•'■- ^ e il S i- ^ r Ì«- ^ ^ 7 ¥ . e/ i^ >« <5 l'i"- ^- 'O e i { f €. (if «L^err < C 4 ' «7-1» < << < é S «- «r # e '/ J ?. 'S Jü-t ^'*Jl ^ ' ^c :rr_:i::^K Kk: jfl^BK^H—^ »— j m ^■^ mi ^ Rr cS ^9^^ttS^ .^ ** iC^^i^ — 1 9l^^^^^3^^E ^^K^^plaE jR ^A b BOLLETTINO DEI, Laboratorio di Zoologia Generale e Agraria DELLA R. Scuola Superiore d'Agricoltura in Portici Volume XIII. (con 118 figure nel testo e 4 tavole) A causa di difficoltà per la stampa di alcune tavisle il t#1» H usci- rà più tardi« , ^ ^ 1920 r''^". Musei PORTICI PREM. STAB. TIP. E. DELLA TORRE 1919 BOLLETTINO DEL Laboratorio di Zoologia Generale e Agraria DELLA R. Scuola Superiore d'Agricoltura in Portici Vo lume XIII. ^^,. -.^<^/ ^iS^aJ U^SS^ PORTICI PREM. STAB. TIP. E. DELLA TORRE 1919 M. BEZZI UNA NUOVA SPECIE BRASILIANA del genere Anastrepha (Dipt.). Nel 1909 io ho pubblicato in questo Bollettino un lavoro riassuntivo sulle specie del genere Anasti-epJia, che è così im- portante perchè esclusivamente proprio della regione neotropicale (arrivando però al N fino alla Florida ed al Texas meridionale), dove sostituisce il gen. Daciis "del vecchio mondo, riuscendo del pari una delle principali piaghe per le frutta coltivate. In detto lavoro erano compilate 19 specie, che coU'aggiunta della dimen- ticata Aìi. ■pallens Coquillett (1) e della non contata varietà soluta Bezzi, sommano a 21 forme più o meno bene differen- ziate. Nel 1914 è apparsa la splendida monografia dei Tripaneidi dell'America del Sud del prof. Hendel (uscita il 15 Luglio, ma un estratto colla tavola di determinazione delle Anastrepha era già comparso il 1° Gennaio nella Wiener entomologisclie Zei- tung), in cui sono catalogate e distinte 33 specie. In seguito non fu aggiunta che una specie di Trinidad {An. syli^icola) dallo Knab; poiché la An. exstranea dell'Isola di Giava descritta dal prof. De Meijere appartiene senza dubbio ad altro genere. Di queste 34 specie, ben 14 sono ricordate del Brasile, e precisamente: daciformis Bezzi, integra Loew, soluta Bezzi, parallela Wied., obliqua Macq. {mnnda Schin.) , cousobriììa Loew, Ethalea Walk., fralercultis Wied. {unicolo?- Loew e fru- talis Wej'enb.) , pseudoparallela Loew, xanthochaeta Hend., hamata Loew, serpentina Wied. {vittithorax Macq.), bivittala Macq. e suspensa Loew. (1) D. W. Coquillett. Diptera from Southern Texas with descriptions of new species. Journ. N. Y. Entom.. Soc, XII, 1904, p. 31 a 35. V. p. 35. - 4 - In questi ultimi anni io ho potuto radunare un ricco mate- riale brasiliano del gen. Ana?.trepha, sopratutto per opera del conte A. A. Barbiellini, il quale da molto risiede a S. Paolo, dove ha nel 1909 fondata la diffusa Rivista agricola « Chacaras e Quintacs » di cui sono già apparsi ben 18 volumi. Da ai)pas- sionato entomologo, il conte Barbiellini ha atteso anche all'alle- vamento dalle frutta di parecchie specie, ottenendo cosi i due braconidi parassiti del gen. Biosteres descritti dallo vSzépligoti nel 1911. Recentemente egli mi ha spedito una specie, che ri- tengo non ancora descritta, col relativo parassita. Le specie di Aìiastrepha raccolte dal Barbiellini sono 8, a cui aggiungendone altre due avute da diverse fonti, ho davanti a me 10 specie brasiliane del genere, che si possono distinguere come segue: 1 (2). Una sola or. s.; st. mancante: antenne lunghe come la faccia; torace con plaghe nere sul dorso e sulle pleure; scudetto bi- colore; ali molto strette, sfornite di fascia a ä e di fascia a F daciformis Bezzi 2 (1). Due or. s.; antenne più corte della faccia; ali più larghe e con disegno più esteso. 3 (6). St. mancante; dorso del torace con plaghe nere e gialle bene spiccate; ali un po' strette, con fascia a S, ma senza fascia a r, perchè il ramo esterno manca del tutto. 4 (5). Peristoma largo; macrochete in parte giallognole; scudetto giallo; fascie alari interamente chiare e molto larghe, quella costale estesa inferiormente sino a toccare il terzo nervo longitudi- nale; nessuna macciiia ialina dopo lo stigma grandis Macq. 5 (4). Peristoma stretto; macrochete nere; scudetto nero e giallo; fascie alari in parte ciliare ed in parte oscure, quella co- stale assai stretta; una macchia ialina dopo lo stigma . . serpentina Wied. 6 (3). St. presente; ali larghe, con fascia a /S'è con fascia a F; questa può essere intera o divisa, ma è sempre col ramo esterno presente, anche se abbreviato. 7 (8). Torace ornato sul dorso con due strisele nere longitudinali; ali collo stigma nero e colla fascia a F aperta e molto infoscata . bistrigata sp. n. 8 (7), Torace senza striscie nere; ali collo stigma chiaro o poco in- foscato e colla fascia a F di solito chiusa e più chiara. — 5 - , 9 (12). Ali colla fascia ialina basale completa, cioè non interrotta in corrispondenza del terzo nervo longitudinale. 10 (11). Specie più piccola; ali con fascia a V aperta superiormente . soluta Bezzi 11 (10). Specie più grande, ali colla fascia a V chiusa .... obliqua Macq. 12 (9). Fascia ialina basale delle ali più o meno largamente interrotta in corrispondenza del terzo nervo longitudinale. 13 (16). Fascia a V libera, cioè non congiunta superiormente con quella ad S. 14 (15). Specie più piccola, colle macrochete nere e colle striscia gialle del dorso del torace per lo più ben visibili; ali colle fascie più infoscate; cella anale senza macchia rotonda staccata all'apice fraterculus Wied. 15 (14). Specie più grande, colle macrochete laterali del torace gial- lognole e senza strisele gialle sul dorso; ali colle fascie più larghe; cella anale all'apice con macchia scura rotonda stac- cata pseudoparallela Loew 16 (13). Fascia a V unita superiormente con quella ad S, mediante un breve ramo staccantesi internamente dal suo vertice presso il terzo nervo longitudinale. 17 (18). Seconda cella basale del tutto ialina, come nelle precedenti specie; la macchia ialina posta dopo lo stigma è distante dfi quella della prima cella basale lungo il terzo nervo . . . distans Hend. 18 (17). Seconda cella basale più o meno intensamente infoscata come le parti circostanti; l'apice interno della macchia ialina po- ststigmatica é in contatto coli' apice esterno della macchia ialina della prima cella basale lungo il terzo nervo . . . suspensa Loew CoU'aggiunta della nuova specie qui descritta, e coi reperti della g>-aìidis e della distans, il numero delle specie brasiliane di Anastrepha viene dunque portato a 17. Primo gruppo: Pseudodacus Hendel. Le specie di questo gruppo sono distinte dalla riduzione della che- totassi per la mancanza di una delle or. s. e della st.; e dalle ali molto strette, con disegno assai ridotto, senza fascia a ä né fascia a V; ve- ramente caratteristica è la striscia anale, che ricorda quella di molti Dacus. È assai probabile che si tratti di genere distinto pel quale 11 prof. Hendel iia già avanzato un nome appropriato. 1 Aiiastrcitiia daciforiiiis Bozzi 1909. Di questa distintissima specie io ho davanti a me gli esemplari tipici raccolti a S. Paolo dal Barbiellini; il prof. Hendel ne vide altri, nei Musi'i di Vienna i' ili Budapest, |»rovenicnti dall' Argentina e dal Paraguay. Secondo gruppo: Anastrepha s. str. In questo gruppo sono comprese specie che mancano della st., ma hanno la or. s.; esse presentano il torace con disegno più spiccato che nel seguente gruppo; hanno le ali più larghe, ma meno che nelle se- guenti; il disegno delle ali è più sviluppato che in Pseudodacus, ma differisce da quello del gruppo seguente per mancare completamente del ramo esterno della fascia a V. Tipo del gruppo può considerarsi la An. serpentina che è anche il tipo del gen. Anastrepha; essa però non pare genericamente distinguibile dal gruppo seguente, che ha per tipo la An. fraterculus, come il gen. Acrotoxa del Loew. 2. — Anastrepha graudis Macquart 1845. Riferisco a questa specie, originariamente descritta della Nuova Granata, un esemplare di S. Paolo e molti di S. Sebastiào (marina dello Stato di S. Paolo), raccolti tutti dal Barbiellini, ma solo rf; non- ché una 9 di Puerto Bertoni, Alto Parana, Paraguay, mandatami dal signor Schrottky. È specie ben distinta per le sue grandi dimensioni, misurando 10-11 mm. di lunghezza del corpo e delle ali (il Macquart dà solo 8 mm.); per la spiccata colorazione del dorso del torace; per la lun- ghezza dell' ovopositore, che misura 7 mm. Il disegno alare è tutto chiaro, senza infoscazioni, ed è molto diversa sia da quello della ser- pentina, che da quello di tutte le altre. La parte costale della fascia a, S è larghissima, estendendosi internamente fino al terzo nervo, e corre senza interruzioni dalla base all' apice dell' ala, non essendovi macchia ialina dopo lo stigma; le interruzioni che si notano nella fi- gura del Macquart credo dipendano da immaturità dell'esemplare; non penso ad ogni modo a diversità specifica. Pare che VAn. macrura Hendel 1914 del Paraguay sia affine; ma essa appartiene al sottogenere Psevdodacus. 7 — 3. — Auastrephii serpent ina Wiedemann 1830. Questa distintissima specie non è rara al Brasile, dove è anche assai dannosa a molte frutta (1), come risulta dalle recenti pubblica- zioni del prof. Tavares e del dott. A. Da Costa Lima. Io ne ho avuti molti esemplari di S. Paolo e di S. Sebastiào dal Barbiellini; altri di Bahia dal Tavares; ed altri di Rio Janeiro raccolti dal Da Costa Lima. La specie è data anche del Perù e del Messico (Herrera, da frutti di Mammea americana, 1908). Nota. A questo secondo gruppo è da ascrivere for.se anche la An. hivittata Macquart 1843; se veramente essa è xaw' Anastrepha, differisce da tutte le altre per avere la metà basale delle ali completamente in- foscata, come in atrigona Hendel 1914. Terzo gruppo: Anastrepha s. I.; Acrotoxa Loew s. str. È questo il gruppo più numeroso, le cui specie presentano sempre la St. distinta, benché talvolta molto debole. Le ali sono più larghe e con disegno completo, la fascia a V essendo perlopiù chiusa superior- mente. Io non so se i caratteri della prima fascia ialina intera od in- terrotta, e di quella a V completa od incompleta, e libera o saldata, debbano considerarsi come costanti ed atti a distinguere le specie. Essi furono adottati anche dal prof. Hendel, che tuttavia nota le variazioni della fraterculus a proposito della fascia a F, che è talora interrotta superiormente; pure lo Knab, in occasione della descrizione della sua sylvicola, osserva che la fascia a V può essere libera o saldata in in- dividui della medesima specie. 4. — Anastrepha bistrigata sp. nov. cf 9- Luteo -testacea, antennis palpis pedibusque concoloribus , thoracis dor- so vittis duabus latis longitudinalibus nigris, mesophragma late: nigra- biviitato, scutello pallide luteo basi anguste nigro, macrochaetis omnibus nigris, or. s. duabus, st. satis valida, femoribus anticis subtus setis va- lidis nigris praeditis, alarum fasciis obscuris partim lutescentibus par- tim, nigricantibus, stigmate nigro, fascia prima hyalina inierrupta, cel- lula basali secunda hyalina, fascia V-formi superne late aperta, ramo tarnen externo usque ad medium, cellulae posterioris primae producta; (1) Herrera, Tavares e Da Costa la ricordano delle seguenti: Mammea americana L.; Sapota achras Mill.; Lucuma caimito A. DC; Jijimusops co- riacea Miq.; ? Chrysophyllum cainito L. - 8 - (^ abdominis segmento ultimo duobus praecedentibus simul sumptis aequilongox 9 ovipositore crasso, cylivdro-conico, oLtuso, abdominis longitudinem, aequante. Long. Corp. mm. 7-8; alae mm. 7-8; ovip. mm. 3-3.5. II conte A. A. Barbiellini mi mandò 1 cT e 2 $ raccolti nello Stato di S. Paolo, Brasile, da un coltivatore che li allevò, seguendo i suoi consigli, da frutti di « Araxà ». Ne fu ottenuto anche un Braconide parassita, che il prof. Silvestri ritiene essere non distinguibile dal Bio- steres brasiliensis Szépl Specie aftine nel complesso a fraterculus, ma più grande, più ro- busta e diversamente colorata. Capo e sue appendici per colore e conformazione come in frater- culus; il peristoma è tuttavia del dojjpio più largo, essendo più largo della larghezza del terzo articolo delle antenne. Tutte le macrochete del capo sono di color nero, compresa quella genale che è piuttosto robusta; le or. i. sono 4-6 forti, con qualcuna minore commista; le or. s. sono 2, di cui quella più vicina al vertice è minore. I peli della strì- scia frontale sono brevi e densi, neri I rigonfiamenti occipitali infe- riori sono molto più accentuati che in fraterculus. Colore fondamentale del torace come in fraterculus; il dorso pre- senta però uno spiccato disegno, diver.so da quello di tutte le altre specie del gruppo e simile a quello di striata Schin. I calli omerali e le sporgenze sotto la linea notopleurale fino ai calli relativi souo di colore più chiaro. Le due strisele nere longitudinali sono lucide; esse hanno jirincipio, allargate, subito sopra i calli omerali, poi si vanno restringendo all'indietro ed all'indentro, assumendo cosi forma trian- golai'e col vertice addossato alla sutura trasversale; subito dietro di questa le strisele continuano, egualmente larghe, fino allo scudetto, davanti al quale ed immediatamente dietro allo prese, esiste talvolta una strisciolina iiiTa trasversale che le unisce; quando questa manca, l'unione è fatta dalla striscia nera basale dello scudetto. Le tre strisele longitudinali gialle che sono distinte negli esemplari completamente co- lorati di fraterculus esistono anche nella presente specie; la mediana è molto stretta e poco distinta; le due laterali postsuturali sono più lar- ghe e i)iù distinte; esse non sono in contatto con quelle nere, ma ne sono staccate da una strisciolina del color del fondo, più stretta sia della nera che della gialla. Le pleure sono immacolate; il mesoframma invece, che è assai lucente, presenta al lati due larghe strisele nere, che si prolungano in alto fino sul postscutello, ma non interessano per niente lo scudetto; i lati del mesoframma sono chiari, formando così, colle contigue ipopleure, una doppia macchia ipopleurale pallida. I brevi peli del doz'so sono nella parte centrale di color giallo pallido. 9 — mentre quelli delle parti laterali dopo la sutura sono un po' piii lun- ghi e di color nero; i sottili peli delle pleure sono bianchicci. Tutte le macrochete sono nere, comprese anche le scp., che hanno le esterne più forti e più lunghe, le interne più deboli, più corte e più ravvici- nate fra loro; sotto la mpl. ne esiste un'altra circa la metà più corta; la pt. è robusta, la st. è più debole, ma relativamente valida Scudetto interamente giallo pallido, con stretta fascia nera basale; i brevi peli sono neri; le 4 macrochete sono nere, colle mediane parallele od ap- pena convergenti. Squamule giallognole, coU'orlo più scuro, frangiate di teneri peli bianchi; bilancieri bianchicci, colla clava più oscura. Addome senza disegno; peli del dorso giallognoli, dei lati in parte neri, come le macrocliete; genitali del maschio di color giallo lucido, arrotondati; ovopositore dello stesso colore dell' addome, più oscuro verso la base ed all' apice, con breve pubescenza in- teramente nera. Piedi interamente gial Io-testacei; le 5-7 macro- chete dei femori anteriori sono nere e molto forti; nero è pure lo sprone delle tibie mediane; tibie posteriori con completa se- rie di setole lungo l'orlo esterno; orlo inferiore delle anche con setole nere. La breve pubescenza dei piedi è giallognola; i pulvilli sono lu- ridi; le unghie nere. Ali (fig. 1) per forma e nervatura simili in tutto a quelle di fra- terculus, ma colla curvatura dell'ultima parte del terzo nervo longitu- dinale più accentuata, e col disegno diverso. Lo stigma è assai info- scato, pressoché nero; la prima fascia ialina è interrotta lungo il terzo nervo; la base della cella discoidale è largamente ialina, come la se- conda basale interamente. La fascia ad ä e completa; il suo l'amo ba- sale è giallognolo internamente nel mezzo, mentre è nereggiante al di sotto ed esternamente; la macchia rotonda all'apice della cella anale è distintamente staccata dal resto; 1' orlo marginale del ramo esterno è assai stretto, non essendo più largo dello stigma, terminando verso la metà della prima cella posteriore, ed è nereggiante. La fascia a F è tutta nereggiante; il suo ramo interno è largo alla base e termina su- periormente poco sopra il quarto nervo longitudinale, essendo un po' sfumato e giallognolo; il ramo esterno è più stretto e più chiaro, e si estende obliquamente dal margine alare attraverso il mezzo dell'ultima porzione del quarto nervo, verso il mezzo della prima cella posteriore, dove termina sfumato. Figr. 1. Ala di Anastrepìta bistrùfata sp. nov. (Ingraudit.i). - 10 - Nota 1. Questa specie è affine alla striata Schin., di cui ho eseiu- l>l;iri di Orosi, Costii Rica (1), allevati dal sig. Picado da frutti di l'si- (lium goyaba L.; il disegno del dorso del torace e lo stesso. Se ne di- stingue per avere 1' interruzione della jirinia fascia ialina molto più stretta, perchè la macchia ialina dopo lo stigma è molto più grande e tocca largamente il terzo nervo; per avere lo stigma più scuro e le fascie ad S ed a V più infoscate, la prima essendo giallognola solo verso il mezzo del ramo basale; per avere l'orlo costale apicale molto più stretto e molto più scuro; per avere infine il ramo esterno della fascia a V più sviluppato. I femori anteriori lianno le setole inferiori meno numerose ma assai più robuste e di color nero anziciiè giallognolo. Dell'yljì. striata fu descritto da Kcilin e Picado il hraconide paras- sita Diachasma Crawfordi. N'ota 2. Il Guérin-Ménéville nella sua Iconografia, p. 555, tav. 103, tig. 11, ha figurato una specie sotto il nome di Tephritis obliqua Macq., che è certamente diversa da quella figurata posteriormente dal Macquart nei Diplères exotiques, ed accettata dal Loew e dall'llendel. Per la in- terruzione della prima ffiscia ialina, per la forma di quella a V e per le striscie scure del dorso del torace, pare che la specie del Guériii sia da riferirsi piuttosto alla striata od alla presente. 5. — Aiiiistrepha soluta Bezzi 1909. Descritta come una varietà di fraterculus, venne di poi dal pro- fessor Hendel assunta come specie. I suoi caratteri differenziali nel disegno alare sono soggetti a variazione, io credo, e perciò incerti; né mancano i [lassaggi, essendo la prima fascia ialina talvolta un po' strozzata in corrispondenza del terzo nervo; e quella a V potendo tal- volta esser completata al disopra da una macchia più diluita, ma pur distinta, entro la prima cella posteriore. Io ho gli esemplari tipici raccolti a S. Paolo dal ßarbiellini, ed altri del medesimo Stato avuti dal Museo l'aulista a mezzo del signor R. von Ihering. 6. — AiiJislreplia obliqua (Macqiuut 1835) Hendel 1914. Originariamente descritta di t'uba, ma con una breve ed ambigua diagnosi che si attaglia a troppe specie ; abbiamo visto più sopra che secondo l' interpretazione del Guérin - Ménéville si tratterebbe della (1) Recentemente (1916) il Bodkin riporta questa specie anche della Guia- na inglese, dove é chiamata la guava fruit-fly. — 11 — striata o della histrigata; cosa improbabile però, perchè il Macquart esclude le strisele scure del dorso del torace. Nel 1843 il Macquart ci dà la figura dell'ala, sempre riportando la specie come cubana; il prof. Hendel in base a questa figura, ed all'esame del tipo dello Schiner nel Museo di Vienna, identifica la specie colla munda Schin. (che io avevo messa in sinonimia colla fraterculus) , e la dà di vari luoghi dell'America del Sud. Io ho avuto un esemplare dello Stato di S. Paolo dal sig. E. von Ihering; in esso le macrochete anteriori del torace sono giallognole, come in xanthochaeta Hendel. 7. — Aiiastrephii fraterculus Wiedemann 1830. É la specie più comune, della quale il Barbiellini mi mandò mol- tissimi esemplari di S. Paolo e di S. Sebastiao; altri ne ebbi del Pa- raguay da Schrottky e da Bertoni. Essa è diffusa dal Messico e dalle Antille all' Argentina, dove il Weyenbergh nel 1874 {Anales de Agric. de la Republ. Argentina, II, p. Ifi5) la descrisse col nome di Aji<7io»n?/ia (Trypeta) frutalis, come stabilito dal Brèthes nel 1914. Le strisele gialle del torace si vedono solo in esemplari completa- mente maturi e ben disseccati. 8. — Auastrepha pseiuloparallela Loew 1873. Anche questa specie mi pare rientri entro i limiti di variabilità della precedente; perfino il carattere della lunghezza dell'ovopositore parmi ambiguo. Posseggo 3 esemplari dello Stato di S. Paolo che ebbi in un lotto di ditteri esotici acquistato anni fa dal negoziante Rolle di Ber- lino. Essi presentano le macrochete del torace in parte giallognole, fatto che ricorda la xanthochaeta Hendel, che ha però la prima fascia ialina non interrotta al terzo nervo, benché lo sia alla base della cella discoidale. 9. — Auastrepha distans Handel 1914. Pare piuttosto una varietà di fraterculus distinta solo pei caratteri del disegno alare. E descritta del Perù. Ad essa si possono ascrivere alcuni esemplari allevati a S. Paolo dal Barbiellini dai medesimi frutti da cui ottenne fraterculus tipica e soluta. — 12 10. — Aiiasti'epha snspensa Loew 1862. II conte Barbiellini ne raccolse diversi esemplari a S. Sebastiào, ed uno a S. Paolo. E' specie distinta da tutte le altre del gruppo per l'in- foscauiento della seconda cella basale, che può essere però più o meno intenso; la prima fascia ialina è come in fraterculus, mentre quella a V è largamente collegata con quella ad S. 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S. — Os inimigos dos frutos e modo de os combater. JJroteria, Braga, XIII, p. 200-205. 1916. Bodkin G. E. — Report of the economic Biologist, liept. Dept. Sci. and Agric. Br. Guiana, Georgetown, 10 pp. 1916. EiTCHiE A. H. — Report of Entomologist for Year 1915-16. Ann. Rept. Jamaica Dept. Agric, Kingston, p. 31-34. 1918. Meijere J. C. H. de — Studien über südostasiatische Dipteren XIV. Tijdschr. voor Entom., s' Gravenhage, LX, p. 275-369; V. p. 329. DoTT. G. GRANDI Contributo alla conoscenza degli Agaonini {Hymenoptera - Chalcididae) dell' America. AGAONINI DI COSTARICA. Questo primo contributo alla conoscenza degli Agaonini dell'America comprende lo studio dettagliato di sei specie di Blastophaga di Costarica gentilmente favoritemi dal Prof. F. Sil- vestri e ricevute dall' illustre naturalista Prof. Adolfo Tristan di San José. Due delle sei specie sono dedicate al Tristan stesso ed alla sua Signora, Esther Castro Tristan, che con tanto zelo ed abnegazione coadiuva il marito nelle ricerche e nelle raccolte; tre specie ai botanici Ramiro Aguilar, Pablo Jimenez e Adolfo Tonduz, i quali, pregati dal Prof. Tristan, hanno voluto cortese- mente interessarsi degli insetti dei fichi; la sesta al Prof. Silvestri. Fino ad oggi erano noti alla scienza solo sei Agaonini del- l'America e delle isole vicine, e cioè : Blastophaga brasiliensis Mayr cf &^ q B. bifossulaia Mayr cf e 9 del Brasile; Bl. obscura Kirby di Fernando Noronha; ' Tetrapus arnericatius Mayr cf e 9 del Brasile ; Eiseniella mexicana Ashm cf e 9 del ? Messico ed E. flaviscapa Ashm 9 del Brasile. Il presente studio raddoppia tale numero, che non può però costituire se non una frazione piccolissima delle specie viventi nel continente americano. Io riguardo sempre come buone le ragioni esposte a pag. 123- 124 della mia memoria sugli Agaonini dell'Africa occidentale, re- lativamente al genere Blastophaga, ma, in considerazione dell'im- portanza dei caratteri posseduti dalle 99) istituisco per le forme qui descritte due sottogeneri nuovi. Al primo di essi, Julianella, è assegnata una sola specie; la B. aguilar i mihi, le di cui 99 pi"e- sentano le ali con la sola nervatura omerale, che è incompleta e con la cellula costale aperta ; al secondo, Valentinella, quat- — 16 — tro specie : Bl. tondnzi mihi , estherae mihi, tristani mihi e silvesirü mihi, che offrono tutte una « facies > comune: le 99 hanno le ali anteriori con la nervatura postmarginale rudimentale; i cfcf hanno le antenne di 4 articoli liberi, i tarsi anteriori di 2 articoli, il mesonoto, il metanoto od il propodeo fusi insieme com- pletamente, le parti sterno-pleurali come sono disegnate nelle fig. Vili, 6, ecc. — Il carattere della rudimentazione della nerva- tura postmarginalc delle ali delle 99 è quello che ha determinato l'istituzione del sottogenere nuovo. Ambedue i sottogeneri potranno essere elevati al rango di generi quando si sarà studiato con cura una buona parte delle innumerevoli forme ancora inedite della sottofamiglia. Rimane aggregata temporaneamente a Valentinella la B. jimenezi, la quale, pur possedendo tutti i caratteri di questo sot- togenere, presenta le 99 colle mandibole uuidentate (v. fig. XII, 4 a pag. 52) e i cf cT coi tarsi posteriori di 4 articoli (v. fig. XIII, 10 e 11 a pag. 55). I maschi delle specie descritte di Blastophaga per le quali è sconosciuto il sesso femminile {Bl. boldinglii Grnd. e ralen- tinae Grnd. di Giava, gìiigii Grnd. dell' Australia, breviventt-is Mayr delle Indie Orientali e Mayeri Mayr dell' Isola Bali) si differenziano facilmente da quelli studiati in questo sesto contri- buto alla conoscenza degli insetti dei fichi (1): i primi tre per molti caratteii importantissimi; il quarto per i tarsi antei'iori. di 5 articoli ; 1' ultimo per la peculiare conformazione dei femori e delle tibie delle zampe medie. II Jlayr non specifica, per le singole specie di Blastophaga, la conformazione delle nervature delle ali (accenna appena alla n. (1) Gli altri t'inf|ue contributi sono i seguenti: GiiANUl, G. — Gli Agaonini dell'Africa occidentale raccolti dal Prof. F. Sil- vestri. — Boll. Lab. Zool. Se. Agr. Portici, Voi. X, 1916, pp. 121-28<5, con 52 fig. — — Nota su due Agaonini dell'Australia. — L. e, Voi. ,\I, 1916, pp. 14.5-109, con 5 fig. — — Contributo alla conoscenza degli Agaonini di Ceylon e del- l'India. — L. e, Voi. XI, 1917, pp. 1S3-234, con 20 fig. — — Contributo alla conoscenza degli Agaonini di Giava. — L. e, Voi. XII, 1917, pp. 1-60, con 22 tìg. — — Contributo alla conoscenza degli Agaonini dell'Eritrea e del- l'Uganda — Bull. Soc. Entoin. Ital. Anno XLVIII, 1917, pp. 1-42, con 12 flg. — 17 — radiale [stigmatica] ), ma a pag. 156 del suo primo lavoro sugli In- setti dei fichi (1885) (1), nella chiave per il riconoscimento dei generi, a pi'oposito del genere Blastophaga dice: « der Marginal-und Post- mai'ginalabschnitt, sowie auch der Radius vollkommen entwickelt>. Le descrizioni delle due specie brasiliane ibrasiliensis e bifossulata) fatte da quest' Autore (2) sono alquanto incomplete ed insuffi- cienti a distinguere tali forme; la maggior parte dei caratteri che Egli espone è comune a varie specie ; anche il nome del fico ospitante manca e rende cosi molto problematica la loro identifica- zione. Ho già accennato, a pag. 190 della mia citata pubblicazione sugli Agaonini dell' Africa occ, al valore delle due specie del- l'Ashmead, per le quali è stato istituito il genere Eiseniella Ashra. Valentinella tristani mihi e V. silvestrii mihi si troveranno notate come viventi ambedue nei fratti del Ficus padifoUa H. B. K. ; di fatto tutti gli esemplari dei due sessi ei'ano conte- nuti in un sol tubo che portava un' unica indicazione di prove- nienza. Io non so però se le cose stiano veramente così; se non è avvenuta confusione sarebbe questo il primo caso (3) in cui (1) Matr, G. — Feigeninsecten. — Verhandl. d. K. K. Zool. bot. Ges., Wien, Band XXXV, 1885, pp. 147-250. (2) Mayr, G. — 1. c. pag. 180-182, fig. 11. (3) Dovrebbe fare eccezione Agaonella larvalis Bak., che, a seconda di quanto riferisce Balver («4 study of capri fication in Ficus notay. — The Philippine Journal of Science, Voi. Vili, N. 2, pag. 63-83. — 1913), vive nel Ficus nota con una specie di lilastophaya (B. nota Bak.). Ma, indipen- dentemente da qxiesto fatto, io ho dei forti dubbi sul valore della posizione sistematica assegnata a questo Calcidide. La descrizione dell' Autore, per quanto non breve, è poco chiara, e non è accompagnata da figure esplica- tive (vi é solo quella dell'estremo distale della n. stigmatica dell'ala della O; fìg. 4, C); però vari caratteri indicati come propri della femmina e del ma- schio, sono in assoluta contradizione, colla morfologia esterna della tribù degli Agaonini nella quale il genere è stato conipreso, e fanno supporre che il Baker sia caduto in mi grave eiTore. — Trascrivo alcuni di tali caratteri. — Per la 4. : « Metallic dark greenish in color »; « Antennae 11-jointed, the scape very long and slender (its length 9-tiines the ividth), 2 small riwjjoints »/ « Maxyllary palpi 4-jointed «; « Labial palpi 2-jointed ».• non parla del pro- cesso laiainare delle mandibole. — Per il o ^ " Antennae 3-jointed >,• « Protho- rax and metathorax subequal in length ■ ,• <■ Tibiae strongly broadened api- cally, and there armed on the outside with about 20 closely placed, sftort, heavy, tooth-like spines ' ; « Tarsi ö-jointed, as long as tibiae i; t Genitalia consisting of 2 lateral, stout terete styles, with lojig apical spÌ7ies, and 2 short stout dark brown subrectangular claspers, each armed on its distal border rvith 2 short, stout, black teeth. ». XIH - liolletl. di Zoologia Gen. e .\yr, 2 — 18 — due specie della tribù degli Agaonini coabitano nei siconi di una stessa specie di fico. Data la grande affinità delie due forme in parola, particolarmente incerto si è presentato il riferimento dei cfcT fi ciascuna delle 99; no» potendo usufruire di alcun criterio più preciso, ho assegnato tentporaneauiente alla V. tri- stani, forma più snella e più chiara, il maschio più snello e più chiaro. Spero che nuove rticcolte potranno presto contribuire alla delucidazione di queste incertezze. Le specie delle quali segue lo studio sono : SuBGEN. Julianella nov. aguilari n. sp. cf e 9 SuBGEN. Valentinella nov. estherae n. sp. cf e 9 tristani n. sp. e? e 9 sìlreslrii n. sp. cf e 9 tonduzi n. sp. cf e 9 jimenezi n. sp cf e 9 Esse si possono distinguere colle seguenti tavole sinottiche : 9 ? 1. — Ali niiteriori con la sola nervatura omerale, che è incomjileta; cellula costale ajiorta Subg'en. Jiilianella nov. {aguilari n. sp.) r. — Ali anteriori con le nervature omerale, marginale e stigmatica; manca la sola postmarginale; cellula costale chiusa Subgen. Tnlentinella n. 2. 2. — Mandibole bidentate 3 3. — Tibie delle zampe po.steriori fornite, aU'estrenio distale della loro fac- cia esterna, di un processo multidenlato a forma di anello (flg. IV, 8); trocanteri delle zampe medie con distinto accenno di divisione in due parti (fìg. IV, 6) e/ithrrae n. sp. 3". — Tibie delle zampe posteriori fornite, all'estremo distale della loro fac- cia esterna, di un processo molto più ridotto, altrimenti conformato e tridentato (fig. XII, 13); trocanteri delle zampe medie integri 4. 4. — Articoli 7-10 delle antenne con un numero piccolo o mediocre di sen- silli lineari (3-7 per faccia, raramente 8); mandibole col dente api- cale ben sporgente ed acuto 5. — 19 - 5. — Articoli 7-10 delle antenne con un piccolo numero di sensilli lineari (3-4 per faccia, raramente 5); articoli 5-10 forniti di numerose setole robuste, alcune delle quali possono essere riunite in gruppetti come le mostrano le fig. VI, 2 a pag. 35 ; articoli 5-6 provvisti, inoltre, di poche setole (generalmente due) inserite presso l'estremo distale del loro margine esterno, lunghissime, sempre più lunghe degli ar- ticoli rispettivi, spesso lunghe due volte gli articoli stessi; mandi- bole col processo laminare fornito di solito di 6 rilievi trasversi, qualchevolta di 7, raramente di 5 fristani n. sp. 5'. — Articoli 7-10 delle antenne con im mediocre numero di sensilli lineari (6-7 per faccia, raramente 8); articoli 5-10 forniti di poche setole articoli 5 e 6 colle setole dell'estremo distale del loro margine esterno lunghette, sempre più brevi degli articoli stessi; mandibole col pro- cesso laminare fornito di solito di 8 rilievi trasversi, qualchevolta di 7, rarissimamente di 6 sìlvestrii ii. sp. 4'. — Articoli 7-10 delle antenne con un numero grande di sensilli lineari (10-20 per faccia); mandibole col dente apicale meno sporgente . . tonduzi n. sp. 2'. — Mandibole iinidentate jiinenezi n. sp. 1. ^ Tarsi delle zampe posteriori con 5 articoli 2. 2. — Secondo articolo delle antenne lungo una volta e mezzo la sua lar- ghezza distale (Julianella) afjiiUuri n. sp. 2'. — Secondo articolo delle antenne sempre più breve; tutt' al più un po' più lungo che largo distalmente 3. 3. — Capo tanto lungo quanto largo, o appena un po' più lungo che largo; tibie delle zampe posteriori (denti esclusi) più lunghe dei tarsi rispettivi 4. 4. — Capo tanto lungo quanto largo; 2° e 4° articolo delle antenne propor- zionatamente piuttosto allargati e tozzi .... estherae n. sp. 4'. — Capo un po' più lungo che largo ; 2° e 4° articolo delle antenne pro- porzionatamente più allungati e snelli 5. 5. — Parte del prosterno compresa fra gli episterni protoracici stretta e col suo breve margine anteriore diritto o appena concavo; propodeo decisamente più stretto della massima larghezza del mesonoto; i suoi margini liberi laterali sono lunghi circa la metà della sua larghezza tristani n. sp. 5". — Parte del prosterno compresa fra gli episterni protoracici distintamente più larga e coli' estremo margine anteriore decisamente concavo; propodeo appena più stretto della massima larghezza del mesonoto; i suoi margini liberi laterali sono lunghi poco meno di un terzo della sua larghezza sìlvestrii n. sp. 3'. — Capo distintamente più lungo che largo; tibie delle zampe posteriori (denti esclusi) lunghe circa come i tarsi rispettivi toiidiizi n. sp. r. — Tarsi delle zampe posteriori con soli 4 articoli . jiinenezi n. sp. — 20 — SuBGEN. Julianella nov. 9 9 Ali anteriori provviste della sola n. omerale che è, inoltre, incompleta ; cellula costale aperta (fig. I, 6, 7). cfcf Senza caratteristiche speciali; simili a quelli del sottogenere seguente. Bl. (Julianella) aguilari n. sp. Femiuina. Circa la metà postei'iore del capo (escluse la zona submembranosa) il pro-, raeso - e metanoto, piccoli tratti delle parti sterno-pleurali del torace, la metà anteriore del propodeo, gli urotergiti 3-8, quasi comple- tamente gli urosterniti, in parte i femori medi ed il dorso di quelli anteriori e posteriori, le valve dell'ovopositore di color castagno-fuli- gineo; gli articoli 4-11 delle antenne fuliginei; il resto melleo-ferru- gineo con slavatura più o meno oscura. Le parti submembranose sono biancastre o biancastro-ocroleuche. Gli occhi atropurpurei. Le ali iii- line con pelosità incolora e con nervatura appena oscurata (1). Dimensioni. — Lunghezza del capo mm. 0,13; larghezza mass, (occhi composti compresi): 0,52: lungh. aiitenne 0,87; lungh. del corpo (escluso l'ovopositore): 1,60; largh. mass, torace 0,ii."J; lungh. della parte sporgente dell'ovopositore 0,90; lungh. delle ali ant. 1,66; largii, mass. 0,84; lungli. ali post. 1,00; largh. mass. 0,36. Capo. — Il capo (tìg. I^ 1) è distintamente più largo (occhi composti compresi) che lungo; il margine epistomale presenta le due sporgenze submediane ben distinte e rotondate, (juella mediana meno spinta in- nanzi di esse; setole come nella figura. I margini laterali del capo innanzi agli occhi (considerati fino al limite delle fosse mandibolari) sono più brevi del diametro longitudinale degli occhi medesimi, subdiritti e con- vergenti all'innanzi: il margine posteriore (guardando il capo di faccia) mostra il tratto compreso fra gli ocelli pari subdiritto. L'area mediana posteriore subindurita è molto ridotta. Gli occhi sono abbastanza grandi, discretamente sporgenti, forniti di minuti peli. Tre ocelli disposti come nella figura. Setole, ecc. come nella medesima figura. — /l7i paio e labbro inferiore. — 6. .\li del 1» e del 2° paio. — 7. Parte di- stale della nervatura omerale molto ingrandita. — 8. Zampa anteriore. — 9. Z. media. — 10. Z. posteriore. 11. Piccola parte del 3" urotergite, per mostrare il numero e la di- stribuzione delie setole. — 12. Piccola parto del 4» urotergite. — 13. Un cercoìde del 9» urotergite. (6-7 per faccia negli esemplari esaminati) che sporgono alquanto al suo estremo distale e di alcune setole; il 6" , 7" , 8° , 9" e 10" portano un numero maggiore di sensilli lineari per ogni faccia (10-14) distribuiti alternativamente in due serie trasverse incomplete, ovvero in una sola serie completa. L' 11° articolo è più lungo, ma meno largo del 10" ; è provvisto di vari sensilli lineari, rotondati, a bastoncello e di alcune setole. — Mandibole (fig. I, 4) bidentate; il dente apicale non è molto sporgente, quello subapicale del margine interno della faccia dorsale termina ad angolo ottuso; sulla faccia ventrale della mandibola si nota un certo numero (6-8 negli esemplari da me esaminati) di linee tra- sverso-oblique, più 0 meno rilevate e complete ; il processo laminare è abbastanza grande e ritondato distalmente; ò fornito di una sporgenza dentiforme prossimale e di 7 rilievi trasversi. Setole come nella figura. Mascelle del 1" paio e labbro inferiore come nella fiffura I, 5. Torace. — Il pronoto ò [)rovvisto di numerose setoline lunghette; lo scuto del mesonoto è glabro ; i sok-lii jiarassidiali sono appena ac- cennati ; le ascelle mostrano alcune brevissime setoline (10-12) distri- buite un po' irregolarmente in vicinanza del loro margine interno; i parascutelli sono glabri ; lo scutello è circa tanto lungo quanto largo posteriormente, ricopre il metanolo e presenta due gruppi irregolari, submediani di 15-16 minutissime setole. Propodeo con varie setole lunghette laterali. Ali anteriori (fig. I, 6) circa tanto lunghe quanto il doppio della loro maggior larghezza. La nervatura omei'ale è incomjileta ; termina assai prima del margine costale a mo' di clava, fornita di tre sensilli ro- tondi e di una setola, simili a quelli che si trovano in tale punto dell' omerale nelle altre specie ; da questa clava si parte un rudi- mento di nervatura che non raggiunge il margine costale; di conseguenza la cellula costale rimane aperta ; mostra alcune poche e minutissime se- toline. Pelosità della membrana alare minutissima; le setole della frangia sono lunghe solo 17-18 [x. — Ali posteriori lunghe circa tre volte la loro massima larghezza. Setole come nella fig. I, 6. ' Zampe anteriori (fig. I, 8): Anca lunga un po' meno di due volte la sua massima larghezza; femore circa due volte; li occhi sono discretamente sviluppati, dorso-laterali, abbastanza facettati e situati all'estremo anteriore del capo. — Antenne (fig. II, 2) di 4 articoli liberi, oltre la radicola lunga e. la metà dello scapo 0 poco più; lo scapo è breve, tozzo, lungo e. una volta e mezzo la sua massima larghezza; il 2° articolo è lungo una volta e mezzo la sua larghezza distale; il 3» è traverso e foi-nito di alcune setole brevi e piuttosto robuste; il 4" è lungo più di due volte il 2" ar- ticolo e si presenta attenuato e rotondato nella sua parte distale; come nelle specie seguenti mostra un accenno di divisione in tre parti, delle quali la prossimale, trasversa e un po' più grande del 3° articolo, è specialmente distinta. Setole e sensilli come nella figura. — Mandi- bole (fig. II, 3) bidentate; il dente subapicale della faccia ventrale è poco sporgente e termina ad angolo ottuso. Setole come nella figura. — Mascelle del 1" paio e labbro inferiore rudimentali. Torace. — Il pronoto (fig. II, 4) è più lungo che largo al mas- simo; poco espanso anteriormente, mostra i suoi margini laterali subdiritti e dicretamente divergenti all'indietro; superficie abbastanza - 24 - convessa in senso trasverso. Il mesonoto, il metanolo ed il propodeo sono fusi in un sol pezzo; quest'ultimo mostra una c|uasi impercettibile linea anteriore di demarcazione (fìg. II, 4). I margini laterali del me- sonoto sono convergenti posteriormente; gli angoli posteriori del pro- podeo rotondati ed il margine compreso fra essi concavo. Spiraceli Ki-. II. J. affuilari n. sp., maschio: 1. Capo vetìiuo dal dorso. — 2. .antenna. — 3. Mamli- bola. — 1. Torace e propodeo veduti dal dorso. — 5. Zampa autcriore. — 6. Z. media. — 7. Z. posteriore tracheali a peritrema piccolo ed ovolare; peli microscopici distribuiti come nella figura. Le parti sterno-pleurali sono simili a quelle disegnate a fig. XIII, 6 per V. jimenezi; tanto il prosterno quanto gli episterni protoracici però sono piìi allungati. Zampe anteriori (tìg. II, 5): Anca trasversa, larga una volta e mezzo la sua lunghezza; femore lungo circa due volte la sua larghezza massima; tibia (denti compresi) meno lunga della met;\ del femore; il processo tridentato che limita dorsalmente la concavità distillo della sua faccia esterna è formato di denti forti, grandi e molto sporgenti; tarso lungo poco più della metà della tibia (denti compresi); il 2" ar- ticolo non mostra alcun accenno di divisione; pretarso, setole ecc. come nella figura. — Zampe medie (fig. II, 6): Anca più larga che lunga; trocantere più breve dell' anca e meno della metà del femore; femore poco più lungo del doppio della sua larghezza massima (al- — 25 — tezza); tibia an po' meno lunga del femore e del trocantere presi insieme; tarso circa tanto lungo quanto la tibia: il suo primo articolo è un po' meno grande del 5" ; il 2" , 3" e 4" sono subsimili; pretarso, setole ecc. come nella figura. — Zampe posteriori (fig. II, 7): Anca più lunga che larga; femore meno lungo di due volte la sua larghezza massima; tìbia (denti esclusi) più lunga della metà del femore; l'e- stremo distale della sua faccia ventrale (interna) presenta un complesso di tre denti molto robusti, dei quali uno, bipuntuto all'apice, è piut- tosto interno (dorsale;, l'altro piuttosto esterno (ventrale); un altro dente ben sviluppato, per quanto meno vistoso degli altri, si trova all'estremo distale del margine dorsale (esterno); tarso di 5 articoli, un po' meno lungo della tibia; il 1° articolo è circa tanto lungo quanto il 5° e distintamente ristretto alla base; il 2" ed il 3" sono trasversi e simili; il 4« è pure trasverso, ma un po' più piccolo dei due prece- denti; pretarso, setole ecc. come nella figura. Addome. — Gastro fornito di varie minutissime setoline. Distribuzione geografica. — Otto femmine e due maschi raccolti a « La Sabàna » San José (Costarica). Ecologia. — Vive entro ai frutti del F. lapatifolia. Osservazioni. — La 9 è facilmente distinguibile per le ali anteriori con la sola n. omerale incompleta e con la cellula costale aperta. Il cT si differenzia da quelli descritti in questo lavoro per vari caratteri; principalmente per la lunghezza del 2° articolo delle -antenne. SuBGEN. Valentinella nov. 9 9- Mandibole con processo laminare di lunghezza moderata, fornito di un numero vario di rilievi trasversi; antenne di 11 ar- ticoli liberi, dei quali il terzo diviso in due parti, una prossimale ed una distale bratteiforme ; occhi composti con peli minuti; 3 ocelli ; parti sterno-pleurali del torace costituite come nella fig. Ili, 5 e 6 ; ali anteriori con la nervatura postraarginale atro- fica; ottavo urotergite con spiracoli tracheali a pei'itrema piccolo e rotondo; nono urotergite con due cercoidi provvisti di un certo numero di setole generalmente lunghe. cTcf. Intaccatura del margine anteriore della fronte breve ed angolosa; occhi dorso-laterali, posti all'estremo anteriore del capo; superticie dorsale del capo fornita di peli di solito radi e sempre brevi e minuti ; antenne di 4 articoli liberi, dei quali — 2(5 — l'ultimo con accemii più o meno distinti di divisione in tre parti (talvolta anche il 3° mostra l' accenno di una divisione), la prossimale e la distale molto più piccole di quella mediana ; prouoto integro ; mesonoto, metanoto e propodeo fasi completa- mente insieme; parti sterno-pleurali costruite come nella fig. XIII, 6; zampe anteriori coi tarsi di 2 articoli, il secondo dei quali mo- stra spesso un accenno subatrofico di divisioni; zampe medie sem- pre bene sviluppate. — Il decimo urotergite sembra privo di cetxi. Bl. (Valentinella) estherae n. sp. Feuiroiua. Parti più chitinizzate del capo, pro - , iiieso - e metanoto, piccoli tratti della zona sterno-pleurale del torace, un po' il dorso dei femori anteriori e posteriori, il propodeo, gli urotergiti 2-8, gran parte degli urosterniti e le valve dell'ovopositore di color umbrino-castagno; arti- coli 4-11 delle antenne umbrini; occhi atropurpurei; mandibole fulvo- ferruginee; parti submembranose biancastre o biancastro-cremee; il resto melleo-ocroleuco più o meno chiaro o scuro. Ali ialine; pelosità e nervature umbrino-chiare. Dimensioni. — Lungh. del capo mm. 0,36; largh. mass, (occhi composti compresi): 0,43; lungh antenne: 0,67; lungli. del corpo (e- scluso l'ovopositore): 1,00-1,10; largh. mass, del torace 0,42-0,44; lungh. della parte sporgente dell'ovopositore: 0,70; lungh. ali ante- riori: 1,10- 1,20; largh. massima 0,57 - 0,64; lungh. ali posteriori: 0,73; largh. massima 0,19. Capo. Il capo (fig. IH, 1) è decisamente più largo (occhi composti compresi) che lungo ; il margine epistomale presenta le due sporgenze su>>mediane rotondate; setole mediane e submediaue brevi, inserite come nella figura. I margini laterali del capo innanzi agli occhi (considerati fino al limite delle fosse mandibolari) sono un po' meno lunghi della metà del diametro longitudinale degli occhi medesimi, subdiritti, mediocremente convergenti all' innanzi ; guardando il capo di faccia il suo margine posteriore (superiore) si mostra ritondato ai lati e subdiritto, o appena concavo, nel tratto compreso fra i due ocelli pari. Setole come nella fi- gura. — Gli occhi composti sono grandi e discretamente sporgenti. — Oce^K come nella figura. — .4n.oii una clava fornita di una piccola sporgenza e di 4 sensilli rotondi disposti come nella tìg. IV, 3. Pelosità piuttosto fitta distribuita come nella figura ; le più lunghe setole della frangia raggiungono i 40-.'>0 [x. — Ali posteriori (fig. Ill, 7) lunghe poco meno di quattro volte la loro massima lar- ghezza; pelositiV e setole come nella figura. Zampe anteriori (flg. IV, 4): Anca lunga circa due volte la sua massima larghezza; femore pure e. due volte; tibia (denti compresi) circa la met<\ del femore, con processo 5 - dentato nella parte distale della sua faccia esterna; dei cinque denti, tre (1° , 3* e 5» ) sono gran- detti ed acuti, gli altri due (rispettivamente 2» e 4» ) sono molto pie- - 29 - coli e subrotondati all'apice; dente dell'estremo distale del margine ventrale, sperone e setole come nella figura. Il tarso è distintamente più lungo della tibia (denti compresi); il margine ventrale del 1° arti- m li »V i n Fig. IV. V. eathi'iae, n. sp., fcmniina : — 1. Jliiiuliboln col suo professo laminare, velluta ilalla faeeia ventrale. — 2. Mascelle del 1» paio e labbro inferiore. — 3. N. stigmatica molto ingrandita. — 4. Zampa anteriore. — 5. Z. media. — i;. Kstreino distale dell'anca, tro- cantere e parte prossimale del femore della stessa zampa niagg-iormente ingranditi, per mostrare il ; pretarso, setole e sensilli come nella figura. — Zampe posteriori (fig. IV, 7): Anca un po' più lunga di una volta e mezza la sua larghezza; tibia lunga un po' più dei due terzi del femore; circa il quarto distale della sua faccia esterna (ventrale) è fornito di un processo multi-dentato in forma di anello assai caratteristico; negli esemplari che io ho esaminati questo processo comprendeva quattro denti maggiori, dei quali tre lungo il margine ventrale (interno), uno in quello dorsale (esterno) e 6-3 den- tini minutissimi, tutti lungo il margine dorsale (esterno) del processo stesso (tìg. IV, 8); l'estremo distale della faccia interna (dorsale) della tibia è fornito del solito sperone semplice, un po' ricurvo all'apice, molto robusto. Tarso (pretarso escluso) lungo circa una volta e mezza la ti- bia; il margine libero ventrale del 1" articolo è lungo quanto quello complessivo dei tre articoli seguenti, i quali diminuiscono gradual- mente e moderatamente di grandezza; il 5" è grande circa come il 2 '. Pre- tarso, setole, sensilli, ecc. come nella figura. Addome. — Il gastro porta un vario numero di setole relativamente lunghette; più numerose nel 3° urotergite, (flg. IV, 9), sono meno ab- bondanti negli altri tergiti addominali (cfr. la fig. IV, 10;; il 7» uro- tergite ne mostra alcune di più del 4" , 5o e ti» ; nell'S" sono distribuite nella parte mediana fra i due spiracoli tracheali (fìg. IV, 11). Cei-coidi del 9" urotergite come nella tìg. IV, 12, 13. Urosterniti costniiti sul solito tipo. La parte sporgente dell' ovopositore ò tanto lunga o un po' meno lunga del gastro. Mascliio. Capo, torace, propodeo e zampe anteriori e posteriori di colore fulvo-ferrugineo più o meno slavato di umbrino; zampe medie più chiare; antenne e parti più indurite del gastro di colore melleo; occhi neri; parti submembranose biancastro-cremcc. Dimensioni. — Lunghezza del capo mra. 0,33; largh. 0,.33; lungh. del torace e del propodeo: 0,84; largh. mass, del pronoto (posteriore): 0,38; larghezza massima del mesonoto (anteriore): 0,36; larghezza del propodeo: 0,35. — 31 - Capo. — Il capo (flg. V, 1) è tanto lungo quanto largo, discreta- mente convesso al dorso, subpianeggiante o appena concavo sulla parte mediana-anteriore della sua superficie ventrale; la sua massima lar- ghezza si trova più indietro della met;\ della sua lunghezza; i suoi mar- gini laterali, dietro gli occhi, sono moderatamente convessi; l'intacca- tura mediana del margine anteriore della fronte è breve e non rag- giunge la linea che dovrebbe unire i margini posteriori degli occhi; il margine epistomale presenta due convessità submediane rotondate, mediocremente sporgenti ed è provvisto di 2 setole mediane e di 2 submediane relativamente lunghette. Gli occhi e le setole come nella fi- gm-a. — Antenne (fig.V, 2) di 4 articoli liberi oltre la radicela che è lunga due terzi dello scapo; questo è lungo una volta e mezzo la sua larghezza massima; il 2" articolo è circa tanto lungo quanto largo distalmente; il 30 è trasverso e fornito di alcune setole lunghette; il 4» è distinta- mente più lungo dello scapo e si attenua verso il suo estremo distale; la sua maggior larghezza è uguale a quella massima dello scapo; mo- stra un accenno di divisione in tre parti, delle quali la prossimale è specialmente distinta; setole e sénsilli come nella figura. — Mandibole (fig. V, 3) subtriangolari, col dente apicale poco acuto; setole e il resto come nella figura. — Mascelle del 1° paio e labbro inferiore rudimen- tali (fig. V, 4), ridotti ad una sorta di bitorzolo provvisto di alcune setole brevi e piuttosto robuste. Torace. — Il pronoto (fig. V, 5) è irn po' più lungo che largo; poco espanso anteriormente, mostra i suoi margini laterali discretamente convergenti all'indietro ed una superficie moderatamente convessa in senso trasverso; setole scarse e minutissime di.stribuite come nella fi- gura. — Il mesonoto, il metanoto ed il propodeo sono fusi completa- mente insieme (fig. V, 5) in un pezzo che si attenua posteriormente e che presenta una superficie subpianeggiante od un po' convessa in sen- so trasverso; setole come nella figura. La parte riferibile al propodeo ha i margini laterali subdiritti, gli angoli posteriori rotondati, il mar- gine posteriore concavo nel mezzo; gli spiracoli tracheali hanno un peritrema piuttosto grande, col suo diametro maggiore uguale alla metà del margine laterale libero del propodeo stesso. Setole come nella figura. Zampe anteriori {Qg. V, 6;: Anca trasversa; femore lungo un po' meno di due volte la sua massima larghezza (altezza); tibia (denti compresi) lunga circa la metà del femore 0 poco meno; concavità di- stale della sua faccia interna limitata dorsalmente da un complesso tridentato a denti grandi, robusti, poco acuti; tarso di due articoli, più lungo della metà della tibia; il 2" articolo mostra un piccolo accenno rudimentale di divisione (fig. V, 7); pretarso, setole, sénsilli ecc. come nella figura. — Zampe medie (fig. V, 8): Anca circa tanto liinga quanto larga; trocantere poco meno lungo dell'anca e circa la metà del femore; — 32 — femore più lungo del doppio della sua maggior larghezza; tibia un po' meno lunga del femore più il trocantere: tarso un po' più breve della tibia; il l» articolo è meno lungo dei due seguenti presi insieme; il 2" , 3' e 4» sono subsimili, il b" è distintamente più grande del 1« ; pretarso, setole, sensilli, ecc. come nella figura. — Zampe posteriori (fig. V, 9): f*t 'Ji. "7 Fi)?. V. V. estht^rnc, n. sp., mnscliio: 1. <';i]m v*Mluto dal lìorso. — •2. Antenna. — .1. Man paio. — 11. Nerv, marginale e stigmatica maggiormente ingrandite. — 12. V. stigmatica dì un altro esem- plare, per mostrare la diversa distribuzione dei seusilli. — 13. V. stigmatica di un terzo esemplare. — 14. Zampa anteriore. — 15. Z. media. — 16. Z. posteriore. — 17. Peritrema di uno spiracolo tracheale dell' 8" urotergite; si vede lo spiracolo pr. d. e il tratto pros- simale della trachea. — 18. Estremità distale del gastro veduta di fianco; è ben distinto il cercoide destro ed è visibile, in parte, l'ovopositore. Ali anteriori {fig. VI, 10) lunghe circa due volte la loro massima larghezza; talvolta anche un po' più lunghe; cellula costale lunga circa 7 volte la sua larghezza, con due o tre setole inserite presso la nerva- tura marginale; la n. marginale è più breve della stigmatica, che è un po' obliqua, formando col margine costale un angolo esterno im po' - 36 - acuto, e termina con una clava fornita di breve sporgenza e provvista di 4 sensilli, disposti generalmente come li mostra la fig. VI, 11; tal- volta come sono disegnati nelle fig. VI, 12 e 13. Pelosità breve e piut- tosto fitta. Le setole della parte subdistale e distale del margine an- teriore sono lunghe 19-24 [j,, quelle del margine posteriore 40-50 ix. — Ali posteriori (flg. VI, 10) lunghe poco meno di quattro volte la loro massima larghezza; setole e frangia come nella figura. Zampe anteriori (fig. VI, 14): Anca lunga circa due volte la sua larghezza massima; femore più di due volte; tibia (denti esclusi) circa la metà del femore; è provvista di uno sperone semplice; il processo tridentato distale della sua faccia esterna presenta i denti non molto grandi, ma piuttosto acuti; setole come nella figura; il tarso è lungo quasi una volta e mezzo la tibia (denti esclusi); il 1." articolo è lungo circa come il 5" ; il suo margine ventrale libero eguaglia in lungliezza quello complessivo dei tre articoli seguenti; pretarso, setole e sensilli come nella figura. — Zampe medie (fig. VI, 1.5): Anca un po' più larga che lunga; trocantere un po' più lireve dell'anca e cii'ca un terzo del femore; femore un po' più lungo di quattro volte la sua massima lar- ghezza (altezza); tibia un po' più lunga del femore, con uno sperone semplice; tarso appena uu po' più lungo della tibia; il 1." articolo è più lungo del 5" ; il suo margine libero ventrale eguaglia in lunghezza quello complessivo dei due articoli seguenti; il 4." è un po' più breve del preci^dente; pretarso, setole e sensilli come nella figura. — Zampe posteriori (fig. VI, 16): Anca lunga circa una volta e mezzo la sua lar- ghezza massima (altezza); femore un po' più di una volta e mezzo; tibia lunga un i)o' più dei '/» dèi femore e provvista di un modesto processo tridentato all'estremo distale e ventrale della sua faccia ester- na. Tanto il trocantere, quanto il femore e la tibia sono forniti di varie setole lunghette. Il tarso b appena un po' meno lungo del doppio della lunghezza della tibia (denti esclusi); il 1" articolo è distintamente più lungo della metà della tibia; il suo margine libero ventrale è circa uguale a quello dei due articoli seguenti o un po' più lungo; il 5" è lungo circa come il 2"' ; questo ed il 3» sono simili fra loro; il i" è più piccolo; pretarso, setole, sensilli ecc. come nella figura. Addome. — Il gastro possiede varie setole distribuite circa come nella specie precedente; quelle del 3" urotergite sono un po' meno nu- merose. Nono urite e cercoidi come sono disegnati nella fig. VI, 18. — La parte sporgente deW ovopositore è distintamente più lunga del gastro. Maschio. (') Capo di colore melleo-ferrugineo, sfumato leggermente di umbri- no; occhi neri; antenne, torace, propodeo e zampe di color melleo; le (1) Vedi le osservazioni iu principio del lavoro, p. 17-18. - 37 — parti rinforzate del tegumento appaiono del colore del capo; gastro biancastro sudicio slavato di melleo, colle regioni più chitinizzate di colore melleo. Dimensioni. — Lunghezza del capo mm. 0,32-0,33; largii, mass. 0,29-0,30; lungh. del torace più il propodeo 0,75-0,80; largh. mass, pronoto 0,33-0,36; largh. mass, mesonoto 0,31-0,35; largh. propodeo 0,23-0,26. Capo. — Il capo (fig. VII, 1 e 2) è un po' più lungo che largo al massimo e, visto dal dorso, appare ristretto all'innanzi; la sua super- ficie dorsale è discretamente convessa, quella ventrale subpianeggiante e appena concava nella sua parte mediana anteriore. Il margine epi- stomale presenta due modeste, ma evidenti, sporgenze submediane ri- tondate e 4 setole delle quali le due mediane sono un po' più lunghe delle altre; tutte quattro sono inserite nel tratto del margine compreso fra le due sporgenze nominate. Il margine anteriore della fronte mo- stra un'intaccatura ad angolo acuto che non raggiunge la linea che unirebbe il margine posteriore degli occhi; una carena mediana longi- tudinale divide incompletamente la zona anteriore a tale intaccatura. — I margini laterali del capo dietro agli occhi sono convessi, ma non molto sporgenti; gli occhi e le setole distribuite come nelle flg. VII, 1. — Antenne (fig. VII, 3) collo scapo lungo circa una volta e mezzo la sua massima larghezza (altezza); il 2" articolo è un po' più lungo che largo al suo estremo distale; il 3" è trasverso; il 4» è lungo quasi tre volte la sua massima larghezza e mostra il solito distinto accenno di divisione in tre parti; setole e sensilli come nella figura. — Mandibole (flg. VII, 4) subtriangolari, provviste delle setole che sono disegnate nella figura in- dicata. — Mascelle del 1° paio e labbro inferiore subatroflci, ridotti ad un breve processo a forma di bitorzolo, fornito di 4 setole molto brevi: due mediane e subdistali; due submediane e subprossimali. Torace — Il pronoto (flg. VII, 5) è più lungo che largo poste- riormente e appena convesso in senso ti-asverso; i suoi margini laterali sono appena concavi nel mezzo e moderatamente divergenti nella loro metà posteriore; il margine anteriore è ritondato; gli angoli posteriori ben distinti, il margino fra essi compreso concavo; setole minutissime, spai'se come nella flgura. — Gli episterni protoracici come sono dise- gnati nella fig. VII, 6; la parte del prosterno compreso fra essi è stretta; appena espansa all'apice e quivi presenta un mai'gine diritto 0 appena concavo. — Mesonoto, metanolo e propodeo fusi insieme in un pezzo (tìg. VII, 5) a superficie subpianeggiante o appena convessa in senso trasverso, coi margini laterali della parte corrispondente al torace pr. detto subdiritti e convergenti ali 'indietro e con quelli della parte corrispondente al propodeo pure subdiritti, ma quasi per nulla convergenti. Poche setoline come nella flgura. — 38 — TI PROPODEo ha ^li angoli posteriori ritondati ed il margine fra essi compreso concavo; è decisamente più stretto della massima lar- ghezza dei nicsonoto; i suoi margini liberi laterali sono lunghi circa la metà della sua larghezza. I peritremi degli spiracoli traclieali sono Fig. VII. V. tristani, n. sp., maschio: 1. Capo veduto dal dorso. — 2. Capo di un altro individuo; sono state lasciate a posto lo mandibole e non sono state disegnate le antenne e le setole. — 3. Antenna. — 4. Mandibola veduta dalla faccia ventrale. — 5. Torace e propodeo veduti dal dorso. — 6. Prosterno ed episterni protoraciei. — 7. Zampa ante- riore. — 8. Z. inedia. — 9. Trocantere, femore, tibia, tarso e pretarso della z. media di un altro esemplare per mostrare la diversa proporzione di lunghezza del femore, della tibia e del tarso. — io. Z. posteriore. — 11. Tibia e 1* articolo del tarso di una z. poste- riore, veduti dalla faccia ventrale (interna), per mostrare il complesso tridentato del- l'estremo distale^della tibia stessa. molto grandi ed occupano quasi i tre quarti anterioi'i della lunghezza di ciascuno di detti margini. Cfr. la flg. VII, .">. Zampe anteriori (fig. VII, 7): Anca larga circa una volta e mezzo la sua lunghezza; femore lungo circa due volte, o poco più; la sua massima larghezza (altezza); tibia (denti compresi) lunga circa la metà del femore; il complesso tridentato limitante dorsalmente la concavità distale della sua faccia esterna costruito come nella figura; tarso un po' più lungo della metà della tibia; pretarso, setole e sensilli come nella figura. — Zampe medie (fig. VII, 8, 9): Anca circa tanto lunga quanto larga; trocantere un po' più breve dell'anca ed un po' meno lungo della metà del femore, che è lungo due volte {fig. VII, 9) o due volte e mezzo (fig. VII, 8) la sua massima larghezza (altezza); tibia — 39 — più lunga del femore; tarso più breve della tibia; il 1° articolo è un po' più breve del 5° gli altri come sono disegnati nelle figure; pre- tarso, setole, sensilli ecc. come nella tìgura. — Zampe posteriori (fi- gura VII, 10, 11): Anca un po' più lunga che larga; femore circa una volta e mezzo la sua larghezza massima; tibia più della metà del fe- more; processo tridentato distale come nella tì^-. VII, 11; tarso più breve della tibia; il 1" articolo è un po' più breve o circa tanto lungo quanto il 5« ; il 2» , 3» e 4" sono trasversi; pretarso setole ecc. come nella figura. Addome. — Gastro provvisto di poche e minute setoline. Distribuzione geografica. — Un mediocre numero di 9 9 e pai'ecchi cf cf raccolti a San .José (Costarica). Ecologia. — Indicata, come vivente nei frutti del F. padi- folia H. B. K. Osservazioni. — In riguardo alla coabitazione di questa e della seguente specie e all'incerta rispettiva assegnazione dei due maschi, vedi quanto è detto in principio del lavoro a pp. 17-18. Bl. (Valentineila) silvestrii n. sp. Femmina. Capo (ad eccezione delle zone submembranose, che sono biancastro- sudicie e slavate di umbrino), pro - , meso - e metauoto, propodeo, in parte la regione sterno-pleurale del torace, in gi-an parte le auche ed 1 femori posteriori, il gastro e le valve dell'ovopositore di colore ca- stagno-fuligineo scuro; la parte ventrale del capo e del gastro è un po' meno intensamente colorata; occhi atropurpurei; mandibole ed ar- ticoli 1-3 delle antenne melleo-ferruginei scuri; articoli 4-11 delle antenne umbrino-fuliginei; le zampe, il resto della regione sterno-pleurale del torace e l'ovopositore di colore melleo-scuro, più o meno sfumato di umbrino; le anche ed i femori anteriori e medi sono generalmente più scure e spesso in gran parte dello stesso colore del torace; ali ialine con pelosità e nervature umbrino-chiare. La quasi totalità degli esemplari esaminati presenta le tinte scure descritte. Dimensioni: Lunghezza del capo mm. 0,36-0,38. Largh. » » ...... . 0,42-0,42. Lungh. del corpo (esclusa la parte sporgente dell'ovopositore) . » 1,40-1,42. Lungh. della parte sporgente del- l' ovopositore » 0,6ö; 0,73. — 40 - Lungh. ali anteriori mm. 1,19; 1,22; 1,26; 1,37. Largh. » » » 0,61; 0,64; 0,64; 0,64. Lungh. ali posteriori > 0,78. Largii. » > » 0,21. Capo. — Il capo (fig. Vili, 1) è più largo (occhi composti compresi) che lungo; il margine opistomale presenta le due convessità submediane pressoché altrettanto sporgenti di quella mediana; setole come nella figura. I margini laterali del capo innanzi agli occhi composti (consi- derati fino al limite delle fosse mandibolari) sono un po' meno lunghi della metà del maggior diametro degli occhi stessi, che è distintamente meno lungo della metà del capo; i margini laterali ora considerati sono subdiritti o discretamente convergenti all'innanzi. Il margine po- steriore del capo mostra gli angoli ritondati ed il tratto ad essi inter- medio debolmente concavo (se il capo è veduto di faccia). Gli occhi com- posti non sono molto gvaudi: gii ocelli ^ono disposti come nella figura. — Antenne (fig. VIII, 2, 3 e 4) collo scapo meno lungo di due volte la sua massima larghezza ; la parte bratteiforme del 3» articolo sorpassa abbastanza l'estremo distale del 4» (fig. Vili, 4); questo è sempre più lungo che largo, una volta e mezzo la sua larghezza distale o anche meno; è provvisto di alcune setole; gli articoli 5 e 6 sono tanto lunghi quanto larghi o un po' più larghi che lunghi: portano 4-5 sensilli li- neari per faccia (generalmente 5) e alcune setole, delle quali due, in- serite presso l'estremo distale del loro margine esterno, sono lunghette; queste setole però, anche negli esemplari dove sono più sviluppate, sono sempre più brevi degli articoli rispettivi; gli articoli 7-10 sono tutti più larghi che lunghi e provvisti di 6-9 (generalmente 6-7) sen- silli lineari e di un piccolo numero di setole piuttosto robuste; I'll" ar- ticolo è poco più lungo che largo e fornito delle setole e dei sensilli che sono disegnati nelle figure. — Mandibole (fig. Vili, 5, 6, 7 e 8) col dente apicale ben sporgente e piuttosto acuto; la superficie della loro faccia ventrale è percorsa da 10 - 12 linee rilevate, trasverso-oblique, più o meno sviluppate ; setole come nella figura ; processo laminare generalmente con 8 rilievi trasversi (fig. VIK, 5 e 6), qualchevolta con 7 (fig. Vili, 7), raramente con 6 (fig. Vili, 8), oltre la prominenza dentiforme prossimale. — Mascelle del lupaio e labbro i n ferioi-e simiii a quelli della specie precedente. Torace. — Simile a quello di V. tristani mihi. Il pronoto porta un discreto numero di setoline; il mesonoto ha lo scuto glabro, le sca- pole con una mezza dozzina di setole inserite in vicinanza del loro margine esterno, lo scutello con 13-15 brevi setole distribuite, anche qui, in una zona submediana trasversa; le ascelle con 8-9 setole inserite presso 1 loro margini interni; i parascutelli glabri; il metanolo porta poche setoline brevissime sublaterali ed alcune altre, pure brevissime, — 41 — presso i suoi margini esterni. — Parti sterno- pleur ali simili a (|nelle di V. estherae mihi. Propodeo. — Simile a quello della specie precedente. Anche in esso si notano poche setole brevi sublaterali inserite prima dei peri- Fig. vili. V. sìlvestr/'i, n. sp. femmina: 1. Capo veduto di faccia. — 2. Antenua. — 3. Articoli 4-11 dell'antenna, per mostrare più particolarmente lo scarso numero delle setole e il poco sviluppo di quelle distali del ó^ e 6" articolo. — 4. Parte distale del S» articolo, S" 4" e 5" dell'antenna di un altro esemplare, per mostrare il massimo sviluppo delle se- tole distali del ò° articolo. — .5. Mandibola col processo laminare a otto rilievi trasversi, veduta dalla faccia ventrale. — G. Processo laminare a otto rilievi trasversi più o meno incompleti. — 7. Processo laminare a sette rilievi trasversi. — 8. Processo laminare a sei rilievi trasversi. — 9. Ali del 1° e del 2» paio. — lo. N. marginale e stigmatica mag- giormente ingrandite. — 11. N. stigmatica con quattro sensilli. — 12. N. stigmatica con quattro sensilli diversamente distribuiti. — 13. N. stigmatica con due sensilli. — 14. Zampa anteriore. — 15. Z. media. — Iti. Z. posteriore. tremi degli spiraeoli tracheali ed alquante, e lunghette, dopo i peri- trerai stessi, in vicinanza e lungo i suoi margini laterali. Ali anteriori (fìg. Vili, 9) un po' meno lunghe, tanto lunghe o anche un po' più lunghe del doppio della loro larghezza massima; cellula costale lunga circa 7 volte (poco più o poco meno) la sua lar- ghezza; la n. marginale è distintamente più breve della stigmatica, che è un po' inclinata sul margine costale e termina con una clava ritondata, fornita generalmente di tre sensilli (fig. Vili, 10), alcung - 42 — volte di quattro (fig. Vili, 11 e 12), raramente di due (fig. Vili, 13). — Pelosità breve e fitta. Le setole della parte subdistale e distale del margine anteriore sono lunghe 12-15 [j,., quelle del margine posteriore 36-44 [A. — Ali posteriori (fig. Vili, 9) lunghe un po' meno di 4 volte la loro massima larghezza; setole e il resto come nella figura. Zampe anteriori (fig, VII, 14): Anca lunga circa due volte la sua massima larghezza; femore più di due volte; tibia un po' meno della metà del femore; il suo processo tridentato distale è composto di denti minuti ed acuti: setole come nella figura; tarso lungo una volta e mezzo la tibia (denti esclusi); il 1" articolo è lungo circa come il 5" ; il suo margine libero ventrale è uguale o un po' più lungo di quello complessivo dei tre articoli seguenti; pretarso, setole ecc. come nella figura. — Zampe medie (fig. VIII^ 15): Anca più larga che lunga; trocantere lungo circa quanto l'anca e più di un terzo del femore che è lungo 4 volte la sua larghezza massima; tibia più lunga del femore; tarso circa tanto lungo quanto la tibia; il 1" articolo è più lungo del 5» ; il suo margine libero ventrale è uguale a quello dei due articoli seguenti presi insieme; pretarso, setole, sensilli ecc. come nella fi- gura. — Zampe posteriori ffig. Vili, 16): Anca lunga due volte circa la sua larghezza; femore un po' meno di due volte; tibia un po' più di tre quarti del femore, con processo distale modesto e tridentato; setole come nella figura; tarso un po' meno lungo di due volte la tibia (denti esclusi); il 1" articolo è lungo circa due terzi della tibia; il suo margine libero ventrale eguaglia in lunghezza quello comples- sivo degli articoli 2" , 3" e 4; il 4» articolo è un po' più breve del 3" ; il 5" più lungo; pretarso, setole ecc. come nella figura. Addome. — Simile a quello della specie precedente; cercoidi del 9° urotergite come sono disegnati nella fig. Vili, 17. — La parte sporgente dell' ovopositore è un po' più breve del gastro, o, qualche volta, tanto lunga quanto esso. MaoIa col suo procosso laminare veduta dalla faccia ventrale. — .'i. Mascelle del l" paio e labbro inferiore. — 6. Labbro inferiore di un altro esemplare con due setole distali. — 7. To- race e propodeo veduti dal dorso. — 8. Ali del 1° e del 2» paio. — !'