141 jita HTD i PIL gr ch n to, ISIDE (ILL a 34 FTA stadi FARI futa » I. Miei TRA by pot fe dl Le Atei ara FRpISAEh, 439) n Etbri Vi IUTALr LUINISWTE RAI MIEI Pb BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ ADRIATICA DI 5SCIENZE. NATURALI IN TRIESTE EGRETARIO REDATTO AUGUSTO VIERTHALER. VOLUME TERZO. INDICE. Notizie interne : Bollettino SITR Errata-corrige . ì Prof. A. Vierihalèr - _ Timperi dell igiene dina ne lito! rale austriaco Idem Alfa od Esparto : Idem Ricerche chimiche sui calcari del tate ritito di Trikbte È Weyprecht — Ueber die Hòhe der Nordlichter x Prof. M. Dr. Stenta — Problemi e progetti dell’ Africa . Dr. €. Marchesetti — Sur un caso di Micosi è Dr. Alessandro Goracuchi — Le Bocche di Cattaro . Notizie interne 6 Bollettino bibliografico ; 4 ; Prof. A. Vierthaler — a i ni acque {SARAI da terreni del Carso . M. Stossich — Sulla Geologia e Zoologia dll di Polagosi Dr. €. Liebmann — Descrizione di un mostro “dipige, vivente Prof. Fr. Dr. Fridrich — Cenni sulla storia del Radiometro . M. Stossich — Trasformazione della vescica germinativa e sua im- portanza nella segmentazione del tuorlo . Prof. A_Vierthaler —- Fermentazioni . Prof. G. Dal Sie — Della materia grassa o sego di Biney $ Prof. A. Vierthaler — Una varietà di “Boghead, dell'Istria . Attilio Hortis — Accenni alle scienze naturali nelle opere di Giovanni Boccacci e più particolarmente del libro de Montibus Silvis ecc. " Idem Indice di alcuni autori cooRoati dal ‘pstiaciio per compilare il libro de Montibus ecc. Idem Di alcuni codici del libro de Montibus ece.. , Idem Di una versione latina del libro Mepì Qavpastwy ’Axov- opatwy, attribuita a Giovanni Boccacci pag. 101 151 155 168 184 193 198 212 230 274 288 289 350 403 406 Dr. €. Marchesetti — Note intorno ad una fanciulla della tribù degli Acca . G. Bolle e Felice de Thiimen — Son allo, studio PI funghi del Litorale : Prof. Paugger — Ueber telegraphische Wedbilezichte und gi Witterungskarten . Dr. Domenico Lovisato — Di ata azze, apo SETT, e ciottoli dell’epoca della pietra, trovati nella provincia di Catanzaro M. Stossich — Escursione Volante du ita Risniak in rr C. Dr. Marchesetti — Alcune mostruosità della flora illirica . J. 0. Morch — Studi sulla Cartografia dell’ Africa . Prof. A. Vierthaler — Analisi della Pelagosite . M. Stossich — Rivista Zoologica neo Notizie, interne” li... a Bollettino bibliografico pag. 408 425 467 475 506 914 018 029 o81 535 001 — II — SEDUTA DIREZIONALE della sera 19 Gennaio. PRESENTI i sigg: Presidente Muzio Comm, de Tommasini, il V. P. Dr. A. Cav. de Goracuchi, il Segretario Prof. Augusto Vierthaler, i Direttori: Dr. B. Biasoletto, Dr. V. Farolfi, Prof. F. Friedrich, Prof. Dr. M. Stenta, Prof. A. Stossich. G. C. Bottura, Attuario. Dall’ on. Presidente dichiarata aperta la seduta, il Segretario prende la parola per dar ragguaglio della visita di omaggio dalla Presidenza sociale fatta al Magnifico sig. Podestà Comm. Massimiliano Dr. d’ Angeli, per l’avvenuta rielezione di lui al seggio podestarile di Trieste. Il Magnifico sig. Podestà, mentre accoglieva coi modi più cortesi l’o- maggio che la Presidenza prestavagli per sè ed a nome dell'intera Società, compiacevasi assicurarla di tutto il suo appoggio, anelando egli alla prosperità ed al massimo incremento possibile di essa. Il relatore medesimo notificava i nomi dei nuovi socî aggregativi al principiar dell’anno novello, î quali sono i sigg. Maestro Giovanni Pettener, Cav. Antonio Dr. de Tommasini e Dr. Antonio Vidacovich. Prelegge poscia una Nota dell’inclita Giunta provinciale istriana, colla quale questa domanda di essere aggregata alla Società. Tutto ciò è preso per grata notizia. Lo stesso partecipa uno Sguardo storico sull'origine della terra e del- luomo, Cenni cosmografici ed antropologici dell’ autore, sig. Alberto Castiglioni, pervenuti alla Presidenza. Fattine i giusti apprezzamenti, l'elaborato si passa agli atti. Viene sottoposta all’ ispezione dei presenti una tavola litografata, for- mulata dal sig. Dr. Gilbert di Parigi, e dallo stesso quivi spedita, mercè la quale si avrebbe un sistema autentico dei calcoli fisico-chimici. SLI Il Prof. Vierthaler presenta l’ Alfa, una graminacea offerente in abbon- danza una materia tessile. Esaurito così il programma, la seduta è levata. Seduta della sera 26 Febbraio. Presidente: il Comm. Muzio de Tommasini. Dichiarata aperta la seduta, il Segretario dà lettura del P. V. della seduta precedente che viene unanimemente approvato. Alla domanda con cui il sig. Gilbert accompagna copia della sua Carta rappresentante un sistema autentico dei calcoli fisico-chimici, il Segretario osserva che la Società, non conferendo diplomi o premî, non può che essere grata dell’ offerta fattale nella detta carta, già pubblicata altrove. Il socio Direttore sig. Dr. Marchesetti propone a socî i sigg. Stranski Francesco Janny Giuseppe e Cav. Luciani Giuseppe. Il Presidente comunica come dai verbali delle sedute municipali apparisca avere l’inclito Municipio stanziata la somma di 500 fior. per i restauri da praticarsi per rendere accessibile la grotta di Trebich. Si stabilisce che appena si avrà direttamente la comunicazione di ciò, il Segretario si rivolga, a nome della Società, alla Direzione dell’i. x. miniera d'Idria per ottenere la concessione di un tecnico per consultazioni in proposito. Si passa quindi a stabilire l’ordine delle letture da tenersi. prossima- mente, cioè: per la sera 12 Marzo il V. P. Cav. Aless. Dr, de Goracuchi; P 26 id. he; 9 Aprile il sig. Capitano C. Weyprecht; } 207.5 » Prof. M. Dr. Stenta; 5 7 Maggio , Prof. Ad. Stossich; o 28 s Prof. A. Vierthaler; Ei 11 Giugno , Prof. F. Dr. Friedrich; 5 Dart, >, Prof. M. Dr. Stenta; * 9 Luglio , Prof. A. Vierthaler. TARE >. soon Seduta del 12 Marzo alle ore $ di sera. Presidente: il Comm. Muzio de Tommasini. Dopo che il Presidente dichiarò aperta la seduta, il Segretario prende la parola per annunciare i nomi di due nuovi socî, cioè: i sigg. Gustavo Suschnig, Giorgio Polli, proposti dal Prof. Vierthaler. Indi il V. P. sig. Cav. Aless. Dr. de Goracuchi prelegge la prima parte della sua monografia : Sulle Bocche di Cattaro. Seduta della sera 26 Marzo. Presiede: il Comm. Muzio de Tommasini. Il Segretario propone la nomina dei sigg. Dr. Paolo Quarantotto e Luigi Glàzer chimico-farmacista, dietro insinuazione del socio Dr. G. Seunig, e il Dr. Pardo dietro insinuazione del Vice-presidente Dr. Goracuchi. La Direzione conferma la nomina. Il Segretario comunica di volersi mettere in rapporto di cambio con quelle Società più cospicue cui non fu per anco fatta richiesta. La Direzione approva. Indi il Segretario comunica i documenti che seguono: Donazione di fior. 500 dall’inclito Municipio. Ringraziamento dell’ Associazione tipografica. Invito al Congresso internazionale dei Botanici in Amsterdam. Il Dr. de Marchesetti dà comunicazione di uno strano sviluppo parassi- tico, osservato sopra un Cyprinus. Il Prof. A., Vierthaler presenta uno studio analitico delle acque principali del Carso. Il Dr. Cav. A. de Goracuchi termina la lettura sulle Bocche di Cattaro. de Seduta del 9 Aprile. Presidente: il Comm. Muzio de Tommasini. Il Segretario propone la nomina del sig. Antonio Cecon, Vice-presidente della Società agraria istriana, dietro insinuazione del socio sig. Tromba. Il Dr. Marchesetti presenta una grande stalattite della grotta di Greble, dalla Commissione per l’imboscamento del Carso pervenuta ai sigg. Dr. Bart. Biasoletto e Pavani che l’ offrono in dono alla Società. Il sig. Dr. Carlo de Marchesetti parla della recente scoperta della grotta suddetta, e poscia : il sig. Capitano Carlo Weyprecht ragiona: Ueber die Hòhe der Nordlichter. Il Segretario comunica un manoscritto del socio, il Direttore G. Bolle di Gorizia: è funghi del litorale. Seduta del 23 Aprile. Presidente : il Comm. Muzio de Tommasini. Il Segretario propone dietro insinuazione del Dr. Marchesetti la nomina dei signori: Benedetto Dr. Banelli, Adolfo Dr. Binder, Guglielmo Dr. Perco, Augusto Dr. Hausenbiichler. Il relatore medesimo notifica che il cambio di stampati è stato accettato ancora dalle seguenti Società: Chicago, Academy of sciences. Gazzetta botanica di Klausenburg. Società toscana di scienze naturali in Pisa. Commissào central Permanente de Geographia a Lisboa. Naturforschende Gesellschaft zu Leipzig. Société d’études scientifiques de Lyon. Académie Royale des sciences, lettres et Beaux Arts de Belgique à Bruxelles. Société Murithienne du Valais è Aigle. Società di Naturalisti in Modena. Museo Civico di Storia naturale a Genova. — VI — Société des sciences de Finland in Helsingfors. R. Accademia dei Lincei a Roma. Verein fiir Naturkunde in Fulda. Institut Grand Duc. de Luxembourg. Société de Géographie è Paris. Verein fir Naturkunde zu Zwickau. Verein fir vaterlindische Naturkunde zu Stuttgart. Naturwissenschaftlicher Verein zu Karlsruhe. Gesellschaft fiur Beforderung der Naturwissenschaften zu Freiburg im Br. Kaiserliche Gesellschaft der Naturforscher in Moskau. Société Géologique de Belgique à Liège. Société Linnéenne du Nord de la France à Amiens. Konigl. bohmische Gesellschaft der Wissenschaften in Prag. Indi il sig. Dr. Marchesetti presenta una ragazza pigmea degli Acca. Il Prof. Vierthaler presenta ,Saggi analitici intorno il calcare del terri- torio di Trieste.“ { Il Prof. Dr. Stenta prelegge la sua monografia: ,Problemi e progetti dell’ Africa.“ T_T EFg_. .°. ‘410 STE SPA 03 I PIRO NETTE STE EDS Imateria..onganica o... il li Lila carbonato di magnesia . . . 106 carbonato di calce... . . 91-64 fosfalocdilealeoi ila — ossido ferrico ed allumina . . 1’67 99-03 6. Un calcare nero da Comen con residui di pesci mi diede in 100 parti: SI goguasislmtà Sed vitara 4/80 ciliegi meo Mesini i Genie Den materia organica ». . .: ib io 1691 carbonato di magnesia . . . 073 Gatbonato "di ‘calce’. >. ©. *. Manara [ostato di ealeo”: 0. Suite E ossido ferrico ed allumina . . 0:92 98-75 7. Un calcare nero e bituminoso proveniente dalla località fra Corniale e San Canziano conteneva in 100 parti: RIEQUA: 1 silice TRE O VI: . 0-09 bitume ed altra sostanza organica 0:39 carbonato di magnesia . . . . 1.79 Garbonato di calce... + . dl. «1093148 fosfato «di calce. eius ossido ferrico ed allumina —. . 1-19 98:95 La tavola seguente riassume i risultati: CALCARE IS) ' DE © I (3) £ ' er 3 («b) = SIRO = ECO SEE 2a è | S| BR| £& | 88 285332688 Da Ba | #9 s ore ae a |A 2 3 17) 4! ano ti Eu | 7, n Contenuto in 100 parti 1:90| 410| 480| 2:01 Acqua 1-:01| 2-15| 2-60 Silice 0:07 | 0:60] 0:02] 0:21| 0:29) 0:47] 0:09 Materia organica 0-24; 0:12| 0:49] 0*36|] 0:27] 1-91) 0°39 Carbonato di magnesia 0:75| 1-11| 1*10| 0:90| 1°06| 073] 1:79 Carbonato di calce 97:06 | 94:24| 95.16| 94:77 | 91:64] 89:78] 93-48 Fosfato di calce 0:09 |: 0:24| O:11| 0:13] — 014| — | Ossido ferrico ed a — |traccie|traccie| 0-:59| 1:67] 0:92] 1619 SLI a I primi quattro calcari tolti entro un limitato circondario presentano — se eccettiamo il nodulo ippuritico — una costi- tuzione chimica che si potrebbe dire identica, e il contenuto di fosfato di calce rende vieppiù evidente la provenienza da orga- nismi animali. Prof. Aug. Vierthaler. n La Ueber die Hohe der Nordlichter. *) Bruchstiick aus der Bearbeitung der Nordlichtbeobachtungen der Osterreichisch-ungarischen Polar-Expedition. Zwischen den Nordlichtern, welche in sidlichen Breiten und jenen, welche in ibrer eigentlichen Heimat, den hohen Breiten beobachtet werden, besteht ein grosser Unterschied, der aber viel- leicht nicht so sehr in der gròsseren Intensitàt, in der verinderten Form und dem stets ausgeprigteren Charakter der letzteren liegt, als darin, dass diese in den weitaus iberwiegenden Fallen in viel geringerer Héhe iber der Erde stattzufinden scheinen. Wir haben Nordlichter beobachtet, welche auf den Beobachter den Eindruck machten, als stùnden sie zum Greifen nahe. Die Hauptursache dieses Eindruckes beruht allerdings auf der vergròs- serten Intensitàt der Erscheinung, denn der Beobachter wird fast immer diejenigen Nordlichter als ihm am nichsten stehend halten, welche die intensivsten sind. Allein in den meisten Fallen ist es nicht allein die Intensitàt des Lichtes, welche den Eindruck der geringeren Entfernung hervor- ruft, sondern auch die Umschriebenheit der Form jeder einzelnen Untererscheinung, die Scharfheit der Contouren und die Raschheit der Bewegung. *) L’oratore presentando un frammento sulle sue osservazioni sopra l'aurora boreale nella spedizione austro-ungarica, conchiude da una serie d’in- teressantissime argomentazioni che le contrade in cui normalmente apparisce sì osserva in un'altezza molto minore di quella che non generalmente si attri- buisce; che però avvicinandosi più e più al sud l'altezza della luce boreale sensibilmente si aumenta. SEI I Wenn sich, wie wir òfters beobachtet haben, ein Band, das scheinbar weit in der Ferne ganz niedrig iber dem Horizonte stand, in wenigen Minuten bis zum Zenith hebt und nach kurzer, hòchst intensiver Kronenbildung nach der entgegengesetzten Seite des Firmamentes ibergeht, so sind wir wohl berechtigt, dieses Band, fiir niedriger in der Atmosphîre stehend zu halten, als einen Bogen, der mit halb verschwommenen Rindern in kaum bemerkbarer Be- wegung den Zenith ùberschreitet, ohne Krone zu bilden. Ebenso. berechtigt sind wir zu schliessen, dass jene kurzen Strahlen mit blitzartiger Bewegung, welche in ersterem Falle aus dem Bande emporschiessen, wenn es noch viele Grade vom Zenith entfernt steht, und welche hier und da in Theilen von Secunden welte Strecken durchlaufen, nicht in jenen enormen Entfernungen auftreten, welche aus directen Messungen der Nordlichter in gerin- geren Breiten hervorgehen. Geradeso wie wir im Standè sind, aus dem blossen Eindrucke von dem Blitze des Wetterleuchtens auf die gròssere Entfernung gegeniber dem Blitze des Gewitters ilber unseren Hauptern zu schliessen, und wiederum nach dem Eindrucke des letzteren einen Unterschied zu machen zwischen dem hoch stehenden Gewitter und Jenem, bei welchem die mit Elektricitàt geladenen Wolken in ganz geringer Hohe uber der Erde hinstreichen — ebenso kénnen wir nicht umhin, dem Eindruck auf das Auge auch bei den Nordlich- tern eine gewisse Berechtigung zuzugestehen. Dieselbe kann sich natirlicher Weise nicht auf die absolute Hohe erstrecken, allein ein Vergleich zwischen den verschiedenen Erscheinungen dirfte doch wohl erlaubt sein. Capitàn Lefroy, der sich Riu Zeit mit magnetischen Beobachtungen im nòrdlichen Amerika beschàftigte, ein an scharfe, exacte Beobachtungen gewòhnter, hòchst grindlicher Reisender, sagt hierùber: ,lch ergreife diese Gelegenheit, um festzustellen, dass in vielen Fallen der auf die Sinne gemachte Eindruck durchaus nicht ein solcher war, als sei der Sitz der Erscheinung so entfernt, wie dies in geringeren Breiten der Fall zu sein scheint. Wer viel in gebirgigen Gegenden gereist ist, muss hàufig den Zug der Wolken in geringer Héohe iber sich beobachtet und dabei bemerkt haben, wie man ohne die Hilfe eines Vergleiches mit benachbarten Berg- spitzen oder Felsen durch die Art der Bewegung derselben, durch das greifbare Ausbreiten der Dunstmassen, und durch die Genauig- keit, mit welcher jedes Detail in der Form unterschieden werden ui kann, einen iberzeugenden Beweis von ihrer Nahe erhàlt. Genau der gleichen Art ist der Eindruck der gròsseren Nahe, den das Nordlicht in hohen Breiten auf die Sinne des Beohachters hervor- ruft. Der allgemeinen Ansicht derjenigen, welche die Erscheinung unaufhòrlich beobachtet haben, muss doch einiges Gewicht bei- gelegt werden.“ Ich habe die Discussion der magnetischen Beobachtungen bei Lake Athabaska und Frt. Simpson durch Capitàn Lefroy erst nach der Riickkehr von unserer Reise in die Hinde bekommen und erst nachtriglich gesehen, dass meine durch die Beobachtung von so vielen Nordlichtern jeglicher Form und Intensitàt gewonnenen Ansichten sich in vollkommener Uebereinstimmung mit dem An- gefiihrten befinden. Geht man die Berichte und Beobachtungen der wissenschaft- lichen Reisenden durch, die den Giirtel gròsster Intensitàt der Nordlichter durchschnitten oder sich lingere Zeit unter dem- selben aufgehalten haben, so wird man in allen — und zwar aus- nahmslos — die Tendenz finden, die enormen Hohen, welche die Rechnungen in geringeren Breiten ergeben, fiir héhere Breiten zu bezweifeln. Lefroy, Parry, Ross, Framklin, Richardson, Hood, Back u. A. m. weisen Alle darauf hin, dass die Erscheinung in nicht allzugrosser Entfernung vom Beobachter stattfindet. Alle diese Reisenden sind aber Manner, welche an exacte Beobachtungen mit genauen Instrumenten gewòhnt waren, und die sich sicher nicht zu oberflichlichen Schliissen verleiten liessen. Als entscheidender Beweis kann allerdings nur die Messung dienen, allein in Ermangelung derselben fallt doch die Ueberzeugung, die so viele sorgfàltige Beobachter durch den immer wiederholten Kindruck auf die Sinne erhielten, schwer in die Wagschale. Wir besitzen ibrigens auch manche directe iltere und neuere Messungen, die auf eine geringe Erhebung des Nordlichtes uber der Erdoberfiiche in jenen Gegenden schliessen lassen. Die bekann- teste ist die Beohbachtung von Parry auf seiner dritten Reise, die er mit den folgenden Worten mit aller Bestimmtheit erzahlt: » Wihrend ich mit den heiden Lieutenants Sherrer und Ross die ausserordentliche Schònheit der Erscheinung bewunderte, stiessen wir gleichzeitig alle drei einen Ausruf des Erstaunens aus, als wir plòtzlich einen breiten Nordlichtstrahl von der allgemeinen Licht- masse zwischen uns und das Land herabstirzen sahen. Das letztere war etwa 3000 Yards entfernt. Hitte ich diese Erscheinung allein Pepi gesehen, so wire ich geneigt gewesen, meinen eigenen Sinnen zu misstrauen, allein da sie allen drei Beobachtern, die in demselben Augenblicke aufmerksam nach jener Gegend hinblickten, gleichzeitig den gleichen Eindruck machte, so kann ich nicht hezweifeln, dass der Lichtstrahl wirklich innerhalb dieser Entfernung von uns niederging. “ Fine ahnliche Erscheinung, von einem glaubwiirdigen Beob- achter gesehen, fiihrt Lefroy in seinem zweiten Rapporte an, und Professor Farquarson rechnete die Héhe eines Nordlichtes in Schottland aus der Beobachtung der Parallaxe an einer gemessenen Basis gleich ungefàhr eine achtel Meile. Sir John Foss behauptet in der Beschreibung seiner Reise 1829—33, dass das Nordlicht im Herbste 1818 verschiedene Male zwischen den beiden Schiffen und auch zwischen den Schiffen und Eisbergen gesehen worden sei. Die Verlàsslichkeit dieser Beobachtungen ist von vielen Seiten angezweifelt worden, obwohl wenigstens diejenige von Parry ausser allem Zweifel zu stehen scheint. Vor kurzer Zeit hatte ich Gelegenheit, mit Prof. Laube zu sprechen, der sich unter der Mannschaft der Hansa wahrend der abenteuervollen Drift auf einer Eisscholle lings der Ostkiiste von Groònland befand. Er erzàhlte mir, dass er eines Abends, als er mit Capitàn ZHegemann wahrend eines sehr intensiven Nordlichtes auf der Scholle spazieren ging, in die Hòhe gesprungen sei, weil er den Eindruck gehabt habe, dass er das Nordlicht erhaschen kònne und dass ihn Capitàn Hegemann darùber herzlich ausgelacht habe. Dies ist wohl nicht wòortlich zu nehmen, allein es illustrirt den Eindruck, welchen die Erscheinung in jenen Gegenden auf die Sinne des Beobachters hervorzurufen vermag. Ausser diesen directen Beobachtungen sprechen aber auch indirecte dafiir, dass die Nordlichterscheinungen in hohen Breiten innerhalb der Grenzen stattfinden, welche fiir mittlere Breiten als 4usserstes Minimum angenommen werden. Es kommt nàmlich sehr haufig vor, dass das Nordlicht zu einer Zeit beobachtet wird, wo die Sonne so niedrig unter dem Horizonte steht, dass die Erschei- nung im Bereiche der directen Sonnenstrahlen stehen miisste, wenn sie eine gewisse Hohe itberschritten hitte. Zwar lasst sich die Mòglichkeit nicht ableugnen, dass ein Nordlicht zu so bedeutender Lichtintensitàt gelangt, um in vollem Sonnenlichte gesehen werden zu konnen. LI Capitàn Lefroy gibt z. B. an, dass am 29. September und 2. October 1851 das Nordlicht in Toronto ,unzweifelhaft“ bei voller Tagesbeleuchtung gesehen worden ist. Er gibt jedoch keine Detail- beschreibung, aus welcher ersichtlich ware, ob wirkliches Licht oder nur Dunstbewegung beobachtet wurde, und hierin liegt ein grosser Unterschied. Wir haben wòhrend der zweijàhrigen Beobachtungen kein Nordlicht bei Tag oder bei so starker Dàmmerung beobachten kònnen, dass dieselbe nahezu der Tageshelle gleichkam. Wir haben jedoch — wie weiter unten gezeigt werden wird — dfters Dunst- erscheinungen und Wolkenformationen gesehen, welche sowohl nach Form, als nach Bewegung tàuschend Nordlichtern glichen. Niemals waren wir aber im Stande, bei Tageshelle Lichtentwickelung bei derartigen Vorgingen zu beobachten. Wenn es erlaubt ist, aus den Beschreibungen einen Vergleich zwischen den von uns und den von anderen arktischen Reisenden beobachteten Nordlichtern zu ziehen, so erscheint es, als seien wir in einer Gegend sehr bedeutender Intensitàt gewesen. Wenn wir trotzdem nie Gelegenheit hatten, Nordlicht im Bereiche der Sonne zu beobachten, so dirfte der hieraus gezogene Schluss wohl be- rechtigt sein, dass ein solches Vorkommen zum Mindesten sehr selten ist. Es liegen aber nicht allein von uns, sondern auch von anderen Orten viele Beobachtungen vor, nach welchen das Nordlicht deutlich und unzweifelhaft mit Lichtentwickelung gesehen wurde, zu Stunden, wo es im Bereiche der Sonnenstrahlen gestanden haben miisste, wenn es in einer gròsseren Entfernung, als 10 geographische Meilen von der Oberfliche der Erde stattgefunden hatte. Leider sind die in unseren meteorologischen Journalen ent- haltenen Nordlichtbeobachtungen nur das kurze Resumé der wahrenu der Wache des betreffenden Beobachters gesehenen Nordlichter, ohne genaue Zeitangabe. Die Hòhe der Sonne unter dem Horizonte lisst sich also aus diesen nur in ganz vereinzelten Fàllen mit ge- nigender Genauigkeit rechnen. 11. September 1872. Um 10 Uhr p. m. im SW ein hand- formiges Nordlicht, das sich gegen NO hob, weisslich, bisweilen mit prismatischen Farben. Um 10 Uhr 15 M. gròsste Intensitàt, um 10 Uhr 20 M. verschwunden. Hohe 0 = —6° 48‘, fiusserste Grenzen der Sonnenstrahlen im Zenith = 6-1 Meilen. Breite = 76° 35° = 26. September 1872. Von 8 Uhr angefangen Nordlichter in allen Quadranten. Hohe 0= —8°20/, iusserste Grenzen der Sonnen- strahlen im Zenith = 9-2 Meilen. Breite = 76° 36% 18. Màrz 1874. Fiir 8 Uhr ist im magnetischen Journale ein- getragen: Ein wegen der starken Dimmeruug kaum sichtbares Band, O-W durch den Zenith, verschwindet rasch. Um $ Uhr 10 M. bildet sich von Ost ausgehend ein schwaches Band iiber dem Siidhorizonte. Diese Beobachtung wurde vor dem Eintreten in das magnetische Observatorium gemacht, und da wir die Gewohnheit hatten, uns eine viertel Stunde vor Beginn der Stunde zu den Instrumenten zu begeben, so habe ich als Beobachtungs-Zeit 7 Uhr 50 M. ange- nommen! Hohe 0 = —6° 47‘, iusserste Grenzen der Sonnen- strahlen im Zenith = 6-0 Meilen Breite = 79° 51‘. Am 22. Màrz 1874. Um 11 Uhr blassgelbe Strahlenbùschel im SW, dann orangefarbene Krone, welche sich zu einem breiten Bande 0-W durch den Zenith zusammenzieht. Prismatische Farben und rapide Lichthewegung, verblasst plòtzlich gegen 12 Uhr. Hohe 0 = —80 574 ausserste Grenze der Sonnenstrahlen im Zenith = 10:6 Meilen. Am 23. Màrz 1874. Um 11'/ Uhr ein Strahlenbùschel im SO, welches sich zu einem breiten Bande ausbildet, das sich mehrmals mit grosser Raschheit gegen Ost bewegt und dann ver- schwindet. Hohe 0 = —8° 34’ fiusserste Grenzen der Sonnen- strablen im Zenith = 9:7 Meilen. Am 24. Mirz 1874. Um 11', Uhr durch eine Viertelstunde die gleiche Nordlichterscheinung wie gestern. Lebhafte Licht- und Strahlenbewegung im Zenith, prismatische Farben. Um 115/ Uhr Alles verschwunden. Hòhe 0 = —8° 10‘, àausserste Grenze der Sonnenstrahlen im Zenith = 8-8 Meilen. Wîre das eigentliche Nordlichtjournal nicht an Bord zuriick- geblieben, so liessen sich weit mehr und warscheinlich auch weit eclatantere Falle angeben. Leider umfassen die magnetischen Jour- nale, welche genaue Nordlichtbeobachtungen mit genauen Zeitan- gaben enthalten, einen zu kurzen Zeitraum, im Ganzen nur 294 Beobachtungsstunden. Von diesen entfallen etwa 100 auf volle Tagesstunden und nahezu ebenso viel auf dicht bewòlkten Himmel. Ausserdem entfàllt ein Theil auf die Zeit, wo die Sonne auch in der oberen Culmination uber 10° unter dem Horizonte stand. Es bleiben also nur ganz wenige Stunden, welche solchen Beobach- tungen giinstig sind. ii Die giinstigste Zeit fir diese Beobachtungen ist, wenn die Sonne in der unteren Culmination nur wenige Grade unter dem Horizonte steht, weil die Stunden gegen Mitternacht die Zeit der gròssten Hiufigkeit und Intensitàt der Nordlichter sind. Aus diesem Grunde liegen auch die angefiihrten Beispiele alle in der Nahe der Aequinoctien. Noch auffallendere Beispiele finden sich in den Beobachtungen der franzòsischen , Commission du Nord“. Am 17. October 1838 wurden um 5 Uhr p. m. die ersten Strahlen eines Nordlichtes gesehen. Hihe 0 = —4° 36‘, Ausserste Grenzen der Sonnenstrahlen im Zenith = 2:8 Meilen. Am 18. Màrz 1839 wurde Vormittags das Nordlicht bei einer Hihe 0 = —5° 11‘, und am 18. April bei —6° 22’ heobachtet. Hieraus ergeben sich die dussersten Grenzen ai Sonnenstrahlen im Zenith = 3:5 und 5-3 Meilen.*) Aehnliche Beispiele fiihrt auch Capitàn pas an, z. B. am 16. October um 6 Uhr a. m. bei Lake Athabaska. Die Hohe der Sonne war = —6° 44’ und die aussersten Grenzen der Sonnen- strahlen im Zenith = 6-0 Meilen. Unter den dusserst wenigen verlisslichen Bestimmungen von Parallaxen der Nordlichter, welche wir besitzen, nehmen die Mes- sungen der schon mehrmals citirten franzòsischen , Commission du Nord“ den ersten Platz ein; und da sie einen der wichtigsten Belege fiir die Hohe der Nordlichter bilden, so ist es von Interesse, etwas nàher auf dieselben einzugehen. Man hat aus ihnen die mittlere Erhebung approximativ = 100—200 Kilometer gerechnet. Es sind im Ganzen 7 gleichzeitige Beobachtungen in Jupvig und Bossekop. Letzterer Punct liegt 15625 —" + S 16° Ost von ersterem. Die auf den gleichen Horizont reducirten Héhen iber dem Nordhorizonte sind : Bossekop Jupvig Parallaxe 290. 49‘ 260 oh —30 42‘ 13° 20’ 1590, 38‘ 20°, 13‘ 1349 4° 143°. 56‘ 9° 1402: 12° 33‘ 120. 25‘ —00°. 8‘ 1400...(2° 1380 28‘ —1° 34‘ 99, 20/ 10029 Lari ad' 6° 30° Toy 04 00°. 45‘ *) Bei diesen drei Beobachtungen ist jedoch die Position des Nordlichtes nicht angegeben. Wahrscheinlich stand es nòrdlich vom Zenith. — ami Unter den 7 Beobachtungen befinden sich drei unmògliche Parallaxen, die den Beobachtungsfehlern zugeschrieben werden miissen. Die Beobachtungen lassen sich also nicht einzeln rechnen. Der einzige Weg, um die Beobachtungsfehler mòglichst auszugleichen, besteht darin, dass man das Mittel der Parallaxen sucht. Uebertràgt man die beiden Beobachtungen iber dem sidlichen Horizonte auf den nòrdlichen, so ergibt sich die mittlere Hòhe in Bossekop = 21° 18‘ und in Jupvig = 22° 31‘, woraus die mittlere Parallaxe = 1° 13‘. Mit diesen Daten ergibt sich die mittlere Entfernung der Nord- lichter vom nérdlichen Beobachter = 36:1 geographische Meilen und die Héhe tiber der Erde, bei dem Winkel 22° 35‘ ùiber dem eigenen Horizonte, = 14:5 geographische Meilen. Wenn diese Bestimmung auch nur als ein sehr approximatives Resultat betrachtet werden kann, so geht daraus doch ein bedeu- tender Unterschied mit den 50 und 100 geographischen Meilen und dariber hervor, welche man gewòhnlich als das Resultat der Messungen in geringeren Breiten annimmt. Bei allen directen Messungen ist aber Eines zu berùcksichtigen. Eine verlissliche Messung ist naimlich nur bei jenen Erscheinungen ausfiihrbar, welche einen ruhigeren Charakter besitzen, in erster Linie also an den Bògen. Diese machen aber wegen ihrer langsamen Bewegung, ihrer geringen Lichtintensitàt und ihrer mehr ver- schwommenen Contouren den Eindruck der weit gròsseren Entfernung vom Beobachter, als z. B. die Bander, oder sehr hàufig die Krone. Alle jene Nordlichter, welche wegen der Intensitàt ihres Lichtes, wegen ihrer ausserordentlich raschen Entwickelung und wegen der Umschriebenheit der einzelnen Erscheinungen fast zum Greifen nahe erscheinen, sind in Folge ihres rapiden Form- und Ortswechsels nur sehr schwer und nur hoòchst approximativ messbar. Es kénnen sich unter solchen Verhàltnissen Fehler von vielen Graden einschleichen. Die gleichzeitige Hòhe eines Nordlichtes an zwei Stationen «kann nur dann mit einiger Genauigkeit gemessen werden, wenn die Erscheinung derart markirt auftritt, dass sich beide Beobachter nicht im Zweifel befinden kénnen, wenigstens néherungsweise den gleichen Punct beobachtet zu haben. Dies ist aber eben nur dann mòglich, wenn sich der Punct nicht in rascher Bewegung befindet. Alle oben angefilhrten 7 Parallaxen-Bestimmungen sind an Bògen ausgefùhrt worden. Ich finde eine Bemerkung in den Beobachtungen der ,,Com- mission du Nord“, welche den localen Charakter des Phinomens Mi), (ROTA im hohen Norden, im Gegensatze zu den angefùhrten Resultaten der Parallaxen-Bestimmungen, charakterisirt. Mr. Lottin tràgt am 13. Januar in das Journal ein: ,Gegen 2 Uhr kehrte Herr Bravais von Jupvig zuriick. Er konnte wahrend der vorhergehenden Tage schòne Nordlichter beobachten, wahrend in Bossekop die Erscheinung nur sehr diffuser Natur war.“ Das Wetter war aber an beiden Orten nahezu dasselbe. Es liessen sich viele Beispiele fiir den weit localeren Charakter des Nordlichtes in hòheren Breiten anfiihren. Eines des aufhal- lendsten erwahnt Prof. Fritz in seiner griindlichen Abhandlung ùber die Sichtbarkeit des Polarlichtes. Die gleichzeitigen Beobach- tungen in Abo und Upsala von 1749—-1757, ausgefiihrt durch sehr verlissliche Beobachter, ergeben das Verhiltniss der Hàufigkeit, wie 57 zu 198. Ersterer Ort liegt auf etwa 60° 30‘ N bei 40° Ost, letzterer auf 59° 59‘ N hei 35° 20‘ Ost. Aehnliche Unterschiede finden sich zwischen den Beobach- tungen in Vardò und Bossekop. Capitàn Carlsen, ein alter Fischer und Walrossjiger, behauptete, die Nordlichter seien im Altenfjord weit schòner als in Tromsé. Letzterer Behauptung will ich allerdings keine zu grosse Bedeutung beilegen. Falle, wo Nordlicht von arktischen Reisenden zwischen den Wolken und dem Beobachter gesehen werden, kommen sehr héaufig vor; so z. B. von Franklin und Richardson, beobachtet am 13. No- vember 1820, von Hood am 13. Màrz 1821 und a. m. In Bezug auf solche Beobachtungen muss man aber ausserst vorsichtig sein, da wegen der Durchsichtigkeit der Bewòlkung die Tàuschung sehr leicht mòglich ist. In meinen Notizen findet sich folgende Aufzeichnung vom 11. Februar 1873 : »Ich glaube mit Bestimmheit sagen zu kònnen, heute Nord- licht innerhalb der Dunstatmosphire gesehen zu haben. Es lagen um 11 Uhr p. m. Wolkenstreifen, Cirrus, sehr leicht und wenig compact von N gegen S. Nordlichtbinder mit intensiver Lichtbe- wegung zogen in der Richtung des Windes von WNW gegen NO. Beim Voribergehen vor den einzelnen Cirrus-Streifen sah man deutlich einen geringen Theil der Wolkchen auf dem Nordlichte abgezeichnet, der gròsste Theil derselben aber wurde durch dasselbe vollstàndig verdeekt und unsichtbar.“ Ma Diese Beobachtung liesse darauf schliessen, dass sich das Nordlicht auf der Hòhe der Wolken und inmitten derselben be- funden habe. Ich habe spàter ahnliche Erscheinungen hiufig beobachtet, bin aber in den meisten Fallen doch zur Ueberzeugung gekommen, dass das Nordlicht in Wirklichkeit hinter den Wolken stand und dass dieselben nur deshalb zu verschwinden schienen, weil sie so wenig compact waren, dass man sie im intensiven Nordlichte nicht mehr zu unterscheiden vermocehte. Einzelne Fille habe ich aber doch beobachtet, wo ich nicht mit voller Sicherheit sagen konnte, das Nordlicht stehe vor oder hinter den Wolken. Ich kònnte mich aber nicht erinnern, àhnliche Erscheinungen unter dem Einflusse des doch intensiveren Mondlichtes beobachtet zu haben. Die Dunstwòlkchen erscheinen in demselben wohl ginzlich weiss und durchsichtig, aber bis zum Verschwinden kommt es doch nicht. Konnte jedoch auch kein einziger Fall des Auftretens von Nordlicht zwischen Wolken und Beobachter mit voller Bestimmt- heit constatirt. werden, so wire dies noch immer kein Grund, auf besonders bedeutende Hohen der Erscheinung zu schliessen. Die Bewòlkung in hohen Breiten ist fast niemals eine so hoch reichende, wie in unseren Gegenden. Die in den gròssten Hòhen sich bildende Wolke ist der Cirrus, dessen ungefàhre Erhebung man bei uns gleich etwa 38000 Meter rechnet. Diese Wolkenform kehrt auch im hohen Norden sehr hiufig wieder, jedoch nur selten in jener compacten und begrenzten Form der einzelnen Wolkchen, welche in den meisten Fallen den Cirrus siidlicher Breiten auszeichnet. Meistentheils besteht der Cirrus des hohen Nordens nur aus mehr oder weniger durch- sichtigen, nur wenig scharf ausgeprigten Dunstflocken, die, schon aus der rascheren Bewegung zu schliessen, niedriger stehen, als der charakteristische Cirrus sidlicher Gegenden. Ein Nordlicht miisste sich also wahrscheinlich weit innerhalb 8000 Meter von der Oberfliche der Erde befinden, um zwischen den Wolken und dem Beobachter gesehen werden zu kònnen. In sehr dunklen Nachten werden hàaufig Cirrus-Flocken, wenn sie nicht in gròsserer Aus- dehnung beisammen stehen, fast unbemerkbar, da wenigstens die gròsseren Sterne sie durchscheinen. Ich bin fest iberzeugt, dass einzelne Nordlichterscheinungen, wie z. B. am 17. Januar 1876 zwischen 5—6 Uhr und 9—10 Uhr, EBD vor den Wolken gesehen worden wiren, wenn sie nicht hei ganz heiterem Himmel stattgefunden latten. Der Charakter der mehr localen und niedriger stehenden Erscheinung ist schon durch die dussere Form gegeben. Die meisten Binder sind der Linge nach sowohl nach der einen, als nach der anderen Seite abgegrenzt. Wiren es Erscheinungen, welche sich îiber sehr weite Strecken ausdehnen, wie in geringeren Breiten, wo das Nordlicht umsoweniger nach allen Richtungen umschrieben auftritt, je siidlicher es beobachtet wird, so miissten sich die beiden Enden am Horizonte verlieren. Dies ist jedoch, wie schon oben gesagt, fast immer nur hei den regelmàssigen Bogen das Fall. Die meisten jener Nordlichter, welche in geringeren Breiten auftreten, sind gleichzeitig sehr weit sichtbar, sowohl in der Lànge als in der Breite, so z. B. das Nordlicht vom 2. September 1859, welches an der amerikanischen Ostkiiste zwischen 12',° bis 43° N beobachtet wurde. Wenn wahrend einer solechen Erscheinung an einzelnen Orten der ganze nòrdliche Horizont, an anderen nòrdlich davon gelegenen der ganze Himmel und an noch nérdlicheren Puncten das ganze sidliche Firmament bis zum Zenith von Nord- licht bedeckt sind, so kann man mit Recht auf eine kolossale rium- liche Ausdehnung neben der bedeutenden Hohe schliessen. Die Form und Bewegung aller von uns wahrend zwei Jahren beobachteten Nordlichter lassen mit Bestimmtheit darauf schliessen, dass ihre riumliche Ausdehnung eine ganz beschrànkte im Vergleiche zu solehen Nordlichtern gewesen ist. Wenn die Messungen der letzteren, die jedoch stets unsicher sind, weil die Erscheinung in siidlichen Gegenden keine scharfen Umrisse zeigt, Hohen von 100 geographischen Meilen und dariber ergeben und dadurch den Sitz des Nordlichtes ausserhalb der Atmosphare verlegen, so ist damit eben nur gesagt, dass Nord- lichter auftreten kinnen, deren fusserste Grenze ausserordentlich hoch reichen und die sich bis in jene Regionen fortpflanzen, in welchen wir uns keine Luft mehr vorstellen kinnen. Diese Messungen koònnen aber nicht als entscheidend betrachtet werden und keines- falls zu Schlissen auf die normalen Nordlichterscheinungen in ihrer Heimat berechtigen. Es geht aus ihnen nur hervor, dass, wenn Nordlichter in geringeren Breiten beobachtet werden, dieselben gewòhnlich in bedeutenden Hòhen stattfinden, dass aber wahrschein- lich ihre Hohe um so geringer wird, je mehr man sich der Gegend ihrer grossten Intensitàt und Hàufigkeit nàhert. MARIS geo Diese Schliisse sind aber allerdings keine Beweise. Bewiesen ist jedoch vom Nordlichte iberhaupt noch so gut wie gar nichts; wir kònnen vor der Hand nur diejenigen Schlùsse ziehen, welche sich der fusseren Erscheinung am meisten anpassen und welche dem Eindrucke, den unsere Sinne erhalten, am besten entsprechen. Die Messungen in geringeren Breiten kònnen schon deswegen he- ziiglich der Hòhe nicht als entscheidend betrachtet werden, weil das Nordlicht in diesen nur eine Ausnahmserscheinung ist, die meistens nur in einem mehr oder weniger intensiven Aufleuchten am nòrd- lichen Horizonte besteht, und sich zum Nordlichte in seiner vollen Entwicklung in hohen Breiten verhàlt, wie die leichte Brise zum Sturme. Wenn man dem Eindrucke auf die Sinne trauen darf, so kann man aber auch in diesen Gegenden nur im Allgemeinen von einer geringeren Hòhe sprechen, denn je nach der Art und Weise des Auf- tretens der verschiedenen Erscheinungen erhàlt man den Findruck, als stimden sie in sehr verschiedener Hohe. Es scheint, als hitten sie eine um so gròssere Erhebung, je regelmissiger ihre Form und je geringer die Lichtbewegung innerhalb der Erscheinung ist, und je weniger die einzelnen Strahlen ausgeprigt sind. Hiernach wiirden die regelmissigen Bigen die hòher und die Binder die niedriger stehenden Erscheinungen sein. Ist dies wirklich der Fall, so wire damit: gleichzeitig ange- deutet, dass mit der Hòhe der Nordlichter gleichzeitig ihre ràimliche Ausdehnung zunimmt. Bei den Béògen verlieren sich nimlich mei- stens die beiden Fusspuncte am Horizonte, die Lingenausdehnung ist also fiir den Beobachtungsort eine unbegrenzte, wihrend die Bander in den meisten Fallen auch der Lange nach begrenzt sind und nur seltener den Horizont auf beiden Seiten erreichen. In Uebereinstimmung hiermit wirden sich auch die Nordlichter sid- licher Gegenden befinden, die fast stets ùber weite Strecken sichtbar sind und welche die Messungen an,die alleràussersten Grenzen der Atmosphire versetzen. Eine Andeutung iber die verschiedene Hòhe der vedo ditta Nordlichterscheinungen gibt die Art und Weise der Kronenbildung. Bei jenen Nordlichtern, welche dem Beobachter aus den schon angegebenen Grinden als hòher stehend erscheinen, entwickelt sich die Krone erst, wenn sie im Zenith angekommen sind, und zwar meistens aus blosser Lichtmaterie, die in wellenartiger Bewe- gung nach allen Seiten von und zu dem Centrum fliesst, oder aber 6 Da MI nur aus kurzen Strahlen, die sich nicht weit vom Centrum entfernen und mehr den Charakter des Flimmerns, als des blitzartigen Zuckens annehmen. Dagegen lòsen sich hiufig jene Binder, welche aus an einander gereihten Strahlen bestehen, welche scharfe Contouren bis in ihre Einzelheiten besitzen und deren Lichtbewegung eine rasche ist, schon lange, ehe sie zum Zenith gelangt sind, zur Krone auf. Das Band kann dann vollstiindig versechwinden und als solches erst wieder kenntlich werden, wenn es den Zenith um ein Bedeutendes tber- schritten hat. Ist die Annahme richtig, dass die Krone nur eine Wirkung der Perspective ist, was wohl als sicher angenommen werden kann, so làsst sich eine ungezwungene Erklirung dieses Unterschiedes in der Kronenbildung in der gròsseren oder geringeren Héhe der Erscheinung finden. Besteht némlich das Band aus einzelnen Strahlen, welche in der Richtung der freien Magnetnadel auf- und abzucken, so wird es schon in gròsserer Winkelentfernung vom Zenith die durch die Gruppirung der Strahlen veranlasste Bandform verlieren und sich in die einzelnen Strahlen auflòsen, wenn es dem Beobachter nàher, als wenn es ihm weiter steht. Es ist zwar richtig, dass sich der Unterschied beider Erschei- nungen auch durch die Annahme verschiedener Linge und Intensitàt der Strahlen eines mehr oder weniger grossen, sie unter einander trennenden Zwischenraumes und verschieden rascher Bewegung derselben erkliren lasst, allein der Eindruck zwischen der von einem Bande in scheinbar geringer Hòhe und einem Bogen gebildeten Krone ist so total verschieden und so iberzeugend fiir den Beo- bachter, dass man nicht ansteht, den Grund in der ganz verschie- denen Hòhe zu suchen. Wahrend in ersterem Falle das Band ginz- lich verschwinden kann, sobald die Kronenbildung begonnen hat, wird im anderen Falle die allgemeine Form der Erscheinung nur wenig beeinflusst. Beide Eùlle sind Extreme, und zwischen ihnen kann jegliche Abstufung der Kronenbildung stattfinden. Am 17. Januar 1874 entwickelte sich aus einem etwa 20° tiber dem Siidhorizonte stehenden Bande in 2 Minuten eine so intensive, prachtvolle Krone, dass das ganze Firmament in Flammen zu stehen schien. Wir miissten fùr die leuchtende Materie eine Geschwindigkeit von 70 Meilen in der Minute annehmen, wenn sich die Erscheinung auf 50 Meilen iber der Erde befunden hòtte, und eine solche von e nur 7 Meilen, wenn wir ihr nur 5 Meilen Héhe gàben. Die letztere Erklirung ist wohl die ungezwungenere. Wenn wir dagegen sehen, dass ein anderes Band, oder ein Bogen, deren dussere Erscheinung schon den Eindruck welt groòsserer Entfernung macht, eine volle Stunde benòthigt, bis es vom Horizonte den Zenith *) erreicht, und dort eine so versechwommene Krone bildet, dass gar keine Strahlen mehr unterschieden werden kénnen, so ist wiederum die natiirlichste Erklàrung, dass diese Erscheinung in welit groòsserer Entfernung vor sich geht, als die erstere. Auch der Unterschied in der Dauer der Krone spricht fiir den Unterschied in der Hoòhe. Die intensive, weit gegen den Horizont herabreichende Krone geht stets rasch vorùber, die versechwommene, auf die directe Umgebung des Centrums beschrinkte, kann oft lange Zeit stationir bleiben. Wenn man alle diese Betrachtungen vorurtheilsfrei zusammen- fasst, so kann man sich wohl nicht gut der Ansicht erwehren, dass die Nordlichter in ihrer Normalgegend im Allgemeinen weit niedriger stehende Erscheinungen sind, und dass ihre Erhebung «iber der Erde zunimmi, je weiter sie gegen Siiden herabreichen, dass jedoch auch im jenen Gegenden der gròssten Intensitit und Héufigheit die ein- zelnen Erscheinungen, je nach der Art und Weise ihres Auftretens, im sehr verschiedenen Hohen vor sich gehen. Weyprecht. Unter Zenith ist im Vorhergehenden stets der magnetische Zenith, d. h. der Puncet, nach welchem die Inclinationsnadel weist, verstanden. n Le Problemi e progetti dell’ Africa. È cosa sorprendente davvero, che i tentativi di penetrare nell’ interno dell’ Africa ebbero buon successo più spesso, se fatti dalle sponde dell’ oceano Indiano, oppure dal bacino del Nilo, che allorquando le spedizioni partivano dall’ Atlantico; — dico sorpren- dente, perocchè già nel 1484 Diego Cam ebbe scoperta la foce del Congo, Bart. Diaz due anni dopo toccato il capo di Buona Speranza, ei Portoghesi tengono già da oltre tre secoli i più interessanti siti della Guinea inferiore. Eppure le nostre cognizioni dei paesi dell’ Ogove, d’ Angola e di Benguela sono limitate a poche miglia dal mare. La ragione di ciò parmi di ravvisare, parte almeno, nelle con- dizioni fisiche; chè, sebbene la monotonia delle costiere sia pronun- ziata tanto a Ponente che a Levante dell’ Africa, e vi manchino quindi i mari interni, i seni, i buoni luoghi d’approdo, pure l’ occidentale ha le catene di montagne più compatte, parallele e prossime al mare, e perciò precoce l’ impedimento, che oppongono alla navigazione le cateratte dei fiumi. Oltracciò le calme e correnti del golfo di Guinea non sempre invitavano gli speculatori, di arri- schiarsi verso ignoti litorali, che anche oggidì vanno famosi per le micidiali condizioni climatiche, contro cui si prova indarno il perseverante Europeo. Mancanvi poi i più opportuni mezzi da trasporto, come il cammello, l’ asino del Sudan e dell’ Abissinia, ed il bove dell’ Africa meridionale, mentre il pigro e infido indigeno non si presta per nulla a supplirli. Crederei di aggiungere ancora una ragione, derivante dal passato, e che ritardò di 300 anni la scoperta, vale a dire la tratta di Negri, iniziata dai Portoghesi, = 88 — allorquando, installati gli Spagnuoli in America, i figli della Guinea, fatti schiavi, risarcivano con usura pei deboli e cadenti Indiani. Allora presero piede le caccie spietate di gente negra, e di conse- guenza le guerre vicendevoli delle tribù africane, e le maligne gelosie dei loro capi; cosicchè rendevasi impossibile un traffico regolare, e quindi ne andava di mezzo anche il geografo esploratore, il quale non poteva venire accolto amichevolmente da tutti, e in poche giornate smaltiva gli oggetti, estortigli dagli avidi despoti, che gli avevano concesso libero il passaggio, e gli mancavano poi di parola. Il commercio degli schiavi, esercitato dagli Arabi nella parte orientale del continente, non raggiunse mai così brutte proporzioni, per cui all’innocuo viaggiatore non ne potevano derivare quelle enormi difficoltà. Chi ponderi bene le prefate ragioni, e sappia illustrarle di altre particolari, non si maraviglierà certo, se non ha raggiunta la meta prefissa quella spedizione, che nel 1873 allestiva la Società tedesca dell’ Africa, sebbene non mancassero consultori valenti, bravi esecutori, e generosi sussidî in danaro. Il Dr. Grissfeldt, capo della spedizione, si lagna degli incon- venienti incontrati nel determinare alcune posizioni geografiche tra il 4° e 6° S. in Loango, e osserva: ,Quattro cose specialmente pdisturbarono la mia attività nell’ Africa occidentale: il cielo sannuvolato, l'alterazione degli orologi per gl’ influssi del clima, le »foreste estesissime, ed il fanatismo dei Negri, i quali nell’ osser- »Vatore non vedono che un maligno incantatore“ *). I tre anni, spesi dalla spedizione tedesca nell’ esplorazione della costiera del Loango, hanno con tutto ciò arricchita lodevol- mente la relativa carta geografica, ed incoraggiata la Società di Berlino a mandarvi nell’ agosto dell’anno passato Ed. Mohr, noto pei suoi viaggi del Zambesi. Il Governo del Portogallo inviava quasi contemporaneamente il geologo Barth nell’ Angola. Nutrivasi quindi la speranza, che fra non molto sarebbe ridotta a più angusti limiti quell’ ampia terra incognita, che quasi dal golfo di Guinea estendesi a L. fino ai grandi laghi, e a 10° da una parte e dall’ altra dell’ equatore. Pur troppo che la speranza, presta a nascere, venne presto distrutta, e da fatti impreveduti! I due prodi sono morti sul campo V. Petermann, M. 1876, pag. 41. “LEA della loro attività; Mohr il 26 novembre in Malenga, Barth il. 7 dicembre in Loanda. Onde penetrare nell’ interno dell’ Africa intertropicale è meglio di appoggiarsi alla costiera dell’ Indiano, ovvero alla vallata supe- riore del Nilo. La quale cosa è bastantemente provata dai successi di Livingstone, nonchè da quelli di altri esploratori, che camminarono sulle orme del grande antesignano. Essendo mio còmpito di rapportare a questo eletto Convegno i fatti recenti della geografia, esporrò brevemente le difficili imprese ed i relativi risultati geografici del triennio decorso, per ciò che riguarda l’ Africa equatoriale, e precisamente gl’ interessanti problemi del Congo e del Nilo. Al primo va meritamente congiunto il nome di Cameron, il quale acquistò rinomanza per le dilucidazioni date circa il Tanga- nuka. Dopo che l’ ebbe esplorato dalla fine del 1873 al maggio del 1874, egli ne stabilì 1’ altezza assoluta a 2710 piedi inglesi, e» ciò che importa più, ne scoperse l’ emissario alla sponda occidentale, detto Lukuga; troncò così le discordanti opinioni riguardo questo ampio bacino, provando, che esso non comunica in nessuna guisa nè coi laghi tributarî del Nilo bianco, nè coll’ oceano Indiano, appartiene bensì ad un. sistema fluviale sito a P., che sarebbe assai probabilmente il Congo. A confermare quest’ ipotesi, Cameron si propose, di dedicare la sua attività allo studio del Lualaba e di altri numerosi fiumi e laghi, che in qualche parte aveva già veduti Livingstone. Partito da Ugigi (4° 