituita in prevalenza di sole pomici, per una trentina di metri, e tra i vari blocchi franati più o meno grandi e consistenti ho raccolto un campione sulla cui superficie vacuolare erano disposti in discreta quantità dei cristallini di colore grigio-verda¬ stro (fig. 4). I cristalli osservati al microscopio binoculare mostrano un colore verde chiaro e in alcuni punti anche una discreta trasparenza. L’habitus è delimitato da prismi allungati ;■ la lunghezza calcolata per alcuni esemplari oscilla tra i tre ed i nove millimetri, mentre il diametro — 26 misurato su una sezione equatoriale non ha superato i due millime- tri (fig. 5). L’esame ai raggi X ha fornito lo spettro continuo della Marialite. Fig. 3. — Le ripide pareti del M. Grillo con parte del materiale franato. In tabella si riportano le distanze reticolari ottenute per la Maria- lite di monte Grillo, le distanze reticolari di un campione di Marialite del British Museum secondo i valori della A.S.T.M., di un campione di Meionite, da Bolton, Massachussets, sempre secondo l’A.S.T.M., e di un campione di Mizzonite del Vesuvio. ~ 27 — Dalla perfetta concordanza degli spettri del campione di monte Grillo e della Marialite A.S.T.M., se ne deduce che i cristalli in studio sono costituiti da una fase mineralogica cui corrisponde la formula chimica Nag [(CI2 , SO4 , CO3) (Al Sig Og)6} (Strunz, 1966). Fig. 4. — Il campione pomiceo con i cristalli di Marialite. A differenza della Meionite, che è molto ben rappresentata nei proietti calcarei del monte Somma (Scherillo, 1935), e che è un tipico prodotto del metamorfismo di contatto, la genesi della Marialite è legata ad un processo che involve l’azione dei componenti volatili (Smith e Dickson, 1965) ad alta temperatura (Eugster e Prostra, 1960). Il rinvenimento di questo minerale è abbastanza singolare per la — 28 — zona dei Campi Flegrei ; infatti in precedenza alcuni esemplari sono stati rinvenuti da A. Scacchi nella formazione del piperno di Pianura (Napoli), come ci viene riferito dallo Zambonini nelle pagine della sua Mineralogia Vesuviana. TABELLA l‘ Ma M. I/Io rialite Grillo A" Marialite A.S.T.M. I/Io A« Meionite A.S.T.M. I/Io A« Mizzonite Vesuvio I/Io A° md 8.48 40 8.49 d 13.68 md 6.20 40 6.16 60 6.20 d 8.66 d 4.27 70 4.24 40 4.35 d 7.15 mf 3.79 90 3.78 70 3.87 d 6.18 f 3.44 100 3.44 100 3.47 d 5.98 f 3.04 100 3.03 100 3.08 dd 4.31 d 2.84 40 2.84 mf 3.78 mf 2.70 90 2.68 80 2.73 mf 3.51 d 2.53 20 2.52 40 2.55 f 3.42 md 2.30 70 2.29 40 2.36 f 3.07 d 2.19 20 2.19 50 2.29 m 3.00 md 2.13 70 2.12 70 2.14 m 2.72 md 2.00 70 1.99 100 2.07 mf 2.67 mf 1.91 90 1.80 60 2.01 m 2.30 d 1.81 60 1.81 80 1.91 m 2.13 d 1.70 40 1.69 40 1.83 m 2.00 d 1.67 20 1.66 40 1.76 mf 1.91 d 1.62 30 1.61 50 1.74 m 1.89 d 1.55 60 1.55 20 1.68 md 1.71 d 1.50 40 1.50 20 1.64 d 1.59 d 1.46 70 1.45 40 1.60 m 1.56 d 1.42 70 1.41 60 1.56 md 1.51 md 1.38 40 1.37 60 1.52 md 1.43 md 1.36 70 1.36 60 1.47 d 1.40 d 1.31 40 1.31 60 1.43 mf 1.36 d 1.28 40 1.28 80 1.37 md 1.32 Essi inoltre non sono largamente rappresentati nella collezione del museo di Mineralogia di Napoli. Questo nuovo ritrovamento, che segnaliamo, considerando la di¬ screta abbondanza, può essere in seguito oggetto di ulterior i studi mineralogici. Istituto di Mineralogia di Napoli, aprile 1972. BIBLIOGRAFIA A.S.T.M. Eugster H, e Prostra J., I960 - Synthetic Scapolites. GeoL Soc. Am. Bull., voi. 71, 12, pt. 2 1859-1860. I. G. M. - Foglio M. di Procida 184, 111 NO. Scacchi A. - Catalogo dei minerali e delle rocce vesuviane, ScHERiLLo A., 1935 - La Meionite del Somma-Vesuvio. Period. Miner., anno VI, 3. Smith R. L. e Dickson K. 0., 1965 - Scapolite related to Chlorine release inbadelier tuff. New Mexico. U. S. GeoL Survey Prof. Paper, 525-a, p.a. 149. Strunz U., 1966 - Minoralo gische Tabellen. Vichi L., 1950 - Rilevamento geologico della zona a sud del parallelo di Baia e della zona di Nisida, Coroglio e Trentaremi, nei Campi Flegrei. Boll. Soc. Geol. ItaL, LXIX. Zambonini F., 1935 - Mineralogia Vesuviana, II edizione. 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L’ascesa del magma è in relazione soprattutto con una faglia appenninica. Si sono studiati i rapporti fra il cono di scorie e le piroclastiti scoriacee lacustri pre¬ senti a monte del condotto. Le indagini petrochimiche suggeriscono alcune osservazioni sulle relazioni fra Fevoluzione delle vulcaniti periferiche di Sesto Campano e Presenzano neU’ambito delFattività magmatica del Vulcano di Roccamonfina. Summary. — Some scoriaceous pyroclastic materials, emplaced across Creta- ceous-Paleocenic limestones near Sesto Campano (Isernia), bave been mapped and their petrology and chemistry bave been worked out. The Sesto Campano volca- nites are olivinic leucite tephrites ,and costitutes thè vent of a scoria-cone lateral to thè large Roccamonfina Volcano. This cone originated presumably in thè late Pleistocene and is now completely eroded. The relationships between thè cone and lake-deposited scores outcropping on thè up-hill side of thè vent bave also been investigated. The petrochemical results suggest that it is possible to correlate genetically thè Sesto Campano and thè near-sited Presenzano volcanites with thè Roccamonfina magmatic activity. The Sesto Campano products possibly rose along NW-SE tren» ding faults. Introduzione. Recentemente (1969) è stata segnalata dai rilevatori del Servizio Geologico d’Italia (C. Bergomi, V. Manganelli) [13] la presenza di un conetto di scorie eccentrico nei calcari dolomitici del Paleocene- "Campaniano in località Sesto Campano (F° 161 - Isernia. II edizione). — 32 — Di questa manifestazione locale (fig. 1) non si hanno segnalazioni precedenti nè essa compare nella I edizione di detto Foglio (1934). Tale manifestazione esplosiva, tefritica leucitica, è da ritenere che appartenga al vulcanismo del Roccamonfina dalla cui caldera centrale dista circa 17 chilometri. Oltre alla corrispondenza petrografica con molte vulcaniti del Roccamonfina bisogna aggiungere che questo Fig, 1. — Ubicazione delle manifestazioni eccentriche (asterischi^ del cono di scorie di Sesto Campano e delle effusioni laviche di Presenzano nella regione vul¬ canica del Roccamonfina. Sono anche riportate le principali linee tettoniche della zona. ultimo è abbastanza ricco di apparati laterali -ed eccentrici ; inoltre fra questo e la manifestazione esplosiva di Sesto Campano si hanno come « ponte » le effusioni laviche leucititiche tefritiche presenti nei calcari dolomitici infraliassici di Presenzano ( Caserta) e altre zone contigue alla base del versante meridionale del monte Cesima [14}. Tali effusioni distano km. 10-13 circa dal Vulcano di Roccamonfina (fig. 1). — 33 — Rilevamento. La zona di affioramento è ubicata alla base del versante orientale del monte Cesima presso l’abitato di Sesto Campano ( Isernia) ed è compresa nel III quadrante del Foglio I6I (Isernia). Le rocce sedimen¬ tarie affioranti nella zona sono costituite dalla serie cretacica formata da calcareniti e calcilutiti con Requienia di età valanginiana-cenoma- niana e da calcari bioclastici avana a frammenti di Rudiste del Ceno- maniano-Albiano. La successione è chiusa da calcareniti bianche a cemento spatico con frammenti di Rudiste alternate a brecciole poligeniche anch’esse a cemento spatico di età maastrichtiano-paleocenica. In questi ultimi terreni sono incassate le vulcaniti ( vedi carta geologica (*) e fig. 2). Localmente questi calcari sono intensamente fratturati per la presenza di numerose faglie che si intersecano, in particolare, nella zona di affioramento delle vulcaniti scoriacee del condotto. La faglia marginale orientale della struttura di Sesto Campano è senz’altro la più importante anche se non è possibile calcolarne il rigetto ; a questa faglia perimetrale con andamento NW-SE potrebbe essere particolarmente connessa l’ascesa dei prodotti vulcanici. L’età della manifestazione vulcanica di Sesto Campano può essere riferita al Pleistocene. Tali prodotti sono infatti coperti dall’Ignimbrite Campana [6] («tufo grigio campano» Auct.) che è riferibile, per gli studi eseguiti in altre zone [2], alla fase finale del Wiirm III; riguardo al limite massimo di età si può far riferimento alle datazioni assolute eseguite su rocce leucitiche del Roccamonfina nell’ammissione di una generica corrispondenza cronologica fra questi tipi di rocce nelle due zone. Al Roccamonfina per una delle prime colate basani- tiche leucitiche è stata determinata, col metodo K-Ar, un’età compresa fra 1.260.000 e 1.070.000 anni [8]; su tefriti leucitiche del vulcano- -strato si sono avute età di 460.000 [8] e 368.000 anni [7]. A) Le rocce del condotto. Al Km 12 della S.S. 85 (Venafrana) sulla sinistra, a qualche centinaio di metri a SE del paese di Sesto Campano, si rinvengono (*) La carta geologica, per quel che riguarda i terreni sedimentari, è stata compilata tenendo conto del F° 161 - Isernia, II ed. della Carta Geologica d’Italia. 3 illuvioni Volturno e detrito i falda (Quaternario). 34 li flj a» o II SL-- - Ì2-S 1 J t) 0) « C.± <-D U (N Profilo geologico del vulcanetto di scorie di Sesto Campano (Isernia). 35 — nelle rocce carbonatiche, dendro una vallecola, prodotti vulcanici sco¬ riacei (fig. 3). Tali materiali rappresentano le radici di un conetto di scorie ormai completamente eroso e del quale emerge parte del condotto con la massa scoriacea di riempimento. Si hanno, inoltre, ancora scorie in giacitura regolarmente stratificata immediatamente a monte del condotto e scorie in banchi, a volte rimaneggiate e con Sesto Canìpano Fig. 3. — La parte affiorante (tratteggiata) del condotto del conetto di scorie eccen¬ trico tefritico leucitico olivinico nei calcari del Paleocene-Campaniano di Sesto Campano, A monte del condotto (a sinistra) affiorano le piroclastiti stratificate scoriacee lacustri. L’ordine di grandezza è dato dall’uomo al centro in basso. uno spessore massimo di circa 10 metri, su una distanza di 500-800 metri da tale condotto. Che si tratti di una manifestazione locale è dimostrato dalla grandezza a volte notevole dei blocchi scoriacei avendo questi una di¬ mensione massima che supera a volte i 50 cm (figg. 4, 5, 6); tali 36 Fig. 4. — Grossa scoria nella parte centrale del condotto. — 37 — materiali, inoltre, non si rinvengono fra la zona di Sesto Campano e il Vulcano di Roccamonfina. Le vulcaniti sono costituite da lapillo e blocchi scoriacei di colore grigio-ferro con pochi fenocristalli di augite ; localmente la massa delle vulcaniti presenta un arrossamento diffuso dovuto probabilmente ad azione pneumatolitica. L’affioramento principale misura circa m 60 di larghezza e m 40 di altezza. Nelle zone periferiche del condotto, a Fig. 6. — Grossa scoria nella parie marginale del condotto costituita da una breccia di scorie e calcari alterati. contatto con i calcari, si ha una fascia di alcuni metri costituita da una breccia vulcanico-sedimentaria (figg. 6,7) nella quale le rocce carbonatiche mostrano segni di metamorfismo. Verso l’alto questo affioramento si restringe formando delle digitazioni a cuneo irrego- lari (figg. 3, 8). Nelle immediate vicinanze si ha qualche altra manifestazione dello stesso tipo di dimensioni più ridotte. I prodotti scoriacei inglobano frammenti carbonatici alterati e presentano localmente qualche patina di materiale quarzoso o fratture riempite dello stesso prodotto. Data la natura sottosatura delle rocce vulcaniche (tefriti leucitiche oliviniche) si può ritenere che il materiale — 38 — Fig. 7. — Zona marginale del condotto; breccia di scorie e rocce carbonatiche alterate in ambiente idrotermale in minerali tipo smectiti. Fig. 8. — Digitazione nella zona periferica del condotto del cono di scorie. — 39 — quarzoso sia di origine secondaria e derivi dalla dissoluzione in am¬ biente idrotermale di rocce arenacee presenti in profondità e incon¬ trate dai prodotti magmatici nel corso della loro ascesa. Negli inclusi carbonatici, spesso totalmente alterati in ambiente idrotermale, si rinvengono idrosilicati di alluminio, magnesio e ferro del tipo delle smectiti ; la presenza di tali minerali è stata accertata con analisi roentgenografica. Prodotti simili (tipo saponite) sono stati trovati nei tufi tefritici leucitici-leucititici dei vulcani del Lazio [12] (*). B) Le piroclastiti scoriacee stratificate {lacustre). Oltre alle scorie del condotto e a quelle in banchi si hanno, a monte di questo, vulcaniti correiabili in gran parte con quelle del con¬ dotto e affioranti per circa m 15 di spessore con una stratificazione perfettamente orizzontale (fig. 9). Si tratta di una successione di strati di scorie con caratteristiche sedimentologiche che indicano una deposizione in ambiente probabil¬ mente lacustre (figg. 9,11). Alla base, comunque, tale materiale ha tessitura caotica per uno spessore di qualche metro e suggerisce una messa in posto come mud flow (fig. 11). Verso l’alto si ha quindi una sequenza di strati spessi da un decimetro a cm 50 circa in cui ogni singolo strato mostra una successione gradata che, dal basso, è costi¬ tuita da materiale sabbioso, scorie spesso arrotondate e, infine verso l’alto, ceneri a volte sottilmente stratificate (figg. 9,11). Questa succes¬ sione ciclica si ripete più volte per uno spessore globale di 12-15 metri. Localmente la serie è interessata da dislocazioni con spostamento di pochi centimetri (fig. 10). Soprattutto verso l’alto di questa serie diventano man mano pre¬ ponderanti pomici probabilmente trachitiche-fonolitiche leucitiche rife¬ ribili all’attività del Roccamonfina. Queste ultime piroclastiti sono dif¬ fuse nelle varie zone interposte fra quella di Sesto Campano e il Vulcano di Roccamonfina. Nei diversi settori del Roccamonfina le piro¬ clastiti sono alla base tefritiche leucitiche e verso l’alto si hanno tipi fonolitici e trachitici ; a tetto di queste varie piroclastiti si ha l’Ignim- brite Campana [5, 10]. (*) Minerali di questo tipo si rinvengono anche negli inclusi carbonatici meta¬ morfosati presenti nelle pozzolane del Vulcano Laziale (E. Franco, lavoro in pre¬ parazione). 40 Fig. 9. — Le piroclastiti stratificate orizzontali a monte del condotto deposte proba bilmente in ambiente lacustre e costituite da una successione ciclica, dal basso di sabbie vulcaniche, scorie e pomici, ceneri. Fig. 10. — Piccola dislocazione nelle piroclastiti lacustri. — 41 — La serie lacustre di Sesto Campano termina con uno strato ocraceo di ceneri sottili rappresentanti forse un paleosuolo o anche i prodotti di chiusura dell’amhiente lacustre. Dopo uno strato di ceneri chiare di circa cm 50 si ha, in chiusura di serie, un materiale cineritico, con piccole scorie e frammenti di Iqnimbrite Campana .m.2 ceneri m. 0,5 ceneri straterellate scorie e pomici sabbie vulcaniche strati di sabbie, scorie, ceneri, cm. 10-50 ^ mud flow ? Fig. 11. — Successione schematica delle piroclastiti stratificate affioranti a monte del condotto, riferibili al conetto di Sesto Campano nella parte bassa e preva¬ lentemente al Roecamonfina verso l’alto. Per uno strato è indicata la sequenza litologica dei prodotti sedimentati in ambiente lacustre. sanidino, spesso argillificato e humificato ascrivibile per la sua posi¬ zione stratigrafica ed i caratteri generali ad una facies distale delFIgnim- brite Campana [6]. Come si nota dalla carta geologica annessa, i prodotti scoriacei riferibili aU’attività esplosiva del conetto si rinvengono in più zone a distanza di 500-800 metri dai condotto. Essi nelle zone più lontane — 42 — ( Cimitero di Sesto Campano) hanno dimensioni medie piuttosto piccole aggirantisi intorno a 1-3 cm con qualche blocco sporadico di dimen¬ sioni maggiori. La distribuzione areale limitata (anche considerando la loro posi¬ zione attuale per rimaneggiamento) e le dimensioni rapidamente decre¬ scenti delle scorie suggeriscono una energia esplosiva piuttosto limitata. La presenza dentro la vallecola di queste facies stratificate di ambiente lacustre a monte del condotto fa ipotizzare che la formazione di un edificio vulcano a valle abbia dato la possibilità che si impian¬ tasse un ambiente di tipo lacustre in cui si sarebbero deposti i prodotti esplosivi del vulcanetto e poi quelli del Roccamonfina trasportati qui dai declivi circostanti ad opera delle acque dilavanti. Non è agevole una eventuale distinzione fra i prodotti sedimentati dopo dilavamento e quelli caduti direttamente dall’aria. Per questi ultimi comunque, in riferimento agli strati di pomici superiori ascri¬ vibili al Roccamonfina, un criterio può essere l’assenza di scorie del vulcanetto locale oltre al minore arrotondamento dei vari tipi litologici. Riguardo la formazione di un locale ambiente lacustre per sbarra¬ mento a valle da parte del vulcanetto bisogna però tener presente che in queste zone si hanno ai margini del fiume Volturno piroclastiti del Roceamonfina di probabile ambiente lacustre affioranti ad un livello simile a quello della serie in oggetto. Ciò potrebbe far pensare ad un ambiente di sedimentazione lacustre più vasto e non riferibile alla formazione del cono di scorie di Sesto Campano. Occorre comunque aggiungere ehe nell’ambito dei vari prodotti scoriacei non si sono rin¬ venute prove di manifestazione vulcanica in un eventuale ambiente subacqueo presente prima del fenomeno esplosivo di Sesto Campano. Indagini petrochimiche. Sono state eseguite indagini petrochimiche su un blocco scoriaceo del condotto (campione S^) e su piccole scorie affioranti nei pressi del condotto (camp. S2). Al microscopio i prodotti di Sesto Campano, spesso vetrosi nei tipi più seoriacei, risultano costituiti, in quelli meglio cristallizzati, da augite, leucite, plagioclasio, olivina. L’AUGITE in fenocristalli è di colore marrone verdastro spesso zonata con bordi più chiari, questo colore più chiaro si nota a volte nei microliti della massa di fondo, spesso i 43 — fenocristalli sono omogeneamente poco colorati; 2Vy = 57-62°, c/y = = 44-47°. La LEUCITE si presenta in microfenocristalli e nella massa di fondo ; il PLAGIOCLASIO, di tipo labradoritico, è presente in mi¬ croliti mal determinabili nella massa di fondo. L’OLIVINA è di tipo crisolito con 2Va^85° (EoD^75%), essa si presenta in microfeno- TABELLA I Analisi chimiche delle scorie del vulcanetto di Sesto Campano (Isernia) e delFeffusione lavica di Presenzano (Caserta). Camp. Si s. P Si O2 49.17 48.56 47.67 Ti O2 0.72 0.65 0.80 Zr O2 0.04 0.03 0.03 Ab O3 16.53 16.65 17.57 Fe, O3 1.78 2.94 3.31 FeO 4.20 4.06 5.04 MnO 0.18 0.15 0.12 MgO 7.35 6.45 3.57 CaO 10.15 10.01 9.24 BaO 0.09 0.08 0.11 Na.O 2.00 2.20 2.73 ICO 6.41 6.41 8.38 C12 0.03 0.05 0.11 S03 0.03 0.05 0.05 p. 03 0.57 0.54 0.67 H20- 0.19 0.75 0.21 H2 0+ 0.47 0.57 0.64 99.91 100.15 100.21 — O/CI2 0.03 100.18 Camp. Si - Blocco scoriaceo nel condotto. Sesto Campano. (An. P. Di Girolamo). Camp. S2 - Scorie piccole nei pressi del condotto. Idem. (An. D. Stanzione). Camp. P - Lava di Presenzano. (An. P. Di Girolamo). cristalli spesso alterati in Iddingsite marrone rossastra. Oltre alla MAGNETITE si ha qualche laminetta di BIOTITE. I vari dati chimico-mineralogici dei camp. Si e 83 (tabb. I-II-III) indicano la costanza di composizione nei prodotti del cono di scorie di Sesto Campano; lo stato di maggiore frammentarietà del camp. 83, TABELLA II 44 Camp. Si 24.1 22.8 10.3 10.4 8.8 1.8 5.1 15.1 0.5 1.1 24.1 43.5 32.4 » S2 23.9 22.9 11.4 10.3 8.8 2.9 4.8 13.4 0.5 1.1 23.9 44.6 31.5 — 45 — costituito da piccole scorie mediamente bollose, porta ad una leggera ossidazione di Fe". Ai fini di una possibile corrispondenza fra norma e modo il calcolo delle percentuali mineralogiche normative è stato eseguito sulla base chimica di un’augite a composizione media, già analizzata, con caratteri TABELLA III Norma molecolare (Niggli). Campione Leucite Nefelina Plag Ab ioclasi An Augite Olivina t c bC « Ilroenite Apatite Vulcanite (Streckeisen 1967) S: 29.9 1.2 12.7 26.3 (A _ 13.6_ n 51.7%) 29.8 9.8 1.1 0.8 1.1 tefrite leucitica olivinica S, 30.0 2.1 13.2 26.7 ^13.5_ (50.6) 29.8 7.3 2.2 0.8 1.1 tefrite leucitica olivinica 1 P i 1 39.3 8.0 7.2 12.8 _ _ ^6 (43.8) 33.0 2.2 2.5 0.8 1.4 leucitite tefritica ottici simili a quelli riscontrati nei prodotti di Sesto Campano e Pre- senzano. Tale preferenza è dovuta al fatto che il diopside usato nella norma molecolare di Niggli (Di — Wo + En + Fs) non contiene AI2O3 , FeaOg , alcali e risulta mediamente più povero in MgO e più ricco in Si O2 , Fe 0, Ca 0 ; con tale minerale si calcolerebbe essenzial¬ mente meno clinopirosseno e più plagioclasio ( più basico) con varia¬ zioni deU’ordine di 5-7%. Le analisi modali eseguite su altri campioni di rocce leucitiche indicano che sulla base della composizione di un’augite media si calcola una norma mediamente simile al modo. Le percentuali normative dei minerali (plagioclasio e leucite) e la presenza deU’olivina in quantità superiore al 5% in volume (tab. Ili) fanno classificare le rocce di Sesto Campano come « tefriti leucitiche oliviniche » (classificazione secondo A, L. Streckeisen, 1967). Tali rocce corrispondono alle a basaniti leucitiche » e, secondo la classifi¬ cazione dettagliata per le rocce leucitiche nel diagramma di Niggli, Troeger, Rittmann, alle a ottavianiti ». — 46 — La lava di Presenzano è una « leucitite tefritica » ( Streckeisen, 1967) che corrisponde alle a vesuviti » dei tre autori citati, essa è alquanto più desilicizzata e sottosatura, rispetto alle rocce di Sesto Campano, come si nota dai più bassi valori di Si°, qz, Q (tab, II). Il carattere seriale è marcatamente più mediterraneo per l’effusione di Presenzano come è indicato daU’indice seriale (a) del Rittmann (tab. II) che dà per le rocce di Sesto Campano un tipo seriale « mediterraneo medio » e per quelle di Presenzano un tipo « mediterraneo forte ». Dai valori di Niggli (tab. II) le rocce risultano appartenere alla serie potassica e al tipo magmatico « normalsommaitico », sono « forte¬ mente potassiche » (k ^ 40), « femiche » (Sesto Campano: al <7 26 ; fm 7> 32) o « subaliche » (Presenzano: al > 26), « me- 2 I diamente alcaline » ( Sesto Campano : - al >> alk >> - al) o 3 2 2 (( relativamente ricche in alcali » ( Presenzano : al 7> alk > - al), fra 3 (( normali » e a ricche in calcio » (valore limite di c = 25). Le relazioni magmatologiche fra i prodotti di Sesto Campano e quelli di Presenzano possono essere indicate dai valori di Si° e Az°, come è stato fatto inizialmente per il Somma- Vesuvio [II] e in seguito anche per il Roccamonfina [1], e dai valori di Q, L, M impiegati per il Roccamonfina [ I ] . Per lo studio dello stato di silicizzazione al posto delle formule di Rittmann del « grado di silicizzazione » ( Si°) e a grado di acidità » ( Az°) : si si _ _ ^2° = _ 100 + 4 alk si + 100 nel presente lavoro vengono impiegate le formule corrette dal Burri [3] : si + 4 alk - [fm (I — mg) w + 2 p] + zr 2 si Az' I — 47 Ha ( s sk Sesto Campane flb \ \ A 1 ° P ♦ Presenzano • • \ • ' o'* sV.‘ l Oq V • -r / \ 1 . ■ ' 1" 7 0,7 0.9 ■ — r— T - 1 1,1 Si® Fig. 12. — Diagramma Az°/Si° per i vari gruppi di rocce del Vulcano di Roccamonfina. Dai parametri citati risulta che riguardo le varie rocce desilicizzate in diverso grado per sintessi carbonatica si possono distinguere diversi cicli che comprendono ognuno una serie di differenziazione [1, 11]. Dai diagrammi relativi al Roccamonfina [1] risulta che per i valori di Az° " Si° (fig. 12) le rocce di Sesto Campano e Presenzano apparten¬ gono globalmente al gruppo di più bassa silicizzazione (Uh) delle rocce ìeucitiche; inoltre, più precisamente, il diagramma Q, L, M (fig. 13) Q Q Fig. 13. — Diagramma Q-L-M per le varie serie di rocce del Vulcano di Roccamonfina. — 48 — mostra che le vulcaniti di Sesto Campano sono comprese in una serie di differenziazione (Ilb) alla quale non sembrano appartenere le più sotto¬ sature rocce di Presenzano. Queste ultime rocce sono fra le più desili¬ cizzate dei vari tipi analizzati al Roccamonfina [1, 9]. Come è noto, al Roccamonfina le lave leucitiche costituiscono lo strato-vulcano, coni avventizi e domicumuli, inoltre l’attività vulcanica del Roccamonfina [13] ha spesso emesso alternativamente prodotti più sottosaturi (tefriti leucitiche-leucititi) e meno sottosaturi (fonoliti leuciti- che) ; fra i prodotti saturi o lievemente soprassaturi ( latitici-trachibasal- tici) sono comprese le manifestazioni più recenti del vulcano localizzate nella caldera terminale. Per spiegare l’alternanza nel Roccamonfina delle manifestazioni leu¬ citiche a diverso grado di silicizzazione è stata ipotizzata [4] l’esistenza di più focolari magmatici, tra loro indipendenti, in ognuno dei quali si sarebbero svolti processi di assimilazione e differenziazione come nel ba¬ cino del Somma- Vesuvio. Le eruzioni prodotte alternativamente o contem¬ poraneamente dai singoli focolari, a grado diverso di silicizzazione per io stato più o meno avanzato della sintessi carbonatica, darebbero l’alter¬ narsi o anche la contemporanea emissione dei prodotti leucitici del vulcano più o meno desilicizzati e differenziati. I prodotti delle manifestazioni vulcaniche di Sesto Campano e Pre¬ senzano, forse fra loro indipendenti come evoluzione, potrebbero avvalo¬ rare l’ipotesi di bacini indipendenti o, per lo meno, dimostrare la note¬ vole estensione del bacino magmatico del Roccamonfina o delle sue digi¬ tazioni. Restando nei prodotti tefritici leucitici si ha, ad esempio, una distanza di circa 20 km. fra Sesto Campano e i coni di scorie laterali presenti nel settore SSE del Vulcano di Roccamonfina. Conclusioni. Il cono di scorie tefritico leucitico olivinico di Sesto Campano, del quale attualmente si osservano solo le a radici », appartiene al vulca¬ nismo della sottoprovincia petrografica aurunca (Vulcano di Roccamon¬ fina). Le vulcaniti, emesse probabilmente nel Pleistocene, si rinvengono nei sedimenti carbonatici del Cretacico-Paleocene interessati da nume¬ rose faglie fra cui una più importante ad andamento « appenninico » che limita il massiccio del M. Cesima verso la piana del Volturno. Tale linea tettonica (fig. 1) segue la media valle del Volturno per circa 40 km — 49 — dalla piana di Venafro a quella di Dragoni limitando verso NE il gruppo di Monte Cesima e di Monte Maggiore. Essa è parallela all’altra linea tettonica regionale che dalla piana di Cassino raggiunge il bordo orien¬ tale della Pianura Campana. All’incrocio di queste linee tettoniche a appenniniche » con quelle ad andamento « tirrenico », che bordano a NW il Monte Massico e inte¬ ressano il substrato del Roccamonfina, si hanno le serie di manifestazioni vulcaniche di Sesto Campano e Presenzano. I materiali dell’atto esplosivo, di intensità piuttosto modesta, hanno interessato un’area di larghezza poco superiore al chilometro. Il rinveni¬ mento di soli prodotti subaerei nel condotto può far ritenere che la costru¬ zione del piccolo edificio vulcanico abbia sbarrato la parte bassa della valle- cola dando luogo alla formazione, a monte, di un piccolo lago. Tale ambiente è rappresentato da una serie piroclastica stratificata di 12-15 metri costituita, in basso, dai prodotti scoriacei locali e, prevalentemente in alto, dai materiali pliniani dell’attività del Roccamonfina ; la serie è chiusa dall’Ignimbrite Campana riferita alla fase finale del Wiirm III. Le indagini petrochimiche suggeriscono una probabile indipendenza nell’evoluzione magmatica dei prodotti di Sesto Campano rispetto a quelli delle manifestazioni pure periferiche di Presenzano. L’attività vulcanologica del Roccamonfina, più complessa di quella del Somma- Vesuvio, ne è anche più estesa rinvenendosi, riguardo le boc¬ che vulcaniche tefritiche leucitiche visibili, su un tratto di circa 20 chilometri. BIBLIOGRAFIA [1] Arévalo P., Burri C., Weibel M., 1962 - Zur Petrochemie des Roccanion- fina-Vulkans (Piov. Caserta, Italien). Schweiz. Min. Petr. Mitt., 42, Zurigo. [2] Brancaccio L., 1968 - Genesi e caratteri delle forme costiere nella Penisola Sorrentina. Boll. Soc. Nat, in Napoli, 77, Napoli. [3] Burri C., 1962 - Zur Berechnung der Silifizierung von Eruptivgesteinen. Chem. d. Erde, 22, Jena. [4] Burri C., 1966 - Problemi petrochimici del vulcanismo italiano, Mem. Acc. Patav. SS.LL.AA., cl. Se. Mat, e Nat., 78, Padova. 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'•■. ; . /A- -, .=-v. •'^^' • ‘ ^ .:■ ; • , -tv/ÀlYf , 7.u: 7^.3 !, :K::v;^r. Boll. Soc. Natur. in Napoli voi. 81, 1972, pp. 51-58, 2 tavv. Ricerche palinologìche nella successione mesozoica della Serra del Prete (gruppo del Pollino, Appennino meridionale) (*) Nota del Socio A. TAVERNIER LAPEGNA (Tornata del 31 marzo 1972) Riassunto. — Vengono presentati i risultati di uno studio palinologico sul Meso¬ zoico carbonatico di facies neritica della Calabria, Sono stati esaminati 55 campioni provenienti dalla Serra del Prete (gruppo del Pollino) di età compresa tra il Lias ed il Cretacico superiore ; sono stati rinvenuti, in totale, 49 granuli classificati ed alcuni granuli non classificati per il pessimo stato di conservazione. I granuli clas¬ sificati comprendono i generi: Polypodium, Osmundn, Acrostichum, Calamospora, Araucaria, Pinus, Ephedra, Quercus, Corylus, Batis, Sabatia, Trachicarpus, Livistonia. Summary. — A palynologic research on thè Jurassic and Cretaceous shallow water carbonate rocks of Calabrian Apennines (Southern Italy) has been carried out. From 55 analyzed samples, ranginging age from Power Lias to Upper Cretaceous and collected at Serra del Prete (Pollino mountains), 49 grains bave been classified, wheareas some other ones remain unidentified because of their bad preservation. The classified grains are from thè following plants : Polypodium, Osmunda, Acro¬ stichum, Calamospora, Araucaria, Pinus, Ephedra, Quercus, Corylus, Batis, Sabatia, T rachicarpus, Livistonia. In questo lavoro vengono presentati i primi risultati di uno studio palinologico sul Mesozoico carbonatico di facies neritica della Calabria, iniziato nel 1967, ed esteso poi a tutta la successione calcareo dolomitica del gruppo del Pollino, attraverso l’analisi di 55 campioni provenienti dalla Serra del Prete e di età compresa tra il Lias ed il Cretacico superiore. Si sono inoltre studiate le microfacies dei campioni raccolti, in modo da avere un controllo biostratigrafico su basi diverse da quelle palinologiche. (*) Lavoro eseguito con il contributo C.N.R. — 52 — Il gruppo del Pollino costituisce Fultima propaggine meridionale delFAppennino calcareo, ed è allungato in senso est-ovest. Le sue cime superano i 2000 m di altezza fra le più alte, oltre al Pollino stesso, vi è la Serra Dolcedorme (2170) e la Serra del Prete (2180) donde proven¬ gono i campioni studiati. La Serra del Prete è una grande monoclinale sollevata sul lato sud da una faglia diretta, con direzione NO SE che corre lungo il Vallone della Caballa, e da due faglie laterali con andamento NE SO. L’immer¬ sione degli strati è generalmente verso NE. Dal punto di vista paleogeografico possiamo ascrivere il Pollino alla più interna delle due piattaforme carbonatiche campano-lucane (D’Ar- GENio ScANDONE, 1969) mesozoiche. Lo studio dei campioni è risultato alquanto complesso sia perchè i tempi di preparazione sono piuttosto lunghi, sia perchè la determinazione dei pochi granuli presenti, se pure a livello di genere, ha richiesto un esame molto attento ed accurato. I campioni sono indicati con la lettera P e numerati i primi cin¬ que con i numeri progressivi da 4 a 8, i rimanenti da 18 a 66. In seguito all’analisi effettuata i 55 campioni si possono dividere in due gruppi distinti. Il primo, comprendente la parte della successione stratigrafica che va dal Lias al Batoniano, ha dato risultati scarsi in quanto ben 22 campioni sono risultati sterili e le poche spore rinvenute nei rimanenti campioni erano in cattivo stato di conservazione. Nè ci si aspettava per questa parte della serie, risultati differenti. Per il secondo gruppo di campioni da P40 a P66 (Dogger supe¬ riore Cenomaniano) i risultati sono stati degni di rilievo: i campioni sterili sono soltanto 9 ed è stata individuata non soltanto la presenza di spore, ma anche la presenza di granuli pollinici ascrivibili a Gimno- sperme ed Angiosperme, Paleontologìa. In questo paragrafo si dà una descrizione dei caratteri morfologici, a livello di genere sulle spore e sui pollini rinvenuti, e dove possibile, anche ragguagli stratigrafici riguardanti i primi rinvenimenti del genere. Per la classificazione si è seguita quella riportala da Emberger (1968). In totale il numero di grandi rinvenuti è di 49 comprendenti i — 53 — generi: Polypodium, Osmunda, Acrostichum, Calamospora, Araucaria, Pinus, Epredra, Quercus, Corylus^ Batis, Sabatia, Trachicarpus, Livi- stonia. Felci Famiglia: Polypodiaceae Genere : Polypodium Sono stati rinvenuti circa una quindicina di granuli, non tutti in buono stato di conservazione, che per le loro caratteristiche sono da ascrivere a questo genere. Sono spore reniformi, ovali, solco monolete esina spessa con orna¬ mentazione non sempre individuabile. Il genere Polypodium è del Giurassico. Attualmente vive nei paesi tropicali. F amiglia : Osm undaceae Genere : Osmunda Sono state inidviduate soltanto tre spore rotonde, con solco trilete ed esina ricoperta da escrescenze tubercolose sparse sulla superficie. Sia per le dimensioni che per le caratteristiche anzidette queste tre spore sono state ascritte al genere Osmunda^ la cui massima diffusione si è avuta durante il Mesozoico. Questo genere vive attualmente in zone umide, paludi a torbiera e nelle foreste paludose delle regioni atlantiche dell’America del Nord e nel SE dell’Asia. Famiglia: Pteridaceae Genere : Acrostichum Sono state ritrovate due spore con contorno triangolare arrotondato ; il solco trilete è alquanto evidente ; in una delle spore si nota una specie di struttura che fa apparire l’esina rugosa. Tale struttura potrebbe essere determinata dall’intina non completamente distrutta. Spore di Acrostichum sono state segnalate in depositi cretacei degli Urali. Attualmente il genere vive nelle regioni intertropicali in asso¬ ciazione con le Mangrovie nelle paludi salmastre litorali. — 54 — Equisetales Famiglia: Calamitaceae Genere : Calamospora sp. È stato rinvenuto un solo esemplare di questo genere. È una spora di dimensioni notevoli (100 micron) subcircolare con solco trilete che raggiunge i 2/3 dell’asse maggiore. Inoltre presenta delle pieghe molto evidenti. In letteratura è stata segnalata la presenza di Calamospora plicata in carboni del Permico inferiore brasiliano. Gimnosperme Famiglia: Araucariaceae Genere : Araucaria I tre granuli attribuiti a questo genere hanno contorno arroton¬ dato, con esina molto sottile ( è questa una delle ragioni per cui è difficile ritrovare questi pollini durante le analisi). I paleobotanici hanno segnalato resti di conifere del tipo Araucaria anche in depositi del Carbonifero. Nei depositi triassici, giurassici e cretacei i rappre¬ sentanti di questa famiglia si ritrovano con maggiore faciltà essendo cosmopoliti. Attualmente il genere vive nell’America meridionale ed in Au¬ stralia. F amiglia : Pinaceae Genere : Pinus Gli esemplari del genere Pinus sono stati più numerosi di quelli del genere Araucaria, se ne sono contati otto; per le modalità di attacco delle sacche al corpo sono da ascrivere al sottogenere Haploxilon. È alquanto difficile dire se il genere più antico sia questo o quello Diploxilon, ma dalla letteratura risulta che i granuli di tipo Haploxilon si trovano più frequentemente in terreni cretacei e terziari mentre quelli di tipo Diploxilon si rinvengono in terreni di età successiva. — 55 — Clamidosperme Famiglia: Ephedraceae Genere : Ephedra Nei due esemplari rinvenuti sono ben evidenti le coste che si estendono per tutta la lunghezza del granulo da un polo all’altro. I pa- linologi hanno segnalato granuli attribuibili al genere Ephedra fin dal Permico superiore, ma soltanto dal Cretacico superiore in poi questo polline è stato riconosciuto con sicurezza. h’’ Ephedra è un arbusto della zona mediterranea e delle regioni aride dell’Asia centrale ed occidentale e dell’America. Angiosperme Famiglia: Fagaceae Genere : Quercus Sei granuli tricolporati con pori al centro dei solchi sono stati classificati come appartenenti a questo genere ; l’ornamentazione è co¬ stituita da granulazione le cui dimensioni variano. Pollini fossili di Quercus sono stati individuati dal Cretacico inferiore in poi. Famiglia: Betulaceae Genere : Corylus Si sono rinvenuti cinque granuli sferici con tre pori disposti agli angoli di un triangolo ; il contorno in visione equatoriale è ovale. L’esina è liscia, bistratificata. Il genere Corylus inizia dal Cretacico superiore in poi (Wielsik, 1968). Famiglia: Salicaceae Genere : Batis Granulo tricolpato, piccolo, con solchi che raggiungono i 2/3 della lunghezza dividendolo in tre lobi asimmetrici. Esina spessa con orna¬ mentazione non sempre visibile. Attualmente vive nelle regioni sudorientali dell’America Setten¬ trionale, nella Florida e nelle Antille. 56 — Famiglia: Gentianaceae Genere : Sabatia Granulo tricolpato, con lobi simmetrici. Esina spessa bistratificata con scultura granulata. Attualmente vive nella Florida e negli Stati Uniti. Famiglia: Palmae Genere : T rachicarpus Granulo sferico rotondo, esina spessa bistratificata. L’ornamentazio¬ ne è costituita da una serie di cavità che a volte simulano un reticolo a maglie regolari. Su uno dei lati del granulo vi è una piccola fenditura. Il genere Trachicarpus vive attualmente in Giappone e Florida. Genere : Livistonia ( Corypha) Granulo sferico, con esina bistratifieata ; sulla sua superficie si nota un reticolo non molto evidente. (^)uesto genere attualmente vive in Australia. La quantità di spore e di pollini ritrovata non è stata sufficiente per poter tracciare un diagramma pollinico o per effettuare uno studio stratigrafico di dettaglio, ciò nonostante si può dire che le indicazioni ottenute dall’esame palinologico confermano ulteriormente quanto si era dedotto da indagini di altro tipo. Interessante è stato notare come man mano che si procedeva nella indagine della successione stratigrafica, sia apparsa evidente la linea evolutiva della microflora, infatti se nei primi campioni si sono ritro¬ vate esclusivamente spore e qualche forma non classificabile per il suo cattivo stato di conservazione, proseguendo l’esame del Trias al Giu¬ rassico e successivamente al Cretacico, si è assistito alla comparsa di granuli pollinici sia di Gimnosperme che di Angiosperme e, indiretta¬ mente, ad una diminuzione delle spore. La presenza di polline in alcuni campioni della serie stratigrafica ci conferma che la sedimentazione avveniva in acque poco profonde e tranquille. Infatti il polline, una volta liberato in acqua si comporta come una qualunque particella sedimentaria, se le acque sono turbolente vi rimane sospeso per lungo tempo, ma se invece sono tranquille si deposita sul fondo. Inoltre nella sedimentazione dei granuli pollinici si deve tener conto anche della localizzazione del bacino di sedimenta- — 57 — zione • se questo si trova in dominio esclusivamente subaereo la presenza di pollini nel sedimento sarà il risultato della pioggia pollinica traspor¬ tata dal vento ; se invece si trova in dominio marino e lacustre si dovrà tener conto anche deU’apporto delle correnti. Ai fini della sedimentazione ha poca importanza la vicinanza o meno di fonti di polline nelle adiacenze del bacino, perchè i pollini sono resistenti alla macerazione purché non intervengano fattori quali la salinità e la turbolenza delle acque. ‘ Anche se non si conosce la struttura la composizione chimica del¬ l’esina, dagli esperimenti di Brook e Shaw (1968) si è dedotto che la sporopollenina, una delle sostanze che costituiscono parte dei granuli pollinici, è un polimero dovuto all’ossidazione degli esteri carotinoidi ed è solubile in una miscela di alcali. Perciò la presenza di sali in elevata concentrazione nelle acque porta alla distruzione del granulo. Per la turbolenza delle acque è stato dimostrato da esperimenti effettuati (Traverse e Ginsburg, 1966), sia su sedimenti che nelle acque del Great Bahama, che i pollini sono regolarmente presenti nei sedimenti delle zone sottovento delle isole più grandi dove la turbolenza è minima ed il sedimento è prevalentemente pelitico. Che la sedimentazione doveva avvenire in acque poco profonde e tranquille ci è anche confermato dalla presenza costante di micrite nei campioni, ed anche dalle microfacies rinvenute, costituite da Alghe cal¬ caree, Foraminiferi Ostracodi, gusci di Lamellibranchi e Gasteropodi; inoltre la microflora ritrovata durante l’indagine palinologica ci testimo¬ nia la presenza di un clima caldo, infatti i generi rinvenuti, di cui già si è data la descrizione, sono tutti generi che attualmente vivono in paesi tropicali o mediterranei. 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Tav, I Fig. 2. — Osmunda. Fig. 5. — Sporangio. Fig. 6. — Ephedra. 1 Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972 Tavernier Lapegjna a. - Ricerche palinologiche nella successione, ecc. Tav. II Fig. I. — Pinus (visione dorsale). Fig, 2. — Pinus (visione ventrale). Fig. 3. - Quercus ( visione polare) Fig. 4. — Quercus (visione longitudinale). Boll. Soc. Natur. in Napoli voi. 81, 1972, pp. 59-64, 3 figg., 2 tavv. Gorjanovicla martìnensis: nuova specie dì Radiolìtlde del Senonìano delle Murge (*) Nota di VINCENZO CAMPOBASSO presentata dai soci VALDUGA, RICCHETTI e LUPERTO SINNI (Tornata del 31 marzo 1972) Riassunto. — Viene descritta una nuova specie di radiolitide riferibile al genere Gorjanovicia Polsak ; gli esemplari studiati sono stati raccolti in livelli calcarei del Senoniano inferiore-medio delle Murge sud-orientali. Abstract. — The author describes a new species of radiolitid which may be referred to thè genus Gorjanovicia PoLSAK ; thè specimens here studied have been found by thè author in lower-middle Senonien calcareous beds of thè southeastern Murge. NeU’ambito delle ricerche che Flstituto di Geologia e Paleonto¬ logia deirUniversità di Bari sta conducendo sul Cretaceo delle Murge, viene segnalata in questa Nota la presenza di una nuova specie di radiolitide, Gorjanovicia niartinensis^ in livelli calcarei del Senoniano inferiore - medio (Campobasso & Olivieri, 1967). Tali livelli macrofossiliferi affiorano in una cava, aperta in banchi suborizzontali di calcare detritico biancastro, 2 km circa a SE di Martina Franca (250 m circa ad est del punto di quota 437, Tav. 190 11 SE (( Martina Franca ») ; inoltre, nella trincea della strada provinciale Monopoli-Alberobello nei pressi del bivio con la provinciale Castellana Grotte- Alberobello (Tav. 190 li NO « Alberobello ») ; in questa trincea si osservano alcuni strati calcarei dallo spessore variabile da 0,5 m alme contenenti una ricca fauna a rudiste ; tra queste sono state (*) Lavoro eseguito con il contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche. — 60 — individuate, oltre alla nuova specie, le seguenti forme : Biradiolites angulosus d’ORB. e Durania martellii Parona. Ord. RUDISTAE Lam. 1819 Sottord. SINISTRODONTA Pcelincev 1959 Fam. RADIOLITIDAE Gray 1848 Gen. Gorjanovicia Polsak 1967 Gorjanovicia martinensis n. sp, (Figg. 1, 2, 3; Tav. I e II) Origine del nome: da Martina Franca, città della provincia di Taranto. Fig. 1. — Gorjanovicia martinensis n. sp. - Paratipo - X 1 - Sezione trasversale della valva destra. - Trincea della strada provinciale Monopoli-Alberobello nei pressi del bivio con la provinciale Alberobello-Castellana Grotte. Olotipo : Fig. 3 - Tav. 11 ; conservato nella collezione di fossili dellTstituto di Geologia e Paleontologia della Facoltà di Scienze di Bari, inv. N.S. 1. Diagnosi: Valva destra allungata, di forma cilindro-conica, con ornamentazione esterna costituita da numerose coste ben pronunciate, in genere acute e regolarmente distribuite. La banda sifonale anteriore (E) è fortemente in rilievo con superficie liscia e leggermente concava ; la banda sifonale posteriore (S) è poco più larga della (E), saliente. — 61 — provvista di due robuste costicine e limitata da due coste acute. Nel- Finterbanda è presente una costa. Valva sinistra leggermente convessa. Descrizione: Valva destra allungata, di forma cilindro-conica. Ornamentazione esterna data da coste longitudinali lisce, in genere acute e regolarmente distribuite, separate da solchi non molto profondi. Fig. 2. — Gorjanovicia martinensis n. sp. - Paratipo - X 3 - Sezione trasversale della valva destra. - Cava a 2 km circa a SE di Martina Franca (250 m a est del punto di q. 437). Sezione trasversale della valva, di forma subcircolare. La banda sifonale anteriore (E) è molto saliente con superficie liscia e appena incavata. La banda posteriore (S) è di poco più larga — 62 — di quella anteriore ( E), e si presenta rilevata, con superficie liscia e provvista ordinariamente di due costicine robuste e a spigolo arroton¬ dato ; inoltre questa banda è limitata da due coste acute. Nell’inter- banda è presente una costa. La cresta ligamentare è ben sviluppata, con estremità distale leg¬ germente dilatata. La camera viscerale è provvista di setti. In corrispondenza delle due bande si ha una leggerissima infles¬ sione della parete della valva verso la camera viscerale. Il guscio della valva, interessato da una ricristallizzazione generale, mostra, in sezione trasversa, solo in alcuni punti la sua struttura ; questa è indicata da tracce delle lamine di accrescimento ad andamento sinuoso. Nelle zone corrispondenti alle due bande sifonali le lamine di accrescimento tendono ad assumere una concavità verso l’alto. Valva sinistra: è conservata nell’olotipo ed ha forma leggermente convessa ; Fornamentazione esterna non è visibile, perchè la superficie è erosa (Fig. 3). Osservazioni: È stato raccolto un esemplare (olotipo) fornito deile due valve, parzialmente libere dalla roccia ; tra queste, la destra è incompleta e mostra chiaramente le caratteristiche della regione sifo- nale. Inoltre, sono state raccolte tre valve destre (paratipi) più o meno inglobate nella roccia e osservabili in sezione trasversale. La G. martinensis si distingue dalle altre specie riferite a questo genere sopratutto per i caratteri delle zone sifonali ; in particolare, G. vinjolae Polsak (1967) ha la banda anteriore (E) abbastanza rile¬ vata come nella nostra specie, ma se ne distingue per la banda poste¬ riore (S) incavata, per le coste e la cresta ligamentare meno pronunciate e per l’assenza di coste nell’interbanda. La Medeella acuticostata Torre (1965), segnalata nelle Murge baresi, presenta i caratteri del nuovo genere Gorjanovicia istituito da Polsak (1967) in seguito alla revisione di Medeella Parona (1923); questa specie differisce dalla nostra principalmente per le bande sifonali più o meno incavate anziché prominenti. Non è possibile un sicuro confronto con gli esemplari di Medeella sp. descritti da Torre (1965) a causa del loro cattivo stato di conser¬ vazione, che non ha permesso lo studio completo delle bande sifonali e dell’ornamentazione esterna. — 63 — Provenienza : L’olotipo e un paratipo sono stati estratti da una cava posta a circa 2 km a SE di Martina Franca (Taranto) e m 250 circa a est del punto di quota 437 (Tav. 190 II SE « Martina Franca »). Fig. 3. — Gorjanovicia martinensis n. sp. - Olotìpo - X 2 - L’esemplare è visto dal¬ l’alto (è visibile in parte la valva sinistra leggermente convessa e con superficie esterna erosa). - Cava a 2 km circa a SE di Martina Franca (250 m a est del punto di q. 437). Due paratipi provengono dalla trincea della strada provinciale Mono- poli-Alberobello nei pressi del bivio con la provinciale Alberobello- Castellana Grotte (Tav. 190 II NO « Alberobello »). Età : Senoniano inferiore-medio. — 64 — BIBLIOGRAFIA Campobasso V. & Olivieri C., 1967 - Osservazioni preliminari sulla stratigrafia e sulla tettonica delle Murge tra Castellana Grotte (Rari) e Ceglie Messapico (Brindisi). Un, St. Bari, Ist, GeoL PaL - Studi geol. e morf. sulla regione pugliese., II, 20 pp., f. 1, Bari. Paroma C. F., 1923 - Osservazioni sopra alcune specie della fauna a Rudiste del colle di Medea (Friuli). Atti R, Acc. Se, Torino, voi. LIX, Torino. PoLSAK A,, 1967 - Macrofaune cretacee de Vlstrie meridionale (Yougoslavie). Palaeont, jugoslavica, voi. 8, pag. 219, tavv. LXXXV, Zagreb. Torre D., 1965 - Contributo alla conoscenza delle Rudiste dei dintorni di Altamura - Murge Baresi. Palaeontographia italica, voi. LX (n. ser. voi. XXX), pp. 1-18, ff. 4 nel testo, tavv. 5, Pisa. Licenziato alle stampe il 6 ottobre 1972 TAVOLA I Gorjanovicia martinensis n. sp. - Paratipo - X 3 - Valva destra vista dalFalto - Trincea della strada provinciale Monopoli-Alberobello nei pressi del bivio con la pro¬ vinciale Alberobello-Castellana Grotte. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972 Campobasso V. - Gorjanovicia martinensis : nuova specie di Radiolitide, ecc. - Tav. I TAVOLA II Gorjanovicia martinensis n. sp. - Olotipo - X 1 - Valva destra in parte inglobata nella roccia e vista dalla regione sifonale. - Cava a 2 km circa a SE di Martina Franca (250 m a est del punto di q 437). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972 Campobasso V. - Gorjanovicia niartinensis : nuova specie di Radiolitide, ecc. - Tav. II Boll. Soc. Natur. in Napoli voi. 81, 1972, pp. 65-71, 1 tah., 2 figg. Osservazioni sui rapporti tra temperatura ambientale e attività del tessuto interstiziale del testicolo di Rana esculenta (*) SONIA FRASCATORE e VIRGILIO BOTTE (**) (Tornata del 31 marzo 1972) Riassunto. — L’ipotesi di una azione della temperatura ambientale sul tessuto interstiziale del testicolo di Rana esculenta è stata verificata seguendo le variazioni dell’attività delle cellule di Leydig durante il ciclo sessuale. Sono state studiate in particolare le caratteristiche della sudanofilia e della reazione di Schultz per il colesterolo nelle cellule interstiziali ed è stato seguito lo sviluppo della callosità del pollice, carattere sessuale secondario che, come è noto, dipende dall’attività endocrina della gonade maschile. La sudanofilia ed il contenuto in colesterolo delle cellule interstiziali non presentano variazioni nel ciclo sessuale, a differenza di quanto sostenuto da altri AA.. Un ciclo annuale è, invece, ben evidente nella callosità del pollice. Questa struttura mostra il massimo sviluppo nei periodi invernali (quando la 3(B-olo-idrossisteroide deidrogenasi raggiunge la massima attività) ed il minimo in estate. Data la stretta dipendenza dello sviluppo della callosità dall’attività endocrina del testicolo, sembra avvalorata l’ipotesi, sostenuta da De Kort (1971) su basi sperimentali, che la sensi¬ bilità del tessuto interstiziale alle gonadotropine e quindi la sua attività secernente diminuisce con l’aumento della temperatura ambientale. Summary. — The effects of temperature upon thè testicular interstitial tissue of Rana esculenta have heen documented in accordance with thè variations in thè activity of Leydig cells during thè seasonal cycle. In this study particular attention has been paid to thè sudanophilia and Schultz-positive cholesterol-lipids in thè inter¬ stitial tissue and to development of thumh pads ; thè thumb pads, as is well known, are a secondary sex character dependent upon thè endocrine activity of male gonads. Sudanophilia and Schultz-positive lipids of thè interstitial tissue do not present annual variations, which condradicts thè data presented by other workers, while (*) Lavoro eseguito con un contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche alla II Cattedra di Anatomia Comparata. (**) II Cattedra di Anatomia Comparata, Istituto di Istologia ed Embriologia, Università di Napoli. 5 — 66 — annual cyclic variations are noted in thè thumb pad. This organ attains its maximal development in winter (when thè 3[B-ol-hydroxysteroid dehydrogenase activity of thè interstitial tissiie is maximal) and minimal in summer. In view o£ thè depen- dence o£ thumb pads’ development upon thè testicular endocrine activity, thè hypothesis o£ De Kort supported by experimental data, (1971) that thè sensitivity o£ intestitial tissue to gonadotropins and hence its secretoy activity, diminishes with increasing temperature, seems to he notably correct. Premessa. Gli studi di Galgano (1936) e di altri AA. (cfr. Van Oordt, 1960) hanno messo in evidenza che nel testicolo di Rana esculenta si osserva un blocco dei processi di spermatogenesi durante i periodi invernali. L’entità e la durata di tale fenomeno sembrano dipendere esclusivamente dalla temperatura nel senso che essi divengono tanto più evidenti quanto più rigido è l’inverno. Se gli animali vengono tenuti, in questa stagione, in serra calda non solo la stasi si attenua, ma si possono instaurare dei normali processi spermatogenetici ( Galgano, 1936; De Kort, 1971). In esemplari di Rana esculenta^ catturati in Olanda, è stato pos¬ sibile individuare un ciclo annuale anche per il tessuto interstiziale, basato sulle variazioni delle caratteristiche della sudanofilia e della reazione per il colesterolo (Lofts, 1964). Alla massima attività delle cellule di Leydig, valutata con i metodi sopraricordati, corrisponde il maggiore sviluppo della callosità del pollice, tipico carattere sessuale secondario del maschio degli anfibi anuri. Il tessuto interstiziale sembra essere, al contrario della spermato¬ genesi, inibito dalle alte temperature. Questa osservazione era già stata fatta da Galgano (1936) che aveva messo in evidenza l’atrofia della callosità del pollice in maschi « invernali » allevati ad alta temperatura. Recentemente una analisi sperimentale degli effetti della temperatura sulle cellule di Leydig di Rana esculenta è stata condotta da De Kort (1971) il quale ha ampliato le osservazioni di Galgano ed ha avanzato l’ipotesi che le temperature estive provocano una diminuzione della sensibilità delle cellule interstiziali alle gonadotropine e quindi rallen¬ tano la loro attività endocrina. Sulla scia di tali osservazioni, ci è sembrato utile seguire l’attività delle cellule interstiziali del testicolo durante il ciclo sessuale, studiando le variazioni parallele della callosità del pollice, in rane catturate nel — 67 — napoletano, in un ambiente, cioè, con periodi invernali più brevi e meno rigidi e periodi estivi più lunghi e caldi di quelli registrati in Olanda. Questo allo scopo di avere ulteriori indicazioni sulle modifi¬ cazioni osservate in queste cellule in rapporto alle condizioni ambientali. Materiali e metodi. Sono state utilizzate rane catturate nel napoletano ( Acerra) ogni venti giorni dall’ottobre 1970 al dicembre 1971. Gli animali venivano pesati e quindi sacrificati. Si prelevavano i testicoli e le callosità. 1 primi erano pesati e poi fissati parte in Bouin, per l’esame istologico (colorazione ematossilina-eosina), e parte in formolo-calcio per lo studio dei lipidi (colorazione Sudan) e del colesterolo (reazione di Schultz). Le callosità erano direttamente fissate nei due liquidi. Su quelle fissate in Bouin venivano eseguite le reazioni istochimiche per la localizzazione dei polisaccaridi (PAS, alcian) e delle proteine ( ninidrina-Schiff). Un certo numero di callosità veniva omogeneizzato in acqua distillata ed utilizzato per il dosaggio biochimico delle proteine (Lowry et al., 1951) e degli zuccheri neutri (reazione all’antrone ; cfr. Bische, 1955). Il contenuto di queste sostanze era espresso in rapporto al peso fresco (p/mg di tessuto fresco). Risultati. I risultati possono essere riassunti nei seguenti punti essenziali : a) L’indice gonado-somatico varia significativamente durante il ciclo sessuale con un valore massimo nei mesi che precedono la riprodu¬ zione e valori minimi alla fine di tal periodo (Fig. 1). L’esame istologico dei testicoli dimostra la presenza di fenomeni di stasi solo nei mesi di gennaio e febbraio. In questo periodo nella maggior parte delle ampolle seminifere sono presenti nidi di spermatogoni o di spermatozoi. La spermatogenesi riprende attivissima a marzo e si mantiene tale nei mesi successivi. b) La quantità di tessuto interstiziale è molto variabile da individuo ad individuo, anche se appartenenti allo stesso periodo del¬ l’anno. Le cellule di Leydig hanno un contenuto di materiale sudanofilo 68 molto vario, che risulta generalmente positivo alla reazione di Schultz. Le gocciole sudanofile sono quasi sempre più grandi nel periodo di giugno-luglio, alla fine, cioè, della riproduzione ; ma la variabilità individuale è cosi ampia da togliere praticamente ogni significato parti¬ colare a questa osservazione. Non è stato possibile individuare un ciclo secernente delle cellule di Leydig utilizzando come parametri le caratteristiche della loro suda- nofilia e della positività alla reazione di Schultz. Fig. 1 - Variazioni delFindice gonado-somatico ( x 1000) di Rana esculenta durante il ciclo sessuale. Sulle ascisse i mesi, sulle ordinate Findice gonado-somatico ( X 1000). c) Ben evidente è, invece, il ciclo della callosità del pollice. Come mostrato nella Fig. 2, questa struttura raggiunge il massimo sviluppo nel periodo invernale, prima della riproduzione ; diminuisce poi progressivamente durante la stagione degli amori sino a luglio. A partire da questo periodo essa riprende il suo sviluppo ; il lungo periodo di recupero si protrae sino al febbraio successivo. Le modifi¬ cazioni istologiche consistono nella variazione dell’altezza dello strato 69 — epidermico e delle cellule ghiandolari. Nel citoplasma di questi ele¬ menti abbondano i granuli di secreto quando la callosità raggiunge il suo maggior sviluppo e durante la riproduzione. In quest’ultimo periodo si riscontra del secreto anche nel lume delle ghiandole. AlFanalisi istochimica il secreto è PAS-positivo e contiene proteine ; sarebbe per¬ ciò formato da mucine neutre. Fig. 2. — Variazioni di alcune caratteristiche della callosità del pollice di Rana esculenta^ nel corso del ciclo sessuale. ( - — ) Diametro ghiandolare; ( - ) altezza delFepidermide e ( — . — .• — ■) delle cellule ghiandolari. Il contenuto in proteine e zuccheri neutri della callosità è più alto nel periodo in cui essa presenta il maggiore sviluppo e nello stadio successivo della riproduzione (Tabella 1). — 70 — TABELLA 1. Variazioni del contenuto in proteine e zuccheri neutri nella callosità del pollice di Rana esculenta nel corso del ciclo sessuale. Periodi (in mesi) I - II III - VI VII - X XI - XII Proteine ( espresse in pg/mg peso fresco) 220 218 70 160 Zuccheri ( espressi in pg di galattosio equ./ mg peso fresco) 6,35 5,23 5,17 4,65 Discussione e conclusioni. Esiste in Rana esculenta un ciclo della callosità del pollice che non è però rapportabile ad un ciclo parallelo della sudanofilia e del contenuto in colesterolo nelle cellule di Leydig, a differenza di quanto descritto da Lofts per le rane catturate in Olanda (Lofts, 1964). Con ogni probabilità i criteri utilizzati per la valutazione dell’attività secernente di queste cellule non sono risultati idonei nel nostro caso. De Kort (1971) ha puntualizzato che per avere un indice più sicuro di una attività secernente nelle cellule di Leydig è necessario analizzare numerosi parametri (diametro dei nuclei, lipidi, colesterolo, attività della 3|3-olo-idrossisteroide deidrogenasi). Tra questi il più indicativo sembra essere lo studio della 3p-olo-idrossisteroide deidrogenasi, enzima chiave nella biosintesi degli ormoni steroidi. La sua attività nelle cellule di Leydig è infatti in stretto rapporto con lo sviluppo della callosità del pollice (Botte, 1964; De Kort, 1971), De Kort (1971) conferma le osservazioni di Lofts (1964) che sosteneva la presenza, nelle rane catturate in Olanda, di due periodi di maggiore attività delle cellule interstiziali ; il primo, più evidente, nella stagione invernale ed il secondo in autunno. Ad entrambi questi periodi corrispondono due fasi di maggior sviluppo della callosità. La situazione appare differente nel nostro caso, perchè nella callosità si individua un solo periodo di maggior sviluppo, corrispondente ai mesi invernali. — 71 — La riduzione del volume della callosità nel periodo estivo sembra avvalorare l’ipotesi di una perdita della sensibilità alle gonadotropine da parte del tessuto interstiziale quando la temperatura ambientale au¬ menta (De Kort, 1971). Le ricerche sperimentali hanno dimostrato che la risposta alla iniezione di ICSH del tessuto interstiziale è decisamente più intensa in rane tenute a bassa temperatura ; in queste condizioni si osserva anche un notevole sviluppo della callosità del pollice. La somministrazione di questo ormone risulta invece poco efficace se effettuata a rane allevate a 24° C, o a rane « estive » allevate a 4°C ; quest ’ultima osservazione prospetterebbe la presenza di un pe¬ riodo refrattario che segue immediatamente la riproduzione ( De Kort, 1971). In conclusione, sia le osservazioni condotte sul ciclo sessuale che i dati sperimentali sembrano indicare uno sfasamento nel comporta¬ mento del tessuto interstiziale e della spermatogenesi riguardo alle modi¬ ficazioni termiche stagionali e sperimentali. BIBLIOGRAFIA Botte V., 1964 - I lipidi e la ^^-3^-idr assister oide deidrogenasi nel tessuto intersti¬ ziale del testicolo di Rana esculenta durante il ciclo sessuale, ricerche istochi- miche. Atti Soc. Pelorit. Sci. fìs. mat. nat., 10, 521-528. De Kort 1971 - Het interstitium testis bij de groene kikker, Rana esculenta een histometrisch en histochemisch onderzoek. Grafisch Bedrijf Fa. Lammers en Zn. Terborg. Bische, Z., 1955 - Color reactions for determination of sugars in polysaccharides. In; Methods of Biochemical analysis, D. Glick (ed.), Voi. Il, pp. 313-358. Galgano M., 1936 ■ V azione del freddo artificiale sulla spermatogenesi di Rana esculenta. L. Monit. Zool. Ital., 46, 273-283. Lofts B., 1964 - Seasonal changes in thè functional activity of thè interstitial and spennato genetic tissues of thè green frog, Rana esculenta. Gen. compar. Endocrinol., 4, 550-562. Lowry 0. H., Rosebrough N. J., Earr A, L. e Randall R. J., 1951 - Protein measurement with thè Folin phenol reagente J. Biol. Chem., 193, 265-275. Van Oordt P. G. W.J., 1960 - The influence of internai and external factors in thè spermato genetic cycle in amphihia. Symp, Zool. Soc. London, 2, 29. Licenziato alle stampe il 13 ottobre 1972. M hb mmsnbh ju1, . \ H'*^ UaA „ .S^,tjwfe«:*'!*to5i^a«^^ .«ri.'MJiSi 'M'nsàM.:’ :>!( ittaUtbaX^ 0:>WJ (>i(ì'J-''À^ ‘«Msif/jii ,_ii!>'\ .' .•i;l.YfljJ^/k^^ .(i,! '.’'>riij®i|.| J»<[|;f>fo:rr’:tt t5|ì,> !.. ; ,. V . -'■ .„ ... ;, "T., ■ i'? , ^JU.ii^rUkUìin ^ Tìis .JlA.KxìyaM «^<■0 *.sr.t-' jAWtsS it!lci^.«!M’E iWi'i^Kwì' mì^i* ..’^'’ r.i »»loi» ^ « Sin © 8 e U O 8 S ^ ^ .8 s 8 5 S _ e O O ^ ^ £. O li®. S S 8 8 g ■w 'S '.g ® 0) 8 e w ^ ^ 8 '8 s -S "'sfa ^ -2 ^ ile s ^ ^ > 8 O ~ I ?s fe s © § ‘D o c H ?| w ^ •1 a, H g j « Il a. ^ w a, « ® Ph 2 i-J Ph s .2 Ph © PQ ^ 8 „ 'S. s f» ^ s •a a -"g op ^ ,P. ^ 8 8 -w •g io “5 cn ~8 ^8 S S-s 8 8 "S - 8 •H ’>Ì 8 8 8 O ^ "a H ì>. ' — '8 I, I C 3 8 Hl'i ■ 0 8 8 iJ e 8 em s a 8 8 K O "£ "K ^88 a. a, e ww 8 e « S * g.£f 8 »“■ ^ a, ìso 8 ^ I ^ è hP j i3 - gl -j ^ 2 S 2 CO §1 8 8 8 8 « ÌÌO1..2 1.^ ^ a .g 8 8 8 »o e Etq ? ^ 8 -2 0 o .2 2 ^ t ^ i 8 8 ^ a ^ ^ ^ > ffi 5 Ph 8 8 8 8 8 1 8 |J 8 M ® w a 8 s 2 8 8 a. 2 8 CO-^ S w co 8 co a •■a o •~i. .«è 8 Qp apo o 8 "S ^a 8 00 E-h fai ^ 2 8 8 O 2 a «5 co 8 •2 ^ ^ 2 -2 ^=««lò ?6s, ^ O f*«»oà 2 ^ S O O O 8 ^ rs rs 8 a a a ^ O © O o. asse E^ E^ O J.2.S C 8 8 g a a a s a ^ Ì-. , _ , 8 I 8 ^8 2 2 2 8 « ^ 1^ 2 a 8 ^ 8 2^2 5.. a ^8 8 8 '3 o a co O 8 co ,g 8 a g 8 .3 O gP? a'g 8 •g g !- ^ ool leua I — 125 — + H — h + H — 1 — h + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + I? + + + + + + + + ++ + + + + + + + ++ + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + 4- f ++++++++ ++++++++++++++++++++++++++++++++ 'i _ II D l■^ + + + + 4- + + ^- + + + ^- + ^- + + + + + + + + + + + + + ^- + + + + + + + + + + + + + ^- f- + + + + + + + -1- + + + + + + + + + + + + + + 4- + + + + + + + + + + + + + + + + + » i f + + ++ + + + + ++ + + + + + + +="• + ++ + + + + Vi l! W ^ < z S ® o Q : D SS ^ '!S W e , o e ^ O vb ^ is) y _ o !” g lgl = “l-SS . M -itì O r -5 Q _ , Jtì e e ik fi :ì3 Q B e e '33 qj o cq fi ^ ■« g a 8 s £^2.2 S ^ o 8 S g "" S Il «I ^ ^ g § 83 030^ ^ B5 ^ Il z ^ I ^ K « M ^ S Z u « a » © L3 § s S e § e"- e S o .2 S g § S o C ^ 3 ^ ^ S C ® ^ ^ e£ 8 e s a e fi « 8 ^ ^ feo S>i0.2 .2 •3 -S o cq eq o u =< sq bì SS W W p K O S p o W p ^ ss M a o Vi Vi i5 O 5 ^ Qm ‘p ' — '-2 e ^ a to S ^ e ^ 3 S •a 8 a a e !-? « e a a ‘W a X S 5 S hJ © w © .2 a a ->© S S a .N © -a eq a •« a « &< © 2 « O O r2 rS'^ a a S a ^ S 8 .5 Ì50‘S .2‘W rs Z g 5 ®- ^ Qj ‘M S-gf "^1 © B > S2 ^ a. a .n f _ < O P o < P CJ H ■< H . o z o Mm S1( 8 B 8 a a 8 a g ^2^ g S 8 a a 8 b a ^ S S '2 a a a ^ ra g g ^ 8 Co g w a ^ ^ a ^ ^ Z: idi © H o .a © «3 Si ® ^ ^ a g'-S § g s •tó ® «3 © "'^ 8 a a a o © ^ ^ C k £ f -i g I g g a S ^ ‘S I— 1 ^ ® S- ^a ICS w a © CS 8 8 ’§ 8 8 “g g 8 a a o •S »® a co ^ t<3 8 ^ g § g 8 I s a a a ^ „ «3 © g 83 2-^8 a co © t* "3 8 'S S co V a 8 P 8 TABELLA I DistribuzioiK Elenco delle specie M R 1 c T m a 1 Callioslonia (Ampullotrochus) granulatum (BoRN) -f + 1 + 1 Calliostonia miliare (Brocchi) + + ■ , abbuia magus ( LlN^É) + + + abbuia (t'orskalena) guttadauri (Philippi) ? + -1- + + Turboella parva (Da Costa) + + Alvania reticulaia (Montagu) + + + Rissoa (Ceritia) proxima Alder + + + + 7 urritella tricarinata pliorecens Scalia + l‘luhppia chiusa ( BllONN) -1- + + + + _l_ Bittium reticulalum (Da Costa) + + _j. liittium desliavesi Cerulli-Irelli + + Bittium {Bittium) spina (Partsch) + + Cerithiella bicarinata Tiberi Gourinya (Thericium) vulgata (Bruguiere) -f- -f + + (.eritliiopsis {Ceritliiopsis] tubercolari^ (Montagli) + + _l_ Triphora perversa (LinnÉ) -!- 4- Epitonium [Clathrum) clalhrum (LiNNÉ) + + + 4- Leioslraca subulata ( Donovan) -1- + 4- Eulima lactea (Grateloui’) + Chrvsallida { Parthenina) interstincta ( Montacu) + + 4- Chrysallida {Parthenina) cilindrata (Cer. -Ir.) Odostomia {Megastomia) conoidea (Brocchi) + + + + -f- 4. Eulimella acicula (Phimppi) + + 4. Eulimella praelonga ( Jeffheys) + 4. Ebala {Ebala) nitidissima (Montagu) + + 4- Turbonilla {T urbonilla) lactea (LiNNÉ) + + + + Turbonilla {Turbonilla) pusilla (PHILIPPI) + + + Turbonilla {Turbonilla) gracilis (Philippi) + + + 4. Turbonilla [Pyrgiscus) rufa (Philippi) + + + + 4- Calxplraea chinensis ( Linné) + + + 4_ Aporrhais pespelecani (Linné) + -t- + + -1- 4- Lunatia (lisca ( Blainvii.leI + + -i- + 4- Lunalia macilenta (Philippi) + _j. + _j. 4- Naticarius stercusmuscarum (Lamarck) ? + + Culeodea echinophora (Linné) + + + -f. Cymatium (C«()es(onaì costalurn (Bohn) t ?- J Tli.V.Trir-) -- X TI ; ' / Cylharu {Cytharclla) costata (Donovan) + + + : Cythara {Cytharella) cfr. albida (Deshayes) 1 Bela nebula (Montagu) 1 Bela brachystoma (Philippi) 1 Bela {Ishnula) turgida (FoRBES) Comarmondia gracilis ( Montagu)^ + + + + + : + 4- 1 .4cIeon (/lc^eon) tornatilis (Linné) , 4- 1 Ringicula auriculata (Menabò) + Ringicula ventricosa (Sowerby) + , -f- 4* Cylichna cilindracea (Pennant) + Cylichna umbilicata (Montagu) 1 Roxania utriculus (Brocchi) + , Philine {ììermania) scabra (0. F. Muller) , Retusa truncatula Bruguiere , Rhizorus acuminatus ( Bruguiere) + Lepidopleurus cajetanus (Poli) + Lepidochitona cinereus (LiNNÉ) , Acanthochitona communis (Risso) + Nucula nucleus (LinnÉ) + ' I^uculana {Lembulus) pella (LiNNÉ) + + Nuculana {Lembulus) fragilis (Chemnitz) + 1 Tetrarca tetragone (Poli) + Striarca {Galactella) lactea (LiNNÉ) + Diluvarca diluvii (Lamarck)^ + Glycymeris glycymeris (Linné) + 1 Mytilaster minimus (Poi-l) , 1 Musculus mannoratus (Forbes) + Palliolum { Simìlipecten) similìs (LaSKET) + [T , 1 Aequipecten opercularis (LinnÉ) '1 4. Chlamys varia (LinnÉ) , , Flexop'ecten flexuosus (Poli) 4_ Pecten jacobaeus (Linné) , , ' Limatula subauriculata (Montagu) 4* , Lima lima (Linné) + + . Monta patelliformis (LlNNÉ) 4. Anomia ephippium LiNNÉ + Ostrea eduUs Linné Glossus hiirnanus (Linne) + + + + Thyasira flexuosa { Montagu) + 4. Mvrtea spinifera (Montagli) + 4. Cfena decussata (0. G. Costa) + Segue tabella — 126 — +++++++ +++ ++++++ ++++++++ ++++++++ + a +++++++ +++++++ ++ +++++++++++++++++++ H +++++++ ++++++++++ +++++++++++++++++++ CJ ++++++++++++++++++++++++++++++++++++++ ++++++++++++++++++++++++++++++ +++++++ + + + + + + + + ++ +^- + + + + + + + + Elenco delle specie Lepton nitidum Turton Mysella bidentata (Montagu) Chama grypìioides LinnÉ Laevicardium norvegicum (LiNNÉ) Parvicardium exiguum (Gmelin) Parvicardium minimum (Philippi) Parvicardium roseum ( Lamarck) Parvicardium obliquatum (Aradas) Papillicardium papillosum ( Poli) Rudicardium tuberculatum (LinnÉ) Acanthocardia aculeata (LinnÉ) Acanthocardia mucronata (Poli) Sphaerocardium paucicostatum (Sowerby) Callista chiane (LiNNÉ) Pitar rudis (Poli) Dosinia lupinus lincta (Pulteney) Venus (Ventricola) multilamella (Lamarck) Chiane (Timoclea) ovata (Pennant) Chiane lamellosa (De Rayn., V. D. H., Ponzi) Chamelea gallina ( LinnÉ) Donax venustus Poli Azorinus chamasolen (Da Costa) Solecurtus scopuliis (Turton) Quadrans ( Striotellina) serratus (Renieri) Tellina (Moerella) donacina LinnÉ Fabulina (Oudardia) compressa (Brocchi) Angulus {Peronidia) nitidus (Poli) Tellìnella pulchella (Lamarck) Abra longicallis (Scacchi) Spisula subtruncata (Muller) Phaxas pellucidus ( Pennant) Ensis ensis minor Chenu Hiatella arctica (LinnÉ) Corhula gibba ( Olivi) Cuspidaria cuspidata ( Olivi) Dentalium novemcostatum Lamarck Dentalium ruhescens (Deshayes) Siphonodentalium bifissum (Wood) I M = Miocene ; P = Pliocene ; C = Pleistocene inferiore freddo o temperato freddo ; T = Pleistocene superiore temperato o temperato caldo ; Rm = Recente mediterraneo ; Ra = Recente atlantico. — 127 — abbuia magus ( LinnÉ) 1758 - Trochus magus Linneus. Syst. nat., ed. X, pg. 757. 1960 " Gibbula (Gibbula) magus (Linné) Malatesta, pg. 62, t. Ili, f. 2. Alt. 19 Largh. 22,5 R Gibbula (Forskalena) guttadauri (Philippi) 1836 - Trochus guttadauri Philippi, Enum. moli. Sic., voi. II, pg. 182, t, XI, f. 1. 1960 - Gibbula (Forskalena) guttadauri (Philippi). Malatesta, pg. 69, t. Ili, f. 10. Alt. 1,8 Larg, 1,9 Rp- Turboella parva (Da Costa) 1779 ■ Turbo parvus Da Costa. Hist. nat., pg. 104. 1970 - Turboella (Turboella) parva (Da Costa). Greco, pg. 283. Alt. 1,6 Largh. 1,0 F. Alvania reticulata (Montagu) 1803 - Turbo reticulatus Montagu. Test. Brit., part. II, pg. 322. 1953 - Alvania (Turbona) reticulata Montagu. Priolo, pg. 158. Alt. 2,3 Largh, 1,4 F. Rissoa {Ceritia) proxima Alder 1863 - Rissoa proxima Alder da Forbes e Hanley, Brit. moli., voi. III, pg. 127, t. LXXV, ff, 7-8. 1953 - Lingula (Ceritia) proxima Alder. Priolo, pg. 142. Alt. 3,0 Largh. 1,0 R. Turritella tricarinata pliorecens Scalia 1900 - Turritella tricarinata pliorecens Scalia. Rev. fauna post-plioc. Nizzeti, pg. 20. 1960 - Turritella (Turritella) tricarinata pliorecens Scalia. Malatesta, pg. 84, t. IV, f. 9. Alt. 36 Largh. 9,0 Fs. Philippia obtusa (Bronn) 1831 - Solarium canaliculalum. Lamarck var. obtusa Bronn. Ital. tert. Gebild., pg. 64. 1914 - Solarium (Torinia?) obtusa Bronn. Cerulli-Irelli, pg. 188, t. XV, ff. 17-20. Alt. 3,0 Largh. 7,0 Rs. Bittium reticulatum (Da Costa) 1779 - Strombiformis reticulatus Da Costa. Brit. conch., pg. 117, t. Vili, f. 13. 1963 - Bittium (Bittium) reticulatum (Da Costa). Malatesta, pg. 92, t. IV, f. 11. R. — 128 — Bittium deshayesi Cerulli-Irelli 1912 - Bittium deshayesi mut. nom. Cerulli-Irelli, pg. 331, t. XLIV, f£. 32-37. 1967 - Bittium deshayesi Cerulli-Ireìli. Greco, pg. 286, t. I, £f. 12-13. Alt. 4,0 Largh. 1,3 F. Bittium spina (Partsch) 1842 - Cerithium spina Partsch. Neue Anfst. Petref., n° 1038. 1970 - Bittium (Bittium) spina (Partsch). Greco su « Geol. Rom. », pg. 286, t. V, ff. 17-18. Alt. 3,0 Largh. 1,0 F. Cerithiella bicarinata Tiberi Rs. Gourmya ( Thericium) vulgata ( Bruguiere) 1789 ■ Cerithium vulgatum. Brughiere. Encycl. méthod. hist. nat. des vers., voi I, pg. 418, n° 13. 1967 - Cerithium (Thericium) vulgatum Bruguiere. Palla. Riv, It. Paleont., pg. 951. Alt. 44 Largh. 17 R. Cerithiopsis (Cerithiopsis) tubercularis (Montagu) 1803 - Murex tubercularis n. Montagu. Test. Brit., p. 270. 1963 - Cerithiopsis (Cerithiopsis) tubercularis (Montagu). Venzo, Pelosio in Paleont. It., pg. 72, t. XXXIV, ff. 1, la e Ib. R. Triphora perversa (LinnÉ) 1766 - Trochus perversus. Linneus. Syst. nat., ed. XII, pg. 1231. 1963 - Triphora (Triphora) perversa (Linné). Malatesta, pg. 105, t. VI, f. 1. Alt. 3,5 Largh. 1,2 Rs. Epitonium (Clathrum) clathrum (LinnÉ) 1758 ■ Turbo clathrus. Linneus. Syst. nat., ed. X, pg. 765. 1960 - Epitonium (Clathrum) clathrum (Linné). Malatesta, pg. 107. R. Leiostraca suhulata (Donovan) 1803 - Turbo subulatus Donovan. Brit. Shells, voi, V, t. CLXXIL 1966 - Leiostraca (Leiostraca) subulata (Donovan). Pelosio. « Boll. Soc. Pai. Ital. », voi. V, pg. 122, t. XXXVI, ff. 18-19a,b. Rs, Eulima lactea ( Grataloup) 1838 - Melania lactea. Grataloup. Conch. foss. bass. de FAdour. 1914 - Eulima lactea Grataloup, Cerulli-Irelli, pg. 245, t. XXI, f£. 48-52. Rs. — 129 — Chrysallida (Parthenina) interstincta (Montagu) 1803 - Turbo interstinctus. Montagu. Test. Brit., pg. 324, t. XII, f. IO. 1970 - Chrysallida (Parthenina) interstincta (Montagu). Greco, pg. 288, t. IV, ff. 10-11. Alt. 2,8 Largh. 1,0 R. Chrysallida {Parthenina) cilindrata Cerulli-Irelli 1914 - Parthenina cilindrata n. sp. Cerulli-Irelli, t. XXIII, ff. 4-5. Alt. 2,0 Largh. 0,5 Rs. Odostomia {Megastomia) conoidea (Brocchi) 1814 - Turbo conoideus. Brocchi, pg. 660. 1955 - Odostomia (Megastomia) conoidea (Brocchi). Rossi Ronchetti, pg. 152, f. 77. Alt. 3,5 Largh. 1,9 F. Eulimella praelonga (Jeffrets) 1873 - Odostomia praelonga Jeffreys. Some rem. on thè moli, on thè Medit., pg. 112. 1936 - Eulimella praelonga Jeffffreys. Aborre, voi. II, pg. 152. Alt. 2,0 Largh. 0,6 R- Eulimella acicula (Philippi) 1836 - Melania acicula mihi. Philippi, voi. I, pg. 158, t. IX, f. 6. 1936 - Eulimella acicula (Philippi). Norre, voi. II, pg. 151. Alt. 2,9 Largh. 0,6 R- Ebala {Ebala) nitidissima (Montagu) 1803 " Turbo nitidissimus Montagu. Test. Brit., pg. 299, t. XII, f. I. 1938 - Ebala (Ebala) nitidissima (Montagu). Wenz, voi. 1, pg. 886, f. 2541. Alt. 1,8 Largh. 0,5 Rs- T urbonilla ( T urbonilld) lactea ( Linné) 1776 - Turbo lacteus Linneus. Syst. Nat., ed. XII, pg. 1238. 1961 - Turbonilla (Turbonilla) lactea Linneo. Priolo, pg. 405. Rs. Turbonilla (Turbonilla) pusilla (Philippi) 1844 - Chemnitzia pusilla Philippi. Voi. II, pg. 224, t. XXVVIII, f. 21. 1961 - Turbonilla pusilla Philippi. Priolo, pg. 409. Alt. 4,0 Largh. 2,0 F. Turbonilla (Turbonilla) gracilis (Philippi) 1844 - Chemnitzia gracilis n. sp. Philippi, voi. II, pg. 137, t. XXIV, f. 11. 1961 - Turbonilla gracilis (Philippi). Priolo, pg. 411. Alt. 3,9 Largh. 1,0 R. 9 — 130 — Turhonilla (Pyrgiscus) rufa (Philippi) 1836 - Melania rufa mihi. Philippi, voi. 1, pg. 156, t. IX, f. 7. 1938 - Turbonilla (Pyrgiscus) rufa (Philippi). Wenz, voi. I. 1, pg. 870, f. 2, pg. 559. Alt. 9,0 Largh. 1,8 F, Calyptraea chinensis (Linné) 1788 - Calypraea sinensis Linneus. Syst. Nat., ed. XIII, pg. 1257. 1968 - Calyptraea chinensis (Linné). Nordsieck, pg. 95, t. XV, f. 56,00. Alt. 2,5 Diam. 9,0 F. Aporrhais pespelecani (LinnÉ) 1766 - Strombus pes-pelecani Linneus. Syst. Nat., ed. XII, p. 1207. 1968 - Aporrhais pespelecani (Linné). Nordsieck, pg, 96, t. XV, f. 57. 10. Alt. 45 Largh. 34 34 Lunatia fusca (Blainville) 1825 - Natica fusca n. De Blainville, Dict. des Se. Nat., XXXIV, pg, 249. 1963 - Polynices fusca De Blainville. Priolo, pg. 469. Alt. 14 Largh. 14 R. Lunatia macilenta (Philippi) 1844 - Natica macilenta n. Philippi, voi. II, pg. 140, t. XXIV, f. 14. 1970 - Lunatia macilenta (Philippi). Buccheri, pg. 251, t. Ili, ff. 8-9, « Geol. Rom. », voi. IX. Alt. 10 Largh. 8,0 F. Naticarius stercusmuscarum (Lamarck). 1816 - Natica stercusmuscarum Lamarck, Tabi. encycL et method., XXIII p.. Moli, et Polypedes div, t. 453, f. 6a, b. 1963 - Natica (Natica) millepunctata. Lamarck. Priolo, pg. 458. Alt. 22 Largh. 26 Rs. Galeodea echinophora (Linné) juv. 1766 - Buccinum echinophorum Linneus. Syst. Nat..^ ed. XII, pg. 1198. 1964 - Cassidaria echinophora Linneo. Priolo, pg. 512. Alt. 16 Largh. 10 Rs. Cymatium {Cabestano) costatum (Born) juv, 1780 - Murex costatus Born. Test. Mus. Caes. Vindob., pg. 297. 1966 - Cymatium (Cabestana) costatum (Born). Dieni, Massari. « Mem. Soc. Ital. Se. Nat.», voi. XV, pg. 132, t.XVI, ff. 1, la. Alt. 25 Largh. 14 Rs. 131 — Murex (Bolinus) brandaris Linné 1758 " Murex brandaris Linneus. Syst. Nat., ed. X, pg. 717, n, 446. 1961 " Murex (Bolinus) brandaris Linneo. Priolo, pg. 542. R. Trophonopsis muricatus (Montagu) juv. 1803 - Murex muricatus. Montagu. Test, Brit., pg. 262, t. IX, f. 2. 1970 - Trophonopsis (Trophonopsis) muricata (Montagu). Buccheri. « Geol. Ro¬ mana », voi. IX, pg. 252, t. Ili, ff. 18-19. Alt. 8,0 Largh. 4,0. R. Minia (Tritonella) incrassata (MÙller) 1766 - Tritonium incrassatum n. MIìller. Zool. Danic. Prodr. n. 2946. 1959 - Nassa (Hima) incrassata (Miiller) sp. Ruggieri - Bruno - Curti, pg. 54, t.XIII, ff.73a,b. Alt. 8,0 Largh. 4,5 F. Minia (Tritonella) varicosa (Turton) 1827 - Tritonia varicosa Turton. Zool. Journ., voi. II, pg. 365, t.XIII, £.7. 1936 ■ Nassa pygmaea (Lamarck). Nobre, pg. 102, t. XXXIV, £.7. Alt. 4,0 Largh. 2,5 F. Minia (Tritonella) serraticosta (Bronn) 1831 - Buccinum serraticosta n. Bronn. « Ital. tert. Gebild », pg. 23. 1959 - Nassa (Hima) serraticosta (Bronn). Ruggieri - Bruno - Curti, pg. 52, t. XII, f£. 68, 69. Alt. 5,5 Largh. 3,5 R. Minia musiva (Brocchi) crassesculpta Brugnone 1873 - Nassa musivum Brocchi n. var, crassesculpta? n. sp.? Brugnone, pg. 19, £. 28. 1970 - Nassa (Hinia) musiva (Brocchi) crassesculpta Brugnone. Buccheri. « Geol. Rom. , pg. 254, t. Ili, ££. 6, 7. Alt. 18 Largh, 7,5 R. Bela brachystoma (Philippi) 1844 - Pleurotoma brachystoma Philippi. Moli. Sic., voi. II, pg. 169, 176, t XXVII, £. 10. 1914 - Daphnella (Raphitoma) brachystoma Philippi. Cipolla « Paleont. Ital. », voi. XX, pg. 169, t. XIV, fF. 19a, b. Alt. 5,8 Largh. 2,2 F — 132 ~ Bela (Ishnula) turgida (Forbes) 1843 - Pleurotoma turgida Forbes. Rep. on. Aegean. Invert., pg. 139 (fide Weinkauff). 1914 - Daphnella (Raphitoma) turgida Forbes sp. Cipolla « Paleont. Ita!.», voi. XX, pg. 168, t. XIV, ff. 17-18. Alt. 4,2 Largh. 2,0 R. Comarmondia gracilis (Montagu) 1803 - Murex gracilis Montagu. Test. Brit., pg. 267, t. XV, £. 5. 1960 - Philibertia (Comarmondia) gracilis (Montagu). Malatesta, pg. 194, Alt, 12,5 Largh. 5,0 F. Acteon {Acteon) tornatilis (LinnÉ) 1766 - Voluta tornatilis Linneus. Syst. nat., ed. XII, pg. 1187. 1946 - Acteon (Acteon) tornatilis (Linné). Beets, pg. 111. Alt. 3,2 Largh. 1,4 R- Ringicula auriculata (Menard) 1811 - Marginella auriculata Menard de la Croye. Note s. un petit Coqu. d. la Medit. Ann, d. Mus.XVII, pg. 331. 1931 - 1936 - Ringicula auriculata (Menard de la Groye). Nobre, voi. I, pg. 61, t.XXVI, f.lO, voi, II, pg. 41. Alt. 45 Largh. 3,0 F. Ringicula ventricosa (Sowerby) 1825 - Auricula ventricosa. Sowerby. Min. Conch., voi. V, pg. 9, t, CCCCLXV, ff. 1-2. 1960 - Ringicula (Ringicula) ventricosa (Sowerby). Malatesta, p. 195, t. IX, f. 15. Alt. 3,5 Largh. 2,5 Cylichna cylindracea (Pennant) 1777 - Bulla cylindracea Pennant, Brit. Zoo!., IV, pg. II7, t. LXX, £.85, 1960 - Cylichna cylindracea (Pennant). Malatesta, pg. 196, t. IX, £.17. Alt. 8,0 Largh. 3,0 F. Cylichna umbilicata (Montagu) 1803 - Bulla umbilicata. Montagu. Test. Brit., voi. I, pg, 222, t. VII, £. 4. 1946 - Retusa (Cylichnina) umbilicata (Montagu). Beets, p. 114. Alt. 2,5 Largh. 1,2 Fs. Roxania utriculus (Brocchi) 1814 - Bulla utriculus Brocchi, Conch. foss. subap., voi. II, pg. 276, t, I, £. 6. (Bulla striata Brug.), pg. 633. 1946 - Sabatia (Damoniella) utriculus (Brocchi), Beets, pg. 116. Alt. 7,5 Largh. 4,5 F. — 133 — Philine (Hermania) scabra (0. F. Muller) 1766 - Bulla scabra 0. F. Muller, ZooL Dan. Prodr., voi. II, pg. 41, t. LXXI, ff. 10-12. 1959 - 1960 - Philine (Hermania) scabra (O.F. Muller). ZiLCH - Wenz, voi. II, pg. 30, f. 94. Alt. 4,8 Largh. 2,5 Rs. Retusa iruncatula BruguiÉre 1790 - Bulla truncatuia. BruguiÉre. EncycL Melhod., pg. 377. 1931 - Tornatina truncatuia (Bruguiére). Nobre, voi. I, pg. 51, t. XXVI, f. 2. Alt. 2,3 Largh. 1,0 F. Rhizorus acuminatus (Bruguiére) 1792 - Bulla acuminata Bruguiére Encycl. Method,. voi. 1, pg. 376, n° 9. 1959 - 1960 - Rhizorus acuminatus (Bruguiére). ZiLCH - Wenz, voi. II, pg. 47, f. 158. Alt. 2,5 Largh. 0,8 F. Lepidopleurus ( Lepidopleurus) cajetanus (Poli) 1791 - Chiton cajetanus Poli ■ Test. Utr. Sic., I, t. IV, ff. 1-2. 1962 - Lepidopleurus (L.) cajetanus (Poli). Malatesta, pg, 146, f. 1, « Geol. Rom. », voi. 1. Rs. Lepidochitona [ Lepidochitona) cinereus (Linné) 1766 - Chiton cinereus. Linneus. Syst, nat., ed. XII, pg. 1107. 1962 - Lepidochitona (L.) cinereus (Linné). Malatesta « Geol. Romana », voi. I, pg. 155, f. 11. Rs. Acanthochitona communis (Risso) 1826 - Acanthochites communis Risso. Hist. Nat. Eur, Merid., IV, pg. 269. 1962 - Acanthochitona communis (Risso). Malatesta « Geol. Romana », voi. I, pg. 166, f. 24. R. Nucula nucleus (Linné) 1758 - Arca pella Linneus. Syst. nat. ed. X, pg. 695. 1963 - Nucula (Nucula) nucleus (Linné). Malatesta, pg. 205. uv. 11 a.p. 13 Fs. Nuculana (Lembulus) pella (Linné) 1767 - Arca pella Linneus. Syst. nat. ed. XII, pg. 1141. 1963 - Nuculana (Lembulus) pella (Linné). Malatesta, pg. 210, t. XI, f. 4. u.v. 5,0 a.p. 9,0 F. — 134 — Nuciilana (Lembulus) fragilis (Chemnitz) 1784 - Arca fragilis Chemnitz. Conch. Cab., voi. VII, pg. 199, t, LV, f. 546. 1963 - Nuculana (Saccella) commutata (Philipp!]. Malatesta, pg, 209, t. XI, £. 5. u.v. 5,2 a.p. 7,5 R. Tetrarca tetragona (Poli) 1795 - Arca tetragona Poli. Test. Utr. Sic., voi. II, pg. 137, t. XXV, ff. 12-13. 1950 - Arca tetragona poli. Heering, pg, 29, t. Vili, ff. 17-19. u.v. 7,0 a.p. 19 Rs. Striarca ( Galactella) lactea ( LinnÉ) 1758 - Arca lactea. Linneus. Syst. nat. ed. X, pg. 694. 1963 - Striarca lactea (Linné). Malatesta, pg. 219, t. XI, f. 2. u.v. 8,0 a.p. 12 F. Diluvarca diluvii (Lamarck) 1819 - Arca diluvii Lamarck. Anim. s. vert., voi. VI, I^ parte, pg. 45. 1966 - Arca (Arca) diluvii Lamarck. Palla, « Riv. it. pai. e strat, », pg, 412, t. XVIII, ff. 5a, 5b. u.v. 5,0 a.p. 6,5 Rs. Glycyineris glycymeris ( LinnÉ) 1758 - Arca glycymeris Linneus. Syst. nat. ed. X, n. 695. 1963 - Glycymeris (Glycymeris) glycymeris (Linné). Malatesta, pg. 227, t. XII, ff. 2-5, t. XIII, f. 1. u.v. 44 a.p. 44 F. Mytilaster minimus ( Poli) 1795 - Mytilus minimus Poli. Test. Sicil., voi. II, pg. 209, t. XXXII, f. 1. 1931 - ’36 - Mytilus minimus Poli. Nobre, voi. I, pg. 296, t. XLVII, f. 7 ; t. LX, f. 13; voi. II, pg. 218. u.v. 4,5 a.p. 8,5 Rs. Musculus marmoratus (Forbes) 1778 - Mytilus discors Da Costa. Brit. Conch., pg. 221, t. XVII, f. 1. 1838 - Mytilus (Modiola) marmorata Forbes. Malac. Monensis, pg. 44. 1966 - Musculus marmoratus (Forbes). Tebble, pg. 46, t. I, - Text, f. 20a. u.v. 2,2 a.p. 3,2 R. Palliolum (Similipecten) similis (Laskey) 1811 - Pecten similis Laskey. Mem. Werner. Soc., voi. I, pg. 387, t. Vili, f. 8. 1931 - ’36 - Pecten similis Laskey, Nobre, voi. I, pg, 287; voi, II, pg. 212. u.v. 3,7 a.p. 4,0 R. — 135 — Aequipecten opercularis (LinnÉ) 1758 - Ostrea opercularis Linneus. Syst. nat. ed, X, pg. 698. 1963 - Aequipecten (Aequipecten) opercularis (Linné). Malatesta, pg. 244, t, XIV, f. 10. u.v. 18 a.p. 17 R. Chlamys varia (LiNNÉ) 1758 " Ostrea varia Linneus. Syst. nat. ed. X, pg. 698. 1963 - Chlamys (Chlamys) varia (Linné). Malatesta, pg. 245, t. XI, f. 7, t. XV, f. 9. u.v. 49 a.p. 42 R. Flexopecten flexuosus (Poli) 1795 - Ostrea flexuosa Poli. Test. Utr. Sicil. II, pg. 161, t. XXVIII, f. 11. 1963 • Decadopecten (Flexopecten) flexuosus (Poli). Malatesta, pg. 241, t. XIV, f. 8. u.v. 25 a.p. 27 Rs. Pecten jacobaeus (Linné) 1758 - Ostrea jacobaea Linneus. Syst. nat. ed. X, pg. 696. 1963 - Pecten ,Pecten) jacobaeus (Linné). Malatesta, pg. 236, t. XIV, f. 1. u.v. 29 a.p. 32 32 Limatula subauriculata (Montagu) 1820 - Pecten subauriculatus Montagu. Test. Brit. SuppL, pg. 63, t. XXIX, £. 2. 1966 - Lima (Limatula) subauriculata (Montagu). Tabble, pg. 68, ff. 28a, 28b, u.v. 1,8 a.p. 1,0 R Lima lima (Linné) 1758 " Ostrea lima Linneus. Syst. Nat. ed. X, pg. 699, 1963 - Lima (Lima) '.ima (Linné), Malatesta, pg. 250, t. XIV, f. 2. Rs. Mania patelliformis ((iNNÉ) 1766 - Anemia patelliformis Linneus. Syst. Nat. ed. XII, pg. 1151. 1969 “ Anonima (Monia) patelliformis (Linné). Dì Geronimo «Atti Geoenia», voi. XX, pg. 138, t. V, f, 2. u.v, 18 a.p. 21 F. Anomia ephippium Linné 1758 - Anemia ephippium Linneus, Syst. Nat. ed. X, pg. 701. 1963 - Anomia ephippium (Linné). Malatesta, pg. 253. u.v. 30 a.p. 37 F. 136 — Ostrea edulis LinnÉ 1758 - Ostrea edulis Linneus, Syst. Nat. ed. X, pg. 699. 1963 - Ostrea (Ostrea) edulis (Linné). Malatesta, pg. 254. u.v. 127 a.p. 115 Fs. Glossus humanus (LinnÉ) 1758 - Cardium humanum Linneus. Syst. Nat. ed. X, pg. 682. 1963 - Isocardia Humana (Linné). Malatesta, pg. 266. Thyasira flexuosa (Montagu) 1803 - Tellina flexuosa Montagu. Test. Brit., pg. 72. 1931 - ’36 - Axinus flexuosus (Montagu). Nobre, voi. I, pg. 355, t. LXIII, £. 5; voi. II, pg. 262. u.v. 3,2 a.p. 3,0 R. Myrtea spinifera (Montagu) 1803 - Venus spinifera Montagu. Pg. 577, t. XVII, f. 1. 1969 - Myrtea spinifera (Montagu). Nordsieck, pg. 83, t. XIII, £. 49.40. u.v. 9 a.p. 10,5 F. Ctena decussata (O. G. Costa) 1829 - Lucina decussata. 0. G. Costa. Osserv. Test. Pantelleria, p. 8. 1963 - Ctena decussata (0. G. Costa). Malatesta, pg. 296, t. XVI, f. 2. u.v. 2,0 a.p. 2,0 R. Lepton nitidum Turton 1822 - Lepton nitidum n. Turton. Conch. Brit., pg. 63. 1970 - Lepton nitidum Turton. Buccheri - « Geol. Rom. », voi. IX, pg. 260, t. Ili, ff. 16,17. u.v. 1,7 a.p. 2,0 R. Mysella bidentata (Montagu) 1803 - Mya bidentata Montagu. Test Brit., pg. 44, t. suppl. XXVI, f. 6. 1969 - Mysella bidentata bidentata (Montagu). Nordsieck. t. XIV, f. 52. 10. u.v. 2,2 a.p. 2,9 R. Chama gryphoides LinnÉ 1758 - Chama gryphoides Linneus. Syst. Nat, ed. X, pg. 691. 1963 - Chama (Chama) gryphoides (Linné). Malatesta, pg. 263, t. XVI, f. 1. u.v. 4,0 a.p. 5,0 Rs. — 137 — Laevicardium norvegicum (Spengler) 1790 - Cardium norvegicum Spengler. Skrifter of Nathurist. Selskabet., voi. I, pg. 42. 1931 - ’36 - Cardium norvegicum Splenger. 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Papillicardium papillosum ( Poli) 1791 - Cardium papillosum Poli, Test. Utr. Sic., voi. 1, pg. 56, t. XVI, f£. 2-4. 1966 - Parvicardium papillosum (Poli). Tebble, pg. 101, ££. 51a, b. u.v. 7,0 a.p. 10 R- Rudicardium tuberculatum (LinnÉ) 1758 - Cardium tuberculatum Linneus. Syst. Nat. ed. X, pg. 673. 1963 - Acanthocardia (Rudicardium) tuberculata (Linné). Malatesta, pg. 326, t. XVII, £. 4. u.v. 10 a.p. 10 R. Acanthocardia aculeata (Linné) 1767 - Cardium aculeatum Linneus. Syst. Nat. ed. XII, pg. 1122. 1963 - Acanthocardia (Acanthocardia) aculeata (Linné). Malatesta, pg. 322. u.v. 78 a.p. 80 R. — 138 Acanthocardia mucronata (Poli) 1791 - Cardium mucronatus Poli. Test. Utr. Sic., voi. I, pg. 59, t. XVII, ff. 7-8. 1908 ■ Cardium echinatum L. var. mucronata Poli - Cerulli-Irelli, pg, 20, t. II, ff. 10-15. u.v. 37 a.p, 40 R. Sphaerocardium paucicostatum (Sowerby) 1839 - Cardium paucicostatum (Sowerby). 111. Conch. Gen. Cardium, t. 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Malatesta, pg. 238. u.v. 26 a.p. 36 F. Solecurtus scopulus (Turton) 1822 - Psammobia scopula Turton, Dithyra Brit., pp. 98, t. VI, ££. 11-12. 1963 - Solecurtus (Solecurtus) scopula (Turton). Malatesta, pg, 314. Rs. Quadrans (Striotellina} serratus (Renieri) 1804 - Tellina serrata n. Renier. Tav. adriat. 1814 - Tellina serrata Brocchi. Conch, £oss, subap., voi. II, pg. 510, t. XII, £. 1. 1970 - Tellina serrata Renieri. Buccheri « Geol. Rom. )>, voi, IX, pg. 261. u.v. 24 a.p. 33 F. Tellina {Moerella) donacina Linné 1758 - Tellina donacina Linneus. Syst. Nat. ed. X, pg. 676. 1963 - Tellina (Moerella) donacina Linné. Malatesta, pg. 301. u.v. 9,0 a.p. 18 F. Fahulina (Oudardia) compressa (Brocchi) 1814 - Tellina compressa Brocch. Conch. £oss. subap., voi. II, pg. 514, t. XII, £, 9. 1952 - Angulus (Fahulina) (Oudardia) compressu (Brocchi). Rossi Ronchetti, Rev. Tipi, parte I, pg. 85, £. 35. u.v. 14 a.p. 21 R. Angulus (Peronidia) nitidus (Poli) 1795 - Tellina nitida Poli, Test. Utr. Sic., voi. II, pg. 36, t. XV, ££. 2-4. 1936 - Tellina nitida Poli. Nobre, voi. II, pg. 290, t. LXXVI, £. 1. u.v. 18 a.p. 34 F. — 140 — Tellinella pulchella (Lamarck) 1818 - Tellina pulchella Lamarck. Hist. nat. di anim. s. verL, voi V, pg. 526. 1969 - Tellinella pulehella (Lamarck), Nordsieck, pg. 135, t. XIX, £. 72-90. u.p. 9,0 a.p. 21. R. Abra longicallis (Scacchi) 1836 - Tellina longicallis Scacchi. Not, pg. 16, voi, I, f. 7. 1966 - Abra longicallus (Scacchi). Tebble, pg. 153, ff. 79a, b. u.v. 11 a.p. 16 R. Spisula subtruncata (Da Costa) 1778 - Trigonella subtruncata Da Costa. Hist. nat. Test. Brit., pg. 198. 1963 - Spisula (Spisula) subtruncata (Da Costa), Malatesta, pg. 317. u.v. 7,0 a.p. 10 F. Phaxas pellucidus ( Pennant) juv. 1777 - Solen pellucidus Pennant. Br. Zool. IV, pg. 84, t. LXVI, f. 23. 1966 - Cultellus pellucidus (Pennant). Tebble, pg. 165, t. X, £. d, text. £. 87. R, Ensis ensis minor Chenu 1858 - Ensis ensis minor Lin. Chenu. Illustr, Conch., t. Ili, ££. 5-6. 1969 - Ensis minor (Chenu). Nordsieck, pg. 146, t. XXI, ££. 82.42. u.v, 5,0 a.p, 20 Rs. Hiatella arctica ( Linné) 1767 - Mya arctica Linneus. Syst. nat. ed. XII, pg. 1113. 1966 - Hiatella arctica (Linneus), Tebble, pg. 172, t. XII, £. h. uv. 3,5 a.p. 6,0 F. Corbula gibba (Olivi) 1792 - Tellina gibba Olivi, Zool, adriat., pg. 101. 1963 - Corbula ( Varicorbula) gibba (Olivi). Malatesta, pg. 261. u.v. 9,0 a.p. 12 Fs. Cuspidaria cuspidata ( Olivi) 1792 - Tellina cuspidata Olivi. Zool. adriat., pg. 101, t. IV, £. 3. 1955 - Cuspidaria cuspidata (Olivi). Nickles, pg. 226. u.v. 6,0 a.p. 11 R. Dentalium (Antale) novemcostatum Lamarck 1818 - Dentalium novemcostatum Lamarck. Hist. nat. anim. a. vert. ed. I, V, pg, 118-119. 1963 - Dentalium (Antale) novemcostatum Lamarck. Malatesta, pg. 201. F. — 141 — Dentalium {Pseudodentalis) rubescens Deshayes 1825 ■ Dentalium rubescens Deshayes, Monogr. Gen. Dentale, pg. 46, t. II, ff. 23, 24. 1955 - Dentalium ( Laevidentalium) rubescens Deshayes. Nickles, pg. 101, f. 7. R. Siphonodentalium (Dishides) bifissum (Wood) 1848 - Dentalium bifissum WooD, pg. 190, t. XX, f. 3a, b, 1931 - Dishides bifissum (S. V. Wood). Nobre, voi. I, pg. 266. R. Considerazioni paleoambientali e cronostratigrafiche conclu¬ sive. Lo studio ecologico condotto in base alle specie presenti nelle argille sabbiose di Sterpina, ha indicato un fondale costiero, debol¬ mente inclinato, di natura melmoso-sabbiosa e localizzato nella a zona delle laminarie ». La maggior parte delle specie ha infatti un habitat litorale e sublitorale ; pur avendo una distribuzione verticale piuttosto ampia tali specie hanno come limite superiore la « zona delle lami¬ narie ». Riguardo alla profondità, un habitat tipicamente litorale presentano i piccoli resti di Mytilaster minimus, e le specie Ensis minor. Bela turgida, Cythara albida e gli anfineuri. Distribuzione verticale più ampia, ( zona litorale - zona delle lami¬ narie) hanno : Gourmya vulgata, Cythara costata, C. albida, Donax venustus. Un habitat limitato alla sola zona delle laminarie pre¬ sentano le specie Triphora perversa, Odostomia conoidea, Crisallida inter- stincta, Naticarius stercusmuscarum, Murex brandaris, Ringicula auricu- lata, Anomia ephippium, Ostrea edulis. Più rare sono le specie che preferiscono la zona sublitorale profonda : Venus multilamella, Palliolum similis, Abra longicallis, Natica macilenta. Si fa presente che la mescolanza di faune ad habitat più profondo con altre di ambiente litorale notata nella malacofauna è presente, in maniera più accentuata, nell’associazione dei foraminiferi : in particolare, grossi individui di Elphidium, di Quinqueloculina e di Ammonia, viventi in ambienti costieri, sono associati a Bulimina e Uvigerina che hanno un habitat più profondo. In particolare, per quanto riguarda la natura del fondale si può osservare che Aporrhais pespelecani, Nucula nucleus, Myrtea spinifera, Acanthocardia aculeata, A. mucronata, Dosinia lupinus, Azorinus — 142 chamasolen, Lunatia fusca^ sono forme che preferiscono, in complesso, i fondi fangosi. Si fa poi notare che attualmente, le facies a melme costiere della zona circalitorale sono caratterizzate dalla presenza di Tiir- ritella communis ; è da supporre pertanto che anche T. tricarinata pliore- cens^ presente nella malacofauna di Sterpina, vivesse nello stesso ambiente in associazione con le specie su citate. Su fondali più sabbiosi e a laminarie vivono invece numerose specie di Gasteropodi presenti nella macrofauna studiata, quali: Alvania reti- culata, Bittium reticulatum, Gourmya vulgata, Triphora perversa, Odo- stomia conoidea, il genere Turbonilla, Naticarius ster cusmuscar urti. Minia incrassata. In sintesi, l’ambiente originario nel quale si è verificata la sedi¬ mentazione del livello fossilifero di Sterpina può esser localizzato in una zona infralitorale profonda, caratterizzata da fondali essenzialmente melmosi, con discontinui banchi sabbiosi, sui quali era impiantata una ricca vegetazione di laminarie, che creava l’ambiente adatto alla vita per la maggior parte dei Prosobranchi, delle Ostree e dei Pettinidi. La presenza di forme caratteristiche di fondi melmosi come pure l’assenza di forme tipiche di scogliera o di gusci visibilmente rimaneggiati, indi¬ cano un entroterra a spiaggia, fondali debolmente degradanti verso il mare aperto e acque dotate di bassa energia, con deboli correnti che dalla spiaggia trascinavano fino alla zona delle laminarie piccoli resti di organismi, più tipicamente costieri. Per quanto riguarda le condizioni climatiche esistenti all’epoca della sedimentazione delle argille sabbiose fossilifere di Sterpina, i dati ricavati dallo studio delle associazioni faunistiche, qui di seguito esposti, fanno ritenere che tale sedimentazione si è verificata in condizioni ambientali indicanti un clima temperato freddo. Una significativa deduzione a tal riguardo può esser tratta dalla presenza tra i foraminiferi di un « ospite nordico », la Hy alinea balthica, rappresentato da un gran numero di individui, in associazione con Bulimina etnea e Globigerina pachyderma. Sempre fra i foraminiferi, un irrigidimento del clima può esser anche indicato dall’associazione anor¬ male di forme litorali con altre di habitat più profondo ; è noto infatti che la distribuzione batimetrica dei foraminiferi bentonici è di norma influenzata anche dalla temperatura delle acque. Nella malacofauna sono presenti soltanto poche specie ad « affinità nordica » quali Trophonopsis muricatus, Dosinia lupinus lincta, Glycyme- — 143 ris glycymeris^ o specie che sono abituali accompagnatori di faune fredde : Papillicardium papillosum, Callista chiane e Pitar rudis. Fatta eccezione per le forme su citate, la macrofauna studiata è formata da molte specie « banali » attualmente viventi nel Mediterraneo. Si fa però osservare che Feventuale presenza di « ospiti nordici », pur non constatata nell’associazione malacologica di Sterpina non è da ritenersi improbabile, se si tien presente che nelle sottostanti Calcareniti di Gravina è già stata accertata la presenza di Ar etica islandica. Circa l’età, oltre che sulla base delle considerazioni su esposte, il livello fossilifero di Sterpina può essere attribuito al Calabriano per i seguenti motivi: a) la percentuale delle specie estinte o comunque scomparse dal Mediterraneo si aggira sul 19% ; tale valore, anche se appare piuttosto basso (tenuto conto che per il Calabriano la percentuale è stata ritenuta compresa fra il 20% e il 29%) non è eccezionale, specialmente fra quelli calcolati su malacofaune di ambienti non molto profondi, come nel caso in questione ; h) non sono presenti specie considerate estinte con l’inizio del Calabriano, ad eccezione di Bittium spina ; in merito a quest’ultima specie si fa del resto notare che le citazioni sono estremamente rare in letteratura (Greco, 1970, la ritrova in sedimenti del Pliocene); c) alcune specie come Bittium deshayesi, Turritella tricarinata pliorecens, Minia musiva crassesculpta^ Parvicardium obliquatum non sopravvivono alla glaciazione wiirmiana ; d) assenza di specie di « tipo caldo ». Queste specie, secondo Ruggieri (1962) subirebbero una moria in coincidenza della comparsa nelle successioni calabriane di Hyalinea baltica. L’età calabriana delle argille sabbiose fossilifere di Sterpina è con¬ fermata anche da considerazioni di carattere stratigrafico, alle quali si è più di una volta fatto cenno : l’orizzonte fossilifero risulta infatti localizzato una decina di metri circa sopra il limite superiore delle Calcareniti di Gravina, che sono localmente riferite al Calabriano infe¬ riore (Ricchetti, 1970) per la presenza nella malacofauna di specie con caratteri pliocenici (alcune delle quali attualmente estinte o scom¬ parse nel Mediterraneo) in associazione con tipici « ospiti nordici » (Chlamys multistriata, Acetica islandica^ Chlamys septemradiata) . Notevoli differenze esistono fra la malacofauna di Sterpina e quelle del livello fossilifero sommitale delle Argille subappenine descritta dalla Moroni (op. cit.) e studiata da Lentini (in Boenzi, Radina, Ricchetti — 144 — e Valduga, op. cit.). Nel livello fossilifero sommitale sono presenti in¬ fatti aleuni ospiti nordici (Ar etica islandica, Spisula elliptica, Venerupis romboides, ecc.) e la percentuale delle specie estinte appare più elevata (circa 18%). Tali differenze possono essere messe in relazione con con¬ dizioni ambientali connesse con le diverse situazioni paleogeografiche, durante le quali si sarebbero deposti i due sedimenti fossiliferi. La sedimentazione del deposito fossilifero più basso sarebbe infatti avvenuta, come già è stato accennato, su fondali più profondi, leggermente inclinati verso il mare aperto, e comunque caratterizzati da una certa disuniformità morfologica e litologica : ad es. da piatte conche melmose separate da cordoni sabbiosi poco rilevati. Queste con¬ dizioni si sarebbero verificate nelle fasi iniziali della sedimentazione delle Argille subappennine (di provenienza appenninica) sulle Calcare- niti di Gravina (di provenienza murgiana). La sovrapposizione della sedimentazione argillosa su quella di natura calcarea sarebbe essenzial¬ mente attribuibile (Ciaranfi, Nuovo e Ricchetti, 1971) a un appro¬ fondimento dell’originario bacino, dovuto a un generale fenomeno di subsidenza, con conseguente ingressione del mare calabriano su vaste aree murgiane. Abbastanza diverse sono state invece le condizioni nelle quali si è verificata la sedimentazione dell’orizzonte fossilifero più elevato. Tale accumulo è infatti avvenuto su fondali meno profondi, litologicamente e morfologicamente omogenei, durante la fase di regressione del mare calabriano, allorché alla sedimentazione argillosa se ne è sostituita una sabbiosa (Sabbie di M. 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Turbonilla {Turhonilla) pusilla (Philippi) - x 18. Eulimella acicula (Philippi) - x 20. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972. Ricchetti G., D’Alessandro A. - Malacofau- na delle argille subappennine, ecc. Tav. II /: a Fig. 1. Fig. 2. Fig. 3. Fig. 4. Fig. 5. Fig. 6. Fig. 7. Fig. 8. Fig. 9. TAVOLA III — Bela (Ishnula) turgida (Forbes) - x 16. — Hinia (Tritonella) varicosa (TìJRTON) - x 16. — Hinia [TritonellaJ serraticosta (Bkonn) - x 12. ■ — Bela nebula (Montagu) - x 10, ■ — ■ Chiane lamellosa (De Rayn., V.D.H., Ponzi) - x 5. • — Turboella parva (Da Costa) - x 25. — Mytilaster minimus (Poli) - x 5. — Ringicula ventricosa (Sowerby) - x 14. — Ringicula auriculata (Menakd) - x 15. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972. Ricchetti G., D’Alessandro A. - Malacofau- na delle argille subappennine, ecc. Tav. Ili Boll. Soc. Natur. in Napoli voi. 81, 1972, pp. 149-156, 11 tavv. Nuove specie dì Radiolìtidi nei calcari del Cretaceo superiore delle Murge sud-orientali (*) Nota di VINCENZO CAMPOBASSO presentata dai soci RICCHETTI e LUPERTO SINNI (Tornata del 31 marzo 1972) Riassunto. — Nella presente nota vengono descritte quattro nuove specie di radiolitidi appartenenti ai generi Eoradiolites e Durania ; i fossili studiati sono stati estratti da calcari di età turoniana e senoniana affioranti in località delle Murge sud-orientali. Summary. — The author describes four new species of radiolitids, which are referable to thè Genera Eoradiolites and Durania. The specimens which were referred to these new species come from Turonian and Senonian limestones, outcropping in thè south-eastern Murge. Argomento della presente nota è la descrizione di quattro nuove specie di radiolitidi rinvenuti in calcari turoniano-senoniani affioranti nei dintorni di Castellana Grotte, Putignano, Ostuni e Cisternino nelle Murge sud-orientali. Gli esemplari studiati fanno parte di un ricco materiale fossilifero, parzialmente già segnalato in una precedente nota a carattere prelimi¬ nare (Campobasso & Olivieri, 1967) relativa ai caratteri lito e crono- stratigrafici, nonché tettonici delle Murge tra Castellana Grotte (Bari) e Coglie Messapico (Brindisi). (*) Lavoro eseguito con il contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche. — 150 — Ord. RUDISTAE Lam. 1819 Sottord. SINISTRODONTA Pcelincev 1959 Fam. RADIOLITIDAE Gray 1848 Gen. Eoradiolites Douvillé 1909 Eoradiolites messapius n. sp. Tav. I, figg. la, Ib, le, 2; tav. II, figg. 1, 2 Origine del nome: da Messapia, antico nome del territorio com¬ prendente Fattuale provincia di Lecce e parte della provincia di Brindisi. Olotipo : Tav. I, figg. la, Ib, le ; conservato nella collezione di fossili dell’Istituto di Geologia e Paleontologia dell’Università di Bari ; inv. N.S. 2. Diagnosi : Valva destra di forma cilindro-conica, ornata di coste in genere poco pronunciate, irregolarmente distribuite ed interrotte ad intervalli ampi e subeguali da lame esterne di accrescimento poco rile¬ vate e rivolte verso l’alto. Bande sifonali formanti due coste subeguali (banda 5 leggermente più stretta della E) molto prominenti, a sezione trasversa subrettangolare e interrotte da lame esterne molto salienti, rivolte verso la commessura. Piega pedale ( V) costituita da una costa poco sviluppata e a spigolo arrotondato. Descrizione; Valva destra di forma cilindro-conica, ornata di coste in genere poco pronunciate, irregolarmente distribuite e interrotte ad ampi intervalli da lame esterne (meglio espresse nei paratipi) poco rile¬ vate, rivolte verso la parte superiore della valva ; solchi tra le coste più o meno larghi e poco profondi. Sezione trasversa della valva, di forma subcircolare ( il diametro poco sotto la commessura è di 2 cm cir¬ ca ; la lunghezza della valva, misurabile in un paratipo, è di 5 cm circa). Bande sifonali formanti due coste subeguali, molto promi¬ nenti, a sezione trasversa subrettangolare e interrotte da lame esterne molto salienti, rivolte verso la commessura ; banda ( S) leggermente più stretta della (E). Piega pedale ( F), caratteristica del genere Eoradiolites, formante una costa poco sviluppata e a spigolo arrotondato. Interbanda rappresentata da un solco ampio, più o meno profondo, percorso da un’esile costicina. Parete della valva di spessore limitato e costituita da — 151 uno strato interno sottile, interamente ricristallizzato e da uno strato esterno mostrante, nei punti risparmiati dalla ricristallizzazione, una struttura finemente prismatica. Cresta ligamentare corta, tozza, a sezione subquadrata. La valva destra di un paratipo (Tav. II, fig. 1) mostra nettamente, in sezione trasversa, l’apparato cardinale con le due fossette dentarie. Valva sinistra: non recuperata. Osservazioni: L’olotipo e i paratipi sono rappresentati da sole valve destre incomplete. La nuova specie si avvicina per le sue caratteristiche all’L'omdio- lites franchii Parona, raccolto in livelli calcarei cenomaniani e turo- niani della Tripolitania ; ne differisce principalmente per le bande sifo- nali più prominenti e strette, per l’interbanda più larga, per la piega pedale ( V) meno saliente ; inoltre, nella nostra forma le coste sono meno pronunciate e la cresta ligamentare più robusta. Alcuni esemplari della nostra specie presentano, rispetto all’olotipo e ai paratipi, bande sifonali un po’ meno prominenti, interbanda più larga, meno profonda, con costicina mediana più pronunciata ; una certa variabilità nei caratteri dell’interbanda è stata riscontrata da alcuni autori anche in altre specie di radiolitidi : ad es. da Astre (1954) in Radiolites sauvagesi^ da Polsak (1967) in Medeella zignana^ ecc.. I ra¬ diolitidi possiedono in generale una grande variabilità e per questo si presentano con una notevole ricchezza di forme particolarmente abbon¬ danti nel Cretaceo medio-superiore. Provenienza : I paratipi e Folotipo provengono dal punto di quota 386, nei pressi della località Marinello, 4 km circa a NO di Cisternino (Brindisi) (tav. 199 II NE « Locorotondo »). Un esemplare di questa specie è stato raccolto nella cava « S. Fara » posta a NO di Ostuni, nei pressi della S.S. 16 Bari-Brindisi, all’incirca al km 877,5 (tav. 191 III SO « Casalini »). Età : Turoniano-Senoniano inferiore. — 152 — Eoradiolites cristatus n. sp. Tavv. Ili, IV, V, VI Origine del nome: Dalla forma a cresta delle bande sifonali. Olotipo : Tavv. Ili, IV, V, VI ; conservato nella collezione di fossili dellTstituto di Geologia e Paleontologia deU’Università di Bari, inv. N.S. 3. Diagnosi : Questa specie si distingue nettamente da tutti gli altri Eoradiolites per le bande sifonali molto salienti e strette, specialmente nelle parti inferiore e media, dove assumono l’aspetto di vere e proprie creste acute e assai prominenti. Descrizione: Valva destra di forma cilindro-conica con dia¬ metro presso la commessura intorno di 2 cm. Ornamentazione co¬ stituita da coste poco salienti, irregolarmente distribuite e interrot¬ te, in alcune zone, da lame esterne più o meno rilevate e rivolte ver¬ so la commessura. Bande sifonali subeguali, a sezione trasversa sub¬ triangolare, molto salienti e strette, specialmente nelle parti infe¬ riore e media della valva, dove assumono l’aspetto di vere e proprie creste acute e assai prominenti ; solchi tra le coste poco profondi e più o meno larghi ; piega pedale ( F) a forma di costa mediamente pronun¬ ciata, a spigolo acuto, separata dalla banda (E) da una superficie quasi piana; interbanda formante un solco largo 1,2 cm circa, profondo e liscio ; parete della valva di spessore non uniforme ( più sottile nella regione posteriore) e completamente ricristallizzata ; cresta ligamenta- re piccola e corta. Valva sinistra: non recuperata. Osservazioni : L’olotipo è dato da una valva destra incompleta. Questa specie somiglia alV Eoradiolites messapius n. sp, per l’orna¬ mentazione, la forma, la sottigliezza della parete, ecc. ; la differenza tra ]e due specie sta essenzialmente nella forma delle bande sifonali. Provenienza : L’olotipo è stato raccolto nelle Grotte di Putignano (Bari), lungo la strada per Turi (tav. 190 IV SE « Putignano »). Età : Senoniano. — 153 — Eoradiolites barensis n. sp. Tav. VII, figg. la, Ib; tav. Vili, figg. la, Ib Origine del nome ; da Bari, capoluogo della Puglia. Olotipo : Tav. VII, figg. la, Ib; Tav. Vili, figg. la, Ib; conser¬ vato nella collezione di fossili dellTstituto di Geologia e Paleontologia deirUniversità di Bari; inv, N.S. 4. Diagnosi: valva destra di forma cilindro-conica; ornamentazione ben espressa nella parte adulta della valva, con forti coste longitudinali lisce, ineguali, irregolarmente distribuite. Bande sifonali formanti due coste prominenti piane e, a luoghi, con strette scanalature ; banda ( S) poco più stretta della (E). Interbanda leggermente concava, percorsa da una costicina. Piega pedale ( V) costituita da una costa molto pro¬ minente e acuta. Cresta ligamentare piccola, corta, a sezione subrettan- golare. Descrizione : valva destra di forma cilindro-conica, lunga 5 cm circa, con cavità viscerale larga superiormente 1,3 cm circa Ornamenta¬ zione ben espressa nella parte adulta della valva, con coste longitudi¬ nali lisce, ineguali, prominenti, a spigolo più o meno acuto e irregolar¬ mente distribuite. Bande sifonali formanti due coste prominenti piane e, a luoghi, con strette scanalature ; esse sono interrotte ( come le coste e i solchi delFornamentazione) ad intervalli molto ampi da lame esterne più o meno rilevate e dirette verso la commessura; banda (S) poco più stretta della (E). Interbanda leggermente concava e percorsa da una costicina più pronunciata nella parte adulta della valva. Solchi tra le coste di varia ampiezza e profondità. Piega pedale ( V) costi¬ tuita da una costa molto prominente, acuta, separata dalla banda (E) da un solco profondo e da una costicina addossata sul fianco della banda. Cresta ligamentare piccola, corta ■. a sezione subrettangolare. Parete della valva composta da due strati, uno interno chiaro e l’altro esterno più scuro, interessati da una ricristallizzazione generale. Nel secondo strato si osservano, in sezione trasversa, tracce delle lamine di accrescimento ad andamento sinuoso, con la convessità rivolta verso l’esterno della valva in corrispondenza delle coste ; nelle zone corri¬ spondenti alle bande sifonali la convessità è invece rivolta verso l’in¬ terno della valva. Valva sinistra: non recuperata. 