. Gran parte della n. marf^iiiale e n. stipftnatica ma^pTiormente ing:randite. — 10. Zampa anteriore. — 11. Z. media. — 12. Z. posteriore. — t.l. Estremo distale della tibia e parte prossimale del 1" articolo del tarso di una z. posteriore veduti dalla faccia esterna per mostrare il pro- cesso tridentato distale della tibia. — U. Nono urotergite coi cercoidi. gmatica; questa è quasi perpendicolare al inargine costale e termina con una clava fornita di breve becco e di 4 scusilli disposti come nella fig. XII, 9. Setole della membrana alare brevi e fitte; quelle che costi- tuiscono la frangia sono lunghe al massimo 35-37 (i. — Ali posteriori (fig. XII, 8) lunghe un po' meno di V? di quelle anteriori e e. 4 volte (o poco meno) la loro massima larghezza. Setole, ecc. come nella figura. Zampe anteriori (tìg. XII, 10): Anca lunga meno di due volte la sua larghezza: femore lungo due volte la sua larghezza massima; tibia lunga metà del femore, con processo distale tridentato e con lungo sperone in- — 53 — serito presso l'angolo ventrale dell' estremo distale della sua faccia interna; tarso 5" articolato, lungo circa una volta e mezzo (o poco meno) la tibia, il 1" articolo è lungo circa come il 5" ; il 2" , S« e 4° e. ugualmente lunghi; pretarso, setole, sensilli ecc. come nella figura. — Zampe medie (flg. XII, 111: Anca trasversa; trocantere meno lungo della metà del femore; femore lungo quasi quattro volte la sua mas- sima larghezza; tibia più lunga del femore, meno lunga del femore più il trocantere, fornita di uno sperone semplice e lunghetto all' e- stremo distale del suo margine ventrale (interno); tarso un po' più lungo della tibia; il margine ventrale del l" articolo supera in lun- ghezza quello libero ventrale dei due articoli seguenti presi insieme. Prttarso, setole, sensilli e il resto come nella figura. — Zampe poste- riori (fig. XII, 12 e 13): Anca lunga un po' meno di due volte la sua massima larghezza; femore decisamente meno di due volte; tibia lunga un po' più di Vi del femore, provvista di un processo tridentato, co- struito come nella flg. XII, 13, all'estremo distale ed un po' ventral- mente (internamente) della sua faccia esterna e di uno sperone semplice e molto robusto all'estremo distale e ventrale della sua faccia interna; tarso un po' meno lungo di due volte la tibia (denti esclusi); il mar- gine libero ventrale (interno) del 1° articolo è uguale a quello libero ventrale dei tre articoli seguenti presi insieme; la massima lunghezza del 5° articolo è circa uguale a quella complessiva del margine libero ventrale del 3" e 4" articolo. Fretarso, setole, sensilli ecc. come nella flgura. Addome. — Gli urotergiti 3-8 sono provvisti di varie brevi seto- line; il 90 e i cercoidi come sono disegnati nella flg. XII, 14. — La parte sporgente dell' ovopositore è decisamente più lunga del gastro. (Circa un terzo in più negli esemplari da me esaminati). Maschio. Torace, propodeo e zampe di colore ocraceo-feiTugineo; il capo, i denti delle tibie anteriori e posteriori e le parti rinforzate del tegu- mento appaiono come slavati di umbrino - castagno; occhi nero - fuli- ginei; antenne e gastro ocroleuchi. Dimensioni. — Lunghezza del capo mm. 0,29; largh. mass. 0,28; lungh. del torace e del propodeo: 0,67; largh. mass, del pronoto 0,36; largh. mass, del mesonoto 0,33; largh. del pi-opodeo 0,22. Capo. — Il capo (flg. XIII, 1) è impercettibilmente più lungo che largo, leggermente convesso al dorso, debolmente concavo nella parte mediana anteriore della sua superflcie ventrale. Il margine epistomale è leggermente incavato nel suo mezzo ed è fornito di 4 setole relati- vamente lunghe ed abbastanza robuste: due mediane e due submediane. L'intaccatura mediana del margine anteriore della fronte termina ad — 54 — angolo acuto e non rag:g:iunge la linea che dovrebbe unire i margini posteriore degli occhi. I margini laterali del capo dietro di occhi si mostrano sporgenti è convessi, in modo che la maggior larghezza dell'epicranio si trova un po' più indietro della metà della sua lun- ghezza; setole brevi e rade distribuite come nella figura. — Gli occhi sono mediocri e mostrano un accenno di facettatura. — Antenne (figu- ra XIII, 2) di 4 articoli liberi oltre la radicela, che è lunga circa i Va dello scapo; lo scapo ò lungo un po' più di una volta e mezzo la sua massima larghezza; il 2» articolo è ristretto alla base e decisamente più lungo che largo al suo estremo distale; il 3" è trasverso e fornito di alcune setole lunghette; il 4» è lungo quanto lo scapo ed il 2° articolo presi insieme e un po' meno di tre volte la sua massima larghezza; si attenua distalmente e termina a cupola rotondata; questo articolo mo- stra come nelle specie precedenti, un accenno di divisione in tre parti; la prossimale, trasversa, è lunga circa come il 3» articolo ed è provvista di alcune setole lunghette; la mediana è lunga più di due volte la sua larghezza massima e fornita di varie setole distribuite come nella figura; la distale porta i sensilli disegnati nella figura. — Mandibole (flg. XIII, 3) subtriaugolari e bidentate; il dente subapicale è ventrale e poco acuto; setole e il resto come nella figura. — Mascelle del !'■' paio e labbro inferiore rudimentali, ridotti ad un breve processo a forma di bitorzolo, fornito di 4 setole brevi e grossette, come sono disegnate nella fig. XIII, 4. Torace. — Il pronoto (fig. XIII, 5 e 6) è debolmente convesso, circa tanto largo posteriormente quanto lungo nel mezzo o un po' più lungo che largo; all'estremo anteriore si mostra espauso sui lati, con angoli subrotondati e ricopre in parte il capo; i suoi margini laterali sono moderatamente divergenti all'indietro; il margine poste- riore è concavo. Poche minutissime setole distribuite come nella fi- gura. Il prosterno (fig. XIII, 6, 8) é abbastanza ben distinto, grande, a superficie distintamente concava; la sua parte anteriore compresa fra gli episterni è attenuata all'innanzi e un po' espansa all'estremo anteriore. Gli episterni protoracici (ttg. XIII, 6, E) sono bene svilup- pati e costruiti come li mostra la figura. Poche e minute setoline. — Il mesonoto, il metanoto ed il propodeo sono fusi insieme in un pezzo unico (fig. XIII, 5) a superficie subpianeggiante o debolmente convessa od a margini laterali gradualmente convergenti all'indietro e terminanti con angoli ritondati ; il margine posteriore è concavo; gli spiraceli tracheali sono piuttosto piccoli Setole come nella figura. Parti sterno- pleurali meso - e metatoraciche come nella fig. XIII, 6. Zampe anteriori (fig. XIII, 7 e 8;: Anca massiccia, robusta, tra- sversa; femore lungo circa due volte la sua massima larghezza (altezza); tibia (denti compresi) distintamente meno lunga della metA del femore; — 55 - la concavità distale della sua faccia esterna è limitata da un complesso tridentato dorsale a denti forti e poco acuti, e da due denti ventrali ed apicali; tarso più lungo della metà della tibia; il 2" articolo non mo- stra alcun accenno di divisione. Setole e il resto come nella figura. — Zampe medie (fig. XIII, 9): Anca pili larga che lunga; trocantere lungo Fig-, xm. V. jimenczt, n. sp., maschio : 1. Capo veduto dal dorso. — 2. Antenna. — 3. Mandibola veduta dalla faceia dorsale. — 4. Mascelle del 1" paio e labbro inferiore subatrofìci. — 5. Torace e propodeo veduti dal dorso. — ö. Capo, torace e propodeo veduti dal ventre (C, capo; i?, cpisternì protoracici; F, cavità di articolazione delle z. anteriori; G, cavità di articolazione delle z. uiedìe; iV, mandibole; jV. mascelle del 1° e del 2» paio subatro- ticbe; P, pronoto; S. prosterno; T. spiracoli tracheali; I propodeo). — 7. Zampa anteriore. — 8. Tarso e pretarso della z. anteriore mag:g:iormente ingranditi. — y. Z. media. — lo. Z.. posteriore. — 11. Estremo distale della tibia, tarso e pretarso dì una z. posteriore mas-j^iormcnte ingranditi, per mostrare più particolarmente il tarso costituito di soli (luattro articoli. circa quanto l'anca e circa la metà del femore; femore un po' meno lungo del doppio della sua larghezza massima; tibia più lunga del femore e meno lunga del femore più il trocantere; tarso tanto lungo quanto la tibia od un po' più lungo, 5-articolato; il 1° articolo è lungo e. come il 5" ; il 2" , 3" e 4" sono subsimili; pretarso, setole, sensilli ecc. come nella figura. — Zampe posteriori (fig. XIII, 10 e 11): Anca lunga una volta e mezzo la sua larghezza; /"emoj-e lungo un po' meno di due volte la sua larghezza massima (altezza); tibia più lunga della metà del fé- — 56 — more, non compressa; 1' estremo distale della sua faccia ventrale (in- terna) mostra tre denti robusti; un quarto dente più piccolo, e talvolta alcuni altri minuti, si trovano all'estremo distale del suo margine dor- sale (esterno) e delle sue due faccio laterali; tarso più breve della tibia, 4-articolato; il 1" articolo è lungo circa come il 4" ; il 2" ed il 3« sono brevi e trasversi. Setole, sensilli, ecc. come nelle figure. Addome. — Il gastro è fornito di poche e minutissime setole. Distribuzione geografica. — Un certo numero di individui di ambo i sessi, raccolti a San José (Costarica) nell' Agosto del 1917. Ecologia. — Vive entio ai frutti del Ficus jimenezi. Osservazioni. — La 9 di questa specie si distingue facil- mente da tutte le altre descritte fino ad ora per la peculiare con- formazione delle mandibole. — Il cT pei suoi tarsi posteriori 4-ar- ticolati. ANNA FOA "Aiuto nell'Istituto di Anatomia Comparata nella R. Università di Roma. Confronto tni i primi stadi evolutivi del baco da seta nelle uova a schiusura normale e in quelle a scliiusura estemporanea per 1' azione dell' elettricità. È una nozione a tutti nota e ormai già passata nel campo delle applicazioni pratiche, che mentre normalmente nelle nostre razze di bachi da seta l'embrione si arresta ad un certo stadio di sviluppo, nel quale passa 1' inverno, e riprende il suo svolgi- mento solo alla primavera successiva, è possibile con svariati trattamenti quali lo strofinamento, le oscillazioni termiche, l'elet- tricità, r azione di acidi, eliminare il periodo di inposo e provo- care quella che si suol chiamare la schiusura estemporanea delle uova. Quali siano le forze che agiscano nella produzione di questo fenomeno non siamo ancora in grado di determinare e per spie- gare il fiitto siamo costretti a contentarci di paragoni e di parole che possono presentarlo sotto vari aspetti, ma non rendercene ra- gioni. La difficoltà è tanto piìi grande in quanto che il detto fe- nomeno è il complemento di un altro del quale pure ignoriamo le cause; vale a dire non sappiamo ancora perchè l'embrione si arresta quando è giunto a quel determinato periodo di svolgi- mento, e ciò indipendentemente dalle condizioni di temperatura e di clima. L'embrione del baco da seta durante lo svernamento è descritto in modo analogo da tutti gli embriologi, dovunque abbiano compito le loro osservazioni. Il Toyaraa (1) dice che tra (1) Contributions to the study of Silk-Worms — Bull, of the college of agri- colture — Tokyo vol. V. 1902-903 pag. 77. XIII • fJoUett. di Zoologia Gen. e Agr. ü - 58 - le centinaia di embrioni da lui studiati, non ne trovò uno che durante l'iuvcino e cioè dal dicembre alla fine di gennaio o al principio di febbraio, avesse superato questo stadio, e che altre varietà di bachi da' seta, Come i bivoltini, i multivoltini ecc., passano anch'esse l'inverno nello stadio stesso e propone di chia- marlo stadio di riposo [resting-st.age). Tenendo presenti queste circostanze io ho voluto confron- tare i primi stadi evolutivi delle uova di bachi da seta a sviluppo normale e di quelle a sviluppo estemporaneo per mettere in chia- ro i seguenti punti. 1." Se in tutte e due i casi la formazione dell' embrione seguisse le stesse leggi e si avesse in entrambi il passaggio per lo stadio di riposo. 2." 8e dal confronto venisse in luce o meno qualche cir- costanza tendente ad appoggiare l'ipotesi che lo stadio di riposo fosse collegato con speciali fenomeni di metabolismo. 3.° Come potesse spiegarsi il fatto ben noto che tutti i trattamenti in uso per provocare nelle uova la schiusura estem- poranea riescono tanto più efficaci quanto più recente è stata l'emissione delle uova ad essi sottoposte. Queste mie ricerche furono iniziate nell' Istituto Bacologico di Portici, nell'autunno 1917. Mi sono s'alsa di una parte del ma- teriale che serviva al Prof. Acqua per le sue esperienze compa- rative sul valore dei vari trattamenti per la schiusura estempo- ranea del seme (1). Ho preferito servirmi delle uova della razza giallo indigeno perchè sono di dimensioni relativamente grandi; ho scelto per i confronti colle uova normali, quelle sottoposte al- l' azione dell' elettricità a preferenza di quelle trattate chimica- mente, per tema che l'azione dell'acido cloridrico potesse influire su quella del fissativo usato per la conservazione in modo da produrre nei preparati delle differenze che a torto avrei potuto giudicare in rapporto colla schiusura estemporanea. (1) C. Acqua — Ricerche comparative sul valore del trattamento elettrico e del trattamento chimico nella preparazioni del seme bachi per i secondi allevamenti — Portici 1918 — Rend. dell'Ist. Bacologico di Portici. Voi. III. — 59 — Le uova furono sottoposte all'azione dell' elettricità, secondo il metodo descritto dall'Acqua nell' opera sopracitata, al mattino della giornata successiva a quella in cui era cominciata la depo- sizione del seme; avevano perciò meno di 24 ore di vita nell'am- biente esterno, ed erano ancora di color giallo pallido. Ne ho fis- sate una parte con alcool a 90° bollente, rispettivamente 2 ore, 7 ore, 21 ore, 28 ore e 50 ore dopo il trattamento, nello stesso modo e nello stesso tempo ne ho fissate altre non trattate fa- centi parte delle stesse deposizioni. Altre trattate non furono fissate e dettero a loro tempo nascite complete. Per l'esame micro- scopico ho dovuto prima imparaffinare le uova, poi toglier loro il guscio con un ago ricurvo, ,e poi imparaffinarle nuovamente quando ho fatto le sezioni. Siccome nelle uova non sgusciate la paraffina penetra con grandissima difficoltà, per evitare di tenerle in termostato un tempo molto lungo a volte ho avuto la pazienza di perforare i gusci uno per uno con un ago molto sottile, prima del passaggio in alcool assoluto. Questo procedimento riesce ab- bastanza bene nei primi giorni quando il corion non è ancora molto duro, ma alla terza giornata e in quelle successive diventa assai resistente, e allora nello sforzo che si fa per bucarlo, è molto facile di penetrare coU'ago nell'interno della massa del vitello e produrvi delle lacerazioni; per questo non l'ho usato in tutti i casi. Per i confronti con le uova non trattate, dapprima ho ricorso alle sezioni, ma presto mi son dovuta accorgere che questo non era il metodo migliore per giudicare dello stadio in cui si tro- vava l'uovo, almeno in principio del suo svolgimento, perchè per ogni singolo uovo bisognava prendere in considerazione una serie completa di tagli, senza avere la certezza che le differenze che potevano riscontrarsi nel grado più o meno completo di forma- zione del blastoderma e delle membrane di rivestimento, non do- vessero attribuirsi a difetti della preparazione. Per eliminare questo inconveniente ho colorito dapprima le uova in loto col carminio boracico alcoolico, poi alcune le ho montate in balsamo del Canada, altre le ho sezionate. I prepa- rati in balsamo di uova colorite in toto sono di un'utilità gran- dissima per lo studio della formazione del blastoderma, dello scu- detto germinativo e della membrana sierosa; negli stadi succes- sivi la colorazione in toto, precedente le sezioni, è utilissima per r orientamento dell' embrione in modo da avere tagli in una di- rezione determinata, cosa che non può ottenersi altrimenti perchè — 60 — l'embrione non ha sempre quella disposizione regolare e simme- trica rispetto al piano longitudinale dell' uovo che di regola gli viene attribuita. Con ijuesti preparati ho potuto fare alcune osser- vazioni embriologiche che mi sono sembrate non prive d'interesse tanto che le ho completate in seguito; ma le pubblicherò sepa- ratamente perchè qui mi porterebbero troppo fuori dell'argomento di cui voglio trattare. Ad occhio nudo tra le uova trattate e quelle non trattate, nei primi tre giorni dopo il trattamento non si scorge alcuna differenza (1). Il primo giorno le une e le alti-e si mantengono di color giallo paglierino, nel secondo appaiono o gialle o leg- germente rosee, la tinta è più scura ai poli e lungo «no dei fianchi dell'uovo, nel terzo giorno la colorazione è un po' più oscura e più diffusa su tutta la superfìcie dell'uovo. Osservando queste uova fissate in alcool bollente .e conser- vate in alcool a 90°, col microscopio binoculare, anche attraverso il guscio si possono precisare meglio i vari gradi del processo di colorazione. Quelle gialle anche col binoculare appaiono di tinta uniforme, però in alcune, meno avanzate nello sviluppo, il contenuto dell'uovo aderisce quasi al guscio, in altre un po' più avanzate, tra il contenuto ed il guscio si viene ad interporre uno spazio nel quale spesso si vedono delle goccioline di liquido. Im- magino che queste goccioline siano uscite attraverso la membrana vitellina forse nel momento della fissazione, ma non so come interpretarle; non le vedo più nelle uova più progredite nello sviluppo. In queste uova ancora gialle, dove il contenuto è al- quanto retratto, si può già distinguere qual'è il fianco su cui si forma 1' embrione perchè da quel lato il contorno dell' uovo, be- ninteso nell' interno del guscio, non forma una curva continua, ma presenta un avvallamento spesso irregolare. Nelle uova che ad occhio nudo appaiono ro.see, col binocu- lare si distinguono tanti punti rossicci, più spiccati e più fitti (1) Tutto ciò che si riferisce alla durata dei vari periodi di sviluppo non può essere o^cncralizzato. In questa nota mi riferisco sempre alle partite di seme di cui ho parlato, sottoposte al trattamento elettrico nel mese di settembre del 1917. — 61 - ai poli dell' uovo e dal lato opposto a quello in cui si forma l'embrione. Questi punti sono i nuclei delle cellule della mem- brana sierosa, già assottigliate ed appiattite. Le uova che ad occhio nudo appaiono colorite quasi unifor- mente in rossiccio, osservate col binoculare lasciano distinguere dei punti rossicci sparsi su tutta la superficie e dei poligoni oscuri accumulati ai poli, e irregolarmente disposti nel resto della su- perficie dell'uovo. I punti sono i nuclei delle cellule della sierosa non ancora pigmentate, i poligoni sono cellule della sierosa nelle quali si sta già accumulando il pigmento. In questa pigmenta- zione apparentemente non vi è un ordine; in complesso si può dire che i poligoni appaiono più precocemente ai poli, e più tar- divamente nelle vicinanze dell' embrione, ma mentre in alcuni tratti vari poligoni pigmentati sono aderenti gli uni agli altri in modo da costituire ampie zone oscure, in altri si vedono poligoni isolati, ovvero zone oscure intramezzate da poligoni più chiari o incolori. Tutto questo procedimento avviene parallelamente nelle uova trattate e in quelle non trattate, così che 1' esame dei caratteri esterni farebbe supporre che nei primi giorni lo sviluppo del- l'embrione nelle une e nelle altre procedesse di pari passo e solo più tardi si manifestassero le differenze. Dalle ricerche di Acqua (1) risulta invece che tanto col trattamento elettrico quanto con quello chimico per mezzo dell' acido cloridrico, le uova nelle quali si provoca la schiusura estemporanea, nella prima giornata subiscono una perdita di peso circa 10 volte superiore a quella che nello stesso tempo subiscono le uova di controllo non trattate. Nei tre giorni successivi la perdita di peso nelle une e nelle altre è mi- nore che nella prima giornata, ma in quelle trattate è sempre considerevole, mentre in quelle non trattate va diventando debo- lissima, cosi che la differenza di peso diviene sempre più spiccata. Si sa che la perdita di peso solo in parte è dovuta all' eva- porazione, ma nel resto è una conseguenza dell' attività respira- toria del seme, attività che è stata misurata sia indirettamente in base all'ossigeno assorbito (Duclaux) sia indirettamente in base all'acido carbonico esalato (Verson) (2). Quindi tenendo conto delle (1) C. Acqua. Op. citata pag. 19 e seguente. (2) E. Verson — Il filugello e 1' arte di governarlo, pag. 51 e seguenti. Soc. Editrice libraria Milano 1917. — 62 — dififerenze di peso si sarebbe invece indotti a conchiudere che lo sviluppo dell'embrione avvenisse molto più rapidamente a comin- ciare dalla prima giornata. L'esame microscopico comparativo delle uova trattate e non trattate, dà resultati che non concordano perfettamente né colla prima nò colla seconda supposizione, per quanto a questa si av- vicinino assai di più. Se si prendono a considerare le uova trattate, fissate 2 ore, e 7 ore dopo il trattamento, e quelle non trattate flssate contem- poraneamente alle prime, non si riesce a trovare tra le une e le altre alcuna diflerenza. Su quelle fissate 2 ore dopo il trattamento (circa 24 ore dopo la deposizione) si assiste alla formazione del blastoderma ed alla prima differenziazione delle cellule che formeranno la sierosa. Non è qui il luogo di dilungarsi intorno a questo processo che ho studiato minutamente e che come ho detto descriverò in un'altra Nota; qui mi basta osservare che tra le uova di una stessa par- tita vi sono maggiori differenze di quelle che passano tra le uova di una partita e quelle dell' altra. Dopo 7 ore dal trattamento si vede già la delimitazione dello scudetto germinativo, il suo ap- profondarsi nel tuorlo all'estremità anteriore e in quella posteriore e il principio della formazione dell' amnio; tutto ciò in modo concordante nelle due partite. Da quelle fissate dopo 7 ore vengo all'esame delle uova fissate 21 ora dopo il trattamento con un passaggio in verità troppo bru- sco, dovuto alle ore di notte nelle quali non ho conservato il mate- riale. Nonostante questo salto, dal coufrouto di questi terzi lotti non mi risultano ancora differenze sensibili. Negli uni e negli altri la sierosa si è completata, ma è sottilissima sopratutto in corrispon- denza all'embrione. L'embrione è già allungato e ricurvato a let- tera C, presenta un foglietto esterno (ectoderma) a più strati di cellule, ed il principio del foglietto interno o inferiore (ento-rae- soderma). Non tutte le uova sono allo stesso stadio preciso, ma le differenze individuali in ogni partita, anche in questo caso, sono superiori a quelle che passano complessivamente tra le uova di una paitita e quelle dell'altra. Dopo 28 ore dal trattamento (meno di 48 ore dopo la depo- sizione) le differenze cominciano a divenire più spiccate. Nelle uova non trattate l'embrione è più corto che in quelle trattate, nelle prime non è ancora ben netta la distinzione del — 63 — foglietto inferiore in tanti segmenti o metanieri, nelle seconde i metameri almeno in alcuni tratti si distinguono nettamente. In questo momento le uova trattate si avvicinano già molto alle condizione in cui si trovano normalmente le uova non trattate durante l'ibernamento. Non posso dire che si presentino in modo perfettamente eguale, ma le differenze non sono tali da autoriz- zare a conchiudere che colla schiusura estemporanea si modifi- chino 1 processi dello sviluppo. Le divergenze consistono in ciò che mentre nelle uova nor- mali, durante l'ibernamento, in un taglio longitudinale l'embrione ha la figura di una lettera C, nelle uova trattate la curva è spesso più irregolare con degli ondeggiamenti che fanno pensare a mo- vimenti più attivi dell' embrione; mentre nelle uova normali i metameri 'procedendo dall' avanti all' indietro si presentano tutti ben distinti, nelle uova trattate, in questo momento, si vedono spesso i metameri distinti verso la parte anteriore, mentre nella parte posteriore il foglietto inferiore appare come uno strato ir- regolare ora più ora meno elevato. Un fatto costante è che nelle uova trattate il tuorlo si pre- senta suddiviso in tante sfere vitelline che occupano tutto lo spazio lasciato libero dall'embrione, e non si vede quel liquido che nelle uova ibernanti si raccoglie nella parte centrale. Mi duole di non poter precisare ulteriormente queste diffe- renze: disgraziatamente quando ho intrapreso queste ricerche non era ancora padrona della tecnica dello sgusciamento delle uova e ne ho sciupate assai più di quante avevo supposto, cosi che mi è venuto a mancare il materiale per approfondire la questione. Tuttavia ho un numero di preparati sufficiente per poter con- chiudere che nella seconda giornata dopo il trattamento le uova passano per uno stadio corrispondente allo stadio di riposo, nel quale però non si fermano più che negli altri stadi. Infatti nella giornata successiva, 50 ore dopo il trattamento (circa 70 dopo la deposizione), le uova trattate si trovano in uno stadio che corrisponde presso a poco a quello in cui si presen- tano le uova non trattate al 3° o 4° giorno d'incubazione prima- verile. Ho rappresentato una sezione longitudinale di una di que- ste uova nella figura qui annessa, la sola che riproduco in questa Nota perchè è facilmente comprensibile anche da chi non si è occupato specialmente di embriologia, e non richiede confronti minuziosi. c-l — Si vede in questa sezione che già sono cominciati ad appa- rire gli accenni delle antenne {ani.) e degli arti boccali, cioè delle mandibole {md.), delle mascelle {nix') e del labbro inferiore {mx"). In altre sezioni dello stesso baco si vedono gii accenni delle Sezione longitudinale di un emliiione fissato 60 ore dopo il trattamento elettrico, nella quale sì vedono ben distinti pli aci-euni dello antenne e degli arti boccali. La parto destra della figura non è stata completata. zampe toraciche, ma non appaiono più nettamente quelli delle parti ora indicate; forse per le contorsioni presentate dagli em- brioni né in questa né in altre serie di preparati riferentisi ad uova della stessa giornata mi é riuscito di avere una sezione in cui si vedessero contemporaneamente tutti quanti gli accenni delle appendici nominate. Ricordo quanto ho detto prima che queste uova comincia- vano appena ad essere completamente colorite, e che apparente- mente non erano più avanti nello sviluppo di quelle non trat- tate. Ciò trova analogia col fatto riconosciuto da Lócaillon nelle uova di bachi da seta sviluppatesi senza esser state fecondate, dove lo stadio in cui comincia a prodursi il cambiamento di co- — 65 — lore (dal giallo al rosa) corrisponde ad uno stadio di sviluppo già avanzato (l). Ragionando intorno ai fatti osservati bisogna concludere che nelle uova a schiusura estemporanea ed in quelle a schiusura nor- male lo sviluppo segue le stesse regole, e che non vi è nessuna ragione per ritenere che lo stadio di riposo sia collegato a feno- meni speciali di metabolismo. Dal confronto delle perdite di peso nell'uno e dell'altro caso si deduce che mentre nelle uova normali, la perdita di peso, dopo i primi giorni va gradatamente rallentando fino a ridursi mini- ma, e rimane debolisshiia in tutto il tempo dell'ibernamento, nelle uova a schiusura estemporanea in principio è fortissima, poi si riduce per alcuni giorni, ma mantenendosi sempre considerevole, e poi si rialza nuovamente. Dal confronto degli stadi di sviluppo si rileva che nella pri- ma giornata, apparentemente almeno, non vi è differenza note- vole tra le uova trattate e quelle non trattate, il grado più avan- zato di sviluppo delle uova trattate comincia ad apparire evi- dente in uno stadio vicino allo stadio di riposo ed in seguito diviene via via più spiccato. Quindi la grandissima attività degli scambi che si manifesta nella giornata in cui fu usato il tratta- mento per la schiusura estemporanea deve avere avuto per ef- fetto di vincere le resistenze che normalmente si oppongono allo sviluppo continuato dell'embrione e ne determinano il progressivo rallentamento. Il problema è ricondotto all'altro della determina- zione delle cause per le quali avviene questo progressivo rallen- tamento. Io non sono in grado di dare una risposta a questa questione, ma credo che possa trovare una certa analogia coU'altra già stu- diata da tanti autorevoli scienziati, consistente nella determina- zione delle cause dell' inerzia dell' uovo maturo, inerzia che di regola è vinta dalla fecondazione, ma artificialmente può essere supei'ata con vari procedimenti che provocano quella che vien detta partenogenesi sperimentale. (1) M. A. Lécaillon — Sur quelques données cytologiques relatives aux phénoméne de Parthenogenese naturelle qui se produisent chez le Bombyx du mùrier. — Comp. Rend. Ac. d. Sciences — Paris 28 Janvier 1918. — GC. — La partenogenesi sperimentale, come la schiusura estempo- ranea delle uova di bachi da seta, è stata prodotta con influenze assai diverse, d' ordine chimico, fisico o meccanico. Appunto nel baco da seta fin dal 1866 il Tichomiroff aveva provocato la seg- mentazione in uova non fecondate col semplice spazzolamento o coir immersione per alcuni istanti nell' acido solforico concen- trato; ma queste esperienze erano poco dimostrative a causa della partenogenesi occasionale del baco da seta. Ormai però numerose serie di esperimenti compiute da vari autori su materiali sva- riati, hanno permesso di stabilire in modo assoluto che è possibile provocare l'evoluzione dell'uovo con mezzi fisico-chimici. Così p. es. le uova di Asteria possono entrare in segmentazione quando siano scosse 0 riscaldate bievemente nel tempo in cui si preparano ad espellere i corpuscoli polari (Delage, Lillie). Il Bataillon ha otte- nuto vaghi indizi di segmentazione nelle uova di rana facendo seguire un raffreddamento brusco ad un innalzamento di tempe- ratura, ed è poi riuscito a produrre piccoli girini, di cui alcuni sono giunti fino alla metamorfosi, pungendo le uova di rana con un ago finissimo di vetro o di platino. Il Loeb ha ottenuto gran- diosi risultati nelle uova di echinidi trattandole prima con un acido grasso, specialmente 1' acido butirrico, e poi con una solu- zione salina ipertonica rispetto all'acqua di mare. Delage ottenne la segmentazione delle uova di echinidi trattandole con un acido ed una base, ed ha adoperato a questo scopo il tannino e l'am- moniaca (1). Dice il Delage * l'oeuf est un mecanisme monte, apte à par- courir de lui-méme sous l'influence de ses fticteurs, tout son cycle évolutif si on lui fournit seulement des conditions ambiantes, qui son passablement banales ». Anche le condizioni che provocano il bivoltinismo debbono essere abbastanza banali, perchè è noto che ftieilmente le razze bivoltine introdotte da noi possono diventare univoltine, vice- versa è stato dimostrato che le razze di Bomhyx mori intro- dotte nel Madagascar, provenienti dal mezzogiorno d' Europa e tutte monovoltine, dopo circa due anni per adattamento alle con- (1) Per mairgiori particolari e per le citazioni bibliografiche relative con- sultare l'opera di Brächet: L'oeuf et Ics facteurs de l'ontogénèse — Encyclo- pedie scientitìque — Paris — Doin et lils éditeurs; e quella di Y. Delage e M. Goldsmith: La Parthenogenese naturelle et expérimentale — Paris — E. Flanimarion, cditeur. - 67 - dizioni climatiche del centro dell' isola sono diventate polivoltine, dando 6 generazioni all'anno (1). Tra le spiegazioni immaginate per rendersi ragione delle cause d' inerzia dell' uovo maturo ricordo specialmente quelle di Lillie e di Child che attribuiscono il rallentamento del metabo- lismo ad una impermeabilità relativa e progressiva delle cellule, spiegazione che corrisponde a quella di Bataillon secondo la quale l'uovo maturo è in uno stato di ipertensione osmotica (2). Che una spiegazione analoga possa essere applicata anche al caso dell'arresto di sviluppo del baco da seta, può trovare un ap- poggio nella circostanza che la membrana sierosa la quale evi- dentemente ha un'importanza grandissima nel regolare gli scambi coll'ambiente esterno in certe razze bivoltine o polivoltine — non so se il fenomeno sia generale — si presenta con caratteri dif- ferenti a seconda che le uova passano o no l'inverno. Nelle generazioni nelle quali le uova non subiscono il periodo di riposo manca la colorazione della sierosa, invece nella gene- razione che schiuderà in primavera le uova prendono la solita colorazione bruna. E vero che le uova in cui si provoca artifi- cialmente la schiusura estemporanea si colorano, ma come si è visto la colorazione avviene tardivamente quando 1' embrione è già in grado piuttosto avanzato di sviluppo. Noto poi che, per quanto ho veduto, le uova di Phylosamia cynthia che schiudono senza ibernare, non cambiano il loro colore giallo paglierino du- rante il periodo dello sviluppo dell' embrione, che nell' Attacus mylilta e nella Saturnia pyri già il Selvatico (3) aveva osservato che lo sviluppo si continua senza interruzione come nelle uova di bachi da seta di razze polivoltine, e la sierosa è priva di pig- mento e infine che le uova ibernanti di Lepidotteri sono per lo più di colore scuro, mentre quelle che schiudono in pochi giorni sono molto frequentemente chiare. Per queste considerazioni suppongo, che la tensione osmotica maggiore o minore nell' interno dell'uovo eserciti un' influenza (1) Fauchére — Comptes rendus d. l'Ac. des Sciences— Paris - T. 165, 12. nov. 1917. (2) Brächet — op. cit. i)ag. Ili e seg. ;3) S. Selvatico — Sullo sviluppo embrionale dei Bonibicini. — Ann. Staz. Bacol. Padova. IX 1881. - 68 — sulla costituzione della membrana sierosa; che, una volta pigmen- tata la membrana sierosa, siano più lenti gli scambi coll'ambiente esterno, e che nelle proprietà della sierosa di regolare gli scambi coir ambiente esterno debbano ricercarsi le ragioni per le quali i procedimenti che provocano la schiusura estemporanea del seme agiscono efficacemente solo nelle prime ore dopo la de- posizione quando la sierosa non ha ancora i suoi caratteri de- finitivi. In conclusione: Nelle uova di bachi da seta a sviluppo lento, con periodo di riposo invernale, ed in quelle a sviluppo estemporaneo, la for- mazione dell'embrione avviene con le stesse modalità, e in tutti e due i casi si ha il passaggio per lo stadio in cui si arresta lo sviluppo nelle uova ibernanti, e che fu detto stadio di riposo. Non vi è nessuna ragione per ritenere che lo stadio di riposo sia collegato a speciali fenomeni di metabolismo. Nelle uova che passano l'inverno, dopo un pei'iodo iniziale di attività che segue la fecondazione, lo sviluppo si rallenta fino a diminuire quasi del tutto nei mesi successivi, nelle uova a schiusura estemporanea, lo sviluppo dell'embrione procede con una celerità presso a poco costante fino al momento della schiusura. Le differenze nel grado di sviluppo tra le uova ibernanti e quelle sottoposte alla schiusura estemporanea sono apparente- mente insignificanti nella prima giornata, diventano sempre più grandi in quelle successive. Quando le uova non trattate non sono ancora giunte allo stadio di riposo quelle trattate sono già in una fase che le altre raggiungeranno nel 3° o 4° giorno di incuba- zione primaverile. Siccome nella prima giornata le uova a schiusura estempo- ranea diminuiscono di peso molto di più delle uova a sviluppo lento, bisogna ammettere che questa maggiore attività funzionale, che non trova riscontro in un corrispondente maggiore avanza- mento di sviluppo, sia diretta a modificare le condizioni interne dell'uovo in modo da permettergli uno sviluppo continuato; forse queste modificazioni sono paragonabili a quelle che avvengono nell'uovo quando incomincia a segmentarsi nel quale si produr- rebbe una diminuzione di tensione osmotica. — 69 — La colorazione della sierosa avviene di pari passo nelle uova trattate e in quelle non trattate cosi che apparentemente si giu- dicherebbero nello stesso stadio, uova che realtà sono in stadi differentissimi. Questo fatto trova riscontro in quello osservato dal Lècaillon nelle uova di baco da seta a sviluppo partenege- netico, nelle quali pure il cambiamento di colore dal giallo al rosa corrisponde ad una stadio di sviluppo avanzato. Sembra di poter ammettere che le ragioni per le quali i trattamenti per la schiusura estemporanea riescono solo nelle prime ore dopo la deposizione, siano in rapporto con speciali mo- dificazioni della sierosa, e debbano ricercarsi nelle proprietà della membrana sierosa, e nella sua attitudine a regolare gli scambi coU'ambiente esterno. XIII - Bollett. di Zoologia Gen. e Agr. F. SILVESTRI COMXRIBUZIOIMI ALLA CONOSCENZA degli insetti dannosi e dei loro simbionti. IV. (1) La Cocciniglia del Prugno {Sphaerolecanlum pninastri Fonsc). HEMIPTERA-HOMOPTERA. Fam. Coccidae — Sibf. Lecaniinae. Gen. Sphaerolecanium Sulc. Syn. Cocain Fonsc. ex p. Ann. Soc. ent. France III (1834), p. 211. » I.ecaìiiiim ex p. Aiictoruni (1868-15)18). » Kulecaniwn ex p. Fernald, Cat. Coccidae 1903, p. 180; Leonardi, Boll. Lab. Zool. Se. Agr. Portici XII a918), p. 213. » Sphaerolecanium Sulc, Ent. Month. Mag. (2) XIX (Febbr. 1908), p. 36; Id. Acta Soc. ent. Bohemiae IX (1912), p. 34; nee Sphaerolecanium Leonardi, Boll. Lab. Zool. Sc. Agr. Portici III (Luglio 1908), p. 180. Femmina adulta. — Corpo emisferico o quasi con antenne di 7 (fi) articoli e zampe bene sviluppate. Dorso fornito di numerosi pori g'hiau- dolai'i microscopici e lungo la regione mediana anche di setole bre- vi. .Margine del corpo fornito di brevi setole. Anello anale con otto setole. Maschio. — Alato, con capo lurnito di 6 occhi, 4 dorsali e 2 ven- trali. Antenne di 10 articoli. Metanolo senza ì)ilancieri. Addome ter- (1) I. Galerucella dell'olmo (Galerucella luteola F. Müll.). — Boll. Lai). Zool. Se. Agr. Portici IV, pp. 246-280 con 25 tìgg. nel testo. II. Plunia gamma (L.). — Ibidem, V, pp. 287-319 con 26 tigg. nel testo. III. La Tignoletta dell'uva (Polychronis botrana Schiff.) con un cenno sulla Tignola dell'uva (Cotichylis amìiiijiidla Hb.) — Ibidem. VI, pp. 246- nel testo. — 71 — minato da un lungo stilo mediano sotto la cui parte distale è situato il pene ed ai lati fornito di due gruppi di ghiandole ciripai'e, sboccanti in fondo ad un canale cilindrico dentro il quale la cera si foggia, intorno a due setole, sotto forma di due lunghi bastoncelli. Follicolo maschile. — Formato da uno strato di cera bianco trasparente, a superfìcie scabrosa e diviso in una parte anteriore più lunga ed una posteriore più corta. Osservazione. — Questo genere (o sottogenere) Sphaerolecanium mi sembra distinto dal genere Lecavium e dai suoi sottogeneri o generi affini per la presenza di setole al dorso della femmina, pel numero e disposizione degli occhi del maschio. Fig. I. Rametto di Prunus spinosa con fem- mine « follicoU maschili di Sphaero- lecanium prunastri e con due larve di Exochomns 4-pustulatus (ingrandito quasi il doppio). Sphaerolecanium prunastri (Fonsc). Syii. Gallinsecte en grains rond du Pècher Reamur, Mèm. Ins. IV (1738), p. 29-41, pi. 2, flg. 6-9, pi. 3 flg. 11, pi. 4 flg. 1-16. Syii. 'i Chermes persicae rotundus Geofl'r., Abr. Ins. I (1762) p. 506-, Oliv., Ency. Meth., VII (1792), p. 439. » ? » amygdali Fourc, Ent. Paris (1785), p. 228. » Coccus persicae Gniel., Syst. Nat, Ed. XIII, p. 2220 (1789); Turton, Syst. Nat. (1801), p. 715. » 1» prunastri Fonsc, Ann. Soc. ent. France, III (1834), p. 211. » Lecanium, blanchardii Targ., Catalogue (1869), p. 38. » » rotundum Sign., Ann. Soc. ent. France, (5), III (1873), p. 428; Goethe, Jahrb. Nass. ver. Nat. (1884), p. 124; Ckll., Can. ent. XXVII (1895), p. 60; Frank & Kruger, Schildlausbuch (1900), p. 108. » Lecanium prunastri Sign., Ann. Soc. ent. France, (5), III (1883), p. 423; Dougl., Ent. Mon. Mag., XXII (1885), pp. 14, 158; Howard, Year- book U. S. Dep. Agr. (1894), p. 272; Henschel, Schädl. Forst & Obst. Ins. (1895), p. 511; Starnes, Bull. 36, Ga. Exp. Sta (1897), p. 27; Ckll., The Entom , XXXIV (1901), p. 92; Banks, Bull. 34, n. s., Dep. Agr. (1902), p. 12; Sanders, Journ. econ. Ent. II (1909), p. 446; Kuwana, A check list of the Japanese Coccidae, a917), p. 10. » Ijecanium (Eulecanium.) rotundum Ckll., Check List (1896), p. 332. — 72 - Syn. Eulecanitim prunastri Fernald, Cat. Coccidae (1903), p. 193; Leonardi, Boll. Lab. Zool. Sc. Agr. Portici, XII (191H), p. 194. » piligerum Leonardi, Ibidem, p. 195, fig. IV et V. » Sphaerolecaniuin prunastri Sulc, Ent. Month. Mag. (2) XIX (1908); Idem, Acta Soc. ent. Boheniiae IX (1912), p. 34. » I^canium (Eulecanium) prunastri Paoli, Redia XI (1916), pp. 250-251, ügg. 10-11. Femmina. Femmina adulta (Fig. I e II). — Questa quando è gravida lia il corpo di forma quasi semiglobosa essendo poco più lungo che largo e Spharrdlecaninm prunastri, femmina adulta: 1. corpo prono; 2. Io stesso supino; 9. parti- cella ilella parte mediana dorsale del dermasclicletro: 4. particella della parte sublate- rale del dermasclicliiro dorsale: '.>. antenna: 6. ultimo articolo della stessa: 7. zampa del terjo paio; 8. tarso e pretarso della stessa visti da sopra; 9. apice del tarso e pretarso visti di fianco: 10. parte ventrale del corpo tra il margine laterale ed il secondo stigma S; 11. parte laterale della stessa niaRKiormcute ingrandita; IS. parte laterale \entrale del iiirpo a livello delle antenne; VA. parte mediana dell' urosternitc penultimo; 14. squama anale sinistra; 15. anello anale. poco più Stretto avanti che dietro; al dorso è ben convesso e quasi li- scio avendo solo poche depressioni submediane e laterali pochissimo profonde e poche e piccole scaglie di cera sparse. Il suo colore è nero lucido, leggermente, spesso indistintamente, variegato di fascie laterali trasverse di colore isabellino o terra d'ombra come è quasi prevalen- temente la zona periferica; il ventre 6 di colore isabellino o fulvo. Il corpo è lungo mm. 3-3, r)0, largo 2,7-3,2, alto mm. 2-2,5. — lo — Il derinascheleti'o dorsale lungo la zona mediana, da poco dietro il margine anteriore tino alle squame anali, è fornito di buon numero di brevi setole assottigliate e di numerosi pori ghiandolari circolari, men- tre il resto della superfìcie ha poi'i ghiandolari minimi alquanto più radi e qualche rara setola brevissima. Il margine del corpo è fornito di brevissime setole simili a quelle dello stadio precedente, ma un poco l'ig. III. Spliaerolecanium prunastri: 1. seconda larva femminile vista dal ventre col solo primo articolo delle appendici; 2. antenna della stessa: 3. zampa del terzo paio della stessa; 4. tarso e pretarso un poco più ingranditi; 6. parte ventrale del corpo tra il margine laterale ed il secondo stigma S; 6. parte posteriore del corpo eoli' estremità del retto estroflessa: A apertura anale, B anello anale, C squame anali; 7. seconda larva femmi- nile ibernante vista dal dorso; s. antenna della etessa; 9. antenna anomala di altro esem- plare; 10. particella del dermascheletro dorsale di seconda larva femminile; 11. squama anale della stessa; 13. anello anale della stessa. più numerose. Lungo il solco prestigmatico esistono oltre 60 dischi ciri- pari e presso il margine esterno di esso tre setole un poco più grosse delle altre. Il ventre ha sui segmenti posteriori alcuni dischi ciripari simili a quelli dei solchi prestigmatici. Le antenne sono formate di sette articoli, dei quali il quarto è il più lungo come si vede nella figura II, 5. In qualche esemplare il terzo articolo non è nettamente separato dal quarto e le antenne sono in tal caso di sei articoli col terzo molto più lungo. Le zampe hanno le se- tole che si vedono nella figura II, 7-9. 7-i — Le squami anali sono fornite di quattro setole superiori distali e due laterali interne. L'anello anale porta 8 setole, in qualche esem- plare 6. Larva femminile ibernante (Fig. III). — Corpo ovale, circa un terzo più largo che lungo, colla parte più larga corrispondente alla posteriore, poco convesso al dorso e lungo la regione mediana leggermente sub- carenato; di colore fulvo sporco al dorso e variegato di nero, eccetto che nel mezzo del dorso stesso che è sen- za macchie o quasi, oppure fulvo isabellino con due serie di macchie nere sulla superficie di ogni seg- mento; al ventre è di colore isa- bellino più o meno scuro. Lunghezza mm. 0,90-2; lar- ghezza 0,58-1,45, altezza 0,20-0,60. Il dorso è coperto di un sotti- lissimo strato di cera bianca traspa- rente che si sgretola facilmente. Il dermascheletro dorsale è fornito di pochi pori ghiandolari piccolissimi e sul margine del cor- po ha 19 brevissime setole per lato , delle quali 6 sul capo , 3 sul torace e 10 suU' addome, no- tando che l'ultimo segmento addo- minale apparente ne ha 3 o i due precedenti due per ciascuno; al lato esterno del solco prestigniatico esistono tre setole poco più grosse e poco più brevi delle altre; al ventre sul capo esiste un paio di bre- vissime setole submediane subanteriori e una brevissima setola subla- terale sui segmenti toracici e addominali (2 sull' ultimo addominale apparente); il 3", 4°, 5" urosterniti apparenti sono forniti di due brevi sottili setole submediane ed anche di due per lato brevissime tra le submediane e le sublaterali; anche sul margine posteriore centrale dell'incisura anale si trovano due brevi setole. Le antenne (Fig. Ili, 2, 8-9) sono fornite di sei articoli come nella prima larva ed anche le zampe sono simili a quelle dello stadio pre- cedente. Le squame anali sono brevi, subtriangolari e fornite sopra alla parte posteriore di 4 brevi setole. Larva neonata (Fig. IV e V). — Corpo allungato, depresso a con- torno subellittico di coloro fulvo o rosso-testaceo, lungo mm. 0,45, largo 0,22. 1 2 Fig. IV. Sphaeroleranittm prunastri : 1. larva neonata prona; 2. la stessa supina senza appendii-i. — 75 Il dorso è finissimamente rugoso ed è provvisto di due setole bre- vissime, submediane, posteriori sul capo, di due sul torace e di due sui primi tre segmenti addominali; vicino al margine del capo innanzi agli occhi ha pure una breve setola. 11 margine del corpo ha 13 setole per lato, delle quali tre disposte sulla parte anteriore del capo, due tra gli occhi e l'incisura del primo stigma, due tra questa e l'incisura del se- condo stigma, e le altre una per ciascuno dei segmenti seguenti ; sui lobi anali man- cano setole mar- ginali ma ne esi- stono due corri- spondenti premar- ginali. Sul mar- gine dell'incisura del primo stigma, come su quello dell' incisura del secondo , si tro- vano tre spine molto brevi sub- coniche. Al ventre esistono due (una per lato) setole brevissime innan- zi alla base delle antenne, due lun- ghette sottili al lato interno delle stesse, due brevi sul clipeo, otto brevissime sul rostro, due submediane sui quattro ultimi sterniti decrescenti in lunghezza dall'ultimo al quartultimo, una sublaterale brevissima ed una poco più esterna molto breve per ciascun segmento dell'addome. Antenne di sei articoli col terzo subuguale in lungliezza al sesto e poco più lungo del quarto e quinto presi insieme; setole come si vede nella figura e si nota che la setola prossimale anteriore del sesto articolo è poco più lunga della metà della lunghezza totale dell'antenna. Setole del rostro, ripiegate posteriormente a cerchio due volte, raggiungenti il quart'ultimo segmento addominale. Zampe posteriori col digitulo superiore poco più lungo del tarso, digitulo esterno circa '/< più breve del superiore, pretarso con unghia fornita di una minutissima punta preapicale ventrale e con due setole laterali davate alquanto più lunghe dell'unghia. Fig. V. Sphaerolecanium prunastri^ larva neonata: 1. antenna; 2. zampa del terzo paio; 3. tarso e pretarso della stessa; 4. parte laterale ventrale del corpo tra il margine laterale e lo stigma secondo S; 5. parte posteriore dell' addome prona colla sola base della setola apieale delle squame anali; 6. la stessa supina. — 76 Squame anali a superficie liscia, poco o nulla più lunghe dei lobi anali, troncate all'apice e fornite di una setola lunga, poco più corta della metà della lunghezza del corpo, di due molto più brevi ai lati di essa ed una brevissima sul margine interno. Setole anali in numero di sei, delle quali due poco più corte delle altre. Ovo. — L'ovo di questa cocciniglia quando è deposto contiene già. la larva completamente sviluppata, che schiude dopo pochi minuti e dopo un'ora già cammina. Esso è subellittico, di colore fulvo o fulvo pallido e misura mm. 0,38 in lun- ghezza e 0,22 in larghezza. Maschio. Maschio adulto (Fig. VI-VII) . — Questo è di colore rosso mattone poco più scuro sullo scutello del mesonoto, colle ali di colore noe ciuola chiaro e loro nervature leg- germente più scure e membrana presso il margine costale di colore isabellino o ocroleuco. Corpo lungo (collo stilo) mm. 1,56, larghezza del torace 0,46, lunghezza delle antenne 1,32, del- l'ala 1,30, larghezza della stessa 0,62, lunghezza dello stilo 0,46, della zampa del terzo paio 0,78, dei cilindri posteriori di cera 1,95. 11 capo è poco più largo che alto e poco più alto che lungo, ha la fronte tra gli occhi convessa e fornita di poche e brevissime setole submediane. Gli occhi sono in numero di tre per lato, due maggiori ed uno minore; questo è situato alla parte superiore sublaterale alquanto dietro la metà della lunghezza del capo; dei due maggiori uno è situato alla parte laterale subanteriore poco sopra la radice delle antenne e l'altro alla parte ventrale submediana del capo. Le antenne sono formate di 10 articoli dei quali il primo è molto breve, il secondo alquanto più lungo del primo, il terzo poco più lungo del secondo e alquanto più corto del 4° che è il più lungo di tutti. L' articolo 5° è alquanto più breve del quarto e subuguale al 6", questo è un poco più lungo del 7", che a sua volta è un poco più lungo dell'S"; il 9° è subuguale all'ottavo e subuguale o pochissimo ]jiù lungo o più breve del 10°, ehe, oltre ai peli simili a <|uclli degli altri articoli, come si vede nella fi- gura, è anche fornito di tre setole preapicali davate. FiR. VI. Spliaerolecanium prunastrì : maschio adulto. 77 - Il torace è nudo al dorso ed è forniio di pochi e brevi peli sul prosterno e sul metasterno. Le ali sono poco più del doppio più lunghe che larghe, hanno le due nervature tipiche bene sviluppate e la superficie fornita di micro- .-unastri. Le sue femmine adulte già al principio di piimavera, a S. Pietro Avellana dal 10 aprile, depongono le ova dentro i corpi morti e fo- rati (da parassiti usciti) delle femmine di cocci- niglia dell'anno preceden- te, le larve nascono alla fine di aprile (in detta lo- calità) e si cibano di fem- mine giovani e prepupe e pupe maschili della cocci- niglia. Tanto a S. Pietro Avellana come a Caiazzo ho osservato numerose larve di questo Coccinellide (Fig. i) sui rametti di P)-unu^ attaccati dallo Sphae- rolecaniurn. Fijj. IX. Kxochotnus ^•puatulaius: iidiiUo (iii(;rau(lìto: geofjraticu. Qiu'sto Cdccnpha- gas è probabilmente diffuso a tutta Europ a se si ammette la sino- nimia sopra indicata. Bioi;i'afla. FÌK. XVII. Coccophaijus Hùwardi: femmina (inj^ranilita da Masi) È parassita eudo- fagodi Pìiilippiaole- ae, Ccroplastes rusci e secondo mie osservazioni di Sphaerolecatiiwiì p>->masl)-i ; è assai probabile che lo sia anche di altri Lecaniini come il Coc- cophagus scutell.iris, del quale ha uguali costumi. Io ne ottenni pochi esemplari da larve di Sphao-olecanimn pt'unaslri dal 10 al 18 giugno, raccolte il 3 giugno presso Caiazzo (Caserta). Phaenodiscus aeneus (Daini.). Eticyitus aeneus Daiman, Svensk Vet.-Akad. Handl XLI (1820), p. 159; Nees, Hym. lehn, affin. Mon. II, 1834, p. 218; Ratzeburg, Ichneuin. Förstins. II, (184S), p. 145. Eiici/rhix melanopteriis Noes, Hym. lehn, affin. Mon. II, (IS.'W), p. 218. Discnden aeneus Förster, Hym. Stud. II, (1856), p. 34. Discodes melanopterus Förster, Hym. Stud. II, (1856), p. 34. Phaenodiscus aeneus Thompson, Hym. Scand. IV, (1875), p. 137; Mayr, Verh. zool.-bot. Ges. Wien XXV, (1875), p. 758 e 759. Phaenodiscus partiftiscipennis Girault, Canadian Entom. XLVIII (1916), p. 102. Adulto. FE.MMINA (Fig. XVIII-XIX). — Corpo di colore nero leggermente tendente al nero azzurro .sul capo e sul jironoto e sul mesonoto, al verde scuro sull'addome; il capo ha il t'ondo delle fossette, di cui 6 — 93 — fornito, di colore verde metallico, antenne collo scapo e il pedicello bruno testacei, primi 4 articoli del funicolo bruni, 5" e 6" articoli bian- castri, clava nerastra; ali superiori di colore fosco eccetto un breve tratto apicale ialino, ali posteriori ialine; zampe nere coi tarsi bruno- Fis XVIII. Phaenodiscus aeneus: ffinmina (ingrandita). testacei, eccetto il loro ultimo articolo ed il pretarso che sono bru- nastri. Lungliezza del corpo mm. 1,95, larghezza del torace 0,78, lunghezza delle antenne 1,06, ali posteriori 1,50, larghezza delle stesse 0,74; lun- ghezza dell'ovopositore che non sporge dietro 1' addome 0,90; (tale è la grandezza frequente ma essa è variabile essendovi esemplari poco più grandi e più piccoli anclie della metà). Maschio. — Corpo nero a riflessi azzurri sul capo, compreso il fondo delle fossette, sul pronoto e sul mesonoto, e leggermente verde- scuro sull'addome, antenne brune, ali ialine con nervature brune, zam- pe neie, colle tibie anteriori e coll'apicc delle medie e posteriori bruno- testacee, similmente ai tarsi, eccettuato l'ultimo articolo ed il pretarso che sono brunastri. Lunghezza del corpo mm. 1,5(3, larghezza del torace 0,(54, lun- ghezza delle antenne 1,25. Il capo, eccettuato un piccolo spazio corrispondente ai brevi scrobi ed un altro attorno alla bocca ed alla parte inferiore delle gene, è for- nito di grosse fossette circolari aventi ciascuna una breve setola; il Ol — pronoto ed il niesonoto, fino n tutto lo scutello, hanno la superfìcie con fitto reticolo microscopico e numerose brevi setole. Per gli altri carat- teri del capo, delle an- tenne, delle appendici boccali, delle ali e delie zampe si vedano le fi- gure XIX, 1-10. Osservazione. - Gli esemplari descritti dal Girault sotto il nome di Fh. parti fuscipennis provenivano da Pesco- Costanzo ed erano stati ottenuti da Lee. pru- nastri avendoli io stes- so mandati allo « Stato Insectary » di Sacra- mento, California. Egli propose la fondazione della nuova specie so- pra la presenza nelle ali ant(>riori di un lar- go spazio ialino presso la base, carattere che non esisterebbe nel Ph. aeneus, ma io posso as- sicurare che tale spazio ialino non esiste nor- malmente nemmeno negli esemplari che, numerosi, io ho esaminati, per- ciò è da ritenersi senz'altro il Ph. partifuscipennis sinonimo di Ph. aeneus. Fi«. XIX. riiaenodisms aeneiix, femmina: I. capo visto di l'uccia; a. an- tenna: 3. marcine del clipeo e lalibro superiore; 4. mandibola; 5. mascelle del primo e secondo paio: r.. ala anteriore; 7. parte della stessa in corrispondenza alla parte distale delle nerva- ture; s. zampa del secondo paio dall'apice della tibia: 9. zampa del terzo paio dall'apice della tibia; 10. antenna di maschio. Ovo. L'ovo ovarico del Phaenodiscus (Fig. XX e XXI) è formato di una breve parte anteriore, poco larga e poco lunga e irregolarmente affu- sata, di un lungo e sottile tubo e di una parte posteriore poco più lunga 0 subuguale in lunghezza all'anteriore, di questa alquanto più larga e di forma ellittica, colla faccia ventrale un poco più convessa della dorsale. La parte anteriore (cefalica^ è liscia, la parte posteriore è pure liscia eccettuata una stretta fascia longitudinale minutamente fossulata da sembrare anche granulosa, che cominciando alla base del peduncolo, finisce, restringendosi, poco prima dell' apice dell' ovo. Il 95 — tubo interposto fra le due parti anteriore e posteriore, che si può chia- mare collo e, per la sua funziono dopo che l'evo è deposto, pedunco- lo, è leggermente più largo al primo breve tratto che è destinato a restare fuori del corpo della vittima e formare una sorta di tappo respiratorio, poi ha un calibro unifor- me di JA 8 e presenta un lato, il ventra- le , liscio , membranoso . ed il lato oppo- sto, dorsale, ispessito e fossulato, con fos- sette minute, disposte in quattro serie lon- 1 2 Fig. XX. Phaenodiscvs aeneus : 1. ovo ovarico completamente svilup- pato ; 2. ovo deposto : A parte anteriore dell'ovo, B parte pros- simale del collo, *■-' collo 0 pe- duncolo, D parte posteriore, £, piastra aeroscopica dorsale della parte posteriore dell'ovo, F porzione di dermascheletro della vittima a cui (> sospeso rovo deposto. Fig. XXI. Phaenodiscus aeneus: 1. parte anteriore dell'evo e parte prossimale del collo; 2. parte posteriore dell'evo colla parte distale del collo ; 3. parte prossimale del collo più ing^randita vista dal dorso; -1. la stessa vista parzialmente di tìanco; 5. piccola porzione della parte mediana del collo vista di fianco ; e. la stessa vista dal dorso; 7. parte distale del uoUo e parte prossimale della parte posteriore dell'ovo; s. parte prossimale del collo e tutta la parte posteriore dell' ovo viste dal dorso; 9. parte dell'evo rimasta esternamente al der- mascheletro della vittima F e parte prossimale del peduncolo interno: lettere come nella fij^ura prHee.-6. larva della quìuta età, proua e di fianco ; 7. capo della stessa supino ; 8. parte cireuniboceale tlello stesso ]>iil iuf^raudito. .A - 7> chorion e spoglie della larva della prima, seconda e terza età, F seusillo infero - sulilaterale del capo, G labbro superiore, M mandibole, / mascelle del primo paio, /. labbro inferiore, .*? stigmi. tessuti della cocciniglia, ha una forma allungata ovale colla parte poco più assottigliata corrispondente all' estremità dell' addome ed ha un colore ocraceo sporco a causa del contenuto dell'intestino. L'addome ha i segmenti 8-10 molto corti e fra di loro più o meno indistinti. Sistema tracheale con nove stigmi per lato disposti in modo simile a quelli della larva della quinta età. Lunghezza del corpo min. 2, larghezza 1. Larva della quinta età (Fig. XXIII, 5-0). — Questa differisce dalla precedente per avere le mandibole più grandi, i segmenti 8-10 - 99 - addominali un poco più allungati e abbastanza distinti e per il colore bianco sporco con una leggera tinta lilacina. Ha un capo quasi la metà più stretto del protorace, arrotondato anteriormente e con apertura boccale infero-anteriore. Il labbro supe- riore è fornito di 5 + 5 sensilli circolari, dei quali tre per lato poste- riori. Le mandibole (Fig. XXII, 9) sono triangolari a parte distale stretta leggermente curvata, acuta, e sono nascoste nella cavità boccale. Le mascelle del primo paio hanno la forma di corti e larghi lobi forniti di due sensilli circolari anteriori e tre sensilli posteriori, dei quali l'anteriore interno più grande degli altri. Tutta la superficie del corpo è nuda. Il sistema tracheale è fornito di 9 stigmi per lato, dei quali due toracici (meso- e metatoracico) e sette addominali. Di questi 6 sono si- tuati alla parte anteriore dei primi 0 segmenti, il settimo alla parte posteriore del settimo o anteriore dell' ottavo. I due tronchi laterali sono riuniti anteriormente e posteriormente da una anastomosi trasversa, come lo erano anche nelle larve metapneustiche delle prime tre età. Lunghezza del corpo mm. 1,7 - 2,5, larghezza 0,8 - 1,10. Pupa. La pupa del Phaenodiscus, che fuoriesce dalla spoglia della quinta larva, è nuda, di colore prima bianco e poi a poco a poco passa al bruno e al nerastro. Lunghezza del corpo mm. 1,50 - 1,90, larghezza 0,60 - 0,80. Distribuzione geogniflca. Il Phaenodiscus aeneus era finora indicato per la Svezia, Germania e Austria. Io ne ho raccolto esemplari in Italia do- vunque ho trovato lo Sphaerolecanium pt-unastri cioè presso Cosenza, Lioni (Avellino), S. Pietro Avellana (Campobasso), Roc- caraso e Pescocostanzo (Aquila), Caiazzo (Caserta), Muccia (Ma- cerata). biografia. I piimi adulti di questa specie fuoriescono in primavera da femmine adulte morte di Sphaerolecanium pninasiri dell' anno precedente e precisamente dai primi di aprile in contrade site a poca altitudine (1) come Caiazzo, dalla fine di aprile in con- (1) Qiaesti dati naturalmente hanno valore per 1' Italia meridionale e le località citate. Nell'Alta Italia e in regioni più settentrionali si avranno no- tevoli variazioni relative alla latitudine oltre che all'altitudine. — 100 — trade site ad altitudine di almeno circa 900 metri come a S. Pietro Avellana. Essi lasciano la vittima aprendosi un foro rotondeggiante attraverso la i)aite doi'sale del suo dermascheletro e venuti fuori si cibano subito volentieri di sostanze zuccherine. I maschi sono più attivi delie femmine e le perseguitano tìnchè non hanno sod- disfatto l'istinto. Le femmine compaiono allo stato adulto con due a tre uova prossime al completo sviluppo ed una diecina a sviluppo minore; dopo due giorni hanno ova completamente sviluppate in numero di 5 a 12 per ogni ovariolo. Siccome gli ovarioli sono 6 (3 per lato), il numero di ova che una femmina può deporre dopo due giorni è di 30 a 12. Oltre queste ova mature se ne vedono poche altre per ogni ovariolo arretrate nello sviluppo. La deposizione delle uova della prima generazione ha luogo nelle femmine della 4* età di Lee. 'prunastri e a Caiazzo comin- cia nella ]>rima e seconda metà di aprile, trovandosi già il 20 maggio larve completamente sviluppate, oltre molte a vari stadi di sviluppo. La femmina di Phaowdixcus trovata una femmina di Sphae- roìecanium comincia a tastarla colla estremità dalle antenne poste in vibrazione dall'alto in basso, sale sul suo doi'so, gira su di essa sempre tastando, poi se vuole depositare l'uovo si ferma, tiene le zampe ben poggiate e solleva in alto il torace e piega in basso e un poco in avanti l'addome lino a poggiare l'estre- mità dell'ovopositore sulla superficie del dorso della cocciniglia e spinge in basso gli stiletti fino a farli penetrare dentro il corpo di essa ; poi solleva e abbassa varie volte l' addome, tenendo sempre conficcati gii stiletti nel corpo, e dopo questi movimenti si ferma qualche secondo con tutto 1' ovopositore conficcato nel corpo della cocciniglia ed infine estrae l' ovopositore e si dirige altrove. Alle volte invece, estratto l'ovopositore, rivolge la bocca sul punto in cui esso era stato immerso e si ferma qualche se- condo come a succhiare ; ho visto, più di una volta, ripetere l'introduzione deli' ovopositore ed il succhiamento anche per tre volte di seguito. I movimenti di alto e basso coU'addome quando l'ovopositore è stato introdotto possono essere pochi : 5-7 spesso, ma alle volte oltre 20 ed una volta ne ho contati G4, così che una notevole variazione esiste negli atti della deposizione dell'uovo. ^ lÓl - Mentre la femmina dello Sphaerolecanium è trafitta dallo ovopositore, spesso emette dall'ano una goccia di sostanza zuc- cherina, ma non ho visto femmine di Fhaenodiscus profittarne. L'ovo è depositato attraverso qualunque punto della super- ficie dorsale eccettuata la marginale e, come si è detto più avanti, è sospeso al dermascheletro per mezzo del lungo peduncolo. La larva neonata resta incapsulata colla parte posteriore nel guscio dell'ovo e aderisce coi due stigmi posteriori alla piastra aeroscopica di esso. Fino a tutta la terza età la larva è metapneustica e resta circondata posteriormente dal guscio dell'ovo e dalle spoglie lar- vali; alla quarta età diventa peripneustica e si stacca dal cap- puccio codale, compie una quarta muta e divenuta completa- mente sviluppata resta chiusa entro una sorta di bozzolo, formato in parte dalla spoglia della larva precedente e in parte da rima- sugli di trachee della vittima, e dentro di esso le larve della prima generazione si trasformano in pupe. In circa un mese (1) dalla deposizione si ottengono gli adulti. Questi depositano ancora le uova nelle femmine di Sphaerolecaniuìn che non hanno co- minciato 0 non hanno tei'minata la deposizione e le larve rag- giunta l'ultima età restano in questo stadio nel corpo morto della cocciniglia fino alla primavera dell'anno venturo; perciò tipica- mente in regioni elevate come S. Pietro Avellana e Roccaraso il Phaenodiscus ha almeno due generazioni che si susseguono rapidamente a spese delle femmine della quarta età di Sphaero- lecanium pì-xnastr/, ma le larve della seconda svernano come tali e si trasformano in pupe e poi in adulti la primavera del- l' anno seguente. La comparsa di adulti a S. Pietro Avellana si può avere fino verso la metà di settembre, quando in realtà non esistono più femmine vive della quarta età, credo perciò che gli adulti ritardatari vanno perduti, non essendo riuscito a tenerli vivi oltre la metà di ottobre. In regioni a bassa altitudine come Caiazzo, dove lo Sphae- ì-olecanium ha una seconda generazione, anche il Phaenodiscus ha forse un numero doppio di generazioni, perchè io ho osser- vato gli adulti della prima dal 20 maggio, quelli dell'ultima fino al 28 settembre. (1) Fo notare che questo dato non è dedotto da osservazione diretta con allevamento, ma calcolando il tempo trascorso dalla comparsa dei primi adulti da cocciniglie morte dell'anno precedente a quella di adulti da fem- mine di cocciniglie, che hanno raggiunto l'ultima età lo stesso anno. XIII - Bollen, di ZoolOj/ia Qen. e Agr. 8 — 102 - Da Sphaerolccantum di Cosenza ebbi molti Phaenodiscus (forse della 2°- generazione) dal 2-b luglio. Le larve di Phaenodiscus si nutrono nelle prime tre età di liquidi nutritivi e di elementi liberi del corpo della cocciniglia, più tardi attaccano anche i tessuti lasciando solo il dermasche- letro, trachee e rimasugli più o meno abbondanti. Essi, se attac- cano nella prima generazione femmine ancora assai giovani, possono condurre a morte la cocciniglia prima che abbia potuto cominciare a deporre uova, altrimenti lasciano il tempo ad essa di deporre un numero maggiore o minore di uova secondo il numero delle larve, che attaccano una cocciniglia e il periodo di sviluppo in cui essa si trova; in media il numero di uova, che riesce a deporre una cocciniglia attaccata da larve di Phae- nodiscus si può ritenere di cento a duecento. In una femmina di Sphacrolecanium si possono sviluppare da una a dieci lai-vc di Pliaenudiscus ed anche col numero mag- giore la cocciniglia può (almeno qualche volta, come io ho os- servato) arrivare a deporre un certo numero di uova (un centi- naio). Più frequentemente si sviluppano in una femmina di Sphae- rolecanium 3 a 4 larve del parassita. Il numeio di femmine morte di Sphaerolecanium con larve ibernanti di Phaenodiscìfs rispetto a quelle senza dette larve, che si osservarono in inverno e princii)io di primavera .su rami di Prunus spinosa presso S. Pietro Avellana, fu di circa il 10 % ed in un caso maggiore: il 29 marzo 1919 furono raccolte in detta località femmine morte di Sphaerolecanima e ne furono esami- nate 34 prese a caso. Di esse 26 erano vuote e 8 contenevano larve di Phaenodiscus. Di queste otto, sei contenevano ciascuna una larva di Phaenodiscus, una 7 larve e una H larve e tutte avevano sotto il corpo gusci di ova in numero di almeno cento. Quanto alla percentuale di femmine di Spltaerolecanium attaccate da P/iaenodiscus e da me osservata, fu molto alta : presso S. Pietro Avellana anche quasi del 100 %; in proposito riferisco un caso: tre pezzetti di rami di Prutius spinosa, portanti 105 femmine di Sphaerolecanium, raccolti presso S. Pietro Avel- lana il 0 agosto, furono posti in tubi e tino al 25 agosto dettero 209 esemplari di Pliaenodiscus, dei quali 98 maschi, e 79 esem- plari di Cerapterocerus, dei quali 54 maschi e numerose larve di Sphaerolecaììium. Esaminate ad una ad una le femmine della cocciniglia, ne furono trovate due senza fori di parassiti e col - 103 — ventre normalmente vuotato di uova, tutte le altre 103 con uno a tre fori di parassiti e la maggior parte di esse erano nel- l'interno vuote, 2 avevano anche una larva di Phaenodiscus morta per Pedioiloides, 14 contenevano 2 a 5 larve (in tutto 47) completamente sviluppate di Pìiaenodiscus. Di queste 47 sedici contenevano una lai'va di Cei-apterocerus. Anche le cocciniglie, Fig. XXIV. Cernjìtei'ocems mfrabilis: femiinua (ingrnudita). che avevano foi'i di parassiti usciti e larve di Phaenodiscus, ave- vano depositato un certo numero di ova ; tra le altre cocciniglie una aveva due fori di parassiti, conteneva cinque larve di Phae- nodiscus e aveva sotto il ventre almeno cento gusci di ova. Nonostante l'alta percentuale di femmine di Sphaerolecanium attaccata dal Phaenodiscics, numerose cocciniglie figlie si salvano, perchè le madri non sono uccise prima che cominci l'ovificazione, inoltre il Phaenodiscus è a sua volta attaccato dai Calcididi Ce- rapterocerus niirabilis, Pachynem-on coccorum, Perissopterus zebra e dall'acaro Pediculoides ventricosus. - 104 — Questo Phaenodiscus era stato indicato prima di me come ottenuto da Lecanwm persicae (determinazione forse sbagliata), da Diaspis rosae (determinazione cei'tamente sbagliata), da Le- caniiim su Prunus sp. e Prunus spinosa (che sarà stato lo Fig. XXV. Cerapteroeerifs mirahilix. fenmiina: 1. capo visto da sopra; 2. lo stesso visto colla faccia l'ivoltn uu po' in avanti ; .'1. lo stesso visto (li taccia ; 4. margine «lei clipeo col lal)bro supcriore e una mandibola; 5. mascelle del primo e secondo paio: fi. aiiteima; 7. ala anteriore: h. parte della stessa ìti corrispondenza alle nervature; !t.-iu. zampe del secondo e turzo iiaio dall'aiiìce ilella ti1iì:i ; 11. antenna di maschio; 12. parte dell'ala anteriore di niascliio in corrispondenza alle nervature. Sphaerolecanium prunastri) ; fino a prova contraria deve es- sere ritenuto un parassita speciale dello Sphaerolecanium in pai'ola. I suoi costumi sono per la prima volta ricordati in questa nota. Cerapterooerus mirabilis (Westw.). Cerapferocertis 7nirabüiii Westwood, Mag. Nat. Nist. VI (1833), p. 495; Rein- hard, Berlin eiit. Zeitschr. II, (1858), p. 12; Wallcer, Notes ou Chalcid, part. 7, (1872), p. 73, Fig-. ; Walker, Entomologist VI (.1872), p. 131, Fig. ; Mayr, Verb, zool.-bot. Ges. Wien. 1876, p. 748; VoUcnhoven, Pinacogr. P. 8, (1879Ì, p. f>fi, Tav. 35, Fig. 4 et 5; ScliinieJc'lallido con un lungo tratto mediano sui femori, una macchia più o meno distinta Kis. .\.\vni. Pwhi/uei't'int ciìriuìruui: IVmiiiinii iii;;r:iiiilit)i - Ill — vicino alla base delle tibie e l'apice del tarso ed il pretarso di colore bruno. Lunghezza del corpo mm. 2,40 (o anche molto minore), larghezza del torace 0,58, lunghezza delle antenne 1,05, dell' ala anteriore 1,70, larghezza della stessa 0,78, lunghezza dell' ovopositore dalla base al- l'apice 0,80. . , . La faccia del capo ed il dorso del torace sono fittamente reticolati fossulati (con reticolo poco più largo sulla parte posteriore dello scu- tello) ; metanoto nel mezzo convesso, ai lati avente una fossa profonda ; propodeo nel mezzo legger- mente convesso con due depressioni sub- mediane anteriori, superficie reticolata, spiracoli quasi ro- tondi. Per gli altri ca- ratteri si vedano le figure XXIX, 1-14; noto inoltre che' il rapporto di lunghez- za tra marginale, stigmatica e post- marginale non è co- stantemente quello che appare nella fi- gura, ma può variare un poco potendo es- sere la marginalo ora subuguale alla stigmatica ed ora anche un poco più lunga. Maschio. — Il colore del corpo è come quello della femmina op- pure in alcuni esemplari è tutto di colore verde scuro a lucentezza metallica. Le zampe del primo e secondo paio sono dal trocantere in poi di colore alutaceo pallido o quasi paglierino eccetto l'apice del tarso e il pretarso bruni, mentre quelle del terzo paio sono simili per colore a quelle della femmina o col colore bruno del femore meno esteso. Addome subollittico. Fig. XXIX. Pachyneuron nocrorum , femmina: 1. capo visto di fronte; 2. an- tenna ; 3 pedicello e parte prossimale del funicolo della stessa: 4. margine del clipeo col labbro superiore e mandibole: 5. labbro superiore; G. mascelle del primo e secondo paio; 7. parte dell'ala anteriore colle nervature; 8-10. zampe ilei primo, secondo e terzo paio dall'apice della tibia; il. metanoto, propodeo e parte pros- simale dell'addome; 12. addome del maschio; 13. antenna del maschio; 14. pedicello e parte prossimale del funicolo della stessa. - 11-J — Oro. L'ovo del Pachyneuron coccorum completamente sviluppato nell'o- vario o deposto (Fig. XXX, 1-2) ò allungato, ovale, leggermente convesso al dorso e concavo al ventre col polo più allargato corrispondente alla Fig. XXX. Pachj/neuron coccorum: 1. ovo visto di fianco; 2. piccola porzione dorsalr del guscio dell'evo mollo ingrandita; 3. -4. larva neonata supina e di fianco; 5.-6. capo della stessa supino e di fianco ; 7. mandibola della stessa ; 8.-S. larva adulta supina e di fianco; 10. capo della stessa supino; 11.-12. mandibola della larva adulta vista in diversa posizione; 13. larva di Phaenodiscìfs con un ovo di Pachyneuron. A antenne, P sensilli frontali sublaterali, C sensilli frontali submediani, Z> sensilli clipeali, £ sensilli infero submediani, F sensilli infero sublaterali, G labbro superiore, H mandibole, / mascelle del primo palo, i labbro inferiore. parte cefalica dell'embrione. La sua superficie è finissimamente granu- losa e osservata a fortissimo aumento appare anche areolata. È lungo mm. 0,26-0,.