58‘ 3“ S. 30° 4‘ 30% long. Gr.) il 20 maggio 1874, e battuta presso a poco la via del suo predecessore, egli arrivò a Niangvè, stazione sul Lualaba, che in quel punto avrebbe 1400 piedi ingl. s. m. Trovò eziandio, che il detto fiume non volge di poi verso T.. come è indicato nella carta di Living- stone, ma bensì verso P., e che, percorsi circa 2°, ed accolto il Lova a destra, a sinistra il Lomani, entra nel lago Sancorra, di là del quale, continuando nella medesima direzione, appellasi Congo. — Riseppe da informazioni, che da P. arrivavano fino al lago grandi barche, e mercatanti a fare acquisti d’ olio di palma e di polvere d’ oro. I viaggiatori dell’ Africa vedono molte volte troncati i loro disegni da ostacoli impreveduti, e quindi, per riuscire il meglio, s’appigliano ad altro partito. Ciò toccò pure a Cameron. Non essendosi potute raccogliere le barche necessarie, per seguire da FRAN = ARL Niangvè il corso del Lualaba-Congo, e più tardi neppure sul Lomami, egli fu costretto, di associarsi ad un Negro, mercatante di Benguela, e partire con esso dal dominio di Urua. Dopo un viaggio interessante, e interrotto da una sosta di circa cinque mesi nella capitale CWilemba, egli arrivò presso Catumbella all’ Atlantico, il 7 novembre 1875, movendo sulla comune via commerciale, che dall’ interno conduce al litorale di Benguela. È sempre un viaggio singolare questo attraverso la. zona equatoriale d’ Africa, e profittevole, perchè per esso vengono con- fermate le notizie anteriori, arricchite e modificate le carte geografiche bra.il 4° e. 120 S.;.il 22° e 28° long. Gr, Seguendo l'itinerario di Cameron, riportato nella. carta di Petermann, io mi limito di derivarne i principali risultati geografici. Per quanto provano le ragioni fisiche, come pure le poche notizie dell’ arrivo di barche fluviali sino dalle possessioni porto- ghesi della Guinea inferiore, è quasi impossibile il dubbio, che il Congo non sia il corso continuato del Lualaha. È altresì vero, che dovranno provarne la certezza ulteriori viaggi, e indicare nello stesso tempo con precisione lo sviluppo del fiume, le sue cateratte, nonchè le tribù, che ne occupano le rive; e le produzioni caratte- ristiche delle terre adiacenti. Fino allora le nostre forti probabilità si restringono in questi limiti: il gran Congo, abbandonato il lago di Sancorra, prosegue per circa 7° lungo il 4. parallelo S., indi piega verso Libeccio e sbocca finalmente vicino al 6° S. nel- l’ Atlantico. Lo spartiacque tra il sistema Lualaba-Congo e del Zambesi continua per lungo tratto da L. a P. tra il 12° e 13° S., mentre sì ritira fino all’ 11° S. tra i 21°-23° long. Gr. Quest’ ultima regione conobbe in parte anche Livingstone nel suo viaggio del 1854. Dal limite suaccennato scendono verso Tramontana i bacini dei tributarî del Congo, separati nella parte superiore da montagne alte più di 4000 piedi. Incominciando a P., il primo che incon- triamo, appartiene al Quango, che si mantiene per lungo corso parallelo al 18° e 19° long. Gr.; segue tra il 20° e 22° long. Gr. quello del Cassabi, fiume poderoso, e che a 11° e 12° S. s’ appros- sima ai numerosi tra fiumi e fiumicelli, da cui risulta poscia lo Zambesi; due e tre gradi più a L. troviamo quello del Lomami, la sorgente del quale scoperse Cameron a 9° 24 S. e 24° 15° long. Gr., e che, accolto a sinistra l’ emissario del lago Iki (c. 6° S.), cioè il Luvemba, si perde nel Lualaba un po a L. del lago di Sancorra. Nomino ancora il Lova, che viene da T., e quanto ‘alla sua derivazione, costituisce sino d’ora un nuovo problema geografico. Kecoci ora al Lualaba di Cameron, cioè al vero Lualaba. Il fiume omonimo di Livingstone, è suo affluente, e come emissario del lago di Bargveolo (11°-12° S.) detto Zuapula, e poscia, uscito dal lago di Moero (9° S.) Luvva; entra nel Lualaba a destra a c. 6° S. dopo avere accolto quell’interessantissimo emissario del Tanganiika, che è il Zukuga. Il vero Lualaba, che indi prende anche il nome Camolondo, nasce non lontano al 12° 30‘ S., descrive un grand’arco, e dall’11° S. impoi scorre verso Greco, congiun- gendo ben otto laghi, fra cui i più ragguardevoli sono il Cassali (8°-9° S.) ed il Larngi (verso il 6° S.) ossia il Camolondo di Li- vingstone; in quest’ultimo esso sbocca, dopo avere accolto il Luvva. — Continua di poi per circa un grado in direzione setten- trionale, e voltosi a sinistra, si versa nel Sancorra. Tra questo lago e quello di Langi è sito il noto centro Niangvè. Queste sono- le principali notizie idrografiche, che dobbiamo a Cameron. Quale abbondanza di acque, concentrate nell’interno del continente, e che ci fanno sovvenire il sistema dei grandi laghi nell’ America settentrionale ! Confrontando la carta di Cameron con l’altra di Livingstone, non isfuggono certamente i progressi, fatti dalla geografia nel sistema del Lualaba, oppure diciamo intanto del Congo superiore. A chi sarà dato, di camminare sulle orme di entrambi, do- vremo altre novità, altre correzioni dei risultati precedenti. E resterà sempre vero, che se alla scoperta dell’ Africa con- tribuiscono i viaggiatori a centinaia, vi si richiedono pure decine di anni a coronare l’ opera. A chi s’aspetta dal viaggio di Cameron notizie intorno l’orografia, degne delle idrografiche, rispondiamo, che se le montagne alimentano i fiumi, e ne regolano il corso, i fiumi guidano’ poi allo studio delle montagne; e quando la rete fluviale dell’ Africa centrale sarà riprodotta sulle carte nella sua integrità, incomince- ranno a figurarvi anche i sistemi dei monti, tanto esattamente, come le Alpi nelle carte dell’ Europa. Cameron s° è acquistato un gran merito, per avere determinate nelle regioni percorse posizioni geografiche e altitudini, in gran = 9 — copia; — dono grato alla geografia e ai futuri esploratori, che vie più sicuri seguiranno le indicazioni del pregiato itinerario. I più importanti dominî in questa parte d’ Africa sono Urua e Ulunda. Questo s’ estenderebbe fra il 4° e 12° S. restringendosi a L. del Cassabi superiore, cioè dove l’ attraversò, il nostro viag- giatore, alla misura di circa 18/, gradi long. ; è ricchissimo di foreste vergini ed i suoi piccoli villaggi, distanti 1’ uno dall’ altro, accen- nerebbero scarsa la popolazione relativa. Quello è dominio indipendente, e comprende buona parte del bacino del Lualaba. Vi signoreggia il superbo Casongo, quel desso, che a Cameron vietava d’accostarsi al Sancorra. È singolare 1’ e- spressione del suo ‘assolutismo, perchè si vanta di possanza sovrumana, nè di abbisognare cibo e bevanda; se mangia e beve, lo fa soltanto per trastullo. In Ulunda s’ incontrano mercatanti arabi della costa orientale e quelli che da Bengala arrivano per conto dei Portoghesi. Gli articoli più ricercati sono schiavi ed avorio. Nell’ obbrobrioso traffico di carne umana godono una trista rinomanza gli agenti portoghesi, sì da far sembrare più umani gli stessi Arabi. Le missioni che furono già. organizzate alle sponde del lago di Nvassa, altre ancora che vanno sorgendo, e l'autorità della Gran Bretagna, faranno, sperasi, fra breve, ricercare articoli ben diversi, di cui natura lar- gheggia a quelle contrade, tanto belle pei laghi, pei fiumi, pel suolo. Nel distretto di Catonga (9°10° S. a destra del Lualaba), che una volta dipendeva da Urua, trovasi rame in abbondanza, altrove poi ferro, argento ed oro. Il suolo dà frumento, riso, cotone, canna dello zucchero, come pure in generale i più notevoli prodotti dell’ Europa meridionale. L’ emancipazione dello schiavo africano, comunque essa abbia da seguire, o dipendentemente dallo spirito umanitario, o da spe- culazioni commerciali, sarà sempre una conquista gloriosa, eppure non cruenta del civile Europeo. Rivolgiamo ora l’attenzione all’ altro problema geografico, che per il solo nome del ,, Nilo desta la fantasia anche dei profani, e si presenta più solenne per la sua vetustà, ed i molteplici rischi, a cui egregi uomini andarono soggetti per superarlo. Esso è risolto, ed il Nilo oramai si conosce, cinquanta secoli, dopochè sulle sue acque torreggiano le piramidi! Molti intrepidi viaggiatori contribuirono a definire la questione dell’ origine del Nilo, e successivamente soltanto si ottennero i Lungi; relativi argomenti di fatto, principalmente poi nel periodo dal 1858 sino ai dì nostri. Il capitano Speke scoperse nell’agosto 1858 il Victoria Niiansa ossia lago Ukereve, e tosto ne derivò il Nilo bianco. Nel 1862, accompagnato dal capitano, ora colonnello, Grant, egli trovò in fatti, che il fiume Sommerset era l’emissario del lago dal lato settentrionale. Dopo ciò sono trascorsi parecchi anni di controversie e di nuove fatiche, perchè potesse confermarsi la notizia, che Speke mandava allora alla r. Società geografica di Londra: ,la questione del Nilo è terminata.“ Animato dal successo di Speke, nell’ anno seguente (1863) si accinse Baker ad esplorare 1° Albert Niiansa (Mvutan), rilevò la sua comunicazione col Sommerset, ed esplorò il corso di questo fiume fino alle prime grandi cateratte. A lui parve eziandio di vedere dal lato settentrionale 1’ emis- sario del lago, che sarebbe quindi il Nilo bianco. Alcuni stimarono allora questi successi talmente, che fissavano l’ origine del Nilo prossima all’ equatore, e già riformavano in questo senso le carte e i manuali di geografia. Altri invece ne dubitarono, e scindevano il Victoria Nilansa in tanti laghi, rimanendo pure incerti circa la sua relazione col Nilo; altri ancora, credendo alle informazioni vaghe degli indigeni, il corso superiore del fiume prolungavano fino al Tanganiika. Vedremo, che i fatti diedero ragione a Speke, il quale sosteneva ognora l’ unità del Victoria N., e in esso l’ origine del Nilo bianco. Perciò vogliate, cortesi Signori, seguire meco, piuttostochè l’ ordine cronologico delle scoperte, il fiume stesso da Ladò (c. 5° S.) verso l’equatore, affinchè le singole sezioni di esso, rilevate col progresso delle indagini di diversi, ci dimostrino la continuità del fiume reale fino al lago di Speke. Le armi vittoriose di Baker procurarono al Vicerè d’ Egitto l'omaggio dei capi africani e signori nella vallata del Nilo supe- riore, e nel 1874 ben dieci stazioni militari di primo ordine rassi- curavano il dominio vicereale fino alle sponde del Sommerset*). L’estremo presidio teneva Foveira (2° 10‘ N.) su questo fiume, e l’ultima stazione sul Bar el gebel, ossia Nilo, era Dufilè. Successore di Baker, generale e governatore nei paesi del Nilo bianco superiore fu il colonnello Gordon, il quale ebbe. il *) V, Petermann, M. 1875, pag, 425, Miti CL mandato di estendere la sovranità egizia fino ai grandi laghi prossimi all’ equatore. Gordon, rivolta la sua cura anche al problema geografico dell’ Albert — Niiansa (Moutan), commise agli ingegneri O/ppendali, Watson e Kemp di condurre un battello a vapore da Gondocoro (a S. di Ladò) fino a Dufilè. Sebbene l'impresa questa volta non potesse riuscire, causa una serie di cateratte sopra Gondocoro, più tardi fu provato, essere il Nilo di Ladò identico con quello di Dufilè. All’ ingegnere cap. Romolo Gessi spetta il merito di avere provata la immediata comunicazione tra il Nilo presso Dufilè e l Albert N. Per incarico di Gordon egli imprese a esplorare il fiume, movendo dalla prefata stazione il 7 marzo 1876 con 18 marinai e 12 soldati sopra 2 battelli in ferro. Fatte 41 m, g. egli trovò il 18 dello stesso mese il luogo ove principia l’ emissario del lago. Il Nilo per la sua profondità è navigabile in tutto quel tratto, e largo talvolta fino 700 metri. A 14 m. g. dalla sua uscita dal- l’ Albert N. esso si biforca, ed il braccio minore, largo c. 200 metri, scorrendo verso M. ritorna, probabilmente dopo qualche grado di lat., nel maggiore. Gessi, fatta l’ interessantissima scoperta, e sebbene molestato dalle burrasche e dagli indigeni, proseguì fino agli ultimi d’ aprile nell’ esplorazione del lago, e toccò anche quella parte, che era stata veduta da Baker. Ci mancano però indicazioni precise dell’ esten- sione, come pure delle sponde dell’ Albert N., e specialmente richiede ulteriori studî l’ estremità meridionale di esso. L’ altezza assoluta sarebbe di circa 2720”. Gordon confermò la scoperta di Gessi, nella spedizione fatta poco dopo, cioè in agosto, direttamente da Dufilè a Magongo, che è posto sulla riva destra del lago. I paesi adiacenti al Nilo bianco furono trovati ricchi di prodotti vegetali e animali, e per ciò bene popolati. Provato oramai, che il Nilo bianco è l’ emissario dell’ Albert N. resta ancora a vedere, in qual modo questo comunichi col Victoria Niiansa, e se si confermino le sperienze di Speke e di Baker. Questo còmpito fu risolto da due uomini del seguito di Gordon. Carlo Piaggia, sino dal 1856 pratico delle cose africane, accompagnò Gessi fino a Magongo, e solo visitò poi quel fiume, che si scarica nell’ Albert N., cioè il Sommerset, interrompendo lio “È per 16 m. g. il viaggio sul medesimo, però senza pregiudicare la questione della sua continuità. Il risultato fornì la prova, che il Sommerset si riferisce diret- tamente al piccolo lago di Capecchi, ovvero lago d’ Ibrahim pascià (e. 2° 30° N.). Scoperto già dall’ agosto 1874 dal colonnello Long, nell’ occasione che questi ritornava da un’ ambasciata, sostenuta per incarico di Gordon presso Mtesa, re d’ Uganda. Long ha pure il merito, di aver effettuata la difficile esplorazione di quel tratto del Sommerset, che è interposto tra Mruli (a P. del piccolo lago) e Urondogani, dunque precisamente di quella parte, che a Speke fu impossibile di visitare. Essendo noto sino dal 1862, che il Victoria N. emette il sommerset, da quanto ho esposto, consegue, che il Nilo bianco è in comunicazione diretta con questo grande lago equatoriale. Ora domandiamo: ha il Nilo la sua origine proprio nel Victoria N.? è dunque vera l’ asserzione di Speke? L’ onore ed il merito, di avere provato ciò affermativamente spetta ad Enrico Stanley, già reputatissimo tra i viaggiatori del- l Africa sin da quando ebbe trovato Livingstone, cui spacciavano per morto. Negli anni 1871-72 esplorarono insieme il Tanganiika, e provarono che esso era indipendente dal lato settentrionale dai grandi laghi del Nilo. Fornito di considerevoli mezzi pecuniarî, di mercanzie e d’armi, di istrumenti astronomici e fisici, accompagnato da parecchi suoi dipendenti europei, Stanley intraprese col battello a vela , Lady Alice“ nel 1874 la memorabile spedizione, allo scopo di continuare i fatti del patriarca Livingstone, come egli lo chiama, intorno i laghi dell’Africa centrale. Il ,New York Herald“ ed il ,Daily Telegraph“ di Londra sostenevano l'impresa coi loro splendidi sussidi. Tralascio di narrare il viaggio, che l’ ardito Americano, alla testa dei suoi 300 tra soldati e bagaglieri incominciò a Bagomoio (vicino a Sansibar), ed eseguì in 103 giornate attraverso paesi nuovi e pieni di travagli; e noto invece, che il 27 febbraio 1875 egli si fermò sulla riva meridionale del lago scoperto da Speke. L’8 marzo s’accinse allo studio del Victoria Niiansa, e andando a vela o a remi, toccando terra, dove pareva richiederlo 1’ interesse e permetterlo il contegno degli indigeni, accompagnò tutto quanto il margine del lago, e il 5 maggio ritornò ‘al grosso della sua compagnia. — 93 — Concretando i risultati di sì famosa spedizione secondo le lettere di Stanley, e la carta da lui abbozzata e riprodotta da Petermann, merita di essere ricordato quanto segue : Il Victoria Niiansa, ossia 1’ Ukereve è un unico e vasto lago di circa 1590 m. g. [], elevato più di 3800‘ s. m., e s’ estende approssimativamente da 0° 47‘ N. a 2° 40‘ S. e da 31° 35‘ a 35° long. Gr. Ha le sponde molto articolate, per essere le catene dei monti assai di rado parallele alle medesime, ciò che indicano anche i relativi fiumi. Le sue numerose isole hanno un’area di ce. 75 m. g. [ ]}. Dei moltissimi tributarî, che esso accoglie da ogni parte, i più notevoli sono lo Scimiiu ed il Ruana da S., poi il Cagera da P. Il primo, denominato nel corso superiore Livumbe, sorge- rebbe il 5° S., e, per quanto consta, avrebbe il privilegio sovra gli altri, di rappresentare il primo Nilo, se questo nome non si applicasse soltanto all’ emissario del Victoria N.*). — Vera forse altro fiume più poderoso dello Scimiiu, ma appartenente all’ Albert N.? Stanley volle rilevare ciò in una spedizione, incominciata colla gente del re Mtesa d’ Uganda, e compiere con questo fatto l’ opera di Baker, di Gessi e di Gordon. Le minaccie e le insidie degli indigeni turbarono il suo disegno; egli potè però fissare lo spar- tiacque tra i due grandi bacini equatoriali, e altitudini di 13-15000’ nelle montagne di Gambaragara. Ora siamo in grado di risolvere l’ antico problema nella sua parte essenziale così: Nilo bianco, Nilo di Vittoria, oppure anche Sommerset denominasi quel fiume, che esce dal lato settentrionale del Victoria N.; — esso deve la sua origine ai numerosi influenti, grandi e piccoli, che nel detto lago scendono dalle montagne circo- ‘ stanti; — diviene poscia fiume di primo ordine, pei tributi di acque, che gli rendono 1’ Albert N. e più giù le vaste regioni del Sudan e l’ Abissinia; — è incontrovertibile l’ identità del Nilo tra il Victoria N. e il Sudan egizio, dunque tra il Victoria N. ed il . Mediterraneo. Mancano, è vero, ancora molti particolari, per potere degna- mente ritrarre l’intero sistema d’uno dei più grandi fiumi della terra. Traendo però buoni augurî da ciò, che ad onta delle enormi difficoltà s° è fatto finora, attendiamo pure sicuri non più dai secoli, *) Stando alle ultime notizie di Stanley, il Cagera sarebbe più lungo e più poderoso d'ogni altro influente del lago. nt ma dai decenni, forse anche dagli anni, definite anche le questioni secondarie intorno il Nilo. S’ intende già, che siffatte ricerche geografiche comprenderanno anche le altre regioni incognite del- l'Africa tropicale: Stanley sta adesso esplorando le adiacenze del Tanganiika e dell’ Albert N, e Cameron non intende di abbando- nare il problema del Congo; — il Governo portoghese appoggia una spedizione, che partirà, a quanto pare, per l'interno dell’ Africa meridionale, ed i missionarî inglesi e scozzesi, già operosi vicino al lago di Niassa, Tanganiika e Ukereve, preparano lodevolmente l indagine geografica. Poichè mi si offre occasione, propizia, io non devo tacere di un avvenimento, il quale prova, quanto seriamente si pensi in Europa all’ esplorazione del continente africano, e come s°intenda di apportare al medesimo i molteplici benefizi della civiltà nostra *). S. M. il Re del Belgio già nel settembre dell’ anno passato raccoglieva nella sua residenza un eletto numero di viaggiatori dell’ Africa, di scienziati e di filantropi, onde conferire intorno i mezzi più opportuni per iscoprire la terra incognita dell’ Africa centrale, civilizzare quegl’ indigeni, e porre fine alla tratta dei Negri. Io tralascio di nominare gli intervenuti a Bruxelles, rappre- sentanti i più colti paesi dell’ Europa, e mi limito di riferire, che il 14 settembre fu costituita una Commissione internazionale promotrice delle ricerche geografiche e della civilizzazione nell’ Africa centrale. Al fine di procedere secondo un disegno prestabilito, e raggiungere più presto il lodevole intento, fu deliberato : che singoli viaggiatori, ma in numero bastante, penetrassero in varie direzioni nei paesi incogniti, e che venissero tutelati e appoggiati da parec- chie stazioni scientifiche e di soccorso, le quali verrebbero intanto erette parte nei luoghi di consorzi europei sulla costa occidentale e orientale dell’ Africa, parte poi nell’ interno, là dove lo richiede il bisogno e raccomanda il sito. Con tale sistema di stazioni si otterrebbe in breve una linea sicura di comunicazioni tra i due oceani, e-più tardi anche un’ altra dal libero Sudan e dall’ egizio fino alla vallata del Zambesi. — Non occorre, che io qui dimostri, come imprese geografiche e filantropiche, quali furono deliberate dalla conferenza di Bruxelles, una volta che fossero bene avviate, non mancherebbero di rendere ‘) V. Petermann, 1876, p. 388. l’ Africa centrale accessibile anche alle speculazioni del commer- ciante europeo, il quale vi spaccierebbe le sue industrie, ed acqui- sterebbe le varie materie prime, di cui natura fu tanto liberale a quelle ancora difficili contrade. Questa osservazione si applichi anche a molti altri siti nell’ interno del continente, in cui fu rilevata notevole ricchezza di ogni specie di prodotti. Dovendosi per il futuro commercio dell’ Africa riflettere, principalmente anche alle vie di comunicazione, abbiamo già a nostra disposizione le naturali: i grandi laghi della zona equatoriale nonchè i sistemi dei fiumi, che dai due oceani e dal frequenta- tissimo Mediterraneo convergono verso il centro del continente. Per quelle regioni, che ne sono prive, come pure là, dove la navigazione viene interrotta a cagione delle cateratte, provvederanno l'ingegno e l’ardire, stabilendo le migliori linee artificiali di comu- nicazione, che oggi conosciamo, vale a dire, i canali e le ferrovie. E a dire il vero si manifestano già pensieri, e parte anche progetti relativi. Cameron, riferendosi allo spartiacque tra il Congo e il Zambesi, osserva, non essere nè difficile nè dispendioso di congiun- gere questi due grandi sistemi mediante un canale, la lunghezza del quale non oltrepasserebbe 8 m. g., e precisamente in un sito piano, dove la stagione delle piogge provvede già alla comunicazione naturale. È altresì vero, che le odierne condizioni politiche e sociali di quelle contrade rendono ancora molto incerta siffatta impresa, la quale diverrebbe attuabile, qualora appoggiata alla già pronta catena di stazioni, ideate nella mentovata conferenza di Bruxelles. I Francesi alla loro volta si studiano di facilitare il commercio e la dominazione in quella parte del gran deserto, che confina colla loro estesa colonia d’ Africa, e a quest’ uopo intendono di mettere sott’ acqua una depressione da 20-27 metri, equivalente ad un’ area di c. 110 m. g. [], ed un’altra ancora nel Tunisi, onde congiun- gere poi questo doppio bacino col golfo di Cabes. Le relative misurazioni furono ultimate da Roudare. — Se si effettuasse tale progetto, sarebbe avanzato di molto il pensiero, di stabilire una comunicazione diretta tra l Algeri e i paesi del Niger. L'Africa potrebbe avere benissimo anche le sue ferrovie, per quanto inconciliabile ci sembri questa cosa coll’ idea, che volgar- mente si ha di quel continente. E prova ne sia la ferrovia, che staccandosi dal delta del Nilo, incontra il fiume già a Siut a 27° N., e che verrà probabilmente continuata fino nel Sudan egiziano. —- O — Il celebre conoscitore dell’ Africa, G. Rohlfs, illustrò il progetto d’ una ferrovia internazionale, che dalle spiagge di Tripoli, rompendo arditamente il Sahara, condurrebbe al lago di Tsad, vale a dire in regioni ricche di derrate, quali sono p. e. Bornu e Baghirmi. Chi, abituato alle cose nostre, dubitasse della riuscita di idee e di progetti ferroviarî in Africa, giacchè le città vi mancano nel- l'interno, e il numero dei centri popolosi non è in ragione delle grandi distanze, s’attenga alla felice massima degli Americani, cioè, che le strade ferrate non solo congiungono, ma creano e borgate e città, e destano un’ attività rigogliosa nei distretti produttivi *). Tale massima è applicabile anche all’ Africa, cioè a quelle amplissime regioni del continente, che 1’ età nostra s’ affatica appunto di schiudere alla scienza e alla civiltà. L’ Africa in una parola è la terra dell’ avvenire! Prof. M. Dr. Stenta. *) V. Petermann, M. 1877, pag. 46. Sur un caso di Micosi, Oltre ai vermi intestinali ed ai crostacei parassiti, cui vanno soggetti i pesci dorati, (Corassus auratus) fa mestieri notare una malattia speciale, prodotta da vegetazioni fungoidi, che si attaccano alla loro epidermide. Mi permetterò qui di riferire brevemente sur un caso di Micosi, di cui furono vittime alcuni Ciprini, che tenea in un piccolo acquario. Osservai un mattino, che uno di questi pesci presentava sul corpo alcune chiazze bianchiccie, le quali! aveano 1’ aspetto presso a poco d’un’ abrasione delle squame. Un pajo di giorni più tardi, su quelle macchie decolorate, apparirono delle piccole protu- beranze bianche, d’una sostanza gelatinosa, amorfa. Il pesce frattanto avea perduto della sua vivacità: torpido se ne stava al fondo del vaso ed il moto delle branchie erasi di molto rallentato, quasichè la respirazione fosse difficoltata da qualche impedimento. Il nuoto appariva principalmente alterato: non più quel guizzare rapido per l acqua, ma un muoversi inceppato, barcollante, come se avesse perduto 1 equilibrio. Questa impossibilità a tenersi ritto, divenne sempre maggiore, sicchè spesso lasciavasi cadere sull’uno o sull’ altro fianco. Misi allora l’ individuo affetto in un vaso separato, affine di meglio poterlo osservare. Qui ad onta che giornalmente gli si ‘ mutasse l’acqua, continuò ad aggravarsi il male: le masse fungoidi sì fecero sempre più estese, apparendo in forma di brandelli sul corpo e sulle pinne; la respirazione divenne maggiormente diffi- coltata, quantunque le branchie ne fossero totalmente libere, ed il bel rosso ranciato del corpo cesse ad una tinta giallastro-rosea, evidentemente causata dalla deficiente ossidazione del sangue. Poco 7 se’ = appresso a questi sintomi si aggiunsero delle manifestazioni d’ una irritazione del sistema nervoso, con crampi tonici e clonici, per cui la testa del pesce venia quasi a toccare la coda. Se ne visse così ancora sette giorni, durante i quali sempre più debole appariva la respirazione. Due giorni prima della morte contai sei respirazioni al minuto, contro 50 circa, che sarebbero la media normale dei Ciprini. Gli altri cinque pesci, rimasti nell’ acquario erano restati totalmente sani durante la malattia del loro compagno. Però alcuni giorni appresso osservai in altri due le stesse masse gelatinose. In questi due individui fu più rapido il decorso della malattia. Mentre nel caso sopradescritto la morte non era seguìta che circa al 15.° giorno, perirono questi al 4.°, rispett. 5.° giorno di malattia, man- cando le convulsioni, che nell’ altro si erano prolungate per sette giorni. Nè gli altri rimasero immuni dell’ infezione. Col medesimo complesso sintomatico morirono poco appresso altri due, e sul quinto pure apparvero le caratteristiche chiazze alla pelle e le masse gelatinose. Volli esperimentare su questo ultimo un qualche mezzo di disinfezione, ed a ciò gettai nell'acqua una piccolissima quantità di bicromato di potassa. I brandelli gelatinosi cominciarono bentosto ad impicciolirsi ed il pesce parve alquanto riaversi. Però sia che l'infezione fosse già troppo avanzata, sia che il sale cromico non fosse confacente ai Ciprini, anch’ egli andò a raggiun- gere i suoi fratelli, vivendo tuttavia ancora tredici giorni. Osserverò che i pesci si trovavano nell’acquario da oltre due anni e che ogni secondo giorno loro venia mutata 1’ acqua. Il reperto anatomico non diede alcuna alterazione negli organi interni, eccettochè una deposizione adiposa al fondo della faringe, generata probabilmente dalla generosa nutrizione che riceveano. Anche il sangue fu trovato normale. L’ unica abnormità erano le masse fungoidi, che si aveano impossessato di alcune parti della superficie del. corpo, lasciando però del tutto libere le branchie. Staccata una particella da una delle membrane, che appariva come una massa mucosa, trasparente, e sottoposta ad un esame micro- scopico, risultò composta di una quantità di cellule a contorni irregolari ed unite tra di loro per mezzo di una materia amorfa. Ogni cellula contenea una sostanza granulare, che però non ne riempiva tutto il vano. Una lieve pressione col coprioggetti, bastava a distruggere l involucro cellulare. L'effetto del hicromato di REI 7 gi potassa, fu di produrre un raggrinzamento delle cellule, per cui la membrana prese un aspetto quasi fibroso. La mancanza di altri individui ammalati non mi permise per allora di provare un altro mezzo, al quale si deve dare indubbia- mente la preferenza su tutti gli altri, — 4 sale comune. Noi sappiamo che moltissimi pesci vivono alternativamente nel mare e ne’ fiumi, senza subire alcuna alterazione per la maggiore o minore salsedine dell’acqua. Anzi vi sono alcuni pesci marini cui pare confaccia l’acqua dolce. E a chi non sono noti i famosi Lupî (Labrax Lupus) del nostro Timavo, tanto pregiati da Marziale e quelli non meno saporiti del Tevere, cui i gastronomi romani diedero il nome di lanati, per la delicatezza delle carni*)? Ognuno di noi ricorda la sensazione prodotta pochi anni fa dalla notizia dei suc- cessi di acclimatazione, ottenuti nel Lago d’ Arquà, nel quale il proprietario avea fatto gettare da 35,000 pesciolini minuti di mare. Quantunque 1’ acqua di questo lago non contenga che piccole tracce di sale (su 100 p. d’acqua 0:0689 di cloro, calcolato in condizione di semplice cloruro di sodio) pure i pesciolini prosperarono magni- ficamente, attalchè nell'estate del 1864, se ne trassero in pochi giorni ben 20,000 libre di grossi branzini, di volpine, di guatti, di dentali, ecc.**). Fui perciò lietissimo, allorchè giorni fa mi vennero arrecati alcuni altri Ciprini affetti dalla medesima malattia, quan- tunque con sintomi un po’ diversi. Presentavano essi bensì qua e là le stesse masse fungoidi, ma invece d’ un impallidamento della cute, trovavasi questa in uno stato iperemico, essendo fortemente injettati i vasi delle pinne e delle squame. L’iperemia era anzi giunta in alcuni luoghi ad una vera stasi con rottura dei capillari ed estravasati sanguigni subepidermoidali. Noterò inoltre che l'aspetto dei pesci appariva arruffato, essendo la maggior parte delle squame arricciate e distanti coi margini liberi dal corpo dell'animale. In *) Laneus Euganei Lupus excipit ora Timavi Aequoreo dulces cum sale pastus aquas. Mart. ITI, ep. 89. Ex ponto fluvii dirus petit ostia Labrus. Oppian. L. I Meliores Lupi pisces in Tyberi amne inter duos pontes. Plin. L. IX, 54. #*) Vedi in proposito le interessanti memorie del Visiani (Di un vivajo di pesci marini ecc. Atti dell’Ist. Veneto V. XI, $. III) e del Canestrini vRRr* sioni sul vivajo di pesci marini ecc. Modena 1866). x — 100 — uno degli individui gli occhi erano molto sporgenti dalle orbite. Misi gl’ individui affetti in differenti vasi d’acqua, alla quale aggiunsi quantità differenti di sale, a tale che nel. primo il sapore dell’ acqua non ne era minimamente alterato, mentre nel terzo spiccava ben marcata la salsedine. L'effetto superò 1’ aspet- tativa, dappoichè il giorno appresso le masse fungoidi erano del tutto scomparse e le squame aveano cominciato ad appiattirsi. Evidentissima ne fu l’azione specialmente in uno degli individui, che il giorno innanzi appena, appena mostrava segni di vita e se ne giaceva boccheggiante ed arrovesciato sul dorso *). Credetti non inopportuno il richiamare l’attenzione su questo argomento, perchè non è raro il caso che interi bacini d’ acqua vengano spopolati in poco tempo dei loro Ciprini, mentre una piccola aggiunta di sale potrebbe salvarli. Dr. Marchesetti. * Da alcuni esperimenti che feci contemporaneamente su individui sani, affine di conoscere la quantità di sale, che ponno sopportare, appresi che essi vivono benissimo in una miscela di due parti d’acqua marina sur una parte di acqua dolce, purchè poco a poco si accresca la salsedine ed il passaggio non ne sia troppo repentino. — 101 — BOCCHE DI CATTARO. Due letture del Dr. G. Alessandro Cav. de Goracuchi alla Società Adriatica di scienze naturali nei giorni 12 e 26 Marzo 1877. PRIMA LETTURA. Il navigante che dal Mar Jonio veleggia lungo la costa d’Albania, — famosa per reminiscenze storiche, rinomatissima per ubertosità di suolo, invidiabile per la gagliardia degli abitanti, — superata che egli abbia Antivari, procedendo oltre alla vista della cordelliera montana che marca l' aéreo confine verso 1’ Adriatico del paese occupato dall’ indomita stirpe di Slavi resi famosi sotto il nome di Montenegrini, non tarda molto, drizzando l’ antenna verso. la punta d’ Ostro, ad affacciarsi all’ingresso del golfo di Cattaro di cui, o Signori, mi propongo parlarvi. Ma vasto e specioso essendo l’argomento, quand’ anche solo con rapidi tocchi io intenda percor- rerlo, temo assai che il mio dire all’importanza ed alla dignità del soggetto mal corrisponda. Il perchè, Uditori cortesi, m° è forza implorare l’ indulgente vostra benignità, tanto più che alle univer- salmente conosciute attrattive fisiche de’ suoi lidi, le altre men note negl’ingegni che vi sorsero, ardente brama di rammemorare mi spinge. Il golfo di Cattaro, che si apre tra la punta d’Ostro ed il piccolo luogo di Zagniza, giacente sulla riva della penisola Lustiza, è il primo ricovero della sponda orientale dell’ Adriatico per una squadra che venga dal Mediterraneo, anzi uno de’ migliori ancoraggi, ed in pari tempo un porto da guerra, che, per la sua estensione — 102 — e per la sicurezza de’ naturali presidj, non facilmente troverebbe chi lo superi in tutto il mondo se fosse possibile l’ entrarvi e l’ uscirne con facilità in ogni stagione. Esso ha poi il vantaggio, che non ricevendo in se verun fiume, non corre pericolo d’inter- rimento, e, siccome quasi da pertutto la sua profondità giunge da 80 a 120 e più piedi, e con ciò forma a mo? di dire un sol porto, così accade di vedere in parecchi siti navi di chiglia profonda gettar l’ancora davanti l’ ingresso delle case de’ lor proprietari]. Questo golfo è propriamente un gran canale, che con giri tortuosi ora allargandosi, ora restringendosi, s’ insinua entro terra fino alle radici del Montenegro, e su di esso ad ogni tratto colla rapidità del caleidoscopio cangiansi le prospettive sempre sorpren- denti che si presentano all’ occhio del viaggiante. I lidi di questo romantico specchio d’acqua hanno tale un aspetto, che l’autore dell’, Esposizione storico-statistica militare delle Bocche di Cattaro“ edita in Colonia nel 1808*), evidente- mente da un militare senza pretensione, ma tratto dal più sincero amore di fedeltà e verità nel riprodurre le cose osservate, esclama: »Viddi le rive del lago di Ginevra che solo la creatrice penna d’un Rousseau poteva così magnificamente raffigurare; elleno sono belle, ma le sponde del canale di Cattaro sono senza contraddizione molto più pittoresche.“ Nè più pittoresche sono quelle del lago di Lucerna a cui taluno volle paragonarle, anzi il golfo delle Bocche è da considerarsi come una vera bizzarria geografica, e, in quanto all’ effetto pittoresco, per ciò che spetta a natura, tutti sono d’ accordo di metterlo a confronto coll’ incantevole canale di Costantinopoli. Ad ogni modo, per bellezze naturali, questa parte dell’ Adriatico supera qualsivoglia altra situata alle di lui sponde, al che non poco contribuisce il Montenegro, il quale adergendosi minaccioso e tremendo colle rupiginose sue cime, sembra dare, coll’ orrido che intorno sparge, un maggior risalto alle attrattive pittoresche del canale. In forza dei dossi sterminati ed irti che circondano il. golfo, la temperatura dell’ acqua è qui molto inferiore che in qualsivoglia altra situazione dell’ Adriatico, sin anco dell’ estremo di lui setten- trione, abbenchè s’ abbia dalle storie che negli anni 864 e 1234, pel prevalente dominio della frigida atmosfera, l’onda adriaca ebbe *) Statistisch-historisch-militàrische Darstellung der Bocche di Cattaro. Kéòln 1808. — 103 — a congelarsi. E non è raro che là dove il canale si ristringe, il salso elemento si copra nell’ inverno d’una crosta di ghiaccio, la quale però non porta alcun impedimento nella navigazione. A. ciò contribuisce eziandio la grande quantità d’acqua dolce che sgorga dalle fontane presso Cattaro e Dobrota, e dalle frigide sorgenti sottomarine che abbondano lungo la costa di Perasto, per cui la salsedine del mare viene di molto attenuata. Dal castello S. Giovanni di Cattaro, quando 1’ onda è tranquilla, scorgesi patentemente il filo d’ acqua che scorre in mezzo al canale e si protrae verso lo stretto delle Catene, e che risulta, tanto dagli aperti sgorghi, quanto dalle recondite vene che zampillano sott’ esso il mare. Ad onta di ciò quasi da per tutto alle sponde del canale puossi coltivare 1’ arancio, avvegnachè la mancanza di venti impetuosi fa sì, che la tempe- ratura dell’aria non discenda sotto il grado di calore necessario alla pianta per vivere e prosperare. La forma del golfo di Cattaro è in qualche modo quella di una S latina; però nello internarsi così a svolte per ben 16 miglia da Ponente a Levante, cioè dalla punta d’ Ostro fino alla città di Cattaro, allargasi esso in alcuni punti in maniera da formare quattro seni, separati dalle bocche di Kobila, Kombur e Lepetane, dalle quali forse il golfo stesso ha preso il nome di Bocche. di Cattaro. Il canale così chiamato co’ suoi lidi e dintorni in un col paese che si distende sino al monte Dubavizza, quale ultimo confine austriaco, costituisce 1 Albania ex Veneta che venne incorporata all'Austria. Nella geografia militare la denominano Albania austriaca; politicamente poi è conosciuta sotto il nome di Circolo o Capitanato di Cattaro. Esso abbraccia i quattro distretti di. Cattaro, Risano, Castelnuovo e Budua con Pastrovicchio, della complessiva superficie di miglia quadrate geografiche 10,8, con una popolazione di 34,802 abitanti, 24,692 de’ quali professano la religione greco-orientale di liturgia slava, gli altri sono cattolici. In aleune comuni è esclusivo il culto latino e giunge fino all’ intolleranza, in altra il greco con non minore intolleranza ma meno pronunciata. Però sembra che il reciproco rispetto e l’amore fraterno fra i due riti vada da qualche tempo sempre più sviluppandosi, conciossiachè debba finalmente giungere il giorno in cui tutti sieno compresi dell'importanza per il bene dell umana famiglia di tenersi al detto del gran padre della Chiesa melle cose necessarie unità, nelle dubbie libertà, in tutte carità, — 104 — Nella lingua del popolo l’intera piccola provincia viene chiamata Le Bocche, ed i suoi abitanti diconsi Bocchesi, che in un’ immensa maggioranza sono Slavi e vanno gelosamente superbi di questa origine. La favella propria di tutto il paese è il serbo-illirico, ilirski, chiamato dialetto d’ Erzegovina da Vuk Stephanovich; ma anche l'italiano è compreso e parlato nelle città e borgate al mare, segnatamente dagli uomini, anzi non pochi Bocchesi ebbero fama di distinti oratori in quest’ idioma, tanto nel foro quanto sul per- gamo nell'Italia stessa. Gli abitanti de’ monti sono per lo più pastori e cacciatori, quelli dei colli, delle valli e dei ripiani si occupano coll’ agricoltura, e le loro campagne fanno prova della diligenza che vi mettono; non pochi sono dediti alla pesca, ma la navigazione di lungo corso è la principale, sì veramente la predi- letta professione del Bocchese. E quando egli, dopo di aver passata la miglior parte della vita sul tempestoso elemento, si mette in riposo nel proprio paese per godere degli ottenuti vantaggi, esulta all'aspetto dei quadri che rappresentano i suoi bastimenti de’ quali ha adornate le pareti della sua stanza, ed al racconto delle avven- ture de’ suoi viaggi ringiovanisce il vecchio navigatore. In fatti per la loro idoneità nell’arte di navigare e più per il loro carattere, per la cura che si danno onde il carico giunga incolume al suo destino, i comandanti di navigli bocchesi vengono molto apprezzati, come in generale a dir vero i legni austriaci bene spesso si prefe- riscono a quelli di altre bandiere dai caricatori anche nei più lontani porti. Se poi consideriamo la razza d’uomini delle Bocche, la troviamo vigorosa e gagliarda; i maschi son forti e robusti, belle le donne tanto zitelle che madri. Il basso popolo nel montano benchè intelligente ed accorto, è tuttavia meno incivilito che lungo il mare; attaccatissimo, come alle antiche abitudini così al natio suolo, considera egli le armi quale parte importante alla propria esistenza, e tiene altresì molto all’ antico vestito, sebbene quelli delle città e delle borgate al mare vestano l'abito odierno europeo. Tutti i Bocchesi poi e rozzi e saputi mettono grande importanza alla purità de’ costumi ed alla venerazione pei loro maggiori quando anche non vecchi. Ma il Bocchese non è solamente un impavido marinajo, egli è pure un valoroso soldato. Nelle battaglie navali della veneta marina, tanto a pro della Repubblica quanto in difesa de’ proprî bastimenti, i Bocchesi mostrarono sempre valore tale, che li rese — 105 — degni d’ una bella pagina nella storia di quel governo e de’ conflitti marittimi. Nè solo l’ amor delle armi li spinse a belle azioni, ma essi ebbero altresì degli uomini che sì distinsero negli umani stud], tanto più ammirabili, che, ad onta della mancanza di pubbliche scuole in questa piccola provincia, seppero procacciarsi fama e come poeti e. come letterati ed elevarsi ad insigni teologi e giuristi. Giunto il navigante all'ingresso del canale gli si affacciano due scogli, che sorgono precisamente nella bocca, sul minore dei quali, più prossimo alla sponda della penisola Lustiza, vi è una chiesetta; il maggiore si chiama propriamente Scoglio di Zagniza, conosciuto però da lunghi anni sotto il nome di Rondoni, e sul quale esiste un forte di grande importanza. Questo forte dal 1865 forte Mamula si appella, come volle 1° Imperatore Francesco Giu- seppe I. per onorare il tenente-maresciallo Barone de Mamula, alla cui iniziativa sono dovute tutte le grandi fortificazioni di questi lidi. Quando 1’ atmosfera si agita impetuosamente l’entrata non è senza pericolo, poichè i venti che spirano dai monti s’ incrociano con quelli che soffiano sull’ alto mare davanti la. bocca, e perciò il naviglio può essere gettato sullo scoglio. Devesi eziandio prendere in considerazione la corrente cagionata dalle acque, che, come abbiamo veduto, scaricano in questo golfo le numerose fontane e le sorgenti abbondantissime nella stagione piovosa, in cui la velocità della corrente stessa giunge sin anco a due miglia e mezzo per ora, e, coi venti di mezzogiorno, non solo rende pericoloso l'in- gresso, ma altresì malagevole 1° uscita. La scena veramente magnifica, che rese segnalato il canale, incomincia pertanto subito dopo 1° entrata nel medesimo, la quale ha luogo tra il forte Mamula e la punta d’Ostro, quello a destra, questa a sinistra dell'ingresso. Un gran seno di mare rinchiuso di qua e di là da lidi in parte rupiginosi ed in parte coperti da lussu- reggiante vegetazione; nel fondo speciose roccie che torreggiano maestosamente; ai loro piedi la città di Castelnuovo, tutto combina a formare un quadro in sublime grado pittoresco. S’innoltra poi, forse 5 quarti di miglio verso Maestro, tra la punta Kobila e Castelnuovo la baja di Topla. La sponda di Libeccio appartiene alla Turchia, e quivi sorge un alto dosso tutto selvoso, che, pigliando dalla predetta punta si estende sino al fondo della baja medesima, dove il torrente Sutorina scarica le sue acque. Hassi qui da notare che, a tutela del diritto marittimo del- l’ Austria sul mare che bagna il litorale ottomano della Sutorina, — 106 — cioè dalla punta Kobila fino al fondo della baja di Topla, e che perciò è considerato quale mare clausum, vi staziona un’i.r. canno- niera, come accade, in egual modo, al di là dell’ antico dominio di Ragusa nella baja di Klek. Castelnuovo è una creazione dell’ Evo medio. Tvrtko di Bossina, figlio allo Zio della regina Elisabetta, moglie di Lodovico il grande re d’ Ungheria, fece erigere nell’ anno 1373 questo castello che fu portato a compimento da Erceg, nipote del re Tvrtko, da cui trasse il nome slavo di Erceg-novi. Per secoli, prima della fondazione di questo castello, il territorio formava parte del ducato di S. Saba (Ducatus Sabae) ossia Ercegovina, che sotto il nome di Zachlum si estendeva sino al serbico Novibazar, e sotto valorosi principi in lega coi re di Serbia ripetutamente combattè, prima contro gli Ungheri e poi contro i Turchi, finchè gli attacchi dall’ Oriente, divenendo sempre più formidabili, Maometto II conquistatore di Costantinopoli, assorbì gli stati divisi, e per le conquiste fatte dai Turchi anche Castelnuovo cadde in loro potere. Essi ne rinforzarono le fortificazioni, ed è opera loro, come lo prova la costruzione, il forte Spagnuolo eretto a Settentrione della città sul dorso del monte 538 piedi sopra il livello del mare, il qual forte porta l’ epiteto di Spagnuolo, perchè nell’ anno 1538 gli Spagnuoli, alleati ai Veneziani e condotti dal rinomato Doria, assediarono Castelnuovo, e, dopo una sanguinosissima lotta, 1’ espugnarono e con soldati spagnuoli presidiarono il forte. Ma gli Osmani nell’ anno susseguente si presentarono innanzi alla città con sì formidabili forze di mare e di terra, che gli Spagnuoli ad onta che facessero prodigi di valore, ridotti finalmente ad un pugno d’ uomini, non poterono resistere più a lungo. Castelnuovo restò sotto il dominio ottomano e fu popolata da Turchi e Bosniaci. Appena nel 1687 riuscì ai Vene- ziani uniti ai Maltesi, sotto il comando del generale Corner, ad impadronirsene mediante capitolazione. Dopo la caduta della Repubblica (1797) Castelnuovo subì le sorti di tutta la provincia delle Bocche. Questa piccola città ha poco più di 600 abitanti, ma com- prendendo i due sobborghi e tutto il Comune, il loro numero ascende a 6105. Vi si contano 24 villaggi con una curazia latina e 14 greche, e questo Comune va superbo di veder frequentate le sue undici scuole elementari con grande diligenza ed altrettanto profitto. In Srbina poi, a dir così nel suburbio, nel bell’ edificio che la contessa Jevrosine Vladislavich nei Laketich testò a favore — 107 — d’ una scuola serba, surse dopo molti anni una scuola nautica in quell’ idioma, essendo stati fusi i lasciti generosissimi di Giovanni Boscovich, decesso a Smirne, e Giorgio Giurovich, morto a Trieste, nativi di Topla, coll’espressa volontà che vi dovessero essere inse- gnate le scienze attinenti alla navigazione e le lingue slava, italiana e tedesca. Eretta sul verdeggiante pendio d’ un colle in modo che le sue case superiori soprastanno di molto sulle ime, la piccola città ha un aspetto quanto mai pittoresco dal mare. Le mura e le torri soffersero molto dai ripetuti terremoti cui andò soggetto questo suolo e dai reiterati assedj, ma furono in parte ristaurate dal- l’Austria. Castelnuovo è da annoverarsi fra le più belle stazioni della Dalmazia. Appiò de’ monti emerge la formazione di pietra arenaria e di marna, e con essa fertilità di suolo ed abbondanza di fresche acque. La magnifica sua posizione co’ suoi dintorni, favoriti da un limpido cielo e da un aere salubre, danno a questo luogo una importanza igienica. Ed è in forza della temperatura equabilmente mite dell’ atmosfera, che la plaga ove giace il sobborgo Topla trasse questo nome esprimente in italiano ,tiepido.“ E ben a ragione fu detto godere essa non solo il clima più mite di qualsivoglia altra amena plaga della monarchia austriaca, ma poter essa altresì stare a livello colle città più prossime al pieno mezzodì dell’ Europa e più rinomate quale soggiorno d’inverno per quegl’ individui che soffrono di reumatismi, di gotta, di tossi pertinaci, ed in generale per le persone di delicata costituzione. Giova qui ricordare le parole espresse da S. A. I. e R. l’Arciduca Massimiliano nelle di lui Memorie della prima visita fatta a questi lidi: ,,Il sentimento in noi destatosi all’ aspetto delle Bocche era lo stupore che nel nostro suol natio non si conosca maggiormente questa magnifica contrada. Tutti corrono a Nizza, a Firenze ed in altre regioni presso il Meriggio dell'Europa, e neppur si sogna esistere nella stessa mo- narchia un paese di tale bellezza da adunare in sè tutte le attrattive della vegetazione e da godere d’un clima stupendo e sempre dolce.... Gli è vero che la civilizzazione în queste meridionali parti del- l’Austria non è molto avanzata, ma una volta che un ricco signore, uso alle comodità della vita, si decidesse di fissare qui la sua dimora, le basi sarebbero gettate ed ogni uomo assennato si sentirebbe felice di chiamare suo un simile paradiso, ove palma e — 108 — quercia fraternamente crescono *).