154 — Osservazioni : Questa specie, il cui olotipo è rappresentato da una valva destra completamente isolata, differisce dalVE. messapius n. sp. principalmente per le bande sifonali un po’ meno prominenti, le coste più pronunciate e robuste, l’interbanda meno profonda, la pa¬ rete del guscio più ispessita e la piega pedale ( V) più sviluppata e simile a quella di esemplari di E. franchii Parona ed E. plicatus (CoNR.) figurati rispettivamente da Parona (1921, tav. II, fig. 7) e da Douvillé (1913, tav. IX, fig. 5b). Provenienza : L’olotipo proviene dalle Grotte di Putignano ( Bari), lungo la strada per Turi (Tav. 190 IV SE « Putignano »). Età : Senoniano. Gen. Durania Douvillé 1908 Durania iapygiae n. sp. Tav. IX, figg. la, Ib; tavv. X, XI Origine del nome : da lapygia, antico nome della terra di Bari e delle zone circostanti. Olotipo: Tav. IX, figg. la, Ib; Tavv. X, XI; conservato nella collezione di fossili dell’Istituto di Geologia e Paleontologia dell’Uni¬ versità di Bari; inv. N.S. 5. Diagnosi: Valva destra di forma cilindro-conica, con ornamenta¬ zione data da forti coste longitudinali, lisce, ineguali, irregolarmente distribuite. La banda sifonale anteriore {E) è leggermente concava e percorsa da 3-4 piccole coste ; la banda sifonale posteriore ( S) è due volte più larga della (E), leggermente concava e provvista di 10-11 pic¬ cole coste. L’interbanda corrisponde a una costa robusta e molto saliente. Descrizione: Valva destra di forma cilindro-conica; il diame¬ tro della commessura è di 5,5 cm ; l’ornamentazione è data da forti coste longitudinali lisce^ ineguali, irregolarmente distribuite; queste si riducono in numero, ma sono più robuste e salienti nella regione anteriore della valva ; i solchi tra le coste sono di larghezza ineguale ; ~ 155 — alcuni si presentano finemente costicillati. La superficie esterna della valva presenta in qualche zona delle rientranze determinate da lame di accrescimento più o meno rilevate. La banda sifonale anteriore (E) è leggermente concava, larga 1,5 cm circa e percorsa da 3-4 piccole coste ; la banda sifonale posteriore ( S) è due volte più larga della ( E), leggermente concava e provvista di 10-11 piccole coste. In corrispon¬ denza delle due bande lo spessore della parete si riduce. La camera viscerale è provvista di setti molto obliqui, ben evidenti solo nella parte superiore della valva. La struttura della parete è data da uno strato interno (cellulare) e da un sottile strato esterno, nel quale la ricristal¬ lizzazione ha eliminato ogni traccia di struttura primaria ; lo strato cellulare, osservato in sezione trasversale, si mostra costituito da celle di forma poligonale. Assenza di qualsiasi traccia di cresta ligamentare. Valva sinistra: non recuperata. Osservazioni: L’olotipo è rappresentato da una valva destra par¬ zialmente inglobata nella roccia e priva della parte inferiore. La D. iapygiae si distingue nettamente da tutte le altre specie di Durania finora conosciute essenzialmente per i caratteri delle bande sifonali. Provenienza : Masseria Mancini, nei pressi di Castellana Grotte (Bari) (Tav, 190 IV SE « Putignano »). Età : Senoniano. BIBLIOGRAFIA Astre G., 1954 - Radiolitidés nord-pyrénéens. Mém. Soc. GéoL Fr., N. S. XXXIIL Mem. n. 71, 140 pp., 8 tavv., Paris. 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TAVOLA I Figg. la, Ib, le. — Eoradiolites messapius n. sp. - OLOTIPO - la) x 1,7 : valva destra vista daH’alto; Ib-lc) XI, 4: la stessa vista dalle regioni sifonale e poste¬ riore. Loc. Marinello, nei dintorni di Cisternino (Brindisi). Fig. 2. — Eoradiolites messapius n. sp. - PARATIFO - x 1,3 : valva destra vista dalla regione sifonale. Loc. Marinello, nei dintorni di Cisternino (Brindisi). BolL Soc. Nalur, in Napoli, 1972, Campobasso V. - Nuove specie di Radiolitidi nei calcari, ecc. Tav. I TAVOLA II Fig. I. — Eoradiolites messapius n. sp. - PARATIFO - della Tav. I, fig. 2 visto dalTalto ; è visibile due fossette dentarie ; il tratteggio indica la valve destre di radiolitidi. - Loc. Mannello, ( Brindisi). Fig, 2. — Eoradiolites messapius n. sp. - PARATIFO - mente erosa, mostrante le due bande sifonali. torni di Cisternino ( Brindisi), X 2,5 : lo stesso esemplare l’apparato cardinale con le linea di contatto con altre nei dintorni di Cisternino X 1,5: valva destra parzial- » Loc. Marinello, nei din- Boll, Soc. Natur. in Napoli, 1972 Camfobasso V. - Nuove specie di Radiolitidi nei calcari, ecc. Tav. II TAVOLA III Eoradiolites cristatus n. sp. - OLOTIPO - x 2 : valva destra vista dal lato posteriore. Grotte di Putignano (Bari). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972. Campobasso V. - Nuove specie di Radiolitidi nei calcari, ecc. Tav. Ili TAVOLA IV Eoradiolites cristatus n. sp. - OLOTIPO - x 2 : valva destra vista dalla regione sifonale. Grotte di Putignano ( Bari). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972, Campobasso V. - Nuove specie di Radiolitidi nei calcari, ecc. Tav. IV TAVOLA V Eoradiolites crhtatus n. sp. - OLOTIPO - x 3 : valva destra vista deU’alto. - Grotte di Putignano ( Bari). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972, Campobasso V. ■ Nuove specie di Radiolitidi nei calcari, ecc, Tav. V TAVOLA VI Eoradiolites cristatus n. sp. - OLOTIPO - x 2,3 : valva destra vista dalla regione anteriore. - Grotte di Putignano (Bari). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972 Campobasso V. - Nuove specie di Radiolitidi nei calcari, ecc, Tav. VI TAVOLA VII Figg. la, Ib, — Eoradiolìtes harensis n. sp. - OLOTIPO - la) x 2 : valva destra vista dalla regione posteriore ; Ib) la stessa vista dall’alto. - Grotte di Piiti- gnano ( Bari). Boll. Soc, Natur, in Napoli, 1972 Campobasso V. - Nuove specie di RadioUtidi nei calcari, ecc, Tav. VII TAVOLA Vili Figg. la, Ib. — Eoradiolites oareasis n. sp. - OLOTIPO - la) x 2 : valva destra mo¬ strante le due bande sifonali ; Ib) la stessa valva osservata dalla regione anteriore. - Grotte di Putignano (Bari). Boll. Soc, Natur, in Napoli, 1972, Campobasso V. - Nuove specie di Radiolitidi nei calcari, ecc, Tav. Vili TAVOLA IX Figg. la. Ib, — Durania iapygiae n. sp. - OLOTIPO - la) x 1,2: sezione trasversale della valva destra vista dalTalto ; Ib) x 1,2: sezione trasversale della stessa valva vista dal basso. - Masseria Mancini, nei dintorni di Castellana Grotte ( Bari). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972. Campobasso V. - Nuove specie di Radiolitidi nei calcari, ecc. Tav. IX TAVOLA X Durania iapygiae n. sp, - OLOTIPO - x 1 ; valva destra vista dalla regione sifonale. Masseria Mancini, nei dintorni di Castellana Grotte ( Bari). Boll. Soc, Natur. in Napoli, 1972 Campobasso V. - Nuove specie di Radiolitidi nei calcari, ecc. Tav. X Durania iapygiae n. sp. - OLOTIPO - x 1 ; valva destra vista dalla regione anteriore. Masseria Maneini, nei dintorni di Castellana Grotte (Bari). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972 Campobasso V. - Nuove specie di Radiolitidi nei calcari, ecc. Tav. XI Boll. Soc. Natur. in Napoli voi. 81, 1972, pp. 157-170, 12 figg. Stilonti e slìccolltì come meccanismo dì deformazione delle masse rocciose (* ) Nota dei soci GABRIELE CARANNANTE (**) e GIUSEPPE GUZZETTA (Tornata del 26 maggio 1972) Riassunto. — Alcune pieghe da dissoluzione del tipo studiato da Dunnington (1967) nell’Iraq settentrionale sono state osservate nelle calcareniti mioceniche della Formazione di Pongano nell’ Appennino meridionale (M.ti del Matese e M.te Camposau¬ ro). Esse si sarebbero prodotte mediante un meccanismo che ha comportato prin¬ cipalmente processi di pressione-soluzione con produzione di giunti stilolitici e slic- colitici. Si ritiene, sulla base delle osservazioni effettuate, che i • giunti stilolitici pa¬ ralleli e quelli trasversali alla stratificazione si siano prodotti contemporaneamente nel corso di un unico processo deformativo. Inoltre si attribuisce la produzione delle sliccoliti a un processo deformativo che ha comportato una rotazione interna. La natura dei processi preposti a tale tipo di piegamento fa ritenere più con¬ vincente l’ipotesi di una deformazione relativamente lenta e sotto carico. Abstract. — «Solution folds » of thè type which Dunnington (1967) studied in northern Iraq bave been found in Miocene calcarenites of thè Pongano forma- tion in southern Apennines. Analysis of observed pressure-solution features suggests some hypotheses for thè genesis of stylolites and slickolites. Stylolites, both parallel and transverse to bedding, should he genetically contempo- raneous on thè assumption that stylolitic cones and pillars can bave their axes pa¬ rallel to more than one principal stress direction (and not uniquely to thè maximum Principal stress direction). Moreover, while production of stylolites may he regarded, on a large scale, as a mechanism of homogeneous irrotational deformation whith change of volume, slicko¬ lites should he produced only if thè deformation is rotational. (*) Lavoro stampato e parzialmente eseguito col contributo de CNR. Contrat¬ to di ricerca n. 7100036/05.115.4264. (**) Istituto di Geologia dell’Università di Napoli, Largo San Marcellino 10, 80138 Napoli. — 158 — 1. Introduzione, Le stiloliti, già segnalate e descritte nel 1751, sono state a più ri¬ prese oggetto di studio da parte di vari Autori i quali hanno proposto in tempi successivi un’ampia gamma di ipotesi a proposito del loro meccanismo di produzione. La curiosità che ha sollecitato i primi Au¬ tori si è andata man mano trasformando in un interesse più specifico quando si è incominciato a intravedere l’importanza che tali strutture potevano avere neU’ambito dei processi diagenetici. In tempi ancora più recenti si è iniziato a mettere in risalto anche le connessioni con i pro¬ cessi deformativi dei corpi rocciosi. E’ su quest’ultimo aspetto, in par¬ ticolare che ci si intende soffermare nella presente nota. Ritenute in un primo tempo come dei veri e propri organismi fos¬ sili (a ligìiilites di Eaton, 1824 e a Stylolites sulcatus y> di Kloden, 1828) le stiloliti sono state interpretate come strutture prodotte da fenomeni fisici in connessione più o meno diretta con i processi diagenetici. Si è passati da teorie che ne spiegavano l’origine per neocristallizzazione di minerali ( « Epsomites » di VanuxeN, 1838 e (( Crystallites di Hunt, 1863), ad altre che invocavano una compres¬ sione differenziale dei sedimenti prima della loro consolidazione. GuM- BEL (1882), considerando valide queste ultime ipotesi, ne ha persino tentato la riproduzione sperimentale come impronte da carico. Zel- ger (1870) ha supposto invece che queste strutture si producessero per effetto di sfuggita di gas in una massa plastica e successivo riem¬ pimento dei passaggi. Altri Autori hanno fatto riferimento a processi di erosione e di formazione di « mud cracks )> (Hopkins, 1869) e dissoluzione (FucHS, 1894 e Reis, 1902). Com’è ben noto, gli Autori più recenti concordano sostanzialmen¬ te su una differente ipotesi. Il processo di formazione delle stiloliti sa¬ rebbe un processo di dissoluzione e di cristallizzazione differenziale in uno stato di tensione non isotropo. Un valore più elevato della pres¬ sione principale verticale rispetto a quella radiale può infatti giustifi¬ care il caso più frequentemente osservato e cioè quello di sistemi di giunti stilolitici con andamento subparallelo alla stratificazione. Si so¬ no d’altro canto osservate associazioni di sistemi di giunti stilolitici subparalleli e inclinati rispetto alla stratificazione ( giunti stilolitici paralleli e trasversali; vedi ad es. Rigby, 1953). Si è anche osservato che in tutti i casi i giunti stilolitici sono ir¬ regolari superfici che separano due unità rocciose. In corrispondenza — 159 — di queste superfici si ha compenetrazione reciproca e le parti che si in¬ castrano tra loro hanno forma di coni e pilastri. Talora invece Fincastro si realizza tra rughe e creste disposte in fasci paralleli. Mentre nel primo caso una sezione trasversale del giunto stiloli¬ tico ha il tipico andamento di una sutura cranica, comunque sia orienta¬ ta la sezione stessa, nel secondo caso ogni ondulazione finisce con lo scomparire in sezioni parallele alla direzione di allungamento delle ru¬ ghe e creste. A quest’ultimo tipo di struttura è stato dato il nome di sliccolite (parola composta da slickenside e da stylolite, Bretz, 1940, 1950). La produzione delle sliccoliti comporta la considerazione di una componente di spostamento relativo tangenziale delle unità rocciose nel corso del processo di stilolitizzazione. Se in apparenza le superfici sliccolitiche ricordano superfici da taglio striate per abrasione mecca¬ nica, esse se ne differenziano sostanzialmente per la natura del pro¬ cesso che le ha prodotte. Infatti si hanno chiare evidenze che la forma¬ zione di strie sliccolitiche è controllata eminentemente da processi di pressione-soluzione (Nitecki, 1962). Le considerazioni qui esposte sono state suggerite dallo studio di terreni della Formazione di Longano in località Fontana Trinità sul monte Camposauro e in località Torrente Calvaruse a monte di Cu¬ sano Mutri (fig. 1). La formazione di Longano (Selli, 1957), di età elveziana, è costiutita da calcareniti, calcari marnosi e marne sottil¬ mente stratificate, con una abbondante fauna planctonica costituita da Globigerina, Orbulina universa e Globoquadrina (1). Nei termini cal¬ carei si sonò osservate tutte le strutture su citate : giunti stilolitici pa¬ ralleli alla stratificazione, giunti stilolitici trasversali e giunti sliccoli- tici. In particolare gli ultimi due tipi di giunti sono molto frequenti laddove i detti terreni sono interessati da piegamenti. (1) I terreni della Formazione di Longano costituiscono la parte superiore di un intervallo stratigrafico, dello spessore variabile da pochi metri a poche decine di metri, trasgressivo su calcari del Cretacico sup. e formato alla base da calcari orga¬ nogeni con litotamni ed ostreidi e da calcareniti del Langhiano sup. Elveziano inf. (Formazione di Cusano). I calcari del Cretacico a loro volta sono la parte alta di una potente successione carbonatica in facies di piattaforma (Piattaforma Carbo- natica Abruzzese-Campana) dello spessore di oltre 3.000 m la cui base è rappresentata da dolomie del Trias sup. . Verso l’alto la formazione di Longano fa passaggio ad un flysch arenaceo-marnoso di età Tortoniana (Formazione di Pietraroia) dello spes¬ sore di alcune centinaia di metri. — 160 — Lo studio di tali strutture fornisce indicazioni sul loro importan¬ te ruolo nei processi diagenetici e, in particolare, nella riduzione di volume a cui sono stati assoggettati i sedimenti originari. Inoltre l’os¬ servazione delle stesse strutture consente di definire meglio le loro mo¬ dalità genetiche e di chiarire l’entità del contributo che esse possono dare allo sviluppo di strutture da deformazione. Fig. 1. — Ubicazione degli affioramenti studiati. 1 Località Torrente Calvaruse (Ma¬ tese). 2 Fontana Trinità (Camposauro). In tratteggio aree di affioramento del¬ la piattaforma carbonatica. In nero i terreni vulcanici. 2. Giunti stilolitici in strati non piegati. Nei calcari della formazione di Longano l’andamento dei giunti stilolitici, osservato in sezioni normali ai giunti di stratificazione, è solo eccezionalmente parallelo a questi ultimi. Il loro andamento è infatti alquanto tortuoso anche se, in generale, l’angolo tra giunti sti¬ lolitici e giunti di stratificazione non raggiunge mai i 45° (fig. 2a). E’ l’orientazione degli assi dei coni e pilastri stilolitici che si mantiene assolutamente costante, presentandosi questi sempre paral¬ leli tra loro e orientati in direzione normale alla stratificazione. Ciò concorda con quanto è dato di osservare in terreni appartenenti ad al¬ tre formazioni e riferito nella letteratura (Park e ScHOT, 1968). — 161 — I giunti trasversali formanti angoli variabili con la stratificazione sono rari. L’orientamento degli assi dei coni e dei pilastri stilolitici an¬ che in questi casi è costante, risultando sempre parallelo alla stratifi¬ cazione e formando così un angolo di 90° rispetto alla direzione degli assi di coni e colonne dei giunti stilolitici subparalleli alla stratificazio¬ ne (fig. 2b). La frequente esistenza di due famiglie di giunti stilolitìci, cia¬ scuna caratterizzata da una orientazione costante degli assi di coni e Fig. 2. — Sistemi di giunti stilolitici paralleli (a). Giunti paralleli e trasversali (b). Traccia della stratificazione: linea retta in basso. pilastri era già stata segnalata da altri Autori ( Rigby, 1953; Park e ScHOT, 1968) i quali avevano anche notato la loro ortogonalità. 3. Giunti stilolitìci in strati piecati. Le pieghe osservate nei terreni della formazione di Longano in lo¬ calità torrente Calvaruse a monte di Cusano Mutri e in località Fon¬ tana Trinità sul Monte Camposauro interessano sequenze di sottili strati prevalentemente calcarei di spessore costante (tra i 5 e i 10 cen¬ timetri). Si tratta di pieghe a zig-zag ( chevron-folds) la cui geometria si mantiene costante per spessori relativamente rilevanti della formazio¬ ne (figg. 3 e 4), con fianchi più spesso piani o poco incurvati che for¬ mano angoli variabili da luogo a luogo, anche inferiori ai 90°. Le pieghe apparentemente interessano la successione stratigrafica solo per volumi ristretti e localizzati. La loro genesi è stata messa in rela¬ zione con fenomeni di scollamento e scivolamento che avrebbero inte¬ ressato i terreni della formazione di Longano in una fase pre- o sindia- genetica (Selli, 1957; Pescatore, Sgrosso, Torre, 1969) o con — 162 — azioni di trascinamento durante processi di scivolamento gravitaziona¬ le dei terreni sovrastanti (D’Argenio, 1967). Nei terreni piegati i giunti subparalleli alla stratificazione sono di tipo sliccolitico con le strie (creste e solchi) orientate normalmente all’asse delle pieghe. E’ facile ottenere il distacco della roccia secondo Fig. 3. — Pieghe nei terreni della forma- Fig. 4. — Particolare delle pieghe della zione di Pongano in località torrente Cai- della figura precedente, varuse. i giunti sliccolitici per l’esistenza di setti argillosi (fig. 5). Si possono così agevolmente osservare i loro caratteri e il passaggio a giunti sti¬ lolitici quando la loro orientazione varia, divenendo trasversale alla stratificazione. I giunti che formano un angolo superiore ai 45° con la stratificazione, molto più frequenti che negli strati non interessati dai piegamenti, sono infatti francamente stilolitici (fig. 6). Le loro tracce, nelle sezioni normali agli assi delle pieghe, appaiono addensate in prossimità delle cerniere e hanno un andamento radiale. In volumi limitati, per i quali la deformazione può considerarsi sensibilmente omogenea, l’asse dei coni e dei pilastri è contenuto nel piano assiale delle creste dei giunti sliccolitici (figg. 7-8-9-10), — 163 — Fig. 5. — Aspetto tipico di una superficie sliccolitica. Le strie sliccolitiche, ad an¬ damento verticale nella fotografia, si os¬ servano tanto sul calcare che sulla cal¬ cite spatica. Fig. 6. — Tracce di giunti sliccolitici sub¬ orizzontali (parallele alla stratificazione) e giunti stilolitici ad andamento subverticale. Sullo sfondo del campione è esposta una superficie sliccolita ( asse del piegamento orizzontale nella figura). Fig. 7. — Sezione di uno strato piegato (Fontana Trinità). — 164 — 4. I GIUNTI STILOLITICI E SLICCOLITICI E LA DEFORMAZIONE, Come già si è accennato, in conseguenza della stessa interpretazio¬ ne del processo di formazione dei giunti stilolitici, vari Autori hanno messo in relazione la geometria dello stato di tensione con quella dei Fig. 8. — Particolare della sezione (a) della figura 7 (negativo da peel l,6x). Cavità riempite da calcite del tipo rappresentato in fig, l2b. setti stilolitici attribuendo, più o meno esplicitamente, importanza a questi fenomeni in relazione a processi deformativi, Rigby (1953) trae dalle sue osservazioni la convinzione che esista parallelismo tra direzione di massima compressione e direzione degli assi di coni e pilastri stilolitici, indipendentemente dall’orientazione della stessa superficie stilolitica il cui andamento può essere conseguen¬ te all’esistenza di superfici di discontinuità preesistenti alla produzione di stiloliti. Nitecki (1962) ha invocato la possibilità di un interven¬ to di sforzi di taglio nella produzione di sliccolitici. Infine DunNing- — 165 — TON (1967), che ha osservato nell’Iraq settentrionale piegamenti molto simili a quelli presenti nei terreni della formazione di Longano, attri¬ buisce al processo di produzione di stiloliti e sliccoliti il ruolo fonda- mentale nella produzione delle pieghe da lui dette pieghe da soluzione. In generale quindi sono state fatte finora molte osservazioni su aspetti particolari del fenomeno ma mancava un inquadramento com- Fig. 9. — Particolare della sezione (b) della figura 7 (negativo da peel l,6x). Le zone scure ad andamento parallelo ai giunti sliccolitici rappresentano cavità riempite da calcite spatica (vedi fig. 12a). pleto del fenomeno stesso. Le osservazioni che è stato possibile fare nei terreni della formazione di Longano hanno fornito una tale gam¬ ma di evidenze da consentire una più completa definizione del feno¬ meno indipendentemente dalle condizioni che ne favoriscono lo svi¬ luppo. Sarà infatti necessario prendere in considerazione altri elementi per poter inquadrare in un unico modello anche le caratteristiche dei — 166 — materiali in cui il fenomeno si è determinato e la natura delle azioni che hanno prodotto lo stato di tensione che lo ha favorito. L’ipotesi esplicativa del fenomeno in considerazione non deve, malgrado ciò, essere considerata come la proposta di un modello ci¬ nematico in quanto essa comporta la considerazione di relazioni inter¬ correnti tra uno stato di tensione e un processo deformativo. La natura Fig. 10. — Particolare della sezione (c) della figura 7 (Negativo da peel : l,6x). Si osserva Fandamento radiale dei giunti stilolitici nella cerniera. del materiale in cui si produce il fenomeno non è considerata comple¬ tamente indefinita. Si presuppone infatti che, in date condizioni am¬ bientali, esistano nel mezzo materiale condizioni atte a favorirne la dis¬ soluzione in un fluido circolante al suo interno secondo elementi di superficie su cui agisca una pressione normale sufficientemente eleva¬ ta, a partire da fronti rappresentati presumibilmente da soluzioni di con¬ tinuità, con possibilità di allontanamento della sostanza passata in soluzione. — 167 — Così come viene comunemente supposto, tale sostanza potrebbe precipitare nei pori del materiale (sedimento o roccia che sia) e, co¬ me si è avuto modo di osservare nel calcari della formazione di Lon- gano, in vacui prodotti nel corso della deformazione stessa. Sulla base di una simile caratterizzazione del mezzo materiale è possibile definire la produzione di stiloliti e sliccoliti come un mecca¬ nismo di deformazione che, in concorso con altri meglio noti, o al li¬ mite da solo, è causa di una deformazione continua a grande scala dello stesso mezzo. In questo senso la produzione di tali strutture può essere conside¬ rata, grosso modo, alla stregua di altri meccanismi della deformazione come il prodursi di scorrimenti intragranulari, di geminati, di feno¬ meni di ricristallizzazione e di cataclasi. 5. Deformazione omogenea irrotazionale. La deformazione omogenea irrotazionale di un volume di mate¬ riale roccioso mediante un meccanismo che comporti dissoluzione se¬ condo fronti discreti si avrebbe con produzione di sole stiloliti. Assi di coni e pilastri stilolitici potrebbero essere orientati solo nelle dire¬ zioni secondo le quali agiscono pressioni normali e cioè nelle direzio¬ ni principali dello stato di tensione. In assenza di sollecitazioni tettoniche, il carico dei sedimenti so- vraincombenti produrrebbe nei materiali rocciosi interessati da pro¬ cessi di dissoluzione stilolitica una riduzione di spessore senza apprezza¬ bili variazioni di lunghezze in senso laterale. Ne conseguirebbe la pro¬ duzione di stiloliti subparallele alla stratificazione mentre le stiloliti trasversali sarebbero scarsamente rappresentate e comunque da mettere in relazione con stati di tensione più o meno localizzati a simmetria non assiale. Occorre precisare che il significato da dare all’espressione a de¬ formazione omogenea » è qui del tutto particolare. Un volume cubico di roccia, per produzione di un sistema di stiloliti con coni e pilastri nor¬ mali ad una delle sue coppie di facce, può a deformarsi » per ridu¬ zione uniforme della lunghezza dei quattro spigoli normali alla stessa coppia di facce. Il parallelepipedo così ottenuto può allora conside¬ rarsi dal punto di vista geometrico come la configurazione assunta per (( deformazione omogenea » dal cubo iniziale (fig. II). — 168 — La deformazione ha comportato più che una riduzione di volume una perdita di volumi. Al limite la deformazione potrebbe essersi rea¬ lizzata per dissoluzione secondo un unico fronte e produzione di un unico giunto stilolitico (fig. 11). È chiaro che, se consideriamo all’interno del corpo roccioso nella sua configurazione iniziale elementi di volume eguali ed egualmente Fig. 11. — « Deformazione omogena » della figura ABCD nella figura A’B’C’D’ per produzione di un unico giunto stitolitico. orientati, a « deformazione » avvenuta li ritroveremo deformati in mi¬ sura diversa a seconda della loro ubicazione ( o ne constateremo la scomparsa, o li osserveremo del tutto indeformati in casi particolari). Lo stesso vale se consideriamo due o tre sistemi di giunti stiloli¬ tici con coni e pilastri tra loro normali. Il paragone tra un simile processo deformativo e quelli prodotti dai più noti meccanismi di deformazione su citati diventa un poco più calzante se il volume di roccia considerato è molto grande e il numero di giunti stilolitici in esso contenuti molto elevato. 6. Deformazione rotazionale. La produzione di sliccoliti sarebbe da considerare possibile solo quando la deformazione comporta una rotazione interna. È' facile riscontrare questo tipo di distorsione in mezzi deformati non omogeneamente, come è il caso di corpi rocciosi che hanno subito un piegamento. — 169 — Lo scorrimento di unità rocciose secondo superfici rappresentanti fronti di dissoluzione porterebbe allora alla formazione di giunti slic- colitici. Nel caso delle pieghe osservate nei calcari della formazione di Longano, lo scorrimento si è avuto parallelamente alle superfici di strato e pertanto le strie sliccoliticbe hanno direzione di allungamento normale all’asse delle pieghe stesse. È interessante notare che a causa della sinuosità delle superfici sliccolitiche o per la produzione di strappi, lo scorrimento può com- Fig. 12. — Produzione di vacui a causa della sinuosità dei giunti sliccolitici (a) o per produzione di strappi (b). portare la formazione di vacui localizzati (fig. 12). Queste cavità si ritrovano normalmente riempite da calcite spatica che rappresenta par¬ te del carbonato di calcio messo in soluzione e poi precipitato laddove le tensioni si sono localmente ridotte. 7. Conclusioni. Nei due precedenti paragrafi si è considerata la produzione di sti- loliti e sliccoliti come unico meccanismo della deformazione. È evi¬ dente che questo è un caso limite e che nella realtà la deformazione si verifica con il contributo più o meno rilevante di altri meccanismi. Nei piegamenti osservati nei calcarei della formazione di Longa¬ no appare comunque evidente cbe la produzione di stiloliti e sliccoliti ha avuto un ruolo predominante nel processo deformativo. Ne conse¬ gue che lo stesso processo deve essersi prodotto con una velocità diver¬ sa da quella che caratterizza gli scivolamenti gravitativi dei sedimenti non completamente diagenizzanti. — 170 ^ BIBLIOGRAFIA Bketz J. H., 1940 - Solution cavities in thè Joliet limestone of nortìieastern Illinois. Journ, of GeoL, 48, pp. 337-384. Bretz J. H., 1950 - Origin of thè filled sink-structures and circle deposits of Mis¬ souri. BulL GeoL Soc. America, 61, pp. 789-834. Choukroune P., 1969 - Un exemple d’analyse microtectonique d’une serie calcaire af- fectée de plis isopaques (« concentriques »). Tectoriophysics, 7 (1969), pp. 57-70. 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Sulla base delle strette correlazioni riscontrale tra anomalie magnetiche, anomalie gravimetriche residue ed unità strutturali note od attendibili della zona, si indivi¬ duano le cause episuperficiali connesse con l’attività dei centri eruttivi campani. La sottrazione di detti effetti particolari permette di ottenere l’andamento regio¬ nale anomalo della componente magnetica verticale associato presumibilmente a con¬ trasti di suscettività magnetica che appaiono in relazione con la topografia del ba¬ samento. Nell’ammissione che il salto di suscettività sia alla superficie del substrato igneo magneticamente omogeneo, la conformazione magnetica regionale seguirebbe nel suo insieme la topografia del cristallino e rivelerebbe una struttura a blocchi diversamente dislocati che tendono ad approfondirsi verso il centro della Conca Campana. Summary. — The main trends of thè vertical intensity of earth magnetic field within and around thè Campania volcanic area have been determined by a regional survey. Locai anomalies have been observed, which are consistent with gravity residuai anomalies and thè generai geology of thè area. All of these comparatively sur fidai anomalies may be related with thè volcanic activity in thè surveyed area. When thè locai magnetic effects are removed, a regional trend is obtained, which may be related with thè susceptibility contrast between thè limestones cutcropping all around thè volcanic area ( and, which presumably also underlie thè volcanic forma- tions) and thè crystalline basement. By assuming that thè susceptibility contrast lies on thè top of a magnetically (*) Ricerca effettuata con il contributo finanziario del CNR. (**) Lavoro presentato al First European Earth and Planetary Physics Collo- quium, Reading, 30 marzo - 2 aprile 1971. (***) Osservatorio Vesuviano - 80056 Ercolano. _ 172 — homogeneous crystalline basement, thè regional trend can be thought to follow thè upper crust topography. The inferred crustal topography appears quite irregular, with irregularly faulted blocks, showing a wide area of collapse in correspondence of thè volcanic area. PARTE I RILEVAMENTO GEOMAGNETISO LI - Introduzione. Il lavoro presente, ehe si inquadra nel programma « Studio delle anomalie geomagnetiehe in Campania », si prefigge il fine della cono¬ scenza, nelle linee principali, dell’andamento del campo geomagnetico nella Conca Campana. La configurazione delle anomalie della componente verticale otte¬ nuta evitando i disturbi delle strutture vulcaniche note, dovrebbe essere in relazione alle formazioni magmatiche sepolte — connesse con l’atti¬ vità dei centri eruttivi campani — e potrebbe contribuire a chiarire i problemi relativi ai mutui rapporti ed all’estensione in profondità di tali masse. A conclusione della presente indagine è apparsa la possibilità di ridurre gli effetti delle masse perturbanti episuperficiali e di effettuare una prospezione che, nelle generalità, lascia intravedere i lineamenti del basamento dell’area campana. 1.2 - Metodo di indagine. La campagna magnetica è stata effettuata adoperando un magne¬ tometro a torsione Micro-GfZ Askania, con costante di scala 22.2 y/div. Dagli errori di chiusura dei circuiti che hanno compreso le stazioni del rilevamento è stato dedotto un errore medio m = + 4.3 y. L’area esaminata comprende la Conca Campana, ovvero la regione di pianura la cui costituzione petrografica episuperficiale è largamente rappresentata da prodotti dell’attività dei centri eruttivi campani ; essa è delimitata alTintorno dai rilievi appenninici ed ha una estensione approssimativa di 90 x 30 kmq. 173 — Al fine di determinare l’andamento regionale del campo le sta¬ zioni sono state distribuite secondo un reticolato a maglie triangolari con lato di 5 km. Nelle operazioni di campagna si è seguito un metodo particolare in quanto nelle aree vulcaniche i singoli valori sono influenzati^ in modo più o meno sensibile, dalle irregolarità che dette regioni com¬ portano. Si è proceduto ricercando con più misure le aree che fossero dotate di una ((normalità» sufficientemente elevata (Pinna 1961; Imbò et al. 1964); si è imposta pertanto la condizione che in ogni stazione i valori osservati, disposti nel centro e nei vertici di un esa¬ gono iscritto in un cerchio avente per raggio 150 m circa, presentas¬ sero variazioni comprese entro una ventina di gamma. Si è assunto allora il valore medio come rappresentativo per la stazione in quanto meglio corrispondente alla situazione complessiva della zona in esame. Il rilevamento della Conca Campana si avvale di n. 115 stazioni, che hanno richiesto circa 1000 determinazioni, e di n. 41 stazioni atte a dare la distribuzione del campo normale. L3 - Elaborazione dei dati. La stazione base delle osservazioni di campagna è stata collegata a quella assoluta dell’Osservatorio Vesuviano; le correzioni per la variazione diurna sono state effettuate in base ai magnetogrammi di detto osservatorio a partire dal valore medio dell’intervallo orario 00-01 TMEC del 5 aprile 1969, ossia Zqv = 37709 + 2 y (con riferimento al valore (c standard internazionale »). Il campo normale per la regione rilevata, inteso come campo non affetto da anomalie implicabili al vulcanismo dell’area, è stato ricavato da n. 41 stazioni ubicate sui rilievi calcareo-dolomitici che delimitano la pianura campana. Si ritiene valido, per l’area interessata dal rilievo, un campo nor¬ male rappresentato da una equazione lineare in e AX del tipo: Zn (A^i , AXi) = a b A'Zpi + c AXx dove A(pi = cpi — cpo ^ AXi = Xi — Xo rappresentano le differenze in primi di arco delle coordinate geografiche tra una stazione generica ed il punto di coordinate cpo = 41°00' N e Xq = + 2°00" E di M. Mario. — 174 — Utilizzando il metodo dei minimi quadrati si ricavano: « = 37777; b = 12.0; c = 1.5. Pertanto il gradiente dell’andamento normale della componente verticale rispetto alla longitudinale e latitudine, necessario al calcolo delle anomalie, risulta : §Z„/6cp = + 12.0 y/min. primo; §Z„/6X = + 1.5 y/min. primo. Un tale gradiente di latitudine, alquanto maggiore di quello di +9.9 determinato recentemente (Pinna 1972) per regioni limitrofe poste a settentrione, indicherebbe una regionalità particolare che provoca una caduta del campo verso sud implicabile verosimilmente ad approfon¬ dimento del cristallino in detta direzione. 1.4 - Risultati. 1 risultati del rilevamento geomagnetico nella componente verti¬ cale sono forniti dalle carte del campo geomagnetico (fig. 1), del campo normale (fig. 1) e del campo delle anomalie (fig. 2). Ua carta delle anomalie rivela dei disturbi estesi arealmente e mag¬ giormente sensibili in corrispondenza dei settori vulcanici del Rocca- monfina e del Somma- Vesuvio (le intense anomalie implicabili agli apparati vulcanici non appaiono sulla carta in quanto interessano zone a (( bassa normalità »). Detti settori risultano interessati per lo più da anomalie negative ed appaiono delimitati da zone di massimo marginali. La considerazione, invece, di un aumento di potenza delle coltri piroclastiche, con suscettività più elevata di quella delle formazioni sedimentarie affioranti, avrebbe fatto prevedere, passando dai bordi all’interno del bacino, un comportamento del tutto opposto. Un tale andamento generale avrebbe origini più profonde ; in effetti, ciò spie¬ gherebbe la configurazione del campo che rivela anomalie a larga scala, dai contorni tendenzialmente regolari e piuttosto appiattite. La metodologia seguita ha permesso, pertanto, di evitare aree a bassa normalità come pure di attenuare sensibilmente i disturbi a breve lunghezza d’onda originati da dipoli disseminati nei prodotti vulcanici esistenti in prossimità della superficie. — 175 — Fig. 1. — Campo geomagnetico della componente verticale e campo normale. 176 Anomalie della componente Z del campo geomagnetico. — 177 — PARTE II DISCUSSIONE ILI - Lineamenti geologici. La distribuzione delle unità litologiche nel sottosuolo è stata de¬ dotta dalla geologia dell’area campana (Selli 1962; D’Argenio 1966; De Castro Coppa et al. 1968). Nelle linee generali è possibile individuare le seguenti unità strati- grafico-strutturali : a) piattaforma carbonatica. — È caratterizzata da una potente successione di dolomie (circa 1500 m) e, verso l’alto, di calcari (oltre 3000 m). Per fenomeni di traslazione orizzontale la piattaforma carbo¬ natica risulterebbe completamente sradicata dal substrato (*), « sca¬ gliata » su se stessa, accavallata e/o intercalata (a seguito di trasla¬ zione) in b. b) flysch miocenico. — È costituito da arenarie e peliti di età miocenica e di spessori variabili. In queste sono intercalate le coltri alloctone delle Argille Varicolori auct., le quali nel loro complesso pos¬ sono portare lo spessore totale di questa unità fino ad oltre 2000 metri. c) depositi terrigeni pliocenici. — Sono costituiti prevalente¬ mente da arenarie ed argille, subordinatamente da conglomerati ; atte¬ stano due cicli sedimentari riferibili al Miocene superiore ( Messiniano)- Pliocene inferiore ed al Pliocene medio. d) depositi alluvionali e vulcanici plio- quaternari. — Durante il plio-pleistocene iniziarono le manifestazioni del vulcanismo campano, connesse con i moti disgiuntivi che portarono l’appennino al suo as¬ setto attuale. In particolare si formano alcune fosse tettoniche ( con rigetti di alcuni chilometri) quali quella napoletana e quella meno estesa a set¬ tentrione del M, Massico. Dette fosse rappresentano nel complesso il «bacino eruttivo-sedimentario campano» di De Lorenzo (1937), ossia (*) Non è nota la natura litologica del substrato igneo il quale non affiora in Campania né è stato mai raggiunto mediante perforazioni. 12 — 178 — la regione di pianura delimitata verso l’entroterra dai massicci appen¬ ninici nella quale si esplicò l’attività vulcanica campana. Recentemente è stata determinata con il metodo K-Ar ( Gasparini- Adams 1969) l’età assoluta di alcuni prodotti del vulcanismo campano. Le rocce più antiche, appartenenti cioè ai primi cicli di attività di detti vulcani, sono state così datate : Ischia ( tufo verde dell’Epomeo) 6.0 milioni di anni; Roccamonfina (hasanite leucitica di S. M. di Mortola) 1.2 m. a.; Campi Flegrei (piperno di Torre di Franchi) 0.2 m. a. ; Somma-Vesuvio ( trachiandesite di un pozzo a Scafati) 0.2 m. a. Nell’amhito della zona campana le premesse geologiche sono av¬ valorate ed insieme perfezionate, per quanto possibile, dai risultati degli studi gravimetrici. Si ricorda che il campo gravimetrico resi¬ duo della Conca Campana (Oli veri 1966) ha mostrato la sovrappo¬ sizione di anomalie locali negative, che individuano i distinti settori eruttivi campani, e di andamenti più generali che rivelano la topo¬ grafia del tetto carbonatico del bacino. Questo appare suddiviso da una soglia calcarea, a direttrice tirrenica, in due ampie zolle, una in corrispondenza del golfo di Napoli, l’altra nella valle del basso Volturno. In merito alla distribuzione in profondità dei prodotti vulcanici si hanno notizie frammentarie ricavate dalle perforazioni effettuate nel¬ l’area. Le perforazioni sono state spinte fino a 3006 m a Castel volturno e a 1500 m nella piana del Garigliano ; quest’ultima ha incontrato solo qualche intercalazione di piroclastico, ed ha attraversato le argille plioceniche tra 1000 - 1500 m. L’altra, presso la foce del Volturno, sembra aver rivelato vulcaniti connesse probabilmente al Roccamon¬ fina, fino a circa 700 m, intercalate da depositi lagunari-salmastri qua¬ ternari ; quindi tra i 1500-I900m vi sono altri depositi vulcanici pliocenici. Nella piana campana, dopo le manifestazioni del Roccamonfina, si ebbero le formazioni del tufo campano (P periodo flegreo), indi quelle del IP e IIP periodo flegreo interposte alla attività del Somma- Vesuvio. I sondaggi più profondi che hanno interessato questi prodotti non¬ ché le osservazioni dirette indicano che le potenze decrescono rapida¬ mente allontanandosi dai centri di emissione. Le formazioni del IP periodo si riducono a 20 - 40 m alla periferia di Napoli, a meno di 1 m presso Caserta (Di Girolamo 1968); il IIP periodo è limitato alla — 179 — zona urbana di Napoli. Analogamente avviene per i prodotti del Somma- Vesuvio, dove i prodotti piroclastici del 79 d. C. si estendono note¬ volmente in direzione NE e SE ma raggiungono una minima potenza. Limitatamente ai Campi Flegrei si sono incontrati materiali vul¬ canici alle Mofete fino ad almeno — 532 m sotto il l.m. (Ippolito 1942), mentre a P.za Plebiscito (profondità massima raggiunta — 450 m) e a P.za S. Maria della Fede sembrano cessare verso i — 230 m dove iniziano le arenarie, marne ed argille pleistoceniche (Guadagno 1928; D'Erasmo 1931). La formazione che ha valore regionale è quella del tufo grigio, che affiora o è quasi in superficie al di fuori delle aree prettamente vulcaniche soprannominate, e che raggiunge consistenza pipernoide es¬ senzialmente nelFimmediato sottosuolo di Cancello e Arnone, Villa Literno e Quadrivio di Ischitella. Presso Caserta è presente essenzial¬ mente il tufo campano con una potenza di una cinquantina di metri ; seguono in basso sedimenti di facies lagunare e quindi marina. Per concludere si può asserire che le conoscenze attuali attestano che, a partire dal pliocene, l’area in esame ha rappresentato un bacino sede principalmente di sedimentazione terrigena o alluvionale, nel quale i depositi vulcanici, sotto forma generalmente di piroclastiti o di tufi, sono per lo più superficiali e poco potenti. Dalla carta geologica sche¬ matica, riportata nella fig. 3, risulta che la pianura campana presenta in superficie, accanto alle diffuse vulcaniti, larghe fasce di alluvionale lungo il corso del Volturno, dei Regi Lagni, del Sebeto e del Sarno, nonché presso il litorale. 11.2 - Peculiarità delle anomalie. Le possibili origini delle anomalie magnetiche nel distretto erut¬ tivo campano vanno ricercate : a) in prodotti piroclastici sciolti o tufizzati ; b) in masse effusive o intrusive ; c) nel cristallino. Le anomalie del campo geomagnetico residuo nella intensità ver¬ ticale, messe in evidenza dalla carta della fig. 2, possono avere due ori¬ gini diverse : una episuperficiale con sede nei prodotti vulcanici, l’altra più profonda identificabile o con coltri di natura eruttiva riflettenti in — 180 — i i !' z o Fig. 3. - Carta geologica schematica della Conca Camp; — 181 — modo più o meno evidente la topografia del basamento sedimentario, o con intrusioni di tipo laccolitico, o con un substrato cristallino sotto¬ stante alle pile carbonatiche variamente dislocate. Le intrusioni dareb¬ bero conto di anomalie a carattere locale, con profili acuti e talora intense (anomalie a piccola scala o breve lunghezza d’onda), le altre spiegherebbero variazioni estese e più regolari ( anomalie a larga scala o a grande lunghezza d’onda). La limitatezza dei dati disponibili in relazione alla modesta esten¬ sione laterale dell’area esaminata, ad una topografia del basamento accidentata ed ai disturbi di natura episuperficiale, l’indeterminatezza del periodo delle anomalie rendono inapplicabili sia la tecnica dell’analisi di frequenza sia quella della continuazione del campo verso l’alto. Tuttavia la sensibile differenza di profondità tra i prodotti vulca¬ nici e le rocce di un substrato igneo ossia la marcata diversità di lun¬ ghezza d’onda, può consentire di smussare le anomalie causate dai primi mediante perequazione e di distinguere gli andamenti struttu¬ rali dominanti. Il criterio adoperato è quello di mediare i valori com¬ presi nel raggio di 5 km ed attribuire tale media al centro. La distri¬ buzione del campo anomalo così ottenuta è rappresentata nella carta della fig. 11, che, nelle linee essenziali, non è dissibile da quella delle anomalie nella intensità verticale (fig. 2) indicando il prevalere degli effetti di strutture dal significato regionale, connesse con il basamento. 11.3 - Modelli interpretativi. Il caso di un substrato cristallino fagliato, uniformemente magne¬ tizzato per induzione, può essere schematizzato con un modello a gra¬ dino bidimensionale (Grant-West 1965). Le curve caratteristiche assumono forma diversa al variare della orientazione della struttura rispetto al meridiano magnetico (fig. 4). Dal momento che la tettonica profonda della Conca Campano ri¬ sulta chiaramente impostata secondo direttrici appenniniche ( SE-NW) ed anche WSW-ENE oppure E-W è da prevedere che le curve meglio rispondenti siano quelle corrispondenti ad un gradino magnetizzato se¬ condo l’immersione della faglia (§ = 0°) o con un angolo di 45°. Non esiste però un metodo che si presti, in caso di magnetizza¬ zione non trasversale, ad interpretazioni accettabili di tali tipi di ano¬ malie sotto l’aspetto quantitativo. — 182 — IL4 - Correlazione tra anomalie magnetiche e gravimetriche. NelFinterpretazione dei risultati della indagine magnetica si uti¬ lizzano le conoscenze acquisite in merito alla geologia della regione e si ricorre, inoltre, alFausilio dei dati degli studi gravimetrici. Fig^ 4„ . — Modelli caratteristici. Innanzi tutto si riscontra una sensibile rassomiglianza tra i linea¬ menti del campo geomagnetico regolarizzato e quelli del campo gravi- — 183 — metrico residuo riflettente, secondo il modello di Oliveri (1966) la topografia del tetto carbonatico della Conca Campana, Sono stati inoltre tracciati alcuni profili (figg* 5-10) mettendo in relazione le anomalie magnetiche con quelle gravimetriche del Bouguer in basso, e quelle residue, al centro. Poiché i due tipi di indagini eb¬ bero il carattere di rilevamenti di massima, il confronto è valido nelle generalità. Il profilo n. 1, dal M. Massico al M, Monaco, presenta una ten¬ denza generale di minimo alla quale si sovrappongono dei sensibili disturbi in corrispondenza del Roccamonfina, Potrebbe trattarsi di una causa remota * connessa ad uno sprofondamento crostale implicante in¬ flessione nella superficie del cristallino. Il profilo n. 2, che segue il percorso del Volturno, fino a Capua, mostra nell’andamento magnetieo e gravimetrico un minimo attribui- Fig. 6. — Profilo 2. bile agli effetti prodotti da affossamento del basamento : potrebbe riflet¬ tere ad es. un approfondimento di prodotti magneticamente attivi depo¬ stisi in un bacino prima della sua eolmata alluvionale. 185 — Il profilo n, 3, da Licola al M, Virgo, presenta procedendo verso Finterno della conca, una tendenza verso una diminuzione che sarebbe collegata ancora ad un approfondimento del basamento con conseguente diminuzione di suscettività per la presenza di coltri alluvionali, ma non si può escludere Finfluenza di una inflessione nel cristallino. Successivamente Fandamento magnetico presenta un lieve massimo tra Parete e Qualiano, sensibilmente sfasato rispetto a quello gravimetrico. __ 186 — Quest’ultimo è stato attribuito ad una massa lavica (Maino et al. 1963) o ad una soglia calcarea (Oliveri 1966). Alcune osservazioni effettuate rivelano l’esistenza di un corpo per¬ turbante di natura vulcanica, ma non sono sufficienti a chiarire la que¬ stione. Il profilo n. 4, da Procida a Cancello, non presenta una chiara corrispondenza tra andamento gravimetrico e magnetico, risultando que- Fig. 8. — Profilo 4. st’ultimo influenzato da un massimo presente tra Arzano e i Regi Lagni originato da messe a più elevate suscettività senza sensibile con¬ trasto di densità rispetto alle rocce circostanti. Il profilo n. 5, dal M. Massico a Nisida, dopo una caduta ini¬ ziale dei valori in relazione al bacino del Volturno, presenta nella distribuzione del campo magnetico verticale una anomalia positiva di — 187 — oltre 200 y in un’area di pipernizzazione quasi superficiale indicante o una minore profondità di detta formazione in località Madonna di Pantano o la presenza di un banco isolato. Il profilo n. 6 attraversa per intero la piana campana dal M. Massico ad Amalfi; nell’andamento, una volta purificato dagli effetti di origine più superficiale, apparirebbero alcuni cambiamenti di livello cbe potrebbero attestare variazioni di profondità del basamento e quindi una struttura a blocchi distinti diversamente dislocati. In definitiva la soddisfacente corrispondenza tra il quadro geoma¬ gnetico e quello gravimetrico trae origine da cause diverse, collegate però strutturalmente fra di loro, cioè esprime il risultato di unità lito¬ logiche interessate da una tettonica profonda. — 188 — IL5 - Conclusioni. Sulla base delle correlazioni tra anomalie magnetiche e gravime¬ triche, viste in funzione delle unità litologiche della regione, è possi¬ bile attribuire per lo più a cause profonde gli effetti magnetici a larga scala. Le carte magnetiche delle figg. 2 e 11 mostrano delle sensibili anomalie circoscritte con una disposizione delle isogamme secondo la direzione NW-SE e, subordinatamente, NE-SW o E-W. L’andamento delle anomalie rispecchia nell’insieme i principali lineamenti geologici regionali di impostazione profonda, e, più precisamente, evidenzia al¬ cune fosse tettoniche (rigetti complessivi dell’ordine dei 5 km), o even¬ tualmente qualche risalita magmatica di tipo lineare, disposte sempre secondo le direttrici preferenziali suddette. In modo analogo la configu¬ razione delle isogamme nella Italia Meridionale (Gantar et al. 1961) sembra riflettere le linee della tettonica profonda regionale ed attestare le condizioni di equilibrio dinamico delle principali strutture geologiche. — 189 Sotto Faspetto più generale il campo delle anomalie magnetiche mostra, rispetto ai valori riscontrati presso i massicci carbonatici deli» mitanti la conca, una più o meno rapida caduta verso Fìnterno indi¬ cante che nel complesso nel « bacino eruttivo-sedimentario » campano i prodotti piroclastici non riescono a compensare gli effetti di appro¬ fondimento degli strati inferiori crostali con elevata suscettività : pertanto la conca risulterebbe principalmente colmata da depositi terrigeni ed alluvionali nei tre bacini di sprofondamento indicati da anomalie negative. In particolare zone di anomalia magnetica positiva — per lo più in corrispondenza degli affioramenti carbonatici — separano nettamente le aree di minimo collegate alle fosse tettoniche del Roccamonfina, del Somma- Vesuvio e dei Campi Flegrei — basso Volturno, Le zone di massimo tendono a delimitare la Conca Campana dalla Penisola Sor¬ rentina ai rilievi di Caserta fino agli Aurunci ; un altro allineamento delle anomalie positive, più interno al precedente, interessa il M. Mas¬ sico, si spinge ad est verso Capua piegando infine a sud verso Napoli. L’area di massimo isolata, compresa tra i Campi Flegrei ed il Volturno (S. Maria di Pantano) e segnata nella fig. 11 mediante tratteggio, è palese risultato di una causa episuperficiale nella zona del Lago di Patria dove è nota la presenza di rocce piperiioidi quasi affioranti. A conferma di ciò si rileva la notevole diversità tra il valore del massimo e la media dei valori relativi alle stazioni circostanti. Il vulcanismo del distretto campano, in tale visione, si sarebbe esplicato in corrispondenza delle fosse in quanto ivi i sistemi di frat¬ turazione crostale avrebbero reso più agevole la risalita delle masse ignee, e in generale tutto il complesso magmatismo sarebbe collegabile alFevoluzione geotettonica della regione. Più precisamente la evoluzione della piattaforma carbonatica suddivisa in placche a traslazione diffe¬ renziata, avrebbe originato alcuni bacini di sprofondamento interessanti il substrato cristallino, come pure avrebbe regolato, dal Pliocene ad oggi, l’estrinsecazione del magmatismo campano. In relazione alle cause profonde, data l’intensa tettonica della re¬ gione, si può ritenere che in prima approssimazione, a meno di sostan¬ ziali cambiamenti nella magnetizzazione del substrato all’interno della area esaminata o di estese intrusioni magmatiche, che le anomalie di maggiore ampiezza traggano origine dal contrasto di suscettività ma¬ gnetica associato alla superficie del cristallino : i minimi riscontrati sa¬ rebbero associabili all’approfondimento e, viceversa, i massimi indiche¬ rebbero una risalita del tetto. é VAIRANO ___ 190 — Carta magnetica del basamento — 191 — In definitiva, se da un lato la realtà della sottrazione dei disturbi episuperficiali sarebbe suffragata dalle conoscenze in merito alla distri¬ buzione dei prodotti vulcanici, dalFaitro Fautenticità della carta magne¬ tica di fondo (fig. 11), sarebbe pure provata dalla visione gravime¬ trica generale attestante una correlazione con strutture profonde e linee tettoniche principali della regione. Si ricorda ancora l’andamento magnetico negativo lungo l’asse longitudinale del Mare Adriatico interpretato (Morelli et al. 1969) come effetto di una inflessione presente alla sommità del cristallino. Nel caso in esame l’assetto topografico della discontinuità calcare-cri¬ stallino ricalcherebbe pure quello delle strutture dell’area a placche diversamente dislocate in dipendenza dei moti connessi con Forogenesi alpina. BIBLIOGRAFIA Bekgomi C., Catenacci V., Cestari G., Manfkedini M., Manganelli V., 1969 Note illustrative della Carta Geologica d^Italia ; Gaeta e Roccamonfina, Serv. GeoL d’It,, pp. 3-140. D’Akgenio B., 1966 - Zone isopiche e faglie trascorrenti nell’ Appennino centro- meridionale. Mem. Soc. GeoL It. 5, pp. 279-299. De Castro Coppa M. G., Moncharmont Zei M., Pescatore T., Sgrosso L, Torre M,. 1969 - Depositi miocenici e pliocenici ad est del Palermo e del Taburno. Atti Acc. Gioen. Se. Nat., 1, s. VII, pp. 479-512. 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WALSH (Tornata del 26 maggio 1972) Riassunto. — La zona studiata, assai prossima al bordo sud-occidentale delle Murge di Ginosa e di Laterza, fa parte, dal punto di vista geomorfologico, dell’ampia fascia dei terrazzi marini postcalabriani che, come è ben noto, caratterizzano l’entro- terra del Golfo di Taranto. In particolare, i terreni che vi affiorano sono identificabili con quelli costituen¬ ti i depositi del quarto fra i terrazzi noti in bibliografia e poggiano in trasgressione sulla formazione delle Argille subappennine, calabriane, che è visibile in alcuni tratti delle sponde della Lama. I sondaggi geognostici meccanici e geofisici eseguiti hanno consentito di accer¬ tare la natura e lo spessore dei depositi di terrazzo, nonché la forma del tetto delle Argille subappennine. In destra della Lama (regione Follerato) i depositi sono preva¬ lentemente sabbiosi ed hanno spessore, in alcuni punti, all’incirca doppio di quello dei depositi di terrazzo in sinistra (regione Gaudella) ove sono prevalentemente ghiaioso- conglomeratici. II tetto della formazione argillosa di base risulta configurato grosso modo a conca. Le prove di tenuta hanno rivelato che i depositi del terrazzo hanno grado di permeabilità assai variabile (con valori degli assorbimenti idrici massimi pari a circa 33 1/min.m) e che le Argille subappennine sono da considerarsi praticamente impermea¬ bili ; sotto l’aspetto granulometrico queste ultime sono da classificarsi come limi sab¬ biosi e dal punto di vista geotecnico sono da ritenersi argille inorganiche a media plasticità. Per quanto riguarda la stabilità dei versanti in complesso i terreni sono apparsi al momento dell’indagine in discrete condizioni di assetto, pur essendo intrinsecamente piuttosto facilmente erodibili. Alcune superfici di sponda, subverticali, sono dovute a vecchie frane da crollo. Abstract. — The studied area, near to thè south-western edge of thè Murge of Ginosa and Laterza, belongs, from thè geomorphic point of view, to thè large band of postcalabrian marine terraces that, as it is well known, outcrop in thè inland of thè Gulf of Taranto. In detail, thè outcropping formations may be identified with thè sediments of thè 13 — 194 — fourtli among thè terraces known in specifìc literature : they unconformably rest on thè calahrian formation of thè « Argille suhappennine » which can he seen in a few tracts o£ thè Lama. Geognostical, mechanical and geophisical tests bave bed to ascertain thè nature and thickness of thè sediments outcropping on thè terrace, and thè shape of thè roof of thè « Argille suhappennine », On thè right side of thè Lama, in thè area of Follerato, these sediments are pre- valently sandy and their thickness, in a few points, is approximately doublé of that of thè sediments of thè terrace on thè left side (in thè area of Gaudella) where they are prevalently gravelly-conglomeratic. The roof of thè clayey formation of base is roughly basin-shaped. The test of capacita bave revealed that thè sediments of thè terrace bave a consi- derably variable degree of permeability (with values of thè greatest absorptions equi- valent to about 33 l/mn,m) and that thè sediments of thè «Argille suhappennine» (locally autcropping) can he considered as pratically impermeahle ; with regard to thè grain size these latter can he classified as sandy silts and from thè geotechnical point of view they can he considered inorganic clays of middle plasticity. During thè survey works thè stability of thè sediments, taken in their complex proved to he fair, while intrinsically rather they may he affected by thè erosion. The subvertical slope of some stretches of river side was produced by old land- slides of collapse type. Premessa. In questi ultimi anni da parte di Enti e di Consorzi di Irrigazione e di Bonifica della Puglia e della Basilicata sono stati affrontati nu¬ merosi studi sulla possibilità di costituire, neH’ambito delle due regio¬ ni, invasi artificiali a fini irrigui e in parte industriali. Nello svolgi¬ mento di tali studi si è avuta la possiblità di disporre di mezzi di inda¬ gine e di eseguire ricerche nel sottosuolo, che altrimenti non sarebbe stato possibile compiere. Ciò ha consentito sia di avere una più detta¬ gliata e approfondita conoscenza geologica delle zone in esame, sia di ottenere dati e informazioni di carattere applicativo e di grande in¬ teresse pratico, su alcune delle formazioni più diffuse o più impegna¬ te tecnicamente in queste regioni. Per tali motivi si ritiene interessane te continuare a rendere noti i risultati essenziali e più significativi di questi studi (I), prendendo qui ora in considerazione quello riguar¬ dante il progettato sbarramento sulla Lama, in prov. di Taranto, dopo aver ottenuto la cortese autorizzazione, ad utilizzare i dati raccolti. (1) Una nota sui risultati geologici conseguiti nello studio di una diga in terra sul T. Camastra in Basilicata è stata già fatta da B. Radina (1965). — 195 dalFEnte per l’Irrigazione e la Trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania per conto del quale appunto è stata compiuta Findagine (2). Dei risultati di tale studio è stata già pubblicata da uno di noi (B. Radina, 1968) una breve sintesi in una nota nella quale si vole¬ va soprattutto porre in evidenza l’importanza, anche economica, della collaborazione tra Geologia tecnica e Geofisica applicata. Prende il nome di la Lama (foglio 201 Matera delFLG.M.) il tratto mediano (diretto grosso modo ovest-est) del corso d’acqua che a monte è denominato Gravina di Laterza (scorre in direzione alFincir- ca nord nordovest - sud sudest) e che a valle, dalla confluenza con la Lama di Castellaneta e fino al mare (grosso modo con la stessa dire¬ zione della Gravina di Laterza), assume il nome di F. Lato, La diga, in terra, sbarrando la Lama poco ad est di località Passo di Giacobbe, con un’alteza di circa m 20-25, consentirà l’invaso di cir¬ ca 18 milioni di metri cubi d’acqua. Il bacino artificiale ricade nella porzione nord-occidentale del F° 201 I SF « Masseria Casamassima » : planimetricamente ha forma allungata in direzione ovest-est e resta de¬ limitato a nord e sud rispettivamente dalla regione Gaudella e dalla re¬ gione Follerato (tav. I). Lineamenti geologici e morfologici del bacino d’invaso e delle AREE ad esso FINITIME. Le condizioni geologiche di superficie del bacino d’invaso e delle aree più o meno direttamente interessate dalle opere complementari ed accessorie dello stesso, sono abbastanza semplici nelle loro linee più essenziali. Dalla Carta geologica ufficiale, F° 201 « Matera )», II Ediz. (Servizio geologico d’Itala, 1969) e dalle relative note illustrative (Boenzi ed altri, 1971), risulta infatti che i terreni affioranti sono rap¬ presentati dalla formazione delle Argille subappennine ( Calabriano) e da Depositi marini in terrazzo ( Postcalabriano). I riferimenti bibliografici più validi su tali depositi si ritrovano nei re¬ centi lavori di Vezzani L. (1966) e Cotecchia V. e Magri G. (1967). Le osservazioni di dettaglio hanno rilevato che localmente le Ar¬ gille subappennine hanno colore grigio-plumbeo, sono alquanto sab¬ biose nella porzione più superficiale (quivi il colore è in genere giallo- (2) L’incarico dello studio veniva conferito a B- Radina; N. Walsh si è associa¬ to in un secondo momento, collaborando nella revisione ed aggiornamento dei dati di campagna e nella elaborazione della presente nota. — 196 grigiastro), non mostrano alcun cenno di stratificazione e comprendo¬ no, a luoghi, sottili lenti di sabbie argillose e/o limose grigio-gialla¬ stre. Affiorano più o meno in continuità nei bassi e medi versanti del bacino d’invaso e ancora abbastanza ben evidenti, per un certo tratto anche poco a monte e a valle di esso, I locali depositi marini in terrazzo, che si trovano in trasgressione Fig. 1. — Particolare dei depositi marini in terrazzo della sponda sinistra. sulle Argille subappennine, sono identificabili con quelli del 4° ciclo sedimentario postcalabriano di Cotecchia V. e Magri G. (op. cit.) e di Vezzani L. (op. cit.). Affiorano a costituire le ampie distese pia¬ neggianti delle regioni Follerato e Gaudella. In particolare questi de¬ positi in sponda sinistra, ove sono visibili con uno spessore di circa m 5-7, risultano costituiti da ghiaie e conglomerati poco coerenti, po¬ ligenici, a matrice sabbiosa rossastra ; i ciottoli sono per lo più calca¬ rei ed hanno dimensioni variabili grosso modo tra cm 2-3 e cm 12-15. NelFammasso ghiaioso-conglomeratico è dato di trovare, intercalate, delle piccole lenti di sabbie giallastre comprendenti ciottoletti e di sab¬ bie argillose (£ig. 1). In sponda destra, i depositi del terrazzo, esposti — 197 — con uno spessore di m 15-20, sono rappresentate da sabbie grossolane e fini giallastre, prevalentemente calcaree. Comprendono lenti di con¬ glomerati poligenici poco coerenti, a piccoli ciottoli e con matrice sab- biosa-limosa e livelli di argille sabbiose grigiastre. In località Lamione di Follerato, le sabbie, grossolane, risultano abbastanza ben coerenti e mostrano alcuni motivi di stratificazione. Completa la superficie del bacino d’invaso Faffioramento dei de¬ positi d’alveo della Lama. Tali depositi sono costituiti da limi sabbiosi e da sabbie limose, con ciottoli di varie dimensioni e in prevalenza di natura calcarea. Le condizioni litostratigrafiche nel sottosuolo, dei depositi di ter¬ razzo e d’alveo, nonché il loro spessore sono state accertate tramite dei sondaggi geognostici meccanici e geofisici ( sondaggi elettrici verticali) eseguiti all’intorno del bacino d’invaso e nella sezione di sbarramento. I primi hanno posto in evidenza diretta che i depositi del terrazzo, nell’area presa in esame, poggiano ovunque sulle Argille subappenni- ne ; queste costituiscono anche il substrato dei depositi d’alveo. Han¬ no inoltre rilevato che in sponda sinistra lo spessore dei depositi del terrazzo resta grosso modo compreso tra m 5 e m 8 ed in sponda destra tra m 5 e m 28. I depositi d’alveo hanno infine uno spessore medio di circa m 13-15 e sono prevalentemente sabbiosi e limoso-sabbiosi in alto e ciottoloso-sabbiosi in basso. Nella fig. 2 sono rappresentate le successioni litostratigrafiche più significative rilevate dai sondaggi mec¬ canici nei depositi di terrazzo rispettivamente della sponda destra e della sponda sinistra. I sondaggi elettrici verticali sono stati eseguiti secondo allinea¬ menti paralleli alla sezione di sbarramento (e lungo la stessa) e distan¬ ziati fra di loro in modo da coprire tutta l’area del previsto bacino. I risultati ottenuti hanno fornito nel complesso ulteriori elementi di giu¬ dizio e di correlazione (B. Radjna, 1968) al fine di individuare con il maggior grado di approssimazione possibile e più estensivamente, le condizioni geolitologiche del sottosuolo soprattutto per quanto riguarda l’andamento della superficie limite superiore delle Argille subappenni- ne al di sotto dei depositi di terrazzo e d’alveo. A questo proposito è da segnalare che una certa difficoltà di cor¬ relazione tra i risultati della prospezione geoelettrica e quelli dei son¬ daggi meccanici si è avuta solo in una ristretta zona della sponda de¬ stra nei pressi della sezione di sbarramento. In tale zona il riferimento geologico valido è rimasto ovviamente quello indicato dalla prospe¬ zione diretta nel sottosuolo. 198 S 8 S 28 r" KJ Kj KJ U OOOt o o o o b'èiró O O O ( O o o o OOOJ S 7 ó’òòO )0 OO ( o oo o )0 oo< CLQlQJD S 2 Terreno vegetale Sabbie fini con ciottoli e sabbie coerenti Argille sabbiose O OO OO^ ) o o o o o d o o o o o oj Conglomerati p o I i g e n i c i . p o c o coerenti, con lenti di sabbie Argille grigio plumbee Fig. 2. — Colonne litostratigrafiche. — 199 — Dal punto di vista tettonico, localmente vi è poco o nulla da rilevare ; va comunque posto in evidenza che i depositi di terrazzo pre¬ sentano un assetto suborizzontale. I risultati di tutte le indagini svolte sono sintetizzati nella carta geolitologica e nelle sezioni rappresentate rispettivamente nella tav. I e nella tav. II. Per quanto riguarda la morfologia va osservato che gli aspetti fi- siografici del bacino d’invaso sono chiaramente condizionati da fattori litologici e stratigrafici. Infatti nella Lama, che si configura come una incisione relativamente ampia e a fondo piatto (fig. 3 e fig. 4), le pa¬ reti risultano modellate variamente a seconda della qualità dei terreni che vi affiorano. Laddove sono presenti le Argille subappennine, coerenti in vario grado, i versanti sono mediamente acclivi e in più tratti le loro super- fici sono ben nette anche se irregolari. Le aree di affioramento, lungo i versanti, dei depositi di terrazzo (costituiti come si è detto, per lo più da rocce incoerenti, variamente assestate o costipate), sono invece in genere piuttosto acclivi, in alcuni casi quasi a picco, e in diversi tratti alquanto accidentate. Queste condizioni sono in stretta relazione con la diversa granulometria e il vario grado di erodibilità che tali depositi presentano sia in orizzontale che in verticale. Nel tratto che sarà interessato dal bacino, l’alveo di piena è largo mediamente m 200-350, l’alveo di magra non più di m. 19. Quest’ul¬ timo, in località Piluccjo, si scinde in due rami : uno scorre in posi¬ zione all’incirca mediana rispetto all’alveo di piena, l’altro radente la sponda sinistra. Tra gli affluenti, il più importante e che sarà in parte interessato dall’invaso, è quello di destra : ben inciso nel rilievo con pareti acclivi e ad andamento tortuoso, ha origine in località S. Pellegrino - la Guardiola. Osservazioni sulle condizioni di tenuta del bacino. Tenuto conto dell’altezza dell’opera di sbarramento sulla quota media dell’alveo della Lama, risulta evidente che la tenuta del bacino artificiale è condizionata essenzialmente dalla formazione praticamente impermeabile delle Argille subappennine. Queste, infatti, come si è ac¬ cenato, oltre ad affiorare in alcuni tratti del bacino, costituiscono il sub¬ strato continuo di tutti gli altri terreni rappresentati nel bacino stesso. Inoltre l’andamento della superficie limite superiore delle Argille sub- 200 L’alveo della Lama, nella zona della stretta, visto da valle. — 201 appennine (tav. I e tav. II), indica chiaramente che tutt’intorno il perimetro bagnato tali rocce risalgono, sia pure con pendenze molto te¬ nui, entro i versanti al di sotto dei depositi del terrazzo, a quote supe¬ riori a quella prevista in progetto per il massimo invaso. Questa condi¬ zione consente in definitiva di ritenere nel complesso assicurata la te¬ nuta del bacino. Un controllo quantitativo dei possibili assorbimenti idrici che po¬ trebbero verificarsi nelle Argille subapennine eseguito durante l’appro¬ fondimento dei sondaggi geognostici meccanici, ha confermato i carat¬ teri generali di impermeabilità delle stesse. Si sono avuti infatti, nel¬ la parte alta della formazione, in media assorbimenti di 0,5 -f 0,7 l/m ' min con pressioni di 3 Kg/cm^ e di 0,8 ^ 1,2 l/m * min con pressioni di 9 Kg/cm^. I TERRENI DELLA SEZIONE DI SBARRAMENTO. La sez. 1 della tav. II, ricostruita come si è detto sulla base delle indagini svolte in superficie e in profondità, indica con buona appros¬ simazione le condizioni litostratigrafiche del sottosuolo secondo Falli- neamento scelto per lo sbarramento (fig. 3 e fig. 4). Lungo questo allineamento è stata eseguita anche una prospezio¬ ne sismica con il metodo a rifrazione. A questo proposito torna utile qui ricordare quanto in sintesi è stato già detto da B. Radina (1968). I risultati ottenuti dall’indagine geosismica hanno consentito da un lato una migliore interpretazione dei dati ricavati dalla prospezione geoelettrica ( eseguita lungo la sezione di sbarramento) e dall’altro di valutare lo stato di costipamento e di consistenza dei terreni di fonda¬ zione. A questo proposito è risultato infatti che lungo la sezione di sbar¬ ramento esiste un mezzo di suffieiente spessore, nel quale la velocità delle onde sismiche è nel complesso abbastanza uniforme (1,65 — 1,75 Km/sec), sottostante ad un mezzo superficiale a bassa velocità. La li¬ nea di separazione tra questi due mezzi non corrisponde in genere ad aleuna superficie limite tra due formazioni diverse. Essa va intesa co¬ me limite tra un complesso superficiale poco addensato e uno sotto¬ stante, più addensato. A questo ultimo possono corrispondere, da zona a zona, più di frequente le Argille subappennine, ovvero i depositi al¬ luvionali d’alveo a grana media e fine, più costipati. Sulla natura e sulla granulometria dei complessi del terrazzo distinti nella sez. 1 del- __ 202 — la tav. II, valgono le osservazioni già fatte a proposito della geologia del bacino d’invaso. Per quanto riguarda aneora le finalità tecniche della indagine è da porre in evidenza che la parte alta delle Argille subappennine (spes¬ sore circa m 1-2) risulta quasi ovunque leggermente sabbiosa e di co¬ lore giallo-grigio ( assai verosimilmente per alterazione) e che i depo¬ siti d’alveo, dello spessore medio di circa m 10-12, si possono differen¬ ziare dal punto di vista granulometrico, in due parti abbastanza ben di¬ stinte. La prima, quella superiore (circa m 7-9), è costituita soprattut¬ to da limi sabbiosi di colore maroncino con diffusi ciottoli calcarei di piccole dimensioni. La porzione inferiore fino al contatto con il substra¬ to argilloso, è costituita invece da ciottoli calcarei di dimensioni varia¬ bili dal cm al dm, compresi in una matrice ( searsa) sabbiosa grosso¬ lana. La tenuta, anche in questa sezione, è assicurata dalle Argille sub¬ appennine ; l’andamento della superficie limite superiore delle stesse è abbastanza chiaramente indicato nella sez. I della tav. IL L’aceertamento del grado di permeabilità dei depositi di terrazzo e d’alveo nella sezione di sbarramento, ha rilevato nei primi assorbi¬ menti mediamente compresi fra 12 e 33 l/m* min e nei secondi assor¬ bimenti in media compresi tra 7 e 28 l/m • min con pressioni di 3 Kg/cm^. Questi valori così variabili, sono da porsi in relazione con le caratteristiche granulometriche dei depositi, nonché con il loro di¬ verso grado di addensamento, costipamento e cementazione, sia in orizzontale che in verticale. È ovvio che a tali terreni non vanno af¬ fidate funzioni di tenuta. Al fine di avere una preliminare caratterizzazione geotecnica del¬ le argille del substrato in alveo, sono state determinate, su 7 campioni delle stesse prelevati a varia profondità durante l’esecuzione dei son¬ daggi, la granulometria e i limiti di consistenza. L’analisi granulometrica ha messo in evidenza che localmente le Argille subappennine sono dei limi sabbiosi ( fig. 5) : il peso della frazione sabbiosa (0,02 2 mm) risulta compreso tra il 18% e il 25% ; quello della frazione limosa tra il 75% e l’82%, di cui quello della frazione <7 2 [i risulta compreso tra il 20% ed il 30%. Per quanto ri¬ guarda i limiti di consistenza, il limite liquido varia tra il 44% e il 54%, quello plastico tra il 22-26% ; l’indice di plasticità è pertanto compreso tra il 22% ed il 28%. In base all’abaco di plasticità di Casagrande, le Argille subappen- — 203 — nine di substrato, in alveo, sono da classificarsi come argille inorgani¬ che a media plasticità. -3 -3 -3 -3 0 2*«10 2»tO 20«10 200»t10 2 d m m Fig. 5. — Fascia granulometrica delle argille del substrato, in alveo. Condizioni di stabilità. Pochi cenni sono sufficienti a questo proposito.. Al momento del¬ l’indagine i fenomeni di dissesto erano assai poco estesi e per la mag¬ gior parte del tutto superficiali, pur essendo i terreni affioranti nel loro complesso intrinsecamente piuttosto facilmente erodibili. Le acque di precipitazione, nell’ambito del bacino, non trovano modo di ben cor- rivare o di ruscellare a causa sia dell’accentuata inclinazione dei versan¬ ti, in più tratti ricoperti da fitta vegetazione arbustosa, sia della pre¬ valente orizzontalità dei depositi di terrazzo, permeabili. Solo quando le acque incanalate nella Lama trovano modo di erodere con continuità — 204 — e scalzare il piede delle sponde, ovvero quando le acque di precipita¬ zione, attraversando i depositi di terrazzo, si arrestano negli stessi lad¬ dove sono presenti livelli impermeabili o perchè raggiungono le argil¬ le impermeabili, è possibile che si verifichino dei dissesti di un certo rilievo, ad es. del tipo delle frane da crollo. A queste potrebbero es¬ sere riferite alcune nette superfici subverticali che si rilevano in alcuni tratti dei versanti. Osservazioni conclusive. Le indagini svolte, soprattutto quelle del sottosuolo, hanno con¬ sentito di accertare che i depositi di terrazzo sulle due sponde della La¬ ma hanno natura e spessore diverso. Quelli della sponda destra, di spessore maggiore, sono prevalentemente costituiti da sabbie e subordi¬ natamente da ghiaie e conglomerati, quelli della sinistra da ghiaie e conglomerati e in minor misura da sabbie. È stato accertato che le Ar¬ gille subappennine costituiscono localmente il substrato continuo dei depositi di terrazzo e di quelli d’alveo ; la superficie limite superiore di questa formazione risale entro i versanti in maniera assai regolare e uniforme. Nei riguardi della tenuta del bacino e della sezione di imposta, nessun affidamento va fatto sui depositi di terrazzo, assai variamente permeabili ; la tenuta è assicurata nel complesso, dalle Argille subap¬ pennine. Sotto il profilo granulometrico, queste rocce sono dei limi sabbiosi, e possono classificarsi, in base all’abaco di plasticità di Casa¬ grande, come argille inorganiche a media plasticità. Sulla scorta dei risultati dell’indagine geosismica, si può inoltre concludere che nella sezione di imposta, già a piccola profondità do¬ vrebbero trovarsi terreni di fondazione con discrete caratteristiche elastiche, in relazione ai carichi che i terreni stessi dovranno soppor¬ tare. Va posto infine in rilievo che al momento dell’indagine, nell’area interessata, i dissesti del suolo e del sottosuolo erano del tutto trascu¬ rabili. I depositi di terrazzo potrebbero comunque essere interessati da dissesti, sia a causa della loro granulometria, assai assortita, sia del di¬ verso loro grado di coerenza, di costipazione e di permeabilità. istituto di Geologia e Paleontologia dell’ Università di Bari^ aprile 1972 Boll. Soc. Boll. Soc. Nat. Napoli. 1072. H. Rad.na - N. Walsh - Indagini e osservazioni geoio gico-tecniche. eco. Tav. I CARTA GEOLOGICA SCHEMATICA Carta geologica schematica. TAV. fc: 'V ^y-:i:^-'.%. '. ' ' 'J-v: ■/ àf, .■■-.11- 5ffi'.‘;-'i'% ,. !■■ .r.; , , , ■./ , ^ -..s^ --' '•" C; k -?;>:.tv%a:4 ‘vi '-r ■'•/ i -., i*. l^^4^' '■ , «'to' j' -f ■'‘^' •.■ ■ 4i--’- '' 'mm I ^Mb.. " .... y ' ^ 2I-' -, ’ > .: it t • , ■ V, y ■.ìì‘,.,''ÌÌÉHBK-ìÌ- y. ' '* ■ ' ■. .',' «X; V \l,.-, . “ ' ' /.. JJE^' ':t yr^:' ' ’ •lD ',' • ) ';-«' '^i ' ^f^''''‘'|'! '* .'jl '*'■*. *',* ’'k. \ . '• : towi-.i "y ■ "• ‘l ■. ' ■ '- 1 VA ^ ^ y.'f ' 0^7,. t' . ,, ■ ; A'-' ■ . 1-: \ - è»' ,-.■ l^;"- y. ; .v<»>\ l'.iji /'vJ ''M j •• ‘ Ar-?-' .'. t ■' ': "• ■I-'w «1 •; J ■'' ■•, A. ■■ ■ ‘ ■’ ..'.' . t A':V; Boll. Soc. Nat. in Napoli, 1972. B. Radina - N. Walsh - Indagini osservazioni geoio gico-tecniche, ecc. Tav. II SEZIONI GEOLITOLOGICHE s i„. nno HI t.m. TAV. II. ItJ, 'i- ' f: ' "■ ' aSv-H .•.■i:-2?t--v;'' r - ’^>nr • ■-'-r ::■; ■■ ,:''^"::-4 :- ■^vUl .i- ■ 'V,%:;i ^ i ■ ■ iS^witJlum. ^ ' i^'’i'C •' '•■ ’’ i.i . }■. » ' ■'■■ ’ •■ .■.■.L< - t _ rh\'' , ..'ì 1“ '-m' ii'*’'' . j “-r...' '■■ 4.' ■■ -■'; A. .ny-fe'S ,, :?fcta.. ■ • — 205 — BIBLIOGRAFIA Boenzi F=, Radina B., Ricchetti G., Valduga A., 1971 - Note illustrative della Car¬ ta Geologica d’Italia F° 201 « Matera ». CoTECCHiA V., Magri G., 1967 - Gli spostamenti delle linee di costa quaternarie del Mar Ionio fra Capo Spulico e Taranto. Geologia Applicata e Idrogeologia. Voi IL Radina B., 1967 - Studi geologici per lo sbarramento del T. Camastra nel bacino del F. Basento [Appennino Lucano). Geologia Tecnica N. 2. Radina B., 1968 - Studi geologici e applicazioni geofìsiche in alcuni problemi di in¬ gegneria civile in Puglia e Lucania. Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli. Voi. LXXVII. Servizio Geologico dTtalia, 1969 - Carta Geologica d’Italia F° 201 « Matera ». II Edizione. Vezzani L., 1966 - I depositi plio-pleistocenici del litorale ionico della Lucania. Atti della Accademia Gioenia di Scienze Naturali in Catania. Serie VI, Voi. XVIII. Licenziato alle stampe il 30 novembre 1972. la ' ■ '■ '* "■ ' = " ■ . ;::»*- sei — '‘ì'i < *<-V; ■. oifài — '^''y-.?^fl rn mAfmygèn" - ■ "^'^, '■ '1^ n"' ■VaJv 4^^^ ‘ 7iìH «^) ^ - mm^:: ' jr,t.#y%#?>'l/4\ XH '" W'i ' '»iv?-ì’i'r» . r" '.a'I,,'" ■ ;v g, ''^ '^ _ ' ’' - ■^.. -Wk 4:»sti^iV iikòU’nli, \ -. ,.'?'l tvj/KvsaV : iti -«;«.«?, t-^^'. ài rujt-^f'i'l' KììiwTto ;;■ '^•'js- ■ / ’' ' - ,*}.-V - '"’ ' i*' , , - '■ ■ - .r'#^ ■ ■', ■ • , .. .. ■ ' - I m ■W'iM ^ ^x- ^•1 •XUÌ ^Ci.y. XAmi .:à %ì* W: ‘Is .J^^l BolL Soc. Natur. in Napoli voi. 81, 1972, pp. 207-224, 2 figg., 8 tavv. Osservazioni su Pycnodonta hyotis (Linneo) del Tirreniano dì Taranto (*) Nota dei socio MARIA GRAZIA DE CASTRO-COPPA (Tornata del 30 Giugno 1972) Riassunto. — Vengono eseguite alcune osservazioni morfologiche e strutturali su numerosi esemplari fossili di Pycnodonta hyotis (Linneo), un lamellibranco appartenente alla famiglia delle Ostreidne. Gli esemplari studiati provengono dai classici giacimenti a Stromhus bubonius del Quaternario caldo (Tirreniano) di Ta¬ ranto ; qui, fin’ora, Pycnodonta hyotis era stata segnalata soltanto dalla scrivente col nome di Ostrea squarrosa De Serres. Tuttavia, sono da riferire probabilmente alla specie hyotis anche le Ostrea plicata Chemnitz riscontrate, in questi stessi livelli, nel 1871, da Kobelt, il quale, però, non ne fornì aleuna descrizione ed alcuna illustrazione. In tutta ITtalia meridionale non vi sono altre segnalazioni di questa specie. Summary. — Morphologieal and structural observations bave been done for thè first time on Pycnodonta hyotis (Linneo), a pelecypod belonging to thè Ostreidae family, collected in thè Quaternary (Tyrrhenian) Stromhus bubonius level of Taranto (Southern Italy). Pycnodonta hyotis was found in this level by Kobelt in 1874 ; but neither paleontological observations nor illustrations bave been given by this Author. The Kobelt’s finding was never confirmed until last year (De Castro-Coppa. 1971); thè present study is a description of thè numerous specimens recently collected. (*) Il presente lavoro si inquadra nelle ricerche stratigrafiche e paleontologiche ehe l’Istituto di Paleontologia dell’Università di Napoli conduce, eoi contributo del C.N.R., sui depositi plio-pleistocenici dell’Italia meridionale. Il materiale studiato è stato raceolto, a varie riprese, dal Prof. Piero De Castro. Aiuto presso l’Istituto, nel corso delle ricerche sopradette. — 208 — Par. 1 - Premessa. In questo lavoro vengono riportate le osservazioni eseguite su nu¬ merosi esemplari di Pycnodonta hyotis (Linneo) rinvenuti nei classici giacimenti del Quaternario caldo di Taranto. Questa specie, assieme a Parastrophia garganica Moncharmont- Zei e Acteocina knockeri (Smith), che ho segnalato recentemente (1971), rappresenta un’ulteriore forma climaticamente importante e poco conosciuta del Tirreniano tarantino. Fin’ora, infatti, essa era sta¬ ta solo segnalata dalla scrivente (1971, p. 7) col nome di Ostrea squarrosa De Serres. Forse è da riferire alla specie hyotis anche VOstrea plicata riscontrata in questi stessi livelli, nel 1874, da Ko- BELT, il quale, però, non ne forni alcuna descrizione ed alcuna illu¬ strazione. In tutta l’Italia meridionale non vi sono altre segnalazioni di questa specie. La maggior parte degli esemplari di Pycnodonta hyotis da me studiati, rappresentati da un’ottantina di valve, proviene dalle im¬ mediate vicinanze della classica località « Il Fronte », situata al lato meridionale del bacino orientale del Mar Piccolo ( sezione NE della tavoletta 202 II NO-Taranto), descritta da Gignoux (1913). Gli esemplari sono stati raccolti, più esattamente, in un intervallo oriz¬ zontale, di circa 150 metri, ubicato tra 600 e 750 metri di distanza dall’estremità del promontorio del Fronte ed a SO di esso. Qui, il banco tirreniano pende verso SO e, al limite occidentale del tratto da cui provengono gli esemplari studiati, s’immerge al di sotto del piano di campagna. In questa località, la successione affiorante è simile a quella ci¬ tata da Gignoux (1913) e precisata da Ciampo (1971, p. 7); tutta¬ via, rispetto al promontorio del Fronte, si nota una maggiore ricchez¬ za, sia qualitativa che quantitativa, delle specie, un impoverimento di Cladocora coespitosa Lamarck, la diffusione di Pycnodonta hyotis e l’abbondanza di melobesie intere o in frammenti. I fossili più evidenti sul terreno sono rappresentati soprattutto da Venus verrucosa Linneo, Pycnodonta hyotis (Linneo), Cerithium vulgatum Brughiere, Pinna nobilis (Linneo), Aloidis gibba (Olivi), Pecten varius (Linneo), Cha- ma gryphoides Linneo, Chama gryphoides pseudounicornis Sacco, Glycymeris glycymeris (Linneo), Spondylus gaederopus Linneo, Ar¬ ca noae Linneo, Dosinia exoleta (Linneo), Dosinia lupina (Linneo), Masseria S. Pietro 209 14 :igura indica la località da cui provengono — 210 balani e melobesie. Per quanto meno abbondanti, si riconoscono fa¬ cilmente sul terreno anche Lutraria lutraria (Linneo), Panopea glycy- meris (Born), Strombus bubonius Lamarck, Pecten jacobaeus Lin¬ neo, Conus testiidinarius Martini, Cladocora coespitosa Lamarck, ver- metidi, etc. Soltanto tre esemplari di Pycnodonta hyotis provengono dall’affio¬ ramento di (( Case d’Aiala », situato al lato orientale del Mar Piccolo (sezione NE della tavoletta 202 II NO-Taranto); essi sono stati raccolti, più esattamente, a circa 150 metri Sud della quota trigonometrica di 15 metri. Qui, il banco tirreniano, dello spessore di circa 1,50 m., riposa su una successione argillo-sabbiosa di una decina di metri che contiene microfaune calabriane nella porzione inferiore e mediana ; su questo tratto di clima freddo trasgrediscono argille sabbiose con microfaune calde o temperato-calde (Ciampo, 1971). La panchina tirreniana, limi¬ tata superiormente dalla superfieie topografica, si presenta a luoghi più compatta, a luoghi più friabile ; la sua esposizione non è delle miglio¬ ri a eausa di numerosi blocchi ribassati e spezzati che impediscono una buona osservazione della sezione verticale del banco. I fossili che, a causa delle maggiori dimensioni, sono più facilmen¬ te osservabili sui terreno sono rappresentati soprattutto da Glycymeris glycymeris (Linneo), Pinna nobilis (Linneo), Ostrea lamellosa Broc¬ chi; in misura subordinata da Pitaria chione (Linneo), Angulus niti- dus (Poli), Arca noae Linneo, Venus verrucosa Linneo, Dosinia exoleta (Linneo). Par. 2 - Paleontologia. Nel presente lavoro si è seguita la classificazione di Dechaseaux in PiVETEAU (1952) sia per la sua notorietà, sia perchè non si discosta dai criteri tassonomici di Douvillè (1936 a, b) e Ranson (1939, 1941, 1952) sulla valutazione sistematica di Ostrea e Pycnodonta, i quali ven¬ gono considerati come taxa di rango generico. Ho attribuito un’impor¬ tanza preminente al secondo motivo perchè le osservazioni più detta¬ gliate sui due generi ora detti si devono appunto ai due ultimi autori menzionati. Sia Ostrea che Pycnodonta appartengono alla famiglia delle Ostrei- dae i cui rappresentanti hanno un guscio quasi interamente calcitico. Esso è costituito dalla successione di « strati lamellosi » trasparenti, for¬ mati da (( lamine » caleitiche sovrapposte e disposte approssimativamen- — 211 — te parallele alla superficie del guscio (1). Tra le lamine si intercalano più o meno regolarmente i cosiddetti « strati gessosi » (1) rappresentati da lenti più o meno estese di aspetto gessoso, biancastre, costituite da fi¬ bre calcitiche disposte perpendicolarmente alla superficie del guscio. 1 generi Ostrea e Pycnodonta differiscono tra loro principalmente per la struttura degli strati gessosi i quali sono compatti nel primo e vacuolari nel secondo. Gli altri elementi differenziativi, di carattere mor¬ fologico, sono rappresentati dalla cerniera della prodissoconca che è semplice in Ostrea^ doppia in Pycnodonta. Inoltre, Pycnodonta possiede deboli pieghette vermicolari ai margini dell’area cardinale, che manca¬ no in Ostrea. Sul modo e la causa di formazione della struttura vacuolare, che tanto ricorda quella del guscio delle Radiolitidae, sono state avanzate al¬ cune ipotesi. Fra gli A A. che se ne sono occupati ricordo soprattutto Douvillè (1936 a, b) e Ranson (1939, 1941). Do u VILLE, in base ad osservazioni su Pycnodonta cochlear, pen¬ sava che essa fosse dovuta alla scarsezza di nutrimento e di carbona¬ to di calcio dell’ambiente ; carenze da mettere in relazione con le acque relativamente profonde in cui vive questa specie e che provo¬ cherebbero, con l’espediente dei vacuoli, un risparmio di carbonato nella costruzione del guscio. Secondo Ranson (1939; p. 56, 61, 62), le condizioni del mez¬ zo hanno poca importanza nel determinare la struttura vacuolare. In¬ fatti, sebbene Pycnodonta cochlear viva ad una profondità di circa 100-150 metri, essa, tuttavia, risulta associata con celenterati (Den- drophyllia, Corallum rubrum) ; questo fatto presuppone una certa abbondanza di nutrimento e di carbonato di calcio. Le osservazioni di Ranson (1939, p. 59) indicano che le cause della struttura vacuo¬ lare vanno ricercate nella composizione chimica del muco di Pycno¬ donta (C’est la constitution chimique propre du mucus du genró Pycnodonta qui est le facteur déterminant de la structure des couches crayeuses vacuolaires de ce genre). (1) Gli strati lamellosi sono indicati con a f oliai ed layers » in Taylor, Ken¬ nedy e Hall (1969); con a couches lamelleuses y) in Douvillè (1907; 1936 a, b) ; con a couches lamelleuses feuilletées y> in Ranson (1939). Le lamine che costituiscono gli strati lamellosi sono indicate con « folla » da Taylor, Kennedy e Hall (1969). Gli strati gessosi sono indicati con « chalky layers )> da Taylor, Kennedy e Hall (1969); con a couches blanches yy in Douvillè (1936 a. b) ; con a couches blanches crayeuses yy in Ranson (1939). — 212 Famiglia : OSTREIDAE Genere: PYCNODONTA, FiSCHER VON WalDHEIM, 1835 Pycnodonta hyotis (Linneo), 1758 Tav. II, figg. 2, 3, 5; tavv. III-VIII 1757 Ostreum 3. Le Vetan. Adanson : Hist. Nat. Senegai; p. 201, tav. 14, fig. 3 1757 Ostreum 4. Le Bajet. Adanson : Hist. Nat. Senegai; p. 201, tav. 14, fig. 4 1758 Mytilus hyotis. Linneo: Systema Nat.; p. 704 1913 Ostrea hyotis. Suter : Manual New Zeal. Mollusca ; p. 889, tav. 57, fig. 2 1937 Ostrea virleti. NardiNi : Pai. It. ; voi. 37, p. 227, tav. 13, fig. 1 1941 Pycnodonta hyotis. Ranson : Bull. Mus. Nati. Hist. Nat.; s. 2, voi. 13, p. 83, figg. 1-6 1942 Ostrea hyotis. Fischer-Piette : Jour. Conch. ; voi. 85, p. 295, tav. 12, figg. 1-2 1950 Ostrea hyotis. Nickles ; Manuels Ouest-Afr. : voi. 2, p. 183, fig. 340 1960 Pycnodonta germanitala sferracavallensis. Malatesta : Mem. Descr. Carta Geol. ; voi. 12, p. 256, tav. 15, fig. 1 1964 Pycnodonta hyotis. Bernard: Ann. Sout. Afr. Mus.; voi. 47, p. 448, fig. 17c 1966 Pycnodonta germanitala. Compagnoni: Geol. Rom. ; voi. 5, p. 170, tav. 1, fig, 6 1971 Ostrea squarrosa. De Castro-Coppa: Boll. Soc. Nat. Napoli; voi. 79, p. 7 1971 Hyotissa hyotis. Stenzel: Ostreacea ; p. N 1107, figg. J85, 1-2 Morfologia. — Le mie osservazioni si basano suU’esame di 86 esemplari. Di essi, 83 provengono dalla località « Il Fronte » e sono rappresentati da 2 esemplari completi, 36 valve superiori, 28 infe¬ riori e 17 di cui non sono riuscita a precisare la posizione a causa della loro incompletezza. Solo 3 individui provengono da « Case d’Aiala » e sono costituiti da 2 valve inferiori e da 1 d’incerta posizione. Lo stato di conservazione dei fossili studiati è generalmente buono anche se vi sono degli esemplari incompleti e se la maggior parte si presenta cariata in maggior o minor misura da organismi perforanti. Quest’ultimo inconveniente ha limitato notevolmente la rac¬ colta dei fossili sul terreno, a causa della loro fragilità. L’ornamentazione esterna, caratteristica della specie, è rappre¬ sentata da coste radiali (tavv. 4-8), che nella maggior parte degli in¬ dividui sono molto marcate, mentre solo in alcuni casi sono poco pro¬ nunziate. Le coste impartiscono al margine palleale un tipico aspetto pie¬ ghettato, che può accentuarsi in una successione a denti di sega, quando le coste sono particolarmente angolose ed acute (p. e., tav. 4, figg. 2b - 4, 5b). In genere esse sono più robuste nella valva infe- — 213 — riore che in quella superiore ; nella prima a causa del modo di vita attaccato delFanimale, esse possono svilupparsi solo nella zona della valva che non aderisce al substrato. In alcuni casi ( 5 valve inferiori e 3 superiori), le coste pre¬ sentano dei prolungamenti semitubulari (tav. 6, figg. Ih, c), simili a quelli indicati da Ranson (1941, fig. ^) in alcuni esemplari vi¬ venti. Il numero di coste non sembra dipendere dal particolare tipo di valva, cioè inferiore o superiore. Esso è compreso generalmente tra 4-12; occasionalmente (osservazioni su 1 sola valva, inferiore), scen¬ de a 3, mentre in un numero ridotto di esemplari (8), può assu¬ mere valori tra 13-17. Anche la forma dell’impronta muscolare non sembra dipendere dal tipo di valva. In base all’esame di 70 valve, (34 superiori, 25 inferiori e 11 imprecisabili) si è potuto accettare che questo carat¬ tere presenta una limitata variabilità. L’impronta infatti può essere sia rotondeggiante che ovale e solo occasionalmente, come si è ri¬ scontrato in 3 valve superiori, semilunare. Più esattamente la for¬ ma rotondeggiante è stata riscontrata in 36 valve (17 superiori, 15 inferiori e 4 imprecisabili); quella ovale in 31 valve (14 superiori, 10 inferiori e 7 incerte), quella semilunare in 3. La posizione dell’impronta muscolare rispetto ai margini pai¬ leali è, più frequentemente, posteriore, meno spesso subcentrale e solo in una valva superiore la si è riscontrata in posizione anteriore. Più esattamente su 68 esemplari in cui si è potuto osservare tale carattere, essa è posteriore in 44 (25 valve superiori, 16 valve infe¬ riori e 3 incerte), subcentrale in 23 (10 valve superiori, 6 inferiori e 7 incerte), e anteriore in 1, L’impronta muscolare è quasi sempre superficiale ( 49 valve), meno spesso (22 valve) depressa. L’area cardinale è ben sviluppata, più ampia nella valva infe¬ riore, e più ridotta in quella superiore. Essa ha forma triangolare ed è costituita da tre zone, una mediana, leggermente infossata e due laterali più rilevate ; la zona mediana, per lo più, uguaglia o su¬ pera di poco l’estensione delle zone laterali. Nella maggior parte degli esemplari (37 su 64), essa, sia che si tratti di valve superiori sia di valve inferiori, si presenta approssi¬ mativamente simmetrica rispetto a una linea mediana. Tuttavia, molto frequentemente (27 su 64 esemplari) essa risulta variamente — 214 — arcuata (tav. 6, fig. 2a ; tav. 8, fig. 2a) e diretta di norma, verso il lato posteriore del guscio ; in alcuni casi, essa ruota perfino in direzione normale al piano della commessura delle valve, incurvandosi verso Fe- «terno. i^er quanto la presenza di deboli pieghette ai margini dell’area cardinale sia ritenuta un carattere di ordine generico, esso tuttavia molto spesso può mancare. In 51 valve, tutte idonee alFosservazione di questo carattere, si è potuto riscontrare infatti che le pieghette comparivano soltanto su 25. Inoltre queste pieghe, mai biforcate, compaiono generalmente solo su di un lato (21 su 25 esemplari); occasionalmente su ambedue i lati ( 4 esemplari, rappresentati da 2 valve superiori e 2 inferiori) ; sembra inoltre che esse interessino preferenzialmente la valva superiore. NelFambito delle valve esse sono disposte in genere al lato po¬ steriore; ciò si è riscontrato in 15 valve, 8 superiori e 7 inferiori. Meno spesso compaiono soltanto sul lato anteriore, come si è osser¬ vato in 8 esemplari ( 6 valve superiori, 1 inferiore e 1 incerta). Le dimensioni (2) degli esemplari sono variabili. Il diametro umbo-Vi*3ntrale (altezza), in 56 valve su cui è misurabile, è compreso tra 36-88 mm., ed assume più frequentemente valori tra 53-72 mm. A] crescere del diametro umbo-ventrale (U), cresce anche quello antero-posteriore (A) (lunghezza). Nei gruppi di individui caratteriz¬ zati dallo stesso valore di U, tuttavia (fig. 2, part. 2), il diametro A presenta sempre una variabilità più o meno accentuata, che è massima nei gruppi d’individui caratterizzati dai valori di U più frequenti. Più esattamente il diametro antero-posteriore, in 52 esem- (2) L’altezza e la lunghezza delle valve sono state misurate seguendo i criteri di Stenzel (1971, p. N957, fig. J3). Fig. 2. — Nella figura divisibile in tre porzioni (1, 2, 3) viene sempre riportato sulle ascisse il valore del diametro umbo-ventrale (U). Sulle ordinate vengono riportati, in 1, il numero degli esemplari esaminati; in 2, il diametro antero- posteriore (A); in 3, il rapporto U/A tra il diametro umbo-ventrale e quello antero-posteriore . La prima porzione della figura mostra la variazione del diametro umbo-ventrale negli individui esaminati. La seconda e la terza porzione della figura mostrano, rispettivamente, come varia il diametro antero-posteriore ed il rapporto U/A nelFambito di ogni gruppo di esemplari caratterizzati da un determinato valore del diametro umbo-ventrale. — 215 — Fig. 2. — 216 — plari in cui è misurabile, varia tra 35-82 mm. ed assume più fre¬ quentemente valori compresi tra 53-77 mm. Ho infine riscontrato un solo esemplare (valva inferiore), aven¬ te 11 mm. di diametro umbo-ventrale, 9 mm. di diametro antero- posteriore e 5 mm. di spessore : la figura 2 non tiene conto dei dati di questa forma. Alla variazione di A in funzione di U si accompagna, di conse¬ guenza, una variazione del rapporto fra i due diametri. Ciò interes¬ sa gli esemplari esaminati sia se li si considera nel loro assieme sia se li si considera invece in gruppi caratterizzati da determinati valo¬ ri del diametro umbo-ventrale (fig. 2, part. 3). Cinquantadue esem¬ plari che permettono la misura del rapporto U/A, mostrano che questo parametro varia complessivamente tra 0.74-1.29 ed assume più spesso valori tra 0.93-1.17. Lo spessore delle singole valve, misurato tra il piano tangente la commessura e il punto più prominente della superficie esterna, varia nelle valve superiori tra 11-29 mm. (osservazioni su 29 esem¬ plari); nelle valve inferiori tra 17-42 mm. (osservazioni su 17 esemplari). Struttura. — Le osservazioni sulla struttura vacuolare degli esem¬ plari rinvenuti nel Tirreniano tarantino, corrispondono a quelle ese¬ guite da Ranson (1939, 1941) sulle forme viventi della stessa specie. Gli strati gessosi vacuolari non si estendono per tutta la superficie del guscio, ma costituiscono delle lenti più o meno ampie : ciò è evi¬ dente nelle figg. la, 2 della tav. 3, dove la struttura compare in zone localizzate variamente estese. Tuttavia sembra che essa sia meno sviluppata (o assente ?) nella zona centrale ed in quella immediatamente al di sotto dell’umbone. La struttura vacuolare considerata nel suo assieme, se paragonata a quella di alcune P. cochlear del Golfo di Napoli (Tav. 1) e di altre delle argille calabriane di Montemesola ( Taranto), ha un aspetto piut¬ tosto massiccio : ciò è dovuto alla relativa robustezza delle pareti dei vacuoli, pareti che rimangono, tuttavia, sempre molto fragili (Tav. 2, figg. 2, 3, 5; Tav. 3, figg. 1-4). I vacuoli hanno forma e dimensioni variabili. In genere presen¬ tano un certo allungamento perpendicolarmente alla superficie delle valve ed un contorno ( parallelo alla superficie delle stesse) irregolar¬ mente tondeggiante o grossolanamente poligonale. Anche Ranson (1939) osserva in proposito che « les vacuoles sont tres irrégulières de — 217 — forme et de dimension. En generai, elles soni largement ouvertes au sommet, à Fexterieur ; mais parfois elles soni moins ou pas du tout : il existe tous les termos de passage ». Per accertare se la struttura vacuolare subisse variazioni sensibili (maggiore o minore diffusione sulle valve, maggiore o minore regola¬ rità del lume dei vacuoli, etc.) in specie diverse dello stesso genere, ho esaminato alcuni esemplari di P, cochlear, viventi e fossili. Gli esemplari viventi sono stati raccolti nel Golfo di Napoli a circa 70-100 metri di profondità. Pure in essi la struttura vacuolare ha una distribuzione discontinua ; essa è presente anche nelle forme di piccole dimensioni, e, generalmente, è visibile per trasparenza, a causa della freschezza del materiale, al di sotto della lamina che forma la superficie interna della valva. Le pareti dei vacuoli sono più sottili di quelle delle P. hyotis fossili del Mar Piccolo. Gli stessi caratteri strut¬ turali ora detti sono presenti anche in un esemplare di P. cochlear fossi¬ le, delle argille calabriane di Montemesola (Taranto). In conclusione sembrerebbe che nelle due specie, cochlear e hyo¬ tis, la struttura vacuolare sia più fine nella prima specie e più robusta nella seconda. Rapporti e differenze, — In letteratura esistono due specie, che, prescindendo per il momento dalla loro eventuale sinonimia, vengono indicate come Pycnodonta squarrosa e Pycnodonta hyotis. Pycnodonta squarrosa fu istituita da De Serres nel 1843 (sub Ostrea squarrosa}, in depositi del Miocene inferiore ( Burdigaliano) dei dintorni del Pian d’Aren presso les Martigues ( Bouche-du-rhone, Pro¬ venza). I caratteri riconosciuti dalFA. sono i seguenti: « Guscio ovale, formato da pieghe verticali pustolose. Apice piccolo, ricurvo ; con ca¬ nale breve ma largo, segnato da numerose pieghe trasversali » (« Testa ovata; plicis verticalihus squarrosis ornata. Rostro parvo; inflexo ; ca¬ nali brevi sed lato, plicis transversis numerosis impresso »). Inoltre FA. precisa che « cotte éspèce très distincte est remarqua- hle par les plis nomhreux et verticaux, doni ses valves soni ornées... Ces plis saillans et tubuleux soni plus nomhreux à la valve inférieure quà la supérieure... Uempreinte musculaire de la valve inférieure, fori grande, fori profonde, offre une forme arrondie, très prononcée. D^un autre coté, par suite des plis nomhreux que présentent les valves de cette éspèce, ses bords paraissent assez distinctement plissés ». Pycnodonta hyotis fu istituita da Linneo (1758) col nome di My~ tilus hyotis, su esemplari viventi, provenienti probabilmente dalla fa- — 218 — scia coralligena tropicare ( « pelagi Gorgoniis »). I caratteri diagnostici sono i seguenti : « Mytilus dal guscio con pieghe, embriciate da squa¬ me serrate ed ampie, con entrambi i margini lisci. » ( « M. testa plica- ta, squamis compressis patulis, labro utroque laevi. Habitat in pelagi Gorgoniis »). In seguito individui indicati come Pycnodonta hyotis^ viventi, provenienti da ambienti simili a quello citato da Linneo, furono riscon¬ trati in tutta la fascia tropicale. Una descrizione esauriente di questa specie che compensa quella troppo sintetica data da Linneo, viene fornita da Ranson (1941) che precisa tra l’altro che « La forme generale peut ètre ici sub-orbiculai- re, sub-quadrangiilaire ou triangulaire, sub-gryphóide. Lorsque Vanimal vit en profondeur, ou d’une manière generale dans des eaux relative- ment calmes et qu aucun obstacle ne stoppose au fonctionnemente de tonte la bordure de son manteau, les valves sont presque aussi larges que longues, pouvant atteindre jusquà 25 cm. de diamètre... Dès quun obstacle latéral stoppose au fonctionnement du manteau, la croissance se fait en longueur et les valves sont plus longues que larges... Chez les échantillons cótiers, courts, la bordure postérieure de la valve inférieu- re se redigesse, souvent verticalement... L^épaisseur des valves est éga- lement très variable. Elles sont parfois très minces, comme de feuilles, et par conséquent très légères... Il existe tous les intermédiaires entre celles-ci et les valves extraor dinairement épaisses (7 cm.)... LHmpres- sion musculaire est typiquement ronde, de dimensions très variables, mais en generai assez grande, rarement très petite. Elle peut ètre aussi ovale, et mème semilunaire. Dans les exemplaires plus longs que lar¬ ges, elle est parfois déformée et beaucoup plus haute que large. Sa po- sition, par rapport aux bords ventral et dorso!, est variable ». Altre osservazioni, anche se meno particolareggiate, sono fornite da Nickles (1950) che la riscontra alle Isole del Capo Verde, nel Se¬ negai, e occasionalmente nella Guinea francese. L’A. afferma che la specie presenta « une forme grossièrement ar- rondie, à test épais et lamelleux, présentant une structure vacuolaire. Valve inférieure... ornée de lamelles concentriques et de nombreux cò- tes rayonnantes, aiguès ou arrondies, donnant 10 à 20 crénelures sur le portour. Valve supérieure présentant une ornamentation analogue... Crochets assez forts, accompagnés sur les bords de leur face interne,... des fins cordons vermiculés dirigés perpendiculairement au bord de la coquille ». — 219 — Dalla figura fornita si vede inoltre chiaramente che l’impronta mu¬ scolare è tondeggiante e molto marcata. Dalle diagnosi riportate di P. squarrosa e di P. hyotis sembrerebbe che, per quanto i livelli dei tipi appartengano a periodi geologici di¬ versi, non vi siano caratteri atti a differenziare le due specie. In am¬ bedue, infatti, la forma generale del guscio è arrotondata, anche se P. hyotis {fide Ranson, 1941) può assumere altre forme. Ambedue presentano un’ornamentazione costituita da coste radiali più o meno robuste e sulla superficie interna del guscio deboli pieghette ai lati dell’area cardinale. Inoltre le due specie hanno in comune (fide Ran¬ son, 1941), un’impronta muscolare arrotondata, molto pronunziata; questa, però, in P. hyotis può essere anche ovale o semilunare. In quanto alla struttura vacuolare di P. hyotis, menzionata da Ranson (1939-41, 1941) e confermata successivamente da Nickles (1950), essa è sicuramente presente anche in P. squarrosa. Fa fede a riguardo il lavoro di Ranson (in Lecointre, 1952), che la riscontrò negli esemplari del Miocene e Pliocene marocchino. Dopo quanto si è detto, tuttavia, non è da escludere che la simi¬ larità dei caratteri delle due specie in esame, non sia reale ma soltan¬ to apparente e dovuta alla diagnosi meno particolareggiata fornita da De Serre s per P. squarrosa rispetto alle minuziose osservazioni date da Ranson (1941) per P. hyotis. Probabilmente a causa di ciò e quin¬ di per motivi prudenziali, alcuni A A. tengono distinte le due specie senza fornirne i motivi. Solo Ranson (in Lecointre, 1952, p. 29) affronta questo problema ; egli considera le due specie distinte tra loro e giustifica il suo punto di vista affermando che a P. squarrosa a une répartition mondiale des le début du Miocene et P. hyotis, sa muta- tion semble bien ètre apparue indépendamment dans chaque océan. Les deux éspeces sont si polymorphes quon peut toujours trouver deux valves se ressemblant beaucoup. Toutefois, si Von dispose d’un grand nombre d’’ échantillons, on voit facilement qu^elles diffèrent dans V ensemble, par la forme generale, Vimpression musculaire entre autres. Les formes gerontiques de P. squarrosa sont tres charactéris- tiques : en bateau tres épaisses et peu plissées. D’une manière gène- rale, Vimpression musculaire de cotte dentière est moins ronde, plus étirée transversalement que chez P. hyotis ». In quanto alle differenze citate da Ranson, penso, tuttavia, che non si possano prendere a modello della forma generale di una specie, i caratteri presentati da individui gerontici. Inoltre le differenze rela- — 220 tive alla forma delFimpronta muscolare sono piuttosto vaghe ed in op¬ posizione ( così come si verifica per la forma generale del guscio) con i caratteri osservati e figurati da chi aveva istituito la specie. Tuttavia, pur ritenendo probabile che P. hyotis e F. squarrosa siano sinonimi, credo che sia più prudente continuare a considerarle due specie distinte. Infatti, siccome De Serres non ha precisato quantitativamente il materiale esaminato ed illustra una sola valva inferiore, in veduta sia esterna che interna, non si può escludere che le sue osservazioni si basino su pochi esemplari, i quali, a causa del nu¬ mero limitato non hanno permesso all’ A. di desumere tutti i caratteri della popolazione e quindi quelli reali della specie. Il problema sui rapporti tra le due specie in esame potrà essere risolto solo quando si disporrà di numerosi e significativi topotipi di P. squarrosa in modo da poterli comparare con popolazioni attuali di P. hyotis. È da notare, a riguardo, che le osservazioni eseguite da Ranson su F. squarrosa sono poco utilizzabili perchè non vengono forniti dettagliatamente i caratteri degli esemplari esaminati, nè si fa riferimento alla località ed all’età dei livelli di provenienza. Allo stato attuale gli esemplari del Tirreniano tarantino soddi¬ sfano sia la diagnosi di F. squarrosa, sia i caratteri riscontrati da Ran¬ son e da Nickles in F. hyotis. Ho attribuito le forme tarantine alla specie linneana , perchè i caratteri di questa sono noti più particola¬ reggiatamente, mentre non è da escludere che la specie di De Serres ne presenti altri ancora ignoti. È da notare a riguardo, che se ulterio¬ ri ricerche dimostrassero l’identità tra le due specie il nome da man¬ tenere sarebbe quello di hyotis per motivi di priorità. In conclusione, per motivi prudenziali, ho ritenuto F. hyotis di¬ stinta da P. squarrosa e dalla maggior parte delle forme attribuite a quest’ultima specie: p. es. Ostrea (Alectryonia) plicatula in Sacco (1897) e sue varietà (fide Ranson, 1943, p. 292); per lo stesso mo¬ tivo, in questo lavoro, non compaiono nell’elenco delle sinonimie di hyotis le forme ad essa attribuite, provenienti da livelli coevi del tipo di De Serres, che presentino condizioni di fossilizzazione poco buo¬ ne; (mi riferisco p. e. alle forme del Miocene della Somalia studiate da Azzaroli, 1958). Nel predetto elenco figurano infatti solo gli esemplari segnalati, che ho ritenuto sicuramente riferibili alla specie di Linneo perchè sufficientemente documentati da buone fotografie o da osservazioni. 