^2, largo 0,104-0,120. Larva. Larva neonata (Fig. XXX, 3-7) — Corpo allungato a lati alquanto convergenti dalla parte anteriore alla posteriore colla maggiore lar- ghezza corrispondente al protorace; è composto di tredici segmenti ben distinti oltre il capo. - 113 - 11 capo è poco meno del doppio più largo che lungo, è alquanto convesso anteriormente e superiormente. Ha due antenne brevissime, poco sporgenti sul resto della supertìcie, due sensilli clipeali, due in- fero-sublaterali e due infero-laterali portanti una breve setola. Il lab- bro superiore tia tre sensilli circolari per lato; le mandibole sono ro- buste, acute; le mascelle del primo paio hanno due sensilli anteriori e due submediani, dei quali il posteriore è poco più grande dell'anteriore; il labbro inferiore ha due sensilli laterali inferiori. Sistema respiratorio fornito di quattro paia di stigmi: uno mesoto- racico e tre sui primi tre segmenti dell'addome. Lunghezza del corpo mm. 0,34, larghezza 0,13. Larva Adulta (Fig. XXX, 8-12). - Corpo ovale, allungato, poco più assottigliato anteriormente. Segmenti del corpo distinti come nella prima larva. Capo breve, largo alla base, alquanto convesso anteriormente e superiormente con antenne brevi, sporgenti a guisa di cono sul resto della superficie, sensilli con brevissima setola in numero di cinque paia: due frontali sublaterali, due frontali submediani, due clipeali, due in- fero-submediani e due infero-sublaterali. Labbro superiore con tre sen- silli per lato; mandibole robuste, acute, a parte distale subretta; ma- scelle del primo paio con tre sensilli anteriori, dei quali l' interno e posteriore maggiore degli altri, che sono forniti di brevissima setola, e tre submediani, dei quali pure l'interno posteriore è maggiore, labbro inferiore con due sensilli anteriori e due posteriori portanti una setola minima. Sistema respiratorio fornito dei tipici nove paia di stigmi. Lunghezza del corpo mm. 1,50-1,70, larghezza 0,65-0,70. Pupa. La pupa è a contorno subovale, leggermente arcuata colla conves- sità al dorso, di colore brunastro appena formatasi. Lunga mm. 1,40- 1,60, larga mm. 0,60-0,65. Distribuzioue geografica. Il Pachyneuron coccorum è specie diffusa in tutta Europa e- pi-obabilniente è stata introdotta con specie europee di cocciniglie anche in America; in Italia è stata da me raccolta ovunque ho cercato le cocciniglie sotto ricordate come ospiti delle sue vittime. Biografia. Questo Pachyneìiron può essere parassita di varie specie di Calcididi a loro volta parassiti di cocciniglie ed anche del Dittero Leucopis parassita di PhiHppia oleue. Le specie di Calcididi, che - 114 - io ho trovato da esso parassitizzatc, sono le seguenti: Blastothrix sericea, Aphì/cus ptoictipes, parassiti di Eidecaniyìn corijli, Mi- croterys lunatua (Mayr) e Phaenodiscus aeneus parassiti di Sphae- ì-olecanitim prxfiastri, Microterijs Masti Siiv. (1) parassita di Philippia oleae. Il Pachynewon coccorum sverna allo stato di larva, ma non escludo che possa passare l'inverno anche allo stato adulto; in aprile si trasforma in pupa e nello stesso mese o ai primi di maggio in adulto: da femmine adulte, morte, di Spluierolecanium prunastri raccolte il 2 aprile presso S. Pietro Avellana fuoriuscì un maschio il 24 e due femmine il 27 dello stesso mese, anche da pupari di Leucopis parassita di P/iilippia, raccolti a Bevagna il 3 aprile in ovisacchi di Philippia, si ebbero gli adulti di Pachyneuron dal 2 al 15 maggio. Gli adulti si cibano di sostanze zuccherine e possono dopo due 0 tre giorni cominciare a depositare ova. Le femmine di Pachyneuron trovata una cocciniglia la ta- stano colle antenne, poi, se lo credono opportuno, conficcano l'ovopositore dentro di essa e se vi trovano larve dei calcididi ricordati, le paralizzano e depongono un ovo sul corpo di esse. Dall'ovo in maggio dopo 4 giorni e in settembre dopo 3 (dal 5 all'S) fuoriuscì la larva. Questa resta sul corpo della vittima e ne succhia gli umori e così cresce disponendosi ora nello stesso senso lon- gitudinale del corpo della vittima ed ora trasversalmente ad esso 0 anche obliquamente; in maggio ebbi la larva adulta in 11 giorni, mentre nella prima quindicina di settembre in 7 giorni. In que- st'ultima epoca al settimo giorno dalla nascita abbandonò la vit- tima ridotta ad una piccola massa informe e alla distanza di due millimetri da essa, durante la notte dal settimo all'ottavo giorno, emise il meconio e diventò bianchissima; durante lo stesso ot- tavo gioi'no si trasformò in pupa col ventre in alto, di colore brunastro e dopo 10 giorni (il 26 dello stesso mese) si ebbe l'adulto. In maggio lo sviluppo intero da ovo ad adulto per esemplari sviluppatisi a spese di larve di Aphycus punctipes fu di 27 giorni, in giugno per esemplari sviluppatisi a spese di pupe di Leiicojns fu di 20, in settembic per esemplari sviluppatisi a spese di larve di Phaenodiscus fu di 21. (1) Mìcroteri/s ß/nsii Silv. è = Microterys (sub Rneyrtìis) Innatiis Masi uec Mayr. — 115 - Da temmine di Sphaeroìecanium per lo più possono uscire uu esemplare o due o più fiuo a cinque, da quelle di Eulecanium coryli da 1 a 10 esemplala di Pacliì/neiiron. Dato il numero di giorni che questa specie impiega nello sviluppo e il numero anche delle vittime, da maggio a tutto set- tembre essa può compiere almeno cinque generazioni distruggendo molti esemplari di parassiti primari di cocciniglie. Di 30 femmine di Eulecanium corìjli raccolte presso Portici il 13 maggio 1918, 21 dettero adulti di Pachyneuron in un numero complessivo di 62, mentre le stesse 21 cocciniglie dettero 10 Aphycus, 22 Blastothryoc; il Pacliyneuron aveva pertanto distrutto circa due terzi dei parassiti pi-imari. Una cosi alta percentuale però non fu da me osservata in nessun'altra occasione; quella p. es. osservata per il Phaenodiscus dello Spliaerolecanium nel 1919 fu molto bassa, circa del 3 %. Nel caso del Phaenodiscus il Pachyneuron può divenire spesso utile (dal punto di vista agrario), perchè come ho detto innanzi il Phaenodiscus è frequentemente attaccato dal Cerapterocerus mirabilis Westw. parassita endofago. Finora non era stato accertato da alcuno il grado di paras- sitismo di questo Pachyneuron rispetto alle cocciniglie; il Ron- dani (1848) lo aveva sospettato di secondo grado; dalle mie os- servazioni risulta che esso è realmente tale. Altrettanto proba- bilmente sarà delle specie di Pachy ne uroti indicate come paras- site di Afidi e Psillidi, mentre è pure certo per osservazioni riferite dall'Howard (1) che specie di esso possono essere parassiti di Ditteri in pupario. Perissopterus zebra (Kurdjumov.). Rev. russe d'Entom. XII (1912), pp. 334-335, flg. 8. Adnlto. Femmina (Fig. XXXI, lì. — Corpo di colore cesio chiaro col capo avente un anello nerastro attorno alla base delle setole, tra il margine inferiore degli occhi una Hnea trasversale nera, che gira anche lateral- mente sulle guancie, ed una linea trasversale pure nera poco dietro il margine del clipeo; questo è alutaceo. Torace al dorso con anello nero (1) Howard, L. O. — The habits of Pachyneuron. — Proc. ent. Soc. Washiugton II (1891), pp. 105-109. - 116 - attorno la base delle setole, due fasce longitudinali submediane sullo scutello tuligiiiee, due macchie strette triangolari divergenti sul meta- noto coir apice situato alla parte mediana del margine anteriore del 1 2 Fig. XXXI. Perisftoptents zebra : 1, femmina; 2. maschio (ingranditi). metanoto, due macchie mediane brevi triangolari sul propodeo. Addo- me colla parte dorsale e ventrale e la parte premarginale di tutti i segmenti di colore bruno. Antenne del colore del corpo collo scapo avente una fascia nera obliqua esterna e una distale interna, pedicello bruno per oltre la met.1 della parte dorsale, primi due articoli del funicolo e breve parte pros- simale del terzo, nonché la clava di colore bruno. Ali anteriori ialine con fasce brune come si vede nella figura e nervature alutacee con macchia bruno-nerastra all'apice della stigmatica; ali posteriori ialine. Zampe di colore cesio chiaro, femori delle prime con tre fasce nere, delle medie con quattro fasce nere e delle ultime con cinque fasce nere esterne, tibie delle prime con tre fasce nere superiori esterne compresa l'apicale, delle medie e delle ultime con quattro, sperone delle zampe medie nerastro alla base e alutaceo nel resto, primi tre articoli dei tarsi alutacei, ultimi due e pretarso bruni. Lunghezza del corpo mm. 1,20, larghezza del torace 0.42, lun- ghezza delle antenne 0,52, dell'ala anteriore 1,00, larghezza della stessa 0,37, lunghezza dell' ovopositore, che sporge pochissimo dell' addo- me, 0,76. Maschio (Kig. XXXI, 2). — Simile alla femmina ma coH'addome fornito su ciascun tergite a cominciare dal terzo di due macchie sub- mediane grandi di colore cesio chiaro. Ali molto ridotte sorpassanti solo il mai'gine posteriore del 4" segmento. — 117 ~ Lunghezza del corpo 1,20, larghezza del torace 0,40. l'er gli altri caratteri della femmina e del maschio si vedano le figure XXXII, 1-14. Ovo. L'ovo ovarico (Fig. XXXIII, 1) del Perissopterus zebra ha una for- ma allungata a pistillo colla parte più allargata corrispondente alla posteriore. È lungo mm. 0,41, largo 0,078. Il guscio della parte ante- Fig. XXXII. Perissopterus zebra, femmina: 1. capo visto di faccia; 2. antenna; 3. parte deUa faccia del capo dalle fosse antennali colle mandibole; 4. mandibola; 5. mascelle del primo e secondo paio; 6. ala anteriore; 7. parte della stessa colla parte terminale delle nervature; 8.-10. zampe del primo, secondo e terzo paio dall'apice della tibia; 11. antenna del maschio; 12. torace prono; 13. ali del maschio; 14. parte dell'ala anteriore dello atesso colla parte terminale delle nervature; 15.-16. pene col forcipe chiuso ed aperto. riore. che è di circa Vs della lunghezza totale dell'uovo, è liscio, mentre quello della parte posteriore eccettuato l'apice estremo è ricoperto di moltissimi granuli conici (Pig. XXXIII, ,3). L'ovo dopo la deposizione (Fig, XXXIII, 2) acquista una forma allungata ellittica passando tutto l'ooplasma alla sua parte posteriore, mentre l'anteriore se ne svuota e resta come semplice stretta appendice formata del solo guscio. L' ovo depositato coli' appendice è lungo mm. 0,34-0,40, dei quali 0,23-0,26 spettano alla parte posteriore che è larga mm. 0,10. XIII - Bolìett, (li Zoologia Gen, e Agr 9 — 118 — Larva. Larva neonata (XXXIII, 4j. — Corpo allungato a lati alquanto convergenti dalla parte anteriore alla posteriore essendo più largo alla parte basale del capo ed al pronoto. Il capo è molto più largo che lungo, alquanto convesso anterior- mente e al dorso. Ha due antenne appena sporgenti sulla superfìcie dorsale submediana del capo , due sensilli sul margine del clipeo , quattro per lato sul labbro superiore, due anteriori e due subme- diani per mascella, due sul labbro inferiore e uno infero sublatcrale per lato alquanto di- stante dalla bocca. Man- dibole bene uncinate. Segmenti toracici nudi, lati del prosterno leggermente sporgenti. Addome nudo. Sistema respiratorio Fig. XXXIII. fornito di quattro paia Perìssopterus zehrrr. i. ovo ovarico; ä. ovo deposto; S. particeUa di StlgUllI UnomcSOtOra- ilfl f^iiacio (ItOta parte posteriore dell' ovo ; 4. Inrvn neonata; f>. eajio della Htc88a supino ; G. larva adulta vìMn di liaueo; 7. enpo della stessa supino; ^.-M, niandiijola di larva adulta A ista in diversa posizione ; 10. larva di l'Itaeiìodiscus ettn uu ovo di Perissoplerits. I ettere come a ti;L;ura XX.\. cico e tre sui primi tre segmenti addominali. Lunghezza del cor- po mm. 0,2(>, larghezza massima 0,10. Larva adulta (Fig. XXXIII, {',-'.)). — Corpo allungato, ovale, più assottigliato posteriormente che aiileriormente. composto di tredici seg- menti ben distinti, come nella prima larva, oltre il capo, di colore bian- castro 1 iù o meno scuro in corrispondenza alla parte soprastante l'in- testino per il contenuto di questo. Il capo è breve, largo alla iiase, convesso anleriormente e al dorso. È fornito di due antenne poco sporgenti dal resto della superficie e aventi un microscopico sensillo mediano, di due sensilli submediani, due sul)laterali, due infero-laterali e due antero-clipeali portanti una setola appena sporgente. Labbro superiore con quattro sensilli circolari periato; mandibole prismatiche triangolari con apice assottigliato, acuto, subretto; mascelle del primo paio ciascuna con sei sensilli, dei quali — 119 — due esterni maggiori, due interni fuiio anteriore eri uno posteriore) con setola minima, e due (uno anteriore mediano ed uno interno) circolari minori ; labbro 'inferiore con due sensilli piccolissimi portanti una se- tola minima. Sistema respiratorio fornito dei tipici nove paia di stigmi. Lunghezza del corpo mm. 1,60-1,70, larghezza 0,65-0,68. Osservazione. — La larva di questo Perissopteriis, che è ectofaga come quella del Pacliyìieuron, si può distinguere facil- mente per i sensilli maggiori delle mascelle situati esternamente l'ispetto ai minori e anche per le antenne un poco più corte e la mancanza di un sensillo pilifero infero-sublaterale. Pupa. La pupa di questo Perissopterus è subrettangolaro assottigliata po- steriormente ed è di colore nerastro uniforme appena formatasi. Lunga mm. 1,30, larga 0,58. Distribuzione geografica. Io ho ottenuto questa specie soltanto da Sphaerolecaniutn ■primastri vivente su Prnnxs spiìiosa presso S. Pietro Avellana (Campobasso). Il Kurdijumov ne raccolse esemplari presso Pol- tava (Russia). Biografia. I primi esemplari, che erano maschili, di questa specie furono da me ottenuti il 20 agosto, alcuni altri puie maschili nei giorni seguenti dello stesso mese, una femmina il 4 settembre e due altre il 5. Essi fuoriuscirono da femmine adulte di Sphaerolecanium prunaslri che avevano già depositate le uova ed erano morte. Gli adulti di Perissopterus 9.\ nutrono di sostanze zuccherine e poste con femmine adulte di Sp/iaefolecanintn possono comin- ciare a deporre le uova al più taidi il giorno seguente a quello della loro comparsa. La femmina di Perissopterus esplora il dorso di una femmina di Sphaerolecaniuui e poi si ferma e introduce la sua trivella. Se non vi trova la vittima, ritira 1' ovopositore e si allontana, se invece accerta la presenza di larva di Phaeno- discus aeneus, la trafigge in alcuni secondi, fino ad un minuto primo e alle volte più a lungo, la paralizza e poi ritrae alquanto r ovopositore e deposita un uovo sulla superficie del corpo della - 120 — larva paralizzata. Ciò fatto estrae dal corpo della cocciniglia r ovopositore e si allontana. Dall'uovo nasce la larva nella prima quindicina di settembre, a Portici, in meno di due giorni (ovo deposto alle ore 17 del 6 settembre dette la larva alle ore 10 dell' 8); essa resta sul corpo della vittima, aderisce ad essa colle mandibole e la bocca e ne succhia il contenuto; cresce cosi rapidamente in 4 giorni ridu- cendo la vittima ad una piccola massa informe ed al quinto, dopo la nascita, si trasforma in pupa. Larva nata la mattina dell' otto settembre, la mattina del 10 era lunga mm. 0,6ò e larga 0,23, la mattina del 12 emise il meconio sotto forma di una ventina di cacherelli bruni, la mattina del 13 fu trovata trasformata in pupa e la mattina del 18 dello stesso mese in adulto, compiendo cosi in dodici giorni l'intero sviluppo da ovo ad adulto. Da queste mie osservazioni risulta che il Perissopterus zebra è un parassita ectofago di Phaenodiscus aeneus e siccome questo può essere anche attaccato dal Ceraptèroce>-us mirabilis, paras- sita endofago, cosi questo Perissopterus è parassita secondario 0 terziario rispetto alla cocciniglia, parassita primario rispetto al Phaenodiscus. II Kurdjumov ottenne gli esemplari, che gli servirono per la descrizione della specie, da Eriococcus Gz-eeni Newst. e da Sypha maydis Pass, infetta di Aphidius. In questo secondo caso accertò che la larva di Perissopterus si era sviluppata a spese della pupa di Aphidius e credette che si trattasse di un erroi-e di istinto ri- tenendo il Perissopterus parassita primario dell' Eriococcus, men- tre anche rispetto a quest' ultimo certamente sarà, un parassita secondario. Microterys lunatus (Dalman). Encyrtus lunatus Dalman, Svcnsk. Vet. Akad. Haiidl. XLI (182U), p. 156; ? Mayr, Verh. zool. bot. Ges. Wien XXV (1875), p. 719; nee Ma- si (1), Boll. Lab. Zool Sc. Agr. Portici III (1908;, pp. 89-91, Fig. 1-2. Microterys lunatus Tlionisou, Hyni. Scandin. IV (1875), part I, p. 161. (1) La specie descritta come ^1/. lunatus dal Masi è distinta da i{uella che con niagg-iore probabilità io descrivo come tale, per la fronte tra gli oc- chi un poco più stretta, per lo scapo delle .nntenne un poco meno largo, per la parte lìasale dell'ala ialina e fornita di setole bianche (non nere come nel M. lunatìis)\ il maschio ò distintissimo per le antenne fornite di pochi sen- siili a bastoncello, mentre sono assai numerosi in quelle del M. lunatus. — 121 Adulto. Femmina (Fig. XXXlVj. — Capo, eccettuata una stretta fascia at- torno al margine clipeale e una macchia occipitale nere, pronoto, ec- cetto la parte mediana anteriore nera, tegole, sterni e pleure di colore testaceo, mesonoto verde a lucentezza metallica, metanolo, propodeo e addome nerastri, antenne testacee col margine inferiore dello scapo e Fig. XXXIV. Microterìjs htnatus: femmina (ingrandita). la clava neri, gli articoli secondo e terzo del funicolo alquanto imbru- niti e gli articoli 4 a 6 di colore isabellino pallido; ali anteriori alquanto fumose, quasi ialine alla parte apicale e fornite
  • . 83 Co/eopteiui - Kam. Co'^cinellidae . . » ivi Exüchomus -l-pustulatutt .... » ivi Hyperaspis campestns ^ 83 Adulto ....»> ivi Pupa »85 Larva « ivi Distribuzione g-eO;^ratìea . . ....... 87 Biof^ratìa "ivi Homalotyhis fìamitiius ..........." 88 Distribuzione e vittime »89 tiymenoptera - Fain. ('halcididae » ivi Coccophagus seutellaris » ivi Adulto '► IKI Distribuzione g^eo^ratìea . ...» ivi Biografia «ivi Coccophagus Hov-ardi ............. 91 Adulto . » ivi Distribuzione geografica » 92 Biografìa » ivi Phaenodìsctts aenetts ivi Adulto ... ivi Ovo « 94 Larva » 9(ì Pupa '»99 Distribuzione geografica » ivi Biografia » ivi Cerapterocerus mirabilis » 104 Adulto » lOó Ovo » ior> Larva »ivi Pupa » 108 Distribuzione geografica .... m ivi Biografia >> ivi Parhyneuron corcorum » 110 Adulto » ivi Larva »Ili Pupa « 113 Distriltuzione geografica » ivi Biografia » ivi Perissopteiits zebra ... ......... 1 15 Adulto '♦ivi Ovo » 117 Larva .»118 Pupa «119 Distriltuzione geografica .... » ivi Biografia ►> ivi Afirroterys Itinattis >» liO Adulto .... >» 121 Ovo »Ill Liirva ....,........>» ivi Pupa »124 Distribuzione geografica » ivi Biografia » ivi Apht/i'tts punrtipt^s l'in Acari - Helervsligmata - Fani. Pediculoididac . » ivi Pedicttloides ventricaaua >» ivi F. SILVESTHl COITTRIBTJZIOMI ALLA CONOSCENZA degli insetti dannosi e dei loro simbionti. V. (1) La Cocciniglia del Noociuolo {Eulecanlum corylì L.) HEMIPTERA-HOMOPTERA. Fam. Coccidae — Subf. Lecaniinae. Gen. Eulecanium Cock. Syn. Coccus Linné ex p. Syst. Nat. Ed. X (1758), p. 455. » Lecanium Aiictonim ex p. 1851-1918. » Eulecanium Cockerell, Check List, Coccidae 1895, p. 332; Id., Ibidem, Canad. Entom. XXXIII (1901), p. 58; Sulc, Entom. Month. Mag-. (2) XIX (1908), p. 36. » Physokermes Lindinger ex p. Zeitsch. f. Insectenbiol. VII (1911), p. 381; Id., Die Schildlause (Coccidae) Europas etc., Stuttgart 1912, p. 123. Femmina adulta — Corpo convesso nudo con antenne e zampe bene sviluppate. Deriuascheletro dorsale con molti pori sparsi di ghian- dole unicellulari; margine del corpo fornito di brevi setole robuste o spinette che vengono rivestite di cera; regione premarginale ventrale fornita di molte ghiandole unicellulari con lungo tubolo interno; re- gione ventrale dell'addome provvista di molti dischi ciripari. Anello anale fornito di 8 setole. (l) I. Galerucella dell'olmo (Galerucella luteola F. Müll.). — Boll. Lab. Znol. Se. Agr. Portici IV, pp. 246-280 con 25 figg. nel testo. II. Plusia gamma (L.). — Ibidem, V, pp. 287-319 con 26 flgg. nel testo. III. La Tignoletta dell'uva (Polychrosis hotrana Schiff.) con iiu cenno sulla Tignola dell'uva (Conchylix amhùjuella Hb.) — Ibidem, VI, pp. 246- 367 con 50 figg. nel testo. IV. La Cocciniglia del prugno (Sphaerolecanium prunastri Fonsc — Ibi- dem XIII, pp. 70-126. — 128 — Maschio adulto. — Capo fornito di fi occhi per lato, torace con bilancieri bene sviluppati. 1 Fi«. I. 1. Haiiiflto »li prugno con IV-iiiniini- atiultc ili Eitleranium cori/li {in ^ranilezza naturai»*): 2. l{nnn'tttì »lì iioffiiitilii (Min tVnnnin»' »■ maschi Cpnpc) »li Kultfrotiiitm rotyli coperti »lai lV»lliciil»ì (aI()uanto in;i;raii»litrt). KoLMCoLo MASCHILE. — È foniiiito di uno strato di ceni diviso in cinque zone: una mediana dorsale, una anteriore, una posteriore e due laterali. Eulecanium coryli (L,) Svi). Galtinsecte du Hlleiit etc. Uoauiiiur, Meni Ins. IV, ler MOm., pi. 3, fip 1-11. CoccKs cori/li L., ITiiiS, Syst. Nat., VA. X, p. 456, n. 8; Fab., 1781, Sppc. IiLset-t. II, p. 3it4, n 7; Coccus tiliae L., 1758, S>st. Nat., Ed. X, p. 450, n. 9; Fab., 1781, Spec. Insect. II, p. 394. — 129 — Syn. Chermes ulmi rotitndiai Geoffroy., 176i, Hist. ab. des Insect, p. 507. ;> tiliae hemisphaericus GeofCroy., 1764, Hist. ab. des Insect, p. 507. coryli hemisphaericus GeottVoy., 17H4, Hist. ab. des Insect, p. 507. » > quercus rotundas ftisciis GeoftVoy., 1764, Hist. ab. des Insect. p. 507. • Coccus capreae L., 1767, Syst. Nat , Ed. XII, II, p. 741; Fab., 1776,, Gen. Insect. Mant., p. 304. » » ovafus ulmi. De Geer 1776, Mèm. pour 1' Hist, des Ins., VI, pi. 28, fig. 7-12. » ovatus Salicis ,De Geer 1776, Mèm. pour 1' Hist, des Ins., VI, pi. 28, fig. 13. » » ai««" Modeer, 1778, Goetheborgsk Vetensk. Haudl. p. 17;Sclirank, 1801, Fauna boica, II, 1, p. 144. » > salicum Fab., 1781, Spec. Insect. II, p. 394. mali Schrk., 1781, Enumer. Ins. Aiistriae, p. 205. idmi Gnielin, 1789, Syst. Nat., ed. XIII (non Linn., 1758). » » f USCII S » » - » " » ' * » » ;• aceris Fab., 1794, Entom. System. IV, p. 225. » » pyri Schrank, 1801, Fauna boica, II, 1, p. 144. » » rubi » » » » » » '> » » aceris campestris Schrank, 1801, Fauna boica, II, 1, p. 147. » « aesculi Kollar, 1848, Sitz. Akad. V^iss. Wien (d'après Newstead) » Calipticus fasciatus Costa, 1835, Fauna Reg. Nap. p. 14. » Lecanium, gibber Dalnian, 1825, K. vet. Acad. Handl., p. 336; Sign., 1873, Essais, p. 236-262. » > cypraeola Dalman, 1835 Act. Holm., p. 367. > juglandis Bouehé, 1844, Stettin, Ent. Zeit., p. 299; Sign., 1873, Essais, p. 236-262; Goethe, 1884, Jahrb. des Nassau Ver. fur Nat.; separ., p. 18, 19. aceris Bouehé, 1844, Stettin. Ent. Zeit , p. 299; Sign., 1873. Essais, p 240, pi. 11, fig. 1-6, pi. 12, fig. 11-11». » Salicis Bouehé, 1851, Stettin. Ent. Zeit., p. 299. » » fasciatum Targ., 1868, Cocc. Catal., p. 37. genevense Targ., 1868. Cocc. Catal. p. 38; Sign., 1873, Essais, p. 251; Douglas, 1885, Entom. month. Mag., XXII, p. 15; Id. Ibidem 1886, XXIII, p. 25, 28; Id., Ibidem 1891, XXVII, p. 267; Id., Ibidem, 1896, XXXII, p. 182). » aesculi Sigli., 1873, Essais, p. 242, pi. 12, figg. 12-l2b. capreae Sign., 1873, Essais, p. 245, pi. 12, fig 14, Douglas, 1892, Entom. month. Mag., XXVIII, p. 278, fig. 1 et 2; Ringet Reh, 1901, Jahrb. d. Hamburg. Wiss. Anstalten, XVIII, (1900), separ., p. 4; Newstead, 1903, Mon. Brit. Coc., II, p. 105 pl. LIV, figg. 1-11; King (Saissetia), apud Hofer, 1903, Mittheil, Scliwaiz. eut. Ges. X, p. 477-483; Reh (Saisse/ia), 1903, Allgem. Zeit. f. — 130 — Entom. p. 40M-416; Theobald, Rep. ccon. Zool. 1905, p. 40; TuU- gren, Entom. Tidskr. XXVil (lilQG), p. 00; Theobald, The Ins. etc. of orcliard etc.. Wye Court li)09, pp. 175-177, fig. 143; Car- penter, Ec. Proc. R. Dublin. Sec. II, 1914, p. 157; Irains, Quart J. micr. Sci. LXIII (1918), pp. 293-374, fig. A. Syn. Lecanium corni Sign, (non Bouchè), 1>^73, Essais, p. 247, pi. 12, figure 20-20». » » fuscus Sign. 1873, Essais, p. 250. » » pyri, Sign. 1873, Essais, p. 254, pi. 12, fig. 18; Goethe, 1884, Jahrb. des Nassau Ver für Natur., separ., p. 18, 19. tiliae Sign. 1873, Essais, p. 261. » » ulmi Sign, (non Linnc'-), 1873, Essais, p.262, pl. 13, fig 15-15b. Douglas, 1886, Entom. month. Mag. XXII, p. 79, 80. » » variegatum Goethe, 1884, Jahrb. des Nassau Ver. für Natur., separ., p. 21. » » cerasi Goethe, 1884, Jahrb des Nassau A'er. für Natur., separ., pag. 21. » » alni Douglas, 1886, Entom. month. Mag., XXIII. p. 79, 80. » » distinguendutn Douglas, 1891 et 1892, Entom. month. Mag., XXVII, p. 96 et XXVIII, p. 106. » » ritbi Douglas, 1892, Entom. month. Mag., XXVIII, p. 105. » Eidecanium geneveiue var. Marchali Coekerell, 1903, Psyche, p. 20. » Lecaniiim, (£i<Ì6ca«!i(wi) /(o/lsri King, apud Hol'er,1903, Mittheil, Schveiz. ent. Ges. X, p. 477-483. » Lecanium [Eulecaniiim) websteri var. mirabilia King, apud Hofer, 1903, Mittheil. Schweiz, ent. Ges. X, p. 477-483; Reh, 1903, Allgcm. Zeit. f. Entom., p. 408-416. » fLecanium {Saissetia) cerasorum Reh, 1903. Allgeni, Zeit. f. Entom., pag. 417. » I^ecanium coryli Marchai, Ann. Soc. ent. France 1908, pp. 265-304, figg. 38-43, pl. 3, fig. 6. » Kulecanium capreae Sulc, Acta Soc. Ent. Bohemiae IX, 1912, p. 34. » Physokermes coryli Lindinger, Die Schildlause (Coccidae) Europas etc., Stuttgart, 1912, p. 123. » Eulecanium coryli Leonardi, Boll. Lab. Zool. Sc. Agr. Portici XII (1918), p. 213. F-ocerasus , Prunus cerasus, Evonymus sp., Vaccinium my>'tilllus, Rubus sp. Myrica galeae. Distribuzione s^eograflca. L'Eulecaniurji cor y li è specie conosciuta per la Svezia, Da- nimarca, Inghilterra, Olanda, Fi-ancia, Germania, Boemia, Italia. Pare che sia stato introdotto anche nel Nord America. (1) In Italia io l'ho trovato dovunque l'ho cercato su qualcuna delle specie di piante nutrici, cioè a Bolognola (Macerata\ Be- vagna (Perugia), S. Pietro Avellana (Campobasso), Avellino, Caiazzo e Piedini onte d'Alito (Caserta!, Portici e Resina (Napoli). 11 Linndinger lo ricorda per la Sardegna. BIOGRAFIA. Femmina adulta. — Le femmine dell'ultima età di Euleca- nium coryli si trovano su rami delle piante nutrici nelle parti più diverse, ma specialmente su quelle più giovani; di regola sono disposte coll'asse longitudinale del corpo secondo l'asse longitudinale del ramo e col capo rivolto in basso e l'ano in alto, ma alle volte anche in senso opposto. (1) Secondo King- citato dal Newstead. - 139 - Presso Portici alla fine di febbraio o ai primi di marzo le femmine raggiungono l'ultima età e crescono poi rapidamente di dimensioni: così femmine, che avevano fatta la muta alla fine di febbraio ed erano lunghe ram. 2,10, larghe 1,30 ed alte 0,40, dopo quindici giorni erano lunghe mm. 3,5 - 3,8, larghe 2,8-2,9, alte 1-1,8. Sopra queste femmine si vede bene, per qualche tempo, intero lo strato ceroso, che ricopi-iva l'ultima larva e che rimane più stretto del corpo non essendo accresciuto dalla femmina dell' ultima età. Le femmine durante l'ultima età non cambiano posto ed eraet tono dall'ano una abbondante melata sotto forma di gocce trasparen- ti. A tale melata accorrono formiche di varie specie e presso Avellino ho osservato particolarmente la Formica cinerea Mayr che fi-equeuta il nocciuolo, e presso Bolognola sul Carpino la Foì-mica gagates. Le femmine depongono le uova sotto il proprio ventre, per- ciò di mano in mano la parete venti'ale del loro corpo si avvi- cina a quella dorsale ed a deposizione terminata esse sono ri- dotte ad una mezza sfera cava aderente coi margini inferiori al ramo. A Portici la deposizione delle uova comincia alla fine di marzo, a S. Pietro Avellana (960 m. alt.) circa due mesi dopo, a Pescocostanzo (1200 m. alt.) alquanto più tardi. Il 5 aprile nel 1919 erano poche le femmine presso Portici clìe non avevano ancora deposte le uova. II numero delle uova che ogni femmina può deporre è grande, in media si può ritenere di tremila : sotto una femmina lunga mm. 6, larga 5 ed alta 4 ne contai 4905. Ovo. — L'ovo dopo la deposizione, protetto, come ho detto, sotto il ventre della femmina, impiega a svilupparsi, oltre trenta giorni. Ova deposte il 5 aprile dettero le larve il 10 maggio. Larve neonate. — A Portici ho visto fuoriuscire le prime larve da sotto il corpo della madre il 10 maggio e seguenti ; femmine di Avellino dettero le larve alla metà di maggio, quelle di S. Pietro Avellana dalla fine di giugno (25) e quelle di Pesco- Costanzo dal 15 luglio. Le larve neonate dai rametti, sui quali si trovano le madri, vanno sulle foglie e dopo aver vagato per qualche tempo si fis- sano di regola sulla pagina inferiore lungo una nervatura o in vicinanza di una di esse; ma se tutta la pianta, o parte della pianta sulla quale si trovano, è poco esposta alla luce, si fissano anche sulla pagina superiore. — 140 — Queste larve crescono a Portici dal maggio al settembre fino alla lunghezza di mm. 0,8-0,9 per 0,46 -0,50 di larghezza e du- rante l'ultinio mese ricordato compiono la prima muta. Seconda lakva femminile. — Questa si trova fissata lungo i rametti delle piante nutrici sui quali è passata dalla fine di settembre, specialmente in ottobre e novembre prima della caduta delle foglie e secerne al dorso un sottile strato di cera continuo ialino a consisten- za quasi vitrea, fragile. Presso Portici compie la muta verso la fine di febbraio e primi di marzo. La spoglia scivola a poco a poco in die- tro (senza trascinare il rivestimento ceroso dorsale) e rimane at- taccata per poco tempo all'estremità posteriore del corpo. Maschio adulto. — Il maschio adulto, fuoriuscito dalla spo- glia pupale, ha le ali completamente sviluppate ma non i due cilindretti cerosi addominali, i quali si formano a poco a poco in tre a quattro giorni. Il maschio aspetta sotto il follicolo che siano completi tali cilindretti e poi fuoriesce da sotto la parte posteriore del follicolo e si pone a camminare o vola via. Tro- vata una femmina sale sul suo dorso e tenendosi alla paite po- steriore di essa col capo rivolto innanzi abbassa lo stilo cercando di introdurlo nel seno posteriore dell' addome ; riuscitoci resta immobile circa mezzo minuto e poi abbandona quella femmina e va in cerca di un'altra. Non posso precisare quante femmine può fecondare un maschio. I pi-imi individui di maschio adulto furono osservati a Por- tici il giorno 22 marzo, altri nei giorni seguenti fino al 14 aprile. Seconda larva maschile. — Questa comincia a trovarsi nel mese di settembre, presso Portici, e secerne a poco a poco sulla superficie dorsale un sottile strato di cera molto simile a quello della larva femminile, ma è diviso in zone dalla cera secreta dalle ghiandole submediane dorsali e subanteriori e subposteriori laterali. Da tali giiiandole fuoriesce la cera più abbondante sotto forma di riccioli in febbraio, mese durante il quale si completa il follicolo maschile. Questo si osserva distaccato dal sottostante corpo della larva dalla fine di febbraio, epoca nella ([uale co- minciano a trovarsi larve in muta. La muta della seconda larva maschile scivola via dietro il corpo sotto il follicolo. Follicolo maschile (Fig. I, 2 e VI, 14-15Ì. — Questo, quando è completo, ò di forma allungata subrettangolare, arrotondato an- teriormente e posteriormente, bianco vitreo, è composto di un - 141 - sottile strato di cera a superfìcie scabrosa, attraversato da ric- cioli di cera bianca lungo due linee dorsali submediane e due trasversali, una subaiiteriore ed una subposteriore, le quali si prolungano ai lati divergendo in avanti quelle anteriori, diver- gendo all' indietro quelle posteriori. Le linee dei riccioli dividono il follicolo in una zona anteriore, due laterali, una posteriore ed una mediana dorsale. Questa è leggermente convessa, le altre sono inclinate e più fortemente lo sono 1' anteriore e le parti an- teriori laterali, perchè lo scudo è più alto anteriormente e va abbassandosi posteriormente. Il follicolo conserva (finché agenti esterni non ne alterino la forma) i processi cerosi larvali lungo il margine e i fili di cera premarginali anteriori e laterali (fino a circa V3 di lunghezza del corpo), i quali fili di cera delle ghian- dole preraarginali servono a farlo rimanere attaccato alla cor- teccia dei rami. Prepupa e Pupa. — Dalla fine di febbraio a tutto marzo presso Portici la seconda larva maschile si trasforma in prepu- pa. Questo stadio può durare da quattro (in marzo) fino a nove giorni (in febbraio). La prepupa compie una muta e fa scivolare via dal corpo la spoglia verso la parte posteriore dietro il fol- licolo. La pupa resta in tale stato 8 giorni (in aprile) a 9 (in marzo), poi compie una muta spingendo pure la spoglia dietro il corpo e si trasforma in adulto che dopo quattro gioi'iiì, come sopra ho detto, può abbandonare il follicolo. Dalla muta della seconda larva maschile alla comparsa del- l' adulto decorrono pertanto 16 a 22 giorni: cosi da prepupa for- matasi il 28 febbraio ebbi 1' adulto il 22 marzo, da prepupe for- matesi dal 25 al 27 marzo ebbi gli adulti dal 6 all' 8 aprile. DANNI CAUSATI BALL' E ULECANIUM COR ÌLI. Questa cocciniglia succhia col rostro gli umori delle piante nutrici innanzi ricordate e produce cosi ad esse un danno diretto sottraendo sostanze destinate alla loro nutrizione. E alla fine del- l'inverno e principio di primavera che la cocciniglia femmina succhia umori in maggior quantità avendone bisogno per il suo rapido e completo sviluppo. Di regola sono pochi gli esemplari di Eulecaniuui coryli che si ti'ovano sopra una data pianta, perciò il danno da essi W\\ - Ballett, di Znolu^j/a Gen. e Ayr. 11 - M2 - prodotto è per lo più trascurabile, ma in qualche anno ed in tjualcho località si possono osservare piante attaccate da molti individui. In questi casi il deperimento delle piante è più o meno grave secondo il numero di Enlera>ünm e può arrivare fino alla morte, come asserisce il Newstead avvenne nel 1890 per parti di siepi di biancospino presso Chester (Inghilterra). Il Carpenter ricorda questa cocciniglia in quantità assai dannosa all' ippoca- stano a Waterford (Irlanda). Io ebbi una sola occasione di vedere un piccolo prugno presso Resina coi rami quasi tutti copeiti da questa cocciniglia. CAUSE NATURALI CHE OSTACOLANO LO SVILUPPO BmAj'EULECANIUM CORYLI. La cocciniglia del nocciuolo ha una grande distribuzione in Europa compresa l'Italia e può trovarsi in pochi esemplari do- vunque, se si cerca con cura sulle sue piante nutrici, ma abba- stanza di rado si vede in grande numero sopra uno stesso albero. Questo fatto è dovuto a cause naturali abiologiche e biologiche. Tra le prime, e meno attive considerate per la loro azione diretta, sono le climatiche, perchè la temperatui'a per questa coc- ciniglia ò da ritenersi non possa procurare la morte nò per ab- bassamento né per elevazione nella misura che tali variazioni si osservano in Europa; la pioggia potrebbe avere un' azione mec- canica dannosa diretta se cadesse violenta al tempo della schiu- sura delle larve ed altrettanto dicasi del vento. Temperatura e pioggia nonché concimazioni possono poi avere una maggiore influenza indiretta nel favorire lo sviluppo di tale insetto, potendo esse mettere le piante in condizioni favorevoli o sfavorevoli per la vita della cocciniglia. Quali siano le condizioni delle piante più favorevoli per questa cocciniglia non possiamo indicare con precisione, ma un fattore importante sembra sia l'ab- bondanza, 0 peggio sovrabbondanza, di umori, perchè in serra con piante molto annaffiate si può ottenere per lo più una soprav- vivenza di larve in quantità discreta. Larve della prima età muoiono in grande numero senza che se ne conosca con certezza la ragione: potrebbe trattarsi di una ma- lattia, di una insufficienza di nutrimento, di una scarsezza o man- canza di funghi simbiotici, se cosi sono realmente, ma, ripeto, nulla per ora possiamo affeimarc sulla causa di una mortalità - 143 - che può essere spesso la ragione dello scarso numero, in cui per lo più si trova tale cocciniglia. Tra le cause biologiche, che ci sono note, accenniamo alla pre- senza di qualche fungo indeterminato, causa specialmente di morte di larve della prima e seconda età, e ricordiamo particolarmente i seguenti insetti, che sono anche in parte citati da vari autori: Coleopteea: Chilocorus bipusiitlatus, Exochomus bipusiula- lus, Anthribus fasciatus. Hymenoptera: Encyrtus infidus; Aphijcus puncdpes, A. phi- lippiae; Blai^tolhrlx sericea; Microterys sylvius; Coccophagus scutellaris. COLEOPTERA. Fam. Coccinellidae. Chilocorus liipustnlatus (L.) e Exochorous 4-pustulatus (L.) Questi due preziosi coccinellidi nostrani allo stato di adulti e di larve si cibano anche di larve della Cocciniglia del noc- Fis. VII. 1. Cìiìlocoì-us bipustitUitus; 2. Exocìtomus 4-pustulatìis (ingraiuliti. Da Rliirtelli). ciucio, ma contribuiscono solo molto parzialmente nel diminuirle di numero, perchè non danno particolare caccia ad esse trovando in natura preda più frequente e più numerosa in altre cocciniglie. Per i costumi di questi due coleotteri si può vedere quanto ne scrisse il Martelli (1) tenendo presente che più tardi i-isultò da mie ossei'vazioni che il CJiilocoì-its può compiere tre genera- zioni invece di una. (1) Bollettino Liib. Zool. Se. Agr. Portici II (1908), pp. 251-271, figg-, 10-15. — 144 - Kam. Änthribidae. Antliribiis fasciatus (Forster). Anthribtis fasciatus Forst. Nov. Spec. Ins. I. 1771. p. 9; Kulnit, 111. Best. - Tab. Käfer Deutschi. 1912, p. 902, fig. 15. » marmoratus Fourcr. Ent. Par. I. p. 136. » scabroaus Fabr. Syst. Ent. I. p. 64; Panz. Fauna Germ. 15. 15; Gylh. Schh. Cen. Cure. I. p. 171; Jacq. Duv. Gen. Col. IV. 1868. t. 1. f. 4; Frisch, ßeschr. In.«. 1720. p. 37; Leunis. Stett. Zeit. 1842. pp. 190-191; Brachytarsus fasciatus Bedel, Faune d. Col. du Bassin de la Seine, VI (1888), p. 13. Adulto. Femmina (Fig. VIII-X). — Corpo nero colle elitre di colore fulvo macchiate di nero, antenne e zampe nere. Tutte le parti nere del corpo (escluse le elitre) sono fornite di numerose, brevi e sottili setole bian- castre, le elitre invece hanno setole nere sulle macchie nere, nonché buon numero di altre setole nere sparse sulle parti fulve, che sono inoltre fornite di brevi setole liiancastre. Lunghezza del corpo mm. 3-4, lar- i;hczza maggiore colle elitre 2-2,20. Il capo è incassato colla parte poste- riore, fin quasi agli occhi, nel protorace; distaccato e visto dal dorso si presenta di forma subellittica cogli occhi bene convessi, la sua superficie è fornita di molte fossette, che portano una breve setola diretta al- l' innanzi; le fossette sono più piccole e le setole più brevi nella parte posteriore del- l'epicranio. Il labbro superiore è breve, trasverso, cogli angoli convessi ed ò fornito di una diecina di brevi e robuste setole mediane anteriori, di 4 + 4 setole lunghette superiori anteriori e due posteriori sublaterali. Le antenne hanno gli ultimi tre articoli formanti una clava circa '/s più lunga che larga. Le mandibole sono robuste, unidentate ed a margine interno sottile. Le mascelle . parto posto- rioro dolio stosso dal sottìnio sormonto ^isto dal vontro; <>. In stessa dal dorso ; "-;>. parto poslorinro dell' addome del masoliio dall' ottavo segmento vista dal dorso, ili tianeo e dal vontro; 10. parte estrema della stossa. Larva. Il corpo della larva adulta (Fig. XI, 1 e XII) è cremeo o ocroleuco pallido col capo di colore castagno iiittriotto da una fascia longitudi- — 147 naie mediana, da due divergenti lungo le suture frontali e da una tra- sversale, poco dietro il clipeo, di colore cremeo. La lunghezza del corpo, se è disteso, può arrivare a mm. 5,5 e la larghezza massima a 2,2. Il corpo è ripiegato ad arco colla convessità al dorso, è un poco ristretto alla parte anteriore e molto di più in quella posteriore. È composto di capo, torace e addome con 10 segmenti distinti. Il capo è piccolo a contorno subcir- colare, troncato un poco posteriormente e anteriormente e fornito sulla superfìcie delle setole che si vedono nella figura XII, 1. Gli occhi sono rappresentati da un ocello per lato situato presso l'angolo anteriore esterno dell' epicranio. Le an- tenne si trovano sul margine anteriore dell'epicranio presso 1' angolo esterno delle mandibole e sono formate di un piccolissimo articolo, che è appena spor- gente dalla superficie dell'epicranio, con- vesso e provvisto di un sensillo conico robusto, di due setole un poco più brevi e di due o tre setole brevissime. Il labbro superiore è piccolo, trasverso, col margine anteriore più o meno convesso, la superficie superiore fornita di 4 + 4 setole, delle quali le due esterne e le due submediane più lunghe delle altre e la superficie inferiore di 4 + 4 setole anteriori, 2 submediane subante- riori e 2 submediane posteriori. Le mandibole sono robuste a contorno subtriangolare terminate all'apice con due denti, presso 1' interno dei quali ne esi.ste uno prea- picale minore più o meno distinto, la regione molare forma pure un grosso dente triangolare. Le mascelle del primo paio hanno lo stipite grande, fornito di numerose e brevi setole; il lobo interno è piccolo, assai più breve dell'esterno e poco distinto dallo stesso, è fornito nella superficie superiore di una diecina di setole assai brevi e robuste; il lobo esterno è largo, a margine convesso fornito di buon numero di setole sotto e sopra come si vede nella figura XII, 10 e 11; il palpo è molto breve biarticolato. Il labbro inferiore ha il submento fornito di numerose brevi setole, il mento intero ed il palpo labiale assai breve uniarticolato, conico con due sensilli brevissimi apicali ed uno circo- lare presso la base. Torace. — Questo ha il pronoto intero, il meso-ed il metanoto divisi da un solco arcuato in una parte anteriore ed una posteriore. Fiff. XI. Anthrihtts fasci'rtus : larva vista (lì fianco. — 148 — ciascuna un poco convessa e sporgente al dorso; le zampe sono rappre- sentate da piciole sporgenze ventrali, laterali, subconiclic, fornite nel mezzo di 6 a 7 setole brevi sottili conu- quelle che si trovano attorno alla base delle zampe e su tutta la superficie dei segmenti del torace eccetto le parti corrispondenti ai solchi. L'addome ha dieci segmenti distinti, ma i posteriori vanno dimi- nuendo in grandezza ed il decimo è molto piccolo; i segmenti fino al ^^{'^W Fiff. XII. Anlhribut fasciatila: larvn adulta: 1. capo prono; 2. lo «tesso supino: 3. lo stesso supina tolte le mascelle col labbro inferiore : 4. clipeo e labbro superiore ; 5. labbro superiore visto (la Hottii; 6. antenna col tegumento circostante: 7-s. mandibole; ii. mascelle e labbro inferiore; 10. mascella vista dalla faccia superiore: II. la slessa dalla faccia inferiore; I'.'. palpo labiale; i:i. zampa toracica: 11. parte laterale dell' estremità dell'addome di una pupa; LI. metà del terzo urotergile dì una pupa. settimo compreso sono distintamente divisi da un solco trasversale in parte anteriore e posteriore e tutta la superficie è fornita di numerose setole brevi come il torace. Pupa. Il corpo della pupa (Fig. XXIII) è di colore cremeo o ocroleuco pallido eccettuata l'estremità delle appendici boccali, delle zampe e delle pteroteche clic sono di colore paglierino e le due appendici spini- formi dell'estremo addome che hanno la parte laterale e terminale bruna. Lunghezza del corpo mm. 3-4, larghezza 2-2,5. — 149 — Il corpo è fornito al dorso di pochi o brevi peli come si vede nella figura XII, 15. Le due appendici posteriori dell'addome sono assottigliate coll'apice ottuso e fornite esternamente di una brevissima setola. Distribuzione geografica. - L' Anthribus fasciatus figura nei cataloghi come diffuso in tutta Europa. In Italia io l'ho rac- colto a Nuvoli presso Lecce, in provincia di Caserta (Palma Cam- pania), di Campobasso (S. Pietro Avellana); non l'ho finora tro- vato presso Portici. La sua distribuzione deve coincidere con Fig. XIII. Anthribus fasciatus'. pupa vista dal dorso, di tianco e dal ventre quella dell' Eulecanium coryli; ma non in tutte le località questo è accompagnato da quello, come lo dimostra il fatto che presso Portici è comune 1' E. coryli, mentre in tre anni di osservazione non ho visto un Anthribus. Biografia. - h' Anthribus fasciatus nella provincia di Ca- serta (Palma Campania) comincia a comparire allo stato adulto nella prima metà di giugno e passa il resto dell'anno ed i primi mesi dell' anno successivo fino alla primavera senza riprodursi. Di che cosa si nutra dal giugno di un anno fino al marzo del- l'anno successivo io non ho potuto osservare, ma è probabile che predi cocciniglie o cerchi sostanze zuccherine. In marzo e aprile poi, quando le femmine di Eulecanium coryli sono divenute grandi, e dai primi di aprile possono avere anche le uova sotto il corpo, V Anthribus dà caccia a tali femmine, rompe colle man- dibole il dermascheletro, vi pratica un foro attraverso il quale a — 150 — poco a poco ficca prima il capo e poi anche parte del corpo, e divora le parti molli dell' Exlecanixui e le uova depositate o non. Con tale abbondante cibo gli adulti raggiungono in tale epoca la maturità sessuale e le femmine cominciano a deporre le uova nei primi di aprile. Io non ho osservata la deposizione, ma ho visto l'ovo deposto sotto il corpo delle femmine di Eidecanium coryli che non presentavano foro di sorta in alcun punto della superficie, perciò l'uovo deve essere deposto sotto il corpo àeì- V Eulecanium per mezzo degli ultimi segmenti che sono abba- stanza lunghi e sufficien- temente sottili per pene- trare con forza tra la cor- teccia su cui è fissa la femmina della cocciniglia ed il corpo di questa. La deposizione dell' novo in località della provincia di Caserta a bassa altitudine ha luogo dai primi alla fi- ne di aprile, epoca che coincide colla presenza di woKAài Eulecanium cortjU. Alla metà di maggio ho trovato sempre larve a vario stato di sviluppo, il 22 maggio già qualche pupa oltre che larve, al 2 giugno molte pupe, qualche adulto e ancora qualche larva. La larva sta sempre completamente nascosta sotto il ventre dell' Eulecanium e si nutre delle uova di esso similmente a quella della Scutellisla che si nutre delle uova di Ce>-oplas/es ed altri Lecanini. Una larva divora tutte o quasi tutte le uova di una femmina di cocciniglia e con esse, che possono essere oltre quat- tromila, ari-iva a completo sviluppo e si trasforma prima in pupa e poi in adulto sotto il corpo stesso della cocciniglia. Gli adulti forano il dorso della cocciniglia (Fig. XIV) e fuoriescono, come dissi, in località della provincia di Caserta a bassa altitudine fino dai primi di giugno. L'intero sviluppo da ovo ad adulto richiede poco meno di due mesi: da evo trovato (non visto deporre) sotto una femmina r 11 aprile ebbi la larva il 18 aprile, la pupa il 22 maggio e Fi)?. XIV. 1 t' 2. raiiit'tii L'Oli temminc di Eulenmium cotyli e un adulto di Aiitlirihus f'asci<ìttis; :ì p 4. rametti con un:i ft'iiiinìnii di Kìileratìiiinì rofì/ti col foro dal (|Ualc e uscito l'adulto di Authribux. — 151 - l'adulto dal 3 al 9 giugno. La larva compi tre mute: la prima il 28 aprile, la seconda il 6 maggio e la terza il 22 maggio per trasformarsi in pupa. Un' altra larva nata il 17 aprile fece la prima muta il 25, la seconda il 3 maggio, la terza il 21 maggio trasformandosi in pupa che dette l'adulto pure dal 3 al 9 giugno. La percentuale massima di femmine con larve di Anthi-ibus da me osservata è stata poco oltre il 50 "/„. Il parassitismo delle larve di questa specie di Anthribus era stato già vagamente accennato dal Frisch (1) nel 1730, che le descrisse pure brevemente. Il Latreille (1804) lo confermò ancora con dubbio su osservazione del Dufour; il Dalman (1824) lo accertò definitivamente riferendo però le larve trovate sotto il corpo dell' Eulecaìiium coryli all' Anthr. variegatus, che forse è invece parassita speciale del PJiysokermes ahietis. Il Vallot (1828) precisò il parassitismo di questo Anthribus per r Eidecanium coryli, ma lo ritenne erroneamente parassita interno del corpo della cocciniglia e causa del rigonfiamento di questa. Il Ratzeburg (1837) fece più esatte osservazioni s\i\V Anthribus variegatus parassita del Pliysohermes ahietis, ma non affermò in modo sicuro che le sue larve si nutrono delle uova sotto il corpo della cocciniglia. h' Aìiihì'ibus niveovariegatus dell'Asia orientale è pure pa- rassita oofago della cocciniglia Ericerus pela Chav., come riferisce Muuemoto Yano (1915). HYMENOPTERA. Fam. Chalcididae. Encyrtus ìnfldus (Rossi) Latr. Chrysis infida Rossi, Fauna Etnisca, II (1790), p. 80; ? lUiger, Rossi: Fauna Etnisca, Ed. 2» II (1807). p. 128. Pteromalus scutellatus Swederus, Svensk. Vet.-Akad. Handl. XVI (1795), p.2l8. Encyrtus infidus Latreille, Gen. Crust, et Insect. IV (1809), p. 31; Spinola, Ann. Mus. liist. nat. XVII (1811), p. 149; Lepeletier, Encycl. method. Insect. X (1825), p. 66; Blanchard, Hist. nat. Insect. III. (1840), p. 275. (1) Così scrivono Chapuis e Candezb in Cat. d. larves de Col. p. 539. Io non ho potuto consultare l' opera del Frisch, che però ricordo nella bibliografia. — 152 - CynipsUlum infidits Lamarck, Hist. nat. anini. s. vcrtr. IV (1817), p. 157; Idem, Hist. nat. anim. s. vertr. Ed. 2» . IV (1835), p. 368. Encyrlus scutellarU Dalman, Sveii-ik. Vet.-Akad. Handl. XLI (182Ü), p. 150 c 370, T. 3, I. F. 37, 58, e 62-64; Curtis, Brit. Entom. IX (1832), p. 395; Nees. Hymen. Ichneum. affin. Monogr. II (1834), p. 221; Walker, Entom. Magaz. V (1837), p. 104; Zetterdsteet, Insect. Lappon. I (1838), p. 432; Westwood, Introd. mod. Classif. Insect. II (1840), Synops. p. 73; Ratzeburg, Iclineum. d. Forstinsect. I. (1844), p. 212; Kawall, Stettin, entom. Zeitg. XVI (1855), p. 231; Tliomson, Hymen. Scandin. IV, P. 1. (1875), p. 119. Comys scutellata Mayr, Verb. zool. bot. Ges. Wien XXV (1875), p. 741-742. Comys scìitellaris Giraud, Ann. Soc. ent. France (5) VII (1877), p. 420. Eucomys scuttllata Delia Torre, Cat. Hym. V (1898), p. 240. Adulto. Fkmmina (Fi^. XV e XVI). — Corpo nero collo scutello, eccettuata una parte basale più o meno breve ed una parte più lunga apicale, giallo zolfo , parte mediana della faccia e mesopleure testa- ceo scure, talora nere come nel maschio, antenne collo scapo e la faccia inferiore del tiagello di colore fulvo ferrugineo, il resto bruno nerastro; ali anteriori colla parte basale uno al principio della stig- matica ialina, ma avente una macchia fuliginea tìttamente setolosa oltre il mezzo di essa, il resto della membrana è fuligi- neo poco più pallido ' alla parte distale dell'ala e col nervo spurio ialino, zampe del primo paio fulvo-ferru- ginee o testacee scure, zampe medie testacee scure con gran parte del femore e della tibia al dorso imbruniti, zampe del terzo paio bruno- nerastre. Capo fortemente e tìttamente punteggiato. Kig. XV. Emyrliis infidi": feiiiniina. — 153 — Lunghezza del corpo (1) mm. 3, larghezza del torace 1,00, lunghezza delle antenne 1,56, dell'ala anteriore 2,45, larghezza della stessa 0,93. Maschio. — Corpo tutto nero, collo scutello nero alla base ed all'apice, giallo nel mezzo, zampe anteriori e medie un poco più scure di quelle della femmina. Antenne lun- ghe mm. 1,69. Per gli altri caratteri della femmina e del maschio si veda la flg. XVI. Oto. L' ovo dello Encyrtus infldus (Fig. XVII, 1-10) quando è comple- tamente svilup- pato e si trova ancora nell' ova- rio, ha la forma di un pistillo in- grossato agli e- stremi e forte- mente assotti- gliato e alquanto allungato tra essi. Tutta la sua lun- ghezza è di mm. 0,38-0,42 e la sua maggiore larghezza 0,09-0,10. La sua parte posteriore (codale) è più lunga della anteriore; questa è liscia e presenta tre o quattro canalicoli apicali, mal definiti che devono considerarsi come micropili. La parte strozzata dell' ovo è la più caratteristica, perchè invece di avere un chorion tatto sottile, liscio ed incolore o biancastro come il resto, lo ha nella parte distale di colore rosso mattone a superficie Fig. X\ì. Enajrtiis infìihis: femmina: 1. capo visto di faccia; 2. antenna; 'A. clipeo e laljbro superiore con parte della fronte fino ai fori antenuali e colle mandibole; 4. mandibola; 5. maBcelle del primo paio e labbro inferiore: <>. porzione dell' ala anteriore colle nerva- ture marij^iuale, postmarginale e radiale; 7 e S. zaiMpe del secondo e terzo paio dall'apice della tibia; Si. antenna di masebio. (1) Osservo per questa specie che le dimensioni sono variabili e che io dò le maggiori quando non è diversamente indicato. Ciò vale anche per tutte le specie seguenti di parassiti. - 154 - areolata e ispessito anteriormente lungo un iato (il dorsale) in modo elle visto l'ovo di fianco appare in tale parto sporgente sul lato più Fig. XVII. Eniyrius Uifidus: 1. ovo ovarii'O tomiili'tamente sviluppato; 2-.i. apice anteriore «Ielle s'esso visto in varia posizione; 6. parte meiliana dell' ovo vista di tìanco; 7. la stessa vista ilal dorso; H. parte »listale mediana ilell'ovo vista di tìanco; 9. la stessa vista tial lato opposto al pn-cedcnte; 1(». la stessa vista ilal dorso; II. o\o intero depositato; 12. pezzo di dermasclieletro di l'.uìt'canìum rntyti con un ovo di Etiroitìt/s ra])pres('ntato in parte e visto dalla faccia esterna; i:ì lo stesso visto dalla faccia interna. A. parte anteriore dell'ovo, IS. parte mediana distale, C. parte meiliana prossimale, D. parte posteriore, K. zona puntef^giata della posteriore, K. deniiasclieletro della eoc- ciniglìa, M. micropilo. spesso; l'interno di questo ispessimento sembra spugnoso; il lato ispes- sito continua in una strotta fascia fornita di due serie longitudinali di microscopiche fossette clie dà ad essa un'apparenza di fascia civnulata; ((uosta giunge fino al principio della parto posteriore, che ha la super- fìcie dorsale, per circa un terzo della larghezza e quasi tutta la lunghezza, fittamente e finissimamente punteggiata (molto visibile quando l'ovo è da poco deposto per l'aria che vi aderisce, poco in seguito) e nel resto è liscia. Quando l'ovo è stato deposto (Fig. XVII, 11-12), la parte cefalica di esso, corrispondente alla parte anteriore allargata, rimane come sot- tile appendice all'esterno del corpo della vittima, perchè 1' ooplasma - 155 — scorre tutto nella regione posteriore, la parte a parete ispessita della regione mediana resta fuori a formare come un tappo spugnoso al foro praticato ARÌVEnci/rtus sul corpo della cocciniglia, il resto della regione mediana mantiene la forma di breve collo ed è in parte sporgente sotto di questo come brevissimo pedun- colo della parte posteriore, che con- tiene tutto r ooplasma ed assume la forma ellittica. L'ovo deposto senza il pedun- colo esterno misura mm. 0,28-0,33 in lunghezza e 0,10-0,13 in lar- ghezza. Larva. Larva della prima età (Fig. XVIII, 1). — La larva neonata resta colla parte posteriore dal 1° seg- mento in dietro incapsulata nel cho- rion dell' ovo. Essa è di forma allungata ri- stretta al capo ed all' estremo po- steriore, a lati poco convessi e colla larghezza maggiore corrispon- dente al torace. Ha distinti, oltre il capo, dieci segmenti, l' ultimo dei quali più lungo dei precedenti e ne rappre- senta gli ultimi quattro addominali fra di loro indistinti. La parte po- steriore del corpo è leggermente bilobata e sulla faccia posteriore di ciascun lobo è fornita di uno stigma che continua in un tronco tra- cheale anastomizzato anteriormente e posteriormente coli 'opposto e non comunicante all'esterno per mezzo di altri stigmi, come si dirà ap- Fig. XVIII. Encyrtus infidits: 1. larva neonata incapsulata posteriormente nel guscio dell' ovo e questo sospeso al derniascheletro di Enlecanium; 2-4. larva della 2* età dal dorso, di fianco, dal ventre tolta dal cappuccio posteriore: ó. larva della terza età vista di fianco col cappuccio posteriore: ti. la stessa liberata dal cappuccio posteriore e vista dal ventre: T-10. niandiljola della larva della 1', 2*, 3*, 4« età ugualmente ingrandite. A. guscio dell' ovo, B. spoglia del capo della prima larva, C. spoglia del capo della seconda larva, S. stigmi. presso per la larva della quarta età. Lunghezza del corpo mm. 0,90, larghezza 0,28. La supertìcie del corpo è nuda e il capo è formato come nella larva della terza età, ma le mandibole (Fig. XVIII, 7) hanno 1' uncino ter- minale più corto e più grosso. Larva della seconda età (Fig. XVIII, 2-4). — La larva della seconda età si distingue da quella della prima per le dimensioni un - 156 - poco maggiori potendo giungere alla lunghezza di mm. 1,60 e alla larghezza di 0,30, per le mandibole a parte apicale più lunga e per il cappuccio posteriore formato dal guscio dell' ovo e dalla spoglia della prima larva. Larva della terza età (Fig. XVIII, 5-6). — Questa è simile alla seconda larva salvo le dimensioni del corpo e delle mandibole maggiori. Kig. XIX. Fnri/rtus i)i/.'rfr(s: 1. larva della quarta età col capimccio posteriore vista di fianco; 2. la stessa liberata dal cappuccio posteriore; :t. capo della stessa visto dal dorso; 4. capo visto dal ventre; 5. parte chitinosa dell» ghiaudola prostigmatica del sosto sesr- uicuto addominale; c>. sezione mediana della stessa ghiandola; 7. ghiandola prostignia- tica mesotoracica (parte cliilìnosa); ». cellule della ghiandola laterale metatoracicn (XP) viste superflciahnente; M. sezione longitudinale della stessa; 10. larva della i|u«rta età col cappuccio posteriore e col sistema tracheale visto per trasparenza. A. guscio dell'ovo, B. spoglia del capo della prima larva, C. spoglia del capo della seconda larva, D. spoglia del capo della terza larva, F. labbro superiore, (ì. mandibole, 11. mascelle del primo paio, I. labbro intcriore. L. dermascheletto di Kiilpraiiium, M'- M«. ghinnilole tergali, N. ghiandole prostigmatichc, S. stigmi. e gli stigmi posteriori portati da due processi subcilindrici sporgenti alquanto dall'estremità dell'addome. Il corpo di questa larva è, eccettuato il capo, circondato in sul principio dalla spoglia della seconda e posteriormente è incapsulato nel cappuccio composto del chorion dell'evo e della spoglia della prima larva, poi, col crescere spinge la spoglia tutta verso la parte posteriore dove forma il terzo involucro (il più interno) del cappuccio respiratorio. Delle due spoglie larviili quella della seconda è sempre assai facilmente visibile, quella della prima si puc'i distinguere con esame molto accurato. - 157 - Lunghezza del corpo mm. 2,60, larghezzza 0,70. Larva della quarta età (1). — La larva della quarta età a completo sviluppo ha una lunghezza totale di mm. 4 compresi i due tubi tra- cheali posteriori ed è larga tra il torace e- 1' addome mm. 1,4. È di forma allungata, affusolata essendo attenuata anteriormente e poste- riormente; presenta distinti il capo e undici segmenti. Il capo è assai piccolo e quasi tutto retrattile nel protorace. Ha contorno subtrapezoidale, labbro superiore fornito di .^ -|- 3 sensilli circolari inferiori ed 1 + 1 superiori, nonché sopra una piccola con- vessità della parte infero-laterale di 2 + 2 sensilli circolari. Mandibole (Fig. XVIII, 10 e XIX, 4) nascoste nella cavità boccale, uncinate, ro- buste; mascelle del primo paio con due sensilli circolari anteriori late- rali e tre posteriori interni disposti in serie longitudinale obliqua, dei quali il mediano è il più grande; labbro inferiore nudo. Torace e addome nudi ; ai lati del terzo segmento toracico e sui primi cinque dell'addome esiste un rialzo a contorno ovale (Fig. XIX, 1-2 M' - M"^), a superfìcie leggermente convessa al quale corrisponde, sotto la cuticola, uno strato di grosse cellule (Fig. XIX, 8-9) a nucleo rotondeggiante avente la cromatina sparsa sotto forma di grossi gra- nuli più 0 meno numerosi; chiamo tali rialzi ghiandole tergali. L'ottavo segmento dell' addome porta alla parte posteriore dorsale due ti'onchi tracheali, che sono lunghi circa un millimetro e terminano al fondo del cappuccio, che è formato alla base dal chorion dell'ovo, nel resto dalle tre spoglie della 1» , 2* e .3* larva, e che avvolge il corpo della quarta larva dal settimo od ottavo segnu-nto addominale in dietro. Il sistema tracheale è metapneustico, ha cioè due tronchi tracheali posteriori che sorpassano l'estremità dell'addome per poco meno di un millimetro e che cominciano con due stigmi situati alla base del cap- puccio immediatamente sotto il dermascheletro in corrispondenza al peduncolo dell'evo che comunica all'esterno col tappo spugnoso, attra- verso il quale per osmosi deve avvenire lo scambio gassoso. I due tronchi tracheali penetrano nel corpo attraverso la parte posteriore dorsale sublaterale dell'ottavo segmento addominale, si diri- gono prima in avanti ed in basso, poi in avanti e giungono fino al primo segmento toracico dove formano un arco anostomotico trasver- sale. Essi sono riuniti da una anastomosi trasversale anche nella parte posteriore dell'addome in corrispondenza al 6" segmento. Nella parte po- steriore del 5" o anteriore del 6° segmento addominale, come alla an teriore del mesotorace, ogni tronco emette una grossa e breve trachea e tra queste due, per ogni segmento, una piccola trachea e numerose sottili trachee come si vede semischematicamente nella figura XIX, 10. Oltre gli stigmi posteriori non ne esistono altri ai lati del corpo. (1) Le larve qui descritte sono tutte Jella prima generazione (aprile). XIII - JiuUell. di Zoüluijia Gen. e AtJr 12 - 158 - Ai lati anteriori del mesotorace e del 6° segmento addominale presso la terminazione della breve e grossa trachea sopra ricordata esiste una ghiandola, composta la anteriore di una diecina di cellule e la posteriore di una trentina che sboccano in una fossa comune (Fig. XIX, f)-?), la quale si apre ai lati di detti segmenti. Le cellule sono disposte in uno strato intorno alla fossa e ciascuna ha una camera efferente larga e più o meno lunga. Quale sia la sostanza elaborata da tali cellule e quale la funzione è da determi- narsi; chiamo tali ghian- dole prostigmatiche. Prepiipa. La Prepüi'A (Fig. XX, l-2)èvisil)ilesotlo la spoglia della quarta larva dopo che ha e- mosso il meconio, che è disposto sotto forma di una diecina di piccole pallottole ai lati poste- riori deir addome. In questo periodo il dorso della spoglia larvale è rinforzato da un sottilissimo strato di sostanza bruna amorfa che è esteso dal protorace al penultimo segmento addominale. Tale sostanza ritengo che sia stata secreta dalle 6 paia di ghiandole tergali che ho descritto per la larva. La lunghezza k di mm. '!-3,G e la larghezza di 1,2-1,4. Pupa. La pupa (Fig. XX, .^) è di forma consueta ma è coperta al dorso, dal protoi'ace alla j)arte posteriore dell'addome, dalla spoglia larvale e dallo strato di sostanza bruna ricordato per la prepupa. Tale strato diventa a poco a poco nero. Lunghezza del corpo mm. 3-3,2 e larghezza 1,3-1, .5. (Quando però in una stessa cocciniglia si sviluppano numerosi esemplari, le dimen- sioni loro possono essere anche notevolmente minori. Distribiizioiu* googratica. h' Encijrtus infidìis si trova in quasi tutta Europa e proba- bilmente ovunque esiste 1' Eulecaniuni cori/li ; ma Imms, che si 1 2 Fijf. XX. S Kncìfi-tus inßdun: 1 .s. -2. lìri'pupa dal dorso Iiupa lini ventre. ■ dal ventre - 159 — occupò recentemente dei parassiti di questa cocciniglia, non lo licorda per l'Inghilterra. In Italia io ho trovato quest' Encyrtus in ogni località nella quale raccolsi VE. coryli. Biografia. A Portici i primi adulti dell' anno fuoriescono da femmine di Eulecanium, che hanno raggiunto da poco l'ultima età, verso la fine di marzo (nel 1918 dal 24 di detto mese) e continuano tino a tutta la prima decade di aprile, mentre a S. Pietro Avellana si ha un ritardo di un paio di mesi. Da una femmina di Eulecanium fuo- riesce in tale epoca un adulto di Encìjrtits praticando attraverso il dermascheletro un foi'o subcircolare del diametro di un millimeti'o 0 poco più. L'Eulecaniuni parassitizzato arriva ad una lunghezza di mm. 3,5-4,5, ad una larghezza di 2,9-3 e ad un'altezza di 2,8-3; si riconosce subito da quelli sani perchè questi nella stessa epoca sono sempre più bassi non arrivando a mm. 2,5 di altezza e sono an(;he un poco più larghi. Gli adulti, che nascono in marzo-aprile, possono cominciare a depositare le uova lo stesso giorno che sono fuoriusciti dal corpo della vittima, avendo già delle uova completamente svi- luppate. Essi si cibano avidamente delle escrezioni anali della stessa cocciniglia, come di altre sostanze zuccherine, e possono rapidamente sviluppare molte uova. Dopo tre giorni dalla fuori- uscita una femmina aveva circa 220 uova. Il massimo di uova osservate in un ovario dopo venti giorni di vita da adulto fu di circa 300 essendosene contate una trentina per ovariolo ed essendo dieci gli ovarioli. L' accoppiamento ha luogo rapidamente appena un maschio è in presenza di una femmina novella. In fine di marzo e primi di aprile le femmine di Encyrtus infidus in presenza di femmine di Eulecanium coryli si avvici- nano subito ad esse, le tastano e, fei'matesi, rapidamente poggiano su di esse 1' apice dell' ovopositoi-e, lo spingono con forza attra- verso il dermascheletro e depositano un ovo. La deposizione del- l'ovo può essci'e ftitta 'attraverso qualunque punto del dorso della cocciniglia. In una femmina di Eulecanium sono depositate in primavera di regola più ova fino a 23 (avendo io almeno ottenuto anche tale numero di adulti da una femmina di Cocciniglia del noc- ciuolo), frequentemente 4-15. — 160 — L' ovo non è deposto libero nella cavità del corpo della cocciniglia, ma attaccato al dermuscheletro per mezzo del breve peduncolo di cui è fornito ed il ])eduncolo è in continuazione con una sorta di piccolo tappo spugnoso che resta sul derma- scheletro a chiudere il foro praticato attraverso diesso(Fig. XVII,1 1). Uova deposte il 29 marzo dettero la prima larva il 4 aprile. La larva neonata non abbandona il guscio dell' ovo, ma fuoriesce da esso solo con poco più della metà antoiiore del corpo, mentre col resto rimane incapsulata nel guscio, il quale a sua volta limane attaccato al dermasclieletro. La larva neonata è metapneustica, ha cioè alla parte posteriore del settimo segmento addominale due stigmi, che aderiscono alla parte dorsale poste- riore del guscio dell' ovo. Siccome il guscio è attaccato al der- mascheletro per mezzo di un breve pedum-olo, che continua allo esterno, e la struttura del tappo del peduncolo è tale da j)erni(>t- tere il passaggio osmotico dell' aria, cosi la laiva respira l'aiia atmosferica attraverso una sorta di trachea formata dal peduncolo delTovo. Il guscio, che circonda la parte posteriore dell'addome a guisa di capsula, può anche chiamarsi cappuccio rcspii-atorio. La larva deli' Encì/r( un ha quattro età e compie quattro mute, coir ultima delle quali si trasforma in pupa. La prima spoglia larvale resta incapsulata nel guscio dell' ovo e le spoglie della seconda e terza larva incapsulate rispettivamente nella prima e nella seconda, formando così un cappuccio respiratorio più lungo e più largo. Di mano in mano che si allunga il cappuccio respi- ratorio, il coipo della larva si allontana dal fondo del cappuccio stesso, ma per restare cogli stigmi a contatto del fondo allunga i lati subposteriori del corpo a guisa di processi subcilindrici con- tenenti i tronchi tracheali esterni, che sono stati più innanzi descritti e figurati (Fig. XVIII e XIX). La larva si ciba di liquido circolante e di elementi liberi nella cavità del corpo della cocciniglia e particolarmente nella ultima età anche di tessuto adiposo in abbondanza e in fine anche di tutti gli altri tessuti, lasciando soltanto il dermasclie- letro nella seconda generazione e nella prima rimasugli di tessuti e di ova più o meno abbondanti. Nell'ultimo periodo della quarta età la larva perde l'aderenza col cappuccio rospi ratoi'io, viene a trovarsi circondata da trachee numerose della cocciniglia, segrega dalle ghiandole laterali ter- gali una sostanza, che ricopre a guisa di sottile strato bruuastro — 161 — gran parte del suo dorso e, circondata anche da tessuti disfatti della vittima, comincia a trasformarsi in prepupa. Compie poi la muta e dà la [uipa. Questa resta circondata dalla spoglia del- l' ultima larva e dalla secrezione ricordata di essa, nonché da trachee della vittima e talora da rimasugli della stessa. Quando, come nella prima generazione, si sviluppano di regola più larve nel corpo di una cocciniglia, ciascuna pupa resta separata dalle altre. Lo sviluppo da ovo a prepupa si ha in una ventina di giorni, a Portici, in Aprile ed in un mese circa lo sviluppo completo fino ad adulto. Ova depositate in serra il 29 marzo dettero la prima larva il 4 aprile, la prepupa il 18, la pupa il 20, 1' adulto il 28. La comparsa degli adulti della prima generazione (che è quella principiante con óva deposte in primavera) ha luogo a Portici dai primi di maggio, giorno 5, alla metà dello stesso mese; a.S. Pietro Avellana dalla metà di giugno ai primi di luglio. Le femmine vengono fuori dalla vittima attraverso fori che per lo più sono tanti quanti gli adulti, talora in numero minore per confluenza di due fra di loro o perchè qualche adulto è passato attraverso il foro praticato da un altro individuo fuoriuscito. Esse vengono fuori dalla vittima con ovarioli già bene sviluppati ed hanno, esaminate in maggio e giugno dopo pochi, 3-7, giorni, numerose ova già complete e pronte per la deposizione. Poste le femmine in maggio con larve neonate di cocciniglia del nocciuolo fissate su foglie di Biancospino dentro tubi di vetro non vidi mai prestare ad esse alcuna attenzione. Il 17 luglio posta una femmina di Encyrtus, fuoriuscita adulta il 30 giugno, in un tubo con una foglia di Biancospino avente numerose larve della 1* età di Eulecanium lunghe mm. 0,90-1 e larghe 0,35-0,40, cominciò a tastare la foglia e poi particolarmente una larva e de- pose in essa un ovo. Poi tornò a tastare la stessa larva e a de- porre un secondo ovo e cosi via fino a deporre in tutto nella stessa larva ben 27 ova! Credo che fu un vero sfogo di depo- sizione, perchè se fosse stata una deposizione normale avrebbe la- sciata quella larva e avrebbe deposto in altre larve che si trova- vano sulla stessa foglia. Io ho esaminato alcune centinaia di larve di Eulecanium coryli raccolte da luglio a tutto novembre presso Portici, Torre del Greco, Nola, Forino (Avellino) ed in nessuna di esse ho osser- vato ova o larve di Encijrlus, mentre ve ne ho viste moltissime — 162 — di Aplujct'.s. Perciò tino a prova contraria sospetto che VEncyrlus infidus delia prima generazione sviluppatosi in femmine di Eule- canium ha un ospite intermedio o aspetta allo stato di adulto fino all' autunno per depori'e le ova nelle larve della seconda età di Enlecanium. Cei'to è che esso può compiere in tale coc- ciniglia due generazioni: la i)rinia in primavera, dalla fine di marzo, in t'emmine adulte di Hnlecaniiim con sviluppo da ovo ad adulto della durata di circa un mese, la seconda in femmine della seconda età di Eulecanium con sviluppo da ovo ad adulto della durata di vari mesi: dall'autunno di un anno al principio della primavera dell'anno seguente. (ili adulti della prima generazione posti in tubi di vetro e nutriti con acqua e miele non vissero mai più di un mese. La larva di Encyrlus iìifìdus della seconda generazione quantunque unica in una cocciniglia, conduce a morte la sua vittima ancora allo stato immaturo, mentre le larve della prima generazione spesso non arrivano ad uccidere la cocciniglia prima che essa abbia deposto tutte le ova. Cosi nel 1919 su 29 femmine di Eulecanium di Portic-i, dalle quali si ottennero E/ìCìjrlHs, 18 non dettero alcun ovo, 6 un piccolo numero di ova (circa un centi- naio) e 4 circa duecento ova. Gli esemplari di Encìjrtus otte- nuti dalle prime 18 furono 2, 5, 4, 5, 5, 3, 4, 2, 5, 1, 14, 15, 23, 5, 6, 8, 4, 1 e fuoriuscirono dal 5 al 15 maggio, quelli delle 6 femmine, che dettero poche ova, furono 4, 7, 6, 4, 8, 6 e com- parvero dal 7 al 13 maggio, quelli delle 4 femmine, che dettero circa 200 uova furono 7, 5, 10, 9 e comparvero dall' 11 al 13 maggio. Da ([uesta ed altre osservazioni risulta che la mancata de- posizione delle ova da parte delle femmine di Eulecanium at- taccate da Encyrtus infidus non è in relazione col numero di larve di Encijrtus, che si trovano in una femmina, né colla sola epoca dell'attacco, ma deve dipendere dallo stato più o meno a- vanzato dello sviluppo della cocciniglia al tempo in cui essa è inquinata dal parassita. Cioè se essa viene parassitizzata quando gli ovari sono ancora arretrati nello sviluppo, le larve àoìVEn- Cjjrtns impediscono del tutto l'ulteriore loro sviluppo, se invece essa viene para.ssitizzata quando una parte delle ova sono già complete o vicine al completo sviluppo, fa in tempo a deporre una piccola quantità di ova prima di essere ucci.sa dalle larve di Encyrlus. Rispetto a questo fatto V Encyrtus si comporta in modo — 163 — simile alle Blastothrix e agli Aphycus, ma uccide una maggiore percentuale di femmine di cocciniglia prima che depongano le uova. La percentuale di femmine di Eulecanitmi uccise da Encyrtiis htfìdus fu di circa il 30 "/o "^1 1918 presso S. Pietro Avellana, dove su 31 femmine di cocciniglia, immature, 9 dettero un Encìjì'tus, e del 20 °/o '^^l 1919 presso Torre del Greco, dove su 96 cocciniglie raccolte in marzo, 18 dettero V Encìp-tus. La percentuale di Eulecanium parassitizzata dalle larve della prima generazione fu quasi nulla nel 1918 presso Portici, mentre nel 1919 fu di circa il 20 °, „ essendo stata di 29 su 143 cocci- niglie raccolte il 4 maggio; fu di oltre il 50 "/„ a S. Pietro Avel- lana dove di 34 femmine di cocciniglie, raccolte il 24 giugno, 16 erano parassitizzate àaXl'Encyrtus. Osservazione. — 'L'Encyrtus infidits era stato già ricordato dal Kavall come ottenuto da Coccus tiliae (3= Eulecanium coryli) e da Cocciniglie viventi su Prunus domestica (KoUar), Rosa (Rheinard), Tilia (v. Heiden), Acer platanoides e Corylus avel- lana (Dalman), cocciniglie che quasi certamente dovevano sempre riferirsi siiV Eulecanium coryli. Fatta eccezione di tale dato precisante la vittima, la biologia dell' Ency>'lus infidus era finora sconosciuta. L'Embleton (1904) si era occupata dell'anatomia e dello svi- luppo dell' Encyrtus (sub Comys) infelix (Embl.) parassita della Saissetia hemisphaerica, ma non vide esattamente la forma e struttura dell'evo, né accertò come esso veniva a trovarsi, dopo la deposizione, nel corpo della vittima ; della larva osservò la forma della parte posteriore dell'addome e del sistema tracheale, ma in quelli che descrive come primi due stadi larvali non vide gli stigmi e neir ultima larva ammise 1' esistenza di due stigmi anteriori e due posteriori. Da quanto si può comprendere dalla incompleta ed errata descrizione dell'Embleton, forma e struttura dell'ovo e della larva dell' Encyrtus infelix devono essere molto simili a quelli dell' Encyrtus infidus. Blastothrix sericea (Daini.) Mayr. Encyrtus sericeus Dalman, Svensk. Vet.