“ Di fatti i molti arbusti a foglie non caduche, e poi gli ulivi, i lauri, gli aranci, i cedri, le palme, le agave fiorite nonchè il tappeto perennemente verde cosperso di violette che cuoprono il suolo, quando in altri paesi si fa sentire il rigor del verno, allettano 1’ occhio, e l'animo si rasserena a que’ profumi di primavera. I gelsomini, la salvia, il rosmarino, i corbezzoli, lo smilace, gli oleandri, fin anco la canna da zucchero e la pianta del cotone, che allignano ne’ climi i più caldi, vi pro- sperano bene in piena terra ed all’ aria aperta. Ed un aspetto quanto mai vago, un quadro di fresca vita presentano nell’estate i grandi gruppi di melagrani dai fiori rossi tra i mirti e il nobil verde de’ lauri. Il pomo granato cresce qui in tanta copia da servire di siepe ai giardini, mentre che in pari tempo la grande quantità de’ suoi frutti somministra dai granelli abbondante succo dal- l’esperienza trovato utilissimo nelle febbri nervose estive, come la corteccia interna della radice è riconosciuta sovrano rimedio contro il verme solitario. Eccellenti sono eziandio i pascoli di Castelnuovo per cui rinomatissima è la carne di que’ vitelli. La stessa spiaggia di Topla merita special menzione pel diletto ch’essa offre ai bagnanti, i quali si sollazzano sulla sabbia finissima e nella bellezza dell’acqua marina, così limpida come le fresche e dolci acque della sorgente di Santa Chiara e della roccia del castel di mare, a cui gli abitanti della città attingono una bevanda deliziosa. Tanto nella baja di Topla quanto a Megline dall’ altra parte della città, i bastimenti stanno all’ incora, ma perfetta sicurezza trovano soltanto tra Kombur e il Lazzaretto, posto alla marina un miglio a Levante !/, Greco da Castelnuovo, e quivi è 1 ancoraggio che scelgono i legni da guerra. Sotto Castelnuovo i venti del Mezzodì soffiano talvolta con tanta forza da rendere assai malagevole 1’ approdo delle barche. A togliere siffatta difficoltà, là dove il mare batte impetuoso allorchè spirano que’ venti, fu costruita una solida diga di pietra per ordine dell’ i. r. Governo marittimo, il cui non mai abbastanza apprezzato presidente Augusto cavaliere de Alber-Glanstàtten, nella sua rara intelligenza impiega costantemente ogni studio a vantaggio della marina ed ha un saldo appoggio nell'amore operoso e nei lumi di S. E. l’attuale Ministro del commercio Giovanni cavaliere de Chlumecky, pronto a favorire la navigazione austriaca, per cui essa *) Mein erster Ausflug. — Leipzig 1868, p. 232-233. — 109 — non in vano spera anche l’ attivazione d’ una banca marittima, come esiste negli altri stati, ad incremento ognor crescente della navale prosperità. Sulla strada che da Castelnuovo conduce a Megline, giace in luogo solitario, di meditazione ‘e di studio, il romantico monastero di Savina abitato da monaci Basiliani. La chiesa è di stile bizan- tino o piuttosto romanzo, eretta presso un’ antica cappella serbiana. Le piante esperidee, che allignano bellissime nel giardino di quei generosi monaci, mandano al tempio gli odoratissimi incensi di aranci e di cedri. Alla soglia sembra stare di guardia un gigantesco cipresso, — quell’albero che, colla nereggiante sua tinta rappresenta le nubi della vita e con la piramidale sua forma eleva il sentimento ad oggetti ineffabili e divini. In generale una flora del tutto meri- dionale smalta quell’ amenissima plaga; il sentiero che va a Megline passa in mezzo a boschetti d’ olivi, a gruppi di ceratonei, di allori, di ficaje, di cipressi; altissime quercie sui di cui tronchi maestosi s’ erpica 1° edera, rallegrano l’animo; sorgenti d’acqua viva con dolce mormorio irrorano campagne disseminate a profusione di belle e rarissime piante; sul nostro capo s’inarca un cielo azzurro, dinanzi a noi si distende un magnifico golfo con deliziosi lidi; al nostro tergo s’ erge una catena di ben vestite colline dominate da colossali montagne, che serie ed imponenti s’estollono a più di 3000 piedi. Ciò tutto col luccicar della tremola onda forma una scena -d’ incanto. Desta poi particolare interesse il punto più elevato a mezza strada fra la città e il lazzaretto, presso la chiesetta greca di S. Saba, al di sopra del chiostro de’ calogeri di Savina. Qui accanto al funereo campo ove giaciono le ossa dei prodi Veneti e Maltesi che nella lotta del 1687 caddero per Castelnuovo ah! come dolce spira l’ aura e fugge l'ora nelle sublimi contemplazioni, a cui l’anima si abbandona, e nelle incantevoli attrattive che da ogni parte si presentano allo sguardo. Questo punto è pur anco notevole per la quantità d’ uccelli canori che amano di trattenervisi, trovando acqua e frondosi tetti. L’usignolo in ispecie vi dimora in gran copia, e, balzando per le quercie antiche, col suo dolce gorgheg- giare, rende vieppiù soavi le belle notti di primavera. E ben a ragione cantava il Barbieri : sLa cara melodia di quelle rime Sembra che tocchi l’ aure e le campagne, Così nel vario stile i sensi esprime Di chi gioisce, e meglio di chi piagne. — 110 — O tu, se qualche il cor lasso t’ opprime Gravosa cura od aspro pensier t’ agne, Vieni meco al boschetto, e sentirai Struggerti di dolcezza a que’ suoi lai.“ E sensi d’ineffabile poesia ci offre del pari la vista che si gode della cappella latina di S. Anna, non lungi dal monastero di Savina, dove, o quante volte e quante! 1’ indimenticabile Arciduca Massimiliano si riduceva dalla sua nave, su cui egli era ancor . tenente, per bearsi in quelle delizie di paradiso. E più tardi ei ne additava il sito all’ augusta sua compagna, e I’ uno e l’altra, con la mente attonita a meditar si stavano sulle cose infinite ed eterne. Verso Ponente di Castelnuovo un’ amena passeggiata conduce a Magozza, luogo di confine che mette sulla strada di Ragusa, attraversando il territorio turco. Nè solo della sua posizione e del florido abbigliamento di cui la vestì natura può andar superba questa piccola terra, ch’ essa pur vanta uomini di fama imperitura. Oriunda da Srbina presso il suburbio di Castelnuovo è la famiglia Stratimirovich, di cui Boghich Stratimirovich si distinse come generale austriaco al tempo dell’ espulsione dei turchi dall'Ungheria, ed ebbe in ricompensa, oltre al grado di nobiltà, la signoria di Kulpin nel Sirmio. Ed in Srbina ebbe pure i natali il conte Sava Vladislavich, quell’ uomo, che fornito delle più belle qualità di spirito e di cuore, senza alcuna coltura, allo spuntar della prima lanugine emigrava a Costantinopoli per trarre maggior profitto del mestier suo di pellicciaio, e di là, per combinazioni a lui favorevoli, venuto in Russia, ove probabil- mente educavasi, fu da Pietro il grande spedito a Pekino per comporre le discordie tra le due corti relative alle tribù de’ Mongoli, riuscì a stabilire la meridional frontiera dell’ Impero in quelle parti, conchiuse in Kiachta il trattato di commercio fra la China e la Russia, e procurò altri vantaggi allo Czar, per cui fu elevato alla dignità di conte. — Parecchi altri Castelnovesi innalzaronsi ad alti seggi nelle Russie, e tra questi il generale conte Giorgio Voinovich, la cui famiglia si distinse anche colla penna; nè posso rammentare, senza che mi spunti una lagrima sul ciglio, i flebili versi italiani che, nella mia giovinezza mi dettava, esinanito da letal morbo, qui in Trieste suo figlio Giovanni, padre di Giorgio conte Voinovich, attuale podestà di Castelnuovo e presidente della dieta dalmata. — 111 Ma non vi spiaccia, Uditori cortesi, ch’ io rammemori un fatto di energica e quasi incredibile risolutezza che mostrò Pietro Gelalia nativo della Bianca, borgata poche miglia discosta da Castelnuovo. Questi, intorno alla metà dello scorso secolo, con tre soli uomini condusse la fregata turca Sultamia da Rodi a Malta. Campo di tristi drammi è il mare, e lo è maggiormente, quando al nocchiero trangosciato per l’imperversare delle tempeste s° aggiunga altra forza nemica ad insidiarlo. Gelalia comandava uno sciambecco, e nel porto di Cerigo venne fatto prigioniero dai Barbareschi con tre de’ suoi marinaj. La fregata turca Swltaria, sulla quale furon tratti, partì per Rodi e, colà giunta in giorno di venerdì, comechè festivo pei Musulmani, molti dell’ equipaggio andarono a terra mentre altri rimasero a bordo nella camera e nel corridojo, ingi- nocchiati per fare orazione. Accortosi di ciò Pietro, chiama a sè i suoi compagni di sventura, e in brevi accenti ci dice: coraggio miei cari! quest’ è il giorno della nostra salvezza, questa l’ ora per liberarci dalla schiavitù! inchiodiamo le boccaporte ed il tambuechio della camera, tagliamo la gomena; per issare le gabbie, no non temete: cannoni ci sono nella batteria, a questi legheremo i ghin- dazzi; mediante le manovelle getteremo i cannoni nel mare, le gabbie si alzeranno, e, una volta che saranno issate, recideremo i ghindazzi senza curarci più dei cannoni, e in pochi giorni arrive- remo a Malta. Così accadde. Ma, quale l'ansia pria di giungere a drizzar la prora alla volta di quell’isola, quale ambascia finchè non ebbero superati i forti di Rodi, quale sovrumana pazienza per compiere il viaggio in quattro soli individui! Si aggiunga che la gioia sentita nell’ approssimarsi al porto di Lavalletta, di subito cangiossi in tristezza, poichè i Maltesi, reputando la nave un legno da guerra nemico, con fiamma ostilmente tonante la respinsero. Dopo lungo e penosissimo indugiare sul pelago, finalmente le passanti barche informate dell’ accaduto, ne diedero parte alle autorità portuali, che fecero poi un’ accoglienza trionfale ai prodi condottieri della nave. Tutti quattro furono regalati di ricchi doni, il Gran Mastro dell’ Ordine de’ Maltesi accordò loro molte onori- ficenze, ed, oltre all’ avere dato in proprietà al Gelalia terre di molto valore, lo elevò al rango di cavaliere di Malta sebbene ei fosse addetto alla chiesa orientale. Di più gli accordò anche il permesso di erigere un tempio greco, che per lo innanzi non si tollerava su quest'isola, e questo tempio dedicò il Gelalia a S. Nicolò patrono della sua famiglia. Visse quivi lunghissimi anni, e morì altamente onorato nel 1811. — 112 — Il Dr. Nichea (Nikicevich), medico del principe Eugenio Beauharnais vice-re d’Italia, era da Castelnuovo come lo era quel Tommaso Guerra che, nel corso del secolo passato, salì in grande rinomanza calcando i primi pulpiti d’Italia. Parecchi negozianti nativi o derivanti da quella piccola città si slanciarono a grandi imprese e giunsero a rilevanti fortune al di là dei mari in terre lontane, serbando un bel nome nel mondo commerciale. E molti di voi, Signori, avranno conosciuto quello straordinario ingegno commerciale di Spiro Gopcevich, il quale collo spirito suo intraprendente e con una operosità senza pari era giunto a farsi qui in Trieste una splendida posizione. Che se un avverso fato fece andare a vuoto per la guerra di Crimea la sua specula- zione e lo paralizzò, non cessa d’ esser vero, che, oltre all’ aver dato da vivere per le sue operazioni commerciali a tanti marittimi, promosse egli l’ industria nazionale coll’ infondere nuova vita ai prostrati cantieri di Fiume e di altri squeri, col far nascere la voglia dei nuovi pacchetti a vapore, col dare lavoro ad artisti di merito, coll’ acquistare quadri ed altri oggetti estetici, infiammato com’ egli era dal genio delle arti. i E se Trieste vidde giungere a compimento in S. Spiridione uno de’ più perfetti templi di stile bizantino che esistano in Europa per i Greci di liturgia slava, ne va debitrice alla generosità della nobil dama Anastasia de Nako figlia all’ egregio signor Michele Vucetich da Castelnuovo, la quale per siffatto scopo donò la ben considerevol somma di fiorini 52,500, che servirono non meno ad onorare la religione che ad animare gli artisti, a favorire le belle arti. Ma è sopratutto Castelnuovo che avrebbe bisogno di chi imitasse la Nako nelle largizioni, facendo nell’ altrui vantaggio anche il proprio, collo acquistar case e ridurle a miglior condizione per renderle adatte alle esigenze di coloro che l’ inferma e languente salute necessita di lasciare nell’ inverno il natio suolo e andare in cerca d’ un clima mite. E quale interesse non trarrebbe dal capitale impiegatovi chi avesse il coraggio d’ istituire in Topla un Hotel-pension con ciò che chiamasi conforto moderno? Vanno pur tanti Inglesi, Tedeschi e Russi, anche nella rigida stagione sul lago di Ginevra, e come, se vi trovassero que’ stabilimenti, non andrebbero di preferenza a passarla a Topla, sotto quel limpido cielo, in quell’aere salubre, dove nell’inverno si gode quanto ha di più soave la primavera! — 113 — Una particolarità ittiologica delle acque di Castelnuovo è il dentale della corona, una varietà dello Sparus dentex, che ottenne questo nome da un’escrescenza sulla testa, e che fuor di qui e del bacino di Sebenico, fino ad ora, non si rinvenne che nel Bosforo. Di fronte a Castelnuovo verso Scirocco !/, Ostro, al lido della penisola Lustiza, giace Porto-Rose al sicuro dei venti meridionali, per cui quivi si radunano i bastimenti d’alto bordo per attendere il vento propizio alla sortita delle Bocche durante gl’ impetuosi venti del Sud. Rose conta attualmente poche case ma altra volta, giusta quanto ne dice la cronaca, era città che fu distrutta nel secolo IX dai Saraceni africani. Procedendo innanzi nel golfo lo vediamo ristringersi. fra Kombur e l’ anzidetta penisola Lustiza, benchè esso resti di rag- guardevol larghezza e sempre di leggiadro aspetto, anzi da Castel- nuovo fino alla bocca di Kombur la. costiera non può essere più gradevole all’ occhio. Anche quando fuor delle Bocche l’ alto mare è agitato, il canale resta così tranquillo .che il navigante crede di essere portato dalle placide onde d’ un maestoso fiume. Con vero diletto si percorre quell’ acqua che sembra uno specchio in mezzo alle magnifiche rive che la rinserrano. A. sinistra una. serie di colline verdeggianti fino alle più elevate cime, che in alcuni punti giungono a considerevol. altezza, si presenta. allo sguardo adorna di villaggi, di ville e di monasteri. Dopo Megline, varcata la palustre vallicella di Zelenica, oltre il caseggiato meschino di questa villa, percorrendo a Oriente la fertile spiaggia, in continuo nesso si seguono, fin verso Perasto, le ville di Kombur, Gionovich, Baosich, Grab, Piaviza, La Bianca, Plocce, Camenari e Giurich: Di tratto in tratto si veggono scabrosi letti di torrenti che, durante le pioggie a rovinosa gonfiezza ingrossati, giù dall’ alto si preci- pitano con grande strepito nel mare. La vegetazione per ogni dove è ricca e vivace: a Kombur nel giardino Giurassovich. gli alberi dell’arancio e del limone sono di grandezza pressochè colossale ed attraggono l’attenzione del navigante; a Pokrivenik, tra Kombur e Baosich, spiccano le terre della famiglia Voivodich per la quantità di piante esperidee ed in generale per la qualità di frutta bellissime all’ aspetto e saporitissime; e Baosich era luogo di delizia. dei principi della Zenta. Recenti indagini istituite ad opera. dell’ atti- vissimo signor Paolo Radimiri avean anche fatto sperare in questo tratto di suolo di scoprire sull’ alto, segnatamente a. Cruscevizza 8 — 114 — (patria del genitore del famoso papa Sisto), miniere di ferro simile a quella dell’ isola d’ Elba; ma gli esperti montanistici, ch’ ei fece venire, trovarono i filoni troppo scarsi, e quindi la spesa sarebbe stata maggiore dell’ utile che se ne poteva trarre. A destra del golfo scorgonsi le ville della penisola Lustiza abbondante d’ oliveti tramezzati da petraje calcaree messe a profitto dalla diligenza degli abitanti della costiera, i quali ritraggono helle pietre da politura con semi petrefatti di cereali e di legumi. Specialmente fertili sono i dintorni di Krtole, e rinomati i terrazani per la loro forza. La riva meridionale della penisola è bagnata dal mare aperto mentre il canale di Cattaro lambe la settentrionale, e tra questa ultima e la penisola di Teodo forma un gran seno. Nel fondo della piegatura di cotesto seno smagliano gli scogli che da un distac- camento di cavalleggieri greci al servizio della Repubblica veneta ivi stanzianti, si dissero Stradioti. Ad Ostro degli scogli vi è la baja di Krtole. Là dove dietro gli scogli medesimi la penisola di Lustiza si congiunge con quella di Teodo il paraggio si chiama ancor sempre ,Le Saline“ dalle antiche paludi salifere che vi esistevano. Il gran seno trae il suo nome dalla penisola Teodo, sulle cui verdeggianti rive giaciono i comuni di Teodo, Stolivo, Perzagno e Mula, tutti, dal primo infuori, sulla costa che guarda Cattaro, al cui distretto appartengono. Ridenti ne sono i lidi, e spalliere di viti e tutte sorta di piante fruttifere allettano l’ occhio anche sulla costa che guarda al di quà, ove pur si veggono foci di torrenti che gonfi d’ onde dopo le pioggie si versano nel mare. Fra i pro- dotti di questa terra si apprezza particolarmente un vino squisito, chiamato Marzamino di Teodo, che assomiglia al Malaga. È poi dovuto all’attività degli attuali abitanti il progresso che si osserva nell’ allevamento dei bachi di seta. Non è inverosimile che il nome Teodo sia derivato dalla voce greca significante divino, appunto per la stupenda situazione del paese, l’amenità de’ suoi campi, l'eccellenza de’ suoi raccolti. Vuolsi che in vicinanza delle antiche saline, di cui parlai poc’ anzi, abbia esistito una città, sommersa per terremoto, anzi pretendono potersene scorgere gli avanzi in fondo al mare. Questa città avrebbe quindi avuto la sorte che toccò a Vineta, altra città slava sull’isola di Usedom, lo scalo di tutti i popoli del Baltico, la quale nel secolo IX contava per una delle più grandi città del- l’ Europa, la principale delle commerciali slave, abitata da mercatanti — 115 — di diverse nazioni, persino da Greci, chiamata anche Jummne 0 Jumetha, e che da un terribile terremoto divenne bottino dell’ onde. Ancora nel secolo XVI discernevasi una parte delle sue case nella bassa marea, come narra Ungewitter nella sua Storia del com- mercio“ *). Proseguendo la nostra escursione nel golfo si va incontro allo stretto della baja fra la punta Santa Domenica e la penisola di Teodo. Quest’ è la bocca di Lepetane. Le opposte rive accostan- dosi sempre più fra loro formano un canale precisamente in direzione da Ostro-Libeccio a Greco-Tramontana, lungo circa un miglio e non più largo di 200 passi all'ingresso, e di 160 al- l'uscita nel luogo chiamato Le Catene, perchè veniva chiuso con catene al minacciar di nemica forza, onde impedirne l’ entrata. La sua profondità varia da 115 a 180 piedi. Il canale ha sfogo nel gran seno orientale delle Bocche, suddiviso in due intervalli di figura triangolare; l’ uno rimane a sinistra uscendo dalle Catene, l’ altro a destra; quello si distende in Occidente verso Risano, questo in Oriente verso Cattaro, ove forma la chiusa del golfo delle Bocche. Lungo la stretta del canale giaciono alla nostra sinistra Camenari e Giurich, dove si trovano cave di pietra rossa da lastrico, che vien dettà ,rosso di Cattaro,“ di cui abbonda eziandio Lepetane alla nostra destra sull’ opposta riva teodana. In faccia alla bocca delle Catene, a 650 passi verso Greco, scorgi Perasto. Il seno offre qui un quadro d’ indescrivibile bellezza. A Ponente come pure a Settentrione s’ innalzano colossali montagne con bianche squallenti e nude sommità, consistenti di pietra calcarea cretacea, cosiddetta mediterranea, che caratterizza tutta la catena de’ monti fino all’ Arcipelago greco. Sulle pendici inferiori vi sono delle scarse oasi verdeggianti, più in alto non v’ è la minima traccia di vegetazione su que’ dossi, che si estollono con tale dignità e selvaggia bellezza, da colpire potentemente. Nemmeno i laghi delle Alpi della Svizzera tedesca offrono quadri più sorprendenti per maestosa orridezza di rupi. Alle radici di quello tra questi enormi massi, che chiamasi Monte Cassone, giace in modo anfiteatrale la borgata di Perasto colle alte case, le sue chiese, coll’episcopio, edificato *) Dr. J. H. Ungewitter, Geschichte des Handels, der Industrie und Schifffahrt von den àltesten Zeiten bis zur Gegenwart. Leipzig und Meissen 1851, pag. 246. * — 116 — a spese dell'arcivescovo di Antivari Andrea Zmajevich, che avea qui la sua sede, e col forte Santa Croce costruito nel 1648 dai Veneziani sulle rovine di altro antico, a 220 piedi sopro il livello del mare. Più in là di Perasto, come da riposto nascondiglio, si spinge in fuori la villa di Orahovaz; in fondo alla baja laterale di Nord-Ovest riposa Risano; innanzi a Perasto a un sol quarto di miglio verso Ponente-Libeccio sorgon due scogli, sopra uno dei quali sta la soppressa abbazia di S. Giorgio de’ Benedettini, surta nel secolo XIV e convertita dai Francesi in caserma fortificata, sull’ altro la chiesa della Madonna dello Scalpello, celebre pelle- grinaggio dell’ intera provincia delle Bocche. Tutto il quadro in vero è di un imponente effetto; però dalla situazione in fuori, che è in sommo grado pittoresca, Perasto non offre alcuna cosa di particolar rilievo, ed il suo contorno non si presta alla coltura sebbene il cipresso e l’ arancio nel perimetro della borgata facciano bella mostra di sè. Ma fin da remoti tempi gli abitanti di Perasto, già detti Pyrustac e Pertani, derivanti da antico popolo dell’ Illiride, si distinsero nella custodia ad essi affidata d’un forte, eretto dai Romani sullo scoglio S. Giorgio, a presidio di E/izmiam, Vl attuale KRisano. Essendosi poi in seguito anche valorosamente difesi contro i Corsari, ebbero essi dall’imperatore Diocleziano verso il. 292 dell’ éra nostra, tutti i privilegi ed immunità che godevano le città d’ Italia soggette all’ impero mondiale, e furono lasciati liberi ed autonomi. Più tardi, tanto sotto gl’ imperatori d’ Oriente, quanto. sotto i dominatori della Serbia (d’onde molte famiglie scesero e s’ aggregarono ai primitivi abitanti di Perasto), come anche sotto il Veneto dominio, — a cui per spontanea dedizione passarono nel 1420, — essi furono tenuti in grande estimazione, per fedeltà e per valor militare, e si resero altresì famosi nell’ arte dominatrice del mare e dei venti. Memorabile è la difesa da essi sostenuta quando nella notte del dì 14 al 15 Maggio 1654 la piccola Perasto venne assalita, dalla parte di mare e di terra, da 6000 Turchi che furono ben presto costretti di darsi ad una precipitosa fuga colla perdita fin anco del loro comandante, cui Cristoforo Colovich spiccò la testa. Vittoria questa sì prodigiosa che indusse il conte Sdrino, illustre guerriero Croato, a recarsi a Perasto onde manifestare personalmente la sua stima e presentare eziandio a quel Comune una distinta spada che qual prezioso dono tuttor si conserva. Ed in tutti i combattimenti navali, che furono ben molti dal summen- Ce tovato anno 1420 fino alla caduta della Veneta Repubblica, trovaronsi i Perastini, spiegando costantemente inconcussa fede e militar valore. Attestati, decreti e ducali per le loro prodezze esistono in gran numero. I due primi vascelli della regina dell’ Adria Giove fulminante e Costanza guerriera, erano comandati dai due perastini Vincenzo Mazzarevich e Giovanni Bronza. Capitan Pietro Marcovich, pilota reale di Don Giovanni d’ Austria, acquistossi distinta. ripu- tazione nel combattimento navale delle isole Carzolari; Matteo Zmajevich morì nel 1740 in Pietroburgo, grande ammiraglio della flotta russa nel Baltico, dove trovavasi già nel 1716; a Perasto nacque pur anco quel Marco Martinovich, cui il Senato Veneto nel 1708 sceglieva a maestro e guida dell’ educazione navale di 16 giovani di cospicue famiglie nobili russe, che lo Czar Pietro il grande affidava alla Repubblica per formarne altrettanti valenti ufficiali, come di fatto tali divennero coll’ istruzione, tanto teorica quanto pratica, da lui avuta percorrendo altresì 1’ Adriatico ed il Mediterraneo sopra una nave dal Senato messa a disposizione di lui. Sotto il ritratto di questo distinto maestro, che vedesi nella podestaria di Perasto, si leggono i nomi di que’ giovani principi e bojari, tra i quali figurano i Kurakin, i Laban, i Gallicin, gli Iglokov, i Danilovich, i Burtalin, i Repnin, i Teodorovich, i Saro- matov, i Bexevski, gli Urtisev, gli Ivanovich, i Matuskin. Ed oltre al sullodato Matteo Zmajevich, altri Perastini si resero illustri nella marina di guerra al servizio di principi esteri. La Spagna diede il comando d’una provincia dell’ Indie al capitano Cristoforo Sciloppi per prodi azioni, e fece capitan Nicolò Chiorco comandante di Majorca, ove i suoi discendenti esistono col titolo di Marchesi; e un Luca Vucichievich fu pilota dei cavalieri di Malta, e pilota delle galee del re di Sardegna fu un capitan Marco Perastino. Anche nelle truppe regolari oltramarine, durante il veneto dominio, distinsersi parecchi Perastini come i Viscovich, i Burovich, i Bujovich, i Stucanovich, sì per il loro coraggio che per la loro fedeltà. Se poi si consideri lo sviscerato attaccamento che i Perastini portavano alla Veneta Repubblica, l’ attiva parte che essi presero in tante vittorie da lei riportate, le onorificenze che ne trassero, i favori di cui vennero ricolmati, e sopra tutto 1° altissima stima in cui erano per la loro prodezza e per l’inconcussa loro fedeltà, non dee recar meraviglia che inesprimibile fosse il cordoglio e profondo — 11838 — il lutto cagionato in essi dalla proscrizione della bandiera di S. Marco, allorchè, dopo la pace di Campoformio, giungeva la forza armata austriaca per prendere possesso delle conseguite nuove provincie. E fa onore al generale Rukavina, cui era dato questo incarico, l'avere egli rispettata la pubblica dimostrazione di siffatti sentimenti col non essersi in verun modo opposto alla funebre solennità, con cui, non altrimenti che nei funerali d’ un adorato Signore, e seguìto da toccanti parole del conte Giuseppe Viscovich, capitano di Perasto, veniva deposto nel duomo sotto 1° altare di S. Nicolò, ove tuttora è custodito come un santuario, quel gonfalone, che 377 anni prima, era stato ai Perastini, quale onorifica distin- zione pei fedeli loro servigi, dalla Repubblica affidato. Nè solo nelle armi e nelle scienze attinenti alla navigazione si distinse questa patria di eroi. L’arcivescovo di Antivari Andrea Zmajevich scrisse gli annali ecclesiastici dell’ Illirio in lingua illirica colla traduzione latina sino all’ anno 1644, e celebrò in un poemetto slavo il fatto d’ armi, di cui parlai poc’ anzi, avvenuto nel 1654; il suo successore e nipote Vincenzo Zmajevich (nato nel 1670) versatissimo nelle scienze usuali e culto parlatore nelle lingue latina, italiana, slava ed albanese, si distinse siffattamente per lo bello stile da meritarsi il sopranome di ,penna d’oro“; a lui deve la sua esistenza il seminario glagolito di Zara, a lui l'impulso al progresso la lingua slava, tanto volgare che letterale, a lui la salvezza buon numero di famiglie albanesi, che egli raccolse in quella città e fornì di beni, ove, moltiplicatesi di molto, occupano il borgo Erizzo ed ove egli, per le sue benemerenze a pro del- l'umanità e della scienza durante il corso di 32 anni d’ episcopal ministero, si rese indimenticabile. E se interessantissima è la sua Lettera diretta al fratello Matteo ammiraglio in Pietroburgo, se nelle Lodi di Apostolo Zeno spicca in ispecialità la sua eleganza del dire, nel Sinodo da lui convocato a Marchigne (1703), è cosa assai notevole l’ essere dato in luce non solo in latino ma anche in albanese, nel quale idioma sono così rari gli stampati di merito. — Un altro Perastino, il parroco Gian Antonio Nenadich si distinse col suo poemetto slavo impresso a Venezia in occasione che i due fratelli Ivanovich di Dobrota, combatterono contro uno sciambecco tripolino e lo affondarono nel porto di Atene. Una bella descrizione della prodigiosa presa di grossa tartana barbaresca presso Durazzo ad opera di capitan Zorzi Bane, altro Perastino, diede Cristoforo Mazzarevich; ed altro Mazzarevich, che avea studiato medicina — 119 — divenne incaricato d’ affari per la Russia in Persia, come già. in antico un Perastino era stato ambasciatore del Bano di Serbia al sultano Amurat II. Il primo a descrivere l’ Adriatico a comodo dei naviganti in carte di piana navigazione, è il Perastino Grubas, che visse in Venezia; Vincenzo Ballovich ed Antonio Bassich trat- tarono in bella prosa soggetti sacri. Perasto ebbe poi nei conti Giovanni e Vincenzo Bujovich due giurisprudenti di molta fama in Venezia; il primo oltre alle scienze legali coltivò molto le matematiche e fisiche, ed i suoi scritti fanno fede delle eminenti sue qualità. Scelto a presidente della municipalità di Venezia sul cadere di quella Repubblica, sostenne lunga ed ostinata lotta per salvare gli avanzi della veneta esistenza. I Perastini hanno per natura 1 eloquio facile e l’anima poetica. Da secoli la loro coltura era più generalizzata che in altri luoghi delle Bocche, ed essi solevano anche ritenersi da più degli altri Bocchesi, e solo pei Dobrotani avevano qualche riguardo, perchè li sapevano ricchi ed intraprendenti, e perchè in molte battaglie uniti ad essi ebbero parte ai felici successi. Perasto non ha più le dovizie che possedeva in passato. La famiglia dei conti Smecchia, al pari di parecchie altre, era siffat- tamente ricca da poter perdere molte migliaia di zecchini, come le è accaduto a Venezia, senza risentirsene. Non poche delle helle case di questa borgata, simili ai palazzi di Venezia, sono pressochè abbandonate. Il numero degli abitanti di tutto il Comune, che, oltre a Perasto, comprende tre villaggi ed ha tre scuole popolari e tre curazie, di cui una greca, ascende a 1130, de’ quali soli 570 vivono nella borgata stessa. Traggono bensì vantaggi dalla pesca, ma la risorsa principale, che ad essi resta ancora, è la navigazione a cui e’ si dedicano con amore: Pietro Smecchia fu il primo a visitare le coste della Livonia con paviglione veneto, e il primo a spiegare il vessillo austriaco mercantile a Canton, Macao, Batavia, e che tutt’ ora, quantunque più che settuagenario, impavido solca l’ onde, è il capitano Diodato Bilafer, che, assai prima del taglio dell’ istmo di Suez, aveva passata la linea più di 24 volte. Se non che sullo scoglio, celebre pel santuario della Madonna delle grazie, vi si ammirano dei lavori, dai quali risulta che Perasto ebbe pure chi si distinse nelle arti belle. Ed è questi Trifone Cocoglia nato nel 1661, e detto appunto il Perastino,“ pittore esattissimo nel disegno, e nel colorito seguace della scuola veneta, — 120 — il quale ne’ suoi dipinti lasciò alla sua patria una bella testimo- nianza del suo merito. Da quest’ isoletta, quando lo sguardo sorvola lo scoglio S. Giorgio, che in mezzo all’ onde pure porgeva fino a pochi anni addietro l’ultimo asilo ai Perastini, la borgata co’ suoi templi, colle alte case, cogli eccelsi cipressi e maestosi alberi d’ arancio pomposamente espandendosi lungo la rupea parete, a cui piedi essa giace, produce un effetto de’ più belli e più vaghi. Dall’isola de’ sepolcri e della Madonna poche miglia innol- trandoci col nostro naviglio in fondo alla piegatura settentrionale del golfo, troviamo una solitaria baja ma ricca di particolarità pittoresche e di memorie — la baja di Risano. Questo remoto, e, fino agli avvenimenti dell’ autunno 1869, quasi dimenticato angolo delle. Bocche, pressochè mai visitato da forestieri, figurava un tempo in modo assai cospicuo. Nell’ antico regno degl’ Ilirii, Rhizinium era città potente e ricca, era fortezza e luogo di diporto dei tiranni di Scodra. Nelle sue mura rifugiossi Il ardita Teuta, vedova del re Agrone, il cui scettro rifulse dall’ Albania fino al di là del Tagliamento e della Livenza, a Codropoli — l’attuale Co- droipo. La qual Teuta dopo la morte del marito acconciatasi sul trono come tutrice del di lui figlio Pineo, abbandonata dalla maggior parte de’ suoi sudditi, per la sua tracotanza ed orgoglio fu ridotta dai Romani a sì mal partito da dover chieder pace, venir shalzata dal soglio e cedere la corona a Pineo, al quale l’avea usurpata durante la minoranza di lui, la cui vera madre era Tritenta, moglie ripudiata da Agrone. Costretta di rifugiarsi a Risano tra l’anno 229 e 228 prima di Cristo, Teuta visse in questo castello qual donna privata, ed ivi sarebbe anche morta. Allorchè i Romani dopo la guerra di Genzio, ultimo re degli ‘ Ilirii, divennero padroni di tutto 1’ Illirio, Rhizinium detto anche Rhizonium, fu trattato con molto riguardo, e Plinio lo indica quale Oppidum Civium Romanorum, e da questo castello il canale delle Bocche di Cattaro chiamossi Sinus Rhizomicus. Che poi in quest’ or simulacro di città, nascosta in fondo ad un seno rinchiuso da monti inospiti, esistesse un regolare statuto municipale romano e vi abitassero doviziosi cittadini, in istato di poter spendere un bel capitale per pubblici stabilimenti e per opere monumentali, risulta anche dall’ iscrizione sulla preziosa lapide, qui rinvenuta ed esistente da secoli a Perasto, la quale rimonta DI al tempi degli imperatori romani. Quest’ iscrizione è conosciuta — 121 — dagli storici, dagli epigrafisti e dai filologi. La troviamo in Lucio sInscrip. Dalm. pag. 26 Rhizon, e ne parlano, non solamente Fabretti, Muratori e Visconti, ma anche Forcellini nel suo Lexicon totius latinitatis alla voce vicesimus, per autenticare la parola vicesima o vicesima haereditatis. Nella tempestosa migrazione dei popoli tramontò 1’ agiatezza e lo splendore di questa colonia romana, e subentrò lo stesso avvicendarsi di genti cui andarono soggette le altre parti della »rovincia: Dai Turchi fu presa nel 1539 ad opera dell’ ammiraglio Hayraddin Barbarossa, e passò ai Veneti nel 1649 coll’ aiuto delle bellicose popolazioni di Perasto e di Pastrovicchio. A giudicare dall’ area coronata da monti e resa angusta dal mare, l’ antico Rhizinium non sembra che potesse avere avuto una grande estensione, per quanto ricco e forte fosse pur stato. Se non che con onda tranquilla, per la limpidezza dell’ acqua penetrando la luce fino al fondo, si scorgono estese traccie di edifizî; e. non ha guari è riuscito al signor Alessandro Paprenizza di sollevare, mediante un congegno di funi con uncini, il capitello d’ una colonna che conservasi in Risano nella casa del di lui figlio, ciocchè parla chiaramente in favore della maggiore estensione della città, che sarebbe stata ingojata dal mare per terremoto, a cui, come anche alla peste, andò soggetta al pari di Cattaro. Nell’ anno 1867 al Nord di Risano, precisamente in un terreno appellato Zarine, che la tradizione vuole così chiamarsi dall’ essere stata ivi situata l’ abitazione della profuga Teuta, regina (carina) degl’ Illirii, avendo il proprietario Vuko Kiatovich intrapreso per ragioni agrarie un’ escavazione, ad un piede circa di profondità, inceppò in molte pietre atte a dimostrare l’ esistenza di un qualche importante edificio. Tra frammenti di cornici, di pilastri, d'’imposte, di statue di marmo, tra cocci di cotto, ovoli di colonne, vasi e monete romane di rame, trovò una lapide con iscrizione latina, che l’ allor supplente professore al ginnasio di Cattaro, ora effettivo al comunale di Trieste — il signor Pietro Gelcich, giovane. di pronta mente e di bello studio, si credette in dovere di rimettere in copia al distinto professore universitario in Vienna Giovanni Vahlen, il quale non tardò di farla avere al celebre archeologo Teodoro Mommsen, che trovolla interessante, perchè fa espressa menzione dei due trionfi dacici di Trajano, e che diede le ragioni per le quali devesi essa ritenere degli anni 116 o 117 dell’ èra nostra. — 122 — Ancora alla fine dello scorso secolo, i Risanoti, robusti ed alti della persona, andavano superbi di un’ origine romana, e, ad onta che parlino la bella e sonora lingua serbo-dalmata forse meglio che in qualsivoglia altro luogo delle Bocche, vantavansi dj avere conservato tanto puro il sangue romano quanto intatto il costume di quegli antichi guerrieri. E valga il vero, il loro vestire, benchè non romano, distinguesi da quello degli altri Bocchesi e rende ancor più helle le imponenti lor forme. La berretta poi rossa, senza solecchio, piegata un po’ all'indietro e che copre il loro capo dalla chioma nera, fa maggiormente risaltare in quei volti la proprietà principale del carattere romano — l’impavido valore e la voglia d’intraprese hellicose, che rendeano a Venezia stessa temuti i Risanoti, sebben essi si fossero spontaneamente messì sotto la di lei protezione. Ed è un fatto che quantunque cotestoro prestassero valido braccio al veneto governo nelle lotte turchesche, lo necessitarono altresì di mantenere costantemente all’ ancora nella baja di Risano una cannoniera bene armata, onde impedire le scorrerie alle quali essi tendevano sempre sugli altri sudditi della Serenissima, che era pure in dovere di proteggere. A questo modo i Risanoti si abituarono poco a poco a vivere tran- quilli, ed il loro spirito intraprendente si rivolse poi soltanto a relazioni commerciali, e a quelle ardite imprese a cui dalle guerre della Veneta Repubblica chiamati erano. Gli agiati costrui- vano bastimenti per fare il commercio annuale del Levante. Anche il traffico per via di terra, ad onta delle difficoltà delle comuni- cazioni, a cagione delle rupi scoscese, era di un qualche rilievo, e tuttora il mercato settimanale detto gabella sulla piazza di Risano è abbastanza considerevole. Anzi il genio speculatore dei Risanoti fece sì che essi venissero ritenuti dai loro vicini per assai scaltri nei loro traffichi ed assai abili nel persuadere e corbellare con buoni modi e con certa quale dignità. In quanto poi alla castità il loro rigore è ancor maggiore degli altri Bocchesi. Fino al prin- cipio di questo secolo la sorte d’una donna perduta era la lapidazione; essi vi tenevano a tal punto, che, nell’ anno 1802, un padre, alla testa del popolo, aveva alzata la prima pietra per scagliarla sulla propria figlia, se alcuni individui della truppa austriaca, allor presenti, non l'avessero salvata. Parecchie volte i Risanoti s’innalzarono anche fuor del servizio veneto a posti elevati sì nella flotta come nell’ armata di terra. AI cominciare del nostro secolo nella famiglia Ivelich di due fratelli uno era tenente-maresciallo e 1° altro generale in Russia. — 123 — Attualmente Risano non possiede che qualche bastimento d’alto bordo; non così in addietro. Basta ricordare i fratelli Spiro e Drago, figli di Cristoforo Popovich, uomini di bella fama per la loro probità e per la fermezza del loro carattere, i quali, fondata una casa commerciale in Trieste, possedettero mercè l'attivo loro operare rilevante numero di navigli di lungo corso. Ardenti d'affetto per ogni causa tendente a migliorare la sorte delle nazioni, allo scoppio della guerra per l'indipendenza ellenica, mentre vi accorsero distinti ingegni dalla Germania, dall’ Italia, e dall’ Inghilterra un Byron, i Popovich pure offrirono sè stessi e le loro navi in aiuto di quella oppressa nazione. Spiro prese parte alla battaglia di Navarino colla polacca Navigazione. I Greci più autorevoli di quell’ epoca erano in intima relazione coi Popovich. Durante 1° as- sedio di Negroponte, Drago, il più giovane de’ fratelli, ebbe occasione di esercitare degli atti eminentemente umanitarî, salvando una notevole parte della pepolazione col trasportarla sulla propria nave in luogo di salvezza. Risano, capoluogo d’ uno de’ quattro distretti giudiziarî del capitanato di Cattaro, è popolata da 1038 abitanti, ma l’intero distretto ne conta 4000 circa, pressochè tutti addetti all’ ortodossia greca con cinque curazie ed un convento di calogeri. Il Comune si compone di 21 villaggi con sette scuolo popolari. In Risano stessa vi è però una curazia cattolica. Gli abitanti esercitano un qualche traffico con quelli dell’ Erzegovina e del Montenegro, non pochi sono marittimi, anzi quei delle ville che stanno a sinistra dell’ entrata nella baja di Risano, segnatamente di Morigno, che è la più rilevante, hanno fama di eccellenti marinai; molti si occupano colla pesca, altri son destri cacciatori, ed altri agricoli per quanto lo permette la ristrettezza del suolo coltivabile e la siccità cui va soggetto. L’ acqua potabile ritrae Risano da una sorgente perenne, che zampilla a un miglio e un quarto dal suo centro cioè dalla piazza gabella. I convegni e le confabulazioni a quella fonte, detta Smokovaz, sono il divertimento principale delle zitelle Risanote, le quali d’ altronde hanno nel villaggio un piccolo bazar di camicie da esse ricamate, che vendono a que’ dei dintorni. Altra fontana d’acqua pura è quella di Spilla, che sorge da una grotta sotto le rovine del castello di Gradina. Se non che ad un quarto d’ ora da Risano ed all’ altezza di 80 piedi, si apre uno speco in erta rupe da cui sgorga nel tempo pluviale il torrente Sopot. È uno spettacolo sorprendente quando quell’ ingresso tenebroso diventa d’improvviso — 124 — l’ aperta cataratta da cui si vede slanciarsi 1’ acqua strepitosa e spumante nel mare. Nell’ estate questa caverna si dissecca ed ammette l’ entrata, non offre però alcuna cosa di particolar rilievo. Ma nel torrente Morigno, che sbocca all’ angolo di Libeccio dalla baja, vicino a Costagniza, l’acqua vi scorre anche nell’ estate, e la riviera di Costagniza è coperta di olivi e di frondosi castagni secolari da cui trasse il nome. A Ponente ed a Settentrione di Risano si spiega una regione di orridi monti cui danno il nome di Crivoscie. Sopra sterili dossi, in spelonche e fra angusti calli, abita qui una popolazione altrettanto austera quanto le sue montagne. Gli ottocento a mille uomini, sparsi in singoli gruppi su quelle inospiti e squallenti alture, trag- gono con duri stenti uno scarso nutrimento dal prodotto delle piccole valli perdute in mezzo a quell’ ingrato suolo. La più grande, quella di Dvrsno — un dì come vuolsi lago, — si estende un’ ora, e puossi attraversare in men della metà di questo spazio di tempo. Una strada costruita a metà d’altezza di rupe poco men che perpendicolare, conduce a quella oasi, d’ onde si giunge all’ altipiano di Dragalj. Le capanne de’ Crivosciani sono l’immagine della loro vita piena di privazioni. Trovandosi essi, fino a pochi decennî addietro in continue lotte coi limitrofi Turchi, si spingevano non di rado fino Trebigne a vendicare il loro sangue. Essi non depon- gono mai le loro armi. Le vie artificiali li ha avvicinati al mare, ed in un colle scuole recentemente introdotte e le comunicazioni coi presidî militari dei varî fortilizî, li ha resi più miti di quello che erano per lo passato. Ed è appunto per la mancanza di scuole e di strade, che quegli uomini, dotati di stupendo vigore, rimasero sì a lungo in uno stato di quasi primitiva rozzezza. E si fu perciò e per la loro avvedutezza, in aggiunta alla conoscenza pratica di tutti i vantaggi che presenta la loro ubicazione, ove gli ammassi di roccie e di fessure spaventevoli mettono il raccapriccio, e le rupi stesse, inaccessibili anche al più esperto cacciatore delle Alpi, domandano una propria calzatura, che riuscirono inutili e vani tutti gli sforzi impiegati dai Francesi sotto Napoleone I, i quali s° erano fissati di volere ad ogni costo soggiogare la. Crivoscie. — 129 — SECONDA LETTURA. Spinto, Uditori cortesi, dalla viva e tenera sollecitudine di far risaltare i vantaggi dei lidi delle Bocche di Cattaro, io vi esposi, per quanto il comporta la tenuità de’ miei lumi e la povertà del mio stile, le bellezze di natura che si presentano all’ occhio, dall’ ingresso del canale fino alle selvaggie regioni che circondano l'antico Rhizinium, — l’ attuale Risano. A vincere poi la ripu- gnanza che taluno ha per il nome degli abitanti del suolo Bocchese, quasichè essi atti non fossero ad una superiore coltura, io mi proposi anche di toccar con rapidi cenni le persone di merito che quivi ebbero i natali, considerando che niuno può dispensarsi dal grande obbligo di riconoscere la verità, segnatamente in oggi, che, grazie ai progressi della ragione, privo d’intelletto ritener si dovrebbe chi negar volesse, che tutti, da un polo all’ altro, siamo fratelli, e non apprezzasse il senso dei versi di Herder, di quello stnpendo ingegno alemanno : sDies ist einer von uns, dies ist ein Fremder! so sprechen Niedere Seelen. Die Welt ist nur ein einziges Haus. Wer die Sache des Menschengeschlechts als seine betrachtet, Nimmt an der Gotter Geschàft, nimmt am Verhàangnisse Theil.