221 Distribuzione stratigrafica ed habitat. — La distribuzione strati¬ grafica di P. hyotis, deducibile dalle segnalazioni riportate nell’elen¬ co delle sinonimie, è piuttosto limitata e si estende dal Pliocene (Compagnoni, 1968) fino ai tempi attuali. Nel Pleistocene sembra essere presente, se si eccettua la segnalazione di Malatesta (1960), soltanto durante i periodi caldi. Oltre che nel Tirreniano di Taran¬ to, essa infatti è segnalata nei livelli coevi della Sardegna {fide Co¬ maschi Caria, 1968). Attualmente la specie vive in corrispondenza di scogliere coralli¬ ne e sui fondi ad ostriche perlifere, solo nelle regioni tropicali di tut¬ ti e tre gli oceani, presentando però maggior diffusione nel Pacifico e nell’Indiano. La profondità è compresa tra il limite della bassa marea e circa 60 metri (Ranson, 1939, p. 62; 1941, p. 91; 1949, p. 447) anche se più spesso sembra esser presente tra 20-30 metri. Raramente rag¬ giunge profondità maggiori di quelle sopradette: 90 m. in Florida e 318 m. all’Avana (Ranson, 1949, p. 451). Istituto di Paleontologia deW Università - Largo S. Marcellino 10 - 801 38, Napoli BIBLIOGRAFIA Adanson M., 1757 - Histoire naturelle du Senegai. Coquillages, pp. 1-190, I-XCVI, 1-275, 19 tavv. (Paris). Azzaroli a., 1958 ■ L’Oligocene e il Miocene della Somalia. Pai. It.: voi, 52, pp. 1-142, 34 figg., 36 tavv. (Pisa). Barnard K. H., 1963-69 - Contribution to thè knowledge of South African marine mollusca. Ann. Sout. Afr. Mus. : voi, 47, pp. 1-661, 135 figg-, 2 tavv. (Winberg). Brocchi G. B., 1814 - Conchiologia fossile subappennina. 2 voli.: pp. 1-712, 16 tavv. (Milano). Cerulli Irelli S., 1907 - Fauna malacologica mariana. Pai. It. : voi. 13, pp. 65-140, 9 tavv. (Pisa). 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Ingrandimenti i (fig. la) circa 11 x ; (fig. Ib) circa 55 x. Località: Golfo di Napoli. f Età: Quaternario attuale. v superiore. Boll. Soc. Natur, in Napoli, 1972. De Castro-Coppa M. G. - Osservazioni su Pycnodonta hyotis, ecc. Tav. 1 TAVOLA II Struttura vacuolare di Pycnodonta cochlear (Poli) e Pycnodonta hyotis (Linneo) Sezioni, pili o meno oblique della zona marginale della valva inferiore, mo¬ stranti la distribuzione e la variabilità delle dimensioni dei vacuoli. (Fotografie a luce polarizzata e nicols incrociati). Figg. 1, 4. — Pycnodonta cochlear (Poli). Preparati-. CO. 324.2 (fig. 1); CO. 324.4 (fig. 4). Ingrandimento : circa 40 x . Località t Golfo di Napoli. Età : Quaternario attuale. Figg. 2, 3, 5. — Pycnodonta hyotis (Linneo). Preparati: CO. 323.4 (fig. 2); CO. 323.5 (fig. 3); CO. 323.2 (fig. 5). Ingrandimento : circa 40 x . Località: Il Fronte (tav. 202 II NO-Taranto). Età: Tirreniano. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972. De Castro-Coppa M. G. - Osservazioni su Pycnodonta hyotis, ecc. Tav. II TAVOLA III Pycnodonta hyotis (Linneo) Figg. 1-4. — Sezioni oblique della superficie marginale di una valva inferiore, mo¬ stranti la localizzazione irregolare, la morfologia e la variabilità dei vacuoli. Figg. 1, 2. — Sezioni della zona marginale posteriore. Fig. 3, 4. — Sezioni della zona marginale anteriore. Preparati: CO. 323.4 (fig. 1); CO. 323.1 (fig. 2); CO. 323.5 (figg. 3, 4). Ingrandimenti: (figg. la, 2) circa 7 x ; (figg. Ib, 3, 4) circa 30 x. Località: Il Fronte (lav. 202 II NO-Taranto). Età' TL': luano. Boll. Soc. Natiir. in Napoli, 197 De Castro-Coppa M. G. - Osservazioni su Pycnodonta hyotis, eco. Tav. Ili 4 Natiir. in Napoli, 1972. !oll. Soc. 4 TAVOLA IV Pycnodonta hyotis (Linneo) Fig. 1. — Valva inferiore vista alTinterno. Figg. 2a-b. — Valva inferiore. a : veduta interna ; b : veduta di profilo in corrispondenza del margine Fig. 3. — Valva inferiore, vista di profilo in corrispondenza del margine Fig. 4. — Valva superiore, vista di profilo in corrispondenza del margine Figg. 5a-b. — Valva superiore. a : veduta interna ; b ; veduta di profilo in corrispondenza del margine Esemplari: MZ. 455.64 (fig. 1); MZ. 455.1 (fig. 2); MZ. 455.11 (fig. 455.80 (fig. 4); MZ. 455.61 (fig. 5). Ingrandimento : grandezza naturale. Località: Il Fronte (tav. 202 II NO-Taranto). Età: Tirreniano, ventrale. ventrale. ventrale. ventrale. 3); MZ. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972. De Castro-Coppa M. G. - Osservazioni su Pycnodonta hyotis, ecc. Tav. IV 5a TAVOLA V Pycnodonta hyotis (Linneo) Figg. la-b. — Valva inferiore. a: veduta interna; b: veduta di profilo in corrispondenza del margine ventrale, Figg. 2a-b. — Valva superiore. a : veduta interna ; b : veduta di profilo in corrispondenza del margine ventrale, Figg. 3a-b. — Valva inferiore. a : veduta interna ; b : veduta di profilo in corrispondenza del margine ventrale. Figg. 4-6. — Valve superiori viste daH’interno. Esemplari: MZ. 455.62 (fig. 1); MZ. 455.55 (fig. 2); MZ. 455.60 (fig. 3); MZ. 455.48 (fig. 4); MZ. 455.59 (fig. 5); MZ. 455.24 (fig. 6). Ingrandimento : grandezza naturale. Località: Il Fronte (tav. 202 II NO-Taranto). Età : Tirreniano. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972. De Castho-Coi'I'a M. G. - Osservazioni su Pycnodontu hyotis, ecc. Tav. V TAVOLA VI Pycnodonta hyotis (Linneo) Figg. la-c. — Valva superiore. In b e in c si nota come le coste si prolungano distalmente in brevi spine cave di forma tubolare. a : veduta interna ; b : veduta esterna ; c ; veduta di profilo in corrispondenza del margine ventrale. Figg. 2a-c, 3a-c. — Valve inferiori. Nella fig. 2a è evidente l’andamento ricurvo dell’area cardinale. a : veduta interna ; b : veduta esterna ; c : veduta di profilo in corrispondenza del margine ventrale. Figg. 4a-b, 5a-b. — Valve superiori. In 4a e in 5a sono osservabili le pieghette vermicolari al margine dell’area cardinale. a ; veduta interna ; b : veduta di profilo in corrispondenza del margine ventrale Esemplari: MZ. 455.51 (fig. 1); MZ. 455.43 (fig. 2); MZ. 455.54 (fig. 3); MZ. 455.9 (fig. 4); MZ. 455.27 (fig. 5). Ingrandimento : grandezza naturale. Località: Il Fronte (tav. 202 II NO-Taranto). Età : Tirreniano. I Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972. De Gas iro-Coppa M. Pycnodonta hyotis, ec Osservazioni su Tav. VI TAVOLA VII Pycnodonta hyotis ( Linneo) Figg. la-c, 2a-c. — Valve superiori. In la e 2a sono evidenti le pieghette vermicolari al margine dell’area cardinale. a : veduta interna ; b : veduta esterna ; c : veduta di profilo in corrispondenza del margine ventrale. Fig. 3. — Porzione della zona marginale, perpendicolare alla superficie, di una valva inferiore, mostrante la struttura vacuolare. Figg. 4a-b. — Valva superiore. a : veduta interna ; b : veduta di profilo in corrispondenza del margine ventrale. Fig. 5a-c. — Valva inferiore. a : veduta interna ; b : veduta esterna ; c : veduta di profilo in corrispondenza del margine ventrale. Esemplari t MZ. 455.36 (fig. 1); MZ. 455.47 (fig. 2); MZ. 455.5 (fig. 3); MZ. 455.52 (fig. 4); MZ. 456.3 (fig. 5). Ingrandimenti I grandezza naturale ad eccezione della fig, 3 con ingrandimento di circa 10 X . Località: Il Fronte (tav. 202 II NO-Taranto) per gli esemplari MZ. 455.5, 36, 47, 52. Case d’Aiala (tav. 202 II NO-Taranto) per Fesemplare MZ. 456.3. Età : Tirreniano. Boll. Soc. Natuv. in Napoli, T)72. De Castro-Coppa M. G. - Osservazioni su Pycnodonta hyotis, eco. Tav. VII TAVOLA Vili Pycnodonta hyotis ( Linneo) Figg. la-c, 3a-c, 4. — Valve superiori. In la, 3a e 4 sono evidenti le pieghette vermicolari al margine dell’area cardinale. a : veduta interna ; b : veduta esterna ; c : veduta di profilo in corrispondenza del margine ventrale. Figg. 2a, c. — Valva inferiore. Nella figura 2a è osservabile l’andamento ricurvo del¬ l’area cardinale. a : veduta interna ; c : veduta di profilo in corrispondenza del margine ventrale Esemplarli MZ. 455.6 ( fig. 1); MZ. 455.41 (fig. 2); MZ. 455.7 (fig. 3); MZ. 455.2 (fig. 4). Ingrandimento i grandezza naturale. Località: Il Fronte (tav. 202 II NO-Taranto). Età : Tirreniano. Boll. .Soc. Natur. in Napoli, 1972. De Castro-Coppa M. G. Pycnodonta hyotis, ecc. Osservazioni su Tav. Vili Boll. Soc. Natur. in Napoli Voi. 81, 1972, pp. 225-300, 3 figg., 3 tahh., 2 tavv., 1 carta geologica. Studi dì geologìa lucana: Carta dei terreni della serie calcareo-silìco-marnosa e note illustrative Nota del socio PAOLO SCANDONE (Tornala del 28 aprile 1972) Riassunto Generalità. Questa nota, che accompagna la carta dei terreni lagonegresi (serie calcareo-silico- marnosa) nell’Appennino campano-lucano, si articola in tre parti : a) una prima parte in cui vengono riassunti i dati sulFanalisi delle facies e sulla stratigrafia della serie calcareo-silico-marnosa contenuti in ScaNdone 1967, con alcune aggiunte ; b) una seconda parte in cui vengono esaminate le strutture dei terreni lagone¬ gresi e i rapporti tra questi e i massicci calcarei dell’Appennino meridionale ; c) una terza parte in cui viene inquadrata la geologia dei terreni lagonegresi nel più generale contesto della geologia dell’Appennino meridionale, e viene suggerita una nuova ricostruzione dell’evoluzione tettonica delFAppennino campano-lucano. Analisi delle facies e stratigrafia. I terreni lagonegresi formano nelFAppennino campano-lucano un arco di pieghe asimmetrico, convesso verso oriente, lungo un centinaio di chilometri e largo una ven¬ tina. Lungo tutto quest’arco è stato possibile riconoscere un generale raddoppiamento della serie calcareo-silico-marnosa : i terreni appartenenti al fianco occidentale dell’ori¬ ginario bacino lagonegrese appaiono sovrascorsi su quelli della parte assiale del bacino stesso. L’entità della traslazione è non inferiore a 40 chilometri. Dei terreni appartenenti al fianco orientale non vi è traccia in affioramento. È possibile pertanto distinguere due unità lagonegresi : Vunità lagonegrese I o unità inferiore e Vunità lagonegrese II o unità superiore. Dal basso in alto la successione è la seguente (tab. 1); Unità lagonegrese I calcari con selce: calcilutiti grige con liste e noduli di selce. Spessore; circa 500 metri. Fossili: Halobia spp., Posidonomya spp., rare ammoniti, radiolari e spicole di spugna. Età : Trias superiore ; 15 226 — scisti silicei : argilliti silicee e radiolariti, con rarissime brecciole calcaree. Spessore : 70-80 metri. Fossili: radiolari e rari foraminiferi nelle brecciole. Età: Giurassico; galestri : alternanza di argilliti silicee e di calcilutiti più o meno silicifere, ric¬ che in ferro e manganese. Spessore: oltre 400 metri. Fossili: radiolari e rari fora¬ miniferi. Età : Cretacico inferiore. Unità lagonegrese IL Formazione di M. Facito : alternanza di argille, marne, siltiti e arenarie con occasionali livelli di calcareniti, brecciole e conglomerati poligenici (membro ter¬ rigeno). A più altezze sono intercalate lenti di calcari massicci (membro organoge¬ no). Spessore: circa 200 metri. Fossili: Spiriferina fragilis, Retzia sp., Daonella spp., rare ammoniti (membro terrigeno); alghe, coralli, molluschi, brachiopodi etc. (membro organogeno). Età: Trias medio; calcari con selce : calcilutiti, calcari dolomitici, dolomie e subordinatamente conglomerati intraformazionali con liste e noduli di selce. Spessore : variabile da 160 a 230 metri. Fossili: Halobia spp., Posidonomya spp., rare ammoniti, radiolari e spicole di spugna. Età: Trias superiore; scisti silicei : marne e argilliti silicee, radiolariti, con intercalazioni di calci- ruditi e di calcareniti gradate. Spessore: variabile da 185 a 240 metri. Fossili: radiolari e spicole di spugna. Nelle brecciole gradate Dictyoconus ( .^) cayeuxi, Pro- topeneroplis striata, N autiloculina oolitica, Trocholina spp. Età Giurassico; galestri : alternanza di argilliti, marne e calcilutiti più o meno silicifere, con in¬ tercalazioni di brecciole gradate. Spessore massimo : 200 metri. Fossili : radiolari, spicole di spugna e, nelle brecciole gradate, Protopeneroplis sp., Trocholina spp., rare calpionelle. Età : Cretacico inferiore. In entrambe le unità tettoniche i galestri rappresentano il termine più alto certamente appartenente ai terreni lagonegresi. Una probabile prosecuzione verso l’al¬ to della serie è da ricercarsi negli « scisti rossi di Pecorone » e nel « flysch rosso », rispettivamente per le unità lagonegresi I e IL Gli « scisti rossi di Pecorone » constano di una successione, potente alcune decine di metri, di argilliti silicee, selci, calcareniti a grana fine gradate. L’età è, almeno per la porzione medio-inferiore, cretacica superiore. La successione nel « flysch rosso » è la seguente dal basso in alto : a) selci policrome e argilliti silicee ; calcareniti e argille rosse e verdi, cal- ciruditi gradate. Spessore massimo; 100-150 metri. Fossili: radiolari e spicole di spugna, e, nelle brecciole calcaree, orbitoline, frammenti di rudiste, Globotruncana spp., Orbitoides media, Siderolites calcitrapoides. Età : Cretacico superiore b) calciruditi e calcareniti gradate, con intercalazioni di marne argillose rosse e verdi. Spessore massimo: un centinaio di metri. Fossili: nummuliti, alveo¬ line, discocicline etc. Età : Paleogene c) brecciole calcaree, argille e quarzoareniti. Spessore massimo : qualche de¬ cina di metri. Fossili: Miogypsina spp., Operculina sp., Amphistegina sp. Età; Miocene inferiore ( Aquitaniano-Burdigaliano). I caratteri delle singole formazioni sono monotoni neU’unità lagonegrese I, va¬ riabili nell’unità superiore. Sono state pertanto distinte nei calcari con selce e negli scisti silicei una facies Lagonegro-Sasso di Castalda (unità lagonegrese I) e una — 227 — facies Armizzone, una facies Pignola-Abriola e una facies S. Fete (unità lagonegre- se II). Dalla facies Lagonegro-Sasso di Castalda alla facies S. Fele si va da depositi molto distali del bacino a depositi via via più prossimali. Tettonica. Si è detto inizialmente che i terreni lagonegresi formano nell’ Appennino cam¬ pano-lucano un arco di pieghe asimmetrico, convesso verso oriente, lungo un cen¬ tinaio di chilometri e largo una ventina. Gli assi delle strutture hanno andamento NO-SE nella parte settentrionale dell’arco, N-S con tendenza alla direzione NNE-SSO in quella meridionale. Nell’alta valle dell’ Agri e nel Lagonegrese, zone di pronunciata culminazione assiale, è stato possibile riconoscere un completo « raddoppiamento » della serie. Nell’unità inferiore le strutture tettoniche sono in genere facilmente riconoscibili, e sono rappresentate da pieghe — per lo più brachianticlinali con asse maggiore lungo al massimo qualche chilometro — che spesso tendono a rovesciarsi verso oriente. Nell’unità superiore, invece, le strutture sono meno evidenti, anche se nell’assieme è possibile riconoscere uno stile a pieghe, come nell’unità inferiore. Questa minore evidenza è dovuta in parte alla minore plasticità dei materiali, in parte alla complicazione delle strutture gravitative da collasso le quali possono ta¬ lora conferire ai terreni un aspetto addirittura caotico. Entrambe le unità sono localmente fagliate, ma nel complesso le faglie rappresentano nei terreni lagonegre¬ si un elemento tettonico di second’ordine. Sui terreni dell’unità lagonegrese II sono sovrascorsi i massicci calcarei della piattaforma campano-lucana. Al Monte Alpi e nella finestra tettonica di Campagna, inoltre, è possibile riconoscere che le unità lagonegresi sono sovrascorse a loro volta sui massicci calcarei della piattaforma « esterna ». Dal punto di vista cinematico è possibile fissare questa successione di eventi ; 1) sovrascorrimento dei massicci della piattaforma campano-lucana sui ter¬ reni lagonegresi. Questi ultimi, al tempo stesso, si suddividono in due unità, la più interna delle quali (unità lagonegrese II) sovrascorre sulla più esterna. L’età di que¬ sti movimenti è burdigaliana ; 2) trasporto verso l’esterno delle unità lagonegresi, con conseguente accaval¬ lamento sulla piattaforma del M. Alpi (Tortoniano) ; 3) piegamento delle unità lagonegresi (Pliocene medio?); 4) formazione di faglie, per lo più subverticali, connesse con il sollevamento plio-pleistocenico ; 5) formazione di strutture gravitative di collasso, come risultato di fatti morfotettonici essenzialmente quaternari. Interpretazione generale. Nell’Appennino campano-lucano, come in ogni altra catena alpina, è possibile dividere le unità tettoniche in « interne » ed « esterne », a seconda della posizione dei relativi originari domini paleogeografici. Le sequenze delle varie unità affio¬ ranti nell’area studiata, sia interne che esterne, sono date nella tabella 3 fuori testo. Per le unità esterne la disposizione delle sequenze da destra verso sinistra — 228 — corrisponde all’originaria disposizione dei domini paleogeografìci dall’esterno verso Tinterno. Per le unità interne, invece, i dati a disposizione non sono sufficienti a tracciare un quadro palinspastico. Nella tavola 1 è presentata una interpretazione dell’evoluzione tettonica del- l’Appennino campano-lucano, limitatamente alle zone esterne, e quindi a partire dalla fase tettonica burdigaliana. Nel corso di questa fase le unità interne (flysch del Cilento ed argille varicolori) ricoprono e in parte scavalcano la piattaforma campano-lucana. La piattaforma stessa si rompe in due parti (unità dell’Alburno- Cervati e unità del M. Foraporta) che si accavallano Luna sull’altra, ed entrambe sovrascorrono sul fianco interno del bacino lagonegrese. Quest’ultimo a sua volta ricopre tettonicamente (unità lagonegrese II) la parte assiale del bacino (unità la¬ gonegrese I). Nel bacino che si individua ad est dei massicci calcarei, in parte corrispondente all’originario bacino lagonegrese, si depositano nel Burdigaliano-Tortoniano infe¬ riore i « flysch esterni ». Nel Tortoniano si verifica la seconda violenta fase orogenica: le unità lago- negresi, le unità carbonatiche, le coltri interne e i « flysch esterni » sono traspor¬ tati verso l’esterno e si sovrappongono alla piattaforma del Monte Alpi. In connes¬ sione con questa fase tettonica, inoltre, per frammentazione dell’unità Alburno-Cer- vati prende origine l’unità del M. Bulgheria. La terza ed ultima fase a prevalente componente orizzontale si verifica durante il Pliocene medio-superiore. A seguito di essa l’intera catena si accavalla sull’avam- paese pugliese. Il sollevamento isostatico plio-quaternario porta infine l’Appennino campano¬ lucano al suo assetto attuale. Abstract This note, which illustrates thè geological map of thè Lagonegro terrains (« se¬ rie calcareo-silico-marnosa ») in thè Campania-Lucania Apennines, is divided into three parts : a) facies analysis and stratigraphy of thè Lagonegro sequences ; b) tectonic structures of thè Lagonegro terrains, and their relationships with thè carbonate thrust sheets of thè Southern Apennines ; c) proposai of a new tectonic model of thè Campania-Lucania Apennines. F acies analysis and stratigraphy . The Lagonegro sequence outcrops tectonically « redoubled » in all thè Southern Apennines ; sequences belonging to thè axial part of thè originai basin are overthrust by sequences belonging to thè western (internai) flank of thè basin. Sequences re- ferring to thè eastern (external) flank of thè Lagonegro basin are unknown in thè Southern Apennines. In thè whole studied area it is possible, therefore, to distin- guish two Lagonegro units : thè Lagonegro unit I (lower unit) and thè Lagonegro unit II (upper unit). — 229 Lagonegro Unii I. The sequence consists o£ : «.calcari con selce y). Grey calcilutites with chert nodules and bands. Thickness : around 500 metres. Fossils: Halobia spp., Posidonomya spp,, rare ammonites, Ra- diolaria, spenge spicules. Age: Upper Triassic; (( scisti silicei ». Siliceous claystones and shales, radiolarites with very rare graded calcareous mlcrobreccias. Thickness: 70-80 metres. Fossils: Radiolaria and rare foraminifers in thè microbreccias. Age: Jurassic; « galestri yy. Black shales and siliceous calcilutites. Thickness: more than 400 metres. Fossils : Radiolaria and rare foraminifers. Age : Tower Cretaceous. Lagonegro Unit IL The sequence consists of: «Monte Facito Formationyy. Clays, marls, siltstones and sandstones ; occasio- nally calcarenites, microbreccias and polygenic conglomerates (terrigenous mem- ber). Lanses of massive limestones ( organogenie member) are interbedded in thè clastic sediments. Thickness : about 200 metres. Fossils : Spiriferina fragilis, Ret- zia sp., Daonella spp., rare ammonites (terrigenous member) ; algae, corals, pelecy- pods, brachiopods etc. (organogenie member), Age: Middle Triassic; «calcari con selce yy. Calcilutites; dolomitic limestones, dolomites ; subordina- tely intraformational conglomerates with chert nodules and bands. Thickness : va- rying from 160 to 230 metres. Fossils : Halobia spp., Posidonomya spp., rare am¬ monites, Radiolaria and sponge spicules. Age: Upper Triassic: « scisti silicei yy. Radiolarites, marls and siliceous claystones, with interbedded graded calcareous breccias and microbreccias, Thickness : varying from 185 to 240 metres. Fossils : Radiolaria and sponge spicules. In thè graded microbreccias Dict- yoconus (.^) cayeuxi, Protopeneroplis striata^ N autiloculina colitica, Trocholina spp. and other microfossils are present. Age: Jurassic; « galestri ». Claystones, shales, marls and calcilutites, with interbedded calca' reous microbreccias. Max. thickness: 200 metres. Fossils: Radiolaria and sponge spicules. Protopeneroplis sp., Trocholina sp., Tintinnidae and other microfossils are present in thè calcareous microbreccias. In both tectonic units thè « galestri » are thè higest formation which certainly belongs to thè Lagonegro terrains. The « scisti rossi di Pecorone » and thè « flysch rosso yy may represent thè probable prosecution of thè sequence. The « scisti rossi di Pecorone », which geometrically overlie thè Lagonegro unit I, consist of siliceous shales, cherts, fine-grained graded calcarenites. The thick¬ ness is some tens of metres. Only in thè middle-lower part of thè sequence some fossils bave been found, which indicate an Upper Cretaceous age. The « flysch rosso » is made up of : а) graded siliceous claystones and cherts ; graded calcirudites and calcare¬ nites intercalated with red and green clays. Max. thickness: 100-150 metres. Fos¬ sils : Radiolaria and sponge spicules. In thè calcarenites and calcirudites orbitolines, fragments of rudistids, Globotruncana spp., Orbitoides media, Siderolites calcitrapoi- des are present. Age: Upper Cretaceous; б) graded calcarenites and calcirudites intercalated with red and greenish marls. Max. thickness: around 100 metres. Fossils: macroforaminifers and other organisms. Age: Paleogene; — 230 — c) calcareous microbreccias, clays and quartzarenites. Max. thickness : some tens of metres. Fossils: Miogypsina sp., Operculina sp., Amphistegina sp. etc. Age ; Lower Miocene ( Aquitanian-Burdigalian). The characters of thè described formations are monotonous in thè lower unit, varying in thè upper one, mainly in thè « calcari con selce » and in thè « scisti silicei y). In these formations, therefore, a Lagonegro-Sasso di Castalda facies (Lago- negro unit I), an Armizzone facies, a Pi gitola- Abriola facies and a S. Fele facies (Lagonegro unit II) have been distinguished. These different facies denote d.fferent depositional environments, beeing thè terrains of thè Lagonegro-Sasso di Castalda facies very distai basinal deposits, and those of thè S. Fele facies rather proximal basinal deposits. Tectonics. The outcrops of thè Lagonegro terrains form in thè Campania-Lucania Apenni- nes an asymmetrical are, convex eastward, about 100 km long and 20 km wide. The fold axes trend NW-SE in thè northern part of thè are, N-S and NNE-SSW in thè southern part. In thè high Agri Valley and in thè Lagonegro region (hoth zones of axial culmination) it has been possible to recognize that thè Lagonegro sequence is tectonically redoubled. The tectonic structures are easy traceable in thè Lagonegro unit 1. They are folds — usually doubly plunging folds — with axes not longer than some km, often overturned eastward. In thè Lagonegro unit II, on thè contrary, thè structures are generally less evident even if it is possible to recognize a generai folding as in thè lower unit. Partly thè greater brittlenes of thè rocks, partly thè frequent collapse structures wich locally produce a chaotic aspect, are responsible for this smaller evidence. Faults are present in both units, but they are a second order element in thè Lagonegro terrains. The Lagonegro unit II is tectonically overlain by carbonate nappes belonging to thè Campania-Lucania Platform. At Monte Alpi, as well as in thè Campagna tectonic window, it is possible to recognize that thè Lagonegro units themselves overthrust carbonate units belonging to thè Monte Alpi Platform. We can fix, therefore, thè following kinematic events: а) thrust of thè carbonate nappes upon thè Lagonegro terrains, From thè latter, contemporaneously, two tectonic units originated : thè Lagonegro unit I and thè Lagonegro unit IL The Lagonegro unit II overthrust thè former. The age of these movements is Burdigalian ; б) orogenic transport of thè Lagonegro units toward thè external domains, and consequent overthrust upon thè Monte Alpi Platform. The age of these mo¬ vements is Tortonian; c) folding of thè Lagonegro terrains probably during thè Middle Pliocene ; d) faulting, in connection with thè Plio-Pleistocene uplift ; e) forming of gravity collapse structures, connected with thè Quaternary erosion. Outlines of thè Campania-Lucania Apennines. In Southern Italy three regions with different structural characters have been distinguished: thè Apulia, thè Bradano Valley and thè Apennines. — 231 — The Apulia is thè foreland of thè Apennine chain, and consists of a gently deformed shallow water carbonate sequence which represents thè sedìmentary cover of thè northern mar gin of thè African sode, The Bradano valley, called by thè Italian geologists Fossa Bradanica is thè foretrough of thè Apennines, and is filled by autochthonous Upper Pliocene and Pleistocene clastic sediments. The Apennines is a typical Alpine chain, made up of nappes which bave been thrust tens or hundreds kilometres far from their roots. In thè Apennines, as in each other chain, it is possible to divide thè tectonic units in « internai » and « external », with respect to their originai paleogeogra- phic belts. The sequences of all « internai » and « external » units are given in Table 3. In Piate 1 is proposed a model of thè tectonic evolution of thè external zones of thè Campania-Lucanic Apennines. The Middle Triassic taphrogenesis and thè Lower-Middle Liassic tectonic phase were responsible for thè paleogeographic ar¬ rangement, and there is no substantial change in thè paleogeographic belts and their relationships from thè Liassic till thè Paleogene. The first orogenic phase in thè external zones occurred during thè Lower Miocene ( Burdigalian). « Internai » units ( Cilento Flysch and « argille varicolo¬ ri ») overthrust and partially overrode thè Campania-Lucania Platform ; thè plat- form itself broke in two parts ( Alburno-Cervati unit and Foraporta unit) which thrust one upon thè other, and overthrust together thè internai flank of thè La- gonegro basin, The latter, finally, (Lagonegro unit II) tectonically covered thè axial part of thè basin (Lagonegro unit I), The total amount of thè shortening because of thè Burdigalian phase was approx. 150 kilometres. The second violent orogenic phase occurred during thè Upper Miocene (Tor- tonian). The Lagonegro units, thè carbonate thrust sheets and thè « internai » nappes together overthrust thè Monte Alpi Platform, transporting « piggy back » thè « external » flysch by which they were unconformably overlain. Probably in thè same tectonic phase thè Monte Alpi unit overthrust thè Mo¬ lise basin. At thè same time thè Bulgheria unit originated from thè breackage of thè Alburno-Cervati unit during thè generai horizontal motion. The total amount of thè shortening because of thè Tortonian phase was approx. 100 kilometres. The third and last orogenic phase occurred during thè Middle-Upper Pliocene, and produced a further displacement foreward (approx. 50 kilometres) of thè whole chain, already built by this time, upon thè Apulia foreland. With thè Upper Pliocene, and principally Pleistocene uplift, we bave thè Apen¬ nines in its present state. — 232 — Introduzione Nel 1967 fu dato alla stampa sul Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli un mio lavoro, dal titolo Studi di Geologia lucana i la serie calcareo-silico-marnosa e i suoi rapporti con V Appennino calcareo. nel quale intendevo fare il punto delle allora attuali conoscenze sulla serie calcareo-silico-marnosa, o « serie di Lagonegro », ovviamente inqua¬ drandone la geologia nel generale contesto della geologia dell’Appen- nino meridionale. I principali risultati raggiunti riguardanti strettamente la serie calcareo-silico-marnosa, consistevano : nelFaver individuato un « raddop¬ piamento » della serie su scala regionale ; nell’aver riconosciuto terreni più antichi dei calcari con liste e noduli di selce ad Halobia^ in prece¬ denza confusi con il flysch o con gli scisti silicei ; nell’aver individuato attraverso un’analisi petrogralica e sedimentologica differenti facies che permettono di collocare le varie sequenze della serie calcareo-silico- marnosa nella loro primitiva posizione nel bacino di sedimentazione, chiarendone le originarie reciproche relazioni. Avrebbe dovuto essere allegata al lavoro una carta geologica in scala 1:100.000, carta che ebbi modo di illustrare al momento della presentazione del lavoro (giugno 1967), ma che non fu poi stampata per mancanza di fondi. Dopo quattro anni, nel 1971, sembrò che si po¬ tesse finalmente procedere alla stampa, includendo la carta con le relative note illustrative nel volume in onore di F. Scarsella, pub¬ blicato sulle Memorie di questa Società. Nuove difficoltà economiche hanno determinato un ulteriore ritardo, superato mercé un generoso contributo del Banco di Napoli. La carta qui presentata non è dissimile da quella che era stata preparata nel 1967 ; l’unica modifica consiste nell’aver separato i ter¬ reni del M. Foraporta dai massicci calcarei silentino-lucani. Il M. Alpi, inoltre, già allora distinto dagli altri massicci calcarei come qualcosa di anomalo, ha trovato la sua sistemazione come elemento della piat¬ taforma carbonatica « esterna » (D’Argenio & Scandone 1970, Orto¬ lani & Torre 1971). È da tener presente, inoltre, che i terreni affioranti nell’area del foglio 211 S. Arcangelo furono rilevati sulle vecchie edi¬ zioni delle tavolette IGM. Il riporto sulla nuova edizione del 100.000, pertanto, è da considerare non privo di errori. La carta è, com’era nelle intenzioni, una carta tematica sulla — 233 — serie calcareo-silico-marnosa della quale illustra la stratigrafia, le facies, le strutture tettoniche e i rapporti con i massicci calcarei. Non sono fornite informazioni più ampie sulla geologia regionale, che possono essere trovate nei fogli Melfi, Potenza, Lauria e S. Arcangelo della Carta Geologica d’Italia con relative Note illustrative, e nella carta geologica allegata alla sintesi di Ogt^iben 1969. Nel testo che segue, ad ogni modo, saranno discussi i principali problemi geologici delFAp' pennino campano-lucano. Nelle Note illustrative dei fogli Potenza e Lauria (Scandone 1971) ho distinto i terreni ivi affioranti in quattro gruppi principali: A) terreni mesozoici e terziari precedenti la fase hurdigaliana ( 1) ( se¬ rie calcareo-silico-marnosa, serie carbonatica dei massicci silentino-lucani, del M. Bulgheria e dei monti di Trecchina, serie del M. Foraporta, serie del flysch del Cilento, terreni fliscioidi di posizione incerta) ; B) terreni miocenici successivi alla fase hurdigaliana (formazione di Gorgoglione, formazione di Stigliano e formazione di Serra Palazzo) ; C) terreni successivi alla fase tortoniana (conglomerati, sabbie e argille del Pliocene inferiore e medio) ; D) terreni successivi alla fase mediopliocenica. Nella carta dei terreni della serie calcareo-silico-marnosa non ho seguito, per le ragioni sopra esposte, queste divisioni. In essa sono state effettuate molte suddivisioni nei terreni della serie calcareo-silico-marnosa (caselle 2-13 della legenda), mentre sono stati riuniti in un unico gruppo i terreni dei massicci calcarei silentino-lucani ( unità delFAlburnO" Cervati, casella 15), quelli del M. Foraporta (casella 14) e quelli del M. Alpi (casella 1). Inoltre sono stati riuniti (casella 16) tutti i terreni del gruppo B) e i terreni a plastici » del gruppo A) ( flysch del Cilento e flysch metamorfico del Frido, terreni « sicilidi », flysch dei massicci silentino-lucani, terreni fliscioidi di posizione incerta). Nella trattazione dei vari argomenti si seguirà all’incirca lo schema usato in Scandone 1967, lavoro dal quale, quando necessario, si ripor¬ teranno interi brani. Nella prima parte saranno trattate la stratigrafia e le facies delle principali successioni tipo individuate nella serie calcareo- (1) Uso qui il termine Burdigaliano nello stesso senso in cui Pescatore, SgrO'SSo & Torre (1970) usano il termine Langhiano, caratterizzato dalla «esplo¬ sione di G. trilobus cui si accompagnano G. dehiscens nella parte bassa, G, bisphe- ricus e O. suturalis nella parte alta ». — 234 — silico-marnosa ; nella seconda parte si passerà aU’esame delle strutture tettoniche dei terreni della serie calcareo-silico-marnosa e dei loro rap¬ porti con i massicci calcarei ; nella terza parte, infine, saranno discusse le attuali concezioni sull’evoluzione tettonica e sulla struttura dell’Ap- pennino campano-lucano. Ringraziamenti Vorrei qui ringraziare tutti i colleghi dell’Istituto di Geologia deirUniversità di Napoli, in particolare G. Bonardi e L Sgrosso per le molte, preziose discussioni. Un vivo ringraziamento rivolgo al Prof. F. Ippolito, Direttore dell’Istituto di Geologia, per gli utili suggeri¬ menti datimi, per la lettura critica del manoscritto e per aver fatto di tutto perchè finalmente vedesse la luce la carta geologica allegata a questa Nota. Vorrei ringraziare infine il Banco di Napoli che ha generosamente sostenuto le spese di stampa delia Carta, rendendo possibile la pubbli¬ cazione di questo lavoro. Aggiornamento delle conoscenze Tra il 1967 e l’inizio del 1972 hanno visto la luce numerosi lavori sulla geologia lucana: ricordo sopratutto Boenzi & Ciaranfi 1970, Boenzi, Ciaranfi & Pieri 1968, Palmentola 1967, 1969, 1970, Centamore 1969, Centamore ed altri 1971, Chiocchini 1969, Pe¬ scatore 1970 per i flysch a esterni » ; Vezzani 1968, 1969, 1970, Cocco 1972, Cocco & Pescatore 1968 per i flysch ((interni»; Bousquet & Gueremy 1968, Bousquet & Grandjacquet 1969, D’Argenio & ScANDONE 1970, Ortolani & Torre 1971, per l’Appen- nino calcareo; De Castro Coppa ed altri 1969; Pescatore, Sgrosso & Torre 1970, Pescatore 1970 per i rapporti tra l’Appennino calcareo ed i flysch esterni. I risultati di questi lavori sono riassumibili in; o) riconoscimento nell’Appennino meridionale dell’esistenza, du¬ rante il Mesozoico e il Terziario inferiore, di due piattaforme carbona- tiche, separate da un bacino che con ogni probabilità corrisponde all’originario bacino di sedimentazione della serie calcareo-silico-marnosa. — 235 — La piattaforma più interna, o piattaforma campano-lucana, è rappre¬ sentata oggi nei massicci calcarei silentino-Iucani, nei monti Picentini e nelFAvella-Partenio ; la piattaforma esterna, o piattaforma abruzzese¬ campana, è rappresentata in Lucania, per quanto se ne sa attualmente, solo nel M. Alpi. Più a N, nell’ Appennino campano, essa affiora este¬ samente al Matese, al M. Maggiore, al Camposauro. Tra la piattaforma esterna e la piattaforma delle Murge dove¥a correre un altro solco la cui esistenza sarebbe provata dalle facies pelagiche del Molise (v. Pozzo Frosolone 1 in Pieri 1966). Non è escluso che tale solco verso S andasse chiudendosi, determinando al limite la saldatura della piattaforma esterna alle Murge; b) localizzazione dell’area di sedimentazione dei « flysch esterni » (formazione di Castelvetere e formazione di Gorgoglione, formazione di Stigliano o Flysch Numidico e formazione di Serra Palazzo, flysch della Daunia) tra la piattaforma interna, in questo intervallo di tempo in via di traslazione o già in parte traslata verso oriente a seguito della fase tettonica burdigaliana e serravalliana, e la piattaforma esterna ; c) a luoghi (foglio Melfi) sedimentazione del Flysch Numidico sul complesso delle argille varicolori (segnatamente sulla formazione di Corleto Perticara); d) riconoscimento di un wildflysch a blocchi calcarei nella parte più interna del bacino interposto tra le due piattaforme, connesso con la fase tettonica burdigaliana ; e) accavallamento delle due piattaforme e conseguente cc spre¬ mitura )) verso oriente dei « flysch esterni » durante la fase tettonica tortoniana. Quantunque alcuni dei lavori anzidetti abbiano importanza note¬ vole, nessuno di essi, tuttavia, propone uno schema generale, di carat¬ tere regionale. Una sintesi viene tentata da Ogniben 1969, il quale pubblica una ponderosa memoria sul confine calabro-lucano, donde si estende poi a macchia d’olio per abbracciare l’intera area mediterranea. In essa viene fatta un’ampia revisione critica dei lavori precedenti e viene proposto un nuovo schema interpretativo. Sullo schema, che porta contributi di grandissimo interesse, tornerò più tardi, nella III parte di questo lavoro. Per quanto concerne la bibliografia ragionata, è da dire che essa non è accettabile senza riserve, sopratutto per il tono generale adoperato e per Fatteggiamento « ex cathedra » verso i precedenti studiosi delFAppeonino, che vengono catalogati in « com¬ petenti » e non, quando addirittura non sono definiti « eterodossi ». — 236 — Per quanto concerne specificatamente la serie calcareo-silico-marnosa vedono la luce i lavori di Mattavelli & Novelli (1968), di Taddei Ruggiero (1968), di De Stasio (1971), di Brònniman, Durano Delga e Grandjacquet (1971), di Donzelli & Crescenti (1970). e sopratutto la fondamentale monografia di De Capoa Bonardi (1970). Mattavelli & Novelli esaminano dal punto di vista petrografico la sezione di S. Fele, e ne traggono importanti deduzioni per quanto riguarda l’ambiente di sedimentazione e la diagenesi. Su questo lavoro tornerò più tardi, trattando dell’ambiente di sedimentazione della serie calcareo-silico-marnosa. Taddei Ruggiero descrive la fauna a brachiopodi contenuta nelle argille della Pietra Maura, appartenenti alla formazione di M, Facito. De Stasio e Brònniman, Durano Delga & Grandjacquet separa¬ tamente segnalano e descrivono microfaune del Cretacico inferiore nel flysch galestrino. Donzelli & Crescenti segnalano nella parte bassa della forma¬ zione di M. Facito la presenza di una fauna del Permiano, probabil¬ mente rimaneggiata. De Capoa Bonardi descrive le halobie e le daonelle della serie calcareo-silico-marnosa, revisiona le faune di De Lorenzo e di Gemmel- LARO e finalmente mette ordine nella biostratigrafia del Trias pelagico lucano. Parte Prima STRATIGRAFIA 1. PREMESSA I terreni della serie calcareo-silico-marnosa formano nell’ Appennino campano-lucano un arco di pieghe asimmetrico, convesso verso oriente, lungo un centinaio di chilometri e largo una ventina, avente andamento appenninico nella parte settentrionale, meridiano con tendenza alla dire¬ zione NNE-SSO in quella meridionale. Nell’alta valle dell’Agri e nel Lagonegrese gli assi delle strutture hanno due zone di pronunziata culminazione, ed affiorano quindi i termini geometricamente più bassi. In queste due aree è stato possibile riconoscere che la serie calcareo- silico-marnosa si presenta regionalmente raddoppiata. L’analisi delle facies nell’unità superiore ed in quella inferiore ha mostrato che i — 237 — terreni appartenenti al fianco interno, occidentale, dell’originario bacino di sedimentazione, hanno ricoperto quelli appartenenti alla zona assiale. L’entità della traslazione non è inferiore a 49 chilometri. Dei terreni appartenenti al fianco orientale del bacino non v’è traccia in affioramento. Dall’alto verso il basso la successione dei terreni riconosciuti è la seguente (tabella 1): TABELLA 1 Età Unità Lagonegrese II Unità Lagonegrese I galestri : marne e argilliti, più o meno silicifere, rare brecciole calcaree gradate galestri : argilliti e calcilutiti molto silicifere, rarissime calcareniti gradate Cretacico inferiore Fossili : radiolari, spicole di spugna, Protopeneroplis sp., Trocholina spp., calpionelle Fossili : radiolari, spicole di spugna, foraminiferi arena¬ cei banali Giurassico scisti silicei t radiolariti con intercalazioni di brecciole gradate, silicizzate e non, argilliti silicee, brecciole gra¬ date parzialmente dolomi- tizzate scisti silicei : radiolariti ed argilliti silicee con rarissi¬ me brecciole calcaree gra¬ date Fossili : radiolari, spicole di spugna, Protopeneroplis striata, N autiloculina ooli- tica, Trocholina spp., Dic- tyoconus (?) cayeuxi Fossili : radiolari, spicole di spugna, foraminiferi are¬ nacei Trias superiore calcari con selce i calcilutiti, calcareniti, conglomerati in- traformazionali e dolomie con liste e noduli di selce Fossili : Halobia spp., Posi- donomya spp., rare ammo¬ niti, radiolari e spicole di spugna calcari con selce i calcilutiti con liste e noduli di selce Fossili: Halobia spp., Posi- donomya spp., rare ammo¬ niti, radiolari e spicole di spugna formazione di M. Tacito : ar¬ gille, marne, siltiti ed are¬ narie, con intercalazioni di calcari massicci Trias medio Fossili : Spiri ferina fragilis, Daonella spp., rare ammo¬ niti nelle argille ; mollu¬ schi, coralli, alghe etc. nei calcari massicci — 23a — Unità Lagonegrese li 7) galestri: alternanza di marne e argilliti grige e biancastre e di calcilutiti più o meno silicifere, con strati di brecciole calcaree gradate. Spessore massimo: 200 metri. Fossili: radiolari e spicole di spugna e, nelle brecciole, Protopeneroplis sp., Trocholina spp., rare calpionelle. Età: CRETACICO inferiore. 6) scisti silicei : argilliti, marne più o meno silicifere, radiolariti rosse e verdi e brecciole calcaree gradate. Spessore: 185-250 metri. Fossili: radiolari e spicole di spugna e, nelle brecciole, Protopeneroplis striata, N autiloculina oolitica, Trocholina spp., Dictyoconus ( .^) cayeuxi. Età: GIURASSICO. 5) calcari con selce : calcilutiti e calcareniti, conglomerati intra- formazionali e dolomie con liste e noduli di selce. Spessore: 160-230 metri. Fossili: Halohia spp., Posidonomya spp., rare ammoniti, radio- lari e spicole di spugna. Età : TRIAS superiore. 4) Formazione di Monte Facito : argille, marne, siltiti e arenarie (membro terrigeno), con intercalazioni lenticolari di calcari massicci (membro organogeno). Spessore: 200 metri circa. Fossili: Daonella spp., brachiopodi, rare ammoniti e numerosi altri molluschi, alghe. Età : TRIAS medio. Unità Lagonegrese I 3) galestri: alternanza di argilliti silicee grigio piombo e di cal¬ cilutiti più o meno silicifere, ricche in ferro e manganese. Spessore massimo: oltre 400 metri. Fossili: rari foraminiferi arenacei banali e radiolari. Età : CRETACICO inferiore, per posizione stratigrafica. 2) scisti silicei : argilliti silicee e radiolariti policrome, rarissime brecciole calcaree. Spessore: 70-89 metri. Fossili: radiolari e rari fora¬ miniferi nelle brecciole calcaree. Età GIURASSICO. 1) calcari con selce : calcilutiti grige con liste e noduli di selce. Spessore: 500 metri circa. Fossili: Halobia spp., Posidonomya spp., rare ammoniti, radiolari e spicole di spugna. Età : TRIAS superiore. I caratteri delle singole formazioni sono monotoni nell’unità lago¬ negrese inferiore, variabili in quella superiore. Sono state pertanto distinte nei calcari con selce e negli scisti silicei una facies S. Fele, una facies Pignola-Ahriola, una facies Armizzone (unità lagonegrese II), e una facies Lagonegro-Sasso di Castalda (unità lagonegrese I). Riporto qui da Scandone 1967 i caratteri delle facies distinte. — 239 — I terreni della facies Lagonegro-Sasso di Castalda hanno caratteri di depositi distali di bacino. La formazione dei calcari con liste e noduli di selce è costituita interamente da calcilutiti selcifere ben stratificate, con interstrati e livelli di argilliti. Lo spessore è di circa 500 metri. La formazione degli scisti silicei è costituita da diaspri radiolaritici e in misura minore da marne e argilliti estremamente silicifere ; lo spessore varia da un minimo di 60-70 metri (Lagonegro) ad un massimo di 80-90 metri (Sasso di Castalda). Gli scisti silicei rappresentano una serie comprensiva di quasi tutto il Lias e il Giura, caratterizzata da una lentissima velocità di sedimentazione in ambiente profondo. La facies S. Fele ha caratteri prossimali. La formazione dei calcari con liste e noduli di selce è rappresentata da dolomie stratificate con selce e subordinatamente da brecce dolomitiche intraformazionali, con selce in frammenti angolosi; lo spessore affiorante è di circa 200 metri a M. Pierno. Gli scisti silicei sono costituiti da radiolariti, marne e argilliti silicifere con numerosi livelli di caleiruditi e calcareniti gradate aventi il significato di « brecce di fianco » di geosinclinale ; lo spessore è di oltre 200 metri. La facies Pignola- Abriola ha caratteri meno decisamente prossimali. La formazione dei calcari con liste e noduli di selce è costituita da calcilutiti e calcisiltiti grige, dolomie biancastre ben stratificate con liste e noduli di selce, e subordinatamente da brecce dolomitiche con selce in frammenti angolosi; lo spessore è di circa 230 metri. Gli seisti silicei sono costituiti da radiolariti nella parte alta, e da radiolariti, marne e argilliti silicifere nella parte bassa. Sono frequenti le brecciole gradate, ma in quantità minore che a S. Fele. Lo spessore è di circa 240 metri. La facies Armizzone ha caratteri intermedi tra quelli della facies Pignola- Abriola e quelli della facies Lagonegro-Sasso di Castalda. I calcari con selce sono costituiti da calcilutiti grige selcifere, ben stra¬ tificate e da conglomerati intraformazionali. Negli affioramenti più set¬ tentrionali compaiono calcari dolomitici e dolomie che preludono alla facies Pignola- Abriola. Lo spessore varia da un minimo di 165 metri all’ Armizzone, a circa 250 metri nell’alta valle dell’ Agri. Gli scisti silicei hanno caratteri abbastanza simili a quelli della facies Pignola- Abriola, ma le brecciole gradate sono presenti in misura di gran lunga minore. Lo spessore è di 150-200 metri. La facies Pignola-Abriola fa passaggio verso N (Vietri di Potenza) alla facies S. Fele e verso S (alta valle dell’ Agri) alla facies Armizzone. Per i calcari con liste e noduli di selce questo passaggio consiste, spostandosi da N a S, in una progressiva riduzione dello spessore della — 240 — formazione e della frequenza dei termini dolomitici, mentre compaiono, e sono abbondanti soprattutto nella parte alta dei calcari con selce della facies Armizzone^ termini conglomeratici (conglomerati intrafor- mazionali). Per gli scisti silicei il passaggio graduale consiste, sempre spo¬ standosi da N a S, in una progressiva riduzione delle brecciole gradate ed in un progressivo aumento della frequenza dei termini diasprigni su quelli argillitici. La facies Lagone gro-Sasso di Castalda affiora estesamente nel La- gonegrese (Serra dell’Alto - M. Milego, Gianni Griecu - M. Castagnereto, gruppo del M. Sirino) e nell’alta valle dell’ Agri (gruppo del M. Vultu- rino), in finestra tettonica sotto i terreni delle facies Pignola-Abriola ed Armizzone. Questi, assieme alla facies S. Fele, occupavano origina¬ riamente una parte prossimale, occidentale, dell’originario bacino ; la facies Lagonegro-Sasso di Castalda occupava invece la parte assiale. La formazione di M, Facito costituisce il letto dei calcari con liste e noduli di selce delle facies Pignola-Abriola ed Armizzone. Nella facies S. Fele e nella facies Lagonegro-Sasso di Castalda la base dei calcari con liste e noduli di selce non affiora. Le distinzioni suddette possono essere operate agevolmente sul terreno, e sono state pertanto figurate nella carta geologica qui presentata. Nella figura 1 è riportata a grandi linee la distribuzione delle varie facies distinte. Nei galestri l’unica differenziazione operata, possibile, ma tutt’altro che semplice, è tra i galestri dell’unità superiore e quelli dell’unità inferiore. La differenziazione è basata essenzialmente sulla maggiore quantità di marne e di brecciole calcaree nei galestri dell’unità supe¬ riore e sulle facies più spiccatamente di « black shales » sviluppate in tutta la sequenza dei galestri deH’unità inferiore. Nella descrizione che segue sarà esaminata prima l’unità lagone- grese superiore, quindi quella inferiore, analizzando via via le sequenze tipo delle varie facies descritte, dal basso verso l’alto in ciascuna sequenza. Fig. 1. — Principali affioramenti dei terreni lagonegresi nell’Appennino campano¬ lucano. Distribuzione delle facies. 16 — 242 — 1.1. Unità lagonegrese 11 1.1.1. Formazione di M. Facito Affiora estesamente in tutta l’area di affioramento della serie calcareo-silico-marnosa, con le migliori esposizioni nel Lagonegrese a N del M. Sirino e tra l’alta valle dell’ Agri e il gruppo del M. Arioso. Al M. Facito (Tav. 199 - II NO Marsico Nuovo) affiora in migliore esposizione la sezione più lunga nota. Riporto la descrizione del profilo da Scandone 1967, con le ag¬ giunte apportate in Scandone 1971, dal basso in alto: 1) marne e marne argillose più o meno scagliose grige ; argille e argille siltose giallastre, alternate nella parte alta ad arenarie quarzoso- micacee a grana fine o finissima, ricche di frustoli carboniosi, in strati di 20-30 cm (50 metri). Nel versante meridionale ed occidentale del M. Facito sulle facce di strato delle arenarie si notano magnifiche, regolari increspature di fondo (ripple marks) da onda. Nel versante nord-occidentale del rilievo in questione le ripple marks da onda sono sostituite, nello stesso livello, da ripple marks da corrente. Le argille, di colore giallastro, prevalgono quantitativamente sugli altri litotipi. Alla Pietra Maura sono ricchissime di brachiopodi, in ottimo stato di conservazione. Le forme presenti (Taddei Ruggiero 1968) sono: Anisactinella maurensis n. sp,, Pentactinella scandonei n. sp.. Spiriferina fragilis, Retzia cfr. schwageri, Retzia sp.. Oltre ai brachiopodi si raccolgono piccoli coralli individuali, articoli di crinoidi, rari gusci di Daonella ( ?), frammenti di pettinidi costati. Nelle arenarie intercalate ho rinvenuto un solo esemplare ben conservato di Pecten discites. L’età è anisica. 2) alternanza di siltiti e arenarie a grana fine rosse e verdi, marne e arginiti rosso vinaccia e verdognole, brecciole, conglomerati poligenici in strati e banchi, calcareniti e calcareniti colitiche grige (120 metri). Le siltiti e le arenarie a grana fine presentano frequentemente fogliettatura obliqua e parallela, subordinatamente convoluta. Alla base degli strati sono frequenti i calchi di docce di erosione {finte casts). In misura molto limitata si possono trovare anche strati silicei di 5-15 centimetri di spessore, che simulano diaspri. Si tratta, invece, di siltiti completamente silicizzate, ma che ancora conservano la fogliettatura 243 — obliqua o parallela e talvolta, sulla faccia inferiore dello strato, calchi di docce di erosione. I conglomerati, in strati e banchi lentiformi, sono sempre polige¬ nici, con clasti delle dimensioni variabili dal centimetro ad una ventina di centimetri di diametro. Nei clasti sono rappresentati tutti i litotipi della formazione, vale a dire siltiti, arenarie, calcareniti, calcareniti ooli- tiche, etc.. La forma è variabile, da spigolosa a subsferica, a piastrella. Anche il modo di accumulo è probabilmente vario : in alcuni casi sembra si tratti di conglomerati da spiaggia, da mettere in relazione a locali emersioni ; altrove, invece, sembra si tratti di accumuli da frane, con accenni anche di sedimentazione gradata. Le brecciole sono poligeniche, a cemento calcareo e a matrice ar- gilloso-siltosa. In alcuni luoghi, come lungo la mulattiera che da Marsico Nuovo conduce alla Pietra Maura, si vede chiaramente che riempiono canali di erosione profondi sino a 70-80 centimetri, larghi due o tre metri, e sono perfettamente gradate. Le calcareniti e le calcareniti colitiche, che presentano sempre fogliettatura parallela e più spesso obliqua, sono frequenti soprattutto in vicinanza dei calcari massicci. Verso la metà dell’intervallo è presente un livello di argille e argille siltose rosse con Daonella taramellii^ D. udvariensis, D. boecki^ D. cfr. badiotica. D. cfr. tyrolensis, di età ladinica inferiore. 3) alternanza di marne, siltiti e argilliti verdi e vinaccia (m. 10). 4) argille e marne argillose fogliettate rosse, in misura molto minore verdi, con rarissimi strati intercalati di calcilutiti rosate e rosso mattone (m. 4 circa). Questo livello è ricchissimo di Posidonomya sp. e di Daonella lommeli, e contiene anche rare ammoniti. 5) alternanza di strati e straterelli di calcisiltiti, calcilutiti silicifere, marne e argilliti rosse e verdastre (6-7 metri). Con gradualità si passa quindi ai calcari con liste e noduli di selce. I calcari massicci (membro organogeno) si estendono verticalmente in masse lenticolari dal livello 1 al livello 3 del membro terrigeno ; al di sopra del livello 3 scompaiono, probabilmente per l’aumentata profon¬ dità del fondo. Si tratta di piccole scogliere isolate, del tipo delle patch reefs, con diametro di base generalmente non superiore ad alcune cen¬ tinaia di metri, ma spesso addirittura dell’ordine delle decine di metri. Nell’alta valle dell’Agri in numerose località sono stati accertati i rap¬ porti stratigrafici tra scogliere e sedimenti terrigeni. Localmente, come alla Tempa del Lupo (Tav. 199-11 NO Marsico Nuovo) sono ben conservate anche le originarie scarpate di scogliera, — 244 — con al piede le relative brecce. Abbastanza frequentemente, inoltre, si rinvengono blocchi franati dalle scogliere e inglobati stratigraficamente nei depositi terrigeni. Nel Lagonegrese, invece, non si può escludere che le scogliere non siano in relazioni primarie con i depositi clastici che le accompagnano, ma rappresentino olistoliti franati nel bacino durante la deposizione terrigena. Sia nell’alta valle dell’ Agri, ad ogni modo, che nel Lagonegrese, non c’è discordanza di età, in base ai reperti fossili, tra le scogliere e i depositi che le inglobano. 1.1.2. Calcari con selce {facies S. Fele) La successione è costituita da una monotona sequenza di dolomie biancastre, ben stratificate, con liste e noduli di selce. Localmente è possibile riconoscere conglomerati intraformazionali completamente do- lomitizzati, con frammenti angolosi di selce. In nessun posto è visibile il passaggio tra la formazione di M. Facito e i calcari con selce della facies S. Fele, e pertanto lo spessore massimo osservato, di circa 200 metri, è solo parziale perchè manca la base della formazione. Il passaggio in alto agli scisti silicei è invece molto ben esposto presso l’abitato di S. Fele, nelle gole del T. Bradano, ed è costituito da un’alternanza di strati e straterelli dolomitici e di straterelli di marne dolomitizzate e in parte silicizzate, dello spessore di circa 7 metri. Non sono stati rinvenuti fossili e l’età triassica superiore è ricavata da correlazioni con i calcari con selce di facies Pignola-Abriola ai quali quelli di facies S. Fele fanno passaggio laterale. 1.1.3. Calcari con selce {facies Pignola-Abriola) La sezione tipo dei calcari con selce della facies Pignola-Abriola, da ScANDONE 1967, è la seguente dal basso: 1) calcilutiti e calcilutiti silicifere nodulari e lastroidi, con inter¬ calazioni di arginiti verdi e vinaccia (m. 4). Questo livello costituisce il termine di passaggio tra la formazione di M. Facito e i calcari con liste e noduli di selce, ed affiora in cattiva esposizione nella sezione tipo ; 2) calcilutiti grige in strati e straterelli, con intercalati livelli di calcari lastroidi e nodulari, con rare liste di selce (m. 5,40). Alla base è presente uno strato dolomitico giallo. Nella parte alta del pacco, in uno strato calcareo di 15-20 centimetri di spessore sono contenuti numerosi gusci di Halobia cassiana ; — 245 — 3) calcilutiti e calcisiltiti con fogliettatura parallela, più ricche di selce delle precedenti, con sottili interstrati argillosi verdi (m. 11). Si rinvengono in tutto Fintervallo numerosi gusci di Posidonomra sp. ; 4) calcilutiti e calcisiltiti simili alle precedenti, senza intercala¬ zioni argillose (m. 3); 5) fitta alternanza di strati e straterelli calcarei e di letti di selce, con sottilissimi interstrati di argille verdi (m. 7); 6) calcilutiti e calcisiltiti con fogliettatura parallela, con liste e noduli di selce, contenenti interstrati argillosi verdognoli più frequenti nella parte alta (m. 47). Lo spessore medio degli strati varia da 10 a 35 centimetri. Nella parte media del pacco la stratificazione è meno regolare. Nella parte alta (da 5 a 10 metri sotto il livello successivo) sono presenti dolomie gialle e calcilutiti grigio-giallastre ricchissime di Posidonomya sp. senza alcun orientamento dei gusci e calcari costi¬ tuiti esclusivamente da accumuli di gusci di posidonomye perfettamente orientati. A quest^altezza stratigrafica si rinvengono ammoniti ind. ; 7) calcilutiti grige con selce presentanti sulle vecchie superfici una tinta leggermente rosata, in strati di 10-15 centimetri di spessore, con¬ tenenti numerosi gusci di Halobia austriaca (m. 1); 8) arginiti e marne verdi con Halobia superba, con intercalati alcuni straterelli di tufiti (m. 5,30); 9) calcilutiti grige ben stratificate con liste e noduli di selce, ric¬ chissime di Posidonomya sp., contenenti rari gusci di Halobia cfr. mojsisovicsi (m. 8). I calcari del livello 7 e delFintervallo 9 sono riconosciuti come livello fossilifero da Ricchetti (1961). Luperto (1964) ha identificato questo livello con quello ad Halobia sicula ( = norica) del Lagonegrese, ponendo H. sicula Gemm. in sinonimia con H. styriaca Mojs. Su questo argomento si guardi De Capoa Bonardi 1970; 10) alternanza di calcari e dolomie con liste e noduli di selce, con passaggi verticali e laterali dalFuno alFaltro litotipo (m. 15); 11) calcilutiti grige in strati di 5-35 cm. di spessore, con rare liste, letti e rarissimi noduli di selce bianca (m. 17). Negli ultimi sei metri della sezione esaminata gli strati calcarei passano lateralmente a strati dolomitici. Il passaggio tra un tipo lito¬ logico e Faltro è graduale anche se avviene in breve spazio (10-15 cm. al massimo). Negli ultimi strati non dolomitizzati si rinvengono rari gusci di Posidonomya sp. e di Halobia sp, ; — 246 — 12) dolomie con liste e noduli di selce, in strati di 10-40 centi- metri di spessore, con qualche interstrato di marne argillose verdo¬ gnole (m. 21); 13) banco di breccia dolomitica intraformazionale, con selce bianca in noduli e più frequentemente in frammenti angolosi (m. 4); 14) dolomie grigio chiare, ben stratificate, con liste e noduli di selce bianca (m. 25); 15) dolomie mal stratificate con liste e noduli di selce, e brecce dolomitiche simili a quelle del livello 13) (m. 15). Gli spessori di questo intervallo e del precedente sono approssi¬ mativi per la cattiva esposizione del profilo ; 16) alternanza di dolomie stratificate, straterellate e lastroidi con liste e noduli di selce grigia e bianca, e di argilliti, marne e marne dolomitizzate verdastre e subordinatamente rosso vinate (m. 25); 17) alternanza di calcilutiti grige con selce, calcari sil’ciferi la¬ stroidi, letti di selce, marne e argilliti verdi e nere (m. 7,60); 18) calcari e calcari siliciferi (sempre più siliciferi procedendo verso l’alto) con liste e noduli di selce prevalentemente nera, con nter- calazioni di marne e argilliti verdastre (m, 5,40). Segue un banco di brecciola, di facile identificazione, che è stato scelto quale limite superiore della formazione dei calcari con liste c noduli di selce nella sezione tipo della facies Pignola- Ahriola. Lo spessore complessivo della sezione è di circa 230 metri. 1 fossili rappresentativi, costituiti da varie specie di Halobia^ indicano un’età carnica per la metà inferiore della formazione ; è probabile che la metà superiore, per correlazione con la sezione tipo della facies Lagonegro-Sasso di Castalda, appartenga al Nerico e probabilmente al Retico. 1.1.4. Calcari con selce (facies Armizzone) Da ScANDONE 1967 e 1971 nella sezione tipo rilevata nella lo¬ calità omonima si succedono dal basso in alto : 1) calcilutiti grige ben stratificate con sottili intercalazioni di marne e argilliti rosse e verdognole (m. 18). Alla base sono presenti alcuni strati di calcari dolomitici rossastri. I primi strati calcarei contengono Halohia styriaca e Halohia cassiana. Le halobie non si presentano in ammasso, ma sono più o meno sparse nella roccia e la loro estrazione — 247 — è alquanto difficoltosa. In tutto il pacco si rinvengono gusci di Posi- donomya sp. 2) calcilutiti grige con selce in strati di 10-15 cm. di spessore, contenenti rari gusci di Halohia austriaca (m. 1); 3) marne e argilliti verdi molto silicifere, un po’ siltose, conte¬ nenti Halobia superba (m. 1,50); 4) calcari grigi ben stratifieati eon liste e noduli di selce, con rari livelli di conglomerati intraformazionali (m. 120); 5) calcari grigio chiari ben stratificati con liste e noduli di selce e subordinatamente conglomerati intraformazionali, con intercalati li¬ velli di argilliti durissime giallastre, aventi singolarmente uno spessore massimo di circa due metri (m. 15); 6) alternanza di argilliti e di diaspri verdognoli e giallastri, con rari strati di calcilutiti e calcisiltiti con liste e noduli di selce, (m. 4). Questo livello costituisce il termine di passaggio ai soprastanti scisti silicei. Lo spessore complessivo della sezione è di 160 metri. L’età dei calcari con selce è la stessa di quelli della facies Pignola- Abriola. 1.1.5. Scisti silicei (facies S. Fele) Da ScANDONE 1967 e 1971 la successione tipo degli scisti silicei della facies S. Fele è la seguente, dal basso verso l’alto : 1) selci straterellate grige, con uno strato intercalato di brecciola gradata completamente silicizzata (m. 2); 2) brecce gradate con liste e noduli di selce, dolomitizzate ed in parte silicizzate, in strati da 20 cm. al metro o poco più, con interca¬ lazioni di selci straterellate grige e verdognole eon qualehe sottile interstrato di argilliti verdastre (m. 17). Le brecce sono costituite da elasti calcarei e subordinatamente silicei, di dimensioni variabili da qualche mm. a 5-6 cm. Anche nella selce la tessitura ruditica è perfettamente conservata. Procedendo verso l’alto si osserva una progressiva riduzione delle intercalazioni silicee. Alla base degli strati torbiditici sono abbastanza frequenti le defor¬ mazioni da carico. Nella parte bassa del terzo baneo torbiditico sono contenuti numerosi macrofossili silicizzati, per lo più in frammenti e indeterminabili. Sono riconoscibili radioli e piastre di echinidi, lamelli- branchi, brachiopodi ( Pygope sp.), coralli ; 3) brecce e breceiole poligeniche eon elasti calcarei e subordina- — 248 — tamente silicei in strati e banchi di spessore variabile da 60-70 em. ad un massimo di 4 m., perfettamente gradate (m. 21). Alla base di alcuni banchi sono presenti calehi di docce di erosione che indicano direzione e senso della eorrente WNW-ESE. In alcuni banchi è pos¬ sibile rieonoseere un accenno di fogliettatura obliqua e parallela. Fre¬ quentemente la parte superiore dei banchi gradati è costituita da grosse liste di selce metasomatica ; talora invece è eostituita da una marna arenaceo-siltosa verdognola, mal cementata, contenente ciottolini calearei con elevato indice di arrotondamento, immersi nella matriee non a contatto tra loro. Il diametro di questi ciottolini raggiunge un valore di 3-4 cm., solo eccezionalmente di IO cm. In sezione sottile le brecciole appaiono ricche di ooliti. La matrice è quasi sempre rieristallizzata, e la ricristallizzazione spesso interessa anche i clasti. In alcuni clasti si riconoscono intramicriti con Aeoli- saccus dunningtoni e ammodiscidi (in prevalenza Glomospira sp.). Nel¬ la matrice si rinvengono numerosi esemplari di Dictyoconus ( ?) cayeuxi, N autiloculina oolitica, foraminiferi arenacei ind., radioli di echinidi, numerosi frammenti di alghe tipo Cayeuxia. Dictyoconus ( ?) cayeuxi do¬ vrebbe marcare il passaggio Aaleniano-Baiociano ; 4) marne, marne silicifere ed argilliti silicifere grigio piombo e verdastre, straterellate, con qualche sottile livello di hrecciola silieizzata e con un banco torbiditico intercalato di m. 1,40 di spessore (metri 4,75); 5) breeciole ealcaree gradate con liste e noduli di selce, in strati grossolani (m. 9,40). In sezione sottile anche queste hrecciole appaiono ricche di ooliti. La matrice è quasi totalmente ricristallizzata. Sono presenti Dictyoconus (?) cayeuxi, Protopeneroplis striata, foraminiferi arenacei ind., radioli di echinidi, frammenti di alghe tipo Cayeuxia; 6) diaspri rossastri e grigi (m. 1,30); 7) breceiole ealcaree gradate eon liste e noduli di selce metaso¬ matica, (m. 3); 8) diaspri grigio- verdognoli con rari livelli di qualche decimetro di spessore di brecciole silicizzate (m. 10); 9) brecciole ealearee in strati e banchi, a grana più fine delle torbiditi ealearee precedentemente descritte, e più ricehe di selce (m. 33). La mierofauna signifieativa è costituita da Protopeneroplis striata, N autiloculina colitica, Trocholina spp.; — 249 — 10) diaspri verdognoli e grigio piombo, rosso ruggine sulle vecchie superfici, con sottili livelli intercalati di brecciole silicizzate (m. 15); 11) alternanza di diaspri verdognoli e torbiditi calcaree con grosse liste di selce metasomatica (m. 15,50); 12) diaspri verdognoli e rossastri con rari strati e banchi di tor¬ biditi calcaree intercalate. Alla base delle torbiditi sono presenti calchi di docce di erosione che indicano direzione e senso della corrente NO-SE (m. 55); 13) diaspri prevalentemente rossastri con intercalati strati di brec¬ ciole gradate, per lo più silicizzate (m. 15). In questo intervallo si riconoscono fenomeni di slumping. Gradualmente, ma in pochi metri, per aumento del materiale argilloso e calcareo, si passa ai galestri. Contemporaneamente aumenta il contenuto in ferro e manganese. La base dei galestri si presenta tipicamente come un’alternanza di selci, arginiti brune e nerastre, calcilutiti più o meno silicifere, spesso tra¬ sformate in carbonato di ferro e manganese, rare brecciole calcaree. Lo spessore complessivo della sezione è di circa 240 metri ; l’età è giurassica. 1.1.6. Scisti silicei (facies Pignola- Abriola) Da ScANDONE 1967 e 1971, la sezione tipo degli scisti silicei della facies Pignola-Abriola è la seguente dal basso: 1) banco di brecciola calcarea gradata (m. 1,20). 1 clasti, per lo più completamente ricristallizzati, sono immersi in matrice micritica grigia, con contenuto argilloso crescente spostandosi verso l’alto del banco. In sezione sottile si riconoscono solo rare miliolidi ; 2) alternanza di marne grige, giallastre e verdognole, calcari mar¬ nosi biancastri e grigi, diaspri rosso-bruni con patine di manga¬ nese (m. 40); 3) alternanza di argilliti verdi e in misura minore rosse, e di marne grigio-biancastre (m. 12); 4) alternanza di argilliti, marne e calcari marnosi rossi e subor¬ dinatamente grigio-verdognoli in strati e banchi (m. 18); 5) alternanza di argilliti silicifere e diaspri scagliettati rossi e su¬ bordinatamente verdognoli (m. 20); 6) alternanza di marne rosse e di calcareniti a grana molto fine, spesso visibilmente gradate (m. 15); — 250 — 7) diaspri più o meno scagiiettati rossi e subordinatamente verdo¬ gnoli (m. 20); 8) arginiti rosse e verdognole ad aghetti con rari strati di brecciole calcaree gradate; subordinatamente diaspri scagiiettati (m. 22); 9) diaspri rossi e verde-smeraldo, subordinatamente bruni, con intercalati una decina di livelli torbiditici dello spessore variabile dal decimetro ad un massimo di circa due metri. Nelle brecciole sono contenuti Protopeneroplis striata, Naiitilocalina oolitica, Trocholina spp. ; 10) diaspri rossi e bruni, alquanto manganesiferi (m. 12). In que¬ sto intervallo si riconoscono sporadicamente fenomeni di slumping. Si passa quindi, tramite un’alternanza di argilliti brune e calcari molto siliciferi grigi, ai galestri. La base di questa formazione si presenta molto simile a quella già descritta a S. Fele. La principale differenza consiste in una minore frequenza delle brecciole calcaree. Lo spessore totale della sezione è di 240 metri circa. L’età è giurassica. 1.1.7. Scisti silicei (facies Armizzone) Da ScANDONE 1967 e 1971, la successione, potente 165 metri, è la seguente, dal basso in alto : 1) alternanza di selci giallastre, subordinatamente rosse, e di ar¬ gilliti estremamente silicifere verdognole e grigio piombo, con inter¬ calati strati di calcilutiti grige (m. 25); 2) alternanza di marne e argilliti silicifere rosse e verdi, preva¬ lentemente rosse nella parte bassa, con livelli di calcilutiti molto sili¬ cifere anch’esse rosse e verdi (m. 17); 3) diaspri verdognoli (m. 8); 4) argilliti rosse estremamente silicifere (m. 6,50); 5) alternanza di diaspri rossi e verdi e di marne molto silicifere rosse (m. 20 circa); 6) diaspri giallognoli (m. 8); 7) argilliti silicifere rosse e molto subordinatamente giallastre, un pò siltose, scagliettate (m. 10); 8) diaspri rossi (m. 11); 9) diaspri giallastri durissimi, in straterelli molto regolari (m. 4,50); 10) diaspri rossi e bruni, subordinatamente verdognoli (m. 10); 11) diaspri verdi e grigi (m. 10); — 251 — 12) diaspri rossi e verdi con rari strati di torbiditi calcaree siliciz¬ zate, di spessore variabile da 15 cm. a 70 cm. massimo (m. 32); 13) diaspri manganesiferi con interstrati di argilliti giallo¬ gnole (m. 3). Si passa quindi, tramite un’alternanza di diaspri manganesiferi, argilliti plumbee e calcari molto siliferi grigi, ai galestri. 1.1.8. (( Flysch » galestrino A La formazione è costituita da una monotona alternanza di calci- lutiti, calcari marnosi siliciferi e non, marne e argilliti, subordinata- mente brecciole. Le calcilutiti e i calcari marnosi, in straterelli, strati e banchi della potenza massima di m. 1,50, eccezionalmente due, hanno colore varia¬ bile dal biancastro al grigio, molto raramente rosato. Frequentemente mostrano la tipica fessurazione della pietra paesina, sopratutto nella parte medio-superiore delio strato. Spesso si riconosce che sono depositi gradati (calcari allodapici). Nella parte bassa dello strato, infatti, la roccia è una brecciola o una calcarenite a matrice micritica prevalente, che verticalmente passa a calcisiltite e calcilutite. 11 contenuto in car¬ bonato di calcio, alto nella parte bassa dello strato, diventa quasi nullo alla sommità, dove insensibilmente si giunge fino ad argillite silicifera. I radiolari sono abbondanti in tutto lo strato. Strutture sedimentarie interne sono per lo più assenti, data la granulometria, eccetto che nella parte bassa ove a luoghi è dato riconoscere una fogliettatura parallela ed obliqua. Alla base degli strati ho osservato rari calchi di solchi di trascinamento e deformazioni da carico. La marne, di solito un pò siltose, di colore variabile dal biancastro al cinereo, solo raramente rossastre, hanno spessore variabile da qualche decimetro a qualche metro. Spesso mostrano una spiccata somiglianza con la « fogliarina » del Cilento. In qualche caso ho potuto accertare che anche in esse è presente una gradazione, visibile per alcuni centi- metri nella parte più bassa dei banchi. Le argilliti, degradate solitamente in forme prismatiche appuntite di qualche centimetro di lunghezza, hanno colore variabile dal grigia¬ stro al giallo-verdognolo al nero. Costituiscono interstrati, strati e banchi finanche della potenza di alcuni metri. Sono per lo più molto dure, alquanto silicifere, e al lavaggio si sono sempre mostrate sterili. Le brecciole rappresentano gli unici livelli fossiliferi che consentono — 252 — una datazione. Le microfaune significative rinvenute sono costituite da Protopeneroplis sp., Trocholina spp. e rare calpionelle, che indicano un Cretacico inferiore molto basso (Scandone 1971; De Stasio 1971; Brònnimann, Durano Delga & Grandjacquet 1971). Procedendo da N verso S (dalla facies S. Fele alla facies Armizzone) diminuisce la frequenza dei termini clastici più grossolani e delle marne, e le calcilutiti diventano via via più silicifere. 1.1.9. Osservazioni sulla facies Armizzone L’esistenza di una facies Armizzone nei terreni della serie calcareo- silico-marnosa è negata da Ogniben 1969, che attribuisce i terreni in oggetto ad una formazione equivalente alla formazione di M. Facito, e li pone alla base della serie carbonatica del Complesso Panormide (unità deH’Alburno Cervati in questo lavoro, piattaforma carbonatica in Scan¬ done 1967). Per giustificare il fatto che mai si rinviene un passaggio stratigrafico tra questi terreni, che rappresenterebbero una specie di Verrucano, e la soprastante serie carbonatica, LA. scrive (lav. cit. pp. 509-510): (( Dal punto di vista strutturale, nulla costringe a considerare questa formazione come una successione separata dalla dolomia supratriassica immediatamente soprastante. Lo stato di tettonizzazione di quest ’ultima ben si accorda con la giacitura spesso caotica, discontinua e fortemente tettonizzata della « formazione calcareo-siliceo-terrigena basale ». Si tratta di argomenti di ordine preliminare rispetto alle congetture sedimentolo- che di Scandone che hanno probabilmente motivato il suo tentativo di correlazione ma che sono nettamente subordinate alla necessità di precisa correlazione stratigrafica ». Poiché ritengo tuttora valide, su questo argomento, le mie osser¬ vazioni del ’67, e considero generiche e prive di fondamento queste critiche, mi pare opportuno, per una questione di metodo, riproporre il problema nei termini seguenti : a) esistono due corpi geologici : un corpo 1 costituito dal Complesso Basale di Ogniben, vale a dire da ciò che io chiamo calcari con selce e scisti silicei della facies Lagonegro-Sasso di Castalda e galestri B ; un corpo 2 costituito dalla « formazione calcareo-siliceo-terrigena basale » di Ogniben, vale a dire da ciò che io chiamo formazione di M. Facito, calcari con selce e scisti silicei della facies Armizzone e galestri A ; — 253 — 6) il corpo 1 è sottoposto al corpo 2, e la superficie di contatto è di natura tettonica ; c) il corpo 1 è costituito da una sequenza di età compresa tra il Trias superiore e il Cretacico inferiore ; d) il corpo 2 è costituito da una sequenza di età mediotriassica secondo Ogniben, mediotriassica-cretacico inferiore secondo Scandone. Sui punti a), 6) e c) non esistono divergenze. La critica di Ogniben nei miei confronti quando scrive (p. 479): « La distinzione non risulta molto chiara, e dal punto di vista metodologico la sovrapposizione dei due gruppi di affioramenti avrebbe dovuto essere messa in evidenza nella parte descrittiva... » non si riferisce, come potrebbe sembrare, alle reciproche geometriche relazioni tra i corpi 1 e 2, e neppure al fatto che il contatto tra essi è un contatto tettonico. Su questo, come ho detto, non vi sono divergenze. Essa deve essere pertanto intesa, ridotta all’osso, che non risulterebbe chiaro dal mio lavoro che il corpo 2, indubbiamente sovrastante il corpo 1, rappresenti una ripetizione della sequenza del corpo 1, con facies alquanto variata. Esaminiamo allora le ragioni per le quali ciò non sarebbe chiaro, e che anzi proverebbero l’appartenenza del corpo 2 al Complesso Panormide. Esse possono es¬ sere riassunte in cinque punti (Ogniben 1969, p. 509): 1) « Non si osserva... nella ” serie di facies Armizzone ”, una re¬ golare successione di formazioni come nel Complesso Basale ». Questa affermazione è inesatta : difatti dai dati riportati in Scan¬ done 1967 — dati che, si badi, non sono stati contestati — risulta che in più punti è visibile la successione delle varie formazioni. In par¬ ticolare : — il passaggio formazione di M. Facito-calcari con selce di facies Armizzone è visibile lungo il fianco NO del Picco dell’ Armizzone, a Tempa la Secchia a N di Lagonegro, nella Valle dell’Orso presso Tramutala ; — il passaggio calcari con selce-scisti silicei di facies Armizzone è visibile al Bitonto, nella zona del M. Rapare, sulla vetta del Picco dell’ Armizzone, ai Giardini di Tuoro, nella zona di Tramutala e Padula, nel gruppo del Monte S. Enoc e M. Caldarosa ; — il passaggio dagli scisti silicei ai galestri è visibile al Bitonto, allo Zango, nella zona di Tramutola e Padula, nel gruppo del M. S. Enoc-M. Caldarosa ; 2) «... le sia pur rapide osservazioni fatte non hanno permesso allo scrivente di distinguere una ” formazione di M. Facito ” da una formazione di ” scisti silicei ” ». — 254 — È evidente che questo test personale di « sia pur rapide osserva¬ zioni )) non può costituire una prova per l’esistenza o meno di una (( Formazione di M. Facito » distinta da una formazione di a scisti silicei », 3) « La ricchezza di detrito terrigeno culminante nei frequenti strati arenacei, sconosciuti negli Scisti Silicei, ed il colore rosso vivo per abbondanza di ossidi di ferro di carattere altrettanto terrigeno, ben riconoscibili anche al microscopio, non permettono certo un confronto con gli Scisti Silicei del M. Sirino ». Qui c’è una evidente contraddizione : nel punto 2 si riconosce una incapacità di distinguere una « Formazione di M. Facito » da una for¬ mazione di « scisti silicei » e al punto 3 si eompara un corpo non identificato (formazione di M. Facito o scisti silicei?) con gli scisti silicei del M. Sirino. Se si tratta, come è probabile, delle arenarie della formazione di M. Facito, è evidente che non v’è alcuna possibilità di confronto, trattandosi da un lato di una formazione terrigena del Trias medio e dall’altro di una formazione olopelagica del Giurassico. Quand’anche poi si rinvenissero strati arenacei nei veri scisti silicei, non per questo si sarebbe autorizzati a identificare questa formazione, giurassica, con la formazione di M. Facito, triassica. 4) (( La potenza massima della ” facies Armizzone ” insieme con i marnoscisti a Daonelle non oltrepassa i 200 m., quanto sembra avere la formazione di M. Facito nella località tipo (Scandone, 1965) ». Anche questa affermazione è del tutto inesatta. Dai dati di Scan¬ done 1967, — dati che come già detto non vengono contestati — si ricava che lo spessore dell’unità lagonegrese li in facies Armizzone raggiunge circa 450 metri nei dintorni di Lagonegro (Formazione di M. Facito 100 metri, calcari con selce 160 metri, scisti silicei 165 metri, galestri qualche decina di metri), e supera i 600 metri nella zona di Tramutola (formazione di M. Facito 100-150 metri, calcari con selce 200 metri, scisti silicei 200 metri, galestri fino a un centinaio di metri nella zona di Padula). Ovviamente gli spessori possono essere a luoghi ridotti per cause tettoniche. Il tutto, inoltre, è estremamente complicato dalla tettonica recente di a scendimento ». 5) (( . nella sua ” facies Armizzone ” e nei livelli terrigeni ad essa collegati..... Scandone (1967 a) non segnala se non Halobie, radio- lari, spicule di spugna e materiali del genere » ; ed aggiunge quindi : « . non si vede ragione di attribuire un’età diversa dal Ladinico- Carnico a questi livelli ». Nulla da obiettare alla prima affermazione, relativa ai reperti fossili. — 255 Non credo però che da essa derivi come logica conseguenza la seconda. Non si può infatti astrarre la facies Ariiiizzone dal suo contesto sul terreno, che è quello di un corpo geologico legato da continuità fisica alla facies Pignola- Abriola^ e costituito da una successione di forma¬ zioni analoghe a quelle riconosciute neWunità lagonegrese inferiore. Ad ogni modo mi son preoccupato di colmare questa lacuna paleon¬ tologica, lacuna che, con poco lavoro, avrebbe potuto colmare chiunque altro. Sezioni sottili di brecciole calcaree prelevate qua e là negli scisti silicei di facies Armizzone (es. Timpone Rosso, base del M. Arenazza, Padula) hanno rivelato, com’era da aspettarsi, Protopeneroplis striata e Trocholina spp.. Da altra via, inoltre, viene la segnalazione ( BmÒnnimann, Durano Delga & Grandjacquet 1971) di Protopeneroplis e calpio- nelle alla base dei galestri di Padula, che sono legati agli scisti silicei della facies Armizzone. Con ciò mi sembra conclusa la questione della facies Armizzone. Vorrei aggiungere che esiste, in realtà, una specie di Verrucano alla base della serie carbonatica del Complesso Panormide, ma questo com¬ plesso terrigeno, che è poi il famoso « Trias metamorfico » di Lungro e Acquaformosa, viene da Ogniben 1969 considerato appartenente agli argilloscisti liguridi del Cretacico inferiore, nonostante la recente segna¬ lazione di fossili anisici di Bousquet & Dubois (1967) al Ponte dei Colombi presso Lungro. Per mio conto confermo pienamente le osser¬ vazioni di Bousquet e Dubois, avendo rinvenuto in questa formazione diplopore, brachiopodi e altri fossili triassici in altre località (S. Donato di Ninea, Fiumarella di Rossale presso Fontana Tavolare) . 1.1.10. La « facies Bella » (Marini 1968) Nella regione di Bella-S. Fele Marini (1968) distingue due diffe¬ renti facies nel complesso degli scisti silicei : la facies S. Fele e la facies Bella. Lasciando aperto il problema se le due facies siano isocrone o meno, l’Autore riconosce nella facies Bella la seguente successione dal basso in alto: 1) calcare aiti con selce : calciruditi gradate, calcareniti e argille sabbiose ; 2) (( scisti silicei » : calcari micritici rossi e verdi con abbondanti intercalazioni di scisti argillosi rossi (rosso fegato), diaspri rossi manga¬ nesiferi, selce rosa e grigia, calcareniti e brecciole ; 3) galestri: argilloscisti grigio piombo con intercalati strati di selce — 256 — e di calcari compatti siliciferi del tipo della « pietra paesina », con variegature di argilloscisti fogliettati color rosso fegato. Negli (( scisti silicei » FA. rinviene associati Globigerina spp., Globorotalia cfr. bullbrooki, Globotruncana spp., Heterohelix sp,, Bo- livina tortuosa ed altre forme non significative. Per la presenza di Glo¬ borotalia bullbrooki e di Bolivina tortuosa le globotruncane e le Hete¬ rohelix sarebbero rimaneggiate, e Petà del livello sarebbe eocenica su¬ periore. In base a questa attribuzione la sommità degli scisti silicei non sarebbe del Malm superiore, come in tutte le altre località fossilifere della Lucania, ma si spingerebbe fino all’Eocene. La base dei galestri, quindi, considerata infracretacica da tutti gli altri Autori, sarebbe eoce¬ nica superiore, se non addirittura oligocenica. In una nota a pie’ di pagina Marini spiega che in Radina 1958 la sua (( facies Bella » è indicata come « scaglia rossa con selce », ed è attribuita al « flysch di Pescopagano », ma respinge tale correlazione. L’analisi sul terreno dei profili descritti da Marini mi ha portato al convincimento che questo Autore ha spesso confuso gli scisti silicei con i livelli marnoso-argillosi del flysch di Pescopagano ( « flysch rosso » in ScANDONE 1967), e i calcari con selce con i livelli calciruditici e calcarenitici di questa formazione. Nelle « calcareniti con selce » di Bella, infatti, che avrebbero dovuto costituire l’orizzonte più profondo della serie calcareo-silico-marnosa in questa regione, ho rinvenuto fram¬ menti di rudiste, Orbitoides media, Siderolites calcitrapoides etc., asso¬ ciazione tipica della parte inferiore-media del « flysch rosso ». Non sorprende, quindi, la presenza di Globorotalia cfr. bullbrooki e di Boli¬ vina tortuosa nei soprastanti « scisti silicei » della facies Bella, per il fatto che questi non appartengono alla formazione degli scisti silicei ma sono, come giustamente messo in evidenza da Radina (1958) e prima ancora da Scarsella (1957), livelli eocenici del « flysch rosso », sovrastanti i calcari a frammenti di rudiste maastrichtiani. 1.2. Unità lagonegrese I I.2.I. Calcari con selce (facies Lagone gro-Sasso di Castalda) La successione, potente circa 500 metri, è incompleta perchè manca il limite inferiore. Alla base dell’unità lagonegrese I, infatti, non affiora la formazione di M. Tacito. — 257 — Da ScANDONE 1967 e 1971 riporto la seguente successione, dal basso in alto : 1) calcilutiti grige ben stratificate con liste e noduli di selce (m. 50). A una trentina di metri dalla base è presente un livello dello spessore di due metri costituito da straterelli lastroidi completamente silicizzati, contenenti numerose impronte di Halohia styriaca. Al livello ad H. styriaca succedono calcilutiti grige con selce, le quali diventano sempre più marnose man mano che si procede verso l’alto ; 2) alternanza di marne, marne argillose e argilliti fogliettate gial¬ lastre, grige e bruno-rossastre con intercalati strati di calcilutiti grige (m. 80). Nelle argilliti è presente Halobia superba; in alcuni strati calcarei sono contenuti numerosi gusci di Halobia cfr. cassiana e H. styriaca, nonché numerose Posidonomya sp. ; 3) calcari grigi con liste e noduli di selce (m. 300). Circa sessanta metri sopra l’ultimo strato argilloso è presente un livello ad Halobia charlyana. A questo livello fossilifero segue una monotona successione di calcilutiti grige, in strati dello spessore medio di 30-60 cm. e in banchi dello spessore massimo di due metri, con rari interstrati di argilliti giallo- verdognole. Nella parte bassa si raccolgono rare ammoniti ind. ; 4) calcari marnosi, marne e argille gialle (m. 3). Sulla faccia superiore di alcuni straterelli calcarei, silicizzati e non, sono presenti numerose impronte di Halobia halorica ; 5) calcari grigi con selce (m. 8). Alla sommità compaiono sottili intercalazioni di marne e argilliti verdastre e rossastre. A questa altezza è presente un livello fossilifero ad Halobia norica. Questo livello si identifica con i « nidi » di Halobia sicula scoperti da De Lorenzo (1893) al Burrone Cararuncedde. Nello stesso livello e nei calcari immediata¬ mente soprastanti e sottostanti si rinvengono Halobia lineata e varie specie di Posidonomya ; 6) calcilutiti grige con liste e noduli di selce, progressivamente sempre più silicifere, con interstrati e intercalazioni più frequenti verso l’alto di marne, argilliti silicifere e selci varicolori (m. 40), Si passa quindi con gradualità alla formazione degli scisti silicei. È stato scelto come limite formazionale l’ultimo strato di calcare con liste e noduli di selce. 17 — 258 — 1.2.2. Scisti silicei (facies Lagone grò -Sasso di Castalda) Da Se ANCONE 1967 la successione tipo, nei dintorni di Lagonegro, è la seguente dal basso in alto : 1) diaspri verdognoli e marne silicifere verdi e subordinatamente rosse (m. 3,50); 2) diaspri neri (m. 0,90); 3) diaspri verdognoli (m. 1,60); 4) arginiti silicifere rosse e subordinatamente verdi, con qualche straterello di selce nella parte alta (m. 4,30); 5) diaspri grigio-chiari, biancastri e verdognoli (m. 4,90); 6) straterello torbiditico (m. 0,30). In sezione sottile appare come una calcarenite a grana fine, a matrice micritica prevalente, con i clasti totalmente ricristallizzati ; 7) diaspri grigi, nerastri e verdognoli, e argilliti estremamente silicifere verdognole (m. 4,70); 8) straterelli alternati di selci e argilliti molto silicifere (m. 0,40); 9) diaspri argillosi verdognoli fogliettati (m. 1); 10) marne silicifere rosse fogliettate (m. 4,70); 11) diaspri durissimi verdognoli e giallastri, prima lastriformi, quindi in straterelli regolari di 5-15 cm. (m. 30 circa). Si passa infine per alternanze di argilliti silicifere grigio piombo, calcilutiti molto silicifere grigio verdi e diaspri manganesiferi alla formazione dei galestri. Spostandosi verso N, nell’alta valle dell’Agri, la successione è leg¬ germente differente nella metà inferiore della successione, dove sono presenti strati e banchi di brecciole calcaree gradate. Nei clasti delle brecciole si riconosce una microfacies ad Aeolisaccus dunningtoni, Vi- dalina martana, piccoli ammodiscidi (in prevalenza Glomospira) e pic¬ cole miliolidi. Questa associazione, pur non presentando forme specifiche di una determinata età, è abbastanza caratteristica del Lias. 1.2.3. Galestri B Le migliori esposizioni sono nel Lagonegrese tra le pendici meri¬ dionali del M. Sirino e la SS 19 nel tratto tra Pecorone e il Lago Sirino, e nell’alta valle dell’Agri tra le sorgenti dell’Agri e Marsico Nuovo. La formazione è costituita da una monotona alternanza di argilliti brune e nere e calcilutiti per lo più durissime, molto silicifere, ricche in ferro e manganese. Sono presenti in misura minore anche veri diaspri, più o meno manganesiferi, intercalati alle argilliti nere. — 259 — I calcari costituiscono strati e banchi dello spessore variabile da pochi centimetri ad un massimo di due metri. Si tratta di calcilutiti più o meno marnose e silicifere, manganesifere, che presentano frequen¬ temente la caratteristica fessurazione latente della « pietra paesina ». Spesso il manganese è ossidato, il carbonato di calcio residuo è in parte asportato e la roccia, molto sfatta, assume un colore marrone scuro. La roccia sana, di color grigio perla, o grigio verde, è solo nella parte più interna dello strato. In rarissimi casi ho potuto osservare fenomeni di gradazione, limitatamente alla parte basale degli strati, per uno spes¬ sore non superiore a 3-4 cm. Le arginiti, durissime, molto silicifere, sono di colore per lo più nero e bruno, e si degradano in lamine sottili o in forme prismatiche aghiformi della lunghezza di qualche centimetro. Malgrado le numerose ricerche, le argilliti hanno fornito solo rari radiolari. Anche nei calcari si rinvengono solo radiolari. La parte are- nitica, quando è presente, contiene rari foraminiferi arenacei banali. 1.3. La possibile prosecuzione verso l'alto della serie calcareo- SILICO-MARNOSA La serie calcareo-silico-marnosa termina verso Paltò, come è noto, con i galestri del Cretacico inferiore. Poiché la prima fase tettogenetica che interessa le zone esterne della geosinclinale appenninica è del Mio¬ cene inferiore, sorge immediatamente la domanda perchè mai non siano rappresentati nelle unità lagonegresi termini del Cretacico superiore e del Paleogene. Questa assenza potrebbe essere spiegata : a) con un’emersione dei terreni lagonegresi durante il Cretacico, con conseguente assenza di sedimentazione ; b) con un’emersione in un momento imprecisato tra il Cretacico e il Miocene inferiore, seguita da un’energica azione erosiva che avrebbe completamente eliminato ogni traccia di terreni più recenti del Cretacico inferiore ; c) con un decollemant deU’originaria copertura dei galestri prima del (( raddoppiamento » della serie e del sovrascorrimento dei massicci calcarei appartenenti alla piattaforma campano-lucana. Nel Lagonegrese sembra di poter riconoscere negli « scisti rossi di Pecorone » una possibile prosecuzione verso l’alto dei galestri ( Scan- DONE 1967). Gli « scisti rossi di Pecorone » constano di un’alternanza di selci, argilliti, marne molto silicifere e breccioline calcaree, di color — 260 — rosso, verde e grigio. I termini calcarei prevalgono nella parte alta della successione che misura in totale solo alcune decine di metri. L’età è, almeno per la sua parte media, del Senoniano superiore, per la presenza di Globotruncana sp. e Moncharniontia appenninica (comunicazione ver¬ bale di G. Bonardi e M. Torre). Presso il Km 128 della S.S. 19 e lungo la strada Lauria-Latronico tra il paese di Lauria e la Tempa Arena Bianca affiorano piccole placche della formazione in questione geometricamente soprastanti i galestri, in giacitura conforme con le superfici di stratificazione di questi ultimi. Sembra, in questa zona, che si tratti effettivamente di un contatto stratigrafico. Un piccolissimo lembo di « scisti rossi » si rinviene anche alla base del M. Rapare, tra i galestri dell’unità lagonegrese inferiore e gli scisti silicei deU’unità lagonegrese superiore. Non si sono invece rinvenute tracce di questa formazione al tetto dei galestri nell’alta valle dell’ Agri. A partire dall’alta valle dell’ Agri fino alla zona di S. Fele si rinviene, geometricamente sovrapposta ai galestri dell’unità lagonegrese II, una formazione sotto molti aspetti simile agli a scisti rossi di Peco¬ rone ». Si tratta di quello che ho chiamato altrove (Scandone 1967) (( flysch rosso », costituito dal basso in alto da diaspri e argilliti silicifere, calcareniti e calcilutiti con intercalazioni di marne argillose rosse e verdognole, brecciole e macroforaminiferi, arenarie. L’età è compresa tra il Cretacico superiore e il Miocene inferiore ; lo spessore totale non supera i 200-250 metri. Mai è stato rinvenuto un passaggio stratigrafico tra galestri e « flysch rosso », anzi questa unità di regola poggia sui galestri a mezzo di superfici indubbiamente meccaniche. Purtuttavia la costante sovrapposizione geometrica, la compatibilità sia di età che di facies (gli (( scisti rossi di Pecorone », di facies distale, sono sovrapposti ai galestri B, il « flysch rosso », di facies prossimale, è sovrapposto ai galestri A) lasciano aperta la ipotesi di uno sviluppo verso l’alto della serie calcareo-silico-marnosa, tra il Cretacico e il Miocene inferiore, con termini prevalentemente calcareo-argillosi. Questa ipotesi è confortata anche dal fatto che lembi di « scisti rossi di Pecorone » si rinvengono tra le due unità lagonegresi, e lembi di « flysch rosso » sono presenti tra l’unità lagonegrese superiore e i massicci calcarei su di essa sovra- scorsi. — 261 — 1.4. Batimetria del bacino lagonegrese Sul problema della batimetria delle radiolariti esiste un’ampia letteratura, e non è mia intenzione discuterla in questa sede. È un argomento sul quale tornerò in un lavoro di prossima pubblicazione, in collaborazione con R. Radoicic. La maggioranza degli autori recenti, ad ogni modo, propende per un’origine delle radiolariti in acque pro¬ fonde, analogamente a quanto si verifica oggi con i fanghi a radiolari. È noto che al di sotto di una certa profondità ( profondità di compensazione dell’aragonite prima, e della calcite poi) la concentra¬ zione di COo fa si che il carbonato di calcio contenuto nell’acqua ma¬ rina rimanga perennemente in soluzione. D’altro canto eventuali corpi calcitici — organici o inorganici — che discendano nelle acque per gra¬ vità, allorché superano la profondità di compensazione sono inevi¬ tabilmente soggetti a processi di dissoluzione. Il problema, nella rico¬ struzione del passato, è se la profondità di compensazione si sia mantenuta costante o meno nel tempo. Gli autori più recenti ammettono oscillazioni da 3000-4000 a 7000 metri di profondità (su questo argo¬ mento si veda Garrison & Fischer 1969). Nei terreni lagonegresi, come in tutte le altre sequenze simili a quella classica del Pindos (Aubouin 1959), si riconosce un progressivo approfondimento del bacino da un ambiente neritico del Trias medio (formazione di M. Facito) ad uno batiale nel Trias superiore (calcari con selce). Nel Giurassico medio viene finalmente superata la profondità di compensazione della calcite. In tempi recenti qualche autore ha espresso dubbi circa la forma¬ zione in ambiente marino profondo delle radiolariti lagonegresi. In particolare Ogniben 1969 scrive (pag. 489): «La frequenza di inter¬ calazioni di materiali neritici, sia nei basali marnoscisti a Daonella che nei calcari selciferi, che infine nelle brecciole intercalate agli scisti silicei, suggerisce al contrario che gli episodi di scarsa profondità del fondo possano esser stati frequenti ». A supporto di ciò, sulla base dei dati di Mattavelli & Novelli 1968, l’Autore cita « tipi intramicrudi- tici talora oolitici, dolomitizzati e silicizzati, ed intramicriti oolitiche, parimenti dolomitizzate e silicizzate » nei calcari con selce di S. Fele, e « brecciole e intramicriti a Trocholine » negli scisti silicei della stessa località. — 262 — A mio parere vi sono in tutto ciò due errori fondamentali : 1) I (( calcari con selce » di S. Fele, che descrivono Mattavelli & Novelli, e dei quali parla Ogniben, non appartengono alla for¬ mazione dei calcari con selce, qui costituita esclusivamente da dolomie, ma alla formazione degli scisti silicei. 2) Quando si parla di « intra- », spariti o micriti o micruditi che siano, ci si riferisce a carbonati formatisi nel bacino stesso, e non a carbonati detritici. I « tipi intramicruditici talora oolitici » e le « in- tramicriti a Trocholine » sono viceversa brecciole gradate, con i caratteri delle più tipiche torbiditi. Sul significato di queste brecciole scrissi una breve nota nel 1967, assimilandole alle « brecce di fianco » descritte da AuBOUfN 1959 nel Pindos occidentale, e dando ad esse il significato di episodi detritici intercalati nella normale sedimentazione olopelagica. Mi sembra quindi che gli elementi portati in favore di una facies neritica dei terreni lagonegresi siano del tutto inconsistenti, mentre vi è tutta una serie di elementi per ipotizzare un ambiente profondo. Tra i principali ricordo Tassenza di carbonati autigeni, i frequenti nro- cessi di dissoluzione pre e sin-diagenetica dei granuli calcarei delle brecciole gradate, i processi di silicizzazione molto spinta, l’abbondanza di vere radiolariti, la lentissima velocità di sedimentazione malgrado le torbide addizionate. Parte Seconda TETTONICA 2. PREMESSA Si è detto inizialmente che i terreni della serie calcareo-silico- marnosa formano un grande arco di pieghe convesso verso NE, che si estende dalla zona di S. Fele al Lagonegrese, lungo circa cento chilo¬ metri e largo una ventina. Si tratta di strutture chiuse, costituite da brachianticlinali semplici o molto complesse, con tendenza al rovescia¬ mento verso oriente, specie nella parte meridionale dell’arco. Gli assi maggiori delle pieghe, delle dimensioni variabili da un paio di chilo¬ metri ad una decina di chilometri, hanno direzione appenninica nella — 263 — zona di S. Fele, meridiana nell’alta valle dell’ Agri, meridiana con ten¬ denza alla NNE-SSO nel Lagonegrese. Nell’alta valle dell’Agri e nel Lagonegrese, zone di pronunciata culminazione assiale, è possibile riconoscere il completo « raddoppia¬ mento » della serie. Questo raddoppiamento è certamente precedente il piegamento, giacché la superficie di ricoprimento è deformata con¬ formemente alle strutture dell’unità lagonegrese inferiore. Il limite occidentale dell’arco è costituito dal fronte dei massicci calcarei appartenenti alla piattaforma carbonatica campano-lucana. Dap¬ pertutto si è riconosciuto che i massicci calcarei sono sovrascorsi sui terreni lagonegresi. Anche questo sovrascorrimento è precedente il piegamento, giacché la superficie di ricoprimento é deformata confor¬ memente alle strutture dell’unità lagonegrese II. Essa é poi dislocata da faglie per lo più subverticali. È possibile dal punto di vista cinematico fissare una serie di atti susseguentisi in quest’ordine : 1) sovrascorrimento dei massicci calcarei sui terreni lagonegresi. Questi ultimi al tempo stesso si suddividono in due unità, la più interna delle quali (unità lagonegrese II) sovrascorre sulla più esterna; 2) piegamento delle unità lagonegresi, con locali fenomeni di pie¬ ghe-faglie al bordo orientale dell’arco ; 3) formazione di faglie, per lo più subverticali, connesse con il sol- levamento plio-pleistocenico ; 4) formazione di strutture da « scendimento » ( nel senso indicato da Signorini 1957), come risultato di fatti morfotettonici recenti. 2.1. Il (( RADDOPPIAMENTO )) DELLA SERIE CALCAREO-SILICO-MARNOS A Si é detto prima che nell’arco di pieghe formato dai terreni lago¬ negresi l’alta valle dell’Agri e il Lagonegrese sono due zone di pronun¬ ciata culminazione assiale. Qui infatti affiorano i termini geometrica¬ mente più bassi rappresentati dall’unità lagonegrese I, vale a dire dai calcari con selce e dagli scisti silicei della facies Lagonegro-Sasso di Castalda, nonché dai galestri B. Essi sono limitati tutt’intorno dai terreni dell’unità lagonegrese II, che chiudono le finestre tettoniche, e formano anche piccoli Klippen nelle sinclinali dell’unità inferiore. — 264 2.1.1. La finestra tettonica delValta valle delVAgri Nell’alta valle dell’Agri l’insieme dei rilievi montuosi che si ergono in sinistra orografica (Monte Lama, Serra di Calvello, M. Volturino) sono costituiti da calcari con selce e da scisti silicei dell’unità lagonegrese 1. Alle pendici dei rilievi affiorano i galestri B, che si estendono am¬ piamente da Marsico Nuovo fin quasi ad Abriola e Calvello, riducendosi poi ad una strettissima fascia ad E del M. Vulturino. Nel versante orientale del M. Facito-Monte dell’Arena si vedono i galestri B immergere sotto la formazione di M. Facito dell’unità lago¬ negrese II, la quale si estende in continuità di affioramento verso N e NO sino al gruppo della Cerchiara-Schiena Rasa, e verso NNE fino alla zona di Pignola- Abriola. Il contatto galestri-formazione di M. Facito si segue con continuità dal margine settentrionale del M. Cugnone sin quasi ad Abriola. La superficie di contatto a luoghi (Tempa del Lupo, regione della Maddalena) è ben esposta, a luoghi è mascherata da dissesti recenti. Al margine sud-orientale del M. Vulturino i galestri e gli scisti silicei dell’unità inferiore immergono ancora sotto la formazione di M. Facito, la quale al M. Torrette fa passaggio ai calcari con selce della facies Armizzone. I terreni dell’unità superiore affiorano poi estesamente al M. Tangia, nella valle del Torrente Alli e in tutto il gruppo del M. S Enoc-M. Caldarosa, ma i loro rapporti con l’unità inferiore sono mascherati dal flysch del M. Pilato e dal lembo carbonatico del Monte di Viggiano. All’apice NE del M. Vulturino, infine, è conservato un piccolo Klippe costituito dalla formazione di M. Facito e di calcari con selce della facies Pignola- Abriola. A SE e a S del M. Vulturino l’unità lagonegrese inferiore scom¬ pare sotto i terreni della facies Armizzone, ma il contatto è mascherato dalla copertura alluvionale della piana dell’Agri. A NO del M. Facito si apre un’altra piccola finestra tettonica, che può considerarsi una propaggine di quella precedentemente descrit¬ ta. Presso il paese di Sasso affiorano i calcari con selce e gli scisti silicei della facies Lagonegro-Sasso di Castalda. Gli scisti silicei fanno passag¬ gio stratigrafico ai galestri B che affiorano, tra Sasso e Tito, in buona esposizione sopratutto alla Serra della Neppeta. Al margine orientale della Cerasa, ai margini orientali, settentrio¬ nale ed oceidentale della Serra della Neppeta e a N del T. Fragneto si vede perfettamente che i galestri immergono sotto i terreni dell’unità — 265 — lagonegrese II, cioè sotto la formazione di M. Facito la quale ta pas¬ saggio, in alto, ai calcari con selce della facies Pignola-Ahriola. 2,1.2. La finestra tettonica lagonegrese L’unità lagonegrese inferiore è rappresentata anche qui nei mag¬ giori rilievi, cioè nelle strutture di Costa dell’Alto-Monte Milego, Gianni Griecu-M. Castagnereto, Monte Nieila-M. Bramafarina, M. Sirino. Il raddoppiamento della serie è ben visibile sopratutto nella parte setten¬ trionale della finestra, dove gli assi delle strutture immergono verso N, A nord di Gianni Griecu e nel versante destro orografico della Valle Niella si vede in buona esposizione la sovrapposizione della formazione di M. Facito, dei calcari con selce e degli scisti silcei della facies Armiz- zone sugli scisti silicei della facies Lagonegro-Sasso di Castalda. Nella sinclinale compresa tra Serra dell’ Alto-M. Milego e Gianni Griecu-M. Castagnereto, ed in quella compresa tra Gianni Griecu-M. Castagnereto e M, Niella M. Bramafarina si trovano numerosi Kbppen costituiti es¬ senzialmente dalla formazione di M. Facito che poggia sui galestri B e sugli scisti silicei deU’unità inferiore. A NE del M. Sirino si vede la sovrapposizione dei calcari con selce di facies Armizzone della Serra Giumenta sui galestri B. A N e a S di Lagonegro, a partire dai Carcuni fin quasi a Lauria, la formazione di M. Facito, i calcari con selce e gli scisti silicei del¬ l’unità lagonegrese II formano una stretta fascia discontinua, orientata NO-SE, interposta tra i massicci calcarei da un lato e i terreni dell’unità lagonegrese inferiore dall’altro. Nella parte meridionale della finestra la sovrapposizione delle due unità non è più ben visibile. A poca distanza dalla grande finestra lagonegrese si aprono le pic¬ cole finestre di Pennarone e del Farno, che possono considerarsi pro¬ paggini della prima. Il M. Pennarone è costituito da una piccola anticlinale di scisti silicei e in misura minore di calcari con selce di facies Lagonegro-Sasso di Castalda, circondata dalla formazione di M. Facito e dai calcari con selce di facies Armizzone. Nel versante occidentale del rilievo si rico¬ nosce molto bene la struttura « a cipolla » : gli scisti silicei dell’unità inferiore immergono sotto i calcari con selce della facies Armizzone, passanti in alto a scisti silicei. Questi ultimi sono a loro volta ricoperti tettonicamente dai massicci calcarei. Anche il M. Farno è completamente circondato dai terreni della facies Armizzone. Nel versante meridionale del rilievo una serie di faglie — 266 — subverticali mette a contatto i calcari con selce e gli scisti silicei dell’unità inferiore con i calcari con selce dell’unità superiore. A N e ad E del Farno, invece, si realizza la sovrapposizione della formazione di M. Facito e dei calcari con selce di facies Armizzone sugli scisti silicei e sui galestri dell’unità inferiore. È infine da osservare che presso Lagonegro affiorano lembi della formazione di M. Facito (sopratutto calcari di scogliera) sovrapposti agli scisti silicei dell’unità lagonegrese II ( Roccazzo, Monticello, Ca¬ stello di Lagonegro, Chiazzarulo). Si tratta sempre di piccole masse, con ogni probabilità imballate nel flysch caotico che qui forma una stretta fascia continua dal M. Arenazza al Lago Sirino. 