-Akad. Handl. XLI. (1820), p. 357; Nees, Ilj-men. Ichneum. affin. Monogr. II. (1834), p. 217; Walker, Ent. Magaz. V. (1837), p. 106; Ratzcburg, Ichneum. d. Forstin- sect. III. (1852), p, 189. - 164 - Encyrtus serkaiix Dalmaii, Svensk. V(>.t-Akad. llaiidl. XLI (1x21)), p. 363; Nees, Hymen. Iclineuiii. affin. Monogr. II (1834), p. 247; Ratze- burg-, Iclincuni. d. Forstinsct-t. III. (1852), p. 193. Encyrtus machaems ^^■alker, Ent. Ma^. IV (18;J7\ p. 4(;(); Idem, Ann. et Mag. nat. Hist. XIV, 1814, p. 185. Microtevyx sericetts Thomson, Ilymeu. Scandin. IV. P. 1. (1875), p. 156. lilaslolhrix sericea Mayr, Verh. zool. bot. Ges. Wien XXV (1875), p. 698, 690 e 700; Walchtl, Wien, entoni. Zcitg. I. (1882), p. 296. Blastothrix bntannica Girault, in Inims, Quart. J. micr. Sci. LXIII (1918), pp. 302-341, Figg. 2-23. Adulto. Femmina (Fig. XXI-XXII). — Corpo tutto verde con riflessi ra- mici sul dorso dell' addome oppure verde al dorso e azzurro verdastro Fig. XXI. Blastothrix serircii: fiMiiniina. al ventre oppure verde scuro con riflessi azzurrastri, tegole alutacee alla base e brune nel resto, antenne collo scapo ed il pedicello neri o nerastri, i primi 4 articoli del funicolo bruni, il 5" e 6" o solo l'apice del 5» e il 6" bruni alutacei o solo alutacei, la clava nerastra, ali ialine con leggera iridescenza azzurrastra e nervature brune; zampe del primo paio bruno col trocantere, il ginocchio, lo sperone della tibia e gran parte del primo articolo tarsale di colore nocciuola pallido oppure col trocantere ed il femore, eccetto la parte preapieale bruna, alutacei. la tibia di colore nocciuola con due lunghi anelli brunastri. Zampe del 3» paio di colore verde scuro coi tarsi bruni-scuri. — 165 — Lunghezza del corpo mm. 2,5, larghezza del torace 0,80, lunghezza delle antenne 0,18, dell'ala anteriore 2,17, larghezza della stessa 1,04; lunghezza dell' ovopositore, che non sporge dall'addome, 0,60. Maschio. — Colore del corpo simile a quello della femmina; le antenne sono ocracee colla parte distale dello scapo, la prossimale del Fig. XXII. Pl'ìstnthrix sericea, femmina: 1. capo visto di fronte; 2. antenna; 3. parte inferiore del capo dai fori aütennali colle mandibole; 1. mascelle del secondo paio e labbro inferiore; 5. parte dell' ala anteriore colle nervature marj^lnale, postmargiuale e stig-matica: .0-7. zampe del secondo e terzo paio dall'apice della tibia; 8. antenna del maschio. pedicello e la distale della clava brune; zampe del primo e secondo paio di colore ocraceo-alutaceo colla base del femore di quelle del primo paio bruna e la tibia di quelle del secondo paio più o meno im- brunita. Antenne lunghe mm. 1,62. Il capo, il pronoto ed il mesonoto fino a tutto lo scutello sono fl- nissimamente fossulati e provvisti di numerose setole, che danno ad essi una lucentezza serica. Per i caratteri del capo, delle antenne, delle appendici boccali, delle ali e delle zampe si veda la figura XXII. — 166 — Ovo. L'ovo ovaiico di Blastothrix sericea (Fig. XXIII, l) ha la forma di un pistillo colla parte anteriore o manubrio alquanto più corto della clava, a collo stretto e base del manubrio un po' allargata, subovale. La clava è subellittica. Tutto l'ovo è rivestito da un chorion che è Fife. XXIII. Blastothrix sericea: 1. ovo ovarico ; 2. ovo appena dt-poBto : 'i. parti* anteriore e parte del peduncolo »lell'ovo «leponiiato; i, parte della piastra aeroscopiea; ó. ovo deposto eoi mart^ine del corpo della coeeiniglia: 6. larva neonata pendente dal derniaselieletro della cocciniglia ; 7. supertìeie interna del dennascheletro della coccinitrlia col jyiiseio di un ovo dopo la schiusura della larva (che nel dise^-no è stata tolta: 8.-9. lar\a della seconda età vista dal ventre e di fianco, liberata dal cap|iuccio codale; lO.-ll. larva della terza età della prima f;enerazione (come le precedentii vista dal ventre e di fianco lilierata rio, come lungo il lato destro del collo e per gran parte della clava (parte posteriore dell'ovo), è invece legger- mente ispessito e finissimamente reticolato o granuloso sulla parte dor- sale e sinistra del collo e per un largo tratto dorsale della clava fino a poca distanza dall'apice posteriore dell'ovo. Lunghezza dell' intero ovo mm. 0,35, di cui 0,18 spettano alla parte posteriore, che è larga mm. 0,08. L'ovo depositato {Vig. XXIII, 2-5) difterisce da quello ovarico: perdio scorrendo tutto l'ooplasma della parte anteriore nella posteriore, il manubrio si accorcia per raggrinzamento della sua base, mentre il collo forma un peduncolo per la parte posteriore dell' ovo. Il pedun- 167 — colo resta in gran parte fuori del dermascheletro della vittima e fun- zionerà anche da tubo traclieale per la larva. Lunghezza dell'ovo depositato ram. 0,30-0,33, dei quali 0,11-0,13 spettano al peduncolo, larghezza della parte posteriore 0,10. Larva. Larva della prima età (Fig. XXIII, G-7j. — Corpo allungato con capo largo e parte posteriore poco più stretta dell' anteriore, com- posto, oltre il capo, di dieci segmenti di- stinti non essendone manifestamente diffe- renziati altri dietro il settimo addominale. Il capo è più lar- go che lungo ed è for- nito di due piccolis- sime mandibole sub- coniche (Fig. XXIV, 5). Segmenti tutti nudi. Apparecchio re- spiratorio fornito di due soli stigmi sub- mediani situati alla parte posteriore dor- sale del corpo, come per il primo osservò rimms (1918). Lunghezza d e 1 corpo mm. 0,33, lar- ghezza 0,10. Larva della se- conda E TERZA ETÀ La larva di queste età è simile a quella della Fig. XXIV. Blaslotlirij- serìcea: 1.-2. larva della c|iiarta età vista da' vi-ntre e di fianco; 3. capo della stessa visto di taceia; 1. lo stesso visto dal ventre; 5. 8. mandibole della larva didla prima, seconda, terza e quarta etA ugualmente ingrandite. A antenne, F sensillo infero suldaterale, G labbro superiore, H mandibole, / mascelle del primo paio, L labbro inferiore. (Fig. XXIII, 8-11). prima, ma acquista mandibole più grandi, uncinate, come si vede nelle figure XXIV, 6-7. Lunghezza della larva della terza età mm. 0,90-1, larghezza 0,44-0,50. Larva della quarta età (1) (Fig. XXIV, 1-4). — La larva in (1) Quella qui descritta «> probabile che sia invece la larva della quiiUa età, ma non avendo ancora o.sservato una sitofrlia larvale tra questa e la terza forma, la indico per ora come di quarta età. Le larve qui descritte sono quelle della prima generazione (aprile). — ir>8 - questo stadio è subfusiforme colla parte posteriore più assottigliata della antiTiorc ed è forniatn del capo e di tredici segmenti ben distinti. Il capo è più largo che lungo, ha due antenne che si presentano come leggerissime convessità situate alla parte sublaterale subposte- riore, fornite di due piccolissimi sensilli circolari : il labbro superiore è fornito di due sensilli submediani (uno per lato) posteriori e tre per lato anteriori. Alla faccia sublaterale inferiore del capo esiste pure un sensillo per lato. Le mandibole sono robuste a parte terminale assottigliata, un poco arcuata e ad apice acuto. Le mascelle del primo paio hanno due sensilli anteriori, dei quali l'intei'no pure più grande; il labbro inferiore non ha sensilli distinti. Il sistema tracheale è fornito di 9 stigmi per lato, dei quali 2 to- racici e 7 addominali; i due tronchi tracheali sono riuniti da una ana- stomosi trasversa anteriore ed una posteriore come nella larva meta- pneustica. Lunghezza del corpo mm. 3, larghezza 1,30. Pupa. La pupa è di forma consueta, di colore prima biancastro, poi bru- nastro ed infine quasi nero. Lunghezza del corpo fino a nini. 2,20, larghezza fino a mm. 1,10. Distribuzione geografica. La Blaslothryx sericea era già nota per la Svezia, Inghil- terra, Germania e Austria; quasi certamente esiste in tutto il re.sto d'Europa. In Italia io l'ho ottenuta da Eiilecanixìit corijìi delle seguenti località: Bolognola (Macerata), Bevagna (Perugia), S. Pietro Avellana (Campobasso), Avellino, Palma Campania (Ca- serta), Portici, Boscoreale, Toi-re del Greco (Napoli"). Biografìa. A Portici i primi esemplari adulti di Blastothrix sericea sono stati da me ottenuti nella prima decade di aprile (dal 3 al 10) da larve maschili e tomininili ibernanti di FAdecunium. Essi si nutrono di sostanze zuccherine e possono accoppiarsi anche appena o poco dopo venuti fuori. Tenuti in tubi si vedono fre- quentemente camminare. 11 maschio accortosi della presenza della femmina, le corre appresso frettolosamente, le gira attorno, le si para innanzi, le tasta le antenne e, se essa accetta la corte e si ferma, le sale sopra rapidamente e porta 1' estremo poste- — 169 - riore dell'addome sotto quello della femmina e cosi resta per qualche secondo. La femmina può fare, mentre è accoppiata, qualche piccolo salto, ma il maschio non si stacca. La deposizione delle ova in aprile ha luogo, in femmine del- l'ultima età di Eiilecaniuìiì, anche dopo due giorni dalla com- parsa dell'adulto. Una Blastotìirìjx trovata una femmina di detta cocciniglia la tasta colle antenne, poi si volta colla parte posteriore del corpo verso di essa fino a porre 1' estremità dell' addome in vicinanza del margine del corpo della cocciniglia, poggia l'ovopositore contro detto margine e lo spinge dentro. In circa un minuto deposita un ovo lasciando il peduncolo di esso all'esterno per una lunghezza di mm 0,09-0,10. Questo peduncolo è facilmente visibile al microscopio quando si esamina una femmina di Eìilecanuon lungo il margine del corpo. L'ovo è deposto isolato, ma per deposizioni successive di una stessa femmina o per quelle di altre, alcune ova possono trovarsi vicine, ma non in gruppetti. Non ho visto Blasiothrix della seconda generazione deporre ova in altre parti del coi'po dell' Eulecanium all'infuori del margine; una femmina punse al- cune volte una cocciniglia lungo i margini dell'incisura anale, ma non vi depose ova, come mi accertai con minuto esame; forse essa solleticò la cocciniglia ad emettere sostanza zuccherina dal- l'ano. Come ho detto, la deposizione dell' ovo dura circa un mi- nuto primo, ma può alle volte protrarsi: una femmina rimase, al- meno in apparente positura di deposizione, per dodici minuti primi. Il numero di ova, che può essere deposto da una o più Blastoüirix in una femmina dell' ultima età di Euleccmiuìtt, è variabile da 1 a 12 almeno, avendo io ottenuto anche quest' ul- timo numero di adulti da una femmina di Eulecanium. La larva neonata rimane incapsulata colla parte posteriore del corpo nel guscio dell'ovo, che a sua volta resta attaccato al dermascheletro col peduncolo, che funziona da tubo tracheale in comunicazione cogli stigmi posteriori della larva; la parte dorsale del guscio rimane in seguito aderente alla superfìcie inferiore del dermascheletro della vittima. La larva si ciba nella prima età di liquido circolante e di elementi liberi del corpo della cocciniglia, in seguito anche di tessuti. - 170 — Non ho sefifuito con abbondante materiale lo sviluppo della larva della Hlastothì-ix, ma è probabile che essa abbia 5 età; di queste io ne ho accertate quattro. Nella quarta età la larva della Blastotlu-ix si libera del capiniccio respiratorio cedale che è breve, diventa peripncustica e rimane libera nel corpo della coc- ciniglia, circondata però da numerose trachee della vittima e da tessuti diversi di essa. Specialmente nell'ultima età la larva della lilastotlirix si nutre anche di tessuti della cocciniglia. Le larve arrivate a completo sviluppo restano l'una separata dall'altra circondate da trachee e rimasugli di tessuti della vit- tima e dall' ultima loro spoglia in una sorta di bozzolo ovale, in cui si trasformano in pupa. Le femmine della cocciniglia attaccate dalle Blastofhrix con- tinuano il loro sviluppo e due terzi di esse almeno possono morire prima di avere deposto ova, un terzo o più possono ar- rivare a deporre ova (Fig. XXV) nonostante il numero di parassiti che hanno nel corpo. Questo fatto è in rapporto coli' epoca in cui avviene 1' attacco del parassita rispetto allo stato di sviluppo della cocciniglia, come ho detto per r Encijrtiis inßdiis. Quando la cocciniglia parassitizzata arriva a deporre ova, queste non sono mai tante quante quelle delle femmine normali, ma ridotte di numero notevolmente : spe.sso a trecento o meno. Le femmine di Eulecanium parassitizzate non si riconoscono per caratteri esterni da quelle sane. Il Nowstead descrisse fem- mine diver.se dalle normali per il corpo con due sporgenze va- riamente colorite, a parer suo a causa della presenza nel loro interno di larve di Blastolhrix, ma io credo che tali variazioni siano indipendenti dal parassita e la loro presenza insieme a larve di Blas/ofìirùi sia stata affatto accidentale in qualche caso. Lo sviluppo intero della Blastothrix da ovo ad adulto in Aprile-Maggio a Portici richiede (piasi un mese: da ova deposte Fìr. XXV. Sopra ; rametto con una tVniininjx di KuUca- nium cori/ìi sana clii-' ha deposto \r ova, spac- cata per metà. Sotto: un'altra femmina, che ha pure ileposto le ova e purnssitiz/ata dalla IHnalothn.r^ di l'Ili si \v\W sotto il liorso unii pupa. — Iti - V8 aprile si avevano larve vicino a trasformarsi in pupa il 27 aprile ed il 5 maggio gli adulti. A Portici è durante quasi tutto il mese di maggio (6-24) e meno frequentemente in giugno che si ottengono adulti di Bla- stothì-ix della prima generazione, mentre a ö. Pietro Avellana dalla seconda metà di giugno in poi. Da una femmina di cocciniglia possono venir fuori da 1 a 12 esemplari di Blastolhì-ix (secondo Imms fino a 42) e quando sono più di un esemplare possono essere tutti di un sesso o di ambedue i sessi in proporzione variabile. Gli adulti fuoriescono attraverso fori circolari praticati sul dorso della cocciniglia, fori che sono perlopiù uno per adulto; alle volte in numero minore. Le femmine della prima generazione, anche dopo di essere state nutrite e fecondate, poste in giugno e luglio in tubi di vetro con larve fissate di Enlecaniutn non furono da me viste prestare ad esse alcuna attenzione; così si comportarono il 2 giugno an- che esemplari di Portici nati il 13 maggio, il 7 luglio esemplari di Avellino nati il 5 giugno e lo stesso giorno esemplari di S. Pietro Avellana nati il 16 giugno. Tanto il 2 giugno che il 7 luglio esaminata una femmina per località fu trovata con ovarioli molto arretrati nello sviluppo. In seguito a tale risultato negativo tenni le Blastothrix, di- venute adulte in giugno, in tubi di vetro e le nutrii con miele ed acqua. I maschi morirono tutti entro luglio, le femmine vis- sero a lungo, e cioè quelle ottenute a Portici dal 5 al 7 giugno morirono (le ultime) dal 30 al 31 ottobre, quelle ottenute da esem- plari di S. Pietro Avellana il 28 giugno morirono (sempre le ul- time) il 18 novembi'e, quelle ottenute da Eulecanium di Avellino il 18 giugno morirono il 5 dicembre, eccettuata una femmina che il 6 era ancora viva e vispa e fu uccisa in tale giorno per esa- minarne gli ovari. Ogni mese, da giugno a dicembre finché ne ebbi vive, io sacrificai una femmina per ogni località e sempre trovai i loro ovarioli in uno stato di sviluppo molto arretrato. Posi anche ogni mese lai've di Eulecaniìon in tubi colle femmine di Bla- stothrix e non vidi mai queste prestare qualche attenzione a quelle. - 172 — Secondo queste mie osservazioni le blastolhrix adulte della prima generazione (1) vivono a lungo e acquistano la maturità, sessuale molto tardi, (in realtà in tubi di vetro non la acquista- i"ono nemmeno dopo quasi 6 mesi per qualche causa da deter- minarsi con altri esperimenti): in libertà io trovai larve di Eu- lecaniioiì della 2' età con prima larva di Blastothrix dal 9 no vembre in poi. L'Imms riferisce che in Inghilterra vide deporre ova dalla fine di luglio al settembre e che osservò ova non schiuse fino al 7 novembre. Spero che egli, od altri nella stessa re- gione, vorrà fare osservazioni per accertare esattamente quanto tempo dopo la loro comparsa le Blastolhrix della prima gene- razione acquistano la maturità sessuale. L'ovo nella larva della seconda età si trova depositato al dorso lontano dal margine mm. 0,02-0,06 e col peduncolo rivolto in fuori. Le larve di questa generazione, che è la seconda dell'anno, completano il loro sviluppo in febbraio-marzo dell'anno seguente e danno gli adulti a Portici, come ho detto innanzi, a cominciare dalla prima decade di aprile Le larve maschili e femminili ibernanti di Eulecanùrm pa- rassitizzati dalle Blastothrix arrivano ad una lunghezza di mm. 1,95-2,60, ad una lai'ghezza di 1,20-1,30 e ad un'altezza di 0,90, sono convesse al dorso ed hanno un colore baio. Da ogni cocciniglia esce nella detta epoca una Blastothrix, che apre un foro alla parte dorsale posteriore della cocciniglia stessa, che è ridotta al solo dermascheletro. Questa Blastothrix è forse un parassita speciale dell' Eiile- canium coryli, perchè le cocciniglie che il Mayr cita come ospiti di tale specie sono probabilmente da riportarsi sempre allo stesso EulecaniuìH trattando.si di cocciniglie viventi su Tilia, Pruìius domestica. Aesculus hippocasfanum, Acer platanoides, Corylus colorna, Carpinus betulus; anch'io finoi'a l'ho ottenuta solo dal- VEulecanium cori/ìi quantunque abbia tenuto in osservazione vari! altri Lecanini. Quanto alla percentuale di Eulecanium parassitizzati dalla Blnstotlu-ix ho trovato una grande variabilitii; l'ho osservata fi nora assai bassa nella seconda generazione per le larve della (1) Io chiamo prima «renorazione (jiiella che comincia colle ova deposte in aprile. — 173 - 2* età e fino al 60 7o P^i" l^ femmine dell' ultimca età, come si vede a pag. 132 nel prospetto C dei parassiti ottenuti da femmine di Eulecanium raccolte su Prunus a Portici il 13 maggio 1918. Nel considerare la percentuale di Eulecanium parassitizzati dalla Blastotlirix bisogna tener presente che mentre le larve della 2" età vengono uccise dal parassita in tale stato e perciò sono tanti individui totalmente eliniinati, le femmine ovigere in numero di circa la metà (in media) arrivano a deporre (pure in media approssimativa) circa cinquecento ova; perciò la Blasto- thrix, come VEncyrtus e VApliyciis ed altri Calcididi parassiti di cocciniglie, è considerata per sé stessa un parassita perfetto, perchè per la conservazione della specie è utile per essa non uccidere la cocciniglia prima della deposizione delle ova, ma considerata dal punto di vista dell'entomologia agraria è un pa- rassita di efficacia parziale lasciando riprodurre in certo numero l'insetto dannoso. La Blastothrix sericea va soggetta agli attacchi del Pachy- neuron coccoriim (L.). Aphycus punctipes (Dalm.) Mayr. Encyrtus punctipes Dalman, Svensk. Vet.-Akad. Handl. XLI. (1820), p. 30, et p. 370; Dalman, Svensk. Vet.-Akad. Handl. XLI (1820), T. 8, F. 60; Nees, Hymen. Ichneuiii. affin. Monogr. II (1834), p. 201 n. 1; Wal- ker, Entom. Mag-az. V (1837), p. 108 Stephens, lllnstr. Biit. Entora. Snppl. 1846, p. 0 T. 46, E. 4; Ratzeburg, lehneum. d. Eorstinsect. II (1848), p. 146 T. 36, F. 14; Ratzeburg, Ichneum. d. Forstin.sect. Ili (1852), p. 189 Vollenhoven, Pinacogr. P. 8. (1879), p. 55, T. 35, F. 7. Aphycus punctipes Mayy, Verh. zool. bot. Ges. Wien. XXV (1875) p. 696 et 697. Aphycus melanostomatus Tiniberlake, Pr. U. S. Nat. Mus. L (1916), pp. 608- 610, figg IS et 53; Imms, Quart. J. micr. Sci. LXIII (1918), pp. 341-362, figg. 25-34. Aphycus Mayri Timberlake, Pr. S. U. Nat. Mus. L (1916), pp. 614-615, fig. 17. Adulto. Femmina (Fig. XXVI-XXVII). — Capo, eccetto l'occipite ed 11 mar- gine inferiore attorno all;i bocca che sono neri, di colore fulvo o isabellino (più pallido sulla faccia), pronoto di colore grigiastro o nocciuola con una grande macclua mediana anteriore ed una piccola laterale nere, iiiesonoto isabellino-fulvo spesso più o meno imbrunito, metanolo, propodeo e dorso dell'addome, eccettuati i margini laterali e posteriori, che sono come Xlll - BuUell . di Zuoìuyia Gen. e Agr 12 A 174 - il ventre, bruno-nerastri, tegole di colore nocciuola macchiate di bruno alla parte laterale posteriore, parte ventrale del corpo di colore i^ngio pallido: antenne collo scapo ^eccetto la sua parte dorsalc\ la metà prossimale del pedicello, f^li articoli 1-2 del funicolo, la metà interi. )re Fiff. XXVI. Aphycìis punctipes : femmina. del quarto e la clava neri, il resto bianco o biancastro, oppure gli articoli 1-3 del funicolo bruni e gli articoli 4-6 biancastri; ali ialine aUiuanto iridescenti e a nervature brunastre; zampe bianco-grigiastre colle tibie aventi tre piccoli anelli incompleti neri, i tarsi giallastri, i pretarsi bruni. Variazioni. — In una stessa località e in qualche caso anche da uno stesso esemplare di cocciniglia (come a Portici e a S. Pietro Avel- lana) oltre a femmine aventi il colore sopra notato, si possono trovare femmine di quest' A phycus in numero più o meno grande, che hanno il dorso del torace di colore isabellino o isahellino-pallido, il capo e le iiampe immacolate, le antenne cogli articoli 1-:^ del funicolo bruni. Tra gli individui die hanno colorazione tipica e quelli che si possono dire immacolati o di fornm isabellina si trovano anche individui in- tertiiedi, specialmente per il colore del margine del clipeo. La lunghezza maggiore del corpo delle femmine da me esaminate è stata di mm. 1,1)0, con una larghezza del torace di mm. 0,55: lun- ghezza delle antenne 0,80; luiiglu'zza delle ali anteriori 1,4G: larghez- za delle stesse 0,65; lunghezza dell' ovopositore, che non sporge dal- l'addome, 0,32. Maschio. — (Questo 6 sempre ahiuanto più piccolo dulia femmina ed ha la parte superiore del capo bruno-nerastra; il torace, eccetto il — 175 - margine posteriore del prenoto che è fulvo pallido, e l'addome neri o nerastri; antenne colla parte inferiore dello scapo e gran parte del pe- dicello fulve, nel resto brune; zampe di colore nocciuola macchiate di nero similmente a quelle della femmina. Per la forma del capo, delle antenne, delle mandibole, delle altre parti della bocca, delle ali e delle zampe si veda la figura XXVII. Fig-. XXVII. Aphì/cits pitnrtjpes, femiiiiua: 1. capo visto di fronte; 2. antenna; ;^. jiarte inferiore «tei capo (lai foi-i antennali colle inantlibolc; 4. mascelle del primo iiaio e labbro inferiore: 5. ala anteriore; (!. parte della stessa colla postinarginale e stì^'niatica; 7.-8. zampe del secondo e terzo paio dairajiice della tibia; 1). .antenna del maschio. Quanto allo sento del mesonoto fo notare che esso è fornito di accenno di solchi parapsidali, che sono però più corti e meno distinti di quelli rappresentati dal Mercet per l'^l. zebrafus. Oxsernazione sul genere Aphprus Mayr. — Il genere Aphijcus fu foudiito dal Mayr ascrivendo ad esso le specie A. apical/s (Daini.), A. hcderaceus (Westw.), A. punctipes (Daini.). Egli non indicò la specie tipica del genere, ma l'Ashniead (1) seguendo la regola racctomandata in tali casi, assunse pei- tipo la specie A. apicaNs, che è la prima nella tavola sinottica e nell' elenco delle specie dato dal Mayr. 11 Timberlake (2) segui l'Ashniead; (1) Mem. Carnegie Mus. I (1908), p. 302. (2) Pr. U. S. Nat. Museum L. (1916) p. 587, — 176 — il Mercet (1) caratterizzò il genere Aphijciis senza indicare la specie tipica, lo divise in due sottogeneri e descrisse 1' A. Iiede- raceiis e tre specie da lui fondate. Io stesso descrissi (2) una specie di Aphycus {A. praecidens) e notai che i palpi mascellari e labiali erano biarticolati, come avevo osservato anche nell' Aphyr.us philippiae Masi. Il Mercet nella descrizione del genere Aphì/cus dette per esso anche tale carattere dei palpi mascellari e labiali biarticolati senza averli esaminati tali in tutte le specie; infatti il suo Aphycua {Metaphy- ciis) zebratus, il cui tipo io ho potuto esaminare per somma gen- tilezza dell' Autore, li ha come l'^l. punclipes (Dalm.). (3) Né il Mayr, né l'Ashmead, nò il Timberlake tennero conto di tale ca- rattere. Da mie osservazioni risulta che nel genere Aphyais i palpi mascellari possono essere foi-niati di due o di tre o di quattro articoli e i palpi labiali di due o di tre articoli. Resta a fissarsi coir esame di numerosi esemplari se anche negli individui di una specie il nurhero degli articoli dei palpi può variare. Ovo. L'ovo ovarico (Fig. XXVIII, 1-2) di A phycus punctipes k sim'üe per l'orma a quello di Blastothrix sericea, ma è alquanto più piccolo misu- rando mui. 0,28 in lunghezza, di cui mm. 0,13 spettano alla parte po- steriore, che è larga mm. 0,80. L'ovo depositato (Fig. XXVIII, 3-4) ha la parte, che era anteriore, svuotata e raggrinzita, e il collo come peduncolo della parte posteriore. Tutto l'ovo deposto col peduncolo arriva ad uua lunghezza di mm. 0,23 e ad una larghezza di 0,090. Osservazione. — L'ovo deposto di questo Aphycus si distin- gue da quello di Bìas/n(lirix per le dimensioni di regola minori, per il peduncolo sempr(j più breve, per la posizione sulla super- ficie del corpo della vittima e per la disposizione a gruppetti nella prima generazione. (1) Boll. Soc. esp. Hist. nat. XVII (lülT), p. 128. (2) Boll. Lab. Zool. Se. Agr. Portici IX (1915), p. 235. (3) È opportuno qui notare per non far nascere dubbio sull'esatta deter- minazione, che jrl' csenqilari da ine riferiti airi4. ;)«Mc/?pe.s- (Dalm.) sono stati confrontati con lineili cosi determinati che ebbi dal Mayr stesso. — 177 Liii'Vii Larva della prima età (Fig. XXVIII, 6-8 e XXIX, 1). — Allun- gata subellittica con capo largo (luanto il protorace e fornito di due piccolissime mandibole subconiche. Torace con segmenti gradatamente poco più larghi del capo e addome con sette segmenti distinti, l'ultimo dei qitali rivolto in alto contro la parete dorsale reticolata del chorion, che rimane come brevissima cop- pa alla parte poste- riore del corpo. Apparecchio re-, spiratorio apneusti- co, cioè sfornito di stigmi , ma avente trachee simili a quel- le della prima larva di Blastothrix. Lunghezza del corpo mm. 0,30, lar- ghezza 0,10. La larva della prima età della se- conda generazione (autunno) è lunga solo mm. 0,10 e lar- ga 0,09, Larva della se- conda etA (Fig. XXIX, 2 e XXX, 1-2). — La larva della seconda età ha XXVIII. Aphycus punctipes : 1. ovo ovarico completamente sviluppato; 2. parte reticolata del peiluucolo e piastra aeroscopica dello stesso; 3. ovo deposto pendeute dal derniasclieletro; 4. ovo deposto liberato dal derinascheletro; 5. larva della prima età di Eitìecnnlum con un ovo di Apìiyctts; 6. larva della prima jrenerazioue (aprile) appena sg'usciata dall'ovo e pendente col g^uscio deiro\'o dal der- maschelelro; 7. quattro larve della seconda età della prima gene- razione pendenti dal dermascheletro, visto dalla parte esterna; M. tre delle stesse larve col dermascheletro visto dalla parte interna. .1 parte anteriore dell' ovo, li collo o peduncolo, U parte poste- riore dell'ovo, E piastra aeroscopica della stessa, O guscio del- l'ovo, N dermascheletro della coceinif;Iia. il corpo piriforme, colla parte più allargata corrispondente alla parte posteriore, e compo- sto di capo e dieci segmenti distinti. Il capo è largo quanto la parte anteriore del protorace ed è più largo che lungo e fornito di mandibole ;i parte terminale assottigliata, curvata ed apice acuto. Apparecchio respiratorio apneustico come nella prima larva. Lunghezza del corpo della seconda larva della prima generazione 0,40, larghezza 0,25; lunghezza del corpo della seconda larva della se- conda generazione mm. 0,16, larghezza 0,13. — 178 - Larva della terza età (Fig. XXIX, 4). — Simile a quella della seconda ctA ma colla parte |insteriorc dell'addome avente altri due seg- menti distinti. Capo coi sensilli clic si vedono nella figura XXIX, 6. KiR. XXIX. Aji/ii/fiis puiiclipex: i. larva ilclla prima età della seconda senerazione (oltobrp'i; 2. man- dibola della stessa; ;i. larva della seconda età della seconda generazione: 4. mandibola della stessa : :>. larva della terza età della seconda generazione (dicembreì, un poco (li-pressa dorso-ventralmeute ; ti. capo supino della stessa; 7. capo di altra larva della terza età colla regione ventrale intorno alla bocca abiuanto deformata; 8. mandibola della larva della terza età. F scnsillo infero-sublaterale, G labbro superiore, // mamlihola, / mascelle del primo p;iio, L labbro inferiore. Per chi sì occuperà in seguito della morfologia di queste e di altre larve di Imenotteri parassiti desidero notare che spesso accade di ve- dere al microscopio la parte anteriore ventrale del capo più o meno deformata per contrazione, come si vede nella figura XXIX, 6. Lunghezza del corpo della terza larva della prima generazione mm. 1,17, larghezza 0,58; lunghezza del corpo della larva della stessa etfi della seconda generazione mm. 0,40, larghezza 0,18. Larva della quarta età (l) (Fig. XXX, 5-8). — Nel passaggio dalla terza alla quarta larva si differenziano completamente i tre ultimi (1) Vale per (questo stadio quanto ho detto per lo stesso della BlasMhrix sericea. 179 — segmenti dell' addome ed il corpo diventa a contorno subovale colla ]jarto posteriore un poco più assottigliata della anteriore. Il capo è più largo che lungo, è fornito sul labbro superiore di due seiisilli siibmediani posteriori (uno per lato) e di tre sensilli laterali per lato, ha pure un sensillo infero-sublaterale per lato. Le mandibole sono bene sviluppate ed hanno la parte terminale un poco arcuata; le ma- scelle del primo paio hanno due sensilli anteriori, dei quali r interno è più gran- de, e tre sensilli po- steriori, dei quali pu- re r interno è più grande. Il sistema tra- cheale è fornito di nove paia di stigmi e di tronchi tracheali come nella Blasto- thrix. Lunghezza d e 1 corpo fino a mm. 2, larghezza 1. Fig. XXX. Aphycus punctipes : 1. larva del!:i seconda età della prima j^ene- razioue faprile) pendente dal dermascheletro della cocciniglia; 2. la stessa liberata dal derniasclieletro della vittima: 3.-4. larva della quarta età vista dal ventre e ili fianco; 5. capo della stessa supino; r>.-9. mandibole della larva della prima, seconda, terza e «luarta età ugualmente int^randite. Lettere come nelle figure XXVIII e XXIX. Osseì'vasione.- La larva di questo Aphycus fino alla terza età si distin- gue da quella di Blastothrix per il corpo obpiriforme e dalla quarta età per le dimensioni minori e per il sensillo interno anteriore del labbro superiore un poco più avvicinato al subraediano posteriore. Pupa. Di forma consueta, di colore gradatamente passante dal bianco al bruno-nerastro. Lunga fino a mm. 1,30 e larga 0,8. Distribuzione ideografica. h' Aphycus punctipes, se è accettata la sinonimia da me am- messa, ha la stessa distribuzione della Hìas/othri.v sfì'icea, cioè tutta Europa. In Italia io l'ho raccolto presso S. Pietro Avellana (Campobasso;, Piedimonte d' Alile, Caiazzo, Nola e Palma Cam- — 180 — pania (Caserta), Portici, Torre del Greco e Boscoreale (Napoli), Forino e Avellino. l]io!;ratiii. Io ho ottenuto i primi adulti della seconda generazione di Apluii-as piinctipes, a Portici, il 2.S marzo da larve ibernanti di lùtlecaìiiuìiì e gii ultimi 1*8 aprile. Le cocciniglie ibernanti parassitizzate da questo Aphycus airi vano ad una lunghezza di mm. 1,90-2,10, ad una laighezza di 1-1,15 e ad un'altezza di 0,86; hanno un colore baio ed una super- ficie convessa. Da ogni cocciniglia, che è ridotta al solo dermascheletro, fuoriesce un Aplìj/cus che ai)re un foro rotondeggiante alla parte dorsale posteriore della vittima. Gli adulti si cibano di sostanze zuccherine e sono molto agili, attivissimi, irrequieti. I maschi che hanno visto una fem- mina la rincorrono e salendole sopra si accoppiano rapidamente con essa, se non sono rifiutati. Le femmine comparse in marzo - aprile possono cominciare a depositare le ova dopo uno o pochi giorni. Due di esse nate il 28 marzo furono poste il 4 aprile cou femmine dell'ultima età di Eulecanium; appena si accorsero delle cocciniglie passando vicino ad esse, salirono sul loro dorso, le tastarono rapidamente colle antenne e fermatesi puntarono l'ovopositore sul dermasche- letro e lo introdussero nel corpo, poi lo estrassero e tornarono a conficcaiio vicinissimo al primo punto foiato e cosi fecero una per 15 e 1' altra per 20 minuti primi. Esaminata al microscopio la superficie del dermascheletro forato dai parassiti, si vedono sporgere alcuni brevissimi e stretti tubicini, fra di loro poco discosti, che sono nient' altro che la parte esterna del peduncolo dell' ovo, che è deposto nel corpo della cocciniglia, ma attaccato al dermascheletro ed in comuni- cazione coU' esterno per mezzo del peduncolo a suo luogo de- scritto. L'Imms (1918) credette che 1' ovo deir,ljo////c'»s fosse de- posto libero nel corpo della cocciniglia; ma cadde in errore. Le ova aeWApliycus per la prima generazione, nelle fem- mine dell'ultima età di Eulecanium, sono dunque deposte le une vicino alle altre in numero di 4-7 e alle volte fino a 12, pen- denti dal d(M'mascheletro corno quelle äcW'Encip'fui^ iiìfìdns. Esse possono essere deposte su ([u.-iluiuiuo parte della superficie dor- — 181 — sale della cocciniglia, ma non lungo il margine, che è zona ri- servata invece alla Blastothrix. Il numero di ova che può essere deposto in una femmina dell'ultima età di Eulecannim è variabile da 1 a 69, essendo al- meno cosi alto il numero di adulti che da una femmina di Eu- lecaniìim ho visto fuoriuscire. I gruppi di ova sparsi per il dorso non comprendono mai, per quanto finora ho visto, più di 12 ova, perciò varii gruppi di ova, quasi certamente deposti da femmine diverse, si possono trovare nelle femmine di una cocciniglia. Le larve neonate non cadono nella cavità del corpo, ma re- stano attaccate al dermascheletro per mezzo del guscio dell'ovo che forma come una breve capsula alla parte posteriore del loro corpo, guscio che a sua volta è attaccato per mezzo del pedun- colo, il quale essendo in parte sporgente ed essendo, per la sua struttura, aeroscopico funziona pure da tubo tracheale, quantun- que la larva sia sfornita di stigmi, diversamente da quanto si è visto per VEncyrtns e per la Blastothrix. La larva si ciba nella prima età di liquido circolante e di elementi liberi, in seguito anche di tessuti varii e nell'ultima età rimane circondata da spoglie larvali, da trachee e rimasugli di tessuti della cocciniglia, la quale o è condotta a morte prima che arrivi a depositare ova oppure arriva a deporre parte delle ova: circa duecento in media. Le larve à^W Aphycus colle spoglie larvali, le trachee e ri- masugli di altri tessuti della cocciniglia vengono a trovarsi fra di loro separate come da una sorta di bozzolo a parete sottile di consistenza cartacea, entro cui si trasformano in pupa. Da ova deposte il 9 aprile si avevano pupe il 27 dello stesso mese e gli adulti il b maggio, cioè in poco meno di un mese, a Portici, si può compiere l'intero sviluppo da ovo ad adulto degli Aphycus della prima generazione. Gli adulti fuoriescono dal corpo della cocciniglia praticando al dorso di esso un foro di circa mezzo millimetro di diametro e quando sono pochi individui, i fori sono uno per ciascuno; quando invece sono numerosi, i fori sono in numero minore, perchè alcuni esemplari vengono fuori attraverso fori praticati da altri o perchè due fori contigui, per rottura della parete di- visoria, si fondono, cosi che mentre il numero massimo di indi- vidui fuoriusciti da una cocciniglia da me osservato fu di 69, quello dei fori fu di 31. — 182 — Gli adulti di questa generazione a Portici possono comparire dal 26 aprile al 21 maggio, secondo le osservazioni da me fatte finora. Essi sono molto attivi e irrequieti cosi che posti in tubi e anche ben nutriti vivono pochi giorni: al massimo una diecina. Posti con foglie di nocciuolo aventi larve fissate di Eulcca- ninìii coi-jjli, appena si accorgono della presenza delle coccini- glie, le tastano coll'apiee delle antenne vibrate rapidamente dal- l'alto in basso per qualche secondo, poi camminano innanzi fino a collocarsi coli' addome sopra il corpo della larva e con svel- tezza introducono l'ovopositore nel corpo di essa e restano fermi per circa 40 - 60 secondi e poi passano oltre in cerca di altra larva; alle volte invece si volgono col capo alla larva, la tastano e se ne allontanano. Una volta ho visto una femmina di Aphycus per tre volte pungere una larva coU'ovopositore e per tre volte tornare col capo su di essa e sti'ingerne il dorso in corrispon- denza alla puntura, sembra certo per succhiarne gli umori che cosi fuoriuscivano dal foro dell'ovopositore. Gli Aphìjcus, una volta che hanno trovato una foglia con molte larve di Eitlecanhnn, non se ne allontanano facilmente, io ne ho lasciati esemplari all' aperto sul tavolo e anche dopo tre ore, alle volte, ho visto esemplari dedicati a depositare ova. La deposizione dell'evo da parte di un Apliiicus in una larva avviene una volta ed è limitata ad un ovo, ma in cattività, quando si lasciano alcuni esemplari di AphycHs con una foglia, si pos- sono trovare larve di Eulecaniuiii con due e in qualche caso an- che con tre ova. Anche in aperta campagna ho trovato in autunno larve di Eulecanium con più di una larva di Aphycus: una anche con 8 larve di esso. La posizione dell' ovo dell' Apliycus nella larva è variabile, ma perlopiù (Fig. XXVIII, 5) nei due terzi posteriori del corpo e più 0 meno distante dal suo margine, qualche rarissima volta anche sul margine stesso. L' ovo sporge dalla superficie dorsale col peduncolo per la lunghezza di mm. 0,052. Io non ho visto durante l'estate larve di 1' o 2* età di Eu- lecaniìon citri/li con larve di Aplii/cxs pu)ictipes\ ne ho invece cominciato a vedere numerose della prima età dall' ottobre al dicembre, della seconda età dal novembre e della terza età dal 10 dicembre. — 183 — Trovai in fine settembre presso Avellino larve di Pnlvi- nai-ia ritis su uocciuolo lunghe mm. 2,15, larghe 1,35 ed alte 0,90 con larve adulte e pupe di questo Aphycus e ottenni adulti dal 6 ottobre. Io sospetto (perciò è da accertarsi con osservazioni) che VApìiyciis puìictipes dal maggio all'autunno, all'apoca cioè in cui può trovare larve di Eìdeeanhnìi coryli grandette, si sviluppi in cocciniglie di altre specie come Spliaeroìecaniuiiì pfnnastri, Eu- lecanium coìnii, Pulvinaria vitis e che dall'ottobre in poi torni particolarmente a\V Eulecanium coryli, dal quale, come ho detto, in fine di marzo, si sviluppano gli adulti che daranno la prima generazione primaverile. Questa specie di Aphycus, oltre che àeW Eulecanium coryli, era già nota come parassita di Puloinaria vitis, di Lecaniam corìii e cocciniglie indeterminate viventi su Prunus, Rosa, Po- pulus, che probabilmente erano sempre delie tre specie sopra ricordate e quella sul Prunus poteva essere anche lo Sphae>-o- lecanium prunastri. La percentuale di giovani Eulecanium uccisi da quest'.4p/?//- cus colla generazione autunno-invernale fu da me trovata assai variabile da un minimo di circa il 4 "/(, a circa il 45 V» come si vede nel seguente specchietto: — 184 — 9 Numero delle larve LOCALITÀ DATA Ss naraäsitizzalc (la 1 ~ V = r. K „ OSSERVAZIONI della r u e e (> It a (Italia raccolta £ = = = A* < 1 s Nola 20 ottob. 22 0 0 0 Aphycus allo stato di ovo e eli prima larva. Portici .... 21 nov. 107 37 0 0 Aphjicus allo .stato di pri- ma larva e in una coc- cinij^lia di seconda lar- va. Delle 37 larve para- .sitizzate (quattro conte- nevano 2 larve di Aphy- cus e tre 3 larve. Nola 25 nov. 106 11 0 0 Aphycus allo stato di pri- ma larva e in due coc- cinifjlie in numero di due larve. Torre del Greco 4diceni. 86 38 2 0 Aphycus allo stato di 1* e 2' larva e in una coc- l'inigflia in numero di 8, in una in numero di 7, in tre in numero di 2 e nelle altre in numero di una larva. Piedimontcd'Alife 5dicem. 87 27 0 0 Aphycus allo stato di 1' e 2* larva. Forino 9dicem. fil i7 0 0 Aphycus allo stato di 1* e 2' larva e in una coc- cinig'lia in numero di cinque larve. Torro del Greco . lOdiccni. .34 15 0 0 Aphycus allo stato di 2» larva e in tre coceini- glie lunghe mm. l,ü() e arglie 1,05 di 3' larva. Palina Campania. 22 febbr. 42 ■2 1 9 Torre del Greco . 24 febbr. 27 1 2 1 Portici 2 marzo :ti 2 2 0 - 185 - La percentuale delle femmine di Eulecanìum parassitizzate in primavera fu assai variabile da località a località e da anno ad anno (si vedano i prospetti dopo pag. 190) e sorpassò il 50 "/o a Portici nel 1918 per esemplari raccolti su Crafaegus, mentre fu del 10 7o pure a Portici per esemplari raccolti su Prunus. 11 valore di questa specie nel combattere l' Eulecanìum coryli è simile a quello della Blastothrix tanto per il comportamento delle sue larve verso le larve ibernanti quanto per quello verso le femmine della cocciniglia vittima. Pachyneuron coccorum (L.) Questo Imenottero è stato da me osservato parassita ectofago di larve di Blastothrix e di Aphycus. Per la descrizione e i costumi rimando al mio lavoro sullo Sphaerolecanium prunastr-i (1919). Aphycus philippiae Masi. Boll. Lab. Zool. Se. Ag-r. Portici (III) 1908, pp. 100-103, Fig. 8. Femmina (Fig. XXXI) — Corpo giallo ocraceo colla parte superiore dell'occipite, una fascia trasversale sul pi'onoto, la parte terminale delle Fig. XXXI. Aplìt/cus Philippine, femmina: 1. capo vistu di faccia; 2. antenna; 3. parte inferiore del capo visto di fuceìa colle in:indihole; I. mandibola; .^. ala; t^. parte dell'ala colla parte terminale delle nervature; 7. antenna di maschio. tegole, metanoto e propodeo foschi, tubercolo sotifero dell' 8° seg. e se- tole addominali nerastri; antenne di colore bianco isabellino con una — 186 — larga macchia trasversale submediana sullo scapo e una piccola alla parte superiore del pedicello nerastro, primi 4 articoli del funicolo bruni, clava col primo e i)artc del secondo articolo nerastro, il sesto bruno; ali ialine; zampe isabelline. Corpo lungo ram. 0,65, largo 0,22. Maschio. — Corpo di color miele colla parte posteriore del capo e il dorso del torace di colore fosco e il dorso dell'addome più o meno im- brunito, antenne brune, ali ialine, zampe del colore del corpo. Lungo mm. 0,62, largo 0,18. Per i caratteri delle antenne e ali si veda la figura XXXI. Oto Simile per forma a quello dell'. 4. punclipes. Quello ovarico è lungo rara. 0,20-0,25, dei quali circa la metà spettano alla parte posteriore, che è larga mm. 0,04. Larva. Larva adulta. Pure simile a quella dell'^. punctipes. Lunga mm. 0,78, larga 0,30. Distribnzioue iceograflca e biografia. L' Aphi/cus phil/ppiae è finora noto doli' Italia meridionale continentale e della Sicilia, ma certamente avrà una dill'usione molto pili vasta, almeno nell'Europa meridionale. Esso era conosciuto come parassita della Pliilippia oleae e di un LecaìììX)» indeterminato; io l' ho ottenuto da larve della prima età di Eulecnniicm ronjli raccolti su Prugno coltivato presso Portici. Le prime larve con pupe di parassita furono os- servate il 24 agosto ed il primo adulto si ebbe 1' 8 settembre, altri adulti fino al 12 ottobre. La larva di Eulecanium parassitizzata arriva ad una lun- ghezza di mm. 1-1,.30 alla larghezza di 0,52-0,00 e quando con- tiene la lai'va del parassita completamente sviluppata è ridotta al solo deimascheletro, è ingobbata e di colore ocraceo lucido con una piccolissima zona preniarginale brunastra. La larva e la pupa del parassita sono rivolte col capo verso la parte posteriore della cocciniglia e l'adulto fuoi'iesce attraverso un foro rotondeggiante del diametro di 0,19.')-0,200 apertosi nel mezzo del dorso poco innanzi 1' apertura anale. Adulti fuoriu.sciti l'B .settembre furono vi.sti parassitizzare larve della 2" età di Ktdcran/Kui corijli, ma lino al 15 ottobre non — 187 — vidi alcuna larva di tale età colla larva del parassita. L'ovo viene deposto come quello dell' Aphycus punciipes. La percentuale di larve di Enìecanium cni-ijU parassitizzate da questo AiìJujois era a Portici nell'estate 1919 circa del 2 %. Coccophagus scutellaris (Dalm.). Questo Imenotterino, parassita di varie specie di Lecanini, fu da me ottenuto il 20-26 maggio da larve di Eulecanium co- ryli lunghe mm. 2-2,2 raccolte presso Pescolanciano (Campobasso) e dal 10 al 14 giugno da Eulecanium raccolti presso S. Pietro Avellana il 1" giugno. Si veda anche per questa specie la mia memoria sullo Sphaero- lecaniuni pi'unastìi (1919). Per quante larve del primo stadio abbia osservato in estate, non ne ho visto alcuna parassitizzata da Coccophagus. La percentuale di Eulecanium vittime di questo parassita è stata da me osservata sempre molto bassa: inferiore all' 1 %• Mioroterys sylvius (Dalm ) Thoms. l-'iff. XXXII. Microterys sylvttis : femmina. Eìicyrliin si/lviiis D!i]ma.n, Hvcnfik. Vct. -Akad. Haiidl. XLI (1820), p. 154; Nees, Hymeu. Ichiieum. affin. Mouogr. II (.1834), p. 205; Walker, — 188 — ft,V'/.' Entom. Magaz. V (1837), p. 103; Ratzeburg, Ichneum. d. Forst- inscet. I (1844), p. 212; Mayr, Verb. zool. l)ot. Ges. Wien XXV, (1875), p. 706, 714 et 719. Eiicyrtiis zephi/rinus Daliiian, Svensk. Vet.-Akad. Haiidl. XLI (1.^20), p. 167, Nees, Hymen. Ichneum. affin. Mouogr. II (1834), p. 240; Ratze- burg, Ichneum. d. Forstinsect. II (1844), p. 214. Mieroterys lylviiis Thomson, Hymen. Scandin. IV, P. I (1875), p. i57. Adulto. Femmina (Fig. XXXII). — Capo, eccettuata una stretta fascia attorno il marf^ine clipeale e una macchia occipitale nere, pronoto, eccetto la parte mediana nera, tegole, sterni e pleure di colore te- staceo isabellino ; mesonoto Terde a lucentezza metallica, nietanoto, propodeo e addome neri verdastri; antenne con quasi tutto lo scapo nerastro, pedicello e primi quattro ar- ticoli del funicolo testacei, e 6° articolo bianchi, clava nera ; ali anteriori legger- mente fumose, alquanto più scure dietro la stigmatica e aventi una fascia biancastra semilunare trasversa estesa a tutta la larghezza dell'ala e corainciante all'apice delle nervature, delle quali la sub- marginale è testacea, le altre bruiiastre; ali posteriori ia- line; zampe testacee con bre- ve parte prossimale delle ti- bie anteriori e col margine esterno delle tibie posteriori imbruniti e 1' ultimo articolo dei tarsi ed il pretarso bruni. Lunghezza del corpo mm. 2,60, larghezzadel toraceO,84, lunghezza delle antenne 1,10, dell'ala posteriore 2,20, larghezza della stessa 1,05, lunghezza dell'ovopositore, che non sporge dall'addo- me, 0,92. Maschio. — Corpo tutto verde metallico un poco più scuro sul- r addome, antenne collo scapo ocraceo, il llagello fulvo brunastro colla Kig. XXXIII. Mictiileri/s .«vlt'ii's, reinniina : 1. capo visto lìi fnciia; 2. antenna; 3. parlo inforiore ilil capo ilai fori anten- nali colle nianilibolc; 1. masielle ilei f paio e labbro inferiore; :'i. parte ilell'ala aniiriore colle nervature niar<;ina1e, postniar^inale e 8ti;;inatica ; r,-7. zampe ilei 8ecomlo o terzo paio ilallajiiee della tibia; s. an- tenna ilei niRKehio. - 189 — parte superiore del pedicello e la metà distale della clava brune, ali ialine iridescenti; zampe testacee o isabelline col margine superiore esterno delle tibie posteriori alquanto imbrunito. Lunghezza del corpo mm. 1,G0, larghezza del torace 0,50, lunghezza delle antenne 1,20. Per i caratteri del capo, antenne, appendici boccali, ali e zampe si veda la figura XXXIII. Larva. Larva adulta (Fig. XXXIV). — È di forma allungata, affusata, colla parte posteriore alquanto più assottigliata dell'anteriore; oltre il capo ha tredici segmenti ben distinti. Il capo ha il labbro superiore fornito di 5 sensilli circolari per lato, dei quali due più gi'andi, le mandibole abbastanza grandi a parte di- fi t a 1 e leggermente arcuata coli' apice acuto, mascelle la- minari poco più sporgenti del labbro inferiore, provviste ciascuna di due sen- silli anteriori , dei quali l'interno mag- giore dell' esterno, e di tre sensilli poste- riori, dei quali l'an- tei'iore esterno i n forma di breve se- tola , diversamente da tutte le altre lar- ve qui descritte, jiiecolo sensillo circo- l'isf. xxxiv. Mif^roterya sì/h'ius: 1 larì-a adulta; 2. capo deUn stessa visto dal ventre; 3. mandibola della stessa. Poco lungi dai lati della bocca esi.ste lare (infero-sublatertde). Il resto del corpo è tutto nudo. Lunghezza del corpo mm. 2,4, larghezza 1,10 DistiMbiizioue geogniflca. Il Microlerìjx ai/lvhis era finora noto per la »Svezia, Germa- nia, Austria. Io l' ho trovato finoi-a presso 8. Pietio Avellana (Canipobas.so) e Pescocostanzo (Aquila). XUI - Boltett. dì ZooloLiia Gen. e Ayr. 12B — 190 — Biografia. Le osservazioni sui costumi di questo Microterijx sono an- cora incomplete. Io iio accertato che esso si nutre allo stato di larva delle uova, deposte, dcW'Enlec. corijli, similinente alla larva di Aìilìiribiis, e si tiova perciò sotto il ventre della cocciniglia. Le larve si trasformano in pupa sotto il ventre della stessa coccini- glia e gli adulti t'uoi-iescono praticando uno o più fori sulla pa- rete laterale del corpo dell' Ei(leca7iiiim. Sotto ogni femmina si trovano le laive in numero variabile da 1 a 12 ed esse, anche se sono nel numero massimo indicato e tutte ben nutrite da dare adulti di dimensioni normali, non arrivano jier lo più a mangiare tutte le ova, ma ne lasciano una piccola parte (circa 50) che si sviluppano e danno larve. Io ho ottenuto esemplari di questo parassita in fine giugno e primi luglio dnlVEuIec. con/li di S. Pietro Avellana e dal 13 al 19 luglio da femmine dello stesso Eulacanium di Pescoco- stanzo. In Svezia, Germania ed Austiia fu ottenuto dalle seguenti specie di cocciniglie: Coccus betidae alóne (Dalman), Coccus primi, Lecanium cori/li, Lcc. aesciili (Mai\v) che sono sinonimi dell'^"«- lecanium coì-yli. Il Rondani (1) cita questo Microto-ijs (sub E/i- cyrtus) come parassita dei bruchi di Aulax potendllae F. e qualche Anfhribus (A. vai-ius) ma fino a prova contraria ritengo tali indicazioni erronee. Gli adulti fuoriescono in fine giugno e primi di luglio con ovarioli ancora molto anetrati nello sviluppo. Tenuti in tubi e nutriti con miele vivono a lungo: esemplali del 7 luglio il 6 set- tembre erano ancora vivi. Apei'ta in tale giorno una femmina aveva ancora gli ovarioli come alla comparsa in luglio. L'ultima femmina morì il 2 novembre. 1,1) I$oll. Soc. ciiioiii. it.il. IH (ISTI), 1). 2-22. Prospetto A. Prospetti delle larve di Eulecanium e dei parassiti ottenuti da femmine adulte di Eulecanium coryli [\—) nel 1918. PALMA CAMPANIA. (Femmine raccolte su Corylus avellana il 2 Maggio 1918). Larv,' di Eulecanium coryli Antlirlbus fasciatus Encyrtus infjdus Blastothryx sericea Aphycus punctipes Microlerys Sylvius Pachyneuron cocoorum molte 0 0 U 0 0 0 » 0 0 0 0 0 0 c. 300 0 0 -tv 0 0 0 0 0 0 55 0 0 0 0 0 0 0 10 9 2 cf 0 0 0 0 0 0 19 le/ 0 0 0 0 0 0 47 9 22 S' 0 0 0 0 6$ 2cf 0 0 0 0 e. 50 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 e. 100 0 0 0 0 0 0 0 0 0 u 0 e. 20 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 ■ 0 0 0 0 0 ■ 0 Prospetto B. PORTICI. (Femmine raccolte su Crataegus oxi/acantha il 10 Maggio 1918). Larve di Eulecanlum coryli Anthribus fasclatus Encyrtus Infldu» Blastothryx sericea Aphycus punctipes Mlcroterys Sylvius Pachyneuron coccorum molte 1 0 U 0 0 0 0 » 0 0 0 0 0 0 » 1 0 0 0 0 . 0 0 » 0 0 0 0 0 0 » 0 0 0 0 0 0 > 0 0 0 0 0 0 e. 50 0 0 1$ 59 0 0 0 0 0 19 0 0 0 molte 0 0 3cf 0 0 1 0 f. 50 0 0 59 To' 0 0 0 e. 50 0 0 29 ScT 0 0 0 0 0 0 19 7c^ 59 Icf 0 0 e. 50 0 0 19 ScT 0 0 0 molte Ü 0 49 0 0 0 0 0 0 69 6 9 2 cf 0 0 ; 0 0 0 0 15 9 1 cf 0 0 0 0 0 0 69 0 0 0 0 0 0 7 o 1 ^- 0 0 0 0 0 0 18 9 ■! d' 0 0 e. 100 0 0 0 89 0 0 e. 200 0 0 0 9cf 0 0 e. 100 0 0 0 ■22 9 5 Ö' 0 0 e. 100 0 0 0 3 9 0 0 e. 100 0 0 0 4^ 0 0 e. 50 0 0 0 119 0 0 e. '200 0 0 0 9cf 0 0 Prospetto C. PORTICI. (Feminine nicculte su Prunus il 13 M ig-^'io 10 18 n elitre 1 3c;ilit;'i). Larve dì Eulecanium coryli Anthribus fasciatus Encyrtus Inffdus Blastothryx sericea Aphycus punctipes Microterys Sylvius Pachyneuron coccorum multe 0 0 0 0 0 0 e. -JOO 0 0 0 0 0 49 -2^ 0 0 0 19 0 0 3 o 0 0 0 0 49 0 2cf molte 0 0 1 - 0 0 0 0 0 0 0 39 ScT 0 Id' 0 0 0 19 2c^ 0 0 0 0 0 tiV 6 e? 19 0 0 0 0 0 0 19 0 0 59 le/ 0 0 0 3cf 0 0 59 0 0 0 39 0 0 Icf e. 200 0 0 2cf 0 0 0 0 0 0 Icf 0 0 19 0 0 0 0 0 0 29 e. 300 0 0 0 49 Icf 0 79 3cr 0 0 0 39 le/ 0 0 19 e. 300 0 0 0 0 0 5 0 0 0 0 0 0 » 0 0 0 0 0 0 > 0 0 0 0 0 0 1 » 0 0 0 0 0 0 » 0 0 0 0 0 0 e. 50 0 ! , 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 IcT 0 0 0 0 0 0 19 0 0 0 0 0 0 1$ 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 1$ 0 0 0 0 0 0 19 0 0 0 0 0 0 19 0 0 0 0 0 0 0 1 9 0 0 0 0 0 1 9 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 Icf 0 0 0 0 i 0 1 0 19 0 0 0 e. 100 0 0 39 0 0 0 e. 50 0 0 icT 0 0 0 0 0 0 0 0 ó o 0 e. 20 0 0 () 0 3d- 0 191 BIBLIOGRAFIA. 1. Chapüis, f. et E. 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Anthrihidae ►» 144 Anthvilnts fasciatua ...........>► ivi Adulto » ivi Uvo »145 Larva » ivi Pupa >• 148 DititribuKione geo^Taiica » 141) Bio;^ratìa .....>» ivi Hym.eiiopU-ya : Fam. Chalcididoe » 151 Encyrtìis inßdus » ivi Adulto » 15-2 Ovo » 153 Larva >» 155 Prepupa * 1^*! Pupa " j^'j Distribuzione jjeogratìca » ivi Biogratìa » 15» Blastot krico sericea » lö3 Adulto » ltì4 Ovo » 166 Larva » 167 Pupa » lfi8 Distribuzione gcografìca » ivi lìiogratia >» ivi Aphyciis punctipes » 173 Adulto » ivi Ovo » 176 Larva . . • » 177 Pupa » 179 Distribuzione ;ct*ografica » ivi Biografia » 180 Pachì/ncumn coccorum »» 183 Aphycus philippiae » 185 Ovo » ivi Larva »> 186 Distribuzione geografica e biografìa » ivi Coccophiigus scittcUaris . . . . . . » ivi Microteri/s sylcins .........,.>' 187 Adulto » ivi Larva » 188 Distribuzione geogratìca » 18!) Biogralìa >• i\ i Prospetti dello larve di Eulecanium e dei parassiti ottenuti d:i lenimine adulte di Euleranium coryli . »> — Bibliografia » UH DoTT. GIOVANNI MARTELLI Contributo alla conoscenza (Iella vita e dei costumi delle Arvicole in Puglia. Incaricato dal Ministero di Agricoltura nel giugno del 1916 di fare esperimenti di lotta con vari mezzi contro le arvicole in Puglia e di studiarne la vita ed i costumi, mi recai a Cerignola facendo capo alla R. Scuola di Agricoltura che, provvista di la- boratori e di locali, era la sede più adatta allo scopo (1). Il Superiore Ministero fu larghissimo nella concessione dei mezzi, permettendo cosi di fare, come si conveniva, in apposito laboratorio (Fig. 1), quegli studi, che iniziati nel 1911, erano stati sospesi (2). Appena a Cerignola fu mia cura di farmi un quadro dello stato delle cose, sebbene le messi fossero già state distrutte e gli agricoltori si preoccupassero fortemente delle uve, ultima ri- sorsa, dopo l'immediato disastro patito. Giacché, in qualche loca- lità, le arvicole si erano stabilite nelle vigne e cominciavano a di- struggere i pampini, i tralci verdi e i grappoletti di uva. Feci perciò continue escursioni nelle vai'ie conti-ade del ter- ritorio di Cerignohi, di Foggia, Oi'tanova, Stornara, Stornarella, (1) È debito mio di i-iiigraziaic anche pubblicamente l'ottimo Direttore della R. Scuola di Agricoltura, Prof. P. Bandi, clie mi è stato largo di couces- sioni nel farmi espletare il programma, il Presidente del Comitato Amministra- tivo di detta Scuola, Avv. A. Salniinei, il Conim. Gaetano Pavoncelli, il Conte Nicola Di Caporiacco, Direttore Tecnico del locale Consorzio antitìllosserico, e la Famiglia dei baroni Zezza, che mi dettero anch'essi molto aiuto nel com- pimento degli studi riportati in questa prima nota. (2) Nel luglio del 1911, fu interessato dal Ministero di Agricoltura, il Ch.mo' Prof. F. .Silvestri, Direttore del R. Laboratorio di Entomologia Agraria di Portici, il quale mandò sul posto, a Cerignola, il Dott. G. Grandi, suo as- sistente, che vi rimase poco tempo, sia per malattia sopravvenutagli, sia per la fortissima diminuzione, diremo quasi scomparsa, delle arvicole. XIU - buUelt. di Zoologia Gen. e Ayr. 13 — 194 — Callosa, Lavello, Candela, Montemilone, Ascoli Satriano, S. Severo, Torreniaggiore ecc. In molte di queste escursioni mi furono molto utili l'aiuto e la guida del Conte di Caporiaceo, in compagnia del ijuale mi le- cai anche a Älonteniilone, peicliù ci si disse che colà le arvicole, pi'inia non esistenti, avevano passato a nuoto i'Ofanto (fiume che Ksterno ilrl Inlmi-ntorio ili :illfv:iiiiriil«i ili :ii\ii-iilt .-1 CiTi^noIn rnn vcililln ilfllji jrabbia ili |iriili'/iiini' ilryli iilli'va mi :iir:i|iiTtii l'iUro vnsilif ripirni' ili tt'rni. divide a sud est ed a sud la provincia di Capitanata da quelle di Hari e Potenza) e, risalendo pei' il territorio di Lavello, dopo aver distrutte le messi, erano arrivate da poco in quel di Montemilone a devastare i seminati. Era interessante quindi constatare questo latto. Ma, da inlormazioni attinte lungo la via e poi da osservazioni fatte e notizie avute a Montemilone stesso, risultò trattarsi di una invenzione del volgo esaltato. Colà le arvicole vi eiano già dall'ottobre dell'anno precedente e avevano recato pochissimo danno. Cosi, recandomi a Stornarella, mi si disse che le arvicole a greggi avevano attraversato il paese di notte, si erano soffermate nell'aia principale e ne erano ripartite per luoghi ignoti. Nessuno - 196 - del paese, però, potè assicurare, nella rapida inchiesta fatta da me, di aver assistito al fatto. In seguito si disse, dopo cominciata la moria delle arvicole, che queste erano passate sulle Murgie. Tutte invenzioni del volgo e credenza anche del pubblico un po' più evoluto. Nessuna di queste dicerie fu trovata vera. Dopo essermi orizzontato alquanto, cominciai i miei studi che qui riporto, non senza pi'ima accennare alle invasioni dei topi in Puglia che precedettero quella del 191G, le cui notizie sono desunte da pubblicazioni o da registri di famiglie patrizie di Ce- rignola o ti'amandate come ricordo da padre in figlio. Notizie storiche delle varie invasioni dei topi campagnuoii in Puglia. Dei gravi danni causati dui topi campagnuoii in Puglia si parla prima ancora del 1622; però ignoriamo gli anni in cui essi si verificarono. Certo essi sono anteriori al gennaio del 1622, poiché aantl'ag del Granduca di Toscana, nello stesso tempo che da Na- poli informava quest'ultimo, con lettera del 25 di gennaio di tale anno, dei danni cagionati dai topi ai seminati, ricorda quelli pre- cedenti. Egli scriveva: « Un nuovo portento: tanta quantità di topi che son nati in Puglia che non possono sopperire ad ammaz- zargli; perchè si mangiano tutti i seminati. Maledizione di Dio, sto per chiamarla, perchè altre volte si è posata sopra questa infelice provincia» (1). In seguito, dopo più di un secolo e mezzo, abbiamo altre no- tizie, e precisamente nel 1790. Ma anche 7 anni prima, nel 1783, vi fu un'altra devastazione ai campi per i topi, desunta dalla let- tei'a che il canonico Gaetano De Lucretiis di Ö. Severo, inviò all'arciprete Maria Giuseppe Giovene, ottimo osservatore e cultore di scienze agrarie, e da questi trascritta nelle sue Memorie fisi- co-ograrie. Il De Lucretiis nella ricordata lettera dice: «... la sventura ugualmente cocente dello straordinario numero di topi saccheg- giatori delle vaste tenute che qui (Han Severo) si seminano. Non (1) ViEUSSEUx. « Archivio storico « Tomo IX, pag. 292 — Firenze 184t). — 19C, — è già questo un tiagello nuovo, di fresca data, non essendovi qui vecchio che non attesti di essere stato noto anche agli avi suoi.> Egli da poi notizie delle specie di topi dannosi, del Pitijmys e del Mì(s, dei costumi di esso e dei mezzi di lotta con Vavchelto (altrove valeslra) e col « mettere in giorni sereni il frumento bollito coU'arsenico nelle loro buche >. E, per mettere in evidenza la copiosissima quantità di frumento arsenicato spai'so per • la campagna, cita il caso di un solo massaro che ha consumato nel tempo della semina ducati 25 (L. 101,25 somma ingente in quei tempi) e 24 tomoli (HI. 13,33) di grano (quantità non piccola) bol- lito poi in esso (arsenico) » . Altrove dice: « Alcuni del volgo cre- dono qui, che la comparsa di questi nocevoli animaletti, abbia un ]iei-iodo e che si debba soffrire il loro saccheggio in ogni terzo anno; ma è un fatto che se talvolta compariscono abbondante- mente nel secondo, o terzo anno, alcune fiate ne siano esenti fino alla durata di sette, quale appnnlo i' stata l'ultima epoca » (vale a dire nel 1783). Dà finalmente notizia della scomparsa agraria dei topi cau- sata dalle " pulci ben grosse che gli attaccano... e indi gli uc- cide » chiamandole « l'unico loro morbo micidiale ». Giovene fa precedere alla lettera queste notizie : «... Ma i topi, che avevano fatto immensi danni nella raccolta dei grani e legumi, moltiplicati già all'eccesso minacciarono la più grande desolazione, distruggendo, divorando tutti i semi, che si buttarono in terra », e fa seguire queste altre notizie «... Vi fu bisogno di ritornare a seminare intere le campagne state devasttite da quo' voraci animali » (1). Oltre che nel 1790 anche nel successivo 1791 il Giovene accenna ai guasti dei topi di Puglia. Egli infatti dice: «... I topi però facevano guasto ancora (mese di aprile) nei campi seminati a grano, e diffusi sulla parte orientale della Peucezia vi danneg- giavano anche gli alberi. I carrubi specialmente, e poi anche gli agiunii iKiliidiui moltissimo da questi perniciosi animali, che ne divoravano la scorza. Ilo veduto dei farrulibi intcìanientc scor- ticati per tale rai^ionc perire » (2). (1) Gn'SKi'i'E Mahia GiovF.NK . Memorie finir/ie n Pai-te socniida. Discorso inelrrpoloj^ii'i) raiiipcstn' siill'amio 1700; fiag'. ifi-bl - bari, F.lli Caimmie, 1.S40. Ci) thidevi, sull'aiiMi) ITi'I, pag-. 75 - Ibidem, 1S40. _ 197 — Nel 1797 vi fu altra invasione di topi, come si desume dagli scritti di Miclielangelo Manicone, ed un'altra ancora nel 1807. Quella del 1797 si desume da queste parole: «...ed alcun fiate n'è la Daunia esente fino alla durata di 7 anni. Tale appunto fu l'ultima epoca del 1790. In quell'anno ve n'ebbe tanta copia che in una masseria foggiana se ne presero circa .-JOOOOO » (1). Baz- zecole di fronte ai 4 milioni catturati dalla Casa Pavoncelli di Cerignola ! Altrove dice: «... Or spariranno essi gli innumere- voli sorci di quest'anno V (1807) » (2). Anche il Rosati parla della sterminata copia di topi da cui le terre di Puglia furono occupate (3). Nel 1821 e nel 1822 vi fu, nell'aglio Cerignolano, altra deva- stazione di cereali per i topi da paragonarsi a quella del 1916, secondo il Cav. M. Cirillo di Cerignola, che la desume da notizie attendibili tramandate nella famiglia sua. In quei due anni i danni furono tanto sensibili che molte famiglie ricche di Cerignola, col- tivatrici di soli cereali, rimasero al verde, ed il grano si elevò ad un prezzo enorme, essendosi pagato a 6 ducati il tomolo, equi- valenti a L. 45,10 l'Hl. ! Altra devastazione di cereali si ebbe nell' agro Cerignolano nel 1866. In quest'anno, nei terreni molto pingui della contrada Pantanella, come risulta dai registri di Casa Specchi Palieri di Cerignola, che ha colà un suo podere, si ricavarono appena 7-8 tomoli di grano a versura di fronte a 30 degli anni normali, pari ad HI. 3,15 ad Ea. di fronte ad HI. 9 ad Ea. Nel 1876-77 la devastazione dei seminati fu, in alcune con- trade di Cerignola, molto grave, tanto che non si arrivava a ri- seminare. Nel 1879 la R. Prefettura di Bari (4) informava il Ministero di Agricoltura che la provincia di Capitanata, e non quella di Bari, come erroneamente si diceva, era stata devastata dai topi. (1) Michelangelo Manicone La Fisica Appaia • Tomo IV, pagp:. 148- 151- Napoli, 18U7. (2) Ibidem^ Tomo V, pag-. ti8 e aeg. ibiflein. (.3) GiusEi'i'E Rosati > Le industrie di Puglia descritte (A?i) Tip G. Ver- riento - Foggia. 1808. (4) In Tahiìioni Tozzetti Relazione intorno ai lnvari della H. Slaz. di Kìttom. ayr. di Firenze per gli unni JS79-S0-SÌ--SL' . Annali Ministero Agr. pagg. 5-6 e pagg. 236-238, Roma, 1884. — 198 — Nello stesso anno, Ulderigo Botti riferiva che 13 comuni della provincia di Lecce avevano subito gravi danni dai topi e 27 ne avevan risentito lievemente. Nel 1S81 il danno fa parziale, limitato a qualche contrada di Cerignola. Lo stesso avvenne nel IHOl. Nel 11)11 la provincia di Foggia, e spccialnipntc il territorio di Cerignola, come riferisce il Conte Di Caporiacco, ebbe gra- vissimi danni nelle contrade Montealtina, Cerina, Lupara, Lu- parella, Tressanti, Posta Pila e Jerama, nelle quali non si rac- colse una spiga di grano. Anche danni subirono i Comuni di Foggia, Ortanova, Trinitapoli, Lucerà, Bovino e Candela. Nel 1916 quasi tutta la Capitanata fu devastata dai topi cam- pagnuoli, dal Pi/i/nn/.s e dal Mtts a cui si uni ì'Arricola Mitsi- g lì a noi de Sé\y a. I danni più gravi furono risentiti dai Comuni di Cerignola, Ortanova, Htornara, Stornarella, Foggia, Lucerà, Troia, Candela, Ascoli, Castelluccio dei Sauri, Manfredonia, nei quali non si mietè che in limitatissime zone. Negli altri comuni della pro- vincia i danni furono poco meno sensibili. Già all' epoca della semina nell' autunno del 1915, qualche proprietario del Ccrignolano cominciava a preoccuparsi del grande numero di arvicole esistenti nei campi. Ciononostante sperù nella moria naturale, solita a verificarsi in Puglia come era avvenuta nel 1911, e si affidò alla sorte continuando la semina. Compiutii questa e spuntate le tenere piantine di cereali in novembre, ogni proprietario si lagnava dei danni che subiva dal- l' opera malefica dei piccoli roditori. I quali, di giorno in giorno, aumentavano nei seminati in modo im|)ressionante. Però, il male era generale, o quasi, e ne veniva quel tale conforto dettato dal proverbio: mal comune mezzo gaudio. Ma, più passavano i giorni e più le radure del verde aumen- tavano di numero e di estensione. I soi-ciari non arrivavano con le loro balestre. Fu giuoeoforza escogitare altri rimedi e si ri- corse al fosfuro di zinco come quello più sicuro ed efficace indi- cato dai competenti. 8i andò avanti cosi per 2-3 mesi. Nel marzo del 1916 l'atti- vità delle arvicole parve arrestarsi. Fu illusione. Qualche setti- mana più tardi 1' attività riprese più intensa e violenta. — 199 — Qualcuno continuò la lotta come potè e dove potè, spendendo ancoi'a forti somme (1); gii altri aljbaiidonarono i campi a se stessi o meglio all'azione distruggitrice dei piccoli mammiferi. E poiché, di questi, anche quelli esistenti nei pascoli e nei fratturi, ove non trovavano altro da mangiare (2), eran passati in gran parte nei seminati, cosi la distruzione di questi fu più rapida. Ai primi di giugno 1' opera si completò. Le arvicole pensa, rono alla mietitura dispensando il proprietario da ulteriori spese- che non sarebbero state rivalse, di trebbiatura e conservazione del meschino prodotto ! Fatti simili accaddero nel tenimento di Foggia e di Ascoli Satriano, Stornara, Ortanova e Stornarella come riferiscono gli egregi Delegati Tecnici antifillosserici Barone Gramazio ed En. Castana. Qualche cosa di analogo avveniva nella Provincia di Potenza, specialmente nel circondario di Matera (3) e di Bari (4). Mel 101 1. Limite delle Provincie. Vig. -2. Cnrliiia iliinnslriiiitr li' /.one invasi' ilallr aiviioli' alcuni luoghi, cominciavano ad esser rosicchiate, nonché il gran- turco, nelle zone ove si coltiva, ed infine per immunizzare il terri- torio e permettere la nuova semina senza preoccupazioni. Non starò a ritàie la stoiia di tutto quello che fu fatto; essa è già stata dettagliatamente detta dal Ch.mo Direttore Generale — 201 — dell'Agricoltura, Comra. Prot'. B. Moreschi, nella sua relazione al Ministro del tempo, S. E. Raineri (I). Quale fu la causa che preparò il disastro agricolo del 1916, che dette alla Nazione una perdita di 200 milioni di lire, la più grave causata da questi piccoli roditori in Italia e, forse, in tutto il mondo ? Si è detto essere stata l'annata eccezionale del 1915 in cui le pioggie continue inusitate di quella estate non permisero di mietere il grano dovunque, e quello mietuto, in parte, dovette rima- nere in covoni sul campo e, in parte, abbicato sull'aia senza poter es- ser trebbiato. Per cui vi fu un abbondante cibo a disposizione dei topi in unione alle erbe che poterono crescere rigogliose fino alla nascita dei cereali di nuova semina, quando normalmente, dal giugno all'ottobre, e qualche volta tinche oltre, nessun filo d'erba si scorge se non nei luoghi un po' umidi. Questi fatti certamente furono la causa dell' accrescimento nu- merico dei topi, ma, siccome non abbiamo il medesimo riscontro, negli anni che precedettero le ricordate annate di devastazione di cereali in Puglia, sia essa pur limitata di fronte a quella del 1916, cioè del grano e della biada rimasti sul campo, delle pioggie molto abbondanti in estate con tutte le loro conseguenze, cosi dobbiamo ritenere che altre cause, oltre alle malattie e ai nemici, influiscano sullo sviluppo numerico di questi mammiferi. Cause che dovreb- bero approfondirsi in piosieguo di tempo e con osservazioni con- tinue per più anni, almeno tino a quando non si verifichi un altro aumento di topi. Per il momento il risultato di una inchiesta fatta tanto ad Ascoli Satriano (2) quanto a Foggia ed a Cerignola non da affi- damento ad emettere una opinione decisa. D' altronde chi ha seguito mai l'andamento dello sviluppo di questi topi di Puglia ? (1) < Lm Lotta contro le arvicole in Puglia > Relazione a S. E. il Ministro Prof. G. Raineri — Roma, Tipografia dell'Unione Editrice, 1917. Vedi anclie E. Pantanelli — i Un anno di lotta contre le arvicole » Ne 0 II Coltivatore », n. 8-10-11, anno 63», Casale Monferrato, 1917. (2) Ringrazio il Sig. Enot. S. Castana, Direttore tecnico del Consorzio antitillosserico di Ascoli Satriano, delle risposte dettagliate e jirecise datemi al i|uestionario inviatogli a suo tempo. — 202 — Specie di roditori. Nel 101(5, iill'epoca della mia andata in Puglia, le specie di roditori granivori che avevano devastate le messi, a detta degli agricoltori, eran tre da essi chiamati Curdo, corrispondente al nome scientiHco di Pitijnujs Snvii (Délys), (1) (Fig. 3), Corridore, Fip. 3. Adulto ili I'tt'imys Snvii (Délys), in grandezzii naturale. scientif. Mus syloalicus intermedins (Bellaray) (2) (Fig. 4) o Zoc- cola di campagna, scientific. Aì-vic.ola Musignanni De Sclys. Io, per essermi trovato in quelle località quando le messi sul campo non esistevano più, non potei controllare se l'ultima specie, r Arvicola, avesse pur essa contribuito alla distruzione. È bensì vero che trovai i cunicoli di essa anche in mezzo ai campi di stoppia, oltre che lungo i margini dei fossi d'acqua (volg. ìnara- (1) Di questa specie, tfa i ìinmerosissinii individui, ho trovato qualche esemplare della varietà albina (completamente bianco), qualche altro pez- zato di {:;TÌgio e bianco o con un ciuffo bianco. Di es.si nessuno ho potuto allevarne, perche i bianchi mi pervenivano dalla campaf;iia semimorenti, ed in laboratorio dopo poche ore morivano; i pez- zati e con ciulli bianchi morivano dopo qualche jsriomo. (2) Secondo nomenclatura usata più recentemente da specialisti: Apodemus nylvaticus dichr.