* (Questi è uno dei nostri, questi è uno straniero! Così parlano anime basse. Sol una famiglia è il mondo. Chi fa sua la causa dell’ umanità, partecipa all'opera degli Dei, partecipa al fato). Prima, o Signori, di abbandonare Risano, ho ancora da ricor- dare che quivi s'incontrano i monti più colossali di tutta la provincia delle Bocche; l’ Orien al confine occidentale con 6000 ed il Pasva con 5603 piedi, e poi al Nord il Boroglava, il Bor, il Lissaz, tutti oltre 5000 piedi sopra il livello del mare. Più in fondo nel circondario il Velagrada elevasi con altri monti a più di 4000 piedi, e spettano alla catena orientale che separa la Crivoscie dal Montenegro. Un alternare di bellissimi quadri ci si presenta quando sulla nostra nave lasciamo la baja appartata di Risano, ed il nocchiero drizza la prora verso Levante, per valicare in questa direzione la ultima parte del golfo, che protendesi fino a Cattaro, formando il bel porto che dalla città trae il nome. — 126 — In un grande semicerchio facciamo il giro della costa della penisola di Teodo, che ci resta sempre a destra con bella mostra di lidi senza interruzione ben coltivati e popolosi, dove lussureggia il castagno, 1’ ulivo, il gelso, il melagrano, la vigna ed ogni sorta di piante fruttifere, e dove campanili risplendenti, gareggiando con cupe piramidi di cipressi, innalzansi al cielo, il cui bel turchino si mesce col verde de’ poggi nel puro specchio dell’ acqua. Questo dilettevole aspetto ci accompagna fino a Cattaro dal momento in cui si passa dinanzi allo stretto delle catene, la cui punta orientale sporge dalla costa della penisola Teodo. Con Stolivo, borgata di 840 abitanti, incomincia la quasi non interrotta serie di case, che, comprese quelle di Perzagno colla di lui appendice Glavati, popolato da 1200 anime, e quella di Mula in cui se ne contano 830, si protrae fino alla capitale. Queste ricche Comuni, come anche Dobrota sull’ opposta ripa del golfo, sono tutte addette alla chiesa latina. Il loro aspetto in un col seno di mare che ne bacia le sponde, alletta vivamente; di qua navicelle a vela, di là barchette a remi che solcano onde pure, cui fan corona lidi ricolmi di gajezza, colli di nobile aspetto, prospettive piene di maestà. Si aggiunga il romantico effetto che nel silenzio della notte produce l’eco di chi siede nelle barche illuminate per la pesca e le lor fiamme, non lungi dalle sterminate roccie a perpendicolo tagliate e sulle cui vette il passero gemebondo ricovera. Ma chi volesse godere ad un tratto quasi per intero la vista dei lidi che lambe il mare in quest’ ultimo seno delle Bocche, si scosti alquanto col suo legno dalla riva, lasciando a tergo Perzagno, e lì s' arresti. Egli vedrà di fronte Dobrota con Gliuta, Orahovaz e Drazinvrt, a destra Glavati, Mula e la città di Cattaro, a sinistra i due Stolivo, Morigno e Perasto con quanto di selvaggio, di maestoso e di vago circonda questi siti in quadri eminentemente pittoreschi fino all'imboccatura del seno di Risano. I monti della penisola di Teodo non si elevano in verun punto a smisurata altezza; solo il Vermaz col castello presso Mula, al Sud di Perzagno, giunge a 2450 piedi; gli altri più prossimi al mare non sorpassano 1500 piedi, e quantunque di tratto in tratto risaltino dalle roccie, pure per lo più grata verzura li riveste, e sulle loro pendici come lungo 1 acqua, in mezzo a graziose palaz- zine di stile veneto, a chiese e villette, da per tutto s’ incontrano ridenti campagne. Si resta poi stupefatti nel vedere che questo suolo è siffattamente ricco di castagni (Castanea edulis) da esserne — 127 — coperto per un’ area di 85 jugeri, quando in vece tale albero, di cui tanto abbonda segnatamente Stolivo, fuor delle Bocche è raro in Dalmazia. Stolivo giace in parte sul colle, in parte più al basso; là prende il nome di superiore, qua d° inf eriore. Tanto Stolivo quanto Perzagno, oltre ad essere luoghi belli e ga), sono altresì molto agiati, in ispecie quest’ ultimo, il quale in oggi, mediante la navigazione ed il commercio, ha molto avvan- taggiato, sebbene già in epoche decorse più e più famiglie Perzagnote godevano un gran credito e come armatori e come negozianti, tanto a Venezia quanto nel Levante. Varî ecclesiastici di Perzagno si distinsero nella eloquenza del pergamo, ed ho conosciuto un Florio capitano mercantile, il quale conversava in latino con un eloquio che giungeva al cuore come rugiada benefica. Parecchi emersero nel foro, ed i Cattarini ricordano con sensi di speciale riconoscenza l’ avvocato conte Trifone Lucovich, sì pel suo sapere che per le sue virtù, come eziandio i Perzagnoti tengono nella più alta estimazione 1° attuale loro avvocato Bernardo Verona. Nè mancano a questa- borgata, cultori d’ altri studî, fra i quali è da ricordare Antonio cavaliere Lucovich d’ Ascrivio che si rese benemerito quale ingegnere civile nell’ Egitto e da noi col suo progetto di regolazione del fiume Narenta;i due fratelli Minich, l’ uno (Angelo) preclaro medico-chirurgo a Venezia, e l’altro (Serafino Raffaele) insigne professore di calcolo sublime all’ università di Padova, sono figli d’ un Perzagnoto; ed è pur da Perzagno il nostro protofisico Giorgio Nicolich invidiabile per lo ingegno pronto e ferace al letto dell’ammalato, come per l'attivo suo operare nell’ applicazione delle vaste sue cognizioni chimiche ai progressi della tecnologia. Le Comuni di Stolivo e Perzagno, da lontano sembrano for- mare una sola borgata, che si estende assai più in lunghezza che in profondità. Come gli abitanti di queste due borgate vivono precipuamente dalla navigazione, così quelli di Mula si dedicano piuttosto alla pesca. Molte testimonianze parlano in favore del valor militare come anche dell’abilità in mare degli abitanti di queste tre Comuni, e del loro zelo in servizio della Veneta Repub- blica segnatamente dei Perzagnoti, ma esse non offrono altre memorie storiche, come non ne offre il villaggio Scagliari situato a poca distanza dalla riva, in una valle meridionale, e per il quale si va a Cattaro. Solo sarebbe a ricordare che i Perzagnoti solevano pavoneggiarsi nei loro mantelli di scarlatto alla veneziana e venian — 128 — perciò derisi dagli altri Bocchesi, che pure riprendevano per celia quei di Stolivo per il loro noioso ciarlare, que’ di Mula per la loro poca destrezza, e facevano un ironico vanto a quei di Scagliari, perchè più destri e fortunati quant’ altri mai nel pigliar rane. . A sinistra del golfo di Cattaro svolgonsi nel nostro tragitto quadri non meno allettanti. Superata Perasto, di fronte a Stolivo, s’interna una baja con DraZinvrt su l’un de’ capi, e Gliuta sul- l’altro; tra essi giace Orahovaz. A noi dinanzi si presenta @ piè di monti, irti di scogli e privi di qualsivoglia vegetazione, la lunga serie di case della già ricca Comune di Dobrota, che incominciando dal fiumicello Gliuta non termina se non se alla distanza di poche centinaia di passi dalle mura di Cattaro. Le ime pendici di quelle ardite altezze ed i lidi dobrotani sono pertanto smaltati di verzura ed assai ben coltivati, non un palmo di terra va perduto. Attraente ne è il quadro in ispecie quando con onda tranquilla la magnifica prospettiva si specchia nelle silenti acque azzurre del golfo. I monti, che sovrastanno alla borgata di Dobrota, sono. la sede degl’ intrepidi Crnogorci, il cui paese la Crnagora — il Mon- tenegro — (che nel medio evo chiamavasi Zenta o Zeta), da rozzo ed incolto, mercè la mente svegliata e vigorosa dell’ immortale cantore del Gorski Vienac (serto della montagna), il Vladika Pietro II Petrovich, e l'attivo operare del suo successore, il primo principe secolare della casa Niegozia Danilo di gloriosa memoria, nonchè in forza di quella potente spinta che gli diede lo slancio di S. A. l’attuale principe Nicolò, progredì nella civilizzazione in modo che nel corso di pochi decennî, sopra una popolazione di soli 120,000 abitanti, sursero 67 nuove scuole popolari e siffattamente frequentate da non esservi ormai più nella nuova generazione alcun analfabeta, avvegnachè tutti vi accorrono volonterosi dal vivo desiderio tratti d’istruirsi; — surse pure nel luogo di residenza Cettigne un col- legio femminile modello, dal titolo Institut monténégrin de jeunes filles, in cui venti educande vengono mantenute a spese dello Stato per divenire maestre, oltre a quelle altre che a proprie spese vogliono approfittarne per sortire dopo sei anni istruite in tutto ciò che la civiltà domanda da una donna ben nata; — si fondò altresì in Danilograd un istituto di economia rurale; affinchè nessuna scuola mancasse per un prosperoso sviluppo del popolo, e questa scuola affidava il principe al benemerito Dr. Radich, versatissimo in tale ramo del sapere che egli apprese ne’ più famosi stabili- menti di Germania. Nè paga di tanto Sua Altezza, allo scopo di — 129 — occupare la gioventù montenegrina nelle arti e mestieri, ampliava l’arsenale ed istituiva delle nuove ofticine. sul sistema moderno, in cui ormai le armi da tiro specialmente riescono di un’ ammi- rabile perfezione; e fra gli altri stabilimenti industriali che vanno erigendosi presso le sorgenti del fiume Rieka, uno ne destinava alla fabbricazione dei panni ed un altro per la sega de’ legnami. Il principe accoglie poi con isquisita cortesia tutte le persone di merito che visitano il Montenegro, a qualsiasi nazione appar- tengano, e facilita le indagini de’ naturalisti col dare loro quei condottieri de’ quali abbisognano; chè la Crnagora apre sopratutto ai botanici un vasto campo pei loro studî, ricchissima essendovi dovunque la flora che va lieta di non poche specie caratteristiche. Così l’ultimo botanico Dr. Pantocsek, che si recò (1872) ad esplorare il Montenegro, trovò non meno di 37 specie nuove, di cui buona parte fu determinata o riveduta dai distinti professori Grisebach e Reichenbach. Queste specie sono: Tulipa Grisebachiana, Pant. Orchis Grisebachiana, Pant. Chrysanthemum larvatum, Gris. Thephroseris crassifolia, Gris. Hieracium. gymmnocephalum, Gris. Phyteuma pseudo-orbiculare, Pant. Campanula hirsuta, Pant. C. monanthos, Pant. Viburnum maculatum, Pant. Scutellaria. pauci- flora, Pant. Pantocsekia WMyrica, Gris. Scrophuluria Pantocsekii, Gris. Veronica dwersifolia, Pant. Orobanche Knappii, Pant Pin- guicula laeta, Pant. Bunium tenwisectum, Gris. B. arcuatum, Gris. Caltha grosse-serrata, Pant. Corydalis pseudo-cava, Pant. Arabis crepidipoda, Gris. Thlaspi cuneifolium, Gris. Viola Nicolai, Pant. V. speciosa, Pant. Scleranthus Bjelagoranus, Rchb. S. Cetinjensis, Rchb. S. Jastrebicanus, Rchb. S. Montenegrinus, Rchb. S. uncinellus, Rehb. S. unculatus, Rchb. S. unguiculatus, Rchb. Dianthus fasti- giatus, Pant. Rhmnus ilyrica, Gris. Rubus Pantocseki, Holuby, Potentilla montenegrina, Pant. P. Jankacana, Pant. Geranium pseudo-molle, Pant. Vicia serrata, Pant., nonchè un numero rag- guardevole di varietà. In aggiunta poi alla stampa, alla telegrafia, all’ organizzazione delle poste e ad altri fattori della civiltà introdotti dal principe Nicolò, una strada carreggiabile tracciata dal distinto ingegnere Dr. Slade, e già partitamente in costruzione — partendo da Rieka e passando per. Cettigne, come anche da Danilograd, — metterà il Montenegro, cooperante l’ Austria, in comunicazione con Cattaro, e quindi i prodotti di que’ territorî avranno uno sfogo al mare, come anche ben più facile e comodo sarà l’ accesso a quel sassoso paese 9 — 130 — della cui configurazione geologica, il geniale poeta serbo-dalmata Giovanni Sundecié dà un quadro, al primo aspetto non lontano dal vero, col dirla yun mare in orribil tempesta petrificato.“ Tali progressi portentosi in una regione per lo innanzi sì temuta dal forestiero, e che oggi puossi percorrere da un capo all’altro coll’ oro in mano senza tema d’ essere derubati, onorano grandemente quel principe, e la scuola serba in S. Spiridione di Trieste può andar gloriosa d’averlo avuto adolescente fra i suoi allievi prima ch’ ei passasse agli studî a Parigi, e dove fin d’ allora faceva egli scorgere di conoscere, dover l’ uomo avere stima di sè per esiger quella degli altri, mentre ei veniva in pari tempo da tutti ammirato per l’ operosa voglia di ben fare, e per la fami- gliarità fratellevole con cui trattava i suoi condiscepoli. Ma di Dobrota, di cui ripiglio parlare, alcuni fanno rimontare l'origine ai tempi dei Romani, altri, ed è il maggior numero, indicano per loro antenati nobili famiglie di Montenegro, che, in momenti d’inquietudini popolari, eran scese alle sponde tranquille delle Bocche, cercando pace. E realmente da que’ monti proviene una gran parte degli abitanti di questo Comune, formatosi poco @ poco, il quale, divenuto in seguito considerevole, edificò la chiesa di Tuttisanti, passando alla credenza cattolico-romana. Addolorati di ciò i Montenegrini, attaccati alla chiesa greco-orientale, e forse anche invidiosi dei prosperi successi dei Dobrotani nel commercio mediante la navigazione, non desistevano di frequentemente molestarli. Laonde i Dobrotani armigeri senz’ altro, dovevano di continuo stare sulle difese; da ciò l’ aspetto di case forti che hanno le loro antiche abitazioni, da ciò l’ avversione che nutrivano pei Monte- negrini, la quale, sempre più crescendo, fece sì che non tollerassero neppure altri Greci nel loro Comune. In forza dei progressi nella civiltà cessarono oggimai le molestie degli uni e 1 intolleranza degli altri pel rito greco, abbenchè Dobrota sia ancor sempre da considerarsi come la più strettamente cattolica di tutte le Comuni delle Bocche, e conta 955 abitanti con tre scuole popolari. E come per l’ anzidetta ragione le vecchie case di Dobrota sono di una costruzione del tutto propria, isolate e somiglianti a castelli di difesa, così la loro chiesa parrocchiale dedicata a S. Matteo, è circondata da massiccie mura e sembra ancor essa un’ opera dj difesa; quella di Tuttisanti intorno a cui giaceva il cimiterio, ha sofferto dall’ età. Il tempio più hello e più ricco s’ intitola da S- Eustachio; storicamente notevole è la chiesetta di S. Elia sopra — 131 — una punta di terra, dietro alla quale, or son più di tre secoli, era ancorata la flotta di Hayraddin Barbarossa. I Dobrotani sono ospitalieri ma serî e ia molto al decoro. Il rispetto verso i maggiori e verso le persone provette, è tanto grande quanto la venerazione con cui parlano de’ padri loro. L’ amor delle armi, anche nel povero, giunge al punto che questi si priverebbe del pane necessario alla sussistenza anzichè cederle per oro. La navigazione ed il commercio hanno procacciato molta agiatezza a questo Comune ove le navi approdano dinanzi alle case de’ loro armatori, il numero de’ quali è però scemato da qualche tempo. Si onora in Dobrota la memoria di non pochi uomini che si resero insigni per opere di sublime pietà e tra questi un Paolo Came- rovich, un Raffaele Ivanovich, un Paolo Dabinovich, un Antonio Tripcovich. E ad Antonio Tripcovich, Benedetto XIV non solo conferiva il vescovato di Nona, ma per la di lui dottrina in gene- rale ed in ispecie per la profonda conoscenza tanto dello. slavo antico quanto del moderno %rski, lo destinava a rivedere e dare il proprio giudizio sul nuovo messale del celebre Caraman propu- gnatore dell’ antica lingua, e sulla nuova traduzione della Sacra scrittura nell’idioma ragusino fatta da Stefano Rosa, avversario del primo. Nè puossi trasandare sotto silenzio il nome del vivente Pietro L. Tripcovich, di quell’ uomo che in sè aduna la più squisita intelligenza e le più belle qualità di cuore. Dedicatosi fin dalla prima giovinezza alla navigazione, ei si trovava nell’anno 1838 qual Secondo a bordo del bastimento austriaco Genio Speculatore, appartenente al fu conte Matteo Ivanovich, di venerata memoria, quando in lui destossi veramente il genio spetulatore ed ei abban- donò la carriera marittima per tentare la sua sorte nel commercio. Nè mal s’appose, imperocchè il negoziante di Trieste Michele Delta inviollo a Tangarog per piantarvi una casa di commercio acco- manditaria, i cui prosperosi successi spinsero il Tripcovich a stabilire una filiale a Rostof, indi un’ altra a Bardiansca ed in appresso ancor una a Marianopoli, affidando la direzione di quest’ ultima a suo nipote Alessandro Tripcovich. Più tardi venne invitato dai suoi amici Mauro figli e C.°, casa antica e delle primarie di Odessa, a prendere parte attiva negli affari loro, qual socio generale e solidario di tutti i loro stabilimenti commerciali in Odessa, Livorno, Marsiglia e Londra assumendosi l’ impegno della direzione della casa di Odessa, nel qual posto ei si ritrova tuttora. Trasportato dal \ sl “I vivo ardore di giovare al suo paese eminentemente marittimo, fece egli costruire non pochi bastimenti magnifici, il cui comando affidava a suoi connazionali, sempre con paviglione austriaco. Ma questo umanissimo signore non è men pronto d’essere giovevole a chiunque abbia l’ operosa voglia di ben fare. Dobrota ha poi ben d’onde andar gloriosa di Anna Marovich, unica figlia di Giuseppe Marovich, che da quella terra si trasferì a Venezia. Dotata d'un’ anima eminentemente estetica e d’ un raro ingegno, e guidata negli studî dall’ esimio. maestro Daniele Canal, conseguì una meta che a pochi è dato raggiungere. Basta dire che i suoi libri destarono l'ammirazione dell’illustre patriarca di Venezia Jacopo Monico, sì per lo stile che pel sentimento; nè solo nelle lettere, ma essa avvanzò rapidamente anche nelle arti della musica e del disegno, specialmente in quest’ ultima. I suoi lavori a matita ed all’acquarello paiono di artista ben consumato Le sacre immagini, unico soggetto ch’ ella dipinse ad olio, accoppiano una aura mirabile di dolcezza e di compunzione, ed il suo dipinto rappresentante la Madonna addolorata, che si ammira in Venezia nella chiesetta di Santa Maria del pianto, fa solenne testimonianza della sua valentia. Però se da un lato la Marovich desidera dì e notte le cose celesti, sente dall’ altro che quest’ aspirazione domanda un vero ed attivo amore del prossimo; e quanto esso sia in lei, lo prova tra altre benefiche istituzioni a cui prende vivissima parte, quella da lei fondata in Venezia per serbare alla virtù ed all’ onestà giovanette pericolanti. In tutti i tempi i Dobrotani segnalaronsi nelle lotte marittime sia contro pirati, sia contro potenze di eminente rango e poeti ne cantarono le gesta. Di retro a Dobrota in una di quelle roccie sterminate che fronteggiano il mare, presentasi ad altezza stragrande un incavo naturale, che dalla forma di una corba di vimini, come si fanno in quel paese, trae il nome di coscina, e veramente da lontano sembra 1 apertura d’ un forno, cui corrisponde nel fondo una parete perpendicolare con macchia rossiccia nel centro. Quando 1’ ombra giunge a quel punto, segna il mezzodì, ed allora gli abitanti dei lidi opposti regolano i loro orologi. La è una vera meridiana. Altro capriccio della natura, ma de’ più vaghi e sorprendenti, esiste tra la chiesa di S. Matteo e Cattaro. Ivi si ammira sortir dal margine di squallida e rattristante roccia, ad ‘altezza inacces- sibile, un ramo di rigoglioso albero d’ arancio, che mentre manda — 133 — al cielo i grati effluvî de’ suoi fiori, lascia di tratto in tratto cadere a terra le auree frutta giù per l’erta pendice. Nel fiumicello poi, 0, a meglio dire, torrente Gliuta, apparisce un fenomeno assai singolare. Il Gliuta ha la sua sorgente, sotto un macigno; nella stagione invernale è siffattamente impetuosa l’ eruzione dell’ acqua, che si trasforma in vorticoso torrente, traendo seco massi dei quali è ingombro il suo alveo. Nell’ estate rimane perfettamente asciutto, e, solo alla sua sorgente, si attinge l’ acqua come in un pozzo ordinario, restando sempre allo stesso. livello. Ma ecco che verso la fine del mese di Giugno, per quanta siccità vi sia, tutto ad un tratto emette ondate d’acqua salsa, per quattro a cinque giorni tutt’ al più, indi cessa e ritorna al suo stato , pri- mitivo. Finalmente scorgiamo Cattaro nell’ estremo punto del golfo delle Bocche, protetto dal forte S. Giovanni sulla vetta. del rupeo colle Stirovnik, che è un’appendice del monte Lovcen. La città giace assai pittorescamente colle sue mura a piè degli irti ed aridi colossi del Montenegro. Gettiamo 1’ 4ncora nel bel porto presso la porta marina, e la. nostra gita nel canale è compiuta. Secondo qualche storico Cattaro sarebbe stata fondata da aleuni di que’ Trojani che erano fuggiti dal furore de’ Greci (1291 a. C.); secondo altri sarebbe surta ad opera di que’ Colchi, che per via di terra inseguirono Giasone (1360 a. C.), e ciò perchè la ritengono quell’ Astiron, descritto da Callimaco qual città situata dentro del fiume Nero, in prossimità dei. sepolcri di Cadmo e di Armonia, che erano in Epidauro (Ragusa vecchia), tanto vicina al canale di Cattaro; il qual canale molti vorrebbero essere appunto l’indicato fiume. Di fatti la sua estensione colla corrente che vi è continua (come ho accennato nella precedente lettura) 1’ avrebbe potuto per tale far credere, tanto più che l’ altezza de’ monti, già coperti di pini e di abeti, da cui è fiancheggiato, gettando l’ombra, doveano renderlo nero all’ aspetto. Ma più generalmente si ammette che Siculi espatriatisi da Ascri nell’anno 431 a. C.. fondassero la città, cui dal nome dellabbandonata patria chiamarono Ascrivium. Ascrivio,; presa dai Romani divenne colonia romana, e dopo la divisione dell’ Impero passò sotto la dominazione e almeno sotto la protezione bizantina. Nell’anno 867 i Saraceni la distrussero, e gli abitanti, che si. erano rifugiati sulla cima del monte Stirovnik sovrastante Cattaro, passato il furore degli Africani scesero al lido e coll’ aiuto di alcuni nobili di Kotor, borgata presso Banialuca — 134 — nella Bosnia, in que’ giorni distrutta dagli Ungheresi, riedificarono Aserivio. Vuolsi poi che alla sorte si lasciasse la decisione del nome da darsi e che questa riuscisse favorevole a que’ di Bosna per cui la città appellossi Kotor, con voce italianizzata Cattaro. Altri però indotti forse dal fluire delle acque che ivi abbondano, vorrebbero farne derivare il nome dal greco xata’pew. Questa Cotera, l’ odierna Cattaro, divenne come tutte le città marittime di que’ tempi uno stato libero che si mise sotto la protezione dei dominatori Serbiani, il cui potere andava sempre crescendo. Essi ingrandirono il dominio della piccola repubblica col regalarle i territorj di Lustiza e di Krtole, poi gli scogli Stradioti. Dopo il 1178 Cattaro ritornò sotto il protettorato degli Imperatori greci, quando Manuele, il più grande de’ Comneni, avea portato a questi lidi le sue armi vittoriose. Se non che, siccome con questo Monarca si spense lo splendore che il valor suo avea procacciato alla Corona, i Cattarini misersi ancor una volta sotto la protezione de’ principi serbiani, da’ quali di bel nuovo ottennero in dono La Bianca, Cruscevizza ed altri territor) che vennero incorporati a questa piccola repubblica, la quale restò costantemente sotto la protezione serbiana fino alla morte di Urosc (1367), ultimo regnante della stirpe dei Nemagna e figlio di Stefano Dusan, sopranominato il potente per il quale la Serbia raggiunse il suo punto di culminazione. Spento Urosc e con lui i Nemanidi, le inte- stine discordie formarono dell’impero serbo tanti statarelli indi- pendenti e rivali, prima causa del grande disastro compitosi a Kossovo il giorno 15 Giugno dell’anno 1389, e Cattaro, approfittando delle circostanze per la morte di quell’ imperatore, godette per breve tempo perfetta libertà, ma passata poco dopo (1368) agli Ungheresi ebbe .il re Lodovico il grande a protettore. Nella guerra dei Veneziani contro quest’alleato dei Genovesi, l’anno 1378, la flotta Veneta capitanata da Vettor Pisani, comparve dinanzi alla città, che dopo tre giorni d’assedio, ai 14 Agosto, coll’ ajuto dei Pastrovicchiani fu presa d’ assalto e messa a sacco. Tra i quadri storici del palazzo dei Dogi si ritrova anche quello che rappresenta questo fatto. Dopo la pace (1381), il protettorato Ungarico venne ancora riconosciuto, però la piccola repubblica sostenne fermamente il diritto della sua indipendenza passando sotto la protezione di Tvrtko, allora re di Bosnia e d’Erzegovina, a cui la cedeva la regina d’Ungheria (1385). Da quest’ epoca fino al 1419 Cattaro sta sotto il dominio protezionale del re Tvrtko e del suo successore — 135 — Ostoj. Siccome poi i Turchi andavano sempre più dilatando le loro conquiste; i Cattarini, ai quali in tali circostanze il protettorato ungarico non potea più essere di alcun vantaggio, tanto più che erano continuamente molestati dai principi della Zenta, trovarono acconcio il mettersi sotto le ali del Veneto Leone. Le trattative incoate nel 1420 erano già conchiuse nel Marzo dello stesso anno. Cattaro riconobbe la supremazia di Venezia obbligandosi bensì di mantenere i pubblici edifizj dalle rendite della città, ma sotto condizione che il vigente statuto rimanesse intatto, e che il Senato Veneto non fosse mai autorizzato di cedere Cattaro ad altra potenza, nè di darla in cambio. Il qual punto divenne importante, tanto nel 1797, alla caduta della Veneta repubblica, quanto nel 1806 all’ entrata dei Russi, come anche nel 1814 dopo |’ espulsione dei Francesi. — In seguito alla conchiusione delle trattative con Venezia, già nel dì 23 Aprile 1420 giunse la flotta Veneta con Pietro Loredano, che piantò sulle mura di Cattaro lo stendardo di S. Marco. I Veneziani fedeli alle loro promesse trattarono sempre Cattaro con ogni possibile riguardo. Un Senatore prima col titolo di Conte e poi con quello di Provveditore risiedeva in questa città per dirigere l amministrazione. Ma il reggitore di Cattaro dipen- deva dal provveditore della Dalmazia ed Albania residente in Zara. Nell’ anno 1539 una flotta turca composta di 200 vele con 30,000 uomini, capitanata da Hayraddin Barbarossa, si presentò dinanzi la città per attaccarla pretendendone la consegna. Il valoroso comandante Matteo Bembo, incoraggiato dall’ entusiasmo che destò il vescovo negli abitanti, dichiarò solennemente di difendersi fino all’ ultimo uomo. Gli Osmani desistettero dall’ assedio ed il ventoso ammiraglio Hayraddin si contentò coll’ esigere 500 talleri di riscatto. Bembo glieli mandò sopra un piatto d’argento ed il nemico se ne andò soddisfatto. Nel 1563 ebbe luogo una scossa terrena distrug- gitrice. Nel 1570 i Turchi condotti dal Capudan Pascià. Pertach tentarono nuovamente di conquistare Cattaro, ma trovando. viva resistenza cessarono ben presto dall’ assediarla; così nel 1571 e nel 1657. Nel 1667 il terribile terremoto che distrusse Ragusa e Budua fece crollare pur Cattaro e con lei i bastioni e le torri. Gli è perciò che le attuali fortificazioni datano da un’ epoca posteriore a quel- l’infaustissimo avvenimento. Per. 1’ esplosione d’una polveriera del castello S. Giovanni sofferse pur molto questa città nell’ anno 1760. Anche il flagello della peste percosse il distretto di Cattaro tanto nel secolo XI quanto nel, XVI, nel XVII e nel XVIII, — 136 — Dall’ epoca della dedizione di Cattaro al Veneto governo fino alla di lui caduta, veggiamo le Bocche, come il resto della Dal- mazia, costantemente prestargli i più cordiali sacrificî. Passando ora alle cose notevoli di Cattaro, ricorderò la posi- zione sommamente pittoresca qual maggiore suo pregio. Essa giace all'angolo di Scirocco del seno, ai piedi occidentali d’ un gran dirupo, il quale solo da un profondissimo burrone è separato dalla giogaja de’ monti a piombo che formano il confine del Montenegro. Alti bastioni la rinserrano; su quel dirupo signoreggia il già mentovato castello S. Giovanni, le cui mura scendendo serpenti- namente da ambi i lati giù per l’ erto masso, lo annettono in certo modo alla città. Le irte e sterili montagne calcaree che le stanno a tergo si elevano col monte Sella, situato all’ Est di Cattaro fino all’ altezza di 5000 piedi. Sulle prominenti rupi furono eretti dei forti, che in opposta linea di difesa, proteggono dalla parte orientale la città e le Bocche. Nell’ angusta e profonda valle dietro la gran rupe giace il villaggetto Spigliari, gruppo di case occupate da sole 25 famiglie di macella), altrettanto robusti quanto vigili, un tempo sempre colle armi alla mano per difendersi dalle eventuali notturne aggressioni. Le monumentali mura di cinta si protraggono fino all’ estremo angolo del porto. Se non che, tra il mare e la città vi è uno spazio libero in tutta la di lei lunghezza, il quale costituisce il luogo di passeggio, e chiamasi ,la Marina.“ Da qui mediante la porta di questo nome apresi il varco dal porto alla città. Siffatto piazzale della Marina, è in parte adorno d’ alberi e provveduto di sedili, d’ onde si gode la piacevol vista del canale colle amene borgate di Mula e Perzagno site sull’ opposta riva. L’ agitarsi, il fervere de’ naviganti che arrivano, dei passanti che procedono dalla città, dei soldati che vanno ai loro esercizj danno molta vita alla spianata. Nè mancano. a rendere più lieto questo passeggio, in determinati giorni della settimana concenti armonici di musicali bande militari, che con inimitabil perfezione vi eseguiscono i pezzi più belli del repertorio tedesco ed italiano. Oltre alla porta Marina, Cattaro ha quella a destra che mette sulla strada di Dobrota e di Montenegro, e chiamasi porta Fiumera, ed un’altra detta porta Gordicchio, per la quale, giunti a Scagliari, voltando a destra si va a Mula e Perzagno, ma procedendo direttamente innanzi si arriva in qualche ora a Budua. — 137 — Come nella massima parte delle città dalmate così anche a Cattaro, le vie sono anguste, tetre ed angolose, ma ben lastricate. Le vecchie case, tutte di pietra ed annerite dal tempo, farebbero un’ impressione meno sfavorevole se le loro finestre non fossero tanto sproporzionatamente piccole. Però di recente molte furono atterrate, e tutto dì se ne fabbricano di nuove d’ottimo gusto. Nè vi mancano potenti piazze; e già nell’ entrare per la porta Marina si affaccia quella del Corpo di Guardia. Notevole è la piazza del Duomo per la chiesa stessa dedicata a S. Trifone, protettore della città. Bello è l’ atrio di questa cattedrale, tra due alte torri sulla facciata principale, ed è pur bello nell’ interno del tempio 1’ altar maggiore ricco di marmi sculti con eleganza, e la cappella ove riposano le relique del santo. Altra piazza è la Gregorina. sulla quale avvi la residenza del capo politico e degli uffiej ammini- strativi. Quivi una lapide commemora la visita fatta a Cattaro da S. A. i. r. I’ Arciduca Francesco Carlo, augusto padre di S. Maestà e primo principe della Casa imperiale che espressamente in tale qualità onorasse questi lidi. Attraggono pure 1’ attenzione tanto l'antica chiesa collegiata della Madonna in istile bizantino, quanto quella di S. Nicolò de’ Greci di liturgia slava per la ricchezza degli ornamenti Reggendo la chiesa di Cattaro il vescovo Duimio, Elena di Francia ossia Maria regina di Zenta, moglie di Stefano Radoslav re di Serbia, fondò nel 1288 in questa città il convento e la chiesa pei Conventuali di S. Francesco d’ Assisi. Fuor della porta Fiumera sbocca al di sotto della rupe vicina un torrente, che mette in movimento varj molini e poi si versa nel mare. È notevole in Cattaro l’abbondanza d’acqua. Avanti di uscire dalla porta stessa per entro alle mura della città, vi è un pozzo della profondità di poche tese, chiamato Parlo, in cui durante l inverno l’ acqua delle sorgenti sotterranee zampilla con forza tale e sì impetuosa, da rimandar pietre del peso di più di cento libbre, che i giovanotti vi gettano per diletto; e fuor di porta Gordicchio, a poca distanza dalle mura in mezzo al mare zampilla fin sei pollici al disopra dell'onda marina una sorgente d’acqua dolce. E come si è detto, dal fluire dell’ acqua in Cattaro vorrebbero alcuni far derivare il di lei nome dal greco xata’psw. Però se questa città ha il vantaggio non comune di possedere a profusione questa linfa salutare, deesi pur notar, non essere. essa costantemente dolce, avvegnachè nelle grandi siccità dell’ estate l’acqua fu trovata talvolta salmastra. — 138 — Appena usciti dalla porta Fiumera si calca un piazzale adorno d’alberi e provveduto di tettoje. Quivi nel martedì, giovedì e sabato d’ogni settimana ha luogo il bazar (mercato) montenegrino. Il segnale che indica il termine del bazar è il cadere dell’ombra sopra una pietra al tramontare del sole, la quale per ciò, contando le ore all’ italiana, chiamasi sasso delle ventitrè. Prima che annotti i Crnogorci si avviano verso le loro case sulla strada che, inco- minciando subito dopo il limitare del piazzale, ascende a zig-zag fino all’ altezza di quasi 2000 piedi lungo le balze che da. qui s’internano nel Montenegro. A sinistra dell'osservatore pende a mezzo dorso del monte un enorme sasso — una massa formidabile — che pare, staccatasi dall’ alto, essersi arrestata a mezzo corso. Incute spavento in chi per la prima volta la vede, e solo l’inveterata abitudine rende indifferenti gli abitanti di que’ luoghi. I monti irti ed altissimi intorno Cattaro fanno sì, che la giornata in questa città sia molto breve. Durante il solstizio d’ in- verno il sole spunta dopo le nove e tramonta poco dopo le ore tre del pomeriggio. Dal piazzale del Bazar andando innanzi, un ponte ministra il passo sul letto della fiumera, ed una via piacevole lungo il mare conduce in pochi minuti alle prime case di Dobrota. È questo pure il luogo di ricordare il sentiero che mena al forte S. Giovanni. La salita è bensì un po’ faticosa, ma quanto più si va in alto, tanto più grata sorpresa arreca all’ amico della natura la vista sulla città, sul canale, sui monti. Sorprende poi anche la flora, che non si crederebbe trovare fra quelle nude roccie, Il primo a farla conoscere si fu Vl illustre nostro presidente, il consigliere aulico Muzio cavaliere de Tommasini, tanto bene- merito delle scienze naturali, ed a cui i più dotti botanici tributano lodi immortali. Ei perlustrò buona parte del distretto di Cattaro già nel 1827, e per lui la scienza venne ad arricchirsi di ben. 16 specie novelle, descritte e figurate, parte dal celebre professore Visiani, parte dall’ autorevole Dr. Host. Tra altre piante sulla. via del castello scoperse il Tommasini la bella Stachys Menthaefoha, e più tardi il distinto ed instancabile botanico Bartolomeo Dr. Biasoletto vidde la Potentilla pelosa innalzarsi a più di tre piedi e a dodici la Ferula communis; è frequenti sono su quella via 1° Iris pallida, il Senecio rupestris, V Eryrhraea grandiflora, l Urtica mem- branacea, la Poa carniolica e molte altre. Anche una specie parti- — 139 — colare di lumache — la Clausilia catharensis è propria di questo paese, e precisamente dei bastioni che conducono al castello S. Giovanni. In mezzo a siffatte bellezze naturali si arriva alla sommità del gran masso rupeo, su cui sta il castello la cui costruzione è di straordinaria arditezza. Il Comune di Cattaro conta 3554 abitanti, de’ quali poco più di 2000 vivono nella città stessa, che oltre ad essere sede d’un capitano politico, d’un comando militare, d’ un tribunale collegiale, ha una Camera di commercio, accoppiata però con quella di Ragusa, un ginnasio, una scuola nautica, due scuole popolari, nè vi manca un piccolo teatro ed un casino. Dalla Storia slava di Diocleates Presbiter risulta, che la diocesi di Cattaro, ossia di Ascrivio antica, era stata circa alla metà del secolo VIII annoverata fra le suffraganee di Dioclea; attualmente è suffraganea della metropolitana di Zara, ed abbraccia tutte le Bocche, mentre ne’ tempi antichi questa piccola provincia contava tre vescovati avvegnachè anche Risano e Budua avessero il loro vescovo. Poco più di 10,000 individui in 16 parrocchie com- pongono la diocesi cattolica. Per gli addetti alla chiesa orientale, che sono in numero ben maggiore; recentemente 1’ Imperatore fondò pure un vescovato colla sede in Cattaro. Da epoca assai remota esisteva qui un istituto pei poverelli sotto il titolo d’ Ospitale di S. Lazzaro, le cui rendite erano impiegate a sollievo dell’ indigenza, pel quale scopo dell’ anno 1818 si stabilì una formale Commissione di pubblica beneficenza. Anche un orfanotrofio trovasi in Cattaro fin dall’ anno 1610. Niente meno che undici secoli di esistenza conta poi la Marinarezza di Cattaro, cui si annette il bollo dello stesso nome o di S. Trifone, istituzione questa o confraternita mezzo religiosa e mezzo economica. Il professore Cattarino alla scuola nautica di Ragusa Giuseppe Gelcich, giovane di molta coltura specialmente nel ramo storico, svolse con un magistero degno d’ogni encomio la storia di quest’ istituzione in un opuscolo stampato a Trieste nel 1872. In quanto spetta all’ industria de’ Cattarini, la principale è la conciatura delle pelli. Essi percepiscono dal Montenegro il miglior somaco che cresca intorno ai lidi dell’ Adriatico. I Cordovani di Cattaro sono per la massima parte messi in opera a Venezia. Havvi altresì un grande numero di armajuoli e parecchie fabbriche di — 140 — candele. Ma la fonte delle maggiori risorse de’ Cattarini è la navigazione. Questa città era sempre governata da proprj magistrati e con proprio statuto. Sotto i Veneziani il Consiglio municipale si compo- neva da soli nobili ossia patrizj Cattarini, e se taluno di questi avesse contratto matrimonio con persona che non fosse stata di quel sangue, la prole perdeva la nobiltà ed il diritto di poter far parte del consiglio. La città aveva 1’ ambizione di farsi valere per una piccola Venezia. I Cattarini avevano la loro zecca e fin dal secolo IX conia- vansi monete in Cattaro. Siccome poi col variare del protettorato varia il rovescio delle medesime, restando sempre S. Trifone sul diritto, così la serie dei nummi battuti in questa città viene in appoggio delle varie vicende della storia di lei. Che anche sotto Oroscio (Urosc) si coniassero monete in Cattaro nelle quali egli s’ intitolava Imperatore di Romania, lo conferma eziandio Hoefler nella sua opera: Magister Johannes Hus und der Abzug der deutschen Professoren und Studenten aus Prag, 1409. Prag 1864. Deesi poi notare che i Veneziani per non dare ai Cattarini il più piccolo motivo che ricordasse la loro libertà, conservarono bensì l’ effigie di S. Trifone, ma oltre al S. Marco in Leone o in figura seduto sul trono, aggiunsero dalla parte del santo protettore di Cattaro le iniziali dei nomi dei rispettivi Conti o Provveditori, come si vede nelle monete coniate dal 1421 fino ‘alla caduta della Repubblica. Dopo questo grande avvenimento non si batterono più monete in Cattaro, fuorchè durante l’assedio che i Francesi ebbero a sostenere ad opera degli Inglesi. Essendo in quell’ occasione mancato il denaro per pagare la milizia e gl’ impiegati, s'appropriò il gallico presidio di buona parte degli argenti della cattedrale di Cattaro, e questi vennero fusi in moneta di due franchi e mezzo, di cinque e di dieci franchi. Cattaro fu madre di valenti giuristi, di poeti e letterati di molto merito, di famosi teologi e capitani, e diede pure qualche artista. E cominciando da quest’ ultimi, ricorderò che il magnifico altare di S. Nicolò in Bari fu disegnato e costruito dallo scultore ed architetto Cattarino Abrado per ordine di Urose di Serbia, allorchè questo monarca. colà recavasi per visitare. quel celebre santuario. — Da Cattaro sembra pure essere stato il frate Vita, altro architetto, che, nel 1327, Stefano Dedanski chiamò in Dedani — 14l — ad erigere quella chiesa, di cui l’ annalista Serbo dopo d’avere decantate le stupende proporzioni, la lucentezza de’ marmi con mirabil arte connessi, lo slancio degli archi, dopo d’ averla egua- gliata alla stella del mattino, aggiunge che per enumerare le bellezze di cotesto tempio innalzato in onore dell’ Ascensione, non basterebbe un anno intero. — Non erano ancor trascorsi sei lustri dall’ invenzione della stampa, quando Andrea Paltassich Cattarino recavasi a Venezia ‘per esercitarvi quest’ arte in compagnia di Bonino de Boninis raguseo, e stampò varie opere di distinto merito, tra le quali la Bibbia a spese del germano Ottaviano Schott. — Nel 1472 Papa Sisto IV inviava al Signore di Persia Ussum Assan, il francescano B. Martino per trarre quel principe nell’ alleanza contro Maometto II, che recava timore a tutti gli stati d’ Europa; il povero religioso Cattarino fu massacrato. — Il più antico lette- rato che vanti Cattaro è Meliciacca o Meliziate, che reggeva quella chiesa vescovile nel 1326 ed i cui lavori conservansi nella biblioteca Vaticana. E Cattarino fu pure l’ orator di molta fama e vescovo di Modrussa Nicolò Machinense, che, qual destro diplo- matico, Pio II spediva all’ ultimo re di Bosnia, e, dopo la catastrofe di quell’infelice regno restava nella stessa qualità in Ungheria. Il suo trattato della consolazione, giusta il giudizio pel professore Evasio Leone, è pieno di sapienza e adorno delle più ingenue grazie dell’immaginazione e dello stile, e trovasi nel Vaticano. Di lui trovasi pure nella biblioteca Corsini un opuscolo contenente 1’ ora- zione funebre del cardinal di S. Sisto Pietro Reario, arcivescovo di Firenze, morto nel 1470 in Roma, ove morì eziandio il Machi- nense. — Per l’inconcussa probità e pel suo profondo sapere, il monaco Celestino Nicolò de Pellegrina, viaggiando in Italia nella prima metà del secolo XVI, si rese caro al celebre cardinal Grimani. — Antonio de Baculis fu professore di diritto canonico in Padova. — Girolamo Zaguri (Zagurevich) stampò in Venezia nel 1569 il . Psaltir e nell’anno susseguente il Molitvuenik. — Nicolò Chierlo (+ 1582), che visse in Venezia, ebbe fama di elegante poeta e letterato, — ed Elio Zaguri per il suo eccellente poetare si meritò l'elogio et tibi Musae applaudant, sacraque intererunt tempora lauro. — Giovanni Bona de Boliris lasciò un’ elegante descrizione di Cattaro in versi latini, stampata a Lucca nel 1595, e dà la caratteristica del Bocchese dicendo: ngenuos mores purosque reservat — posteritas, gentisque suae primordia monstrat. — Ma prima di tutti questi diede Cattaro un distinto poeta, e come tale — 1422 — laureato, nella persona. di Bernardino Pima, che fioriva sullo scorcio del XV secolo; — e Lodovico Pima fu sindaco e prorettore in Padova, cui i giuristi per la sua dottrina dedicarono nel 1635 un’ iscrizione. — E nell’ archiginnasio di Roma, Giovanni Alberto Duimio (de Gliricis), domenicano, ebbe cattedra appena compito il corso di teologia. Ei fu uno de’ cinque teologi a’ quali Paolo III nel 1545 dava l’incarico di prendere in attenta disamina 1’ ordi- nanza del Concilio tridentino sopra la Giustificazione; intervenne quale vescovo di Veglia a quel concilio, e vnolsi che i padri dietro sue dimostrazioni abbiano determinato che non si debba comunicare sotto ambe le specie. Il suo opuscolo de Gratia venne grandemente lodato dai dotti di quel tempo, ed egli levò di sè fama altresì come sacro oratore. Tre individui della famiglia Bisanti di Cattaro ebbero la sedia vescovile in quella città: Trifone, già professore di lette- ratura greca e latina all'università di Bologna e bibliotecario del duca di Modena, ottenne la dignità vescovile da Leone X nel 1513. Il Coleti lo dice fornito di molte lettere e di esquisita coltura da potersi dire allevato alla scuola di quegli illustri cinquecentisti, i quali colla voce e cogli scritti fecero prosperare i buoni studj in quell’ istesso paese dove parea impossibile che potessero allignare. — Gli successe suo nipote Luca Pisanti, quegli che nel 1539, durante l'assedio dell’ ammiraglio turco, salvò Cattaro coll’entusiasmo destato nel popolo per cui il nemico abbandonò 1’ incominciata impresa. Per più di 40 anni occupò la sedia vescovile, intervenne al concilio di Trento, scrisse alcune poesie in aggiunta alla Vita di S. Trifone, pubblicate presso Gerolamo Calepino in Venezia. — Suo fratello Paolo Bisanti, eguale a lui nella coltura e nella probità, dopo di avere governato per 15 anni la diocesi di Cattaro passò in Udine qual suffraganeo e vicario generale del patriarca di Aquileja. E in Udine esistono varj scritti di lui in materia di diritto, chè versatissimo egli era in ambe le leggi studiate in Padova (4 1537). Scrittore poi elegantissimo, in verso ed in prosa, specialmente nell’ idioma latino era Gregorio Bisanti, che per mo- destia ricusò il vescovato în patria offertogli da Benedetto XIV. — Ma già nel secolo XIV il nome Bisanti fu celebratissimo per prodigi di valore operati in mare colla sola galera Catterina da Marino Bisanti e per le gesta di Gerolamo nella battaglia navale presso le isole Curzolari (1371); ed espertissimi capitani di mare furono Nicolò e Giorgio Bisanti in sullo scorcio del 1500. — Altro uomo d’armi, e de’ più insigni, cui la patria dovette più volte la libertà — 143 — era Pietro Bolizza che nacque intorno la metà del secolo XII — E di questo nome ebbe Cattaro nel 1594 un Rettore all’ università di Padova, il quale scrisse Le glorie immortali del serenissimo principe di Venezia Marino Grimani; -- ebbe in Marino Bolizza (1614) uno degli istitutori del collegio de’ nobili di Modena, e del quale esiste nella Marciana un codice cartaceo in 4.” contenente una elazione del Sangiacato di Scutari e la descrizione di Castel- nuovo e di Risano; — ebbe in Giovanni Bolizza (1660) un poeta che scrisse in 8.* rima il poema S. Trifone, ed in Francesco Bolizza un uomo di gran merito e consiglio — E per la molta valentia di Nicolò Bucchia e di Pietro, figlio di lui, nel condurre le faccende militari, divennero essi condottieri di eserciti e provestiarii dei re ed imperatori Stefano ed Urose della casa Nemanide. — Altri Bucchia cioè Domenico e Vincenzo, che vissero nel secolo XVI, si distinsero come valenti teologi, — e nello stesso secolo Girolamo Bucchia tenne la sedia episcopale in Cattaro; — al principio poi del secolo XVII Marino e Francesco Bucchia si mostrarono uomini di gran conto. — Anche la famiglia Pasquali di Cattaro ha di che gloriarsi in Lodovico e Benedetto. Il primo dopo aver compito gli studj in Padova cadde schiavo in Creta; e, tratto schiavo in Africa dai Pirati, trovò modo di ridursi in patria, ove stette fino a morte. I suoi carmi latini, stampati a Venezia nel 1551, s° avvicinano molto a quei di Tibullo e di Properzio; e pieni di delicatezza e di venustà, sono pure i suoi Fiori poetici italiani, specialmente quelli di genere erotico, che furono altresì impressi a Venezia nel 1599. — L’ altro, cioè Benedetto Pasquali, si distinse nelle armi. Eletto nel 1738 sergente maggiore e sopraintendente maggiore del nuovo reggimento di Marina, fu il primo ad insegnare il maneggio del cannone colla navarola e l’ esercizio delle granate. Nel 1783 innal- zato a tenente generale e giunto al colmo della militare grandezza chiese il riposo e morì poi in Parma nel 1790. — Il teologo Marcello Bonaventura non solo fu uomo di vaste cognizioni, ma vestì anche di forme liriche i discorsi di Turlot stampati a Venezia nel 1770. — Un ingegno potentissimo nasceva in Cattaro nel 1696 nella persona di .Trifone Uvrachien (Vraten) che, dopo d’avere esercitata 1’ avvocatura in Zara, divenne segretario della Veneta repubblica. Non vi fu scienza ch’ ei non coltivasse, ed era dotto nelle lingue antiche e moderne. La sua copiosa e ricca biblioteca, i suoi talenti, la sua erudizione fecero sì che la sua casa divenisse un convegno de’ più insigni letterati di que’ tempi a Venezia, ove — 144 — egli morì nel 1786, lasciando nell’ archivio della Repubblica molti volumi di aurei cowsulti, di scritture, di allegazioni ecc. con note marginali. Di lui tesse distinto elogio il Foscarini (Della lett. ven. pag. 265); — e Giuseppe Marinovich suo conterraneo ne pianse la morte con elegante elegia latina, quello stesso Marinovich ‘che colla più forbita latinità scrisse gli elogi di Pio VI, di Luigi XIV e del patriarca Francesco Giovanelli, come anche gli epigrammi per la Psiche di Canova. È poi impareggiabile, al dire del dottis- simo Gliubich, la critica di cui il Marinovich fece uso nel suo compendio storico di memorie cronologiche risguardanti la religione e la morale della nazione armena (1786). In generale ei si distinse pei suoi trattati teologici e qual predicatore eloquentissimo. Morì in Roma nel 1801. — Già nella corte di Tvrtko I re di Bosnia, si segnalò nelle arti e nei maneggi di quel governo un Nicolò Drago, — altro Drago di nome Marino, dottore in ambe le leggi, prima vescovo di Cattaro e poi di Curzola, diede luminose prove della sua prudenza e del suo zelo (+ 1733). — E di questa nobile famiglia era pure quel Vincenzo, che Benedetto XIV, fatto calcolo delle sue belle doti di mente e di cuore, degli studj percorsi in Roma nelle teologiche ed a Padova nelle legali discipline, innalzava all’ episcopal sede della di lui patria. Morì a Zara nel ridursi a Cattaro. — Il conte Vincenzo Drago che, durante gli studj nella veneta Atene, vivendo in stretta amicizia col principe delle umane lettere a que’ tempi 1’ ab. Melchiorre Cesarotti, ritornava a Cattaro fornito di molto sapere, accresciutosi sempre più perseverando negli stud], scrisse la storia della Grecia. Uscirono alla luce sei volumi, però senza che l’ opera sia portata a compimento. Tuttochè egli venga tacciato di molta ricercatezza in quanto allo stile, convien pur confessare che nella lettura di que’ volumi vi si trova 1’ utile dulci. Scrisse eziandio un libro sopra Alessandro il grande. Morì a Spalato nel 1836. — Il calasanziano Nicolò Maria Giacogna, che cessò di vivere in età avanzata nel 1800, Rettore del collegio di Capodistria, si acquistò fama in tale carico, e per la soavità di modi, e per le svariate sue cognizioni e per la sua prudenza, Scrisse in latino con molta purezza ed eleganza, di che fan prova alcune sue orazioni funebri e parecchie inaugurati date alle stampe. Abbiamo di lui anche alcuni panegirici e qualche elogio in lingua italiana. Scrisse altresì in confutazione de V’Esprit di Elvezio con scelta erudizione e profondità di raziocinio. — Quell’ Urbano Raffaeli (+ 1848) che illustrò la sua patria con molti scritti eruditi, usciti — 145 — alla luce ne’ patrii giornali, era nato in Cattaro ove esercitò con plauso l'avvocatura; — e figlio del valentissimo avvocato conte Trifone Lucovich, già da me mentovato tra i Perzagnoti di merito, è il conte Antonio Lucovich, che per la grandezza dell’ animo suo, per la sua intelligenza ed abilità somma nella gestione degli affari commerciali, gode non solo la fiducia de’ suoi connazionali, ma anche quella degli Inglesi, fra i quali vive da lunghi anni, e dai quali venne eletto a presidente della Camera di commercio a Cardiff. — Anche la beata Osanna vidde la luce in Cattaro, ed il commentario d’ uno scrittore anonimo della vita di lei, debb’ essere assai interessante, se un Serafino Cerva da Ragusa lo ha voltato dall’ italiano in latino. — L’ egregio avvocato Dr. Antonio de Bersa appassionatissimo della scienza musicale e matematica, e che con distinto successo coltiva le muse italiane non men che slave; il professore di belle lettere alla scuola magistrale di Trieste, già direttore del Ginnasio liceale di Zara, Pietro Pagani, e l° altro pur distinto professore di letteratura italiana al nostro Ginnasio Carlo Treche, sono tutti Cattarini, e molto stimati dalle persone colte di questa città. Mi resta ancora a dire, Uditori cortesi, del tratto. di terra situato tra Cattaro e Budua, e dell’ estremo lembo del dominio austriaco lungo il mare Adriatico. La distanza tra l'una e l’altra di quelle città non sorpassa dodici miglia, e a cavallo puossi facil- mente percorrere in men di quattr’ ore. Usciti da Cattaro per la porta Gordicchio, la via conduce a Scagliari, d’ onde si calca la strada di Budua ascendendo fra rupi. Belle vedute si offrono all’ occhio; e, giunti a un gran noce, la città di Cattaro sembra giacere a’ nostri piedi, mentre il canale ci sorprende col suo magnifico aspetto. Procedendo oltre, ci si presenta a destra il forte Trinità, a sinistra quello di Gorazda; essi dominano un passo strategico. Non lungi da quest’ ultimo forte giace il villaggio di confine Miraz, noto per frequenti trattative ivi avvenute, memorando siccome luogo ove l’ Imperatore Francesco Giuseppe pose per la prima volta il piede sul territorio montene- grino, perchè quivi ad onorarlo nella sua andata da Budua a Cattaro, il dì 6 Maggio 1875, schierati erano, per ordine di S. A. Nicolò I parecchi battaglioni di truppe in magnifica veste, alle quali Sua Maestà fece fare varie evoluzioni, che per la loro precisione furon da Lei lodate al cospetto del comandante — suocero del principe di Montenegro. 