2.2. Il SOVRASCORRIMENTO DEI MASSICCI CALCAREI Nella parte più settentrionale della regione studiata, cioè nella zona di Bella-S. Fele i rapporti tra massicci calcarei e terreni lagone- gresi non sono visibili a causa di coperture più o meno recenti o di lembi di terreni fliscioidi colati dai massicci calcarei. I primi contatti ben esposti si vedono nella zona di Vietri di Potenza lungo la strada del Varco di Pietrastretta, e sopratutto lungo la valle del Melandro fino a Brienza. Ovunque tra gli scisti silicei o i galestri e i soprastanti terreni carbonatici sono interposte lenti più o meno spesse ( fino a oltre cento metri nella zona di Brienza) di « flysch rosso ». La superficie di contatto è sempre subparallela alle superfici di strato dei terreni lagonegresi, mentre è discordante con la giacitura delle dolomie e dei calcari soprastanti. Tra Brienza e Pergola il contatto non è più visibile per l’interposizione di terreni fliscioidi o di coperture più o meno recenti. Esso è di nuovo visibile a tratti al valico tra Pergola e Marsico Nuovo, a monte di Paterno, e nella zona di Tramutola ad E dei monti La Gattina e Spagnoletto. Anche qui la superficie di sovrascorri- mento è parallela alle strutture dell’unità lagonegrese IL Ad E del fronte del sovrascorrimento, che corre lungo il fianco destro orografico della valle dell’Agri, sono conservati dei piccoli Klippen in posizione sinclinale allo Scarrone di Mezzo, al M. Saraceno, e al Montetto (gruppo del M. Vulturino). Il Monte di Viggiano potrebbe costituire un Klippe o potrebbe essere legato da continuità fisica ai monti di Tramutola, al di sotto delle alluvioni dell’Agri. — 267 — Ad 0 del fronte del sovrascorrimento si aprono nei massicci calcarei due finestre tettoniche al Passo Croce di Marsico e nei monti di Padula. Nella finestra di Padula si vede molto bene la superficie di sovrascor¬ rimento, subparallela agli strati dell’unità lagonegrese II che qui formano una brachianticlinale con asse maggiore diretto alFincirca N 39° 0. Non vi è dubbio, qui, che il piegamento è avvenuto successivamente al sovrascorrimento. A S di Grumento Nova il fronte si presenta spezzato ed arretrato di circa 20 Km per un décrochement destro corrispondente alla linea Ponte del Re-Grumento Nova. Verosimilmente si tratta di uno strappo originatosi durante il sovrascorrimento, a seguito del quale il settore meridionale è rimasto alquanto arretrato rispetto al settore settentrionale. A partire da Ponte del Re il sovrascorrimento si segue ancora molto bene verso S, lungo la Valle del Noce, fin quasi all’altezza di Rivello. La superficie di contatto tra i massicci calcarei e i terreni lagonegresi è all’incirca parallela agli strati di questi ultimi. Una ventina di chilometri ad E del fronte dei massicci calcarei affiora isolato il Klippe del M. Rapare. Piuttosto che di un vero Klippe, lasciato dall’erosione, si tratta probabilmente di una zolla che ha so¬ pravanzato il fronte generale del sovrascorrimento dei massicci calcarei, verosimilmente trascinato dalla coltre del flysch del Cilento. 2.3. L’arco di pieghe Nell’arco di pieghe formato dai terreni della serie calcareo-silico- marnosa è possibile riconoscere poco più di una ventina di strutture ellissoidiche, abbastanza regolari, anche se disturbate da faglie, delle quali è possibile calcolare le dimensioni degli assi e il raggio di curva¬ tura. Per tutte si ricava una profondità del piano di scollamento molto modesta, da poche centinaia di metri ad un paio di chilometri al massimo. È interessante osservare che le profondità più basse calco¬ late (poche centinaia di metri) sono relative ai terreni dell’unità infe¬ riore, mentre quelle più alte ( massimo due chilometri) corrispondono ai terreni dell’unità superiore. Se si tiene presente che le due unità sono state piegate assieme dopo la fase di ricoprimento, e che lo spessore medio di ciascuna di esse è di circa un chilometro, ne consegue che la superficie base principale del piegamento deve sottostare al massimo qualche centinaio di metri i termini più bassi noti dei calcari con selce dell’unità inferiore. — 268 — Le strutture deH’unità lagonegrese I sono in genere molto ben conservate, anche se sono a luoghi molto complesse (es. M. Sirino- Serra Orticosa). Le strutture deH’unità lagonegrese II, invece, sono molto meno evidenti, e la giacitura dei terreni può essere localmente quasi caotica. Queste differenze sono dovute in parte alla diversa lito¬ logia, e quindi competenza dei materiali, in parte a fenomeni più o meno recenti di a scendimento )). I calcari con selce della facies Pignola- Ahriola, infatti, sono in gran parte dolomitici, e danno complessiva¬ mente una risposta alle sollecitazioni meccaniche più rigida che i calcari con selce della facies Lagonegro-Sasso di Castalda. La superficie di contatto tra la formazione di M. Facito e i calcari con selce, inoltre, è spesso superficie di scollamento, e i calcari con selce possono dar luogo a strutture di « scendimento » per fatti morfotettonici anche molto recenti. Spesso placche di calcari con selce e di scisti silicei si trovano addirittura accatastate le une sulle altre, con strutture a prima vista del tutto caotiche. Di queste strutture sarà detto in seguito. Gli assi maggiori delle pieghe hanno direzione NO-SE nella parte settentrionale dell’arco, N-S nella parte centrale, N-S con tendenza a NNE-SSO nella parte meridionale (fig. 2). Soltanto alcune strutture raggiungono asse NE-SO (anticlinali della Ferlosa e di Manca Lanza¬ vecchia nel Lagonegrese settentrionale). Dalla valle dell’ Agri verso S le strutture mostrano spesso rovesciamenti verso E o verso SSE (verso SE nelle anticlinali della Ferlosa e di Manca Lanzavecchia). Oltre alla fase principale di piegamento, responsabile dell’arco di pieghe, è possibile riconoscere una fase di minore entità, marcata da assi di piegamento all’incirca normali agli assi maggiori delle strutture. Questa fase, che dà luogo localmente a pieghe rovesciate sia verso N che verso S, è riconoscibile in varie località. Nel gruppo del M. Vul- Fig. 2. — L’arco di pieghe dei terreni lagonegresi, 1) anticlinale del M. Sirino e della Serra Orticosa ; 2) anticlinale del M. Bramafarina ; 3) anticlinale di Gianni Griecu-M. Castagnereto ; 4) anticlinale di Costa dell’Alto-M. Milego ; 5) anti¬ clinali della Ferlosa e di Manca Lanzavecchia ; 6) anticlinale di Bosco Chia- nelli-Tempa di Cono-Tempa Forcella; 7) anticlinale di Padula; 8) anticlinale di M. Tangia-M. S. Enoc; 9) anticlinale del torrente Alli; 10) e 11) anticlinali della Serra di Calvello, M. S. Nicola e M. Farneta; 12) anticlinale di Sasstì di Castalda; 13) anticlinale di Pignola- Abriola ; 14) anticlinale di Vietri di Potenza-Savoia di Lucania; 15) anticlinale di Li Foi di Picerno; 16) anticlinale di M. Pierno; 17) anticlinale di M. S. Croce; 18) anticlinale di S. Fele; 19) anticlinale di Serra dei Venti-Costa Squadro. GOLFO DI POLICASTRO — 270 — turino, ad esempio, in località La Torre, è visibile una piega rovesciata verso SE nel corpo della piega principale che ha asse N-S. Nel gruppo del M. Sirino, guardando il M. Papa da N, cioè dal Lago Remmo, si può avere l’impressione di un rovesciamento verso N o NO degli strati dei calcari con selce delle Coste dello Scazzariddo. Viceversa si tratta della gamba di una piega anticlinale rovesciata verso S e SE, della quale il Lago Remmo occupa la zona di cerniera, nell’ambito della grande piega M. Sirino-Serra Orticosa, che ha asse maggiore N-S ed è rovescita verso E. L’anticlinale della valle del Sinni, infine, che ha asse maggiore N-S, è interessata da numerose pieghe secondarie ad asse E-0 che provocano locali rovesciamenti verso N. Non avendo compiuto un approfondito esame strutturale non ho elementi per dire se la fase responsabile del piegamento generale e della formazione dell’arco sia precedente o successiva alla fase marcata dagli assi E-0. Circa l’età del piegamento generale dell’arco, poi, gli elementi sono molto scarsi. L’unica cosa sicura è che il piegamento è successivo alla fase burdigaliana perchè la superficie di ricoprimento dell’unità lagonegrese superiore su quella inferiore e la superficie di ricoprimento dei massicci carbonatici sulle unità lagonegresi sono de¬ formate conformemente al piegamento generale. La fase tettonica tortoniana, che è la seconda fase a forte compo¬ nente traslativa, potrebbe essere responsabile degli assi E-0, che con¬ cordano con le direzioni prevalenti delle strutture tortoniane (es. bordo settentrionale del M. Bulgheria, bordo settentrionale del M. Coccovello). Se si accertasse che il piegamento generale è successivo alla fase E-0 ne deriverebbe una probabile età pliocenica (terza fase tettonica a forte componente traslativa), il che non sarebbe in disaccordo con la dire¬ zione generale delle strutture e con la loro vergenza. 2.4. Tettonica disgiuntiva Le strutture tettoniche di primo ordine nei terreni lagonegresi sono rappresentate dal raddoppiamento della serie e dal successivo generale piegamento. Le faglie (a parte le pieghe-faglie, che rientrano nelle strut¬ ture connesse con la fase plicativa), sono un elemento di second’ordine, del tutto subordinato rispetto agli elementi precedenti. È possibile distinguere faglie precedenti il piegamento e faglie successive. Le prime sono molto rare. Un bell’esempio è nel versante sud-orientale del M. Rapare, dove sono visibili dislocazioni nell’unità — 271 ~ lagonegrese II troncate dalla superficie di sovrascorrimento dei calcari cretacei del M. Rapare. Le dislocazioni successive al piegamento sono invece abbastanza frequenti. Esse sono costituite da faglie per lo più subverticali, in generale parallele o normali agli assi maggiori delle pieghe, aventi spostamento secondo Fimmersione, solo subordinatamente con sensibile rigetto secondo la direzione. Tra queste ultime un bello esempio è costituito dalla faglia del M. S, Salvatore, normale alFasse delFanticiinale Vietri di Potenza-Savoia di Lucania, che sposta di circa due chilometri verso sinistra il settore nord-occidentale (asse della piega corrispondente al Thalweg del Melandro) rispetto a quello sud-orientale (asse della piega corrispondente al crinale della Serra di Savoia). Le faglie più comuni hanno, come si è detto, spostamento secondo Fimmersione. Non è possibile dividere quelle ortogonali e quelle pa¬ rallele agli assi maggiori delle pieghe in due sistemi, giacché a luoghi le prime tagliano le seconde, a luoghi le seconde tagliano le prime. Ciò dimostra la loro contemporaneità. Queste faglie sono impostate sia in zona di cerniera o di culminazione assiale, sia alla periferia delle strutture. È un fatto molto frequente, direi quasi la norma, che un’an- ticlinale non si raccordi regolarmente con la sinclinale adiacente, ma sia separata da questa da una faglia subverticale che ribassa verso la sinclinale. Il rigetto di queste faglie è dell’ordine di qualche centinaio di metri al massimo. Solo raramente sono riscontrabili rigetti dell’ordine di molte centinaia di metri o del chilometro. Ciò si verifica esclusiva- mente con faglie correnti in cerniera o impostate normalmente alle strutture in zona di massima culminazione assiale (es. M. Vulturino, Farne, M. Sirino). 2.5. Tettonica di « scendimento » Fenomeni imputabili a tettonica di « scendimento » (nel senso definito da Signorini 1957) sono frequentissimi in tutta la Lucania nei calcari con selce dell’unità lagonegrese IL II passaggio tra la for¬ mazione di M, Facito e i calcari con selce si realizza, sia pur con gradualità, in pochi metri soltanto, e sono quindi immediatamente a contatto terreni di competenza molto diversa. Questa diversità è mas¬ sima nei terreni della facies Pignola-Ahriola a causa della dolomitiz¬ zazione molto spinta che conferisce maggiore rigidità ai calcari con selce. La superficie di contatto formazione di M, Facito-calcari con selce — 272 — rappresenta pertanto un potenziale livello di scollamento. Già durante le fasi di piegamento si devono essere trasmessi lungo questa superficie sforzi di taglio tali da rendere spesso meccanico il contatto ; una volta poi che si sono creati piani inclinati, che le faglie hanno creato gradini più o meno rilevati, e che l’erosione ha turbato l’equilibrio sottraendo al sistema un certo volume di masse rocciose, la superficie, o meglio le super fici di scollamento sono diventate super fici di slittamento. Si sono in tal modo generate strutture da collasso per mancato sostegno. Nella maggior parte dei casi le super fici di slittamento sono subparal¬ lele agli strati della formazione di M. Facito. A seguito del movimento gli strati dei calcari con selce possono esser rimasti anch’essi subparalleli o possono aver variato la loro inclinazione, raggiungendo in certi casi addirittura l’ortogonalità. Le placche di maggiori dimensioni possono essersi suddivise in placche minori separate tra loro per moto diffe¬ renziato, o possono essersi accatastate le une sulle altre. Sono inoltre frequenti giaciture sinclinaloidi « a barca ». In vicinanza della superficie di slittamento i calcari con selce possono essere tanto fratturati da non mostrare più traccia di stratifi¬ cazione ; lo stato di fratturazione decresce rapidamente allontanandosi dal contatto. Nei terreni della formazione di M. Facito, invece, solo raramente si riconoscono marcati fenomeni di laminazione. In qualche raro caso sono presenti piccole pieghe di trascinamento aventi raggio di curvatura di pochi metri, che possono causare locali rovesciamenti degli strati. Parte Terza LA SERIE CALCAREO-SILICO-MARNOSA NEL QUADRO DELLE ATTUALI CONOSCENZE SULL’APPENNINO CAMPANO-LUCANO 3. PREMESSA Nel mio lavoro « Studi di geologia lucana . » del 1967 cercai di inquadrare la serie calcareo-silico-marnosa nelle allora attuali cono¬ scenze sull’ Appennino meridionale, e proposi un certo modello inter¬ pretativo. A cinque anni di distanza i dati analitici sono aumentati, molte situazioni sono state reinterpretate e lo schema è ovviamente invecchiato. — 273 — Intanto ha visto la luce la grande monografia di Ogniben 1969 che si autodefinisce (pag. 469) opera atta a « fornire un moderno inquadramento regionale ai geologi che debbano studiare singole aree parziali ». In questo lavoro l’Autore distingue i terreni dell’ Appennino meridionale in vari « complessi » che si susseguirebbero, dall’alto in bas¬ so, nel seguente ordine : H) Complesso Postorogeno (ciclo soprapliocenico-infrapleistoceni- co e depositi successivi) ; G) Complesso Ex-postorogeno (depositi tortoniano-medioplio- cenici) ; F) Complesso Sicilide (flysch di Nocara, argille variegate e flysch di Gorgoglione della falda di Rosito ; argille variegate della falda di Rocca Imperiale) ; E) Complesso Calabride (terreni cristallini della « formazione dioritico-kinzigitica » A uct) ; D) Complesso Lig aride ( flysch di Albidona, formazione del Saraceno, formazione del Frido-Crete Nere ed ofioliti associate, calcari a calpionelle) ; C) Complesso Pa)iormide (serie calcareo-dolomitica mesozoica e terreni della « trasgressione miocenica ») ; fi) Complesso Ex-basale ( flysch di Masseria Luci, formazione di Serra Palazzo e di Masseria Palazzo, marne di Serra Cortina e flysch numidico) ; A) Complesso Basale (serie calcareo-silico-marnosa). La disposizione dei domini paleogeografici sarebbe la seguente da E verso 0 : 1) avampaese pugliese; 2) miogeosinclinale ( Complesso Basale e Complesso Ex-basale) ; 3) soglia intermedia ( Complesso Panormide) ; 4) eugeosinclinale, divisa in una parte esterna ( Complesso Sicilide) e in una parte interna ( Complesso Liguride) ; 5) massiccio interno (Complesso Calabride). Tale schema ricalca perfettamente il modello di Aubouin (1959, 1965). L’Autore, infatti, rimarca (pag. 721) i «È importante la circo¬ stanza che lo schema di Stille-Aubouin sia stato delineato senza conoscere la zona calabro-lucana, perchè questa vi si adatta alla per- 18 274 — fezione... Il valore dello schema di Stille (1941) e del suo comple¬ tamento in Aubouin (1960; 1961; 1962) vien pertanto confermato dal perfetto riscontro che trova nella regione qui studiata. Inversamente, questo studio arriva con agevolezza a confermare punto per punto un grandioso ciclo di fenomeni già ben osservato e descritto altrove, e da ciò trae conferma esso stesso ». Per quanto concerne l’evoluzione tettonica Ogniben distingue cin¬ que fasi orogeniche : I fase ( Eocene-Oligocene) in cui il Complesso Calabride si acca¬ vallerebbe al Complesso Liguride ; II fase (Miocene inferiore) in cui si realizzerebbe l’antiricopri- mento del complesso Sicilide sui complessi Calabride e Liguride ; III fase ( Serravalliano medio) in cui i complessi Sicilide, Calabride e Liguride si accavallerebbero sul complesso Panormide ; IV fase ( Serravalliano-Tortoniano) in cui il Complesso Panor¬ mide, ricoperto dalle altre coltri, si accavallerebbe sul Complesso Basale ; V fase ( immediatamente successiva) in cui si realizzerebbe un ulteriore trasporto verso l’esterno del Complesso Sicilide. Un forte sollevamento della catena nel Pliocene superiore, con¬ temporaneamente alla forte subsidenza nell’avanfossa, avrebbe determi¬ nato una ripresa dei movimenti orizzontali, con la messa in posto della falda di Metaponto. Già nel 1969, quando lo schema fu presentato, una serie di fatti noti erano in contrasto con alcune assunzioni fondamentali, tanto da far dubitare della complessiva validità dello schema stesso. Nella assem¬ blea della Società Geologica del gennaio 1969 (2), nella quale il lavoro fu comunicato, io stesso presentai una serie di obiezioni che mi sem¬ bravano, e mi sembrano tuttora, altamente valide. Malgrado avessi con¬ segnato al Socio L. Vezzani, incaricato dal relatore di raccogliere tut¬ ti gli interventi, il testo scritto di tali obiezioni, esse non figurano nei processi verbali della Società stampati nel Bollettino. Le ripropongo adesso, unitamente ad altre. 1. — La successione del Complesso Liguride è meno semplice di quella voluta da Ogniben. Esiste uno hiatus di metamorfismo ed un di¬ verso pattern strutturale tra la formazione del Frido e la formazione (2) Il lavoro di Ogniben fu presentato in due riunioni successive, del dicem¬ bre 1968 e del gennaio 1969. — 275 — delle Crete Nere. Il contatto Frido-Crete Nere non può quindi rap¬ presentare un passaggio stratigrafico graduale, ma potrebbe essere o un contatto tettonico o un contatto stratigrafico discordante. Le ofioliti contenute nel Frido non mostrano i segni di alcun contatto magmatico con questi terreni, come vorrebbe Ogniben e co¬ me ha successivamente ripetuto Vezzani, ma formano due distinte coltri, costituite da terreni con differente grado di metamorfismo, so¬ vrapposte al complesso del Frido. Nella parte settentrionale deU’area di affioramento le due coltri perdono la loro individualità, e masse ofiolitiche, costituite da tipi litologici riferibili a quelli delle coltri anzidetto, con vario grado di metamorfismo, si rinvengono tettonica- mente imballate nel complesso del Frido (Dietrich & Scandone 1972). Sembra addirittura che l’età del metamorfismo sia del Creta¬ cico inferiore ( Grandjacquet, Haccard & Lorenz 1972). 2. — Finora è stata accertata la sovrapposizione Complesso Cala- bride-Frido e la sovrapposizione Complesso Liguride (cioè flysch del Cilento)-Frido. La sovrapposizione del Complesso Calabride sul Com¬ plesso Liguride, postulata da Ogniben, non è stata mai accertata, anzi sembra che i « Klippen » calabridi di Episcopia-S. Severino Lucano siano masse tettonicamente imballate nel Frido, e siano quindi geometricamen¬ te sottostanti al flysch del Cilento (Complesso Liguride). 3. — Il Trias metamorfico di Lungro ed Acquaformosa viene identificato col Complesso Liguride. A parte il fatto che i terreni filladici di Lungro ed Acquaformosa sono stati attribuiti al Trias sulla base di reperti fossiliferi (Bousquet & Dubois 1967), è da notare poi che la loro posizione geometrica è sotto e non sopra le dolomie del Complesso Panormide. Per accertarsi di ciò, anche senza osservazioni di dettaglio sul terreno, è sufficiente guardare l’andamento dei limiti tra scisti filladici e terreni carbonatici nel foglio Castrovillari o nelle tavolette S. Donato di Ninea, Monte Palanuda e Lungro. 4. — Non viene riconosciuto il raddoppiamento dei terreni lago- negresi, e l’unità lagonegrese II (Trias medio-Cretacico inferiore) viene considerata la base (Trias medio) del Complesso Panormide. Questo argomento è stato già trattato nel capitolo dedicato alla stratigrafia. 5. — L’affermazione che i terreni lagonegresi occupano una posi¬ zione basale è inesatta. Il M. Alpi, infatti, lungi dall’essere un Klippe sui terreni lagonegresi, è con ogni evidenza una finestra tettonica (Selli — 276 — 1962, Ortolani & Torre 1971). Nella finestra tettonica di Campagna, inoltre, ancorché il rilievo definitivo in corso non sia ancora stato pub¬ blicato, si vede chiaramente la sovrapposizione dei terreni lagonegresi su terreni carbonatici e terrigeni (Scandone, Sgrosso & Vallario 1967). 6. — Il « problema di M. Alpi » fu correttamente impostato da Grandjacquet 1963: la presenza di Orbulina universa (Selli 1957) costringe a porre il M. Alpi in una zona più esterna di quella corri¬ spondente agli altri massicci carbonatici. Il problema viene liquidato da Ogniben mettendo in dubbio il ritrovamento di Orbulina da parte di Selli e quindi l’età mediomiocenica di questi livelli, Orbulina universa è invece presente ed abbondante, non solo, ma studi di dettaglio più recenti inducono addirittura a riferire al Tortoniano i livelli miocenici più alti del M. Alpi (Ortolani & Torre 1971). 7. — Il flysch numidico e la formazione di Serra Palazzo vengono considerati da Ogniben terreni ex-basali disarticolati dai terreni lagone¬ gresi e slittati in avanti nel corso di una fase tardiva deU’orogenesi. Se così fosse essi non potrebbero che essere o tettonicamente sottoposti o tettonicamente sovrapposti (in connessione a fasi tettoniche tardive) ai terreni delle coltri alloctone. Nel foglio Melfi, viceversa, il flysch numidico, passante in alto regolarmente alla formazione di Serra Pa¬ lazzo, giace sul Complesso Sicilide (Formazione di Corleto Perticara e argille variegate) con evidenti contatti stratigrafici (Centamore 1969; Centamore, Chiocchini, Jacobacci, Lanari & Santagati 1971 ; Centamore, Chiocchini & Moretti 1971). Secondo gli AA. suddetti si tratta di passaggi in continuità di sedimentazione ; a mio parere si tratta di appoggi « pseudotrasgressivi » (3). Ciò che comunque è certo è che il contatto non è di natura tettonica, ma sedimentaria. La sovrapposizione del flyseh numidico aU’alloctono o, se si vuole, l’intercalazione di alloetono nel flysch numidico è inconciliabile con lo schema di Ogniben che prevede l’arrivo dell’alloctono nell’area di sedimentazione del flysch numidico nel corso della IV fase ( Serraval- liano-Tortoniano). (3) Uso qui il termine « pseudotrasgressione » nel senso datogli da Pescatore, Sgrosso & Torre 1970 (pag. 338), cioè di « appoggio stratigrafico di sedimenti prevalentemente terrigeni sulla Piattaforma carbonatica o parti di essa dopo la tra¬ slazione di quest’ultima verso FAdriatico e la sua conseguente messa in posto in un bacino a sedimentazione terrigena ». — 277 — 8. — Secondo Ogniben i complessi Calabride, Sicilide e Liguride si accavallerebbero al Complesso Panormide nel corso della III fase tettonica, del Serravalliano medio. Pescatore, Sgrosso & Torre (1970), viceversa, in accordo con Scandone 1967, provano che il Complesso Sicilide si accavalla al Complesso Panormide già nel Burdigaliano, e che il Complesso Panormide stesso subisce una traslazione in questa fase. Dal fronte delle coltri in movimento, inoltre, si distaccano zolle di varia dimensione, sia « rigide » (calcari e dolomie) sia « plastiche » (argille varicolori s.L) che si intercalano nei depositi terrigeni dell’an¬ tistante bacino burdigaliano ( « wildflysch » della formazione di Ca¬ stel vetere). Di queste obiezioni alcune (identificazione del Trias metamorfico di Lungro ed Acquaformosa con il Complesso Liguride ; non ricono¬ scimento del raddoppiamento delle unità lagonegresi) sono di secondo ordine rispetto alla generalità del modello di Ogniben ; altre (eccessiva semplificazione del Complesso Liguride e dei suoi rapporti col Com¬ plesso Calabride ; esagerata semplificazione dei problemi concernenti le ofioliti) invalidano la parte relativa alle fasi precoci delTorogenesi ; altre (esistenza del Serravalliano e del Tortoniano al M. Alpi; posizione (( basale » delTAlpi rispetto ai terreni lagonegresi ; sovrapposizione stra¬ tigrafica del flysch numidico sulla formazione di Corleto Perticara ; esistenza del a wildflysch » di Castelvetere e, in generale, di una fase tettonica burdigaliana) fanno mettere in dubbio la complessiva validità delPintero modello. 3.1. Il problema dell’originaria posizione del bacino lagonegrese Prescindendo dalle antiche concezioni di De Lorenzo, seguite dalla maggioranza dei geologi appenninici per oltre mezzo secolo, i prì'mi fondati dubbi sulla posizione e sul significato dei terreni lago¬ negresi furono espressi da Signorini nel 1939, il quale riconobbe il sovrascorrimento delle dolomie triassiche sugli scisti silicei allora con¬ siderati di età mediotriassica. Gli anni 1956-57 marcano un sostanziale progresso delle cono¬ scenze sulla geologia dei terreni lagonegresi. A breve distanza di tempo Lucini (1956) riconosce nel Lagonegrese la continuità di se¬ dimentazione tra scisti silicei e galestri ( = flysch argilloso-filladico — 278 — p.p. di Ippolito & Lucini 1957); Tacoli & Zoia (1957) rinvengono microfaune giurassiche negli scisti silicei di S. Fele; Scarsella (1957) riconosce nella stessa zona una successione continua dai calcari con selce ai galestri. Una successione continua dai calcari con selce ai galestri, di età Trias Superiore-Cretacico inferiore viene nel 1961 riconosciuta da Ricchetti anche nella zona di Pignola- Abriola. ScAN- DONE (1962) distingue nel Lagonegrese un’unità carbonatica di età mesozoico-inframiocenica sovrascorsa su un’unità silicea mediotriassica- infracretacica. In questo lavoro Se and ONE propende per una probabile autoctonia dell’unità silicea e per un’alloctonia dell’unità carbonatica. Nel 1962 vede la luce la fondamentale memoria di Selli: Il Paleogene nel quadro della geologia delVItalia meridionale. In questo lavoro i terreni lagonegresi vengono per la prima volta interpretati in un quadro organico come coltri alloctone, di provenienza tirrenica, che avrebbero scavalcato i massicci calcarei nel Burdigaliano. Grandjacquet (1963) riconosce il ricoprimento dei massicci cal¬ carei sui terreni lagonegresi, e lascia aperto il problema sull’originaria posizione del bacino lagonegrese che potrebbe essere sia interna che esterna rispetto alla ruga della piattaforma carbonatica. Nel 1964 ScANDONE riconosce nei terreni carbonatici dell’alta valle dell’ Agri delle facies corrispondenti ad originari margini di piattaforma. Interpretando il « flysch rosso )> come la parte più alta della successione lagonegrese, supposta esterna rispetto alla piattaforma carbonatica, l’Au¬ tore riconosce nei « calcari pseudosaccaroidi » maastrichtiani un termine comune ai massicci calcarei ed ai terreni lagonegresi. Pieri (1966) propende per l’autoctonia della serie lagonegrese, e cosi Crescenti (1966) che pone il bacino di Lagonegro tra la piat¬ taforma carbonatica corrispondente ai massicci calcarei silentino-lucani e le Murge. Sulla base di nuovi dati analitici Scandone (1967) ritorna all’in¬ terpretazione di Selli (1962) di una totale alloctonia dei terreni lago¬ negresi. Questa posizione viene mantenuta in D’Argenio & Scandone 1970 e ancora in Scandone 1971. Nella sintesi di Ogniben 1969 i terreni lagonegresi vengono con¬ siderati, come già detto, basali, e l’originario bacino è posto tra la piattaforma carbonatica e le Murge. — 279 — Disponendosi oggi di numerosi ulteriori dati analitici e di un più completo quadro geologico regionale è possibile avanzare una nuova ipotesi sulla posizione del bacino lagonegrese. D’Argenio & ScANDONE 1970 hanno messo in evidenza l’esistenza di due piattaforme carbonatiche nell’ Appennino meridionale. I princi¬ pali caratteri distintivi della piattaforma interna, o piattaforma cam¬ pano-lucana, sono i seguenti : 1) serie continua dal Trias al Cretacico superiore nella sua parte centrale ; 2) diffusione del livello delle marne verdi ad Orbitolina , 3) ampia diffusione del Paleocene, rappresentato dalla formazione di Trentinara (Selli 1962); 4) trasgressione inframiocenica nella sua parte centrale, con de¬ positi prima calcarei ( Aquitaniano-Burdigaliano) e quindi terrigeni ( Burdigaliano) ; 5) tettogenesi di età burdigaliana. I principali caratteri specifici della piattaforma esterna, o piatta¬ forma abruzzese-campana, sono i seguenti : 1) serie continua dal Trias al Cretacico inferiore ; lacuna medio¬ cretacica frequentemente marcata da bauxiti ; trasgressione sopracre¬ tacica ; 2) assenza, in generale, della formazione di Trentinara ; 3) trasgressione infra-mediomiocenica nella sua parte centrale, con depositi prima calcarei ( Burdigaliano-Serravalliano), quindi terrigeni ( Serravalliano-Tortoniano) ; 4) tettogenesi di età tortoniana. Ponendo il bacino lagonegrese tra la piattaforma campano-lucana e la piattaforma esterna sarebbero soddisfatti tutti i dati analitici dei quali si dispone al momento. In particolare : a) sarebbe giustificata la posizione del M. Alpi in finestra, basale ed esterno rispetto alle unità lagonegresi. L’età mediomiocenica della 280 — trasgressione in questo massiccio, inoltre, sarebbe in accordo con la ge¬ nerale trasgressione infra-mediomioeenica nella piattaforma esterna ; b) sarebbe giustificata la situazione riscontrata a Campagna (ScANDONE, Sgrosso & Vallario 1967), in cui Funità carbonati- ca inferiore, sottostante le unità lagonegresi, dovrebbe appartenere alla piattaforma esterna. Durante Fesecuzione del rilevamento di det¬ taglio di questa zona in collaborazione con I. Sgrosso, rilevamento non ancora completato, è emerso che la sommità dei terreni terri¬ geni legati all’unità carbonatica inferiore è probabilmente tortonia- na, e comunque non più antica del Serravalliano. Ciò è in comple¬ to accordo con l’età dei terreni mioceniei legati alla piattaforma esterna. 3.2. I TERRENI dell’unità FoRAPORTA Lungo la valle del Calore, e più a S lungo la valle del Noce tra la Tempa Pertusata e i dintorni di Rivello affiora una fascia di ter¬ reni carbonatici con caratteri litologici e tettonici particolari, interposta ti'^a i terreni lagonegresi ad E e i massicei calcarei della piattaforma campano-lucana ad 0. Questi terreni, che chiamo qui unità Forapor- ta (4) sono tettonicamente sovrapposti all’unità lagonegrese II e sono a loro volta tettonicamente ricoperti dai terreni carbonatici della piat¬ taforma campano-lucana. L’unità Foraporta appare al suo interno suddivisa in tre scaglie tettoniche costituite, dal basso in alto, da : a) dolomie bianche ( Nerico) ; b) dolomie nere ( Retico ? - Infralias?) ; c) calcari neri (Lias medio-Dogger). Le superfici di accavallamento delle scaglie non sono tra loro pa¬ rallele, per cui Funità intermedia può a luoghi mancare e i calcari neri giacciono direttamente sulle dolomie bianche (es. M. fatile). La superficie di ricoprimento unità Foraporta-unità lagonegrese II, conforme ai terreni lagonegresi, tronca le superfici di accavallamento (4) Dal Monte Foraporta presso Lagonegro, abbastanza noto nella letteratura per il lavoro di Greco (1900). — 281 — delle seaglie. Di conseguenza sui terreni lagonegresi possono poggiare indifferentemente le dolomie bianche (M. Arenazza, Zango, M. latile), le dolomie nere (La Calda, valle del Noce), i calcari neri (M. latile). Sulla carta geologica allegata gli affioramenti più meridionali del¬ l’unità Foraporta sono presso Rivello. Vorrei però prospettare, sia pur in via ipotetica, la possibilità che le dolomie triassiche e i calcari Mas¬ sici dei monti di Lauria (M. La Spina e Tempa Arena Bianca) appar¬ tengano all’unità Foraporta. In questa ipotesi le scaglie di calcari Massici sulle dolomie, descritte da Bonardi 1966, potrebbero rappre¬ sentare scaglie di calcari neri sulle dolomie bianche, mentre la sovrap¬ posizione calcari a rudiste-dolomie triassiche, descritta anch’essa da Bonardi, potrebbe rappresentare il sovrascorrimento dei massicci cal¬ carei silentino-lucani sull’unità Foraporta. Scaglie tettoniche analoghe a quelle di Lauria si trovano anche tra Montesano sulla Marcellana e Ponte del Re (es. M. Cosomale, Torrente Acquabianca). Gli affioramenti più settentrionali dell’unità Foraporta nella car¬ ta geologica sono lungo la valle del Calore tra Lagonegro e Moliterno. Esiste la possibilità che i Monti della Maddalena e i monti di Vietri di Potenza (Scandone & Bonardi 1967; Sgrosso 1967) rappresentino un’unità tettonica distinta dai massicci calcarei silentino-lueani (unità dell’Alburno-Cervati nella carta geologica), e corrispondano invece alla unità Foraporta. Ad ogni modo ho preferito, per il momento, limitare gli affioramenti dell’unità Foraporta a quelli accertati, escludendo quelli ipotetici, che sono stati cartografati assieme all’unità dell’Alburno- Cervati. Darò qui di seguito i caratteri essenziali della successione nei ter¬ reni Foraporta, dal basso verso l’alto. Dolomie bianche. Affiorano principalmente al M. Arenazza, allo Zango, sul versante settentrionale del M. latile, alla Ferriera di NemoM e presso Rivello. La roccia è per lo più in stato cataclastieo, e la stra¬ tificazione è generalmente mal riconoscibile. Lo spessore non supera il centinaio di metri. I fossili più comuni sono rappresentati da Gervil- leia exilis che fa assegnare alle dolomie bianche un’età nerica. Dolomie nere. Affiorano principalmente lungo la valle del Noce, tra la Tempa Pertusata e la deviazione per Lagonegro dalla superstrada. La successione è data da una monotona sequenza di dolomie grigio — 282 — scure e nere, frequentemente ittiolitiche, ben stratificate e spesso stra- terellate, con a luoghi sottili letti di carbone sapropelico ( 5). A più altezze si rinvengono straterelli di microbrecce gradate, dolomitizzate e in parte silicizzate. Lo spessore complessivo non supera i 70-80 metri. Gli unici fossili riscontrati sono costituiti da modelli di piccoli gaste¬ ropodi e da lamellibranchi indeterminabili. L’età è pertanto sconosciuta. Ipotizzando un’originaria continuità dalle dolomie nere ai calcari neri, l’età più probabile sarebbe Retico-Lias inferiore. Calcari neri. I calcari neri affiorano estesamente alla Tempa Per- tusata, al M. Foraporta, alla Serra del Palo, al M. latile e alla Serra Luceta. La successione meglio esposta è osservabile al Canale del Torno, dqve è aperto un profilo di circa 250 metri di spessore. È possibile dividere la sezione in tre parti: a) la prima parte, immediatamente soprastante le dolomie nere, è costituita da calcilutiti e subordinatamente da calcareniti, con inter¬ calazioni di sottili livelli marnosi gialli. Sono molto frequenti fenomeni di slumping. Lo spessore è di 80-100 metri. Nei livelli marnosi sono contenute ammoniti non determinabili. L’età è medioliassica per le microfacies e per la posizione stratigrafica ; b) la seconda parte è costituita da un’alternanza di calcari mar¬ nosi giallo-verdognoli e marne gialle, dello spessore complessivo di circa 15 metri. Nelle marne sono contenuti numerosi modelli di ammoniti, e alla sommità si rinvengono frequenti posidonomie. L’età è Lias superiore; c) la terza parte è costituita da calcari colitici ( 6-7 metri), conglomerati intraformazionali (una ventina di metri), calcilutiti e calcareniti a grana fine con rari livelli di calcari colitici e di conglo¬ merati intraformazionali (circa 130 metri). Lo spessore totale di questa terza parte della sezione è poco più di 150 metri. L’età è Dogger (e forse Malm) per le microfacies e per la posi¬ zione stratigrafica. La facies dei terreni dell’unità Foraporta indica una deposizione in ambiente di mare sottile nel Trias superiore, evolvente a bacino nel Giurassico, con profondità moderate, sempre nettamente al di sopra della profondità di compensazione della calcite. La posizione geometrica dei terreni Foraporta è, come si è visto, tra i terreni carbonatici dell’unità (5) Uno studio petrografico inedito di questi carboni, segnalati da De Lorenzo nel 1924, fu eseguito da F. Ippolito nel 1950. — 283 — Alburno-Cervati in alto e quelli delle unità lagonegresi in basso. Facies ed assetto geometrico, pertanto, suggeriscono di collocare l’originaria area di sedimentazione dei terreni Foraporta in una zona di transizione tra la piattaforma campano-lucana e il bacino lagonegrese. 3.3. Unità tettoniche ed unità paleogeografiche Nell’Italia meridionale si distinguono, come è noto, i seguenti grandi elementi tettonici, da oriente verso occidente : a) avampaese pugliese ; ò) avanfossa bradanica ; c) catena appenninica. L’avampaese pugliese è costituito da una potente successione di carbonati mesozoico-terziari rappresentanti la copertura di uno zoccolo cratonico non affiorante, che si suppone appartenere al continente afri¬ cano. L’avanfossa, o Fossa Bradanica. borda all’esterno la catena appen¬ ninica, ed è colmata da depositi clastici pliocenici e quaternari. Questi depositi lungo il fianco occidentale del bacino poggiano sul fronte delle coltri appenniniche, lungo il fianco orientale poggiano sui carbonati dell’avampaese pugliese. La catena è un edificio a coltri di ricoprimento costruito in più fasi orogeniche, le ultime delle quali recentissime. Lo stile tettonico generale è tipicamente di copertura nell’ Appennino campano-lucano. Nella zona calabro-lucana, invece, vengono coinvolti nel trasporto oro¬ genico anche parti del basamento cristallino ercinico e pre-ercinico (es. ({ formazione dioritico-kinzigitica »). In questa regione, inoltre, l’orogenesi alpina lascia una ben marcata impronta di metamorfismo. Nella zona studiata le unità tettoniche costituenti l’ Appennino campano-lucano sono divise in unità a interne » ed unità « esterne ». Le unità interne sono rappresentate dall’alto in basso dal complesso delle argille varicolori (Complesso Sicilide in Ogniben 1969), dal flysch del Cilento ( Complesso Liguride p.p. di Ogniben) e dal complesso metamorfico del Frido. Quest’ultimo contiene imballate masse di rocce ofiolitiche e cristalline riferibili a quelle che in Calabria costituiscono le unità ofiolitiche I e II e l’unità (( dioritico-kinzigitica » (Dietr'c t & SCANDONE 1972). — 284 — Le unità esterne sono costituite daU’alto in basso dai « flysch esterni », dalle unità carbonatiche appartenenti alla piattaforma cam¬ pano-lucana, dalle unità lagonegresi, dall’unità del M. Alpi. I « flysch esterni » sono rappresentati dal « flysch di Castelvetere •• di Pescatore, Sgrosso & Torre (1970), che si estende verso S sino alla regione del Vallo di Diano, dal flysch di Gorgoglione (Selli 1962), dal flysch numidico (Ogniben 1963, 1969) o formazione di Stigliano (Selli 1962), e dalla formazione di Serra Palazzo (Selli 1962), dal flysch calcareo marnoso della Daunia o formazione di Faeto (Crostella & Vezzani 1964). La posizione di questi terreni è discussa in Pe¬ scatore (1970), Le unità carbonatiche riferibili alla piattaforma campano-lucana sono rappresentate dall’unità del M. Bulgheria ( estendentesi a N nell’isola di Capri, e corrispondente, a S, all’unità Verbicaro di Bousquet & Grandjacquet 1969), dall’unità Alburno-Cervati (estendentesi a N nei Monti Picentini e neU’Avella-Partenio, e corrispondente, a S, alla unità Campotenese-Pollino di Bousquet & Grandjacquet), e dall’unità Foraporta (probabilmente estendentesi a N nei Monti della Maddalena, e correiabile a S con l’unità Timpone Pallone di Bousquet & Grandjacquet). L’unità del M. Alpi è correiabile, a N, con i massicci calcarei del Matese-Maggiore, appartenenti alla piattaforma carbonatica abruzzese¬ campana (D’Argenio & ScANDONE 1970; Ortolani & Torre 1971). Non si hanno elementi certi per stabilire se la piattaforma abruzzese¬ campana si estendeva con continuità o meno dal Matese fino al M. Alpi. Il problema è discusso in Ortolani & Torre. Non sono in affioramento le unità più esterne dell’Appennino meridionale, appartenenti al margine esterno della piattaforma abruz¬ zese-campana e al bacino molisano, che affiorano più a N (Matese settentrionale, Frosolone). Relativamente alle unità interne i dati analitici dei quali si di¬ spone non sono sufficienti a permettere la costruzione di un profilo palinspastico. Il modello proposto da Ogniben 1969, come si è ac¬ cennato in premessa, appare troppo semplicistico per poter essere accettato. Per le unità esterne, viceversa, è stato possibile trovare una corrispondenza tra unità tettoniche ed unità paelogeografiche, ricavando il seguente profilo palinspastico dall’esterno verso l’interno : Gf) piattaforma apula ; b) bacino molisano ; — 285 — c) piattaforma abruzzese-campana ; d) bacino lagonegrese ; e) piattaforma campano-lucana. Nella tabella 2 sono indicate le corrispondenze tra unità tetto¬ niche ed unità paleogeografiche. Nella tabella 3 sono riassunte le successioni di tutte le unità finora individuate, sia « interne » che « ester¬ ne ». Esse sono tratte dalla letteratura esistente, in particolare da Scando- NE 1967, 1971; Ogniben 1969; Pescatore, Sgrosso & Torre 1970; Pescatore 1970; Ortolani & Torre 1971; Dietrich & Scando- NE 1972. TABELLA 2 Unità Paleogeografiche Unità Tettoniche piattaforma carbonatica campano-lucana unità Bulgheria unità Alburno-Cervati unità Foraporta bacino lagonegrese unità lagonegrese II unità lagonegrese I piattaforma carbonatica abruzzese-cam¬ pana e piattaforma del M. Alpi unità Matese-Maggiore e unità del M. Alpi bacino molisano unità di Frosolone piattaforma apula unità murgiana, avampaese appenninico 3.4. La tettonica pre-orogenica nelle zone esterne dell’Appen- NINO CAMPANO-LUCANO A) Trias. 11 Trias medio è nell’ Appennino, come in molte altre zone del Mediterraneo, un periodo di grande instabilità tettonica. I movimenti mediotriassici, di tipo tafrogenico, dissezionano l’infrastrut- tura ercinica, producendo una gran quantità di materiali clastici che si accumulano nelle zone depresse con modalità che conferiscono ai de¬ positi strutture sedimentarie simili a quelle di un f lysch ( formazione di M. Facito, Trias metamorfico di Lungro- Acquaformosa). Con questa fase tettonica si individuano i primi lineamenti delle zone appenniniche — 286 — esterne, e il bacino lagonegrese si differenzia dalla piattaforma campano¬ lucana da un lato e dalla piattaforma abruzzese-campana dall’altro. Non si hanno elementi per sapere se il bacino molisano si sia individuato anch’esso in questo momento o più tardi, nel corso della fase infra- medioliassica. Le dimensioni della piattaforma campano-lucana (tav. 1) sono nel Trias superiore certamente maggiori che nel Giurassico (6), dal momento che le zone di soglia giurassiche ricoprono stratigraficamente zone di retroscogliera triassiche (M. Bulgheria, Monti della Maddalena). In quest’area, inoltre, la subsidenza è costantemente compensata dalla sedimentazione, di modo che le facies rimangono sempre di mare basso. La velocità di subsidenza e di sedimentazione è di 70-80 Bubnoff (B) nel Trias superiore (7). Nel bacino lagonegrese, invece, la riduzione del rifor¬ nimento del materiale detritico durante il Ladinico fa sì che la velocità di subsidenza prenda il sopravvento sulla velocità di sedimentazione. Nel Trias superiore la sedimentazione è pertanto decisamente pelagica. La velocità di subsidenza supposta è di almeno 100 B nei fianchi del bacino (calcari con selce dell’unità lagonegrese II), con valori fino a tre volte maggiori nella sua parte assiale ( calcari con selce dell’unità lagone¬ grese I). La velocità di sedimentazione calcolata varia da 20 (facies prossimali) a 50 B (facies distali). B) Giurassico. Nel Lias inferiore continuano a sussistere le con¬ dizioni descritte nel Trias. Alla fine del Lias inferiore una fase tetto¬ nica di vaste proporzioni interessa le zone marginali della piattaforma campano-lucana ( 8), che viene tagliata longitudinalmente da grandi faglie che resteranno attive per il resto del Mesozoico. Nel bacino lago¬ negrese questi movimenti sono testimoniati dall’abbondanza di calciruditi gradate nelle facies prossimali (S. Fele, Vietri di Potenza). Durante il Giurassico inferiore si registra nella piattaforma cam¬ pano-lucana una tendenza al restringimento, in connessione con l’atti¬ vità tettonica lungo i bordi, i quali corrispondono spesso a linee di faglia. Durante il Giurassico superiore in quelle zone dove le faglie non hanno impostato scarpate troppo ripide, si assiste ad un movimento contrario, e la piattaforma tende a riallargarsi. Nella regione del M. ( 6) Lo stesso si può dire più a Nord, fuori dell’area in esame, per la piatta¬ forma abruzzese-campana. (7) L’unità di misura Bubnoff (Fischer 1969) corrisponde ad 1 mm/1000 anni, ovvero 1 m/l milione di anni. (8) V. nota 6. 287 — Bulgheria, ad esempio, dove è conservala la zona di transizione tra la piattaforma campano-lucana e il più esterno dei bacini « interni », è rappresentato un tipico ciclo trasgressivo-regressivo delle facies di scogliera tra il Lias inferiore e il Malm superiore. Nella piattaforma campano-lucana, così come al M. Alpi, la velo¬ cità di subsidenza, compensata dalla velocità di sedimentazione, è di una ventina di B nella sua parte centrale. Nelle zone di soglia (Monti del¬ la Maddalena, unità Verbicaro), questi valori possono ridursi fino ad annullarsi. Nel bacino lagonegrese la velocità di subsidenza supposta è di circa 100 B (con valori molto più elevati nella parte centrale del bacino), la quale tende ad arrestarsi durante il Malm, per assumere addirittura valori negativi alla fine del Giurassico. Le velocità di sedimentazione calcolate variano da un minimo di 1-1,5 B (zone distali del bacino) ad un massimo di 4 B (fianco interno del bacino). La profondità di compensazione della calcite è raggiunta al passaggio Lias-Dogger nelle zone prossimali del bacino {facies S. Fele, facies Pignola- Abriola)^ al passaggio Trias-Lias nella parte assiale {facies Lagonegro-Sasso di Ca¬ stalda). C) Cretacico. Durante il Cretacico continuano i movimenti lungo le faglie liassiche, e al tempo stesso si creano nuove fratture anche nelle aree centrali della piattaforma campano-lucana. Queste nuove fa¬ glie, che producono brecce intraformazionali frequenti sopratutto nel Cretacico medio (Gozzetta 1963), hanno piccoli rigetti verticali, delFordine delle decine o al più di qualche centinaio di metri. Le faglie liassiche, invece, nelFintervallo Lias medio-Cretacico superiore realizzano rigetti verticali finanche di duemila metri (monti ad 0 e ad E del Vallo di Diano, Scandone & Bonardi 1967). Non vi sono evidenze di trascorrenze. Al M. Alpi la sequenza mesozoica si arresta al Cretacico inferiore molto basso, ma più a N, nei massicci calcarei appartenenti alla piat¬ taforma abruzzese-campana durante il Cretacico medio si arriva all’emer¬ sione di vaste aree nelle cui zone più depresse si accumulano depositi bauxitici che sono poi ricoperti dai calcari del Cretacico superiore (D’Argenio 1963, 1966). Nella piattaforma campano-lucana la velocità di subsidenza, com¬ pensata dalla velocità di sedimentazione, ha valori medi di 20 B nelle sue parti centrali. Nelle zone di soglia tali valori possono ridursi fino ad annullarsi. — 288 Nel bacino lagonegrese i valori della velocità di subsidenza sono probabilmente nulli o negativi. Ammettendo un’originaria prosecuzione dai galestri al a flysch rosso » i valori della velocità di sedimentazione calcolabili raggiungono un massimo di circa 10 B. Nel Senoniano superiore si registra una fase tettonica di entità comparabile a quella liassica. Nella piattaforma campano-lucana le faglie che limitano spesso retroscogliera e soglia si riattivano brusca¬ mente, ed altre se ne creano ; le zone già di retroscogliera emergono, mentre quelle di soglia sprofondano rapidamente e su di esse, dove il pendio lo consente, si depositano sedimenti clastici derivanti dallo sman¬ tellamento delle zone in via di emersione (calcari « pseudosaccaroidi » e brecce a frammenti di rudiste) (9). Nel bacino lagonegrese la fase tettonica senoniana è testimoniata dall’arrivo di abbondante materiale clastico carbonatico (calcari « pseudosaccaroidi » e brecce a frammenti di rudiste del « flysch rosso »), che si depone qui con caratteri di torbide. D) Paleogene. Nel Paleogene le aree di piattaforma sono prevalen¬ temente emerse, mentre nel bacino lagonegrese continuano le alter¬ nanze di sedimentazione pelagica ( calcilo titi e marne) e sopratutto detritica (calciruditi e calcareniti gradate). Nelle aree emerse il carsismo lascia spesso la sua impronta. Si tratta di fenomeni carsici superficiali, accompagnati a luoghi (Cocco- vello-Serralunga-Cervati) dalla formazione di argille residuali. L’assenza di un carsismo profondo può essere messa in relazione alla scarsa ele¬ vazione delle aree emerse. E) Miocene inferiore, Nell’Aquitaniano si verifica una generale trasgressione (Selli 1957) che interessa tutte le aree precedentemente emerse della piattaforma campano-lucana. La sedimentazione è aU’ini- zio carbonatica, con calcareniti glauconitiche, quindi evolve a terrigena. L’inizio della sedimentazione terrigena coincide con l’inizio del diastrofismo nelle zone esterne. 3.5. L’orogenesi nelle zone esterne I processi orogenetici che portarono alla costruzione della catena si svolsero in una serie di eventi che migrarono nel tempo e nello spazio : nel tempo dal Burdigaliano al Pliocene medio-superiore, nello (9) V. nota 6. j/s TORTONIANA E MEDIOPLIOCENIC A MONTE ALPI C.UNITÀ INTERESSATE DALLA FASE MEDIOPLi<3 GENICA □.TERRENI AUTOCTONI DELLA FOSSA BRADANI CA E. MURGE argille, sabbie e conglo. merati calcareniti argille , sabbie e con. glomeratl discordanza argille, siltiti .arenarie conglomerati discordanza sul fronte delle coltri appennini¬ che argille, sabbie e calcareniti marnee argille;calcirudi- ti e calcareniti gradate, calcilutiti con Orbulina (”f!ysch„ della Daunia) conglomerati e marne discordanza marne e calcareniti discordanza angolare sulle unita' A e B e sulle unita'"interne" disconformita' o debole dis¬ cordanza an - golare sui cal - cari delle Mur- ge marne e argi Ile, calci ruditi e calcareniti gradate calcareniti disconformita' dolomie e calcari erudiste calcilutiti .calcareniti e calcari colitici : calciluti . ti con Clypeina jurassi. ca e con Cladocoropsis mirabilis; calcareniti e calcari colitici dolomie.calcilutiti e calca, reniti con orbitoline TABELLA 3 ' ' ""'4 ■ ::ìS‘'' V : - .S. ■ ?' 'S- ... • H' ■4? ,T i-- ,. . 1 1 ' ’ó .-*0’ .1^ ‘'-^^:^;-‘^’’ìi■'S'”ì ^ i, /a a ! y .' - 7 '• 'f' ■> j; ., . , ; I --, ■ ' ■ ,-. i-- -.-.«v. I .. ou .1 ■ <4:.oiii« F I: ■ ^ m H ^ |0'^=ncr;ir ' ■•■ i i ' ■. ■: ■■M..,C .ì ' : 1.: y..*' j ’ f'.'.i^Vw" -C». ' ' - S:. ^ j *V' c!(v*^/‘-' :r “ '; i.À. .!’> '. j., • ? 'ik'.' ;W ■' ' , ,j>> it • •' y. ' 'fu- \ . .. ■■. . ■• r ■tt'tiri^ ''\7 -‘r a^-■ j;;,r «-Jiir-. ■‘y4Cr>'' .TVW.}^ J. ? f r-'v. '>. >V 1.1 V-, A -i*y ■ v'.- . ' •- ...y'.w .,.::• ' -4- A A, :S >4^1 i ■I J’ rV( r . Y"',f ■'-' ‘‘''■•’ ' ^ '•• '>> ■;4"- '■ ' -l ?A' ■ '< «Ji '.'Ò ■'%. V;. ■■..!■• 'jf; ..v' ; : ?;f 5»:^, «4? A; > (! 'N-AA'ìA-M^^j.Aì A w . .-T -A, f • ' i' ' ~ rfl . ' ■ ' .y '. - .-.t ' '*' ' .'* ■ S r^£t <*> ó'>..>:.' 3^4;({Vt. ; Al '•Arj'.e.'.:.. .4' y. . ^ R. ' .' ^ ■•••’ ,‘ ■ . ,.■■ -1 v.> . ( i ■'"'■ ■ i ■».->, ■T t-'i''' v"'»A.v''i‘. ( - \ , .A-'.'-' .. ,.' |..i)r/i.'»> <■« ‘ ’ V- •.■'■'-■ . • . ,,. .-V. Lt?" -• 4 «•*. 4>. 4. ilriii^ r A' rt à .: ^ > • i -. ... ..4. t ! . « '''■»->] . ..v . !i r';A i’-y,'. ^ , . ' J, :• UlJ)M at^-UA^ -.4,^^'-. ,.4 V-Ì4-A-. - *• . ...y • '* f » -.ìA^- ! hN ;jii... . L» .. .,1 ' A''. -'A.^..'-. --wA' '|) i i .. Ai r .1 r'I .■'f.*:a-.i( i7it.‘.!. '.'.A' ■?•U^| 4.=^. i ^ ^ f v: i''4YÌì;S4gi A,..:,l.. - Ì>44..«:,[ .' 1 A ì i : '■<}' •' A- "'jiv «■« ' ^ f/'l ’ . ■■ '■ ■■ , i , v- •'• V }, . i ì :> '>, I - V' ' ' ' '.7 ;à^3t,'.:..i.-X‘>.K4.:L:Y., - . . • .'. ., _ ' ,', ' ., -.., , C. •.•‘AtAo' .1 L .1. '■ . ■ Hi* : '-h j ^ yi...44i'iU-4. T f>V'>.'i '''i:' ' - x '''••'' ^ , ',. 'y ' j'. ì V. .,u ’.-.-A. :. i.ui-ni^ , ; ■ L-U.' «1 .1.;^>A,''t. i ;• I . ■•• . . «4.. .. . .. 4»y». ..?»...— < 4 VÀS?. V i! --é. — 289 — spazio dal bordo interno della piattaforma campano-lucana al bordo interno della piattaforma apula. Le originarie dimensioni trasversali delLinsieme dei domini esterni dovevano essere non inferiori a 400 chilometri, che sono la larghezza del profilo palinspastico più « prudente » dal bordo interno della piat¬ taforma campano-lucana al bordo interno della piattaforma apula. Le dimensioni trasversali attuali della catena sono di 100-150 chilometri, dei quali non meno di trenta giacciono sovrapposti alLavampaese. Le principali fasi a prevalente movimento orizzontale furono tre : fase burdigaliana, fase tortoniana e fase mediopliocenica. La fase burdigaliana creò il primo appilamento di coltri, con un accorciamento totale non inferiore a 150 chilometri. La fase tortoniana, con un ulteriore accorciamento di circa 100 chilometri, costruì nelle sue linee essenziali Fedificio della catena. Quest’ultimo nella fase mediopliocenica fu trasportato in avanti in loto di almeno trenta chilometri. Nel Pliocene superiore, e sopratutto nel Pleistocene, avvenne il sollevamento isostatico, ed il Calabriano si trova attualmente sollevato sino a circa 1000 metri sul livello del mare. Le velocità di traslazione delle coltri, pur non essendo ricavabili con precisione perchè mancano dati quantitativi sulla durata delle singole fasi orogeniche, sono comunque dell’ordine dei centimetri per anno, cioè delle decine di migliaia di B. Il sollevamento pleistocenico si realizzò invece con velocità medie intorno al millimetro per anno, cioè intorno al migliaio di B. 1) Fase burdigaliana. Nell’Aquitaniano-Burdigaliano le aree emerse della piattaforma campano-lucana furono interessate da una generale trasgressione (Selli 1957). La sedimentazione fu per breve tempo calcarea, quindi evolse a terrigena, con facies di flysch sia sulla piat¬ taforma campano-lucana (formazione del Bifurto, Selli 1957), sia nel bacino lagonegrese (parte sommitale del « flysch rosso »). Il primo annunzio del diastrofismo fu dato da olistostromi di argille varicolori nei depositi terrigeni burdigaliani ; quindi il complesso delle argille varicolori, il flysch del Cilento e il complesso del Frido si accavallarono sulla piattaforma campano-lucana che fu spinta in avanti, rompendosi in due parti: l’unità Alburno-Cervati e l’unità Foraporta. La prima sovrascorse sulla seconda, che a sua volta si accavallò sul fianco interno del bacino lagonegrese. Quest’ultimo, infine, (unità lagonegrese II) sovrascorse su parti più distali del bacino. 19 — 290 — Con la fase tettonica burdigaliana al posto deirampio bacino lago- negrese si instaurò un bacino di dimensioni minori, in gran parte impostato sulle coltri burdigaliane, nel quale riprese la sedimentazione terrigena in facies di flysch ( « flysch esterni ») precedentemente inter¬ rotta dall’arrivo delle coltri. Da oriente verso occidente si susseguono le aree di sedimentazione del « flysch » danno (formazione di Faeto in Crostella & Vezzani 1964), quella del flysch numidico e della for¬ mazione di Serra Palazzo, quella del flysch di Gorgoglione e del « wild- flysch » di Castelvetere, Quest’ultimo si sedimentò all’estremo lato oc¬ cidentale del bacino, dove si andavano staccando dalla fronte delle coltri in movimento grossi frammenti, sia competenti (blocchi calcarei delle dimensioni delle decine e finanche del centinaio di chilometri cubici) che incompetenti ( olistostromi di argille varicolori), i quali slittavano nel bacino intercalandosi ai depositi terrigeni (Pescatore, Sgrosso & Torre 1970). Il momento di massima attività di questa fase orogenica si verificò nel Burdigaliano medio. Nel Serravalliano si ebbe una ripresa dei movimenti, che interessarono sopratutto l’unità dell’Alburno-Cervati, la quale sovrascorse in parte sui Monti della Maddalena. La fase ser- ravalliana, ad ogni modo, fu di entità di gran lunga inferiore a quella hurdigaliana e a quella tortoniana, e per questa ragione è considerata qui come un prolungamento della fase burdigaliana, dalla quale non è nettamente separata. 2) Fase tortoniana. Nel Burdigaliano-Serravalliano le aree emerse della piattaforma del M. Alpi e in generale di tutta la piattaforma abruzzese-campana furono interessate da una generale trasgressione (Selli 1957; Grandjacquet 1963; Ortolani & Torre 1971). La sedimentazione fu prima calcarea, di mare basso (calcari a macrofora- miniferi e molluschi), quindi calcarea pelagica (calcari ad Orbulina) e infine terrigena. Anche stavolta l’inizio della sedimentazione terrigena coincise con l’inizio di una nuova fase diastrofica. Le unità lagonegresi, le unità carbonatiche della piattaforma campano-lucana, le coltri « interne » e i « flysch esterni » si accavallarono alla piattaforma del M. Alpi che a sua volta con ogni probabilità sovrascorse sui terreni del bacino moli¬ sano. Durante il trasporto orogenieo per frazionamento dell’unità Al- burno-Cervati ebbe origine Funità Bulgheria. Nelle depressioni delle coltri, dopo la fase tortoniana, si imposta¬ rono una serie di bacini per lo più a scarsa circolazione, con depositi — 291 — terrigeni ed evaporitici. Nel Pliocene inferiore questi bacini si allarga¬ rono sempre più, fondendosi infine in un unico grande bacino avente oltre 70 chilometri di larghezza, allungato secondo P Appennino, limitato ad oriente dalFavampaese pugliese. 3) Fase mediopliocenica. Nel Pliocene medio si verificò l’ultima fase tettonica con prevalente componente traslativa. Le uniche traccie in superficie di questa fase sono rappresentate dalla discordanza ango¬ lare nei bacini intrappenninici e sul bordo occidentale della Fossa Bradanica tra il Pliocene inferiore-medio, in giacitura finanche verti¬ cale, e il Pliocene Superiore-Pleistocene inferiore suhorizzontale. In profondità questa fase è ampiamente documentata dai risultati dei sondaggi per ricerche petrolifere. Essi hanno messo in evidenza che le coltri appenniniche ricoprono per circa trenta chilometri argille del Pliocene medio le quali poggiano trasgressive sui calcari delle Murge (Carissimo, D’Agostino, Loddo & Pieri 1963; Pieri 1966; Servizio Geologico d’Italia, fogli Matera e Montalbano Ionico). Con l’accavallamento della catena sull’avampaese cessa, nell’Appen- nino meridionale, la tettonica orizzontale. 3.6. Il sollevamento della catena Dopo l’ultima fase orogenica con prevalenti movimenti orizzontali, il bacino che nel Pliocene medio separava la catena dalFavampaese si ridusse di larghezza e migrò verso oriente costituendo il bacino della Fossa Bradanica. Contemporaneamente nelle depressioni della catena si impiantarono una serie di bacini di minori dimensioni, come ad esempio il bacino di S. Arcangelo (Vezzani 1967c; Dentini 1968), e il bacino di Calvello (Ciampo 1970). Finalmente iniziò il sollevamento isostatico. A questi movimenti le unità carbonatiche « rigide » delle due piattaforme sudappenniniche rea¬ girono spezzandosi con una serie di faglie subverticali di grande rigetto. Le unità del flysch e delle argille varicolori, invece, reagirono defor¬ mandosi per lo più plasticamente. Dal fronte delle coltri, inoltre, oli- stostromi di argille varicolori colarono nella Fossa Bradanica interca¬ landosi alle argille pleistoceniche. L’attuale profilo trasversale della catena è fortemente dissimmetrico rispetto allo spartiacque, presentando le massime altezze (intorno ai 2000 metri) in prossimità della costa tirrenica, e degradando poi ab- — 292 — bastanza dolcemente verso la Valle del Bradano. Questa dissimmetria morfologica è l’eredità di una dissimmetria del sollevamento pleisto¬ cenico. A mezza strada tra il Tirreno e l’avampaese pugliese, infatti, i valori dei sollevamento post-calabriano sono di circa 1000 metri, contro un centinaio di metri soltanto nell’avampaese. km 100 200 300 400 500 Fig. 3. — Da Morelli (1970). Sezione dal Tirreno allo Ionio attraverso la regione calabra, mostrante la struttura profonda dellTtalia meridionale. Nel Pleistocene superiore, finalmente, l’Appennino raggiunse una configurazione praticamente identica all’attuale. La fig. 3 tratta da Morelli 1970, relativa alla zona calabra, mostra un’interpretazione molto interessante della struttura profonda attuale dell’Italia meridionale. 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Trias medio - Burdigaliano. 8 a soglia e transizione esterna ; 8 b retroscogliera ; 8 c soglia e transizione interna. 9. Flysh del Cilento. 10. « Argille varicolori ». Litologia relativa alle colonne stratigrafiche ed al profilo non interpretato : 11. Arenarie; 12 argille e marne; 13 calcari massicci; 14 calcari neritici ; 15 cal¬ cari con selce; 16 dolomie; 17 dolomie con selce; 18 radiolariti ed argilliti silicee; 19 calciruditi e calcareniti gradate; 20 conglomerati. N. B. - I termini interno ed esterno sono usati, qui come nel testo, in relaz'o- ne al senso del trasporto orogenico. Le colonne stratigrafiche delle unità esterne si arrestano prima della fase tet¬ tonica burdigaliana relativamente ai terreni della piattaforma campano-lucana e del bacino lagonegrese ; prima della fase tettonica tortoniana relativamente a quelli della piattaforma del M. Alpi e del bacino molisano. Per Punita Frosolone i dati sono tratti da Pieri (1966) e gli spessori sono pu¬ ramente indicativi. Nei profili palinspatici le dimensioni trasversali della piattaforma del M. Alpi e del bacino molisano sono del tutto arbitrari. Nelle fasi tettoniche tortoniana e mediopliocenica la piattaforma del M. Alpi è stata fatta accavallare in foto sui terreni del bacino molisano che appaiono inde¬ formati. Questa semplificazione è dovuta all’assoluta mancanza di dati sulle strutture al di sotto delPalloctono « plastico ». È possibile, invece, che in conseguenza della fase tettonica tortoniana si siano create nella piattaforma del M. Alpi strutture analoghe a quelle generatesi nella piattaforma campano-lucana a seguito della fase tettonica burdigaliana. i UNITA' ESTERNE DELL' APPENNINO MERIDIONALE EVOLUZIONE DELLE ZONE ESTERNE DELL APPENNINO DAL MESOZOICO ALL’ATTUALE IN UN PROFILO ATTRAVERSO L’ITALIA MERIDIONALE DAL TIRRENO ALL’ADRIATICO . P SCANDONE.1972 iBURDIGALIANOl □ ' IMI P§Ì^la LZ]’ ji 'si' ' . ■ •I-' ' ■ . > i^lbb .. _ ' ... ^ ' •• « . .::V m ; *" ' .,. ■ ’ i:Ì^iTiT:2fj*.i(,S! • ì’r 0^ 10^ ' . . t o" '-‘r-; INDICE Riassunto ............. pag. 225 Abstract .............. 228 Introduzione ............. 232 Ringraziamenti ............ y) 234 Aggiornamento delle conoscenze ......... 234 Parte prima STRATIGRAFIA I. Premessa ........ pag. 236 I.I. Unità Lagonegrese II . )) 242 LI.l. Formazione di M. Facito ..... )) 242 LI. 2. Calcari con selce (Facies S. Fele) » 244 I.I. 3. Calcare con selce (Facies Pignola- Abriola) » 244 1.1.4. Calcari con selce (Facies Armizzone) )) 246 1.1.5. Scisti s.licei (Facies S. Fele) .... » 247 1.1.6. Scisti silicei (Facies Pìgnola-Abriola) » 249 1.1.7. Scisti silicei (Facies Armizzone) » 250 1.1.8. « Flysch )) galestrino A .... . » 251 1.1.9. Osservazioni sulla facies Armizzone » 252 1. 1. 10. La «facies» Bella (Marini 1968) » 255 1.2. Unità Lagonegrese I .... , » 256 1.2.1. Calcari con selce (Facies Lagonegro-Sasso di Castalda) )) 256 1,2.2. Scisti silicei (Facies Lagonegro-Sasso di Castalda) )) 258 1.2.3. Galestri B ....... . » 258 1.3. La possibile prosecuzione verso l’alto della SERIE CAL- CAREO-SILICO-MARNOSA ..... )) 259 1.4. Batimetria del bacino Lagonegrese » 261 — 302 — Parte seconda TETTONICA 2. Premessa ........... 2. 1 II « RADDOPPIAMENTO )) DELLA SERIE CALCAREO-SILICO-MARNOS A 2. 1. 1. La finestra tettonica dell’alta valle dell’ Agri . . . . 2.1.2. La finestra tettonica Lagonegrese ...... 2. 2. Il sovrascorrimento dei massicci calcarei . . . . 2. 3. L’arco di pieghe ......... 2. 4. Tettonica disgiuntiva ........ 2. 5. Tettonica di « scendimento »... . . . pag. 262 » 263 » 264 )) 265 » 266 » 267 » 270 » 271 Parte terza LA SERIE CALCAREO-SILICO-MARNOSA NEL QUADRO DELLE ATTUALI CONOSCENZE SULL’APPENNINO CAMPANO LUCANO 3. Premessa ........... pag. 272 3. 1. Il problema dell’originaria posizione del bacino Lagonegrese » 277 3.2. I terreni dell’unità Foraporta ...... )) 280 3.3. Unità tettoniche ed unità paleogeografiche » 283 3.4. La tettonica pre-orogenica nelle zone esterne dell’Ap- PENNINO CAMPANO-LUCANO ........ )) 285 3.5. L’oROGENESI nelle ZONE ESTERNE ...... )) 288 3.6. Il SOLLEVAMENTO DELLA CATENA . . . » 291 Bibliografia ..... ...... » 293 BolL Soc, Natur. in Napoli voi. 81, 1972, pp. 303-312, 1 tMb., 2 figg., 8 tavv. Su alcuni resti di Eiephas antiquus rinvenuti nelle Alluvioni Terrazzate della Conca di Sulmona. Pratola Peligna (L'Aquila) Nota dei soci GIUSEPPE LEUCI e RAFFAELE SCORZIELLO (*) (Tornata del 27 Ottobre 1972) Riassunto. — In questa nota vengono descritti resti elefantini, attribuibili ad un unico individuo, recuparati dagli Autori, nelle Alluvioni Terrazzate della conca di Sulmona, (Pratola Peligna), dove per la prima volta sono stati rinvenuti resti fossili costituiti da: parti di una mandibola, la parte terminale di una difesa e due molari, attribuibili ad Eiephas antiquus Falc„ Poiché tali resti giacevano in uno strato molto superficiale, non hanno subito una buona fossilizzazione, ad eccezione dei due molari destro e sinistro, che sono i reperti meglio conservati. Il metodo di studio seguito è stato quello classico ; cioè dopo aver studiato i reperti recuperati essi sono stati messi in confronto con altri resti di altre località. Per il confronto sono stati presi gli esemplari di località « Il Crocefisso » e di « Monteverde », esemplare 164 del Museo di Paleontologia delFUniversità di Roma, per Faffinità che presentano con l’esemplare in questione. Summary, — some remains of elephant are here described. They belong to thè same specimen recovered by thè Authors in thè alluvial material of thè Sulmona bacin ; where fossils remains of this type were disvovered for thè first lime. They are ; parts of mandible, thè terminal pari of a tusk and two molars, belonging to Eiephas antiquus Falc. As such remains were found in a shallow level of gravel thè fossilization was very weak, excepted thè two molars M^ right and left that are thè best preserved. The method of study followed is thè classical, i. e. after having studied thè discovered remains they were compared with others remains o£ athers places. For their comparison were considered specimen of: «Il Crocefisso » and « Monte verde », specimen 164 in custody of thè Museum of Pa- leontology of University of Rome for affinity that they bave with thè examined spe¬ cimen. (*) Museo di Paleontologia annesso all’Istituto di Paleontologia delFUniversità di Napoli. Lavoro eseguito con il contributo del C.N.R. — 304 — Qui natus est infelix, non vitam modo tristem decurrit, verum obitum quoque persequitur illum dura fati miseria. (Fedro, IV, 1) L’Istituto di Paleontologia, sotto la direzione della Prof.ssa Angiola Maria Maccagno, da diversi anni va eseguendo ricerche di Vertebrati fossili Plio-pleistocenici nelFItalia centrale ( Abruzzi in particola) e meri¬ dionale. A tale scopo si mantiene in continuo contatto con Enti e persone che collaborano attivamente, segnalando scoperte e ritrovamenti di re¬ perti fossili. Tale attiva collaborazione ha portato, recentemente, al rinveni¬ mento di resti elefantini fossili, nel comune di Pratola Peligna (L’A¬ quila), che, pur non essendo reperti eccezionali, tuttavia sono di no- tevolf' interesse, anche per la novità della segnalazione per la località. Essi consistono in alcuni pezzi di mandibola, un frammento di difesa e due molari inferiori. Del rinvenimento ha dato notizia alla Prof.ssa A. M. Maccagno j1 Prof. Cianfarani, Sovraintendente alle Antichità di Chieti. Al recupero di tali resti hanno collaborato : il Sig. Beradinelli, Tecnico della Sovraintendenza di Chieti ed il Dott. A. Mancini che qui ringraziamo. Ringraziamenti vanno soprattutto alla Prof.ssa A. M. Maccagno per la lettura critica del manoscritto e per i consigli datici durante la stesura della presente nota. Ringraziamo anche gli studenti Bruno Moncharmont e Sergio Ver- neau per la collaborazione nel lavoro di recupero. Giacitura. La località in cui sono stati rinvenuti i resti in questione è Ac¬ quaviva a sud delTabitato di Pratola Peligna, quota 366 (a SE del Ci¬ mitero) della tav. II NE del F.° 146 « Sulmona » al 25.000 delTI.G.M. le cui coordinate, con approssimazione di 100 m. dal nostro scavo, so¬ no: VG. 06.7.60.7. I pezzi da noi recuperati sono il solo frammento di difesa, perchè i due molari insieme alla mandibola (ridotta in pezzi) sono stati recu- 305 — perati da un operaio, il quale stava eseguendo lavori di sbancamento per l’ampliamento del Cimitero e che nell’intento di fare tutto da solo, purtroppo, ha mandato in rovina buona parte di quello che aveva sco¬ perto. Non abbiamo potuto osservare direttamente se i pezzi fossero nella loro normale posizione anatomica, però a breve distanza dal pezzo di difesa recuperato si trovavano le tracce di un’altra difesa ridotta in fram¬ menti e perciò irrecuperabile, inoltre i molari e la mandibola secondo quanto è stato raccontato dall’operaio che intendeva allo scavo, erano si¬ tuati di poco più in basso alle zanne, è da ritenersi quindi che tutto il materiale rinvenuto, fosse nello stesso livello, costituito da uno stra¬ to di ghiaia piuttosto grossolana, spesso circa 40-50 cm. Si può supporre che alla mandibola con i molari seguissero le due difese e questo ci ha fatto escludere la possibilità di ritrovare lo scheletro completo dalla parte non sbancata, perchè questo, se presente, si sarebbe dovuto trovare dalla parte dove era già stato eseguito lo sbancamento per un primo ampliamento del Cimitero. I resti giacevano in uno strato, come si è detto, di ghiaia piutto¬ sto grossolana di 40-50 cm. di spessore, in cui si intercalava una sab¬ bia da grossolana a fine, passante verso l’alto ad una sabbia con ghiaia mista a terreno vegetale, in basso seguiva uno strato di sabbia fine il cui spessore apprezzato era di circa 70 cm. ; al di sotto di questo strato seguiva un banco di ghiaia mista a sabbia grossolana il cui spessore era di circa 1,50 m. (Fig. 1). Questa formazione nella carta Geologica d’Italia F.° 146, Sulmo¬ na,), rilevata da E, Beneo 1942, è indicata come conglomerati antichi terrazzati : resti dei grandi coni di deiezione nelle conche lacustri abruz¬ zesi, talvolta interessati nei movimenti orogenetici. Terrazza alta della conca di Sulmona. Descrizione del materiale. Mandibola. L’esemplare comprende : i due mezzi rami orizzontali della mandi¬ bola, separati nella sinfisi per frattura ma perfettamente combacianti. Manca la metà superiore dei rami ascendenti. Il ramo destro conserva la regione alveolare che però è staccata dal ramo stesso e combacia con esso solo in pochi punti, perchè mancante 20 — 306 — di diversi pezzi ; ciò nonostante è fuori dubbio che i pezzi apar tenga¬ no allo stesso reperto anatomico. In questa regione alveolare s’incastra perfettamente l’M2 destro, che sarà descritto più avanti ; essa inoltre conserva due fori sinfisali, uno esterno in alto, che si protende verso il basso della parte linguale ed uno interno in basso che si raccorda perpendicolarmente al primo. 1.30 0.40-0.50 0.70 1.5 0 'ó/ào, P‘> ^ o'h'.o^'ò ''ò 'à'A <^‘o o.OOO/a‘o\ ^ o 0,0^0. o :] O[0 •D 7.0 . o^&'P o o' ù"o.oy/Q.9‘o^o 0 0 o,o.9.o q: 0’ Qq»> q 0. ° 0, 0,^.0 0\0 hefreno vege^ale ghfaia e sabbia grossolana sabbia Fine ghiaia e sabbia grossolana Fig. 1. Il ramo sinistro conserva la doccia sinfisale e solo questa, dal mo¬ mento che manca della regione alveolare e, come si è detto, del ramo ascendente superiore. L’arco mandibolare è piuttosto stretto e nel complesso la mandibola si presenta non molto grande. Difesa. Si tratta di un frammento di 530 mm. della parte terminale il cui diametro massimo è di 111 mm., data l’estrema esiguità non si può dire se il moncone in nostro possesso appartenga alla difesa destra o alla si¬ nistra. — 307 — Il reperto ha la superficie coperta da notevoli fratture che deno¬ tano il pessimo stato di conservazione ; ciò è dovuto al fatto che il pez¬ zo anatomico in questione era sepolto in un livello molto superficiale, per cui le acque d’infiltrazione, essendo poco ricche di sali di calcio, non hanno favorito una buona fossilizzazione. Molari. I resti meglio conservati, però, sono due molari inferiori, il destro ed il sinistro appartenenti allo stesso individuo. Essi presentano tutte le lamelle in funzione tranne la prima del destro di cui si conserva solo una metà e del sinistro nel quale essa manca del tutto perchè il bordo anteriore è scheggiato. II molare destro presenta la corona stretta, lunga e ricurva secondo l’asse longitudinale ; va allargandosi dal bordo anteriore fino a raggiun¬ gere la massima larghezza in corrispondenza della Vili lamella, da do¬ ve si restringe gradualmente fino all’ultima che è composta da due ele¬ menti anuloidi. Il bordo anteriore nonostante sia scheggiato lascia de¬ durre che esso fosse arrotondato. I bordi laterali, di cui quello interno convesso e quello esterno rientrante sono pressocchè integri. I bordi alveolari, interni ed esterni sono subparalleli al profilo della superficie triturante. La superficie triturante, poi, ha una forma ellittica molto allun¬ gata e depressa al centro ed ha il bordo anteriore leggermente incli¬ nato verso il lato esterno, mentre il bordo posteriore è inclinato in senso opposto.. Le lamine sporgono per tutta la loro lunghezza dal cemento in modo crescente a partire dalla prima lamella fino a raggiungere il massimo di 6 mm. alla VII e alla IX per poi decrescere fino all’ultima. Gli intervalli di cemento sono stretti nelle prime tre lamelle, a causa delle espansioni mediane abbastanza accentuate il cui seno loxo- donte non è molto accentuato ; dalla IV fino alla XI gli intervalli aumen¬ tano perchè le stesse espansioni mediane si attenuano. La XIII lamina è composta da due elementi anuloidi separati, appena intaccati e rivestiti da smalto. A partire dal bordo anteriore, le pareti dello smalto tendono ad inclinarsi secondo la direzione longitudinale della corona e presentano delle increspature che diventano più fitte verso la parte mediana. Le radici di questo molare, nonostante siano mancanti in più — 308 — punti, sono molto ben sviluppate e le prime quattro sembrano con¬ vergere alla quinta fondendosi con questa. Il molare sinistro è rotto in due parti all’altezza deU’VIII lamella ; il bordo anteriore è anche qui scheggiato. A causa della scheggiatura, il dente, conserva solo una metà del¬ la prima lamella. Anche questo molare è costituito, come il destro di 13 lamelle le cui caratteristiche generali sono pressocchè uguali a quelle del si¬ nistro. Fig. 2. — Diagramma di variazione della larghezza delle lamelle degli M., delFesemplare di E. antiquus di contrada Acquaviva. La variazione della larghezza delle singole lamelle dei molari in questione è rappresentata nel diagramma della fig. 2, dalla quale ri¬ sulta che non vi sono sostanziali differenze nei due denti. I molari in oggetto sono stati confrontati con quelli di località T abella — 309 — — 310 — « Il Crocefisso » e con quelli di località « Monteverde », esemplare N. 164 Mus. Pai. Un. di Roma (da Maccagno 1962), Tab. I. Da tale confronto emerge che i molari in nostro possesso sono più lunghi dei molari degli esemplari citati sopra, però la loro larghezza è compresa tra l’esemplare de « Il Crocefisso » (72 mm.) e quello di Monteverde (78 mm.), la larghezza della superficie triturante è mag- gione di quella dei molari di confronto. La formula lamellare è pressoc- che uguale a quella de « Il Crocefisso » mentre vi è una differenza nel numero delle lamelle con l’esemplare N. 164 ; infatti l’esemplare di Pratola Peligna possiede nel destro una lamella in più e nel sinistro tre in più di quello N. 164. La frequenza lamellare sulla superficie di lato secondo Pavlow è 5 sia nei molari da noi studiati che in quelli de a II Crocefisso » mentre è inferiore di i/2 a quello di Monteverde. Dai dati biometrici, risulta che : i molari debbano essere appar¬ tenuti ad un individuo non molto primitivo e di età intorno alla media, che per l’L.L.Q., D.L.L, per l’indice coronale e per avere, fra l’altro, la corona molto stretta (74 mm.), propendiamo ad attribuire ad Ele- phas antiquus Falc. BIBLIOGRAFIA Auguirre e., 1961 - Gisements à Elephas meridionalis Nesti dans la province de Grenade (Espagne). C. R. Soc. Gèol. France, 252 n. 8, pp. 1184-85. Ambrosetti P. L., 1964 - Segnalazione di una fauna di Elephas antiquus nella zona di Ponte Galeria (Roma). Boll. Soc. Geol. It., Roma, voi, LXXXIV, fase. 1, pp. 1-10, 3 figg., 2 tavv. Bartolomei G., 1969 - Rinvenimento di resti di elefante presso Citerna (Perugia). Annali Univ. di Ferrara (nuova serie), sez. IX. Se. Geol. e Paleont., voi. IV, n. 17, pp. 267-274, 4 figg. De Lorennzo G., 1926 - L’Elephas antiquus di Pignataro Interamna in valle del Liri. Rend. R. Acc. Naz. Lincei, Gl. Se. Fis. e mat., s. 6% voi. IV, Roma. 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Natur. in Napoli, 1972 Leuci G. ■ ScoKZiELLo R. - Di alcuni resti di Elephas antiquus, ecc. Tav. I TAV, II I due rami mandibolari : lato interno. X 1 1,8 BolL Soc. Natur. in Napoli, 1972 Leuci G. - ScoRZiELLO R. - Di alcuni resti di Elephas antiqiius, ecc. Tav. II TAV. Ili I I due rami mandibolari : lato inferiore, x - 1,8 Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972 Leuci G. ■ Sco^ìZiELLo R. - Di alcuni resti di Elephas antiquus, ecc. Tav. Ili Frammento della parte iniziale di una difesa. :BolL Soc. Natur, in Napoli, 1972 Leuci G. - ScoRZiELLO R. - Di alcuni resti di Elephas antiquus, ecc. Tav. IV Ma inferiore destro : superficie triturante. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972 Leuci G. - ScoRZiELLO R. - Di alcuni resti di Elephas antiquus, ecc. Tav. V TAV. VI 1 M., inferiore destro : lato labiale, x - 1,09 Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972 Leuci G. - ScoR'ZiELLO R. - Di alcuni resti di Elephas antiquus, ecc. Tav. VI Ma inferiore sinistro : superfieie triturante. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972 Leuci G. - ScoRZiELLO R. - DI alcuni resti di Elephas antiquus, ecc. Tav. VII i t TAV. Vili 1 Mo inferiore sinistro : Iato labiale, x - 1,4 Leuci G. - ScoRZiELLo R. - Di alcuni resti di Elephas antiquus, ecc. Tav. Vili Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972 i ? ] 1 f i Boll. Soc. Natur. in Napoli voi. 81, 1972, pp. 313-318, 1 fig. Nota preliminare su reperti di materiale preistorico rinvenuto nella grotta delTAusino-Salern© ( F. 198 U NO Castelcivita } Nota del socio A. PICIOCCHI (Tornata del 26 maggio 1972) La presente nota ha carattere puramente informativo e preliminare per rendere noto il rinvenimento compiuto occasionalmente il 18 maggio 1969 durante un’esplorazione effettuata per stabilire un rapporto di comunicazione tra la grotta di Castelcivita e quella dell’Ausino. Lo scavo di preistoria è stato praticato per circa due anni dal gruppo speleologico del C.A.l. Napoli. 11 lavoro è stato lungo e faticoso e i partecipanti hanno operato con grosse difficoltà e qualche volta anche con pericolo per l’innesco improvviso del sifone durante il periodo delle piogge. Questa nota rappresenta un vivissimo ringraziamento a tutto il gruppo e precede un lavoro di dettaglio su tutte le industrie. L’ingresso della grotta è su una parete posta sulla destra orogra= fica del fiume Calore a circa metri cinque su un laghetto antistante la grotta stessa ; tale laghetto è separato dal suddetto fiume Calore da una cortina di sabbia. Essa si sviluppa nel calcare cretacico del Mas¬ siccio dell’Alburno, come la grotta di Castelcivita ; anzi, la presenza di condotte forzate, di forme erosive e di fenomeni carsici molto simili o addirittura identici, permettono di correlare le due grotte. Attualmente la grotta dell’Ausino è con periodicità inondata da alluvioni causate dall’innescarsi di un sifone interno che porta l’acqua a scaricarsi nel fiume Calore. Dalla disposizione dei reperti epipaleolitici si può dedurre che du¬ rante l’insediamento le condizioni morfologiche della grotta erano di¬ verse, anzi costituivano la dimora ideale per l’uomo. Successivamente per le mutate condizioni morfologiche si è avuto Falluvionamento della grotta abitata che ha causato la distribuzione del paleosuolo di cui ora — 314 — restano poche tracce in aleuni punti. Da questo momento si è avuto un continuo apporto di sedimento argillo-sabbioso, in cui sono stati rinvenuti materiale litico e manufatti di ceramica appartenenti a varie epoche, dal Neolitico al Ferro, fino a cocci greco-romani fluitati e disposti secondo il senso della corrente. Di eccezionale importanza si presenta lo scavo dell’Ausino, per¬ ché i reperti, pur essendo in giaeitura secondaria, ad eccezione di qualche piccolo tratto, sono completamente integri nei loro strati. La copertura e in alcune parti la fronte dello scavo sono state modificate dall’azione del sifone. Gli strati interessati dal Paleolitico al Bronzo sono rimasti integri anehe dopo l’ultima e violentissima piena. Esaminando Io scavo, procedendo dai livelli più bassi a quelli più alti, si nota nello strato terzo un livello di particolare interesse con una potenza variabile dai due ai dieci centimetri costituito da sabbie, mediamente cementate a grana media e fine, con abbondante matrice siltosa ; a luoghi sono presenti delle concentrazioni più argillose talvolta, nelle porzioni più sabbiose è possibile individuare una laminazione subparallela. Lo strato in esame mostra una interessante discordanza sulla sabbia del livello inferiore, mentre a tetto ha la medesima giaci¬ tura del livello numero quattro. Questo strato è molto ricco di manu¬ fatti gravettiani : grattatoi piatti, doppi su lame, bulini semplici, lame e punte a dorso abbattuto, punte ad intaccatura basale. Al ricco mate¬ riale litico si aggiunge una notevole industria ossea con punteruoli e spatole. I punteruoli, generalmente ricavati dal metatarsale o metacarpale di ovini, sono di lunghezza media di circa 9,5 cm.; le spatole derivate da ossa piatte, hanno varie lunghezze e alcune sono scavate al centro per favorirne l’immanicatura. In questo strato sono state trovate ancora molte ossa tagliate e derivate dagli avanzi di cucina ad esempio fram¬ menti di ossa lunghe. Lo strato terzo, caratteristico del Paleolitico superiore, testimonia l’esistenza di comunità dedite alla caceia e alla raccolta e si inserisce degnamente nel contesto di altri insediamenti italiani come i Balzi Rossi, le Arene Candide, i Colli Borici, Caterina, Talomone e Monte Circeo. II Mesolitico è rappresentato soltanto in due piccole aree dello scavo con abbondanza di microliti finemente lavorati e con il rinve¬ nimento di un utensile caratteristico di questa industria: un raschiatoio- punteruolo in cui vi sono inseriti dei microliti. I microliti raccolti sono stati divisi in tre gruppi: 1) scarti di lavorazione 60%; 2) micro- — 315 — liti adattati su scarti 30% ; 3) microliti puri 10%. Come nelle altre stazioni italiane tipiche di questo periodo, Findustria microlitica è mista a quella del Paleolitico superiore. Nei due strati mesolitici sono state notate ossa di animali di clima Fig. 1. — Raschiatoio e lame gravettiane, punteruolo in osso metacarpale di ovino. freddo come lo stambecco e il cervo. Come nella grotta « La Porta » di Positano e quella di « Ortucchio » del Fucino, anche in quella del- FAusino, pur mutando le condizioni climatiche modificatesi in senso caldo, per la vicinanza di quei grossi massicci montani vi è stato un attardamento di questa tipica fauna fredda. Lo strato quarto è sterile ed è dello spessore variabile da tre a quattro centimetri. Lo strato quinto presenta scarsi reperti di ossa, avanzi di pasti e frammenti di cocci di ceramica rosso lucida con anse tubulari o a — 316 — rocchetto lunghe o insellate tipiche della cultura del Neolitico supe¬ riore dello stile di Diana. Nell’ Ausino sono state trovate due delle tre fasi dello stile di Diana : la seconda, a ceramica rossa corallina con gli orli più bassi e la terza fase a colore bruno violaceo con le anse ridotte e appe¬ santite. Nel medesimo strato è stata trovata un’ascia neolitica, sia pure frammentaria, di arenaria di circa cm 12: è di forma convessa con notevole spessore, a sezione ellittica generalmente con il taglio arcuato e con il tallone più o meno appuntito, ben levigata nella parte ante¬ riore, resa scabra invece, mediante picchiettatura, nella parte mediana e verso il tallone. Questo tipo di ascia è largamente diffusa in Italia in una area che va dalle Arene Candide alle grotte calabre. Nello stesso livello si sono scoperte quattro punte di frecce sessili a peduncolo con alette, a base concava, con ritocco bifacciale del tipo di Ripoli. Lo strato sesto, purtroppo per il momento non è chiaro. Ulteriori studi e successivi scavi forse permetteranno una più precisa analisi del periodo ehe va dal Neolitico al Bronzo. Come in quasi tutte le grotte della Campania, anche in quella del- l’Ausino, la civiltà appenninica pervale sul periodo del Bronzo per il largo spessore dello strato e per la ricchezza del materiale. È rappresentata, in tutte le sue fasi : iniziale, media e finale da numerosi reperti di ceramica fine, nera, lucida e grossolana di impasto con frammenti di olle, orci, scodelle, ciotole. La ceramica nera lucida è mista a quella di impasto bruno. Numerose fusaiole sono da attribuire al Bronzo iniziale e un peso da telaio al Bronzo finale. Soltanto in que¬ sto periodo è stata notata la presenza delle ossidiane in lame, fram¬ menti e pochi scarti di lavorazione. Tale presenza testimonia il ritardo rispetto alle altre stazioni preistoriche litoranee per l’isolamento delle comunità dovuto alla montuosità della zona. La percentuale bassa (5%) di scarti di lavorazione ci induce a stabilire che importavano manufatti rifiniti dalle isole vulcaniche fornitrici di tale materiale ( Eolie, Arcipe¬ lago Pontino). L’industria litica è rappresentata da scarse lame ben rifinite e quella ossea da scarsi punteruoli e spatole. Lo strato del Bronzo medio finale presenta nell’Ausino ceramiche appenniniche scarsamente ornate ; scarsi pure i reperti delle tipiche anse subappenniniche sopraelevate con il foro e cornute. Soltanto quando un’idrovora ha prosciugato il pozzetto nel cunicolo cosiddetto « Scarpati » sono stati trovati frammenti di vasi ornati con decorazione incisa con fasce punteggiate o tratteggiate in schemi geometrici ravvivati dall’in- — 317 crostazione. Sono reperti di ceramica della cultura appenninica con ornati tipici della cerchia culturale meridionale come quelli di Coppa Nevigata, Scoglio del Tonno, Latronico, Pertosa, Grotta delle Felci di Capri, Ischia, Nardantuono di Olevano sul Tusciano. Le comunità pasto¬ rali attingevano l’acqua, elemento essenziale per la loro esistenza di pastori, in quel pozzetto : son rimaste tracce dei vasi accidentalmente rotti. Degno di rilievo, sempre nello strato del Bronzo alto circa cin¬ quanta centimetri, un canale di scolo chiaremente visibile per la sua netta delimitazione degli strati sottostanti, scavato dagli appenninici come drenaggio per le acque di stillicidio. L’ultima alluvione ha di¬ strutto questa sezione di scavo e con essa una vicina preziosa zona di cultura mesolitica. Il livello superiore presenta cocci di transizione dal Bronzo al Ferro. Per l’epoca storica lo strato è alto intorno a un metro ed è pari allo spessore di tutti gli strati che comprendono la preistoria. È coperto di sabbia e ciottoli con reperti di ceramica lavorata a tornio e con scarsissimi frammenti di vasi greco-romani. Il livello superiore della coltre di sabbia si è venuto formando in un brevissimo giro di anni. È da rilevare che soltanto in quest’ultimo strato sabbioso e lungo i margini della grotta, che vanno dal laghetto interno alla conoide di scavo, vi sono tracce di Paleolitico medio rappresentato in cultura mousteriana. Sono poche punte su scheggia e diversi raschiatoi scheg¬ giati con margini arrotondati dall’acqua : rappresentano materiale pro¬ veniente da stazioni esterne introdotte nella grotta dall’acqua. Alcuni reperti di fattura mousteriana sono stati ritrovati sul campo sovra¬ stante la grotta. Lo studio dell’ Ausino non è ancora completo, perché vi sono ancora grossi problemi da risolvere. Sarà in un prossimo futuro ampiamente studiato lo strato terzo ; il materiale litico verrà classificato secondo il metodo del Laplace. Tutto il materiale che il gruppo ha raccolto con tanta passione sarà custodito in vetrine fatte costruire a spese del Comune di Castel- civita nel posto di ristoro antistante la grotta. Si avrà così il primo nucleo di antiquarium in situ e a differenza dei reperti di Pertossa smembrati nei vari musei italiani (Pigorini, Museo di Napoli e di Salerno) servirà ad inquadrare con il narrare la sua storia remota il magnifico complesso ipogeo. — 318 BIBLIOGRAFIA Bernabò Brea L., 1946 - Gli scavi delle Arene Candide. Bernabò Brea L., 1958 - La Sicilia prima dei Greci. Blanc a. Co, 1938 - Nuovo giacimento paleolitico e mesolitico ai Balzi Rossi. R.d.c. Acc. Naz. Lin. XXVIII serie VI. Cardini L., 1945 - Gli strati mesolitici e paleolitici nella caverna delle Arene Candide. Riv. St. Liguri XIL Cardini L., 1952 ■ Nuovi documenti sull'attività dell’uomo in Italia: reperto umano del paleolitico sup. nella grotta delle Arene Candide. Atti IV con, int. se. ant. etn. Vienna. 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Dopo aver esposto alcune considerazioni sulLetà dei sedimenti esaminati e sulle modalità di deposizione in grotta degli stessi (Lazzari 1960), sono riportati i ri¬ sultati di uno studio sedimentologico, chimico, e mineralogico eseguito sui mate¬ riali campionati. Le analisi eseguite mostrano da un lato come la composizione chimica del se¬ dimento sia qualitativamente uguale a quella delle altre Terre Rosse italiane, dal- Faltro come le modalità di deposizione del sedimento in grotta, e cioè il trasporto prima da parte delle acque superficiali, poi da parte di quelle della circolazione carsica sotterranea e la successiva decantazione abbiano influenzato selettivamente la composizione del deposito che risulta caraterizzato dalla forte prevalenza della frazione più leggera prevalentemente Kaolinica. Summary. — In thè present work we bave examined thè sediments of « terra rossa » (red ground) of Castellana’s caves. After stating some considerations about thè age and about thè emplacement in thè caves of sediments (Lazzari 1960), we bave reported thè results of a sedimen- tological. Chemical and mineralogical study. The analisys has shown on one hand that thè sediment’s chemical composition is thè same as thè nature of all other Italian « terra rossa » on thè other hand that thè deposition of thè sediments in thè cave bave infliienced selectivity thè composition of deposit. Indeed, primarily, thè superficial waters, successively, thè karst undergraund from thè surf ace and deposed in caves thè lightest fraction of thè « terra rossa », which prevalently is kaolinite type. (*) Lavoro eseguito con il contributo del C.N.R. (**) Istituto di Mineralogia dell’Università di Napoli. — 320 — U. - Introduzione. La variabilità della composizione mineralogica delle terre rosse italiane, sta a dimostrare che la genesi di questi particolari tipi di ter¬ reno, qualunque essa possa essere, è certamente influenzata da un in¬ sieme di fattori, quali quelli accidentali, climatici, meccanici, fisici, fi¬ sico-chimici, che di volta in volta, con il prevalere l’uno sull’altro, con¬ sentono una distribuzione diversa dei vari costituenti. Lo studio com¬ parativo delle condizioni di giacitura, dei rapporti di composizione chi¬ mica e mineralogica che si possono ottenere da analisi complete delle terre rosse non può non rappresentare un utile strumento per indaga¬ re sul problema genetico di tali depositi che, sebbene spesso discusso, non ha trovato finora una soluzione soddisfacente e completa. Da queste considerazioni si è partiti nel prendere in esame i de¬ positi di terra rossa della Grotta di Castellana, nella certezza che un contributo alla conoscenza di questo interessante deposito, inquadrato in un più ampio contesto mineralogico e geologico, possa riuscire utile. Tra le tante terre rosse pugliesi (la Puglia è tra le regioni italia¬ ne dove tali depositi si presentano abbondanti e variamente distribui¬ ti) si è preferito eseguire una campionatura negli accumuli di tale de¬ posito ferrifero presenti nelle grotte di Castellana, in quanto da un esame anche sommario della bibliografia intorno alle terre rosse, risul¬ ta evidente come manchi, se si esclude una analisi pedologica del Co¬ rnei, un lavoro completo intorno alle terre rosse presenti in queste grotte, pure tra le più note della regione pugliese. 2. - Considerazioni sulla Geologia e sulla età della terra rossa. 2.1. - Geologia e stratigrafia della zona. Il territorio che costituisce il retroterra da Bari a Brindisi si pre¬ senta come un falso piano roccioso che degrada verso il mare. La carsificazione, cui sono dovute le numerose cavità di varie di¬ mensioni che interessano la zona in questione ha avuto su di essa un notevole sviluppo per un duplice motivo : da un lato infatti la strati¬ ficazione degli strati non ha potuto non favorire l’azione delle acque circolanti, dall’altro la mancanza di una tettonica disgiuntiva, e quindi di pendenze strutturali ha impedito un rapido riflusso delle acque su¬ perficiali. 321 — Da ciò una vistosa circolazione sotterranea, cui si deve ricollega¬ re, fra l’altro, la formazione dei depositi esaminati nella presente nota. Nella semplicità della costituzione geologica si può ravvisare la causa dell’uniformità del paesaggio di questa regione. Stratigraficamen- te appaiono i seguenti termini: [Carta Geologica d’Italia (1)]: Olocene. a) Depositi colluviali ed eluviali ed eolici (Terre Rosse). b) Depositi alluvionali e ciottolosi tra i solchi erosivi delle Mur- ge e dei depositi Pleistocenici. Pleistocene. c) Tufi delle Murge. Depositi calcarei arenacei e depositi cal¬ cari e arenacei argillosi più o meno cementati a stratificazione poco evi¬ dente con frequenti livelli fossiliferi ( Ostrea e Pecten). Cretacico. Senoniano. d) Calcare di Altamura. Calcari ceroidi e detritici a grana va¬ ria, stratificati con abbondanti Rudiste e con alcuni livelli marmasi. e) Calcare di Bari. Calcari compatti o finemente detritici, bian¬ chi i grigiastri, ben stratificati con qualche Rudista. Spesso la parte superiore dei calcari detritici diventa lastriforme ( Chiancarelle). 2.2. - Sulla modalità del rinvenimento di Terra Rossa nella grotta di Ca¬ stellana e sulla datazione della terra rossa leccese. La possibile origine eolica della Terra Rossa pugliese e italiana in generale, o almeno il rimaneggiamento da parte del vento della stes¬ sa di cui si tratterà più completamente nelle conclusioni, non spiega, chiaramente, la presenza di depositi in Grotte Carsiche. Tuttavia numerose sono le segnalazioni di depositi di Terra Ros¬ sa in grotte puguliesi, quali, oltre naturalmente quella di Castellana, le 21 — 322 — grotte Romanelli, le Striare e numerosi altri casi lungo la costa da Otranto a S. Maria di Leuca [Andreucci E. (2), Blanc G. A. (3), Cortesi C. (4) (5)]. Una semplice escursione nei luoghi segnalati permette di trovare una esauriente risposta a tale apparente contrasto. E’ facile infatti notare la notevole carsificazione del paesaggio e l’apporto delle acque superficiali alla circolazione carsica sotterranea. I depositi di terra rossa nelle grotte segnalate altro non sono quindi che il dilavamento della Terra Rossa che compare all’esterno delle Grotte e sui calcari della penisola Salentina. Ancora oggi infatti le acque che scendono dagli impluvi sovrastan¬ ti la Grotta di Castellana, trasportano le frazioni più leggere della Ter¬ ra Rossa esterna, e vi depositano per decantazione il materiale convo¬ gliato. Più complesso è invece il problema della datazione di tali sedi¬ menti. L’esame della Carta Geologica d’Italia mostra come il limite inferiore della Terra Rossa, sia il calcare Cretacico del Senoniano. Tuttavia l’ampiezza stratigrafica di tale limite lo rende poco si¬ gnificativo. Si perviene perciò alla datazione di tali depositi in base a consi- (’erazioni geologiche e litologiche ampiamente espressi da liazzari [Laz¬ zari (6)] che qui si riportano brevemente per completezza del la¬ voro. Come indicato precedentemente anche se in via più schematica e generale l’esame dei rilevamenti esguiti sulla porzione più meridiona¬ le delle Puglie mostra i terreni della serie stratigrafica, ridotti nelle loro linee esseziali, ad una impalcatura di calcari cretacici con lembi di Eocene o Oligocene. Su tali orizzonti si rinvengono sedimenti mioce¬ nici costituiti dalla a pietra leccese » ovvero depositi marnosi e/o are¬ naceo argillosi. Per alcuni termini stratigrafici ne è dubbia la presenza, come ad esempio per il Siciliano, mentre si esclude quella del Pliocene. [Mon- CHARMONT ZeI (7)]. Il tirreniano I e II sono invece rappresentati chiaramente. Proprio dalla indiscutibile presenza dei depositi del Tirreniano II l’Autore citato giunge alla datazione della Terra Rossa Leccese in ge¬ nerale e quindi per estensione a quella originaria del deposito esami¬ nato nella presente nota. Si può intanto ritenere che, prima del Calabriano, la Terra Ros- — 323 — sa, indipendentemente dalla sua discussa origine, non era presente sui precedenti termini stratigrafici. A tale conclusione si giunge dalla duplice considerazione che la preesistenza della Terra Rossa alla trasgressione calabriana avrebbe im¬ posto il rinvenimento della stessa nel rimaneggiamento dei materiali calcarei, ovvero sarebbe entrata nella costituzione dei tufi calabriani in via di formazione caratterizzandoli con il suo contenuto in idrossidi di ferro. La presenza invece del sedimento ocraceo in giacitura originaria in corrispondenza dei terrazzi del Tirreniano II o in sovrapposizione stratigrafica ai depositi di questo, e la mancanza di una matrice ros¬ sa nei sedimenti marini di tale interglaciale o in base a studi moder¬ ni inter stadiale, permettono di asserire che i depositi di terra rossa lec¬ cese si sono formati o sono stati messi in posto successivamente a tali periodi, e perciò durante la glaciazione Wurmiana. 3. - Composizione chimica e mineralogica della Terra Rossa di Castellana. Dopo aver eseguito le analisi granulometriche per la cui interpre¬ tazione si rimanda alle conclusioni, si è eseguito uno studio sulla com¬ posizione chimica e mineralogica della campionatura eseguita nelFin- terno della Grotta di Castellana. Sono state condotte le seguenti analisi : 1) Analisi ottica. 2) Analisi ròentgenografica. 3) Analisi termodifferenziale. 4) Analisi chimica. Le tecniche impiegate sono le stesse impiegate per gli studi sul¬ le Terre Rosse dal Sinno [Sinno (8)]. [L. Brancaccio R. Sinno (9)] al fine di porsi nelle stesse condizioni di ricerca. 3.1. - Analisi ottica. Dopo aver spappolato il campione in acqua, è stata eliminata la frazione più leggera per decantazione ed esaminata, previo essicca¬ mento, la non abbondante frazione residua al fine di evidenziare even- — 324 tuali componenti tipici delle Terre Rosse come granuli di quarzo, di calcedonio, minuti cristallini di magnetite ed altri minerali residuali. Malgrado la accuratezza dell’esame non è stato possibile eviden¬ ziare nessun componente tra quelli sopra accennati ad esclusione di al¬ cuni granuli di calcite. Tale risultato era tuttavia scontato, l’analisi es¬ sendosi eseguita solo per completezza, sulla base delle considerazioni espresse precedentemente riguardo le modalità della deposizione del se¬ dimento in questione. I granuli di calcite sono invece stati inglobati dal sedimento una volta che questo era già pervenuto nella grotta. TABELLA 1 Terra Rossa della Grotta di Castellana: Materiale tal quale N. Intensità d in A Minerale 1 md 10.04 mite 2 md 7,17 Kaolinite 3 mf 4,48 Kaolinite + Goetite + Illite 4 mf 4.26 Quarzo 5 ff 3,33 Quarzo + Illite + Goetite 6 d 2,69 j Goetite 7 m 2,56 Kaolinite + Illite + Goetite 8 d 1,69 Kaolinite + Quarzo + Goetite 9 d 1,66 Kaolinite + Quarzo 10 md 1,54 Kaolinite + Quarzo 11 md 1,50 Illite + Goetite 12 d 1,49 Kaolinite 13 dd 1,44 Quarzo -f Goetite 14 dd 1,34 Quarzo + Goetite 15 dd 1,29 Quarzo 16 d 1,18 1 Quarzo 3.2. - Analisi róentgeno grafica. Le indagni sono state eseguite con camera di mm. 114,8 radiazio¬ ni CuKa a Kw 40 e mA 18, tempo di esposizione: 2,30 h. La prima analisi riportata in tabella 1 è stata eseguita sul materia¬ le tal quale. — 325 — Il Debygramma risultante da tale analisi è apparso tuttavia anne¬ rito dalla presenza di idrossidi di Fe, male o affatto cristallizzati (Li- monite). Tale annerimento, anche se non ha impedito la corretta inter¬ pretazione dello spetto ,ha consigliato tuttavia una eliminazione degli idrossidi di ferro liberi. Tale solubilizzazione si è ottenuta scartando tutti i metodi basati sulFimpiego di acidi o basi forti e comunque di tutti quei metodi che, basati sulle forti variazioni di pH dell’ambiente, o rischiano di far alterare il componente argilloso, oppure consentono solo parzialmente, l’estrazione di ferro libero presente sotto forma di ossido o di idrossido. Si è preferito seguire il metodo proposto da Mehra e Jackson [Mehra e Jackson (10] secondo il quale la solubilizzazione dei com¬ ponenti di ferro libero avviene in ambiente neutro (pH 7,1) ottenuto con l’impiego di una soluzione tampone 1 M di Na HCO3. Grammi 4 di sostanza sono stati trattati con 40 cc. di bicarbona¬ to sodico 1 M, con l’aggiunta di 1 gr. di ditionite sodica e di 10 cc. di una soluzione sodica di NaCl. Sul corpo di fondo, « essiccato », ottenuto da tale solubilizzazione, è stato eseguito un nuovo Debygramma che risulta evidentemente assai più completo del primo (Tabella 2). Da tali spettogrammi risultano quali minerali presenti, Illite, Kao- linite. Quarzo, Goetite. Ad essi va naturalmente aggiunta la Limonite, che non può risultare dal primo spettrogramma perchè amorfa, dal se¬ condo perchè addirittura solubilizzata ed asportata. La presenza della Kaolinite è testimoniata anche dalla indagine diretta al microscopio elettronico. 3.3. - Analisi termodifferenziale. Per meglio evidenziare la presenza e la natura dei componenti nella campionatura effettuata si è ritenuto opportuno completare le ri¬ cerche utilizzando l’analisi termodifferenziale. Le indagini sono state eseguite su due campioni, entrambi ben omogeneizzati e passati a 375 mesh: il primo dei due è stato preparato utilizzando il materiale tal quale, il secondo invece preparando dappri¬ ma il decantato del materiale in toto nei levigatori di Andreasen e pre¬ levando poi la frazione 10-20 che, previa centrifugazione ed essicca¬ mento, ha fornito il materiale per l’indagine termica. I diagrammi di tali analisi sono riportati in fig. 1 la curva A si riferisce al materiale tal quale, mentre la curva B al decantato. N. 1 2 3 4 5 6 7 8 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 — 326 — TABELLA 2 Terra Rossa della Grotta di Castellana: Decantato: 10-20 ntensità d in A M i n e r al e d 10.10 mite m 7,18 [Caolinite dd 4,96 mite -H Goetite f 4,44 mite + Kaolinite m 4,26 Quarzo d 4,18 Goetite + Kaolinite d 4,11 [Caolinite d 3,52 Kaolinite ff 3,33 mite + Quarzo + Goetite + Kaolinite d 2,68 mite + Goetite mf 2,56 Goetite + Kaolinite m 2,52 mite + Goetite + Kaolinite m 2,48 Quarzo + Goetite + Kaolinite d 2,19 Goetite + mite + Kaolinite d 2,12 Quarzo Goetite -f- Kaolinite m 1,98 mite -f- Quarzo + Kaolinite d 1,90 Goetite -t- Kaolinite m 1,82 Quarzo + Kaolinite dd 1,70 Goetite -f Kaolinite dd 1,66 mite + Quarzo + Kaolinite m 1,54 Quarzo mf 1,49 Kaolinite m 1,44 mite + Quarzo dd 1,40 Quarzo m 1,37 Quarzo d 1,29 Quarzo d 1,23 Quarzo d 1,19 Quarzo d 1,18 Quarzo d 1.07 Quarzo 327 I picchi esotermici ed endotermici che complessivamente risulta¬ no da tali diagrammi sono: 110° - Primo picco endotermico mediamente marcato, attribuibile alla presenza di acqua idroscopica. 560° - Secondo picco endotermico molto marcato dovuto alla presenza di Kaolinite e attribuibile alFassorbimento di energia termica per le modificazioni del reticolo cristallino a seguito dell’eli- minazione delFacqua di cristallizzazione. 757° - Terzo picco endotermico molto marcato dovuto alla trasforma¬ zione del quarzo a in quarzo p. 328 — 890° - Quarto picco esotermico molto marcato dovuto alla presenza di Kaolinite ed attribuibile alla trasformazione della stessa in Mul- lite ( 3AI2O3 . 2SÌO2) e/o in y-AlaOg. I punti di minimo o di massimo presentati dalle curve in esa¬ me testimoniano quindi la presenza di Kaolinite e di Quarzo. Fig. 2. Le curve relative ai due campioni, peraltro non molto dissimili, differiscono sostanzialmente per il picco relativi al quarzo della curva A e per il carattere più pronunciato dei picchi relativi alla Kaolinite della curva B in funzione della maggiore presenza percentuale della stessa nel decantato. 329 TABELLA 3 Componenti Terra Rossa di Putignano Media di Terre Rosse Baresi i Terra Rossa della grot¬ ta di Jena (Castllana) (An. Cornei. 1948 SiO, 47,17 52,81 1 48,31 A1.03 25,79 8,91 21,70 Fe,03 8,55 10,70 j 8,46 CaO 0,86 3,03 2,80 MgO 1,16 0,72 1,21 K^O 1,27 — — Na,0 0,54 1 — TiO^ — 2,62 1 — SO3 0.04 0,32 j 0,05 1 CO, — 0,47 i — 1 P203 — 0,22 1,03 1 H^O 6,12 0,22 i 5,91 1 H.,0 10,68 11,50 8,99 98,18 93,71 97,46 — 330 — TABELLA 4 Terra Rossa della Grotta di Castellana ; Materiale tal quale 1 Componenti Percentuali SiO^ 41,74 TiO, 0,20 AI.O3 26,20 r^03 12,66 FeO tracce MnO 0,20 CaO 1,39 1 MgO 0,25 K3O 0,15 Na^O 0,11 CO, 1,30 SO3 0,06 1 CI 0,40 H3O- 4,14 H3O+ 10,92 P3O3 i 9,33 CI = 0 0,15 100,05 99,95 DaU’esame delle curve in questione si evince come le composi¬ zioni del materiale tal quale e del decantato non siano molto diverse ad ulteriore riprova di quanto espresso circa le modalità di deposizione dei campioni esaminati e dei dati delle analisi granulometriche. 3.4. - Analisi chimiche. Le analisi chimiche eseguite sui campioni prelevati nelle grotte di Castellana sono riportati in tabella 4. Tuttavia, come si è accennato, essendo i campioni esaminati prelevati, non da depositi in giacitura primaria ma da depositi rimaneggiati e selettivi nei confronti della granulometria e della composizione chimica dei minerali in funzione — 331 della loro densità, si riportano a titolo di confronto (Tabella 3) due analisi di Terre Rosse pugliesi e, per un confronto più diretto, un’ana¬ lisi di Terra Rossa prelevata dal Cornei nella Grotta di Castellana (1938) [CoMEL (11) (12 (13)]. A tale analisi si attribuisce solo significato comparativo, essendo state eseguite per scopi pedologici, e perciò non complete. Non è quindi possibile da esse risalire alla composizione petro- grafica dei campioni. Sulle indicazioni dei valori analitici ottenuti e tenendo conto del¬ le indicazioni quanti-qualitative delle indagini roentgenografiche e ter¬ modifferenziali sono stati calcolati i componenti mineralogici presenti e le percentuali relative. I risultati ricavati sono riportati in maniera schematica in ta¬ bella 5. Dalla stessa tabella risultano anche le formule considerate per il calcolo delle percentuali dei vari minerali. 