-nis Katìuesque. - 203 — ne), ma in queste gallerie non trovai i caratteristici resti di spi- ghe, pula o paglia. Che essa si nutrisse anche di erbe e di grano è indubbio, poiché gli individui vivi, tenuti per qualche mese in cattività, li nutrii con semi di grano ed erbe di graminacee, fino f^ Fig. 1. Adulto di Mus sylvaticus intermedins (Bellamy), iu grandezza naturale. ai primi di gennaio del 1917, quando morirono senza saperne la causa. Però nei campi non si trovavano più esemplari dall' otto- bre del 1916. Intorno alla natura del nutrimento del Mas debbo dire che vi è poco di diverso da quella del Pitijmys. Ad esso Mus, da quanto ho potuto constatare in prosieguo di tempo, si deve il danno cau- sato alle mandorle premici sulla pianta (Fig. 5) e più particolar- mente alle uve molto dolci che maturano precocemente (Fig. 6) e al granturco (Fig. 7). Due fatti me ne danno conferma. Il primo perchè esso si arrampica con molta destrezza su per i fusti delle piante ed il secondo, perchè poche volte, nelle vicinanze immediate della pianta, si trovavano allora dei cunicoli. Il Mas percorre distanze relativamente grandi per bottinare, data la rapidità con cui saltella (esso raramente cammina), epperò, non fa come il Fitl/iHijs, che generalmente sposta di poco 1' abitazione nel campo quando questo non gli offre, a portata di mano, abbondante bottino. — 204 — n 1///S, come \' Areicnla, t'la aiu-he esso in liimii numero, mi mesi di giugno, luglio ed asxosto, i)OÌ lapidamente dimiimi. Kijt. ;,. KaiiH'Hit ili iiiuniloiin i-oii il l'rulln rosii-rhiato dal Muti \ht ilivKrariu' la mandorla. E, mentre quest' ultimo scomparve, l'altro rimase in modestissime proporzioni. Di tutte e due queste specie non potei seguire la vita ed i costumi perchè in cattività morirono ben presto, prima elio io avessi potuto costruire ambienti adatti alla loro vita (1). ili Solo nell'estate di i|Uost' Rimo ho potuto avere abbondante matonaie ili Afiix, |)(>r cui mi è stato po-^sibile iniziare le osservazioni anche su questa specie, the saranno ojifjetto «li un ali ni noia — 205 — Del i-esto, anche molte delle osservazioni sul PUijìnys, che d'oi-a in avanti chiamerò, per semplicità, col nome di art^icola, le ho potuto iniziare molto tardi, giacché il suo allevamento vero e pro- prio, cioè quando ottenni i primi tigli, i-imonta al mese di novembre Fig. <•'■ Tralcio di vite in i-iii si wili' il raspo ilfll'uva cosi i-onif lasciato tini Mus. del 1916, dopo 5 mesi circa dalla mia residenza in Puglia, non essendo prima riuscito a tenerlo in vita che per poclii giorni. Ed a proposito di allevamento in cattività coloro che si erano interessati prima di me delle arvicole, avevano prognosticato che i miei sforzi sai'ebbero stati vani, inquantochè non sarei riuscito a mantenerle vive per più di una decina di giorni. Ed in un primo tempo ebbero ragione, giacché i miei tentativi furono infruttuosi, — 206 — datala continua mortalità (1) delle mif^liaia e migliaia di individui Tre sti'li ili pr:nifin-co con li- ^pijrln' messi' :i mulo dal ^/(rs- per divni-arnc li' cHrlossiili. giornalmente a mia disposizione, siano tra quelli latti l'accogliere dalla benemerita Casa Pavoncelli di Cerignola (che allo scopo (1) La causa o nipo-Iio le cause della mortalità furono poi trovate, se- condo gli studi del chiaro Prof. Alfonso Splendore dell'Università di Ronia fatti nel laboratorio del Sen. l'rof. Grassi, in più l)atterì. Vedi le sue pubbli- cazioni « l'er In lotta contro le arvicole • Kstr. Voi. XXV, serie 5*, 2' Sem. fase. 1°, i)a{;'g'. 4()-4;), Reale Accademia dei Lincei, Roma, luglio 191(); id. id. fase. 4° id. pag'g. G, Roma, agosto 19!ü; - Ancora per la lotta contro le arvicole » id. id. 2° Sem. fase. 12», pagg. 516-521, seduta del 17 die. 191«, id. Roma, 191(i; < Intorno alle malattie delle arvicole ■> Relazione sulle; ricerciic fatte per conto del Ministero di Agricoltura, Estr. Roll., Serie B, d. Minist, d. Agrici pagg. 1-8, Roma, 2G Gennaio 1917. - 207 - g'entilmeüte teneva persona adibita al trasporto nel mio labora. torio di tutte le arvicole vive catturate nei vasi dei fossi scavati attorno ad uno dei suoi vigneti), siano tra quelli catturati dal mio inserviente in altri fossi del vigneto di viti araei-icane in contrada Contesse di proprietà del Consorzio antifillosserico di Cerigiiola o di altri vigneti più o meno lontani. Tentai di selezionarle per servirmi degli individui resistenti dopo averli tenuti separatamente in cassette speciali di legno o FiV. 8 Uabhifi dì rott' luet.ilIirM eoii l'othìoKì ili latte e scatole pure tlìMattc per alh;\'anit'iitn e selezione ilei le arvicole. di rete metallica, o in gabbie grandi di rete metallica (Fig. 8) alle quali erano unite a mezzo di condotti di latta delle scatole cilindriche pur esse di latta delle dimensioni di cm. 8 o 10 di diametro e 6 o 12 di altezza, od ancora in recinti, ove avevo disposti vasetti di terra cotta appositamente manifatturati o ca- merette costruite di mattoni forati e provviste di 2-3 ingressi co- municanti per mezzo di cunicoli formati di altri mattoni forati posti in fila. All' aperto tentai altri allevamenti con aivicole selezionate lasciate in un'appezzamento di terreno di 100 mq., recinto supe- - 208 — riormente, cioè dal livello dol suolo, da rete metallica fitta, alta 1 m., ed inferiormente, cioè sotto di questo per la profondità di un metro, da muretto di i^hiaia o cemenro dello spessore di 10 em. circa. Ma, con tutti questi artifici, per 5 mesi circa, dal giugno al novembre, non riuscii a tener viventi per lungo periodo le ar- vicole in osservazione. Anzi dirò, che quando credevo di aver selezionato in laboratorio degli individui, anche questi, giorno per giorno, morivano e dal loro corpo osservavo saltare numerose pulci, indubbiamente provenienti da individui infetti di altri alle- vamenti della stessa stanza, passate su quelli selezionati. Nel recinto all'aperto durarono più a lungo, fino a quando il Sen. Prof. Grassi, Consulente e Patrocinatore di questi studi, giu- .stamente ascoltato dal Superiore Ministero, mi propose di speri- mentare se, mettendo ivi arvicole morte in laboratorio, le medesime fossero mangiate dalle vive del recinto e queste morissero in se- guito al contagio della malattia di cui quelle eran affette. Dopo questo esperimento, fatto con mia manifesta riluttanza (perchè in- tuivo la prossima fine dell' allevamento), a distanza di pochi giorni dall'inizio, quelle arvicole cominciarono a morire finché il re- cinto si ridusse ad un camposanto di arvicole. Esso poi rimase infet- tato per lungo tempo giacché non riuscii che molto tardi, dopo aver fatto zappare e coltivare quel terreno, ad allevarvi arvicole. Finalmente nel novembre, da individui selezionati ottenni in laboratorio la prima figliuolanza da allevamento in una cassa piena di terra. Ma, nelle casse, per fare le o.sservazioni sulle arvicole trovai r inconveniente di doverle ogni volta vuotare della terra, rovi- nare i cunicoli ed i nidi e conseguentemente disturbare le arvi- cole stesse. Allora pensai di formare dei blocchi con argilla i quali .seccati, poi che le arvicole vi avevano .scavato il cunicolo, la camera ecc., eliminavano gran parte di detti inconvenienti. Infatti, rimuovendo di quando in quando i blocchi, potevo più agevolmente osservare quel che accadeva nelle_ parti scavate. Se- nonclié, i blocchi eran troppo grandi, non maneggevoli e spesso presentavano due oidini di cunicoli; altro inconveniente quindi. A rimuoverli tutti riuscii in seguito modificando la grandezza dei blocchi, cosicché questi furono e sono sempre fatti come i mat- toni, più dop])i perù di essi, delle dimensioni di 10-12 cm. di spes- .sore per altrettanti di larghezza e 20 di lunghezza. Tre o quattro — 209 — di questi, messi in fila ed appoggiati al muro, costituiscono molto bene un ambiente adatto perdio le arvicole vi scavino cunicoli e vi prospei'ino. La Fig. 9 rappresenta uno dei recinti di allevamento con in fondo ed a destra di chi guarda, tali mattoni, appoggiati, per il lato minore, alle pareti del muro. Per meglio studiare poi i costumi delle arvicole nell' interno dei cunicoli e nella camera costruii quelli e questa di vetro (Fig. 10) Fig. ft. Uuo (lui ruL'intì ili allevamento dì ar\ ieoh* in laboratorio con in t'ondo e lateralmente a destra dei mattoni di ai'^-illa da tornaeiari. e li situai su un tavolo in un recinto di lastre pur esse di vetro. E poiché nelle mie ore di forzata immobilità (1), o quasi, di osservazioni da un lato, ero impedito di vedere ciò che avveniva dagli altri, cosi mi servii di specchi opportunamente collocati. In tal modo mi era facile, senza spostarmi, di vedere quello che gli animaletti facevano ovunque stessero. All' aperto poi gli allevamenti di controllo a quelli in labo- ratorio erano e sono fatti in vasche profonde 1 metro, larghe 4 e lunghe 5, l'iempite di terra comune, con pavimento fognato e (I) l.,'iimiinbiliC;'i era nccc-isari.'i |nTclic' ;i(l un piccolo iiioviuieiitn le arvicole si rintanavano. XIII - Btjììftt. (ti Zuoloiì'ta Gen. e Agr 11 — 210 - questo e le pareti rivestiti di mattoni p cemento, acciò le arvi- cole non possano perforarli ed uscir fuori. Dalla superficie del suolo a 2 inetri d'altezza esse vasche sono circondate e coperte da rete metallica per la protezione contro le civette, i barbagianni, gufi, cani, gatti e donnole (Fig. 1, pag. 4). Ui^cinto (li vetro eoa cunicolo ili lustre di vetro e nido, per osservare i eo.<4tiuni «Ielle arvi- i-ole entro il ennicolo stesso. Accennato per sommi capi a quello che feci allora e mi avve- niva, comincio a trattare dei costumi e della vita di questi piccoli roditori. Costumi dell' arvicola. Ditlidenza e docilità. — Questo roditore, (>he può arrecare enormi tlaiiiii ([uaiido si moltiplica in gran numero, che pesa allo stato adulto grammi IS a 27 ed ò lungo da cent. 8,5 a 9,5, allo stato naturale ò diffidentissimo. Jla, per quanto grande è la sua diffidenza, in periodi eccezionali, come quelli dei primi mesi di mia permanenza in provincia di Foggia, altrettanto meravigliante è la bua docilità. — 211 — Da mie osservazioni ripetute ho constatato che queste due qualità sono iu relazione allo stato di malessere in cui l'arvicola si trova. La fame anche la fa arrendevole. Nei miei allevamenti di laboi'atorio ho osservato che se l'ar- vicola è tenuta, per qualche tempo, ad un parco regime alimentare si può trattare con molta dimestichezza, si lascia accarezzare sul dorso, sale sulla palmo della mano e, se è lontana, si avvicina alle dita che le si protendono fiutando prima e poi prendendo coi denti incisivi il pezzetto di nutrimento che eventualmente si porge. Ed anche quando mangia si lascia accarezzare. Se alla fame si accoppia il caldo forte, la docilità si appalesa anche nell' arvicola vivente allo stato naturale. Nelle mie fre- quenti escursioni in località molto infestate da arvicole, durante i mesi estivi del 191G, nelle ore calde del giorno (verso le 16), ho avuto occasione spessissimo di osservare, lungo le strade ro- tabili, arvicole schiacciate dalle ruote dei carri transitanti, come di vederle uccidere con la frusta dai carrettieri che seguivano a piedi i loro carri o dai passeggieri con i piedi. Ancora: verso la fine di luglio, a più riprese, ho visto dalla carrozza in corsa, arvicole, che sulla strada rosicchiavano qual- che cosa, continuare in quest' ufficio, senza preoccuparsi del ru- more della carrozza e di me, che sceso, mi sono avvicinato, le ho toccate ed accarezzate col dito. Anzi, qualcuna si è drizzata sulle zampe posteriori, ha poggiato quelle anteriori sul dito ed ha fiutato. In quest' epoca, in pieno campo, io molto bene potevo di giorno, verso le 18, osservare, con comodità, tutto quel che face- vano le arvicole, standomene fermo a qualche passo di distanza. Cosi potei osservare, nella calma di quell' ora, le arvicole uscire dai cunicoli, allontanarsi di corsa da essi fino a 3 metri, raggiun- gere le piantine di gramigna, roderle al colletto, mangiarne il torso, scartando le dure foglioline, e ritirarsi in fretta nei cunicoli. Al minimo allarme, quando l'arvicola è fuori del cunicolo a bottinare, fugge ed infila il primo foro che incontra. Se sono in più, anche di diversa famiglia, ad essere sorprese fuori da un' allarme, nella fuga perdono il senso della direzione e, come le pecore, si seguono l'una all'altra e si infilano nel foro più prossimo, facendo ressa all'ingresso come folla fuggente che cerca la via di scampo nel medesimo punto. - ^lù - I rumori, i canti, la voce, i suoni in lienore spaventano l'ar vicoia in modo indicibile. Una vulla un'arvicola tu sorpresa, men- tre recideva una to,iJ:lioliiia, dal sopravvenire di una cariozza in corsa; il l'umore delle ruote la spaventò talmente, pur trovandosi la carrozza a due metri circa di distanza, che non sapeva quale via seguire nella fuga. Si lajiro parecchie volte su sé stessa e, dopo che la carrozza si era allontanata, si decise alla fuga pren- dendo una direzione diversa da quella del suo lil'ugio, battendo col capo nei cespuglietti delle erbe, come fosse invasa improv- visamente da pazzia, e intioducendosi in un cunicolo che non era suo e del quale non indovinava neppure l'ingresso. Lo spavento ò tale che 1' arvicola, sorpresa nelle sue funzioni anche dal batter di mani o da un fischio improvviso, fugge pene- trando in un qualunque sbocco di cunicolo che trova più vicino, salvo ad uscire appena il pericolo vero o presunto s('om|)are ed a rifugiarsi nella sua abitazione. Un'arvicola, che si era allontanata per circa 8 metri dalla sua abitazione, ad un fischio simulante quello di un uccello prese la fuga e si intanò in un cunicolo di altre arvicole che, dopo pochi secondi, la scacciarono e la rin- corsero per un certo tratto. Nelle condizioni normali 1' arvicola diffida, di tutto e di tutti, più sjiccialmente nell' età giovanile. Prima di avventurarsi fuori dell' abitazione sperimenta più volte. Si affaccia sulla soglia di una delle aperture della sua abitazione, che il volgo chiama capi, (noi diremo ingressi o sbocchi o fori di uscita e di entrata del cunicolo), tutta appiattata con le zami)ine aiitei'iori un poco pro- tese e spia guardando a destra ed a sinistra; guata, drizza il capo e divarica le orecchie, (iuta il vento e poi l'apidamente rincula, ritirandosi nel cunicolo a precipizio. Si direbbe che abbia paura della sua ombra. Trascorso un po' di tempo, si affaccia nuovamente o allo stesso foro o ad altro dello stesso cunicolo, sporgendosi an- cora di più, guata di nuovo, dà un passo rapido e di nuovo rincula con maestria senza pari, a guisa di una molla d'acciaio distesa e poi lasciata a se. Ripete ancora questo lavorio sempre più spin- gendo.si fuori, oltre la soglia verso la meta. Se nemico o pericolo non scorge (nel caso contrario non si affaccia \nn per un buon pezzo), o non dillida di qualche oggetto posto nelle vicinanze e visto per la prima volta, si decide ad avanzare ed arriva con una rapidità maravigliosa lino alla piantina di erba presa di mira. Afferra con gli incisivi la fogliolina o lo stelo dell' erba, lo stacca, — 213 - Io recide e via, come saetta, verso l'ingresso del cunicolo traspor- tando dentro con gli incisivi la parte recisa. Se per caso, nella veloce corsa de) ritorno, questa porzione di pianta l'ecisa cade, raramente Tarvicola si indugia a raccattarla volgendosi indietro. Essa prosegue nella corsa precipitosa, entra nel cunicolo e, dopo aver fiutafo sulla soglia, riesce, corre, la raccoglie e la trasporta neiraliitazione. Qui o la mangia o la deposita per cominciare daccapo. I giovani, die il volgo cliiama olì ieri, sono ancora più diffi- denti. Nei miei allevamenti, un giorno scostai da un foro della abitazione di alcune giovani arvicole, la terra che vi avevano ammassata scavando il cunicolo. Poco dopo si affacciò una di esse ed osservando il nuovo stato di cose fu talmente invasa dalla diffidenza che entrò subito nel cunicolo, poi, secondo il solito, si riaf- facciò e fiutò, avanzando, appiattata come se si trovasse in am- biente del tutto nuovo, e, camminando cautamente attorno, fiutò sul pavimento, sulla terra spostata, sulle pareti del recinto, da per ogni dove, per ben 36 volte in 36 luoghi diversi, indugiando in questa esplorazione per un buon quarto d'ora ! La timidezza è anche un carattere dell'arvicola: in ambiente nuovo fiuta dovunque, corre velocemente preferendo i luoghi re- conditi, i margini, i sassi, le zolle, le erbe, si appiatta ogni tanto solleva un poco il capo ed il petto sulle zampine anteriori, aguz- zando il muso ed odorando il vento. Anche gli oggetti inanimati che vede la prima volta nelle vicinanze delle sue abitazioni costituiscono eausa di diffidenza per questo piccolo roditore. Non diciamo poi dei gatti, cani, uccelli, non escluso l'uomo, che son temuti al massimo grado. Basta porsi a distanza di un paio di metri da un foro più praticato dall' ar- vicola perchè la presenza di un estraneo sia subito conosciuta e temuta. Certamente in ciò concorre l'odore che emana dal corpo dell'intruso e che dal roditore è sentito spiccatamente e subi- tamente. L' arvicola molestata, specie se femmina, si ribella violente, mente; respinge con le zampe anteriori il molestatore, salta quasi su esso e, riuscendole, lo addenta molto profondameute con gli in- cisivi sì da farli penetrare abbastanza nelle parti molli. Più volte io sono stato addentato nelle dita dalle arvicole e mi sono sentito spingere a riprese i denti entro la carne provocando la lesione delle piccole vene con fuoruscita copiosa di sangue. — 214 — Una volta fui addentato neU'indiue tra l'unghia ed il tessuto sottostante, nel quale penetrarono i soli denti della mascella supe- l'iore pi-ovocaiido una ferita lun.^■a o mm. e '/e visibile egregia- mente all' esterno attraverso l'unghia stessa. Qualche volta, però, inseguita e raggiunta nel luogo ove si è accovacciata, l'arvicola ò talmente assalita dallo spavento che si lascia afferrare senza reagire. I piccoli che hanno una ventina di giorni di età, o poco più, addentano egualmente, ma non provocano ferite sensibili. Sonno. — L'arvicola, per buona parte del giorno, se ne sta intanata nel suo abitacolo; dal crepuscolo fino alle 7-8 invece è più attiva, bottina e compie i lavori di scavo od ampliamento del- l'abitazione. In inverno anche nella giornata fa frequenti appari- zioni all'esterno. Perloppiù il giorno dorme nel suo giaciglio sdraiata su di un fianco e col corpo un po' raccolto alla parte ventrale. Se sono in più nel nido, se ne stanno addossate e qualche volta amnuicchiate le une sopra le altre. In alcune il sonno è cosi profondo che le compagne le passano sopra senza eh' esse si sveglino. Spesso ho trovata qualche arvicola ancora a dormire paci- ficamente (mentre le compagne sono fuggite), nonostante io abbia dovuto fare del rumore per aprire gli abitacoli artificiali di alle- vamento onde osservare quel che si faceva nell'interno. Ed il sonno (-ra cosi pesante, letargico da crederla morta. Senonchè afferratala per buttarla via, essa si è svegliata ed è fuggita poi a precipizio. In casi eccezionali di forte invasione, come nel 1916, quando è distrutto tutto il meglio delle erbe e di queste rimangono solo quelle a fruttificazione tardiva, l' arvicola non conosce molto il sonno, poiché la si vede fuori in ogni ora del giorno, coirerc qua e là a recidere quelle uniche piante, delle quali, per gii scarsi principii nutritivi che contengono, essa e obbligata, durante la giornata, ad ingerirne più spesso allo scopo di sostentarsi. Corsa - salto - nuoto — L'arvicola raramente cammina; coire sempre rapidamente distendendo tutto il corpo quasi strisciando il ventre sul suolo. Nella corsa percorre uno spazio di m. 13.2 al mi- nuto primo, cioè 22 cm. al secondo. Sale arrampicandosi con destrezza su pareti rugose anche se disposte quasi verticalmente e nella discesa può lasciarsi cadere — 215 - da un'altezza di 20 cm. circa senza risentirne danno. Salta anche un vuoto di 12-15 centimetri. Se cade da una altezza considerevole rispetto alla sua statura, di poco meno di un metro, l'arvicola resta stordita, e, per un poco, ferma; poi gira su se stessa e finalmente prende una corsa rapida cercando di nascondersi alla vista. Nuota anche egregiamente tenendo tutto il corpo sommerso neir acqua, tranne il capo ed il dorso che affiorano. Può per- correre a nuoto uno spazio di 15 a 18 metri al minuto primo, cioè 27 centimetri circa al secondo. Famigliarità — La ftimigliarità tra individui di famiglie di- verse e del medesimo sesso è poco accentuata. La femmina lotta accanitamente contro un'altra di altra fa- miglia e cosi i maschi tra loro quando, però, questi sono con fem- mine. Viceversa la femmina fa buona accoglienza al maschio di altra famiglia e questo alla femmina. Entrando una femmina in un'abitazione di una famiglia estra- nea costituita da due o tre femmine con o senza un maschio (tale numero di individui esiste in una famiglia quando non vi sono figli molto giovani, altrimenti la famiglia ò composta da 5-8 individui), avviene una lotta feroce nella quale spessissimo l'e- stranea è soccombente. Come abbiamo visto, l'arvicola, trovandosi in ambiente non suo, nella fuga cerca un riparo e penetra in qualunque foro trova a portata di mano, per cui, lasciata nelle vicinanze del foro di un cunicolo, come lo scorge lo imbocca e penetra in esso. Ma vi trova cattiva accoglienza perchè le abitatrici la ricacciano con violenza. Se, per caso, la estranea è sorpresa fuori, una delle abi- tatrici, che dall' odore deve essersene accorta, si affaccia sulla soglia e provoca un rumore speciale con i denti incisivi do- vuto al batter rapido dei medesimi, (somigliante molto a quello provocato dal freddo a certi uomini), esce avvicinandosi passo passo, cautamente, la guarda sbiecamente, la fiuta sul muso, poi ancora passo passo, avanzando, sul pelo del corpo e finalmente sulla parte posteriore di questo, alla stessa guisa che fanno i cani quando si vedono per la prima volta. Conosciuto per mezzo del fiuto che si trova davanti ad un individuo del suo sesso si slan- cia sylla mal capitata e con i denti incisivi la addenta sul grop- pone, sui fianchi, qualche volta sul collo , facendo entrambi dei capitomboli accompagnati da un grido rauco, stridulo, da parte — 216 — dell'assalita e seguiti dalla t'uya nel suo cunicolo da parte del- l'assali trice. Però, questa presto torna all'assalto, mentre l' altra l'ufrge, per avvicinarsi nuovamente, come se nulla le fosse acca- duto, e tentare di introduisi nel cunicolo. Basta ciò perchè le compagne della assalitrice intervengano pur esse isolatamente nel lespinginiento della intrusa. Quindi nuovi assalti e nuovi ad- dentamenti cjiratterizzati sempre in precedenza dal batter dei denti. La forestiera tenta di fronteggiare la battaglia e reagisce ergendosi un poco colle zampe posteriori e parando i colpi con quelle anteriori per rigettare l'avversaria. Ma, anche questa as- sume il medesimo atteggiamento, per cui spesso le lottatrici stanno luna contro l'altra sollevate sulle zampe posteriori, nessuna osando di assalire per prima, e spiandosi le mosse vicendevolmente o cercando d'indovinarsele. Però, è sempre la forestiera che sta sulla difensiva in attesa degli avvenimenti emettendo quel tale grido rauco ad ogni movimento della assalitrice. La lotta non finisce se non coli' allontanamento o coll'abbat- timento della iiiti'usa, la (|uale tende sempre di cercare la sal- vezza penetrando di corsa nel cunicolo. Qui si trova relativa- mente al sicuro, poichò data l'angustia del cunicolo le ferite non possono esser fatte, come avviene all'aperto, sul grojipone e sui fianchi, che forse sono i luoghi più vulnerabili del corpo. Ma, an- che ivi la permanenza sua non dura a lungo, la lotta continua manifestata al di fuori dalla rauca voce della forestiera. Final- mente questa, non potendo pivi resistere agli attacchi, ferita a morte, esce fuggendo a precipizio, tutta malconcia per allonta- narsi e rifugiarsi altrove ove attende la morte. Qualche volta, nella lotta, le abitatrici usano delle astuzie. Si avvicinano all'avversaria con un giro vizioso, soffermandosi lungo il percorso e, fìngendo di rosicchiare qualche filo d'erba, passano di dietro, si slanciano su essa e l'addentano. Qualche altra, uscendo dal foro, si avvicinano alla nemica e cercano di spaventarla provo- cando un lumore col grattare il suolo colle zampe anteriori, oppure presentano il posteriore e con le zampe di questo lato le lanciano contro dei detriti di terra. Scacciata l'avversaria, pei' timore di non essere nuovamente visitate, le arvicole usano la precauzione di chiudere il foro per il quale la intrusa eia penetrata, ed anche quelli vicini, con terra nuova schivata e con rimasugli di vegetali non ancora espurgati dal cunicolo. - 217 - Nei miei allevamenti, dopo aver assistito ad una di queste lotte violente avvenuta tra femmine, una delle quali aveva scavalcata la divisione e dal suo recinto era passata in quello contiguo, notai quest' ultima precipitarsi fuori del cunicolo, emettere un suono rauco di dolore e, trascinando le zampe posteriori, dopo qualche ora morire. Scorticata la morta osservai la pelle del groppone perforata dagli incisivi, il tessuto .sottostante leso e la colonna ver- tebrale spezzata. Nella ferita entro la carne vi erano attaccati i peli penetrativi nella forza dell' addentamento. In altre arvicole malconciate e morte dopo la lotta ho trovata la pelle e la carne perforate da 2 a 5 coppie di forellini vicino alla base del collo, sul dorso e sui fianchi. Se una femmina si separa dalla famiglia e si tiene lontana da questa per unirla, dopo qualche ora, nuovamente ad essa, le viene fatta la stessa accoglienza che ad una intrusa, fintanto che non è riconosciuta. Se si mettono insieme più femmine, con o senza maschi, di famiglie diverse, e dopo un poco si lasciano libere, si formano gruppi separati, ciascuno costituito da individui della famiglia a cui appartenevano. Pare che l'odorato influisca su questi fenomeni, poiché da prove eseguite, dopo avere bagnate con acqua odorosa mercè uno spruzzatore da profumeria, delle arvicole di famiglie diverse poste insieme e poi lasciate in un recinto, esse si sono affami- gliate ed hanno costituito un' unica famiglia. Di questo fatto mi sono giovato più volte per formare una sola famiglia con diversi individui. I maschi, come dicevo più sopra, sono bene accetti dalle femmine; possono essere bensì combattuti, ma raramente, e per breve tempo; sempre senza soccombenza di nessuno. Avviene il contrario se nella famiglia vi è il maschio Allora intervengono anche le femmine in aiuto di questo. I giovani si comportano come le femmine tra loro, special- mente quando sono di diversa età. Un fatto degno di nota, osservato sempre nella lotta, è la ca- duta delle pulci dall' arvicola che ne è infetta, pei- cui esse pas- sano, anche in questa occasione, da un individuo all' altro di fa- miglia diversa. — 218 — Per sapere se le arvicole di famiglie diverse, abitanti lon- tano o vicino, comunicano tia di loro e si affamigiiano, ho fatto un saggio in pieno campo (1). Nel mese di ajirilc di quest' anno, in mezzo ettaro di terreno di forma rettangolare, immune da arvicole e topi campagnoli, coltivato a Jieno con veccic, favette e parecchie specie di gra- minacee e leguminose da prato, circondato da rete metallica alta 2 metri e, subito prima di questa, dalla parte interna, da un fosso profondo da cm. 35 a 40 e largo altrettanto con dei vasi di terra cotta infossati al fondo del medesimo fino alla bocca (2), ho la- sciato una famiglia di H arvicole, di cui tre maschi, sulla metà del lato minore di ovest dell'appezzamento ed un'altra, pure di 6 arvicole, tutte femmine, con la coda mozzata, alla f)artc opposta simmetrica di est, distante 100 m. Tanto quelle quanto queste fissarono in dette località la pro- pria abitazione scavandosi il cunicolo. In maggio il prato fu falciato, ma feci lasciare una zona me- diana tra i due lati minori dell' appezzamento , parallela ad essi, della stessa lunghezza (50 mctriì e della larghezza di .3 metri (3). La famiglia di ovest, dopo una quindicina di giorni dalla fal- ciatura, e cioè il 12 maggio, si spostò di 15 metri e 30 cm. verso est e perciò verso la zona non falciata, lasciando 1' abitazione e costruendosene un' altra. Ma, anche ivi non restò a lungo, poiché al 7' giorno di permanenza si spostò nuovamente verso est pe- netrando nella zona ricordata, che distava dai fori i)iù vicini 2(ì m. e 42 cm. Trascorso poco meno di due mesi, cioè il 16 di luglio, notai parecchi fori, tanto verso sud-est quanto verso nord, ai due fianchi della ricordata ultima abitazione della zona non falciata, con tre zone neutre tra i fori, rispettivamente di m. 8.03, t),10 e 9,75. Evidcn- il) Con i|UPsto esperimento Im |iotuto anche sef^uirc la (iiffusionc delle arvicole in pieno campo. (2) Il fosso attorno all'appezzamento con i vasi serviva a catturare le arvicole, cadute in essi, che eveiilualniente avessero abbandonato 1' appez- zamento. (3) La zona intermedia l'u lasciata senza falciare per sapere se, mancando il nutrimeiUo in tutto il resto dell' appezzamento, le arvicole si fossero con- centrale In essa che ott'riva semi ili veccie, favelle, orzo ed avena rimasti sulle piante che costituivano il prato artiliciale. — 219 — temente si erano costituite tre famii;iie originatesi dall'unica che si era spostata gradatamente. Alcuni fori di sud-est erano al di là della zona non falciata e precisamente in una delle piccolo aree adiacenti alla zona ricordata, nelle quali avevo seminati avena ed orzo, le di cui piantine, latte crescere per mezzo di ri- petuti inaffiamenti, erano state distrutte. La famiglia di est, con la' coda mozzata, si spostò egual- mente, ma verso ovest, in direzione della zona non falciata. Però lo spostamento, compiuto in tre tempi, avvenne molto più tardi di quelli dell'altra ftimiglia, perchè, lungo il percorso, vi era del- l' erba fresca. Infatti, il primo avvenne il 2 giugno a distanza di 1.3 m e 23 dalla l" abitazione; il 2' il 10 luglio a distanza di m. 18,80 dalla 2* ed il 3° il 19 dello stesso mese a distanza di m. 16,17 dalla 3\ La direzione seguita fu a zig-zag. Penetrata nella zona non falciata, questa famiglia scavò i cu nicoli a 7 metri più a nord dell' estremo foro della famiglia estrema derivata da quella lasciata ad ovest del l'ecinto. Anche questa famiglia dalla coda mozzata si divise, ma in due gruppi; 1' uno verso ovest e l'altro verso nord. Il 2 agosto feci scavare in mia presenza i cunicoli e notai che le famiglie erano cinque: in una delle tre derivate dalle ar- vicole provenienti da ovest vi erano tre lattanti, nati da pochis- simi giorni, con un adulto (una femmina); in una seconda quattro figli giovanissimi con tre adulti (due femmine ed un maschio) ed in una terza tre individui (un maschio e una femmina adulti ed un giovane). Tutti erano con la coda intera. Nelle altre due famiglie provenienti da est notai: in una, un maschio con la coda intera e due femmine con la coda mozzata e iieir altra due sole femmine con la coda mozzata. In nessuna vi erano figli. Mancavano due femmine dalla coda mozzata probabilmente morte o divorate da qualche rapace nottuino, o forse uccise dalle arvicole di altra famiglia vicina nei tentativi di penetrazione nella dimora di quest' ultima. Le accurate osservazioni dei cunicoli mi assicuraiono che questi non avevano comunicazione tra loio e quindi tra fami- glie diverse, 220 Abitazione delle arvicole. L'arvicola, come si sa, vive nei sotterranei che si scava con maestria. Sono chiamati cunicoli, o gallerie (Fig. 1 1 e 12), ed hanno una lunghezza variabile, forniti di diramazioni laterali anch'esse più o meno lunghe e di sbrancamenti del loro tratto principale. Sono tortuosi, in qualche parte paralleli alla superficie del terreno, per- Fìk- n. Korma in «esso lii un cuniiolo scavalo dalle arvicole in un masso ili ar;filla ila foinaciai in cui si notano due oaniore. loppiù obhliqui, ora relativamente superficiali, ora profondi: (pial- che volta ripiegati su se stessi per breve tratto e passanti al di- sotto di altro tratto in modo da formare branche che chiamerò sottocunicolari. Nelle località soggette a ristagno temporaneo di acqua per pioggia torrenziale, i cunicoli hanno, in luogo adatto, una porzione formata a sifone non più lunga di una quarantina di centimetri dentro la quale, certamente, le arvicole si riparano in ca.so di inondazione. Nella generalità non vi è bisogno di questo sifone perchè, in caso di inondazione del cunicolo, le arvicole escono fuori e si arrampicano sulle zolle più vicine emergenti dall' acqua. Cosi ho osservato due o tre volte. Inoltre essendo i — 221 — cunicoli in più di un tratto chiusi da terra scavata e non portata fuori, questa impedisce all' acqua di penetrare oltre. Nessun cunicolo è sprovvisto di diramazioni, pur esse tor- tuose, facenti capo alle bi-anche principali e con sbocco o senza alla superficie del terreno. Sovente ad esse sono collegate dirama l-ig. 12. l'^orma in g'esso di un cunicolo ricavat.i in un terreno a pascolo. {Le bandierine iu;re corrispondono ai tratti del cunicolo clie atìiorano alla superficie del terreno e terminano col foro). zioni secondarie e terziarie e queste terminano o no a fondo cieco (Fig. 12). Io ne ho contate fino a 15 su un percorso di .S metri e 30 cm. Questi rami brevi a fondo cieco hanno per lo [liiì ufficio di deposito degli alimenti. Non è escluso, però, che anche quelli co- municanti possono assumere questo ufficio; ed allora essi restano temporaneamente fuori uso ed hanno il foro tappato con teiTa scavata di dentro .se essi comunicano direttamente all'esterno. Il diametro del cunicolo è quasi uniforme in tutta la sua lunghezza e nelle sue diramazioni e vai'ia da 3 a f) centimetri. — 222 — Presentandosi il cunicolo con tante diramazioni coUegantisi tra loro a distanza varia, e tornando qualcuna di queste a sboccare quasi subito nella medesima branca, da cui si era originata, dopo aver compiuto tante svolte e giravolte ora risalente verso la su- perficie del terreno ora all'ondante in esso, forma un labirinto cosi intricato da non raccapezzareisi e ratifìgurarsi facilmente. Inoltre, siccome spesso 1' arvicola, nell'ampliamento del cunicolo, non porta all'esterno la terra scavata, ma la rimane in esso in- terrompendo il vano per un tratto più o meno lungo, cosi avviene che, scavando con la zappa, si perde il seguito e si ha l'idea che il cunicolo termini a fondo cieco. Ma, non è cosi se, con dovuto accorgimento, si scandaglia e si sonda, mediante stecco acuminato, la parte sezionata del terreno, perchè, allora, la terra di riempi- mento di quel tratto di cunicolo si distacca con facilità e si rin- traccia subito la continuazione di esso. Ecco la ragione perchè, spessissimo, negli scavi praticati, pur trovando segni evidenti di presenza di arvicole nel cunicolo, queste non si arrivano a trovare. Noi crediamo che il cunicolo sia ter- minato e sospendiamo il lavoro, mentre esso continuava chi sa per quale lunghezza ancora. Fori. — I cunicoli, salvo quando sono da poco scavati e perciò brevi, hanno sempre più sbocchi od aperture che, in un solo, possono arrivare fino a 67 e sono più o meno vicini tra loro. Questi sboc- chi od apei'ture o fori alla superficie del terreno sono chiamati dal volgo col nome di capi. Di essi son detti freschi quelli in cui è manifesto l'uso quotidiano delle arvicole, sia perchè sem- pre puliti, sia perchè si notano le erbe, che sono attorno, recise di recente; e vecchi quelli di cunicoli abbandonati o anche abitati ma non più usati. Questi fori hanno il diametro di poco superiore al resto del cunicolo con direzione per lo più olibliqua alla superficie del ter- reno, come per lo più è obbliqua la porzione del cunicolo a cui essi corrispondono. La felina loro si può paragonare a quella del becco di clarino. I fori, come abbiamo detto, sono rotondeggianti ed un po' più larghi del resto del cunicolo, tanto da permettere a due arvicole, l'una che entra e l'altra che esce, di passare contemporaneamente accavallandosi. Del resto, anche il diametro del cunicolo permette questo passaggio contemporaneo in due. I fori hanno il bordo netto, privo di sporgenze molto angolose. — 223 — Però, quelli fatti dagli allievi (arvicole giovani) sono a mar- gine irregolare e molto più larghi. I pratici perciò sanno riconoscere se in quella t'amiglia si allem o no, cioè, vi sono o no figli giovani. Quelli più frequentati possono presentare in continuazione col- r esterno, per un tratto di circa 30 cm., una specie di cunetta. Ciò si verifica in terreno un po' sciolto. Con o senza di essa, nelle immediate vicinanze e in linea più o meno l'etta, il suolo è sem- pre ben netto da qualsiasi detrito. Nell'estate del 1916, lungo il Tratture Cerignola-Foggia, molto spesso ho trovato fori di cunicoli che si continuavano sulla su- perficie del terreno con stradicciuole più o meno lunghe, inter- secantisi o no. Esse erano formate dal passaggio tVequente delle arvicole, alla stessa guisa di quelle stradicciuole che si osservano attorno al foro della galleria della Formica nei'a (il/i?ssor harbarus (L.) var. nigra André) e da questa formato col suo passaggio. Di più, in parte erano allo scoperto e in parte coperte dai ra- metti e foglie di piante secche intrecciantisi e formanti una galleria esterna. Di esse ho potuto contare un minimo di 2 ed un massimo di 6 aventi direzione e lunghezza diversa. Inoltre, da quei fori in cui ne partivano due, esse potevano avere direzione opposta o formare un angolo più 0 meno acuto col vertice al foro. In un foro, da cui parti- vano 6 stradicciuole, feci le seguenti osservazioni: una di essa, la più esterna, era lunga m. 1,84, la seconda m. 2,15, la terza, lunga com- plessivamente cm. 92, si biforcava a 35 era. dal foro, aveva una branca lunga cm. ,32 e l'altra cm. 25; la 4-' m. 3,02, la 5'' m. 1,06, che all'estremo si univa ad un' altra di un 2° foro, e la 6* m. 0,88. Avevano tutte la larghezza di cm. 4 a 5 ed erano ben nette come se il vento provvedesse ogni giorno alla loro pulizia. Del resto simili stradicciuole le arvicole le fanno anche sotto i covoni di cereali, spezzando gli steli pei' formarsi un passaggio con l'esterno. La lunghezza del cunicolo va da qualche metro (nei primi giorni della costituzione della famiglia) fino a 53-54 metri circa, comprese tutte le sue diramazioni. In due sole, tra le misurazioni fatte, risultò che la lunghezza del cunicolo, comprese tutte le sue ramificazioni, raggiunse rispettiva- mente 53 e 54 metri circa, svolgentesi in un terreno di raq. 4,40 di superficie. — 224 - Da varie jn'ove è risultato che nelle 24 ore un arvicola sola (un maschio), in terreno leggermente compatto, può, nello scavamento del cunicolo, cavare e mettere alla superficie un massimo di ò litri ed un minimo di 0,050, con una media di circa 1 litro al giorno. Due arvicole invece (un maschio ed una femmina, possono, nelle stesse condiziuiii, cavare lifi'i 4 e '/., e 0,150 al giorno con la stessa media giornaliera. La prima arvicola ha poi, durante 56 giorni di lavoro, cavato litri 55,375 di terra, facendo un cunicolo lungo metri 54 circa. Le altre due in 64 giorni di lavoro hanno cavato litri 68,500 e for- mato un cunicolo di 51 meti'i circa di lunghezza. Quando il cunicolo è breve, da 1 metro o due al più, le ar- vicole che vi si ti'ovano sono dal volgo chiamate scasarnìi, vale a dire topi che hanno abbandonata Fabitazione ove dimoravano o nacquero, per procurarsi altro ambiente o formare una fami- glia a se separandosi dai congiunti. Il cunicolo riprodotto in gesso (1), comesi vede nella Fig. 12, misurava complessivamente metri 10,56; aveva una branca lunga m. 2,46, ed altre due, innestantisi a questa, rispettivamente lunghe ra. 1,57 e m. 1,88 La lunghezza delle diramazioni principali arri- vava fino a m. 0,93, quelle delle secondarie tino a m. 0,30 e delle terziarie da 0,07 a 0,15. Esso aveva 10 fori come si vedono nella fotografia contrassegnati da bandierine nere. La profondità massima a cui arriva una branca del cunicolo ò di 80 cm. circa, nei terreni soffici, e di 40 circa in quelli mediamente compatti. In pochi casi però ho trovato il cunicolo raggiungere, in qualche tratto, tale profondità massima. Una sola volta essa l'ha superata essendo arrivata a 83 cna. (2). Ma, in questo caso la parte (1) Da tre fori fu immesso iii'l cunicolo del gesso modcrntanieute stem- jierato noli' acqii.a fino a che il cunicolo non ne ricevette più e non usci ila altri fori. Dopo rappreso il gesso si mise a nudo, con molta cura, a mezzo di coltellino .-icuniinato, la forma del cunicolo che si vede nella fig. ì'2. {i) Qualche sorciaro assoldalo per la cattura delle arvicole mi ha riferito di aver dovuto scavare alla profondità di un metro ed anche oltre per rag- giungere le arvicole. Tale cifra é esagerata: in primo luogo percliè l'interes- sato voleva rendere più preziosa Topera sua e pretendere salario maggiore ed in secondo luogo, ammessa la buona fede, il contadino in genere è portato alla esagerazione; egli non sa mai valutare le dimensioni o il tempo e lo spazio. - 225 - più profonda corrispondeva ad una fossa piena di terra che era stata scavata a suo tempo per piantarvi un albeio fruttifero (co- me lo attestavano le radici ancora rimastevi), il quale jjoi era morto e perciò divelto (1). Numero di fori iu iiu metro quadrato. — Nei luoghi molto inletti il terreno si presenta foracchiato in quantità impressionante; Fig. 13. Fori di usfita e, pag. 1, L'Aval, L. Barneoud et Com- pajrnip, l(tl3. Xni - Uullett. di Zoologìa Oeri. e A^r 15 — '2-2& — e Vj. La media di questa superficie è però, nei casi normali, di mq. 9 o poeo ]>iù. Considerando ora che ogni cunicolo, nel periodo di generale allevamento di piccoli, poteva albergare nel 1910 una inedia di 6 arvicole, e considerando che ciascun cunicolo avesse 10 fori, si arguisce che su una superficie di un ettaro vi potevano essere da 90000 a 120000 arvicole. Ma, tale nunicio deve essere molto in- teriore al vero, giacché, come vedremo, dai calcoli sul numero degli steli di grano che alla notte può recidere un'arvicola, esso risulta i)iù die quintuplicato. Cunicoli e lori sulle sponde delle strade. — Anche le sponde delle strade non sono risparmiate dalle aivicole. Infatti possono presentai'si perforate da fori ed attraversate da limicoli come un qualunque altro terreno. Nel 1916 poi, non mancava una che non ne avesse buon nu- mero. Quelle limitanti le strade incassate erano caratteristiche, perchè la parte superiore corrispondente allo strato coltivato del terreno dava l'idea di una sezione trasversale a bella posta pra- ticata nel terreno per lasciar vedere i cunicoli in tale sezione. In qualche località, i ripari di terreno latti per impedire il defluire, nel podere sottostante, delle acque piovane di raccolta del fosso di confine, avevano tale numcio di fori di arvicole che da soli provocarono l'anno successivo (1917), dei danni considerevoli, giacché r acqua di raccolta, nelle giot-nate piovose dell' inverno e della primavera, passò attraverso i medesimi allagando i semi- nati sottostanti come se il riparo invece che di terra fosse di rete. Camera e nido. — Ogni cunicolo, in una due o tre luoghi, pre- .senta 1-2-.-5 slargameiiti che costituiscono un vano ovolare dal volgo (letto nido, ma che noi chiameremo caiuO'a perché aj)- propriata all'uso suo, giacché in essa l'arvicola si rifugia, i-iposa, jìartorisce ed alleva i piccoli. La camera é larga da 9 a 12 cm., lunga da 12 a lo ed alta da 7 ad 8. Il numero delle camere che si può trovare lungo il percorso del cunicolo va da un minimo di uno ad un massimo di tre. Esse sono poi situate a distanza di HO a 70 cm. l'una dall' altra e ad una lìrofondità di pochi centimetri (20-25) nei terreni sodi e com- patti, a 50 circa in quelli più soffici ed a sottosuolo permeabile. In due volte solamente, nel mese di luglio, ho trovato una camera a 8 e 10 cm. di profondità. - 221 - Ogni camera ha almeno due comunicazioni, più spesso 3, a volte 5, con altre branche o rami del cunicolo. Per modo che se l'arvicola è raggiunta da un lato, fino nella camera, ha sempre libera la via per fuggire da altri lati La distanza della camera dal toro più vicino è non meno di un metro, ma può arrivare a 1,70 circa. Nella camera è il vero n/(ìo ben composto e soffice. Esso ha l'aspetto di un groviglio (Fig. 14) di stoppa grossolana formato Fin-. 11. Xiilo (li ;ii\ ÌL'ola. di nastrini sottili di steli secchi e foglie pur esse secche di gra- minacee, lunghi da cm. 1 a cm. 15, ben bene maciullati coi denti, tranne qualche stelo che può essere intero se di erba a fusto sottile. Essi sono i-idotti tali allo stato verde e sono ammassati un poco per volta. Con le prime porzioni l'arvicola forma il gia- ciglio e con le successive il resto del nido, addossando, per mezzo di capate e spallate, la parte sovrastante al giaciglio, alle pareti ed alla volta, in modo da formale il vuoto tra questo e la parte superiore. Questa perciò, costituisce la copertura. Oltreché di erbe e steli di graminacee, che sono le più prestanti alla bisogna, l'arvicola può formarsi un nido, come osservai in un cunicolo scavato jn una vigna a H. Severo, anche di stoppa sfilacciata dai pezzi di corda e di pezzettini di cordicella raccattati, nonché di stracci di tela, che, nel caso in jìarohi, erano tinti in nero. 11 nido ha le stesse dimensioni della camera, ma il vano suo è più ridotto. Tutto il gi'o viglio misura em. 10 di lunghezza - 228 - per 7-8 di largl>ezza e 4-5 di altezza e pesa gr. 9 a 43, per modo che per il nido occorrono gr. 40 a 175 circa di erbe. Il vuoto 0 vano nel nido raggiunge i cm.^ 100 circa. Anch'esso ha tante comunicazioni quante ne ha la camera; però, una sola è la più frequentata. Le altie sono chiuse e pos- sono aprirsi a volontà, tanto non è difficile all'arvicola forzai'e l*i'zzo ili ;ir;:illa il;i toi'iiHi'ifti stnt't-ato da mi inasto tu'i-(|uale U- arvirolr a\evallOe^•a^alo il cunìcolo. In esso si vedono i solchi defili incisivi tatti nello svavaiiienio per stac- carne i blocchetti, come nella Pi;:. 17. il groviglio coi capo per aprirsi un passaggio. Quando alleva ed esce per nutiirsi, larvicola cliiude anche 1' apertura frequentata accostandovi col muso i fili di erba e gli .steli del nido. Questo, scomposto dalla zappa nello scavamento del cuni- colo e lasciato nelle vicinanze, può essere, durante la notte, in buona parte raccattato dall aivicola e trasportato a brandelli entro il cunicolo ove era rimasta, pei; ricostruirlo rapidamente. Ciò, però, si verifica quando difettano le erbe per formare il nuovo giaciglio o probabilmente perchè è molto prossima a par- torire e non vi è tempo da aspettare; o, finalmente, perchè alleva piccoli che aveva allontanati e messi al sicuro durante lo scavo. Scuvaiueiito del cunicolo — Scelto un luogo adatto, dopo as- saggi qua e là sul terreni). 1 arvicola comincia a scavare il cu- 229 nieolo. Allo scopo inizia il lavoro con le zampine anteriori per mezzo delle quali gratta rapidamente il suolo, poi adopera gli inci^sivi, come si vede dall' impronta lasciata nel terreno (Figg. 15 e 16), mentre le zam|)ine anteriori spingono fuori, quasi lazzo- Fiff, Ifi. Pezzo (il Hi-j^illa da fornaciai in cui si osservano i solehi fatti dall'arvlL-oIa eog:li incisiv nf*l distaccarti la terra scavando il cunicolo i Ing-randitO). landò, le zollette cosi staccate (Fig. 17) e le passano alle posteriori. Queste poi le lanciano lontano con violenza. Qualche volta nel lancio fanno ai-rivare i detriti a 70 cm. circa di distanza. Se, nello sti-appo con i denti, la zolla staccata è voluminosetta e le zampe anteriori non lùescono a passarla sotto il ventre, l'arvicola sospende il lavoro di scavo, afferra la zolla cogli incisivi e la trasporta un po' lontano. Se poi la zolla è ancora più voluminosa, per cui non può essere neppure affer- rata cogli incisivi, allora viene sospinta per un buon tratto col muso e col petto e portata fuori. — :.':-!0 — Ingombrandosi lo vicinanze immediate del foro con la suc- cessiva terra scavitta. in modo da formare un monticello dal quale i detriti niz/.olaiio nel cunicolo, Tarvicola si rivolge col corpo, esce, avanza un po', dà rapidamente uno sguardo, torna a rivolgersi e con le zampe posteriori demolisce il monticello sca- raventando la terra a distanza. Poi riprende il lavoio di scavo. Kìji. n. Zolliti!' di arcilla il« fftrnaiiai staccale con rIì incisivi ilallc arviinlc nello scavamento ilei cunicolo. (Gramlczz» naturale . Qualche volta, approfondito il cunicolo di una quindicina di centimetri, mentre l'arvicola e nell'interno, si osserva fuoruscire dal cunicolo delle gettate violente di terreno smosso, che arri- vano a 20 cm. circa di altezza, dando l'idea di un piccolo vul- cano in eruzione che lancia lapilli dalla bocca. Nel duro lavoro di scavo l'arvicola ogni tanto riposa e per liberarsi dalla polvere si netta rapidamente con le zampine anteriori il muso, il capo, le orecchie, il collo, come fa chi si lava. Se sono in due, il lavoro di scavo si compie più presto, giac- ché, mentre una lavora coi denti e passa all'altra i detriti, que- sta le scaraventa lontano. Inoltre si avvicendano nel lavoro. — 231 — Come ho detto, la terra scavata viene spinta lontano dal foro, ma, qualche volta, da una parte di essa, si nota un cumulo di terra scavata (Fig. 18) dando la fisionomia di quei cumuli di detriti di terreno che si vedono spesso vicino al t'oro della Formica nera. >'Alì: Fig. 18. Foro ili un cunicolo di arvicole col mucchiotto ili terra scavata ed estratto fuori dai cunicolo. Altre volte, ma raramente, lungo il cunicolo, dopo avere aperto fori comunicanti con l' interno, questi sono subito chiusi dalla stessa terra portata fuori, sicché il terreno sembra semplicemente smosso lungo i loro cunicoli alla stessa guisa che fanno le talpe. Odorato. L'odorato è molto sviluppato nell' arvicola. Nelle condizioni normali, a distanza di 2-3 metri circa, essa si accorge della pre- senza dell'uomo che, immobile, aspetta di vederla uscire dal cu- nicolo. E non c'è caso, dopo essersi affacciata sulla soglia e fiu- tato il vento, di vederla uscire se )ion trascorso un certo tempo, forse fino a quando l'aria attorno non si sia saturata di queìFodore 232 che promana dall' uomo Si affaccia si, nell' intervallo di tempo, ma, come molla distesa e lasciata, si ritira entro il cunicolo, quasi scivolando. Se si lascia un po' di seme di cereale dietro un ostacolo a distanza di .3-4 m., senza perciò esser veduto dall'arvicola, questa si affaccia subito dal foro e fiuta. Se non vi sono cause di diffi- denza e l'osservatore è lontano, esce e, dopo i soliti preliminari esperimenti di uscita ed entrata di cui abbiamo parlato più sopia, va a raccattarlo afferrandone i chicchi cogli incisivi. Poi, di corsa, li trasporta nel cunicolo. Ogni volta afferra e porta in bocca un chicco di grano, ma può portarne fino a 3. In una prova posi sotto embrici 400 chicchi (100 per specie) di grano, orzo, avena e mais, verso le 8 di sera, a distanza di 4 metri da un foro. Alle due della notte i semi erano stati tutti trasportati, tranne 3 di orzo. Come dei semi di cereali, cosi di altri semi graditi (es. vec- cia) e delle frutte (pere, pesche, albicocche, ecc.), l' arvicola si accorge della loro presenza. Più specialmente però, sente subito il profumo delle pere, ep- perciò essa si affaccia sulla soglia quasi immediatamente dopo che sono state poste nelle vicinanze dei fori. Disdegna i cattivi odori e, quando un oggetto, che dà odore irritante e nauseante, si pone vicino al foro, l'arvicola si affretta a tappar questo con terra e detriti di erbe. Cosi ho osservato, in un esperimento con la Paganum Mar- inala L., volg. Rxta selradca, per sapere se era appetita dalle arvicole, che, mettendo detta pianta recisa vicino ad un foro, questo alla notte fu chiuso con terra perchè la pianta emana un odore irritante. Igiene e cure all' abitazione. L'arvicola cura l' igiene molto più di quel che non si sup- pone. Non sopporta sul suo corpo alcun oggetto estraneo, neppure i detriti di polvere; non si lorda mai e, se le avviene, si netta subito con le zampine anteriori stropicciandole sulla parte. Non orina, né evacua che in caso di malessere entro i cu- nicoli. I fori, nelle immediate vicinanze, sono tenuti sempre puliti come sono tenuti sempre puliti i nidi. — 233 — I eunicoli sono spesso nettati deg-li avanzi di erbe o di semi trasportati in essi dopo che l'arvicola ha scelta la parte migliore e buona per nutrimento e dopo che i medesimi cibi, conservati e non consumati, sono ammuffiti. Se vi si trovano rimasugli è segno che il cunicolo fu abban- donato, o gli abitanti suoi sono morti o, finalmente, perchè, quelle ramificazioni che li contengono, furono abbandonate per essere in- comode a pulirle. Nei mesi estivi del 1916, moltissimi cunicoli, avevano di questi rimasugli e nel nido si trovavano solo resti di arvicole morte. Prima che il vento intervenga, si osservano benissimo, al- l'esterno dei cunicoli, nei pressi dei fori, pezzetti di paglia, di steli, spoglie di semi, ecc. frammisti a terra e che sono stati rigettati dalle abitatrici del cunicolo. Tra questi detriti, nell'estate del 1916, notai, in più luoghi, all'esterno dei fori, molti gusci rotti e vuoti di chioccioline (di cui non ho potuto ancora sapere il nome scientifico), che le arvicole avevano trasportato nell'interno dopo avere mangiato il mollusco. Spesso, specialmente dopo una pioggia, le arvicole puliscono il loro cunicolo portando fuori terra umida che da, forse, una umidità eccessiva all'ambiente ed è, perciò, dannosa alla loro salute. È in questa occasione, dopo una pioggia, in estate, che più facil- mente si può riconoscere dall'esterno se un cunicolo è abitato o no. Nelle giornate un po' ventose, qualche volta in quelle minac- cianti pioggia, o quando nota un pericolo, l'arvicola usa la precau- zione di otturare, il volgo dice oppulare (corruzione di oppilare) con terra smossa, frammista o no a rimasugli di erbe, i fori che sono contro vento o soggetti alla penetrazione dell'acqua o, final- mente, perchè da quella parte ha notato il pericolo di un qual- che nemico vero o presunto, come può essere una lucertola, che inseguita da compagne vi si introduce, o un insetto un po' grande, tra i quali sono da ricordarsi le Blaps, oppure una trappola. Nei miei allevamenti in blocchi di argilla delle dimensioni di un doppio mattone, che in seguito a restringimento per secchezza presentavano interstizi, le arvicole li hanno oppilati dall'interno con erba secca o verde spingendovela fuori col capo attraverso agli spazi medesimi. Dell'oppilazione, i cosi detti sorciari di professione, a Torre - maggiore e S. Severo, ne fanno tesoro nella caccia alle arvicole. — 234 — Infatti essi, trovato un paio di capi freschi (fori del cunico- lo frequentati) di un focarile (abitazione di una f^imiglia), scavano con la zappa, seguendo per mezzo di detti fori la direzione del cunicolo, per un metro circa, aprono col dito la sezione di questo che la zappa aveva otturata nel lavoro o sospendono lo scavo. Ripetono la stessa cosa in altre 5-6 abitazioni {fncnrili) e, dopo qualche ora, tornano sui luoghi scavati a cominciare dal primo. Se il cunicolo interrotto presenta 1' apertura chiusa con terra, è segno che esso è abitato. Allora completano il disfacimento ini- ziato del cunicolo e trovano con sicurezza le abitatrici vengono catturate ed uccise. Nei terreni sciolti, come nei sabbiosi, 1' arvicola scava il cunicolo servendosi delle sole zampe e perchè esso non frani è presumibile che comprima le pareti col corpo. Nei terreni della Capitanata, che, spesso, a poca profondità (10-20 cm.) hanno la crosta calcarea, semi-compatta, l'arvicola arriva a scavare il cunicolo anche in questa ed allora si vede, nelle vicinanze di ciascun foro, il mucchietto di detriti bianchi di detta crosta messi fuori nella formazione dell' abitacolo. Metodo seguito dall' arvicola nella recisione degli steli di cereali maturi. Nella recisione degli steli di cereali con spighe mature, l'ar- vicola segue un metodo tutto speciale che merita di essere rile- vato, anche perchè spiega quel fenomeno della paglia triturata che si trova nelle vicinanze dei fori dei cunicoli e di cui nessuno, fin oggi, si rendeva esatto conto, poiché l'ha spiegato con l'istinto della distruzione. L'arvicola dunque, per appropriarsi delle spighe, non potendo salire ed arrivare lìn su esse perchè gli steli che le sorreggono non offrono punti di appoggio allo unghie, essendo lisci e. si piegano, senza rompersi, sotto il peso del di lei corpo, si sol- leva sulle zampe posteriori e si arrampica giungendo fin dove può, poggiando queste sulle foglie situate sopra alla base della pianta ])resa di mira, o su gli steli obbliqui delle piante vicine. In questo modo, qualche volta, può arrivare fino a 60 cm. dal suolo, specialmente se la fittezza delle piante è molto accentuata. Ad ogni modo si allunga, si erge, e poggia le zampe anteriori sullo — 235 - stelo (Fig. 19). Dispone il capo un po' di fianco e con i denti incisivi, sega rapidamente, trattenendo tra essi l'estremo dello stelo reciso che si abbatte. Quindi scende mantenendo termo tra i denti lo stelo e, con una zampina anteriore, afferra l'esliemo del medesimo, mentre con 1' altia afferra questo a fianco alla, bocca. E da questo momento che comincia lo spezzettamento. Tiene fermo, orizzon talmente, in questa posizione, lo stelo, con le zampine anteriori. Fi«-. 19. Arvicole che recidono steli' di ferrano. e lo recide coi denti all' estremo della porzione compresa tra le due zampine verso la spiga. Lascia cadere questa porzione, ma mantiene sempre, con una zampina, l'estremo dello stelo rimasto. Indi avvicina nuovamente la zampina libera all'estremo tenuto neir altra, lo afferra e con essa e gli incisivi tira orizzontalmente lasciando scorrere lo stelo. Recide ancora, ripete, come dianzi il lavoro fino a che lo stelo non sia ridotto alla lunghezza di una ventina di centimetri circa. A questo punto 1' arvicola fa scorrere, come sopra, il tratto dello stelo rimasto e, quando la spiga è arrivata a toccare l'esterno della zampina corrispondente, recide l'ultimo pezzo dello stelo e, subito dopo, di corsa trasporta nel cunicolo la spiga trattenuta — 236 - tra i denti. Nel cunicolo la spiga è conservata in luogo adatto insieme ad altre che l'arvicola vi trasporta dopo aver seguito lo stesso procedimento. Tutto questo lavoro è compiuto con sveltezza sorprendente. Ora, se noi consideriamo il metodo seguito, vediamo che ha la sua ragione. Il fusticino del cereale reciso si abbatte per il peso della spiga e cade, per necessità, tra gli altri steli fitti, ancora eretti. Larvi cola potrebbe recarsi a rintracciare la spiga o a tirare lo stelo; ma, se vi si reca, il suo passaggio è molto incomodo tra la fitta messe, per cui perderebbe molto tempo nella ricerca, più di quello occupato nell'altro modo, se invece tira a se lo stelo, l'estremo di questo, opposto alla spiga, urta contro gli altri steli ancora erotti che trova a fianco e perderebbe anche tempo. Quindi, trova logico, per la sveltezza dell'operazione, e il raggiungimento rapido dello scopo, di ridurre a pezzi lo stelo, salvo a tirare infine 1' ultimo breve tratto rimasto fino alla spiga. Questa è la ragione perchè lo stelo dei cereali e ridotto in minuti pezzetti di paglia. Di questi pezzettini, nel giugno de! 1917 a Torremaggiorc, in un campo di grano, ne ho trovati moltissimi fuori le aperture dei cunicoli, della lunghezza minima di 1 cm. ad una massima di 20 circa, frammisti o no a terra e pula. Attorno a quattro fori di un cunicolo ne ho contati rispetti yamente 209,676, 317 e 46H della lunghezza da 1 a 16 cm. con una media lunghezza di cm. 7. Ora, siccome la lunghezza media dello stelo del grano, dal punto reciso, era di 70 cm., cosi le ar- vicole di quella famiglia avevano distrutto almeno 21 steli ed asportate cosi 21 spighe attorno al 1° foro, 68 al 2", 30 al 3" e 40 al 4"; un totale di l.">9 spighe, su di un' area totale di cmq. 2000 circa. Le spighe di grano u di orzo trasportate nel cunicolo non tutte rimangono intere, ma sono spezzate in due o tre parti a seconda della loro lunghezza. E, i chicchi sono liberati dalle glume e glumelle, che li avviluppano, quando devono essere mangiati. Sicché le spighe appariscono non toccate, ma, in realtà sono vuote. L' avena invece non è ti'asportata nel cunicolo con tutta la pannocchia; le sole s])ighette sono recise e conservate. L'arvicola, per mangiare il seme dell'avena, lo libera con gli incisivi rlegli invogli che lo avviluppano senza però distaccarli. - 237 - Sicché questi rimangono interi al posto loro, e danno 1' idea che contengano ancora il seme. Pei'ò, se si comprimono tra le dita, si nota subito che sono vuoti. Da prove diverse mi è risultato che un'arvicola per recidere 10 steli di avena e mettere al sicuro le spighette nel cunicolo ha RiinasM'cIi di <*rbft iVraniinacpe p leguminose) spezzettate 'ialle arvicole. impiegato un' ora e un quarto, 75 minuti primi, cosi divisi: 2 mi- nuti e mezzo per recidere e spezzettare ciascuno stelo e b mi- nuti per recidere i peduncoli delle .spighette di ognuno e traspor- tarle nel cunicolo distante dallo stelo 45 cm. Durante questo la- voro r arvicola è entrata 83 volte nel cunicolo con una breve sosta. Anche le ei'be recise sono spezzettate (Fig. 20), non però al- l'esterno del cunicolo, ma nell' interno di esso, ove le parti gra- dite sono rosicchiate e mangiate ed il resto è rigettato dai fori. — ^>•^s — Nutrimento dell' adulto. y lunido r arvicola luaiif^ia, si l'accoglit' su se stessa e siede sulle z.inipc posteriori menti'e con le anteriori tiene stretta tra le dita la fuiilia o il seme elle avvicina alla bocca ogni volta che deve roderne una jiarte e masticarla. Se, nel frattempo, è distur- bata da una compagna, reagisce con le zampe anteriori e, spesso, per non abbandonare 1' oggetto che ha tra le dita delle medesime, specialmente se ù un si>me, lo atterra cogli incisivi e lo tiene bene stretto. 1/ arvicola si nutie, nei casi di necessità, di svariatissime e numerose specie di i)iante erbacee appartenenti a famiglie e genei'i diversi, sieno esse coltivate o no, nonché di frutte di piante fruttifere che cadono sul suolo. Nei casi normali queste piante si riducono di numero e sono preferite le graminacee coltivate, a cui seguono subito le leguminose da foraggio. Esse sono mangiate in quasi tutte le loro paiti e stati di sviluppo. Cosi si nutrono delle graminacee a cominciare dalla piumctta per finii'e al seme e delle leguminose, oltre delle foglie e degli steli, auche delle radici. Alle h^guminose seguono piante appartenenti alle crucifere, com- posite, labiate, cutoibiacee, ecc. Daremo 1' elenco delle pi.ante e loro parti di cui 1' arvicola può, allo stato naturale, nutrirsi: Grano, Avena, Orzo e Granturco, (foglie, steli e semi); Gramigne, vari Bromi, Panico, Logli (foglie e steli); Sorgo e Miglio (foglie, steli e semi); Erba medica (foglie, steli, l'adici e semi); Sulla (foglie e steli); Veccie varie, Pisello, (foglie, steli, fVutto e seme fresco); Fava (foglie), Medicago Oì'hini- luris AH. (foglie, steli e semi); Senapa nera e bianca (foglie e steli); Cavoli diversi (foglie), Rape e Ravanelli (foglie e radici); Patate (tuberi), Lepidium drahu L. (foglie e radici); Lattughe selvatiche e coltivate. Cicorie e Barbabietole, (foglie); Zucche (frutto e seme), Cocomeri (tVutto e seme), Cetrioli (fVutto e seme); SnncJms vari (foglie e fusto), Onopordon horridum var. appulum (foglie e brattee delle infiorescenze), Silijbnm mariixnum Gaertn. (infiorescenze e se- mi), llelmiìiUiio ecliioides Gaertn. (foglie e corteccia), Marrubinm niìgciì-e L. (infiorescenze e foglie); Jlalva (fusto e foglie); Verbascum (foglie e corteccia); Girasole (fusto, infiorescenze e semi), Ricino (foglie giovani), Eufoì-bia (foglie), Carota (semi e foglie), Solanum ììì- gì um L. (fusto e foglie). Porcellana selvatica (foglie e steli), Sedano — !