10 — 146 — Dal forte Trinità si vede il panorama di Cattaro col canale sino ad Orahovaz, e, poichè il monte Vermaz divide la visuale del- l'osservatore, così dall’ altra parte del monte stesso presentasi la costiera di Lustiza, la riviera della Bianca, Kombur, Castelnuovo e fin anco la punta d’Ostro. Dopo il forte Trinità la strada scende per rupi scoscese, a zig-zag, ed in alcuni punti lungo a precipizj, nella bella e fruttifera valle di Zupa — chiamata anche Grbalj, — lussureggiante di prati e di campi di frumento, irrorata da ruscelli, circondata in gran parte da colli coperti di boschi, oltre ai quali torreggiano massi petrosi ed eccelsi che formano il confine. Le più alte vette che veggonsi a sinistra della strada spettano al Montenegro. Tra quelle eminenze giace il forte Stagnevich, un antico monastero dal quale si scorge Podlastua. Zupa è la più vasta ed ubertosa valle delle Bocche, conside- rata come il granajo di Cattaro, ed è anche famosa per le colossali Eriche che vi si ammirano. La si distende dalle fortezze naturali del Montenegro fino alla baja di Teodo, e dal Comune di Cattaro fino a quello di Budua, abbracciando quattro Comuni, le quali, avvegnachè i loro capi avessero il titolo di Conte, chiamavansi le quattro Contee, tutte comprese sotto l’anzidetto nome di Zupa, il cui capoluogo è Sutvara. La dedizione ai Veneziani di questo popolo agricolo e pur anche armigero nel 1647 fu spontanea. Molti di quelli che in antico ottennero privilegi e diplomi di nobiltà, sono attualmente costretti, al paro dei non titolati, di procacciarsi il pane quotidiano con lavori manuali. Il complessivo numero degli abitanti ascende a circa 3600, e sono addetti alla chiesa orientale con sette curazie e due scuole popolari in 23 villaggi. Attraversata questa bella valle, la via ascende fiancheggiando il monte Salvatore ((Spas) che s’innalza 2485 piedi, ed alla vista dell’ Adriatico essa va poi discendendo sulle pendici del monte stesso, dalle quali si spinge nel mare una penisola, stretta e piana, su cui sorge la piccola città di Budua, altra volta detta Butua, e più anticamente Buthama, che alcuni vollero far rimontare @ Cadmo, il quale avrebbe compito con bovi il rapido suo viaggio a questi lidi. Di quell’ antica Butua non esiste più traccia, essa fu distrutta dai Saraceni nel secolo IX. Più tardi venne ricostruita senza mai essere giunta ad una grande importanza. Ebbe molto a soffrire nelle guerre turchesche e gravi danni dai.terremoti, segna- tamente da quello del 1667 che fece pur crollare gran parte delle — 147 — mura e delle torri. Non vi mancano però alcuni edific) di qualche rilievo; bella assai è la chiesa greca, ma anche la latina dal titolo di S. Giovanni vuole essere veduta; bello è pure il nuovo spedal militare, e tra le case merita special menzione quella del signor Mazzarevich in cui prese stanza l’ Imperatore. Il porto di Budua, che prima era accessibile ai soli piccoli navigli, dà ora sicuro ricovero anche a quelli che pescano fin 15 piedi; e ciò in seguito ad un nuovo molo costruito mercè le cure dell’ i. r. Governo marittimo residente in Trieste. il cui attivo operare nel corso di 25 anni di sua esistenza venne sì bellamente esposto nell’ elaborato del signor Ernesto Becher, invidiabile pel suo sapere, per la sua memoria e per la bella dizione, che più volte si ebbe occasione d’ ammirare nei suoi discorsi scientifici in lingua tedesca alla Riunione Schilleriana. A breve distanza dal porto giace lo scoglio S. Nicolò, che si estende circa un miglio da Maestro-Tramontana ad Ostro-Scirocco. Esso è coperto di ginepri e tagliato a piombo dalla parte di Libeccio, la quale è accidentata da spelonche abitate da numerosissime colombe (Columba Livia). Budua è ben fornita d’acqua dolce, che si attinge ad una sorgente alla spiaggia settentrionale del porto. Colla strada per cavalcanti che mette a Cattaro, mettono altre al Montenegro col qual paese si fa alcun traffico di grano, di bestiame, di lana ecc. Alla popolazione torna poi assai bene, il denaro che spende la milizia, stanziante a presidio e difesa del confine sì qui come nei fortilizj, che sono numerosi. Di fatti appena attraversate le circon- vicine campagne ben coltivate a vigne ed olivi, ove smagliano in bianca veste i monasteri di ReZevié, Praskvica, e Duglievo, e comincia il montano clivo, olezzante ì profumi della salvia, si giunge al forte Kosmaé non lungi dal Comune di Braid, poscia, dopo ripida ascesa, s’ affaccia il forte Vidrac, indi quello di S. Spiridione, e, andando sopra dossi sui quali un filo d’erba non cresce, si arriva ad altro fortilizio, quello di Kopaé, e finalmente sì perviene a Presjeka -- il baluardo più prossimo al confine turco — d'onde si gode il variopinto quadro del triplice confine colle stupende adjacenze fino al gran lago di Scutari. Budua stessa, dominata dal monte Salvatore, è cinta di mura con un castello. Tutto il Comune conta 2474 abitanti, 711 de’ quali nella città, gli altri in 9 villaggi, con una curazia cattolica, quattro greche e due scuole popolari. — 148 — Budua vidde nascere varj uomini chiari per sapere, — in gran parte ecclesiastici. Cristoforo Ivanovich, grande per probità e dottrina, aggiunse alle cognizioni delle discipline sacre la coltura delle umane lettere e sopratutto della poesia slava. Cantò sul principio del 1600 con molta finezza e buon gusto, le vicende e l'esito della guerra di Candia e di Cipro. A quest’ uomo insigne fu eretto nella chiesa di S. Moisè a Venezia sopra la porta laterale, ove tuttora esiste, il busto in marmo con iscrizione toccante i di lui meriti. - Il canonico Marcovich lasciò una cronaca intorno alla sua patria ed alle imprese de’ suoi abitanti. — 1l padre Emerico de’ Minori Osservanti, uomo di molta dottrina, fu il primo che desse in luce calendar) illirici (1754), lasciò molti scritti tanto latini che slavi, chiari testimonj del suo sapere, i quali furono per la massima parte stampati a Pest e Buda. — Il vescovo di Nicepoli Antonio Becich, che poscia ebbe | episcopato di Scardona ed in appresso quello di Lesina, per il suo carattere giocondo, per la sua dottrina e per la sua pietà, era talmente stimato dal cardinale Rezzonico, che questi, divenuto papa (1758) lo voleva decorare della porpora se morte non avesse troncato i giorni del distinto prelato Butuano. Mezz’ ora al di sopra di Budua, nella cappella sotterranea di Pod-maini, si veggono degli interessanti affreschi in istile bizantino. Anche questo è un punto fortificato. E sulla costa, tre miglia lontano da quella città in Scirocco- Levante, giace Castel S. Stefano. Benchè non abbia attualmente che soli cento abitanti, esso è un luogo notevole, perchè altra volta quivi si tenevano le adunanze delle stirpi del territorio di Pastro- viechio (Pastrovic). Tale è il nome del paese che di là si estende fino al monte Dubavizza — estremo confine marittimo dell’ Austria colla Turchia, — e consiste nelle pendici riguardanti il mare dei monti che separano il suolo austriaco dal Montenegro. Questa contrada forma un Comune del distretto giudiziario di Budua, e conta 2500 abitanti in 19 villaggi con una curazia cattolica, tre greche e quattro scuole popolari. Pressochè tutti sono addetti alla chiesa orientale, e sono prodi guerrieri ma alquanto rozzi; però l’ allevamento del bestiame e la coltura de’ campi non vengono punto negletti, e vino ed olio vi prosperano. Si distingue poi particolarmente la località di Buljarica, non lungi dal triplice confine, per la bella coltivazione della terra. A T Pastrovicchiani si sottomisero alla Repubblica Veneta colla condizione che si conservasser loro certi diritti. Abbiam veduto, che Vettor Pesani ebbe saldo sostegno da essi per impadronirsi di Cattaro e del castello, occupati dagli Ungheri. Nè mancò Venezia di ricompensarli largamente con privilegi di nobiltà e con grandi franchigie. Ritiensi pur anco che molti Pastrovicchiani venissero nobilitati dall’ Imperatore Sigismondo per servigi a lui resi durante le spedizioni militari nell’ Albania. Vuolsi eziandio che fin dai tempi di Diocleziano e di Costantino godessero esenzione di tributi. Nel- l’evo medio questo suolo apparteneva ai principi Balsa. Attualmente i giovani Pastrovicchiani sogliono andare a Costantinopoli, ove s'impiegano in qualità di ortolani, stallieri, braccianti ecc., per poi ritornare in patria quando sien giunti ad avere accumulato qualche cinquantina di talleri. Su questa terra nacque nel 1751 Stefano Zannovich, quel famoso cavalier d’ industria, che per i suoi talenti, la sua coltura, pei suoi scritti e per il suo eloquio spiccante seppe guadagnarsi la confidenza di distinti ed altissimi personaggi in Polonia, in Germania, a Roma, in Olanda, dopo d’ essersi dato a conoscere nel Montenegro per l’ Imperatore Pietro III, senza avervi trovato partigiani. i A poche miglia di distanza da Castel San Stefano, molto pittoresco presentasi sul lido al navigante, che viene da Antivari, Castel Lastua. Su quest’ ultima striscia di terra notevoli son le rovine d’ un’ antichissima torre rotonda, come soleansi erigere in buon numero lungo il mare, a luogo di rifugio contro le scorrerie dei Pirati. La chiamarono torre Boscovich dacchè servì di punto d’osservazione all’insigne astronomo raguseo di questo nome, in una graduazione da esso intrapresa nell’anno 1750. . È ancora da rammemorare un sacrifizio di sublime virtù, il quale rimonta all’epoca in cui frequenti erano le scorrerie dei Turchi sul territorio di Pastrovich. Lo ricorda quella sporgente roccia visibile da Budua, situata a metà strada da Castel San Stefano a Castel Lastua. Narra la tradizione che una giovane Pastrovicchiana di. rara bellezza, inseguita da un musulmano, anzichè darsi alle braccia di lui, abbia amato meglio spiccare un salto da quel masso per trovare nell’ onde la morte, per cui quel promontorio vien detto dagli Slavi Skoci-djevojka (salta donzella). E piacciavi o Signori, che per ultimo vi rammenti, che come rigoglioso cresce l’ ulivo ovunque l’ onda Adriaca i termini Austriaci 14 — 150 — bagna, così nel sito, ove s'incontrano i confini dell’ Albania austriaca, dell’ ottomana e del Montenegro, e che da ciò triplex confinium si noma, un boschetto d’allori non lungi da ricca sorgente d’acqua viva, segna assai poeticamente il limite del- l’ Impero d’ Austria, A — 151 — NOTIZIE INTERNE. Seduta del 7 Maggio alle ore 7'/, di sera. Presidente: Comm. Muzio de Tommasini. Il Segretario sig. Prof. Vierthaler comunica i nomi dei nuovi socîì, i quali sono: il sig. Banelli Dr. Benvenuto, » Binder Dr. Adolfo, » Brisker Enrico, sig.a Francovich Giovanna, Maestra, sig. Hausenbichler Dr. Augusto, Luzzatto Dr. Attilio, » Manussi (de) Dr. Alessandro, »s Merk Andrea, » Perco Dr. Guglielmo, sig.a Leopoldina Bar. Vlach-Montelli. ”» Lo stesso comunica i nomi delle nuove Società scientifiche colle quali si è entrati nello scambio degli stampati : Accademia Gioenia di scienze naturali in Catania. Naturalist. Medicinisch. Verein di Heidelberg. Reale Istituto d’incoraggiamento alle scienze naturali economiche e tecnologiche in Napoli. Naturwissenschaftl. Verein von Neu-Vorpomern und Riigen in Greifswald. Lo stesso partecipa che i Membri della Direzione allo scopo di festeg- giare la presenza del sig. Prof. Dr. Haeckel di Vienna impresero una gita a Corgnale, S. Canziano e Lippizza. Indi il sig. Michele Stossich prelegge un'appendice alla sua precedente notizia comunicata dal sig. Dr. de Marchesetti, circa la sua escursione dell’ isola di Pelagosa. — 1592 — Seduta del 28 Maggio alle ore 7!/ di sera. Presidente: Comm. Muzio de Tommasini. Il Segretario comunica i nomi di nuovi ‘socî, che sono i sigg.: Cambon Dr. Alfredo, Cicuta Girolamo, Farmacista, Stossich Michele, Susa Dr. Giuseppe, e quindi dà notizia delle Società che recentemente entrarono nello scambio di stampati, cioè: Accademia Reale di scienze di Amsterdam. Oberhessische Gesellschaft fur Natur- und Heilkunde in Giessen. Sitzungsberichte der physikal.-medicinischen Gesellschaft in Wiirzburg. Notifica come nella sera 26 corr. l’ Associazione medica e la nostra, convennero nella sala di Minerva per vedere ed esaminare un fenomeno dipige, sostenendone in comune la spesa, mentre in tal circostanza veniva pregato l’ on. socio sig. Dr. Carlo Liebman di redigere e comunicare angloca relazione per venir poi pubblicata nel Bollettino. Lo stesso prelegge quindi una sua dissertazione: Sulle fermentazioni. Seduta della sera 11 Giugno alle ore 8. Presidente: Comm. Muzio de Tommasini. Il Segretario comunica come il giorno 9 p. p. i Membri della Direzione sociale, unitisi a quelle delle due altre Società: Agraria e per 1’ imboscamento del Carso siensi riunite all’ albergo dell’ Obelisco presso Opèina ad un banchetto, tenutosi per festeggiare l’ ottantesimo terzo anniversario natalizio del loro Presidente il Comm. Muzio de Tommasini, ed invita i presenti a prestare cmaggio al medesimo. Tutti si alzano. Il sig. Presidente ringrazia, rinnovando la promessa di prestarsi con tutto l'impegno pel miglior utile della Società, alla quale augura un sempre migliore e prospero avvenire. Il Segretario annuncia che il Verein fur Naturkunde di Linz, e la So- ciété des amis des sciences naturelles di Rouen, la Società fisico-medica di Jena e la Société Khédiviale de Geographie in Cairo sono entrate nello scambio — 15359 — degli stampati, per cui il N.° delle Società con cui hassi reciprocanza ammonta alla cospicua somma di 102. Lo stesso comunica i nomi di nuovi socî che sono i sigg. : E. Conte Alberti de Poja, Pio Marchese Dr. Gravisi, Antonio Maron, Leopoldo Mauroner, Raffaele Dr. Vicentini. Indi il Prof. F. Dr. Friedrich, prelegge: Cenni storici sul Radiometro. Seduta della sera 25 Giugno. Presidente: Comm. Muzio de Tommasini. Il Segretario comunica i nomi di nuovi socî, cioè: il sig. C. Sauer, Direttore dell'alta scuola commerciale, di fondazione Revoltella, il sig. Ovidio Monti, Capitano del Lloyd A.-U., e il sig. Enrico Gutmann, litografo. Quindi dà notizia delle seguenti Società entrate nello scambio degli stampati: La Società di scienze naturali in Miinster. La Società di naturalisti in Bamberg. La Società di storia naturale in Passovia. Pervenne in dono: dal socio sig. Nicolò Nicolich: J. H. Kirchmann, Katechismus der Philosophie, dal Segretario: J. Tyndall: Contributions to molecular Physics of Radiant heat. Seguono le pertrattazioni scientifiche : Il Dr. F. Paugger, Direttore dell’i. r. Accademia locale: Sulle relazioni telegrafiche e sopra carte grafiche delle condizioni meteorologiche. Il sig. Janny presenta modelli plastici ed illustrazioni di varî costumi delle coste indiane. — 154 — Seduta della sera 9 Luglio alle ore 8. ————————m Presidente: Comm. Muzio de Tommasini. Il Segretario comunica l’ aggregazione dei nuovi socîì i sigg. Weedon William, Riccardo Bousquet e Prof. Ernesto Dr. Schatzmayer. Comunica inoltre che la Société d'Histoire naturelle de la Moselle di Metz è entrata in cambio degli stampati. Il socio-direttore sig. Dr. de Marchesetti dà alcuni ragguagli di una recente escursione da lui fatta alle miniere d’Idria, e d'un’ altra nei dintorni di Salvore nell'Istria, sul luogo ove è fama che anticamente sorgesse la città di Siparium, o Sibaris detta presentemente dai terrazzani: Sipar e presenta alcuni ruderi di terra cotta e di marmi ivi scavati, e descrive una casa recen- temente scoperta. Indi il socio sig Michele Stossich legge una sua Memoria: Sul? impor- tanza della vescica germinativa. rina — 1559 — BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Stampati pervenuti in dono alla Società. Prof. Giov. Bizio. Analisi chimica delle acque Termali Euganee, dall’ Autore. Enrico Filippo Trois. Sopra la esistenza di veri gangli linfatici nel Lofio pescatore, dall’ Autore. Giordano. Cenni sul lavoro della Carta geologica dell’Italia, 1876, dal r. Comitato geologico. Guillemine. Notice nécrologique sur M.le M.* de Compiègne, dal- l’ Autore. J. H. Kirchmann. Katechismus der Philosophie, dal socio sig. Nicolò Nicolich. J. Tyndall. Contributions to molecular Physics of Radiant Heat, dal Prof. Vierthaler. Ricevuti in cambio. Wien — Verhandlungen der k. k. geologischen Reichs- Anstalt. N.° 6. — v. Hauer. Krystallogenetische Beobachtungen. — Ra- dimski. Lignitvorkommen auf Pago. — Pilar. Geologische Verhàltnisse von Radobos. — Posepny. Geologisches aus Utah. — Dr. Stache. Aufnahmen in West-Tirol. N.° 7. — Hòornes. Ueber Jura-Versteinerungen bei Belluno, Feltre und Agordo. — Schrockinger. Sphirosiderite von sehr hohem Mangan-Gehalt aus Ungarn. — Vacek. Ueber das Kreidegebiet in Vorarlberg. — Gamper. Lazulith von Krieglach. N.° 8. — Neumayr. Ueber einen Conglomeratgang im Karpathen- sandstein. — v. Schroeckinger. Posepnit, ein neues Harz aus — 156 — Californien -— Fluoritvortommen zu Idria. — Gamper. Labradorite von Kiew — Anorthit von Monzoni. — v. Hauer. Der artesische Brunnen von Gaudenzdorf. N.° 9. — R. Hoernes. Beitrige zur Kenntniss der Tertiàr- Ablagerungen in den Siid-Alpen. — Hansel. Petrographische Beschaffenheit des Trachytes der sidl. Bukowina. Wien — Anzeiger d. k. Akademie der Wissenschaften. X, XI, XII, KIEV. XV, XVI Wien — Jahresbericht des wissenschaftlichen Clubs 1876-77. Wien — Verein zur Verbreitung naturwissenschaftlicher Kenntmsse, Jahrg. 1876-77. — v. Burg. Erscheinungen und Wirkungen der Wirme. — Claus. Die Trichine. — Toula. Ueber Bau und Entstehung der Gebirge. — Hammerschmed. Die Rolle des Eisens im menschlichen Blute. — Chavanne. Das Klima und sein Einfluss auf Pflanzen und Thierwelt. — Schenk. Elemente der Spectral-Analyse. -- FRumpf. Das einfache und zusam- mengesetzte Mikroskop. — Pierre. Thermoelektricitàt. — Toula. Thalbildung. — Restlechner. Gihrungshemmende Mittel. — Simony. Schutz dem Walde — Das naturwissenschaftliche Element in der Landschaft: Luft und Wolken. — . Hock- stetter. Die Siidsee-Insulaner. — Bburgerstein. Das Chlorophyl. — Chavanne. Pfanzen und Thierleben im tropischen Amerika. Linz — VII. Jahres-Bericht des Vereines fiir Naturkunde ‘in Oesterreich ob der Enns, 1877. — Dr. Della Torre. Synopsis der Insecten Obher-Oesterreichs. — Schiedermayer. Krypto- gamen der Linzer Umgebung. — Héod!. Zur Flora von Steyr. — Urban. Phinologische Notizen. — Strobl. Blithen-Kalen- der von Linz. Hermannstadt — Verhandlungen und Maittheilungen des siebenbir- gischen Vereins fiir Naturwissenschaften. — Carl Henrich. Ueber Spongien. — L. Neugeboren. Die fossilen Korallen in den Miocanschichten bei Oher-Lapugy. Rovigno — Giornale della Società Agraria Istriana, N.° 4, 5, 6, — 157 — Trieste — L’Amico dei campi, N.° 4, 5, 6, 7. i) Gorizia — Atti e Memorie delli. r. Società Agraria, N.° 4 e 5. Klausenburg — Magyar-Novenytam Lapok. Maggio, Giugno, Luglio. Firenze — Bullettino della Società. entomologica Italiana, 1877 — trimestre I. — Currò. Catalogo dei Lepidotteri d’Italia. — Baudi Cav. Flaminio. Coleotteri tenebrioniti italiani. — Ron- dani. Insetti parassiti e le loro vittime. — ZEmery. Ordina- mento dei Mirmicidei. — Latellz. Di aleune speciali produzioni dermiche in certi crostacei brachiuri. Lucca — Atti della R. Accademia, 1876, tomo XX. — Del Prete. Cenni storici sulla origine della Biblioteca di Lucca. Genova — Giornale della Società di letture e conversazioni scienti- fiche. — III Marzo. Katt. L'industria mineraria in Italia. — Pizzorni. Sulle scuole serali. — Canevari. Fognatura delle città. — IV Aprile. Bomba. La vaccinazione e la rivaccina- zione obbligatoria. — Camevari. Fognatura delle città. — VI Giugno. Landriani. I contadini rigenerati. — Lemoymne. Sopra una formula della dinamica. -- Balbi. Il lago dei quattro cantoni. Napoli — Rendiconto della R. Accademia delle scienze fisiche e matematiche, 1877, fasc. 3. — Costa. Relazione di un viaggio nelle Calabrie per ricerche zoologiche. — Pedicino. Notizie intorno a Giuseppe De Notaris. — Fasc. 4. Albini. Sul colore della retina. — Fasc. 5. Pasquale. Sopra alcune mostruosità del fiore della Viola. —— Pedicino. Relazione al Congresso internazionale botanico di Amsterdam. — De Luca. Cura delle malattie degli agrumi — Materia grassa in terre di Pompei. Napoli — Atti del reale Istituto d’ incoraggiamento alle scienze naturali e tecnologiche. Annate 1864-1876. Vol. I fino incl vol. XIII. Vol. I. Costa. Note geologiche e paleontologiche. — Fyrojo. Sulla coltura del cotone siamese. — De Luca. La prossima comu- nicazione di tutti i popoli della terra. — Costa. La piscicol- tura nel golfo di Napoli. — 158 — Vol. II. Frojo. Del Corylus Avellana. — Costa Sugli insetti che danneggiano le piante di cotone — Sull’ asfalto di Rocca secca. — Gasparini. Sulla melata dell’uva — Sulla malattia del cotone, detta Pelagra. Vol. III. Costa. Note geologiche. — Turielli. Degli stabilimenti di beneficenza. Vol. IV. Di Maio. Cenno storico sui mezzi adoperati dagli antichi per le loro navigazioni. — Fornari. Manuale di Economia Politica. Vol. V. Costa. Nuove osservazioni sopra i bachi da seta. — Del Giudice. Delle combustioni spontanee. — Depérais. Adultera- menti dell’ olio di oliva. — Di Maio. Strumenti nautici dei Fenici. Vol. VI. Novi. Di taluni espedienti usati a danneggiare i ponti da guerra. — Terracciano. Florae vulturis synopsis exhibens plantas vasculares in Vulture monte. — Pasquale. Di alcune produzioni spontanee della terra. — yinchera. Origine storica de’ salarî. Vol. VII. Costa. La Pesca del golfo di Napoli. — Pasquale. Dell’ agricoltura Industriale. — Paolo. Sugli ulivi coltivati nel circondario di Cerrato. Vol. VIII. Costa. Stabilimento di apicoltura razionale. — Zinno. Sulle possibili industrie chimiche nazionali. — Garelli. Le Banche (opera premiata). Vol. IX. Del Giudice. Una nuova forma di elettro-calamita. — Pasquale. Su di una varietà di Opuntia ficus indica. — Novi. Storia delle esplosioni. Vol. X. Costa. Sopra avanzi vegetali fossili nella Marna. — Zannotti. Sulla vera cagione che rende la calamita Roloff superiore a quella del Page. — Valentini. Sull’utilità del buffalo. — Caporale. Difesa delle api. — Costa. La caccia. — Nooi. Della conservazione dei metalli nelle industrie. Vol. XI. Panceri. Caso di fecondità di una mula — Intorno agli Akka. — Ciccone. Armonia economica degli interessi. — Fontanelli. Gli scioperi. — Falconio. Sul tifo bovino. Vol. XII. Del Giudice. Delle scuole tecniche in Italia. — 7ur- chiarulo. L'economia politica e gl’ istituti tecnici. — Costa. Sulla possibile diffusione delle Doryphora Decemlineata dal- I America in Europa. — Giuliani, Apparecchi autografici elettro-magnetici, — 159 — Vol. XIII. Costa. Sulla filossera. — Yojo. Il presente e 1’ avve- nire dei vini in Italia. — Giuliani. Sveglia elettro-magnetica. — Pasquale. Fecondità di un mandarino. — Vetere. Fabbri- cazione dell’ acido solforico. — Tenore. Industria del ferro in Italia, Milano — Reale Istituto di scienze e lettere. . Vol. X, fasc. VIII. Maggi. Intorno all’ incistamento dell’ Am- phileptus moniliger. — Gabba. La seta del Bombyx Mylitta. Fasc. IX e X. Schiaparelli. Osservazioni sulle comete del 1877. — Maggi. Sulla natura morfologica dei Distigma. — Scaren- zio. Frattura del collo e della diafisi del femore. — Cantoni. Sulla combustibiltà dei tabacchi. — Cantoni e Maggi. Sulla Eterogenia. — Taramelli. Osservazioni stratigrafiche della provincia di Pavia. — Mantegazza. Della lunghezza relativa dell’ indice e dell’ anulare nella mano umana. Fase. XI. Maggi. Sulla morfologia delle Amphizonelle: — Pavest. Sugli Aracnidi di Grecia. — Macalusio. Sulla tensione del- l'elettricità indotta. — Pelloggio. Dell’ albuminosi delle orine. — Colombo e Pizzi. Sul peso specifico del cranio. Fase. XII. Ferrini. Sulla composizione più economica dell’ elet- tro-motore capace d’un dato effetto. — Cantoni e Maggi. Ricerche sperimentali sull’ eterogenesi. — Maggi. Sull esi- stenza dei Moneri in Italia. —. Solera. Di una particolare reazione della saliva (riduzione dell’ acido iodico). Fase. XIII. Musso. Sugli stati del solfo nel latte, e sulla nor- male esistenza nel latte vaccino di solfati e solfocianati. — Pavesi. Di una Selache presa recentissimamente nel Mediter- raneo ligure. Roma — Atti della R. Accademia dei Lincei, I. N.° 5. — Cerruti. Considerazioni sui colori specifici. — Schiff. Intorno 1’ acido trigenico. — Paternò. Sopra un nuovo acido della. Lecanora atra. — Sulla Picrotossina. — Dal See. Della materia grassa dalla Vateria Indica. — Bagrnis. Mycologia romana. — Re- spighi. Sul supposto pianeta Vulcano. N.° 6. Cossa. Sulle roccie dei depositi nicheliferi di Gatinpelto Monti. — Capellini. Balenotteri fossili. — Fambri. Sulle con- dizioni idrauliche del Danubio a Buda-Pest. — Capranica. Sulla materia colorante della retina. — Aruso e Brigidi. Al- — 160 — terazioni prodotte nell’ organismo dei bromuri. — Paternò. Sulla sordidina. — Beltrami. Determinazione sperimentale della densità elettrica alla superficie dei corpi conduttori. — Branco. I vulcani degli Ernici. — Respighi. Sul diametro solare. - ol. Fecondazione degli Echinodermi. — Malone. Sulla cellula gigante del tubercolo. — Volpicelli. Sulla elet- trostatica induzione — Sulla teorica del condensatore di Volta. Roma - Bollettino del KR. Comitato Geologico d’ Italia, N.0 3 e 4. — Seguenza. Studî stratigrafici sulla formazione pliocenica dell’Italia meridionale. — Lotti. Descrizione geologica di Roc- castrada nella Maremma Toscana. — Pirona. Schizzo geolo- - gico dell’ Udinese. Bremen — Abhandlungen des naturw. Vereines 1877. — 5 Bd. 2. Heft — G. Kohl. Die natirlichen Lockmittel des Vòlker- Verkehrs. — 0. Focke. Die stadtbremische Moosflora. — Martin. Eine neue Massenablagerung silurischer Kalkgeschiehbe in Oldenburg. — Bentfeld und KX. Hagena. Verzeichniss der im Herzogthum Oldenburg, vorziiglich in der Umgegend der Stadt Oldenburg wachsenden Hymenomyceten. — Luchenau. Pelorie des Garten-Liwenmaules. — Irmisch. Einige Bemer- kungen iber die Wuchsverhiltnisse von Coronaria Flos Jovis und C. tomentosa. — Finsch. Mein dritter Beitrag zur Vogel- kunde Grònlands. — Wessel. Beitrag zur Kaferfauna Ost- frieslands. — £Lriggemann. Neue Korallen-Arten aus dem Rothen Meer und von Mauritius. — Miscellen. Variationen an gescheckten Hillsen — Nebenwurzeln in alten Weiden- stàmmen — Rubi nonnulli Asiatici — Sparganium affine Schnzln. und Sp. Borderi n. sp. — Frichte von Prunus lusi- tanica — Pinus Mughus Scop. — Màachtiger Stamm von Salix Capraea L. — Die àlteste Bremische Localflora. — O. Focke. Niedersàchsische volksthùmliche Pflanzennamen. Zweites Verzeichniss. — O. Focke. Neue Beobachtungen iber Lithium im Pflanzenreiche. Heidelberg — Verhandlungen des naturhistorisch-medicinischen Ver- eines, Neue Folge I. Bd. — H. Bauke. Zur Entwicklungsge- schichte der Cyatheaceen. — Ad. Mayer. Ueber die Aufnahme von Ammoniak durch oberirdische Pflanzentheile. — #Y — 161 — Schultze. Ueber die Resultate der Kaltwasserbehandlung des Typhus abdominalis im akadem. Krankenhause zu Heidelberg. — R. Thoma. Ueber den Einfluss des Wassergehaltes des Blutes und der Gewebssifte auf die Form- und Ortsverin- derungen farbloser Blutkòrper. — L. Koch Zur Entwicklungs- geschichte der Cuscuteen. — A. Pagenstecher. Zoologische Miscellen. — A. Pagenstecher. Ueber den Ursprung einiger europàischer Schmetterlinge. — E. Pfitzer Ueber die Ge- schwindigkeit der Wasserbewegung in der Pflanze. — A. Horstmann. Verbrennungserscheinungen bei Gasen — W. Kihne. Ueber das Verhalten verschiedener organisirter und sog. ungeformter Fermente. — W. Kilne. Ueber das Trypsin (Enzym des Pankreas). — Ludwig Koch. Ueber die Entwicklung des Samens der Orobanchen. — A. v. Wolkoff. Die Licht- absorption in den Chlorophyllisungen. — W. Kilme. Ueher das Secret des Pankreas. — MW. Kulne. Weitere Mitthei- lungen iber Verdauungsenzyme und die Verdauung der AI- bumine. — W. Lossen. Ueber die Eigenschaften der Atome. — M. Fehr. Ein Bild der Lyssa. — A. Horstmann. Disso- ciation der Chlorsilber-Ammoniakverbindungen. — Robby Kossmann. Wissenschaftliche Ergebnisse einer Reise in die Kistengebiete des rothen Meeres, im Auftrage der kòniglichen Akademie der Wissenschaften zu Berlin ausgeftibrt. Erste Abtheilung: Fische. Von R. Kossmann und H. Aéiuber. — Ludwig Koch. Untersuchungen iber die Entwicklung der Crassulaceen. — Kéilne und A. Sh. Lea aus Cambridge. Ueber die Absonderung des Pankreas. — Ewald und W. Kiihne. Die Verdauung als histologische Methode. — Ewald und W. Kiihme. Ueber einen neuen Bestandtheil des Nervensystems. — Horstmann. Ueber ein Dissociationsproblem. —. Morocho- wetz. Zur Histochemie des Bindegewehes. — Xw/lne. Zur Pho- tochemie der Netzhaut. — Pfitzer. Studien iber Bau und Entwicklung epiphytischer Orchideen. Greifswald —- Mittheilungen aus dem naturwissenschaftlichen Ver- eine von Neu-Vorpommern und Riigen. IV. V. VI. VII. VIII. Jahrgang. — .Minter. Ueber subfossile Wirbelthierfragmente Pommerns. -—— FRollmau. Cohision des Eisens im magnetischen Zustande. — Freiherr von Bollen. Ueber die Verbreitung des Luchses in Pommern. — Miinter. — 162 — Ueber Wirbelthier-Knochen. — Holtz. Flora Siid-Russlands. — Feilitesch. Theorie und Construction einer Luftpumpe. — Budge. Ueber das Harnreservoir der Wirbelthiere. — Muinter. Ueber Lagenorhynchus albirostris. — Holtz. Ueber den ge- meinen Kukuk. Dresden — Leopoldina. 1877. N.° 7, 8, 9, 10, 11, 12. Wiirzburg — Sitzungsberichte der physikalisch-medicinischen Ge- sellschaft. 1875, 1876. Giessen — Oberhessische Gesellschaft fiv Natur- und Heilkunde. XIV. und XV. Bericht (1873 u. 1876). XIV. Streng und Zoppritz. Ueber den basaltischen Vulcan Aspen- kippel bei Climbach unweit Giessen. — 7rapp. Die Braun- eisenstein-Lager des oberen Bieberthales — Diatomeen von Giessen. — Winter. Zur Pilz-Flora von Giessen. — Schneider. Ueber Plathelminthen. — Kehrer. Ueber Schidel-Impressionen der Neugeborenen. XV. Winter und Will. Ueber den Basalt des Schiffenberges. — Hirsch. Ueber ein Normal-Aràometer (0-650—2-000) Minchen — K.b. Akademie der Wissenschaften. 1876. II — Kobell. Ueber Heubachit, ein Kobaltnickeloxydhydrat — Gm- bel. Geognostische Mittheilungen aus den Alpen. — —£rlen- meyer. Ueber das Wasser als Oxydations- und Reductions- Mittel. 1877. Heft. I Wwlner. Ueber die elektrische Influenz auf nicht leitende Korper. — Ascherson. Beobachtungen iber Ozon. — v. Beetz. Elektro-chemischer Vorgang an einer Aluminium- Anode. — . Bischoff. Ueber das Gehirn eines Gorilla. Darmstadt — Notizblatt des Vereins fiir Erdkunde. XV. 1876. Gorltz — Neues Lausitzisches Magazin. 1877. 1. Miinster — Jahres-Bericht d. zoologischen Section des. Westfili- schen Provinzial- Vereins f. Wissenschaft und Kunst. 1877. — Westhoff. Ueber die Wanderheuschrecke. Bamberg — Elfter Bericht 4. naturforschenden Gesellschaft. 1875-76. — 163 — — Hoh. Meteorol. Mittelwerthe als Grundlage einer Klima- tographie. — v. Bamberg. Ueber Central-Heizungen — Ueber die thermische Ausdehnung der Gemische von Alkohol und Wasser — Ueber physikalische Eigenschaften verschiedener Koper. — Landerer. Das Homer'sche Metall Kyanos — Ueber Feldfrùchte und Pfilanzen des hellenischen Alterthums. — Possner. Das Meteoreisen vom Bemdégo in Brasilien. Zwickau — Jahresberichte des Vereins fiir Naturkunde. 1871. 1872. 1873. 1874. Jena — Zeitschrift fir Naturwissenschaft. 1877. — IV. Bd. I. — Haeckel. Die Physemarien, Gastraeaden der Gegenwart — Nachtrag zur Gastraea-Theorie. — Muller. Ueber Haar- pinsel, Filzflecke und dergl. auf den Fligeln der mannlichen Schmetterlinge. — Hatschek. Zur Entwicklungs-Geschichte der Lepidopteren. Heft II. Hertwig. Ueber die Entwicklung der Spirochona gem- mipara. — Dr. Mayer. Zur Entwicklungsgeschichte der Deka- poden. — A. Rose. Geographie der Laubmoose Thiiringens. Danzig — Schriften der mnaturforschenden Gesellschaft. IV. Bd. I. Heft. — Dr. Abegg. Die wichtigsten Neuerungen in der Krankenbehandlung. — Lissauer. Drei Burgwàalle bei Eylau. — Kasiski. Ueber Brandgràber. — Helm. Analysen beziiglich der Danziger Canalisation. — Menge. Preussische Spinnen. Passau — X. Bericht des naturhistorischen Vereines (1871-1874). — Molendo. Bayern's Laubmoose. — Mayenberg. Die Ge- fisspflanzen von Passau. Dorpat — Archiv fiw die Naturkunde Liv-, Esth- und Kurlands. — F. Stintenis. Verzeichniss der in Esth-, Liv- und Kurland und auf Oesel aufgefundenen Schmetterlinge. Bd. VII. 5. Lieferung. — Meteorologische Beobachtungen, ange- stellt im J. 1875. Bd. VIII. 1. — Die Wasserversorgung Dorpat’s, eine hydrolo- gische Untersuchung von Prof. Dr. Schmdt. Bd. VIII. 2. — Mikroskopische Analyse ostbaltischer Grebirgs- arten, von Lagorio. — Sitzungsberichte, redigirt v. Prof. Dra- gendorff. 1876. — Grewingk. Der Kauler- und Rinne-Kaln am Burtnecksee in Livland. — Dybowsky. Die mit. Lungen yersehenen Fische. — 164 — Amiens — Société Linnéenne du Nord de la France. Bulletin mensuel. 1877. Janvier, Février. Mercey. Sur les croupes de la Somme. — Vion. Les Araignées et leurs toiles. Mars. Vion. Les explorations dans les carrières de craie — De la Préhension de la Nourriture chez les animaux aquatiques — Les pluies de poussière. Avril. Dubois. Un diptère parassite de Phomme. — Brewster. Sur les longeurs. Mai. Vion. Les plantes carnivores — l’Anacondacurieux, exem- ples d’acclimatation. Juillet. Vion. La question des germes — La migration des Lem- mings. — Zissandier. Reconstitution d’un Mammouth fossile. Brurelles - Bulletn de la Société entomologique de Belgique. N.° 37. N.° 38. Bruxelles — Bulletin de la Société Belge de Microscopie. N.° VI, VII, IX. Paris — Bulletin de la Société de Géopraphie. Mars 1877. Mémoires: Pinart. Voyage dans l’Arizona. — Varlet d’Aoust. Sur les montagnes d’Anahnac. — Kostenko. Expé- dition aux Monts Alai. — Corrispondance: Lucien Wyse. Exploration du canal interocéanique du Darien. — U)faloy. Wéspes, Bachkirs, etc. — Gravier. Découverte d’un exem- plaire de la relation du voyage de Jacques Gartier. Avril. Maunoir. Rapport sur les travaux de la Société de Géo- graphie et sur les progrès des sciences géographiques pendant l’année 1876. — Bizemont. L’expédition frangaise de l’Ogdoué. — Du Trewl de Ehins. Note sur l’Annam — Voyage de M. — Miklonkho-Muklai. Dans la presqu’île de Malaisie. Mai. William Martin Sur les voies romaines de la Seine. — J. Halévy. Voyage au Nedjran. — Hancy. Les Alfourous de Gilolo. — Clermont-Ganneau. De Jérusalem è Bir-el-Maîn. Rouen -— Bulletin de la Société des amis des sciences naturelles. XI. année. 1875. — Boutalier. Dépòt des objets humains au Jarnac. — Boutillier. Étude ostéolique sur les Tasmaniens: — Lacaille. Excursions de Tancarville. — Malbranche. Flore — 165 — de Normandie. — Power. Insectes coléoptères récoltés pendant l’excursion Andelys. XII. année. 1876. Le Breton. Torrubia capitata sur l’Elaphomyces variegatus. -- Le Breton. Du nid de la Guiffette. hybride (Hydrochelidon). — Boutillier. La science de la nature, son objet et son importance. Cairo — Bulletin de la Société Khédiviale de Géographie. 1876. Itinéraire de voyage d’Ernest Linaut de Bellefonds. —- Heuglin. Le territoire des Béni-Amer et des Habab. — Dor- Bey. Notice nécrologique sur Munzinger Pacha. — Duveyrier. Les progrès de la Géographie en Algérie. — Long Bey. Sur les nègres du Bahh-el-Abiad jusqu'à l'Equateur. — Voyage du Dr, Giissfeld è la còte occidentale d’Afrique. — Colston. Sur les Bedouins du Soudan et de Cordofan. — Jordan. Le levé topographique à l’aide de la photographie. — Gordon Pacha. Sur le cours du Nil dans la région des grands lacs. — Dr. Nachtigal. Voyage au Wadai. -- Mohammed Moktar. Sur le pays de Harrar. Amsterdam — Kommglijke Akademie van Wetenschappen. a. Jaarboek voor 1874 et 1875. b. Verhandlungen. 1875 et 1876. 1875. Harting. Le plan médian de la téte néerlandaise masculine. Bleeker. Sur les espèces insulindiennes des Cirrhitéoides, des Mulloides et des Pseudochromidoides. — Schols. Over de Theorie des Fonten in de Ruimte en in het Platte Vlak. 1376. Oudemans. Over the Draaiingsvermogen der Kina Alka- Cc. loiden. — Lleeker. Sur les espèces des Scorpénoides. — Ti- demann. Verslag van Proeven, genomen met een Enkel Scheepsmodel, ten Doel hebende eenige gegevens te verkrijgen omtrent den Wederstand van het Water tegen de Beweging van een Schip. Verslagen en Medeclingen. 1876. 1877. 1876. Bierens de Haan. De Logaritimen van Marci — Simon van der Eycke — Ludolf van Ceylen. — Harting. Geologische Gesteldheid van dem bodem onder Utrecht. — GiMlavry. De Sorijtanden van Mus decumanus. — Grimuvis. Over de orije Uit breiding van het geluids. — Oudemans. Sur une meil- leure méthode pour faire les mesures héliométriques è l’occasion d’un passage de Venus. — Bleeker. Descriptions des espèces — 166 — inédites de Oxyurichthys, Paraoxyurichthys e Crystocentrus — Notice sur Gymnocaesio, Pterocaesio e Liocaesio — Sur la pluralité des espèces de Toxotes. — Oudemans. Oves de constitutre van Plumiarazuus. — Gr@mwis. Over cylinder- vormige geluidgolven. — Cohen Stuart. Over een geval van discontinuiteit. -- /ees. Over den Invloed van de Beweging der Trillingsbron. — LBosscha. Over evenwicht van een drup- pel tusschen twee horizontale platten. — LBogard. Persistentie der Miillersche gangen bi) een volwassen man. — DBleeker. Révision des Sicydinii et Latrunculini — Generum familiae Scorpaenoideorum conspectus analyticus. — Schols. De inter- polatie-formule. — Bleekrode. Onderzoek vmtrent electroma- chines met ebonietschijven. — Oudemans jr. — Over de quantitative bepaling van Kinine in Kinabasten. — GeMlavry. Kunstmatige digestie van cellulose. 1877. Mees. Omtrent de theorie der vlammen. — OQudemans. Bijdragen op het gebied der Mycologie. — Bierens de Haan. W. Snellius, Lansbergen, Christ. Huyghens over Ludolph van Ceulen. — Van Hasselt. Bigdrage tot de natuurlijke geschie- denis der Watersalamanders. — Bwis Ballot. Over Asteroiden inolved op de temperatuur in Mei en Februari. — Bosscha. La Commission internationale du mètre et la Conférence diplomatique du mètre. — Bleeker. Sur les Chétodontoides. — Van der Vaals. Over het aantal botsingen en den gemid- delten botsings-afstand in gasmengselt. — Korteweg. Bere- kening van de vermeerdering welke de spanning van een gar tengevolge van de botsingen der moleculen ondergaat. — Grimwis. Over lichtabsorptie. — Bleeker. Sur Pomacentroides. — Hoffmann. Ontwikkelungs-geschiedenis van Tetrastemma varicolor. Harlem - Archives néerlandaises des sciences exactes et naturelles. Tome XI. 4. et 5. livraison. — P. Bleeker. Systema percarum revisum. —- C. A. J. A. Oudemans. Contributions mycolo- giques. — T'%. H. Mac Gillavry. Sur la digestion artificielle de la cellulose. — F. C. Donders. 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Snr l’hydrure cuivreux. Copenhagne — Oversigt- Bulletin de lAcadémie Royale. (Avril-Octo- bre 1876). (1877 Janvier-Avril). St. Pétersbourg -—- Bulletin de Vl Académie impériale des sciences. Tome XXIII. 3. — Woldstedt. Les Ichneumonides de S. P. — Véliky et Istomine. Les centres depresseurs et accelérateurs. — Damour. Sur la Vietinghofite. — Chwolson. Influence de l’incandescence sur la résistence galvanique des fils métalli- ques dures — Wed. Moyen d’éliminer lerreur produit par la capillarité dans Je barographe à balence. Sam Francisco — Proceedings of the California Academy of Sciences. Vol. VI. — Blake. On Roscoélite — On the molecular rela- tions of Beryllima — On Glacial action — On Phylloxera — On the Reimes Grape. — Brooks. Origin of the Chinese Race. — Clayton. Un Glacial period. — Cooper. Californian Shells. — Davidson. Transit of Venus. — Edwards. Pacific Lepidoptera. — Gibbons. New Species of Trout. — Kellog. 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Nell’ esame del residuo fisso si rinvennero : Silice,; adi 40 Lelagianizalsi ela. 0410 ossido di ferro ed allumina s © traccie cloruro: d'argentorgpgie ose rela pa rigo splfata. di, Bario,niegg 1Riael ii Let 0 carbonato di caleev tl aaa er TOA pirofosfato di magnesia =... . ». 00419 cloruro di potassio e di sodio . . ©, 00990 Da questi dati risultò il contenuto di: silice con traccie di ferro ed allumina gr. 00470 AL e e e 8 rt A rta i anidride solforica . MEI glia n) e MOLGIOT RA ALII o 4 SaR EIA magnesia ped LOE cloruri alcalini . n» 00990 — 169 — ossia in 1000 parti di acqua: ARE arr Reti er. 040112 anidride :solforica - .'uonsasiin ho 0:0025 calce RESTO TORE Li 0-0644 eat POOTIZICOT DI MORE den 0-0037 demi lcatlini e nl al 0:0235 e secondo il calcolo delle combinazioni risultanti si trovarono in 1000 parti di acqua: solfato» dilcaleè è iompaz i vtimoLgo ‘9r;1810,0056 Carpanglo; dixGalce ve. a csbiutnio. 2005 0:1110 carbonato: di magnesio . . . . __, 0:0078 sei ebare sReeari 0-0112 ossido di ferro e di allumina . . » traccie cloruro di sodio e di potassio . 010239 Sbafanze organiche 0 . 0. o . ia 0:0215 » 0:1806 calcolato % 0:1810 trovato Negli ultimi giorni di Gennaio 1877 feci parte di una Com- missione che aveva per còmpito di seguire il fiume Reka fino oltre Windisch Feistritz per accertarne il contenuto eventuale di ammo- niaca libera e di sali di ammonio. — Venne esperimentato coi reagenti di Nessler e di Bohlig, e negativo affatto si ebbe le reazioni sulla presenza dell’ammoniaco libero, qua e là soltanto si ebbero traccie di sali ammoniacali. — Aprofittai di quella circo- stanza per raccogliere un quantitativo sufficiente del fiume stesso e precisamente a Nak/e immediatamente dinanzi ai molini ora appartenenti al territorio di Trieste. — La temperatura segnava allora + 1° C. — L'acqua fu limpidissima e si mantenne limpida durante tutto il tempo impiegato per le investigazioni analitiche !). Rinvenni la densità = 1:000119. Grammi 5200*5 dell’acqua mi diedero dopo l’ evaporazione un residuo fisso di gr. 08852 e dopo I’ arroventazione del residuo stesso - sì rinvennero gr. 0:0303 di materie organiche. !) Nel momento che queste pagine si passano alla stampa, cioè cinque mesi dall'epoca della raccolta si è conservata 1’ acqua del Reka tenuta entro un fiascone, perfettamente limpida e priva affatto di organismi! * — 170 — Nell’ esame del residuo fisso rinvenni: BIMICRY ei sE pr 0 009 ossido ferrico hi A) Ù traccie cloruro di argento Bo 07562 solfato di Bario PIETRA. 0-0743 carbonato di-calce | .-.°...-.:!*50/6938 pirofosfato di magnesia di 0:0982 cloruri alcalini . to 0-1056 Da questi dati si calcola il seguente contenuto : TMP cloro 4 PRESTI AAA 0:1872 anidride Jota (6803) RR cara 0-0255 calce Li 0:3661 INUBEMOSIA; +. (7 REA E O 0-0354 cloruri alcalini Di 0-1056 ossia in 1000 parti dell’ acqua: Siliconiacnnice Yann sr SODO anidride aa PRA. PIE Leno 0-0049 Galeno aaa e 0:0704 magnesia . e it 0:0068 elorngiralcalimti. vu; e e un 0:0203 e secondo il calcolo delle combinazioni risultanti : solfato di calce . . ... . . gr. 00083 carbonato: ‘du!calcasr tà Dom ari sky 0:1200 carbonato di magnesia . . . +.» 0:0143 SilicenAl 17% st ESTA 0:0019 ossido di ferro ed sila DIGI 06; traccie cloruri alcalini* “© GrIopog — siido 0.0203 sostanze preaniche, ic. venia 0-0058 » 0.1706 calcolato ”» 0-1702 trovato L’acqua del Reka è quindi scarsissima di contenuto salino ed ottima per il rapporto dei singoli componenti; è però acqua di fiume che subisce oscillazioni benchè minime nel contenuto salino e oscillazioni maggiori di temperatura. — 171 — Il fiume Bistrizza, affluente del Reka presso Windisch-Feistritz '). Il fiume Bistrizza, di corso brevissimo, prende origine in due sorgenti nel calcare ippuritico che confina il fondo della borgata di Feistritz. L'acqua prelevata alla sorgente ai 30 di Gennaio di questo anno ad una temperatura atmosferica di — 3° C. ebbe la tempe- ratura di + 8° C. L’ acqua venne esaminata alla sorgente coi reagenti di Nessler ed anche del Bohlig sopra un eventuale contenuto di ammoniaca e di sali d’ ammonio. Le due reazioni rimasero perfettamente negative; 1’ acqua è perciò sotto questo rapporto purissima. Essa è affatto limpida, priva di odore e di colore e possiede gradevolissimo sapore di acqua pura. Non vi si svilupparono delle formazioni organizzate neppure dopo un riposo di quattro settimane, conservando l’ acqua alla luce diffusa; ciò che dimostra che essa non contiene dei germi organici suscettibili ad un ulteriore sviluppo. La densità dell’acqua a 15° fu = 1-0001099. Grammi 2001-:398 dell’ acqua rilasciarono dopo l’ evaporazione un residuo fisso di gr. 0:3488, per o = 0'17427, il quale conte- neva minutissime traccie soltanto di materia organica. Trattato questo residuo con sufficiente quantità di acqua bollente, ebbi una soluzione dalla quale risultarono : sr. 0:0780 Ba SO, » 00100 Ca CO, 0-0380 Mg, P, 0, » 01808 Ag CI 0:0755 K CI + Na CI 0:0656 P_K, CI, ') Facendo parte di una Commissione municipale per rilevare se l’acqua del Reka contenga o meno dell’ ammoniaca libera in varie posizioni del suo corso; fui in grado di prelevare personalmente e colle debite cautele l’acqua del Bistrizza. — Mi permetto qui a ricordare soltanto che il fiume Reka dimostrò soltanto traccie di sali di ammonio (reazione Bohlig) e non ebbe contenuto di ammoniaca libera (reazione Nessler). — 1722 — Il residuo insolubile nell’ acqua pura diede dopo 1’ acidulazione e dopo la successiva evaporazione un residuo insolubile di: gr. 0:0039 Si 00, e dalla soluzione acquosa risultarono: gr. 0-0204 di ossido ferrico ed allumina » 01954 Ca CO, » 0:0255 Mg, P, 0, » 0‘0195 Ba SO,. Di acido nitrico ebbi appena traccie. Da questi risultati si rileva nel residuo fisso di gr. 0-3488 un contenuto di: gr. Caleolando nazioni 0-:0039 0:0204 00335 0-0056 0:1094 0:0137 0-0092 0:0447 0:0031 0:0271 saline, Bistriza : gr. 0:0039 0-0204 0-0059 0-0696 0-0411 0:0103 0:1782 0:0193 Si O, — silice Fe, 0,, Al, O, — ossido di ferro ed allumina S O, — anidride solforica 0-115 o| Cao — calce solubile nell’acqua po VT “insolubile “54 | 00229] Mg O — magnesia solubile Palio si insolubile CI — Cloro K — Potassio Na — Sodio i detti componenti secondo loro affinità a combi- risulta la seguente composizione dell’ acqua di — Si 0, — Fe, 0, — K CI — Na CI — Mg SO, — Ca SO, — Ca CO, — Mg C0, ‘0755 0:3487 contenuto calcolato 03488 contenuto rilevato. — 173 — Risulta quindi per un litro dell’acqua il contenuto di: gr. 0-0019 Si 0, — silice » 00102 AI, O, Fe, 0, — ossido di alluminio e di ferro » 00029 K CI — cloruro di potassio » 00348 Na C1 — cloruro di sodio » 00205 Mg SO, — solfato di magnesia » 00050 Ca SO, — solfato di calce » 00891 Ca CO, — carbonato di calce SI ; . { l’acqua in forma » 0.0096 Mg CO, — carbonato di magnesia| di bicarbonato Siccome secondo Pettenkofer !) l’acqua per essere potabile potrebbe contenere nel litro sino a milligrammi 500 di residui fissi ; 15 , cloro si 10 , nitrati Li 2007 realee o 20 , sostanze organiche, e possedere la durezza perfino di 20°; così ne risulta che 1’ acqua della Bistrizza è una delle acque più pure e sanissima anche per la sua temperatura quasi costante d’ inverno e di estate. Acqua di Nabresina. Nei mesi feriali dell’anno decorso, Agosto 1876, esegui l’analisi dell’ acqua dell’ Auresina, togliendo l’acqua dalla condut- tura del laboratorio chimico dell’ i. r. Accademia di commercio e di nautica. La densità a 18° rilevai = 1:0002726. Grammi 2000-5428 dell’ acqua diedero un residuo fisso di gr. 05397 corrispondenti a 0-26985 per litro. I! residuo fisso di gr. 0:5397 trattato con acqua bollente mi diede una soluzione dalla quale risultarono : 0-03035 gr. Ba SO, 0:02046 , Ca CO, 002/790». .;0 EM Posi 0:1253 , Ag 01 0-:0540 , K C1 + Na CI 00330" CPP] 1) Pettenkofer, Memoriale sull’ acqua del Reka, rassegnato al Municipio di Trieste nel Novembre 1876, — 04 — Il residuo insolubile in acqua acidulato con acido nitrico diede: er. 0:0028 di silice. Dalla soluzione acida risultarono poi: gr. 0:0052 ossido ferrico e di allumina 0:3663 Ca CO, x *+071033* Magi Pat0, » 00145 Ba SO, Di ammoniaca rinvenni soltanto traccie, di cui conviene far astrazione, perchè fu tolta I’ acqua da una conduttura in ferro non in uso continuo. Traccie pure ottenni ricercando sulla presenza de’ nitrati. L'acqua che ebbe la temperatura di 19° rimase pura e priva di organismi in un recipiente aperto anche dopo un intervallo di altre due settimane. Dai dati suesposti risulta il seguente contenuto per 1000 dell’ acqua : gr. 0-0009 — sostanze organiche n 00014 — silice n 00026 — ossido ferrico ed allumina » 01083 — calce » 00147 — magnesia » 00106 — anidride solforica » 00155 — cloro s 040270 — cloruro di potassio e di sodio » 00058 — cloruro di potassio. Quindi il contenuto di sali per un litro: 0:00090 — sostanze organiche 0:00140 — silice 0:00260 — ossido ferrico e di allumina 0-:00580 -- eloruro di potassio 0:02120 — celoruro di sodio 0-01605 — solfato di magnesio 001068 — solfato di calce 0:18316 — carbonato di calce 0:02914 — carbonato di magnesio 0:27093 — calcolato 026985 — trovato — 175 — A questi miei rilievi aggiungo ancora quelli fatti dal Prof. F. Osnaghi '), attualmente vice-direttore dell’i. r. Istituto centrale di meteorologia e di magnetismo terrestre. Acqua di ?) | delle sorgenti di Risano Auresina | prima seconda terza Silice 0:0021 0:0010 Ossido ferrico ed allumina traccie 0 0111! 