4. - Conclusioni. Sulla base dei risultati delle analisi chimiche possiamo ascrivere per la dimostrata associazione Illite-Kaolinite, la Terra Rossa della grotta di Castellana, alle tipiche Terre Rosse mediterranee. Se da un lato la costanza di componenti essenziali come Quarzo. Kaolinite ed mite, consente di poter inquadrare il deposito in oggetto alle Terre Ros¬ se mediterranee, dall’altro il mancato riscontro della costanza dei rap¬ porti quantitativi tra gli stessi, potrebbe destare qualche perplessità. Tuttavia per questo secondo tipo di analogia si richiederebbe per le varie Terre Rosse, uno stesso grado di maturità ed uno stesso tipo di evoluzione. Lo stesso grado di maturità richiederebbe anche uno stesso tipo di giacitura, la qual cosa non si verifica [L. Brancaccio e R. SiNNO (9)]. In particolare, essendo la presenza dei depositi della Terra Rossa nella grotta di Castellana dovuti a trasporto di acque circolanti, i dati che si ricavano dalle varie analisi degli stessi non possono non risenti¬ re delle particolari condizioni di giacitura cui si è fatto cenno. L’analsi granulometrica eseguita secondo i limiti della scala del Wentworth (14) ha dimostrato infatti come tutto il campione esami¬ nato risulti passante a 400 mesh a conferma delle ipotesi espresse cir- — 332 — TABELLA 5 Componenti mite K20(CaO, Na^O) 3AI2O3— 6 SiO^— 2H,0 Kaoliniite ALO3 — 2SÌO2 — 2H,0 SiO^ 41.24 0.72 30.00 TiO^ 0.20 A1.O3 26.20 0.60 25.60 r'^03 12.66 FeO tracce I MnO 0.20 CaO 1.39 0.09 MgO 0.25 K3O 0.15 0.15 Na^O 0.11 0.11 CO, 1.30 SO3 0.06 j CI 0.40 1 H3O- 4.14 H,0+ 10.92 9.00 P,03 0.33 100.05 1.74 64.60 Q II 0 0.10 99.95 ca le modalità di formazione dei depositi dai quali sono stati prelevati i campioni esaminati. Per quanto riguarda invece la formazione del deposito originario dal quale le acque circolanti prelevarono per dilavamento le frazioni più leggere presenti nelle grotte si può dire, anche se si giunge a tale conclusione grazie ad un ragionamento comparativo, che deve aver su¬ bito un trasporto e/o una elaborazione eolica ed una successiva riela¬ borazione ad opera delle acque correnti. Indubbiamente il tipico carattere ocraceo da esse presentato non può non richiamare l’idea di una diretta derivazione eolica da terreni lateritici che ancora oggi per particolari condizioni climatiche e chimi¬ co-fisico si formano in certune regioni. Tali considerazioni non pre¬ scindono tuttavia dal fatto che nel Quaternario possano essersi verifi¬ cati fenomeni di rubefazione [Demangeot (15)]. — 333 Quarzo SiO, Linionite 2Fe,0, — 3H,0 Goetite Ee^O, — H,0 Calcite CaCOg Magnetite Mg C03 11.02 9.80 2.66 0.20 i i 1 1.30 i i 0.25 0.20 i i 1.65 1 1 ! 0.20 i 1 1 1.00 i i 0.30 0.06 0.40 4.14 0.33 11.02 11.45 2.86 1 i 2.30 0.55 5.33 CI = 0 0.10 1 1 5.23 Gli studi pedologici hanno infatti mostrato come si possano gene¬ rare condizioni climatiche tali da determinare pH acidi ovvero par¬ ticolari condizioni riducenti, così da promuovere la migrazione del fer¬ ro come ione Fe+++ ovvero come ione Fé"*'"*". La presenza di silice, detriti di vegetazione, sostanze organiche, favoriscono dunque la migrazione del ferro ; ma soprattutto l’aumento del Ca++ libero, causando un viraggio del pH determina, la precipi¬ tazione dello ione Fe+++. Le ragioni dell’aumento del Ca^+ possono ricercarsi fondamental¬ mente nell’aumento percentuale dello stesso causa l’evaporazione del solvente, ovvero nell’aumento reale del CaCOg in soluzione. Per la prima soluzione del problema bisogna allora orientarsi ver¬ so condizioni climatiche subtropicali, tali cioè da garentire una suffi¬ ciente solubilizzazione del carbonato di calcio e contemporaneamente — 334 — una sufficiente aridità per l’evaporazione del solvente ; l’aumento reale delle percentuali di carbonato di calcio in soluzione si spiega invece in funzione di una moggiore presenza di CO2, o per aumento delle per¬ centuali della stessa nell’aria, ovvero ipotizzando un clima molto fred¬ do che, abbassando la temperatura delle acque circolanti, abbia fatto aumentare la solubilità dell’anidride carbonica che, come quella di tut¬ ti i gas, aumenta al diminuire della temperatura. BIBLIOGRAFIA (I) Carta Geologica d’Italia dei tipi dell’IGM - Scala 1 : 100.000 foglio 190 Monopoli. 2) Andrucci e. - Relazione sul rilevamento delle grotte di Castellana effettuato dall’Istituto Geografico Militare nel 1949. « L’Universo » a XXX pp. 569-571 tav. Firenze 1950 (Geomorfologia). (3) Blanc G. a. - Grotta Romanelli. Stratigrafia dei depositi e natura e origine di essi. « Arch. per l’Antrop. e l’Etnol. », 50 pp. 65-103 tavv. 7. Firenze 1921. (4) Cortesi C. - Studio sedimentologico e geochimico fra la « terra rossa » plei¬ stocenica di Grotta Romanelli (Terra d’Otranto) e la locale a terra rossa attuale. « Perid. dè Min, » a XXVII n. 2-3 pp- 353-405, figg. 3 bibl. Ro¬ ma 1958. (5) Cortesi C. - Studio geochimico comparativo fra la Terra Rossa PleistocenU cdi di Grotta Romanelli (Terra d’Otranto) e la locale Terra Rossa attuale.! (( Actes du IV Congres Int. du Quaternaire », I p. 329, Roma 1956. (6) Lazzari A. - Qualche considerazione sulla età e sulla provenienza della Terra Rossa della penisola Salentina. Estratto dal « Bollettino della Società dei Naturalisti » in Napoli, voi. LXIX, 1960. (7) Moncharmont Zei M. - La microfauna delle argille pleistoceniche di Cu- trofiano (Lecce). «Boll. Soc. Naturi.», 63 (1954), pp. 3-28, tav. 1 bibl. Napoli 1955, (8) SiNNo R. - Studio sulle Terre Rosse deiritalia centrale e merid. Jm terra rossa di Gaeta. Estratto da « Bollettino della Socità dei Naturalisti in Napo¬ li », voi. LXXII, 1963. ( 9) Bracaccio-Sinno - Contributo alla conoscenza delle sabbie rosse pleistoce¬ niche della costa del Cilento. Boll. Soc. Nat. voi. 78 (1969). (10) Mehra 0. P., Jackson M, L. - From oxide removai from soils and clays by a dithionite entrase System buffered with sodium bicarbonate clays and clay minerai, 5 (1960). (II) CoMEL A. - La Terra Rossa Italiana. Nozioni e problemi « Amm. Staz, Shim. 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Licenziato alle stampe il 30 novembre 1972. jt .yt .?r 1 K. ~~ ■«' . . _ ■- Iz’ ot \» '•V\u oHwaiVi'i.yi 'ÌUUiIO».at,vnA- ’ •: '■ ^ («> c li • "" I ^'4 ti i'r ’T.i^ uw ripi k«».a*iCM! itl^'.'foo %tk' i M ^1. inf/zir7^ ^ iVtumé /> ■.-p; •v»)- i'»*;o 1 ^ ^>»ytr.| Hnoiatittìi i f'-ft è , . . , '-M A.t t ’ 44ilrn|% fi‘ lXf4t/il t J^ ' t*jVi, > irmij 1 ■'# . < \ *# '■ *■ } / 4 • ,4*1 4 ?i3 ^'♦»'l♦l| fiuni>ii%»dU {Tt^*9 iW"j/^f ‘''-''7'*. ''"M?** ? .1^ Mii* • n \.\vn n 2-.’r^^Ì(|^'^ •( MU. Nf.»ir> f/j h T^ffé, ii^^nmwHi riV^rv) ^’<*Hr4i44ioì 9 it .*• K' C«xt{ric» (ni. '^J ^Uh.ì. ft*ttir-7 #, 1 ib- ^ i^huUtìU,' iWi uùm %»JU << ¥'M4 , rtyttii.iiifirt^m tl .1 ’Uii-t filli'?» tUi ., n.:.fi* ••:,<*, -' -'l - U*; v<»1. 1«XI^« l'/óf». ‘'' '•Vfu”4ir: /♦';< M • ijfi l/ìUtàp'tfHy ' i*«uiu4^^l^ ■ • .'Mifii&vi# I • ^ ■ • ^"u y-ji/»* M •/♦*•»<’ Ms: .^, ^ ^ Ìiì^‘i>ÌU (un M^iu .Jlj»!|'«^ ¥• p Jnf>^ fl «f f • «UV/itrwU# /TMtlC'fW .1 ^ i I 4,. '.a* «h *' I . • ^ StìS^ , 5 ''*^4 > ' * ''j' «‘i T»j,lij Boll. Soc. Natur. in Napoli voi. 81, 1972, pp. 337^361, 5 figg. Il sondaggio S. Arcangelo Trimonte In provincia di Avellino, per la ricerca dì idrocarburi Nota del socio UBERTO CRESCENTI (*) (Tornata del 27 Ottobre 1972) Riassunto. — Dopo un riepilogo schematico sulla ricerca petrolifera nellT- talia centro-meridionale, in cui sono stati e¥Ìdenzati i vari temi di ricerca perse¬ guiti dalle Società operatrici, viene descritta la successione stratigrafica del son¬ daggio S. Arcangelo Trimonte 1, perforato nel 1961 dalla Società Idrocarburi Aria¬ no in provincia di Avellino, Al di sotto delle Argille Scagliose della coltre sannitica (Selli 1962), da m 0 a m 1433, e delle argille con rare arenarie della formazione Pietraroia (Selli 1957), da m 1433 a m 1515, è presente un intervallo eocenico con caratteristiche proprie, non correiabile con coeve unità affioranti in aree circostanti, prima di in¬ contrare, a m 1740, la serie carbonatica di piattaforma del Cretaceo superiore. Di un certo interesse è la presenza di inclusi di tufi basici in brecce argilloso-caìcaree deìFintervallo eocenico, tra m 1567 e 1665. Il sondaggio è stato arrestato a m 1917 entro la serie cretacica carbonatica. Vengono pure riportati dati sui carotaggi elettrici e sulle prove di strato ese¬ guite, che mostrarono la presenza di CO^ al di sotto di m 1515, senza peraltro se¬ gnalare alcun accumulo di idrocarburi. Abstract. — This paper describes thè stratigraphy o£ thè oil well S. Arcangelo Trimonte 1 (Avellino district, Southern Italy), drilled during thè year 1961 by Idrocarburi Ariano Company (Montecatini Edison Group). The following stratigraphic succession has been recognized ; 1) «Argille Scagliose» ( Sannitic sheet, Selli 1962); Paleogene s. L; m 0-1433. — Tectonic contact. 2) Pietraroia formation, clays and rare sandstones (Selli 1957); Tortonian; m 1433-1515. — Transgression (probably). 3) Calcirudite; probable Middle-Upper Eocene; m 1515-1567. (*) Facoltà di Ingegneria, Università degli Studi di Ancona, Lavoro eseguito col contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Comitato per le Scienze Geo¬ logiche e Minerarie. Contrato n. 72.00379.05. 22 — 338 — 4) Clayey and calcareous breccias with volcanic tufaceous fra^ments ; Middle- Upper Eocene; m 1567-1665. 5) Marly limestones with rare calcarenites ; Middle Eocene (Globorotalia crassula cenozone) ; m 1665-1740. — Transgression. 7) Calcareous-dolomitic shelf ; Senonian-Turonian ; m 1740-1917. The Paelogenic units were unknown because they never outcrop in this pecu- liar facies. The electrical logs and thè formation testings ha ve showed no mining interest. Nel decennio 1955-1965 l’Italia centro-meridionale è stata sede di intensa ricerca per idrocarburi da parte di numerose Società. I ri¬ sultati conseguiti rivestono un duplice interesse, economico-minerario e geologico. Mentre i risultati minerari sono sommariamente noti dai dati pubblicati finora, o comunque di pubblico dominio, sui campi ri¬ velatisi produttivi ( Grottole-Ferrandina e Pisticci in Lucania; Ascoli Satriano e Portocannone nel foggiano; Cupello-S. Salvo in Abruzzo; ecc., vedi E.N.I. 1969), molto poco si conosce sui risultati prettamen¬ te geologici conseguiti con i sondaggi, anche se sterili, a parte qualche sporadico lavoro di dettaglio (Borsetti 1963 ; Dondi ^ Papetti 1965; Dondi, Papetti & Tedeschi 1966a, 1966b; Crostella & Strocchi 1969) e altre notizie sommarie apparse in alcuni lavori (Be- NEO 1960; Carissimo-D’Agostino-Loddo-Pieri 1963 ; Martinis & Pieri 1964; Pieri 1966, E.N.I. 1969; Ogniben 1969; ecc.) o in al¬ cuni Fogli di recente stampati per la Carta Geologica d’Italia. Tali ri¬ sultati, assai preziosi per controllare o avviare le interpretazioni geolo¬ giche regionali, vengono tenuti nascosti dalle Società operatrici. Tutto ciò è chiaramente comprensibile per ovvii motivi di concorrenza du¬ rante le fasi attive della ricerca ; ora però, dopo le rinunce presentate da parte delle Società operanti, sarebbe auspicabile la pubblicazione documentata dei dati conseguiti, al fine di apportare contributi geologi¬ ci per meglio comprendere la complessa struttura dell’Appennino cen¬ tro-meridionale, controllare la validità o meno delle sintesi geologiche apparse in questi ultimi anni e prospettare di conseguenza nuovi temi di ricerca finora non perseguiti, anche alla luce delle nuove e moderne idee basate sui concetti della tettonica globale. La revisione dei dati geologici e minerari conseguiti con le ricerche, alla luce di una rico¬ struzione strutturale che tenga conto appunto dei nuovi concetti da — 339 — poco applicati anche in Italia (Boccaletti & Guazzone 1970; Boc- CALETTi, Elter & Guazzone 1971; Wezel 1970; Wezet. & Rtan 1971 ; ecc.), risulterebbe oltremodo interessante per la ripresa delle ri¬ cerche sotto nuove e più moderne concezioni (Ippolito 1970 e 1972)» Per quanto detto, ringrazio la Società Montecatini Edison per il permesso concessomi di pubblicare i dati sul sondaggio S. Arcangelo Trimonte 1, e il dott. ing. Elvezio Messina, ingegnere capo della se¬ zione di Napoli deirUfficio Nazionale Minerario per gli Idrocarburi, per avermi fatto consultare i dati relativi al sondaggio citato, depositati presso la sezione di Napoli. Mi auguro che le notizie riportate, possano risultare utili al progresso delle conoscenze del nostro Appennino. Cenno alle ricerche di idrocarburi nell’Italia centro-meridio¬ nale. Le ricerche di idrocarburi nelFItalia meridionale ebbero inizio già nel secolo scorso, quando con criteri a caratteri artigianali si cercava di produrre olio nelle aree sedi di manifestazioni superficiali, median¬ te drenaggio con scavi e gallerie, o per distillazione di scisti ittiolitici. Nei primi anni del 1900 le ricerche di petrolio furono affrontate me¬ diante perforazioni, solo nelle zone immediatamente prossime alle ma¬ nifestazioni. Successivamente però, le società tentarono di affrontare E ricerche su basi scientifiche, mediante Futilizzazione dell’analisi geo¬ logica nelle regioni da indagare. Si hanno le prime campagne di son¬ daggi ad opera della Direzione Generale dei Combustibili (a Tramu- tola e a Rapolla) e successivamente ad opera delFAgip Mineraria ( a S. Angelo dei Lombardi), che presupponevano un preciso tema di ri¬ cerca : esplorazione di termini permeabili intercalati o inglobati nel (( flysch paleogenico ». Ci si avviava pian piano verso i moderni cri¬ teri della ricerca petrolifera. Nel 1935, con l’avvento dei metodi geofisici, la ricerca si affina, ma i risultati concreti continuano a tardare. Bisognerà attendere il de¬ cennio 1955-65 per giungere alla scoperta di importanti giacimenti, localizzati nell’avanfossa appenninica, dopo una massiccia campagna di ricerca da parte di numerose Società, in primo luogo FAgip Mine¬ raria, quindi le varie società del gruppo Montecatini, la Edison, la Snia Viscosa, ecc. Dal 1935 al 1955 comunque, la ricerca entra in una fase decisa- — 340 — mente moderna come criteri di indagine; si stabilisce una precisa te¬ matica di ricerca, in relazione alle progredite conoscenze sulla geolo¬ gia dell’Italia centro-meridionale e ai primi risultati minerari positivi. Il primo tema di ricerca, reperimento di termini permeabili in¬ tercalati o inglobati entro il «flysch paleogenico », viene affrontato presso S. Angelo dei Lombardi e Tramutola, come si è detto, e presso S. Angelo Le Fratte, da parte dell’Agip Mineraria; risultati di un certo interesse minerario, come è noto, si ebbero però solo a Tramu¬ tola con modeste produzioni di olio. Durante la seconda guerra mondiale, negli anni 1942 e 1943, la Samet (Società Anonima Metano), sulla base di manifestazioni gassose superficiali e di analoghe incontrate durante lo scavo della galleria ferroviaria tra Rivisondoli e Roccaraso, perforava alcuni pozzi nella zona di Rivisondoli ottenendo discrete produzioni di metano col pozzo Rivisondoli 1. Orizzonti produttivi erano termini porosi intercalati nel flysch medio-miocenico ; si rientra sostanzialmente nel predetto tema di Tramutola, ecc. Durante la ritirata delle truppe tedesche, venivano fatti saltare la bocca dei pozzi e successivamente il piccolo campo ve¬ niva abbandonato. Dopo la fine della guerra, le ricerche ripresero con vigore, so¬ prattutto a seguito della scoperta degli importanti giacimenti gassiferi della Pianura Padana. Si comincia a guardare all’avanfossa appennini¬ ca trasferendovi gli stessi temi di ricerca della Pianura Padana. La geologia è entrata decisamente nella conduzione delle ricerche, accanto ai metodi geofisici (gravimetria, sismica a riflessione e a rifrazione). Appaiono le prime sintesi geologiche ai fini della ricerca petrolifera (Migliorini 1952a, 1952b, 1952c; Jaboli & Roger 1952: ecc.), an¬ che se i temi di ricerca non risultano sempre chiaramente individuati. Nel 1953 le scoperte dei campi siciliani di Ragusa e di Gela, aprirono nuovi orizzonti alla ricerca ; la possibilità di reperire giaci¬ menti in seno al Trias. Con questo tema, successivamente caldeggiato da Lazzari (1960), l’Agip Mineraria perforò due sondaggi profondi, purtroppo risultati sterili, Ugento 1 (nel Salente) e Foresta Umbra 1 (nel Gargano), che dimostrarono una situazione stratigrafica differente rispetto all’area siciliana, sconsigliando il proseguimento delle ricer¬ che su questo nuovo indirizzo. E’ stato comunque nel decennio 1955-65, come si è detto, che le ricerche nell’Italia centro-meridionale ebbero un notevole imnulso, a volte addirittura frenetico, come durante le prime scoperte in A- 341 — bruzzo del 1957 (pozzi Cigno 1 e Vallecupa 1), che purtroppo ebbero solo il risultato di far sorgere grosse speranze alle Società ricercatrici, ben presto rimaste frustrate. Durante questo decennio i temi di ricerca perseguiti risultano so¬ stanzialmente e prevalentemente i seguenti : — termini porosi intercalati nella serie plio-pleistocenica, in trap¬ pole stratigrafiche e/o strutturali ; — top della serie carbonatica mesozoico-terziaria al di sotto della copertura terziaria. Questi due temi furono perseguiti lungo l’avanfossa appenninica, mentre nell’ Appennino solo il secondo. Risultati positivi mineraria¬ mente si ebbero solo nell’avanfossa appenninica, con la scoperta di giacimenti di gas nell’avanfossa abruzzese (campo Cellino, Teramo, produttivo in orizzonti sabbiosi del Pliocene inferiore), in quella moli¬ sano-pugliese (campi di Cupello-S. Salvo, di Portocannone, Torrente Tona e Candela, produttivi da orizzonti del Pliocene medio e dai cal¬ cari miocenici), in quella lucana (campi di Grottole-Ferrandina e di Pisticci, produttivi da orizzonti sabbiosi del Pliocene superiore e dai calcari mesozoici) ( 1) ; sostanzialmente negative risultarono invece le ricerche nel Bacino Crotonese (Crescenti 1972). Nell’ Appennino molisano risultano interessanti le produzioni di olio leggero (48° API) nei pozzi di Cercemaggiore e S. Croce (con¬ cessione Capoiaccio), da dolomie mesozoiche tra i 2750-3050 metri di profondità (E.N.I. 1969, pp. 474-475); la produzione è ostacolata dal¬ la presenza di grosse quantità di CO2 associata al petrolio. Accumuli di CO2 sono stati registrati anche in altre zone, circa in tutta la fascia centrale della regione da noi esaminata, particolarmente nel Molise, Campania e nel foggiano. Il giacimento di Cercemaggiore-S. Croce riveste una notevole im¬ portanza, in quanto propone un nuovo tema di ricerca sulla scorta dei recenti concetti sulla geologia delFAppennino meridionale ( Scandone 1968, 1971). Le ricerche e gli studi portati con grandi mezzi di indagine e su larga scala, durante il periodo esaminato, condussero alla stesura di vari lavori di sintesi geologica e stratigrafica, tutti legati appunto al¬ l’interesse delle prospezioni petrolifere. Apparvero così le opere di (1) Notare il ringiovanimento da NW a SE degli orizzonti produttivi; ciò in relazione, probabilmente, con la migrazione nello stesso senso del bacino di sedimen¬ tazione plio-pleistocenico (ved. Crescenti 1971, nota 5 a pag. 273). — 342 — Selli 1957 e 1962, di Sartoni & Crescenti 1962, di Carissimo- D’Agostino-Loddo-Pieri 1963, di Crostella e Vezzani 1964, di Pieri 1966, di Fancelli-Ghelardoni-Pavan 1966, di Crescenti- Crostella-Donzelli-Raffi 1969, ecc. Dopo il 1966, la ricerca di idrocarburi si sposta decisamente sui temi offerti dairo//s/iore adriatico, nell’ambito della piattaforma omo¬ nima, che finora ha dato risultati soddisfacenti. La rieerca nell’ Appennino appare invece notevolmente rallentata. Occorre però tenere bene presente che « un decennio di ricerca non rappresenta un periodo di tempo sufficiente per poter affermare che l’esplorazione sia giunta ad uno stadio di maturità » e che « spesso ba¬ sta il risultato di un sondaggio per modificare in modo imprevedibile la condotta dell’esplorazione » (Pieri in E.N.I. 1969). Inserendo i moderni concetti della tettonica globale e tenendo con¬ to delle più aggiornate vedute sulla struttura del nostro Appennino, è possibile ehe la ricerca in queste regioni possa rivalutarsi, soprattutto sulla scorta dei dati dei pozzi S. Croce e Cercemaggiore. In questa breve rassegna sulle ricerche petrolifere nell’Italia cen¬ ti o-meridionale, si è cercato di essere il più sintetici possibile. Per ulte¬ riori notizie si veda Carissimo-D’Agostino-Loddo-Pieri (1963), Grò- stella & Strocchi (1969) ed E.N.I. (1969) e le relative bibliografie. Ubicazione e obiettivo del sondaggio S. Arcangelo Trimonte 1. Il sondaggio in esame, perforato nell’estate del 1961 dalla Soeie- tà Idrocarburi Ariano, risulta ubicato in provincia di Avellino. Ubi¬ cazione esatta: 2° 28’ 48” longitudine E (M. Mario), 41° 10’ 54” la¬ titudine N. Tale ubicazione cade circa 2 km a NNE del paese omo¬ nimo e circa 14 km a NE di Benevento, nel Foglio 173. Obiettivo principale del sondaggio era l’esplorazione, in posizione strutturale favorevole, dell’apice della serie carbonatica, sepolta al di sotto della copertura impermeabile terziaria. Infatti, dai rilievi gravi- metrici e della sismica a riflessione e a rifrazione, era stata individua¬ ta, al di sotto di detta copertura, una struttura monoclinalica allunga¬ ta in senso NO-SE e immersa a NO, con chiusura per faglie. Nella fig. 1 si rileva l’andamento di questa struttura, rieostruita mediante i dati della sismica a riflessione ; sono evidenziate le faglie principali ad an¬ damento circa appenninico, che isolano a sud e a nord la monoclinale carbonatica, e alcune faglie secondarie circa trasversali alle precedenti. 343 — La chiusura della struttura era garantita a sud, a nord e ad est dalle faglie, e ad ovest dalFimmersione naturale degli strati. Faglie principali circa appenniniche Faglie secondarie trasversali Fig. 1. — Ubicazione del sondaggio S. Arcangelo Trimonte 1 e ricostruzione della struttura sepolta, mediante isobate derivanti dal rilievo sismico a riflessione. L'’orizzonte mappato corrisponde al tetto della successione calcarea. Piano di ri¬ ferimento: il piano campagna alla quota del pozzo (m 340 s. 1, m.). La perforazione del sondaggio fu arrestata a m 1917 di profon¬ dità con esito minerario negativo. — 344 — Stratigrafia. Lo studio stratigrafico del pozzo è stato eseguito mediante l’ana¬ lisi litologica e micropaleontologica dettagliata dei campioni di circola¬ zione (cuttings), prelevati regolarmente ogni 5 m di profondità. Con¬ trolli stratigrafici sono stati eseguiti sia mediante saltuarie carote di fondo (in tutto sette), che mediante carotaggi elettrici. Dall’alto al basso è stata riconosciuta la seguente successione: 1) m 0-1433. Argille grigio- verdastre, talora varicolori. 2) m 1433-1515. Argille con rare arenarie quarzoso-micacee. 3) m 1515-1567. Calciruditi. 4) m 1567-1665. Brecce argilloso-calcaree con inclusi tufacei. 5) m 1665-1740. Calcari marnosi con calcareniti. 6) m 1740-1917 . Calcari micritici e dolomie. Consideriamo in dettaglio i singoli intervalli. 1) 0-1433. Argille grigio-verdastre, talora varicolori. Litologia. Argille e argille marnose grigio-verdastre, talora color rosso-fegato, scagliose. Rari calcari verdastri di tipo « alberese », cal¬ cari cristallini e calcareniti scuri. Tra m 27-105 sono presenti arenarie grigrio-chiaro, poco cementate, con intercalazioni di argille grige. Micropaleontologia. Microfossili molto rari : sono state notate pic¬ cole Globigerine e forme arenacee, tutte in pessimo stato di conser¬ vazione. Tra queste ultime sono state notate: Ammodiscus, Glomospi- ra, Cyclammina, Bathysiphon. In alcuni campioni calcarei sono pre¬ senti Radiolari e spicele di Spugna. L’intervallo tra m 27-105 è risultato invece abbastanza fossilife¬ ro, con microfossili in buone condizioni. Tra le forme planctoniche, meno abbondanti di quelle bentoniche, sono state determinate le se¬ guenti: Globi gerinoides trilobus (Reuss), Globi gerinoides bisphericus (Todd), Globorotalia puncticulata (Deshayes). Orbulina universa d’Orbigny. Nel benthos sono state notate: Cassidulina oblonga Reuss, Cibicides dutemplei (d’Orbigny), C. jloridanus (Cushman), C. heidin- geri (Brady), Elphidium crispum (LiNNÈ), Gyroidina laevigata d’Or- BiGNY, Marginulina costata (Batsch), Nonion boueanum (d’Orbigny), Rotalia beccarii (LiNNÈ), Uvigerina rutila Cushman. Carote. In questo intervallo sono state prelevate due carote. La ca¬ rota 1, m 805-810,5, è risultata costituita da argilla grigio- verdastra. 345 — rsj r\j 0 m — — * COLTRE SANNITICA (SELLI, 1962 ) , “ . - — i A A rsj fSJ .T UU UlJ rsj — = M.1 'Argille Scagliose" con rsJ nj rv .200 CLS f\j ru C3 arenar ie e argille del r\j UJi PLIOCENE inferiore /X/ (tra m 27 — 105) r>J /\/ r\J rJ J-400 O- Contatto tettonico mT4 33 rKj rsJ Formazione PI ETRAROIA — — 1 O ( S ELLI, 1957 ) — — .rsoo o 5 j__ < T rasa r ess ione (orobabile) ^ 1’515 O z _ _ f- C a 1 c i r u d i t i ♦ I A cu I ^ I — o m 1 567 I m A — — 03 — V' .1*600 =3 Brecce con inclusi tufacei i _o *o cu m r665 — # — ' c I - ua . - . r* -1700 Z Calcari marnosi e calcareniti uu • . ... !.. C.3 Trasgressione rn 1740 I 1 1 tjj jL* • O I z \ , J‘800 1 < Micriti e dolomie I o z . I , z O \ < Z I — LU \ Z c/j o 1 q; I I .1-900 Z) m T917 I 1— Fig. 2, — Schema stratigrafico del sondaggio S. Arcangelo Trimonte 1. — 346 — scagliosa, con rare intercalazioni di marna grigia ; microfossili assenti. La carota 2, m 1406-1409, rappresentata da argilla grigio-verdastra, scagliosa, con uno straterello di breccia marnoso-calcarea, è pure risul¬ tata priva di microfossili nelle parti argillo-marnose. Tra i costituenti calcarei della breccia sono stati osservati frequenti Radiofari, spicole di Spugna e piccoli Globigerinidi. Età e correlazioni. A parte il tratto tra m 27-105, troppo scarsi sono gli elementi paleontologici per definire l’età di tutto l’intervallo in esame. Considerazioni possono essere fatte sull’analisi della sua posizione stratigrafica e dei dati noti dalla letteratura per termini cor¬ rispondenti. I terreni in oggetto infatti corrispondono ai a terreni cao¬ tici » della coltre sannitica (Selli 1962), comunemente noti col termi¬ ne Argille Scagliose o Argille varicolori. Sono correlabili inoltre con le «Argille varicolori» («Red beds ») di Dessau (1953), affioranti in continuità laterale più ad oriente, nel Foglio 174 - Ariano Irpino e dall’Autore riferiti all’Oligocene medio ; con le « argille scagliose di Buonomini » illustrate da Ogniben (1958) per la regione di Caiazzo (Caserta), con le Argille varicolori di Pescatore (1965) e di Pe¬ scatore, Sgrosso & Torre (1970) nell’ Appennino campano; con le Argille varicolori ai bordi del vicino gruppo del Taburno - Camposau¬ ro (D’Argenio 1967, De Castro Coppa ed altri, 1969 ecc.). Ogniben (1969), attribuendo questi terreni alle «Argille variegate» del com¬ plesso Sicilide, si sofferma accuratamente sulla loro attribuzione crono¬ logica, concludendo per una età all’incirca supracretaceo-eocenica. Per quanto riguarda l’intervallo tra m 27-105, le abbondanti mi¬ crofaune permettono l’attribuzione alla parte media del Pliocene infe¬ riore, ed in particolare alla subzona a Glohorotalia puncticulata della cenozona a Glohorotalia margaritae (Cati et altri, 1968). La sua pre¬ senza nella serie del pozzo, viene interpretata come lembo parautocto¬ no inglobato nelle « Argille Scagliose » durante le più recenti fasi di traslazione di queste ultime. Terreni coevi affiorano poco a Sud del- Lubicazione del pozzo. Al di sotto deH’intervallo in esame, la successione del pozzo met¬ te in evidenza terreni tortoniani, come si dirà più sotto. Accettando per le « Argille Scagliose » del sondaggio un’età generica paleogenica, ne appare evidente la posizione alloctona, come del resto sostenuto nei loro studi dagli Autori sopracitati (Ogniben 1959 e 1969, Selli 1962, D’Argenio 1967, Pescatore, Sgrosso & Torre 1970 ecc.). L’età della messa in posto della coltre è fissata tra il Tortoniano dell’in¬ tervallo sottostante ed il Pliocene inferiore del tratto tra 27-105 metri. — 347 — Un’attribuzione al Tortoniano p.p.-Messiniano (ed eventualmente anche Pliocene inferiore p.p.) delle « Argille Scagliose » per sostenerne l’au- toctonia, appare oltremodo incerta, priva di sostegni paleontologico e geologico regionale. 2) m 1433-1515. Argilla con rare arenarie quarzo so-micacee. Litologia. Argille verdognole con intercalazioni di arenarie tene¬ re, grige e biancastre, quarzoso micacee, a cemento calcareo. Micropalentologia. Microfossili in genere abbastanza frequenti, con forme planctoniche predominanti, tra cui dominano i generi Orbulina e Globigerina. Ricordo in particolare Globigerina falconensis Blow, Giobigerinoides bisphericus Todd, Orbulina suturalis Bronnimann, O. universa d’Orbigny, C. pachyderma ( Rzehak) particolarmente frequen¬ te, Nonion soldanii (d’Orbignt). Età e correlazioni. L’età di questo intervallo è riferibile al Tor¬ toniano, tenendo conto delle osservazioni di Crescenti (1964, 1967). Infatti tra le forme planctoniche mancano Globoquadrina e Globorota- lia mayeri, prevalgono le Globigerine sui Giobigerinoides ; nel benthos significativa è la diffusione di Gibicides pachyderma. Non è possibile una datazione più dettagliata. Dal punto di vista litostratigrafico, l’intervallo in esame è pro¬ babilmente correiabile con la formazione di Pietraroia (Selli 1957) e col flysch di Moleta (Ogniben 1958); è inquadrabile cioè nella successio¬ ne miocenica preorogenetica dell’Appennino campano (Pescatore, Sgrosso & Torre 1970; Pescatore 1970). 3) m 1515-1567. Calciruditi. Litologia. Calciruditi e calcari brecciati, con veli di marna verdo¬ gnola dura, strizzata. Micropaleontologia. I microfossili sono rari e di difficile deter¬ minazione. Sono abbastanza diffusi per tutto l’intervallo, ma rari nel¬ l’ambito di ciascun campione, piccoli frammenti di alghe riferibili a Lithothamnium ; sporadici frammenti di Microcodium e rari Rotali¬ di. A m 1563 un dubbio frammento di Elphidium. Carote. Nell’intervallo sono state prelevate due carote. La carota 3 (m 1518-1518,7) è costituita da calcirudite grigia e nocciola, dura e compatta, con sottili veli di argilla verdognola. I microfossili, raris¬ simi, sono rappresentati da piccoli frammenti di Litotamni e da Micro- codium sp. La carota 4 (m 1527-1530) presenta caratteri litologici e micr opaleontologici analoghi alla carota 3. Età e correlazioni. Molto scarsi sono i dati su cui ci si può basare per una precisa datazione di questo intervallo. 1 microfossili sono in riguardo poco significativi, permettendo una generica datazione oscil¬ lante dal Paleocene al Miocene. La sua posizione stratigrafica, ammes¬ so che i contatti con le unità sottostante e sovrastante siano stratigra¬ fici, ne restringe l’intervallo cronologico che così dovrebbe oscillare tra l’Eocene medio-superiore deH’intervallo sottostante, descritto più sotto, e il Tortoniano illustrato sopra. Le conoscenze geologiche regionali, derivanti sia da studi diretti che dalla letteratura, sulla stratigrafia delle porzioni terminali delle successioni carbonatiche (massiccio del Taburno-Camposauro, massic¬ cio del Matese, massiccio di M. Maggiore nel casertano) affioranti ad oriente della struttura perforata col pozzo S. Arcangelo Trimonte 1, non forniscono elementi di correlazione utilizzabili per la risoluzione della questione. Il raffronto con le successioni carbonatiche e con le relative aree di transizione esterna, poteva risultare utile in quanto paleogeograficamente, come si vedrà, la struttura del pozzo va inqua¬ drata in questa provincia. L’intervallo in esame, come pure il sottostante, non trova perciò riscontro in dati di superficie ; in particolare non presenta alcuna affinità con i calcari organogeni a Litotamni e Briozoi della formazio¬ ne Cusano di Selli 1957 (o calcare di Mastroianni di Ogniben 1958) che segnano la trasgressione miocenica sui massicci carbonatici nella regione campana, al di sotto delle formazioni calcareo-marnose e mar- noso-arenacee mediomioceniche. Nè può essere correlato con i conglo¬ merati e le calcareniti della formazione elveziana di Laiano (D’Arge- Nio 1963 e 1967) affioranti sul Taburno. Non vi sono infatti analo¬ gie di posizione stratigrafica nè analogie paleontologiche ; i conglomera¬ ti di Laiano poggiano direttamente sul Mesozoico, non sono seguiti dal flysch marnoso-arenaceo mediomiocenico, sono costituiti da frammenti in prevalenza giurassici, hanno dato microfossili planctonici elveziani. Nella successione del pozzo appare perciò improbabile il collegamen¬ to dell’intervallo esaminato con il ciclo miocenico della sovrastante unità marnoso-arenacea tortoniana ; esso è probabilmente legato alle sottostan¬ ti brecce eoceniche, e pertanto probabilmente di età eocenica. Di con¬ seguenza, il contatto col Tortoniano è lacunoso e dovrebbe testimo- — 349 — niare la trasgressione miocenica, ampiamente nota sui massicci car- bonatici. Non può peraltro escludersi una parziale parautoctonia delle argille tortoniane, a causa del sovrascorrimento della coltre di Argille Scagliose sovrastanti. In tal caso il contatto in esame sarebbe affetto da fenomeni tettonici. 4) m 1567-1665. Breccia argilloso-calcarea con inclusi tufacei. Litologia. Breccia calcarea a cemento argilloso rosso-fegato e ver¬ de, con inclusi di tufi basici verde-scuro ; tracce di frammenti di sel¬ ce verde ed incolore. Nei residui di lavaggio dei cuttings sono stati no¬ tati rari frammenti spugnosi pomicei biancastri. Micropaleontologia. Microfossili poco frequenti, in cattivo stato di conservazione. Notate piccole Nummuliti e raramente Cibicides e Robulus. I frammenti calcarei inglobati nella breccia, hanno dato in mas¬ sima parte biofacies del Cretaceo superiore carbonatico, rappresentato da Miliolidi trematoforati, Sellialv colina viallii Colalongo, Ophthalmi- diidi, Ostracodi e piccoli Gasteropodi. Carote. Nell’intervallo è stata prelevata la carota n. 5 (m 1571,26- 1574,26), costituita da breccia a cemento argilloso rosso-fegato, con piccoli frammenti di calcare biancastro e rari inclusi tufacei verde¬ scuro. Età e correlazioni. Questo intervallo viene riferito all’Eocene me¬ dio-superiore, per la sua posizione stratigrafìca ; esso sovrasta un inter¬ vallo ben databile all’Eocene medio. I rari microfossili, in particolare gli esemplari di Nummuliti, confermano questa datazione. Come il pre¬ cedente intervallo, questo in esame non trova riscontro in unità lito- stratigraflche descritte per gli affioramenti dei massicci carbonatici af¬ fioranti ad occidente. Di particolare interesse la presenza degli inclu¬ si di tufi basici, del tutto sconosciuti dai rilievi di superficie in analoga situazione stratigrafica. Una certa corrispondenza può riscontrarsi con i dati riferiti da Migliorini (1944 b), che informa del rinvenimento di elementi basaltici in una breccia calcarea, ritenuta luteziana, nel sot¬ tosuolo di Genzano di Lucania ; tale breccia era stata incontrata du¬ rante la perforazione di un sondaggio per ricerche petrolifere dall’ A. G.LP., tra le profondità di m 818-1250. Non appaiono invece relazioni con le rocce eruttive basiche del bacino dell’Agri (Migliorini 1944 a), nè con le tufiti di Tusa (Ogni- BEN 1969), nè con le rocce basiche tettonicamente a contatto col 350 — a flysch galestrino » segnalate presso Tito (Potenza) da Jetto & Cocco (1966) e da Scandone (1968). 5) m 1665-1740. Calcari marnosi con calcareniti. Litologia. Calcari marnosi e calcari siltosi marroncini con inter¬ calazioni di calcareniti organogene bruno-scure. Micropaleontologia. Microfossili abbastanza frequenti e in buono stato. Prevalgono le forme planctoniche ( Globigerine e Globorotalie) ; le forme bentoniche risultano frequenti solo nelle intercalazioni calcareni- tiche e sono rappresentate da macroforaminiferi (soprattutto Nummuli- ti e Alveoline) in buono stato di conservazione. Tra le forme plancto¬ niche significativa è la presenza di Globorotalia crassata (Cushman) e Globigerapsis. Nel benthos: Actinocyclina, Alveolina aff. fusiformis. Assilina, Discocyclina, Heterostegina, Linderina, Nummulites uronien- sis ScHLOTEIM. In alcuni campioni detritici sono pure presenti frammenti di cal¬ cari cretacici, con Cuneolina pavonia parva Henson, Miliolidi e Thau- matoporella parvovesiculifera (Raineri). Carote. E’ stata prelevata la carota 6 tra m 1703-1705. Litologi¬ camente è risultata costituita da calcare siltoso marrone, duro e compat¬ to, con intercalazioni di. calcarenite scura, compatta. Microfossili fre¬ quenti, gli stessi già segnalati. Età e correlazioni. L’età deH’intervallo in esame è riferibile all’Eo¬ cene medio (cenozona a G. crassata in Crescenti, Crostella, Donzel¬ li & Raffi 1969). Le intercalazioni calcarenitiche a macroforaminiferi vanno interpretate come frane intraformazionali, per il buono stato di conservazione dei fossili e per la loro sostanziale coevità. Da rimaneggia¬ mento extraformazionale provengono invece i frammenti con microfossi¬ li cretacei. Questo intervallo presenta analogie con la formazione Monaci de¬ finita nella depressione molisano-sannitica da Pescatore (1965) e con i complessi eocenici descritti nel Matese nord-occidentale da Sgrosso & Torre (1969), soprattutto con le calcareniti avana e marroncine a ma¬ croforaminiferi, Globigerapsis e Turborotalia cfr. bulbrooki (2) di Co¬ sta Calla. Le unità descritte da Pescatore e da Sgrosso & Torre sono però inserite nella successione stratigrafica della facies molisana (2) Si veda Crescenti, Crostella, Donzelli & Raffi (1969, pag. 392, nota 19) per la discussione su Globorotalia crassata e G. bullbrooki. 351 — (Crescenti 1966), in particolare tra la sottostante formazione del « calcari pseudosaccaroidi » maestrichtiano-paleocenici (formazione di Monte Calvello, Pescatore 1965) e la sovrastante formazione di Mor- cone attribuita aH’Oligocene - Aquitaniano (Pescatore 1965). Os¬ sia, come hanno precisato Sgrosso & Torre (1969), fanno parte di una successione depostasi ai bordi di un bacino, in condizioni di insta¬ bilità tettonica, con frequenti e brusche variazioni laterali e verticali di facies, con rimaneggiamenti intraformazionali ed extraformazionali, nonché lacune stratigrafiche a varie altezze, dovute a frane o erosioni da correnti sottomarine (Crescenti 1966). L’intervallo del pozzo è attribuibile invece ad una facies più ester¬ na, più pelagica, per la prevalenza di litofacies calcaree omogenee e di foraminiferi planctonici. Esso inoltre sovrasta in trasgressione un Cre¬ taceo superiore chiaramente in facies di piattaforma carbonatica. 6) m 1740-1917 . Calcari micritici e dolomie. Litologia. Calcari micritici nocciola e grigiastri, biospariti, dolo- micriti e dolomie microcristalline grigio-chiaro. Le dolomie prevalgono al di sotto di m 1820. Micropaleontologia. I microfossili sono quasi sempre abbondanti nei calcari, assenti nelle dolomie. Sono stati riscontrati Cuneolina pavo- nia parva Henson, Dicyclina schlumbergeri Munier-Chalmas, Mi- liolidi, Nezzazata sp., Nummoloculina aff. heimi Bonet, Ophthalmidii- di, Thaumatoporella parvovesiciilifera ( Raineri), Ostracodi. Carote. Nell’intervallo è stata prelevata la carota 7, da m 1784,4 a m 1788,4. E’ risultata costituita da calcare micritico brecciato e cal¬ care dolomitico, duri e compatti, riccamente fossiliferi. I microfossili sono quelli sopra citati. Età e correlazioni. L’intervallo è riferibile al Senoniano-Turonia- no {cenozona a Cuneolina pavonia parva e Dicyclina schlumbergeri, Sartoni & Crescenti 1962). La facies è quella tipica della piattafor¬ ma carbonatica. Viene così evidenziata una situazione stratigrafica nuo¬ va per facies del genere. La piattaforma carbonatica dell’ Appennino campano è infatti quasi sempre caratterizzata, ai tetto, dalla nota tra¬ sgressione miocenica (Selli 1957, ecc.) direttamente sopra termini me¬ sozoici. Nel pozzo invece esiste, tra il Mesozoico e la trasgressione mio¬ cenica, tutta una serie paleogenica sconosciuta in affioramento. I ter¬ reni paleogenici della piattaforma nei rari e residui affioramenti noti — 352 — (formazione Trentinara nel Cilento, Selli 1962; calcari con Nummu- liti e Alveoline di M. Pastonico nel Matese, Catenacci, De Castro & Sgrosso 1963, ecc.) presentano facies diverse da quella dell’intervallo paleogenico del pozzo ; dal punto di vista paleoambientale essi si inqua¬ drano bene nella successione carbonatica mesozoica. Tenendo conto dei recenti lavori della scuola napoletana sulle piat¬ taforme carbonatiche dell’Italia centro-meridionale (D’Argenio & ScANDONE 1971 ; D’Argenio, Radoicic & ScANDONE 1971 ; Pescato¬ re 1970; D’Argenio 1970; ecc.), la successione carbonatica in esame dovrebbe inquadrarsi nella piattaforma appenninica esterna. Carotaggi elettrici. Ho potuto esaminare solo i diagrammi del carotaggio elettrico convenzionale, alla scala 1 : 1.000. Non è stato possibile procedere ad una interpretazione quantitativa sulle caratteristiche di permeabilità dei livelli produttivi a CO2, in quanto mancano documenti essenziali quali il Microlaterolog, Il carotaggio elettrico presenta una curva di PS irregolare, sia nel- 1 ‘'intervallo relativo ai livelli di copertura (cioè fino a m 1.515), sia nella serie sottostante dove la forte resistività dà effetti secondari sulla registrazione, che simula un PS positivo assolutamente inattendibile (probabile effetto di bimetallismo). Per quanto riguarda la resistività, si può dire che questa conferma l’interpretazione litologica e le indicazioni delle prove di strato. Nei livelli provati, infatti, la resistività è molto elevata anche in corrispondenza dei livelli permeabili a causa dell’alta saturazione gassosa in CO2, che eleva la Rt. Purtroppo non si riconosce una tavola d’acqua e quindi non si può avere un valore di R^ per i necessari confronti. Riassumendo, si deve concludere che il carotaggio elettrico da solo non ci permette calcoli quantitativi ( PS insufficiente per ricavare R,^ ; R, molto diversa da punto a punto perchè fortemente influenzata dal fattore di formazione ; R^ non ricavabile per assenza di tavola d’acqua). L’analisi qualitativa, al contrario, indica abbastanza bene i limiti litostratigrafici per scopi correlativi e una saturazione elevata di fluidi non acquosi negli strati porosi, tanto da giustificare una indagine mine¬ raria accurata. Anche il liquido recuperato dalle prove di strato è po- — 353 — vero di acqua (contaminato di fango nella prima prova) il che aggrava le difficoltà interpretative (stima di Rw dai cloruri). Prove di strato. Durante la perforazione furono riscontrate varie manifestazioni di idrocarburi gassosi nella serie paleogenica alloctona, mentre al di sotto di m 1.500 le prove di strato eseguite indicarono la presenza di mineralizzazione a CO2 (E.N.I. 1969, p. 474). Per l’accertamento delle manifestazioni durante la perforazione, vennero utilizzati sia il Gas Detector « Formation Logger » a regi¬ strazione grafica continua, sia il Gas Detector discontinuo. Dopo l’esecuzione dei carotaggi elettrici, vennero scelti gli inter¬ valli da provare mediante prove di tester, sia sulla base delle caratte¬ ristiche litologiche che dei dati emersi durante la perforazione. Infat¬ ti accanto alle accennate manifestazioni nella serie paleogenica alloc¬ tona ( Argille Scagliose) che non rivestivano alcun interesse minerario data la impermeabilità della formazione, erano presenti al di sotto di m 1.515, vari intervalli che durante la perforazione erano risultati chiaramente permeabili, e pertanto tali da dover essere saggiati mec¬ canicamente. Di seguito si riportano i dati sulle prove di strato rela¬ tive a due di tali intervalli, eseguite entrambe a foro scoperto. Le prove furono condotte col metodo della doppia chiusura e con cu¬ scinetto di acqua nelle aste. Come noto, il cuscinetto d’acqua ha la funzione di limitare la differenza di pressione che si ha all’apertu¬ ra del tester, tra lo strato e la superficie. Prova di strato da m 1.528,7 a m 1.584. Durante la perforazione si era avuta una eruzione di gas a m 1559,7, controllata appesanten¬ do il fango a 1,850 Kg/lt. Fu di conseguenza decisa la prova di stra¬ to in esame, per accertare la natura del gas. Fissato il packer a m 1.521,6, con peduncolo di m 7,34, le varie operazioni eseguite risultano dal diagramma B.T. della fig. 3, Il tratto A-B corrisponde alla immissione del cuscinetto di acqua ; C, pressione idrostatica iniziale, risulta pari a 281 Kg/cm^. Aperto il tester per 4 minuti (D = 145 kg/cm^), quindi chiusa la T.C. per la registrazione della prima CIP, si ha in E la pressione iniziale 23 — 354 — della chiusura, pari a 251 kg/cm^, e in F la pressione finale, pari a 266 kg/cm^. Dal diagramma si nota che è stata successivamente aperta la T.C. per ottenere l’erogazione, prima con la duse in testa per circa un’ora, in cui si ebbe un debole flusso, con G, pressione iniziale di flusso, pari a 118 kg/cm^ e H, pressione massima di flus¬ so, pari a 160 kg/cm^. Tolta la duse di sommità si ebbe un forte Fig. 3. — Prova di strato da m 1.528,7 a m 1.584. In orizzontale, la scala dei tempi di esecuzione della prova ; in verticale, i valori di pressione registrati dal B. T. durante le varie fasi delle operazioni. flusso che portò a giorno il cuscinetto di acqua, misto a fango, se¬ guito da gas CO2. Segui l’erogazione in tubo metallico, con sbocco a 15 m dal pozzo, per circa due ore, durante le quali furono effet¬ tuate diverse chiusure in testa per il prelievo dei campioni. Du¬ rante l’erogazione la pressione in testa risultò in media sulle 47 atmosfere, diminuendo lentamente fino a stabilizzarsi a 22,5 atmo¬ sfere. In I, pari a 91 kg/cm^, chiuso il flusso in testa al pozzo, si re¬ gistrarono le pressioni di superficie riportate in fig. 4. Infine in L (fig. 3) fu riaperto il flusso per 20 minuti circa e, richiusa la T.C. per la seconda chiusura, risultò M, pressione iniziale di seconda chiusura, pari a 123 kg/cm^ e N, pressione finale di seconda chiu¬ sura. pari a 228 kg/cm“. In 0, pressione idrostatica finale, pari a 275 — 355 — kg/cm^, la prova ebbe termine con la successiva risalita della strumen¬ tazione. Il recupero dalle aste risultò essere costitutito da 463 litri di acqua nerastra. Prova di strato da m 1.729,2 a m 1.784,4. Durante la perfora¬ zione si era avuta una perdita di circolazione a m 1.740, cioè in cor- Fig. 4. — Registrazione delle pressioni di erogazione a bocca pozzo, durante la prova di strato di cui alla fig, 3. rispondenza del limite trasgressivo tra la serie eocenica e quella cre¬ tacica. Tale perdita di circolazione evidenziava chiaramente la buona permeabilità della formazione perforata. Le varie operazioni eseguite risultano dalla fig. 5. Il tratto A-B corrisponde aU’intervallo di tempo in cui è stato immesso il cusci¬ netto di acqua nelle aste. In C si ha la pressione idrostatica iniziale del tester, pari a 297 kg/cm^. Il tratto C-D corrisponde aU’intervallo di tempo che è stato necessario per il fissaggio del packer. Questo è stato fissato a m 1.729,2 con peduncolo di 53,83 metri. E rappresen¬ ta la pressione registrata all’apertura iniziale del tester, pari a 247 kg/cm^; F quella finale di prima chiusura, pari a 280 kg/cm^; in Pressione in Kg/ — 356 — G si ha la pressione iniziale del flusso, pari a 256 kg/cm^; in H la pressione massima di flusso, di 276 kg/cm^ ; I rappresenta la pres¬ sione di flusso finale, pari a 274 kg/cm^; infine M rappresenta la pressione idrostatica finale, pari a 294 kg/cm^. La successiva risalita dello strumento è registrata dal tratto M-N. Il recupero delle aste risultò costituito da 6.430 litri di fango di 100 200 300 rs - > \ L _ E € F ^0 ^ 1 H L 6 10 Tempo In ore Fig. 5. — Prova di strato da m 1.729,2 a m 1.784,4. Didascalia come fig. 3. circolazione, assorbito in precedenza dalla formazione durante la perdita di circolazione sopraricordata, emulsionato ed annerito. Du¬ rante il flusso in superficie si ebbe futuiuscita di gas costituito da CO2 con tracce (2%) di C^Hr, e CH4. Conclusioni. I dati riferiti nei precedenti paragrafi, ci permettono di trarre le seguenti conclusioni di ordine sia stratigrafico che minerario. Per quanto riguarda la stratigrafia, l’interpretazione della suc¬ cessione incontrata nel sondaggio S. Arcangelo Trimonte 1, può co¬ sì riassumersi dall’alto al basso ( ved, fig. 2) : 1. «Argille Scagliose» della coltre sannitica (Selli 1962). Paleo¬ gene s. 1. — 357 — (m 0-1433, spessore perforato m 1433). — Contatto tettonico, 2. Formazione Pietraroia (Selli 1957) — Tortoniano. (m 1433-1515, spessore perforato m 82). — Trasgressione (probabile). 3. Calciruditi ; età probabile Eocene medio-superiore. (m 1515-1567, spessore perforato m 52). 4. Brecce argilloso-calcaree con inclusi tufacei; età probabile Eoce¬ ne medio-superiore. (m 1567-1665, spessore perforato m 98). 5. Calcari marnosi con calcareniti; età Eocene medio. (m 1665-1740, spessore perforato m 75). — Trasgressione. 6. Calcari micritici e dolomie della piattaforma carbonatica esterna; età Senoniano-Turoniano. (m 1740-1917, spessore perforato m 177). Da questa successione, tenendo conto delle caratteristiche geo¬ logiche regionali (Selli 1957, 1962; Ogniben 1958; Pescatore 1965, D’Argenio 1967; Sgrosso & Torre 1969; ecc.) si possono fare le seguenti osservazioni sulla stratigrafia del sondaggio : a) Il Cretaceo mostra la tipica facies carbonatica di piatta¬ forma e dovrebbe inquadrarsi nelFambito della piattaforma appen¬ ninica esterna. b) I termini paleogenici sono praticamente sconosciuti in af¬ fioramento. Essi rappresentano una facies ad evoluzione regressiva, da un ambiente pelagico (unità 5) ad un ambiente probabilmente addirittura costiero (unità 3). Di particolare interesse gli inclusi di tufi basici nell’unità 4. c) La serie miocenica è rappresentata dalle argille con rare alternanze arenacee deU’intervallo 2, riferibili alla formazione Pietra¬ roia (— flysch di Moleta di Ogniben 1958). Questa formazione in affioramento fa parte della successione miocenica preorogenetica ( Pe¬ scatore, Sgrosso & Torre 1970, Pescatore 1970) ed è legata alla facies mesozoica carbonatica di piattaforma, priva di Paleogene. In aree a facies di transizione esterna (Pescatore 1965, p. 112) la serie flyschioide miocenica viene attribuita alla formazione San Gior¬ gio di Selli 1957 ( = arenarie di Caiazzo, Ogniben 1958), sopra una sequenza cretaceo-paleogenica. Se consideriamo perciò i caratte- 358 — ri paleoambientali del Cretaceo della successione del sondaggio, l’at¬ tribuzione deH’intervallo miocenico alla formazione di Pietraroia ap¬ pare giustificata. Data però la presenza delFintervallo paleogenico, si potrebbero avanzare delle riserve. I caratteri litologici e paleontolo' gici fanno però ritenere giustificata l’attribuzione fatta, per la preva¬ lenza delle argille sulle arenarie, per l’assenza di banconi arenacei e conglomeratici, per una maggiore diffusione di forme bentoniche tra i microfossili, per l’età generalmente più recente della formazione di Pietraroia (Elveziano superiore - Tortoniano) rispetto alla formazione San Giorgio (Langhiano - Elveziano, raramente anche Tortoniano in¬ feriore). d) Il contatto tra le unità 2 e 3 è probabilmente un contatto di trasgressione. Non possono peraltro escludersi fenomeni tettonici di scivolamento gravitativo delle argille tortoniane sul substrato cal¬ careo. e) Le unità 3-5 sono probabilmente ancorate alla facies car- bonatica, e non savrascorse su questa. Infatti dai dati della sismica a riflessione e dal sonic-log effettuato nel pozzo, il top della struttu¬ ra calcarea perforata dal sondaggio risulta alla profondità corrispon¬ dente al tetto dell’unità 3 (vedi fig. 1). Data l’estensione della strut¬ tura è verosimile considerare le unità 3-6 associate stratigraficamente tra loro e non per fenomeni tettonici. Per quanto riguarda l’esito minerario del sondaggio, si deve con¬ cludere che esso risultò negativo ai fini della ricerca di idrocarburi. Infatti prive di alcun interesse minerario sono da considerarsi le ma¬ nifestazioni di idrocarburi gassosi nell’ambito della successione paleo¬ genica ( (( argille scagliose »). Le mineralizzazioni degli intervalli sot¬ tostanti a m 1.515, risultarono produttive a COg con tracce insigni¬ ficanti di idrocarburi gassosi. OPERE CITATE Beneo e., 1960 - La ricerca petrolifera in Italia meridionale. Boll. Serv. Geol. dTt., 80 (4-5), 455-466, 2 ff., Roma. Boccaletti M. & Guazzone F., 1970 - La migrazione terziaria dei bacini toscani e la rotazione deW Appennino settentrionale in una « zona di torsione » per de¬ riva continentale. Mem. Soc. Geol. It., 9 (2), 177-195, 4 ff-, Pisa. 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Nuova specie di « Bournonìa » Fischer del Cretaceo superiore delle Murge ( * ) Nota del Socio VINCENZO CAMPOBASSO (Tm-nata del 27 Ottobre 1972) Riassunto. — Nella presente Nota viene descritta una nuova specie di Radiolitide, la Bournonìa putignanensis ; gli esemplari esaminati provengono da livelli calcarei del Turoniano sup. - Senoniano inf. delle Murge sud-orientali, Summary. — In this paper thè author describes a new species o£ Radiolìtid, Bournonìa putignanensis; thè studied specimens come from south-eastern Murge li- mestones of upper Turonian - lower Senonian age. Nei livelli calcarei del Cretaceo superiore delle Murge sud¬ orientali è stata raccolta e in parte segnalata (Campobasso & Oli¬ vieri, 1967) una ricca macrofauna a rudiste comprendente forme appartenenti alle famiglie delle Ippuritidi e delle Radiolitidi. Tra queste ultime sono state individuate sei nuove specie riferibili ai ge¬ neri Eoradiolites, Bournonìa, Gorjanovicia e Durania; una di esse, la Bournonìa putignanensis, viene descritta nella presente nota ; le altre hanno costituito Foggetto di due note di recente pubblicazio¬ ne (Campobasso, 1972a, 1972b). Gli esemplari della B. putignanensis provengono dalle Grotte di Putignano (Bari) e da loc. Marinello, nei dintorni di Cisternino (Brin¬ disi) ; dagli strati calcarei affioranti in quest’ultima località sono sta¬ te estratte anche rudiste appartenenti alle seguenti specie : Hippurites socialis Douv., Eoradiolites messapius Campobasso, Biradiolites an- gulosus d’ORB., Biradiolites angulosissimus Touc., Radiolites praegal- loprovincialis Touc., Radiolites cremai Par. ; tale associazione per- (*) Nota pubblicata sotto gli auspici e con il contributo del C.N.R.. — 364 mette di riferire questi strati calcarei al Turoniano sup. - Senoniano inf. Il genere Bournonia, diffuso nei livelli del Cretaceo superiore, non è nuovo tra le rudiste delle Murge, essendo rappresentato dalla B. excavata (d’ORB.), riconosciuta da Parona (1911) nei dintorni di Putignano, e dalla B. retrolata (Astre), recentemente descritta da Torre (1965) nei dintorni di Altamura in strati del Senoniano infe¬ riore. Familia RADIOLITIDAE Cray 1848 Genus Bounionia Fischer 1887. Bournonia putignanensis n. sp. (tav. I, figg. la-lb; tav. II, figg. 1-2; fig. 1/7 nel testo) Origine del nome: dalla città di Putignano (Bari), località di provenienza dell’olotipo. Olotipo : tav. I, figg. la-lb; tav. II, fig. 1; fig. 1/7 nel testo; con¬ servato nella collezione di fossili dellTstituto di Geologia e Paleontologia dell’Università di Bari; inv, N.S.6. Diagnosi : valva destra di forma conica allungata, quasi cilin¬ drica ; ornamentazione esterna data da 3-4 coste longitudinali poco sviluppate, lisce e strette ; bande sifonali rilevate in coste lisce e con¬ cave; costa corrispondente alla banda più stretta, meno incavata ri¬ spetto a quella della banda E o quasi piana ; piega V a forma di co¬ sta ben pronunciata ; struttura della parete a celle qudrangolari ; cre¬ sta ligamentare assente. Descrizione : le caratteristiche deU’olotipo, rappresentato da una valva destra incompleta, sono le seguenti ; valva di forma conica al¬ lungata, quasi cilindrica, leggermente arcuata, a sezione trasversa sub¬ ovale (dimensioni della valva: lunghezza cm 6,5 circa; diametro pas¬ sante per l’interbanda cm 2,1 ; diametro perpendicolare al primo cm 1,8); ornamentazione esterna costituita da tre coste poco sviluppate 365 — e strette, di cui due situate posteriormente e una nelle vicinanze della piega V; parete con spessore variabile da 4 mm nella regione cardi¬ nale a 3 mm nella regione ventrale ; superficie esterna del guscio per¬ corsa da numerose e fitte strie ad andamento sinuoso, determinate dalle lamine di accrescimento ; bande sifonali rilevate in coste lisce e concave ; banda E larga circa 4 mm, tendente a restringersi nella par¬ te superiore della valva ; banda S più stretta della E, meno concava di questa o addirittura superiormente quasi piana ; interbanda a forma di solco largo e profondo quanto la banda E nelle parti inferiore e me¬ dia della valva, più concavo e largo verso l’alto ; piega V a forma di costa ben pronunciata, robusta e arrotondata superiormente, più stret¬ ta e acuta nel resto, e inoltre separata dalla banda E da un fascia pia¬ na e larga 1 cm circa ; sezione trasversale del guscio mostrante solo in alcuni punti, a causa della ricristallizzazione generale, una struttu¬ ra cellulare a maglie quadrangolari, caratteristica del genere Bourno- nia; sempre nella sezione trasversa, le tracce delle lamine di accresci¬ mento assumono un andamento ondulato con la convessità rivolta ver¬ so l’esterno della valva in corrispondenza delle sporgenze del guscio ; nessuna traccia di cresta ligamentare ; l’apparato cardinale non è con¬ servato. Nel paratipo figurato nella tav. II fig. 2, tutte le caratteristiche descritte nell’olotipo si presentano più attenuate : per es. le bande si¬ fonali sono un po’ più strette, subeguali e meno concave ; le coste e la piega F, meno pronunciati ; la parete del guscio più sottile, ecc. Valva sinistra: non recuperata. Osservazioni: l’olotipo è rappresentato da una valva destra in¬ completa, priva della parte basale ed erosa in alcune zone della super¬ ficie esterna. Nella fig. I sono state disegnate schematicamente le sezioni tra¬ sversali di esemplari appartenenti a diverse specie di Bournonia, per rendere più facile e immediato il loro confronto con la nuova specie. La presenza di un seno accentuato nella banda E è un carattere comune alla B. putignanensis n. sp., alla B. judaica Blanck. e alla B. gardoni- ca Touc. ; ma le tre specie differiscono tra loro per gli altri caratteri riguardanti la forma e lo spessore del guscio, lo sviluppo delle bande sifonali, l’ornamentazione, ecc.. La struttura cellulare a maglie quadrangolari, osservabile nella pa¬ rete della B, putignanensis, si riscontra, come è noto, nei generi più pri- — 366 — initivi delle Radiolitidi, per es. in Praeradiolites, Eoradiolites, Radioli- tes, ecc. ; essa persiste nel genere Bournonia, pur filogeneticamente più giovane àeWEoradiolites e derivato, secondo DouvillÈ (1910), da que¬ sto per perdita della cresta ligamentare. Fig, 1. — 1: B. africana Douv. - X 1,3 - da Douvillé 1910, p. 25, f, 23 nel testo. 2. B. judaica Planck. - X 0,7 - da Blanckenhorn 1934, tav. XII, fig. 107. 3: B. adriatica Pejovic - X 2 - da Pejovic 1970, p. 244, fig. 4. 4; B. retro¬ lata (Astre) - X 0,7, esemplare tipo, da Astre 1929, fig. 1. 5: B. fourtaui Douv. - X 2 - da Douvillé 1910, p. 24, fig. 22. 6: B. gardonica Touc. - X 0,7 - da Toucas 1907. tav. II, fig. 6a. 7 : B. putignanensis n. sp. - X 1,7 - olotipo - Grotte di Putignano (Bari). 8: B. excavata (d’ORB.) - X 0,7 - da d’OR- BiGNY 1847, tav. 556, fig. 3. Provenienza : l’olotipo è stato raccolto nelle Grotte di Putigna¬ no (Bari), situate sulla strada provinciale per Turi (tav. 190 IV SE (( Putignano ») ; il paratipo figurato nella tav. II, fig. 2 proviene dal punto di q. 386, nei pressi della località Marinello, 4 km circa a NO di Cisternino (Brindisi) (tav. 190 II NE a Locorotondo »). Età : Turoniano sup. - Senoniano inf .. — 367 — BIBLIOGRAFIA Astre G., 1929 - La faune de Radiolitidés de Fontanete. B.S.G.F. (4), 29, pp. 227- 233, 1 tav., 1 fig. nel testo, Paris. Blanckenhorn M., 1934 - Die bivalven der Kreideformation von Syrien-Paldestina. Palaeontographica, Bd. LXXXI, Abt. A, pp. 161-296, 8 tavv. Stuttgart. Campobasso V. & Olivieri C., 1967 - Osservazioni preliminari sulla stratigrafia e sulla tettonica delle Murge tra Castellana Grotte (Bari) e Coglie Messapico (^Brin¬ disi). Un. St. Bari, Ist, GeoL Pai. - Studi geol. e morf, sulla regione pugliese, II, 20 pp., 1 tav., Bari. Campobasso V., 1972a - Gorjanovicia martinensis i nuova specie di Radiolitide del Seno- niano delle Murge. Boll. Soc. Nat., voi. 81, pp. 59-64,3 figg., 2 tavv., Napoli. Campobasso V., 1972b - Nuove specie di Radiolitidi nei calcari del Cretacceo supe¬ riore delle Murge sud-orientali. Boll. Soc. Nat., voi. 81, pp. 149-156, 11 tavv. Napoli. D’Orbigny a., 1847-1849 - Paleontologie Frcmqaise. Terrains Crétacés. Voi. IV, Bra- chiopodes. Op. di 390 pp., tav. 490-599, Paris. DouvillÉ H., 1910 - Études sur les Rudistes. Rudistes de Sicile, d'Algérie, d’Egypte, du Liban et de la Perse. Mém. Soc. Géol. France, Mém. n 41, 83 pp., 7 tavv., 77 figg. nel testo, Paris. Parona C. F., 1911 - Nuovi studi sulle Rudiste deW Appennino (Radiolitidi). Mem. R. Accad. Scienze Torino, 62, pp. 272-293, 2 tavv., 7 figg. nel testo, Torino. Pejovic D., 1970 - Tivo new species of rudists from thè Maastricht sediments of thè island of Brac. Bull. Scient., Sect. A.T. 15, N. 7-8, p. 244-245, 4 figg. nel testo, Zagreb. Torre D., 1965 - Contributo alla conoscenza delle Rudiste dei dintorni di Altamura- Murge Baresi. Palaeontographia Italica, voi. LX (n. ser. voi. XXX), pp. 18, 5 tavv., figg. 4 nel testo, Pisa. Toucas a., 1907-1909 - Études sur la classi fication et Vévolution des Radiolitidés. Mém. Soc. Géol. France, Mem. n. 36, 132 pp., 24 tavv., 80 figg nel testo, Paris. TAVOLA 1 Figg. la, Ib. — Bournonia putignancnsis n. sp. - Olotipo - la) X 1,5 : valva destra vista dalla regione sifonale ; Ib) X 1.5: stessa valva mostrante la piega V. Grotte di Putignano ( Bari). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972. Campobasso V. - Nuova specie di uBournoniayi Fischer, ecc. Tav. I. TAVOLA II Fig. I. — Bournonia putignanensis n. sp. - Olotipo - X 1,5: valva destra vista dalla regione posteriore. Grotte di Putignano (Bari). Fig. 2. — Bournonia putignanensis n. sp. Paratifo - X 1,5 : valva destra parzialmen- mente inglobata nella roccia e vista dalla regione sifonale. Loc. Marinello, nei din¬ torni di Cisternino ( Brindisi). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972. Campobasso V. - Nuova specie di «Bournonia» Fischer, ecc. Tav. II. r Boll. Soc. Natur. in Napoli voi. 81, 1972, pp. 369-374, 2 figg. Nuovo contributo aita conoscenza del Paleolitico nella Grotta di Castelcivita (Salerno) Nota del socio ALFONSO PICIOCCHI ( Tonnata del 30 giugno 1972) Riassunto. — L’autore presenta un lavoro di scavo — per l’esattezza tre scavi — eseguito all’ingresso della grotta di Castelcivita. Lo scavo ha portato alla luce reperti litici ed ossei del Paleolitico superiore (facies gravettiana e romanelliana), nonché del Paleolitico medio ( Mousteriano). La totale assenza di manufatti ceramici lascia supporre che la grotta sia rimasta ostruita dopo il Wiirm. Abstract. — Results of excavations made in thè fore part of thè Castelcivita cave are given in this note. Worked stones and hones have been found, showing mousterian facies (Middle Paleolitic) and gravettian and romanellian facies (Upper Paleolitic), The total lack of ceramic handworks suggests thè entrance of thè cave romained closed for long time after thè Wurm. La presente nota assume una particolare importanza perchè è il primo lavoro di équipe della sezione di preistoria del G.S. del C.A.I. Napoli e perchè i reperti del Paleolitico inferiore e medio rinvenuti nella grotta di Castelcivita, testimoniano, per la prima volta nell’a¬ rea deir Alburno, la presenza di queste culture. Alla preistoria della grotta di Castelcivita hanno già dato un con¬ tributo Anelli e Boegan (1930), Lazzari (1960) e Pericoli (1960) ma, a parte la nota del Lazzari, che ha inquadrato la genesi dell’ingres¬ so della grotta, si tratta, per lo più, di generiche segnalazioni. Si ringrazia il Gruppo Speleologico della sezione del C.A.I Napoli ed in partico- lar modo, per la geomorfologia e la stratigrafia, i Soci prof. Paolo Scandone ed il dott. Mario Torre; per la paleontologia il dott. Giuseppe Leuci; per la paletnologia la dott.sa Giulia Irace, il dott. Luigi Nisii, i sigg: Sergio Verneau e Federico Castaldi. 24 — 370 Fig. 1. — c, calcari cretacei; t, piroclastiti ; br. brecce. — 371 La grotta di Castelcivita si apre al piede meridionale dell’ Al¬ burno, in territorio di Castelcivita (Tav, 198 - II NO - Castelcivita). L’ingresso è ubicato, alFincirca, ad una ventina di metri dal medio livello del Calore e la cavità si svolge in calcari del Cretacico supe¬ riore che qui immergono, a franapoggio, verso il fiume con inclina¬ zione media di circa 30°. Dinanzi alla grotta si trova un ampio piazzale che è stato artifi¬ cialmente ricavato distruggendo Foriginario assetto. Prima dell’intervento dell’uomo l’ingresso, la cui volta si eleva di 6 m, dall’attuale piano di calpestio, doveva essere molto basso, quasi nascosto, essendo allora la parte antistante la grotta occupata da una conoide detritica. Per agevolare l’ingresso ai visitatori, il ma¬ teriale di questa conoide è stato per la quasi totalità asportato ed inoltre sono stati effettuati tagli anche nella roccia in posto. Non esistendo quindi una buona documentazione su quella che era la si¬ tuazione geologica prima dello scavo, si è dovuto procedere alla rico¬ struzione di questa utilizzando i pochi elementi rimasti e rappresen¬ tati da sottili coperture o addirittura da croste della originaria coltre detritica. La fig. 1 mostra Fattuale assetto sul lato occidentale dell’in¬ gresso ed in essa si distinguono i calcari cretacei ed i terreni clasdci quaternari. Tra questi ultimi si riconosce una grossolana disposizio¬ ne stratoide, con immersione irregolare verso E e N, e cioè verso Fin¬ terno della grotta. Il materiale del cono detritico, almeno per quel poco che di es¬ so rimane, è costituito da materiale piroclastico (pomici, ceneri, pi¬ soliti vadose), terra rossa, ciottolame calcareo e blocchi franati dalla volta della grotta o dalla parete sopraincombente l’ingresso. L’unghia della conoide penetra nella grotta per una profondità di circa 15 m. e quindi il progressivo accumulo del materiale ha determinato, in una certa fase dello sviluppo della conoide, la chiusura della grotta. Questo fatto è pienamente dimostrato dalla presenza di piccole plac¬ che di materiale detritico ancora appiccicato sulla parete sovrastante l’ingresso. Dall’ingresso della grotta alla terminazione dell’unghia del¬ la conoide il materiale clastico è stato ricoperto da uno spesso strato stalagmitico che ha protetto il materiale sottostante. Nella fig. 1 questo strato stalagmitico è indicato in nero. Sono stati praticati tre saggi di scavo: A-B-C. Lo scavo A (fig. 2) è stato eseguito sul lato sinistro esterno all’ingresso della grotta, giun- — 372 — gelido alla profondità di circa metri 2,50 al di sotto della grossa crosta di calcite che fa da base ad una notevole concrezione stalagmitica alta circa 80 cm. Tuttavia per la presenza di grossi blocchi franati si sono incontrate più che sensibili difficoltà per delimitare i vari livelli dei quali, come da fig. 2, se ne di¬ stinguono due. Nel livello 2 sono stati rinvenuti reperti : — Paleolitico superiore ( industria mi¬ crolitica) ; — Paleolitico superiore della facies gravettiana ( grattatoi doppi su lama, bulini poliedrici, lame a dorso, punte) ; 3 4 r 20 cm. 0 Fig. 2. — Scavo A, sezione stratigrafica: 1, 2) Argilla sab¬ biosa rossa (« terra rossa ») con frammenti calcarei per lo più a spigoli vivi, con qualche inter¬ calazione lenticolare di materia¬ le argilloso carbonioso; 3) Cro¬ stone calcitico con massi e ciot¬ toli calcarei ; 4) Argilla sabbio¬ sa grigio-giallastra con fram¬ menti calcarei. — Paleolitico superiore della facies romanelliana ( raschiatoi circolari a mar¬ gine ritoccato) ; — Mousteriano (raschiatoi e punte denticolate). Sempre nello stesso livello, dopo circa 80 cm, da questi reperti, è stata riscon¬ trata un’abbondante industria levalloisiana con schegge non ritoccate ( lame, punte e raschiatoi). A questa è associata una note¬ vole industria ossea con punte e punteruoli. Nel livello 3, la cui base non è an¬ cora ben definita per la presenza di grossi massi non facilmente asportabili, pur va¬ riando la composizione litologica da terra rossa a croste calcitiche con inclusioni sabbiose-argillose di colore grigio-giallastro, si rinvengono ancora manufatti levalloisani prevalentemente in arenaria e selce impura misti a raschiatoi amigdaloidi mono e bi- facciali di tecnica clactoniana evoluta del tipo Valle Giumentina (Radmilli 1965). — 373 — Dalle diverse caratteristiche litologiche dei materiali dei livelli 2 e 3 si deduce che i detti si riportano a differenti epoche climati¬ che, fatto che, oltretutto è avvalorato dai reperti paleontologici pro¬ pri della fauna di clima caldo (livello 2 con Ursus spelaeus) e della fauna di clima freddo (livello 3 con cervidi). Lo scavo B, praticato nell’interno della grotta a sinistra dell’in¬ gresso marginalmente al piano di calpestio, mostra reperti del Paleo¬ litico superiore inglobati fra due croste calcitiche ( due lame gravet- tiane). Nello scavo C, che è di circa m.® 1,50, praticato in un cunicolo sul lato sinistro di fronte alla cabina elettrica a circa 8 m. dall’in¬ gresso, sono stati trovati nel livello 2 — che presenta le stesse ca¬ ratteristiche del medesimo livello dello scavo A — manufatti litici del: — Paleolitico superiore ( industria microlitica) ; — Paleolitico superiore della facies gravettiana ( 4 lame integre e due frammenti) ; — Paleolitico superiore della facies romanelliana (raschiatoio cir¬ colare a margine ritoccato) ; — Mousteriano ( 4 punte, un raschiatoio denticolato, due nuclei scheggiati). In conclusione, ciò che maggiormente sorprende nella grotta di Castelcivita è Fassoluta mancanza di ceramiche, particolarmente se si tiene conto dell’enorme abbondanza delle stesse, con molteplicità di cul¬ ture, nella vicinissima grotta dell’ Ausino. Si consideri poi che dimen¬ sioni e posizioni topografiche della grotta di Castelcivita farebbero prevedere una situazione diametralmente opposta. Tutto ciò porta a ritenere che, con estrema probabilità, l’ingresso della grotta fu bloccato dopo il wiirmiano. Ed in effetti lo studio detta¬ gliato della conoide, riportato in precedenza ed illustrato nella fig. 1, pienamente avvolora questa ipotesi. BIBLIOGRAFIA Anelli R. e Boegan E., 1930 - La grotta di Castelcivita nel Salernitano. La Grotta d’Italia, Anno IV, n. 3, luglio-settembre. Milano. Di Noceka S., Piciocchi A. e Rodriguez, 1972 - « La grotta deWAusinio (5^4). Ge¬ nesi, morfologia e primo contributo di preistoria ». Boll. Soc. Nat. 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Prime ricerche sulTecologia del lago di Carinola (Caserta) Nota del socio PIETRO BATTAGLINI e della d.ressa LUCIA SEBASTIO (Tornata del 22 dicembre 1972) Riassunto. — Gli Autori prendono in esame le caratteristiche ecologiche gene¬ rali del Lago di Carinola (Caserta)» Dai dati faunistici e chimico-fisici mettono in evidenza l’esistenza di vari bio¬ topi (6) con peculiari caratteri ecologici» Inoltre, tenuto presente che questo laghet¬ to può considerarsi a « corto circuito », con immissario ed emissario molto ravvici¬ nati, dividono il lago in due zone ecologicamente antitetiche : quella Est più eu¬ trofica e quella Ovest meso-oligotrofica. Summary. — General ecological conditioiis o£ thè Carinola lake (Caserta) were studied. The faunistic and physio-chemical data indicate thè existence of various biotopes (6) with peculiar ecological characteristics» Keeping in mind that this lake might be considered o£ a « short circuit » type, with thè tributary and emissary adjacent to each other, thè authors divide thè lake into two ecologically antithetic zones : eastern zone (eutrophic) and western zone (meso-oligotrophic). 1. Introduzione Il lago di Carinola (foto 1) è situato nell’agro di Falerno che si estende tra Mondragone e Falciano. Esso appartiene ad una serie di « fosse » e laghi simili, allineati lungo una direttrice SO-NE, che segue Fandamento della catena del monte Massico. Il lago di Carinola ha una forma subcircolare di tipo craterico che fa supporre una sua eventuale origine vulcanica ; infatti alcuni autori (ScHERlLLO et al., 1966) avanzano Fipotesi che detto lago sia di origine vulcanica, anche se altre caratteristiche geomorfologiche indirizzano verso un’origine da sprofondamento. Effettivamente il lago si trova al centro di una depressione circo- 376 — 377 — lare il cui margine è più alto a Nord, mentre si abbassa a Sud dove esiste una svasatura attraverso cui si immette nel lago il Rio Fontanelle con un ampio delta e ne esce come emissario. Le acque di questo laghetto sono in parte di origine freatica, in parte di origine fluviale. Il lago è attualmente soggetto a rapido interramento e la pro¬ fondità va notevolmente diminuendo Carinola ha una superficie di 64,000 mq circa, con un perimetro che si aggira intorno ai 1.400 mt ed una larghezza media di 200 mt. Un dato ecologico necessario è quello dello sviluppo della linea di costa o sinuosità, perché essa può mettere in luce eventuale pre- L senza di biotopi diversi. Dal calcolo dell’espressione Dl = - 2fTt A dove Dl è la sinuosità, L il perimetro del lago e A la superficie del lago, si ha che la sinuosità di Carinola è uguale a circa 1,6. Orbene poiché quanto più questo valore si discosta dall’unità tanto più il lago si allontana dalla forma circolare, si può affermare che il lago di Carinola presenta una buona sinuosità con precostituita possibilità di biotopi diversi. La vegetazione sulle sponde è folta, tal¬ volta costituendo quasi una barriera all’accesso al lago, ed è prevalen¬ temente costituita da Aroundo donax, e Potamogeton sp. La vegetazione acquatica varia durante Fanno : in primavera e d’estate è abbondante, d’inverno ridotta. Il phytoplancton è prevalentemente costituito da Dinophicaee, Cloroficaee e Volvox in autunno, e Ceratium e alghe filamentose in estate. Tale particolare aspetto ci ha indotto ad esaminare l’assetto eco¬ logico di questo laghetto. Infatti le dimensioni ridotte hanno permesso di avere visioni contemporanee e globali della fauna ivi albergante. 2. Descrizione delle stazioni di prelevamento Dopo un accurato studio dell’aspetto morfologico e morfometrico del lago, si è proceduto alla scelta dei biotopi. La localizzazione delle stazioni è stata fatta in relazione alle caratteristiche deU’immissario e dell’emissario ed in relazione alla particolare sinuosità delle sponde del laghetto. Nell’insieme sono state determinate sei stazioni di campionamento, che sono indicate con le sigle rispettive: , Ba , Bg , B4 , B5 , Bg . — 378 — La prima stazione è esposta a Nord e corrisponde alla riva più alta di Carinola dove la vegetazione è costituita unicamente da alti pioppi che giungono fin nel lago. Il secondo biotopo è a circa 230 mt. a Nord dal primo, ed è caratterizzato da una piccola insenatura del laghetto protetta da una fitta vegetazione costituita quasi prevalente¬ mente da Potamogeton, Ceratium, Miophyllum. Il biotopo terzo è stato localizzato lungo il versante NE, a circa 250 mt. dal secondo in un tratto di sponda che si protende verso il centro del lago, qui la vegetazione è scarsa, costituita da Aroundo. Il biotopo quarto è esposto a Sud diametralmente opposto al biotopo primo nell’ampio delta che presenta il Rio Fontanelle, immis¬ sario del laghetto di Carinola. I prelievi sono stati effettuati a circa 15 mt. daH’immissario. Il biotopo quinto è situato dopo l’immissario, tale scelta è stata determinata dalla necessità di confrontare eventuali variazioni fauni¬ stiche e chimico-fisiche delle acque prima e dopo l’entrata del Rio Fontanelle. Esso è caratterizzato da una fitta vegetazione lacustre. Il biotopo sesto è stato localizzato sull’emissario a circa 30 mt. dal suo inizio. Tale stazione è esposta a NO ed è caratterizzata da scarsa vegetazione sulle sponde e fitta vegetazione lacustre che rende le acque talora stagnanti. 3. Procedimenti I prelievi sono stati effettuati nei seguenti giorni: 15/4/70,25/ 7/70,10/10/70, in modo da abbracciare i periodi più indicativi per tale tipo di ricerca. 3.1. Procedimenti e metodi chimico-fisici. I campionamenti sono stati effettuati sempre contemporaneamente nelle sei stazioni. I prelievi sono stati compiuti a 10-15 cm di pro¬ fondità nelle zone prospicienti le sponde, tramite due serie di bottiglie di polietilene di 250 e 1000 mi di capacità. L’acqua delle prime è stata utilizzata per la determinazione dell’OD ; quella delle bottiglie da 1000 mi è stata raccolta per le altre determinazioni. Per le 23 determinazioni chimiche e chimico-fisiche effettuate si è proceduto secondo la metodica riportata da Battaglini e coll. (1968 c). — 379 — 3 «2. Procedimenti e metodi faunistici La raccolta contemporanea, durante ogni prelievo nelle sei sta¬ zioni, dei campioni di fauna è stata effettuata con un retino a maglie da 0,1 mm. della capienza di circa 2000 mi, adottando una metodica già seguita da uno di eoi (Battaglini, 1968 a e b). 4. Risultati Per meglio identificare gli aspetti ecologici del lago in esame divideremo i risultati, così come pure le osservazioni in due gruppi : le proprietà chimico-fisiche delFacqua, ossia le caratteristiche delFam- blente, e i dati faunistici. 4. 1. Risultati chimico-fisici I risultati delle 23 determinazioni chimico-fisiche effettuate nei sei biotopi studiati, sono riportati nelle tabelle I, II, III, e onde poter analizzare le variazioni che le proprietà chimico-fisiche subiscono da una stazione all’altra durante i tre prelievi, abbiamo ritenuto oppor¬ tuno esaminare più dettagliatamente le seguenti determinazioni che ri¬ sultano essere le più importanti per lo studio dell’assetto ecologico di un lago. Esse sono : pH, NH4+, sostanze organiche in loto, OD e NOg” pH Il pH lungo i biotopi non subisce variazioni notevoli, caratteriz¬ zando l’ambiente da neutro a debolmente alcalino ad eccezione dei biotopi 5 e 6, del prelievo 10-10-70, in cui l’ambiente è lievemente acido (vedi tabelle I). NH,+ I valori delFNH4^' sono in tutte le stazioni notevolmente al disotto del limite di tolleranza. L’andamento nel 3° prelievo presenta valori simili a quelli del 1° e 2° prelievo. Difatti di contro ad un valore minimo di 0,006 p.p.m. nel — 380 — TABELLA I Dati chimico-fisici del prelievo 15-4-1970 N. B. Tutti i dati sono in p.p.m. eccetto quelli del pH e delle temperature. 16-4-1970 i 0 1 0 p i De t e rmir.az i Bi B2 B3 B4 B5 B6 Temperatura aria 21 23 22,5 27 26 24 Temperatura 21 21,5 19,5 21 21 19 pH 7,00 7,10 7,00 7,10 7,13 7,15 Alcalinità 157,00 165,00 172,50 175,00 155,00 170,00 Durezza 82,50 82,50 87,50 87,50 o '.rs CM CO 87,50 HC0~ 100,65 100,65 106,75 106,75 100,65 106,75 00 -- 49,50 49,50 52,00 52,00 49,50 52,00 Colore 10 12 10 20 13 15 O.D. 5,68 1 ,64 6,48 4,76 4,32 9,00 NH + 4 0,028 0,020 0,006 0,028 0,030 0,020 N0“ 0,007 0,005 0,0003 0,037 0,0007 0,010 N03~ 0,075 0,05 0,08 0,035 0,035 0,035 Sostanze organiche 1 ,80 2,04 1 ,00 1 ,20 1 ,00 1 ,80 Cl” 35,40 53,10 28,32 28,32 28,70 30,86 na"^ 2 3,00 34,50 18,40 18,40 18,40 20,70 I I o co 70,10 72,06 73,24 72,40 71,12 72,06 P0-- 0,53 0,42 0,37 0,53 0,53 0,42 Ca+ 4 66,00 66,00 70,00 70,00 66,00 70,00 llg+ + 40,12 40,12 42,56 42,56 40,12 42,56 SiO 2,20 3,00 3,20 1,30 1,95 1 ,80 K + 23,13 23,77 24,06 23,89 23,46 23,77 Sostanze proteiche 0,13 0,09 0,03 0,13 0,14 0,09 N 0,021 0,015 0,005 0,021 0,023 0,015 — 381 — TABELLA II Dati chimico-fisxi del prelievo 25-7-70. N.B. Tutti i dati sono in p.p.m. eccetto quelli del pH e delle temperature. 25-7 -1 970 B i 0 1 0 p ^ D e t e rminaz i Bi B2 B3 B4 B5 B6 Temperatura aria 27 27 27 28 27 21 Temperatura H^O 25 25 25 27 27 21 pH 7,12 7,10 7,40 7,30 7,30 7,20 Durezza 80,00 70,00 72,50 80,00 70,00 70,00 Alcalinità 145,00 125,00 145,00 125,00 145,00 125,00 HCO “ 174,00 164,00 174,00 164,00 174,00 164,70 C03- 164,00 162,00 164,00 162,00 164,00 162,00 Colore 40 35 38 35 29 35 O.D. 4,00 2,80 3,52 3,96 3,60 4,96 NH,-*- 4 0,028 0,020 0,015 0,015 0,017 0,015 NO^" 0,0015 0,0025 0,0055 0,004 0,0070 0,003 NO^" 0,007 0,0075 0,007 0,0075 0,0010 0,0078 Sostanze organiche 1,40 2,80 1 ,20 2,00 1 ,80 1,10 Cl“ 35,40 37,17 35,40 37,17 35,40 37,17 Na'** 23,00 24,15 23,00 24,15 23,00 24,15 30-- 72,20 0 0 (M 70,40 72,00 72,00 70,00 PO-" 9,31 15,96 15,96 13,30 9,31 10,96 Ca+ + 64,00 56,00 58,00 64,00 56,00 56,00 Mg+-^ 38,91 34,04 35,26 38,91 34,04 34,04 SiOg 2,85 3,85 2,40 2,00 2,70 2,85 K + 23,82 23,76 23,82 23,76 23,82 23,10 Sostanze proteiche 0,131 0,012 0,093 0,093 0,106 0,093 N 0,021 0,015 0,01 1 0,01 1 0,013 0,01 1 382 TABELLA III Dati chimico-fisici del prelievo 10-10-1970. N.B. Tutti i dati sono in p.p.m. eccetto quelli del pH e delle temperature. 10-10-1970 Biotopi D e t e r m i n a z i onì>~-*^^ Bi B2 B3 B4 B5 B6 Temperatura aria 19 18,5 21,5 20 23 21 Temperatura H^O 18 18,5 18 20 1§,5 17 pH 7,40 7,10 7,20 7,43 6,90 6,90 Durezza 90,00 85,50 87,50 96,50 95,00 92,50 Alcalinità 175,00 175,00 180,00 192,50 182,50 182,50 HCO “ 109,80 104,93 106,75 116,63 115,90 112,85 co-- 79,20 76,12 77,00 84,92 83,60 82,40 Colore 15 18 30 35 30 20 O.D. 4,08 5,85 4,64 4,94 5,98 3,56 nh/ 4 0,030 0,072 0,040 0,081 0,040 0,024 NO^' 0,003 0,003 0,0015 0,0018 0,0016 0,007 N0“ 0,006 0 , 008 5 0,0075 0,0075 0,006 0,0075 Sostanze organiche 1,36 1,40 1,38 2,12 2,00 1,10 CI” 40,71 40,71 39,94 38,94 37,27 37,27 Na"^ 26,44 26,44 25,29 25,29 24,14 24,14 1 * o (D 4,60 4,00 4,53 4,00 3,60 2,06 PO-- 27,93 27,93 27,93 27,93 27,93 27,93 Cà+ 72,14 69,33 70,14 77,35 76,15 74,14 Mg-^^ 33,77 42,07 42,56 46,93 46,10 44,99 SiO 23,00 26,00 23,00 26,00 22,00 22,00 K- 1 ,00 1 ,00 1,44 1,44 0,80 0,68 Sostanze proteiche 0,1 4 0,33 0,19 0,35 0,35 0,1 1 N 0,023 0,054 0,031 0,057 0,031 0,018 — 383 — del prelievo del 15-4-70 si ha on valore massimo di 0,081 p»p.m» nel B4 del 10-10-70. Sostanze organiche L’andamento delle sostanze organiche nelle sei stazioni di pre¬ lievo non presenta notevoli variazioni, oscillando da un minimo di 1,00 p.p.m. nel B3 15-6-70 ad un massimo di 2,00 p.p.m. nel B5 del 10-10-70 (vedi tabelle I e II), notevolmente al disotto del valore standard di tolleranza che è di 5,00 p.p.m. OD I risultati deirOD p.p.m. presentano andamenti diversi a seconda dei prelievi. Infatti mentre i valori nei prelievi del 15-4-70 e del 25-4-70 sono simili, ossia presentano aumenti e diminuizioni nelle stesse sta¬ zioni, Fandamento di quello del 10-10-70 si può considerare opposto ai precedenti. Inoltre, nei primi due, anche se l’andamento è simile, i valori del prelievo 15-4-70 sono sempre maggiori di quello del 25-7-70 e con in media valori superiori ai limiti consentiti (5,00 ppm). Esaminando nei particolari si osserva : la stazione 2'' ha il minimo valore (1,64) sia per il 1° che per il 2° prelievo, così come la sesta ha i maggiori valori per il 1° e 2° prelievo. Infine i valori di ogni stazione del 2° prelievo si presentano del tutto diversi da quelli degli altri prelievi presentando, per giunta, il minimo valore nella stazione 6. NO,- Come si può notare, esiste un andamento molto simile nei tre prelievi con l’eccezione di alcune notevoli discordanze interessanti il valore della stazione 4 del 1° prelievo e quello della stazione del 2° prelievo, 4.2. Risultati faunistici L’analisi faunistica si è basata essenzialmente sugli animali costieri bentonici, in quanto per la ristrettezza di un’aria centrale libera da vegetazione vi è praticamente assenza di plancton lacustre. Gli animali catturati durante la campagna di ricerche, sono rap¬ presentativi di sei Phyla ( Cnidari, Rotiferi, Nematodi, Molluschi, — 384 — Anellidi, Artropodi) per un complessivo di 29 specie e 1140 individui. (Vedi tabella IV) I taxa identificati e presenti nella fauna di Carinola sono in totale 16, più precisamente, 14 nel 1° prelievo, 14 nel 2°, 6 nel 3° prelievo, di contro il numero di specie di individui nei tre prelievi sono rispettivamente. — 1° prelievo 29 specie con 438 esemplari, — 2° prelievo 25 specie con 614 individui, — 3° prelievo 12 specie con 88 unità. 5. Osservazioni 5.1. Osservazioni sui dati chimico fisici. L’analisi dei dati chimico-fisici mette in evidenza un andamento peculiare in concordanza con la localizzazione delle stazioni. Infatti i valori analitici di tutte le proprietà chimico-fisiche sono strettamente legati alla fisiografia del lago. Bisogna ricordare che questo lago ha un movimento della massa d’acqua che si può considerare a « corto circuito », poiché sia l’immis¬ sario che l’emissario sono posti sullo stesso lato. Come si è visto dai risultati, le stazioni che in ogni prelievo hanno evidenziato tale andamento fisico sono le , Bg , B^, , ossia quelle più lontane dalla dinamica di scorrimento di masse di acqua e quella posta subito all’inizio deU’emissario. L’esame particolare delle proprietà salienti (pH, OD, N02“, NH4+, e S.O.) fa notare come i valori dell’OD, NOa”, NH4+ siano inter¬ dipendenti. Infatti dove vi è maggiore quantità di Oo i valori dello NH4+ e N02~ sono sempre più bassi. Inoltre poiché, come si sa, l’andamento della nitrificazione procede secondo la via NH4+ ^ N02“ ^ ove maggiore è il primo, minori sono i secondi ; in più poiché il NH4+ rappresenta lo stadio iniziale di inquinamento, ossia ove esso è pre¬ sente lì è avvenuta da poco tempo una alterazione delle condizioni ambientali; man mano che il rapporto tra NH4''', N02“ ed NOg”" si sposta a favore di NOa” ed NOg” significa che si sta effettuando un processo di autopurificazione ( nitrificazione), procedimento con il — 385 — TABELLA IV Abbondanza dei taxa nei sei biotipi. TAXA. B, B, B. B, B. Totakl./ ÌVROlDl 4 3 z F Z 40 'R,OT/FeJ^I 4- id 2 2 AJfF\ATO Di òi Z 48 io F ' FZ 6AST6£0Pod/ 30 Fi Fi 4 i8 8 sz OUdOCHeT! 03 F 25 5 44 CLADOceE^f i6 y Fi z 30 G^TPAC-Q D! /3 /3 co pero Pi -f6f iio io3 /2S Z/ 5Ga MI5W/ac^i U 4 i Z 1 ^UFAO^IAcei 3 F F i4 z ZF Z Z H 3 0 FU ODOAJATS F i i z PiecoTTP 4 4 HIÀJCOTI i F Z ooieoTTeEi z z DiJTEJZI 24 Z 423 G ii 46G JOOCEAJOSj 304 04 3Z6 460 iG8 54 UiZO 25 386 — quale la natura cerca di ricostruire Tequilibrio di un ecosistema alterato da inquinamento azotato. Infatti mentre nelle stazioni 1 e 2 i valori deirNH4+ sono minori di quelli deirN02“ e NOg-, nella stazione 4 si ha l’inverso. Inoltre 3) I d r o i d i b) R o t i f e r i c) N e m a t o d i d) Gasteropodi ©) O I i g o c h e t i f) C I a d o c e r i 9) Ostr a c o d i h) CopePodi i) M i s i d a c e i 1) Eufausiacei m) Efemerotteri n) R i n c o t i o) Coleotteri P) D i tter i Fig. 1. — Grafico radiale illustrante la dominanza dei taxa durante il prelievo 15/4/1790- — 387 — rOD è più basso nelle prime stazioni, poiché i batteri nitrificanti (Nitrosomonas) hanno avuto maggiori possibilità, appunto per la H 25-7-1970 d 3) I d r o i d i b) Ro t i f eri C) N e m a to d i d) GasteroPod 6) Oligocheti f) Cladoceri 9) O st ra cod i h) C o p e P o d i i) M ic id ace i 1] Eufausiacei m) Efemerotter n ) O d o n a t i O) PI ec o tt e r i P) D i 1 1 e r i Fig. 2. — Grafico radiale illustrante la dominanza dei taxa durante il prelievo 29-7-1970. presenza di un ambiente poco aerobico nelle stazioni e B2 • Il fatto poi che i valori del pH siano intorno alla neutralità avva- — 388 — lora J’idea dei vari autori sulla origine freatica e meteorica delle acque di Carinola. La distribuzione delle sostanze organiche è anche in rapporto alla morfologia del lago; infatti i valori maggiori di 1,00 p.p.m. nei prelievi 1° e 2° si hanno nelle stazioni 1 e 2 mentre per il prelievo 3° nelle stazioni 4 e 5. Ciò è dovuto al fatto che durante la primavera e l’estate si ha un maggiore ristagno delle acque con maggiore evaporazione, mentre in autunno ed in inverno le maggiori precipitazioni permettono un aumento con relativo movimento di tutta la massa di acqua. Da ciò deriva che nei primi due prelievi si accumula S.O. nelle stazioni 1 e 2, mentre in autunno essa è spostata verso l’emissario che la trasporta via. Del resto i valori dell’NOa" e NOg" delle stesse stazioni avvalorano tale ipotesi. 5.2. Osservazioni faunistiche A differenza dei dati chimico-fisici le osservazioni sui dati f au¬ lì isti, proprio per il fine del presente lavoro, sono stati basati sui valori complessivi di ogni prelievo. Innanzi tutto dai dati della tabella IV, si nota che le specie rac¬ colte nei tre prelievi potrebbero raggrupparsi i due grandi divisioni. Artropodi e non Artropodi. Ciò in quanto i primi hanno una importanza fondamentale nel¬ l’assetto ecologico di un lago, ma poiché sono dei consumatori secon¬ dari e quindi ad un livello energetico superiore della piramide ali¬ mentare, dipendono per la loro diffusione dei secondi, i non Artropodi, consumatori primari. I dati in nostro possesso fanno vedere che mentre gli Artropodi sono rappresentati da 16 specie con 853 esemplari, i non Artropodi sono divisibili in 12 specie con 305 esemplari. Questo dato sarebbe in antitesi con quanto detto precedentemente in quanto un livello trofico superiore presenta maggior numero di individui di quello infe¬ riore, ma invece è facilmente spiegabile. Infatti due sono le possibilità : o vi è abbondanza di materiale organico oppure la metodica di cattura non è precisa. Però, dai dati in letteratura, come riportato da molti autori (Battaglini 1967, Maitland 1966 etc.) il sistema migliore è quello da noi adottato, l’unica possibilità è data dal fatto che siamo in presenza di un am- — 389 — biente, almeno in alcune zone, fortemente eutrofico, del resto ciò è convalidato dai dati chimico-fisici. Infine la figura 3 fa notare il fenomeno di starvazione con una 10-10-1970 3) N e m a t o d i b) Gasteropodi c) O ! i g o c h e t i d) CoPePodi 6) Eufausiacei f) Efemerotteri Fig, 3. — Grafico radiale illustrante la dominanza dei taxa durante il prelievo 10-10-1970. diminuizione di specie e di individui con l’approssimarsi del periodo di riposo degli animali. — 390 La predominanza relativa dei Nematodi in tale prelievo è da mettere in relazione all’aumento di sostanze vegetali in marcescenza e all’aumento di sedimentazione. Infatti mettendo a confronto i tre grafici si nota un certo equi¬ librio fra i vari taxa nei prelievi estivo ed autunnale, di contro una discordanza in quello primaverile. Il tutto è spiegabile dai diversi periodi di prelevamento. Infatti in primavera è sempre un gruppo che si sviluppa prima e che ovviamente cerca di occupare anche le nicchie ecologiche degli altri taxa, mentre quando tutte le specie si sono sviluppate avviene un fenomeno selettivo che equilibria la fauna dell’ecosistema. Ecco quindi l’equilibrarsi dei rapporti dei taxa nei prelievi 2° e 3°. 6. Discussione e conclusioni Anche se siamo di fronte ad un lago che si potrebbe forse defi¬ nire un laghetto, le variazioni in ogni stazione sono tali che esse pos¬ sono essere considerate quasi dei biotopi. Si è già detto della fisiografia del lago di Carinola, e si è osser¬ vato, come si sia di fronte ad un bacino di origine vulcanica con conseguente avvallamento. Le osservazioni in funzione dei dati chimico-fisici e faunistici ricavati dalla presente ricerca, mettono in evidenza un particolare as¬ setto ecologico di questo il lago. Innanzi tutto le proprietà chimico-fisiche fanno notare l’esistenza di alcuni biotopi quelli più ad Est, con caratteristiche ambientali molto vicine al limite per vari fattori ecologici, come sostanze orga¬ niche, OD, e NH4+. Di contro le stazioni o meglio i biotopi vicini all’emissario presentano condizioni ambientali più consoni alla fauna, e ciò dipende dall’afflusso costante di nuove acque pulite. Infine è interessante la stazione 6, prossima all’emissario, che, anche se prende tutte le acque del lago, non presenta condizioni, come ci si sarebbe aspettato, con valori alti di eutrofizzazione o di inquinamento, ma ciò è dovuto alla sua vicinanza al punto di emissione di nuovi apporti d’acqua, ossia alla presenza sullo stesso lato, e molto vicino, dell’immissario. L’esame faunistico, come è stato detto, si è basato essenzialmente su dati complessivi, poiché tale sistema è parso più comodo per una identificazione più generale dell’assetto ecologico del lago di Carinola. — 391 Si ripete però che tali dati non hanno potuto prescindere, ovvia¬ mente, dalla ricerca della fauna nei singoli biotopi, anzi solo così si sono potute trarre conclusioni generali. Orbene, dalla tabella e dai grafici riportati si può subito vedere che il lago di Carinola presenta una fauna molto differenziata sia quantitativamente che qualitativamente durante le varie stagioni. Tali variazioni sono ovviamente non drastiche, ma semplicemente delle sfumature faunistiche che però hanno il loro peso in un con¬ testo ecologico. Basti pensare alla preponderanza di Copepodi in primavera e al grande numero di Nematodi in autunno. Del resto è mettendo a con¬ fronto la vita presente nel lago nei diversi periodi di prelevamento con l’ambiente in cui essa vita si è sviluppata che tutto ciò diventa facilmente interpretabile. Ossia quando le condizioni ambientali — vedi proprietà chimico-fisiche delFacqua — si sono spostate, ad esempio in autunno, verso condizioni di forte eutrofia, sono diminuiti il numero di animali e nello stesso tempo il numero di specie, mentre il taxa preponderante è stato quello dei Nematodi e con una notevole pre¬ senza di Oligocheti, taxa di chiara estrazione fitoparassita e limicola, ossia preferenti ambienti ove vi sia eccesso di sostanze organiche. Dall’altra parte durante l’estate ove, in questo lago, le condiziooni sono ottimali si ha un equilibrio tra le diverse specie presenti con un aumento globale del numero di individui. Da tutto quanto detto appare perciò chiaro che il lago di Carinola si debba considerare come un lago a « corto circuito » nel quale esiste una zona, la metà Est, distante daH’immissario e daU’emissario, forte¬ mente eutrofica con scarsa fauna e condizioni chimico-fisiche quasi negative, ed un’altra zona, la zona Ovest, ove l’apporto di nuove acque con proprietà chimico-fisiche idonee alla fauna, che presenta una comu¬ nità animale più ricca e completa, anche se con le limitazioni del caso dovuto, è ovvio, alia particolare sinuosità del lago. In ultima analisi, perciò, si può concludere che il lago di Carinola, presentante j un emissario ed immissario sullo stesso lato, un’immissione costante di rifiuti agricoli e domestici sul lato Est, un costante aumento nel tempo di vegetazione sommerse, ed infine un lento ma costante interramento dovuto al Rio Fontanelle e al dilavamento delle pendici del monte Massico, è divisibile in due zone con caratteri di poco dissimili, ma comunque diversi ; zona Est più eutrofica, zona Ovest mesotrofica ed in alcuni punti quasi oligotrofica. Per cui il lago di Carinola è da considerare, almeno nella situa- — 392 zione attuale, e se Fuomo non ne determinerà un’ulteriore variazione, come un lago mesotrofico in lenta, ma costante eutrofizzazione. Ringraziamenti Ringraziamo il Dott. Angiolo Pierantoni per la sua notevole colla¬ borazione nelle determinazioni chimico-fisiche. Istituto di Zoologia, Sezione di Ecologia animale. Università di Napoli. BIBLIOGRAFIA Battaglini P., Pierantoni A., Percuoco G., 1967 - Ricerche sulla fauna del Sarno I. Descrizione del corso d’acqua, dati popolazionistici sugli invertebrati della sorgente ed alto corso. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 76, 695-711. Battaglini P., Percuoco G., Pierantoni A., 1968a - Studio ecologico e faunisti¬ co del lago di a La Correa n [Vairano-Scalo, Caserta). Boll. Soc. Natur. in Na¬ poli, 327-347. Battaglini P., Pierantoni A., Percuoco G., 1968b - Ricerche sulla fauna del Sarno IL Studio ecologico in una zona del corso inferiore. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 78, 481-497. Battaglini P., Pierantoni A., Percuoco G., 1968c - Indagine simultanea sul¬ l’ecologia dell’intero fiume Sarno 1. Aspetti chimico-fisici. Soc. Ig. NucL, 5 fase. IV, 3-33. Maitland P. S., 1966 - Studies on lock Lomond. IL The fauna of thè riter En- drick. Blackie and Son Ltd. Glasgow. Scherillo a.. Franco E,, Di Girolamo P., Vallante G., 1966 - Forme crateri¬ che tra Mondragone e Vairano (Caserta). Period. Mineralogia, 34, 497-513. Licenziato alle stampe il 30 novembre 1972. Boll. Soc. Natur. in Napoli voi. 81, 1972, pp. 393-399, 1 tab., 5 tavv. Studio spettrofotometrico di pterine naturali Nota dei soci GIOVANNI PARISI e DOMENICO D’AMORA (Tornata del 30 Giugno 1972) Riassunto. — Gli autori descrivono gli spettri : nell’ultravioletto, nel vicino in¬ frarosso e di fluorescenza, di quattro pterine naturali : 2"amino-4-idrossipteridina, xantopterina, isoxantopterina e luecopterina. Si discute sulla interpretazione dei dati spettrali» Abstract. — The authors describe U.V., near-infrared and fluorescence spectral data, of four naturai pteridines ; 2-aniino-4-hydroxypteridine, xanthopterin, isoxantho- pterin and leucopterin. The interpretation of spectral data is discussed. Le pterine, come è noto, costituiscono una importante classe di pigmenti naturali ; hanno larga distribuzione in natura, sono di solito fluorescenti, presentano particolari proprietà chimiche ed inter¬ vengono in importanti cicli metabolici (1, 2, 3, 4). In questi ultimi anni si sono raccolti molti dati sulle proprietà chimiche e fisiche delle pterine e sulla loro fisiologia, mentre ancora carenti sono gli studi spettrofotometrici condotti su di esse. Pertanto si è pensato di iniziare un’indagine più approfondita su questo aspetto poco conosciuto delle pterine. Le pterine naturali, dette anche pterine, sono tutte derivate dalla 2-amino-4-idrossipteridina e posseggono un anello biciclico azotato che deriva dalla fusione di un anello pirimidinico con un anello pirazini- co, per cui, usando l’esatta terminologia chimica, si definiscono come delle pirimido- (4, 5b) pirazine. Numerose sono le pterine oggi conosciute e notevoli sono i pro¬ blemi connessi con la determinazione delle strutture e delle forme in equilibrio tautomerico. Un contributo alla risoluzione di questi problemi può essere cer¬ tamente dato da una serie di indagini spettrofotometriche. — 394 — A questo scopo, abbiamo intrapreso uno studio sulle proprietà spettrofotometriche delle pterine naturali. Si è iniziato con lo studiare delle pterine a nostro avviso più sem¬ plici, ripromettendoci di estendere i dati in nostro possesso a molecole più complesse. Parte sperimentale Le pterine, oggetto del nostro studio, sono le seguenti : 2-amino-4- 6-idrossipteridina ( xantopterina) ; 2-amino-4-7-diidrossipteridina (isoxan- topterina) ; 2-amino-4-6-7-triidrossipteridina ( leucopterina). La 2-aminO"4-idrossipteridina da noi usata è stata quella fornitaci dalla L. Light Ltd Colnbrook - Gran Bretagna ; le altre tre pteridine, non essendo reperibili in commercio sono state da noi sintetizzate. Per¬ tanto ricordiamo brevemente le sintesi da noi eseguite per ottenere que¬ sti composti. Si è cominciato col preparare il 2-5-6-triamino-4-idrossi-pirimidina solfato, facendo reagire il cloridrato di guanidina con Petile isonitroso cianoacetato in presenza di alcolato sodico e riducendo il nitroso deri¬ vato ottenuto con sodio idrosolfito. Il prodotto ottenuto è stato purificato ed impiegato nella sintesi delle pterine considerate. La xantopterina è stata sintetizzata facendo reagire in ambiente acido il 2"5-6-triamino-4-idrossipirimidina solfato con Petile gliossilato emiacetale. Per la sintesi della isoxantopterina si è fatto reagire il 2-5-6-triami- no-4-idrossipirimidina cloridrato con Petil gliossilato emiacetale in op¬ portune condizioni di pii, per cui la ciclizzazione della molecola risulta tale che Panello pteridinico mostra l’ossidrile in posizione sette. La leucopterina, infine, è stata ottenuta per fusione tra il 2-5-6- triamino-4-idrossipirimidina solfato e l’acido ossalico. Le pterine sintetizzate, opportunamente purificate, sono state sotto¬ poste ad analisi cromatografiche ed elettrof oretiche. Le cromatografie sono state eseguite su strato sottile, utilizzando la¬ strine 20 X 10 cm. ricoperte da uno strato di cellulosa dello spessore di 0,1 mm. esente da indicatore di fluorescenza, della Ditta Merck. Su queste lastrine sono stati deposti alcuni microlitri di una soluzione alca¬ lina per idrossido di sodio N/10, delle pterine in esame. Il sistema ero- — 395 — matografico usato era costituito da una miscela di una soluzione acquo¬ sa di acido acetico al 5% ed alcool butilico normale nel rapporto 1 : 2 (v : v). Le cromatografie sono state fatte decorrere per circa sette ore alla temperatura di 26°C. Le lastrine, asciugate in stufa a 30° C ed osservate con una lam¬ pada ultravioletta, tipo Mineralight con massimo di emissione a X = 365 nm, hanno evidenziato le singole pterine mostranti tipica fluo¬ rescenza e presentanti i seguenti Rf: Leucopterina 0,087 ± 0,003 (fluo¬ rescenza giallo-azzurra); Isoxantopterina 0,224 ± 0,003 (fluorescenza az¬ zurro intensa); Xantopterina 0,32 + 0,003 (fluorescenza giallo- verde) ; 2-amino-4-idrossipteridina 9,354 + 0,003) (fluorescenza azzurra). Le elettroforesi sono state eseguite deponendo, su carta Whatman N° 1 alcuni microlitri di una soluzione alcalina per idrossido di sodio N/10, delle pterine in esame. Si è usato un sistema costituito da una soluzione acquosa di acido acetico al 5% e le sostanze in esame sotto¬ poste ad una d.d.p. di 400 volt per 6 h, hanno mostrato le seguenti corse elettrof oretiche verso il catodo: Leucopterina: 0,2 cm ; Isoxanto- pterina 2,1 cm ; Xantopterina 6,0 cm ; 2-amino-4-idrossipteridina 10,4 cm. Accertata cosi la purezza delle pterine sintetiche, in quanto sia per cromatografia, sia per elettroforesi, risultano costituite da un unico pro¬ dotto, si sono registrati gli spettri U.V. in soluzione satura acquosa Tav. 1 (Figg. 1-2-3-4). Tali spettri mostrano i seguenti massimi di assorbimento ; 2-Amino- 4-idrossipteridina X 231 nm, X = 271,5 nm, X = 341 nm ; Isoxan- topterina a = 284 nm, a = 339,5 nm ; Leucopterina X = 227,5 nm, X = 294 nm, X — 339 nm ; Xantopterina A = 227 nm, X — 391 nm. Dai massimi registrati si deduce che Fintroduzione di un gruppo ossidrilico nella 2-amino-4-idrossipteridina determina un effetto bato- cromico sulle bande a a — 271,5 nm ; effetto che si manifesta in misu¬ ra maggiore nel caso si abbia una doppia sostituzione nelle posizioni sei e sette, ed in misura minore, se si ha sostituzione, rispettivamente nella posizione sette o in quella sei. La banda X — 341 nm della 2-amino-4-idrossipteridina, si man¬ tiene invece pressocchè costante nella isoxantopterina e nella leucopte¬ rina, mentre nella xantopterina risulta notevolmente spostata verso al¬ te lunghezze d’onda a causa di una maggiore coniugazione sulFanello pterinico. Gli spettri eseguiti in idrossido di sodio Tav. 1 (Figg. 5-6), Tav. — 396 — II (Figg» 7-8), mostrano i seguenti massimi di assorbimento: 2-aminO” 4-idrossipteridina : X = 253 nm log £ = 4,32, X = 358 nm log £ = 3,83 ; ; Isoxantopterina X == 254,8 nm log £ = 4,0,5, X = 276,5 nm log £ = 3,64, X 341 nm log £ = 4,14; Leucopterina X = 240 nm log £ = 4,14, X = 281 nm log £ = 3,78, X = 344,2 nm log £ = 3,96; Xantopteri- na X = 255 nm log £ = 4,17, X = 392 nm log £ = 3,74. In ambiente d’idrossido di sodio le molecole pteriniche sono dis¬ sociate come anioni ed il flesso registrato nella 2-amino-4-idrossipteridi- na a X = 280 nm, comincia a delincarsi come una banda nel caso del¬ la sostituzione dell’ossidrile in posizione sette, per divenire una vera banda nella leucopterina. (Non si ha effetto batocromico). Per quanto riguarda la banda a X = 358 nm mostrata dalla 2- amino-4-idrossipteridina, nella isoxantopterina e nella leucopterina a causa della transizione del tipo n ^ tu • i massimi di assorbimento sono spostati verso le lunghezze d’onde più basse ; viceversa nella Xantopte- rina si ha un effetto batocromico per la forte transizione n ^ tc. Gli spettri in acido cloridrico (Figg. 9-10-11-12) mostrano i se¬ guenti massimi di assorbimento: 2-amino-4-idrossipteridina X = 313 nm log £ — 3,79; Isoxantopterina X = 212 nm, X = 288,5 nm, X = 341,5 nm ; Leucopterina X = 224 nm, X = 299 nm, X = 330 nm ; Xan- topterina X = 229,5 nm log £ = 4,0, X = 261 nm log £ = 3,98, £ = 356 nm log £ = 3,61. In ambiente di acido cloridrico le molecole pteriniche sono disso¬ ciate come cationi. La banda a X = 313 nm mostrata dalla 2-amino- 4-idrossipteridina subisce un forte slittamento batocromico nella xan- topterina che risulta minore nella isoxantopterina e nella leucopterina. Un’altra serie di spettri, delle pterine in esame, è stata effettuata utilizzando come solvente il dimetilsolfossido (DMSO). A causa, però, dell’assorbimento di quest’ultimo non è stato possibile effettuare spet¬ tri ad una lunghezza d’onda inferiore ai 260 nm. Il DMSO utilizzato per le misure, è stato di volta in volta purifi¬ cato al momento della determinazione degli spettri, in quanto con il tempo diventa otticamente denso. La tecnica da noi seguita per la purificazione è stata la seguente : un litro di DMSO si scioglie in tre litri di cloroformio e si dibatte con un litro di acqua, si separa la fase acquosa e l’estratto cloroformico, si lava ancora con un litro di acqua, infine le fasi acquose riunite ven¬ gono lavate per tre volte con 80 mi di cloroformio. Si concentra l’estrat¬ to acquoso a 50-60° (15 mm Hg) ed il residuo si distilla frazionatamen- — 397 — te raccogliendo la frazione con punto di ebollizione compresa tra 78-82°C ( 15 mm Hg). Si controlla la purezza del DMSO ottenuto, eseguendo una misura di densità ottica a 290 nm contro aria. Il prodotto puro, presenta allo spettrofotometro valori compresi tra 0,040 e 0,078 densità ottiche. Il DMSO è un solvente dipolare aprotico in cui le pterine studiate sono fortemente dissociate sotto forma anionica. I massimi registrati Tav. Ili (Figg. 13-14-15-16) risultano i seguenti: 2-ammo-4-idrossipte- ridina X = 278 nm log e = 4,17; X = 355 nm log e = 3,69; Isoxantopterina X = 291 nm log e = 3,99, X = 347,5 nm log s = 4,17 ; Leucopterina X = 303,5 nm, X = 337 nm; Xantopterina X = 879,5 nm log£ = 4,12, X = 393 nm log £ = 3,52. La banda a X = 355 nm, presentata dalla 2-amino-4-idrossipteridi- na subisce circa gli stessi spostamenti batocromici mostrati in idrossido di sodio, in conseguenza delle sostituzioni considerate nelFanello pterini» co. Viceversa la banda a 278 nm è assente in idrossido di sodio e si nota soltanto un flesso a questa lunghezza d’onda. Tale banda subisce un ef¬ fetto batocromico maggiore nella leucopterina e minore nella isoxantopte¬ rina e nella xantopterina Gli spettri nel vicino infrarosso, registrati in DMSO, Tav. Ili (Figg. 17-18), Tav. IV (Figg. 19-20), mostrano per tutte le pterine studiate una banda compresa tra 1953-1955 nm. Gli spettri di fluorescenza sono riportati nelle Tav. IV (Figg. 21-22- 23-24), Tav. V (Figg. 25-26-27-28-29), mentre le lunghezze d’onda dei massimi di fuorescenza e le lunghezze d’onda di eccitazione sono ripor¬ tate nella seguente tabella : S'O'lventa NaOH HCl DMSO 2-amino-4-idrossi- X = 468 nm X = 488 nm X = 440 nm pteridina Xecc = 358 nm Xecc = 312 nm Xecc = 355 nm Isoxantopterina X = 412 nm X = 488 nm X = 412 nm Xecc = 341 nm Xecc = 342 nm Xecc = 347,5 nm Leucopterina X = 450 nm ! X = 435 nm ! Xecc = 345 nm Xecc = 337 nm Xantopterina X = 495 nm X = 525 nm X = 492 nm 1 1 Xecc = 392 nm Xecc = 356 nm Xecc = 394 nm — 398 Come si può dedurre dalla tabella, i picchi di fluorescenza in aci¬ do cloridrico delle pterine considerate sono tutti spostati verso lunghezze d’onda maggiori rispetto a quelli mostrati dalle stesse in idrossido di so¬ dio ; mentre i picchi in idrossido di sodio e DMSO sono simili per la xan- topterina e la isoxantopterina e spostati verso lunghezze d’onda minori per la 2-amino-4-idrossipterina e la leucopterina in DMSO. Conclusioni Le pterine sono dei particolari tetra-azo-naftaleni che posseggono la stessa distribuzione di elettroni tz della naftalina e quindi orbitali 71 simili. A seguito di tali considerazioni abbiamo scelto la naftalina quale modello cromoforo in quanto per effetto dell’eccitazione ultra- violetta le transizioni elettroniche riscontrate dovevano essere simili a quelle registrate per le pterine. Lo spettro ultravioletto in etanolo della naftalina è compreso tra 200-320 mm e consiste principalmente di tre bande: X ~ 221 nm log £ = 5,04; X = 286 nm log £ = 3,59; X = 311 nm log £ = 2,38. La banda a X = 311 nm della naftalina è dovuta ad una bassa probabilità di transizione e conseguentemente è di bassa intensità (log £ = 2,38). L’introduzione di quattro atomi di azoto nel nucleo naftalenico produce una perturbazione che rende la transizione molto probabile, co¬ sicché il coefficiente di estinzione di questa banda si incrementa slit¬ tando ad una lunghezza d’onda più bassa (es. X = 271,5 nm per la 2- amino-4-idrossipteridina in acqua). Analogamente le bande a X = 286 nm e X = 221 nm slittano ver¬ so valori più bassi di lunghezza d’onda. La prima dando luogo ad esem¬ pio alla banda X = 231 nm per la 2-amino-4-idrossipteridina in acqua, la seconda essendo spostata verso lughezze d’onda troppo basse, non vie¬ ne registrata. Le pterine si differenziano inoltre dalla natfalina per il fatto che posseggono alcuni elettroni non condivisi, precisamente quelli localizzati sugli atomi di azoto del nucleo, i quali possono subire una transizione su orbitali u, dando luogo ad una banda che non trova corrispondenza nello spettro della naftalina (esempio: X = 341 nm nella 2-amino-4- idrossipteridina in acqua). Questa banda può essere interpretata come dovuta ad una transizione n ^ ti. Istituto di Zoologia delV Università di Napoli — 399 — BIBLIOGRAFIA 1) Shiota T., Jackson R., Baugh C. M., 1970 - Biosynthetic pathway of di- hydrofolate. Proceedings of thè Fourth International Symposium on Pteridi- nes. International Academic Tokyo, pp. 265-280. 