>a9 — e Finocchio (fusto e foglie), Pomodoro (foglie e bacche), Melan- zane (foglie, steli e bacche). Ti'a le piante legnose: Vite (pampini, coi'teccia verde, uva); frutte di Pero, Albicocco, Pesco, Ciliegio; Mandorlo premice (semi); Elee e Quercia (ghiande); Olivo; (drupa). Biancospino (foglie e frutte). Acacia (foglie e baccelli verdi). In diramazioni di cunicoli ho trovato, nell'agosto del 1916, numerosi pezzi di radici di Lepidium araba L. e, nell'ottobre dello stesso anno, a S. Vito dei Normanni in una proprietà del Sen. Principe di Frasso Dentice, tuberi di una pianta, il cui nome scientifico non ancora mi riesce di conoscere. In un tratto del cuni- culo di una taniiglia ve ne contai 37 ed in un'altra 69. Anche le maiidoile ad endocarpo duro ho trovato conservate nei cunicoli, ma non cran toccate che nel solo epicarpo I Fichi sono pochissimo appetiti. Negli allevamenti, il pane duro è più appetito che non il iresco e di questo preferisce la crosta, cosi le paste secche, i fagiaoli cotti, ceci cotti al forno o frantumati o tenuti all' acqua per 10-15 ore, fave e cicerchie trattate come i ceci, arachide cotte e ci'ude sono tutti appetiti, d'adisce molto le paste secche dolci specie se confezionate con pasta di mandorle. Disdegna la carne tanto cotta quanto cruda, come il lardo, prosciutto, formaggio ed anche il sangue di altri animali. A proposito del sangue, osservando nei miei allevamenti ar- vicole che leccavano quello coagulato sgorgato da una ferita al capo di una compagna assalita, tentai di sperimentare con quello di vitello e di pecora. Non fu possibile di vederne un poco assag- giato, neppure dopo bollito. La repulsione era tale che tappavano il foro vicino al quale avevo posto dei pezzetti di sangue. Mentre poi, in casi eccezionali, mangiano con avidità la carne delle loro compagne morte od uccise nella lotta, cominciando dal cervello dopo aver fracassato il cranio. Ma, di questo cannibalismo non bisogna esagerarne la por- tata, perchè l'arvicola non uccide le sue simili per mangiarle e non sempre le mangia dopo averle uccise. He è assalita dalla fame o dalla sete mangia le compagne morte comportandosi come le iene. In un giorno d' estate del 1916, sul margine di una strada rotabile Cerignoia-Foggia , trovai un'arvicola che tranquillamente mangiava una carogna alquanto seccata di una sua compagna , avanzo evidentemente di Co- - 240 — leotteri, Direttori, ecc. Come per fame certamente un altro giorno una secuiula arvicola rosicchiava un pezzo di sterco di cavallo I Nei miei allevamenti, quando la famiglia aveva provviste ali- mentari acquose, ho notato quasi sempre individui estranei uccisi, o i morti della stessa famiglia, ancora intatti nel nido, il quale, pelò, ora stato abbandonato dagli abitatori e ne era stato costruito un secondo più lontano. Il contrario è accaduto nei casi di scarso e non gradevole nutrimento o di mancanza di nutrimento acquoso. Infatti allora le campagne morte sono divoi-ate. Cosi per la sete. In estate specialmente, l'arvicola si mostra assetata al punto di non avere ripugnanza di leccare la propria orina o quella delle altre, e divora con grande avidità le com- pagne morte (probabilmente perchè i tessuti sono acquosi), nono- stante abbia a disposizione semi di cereali. Allo stesso modo si comporta quando la vittidazione è esclusivamente secca. A proposito di sete e nutrimento esclusivamente secco, dirò che in un allevamento all'aperto, nel mese di giugno del 1917, in una giornata molto calda ho osservato, verso le 18, un'arvicola di lec- care su foglie secche le goccioline di pioggia caduta pochi mo- menti prima e non ancora evaporate. In quell'allevamento erano rimaste in piedi, tra le molte recise, parecchie piante secche di avena con la rispettiva pannocchia, ma nessuna piantina di erba. La stagione era siccitosa, poiché non pioveva da molto tempo. K. poiché in questo allevamento non notai più segno di vita delle arviculc nei mesi successivi di luglio ed agosto, pensai alla possibile esistenza di un nesso tra la siccità e la vita delle ai'- vicole stesse, di un rapporto tra queste e la vittidazione er bacca, tanto più che qualche cosa di simile accadeva, contempo- raneamente, in un altro allevamento pure all' aperto. In quest'ultimo, fatto come il primo, in una vasca di mq. 12 circa di superfìcie, che aveva le pareti di mattoni e cemento, il pavimento pure degli stessi materiali, ma fognato per lo scolo delle acquo piovane, edera riempita di terra per 80 om. d'altezza, oltre ad essere ben protetta all'esterno da rote metallica, allevavo arvicole dal febbraio, dopo che nel terreno si erano sviluppate le piante di grano, avena, orzo, favette e veccie appositamente coltivate. Qui le arvicole, in numero di 5, tra cui un maschio, vive vano bene e piolificavano avendo a disposizione abbondante nu- trimento costituito dalle cereali e dallo leguminoso suddette. Spesso - 241 - avevo notato qualche arvicola uscire a bottinare con la caratte- ristica vivacità dei movimenti di quelle viventi nei campi. Ai primi di giugno le leguminose non consumate erano sec- cate dopo la fruttificazione, le cereali invece, in buon numero, avevano la spiga matura (avena ed orzo) e le arvicole si affret- tavano a recidere gli steli per asportarne la spiga e nutrirsi dei semi. Verso la fine dello stesso mese però, 1' attività delle arvicole era diminuita; qualcuna gironzava sulla sera mogio mogio, acca- sciata da qualche malessere. Gli steli recisi non aumentavano di numero come prima. Finalmente alla metà di luglio ogni attività era spenta. Scavato e rimosso il terreno non trovai altro nei nidi che resti di arvicole (scheletri). Il nutrimento non era mancato poiché contai 37 spighe di grano, 25 di avena e 18 di orzo. Le arvicole dunque eran morte o per mancanza di nutrimento più o meno acquoso o per malattia sopravvenuta. Neil' agosto successivo, volli fare un esperimento in labora- torio. In un recinto di allevamento di mq. 3 '/, tenni 10 arvicole con grano (chicchi) e fieno costituito di avena, favetta e, preva- lentemente, di veccie (nera e bianca). Dopo 16 giorni tutte le ar- vicole erano morte. Ma, queste prove non erano fatte comparativamente con altre in cui vi fosse acqua o nutrimento misto (erbaceo e secco), per cui una illazione non era possibile. Epperó, quest' anno volli ri- petere le' prove nutrendo arvicole tolte dai miei allevamenti con soli semi di grano o di avena, con questi ed acqua e con i mede- simi ed erbe. I saggi furono dunque 5 su 7 arvicole per ciascuno, in re- cinti separati nel laboratorio, durante luglio ed agosto. Nel reparto con sola avena, dopo 6 giorni, 4 arvicole dettero segni evidenti di malessere; erano sfianchite, camminavano len- tamente, vagavano in cerca di qualche cosa, col corpo raccolto, arcuato, quasi rattrappito e col pelo un poco arruffato. Ferme parevano colpite da sonnolenza. Toccate reagivano fiaccamente ed emettevano una voce rauca debole, annasavano 1' oggetto mo- lestatore e tornavano a sonnecchiare. Le separai dalle altre 3 tuttora vivaci, apprestai ad esse acqua, sia spruzzandola sul corpo, sia in recipiente adatto. Subito comin- ciarono a leccare il proprio corpo o quello delle vicine e a bere avidamente nel recipiente. Satollate le lasciai con avena ed erbe XIII - TSollelt. di Zoologia Grn. e Agr I5 — 242 — fresche. A poco la volta nella giornata si rimisero; la sera già eran più svelte. Non detti più acqua. Il giorno successivo e nei 5 se- guenti apprestai lo stesso nutrimento. Al terzo giorno erano tor- nate vivaci, diffidenti, svelte, si difendevano con prontezza Visto che il loro stato era normale, al 7" giorno, 1.3" dall' inizio dell'e- sperimento, le rimisi nello stesso i-eparto (avena sola). Nel frat- tempo, al 10" giorno dall' esperimento, le 3 compagne rimaste nel reparto dettero segni pur esse di malessere e all' 11° morirono. Le 4 rinvenute e poste di nuovo nel reparto vissero altri 5 giorni, cosicché la loro vita fu, con quel trattamento, prolungata di 7 giorni rispetto alle altie 3. Le arvicole del reparto grano cominciarono a morire al- l' 8" giorno e al 13" non ne esisteva più una vivente. Anche in esse prima di morire, si manifestarono gli stessi sintomi di quelli ma- nifestatisi nelle precedenti. Nei reparti con arvicole, grano ed acqua, avena ed acqua e grano, avena ed erbe fresche le co.se si svolsero diversamente. Tutte le arvicole in esperimento vissero egregiamente e vivono tuttora. Però, tanto il grano quanto l'avena e gli altri semi conser- vati dalle arvicole nei cunicoli, non si trovano allo stato secco, cioè allo stato normale di conservazione in magazzino, come quelli adoperati da me negli espeiimenti accennati, ma un po' umidi, tanto che l'unghia premuta su essi, senza soverchio sforzo, vi si infossa. Ciò, a causa della umidità assorbita dai semi e contenuta neir aria circolante dei cunicoli; umidità che proviene da quella del terreno circondante i cunicoli medesimi. Tale umidità, da saggi ripetuti quest' anno, nei semi di grano e di avena trovati nei cunicoli, è del 20 % eirca in più di quella contenuta negli stessi semi raccolti contemporaneamente alla superfìcie del terreno nelle vicinanze dei cunicoli. Per cui, il risultato delle prove riferite, ha valore quando la stagione è prolungatamente siccitosa ed il terreno non può ce- dere tanta, umidità da elevare quella dei semi dei cunicoli al 20 7» o più. P(Mtanto ho ripetuto le prove con semi contenenti una per- centuale di umidità variabile dal 10 al 36 V» nel grano e dal 10 al 45 7o neir avena ( Uì 6 la percentuale massima di acqua che ha assorbito il grano e 45 la percentuale massima di acqua as- sorbita dall'avena durante 12 ore alla temperatura di 18' C). — 243 — Le prove sono state condotte amministrando ad arvicole, in n. di 10 per ciascuna prova, semi di grano ed avena clie ave- vano assorbito le percentuali suddette di acqua, nello stesso tempo che ad alti'e arvicole amministravo grano ed avena contenenti la umidità normale, che indicherò per brevità col nome di sec- chi, sieno essi solamente, sieno, a parte però, con una bacinella contenente acqua. Ed eccone i risultati: Agostn-Settetììbre. Seme Umidità N arvicole Giorno arv Icole Giorno arvicole N. Arvicole o/o in esperimento prime me irte ultime morte sopravvissute grano normale 10 5° 14° 0 » 10 > 9" 13o 0 » 15 » 9° 15' 0 » 20 » 12° — 9 » 25 » 17" — 9 » 30 » — — 10 » 36 » — — 10 avena normale 10 7° 15°' 0 » 10 » 11" 14° 0 » 15 » 10' 16° 0 » 20 » 19° — 9 » 25 » 23" — 9 » 30 » — — 10 » 35 a 45 » — — 10 Oltob re-Novembre. grano normale 10 7° 17° 0 > 10 » 16" 25° 0 » 15 » 16» 28» 0 » 20 )» 23'^ — 9 » 25 » — — 10 » 30 » — — 10 » 36 » — — 10 avena normale 10 6» 19° 0 » 10 » 18" 29" 0 » 15 > 17" 25» 1 » 20 » — — 10 » 25 » — — 10 » 30 > — — 10 » 35 a 45 » — — 10 - 244 — Le arvicole invece tenute con detti semi e con bacinella con- tenente acqua sono tutte vissute, come tutte le altic in allcvanionto nutrite con erba sola od erba o semi. Ui semi di cereali l'arvicola ne fa una raccolta relativamente grande conservandoli in una o più branche o diramazioni del suo cunicolo. Io ho trovato in luglio tino a 230 granimi di grano conser- vato in due diramazioni di un cunicolo; una ripiena per la lun- ghezza di cm. 32 e 1' altra di cm. 23. Di semi di avena ne ho trovato fino a 142 grammi conservate in tre diramazioni. (Questi semi però si trovano nei i-ipostigli solo nei mesi di giugno, luglio e primi di agosto e non sono conservati cosi alla l'infusa o sparsi nelle rainitìcazioni del cunicolo, ma bene ammassati in modo da riempire completamente il vuoto del tratto della dira- mazione stessa. Allo stesso modo fa con i tuberi, le radici ed i bulbi e con i Irutti di altre erbe tra le quali la Medicago nrhicitlaris Ali., non- ché coi baccelli secchi di Veccie e di Favetta. Qualche volta si trovano nei cunicoli in germogliamento ed ammuffiti dei semi di cereali e dei tuberi di ]iatata. Ciò avviene quando l'ai'vicola ha un soprabbondante imtrimento a disposizione per cui non arriva a consumare tutto prima che l'umidità lo fac- cia andare a male. Raramente i teneri germogli sono in parte recisi e mangiati. Il consumo medio, durante 12 ore di giorno, di foglie e steli in erba di graminacee varie, di un'arvicola giovane (1) del peso di gr. 9, va da gr. 9 a 14 e, durante 12 ore di notte, da gr. 7 a 9. E l'aumento in peso di essa in 10 giorni è stato di gv. 3 circa. Di ciascuna arvicola di altro esperimento (2), il consumo medio di grano, avena ed orzo in erba fu maggiore e variò da gr. 11.4 a gr 29 di giorno, e gr. 10.8 a 3ü di notte. E 1' aumento di pe.so, in 10 giorni, è stato di gr. 5 circa. Il consumo medio invece di grano (chicchi) della varietà « mainrcn > è di gr. 1.6 al giorno per ogni arvicola, e di avena, con gli involucri, di gr. 5.00, corrispondenti a gr. 4.0() di semi, cioè senza involucri. (1) Lo pi'ovo fiirrin f.alte .sii 38 .irvii'oli' (iell:i stcss.i ctA: li* per ci.isciina prova. (2; Ibiilcm. — -21:) — Come si vede il consumo di iiveiiu è più grande di quello del grano. Gerbe (1) calcola il consumo giornaliero di grauo da 20 a 80 gr. e Danysz (2) a gr. 5. Tutti e due sono inesatti. Un'arvicola recide durante la notte .'ì steli di grano in media. Dato il consumo di 1 gr. e <ì dog. di grano per arvicola, in un ettaro di terreno producente mediamente 9 quintali (come si verifica nel Cerignolano) per aversi la distruzione di questi in un giorno, occorreva nel 1916 la pi'esenza nell'ettaro di .562.500 arvi- cole, mentre per la i-ecisione, in un giorno, di circa 880.000 steli, tanti quanti se ne contengono in un ettaro producente 900 kg. di grano, occori'eva un numero inferioi'e di arvicole, cioè 294.000 circa. Essendosi verificato nel 1916 che, da una notte all'altra, nella Capitanata, le arvicole avevano mietuto i campi di cereali (3), devesi ammettere che nei 15.000 Ea. di terreno coltivato a grano nel territorio di Cerignola, dovevano essere almeno 3.411.759.000 arvicole, detratte quelle che, distrutto un seminato, passavano nel vicino. A questo numero bisogna aggiungei'e quello delle arvicole esistenti nei fratturi, nocchiai'ico, maggesi e vigne, in una super- ficie di 36.000 ettari circa, dimodocchè non si è in errore se si calcola, nel teriitorio di Cerignola, la e;sistenza, in quell'anno, di (1) (ìkrbe ili A. Gko.sbuis. — Nos eiimntiis. Les rais, les sotiris, leu inu- lofn, les campagiìols. Pag'. 58. J. B. Bailli('re et Fils, Paris, 190i. (•2) .). Danvsz. — Les campagnols. Pag. 9. L. Barnéoiid et Cie, Paris, 191.3. (;!' I iirojiiietari di Foggia, Cerignola, Ascoli Satriano, Stoi'iiara, Storna- rella ecc. eraii tutti eoucorcli iiell 'affermare clie di punto in bianco, dalla sera alla mattina, si erano visti .sparire le loro messi dai campi. La notte in que- sti si sentiva u>i continuo rosicchio. Vi fu un projirietario di Cerignola che aveva la sera ingaggiata la squadra dei mietitori: l'indomani ijuesta recatasi sul posto tornò subito indietro. I topi alla notte avevano preceduta la squadra nella mietitura, yualclie altro poi, per ricavare almeno la paglia, si affrettò a mietere in erba. Gli agricoltori di Troia (Fo;;gia) avevano ottenuto dal Ministero di Agri- coltura l'uso gratuito di una trebbiatrice. Questa era sul punto di essere spe dita a Troia, quando gli interessati si affrettano a telegrafare al Ministero ringraziando della concessione, ma pregandolo di sospendere l'invio della mac- china jierchè i topi avevano provveduto a mietere e trebbiare nello stesso tempo ! — 246 — circa 8 miliardi di arvicole. Ed in tutta la Capitanata infetta di circa 50 milianli ! Nei soniiiiati di cereale ancora verde, l'arvicola, che non si allontana oltre i 25— tO cni. dal foro, recide la piumetta vicino alla base, quasi rasente terra, e la mangia tutta entro il cunicolo. Non cosi avviene con le jiiantine più sviluppato delli> (inali malizia solo una buona parte di fo;^lie. In seguito, quando lo stelo è indurito, recide le foglie più vi- cine alla base e si ciba di esse. Data poi la natura timida e diffidente, che non ta allontanale l'arvicola di molto dal foro, per cui sono distrutte le solo piantine attorno e vicino a questo, la medesima è costretta ad allungare il cunicolo e ad aprire altri fori lungh' esso. Ed è cosi che, in un'area di un metro quadrato, si trovano 5-8-10 fori attorno ai quali tutte le piantine sono recise. E dopo ciò l'arvicola allunga il cunicolo ed apre altri fori formando, a distanza breve 1' una dall' altra, più aree di distruzione, che possono ar- rivare, in tempi noi-mali, a 4-5 mq. o meno. Tali aree, da quando sono formate fino al mese di febbraio, o poco dopo, si manifestano molto bene da lontano, poiché spiccano, sul verde seminato, come tante oasi, tante radure in cui le piantine recise, se continuano a crescere, come accade di consueto, sono meno sviluppate e meno verdi delle circostanti ancora intatte. In quanto all' uva, dirò che nelle vigne di Pavoncelli, facendo scavare cunicoli, spesso ho trovato qualche tratto di essi zeppo di acini di uva maturi od acerbi. Una volta in un solo tratto ne ho contati 34 ed una -seconda 61. Neil' ago.sto del 1916, il giorno seguente ad una violenta gran- dinata a S, Severo, facendo scavare cunicoli in un vigneto col- pito, trovai anche qui alcune branche di essi zeppe di acini d' uva che la gl'andine aveva staccati dal grappolo e che la notte le arvicole avevano raccattati e conservati. Si noti che molti altri acini e grappoli si trovavano qua e la sul terreno. Ilo dotto più sopra che 1' arvicola per bottinare non si al- lontana molto dai fori del cunicolo e che, dopo aver distrutte le piante vicine ad un foro, apre altri fori, più o meno lontani dai precedenti, vicino ai quali possono agevolmente recidere le pian- tine. Ora aggiungo che, nei mici allevamenti all'aperto, ho osser- vato le arvicole allungare il cunicolo ed aprire fori lungh' esso - 247 — nelle immediate vicinanze delle piante erbacee più sviluppate e più preferite. Infatti una coppia di arvicole posta in un recinto all' aperto, dopo aver fatto delle esplorazioni da per ogni dove, si stabili dap- prima sotto il fogliame di uno dei 7 ciuffi di avena bene svi- luppati ciie erano cresciuti nel terreno qualche tempo prima della semina del grano (le piaiitine di questo al momento della liberazione delle arvicole nel recinto erano appena spuntanti). Ivi iniziò il cunicolo, e non lo allungò di molto, perchè dall'u- nico foro, poteva, senza molta fatica, recidere le foglie ed i fustieini di avena. Vi rimase finché tutte le piantine del ciuSb non furono ridotte che a brevi monconi. Dipoi, le arvicole allungarono il cunicolo, non a casaccio, ma seguendo una determinata direzione, cioè verso un secondo ciuffo di avena distante dal 1" metri 1.32 ed al riparo di esso aprirono un secondo foro. Distrutto questo 2° ciuffo, allungarono ancora il cunicolo verso un 3°, distante dal 2" metri 2-73, aprendo, nell' intervallo due fori, di cui uno alla base del nuovo ciuffo. Distrutto anche questo, le arvicole ripete- l'ono la medesima cosa verso un 4°, distante dal 3° m. 3,25. Ma, il quarto non fu interamente distrutto, poiché nel tempo trascorso tra la distruzione del 1° e parte del 4°, le piantine di grano, che non erano state toccate prima, di già cresciute furono preferite all' avena, pei'ché forse più tenere. E, poiché quelle erano a portata di mano, le arvicole non sentirono il bisogno di prolungare il cunicolo, ma solo di aprire altri fori intermedi lungh'esso, e for- mare delle branche terminanti ad un foro attorno al quale ed agli altri potevano bottinare con comodità. Nei terreni molto sciolti, come nei sabbiosi, l'apertura di nuovi fori, e conseguente prolungamento del cunicolo o formazione di nuove branche, allo scopo di bottinare a bell'agio, è più sollecita. Infatti, in un reparto di allevamento in laboratorio in cui in- vece dei mattoni di argilla solita è uno strato di 40 cm. di sab- bia, ho notato che, lasciando l'erba ora su di un luogo ora su di un' altro della sabbia, lontano dal foro frequentato, le arvicole nella notte chiudevano questo e prolungavano il cunicolo (o for- mavano nuove diramazioni) aprendo un nuovo foro di uscita fin sotto al mucchietto di erba. Di questo spostamento continuo mi sono preso giuoco, direi, delle arvicole, per una quindicina di giorni. - 248 — Semi di cereali più preferiti dalle arvicole. Era interessante conoscere quali semi delie cereali maggiori f generalmente coltivate sono più preferiti dalle arvicole, allo scopo di trarne una norma sulla scelta deli' esca da adoperare nella lotta coi veleni. Ho perciò provato di amministrare per nutrimento alle ar- vicole semi di avena, di granoturco, orzo, grano (tenero, semi- duro e duro) e di una leguminosa coltivata per fieno, la veccia. Del grano tenero ho sperimentata la varietà, denominata nella Capitanata, bianchetta o frassineto e del .semiduro la va- rietà ) lì aio rea {\), la quale, in verità, scientificamente e commer- cialmente non è un grano semiduro, ma, ai fini delle prove, io la denomino così, perchè la cariosside ha una durezza tra la bian- cheltu ed il grano duro vero e propi'io. Le espei'ienze sono state condotte amministrando alle arvi- cole i semi delle ricordate specie, o soli o mescolati insieme allo stato di secchezza normale, oppure contenenti una umidità in più della normale, variabile dal 20 al 45 7o. al massimo cioè di umi- dità da essi assorbita dall'avena. Dalle esperienze è risultato che il maggior consumo, durante 24 ore, di semi allo stato secco è di avena. A questa è seguita la bianchetta, indi la maiorca e successivamente il granoturco, il grano duro e, in debolissima misura, 1' orzo. La veccia secca invece non è toccata. Il consumo maggiore degli stessi semi contenenti il 20 "/o ed oltre di umidità più del normale è stato pure dell' avena, poi della veccia, della bianchetta, della maiorca, dell' orzo, del grano duro e del granturco. Tra tutti questi semi i primi ad essere consumati sono quelli dell' avena. Quindi questa è il cereale più preferito, sia esso con r umidità normale che con l'umidità superiore. Il seme che contiene la quantità maggiore di umidità è con- sumato in misura maggiore del corrispondente secco. Se, oltre ai suddetti semi, 1' arvicola ha a disposizione erba od acqua, il consumo dei medesimi è maggiore di quando non abbia l'una o 1' altra. (1) Nella Capitan.'itii l.-i hiandietta e l.i iimiorca sono If. varietA ili frraiin tenero generalmente eoliixale. — 249 — Ed ora riporto i dati del consumo verificatosi delle singole specie e varietà di cereali sperimentati allo stato secco o am- mollito neir acqua. Da 15 arvicole a cui si amministrarono gv. 100 di maiorca, in 72 ore si consumarono gr. 72.5 di seme, cioè gr. 24.10 in 24 ore e gr. 1.60 al giorno da ciascuna. Da 10 arvicole a cui si amministrarono gr. 100 di bianchetta, in 50 ore si consumarono gr. 41.8 di seme, cioè gr. 20.1 in 24 ore e gr. 2.01 al giorno da ciascuna. Da 6 arvicole come sopra gr. 100 di avena, in 51 ore si consu- marono gr. 71.4 di seme con i suoi invogli, cioè gr. 33.6 in 24 ore e gr. 5.6 al giorno da ognuna, corrispondenti a gr. 4.06di seme senza invogli, giacché 100 gr. di avena contengono gr. 74.62 di seme nudo e gr. 25.38 di invogli. Da altre 4 arvicole il consumo è stato in 24 ore di gr. 4.55 per ciascuna di avena senza invogli. Da 5 arvicole come sopra, gr. 100 (in due volte) di ìnaiorca contenente il 20 7o di acqua in più del normale, si consumarono gr. 35.6 di seme in 51 ore e mezza, cioè gr. 3.35 per ciascuna in 24 ore, corrispondenti a gr. 2 68 di seme allo stato di sec- chezza normale. Da 5 arvicole come sopra, gr. 80 (in due volte) di maiorca tenuta nell' acqua per 12 ore si consumarono in 113 ore e mezza gr. 77.5 di seme, cioè gr. 15.5 per ciascuna ed in 24 ore gr. 3.27 corrispondente a gr. 2.20 di seme allo stato di secchezza normale. Altre 6 arvicole consumarono gr. 3.51 di seme corrispondente a gr. 2.6 del seme con la secchezza normale. Da 7 arvicole a cui si amministrai'ono mescolati insieme gr. .50 di avena e gr. 50 di maiorca in .JO ore si consumarono gr. 20 di avena e gr. 9 di maiorca, cioè gr. 0 77 di questa per ognuna in 24 ore e gr. 1.71 di avena (corrispondente a gr. 1.28 di seme privo di invogli). In totale il consumo è stato di gr. 2.01 di semi per ciascuna arvicola. Da 7 arvicole come sopra, gr. 100 di avena tenuta per 12 ore neir acqua, si consumarono in 24 ore gr. 58, coi-rispondente a gr. 2.88 per ognuna di seme senza invogli allo stato di sec- chezza normale. Da 6 arvicole come sopra, gr. 50 di maiorca e gr. 50 di avena mescolati insieme e tenuti nell' acqua per 12 ore, si con- .-^umarono in 36 ore, gr. 22.99 di maiorca (zn gr. 14.72 di seme con secchezza normale) e gr. 34 82 di avelia (= gr. 19.16 allo — 250 — stato secco), cioè in l'4 ore gr. 15.33 di maiorca (=: gr. 0.82 allo stato secco) e gr. 22 93 di avena (= 12.61 allo stato .secco). E per ognuna gr. 1.63 di uiaioì-ca allo stato secco e gr. 1.82 di avena allo stato secco priva di invogli, in 24 ore. In totale gr. 3.45 di seme per ciascun individuo. Da 6 arvicole come sopra, gr. 10 per ciascuna specie di avena, maiorca, biancheUa, grano duro, granoturco, ed orzo, mescolati insieme, si consumarono in 24 ore, da ciascun indivi duo: gr. 0.66 di cariossidi di avena, (tutta quella amministrata), gr. 0.33 di maiorca, 0,45 di biatìchetta, 0.045 di grano duro, 0,09 di grano turco e gr. 0.021 di orzo. In totale gr. 1.59 di seme per ciascun individuo. Da 6 arvicole come sopra, gr. 10 per cia.scupa specie di avena, maiorca, bianchelta, grano duro, granturco ed orzo tenuti neir acqua per 12 ore e mescolati insieme, si consumarono in 24 ore da ognuna: gr. 0.61 di cariossidi di avena, gr. 0,53 di bianc/i('tla,§:ì: 0.27 di maiorca, 0.16 di grano duro, 0,13 di gra- noturco e 0,37 di orzo. In totale gr. 2.07 di semi allo stato nor- male per ciascun individuo. Da 4 arvicole come sopra, gr. 15 di hianchetta, gr. 15 di rnaioì-ca e gr. 15 di avena, mescolati insieme, si consumarono in 24 ore, gr. 2.28 di hianchetta, gr. 0.56 di maiorca e gr. 4 50 di cariossidi di avena (tutta quella amministrata); e cioè gr. 0.57 della prima, gr. 0 14 della seconda e gr. 1.15 della terza. In totale gr. 1.S6 di seme per ciascun individuo. Da 6 arvicole come sopra, gr. 25 di maiorca, gr. 25 di bian- cìufta e gr. 25 di avena mescolati insieme, ed erba a disposi- zione, si consumarono in 24 ore da ciascun individuo: gr 0.95 di maiorca, gr. 0.93 di hianchetta e gr. 0 75 di cariossidi di avena. In totale gr. 2.63 di seme per ciascuna arvicola. Da 7 arvicole si consumarono in 24 ore gr. 5.96 di grano duro, cioè da ciascuna arvicola gr. 0.85 di seme. Da 8 arvicole si consumarono in 24 ore gr. 27.53 di grano duro dopo essere tenuti nell'acqua per 36 ore ed avere assorbito gr. 5.8 di acqua, cioè il 38.66 "/o del proprio peso. Dimodoché ogni arvicola consumò gr. 344 di seme secco. Da 6 arvicole si consumarono in 24 ore gr. 16.64 di orzo, dopo che questo fu tenuto nell' acqua per 48 ore e ne aveva as- sorbita il 63.3ÌÌ "/, del proprio peso. Il consumo per arvicola fu quindi di gr. 2.77. — 251 - Da 7 arvicole a cui si amministrarono, mescolati insieme, gr. 10 per ciascuna specie di avena, malorca, biaiicheila, grano durò, granturco, orzo, riso e veccia nera dopo essere stati tenuti neir acqua per 48 ore alla temperatura di 19." C, si consumarono da ognuna, in 24 ore, gr. 0,82 di avena, gr. 0,82 di bianchelta, gr. 0,82 di veccia, (cioè tutti i 30 gr. delle tre specie), gr. 0.76 di riso, gl-. 0.70 di ina/orca, 0.68 di grano duro, 0.52 di granoturco e gr. 0.48 di orzo. Un totale di gr. 5.60 di semi per individuo e in 24 ore. Da 4 arvicole si consumarono, in 24 ore, gr. .3.04 di grano duro, che aveva assorbito il 40 "/q di acqua, gr 2.13 di grano- turco, che aveva assorbito il 31.3 Vo ^'i acqua e gr. 2.12 di riso che aveva assorbito il 20.6 "/o di acqua. Un totale di gr. 7.28 di semi allo stato secco, e gr. 1,82 per ognuna. Figliuolanza ed allevamento dei piccoli. L' arvicola partorisce in tutte le epoche dell' anno da uno a sei piccoli al massimo (1). ÌMa, 1' epoca, in cui quasi tutte le ar- Vig. 21. Arvicole neonate. (Ingrandite del doppio). vicole prolificano, è dalla primavera a quasi tutta 1' estate, da marzo a settembre. (1) Qualcuno, come il Dott. Antonio Carelli, Delegato Tecnico antiflllo.s- serico di Torremaggiore, mi ha asserito di aver trovato 7 piccoli in un nido. Io, senza infirmare qvianto egli mi ha riferito, non ho mai trovato tale nu- mero; ho solo ottenvtto da una madre, e trovato due sole volte, .sei piccoli in un nido. Meno raramente il numero dei piccoli arriva a cinque, spesso a quattro, ma spessissimo a tre. ~ 252 — I neonati sono assai delicati e soffrono molto il freddo in inverno e principio di primavera, giacché se stanno qualche ora allo scoi)erto, senza esser riparati e riscaldati dalla madre o artificialmente, muoiono. Ma, anche |)iù tai'di di dette cpüche, i pici-oli soffrono il fred- do ed hanno bisogno di essere tenuti a temperatura conveniente. Fi«:. -■■. IMi-euH tlì }ir\ icolr ili varia età. (fucili «li ttìiiistra (ci sono di i:^ giorni dì l'tà: (inelli tiri ceiiiro (h) nono ili IS ;::ioriii di ctÄ e quelli di destra l«*) sono di -';'> giorni. (Grand, natur.) I piccoli, dalla nascita a 7-8 giorni di età in estate e da 10 a 12 in primavera, hanno colorito rosso-carnicino eoii i)eluria radissima, gli occhi chiusi (Fig. 21) ed il corpo raccolto su se stesso, cioè curvato verso la faccia ventrale. Dopo (piesto tèmpo, la pelle al dorso diventa grigia ed al ventre pallida, i peli sono più numerosi e del colore della pelle sulle due parti corrispon- denti. Anche gli occhi si socchiudono alquanto (Fig 22 1. Prima di questa epoca i piecDli non si reggono in piedi, per la qual cosa, nel caso in cui la madre è costretta a fuggire per - -IM - un pencolo immediato, essi sono da questa lasciati nel nido. Se però questo pericolo non è immediato, essi sono salvati, avendo la madie davanti a se del tempo per piovvedeie alla loro sal- vezza. Intatti, -essa li afferra con gli incisivi al collo, come tanno le gatte, o ad un arto o al fianco e li trasporta uno ad uno in luogo sicuro del cunicolo. In questa bisogna la madre può essere coadiuvata dal maschio o dalle coabitanti. Che la madre provvede alla salvezza dei figli trasportandoli lontano dal nido si arguisce dal tatto che, quando si disfanno i Arvicola eht' *or|ire-ia ii'^l suo nido fu;;:;;e lr.asciiiHn8 — Una sfronda coppia giovane, separata da allovaraenti in la- boratorio, clie non aveva mai dato figli, ha partorito n 2 figli il 4 giugno 1917 e n. 5 il 3 agosto 1917. In seguito non ha più prolificato. Fu nutrita con erbe dal 25 luglio 1917 fino ad oggi. Una terza coppia come sopra ha partorito 3 figli il 7 aprile 1917 e lì il 1° luglio stesso anno. In agosto la fenmiina mori ed in settembre anche il maschio. Una quarta coppia, come sopra, ha partorito 3 figli I'll no- vembre 1916, 4 il 15 febbraio 1917 e 3 il 24 maggio stesso anno. Da allora nessun altro figlio. Il nuti-imento erbaceo fu dato dal febbraio del 1917 a tutt' oggi. Una quinta coppia, come sopra, ha partorito due figli il 13 febbraio 1917, 3 il 25 maggio e 6 il 7 agosto .stesso anno. Da questo mese non si ebbero più figli. Il nutrimento erbaceo fu dato dal luglio 1917 ad oggi. Una sesta coppia, come sopra, ha partorito 3 figli il 17 aprile 1917. In giugno mori la femmina. La sterilità temporanea della femmina pare dipenda dal nu- trimento poco fosfatico, secondo dimostrano gli esempi riportati. Ed in questo senso sto ora facendo numerose prove. Proporzione dei maschi e delle femmine. La quantità numerica dei maschi nelle ai'vicole rispetto a quella delle femmine mi è risultata costantemente inferiore. In- fatti, in vari lotti ed in diverse epoche, ho trovato le seguenti cifre : 1" lotto N. 90 arvicole esaminate: maschi 9, femmine 81 2» . . 80 » . » 17, . 63 .3" » » 143 » . » 18, » 125 4" . . 92 . » » 26, .. 66 5" » » .32 » . . 11, » 21 Sicché su 437 arvicole vi erano 81 maschi e 356 femmine con la proporzione di circa 18,7 "/„ degli uni di fronte a 81,3 7o delle altre. Dato l'esiguo numero di maschi rispetto alle femmine, 1' ar- vicola, per condizione di fatto, deve essere incestuosa. — L>ó9 — I maschi devono andare di famiglia in famiglia a compiere il loro ufficio, come ce lo mostra del resto l'esperienza in pieno campo riferito a pag. 29. Attività delle arvicole durante 1' anno. Le arvicole non stanno mai in riposo. Tutto l'anno esse dan- neggiano, almeno per quanto si riferisce alla specie di Puglia. La loro attività (considerando l'anno agrario), comincia dal novembre col danneggiare le tenere piantine dei cereali, conti- nua in dicembre, gennaio ecc. fluo a quando i cereali non sono mietuti e trebbiati. In agosto e settembre raccolgono le spighe ed i chicchi ca- duti nella mietitura, ed in ottobre, dopo le prime pioggie, reci- dono le erbe nate sui campi, per riprincipiare a danneggiare i seminati con il principio dell'anno agrario. Durata della vita delle arvicole. Le arvicole possono vivere più di due anni. Una coppia se- lezionata nell'agosto del 1916 vive tuttora che scrivo, cioè dopo più di due anni da che fu catturata. Essendo adulti gli individui di questa coppia, quando furono catturati, è presumibile che essi fossero nati almeno nel mese di aprile del 1916. Terreni e luoghi preferiti dalle arvicole. Danysz (1) mette in prima linea, tra le condizioni sfavorevoli allo sviluppo delle arvicole, la natura del suolo e sopratutto del sottosuolo. E per la Fi-ancia tiova uno stretto rapporto tra le zone infestate quasi continuamente e le formazioni secondarie e terziarie del terreno, dedncendo, dall' insieme dei fatti, che le arvicole hanno una certa preferenza per i terreni calcarei, pur potendo vivere e svilupparsi in altri terreni. E, conclude, che non è probabilmente tanto la natura chimica del suolo quanto la sua costituzione fisica che importa conside- rare; quindi: terreno abbastanza profondo, non troppo soffice (mo- bile) e sottosuolo permeabile all'acqua di pioggia. (1) Danvsz J., 1. e. pag-. a«-'». — 2ßn — Sulln iiiHiienza della natura fiel torreiio riguardo « all' ab- bondanza di tali voraci animaletti > prima di Danysz ce ne parla il nostro Michelangelo Manicone, il quale appunto dice che « i terreni della Daunia abbondano di asciutta e soffice terra cal- carea, attissimi a poterci cavai'e le loro case i topi e viverci co- modamente. Nelle montagne ove domina l'argilla sono rari i topi » e la « bella regione (la Daunia) ò disgraziatamente abitata da vo- racissimi topi perchè nei suoi teri-eni la terra calcarea abbonda e r argilla scarseggia » (1). Certamente la natura fisica del terreno è una base essenziale di vita delle arvicole, perché, nel terreno troppo compatto, si ha umidità eccessiva durante V iiivei-no e la primavera, secchezza troppo pronunciata in estate, che causa profondi crepacci (con con- seguente interruzione dei cunicoli), ed un indurimento molto forte da non permettere lo scavamento di nuovi cunicoli o del loro pro- lungamento. Nel terreno troppo sciolto, sabbioso, i cunicoli in estate non si mantengono ininterrotti, franano alla parte superfi- ciale e si otturano, e. se il sottosuolo è impermeabile, l'acqua vi ristagna conseivando troppa umidità all' abitazione. Eccessiva secchezza ed eccessiva umidità, come troppa sciol tezza del terreno, sono condizioni contrastanti con la vita e la prosperità delle arvicole. Quindi i terreni compatti e sabbiosi sono sfavorevoli, vice- versa sono favorevoli quelli mediamente compatti con sottosuolo permeabile. Nella Capitanata queste condizioni ultime del terreno sussi- stono e potrebbero spiegare le frequenti infezioni più o meno forti di arvicole, senonchc la formazione geologica del terreno è quaternaria invece che secondaria e terziaria. Inoltre, abbiamo in Italia molte altre località in cui la natura tìsica del terreno è identica a quella della Capitanata, eppure ivi le infezioni di arvicole non si sono mai manifestate intensamente. Secondo noi non basta che il terreno sia mediamente com- patto con sottosuolo permeabile perchè le arvicole vi prosperino egregiamente e si moltiplichino, in certe annate, eccessivamente; è necessario, oltre ad altre circostanze, che esso sia anche incolto 0 lavorato ad intervallo di anni ed a coltura estensiva. (1) Manicone M., 1. e, [ing. 148. è — 261 — Se noi consideriamo il sistema colturale della Capitanata ve- diamo che esso è a pascolo, a maggese lavorato, riposo ed esten- sivo; lavorazioni del terreno quindi nulle o poche, epperò senza 0 pochi disturbi alle arvicole. Le quali, perciò, vivono e prospe- rano a loro beli' agio e passano, al momento opportuno, dai terreni incolti, a distruggere quelli seminati (1). In merito alla esposizione possiamo dire che nella Capitanata le arvicole non facciano distinzione. I terreni troppo ombrosi sono sfuggiti; così sotto l'ombra degli arboreti non troviamo che molto raramente qualche abitazione di arvicole. Emigrazione o spostamento delle arvicole ? Blasius, Brehm, Grosbois, Danysz ed altri, come il volgo delle Puglie, parlano di emigrazione delle arvicole da una regione al- l' altra. Blasius dice: «... . ma si nairava pure di innumerevoli schiere (di arvicole) le quali avevano attraversate a nuoto il Reno in vari punti nelle ore più calde della giornata. Tuttavia nei luoghi vi- cini nessuno aveva osservato un aumento speciale nel numero delle arvicole; anzi pareva che queste fossero scomparse daper- tutto nello stesso tempo senza ricomparire in nessuna parte La temperatuia mite di una tarda estate, asciutta e piuttosto calda le aveva favorite fino all' ultimo momento (2) ». Brehm scrive: « appena si avvicina il pei'iodo della ca- restia emigra socievolmente nei campi vicini e talora da una re- gione all' altra, formando delle schiere numerosissime e valicando air uopo alte montagne e larghi fiumi (3) ». Gi-osbois: « nel 1822 una schiera innumerevole di cam- pagnuoli passa il Reno a nuoto, nel 1823 essi (campagnuoli) tra- versano il Meno. » « Essi vanno diritti, contornano gli ostacoli che non possono sorpassare per riprendere imperturbabilmente la loro via diritta (1) Nelle vigne, ad esempio, che sono generalmente limitrofe ai terreni coltivati a maggese, o a riposo, non troviamo che pochissime arvicole, appunto perchè in esse si praticano, durante 1' anno, più lavorazioni al terreno. (2) Blasiu.s in Brehm, loc. cit., pag. 616. (3) Brehm La Vita f/etfli animali T mammiferi, voi. 2, pag. iil4, 2 ed. ital., Torino, 19UÜ, — 262 — ed arrestarsi in una regione che loro sembra propizia, spesso si- tuata a centinaia di chilometri dal punto di partenza. » « Noi crediamo piuttosto che le schiere migranti si in- grossano per via per formare orde innumerevoli come quelle che invasero, nel 1801, la Vendee, Ics Deux-Scvres e la Charente- Inferieure e che fecero perdei'c quasi tutto il raccolto >. Ed at- tribuisce la causa « alle inondazioni, ai terremoti, ai grandi freddi, alla penuria di viveri dopo aver devastata una regione, ai lavori eseguiti su una grande estensione (1) ». Lasciando da parte le inondazioni, i terremoti ed i grandi freddi che nella Capitanata non si sono verificati nei periodo im- mediatamente susseguente alle invasioni recentissime del 1911 e 1916, eppure le infezioni scomparvero agrariamente, certo la man- canza dei vìveri è la causa di abbandono della dimora da parte delle arvicole ed il passaggio o spostamento da un campo all'al- tro; ma questi passaggi o spostamenti non si possono chiamare emigrazione da regione a regione, che nessuno studioso ha finora constatata da noi. Danysz: « I campagnuoli non sono animali migratori pro- priamente detti, come le cavallette migratorie o certi uccelli, ma avviene qualche volta, nei casi di grandi invasioni, eh' essi la sciano bruscamente ed in massa le loro abitazioni, attraversano le riviere, la linea ferrata ed anche dei borghi abbastanza im- portanti per sparpagliarsi su estensioni molto più grandi, a qual- che dozzina di chilometri dal luogo di loro partenza». « Si dice allora comunemente che i campagnuoli sono scom- parsi, non si sa nò dove nò come. E intanto non se ne trovano morti alla superficie del suolo, né nelle loro abitazioni e nessuno li ha visti partire né arrivare da nessuna parte. Queste spari- zioni hanno sempre dato da pensare agli agricoltori ed ai natu- ralisti e resterebbero probabilmente ancora per molto tempo mi- steriose se in certi casi, molto rari vei'amente, i campagnuoli non avessero lasciato traccia ben visibile del loro passaggio e che il caso ha fatto scoprire e notare ». « Infatti nel 1892, nella invasione della Brio, un agricoltore gli racconta (a Danysz) che una notte tornando a casa in car- rozza era stato .sorpreso dai movimenti insoliti del cavallo; al- l' indomani passando por la stessa strada egli aveva trovato una (I) A. GR0.SB0I8, 1. e, pag;. 37. — 2ß3 — grail quantità di questi piccoli roditori scliiacciati dalle ruote della carrozza e dai piedi del cavallo. E certo, dunque, che questi ani- mali hanno dovuto attraversare la strada in gran numero. Un altro fatto analogo fu raccontato anche a Danysz dagli abitanti di Ruffec, nel 1904, alla fine della grande invasione di campa- gnuoli nelle Charentes. Un mattino trovarono dei campagnuoli annegati nei troguoli e nelle vasche. Un' armata di questi rodi- tori dunque dovette attraversare una parte della città durante la notte precedente ». « Infine egli (Danysz), ha assistito ad un esodo di campa- gnuoli traversanti la linea ferrata da Parigi a Bordeaux alla sta- zione di Loulay, vicino Saint-Jean d'Augély. Era verso le 9 di sera, nel 1905, in inverno. Essi erano cosi numerosi che egli potette afferrarne qualcuno vivente sulla banchina della stazione » (1). E dice che le sparizioni misteriose dei campagnuoli da una località possono essere spiegate facilmente per il fatto che questi animali si mettono in viaggio dopo il tramonto del sole, sanno evitare quanto più è possibile i luoghi abitati ed è un caso il poter riscontrare uno di questi esodi o le loro tracce in una città o su una strada. E se essi non si possono trovare altrove, almeno poco tempo dopo la loro scomparsa, è, prima, perchè ne periscono molti, probabilmente la gran maggioranza, per via, annegati nei corsi di acqua o nei pantani, e poi, perchè, come escono dal loro foro e dal loro sentiero sono, per cosi dire, senza difesa, in gran numero mangiati dai gatti e dai piccoli carnivori selvatici, (faine, donnole), di cui il numero aumenta quanto quello dei campagnoli. In seguito è molto probabile che si sparpaglino sopra estensioni di tei'ieno molto più grandi di quelle che hanno lasciato e, che scavando gallerie, sul principio non praticano che un piccolo nu- mero di fori di uscita. Queste sono le ragioni jierchè, durante un certo tempo, sfuggono all' attenzione dei coltivatori delle nuove località invase. E r esodo in massa, secondo Danysz, è determinato dal grande sviluppo numerico delle pulci e degli acari sulle arvicole che rendono a queste una vita impossibile nel loro nido, considerato che le medesime non possono liberarsene coi propri mezzi. Per ciò esse sono obbligate a lasciare la propria dimora, e, siccome le vicinanze immediate sono occupate, tutt' attorno, da altri cam- (1) Danysz .J. - 1. e, pagg. 30-32. — 264 - pagnoli, che d'altronde si trovano anch'essi nelle stesse condi- zioni, cosi se ne vanno tutti insieme a cercare altrove, lontano, dei territori ancora immuni. Cita a questo proposito 1' esempio della invasione dell'Aisne che durò 4 anni, dalla primavera del 1908 all'autunno del 1911 e che si diffuse gradatamente, per emigrazioni successive, pro- gressive in tutte le direzioni, partendo da un focolaio relativa- mente molto ristretto. Veramente l'esodo, l'emigrazione delle arvicole a distanza di decine di chilometri, come è raccontato da Danysz, non è giu- stificata per il solo fatto dello sviluppo stragrande di pulci e di acari che le possono tormentare. Tanto questi parassiti sarebbero rimasti nella gran maggioranza sul corpo degli ospiti, e, nella nuova dimora, si sarebbero certamente riprodotti, come nella vec- chia, costringendo gli ospiti medesimi ad abbandonarla presto. Ed infatti pare che ciò avvenisse, poiché l'anno successivo le arvicole abbandonarono anche la nuova dimora. E così per il 3" e 4° anno. Nel 1916 in Puglia le arvicole abbandonarono la propria di- mora, ma non per le pulci, gli acari ed i pidocchi che non eran numerosi, e poi diminuirono gradatamente di numero non per- chè esse emigrassero, ma per altre cause, tra cui le malattie se- condo gli studi e le osservazioni del Prof. Splendore ricordato. Né, la emigrazione a causa di questi parassiti è corroborata dal fatto citato da Danysz, che cioè le arvicole sviluppatesi in un piccolo centro dell'Aisne, negli anni successivi, per emigrazione progressiva invasero tutto il resto del territorio, poiché lo stesso Danysz non ci dice se la zona pi-ima infestata, cioè il focolaio riscontrato nel 1908 nel comune di Etreilles rimase immune nel 1909; la zona infestata nel 1909 rimase tale nel 1910 e quella di quest'ultimo anno lo fu nel 1911. Se vi era emigrazione il fo- colaio del 1908 doveva rimanere immune nel 1909 e, successiva- mente, secondo l'ordine di infezione, le altre zone. E questo era interessante a conoscersi. Secondo me, ed in seguito al risultato di osservazioni su mezzo ettaro di terreno appositamente infettato da pochi indivi- dui di arvicole lasciati in due luoghi opposti (1), la infezione suc- cessiva su altre plaghe, che Danysz addebita alla emigrazione, ha origine molto semplice. Essa avviene per diffusione ed espansione (1) Vedi a proposito quaiilo t- iletin nel ca]>itolo . Faniiyliarità • pag. 28 e 29. - 265 — di piccoli centri arvicolati' localizzati nella plaga stessa, in seguito all'aumentato numero di individui ed a difetto di nutrimento. Tanto le pulci quanto gli acari non entrano in questo sposta- mento 0 dislocazione di famiglie dai luoghi in cui si trovano. Come avviene la espansione ? Facciamo degli esempi, premettendo che nella Capitanata le arvicole esistono sempre, sparse qua e là, nei campi coltivati o no; quindi sia nei terreni a cereali, sia in quelli a maggese, riposo e pascolo. Ben inteso che, in questi ultimi, il numero è maggioie, perchè ivi le arvicole, o non sono disturbate mai (nei pascoli), o lo sono dopo qualche anno (nei terreni a riposo), dalle lavorazioni del terreno che rovinano i cunicoli e sopprimono molte erbe. Adunque, partiamo da una coppia di arvicole, un maschio ed una femmina, che abbia stabilita la propria abitazione su una area di terreno di 10 mq., ad es., ed ove l'erba esiste in quantità sufficiente alla vita loro ed a quella dei discendenti immediati, conviventi fino a quando questi non sieno diventati adulti. Le erbe dei 10 raq. non bastano al sostentamento di tutti. Ragioni biologiche spingono gli individui della stessa famiglia a separarsi. Quali di essi si distaccano, i figli o i genitori ? Da esperienze in allevamento di laboratorio fatte in una stanza di mq. 16 con una coppia di arvicole (maschio e femmina), da cui erano nati nel maggio 5 figli, di cui due maschi, risulta che parte dei figli si allontana dall' abitazione ove nacque. Infatti, in detto allevamento con i soliti mattoni di argilla posti nella stanza in sei luoghi convenientemente distinti, 2 figli (un maschio ed una femmina), sono rimasti con la madre nella vecchia dimora, altri due (una femmina ed un maschio; hanno costruito un nido a se, e, finalmente, il 5" figlio (femmina) col padre ne hanno costi'uito un secondo anche a se. I mattoni con i 3 nidi erano distanti rispettivamente 3-4-6 metri. Di queste 3 famiglie derivanti da una sola, 1' ultima coppia ha dato 3 figli nella prima quindicina di ottobre. Avvenuta la separazione, si costituisce almeno una seconda famiglia non lontano dalla prima, ammettendo che nelle vicinanze la pastura è abbondante. Diciamo almeno, una seconda famiglia, perchè consideriamo che i figli sieno tre, come è la media. La nuova famiglia occupa anch'essa col suo cunicolo altri 10 mq di terreno contiguo, o quasi, ai precedenti. Avremo così 20 \ìu\. (li superficie infettata. — 26R — Questa seconda famiglia prolifica, 'mentre continuano a pro- litìcarc i p:enitori da cui essa si era separata. Ed ecco nuove separazioni, non più in una sola, ma in due famiglie ed in più individui. Ripetendo lo stesso procedimento in prosieguo di tempo e di spazio le arvicole aumentano di numero nello stesso tempo che aumenta lo spazio di terreno infettato. È cosi che si hanno zone più o meno vaste di terreno infestate dai discendenti di un solo cespite, di cui quelli che provengono dagli ultimi parti delle prime famiglie formatesi devono percor- rei'e uno spazio più lungo per trovare un posto libero e confa- cente. Ma, a distanza p. e. di 100 ni. dall'abitazione della prima coppia ve ne è una seconda che contemporaneamente si ripro- duce e segue la prima nelle sue attività. Allora l'allargamento delle zone infettate, seguendo direzione centrifuga, fa a poco a poco scomparire Io spazio di terreno li- bero interposto tra le due coppie, e cosi le zone vengono mano mano a congiungersi ed a confondersi. Cosi avvenendo in ogni podere di una contrada e, contempo- raneamente, in quelli di altie contrade limitrofe si ha che tutto un territorio si infesta, e, in un dato tempo, anche una intera regione. Infezione di terreni, quindi, graduale, non simultanea, improvvisa. Ciò è subordinato però a condizioni favorevoli o no allo svi- luppo delle arvicole (1). Gli esempi riferiti si possono paragonare a quanto avviene alla superficie dell'acqua stagnante se, su di essa, si fanno cadere. (1) E' possibile che la rapidità o meno della infezione di arvicole nei campi sia subordinata in misura non indifferente alla natura del nutrimento che le arvicole stesse sono costrette ad assumere, nonché ad altre cause. Gli esempi più avanti riferiti, parlando delle generazioni, pare dimostrino appunto il concetto che le erbe ritardano o sospendono, per ([Ualche tempo, la funzione p'eneratrice, mentre i semi misti ad erbe la accelerano e la conti- nuano ininterrottamente. A parità di peso le erbe contengrono principii nutritivi azotati e fosfatici molto inferiori ai semi, quindi la scarsezza dei medesimi contribuisce alla minore prolificità. In altre parole se le arvicole sono costrette nell'anno, per rapioiii diverse, a nutrirsi di sole erbe i)roliticano poco o nulla; viceversa av- viene se il cibo è misto (erbe e semi). Le prove in corso potranno convalidare queste ipotesi o infirmarle. — 267 - contemporaneamente da vari luoghi, più sassolini. Si formano tante onde circolari quanti sono i sassolini, ehe si allargano, si allar- gano sempre più, fino a venire a contatto tra loro, a confondersi ed a sovrapporsi. Oppure, a quel che accade su una carta asciu- gante quando vi si fauno cadere, le une accanto alle altre, delle goccioline d'inchiostro. Queste si espandono mano mano fino a congiungersi ed a confondersi. Avvenuta la saturazione in un territorio o in un campo, tutte le piante erbacee ivi esistenti sono distrutte ed allora, mancando il nutrimento, le arvicole si allontanano dalla loro dimoi'a a schiere non numerose, gradatamente, in tutte le direzioni, nelle vicin A), è privato della metà nel senso longi- Fi)?. 25. Balestra — AB, voinaretto; B C, archetto od arenL'cio; D, pizziuariilo; E, caccinola. tudinale ed appuntito all'estremo inferiore (.4) perchè da questa parte il vomaretto si spinge' nel terreno e si fa penetrare. Alla base della parte intera costituente una specie di cannolo vi é un occhiello (ft) largo poco meno di un centimetro, cui, a distanza di 5-6 cm. più sotto, ne segue un altro («) della stessa dimen- sione. In essi scorre liberamente il terzo pezzo, la cacchiòla. Questi occhielli (« b) sono più o meno distanti tra loro nelle diverse balestre perchè la cacchiòla possa essere più o meno — 278 - ampia, a seconda dell'ampiezza del foro del cunicolo contro il quale essa cacchi'ola si fa aderire quando la trappola viene tesa. Infine, sul margine, a metà della porzione compresa tra i due occhielli, sul fianco destro del vomaretto, vi è praticata una intaccatura poco profonda, lunga cm. 2 circa, contro la quale poggerà un estremo del pizzicando e costituirà il fulcro della leva che ne deriverà quando la ti'appola è preparata. Come regola la lunghezza del vomaretto si fa eguale ad un palmo più un paio di dita trasverse. L'archetto (Fig. 25, BC), che da anche il nome a tutto l'apparec- chio, è lungo da 48 a 50 cm. (1) ed è una bacchetta verde flessibile di gelso (rametti), di olivo (polloni) o di altro albero che piegata non si rompe, sia cioè elastica. La sua estremità più grossa si infila per 3-4 cm. nel cavo dell' estremo [B) superiore del voma- retto, fin poco oltie il diaframma, che allo scopo si fora. Tale bacchetta, infilata nel vomaretto, viene curvata verso il dorso di questo, cioè nel senso opposto alla porzione del mede- simo privata della metà, ed è tenuta arcuata mediante una cor- dicella (e d), fissata, da una parte, all'estremo libero della bac- chetta (C) e, dall' altra, all'estremo della cacchiola (£"). L'archetto funziona da molla e quindi da potenza della leva che dovrà formarsi col quarto pezzo. La cacchiola (Fig. 25, /v) (piccolo cappio) è una striscia anch'es- sa flessibile i-icavata dal l'usto del rovo (volg. riritàle) privato del midollo. Anche una striscia di canna verde può servire allo scopo Ha una largiiezza di 7 10 mm. ed una lunghezza di 35 40 cm. E curvata ed infilata nei due occhielli {a b) dalla parie an- teriore del vomaretto ed è legata ai suoi estremi alla cordicella (e d) che parte, come abbiamo visto, dall'estremo libero dell'ar- chelto. La cacchiola funziona da cappio. Il pizzicarulo (Fig. 25, D) ò un pezzetto di canna, tagliato in modo che comprenda il nodo, largo cm 1-3 circa e lungo 0-8, in- (1) Questa lunghezza e determinata dal sorciaro quando costruisce la balestra prendendo una bacchetta colla sinistra e pofrjriandola contro l'a- vambraccio omonimo disteso, in modo che l'estremo più ingrossato della medesima sia sul polpastrello dell'imlice disteso. Alla distanza del 1° quarto circa del braccio a partire dalla sua j;iuutura con l'avambraccio, la bacchetta si tag^lia e costituirà il futuro archetto. — 270 — tacca to a V ad un suo estremo e legato, ad 1-1.5 cm. dall'altro estremo (e), all'estremo (e) della cordicella (e e) che parte dalla cacchiola. Il pizzicarulo funziona da braccio di leva. È da notare che i tratti d e e e e appartengono ad un'unica cordicella, la quale si mette a posto seguendo questo procedi- mento: Si afferra per un estremo una cordicella lunga una tren- tina di centimetri e la si fa penetrare nella fessura, previamente praticata col coltello, all'estremità libera C della bacchetta C B già infilata in B nel vomaretto; si tà compiere un giro alla cor- dicella attorno a detta estremità C e la si tira contro la parte anteriore del vomaretto. In tal modo la bacchetta si curva. Cosi tesa la cordicella, a distanza da e di circa 15-16 cm., si fa ade- rire agli estremi tenuti a contatto tra loro della cacchiola già infilata nei due occhielli a b, e le si fa compiere uno o due giri attorno ad essi estremi per poi farla passare nella fessura lasciata dai medesimi mantenuti strettamente. Indi, a distanza di 12- 14 cm., si infila il resto della cordicella nella spaccatura fatta all' estremo e del pizzicarulo facendole compiere anche qui un giro e ripassare nella medesima spaccatura. Poi si taglia quel che avanza della cordicella stessa. Non dividendo in due porzioni questa corda e procedendo come si è detto più sopra nella sua messa a posto, le distanze dee e e possono, occoiTendo, accorciarsi col semplice avvolgimento della cordicella all'estremo dell'archetto, quando questo è diven- tato poco teso a causa del rilassamento delle sue fibre rimaste a lungo allo stato curvo. Questa trappola si prepara davanti al foro più frequentato dall'arvicola, perchè è costume di questa di non allontanarsi molto da esso, poco più di una quarantina di centimetri, per pren- dere il cibo (1). Epperciò la importanza della scelta del capo freschissimo è capitale come è di capitale interesse, per la riu- scita della cattura, di non insospettire l'arvicola col toccare il margine del foro, rovinarlo o comunque smuovere il terreno da- vanti il medesimo. L' archetto o balestra non si carica con l' esca comune in uso per i topi casalinghi, ratti ecc., ma, con una piantina di (1) Le distanze misurate dal foro alle piantine recise sono risultate al massimo di 43 centimetri. — 280 — erba (cereale o altra graminacea), che nel Cerignolano vien chia- mata cii'a(o)'a (corruzione di cibaria), altrove versa. La civalora o verza funziona da resistenza. Detta piantina deve trovarsi davanti all'ingresso del cunicolo, 34 cm. distante dal medesimo, sia essa nata sul posto, sia trapian- tata espressamente al momento in cui la trappola viene preparata. Nei seminati già sviluppati in cui le piantine di cereale hanno almeno tre foglie, come dicono i sorciari, cioè lunghe da 10 a 15 cm., non vi è bisogno di ricorrere a piante estirpate con le radici da altri luoghi ove sono nate; invece occorre far ciò in quelli in cui esse sono piccole, altrimenti non è possibile tendere il cappio. In questo caso servono le così dette piante rinatile, quelle sviluppate dopo le prime piogge autunnali da semi di cereali rimasti sul suolo sin dall'epoca della mietitura, epperò più alte; oppure, in difetto di queste, servono le piantine di Loglio (volg. sciuio) estirpate dai margini delle strade od altrove. Ciò posto, la trappola è caricata combinando una leva di secondo genere con la intaccatura del vomaretto, il pizzicarulo e la piantina. Il braccio è il pizzicarulo, il fulcro è la intacca- tura, la potenza è l'archetto unito per il tratto della cordicella e d alla cacchiòla e questa per il tratto e e al pizzicarulo e, final- mente, la resistenza è la piantina, la civalora le di cui foglio- line si avvolgono alla insenatura a V del pizzicarulo. Il procedimento da seguire nel preparare (volg. apjìarare) la trappola è il seguente: A distanza di ,3-4 cm. dal foro prescelto, ricercato tra (luelli del focolaio, che il sorciaro riconosce dalla sua formazione re- centissima, cioè praticato qualche ora prima, e dalla recisione rasente terra (2-4 mm. al più sul livello di questa) delle piantine attorno a detto foro; a .3-4 cm., dicevo, da questo, si pianta la eira- torà (se non può servire una piantina che vi si trova già nata), in- fossando col pollice della destra la radice e il collctto di essa, nel terreno molle e adattando nell'infossatura che ne deriva, una pic- truzza cercata nelle vicinanze e che vi si ricalca. In questo modo la piantina rimane dritta e non può essere svelta dal pizzicarulo. Indi si afferra con la destra la parte superiore del vomaretto, te- nendo questo quasi orizzontalmente con l'archetto in alto, e si con- ficca, da destra verso sinistia, dalla parto appuntita, nel terreno, (il quale, nello stesso tempo, in quel luogo, si comprime con la si- nistra), badando di tenersi discosto dal foro un 10-15 cm., ed in 281 modo che il vomaretto si trovi un poco indietro ed in alto sopra al foro di 5 cm. circa. Si prende poi il pizzicar alo poggiando il pollice della mano destra su esso, vicino alla cordicella, e si tira forte verso terra. Flg. 26. Balestra apparecchiata — a, fusticìuo della civatora; ft, pissicarulo all'estremo del quale è attorcigliata la parte superiore della civatora. Tirando, la caccliiòla scorre nei due occhielli in seguito al ce- dimento dell'archetto e viene a situarsi, col suo arco, quasi ra- sente al margine del foro. E perchè essa non ritorni nella posizione normale, si poggia l'estremo del pizzicarulo, che è vicino filla cordicella, sotto lo spigolo del vomaretto e precisamente contro la intaccatura del medesimo ove si tiene fermo, quasi oiizzontalmente. Quindi si affida al poi- — 282 — lice della sinistra, mentre, con l'aiuto dell'indice di questa e quello della destra si avvolgono due o tre tbglioline della ciratora at- torno all'altro estremo libero del pizzicarulo che ha la intaccatura a V. E si lascia adagio adagio. La trappola è cosi preparata (Fig. 26). L'arvicola, quando non diffida dell'agguato tesole, esce a bottinare, trova davanti all'ingi'csso, a portata di mano, il fusti- cino della civatora e si affretta a reciderlo rasente terra. Con la reuisione di questo viene a mancare la resistenza della leva, l'archetto tende a riprendere la posizione normale e scatta ti- rando rapidamente a se la cacchiola. Allora la vittima, che si trovava tra il foro e l'arco della cacchiola, rimane presa e com- pressa conti'o il vomaretto (Fig. 27). Cosi muore nella morsa (1). Nel medesimo focarile (2) in un giorno si può catturare o nessuna o 1-2, o, eccezionalmente, 5-6 arvicole con la medesima balestra, cambiandola, però, volta a volta di foro. Le arvicole catturate con la balestra vanno contradistinte con arvicole di caccia, quelle capitate nella trappola durante la notte, e, con a>-vicole di giornata, quelle presevi durante il giorno. Il numero di arvicole che si può catturare con questo me todo, durante le 24 ore, varia a seconda della quantità numerica di esse esistenti nell'appezzamento e, in special modo, come dicono i sorciari, della direzione del vento. Cosi, se il venticello che spira è la cosi detta allina, vento di est, o il Murgese (dalle Murgie), vento di est-sud-est, o lo scirocco, il numero delle arvicole cat- turate è i)iccolo in (confronto di quello che si cattura se il vento è di ovest o di nord. (1) Spesso ho trovato morti, con questo ordig-no, irvicole e figli lattanti, che le madri trascinavano dietro, afferrati al capezzolo delle niaiiinielle. In un caso ho osservato dei piccoli vivi, di una 15" di "ionii di età, en- trare ed uscire dal foro alfaticandosi a succldare le iiiainmelle della madre morta nella balestra. Kssi erano stati lasciati nel nido mentre quella si era allontanata per bottinare, e, poiché l'attesa del ritorno suo si prolungava, vinti dalla fame, si eran dati alla ricerca sua. Trovatala cercavano nutrirsi ancora del latte, che la poverina non poteva dare più mai ! (2) Focarile, come Ilo detto più avanti, è l'aliitazione di una famiglia di arvicole ed è dato dal complesso dei fori, che si trovano su una determinata estenzione di terreno (complessivamente da 4 a 5 mq. o poco più). — 283 — In linea di massima le aroicole di caccia sono più di quelle di giornata, perchè, durante la notte, le arvicole lavorano di più, dicono i soreiari, cioè escono più volte a bottinare e trasci- Fig. 27. Balestra scattata con l'arvicola: n, presa e stretta dalla cncchibla. nano nell' interno dei cunicoli molte piantine che servono quale provvista per le ore diurne. Con le balestre, nelle tenute di Pavoncelli, durante i mesi di dicembre, gennaio, febbraio e marzo del 1915-1916, in 120 giorni, si catturarono 180.000 arvicole circa, su 2023 Ea. di terreno semi- nato a cereali, corrispondenti, cioè, a 900 arvicole al giorno. Però — 284 — a questo luiniero bisogna aggiiin{{;ere una media di 8 al giorno che non poteva conteggiarsi perchè i rapaci notturni (civette, barba- gianni) e quelli diurni (falchi, falchetti), nonché i carnivori (volpe, donnole, cani e gatti) divoravano, strappandole dalle balestre, co- me fanno sempre, le arvicole accalappiate. Cosicché il numero complessivo ricordato aumenta di un migliaio circa. Ed ora vediamo come i sorciari adempiono l'ufificio loro. Assegnato dal curatolo o dal proprietario 1' appezzamento di seminato in cui deve farsi la caccia, verso le 11 i sorciari si forniscono del loro gioco (volg scinco), cioè di 120 balestre e infilatene una ventina o più per volta nel braccio sinistro at- traverso al semicerchio formato dall'archetto e dalla cordi- cella, oppure afferratele con la mano sinistra per 1' archetto ricordato, si recano sul campo. Qui, per prima cosa, ognuno si assegna, cominciando dal confine, una poica di terreno della lunghezza di 60 passi pugliesi (=m. 118 circa) (1) e della larghezza di 4-5 se vi è seminata l'avena, o di 6, se vi è seminato il grano o l'orzo. La percorre e contrassegna i focolai ifocarili) con un pezzo di canna, alto circa 1 metro, conficcato nel terreno, lascian- dovi una balestra accanto. Proceduto a questa verifica e lasciata l'ultima balestra, ognuno si accinge a preparare la trappola con le modalità riferite più sopra. Questo lavoro insieme allo spostamento e scaricamento delle balestre viene chiamato lavoì-ciì-e le raleslre. Il primo giorno esso si compie più presto dei successivi, in 3-4 ore al massimo, a seconda dello spazio che il sorciaro è obbligato a percorrere nella porca, cioè della maggiore o minore intensità di focolai. Ma, negli altri giorni dura più tempo, perchè prima di apparec chiare, il sorciaro deve scaricare e togliere tutte le balestre e poi passare a caricarle nell' altra zona, ove non fu fatta ancora la lottcì, sia essa della medesima porca, sia di un'altra. (1) Questa lunghezza, di 60 passi pugliesi, è la regolare; ma, se i focolai sono poco numerosi, essa viene aumentata in modo che tutto il ff>oco sia preparato e non rimanga alcuna balestra inoperosa. Se al contrario i focolai sono molti nella stessa superficie, la lunghezza viene diminuita. Nel primo caso la superficie della striscia di terreno lunga parecchi metri (300-400) è passata (così dice il volgo) tutta, cioè la lotta è fatta su tutta, in pochissimi giorni od anche in un giorno; nel secondo caso è passata tutta in più volte, a piìi ri- prese, preparando il gioco su minore estensione per giorno. - 285 — Caricate tutte le balestre il sorciaro fa loro uua ispezione (,volg'. ricèsa), perchè, nel tempo trascorso alla preparazione di esse, qualche arvicola può esser capitata in una delle trappole, 0 qualcuna di queste ultime può essers.i scaricata, o finalmente, qualche foro, davanti al quale fu preparata la balestra, può essere stato otturato dall'arvicola insospettita della presenza di un oggetto affatto nuovo per essa. Con questa ispezione il sorciaro sistema nuovamente le ba- lestre che ne hanno bisogno; toglie, se vi è capitata, la disgraziata arvicola, ricarica e sposta gli ordegni da un foro all' altro dello stesso focolaio. Se avanza del tempo, non annotta ancora, si fa una seconda o terza ispezione, non lasciando mai, per la notte successiva, al- cuna balestra non apparecchiata. All'indomani del primo giorno, di buon'ora, il sorciaro fa la 1" ispezione, la P )'icèsa, asportando tutte le balestre scaricate comprese quelle con le arvicole capitate al laccio, affinchè que- ste ultime non rimangano fino alle 10-11 ed essere divorate dai cani o dai rapaci diurni, che, per liberarle dalla stretta e man- giarle, strappano i pezzi dell'apparecchio e lo danneggiano. E da notare, a questo proposito, che anche di notte avviene il furto di arvicole capitate al laccio dovuto ai rapaci notturni ed ai carnivori (cani, gatti, volpi, donnole) ed allora la visita è conosciuta per la balestra spostata o rovinata, oppure per le tracce, rimaste sul vomaretto, di sangue, di pelo e di parte degli intestini delle arvicole. Verso le 10 o le 11, il sorciaro fa la seconda ed ultima in- cèsa nel campo di caccia, questa volta asportando tutte le ba- lestre rimaste con o senza arvicole catturate, e passa a prepa- rarle nella zona attigua della stessa porca, o in altra, ove la cac- cia non fu fatta ancora. E cosi, ogni giorno, ripete lo stesso lavoro non tornando sulle stesse porche che dopo una quindicina di giorni o poco meno, perchè le arvicole scampate diffidano dell'apparecchio e non di- menticano troppo presto la morte di qualche compagna. Conti- nuando nello stesso luogo soltanto qualche balordo può capitare nella trappola, e, per questi pochi, non vale la pena di perdere tempo e denaro. Il numero delle ricèse, durante le 24 ore, varia da 4 a 5 a seconda del tempo disponibile. Le ultime due si fanno nello stesso — 286 — campo di cacci;), il secondo giorno, e sono le prime due della giornata, che fa il sorciaro all' inizio del lavoro giornaliero; vale a dire la prima al mattino, al far del giorno, e la seconda alle 10 o alle 11. Queste ultime ore indicate sono le prescelte per la ispezione, perchè in esse, o poco prima, dicono i sorciari, le arvicole cominciano a lavoì-are, cioè recidono le piantine per cibarsene. Spessissimo si trovano otturati i fori davanti a cui fu pre- parata la tiappola, sia con terra sola, sia con questa frammista a rimasugli di foglioline; ed accanto ad essi nuovi fori aperti. Alcuni sorciari spiegano la oppula;iune (oppilazione) dovuta all'odore della canna del vomaretto di fresca costruzione, altri pochi coll'odore delle mani dell'uomo di cui rimane impregnato il vomaretto stesso. Tutti dicono che per togliere l'uno o l'altro odore, e perciò far capitare al laccio le arvicole, occorre che il voma- retto acquisti odo>- di teri'a, cioè ch'essa sia preparata almeno 2-3 volte. Altri sorciari asseriscono che non bisogna conservare le ba- lestre da un anno all'altro nelle cucine ove si fa fumo perchè si impregnano dell' odore del fumo e nessuna arvicola capiterà in esse. Coloro che attribuiscono la chiusura del foio all'odore umano sono in errore grossolano, poiché allora mai un'arvicola si pren derebbe nella trappola dato che questa ogni giorno è maneggiata dal sorciaro. Comunque, ricordando che le arvicole sono diffìdentissime di qualunque oggetto nuovo che vedono nelle vicinanze dei loro in gressi, il fenomeno suddetto è spiegabilissimo senza ulteriore in- terpretazione (1). Questo metodo di lotta non dìi quei risultati buoni che ge- neralmente si crede. Ciononostante sussiste ancora. Qualche cosa fa, ma è troppo poco di fronte alla spesa che si deve sostenere. Nel dicembre, gennaio e febbraio, specialmente, la cattura di ar- vicole femmine lattanti o pregne non è rara, perciò con la morte di un' ai'vicola madre o gestante periscono da 4 a 5 individui in media, (1) Ho sperimentato lasciando con le molle, accanto ai fori frequentati, diversi oggetti (pietre, pezzi di leg^o, blocchi di terra, rametti di alberi, pezzi di bottiglie rotte e lavati con acqua abbondante senza poi toccarli ulterior- mente con le mani) ed ho osservato che le arvicole otturavano egualmente i fori accanto o davanti ai quali detti oggetti erano posti. - 287 — Le osservazioni di figli lattanti morti con la madre e di fi- gli, che, pur grandicelli cercavano latte alla raadi-e morta sof- focata, ci dicono qualche cosa su l' effetto di questo genere di lotta. E se si aggiunge che, in gennaio, sventrate, parecchie fem- mine catturate nella trappola, avevano, da 3 a 4 feti, 1' evidenza del beneficio della balestra è più manifesta. Però, anche altri mezzi, che non sieno la trappola, hanno i medesimi vantaggi. In genere, ripeto, con la balestra si fa troppo poco. Buche. — E un sistema di lotta indiretta consigliato dal Brehm (1), riportato da D. X. (2) poi, indi da Cantoni (3) e da Danysz (4), e consiste nello scavare, qua e là. nei campi, buche di 12-18 cm. di diametro (Danysz dice da 8 a 10) per 30-40 cm. di profondità (Brehm dice di GO), a pareti verticali, per mezzo di trivella adatta. Le arvicole passando la notte vi cadono e vi rimangono imprigionate. L'indomani un operaio si incarica di ucciderle con un pezzo di legno. Nel Cerignolano si tentò pure questo metodo nel 1915-16, ma fu presto abbandonato perchè poco soddisfacente (5). Vasi di terra cotta. — E una modificazione del precedente, poiché nella, buca scavata si adatta un vaso di terra cotta (con acqua o senza e con esca o senza), in modo che la bocca del vaso stia allo stesso livello del suolo. Anch'esso fu un metodo adoperato nel Cerignolano e, poiché i risultati furono scarsi, fu anche abbandonato (6). Questo sistema lo consigliò il Brehm (7) contro 1' Arvicola terrestre, il Grosbois (8) contro l'Arvicola di Savii e il Topo cam- pagnolo (?). (1) BrbHìM, 1. e, pag-. 617. (2) D. X., 1. e, pag. 124-125. Questi lo consiglia contro il Mus silvaticics (corridore), con quanto vantaggio non sappiamo. (3) Cantoni G. « Enciclopedia agraria italiana > Voi. S" , Parte 6» , pa- gina 690, Unione tipogr. edit., Torino, 1880. (4) DANY.SZ J., 1. e, p. 37. (5) Il Di Caporiacco fu il primo ad adottarlo nel vivaio di viti americane. (6) Il Dott. Campaniello di Cerignola ai vasi accoppiò il suono di notte della campana (volg. campano) che si usa appendere al collo delle vacche e con la quale si usa stordire le allodole nella caccia che si fa loro, di notte, durante gli ultimi due mesi dell'autunno. Con tale suono le arvicole sbigot- tite nella fuga dovevano, secondo l'autore, cadere nei vasi. (7) Brehm, 1. e, p. 609. (8) Grosiìois a., 1. e, p. 75. Questi consiglia 25 a 30 vasi per ettaro. - 288 — Fossetti di protezione volg. trincee. — Il sistema di proteg- gere le colture dalle arvicole mediante fossetti scavati alla pe- F0S80 (li prniv/.ionc (trincea) ili un« vicini ili Casa Pavoncelli nella contrada Canal« (iontile, in ti-niniinio di Corignola: a, vaso di terracotta. iXella fi^nra: il Sen. Prof. Orassi. e dietro, a sinistra, il Dott. Bandi Primo). riferia di queste (Fig. 28), non era nuovo in Italia quando, nella Capitanata, andò in voga durante l'estate del 191(3. Ne parla Carrer (1) in Italia e Grosbois (2) in Francia. Que- .sfultinio però lo mette in ridicolo e lo classifica più infantile della caccia diretta a mezzo dei i-agazzi che seguono gli aratori. Nel Cerignolano, nell'estate del 1916, se ne fece un larghis- simo uso, ma modificato per l'aggiunta di vasi disposti a conve- (1) Carher G. « Un nuovo metodo di lolla contro le arvicole' A pag. 5 dice: «.... alcuni proprietari tentarono di lottare contro le arvicole, alcuni con l'escavo di l'osse profonde 30-40 cin. e con le rive a picco, intorno ai luoghi più invasi, per farvi cadere dentro le arvic-olc ed ammazzarle non po- tendo esse arraiiipiciirsi che assai liiiiitat.iiiieiite per una parete verticale...'