0:0152 0:0106 Carbonato di calce 0:1824 0:1402 0:1426 O 1430 Solfato di calce 0:0116 0:0128 0-:0118 0:0104 Carbonato di magnesia 0:0878 0:0218 00225 0:0216 Cloruro di potassio e di sodio 0-0263 0:0577 0:0574 0:0634 0:2454 0:25 16 0:2500 02611 I Densità 1:0002720 |1:0001143 |1-:0001671 |1-:0001507 Da questi dati riferti io calcolo il seguente contenuto per 1000 parti di acqua: Auresina : Silice tb attuata Ossido ferrico ed allumina | 000272 Laleene ee. ano 4 “010699 Magnesia . 0-01400 Anidride solforica ($0,) . . 000686 Cloruro di potassio e di sodio 0:02657 ') Relazione dell’Ingegnere A. Biirkli di Zurigo in risposta ai quesiti proposti dalla Commissione municipale incaricata degli studî sui provvedimenti d’acqua — Trieste 1870. *) Osnaghi, Analisi chimica dell’acqua di Nabresinaf — Prospetto degli studîì dell’i. r. Accademia di commercio e nautica in Trieste — 1865. — 176 — Sorgente I.° del Risano. Silice,..-.. aula sani 110100148 Ossido ferrico di nnt, a OO RESA TC IMI EMO) Lr pci PE Magnesia: ni it a a . 0-0104 Anidride solforica . . . . 00076 Cloruro di potassio e di sol 0:0577 Sorgente II. del Risano. Silicesniciagioàa Pe 1 CIO Ossido ferrico sa ana (OR 00192 Galcertiop i Li ade LIT toi be O Magnesia:--qeotorateirne rr QTOE Anidride solforica . . . . 0:0070 Cloruro di potassio e di ne 0:0574 Sorgente III. del Risano. Stilige;>. 0-1490KC1, Na CI Da 500 C. C. di acqua ottenni: gr. 0-:0405 Ag CI — gr. 0-010014 CI Risultano da questi dati per litro: gr. 000071 — Si 0, a 000119 — AI, 0,-4Heg O, , 007785 — Ca 0 , 0-00489 — Mg 0 , 0-00932 — SO, » 0-00334 — CI » 005153 — K CD + Na CI Quindi il contenuto di sali per un litro: gr. 0:00071 Si O, — silice » 013900 Ca CO, — carbonato di calce » 001398 Mg SO, — solfato di magnesia » 0*00054 Mg CI, — cloruro di magnesio » 005153 K CI. Na CI — cloruri alcalini » 000119 AI, 0. Fey 0; — ossido di alluminio e di ferro traccie — sostanze organiche gr. 0:20656 — calcolato » 021202 — residuo trovato. Sorgente Radun. Densità a 15° — 1-0004974. Gr. 1669-43 dell’acqua lasciarono un residuo di gr. 0-490, ossia per litro gr. 0-2935. Come perdita di arroventazione si notarono gr. 0-003, corri- spondenti per °/, a gr. 0:0018 di sostanze organiche. Nel residuo suddetto si rinvennero: gr. 0-0033 — Si 0, » 00020 — AL O0,;. Fe 0, 5 0-2850— Ca CO, — 0-1876 Ca 0° , 00320 — Mg, P, 0, — 001153 Mg 0 » 02570 — Ag CI — 0-06359 CI , 0:0220 — Ba SO, = — 0:00755 SO, Da 500 gr. di acqua si ebbero: gr. 0035 — K C1+ Na CI Risultano da questi dati per un litro di acqua: gr. 0:00197 — Si O, s 00012 — AL O, + Fe 0; s 011237 — Ca 0 s 000691 — Mg 0 n 0°00450 — SO, » 003805 — CI n 007000 — K C1 + Na CI » 000180 — sostanze organiche. Quindi il contenuto salino per litro : gr. 0-00197 — silice » 020067 — carbonato di calce » 001632 — solfato di magnesia » 0*01172 — cloruro di magnesio » 0:07000 — cloruro di potassio e di sodio » 000120 — ossido ferrico e di alluminio » 000180 — sostanze organiche » 0:30368 — calcolato s 029350 — trovato. — 180 — Acqua del Kerka presso Sebenico. — Densità a 15° — 1‘0004056. Gr. 4006-3896 dell’acqua rilasciarono un residuo di gr. 0-964, ossia per litro gr. 0-24058. Come perdita di arroventazione si notarono gr. 0:006, corri- spondenti a gr. 0-:00124 nel litro. Nel residuo suddetto si rinvennero : gr. 0-00626 — Si 0, » 000750 — AL O; + Fe, 0, 54, 04040, — Bi S08 0 LIO SRR08 n 02750 — Ag CI — 006809 CI » 06245 — Ca CO, — 0+34972 Ca 0 » 01500 — Mg, P, 0, — 0:05405 Mg 0 ni 000. — E CL Nat Risultano da questi dati per un litro: er. 000156 — Si 0, 5 0:00187 — AI OaPel?0; , 0-08728— Calo , 001349 — Mg 0 , 003460 — So, , 001690 — CI » 003240 — K CI + Na CI Quindi il contenuto salino per litro di: gr. 0-:00156 Si 0, — silice » 0:11900 Ca CO, — carbonato di magnesia » 005014 Ca SO, »s 000768 Mg So, — solfato di magnesia 0:02592 Mg Cl, — cloruro di magnesio » 0:03240 K CI + Na CI cloruri alcalini >» 000187 Fey 0, Al, 0, — ossido di alluminio e di ferro » 000124 sostanze organiche » 023981 calcolato » 024058 residuo fisso trovato. — 181 — Acqua del fiume Cettinje presso Podgaraje. Nell'anno 1867 pubblicai nei resoconti dell’i. r. Accademia di scienze a Vienna (LVI Bd. d. Sitzh. d. k. Akad. d. Wissensch. Abth. Oct. II. Heft. Jahrg. 1867) l’analisi dell’ acqua del Cettinje. — Mi permetto qui di riassumere i risultati avuti : Densità a 15° — 1:0008. Grammi 500:4 diedero un residuo di gr. 0-291, corrispondenti per litro a gr. 0:581534. Contenuto per litro: gr. 0-00624 — CO, s 000350 — Si 0, » 0:14927 — SO, sn 017500 — CI o ‘0°10911 — "Ca 0 s 004200 — Mg 0 » 0*21156 — K CI + Na CI. Quindi il contenuto salino per litro: gr. 000350 — Si 0, , 0-01017 — Ca CO, , '0:25538 LL Ca SO, ,, 0-09883 — Mg CI, ° g-e1156 Cl K'/00+4 Na CI » 057944 — calcolato » 0581534 — trovato, 182 — R I A S Auresina R e Ka (DI di 1876 dr 1877 N 187 ; e a 1876, lebtembia | 11816 Gennajo 973 E È Mm visa a + prat Pett Biasoletto ) [nel Osnaghi |Vierthaler L a Nicolich \Vierthaler|Schnei- OIer |Vierthaler | er in mille gram Silice 0:00272 0:0014 —_ 0:0112 0:0019 |0-0022| 0-00185 Ossido ferrico traccie 0:0026 —_ traccie traccie _ 0:01020 ed allumina Calce O 10699 0:1083| 0*0776 0-0644 0:0704 |0'0780| 0:05750 Magnesia 0:01400 0:0147 —_ 0:0037 0:0068 |0:0087 | 0:01145 Anidride 0.00686| 0*0106| — 0:0025 | 0:0049 (0:0058| 0:01675 solforica(S0,) Cloruro di potassio edi! 0:02657 0:0270 — 0:0235 0:0203 (00102| 0:03778 sodio Totale contennto 0:26110| 0*26990]| 0:16000 0:18060 0:1702 0:1640| 0:17427 salino Densità |1:0002720) 1:000276 _ 1:000120 |1:000119 | — |1:0001099 1) Pubblicato nella ,Iriester Zeitung“ — Matzo 1873. Risano !) Jadro =. 1870 presso Spalato |" 8 rr oe Riguardo all’ origine del vento, che altro non è ,che un sem- plice spirito, creato da esalazioni della terra e da fredde nuvole esistenti nell’ aere“, © il Boccaccio segue gl’insegnamenti di: Ari- ! Qui hic pro aére accipiendus est, in quo ascendentes. vapores humidi glomerantur in nubes quae si impulsu alicujus venti. extollantur usque ad. fri- gidam. regionem aéris, confestim vertuntur in aquas, quas cadentes pluvias dicimus. ? De Gen. Deor. Lib. IX, cap. 27, pag. 231. ® De Gen. Deor. Lib. IV, cap. 17, pag. 90: ,Agente quidem Luna vapores terrae humidos, nequeuntes absente sole consurgere altius, frigiditate aéris et Lunae alternati vertuntur in tenuem aquam, quae decidens ros aestivo tempore appellatur, hieme vero condensati gelu, pruina dicitur,“ ‘ Nelle edizioni del Betussi è stampato erroneamente : Alcina. 5 È pregiudizio comune che la luna cagioni freddo; ognuno sa che le notti in cui ella risplende più chiara, l’ irradiazione del calorico terrestre è più intensa, di che l’industre uomo ha saputo anche valersi per far gelare l’acqua durante le notti serene. ° Comm. a Dante. Lez. XLIII, Vol. Il, pag. 268. -- 305 — stotile, del quale. cita. espressamente 1° autorità commentando il verso dantesco : sLa bufera infernal che mai non resta.“ » Bufera (scrive il Boccaccio) * se io ho ben compreso nell'usitato parlar delle genti, è un vento impetuoso forte il qual percuote e rompe e abbatte ciò che dinanzi gli si para; e questo, se io comprendo bene, chiama Aristotile nella Meteora enephias, il quale è causato da esalazioni calde e secche levantisi dalla terra e saglienti in alto: le quali, come tutte insieme pervengono in aere ad alcuna nuvola, cacciate indietro dalla frigidità della detta nuvola con impeto, divengon vento, non solamente impetuoso, ma eziandio valido e potente di tanta forza, che per quella parte dove discorre, egli abbatte case, egli divelle e schianta alberi, egli percuote e uccide uomini e. animali. È il vero che questo non è universale, nè dura molto; anzi vicino al luogo dove è creato, a guisa di una striscia discorre, e quanto più dal suo principio si dilunga, più divien debole, infino a tanto che infra poco tempo si risolve tutto“. E all’ autorità di Aristotile il Boccaccio ® si riferisce nuo- vamente commentando i seguenti versi, ne’ quali l’ Alighieri seguì pure la teoria dello Stagirita, scrivendo: Non altrimenti fatto che d’ un vento, Impetuoso per gli avversi ardori. Commentando un altro verso di Dante, il Boccaccio. dinota, sempre seguendo Aristotile, la differenza tra il vento ed il turbine : sturbo spira; il quale (opina il Boccaccio) non pare avere alcuno ordi- nato movimento come gli altri hanno; perciocchè non viene da determinata parte, ma essendo la esalazion calda e secca, che dalla terra surge in alto, per- venuta alla freddezza d’alcun nuvolo, e da quella a parte a parte cacciata, diviene vento, il quale laddove s’ingenera prende moto circulare: e per questo non è universale, anzi è solamente in quella parte dove generato è; intanto che in una medesima piazza noi il vedremo in una parte di quella e non in un’altra. E perciocchè la esalazione è a parte a parte repulsa dal nuvolo, il veggiam noi per certi intervalli far queste circulazioni sopra la terra. E questo vento, come noi il chiamiamo turbo, Aristotile il chiama tifone nella sua Meteora, dove chi vuole può pienamente vedere di questa materia“. E lotta tra le esalazioni calde e le fredde è pure secondo il Boccaccio il fenomeno del tuono: “E il tuono (scrive egli)‘ quel suono, il quale nasce da’ nuvoli quando sono per violenza rotti: e causasi il tuono da esalazioni della terra fredde e umide, e da esalazioni calde e secche, siccome Aristotile mostra nel terzo libro ! Comm. a Dante. Lez. XNIII, Vol. I, pag. 444. ? Comm. a Dante. Lez. XXXIII, Vol. Il, pag. 173. 3 Comm. a Dante. Lez. IX, Vol, I, pag. 259 e 260. ' Comm. a Dante. Lez. XI, Vol. I, pag. 294. — 306 — della sua Meteora; perciocchè essendo le esalazioni calde e secche, dalle fredde e umide circondate, sforzandosi quelle d’uscir fuori, e queste di ritenerle, avviene, che per lo violento moto delle calde e secche, elle s’ accendono: e per quella virtù aumentata, assottiglia tanto la spessezza della umidità, che ella si rompe: ed in quel rompere, fa il suono, il qual noi udiamo: il quale è tanto maggiore e più ponderoso, quanto la materia della esalazione umida si trova esser più spessa quando si rompe”. Il vento può derivare da varie cagioni che si apprendono dai differenti passi dove il Boccaccio viene a parlare del terremoto: y-.È il tremuoto (scrive il Boccaccio)! causato da aere rinchiuso nel ventre della terra, il quale essendo molto, e volendo uscir del luogo nel quale è racchiuso, con tanta forza alcuna volta si muove dall'una parte all'altra della caverna, che egli fa tutte le parti circunstanti tremare; ed è talvolta il triemito di tanta potenza, che egli fa cadere gli edifici e le città, alle quali egli è vicino“. ari »In quanto poi dicono che Tifeo si sforza ridrizzare (scrive il Boccaccio, interpretando la favola di Tifeo)? dimostrano la cagione de’ terremoti. È la terra per lo più piena di caverne, nelle quali alle volte è necessario che l’aere vi sia rinchiuso ; e ivi talora avviene anche che l’acqua per le sotterrance cave vi pe- netri; per ciascun movimento della cui bisogna, che medemamente l’ aere si muove, il quale per lo suo moto e da’ contrasti qua e là percosso e in più fiero movimento eccitato, si riscalda. Infiammato adunque il movimento suo diviene di tanto potere che percuote tutte le cose che gli sono dintorno e le fa muovere; onde se in tal loco la terra vicina è sulfurea e cenerosa, è necessario che subito s’infiammi, nè mai s’ammorza fino a tanto che tal materia duri, e il foco non potendo essere tenuto rinchiuso e ardendo molto cresca, nè di tanto aere sia capace il loco, non solamente si fa uno strepito grande della terra vicina, ma eziandio è sforzata aprirsi e dar l'uscita all’ infiammato foco, il quale esalando fa il loco Tifeo, cioè gittante fiamme. Ed essendo la Sicilia ed Inarime di tal natura, però i saggi finsero essere sovrapposte a Tifeo“. ! Comm. a Dante. Lez. XLIV, Vol. II, pag. 272. ? De Gen. Deor. Lib. IV, cap. 22, pag. 93: ,Est autem terra ut plurimum cavernosa, in quibus cavernis ut aér interclusus sit aliquando necesse est, et ibidem nonnunquam contingit per subterraneos meatus aquam etiam penetrare, cuius qualicumque motu oportet ut aér etiam moveatur, qui motu suo, et ab obicibus hinc inde percussus, et in vehementiorem motum excitatus calefit. Eo autem calefacto tantae potentiae efficilur motus eius, ut circum adiacentia cuncta concutiat et moveri faciat, et si bituminosa atque sulphurea terra loco tali propinqua sit, ut accendatur confestim necesse est, nec extin- gnitur unquam tali materia perdurante, et cum nequeat ignis teneri clausus, et eo ardente multum augeatur aéris, nec tanti sit capax locus, fit non solum concussio grandis terrae adiacentis, sed etiam aperiri cogitur, et exitum prae- stare accenso igni, qui evaporans Typhonem, id est ejicientem flammas locum facit. Et cum Sicilia et Inarime huiusmodi naturae sint, ideo Typhoni super impositas fingere prudentes“. — 307 — Questa teoria de’ venti sotterranei, che il Boccaccio segue per ispiegare la origine de’ tremuoti ,cagionati dall’ aere inchiuso nelle caverne ripiene“! è accolta da lui (come vedemmo) anche per ispiegare 1’ origine de’ vulcani. I moderni geologi (sebbene adottino in qualche parte la teoria aristotelica rispetto alle cause delle eruzioni vulcaniche) imaginano nel centro del globo una ben altra officina che di tratto in tratto manda le sue fiamme sulla superficie del globo! Ma se le teorie plutoniche non possono vantare nel Boccaccio un seguace sicuro, a’ nettunisti non dispiacerà di udire com’ egli descriva i fenomeni geologici dell’ erosione per opera delle acque. sÈ in assai parti (scrive egli) ® la terra cavernosa, e in queste caverne è quasi sempre acqua, la quale evaporando, e umettando le parti superiori delle caverne, sempre le rode e indebolisce; perchè avvien talvolta che premute molto dal peso superiore, non potendolo più sostenere, cascano, e così casca quel che di sopra v'era: e quinci talvolta procedono le voragini, le quali abbiamo udite o lette essere in alcun luogo avvenute“. Larga parte egli dà al limo che i fiumi trascinano al mare. Il monte di Circe, già disgiunto dal continente, fu a questo riunito dal limo che venendo da’ monti Albani colmò le paludi. * Del- l’ essere stata soverchiata dall’ onde la città di Adria il Boccaccio scrive: che alcuni pretendono ne fu cagione un terremoto che abbassò il suolo, e fece sì che le acque lo coprissero. Il che però il Boccaccio non crede, ma cita l’ opinione di altri, secondo i quali il mare, assiduamente rigurgitando le sabbie, ostruì l’ uscita delle acque necessitandole ad occupare i luoghi bassi. 4 Ma più ricca ! De Gen. Deor. Lib. IV, cap. 21, pag. 92: ,Repletis cavernis in quibus aér inclusus terraemotus causabat.“ Cfr. De Gen. Deor. Lib. IV, cap. 25, p. 94: »Uti physica ratione Typhoeum subterraneum ignem ab igne elemento per in- jectum, a Jove fulmen designare, et a motu subterranei aéris causatum c* evaporatum ad exteriora diximus“. ? Comm. a Dante. Lez. XLIV, Vol. II, pag. 272. 3 De Montibus, Fluminibus etc. alla voce Circes seu Circeus mons, pag. 410: ,Tandem ex Albanis montibus limus effluens, completis paludibus eum fecit terrae continuum.“ ‘ De Montibus ete. alla voce Septem Maria, pag. 487: ,In his (cioè nelle foci del Po) autem quae litori proximiores sunt, quarundam civitatum existentibus aquis claris ostenduntur vestigia, et. potissime Adriae Tuscorum coloniae, et a qua Adriaticus denominatus est sinus, cuius rei causam aliqui dicunt solum in partibus illis terraemotu depressum, superficie non mutata, et aquas inde omnia occupasse, quod ego non credo. Alii volunt multis in seculis — 308 — lezione di geologia il Boccaccio ne porge parlando de’ mutamenti geologici avvenuti nel bacino del Mediterraneo. sE (scrive egli) ' che non opera della natura, ma d’ accidente fosse l’ essere Libia arenosa e sterile, si può da questa istoria comprendere, come altra volta è stato detto. Estimano certi molto antichi, che già fosse tempo che il mare, il quale noi chiamiamo Mediterraneo, non fosse, ma che fosse in ponente un monte il quale era continovo insieme d’ alcun promontorio (il quale gli antichi chia- mavano Calpe in Ispagna, e oggi è chiamato monte Gibeltaro), ed un promon- torio, il quale è dalla parte opposita chiamato Abila nel Morrocco, vicino ad una città chiamata Setta, che per opera d’ Ercole si rumpesse, e per quella rottura si desse la via al mare Oceano ad entrare infra la terra, come entrato il veggiamo, e avere occupato grandissima quantità del mondo occidentale: alla qual cosa fare non è da credere che acqua si creasse di nuovo, ma essere con- venuto, che di quella del mare. Oceano questo mare Mediterraneo sì sia riempiuto):? convenne adunque che da alcuna altra parte del mondo più rilevata l’acque si partissero, e venissero in questo mare; e partendosi, lasciassero alcuna parte della terra la quale coprivano, scoperta, e alcuna parte del mare la quale era molto profonda, meno profonda; e di quelle parti della terra che scoperte rimasero, si può credere essere state le contrade di Libia, d’ Etiopia e di Numidia, le quali arenose si trovano; e così ancora di quelle d’Asia: e che ciò possa essere stato vero, si puote ancora comprendere per quello che Pomponio Mela scrive nella sua Cosmografia, nella quale parlando della provincia, o del regno di Numidia, scrive in alcuna parte di quello trovarsi molte conche marine, ed essersi già trovate àncore e altri strumenti nautici, siccome talvolta da navicanti gittati nel mare, si lasciano per tempesta o per altri casi: le quali cose assai ben paiono testimoniare, quivi altra volta essere stato mare: e perciò venendo ad alcuna conclusione si può dire non essere stata quella contrada prodotta dalla natura fuori dell’uso dell’umana generazione, ma essere, per lo avere il mare che quivi era e navicavasi, per accidente fatto trascorrere altrove, e quella essere rimasa disutile e non atta all’ uso umano“. emoventibus assidue marinis aquis arenas, litus in sublime eductum in aliqui- bus orbis locis, et ibi potissime, et sic aquarum exitum impeditum, et ab eis de necessitate loca humilia occupata. Nec desunt dicentibus ad roborandam opinionem suam vera aut verisimilia argumenta, quae etsi recitasse praesentis intenti non sit, in fidem tamen trahor eorum, quum ex his multa pateant intuenti“. ' Comm. a Dante. Lez. LII, Vol. II, pag. 367, 368, 369. ? Nel libro de Montibus ete. il Boccaccio scrive alla voce Abila mons : sex Oceano quod ante non erat, intromissum terris mare“ (pag. 402). Il Boc- caccio segue Pomponio Mela, I, 5: — È noto che Eratostene credeva per con- trario che il mare mediterraneo si fosse riversato nell'Oceano per la via di Gibilterra. Cfr. Peschel, Geschichte der Erdkunde bis auf A. v. Humboldt und Carl Ritter (Monaco 1865, pag. 61, nota 3). — 309 — I geologi avranno osservato che. Pomponio Mela, citato dal Boccaccio, per. segnare gli antichi. confini dell'Oceano si vale di un argomento che potrebbe essere creduto moderno ; voglio dire delle conchiglie marine fossili. Il Boccaccio le aveva osservate sulle colline della sua Valdelsa, 1 e si dilettava in raccoglierle; onde, volendo scusarsi dell’ aver impreso la faticosa opera delle Genea- logie degli Dei, egli ricorda. al re Ugo di Cipro come per suo comando lasciò Ie. montane conchiglie di Certaldo“ per sobbarcarsi a così grave incarico. Il Brocchi credette anzi che il Boc- caccio fosse stato il primo a descrivere le conchiglie fossili; ma, oltrechè il Boccaccio allega l'autorità di Pomponio Mela nel passo sopraccitato del suo Commento a Dante, Guglielmo Libri. avvertì che già Erodoto ne aveva fatto menzione nelle sue storie. Giova qui rilevare che il Boccaccio rammenta il. petrolio * e il carbone, > senza accennare all’ uso del primo per ardere, e ripetendo del secondo il vero e il falso che ne lasciò scritto Ari- stotile nel suo libro delle Cose mirabili. Il Boccaccio menziona altresì quelle acque che rivestono di una corteccia calcare gli oggetti che in esse si trovano. Le sorgenti 1 De Montibus etc. alla voce Elsa fluvius, pag. 456: ,Multas praeterea et diversarum specierum, maritimarum tamen omnium radens cursu solum detegit conchas vacuas et vetustate candidas, atque ut plurimum aut fractas aut se- mesas. Quas ego arbitror diluvium illud ingens, quo genus humanum fere deletum est, dum agitatu aquarum maximo terras circumvolveret fundo, illis reliquit in partibus.“ ? De Gen. Deor. Praefatio (foglio segnato /f 3): ,Jussu igitur tuo montanis Certaldi cocleis.....@ Cfr. l Egloga XVI della Bucolica del Boccaccio, dove e’ dice di Certaldo: Immixtum conchis serpillum carpere cogit. ® G. Libri, Histoire des Sciences Mathématiques en Italie, Vol. II, pag. 257: ,,Brocchi (Conchiologia fossile, Tom. I, p. III-IV) a cru que l’auteur du Décaméron avait décrit pour la première fois les coquillages; mais il nous a été impossible de retrouver le passage original qui est cité inexactement par Brocchi, et d’ailleurs nous avons vu que les fossiles sont déjà indiqués dans l’Acerba*. Il passo di Erodoto (KoyybAd te pamvdpeva în toîor obpeoi) è nel Lib. II, $ 12. ‘ Comm. a Dante. Lez. XXVIII, Vol. II, pag. 74: l’olio petroio. 5 De Montibus etc. alla voce Ponthus fluvius: ,ex quo sumuntur lapides mirae operationis. Igne quidem uti ligna cremantur, quos si percusseris extin- guuntur facile, si aqua perfuderis in maius excitantur incendium, tetrum habentes odorem Asphalto persimilem*. — 310 — dell’ Elsa ! e il fiume Sarno nella Campania gli porgevano *® due esempî, osservati certamente da lui stesso. Però in generale e’ si dimostra assai povero di dottrina mineralogica; e nel parlar delle pietre egli usa il gergo del tempo scrivendo ch’ elle sono ydi complessione fredda e secca“. * Riguardo a’ metalli leggo riportate nelle Genealogie degli Dei le parole dello spagnuolo Isidoro, che ,il fuoco scioglie in metallo le pietre, dà nascimento al ferro e lo doma, e perfeziona l'oro“. 4 Questo passo potrebbe far credere il Boccaccio un adepto degli alchimisti, ma siccome è passo tolto da altro scrittore, e nelle opere del Boc- caccio non m’imbattei in parola che potesse far nascere quel sospetto, io vorrei crederlo immune da quella sètta d’ ingannati e d’ ingannatori. E noto questo tanto più volentieri che toccando di que’ pochi accenni che nel Boccaccio si trovano intorno alla Botanica, mi convien significare parecchî passi che son tutti astrologici. La favola di Endimione amante della Luna il Boccaccio interpetra così : ° “Endimione fu pastore, e come fanno i pastori egli amò l’ umore della notte, che i vapori delle stelle e della stessa luna insudano per animare le piante, e così l’ umore notturno torna a commodo de’ pastori“. Manifestamente noi pensiamo subito alla rugiada, e la spie- gazione della favola può in tal caso apparire ingegnosa; ma i vapori delle stelle e della luna abbassantisi a fecondare la terra chi li ha mai esaminati? Quel Fulgenzio non certo che fu seguìto dal Boccaccio in questa interpetrazione. Ancor più bizzarro è il passo seguente sulle lattughe silvestri. È noto che Apollo porse a Giunone delle lattughe silvestri che la dea mangiò, diventandone subito gravida da sterile ch’ella era in ! De Montibus etc. alla voce Elsa fluvius (pag. 456): ,circa ejus initium quidquid eius in aquas proieceris, infra breve dierum spatium lapideo cortice circumdatum comperies, quod postmodum in processu sui cursus non facile facit.“ ? De Montibus etc. alla voce Sarnus fluvius (pag. 475): ,quodeumque in eum cadat lapideo paucis in diebus cortice tegit*. ® Comm. a Dante. Lez. XXXVIII, Vol. II, pag. 207. ' De Gen. Deor. Lib. XII, cap. 70, pag. 316: ,igne ferrum. gignitur et domatur, igne aurum perficitur“. 5 De Gen. Deor. Lib. IV, cap. 16, pa. 89: »Noctis humorem amavit, quem vaporia siderum et ipsius lunae in ani- mandis herbarum succis insudant, et inde in pastorum commoda vertit*. = prima, e dal silvestre concepimento partorì Ebe, che fu poi da Giove ordinata a coppiere degli dei. Quello che da tali figmenti si debba comprendere (scrive dl Boccaccio) * credo essere questo. ....A Giunone e alla terra s° appongono le lattughe silvestri, cioè l’intenso freddo; perciocchè secondo i fisici le lattughe silvestri sono frigidissime, e il freddo d’intorno la superficie della terra opra talmente che, ristretti gli umori di quella, il calore congiunto con la terra s’ adopera circa l’interiore di quella; e riscaldata dalla umidità della terra fa pullulare e empie d’ umore le radici dell’ erbe e delle piante; laonde crescono e si fanno pregne; e così entrando il sole in Sa- gittario, per l'intenso freddo s’impregna la terra, la quale nell'autunno pareva sterile. Finalmente venendo il tempo del parto, cioè la primavera nuova, partorisce Ebe, che è la gioventù e la rinnovazione di tutte le cose; le frondi, i fiori e le piante in tal stagione spuntano. Così venendo la primavera, che è calda e umida, viene detta porgere le bevande, cioè le umidità agli dei, cioè ai corpi celesti, i quali, siccome altre volte è stato detto, secondo l’opinione d’alcuni si pascono dell’ umidità de’ vapori che sorgono dalla terra“. Ma se parrà strano agli astronomi di udire che le stelle si nutrono degli umori della terra (il che non so quanto s’accordi con la teoria espressa dianzi che le piante si mnutrano dei vapori delle stelle) i botanici loderanno certamente il Boccaccio, che, negando fede a Plinio e ad Alberico, francamente disse , esser ridicolo il credere che la gramigna nasca soltanto dal sangue del- l’uomo“; e forse si riconcilieranno con Fulgenzio udendo l° in- terpetrazione botanica data da lui alla favola di Mirra Lea che divenne Al padre, fuor del dritto amore amica. sPenso (scrive il Boccaccio) * che a questo figmento abbia dato materia il nome dell’ arbore che appresso i Sabei si chiama Mirra, la quale stilla certe ® De Gen. Deor. Lib. IX, cap. 2, pag. 217: ,.... terrae lactucae appo- nuntur sylvestres, id est frigus intensum. Nam lactucae sylvestres, ut aiunt physici, frigidissimae sunt, frigus autem circa terrae superficiem agit, ut con- densatis terrae poris calor terrae immixtus agat circa intrinseca terrae, et terra bumiditate calefacta radices graminum atque plantarum aperire faciat, et humore repleat, ex quo turgescunt, et praegnantes efficiuntur, et sic sole intrante sagit- tarium ob frigus intensum terra efficitur praegnans, quae in autumno sterilis videbatur. Tandem adveniente tempore partus, idest vere novo, Heben parit, id est juventutem et rerum omnium renovationem, frondes, flores, et germina omnia, ea emittuntur tempestate. Sic primo adveniente vere quod calidum est et humidum, diis id est supercoelestibus corporibus, quae ut alias dictum est, secundum quorundam opinionem ex humiditate vaporum a terra surgentium pascuntur, pocula id est humectationes porrigere dicitur“. ® De Gen. Deor. Lib. IX, cap. 4, pag. 221. ° De Gen. Deor. Lib. II, cap. 52, pag. 47. 11 — 312 .— gocciole che, toccate da' raggi del sole, fanno una certa composizione da loro detta Adone, e latinamente significa soave, perciocchè è di soavissimo odore, e, pare che voglia Petronio Arbitro, molto appropriato alla libidine; di maniera che egli afferma aver bevuto una pozione di mirra per infiammar la lussuria. Ma Fulgenzio, siccome in più altre cose, più altamente giudicando, d’'intorno questo dice Mirra essere un’ arbore in India che arde per li raggi del sole: e perchè dicevano il sole padre di tutte le cose può essere stato detto Mirra aver amato il padre, e mentre il sole ardentemente s’infiammasse mandar fuori dalla parte di sopra della corteccia alcune sfessure, e così essere stato detto il padre averla ferita e fattone uscir Adone, cioè la soavità dell’ odore“. ? Non dispiaccia ch’ io qui riporti il passo dove il Boccaccio parla dell’ ambra. sFetusa, Lampetusa, Japetia: queste tre sorelle (scrive Ovidio) furono figliuole del Sole, le quali lungo il Po piangendo la morte di Fetonte furono cangiate in alberi che stillano gomma. Del qual figmento ricercando la materia, istimo queste non essere state femmine altrimenti, ma essersi ciò detto perchè lungo i paludi del Po nascono diverse specie d’alberi per la forza del sole senza essere piantati, onde circa il fine della state, mentre il sole incomincia a declinare, sudano un certo umore giallo in modo di lagrime, il quale, s'è rac- colto, con artificio si compone in ambra; * e perchè, sì come è stato detto, per virtù del sole nascono in luoghi umidi, furono dette figliuole del sole e di Climene, cioè dell’ umidità, e dal sole chiamate Eliadi”. Secondo queste interpetrazioni si potrebbe credere che il Boc- caccio stimasse vera la favoletta che l’ ambra si trovi anche al Po; se non che nel libro de’ Monti e Fiumi, ove descrive il. corso del Po, egli accenna (secondo Plinio)* agli alberi resinosi che ! Il Betussi volgarizzò: di maniera che affermasi aver portato una bevanda di Mirra; fraintendendo il seguente passo dell’ originale: ,adeo ut asserat (cioè Petronio Arbitro) se ad libidinis incrementum, myrrhinum potasse poculum.“ — Il Boccaccio tolse questo passo da Fulgenzio, Mytho- log. III, 8, che allude a un detto di Petronio Arbitro conservatoci nel frammento XI. Petronio dice: ,Ad libidinis incitamentum mirrhinum se poculum bibisse“... In quanto Fulgenzio abbia bene o male interpretato il ,poculum mirrhinum“ di Petronio non è qui il luogo di disputare. ? Et cum sol ferventius illam calefaceret, eam reges (rimas?) ex imis corticis emittere“. 3° De Gen. Deor. Lib. VII, cap. 43, pag. 190. ! ... diversas arborum species circa Padi palustra agente sole sponte sua nascentium, et circa aestatis extremum, dum incipit solis fervor decrescere, sudantium humorem croceum in modum lacrymarum, qui si colligatur, arte solidatur in electrum. ° De Montibus etc. alla voce Padus fluvius, pag. 472: ,Padus autem, quum Italos pudeat ut plurimum suis rebus a Graecis mutuasse nomina, dictus est, eo quod circa fontem eius arbores abundent, picem sudantes, quas Galli padi vocant, et sic ab illis oriens nomen adeptus est“. — 313 — abbondano presso alle sorgenti del fiume, e probabilmente e’ conobbe l’altro passo di Plinio ! che ne avverte come la creduta ambra del Po non è che una favola. * Se il Boccaccio seppe dubitare della creduta ambra del Po, e’ credette invece all’ avvelenamento di Pasquino che s’ era »fre- gati i denti con una foglia di salvia ,divenuta velenosa per il venenifero fiato di una botta di meravigliosa grandezza“. Il Boc- caccio racconta questo nella novella settima della quarta giornata; e il Manni vi fece su un lungo commento, del quale riporto il principio, che strettamente s’attiene all’ argomento di queste pagine : »Dall’ eruditissimo sig. Dottore Giovanni Targioni pubblico Professore nello Studio di nostra Patria vengo io opportunamente favorito del suo giudizio intorno alla presente Novella; ed è, o che ella sia piuttosto favolosa che vera, o pure, che sia nelle sue circostanze molto alterata, e trasfigurata; attesochè fra le tante spezie di salvia fino ad ora conosciute, niuna certamente ve ne ha, che sia velenosa; quando anzi tutte quante vengono reputate da’ Medici molto utili per la salute. La Scuola Salernitana : Salvia cum ruta faciunt tibi pocula tuta. Ed altrove: Salvia salvatrix, naturae conciliatria. Nè sussiste, secondo la sua opinione dottamente in una sua lettera spie- gatami, che la. Botta, od il Rospo, o simile, ne’ nostri paesi di clima non molto fervido abbia questa pestifera virtù di avvelenar talmente una pianta, che fregatesi uno ai denti le foglie di quella, debba immantinente morire. Nè pure può essere, che tra la peluria di quella salvia si dia un minutissimo insetto, che forza abbia di uccidere repentinamente“. Anche il Boccaccio osserva che ,alla salvia non suole avve- nire“ di essere velenosa, non per tanto e’ racconta la storiella siccome vera, e fu seguìto da parecchî medici che la credettero anch’ essi. * In generale il Boccaccio ripete di gran favole in fatto di zoologia. I mosconi nascono per lui dalla putredine delle acque, e le vespe dalle interiora degli asini. 4 Secondo lui gli uomini avidi di lucro, trassero non so ,,da quale esperienza ammaestrati“ van- taggio sin ,dal sangue de’ pesci col quale trasformarono il color della lana e della seta“. ® Quando la balena apre la bocca ella manda ! Hist. Nat. Lib. III, cap. 16. ? Hist. Nat. Lib. XXXVII, cap. 3. * Vedi D. M. Manni, Istoria del Decamerone, p. 294 e seg. * Comm. a Dante. Lez. XXX, Vol. II, pag. 96. ? Comm. a Dante. Lez. X, Vol. I, pag. 282. — 314 — cotal odore che tutti i pesci accorrono, ed ella se li divora. ! I cigni son così agili che schivano ogni colpo, di modo che non puoi ferirli, e per pigliarli è forza vincerli con la, stanchezza. E tanta agilità loro deriva dall’ essere ,di complessione umidi, alla quale umidità se in debita proporzione si aggiunge il calore, cotali corpi godono della maggiore agilità delle membra*.? Sul monte Coris di Tessaglia v han de’ serpenti, chiamati Sepas, che non hanno colore proprio, ma lo pigliano dal luogo ove stanno accidentalmente; il loro morso non è aspro, ma cagiona una sete insanabile. * Questa notizia il Boccaccio 1’ ha da Aristotile ; da Plinio invece egli ripete la favoletta di quel delfino, il quale portando sul dorso un fanciullo fu còlto da violenta procella che cagionò al fanciullo la morte. Il delfino portollo cadavere al lido, e dal dolore di lì a poco cessò di vita. , A che più? aggiunge il Boccaccio, non è cosa nuova nè inusitata i delfini aver avuto amicizia con gli uomini”. 4 Nel capitolo precedente, parlando di Proteo, il cui carro volevasi tratto da cavalli bipedi, egli scrive che l'origine di. tal. favola deriva dall’,essere il mare abbondante di foche, le quali hanno 1 piedi, il capo e quasi tutto il corpo dall’ ombelico in su a guisa di vitello, da indi in giù sono pesci, e però avendo solamente due piedi sono detti bipedi“.> Quanta attinenza abbia la foca co’ pesci giudichino i zoologi, che troveranno altresì esagerata la descrizione del pico. ,L’uccello pico (così il Boccac- cio) © tra le altre proprietadi ha questa, che avendo lunghissima lingua, nel tempo della state cerca i luoghi pieni di formiche, e, posta tra loro la lingua, sopporta ch’ elle gliela forino e mordano, ! De Gen. Deor. Lib. X, cap. 10, pag. 245: , Monstrum enim marinum balena est, cuius inter proprietates dicunt hi qui animalium exquisivere naturas, hanc esse, ut dum os aperit, tanto odore cuncta circumpleri, ut omnes ad eam propinqui conveniant pisces, ipsa autem quos vult capit donec eius explea- tur fames“. ® De Gen. Deor. Lib. X, cap. 45, pag. 256: ,ut pluma molles ‘cuti, cui humiditati si proportione debita immixtus sit calor, hi tales optima mem- brorum agilitate fruuntur“, ? Liber de Montibus etc. alla voce Coris pag. 411. * De Gen. Deor. Lib. VII, cap. 10, pag. 176. ° nMare illud (cioè il mare Oceano) abundat phocis, quibus et pedes et caput, et totum fere corpus ab umbilico supra est instar vituli, deorsum vero pisces sunt, et sic cum tantum duo sint illi pedes bipedes equos vocant“. ® De Gen. Deor. Lib. VIII, cap. 9, pag. 208. — 315 — finalmente sentendola piena di loro trae a sè la lingua con tutte le formiche“. Il Boccaccio aveva potuto vedere il’ pico, ma certo e’ non vide quel gigante di cui gli fu raccontato che lo scheletro n’ era stato scoperto in que’ giorni a Trapani di Sicilia. »In tutto (scrive i Boccaccio)! non fu finto esservi stati i giganti, cioè uomini che oltre modo trapassavano la statura degli altri; anzi si trova essere verissimo; e chiaramente a questi giorni appresso Trapani castello di Sicilia ciò ha dimostrato un caso fortuito. Perciocchè, cavando alcuni uomini agresti i fondamenti d’ una casa pastorale a piedi del monte che soprastà a Trapani non lontano dal castello, trovarono l’entrata d’una certa caverna; onde i lavoratori, desiderosi di vedere ciò che vi fosse entro, accese alcune facelle, passarono in- nanzi, e ritrovarono un antro di grandissima altezza e larghezza; per lo quale camminando innanzi, videro all'incontro dell’ entrata un uomo di smisurata grandezza ch’ivi sedeva. Laonde smarriti subito rivolsero le piante e uscirono della spelonca, senza mai fermare il corso fino a tanto che non furono giunti nel castello, narrando a tutti quello che aveano veduto. Maravigliati i cittadini adunque per vedere che male fosse questo, accese molte facelle e pigliate l’arme, come quasi avessero ad andare contra suoi nimici, tutti uniti insieme uscirono della città, e più di trecento di loro entrarono in quella spelonca; onde tutti stu- pefatti videro quello che aveano fatto i primi lavoratori. Finalmente fattisi più vicini a quello, poscia che conobbero quell'uomo non essere vivo, videro un certo uomo che stava assettato sopra una sedia, e nella mano sinistra aveva un ba- stone di tanta altezza e grossezza che trapassava ogni antenna di grandissimo naviglio. Così anche l’uomo era di smisurata e non più veduta statura in nes- suna, parte roduto, nè sminuito. E tosto che uno di loro stese la mano e toccò quel bastone, subito se n’ andò in cenere e polve, e caduta che fu quella corteccia vi restò un altro bastone di piombo, il quale era alto fino alla mano del gigante. Onde, sì come a pieno si conobbe, quel tal bastone era pieno di piombo accioc- chè fosse più grave; di che, pesato poi da quelli che il videro, eglino affer- mano che pesò quindici cintari al peso di Trapani, ciascuno de’ quali è al peso di cento libbre comuni. ? Toccata poi la staturà dell’uomo, quella poi medesima- mente si disfece, e quasi tutta andò in polve. Onde toccato da alcuni con le mani, vi furono trovati solamente tre denti ancora intieri, e d’ una estrema 1 De Gen. Deor. Lib. IV, cap. 68, pag. 114. ° Asserunt qui viderunt fuisse ponderis 15 cantariorum Drepanensium, quorum unusquisque ponderis est librarum communium centum. Demum hominis statura tacta aeque corruit, et in pulverem omnis fere versa est. Quem quum nonnulli tractarent manibus, tres dentes adhuc solidi comperti sunt monstruosae grandiciei, ponderis autem erant trium rotulorum, idest centum communium unciarum.... Praeterea et partem cranei anteriorem invenere firmis- simam adhuc, et plurium frumenti modiorum capacem. Sic et os alterius cruris, cuius etsi ob annositatem nimiam in putredinem pars devenisset, perceptum tamen in reliquo est ab his, qui totam hominis mensuram, cuiusque minimi ossis novere, eum fuisse magnitudinis ducentorum cubitorum vel amplius. — 316 — grandezza. Il loro peso era di tte rodoli cioè di cento once comuni, i quali Trapanesi, per testimonio del trovato gigante e in eterna memoria de’ posteri, legarono con un filo di ferro, e li appesero in una certa chiesa della città fabbri- cata ad onore dell’Annunciata e dell’istesso titolo adornata. Oltre ciò trovarono una parte del ventre d’innanzi fermissima e capace di molte moggia di fromento. Così anco l’ osso dell’ una delle gambe, di cui, benchè per la grandissima quan- tità degli anni una buona parte ne fosse ita in polve, nondimeno si trovò da quelli che fecero il saggio secondo la proporzione delle altre membra comuni, che quello era stato di grandezza di dugento cubiti e più. Di che fu tenuto da alcuni de’ più saggi costui essere stato Erice potentissimo re del luogo, figliuolo di Bute e di Venere, da Ercole ammazzato ed in quel monte sepolto. Altri istimano che fosse Eritello, il quale già ne’ giuochi funerali ordinati da Enea per lo padre Anchise con un pugno aveva morto il toro. Altri poi uno de’ Ciclopi e specialmente Polifemo, di cui riferisce molte cose Omero e dopo lui Virgilio, siccome si vede circa il fine del terzo libro dell’ Eneide“. Così il Boccaccio che manifestamente dava fede al racconto di quelli di Trapani. Della scoperta di un gigante fatta al tempo di Enrico III imperatore, il Boccaccio scrive ! così, parlando di Turno: sAbbiamo letto che al tempo di Arrigo Cesare terzo imperadore il corpo (di Turno) non lontano da Roma fu trovato da un villano che cavava la terra, così intiero come se poco dinanzi fosse stato sepolto; il quale, essendo tratto della sepoltura, d'altezza e di grandezza avanzava le mura di Roma; dove si vedeva ancora in lui il buco della ferita fattagli dalla lancia di Turno, che trapassava la lunghezza di quattro piedi“. Vedete come il Boccaccio andava tentoni tra la credulità e l’amore al meraviglioso del suo tempo e lo scetticismo, al quale il suo ingegno era così pronto come le sue labbra al sorriso. ,0h! cosa ridicola,“ vorrei riderci sopra,“ son parole che ritornano assai di frequente in ogni opera del Boccaccio. E questo incredulo sorriso, manifestamento esterno del dubbio ,,padre della scienza,“ avrebbe potuto essere alle scienze di gran frutto, se il Boccaccio si fosse adoperato di proposito intorno alle fisiche discipline, o fosse vissuto in un secolo per queste meno infelice. Di pochi uomini potrebbe dirsi tanto ragionevolmente che il dubbio fu tutta virtù sua, la credulità tutta vizio del tempo. Quand’ egli udiva ripetersi dal suo Paolo Perugino, uomo dot- tissimo, che gli ermafroditi nascono, e per quale cagione e in qual parte della matrice vengono concepiti, * e in Alberto Magno (che lo raccontava sull’autorità di un medico riputato) leggeva che una ! De Gen. Deor. Lib. XII, cap. 60, pag. 811. * De Gen. Deor. Lib. III, cap. 21, pag. 69. — 317 — donna in Germania partorì in una sol volta cento e cinquanta esseri, alcuni de’ quali viventi; * e udiva confermarsi da’ medici teorie simili a questa che le donne concepiscono i maschî a destra, le femmine a sinistra e in mezzo gli ermafroditi,“ e che la luna scioglie i meati del corpo e aiuta il bambino ad uscire alla luce, * e che già nel sesto mese il feto si crede accogliere l’anima per virtù di Mercurio che nel sesto mese governa; 4 e a simili teorie vedeva far plauso medici e astrologi, e renderle anco più assurde il volgo, che di più assurde ancora ne avrebbe credute; quando il Boccaccio udiva intorno a sè ripetere giornalmente simili fole, sarebbegli stato mai possibile di mantenersi puro dalla universale credulità al meraviglioso e all’ assurdo? i Se qualche medico ha avuto la pazienza di seguitarmi sin qui, io credo che egli avrà notato assurdi in abbondanza nelle teorie mediche espresse dal Boccaccio. Molti secoli con- siderarono il ,, cuore come il ricettacolo di ogni passione“® ed ebbero esagerato orrore de’ menstrui femminili; si compatisce al detto che il soperchio dello stomaco genera ne’ miseri l’aggruppamento de’ nervi nelle giunture“, 7 benevolmente inter- petrandolo per un accenno alla podagra e alla chiragra che dalla qualità e quantità de’ cibi possono avere fomento; ma che diranno i medici della teoria adottata dal Boccaccio riguardo al sonno che ,è cagionato da’ vapori umidi sorgenti dallo stomaco e oppilanti le arterie“, o del polmone che, fatto strumento dell’ intel- ligenza, ,,a guisa di un mantaco le cose concette manda fuori e rivoca dentro“, ° o de’ golosi ,a° quali per soperchio here, i vapori caldi surgenti dallo stomaco generano umori nella testa, i quali poi per gli occhî distillandosi, quelli fanno divenire rossì e lagrimosi“, 1° o della libidine. che. ha la sede nelle vene del ! De Gen. Deor. Lib. III, cap. 21, pag. 69. selce. ) 3 De Gen. Deor. Lib. VII, cap. 22, pag. 183, ,luna ad quam mau meatus ampliare corporum.“ ' De Gen. Deor. Lib. XII, cap. 45, pag. 314. 5 Comm. a Dante. Lez. II, Vol. I, pag. 108. # De Gen. Deor. Lib. V, cap. 12. ? Comm. a Dante Lez. XXV, Vol. II, pag. 42. 8 De Gen. Deor. Lib. I, cap. 32: ,somnus, quia a vaporibus humidis e stomacho surgentibus et oppilantibus arterias, et quieta obscuritate causetur.“ ° Comm. a Dante. Lez. VII, Vol. I, pag. 205. !° Comm. a Dante. Lez. XXV, Vol. II, pag. 42. — 318 — tallone“ ! dell’uomo ? Davvero che Gall e Lavater sarebbero stati scossi dall’ arditezza di questa frenologia delle calcagna! È facile imaginarsi con quanta predilezione il Boccaccio ritorni spesso sugli argomenti dell’ amore e della libidine; ma non già come poteva attendersi dall’ autore del Decameron, per tesserne il panegirico o per iscusarle, sibbene al contrario per vituperare e l’uno e l’altra. ,Il soverchio coito fa diventar ciechi“. * sMa se non vogliono aver riguardo a’ pericoli (grida è Boccaccio contro a’ lussuriosi) * perdonino almeno questi amatori di tale scellerità lussuriosa alla loro salute. La molta lussuria rende pigro lo ingegno, minuisce la memoria, inde- bilisce le forze, ed è cruda nemica della sanità. Dalla quale, se alcuno è lasciato giungere alla vecchiaia, da diverse infermità è tormentato; acciocchè non sola- mente osservi castità, ma pianga la dogliosa lascivia della passata giovanezza“. Così predicava il Boccaccio contro a’ lussuriosi. Con colori non meno vivi egli descrive gli effetti funesti della gola. p-..+Perciocchè (dic’ egli) * subito a così scellerato peccato segue la penitenza; conciossiachè innanzi le altre cose i cervelli alterati patiscono aggravazioni, frequenti doglie di capo, obblivione di sè stessi, scorretto parlare, contrasti de’ sensi, incerti passi, vomiti, e azioni stomacose, mentre le forze non si compor- tano con lo stomaco, per le quali è sforzato mandar fuori quello che l’ingordigia s'ha trangugiato. E se pure alle volte i soverchî cibi si ritengono nel ventre, è necessario che con grandissima ansietà del goloso si marciscano, e da quei putrefatti il sangue e gli altri umori siano corrotti; e così nel corpo tutto l'ordine della natura si corrompa in peggio. Dal quale nasce la difformità degli occhî e di tutta la bocca. Si diventa appresso paralitico, tremolante, balbo, idropico, pieno di sete, e pallido tisicoso. Oltre di ciò viene la vecchia podagra, il caldo pizzicore, la rozza rogna, l'ardente febbre, e l’apostema dello stomaco che non può digerire. 