2) Nugent N. a., Fullek R. C., 1970 - Function of pteridines in photosynthesis. Proceedings of thè Fourth International Symposium on Pteridines. Internatio¬ nal Academic Tokyo, pp. 371-380. 3) Blankley R, L., 1969 - Pteridines in thè metaholism of purines, pyrimidines and their derivatives, The Biochemistry of Folic acid and related pteridines. North-Holland Publishing- Amsterdam, pp. 219-260. 4) Blankley R. L., 1969 - Folate and other pteridines in thè -metaholism of ami¬ no acids and proteins. The Biochemistry of Folic acid and related pteridines. North-Holland Publishing-Amsterdam, pp. 267-323. Licenziato alle stampe il 30 novembre 1972 1 »k> eloj K^it' ^jj\'\(!;tn^f' A.C,'i/,JU|( M. I . ^ .,,,^rrvv. '■' ■" ’ ' ■ ^ ■ .^i'i, ' -in stiro' • . ' ■■* ■/.) .,'*1. f ,/l ' . « f'r' i’i (5tv nVj/ROtJw'-fr. ; : : . ■' .;. ■;■; .. •*' '«V '-..li’r ■■■' ■■ I . . ’.Vriir^ ' !..;V.,.FJ . r.^':- V't (i Uu ;_V';-. ,,. , t-' l),. ,n; 'ni ;ll . '■* *,,, . . Hmi 'iT;»;/ •«.- firn l'^vT'v,irvi7^\ .- »'i. . '.'''l ' ■ ■' •■ ^sl\^ »tA ^.'^uvVwiv •,’'' Pm"! , ' M 1 ifj *>.» Vi ^'-'’.'/.i '•V-'-.'.'' t(! r • >'» l’n'i'jvA* 'ìii*'A, V.iui - ir r’>' ^rvv), !:v; , ,..: • 'ih'iAJ '/inrAltiT;' .w'Jj.o.'*' ■ 'A-'ró .. iv* i \,ivo. 'slj;,„, . ji-'‘ .-' . . ..v/r>a’u ■ '^ Al’. ■ r.vst.'fi, it* . ' 1 ' 1 • t , 1 'r . (. ' t ; \ , 'aj'fipr’T .' r , «.■(■■ 'i '' ■• : c, ■•* ; X ^ fi f. >l r4i0 b'Ilu i>ujf ; 1) ' •■■'i,''! ; ;,, , '.M’i ! »■• iute' .'V. •'■-■'■ 1 /'' ' ■ ■■’ìT ,' t' • - ■ .. .vr . »ti > -UÀ-fj Cijr'Ci > . ■' '■ ‘ j ■■'•'. O ; .".rv f :>ri •*: UìitidU / ' ^\<■‘ . ■ Sii I ■ ^ . ;; ,t A r U i rn siiX • rri^ mi ■ r. i’ r, rjru -i , :VM V.^.'., rr. ‘ i i^pnr ‘ 1. 1 '.l-'ii».» r •'■1. '• :,;[S'} , ,‘r 3 r ' , ■ 1 j 1 ,. ' i: '1 ,0. ' '■; /:> hv i'-ro «l‘‘oi»ri^i \ ■ «(Art i ' t - I ■ I \ ' ■V. '^' ■f- #'f j'n,:,;, uiilvltré I? ì < ' ' -( "II* IouiIIéé ’'■■'■ ,' i4u ijfm !>iMyS|p)ip4fa^ .'ti* — r< È- .. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972. Pakisi G., D’Amoka D. - Studio spettro- fotometrico, ecc. Tav. 1. 2-am!no-4-idrossipterina -7© 2- amino-4“idrossip t-erina P. M. 163, 14 Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972. Pabisi G., D’AmiìRA D, - Studio spettro¬ fotometrico, ecc. Tav. IL Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972. Pakisi G., D’Amora D. - Studio spettro- fotometrico, ecc. Tav, III •IO© Leucopterina sol. satura in DMSO .90 -80 -7© Isoxantopterina C!l2mg./l. in DMSO -1© 260nm 310 I© 360 -40 5C a Ilio prie ri n a Jn DMSO U 1200 2200 Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972. Parisi G., D’Amora D. - Studio spettro- fotometrico, ecc. Tav. IV. - 30 lsoxan‘!opterina 1200 n m 2200 20 2-amiiio 4 idrossipterina; Ph-11 Isoxanlopte: rina; Ph=ì3 Xantopterina X 6 Ph-13 Leucopterina Pli«13 23 375 375 24 ■^, . iiim-f^r _'-;& " ' V :' ‘- ,'. ‘^' . ■ ■ *•• •V» ’o'' KT . ' x^,'^rA; .' ’ - v>,^ .Ì%;.%.. i' ' u-- 9 -’^ T •’ i -'■•■ ■ , ì , ■ ■-:■ ; ■; '^' ■ , . .'VI-.;. _ _ _ * •■>-.■ , v;.. , ^ - fM ■^'-'‘^'wk T ’i 0-' ''l^■‘S^\;■''•;^^j^^i .1 M ■"« ^ • '■ 'J '■' :.^--ì \ <■■>'. : , - ...àf; V:v 7 .>\ . -1 •'. /' - % ' V' V*t''; ■r.vfkavH ;.j .', ■' ■ l' ■ ■'- '^--^W^SL ■- ti - ' ■ ^-'^ ■****•<' Tw "■''™" . • - ,2?_, ..‘ Z-Jff y. * . ■,\'5f ,' > >S^--y..,.' i aV'AÌ;.^ ..^^5i Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972. Parisi G., D’Amora D. - Studio spettro- fotometrico^ ecc. Tav. V. 2- am!no-4-!dross-iptertn8 Ph=1 Ph=1 2-aminO"4-idrossipterina in DMSO 400 Isoxantopte s fina in DMSO Xantopterina Xll g ifi DMSO 27 Leucopterina in DMSO 28 375 375 29 Boll. Soc. Natur. in Napoli voi. 81, 1972, pp. 401-432, 1 tab., 52 figg., 14 tavv. Ultrastruttura del guscio e analisi statistica di Natica millepunctata Lk. fossile e vivente (*) Nota dei soci E. ABATINO, C. BARBERA LAMAGNA e C. TRIPODI (**) (Tornata del 30 giugno^ 1972) Riassunto. — Si esamina la specie Natica millepunctata Lk. fossile e vivente e se ne effettua l’analisi statistica ; si esaminano inoltre le ultrastrutture del guscio e dell’opercolo. Si fanno confronti tra N. millepunctata Lk. e N. hebraea (Martin) vivente e si osserva che le due specie, indistinguib li dal punto di vista biometrico, si differen¬ ziano solo in presenza della radula. Si confronta dal punto di vista biometrico N. millepunctata Lk. con N. tigrina Def, specie esclusivamente fossile e si deduce che quest’ultima specie presenta leggere differenze morfologiche evidenziate dal calcolo dell’indice t student. Abstract. — ■ We describe Natica millepunctata Lk. fossil and living, we make its statical analisis and study thè ultrastructure of shells and opercula. Comparing N. millepunctata Lk. with N. hebraea (Martin) we observe that this last speeies is identic to thè first for thè shape of thè shell, it can distinguished only observing radulae. Comparing N. millepunctata Lk. with N. tigrina Def. we observe that thè two speeies differs because their t student is slighty different. Résumé. — On a examiné l’espèce Natica millepunctata Lk. vivante et fossile, on a effectué l’analyse statistique et on a observé les ultra-structures de la coquille et des opercules. On a ainsi fait des comparaisons entre la Natica millepunctata Lk. et Natica hebraea (Martin) vivantes. On a remarqué que les deux espèces peuvent se distin¬ guer uniquement en présence de leur radula. (*) Lavoro eseguito con il contributo C.N.R. (**) Il lavoro è stato effettuato in collaborazione ed in particolare C. Barbera Lamagna ha curato prevalentemente la parte generale e l’analisi statistica; E. Abatino la preparazione e lo studio delle ultrastrutture al microscopio elettronico a scansione e C. Tripodi la preparazione delle radule. 26 — 402 — Du point de vue « biométrique » on a compare la N. millepunctata à la N. tigrina Def. et on a déduit que cette dernlère espèce présente quelques différences morphologiques mises en évidence par le calcule de Findex t student. PREMESSE Oggetto di questo lavoro è lo studio di Natica millepunctata Lk. fos¬ sile e vivente. Questo studio è stato compiuto sia osservando la ultrastruttura dei gusci con un microscopio elettronico a scansione JSM-2 della JEOL, che eseguendo l’analisi statistica dei diversi parametri biometrici. Poi¬ ché questa specie fossile è stata a lungo confusa con Natica tigrina Def. sono stati esaminati campioni sicuramente appartenenti alla specie. N. tigrina ( Mio-Plioceniche), campioni sicuramente appartenenti a N . mil¬ lepunctata e sono stati effettuati confronti. I campioni esaminati provengono da : a) Gusci viventi pescati a 7-8 m di profondità a Pozzuoli; b) Gusci viventi pescati a 160 m di profondità a Capo Murro di Porco ( Siracusa) ; c) Gusci fossili del Pleistocene di Cala Bianca ( Salerno) ; d) Gusci fossili del Plio-Pleistocene di Monte Mario ( Roma) ; e) Gusci fossili del Mio-Pliocene di Castell’Arquato ( Piacenza) ; /) Gusci fossili del Miocene di Vigoleno (Parma). NATICA {NATICA) MILLEPUNCTATA Lamark. 1776. - Nerita catena, 1788-90. - Nerita catena var. b, 1788-90. - Nerita stercus musca- rum (Juv.). 1789. - Nerita punctata (Chel.). 1816. - Nerita stercus muscarum. 1822. - Nerita millepunctata 1826. - Nerita millepunctata. 1826. - Nacca punctata. 1826. - Natica mille points 1829. - Natica mille points 1832. - Natica millepunctata. Linneo; Syst. nat., pag, 1251. Gmelin-Linneo ; Syst. nat., pag. 3669. Gmelin-Linneo : Syst. nat., pag. 3673. Karsten : Mus. Lesk, pag. 288. Lamark : Tabi, encyclop., 23 pt., tav. 453, fig. 6 a-b. Lamark: Hist. nat., voi. VI, 2 pt., pag. 199. Payraudeau ; Cat. des anellides et des mollusques, pag. 118, n. 248. Risso; Hist. Nat., voi. IV, pag. 148. Blainville: Faun. Frane., tav. XIV, fig. 2. Costa; Cat. tes. due Sic., pag. 108, 116. Deshayes ; Enum. meth., voi. 3, pag. 607, n. 9. 403 — 1836. - Natica millepunctata. 1836. " Natica stercus muscarum. 1838. - Natica millepunctata. 1838. - Natica millepunctata. 1838. - Natica millepunctata. 1844. " Natica millepunctata. 1848. - Natica millepunctata. 1852. - Natica millepunctata. 1852. - Natica punctata. 1858. - Natica stercus muscarum. 1864. " Natica sanguinolenta. 1865. ■ Natica millepunctata. 1865. - Natica sanguinolenta. 1868. “ Natica millepunctata. 1869. - Natica millepunctata. 1870. - Natica punctata. 1870. - Natica punctata. 1872. - Natica millepunctata. 1873. - Natica millepunctata. 1874. ■ Natica millepunctata. 1875. - Natica millepunctata. 1875. " Natica millepunctata. 1876. - Natica millepunctata. 1877. - Natica millepunctata. 1877. - Natica millepunctata. 1878. - Natica millepunctata. 1878. - Natica millepunctata. 1879. - Natica millepunctata. 1879. - Natica millepunctata. 1880. - Natica millepunctata. 1883. - Natica (Nacca) millepunc. 1884. - Natica millepunctata. 1884. - Nacca millepunctata. 1886. - Natica millepunctata, 1888. - Natica millepunctata. 1889. " Natica millepunctata. 1889. - Natica millepunctata. 1891. ■ Natica millepunctata. 1892. - Natica [Nacca) millepunc. 1894. " Natica millepunctata. 1894. - Natica millepunctata. 1900. - Natica millepunctata. Philippi: Enum. moli, sic., voi. 1, pag. 171. Scacchi: Cat. conc. Regno Nap., pag. 17. PoTiEZ et Michaud: Gal. des Moli., voi. 1, pag. 294, n. 24. Maravigna: Mem. pour servir Hist. Nat, Sicilie, pt. 4, tag. 63, sp. 3. Lamark : Hist. anim. sans veri., voi. 8, pag. 636. Philippi; Enum. moli. Sic., voi. 2, pag. 139. Requien : Cat. Coqui, Corse, pag. 60. Petit: Cat. Moli, marin de Trance, voi. 3, pag. 91. Recluz : Des Naticides de Erance, pag. 265. Adams : Genera ree. mollusca, voi. 1, pag. 206. Brusina: Conch. dalmate, pag. 19. Brusina: Moli. Dalmati, pag. 68, n. 99. Brusina: idem., pag. 68, n. 100. Weinkauff: Conch. Mittlemeeres, voi. 2, pag. 242. Tapparoni Canefri : Molluschi di Spezia, pag. 291. Aradas e Bedoli : Conchiglie mar di Sicilia, pag. 144, n. 378. Hidalgo: Moli, mar de Espana, tav. XXa, n. 378. Monterosato: Conch. med. pag. 44. Seguenza : Form. Plioc., pagg. 104-105. Seguenza: idem, pagg. 156-157. Seguenza: idem, pagg. 230-231. Monterosato: Conch. medit., pag. 36. Stoer: Girgenti, pag. 469. Monterosato: Catalogo, pag. 36. Monterosato: Civitavecchia, pag. 422. Monterosato: Enum. conch. medit., pag. 36. Kobelt: Illust. Concili!., pag. 79, tav. 30. fig. 1. Granger : Cat. moli, de Cette, pag. 11. Di Stefano-Pantanelli ; Plioc. Siena, pag. 140. Travaglia: Licodea Eubea, pag. 248. B, D. D.; Moli. Roussillon, voi. 1, pag. 141, tav. 17, figg. 3-4. Granger: Mus. Deyrolle, pag. 98, tav. 8, fig. 20. Monterosato: Conch. medit., pag. 106. Locard : Cat, gen. moli. viv. Erance, pag, 273. Kobelt : Prodromes moli, test., pag. 64. Di Stefano: Sciacca, pag. 33. Locard: Coquilles de Erance, pag. 182, fig. 156. Sacco: Piemonte e Lig., voi. 8, pag. 45, tav. 2, figg. 63-65. Di Stefano: Viola, Matera, pagg. 8-18. De Franchis: Moli, postplioc, Calatina, pag. 189. Almera: Pliocene Barcellona, pag. 159. Locard-Caziot ; Coquilles de Corse, pag. 149. 404 — 1902. 1907. 1908. 1912. 1913. 1914. Natica (/Vacca) millepunc. Natica (A^acca) millepunc. Natica mille punctata. Natica {^Nacca) millepunc. Natica millepunctata. Natica millepunctata. 1917. 1919. 1929. 1931. 1932. 1933. 1938. 1941. 1946. 1949. 1949. 1949. 1952. 1952. 1953. 1954. 1955. 1958. Natica millepunctata. Natica millepunctata. Natica ( Nacca^ millepunc. Natica millepunctata. Natica millepunctata. Natica millepunctata. Natica ( Naccaj millepunc. Natica millepunctata. Natica millepunctata. Natica millepunctata. Natica millepunctata. Natica millepunctata. Natica millepunctata. Natica millepunctata. Natica millepunctata. Natica millepunctata. Natica ( Nacca) millepunc. Natica millepunctata. 1960 - Natica (Natica) millepunc. 1960. - Natica millepunctata. 1960. - Natica millepunctata. 1961. - Natica millepunctata. 1963. - Natica millepunctata. 1963. - Natica millepunctata. 1965. - Natica millepunctata. Claudon : Faun. S. Raphael, pag. 194, n. 218. ScALiA: Etna, pag. 32. Dautzember-Lamothe I Alger, pag. 494. Pallary: Moli. Egypte, pag. 125. Dautzemberg : Atlac coq. France, pag. 21, fig. 74. Cerulei : Malac. mar., pt, 7, pag. 214, tav. 9, figg. 2-13. Hidalgo: Moli. Espana, pag. 490. Harmer: Plioc. moli., pag. 678, tav. LV, fig. 16. Bellini: Moli. Golfo di Napoli, pag. 49. Odhner : Kanar. Inseln, pag. 15. Coen-Vatova: Malac Arupin., pag. 18, n. 97. Coen: Moli. Adriat., pag. 26, n. 148. Pallary : Moli. Syrie, pag. 30, Socin-Vallebiana, pag. 253. Beets : Plioc. low. Pleist. Gastrop., pagg. 63-64. Ruggieri: Moli. Fano, pag. 45. Pata : Terr. Quatern., pag. 71. Pata : Imbesi Calabria, pagg. 30-32. Glibert: Mioc. Loira, pagg. 256-57. Lecointre : Atl. Maroc., pag. 112. Ruggieri : Età e faune, pag. 42. Malatesta : Torrente, Caltagirone, pag. 403. Malatesta : Nicosia, Agrigento, pag. 179. Erunel : Moli. Neog. Karaman, pag. 38, tav. 5, figg. 4-6. Malatesta: Grammichele, pag. 120, tav. 6, fi¬ gura 10. Pelosio : App. parmense, pag. 149, tav. 3, fig. 5. Moncharmont : Sicilia, tav. 8, fig. 2. Affricano : Spinagallo, pag. 232, tav. 2, f. 3-4. Priolo : Sicilia, pag. 458, 1 tav. Glibert : Mesogastropoda, pag. 99. Ruggieri: Strat. low. quat., tav. 1, pagg. 142-51. DESCRIZIONE Conchiglia ovale, fortemente obliqua con linee di accrescimento molto sviluppate. Sono presenti sempre non più di 4-5 giri. Sutura tra i giri piatta in modo da generare un appiattimento della sezione del giro. Apertura semicircolare regolare, ombelico ampio con funicolo pronunciato. La specie Natica millepunctata Lk. è una specie lungamente di¬ scussa da paleontologi e zoologi in quanto gli esemplari fossili ad essa — 405 — riferiti differiscono notevolmente da quelli che si osservano viventi. Nell’esame dei campioni fossili e viventi in primo luogo si sono notate differenze notevoli nelle caratteristiche di colorazione delle conchiglie. Le forme viventi presentano una colorazione di fondo crema con mi¬ nute punteggiature rossastre ordinate in file subparallele alle strie di Fig. 1. — • Natica millepunctata Lk, fossile (Cala Bianca), 2 x. accrescimento. Questa colorazione tende a variare per dimensione della punteggiatura nell’ambito della stessa specie fino a presentarsi come (( puncta )) rari e grossolani. I fossili presentano in genere dei « puncta » piuttosto grossolani. Confrontando gli esemplari viventi a 7-8 metri di profondità del Golfo di Pozzuoli con quelli di 160 m di profondità di Siracusa si vede che lo spessore del guscio è inversamente proporzionale alla profondità ed a profondità maggiore corrispondono « puncta » più minuti. La Natica millepunctata fossile può generare confusione con Nati¬ ca tigrina (Def.) che è specie Mio-Pliocenica ad essa molto simile. Le differenze tra queste due specie, finora individuate, sono la sutura dei giri piatta, l’apertura semicircolare, l’angolo pleurale e quello apicale più ampi in Natica millepunctata ( Glibert, 1952), in N. tigrina la sutura dei giri è profonda e l’apertura di forma irregolare. Ruggieri (1965) osserva che l’unica differenza tra le due specie sta nell’opercolo che in Natica millepunctata presenta molti solchi con¬ centrici mentre in Natica tigrina ne presenta due più evidenti e gli al¬ tri meno appariscenti. In realtà a Cala Bianca abbiamo rinvenuto nume¬ rosi opercoli di ogni tipo, da quello con due solchi a quello con nume¬ rosi solchi mentre sono presenti conchiglie di N. millepunctata sol¬ tanto. La stessa ampia variabilità è stata riscontrata negli opercoli dei 406 — Fig. 2. — A)^ Natica mille punctata Lk, vivente, Capo Murra di Porco, Siracusa, pescata a 160 m, 1,5 x; B, Natica millepunctata Lk. vivente, Pozzuoli, pesca¬ ta a 7-8 m, 1,5 x; C, Natica hebraea (Martin), Pozzuoli, pescata a 7-8 me¬ tri, 1,5 X. 407 — Fig. 3. — A, Natica tigrina Defrance, Pliocene, Monte Mario, Ix; B, grina Def., Piacenziano (Pliocene), CastelV Arquato, Ix; C, Natica tata Lk., Tirreniano, Taranto, 1 x. Natica ti- millepunc- — 408 — C 1 2 3 4 5 6 7 Fig. 4. — A, opercoli di N. millepunctata Lk. vivente del Golfo di Pozzuoli. Si nota la grande variabilità del numero di solchi e carene. B, 1, opercolo di N. millepunctata Lk. del Tirreniano di Taranto ; 2-6, opercoli di N, millepuncta¬ ta fossile di Cala Bianca ( Salerno) ; si noti la grande variabilità del numero di carene. Si passa infatti da forme a due carene a forme a molte carene. C, 1-3, lato spirale di opercoli di N. millepunctata vivente ; 4, lato spirale di un opercolo di TU. millepunctata del Tirreniano ; 5-7, lato spirale di opercoli fos¬ sili di Cala Bianca. — 409 — campioni delle faune viventi di Pozzuoli e di Siracusa. Osservando con¬ chiglie di diverse dimensioni si può vedere come quelle più piccole pre¬ sentano affinità maggiori con Natica tigrina. Attualmente è presente nel Mediterraneo, anche Natica hebraea ( Martin), con lo stesso habitat di Natica mille punctata. Anche di Natica hebraea è stata esaminata una popolazione pro¬ veniente dal Golfo di Napoli. Ciò è stato fatto in quanto i gusci di Na¬ tica hebraea tenuti a lungo in acqua perdono la loro colorazione caratte¬ ristica che li distingue da quelli di Natica millepunctata. Infatti i V # « » i 1 # • •• ••« g ; • . ♦ * * ® m » Fig. 5. — Variazione della punteggiatura in Natica tigrina De£. ed in Natica mille¬ punctata Lk. fossile e vivente i A, B e C, N. tigrina Def. proveniente da Castel- FArquato ; D, N. tigrina Def. proveniente da Monte Mario ; E, N. millepunctata Lk. (fossile) proveninte da Cala Bianca; F e G, N, millepunctata Lk. (vivente) da Siracusa; H e E N. millepunctata Lk. (vivente) proveniente da Pozzuoli; L, N, hebraea (Martin) proveniente da Pozzuoli. Si osserva come nelFambito di una stessa specie la punteggiatura sia molto variabile e non rappresenta, quindi, un carattere sistemico, I disegni sono stati eseguiti dal vero, esaminando sempre una stessa area, distante mezzo cm dal bordo dell’apertura e situata nella parte mediana della spira in individui adulti che presentano il bordo aperturale integro. « puncta », in Natica hebraea^ tendono a fondersi in flammule ordina¬ te in file longitudinali alla conchiglia e si possono trovare tutti i ter¬ mini di passaggio nelFornamentazione da quella di Natica millepuncta¬ ta tipica a quella di Natica hebraea tipica. Le due specie però sono zoologicamente ben definite perchè la colorazione del corpo molle delFanimale è diversa, come anche le ra¬ dule. 410 — Infatti anche se osservando solo le dimensioni dei gusci, la Natica millepunctata Lk, non può essere distinta da Natica hebraea (Mar,) (sono identici anche i limiti di variabilità statistici delle due specie) le due radule appaiono molto diverse sia nella forma dei denti laterali centrali. In Natica millepunctata ì denti appaiono lisci e aguzzi, in Na¬ tica hebraea sono arrotondati e denticolati (Tavola XII e Tavola XIII). Poiché le differenze delle radule sono carattere indispensabile per¬ chè due specie vengano distinte, si può affermare che nonostante le ca¬ ratteristiche biometriche simili, N. millepunctata Lk. e N. hebraea (Martin) sono due specie distinte. Il confronto tra le due specie viventi di Natica è stato fatto per¬ chè si possano osservare le difficoltà della sistematica paleontologica. Due specie possono presentare gli stessi parametri biometrici e la stessa ul¬ trastruttura e differire per le parti non fossilizzabili o comunque molto difficilmente ritrovabili allo stato fossile. Il paleontologo che osserva solo i gusci direbbe che sono un’unica specie ; lo zoologo che osserva an¬ che, e principalmente, il corpo molle distingue le due specie. Natica millepunctata Lk. è specie molto abbondante in tutti i ter¬ reni pleistocenici del bacino mediterraneo. Secondo molti Autori (Rug¬ gieri, Selli), la sua comparsa coinciderebbe con l’inizio del Calabria- no. Nei bacini nord-europei essa è sostituita da Natica multipunctata Wood; quest’ultima specie secondo alcuni (Jeffreys, Glibert, ecc.), è una varietà di Natica millepunctata, secondo altri (Harmer) è una va¬ rietà a sè stante. ANALISI STATISTICA L’effettivo dei campioni analizzati è cosi costituito : Viventi a) Natica millepunctata, 100 esemplari provenienti da Pozzuali; b) Natica millepunctata, 106 esemplari provenienti da Siracusa. Fossili a) Natica millepunctata, 100 esemplari (su 1200) provenienti da Cala Bianca ; b) Natica tigrina, 101 esemplari provenienti da Castell’Arquato ; — 411 — c) Natica millepunctata e Natica tigrina, 26 esemplari prove¬ nienti da Monte Mario ; d) Natica tigrina, 10 esemplari provenienti da Vigoleno. Ogni esemplare è stato misurato come da figura 6. Il campione di Cala Bianca è un campione randomizzato per Tana- lisi statistica. Rappresenta cioè Teffettiva composizione della popola¬ zione. L Fig. 6. — I parametri esaminati nelTanalisi biometrica sono stati misurati secondo le indicazioni in figura. L’analisi statistica, effettuata con Tausilio del « Programma 101 » ha esaminato: 1) Le medie aritmetiche ; 2) ^2 e t student ; 3) Scarto quadratico medio; 4) Coefficiente di variazione ; 5) Varianza; 6) Coefficiente di correlazione e retta di regressione; 7) Coefficiente di correlazione multipla. Sono stati effettuati degli istogrammi di frequenza e dei diagram¬ mi di dispersione. n es. rves. Fig. 7. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione del valore di H in N. ti- grina Del. del Tortoniano di Vigoleno. Fig. 9. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di h in N. tigrina del Tor¬ toniano d- Vigoleno. Fig. II. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di H in N. tigrina Del. del Mio-Pliocene di CastelTArquato. 15 10 5 _ 10 12 14 16 18 20 L Fig. 8. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di L in iV. tigrina del Tor¬ toniano di Vigoleno. Fig. 10. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di 1 in N. tigrina Def. del Tortoniano di Vigoleno. Fig. 12. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di L in N. tigrina Def. di Castell’Arquato. Fig. 13. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di h in N. tigrina Def. di CasteH’Arquato, Fig. 14. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di 1 in N. tigrina Def. di Castell’Arquato. n es. r\es. r-r-n r-TT-n ~r~T~i 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38 40 42 H r-r-TI J H n Fig. 15. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di H in N, tigrina De£. di M. Mario. Pig, 16. _ Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di L in N. tigrina De£. di M. Mario. Fig. 17. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di h in N. tigrina Def. di M. Mario. Fig. 18. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di L in N. tigrina Def. di M. Mario. Fig. 19. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di H in N. millepunctata Lk. fossile di Cala Bianca. Fig. 20. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di L. in N. millepunctata Lk. fossile di Cala Bianca. Fig. 21. — Istogramma relativo alla distribuzione di L in N. millepunctata Lk. fossile di Cala Bianca. Fig. 22. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di 1 in N. millepunctata Lk. fossile di Cala Bianca. aes n es ■nrdirii 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38 40 L Fig. 23. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di H in N. millepunctata Lk. vivente di Siracusa. Fig. 24. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di L in iV. millepunctata Lk. vivente di Siracusa. Fig. 25. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di h in N. millepunctata Lk. vivente di Siracusa. Fig. 26. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di 1 in N. millepunctata Lk. vivente di Siracusa. Fig. 27. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di H in N. millepunctata Lk. vivente di Pozzuoli. Fig. 28. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di L in N. millepunctata Lk. vivente di Pozzuoli. Fig. 29. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di h in N. millepunctata Lk, vivente di Pozzuoli. Fig. 30. — Istogramma relativo alla di¬ stribuzione di 1 in N. millepunctata Lk. vivente di Pozzuoli. 415 — L •20 10 10 10 H 10 Fig. 31. — Distribuzione dei valori di L, rispetto ad H in N. tigrina Def, di Vigoleno, Fig. 32. — Distribuzione dei valori di h rispetto ad H in N. tigrina Def. di Vigoleno. 10 10 20 H Fig. 33. — Distribuzione dei valori di 1 rispetto ad H in N. tigrina Def. di Vigoleno. Fig. 34. — Distribuzione di L rispetto ad H in N. tigrina Def. di Castell’Ar- quato. — 416 — 30 20 10 10 20 30 20 Fig. 35. — Distribuzione di h rispetto ad H in N. tigrina Def. di Castell’Ar- quato. Fig. 36. — Distribuzione di 1 rispetto ad H in A. tigrina Def. di Castell’Ar- quato. F^g. 37. — Distribuzione di L rispetto ad H in A. tigrina Def. di M. Mario. Fig. 38. — Distribuzione di h rispetto ad H in N. tigrina Def. di M. Mario. t — 417 h 30 20 20 10 10 20 30 40 10 20 30 H Fig. 39= — Distribuzione di 1 rispetto ad H in N. tigrina Def. di M. Mario» Fig. 40. — Distribuzione di L rispetto ad H in N. millepunctata Lk. di Cala Bianca. L 30 20 20 10 10 0 10 20 30 H Fig. 41, — Distribuzione di h rispetto ad H in TV. millepunctata Lk. di Cala Bianca. Fig. 42. — Distribuzione di 1 rispetto ad H in TV. millepunctata Lk. di Cala Bianca. 36 — 418 — 10 10 0 10 20 30 Fig. 43. — Distribuzione di H rispetto ad H in N. millepunctata Lk. di Si¬ racusa. Fig. 44. — Distribuzione di h rispetto ad H in N. millepunctata Lk. di Si¬ racusa. L 40 30 20 10 20 0 10 20 30 H Fig. 45. — Distribuzione di 1 rispetto ad H in N. millepunctata Lk. di Si- io 20 30 H Fig, 46. _ _ Distribuzione di L rispetto ad H in N. millepunctata Lk. di Pozzuoli. racusa. 30 30 20 20 10 Fig. 47. — Distribuzione di h rispetto ad H in N. millepunctata Lk. di Poz¬ zuoli. Fig. 48. — Distribuzione di 1 rispetto ad H in IS. millepunctata Lk. di Poz¬ zuoli. I dati statistici su Natica millepunctata provenienti da Siracusa, Pozzuoli, Cala Bianca e quelli di Natica tigrina di Castell’Arquato sono confrontati nella tabella 1. Per i campioni di Monte Mario e Vigoleno, l’analisi statistica non è stata fatta in quanto scarsi numericamente. Essi sono stati pre¬ si invece in considerazione per i diagrammi di dispersione. Per le popolazioni studiate gli indici a t student » calcolati sono per : L/H = 1,27; 1/h = 5,97; h/H = 4,64 ; poiché Fisher per n + (n — 2) — 25 esemplari (dove n è uguale alla metà degli esemplari esaminati) dà i seguenti valori : t ^ 2,8 , significativo; t = 2 ^ — ^2,8, probabilmente significativo; t < 2 , non significativo. Confronto dei dati statistici relativi alle popolazioni esaminate di N. millepunctata Lk. (Cala Bianca, fossili; Pozzuoli e Siracusa, — 420 — o IO o cq_ oT o On IO co o 1 co 1 cu 1 MO C3 (M o" Ol co (d 1 co «M ed 3 sr (M o" o' co cu o" o" co co o" o" cu o IO On +1 +1 +1 'O IO +1 +1 +1 oo' r- +1 +1 +1 c/2 Cd oi co co 'O cu eM o r-> ve r- o 'O cu ‘d. vO 03 cu CJ MS Ov o' co to ed o td oC u- cd o" eo" II II II II II II II II ffi 11 II II II b a > b a > b a > dc o (M 00 o 00 to' d' Os IO co Bianca 1 IO t-; IO : 2,245; 0,40; (M^ o" +1 1 >0 of 0,210; 0,030 ; 0,35. 1 o 0,27; 0,40; 0,32. O'. -H +1 to +1 +1 +1 co +1 +1 +1 la CJ co IO CM c^ r— 1 IO o to o o o 1—^ o >0^ to oo o co" cvd co" cu cd ed o" ON to cu o' td co II II II II II II II II ffi II II II II b a t> b a > iJ b a > IO o co (M to a^ d CO 1 o • •' to . to . 1 (M o o .i_i o cu 1 o o td 1 cu 'd- co o iO o" o" 1 co eo c^^ o" o" 3 N c^ +1 +1 +1 cu to cd o o" CO +1 +1 +1 o +1 +1 +1 CIh o CO c^ co o CM IO IO o to r— 1 to o co to cu °0 rH_ IO o ON o' cvd ed ed to (m" o' td CU co ed o" d II II II II ,-G II II II II II II II II a b > b a > .x; b a p> IO I-H co^ to oo" td d O'. . r- to . »- co . 1 r- ON 1 cu co 1 \0 1 CO id 1 r— 1 co cd 1 r- cd 03 IO CU co co 'O cu co w o' o" o" eo C5 o o" ©' o o" 3 o 03 IO +1 +1 +1 cvf to +1 +1 +1 CO +1 +1 +1 In CO co ' — " to o c^ o r- \o o co o vO cu fO IO co 'vC oo cu MO to Cn ed' o' cvf ed to cd o td esf CO eo" o" d II II II II II II II II ffi II II II II b a > b a > b a > — 421 — segue che per il rapporto L/H da noi trovato non vi sono differenze significative, mentre per i rapporti l/he h/H le differenze sono più notevoli. L’analisi statistica, quindi, rivela una lievissima differenza nella variabilità per quel che riguarda due dei tre parametri considerati ; tale differenza sembrerebbe non superare i limiti della sottospecie. Pe¬ rò la Natica tigrina è esclusivamente fossile e, poiché non se ne cono¬ sce ancora la radula, è consigliabile, a nostro avviso, tenere le due specie distinte. OSSERVAZIONI AL MICROSCOPIO ELETTRONICO A SCANSIONE Numerosi sono stati i campioni di Natica millepunctata osservati al microscopio elettronico, essi appartengono sia a gusci fossili sia a vi¬ venti. Fig. 49. — Indicazione schematica dei tagli condotti su campioni esaminati per effettuare le osservazioni al SEM. — 422 — Oltre alle sezioni, sono state fatte osservazioni anche delle superfici dei gusci sia interne che esterne e degli opercoli sia fossili che appar¬ tenenti a individui viventi. Sono state esaminate, inoltre, anche alcune radule appartenenti a Natica mille punctata Lk. e a Natica hebraea ( Martin), Per confronto sono state fatte osservazioni su gusci di Natica tigri- na proveniente da CastelPArquato. Preparazione e tecniche usate. Sono state tagliate piccole fette di gusci, in modo tale da ottenere spessori tra i 2 e i 2,5 mm. I tagli sono stati eseguiti sia parallelamente che perpendicolarmente alle strie di accrescimento (fig. 49). Tali sezioni sono state, in un secondo momento, attaccate con acidi secondo le modalità descritte in un precedente lavoro (Abatino, Barbera-Lamagna, Boni, 1971), per mettere in evidenza Tultrastrut- tura. Sia per alcuni opercoli che per sezioni del guscio, si è proceduto anche con la tecnica della frattura per osservare le strutture interne. Tale metodo, benché più rapido e spicciativo, dà dei risulati assai me¬ diocri (Tav. III). L’ombreggiatura è stata sempre eseguita con lega oro-rame (75% di Au), tranne per i campioni 65 ( Tav. Vili), che sono stati ombreggiati con argento 800, dando anche ottimi risultati. Con successo è stata impiegata sia la pellicola Ilford Pan F 18 Din che quella FP4 22 Din. Il diaframma adoperato è stato: ILFORD PAN F 18 Din f 8-11; ILFORD FP4 22 Din f 16; KODAK EKTACHROME SLIDES 22 Din £ 16. Il rimanente delle micrografie sono state eseguite con pellicola Kodak Panatomic 16 Din, usando un diaframma f 5,6-8. Preparazione della radula. Per la preparazione della radula si è operato come segue : il mollu¬ sco è stato posto a macerare in acqua per dieci giorni, senza la conchi¬ glia ; dopo è stato possibile isolare il faringe e con l’aiuto di un bisturi e di un binoculare si è proceduto alla estrazione della radula. — 423 — Una volta isolata, la radula è stata immersa per 30 sec. in H2O2 a 120 voi. e poi è stata lasciata essiccare su un vetrino portaoggetto. Con Un pennellino morbido sono stati allontanati i tessuti cauterizzati ed è stata montata su un supporto metallico per il microscopio elettronico a scansione da 25 mm, incollandola con Peligom ; successivamente è stata metallizzata con lega oro-rame in un evaporatore per 8 minuti. Radiografia. Per eseguire la radiografia della Natica millepunctata Lk, vivente si è adoperato un apparecchio X-grafico « gilardoni », tipo Chirur- Fig. 50. — Fotografia a Raggi X di Natica millepunctata Lk. vivente, proveniente da Pozzuoli. gico. L’esposizione, con pellicola « ferrania radio n » posta a 70 cm dalla fonte dei raggi X, è stata di 1 sec. con una intensità di corrente di catodo di 4 mA e con una tensione anodica di accelerazione di 60 kV. (fig. 50). STRUTTURE OSSERVATE Natica millepunctata Lk. fossile. Strutture parallele alle strie di accrescimento. Le strutture parallele alle strie di accrescimento sono mostrate nella Tavola I e schematicamente nella fig. 50. Si tratta di un pezzetto completo di guscio su cui si possono osservare daH’interno verso l’esterno almeno 4 tipi di strutture, che abbiamo chiamate A-B-C-D. — 424 — Lo spessore maggiore è dato sia dalla struttura B che da quella C. Anche se la micrografia è abbastanza chiara e la Tavola II ci dà anche molti dettagli di questo tipo di struttura non è possibile vedere al contatto fra A e B se si tratta di due diverse strutture o di una soltanto con diverse inclinazioni. D C B A Fig. 51. — Sezione sehematica della struttura della eonchiglia di Natica millepun- ctata Lk. fossile parallela alle strie di aecrescimento e osservate al microseo- pio elettronico a scansione. L’unica osservazione più evidente che possiamo fare, confrontando questa struttura con quella dello Strombus bubonius Lk. è la delicata struttura delle lamelle di 3° ordine e l’angolo di incrocio fra le lamelle della struttura B che è di 90° mentre per lo Strombus era quasi sub¬ perpendicolare. Inoltre per lo Strombus la struttura era complicata dalla inserzione dei « bubboni » e spesso anche dal sovrapporsi di più giri del guscio. Strutture perpendicolari alle strie di accrescimento. Le strutture perpendicolari alle strie di accrescimento sono molto simili a quelle parallele. Anzi da queste strutture si può facilmente immaginare come sia regolare e perfettamente geometrica la dispo¬ sizione delle lamelle. Sia la figura 4 che la 6 della Tavola IV ci hanno reso possibile la misura delle lamelle di 2° ordine che si aggira intorno ai 10-15 micron. Nella figura 1 della stessa Tavola (Micrografia 1060) si nota che le lamelle di 2° ordine si piegano in basso e vanno probabilmente a costituire la struttura B. — 425 — Le lamelle di secondo ordine sono costituite da un numero varia¬ bile di lamelle di terzo ordine. Anche questa ci sembra una differenza con la struttura dello Strombus. Questo particolare si può osservare nella Tavola III figg. 1 e 3, e meglio ancora nella Tavola IV figg. 1-2-4. Anzi nella figura 2 della Tavola IV sembra che le lamelle di primo ordine sono anche incurvate leggermente e quelle di secondo ordine sono unite in gruppi (figura 6). Superficie del guscio. Il guscio è stato osservato attentamente, si è cercato di vedere se i (( puncta » potevano dare oltre che colore anche una struttura diversa ; ma come si può osservare si tratta invece di una struttura abbastanza uniforme costituita da una serie di strie, di spessore non costante, do¬ vute aU’accrescimento. A ingrandimenti più spinti si osserva che la struttura appare ru¬ gosa, e nella figura 5 della Tavola V si nota anche un certo orientamen¬ to della rugosità. Sul guscio appaiono spesso dei fori che, per lo più, non arrivano in profondità e che probabilmente sono dovuti all’attacco di nematodi. Le stesse osservazioni si fanno anche sui gusci di animali viventi e sugli opercoli. Opercoli. La struttura dell’opercolo è risultata abbastanza semplice ; esso pre¬ senta una struttura diversa fra la faccia che è legata al piede e l’altra. Dalle numerose osservazioni condotte sulla superfìcie è stato possibile dedurre che si tratta di un intricato groviglio di a fili » che si piegano man mano, partendo da un unico centro (Tav. VI, figg. 1, 2, 3). Queste sono le osservazioni per la parte dell’opercolo che si lega al piede. L’altra parte è simile ; l’unica differenza eonsiste che la super¬ ficie ha dei solchi, in numero variabile. Interessante è stata l’osservazione della struttura interna dell’oper¬ colo (Tavola Vili). Si può notare che esso ha una struttura interna al¬ quanto massiccia. Anche se non vi si trovano le lamelle, vi è una serie di prismi che con una disposizione a palizzata rendono robusto e massiccio l’opercolo. Sempre nella Tavola Vili (figg. 1-3-5) si osserva il modo di avvol¬ gersi dell’opercolo lungo il bordo. — 426 — Natica millepunctata Lk. vivente. Strutture parallele alle strie di accrescimento. Numerose sono state le osservazioni. Anzi proprio per lo studio di questa parte si è usata una nuova tecnica che consiste nel tagliare com¬ pletamente, senza farla rompere, una fetta del guscio del campione che si vorrebbe esaminare, trattarla con i soliti metodi con gli acidi e mon¬ tarla intera su supporti più grandi di 25 mm. Per tutte le osservazioni, quando è stato necessario, si è proceduto ad una serie di fotografie che si sono incollate l’una di seguito all’altra per dare l’idea della completa struttura del tratto di guscio esaminato. I punti dove sono state effettuate le osservazioni, sono stati segnati su un disegno schematico al di sotto delle didascalie delle tavole. Fig. 52. — Sezione schematica della struttura della conchiglia di Natica millepun¬ ctata Lk. vivente, parallela alle strie di accrescimento e osservata al SEM. La sezione è soltanto riferita alla parte iniziale della parte interna. In queste strutture osservate, per le sezioni parallele alle strie di accrescimento si è visto gradualmente il passaggio da una struttura del tipo B a una leggermente diversa ma non completamente di tipo C (fig. 52). Strutture perpendicolari alle strie di accrescimento Come si è visto per le strutture fossili anche per queste appartenenti ad individui viventi si ha una struttura di tipo B e una di tipo C. Superficie del guscio. Anche per la Natica millepunctata vivente la superficie del guscio è ruvida, formata da numerose strie di accrescimento e alcune volte bu¬ cherellato. — 427 — In qualche punto, dove è stato messo a nudo un piccolo straterello di superficie, si è osservata (Tav. X, figg- 5 e 6) la struttura a lamelle incrociate. Opercolo. L’opercolo è diviso in due facce ben distinguibili ; il lato che si at¬ tacca al piede e il lato libero esterno. La parte esterna è ornata da numerosi solchi in genere tra 8 o 9 (mentre per gli opercoli fossili ne abbiamo contati 3 al massimo). Que¬ sti solchi hanno delle lamelle di separazione variamente « crestate » ( Tav. XI, figg, 1 e 2) e a volte tali lamelle sono forate. Attraverso i fori spesso appare una struttura che ci indica che al¬ meno superficialmente tali lamelle sono costituite da una serie di lamine parallele (Tav. XI, figg. 2, 3 e 4) e sovrapposte. Nelle micrografie 5 e 6 si nota « in finestra » che, invece, la strut¬ tura essenziale dell’opercolo, nella sua parte centrale, è più massiccia ed è costituita, come per l’opercolo fossile, da una serie di « travette » che hanno una disposizione a palizzata. Radule. La radula è di tipo tenioglossa con denti aventi punte e margini, arrotondati nella Natica millepunctata Lk. e dentellati in Natica hebraea (Martin). Nella Natica millepunctata (Tav. XII, figg. 1 e 2) si nota una differenza accentuata soprattutto dei dentini centrali fra la parte più prossima all’apertura boccale e a quella distale. La radula di N. millepunctata poi differisce molto da quella di N. hebraea; in particolare è notevole la differenza morfologica del dentino centrale nelle due specie (Tav. XIII, figg. 1 e 2). CONCLUSIONI. Il confronto tra i gusci di Natica millepunctata Lk. fossile (Cala Bianca) e quelli viventi ( Pozzuoli e Siracusa) ha potuto far constatare che essi siano molto simili ; tale affermazione è avvalorata ulteriormen¬ te dallo studio dell’ultrastruttura dei gusci al microscopio elettronico a scansione. Anche per queste forme si conferma la struttura lamellare con vari ordini di lamellae, osservati da MacClintock (dal primo al ter- — 428 — zo) e che le lamelle di terzo ordine sono state le più piccole unità che abbiamo visto separate e osservabili distintamente. La fossilizzazione, per i numerosi esemplari studiati, non ha influi¬ to minimamente sulle strutture dei gusci che sono, sia per gli individui fossili che per quelli viventi, le stesse. Anche gli opercoli fossili e viventi sono nelle strutture identici. In quelli fossili il numero di carene, che si trovano sulla superficie esterna, è minore ed in alcuni esemplari mancano ; Lornamentazione delle carene è poco accentuata. La variabilità osservata nel numero delle carene degli opercoli fos¬ sili di Cala Bianca assieme alla variabilità osservata negli opercoli viven¬ ti ci permettono di considerare entro certi limiti questo carattere insuf¬ ficiente per una distinzione a livello specifico, N. mille piinctata fossile e vivente presenta sempre tre o più carene ed è distinguibile secondo Ruggieri (1965) da N. tigrina che ne ha soltanto due quando ci si tro¬ va in presenza degli opercoli. Ancora il confronto statistico tra le popolazioni di Natica tigrina e Natica millepunctata ci dice come le due specie siano leggermente di¬ verse biometricamente. RINGRAZIAMENTI. Gli Autori ringraziano la Prof. A. M. Mac cagno, direttore del¬ l’Istituto di Paleontologia per la revisione critica del testo, e per tutti i preziosi consigli e parimenti anche la Prof. M. Moncharmont-Zei. Si ringraziano vivamente anche il Prof. G. Pelosio dell’Istituto di Geolo¬ gia di Parma per avere fornito i campioni di Vigoleno ; il Prof. G. Pin¬ na del Museo Civico di Storia Naturale di Milano per i campioni di Ca- stell’Arquato ; il Prof. G. SiRNA per i campioni di Monte Mario ; il Prof. B. DE Lerma, direttore dell’Istituto di Zoologia dell’Università di Napoli per averci ospitato nel suo Istituto e per averci permesso di usare il cal¬ colatore Olivetti IDI ; il dott. A. Ariani, e i tecnici G. Mezzanotte, A. Canzanella e B. Pastore per il loro cortese aiuto. Istituto di Paleontologia deW Università di Napoli. — 429 — LAVORI CONSULTATI Abatino E., 1972 - Il microscopio elettronico a scansione ed alcune sue applicazioni nello studio delle scienze naturali. Le Scienze, fase. 4, pp. 210-224, 7 figg-, Firenze. Abatino E., Barbera Lamagna C,, Boni M., 1971 ■ Ultrastruttura e composi¬ zione chimica del guscio di Strombus bubonius Lk [S. latus Gm.) vivente e fossile. Rend, Acc. Scien. Fis. Mat., ser. 4, 88, 17 pp., 8 figg-, 1 tab,, 26 tavv., Napoli. Abolin Krogis a., 1968 - Shell regeneration in Helix pomatia with special reference to thè elementary calcifyng particles. Symp. Zool. Soc. London, 1968, 22, pp. 75-92, London. Anderson H. J., 1960 - Revision der Naticacea in Die Gasteropoden des iungeren tertiars in tertiars in Nordwestdeutschland. Menyana, 9, pp. 80-97, 4 tavv., Kiel. Boggild 0. B., 1930 - The shell structure of thè molluscs. D. Kg. Danske Vid. Sei. Skr. Nath. Math. A£. d. 9 R 2, pp. 231-325, 10 figg., 15 tavv,, Kobenhavn. Caprotti e., 1971 - Mesogastr apodi dello stratotipo del Piacenziano di CastelVAr- quato {Piacenza). Atti Soc. It. Se. Nat. Mus, Civ. Milano, pp. 93-102, 7 tavv., Milano. 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Idem, 64, 1, pp. 1-12, 9 tavv. 3 figg., Basel. WooD S. V., 1848-79 - The Crag mollusca. Paleont. Soc. Mem., 2 voli. 750 pp-, 80 tavv., London. Licenziato alle stampe il 30 novembre 1972. TAVOLA I Natica mille punctata Lk. fossile, tagli paralleli alle strie di acerescimento. In questa tavola si osserva il montaggio di due mierografie (1082 e 1083) ese¬ guite a 100 X di una sezione parallela alle strie di accrescimento. Con evidenza si notano bene le strutture B, C e D. Sul disegno schematico sono indicati i punti in cui sono state compiute le os¬ servazioni. Boll. Soc, Natur. in Napoli, 1972 Abatino E, e Coll, - Ultrastruttura del guscio, ecc. Tav. I TAVOLA II Natica millepiinctala Lk. fossile, tagli paralleli alle strie di accrescimento. Fig. 1. — Preparato 27, micrografia 1086, 300 x circa. Si nota la classica struttura incrociata delle lamelle di primo e secondo ordine. L’angolo d’incrocio delle lamelle è di circa 90°. Fig. 2. — Preparato 27, micrografia 1087, 1000 x circa. È un particolare, ingran¬ dito tlella fig. 1. Si nota come le lamelle di 1° ordine si dividono in quelle di 2° e 3° ordine. Fig. 3. — Preparato 27, micrografia 1089, 300 x. In questa micrografia si nota la giunzione centrale tra i due tipi di strutture la B e la C. Fig. 4. — Preparato 27, micrografia 1088, 300 x circa. Anche in questa come nella figura 3 si notano i passaggi tra due strutture diverse. Nella parte superiore sembra che le lamelle della struttura B vadano ad innestarsi nella struttura C. Fig. 5. — Preparato 27, micrografia 1150, 300 x circa. È un particolare della strut¬ tura interna del guscio, che è indicata come zona C. Fig. 6. — Preparato 27, micrografia 1149, 1000 x circa. Questa micrografia è un particolare della fig. 5. Cà mostra Fincrocio delle lamelle, la loro disposizione e l’angolo fra strato e strato, che è diverso da quello della fig. 1, D C B A Boll, Soc, Natur, in Napoli, 1972 Abatino E, e Coll. - ULtrastruttara del guscio, ecc. Tav. II 2 4 6 TAVOLA III Natica millepunctata Lk. fossile, fratture parallele alle strie di accrescimento. Figg. 1, 3, 5. — Preparato 25, micrografie 1139-1140 e 1144 rispettivamente: 100 x, 300 X e 300 x. Anche queste tre micrografie rappresentano altri particolari di frattura del guscio nella parte più interna alle figure 2, 4, 6. In particolare le figure 3 e 5 sono particolari ingranditi della fig. 1. Figg. 2, 4, 6. — Per queste tre figure si ha un ingrandimento successivo da 100, 300 e 1000 X. Si tratta di un preparato (25) trattato non con l’attacco di acidi, ma ottenuto con frattura, usando particolari accorgimenti. Da queste tre figure si rileva come sia vario lo spessore delle lamelle, come sia contorto lo sviluppo di queste e quale robustezza riescano a dare alla struttura del guscio. Queste rappresentano la parte esterna del guscio. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972 Abatino E. e (ioli, - Ullrastrutlura del guscio, ecc. Tav. Ili TAVOLA IV Natica millepunctata Lk. fossile, tagli perpendicolari alle strie di accrescimento. Fig. 1. — Preparato 13, micrografia 1060, 1000 x. Questa micrografia è un partico¬ lare della zona centrale della figura 2, È particolarmente interessante la parte inferiore di questa figura dove si notano alcune lamelle piegate. Fig. 2. — Preparato 13, micrografia 1059, 300 x circa. È una foto d’insieme della sezione. Si notano le due strutture C e B e la loro unione. Nella parte centrale si notano alcune lamelle della struttura C che si piegano. Fig. 3. — Preparato 13, micrografia 1057, 1000 x circa. Anche questa figura, come la prima sono particolari ingranditi della fig. 2. Esse rappresentano quelle che sono le strutture B. Fig. 4. — Preparato 13, micrografia 1064 a, 1000 x circa. Si può osservare un « pac¬ chetto )) di lamelle della struttura C. Gli strati, oltre che variamente incurvati, sono anche di spessori diversi (vedere anche la figura 2), Fig. 5. — Preparato 13, micrografia 1058, 1000 x circa. Si osservano le lamelle di 3° ordine e l’incrocio caratteristico (particolare della figura 3). Fig. 6. — Preparato 13, micrografie 1064 b, 3000 x circa. Rappresenta, molto ingran¬ dito, un gruppo compatto di lamelle di 2° ordine al centro. Sopra e sotto altre due file di lamelle con angolazione diversa. Da qui si può risalire anche alla misura di uno strato di lamelle che è mediamente di 10-20 micron. Si tratta della strut¬ tura C. Ogni pacchetto di lamelle di 2° ordine è leggermente distanziato l’uno dall’altro. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972 Abatino E. e Coll. - Ultrastruttura del guscio, ecc. Tav. IV 1 2 TAVOLA V Natica millepuiictata Lk. fossile, superficie del guscio. Fig, — Preparato 38, micrografia 1203, 100 x circa. Si osserva nei dettagli un pic¬ colo pezzo della superficie di un guscio. Come si può osservare essa è ruvida, ed è costituita da una serie di linee, con margini e lembi irregolari. Di tanto in tan¬ to si osservano dei fori, che si ritrovano anche su gusci non fossili e che qualcuno crede di attribuire prevalentemente a nematodi. Figg. 2, 4, 6. — Queste tre figure ci mostrano a tre successivi ingrandimenti un pezzetto di guscio. Il preparato è il 37, micrografie 1156, 1157 e 1158 che hanno rispettivamente gli ingrandimenti 100 x, 300 x e 1000 x. Come si rileva dalFultima foto specialmente, la superficie è molto rugosa e le strie di accre¬ scimento sono irregolari. Figg 3 e 5. — In queste due micrografie si osserva la superficie del guscio. Nella fig. 5 si nota, a un ingrandimento di 3000 x circa, che Festerno del guscio è for¬ mato da tanti piccoli bitorzoletti che in qualche punto sono orientati seguendo la feltratura delle lamelle sottostanti. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972 Abatino E. e Coll. - Ultrastruttura del guscio, ecc. Tav, V TAVOLA VI Natica millepunctata Lk. fossile, opercolo (lato del piede). Fig. 1. — Preparato 48 micrografia 1323, 100 x. In questa figura viene mostrata la struttura dell’opercolo dal lato dove è legato al piede dell’animale. Fig. 2. — Preparato 48, micrografia 1324, 300 x. Questa foto è un particolare in¬ grandito della fig. 1. Fig. 3. — Preparato 48, micrografia 1325, 500 x. Particolare della figura 1 in cui è messa in evidenza la diversa struttura di due giri consecutivi dell’opercolo e della struttura a fili. Fig. 4. — Preparato 48, micrografia 1325 bis, 230 x circa. Questa figura vuole mostrare, in finestra come si sviluppa la struttura dell’opercolo. Fig. 5. — Preparato 48, micrografia 1327, 100 x circa. Lungo il bordo spesso si osserva una lieve ondulazione. Fig. 6. — Preparato 67, micrografia 1534, 10.000 x circa. La superficie delToper- colo ha una struttura a fili, che a grandi ingrandimenti assume spesso l’aspet¬ to di numerosi bitorzoletti rugosi. Figg. 1, 2, 3 Fig. 4 Figg. 5 e 6 Boll. Soc. Natur. in Napoli. 1972 Abatino E. e Coll. - Ultrasiruttura del guscio, ecc. Tav. \ T pi TAVOLA VII Natica millepunctata Lk. fossile, struttura delLopercolo. Fig. 1. — Preparato 48, micrografia 1336, 100 x. Si osserva la morfologia della su¬ perficie delLopercolo, Questo, come si può osservare nelle altre figure della tavola prese in punti diversi, è costituito da una struttura a fili che, a grande ingrandimento, appare come una serie di lame arrotondate alLestremità e di¬ vise da solchi. Figg. 2, 4. — Preparato 48, micrografie 1335 e 1335 b ingrandite rispettivamente 1000 X e 3000 x circa. Figg. 3, 5. — Preparato 48, micrografie 1332 e 1333 ingrandite rispettivamente 1000 X e lO.OUO X circa. Fig. 6. — Preparato 48, micrografia 1334 ingrandita 1000 x circa. Figg. 2 e 4 Fig. 6 Fig. 1 Figg. 3 e 5 Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972 Abatino E. e Coll. - Ultrastruttura del guscio, ecc. Tav. VII 2 4 6 5 TAVOLA Vili Natica inillepunctata Lk. fossile, struttura interna deH’opercolo. Figg. 1, 3, 5. — Preparato 65, micrografie 1517, 1518, 1519, rispettivamente di ingrandimento 100 x, 300 x, 500 x. Si osserva in queste tre figure a ingrandi¬ mento crescente, come è costituita la parte esterna del bordo. Queste osserva¬ zioni sono state fatte su campioni preparati con la tecnica della frattura. Figg. 2, 4, 6. — Preparato 65, micrografie 1524, 1525, 1526, dagli ingrandimenti rispettivamente di 300 x, 1000 x e 3000 x. È visibile la struttura interna del- Fopercolo. Figg. 2, 4, 6 Figg. 1, 3, 5 Boll, Soc, Natur, in Napoli, 1972 Abatino E. e Coll. - Ultrastruttura del guscio, ecc. Tav. Vili TAVOLA IX Natica millepunctata Lk. vivente, strutture parallele alle strie di accrescimento. Fig. 1. — Preparato 40, micrografia 1350, 60 x. È un po’ una veduta d’insieme. Fig. 2. — Preparato 40, micrografia 1341, 100 x. La struttura delle lamelle è in questa zona particolarmente irregolare. Figg. 3, 5. — Preparato 40, micrografie 1347 e 1348, rispettivamente di 300 x e 500 X. Queste micrografie sono state fatte in una zona adiacente a quella del¬ la fig. 1. Fig. 4. — Preparato 53, micrografia 1356, 300 x. È assai evidente la struttura in¬ crociata di tipo B. Fig. 6. — Preparato 40, micrografia 1372, 2000 x. È una foto fatta verso la parte interna del guscio. Si vedono con molta evidenza le strutture incrociate- Fig. 6 Fig. 2 Boll. Soc. Natiir. in Napoli, 1972 Abatino E. e Coll. - Ultrastruttura del guscio, ecc. Tav. IX TAVOLA X Natica millepunctata Lk. vivente, struttura della superficie del guscio. Figg. 1, 2. 3, 4. — Preparato 37, micrografie 1195, 1196, 1197, 1194, rispettiva¬ mente con ingrandimenti 300 x. 1000 x, 3000 x, 10.000 x. Con molta evidenza si nota la superficie ruvida del guscio. Figg. 5 e 6. — Preparato 36, micrografie 1192 e 1193, con ingrandimento rispet¬ tivamente di 300 X e 1000 x. In una piccola scalfittura del guscio si nota la struttura sottostante. Le lamelle di 3° ordine non sono troppo evidenti perchè non è stato procurato nessun attacco con acido. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972 Abatino E. e Coll. - Ultrastruttura del guscio, ecc. Tav. X TAVOLA XI Natica millepunctata Lk. vivente, lato esterno al piede. Fig. 1. — Preparato 33, micrografia 1178, 100 x. Particolare della struttura del- Lopercolo, si notano numerosi solchi fra alcune frange molto frastagliate. Fig. 2, 3, 4. — Appartengono allo stesso campione, esse ci dimostrano come l’oper¬ colo sia foracchiato e come la struttura in superficie sia lamellare. Figg. 5 e 6. — Mostrano a forte ingrandimento (fig. 6, 3000 x) che la struttura interna è molto più complessa. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972 Abatino E. e Coll. - Ultrastruttura del guscio, ecc. Tav. XI TAVOLA XII Natica mille punctata Lk. vivente, struttura della radula. Fig. 1. — Preparato 70, micrografie 1491, 1492, 1493, con ingrandimenti rispet¬ tivi di 100 X. Con queste foto si è fatto un montaggio, esse sono state ese¬ guite in una parte distale dalFapertura boccale. Fig. 2, — Questo preparato è identico a quello della fig. 1 soltanto che è stato fotografato in una parte ph'i vicina alFapertura boccale. Figg. 3 e 4. — Particolari delle figure 1 e 2 ingranditi 300 x circa. Fig. 2 Fig. 1 Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972 Abatino E. e Coll. - Ultrastruttura del guscio, ecc. Tav. XII TAVOLA XIII Natica hebrcea (Martin), struttura della radula. Fig. 1, — Preparato 70, micrografie 1502, 1503, 1504, con ingrandimento di 300 x. La foto, che è un montaggio, è stata eseguita vicino alla estremità boccale. Fig. 2. - È uguale alla precedente ma è stata eseguita ad una certa distanza dal- Papertura boccale. Anche per questo gruppo di micrografie Fingrandimento è di 300 X circa. Fig. 3 e 4. — Sono vedute d’insieme delle figure 1 e 2 e sono state eseguite a circa 100 x. Figg. 1 e 4 Figg. 2 e 3 Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972 Abatino E. e Coll. - Ultrastrultura del guscio, ecc. Tav. XIII TAVOLA XIV Natica tigrina Def., tagli paralleli alle strie di accrescimento. Figg. 1, 3, 5. — Preparato 132, micrografie 2258, 2259 e 2260 rispettivamente in¬ grandite 1000 X, 3000 X e 10.000 x circa. Si osserva in dettaglio la struttura di tipo B a lamelle incrociate. Fig. 2. — Preparato 132, micrografia 2250, 1000 x circa. Si può notare la struttura B e C. Figg. 4, 6. — Preparato 132, micrografie 2251 e 2252 ingrandite rispettivamente 3000 x e 10.000 x. Vengono mostrate in queste due micrografie, a diverso in¬ grandimento, le lamelle incrociate di primo, secondo e terzo ordine della strut¬ tura C. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972 Abatino E. e Coll. - Ultraslrullura del guscio, ecc. Tav, XTV 4 5 6 Boll. Soc, Natur. in Napoli voi. 81, 1972, pp. 433-460, 3 figg., 10 tavv. Rudiste del Cretaceo superiore delle Murge sud-orientali (*) Nota del socio VINCENZO CAMPOBASSO (Tornata del 27 Ottobre 1972) Riassunto. — Nella presente nota vengono riferiti i risultati dello studio della macrofauna a rudiste raccolta in livelli calcarei del Turoniano e del Senoniano delle Murge sud-orientali ; le forme descritte appartengono per la maggior parte alla fa¬ miglia delle Radiolitidi. Summary. — In thè present work thè author relates thè results obtained from thè study of a Rudist macrofauna. The specimens, which come from some turonian and senonian calcareous beds, outeropping in south-eastern Murge ,are mostly refe- rable to thè Family of Radiolitids, Introduzione. In questi ultimi anni una ricca macrofauna a rudiste è stata rac¬ colta in livelli calcarei del Turoniano e del Senoniano delle Murge sud¬ orientali. I risultati dello studio di questa macrofauna vengono esposti nella presente nota, che completa, dal punto di vista paleontologico, un precedente lavoro (Campobasso & Olivieri, 1967), sulla stratigrafia e sulla tettonica delle Murge tra Castellana Grotte (Bari) e Ceglie Messa- pico (Brindisi). I fossili sono stati raccolti per la maggior parte in calcari detritici ben stratificati, talora in banchi di notevole spessore, affioranti in corri¬ spondenza di cave o di trincee stradali e ferroviarie. Gli esemplari determinati sono in buona parte riferibili alla fami¬ glia delle Radiolitidi e rappresentati da valve destre incomplete o par¬ zialmente inglobate nella roccia ; ogni tentativo effettuato per isolarli completamente dalla roccia è fallito. (*) Lavoro pubblicato sotto gli auspici e con il contributo del C.N.R.. 28 — 434 — Le precedenti conoscenze sulla macrofauna a rudiste delle Murge sud-orientali sono piuttosto frammentarie e limitate. Qualche indicazio¬ ne, senza dati precisi sull’età e sulle località di provenienza dei fossili, è riportata nei lavori di De Giorgi (1881), Di Stefano (1882), Virgilio (1900), Parona (1900, 1918) ecc.. Quest’ultimo autore ha anche de- Fig. 1. — Ubicazione delle loealità fossilifere campionate ; queste sono indicate eon asterischi e numeri progressivi a partire da nord verso sud. scritto (1911) alcuni esemplari di Radiolitidi raccolti da Virgilio nei ditorni di Putignano, in livelli senoniani. Altri Radiolitidi, raccolti da Crema (1928, 1930) in occasione del rilevamento geologico di alcune zone con giacimenti bauxitici nelle Puglie, sono stati descritti dalla Zuf- FARDi-CoMERCi (1939) e riferiti al Turoniano e al Senoniano. 435 — Cenni stratigrafici. Nella già ricordata nota di Campobasso & Olivieri (1967) la serie calarea cretacea delle Murge sud-orientali era stata divisa in due unità litostratigrafiche, indicate coi nomi di « Calcare di Fasano » e ({ Calcare di Ostuni» ; l’età di queste era stata stabilita sulla base delle rudiste. In particolare, il « Calcare di Fasano » affiora principalmente ai piedi e in corrispondenza di una scarpata che si estende dai dintorni di Fasano a quelli di Ostuni; è rappresentato da una sequenza di strati calcarei detritici, in genere biancastri o rosati, a luoghi subcristallini o parzialmente dolomitizzati, ben stratificati, con rudiste poco frequenti e localizzate in nidi o in qualche livello. Lo spessore in affioramento di questo calcare è di circa 200 m nei dintorni di Fasano; l’età è cenomaniana-senoniana. Il (( Calcare di Ostuni » affiora su estese aree dei territori di Ostu¬ ni, di Coglie Messapico, di Cisternino, di Villa Castelli, di Martina Fran¬ ca, di Locorotondo, di Alberobello, di Castellana Grotte, di Putignano ecc.. È costituito in prevalenza da calcari detritici biancastri, spesso in grossi banchi, con frequenti macrofossili (per la massima parte ru¬ diste) : a luoghi, la roccia è addirittura costituita quasi esclusivamente da frammenti cementati di valve, o da valve intere, talora di notevoli dimensioni e in posizione fisiologica ; fra i banchi calcarei si interca¬ lano orizzonti di calcari dolomitici o dolomie calcarifere grigie, di norma senza macrofossili. Lo spessore totale della formazione non è localmente calcolabile, in quanto mancano i termini superiori : quello affiorante è dell’ordine di qualche centinaia di metri ; l’età è senoniana inferiore e media. Come è stato accennato nella nota indicata all’inizio di questo ca¬ pitolo, il (( Calcare di Fasano » risulta correiabile, per facies ed età, con la parte superiore del « Calcare di Bari » (unità litostratigrafica non formale, v. Boenzi, Palmentola, Pieri & Valduga, 1971); il « Calcare di Ostuni », con il « Calcare di Altamura » (Azzaroli, 1968). Si può ora precisare che la sequenza descritta come « Calcare di Ostu¬ ni » corrisponde alla parte inferiore e media del a Calcare di Alta¬ mura ». Nella presente nota e precisamente nelle indicazioni sulla pro¬ venienza dei fossili che verranno descritti, si farà uso di questi ulti- — 436 — mi termini formazionali ; questi sono stati del resto adottati anche nella nuova edizione della massima parte dei fogli della Carta geo¬ logica ufficiale, relativi all’area murgiana. Descrizioni paleontologiche. Verranno qui descritte, oltre ad alcune forme già citate nella precedente pubblicazione, altre riconosciute in seguito ; si farà rife¬ rimento specialmente a quelle meno note o nuove per la Puglia. Gli esemplari descritti sono conservati nel Museo dell’Istituto di Geologia e Paleontologia dell’Università di Bari. Familia CAPRINIDAE Fischer, 1887 Genus Plagioptychus Matheron, 1842 Plagio ptrchus sp. (Tav. I, fig. 1) Si dispone di una sola valva sinistra, messa in evidenza dall’ero¬ sione e studiabile in sezione trasversale ; sono chiaramente visbiili i canali paileali, molto ampi, piriformi, separati da setti che si dicoto- mizzano in generale tre volte e in qualche zona anche quattro volte ; l’aspetto dei canali è simile a quello di P. aguilloni d’ORBiGNY,* tutta¬ via, una sicura determinazione specifica non è possibile per le cattive condizioni di conservazione dell’esemplare, tali da non permettere un sicuro esame dei caratteri della cerniera e delle inserzioni muscolari. Provenienza. — Presso Mass. d’Agnano ( Ostuni), al punto di q. 151 (tav. 191 III SO « Casalini »). Loc. foss. n. 12 (probabilmen¬ te « Calcare di Bari »). Età. Turoniano. — 437 — Familia RADIOLITIDAE Gray, 1848 Genus Eoradiolites DouvillÈ, 1909 Eoradiolites ci. liratus (Conrad) (Tav. II, fig. 1) 1852 Hippurites liratus; Conrad, p, 234; tav. VII, figg. 47-48. 1910 Eoradiolites liratus; DouvillÉ, p. 70, tav. I, figg. 2-4; tav. IV, fig. 6; tav. V, fig. 3. 1932 Eoradiolites liratus; Kuhn, p. 112 {cum syn.}. 1933 Eoradiolites liratus; Keller, p. 48, tav. 6, figg. 3-6; tav. 7, figg. 1-7. 1934 Eoradiolites syriacus; Blanckenhorn, p. 225, tav. XI, figg. 93-96. 1938 Eoradiolites liratus + Eoradiolites italicus; Montagne, p. 980. 1941 Eoradiolites italicus; Montagne, p. 62, tav. 4, fig. 7. 1942 Eoradiolites liratus; Heybroek, p. 457. 1942 Eoradiolites liratus; Parona, p. 2. 1945 Eoradiolites c£. liratus; Kuhn, p. 186, tav. XXVII, fig. 2. 1964 Eoradiolites lyratus; Farinacci & Radoicic, p. 277. 1969 Eoradiolites liratus; Polsak e Mamuzic, p. 231 e 232. Sono state prese in esame numerose valve destre, tutte inglobate in un frammento di calcare e studiabili solo in sezioni trasversali mes¬ se in evidenza dall’erosione. Queste valve presentano contorno subova¬ le, ornamentazione a coste ben pronunciate, ineguali e irregolarmente distribuite, cresta ligamentare piccola con estremità distale leggermen¬ te dilatata ; esse sono confrontabili con quelle di E. liratus figurate da Parona (1926; tav. Ili, fig. 10) e presentano dimensioni più piccole rispetto a noti esemplari della stessa specie provenienti dalla Siria e dal Libano (Parona, 1909; DouvillÉ, 1910 ecc.). L’esclusiva osservabilità in sezione trasversale e il cattivo stato di conservazione delle valve non permettono di esaminare bene i ca¬ ratteri delle bande sifonali ai fini di una determinazione sicura. Distribuzione stratigrafica. — Cenomaniano e Turoniano; Italia, Istria, Egitto, Sinai, Siria, Libano, Persia orientale, Dalmazia. La ZuFFARDi-CoMERci (1930) segnala VE. liratus nella Penisola Sa- lentina ( Puglia) in livelli turoniani. Provenienza. — Nelle vicinanze di Mass. Epicoco, presso il Km 5 circa della strada provinciale Ceglie Messapico-Martina Franca — 438 — (tav. 203 IV NO « Ceglie Messapico ))). Locai, foss. n. 14 ( « Calcare di Bari »). Età. — Turoniano. Eoradiolites colubrinus Parona (Tav. I, fig. 2) 1912 Eoradiolites colubrinus; Parona, p. 9, figg. 4-6 nel testo. 1926 Eoradiolites colubrinus; Parona, p. 32. 1932 Eoradiolites colubrinus; KuHN, p. 111. 1935 Eoradiolites colubrinus; Parona, p. 7, fig. nel testo. 1942 Eoradiolites colubrinus; Parona, p. 3. 1958 Eoradiolites colubrinus; Tavani, p. 171. Una valva destra, visibile solo in sezione trasversale, è riferibile a questa speeie ; essa possiede una parete di spessore limitato e un contorno subcircolare ; ornamentazione a coste ben pronunciate e acu¬ te, cresta ligamentare molto piceola, bande sifonali selliformi e sepa¬ rate da un’interbanda leggermente rilevata. Questi caratteri corrispon¬ dono bene a quelli di un esemplare di E. colubrinus figurato da Pa¬ rona (1912, p. 8, fig. 5 nel testo). Distribuzione stratigrafica. — Cenomaniano della Somalia; Turoniano del Lazio e dellTstria ; Cretaceo superiore della Persia ; probabile Turoniano del Salente (Puglia). Provenienza. — Nei pressi di Mass. Epicoco, in prossimità del Km 5 della strada provinciale Ceglie Messapico-Martina Franca (tav. 203 IV NO (( Ceglie Messapico »). Località fossilifera n. 14 ( « Calcare di Bari »). Età. — Turoniano. Eoradiolites fascicularis ( Pirona) (Tav. VII, fig. 1) 1869 Radiolites fascicularis; Pirona, p. 30, tav. Vili, figg. 6-12. 1907-1909 Agrìa fascicularis; Toucas, p. 22, tav. I, figg. 13-14. 1923 Eoradiolites fascicularis; Parona, p. 149. — 439 — Un esemplare fornito delle due valve. I caratteri della valva de¬ stra, a forma conica allungata e leggermente arcuata, corrispondono abbastanza bene a quelli di alcuni esemplari di questa specie figurati da PiRONA (1869; tav. Vili, figg. 7, 8 e 11); la superficie esterna è percorsa da poche coste longitudinali molto ridotte, separate da spazi più o meno ampi e lisci ; è chiaramente visibile la banda sifonale E costituita da una fascia stretta e leggermente concava. La valva si¬ nistra è concava, a contorno subcircolare e leggermente ondulato. Distribuzione stratigrafica. — Coniaciano di Gard (Fran¬ cia). In Italia la specie è stata segnalata per la prima volta sul Colle di Medea (Friuli) in livelli calcarei attribuiti al Turoniano da Pi- RONA (1869), Dainelli (I9II) e Parona (1923), al Santoniano da Toucas (1907), al Maastrichtiano da Douvillé (1904b). Provenienza. — Località Marinello ( Cisternino), nei pressi del punto di quota 386 (tav. 190 II NE a Locorotondo »). Loc. foss. n. 8 ( (( Calcare di Altamura »). Età. — Turoniano sup. - Senoniano inf.. Genus Biradiolites d’ORBiGNY, 1847 Biradiolites dainellii Parona (Tav. V, figg. la, Ib) 1911 Biradiolites dainellii; Parona, p. 282, tav. I, fig. 2a, b. 1932 Biradiolites dainellii; Kuhn, p. 86. 1960 Biradiolites dainellii; Plenicar, p. 82. È riferibile a questa specie una valva destra, completamente isolata dalla roccia e priva della parte inferiore. Valva di forma cilindro-conica, arcuata, con ornamentazione a co¬ ste longitudinali numerose, ben marcate, ineguali e a spigolo general¬ mente acuto ; lamine esterne ben espresse, rivolte verso l’alto e disposte ad intervalli ampi e regolari ; bande sifonali leggermente rilevate ; banda S stretta e meno larga della E; interbanda larga, percorsa da 4-5 coste ineguali. I caratteri descritti corrispondono abbastanza bene a quelli dell’olo- tipo della specie proveniente dai dintorni di Bari (Parona, I9II). — 440 — Distribuzione stratigrafica. — Senoniano della Puglia e della Slovenia. Provenienza. — Mass.ia « La Pecorona », 3 Km circa da Mono- poli, sulla strada per Triggianello e Conversano (Tav. 190 I NO « Mo¬ nopoli »). Loc. foss. n. 2 (probabilmente « Calcare di Bari »). Età. — Probabilmente Turoniano. Biradiolites monopterus ( Pirona) (Tav. Ili, fìg. 3) 1869 Radiolites monoptera: Pirona, p. 33, tav. VI, figg. 7-10. 1932 Biradiolites monopterus; Kuhn, p. 89 (cum. syn,). Si tratta di una specie che non va confusa certamente con il Bira¬ diolites quadratus al quale era propenso ad avvicinarla Parona (1923). Le figure di B. monopterus riportate da Pirona (1869) permettono un sicuro confronto con i numerosi esemplari di questa specie raccolti sulle Murge e rappresentati da diverse valve destre incomplete, molto allungate e a contorno subovale. Caratteristica della specie stessa è la presenza nell’interbanda di una costa assai prominente, generalmente a forma di cresta. Le due bande sifonali si presentano appena rilevate, piane e lisce ; la E è larga circa il doppio della S. La superficie esterna delle valve è percorsa da fitte strie di accre¬ scimento, leggermente ripiegate verso il basso in corrispondenza delle bande sifonali. L’ornamentazione è data generalmente da due coste più o meno pronunciate e crestate, situate dalla parte opposta a ciascuna banda sifonale. Distribuzione stratigrafica. — Questa specie è stata finora tro¬ vata solo al Colle di Medea (Friuli) in calcari attribuiti da vari A A. ad età diverse, ma comunque comprese tra il Turoniano e il Maastrichtiano. Provenienza. — Cava nei pressi di Mass. Airoldi, 4 Km circa a NNE di Ostuni (Brindisi) e trincea ferroviaria a 500 m circa dalla stazione di Ostuni verso Carovigno (tav. 191 111 NE « Villanova »). Loc. foss. n. 10 e 11 (probabilmente « Calcare di Altamura »). Età. — Probabilmente Turoniano. — 441 — Biradiolites angulosus (I’Okbigny (Tav. Ili, fig. 2) 1932 Biradiolites angulosus; Kuhn, p, 83 {cum syn.). 1936 Biradiolites angulosus (?); Osteebaan, p. 11, fig, 26 nel testo. 1964 Biradiolites angulosus; Fakinacci & Radoicic, p. 278. 1965 Biradiolites angulosus; Torre, p, 7, tav. I, figg. 2-3. 1968 Biradiolites angulosus; Pousak, p. 186. 1969 Biradiolites angulosus; Polsak & Mamuzig, p. 232. Numerose val¥e destre, riferibili a questa specie sono state osserva¬ te in diverse località delle Murge sud-orientali ; simili valve spesso si trovano in associazione con esemplari di Durania martella Paeona, spe¬ cie ormai notissima in Puglia ( Parona, 1911; Zuffardi-Comerci, 1930; Tavani, 1958; Torre, 1965) e facilmente riconoscibile in campa¬ gna per lo sviluppo notevole delle sue coste. Negli esemplari di B. angulosus esaminati si osserva una certa va¬ riabilità nello sviluppo delle coste, generalmente meno numerose e pro¬ nunciate rispetto a quelle degli esemplari della stessa specie figurati da Toucas (1909); le bande sifonali si presentano generalmente poco rile¬ vate, piane o piano-concave (la E è sempre più larga della S); l’inter- banda è costituita da una costa più o meno prominente e acuta. Distribuzione stratigrafica, — Turoniano superiore della Spa¬ gna (Catalogna), Francia ( Charente, Dordogne), Jugoslavia (Istria, Dal¬ mazia, Dinaridi esterne), Italia (Friuli, Sardegna). La probabile pre¬ senza di questa specie in Puglia è stata indicata per la prima volta da Parona (1990); recentemente Torre (1965) Fha riconosciuta nei din¬ torni di Altamura ( Bari) in livelli riferibili al Turoniano sup. - Co- niaciano. Provenienza. — Loc. Marinello, nei pressi del punto di q, 386 (loc. foss, n. 8). Cava nei pressi di Locorotondo, a Km 1,7 circa della Strada Statale n. 172 per Fasano (loc. foss. n. 9). Tratto di scarpata delle Murge tra Fasano e Casina Ferrini, a quota 325 circa (loc. foss, n. 3). Le località suddette sono incluse nella tav. 190 II NE « Locoro¬ tondo » (« Calcare di Altamura »). Età. — Turoniano sup. - Senoniano inf.. — 442 — Biradiolites angulosissimus Toucas (Tav. VII, fig. 3) 1909 Biradiolites angulosissimus; Toucas, p, 106, tav. XX, figg. 4-7, fig, 71 nel testo. 1926 Biradiolites angulosissimus; ParoNA, p. 38, tav. IV, fig. 6. 1929 Biradiolites cf. angulosissimus; Astre, p. 230. 1932 Biradiolites angulosissimus, Kuhn, p. 83. Sono stati raccolti tre esemplari di questa specie ; uno è fornito delle due valve incomplete, gli altri sono rappresentati da sole valve destre. La valva superiore è molto concava e leggermente rilevata sul bordo avente forma quasi circolare. Sulla valva inferiore le bande sifonali sono piane, più rilevate e strette rispetto a quelle del 5. angulosus ; la E è più larga della S. L’ornamentazione è a coste numerose, ben pronunciate e a spigolo acuto come negli esemplari figurati da Toucas (1909); l’interbanda è costi¬ tuita da due coste simili alle altre della valva. Distribuzione stratigrafica. — Santoniano della Spagna (Ara¬ gona), Francia meridionale (Var), Istria (Albona), Tunisia, Algeria. Provenienza. — Loc. Marinello, nei pressi del punto di q. 386 (tav. 190 II NE (( Locorotondo »). Loc, foss. n. 8 (« Calcare di Alta- mura »). Età. — Turoniano sup. - Senoniano inf.. Genus Distefanella Parona, 1901 Sono stati raccolti alcuni esemplari di Radiolitidi riferibili a Di¬ stefanella Parona ; il loro esame è stato reso possibile grazie ai recen¬ ti studi di PoLSAK (1968) e Sliskovic (1968) su questo genere, che viene ora segnalato per la prima volta nelle Murge. Distefanella cf. bassanii Parona (Tav. 6, fig. 2) 1901 Distefanella bassanii; Parona, p, 208, tav. II, figg. 6-7; tav. Ili, figg. 6-7. 1911 Distefanella bassanii ; Parona, p. 11, fig. 2 nel testo. — 443 — 1919 Distefanellahassanii; Parona, p. 477. 1926 Distefanella hassanii; Parona, p. 39, fig. 5 nel testo. 1932 Distefanella hassanii; KuHN, p. 98. 1957 Distefanella hassanii; Pasic, p. 88, tav. XXI, figg. 2-3. 1964 Distefanella hassanii; Farinacci & Radoicic, p. 277. Una valva destra, osservabile solo in sezione trasversale messa in evidenza dall’erosione, presenta aleuni caratteri della specie ora men¬ zionata ; rornamentazione, non conservatasi nella regione cardinale, è data da coste ben pronunciate, acute, irregolarmente distribuite ; la parete è molto sottile e la cavità dorsale è ristretta e separata dalla ca¬ vità ventrale, ampia e arrotondata, dalla « lama longitudinale » ; le due bande sifonali non sono facilmente individuabili (sembrano confonder¬ si con il resto dell’ornamentazione) a causa del cattivo stato di conser¬ vazione della valva ; pertanto rimane incerta l’attribuzione specifica. Distribuzione stratigrafica. — Cretaceo superiore dell’isola di Capri ; Turoniano dell’ Appennino e dell’Istria ; Turoniano inferiore delle Dinaridi esterne. Coniaciano e Santoniano della Serbia. Provenienza. — Presso Mass. d’Agnano ( Ostuni), al punto di q. 151 (tav. 191 111 SO « Casalini »). Loc. foss. n. 12 (probabilmente « Calcare di Bari »). Età. — Turoniano. Distefanella raricostata Sliskovic (Fig. 2 nel testo) 1968 Distefanella raricostata; Sliskovic, p. 82, tav, 3, figg, 1, la, 2, 3, 4; figg. 4, 5 nel testo. 1969 Distefanella raricostata; Polsak & Mamuzic, p. 232. Una valva destra di Distefanella, osservabile in sezione trasversale, va riferita a questa specie. La banda E è larga, quasi piana, fornita di alcune costicine e limitata da due coste robuste ; la banda S è concava, molto più stretta della E ; l’interbanda è fornita di due coste ben prò- — 444 — nunciate e acute. L’ornamentazione, asportata dall’erosione nella re¬ gione cardinale, è a coste ben sviluppate, acute, separate tra loro da solchi più o meno larghi. E Fig. 2. — Distefanella raricostata Sliskovic - Xl,8: Sezione trasversale della valva destra vista dal basso. Mass.ia d’Agnano ( Ostuni). Distribuzione stratigrafica. — Turoniano superiore dell’Erze- govina meridionale. Turoniano delle Dinaridi esterne. Provenienza. — Presso Mass.ia d’Agnano ( Ostuni), al punto di q. 151 (tav. 191 111 SO (( Casalini »). Loc. foss. n. 12 (probabilmente « Calcare di Bari »). Età. — Turoniano. Distefanella heraki Sliskovic (Fig. 3 nel testo) 1968 Distefanella heraki; Sliskovic, p. 86, tav. 3, figg. 5, 6, 7; tav. 6, fig. 4; fig. 9 nel testo. Tre valve destre, parzialmente inglobate nella roccia, sono riferi¬ bili a questa specie. Nelle loro sezioni trasversali, più o meno arroton¬ date, si distinguono chiaramente la forma incavata della banda E (per¬ corsa longitudinalmente da 3 costicine) e la corrispondente inflessione verso la cavità viscerale del bordo interno della valva ; la banda S e a forma di solco stretto e profondo, non facilmente distinguibile dai sol- — 445 — chi delFornamentazione ; questa è data da numerose coste longitudinali ben sviluppate e acute. L’interbanda è fornita di 4 coste simili alle al¬ tre delFornamentazione. E Fig. 3. — Distefanella heraki Sliskovic - Xl,8: Sezione trasversale della valva destra vista dalFalto. Mass.ia d’Agnano (Ostuni). Distribuzione stratigrafica. — Turoniano superiore delFErze- govina meridionale. Provenienza. — Presso Mass.ia d^Agnano (Ostuni), al punto di q, 151 (tav. 191 III SO (( Casalini »). Loc. foss. n. 12 (probabilmente (( Calcare di Bari »). Età. — Turoniano. Distefanella lombricalis (d’ORBiCNY) (Tav. IV, fig. 1) 1932 Distefanella lombricalis; Kuhn, p, 99 {cum syn.) 1954 Biradiolites lombricalis; Astre, p. 105. 1957 Distefanella lombricalis; Pasic, p. 89. 1958 Distefanella lombricalis; Tavani, p. 173. 1964 Distefanella lombricalis; Behlilovic, p. 45, tav. 8, fig. 3. 1968 Distefanella lombricalis; Polsak, p. 180, £ig. 4 net lesto. Diversi esemplari, rappresentati da valve destre incomplete e in¬ globate parzialmente nel calcare ; un solo esemplare è fornito delle due valve, erose e osservabili in parte. — 446 — La valva superiore è concava, a contorno subcircolare. La valva inferiore è cilindro-conica, molto allungata ; Lornamen- tazione è data da numerose coste longitudinali a spigolo più o meno arrotondato ; le due bande sifonali si presentano un po’ rilevate, leg¬ germente concave o piano-concave (la E sempre poco più larga della S). Distribuzione stratigrafica. — Questa specie è diffusa nel Turoniano della Spagna, Francia, Italia (Appennino), Tunisia, Egitto, Persia, Jugoslavia (Istria, Erzegovina, Serbia); è nota anche nella Pe¬ nisola Salentina ( Puglia) in terreni di età turoniana. Provenienza. — Nei pressi di Mass.ia Crocifisso, a circa 4 Km a SSW di Polignano (tav. 190 IV NE « Conversano »). Loc. foss. n. I (probabilmente « Calcare di Bari »). Età. — Turoniano. Genus Bournonia Fischer, 1887 Bournonia sp. (Tav. X, fig. 1) Alcune valve destre, raggruppate in un frammento di calcare e che l’erosione mostra in sezione trasversale e obliqua, sono riferibili al ge¬ nere Bournonia Fischer. I caratteri in esse osservabili sono: struttura della parete, in sezione trasversa, nettamente a celle quadrangolari ; bande sifonali molto rilevate ( banda S più prominente della E) ; pie¬ ga V molto robusta e a sezione subquadrata ; spessore della parete li¬ mitato ; cresta ligamentare assente. Non è possibile un sicuro riferimen¬ to specifico per la mancanza di valve completamente isolate e ben con¬ servate che permettano un esame completo dell’ornamentazione. Provenienza. — M.te Scotano, 6 Km circa a SW di Coglie Mes- sapico (tav. 203 IV NO « Coglie Messapico »). Loc. foss. n. 16 (a Calca¬ re di Altamura »). Età. — Senoniano. — 447 — Genus Radiolites Lamarck, 1801 Radiolites angeiodes (Lapeirouse) (Tav. Vili, fig. 2) 1781 Ostracites angeiodes; Lapeirouse, p. 40, tavv. XII e XIIL 1801 Radiolites angeiodes; Lamarck, p. 130. 1932 Radiolites angeiodes; Kuhn, p. 135 (cum syn.). 1945 Radiolites cf. angeiodes; Kuhn, p. 190. 1954 Radiolites angeiodes; Astre, p. 45; tav. IV, figg. 7-9; p. 117, fig. 30; p. 120, fig. 31. 1964 Radiolites angeiodes; Farinacci e Radoicic, p. 278. 1965 Radiolites angeiodes; Paradisi e Sirna, p. 157, fig. 13 nel testo. 1969 Radiolites angeiodes; PoLSAK e Mamuzic, p. 235. È stata raccolta una sola valva destra incompleta, appartenente a un giovane esemplare di questa specie ; le bande sifonali sono marcate da due solchi larghi, lisci, pressocchè uguali ; l’interbanda, di larghez¬ za quasi uguale alle bande, è fornita di coste continue e arrotondate, simili alle numerose altre costituenti Fornamentazione della valva ; la cresta ligamentare è ben sviluppata, acuta come in un giovane esem¬ plare di R. angeiodes figurato da Astre (1954; p. 120, fig. 31; tav. IV, fig. 8). Distribuzione stratigrafica. — Santoniano-Maastrichtiano. Francia, Alpi, Friuli, Marsica occidentale, Istria, Dalmazia, Serbia, Al¬ geria, Tunisia, Persia ecc.. Provenienza. — Ceglie Messapico, nei pressi del punto di q. 292, nella trincea della strada per Villa Castelli (tav. 203 IV NO « Ceglie Messapico »). Loc. foss. n. 15 ( « Calcare di Altarnura »). Età. — Senoniano. Radiolites spinulatus Parona (Tav. Vili, fig. 1) 1869 Sphaerulites ponsiana ?; Pirona, p. 20, tav. II, figg. 8-9. 1912 Radiolites spinulatus; Parona, p. 15, fig. 10 nel testo. 1923 Radiolites spinulatus; Parona, p. 146. 1932 Radiolites spinulatus; Kuhn, p. 156. 1965 Radiolites spinulatus; Paradisi e Sirna, p. 154, fig. 9 nel testo. — 448 — Si dispone di due valve destre incomplete, facilmente identificabili con quelle di R. spinulatus per la tipica ornamentazione a coste ben pronunciate, acute e spinose ; la banda sifonale E è a forma di solco largo, liscio, piuttosto profondo ; la banda S corrisponde a un solco più stretto e meno profondo ; l’interbanda è costituita da due coste acute, separate da un profondo solco. La cresta ligamentare è allungata, con l’estremità distale leggermente dilatata. Distribuzione stratigrafica. — Senoniano della Conca Antico- lana (prov. di Roma). Turoniano della Marsica occidentale. Questa spe¬ cie è nota anche sul Colle di Medea (Friuli); per l’età dei calcari di questa località si veda a pag. 7. Provenienza. — Nel tratto di scarpata tra Fasano e Casina Fer¬ rini, a quota 325 circa (tav. 190 II NE « Locorotondo »). Loc. foss. n. 3 ( (( Calcare di Altamura »). Età. — Turoniano sup. - Senoniano inf.. Radiolites cremai Parona (Tav. VII, fig. 4) 1926 Radiolites cremai; Parona, p. 28, tav. III, figg. 1-4. 1932 Radiolites cremai; Kuhn, p. 139. 1957 Radiolites cremai; Pasic, p. 114, tav, XIV, fig. 2. 1969 Radiolites cremai; Polsak e Mamuzic, p. 232. Sono riferibili a questa specie due valve destre incomplete ; la valva meglio conservata ( tav. VII, fig. 4) presenta forma conica allungata, leggermente arcuata, e ornamentazione a fitte costicine ; inoltre, le lame esterne sono poco sviluppate e le due fasce sifonali si mostrano rilevate, strette, con superficie piana o piano-concava (la E è poco più larga della S) ; l’interbanda, dolcemente concava, è attraversata da deboli costicine longitudinali ; la cresta ligamentare è piccola e la struttura della parete è a piccole celle poligonali del tipo delle Sauvagesine. Distribuzione stratigrafica. — Turoniano dell’Istria; Turoniano medio della Serbia occidentale ; Turoniano delle Dinaridi esterne. — 449 — Provenienza. — Loc. Marinello, nei pressi del punto di quota 386 (tav. 190 II NE « Locorotondo »). Loc. foss. n. 8 (« Calcare di Al- tamura ))). Età. — Turoniano sup. - Senoniano inf.. Radiolites pasinianus ( Pirona) (Tav. VII, fig. 2) 1869 Sphaerulites pasiniana; Pirona, p. 18, tav. V, figg. 1-5. 1907 Radiolites cf. sauvagesi; Toucas, p. 66. 1921 Radiolites pasini; Klinghardt, p. 39, figg. 10-11 nel testo. 1932 Radiolites pasinianus; Kuhn, p. 150 (cum syn.). Viene attribuita alla specie di Pirona una valva destra incompleta, a contorno subcircolare e leggermente erosa nella regione sifonale ; l’or¬ namentazione è a coste con spigolo arrotondato, interrotte, a intervalli più o meno ampi, da lame esterne rilevate e dirette verso l’alto ; bande sifonali a forma di coste robuste, subuguali, a spigolo arrotondato, se¬ parate da un solco largo, poco profondo ; cresta ligamentare corta e tozza. Distribuzione stratigrafica. — Questa specie è stata riconosciu¬ ta per la prima volta sul Colle di Medea (Friuli); per l’età dei calcari di questa località si veda a pag. 7. Provenienza. — Cava nei pressi di Mass.ia Airoldi, 4 Km circa a NNE di Ostuni (tav. I9I III NE « Villanova »). Loc. foss. n. IO (pro¬ babilmente (( Calcare di Altamura »). Età. — Probabilmente Turoniano. Genus Goryanovicia Polsak, 1967 Gorjanovicia martinensis Campobasso (Tav. IX, figg. la e Ib) 1972 Gorjanovicia martinensis; Campobasso, pp. 59-64; 2 tavv.; figg. 1, 2, 3 nel testo. 29 — 450 Due valve destre incomplete, raccolte nei dintorni di Ostuni, sono riferibili a questa specie. L’ornamentazione è a coste ben pronunciate, regolarmente distribuite e a spigolo acuto. La banda E si mostra abba¬ stanza rilevata e quasi piana ; ; la banda S, meno rilevata e poco più lar¬ ga della precedente, è percorsa longitudinalmente da due robuste costi- cine che, a luoghi, tendono a fondersi in un’uica costicina a spigolo ar¬ rotondato, L’interbanda, larga circa il doppio della banda S, è fornita di una costa mediana acuta. La cresta ligamentare, ben pronunciata, pre¬ senta l’estremità distale un po’ dilatata. Distribuzione stratigrafica. — Senoniano delle Murge. Provenienza. — Trincea della ferrovia tra Ostuni e Carovigno, a circa 500 m dalla stazione di Ostuni (tav. 191 111 NE « Villanova »). Loc. foss. n. 11 (probabilmente (c Calcare di Altamura »). Età. — Probabilmente Turoniano. Genus Durania DouvillÉ, 1908 Durania arnaudi runaensis ( Choffat) (Tav. II, fig. 2) 1891 Biradiolites runaensis; Choffat, p. 189, 214. 1900 Biradiolites runaensis; Choffat, p. 131. 1902 Biradiolites arnaudi var. runaensis; Choffat, p. 142, tav. Vili, figg. 1-8. 1904 Biradiolites runaensis; DouvillÈ, p. 175. 1909 Sauvagesia arnaudi var. runaensis; ToucAS, p. 93, tav. XVIII, figg- 6, 7, 7a. 1911 Durania runaensis; P ARON a p. 290. 1912 Durania runaensis; Parona, p. 15, tav. II, figg. 1-5. 1932 Durania runaensis; Kuhn, p. 108. Una valva destra, parzialmente inglobata nella roccia, presenta i seguenti caratteri : bande sifonali concave e subeguali ; banda S con qualche traccia di costicina ; interbanda costituita da una costa molto pronunciata e acuta ; ornamentazione a coste longitudinali acute, piutto¬ sto distanziate tra loro. Questi caratteri corrispondono bene a quelli de¬ scritti da Choffat (1902) per la D. arnaudi var. runaensis. Polsak (1967), in accordo con Choffat, ritiene che non vi siano elementi sufficienti per considerare la D. runaensis una specie distinta dalla — 451 — D. arnaudi, come invece ritengono DouvillÉ (1904), Parona (1911) e Kuhn (1932). La prima differisce dalla seconda essenzialmente per le bande sifonali lisce o fornite di qualche costicina, anzicchè essere fine¬ mente costicellate. Distribuzione stratigrafica. — Turoniano del Portogallo, della Francia meridionale e delF Appennino. Provenienza. — M.te la Guardia (Alberobello), nei pressi del pun¬ to di q. 417 (tav. 190 11 NO « Alberobello »). Loc. foss. n. 6 (a Calcare di Bari »). Età. — Turoniano. Genus Sauvagesia Bayle, 1887 Sauvagesia sharpei ( Bayle) 1857 Sphaerulites sharpei; Bayle, p. 690. 1891 Sauvagesia sharpei; DouvillÈ, p. 669, fig. 1. 1932 Sauvagesia sharpei; Kuhn, p. 166 (cum syn.). 1938 Sauvagesia sharpei; Montagne, p. 7. 1938 Sauvagesia sharpei; Voorwijk, p. 64, tav. 4, fig. 20. 1942 Sauvagesia sharpei; Rutgers, p, 35. 1942 Sauvagesia sharpei; Soest, p. 33. 1957 Sauvagesia sharpei; Pejovic, p, 93, tav. 32, figg. 1-4; tav. 33, figg. 1-2. 1957 Sauvagesia sharpei; Pasic, p. 118, tav. 15, fig. 3; tav. 29, fig. 1; tav. 33, fig. 2. 1964 Sauvagesia sharpei; Farinacci e Radoicic, p. 277. 1964 Sauvagesia sharpei; Torre, p. 77, tav. II, fig. 12; tav. Ili, fig. 1. 1967 Sauvagesia sharpei; Polsak, p. 85, tav. 46, figg. 1-5, fig. 24 nel testo. 1969 Sauvagesia sharpei; Polsak e Mamuzic, p. 230, 232. 1971 Sauvagesia sharpei; Carbone, Praturlon e Sirna, p. 150. È riferibile a questa specie, abbastanza nota, una valva destra in¬ completa a forma cilindro-conica ( diametro poco sotto la commessura cm 6 circa), parzialmente erosa e inglobata nella roccia. Le bande sifonali sono leggermente convesse e finemente costicellate ; la banda E è più larga della banda S ; Finterbanda è leggermente concava e per¬ corsa da costicine simili a quelle dell’ornamentazione. La cresta ligamen- tare è ben pronunciata, con l’estremità distale appuntita. Distribuzione stratigrafica. — Cenomaniano superiore dei Pi¬ renei, Provenza e probabilmente dell’Algeria. Turoniano del Portogallo — 452 — (Alcantara), Appennino, Albania. In Jugoslavia questa specie è stata riconosciuta nel Cenomaniano e Turoniano dell’Istria, nel Turoniano della Serbia e della Dalmazia, Cenomaniano dei Monti Prenestini (La¬ zio). In Puglia è nota in terreni di età turoniana nei dintorni di Bari (Torre, 1964), di Martina Franca, Ostuni e S. Cesarea (Zuffardi - COMERCI, 1930). Provenienza. — Nei pressi di Mass.ia Epicoco, al Km 5 circa del¬ la Strada provinciale Ceglie Messapico-Martina Franca (tav. 203 IV NO (( Ceglie Mesapico »). Loc. foss. n. 14 ( « Calcare di Bari »). Età. — Turoniano. Sauvagesia meneghiniana ( PiroNa) (Tav. IV, fig. 2) 1869 Sphaerulites meneghiniana ; Pirona, p. 14, tav. 1, figg. 1-12. 1909 Sauvagesia meneghiniana; Toucas, p. 90, tav. 17, figg. 9-13. 1967 Sauvagesia meneghiniana ; Polsak, p. 83 (cum sy/i.). Questa specie, già nota nel Friuli, Istria, Serbia e Dalmazia, viene ora riconosciuta fra le rudiste delle Murge ; essa è rappresentata da cin¬ que valve destre incomplete (prive generalmente della parte inferiore), a forma conica più o meno allungata e arcuata, sezione trasversa subcirco¬ lare e superficie esterna parzialmente erosa. L’ornamentazione è data da numerose piccole coste longitudinali a spigolo arrotondato ; le lamine esterne sono meglio espresse nella parte superiore delle valve e nella re¬ gione cardinale. La banda E è quasi piana, percorsa da costicine ; la banda S è più stretta della precedente e finemente costicellata ; l’interban- da è fornita di coste simili alle altre delFornamentazione. La cresta li- gamentare è chiaramente visibile in tutte le valve e si presenta ben svi¬ luppata, con estremità distale allargata e piana. La struttura della parete è a grandi celle poligonali. Distribuzione stratigrafica. — L’olotipo di questa specie pro¬ viene dal Colle di Medea nel Friuli (per l’età dei calcari di questa lo¬ calità si veda a pag. 7). Ben nota nel Cretaceo superiore dell’Istria, Dalmazia e Serbia, recentemente (Polsak, 1967) la specie è stata se- — 453 — gnalata in livelli del Santoniano-Campaniano inferiore dell’Istria meri¬ dionale. Provenienza. — Nei pressi della chiesetta di Balsente, 4 Km cir¬ ca a NO di Alberobello (tav. 190 III NE « Noci »). Loc. foss. n. 5 ( « Calcare di Altamura »). Età. — Senoniano. Eamilia HIPPURITIDAE Cray, 1848 Genus Hippurites Lamarck, 1801 Hippurites (Orbignya) socialis DouvillÉ (Tav. Ili, fig. I) 1890 Hippurites socialis; DouvillÉ, p. 324. 1891 Hippurites socialis; Toucas, p. 541, fig. 9 nel testo. 1893 Hippurites socialis; DouvillÉ, p. 74, tav. XII, figg. 1-4. 1903 Orbignya socialis; Toucas, p. 33, tav, III, figg. 1-2; figg. 50-53 nel testo. 1932 Hippurites (Orbignya) socialis; Kuhn, p., 66. 1937 Orbignya socialis; Senesse, p, 121, tav. VIII, fig. 2. 1962 Hippurites socialis; Sturani, p. 79, tav. VII, fig. 5; fig. 21/4 nel testo. 1964 Hippurites socialis; Farinacci e Radoicic, p. 278. 1964 Hippurites cf, socialis; Torre, p. 6, tav. I, fig. 1, fig. 2/1 nel testo. 1969 Hippurites (Orbignya) socialis; Polsak e Mamuzic, p. 233-234. Una valva destra, completamente isolata, mostrante i seguenti ca¬ ratteri : forma cilindro-conica, leggermente arcuata ; ornamentazione vi¬ sibile solo in alcune zone della superficie esterna risparmiate dall’ero¬ sione e costituita da deboli costicine arrotondate e da tre piccoli solchi corrispondenti ai due pilastri e alla cresta ligamentare ; primo pilastro S corto, arrotondato, con la base allargata ; secondo pilastro E poco più lungo e con la base più ristretta rispetto al primo ; cresta ligamentare con estremità distale acuta, simile a quella osservabile in due esemplari di questa specie figurati da Toucas (1903, p. 33, figg. 51-52). Distribuzione stratigrafica. — Santoniano inferiore della Spa¬ gna (Catalogna). Coniaciano e Santoniano della Francia meridionale e delle Alpi Marittime (massiccio dell’ Argenterà). Coniaciano, Santoniano- Campaniano inf. della Jugoslavia (Dinaridi esterne). In Puglia VH. so- — 454 — cialis è stato trovato nei dintorni di Altamura, in livelli calcarei riferiti al Turoniano sup. - Coniaciano (Torre, 1965). Provenienza. — Località Marinello, nei pressi del punto di quota 386 (tav. 190 II NE « Locorotondo »). Loc. foss. n. 8 (« Calcare di Altamura »). Età. — Turoniano superiore - Senoniano inferiore Hippurites ( Vaccinites) sulcatus De frange (Tav. X, fig. 2) 1892 Hippurites sulcatus; DouvillÉ, p. 43, tav. V, figg. 4-8; fig. 29 nel testo. 1895 Hippurites sulcatus; DouvillÉ, p, 159, tav. XXIII, figg. 1-3. 1897 Hippurites sulcatus; DouvillÉ, p. 207, tav. XXXll, figg. 3-6. 1899 Hippurites sulcatus; De Alessandri, p. 185, tav. II, fig. 6; tav. Ili, fig. 10. 1904 Vaccinites sulcatus; Toucas, p. 102, tav. XV, figg. l-3a; figg. 161-163 nel testo. 1926 Hippurites (Vaccinites) sulcatus; Parona, p. 17, tav. II, figg. 3a, b, 4. 1932 Hippurites (Vaccinites) sulcatus; Kuhn, p. 68. 1941 Hippurites (Vaccinites) sulcatus; Montagne, p. 62, tav. IV, fig. 5. 1957 Hippurites (Vaccinites) sulcatus; Pasic, p. 130, tav. XXXIII, fig. 1. 1959 Hippurites (Vaccinites) sulcatus; Polsak, p. 63, tav. 3, fig. 4; tav. 4, fig. 1. 1960 Hippurites (Vaccinites) sulcatus; Milovanovic, p. 367. 1960 Hippurites (Vaccinites) sulcatus; D. Lupu e M. LuPU, p. 244, tav. 2, figg. 34, 35, 36; fig. 7 nel testo. 1960 Hippurites (Vaccinites) sulcatus; Plenicar, p. 69, figg. 23-26 nel testo. 1963 Hippurites (Vaccinites) sulcatus; Polsak, p. 443, fig. 3 nel testo. 1967 Hippurites sulcatus; Polsak, p. 124, tav. 79, fig. 2. Un esemplare di valva destra, parzialmente inglobata nella roccia, mostra chiaramente i caratteri di questa specie, abbastanza conosciuta. La cresta ligamentare è spessa, con l’estremità distale incurvata dal lato opposto al primo pilastro ; questo è corto, tozzo e arrotondato. Il secon¬ do pilastro si presenta allungato, più lungo della cresta ligamentare, con peduncolo ispessito come in alcuni esemplari della stessa specie prove¬ nienti dalla Slovenia (Plenicar, 1960). L’intervallo L-E è circa 1/4 dell’intero contorno della valva. Distribuzione stratigrafica. — Santoniano sup. - Campaniano inf. della Francia ( Corbières, Mont de Comes), Alpi orientali ( Gosau, Untersberg ecc.), Ungheria (Nagybarod); Santoniano e Coniaciano della — 455 — Slovenia; Santoniano-Campaniano inferiore delFIstria meridionale; ecc.. Questa specie viene segnalata per la prima volta in Puglia. Pkovenienza. — Trincea della strada presso la chiesetta di S. 0- ronzo, 3 Km circa ad ovest di Ostuni (tav. 191 III SO « Casalini »). Loc. foss. n. 13 (« Calcare di Altamura »). Età. — Senoniano. BIBLIOGRAFIA Alessandri G. de, 1898 - Fossili cretacei della Lombardia. Paleontograph. ItaL, 4, pp. 169-202, tavv. XIV-XVI, Pisa. Astke G., 1929 - La faune de Radiolitidés de Fortanete. BulL Soc. Géol. 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Uff. geol., 55, n. 7, pp. 1-35, tavv. 5, Roma. Licenziato alle stampe il 4 dicembre 1972 TAVOLA I Fig. 1. — Plagioptychus sp. - X0,9 : sezione trasversale della valva sinistra. Mass.ia d’Agnano (Ostuni). Fig. 2. — Eoradiolites colubrinus Parona - X3 : sezione trasversale della valva de¬ stra. Mass.ia Epicoco ( Ceglie Messapico). Boll. Soc, Natur. in Napoli, 1972. Campobasso V. - Rudiste del Cretaceo superiore, ecc, Tav. I. TAVOLA II Fig. 1. — Eoradiolites cf. liratus (Conrad) - XI: agglomerato di valve destre vi¬ ste dall’alto. Mass.ia Epicoco ( Coglie Messapico). Fig. 2. — Durania arnaudi runaensis (Choffat) - X2 : sezione trasversale della val¬ va destra. Monte la Guardia (Alberobello). Boll. Soc. Natur. in Napoli 1972. Campobasso V. - Rudiste del Cretaceo superiore, ecc. Tav. IL TAVOLA III Fig. I. — Hippurites (Orbignya) socialis DouvillÉ - X 3,5 : sezione trasversale della valva destra. Loc. Marinello ( Cisternino). Fig. 2. — Biradiolites angulosus d’ORBiGNY - X 3 ; gruppo di valve destre di gio¬ vani esemplari. Loc. Marinello (Cisternino). Fig. 3. — Biradiolites monopterus (Pirona) - X2: valva destra vista dal lato della banda sifonale anteriore. Cava nei pressi di Mass.ia Airoldi (Ostuni). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972. Campobasso V. - Rudiste del Cretaceo superiore, ecc. Tav, III. TAVOLA IV Fig. 1. — Distef alleila lombricalis (cI’Orb.) - XI: gruppo di esemplari rappresen¬ tati da valve destre ; un esemplare è fornito delle due valve. Mass.ia Crocifisso (Polignano a mare). Fig. 2. — Sauvagesia meneghiniana (Pirona) - X 2,3 : sezione trasversale della val¬ va destra vista dalFalto, Loc. Balsente, nei dintorni di Alberobello. Boll. Soc. Natur. in Napoli 1972. Campobasso V. ■ Rudiste del Cretaceo superiore, ecc. Tav. IV. TAVOLA V Figg. la, Ib. — Biradiolites dainellii Parona - la) Xl,5: valva destra vista dalla regione sifonale. Ib) X 2 : la stessa valva vista daU’alto. Mass.ia la Pecorona (Monopoli). BolL Soc. Natur. in Napoli, 1972. Campobasso V. - Rudiste del Cretaceo superiore, ecc. Tav. V. TAVOLA VI Fig. 1. — Gruppo di valve destre di Distefanella Parona - X 0,8 - Mass.ia d’Agna- no ( Ostuni). Figo 2. — Lo stesso campione di roccia della fig. 1 con particolare ingrandito; la freccia indica una valva destra di Distefanella cf. hassanii (Parona) - X2,7. Boll. Soc. Natur. in Napoli 1972. Campobas.so V. - Rudiste del Cretaceo superiore^ ecc. Tav. VI. TAVOLA VII Fig. 1. — Eoradiolites fascicularis (Pironai - Xl,5: esemplare con le due valve. Loc. Marinello ( Cisternino). Fig. 2. — Radiolites pasinianus (Pirona) - Xl,2: valva destra vista dall’alto. Cava presso Mass.ia Airoldi (Ostuni). Fig. 3. — Biradiolites angulosissimus Toucas - Xl,4'. sezione trasversale della valva destra. Loc. Marinello (Cisternino). Fig. 4. — Radiolites cremai Parona - X 1 : valva destra mostrante le due bande sifonali. Loc. Marinello (Cisternino), Boll. Soc, Natur, in Napoli, 1972, Campobasso V. - Rudiste del Cretaceo superiore, ecc. Tav. VII. Fig. 1. Fig. 2. TAVOLA Vili — Radiolites spinulatus Parona - X 3 : sezione trasversale della valva de¬ stra, Presso Cas.na Perrini (Fasano). — Radiolites angeiodes (Lapeirouse) - X 3,8 : valva destra vista dal basso. Ceglie Messapico. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972. Campobasso V. - Rudiste del Cretaceo superiore, ecc. Tav. Vili. TAVOLA IX Figg. la, Ib. — Gorjanovicia martinensis Campobasso - la) Xl,3: valva destra, parzialmente inglobata nella roccia, mostrante le due bande sifo- nali ; Ib) la stessa vista dalla regione anteriore. Trincea ferroviaria presso la Stazione di Ostuni. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1972. Campobasso V. - Rudiste del Cretaceo superiore, ecc. Tav. IX, Fig. 1. Fig. 2. TAVOLA X — Bournonia sp. - X 1,7 : gruppo di valve destre in sezioni trasversali e oblique messe in evidenza dell’erosione. Monte Scotano (Villa Castelli). — Hippurites (Vaccinitesj sulcatus Defrance ■ X2: valva destra osservata dall’alto. S. Oronzo ( Ostuni). Boll. Soc. Natiir. in Napoli. 1972. Campoba.s.so V. - Rudiste del Cretaceo superiore, ecc. Tav. X. Boll. Soc. Natur. in Napoli voi 81, 1972, pp. 461-484. L'Istituto di Geologia dell'Università di Napoli: Attività scientifica e didattica Nota del socio FELICE IPPOLITO (Tornata del 22 dicembre 1972) 1. — Deiristituto di Geologia delFUniversità di Napoli, dalla sua istituzione con decreto del dittatore Garibaldi dell’ottobre 1860, tracciò nel 1927 una esauriente storia Geremia D’Erasmo (1), allora incari¬ cato di Paleontologia. Non è mia intenzione ripetere quanto già egre¬ giamente scritto dal D’Erasmo sulle vicende storiche del nostro Istitu¬ to, ma solo, in occasione della fusione di esso con l’Istituto di Fisica Terrestre, dal 1° novembre 1972, con la denominazione di Istituto di Geologia e Geofisica, delincarne rapidamente le vicende da quell’epoca ed in particolare accennare all’attuale attività didattica e scientifica che in esso si svolge. L’Istituto si denominò di Geologia, Geografia Fisica e Paleontologia fino al 1936, benché la Paleontologia fosse amministrativamente sepa¬ rata in istituto autonomo. Esso fu diretto dal 1925 al 1941 da Giuseppe De Lorenzo, che in quell’anno fu colpito dai limiti di età ; quindi dal 1941 al 1957 da Geremia D’Erasmo. Insegnarono in tale periodo: Giuseppe De Lorenzo, quale ordina¬ rio, la Geologia dal 1925 al 1941, e quale incaricato la Geografia fisica; Geremia D’Erasmo la Paleontologia, quale incaricato dapprima e poi (dal 1931) come ordinario fino al 1941, allorché sostituì De Lorenzo nella cattedra di Geologia, che occupò fino al 1957, mentre tenne anche, sempre fino al 1957, la Paleontologia per incarico. Nel 1957, raggiunto a sua volta il D’Erasmo dai limiti di età, la direzione dell’Istituto fu tenuta per incarico per due anni accademici da Antonio Lazzari, finché la Facoltà di Scienze copri per chiamata la (1) C£r. G. D’Erasmo, Ulstituto di Geologia, Geografia Fisica e Paleontologia della R. Università di Napoli (con 5 figg. e 7 tavv.); Napoli, Tp. G. De Giorgio, 1927. — 462 — cattedra di Geologia nel 1959 con Francesco Scarsella, che l’ha occu¬ pata, tenendo contemporaneamente la direzione dell’Istituto, fino al 31 ottobre 1969. Nel corso del 1969 la Facoltà di Scienze chiamò a coprire la cat¬ tedra di Geologia chi scrive questa nota, il quale assunse l’incarico di insegnamento della Geologia e la direzione dell’Istituto il 1® dicembre 1969 e fu reintegrato nei ruoli quale ordinario di Geologia col 1® no¬ vembre 1970 (2). Nel frattempo l’Istituto di Paleontologia, con annesso Museo, già autonomo amministrativamente, si era distaccato da quello di Geologia nel 1964 allorché alla cattedra di tale materia venne dalla Facoltà chia¬ mata A. M. Maccagno. 2. — L’attività dell’Istituto continuò nelle linee tracciate da De Lorenzo e D’Erasmo, e illustrate nella pubblicazione avanti citata, fino al 1960, allorché con l’arrivo di Scarsella fu rivolta prevalentemente al rilevamento della Carta geologica d’Italia, secondo le disposizioni della legge 2 febbraio 1960, n. 68. I ricercatori delFIstituto o i rilevato¬ ri a contratto del Servizio geologico, operanti nell’Istituto stesso, tutti sotto la direzione di F. Scarsella, hanno preceduto al rilevamento ex novo in tutto o in parte dei fogli, in scala 1 : 100.000, 124 (Macerata), 161 (Isernia), 197 (Amalfi), 172 (Caserta), 185 (Salerno), 199 (Poten¬ za), 209 (Vallo della Lucania), 210 (Lauria), 221 ( Castrovillari), pub¬ blicati tra il 1965 e il 1971 (3). Fu in questo periodo decennale che l’attività di ricerca venne gra¬ dualmente assumendo l’attuale fisionomia, ad opera di un folto gruppo di giovani ricercatori, allievi dello Scarsella, cui si deve un rinnovato impulso alle ricerche sulla geologia dell’ Appennino meridionale. Meglio di qualunque breve relazione vale sfogliare l’elenco delle pubblicazioni, riportato in appendice alla presente nota, per rendersi conto di questa attività. Abbandonate le ricerche svolte nell’ambito della gloriosa, ma ormai superata tradizione delorenziana, che D’Erasmo e poi Lazzari avevano tenuta amorosamente in vita fino al 1960, l’attività dei ricercatori del- (2) Dai ruoli del Ministero della P.I., ove era entrato come titolare di Geologia applicata presso la Facoltà di Ingegneria di Napoli il 1° dicembre 1950, chi scrive si era dimesso nel febbraio 1963. (3) Essi sono; Bonardi G., Cocco E., D’Argenio B., Gozzetta G., Ietto A., Pescatore T, S., Scandone P., Sgrosso L, Torre M., Vallario A., ai quali vanno aggiunti gli analisti paleontologi De Castro P. e De Capo a P. — 463 — l’Istituto fu rivolta da un canto ad un riesame critico della struttura geologica dell’Appennino meridionale, alla luce delle più recenti vedute sulla geologia tettonica delle catene di tipo alpino, dall’altro ad un ri¬ esame, con metodi e con mentalità rinnovati, delle serie stratigrafiche. Da questo assieme di ricerche — che fanno capo segnatamente ai lavori di B. D’Argenio, T. S. Pescatore e P. Scandone — e che hanno avuto in questi ultimi due anni nuovo impulso, emerge oggimai una vi¬ sione sintetica globalmente nuova, del tutto diversa dalla concezione autoctonistica classica, della geologia dell’Appennino meridionale, che come tutte le catene di tipo alpino viene oggi interpretata come un edi¬ ficio tettonico a coltri di ricoprimento, che hanno preso posizione in una serie di fasi tettoniche neogeniche, culminanti nel generale sollevamen¬ to pliopleistocenico tuttora in corso. Gli aspetti conclusivi di tale visione sono esposti frammentariamen¬ te in molte delle pubblicazioni elencate in appendice alla presente nota, tra le quali mi pare opportuno qui ricordare i lavori sulla sedimenta¬ zione miocenica di T. S. Pescatore e collaboratori, i lavori di B. D’Ar- GENio e collaboratori sulle piattaforme carbonatiche e sull’individuazio¬ ne, unitamente a P. Scandone, dell’esistenza di due piattaforme, e la monografia e la carta geologica, con relative note illustrative, della serie calcareo-silico-marnosa lucana di P. Scandone. Un primo tentativo di sintesi è nell’esposizione che B. D’Argenio, anche a nome di T. S. Pescatore e P. Scandone, ha fatto al Convegno sulla geologia dell’Appennino, indetto dalla Accademia nazionale dei Lin¬ cei nello scorso febbraio (pubb. n. 280) e nella collaborazione che l’I¬ stituto ha dato, per le aree di sua competenza, alla nuova carta strutturale d’Italia alla scala I : 1.000.000 in corso di stampa a cura del Consi¬ glio nazionale delle ricerche. 