. Vicenza 190.'). (2) Groshois a., 1. e, pag. 70, dice: Questo sistema di lotta diretta non dà sempre risultati soddisfacenti, è in tutti i casi meìw infantile di quello che consiste nel praticare attorno ai campi dei fossi profondi e dei rialzi <'.i terra sopraevelati ecc. ' . - 289 - niente distanza e interrati nel fondo dei fossetti con la bocca a livello del fondo stesso, nonché per aggiunta di acqua (1). Non sembra esser dubbio che la priorità del sistema modi- ficato spetti al Cav. Avv. R Palieri, Presidente del Consorzio an- tifìllosserico di Cerignola, il quale, in aprile-maggio del 1916, fe- ce scavare attorno ad uno o due suoi vigneti i primi fossetti per proteggere le viti dalle arvicole che già cominciavano a dan- neggiarle nei tralci. E, perchè queste, cadute in essi, non perfo- rassero le pareti a picco e tornassero libere, pensò di far infos- sare nel fondo, ad ogni 8-10 m. di distanza, i vasi di terracotta, come dianzi detto, contenenti acqua. Cosicché le arvicole, cadute nei fossetti, mentre tentavano di cercare la via di uscita cor- rendo luugh'essi, trovavano il trabocchetto ed annegavano. Il volgo chiamò questi fossetti col nome di trincee, e tale denominazione fu subito accolta ed adottata da tutti, tanto che sussiste tuttavia. Da Cerignola, il sistema passò rapidamente altrove; si ap- plicò dovunque erano vigne da proteggere. Cosicché nell' estate di quell'anno si scavarono oltre 800 Km. di trincee, dei quali quasi un terzo spetta all'agro Cerignolano. Data l'urgenza di provvedere alla difesa delle vigne con tale metodo e la grande richiesta di vasi, questi difettarono presto ed allora ogni proprietario si dette alla caccia delle stagnate vuote di petrolio, che tagliavano a metà nel senso trasversale, scatole di latta vuote di conserva di pomodoro o di tonno, di alici sott'olio 0 di alici o sarde sotto sale e via dicendo, le quali rispondevano anche bene in luogo dei vasi. Sul principio i vasi o i recipienti erano riempiti d'acqua fino ad un paio di dita sotto la bocca, ma, in seguito, constatato che anche in quelli ove l'acqua era essiccata, le arvicole, vi si raccoglie- vano egualmente, considerata la forte spesa del trasporto dell'acqua da rinnovarsi spesso per l'evaporazione e per il forte puzzo della medesima putrefatta con le arvicole, si tralasciò di farlo. (1) L'acqua era posta nei vasi per attirare le arvicole nel fossetto. Cosi spiegarono 1' ag'giunta di essa. In seguito, però, si vide che non era ne- cessaria. Aggiungiamo che i vasi erano quelli ordinari in uso per i fiorì (a Torremaggiore dal Dott. Carelli hirono fatti fabbricare a pareti diritte) con la bocca dello stesso diametro della larghezza del fondo del fossetto, acciò le arvicole non potessero passare impunemente oltre lo spazio compreso tra un vaso e r altro, lungo gli spigoli del fondo del fossetto. XIII - Bollett. di Zoologia Gen. e Agr. ]9 — 290 - Ogni mattina, però, si passava lungo la trincea e in ogni vaso si uc- cidevano le arvicole contenutevi con un pezzo di legno, dimenan- dole rapidamente e fortemente come si fa matterello alla polenta che cuoce Poi, con 'le dita o con una pinza di canna, si estrae- vano le bestioline morte o semorenti sbattendole sul suolo. E, siccome questo lavoro si ripeteva ogni giorno, cosi si formavano mucchi di cadaveri (Fig. 29) a ridosso della trincea in corri- spondenza di ciascun vaso. Essi, poi, imputridendo, appestavano le vicinanze. Alcuni proprietari per allontanare il fetore dalla vigna facevano raccogliere dai ragazzi tutti questi mucchietti ac- cumulati nella giornata per formarne altri più grandi lontano, sia pure lungo i margini delle strade, poco curanti di ammorbare l'aria al disgraziato passante! Con il sistema delle trincee la protezione delle vigne fu assicurata e la immigrazione in esse delle arvicole, che dai campi da loro mietuti erano attratte al verde, si arrestò ai fos- setti. E si uccisero miliardi di arvicole ! Sui primi giorni il numero di arvicole precipitate nelle tì-incee e quindi nei \ asi ammontava da 14 a 21 per ciascuno di essi; in seguito diminuì, ma la quantità totale si mantenne sempre elevata. Le trincee dettero modo di constatare che il fenomeno della immigrazione avveniva a gradi. Infatti, dal diario giornaliero offertomi dalla Casa Pavoncelli, che col metodo delle trincee catturò ed uccise quasi un milione di arvicole, si ricava che nel periodo compreso tra il 26 aprile ed il 12 settembre 191G, il numero di arvicole catturate nelle trincee segue un alto e basso sensibilissimo durante il mese. Così mentre il 1° maggio si catturarono 424 arvicole, il 3 se ne catturarono 327; 1*8 le arvicole assommarono a 1912, il 17 a 1141 ed il 21 a 573; il 23 a 2315 e il 25 a 1894. In giugno, il 2 furono 3413, il 4, 3834 ed il 9, 3412. In seguito, nello stesso mese, aumentarono sempre, giorno per giorno. Un altro sbalzo si ebbe dal 16, in cui furono 5937, al 17 in cui furono 7820. Il massimo di arvicole catturate fu di 14.397 1' 8 luglio. Da questo giorno cominciò la discesa fino al 30 luglio in cui arrivarono a 2755, poi aumentarono di nuovo ed il 1" agosto furono 3315, per diminuire il 3 con 2376. Nel mese di agosto si hanno 1840 il giorno 5 e 3725 il 6, 684 il 12 e 1187 il 13, 913 il 21 e 282 il 27, 180 il 29 e 320 il 30. Poi in settembre 154 il 1" e 322 il 3, 86 il 6 e 177 il 7. - 291 - Il periodo dì maggiore cattura si ebbe dal 15 giugno al 15 luglio, con una media settimanale di 27.517 arvicole; 4000 circa per giorno. Dai dati fornitimi dal Cav. R. Palieri ricordato si deducono gli stessi fenomeni. In un vigneto di Ea. 2.500 con la trincea Fig. 29. Mucchio di arvicole uccise dopo essere state raccattate vìve nei vasi del fosso di prote- zione di una vigna, fatto a ridosso del medesimo. tContrada Canale Gentile — Vigna Pavoncelli — Cerignola). lunga m. 600, egli catturò il 2 giugno 992 arvicole e 720 il 3, 823 il 5 e 628 il 7; poi 818 il 9 e 240 il 14; 410 il 15 e 310 il 18; 600 il 19 e 305 il 21; 654 il 22, 320 il 27 e 420 il 28; 210 il 29 e 330 il 30. In luglio, il 1° catturò 220 arvicole e 306 il 2, 290 il 4 e 340 il 5; 123 il 12 e 240 il 13. In seguito gli sbalzi furono leggermente sensibili. In questa trincea di 600 metri, dal 25 maggio al 31 luglio, catturò 19.964 arvicole, cioè 5572 arvicole alla settimana. Non riporto altri dati per non essere troppo lungo. Ma, da quelli riferiti, si vedono molto chiari gli sbalzi succedutisi. Come chiaro è che le trincee resero un grande servigio nella lotta ed esse sarebbero da consigliarsi sempre che il costo del loro sca- vamento, della loro manutenzione, dei vasi e della cattura delle arvicole non fosse molto elevato. — 292 — Pumigazloni - Asfissia. — Consiste nel far penetrare per un toro del cuiiit-olo, e chiudendo gli altri, un gas che rendesse irre- spirabile alle arvicole l'aria contenuta nella loro abitazione e quindi le uccidesse asfissiate. Il gas che si adoperò nel 1911 fu l'anidride solforosa fatta I 2 rt Fif. M. Tre tipi (li Jiiiparocchi lumi^atori ilei cunicoli. sviluppare bruciando lo zolfo in polvere sulla paglia accesa e racchiusa in un apparecchio detto zolforatore (Fig. 30). A mezzo di un ventilatore annesso e di un tubo detto gas si insufflava nel cunicolo. Il gas insufflato per un foro usciva per gli altri che perciò si tappavano con un colpo di tacco. Per tal modo lo arvicole rima- nevano avvolte in una atmosfera di gas asfissiante e, non trovando libere le vie d'uscita, perchè chiuse, avrebbero dovuto morire. Se- nonchè moriva qualcuna; moltissime altre, per circostanze varie, rimanevano vive. Perciò il metodo fu presto messo fuori uso, per quanto, sul principio, era andato, come tutte le cose nuove, in mo- da. Di più era lungo e faticoso, ed in una giornata di lavoro, ap- pena si fumigava una cinquantina di cunicoli. — 293 — Il metodo sì adottò dapprima in quel di Candela nella pro- vincia di Foggia, con un apparecchio rappresentato dalla figura 30 col numero 1. In esso, però, il ventilatore aveva poca forza di pro- pulsione, perciò, a Cerignola, se ne sostituì un altro più potente ^mr [•■- Fig. 31. Prova dì fiunij^azione coU' apparecchio Budetti. e modificato, come si vede nel numero 2 della stessa figura Ma, il coi'po dell'apparecchio era troppo piccolo, epperò si costruì più grande nel Cerignolano stesso (numero 3 della figura). Nel 1916 non si adottò la fumigazione, dati i precedenti ri- sultati , ma fu sperimentata ancora con un altro apparecchio (Fig. 31), ideato dal sig. Budetti (un italiano residente al Bra- sile e tornato in Italia in quel tempo) e con altre sostanze (1). (1) Una prima prova fu fatta a Foggia nel novembre 1916, presenti l'I- spettore Dott. Paoli, il Dott. Della Vedova, il Prof. Jovino, lo scrivente e qualche altro. Una seconda, coli 'intervento del Prefetto di Foggia, il Comm. De Fabritiis e di molte altre notabilità ed agricoltori cerignolani, si ripetette in una vasca, ripiena con terra, destinata all'allevamento delle arvicole, nelle adiacenze del laboratorio per lo studio di queste nella R. Scuola agraria di Cerignola, e poi in campagna, nel gennaio del 1917. — 294 — L'apparecchio è più semplice e il propulsore del gas è una pompa a stantuffo. Anche la sostanza asfissiante è diversa (1); una polvere giallastra che produceva, bruciando nel carbone di legna, un gas dello stesso colore ed i suoi prodotti lasciavano sul terreno una colorazione pure gialla. Gli effetti del gas erano deleteri alle arvicole; ma il metodo era anch'esso molto lungo e faticoso e con risultati pratici dubbi; epperciò non ci si badò più. E da ricordare che questa fumigazione, diceva il Budetti, era adoperata nel Brasile contro le Formiche e le Termiti. Anche questo metodo non era nuovo. Ne parla il nostro ignoto autore ricordato (2) e diffusamente il Grosbois (3). Veleni. — Per adoperarli occorre (tranne per qualcuna) la così detta esca, una sostanza cioè appetita e ricercata dalle arvi- cole, la quale sia stata, prima di amministrarla, trattata con un veleno. Le esche più generalmente usate sono il grano e l'avena In linea secondaria sono le patate, i cetrioli, le zucche. Esse, dopo trattate col veleno, sono lasciate in poca quan- tità davanti ai fori frequentati dei cunicoli. Sicché le arvicole trovano a portata di mano il nutrimento e lo mangiano dopo averlo trasportato nell'interno. Alcuni veleni sono conosciuti ed usati anticamente nella Ca- pitanata contro le arvicole. Essi possono dividersi in due categorie: in releni di origine vegetale e in veleni di origine minerale. Veleni di origine vegetale. — Sono da ricordarsi quelli usati in altri tempi in Capitanata e quelli sperimentati in laboratorio prima e, in pieno campo, poi. Essi sono: il Ricino, la Scilla e due specie di Euforbia, le quali tre ultime crescono nei terreni incolti della Capitanata. (1) La composizione della polvere ci è ignota perchè il Budetti conservò il segreto. (2) D. X., 1. e. p. 13;5-i;?5. Questi riporta la figura della macchinetta, co- me la chiama, e indica altro sistema senza bisogno di quest' ultima, consi- stente ncU'introdurre nel foro delle fettucce di carta larghe .3 linee e lunghe 4 pollici previamente immerse in un bagno di solfo fuso ed accese poi con r acciarino. * (3) Grosbois A., 1. e, p. 79-81. Questi indica anche vari sistemi ed ap- parecchi. — 295 — Ricino. — Il Ricino {R/cì'm'S communi» L.) fu sperimentato allo stato di seme sgusciato intero, o diviso in due o tre parti, e allo stato di erba, foglie e steli. Nel primo caso le arvicole dopo avere assaggiato il seme non lo toccavano più e lo ripudiavano. Nessun adulto mori per averne assaggiato. I piccoli invece ne hanno mangiato, e, dopo scariche alvine abbondanti, sono morti nella percentuale del 63,2 %. Nel secondo caso le arvicole hanno mangiato, come altre erbe, le foglie e gli steli senza morirne alcuna. Scilla. — Nei terreni incolti (saldi, saldoni, mezzane) della Capitanata nasce e prospera la Scilla (Urglnea Scilla Steinh). I pugliesi conoscono la natura venefica dei bulbi di questa pianta, epperò da tempo remoto avevano usata 1' infusione di essi in acqua, dopo averne tolte le scaglie e pestate, per imbeverne i semi di grano od avena, od inzupparne pane da amministrare alle arvicole. Il sistema fu però abbandonato per lo scarso risultato. Grosbois ricorda la Scilla come velenosissima per i roditori, ma, come per l'arsenico, si impiega malissimo, poiché non si tien conto della sua avidità d' acqua, della dose e dell' azione che esercita (1). Negli esperimenti il risultato fu negativo, poiché le arvicole non mangiavano tali esche o ne mangiavano poco. Nessuna, tra quelle che le assaggiò, morì. Usando la farina di Scilla (ricavata dai bulbi ridotti in fet- toline, essiccate all'ombra e pestate), fino al 20 %» cosparsa su grano ed aveva ammolliti nell' acqua o su pezzetti di pane ba- gnato, si sono ottenuti risultati identici. Anche la farina di frumento impastata con il succo di Scilla e con r aggiunta di un poco di olio servito per friggere, e poi essiccata, non fu appetita dalle arvicole (2). Infine sperimentando blocchetti di un impasto di farina di Scilla (b parti), farina di frumento (20 parti), sugna (p. 2) ed acqua con essenza di finocchio, le arvicole non li toccarono. (1) Grosbois A., 1. e, p. 105-106. (2i Questa preparazione fu consigliata dall'Ispettore Prof. Pantanelli, co- me, dallo stesso consigliato, fu il Ricino. — 296 — Euforbie. — Le due specie di Euforbia (E. helioscopia L. ed E. exigua L.), in erba sono divorate dalle ar\icole in man- canza di altre erbe, senza risentirne danno. I panini fatti con farina di frumento impastata col latice delle due specie ricordate e poi bagnati con acqua sono stati toccati appena dalle arvicole senza danno per esse. Cosi pure i chicchi di grano e di avena ammolliti nell'acqua contenente fino all'SO % di detto latice sono stati solo in parte assaggiati dalle arvicole senza risentirne danno. Veleni di origine minerale. — Sono stati usati o sperimen- tati contro le arvicole: la pasta all'olio fosforato, il carbonato di bario, l'arseniato di piombo in pasta o in polvere, V arse- nito sodico e potassico, l'anidride arseniosa ed il fosfuro di zinco. Pasta all'olio fosforato. — Nel 1916 il Ministero di Agri- coltura inviò a questo laboratorio per esperimenti, la pasta al- l'olio fosforalo (o semplicemente olio fosforalo) preparato nella R. Stazione Chimico-Agraria di Roma (1). I risultati ottenuti in laboratorio furono poco promettenti. La mortalità delle arvicole fu del 15,2 °/„ tra quelle obbligate a mangiare i pezzetti di pane cosparsi della sostanza velenosa e del 6.5 "/„ tra quelle che avevano a disposizione cibo di altra natura (erbe, grano, avena, pane assoluto, cetrioli, patate). Carbonato di bario. — Ne parla 1' anonimo D. X., che con- siglia di fare « un miscuglio di una parte di polvere impalpabile di barite o spato pesante calcinato con 4 parti di farina di orzo germogliato od anche di farina di frumento » . Egli lo dice effica- cissimo mezzo (2). Grosbois parla pure di questo composto e lo classifica tossico incerto o inefficace a causa della sua insolubi- lità e della dose indeterminata (3). Grandi da la dose di 20 parti (1) Si prepara: ponendo il fosforo (nella proporziono del 0.5 '/o <^' olio) in una doppia casseruola contenente olio dì sesamo e, mantenendolo a 44* C, mescolando bene finché il fosforo sia sciolto. Poi versando la farina di frumento agitare e mantenere sempre uguale la temperatura. Continuare a mescolare per evitare la formazione di grumi fino a tanto che il tutto non prenda la consistenza di una salsa. Si usa: versando detta salsa sopra pezzetti di pane della grossezza di circa un centimetro cubo e agitando il tutto affinché la miscela aderisca ad ogni pezzetto. (2) D. X.. 1. e, 110. (3) Grosbois A., 1. e. p. 103-104. — 297 — di carbonato di bario in 80 di farina di frumento colla quale quello si impasta formando pagnottelle schiacciate che poi si infornano per cuocerle. Indi queste si tagliano a pezzetti grossi quanto una noce, si bagnano un po' in acqua e si cospargono con polvere di fieno greco allo scopo di mascherare 1' odore del veleno (l). Danysz (2) da la dose del 0.25 all' 1 di carbonato per 100 di esca. Esso si stempera in 100 ce. d' acqua e nella mescolanza si pongono a stemperare 100 gr. di avena schiacciata. Noi abbiamo sperimentato questo veleno elevando la dose al 30 % con poco risultato soddisfacente, poiché la percentuale di mortalità delle arvicole è arrivata al 7 7« quando l'esca era ap- petita. Arseniato di piombo in pasta ed in polvere. — Questo ve- leno adoperato su vasta scala contro gli insetti, non ha dato risultati buoni contro le arvicole. Esso fu consigliato la prima volta in Capitanata nel 1916 stemperando l' arseniato in pasta nella proporzione di 1 kg. in 100 litri d' acqua, e sospendendo quello in polvere nelle stesse proporzioni dell'altro. L'acqua cosi preparata si irrorava con le pompe irroratrici sulle erbe e sulle foglie di vite. Qualcuno ignorando che l 'arseniato di piombo non si scioglie nell'acqua, dopo aver preparata questa nel modo ricordato, vi ponevano le esche (grano, avena, patate ecc.) e le somministra- vano alle arvicole. Figurarsi che risultati dovevano ottenere ! Altri hanno adoperato questo veleno in pasta al 5 "/o inibrat- tando con questa le esche (patate, zucche, pere, cetrioli) esclusi i semi di cereali. Noi adoperammo l' arseniato in polvere e quello in pasta all'I 7o e , ma qualche delegato preposto alla lotta nel 1916, visto che con tale dose non si riusciva a contenere il numei'o delle arvicole, aumentò la dose fino al b "/o ottenendo lo stesso risultato. È di effetto sicurissimo quando le arvicole non hanno erbe od altro cibo a disposizione, giacché poche di esse toccano le esche avvelenate a causa dell' odore emanato dal veleno poco gradito al loro olfatto. Infatti otturano i fori davanti o entro i quali le esche si lasciano. Q,uanto più è alta la dose tanto più la proba- bilità di morte delle arvicole è grande. Basta allora pochissima esca mangiata per ottenere l'effetto desiderato. Ma, non bisogna e.sagerare, altrimenti si sciupa veleno ed esca e il lisultato è il medesimo. In laboratorio abbiamo fatto numerose prove con dosi dal 0.5 al 5-7.1- Riportiamo i risultati dettagliati di quelle alla dose del 0.5 al 2 "/„ : (1) GuANDi G., 1. c, pag-. 3. (2) Ghetti G. «Contro i topi campagnoli» pagg. 581-584, Italia AgTÌ- cola, anno XLIX, N. 24, 30 Die. 1912, — S02 — g « e s ÌU u a ll Ö £ ri uj g- a il « N O li- 5 O 0 I s < Chicchi dati a ciascuna arvicola u E Esca adoperata il M N O _ 0 0 100 1 1 nesauua grano 0,5 100 1 1 nessuua avena 0,5 ff 2 2 » n » n 2 2 n n n » 3 3 n n n " 3 3 n r, ji » 4 4 n n ff " 4 4 n n " r> 5 5 7 n n n 5 5 n *j .' n 6 a 10 n n n 6 6 n n " 1 n 7 7 13 n n n 7 7 3 » - n 8 a 35 » n n 8 8 2 » 1 n 9 9 33 n n » 9 9 4 » r » 10 10 19 n n n 10 10 4 » »» 100 1 1 •n 2 2 n 3 3 n 4 4 n 5 5 n 6 6 n 7 7 n 8 6 n 9 7 n 10 9 100 1 1 n 2 2 n 3 3 n 4 4 » 5 & n G 6 rt 7 4 n 8 6 n 9 7 n 10 5 15 26 39 57 74 81 98 100 2 26 74 92 tutte grano 1 100 1 1 n J) n 2 2 n n n 3 3 1 )» n 4 4 n n ff 5 5 n B n 6 6 « n n 7 7 n n ff 8 8 n 71 71 9 9 n n n 10 10 4 5 9 16 15 grano 2 100 1 1 n n » 2 2 rt » n 3 3 » . n n 4 4 n n n 5 5 » n » 6 6 n n n 7 ' n n n 8 ,H » n n 9 9 7Ì n n 10 10 3 18 26 29 33 49 65 avena 0 » n » ft n n ff n » n n rt n rt n rt n n — 303 — Arvicole Isolate ih IH U CS 11 o CO co « W o co S § « N O 0;0 Arvicole isolate Chicchi dati a ciascuna arvicola Chicchi consumati Arvicole morte Esca adoperata o Fosfuro ° di zinco 100 3 3 2 g:raDO ed erba 1 100 6 6 1 avena ed erba 1 n 4 3 4 n )) n 7 tì 2 n n n 5 2 3 rt n n 8 8 4 n " n 6 4 8 n » n 9 9 4 n •1 1 " 7 3 7 n » " 10 10 6 » n )) 3 3 4 n n » 6 6 1 » n n 4 4 5 Jt n n 7 7 3 » H n 5 3 6 n n n 8 7 2 M H lì 6 3 6 ?» n n 9 9 5 J) n 1 " il 7 2 3 H H n 10 10 4 » )» 100 2 2 6 tcrauo ed erba 2 100 4 4 3 avena ed erba 0 n 3 4 1 2 5 9 1 • 5 6 5 5 3 6 " 5 4 11 » » » 7 7 6 » )) n 6 3 10 » )i » 8 8 9 n 1 11 )) 2 1 7 » n n 9 8 7 » )) n 3 3 5 » n 'j 10 10 12 » n n 4 3 8 jj " n 8 7 s » J) » 5 2 10 n n '» 9 9 7 j) n » 6 4 12 n n » lU 9 7 » » Esche col veleno al 2.5-3-3.5-4 e 5 % in laboratorio hanno dato su per giii risultati identici ai precedenti, poiché le arvicole non le appetiscono tanto, forse a causa del pili forte odore ripu- gnante del veleno. Si è più volte dubitato se il fosfuro di zinco perde di effi- cacia quando le esche sono preparate da qualche tempo o sono esposte al sole per 4-5 giorni. Ho voluto perciò fare delle prove ed è risultato che il veleno non perde la sua tossicità in nessuno dei due casi accennati. La percentuale di mortalità, però, è stata inferiore, sebbene di poco, a quelle precedenti, forse perchè, seccando, il fosfui-o in parte si — 304 - Stacca dall'esca, grano od avena, nel maneggio che deve farsi per prelevare quest'ultima dai recipienti e nell'amministrarla. In altri esperimenti con grano od avena avvelenati all'i ed al 2 Vo di fosfuro, misti agli stessi semi contenenti però acqua superiore alla normale, dal 20 al 36 "/„ , le arvicole hanno pre- ferito questi ultimi e la mortalità è stata al massimo del 9.2 % circa col veleno al 2 "/„ quando l'esca era il grano e del 5.4 "/„ quando era l'avena. Con esche molto acquose (patate, cetrioli) la percentuale di mortalità è stata molto elevata con dose all'I 7o- Infatti con esse, ridotte a pezzetti, tale dose è sufficientissima per ottenere una percentuale di mortalità dal 91 fino al 100 %• Questa ultima, però, in qualche caso. Finalmente con altri esperimenti di laboratorio e di campo in presenza dello stesso cibo, avvelenato e non, le arvicole hanno preferito quello non avvelenato. In qualche raro caso, hanno asportato un po' dell'avvelenato nel cunicolo, ma nessuna è morta. Similmente se hanno erbe a disposizione queste sono preferite alle esche avvelenate. Esperienze fatte in pieno campo coperto di erbe, col fosfuro all'I, al 2 ed al 3 %, hanno dato risultato poco .soddisfacente nei mesi di gennaio, febbraio e marzo fi). Infatti, in gennaio su 6 ettari di seminato ad avena con esche (grano od avena) avvelenate col fosfuro all' 1 %, si sono trovati il 4.1 7o ) con l'esca grano e il 2 % con l'esca avena, di focolai spenti (2). I trattamenti furono 3 a distanza di due e quattro giorni l'uno dall'altro. Nelle prove su 3 ettari, pure in gennaio, con le medesime esche al 2 "/„ di veleno si sono trovati il 7.4 %, con l'esca grano e il 3.37„ con l'esca avena, di focolai spenti. I trattamenti furono due a distanza di due giorni l'uno dall'altro. I risultati poco soddisfacenti e dubbi per le piogge soprav- venute dopo 3-4 giorni dall'ultimo trattamento, piogge che pote- (1) Queste esperienze in pieno campo, furono fatte insieme al Conte Di Caporiacco in un appezzamento di seminato ad avena di 20 ettari grande- mente infetto di arvicole, appartenente alla Casa Pavoncelli, in contrada Pozzo Terraneo di Cerignola. (2) Per focolaio spento intendiamo quello che non da segno di attività, con i fori o capi vecchi. — 305 — vano aver dilavate le esche del fosfuro e fatto perdere loro l'ef- ficacia contro le arvicole ritardatarie, indussero, appena le piog- ge cessarono, a ripetere le prove, che, perciò, si fecero nella 3" decade di febbraio e nella 1" di marzo. La dose del veleno fu però aumentata al 3 %. Su 5 ettari quindi si fecero a distanza di tre giorni due trat- tamenti con grano avvelenato. (1). Su altri 3 ettari invece si fecero tre trattamenti, due con grano ed uno con pez/.etti di patate trattate con polvere di ar- senito di sodio al 3 7o- I due primi a distanza di 3 giorni l'uno dall'altro ed il terzo a due giorni dal secondo. Trascorsi 15 giorni circa, e fatte le ossei'vazioni, si notò il 10.75 % di focolai spenti nei 5 ettari trattati con il solo fosfuro e il 13.45 nei 3 ettari trattati con fosfuro ed arsenito. Nel controllo si trovò il 4.85 Vo di focolai spenti dovuto a causa ignota, e questa percentuale è stata detratta dal computo di quelle riferite, poiché è presumibile che, anche negli ettari esperimentati con veleno, si sia verificata la medesima causa ignota. Deduzioni dai risultati delle esperieuze. — Dal risultato degli esperimenti in laboratorio su arvicole obbligate a mangiare le esche avvelenate col fosfuro si può dedurre che: 1.° l'esca grano avvelenata, a parità di condizione, da una percentuale maggiore di mortalità dell'esca avena; 2.° la dose all' '/t "lo di veleno è da scartarsi; oppure bi- sognerà ripetere più volte i trattamenti onde fare ingerire mag- gior quantità di veleno alle arvicole per ottenere lo scopo; 3." quanto più bassa è la percentuale di veleno tanto mag- giore quantità di esca deve ingerirsi per avere lo stesso effetto che si ottiene con quantità minore di esca a dose più alta; 4." quando la dose del veleno è alta (relativamente) basta poca esca per avere l'efficacia; 5." la dose di veleno all' 1 7o è ottima: migliore ancora è quella al 2 V«; 6.° avendo a disposizione le erbe, l'esca avvelenata è poco o nulla appetita; tanto meno quanto più alta è la dose del veleno; (1) Questi ettari, si noti, erano g-li stessi sui quali si erano fatte le espe- rienze precedenti. Xm - llullell. di Zoologia Gftì. e Ayr JO — 306 — 7." le esche molto acquose sono ottime con dose all'I 7o di veleno; 8." la percentuale del fosfuro non deve essere elevata per- chè l'odore del veleno fa ripudiare 1' esca; oltre che nell' ammi- nistrazione di questa, buona parte di veleno va perduta; 9.° basta la dose del 2 "/„ del veleno perchè, in poca quan- tità di esca, si abbia il massimo effetto; 10." il fosfuro nell'esca preparata da qualche mese, o espo- sta al sole per 3-4 giorni, conserva il potere venefico efficace; 11." quando vi è a disposizione grano od avena, od altro cibo, l'esca avvelenata non è toccata che raramente, come av- viene quando vi sono erbe a disposizione. Altre sostanze speri lu e ii tate. — flo voluto sperimentare l'a- zione del carburo di calcio contro le aivicole, del cloruro di calce (ipoclorito di calcio), del solfuro di potassio (fegato di solfo), del- l'idrogeno solforato e del solfuro di carbonio. Queste sostanze aviebbero dovuto agire per i gas che svi- luppano, quindi come asfissianti, introducendole in uno, due o tre fori di ciascun cunicolo dopo aver chiusi gli altri fori, e poi, ad operazione compiuta, anche quello, o quelli uve si era introdotta la sostanza. Le esperienze furono fatte in estate ed in inverno. I risul- tati furono soddisfacenti solo quando la sostanza era il solfuro di carbonio, poiché la mortalità di arvicole nel cunicolo arrivò al 73 7o. Arsenìuro di zinco. — Il Prof. Pantanelli, nel 1916, ci inviò in esperimento l'arseniuro di zinco in polvere. In quell'anno nei mesi di agosto- settembre i risultati delle prove in laboiatorio con questo veleno, alla dose del 4 "/o furono buoni, poiché si ebbe una percentuale del 5.5.1 "/o» ^^, nel 1918, ripetute le prove, partendo dalla dose dell'I 7o huo ^^l 9 7o> si ebbero risultati negativi. Solo alla dose del 10 7o si ebbe una mortalità del 3.2 7«. Dato questo risultato non abbiamo creduto sperimentare l'ar- seniui'o in pieno campo. Acqua avvelenata. — Per suggerimento del ricordato Pro- fessore Pantanelli, sperimentammo, nell'agosto del 1916, l'acqua avvelenata con arsenito di potassio all'I 7o: contenuta in baci- nelle lasciate sul suolo, allo scopo di uccidere le arvicole assetate che sarebbero andate a bere. — 307 — In 4000 mq. di un vigneto molto infetto di arvicole apparte- nente alla Casa Pavoncelli, in contrada Canale Gentile del ter- ritorio di Cerignola, sperimentammo il sistema. Isolata detta area mediante fosso di protezione (trincee) nel- l'agosto situai, ogni 25 mq., una bacinella del diametro di 25 era. e dell'altezza di 6, della capicità di 2 litri circa di acqua, infos- sandole in modo che il margine di esse si trovasse a livello con la superficie del terreno. Il risultato delle prove fu dubbio. Sostanze repellenti. — Anche, per suggerimento del Prof. Pan- tanelli, sperimentammo le irrorazioni alle viti con creosol dall'I al 2 %• Poi arrivammo alla dose del 5 % causando delle bru- ciature alle foglie. Nel vivaio di viti americane del locale Consorzio antiflUos- serico, sito in contrada Contesse, alla fine di giugno del 1916, si inorarono, perciò, le viti, a confine del fratturo, alla dose varia- bile dall' 1 al 5 "!„. Il risultato fu completamente negativo, poiché le arvicole non solo non andarono via da quei pressi, ma continuarono a mangiare le foglie come facevano prima delle irrorazioni. Infatti, nel tratto irrorato al 5 %> le foglie contate di 6 viti prima del trattamento mentre erano 20-18-9-63-67 ed 11, il giorno successivo erano rispettivamente di 7-11-4-55-51 e 6. E qualche foglia irrorata si trovò ad una imboccatura del cunicolo nel quale 1' arvicola non era riuscita a farla penetrare. Virus. — I primi esperimenti, riusciti buoni, per combattere i topi campagnoli con le colture patogene o virus furono eseguiti da Loeffier, professore d'igiene e batteriologia a Greifswald (Ger- mania), col suo Bacillus typhi muriìmi (1) trovato nei topi bian- chi in allevamento del suo laboratorio. Nel 1892 egli (Loeffier) sperimentò nei campi infestati da topi a Bacrena, vicino a Larissa nella provincia di Tessalia (Gre- cia). L' epidemia non si sviluppò o almeno essa si diffuse molto parzialmente, ciononostante dopo 15 giorni il danno alle colture .si notò in decrescenza. (1) LoKFFLBR H. — « Ueber Epidemien unter dem hygienischen Institut zti Greiswald gehatten Mausen und über die Bekämpfung der Feldmänsplage » , Vol. XI, Centralblatt fur Bakt. u. Paras, 188. — 308 — L'anno rlopo, il 1893, Danysz, batteriologo addetto all'Istituto Pasteur in Parigi, trovò anch'egli un batterio patogeno nei topi, che chiamò Bacillus tìjphi murium tipo D, col quale prima sperimentò largamente in Francia sui topi campagnoli e poi, dal 1904, eseguì la lotta vera e propria. Fino al 1912, col suo virua fu fatta la lotta in quasi tutti i dipartimenti fi-ancesi infestati da topi, in circa (300.000 ettari di terreno. E, tranne qualche ecce- zione, dovunque il risultato fu soddisfacente (l). In Italia, i primi esperimenti sul campo col virus contro i topi campagnoli furono eseguiti nel 1890 dal Prof. Oreste, che, a Cerignola, inoculò lo stesso virus del colera dei polli usato nel- l'Australia da Pasteur contro i conigli (2), poi, nel 1903, da Cugini e Manicardi in provincia di Modena (3); nel 1911 furono ripetuti da Mori nella Capitanata e, finalmente, nel 1916 e 1917, pure in questa regione, da Splendore e dallo stesso "Alori. Però, in questi due ultimi anni, non più col bacillo di Danysz, ma con batteri patogeni speciali e vari trovati nelle arvicole da ciascuno dei surricordati professori. Il primo a scoprirli fu Splendore, nel lu- glio 1916, più tardi Mori, che, nel 1911, quando si verificò lo stesso fenomeno della moria delle arvicole, al quale egli, come nel 1916, assistette, non aveva trovati (4). Tanto Splendore quanto Mori riscontrarono negli esperimenti di campo che i loro virus erano efficaci. Le prove del primo fu- rono ripetute su più vasta scala anche nel 1917 con esito posi- tivo. In seguito a ciò tutti e due hanno dato istruzioni sul modo di applicare i loro virus, sia con esche, sia con le irrorazioni e sia infine con le inoculazioni ad arvicole viventi che comuniche- rebbero poi la infezione alle sane. (1) Danvsz J. — « Un microbe pathoghne pour les rats et son application à la destruction de ces animaux » Voi. XIV. Ann. d. 1' Istituì Pasteur, Pa- ris, 1900. (2) Spezzati M. — • Im lotta alle arvicole ed ai topi campagìwli ■ ne Il Bollettino, periodico mensile di Agricoltura, Anno III, N. 9, Cerignola, 1906. (3) CiTOiNi A. e Manicardi C, 1 e, pagg. 5-13. (4) Di tutti e due, questi autori, vedi le opere più avanti citate. 309 Esame comparativo dei mezzi di lotta. Caccia diretta. — È il metodo migliore se il costo non fosse molto elevato. Usato con accuratezza, nei periodi normali di svi- luppo delle arvicole, forse è conveniente; certo è utile. Buche e vasi di terracotta infossati. — Sono due sistemi che non danno risultato pratico, sebbene quello delle buche costa meno dell'altro con i vasi di terx'acotta infossati. Tutti e due, anche se riuscissero a catturare un grandissimo numero di arvicole, costano molto per la visita e la rimozione quotidiana delle medesime cadute nelle buche e nei vasi. Fossetti di protezione (trincee). — Dettero risultato eccellente nel 1916 perchè le arvicole sentivano il bisogno di spostarsi, dopo consumato tutto il nutrimento, nelle vicinanze dei loro abituri ed andare verso il verde (vigne). Il metodo delle buche, dei vasi e dei fossetti di protezione è applicabile nei soli casi in cui v'è una infezione di arvicole straordinaria e queste abbiano distrutto ogni erba nei luoghi ove si accrebbero. In ogni caso i due primi sono un complemento del terzo. Trappole. — Né la balestra od altri ordegni simili sono pra- tici, e, mentre non danno un risultato soddisfiicente, sono molto dispendiosi. Veleni. — Ricino. — Le foglie ed il fusto sono mangiati senza inconvenienti; il seme ripugna agli adulti, invece è man- giato dai giovanissimi che muoiono con una buona percentuale. Scilla. — L' infusione dei bulbi nell' acqua e la farina dei medesimi non hanno effetto perchè le arvicole ripudiano i cibi che sono stati trattati con esse. Così pure sono ripudiate le me- scolanze della farina con altri ingredienti. Euforbie. — Lo stesso dicasi del latice delle Euforbie con farina. La pianta è mangiata senza inconvenienti anche allo stato naturale di vita delle ai'vicole. Pasta all'olio fosforato. — È ripudiata dalle arvicole. Carbonato di bario. — Non è efficace al 20 °/„, a dose più alta il cibo che lo contiene è ripudiato. Arseniato di piombo in pasta o in polvere. — Non è efficace neppure alla dose del 5 %. — aio — Anidride arseniosa. — Alla dose del 12 "/o di esca è poco efficace, con quella al 15 Vo si ha una mortalità poco più elevata e con quella al 20 "/„ l'esca è ripudiata. Arsenito potassico o sodico. — Con le esche sono ripudiati, con le irrorazioni danno un ottimo risultato. È praticissimo ed economico quest' ultimo sistema, ma, deve applicarsi sulle erbe nella stagione invernale non avanzata. Fosfuro di zinco. — Da buoni risultati con i semi di grano ed avena, ottimi con le esche acquose. Meno pratico del prece- dente è anche più dispendioso. Non può applicarsi con risultato quando le arvicole hanno altro nutrimento, specialmente erbe. Virus. — Hanno dato buoni risultati. Non sappiamo se eco- nomici. Quali veleni, quali metodi ed in quali epoche devono applicarsi nella lotta contro le arvicole. Condizioni che si richieggono per una lotta efficace. Prima di parlare dei veleni da preterirsi, dei metodi da usarsi e delle epoche in cui essi devono applicarsi nella lotta seria ed efficace contro questi piccoli mammiferi, occorre dire qualche cosa sulla lotta stessa. In quest'ultimo decennio, senza parlare degli anni remoti, si sono verificate due infezioni di arvicole: una grave nel 1911 e l'altra gravissima nel 1916. Tutte e due trovarono gli agricoltori impreparati: nel 1911 poi in modo assoluto. Sul finire del 111 1,5, quando già il numero delle arvicole era impressionante, pochi si dettero da fare. Dal principio del 1916 si fece quanto si potè ; però la lotta era parziale ed individuale. Molti fidavano nella moria naturale e, pur lamentando danni, lasciarono correre. Finalmente, nel giugno, intervenne lo Stato con la lotta ob- bligatoria. Era troppo tardi. Crediamo, però, che anche prima del giugno sarebbe stato tardi. La marea irrompente doveva es- sere arrestata almeno nell'autunno precedente. Ad ogni modo, il suo intervento giovò molto, sia perchè moltissime cose appren- demmo per l'avvenire, sia perchè si sperimentò la prima volta, praticamente e su larga scala, la legge scritta sulle malattie delle piante, organizzando la lotta contemporaneamente sopra un vasto — 311 — territorio (800 milta ettari) esteso in 6 province. Inoltre col suo intervento lo Stato dette modo, til personale fìtopaitologieo prepo- sto, di esplicare prontamente ed intelligentemente la sua attività, secondo il caso richiedeva. E di ciò va data lode a tutti i coo- peratori indistintamente. Abbiamo detto che le due infezioni di arvicole trovarono impreparati gli agricoltori della Capitanata ; conviene dunque attendere che il male arrivi al suo massimo sviluppo perchè si dia mano al rimedio? Nessuno oserebbe affermarlo. Sorge quindi la necessità di prevenire, di arrestare il male in sul nascere o, per lo meno, di attenuarne gli effetti disastrosi a tempo. Se è vero quanto asseriscono che ogni 5-7 anni si l'ipete il malanno, si ha la infezione delle arvicole, la lotta non deve or- ganizzarsi al 5" o 7" anno, quando cioè 1' opera ostacolante del- l'uomo non giova a nulla. Essa deve farsi metodicamente e l'a- zionalmente sempre, ogni anno. Metodicamente inquantochè devono essere usate quelle de- terminate sostanze (esche e veleni), che i risultati delle esperienze dicono essere preferite e non ripudiate dalle arvicole, con la per- centuale e preparazione indicate. Razionalmente in quanto l'applicazione di dette sostanze, la loro distribuzione e l'epoca opportuna devono essere giudiziose. Data la natura diffidente delle arvicole, l'odorato squisito di cui sono dotate, per il quale date sostanze velenose sono marca- tamente riconosciute a distanza, tanto più quanto maggior quan- tità se ne adoperano nelle esche, l'effetto che esse sostanze pro- curano sulle arvicole più o meno efficacemente, la mal fatta preparazione dell'esca avvelenata, o della soluzione velenosa, per la quale il cibo può venire più o meno impregnato del tossico, la poca cura nell'applicazione o distribuzione, lasciando dei focolai non trattati, la distribuzione quantitativa a casaccio nelle vici- nanze delle aperture vecchie o recenti del cunicolo, o entro le medesime con sperpero di esca o di soluzione, con accrescimento della diffidenza per 1' odore più mai'cato del veleno, il praticare la lotta in un'epoca piuttosto che in un'altra più opportuna, sono tutte cause che possono rendere frustaneo il rimedio. Ecco perchè occorre la metodicità e la razionalità. E se a ciò si aggiunge la perniciosa inerzia di molti, doppia- mente dannosa ai volenterosi, poiché questi si vedranno passare le arvicole nel loro podere mantenuto immune e perdere anche ~ 312 - essi il prodotto, dopo essersi gravato di spese per la lotta, si comprenderà di leggeri come la questione si faccia più seria e preoccuppante. Per la libertà eh' esiste in questa materia, per 1' assenza di un'intesa comune, una lotta efficace contro questi piccoli roditori, ed in genere contio tutti i nemici dell'agricoltura, non riesce mai possibile. L' esperienza insegua la difficoltà di mettere d' accordo gli interessati a premunirsi di un malanno comune. Negli uni vi è la riluttanza o la sfiducia in tutto ciò che è nuovo e promana dall'uomo, negli altri la indolenza o la credenza che il male co- me é venuto cosi se ne va (ciò è vero, col loro danno, però), salvo poi a gridare contro le Autorità Supreme, che non hanno provveduto e preveduto. Ed in questo non hanno torto, perchè la gran maggioranza ha un grado di istruzione molto basso che non può far comprendei'e ad essa certe questioni. E lo Stato non ha prevenuto che in parte a questa deficienza. Infatti nella legge sulle malattie delle piante esso ha provveduto ad ostacolare la introduzione di nuove malattie nel Regno e ad impedire (non tanto sufficientemente) la diffusione di quelle da pochi anni introdotte col commercio. Tace pero, sulle cure pre- ventive per impedire alle malattie indigene di danneggiare, come fanno, a periodi più o meno determinati. Questa lacuna deve riempirsi. E cosi accadde, nel 1910, che lo Stato, avvalendosi di quella legge, potè bensi dichiarare la lotta obbligatoria ed avocare a se la direzione ed organizzazione della medesima nella provincia più infestata dalle arvicole, nella Capitanata; ma non potè interve- nire prima, quando il male era incipiente, perchè non era, né doveva essere, a cognizione sua quel che si svolgeva nel ter- ritorio della provincia stessa, giacché non si trattava di interesse generale, né la legge gli da esplicita o sottintesa facoltà di in- tervenire quando si tratta di lotta preventiva delle malattie in- digene. Lo spirito della legge è tutfaltru. Nel fatto specifico, come in altri simili, dunque è necessaria una legge che obblighi tutti alla lotta preventiva delle gravi infe- zioni, non permettendo che il male si aggravi e il rimedio non giovi. Ma, poiché gli obblighi di questa natura, anche se derivati da leggi statali, sono facilmente evasi, o riescono inefficaci per la imperfetta applicazione del motodo di lotta, se lasciata agli — 313 — interessati, occorre rimediare in altro modo più semplice: obbli- gare a pagare le spese in comune a quell'ente, anche per legge costituito, il quale provveda a tutto e per tutti. Questo ente può essere, come nel 1916, il Consorzio antifiUosserico già esistente, che abbia la sua circoscrizione ben delimitata. Di questi nella provincia ve ne sono a sufficienza. Sono essi che devono essere chiamati a funzionare per la lotta preventiva, come lo furono per quella curativa, alla stessa guisa che funzionano per la Fillossera. Allo scopo quindi i Consoizi devono essere obbligatori per- manentemente, e incaricarsi di vigilare l'andamento dello sviluppo delle arvicole e provvedere ogni anno a quella tale lotta meto- dica e razionale, di cui abbiamo parlato, nei piccoli centri infe- stati più 0 meno, senza dar modo ai dannosi animaletti di ac- crescersi e di espandersi. Le spese saranno prelevate dal fondo comune costituito dai contributi annui obbligatori, non elevati, di ciascun proprietario o conduttore di poderi. Lo Stato deve solo pensare a far rispettare la legge ; nessun onere da parte sua, tranne, se vuole, quello derivante dal suo personale tecnico dirigente, che d'altronde può gravare sulle spese generali di lotta. Comunque, se si vuole veramente riuscire nell' intento, la condizione principale è la lotta preventiva delle gravi infezioni, anno per anno fatta da tutti. Ciò premesso, parliamo sulla scelta dei veleni, sul metodo di applicazione, sulle epoche e sulle altre condizioni necessarie alla lotta efficace. I risultati ottenuti dalle esperienze di laboratorio e di campo dicono che i veleni migliori da adoperare contro le arvicole sono il fosfuro di zinco, 1' arsenito potassico o sodico ed i virus. La- sciando da parte questi ultimi, perchè la questione economica, e quindi pratica, non ancora è stata risolta, diciamo degli altri due. Fosfuro di zinco. — Il fosfuro di zinco deve adoperarsi alla percentuale del 2 % suU'esca-grano ammollita. Detta dose è la più adatta perchè da il massimo effetto con minore quantità di esca. Dosi più alte danno i medesimi risultati a causa della poca appetibilità dell' esca dovuta certamente all' odore più spiccato emanante da maggiore quantità di veleno, che mette in guardia il roditore. È bensi vero che 1' arvicola costretta per fame deve appetirla, ma essendo il risultato pratico il medesimo non è ne- cessario aumentare la dose per sciupare il veleno. — 314 — L' esca-avena deve scartarsi poiché alla dose del 2 % del veleno, pur essendo 1' effetto molto pronunciato, non è completo, a prescindere che l'arvicola deve cibarsi di maggiore quantità di esca. Elevando la dose del veleno si incorre nello stesso in- conveniente dell 'esca-grano. L'effetto poco soddisfacente dell' esca-avena avvelenata cre- diamo dipendere dal fatto che il veleno non aderendo al seme, ma agli invogli, i quali sono scartati, esso veleno penetra nel- l'intestino in piccola quantità e solo in seguito ad imbrattamento delle labbra all' atto in cui il seme viene liberato dagli invogli ricordati. L' epoca adatta alla lotta col fosfuro è 1' estate e parte di autunno, dal luglio a quando, per la siccità, non vi è erba sul campo, a quando questo è brullo e privo di chicchi o di spighe, a proposito dei quali ci riportiamo a quanto riferimmo a pagina 272 alla nota 1. Quando vi sono erbe le arvicole preferiscono queste ad altro cibo, per cui difficilmente appetiscono il grano avvelenato col fo- sfuro 0 con qualsiasi altro veleno ricordato. Esse otturano i fori davanti ai quali si lascia l'esca avvelenata. Quando sul campo privo di erbe vi è abbondanza di seme di grano o di avena, caduto e rimasto dopo la mietitura, le ar- vicole non hanno bisogno di ricorrere all'esca avvelenata, che rifuggono per quel tale odore emanante dal veleno. Pochissimi chicchi avvelenati sono per caso asportati, ma nessuna arvicola, o pochissime muoiono. Ed in quest'ultimo caso, quando non si possa arare il teri'eno. che sotterrerebbe i chicchi o le spighe, si deve ricorrere alle esche acquose, (patate spezzettate o cetrioli), avvelenate all'I % Tale dose è sufficientissima; tutte le parti denudate dalla buccia in que- ste esche restano bene impolverate del veleno e coperte, per lungo tempo, da una patina nera difficilmente asportabile collo sfre- gamento. Però, queste esche jiresentano l'inconveniente di essiccarsi ra- pidamente ai raggi solari e quindi di indurirsi, (specialmente le patate), date le piccole dimensioni che necessariamente devono avere i pezzetti. Occorre perciò amministrarle da un paio di ore prima del tramonto del sole in poi, fino a quando si vede chiaro, e lasciarle davanti i fori frequentati. Insomma bisogna usai'e le stesse precauzioni in uso nell'amministrazione dell'esca-grano. — 315 — La preparazione dell' esca-grano è più semplice di quella dell'esca molto acquosa, dovendosi questa ridurre in pezzetti. Arsenito potassico o sodico. — L'uno o l'altro deve adope- rarsi all'I 7o di acqua, facendo prima sciogliere a caldo il ve- leno in 4-5 litri di acqua, poi diluire nel resto dell' acqua (96-95 litri) ed irrorare con le comuni pompe da peronospora tutte le piante erbacee dell'area ove esistono focolai di arvicole. I due arseniti alcalini causticano le piantine, epperò non si devono adoperare a dosi maggiori dell' 1 "/o, tanto 1' effetto contro le arvicole sarebbe lo stesso, e non vale sciupare, anche in que- sto caso, il veleno. L'epoca in cui si devono praticare le irrorazioni con questi veleni varia a seconda che si tratta di erbe spontanee o colti- vate. Per le prime ogni stagione è buona, tranne che nei pascoli; alle seconde, nei seminati, invece, l'inverno è solo opportuno, a cominciai'e da qualche giorno (7-10) dopo la nascita delle pian- tine a tutto gennaio e primi di febbraio, perchè il causticamento, in questo periodo, si ha alle sole fogiioline, le quali vengono su- bito sostituite dalie nuove prodotte dal fusticino. Questo infatti continua a vegetare, perchè, protetto dalla guaina, non risente danno. Più tardi le condizioni cambiano ed anche il fusticino muore. Una sola irrorazione basta. Occorrendo si può ripetere. La preparazione ed applicazione del veleno è alla portata di tutti. L'efficacia del medesimo è indubbia. Considerazioni. — Tra i due metodi di lotta ricordati il migliore e consigliabile senza dubbio è quello della irrorazione con l'arsenito di sodio o di potassio perchè riunisce in se la sem- plicità della preparazione, dell' applicazione e della economia con la sicura efficacia. Però, nelle condizioni speciali della Capi- tanata, per Io sviluppato sistema pastorizio della coltura, non è prudente adoperarlo nei pascoli durante l'inverno, e parte della primavera, durante, cioè, il tempo in cui le greggi vi svernano. In questi casi le irrorazioni si praticheranno a maggio, subito dopo la partenza delle greggi. Volendo in inverno si applicherà r alternanza nel pascolo, vale a dire si alterneranno gli appez- zamenti mettendo a pascolare ora quelli non irrorati ora, dopo quah-he pioggia, quelli irrorati; poiché le piogge dilavano le erbe irrorate e scongiurano ogni pericolo. - 316 - Il metodo con le esche avvelenate col fosfuro non può ado- perarsi con vantaggio nei pascoli se, durante l'estate, vi sono, I>iogge tali da mantenere la vegetazione eibacea. Kd, anche quando difettano le precipitazioni atmosferiche, è ugualmente pericoloso, perchè al ritorno delle greggi possono ancora trovarsi i semi avvelenati che, mangiati, procurerebbero certamente la morte. Neil' un caso e nell'altro vi è sempre modo di conciliare le cose. Tutto sta che la lotta preventiva delle gravi infezioni sia obbligatoria e fatta d' ufficio (1). (1) La lotta preventiva contro i nemici animali delle nostre colture é una opinione mia di data non recente manifestata anche in pubblicazioni varie, tra le quali ricordo: < / consorzi di difesa contro i nemici delle piante • ne t II Villaggio» — Milano, marzo 1911 — e " Principali mezzi di lotta contro i nemici animali più coìnimemente dannosi». Boll. n. 3, Serie IV, 1' e 2. Ed. pag. 1-2, del Laboratorio di Entomologia della K. Scuola Sup. d' Agr. in Portici-, E. Della Torre, Portici, lyiU e 1ÌI14. ANNA FOA Aluto nell'Istituto dl Anatomia Comparata della R. Università di Roma Osservazioni sullo sviluppo del baco da seta fino alla formazione della stria germinativa I. — Notizie storiche — Materiale e metodi di ricerca. Ho incominciato ad osservare lo sviluppo delle uova del baco da seta nei primi giorni dopo la deposizione, senza prefìggermi lo scopo di fare studi embriologici; mi proponevo soltanto di con- frontare i primi stadi evolutivi nello sviluppo normale ed in quello cosidetto estemporaneo, per risolvere alcune questioni che ho esposte in un' altra Nota (4). Senonchè ben presto mi sono dovuta accorgere che per un paragone minuzioso che te- nesse conto anche di piccole differenze, i dati che si potevano dedurre dalla consultazione delle opere già esistenti sull'argo- mento non erano sufficienti. Infatti a me premeva sopratutto di prendere in considerazione quel periodo di sviluppo che va dalle prime ore dopo la deposizione dell'uovo (tempo opportuno per l'applicazione dei trattamenti che provocano la schiusura estemporanea del seme) alla formazione della stria germinativa costituita dall' ectoderma e dallo strato inferiore o ento-meso- derma suddiviso in tanti metanieri (stadio di riposo nel quale si arresta quasi completamente lo sviluppo in tutte le uova di bachi da seta che passano l'inverno). Orbene intorno a questo periodo, fino a pochi anni fa restavano parecchi punti indeter- minati: due lavori più recenti, uno del Rizzi ed uno del Gran- dori, dei quali parlerò in seguito più estesamente, fatti appunto allo scopo di colmare queste lacune, non vengono a conclusioni concordi. I lavori principali che possediamo, riguardanti in modo speciale l'embriologia del baco da seta durante tutto il periodo XUI - Kollett. di Zoologia Gen. e Agr. 21 - 318 - di vita nell'uovo sono tre: uno fondamentale di Tlchomiroff di cui apparvero prima brevi cenni in t'oiina preliminare, in te- desco nel 1879 (17), che poi fu pubblicato estesamente in russo nel 1882 (IN) e dopo nove anni in francese con qualche moditica- zione ed aggiunta (19); uno di Selvatico (14) uscito quasi con- temporaneamente all'edizione russa del Tichomirotf, ed uno di Toyama, comparso undici anni dopo l'edizione francese di Ti- chomiroff" (20). Per quanto si riferisce al periodo che a me interessa di considerare, il Selvatico si limita a dire che le sue osservazioni sono conformi a quanto il Hobretzky (1) aveva già descritto per la Portesia e la Pieris e comincia la storia dei suoi Lepidotteri {Bombyx mori, Atlacus mylitta e Satwnia pyri) dal momento in cui è costituita la stria germinale, con gli involucri embrio- nali già formati, ed il tuorlo di nutrizione già individuato in tante sferule. Il Toyama comincia a descrivere l'embrione tolto da un uovo deposto già da un mese, quindi in uno stadio presso a poco corrispondente a quello considerato dal Selvatico. Il Tichomiioff invece prende a descrivere l'uovo ancora contenuto nell'ovario, e ne segue via via lo svolgimento in tutti gli stadi, ma al contrario del Selvatico, non può accordarsi in- teramente col Bobretzky per quanto riguarda le prime fasi della formazione dei foglietti. Le divergenze consistono essenzialmente in ciò, che mentre, .secondo il Bobretzky, prima della formazione della stria germi- nativa il blastoderma costituisce uno strato completo, secondo il Tichomiroff non riveste mai interamente la superficie dell' uovo. Inoltre, riguardo alla formazione dello scudetto germinativo ed ai primi rudimenti delle membrane embrionali, il Tichomiroff dice che non ritiene sufficienti le osservazioni del Bobretzky, ed invece di associarsi ad esse non vede ostacolo a generalizzare le idee di Kowalevsky riguardanti lo sviluppo degli involucri em- brionali nei Lepidotteri, alquanto diverse da quelle di Bobretzky, (maggiori particolari saranno esposti nei capitoli seguenti). Egli tratta estesamente dell' origine del mesoderma e dei mutamenti di torma dell'embrione negli stadi precoci, e ci rappresenta an- che embrioni isolati dopo 51 ore, 66 ore e 72 ore di sviluppo. Nei nove anni intercorsi tra l'edizione russa e quella fran- cese dell'opera di Tichomiroff sono comparse altre notevoli pub- ■^ 319 - blìcazìoni sullo sviluppo degli insetti. Tra queste meritano parti- colare menzione quelle di Graber. In una di esse uscita nel 1888 (5) riguardante lo sviluppo delle membrane embrionali degli Insetti ed il loro modo di comportarsi rispetto all' embrione ed al vi- tello, l'A. prende in considerazione anche vari Lepidotteri, {Ga- stropaca quercifolia, Sphinx tiliae, Plevis a-ataegi); in una se- conda molto estesa con 12 belle tavole a colori, oltre a molte figure nel testo, comparsa nel 1890 (6), sono descritti quegli stadi i quali costituiscono una striscia embrionale non chiusa dorsal- mente, con particolare riguardo alla segmentazione esterna e a quella interna, agli accenni delle appendici articolate, alla for- mazione delle cavità del mesoderma ed all'origine del sistema nervoso. In questo lavoro che tratta di insetti appartenenti a vari ordini, sono comprese anche ossei'vazioni originali sul baco da seta, inoltre sono figurati vari stadi di sviluppo della Pieris i quali, secondo il Tichomiroff, possono servire a completare la serie degli stadi da lui descritti per il baco da seta. Ma questo passaggio per analogia, tra animali di famiglie cosi differenti, se può essere giustificato per quanto si riferisce alle linee generali, non può essere accolto senz'altro anche nei dettagli. Un altro lavoro notevole suU' embriologia dei Lepidotteri è quello di Schwangart (13), pubblicato nel 1905. In questo lavoro sono presi in considerazione anche i primi stadi di sviluppo, ma non vi sono osservazioni speciali sul baco da seta. Sulle inter- petrazioni di Schwangart tornerò nei singoli capitoli. Come ho detto, i due lavori fatti allo scopo di completare l'embriologia del baco da seta nei primi stadi sono uno del Rizzi uscito nel 1912 (11) e l'altro del Grandori pubblicato nel 1913 (i). Il Rizzi tratta dello sviluppo dell'uovo dalla deposizione ad un mese dopo di essa. La sua esposizione è una descrizione fatta in ordine cronologico, cosi che non è sempre agevole per il let- tore seguire Io svolgimento di una singola parte dell'embrione. La formazione delle membrane embrionali è trattata in maniera sommaria, che non giova affatto a chiarire i dubbi che pote- vano esser rimasti in proposito ; altrettanto può ripetersi per quanto si riferisce all'origine del mesoderma. La cosa più note- vole nel lavoro del Rizzi sarebbe la determinazione precoce delle cellule germinali che l'A. crede di riconoscere in due gruppi di cellule, la cui comparsa non sa spiegare, e che si presentano — 320 — d'un tratto al di fuori della stria germinativa, ma questa inter- petrazione non è esatta, come dimostrerò nel lavoro. Le osservazioni del Grandori, venute in seguito a quelle del Rizzi, non solo non le confermano, ma in certi punti sconvolgono i concetti predominanti sull'embriologia degli insetti, quindi meri- tano un più attento esame. Il Grandori riscontra differenze abbastanza notevoli, consi- stenti sopratutto in eterocronie, tra la generazione primaverile e la generazione autunnale e fin qui non vi è nulla che contrasti troppo con quanto conosciamo; inoltre egli attribuisce alle cel- lule vitelline una larghissima partecipazione nella costituzione di tutti i foglietti embrionali non solo, ma anche nella forma- zione degli involucri embrionali, e questo è del tutto diverso da quanto hanno fin qui ritenuto gli altri autori. Bisogna riconoscere che ammettendo le conclusioni del Grandori, il significato delle cellule vitelline (vitellofagi) dal punto di vista embriologico, sa- rebbe più ampio di quanto fosse stato precedentemente sup- posto. Non è qui il caso di riassumere un'altra volta tutta 1' e- stesissima letteratura in proposito, ripetendo un' esposizione già stata presentata da tanti embriologi, ma occorre farne almeno un cenno per spiegare quanto profonde siano le divergenze tra le vedute del Grandori e quelle degli altri. Le cellule vitelline, per molto tempo furono considerate come l'entoderma primitivo degli insetti, e destinate appunto a formare r entoderma (secondo altri anche parte del mesoderma). Questa opinione propugnata, tra gii altri, dagli Hertwig e avvalorata dalla loro autorità trovava da ogni parte autori pronti a soste- nerla, quando il Grassi, in una Memoria sullo sviluppo delle Api (8) dimostrò che gli Hertwig ed i loro seguaci, tra cui anche il Tichomiroff", non erano riusciti a fornire la prova di quello che asserivano, e che le cellule vitelline andtivano tutte quante distrutte mentre l'entoderma si originava da due accenni situati ai due estremi del foglietto inferiore (ento-mesoderma). I fatti di- mostrati da Grassi trovarono ampie conferme tanto che Korschelt e Heider (10) definirono la sua Memoria come Wendepunkt (nuovo orientamento) nella storia dello sviluppo degli Insetti. In .seguito l'Heymons (ß) ed i suoi seguaci sostennero un nuovo concetto il cui punto di partenza è che in tutti gli insetti pterigoti l'epitelio dell'intestino medio sia di natura ectodermica; anche secondo questo modo di vedere le cellule vitelline, che rappresenterebbero — 321 — però il vero entoderma degli insetti, sarebbero destinate ad andare distrutte. Poco prima di Grandori, Strindberg in un lungo studio com- parativo sull'embriologia degli insetti (15) basato su numerose osservazioni proprie relative ad insetti di vari ordini, e sullo stu- dio delle opere degli altri autori concernenti gli insetti ed i mi- riapodi viene alla conclusione (pag. 89) che « le cellule vitelline insieme alla massa del tuorlo, non siano da attribuirsi ad uno o ad un altro foglietto germinativo, ma rappresentino solo un mate- riale abortivo, mentre d'altra parte vi sono insetti superiori ed inferiori le cui uova dopo la formazione del blastoderma non possegono cellule vitelline, e tutti gli elementi di segmentazione prendono parte alla formazione del blastoderma ». Ciò premesso si comprende con quanta circospezione deb- bano venire accolte le conclusioni di Grandori che « La sierosa si ricompleta ventralmente allo scudetto per stiramento delle sue cellule e per giustapposizione di nuovi elementi provenienti dal vitello » .1 Lo scudetto si accresce per opera di nuovi elementi provenienti dal vitello e in misura insignificante per cariocinesi dei suoi elementi ». * Il mesoderma ha origine in parte notevole da cellule vitelline ». Certamente la novità inaspettata di queste asserzioni, non è una ragione sufficiente per respingerle a priori tanto più che bisogna riconoscere come lo studio dello sviluppo degli insetti, per quanto riguarda il punto di vista generale del collegamento dei fenomeni presentatisi in questa classe con quelli che si veri- ficano negli altri tipi animali non abbia finora portato l'esultati adeguati all'enorme lavoro compiuto da tanti osservatori ; tale novità però obbliga qualsiasi altro studioso dell'argomento a ve- rificare minutamente i fatti prima di accettarli. E per questo che io dovrò continuamente riferirmi al lavoro di Grandori, e continuamente mettere in luce le concordanze o le divergenze, tra le nostre osservazioni, senza aver di mira una polemica, dalla quale, per mia natura, rifuggo. A completare questi brevi cenni storici devo citare un altro lavoro di Strindberg (16) (l'unico, sull' argomento, per quanto mi è noto, uscito durante la guerra) sulla formazione e lo sviluppo dei foglietti germinativi del Bombyx mori. L'A. non conosce an- cora il lavoro di Grandori, e non si occupa dei primi stadi evolutivi. Egli all'opposto di Toyama secondo il quale, conforme- - 322 — mente al modo di vedere di Heymons, l'accenno anteriore dell'en- toderma è formato dalla proliferazione delle cellule epiteliali delio stoniodco e perciò è di natura ectodermica, trova che « l'ento- dcrina deriva dal foglietto inferiore nel quale terminata la seg- mentazione si distinguono 19 parti di cui una anteriore ed una posteriore, più grandi delle altre, devono essere considerate come i due accenni dell'epitelio cntodermale dell' intestino », e ciò in accoido colle antiche vedute di Grassi, ornai generalmente accolte. * * * Le mie prime osservazioni furono fatte nell' Istituto Bacolo- gico di Portici, diretto dal Prof. Acqua, su uova di una razza gialla indigena, deposte nel settembre 1917 da farfalle prove- nienti da un allevamento estivo. Una parte delle uova da me stu- diate si avviava normalmente al riposo invernale, un'altra parte era stata invece sottoposta al trattamento elettrico per provocare la schiusura estemporanea (v. la mia Nota precedentemente citata). Su questo materiale, che si sviluppava con una relativa lentezza data la stagione piuttosto avanzata, ho potuto seguire molto accuratcìmente i primi stadi evolutivi, ed ho riscontrato che nella formazione dello scudetto germinativo e delle membra- ne embrionali le cose non procedevano secondo gli schemi ac- cettati generalmente, nò concidevano in tutto colle descrizioni di Grandori. Pensando che le divergenze potessero dipendere dall' epoca della generazione, ho voluto ripetere le osservazioni su uova di una generazione primaverile normale, e cosi ai primi di luglio 1918 ho portato a Roma da Portici alcuni bozzoli della stessa razza gialla indigena di cui mi ero servita precedentemente. Le deposizioni delle farfalle, che quasi subito ne uscirono, mi ser- virono per le ulteriori ricerche che ho compiute nell'Istituto di Anatomia Comparata dell'Università di Roma durante 1' autunno 1918 e l'inverno 1918-19. Dal confronto tra le uova fissate in settembre e quelle fis- sate in luglio non è venuta in luce nessuna differenza per quanto riguarda le modalità dello sviluppo; assai diversa invece come era da prevedersi, è risultata la rapidità dello sviluppo stesso. Le uova fissate in luglio 24 ore dopo la deposizione erano già in uno stadio più avanzato di quello in cui si trovavano le uova — 323 — autunnali deposte da 2 giorni ; le uova fissate in luglio, 4 o 5 giorni dopo la deposizione, erano già arrivate presso a poco allo stadio di riposo invernale; purtroppo non fissai uova della gene- razione autunnale dopo lo stesso pei'iodo di tempo. Avendo a mia disposizione questo materiale ho esteso le osservazioni a stadi ulteriori a quelli considerati nel 1917; per questi stadi più avan- zati non ho fatto il confronto colle uova a schiusura estemporanea. Non avendo trovate differenze, fuorché cronologiche, tra la generazione estiva e l'autunnale, debbo credere che le varie mo- dalità descritte dal Grandori, piuttosto che all'epoca di sviluppo, siano da attribuirsi alla diversità delle razze di cui si valse per i suoi confronti (per la generazione primaverile, uova di razza Corsa, per la generazione autunnale, uova di un'altra razza gialla indigena). In ogni modo le mie descrizioni valgono per entrambe le generazioni; ho tenuto un conto solo approssimativo del tempo trascorso tra la deposizione e la fissazione delle uova perchè questo dato, come risulta da quanto ho detto, non ha un signifi- cato assoluto. Nella mia Nota già citata ho parlato dei metodi usati nelle ricerche. Qui devo solo aggiungere che a Roma, oltre alla fissazione coli' alcool caldo , ho provato quella con altri li- quidi (liquido di Leewen, miscela Gilson-Carazzi) senza ricavarne vantaggi notevoli. Per lo studio delle modificazioni di forma del- l'embrione nei suoi stadi giovanissimi, ho proceduto all'estrazio- ne degli embrioni stessi dalle uova colorate in tato con car- mino boracico alcoolico. L'operazione veniva fatta sul materiale immerso in alcool a 70 acidulato, liquido che lascia ai tessuti una certa elasticità. Questo lavoro richiede una pazienza a tutta prova, e implica sempre uno sciupio enorme di materiale, per- chè la percentuale degli embrioni che si riesce ad isolare intie- ri 0 quasi, nei primi stadi, è infinitamente esigua, cosi che mi sono stimata abbastanza soddisfatta di averne ottenuto alcuni in stadi non ancora figurati per il baco da seta. — 324 — II. — Terminologia usata. Ho detto precedentemente che queste osservazioni sono ba- sate in parte su uova colorate in loto, in parte su sezioni, in parte su embrioni isolati. Per gli embrioni isolati è sempre agevole una descrizione che non dia luogo ad ambiguità od equivoci, perchè nessun dubbio può sorgere quando si parla di estremità anteriore o po- steriore, di faccia dorsale o ventrale, ma la cosa è diversa quando si voglia indicare la posizione precisa di una parte de- terminata dell'uovo, 0 quando si tratti di determinare la dire- zione esatta delle sezioni in un embrione che si presenta incurvato. Per evitare oscurità ritengo opportuno definire precedentemente i termini che ho adoperati, termini che procurerò di mantenei'e invariati, anche a costo di qualche ripetizione. L'uovo del baco da seta, com'è noto, ha torma lenticolare con un polo un poco più acuminato dell'altro (Vedi Tav. I, tìg. 1-4). Il polo più acuminato corrisponde al micropilo; verso di esso verrà a trovarsi la parte anteriore dell'uovo. Denomino polo an- teriore quello corrispondente al micropilo, polo poslerio>-e quel- r opposto. Un asse che vada dal polo anteriore al polo posteriore divide una proiezione dell' uovo in una parte che potrebbe essere dor- sale ed una che potrebbe essere ventrale. Mi è parso tante volte che queste due metà non fossero perfettamente eguali, e che la loro curvatura non fosse identica; ho disegnato su un foglio di carta, colla camera lucida, il contorno dell'uovo, e l'ho piegato secondo l'asse suddetto, ma non ho trovato quella diversità che avrei creduto e che forse dipende da un'illusione ottica. Certo è però che già nell'uovo in cui non vi è ancora traccia di blasto- derma, si può distinguere, come dirò, la parte su cui si formerà l'em- brione dalla parte opposta. Denomino, in verità impropriamente, lato venti-ale dell'uovo la superficie curva lungo la quale si formerà 0 si è formato l'embrione, e lato dorsale quella opposta. La deno- minazione si riferisce alla circostanza che lungo il lato venti-ale viene a trovarsi la faccia ventrale dell'embrione in tutto il tempo che precede il suo rovesciamento. Denomino lato ante)-iore il tratto di superficie c-he unisce il lato dorsale al lato ventrale dalla parte del pulu anteriore e lato posteriore l' opposto. La — 325 — parola lato non è appropriata ad una superficie, ma si presta bene per le descrizioni delle uova vedute in sezione ottica. Denomino faccie jyiane le due superficie che insieme a quelle ora indicate, delimitano l'uovo. Queste due superficie in realtà sono curve, dapprima un po' convesse, poi concave, con una concavità tanto più accentuata quanto più l'uovo si avvicina alla schiusa; ma la loro curvatura è minima rispetto a quella dei cosidetti lati, ed il nome di faccie piane non genera confusione. Nel determinare la direzione dei tagli mi riferisco alla loro posizione rispetto all'uovo e non all'embrione. Questa considera- zione è necessaria perchè essendo l'embrione incurvato, una serie di tagli paralleli dà una serie di sezioni che, rispetto al- l'embrione stesso viene a poco a poco cambiando di direzione, tanto che può essere trasversale per un certo tratto ed in se- guito diventare longitudinale. (V. per es. l'embrione rappresentato nella Tav. IV, fig. 27). Non bisogna mai dimenticare questo fatto nel paragone delle figure. Denomino sezione mediana quella che passa per il polo anteriore, il polo posteriore, il lato dorsale ed il lato ventrale, sezioni sagittali quelle parallele ad essa, sezioni trasveisali quelle normali alla mediana e normali all' asse passante per i due poli. Sezioni frontali sarebbero quelle normali alla mediana e parallele all'asse passante per i poli. Queste però, per quanto riguarda gli stadi che ho preso in considerazione, non promet- tono alcun risultato istruttivo e non le ho eseguite. III. — Formazione del Blastoderma. Le uova più arretrate nello sviluppo, tra quelle che ho po- tuto osservare, presentavano già una ventina di nuclei, nessuno dei quali era ancora giunto alla superficie (Secondo il Rizzi ed il Grandori uno stadio simile coi'iisponde in primavera alla 6" ora dopo la deposizione ; credo che presso a poco abbiano avuto questo tempo anche quelle da me studiate, che furono fissate in luglio; mi mancano gli stadi corrispondenti per la generazione autunnale per la quale ho cominciato a fissare le uova nella giornata successiva a quella della deposizione). In queste uova colorite in loto e anche senza il sussidio delle sezioni si distin- gue un cosidetto blastema centrale ed un blastema periferico. Come è già noto il blastema centrale contiene grossi granuli di tuorlo; nel — 326 — blastema periferico le granulazioni sono minutissime, tanto più minute (iu;into più si procede verso l' esterno. II tuorlo non si colora col carminio, nò colle varie ematossiline alluminiche, mentre si colora alquanto il plasma formativo che lo racchiude e, per questo il blastema periferico che contiene pochissimo tuorlo assume con questi colori una tinta assai più intensa del blaste- ma centrale. Nel blastema periferico la colorazione è più intensa verso la superficie esterna e diviene gradatamente più debole verso il blastema centrale. Il Grandori ha già notato che lo spessore del blastema peri- ferico « è variabile nelle diverse zone > ma, egli aggiunge « senza regola fissa >. La regola che non può apparire evidente dall' esame delle sezioni risulta invece chiari.ssima dall'esame di uova colorite in loto. Come dimostrano le ligure (Tav. I, tìg. 1, 2) il blastema periferico [hi. p.) ha uno spessore massimo in corrispondenza al lato anteriore dell'uovo, può diminuire un poco, ma si mantiene a un dipresso costante lungo uno dei due lati maggiori, poi dimi- nuisce ancora in corrispondenza al lato posteriore ed infine si mantiene presso a poco uniforme, ma sempre sottile, suU' altro lato maggiore. Il confronto dei vari stadi successivi permette di stabilire che il lato maggiore dell'uovo, in corrispondenza al quale il blastema periferico ha uno spessore più grande, è il lato ven- trale, dove si formerà l'embrione; quindi il lato maggiore opposto è quello dorsale. Secondo ogni probabilità questa differente distribuzione del blastema periferico si verifica già negli stadi precedenti a quelli da me osservati, e anche nell'uovo iippena deposto. I cosi detti blastomeri, prima ancora di arrivare alla superficie, si presentano di dimensioni e di aspetto differente. I preparati in tato dimostrano che questa variabilità è reale, e non dovuta a sezioni che colpiscano in posizioni differenti i singoli blastomeri; dimostrano anche che non appare nessuna regola nell' accresci- mento maggiore o minore di essi. (Tav. I, fig. 1-2 blast.). Come già avevano tentato altri autori, ho esaminato accura- tamente per mezzo di sezioni, tanto il nucleo quanto il protopla- sma dei blastomeri stessi, colla speranza di trovare qualche indizio che permettesse di stabilire quali di essi fossero destinati a dare origine all'embrione, e quali a rimanere nel tuorlo per poi essere distrutti, ma non vi sono riuscita. Un'osservazione che ho ere- — 327 — duto in principio mi potesse condurre a qualche risultato note- vole, è stata quella della presenza quasi costante di uno o due blastomeri molto più gi-ossi degli altri e con una maggiore quan- tità di cromatina, (Tav. I, fig. 5; confrontare il blastomero infe- riore coi tre superiori). Anche il Tichomiroff nella sua fig. 9, nel testo, rappresenta una cellula vitellina molto più grande delle altre e la interpreta come un corpuscolo anormale. Ho immaginato che questi blastomeri più grandi potessero avere un valore speciale, ma proseguendo l' esame delle uova mi son dovuta convincere che in qualche caso mancavano, e perciò il loro significato mi sfugge. La maggior parte dei blastomeri che si trovano nel blastema centrale si presenta in divisione cariocinetica. Quando stanno per arrivare alla superficie si modificano profondamente. Prima ancora che scompaiano i prolungamenti protoplasma- tici che furono interpretati come pseudopodi, si osserva un gi'an cambiamento nell'aspetto dei nuclei, i quali diventano vescicolari, pallidissimi e si distinguono dal protoplasma solo perchè ne sono separati da un alone chiai-o, forse prodotto artificialmente o esa- gerato nella fissazione (Tav. I, fig. 6). I blastomeri ai-rivati alla superficie ritirano i prolungaménti, e mandano solo brevissimi raggi. Dapprincipio la loro forma è sferoidale e non poliedrica; essi sono immersi nel blastema peri- ferico (Tav. I, fig. 7, hl. p.), che essenzialmente ritiensi costituito da protoplasma, quindi sarebbe forse più esatto parlare di un sinci- zio, come fa il Grassi (8), però il blastema periferico si distingue nettamente dal pi-otoplasma cellulare (pr.). I nuclei hanno ancora l'aspetto vescicolare e non si colorano più di questo protoplasma. I primi blastomeri che giungono alla periferia vanno a col- locarsi quasi in corrispondenza al polo anteriore, un po' ventral- mente (Tav. I, fig. 2 blast.); in questo periodo nella massa del tuorlo se ne sono già formati moltissimi altri; essi non sono uni- formemente distribuiti nel blastema centrale, ma nel loro com- plesso si trovano più avvicinati al polo anteriore che al poste- riore, e più al lato ventrale che al dorsale (Tav. I, fig. 2; non sono stati rappresentati tutti i blastomeri interni per non compli- care troppo la figura). Non è facile stabilire in quale ordine av- venga la migrazione; nelle sezioni e nei preparati coloriti in loto i blastomeri si vedono disposti secondo linee curve; sembra che neir interno del tuorlo vengano a delimitare