5 Per le quai cose anco spesse volte a molti sovraggiunge la morte, acciocchè si verifichi quello che dicono i prudentissimi medici: più uomini am- mazza una cena che non fa un coltello. Riguardevole adunque è troppo il numero de’ divoratori, i quali tra i sonni e l’alienazione della mente, tra le torture dell’infermità e tra la morte, amando la pigrizia e compiacendo solamente al ventre, apparecchiano le mense continue, e gonfiati per le vivande e beveraggi superflui si pensano vincer tutte le fatiche“. ! De Gen. Deor. Lib. XII, cap. 52. ° De Gen. Deor. Lib. VI, cap. 52, pag. 163: ,ex.... crebro coitu per- saepe aegritudines oriuntur, et plurimum virtutes debilitantur corporeae, et visiva potissime. Nam certissimum est nonnullos non solum in brevem visum, sed in caecitatem integram, ob coitum devenisse“. ® De Casibus virorum illustrium. Lib. III. La versione riportata nel testo è di Giuseppe Betussi. ' De Casibus virorum illustrium. Lib. VII, # nausea stomachi renuentis. — 319 — Ma con quale diritto rimproveravano cotali difetti agli uomini que’ medici astrologi, che pretendevano sapere come la calda com- LI plessione di Venere predestini alla libidine, e che è merito della sfrigida Luna“! la continenza, e che nascere sotto gli auspìci di Marte vuol dire nascere ,,vinolento e mangione“? ? In fatti, dopo che quell’ antico Crina introdusse 1’ astrologia nella medicina e pretese regolare persino la dieta degl infermi secondo il corso delle stelle, molti medici meritarono più.che altro il nome di astro- logi. Vedete persino un Alberto di Villanova insegnare che i salassi non devono farsi se non in certe combinazioni degli astri e in altre no, ye che particolarmente deve aversi riguardo alla posizione della luna“. Di questi medici astrologi grida il Petrarca * sche, la salute degli uomini avendo a vile, ad altro non mirano che a trarne lucro, non agognano ad altro che a farne preda, e questa sperar non po- tendo da uominì liberi, nè farli schiavi a sè stessi, schiavi li fanno degli astri, spacciandosi consiglieri e mediatori fra gli schiavi e’ padroni. Vedi perversa teme- rità di promesse, vedi stoltezza di paurosa credulità, per le quali avviene che d’ogni colpa si dichiara l’uomo innocente, e reo Iddio ; imperocchè, come osserva Agostino, mentre per volere del cielo dicono essi all’uomo inevitabile il peccato, e ne pongon cagione a Venere, a Marte, a Saturno, l’uomo che è carne, sangue e vile putredine, si dichiara incolpabile, e tutta ne ricade la colpa sopra il Sovrano creatore e reggitore della terra e del cielo, bontà per essenza, e fonte indefettibile di ogni giustizia“. Se, al pari del Petrarca, il Boccaccio non fidava in questi cerretani, noi non possiamo fargliene rimprovero. Egli non aveva nessuna fede ne’ medici del suo tempo e non usava chiamarli mai al suo letto. Nel sessantesimo anno d’età il Boccaccio, gravemente ammalato di ,scabie secca“* com’ egli la chiama, era afflitto da continui dolori alle reni, da turgidezza della milza, da infiammazione della bile, da tosse anelante, da raucedine, da ! De Gen. Deor. Lib. V, cap. 2, pag. 120: ,lunae.... quae suo frigore habet venereas frenare concupiscentias“. ? De Gen. Deor. Lib. IX, cap. 3, pag. 219. ° Delle Lettere Senili, Lib. III, Epistola 1; del volgarizzamento del Fracassetti, Vol. I, pag. 153. ' ,Chi il crederebbe? (esclama il Baldelli, in nota alle pag. 201-202 della Vita di Giov. Boccacci) nella sua patria un vil poeta scrisse mordaci invettive contro di lui, bassamente deridendolo per la rogna, che lo affliggeva, e perchè spiegava Dante al popolo Fiorentino. Ei che avrebbe dovuto dispre- giare un vile scrittore, che non nominavasi per l’infamia, che la sua mordacità avrebbegli procacciata, non seppe tacersi e scrisse contro di lui varì sonetti che abbiamo pubblicati colle sue Rime (Son. VII, VIII, IX, X, XI). n SI = storditezza di capo; pallido, tremante, con la pelle informantesi alle ossa, senza appetito e disgustato di tutto. Confortavasi che l’acutezza della vista non gli era ancora scemata, e che lo stomaco non era ancora infetto da nausea; alla scabie rimediava con l'ugne, dopo di che lo coglieva gratissimo sonno.! ,Questo mi rifocilla alquanto, scrive egli ad un amico, poichè non ho alcun aiuto di rimedî, nè medico nè medicine, e, se anche potessi averne, non ci presterei alcuna fede; perocchè io vivo lasciandomi guidare dalla natura e dall’ appetito“ ® Se non che il male aggravossi. Una sera fu preso da febbre di fuoco accompagnata da acuto mal di capo, e con tanto impeto ch’ e’ si credeva dover morire. Egli, non uso a gemere e a lamentarsi, metteva ,ardenti sospiri e lamentevoli accenti“. Nel profondo della notte gli parve 1’ ardore interno gli si portasse tutto alla pelle, dall’ ombelico in giù al ventre e all’ in- guine destro; ond’ egli già si confortava che “la febbre e l’ ardore dovessero in tal modo abbandonarlo“. Ma invano. Sopravvenuto il giorno, chiamati alcuni amici e narrato loro il fatto, tutti consi- gliano si chiami un medico. Il Boccaccio, per non parere avaro, acconsente. Viene un medico, un villico ,uso a curare“, uomo ab- bastanza affabile e circospetto; vede sul corpo dell’ infermo una s macchia ignea“; ,qui fa d’ uopo, egli dice, togliere dall’ infiammato fegato quanto v ha di superfluo e di nocivo, è malattia che vuol pronta cura; questa adoperata, la guarigione pronta succede, s° è differita in tre o quattro giorni si muore“. ,Temetti, il confesso, scrive il Boccaccio, e comandai si obbedisse al medico e subito. Preparansi a scarificarmi ferrei strumenti e fuoco; nella mia carne infiggono lampade accese; con un rasoio mi sbranano con. indi- cibile doglia più e più volte la pelle dianzi abbruciata; e non ! .... nam ante alia incessabilis mihi et igneus pruritus fuit et est, sic et scabies sicca, cujus abradere squamas aridas et scoria die noctuque vix suf- ficit unguis assidua. Praeterea ventris ponderosa segnities, renium perpetuus dolor, splenis turgiditas, bilis incendium, tussis anhela, raucum pectus et atto- nitum caput, nec non et alia plura, quae si enumerem, corpus omne languidum et humores in se discordes omnes facile dices. Ex quibus fit, ut mihi sit coelum inspicere grave, onerosa corporea moles, titubans gradus, tremula manus, pallor stygius, appetitus cibi nullus, et rerum omnium displicentia. ? Stat tamen inter tot mala vivax oculorum ‘acies, nec ulla adhuc infectus nausea stomachus, et post fricatam unguibus diu scabiem gratissima somni quies. His pauculum refocillor subsidiis; remedia nulla mihi sunt, nec hic medicus nec medela, etsi sit nulla mihi fides in illis: vivo natura et appe- titu ducibus, — 321 — ismettono prima che molto sangue 0, come il medico asseriva, il veleno mortale ne fosse uscito. Eccoti sano, disse il medico : facilmente il credetti, essendomi col sangue uscita anco la febbre. Ed io che nelle due notti precedenti non aveva potuto pigliar sonno, potei abbandonarmi nella notte successiva a un po’ di quiete, donde mi sorrise la prima speranza di guarigione, che ogni giorno migliorò, e a poco a poco a tanto pervenne che, sebben con mano debole, basto a maneggiare la penna“. ! ' Nam eadem qua supra die, cadente jam sole, debflem, fessum et vix spirantem ignita febris invasit repente, tanto cum impetu, ut primo impulsu me victum crederem. Et sic conscendi lectulum, ratus non amplius meis pedibus descensurus; et crescente nocte, crescebat incendium. Ego autem infesto ardore et acri capitis dolore vexatus, suspiria emittens, igneas et tenues quandoque voculas passionem testantes meam (non enim mihi mos est mugitus emittere, ut plerique faciunt), huc illuc ferebar, quaeritans motu illo febrem ludere et parvo vestimentorum frigore aetneum sedare incendium. Et quoniam adversus tam validas caloris immensi vires me exhaustum et imbecillem sentiebam, in finem meum me omnino iturum rebar, et de vita praesenti desperans, de futura incepi meditationes intrare. Et dum me, scelestum hominem, ante tribunal Judicis cuncta cernentis primo e corpore egressu iturum noscerem et justam ejus iram in crimen meum severumque cor futurum mecum revolverem, tantus me pavor intravit, ut tremerem totus et veras mei conscius emitterem lacrimas. Adstabat mihi sola ancillula quaedam, cujus multis annis obsequio usus sum, quae me videns et existimans quantum aegritudine victus, lacrimabatur et in- compte ac insipide satis cepit conari pauculas vires meas in patientiam erigere. Ego autem medio ardoris in aestu ridebam illius inscientiam et te et amicos alios, etsi absentes essetis, tanquam praesentes post trepidationem illam ingen- tem alloquebar et orabam tacite, quibus poteram mentibus, ut intercessionibus vestris mihi adeo facilem impetraretis exitum, eumque erga me mitem miseri- cordemque votis faceretis supplicibus; et nonnunquam me ea hora exspiraturum existimans, vale tibi reliquisque dixi. Quid multa? cum in profundissimam noctem venissem, et ecce judicio meo ignis extrorsum ab intrinsecis emissus ab umbilico in fundum usque ventris et dextrum inguen cuncta corripuit. Ex quo sperans egressuram febrem cum ardore illo, paululum patientius cepi exspectare exitum. Sed cum incassum cedere exspectantem adverti, Phaétontis memor incendii, coepi mihi ipsi timere, ne fulmine illo in cinerem iturus essem et, quam ante optaveram, mortem expavescere. Interim post longam exspectationem dies eluxit, et vocatis ex rusticanis amicis quibusdam, ostendo eventum. Miran- tur omnes, et cum nihil haberent aliud quod praestarent, ivere in consilium. Hortantur ut medicum advocem, quod ego tanquam superfluum aspernabar, consuetus naturae accidentium quorumeumque in diem usque illam curam per- mittere. Tandem ne viderer id potius ob avaritiam facere, quam ob sinistram medicorum habitam opinionem, advoco. Nec credas vero Appollinem, quem primum novisse vires herbarum ajunt, seu Epidaurium Aesculapium vel junio- rem horum Hippocratem Chium, sed assuetum curis villicis hominem, equidem 8 Ho compendiato così una lunga lettera! di Giovanni Boc- cacci, forse non inutile a chi studia la storia della chirurgia nei secoli di mezzo. È noto che gli Arabi ritornarono ad adoperare que’ rimedî caustici, che già in tempi antichissimi erano in uso presso gl’ Indiani. Leggesi particolarmente del celebre Abulcassem, che non v'era quasi malattia (persino la tosse e le raucedini) ch’ ei non volesse curare col ferro rovente. Ma, per venire a’ tempi più vicini al Boccaccio, il famoso Lanfranchi milanese fu anch’ esso partigiano de’ bruciamenti, e Guido di Chauliac, chirurgo e con- fessore di Papa Urbano V, raccomanda il ferro rovente in parecchie malattie, tra le altre per curare l’ erpete quando minacci cancrena. Prima di chiudere questi rapidi cenni sulle nozioni mediche che si riscontrano nelle opere del Boccaccio, mi convien dire della famosa descrizione della peste, descrizione da lui preposta al suo Decamerone. La descrizione che ci dà il Boccaccio de’ sintomi di satis affabilem et circumspectum. Is autem, postquam vidit igneam illam ma- culam, e vestigio hepatis ferventis opus esse dixit, superflua nocuaque ad exteriora mittentis, eumque morbum festina curatione indigere; quae si fieret, salus adesset illico, si vero differatur per diem tantum, me infra quartam * in certissimam iturum mortem, ratione monstrata. Timui, fateor, jussique medici sequeretur imperium Nec mora: parantur in excarnificationem meam instru- menta, ferrum et ignis, et accensis lampadibus et in meam carnem extentis ** atque infixis et demum sublatis, et crebris cultro tonsorio eisdem locis ante praeustis ictibus fracta cutis, iterum et iterum apponuntur, non absque maximo cruciatu meo. Et sic his adtrahentibus, non ante destitere, quam multum san- guinis, imo, ut medicus asserebat, veneni letalis emungerent. Quo peracto : Sanus es, inquit medicus. Quod ego facile credidi, quia plurimum cum sanguine abiisset febris infesta, et ego, qui per duas praecedentes noctes somnum non ceperam, in illum solutus pauxillulum quietis. assumpsi. Hinc mihi primum aliquantulum spei futurae valetudinis affulsit, et demum de die in diem aucta est, sensim priscae coepere redire vires, adeo ut jam manus, esto debilis ut vides, sufficiat calamo. * Il cod, riccardiano n. 805 reca: fra quartam diem. ** Il cod. riccard.: extinctis. ! Questa lettera, unitamente a due altre inedite pur del Boccaccio, fu pubblicata per la prima volta da Alessandro Wesselofsky, in un opu- scolo intitolato: Joannis Boccacci ad Maghinardum de Cavalcantibus Epi- stolae tres, Pietroburgo 1876. Alle pagine 12-14 vi leggi i brani da me riportati. Nelle note segnate con un asterisco ho avvertito due varianti alla lezione adottata dal signor Wesselofsky, ricavandole da una copia, che tengo presso di me, del codice riccardiano n. 805 (viziatissimo). — 323 — questo terribile morbo, che nella sola Europa distrusse in pochi anni ben venticinque milioni di uomini, è così divulgata e famosa che mi basta accennarla per rammentare ch’ ella significa chiara- mente la peste bubonica. Eppure fu chi disse, e molti il seguitarono, che il Boccaccio tolse la sua descrizione della peste da Tucidide e da Lucrezio. Lascia- mo che il Boccaccio non conobbe certamente le storie di Tucidide nè in originale nè in traduzione. Si disputa ancora a quali epidemie debba annoverarsi la peste ateniese; ma nella narrazione di Tuci- dide i più riputati storiografi della medicina non hanno trovato parola che accenni alla peste bubonica. Di Lucrezio è noto ch’ egli non descrisse un’ epidemia da lui veduta, bensì la dipinse secondo la sua fantasia e gli antichi autori, probabilmente secondo Tucidide. Il Boccaccio aveva egli bisogno di seguire le imaginazioni di un poeta per descrivere una infermità pur troppo allora così gene- rale? Fu già da parecchî notato che egli trovavasi a Napoli nella primavera del 1348, e quindi non poteva descrivere il principio della peste in Firenze; ma non infuriò quel pestifero morbo tanti anni e in tanti luoghi da lasciar al Boccaccio tutto l’agio di osservarlo anche troppo da vicino? Poteva egli d° altronde imitare Lucrezio nella descrizione di una infermità che mostravasi con sintomi differenti da quella descritta dal poeta del de Ierum natura? Qui voglio accennare a un solo fatto. Lucrezio dice che negli ammmalati di peste n .Multus capitis cum saepe dolore Conruptus sanguis expletis naribus ibat; Huc hominis totae vires, corpusque fluebat,. (VI, 1201-1293). Il Boccaccio per contrario dice che la peste si cominciò a dimostrare in Italia ,non come in Oriente aveva fatto, dove chiunque usciva il sangue dal naso, era manifesto segno d°’ inevitabile morte“. E questa è notizia tanto importante che gli storici della medicina, descrivendo i sintomi e gli effetti della peste, differenti secondo i varî paesi, fecero risaltare particolarmente questo fatto narratoci dal Boccaccio. ! ! Vedi Haeser, Geschichte der epidemischen Krankheiten, 2.a edi- zione, pag. 145. — 324 — II. Se il Boccaccio parla di astronomia o di medicina o fa qualche accenno alla botanica o alla geologia, è per incidenza, quando 1° ar- gomento che ha sotto mano ve lo trascina; di proposito invece egli attese a un’ opera di geografia che ha' per titolo: De’ Monti, delle Selve, de’ Fonti, de Laghi, de’ Fiumi, degli Stagm e Paludi, e de nomi de Mari.! L’opera è divisa in tante parti quanti sono i differenti fenomeni geografici indicati nel titolo; nella parte a cui appartengono, i singoli nomi sono disposti per ordine di al- fabeto, come si fa in un dizionario; salvo che talvolta il Boccaccio volle allontanarsi da quest’ ordine deliberatamente, di che assegna di volta in volta le ragioni. L’ordine in che le singole parti si succedono è spiegato dal Boccaccio come segue: ,Da° monti (scrive egli) crescono le selve, sgorgano i fonti e i fiumi, da’ quali vediamo poi aver nascimento i paduli e gli stagni; ond’io credetti ragionevole di cominciare dai monti“. Così egli seguita nell’ opera sua quest’ ordinamento ch’ ei crede naturale. Ad ogni parte è preposta una breve introduzione che tocca della origine, delle trasmutazioni, del venir meno dei fenomeni in quella parte descritti. Ogni libro va giudicato in gran parte secondo il fine che l’autore si propose; e il Boccaccio manifesta chiaramente il suo intendimento nella prefazione e nell’ epilogo dell’ opera. In primo luogo egli avverte che il suo lavoro è fatto ,,nelle ore d’ ozio, quasi per sollazzo“, per ,ristorare le sue forze stanche da egregio ' De Montibus, Silvis, Fontibus, Lacubus, Flumimibus, Stagnis seu Paludibus, et de nominibus Maris Liber. — 325 — lavoro“,! e per alleviare la fatica a’ lettori degli illustri. poeti e storici antichi; nel legger i quali, chi mosso dal desiderio di stu- diarli vi si accinge inesperto, spesso non sa intenderne il senso, imbattendosi in qualche nome di monte o fiume o stagno o padule o mare, e li confonde tra loro, prendendo talora il nome di un monte per quello di un fiume o il nome di un padule per quello di una selva, città o provincia, ingarbugliando così assai facilmente il senso istoriale“. ,Che se anche non isbagliano (continua il Boc- caccio) confondendo come dissi, anche gli eruditi spesse volte s’ingannano credendo che un monte o un fiume posto in occidente si trovi invece in oriente. Ad evitare cotesti errori, verrò avver- tendo di ognuno dove son posti que’ monti, selve, fiumi e così innanzi, che trovai menzionati negli autori celebri, quali e’ sì sieno, e particolarmente ne’ pagani. E perchè il lettore non abbia troppo a svolgere il libro descriverò ogni cosa per ordine d’ alfabeto“. Così il Boccaccio nella introduzione del libro, prima di parlare de’ monti. Un'altra parte del suo concetto egli dichiara nella ! ,Surrexeram equidem fessus a labore quodam egregio et aliquali otio vices restaurare cupiens.... ne omnino tempus inerti otio elabatur, assumpsi, loco iocosi laboris, studentibus poetarum illustrium libros aut antiquiorum historias revolventibus in aliquo levi opere, si possem, velle prodesse“. Con queste parole il Boccaccio comincia il suo libro de Montibus etc. L',opus leve“ è il dizionarietto de Montibus ete.; per quel ,labor egregius“ il Boccaccio intende a mio avviso le sue Genealogie degli Dei. Nel capitolo 30 del libro VII de Gen. Deor. (pag. 186) egli scrive: ,sic et ego ubi de montibus et fluminibus$ ; e nel cap. 50 del libro VII (pag. 191): ,videat ubi de montibus et de fluminibus scripsi.@ Da questi due passi si dovrebbe conchiudere che il Boccaccio scrisse il libro de Montibus ete., prima dell’opera delle Genealogie, finita prima del 1359 (anno in cui morì Ugo re di Cipro, al quale l’opera è intitolata), e dal Boccac- cio tenuta presso di sè senza divulgarla sino al 1373, e ch'egli avrebbe tenuta ancora nascosta se Ugo di Sanseverino suo amicissimo non l’avesse divulgata contrariamente al desiderio dell’autore. Il Boccaccio assicura che il libro delle Genealogie era suo compagno costante ne’ viaggi e ch’ e’ vi faceva continue aggiunte e correzioni. A queste aggiunte io annovero pure i due passi soprac- citati, ne’ quali il Boccaccio allega il libro de Montibus etc. Accennando ad un lavoro »egregio“, il Boccaccio, forse troppo modesto e quasi sprezzatore delle cose sue, non poteva intendere se non la sua maggiore opera delle Genealogie; per darsi un riposo dalle fatiche di questo egregio lavoro e raccogliere forze a proseguirlo il Boccaccio attendeva contemporaneamente ,quasi per sollazzo“ al suo dizionarietto geografico. Ove non si accettasse questa congettura, bisognerebbe ammettere che egli compilasse quel dizionario avanti il 1859, nel qual anno il Boccaccio avesse ancora desiderio d’imparare egli stesso da’ classici poeti e crederei che prosatori piuttosto che compilare un manuale ad uso degli altri. = 8 = conclusione dell’ opera. È giunto alla fine del suo lavoro, ,,no- tando quanto lesse negli antichi“. Non dubita di aver errato spessissimo“, ma, ,come ha detto subito in principio“, egli non s’ è accinto a lavoro ,ansioso, acre“, sibbene, ,per suo svago e riposo, a un lavoruccio sollazzevole, dal quale per non essere contro sua voglia affaticato, gettò giù quanto gli capitava alla memoria senza troppo diligenti indagini“. ! Quanto egli dice lo cavò da’ ,monumenti degli antichi, e particolarmente dagl’ illustri poeti, che ha studiato assai.“ Se poi non ,,procede sempre con egual passo“, ed ora si lascia andare a stile ,,pingue, amplissimo“, ora invece si restringe a ,stile tenue e macilento“, ne sono cagione gli scrittori antichi che, secondo gli argomenti, o furon larghi o succinti a scriverne. »Quand’ io poi mi allargai più del solito (continua il Boccaccio) il feci a bella pòsta, sapendo che gli eruditi non ne abbisognavano, ma conoscendo altresì che agl’ ignoranti, finchè non avanzano più nella scienza, nessuna dimostrazione, per quanto lunga, non è che a loro non sembri brevissima*. 3 Così il Boccaccio, che ha preveduto queste e molte altre ac- cuse che gli sarebbero mosse, ed ha voluto in ogni opera sua pigliare il tratto innanzi, in parte confessando le sue mende, in parte giustificando il fatto suo. Se non che un’ accusa e’ non pre- vide: accusa che era infatti tanto più lontana da poter essere da lui sospettata in quanto egli era più lontano dal meritarla. Voglio dire dell’accusa di plagiario. Vero è che l’idea di voler di- sporre i nomi geografici alfabeticamente, come in un dizionario, partì da Vibio Sequestro; vero è che il Boccaccio trascrisse l’opera di Vibio quasi intera nella sua, omettendo solo le isole che non entravano nel suo divisamento; vero è che il Boccaccio non cita mai Vibio Sequestro nell’ opera de’ Monti e de’ Fiumi; eppure l’accusa di plagiario data al Boccaccio è leggera ed ingiusta. Questo dizionario geografico del Boccaccio è opera di tal natura, che citazioni non occorrono. Non confessa egli il Boccaccio assai più di quanto i critici gli rimproverano, dicendo che tutta l’ opera ' Esto (ut ab initio testatus sum) quietis causa, non anxium, acremque, sed iocosum laborem assumpsi, a quo ne adversus intentionem meam defatigarer, quicquid in memoriam venit, nulla indagine solertiori peracta concessi calamo (pag. 503). ? Maiorum imitatus sum monumenta, et potissime Poetarum illustrium, circa quos plurimum hactenus versatus sum (pag. 5083). ul di | — 327 — è presa dagli antichi? Perchè restringersi ad affermare che il Boccaccio fu il plagiario di Vibio? Per essere giusti ed esatti bisognerebbe dire che il Boccaccio fu il plagiario di tutti gli antichi a lui noti che scrissero di geografia; ma tale accusa, che sarebbe la sola vera, importerebbe, trattandosi di un compilatore, ch’e° copiò da tutti e da nessuno. Nell'opera de’ Monti e de’ Fiumi, il Boccaccio non cita fuorchè i carmi di Davide, ! Omero, ® i libri biblici dei Re 3 e Virgilio. * Se gli accusatori del Boccaccio lo avessero detto pla- giario di Pomponio Mela o di Plinio il vecchio, avrebbero potuto avere qualche ragione; poichè di questi. egli trascrive, senza citarli, brani così lunghi, che nella stampa fattane in Basilea importano sino a venti righe; ma a Vibio Sequestro s’ appigliarono a torto. Confrontisi il magro elenco del libricciuolo di Vibio con la ricchezza di notizie onde il Boccaccio amplifica le compendiose definizioni di quell’antico; e farà meraviglia come alcuni letterati, che conoscevano assai bene Vibio e il Boccaccio, abbiano voluto confermare l'accusa mossa al Certaldese. A tale stregua ogni compilatore di un dizionario geografico, che si vale de’ nomi già disposti alfabeticamente da un altro, sarebbe un plagiario. Del resto il Boccaccio non ha sottaciuto il nome di Vibio ® nè di alcun altro autore a lui noto; e chi ne vuole la prova vegga le sue . Genealogie degli Dei, unica opera nella quale e’ si propose di citare le sue fonti. Se il Boccaccio avesse dovuto citare i suoi autori nel dizionario geografico, egli avrebbe raddoppiato la mole del libro, e avrebbe in gran parte ripetuto le citazioni delle sue Genealogie degli Dei, dove adduce molti passi tratti da’ geografi, attinenti alle favole mitologiche ch’ egli viene di- chiarando. Eppure, vedete mutazioni de’ tempi, degli uomini e delle letterarie abitudini, allora gli si mosse rimprovero dell’ aver citato tanti autori, accusandolo di averlo fatto per ostentazione! Oggi 1 Alla voce Sion mons (pag. 424). ? Alla voce Oceanus fluvius (pag. 470). ® Alla voce Remna mons (pag. 422). ' Alle voci Benacus lacus (pag. 439), Numicius fluvius (pag. 469), Oaxes... fluvius (pag. 470). ° Il fiume Acheloo ut Vibius Sequester de fluminibus asserit, primus fuit qui terram erupit.“ De Gen. Deor. Lib. VII, cap. 19, (pag. 180). — sAsopus.... in Epidamnum effluit; ut ibi de fluminibus asserit Vibius,€ De Gen. Deor Lib. VII, cap. 55, (pag. 192). © ,Ostentationis gratia.“ De Gen. Deor. Lib. XV, cap. 7, pag. 391. 12 — 328 — invece a studî cosiffatti non è avverso il tempo, ond’ io credo non far cosa nè inutile, nè discara, aggiungendo come appendice a queste ricerche una tabella che dimostri su quali autori il Boccaccio compilò il suo dizionario geografico. Disposti in ordine di tempo saranno: Aristotile, Terenzio Varrone, Giulio Cesare, Tito Livio, Vitruvio, Pomponio Mela, Seneca, Plinio il vecchio, Gioseffo Flavio, Quinto Curzio, Solino, Eusebio ampliato da S. Girolamo, Servio Onorato, Vibio Sequestro, Paolo Orosio, Marziano Capella, Isidoro ispalense, Lattanzio Placido chiosatore di Stazio. ! Dall’ elenco apparirà chiaro qual metodo abbia tenuto il Boccaccio nel comporre il suo dizionario: com’ egli abbia riscontrato tra loro gli scritti de’ varî autori, dei quali cita le opinioni, senza però accettarle tutte per vere. Quando molti autori parlarono di un argomento non è sempre facile al compilatore di scegliere tra le asserzioni contraddicentisi. La cri- tica era ancora bambina a’ tempi del Boccaccio; ma possiamo dire che il suo criterio seppe guidarlo assai bene, quando ne’ casi dubbî corregge Vibio Sequestro, tenendosi piuttosto a Livio, a Pomponio Mela o a Plinio, o quando trascura di copiare da Solino ciò che egli trova in Mela o in Plinio. Il segreto della sua erudizione il Boccaccio lo rivela egli stesso nelle Genealogie degli Dei, dove cita ad ogni piè sospinto gli autori onde attinge le sue notizie. Molti egli cita di seconda mano, ma non è difficile di avvedersene ; cosicchè nell’ elenco non ho riportato se non quelli dei quali è certo che il Boccaccio li conobbe e studiò. Se non che l’ erudizione per que’ tempi meravigliosa del Boc- caccio ci dà il diritto di notare ch’ egli avrebbe potuto valersi molto meglio degli autori da lui conosciuti; se pur questo rimprovero non fosse indebolito grandemente dalla considerazione che molti libri il Boccaccio potè vederli forse una sol volta in sua vita e valersene quindi soltanto per quel che ne aveva serbato nella memoria o trascritto in quegli spogli ch’ egli usava fare abbondantissimi. Ma se gli an- tichi furono, come il Boccaccio lo dice, la principal sua. fonte, alla quale tenevasi tanto fermo da confessare ingenuamente che »@lla loro autorità credette più che a proprî occhî“ (seguendo ! Nell'indice non ho riportato i poeti da’ quali il Boccaccio tolse le sue notizie, essendo quasi impossibile il determinare esattamente da qual poeta egli abbia appreso que’ fatti di storia e di mitologia, ch'e’ poteva leggere in parec- chì e ch’ egli riferisce con parole sue proprie, — 329 — in ciò un modo ben differente da’ plagiarî che di solito sfatano chi non citano) è certo che la scienza geografica del Boccaccio alle notizie degli antichi non s’arrestava. Descrivendo il mar Caspio egli rammenta ,in prima i moderni che a’ suoi tempi perlustrarono la Scizia“; e siccome le relazioni di questi viaggiatori con quelle degli antichi non concordavano, e’ chiude dicendo che lascia ad altri l’investigare da qual parte sia la ragione, ,non osando negar fede agli antichi nè contraddire a’ moderni che descrissero cose da loro vedute“, * Anteriori di poco 0 contemporanei al Boccaccio sono i primi viaggiatori italiani del medio evo: Giovanni Plano Carpini (1346), Marco Polo (1254-1323), Oderico da Pordenone (1286-1331), Nicco- loso da Recco genovese (1341), e quel Giovanni Colonna di San Vito che fu amicissimo del Petrarca. Il Boccaccio viveva in un tempo in cui le flotte veneziane e le genovesi signoreggiavano i mari, e Marco Polo aveva già tanto veduto e tanto narrato da sembrare a’ posteri favoloso. Il Boccaccio vantavasi amico di quell’ Andalone di Negro ,che aveva viaggiato quasi tutto il mondo, in ogni clima, sotto ogni orizzonte, e di sua veduta sapeva ciò che noi sappiamo per sentita dire“. Andalone era di que’ Genovesi, che furono detti maestri nel conoscere i venti, * di que’ Genovesi che arditamente ! ,Primum quidem moderni qui nostro aevo Scythiae peragravere regna, dicunt Caspium mare inter Hircanos, Caspiosque montes immensum occupare spatium....... “. Il Boccaccio cita quindi le opinioni degli antichi e chiude: ,Quae autem ex his opinionibus vera sit, diligentioribus scrutari permittam, quum ab ant:quis fidem amovere non audeam, et modernis de visu testantibus negare non possim“. — Alla voce Caspium mare (pag. 490). ° De Gen. Deor. Lib. XV, cap. 6, pag. 389. ® De Gen. Deor. Lib. IV, cap. 54, pag. 108. ,Alibi autem dicit ipse Vitruvius eos VIII tantum esse scribens, Andronychum Cyrrestrem ad de- monstrationem opinionis huius, Athenis turrim octogonam construxisse, et singulis lateribus sculptam eius venti imaginem, cui illa facies muri esset ad- Versa, posuisse, et tandem meta marmorea super turrim imposita aereum trionem superimposuit illi dextra virgam porrigentem. Qui cum circumageretur a ventis, virga designabat, qui esset, qui flaret, et sic dicit compertum inter solanum et austrum eurum, inter austrum et favonium africum, inter favonium et septen- trionem caurum seu chorum, inter septentrionem et solanum aquilonem, quam descriptionem tanquam optimam atque veram mediterranei maris nautae omnes servant, et potissime Januenses, qui profecto caeteros nauticae artis excedunt ingemio.“ — 330 — s’avventurarono al di là delle Colonne d’ Ercole e videro le isole Fortunate, delle quali il Boccaccio ci conservò, copiata forse di sua mano, un® descrizione oramai famosa nella storia della geo- grafia.! E nello stesso zibaldone, attribuito alla sua penna, leggiamo la narrazione de’ viaggi di Aitone Armeno. Ne’ suoi dubbî il Boccaccio poteva consultare un grand’ uomo, i cui meriti per la geografia non furono ancora sufficientemente apprezzati. Dico del Petrarca, viaggiatore appassionato e coraggioso, che osò passare le Ardenne infestate da’ briganti, il Po gremìto di galee combattenti, e veleggiare ne’ mari di Britannia popolati da fantasime. sImpavido ed ansioso com'era di vedere cose nuove (scrive Petrarca)? mi sarei viaggiando sospinto agli ultimi Seri, agl’Indi remoti, e fino all’estrema terra di Taprobana. So qual mi fossi in quell'età. Non fatica, non paura del mare, non pericolo qual che si fosse era capace di trattenermi. Ma a tanto valse il solo timore di perder tempo e di distrarre l’ animo dagli studì, pensando che sarei tornato pieno la testa delle memorie delle vedute città, di fiumi, di selve, ma scema e vuota di quella dottrina delle lettere, che negli anni giova- nili studiando mi era procacciato, e tanto più povero di tempo mi troverei. Perchè mi appresi al partito di visitare quelle lontane regioni non per nave, nè cavalcando, nè camminando co’ piedi miei per lunghissime strade a fin di vederle solo una volta: ma sopra un’angusta carta viaggiando coll’ aiuto dell’ immagi- nazione e de’ libri, per guisa che potessi a piacer mio nel corto spazio di un’ora andare e tornare non solamente sano e salvo, ma non punto stancandomi, senza incomodi, senza spese, senza fastidî di bronchi, di spine, di fango, di polvere“. Così il Petrarca nel 1368, a sessantaquattro anni d° età. Nella età sua giovanile non si sarebbe accontentato di viaggiar sulle carte, nè di sciogliere il voto del pellegrino dettando un itinerario da Genova in Palestina. Qui non è il luogo di esaminare quanto valore abbia per la geografia del tempo l'Itinerario Siriaco del Petrarca; ben sarebbe ingiustizia il passar sotto silenzio la prima carta geografica ! Parlando delle Canarie il Peschel (Geschichte der Erdkunde ete., pag. 175) la dice ,die àlteste Schilderung dieser Inselgruppe“. Vedi Seb a- stiano Ciampi, Monumenti di un manoscritto autografo e lettere inedite di Giovanni Boccaccio (Milano, 1830), e gli Studî bibliografici e biografici sulla Storia della Geografia in Italia, pubblicati per cura della deputazione ministeriale istituita presso la Società Geografica Italiana, pag. 39 e 40. Cfr. anche Lelewel, Géographie du Moyen Age, II, 11. 2 Delle Lettere Senili, Lib. IX, ep. II, T. II, p. 40 della traduz. del Fracassetti. — 331 — d’Italia da lui intrapresa col favore di Roberto re di Sicilia. ! Doveva essere noto l’ amore del Petrarca a cosiffatti studî, poichè Luchino dal Verme, desideroso di fargli un grato presente, gl’ inviò in dono un mappamondo riccamente miniato. ® Ma nessuno, ch'io sappia, avvertì sinora, che il Petrarca aveva preparato un’ opera geografica di lunga lena che per mala ventura andò perduta. La preziosa notizia la dobbiamo al Boccaccio, il quale, accen- nando alle ragioni che lo consigliarono a por fine al suo lavoro, racconta con istile enfatico e imaginoso : 5 sIo certamente affrettando il cominciato corso, disiante di venire al fine, ecco l’odor dilettevole dell’alloro trasse gli occhi miei in altra parte; e vidi ! Il Flavio Biondo da Forlì scrive nella sua Italia WMustrata (ed. basil. p. 352 e 353): ,pictura Italiae, quam in primis sequimur, Roberti Siciliae et Francisci Petrarchae eius amici opus.“ 2 ,Totum mihi orbem in membranis descriptum insigni quidem artificio remisistis“. Variarum, ep. LXI, ed. del Fracassetti, Vol. III, pag. 476. MORE vidi insignem et venerabilem virum Franciscum Petrarcham ..... per idmet stadium, lento tamen incedente gradu non equidem labore attritum, sed altioribus cogitationibus pressum, et celebri atque commendabili gravitate deductum. Obstupui aspectu primo miratus, quid circa tam infimum limen de- duceretur homo sublimis. Inde ..... rubore suffusus plurimo constiti, et fortunam ante alia damnavi meam, quod eo me in discrimen deduxisset, ut auditor ex minimis cum praeceptore luctarer, pendensque multa e vestigio animo circumvolvi, an irem scilicet et incoeptum iter perficerem, aut starem, seu potius omnino re- direm, et pressa humo vestigia exturbarem. Occurrebant autem mihi plurima suadentia reditum, et ante alia clarissimi praeceptoris mei sublimitas, styli ornatu redimita mirabili, et sententiarum ponderositate plurima stabilis, et insuper lepiditate verborum delectabilis nimium, quantumcumque extranea videa- tur materia. Praeterea notitia rerum, cuius plurimum indiget labor iste, quam adeo sibi familiarem noveram, ut vidisse omnia, et tenaci servasse memoria videretur. Et cum his ruditas mea, stylus exoticus, historiarum penuria, inge- nium hebes, et fluxa memoria veniebant, a quibus persuasus cum iam essem semiflexus in reditum, et ecce proverbium vetus venit in mentem, quo aiunt, contraria iuxta se posita magis elucescunt. Et ex eo arbitratus fulgoris sui radios quantumeumque de se clarissimos opacitatis meae tenebras penetraturos posse videri intuentibus clariores, mutavi consilium, et ad eius reverentiam non pugil, sed obsequiosus servulus, et itineris strator in finem usque deductus sum, volens, iubensque si quod meritum mihi laboris huius expectandum est, cautos esse lectores, ut si quid in hoc opere operi viri inclyti comperiatur adversum, damnetur illico, et sua sequatur, tanquam vera stansque sententia. Scripsi quidem quod in buccam venit. Ipse autem, si mores novi suos, omnia multi- plici trutinatione digesta, omnia ponderoso librata iudicio scripsit, scribetque. Si quid vero congruum suis conforme scriptis comperiatur, divinae bonitati et doctrinae adscribatur suae. — 332 — l’uomo chiaro e venerabile Francesco Petrarca, inclito mio precettore, d’ onesto volto e verdeggiànte lauro riguardevole, per lo medesimo corso nondimeno con lento passo andante; e vidilo veramente non per fatica debile, ma di più alte cogi- tazioni carico, e con celebre e lodevole gravità giù venuto. Nella prima vista stu- pefatto rimasi, maravigliandomi per qual cagione l’ uomo sublime a tanto infimo soglio discenduto fusse. Io poscia mi ricordai Virgilio Marone essere stato solito per basse valli menar alcuna volta lo suo gregge, e qualche fiata trasportare il suo Enea eziandio sopra le stelle. Dove io, per vergogna, pieno di moltissimo rossore mì fermai, e dinanzi l’ altre cose accusai la mia fortuna che in tal periglio guidato m’avesse, che io, uditor de’ minimi, dovessi alle braccia col Maestro giuocare. E, sospeso, molte cose con l’animo dintorno ravvolsi, cioè se io dovessi andare e lo principiato cammino fornire, oppur mi fermassi, ovver piuttosto del tutto ritor- nassi, e calcata 1a terra dovessi giù le vestigia disfare. Ma cose moltissime mi sovvenivano, le quali mi persuadevano la ritornata: e innanzi l’altre la sublimità del mio maestro, cinta con ornamento di stil mirabile e ferma di moltissima pondero- sità di sentenza, e anche con piacevolezza di parole dilettevole molto, quantunque paia materia istraniera; oltre a questo la notizia delle cose, della quale tal fatica n’ ha grandemente bisogno. La qual notizia conosciuta era da me essere a lui famigliare in tanto, che tutte le cose paresse aver vedute e con tenace memoria averle conservate; e con queste parti, in mente venivami la ruvidezza mia, lo stil peregrino, delle storie la penuria, l’ingegno grosso, e la memoria labile. Dalle quali essendo io persuaso, conciossìa che fussi già mezzo piegato alla ritornata, ed ecco lo proverbio antico sovvennemi, nel qual dicono: che le cose contrarie presso di sè poste più splendono, e per questo, avendo io stimato i raggi del suo fulgore, benchè da sè chiarissimi dover penetrar le tenebre della scurità mia, poter a’ riguardanti più chiari apparire, lo consiglio mutai, e non come guerriero, ma ubbidiente servidore e distenditor del terreno dove passa, alla riverenza di quello insino al fine riducomi; volendo, comandando : che, se di questa fatica merito alcuno è, che se alcuna cosa in questa opera sarà trovata contraria all’ opera del predetto uomo celebre, incontanente sia dannata, e debbano seguir le cose sue come vera e dritta sentenza. Io certo scrissi ciò che mi venne in bocca; ma esso (se ben conobbi i suoi costumi) ha. scritto e scriverà tutte le cose con molte salde considerazioni, partite tutte le cose con ponderoso giudicio in bilancia pesate. Ma in verità se cosa veruna conveniente sarà trovata alle sue scritture, alla divina bontà e alla sua dottrina contribuito sia“.! Alla modestia del Boccaccio e alla sua riverenza per il vene- rato maestro noi dobbiamo la bella notizia di quest’ opera geografica intrapresa dal Petrarca : opera che al gentile poeta, al letterato illustre, al profondo moralista, al. grande italiano, avrebbe valso certamente un posto distinto tra’ geografi del secolo XIV. Anche il Boccaccio aveva percorso di molte terre. Nato in Fran- cia, egli era venuto ancor giovinetto in Italia, che vide tutta da Ge- nova a Messina. Dimorò in Toscana, nelle Romagne, nel Napoletano, in Sicilia, nella Lombardia, nel Veneto, e, se avesse dato ascolto ! Volgarizzamento di Niccolò Liburnio. — 3393 — al suo Petrarca, avrebbe pur vedute le fonti del Timavo con la nostra Trieste e la vicina Capodistria. ! Ambasciatore del comune di Firenze, egli viaggiò in Germania, al marchese di Brandenburgo, difficilmente a Carlo IV, sebbene una tradizione ce lo dipinga, per invito imperiale, professore di matematica all’ università di Praga. ® Nella introduzione al libro de’ fiumi egli annuncia espressa- mente che li descriverà o secondo quanto ne lasciò scritto ,la diligenza degli antichi, o secondo quello ch'egli stesso vide pere- grinando per varie terre“;® e sebbene (com’ egli dice in sulla fine) le cose descritte da lui o per averle vedute o per relazioni d’ altri degni di fede, son poche, * pure elle non sono spregevoli. Spesse volte all’indicazione de’ nomi antichi il Boccaccio aggiunge il nome usato a° suoi tempi, con qualche particolare accenno alle condizioni di allora, quantunque si scusi di non averlo potuto far sempre. ® Del monte Algido presso Roma egli dice, che v'è uwna selva ,oggi comoda ai ladroni«.% Il lago anticamente detto Anius, a tempi del Boccaccio dicevasi »del Sudatorio*.? Il fiume Numicio, celebre per i versi di Vir- gilio e di altri poeti latini, ,venne a nulla“.8 Il famoso Rubicone, ! Petrarca, Senilium III, ep. 1: , Capodistria e Trieste, dove per lettere di fede degnissime, so che regna una dolcissima tempra di clima. 2 Che il Boccaccio fosse professore di matematica in Praga lo afferma Stanislao Wydra, Historia matheseos in Bohemia et Moravia cultae (Praga 1788) pag. 11, citato dal Baldelli (pag. 113) e dal Landau (p. 174). 3 De his potissime dico quae ad notitiam nostram antiquorum deduxit solertia, seu ipsi sumpsimus oculis regiones varias peragrantes (pag. 443). * Pauca quaedam visa aut fidedignis audita ultra quam. scripta com- pererim apposui (pag. 503). 5 Sed erit forte qui dicat, si adeo rudes tibi erant animo, cum hodie fere locorum nomina permutata sint omnia, nec aliquid constet antiquum, cur usus non es ubi opportunitas exegisset nominibus hodiernis? his facile respon- detur. Non enim est qui hanc doctrinam tradiderit, aut memoriale reliquerit, nisi pauca sint. Esto per coniecturas aliqua plura deprehendi possint..... In reliquis potius divinasse necesse erat, quam alicuius posse imitare vestigium, quod quidem ego non didici, et si novissem, libri veterum qui talibus utuntur vocabulis, ad quorum intelligentiam opusculum hoc elaboratum est, omnes erant etiam immutandi, qui labor erat indeficiens, nec est meum, nec etiam honeste alterius esse potest. Poteras, dicet alter, et nova et vetera posuisse. Jam ultro confessus sum me omnia non novisse. 6 Alla voce Algidus mons (pag. 403). 7 Alla voce Anius lacus (pag. 437). ® Alla voce Numicius fluvius (pag. 469). — 384 — detto il Pisciatello, ,ora è appena conosciuto“.* Il fiume Sebeto nella Campania il Boccaccio ,non si rammenta di aver veduto; quando non sia quel rivoletto senza nome, che dalle radici del Vesuvio mette in mare; poichè d’altro fiume ivi non si veggono nè le acque, nè le vestigia“. ® Il promontorio di Monaco di Liguria è principale e insigne ricettacolo de’ pirati genovesi. ® Per la terminologia è particolarmente notevole quello che il Boccaccio scrive del Po * che ha un riscontro nel seguente passo. della descrizione dell’ A pennino: »Monte Veso è un monte nell’ Alpi, là sopra il Monferrato, e parte la Provenza dalla Italia, e di questo Monte Veso nasce il fiume chiamato il Po, il quale in se riceve molti fiumi, i quali caggiono dell’ Alpi dalla parte di ver ponente, e d’ Apennino di ver levante, e mette in mare per più foci, e tra l’ altre per quella di Primaro presso a Ravenna; e questa è quella che è più orientale; e il primo fiume, il quale nasce in Apennino, senza mettere in Po, andando l’uomo da Po in ver levante, è chiamato là dove nasce, Acquacheta; poi divenendo al piano presso a Forlì in Romagna, cambia nome, ed è chiamato Montone, perciocchè impetuosamente corre e passa allato a Forlì, e di quindi discende a Ravenna, e lungo le mura d’ essa corre, e forse due miglia più giù, mette nel mare Adriatico; e così è il primo che tiene proprio cammino, ap- presso a quello che scende di monte Veso: e dice 1’ autore, che egli viene dalla sinistra costa d’ Apennino: intorno alla quale è da sapere, che Apennino è un monte, il quale alcuni vogliono che cominci a questo monte Veso; altri dicono ch’ egli cominci a Monaco, nella riviera di Genova, e viensene costeggiando verso quel monte ch'è chiamato Pietra Apuana, lasciandosi dalla sinistra parte il Monferrato, e Torino e Vercelli, e dal destro tutta Lunigiana, e parte della riviera di Genova; poi quivi piegandosi alquanto, si lascia alla sinistra Piagenza, Parma, Reggio e Modena, e alla destra di ver mezzodì, Luni, Lucca e Pistoia: quindi procedendo alla sinistra, si lascia Bologna, e tutta la Romagna e la Marca, e alla destra Firenze, Arezzo, Perugia, e tutto il Patrimonio infino a Roma: poi procedendo oltre, si lascia alla sinistra Abruzzo, Terra di Bari, Puglia e ! Alla voce Kubico fluvius (pag. 474). ? Alla voce Sepetus flurius (pag. 476). 