3. — L’attuale attività scientifica dell’Istituto, che si svolge sotto la direzione del sottoscritto, è articolata in vari gruppi di ricerca ed in vari programmi. a) Gruppo di ricerca sui sedimenti carbonatici. Questo gruppo, di cui è responsabile il prof. B. D’Argenio, ha rivolto la propria attività, in ordine cronologico e logico, dapprima alla ricostruzione delle successioni stratigrafiche, poi all’analisi delle facies in senso attualistico ( ambientale-paleocologico) e infine alla comprensio¬ ne degli aspetti petrografici più particolari sempre in funzione dell’ana- — 464 — lisi delle facies quale strumento fondamentale per la ricostruzione del¬ l’assetto paleogeografico e strutturale delle zone esterne appenniniche. In questi ultimi anni si è inoltre dato l’avvio a un programma di ricerche comparative, anche in collaborazione con R. Radoicic del Ser¬ vizio geologico jugoslavo tra i sedimenti costituenti i grandi corpi car- bonatici, che formano tanta parte dell’edificio appenninico (piattaforme carbonatiche), con i loro equivalenti delle dinaridi. Nel prossimo futu¬ ro queste ricerche saranno estese alla Sicilia, pur senza tralasciare lo studio di altri aspetti della problematica connessa con i carbonati (dia¬ genesi precoce, relazioni tra ambiente deposizionale e diagenetico con la permeabilità, etc.) per la sua importanza — ben riconosciuta fuori d’I¬ talia — in campi di interesse anche pratico, quali la giacimentologia, l’idrogeologia e la geologia degli idrocarburi. Al gruppo, che si avvale di un laboratorio rocce carbonatiche, collaborano, oltre B. D’Argenio, &. Carannante, L. Sagristani, I. Sgrosso, L. Simone. Sono attinenti, in tutto o in parte, all’attività di questo gruppo i lavori riportati in ap¬ pendice ai nn. 127, 132, 134, 138, 192, 201, 203, 212, 213, 237, 243, 260, 264. Il gruppo si è avvalso della collaborazione, quale visiting professor, nel 1969-70 del prof. A, Fisher deH’Università di Princeton ed ospita attualmente, nella stessa veste, il prof. R. G. C. Bathurst dell’Universi¬ tà di Liverpool. b) Gruppo di ricerca sui flysch e sui litorali. Le ricerche svolte negli ultimi anni da questo gruppo, di cui è re¬ sponsabile il prof. T, S. Pescatore, hanno consentito di tracciare un primo ampio quadro della sedimentazione e della tettonica nei bacini miocenici terrigeni dell’Appennino meridionale ( vedi in appendice i lavori nn. 240, 247). Attualmente gli studi hanno come obbiettivo la dettagliata defini¬ zione delle lito-biofacies di detti bacini, mediante analisi petrografiche, biostratigrafiche e sequenziali delle varie successioni. Per una migliore conoscenza dell’origine e dell’evoluzione dei baeini miocenici sono in corso ricerche sia sulle cosiddette « argille variegate » o « argille varico¬ lori », sia sulle facies calcareo-marnose che chiudono la successione delle unità lagonegresi. Nel quadro delle ricerche sui sedimenti terrigeni e sui loro rapporti con le piattaforme carbonatiche è in fase di avanzata esecuzione uno studio biostratigrafico delle successioni arenaceo-marnose mioceniche depostesi nel bacino intermedio ( bacino irpino) durante — 465 — il ciclo di sedimentazione Langhiano-Tortoniano. L analisi delle caratte¬ ristiche biostratigrafiche e la datazione dei terreni sono fondamentali per una esatta ricostruzione della evoluzione delle facies nel periodo di esistenza del bacino. Collaborano con T, S. Pescatore, E. Graverò, E. Cocco, F. Or¬ tolani, M. Torre, I. Sgrosso. Inquadrato nel programma del CNR sullo studio dei litorali, lo stesso gruppo ha da qualche tempo iniziato ricerche sui litorali (vedi pubbL n. 246) che da pochi mesi sono sistematicamente impostate sui litorali dell’alto Jonio, tra capo Spulico e punta Rondinella. Queste ri¬ cerche sono effettuate in collaborazione con gli istituti di Idraulica del- rUniversità di Napoli, di Paleontologia delPUniversità di Modena, di Mineralogia e Petrografia dell’Università di Parma e di Geologia del¬ l’Università di Catania. Il programma prevede una attività almeno quin¬ quennale al fine di definire le condizioni attuali dei litorali, localizzando aree in erosione e aree in accrescimento, nonché per individuare le cau¬ se di tali fenomeni. Collaborano a queste ricerche, oltre a T. S. Pescatore, L. Bran¬ caccio, B. Cafiero, e. Graverò, E. Cocco. Il gruppo dispone di un attrezzato laboratorio di sedimentologia. c) Gruppo di ricerca sulla geologia della catena costiera calahra. Questo gruppo, inizialmente fuso con il seguente, è stato di recen¬ te separato operativamente da quello e posto sotto la diretta responsabi¬ lità di chi scrive coadiuvato da G. Bonardi e da P. Scandone. Esso nella sua attività si riattacca direttamente agli studi degli altri gruppi nell’Appennino meridionale e in particolare alle ricerche compiute ne¬ gli scorsi anni da P. Scandone (vedi pubbl. nn. 209, 273). Pertanto queste attività di ricerca, come quella del gruppo d), pro¬ seguono verso sud, cioè oltre la linea di Sangineto, gli studi, tanto più avanzati già in corso nelle regioni più a settentrione. Esse d’altronde si riallacciano alle ricerche iniziate da chi scrive (e di poi sospese) negli anni 1948-59 (4). (4) Vedi di Ippolito F., Contributo alle conoscenze geologiche sulla Calabria; Mem. e note Ist. Geologia appi. Univ. di Napoli; voi. II, 1949; ild. Centro studi silani: attività svolta nel 1948-49 (La rie. scient., 1949) e attività svolta nel 1949-50 e 1950-51 (ibidem, 1951); id. Contributo alle conoscenze geologiche suU’Italia meridionale; Atti XLII Riunione SIPS (1949); Roma, 1950. 30 — 466 — Nella Catena Costiera calabra, a sud della linea di Sangineto, sono state riconosciute, dal basso in alto, le seguenti unità tettoniche : unità basale filladicocarbonatica ( Mesozoico) ; flysch a quarziti ; I unità ofio- litica (Mesozoico?); II unità ofiolitica ( Giurassico-Cretacico inf.?); uni¬ tà dioritico-kinzigitica ( Archeozoico?, Paleozoico?), La II unità ofiolitica a Sud di Guardia Piemontese scompare e nella stessa posizione geome¬ trica si rinviene una unità fìlladica (Paleozoico?) comprendente i cosid¬ detti (( scisti di Paola ». Le ricerche in Catena Costiera sono orientate, oltre che ovviamen¬ te alla verifica di quanto nella ricostruzione teste accennata è ipotesi di lavoro, verso una più approfondita conoscenza stratigrafica delle singole unità ed a chiarirne, col confronto con altre aree appenniniche, la posi¬ zione paleogeografica. Pertanto P. Scandone e D. Dietrich proseguono lo studio delle unità ofiolitiche (gruppo d), G. Bonardi, V. Perrone, L Sgrosso e A. ZuPPETTA hanno intrapreso lo studio dell’unità f diadico - carbonatica basale; G. Bonardi, V. Perrone e A. Zuppetta quello dell’unità f diadica degli a scisti di Paola » e, 1. Sgrosso, delle finestre tettoniche. L’unità basale, autoctono relativo, affiora nelle finestre tettoniche di Cetraro (filladi-calcaree ed evaporiti-calcaree con selce); delle Terme Luigiane (calcari con selce); del M. Cocuzze (dolomie e calcari); di Coreca (dolomie). Le ricerche in corso tendono, con l’analisi stratigra¬ fica e delle facies, a correlare tra loro le successioni affioranti nelle varie finestre e confrontarle e possibilmente correlarle con le successioni car- bonatiche affioranti a nord della linea di Sangineto, portando così un contributo sostanziale alla comprensione del ruolo di questa linea tet¬ tonica. Si potrà in seguito estendere lo studio alle successioni carbo- natiche affioranti lungo la linea Decollatura-Martirano-Conflenti, nell’in¬ tento di individuarne la posizione geometrica, oltre che correlarle alle altre. L’unità filladica degli « scisti di Paola » affiora estesamente in Ca¬ tena Costiera a sud di Guardia Piemontese e in Sila (scisti bianchi p.p.). Le ricerche in corso tendono ad approfondire la conoscenza stratigrafica dell’unità, a precisarne l’età, a chiarirne la posizione geometrica ed in particolare i rapporti con la I unità ofiolitica. Questo studio contribuirà ad ampliare le conoscenze sulle unità interne appenniniche, che sono al momento molto limitate. Il gruppo si è avvalso della consulenza del prof. P. Bearth, visi- ting professor a Napoli nello scorso anno ed ha in programma una stret¬ ta collaborazione con l’Istituto di Petrografia dell’Università di Bari. — 467 — d) Gruppo di ricerca sulle unità ofìolitiche delV Appennino meridionale. Come si è accennato, nel corso delle ricerche svolte negli ultimi anni nell’Appennino meridionale, è stato anche affrontato lo studio si¬ stematico delle rocce basiche e ultrabasiche e delle unità stratigrafico- strutturali che le contengono, sulla cui necessità chi scrive aveva insi¬ stito fin dal 1956 (5). Infatti è impossibile giungere ad un accettabile quadro geologico di assieme della regione senza affrontare tale studio. Una prima ricerca ha già puntualizzato l’esistenza, durante l’evo¬ luzione alpina dell’area sud-appenninica, di fasi magmatiche diverse per età e significato e nel contempo ha posto in evidenza che, a differenza delle unità « esterne », le unità « interne » dell’ Appennino meridionale, e segnatamente quelle ofiolitiche, sono molto mal definite onde è impos¬ sibile per il momento prospettarne uno schema paleogeografico (pubb. n. 274). L’attività di questo gruppo, pertanto, ha in programma di pro¬ seguire le ricerche stratigrafiche e strutturali sulle unità ofiolitiche del- l’Appennino meridionale e sulle fasi magmatiche, di grande interesse geodinamico, giurassica e triassica di tutto il Mediterraneo centro-orien¬ tale (Italia, Jugoslavia, Grecia). Il gruppo, di cui è responsabile P. Scandone, si avvale nell’opera di G. Bonardi, D. Dietrich (borsista dell’Università di Zurigo), V. Zamparelli e A. Zuppetta, e ha in programma anch’esso una concre¬ ta collaborazione con l’Istituto di Petrografia dell’Università di Bari. e) Laboratorio di Biostratigrafia. Il laboratorio di bio-stratigrafia, di cui è responsabile M. Torre (ri¬ cercatore-capo del CNR), oltre che il lavoro di appoggio di sua compe¬ tenza a tutti i gruppi avanti elencati, ha in fase di avanzato svolgimento anche un programma autonomo di studio sulla stratigrafia dei terreni terziari delle coperture sedimentarie del cristallino della Calabria, che si propone di giungere ad una migliore comprensione dei rapporti in¬ tercorrenti tra unità cristalline e depositi molassici della Catena Costie¬ ra calabra mediante l’analisi biostratigrafica dei terreni sinorogeni e postorogeni e la datazione delle fasi tettoniche alpine. L’importanza di queste ricerche consiste in ultima analisi nella possibilità di fissare nel tempo le fasi principali della costruzione dell’e- (5) Ippolito F. e Lucini P., Il fb 3ch nell’ Appennino meridionale; Boll. soc. geol. it. ; Voi. LXXV, 1956; ora anche ne voi. Saggi e studi di Geologia, Venezia, 1962 (c£r. pag. 141). — 468 — dificio a falde di questa parte della Calabria, nonché l’inizio del solle¬ vamento della catena. Un primo contributo a questi problemi è dato da un lavoro riguardante i terreni miocenici affioranti nella zona compre¬ sa tra Diamante, Bonifati e S. Agata d’Esaro (V. Perrone, M. Torre. A. ZuPPETTA, in corso di pubblicazione). Attualmente le ricerche sono state estese ai depositi miocenici dei dintorni di Amantea, dove è stato riconosciuto il più ampio bacino miocenico della Catena Costiera ; gli studi in corso tendono a stabilire delle correlazioni tra questi affioramenti e le successioni già studiate. Si aggiungono inoltre studi sul nannoplancton calcareo del Meso¬ zoico e del Terziario di varie località meridionali. Collaborano a tali ricerche, oltre a M. Torre, S. Di Nocera. M. Russo e V. Zamparelli. f) Gruppo di ricerca sulla geologia applicata. Già da qualche anno nelTambito dell’Istituto di Geologia della Università di Napoli opera un gruppo di ricercatori che si interessa a problemi applicativi e di cui è responsabile A. Vallario. Negli anni precedenti sono stati affrontati temi di ricerca quali le caratteristiche idrogeologiche di alcuni massicci calcarei dell’Appennino campano, lo stu¬ dio della evoluzione e stabilità dei versanti in alcune aree particolar¬ mente franose e l’analisi geomorfica quantitativa dei reticoli fluviali. Alcune di queste ricerche sono state condotte in collaborazione con studiosi di altri Istituti dell’Università di Napoli. Questi temi di ricerca hanno richiesto la stretta collaborazione di competenze spe¬ cifiche diverse, nel campo della geomorfologia e della geologia applica¬ ta, che sono confluite allo scopo di meglio interpretare le tendenze evo¬ lutive del paesaggio nelle sue linee generali e nei suoi aspetti parti¬ colari. Dei temi di ricerca finora sviluppati particolare importanza si annette alla evoluzione geomorfologica, condizionata in notevole misu¬ ra dalla franosità. Anche l’analisi geomorfica quantitativa si è rilevata preziosa in quanto è bene evidente che franosità e gerarchizzazione sono fattori contrastanti tra loro e che consentono di valutare in quale misura la franosità ha influito sulla evoluzione di un bacino, I risultati acquisiti, con gli studi geomorfico-quantitativi e della franosità effettuato negli anni precedenti nel bacino dell’Alento (Cilen¬ to), mostrano che attraverso il confronto di alcuni parametri (densità di drenaggio, gradiente di pendio, ecc.) si possono avere utili informazioni 469 — sulla potenziale franosità di alcune aree. Analogo studio è stato condot¬ to nel Beneventano in un’area ad oriente del Taburno e del Partenio ; qui è stata effettuata una dettagliata analisi geomorfologica successiva¬ mente correlata con le frane attuali e recenti per giungere alla previsio¬ ne della franosità per singoli complessi litostratigrafici e per aree di af¬ fioramento. Le ricerche di geologia applicata ora descritte sono state svolte av¬ valendosi ovviamente anche della collaborazione di tutti i gruppi di studio già elencati, per le zone di reciproca competenza. Attualmente si prevede una ulteriore espansione di questa attività avvalendosi della collaborazione e dei mezzi dell’Istituto per le ricerche sulle acque del CNR (IRSA) e dell’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica dell’Italia meridionale (IRPI). Collaborano a questo gruppo, oltre a A. Vallario, L. Brancaccio, M. Guida, G. Iaccarino, G. B. De Medici, nonché M. Civita (ricer¬ catore del CNR presso l’Istituto di Geologia applicata della Facoltà di Ingegneria) e R. De Riso (assistente ordinario presso lo stesso Istituto). g) Altre ricerche in corso. Ricerche in corso, non inquadrate formalmente nell’attività dei gruppi sopra elencati, sono svolte da G. Gozzetta, nel campo della geo¬ logia strutturale e della stabilità dei versanti; da A. Ietto nel vasto settore della geologia tecnica e della idrogeologia della regione calabrese (vedi pubbl. n. 249), nonché sulla geologia del Matese (pubbl. n. 258) e sui caratteri strutturali del flysch del Cilento (pubbl. n. 262); da B. D’Argenio e M. Boni, nel campo dei depositi di bauxite (vedi pubbl. nn. 238, 284). Inoltre chi scrive ha pubblicato alcuni studi eseguiti anni addie¬ tro (pubblicazioni nn. 236, 259), si é occupato di vari aspetti del proble¬ ma della protezione del suolo (pubbl. n. 261) e della geologia ambien¬ tale (pubbl. n. 271) ed ha ripreso in esame talune ricerche di idrocar¬ buri eseguite negli anni ’50 nelle zone litoranee tirreniche, inquadran¬ done i risultati nell’attuale concezione della struttura dell’Appennino meridionale. Al lavoro, già pubblicato in collaborazione con I. Sgrosso, sulle ricerche svolte nell’area litorale del Lazio (pubbl. n. 272), si ag¬ giungono quelli in corso (in collaborazione con F. Ortolani e M. Russo) sulle ricerche eseguite nel litorale campano e (in collaborazio¬ ne con F. Ortolani e S. Dì Nocera) in Irpinia. Inoltre L. M. De Sta s io ha messo a punto l’aggiornamento al — 470 — 1972 della bibliografia geologica della Calabria già pubblicata da chi scrive (6), in corso di stampa, mentre T. De Cunzo e A. Tavernier hanno continuato ricerche di palinologia. 4. — L’aumentato numero di studenti, a causa delle vigenti dispo¬ sizioni di liberalizzazione e la necessità di disporre di insegnamenti sempre più differenziati per il corso di laurea in scienze geologiche han fatto sì che attualmente sono impartiti presso l’Istituto ben 20 corsi ufficiali d’insegnamento e precisamente ; ( 7) a) per la laurea in scienze geologiche : Geologia: prof. Felice Ippolito; Esercizi di geologia: dr. Laura M. De Stasio ; Geografia (2 corsi paralleli): dr. Glauco Bonardi, dott.ssa Paola De Capoa-Bonardi ; Geografia fisica : prof. Antonio Lazzari ; Geologia applicata: prof. Antonio Vallario; Geologia stratigrafica : prof. Antonino Ietto ; Geologia strutturale : dr. Giuseppe Guzzetta ; Geologia degli idrocarburi : prof. Emiliano Mutti ; Giacimenti minerari: prof. Felice Ippolito; Geologia regionale: dr. Valeria Zamparelli-Torre ; Geologia dell’ Appennino : dr. Mario Torre; Idrogeologia : dr. Massimo Civita ; Rilevamento geologico: prof. Italo Sgrosso; Sedimentologia: dr. Ennio Cocco. b) per la laurea in scienze naturali : Geografia (2 corsi paralleli): prof. Ugo Moncharmont e dott.ssa Teresa De Cunzo ; Geologia (2 corsi paralleli): prof. Tullio S. Pescatore e prof. Pao¬ lo SCANDONE ; Geografia fisica: dr. Ludovico Brancaccio. (6) Cfr. Ippolito F., Bibliografia geologica d’Italia; voi. IV Calabria. CNR; Roma, 1959. (7) Si dà il nominativo dei docenti per l’anno accademico 1972-73 delle sole ma¬ terie afferenti fino al 31 ottobre 1972 all’Istituto di Geologia. Occorre però ricordare che, nell’Istituto unificato di Geologia e Geofisica, le materie d’insegnamento ascen¬ dono in totale a 32. — 471 — c) per la laurea in Scienze fisiche : Geologia: prof. Bruno D’Argenio. Sono assistenti di ruolo i citati: B. D’Argenio, T. S. Pescatore, P. ScANDONE, A. Vallario, I. SGROSSO, L. Brancaccio, T. De Cunzo. Oltre il sopra elencato personale, lavorano presso l’Istituto, in qualità di borsisti del Ministero P.L o del C.N.R., i dottori: Maria Boni; Ga¬ briele Carannante ; Ernesto Graverò; Silvio Di Nocera; Mattia Gui¬ da ; Gianmaria Iaccarino ; Franco Ortolani ; Vincenzo Perrone ; Ma¬ ria Russo; Lucia Simone ; Agostino Zuppetta, e quali liberi ricerca¬ tori, non retribuiti : Bruna Cafiero ; Luisa De Martini ; G. Battista De Medici ; Luisa Sagristani. 5. — Nel quadro di una problematica così vasta e ad integrazione dei corsi di lezione dal 1970 sono stati organizzati, mediante invito a studiosi italiani e stranieri, vari seminari. Dò qui di seguito un elenco dei più importanti, senza far parola dei seminari interni, cioè svolti dal¬ lo stesso personale dell’Istituto. Nel 1970: prof. Maria Bianca Cita-Sironi, deH’Università di Milano, sul te¬ ma (( Risultati geologici del progetto deep-sea-drilling » ; prof. Alfred G. Fischer, deU’Università di Princeton, sul tema a De¬ riva della crosta terrestre e orogenesi » ; prof. Giorgio Marinelli, dell’Università di Pisa, sul tema « Si¬ stema di fratture della Rift Valley e della Dancalia e fenomeni mag¬ matici connessi ; dr. Ernesto Sarpi, dell’Atlantic Richfield Co., sul tema a Geologia della catena delle Chugac Mountains in Alaska ». Nel 1971: dr. Branislav CiRiC, dell’Istituto geomagnetico di Belgrado, sul te¬ ma (( Correlazioni tra fasi tettogenetiche e magmatiche alpine nelle Di¬ naridi » ; prof. Dimitry Andrusov, dell’Accademia cecoslovacca delle scien¬ ze, sul tema a Geologia dei Carpazi e correlazione tra arco carpatico e altri edifici alpini » ; — 472 — prof. Franco Tonani, dell’Università di Palermo, sul tema « Nuo¬ va interpretazione dei fenomeni idrotermali ; prof. Stanislaw Dzulynski, deU’Accademia delle scienze di Polo¬ nia, sul tema « Riproduzione di strutture sedimentarie su modelli » ; prof. Giuliano Se s tini, sul tema « Ricerche di oro in Sud Africa )>. Nel 1972: prof. Giovanni Barla, del Politecnico di Torino, sul tema « Meto¬ di di misura dello stato di tensione in corpi rocciosi » ; prof. Gyorgy Bardossy, dell’Accademia Ungherese delle Scienze, sul tema « Recenti vedute sulla genesi delle bauxiti » ; prof. Antonio Brambati, dell’Università di Trieste, sul tema « Sab¬ bie del litorale Adriatico » ; dr. Emanuele Vinassa de Regny, redattore capo di « Le Scien¬ ze », sul tema a Problemi attuali di filosofia della scienza » e « Svilup¬ pi nella storia della Geologia » ; prof. Frank Cuttitta, della NASA, sul tema a Morfologia lunare e petrografia delle rocce lunari » ; Prof. Robin G. C Bathurst, dell’Università di Liverpool, sul tema (( Diagenesi dei sedimenti carbonatici ». Inoltre l’Istituto ha ospitato (nel 1971) un corso di aggiornamento dell’ANGI sui problemi della geologia tecnica e la seduta di apertura il 9 ottobre 1971 della Conferenza sulla stabilità dei versanti e conservazione dell’ambiente, organizzata dall’Istituto di ricerche per la protezione idro¬ geologica dell’Italia meridionale e insulare (IRPI) del CNR. Numerosi docenti e collaboratori dell’Istituto hanno partecipato a congressi e riunioni nazionali e internazionali. Napoli, 31 ottobre 1972. APPENDICE BIBLIOGRAFICA (*) 101) Scarsella F., I960 - Giuseppe De Lorenzo. Atti Acc. Pont., n. s., 9, pp. 345- 350, Napoli, (esaurito). 102) ScANDONE P., 1961 - Nuove vedute sulla geologia nei dintorni di Lagonegro. Rend. Acc. Se. Fis. e Mat., s. 4^, 28, pp. 436-444, fig. 1, tavv. 2, Napoli, (esaurito). 103) ScANDONE P. & Sgrosso L, 1961 - Considerazioni su di una presunta lacuna liassica nei Monti Picentini. Rend. Acc. Fis. e Mat., s. 4^, 29, pp. 1-7, tavv. 2, Napoli, (esaurito). 104) Sgrosso I., 1962 - Calcari a Cladocoropsis : orizzonte guida del Malm delV Ap¬ pennino meridionale. Rend. Acc. Fis. Mat., s. 4^, 29, pp. 2-6, tav. 1, Napoli. 105) De Castro P., 1962 - Nota preliminare sugli scisti silicei di Giffoni Vallepia¬ na nel salernitano. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 70, pp. 152-155, Napoli, (esau¬ rito). 106) D’Argenio B., 1961 - Osservazioni sulla genesi e Vetà dei marmi, di Vitulano e sulla paleo geo grafi a del Monte Camposauro, Boll. Soc. Natur. in Napoli, 70, pp. 3-12, tavv. 4 f. t., Napoli, (esaurito). 107) Pescatore T. S., 1961 - Una serie stratigrafica nel flysch a sud-est del Ma¬ tese. Boll. Soc. Geol. It., 80, pp. 39-43, tavv. 2, Roma, (esaurito). 108) De Castro P., 1962 - Il Giura-lias dei Monti Lattari e dei rilievi ad ovest della Valle delVlrno e della Piana di Montoro. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 71, pp. 21-52, figg. 5, tavv. 19, Napoli, (esaurito). 109) Pescatore T. S., 1962 - Ulteriori osservazioni sul flysch a sud-est del Mate¬ se. Boll. Soc. Geol. It., 80, pp. 133-139, tavv, 5, Roma, (esaurito). 110) De Castro P., 1963 - Nuove osservazioni sul livello ad Orbitolina. Boll. Soc. Natur, in Napoli, 71, pp. 103-135, fig. 1, tavv. 8, Napoli, (esaurito). 111) De Castro P., 1963 - Sulla presenza del Giura (Dogger e Malm) nei Monti Aurunci. Boll. Soc, Natur. in Napoli, 71, pp. 16-19, tavv. 4, Napoli. 112) Pescatore T. S,, 1963 - Confronto tra serie strati grafiche a nord e a sud-est del Matese. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 71, pp. 61-65, tavv. 2, Napoli. 113) D’Argenio B-, 1963 - Impronte di disseccamento (sun-crackes) nelle bauxiti del Matese. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 71, pp. 90-102, tavv, 2, Napoli, (esaurito). 114) D’Argenio B., 1963 - Sull’età dei livelli a requieine nell’ Appennino campano. Boll. Soc. Natur, in Napoli, 71, pp. 146-156, Napoli. 115) D’Argenio B. & Pescatore T. S., 1963 - Stratigrafia del Mesozoico nel gruppo del Monte Maggiore (Caserta). Boll. Soc, Natur. in Napoli, 71, pp. 55-60, tav. 1, Napoli. (*) (*) A cura di L. M. De Stasio. Sono elencati i lavori delFIstituto dal n. 101 (1 nov. 1960) al 285. Dal 1° novembre 1972 ha inizio (col n. 1) la nuova serie dei lavori dell’Istituto di Geologia e Geofisica. 474 — 116) D’Argenio B., 1963 - Una trasgressione del Cretacico sup. neW Appennino cam¬ pano. Mem. Soc. Geol. It,, 4, pp. 1-53, figg. 10, tavv. 8, Bologna, [esaurito). 117) Guzzetta G., 1963 - Brecce intraformazionali dolomitiche nella serie cretacica della Penisola Sorrentina. Mem. Soc. GeoL, It., 4, pp. 1-7, figg. 3, Bologna. 118) Ietto A., 1963 - I rapporti tettonici tra « scisti silicei » e dolomia nei dintorni di Giffoni Valle Piana [Salerno). Mem. Soc. Geol. It., 4, pp. 1-15, figg. 7, tavv. 2, Bologna. 119) Pescatore T. S., 1963 - Affioramenti di flysch cretacico nelValta valle del Vol¬ turno. Mem. Soc. Geol. It., 4, pp. 1-10, tavv. 3, Bologna, [esaurito). 120) Pescatore T. S. & Vallario A., 1963 - La serie mesozoica nel gruppo del Monte Maggiore. Mem. Soc. Geol. It., 4, pp. 1-11, tavv. 5, Bologna, [esaurito). 121) Scandone P-, 1963 - Stratigrafia degli scisti silicei della Lucania. Mem. Soc. Geol. It., 4, pp. 1-9, Bologna. 122) Scandone P. & Sgrosso I., 1963 - Il Mesozoico nel gruppo montuoso della Acellica [M. Picentini-Salerno). Mem. Soc. Geol. It., 4, pp. 1-8, 2, Bo¬ logna. 123) Sgrosso I., 1963 - Il Lias e il Giura nei Monti Mai [tav. 185-11 N.E.. Solofra). Mem. Soc. Geol. It., 4, pp. 1-4, Bologna. 124) Vallario A., 1963 - Osservazioni geologiche sul gruppo del Monte Massico [Ca¬ serta). Mem. Soc. Geol. It,, 4, pp. 1-6, Bologna, [esaurito). 125) Zamparelli V., 1963 - Livello a Saccocoma nel Gargano. Mem. Soc. Geol. It., 4, pp, 1-9, tavv. 4, Bologna. 126) Catenacci E., De Castro P. & Sgrosso L, 1963 - Complessi guida nel Me¬ sozoico calcareo-dolornitico nella zona orientale del Massiccio del Matese. Mem. Soc, Geol. It., 4, pp. 1-20, figg. 2, tavv. 6, Bologna. 127) D’Argenio B., 1963 - Linee isopiche e strutturali cretaciche persistenti nelV Ap¬ pennino campano. Rend. Acc. Se. Fis. Mat., s. 4®, 30, pp. 367-393, figg, 10, Napoli, [esaurito). 128) D’Argenio B., 1963 - Il Paleocene degli Aurunci orientali. Rend. Acc. Se. Fis, Mat., s. 4®, 30, pp. 394-398, tav. 1, Napoli. 129) D’Argenio B. & De Cunzo T., 1963 - Sulla presenza di pollini e resti di in¬ setti nelle bauxiti della Marsica. [Appennino centrale). Rend, Acc. Se. Fis. Mat., s. 4®, 30, pp. 353-365, figg. 4, tavv. 2, Napoli. 130) Guzzetta G., 1963 - Osservazioni sulle brecce della Penisola Sorrentina attri¬ buite al Quaternario antico. Rend. Acc. Se, Fis. Mat., s. 4^, 30, pp. 165-178, tavv. 7, Napoli. 131) Accordi B., Azzaroli A,, Ogniben L., Ruggieri G. & Scarsella F., 1963 - Il gruppo di Ricerca per lo Studio geologico delVItalia centro-meridionale [CNR). Attività svolta negli anni 1960-1961. Suppl, « La ricerca scientifica » CNR, 1, n. 5, s, 2, pp. 265-284, figg. 12, Roma, 132) D’Argenio B., 1963 - Lineamenti tettonici del gruppo Tabur no - Camposauro. [Appennino campano). Atti Acc. Pont., n. s., 13, pp, 1-27, fig. 1, tabb. 2, tavv, 2, Napoli, [esaurito). 133) Scarsella F., 1963 - Lo stato attuale della Carta Geologica d’Italia. Atti Acc. Pont., n. s., 12, pp. 313-315, Napoli, [esaurito). 134) D’Argenio B., 1963 - Brecce di disseccamento intraformazionale [edgeivise breccias) nel Cretacico inferiore del Matese. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 72, pp. 88-91, tav, 1, Napoli. — 475 — 135) D’Argenio B., 1963 - La grotta del « Festolaro » presso l’ahitato di Valle del- V Angelo (^Cilentoy e il suo significato nel quadro della evoluzione del carsismo silentino. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 72, pp. 299-314, tav. 1, Napoli. 136) D’Argenio B., 1963 - I filoni sedimentari del Taburno-Camposauro [Appenni¬ no campano). Boll. Soc. Natur, in Napoli, 72, pp. 138-143, tavv. 2, Napoli. 137) D’Argenio B., 1963 - Fossette di degassazione (gas pits) nei calcari ad ittioliti della Civita di Pietraroia in provincia di Benevento. Boll. Soc. Natur. in Na¬ poli, 72, pp. 117-123, tab. 1, tavv. 2, Napoli. 138) D’Argenio B., 1963 - La trasgressione sopracretacica nei Monti d^Ocro (A- bruzzo aquilano). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 72, pp. 145-149, Napoli. 139) D’Argenio B., 1963 - I calcari ad ittioliti del Cretacico inferiore del Matese. Atti Acc. Se. Fis. Mat., s. 4% pp. 1-63, figg. 17, tavv. 7, Napoli, (esaurito). 140) D’Argenio B. & Pescatore T. S., 1963 - La tettonica del gruppo del Monte Maggiore. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 72, pp. 77-87, figg. 2, tav, 1, Napoli, (esaurito). 141) Ietto A. & Sgrosso I., 1964 - Sulla presenza di una stazione paleolitica in un riparo sotto roccia nei dintorni di Cicciano (Nola). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 72, pp, 28-30, tavv. 2, Napoli. 142) Sgrosso I. & Aiello R., 1964 - Bocca eruttiva presso Presenzano (Caserta). Boll. Soc, Natur. in Napoli, 72, pp. 258-291, figg. 5, tav. 1, Napoli. 143) Ietto A. & Sgrosso I., 1964 - Formazioni marine plio~pleistoceniche nei din¬ torni di Cicciano (Nola). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 72, pp. 109-111, tavv. 2, Napoli. 144) Sgrosso I., 1964 - Il Paleocene nella zona di Pietraroia (Caserta), con alcune considerazioni sulla tettonica cretacica. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 72, pp. 65-69, tavv. 2, Napoli. 145) Sgrosso I., 1964 - La trasgressione miocenica nel Matese centrale. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 72, pp. 150-153, tavv, 2, Napoli. 146) Scandone P., Sgrosso I. & Bruno F., 1964 - Appunti di geologia sul Monte Bulgheria (Salerno). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 72, pp. 19-27, Napoli. 147) Pescatore T. S., 1964 - Rapporti tra depressione molisano-sannitica e Appen¬ nino calcareo. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 72, pp, 213-227, Napoli, (esaurito). 148) Pescatore T. S. & Vallario A., 1964 - Impronte di fondo nelle dolomie di Profeti (Ca). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 72, pp. 228-236, Napoli, (esaurito). 149) Vallario A., 1964 - Caratteristiche petrografiche e tecniche di alcune calca- reniti plio- quaternarie nella piana di S. Eufemia (Calabria). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 72, pp. 45-63. fig. 1, tavv. 2, Napoli (esaurito). 150) Pescatore T. S., 1964 - Ciottoli d^argilla armati nel vallone del Demosito (Ir- pinia). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 72, pp. 155-159, tav. 1, Napoli. 151) Vallario A., 1964 - Osservazioni geologiche nella zona di Capriati a Volturno (Caserta). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 72, pp. 132-137, Napoli. 152) Ietto A., 1964 - Nuovi aspetti della tettonica della serie calcareo-dolomitica mesozoica nel salernitano. Boll. Soc. Natur, in Napoli, 72, pp. 31-44, figg. 6 tavv. 2, Napoli. 153) Scandone P., 1964 - Marnoscisti ad Halobia in Lucania. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 72, pp. 207-212, tav. 1, Napoli, 154) Guzzetta G., 1964 - L’evoluzione morfologica del bacino delFIrno (Campa¬ nia). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 72, pp. 169-176, tavv, 2, Napoli, — 476 — 155) ScANDONE P., 1964 - Trasgressione mesozoica e terziaria nell’alta valle delVA- gri tra Paterno e Morsico Nuovo (Potenza). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 72, pp. 125-131, Napoli. 156) Zamparelli V., 1964 - La successione stratigrafica del Giurassico superiore al Cretacico medio nel versante meridionale di Pizzo Cef alone (Gran Sasso d’Ita¬ lia). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 72, pp. 161-167, tavv. 2, Napoli. 157) Ietto A., 1964 - Osservazioni geologiche su di alcune zone del Matese (Appen¬ nino campano). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 72, pp. 112-116, Napoli. 158) Ietto A., 1964 - Osservazioni strati grafi che e tettoniche sul Cretacico dei mon¬ ti di Caserta. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 72, pp. 97-107, fig. 1, tavv. 6, Napoli. 159) Vallario a., 1964 - Un motivo tettonico nei Monti di Ciorlano (Matese occi¬ dentale). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 72, pp. 63-66, tav. 1, Napoli. 160) Brancaccio L., 1964 ■ Microfauna del lembo di flysch tortoniano di Piano Sozzano presso il Lago Laceno, Monte Cervialto (Bagnoli Irpino). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 73, pp. 77-99, tavv. 2, Napoli. 161) Rodriquez a., 1964 - Contributo alla conoscenza delle faune fossili dei Campi Flegrei (La Starza). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 73, pp. 101-138, fig. 1, tavv. 6, Napoli. 162) Pescatore T. S., 1964 ■ Ricerche sedimentologiche su argille plioceniche della Valle Caudina (Campania). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 73, pp. 139-153, tavv. 5, tabb. 5, Napoli. 163) Pescatore T. S., 1964 - Strutture sedimentarie delle « Molasse » della Valle del Vornano (Abruzzo). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 73, pp. 155-165, tavv. 4, Napoli. 164) ScANDONE P. & Sgrosso I., 1964 - Flysch con Inocerami nella Valle del Ca¬ volo presso Tramutola (Lucania). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 73, pp. 166- 175, tavv. 2, Napoli. 165) Vallario A., 1964 - Osservazioni su alcuni affioramenti miocenici nel Caser¬ tano. Boll, Soc, Natur. in Napoli, 73, pp. 176-185, figg. 6, Napoli. 166) Sgrosso I., 1964 - La serie stratigrafica di Serra delle Macchietelle in relazio¬ ne ad alcune caratteristiche della tettonica del Matese. Boll. Soc. Natur. in Na¬ poli, 73, pp. 186-194, Napoli. 167) Guzzetta G., 1964 - Condizioni di giacitura dei terreni sedimentari nel circon¬ dario di Palizzi (Reggio Calabria). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 73, pp. 201-210, figg. 2, tavv. 2, Napoli. 168) ScANDONE P., 1964 - Nota preliminare sui foraminiferi delle scogliere triassiche della Lucania. Boll, Soc. Natur. in Napoli, 73, pp. 267-269, Napoli. 169) ScoRZiELLO R. & Sgrosso I., 1965 - Segnalazione di crostacei decapodi nel Pa¬ leocene di M. Vesole (Salerno). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 74, pp. 3-5, tavv. 3, Napoli. 170) Ietto A., 1965 - Su alcune particolari strutture connesse alla tettonica di sovra- scorrimento dei Monti Picentini (Appennino meridionale). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 74, pp. 65-85, figg. 13, Napoli, 171) Torre M,, 1965 - La successione biostratigrafica del M. Carbucine (Macerata). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 74, pp. 86-113, tavv. 8, Napoli. 172) Pescatore T, S. & Cocco E., 1965 - Le arenarie del lago del Salto. Strutture sedimentarie e granulometriche. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 74, pp. 115-132, figg. 8, tavv. 7, Napoli. 477 — 173) Guzzetta G., 1965 - Procedimento matematico per la rotazione di dati in geolo¬ gia strutturale. Boll. Soc. Geol. It., 84 (1), pp. 201-204, tabb. 2, Roma, 174) Scandone P. & Sgrosso L, 1965 - Il « Trabucco » della Civita di Pietraroia {Matese orientale). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 74, pp. 56-63, figg. 2, tav. 1, Napoli. 175) Accordi B., Ogniben L., Ruggieri G., Scarsella F. & Valduga A., 1965 - Gruppo di ricerca per lo studio geologico delVItalia centro-meridionale. I - Rela¬ zione generale sull’attività svolta nel triennio 1962-64; II - Attività delle singole sezioni nel triennio 1962-64. C.N.R., Roma, suppl. alla « Ricerca scientifica », 4, n. 4, s. 2, pp. 163-180, Roma. 176) Pescatore T. S., 1965 - Ricerche geologiche sulla depressione molisano-sannitica. Atti Acc. Se. Fis. Mat., 5, s, 3, n. 4, pp. 101-145, figg. 12, tavv. 9, Napoli. 177) Pescatore T. S., 1965 - La facies di transizione nel gruppo del Monte Marzano. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 74, pp. 149-158, fig. 1, tavv, 3, Napoli. 178) Scandone P. & Sgrosso I., 1965 - Sulla paleo geo grafia della Penisola Sorrenti¬ na dal Cretacico superiore al Miocene. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 74, pp. 159- 177, figg. 9, tavv. 10, Napoli, (esaurito). 179) Scandone P., 1965 - Osservazioni su una località fossilifera a Brachiopodi nel Ladinico della serie calcareo-silico-marnosa lucana al M. Tacito. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 74, pp. 311-316, fig. 1, tavv. 2, Napoli, 180) Torre M., 1965 - Osservazioni su Accordiella conica FARINACCI (Foraminif ari¬ da). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 74, pp. 261-266, tav. 1, Napoli. 181) Ietto A., Pescatore T. S. & Cocco E., 1965 - Il flysch mesozoico terziario del Cilento occidentale. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 74, pp. 396-402, tav, 1, Napoli. 182) Castaldo G., 1965 - Sul glaciale del Monte Miletto (Massiccio del Matese)^ Boll. Soc. Natur. in Napoli, 74, pp. 193-203, tavv. 9, Napoli. 183) Sgrosso I., 1965 - Lembi paleocenici trasgressivi sul Lias dei Monti Mai (Saler¬ no). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 74, pp. 252-258, fig. 1, tav. 1, Napoli. 184) Sgrosso I,, 1965 ■ Variazioni di facies nel Lias dei Monti Mai (Salerno). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 74, pp. 403-419, figg. 4, tavv. 3, Napoli. 185) Ietto A, & Cocco E., 1965 - Rocce eruttive basiche nella serie calcareo-silico- marnosa lucana. Boll. Soc. Natur, in Napoli, 74, pp. 259-260, Napoli. 186) Vallario a., 1966 - Geologia del Monte Massico (Caserta). Boll. Soc, Natur, in Napoli, 75, pp. 41-76, figg. 8, tavv. 12, Napoli. 187) Scandone P. & De Capoa P., 1966 - Sulla posizione stratigrafica e l’età dei li¬ velli a Daonella e ad Halobia in Lucania. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 75, pp. 30-39, tavv. 7, Napoli. 188) Pescatore T. S., 1966 - Strutture sedimentarie nel flysch del Cilento occiden¬ tale. Geol. Romana, 5, pp. 99-115, figg. 30, Roma, (esaurito). 189) Guzzetta G., 1966 - Sui sistemi di vene calcitiche en échelon presenti nel Mio cene di Punta Lagno (Penisola Sorrentina). Boll. Soc. Geol., 85, pp. 355-370, figg. 11, Roma. 190) Guzzetta G., 1966 - Sulla possibile applicazione dello schema tettonico di Moo- dy e Hill (Wrench fault tectonics) all’ Appennino. Rend. Acc. Se. Fis. Mat., s. 4\ 33, pp. 199-218, figg. 4, Napoli. 191) Guzzetta G., 1966 - A rapid procedure for thè preparation of density diagrams using thè Lambert equal-area projection according to thè Schmidt’s grid method. Boll. Soc. Geol. It., 85, pp. 671-674, figg. 3, tav. 1, Roma. 478 — 192) D’Argenio B., 1966 - Zone isopiche e faglie trascorrenti nell’ Appennino centro¬ meridionale. Mem. Soc. Geol. It., 5, pp. 279-299, fig. 1, tav. 1, Roma. 193) ScANDONE P. & Lirer L., 1966 - Segnalazione di un livello piroclastico nel Pleistocene superiore della costiera calahra e silentina. Boll. Soc. Natur. in Na¬ poli, 75, pp. 201-204, tav. 1, Napoli. 194) Brancaccio L., 1966 - Osservazioni geo-morfologiche sulla conoide torrentizia del Rio Rava presso Migliano Montelungo (prov. di Caserta). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 75, pp. 211-292, figg. 5, tavv. 2, Napoli. 195) Vallario a. e De Medici G. B., 1967 - Contributo alla conoscenza stratigrafica della Calabria settentrionale e la serie del Colle Trodo. Boll. Soc. Geol. It., 86, pp. 233-252, figg. 15, Roma. 196) D’Argenio B., 1966 - Stromatoliti triassiche della Calabria settentrionale. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 75, pp. 433-457, figg. 10, tavv. 4, Napoli [esaurito). 197) Torre M., 1966 - Alcuni foraminiferi del Cretacico superiore della Penisola Sor¬ rentina. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 75, pp. 409-431, fig. 1, tavv. 6, Napoli. 198) Sgrosso I. & Ciampo G., 1966 - Sulla presenza di terreni calabriani nei din¬ torni di Camarota [Salerno). Boll. Soc. Natur, in Napoli, 75, pp. 561-587, tavv, 2, Napoli. 199) Bonardi G., 1966 - Osservazioni geologiche sui monti di Lauria. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 75, pp. 181-200, figg. 3, tavv. 5, Napoli. 200) Sgrosso L, 1966 - Tentativo di ricostruzione paleo geo grafica nella zona di Vie- tri di Potenza con particolare riguardo alla trasgressione miocenica. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 75, pp. 463-495, figg. 3, tavv. 6, Napoli. 201) D’Argenio B., 1966 - Le facies littorali mesozoiche nell’ Appennino meridionale. Boll. Soc, Natur, in Napoli, 75, pp. 497-552, figg. 21, tavv. 3, tabb. 5, Napoli, [esaurito). 202) Zamparelli V., 1966 - Le microfacies cretaceo-eoceniche nella serie di Rio Arno [Gran Sasso d’Italia). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 75, pp. 553-560, tavv. 5, Napoli. 203) D’Argenio B., 1967 - Geologia del gruppo del Taburno-Camposauro [Appennino campano). Atti Acc. Se. Fis. Mat., s. 3®, 6, n. 2, pp. 35-218, tavv. 19, tavv. f. t. 3, Napoli. 204) Angelucci A., De Rosa E., Fierro G., Gnaccolini M., La Monica G. B., Martinis B., Parea G. C., Pescatore T. S., Rizzini A., Wezel F. C., 1967 - Sedimentological characteristics of some italien turbidites. Geol. Romana, 6, pp. 345-420, figg. 65, tabb. 4, Roma. 205) Scandone P. & Bonardi G., 1968 - Synsedimentary tectonics controlling depo- sition of Mesozoic and Tertiary carbonatic sequences of areas surrounding Vallo di Diano. [Southern Apennines). Mem. Soc. Geol. It., 7, (1), pp, 1-10, fig. 1, tavv. 2, c. geol. 1, Pisa. 206) Vallario A., 1967 - Studio idrogeologico delle acque termominerali delle Ter¬ me Luigiane in provincia di Cosenza. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 76, pp. 149- 184, figg. 8, tabb. 3, Napoli. 207) Scandone P., 1967 - Sul significato dei « calcari con liste e noduli di selce » di S. Fele e delle brecciole calcaree negli scisti silicei della Lucania. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 76, pp. 189-197, Napoli. 208) Sgrosso I. & Torre M., 1967 - La successione stratigrafica maastrichtiano- — 479 — eocenica di Roccagloriosa (Cilento), Boll, Soc. Natur. in Napoli, 76, pp. 199- 217, figg. 3, tavv. 9, Napoli. 209) ScaNdone P., 1967 - Studi di geologia lucana : la serie calcareo-silico-marnosa e i suoi rapporti con V Appennino calcareo. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 76, pp. 301-474, figg. 68, tavv. 17, Napoli. 210) ScANDONE P., Sgrosso I. & Vallario A., 1967 - Finestra tettonica nella serie calcareo-silico-marnosa lucana presso Campagna (Monti Picentini, Salerno). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 76, pp. 247-254, figg. 2, Napoli. 211) Brancaccio L., 1967 - Note di morfologia costiera sulla cala di leranto presso Punta Campanella (Penisola Sorrentina). Boll. Soc. Natur, in Napoli, 76, pp. 255-269, figg. 7, Napoli. 212) D’Argenio B., 1967 - Considerazioni sul ruolo della piattaforma carbonatica nell’area della geosinclinale appenninica durante il Mesozoico. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 76, pp. 271-275, tav. 1, Napoli. 213) D’Argenio B. & Vallario A., 1967 - Sedimentazione ritmica neU’Infralias del¬ l’Italia meridionale. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 76, pp. 277-281, Napoli. 214) Cocco E. & Pescatore T. S., 1967 - L’evoluzione della sedimentazione arena- cea-miocenica nella Penisola Sorrentina. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 76, pp. 597-638, figg. 27, tabb. 3, Napoli, 215) Vallario A., 1967 - Sulla diagenesi di resti organici in alcune calcareniti giu¬ rassiche dei monti di Ciorlano (Matese occidentale). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 76, pp. 639-652, figg. 8, Napoli. 216) Lirer L., Pescatore T S. & Scandone P., 1967 - Livello di piroclastiti nei depositi continentali post-tirreniani del litorale sud-tirrenico. Acc. Gioenia Se. Nat., Catania, 18, s. 6% pp. 1-15, figg. 10, tavv. 8, tabb. 10, Catania. 218) Cocco E. & Pescatore T. S., 1968 - Scivolamenti gravitativi (olistostromi) nel flysch del Cilento (Campania). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 77, pp. 51-91, figg. 25, Napoli. 219) Cippitelli G., 1968 - Le associazioni dei minerali pesanti nel flysch del Cilento (M. della Stella). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 77, pp, 109-130, tavv. 5, figg. 4, tabb, 5, Napoli. 220) Sgrosso I. & Torre M., 1918 - Su alcuni affioramenti terziari dei dintorni di Monteroduni (Matese). Boll. Soc, Natur. in Napoli, 77, pp. 131-158, figg. 4, tavv. 4, tab. 1, Napoli. 221) Sgrosso I., 1968 - Note biostrati grafiche sul M. Lesole (Cilento). Boll, Soc. Natur. in Napoli, 77, pp. 159-180, figg. 14, Napoli, 222) Bosellini A., D’Argenio B. & Mattavelli L., 1968 - Gli attuali indirizzi delle ricerche sulle rocce carbonatiche. Quarto incontro sulla sedimentologia dei carbonati. Geologia Tecnica (Liverpool, dicembre 1967), 3, pp. 111-115, Mi¬ lano. 223) Alessandrini D., Scandone P. & Scarsella F., 1968 - Il Trias della parete orientale del Corno Grande (Gran Sasso d’Italia). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 77, pp. 239-246, fig. 1, tav. 1, Napoli. 224) Brancaccio L., 1968 - Genesi e caratteri delle forme costiere nella Penisola Sorrentina. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 77, pp. 247-274, figg. 14, Napoli. 225) Brancaccio L. & Vallario A., 1968 - Osservazioni geomorfologiche nel tratto di costa compreso tra le foci dei fiumi N oce-Castrocucco e Lao (Cosenza). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 77, pp. 303-325, figg. 11, tab. 1, Napoli. — 480 — 226) Ietto A., 1968 ■ Frane di scoscendimento neW Aspromonte tirrenico [Calabria): cause, sviluppo e proposta di sistemazione. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 77, pp. 415-472, £igg. 27, Napoli. 227) De Cunzo T. & Tavernier A., 1968 - Primi risultati delle indagini polliniche nel bacino lacustre del Vallo di Diano. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 77, pp. 473- 480, figg. 4, tav. 1, Napoli. 228) Ietto A. & Vallario A., 1969 - Il trasporto solido del torrente Acqua della Signora [Bagnara, Calabria) in condizioni di particolare piovosità. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 78, pp. 21-47, figg. 7, Napoli. 229) Lirer L. & Pescatore T. S., 1968 - Studio sedimentologico delle piroclastiti. del Somma-Vesuvio. Atti Acc. Se. Fis. Mat., s. 3^, 7, pp. 139-187, tabb. 12, figg. 18, tavv, 4, Napoli. 230) Ietto A., 1969 - I problemi geoio gico-tecnici delle gallerie nel cristallino-meta¬ morfico della Calabria. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 78, pp. 309-354, figg. 26, tavv. 2 f. t., Napoli. 231) Torre M., 1969 - Dissoluzione interstratale nella scaglia cretacico-paleo genica del M. Bulgheria [Cilento). Mem. Soc. Natur. in Napoli, suppl. Boll., 78, pp. 307-309, figg. 2, Napoli. 232) Torre M., 1969 - Studio biostratigrafico del Paleogene del M. Bulgheria. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 78, pp. 355-364, tavv. 6, Napoli. 233) Cocco E. & Di Girolamo P., 1969 - Magmatismo hawaiitico nei paraconglome¬ rati terziari del flysch del Cilento. Mem. Soc. Natur. in Napoli, suppl. Boll., 78, pp. 249-292, figg. 26, tabb. 8, tavv. 4, Napoli. 234) Ippolito F., 1970 - Nuovi aspetti della geologia applicata in relazione alle re¬ centi concezioni sulla geologia dell’ Appennino centro-meridionale. Boll. Soc. Geol. It., 89, pp. 435-446, Roma. 235) De Castro Coppa M. G., Moncharmont Zei M., Pescatore T. S., Srosso I. & Torre M., 1970 - Depositi miocenici e pliocenici ad est del Partenio e del Taburno [Campania). Atti Acc. Gioenia Se. Nat. in Catania, 7°, 1, (suppl. di Se. Geol.), pp. 479-512, figg. 2, tavv. 7, Catania, [esaurito). 236) Ippolito F., 1970 - Studi di geologia tecnica per lo sbarramento del fiume Po- sada alla stretta di Maccheronis [Nuoro). « Geologia Tecnica », n. 5, pp. 1-12, figg. 3, Milano. 237) D’Argenio B. & Scandone P., 1969 - Jurassic facies patern in thè Southern Apennines [Campania-Lucania). Hungarian Geol. Inst., Colloq. Mediterranean Jurassic, Budapest, sept. 1969, pp. 27, tab. 1, Budapest. 238) D’Argenio B., 1969 - Central and southern Italy cretaceous bauxites stratigra- phy and paleo geo graphy. Hungaria, Geol. Inst., Coll, on Bauxite Geol., Buda¬ pest, sept. 1969, pp. 19, fig. 1, piate 2, Budapest. 239) Brancaccio L. & Sinno R., 1969 - Contributo alla conoscenza delle sabbie ros¬ se pleistoceniche della costa del Cilento. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 78, pp. 401-422, figg. 7, tabb. 10, Napoli. 240) Pescatore T. S., Sgrosso I. & Torre M., 1969 - Lineamenti di tettonica e sedimentazione del Miocene dell’ Appennino campano-lucano. Mem. Soc. Natur., suppl. Boll., 78, pp. 337-408, figg. 53, Napoli. 241) Pescatore T. S., 1970 - Considerazioni sulla sedimentazione miocenica nello Appennino campano-lucano. Atti Acc. Pont., n. s., 20, pp. 17, tavv. 2, Napoli, ( esaurito). — 481 242) Scandone P., 1970 - Mesozoico trasgressivo nella Catena Costiera della Cala¬ bria. Atti Acc. Pont., n. s., 20, pp. 10, figg. 4„ Napoli, 243) D’Argenio B., 1970 - Evoluzione geotettonica comparata tra alcune piattaforme carhonatiche dei Mediterranei Europeo ed Americano. Atti Acc. Pont., n. s., 20, pp. 34, figg. 10, tabb. 8, tav. 1, Napoli. 244) D’Argenio B. & Pescatore T. S., 1970 - Le rocce sedimentarie. Ist. Geo!., Uni¬ versità Napoli, pp. 71, figg. 19, tabb. 10, Napoli. 245) Scandone P., 1971 - Sulla posizione dei « calcari di Peristeri » (Pindos occiden¬ tale, Grecia). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 80, pp. 11, figg- 2, Napoli. 246) Pescatore T. S., 1970 - Caratteri granulometrici e morfoscopici delle sabbie dei litorali sud tirrenici'. / le sabbie della pineta grande di Mondragone. « Geol. Applic. e Idrogeol. », 5, pp. 25, figg. 13, tabb. 2, Bari, 247 Civita M., De Masi R., De Riso R. & Vallario A., 1970 - Possibilità di rin¬ venimento di nuove fonti di approvvigionamento idrico nella media valle del- risclero e nella bassa valle del Calore f Campania). « Geol. tecnica », n, 6, pp. 8, figg. 2, Milano. 248) Civita M., De Masi R., De Riso R. & Vallario A., 1971 - Idrogeologia del massiccio del Taburno-Camposauro (Campania). Mem. Soc. Geol. It., 10 (2), pp, 65-120, figg. 31, tabb. 3, le. geol., Pisa. 249) Ietto A., 1969 - Il cristallino-metamorfico della Calabria e le gallerie. Atti Conv, Inter. Probi. Costruz. gali,, pp, 191-202, Torino, sept. 1969. 250) Bonardi G,, Pescatore T, S., Scandone P. & Torre M., 1971 - Problemi pa¬ leogeografici connessi con la successione mesozoico-terziaria di Stilo (Calabria me¬ ridionale). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 80, pp. 147-159, figg. 2, Napoli. 251) De Stasio L. M., 1971 - Su di alcune microfaune rinvenute nel flysch galestri¬ no della Lucania (Serie calcar eo-silico-marnosa). Mem. Soc. Natur. in Napoli, suppl. Boll., 78, pp. 409-419, tavv. 3, Napoli. 252) Di Nocera S., 1971 - Primo contributo alla conoscenza del nannoplancton cal¬ careo del Giurassico superiore del Gargano. Mem. Soc. Natur. in Napoli, suppl, Boll., 78, pp. 427-431, figg. 2, tavv. 2, Napoli. 253) Ortolani F. & Torre M., 1971 - Il Monte Alpi (Lucania) nella paleogeogra¬ fia deir Appennino meridionale. Boll. Soc. Geol. It,, 90, pp. 213-248, figg. 22, Roma. 254) Dall’Aglio M. & D’Argenio B., 1971 - Distribuzione delVuranio nelle rocce carbonatiche - primi risultati sul mesozoico campano. Boll. Soc. Natur. in Na¬ poli, 80, pp. 11, figg. 2, tavv. 2, Napoli. 245) Ippolito F., 1971 - Il pensiero di B. Croce di fronte alle Scienze naturali. Atti. Acc. Pont,, n. s., 20, pp. 6, Napoli. 256) Ippolito F., 1971 - L’uomo e lo scienziato G. De Lorenzo attraverso talune sue lettere inedite a F. Bassani. Atti Acc. Pont., n. s., 20, pp. 20, tavv. 6, Napoli. 257) De Cunzo T. & Tavernier A., 1971 - Indagine palinologica nelle argille di Cutrofìano (Lecce). Mem. Soc. Natur. in Napoli, suppl, Boll., 78, pp. 421-425, figg. 2, tavv. 2, Napoli. 258) Ietto A., 1971 - Assetto strutturale e ricostruzione paleo geo grafica del Matese oc¬ cidentale (Appennino meridionale). Mem. Soc. Natur. in Napoli, supl. Boll,, 78, pp. 441-471, figg. 11, tavv. 2, Napoli. 259) Ippolito F., 1971 - Sulla geologia della galleria rio Uvini-rio S. Antoni per 31 — 482 — rimpianto del medio Flumendosa (Sardegna). Mena. Soc. Natur. in Napoli, suppl. Boll., 78, pp. 473-479, figg. 4, Napoli. 260) SiMONE L., 1971 - Sedimentologia dei « calcari listati » del Cretacico inferiore del Monte Camposauro (Appennino campano). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 80, pp. 23-48, figg. 20, tavv. 8, Napoli. 261) Ippolito F., 1971 - La geologia nella difesa del suolo. 2° Conv. Naz. Studi Probi. Geol. Appi., Genova, 24-26/9/971, A.N.G.I., pp. 115-172, Genova. 262) Guzzetta G. & Ietto A., 1971 - Relazione tra unità strutturali e unità lito¬ strati grafiche nel flysch del Cilento. Atti Acc. Pont., n. s., 20, pp. 7, figg- 8, Napoli. 263) Brancaccio L., 1971 - Osservazioni geomorfologiche sulValta valle del Sabato presso Serino (Avellino). Mena. Soc. Natur. in Napoli, suppl. Boll., 80, pp. 489-498, figg. 6, tav. 1, Napoli 264) Sagristani L., 1971 - Processi diagenetici precoci in alcuni calcari a diceratidi (lamellibr anelli) del Cretacico delV Appennino campano). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 80, pp. 237-256, figg. 8, tavv. 3, Napoli. 265) CarannaNte G., 1971 - Ricerche sedimentologiche sulla successione ciclotemica deirinfralias del Passo deW Annunziata Lunga (Monti di Venafro). Boll. Soc, Natur. in Napoli, 80, pp. 389-412, figg. 9, tavv. 3, Napoli. 266) Scandone P., 1971 - Note illustrative della carta geologica d’Italia, F. 199-210, Potenza e Lauria. Serv. Geol. It., pp. 71, tav. 1, Napoli. 267) Cocco E., 1971 - Note illustrative della Carta geologica d’Italia, F. 161, Isernia. Serv. Geol. It., pp. 38, figg. 2, Roma. 268) Sgrosso I., 1971 - Note illustrative della Carta geologica d’Italia, F. 185-187, Salerno e Amalfi. Serv. Geol. It., pp. 38, Roma. 268 bis) Scarsella F., 1971 - Note illustrative della Carta geologica d’Italia, F. 172, Caserta, - Appendice Vulcano di Roccamonfina. Serv. Geol. It., pp, 122, tav. 1, Roma. 269) Cocco E., 1972 - Torbiditi calcaree ed arenacee nelle argille variegate dei Mon¬ ti del Sannio (Campania). Mem. Soc. Geol. It., Il, pp. 145-159, figg. 24, Pisa. 270) Cocco E., 1971 - Note illustrative della Carta geologica d’Italia, F. 209, Vallo della Lucania. Serv. Geol. It., pp. 44, figg. 3, Roma. 271) Ippolito F., 1972 - Geologia e pianificazione in Basilicata. « Nord a Sud », n. s., anno 19, n. 148, pp. 116-130, figg. 2, Napoli. 272) Ippolito F. & Srosso I., 1972 - Sulle ricerche di idrocarburi nell’area litorale del Lazio e sulla loro interpretazione. Riv. Miner. Sicil., n. n. 133-135, 1972, pp. 19, figg. 6, Palermo. 273) Scandone P., 1972 - Studi di geologia lucana i carta dei terreni della serie cal- careo-silico-marnosa e note illustrative. Boll. Soc. Natur. in Napoli, (in corso di stampa). 274) Dietrich D. & Scandone P., 1972 - The position of thè Basic and Ultrabasic rocks in thè tectonic units of thè southern Appennines. Atti Acc. Pont., n. s., 21, pp. 15, tabb. 2, tav. 1, Napoli, 275) Ietto A., 1972 - Idrogeologia di talune coperture pleistoceniche nei dintorni di Girifalco (Calabria). Acc. Pont, (in corso di stampa). 276) Carannante G. & Guzzetta G., 1972 - Stiloliti e sliccoliti come meccanismo di deformazione delle masse rocciose. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 81, pp. 157- 170, figg. 12, Napoli. 483 — 277) Gozzetta G., 1972 - Stabilità dei versanti in relazione alla giacitura degli stra¬ ti e alla morfologia, 2° Conv„ Naz. Studi Prob. Geol. Appi., 24-26/9/1971. Ge¬ nova, (in corso di stampa). 278) Ietto A., 1972 - La scarsa considerazione dei fattori geologici e i dissesti di alcuni centri urbani in Calabria. 2° Conv. Naz, Studi Prob. Geol, Appi., 24-26/9/1971, Genova, (in corso di stampa). 279) Ippolito F., 1972 - Ulstituto di geologia deirUniversità di Napoli t attività scientifica e didattica. Boll. Soc. Natur. in Napoli, 81, pp. 23, Napoli. 280) D’Argenio B., Pescatore T. S. & Scandone P., 1972 - Schema geologico del- r Appennino meridionale (^Campania-Lucania). Acc. Lincei, (in corso di stam¬ pa), Roma. 281) Cocco E., Graverò E., Ortolani F., Pescatore T. S., Russo M., Sgrosso I. & Torre M., 1972 - Les facies sedimentaires miocènes du bassin Irpinien (Italie Meridionale). Relazione pres. Int, Sympos. in Flysch Probi., Sofia, 16-24/10/1972, Atti Acc. Pont., n. s., 21, pp. 13, figg. 2, tavv. 2, Napoli. 282) Lirer L., Pescatore T. S., Walker G., e Booth B., 1972 - Two plinian pumi- ce fall deposits from Somma-Vesuvius^ Italy. Soc. Geol. Amer. Bull., (in corso di stampa). 283) Cocco E., Coppola L., Graverò E,, Ortolani F. & Pescatore T. S., 1972 - Erosione e trasporto dei sedimenti lungo il litorale di Paestum (Salerno). 2'® Conv. Naz. Studi Prob. Geol. Appi,, 24-26/9/971, Genova, (in corso di stampa). 284) Boni M., 1972 - Bauxiti deiritalia centrale, meridionale e della Sardegna (Bi¬ bliografia ragionata). Industria Mineraria, s. II, an. 23, n.n. 10-11, pp. 487-504 e pp. 554-569, Roma. 285) Tavernier A., 1972 - Ricerche palinologiche nella successione mesozoica della Serra del Prete (gruppo del Pollino, Appennino meridionale). Boll. Soc. Natur. in Napoli, 81, pp. 51-58, tavv. 2, Napoli. Licenziato alle stampe il 30 dicembre 1972. , . .v,.-,;^^ ■. v..^- .w> Ud^Mi r,\^f^-, hwm , * .4'H'mi:! 'ìi'm ...| fe.r ■ Y^v. ^ .. :-■■■■* ■■ ISS ‘ B ' :?^ ^ 4 14:^^ :,^ j ma ' ii4 ri^W .‘^ m: 2 J|r à .':‘5*'!,^^*;ié 4 TM. j^fk-!W^-|V'Ì|;^ .0:/*f/»»<*-w ■’^ fpf(^ (V'i’T'ii 1? ' -^ UT : k 'i' ’ 1 ir -n ^f-f*h>Tii '’^i ■ Pi*’. ^•*‘'^ ; ¥ Boll. Soc. Natur. in Napoli voi. 81, 1972, pp. 485-498, 5 figg. Alcune considerazioni dì neotettonica sull'Appennìno calabro - lucano in base al ritrovamento dì tracce glaciali sul M. La Mula in Calabria (^) Nota dei soci FEDERICO BOENZI e GIOVANNI PALMENTOLA (Tornata del 22 dicembre 1972) Riassunto. — Vengono descritte le tracce glaciali presenti sul M. La Mula ( 1935 m) nella Calabria nord-occidentale. Si tratta di alcune forme circoidi e di quattro accumuli morenici, mai studiati fino ad ora. L’erosione postglaciale ha reso mal riconoscibili le forme circoidi : comunque, una di queste mostra ai suoi piedi alcune morene. Fra le morene, tre, in cordoni trasversali alla direzione di massima pendenza, indicano altrettante fasi stadiali ; una quarta, allungata nel senso della valle, sembra corrispondere a una morena laterale. Tali tracce glaciali, riferibili al Wiirm, hanno consentito di calcolare che sul M. La Mula il limite nivale si è abbassato nella fase di massima espansione fino alla quota 1650, per risalire poi nella seconda e terza fase rispettivamente fino alle quote 1700 e 1800 circa. Localmente manca la testimonianza di una quarta fase rico¬ nosciuta su M. Sirino (2005 m), in Basilicata, corrispondente a un limite nivale sui 1900 m. I valori del limite nivale sul M. La Mula sono sostanzialmente identici a quelli calcolati per il versante meridionale del M. Sirino. Un dato che sottolinea l’analogia tra i due monti è costituito dalla presenza su entrambi i rilievi di un lembo detritico periglaciale tra le morene delle prime due fasi. Tale lembo indica che nella parte esaminata dell’Appennino alla fase di massima espansione è seguito un ritiro, durante il quale sulle morene abbandonate si sono accumulati prodotti di gelifrazione e di soliflusso ; successivamente, una nuova sensibile espansione ha portato le masse glaciali all’incirca sulle posizioni che avevano occupato nella pri¬ ma fase. (*) (*) Lavoro eseguito e pubblicato con il contributo del C.N.R. (contratto n. 71/01690) presso l’Istituto di Geologia e Paleontologia dell’Università degli Studi di Bari. Gli autori desiderano porgere i più vivi ringraziamenti al Prof. Adriano Val- DUCA per l’interessamento con cui ha seguito le ricerche di campagna, per i con¬ sigli di cui è stato prodigo durante l’analisi dei dati, nonché per la revisione cri¬ tica del testo. — 486 — Sembra improbabile ehe dal Wiirm in poi i due rilievi, abbastanza distanti fra loro, abbiano subito dislocazioni verticali della stessa entità ; è insomma più verosimile che nello stesso periodo essi siano stati caratterizzati da una sostanziale quiete tettonica. Ne deriva che proprio il M. La Mula e il M. Sirino possono essere presi come rilievi di riferimento nei paragoni di altezza dei limiti nivali, nonché come termini di confronto per ricavare l’entità dei recenti movimenti verticali di altri rilievi studiati nell’Appennino calabro-lucano. A quest’ultimo proposito va ad es. ricordato che sul M. Pollino (2267 m) sono state trovate testimonianze di due sole fasi glaciali, che hanno consentito di calcolare per la locale fase di massima espansione un limite nivale sui 1900 m. Si tratta di un valore notevolmente più elevato di quello calcolato sul M. Sirino e sul M. La Mula ; una plausibile spiegazione di ciò può essere cercata nel sensi¬ bile sollevamento subito dal Pollino in tempi wùrmiani e postwùrmiani. Il M. Alpi (1900 m) che attualmente ha la stessa quota del M. La Mula, mostra scarse tracce glaciali, per quanto le sue parti alte presentino caratteri mor¬ fologici favorevoli all’accumulo di ghiacci. Tutto ciò sembra confermare quanto è stato dedotto in un precedente lavoro dagli autori di questa nota e cioè che il M. Alpi avrebbe raggiunto e superato il limite nivale solamente alla fine del Wiirm continuando a sollevarsi anche dopo l’epoca glaciale. Il M. Volturino (1836 m) presenta sulle sue cime una forma solo dubitati¬ vamente riferibile a modellamento glaciale pur avendo oggi estese superfici sopra il limite nivale della massima espensione wùrmiana calcolato sul M. La Mula e sul M. Sirino. Il fatto sembra spiegabile con un sensibile sollevamento postwùr- miano dello stesso M. Volturino. Per riassumere, si può dunque ricordare che proprio sul M. Sirino e sul M. La Mula sono state calcolate le più attendibili altezze del limite nivale nelle prime fasi del Wiirm. E si può dedurre che dopo il Wiirm, mentre il M. La Mula e il M. Sirino sono probabilmente stati caratterizzati da una quiete tettonica, il M. Pol¬ lino, il M. Alpi e il M. Volturino (disposti secondo un allineamento appenninico parallelo a quello M. La Mula-M. Sirino) avrebbero subito sensibili sollevamenti. Summary. — The authors describe thè glacial traces on Mt. La Mula (1935 m), in thè north-western part of Calabria. These traces consist of some cirque-like forms and by four morainic deposits, till now never studied. The cirques are hardly reco- gnizable because of thè post-glacial erosion : one of these, however, has some morai- nes at its foot. Among these moraines, three may he referred to thè terminal type and point out thè existence of three different recessional stages ; a fourth mo¬ raine, parallel to thè valley trend, seems to he a lateral moraine. Such glacial traces, which may be referable to thè Wiirm period, led to esti¬ mate that, on Mt. La Mula, thè snow-line went down to an altitude of 1650 m when thè glacier reached its maximum growth, to go again, in a second and a third phase, up to an altitude of 1700 and 1800 m. But there is no witness of a fourth phase, which was recognized on Mt. Sirino, in Basilicata and corresponds to a snow-line 1900 m high. The height of thè snow-line on Mt. La Mula is substantially thè same which was computed on thè southern side of Mt. Sirino (2005 m). The analogy concer- ning thè glacial phenomena in those mountains is pointed out by thè presence on — 487 — both of them o£ a periglacial detritai bed, which was laid down between thè mo- raines o£ thè first two phase. This bed shows that in thè examined area, thè gla- cial maximum growth has been £ollowed by a retreat, during which products o£ frost-splintering and soli£luction have been piled up on thè already laid down mo¬ raine. Later on, a new growth brought thè glacial end approximately down to thè positions it reached in thè first phase. It is unlikely that both o£ thè mountains, which are £ar enough one from thè other, have undergone since thè Wiirm equal vaine upli£ts : it seems to be more probable that in same period they had a substantial tectonic cairn. Just for this reason, there£ore, Mt. La Mula and Mt. Sirino have been considered as datumpoints in comparing thè heights o£ thè snow-line, and as reliable elements in order to detect thè vaine o£ thè recent vertical movements in other mountain areas o£ Sou¬ thern Apennine. To this regard, one could remember ,£or example ,that on Mt. Pollino (2267 m) traces o£ only two glacial phases have been observed, which allow to estimate a height o£ about 1900 m £or thè snow-line in thè period o£ maximum growth. This is much higher than those, which were computed £or Mt. Sirino and Mt. La Mula ; an explanation o£ this can be £ound in thè upheaval o£ Mt. Pollino in Wiirm and post-Wiirm times. Mt. Alpi (1900 m), which is now as high as Mt. La Mula, shows poor glacial traces, though its summits are lavorably shaped to ice accumulation. All this seems to agree with what thè authors o£ this paper in£erred in a previous work: i. e., that Mt. Alpi perhaps reached and overcame thè snow-line only towards thè end g£ thè Wiirm and kept on rising even alter thè Glacial age. Mt. Volturino (1836 m) shows, on its tops, only a £orm doubtlully due to glacial moulding, even il today large areas are higher than thè snow-line wich was computed lor thè maximum Wiirm expansion on Mt. La Mula and Mt. Sirino. This can be easily explained by means ol a notable postwiirmian uplilt. In short, thè most reliable data lor thè snow-line in some phase ol thè Wiirm period have been estimated just on Mt. Sirino and Mt. La Mula. Alter thè Wiirm, while Mt. La Mula and Mt. Sirino probably had a tectonic cairn, Mt. Pollino, Mt. Alpi and Mt. Volturino (trending parallel to thè range ol Mt. La Mula and Mt. Sirino) under went notable upheavals. Premessa Nella nuova edizione del F° geologico 221 « Castrovillari » è indicata la presenza di un circo e di un deposito morenico sul M. La Mula (m 1935). Questi resti glaciali rivestono particolare importanza sia per¬ ché sono tra i più meridionali che si conoscano nella penisola italiana (1), sia perché, nel quadro delle ricerche sull’argomento ef- (1) Lacquaniti L. (1949) segnala ancora più a sud, sull’ Aspromonte, la pre¬ senza di tracce glaciali wiirmiane. — 488 fettuate dagli scriventi nella Basilicata, consentono di precisare l’im¬ portanza della glaciazione wiirmiana nell’Appennino calabro-lucano. Il Monte La Mula, situato entro i confini della provincia di Cosenza, rientra nell’area della tavoletta 221 III SO « S. Donato di Ninea », al bordo nord-occidentale dell’Appennino calabro. Si tratta di un rilievo allungato da SO a NE, caratterizzato da pareti ripide e dalla sommità a forma grosso modo mammellonare. Fatta eccezione per la segnalazione sul foglio geologico, non si han¬ no notizie di studi sui resti glaciali di questo monte. Tracce glaciali Sono rappresentate da alcune forme circoidi e da cordoni more¬ nici (v. fig. 1). Le forme circoidi si individuano in tre depressioni a pianta semi- circolare, incise una nel versante meridionale del rilievo, le altre due nel versante orientale. Quella sul versante meridionale, che ha un diametro di circa 250 m, raggiunge la quota massima di 1900 m e ha il fondo a quota 1870 circa. Tale forma è la peggio conservata tra quelle riconosciute ( il fondo infatti si presenta inciso da solchi torrentizi) ; pertanto solo dubitativamente si avanza l’ipotesi di una sua elaborazione glaciale. Delle depressioni incise nel versante orientale, quella più a sud è a pianta semicircolare e ha un diametro di poco superiore ai 250 m; le sue pareti, dalla quota massima di 1900 m degradano fino alla quota 1725 circa, determinando una forma a recinto. La testata è rappresentata da una parete subverticale (v. fig. 2) con un dislivello di circa 80 m ; il fondo è alquanto inclinato verso valle. Si tratta di un circo di monte ancora non del tutto modificato dall’erosione postglaciale. L’ultima e più settentrionale tra le forme circoidi del monte, corrisponde alla testata di un’incisione torrentizia ; è estesa fra le quote 1850 e 1900 ed ha una forma ad anfiteatro, aperto verso oriente. Sia le pareti che il fondo degradano dolcemente verso l’incisione tor¬ rentizia e, nei particolari, non mostrano tracce di esarazione. Data la forma, si può comunque ipotizzare che la depressione sia stata elabo¬ rata anche dai ghiacci. La nicchia circoide più importante dal punto di vista della mor¬ fologia glaciale è la seconda, sia perché essa si continua a valle con — 489 — una forma forse corrispondente a un letto di esarazione, sia perché ai suoi piedi si rinvengono diversi accumuli morenici. La forma glaciale del letto non è ormai ben riconoscibile : è legittimo ritenere che la lingua di ghiaccio non vi abbia scavato prò- Accumuli morenici Nicchia di escavazione glaciale Nicchie di probabile escavazione glaciale Fig, 1. — Localizzazione topografica delle tracce glaciali sul M= La Mula. fondamente, a causa delle sue limitate dimensioni. Comunque, un accenno di valle con un profilo trasversale a U molto largo si rico¬ nosce ancora tra le quote 1450 e 1700 circa. Il letto e il circo, per altro caratterizzati da un’estesa copertura detritica e vegetale, non mostrano lisciature glaciali. — 490 — I depositi morenici sono presenti sul versante sud-orientale del rilievo, in località Coste della Mula, tra le quote 1425 e 1700 circa. Fg, 2. — Veduta del Monte La Mula da Sud; in secondo piano i depositi moreni¬ ci A, B, C, D ; sul fondo la parete posteriore di una nicchia circoide. Fig. 3. — Veduta del Monte La Mula da SE ; a, b, c : cordoni morenici trasversali; d: un lembo di cordone morenico laterale. Si tratta di accumuli detritici costituiti da ciottoli lisciati e striati, immersi caoticamente in abbondante limo terroso grigiastro. 1 ciottoli. — 491 — di natura calcarea o calcareo-dolomitica, hanno dimensioni assai variabili. Gli accumuli detritici sono disposti in quattro cordoni (v. fig. 3): tre allungati da sud-ovest a nord-est, trasversalmente alla presumibile direzione di scorrimento della lingua glaciale ; uno, longitudinale, al¬ lungato da nord-ovest a sud-est (non ben conservato). I cordoni trasver¬ sali sembrano corrispondere a tre diverse morene frontali abbando- Fig. 4. — Un aspetto della più antica fra le morene presenti sul Monte La Mula, (A) ; al tetto, si noti l’orizzonte conglomeratico periglaciale, ( B). nate in altrettante fasi stadiali da una lingua glaciale proveniente con ogni probabilità dal vicino circo descritto poco sopra. Di questi cordoni, il più antico e più distante dal circo si al¬ lunga fra le isoipse 1425 e 1475 per circa 500 m; ha uno spessore apparente di circa 60 m e una larghezza non calcolabile, perché il cordone è parzialmente coperto dal deposito morenico successivo. Tra una morena e Faltra è intercalato un lembo detritico diagenizzato, ad elementi in prevalenza spigolosi in scarso legante sabbioso (v. fig. 4). Tale lembo ha uno spessore di circa un metro e mostra caratteri tali da farlo ritenere un prodotto di gelif razione e di soliflusso. La morena sovrapposta al lembo detritico si allunga anch’essa parallelamente alle isoipse per circa 500 m alFincirca fra le quote 1475 e 1550 e ha uno spessore apparente di 30 m su una base larga 50 m circa. — 492 — Non si esclude che la parte più orientale di questi accumuli sia stata abbandonata anche da una lingua glaciale proveniente dalla più settentrionale delle forme circoidi riconosciute sul monte. Il terzo cordone morenico trasversale è allungato sulla isoipsa 1700 per circa 150 m ed ha uno spessore molto ridotto. I tre cordoni ora descritti sono insomma disposti a gradini ; si tratta con ogni probabilità di residui di morene frontali e in parte fors’anche di fondo. A destra del fondo valle tra le quote 1450 e 1600 circa, lateralmente ai cordoni descritti e a contatto con i più bassi di essi su un tratto di cir¬ ca 300 m, si può, con qualche difficoltà, riconoscere un deposito more¬ nico longitudinale ; lo spessore di questo, assai variabile, non sembra superare i 20 metri; la larghezza non è valutabile con precisione. Il deposito è appoggiato a uno sperone roccioso che deve averlo pro¬ tetto dall’erosione ; si tratta probabilmente di una sottile morena late¬ rale o meglio di una serie di piccole morene laterali giustapposte e fors’anche parzialmente sovrapposte, che simulano un unico cordone deposto sulla sponda destra del letto glaciale. Sulla sponda sinistra non sono stati trovati analoghi resti morenici. Fjtà delle forme e altezza del limite nivale I depositi morenici brevemente descritti non mostrano tracce di alterazione : sono ovunque sciolti e con la stessa facies ; ciò induce a riferirli al Wùrm: simili morene, rinvenute su rilievi in zone vicine (M. Pollino, M. Sirino), sono state da più studiosi riferite a questa glaciazione : in complesso sembra possibile escludere che localmente vi siano gli effetti di glaciazioni precedenti la wùrmiana. Per quanto concerne l’altezza del limite nivale wùrmiano nella zona, si è ritenuto utile applicare il metodo della media altezza ; ciò consente di fare paragoni diretti tra questo rilievo ed altri dell’Appen- nino calabro-lucano, per i quali il limite nivale è stato appunto cal¬ colato con tale metodo. Per il Monte La Mula si è così potuto stabilire che nella fase di massima espansione il limite nivale era situato intorno alla quota 1650. Nella seconda fase, localmente contraddistinta da un cordone morenico in parte sovrapposto al precedente, il limite delle nevi sarebbe stato di circa 50 m più alto, mentre nella terza ed ultima fase si sarebbe elevato all’incirca fino alla quota 1800. — 493 — Correlazioni con rilievi glacializzati deW Appennino lucano e cenni di neotettonica I dati raccolti sul M. La Mula sono utilmente correlabili con quelli già noti per rilievi vicini, in Basilicata (2)^ In particolare si esporrà qui un elenco di analogie e di diffe¬ renze tra il M. La Mula e il Massiccio del Pollino (2267), il M. Alpi (1900) e il M. Sirino (2005 m), tentandone anche un’analisi. Tutto ciò allo scopo di ricostruire un quadro attendibile delle vicende veri¬ ficatesi nella regione appenninica fra il F. Esaro e il F, Basento durante il Wurmiano e il Postwiirmiano. M. Pollino : questo massiccio, oggi più elevato in quota e situato poco più a nord-est del M. La Mula, ha fornito testimonianze di due sole fasi glaciali, che hanno consentito di calcolare per la fase di massima espansione un limite nivale sui 1900 m. Come si vede, si tratta di un valore notevolmente più elevato di quello calcolato sul M. La Mula, Questo fatto non può essere spiegato soltanto con il largo margine di errore del metodo di calcolo del limite nivale, né con una possibile incompletezza delle tracce glaciali conservate sul M, Pollino ; una plausibile spiegazione può essere cercata nel sensi¬ bile sollevamento subito da quest’ultimo rilievo in tempi wùrmiani e postwùrmiani (Boenzi e Palmentola, 1971 e 1972), Tale solle¬ vamento sembra essere il più intenso di tutta la regione appenninica in esame, M. Alpi: in un recente lavoro (Boenzi e Palmentola, 1972) è stato calcolato per questo rilievo un limite nivale wùrmiano sui 1800 m, e, in base a considerazioni sui locali caratteri morfologici, è stata avanzata l’ipotesi che le sue cime abbiano superato tale quota solo nelle fasi finali della glaciazione. Il fatto che per il M. La Mula, che attualmente ha la stessa quota del M, Alpi, sia calcolabile un limite nivale decisamente più basso, sembra confermare le deduzioni sopra esposte e indicare una sensibile differenza nell’entità del solle¬ vamento tra i due rilievi nel Wùrmiano e Post wùrmiano. Il M. La Mula, insomma si sarebbe trovato con estese superfici al di sopra del limite nivale ben prima del M, Alpi, che solo alla fine del Wùrm avrebbe raggiunto e superato tale limite ; lo stesso M, Alpi avrebbe (2) Un’opportuna correlazione andrebbe fatta anche con FAspromonte ; per il momento questo non è però possibile a causa del metodo di calcolo del limite nivale usato da Lacquaniti (1949) e a causa anche della necessità (manifestata dallo stesso A.) di un ulteriore approfondimento delle ricerche su quel Massiccio. — 494 — continuato a sollevarsi anche dopo l’epoca glaciale portando cosi le sue cime ad una quota pari a quella del M. La Mula. M. Sirino; il versante meridionale (che è il più indicato per stabilire una correlazione col M. La Mula) ha mostrato per la fase di massima espansione un limite nivale sulla quota 1650 ; tale quota è identica a quella calcolata per lo stesso M. La Mula. Questo fatto indica una sostanziale identità di comportamento degli eventi clima¬ tici nelFintero tratto appenninico esaminato : in questo, come ci si poteva attendere, il limite nivale non risentiva certo delle differenze di latitudine, effettivamente esigue. Un altro dato assai indicativo, che sottolinea le analogie tra il Sirino e La Mula, è costituito dalla presenza su entrambi i rilievi di un lembo detritico periglaciale tra le morene delle prime due fasi glaciali. Il deposito indica che, nella parte esaminata dall’Appennino, alla fase di massima espansione sia seguito un ritiro, durante il quale sulle morene abbandonate si sono accumulati i prodotti di fenomeni superficiali di gelif razione e di soliflusso. Questo ritiro è stato seguito da una nuova sensibile espansione, che ha portato le lingue glaciali all’incirca sulle posizioni occupate nella prima fase ; la glaciazione nelle prime due fasi del Wùrm sembra insomma aver avuto all’in- circa un’uguale intensità. Una prima differenza tra i due rilievi è data dalla quota del li¬ mite nivale nella terza fase : infatti la posizione della morena abban¬ donata in questa fase sul M. La Mula, consente di calcolare un limite nivale di eira 50 m più basso che sul M. Sirino. Tuttavia le cause di tale differenza sono facilmente comprensibili se si tiene conto che la morena sul M. La Mula si trova sul fondo del circo e che quindi non poteva essere abbandonata più a monte. Una seconda differenza consiste nel fatto che sul M. La Mula man¬ ca una quarta ed ultima fase stadiale, riconosciuta invece sul Sirino ; basta però pensare che in questa fase il limite nivale doveva trovarsi ad una quota prossima ai 1909 m (1880 sul Sirino), cioè solo poche decine di metri sotto la cima del M. La Mula, per comprendere che la differenza di effetti è esclusivamente dovuta alla diversa altezza dei due rilievi e alla differente estensione delle superfici al di sopra del limite delle nevi. La buona correlabilità dei dati del M. La Mula con quelli del Sirino indica inoltre che i due rilievi hanno avuto dal Wùrm ad oggi una storia tettonica assai simile ; essi probabilmente non hanno — 495 — subito movimenti verticali, a meno che questi ultimi non siano stati della medesima entità. Data la probabile assenza di movimenti verticali postwiirmiani Super fici a quote superiori a 1000 m. Fig. 5. — Posizione geografica dei rilievi menzionati. sul M. La Mula e sul M. Sirino, i valori dei limiti nivali calcolati su questi rilievi dovrebbero essere i più vicini a quelli reali : possono esser presi come valori di riferimento. I rilievi stessi possono d’altra — 496 — parte costituire termini di confronto per ricavare i movimenti verticali, wiirmiani e postwiirmiani degli altri rilievi glacializzati dell’Appennino calabro-lucano. L’esame delle analogie e delle differenze mostra come i rilievi glacializzati della regione appenninica tra l’Esaro e il Rasento possono essere divisi in due gruppi, lungo altrettanti allineamenti in senso appenninico (v. fig. 5): un gruppo più occidentale, che riunisce il M. La Mula e il M. Sirino, sarebbe stato caratterizzato da una sostan¬ ziale quiete tettonica durante e dopo il Wùrm (o da movimenti verticali sorprendentemente identici come entità) ; l’altro, più orientale, com¬ prendente il Massiccio del Pollino e il M. Alpi, sarebbe invece stato caratterizzato da sensibili sollevamenti wiirmiani e postwùrmiani. Di questo allineamento fa parte anche il M. Volturino (1835 m) che non è stato preso in esame in queste pagine, in quanto solo dubi¬ tativamente una forma sulle sue cime può riferirsi a modellamento glaciale ; questo rilievo, comunque, specialmente nel Postwùrmiano deve essersi alquanto sollevato : oggi presenta infatti estese superfici sopra il limite nivale di massima espansione wùrmiana calcolato su rilievi vicini. Si ritiene che i dati e le considerazioni sopra esposte, oltre all’in¬ teresse che possono avere dal punto di vista glaciologico potranno forse essere presi in considerazione nelle ricerche di neotettonica iniziate nell’Appennino meridionale ( 3). BIBLIOGRAFIA Azzaroli a. & Cita M. B., 1967 - Geologia stratigrafica. 3, Ed. La Goliardica, Milano. Biasutti R., 1916 - Tracce glaciali sul M. Cercati (Appennino Lucano). Rend. R. Acc, Se. Fis. Mat., 23, Napoli. Biasutti R., 1923 - SulVantico limite delle nevi nelV Appennino centrale e meridio¬ nale. Atti Vili Congr. Geogr. It., 2, Firenze. 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Natur. in Napoli voi. 81, 1972, pp. 499-510, 6 figg. Dìffereniiamento de! « Colon » negli Anfìbi Anurì durante io sviluppo Nota del socio PIETRO BATTAGLINI (Tornata del 22 dicembre 1972) Riassunto, — Viene messa in evidenza la presenza nell’intestino posteriore di girini di Anfibi Anuri di una struttura somigliante, per gli aspetti morfo-funzionali, ad un vero e proprio colon. Tale struttura si presenta fin dagli stadi iniziali dello sviluppo — stadio 29 se¬ condo la cronologia di Manelli e Margaritora — sotto forma di un leggero aumento di calibro. In seguito è presente pure un restringimento avente tutti i caratteri di uno sfintere ileo-cecale. È puntualizzata la interdipendenza tra aumento di calibro del lume intestinale e insediamento in questo « colon » delle Opaline simbiontiche. Questa interdipen¬ denza va intesa nel senso che probabilmente sono le Opaline, all’inizio non proprio simbiontiche, ad indurre la dilatazione che porterà ad un « colon » vero e proprio nello stadio 33. Summary. — The presence of a structure, for its morpho-functional aspects, si- milar to a reai colon has been shown to exist in thè posterior intestine of frog trad- poles. This formation is present with a slightly increased diameter right from thè ini- tial developing stages (stages 29 accordind thè scale of Manelli and Margaritora). In thè following stages it develops a zone with thè characteristics of a ileo-caecal sphin- cter. The interdependece between thè increase of diameter of intestine lumen and thè stabilization in this « colon » of simbiontic Opalina has been demonstrated. This interdependence can be explained that these are thè Opalina not really sim¬ biontic in thè Leginning, which provoke probably thè dilatation as a conseguence of which thè « colon » is formed in stage 33. 1. Introduzione NelPintestino crasso dei Vertebrati terrestri, a differenza dello stomaco e del tenne, vi è una proliferazione batterica uniforme e molto accentuata. La mancanza di questa flora simbionte nel tenue è dovuta 500 — al flusso del materiale, alla azione meccanica purificatrice del primo tratto del tubo digerente, coadiuvato da una secrezione mucosa. Sia Fazione meccanica che la secrezione mucosa mancano nell’intestino crasso, di conseguenza si ha l’accumulo di microrganismi. Mentre tale aspetto è ben conosciuto e studiato nei Vertebrati omeotermi, lo stesso non si può dire per quanto concerne la flora intestinale dei Ver¬ tebrati pecilotermi, dove le nostre conoscenze sono ancora ad uno stadio embrionale (Boni e Battaglini, 1964 a). Solo di recente (Boni e Battaglini, 1964 b) è stato osservato che nei Vertebrati pecilotermi, a partire dagli Anfibi, esiste nell’ultimo tratto dell’intestino una ricca popolazione microbica, non attribuibile ad invasori occasionali introdotti con gli alimenti, molto simile a quella osservata dei Mammiferi. Osservazioni comparative eseguite su Pesci e Tetrapodi (Boni e Battaglini, 1964 c) hanno dimostrato che, mentre i primi sono dotati di un intestino posteriore di calibro pari all’anteriore e che mancano di commensali microbici permanenti, i secondi, a partire dagli Anfibi, presentano uno slargamento ed anche una popolazione batterica per¬ sistente. 1 due fenomeni sembrano concomitanti e fanno insorgere l’interrogativo se la presenza di questo allargamento, detto ampolla, favorisca l’instaurarsi della flora o se è la stessa flora che funzioni da stimolo alla dilatazione del lume intestinale. La dilatazione dell’intestino posteriore crea una ulteriore separa¬ zione tra Pesci e Tetrapodi. Per spiegare l’insorgere di questa struttura negli Anfibi, bisogna ricorrere alle condizioni ambientali, improvvisa mente diverse, in cui si vennero a trovare gli antenati degli Anfibi attuali, quando la vita si spostò dalle acque alle terre emerse, in quel momento, accanto alle altre modificazioni, prodotte da questa causa, si ebbe anche una modifica nella struttura morfologica dell’ap¬ parato digerente ed in particolare nell’intestino. Da questo punto di vista morfologico, nell’intestino terminale di adulti di Rana esculenta L. è stata notata un’ampolla pressoché centrale di aspetto sferico o piri¬ forme avente un diametro interno da 5 a 7 volte maggiore della parte intestinale non dilatata. Questa vescicola è stata considerata come il primo segno evolutivo che porta alla formazione del colon dei Verte¬ brati omeotermi (Romer, 1955). La formazione deH’ampolla che, permettendo una stasi delle feci ne controlla il contenuto idrico, costituisce così un efficace mezzo per il mantenimento della omeostasia idrica ed osmotica deU’organismo. Una 501 — volta prodotta tale modificazione, si ha l’insediamento della flora inte¬ stinale (Battaglini e Boni, 1964). La presenza dello slargamento era già nota negli adulti, ma si riteneva che questa struttura insorgesse solo dopo la metamorfosi ; cioè si sosteneva che nei girini l’intestino fosse tutto tubolare e di calibro uniforme dallo stomaco all’ano, e che nell’adulto questo fosse distrutto e sostituito da un altro provvisto di ampolla. Alcuni ricercatori (Albert, 1963 e Bondi, 1963) indagando sulle cause che determinano queste va¬ riazioni morfologiche dell’intestino degli Anfibi Anuri ed Urodeli al pas¬ saggio dallo stato larvale all’adulto, sostengono che l’intestino del girino, lungo e di calibro uniforme, si trasforma diventando più corto e di dia¬ metro maggiore sotto l’azione di particolari sostanze di natura sconosciu¬ ta. Bondi (Le.) suppone, inoltre, che le contrazioni deH’embrione favori¬ scano il propagarsi di queste ipotetiche sostanze. Da quanto suddetto appariva, perciò, non contestato il fatto che l’intestino dei girini fosse di calibro uniforme dallo stomaco fino all’ano, pertanto quasi del tutto simile all’intestino dei Pesci. Boni e Battaglini (1964 c) hanno dimostrato, indirettamente attraverso la visione comparata delle feci di Pesci, Anfibi adulti e girini, la notevole diversità esistente tra la morfologia dell’intestino dei Pesci e dei girini. Infatti si è visto che la forma dell’intestino dei girini aveva caratteristiche intermedie tra quello dei Pesci e quello delle Rane adulte. Precisamente, gli escrementi delle larve degli Anfibi Anuri erano di forma simile a quella dei Pesci, il che denotava la presenza di un tubo intestinale di calibro pressoché uniforme, ma essi mostravano anche un contenuto in muco molto più scarso, e questo era l’inizio di un assorbimento del medesimo che si poteva effettuare solo in virtù di un crasso anche se solo accennato. Anche nell’intestino lavarle di Anfibi, e precisamente di Rana esculenta L. sono stati messi in evidenza batteri intestinali nei tratti terminali (Battaglini e Boni, 1964). Questa flora osservata negli stadi 24-29 (secondo le tavole di Witschi) proliferavano indiscriminata¬ mente dopo periodi di una o due settimane di digiuno, indi veniva tramandata negli adulti (Boni e Battaglini, 1965). Risultò inoltre, in modo evidente, da osservazioni su dissezioni degli stadi suddetti, un intestino crasso ben sviluppato avente un profilo allungato e piriforme. Da notare che lo slargamento, mentre inizia bruscamente dalla parte del tenue, diminuisce gradualmente man mano che si va verso il retto. L’ampolla presenta onde circolari di contrazioni, inoltre è stata osservata una valvola munita di sfintere simile a quella delle forme adulte (Battaglini e Boni, 1967). — 502 — Un aspetto non esaminato o perlomeno tralasciato è quello dello sviluppo dell’intestino dalla forma larvale, il girino, all’adulto, aspetto che, a mio avviso, è di interesse notevole, perchè può dare una spie¬ gazione ontogenetica e filogenetica dell’adattamento graduale dei Verte¬ brati, o meglio dei tetrapodi all’ambiente terrestre. Orbene lo scopo del presente lavoro è stato quello di identificare in quale stadio per la prima volta si possa notare un accenno di dilatazione con sufficiente caratterizzazione di uno sfintere ileo-cecale con conse¬ guente insediamento di Opaline simbiontiche. 2. Materiali e metodi Per la presente ricerca sono stati utilizzati girini di Rana escu¬ lenta L. compresi tra lo stadio 27, raggiunto dopo 9 giorni dalla fecon¬ dazione, e lo stadio 35. — Si tenga presente che con lo stadio 33 si ha l’inizio della metamorfosi — . Per l’identificazione dei vari stadi di sviluppo si sono seguite le tavole cronologiche di Manelli e Margaritora (1961). Gli animali sacrificati sono stati divisi in quattro gruppi di dieci per ogni stadio : I gruppo, utilizzati per l’esame macroscopico con successive disse¬ zioni ; II gruppo, fissati in formalina ; III gruppo, fissati in Bouin ; IV gruppo, in alcool a 80° utilizzati per l’esame in tota e come campioni. Dopo la fissazione sia gli esemplari in tota che gli intestini isolati sono stati inclusi in paraffina, fette seriate da 7 |x, colorazione con Emalume di Mayer ed eosina. 3. Risultati ed osservazioni La ricerca è stata impostata su due direttive : una macroscopica ed un’altra istologica. Ciò in quanto le due angolazioni di osservazione dello stesso problema hanno permesso una più sicura e probante risoluzione dello scopo prefisso. Infatti le osservazioni istologiche hanno permesso di convalidare o smentire le osservazioni macroscopiche. Inoltre nel riportare i dati si inizierà sempre dallo stadio più alto, il 33, in quanto — 503 — negli stadi 34-35, corrispondenti allo stadio 24-25 secondo Witschi, era stata già osservata la presenza di uno sfintere ileo-cecale e di un (( colon )) (Battaglini e Boni, 1967 Le.). 3.1. Aspetti macroscopici delV intestino di girino. L’intestino dello stadio 33 mostra chiaramente, a livello del suo ultimo tratto, una strozzatura seguita da una dilatazione che è apparsa molto evidente. 11 canale intestinale dello stadio subito precedente, il 32, presenta il particolare anatomico precedentemente descritto ancora chiaramente visibile. È importante rilevare che questo momento dello sviluppo l’animale lo raggiunge circa 40 giorni prima dello stadio 33. Nello stadio 31 appare, sempre nel tratto che ci interessa, un restringimento del diametro interno, seguito da un’ampolla ancora netta anche se di dimensioni ridotte. Andando più indietro, lo stadio 30 presenta solo un lieve aumento del calibro intestinale subito dopo di ciò che nello stadio precedente- mente descritto era un restringimento, e che ora appare come un solco. In corrispondenza di quest’ultimo sembra quasi che la parte di inte¬ stino di calibro minore rientri un po’ nell’altro segmento di calibro maggiore. In questo stadio l’intestino è lievemente spiralato e stiamo a 13 giorni dopo la fecondazione. Si avverte ancora un accenno deH’ampolla nello stadio 29 in cui si nota la struttura che noi cerchiamo anche se di dimensioni ridotte. Negli intestini dello stadio 28 si è notato solo, una lievissima varia¬ zione del calibro intestinale senza che essa possa essere considerata una forma precorritrice dello sfintere. Gli ultimi intestini esaminati, cioè quelli dello stadio 27 non pre¬ sentano alcuna dilatazione, essi appaiono di calibro uniforme. Fin da queste prime osservazioni macroscopiche e superficiali si è potuto stabilire che la comparsa della dilatazione nella parte ter¬ minale dell’intestino si attua fin dall’inizio dello sviluppo e non dopo la metamorfosi. 3.2. Aspetti microscopici ed istologici delVintestino di girino. L’osservazione dei preparati istologici ha dato la conferma della presenza sia di aumento di calibro deU’intestino che di una struttura che ha tutto l’aspetto di uno sfintere. — 504 — Fig. 1. — Stadio 33. Visione generale dell’intestino posteriore. Notare rallargamen> to di calibro dopo il restringimento (sfintere). Bouin. Ematossilina ed cosi¬ na, 33 X. Fig. 2. — Stadio 33. Particolare della fig. 1. Notare lo sfintere e le Opaline sim¬ bionti. Bouin, Ematossilina ed cosina, 130 x. 505 Fig. 3. — Stadio 33. Sezione precedente a quella della fig. 2. È messo in evidenza l’inizio dello sfintere. Bouin, Ematossilina ed eosina, 170 x. Fig. 4. — Stadio 32. Particolare dell’intestino posteriore. Si notano con chiarezza il restringimento del diametro interno e la presenza di Opaline. Bouin, Ema¬ tossilina ed eosina, 170 x. — 506 — Fig. 5. — Stadio 30. Sfintere seguito delFampolla. Bouin, Ematossilina ed eosi- na, 150 X. Fig. 6. — Stadio 29. Particolare delPintestino posteriore in cui si nota la brusca differenza di diametro, indicante un inizio di dilatazione. Bouin, Ematossi¬ lina ed eosina, 150 x. — 507 — Le figure 1, 2 e 3 danno la dimostrazione chiara della presenza sia dello sfintere che dell’esistenza di un colon nello stadio 33. Infatti come si può notare, la fig. 1, che è una visione generale dell’intestino posteriore, fa notare la notevole diversità di calibro in senso antero- posteriore e succesivamente un restringimento. Inoltre, come ben fa vedere la fig. 2, mentre prima dello sfintere il contenuto intestinale è poco consistente, succesivamente si nota un ristagno delle correnti peri¬ staltiche, convalidato daU’abbondante contenuto intestinale e dalla pre¬ senza di Opaline subito a valle dello sfintere e nella porzione ove maggiormente sono presenti fenomeni di controcorrente del flusso idrau¬ lico del materiale intestinale. La fig. 3, che è una sezione precedente della fig. 2, fa notare l’inizio del cercine sfinterico e la presenza sia di Opaline che dello slargamento dell’intestino. La fig. 4 è relativa all’intestino di girino delio stadio 32 e vi si nota facilmente l’aumento di calibro dopo una strozzatura. La fig. 5 illustra la situazione istologica dell’intestino dei girini dello stadio 30. Anche se l’osservazione macroscopica aveva fatto notare solo una leggera variazione di calibro dopo un semplice accenno di restringimento, l’esame istologico ha messo in evidenza la presenza di una struttura che possiamo impunemente chiamare sfintere come si nota nella fig. 5. Nella fig. 5 vi è non solo la presenza dello sfintere, ma anche un notevole aumento di calibro con tutto il fenomeno delle con¬ trocorrenti di flusso e presenza, anche se scarsa, di Opaline. L’esame di sezioni dello stadio 29 (fig. 6) convalida l’esame macro¬ scopico facendo notare solo un accenno di leggera variazione di calibro ma assenza di restringimento ; variazione, pertanto, solo morfologica, ma probabilmente non ancora funzionale. 4. Discussione e conclusioni I risultati precedentemente esposti, portano ad una serie di consi¬ derazioni sullo sviluppo dell’intestino di Rana esculenta. Anzitutto va ricordato che secondo Moore (1964) l’intestino po¬ steriore, nei girini, è tubolare fino alla metamorfosi e solo dopo questa fase viene allargato, per rimanere poi tale nell’adutlo. Friedmann (1953) e Moinuddin e Wing-tsit Lee (1959) hanno ricercato eventuali rapporti tra alimentazione e crescita dell’intestino ; in particolare hanno tentato di evidenziare un rapporto tra i residui ali- — 508 mentari e la dilatazione del lume intestinale, ma le ricerche in questo senso si sono dimostrate spesso infruttuose, Dubois et al. (1963) studiando il ruolo che la flora intestinale ha nella formazione deFampolla, giungono alla conclusione che è proprio la popolazione batterica ad indurre questa modificazione morfogenetica necessaria allo sviluppo stesso dell’animale. Altri studiosi (Cooperstein e Hogben, 1958; Corderò e Wilson, 1961) considerando la funzione esplicata del crasso e cioè il trasporto di acqua e ioni in essa contenuti, ne spiegano la presenza solo quando è necessaria per l’esistenza stessa dell’animale. Infatti nei Vertebrati terrestri è stata chiaramente evidenziata la presenza di un grosso in¬ testino o ampolla, che si deve considerare come il primo accenno di quest’organo, mentre in quelli acquatici non c’è traccia di questa struttura. Se come dicevo, teniamo presente il significato funzionale del crasso, appare chiara la sua localizazione nei Vertebrati terrestri, che devono evitare grandi perdite di acqua, e la sua assenza negli acquatici che anzi devono eliminare grandi quantità di acqua. D’altro canto con gli Anfibi Anuri ci troviamo di fronte a Verte¬ brati che per un periodo della loro vita sono decisamente acquatici (girini) e per il periodo finale della vita sono terrestri, anche se con qualche limitazione. Pertanto da quanto detto sembrerebbe giusto pen¬ sare che se colon vi è, esso debba trovarsi solo nello stadio adulto, in quanto esso Anfibio adulto ha grande necessità di non perdere acqua e anzi recuperarla in tutti i modi. Ma questa dilatazione dell’intestino come si forma? È solo carat¬ teristica dell’adulto? E se si, come mai non vi è nessuno accenno nello sviluppo e durante la vita del girino? Certo che in funzione di quanto riportato nella letteratura sembrava legittimo pensare che il girino avesse un intestino « lungo, spiralato e di calibro uniforme ». Ma da precedenti ricerche (Battaglini e Boni 1964) risulterebbe che ciò non è vero, e cioè che già allo stadio di girino esiste una sorta di dilatazione dell’intestino posteriore che ha tutto l’aspetto di « colon » vero e proprio. Con le presenti ricerche è chiaramente provato che, solo dopo undici giorni dalla fecondazione e precisamente dopo appena cinque giorni dalla fuoriuscita dell’embrione dai suoi involucri, esiste già un abbozzo del grosso intestino. Infatti è appunto nello stadio 29 di Rana esculenta che si presenta un accenno di dilatazione che man mano diviene più evidente con un restringimento sfinterico nello stadio 30. Questo poi — 509 — si afferma molto bene nello stadio 32 ove è ben chiaro tutto il feno¬ meno: è nello stadio 32, infatti, che si nota sia una dilatazione, da considerare come colon vero e proprio, che uno sfintere, che sarebbe quello ileo-cecale. Le fotografie qui riportate elucidano bene tale aspetto. A convalida di quanto detto vi è l’insediamento delle Opaline sim- biontiche in tale zona dilatata a valle dello sfintere, e come si sa le Opaline si localizzano in tale zona anche nell’adulto. L’insediamento elettivo delle Opaline è in funzione del rallentamento del flusso inte¬ stinale che a sua volta è una conseguenza della diversità di calibro. Infine se si esaminano gli stadi 33 e 34 si nota che le Opaline si localizzano in una sorta di evaginazione del colon subito a valle dello sfintere, evaginazione che farebbe pensare ad un prodromo del cieco. Da tutto ciò non può certo sfuggire l’importanza del fatto che le qui riportate ricerche forniscono, in un certo senso, la spiegazione della origine della funzione della dilatazione, ormai chiamiamola pure colon, dell’intestino posteriore degli Anuri adulti. Esso colon è ben presente nei girini e prende una sua propria consistenza in rapporto aU’inizio dell’alimentazione autonoma dell’individuo. È da pensare perciò che con i primi alimenti vengono immesse nell’intestino del girino le prime Opaline, le quali molto verosimilmente indurrebbero la dilatazione dello intestino posteriore per determinare un micro-ambiente adatto alla loro vita simbiontica. Infatti anche se il ciclo vitale delle Opaline non è ben conosciuto, alcune specie, dopo successive divisioni, si incistidano ed escono dall’ospite con le feci. Queste cisti sono mangiate dai nuovi ospiti (girini) e in questi si sviluppano in forme adulte (Noble e Noble, 1971). Questo ne scaturisce dal fatto che la funzione di assorbimento e di ritensione dei liquidi non ha significato per un essere immerso in un liquido. Che poi questa dilatazione assolva in seguito una funzione di equilibrio idrico è una proprietà che precede l’avvio con la vita ter¬ restre dell’Anuro adulto. Concludendo si può affermare in base ai miei dati che il colon nell’intestino degli Anfibi Anuri è presente fin dagli stadi iniziali di girino e che molto verosimilmente è indotto dall’insediamento delle Opaline forse in un primo momento non proprio simbiontiche. Istituto di Zoologia, Sezione di Ecologia animale. Università di Napoli. — 510 — BIBLIOGRAFIA Albert J., 1963 - Contribution a Vétude de la morphogenèse de Vappareil digestif chez la larve de la grenouille agile, Bull. Biol. France et Belgique, 92, N. 10- Battaglini P, e Boni P., 1964 - Flora batterica e modificazioni morfo- funzionali delVintestino dei Vertebrati. Boll. ZooL, 81, 379-388. Battaglini P. e Boni P., 1967 - Indigenous microbici flora and thè large inte¬ stine in tadpoles. Experientia, 23, 950. Bondi C., 1959 - Ricerche sulla morfogenesi dell’apparato digerente degli Anfibi Anuri. Riv. Biol., voi. 51. 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Rinnovamento cellulare deirepitello dei ctenidi nei Cefalopodi Decapodi Nota del socio PIETRO BATTAGLINI ,i.p (Tornata del 22 Dicembre 1972) Riassunto. — L’epitelio respiratorio dei ctenidi è formato da una unità morfo- funzionale divisibile in una zona germinativa pluristratificata ed in un tratto mo¬ nostratificato di rivestimento. Tale aspetto è identificabile a livello delle lamine secondarie e terziarie. Vengono descritte le caratteristiche morfologiche, istologiche e citologiche dei ctenidi, mettendo in evidenza l’esistenza di lamine di primo e secondo ordine con lamelle respiratorie, lamine di terzo ordine, ortogonali a quelle di secondo ordine, ove essenzialmente avviene il processo di rinnovamento sostitutivo. Il processo continuo di rinnovamento dell’epitelio respiratorio avviene mediante proliferazione cellulare nella zona basale pluristratificata germinativa, migrazione verso la zona monostratificata di rivestimento, il tutto mediato da una differenzia¬ zione cellulare. A differenza di quanto si verifica per l’epitelio respiratorio dei Teleostei, nei Cefalopodi il processo rinnovativo avviene a livello di grandi zolle dell’epitelio mo¬ nostratificato di rivestimento ; questa modalità viene messa in relazione alla biolo¬ gia dei Cefalopodi. Summary. — The respiratory epitheLum of gills in Cephalopods is formed of a morpho-functional unit which can he divided in a multilayered germinative zone and a single-layered epithelial covering. This histological aspect can he noted in thè se- condary and tertiary lamellae. Morphological, istologica! and cytochemical characteristics of thè gills bave been described ; thè results show thè existence of primary and secondary laminae with respiratory lamellae of third category, orthogonal to thè secondary ones, where usually thè necessary substitutive renewal takes place. The renewal of thè branchlal epithelium is accomplished by cellular prolifera- tion in thè basai germinative zone ; these cells undergo differentiation and migrate towards thè single-layered epithelial covering. The process of renowal of thè respiratory epihtelium in Cephalopods different from that occurring in thè Teleosts. In fact in former it interests large zones of thè epithelial covering. This different modality of thè epithelial renewal is considered to be in relation with thè biology of Cephalopods. — 512 1. Introduzione Gli elementi respiratori dei Cefalopodi Decapodi sono costituiti da due ctenidi ( o branchie) simmetrici all’ano e allogati nella cavità paileale. I ctenidi, cosi, fluttuano senza posa ad opera dell’acqua che passa nella cavità palleale e girano come su di una cerniera attorno alla membrana che li sostiene. Le estremità distali a punta non essendo fissate oscillano in tutti i sensi e spesso si piegano indietro e in basso. Da questa peculiare posizione morfologica ne deriva che i ctenidi sono organi sottoposti ad una continua usura per il contatto costante e prolungato con l’ambiente esterno e per il continuo e notevole flusso d’acqua. Strutture sottoposte a continua usura sono caratterizzate molte volte da un rinnovamento sostitutivo continuo degli elementi cellu¬ lari, durante il quale avvengono fenomeni di migrazione e differen¬ ziazione morfologica (Bertalanffy e Lau, 1962). L’attività delle cellule sia di puro movimento che propriamente di moltiplicazione e differenziazione non è casuale, ma dipende dal- l’ambiente circostante. Infatti fenomeni di migrazione e di differen¬ ziazione cellulare non avvengono casualmente, ma il loro controllo sembra dipendere dal substrato o per meglio dire dall’interfacie che funziona da guida alle cellule che si spostano sulla sua superficie (Weiss, 1929 — concetto di adesività); e dipende anche da feno¬ meni di « inibizione da contatto » (Abercombie, 1961 e 1962) detti di (( tigmotassi negativa », per cui il movimento delle cellule viene bloc¬ cato al contatto con altre cellule, di contro stimolato da una superficie libera. Importanti sono, altresì, le interazioni di materiali prodotti da particolari cellule (es.: cellule mucipare) con fenomeni superficiali che possono determinare nuove proprietà all’interfacie e quindi nelle cellule corrispondenti. Esempio tipico di migrazione cellulare in animali adulti si può considerare il continuo rinnovamento dell’epitelio intestinale dei Mam¬ miferi secondo una interpretazione dinamica (Wiseman, 1964). Leblond e coll. (1948, 1958 e 1959) riscontrano a carico di tale struttura un’attività continua di rinnovamento dell’epitelio caratteriz¬ zata da un continuo avanzamento delle cellule epiteliali, originatesi nella parte più superficiale delle cripte di Lieberkùhn, verso l’api¬ ce del villo. All’apice tali cellule vengono estruse in corrispondenza di un tratto denominato appunto « zona di estrusione » (Bertalanffy — 513 — e Nagy, 1961). Si attua, inoltre, durante questa migrazione, una pro¬ gressiva differenziazione dell’epitelio intestinale, che porta alla forma¬ zione di una superficie assorbente altamente specializzata nella zona contigua all’apice del villo ( Padykula, 1962). Un’altra struttura che è stata esaminata sotto il profilo del rinno¬ vamento cellulare è la branchia dei Teleostei (Battaglini e Boni, 1964). Da questi studi è risultato che l’epitelio di una lamella bran¬ chiale (o plica respiratoria) è formato da una zona germinativa basale pluristratificata e da un vero e proprio epitelio di rivestimento mono¬ stratificato. Tale epitelio di rivestimento si rinnova continuamente per riparare all’usura cui è sottoposto mediante un processo di rinnova¬ mento sostitutivo che si attua tramite proliferazione cellulare al livello della zona germinativa, conseguente differenziazione di queste cellule nelle cellule di rivestimento delle pliche respiratorie, loro progressiva migrazione lungo l’asse delle pliche stesse fino a raggiungere l’apice in corrispondenza del quale vengono poi estruse aU’esterno. Viene, inoltre, individuata proprio all’apice della plica stessa una a zona di estrusione » preferenziale. La spiegazione di tale dinamica è, secondo gli autori, da ascrivere ai meccanismi di adesività ed inibizione di contatto. Uno studio quantitativo dell’attività mitotica e del turnover cel¬ lulare dell’epitelio respiratorio di Carassius auratus, ha confermato, inoltre, le modalità quantitative del rinnovamento sostitutivo mettendo in luce tra l’altro il rapporto tra pecilotermia e lunghezza del turnover cellulare (Battaglini, 1967). Si è ritenuto perciò interessante studiare sotto questo profilo una struttura simile per forma e costituzione morfologica alla branchia dei Teleostei : i Ctenidi dei Cefalopodi. I ctenidi dei Cefalopodi decapodi hanno forma piramidale e bipennata, costituiti da esili lamelle impiantate a destra e a sinistra della lamina membranosa che divide il ctenidio in due metà. Alla estremità di tale piano si trovano un vaso afferente ed uno efferente principali. Nell’animale adulto tale piano differenzia un orificio, detto foro branchiale attraverso cui penetra l’acqua. È presente così uno spazio tra le basi delle due emibranchie. Secondo Joubin (1885), al quale bisogna risalire per una ade¬ guata e completa descrizione morfologica ed embriologica dei ctenidi dei Cefalopodi, si distinguono : lamine di primo, di secondo e di terzo ordine. Le lamine di primo ordine sono quelle che si impiantano direttamente nella lamina membranosa del ctenidio. Esse sono simili 33 — 514 — ai ctenidi interi, ma se ne differenziano per la non presenza di un piano mediano membranoso ; le loro pieghe, che costituiscono le lamine di secondo ordine, formano un vero e proprio ventaglio. Quest’ultimo lamine formano a loro volta delle pliche che costituiscono le lamelle di terzo ordine. Con tutto questo sistema di pieghe la superficie respi¬ ratoria risulta enormemente ingrandita. Le lamine di primo ordine sono disposte ortogonalmente ai vasi afferente ed efferente principali del ctenidio e sono delimitate da due vasi secondari afferente ed efferente. Successivamente, ortogonalmente a quest’ultimo, vi sono le lamine di secondo ordine che hanno anche esse uno stroma formato da vasi sanguigni ; nel loro interno prevale, però, un sistema circolatorio formato da lacune sanguigne, che sono tappezzate da un epitelio proprio come per i vasi sanguigni. Infine, ortogonalmente ai vasi sanguigni delle lamine di secondo ordine, si trovano le lamelle di terzo ordine nel cui interno si hanno solo lacune sanguigne. Siccome i ctenidi dei Cefalopodi sono sottoposti ad una usura continua, data la funzione cui sono deputati, è verosimile quindi che anche in essi sia riscontrabile una attività di continuo rinnovamento dell’epitelio di rivestimento. La presente ricerca è indirizzata appunto a trovare una convalida di questa ipotesi e a stabilire le eventuali modalità di rinnovamento stesso. 