delle superficie — 328 — sferiche irregolari, quasi concentriche, sempre più estese quanto più si avvicinano alla periferia dell'uovo. La superficie dell'uovo si riveste gradatamente. Dapprima si forma una calotta che ricopre il polo anteriore e si estende lungo il rimanente della superficie lasciando ancora scoperto il polo posteriore (Tav. I, fig. 3); in seguito si estende anche posterior- mente e si ha la formazione di un blastoderma completo (Tav. I, fig. 4, 8). Il rivestimento si integra non solo per la migrazione di nuovi blastomeri dall'interno, ma anche per divisione cariocinetica de- gli elementi già arrivati alla superficie. Le figure di divisione cariocinetica si possono riconoscere anche nei preparati colorati in toto osservati a mediocre ingrandimento, perchè le cellule in divisione appaiono più allungate o strozzate in due, e la croma- tina invece di essere concentrata in una massa tondeggiante, apparentemente si dispone in una sbarretta trasversale (metafasi) 0 in due sbarrette più o meno allontanate (anafasi) (fig. 3 e 4 car.) Le figure di divisione si riscontrano di preferenza sulle faccie piane dell' uovo, mentre lungo i lati le cellule sono per lo più in periodo di riposo. Gli stadi rappresentati dalle fig. 1, 2 e .S della Tav. I furono da me osservati solo nella generazione primaverile, perchè mi mancava il materiale di quella autunnale. I successivi, finché non aggiungerò altro, sono stati da me riscontrati tanto nella genera- zione primaverile quanto in quella autunnale, e trovati in corri- spondenza perfetta. A dimostrazione di ciò veggansi le fig. 4 ed 8, che rappresentano la prima un uovo della generazione prima- verile, la seconda un uovo nello stadio corrispondente della generazione autunnale. Esse differiscono quasi soltanto per le di- mensioni. La grandezza un po' maggiore nelle uova della gene- razione primaverile è un fatto che nel materiale che ho avuto in esame si verifica costantemente. In questo stadio, come si vede, il blastoderma forma uno strato che riveste, si può dire, totalmente la superficie dell'uovo. Risulta da quanto ho esposto che il lato ventrale dell' uovo è già determinato prima che ì blaslomei'i giungano alla super- ficie, cosa che, per quanto so, non era nota e che anzi il Gran- dori nega recisamente (precisamente egli dice: questa denomina- - 329 — zione — lato ventrale — dell'uovo è del tutto impropria; infatti essa vorrebbe significare che nell' uovo è fin dall' inizio determi- nato quale dei due Iati sarà in seguito occupato dall' embrione, mentre tale determinazione non esiste e non è costatabile anche se esistesse, essendo i due Iati perfettamente equivalenti ed in- distinguibili l'uno dall'altro) (Op. cit. pag. 217 in nota). I blastomeri ììiigranti alla periferia, nell'interno dell'uovo si dispoììgono secondo sicperficie curve, queste curve ricordano abbastanza bene le figure di Schwangart per altri Lepidotteri, ma non dimostrano né la distinzione dei blastomeri in due gruppi, né l'accenno ad una formazione gastrulare, che l'A. ammette. / blastomeri si dividono tanto nell'interno del vitello, quanto alla superficie. II blastoderma riveste com/pletamente la superficie dell'uovo. Tutto ciò nelle uova da me studiate, tanto per la genera- zione primaverile die per l'autunnale. E' possibile che le modalità diverse osservate dal Grandori siano dovute all'aver egli avuto sott'occhio due razze differenti, ma non si può escludere che dipendano dalla circostanza che la differenza di temperatura tra la generazione primaverile e 1' au- tunnale sia stata maggiore nel suo caso che nel mio. IV. — Differenziazione dello scudetto geriuiuativo e della membrana sierosa. Anche quando il blastoderma, appena formato, riveste inte- i-amente la superficie dell'uovo, non appare come un foglietto uniforme, costituito da elementi tutti eguali tra loro e simil- mente disposti. Lungo il lato ventrale le cellule sono a contorno tondeg- giante, più avvicinate tra loro; verso il lato dorsale sono un po' più grandi, più allontanate le une dalle altre (Tav. I, fig. 4 e 8). Molte delle cellule che si trovano sulle faccie piane dell' uovo sono in cariocinesi. Queste differenze rappresentano il primo ac- cenno alla separazione della zona embrionale dalla zona extra- embrionale. La separazione diviene tanto più netta quanto più prosegue lo sviluppo. Mentre le cellule situate lungo il lato ventrale si avvicinano sempre più le une alle altre ed apparentemente ve- dute dall'esterno, diventano più piccole, quelle situate lungo il - 330 - Iato opposto restano ancora distanziate ed apparentemente di- ventano più grandi. Il confine tra le cellule grandi e le piccole dapprima non è netto (Tav. II, fig. 9), ma a poco a poco l'insieme delle cellule più piccole va prendendo una forma definita e viene a costituire una zona che occupa il lato ventrale dell'uovo ed una gran parte delle faccie piane. Essa rappresenta la zona embrio- nale che formerà lo scudetto germinativo, il resto costituisce la zona extraembi'ionale. Jlentre la zona embrionale si differenzia, per effetto dell'apparente impiccolimento delle cellule che la co- stituiscono (apparenza che come si vedrà, è data dal cambia- mento di forma), restano zone di tuorlo più o meno estese com- pletamente scoperte. Solo coi preparati m loto è possibile capire che gli stadi in cui il blastoderraa non è completo sono poste- riori a quelli in cui esso è completo (confr. Tav. I, fig. 8 con Tav. II, fig. 9 e 10). Anche nello stadio ora descritto si riscontrano figure cariocinetiche, specialmente al confine tra la zona embrio- nale e quella extra-embrionale. In questo periodo sono notevoli due circostanze : 1° che tra la membrana vitellina ed il germe si viene ad accumulare un liquido il quale è più abbondante in corrispondenza al lato ventrale dell'uovo; 2" che ai due estremi anteriore e posteriore delia zona embrionale, lungo la linea me- diana ventrale, si formano due piccoli sollevamenti, costituiti da gruppi di cellule non diverse per caratteri morfologici dalle altre della zona embrionale (Tav. II, fig. 10 gr. sie ). Questi piccoli sollevamenti sarebbero l'accenno delle pieghe che secondo gli schemi degli A. debbono dare origine alle mem- brane amniotiche; ma qui la sierosa si va già formando in altro modo. Le cellule della zona extraembrionale, a cominciare dal polo posteriore, si staccano dal rimanente del blastoderraa, attraver- sano lo strato liquido e vanno ad addossarsi alla membrana vitel- lina. Quivi prendono la forma appiattita ed acquistano l'aspetto ben noto delle cellule delia membrana sierosa (fig. 10 sie.). Il processo di formazione dello scudetto germinativo e quello di differenziazione della sierosa proseguono nel modo fin qui indi- cato. L'area embrionale va sempre più inipiecoleiulosi ed appro- fondandosi, cosi che in corrispondenza ad essa resta una gran quantità di liquido tra il germe e la membrana vitellina; le cel- lule della zona extraembrlonale seguitano ad attraversare lo strato liquido e a riordinarsi ingrandendo cosi la sierosa (Tav. U, fig. 11) — 331 — la quale è già chiaramente evidente specialmente dal lato poste- riore dell'uovo. Le suddette cellule sollevatesi al confine anteriore e posteriore dell' area embrionale, si distaccano e attraversano anch'esse lo strato liquido (Tav. Il, fig. 11 gì-, sie). Esse andranno a completare la sierosa nel tratto corrispondente al lato ventrale dell'uovo^ dove si è formato l'embrione. Se nella formazione della sierosa le cellule si spostino atti- vamente, 0 passivamente, per effetto della formazione di liquido, resta da determinare. Le sezioni dimostrano come il graduale restringimento del- l'area embrionale sia collegato alla circostanza che le cellule del blastoderma che verranno a far parte dell'embrione, mentre da prima erano quasi cubiche, vanno via via prendendo una forma cilindrica o prismatica. L'allungamento delle cellule si inizia nella zona corrispondente al Iato ventrale dell'uovo e si estende via via lungo le facce piane (Tav. II, fig. 12). Forse a produrre il re- stringimento dell'area embrionale contribuisce anche la migra- zione di alcune cellule dalla superficie verso 1' interno. In molti preparati, si vede infatti un punto del blastoderma che si direbbe un centro d' immigrazione, perchè quivi le cellule sono accumulate le une sulle altre; ho pensato potesse trattarsi di qualche organo embrionale, ma l' ipotesi mi sembra da esclu- dere, perchè la formazione compare o scompare senza lasciare nessuna traccia, in un tempo assai breve. Le cellule migranti nell'interno debbono corrispondere ai pcu-aciti di Heymons, ri- veduti dal Toyama nel baco da seta, e da tanti altri autori in altri insetti; sono cellule che finiscono per andare distrutte, (fi- gura 12 par.). Contemporaneamente alla migrazione di cellule dalla super- ficie verso l'interno, sembra che, anche dopo completato il bla- stoderma, alcuni blastomeri sparsi nel vitello continuino ad addos- sarsi alla parte interna dello scudetto germinativo già costituito (iig. 1.3 blasL). Sul destino di queste cellule dovrò ritornare in seguito. Per mezzo delle sezioni si può stabilire che la membrana sierosa, la quale, come si è visto, comincia a formarsi in corri- spondenza al lato posteriore e poi si continua verso il lato dorsale, non si estende gradatamente a rivestire l' uovo completandosi col saldarsi insieme dei margini al di sopra (all'esterno) dello scu- detto germinativo. Si vede che al contrario essa può esistere già al — 332 - disopra dello scudetto, nel tratto che corrisponde al lato ventrale dell'uovo, mancando ancora al disopra della parte che sta in corri- spondenza alle faccie piane dell'uovo. Quivi lungo il margine dello scudetto germinativo si vedono cellule più grandi delle altre che evidentemente passano al disopra dell'area embrionale. Esse an- dranno a riunirsi alle altre e completeranno l'involucro embrionale. Questo processo si comprende quando si tenga conto dei gruppi di cellule che si distaccano dall'estremo anteriore e posteriore della zona embrionale. Per quanto la membrana sierosa dal momento in cui si è completata fino al termine dello sviluppo dell'embrione conservi presso a poco la stessa superficie, pure non rimane sempre co- stituita dallo stesso numero di cellule. Nella generazione primaverile, la sierosa forma già un in- volucro completo 24 ore dopo la deposizione dell'uovo; allora è composta di cellule molto grandi a contorno esagonale o penta- gonale, con un nucleo che appare colorito in rosso più o meno bruno per accumulo di pigmento alla superficie. I contorni delle singole cellule, nel tratto corrispondente ai Iati dell'uovo, sono naturalmente coloriti in bruno, e risaltano con estrema nettezza, come fossero disegnati; procedendo verso le faccie piane l'aspetto cambia; i contorni delle cellule, assai meno evidenti, appaiono come poligoni chiari attorno al protoplasma leggermente pigmen- tato (Tav. Ili, fig. 16). Nella stessa generazione primaverile, cinque giorni dopo la deposizione, le cellule della sierosa sono assai più piccole e più numerose (fig. 17). Esse hanno dimensioni e colorazione assai diverse; le variazioni non seguono alcuna regola. Accanto a cel- lule oscure, che appaiono tali per deposito di pigmento, se ne trovano altre incolori o chiarissime, appena appena pigmentate; accanto a cellule grandi se ne trovano altre piccole. Il pigmento compare nelle cellule come raggruppato in uno o in pochi punti, poi si estende per tutto il protoplasma. Il nucleo appare pigmen- tato alla superficie. Queste irregolarità cosi evidenti nelle uova un po' avanzate nello sviluppo, cominciano già a manifestarsi, nella generazione primaverile, alla seconda giornata dopo la de- posizione. Che le cellule siano aumentate di numero, è indiscutibile perchè si possono anche contare. La difficoltà sorge quando si cerchi di precisare in che modo questo aumento si produce. Io - 333 - non ho mai veduto figure di divisione nelle cellule della sierosa, né trovo che siano state descritte da altri autori. Ho riscontrato soltanto qualche volta cellule con due nuclei, il che potrebbe es- sere la espressione di una divisione che però non è andata oltre, 0 almeno non ho potuto ulteriormente seguire. L' aspetto della sierosa colle ineguaglianze sopra descritte farebbe pensare che alcune cellule si fossero formate dopo le altre e intercalate fra di esse, sopratutto quando si vedono cellule non pigmentate sparse tra altre molto ricche di pigmento (Tav. Ili, fig. 17 e. int.) Una disposizione simile a quella da me notata è riprodotta nella fig. 2 della III Tavola del lavoro di Tichomiroft" (è molto chiara nell'edizione russa dove le tavole sono a colori ed un po' più grandi; si distingue poco nell' edizione francese, almeno nel- l'esemplare che ho sott'occhio), però l'A. non ne parla in modo speciale. Non potendo precisare l'origine delle nuove cellule della sierosa non posso escludere che derivino dai blastomeri vitellini, che si trovano addossati alla sierosa stessa, ma per quanto abbia cercato gli stadi di passaggio tra gli uni e le altre non sono riuscita a trovarli. Il processo ora descritto per la formazione del blastoderma e la differenziazione dello scudetto germinativo è quello che si verifica normalmente nella massima parte delle uova; esso però può venire profondamente alterato per effetto di circostanze che per ora non sono in grado di determinare. Tra le uova isolate dal guscio, fissate nel modo già indicato, nella prima giornata dopo la deposizione o in quella successiva, se ne vedono sempre alcune {forse il 5 o il 6 "/„) che si presentano con aspetto tutto diverso dalle altre. A piccolo ingrandimento, ed anche ad occhio nudo, appaiono come morule irregolarissime, formate da parti di dimensioni assai diverse. Col microscopio si vede che il tuorlo in realtà si è suddiviso in varie zollette, cia- scuna delle quali contiene un numero diverso di nuclei. In mezzo a queste irregolarissime zollette di tuorlo si trova una massa co- stituita da tanti nuclei e da un po' di protoplasma, che eviden- temente corrisponde alla zona embrionale; forse questa massa è circondata da un liquido che si colora un poco, perchè nei pre- parati colorati in toio non riesce mai nettamente differenziata. È inutile insistere sulla descrizione di queste uova a sviluppo in- solito perchè non se ne trova mai uno eguale all'altro. Io ne ho avuto sott' occhio una dozzina, tutti differenti tra loro. Per darne XTII - Uollett. di Zoologia Gen. e Agr 22 — 334 - un'idea ne ho rappresentato uno. nella fig. 14; negli altri le masse del vitello erano ora più o meno numerose, la massa corrispon- dente alla zona embrionale era più superficiale, o più approfon- data, in alcune si vedevano da un polo alcune cellule appiattite corrispondenti a quelle della siei'osa, in altre mancavano. Non ostante questo procedimento insolito ritengo che alla fine si sviluppino egualmente embrioni normali, e ciò per le seguenti ragioni: 1° Nella giornata seguente a quella della deposizione si trovano ancora uova a sviluppo insolito, ma in numero minore che nella giornata precedente; 2" In queste uova della seconda giornata si vede che la massa corrispondente alla zona embrio- nale tende ad ordinarsi in un epitelio, e ad incurvarsi in forma di doccia. (Una di esse è rappresentata nella fig. 15, Tav. II); 3° Nelle uova fissate nella 3*, 4" e 5" giornata dopo la deposizione, non ho più trovato forme anomale. Sulle cause dell'anomalia non ho dati sicuri, ma ho osser- vato che le forme anomale della seconda giornata, per il loro aspetto generale sembrano ]>iù arretrate nello sviluppo delle altre; esse infatti si trovano di preferenza tra le poche uova l'imaste chiare mentre la gran maggioranza ha già la sierosa pigmentata. Ritengo perciò probabile che lo sviluppo anomalo sia più frequente nelle ultime uova deposte dalle farfalle. Riassumendo: Il blas/odenita delle uora del hnco da seta in un pi'iìiìo pei-iodo, mollo hrece, >> coìiiple/o; successi cametite si di tferenziano dal lato ventrale la zona embrionale e dal lato dorsale la zona extraendìrioìiale. Mentre si compie questo dif- ferenziamento le cellule della zona embrionale apparentemente impiccoliscono, perchè da cubiche diventano cilindriche e quelle della sona extraembrionale apparentemente ingrandiscono per- chè da cubiche diventano appiattite; per effetto del restringi- ìnenlo delle cellule della zona embrionale il blasfoderma che prima era completo, in molti punti al confine tra le due zone viene a formare delle lacune e lascia scoperti ampi tratti del tuorlo con relativi nuclei vitellini. Questo processo corrisponde perfettamente a quello descritto da Grassi per le api (8). Esso spiega come alcuni alcuni autori abbiano ammessa, altri negata l'esistenza di un blastoderma ri- vestente interamente la superficie dell'uovo, e come il Cìrandori -- 335 — abbia trovato il blastoderma già completamente formato in uova della dodicesima ora, e notevolmente incompleto in altre della sedicesima. Le cellule del blastoderma non sono mai perfettamente uniformi, ma in 'principio la differenza visibile è minima e limitata ad una rish-ettissima zona Inugo il lato ventrale dove gli elementi appaiono pili piccoli e pia regolarmente disposti. Successivamente mentre vicino alla prima zona altre cellule si ì-estringono e si ordinano, dal lato posteriore, e poi da quello dorsale e da quello anteriore le cellule si appiattiscono, si al- largano, attraveì'sano lo strato liquido e vanno ad addossarsi alla membrana vitellina dove costituiscono la siei'osa. L'appiat- timento e la migrazione avvengono a poco a poco, e pei'Cib fintanto che la sierosa non è completa, il confine dello scudetto germinativo resta indeterm.inato. Non vi è formazione di pieghe. La mancanza di pieghe è già stata giustamente osservata dal Grandori, il quale ha dimostrato che aveva torto il Tichomi- roff, e con lui gli altri autori che parteciparono al suo modo di vedere, nel voler generalizzare le osservazioni di Kowalevsky ed estendere lo schema classico di formazione delle membrane embrionali a tutti i Lepidotteri. Però il Grandori parla di un di- stacco dello scudetto dal blastoderma come se avvenisse d'un tratto lungo tutto il margine, mentre vi è una trasformazione e una migrazione di cellule continua. Quello che non ho potuto osservare in nessun modo è la giustapposizione di elementi provenienti dal vitello al margine dello scudetto, e non so come potiebbe mettersi d' accordo coi fatti ora descritti e coli' impiccolimento, del resto già noto, dello scudetto medesimo. La sierosa si completa dal lato ventrale per mezzo di grup- pi di cellule che si distaccano dall' estremità anteriore e da quella posteriore dello scudetto germinativo. Non trovo descritto questo processo da nessun autore, pure mi sembra che le mie figure lo dimostrino ad evidenza. Penso che la ragione per la quale è sfuggito agli altri osservatori sia da ricercarsi nel fatto che io mi sono servita a questo scopo dei preparati in toto invece che delle sezioni ; del resto il fenomeno deve esser stato veduto anche da altri e spiegato diversamente. I gruppi di cellule che vanno a completare la sierosa evi- dentemente corrispondono a »luelli che il Rizzi (11) interpreta — 33G — come primi accenni di cellule genitali, che vede comparire d'un tratto senza poterne determinale l'origine, e a quelli che il Gran- dori descrive come cellule migranti dal vitello, identificandoli con le supposte cellule genitali del Rizzi. Probabilmente qualche cosa di simile rappresentano le cellule genitali descritte da Vaney e Compte (31) i quali però danno una figura che non trova esatto riscontro in quello che io ho veduto, uè in quello che si tiova nella letteratura relativa al baco da seta. Colle sezioni in serie si può vedere che la sierosa può essere già completamente formata lungo il lato Ventrale e mancare an- cora al di sopra delle fiiccie piane dell'uovo, il che si spiega col modo di completarsi ora descritto, mentre non si potrebbe com- prendere ammettendo che si chiudesse per la saldatura di due pieghe sorgenti dal margine della scudetto germinativo. Dopo che la sierosa si i^ completata, le cellule che la co- stituiscono impiccoliscono ed aumentano di numero. Di questo fatto non trovo cenno negli altri autori. L'aumento di numero avviene forse per divisione diretta delle cellule, ma non si j)uù escludere, anzi a volte pare evidente che nuove cel- lule si intercalino tra quelle già esistenti. Queste nuove cellule si potrebbero supporre derivate da bla- stomei'i vitellini secondo il concetto di Grandori, ma io per quanto abbia cercato non ho trovato stadi di passaggi tra le une e gli altri e secondo me neanche le figure portate dal Grandori sono dimostrative, jìerchè tutte le cellule migranti che egli rappre- senta sono molto diverse dai blastomeri vitellini. In un ceì'to nume>-o di uova che può raggiuìigere il 5 o il tì della massa totale, la segmeìUazione avviene in modo strano^ che può far persino pensare a fenomoii di poliembrionia senonchè essa non si verifica; suppongo che anche da queste uova derivino endu-ioni noì-nudi. V. — Moditicazioui esterne nel passaggio dallo scudetto geruiiuativo alla stria germinativa. Per studiare la forma dello scudetto germinativo, finché esso si mantiene superficiale, è meglio valersi dei preparati colorati in tota. In questo periodo lo scudetto può essere paragonato ad una sella estendentesi presso a poco egualmente lungo le due faccie piane dell'uovo. Per questa sua curvatura non si riesce ad — 337 — isolarlo e liberarlo dal tuorlo senza spezzarlo. Lo scudetto germi- nativo appena differenziato dalla zona extraembrionale occupa una superficie maggiore di quella che avrà successivamente, ma neir impiccolimento la forma si conserva simile a quella che era in principio (Tav. Il, fig. 9, 10, 11). Successivamente si allunga e si restringe, ma non uniforme- mente in tutta la superficie: il restringimento è massimo in una zona che segue la parte anteriore o cefalica, minimo posteriormente. Nello stesso tempo l' embrione comincia ad approfondarsi nel tuorlo, ma anche l'approfondamento non avviene in modo uni- forme lungo tutto il margine dell'embrione ; esso è minimo in corrispondenza all'estremità anteriore, massimo in corrispondenza all'estremità posteriore. Oltre a ciò l'embrione si sposta in guisa tale da non esser più simmetricamente disposto rispetto al piano mediano dell'uovo e viene ad essere per la massima parte situato in corrispondenza ad una delle faccie piane (probabilmente a quella che era rivolta verso la luce) (Tav. EI, fig. 19). Un embrione isolato in uno stadio presso a poco corrispondente a quello ora descritto, è rappresentato nella Tav. Ili, fig. 18. (L'ap- parente assimetria dipende dalla difficoltà di distendere l'embrione sul vetrino senza lacerarlo). La pai'te meno dilatata é l'e-stremità anteriore, e la più allargata la posteriore. I contorni laterali non sono rettilinei; da un lato il margine si direbbe diviso in tre parti, corrispondenti ai macrosomiti di Graber (6), ma dall' altro r ultimo segmento sembra ancora alla sua volta suddiviso in tre parti; cosi che i somiti sarebbero già cinque. La determinazione esterna dei somiti mi è riuscita incerta anche in stadi più avan- zato; internamente non si distingue ancora nessuna segmenta- zione. Uno stadio un poco più avanzato di quello ora descritto è rap- presentato nella Tav. Ili, fig. 25. La figura dimostra che mentre l'em- brione si allunga, la parte posteriore va assottigliandosi, ma per un certo tempo resta ancora più allargata della parte anteriore, ed è ripiegata in dentro per un tratto molto ampio, mentre l'an- teriore è ripiegata solo un poco dai lati. In questo periodo si delinea il solco primitivo, il quale si estende lungo la linea mediana ventrale, ma si arresta circa a ^/ ^ della lunghezza. Anteriormente e posteriormente esso termina con una dilata- zione; la dilatazione anteriore è prossima all'estremità cefalica, la - 338 — posteriore lascia dietro di sé una zona la quale si può dire meno differenziata del resto, come si vedrà meglio quando parlerò delle sezioni. La posizione occupata nell' uovo dall' embrione in questo stadio è indicata dalle figure 19, 23 e 24 Tav. III. L'allargamento della parte posteriore non risulta sempre evidente dai preparati in loto perchè una porzione di essa resta collocata nella parte che non si presenta all' osservatore. Risulta invece evidente la posi- zione assimetrica rispetto al piano mediano (Tav. Ili, fig. 23). L'aumento in lunghezza, come risulta dal confronto delle fi- gure, è contemporaneo ad una diminuzione di larghezza più sensibile nella parte posteriore; ma questo non significa che l'al- lungamento dell' embrione sia dovuto solo a spostamento delle cellule che lo costituiscono perchè tanto nei preparati per isolamento quanto nelle sezioni è ftxcilissimo riscontrare cellule in divisione cariocinetica, specialmente numerose intorno alla dilatazione che termina posteriormente il solco primitivo. Gli stadi ora descritti, nella generazione primaverile, si pre- sentavano in uova deposte da meno di 2-4 ore, nelle quali la sie- rosa cominciava appena a pigmentarsi; nella generazione autunnale mancavano ancora 48 ore dopo la deposizione. Successivamente continua 1' allungamento dell' embrione ed il suo assottigliamento specialmente nella- parte posteriore, così che già nella seconda giornata dopo la deposizione, in primavera, esso ha, presso a poco, l'aspetto che conserverà durante lo stadio di riposo (Tav. IV, fig. 28). In questo stadio l'estremità anteriore e la posteriore sono presso a poco eguali. Gli stadi ora descritti, rappresentati nelle fig. 18 e 85 non erano conosciuti per il fmco da seta. In essi è notevole la cir- costanza che la parte posteriore é pii< dilatata dell' anteriore, condizione contraria a quella che si verificherà in seguito fino a completo sviluppo. Il Tichomiroff che solo descrive gli stadi precoci dell' em- brione del baco da seta ne dà delle figure imperfettissime, molto poco chiare per chi non abbia veduto i preparati corrispondenti. Le sue fig. 21 e 22 non mostrano la dilatazione dell' estremità posteriore maggiore dell' anteriore. — 339 — Tra le sue fig. 22 e 23 vi è una grande lacuna che l'autore neir edizione francese (19) dice completata dalle flg. 96, 97 e 98 di Graber (6). Ma le figure di G-raber riguardano la Pieris cra- taegi, e non si possono trasportare senz' altro al baco da seta. D' altra parte neanche in esse si rileva il successivo restringi- mento dell' estremità posteriore. Ora io son ben sicura di non aver preso equivoci per le seguente ragioni: 1° Neil' isolare gli embrioni dai preparati coloriti in tato, ho sempre avuto cura di determinare precedentemente quale fosse l' estremità anteriore; cosa sempre possibile perchè essa si trova rivolta verso il polo più acuminato dell' uovo, ma non giunge, in questi primi stadi, fino al lato anteriore; resta lungo il lato ventrale poco sollevata verso r interno. L' estremità posteriore invece non solo giunge fino al lato postei'iore, ma lo segue per un tratto maggiore o mi- nore secondo il grado più o meno avanzato di sviluppo (Tav. IV, fig. 27). 2° L' estremità anteriore si può riconoscere anche negli embrioni isolati perchè nei primi stadi, presenta già l'accenno di due lobi laterali ed è poco ripiegata verso l' interno, 1' estremità posteriore invece si allarga gradatamente ed uniformemente ed è ripiegata in dentro in modo da costituire come una sorta di cap- puccio che da principio è molto ampio e diminuisce col progre- dire dello sviluppo (Tav. Ili, fig. 18). Se la parte più larga fosse l'estremità anteriore, siccome si trova in corrispondenza al hito posteriore dell'uovo, bisognerebbe ammettere che l'embrione durante la prima giornata si spostasse lungo la superficie dell'uovo perchè nella seconda giornata l'estre- mità cefalica è situata verso la regione micropilare; allora in un certo momento invece di trovarsi lungo il lato ventrale, dovrebbe vedersi lungo il lato posteriore. Questa rotazione si può escludere con certezza in seguito all'esame di moltissimi preparati colorati in loto; il solo spostamento dell'embrione avviene verso una delle due faccie piane. Ricordo infine che Kowalevsky, secondo una citazione di Graber (pag. 14), figura una stria germinativa di Sphinx populi ancora giacente alla superficie del blastoderma, la quale appare allungata e in avanti notevolmente più sottile che all'indietro. Anche Carrière (2) nella Chalicodoma rappresenta degli embrioni coU'estremità anteriore più ristretta della posteriore (Tav. XIII, fig. 5, 7, 9). — 340 — Il trovare l'estremità anteriore, in principio, più ristretta della posteriore, dimostra die la trasformazione dello scudetto germinativo in stria germinativa procede dall'avanti all'indietro. Ciò ò in accordo con quanto si vede per mezzo delle sezioni trasversali in serie, e col fatto che il solco primitivo in principio si arresta molto lontano dall'estremità posteriore. VI. — Formazione dell'umilio. Di solito la formazione dell'amnio si descriv'^e contempora- neamente a quella della sierosa, ma come si è visto nel Cap. IV, la sierosa nel baco da seta, si origina molto più precocemente quando dell' amnio non si riscontra ancora nessuna traccia. Un'altra differenza molto importante tra le due membrane — sulla quale secondo me non si riflette abbastanza quando, acconten- tandosi dello schema, si dice senz'altro che esse derivano l'una dal foglietto esterno, 1' altra dal foglietto interno d' una piega, i quali si incontrano, si rompono, e poi si saldano insieme con- venientemente — è la circostanza che mentre la sierosa, la quale si limita a ravvolgere la superfìcie dell'uovo, dopo bi'evissimo tempo, ha già raggiunto le sue dimensioni definitive, l'amnio che segue l'embrione, continua ad estendersi finché l'embrione stesso non ha raggiunto la sua lunghezza massima. Ne viene di conse- guenza che la formazione dell' amnio deve continuare, e, almeno dopo i primi stadi, deve essere indipendente da quella della sierosa. Stando a quello che si osserva nel baco da seta, si può dire che l'amnio si origina man mano che l'embrione si approfonda e sta ad impedire che il tuorlo venga a contatto colla superficie esterna delle cellule del blastoderma. Queste espressione non ha la pretesa di spiegare nulhi, ina è perfettamente d'accordo coi fatti. Finché lo scudetto germinativo é superficiale, é rivestito dalla sola sierosa; mano in mano che si incurva é ricoperto anche dall'amnio in quel tratto che verrebbe a trovarsi a contatto col tuorlo; tra l'amnio e la sierosa si trovano sempre cellule vitelli- ne, e solo per eccezione si possono vedere in qualche punto le due membrane l'una al di sotto dell'altra non separate dal tuor- lo (1). Quando l'approfondamento dell'embrione non avviene sim- (1) Nell'ape dove l'embrione è superficiale, Grassi (8) ha trovato una sola membrana amniotit-a. Altrettanto hanno veduto Carrière e Burger (3) in Polistes e Chalicodoma e Strindberg (là) in diverse specie di formiche. — 341 — metricamente dai Iati, in una sezione trasversale si può vedere la membrana amniotica già differenziata da una parte e non an- cora distinta dall'altra (Tav. Ili, flg. 20 e 21). L'aranio si origina dalla modificazione e dallo spostamento delle cellule che si trovano al margine dell' embrione, analoga- mente a quanto si verifica in molti Vertebrati Amnioti. Come primo accenno dell'amnio possono considerarsi le poche cellule che si vedono ai lati dello scudetto germinativo, dopo che se ne sono distaccati i grup])i i quali andranno a completare la siero- sa (Tav. II, fig. 11 am.). Tenendo presente il fatto che la forma- zione dell'amnio finché l'embrione non ha raggiunto la lunghezza definitiva, continua, ho pensato che dovesse essere possibile os- servare l'origine delle nuove cellule amniotiche e non mi sono in- gannata. Infatti in tutti i preparati degli stadi giovanili, agli estremi anteriore e posteriore dell' embrione verso la parte me- diana dal lato dorsale rispetto all' uovo (ventrale rispetto all'em- brione che agli estremi, come si è detto è ripiegato in dentro) si vedono delle cellule che si ingrossano e si separano dalle altre costituenti 1' embrione, forse per mezzo di un liquido che vi si interpone. Il passaggio graduale dalle cellule dell' embrione alle cellule amniotiche a volte si può anche seguire in una sola se- zione, ma appare più evidente prendendo a considerare una serie di sezioni consecutive. (Tav. IV, fig. 34-36). Le cellule, che si allargano e acquistano i caratteri delle cel- lule amniotiche, rassomigliano un poco alle cellule vitelline per la presenza di numerosi vacuoli, in alcuni dei quali possono an- che trovarsi inclusi granuli di tuorlo (Tav. IV, fig. 35-36), pro- venienti, a quanto sembra, dalla distruzione delle cellule vitel- line che si trovavano in vicinanza. Evidentemente sono cellule in que.sto stadio quelle descritte dal Grandori come provenienti dal vitello e destinate a comple- tare l'amnio, da lui rappresentate nella fig. 38 della Tav. II e nelle fig. 42, 43, 44 della Tav. III. Come risulta tanto dalle figure del Grandori quanto dalle mie, che bene si corrispondono, le cel- lule amniotiche per quanto molto più larghe delle cellule dell'em- brione sono assai più piccole delle sfere vitelline. Gli stadi di passaggio tra le cellule amniotiche e le cellule vitelline, mancano completamente, non solo nelle figure mie, ma anche in quelle di Grandori, anzi nelle sue il distacco tra le une e le altre è ancora maggiore perchè egli non rappresenta nelle — 342 — cellule amniotiche, i vacuoli che in realtà esistono, e accanto ad esse riporta solo cellule vitelline intatte, mentre di solito ve se ne trovano parecchie in via di distruzione. Però le cellule vitelline, che si distruggono, non possono af- fatto essere considerate come stadi intermedi verso le cellule amniotiche, perchè presentano un nucleo in evidente disfacimento e non hanno contorni definiti. Viceversa il passaggio graduale tra le cellule embiionali e quelle amniotiche si può vedere facilmente non solo nelle mie figure (Tav. IV, fig. 35) ma anche, secondo me, in quelle di Gran- dori (Tav. m, fig. 43). Insisto molto in questo punto perchè prima di venire ad una conclusione sull'origine dell'amnio, sono rimasta colpita dall'aspetto singolare delle cellule che si trovano nella posizione sopra indi- cata all'estremità anteriore e posteriore dell'embrione, e mi sono domandata se in realtà esse non derivassero dalle cellule vitel- line, come aveva supposto il Grandori. Per le ragioni suddette ho dovuto escludere questa ipotesi; aggiungo ancora che se le cellule vitelline dovessero contribuire a formare l'amnio, nelle regioni in cui 1' amnio si accresce, il complesso del vitello dovrebbe presentarsi con qualche carattere speciale, conseguenza della modificazione subita dai suoi elementi. Si dovrebbe, cioè, notare un'affluire di cellule vitelline verso il punto dove avviene la trasformazione, oppure una divisione delle cellule più attiva, o un accumularsi di tuorlo o di altro materiale di rifiuto; invece non si verifica niente di tutto ciò. All'opposto la modificazione delle cellule marginali della zona embrionale si segue in tutte gli stadi. Può essere in rapporto con questa trasformazione il liquido che si accumula tra 1' amnio e l'embrione e separa l'uno dall'altro. Man mano che si formano nuove cellule amniotiche quelle precedentemente formatesi ven- gono spinte avanti a ridosso delle altre che hanno già acquistato i caratteri definitivi ; cosi la membrana resta completata. * * * In conclusione: L'amnio si origina successivamente alla sie- rosa e si forvia di mano in mano che l'embrione si approfoti- da, interponendosi Ira il tuorlo e la superficie esterna delle cellule embrionali. Il Bobretzky (1) sostiene che dapprincipio gli — 343 — involucri embrionali non contengono che un solo strato di cellule il quale corrisponde evidentemente alla sierosa. Il Tichomiroff (19) non accetta neanche a questo riguardo le conclusioni di Bobretzky; a suo avviso la circostanza che quest'autore abbia potuto otte- nere in Porthesia e Pieris delle sezioni in cui era possibile ve- dere le prime tracce degli involucri sotto forma di un solo strato di cellule, si spiega probabilmente colla rottura e la perdita del blastoderma che accade facilmente nei Lepidotteri. Lo Schwan^ gart (13) in Endromis e Zygaena trova un processo analogo a quello descritto da Bobretzky. In queste specie si presenta, fin dal principio della formazione di pieghe al margine dell'accenno embrionale, una separazione tra amnio e sierosa. La sierosa sor- passa rapidamente l'accenno embrionale, l'amnio molto più len- tamente. Le mie osservazioni dimostrano che 1' embrione finché resta al di sopra del tuorlo è ricoperto solo dalla sierosa. L'amnio si origina da una trasformazione delle cellule marginali dell'embrione. Questo processo è quello descritto ed ammesso da tutti gli autori. L'opinione discorde di Grandori, che fa derivare l'amnio da una trasformazione delle cellule vitelline, secondo me, è originata da una certa somiglianza che le cellule amniotiche, nel loro primo differenziarsi, presentano colle cellule vitelline, e dall'estrema sottigliezza della membrana amniotica per effetto della quale le cellule vitelline che si trovano addossate ad essa possono facilmente venir scambiate con cellule facenti parte della membrana. VII. — Formazione del meso-entoderraa. Dopo che lo scudetto germinativo si è differenziato dal resto del blastoderma, la migrazione dei nuclei con relativo protopla- sma attraverso il tuorlo non sembra terminata. Ciò, come ho detto precedentemente, è stato veduto anche da Grassi (8) nell'ape. Ma i nuovi nuclei accompagnati dal protoplasma che seguitano a mi- grare, non si vedono mai accollarsi al margine dello scudetto, secondo il concetto di Grandori, invece si dispongono al disotto dello strato epiteliale già formato, e per lo più lungo la linea mediana. Essi danno luogo a delle cellule che in principio si ri- conoscono perchè sono più grandi, più rotonde delle cellule del blastoderma. Si possono osservare tanto in stadi precocissimi, quanto in altri un poco più avanzati (Tav. II, fig. 13, Tav. Ili, — 344 — fig. 22 blast.). Basandosi su questi preparati si direbbe che lo strato di cellule situato al disotto del foglietto esterno rappresentasse il principio del mesoderma. Il mesoderma sembrerebbe perciò al- meno in parte derivato dalla migrazione di cellule vitelline. Se non che coll'esame delle sezioni di embrioni in vari stadi, non si riesce affatto a seguire la successiva trasformazione delle cellule aggiunte successivamente iillo scudetto iu cellule del mesoderma, mentre d'altra parte l'esame degli embrioni coloriti in loto parla in favore dell' origine del mesoderma della parte mediana del blastoderma. Nei preparati coloriti in loto di stadi che seguono appena quello di passaggio dallo scudetto germinativo alla stria germinativa, se il mesoderma si formasse da un accumulo successivo di cel- lule migranti dal vitello e disponentisi lungo linea mediana, si dovrebbe vedere in questa regione una zona più oscura, la quale col procedere dello sviluppo dovrebbe aumentare di spessore. Invece le cose si presentano del tutto diversamente. In prepa- rati di stadi giovanissimi la parte mediana dell'embrione appare più chiara delle parti laterali, la zona chiara è ristretta in avanti ed allargata posteriormente (Tav. Ili, fig. 18). In stadi un pochino più avanzati, la linea chiara ò limitata lateralmente da due li- sterelle oscure che decorrono quasi parallele nella parte di mezzo dell'embrione, si allontanano un poco anteriormente ed un poco di più posteriormente, dove si riuniscono senza arrivare fino all'estre- mità posteriore dell' embrione (Tav. HI, fig. 23, 25 e Tav. IV, flg. 28). Si forma cosi il solco, che è stato descritto da tutti gli autoi'i, e dal quale certo si origina una parte del mesoderma. La questione consiste nel determinare se dal solco si origini tutto quanto il mesoderma, oppure se alla formazione di esso contribui- scano anche le cellule migranti dal vitello dopo che si è già co- stituito lo scudetto germinativo. Per risolverla occorre l'esame accurato delle sezioni, ma purtroppo neanche con tal sistema si può dare un giudizio si- curo, perchè alcuni preparati parlano in favore di un'ipotesi ed altri in favore di quella contraria. Se si guardano le sezioni rappresentate dalle figure 13 della Tav. II e 22 della Tav. Ili si è inclinati a credere che le cellule migrate secondariamente costituiscano l'accenno del mesoderma, ma la cosa non può dirsi dimostrata, anzi viene messa assai in dubbio per le seguenti ragioni: 1' Lo strato di cellule sottoposto — 345 - al blastoderma negli stadi più avanzati o è limitato al tratto poste- riore, oppure può mancare del tutto. 2" In molti preparati le cel- lule dello strato sottoposto al blastoderma si colorano pochissimo e presentano nuclei a mala pena visibili mentre quelli del blastoderma si colorano intensamente (Tav. Ili, fig. 26). Questo spiega come nei preparati coloriti in loto non si veda l'ispessimento mediano. Qua e là in mezzo alle cellule blastodermiche se ne vedono altre che si di- rebbero in via di distruzione, ma una distruzione estesa di ele- menti non è stata mai osservata. Potrebbe mettersi in campo un'altra ipotesi, cioè che le cellule migranti secondariamente dal vitello potessero intercalarsi tra quelle dell' ectoderma, ma anche di quest'ipotesi, del resto poco verosimile, la dimostrazione manca. Tutto sommato io sono inclinata a credere che le cellule vitelline neanche nei primi stadi non contribuiscano alla forma- zione del mesoderma. Il modo di formazione del mesoderma dal solco primitivo è già stato descritto dagli altri autori. In proposito posso aggiun- gere qualche osservazione. Nei preparati meglio riusciti si nota che la zona la quale costituirà il foglietto inferiore, o ento-mesoderma, è distinta già un po' prima di approfondarsi a formare il solco. Le cellule da cui è costituita, prendono una forma a clava colla parte assotti- gliata dirstta verso l'esterno, ed i nuclei situati verso la parte ingrossata (Tav. III, fig. 20 e 21 mes.) Ai lati della zona vi sono altre cellule (cellule laterali) più corte, incurvate ad arco che evidentemente sono dirette le une verso le altre, (fig. 20 e 21 e. /.) Qualche volta al disopra della parte assottigliata delle cellule a clava può anche riconoscersi l'esistenza di un coagulo che po- trebbe essere un liquido segregato dalle cellule stesse (fig. 21 se?). Le figure rappresentanti questi stadi ricordano alquanto quelle di Ruffini relative agli Anfibi (12), senonchè mentre quelle di Raf- fini sono chiarissime e assai dimostrative, queste mie bastano ap- pena a far pensare che anche nel baco da seta ed in generale negli insetti l'ameboidismo e la secrezione abbiano una parte pre- ponderante nella formazione degli organi, analogamente a quanto il Ruffini ha dimostrato per i vertebrati. Purtroppo non mi è .stato possibile approfondire l'argomento perchè l'uovo del baco da seta, per la piccolezza degli elementi e per l'abbondantissimo tuorlo è il materiale meno adatto che si possa immaginare per ricerche di questo genere. — 346 - È già stato osservato che lo sviluppo del mesoderma, o per es- sere più esatti, del foglietto inferiore, in alcuni punti avviene per formazione di un solco che si chiude e si approfonda, in altre per l'approfondamento di una zona al di sopra della quale passano e si ricongiungono i lembi che erano rimasti separati. Seguendo una serie di sezioni trasversali di uno stesso em- brione si può riconoscei'e che nell'avvicendarsi di questi diversi processi vi è un certo ordine, e che a un tratto col solco se- gue un tratto dove il solco non si forma, ma si ha solo l'ap- profondamento, poi un'altra volta compare il solco, poi manca, e così per due o tre volte. Due grandissime dilatazioni del solco si notano l'una all'estremità anteriore, l'altra un po' più avanti dell' estremità posteriore. L' anteriore è quella che darà luogo al cosi detto blastoporo, ed è descritta da tutti gli autori, la seconda va gradatamente spostandosi all' indietro e restringen- dosi, tanto che non si vede più negli embrioni nei quali il meso- derma è già suddiviso nel numero definitivo di segmenti o me- tameri. Di questa dilatazione posteriore, che in certi stadi può essere più ampia di quella anteriore non trovo parola nelle descrizioni degli altri autori, probabilmente perchè compare solo in un primo periodo. (Vedi Tav. Ili, fig. 25 e Tav. IV, fig. 28). Dall' insieme delle osservazioni si può concludere che la for- mazione di un solco più o meno profondo, oppure la mancanza del solco sono in rapporto colla laighezza della zona che si ap- profonderà. Dove questa zona è assai larga nell'approfondarsi si incurva e dà origine al solco ben distinto, dove è più ristretta dà origine ad un solco appena accennato, dove è strettissima non si incurva affatto. I solchi più ampi l'uno anteriore e l'altro poste- riore sono in rapporto colla formazione delle due piastre mesoder- miche di maggiori dimensioni. Le fig. 30-3.3, tolte da uno stesso embrione nella 2" giornata di sviluppo della generazione piimave- rile dimostrano come il foglietto inferiore sia già separato nella parte di mezzo, mentre resta ancora aperto il solco anterior- mente e posteriormente. Quando tutta la zona costituente il foglietto inferiore si è ap- profondata, i margini da cui si è distaccata si saldano, ma nel saldarsi le cellule che si sono avvicinate restano più basse e al- lora si origina un solco ristretto e sottile che percorre l'embrione — U1 — in tutta la sua lunghezza (anteriormente, come è noto, la salda- tura avviene più tardi). Vi è un momento — nella generazione primaverile al 3° o 4° giorno dopo la deposizione — in cui in corrispondenza alla parte anterióre il solco che prima formava una fossetta tondeg- giante, prende l' aspetto di una fossetta a figura romboidale (Tav. IV, fig. 28). Lungo i lati di questa fossetta il foglietto inferiore è già diffe- renziato. Nella generazione primaverile dopo 4 giorni si hanno presso a poco le condizioni che si manterranno quasi invariate in tutto il periodo di riposo (Tav. IV, fig. 29). In conclusione: La paì-tecipasione delle cellule vitelline alla formazione del mesoderma, ammessa dal Tichomiroff, negata dal Toyama, non ai può dirjtostrare e sembra doversi escludere in seguito all'esame di molti embrioni in stadi succedentisi grada- tamente. Il Grandori accetta il concetto di Tichomiroff. / vari processi secondo i quali si origina il foglietto infe- riore fcosidetto mesoderma, in realtà mesoentoderma) da quello superiore, già noti agli altri autori (formazione di un solco, ap- profondaraento di una zona) sono dipendenti dall'ampiezza della zona che si approfonda; si forma un' ampia dilatazione tanto in corrispondenza alla parte anto-iore quanto in corrispon- denza alla posteriore, dove si originera7ino le piastrine cosi- dette mesodermiche di maggiori dimensioni. Della dilatazione posteriore non trovo parola negli autori. 1 fenomeni di secrezione e di ameboidismo, per quanto permette di giudicare il materiale inadatto a queste ricerche, intervengono anche in questo caso nella fonnazione degli organi , analogamente a quanto è stato dimostra/o per i vertebrati. Vili. — Conclusioni. Alla fine di ogni capitolo, a cominciare dal III, ho riportato, scritte in corsivo, le conclusioni che ad esso si riferiscono, e nel modo più breve che mi è stato possibile, ho cercato di metterle — 348 — in rapporto con quelle degli altri autori. Per evitare inutili ripe- tizioni prego il lettore di livedere le conclusioni parziali, tanto più che in lavori di questo genere è ben raro aver l'abilità o la sorte di mettere in luce fatti di generale interesse. . AGGIUNTA. Mentre il lavoro è in corso di stampa mi giunge una pub- blicazione del Dr. Grandori (1) nella quale viene acerbamente criticata la mia Nota sul confronto tra i primi stadi evolutivi del baco da seta nelle uova a schiusura normale e in quelle a schiusura estemporanea per l'azione dell'elettricità (2). Il sistema di polemica usato dall'A. si allontana molto da una discussione scientifica, ed io per questa china certamente non lo seguirò, ma perchè il lettore possa farsi un' idea della fonda- tezza dei suoi apprezzamenti, mi limito a mettere in rilievo due punti di primaria importanza. 11 Grandori mi accusa di contradizione perchè io in un luogo dico che la colorazione della sierosa avviene di pari passo nelle uova trattate e in quelle non trattate, e in un altro che le uova in cui si provoca la schiusura estemporanea si colorano, ma tardivamente, quando l' embrione è già in un grado piuttosto avanzato di sviluppo. Oi'bene io ho impiegato cinque pagine della mia Nota ed ho introdotto una figura nel testo per dimostrare appunto questo che mentre la colorazione della sierosa avviene di pari passo nelle uova trattate e in quelle non trattate, lo svi- luppo dell'embrione non si corrisponde nelle une e nelle altre cosichè quando le uova trattate si colorano, 1' embrione in esse si trova già in uno stadio nel quale quello delle uova non trat- tate si troverà soltanto dopo il riposo invernale e 3 o 4 giorni di incubazione primaverile. Dopo di ciò accusarmi di contradizione significa, per lo meno, che il lavoro non è stato letto. (1) La segmentazione dell'uoi-o fecondato del i Bomhyx mori » sottoposto a svernamento artificiale subito dopo la deposizione. — Annuario della R. Sta- zione Bacologica di Padova. Voi. XLIII, 1ÌI19. (2) Hendiconti dell'Istituto Bacologico di Portici. — Voi. Ili, 1919. - 349 - Più grave è il secondo punto. Il Graiidori mi accusa di « non conoscere i l'esultati concordi di tutte le osservazioni embriologiche ormai acquisite alla scienza » perchè gli senibi-a che io parta « dal presupposto che il meso- derma si formi prima non metamerico e poi diventi metame- rico », mentre « il mesoderma si forma metamerico ab initio » ecc. Davvero ? Questa è una scoperta del Grandori che però pui'- troppo. non trova conferma, non dico nelle osservazioni mie, ma in quelle di nessun embriologo. E mi limito, per dimostrarlo a citare solo la lettei'atura che si riferisce al baco da seta. Scrive il Toyama (1) descrivendo un embrione tolto da un uovo deposto già da un mese : « Although the ectoderm does « not as yet show any sign of segments in this stage, certain « alterations are already found in the inner layer. The' most » important of these is its metamerie arrangement. This process « begins at the middle portion of the germ-streak and proceed « both forwards and backwards, as has already been observed < by Tiehomiroff » ; cioè: « Quantunque l'ectoderma in questo stadio non mostri segno di segmentazione, certe alterazioni si trovano già nel foglietto interno. La più importante di queste è il suo ordinamento metamerico. Questo processo comincia alla porzione media della sti'ia germinativa e procede all'avanti e all' indietro, come è stato già osservato da TichomirofiF ». E ancora più chiaramente si esprime lo Strindberg (2) sempre a proposito del baco da seta: « Das untere Blatt ist von Anfang « an eine einheitliche Bildung, die, von dem Ectoderm scharf « abgegrenzt, vorn und hinten an einer bestimmten Stelle kräf- " tiger entwickelt ist. « Nach beendigter Segmentierung finden wir im unteren Blatte « im ganzen 19 Partien — Die Zerlegung des unteren Blattes in « verschiedene Partien (Segmente) ist noch nicht ganz beendigt....» Traduco letteralmente: « Il foglietto inferiore è in principio una formazione unica , nettamente delimitata dall' ectodei'ma e in un determinato luogo, in avanti e in indietro, più fortemente sviluppata. (1) Contribution to the Study of Silk- Norms. — Bull, of the College of Agricolture. Tokio, 1902-1903, pag. 76. (2) lieber die Bildung und Verwendung der Keimblätter bei « Bombyx morir, . — Zool. Anzeiger. XLV Bd. 1915, pag. 582 e 583. Xni - Hollett. di Zoologia Gen. e Agr. 23 — 3o0 — t)opo terminata la segmentazione troviamo nel foglietto infe- riore in tutto 19 parti La suddivisione del foglietto inferiore in diverse parti (segmenti) non è ancora interamente terminata ». Da queste citazioni il lettore è messo in grado di giudicare chi è tra me e il Grandori che mostra di non conoscere i risul- tati concordi di tutte le osservazioni embriologiche ormai acqui- site alla scienza ! Credo che questi due saggi siano sufficienti per dispensarmi dal continuare una discussione intorno a una critica fondata su ({ueste basi. Io mi sento orgoglio.sa di aver seguito nel mio lavoro un modo tutto diverso; per quanto le divergenze tra i risultati miei e quelli di Grandori non siano poche né lievi, e non ostante questa sua ultima pubblicazione, non voglio cambiare una parola a quanto avevo già scritto. — 351 — LETTERATURA CITATA. (Sono segnati con asterisco (*) i lavori non consultati nel testo originale) 1. * BoBRETZKY, N. — Ueber die Bildung des Blastoderms und der Keimblätter bei Insekten — (Zeitschr. f. wiss. Zoologie., Bd. 31, 1878). 2. Carrière, J. — Die Entwicklung der Mauerbiene {Chalicodoma muraria Fabr.) im Ei. — (Arch. f. mikr. Anat. Bd. 35, 1890). 3. Carrière, J. und Bürger 0. — ■ Die Entwickelungsgeschichte der Mauerbiene (Chalicodoma muraria Fabr.) im Ei — (Nova Acta Acad. Leop. Gar. Bd. 69. 1897). 4. Fol, A. — Confronto tra i primi stadi evolutivi del baco da seta nelle uova a scbiusura normale e in quelle a schiusura estem- poranea per l'azione dell'elettricità — (Rendiconti dell'Istituto Bacologico di Portici Voi. III. 1919 e Boll, del Lab. di Zool. Portici, Voi. 13). 5. Graber, W. — Vergleicliende Studien über die Keimhtlllen und die Rückenbildung der Insekten — (Denkschr. Kais. Acad. Wiss. Wien; Bd. LV, 1888). 6. — — Vergleichende Studien am Keimstreif der Insekten — (Ibidem Bd. LVII. 1890). 7. Grandori, R. — Lo sviluppo embrionale del baco da seta — Me- moria I — Le prime 42 ore dalla deposizione dell' uovo. — l'Atti dell'Accademia Scientifica Veneto-Trentina-Istriana — Anno VII, 1914). 8. Grassi, B. — Intorno allo sviluppo delle api nell' uovo. — (Atti dell'Accad. Gioenia di se. nat. di Catania Ser. Ili Voi. 18, 1884). 9. Heymons, R. — Die Embryonalentwickelung von Dermapteren und Orthopteren monographisch bearbeitet — (Jena, 1895). 10. KoRSCHELT E. und Heider K. — Lehrbuch der vergleichenden Entwi- cklungsgeschichte der wirbellosen Tiere — (Jena, 1891-1902). - 352 - 11. Rizzi, M. — Sullo sviluppo dell'uovo di Bombyx (Sericaria) mori L. nel primo mese dalla deposizione — Redia, Voi. Vili. Fi- renze, 1912). 12. RuFFiNi, A. — L'ameboidisiuo e la secrezione in rapporto con la formazione degli organi e con lo sviluppo delle forme esterne del corpo — (Anatora. Anzeiger Bd. XXXIII, 1908). 13. Schwangart, F. — Zur Entwickelungsgeschichte der Lepidopteren — (Biol. Centralblatt. XXV Bd. 1905). 14. Selvatico, S. — Sullo sviluppo embrionale dei bombicini — (An- nuario R. Stazione Bacologica di Padova Voi. IX, 1882). 15. Strindberg, H. — Embryologisclie Studien an Insekten — (Zeitschr. f. wissensch. Zoologie — Vol. 106, 1913). 16. — — Ueber die Bildung und Verwendung der Keimblätter bei Bombyx mori — (Zool. Anzeiger. XLV Bd. N. 13, 1915). 17. TiCHOMiROFF, A. — Ucber die Entwickelungsgeschichte des sei- denwurras. — (Zool. Anzeig. 2 Jahrg. 1879). 18. — — Sullo sviluppo embrionale del baco da seta (Bom- l)yx mori) (in russo) — (Labor, d. Mus. Zool. di Mosca, 1882). 19. — — Developpcment du ver ä soie du mùrier (B. mori) dans l'oeuf — (Laboratoire d'òtudes de la soie. Lyon — 1891). 20. Toyama, K. — Contributions to the study of Silk Worms. -■ (Bull, of the college of agricolture. Tokyo — Vol. V. 1902-903). 21. Vaney, C. e Conte, A. — L'apparition des initiales genitales chez le B. mori. — (Comptes Rendus Soc. Biologie I. 71, 1911). 353 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE. Microscopio Koritska — tubo accorciato — Camera lucida Abbreviazioni. a. = anteriore,. am. = amnio. bl p. = blastema periferico. blast. = blastomeri. bid. em. = blastoderma embrionale. bid. ex. =r blastoderma extraembrionale. blpo. := blastoporo c. int. = cellule intercalate. c. I. = cellule laterali. car. = cariocine.si d. = dorsale. ect. = ectoderma. ffr. sie. = gruppi di cellule concorrenti sierosa. a completare la m. V. = membrana vitellina. mes. == mesoderma (più esattamente: 0 meso-entoderma) foglietto inferiore nu. = nucleo. P- =r posteriore. par. = paraciti. pi: =^ protoplasma. scu. = scudetto embrionale. sef = secreto (V). sie. = sierosa. t. = tuorlo. V. := ventrale. Le flg. 1. -2, 3, 4 e 8 sono copiate coll'oculare 4 comp, e coli' obbiettivo 2, le altre coll'oculare 4 comp, e obiettiTO '/n i™™. omog. Fig. 1. — Uovo deposto da poche ore. Lo spessore del blastema perife- rico {bl. p.) è massimo verso il lato anteriore (a.) lungo il lato ventrale (w.) e quello posteriore (p.), minimo lungo il lato dorsale (d). Per trasparenza si vedono i primi blastomeri {blast.), di dimensioni disegnali. » 2. — Uovo in uno stadio un poco più avanzato. I blastomeri si ve- dono ancora per trasparenza, eccetto due (blast.) che sono già arrivati al blastema periferico, vicino all'estremità anteriore' Nel loro complesso danno luogo ad una superficie sferoi- dale, più vicina all'estremo anteriore che al posteriore. — 354 — Fig. 3. — Uovo in uno stadio ancora un po' più avanzato. I blastomeri giunti alla periferia rivestono la parte anteriore e quella di mezzo dell'uovo, la.sciaiido ancora scoperta la posteriore. Molti sono in divisione cariocinetica (car.). » 4. — Uovo in uno stadio più avanzato. Il blastoderma ne riveste la superficie quasi completamente. Lungo il lato ventrale i bla- stomeri sono più piccoli, che lungo il lato dorsale. Molti sono in divisione cariocinetica (p. es. quelli segnati car.) su tutta la superficie dell'uovo. » 5. — Alcuni blastomeri, ancora contenuti nel blastema centrale, nei primi momenti della segmentazione. Vari aspetti dei loro nuclei. Quello inferiore ha un nucleo assai più grande degli altri. » 6. Due blastomeri che si avvicinano al blastema periferico. Il nucleo si colora poco e uniformemente, si distìngue dal protoplasma perchè è circondato da un alone chiaro, forse in parte arti- ficiale. Il protoplasma in uno di essi forma una coda assai allungata. » 7. — Due blastomeri già entrati a far parte del blastema i)eriferi- co {bl. p.) il (jiiale è più den.so (più oscuro) verso la super- ficie esterna. » 8. — Uovo nello stesso stadio di quello della figura 4. K' rappre- sentato per far vedere la coincidenza perfetta che nel caso da me studiato si riscontra tra la generazione primaverile (fig. 4) e la generazione autunnale (figura S). T^-v. II. Le figure 9, 10, 11, 14 e 15 sono diseguale coll'ocularc 4 comp, e coH'obbicllivo ^, la fig. 12 coH'ocularc i cou)|). e robbicltÌYo, i, la fig. 13 coll'ocularc 1 e l'obbiettìTo 8. Fig. 9. — Uovo in uno stadio un poco più avanzato di quello rappre- sentato nella fig. 4. Nel blastoderma la zona embrionale (bid. em.) comincia a differenziarsi dalla zona extraembrio- nale (bid. ex.). Tra l'una e l'altra una parte del tuorlo resta senza rivestimento lilastodermico. Dal lato posteriore (p) al- cune cellule della zona extraembrionale si sono distaccate ed addossate alla membrana vitellina. Esse costituiscono il primo accenno della membrana sierosa (sie.). 10. — Stadio un po' più avanzato del precedente. E' più spiccata la differenza tra la zona embrionale e quella extraembrionale. La prima ha già assunta la forma di uno scxidetto (sen) che si prolunga quasi nello stesso modo sulle due faccie piane dell'uovo (questo non risulta dalla figura, ma si vedeva os- servando il preparato per trasparenza); ventralmente al mar- gine anteriore e a quello posteriore dello scudetto si stanno separando gruppi di cellule (gr. sie.) Dalla zona extraembrio- nale posteriormente si sono distaccate altre cellule che si sono addossate alla membrana vitellina, diventando piatte ed allargate ; le une e le altre vanno assumendo i caratteri delle cellule della sierosa (sie). -- 355 - Fig. 11. — Stadio ancora xin po' più avanzato. Lo scudetto germinativo si è impiccolito ed approfondato, mentre la sierosa si è in gran parte costituita. I gruppi di cellule Igr. sie.) si sono avvici- nati alla membrana vitellina; essi completeranno la sierosa • nel tratto in cui é ancora interrotta. Nel margine anteriore dell' embrione, lungo la linea mediana di esso, si sollevano alcune cellule, costituendo un accenno di piega die rappre- senta il principio dell'amnio {cun). > 12. — Sezione trasversale, presso a poco equidistante dagli estremi anteriore e posteriore di un uovo nello stadio rappresentato dalla fig. 11. Lo scudetto germinativo (scu.) nella parte me- diana è già costituito da cellule ciliudriclie, allungate; ai lati è formato ancora da cellule tondeggianti II passaggio dalle une alle altre è graduale. Nel tuorlo si trovano alcune cellule, probabilmente migrate dalla superficie e corrispon- denti ai paraciti di Heymons (par). Ancora non sono costi- tuite le cellule vitelline. Alcuni blastomeri sono sparsi per il tuorlo, il quale presenta granuli di dimensioni differenti, disposti in zone speciali. » 13. — Frammento di una sezione quasi mediana, di ini uovo presso a poco nello stadio di quello rappresentato dalla fig-. 11 . Agli estremi dello scudetto (.scu.) si vedono alcune delle cellule che si distaccano per completare la sierosa. Al di sotto dello strato esterno (blastoderma), si osserva una serie di blasto- meri tondeggianti {blast.) provenienti dal vitello, che si di- rebbe il principio del mesoderma, ma che scompare negli stadi successivi. In corrispondenza all' estremità anteriore (a) le cellule sono più allungate e più ristrette che verso l'estre- mità posteriore. » 14. — Segmentazione insolita. Il tuorlo è diviso in zollette irregolari comprendenti un numero variabile di nuclei. I blastomeri che daranno orig'ine all'embrione invece di essere regolar- mente disposti alla superficie, si trovano nell' interno, in apparente disordine. » 15. — Segmentazione insolita. Il tuorlo è diviso in un maggior nu- mero di zollette. I blastomeri che costituiranno l'embrione in alcuni tratti appaiono raccolti in nna massa epiteliale, ricurva e rivestita di una membrana (amnioY) T£»v. ni. Le fÌKiire Ifi e 17 sono disegnate coll'oculare 1 e coH'oliiellivo 5; le figure -0. 21 e 20 coll'oculurc l e Tübiettivo 8; Je altre coll'oculare 4 comp, e coli' obbiettivo 2. Fig. 16. — Frammento di sierosa, non colorita artificialmente, di un uovo nella prima giornata dalla deposizione (generazione prima- verile). Le cellule che corri.spondono alla zona marginale dell'uovo hanno i contorni nettamente delineati di color bruno, quelle corrispondenti alla parte centrale delle faccie piane, hanno i contorni ancora chiari. - 356 — Fig. 17. — Frammento di sierosa, non colorita artificialmente, di un uovo nella quinta giornata dalla df-posizione f'jeiierazioiie prima- verile!, rappresentato collo stesso ingrandimento della figura precedente. Le cellule sono diventate assai più piccole; sono molto diversamente pigmentale; le variazioni apparentemente non seguono alcuna regola. Alcune cellule molte chiare com- prese tra altre oscure, sembrano essersi intercalate tra le ])rime (e. int.). » 18. — Embrione isolato in uno stadio giovanissimo. L'estremità an- teriore è più ristretta della posteriore. » 19. — l'arte ventrale di uovo colorito in loto, in uno stadio poco più avanzato di quello rappresentato nella tig-. 11, visto al disotto della sierosa, che é già completa, ma poco pigmentata (rap- presentata solo nel contorno della figura). L' embrione non ha più forma di .scudetto, ma comincia ad apparire allun- gato. Isolato si presenterel)hc presso a poco come quello della tìg. 18. L'estremità anteriore è quasi tutta situata in uua delle facce piane dell' uovo ; la posteriore invece é quasi simmetricamente disposta rispetto al piano mediano, per questo non sembra, come è in realtà, più ampia dell'an- teriore, (nella figura si vede solo un'ai)parente assiiiietrìa, ma nel preparato o.sservato per trasparenza la cosa è eviden- tissima. Per etìetto ottico appare più scura la zona che cor- risponde alla curvatura). • 20-21 — Due sezioni trasversali successive, poco al disotto dell' espan- sione cefalica, di un embrione in uno .stadio presso a poco eguale a quello rappresentato nella fig. 18. E' scomparsa la serie di cellule che si vedeva negli stadi precedenti e sem- brava doversi interpretare come origine del mesoderma, o meglio, del foglietto inferiore (cfr. tìg. 13V, si segue invece la formazione di questo tial blastoderma. Nella fig. 20 ancora non vi è traccia di solco, ina la zona che costituirà il mesoderma è già nettamente delimitata dalle cellule laterali (e. l.) che hanno cambiato posizione; nella figura 21 le cellule della zona mesodermica, leggermente approfondate, hanno la forma un po' a clava, i nuclei disposti verso la parte più larga; al di sopra della parte assottigliata si vede un liquido, forse segregato da esse. (se. ?). » 22. — Sezione traversale nella parte più dilatata di un embrione in uno stadio presso a poco eguale a quello rappresentato nella fig. 18. Nel blastoderma si vedono intercalale cellule più gran- di delle altre, ad un livello un poco più basso. Corrispon- dono a quelle che da altri autori furono interpretate come cellule genitali, ma non si distinguono più negli stadi suc- cessivi. — 357 — Fig. 23. — Parte di im novo colorito in toto, in uno stadio un pò più avan- zato di quello rappresentato nella fig. 18, per mostrare la posizione dell'embrione, situato qiiasi esclusivamente su una delle due facce piane dell'uovo. Due linee longitudinali quasi parallele (oscure), che percorrono 1' embrione per il lungo, rappresentano le cellule laterali, che delimitano la zona da cui si origina il me.soderma. 24. — Stadio un poco più avanzato di quello della figura precedente. L'e- stremità anteriore é poco sollevata rispetto al lato ventrale, la posteriore s'innalza molto di più. > 25. — Embrione isolato in uno stadio presso a poco corrispondente a quello della flg. 24. L'estremità posteriore è ancora più ampia dell'anteriore e profondamente ripiegata verso l'interno. Il mesoderma {mes) è già delimitato nella parte anteriore e in quella di mezzo, non ancora in quella posteriore. > 26. — Sezione trasversale di un embrione in uno stadio presso a poco corrispondente a quello rappresentato nella fig. 25, condotta poco al disotto del limite inferiore del mesoderma. Nel bla- stoderma si notano due strati di cellule; quello più interno ha i nuclei pallidissimi; non si vedono più le cellule di di- mensioni maggiori che si riscontravano in stadi più giovani (cfr. flg. 22). Tcnv. l'V. Le figure 27, 2S o 29 sono disegnate coll'oculare i comp, e coll"obiettivo ■!, le altre coll'oculare 8 comp. e coir obiettivo 1. Fig. 27. — Uovo colorito in toto nella seconda giornata dalla deposizione (generazione primaverile) per mostrare la posizione dell'em- brione e l'allungamento della parte posteriore. > 28. — Embrione isolato, visto dalla faccia dorsale, in uno stadio presso a poco corrispondente a quello rappresentato nella flguraprecedente.il mesoderma in mezzo e anteriormente è già distinto in metameri, posteriormente si vedono le due linee lon- gitudinali che negli stadi precedenti percorrevano l'embrione in tutta la lunghezza (cfr. fig. 23). Il cosidetto blastoporo (blpo.) ha la forma di una fossa romboidale. » 29. ^ Embrione isolato, visto dalla faccia ventrale, nella quarta gior- nata dalla deposizione (generazione primaverile). Le piastri- ne mesodermiche imes.) sono diverse per forma e dimensioni. Nell'ultimo tratto non sono ben delimitate. (Sono state richia- mate solo quelle anteriori). .30-32 — Serie di sezioni trasversali di un embrione presso a poco nello stesso stadio di quello rappresentato nella figura 28. > .30. — Sezione nell'estremità cefalica in corrispondenza al punto in cui il solco (cosidetto blastoporo) è più dilatato. Il mesoderma è nettamente differenziato. — 358 — Fig'. 'M. — Sezione, un poco posteriore alla precedente. Si distingue la zona che formerà il mesoderma, limitata dalle cellule late- rali, (e. L). ' 32. Suzione quasi equidistante dagli estremi. Il mesoderma è già (liffiircnziato. Al di sopra resta un solco formato dalla riu- nione dei lembi distaccatisi. » 33. — Sezione in corrispondenza alla parto posteriore. Si vede il solco molto ampio; la zona mesodermica è limitata dalle cel- lule laterali. » 31-36 — Parti di sezioni trasversali di un embrione in corrispondenza all'estremità cefalica per mostrare la formazione dell'amnio. » 34. — Nella zona mediana ventrale va producendosi la trasformazione delle cellule del margine anteriore dell' embrione in cellule amniotiche. » 35. — Sezione posteriore alla precedente; continua la formazione dell'amnio; (jui le cellule amniotiche sono già più larghe che nella fig. precedente, ma ancora globose. » 36. — Altra sezione dello stesso embrione. Le cellule globose ai tra- sformano in cellule appiattite. Boll. Lut>. ZooL R. Se. /Iff,: PoHia. Ih/.. i'///. Im/ .-l'-'-A. ■pr G.'^^onti disegno ßoU.LiibZooL H.Sc. Agr. Porüd. lö/.A'UJ. Tml mX: Jf* ^V^^ ^ 10. '<'m ^l*Xv H^^"-^-' ■Bau* .C' :•/•'.' *-•••• - / /?. su; ^^* ^ • blast' ■ ^^ sc»» • ■rit /y. 91." •»,-•• »»■ ' ocsrSi V. ■0' M '^, I.J. / G.^ionll disrijiio 4 ßoll.Lab.2ooi.R.Sc. Ayr. Pollici. loLVm. J6 V 1-: // w M' ya^:l^ 19 am, "^MTA'^ 1 5*/ « 9 I »V. 22 ì - -aJn y^ <» • ""^ ^ • ■^ • ■ Si «? 4« »«*. /. ' G e»,' i-* > Z^^Hi -i 0 ;-l|j *•• ^^ , (liMonli disegno .^Cft/NI t ■' --t*fi:V BoU.lab.Zool.li.Sc.Ag,:Po,lJa:loJ.A'lJ/. /àK/C '\5 V bijio. .. |f -f/9 ^es • ^ ^■#^-. ;ol. ^^ " "«»1- - eoi _ @&9 -a*- (ifionii diseqno INDICE DEL VOL. XIII. \ . 1. Bezzi, M. — Una nuova specie brasiliana del genere Anastrepha (Dipt.) (20 Marzo 1919) (1) . . Pag. 3 2. FoÀ, A. — Confronto tra i primi stadi evolutivi del baco da seta nelle uova a schiusura normale e in quelle a scliiusura estemporanea per l'azione dell'elet- tricità (1 Giugno 1919) (2) » 57 3. FoÀ, A. — Osservazioni sullo sviluppo del baco da seta tino alla formazione della stria germinativa (1 Di- cembre 1919) (2) » 317 4. Grandi, G. — Contributo alla conoscenza degli Agao- nini {Hymenoptera, Chalcididae) dell' America. Agaonini di Costarica (26 Maggio 1919) . . » 15 5. Martelli, G. — Contributo alla conoscenza della vita e dei costumi delle Arvicole in Puglia (4 Settem- bre 1919) » 193 (j. Silvestri, F. — Contribuzioni alla conoscenza degli insetti dannosi e dei loro simbionti. IV. La Coc- ciniglia del Prugno (Sphaerolecanium prunastri Fonsc.) (12 Dicembre 1919) » 70 Silvestri, F. — Contribuzioni alla conoscenza degli insetti dannosi e dei loro simbionti. V. La Cocci- niglia del Nocciuolo {Eulecanium coryli L.) (21 Di- cembre 1919) (3) » 127 (1) La data qui posta e presso i titoli seguenti, è quella in cui fu pub- blicata, come estratto, la memoria relativa. (2) Questa memoria fu anche pubblicata nel voi. Ili dei Rendiconti del- l'Istituto bacologico della R. Scuola Superiore d'Agricoltura in Portici. (3) Questa memoria fu anche pubblicata nel voi. XV degli Annali della R. Scuola Superiore d'Agricoltura in Portici. ^^aX> c^(a'f-<ùrcx i >i' i^\- I 1^ "» - ' * >) > J 7 ^ l'i s \fgS^ 5 5j ^ «x; 1 7 1 Tc/ :"^ : ^ i 1 ,<1BB«| |g ^"■^ '^^^^■■iBI ^■■■wbS ^V 'I^^HMB^ •i ^« ■4P ^^^^m^ ^B VHHI^I '> >'% 1 SrhS n L 'Ì49 V^f*!'^ -'M S==^i SMITHSONIAN INSTrTUTON LIBnARIES III nil III' iiiiiiiiii |||i|ii ii|| ||i{ III III 3 9088 01266 9305 i » r - \\\