2. Materiali e metodi Per le ricerche sulle modalità di rinnovamento sostitutivo dello epitelio dei ctenidi dei Cefalopodi, sono stati usati 20 esemplari di ambo i sessi e di differente grado di sviluppo di Sepia officinalis L. Dagli animali sacrificati sono stati prelevati entrambi i ctenidi e subito fissati in Bouin. Dopo inclusione in paraffina a 57° sono state effettuate sezioni di 7 micron in serie o a fette alterne e succes¬ sivamente colorazioni con ematossilina di Mayer ed eosina, ematossila ferrica ed orange, Azan. 3. Risultati ed osservazioni 3.1. Descrizione istologica dei ctenidi. Dalle ricerche effettuate appare chiaro che la struttura intima dei ctenidi è tale da determinare tutta una situazione particolare del¬ l’epitelio respiratorio. Questo aspetto si avvicina a quello dei Teleostei — 515 — per un quadro generale, ma se ne differenzia per Fimpostazione morfo¬ logica e per la sua collocazione in una cavità i la cavità paileale. Inoltre la presenza di lacune sanguigne nelle lamine di secondo e terzo ordine è molto importante perché è a livello della zona lacunare che avviene rematosi. Le lamine di secondo e terzo ordine sono ricoperte da un epitelio respiratorio, che a sua volta è rivestito da uno strato di muco secreto da cellule mucipare interposte in tutto l’epitelio ; queste cellule si presentano vacuolate e molto più grandi delle altre ; oltre a queste vi sono pure delle grosse cellule caliciformi. Questo epitelio è gene¬ ralmente monostratificato, ma può, in determinate zone, presentarsi pluristratificato. Tali zone pluristratificate possono presentare un du¬ plice strato di cellule tutte uguali e allora si tratta solo di un ispessi¬ mento dell’epitelio, di norma monostratificato, oppure possono pre¬ sentare i due strati cellulari differenti dal punto di vista morfologico. Quest ’ultima situazione è rinvenibile all’apice delle lamine di secondo ordine formando ivi la loro zona di accrescimento, oppure si riscontra lungo tutta la lamina di secondo ordine e in special modo laddove si differenziano le lamelle di terzo ordine. Dai dati suddetti e da quanto riportato in seguito, a queste zone a duplice strato di cellule diverse si è dato il nome di « zone ger¬ minative )) (fig. 1). Le cellule dei due strati delle zone germinative sono diverse a seconda che si esaminino quelle interne e quelle esterne. Le inter¬ ne sono di forma rotondeggiante con nucleo ben evidente, che si colora molto bene con l’ematossilina ; ogni tanto è interposta una cellula mucipara, con grossi vacuoli ripieni di polisaccaridi, di dimen¬ sioni superiori a tutte le altre cellule dello strato, tanto da far parte anche dello strato superiore trovandosi così a diretto contatto con l’acqua circolante (fig. 2). Le cellule esterne sono invece appiattite come quelle dell’epitelio monostratificato e sono caratterizzate dall’es¬ sere in alcuni casi distanziate tra loro e con nuclei piccoli e talora picnotici. Si è osservato che le lamelle di terzo ordine sono formate in genere soltanto da due assise di cellule epiteliali separate da lacune sanguigne, tali epiteli sono poi uniti da trabecole di cellule mediane. Un doppio strato cellule può evidenziarsi nella lamella terziaria quando forma delle insenature o pliche ravvicinate (fig. 1), mentre quando è distesa (fig. 3) lo strato superiore a cellule appiattite si riduce — 516 Fig. 1. — Sezione frontale di lamina secondaria con lamelle terziare. Notare l’epi¬ telio pluristratificato in corrispondenza di alcune lamine terzarie e la presenza di cellule mucipare a divisorio di due successive pliche terziarie. Bouin, Ematos- silina ferrica e orange, 430 x. Fig, 2. — Sezione trasversale di lamina secondaria. Notare l’epitelio monostratifi¬ cato inferiormente e il pluristratificato superiormente in rapporto ad un inizio di lamina terziaria. Bouin, Ematossilina ed cosina, 430 x. — 517 — facendo vedere solo lo strato sottostante a cellule globose, rotondeg» gianti e con grosso nucleo, identificandosi con la lamina secondaria. 3.2. Modalità del rinnovamento cellulare Dai dati istologici, citologici ora descritti sembra che le pliche di secondo e terzo ordine espletino la vera funzione respiratoria e che è possibile individuare nell’epitelio di tali pliche almeno due zone importanti i una più interna a funzione generativa ed una supe¬ riore di rivestimento vero e proprio. Quando si parla di strato supe¬ riore si intende il caso abbastanza frequente di pliche spesse, ma in linea generale possiamo parlare di un epitelio monostratificato che funzionalmente diviene pluristratificato identificando due zone : la germinativa e quella di rivestimento (fig. 6). Occorre ora vedere le eventuali modalità di trapasso da questa zona « germinativa » all’epitelio esterno di rivestimento. Mentre la zona germinativa sottostante presenta caratteri simili nelle diverse lamelle branchiali e nei diversi ctenidi, l’epitelio di rivestimento presenta variazioni di aspetti a seconda le varie condi¬ zioni di attività e di posizione lungo le lamine secondarie. A volte quest’epitelio si presenta in cellule allungate o appiattite disposte in unica fila, altre volte esse sono rotondeggianti e non sempre di forma e dimensioni uguali. Come esemplificazione di tali varietà possiamo citare il caso del comportamento dell’epitelio che si trova a rivestire pliche terziarie quando queste sono disposte in successive anse (fig. 3): nel lato concavo di tali anse le cellule sono più globose o addirittura rotondeggianti, mentre nel lato convesso sono appiattite come stirate, ciò indica non una differenza di forma precostituita, ma un adatta¬ mento determinato da sollecitazioni meccaniche o da tensioni super¬ ficiali. Una nota a parte meritano le cellule caliciformi mucipare, che si trovano frammiste ad entrambi i due strati cellulari ; esse di solito, si trovano tra una lamella terziaria e la susseguente, specialmente quando è notevole la pieghettatura, funzionando da divisorio tra due successive pliche terziarie. Non è infrequente, però, la loro presenza anche nel solo epitelio di rivestimento, ma allora sono svuotate del loro contenuto di mucina, come se la loro funzione di a divisore » fosse esaurita. La funzione delle cellule mucipare a divisorio di pliche successive potrebbe essere in rapporto allo scorrimento delle cellule dell’epitelio di rivestimento su quello sottostante in accordo a quanto — 518 — Fig. 3. — Sezione frontale di lamina secondaria con lamine terziarie mostrante la totipotenzialità delFepitelio monostratificato. Notare la formazione di una zona (( germinativa » quando due pliche terziarie vengono a contatto. Bouin, Ema- tossilina e cosina, 430 x. Fig. 4. — Particolare di una lamina di secondo ordine mostrante l’apice della stes¬ sa con lamine di terzo ordine. Notare lo strato di muco esternamente alFepitelio e l’aspetto cuneiforme delle cellule dello strato germinativo. Bouin, Azan, 70 x. 519 — riportato da Grobstein (1961) secondo cui Finduzione si origina a seguito della interazione di materiali (la mucina) associati a fenomeni di superficie. Quantunque meno frequentemente anche le cellule della zona germinativa presentano varietà di dislocazioni ed aspetto. Infatti, esi¬ stono dei punti di elezione di tale epitelio, specialmente all’apice delle lamine secondarie, ove questo epitelio germinativo può essere costi¬ tuito da più strati cellulari, sempre, però, con un unico strato cellu¬ lare di rivestimento. L’esame di pliche di terzo ordine fortemente ravvicinate, fa notare anche come l’epitelio monostratificato può diventare zona ger¬ minativa quando, venendo a contatto due successive pliche, si deter¬ minano condizioni tali da costituire un epitelio pluristratificato. Ossia esso acquista tutti gli aspetti citologici, cariologici di una zona germi¬ nativa con la quale tende man mano a fondersi riempiendo così tutta la cavità libera che esisteva tra una plica e l’altra (fig. 1). Tutti questi dati mettono in evidenza la potenzialità migratoria e di dislocazione dell’epitelio di rivestimento sotto lo stimolo di una superficie libera su cui espandersi, e d’altro canto mettono in evidenza che l’intero epitelio anche se si è specializzato in senso di epitelio appiattito non ha perduto le sue caratteristiche germinative, per cui, quando le condizioni microambientali lo permettono, esso si trasforma subito in strutture a tipo « germinativo ». Un aspetto del tutto peculiare, ma che chiarisce meglio questo totipotenzialità dell’epitelio respiratorio dei ctenidi dei Cefalopodi, è dato dall’osservazione dell’epitelio all’apice dei ctenidi (fig. 4). Infatti la punta del ctenidio si presenta in forma tondeggiante e non ben differen¬ ziata in lamine. Inoltre all’apice si può identificare un epitelio formato da cellule cuneiformi a nucleo pure cuneiforme, che fungono da gene¬ ratrici ed ancora uno strato sottostante di cellule di dimensioni mag¬ giori anch’esse tendenti a moltiplicarsi. Una situazione di tal genere si osserva anche all’apice delle lamine di primo ordine, che è quindi la loro zona di accrescimento. Interessante è infine l’osservazione delle cellule monostratificate una volta che abbiamo espletato la loro funzione e lo scorrimento da zone germinative verso la zona a contatto con l’ambiente esterno. Come si è già detto, presentano un nucleo appiattito e all’ultimo stadio anche picnotico. Sotto l’azione di specie di « vis a tergo » e in relazione a microinsulti ambientali, queste cellule vengono estruse e portate via dal flusso costante dell’acqua circostante. L’aspetto rinno- 520 Fig. 5= — Particolare deirestremità di una lamina secondaria mostrante cellule del- Pepitelio respiratorio in estrusione e cellule dello stato germinativo a nucleo cuneiforme. Bouin, Azan, 430 x. Fig. 6. — Particolare di sezione frontale di lamina secondaria con cellule e nucleo cuneiforme, cellule mucipare e cellule che hanno espletato la loro funzione respiratoria. Bouin Ematossilina ed esosina, 1050 x. — 521 — vativo non è localizzato a determinare zone, ma è diffuso sia sulle lamine terziarie, che secondarie e presenta un’accentuazione verso gli apici delle lamine secondarie (fig. 5). 4. Discussioni e conclusioni I reperti istologici e citologici che sono stati descritti confermano l’esistenza, del resto ovvia, di un continuo rinnovamento dell’epitelio branchiale per progressiva migrazione e differenziazione delle cellule da zone pluristratificate « germinative » a zone monostratificate rico¬ prenti le lamine di secondo e terzo ordine. Dall’esame delle lamine di secondo e terzo ordine risulta però evidente che queste due zone epiteliali non possono considerarsi distinte in due epiteli differenti, ma costituiscono una sola unità morfo-fun- zionale : l’epitelio respiratorio propriamente detto. In tale struttura unitaria si possono identificare due zone principali : una basale for¬ mata da un accumulo di cellule con evidenti caratteri di prolifera¬ zione attiva, che si è chiamata zona germinativa, e di contro una zona distale monostratificata, avente soprattutto caratteri di rivestimento. A differenza di quanto avviene nei Teleostei, i quali pure pre¬ sentano per l’epitelio respiratorio una divisione in zona germinativa e in epitelio di rivestimento, nei Cefalopodi le due zone non sono costanti e disposte in precisa successione, ma esistono solo zone di elezione per la formazione di un epitelio pluristratificato. Inoltre nel¬ l’ambito delle diverse zone germinative si osserva una disposizione simmetrica, con un’alternanza di allineamento e di appiattimento delle cellule che si differenziano, a sinistra e a destra della zona germinativa, per costituire l’assise monostratificata dell’epitelio di rivestimento. In¬ fatti, mentre da un lato si osserva un allineamento monostratificato, dall’altro le cellule si affollano in più strati e le cellule appiattite si differenziano solo dallo strato più distale. Per poter spiegare questo trapasso da un epitelio pluristratificato delle zone germinative ad un epitelio monostratificato della maggio¬ ranza delle lamelle terziarie e delle lamelle secondarie, bisogna pro¬ babilmente ricorrere ai concetti di adesività e di inibizione da con¬ tatto, come accennato neU’introduzione. Secondo Abercrombie (Le.) questi fenomeni impongono una migrazione ordinata, in determinate circostanze, verso zone ancora libere; inoltre (Abercrombie e Am- BROSE, 1962) le cellule a forma rotondeggiante presentano una mi- — 522 — nore adesività al substrato rispetto a quelle appiattite. Pertanto è pro¬ babile che con la maturazione e differenziazione degli elementi epi¬ teliali del ctenidio si verifichi un aumento delle forze di adesività e di inbizione da contatto per cui si passa alla fine da un epitelio pluristratificato ad uno monostratificato. Infine con il progredire della funzione respiratoria della cellula e suo esaurimento, tali forze determinano un’estrusione di quelle cellule che non hanno più capacità di aderire al substrato, per cui si invertono i valori di adesività e di inibizione da contatto e queste cellule pos¬ sono così essere strappate via dal flusso dinamico dell’acqua circo¬ lante. A causa della disposizione in larghe zone dell’epitelio stratifi¬ cato, questa estrusione, di cellule esaurite nella loro funzione respi¬ ratoria, avviene contemporaneamente per più cellule e lungo le lamine di secondo ordine ; mentre in quelle di terzo ordine, la perdita cellu¬ lare è di singole cellule per volta. Concludendo si può dire che l’epitelio respiratorio dei Cefalo¬ podi è formato da uno strato cellulare, che ha un duplice aspetto morfo-funzionale con zone germinative pluristratificate ed epitelio di rivestimento monostratificato e che questo aspetto non è cristallizzato e statico, ma presenta un continuo dinamismo. Infine l’estrusione di cellule, che hanno completato il loro ciclo biologico, avviene a grandi zolle e non singolarmente, ciò anche in relazione al particolare sistema respiratorio dei Cefalopodi. Infatti la grande massa di acqua portatrice di ossigeno viene pompata con notevole forza per cui lo stesso scorrimento dell’acqua fa sì che cellule dell’epitelio di rivestimento, che non presentano note¬ voli forze di adesività, vengano facilmente trasportate via ed ecco perciò questa estrusione in blocchi cellulari. Istituto di Zoologia, Sezione di Ecologia animale. Università di Napoli. BIBLIOGRAFIA Abercrombie M,, 1961 - The bases of thè locomotory behaviour of fibroblasts. ExptL Celi. Res., Sappi., 8, 188-198. Abercrombie M., 1962 - Contact - dependent behaviour of normal cells and thè possible signifìcance of surf ace changes in Virus - induced transformation. Cold. Spring Harbor Symp. Quant. BioL, 27, 427-431. Abercrombie M. & Ambrose E. J., 1962 - The surf ace properties of cancer cells: a review. Cancer Res., 22, 525-528. — 523 — Battaglini P., 1967 - Attività mitotica ed indici di rinnovamento delVepitelio branchiale di Carassius auratus, L. Rend, Acc. Se. Fis. Mat. Soc. Naz. 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V t .J* m'frA f Wì^-t ’f',. ' - ’ ' ‘ " fe4 .. .■ ^ '1 Boll, Soc. Natur. in Napoli voi. 81, 1972, pp. 543-566, 6 figg., 3 tavv. Osservazioni geologiche e morfologiche preliminari sui depositi quaternari affioranti nel F° 203 « Brindisi » ( 1 ) Nota del socio GIUSTINO RICCHETTI (* *) (Tornata dol 22 dioembre 1972) Riassunto. — Vengono resi noti i risultati di recenti indagini stratigrafiche e morfologiche condotte sui depositi quaternari affioranti nel territorio del F° 203 « Brindisi », La ricerca ha permesso di controllare la validità dello schema stratigrafico già presentato dall’autore per l’area circostante il Mar Piccolo di Taranto, nonché di proporre una revisione della ripartizione formazionale apparsa nella recente edi¬ zione dello stesso Foglio. In sintesi, i depositi più antichi affioranti nel territorio sono risultati riferibili al Calabriano e correlabili con i sedimenti che affiorano sui lati murgiani della Fossa bradanica ; seguono depositi calcarenitici corrispondenti a sei cicli sedimentari di età postcalabriana, fino a tirreniana. La successione di più cicli sedimentari è testimoniata dai principali lineamenti fisiografici del territorio, che è caratterizzato da una serie di superfìci degradanti ver¬ so il mare e collegate de netti gradini, corrispondenti ad antiche ripe costiere sol¬ levate. Summary. — The results, are here related, which were achieved in stratigra- phical and morphological investigations, carried out on thè quaternary deposits outcropping in thè district of thè F° 203 « Brindisi ». These investigations made it possible to check thè stratigraphic scheme already proposed by thè writer for thè area near thè Mar Piccolo of Taranto ; a revision of thè recent formational division chosen for thè F° « Brindisi » is also suggested. The earliest quaternary deposits are here believed to be Calabrian age and may be correlated with thè sediments outcropping along thè Murgian side of thè Fossa bradanica. They are unconformably covered by calcarenite beds, wich are to referred to six sedimentary cicles ; thè age of wich ranges from thè end of thè Cala¬ brian up to thè Tirrenian. (1) Lavoro eseguito e pubblicato con il contributo del C.N.R. nell’ambito delle ricerche connesse col « Geodynamics Project ». (*) Istituto di Geologia e Paleontologia dell’Università di Bari. — 544 — The succession o£ thè above-mentioned sedimentary cycles is clearly proved by thè physìographic outlines of thè district ; this shows a sequence o£ terraces slo- ping down towards thè sea at various heights and bounded landwards by ancient shore cli££s. 1. Introduzione In questa Nota vengono esposti i risultati di recenti indagini coP' dotte in alcune aree del F° 203 « Brindisi » nelFambito delle ricerche che l’Istituto di Geologia e Paleontologia di Bari ha da qualche anno iniziato sul Quaternario della Penisola Salentina, Lo studio si è reso necessario perchè le indicazioni stratigrafiche apparse nella nuova edizione del F° 203 della Carta Geologica d’Italia, come pure le notizie ricavabili dalle relative Note Illustrative (Rossi, 1969) risultano in gran parte insufficienti per una chiara visione paleo¬ geografica del territorio. Allo scopo, sono stati anche affrontati problemi di nomenclatura li- tostratigafica nel tentativo di riconoscere eventuali correlazioni o equiva¬ lenze fra le unità formazionali indicate nelle ultime edizioni dei fogli (( Brindisi », « Taranto », Ostuni », « Lecce » e « Maruggio ». Si è reso inoltre necessario condurre accurate indagini geomorfo¬ logiche sul terreno e a mezzo di fotografie aeree, per una migliore inter¬ pretazione dei dati stratigrafici e per una più precisa definizione degli eventi che hanno condotto alla attuale fisionomia del paesaggio. La Nota ha un carattere preliminare ; in essa sono tuttavia conte¬ nute alcune indicazioni stratigrafiche del tutto originali per l’area studia¬ ta. I risultati inducono a considerar valido per una più vasta area lo schema stratigrafico già proposto (Ricchetti, 1967) per i depositi qua¬ ternari affioranti nei dintorni del Mar Piccolo di Taranto; ulteriori pre¬ cisazioni potranno esser disponibili col completamento delle indagini sull’intera area del F° a Brindisi ». 2. Precedenti conoscenze Le notizie stratigrafiche più interessanti riguardanti l’area esamina¬ ta sono raccolte nella monografia di D’Erasmo (1934) sui terreni plio¬ cenici e quaternari della Puglia (v. Gap. V - La penisola salentina o terra d’’ Otranto). In questo lavoro l’autore presenta un completo quadro paleogeografico della Penisola salentina sulla base di una dettagliata re¬ visione degli studi precedenti, alla luce di nuove conoscenze geologiche. — 545 — In particolare, la serie plio-quaternaria affiorante nel territorio del (( Brindisi » viene suddivisa in tre unità litostratigrafiche, fra loro in continuità di sedimentazione : 3) (( calcari sabbiosi, tipo panchina, giallo-rossastri (tufo car¬ paro) » ; 2) (( argille azzurre » (localmente, anche intercalate nel termine sottostante) e a argille sabbiose e sabbie gialle » ; 1) « tufi calcarei organogeni bianco-giallastri (tufo zuppigno) ». Lo stesso autore, per mezzo di un esame comparativo fra le macro¬ faune riconosciute nelle singole unità, attribuisce il termine più antico al Pliocene ; il secondo a « una fase già molto avanzata del Pliocene (Calabriano di Gignoux) » e il terzo «al principio del Quaternario». La deposizione dell’intera serie sedimentaria viene poi collegata con quel¬ la più vasta che ha interessato la « Fossa premurgiana » e il « Tavo¬ liere ». Più elaborata e complessa risulta la ripartizione formazionale degli stessi depositi plio-quaternari, recentemente adottata in seguito ai lavori per Faggiornamento del F° « Brindisi ». In quest’area vengono ricono¬ sciute varie unità litostratigrafiche, distinte sulla base dei rapporti di posizione, nonché delle caratteristiche litologiche e/o micropaleontolo¬ giche. Alcune di queste unità fanno parte del complesso delle Calcareniti del Salento altre corrispondono alla Formazione di Gallipoli^ entrambe istituite da Martinis (1967). In ordine d’età, le unità cartografate nel F° Brindisi sono le se¬ guenti : 1) Calcareniti del Salento i vi sono stati distinti quattro oriz¬ zonti, con rapporti trasgressivi fra loro : Q^) « calcareniti e calcari tipo panchina », riferiti dubitativamente al Tirreniano, per ragioni altimetriche ; Q^) « calcari bioclastici ben cementati », attribuiti al Pleistocene in base ai rapporti stratigrafici ; Q^-P^) « sabbie calcaree poco cementate, con intercalati banchi di pan¬ china, sabbie argillose grigio-azzurre », riferite al Pliocene supe- riore-Calabriano per il contenuto micropaleontologico ; P^) « calcareniti, calcari tipo panchina, calcareniti argillose gialla¬ stre », assegnate per via micropaleontologica al Pliocene superio¬ re e forse medio. 35 — 546 — 2) Formazione di Gallipoli^ riferita al Calabriano sulla base del¬ le macro e microfaune ; è composta da due membri : Qjs) (( sabbie argillose giallastre, talora debolmente cementate, che passano inferiormente a sabbie argillose e argille grigio-tur- chine )) ; Qic) (( banchi arenacei e calcarenitici ben cementati » intercalati nel membro precedente. Un primo parziale contributo alla risoluzione dei problemi strati¬ grafici in questione è stato recentemente fornito da Del Prete (1971); in una breve Nota, l’autore dimostra che gli affioramenti calcarenitici costituenti le colline di Oria ( Brindisi), attribuiti nella IP edizioine del F° 203 al membro arenaceo-calcarenitico della Formazione di Gallipoli, rappresentano in realtà un accumulo subaereo, formante un cordone di dune, verosimilmente depostosi in un’epoca compresa fra il « tardo Ca¬ labriano )) e il (( pre-Tirreniano ». 3. Stratigrafia 3. 1. Generalità e discussione sui dati esistenti La configurazione topografica del territorio, quasi ovunque pianeg¬ giante con scarse incisioni naturali di un certo rilievo, non ha facilitato le indagini stratigrafiche. Al fine di individuare la natura dei rapporti fra i singoli termini litostratigrafici distinti durante il rilevamento, sono occorse numerose ricognizioni. Agli impedimenti naturali si aggiunge un altro, legato all’opera di smantellamento condotta dagli agricoltori locali : su vaste zone infatti sono stati, e continuano ad essere eseguiti, « scassi » con mezzi meccani¬ ci o con cariche esplosive, che portano al totale smantellamento di lembi sedimentari, in genere di esiguo spessore. Solo in qualche caso il ma¬ teriale roccioso divelto è riconoscibile, quando si ritrova ammucchiato ai margini dei campi ; nella maggior parte dei casi esso viene però tra¬ sportato in determinate zone di accumulo, di norma piuttosto lontane dai luoghi di scalzamento. D’altra parte, in recenti escavazioni per la posa in opera di una conduttura dell’Acquedotto Pugliese (tronco Taranto-Lecce) è stato possi¬ bile osservare ottime esposizioni. Nel complesso, le indagini sin qui eseguite permettono di poter affermare che la stratigrafia dei depositi plio-pleistocenici del F° « Brin- 547 — disi » non risulta così semplice come era stato sostenuto da D’Erasmo, e neppure tanto complicata come è indicato nella IP edizione del detto Foglio. Una prima precisazione va fatta riguardo all’età dei depositi in questione ; almeno nelle zone studiate sono stati trovati elementi paleon- tologici tali da escludere la presenza del Pliocene. I termini più antichi sinora rilevati contengono infatti una macrofauna con Ar etica islandica LinnÉ, riferibile al Calabriano. Il motivo principale di dissenso riguarda però le ripartizioni for- mazionali sin qui proposte ; come è stato già accennato, la presente revi¬ sione tende a modificare tali ripartizioni per uniformare, in un organico quadro d’assieme, schemi stratigrafici parziali, proposti per circoscritte aree. Allo stato attuale, esiste un certo divario di vedute fra gli schemi stratigrafici proposti per l’area delle Murge e per quella della Penisola salentina. Presso i margini murgiani della Fossa bradanica e della piana di Brindisi e di Taranto ( F‘ « Gravina in Puglia », a Altamura », « Mate- ra » e «Taranto») è stata infatti accertata (Ricchetti, 1965, 1967, 1970; CiARANFi, Nuovo, Ricchetti, 1971; Martinis & Robba, 1971,) Boenzi, Radina, Ricchetti & Valduga, 1971) la seguente successio¬ ne stratigrafica : 1) « Serie della Fossa bradanica » (lati murgiani) costituita dai sottoelencati termini : c) Calcareniti di Monte Castiglione (1) - Calabriano. b) Argille subappennine (2) - Calabriano. a) Calcareniti di Gravina - Pliocene sup. ( ?) - Calabriano. La Serie è trasgressiva su porzioni meno sollevate del basamento calcareo-dolomitico murgiano, di età cretacea superiore. 2) « Coperture postcalabriane » : rappresentate da depositi marini, di norma calcarenitici, disposti in terrazzi di varie quote, riferibili a (1) Nella IP edizione del F° « Taranto », sotto questa denominazione sono compresi anche depositi calcarenitici di età postcalabriana : come è stato già pre¬ cisato in un’altra Nota (CiARANFi, Nuovo & Ricchetti, op. cit.) il termine « Cal¬ careniti di M. Castiglione » è da riservarsi esclusivamente ai depositi calcarenitici regressivi del ciclo sedimentario calabriano della Fossa bradanica (lati murgiani). (2) Nelle aree dei F^ «Gravina in Puglia», «Altamura» e «Taranto», que¬ sti stessi depositi sono stati indicati con il nome di « Argille del Bradano », — 548 — sette brevi cicli sedimentari di età postcalabriana fino a post-tirreniana, generalmente trasgressivi sui termini più bassi della serie calabriana, nonché sugli stessi calcari cretacei. Gli accertamenti ora eseguiti nelFarea del F° a Brindisi » fanno ritenere che lo schema stratigrafico murgiano è perfettamente applica¬ bile anche sull’intero territorio salentino. Un confronto tra la nuova interpertazione e quelle precedenti può servire a chiarire meglio i difetti sostanziali di queste. Riguardo allo allo schema indicato da D’Erasmo si può osservare che i termini a) e b) della sua serie a pliocenica » corrispondono con i termini a) e b) della Serie della Fossa bradanica ; nel termine c) dello stesso schema di D’Era¬ smo erano invece stati raggruppati elementi di età e posizione strati¬ grafica diverse, e cioè lembi di Calcareniti di Monte Castiglione (termi¬ ne (c) della Serie della Fossa bradanica) nonché lembi delle Coperture postcalabriane. Più difficile da esprimere in termini descrittivi appare il confron¬ to con lo schema stratigrafico proposto nella IP edizione del F° « Brin¬ disi )) ; si è perciò preferito produrre il seguente quadro di raffronto, nel quale per chiarezza sono state indicate anche le sigle formazionali usate nella legenda dello stesso Foglio : TERMINI STRATIGRAFICI, SE¬ CONDO LA SUCCESSIONE VER¬ TICALE PROPOSTA TERMINI EQUIVALENTI NELLA II EDIZIONE DEL F° 203 « BRINDISI » 2) « Coperture postealabrìane » (4). Depositi marini in terrazzi di varie quote, riferibili a sei bre¬ vi cicli sedimentari di età post¬ calabriana fino a tirreniana. « Sabbie calcaree poco cementate, con intercalati banchi di panchina » del livello (Q^-P^) delle Calcarenti del Salento (Pliocene superiore-Cala- brlano) ; lembi del membro calcarenitico (Q^c) della For¬ mazione di Gallipoli ( Calabriano) ; livelli (Q^) e (Q^) delle Calcareniti del Salento (Pleistocene). I) « Serie della Fossa bradanica » (lati murgiani) c) Calcareniti di Monte Castiglio¬ ne ( Calabriano) lembi di « banchi di panchina » del livello (Qi-P^) delle Calcareniti del Salento (Pliocene superiore-Calabriano). (3) Nelle aree del F° « Brindisi » sinora rilevate non affiorano i depositi rife¬ ribili al ciclo sedimentario post-tirreniano ( Postcalabriano VII). — 549 — b) Argille subappennine (Calabria- no) « Sabbie argillose grigio azzurre » del livello (Qi-P^) delle Calcareniti del Salento (Pliocene superiore-Calabriano) ; lembi del membro argilloso (Q^s) della For¬ mazione di Gallipoli (Calabriano). a) Calcareniti di Gravina (Cala- briano). 1 vello (P'^) delle Calcareniti del Salento (Plio¬ cene superiore); lembi del membro calcarenitico (Q^c) della For¬ mazione di Gallipoli. Allo scopo di eliminare ogni ragionevole dubbio in merito alla re¬ visione proposta, e per una maggiore obiettività di giudizio, qui di se¬ guito vengono esposti i dati stratigrafici più significativi sui quali la stessa proposta di revisione è fondata. Per il momento non è disponibile una carta geologica dell’intero F° « Brindisi », aggiornata secondo lo schema indicato : come è stato accennato, tale carta è ancora in via di preparazione. Dato il carattere preliminare di questa nota vengono per il momento pubblicati, ove si è ritenuto opportuno per chiarezza di esposizione, solo alcuni a fram¬ menti )) della carta geologica in preparazione, con relative sezioni. 3. 2. Serie della Fossa bradanica (lati murgiani) a) Calcareniti di Gravina. Rappresentano il termine più diffuso dell’intera Serie per quanto riguarda l’estensione, e lo spessore. I lembi di Calcareniti di Gravina si distinguono da altri termini calcarenitici più recenti per le peculiari caratteristiche litologiche, paleontologiche e stra¬ tigrafiche, nonché per le tipiche proprietà tecniche che rendono questi sedimenti (indicati nella zona col nome di « tufo zuppigno ») molto usati nell’industria edilizia. Riguardo alle caratteristiche litologiche, le dette Calcareniti appaio¬ no costituite essenzialmente da calcari granulari poco diagenizzati, poro¬ si, teneri e di color bianco giallastro ; la grana è in prevalenza arenitica ; i granuli sono di tipo concrezionato, formati da aggregati di piccole par¬ ticelle carbonatiche (4). Nell’area del F° « Brindisi » le Calcareniti di Gravina mostrano ovunque una giacitura massiccia, a luoghi con rari e irregolari cenni di suddivisione in grossi banchi. (4) Notizie più dettagliate sui caratteri litologici e geochimici delle Calcareniti di Gravina si trovano i lavori di Dell’Anna, Garavelli & Nuovo (1968) e di Ricchetti (1970). — 550 — In merito al contenuto paleontologico, si fa osservare che le micro¬ faune sono scarsamente indicative dal punto di vista cronologico ; ciò forse a causa deU’ambiente di sedimentazione, piuttosto costiero. Abbon¬ danti e significative sono invece le macrofaune fossili, localizzate in diversi livelli stratigrafici ; si tratta per lo più di gusci o, più spesso, Fig. 1. — Carta topografica schematica del F° 203 « Brindisi ». Con asterischi sono indicate le prineipali località fossilifere con Arctica islandica LinnÉ, in affiora¬ menti delle Calcareniti in Gravina. di modelli interni di Molluschi, nonché di gusci di Brachiopodi e di resti di Echinodermi. Fra i resti di molluschi sono abbondanti le val¬ ve e i modelli interni di Arctica islandica LinnÉ ; le principali loca¬ lità fossilifere con A. islandica si trovano nelle zone di cava dei din¬ torni di S. Marzano di S. Giuseppe, di Fragagnano, di Sava, di Man- duria, di Avetrana, di Erchie, di Torre S. Susanna e di S. Vito dei Normanni ; come pure in affioramenti situati nei pressi di Villa Ca¬ stelli, di Francavilla Fontana, di Latiano e di Mesagne (Fig. 1). — 551 — Le Calcareniti di Gravina poggiano in trasgressione su parti sol¬ levate del basamento cretaceo ; per luoghi, le stesse Calcareniti passa¬ no in alto, con continuità di sedimentazione, alle Argille subappennine. Come è stato già indicato, con le Calcareniti di Gravina vanno correlati nella loro totalità i lembi del livello (P^) delle Calcareniti del Salente, nonché due estesi lembi del membro calcarenitico (Q^c) della Formazione di Gallipoli, rispettivamente ubicati nella piana a sud di Oria (dintorni di S. Susanna, Erchie, S. Pancrazio e S. Donaci) e nella zona a ovest di Brindisi (da Latiano a S. Vito dei Normanni). b) Argille subappennine. Affiorano in ristretti lembi, di norma lungo pendici o incisioni vallive. L’effettiva distribuzione areale è tut¬ tavia notevole : la scarsezza degli affioramenti dipende dal fatto che le Argille soggiacciono su vaste aree alle più recenti coperture sedimen¬ tarie postcalabriane. Gli affioramenti più notevoli sono localizzati nei territori di Fragagnano, di S. Marzano di S. Giuseppe, nei dintorni di Francavilla Fontana, nonché lungo la scarpata che collega le colline di Oria con la piana di Manduria-Torre S. Susanna, Lembi poco estesi di Argille subappennine affiorano a sud di Vil¬ la Castelli ( dintorni di Masseria Antoglia) e a sud di Oria ( dintorni di Masseria Laurito e Masseria Li Preti). Si tratta di argille di color grigio-azzurro, molto plastiche, con orizzonti o lenti più sabbiose di norma localizzate nella parte inferiore (al eontatto con le sottostanti Calcareniti di Gravina) come in quella superiore (al passaggio con le Calcareniti di Monte Castiglione). Dal punto di vista paleontologico, le Argille subappennine conten¬ gono, a luoghi, una microfauna con Hyalinaea halthica Schroeter ( 5) ; nei livelli basali é presente una macrofauna con Molluschi marini com¬ prendente, a luoghi, Ar etica islandica LinnÉ (dintorni di Francavilla Fontana) (6). Alle Argille subappennine vanno assegnati estesi lembi del livello (Qi-P^) delle Calcareniti del Salente della recente edizione del F° 203 (in particolare i termini indicati in legenda come « sabbie argillose grigio-azzurre ») esistenti nella zona di Fragagnano-S. Marzano, nonché nei territori di Villa Castelli, di Francavilla Fontana, di Oria e di Sava. Con le stesse Argille sono correlabili anche alcuni lembi del membro (5) Ulteriori precisazioni sulla microfauna verranno esposti in una prossima Nota, in collaborazione con N. Ciaranfi. (6) La macrofauna delle Argille è attualmente allo studio da parte di V. Cam¬ pobasso e A. D’Alessandro. — 552 (Q^s) della Formazione di Gallipoli dello stesso Foglio, localizzati nei pressi di Latiano. Al momento, nessuna precisazione si ritiene di dover fare per quanto riguarda l’esteso affioramento dello stesso membro ( Q^s) carto- grafato nei dintorni di Brindisi: molto scarsi sono i dati disponibili. Se si volesse tener conto dei dati esistenti in letteratura (Radina, 1968) nonché di indicazioni stratigrafiche espresse a voce dagli stessi sonda¬ tori che hanno eseguito pozzi per ricerche d’acqua nella zona, una gran parte di tale lembo dovrebbe esser assegnata a termini delle Co¬ perture postcalabriane. c) Calcareniti di Monte Castiglione. Rappresentano i prodotti della fase regressiva del ciclo sedimentario calabriano. Lembi sicura¬ mente riferibili a tale termine sono ubicati a sud di Villa Castelli, tra Mass.ia Eredità e Mass.ia Antoglia ( Fig. 2) ; in tal luogo, affiora l’in¬ tera Serie della Fossa bradanica. La roccia (indicata dai cavatori col no¬ me di «carparo))) è notoriamente (Ricchetti, 1965) costituita da calcareniti organogene a grana variabile, di color giallo-rosato ; ha l’a¬ spetto di una panchina e non appare stratificata. Localmente, le Calca¬ reniti di Monte Castiglione poggiano in continuità sulle Argille sub- appennine tramite un sottile orizzonte argilloso-sabbioso. Data la natu¬ ra del sedimento e dell’ambiente in cui esso si è depositato, le faune fossili contenute nelle dette Calcareniti forniscono solo indicazioni di facies ; l’età è definita dai rapporti stratigrafici con le sottostanti Ar- gille. Alle stesse Calcareniti di M. Castiglione vanno riferiti limitati lembi di panchina del livello ( Q’ -P^) delle Calcareniti del Salente della IP edizione del F° 203 nonché nuovi lembi riconosciuti durante il ri¬ levamento. 3.3. Coperture postcalabriane Nell’area del F° « Brindisi )) sinora esaminata, é stata accertata la presenza di depositi, di norma calcarenitici, riferibili a sei brevi ci¬ cli sedimentari verificatisi dopo il Calabriano, a seguito del ritiro del mare verso le attuali linee di riva adriatica e ionica. Tali depositi, in genere di esiguo spessore, poggiano con contatto trasgressivo su super- fici di abrasione incise, a vari livelli altimetrici, nei termini inferiori della Serie calabriana e in qualche caso su porzioni del basamento cre¬ taceo. 553 Si fa inoltre osservare che i depositi postcalabriani, in particolare quelli di età più antica, mostrano notevoli analogie litologiche fra m ??????: 1 ±. _ _ 1 2 3 4 Figo 2. — Cartina geologica dei dintorni di Villa Castelli; tavoletta 203 IV SO, parte nord-occidentale. Legenda : 1 - calcari e dolomie del basamento cretaceo ; 2 - Calcareniti di Gravina ( Calabriano) ; 3 - Argille subappennine ( Calabriano) ; 4 - Calcareniti di Monte Castiglione (Calabriano); 5 - depositi alluvionali re¬ centi e attuali; I-I, traccia di sezione (v. Tav. I). loro, nonché con le stesse Calcareniti di Monte Castiglione ; forse a causa di ciò in proposito, non era stata finora tentata alcuna distin¬ zione stratigrafica. — 554 Nei dintorni del Mar Piccolo di Taranto, analoghi depositi cal- carenitici postcalabriani sono stati indicati (Ricchetti, 1967) con no¬ mi desunti dalle più tipiche località di affioramento ; essi sono : — Calcareniti di Montemesola - Postcalabriano I — Calcareniti di Mass.ia Angiulli - Postcalabriano II — Calcareniti di Monteparano - Postcalabriano III — Calcareniti di Montedoro - Postcalabriano IV — Calcareniti di Massda S. Pietro - Postcalabriano V — Calcareniti di Punta della Penna - Tirreniano. Le indicazioni emerse durante i recenti rilevamenti, sconsigliano la definitiva formalizzazione di tali nomi ; col proseguire delle ricerche nell’intero territorio salentino, si potranno certamente indicare aree o luoghi più adatti per una migliore definizione formazionale dei deposi¬ ti in questione. In questa Nota comunque, si farà ricorso ai su elen¬ cati nomi dei dintorni di Taranto per definire i rapporti di correlazio¬ ne esistenti fra i corrispondenti termini e i depositi postcalabriani re¬ centemente distinti in alcune aree del F° « Brindisi ». Qui di seguito verranno indicate, per il momento, alcune fra le aree in cui sicuramente affiorano i depositi postcalabriani ; tali aree sono state riconosciute sulla base di indizi stratigrafici e di evidenze morfologiche. Ulteriori verifiche si rendono necessarie per stabilire l’e¬ satta posizione stratigrafica e l’età dei lembi di depositi postcalabriani che affiorano specialmente nella parte orientale dello stesso foglio. Come è stato accennato, i prodotti riferibili ai primi quattro ci¬ cli postcalabriani mostrano una notevole uniformità di caratteri lito¬ logici e paleontologici ; pertanto sotto questi aspetti risultano mal di¬ stinguibili fra loro. I corpi sedimentari in questione sono infatti normalmente for¬ mati da calcareniti, con grana variabile a seconda dei luoghi, di color rosato o bruno, irregolarmente stratificate o massicce, con intercalate lenti di sabbie ; inoltre, da calcari arenacei a grana molto fine, lastri- formi, di color grigio chiaro (7). Gli elementi calcarenitici contengono orizzonti con gusci di tipiche specie di molluschi di mare basso co¬ stiero ( Pettinidi, Clamidi, Cardidi, Ostreidi, Dentalidi, ecc.) ; le mi- (7) Nella locale terminologia dei cavatori, le calcareniti vengono indicate col nome di « carparo » ; i calcari arenacei lastriformi sono detti « mazzaro ». — 555 — crofaune sono in genere rappresentate da specie di foraminiferi ben- tonici, e da rare a specie fredde » (Hyalinaea balthica, Bulimina mar¬ ginata, Uvigerina peregrina, ecc») indicanti forse una fase climatica temperato-fredda. Nessuna indicazione d’età è stata sinora tratta dallo studio delle faune fossili. Gli spessori massimi dei singoli corpi sedi¬ mentari non superano i 10 metri. Per una distinzione cronologica, sono stati usati criteri altimetri¬ ci : sono state cioè controllate le varie quote altimetriche delle super- fici di appoggio dei depositi postcalabriani e misurati i dislivelli medi fra le singole super fici. I depositi calcarenitci poggianti sulle super fici di abrasione più elevate sono stati attribuiti ai cicli sedimentari più antichi. Al Postcalabriano I (Fig. 3) sono da riferirsi i lembri calcarenitici affioranti a ovest di Francavilla Fontana, nei dintorni di Masseria S. Eramo ( 8) ; tali lembi poggiano, in trasgressione sulle Argille Calabria- ne e in qualche caso sulle Calcareniti di Gravina o su calcari cretacei. Il contatto trasgressivo si osserva in buona esposizione in corrispon¬ denza del Km 682 della SS. n. 7, nel tratto Grottaglie-Francavilla Fon¬ tana ( alla base del deposito postcalabriano si osserva un sottile oriz¬ zonte sabbioso-argilloso di color giallo rossastro, poggiante su una disu¬ niforme superficie stabilitasi sulle Argille subappennine). In altri luoghi, dove l’appoggio avviene sulle Calcareniti di Gravina o sui cal¬ cari cretacei, al contatto si notano lenti poco spesse di conglomerato, con elementi arrotondati di calcari cretacei e di Calcareniti di Monte Castiglione. La superficie di appoggio dei depositi riferiti al Postcalabriano I è situata a una quota media di 155 m sul livello del mare; una trentina di metri più bassa rispetto alla superficie di contatto fra le Argille sub¬ appennine e le Calcareniti di Monte Castiglione. I depositi riferibili al Postcalabriano II affiorano su una estesa area, tra Francavilla Fontana e Oria; ovviamente, quelli costituenti le colline di Oria, giustamente attribuiti da Del Prete (op. cit.) a cor¬ doni di dune, non ne fanno parte. Lembi di minor estensione si ricono¬ scono a NE di Francavilla Fontana, nei dintorni delle masserie: Don Luca, il Feudo Superiore e la Guardiola (Fig. 4). Il Postcalabriano II poggia in evidente trasgressione su una superficie generalmente incisa (8) Nella IP edizione del F° « Brindisi », in quest’area risulta affiorante un lembo di calcare cretaceo. — 556 — “n: vW7 s \ \ \ \ »••••« _ I / / / / 2 3 4 Fig. 3. — Cartina geologica dei dintorni di Mass.ia S. Bramo; tavoletta 203 IV SO, parte centro-meridionale. Legenda : 1 - calcari e dolomie del basamento cre¬ taceo ; 2 - Calcareniti di Gravina ( Calabriano) ; 3 - Argille subappennine ( Ca- labriano) ; 4 - calcareniti del Postcalabriano I ; 5 ■ depositi alluvionali recenti e attuali; II-II, traccia di sezione (V. Tav. I). nelle Argille subappennine ; tale superficie è posta a una quota media di 125 metri s. 1. m. Il contatto, ben osservabili sul margine meridionale — 557 — deiraffioramento (in corrispondenza di una netta scarpata, o di solchi ero¬ sivi incisi nella scarpata stessa) avviene tramite un sottile orizzonte sabbioso-terroso di color giallo-rossastro. i J I 2 Fig. 4. — Cartina geologica dei dintorni di Mass.ia Don Luca; tavoletta 203 IV SE, parte centro settentrionale. Legenda : 1 - calcari e dolomie del basamento cre¬ taceo ; 2 - Calcareniti di Gravina ( Calabriano) ; 3 - calcareniti del Postcalabria- no IL Al Postcalabriano III ( Fig. 5) possono essere attribuiti i depositi calcarenitici che affiorano, su una estesa fascia, al piede della scarpata su menzionata, nonché nella zona compresa fra S. Marzano di S. Giu- — 558 — f/ / V sPM^ ' i-^y-}Jì>M “\ j\ =5&Q& V V \. •v !6 v*^-v t$s^Lajurito .'/. y ,1 .'^r ^ ^ ' .X ^^XXv 7///////, ? 2 3 4 Fig. 5. — Cartina geologica dei dintorni di Oria; tavoletta 203 III NE, parte centro settentrionale. Legenda : 1 - Calcareniti di Gravina ( Calabriano) ; 2 - Argille subappennine (Calabriano); 3 - calcareniti del Postcalabriano II ; 4 - calcareniti del Postcalabriano III; 5 - duna; III-III, traccia di sezione (v. Tav. I). seppe e Fragagnano, alla sommità di poco elevati rilievi, costituiti da argille calabriane ; lembi minori si riconoscono, a sud di Oria, in cor¬ rispondenza delle collinette di Massia Laurito e di Mass.ia Li Preti. — 559 — La superficie di appoggio di questi depositi, quasi ovunque elaborata sulle Argille subappennine, è posta circa 110 metri sul livello del mare. Al¬ la base dei sedimenti calcarenitici del Postcalabriano 111 è presente un sottile orizzonte di sabbie gialle, con numerosi macrofossili [Chla- mys, Anoììiia, Ostrea^ Cardium, ecc.) di ambiente probabilmente sal¬ mastro o comunque di mare molto sottile. Limitati in estensione sono i lembi che, al momento, possono es¬ ser riferiti con certezza al Postcalabriano IV ; questi affiorano su una stretta fascia, localizzata al piede della scarpata esistente nei pressi di Fragagnano (Fig. 6). La superficie d’appoggio sulle argille calabriane sta intorno ai 100 metri di quota, A seconda dei luoghi, ai primi quattro cicli postcalabriani vanno attribuiti i lembi di a sabbie calcaree poco cementate con intercalati banchi di panchina )> del livello ( Q^-P^) delle Calcareniti del Salente, nonché i lembi del membro calcarenitico ( Q^c) della Formazione di Gallipoli. I depositi riferibili al Postcalabriano V e al Postcalabriano VI af¬ fiorano nei dintorni di Torricella (parte sud-occidentale del F° « Brin¬ disi ») ; sotto gli aspetti litologico e stratigrafico, questi depositi corri¬ spondono a quelli rispettivamente indicati con le sigle Q^) e Q^), nel¬ la II edizione del F° « Brindisi ». Circa le correlazioni che possono esser fatte fra i depositi post¬ calabriani ora descritti e quelli postcalabriani definiti (Ricchetti, 1967) nella adiacente parte del F° « Taranto », si è accertato che i lembi cal¬ carenitici riferiti al Postcalabriano I e II sono comparabili, su basi stratigrafiche e morfologiche, rispettivamente alle « Calcareniti di Mon- temesola » e alle « Calcareniti di Mass.ia Angiulli » ; i depositi attri¬ buiti ai cicli sedimentari successivi mostrano una netta continuità di affioramento nell’area dei due fogli. È opportuno far notare che i de¬ positi più recenti riferiti su basi stratigrafiche al Postcalabriano VI possono esser attribuiti al Tirreniano, per via paleontologica : in un re¬ cente lavoro, CoTECCHiA, Dal Pra & Magri (1971) hanno infatti se¬ gnalato il rinvenimento di Strombus buhonius Lamark, in una zona limitrofa del Foglio Taranto (Canale dei Cupi) in depositi correiabili per continuità stratigrafica con quelli del Postcalabriano VI affioranti nel F° « Brindisi ». Infine, per quanto riguarda i depositi prodotti per opera del ven¬ to si segnala, nell’area del F° a Brindisi » e precisamente in corrispon¬ denza dell’abitato di Fragagnano la presenza di un altro antico cordone o IO co CN — É kVv kV\^ « S o o O ■t-' « > ' > W2 2 hJ .2 fl u -5 4) w q 4) 1 £ § 4 g = p « a " §: § ^ 1 ■> a I ^ Z ■» I -H < §■ eo ^ O t- SM S S wj .s a > &r a .rt 13 a £3 G 5i (U O ^ u ^ . ‘S T3 72. TAVOLA III Stereogramma delFarea circostante il Mar Piccolo di Taranto. Legenda ; 1 - spianata calabriana ; 2, 3, 4, 5, 6 - spianate postcalabriane e pretirreniane ; 7 - spia¬ nata tirreniana ; 8 - spianata post-tirreniana. Le scarpate osservabili nella parte più elevata del territorio corrispondono a an¬ tichi piani di faglia modellati per effetto di oscillazioni del mare calabriano nonché dall’erosione. Allo stato attuale delle conoscenze, si ritiene affatto improbabile che tali scarpate possano indicare stazionamenti del mare verificatisi in epoche prece¬ denti il Calabriano. Ricchettj G. ■ Osservazioni geologiche e morfologiche, ecc. Tav. Ili ! Joll. Natur. in Napoli. 1972. Processi uemaii delie (ornate e delie assemblee seneraii Processo verbale dell'adunanza del 28 gennaio 1972 Presidente: A, Palombi Segretario: A. Rodriquez Il giorno 28 gennaio 1972, alle ore 17, si è riunita nei locali della sede so¬ ciale, la Società dei Naturalisti in Napoli. Sono presenti i soci: Palombi, Di Girolamo, Vittozzi, Corrado, Rodriquez, Tavernier, Montagna, Sagristani, Schettino, Abatino, Ietto, Ortolani, Pescatore, D’Argenio, Merenda, Carannante, Brancaccio, Battaglini, Lapegna, Franciosa, Delfino. Scusa l’asseza il socio Costantino. In apertura di seduta il Presidente peresenta i rallegramenti delFAssemblea e suoi personali ai soci D’Argenio e Pescatore per i brillanti risultati ottenuti nel re¬ cente concorso a cattedra. Comunica, inoltre, di aver provveduto a far pervenire i sensi della partecipazione più viva della Società al lutto per la morte del socio Padre Dante Maini ed al lutto dei soci Vittozzi e Bonardi per la perdita di persone care. Il Presidente comunica, ancora, che il socio Valduga ha presentato le dimis¬ sioni e nel contempo ha chiesto il subentro dell’Istituto di Geologia e Paleontologia dell’Università di Bari al suo posto in qualità di socio. L’Assemblea approva. Per quanto riguarda il terreno a Posillipo, il Presidente presenta la proposta, già avanzata in sede di Consiglio direttivo e fatta propria del Consiglio stesso, di vendere detto terreno ed investirne il ricavato nell’acquisto di titoli ; la rendita dei titoli potrebbe essere devoluta a favore di premi di incoraggiamento a studiosi o studenti secondo quanto già era stato fatto in passato. Intervengono i soci Montagna e Vìtozzi: il primo dichiara che sarebbe più indicato aspettare un periodo più favorevole per vendere ; il secondo manifesta di essere propenso ad ulteriori ten¬ tativi per fìttarlo. Si passa alla votazione e l’Assemblea, a maggioranza, si dichiara contraria alla vendita. Si passa, quindi, alla relazione del Presidente sull’attività svolta dalla Società nel decorso anno che, integralmente si riporta. RELAZIONE SULL’ANDAMENTO DELLA SOCIETÀ DURANTE L’ANNO 1971 L’anno 1971 è stato per la Società un anno di intenso lavoro anche se di que¬ sto molto non appare ed altro è ignorato. Tornate. Nello scorso anno la Società ha tenuto regolarmente nove riunioni se¬ gnate nel calendario, delle quali ben cinque sono state assemblee generali. Oltre alla prima, tenuta all’inizio dell’anno per ascoltare la relazione del Presidente e quella dei Revisori dei conti, nelle altre assemblee sono state esaminate le modifiche al Re¬ golamento interno e le aggiunte al Regolamento del personale, l’elezione del Consi¬ glio direttivo ed infine, l’elezione di nuovi soci. — 568 — Soci. In due Assemblee generali sono state ammessi 41 nuovi soci, molti dei quali attendevano da anni di entrare a far parte della Società. Un cordiale benvenuto vada a questi nuovi soci, i quali, certamente, porteranno un soffio di vita e, con Tentusiasmo delle loro fresche energie, daranno buoni contributi al sodalizio. Accanto a questo notevole aumento di soci vi è stata la perdita di 13 soci; del Prof. Giu¬ seppe Ciampa, immaturamente scomparso, alla memoria del quale invio il mio me¬ sto e commosso pensiero con l’augurio che di Lui venga fatta adeguata commemora¬ zione ; di altri sette soci dichiarati dimissionari per la prolungata morosità e di altri quattro soci per aver fatto pervenire le loro dimissioni. Attualmente la Società conta 185 soci dei quali 3 compresi nella categoria dei soci benemeriti e 182 in quella dei soci ordinari. Altri aspiranti soci bussano alle porte e le loro domande di ammissione saranno presto esaminate dal Consiglio diret¬ tivo e proposte all’Assemblea dei soci per le votazioni. Pubblicazioni. Durante le nove tornate sono stati presentati 22 lavori cosi ri¬ partiti; 10 di Geologia, 8 di Paleontologia, 2 di Fisica Terrestre, 1 di Chimcìa, 1 di Biologia oltre ad una recensione. Tali lavori sono pubblicati nel volume 80° della serie che vede la luce al compimento del novantesimo anno di vita della Società. Esso porta, di seguito ai processi verbali, una breve storia della Società, lo Sta¬ tuto ed il Reolamento, l’elenco dei soci ed, infine, l’elenco delle Isituzioni italiane e straniere con le quali la Società scambia le pubblicazioni, in ordine di località in cui hanno sede tali Istituzioni. Tutte queste parti saranno poi raccolte in un unico fascicolo che vedrà la luce col titolo di Annuario. Contemporaneamente alla pubblicazione del Bollettino, sarà diffusa la seconda parte del volume delle Memorie stampato in omaggio del Prof, Scarsella, Al notevole ed impegnativo lavoro per la stampa dei volumi, ha dedicato molte sue energie il socio Abatino al quale il Consiglio direttivo aveva affidato la carica di Redattore delle pubblicazioni. Al socio Abatino mi è gradito porgere i ringraziamenti più vivi per la diligenza e l’impegno con cui ha assolto l’incarico conferitogli ed ancora mi è caro ricordarlo per quanto egli ha fatto perchè la Società potesse usufruire della tariffa postale ridotta che avrebbe consentito notevoli vantaggi economici. Purtrop¬ po, nonostante l’interessamento spiegato, non è stato possibile ottenere la concessio¬ ne ed il rifiuto è stato motivato dal fatto che la Società non persegue scopi com¬ merciali. La stampa del volume del Bollettino e quello delle Memorie inciderà notevol¬ mente sulle risorse finanziarie della Società, ma noi facciamo affidamento sul gene¬ roso contributo del Ministero della Pubblica Istruzione perchè consenta al nostro sodalizio di continuare la sua intensa attività rivolta al progresso delle Scienze. Nello scorso anno oltre al contributo del Ministero, che ci auguriamo venga confermato per il corrente anno, la Società ha ricevuto contributi dal C.N.R, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Banco di Napoli. Le disponibilità del bilancio hanno consenito alia Società di acquistare una macchina da scrivere Olivetti indispensabile per il lavoro di Segreteria e della Biblioteca ed hanno, altresì, per¬ messo di disporre di un proprio apparecchio telefonico. Lavori nei locali della Società. Com’è noto, per averne più volte fatto cenno, da oltre un anno, i locali della Società sono in gran parte inutilizzabili per i lavori di muratura e di pittura che sono stati eseguiti ed infatti le nostre sedute sono state — 569 — tenute per tutto il 1971 nell’aula di Geologia a S. Marcellino messa a disposizione dal socio Prof. Ippolito al quale rinnovo i ringraziamenti per l’ospitalità concessaci. I lavori che dovevano durare al massimo qualche mese, si sono protratti per oltre un anno e dureranno ancora chi sa quanto tempo per le lesioni che, tolto l’intonaco, si sono manifestate in una parete del locale adiacente al gabinetto di decenza. In attesa che la Commissione tecnica nominata per indicare i lavori da effettuare compia i rilievi ed esprima il giudizio, sia il locale in parola nel quale il soffitto presenta anche una trave incrinata, sia quello antistante, non sono utilizzabili. La Società, quindi, viene soltanto ad usufruire della sala delle adunanze che attualmente ci ospita e del locale in cui funziona la Segreteria il quale, però, è in¬ teramente occupato dai libri posti in ogni sua parte oltre che negli scaffali di legno alle pareti. La necessità di provvedere a creare altro spazio per accogliere i libri che continuamente ed in gran numero giungono in cambio, indusse il Consiglio di- rettivo a ricercare una soluzione più idonea perchè l’ambiente a disposizione fosse atto a contenere il maggior quantitativo possibile di libri. Si pensò, quindi, di sosti¬ tuire la vecchia scaffalatura in legno con scaffali in metallo disposti a pettine. Tali scaffali furono commissionati alla Lips Vago, dopo aver otenuto dall’Ufficio tecnico dell’Università, tramite il Rettorato, il parere favorevole sulla stabilità del locale. La scaffalatura, alla fine di dicembre, è giunta ed attualmente si trova in deposito, come tanta altra suppellettile e libri, nei locali della Società dei Medici e Naturalisti adia¬ centi alla nostra Società, perchè l’Ufficio tecnico è perplesso sulla stabilità dei locali e pertanto ci ha informati di lasciare tutto inalterato. Questo inconveniente pone in serie difficoltà la Società la quale, oltre alla sala delle adunanze, non dispone che di un unico locale del tutto insufficiente ai bisogni del sodalizio in piena fervida attività. Le notizie fornite non sono certamente liete, tuttavia io avevo il dovere di nulla tacere perchè l’Assemblea fosse al corrente della situazione che ho cercato di miglio¬ rare, ma invano, aiutato anche dai componenti del Consiglio direttivo passato e pre¬ sente. Purtroppo, allo stato attuale, non c’è che augurarsi che vengano presto le de¬ cisioni della Commissione o che qualche soluzione, comunque, possa essere adottata per dare alla Società la possibilità di operare e progredire. L’Assemblea prende atto e approva all’unanimità. Il socio Corrado, Revisore anche a nome del socio Tavernier, legge la relazione sull’andamento finanziario della Società che l’Assemblea , all’unanimità, approva. Si passa, poi, alle comunicazioni scientifiche. Il socio Montagna espone una nota dal titolo La sistemazione idro geologica nei bacini torrentizi di Somma-Vesuvio. Chie¬ dono chiarimenti i soci Vittozzi, d’Argenio, Pescatore, Brancaccio e Battaglini. Dopo un ampio dibattito, il Presidente dichiara che, secondo il Regolamento, il lavoro re¬ sta a disposizione dei soci e del Comitato di Redazione per sette giorni dalla pre¬ sentazione. Il socio Di Girolamo espone ed illustra con diapositive un lavoro dal titolo ; II cono di scorie eccentric odi Sesto Campano [Isernia) (Vulcano di Roccamonfinà). Esaurito l’o. d. g. la seduta è tolta alle ore 19. — 570 — Processo verbale del l'Assemblea generale del 30 marzo 1972 Presidente: A. Palombi Segretario ff . : T. Pescatore Il giorno 30 marzo 1972, alle ore 17,20, si è riunita nei loeali della Società, in seconda convocazione, l’Assemblea generale della Società dei Naturalisti in Napoli col seguente ordine del giorno : 1) Comunicazioni del Presidente. 2) Omaggio al socio Scarsella del volume delle Memorie stampato in suo onore. 3) Ammissione nuovi soci. Sono presenti i soci: Palombi, Vittozzi, Pescatore, Napoletano, Franciosa, De Cunzo, Scarsella, Brancaccio, Abatino, Pinna, Montagna, Ricchetti. Il Presidente legge una lettera di auguri per le festività pasquali inviata dal Di¬ rettore generale delle Biblioteche. Il Presidente inoltre ricorda brevemente l’attività scientifiea e didattica del Prof. Scarsella sia nell’Università che nella Società. Il volume di Memorié in suo onore è appunto il deferente omaggio ad un soeio che tanta parte ha avuto neU’attività della Soeietà dei Naturalisti in questi ultimi anni. Il Socio Scarsella ringrazia il Presiden¬ te ed i soci tutti del gradito omaggio. Si procede poi alla votazione per l’ammissione dei seguenti soci ; 1) Cannavaie Giuseppe presentato dai soci D’Argenio e Lavorato 2) Giunta Giuseppe » » » D’Argenio e Pescatore 3) Guglielmotti Eugenio » » )) Lavorato -e Pescatore 4) Ioni Lamberto » » » Pescatore e Brancaccio 5) Liguori Vineenzo )) » » D’Argenio e Pescatore 6) Meueci Anna Maria » » )) Rodriquez e Palombi 7) Palmentola Giovanni » » » Pescatore e Ricchetti 8) Ottone Armando » » » Gasparini e Vittozzi 9) Russo Maria » » » Torre e Di Nocera 10) Vitagliano Paolo Augusto » » » D’Argenio e Pescatore Le votazioni si svolgono in conformità delle norme vigenti e tutti gli aspiranti soci sono ammessi all’unanimità. Si passa alle comunicazioni scientifiche. Il socio G. Ricchetti legge una nota di Luperto Sinni e Ricchetti dal titolo « Osservazioni sulla specie Bankia striata (Ca¬ rezzi) ». Chiede chiarimenti il socio Scarsella. Il Segretario legge la nota di A. Tavernier Lapegna dal titolo : Ricerche pali- nologiche nella successione mesozoica del gruppo del Pollino. Il socio E. Pinna legge un suo lavoro dal titolo : Prospezione magnetica nella conca campana. Il Prof. Botte legge una nota di V. Botte e S. Frascatore dal titolo: Osserva¬ zioni sui rapporti tra temperatura ambientale e attività del tessuto interstiziale del testicolo di Rana esculenta. Tale nota è presentata dai soci Chieffi e Battaglini. — 571 — Il socio Ricchetti legge una nota di V. Campobasso intitolata Gorjanovicia Mar- tinensis t nuova specie di Radiolitide del Senoniano delle Murge, Tale nota è presentata dallTstituto di Geologia di Bari e dallo stesso socio G. Ricchetti. Ricchetti comunica, inoltre, verbalmente le seguenti note : Ricchetti e D’Alessandro - La malacofauna delle Argille subappennine dei din¬ torni di Taranto. V. Campobasso - Nuove specie di Radiolitidi delle Murge sud-orientali. Esaurito Fo. d. g. la seduta è tolta alle 18,50. Processo verbale delTadunanza del 28 aprile 1972 Presidente: A. Palombi V. Segretario: B. De Simone Il giorno 28 aprile 1972, alle ore 17,30, si è riunita nei locali della Società, in seduta ordinaria, la Società dei Naturalisti in Napoli. Sono presenti i soci : Pa¬ lombi, Mazzarelli, De Simone, Ioni, Brancaccio, De Capoa, M. Russo, Torre, Taver- nier, Bonardi, Vitagliano, Lapegna, Carannante, Fucini, Sinno, Scandone. Per l’assenza del Segretario Rodriquez, funge da Segretario il socio De Simone. Aperta la seduta, il Presidente prega il Segretario di dare lettura del verbale della seduta precedente che viene approvato alFunanimità. Scusa l’assenza il socio Costantino. Il Presidente comunica, inoltre, all’Assemblea che il Ministero della P. I. ha concesso alla Società un contributo di Lit. 2.000.000. e che il Banco di Napoli ha contribuito con la somma di Lit. 150.000. Il Presidente fa presente, altresì, che nel salone dell’adiacente Società dei Medici e Naturalisti si è iniziata la sistemazione degli scaffali in legno per collo¬ care le numerose copie del Bollettino e delle Memorie del Sodalizio ; purtroppo, però, ciò si è verificato in un momento particolarmente difficile in quanto il socio Bibliotecario L. Brancaccio ha rassegnato le dimissioni. Si passa, poi, alle comunicazioni scientifiche. Vengono letti i riassunti delle note dei soci Ricchetti e D Alessandro dal ti¬ tolo: Malacofauna delle argille subappenniniche dei dintorni di Taranto e quella di V. Campobasso su « Nuove specie di Radiolitidi delle Murge sud-orientali » presen¬ tata dai soci Ricchetti e Istituto di Geologia di Bari. Il socio R. Sinno anche a nome del socio Scherillo, illustra la nota di A. Sen¬ no dal titolo Nuovo rinvenimento di Marialite nei Campi Flegrei (^Monte Nuovo). Il socio Scandone illustra la nota dal titolo « Nota illustrativa alla carta dei Ter¬ reni della serie Calcarea-silico-marnosa lucana ». Vengono, invece, rinviate alla prossima adunanza per l’assenza dei soci presen¬ tatori, le comunicazioni di Piciocchi, Carannante e Guzzetta, e Pierattini e Pisani. Esaurito Po. d. g. la seduta è tolta alle ore 18,45. — 572 — Processo verbale delTadunanza del 26 maggio 1972 Presidente : A. Palombi Segretario: A. Rodriquez Il giorno 26 maggio alle ore 17,30 si è riunita l’Assemblea generale dei soci della Società dei Naturalisti in Napoli. In apertura di seduta sono presenti i soci: Palombi, Vittozzi, Lucini, De Riso, Brancaccio, Delfino, Guzzetta, Carannante, Civita, Abatino, Napoletano, Rodriquez, Boni, Tavernier, Lapegna, De Medici e Di Nocera. Scusano l’assenza i soci Costantino e Ioni. Il Presidente comunica all’Assemblea che il Consiglio direttivo si è espresso favorevolmente al riguardo della proposta di affidare a persona esperta la schedatura dei volumi della Biblioteca ed in particolare dei periodici che sempre più numerosi, pervengono alla Società. L’Assemblea approva. Si passa, quindi, alle votazioni del Bibliotecario a seguito delle dimissioni del socio Brancaccio accettate dall’Assemblea dei soci nella seduta del 28 aprile. A comporre il seggio vengono designati i soci Vittozzi, presidente, ed Abatino e Delfino, scrutatori. Presenti e votanti n. 14 in quanto i soci Tavernier, Lapegna e Dè Medici sono intervenuti dopo la votazione. Riportano voti: Napoletano n. 13 e Abatino n. 1, come da verbale allegato. Vie¬ ne, pertanto, proclamato Bibliotecario il socio Napoletano. Si procede, poi, alla votazione per l’ammissione di aspiranti soci che ne avevano fatto domanda e le cui pratiche erano già state istruite dal Consiglio direttivo. Es¬ si sono : 1) Boenzi Federico 2) Botte Virgilio 3) Campobasso Vincenzo 4) Ciardiello Valle A. M. 5) Egidio Salvatore 6) Palma Francesco 7) Pingue Lionello 8) Speranza Antonio 9) Istituto di Geologia dell’Università di Napoli presentato dai soci Pescatore e Ricchetti » » » Chieffi e Battaglini » » Ricchetti e Pieri » » Palombi e De Simone » » D’Argenio e Lavorato » » Napoletano e Franciosa » » Sinno e Brancaccio » » Palombi e Parascandola Il Presidente propone di effettuare un’unica votazione per tutti gli aspiranti so¬ ci, salvo diversa indicazione dell’Assemblea, purché vi sia unanimità nella votazione. L’Assemblea approva e dopo la votazione risultano ammessi all’unanimità tutti gli aspiranti soci. Si passa, poi, alle comunicazioni scientifiche. Il socio Guzzetta presenta ed illustra una nota sua e del socio Carannante dal titolo : Le stilloliti e sliccoliti come fenomeni di deformazioni delle masse rocciose. Il neo socio Pingue presenta la seguente nota : La terra rossa della grotta di Ca¬ stellana. Chiedono chiarimenti i soci Boni ed Abatino. Il Segretario legge il riassunto della nota di Radina e Walhs dal titolo: Indagini geologiche applicate allo studio di uno sbarramento sulla Lama (^Taranto). — 573 — Le note dei soci Boni e De Castro Coppa e quelle dei Dott. Pierattini e Pisani vengono ritirate. A tale riguardo, il socio Cucini fa osservare che la mancata comunicazione dei lavori indicati nella convocazione della seduta stessa crea notevole intralcio al cor¬ retto svolgimento delle tornate e chiede più scrupolosa attuazione delle norme del Regolamento sulla presentazione dei lavori. Intervengono pure i soci Dè Medici, Ci¬ vita e De Riso e tutti i presenti si associano. Resta, pertanto, deciso che i lavori segnati nelPordine del giorno devono essere comunicati personalmente dagli autori, salvo i casi di manifesto impedimento. L’As¬ semblea raccomanda, altresì, di evitare il ritiro o il rinvio dei lavori già iscritti nel- r o. d. g. e di attenersi scrupolosamente al disposto dell’art. 12, 1° comma, del Rego¬ lamento, Esaurito l’ordine del giorno la seduta è tolta alle ore 19,30. VERBALE DEL SEGGIO. Il seggio elettorale composto dal socio Pio Vittozzi, Presidente, e dai soci E. Abatino ed Enza Delfino, scrutatori, ha dato inizio alle votazioni per l’elezione del Bibliotecario alle ore 17,45. Esse hanno avuto termine alle ore 18,15. Si è proceduto subito all’inizio delle operazioni di spoglio che hanno dato i se¬ guenti risultati : Presenti e votanti = 14 Hanno ricevuto voti : Aldo Napoletano .... voti 13 Elio Abatino .... 1 Totale voti 14 Viene, pertanto, eletto Bibliotecario per gli anni 1972-73 il socio Aldo Na¬ poletano. Eirmato P. Vittozzi, Presidente E. Delfino, Scrutatore E. Abatino, Scrutatore Processo verbale dell'adunanza del 30 giugno 1972 Presidente; A. Palombi Segretario; A. Rodriquez Il giorno 30 giugno 1972 alle ore 18 si è riunita in seduta ordinaria la So¬ cietà dei Naturalisti in Napoli. Sono presenti i soci ; Palombi, Di Nocera, Rodriquez, Barbera, Scandone, De Castro, Maccagno, Piciocchi, Sgrosso, Tavernier, Lapegna, Scorziello, Vittozzi, Cor¬ rado, Parisi, Abatino. Scusa l’assenza il socio Costantino. Il Presidente dichiara aperta la seduta e passa alle comunicazioni scientifiche. — 574 — Il socio De Castro presenta la nota del socio M. G. De Castro Coppa dal titolo : Osservazioni su Pycnodonta hyotis nel Tirreniano di Taranto. Chiedono chiarimenti i soci Scandone e Maccagno. I soci Piciocchi, Di Nocera e Rodriquez presentano ed illustrano una nota dal titolo: La Grotta delV Ausino (5^). Genesi e morfologia. I soci Barbera Lamagna e E. Abatino e il Dott. Tripodi presentano ed illustrano una nota dal titolo : Ultrastruttura del guscio e analisi statistica di Natica millepuncta- ta Lk. fossile e vivente. Chiede chiarimenti il socio P. Vittozzi. II socio Parisi presenta un nota sua e del Dott. D’Amora dal titolo: Studio spet¬ trofotometrico di pterine naturali in dimetilsolf ossido. Il socio Piciocchi svolge una comunicazione verbale dal titolo: Nuovo contribu¬ to alla conoscenza del Paleolitico nella grotta di Castelcivita. Il socio R. Scorziello presenta anch’egli una comunicazione verbale sua e del Dott. G. Leuci dal titolo: Su alcuni resti di Elephas antiquus rinvenuti nelle alluvio¬ ni terrazzate della conca di Sulmona: Piatola Peligna [V Aquila). Esaurito Po. d.g. la seduta è tolta alle ore 19,30, Processo verbale dell'adunanza del 27 ottobre 1972 Presidente: A. Palombi Segretario: A. Rodriquez Il giorno 27 ottobre, alle ore 17,30 si è riunita, in seduta ordinaria, la Società dei Naturalisti in Napoli. Sono presenti i soci: Palombi, Vittozzi, Napoletano, Franciosa, Fucini, Ioni, Sgrosso, Crescenti, Coppola, Parisi, De Simone, Scotto di Carlo, Pescatore, Rodriquez, Di Nocera, Lapegna, Battaglini, Gustato, Pierantoni, Lapegna Tavernier, De Castro, De Ferma, Piciocchi. Scusa l’assenza il socio Costantino, In apertura di seduta il Presidente comunica che la Presidenza del Consiglio dei Ministri, tramite l’Ente Cellulosa e Carta, ha erogato un contributo di L. 180.000, Il Presidente comunica, inoltre, che la Società Nazionale Scienze Lettere e Arti ha bandito un concorso a premi per lavori riguardanti l’Ecologia, la Micropaleontolo¬ gia ed i Problemi al contorno per le equazioni ellittiche. Il Presidente rende, poi, noto all’Assemblea che il socio Di Nocera ha presentato le dimissioni da Redattore delle pubblicazioni : portata in Consiglio Direttivo la questione, si è deciso di seguire l’ordine di graduatoria delle votazioni e di conferire l’incarico al socio Abatino, che segue immediatamente per numero di voti riportati. Pertanto, FAssemblea dà mandato al Presidente di rendere nota al socio Aba¬ tino tale sua decisione e, ove mai egli rifiutasse, di indire nuove elezioni per copri¬ re la carica rimasta vacante. Resta inteso che nel frattempo il socio Di Nocera continuerà ad interessarsi del¬ la stampa del Bollettino fino alla sua sostituzione. Si passa, quindi alle comunicazioni scientifiche. — 575 — Il socio De Castro presenta due lavori del socio Campobasso dal titolo : 1) Nuova specie di Bounonia Fischer del Cretaceo superiore delle Murge. 2) Rudiste del Cretaceo superiore delle Murge sud-orientali. Il socio Crescenti presenta una nota dal titolo: B sondaggio S. Arcangelo Tri- monte, in provincia di Avellino, per la ricerca degli idrocarburi. Il socio Crescenti dichiara di ritirare l’altra nota segnata nell’o. d g. col seguente titolo: Sulla deviazione dei fiumi marchigiani. Sul lavoro presentato chiedono chiarimenti i soci Sgrosso, Pescatore, De Castro, Franciosa e Cucini. Esaurito r o. d. g. la seduta è tolta alle ore 18,40. Processo verbale del radunanza del 24 novembre 1972 Presidente: A. Palombi Segretario; A. Rodriquez Il giorno 24 novembre 1972, alle ore 17,30, si è riunita, in seconda convocazio¬ ne, l’Assemblea generale dei soci della Società dei Naturalisti in Napoli. Sono presenti i soci; Palombi, Napoletano, Ioni, Vittozzi, De Castro, Corrado, Moncharmont-Zei, De Cunzo, Franciosa, Rodriquez, Abatino, Battaglini Scusa l’assenza il socio Costantino. Il Presidente comunica, in apertura di seduta, che il riordinamento della bi¬ blioteca procede nel migliore dei modi e si spera di andare meglio quando sarà siste¬ mata la scaffalatura in metallo nei locali attigui. Al riguardo il Presidente riferisce all’Assemblea sulla riunione tenutasi in pre¬ senza del Rettore fra lui e il Prof, Rossa nella sua qualità di Presidente della Società dei Medici e Naturalisti, Alla riunione era presente anche il Prof. Scherillo. Nel corso del colloquio il Prof. Rossa precisa che, dato il carattere di Ente morale della Società dei Medici e Naturalisti, non è possibile pervenire ad una fusione con la nostra Società. La So¬ cietà dei Medici e Naturalisti cesserà d’esistere de facto per mancanza di soci. Per quanto riguarda i locali, resta definito che essi saranno, d’ora in avanti, utilizzati dalla Società dei Naturalisti e saranno destinati a biblioteca. Resta inteso che la Società dei Medici e Naturalisti potrà riunirsi nei locali della Società dei Naturalisti ogni volta lo riterrà opportuno previa richiesta alla Pre¬ sidenza della Società. Si passa, poi, alla nomina dei Revisori dei conti, due effettivi ed uno supplen¬ te, per il bilancio 1972. AU’unanimità vengono nominati i soci Moncharmont-Zei e De Cunzo effettivi ed il socio Abatino supplente. Si procede quindi, alla costituzione del seggio per l’elezione del Redattore delle pubblicazioni in sostituzione del socio Di Nocera dimissionario. Vengono nominati i soci De Castro, Presidente, ed i soci Corrado e Franciosa scrutatori. Sono presenti N. 12 soci e 2 sono rappresentati con delega scritta. Riportano vo¬ ti: il socio Corrado, n. 13; schede bianche n. 1. — 576 — Risulta, pertanto, eletto il socio Corrado. Il Presidente, infine, ricorda di tenere presenti le norme per la stampa del Bollettino e di attenersi ad esse per non intral¬ ciare il lavoro di tipografia e per un sollecito allestimento del volume del Bolletti- tino. La presentazione del lavoro del Dott. G. Marano non può aver luogo perchè nessuno dei soci presentatori, D’Argenio e Ippolito, è intervenuto alla seduta. Esaurito Lo. d. g., la seduta è tolta alle ore 18,30. VERBALE DEL SEGGIO Il seggio elettorale composto dal socio P. De Castro, Presidente, e dai soci Cor¬ rado e Franciosa, scrutatori, ha dato inizio alle votazioni per l’elezione del Redattore delle pubblicazioni alle ore 18,00. Esse hanno avuto termine alle ore 18,20. Si è dato subito l’inizio le operazioni di spoglio che hanno dato i seguenti risultati : Presenti 12 + 2 deleghe = 14 Hanno ricevuto voti : Gennaro Corrado n. 13 Schede bianche 1 Totale voti 14 Viene, pertanto, proclamato eletto Redattore delle pubblicazioni il socio Gen¬ naro Corrado. Processo verbale delTadunanza del 22 dicembre 1972 Presidente: A. Palombi Segretario: A. Rodriquez Il giorno 22 dicembre 1972 alle ore 17,30 si è riunita in seduta ordinaria, la Società dei Naturalisti in Napoli. Sono presenti i soci : Palombi, Boenzi, Palmentola, Campobasso, P. De Ca¬ stro, Ricchetti, Napoletano, Franciosa, Carannante, Radina, Boni. Ippolito, De Ca- poa, Sgrosso, Bonardi, Civita, Vallario, Scandone, Cocco, Cravero, Lapegna Taver- nier, De Cunzo, De Medici, Vitozzi, Pierantoni, Rodriquez, Fucini, Moncharmont, Battaglini, Vitagliano, Lapegna, Pescatore, Corrado, Abatino, Mondelli. In apertura di seduta il Presidente dà lettura del messaggio augurale del Di¬ rettore Generale delle Accademie Biblioteche, aggiungendo che avrebbe risposto a nome solo personale e dei soci. Si passa, poi, alle comunicazioni scientifiche. Il socio Ippolito presenta una breve storia dell’Istituto di Geologia in occasione della fusione con l’Istituto di Fi¬ sica Terrestre, dal titolo: L'attività scientifica dell’Istituto di Geologia della Uni¬ versità di Napoli, Il socio Boenzi presenta una nota sua e del socio Palmentola dal titolo : Le tracce glaciali sul M. La Mula nella Calabria nord-occidentale. Chiedono chiarimenti i soci Sgrosso e Scandone. 577 — Il socio Ricchetti presenta due note : 1) Osservazioni geologiche e morfologiche preliminari sui depositi quaternari affioranti nel F° 203 « Brindisi ». Chiedono chiarimenti i soci De Castro e Lucini, 2) Considerazioni sul ritrovamento di strati con « Rhapydionina liburnica » (Stache) nel Cretaceo delle Murge. Intervengono i soci Scandone, Sgrosso e De Ca¬ stro per chiarimenti. Il socio Campobasso illustra una nota dal titolo ; Macrofauna Cenomaniana dei dintorni di Giovinazzo (Bari). Chiede chiarimenti il socio De Castro. Il socio Battaglini presenta tre note; una sua e della dott.ssa Sebastio dal ti¬ tolo: Prime ricerche sull’ecologia del lago di Carinola (Caserta). Chiedono chia¬ rimenti i soci Napoletano, Palombi e Lucini ; ed altre due note sue dal titolo ; Rinnovamento cellulare deWepitelio degli etenidi nei Cefalopodi e Differenziamento del colon negli Anfibi Anuri durante lo sviluppo. Infine il oocio Abatino illustra una nota verbale su « / più recenti sviluppi della microscopia elettronica e alcune sue applicazioni » della quale si trascrive il testo. La microscopia elettronica in questi ultimi anni ha suscitato sempre maggiore interesse e numerosi sono, ormai, i campi di applicazione : la geologia, la mineralogia, la paleontologia e la biologia. Lo sviluppo maggiore si è avuto soprattutto in queste tre direzioni : Microscopio a trasmissione ad alto voltaggio di accelerazione, Microscopio a scansione a trasmissione e Microscopio a scansione. Microscopio ad alto voltaggio di accelerazione. La microscopia ad alto voltaggio di accelerazione fino a pochi anni fa aveva carattere sperimentale ed era limitata a qualche laboratorio di ricerche ; oggi si sta diffondendo rapidamente e sono stati messi in commercio microscopi che hanno ac¬ celerazioni di oltre un 1.250.000 volt. L’aumento del voltaggio di accelerazione è l’unico mezzo per avere un aumento del potere di penetrazione degli elettroni nel preparato da osservare che, in tal modo, può avere uno spessore maggiore. Nei campioni geologici si sono potuti osservare la natura dettagliata dei difetti di struttura, delicate strutture di dislocazioni, fenomeni dinamici sotto sforzo o ad alte temperature e in presenza di campi magnetici, cristallografia delle sostanze orga¬ niche, strutture più interne dei cristalli e trasformazioni di fasi. Nei campioni bio¬ logici e paleontologici si sono potuti studiare delicate strutture di tessuti, mi¬ crorganismi, tessuti bagnati o viventi, cellule viventi, alghe, protozoi in camere atmosferiche e si sono avute informazioni che in nessun altro modo era stato pos¬ sibile avere fino ad oggi. Infatti le fettine ultrasottili dei campioni osservati con il microscopio elettronico convenzionale (preparati sia con l’ultra microtomo che con la tecnica dell’assottigliamento mediante bombardamento con pennello di ioni in gas inerte) potevano dare solo un’idea approssimata dei fenomeni presenti nella massa e non potevano essere ottenute relazioni fra microstrutture e macroproprietà del ma¬ teriale. Con la microscopia ad alto voltaggio si sono ottenuti ingrandimenti di oltre un milione e mezzo di volte e con un potere risolutivo di 3,1 A. 37 578 — Microscopio a scansione a trasmissione. Il microscopio a scansione a trasmissione è di recente concezione ; in esso si vogliono unire le caratteristiehe dello scanning con quelle del microscopio elettroni¬ co a trasmissione convenzionale. La risoluzione raggiunta da questo strumento può essere migliore di 5 A e le immagini appaiono su un tubo a raggi catodici come per lo scanning. Questo microscopio ha la possibilità di rivelare anche simultanea¬ mente, sia gli elettroni secondari che quelli trasmessi nel preparato, in modo da migliorare il contrasto delle immagini ottenute e aumentare le informazioni. Esso trova applicazioni in biologia e in paleontologia, soprattutto per lo studio delle ultra¬ strutture. Microscopio a scansione. Il microscopio elettronico a scansione ha avuto in questi sei anni di vita (1966- 1972) numerosi miglioramenti sia per la perfezione delle immagini ottenute, soprat¬ tutto con la recentissima introduzione del cannone elettronico ad emissione di cam¬ po, sia per le esemplificazioni nelle manovre d’uso. Numerosissime sono state le nuove tecniche messe a punto per la preparazione dei campioni, fra cui è importantissima la « Freeze-Etching » che riguarda in par- ticolar modo i campioni biologici e paleontologici. I preparati vengono gelati in azoto liquido e poi introdotti sotto una campana ad alto vuoto, su di essi viene eser¬ citata una pressione meceanica con una lama o una punta, per cui il campione si sfalda e mette in luee strutture sottostanti ; a questo punto, sempre a basse tempe¬ rature, si esegue la replica e la ombreggiatura ; mediante uno speciale portacampioni si può osservare anche direttamente il campione. Fra i microscopi di questo tipo, ne esiste uno da tavolino, di minime dimensioni, ma con ottime prestazioni. I miglioramenti che si sono avuti nella colonna ottica riguardano il sistema del vuoto, che è fornito di controllo completamente automatico per cui si può raggiun¬ gere la pressione di 10 Torr. in 12-15 minuti, e il cambio del filamento. Quest’ul¬ timo, in caso di bisogno, può essere sostituito in qualche minuto dal momento che una valvola a pressione blocca il vuoto nel resto della colonna ottica ; con questo sistema viene recuperato un tempo medio di circa 50-60 minuti. I filamenti sono dotati di un sistema di pre-allineamento per facilitare il centraggio, mentre uno strumento può controllare anche lo stato di usura. La colonna ottica non è più aperta nell’interno, ma un sottile tubicino metal¬ lico mette in comunicazione la camera del cannone con quella porta-oggetti. La pulizia è ridotta all’essenziale ; non è più necessario smontare tutta la colonna, operazione che richiedeva anche un giorno di lavoro ; ma è sufficiente sostituire il tubicino metallico centrale « sporco », con uno pulito, svitandolo dal lato del can¬ none. Tale operazione si può compiere anche più volte al giorno per avere un perfetto impiego dello strumento. La camera portacampioni è stata enormemente allargata per permettere l’in¬ troduzione di campioni sempre più grandi ed è stato introdotto un sistema per permettere di rivedere alcuni punti di particolare interesse appena lo si vuole. 11 movimento dei campioni è stato automatizzato con comandi esterni a pulsanti. — 579 — Tali accorgimenti facilitano le osservazioni dei campioni geologici e paleontologici anche di dimensioni non troppo piccole. La parte elettronica è migliorata e semplificata. I circuiti sono stampati e allo stato solido, e le temperature delLambiente dove funziona il microscopio sono me¬ no critiche. Il sistema di montaggio impiegato è completamente modulare, cioè a blocchi sostituibili in modo da permettere una facile localizzazione e riparazione dei difetti in breve tempo anche ai meno esperti e per dare lo spazio necessario al¬ l’installazione di nuovi ed eventuali accessori. Gli ingrandimenti che si possono ottenere vanno dai 5 X ai 240.000 X. Un notevole miglioramento si è avuto anche nella risoluzione che ha raggiunto circa i 30 A con la rivelazione ad elettroni secondari e i 5 A con la rivelazione ad elet¬ troni trasmessi. Nei nuovi strumenti sia il contrasto che il livello degli « scuri » è stato automatizzato elettronicamente per evitare che nell’eseguire micrografie a bas¬ so ingrandimento si potesse avere degli sbalzi sgradevoli di luminosità. La ripresa fotografica è nettamente facilitata, dal momento che è stato auto¬ matizzato il controllo di luminosità e lo scatto. Anche i tubi a raggi catodici sono stati perfezionati e hanno raggiunto risoluzioni migliori delle tremila linee con schermi a bassa persistenza. Un dispositivo elettronico dà la possibilità di inverti¬ re sullo schermo i bianchi con i neri in modo da ottenere un’immagine negativa ; in tal caso si possono eseguire direttamente delle diapositive. Inoltre sullo scher¬ mo appare anche la numerazione progressiva dei fotogrammi e la lettura diretta dell’ingrandimento della micrografia che si sta eseguendo. Tutti questi vantaggi che abbiamo elencato contribuiscono a facilitare al mas¬ simo le manovre che un operatore deve compiere per far funzionare nel migliore dei modi il microscopio senza bisogno di particolari conoscenze tecniche, e ad ef¬ fettuare anche una rapida riparazione senza che lo strumento debba rimanere fuo¬ ri uso per intere settimane nell’attesa di un tecnico specializato. Microscopio elettronico a scansione ad emissione di campo. Con questo strumento si apre un nuovo capitolo per la microscopia elettro¬ nica a scansione. Il cannone elettronico, come per gli altri microscopi, è un triodo, cioè è costituito da un anodo di accelerazione, da una griglia e da un ca¬ todo ad emissione di campo; questo fu messo a punto dal prof. A. V. Crewe del¬ l’Università di Chicago nel 1970. Questo nuovo tipo di catodo sostituisce non solo quello a filo di tungsteno convenzionale, ma anche quello, recentemente ap¬ plicato, a Esaboruro di Lontano (LaB^) messo a punto nel 1967 da A. N. Broes ; questi sono ambedue ad emissione termica. Si possono estrarre elettroni, oltre che da un filamento incandescente o da una superficie riscaldata convenientemente, anche da un conduttore mediante elevate intensità di campo. Campi molto intensi si possono produrre da differenze di po¬ tenziale relativamente basse (1000-5000 Volt) applicate ad elettrodi di determinata forma ; cioè, se il catodo è costituito da un sottilissimo filo di tungsteno con rag¬ gio di curvatura compresa fra i 600 A e i 2000 A e un elettrodo positivo (rispet¬ to al catodo) che circonda la punta del catodo, il campo immediatamente circo¬ stante può essere molto intenso, generalmente dai 10" ai 10® V.cm~^. — 580 — I/emissione dovuta alFelevata intensità di campo è indipendente dalla tempa- ratura ( catodo freddo) ed è data dalla relazione J = a e“m dove J è la densità di emissione, Z la intensità del campo, a è una costante, m b è uguale a - dove b è una costante, z Si è potuto costatare che la emissione di elettroni con questo sistema può fornire una luminosità 10.000 volte più grande che con quello ad emissione termi¬ ca, senza produrre contaminazioni del campione, alterazioni e riscaldamento nella colonna. Aver trovato una sorgente così luminosa significa in definitiva, di aver potuto migliorare il potere risolutivo del microscopio, diminuendo il diametro del pennello di elettroni sul preparato in esame. Poiché la luminosità della sorgente di elettroni (R), il diametro del pennello di elettroni (d) sul preparato in esame, il coefficiente di aberrazione sferica della lente elettronica obiettivo ( C^) e l’intensità massima della corrente incidente del pennello di elettroni sono legate dalla seguente relazione , ^ ^ _ 9 71:2 R ! d (io)max — 2 j con il cannone ad emssione di campo è stato possibile ridurre al minimo il dia¬ metro (d) del pennello sul preparato, riducendo al minimo valore sperimentale (10-12 Ampere) la intensità della corrente incidente (Jq)-) valore minimo oltre il quale non è possibile avere segnali utili per il funzionamento del microscopio. Con questo cannone, per avere una emissione più stabile, è richiesto un vuo¬ to più spinto deH’ordine dei 10~® ai 10“^^ Torr. ; tale vuoto è prodotto da pompe ioniche ad ultra-alto vuoto pulito di recente concezione. Questo nuovo strumento porta un valido aiuto e i vantaggi di una tecnica più semplice e più perfetta nel campo della Paleontologia, della Geologia e della Biologia dove i campioni sono, generalmente, corpi isolanti, su cui facilmente si accumulano cariche elettrostatiche che producono distorsioni notevoli delle immagini. Elenco dei soci al 3i dìcemhre 1972 con la data di ammissione 1) 28-3-920 2) 11-2-917 3) 11-4-920 4) 31-12-922 5) 31-12-922 1) 26-2-971 2) 28-3-963 3) 7-2-938 4) 29-10-971 5) 8-6-924 6) 30-1-959 7) 27-3-964 8) 31-5-968 9) 26-5-972 10) 30-1-959 11) 31-5-968 12) 31-5-968 13) 30-12-960 14) 3-12-971 15) 28-2-969 SOCI BENEMERITI Califano Luigi - Corso Vitt. Emanuele, 88 80122 Napoli Carrelli Antonio - Istituto di Fisica delPUniversità - Via A Tari 80138 Napoli Mazzarelli Gustavo - Via Luca Giordano, 16 - 80127 Napoli Palombi Arturo - Via Carducci, 19 - 80121 Napoli Parascandola Antonio - I Viale Melina, 18 - 80055 Portici SOCI ORDINARI Abatino Elio - Istituto di Paleontologia delPUniversità - Largo S. Mar¬ cellino, 10 - 80138 Napoli Abignente Enrico - Istituto di Chimica Farmaceutica delPUniver- sità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Antonucci Achille - Via Girolamo Santacroce, 19/c - 80129 Napoli Ariani Antonio - Istituto di Zoologia delPUniversità - Via Mezzo¬ cannone, 8 - 80134 Napoli Augusti Selim - Via Cimarosa, 69 - 80127 Napoli B ADULATO Franco - Istituto di Fisiologia Generale dell’Università - Via Mezzocannone, 8 - 80134 Napoli Lamagna Barbera Carmela - Istituto di Paleontologia delPUniversità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Battaglini Pietro ■ Istituto di Zoologia dell’Università - Via Mezzocannone, 8 - 80134 Napoli Boenzi Federico - Via Lucano, 122 - 75100 Matera Boisio Maria Luisa - Distacco Piazza Marsala, 3/6 - 16122 Genova Bonardi Glauco - Istituto di Geologia e Geofisica delPUniversità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Bonardi de Capoa Paola Istituto di Paleontologia delPUniversità Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Bonasia Vito - Istituto di Geologia e Geofisica dell’Università - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Boni Maria - Istituto di Geologia e Geofisica dell’Università - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Borgia Giulio Cesare - Geologo Via Luigi Guercio, 145 - 84100 Salerno 582 — 16) 26-5-972 17) 27-3-964 18) 26-5-972 19) 31-3-972 20) 28-12-951 21) 29-10-971 22) 30-12-952 23) 27-3-964 24) 29-10-971 25) 31-5-968 26) 28-12-949 27) 28-12-949 28) 3-12-971 29) 28-2-969 30) 28-2-969 31) 29-10-971 32) 31-5-968 33) 31-5-968 34) 26-5-972 35) 31-5-968 36) 31-5-968 37) 31-5-968 38) 29-10-971 39) 28-2-969 40) 30-5-938 41) 28-12-949 42) 28-12-932 43) 29-10-971 44) 28-3-963 45) 31-5-968 46) 26-1-949 47) 29-10-971 48) 30-1-959 Botte Virgilio - II Cattedra di Anatomia Comparata deH’Università - Via Mezzocannone, 8 - 80134 Napoli Brancaccio Ludovico - Istituto di Geologia e Geofisica delPUni- versità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Campobasso Vincenzo - Via Risorgimento, 24 - 70015 Triggiano ( Bari) Cannatale Giuseppe - Via Roma, 55 - 84100 Salerno Capaldo Pasquale - Traversa Giacinto Gigante, 36 - 80128 Napoli Capasso Giuseppe - Via S. Eustacchio, 51 - 84100 Salerno Capone Antonio - Via Cilea, 136 - 80127 Napoli Caputo Giuseppe - Piazza Medaglie d’Oro, 35 - 80129 Napoli Carannante Gabriele - Istituto di Geologia e Geofisica delPUni- versità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Carrara Eugenio - Istituto di Geologia e Geofisica delPUniversità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Casertano Lorenzo - Via Libertà, 67 - 80055 Portici Catalano Giuseppe - Via Luigia Sanfelice, 5 - 80137 Napoli Catalano Raimondo - Istituto di Geologia delPUniversità - Via Tukory, 131 - 90134 Palermo Catenacci Vincenzo - Geologo - Via A. Regolo, 12/d - 00192 Roma Chiaromonte Ferdinando ■ Parco Grifeo, 38 - 80121 Napoli Chieffi Giovanni - Istituto di Istologia ed Embriologia delPUni- versità - Via Mezzocannone, 8 80134 Napoli CiAMPo Giuliano - Istituto di Paleontologia dell’Università - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli CiARANFi Neri - Via Postiglione, 2/i 70126 Bari CiARDiELLo Valle Anna Maria . Via Caldieri, 147 - 80128 Napoli Cippitelli Giuseppe - Via Morandi, 2/c - 20097 S. Donato Milanese Civita Massimo - Via Posillipo, 272 - 80123 Napoli Cocco Ennio - Istituto di Geologia e Geofisica dell’Università - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Coppola Luigi - Istituto di Geologia e Geofisica dell’Università - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Corrado Gennaro - Istituto di Geologia e Geofisica dell’Univer¬ sità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Costantino Giorgio - Via A. De Gasperi, 7 - 88100 Catanzaro CoTEcCHiA Vincenzo - Corso Cavour, 2 - 70121 Bari CovELLO Mario - Parco Grifeo, 38 - 80121 Napoli Cravero Ernesto - Istituto di Geologia e Geofisica dell’Università - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Crescenti Uberto - Via Gioberti, 44 - 65100 - Pescara Crostella Angelo - Viale Cristoforo Colombo, c/o Petrosud - 65100 Pescara CucuzzA Silvestri Salvatore - Casella Postale 345 - 95100 Catania Damiani Alfonso Vittorio - Lungotevere Melimi, 30 - 00193 Roma D’Argenio Bruno - Istituto di Geologia e Geofisica dell’Università Largo S= Marcellino, 10 - 80138 Napoli 583 — 49) 29-12-961 50) 31-5-968 51) 30-1-959 52) 3-12-971 53) 7-2-938 54) 30-1-959 55) 20-1-932 56) 3-12-971 57) 31-5-968 58) 31-5-968 59) 26-2-971 60) 29-10-971 61) 27-3-964 62) 30-12-960 63) 29-10-971 64) 29-10-971 65) 22-2-963 66) 26-5-972 67) 29-10-971 68) 26-1-962 69) 28-2-969 70) 29-10-971 71) 29-1-961 72) 31-5-968 73) 28-2-969 74) 27-1-956 75) 18-12-959 76) 28-12-951 77) 3-10-971 De Castro Piero - Istituto di Paleontologia dell’Università - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli De Castro Coppa Maria Grazia - Istituto di Paleontologia della Università - Largo S. Marcellino, 10 80138 Napoli De Cunzo Teresa - Istituto di Geologia e Geofisica dell’Università - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli De Giovanni Perciioco Giuliana - Via Gemito, 16 - 80128 Napoli Della Ragione Gennaro - Via S. Pasquale a Chiaia, 29 - 80121 Napoli De Leo Teodoro - Istituto di Fisiologia Generale dell’Università - Via Mezzocannone, 8 - 80134 Napoli De Lerma Baldassarre - Istituto di Zoologia dell’Università - Via Mezzocannone, 8 - 80134 Napoli Delfino Vincenza - Via Pietro Castellino, 88 - 80131 Napoli DE Medici Giovanni Battista - Via Beisito, 13 - 80123 Napoli De Riso Roberto - Istituto di Geologia Applicata dell’Università Piazzale Tecchio - 80125 Napoli De Simone Bruno - Parco Comola Ricci, l20/c - 80122 Napoli De Stasio Laura Maria - Istituto di Geologia e Geofisica dell’Uni¬ versità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Di Girolamo Pio - Viale Colli Aminei, Viale Letizia - 80131 Napoli Di Leo Lucia - Via Lepanto, 21 - 80125 Napoli Di Nocera Silvio - Istituto di Geologia e Geofisica dell’Università ■ Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Di Stefano Mario - Via Libertà 2^ trav. dx, 7 - 80055 Portici Dohrn Pietro - Stazione Zoologica - Villa Comunale - 80121 Napoli Egidio Salvatore - Via P. B. Pergamo, 67 - 84100 Salerno Esposito Pasquale - Parco Magnolie - 80013 Casalnuovo Padda Giuseppe - Via Roma, 31 - 08015 Macomer (Nuoro) Fantetti Vincenzo - Via Checchia Rispoli, 176 - 71016 S. Severo (Foggia) Fi MI ANI Pellegrino - Istituto di Entomologia agraria - Facoltà di Agraria - 80055 Portici Fondi Mario - Istituto di Geografia dell’Università - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Poti Lidia - Istituto di Fisiologia Generale dell’Università - Via Mezzocannone, 8 - 80134 Napoli Franciosa Nicola - Istituto di Edilizia - Facoltà di Architettura - Via Monteoliveto, 3 - 80134 Napoli Franco Domenico Corso Umberto I, 137 - 82032 Cerreto San¬ nita ( Benevento) Franco Enrico - Istituto di Mineralogia dell’Università - Via Mezzocannone, 8 - 80134 Napoli Galgano Mario - Istituto di Istologia ed Embriologia dell’Università - Via Mezzocannone, 8 - 80134 Napoli Gali4No Giovanni - Viale Mellusi, 40 c - 82100 Benevento — 584 — 78) 28-3-963 79) 31-3-972 80) 29-12-961 81) 31-3-972 82) 26-2-971 83) 28-3-963 84) 31-5-968 85) 28-3-963 86) 22-3-925 87) 31-3-972 88) 30-12-936 89) 28-1-972 90) 26-5-972 91) 6-2-939 92) 14-6-945 93) 27-1-956 94) 29-10-971 95) 29-10-971 96) 28-2-969 97) 29-10-971 98) 29-10-971 99) 28-12-945 100) 31-3-972 101) 31-5-968 102) 29-10-971 103) 28-12-945 104) 26-5-971 105) 31-5-968 106) 31-5-968 107) 22-2-963 Gasparini Paolo - Istituto di Geologia e Geofisica delPUniversità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Giunta Giuseppe - Via Notarbartolo, 5 - 90141 Palermo Goglia Oscar - Via S. Giacomo dei Capri 65 bis - 80131 Napoli Guglielmotti Eugenio - Via Valerio Laspro, 33 - 84100 Salerno Gustato Gerardo - Via S. Matteo, 46 - 84014 Nocera Inferiore Guzzetta Giuseppe - Istituto di Geologia e Geofisica delPUniver- sità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Honsell Edmondo - Via Carlo Antoni, 3 - 34100 Trieste Ietto Antonino - Istituto di Geologia e Geofisica delPUniversità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli ImbÒ Giuseppe - Istituto di Geologia e Geofisica delPUniversità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Ioni Lamberto - Via Luca Giordano, 6 - 80127 Napoli Ippolito Felice - Istituto di Geologia e Geofisica delPUniversità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Istituto di Geologia e di Paleontologia delPUniversità - Palazzo Ateneo - 70121 Bari Istituto di Geologia e Geofisica delPUniversità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Jovene Francesco - Via Acquedotto, 107 - 80070 Ischia (Napoli) La Greca Marcello - Istituto di Biologia animale delPUniversità ■ Via Androne, 81 - 95124 Catania Lambertini Diana - Istituto di Chimica Industriale delPUniver¬ sità - Piazzale Tecchio, 80125 Napoli Lanci Aldo - Via Tito Angelini, 25 - 80129 Napoli Lapegna Ulisse - Via G. Bonito, 27/E - 80129 Napoli Lapegna Tavernier Amalia - Via G. Bonito, 27/E - 80129 Napoli La Rotonda Maria Immacolata - Corso Garibaldi, 129 - 80055 Portici Lavorato Giovanni - Via S. Matteo, 5 - 84090 Montecorvino Pu- gliano ( Salerno) Lazzari Antonio - Istituto di Geologia e Geofisica delPUniversità Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Liguori Vincenzo - Via Federico Pipitone 78 - 90144 Palermo Lirer Lucio - Istituto di Mineralogia delPUniversità - Via Mezzo¬ cannone, 8 - 80134 Napoli Lorica Giampiero - Via Robertelli, 19 - 84100 Salerno Lucchese Elio - Via Piscille, 2/A - 06100 Perugia Fucini Paolo - Via Cammarano, 19 - 80129 Napoli Luongo Giuseppe - Istituto di Geologia e Geofisica delPUniversità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Luperto Sinni Elena - Istituto di Geologia delPUniversità - Palazzo Ateneo - 70121 Bari Maccagno Angiola Maria - Istituto di Paleontologia dell’Università - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli 585 — 108) 4-2-923 109) 1-12-932 110) 27-1-956 111) 29-10-971 112) 28-12-949 113) 30-1-952 114) 29-10-971 115) 26-1-949 116) 31-3-972 117) 28-12-956 118) 29-10-971 119) 28-12-949 120) 7-2-938 121) 27-11-947 122) 30-12-960 123) 30-12-960 124) 2-5-931 125) 31-5-968 126) 27-11-947 127) 26-1-949 128) 30-12-960 129) 31-5-968 130) 27-11-947 131) 29-10-971 132) 31-3-972 133) 30-12-960 134) 26-5-972 135) 31-3-972 136) 28-3-963 137) 28-12-945 138) 28-2-969 Majo Andreotti Ester - Piazza S. Maria degli Angeli a Pizzo- falcone, 1 - 80132 Napoli Majo Ida - Via Monte di Dio, 74 - 80132 Napoli Mancini Fiorenzo - Piazzale delle Cascine, 15 - 16133 Firenze Manna Fedele - Istituto di Chimica Farmaceutica delFUniversità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Maranelli Adolfo - Via Michelangelo da Caravaggio, 76 - 80126 Napoli Mencia Luigi - Ingegneria Sanitaria - Facoltà di Ingegneria Piazzale Tecchio - 80125 Napoli Merenda Luigi - C.N.R. - IRPI - 87030 Castiglione Scalo (Cosenza) Merola Aldo - Orto Botanico - Via Foria, 223 - 80139 Napoli Meucci Anna Maria - Via S. Carlo da Sezze, 35 - 00178 Roma Mezzetti Bambagioni Valeria - Via Merulana, 61/A - 00185 Rom.a Micieli De Biase Leandro - Istituto di Entomologia agraria . Facoltà di Agraria - 80055 Portici Migliorini Elio - Via Vitelleschi, 26 - 00193 Roma Moncharmont Ugo - Via Aniello Falcone, 88 - 80127 Napoli Moncharmont Zei Maria - Istituto di Paleontologia delFUniversità Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Mondelli Giosafatte - Istituto di Chimica Industriale Facolta di Ingegneria - Piazzale Tecchio - 80125 Napoli Montagna Raffaele - Via Domenico Fontana, 27 - 80128 Napoli Montalenti Giuseppe - Istituto di Genetica - Città Universitaria - 00185 Roma Napoleone Giovanni - Osservatorio Vesuviano - 80056 Ercolano Napoletano Aldo - Via Rodolfo Falvo, 20 - 80127 Napoli Nicotera Pasquale - Istituto di Geologia Applicata - Facoltà di Ingegneria - Piazzale Tecchio - 80125 Napoli Oliveri del Castillo Alessandro - Istituto di Geologia e Geofisica delFUniversità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Onesto Emma - Istituto di Fisiologia Generale delFUniversità Via Mezzocannone, 8 - 80134 Napoli OrrÙ Antonietta - Istituto di Fisiologia Generale delFUniversità Via Mezzocannone, 8 - 80134 Napoli Ortolani Francesco - Istituto di Geologia e Geofisica delFUniver¬ sità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Ottone Armando - Via Nocera, 65 - 80053 Castellammare di Stabia Pagella Maria Luisa - Via Girolamo Santacroce, 5 - 80129 Napoli Palma Francesco - Via Basento, 37 - 00198 Roma Palmentola Giovanni - Istituto di Geologia e Paleontologia del¬ FUniversità - Palazzo Ateneo - 70121 Bari Palumbo Antonino - Istituto di Geologia e Geofisica dell’Università - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Pannain Papogghia Lea - Via Carducci, 29 - 80121 Napoli Paoletti Alfredo - Istituto d’igiene - Facoltà di Scienze - Via Mezzocannone, 16 - 80134 Napoli — 586 — 139) 30-12-960 140) 2-5-931 141) 29-10-971 142) 31-12-928 143) 22-12-954 144) 27-12-957 145) 29-12-961 146) 31-1-951 147) 29-10-971 148) 28-12-951 149) 31-5-968 150) 26-5-972 151) 29-10-971 152) 18-12-959 153) 29-10-971 154) 28-12-956 155) 30-12-960 156) 28-2-969 157) 27-3-964 158) 31-5-968 159) 28-12-949 160) 3-12-971 161) 27-3-964 162) 27-12-957 163) 27-11-947 164) 29-10-971 165) 31-3-972 166) 3-12-971 167) 31-5-968 168) 3-12-971 169) 28-3-963 170) 18-12-959 171) 30-12-941 172) 29-10-971 Parenzan Paolo - Via Roma, 12 - 74100 Taranto Parenzan Pietro - Via Roma, 12 - 74100 Taranto Parisi Giovanni - Istituto di Zoologia delTUniversità - Via Mezzocannone, 8 - 80134 Napoli Pasquini Pasquale - Via Cimarosa, 18 - 00198 Roma Pellegrini Oreste - Piazzetta Arenella, 7 - 80128 Napoli Pericoli Sergio - Via del Porto, 151 - 47033 Cattolica (Forlì) Pescatore Tullio - Istituto di Geologia e Geofisica delPUniversità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Pescione Messina Adelia - Via Nevio, 102 B - 80122 Napoli Piciocchi Alfonso Parco Comola Ricci, 9 - 80122 Napoli PiERANTONi Angiolo - Galleria Umberto I, 27 - 80132 Napoli Pieri Piero - Traversa Corso Sicilia, 379/46 - 70126 Bari Pingue Lionello - III Trav, Mariano Semmola, 8 - 80131 Napoli Pinna Eros - Osservatorio Vesuviano - 80056 Ercolano PiscoPo Eugenio - Istituto di Chimica Farmaceutica delFUniver- sità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Priore Rosa - Istituto di Entomologia agraria - Facoltà di Agra¬ ria - 80055 Portici Quagliariello Teresa - Istituto di Geologia e Geofisica delLUni- versità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Radina Bruno - Istituto di Geologia delTUniversità - 70121 Bari Radoicic Raika - Geoloski Paleont. Za\od - Belgrado Rapolla Antonio - Istituto di Geologia e Geofisica delTUniversità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Ricchetti Giustino - Istituto di Geologia delTUniversità - 70121 Bari Rippa Anna - Piazzetta Marconiglio, 4 - 80141 Napoli Roda Cesare CNR - IRPI - 87C30 Castiglione Scalo (Cosenza) Rodriquez Antonio - Via Pietro Castellino, 179 - 80131 NapoT Romano Giuseppe - Via Broggia, 11 - 80135 Napoli Ruffo Sandro - Lungadige Porta Vittoria, 9 - 37100 Verona Russo Luigi Filippo - Istituto di Entomologia agraria - Facoltà di Agraria - 80055 Portici Russo Maria - Via M. Schipa, 160 - 80122 Napoli Sagristani Luisa Via Maianiello, 20 - 80065 Sant’Agnello Sarpi Ernesto - Via S. Aspreno, 13 - 80133 Napoli Sartori Samuele - Istituto di Geologia - Via Zamboni, 63-67 - 40127 Bologna ScANDONE Paolo - Istituto di Geologia e Geofisiea delTUniversità - Largo S. Mareellino, 10 - 80138 Napoli Scarsella Francesco - Istituto di Geologia e Geofisiea dell’Uni¬ versità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli ScHERiLLo Antonio - Istituto di Mineralogia dell’Università - Via Mezzocannone, 8 - 80134 Napoli Schettino Oreste - Istituto di Chimica Farmaceutica dell’Univer¬ sità Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli — 587 — 173) 27-3-964 174) 27-3-964 175) 31-1-951 176) 28-3-963 177) 26-1-949 178) 29-10-971 179) 31-1-951 180) 00-12-960 181) 26-5-972 182) 31-5-968 183) 31-5-968 184) 31-5-968 185) 26-3-942 186) 29-4-923 187) 31-5-968 188) 29-12-61 189) 29-10-971 190) 19-10-971 191) 30-1-952 192) 29-12-961 193) 29-10-971 194) 16-3-924 195) 31-3-972 196) 30-12-960 197) 26-1-949 ScoRZiELLO Raffaele - Istituto di Paleontologia delPUniversità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Scotto Di Carlo Bruno - Stazione Zoologica - Villa Comunale - 80121 Napoli Seksale Riccardo - Istituto di Chimica Applicata - Facoltà di Ingegneria - 80125 Napoli Sgrosso Italo - Istituto di Geologia e Geofisica delPUniversità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli SiCARDi Ludovico - Casella Postale 56 ■ 18038 San Remo (Via Duca degli Abruzzi, 33 - 18038 San Remo) SiMONi Lucia - Istituto di Geologia e Geofisica delPUniversità ■ Largo S, Marcellino, 10 - 80138 Napoli SiNNo Renato - Istituto di Mineralogia dell’Università ■ Via Mez¬ zocannone, 8 - 80134 Napoli Sorrentino Pappalardo Albina - Via S. Giovanni Bosco - 33028 Tolmezzo Speranza Antonio - Via Monte di Dio, 74 - 80132 Napoli Stanzione Damiano - Via Nicolardi (Parco Arcadia, Is. 5) 80131 Napoli Taddei Roberto - Orto Botanico - Via Foria, 223 - 80139 Napoli Taddei Ruggiero Emma - Istituto di Paleontologia dell’Università - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Tarsia in Curia Isabella - Corso Umberto I, 106 - 80138 Napoli Torelli Beatrice - Via Luca da Penne, 3 - 80122 Napoli Torre Mario - Istituto di Geologia e Geofisica delPUniversità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli Torre Zamparelli Valeria - Istituto di Geologia e Geofisica del¬ PUniversità - Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli TotÀro Aloj Eugenia - Viale Maria Cristina di Savoia, 18/d - 80122 Napoli Tremblay Ermenegildo - Istituto di Entomologia agraria - Facoltà di Agraria - 80055 Portici Trotta Michele - Via Michele Conforti, 13 - 84100 Salerno Vallario Antonio - Via A. M. di Francia, 9 - 80131 Napoli ViGGiANi Gennaro - Istituto di Entomologia agraria - Eacoltà di Agraria - 80055 Portici ViGGiANi Gioacchino - Via Posillipo, 281 ■ 80123 Napoli ViTAGLiANo Paolo Augusto - Via Posillipo, 69 - 80123 Napoli ViTAGLiANo Vincenzo - Via A. Manzoni, 30 - 80123 Napoli ViTTOZzi Pio - Via Battistello Caracciolo, 93 - 80136 Napoli . ,., >p> ^■''' r^»lp3, ■ '^ ^ :, 4 ^ r4ii/.*tj" iifois ^‘ '■ rfv ‘V3b?»].‘i!it#W-i'»wi>. 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'/■-'^ m ISTITUTO DI GEOLOGIA DELL’UNIVERSITÀ DI NAPOLI LA SERIE CALCAREO - SILICO - MARNOSA LUCANA CARTA GEOLOGICA Redatta da PAOLO SCANDONE, sulla base di rilevamenti originali propri e di G. BONARDI, E. COCCO, A. IETTO, G. RICCHETTI, I. SGROSSO, riveduti da P. SCANDONE (1961-19711