3 Alla voce Monychus (pag. 418). ' Alla voce Padus fluvius (pag. 471). Il Boccaccio parla delle varie foci del Po; incomincia dalla maggiore: ,Hoc (ostium) prisci dixere Vatrenum, quum ante Eridanum ostium dictum sit, nonnulli Spineticum vocavere a Spina civitate inclyta.... Hoc tamen hodie Primarum vocant incolae, quasi primum et inter alia praecipuum.... ostium quod olim Gaprasiae dictum est. Nostro autem aevo, ut nonnulli existimant, vulgo dicitur Mangiavacca.... tertium.... ostium, quod vocavere veteres et moderni Volanum seu Volane, ante tamen Olane dictum.... ostium.... quartum, cui Philistenae fuisse nomen aliqui arbitrantur, quum hodie vulgo vocetur Codigore idiomate incolarum*. ? Comm. a Dante. Lez, LIX, Vol. II, pag. 448 e 449. — 339 — Terra d’ Otranto; e dalla destra, Campagna, Terra di Lavoro, il principato di Salerno, e parte della Calavria, infino al Fare: dalla sinistra similmente ha parte di Calavria, venendo infino al Fare di Messina, dove è tronco da Peloro, il quale è un monte in Cicilia a fronte al fine suo; ora si chiama il lato destro di questo monte, quello il quale è volto inverso il mar Tireno, e quello che è volto verso il mare Adriano, è chiamato il sinistro; e questo, perciocchè mo- vendosi dal suo principio dimostrato di sopra, e andando per quello verso il levante, sempre porta la destra mano verso il mar Tireno, e la sinistra verso il Mare Adriano“. Le incantevoli spiagge di Baia e di Pozzuoli, testimonî he- nedetti o imprecati degli amori del Boccaccio e delle sue gelosie per l’ amorosa Fiammetta egli descrive così: »Baiano golfo è parte del mar Tireno, picciolo, e dall’ amenità del luogo e per la salubrità de’ fonti medicinali famoso. Appresso quello veramente tutta la Romana lascivia fuori si spargeva, siccome ancora le vestigia rendono testi- monio. ! E nel libro delle Fonti: ® »Baia ovvero fonti di Baia sono di memoria dignissimi. Perciocchè in poco spazio di terra moltissimi e tutti salubri da per sè vengono fuori. Ma Baia è un luogo intra Pozzuolo e il monumento di Miseno presso il mar di Campagna, non occupando Inngo tratto del lito, con tanta benignità del cielo e fertilità di campi e amenità di boschi e mare, celebre e desiderabile che già a sè tutti li Romani principali tirava; e abbandonata Roma di verno e primavera li riteneva ; quel che gli edifici grandi e per vecchiaia consumati rendono testimonianza assai. E, ciò che non poca ignominia induce a quelli, appaiono ancora i serragli d'ostriche e pesci in mezzo del mare, e oltre a questo è nobile di templi. * Però lì puossi d’ Apollo 1’ oracolo vedere non piccolo, con artificio di maestri e non per deità del Nume venerabile. Oltre a questo vedesi l’oracolo della Sibilla al lago Averno imminente, e un tempio antichissimo e un altro tempio oltre agli altri tutti derelitto, lo quale stimano alcuni essere stato di Venere. È di fontane abbon- devolissimo, e tutte secondo le diversità a infermità diverse rimedio salutifero dànno, e quello che è maraviglioso, in qualunque luogo caverai nel lido, facil- mente e quasi circa la superficie della terra onde tiepide troverai, le quali a guisa dell’ altre, le infermità medicheranno. Ma a cui conferìscano, l’ esperimento dimostra l’effetto. Ma tra gli altri è un rivo speciale nel lito da tutti rimoto da’ contadini Tritoli nomato. Questo certamente (essendo i monte scolpito a mano in superbo archivolto e chiaro d’ ampio abitacolo) a guisa del bollente mare Oceano due volte il dì lancia fuori acque fervide e altrettante ringhiottisce le tiepide, e, soccorrendo a varie infermità, tutti gli altri vince di fama inclita“. ! De Montibus ete., alla voce Baianus sinus (pag. 490). La traduzione di questo passo e de’ seguenti è di Niccolò Liburnio. * De Montibus etc., alla voce Baiarum fontes (pag. 431). ? Il Liburnio rende assai bizzarramente il latino templa con meschite. — 336 — Non molto lungi dalle rive voluttuose di Baia, si nasconde il tetro lago d’ Averno. Il Boccaccio così lo descrive: ! sAverno è lago in Campagna nel golfo di Baia, da’ versi de’ poeti cele- bratissimo. Nelli margini di questo le pareti per vecchiaia mezze consumate dimostrano ancora l’opera magnifica dell’ oracolo Sibillino. Oltre a questo sono dintorno fonti assiduamente nascenti e tiepidi, perchè è vicino al mare, il qual commosso da venti si mischia con quello, e per lo solfo bogliente, tutte l’ acque vicine rende impotabili. ®* Pochi pesci produce, e piccioli e neri, e all'uso umano incomodi; ma ne riceve di grandissimi alcune fiate dal furibondo pelago in esso lanciati, e, benchè forsi al primo gustare dell’acqua paia difficile, nondimeno assuefattisi in quello, si vivono, non molestati da pescatori. Dicono gli antichi questo lago d' Averno essere stato da selve in tanto circondato, che a respirare gli era poco spazio lasciato. Egli certo è di piccolo circuito e dintorno da con- tinovi colli serrato, e perciò gli uccelli di sovra volanti da quella esalazione erano incontinente uccisi. Nella parte dentro siffattamente è spesso d’ ombre e unto d’odor di zolfo, che agli entranti meritamente appare Averno, cioè senza dilettazione; e, però perchè quella caligine densa era e fetida, e perchè sovente fatto era sacrificio di sangue umano agl’ Iddii infernali, dagli ignoranti fu creduto di quindi esser la strada agl’ lddii infernali guidante, e sono chi giudicano, nel medesimo luogo, dopo ucciso Elpenore da Ulisse, per forza di sacrifici e malie, anime essere fuori state chiamate, e delle cose future consultato, e così poi da Enea, essendo morto Miseno; e da’ contadini dimostrasi la strada nell’ antro, e la casa della Sibilla, e certe altre cose che fanno fede a questa opinione. Ulti- mamente dicono Cesare Ottaviano aver fatto da ogni parte tagliare ed eradicar le selve, e avere il luogo renduto sano. Mentre vivea Ruberto di Gerusalemme e Sicilia re inclito, nelli margini vidi io tanto gran copia di pesci essere stata da questo lago spinta, che cosa mostruosa pareva: ed essendo tutti morti, dentro negri erano e puzzolenti di zolfo, in tanto che nullo animal gli voleva assaggiare. Il perchè dalli più prudenti abitatori fu creduto le vene di zolfo essere in quei dì rotte nel lago, onde macchiate l’ acque avere uccisi tai pesci. * Assai notevole è la descrizione del torrente Cerretorio: * sCerretorio è quasi torrente tra il contado di Pistoia e Lucca. Quinci ha il castello Izzamo, quindi Pescia: il qual per suo miracolo ‘tra i fiumi solo ha ! Alla voce Avernus Campaniae lacus (pag. 438). ? Sunt praeterea circum scaturientes assidue tepentes fontes, et quia mari contiguus sit eoque aestu ante misceatur illi, et ob sulphureas scaturigines cireum adiacentes impotabiles habet aquas. ® Vidi ego ex hoc lacu Roberto inclyto Hierusalem et Siciliae rege vivente tam grandem piscium copiam eiectam in margines, ut monstro simile videretur. Et quum omnes essent mortui, introrsum nigri erant, et sulphure foetidi adeo ut nullum ex illis gustaret animal. Creditum ex eo est prudentio- ribus incolarum eruptas diebus illis in lacum sulphureas venas tanti vigoris, ut infectis aquis pisces occiderint. ‘ Cerretorium torrens est fere inter Pistoriensem agrum atque Lucensem, hine babens Izamum oppidum, inde Pisciam, qui miraculo suo solus torrens — 337 — meritato essere commemorato. Questo (come dicono i contadini) di picciola pie- gatura del monte cadendo, per pioggia non si gonfia secondo fanno gli altri. Anzi (sì come li medesimi affermano) di 10 anni in 10 anni, o poco più, non constituito il tempo, ma per sorte, e mentre da loro non aspettasi tal cosa, dal profondo ventre della terra, e quasi in un momento, lancia fuori tanta copia di pietre, con gran rumore tra sè spezzandosi, che quelli i quali veggono riman- gono stupefatti, e in tal modo a guisa d’acqua corrente, leggermente le spigne in declivio, che tu possa vedere li sassi moventisi, ma vedere la cagion del movimento non sì possa, e questo tre e quattro volte il dì, per mezz’ ora per- severando, suol fare, e non per un solo dì, anzi qualche fiata per due e tre continovi, e col sereno cielo correndo, in maraviglia di sè tira non solamente i forestieri, ma eziandio essi abitatori, e ultimamente cessando, aspetta, secondo la solita usanza, che passino li dieci anni“. Del lago di Agnano leggesi quanto segue: ! sAnio è lago vicino a Pozzuolo, il quale stimo io (scrive i Boccaccio) oggi essere appellato lago del Sudatorio, dal bagno che è nel margine di quello; conciossiachè un altro lago, oltre a questo, in quelle parti non sia nominato. In questo altro animale non s'ode se non rane, e ancora con nullo artificio (come dicono i contadini) il fondo si può trovare; e conciosiachè in forma di teatro sia da alti monti circondato, e non abbia alcuna uscita, il circuito non è più d’otto mille passi. Un monte tra gli altri verso Austro è a questo sovrastante, pieno di silici, dal quale nel mese di giugno tanti globi di serpenti insieme in- viluppati e tutti nel lago giù si precipitano, ch'è a vedere cosa mirabile, e non è chi mai abbia veduto alcuno di quegli uscire, nè notando altrimenti andare“. ° meruit inter flumina memorari. Hic, ut aiunt incolae, parvo montis declivo cadens, non imbre turget ut reliqui, quin imo ut iidem asserunt, de decennio in decennium, seu paulo amplius, non determinato tempore, sed fortuitu, et dum minus ab ipsis expectatur, ex imo telluris ventre repente et fere in momento tam grandem lapidum evomit copiam, cum ingenti strepitu sese illidentium saxorum, ut qui viderint obstupescant, eoque in modum labentis aquae impellit etiam leniter in declivum, ut sese lapides moventes videas, motus vero causam videre non possis. Et hoc ter vel quater in die, per dimidiam horam perseverans agit, nec unica die tantum, quin imo duobus vel tribus aliquando continuis, et sereno coelo decurrens in admirationem sui, non solum externos, sed etiam trahit indigenas, et demum subsistens, expectat, donec decennium more solito elabatur (pag. 452). ! Anius lacus Puteolis vicinus est, quem ego arbitror hodie sudatorii lacum vocari a balneo, quod in eius est. margine, quum lacus alter praeter hune in partibus illis innominatus sit. Si is est, nullum alit animal praeter ranas Et insuper nullo artificio reperiri fundus, ut aiunt incolae, potest, quum altorum montium in theatri formam circumdatus sit, et cum nullos habeat exitus, non amplius octo millia passuum ambitus est. ° Eminet inter alios huic ad austrum mons silicibus plenus, ex. quo iunio veniente mense tot serpentum invicem glomeratorum globi se praecipitant, ut mirabile visu sit, omnesque in subditum se demergunt lacum, nec est qui unquam exeuntem viderit aliquem, aut innatantem vel aliter prodeuntem. — 398 — Udite la descrizione del Vesuvio a’ tempi del Boccaccio: s Vesevo è monte di Campagna, a niun monte congiunto, da ogni banda di vigne e frutti copioso. Quinci da ostro scirocco ebbe li Pompei nelle radici, e quasi da scirocco Sarno, ma più rimotamente Benivento. E dal greco Capua, e dalla parte di mastro ha Napoli de’ Calcidensi detta Partenope nella fossa (in tumulo) della Sirena. Sedente Nerone Cesare imperadore, dal mezzo di questo, non senza grandissima paura de’ contadini, circa la cima tanto fumo uscìo fuori che tutta la regione da quello fu coperta. Nè incontanente disparve; anzi per molti dì intanto condenso si stette, che oscurati li raggi del sole, del tutto facesse la notte di più giorni continova. Ultimamente, avendo empiute le cose tutte din- torno vicine di ceneri, ed esso mare, il qual nel cospetto è appo le radici da ponente, cessando, permesse che si potesse vedere una gran fiamma dal cacume del monte ardente: la qual molti secoli dopo durò gittando fuori pietre ab- bruciate. Oggidì nè fumo nè fuoco escevi. Nella montagna è nondimeno un’ aper- tura grande, del preterito incendio chiaro testimonio. ! Nelle radici di questa fu già una battaglia famosa tra i Romani e i Latini, per la qual Publio Decio, un consolo, per ottener la vittoria dedicossi agl’Iddii profondi, e. quivi morì. Li contadini odierni frequentemente per tutto nominano questo monte la Somma“. E come passar sotto silenzio la fonte di Valchiusa fatta più celebre e più cara dal soggiorno del divino Petrarca? »Sorga (scrive il Boccaccio) * è fontana, dal surgere detta, nella provincia di Narbona, nel luogo che nomato è valle chiusa. Ed è fonte nobilissimo, pe- rocchè da un antro remotissimo del sassoso monte tanta abbondanza d'acque vien fuori, che può pensare aprirsi li fonti d’ abisso; nondimeno spargentesi più quietamente in certo tempo dell’anno e conciossiachè l’acqua sia chiarissima, e subito fatta al gusto piacevole, il fiume d’ottimi pesci è ferace, nel suo fondo un’erba producendo alli buoi tanto saporita, che pascolandosi assiduamente per prender quella con le teste sommerse stansi, quasi infino al periglio di affogarsi. Poscia per asprissimi sassi spargendosi con picciol corso, nel Rodano si sommerge. Celebre in vero è per lode degli antichi, e per la copia delle acque, e per la fertilità de' pesci, per erbe, ma da poi fatto molto più illustre col verso e abi- tazione del nuovo albergatore. Conciossiachè tal luogo paruto fusse a ogni modo dalla frequenza d’ uomini rimoto, Francesco Petrarca in nostra età uomo inclito ‘ Hodie nec fumus nec ignis emittitur. Stat tamen in montis vertice hiatus ingens praeteriti testis incendii (pag. 426). ? Sorgia (pag. 435) a surgendo dictus in Narbonensi provincia, loco qui vulgo dicitur vallis clausa, fons nobilissimus est, nam ex specu quadam abditissima saxei montis tanta aquarum erumpit abundantia, ut abyssi putes aperiri fontes. Mitius tamen anni tempestate quadam exundans et quum clarissima aqua sit, et amoena gustui illico facta fluvius optimorum piscium ferax est, producens in fundo suo herbam adeo bobus sapidam, ut demersis ad illam carpendam sub undis capitibus assidue pascentes fere ad suffocationem usque detineant, inde inter asperrimas cautes effluens parvo contenta cursu in Rhodanum mergitur. Celebris quidem et antiquorum praeconio, et aquarum co- pia, et piscium atque herbarum fertilitate est. — 339 — e poeta chiarissimo, conterraneo e maestro mio, posposta la nuova Babilonia presso questo monte venne, e fattosi un piccol tugurio e acquistatosi un pode- retto, e contento del servigio del suo agricoltore sbandite da sè le lascivie tutte, nel medesimo luogo con onestà e santità mirabile il fiore quasi tutto di sua giovi- nezza consumò; e quantunque dall’ amenità della solitudine molto intertenuto fusse, non però con vituperevole e vano ozio perdette il tempo, anzi alle sacre lettere continuamente studiando, tra’ scogli de’ monti e ombre de’ boschi con testimonio della sonante fontana, l’ Affrica in verso eroico libro egregio delli fatti del primo Scipione affricano cantando con arte meravigliosa compose, e così la Bucolica verso riguardevole, così molte pistole in verso, così contra i Medici invettive, e agli amici molte lodevoli pistole, e oltre a questo di vita solitaria a Filippo Vescovo di Cavaglione un libro con tanto isquisito e sublime stile che più presto da divino che umano ingegno pare essere uscito. Per la qual cosa dopo quasi cessato lo antico miracolo dell’acque e superato il fervor dell’estate, dopo la sua partita gli abitatori visitano quell’ albergo a guisa di certa cosa sacra e di divinità piena, a quei che non sanno e a’ forastieri dimostrandolo in luogo di miracolo*. ! E il vaticinio s’avverò! Nel passo sopraccitato il Boccaccio dinotò Avignone col nome di nuova Babilonia, nome ch’ egli ripete toccando del Rodano.* Le allusioni alle condizioni politiche dei suoi tempi non sono rare nelle opere del Boccaccio, sono però talvolta appassionate ed ingiuste. Come ingiusta noto la seguente: s Viniziano mare; questo è che detto abbiamo Adriatico, non certo dai Paflagoni Veneti i quali dall’ eccidio d’Ilione Antenore seguitarono, ma da pe- scatori Padovani i quali avendo poco avanti occupati alcuni golfi d’ Altino e isole mezzo coperte d’acqua e dalle contrade d’intorno vicine raunatisi con isquadre d’uomini uguali al comodo della pescagione da per sè vegnenti, edificarono a sè le stanze. E perchè era il nome di molte città, però di gran provincia, quelle Vinegia nominarono, alla qual la fortuna e l’astuzia favoreggiò tanto che in- superbiti ardiscono in nostra età usurparsi l’ imperio del mare, se possono, e con ! quamobrem quasi absoleto veteri aquarum miraculo, post eius discessura, aestatis fervore superato, tanquam sacrarium quoddam, et quodam numine plenum eius hospitium visitante incolae, ostendentes loco miraculi ignaris et peregrinis, nec dubium quin adhuc fili nepotes, et qui nascentur ab illis, ampliori cum honore tanti vatis admiratione * vestigia venerentur. ? Insignis quidem (cioè il fiume Rodano) non solum magnificis eventibus, quos se penes jamdudum vidisse potuit, sed Avinione sibi superimposita civitate Babylonenova, apud quam et summum pontificem, sacrumque fratrum eius colle- gium humana atque divina tractantes, et cernere et exorcismos audire potest, potuitque jamdiu. — Alla voce Rhodanus fluvius (pag. 474). * L’® edizione basileese ha qui un manifesto assurdo recando: administratione. — 940 — nuovo nome s'afforzano cancellare lo vecchio, da sè Viniziano appellanti, quello che per molti secoli addietro da’ Toscani Adriatico è detto“. ‘ Nel Commento alla Divina Commedia il Boccaccio scrive che x l isola di Creta è ,tirannescamente tenuta“ da’ Veneziani. ® Da questo passo e dal sopraccitato apparisce chiaramente cosa egli DI intenda col dire che il mare Egeo è ,a turpe servitù mancipio“. Questi passi alludono a’ tempi del Boccaccio; non poche volte si ricordano da lui avvenimenti del medio evo. Dal Monte Re il longobardo Alboino vide la prima volta 1’ Italia;* al fiume Calore fu rotto Manfredi da Carlo 1 Così la versione del Liburnio, l'originale latino del Boccaccio suona così: sVenetam mare, id est quod Adriaticum diximus, non quidem a Paphla- gonibus Venetis, qui ab excidio Ilii Antenorem secuti sunt, quin imo a piscato- ribus Patavis, qui nuper occupatis Altini sinus aliquibus semitectis insulis aqua, congregatisque ex circumadiacentibus vicis coaequalium hominum turmis, ad commodum piscationis ultro venientibus, sedes statuere sibi, illasque quod multarum erat urbium nomen, ideo ingentis provinciae vocavere Venetias. Quibus adeo fortuna et astutia favit, ut elati audeant nostro aevo, et maris imperium usurpare, sì possint, et novo nomine vetus delere conantur, a se Venetum appellantes, quod per longa retro secula a Tuscis Adriaticum dictum*. ? Comm a Dante. Lezione LIV, Vol. II, pag. 381. — Un dotto alemanno, profondo conoscitore della veneta storia, ragiona del reggimento de’ Veneziani in Creta nel secolo XIV, nel modo seguente: , Wir sehen auf der Insel Aufstand nach Aufstand folgen, namentlich die griechische Bevolkerung in fortwahrender offener oder geheimer Verschwérung, oft nicht ohne Mitschuld der Colonen selbst oder der venetianischen Verwaltung, so wohlwollend man grundsatzlich in der Mutterstadt gegen die Untergebenen gesinnt war — es ist kein leerer Schall, wenn es anderswo einmal heisst, man wolle und trachte: ut subditi et fideles nostri ... sentiant et videant dulcedinem et benignitatem nostram et ad ipsorum statum pacificum et tranquillum nos plurimum vigilare, non volendo aut permittendo, quod aliquis subditus noster oblique vel indirecte tractetur et contra debitum rationis —, so scharf und streng man die auswàrtigen Verwaltungsglieder iber- wachte. Gerade auf Creta sah sich spater der Rath von Venedig zu Massregeln gedrangt, deren berechnete Absicht bei der Ausfilhrung, wie dieses so oft zu geschehen pflegt, in schonungslose Grausamkeit ilberging.“ Commission des Dogen Andreas Dandolo fiir die Insel Creta vom Jahre 1350, eingeleitet und herausgegeben von Dr. Georg Martin Thomas (Monaco 1877), pag. 7-8. 3 Alla voce Aegeum mare (pag. 491): ,insularum aeque et regnorum atque virorum illustrium et mirandarum rerum plenum fuit. Hodie vero torpet turpi servitio obnoxium“. 4 Il Boccaccio scrive: ,Regis Mons inter Italiam et Pannoniam..., In hoc Bisontes, feras dicunt nasci ingentis magnitudinis beluas®. Quale sia tra” varî monti re quello varcato da Alboino nella sua discesa in Italia, molto si disputò. Pietro Kandler volle dimostrare che quel monte regio è il Nanos ancora oggi detto Monte Re. ,Il monte che salì Alboino (così il — 341 — d’ Angiò; ® in riva al fiume Verde giacquero più tempo inse- polte le ossa dell’ infelice Manfredi; ® in Astura fu fatto prigione Corradino. * Questo risguarda la storia profana. Il Boccaccio non trascura la storia ecclesiastica e la pia leggenda: Monte Cassino è più celebre per il convento di San Benedetto che per l'antico tempio di Apollo; 4 il monte Salanga in Inghilterra è oggi detto di San Domenico per un convento che vi fu edificato; ° al monte Gargano per molto tempo si mostrarono le armi di Diomede, e sì spacciava la favola che i cani venivano incontro carezzevoli ai Greci. »Ma assai più vero e più venerabile (pensa il Boccaccio) è il fatto che nell’ anno dell’incarnazione di Gesù quattrocento e ottantesimo primo, essendo imperatore Zenone, per divina grazia si rivelò agli abitanti la grotta dell’Ar- cangelo Michele e fino ad oggi si mantiene celebre ed è visitata con somma devozione da’ Cristiani“. ° Sul monte Sinai v’ ha il sepolcro di Santa Caterina martire; ? presso alla selva di Aricia morì miseramente Simon Mago. * Kandler nel giornale l’ Istria, annata VI. pag. 94 e 95) era in confine della Pannonia, Warnefried ripetutamente lo dice; il monte offeriva allo sguardo l’Italia, cioè la parte piana del Veneto, questa vista non offre il Predil, che ha dinanzi non fosse altro l’ alto filone del Matajur; l’' offre il Nanos che ha ai piedi pianura, che per la valle aperta del Vipacco ha vista estesa di campi, di città ed a grande distanza fino a Venezia ed al di là. Il Nanos conserva il nome di Monte Re, quello stesso nome che Paolo Warnefried dice essersi dato al monte su cui salì Alboino“. ! Alla voce Calor fluvius (pag. 451). ? Alla voce Virdis fluvius (pag. 482): ,Virdis fluvius a Picenatibus dividens Aprutinos, et in Truentum cadens, memorabilis eo quod eius ripam, quae ad Picenates versa est, jussu Clementis pontificis summi, ossa. olim Manfredi regis Siciliae, quae secus Calorem Beneventi fluvium sepulta erant absque ullo funebri officio deiecta fuerunt a Consentino consule, eo quod fidelium commu- nione privatus occubuerit“. 3 Alla voce Satura palus (pag. 487) ,quam aliis transmutatis primis duabus literis Asturam vocant“. 4 Alla voce Cassinus mons (pag. 409). 5 Alla voce Salanga mons (pag. 422). 6 Alla voce Garganus Apuliae mons (pag. 414). 7 Alla voce Sinay mons (pag. 423 e 424): ,et ne cuncta vetusta ‘reci- tem, novissime Catharinae virginis et ob Christi nomen passae corpus post supplicium, exanime a divinis ministris in summitatem delatum atque pie tumu- latum est“. 8 Alla voce Aricinum mnemus (pag. 427): ,Apud hoc etiam nemus et Simon Magus Petri et Pauli adversarius claudus iam post casum factus misere expiravit“. — 342 — Questi fatti appartengono alla storia o alla leggenda, altri risguardano più da vicino ciò che oggi direbbesi geografia fisica. — Non sarà inutile di notare quale fosse la teoria del Boccaccio sull’ origine de’ monti, de’ fiumi e de’ mari. sTra' monti (osserva il Boccaccio) * ve ne sono di rocciosi e di terrei; quelli che più s’ innalzano sono tutti rocciosi, i più bassi che incontriamo spessissimo, sono quasi sempre terrei“. sLago è d'acque una gran raunanza e dall’ occulte vene della terra ve- gnente ed in un luogo consistente: il perchè dicono alcuni lago quasi luogo d'acque. La natura delle cose dispose questi in ogni luogo per lo circuito delle terre veramente a grandissimo comodo de’ mortali, e ogni cosa che alcuni dissero, questi molto alieni dalli fonti mostrarono; ma li fonti s’ accrescono e minuiscono agevolmente per piogge e altre sopravvegnenti e cessanti acque, dove i laghi ve- diamo senza crescimento assorbire i fiumi grandi, o riceverli come forestieri e subitamente mandarli fuori. Li fonti hanno uscita in rivi ovvero in fiumi, i laghi, non dirò tutti ma per la maggior parte, non hanno uscita: ancorchè non sappiamo in che luogo ascondan le piogge e altri torrenti. E i laghi grandi navigli portano, e nelli fonti piccole barche non nuotano. Oltre a questo li fonti, pesci non pur piccioli nudriscono, dove da’ laghi quasi tutti abbiamo grandissimi e saporiti pesci. Sono alcuni che dicono, ciò che è guari disconvenevole, laghi essere il medesimo con gli stagni, conciossiachè i Francesi senza differenza alcuna così per tutto li chiamino, ? di vero inconveniente cosa, conciossiachè intervenga l’acque stagnanti mancare e alle volte lasciare arida la terra, e alcuna volta sve- nute l’acque per lo calore estivo il soprarrestante mar ire in picciola acqua e di tristo puzzo ammorbare i vicini luoghi, quel che a’ laghi non fu quasi mai ve- duto intervenire“, * In questa descrizione il Boccaccio non sa che pensare dei laghi che non hanno uscita in fiumi o in torrenti; il che mi pare tanto più strano, poichè egli ragiona spesso de’ ,, sotterranei meati“, e perchè dagli antichi il Boccaccio avrebbe potuto apprendere a dare troppa importanza alla evaporazione delle acque piuttosto che troppo poca. La differenza tra i laghi e i paduli è ripetuta da lui nel Commento a Dante con le seguenti parole: sÈ il lago una ragunanza d'acqua, la quale in luoghi concavi tra monta- gne si fa, per lo non avere uscita; ed è in tanto differente dal padule, in quanto il lago ha grandissimo fondo ed hallo buono, ed è in continuo movimento; per le quai cose, l’acqua senza corrompersi vi si conserva buona; dove la palude ha poco fondo e cattivo, ed è oziosa: pone adunque qui l’autore il vocabolo del ! De Montibus ete. pag. 402: ,Qui in sublime magis efferuntur, saxei omnes, qui vero humiliores persaepe comperiuntur fere semper terrei...“ ? Sunt et qui dicant, quod longe inconvenientius est, lacus idem esse cum stagnis, cum vulgo Galli [nulla] facta distinctione sic vocitent. ® De Montibus etc. pag. 436-437. — 343 — lago, per lo vocabolo della palude, usando la licenza poetica, e largamente parlando“. ! Il capitolo de’ Fiumi incomincia così: »Per fingimento poetico abbiamo li fiumi essere stati dall’ Oceano e dalla Terra procreati; veramente non è da credere gli uomini dotti essere stati da tanta caligine offuscati che a guisa d’animali stimassono questa tale procrea- zione, anzi sotto un tanto sottil velame dall’ amplissimo fonte Oceano sentirono, per certi modi operanti, ? l'umore tutto essere in terra condotto, nelle cui viscere, posciachè digesta è l’ amarezza e tutto il transito cominciato o pervenuto insino al fine in que’ luoghi, a’ quali la possanza maggiore o tirò o spinse, fu di me- stieri che fonti e laghi nascano, dalla ubertà de’ quali (come già innanzi è detto) li fiumi dirivano. E perchè de’ fonti e laghi secondo la qualità della inco- minciata fatica n’ abbiamo ragionato assai, e se la opportunità richiederà ripi- glierassi, e de’ fiumi da capo convenevolmente si può dire, i cominciamenti, i corsi e li fini loro con brevità esplicando. Io dirò spezialissimamente di quelli che per la diligenza degli antichi sono a nostra notizia pervenuti, ovvero noi vagando regioni varie con gli occhi prese abbiamo. Fiume adunque Fluvio, rivo e torrente sono qualche diversità in sè tenenti; concesso che alcuna volta gli scrittori secondo la richiesta dello stile pongano non propriamente un per un altro. Fiume certo è ogni acqua che da essa uscita (acciò così io dica) dal ventre * insino al fine è contenuta, cioè infin dove per mescolanza d’altro fiume perde il proprio nome; fluvio è quello per lo quale il fiume con perpetuo corso è condotto; ma rivo è un’ acqua piccola la qual da fonte o lago soperchiante pro- cede, ovvero la qual per cagione di tor dell’acqua o per altra dilettazione dal fluvio s'allarga e piegasi in qualche parte. Torrente è quello il quale per le soprav- vegnenti piogge subito diviene gonfio ed impetuoso, portandosi strabocchevol- mente nelle valli e dopo le cessate piogge si secca. Ma nella presente opera nulla abbiamo a fare con rivi e torrenti, i corsi de’ quali o piogangi agevol- mente o nella state si perdono“. Era antico errore che i fiumi derivassero le loro acque dall’ Oceano per sotterranei canali, 4 e il Boccaccio lo fece suo nel b) " Comm. a Dante. Lez. XXXIV, Vol. II, pag. 149. ? quibusdam agentibus mediis. i ® Flumen quippe omnis aqua est, quae ab ipso exitu, ut ita loquar, ex utero usque in finem, eo scilicet quo commixtione alterius nomen extinguitur, continet. 4 Vedi intorno a questa teoria la notevole dissertazione pubblicata, or è un anno in Graz, dal professore Guglielmo Schmidt, Ueber Dante's Stellung in der Geschichte der Kosmographie. Erster Theil. Die Schrift DE AQUA ET TERRA. ,Die Vorstellung von unterirdischen Wasserlàufen war dem Mittelalter in ausschweifendem Masse von den Griechen iiberliefert worden (die Quelle Arethusa) und wurde gefestigt durch das Bediirfniss, Fliissen, deren Quellen in verschiedenen Welttheilen weitab liegen, ihren ge- meinsamen Ursprung im Paradiese, der Schrift und ihrer damaligen Auslegung gemiss, zu sichern. Es war eine geliufige Schulmeinung. Selbst Albertus Magnus, 13 — 344 — passo surriferito; lasciando però qualche dubbio che con quelle parole quibusdam agentibus medis e non volesse indicare quella derivazione poter avvenire anche altrimenti che per sotterranei. Ma nel Commento a Dante e’ formula la teoria senza reticenze : »Conciossiachè (scrive egli) tutte 1° acque procedano da quello unico fonte mare Oceano, e di quindi venire per le parti intrinseche della terra, infino al luogo dove esse fuori della terra si versano. ! E poi curioso udire dal Boccaccio come le acque salse del mare perdano nel sotterraneo cammino la loro salsedine. pAlcuni stimarono (scriv' egli) ? che per virtù del calore del sole le acque marine sien tratte nelle viscere della terra e da quelle se ne escano raddolcite dal freddo della terra”. E sì che a’ tempi del Boccaccio già si conosceva il processo di distillazione, e che le piogge non erano allora più avare delle loro acque che non sono oggigiorno, e che più d’una volta 1’ Elsa correva dalle piogge rigonfia (come dice il Boccaccio) * a’ piedi della sua Certaldo. Ho riportato prima la differenza che secondo il Boccaccio corre tra il lago e il padule, ecco invece quella che per lui è dal padule allo stagno. n--.ma prima che alle cose più oltre andiamo penso dover mostrar, stagno e palude non esser una cosa medesima. Palude adunque è una certa larga rau- der den meteorischen Weg des Wassers vom Meere zu den Quellen empor wohl kennt, wagt es doch nicht, jene andere Annahme auszuschliessen, sondern erklàrt sich zu ihr genéthigt durch die Wahrnehmung, dass manche Flisse in ihrer Wassermenge den Regen gegeniiber so stetig sind. Er lebte freilich am gletschergespeisten Rhein, der im Hochsommer, damals die regenarme unter den Jahreszeiten genannt, mit den ausgiebigsten Fluthen kommt, ohne dass zu Kòln die Schneeberge so wie im Polande sichtbar wdren. Durch die Beobachtung von Quellen, welche, weit innen im Lande, mit der Meeresfluth steigen und abnehmen, fand er die Ansicht bestatigt. Sicher, dass die reichlichen dauernden Quellen, aus Felsen hervorbrechende Flisse im diirren Kalkgebirge, oder Vorkommnisse wie periodische Quellen, oder die Meereseinstromungen bei den heutigen Meer- miihlen zu Kephallenia, aus verschiedenen Orten und Zeiten inberliefert, in An- nahmen bestirkten, welche erfordert schienen, um sich den Anblick der Stròme zu erklàren“ (pag. 6 e 7). 1 Comm. a Dante. Lez. XXVIII, Vol. II, pag. 76. ? De Gen. Deor. Lib. III, cap. 5, pag. 60: ,agente calore solis aquas maris trahi in viscera terrae, et ex eis a frigore terrae dulcoratas effluere“. Cfr. De Fluminibus (pag. 445): somnem humorem in terram deduci, cuius in visceribus postquam amaritudo digesta sit omnis ...“. 3 Alla voce Elsa fluvius (pag. 456): ,imbribus.... ut. caeteri. (sc. fluvii) turbatur et augetur“. — 345 — nanza d’acque le più volte mancante di fondo, e di qua di là moventesi secondo il voler di colui che fece il tutto; la palude per qualunque cagione si diminuisce, accrescesi, e le più volte vediamo in luoghi infra terra e bassi per soverchia abbondanza di fiumi farsi le paludi; ma gli stagni sono acque pigre le quali dallo stare pigliarono il nome, li quali in nessun luogo più che appo i liti del mare vediamo esser empiuti ! per lo bollor del contrastante mare e all’ in- contro combattente, acciò 7 fiume con tutte le forze non possa liberamente entrare; il perchè le vegnenti acque subitamente superando le ripe, ed in luoghi più bassi se sieno con l acque amare mescolate, hanno di mestiero che senza ritornare contendano e oziose si fermino, e conciossia cosa che l’acque delle paludi sieno semplici, degli stagni sono sempre mischiate. Le paludi nudriscono i pesci i quali lo fiume padre seco porta, gli stagni nu- driscono i marini pesci con l’ onda gettati. Spessissime volte gli stagni si fanno putridi e rade volte le paludi, ancorchè amendue esalino aere e nebbie pestifere e gli stagni sempre mortifere, in tanto che è assai manifesto qualche fiata presso alcune paludi essere almeno aria tollerabile, laddove non mai appresso gli stagni; e però appo le bocche delle fiumane vediamo sempre gli abitanti di brutto e pallido colore e di malattia macchiati“. ° = Non sono senza importanza alcuni fenomeni fisici citati dal Boccaccio. Secondo lui la fonte di Cafarnao è in comunicazione sotterranea col Nilo, il fiume Gebete d’Ircania corre in parte sotto terra. Presso a Baia v’ ha un rivoletto, in Gallia uno stagno che hanno flusso e riflusso come il mare. Il libro de’ Mari c’ insegna quali fossero le idee cosmografiche del Boccaccio. Cominciando ad Oriente, il Gange è secondo lui il pri- mo fiume che venga illuminato dal sole, ad occidente il promontorio Metagono è il confine del mare e del mondo.* L° Oceano, ,tanto grande che non è comprensibile fuorchè dal creatore, circonda tutto“ 4 Del Caspio il Boccaccio non osa decidere se abbiano ragione i moderni che lo dicono un lago o gli antichi che lo congiungevano con l’ Oceano. ° ! quae nusquam alibi quam secus maris litora videmus impleri, aestu maris obstante, et in contrarium nitente, ne fluvius in se totis viribus effluens ingredi possit libere, ex quo advenientes aquae continuo ut ripas excedant .. necesse est, et otiosae consistant“. — Il Liburnio omise la parola fiume; senza la quale il periodo non ha senso. ? De stagnis et paludibus (pag. 485 e 486). 3 Alla voce Africum mare (pag. 488). Ivi dice del promontorio Metagono: ,quod mundi et maris est finis“. Cfr. il commentario dello Tzschucke, al cap. 7 del libro I del de Situ orbis di Pomponio Mela. (Vol. III, parte I, pag. 160-162). ‘ Alla voce Oceanus (pag. 498). 5 Alla voce Caspium mare (pag. 490). — 546 — Nel Commento a Dante * il Boccaccio dà un quadro della cosmografia degli antichi che riflette abbastanza esattamente le teorie cosmografiche proprie di lui. sPiacque agli antichi, che tutto il mondo abitabile in questo nostro emi- sperio superiore fosse in tre parti diviso, le quali nominano Asia, Europa e Affrica, e queste terminarono in questa guisa: e primieramente Asia dissono essere terminata dalla parte superiore del mare Oceano, cominciando appunto sotto il settentrione, e procedendo verso il greco, e di quindi verso il levante, e dal levante verso lo scilocco, infino all'Oceano etiopico posto sotto il mezzodì; e poi dissero, quella essere separata dall’ Europa dal fiume chiamato Tanai, il quale si muove sotto tramontana, e venendone verso il mezzodì, mette nel mar Maggiore; il quale similmente queste due parti dividendo con l’ onde sue, e continovandosi per lo stretto di Costantinopoli, e quindi per lo mare chiamato. Propontide, e per lo stretto d’Aveo, esce nel mare Egeo, il quale noi chiamiamo Arcipelago, e perviene infino all'isola di Creti, la quale è in sullo stremo del detto mare. Di verso mezzodì la dividono dall’ Affrica col corso del fiume chiamato Nilo, il quale per l'Etiopia correndo, e venendo verso tramontana, lasciata l'isola di Meroe, e venendosene in Egitto, e quello col più occidental suo ramo inchiudendo in Asia, mette nel mare Asiatico, il quale perviene dalla parte del levante infino all'isola di Creti. Poi confinano Affrica dal detto corso del Nilo per terra, e dal mare Oceano etiopico, infino al mare Oceano atalantico, il quale è in occidente; e di verso tramontana dicono quella essere terminata dal mare Mediterraneo, il quale perviene in quello che ad Affrica appartiene infino all’isola di Creti, e quella bagna dalla parte del mezzodì, e in parte dalla parte diver ponente. Europa confinano dalla parte di ver levante dallo estremo del mare Egeo, e dallo stretto d’ Aveo, e dal mar chiamato Proponto, e dallo stretto di Costantinopoli, e dal mar Maggiore, e dal corso del fiume Tanai: dalla parte di tramontana dall’ oceano settentrionale, il quale dichinando verso l’occi- dente, bagna Norvea, l’ Inghilterra, e le parti occidentali di Spagna, insino là dove comincia il mare Mediterraneo: appresso di verso mezzodì dicono lei esser terminata dal mare Mediterraneo, il quale è continuo col mare, il quale dicemmo affricano: e così come quello che verso Affrica si distende, chiamano Affricano, così questo, Europico, il quale si stende infino all’ isola di Creti, dove dicemmo terminarsi il mare Egeo, e così l’isola di Creti appare essere in su "1 confine di queste tre parti del mondo: e dovendo di cosa spettante a ciascuna nazione come predetto è, fingere alcuna cosa, senza alcun dubbio in alcuna altra parte non si potea meglio attribuire la stanza alla essenza materiale della fizione, che in sui confini di tutte e tre le parti del mondo, sopra i quali è posta l’isola di Creti, come dimostrato è“. Il Boccaccio fu spesso accusato di ripetere di molte fole ; ed io temo di averne ripetute qui più che non conveniva; se non che sarebbe gran torto non avvertire che la massima parte delle favole deriva dagli antichi da lui copiati, e che il Boc- ' Comm. a Dante. Lez. LV, Vol. II, pag. 390-392. — 347 — caccio ripete bensì mille favole, ma per questo e’ non le crede.! Quando scrive che agli antichi non osa contraddire e crede più a loro che agli occhî proprî, e’ non va creduto sulla parola. Quando questi antichi narrano un che d’ inverosimile il Boccaccio li trascrive fedelmente, però vi aggiunge, ,ma ciò non cred’ io“, ,ciò mi sembra impossibile“, * questa è a mio giudizio una favola“, * oppure osserva arditamente ,cotesto io lo stimo ridicolo!“ ® Gran fonte di errori per il Boccaccio furono i cattivi mano- scritti che sformano talora le parole in guisa da mon più riconoscerle. Il che è tanto più pericoloso trattandosi di nomi geografici, dei quali a scoprire la vera forma nulla giova avere indovinato il senso del periodo. Egli sapeva di correr gran rischio fidandosi a’ copisti e contro di loro innalza solenne protesta: * ! Il Landau, G. Boccaccio, sein Leben und seine Werke (202-203). sIndem er ganz den Alten folgt, wiederholt er auch ihre Fabeln und unrichtigen Angaben, die er zwar manchmal mit kritischen Zweifeln begleitet, haufig aber auch gliubig nachschreibt. So erzihlt er uns z. B. von sonderbaren Serenaden auf dem Atlas; von einer Quelle in Dodona (Fons-Jovis), die ausgelòschte Fackeln anzindet, von einem Steine im Màander, der rasend macht. Besonders viele Wunder weiss er uns von den Kiisten des &thiopischen Meeres zu erzàhlen. Indessen sind solche Fabeln in dem Buche ziemlich diinn gestiet, und wenn wir sie mit der Masse von Ungeheuerlichkeiten vergleichen, mit denen uns Fazio Uberti in seinem Dittamondo traktirt, so sehen wir, dass auch hier unser Autor seine Zeitgenossen an gesunder Kritik ibertraf. Man kann daher iber dieses Werk dasselbe Urtheil, wie iber die Genealogia Deorunm fallen. Obwohl seit mehr als dreihundert Jahren nicht mehr brauchbar, hat es doch zu seiner Zeit und noch zwei Jahrhunderte spAter viel geniitzt, und ist besser als man bei den geringen Kenntnissen, die das vierzehnte Jahrhundert in der Geographie besass, erwarten konnte®. 2 Alla voce Marsya fluvius (pag. 465). 3 Alla voco Adonius mons (pag. 445). ‘ Alla voce Ganarus mons (pag. 408). 5 Alla voce Ister fluvius (pag. 463): ,Sunt.... qui credant ex Danubio ramum progredi, qui vocatur Ister, et ab eo Istria denominetur, et per eum Jasonem in Adriaticum penetrasse, navigio a Colchis venientem, quod ego ridi- culum puto“. — E alla voce Padus fluvius (pag. 472): ,Volunt quidam (accenna a Pomponio Mela II, 4) hunc (cioè « Po) tam impetuoso cursu ex uno ostiorum effluere, ut impetum servet, donec ad Istrum ab opposito Istriae littore aeque impetuose ruentem devenerit, eique misceatur in mari, et sic per Adria- tici sinus ubique dulcis aquae haustum nautis praebeat, quod ego ridiculum puto, quum nec Ister accedat, nec procedat purus tam diu Padus“. ° Nell’ Epilogo dell’opera de Montibus ete. (pag. 508). — 348 — sUsanza fu già uomini molto intelligenti e solamente d’ isquisito ingegno, essere al celebre uficio (del trascrivere) assunti, come gli antichi volumi (se alcuni ce ne sono) rendono testimonio; poscia, acciò ogni cosa fusse in terra corrotta, è a qualunque vuole concesso. Il perchè siamo là pervenuti, che coloro i quali sapranno con la penna didurre attamente la forma dello scriver le lettere e caratteri e con- venevolmente insieme congiungerli, con audacia presuntuosa null’ altra cosa inten- dendo, ardiscono far professione d'essere scrittori e, offerto loro il prezzo, scrivere qualunque volume vorrai. E ciò che eziandio è più brutto le femmine spessis- sime volte hanno preso ardimento e prendono, lasciata la conocchia e li luoghi del tessere, di porsi a scrivere. E così mentre disegnano le cose più presto ve- dute che intese, quando vacillante la memoria, quando dalle cose non intese, molte altre soverchie giudicano e levanle via e o per sorte o per loro giu- dicio le mutano. Avanti l’altre cose lì hassi andato che se l’ortografia giù posta sia e li dittonghi tolti di luogo o delli debiti segnaletti privati ogni modo del puntare è pretermesso, e perduti sono li segni con l’opera de’ quali le varietà de’ parlari costumarono essere intese. Ed oltre a questo, mutata l’opera di tali locuzioni, o diminuite o aggiunte o trasportate le lettere nelle parole, è di necessità che oggidì sieno lette altrimenti di ciò che gli antichi illustri autori abbiano scritto. E quel che è molto più di danno, quantunque così fatti scrittori conoscano non aver dirittamente scritto, acciò cancellando non paiano aver posta macola all’opera sua, passano avvertitamente, anteponendo i puliti libri alli gastigati. Li quali errori, benchè per ammonizione della grammatica circa le costituzioni sieno al diritto ridotti li proprì nomi o d’uomini o di luoghi o di fiumi e simili e spezialissimamente stranieri, se natìa divinità non fia posta negli uomini, non possono essere ammendati, conciossiachè le cose false abbiano messo dubbio dentro alle vere. Per le quali cose può esser veduto intervenir di necessità, che mentre leggiamo cosa benchè @ tutti non conosciuta secondo gli errori delli manuali scrittori variamente nominata di una più ne pensiamo e fuori di strada menati vacilliamo. Ma, conciossiachè quasi tutta la presente operetta composta sia di nomi proprî barbari e stranieri, non sarà maraviglia essere accaduto se io di uno avronne più fatti, ovvero se alcuna volta di uno luogo in un altro lo averò trasportato. Antiveggendo io questa coniettura non volli dall’ impresa cessare, anzi due o tre nomi soverchî porvi che in uno mancare, e d’una cosa due o più volli piuttosto farne con falso nome inav- vertentemente che uno in nulla convertire. La qual cosa essendo avvertita dai lettori che usano libri più corretti di quelli che io avrò veduto prego sieno facili all’ intelligenza e ammendino“. I rimproveri che il Boccaccio moveva a’ copisti de’ libri antichi e’ li dovrebbe rinnovare oggi anco più acerbi contro agli amanuensi e agli stampatori delle opere sue. Le male copie mano- scritte e le pessime stampe delle opere del Boccaccio attirarono sopra di lui più di un’accusa d’ignoranza e d’inesattezza non meritata. Gli errori addebitati al Boccaccio non sono nella massima parte se non cattive varianti de’ codici antichi da lui trascritti; e gli stessi errori copiati da lui fedelmente ci conservano più di una volta lezioni notevoli di codici antichi che poi conducono sulla — 349. — via di ristabilire il vero testo de’ classici dal Boccaccio consultati. Di che diedero prove convincentissime l Hesselio, 1° Oberlino, lo Tzschucke, i quali, per correggere le errate lezioni delle stampe di Vibio Sequestro e di Pomponio Mela, si valsero con profitto gran- dissimo delle lezioni recate dal Boccaccio, che citano quasi ad ogni pagina. Il Boccaccio stesso attende ancora una mano amorosa e in- telligente che sani le infinite piaghe, onde furono deturpate le opere sue dagli amanuensi e da’ tipografi. Giacomo Micillo da Basilea, dottissimo uomo, procacciò di rimediare in parte al difetto, curando la edizione basileese delle Genealogie degli Dei e del libro dei Monti ecc.; ma avrebbe potuto fare assai meglio, se avesse dili- gentemente esaminato i codici e le più antiche stampe delle opere del Boccaccio, le quali offrono spesso lezioni più corrette che non sieno quelle adottate dall’ erudito basileese. ® Oltrechè egli errò spesso in quelle rare annotazioni apposte da lui al libro de Montibus etc. nell’ indicare le fonti delle quali si valse a suo avviso il Boccaccio. Dopo il Micillo, un solo letterato, ch’ io mi sappia, pose qualche cura nella correzione del libro geografico del Boccaccio. Accenno a quel luminare di sapienza greca, latina e italiana, che fu Anton Maria Salvini, le cui osservazioni, spesso pregevolissime, leggonsi annotate in margine di un esemplare della citata edizione basileese, conservato nella biblioteca Riccardiana di Firenze. ® Alcune osservazioni del Salvini ho trascritte nell’ elenco che pubblico come appendice a queste indagini: le quali io bramerei . fossero sprone ad altri di aggiungere al poco fatto e di far meglio! Egli è con questo intendimento ch'io mi posi alla non lieve fa- tica del seguente indice, nella speranza ch’ esso faciliti almeno in qualche parte il lavoro a chi volesse accingersi a una nuova edizione dell’ opera geografica di Giovanni Boccacci. ! David Clement, nel T. IV, pag. 333, in nota, della sua Bibliothéque curieuse etc., scrive: , Micyllus n’a pas toujours été heureux dans ses corrections, parce qu'il n’a pas conféré les diverses éditions de Bocace, qui avoient vù le Jour avant l’an 1581, et qu'il a donné trop hardiment lieu à ses conjectures“. ? Numero: 11363. — 390 — INDICE DI ALCUNI AUTORI CONSULTATI DAL BOCCACCIO PER COMPILARE il libro de Montibus etc. In questo indice segno con un asterisco quegli articoli, ne” quali il Boccaccio si vale, come di unica fonte, dell’ autore accennato. Le cifre preposte, tra parentesi, a’ singoli passi si riferiscono all’edizione basileese (1539) curata dal Micillo. Per evitar confusione ho mantenuto ne’ nomi geografici la grafia di quell’ edizione anche se errata. Aristotile. * (p. 411) Corîs Thessaliae mons est, serpentes producens, quibus sepas nomen est, non proprium habentes colorem, sed loci (sic) Silenni (sic) în quo morantur sumentes, morsu quidem non aspero sitim ingerunt, et insamabilis est. — Il capit. CLXXVIII di Aristotile, De Mirabilibus auscultationibus, (probabil- mente il Boccaccio si valse della versione latina , vulgaris et antiqua cuius auctor ignoratur* come dice Giovanni Beck- mann [nella prefazione a p. V] che la repubblicò nella sua ediz. APIZTOTEAOYX repì OAYMAZION AKOYZMATON, Got- tinga 1786) suona, nell’ antica traduzione latina, come segue: »Othrys mons est Thessaliae, qui serpentes profert, sepes dictos, quibus non unus est color, sed semper loco similes sunt, ubi degunt. Quidam eorum colorem habent cochleis terrestribus similem. Aliorum squamae sunt virides. In arenis qui agunt, colores illarum referunt. Mordentes vero sitim efficiunt. Morsus autem eorum non asper est, aut igneus, sed malignus“. Correggi locè Silenni, in loco similem, come appare dalla traduzione di Aristotile consultata dal Boccaccio. Sa (P- tipe “tp: (p. (p. sp: * (p. * * (p. (p. + — 351 — 411) Delphicus mons. — Aristot., cap. CXI. 426) Vranius (sic) mons. — Aristot., cap. CXIII e CXXIV Aristotile scrive Te@vtoy, e il suo traduttore Comium; un codice reca: Ouvlov. La traduzione antica: »In Carthaginiensium ditione ferunt montem Comium....“;l’originale: "Ev dè ti) Etuupatela tiv KapynSovimv qaoîv elvar 8 nadettar Twviov. E il Boccaccio nella edizione basileese: ,, Vranius mons est, hune in Eppicantia (sic) Chalchedonensium aiunt esse“. — Non parrebbe da questo passo che il Boccaccio avesse veduto co’ proprî occhi 1’ originale ? tanto più che Eppicantia è errore de’ copisti, poichè parecchî codici del Boccaccio (p. e. il codice segnato 176 Aedelium della Laurenziana) hanno assai bene epicratia. In margine al- l'esemplare riccardiano bene avvertì il Salvini: ,in epicratia Calchidonensium, cioè nel territorio, nel dominio“. 431) Asnanicus fonsi — Aristot., cap. CLXII. — Il nome è viziato; il testo di Aristotile reca dofepaiov; la ver- sione latina (ed. Beckmann p. 236): Asbamacam. 458) Phasis Colchorum fluvius. — Dalle parole: Aiunt in- super în eo virgam oriri — servare, è tolto da Aristot. cap. CLXIX. Confronta Pomponio Mela, Plinio e Vibio Sequestro. 465) Maeander fluvius. — Dalle parole Aiunt insuper in co nasci lapidem — occidat da Aristot., cap. CLXXXI. Avverti che l’ediz. del Micillo fa dire al Boccaccio Euphronam, appunto come il Sylburgio voleva si leggesse in Aristotile in luogo di cwrpova. Cfr. Plinio. 473) Ponthus fluvius. — Aristot., cap. CXXV. 479) Theodorus fluvius. — Aristot., 1 c., cap. XLVII. Marco Terenzio Varrone. 407) Aventinus ex septem urbis Romae montibus. — Varrone, de lingua latina. V, cap. 7. $ 43. 408) Capitolinus mons. — Varrone, l. c. V, cap. 8, $$ 41 e 42. — L’ ultima frase si legge nell’ edizione basileese a questo modo: ,et post aedem Saturni in aedificiorum legibus parietibus sunt postici muri scripti*. Il Salvini lesse ne’ manoscritti : »etiam aedificiorum legibus privatis postici muri sunt scripti“; (p. * (p. "ip: (p. p. * (p. * {Pe * (p- * (p. * (p. * (p. (p. = ghef ce ma non è la vera lezione, alla quale s’ avvicina il codice Laurenziano 176 Aedilium, recando: ,quod post edem Saturni in hedificioram legibus privati parietes postici muri sunt scripti“; chè se privati si cambia in prwvatis si ottiene la lezione adottata da’ moderni editori di Varrone. 410) Celius mons. — Varrone, V, cap. 8, $ 46, sino alle parole: auriliaribus venerat. 410) Cespius urbis mons. — Varrone, V, cap. 8, $ 00. 420) Oppius mons Latiù fuit Facultali lacui propinquus. — Varrone, V, cap. 8, $ 50. 422) Quirinus vel Quirinalis mons. — Da Varrone, V, cap. 8, $ 51, sino alla parola: castra habuerunt. 426) Viminalis mons est Eomae. — Varrone, Lib. V, cap. 9, SD 439) Curtius olim lacus. — Da Varrone, V, cap. 32, $$ 148, 149 e 150. 479) Tyberis fluvius. — Da Varrone, V, cap. 9, $ 30, derivano le parole Opimio igitur vulgatior — sepulchrum (sic), e da Al volunt — interempto. Giulio Cesare. 421) Petra Dyrrachiù mons. — Cesare, de bello civili, II, 42. 428) Hercinia multis sylvis... — Cesare, de bello gallico, VI, 24, 25 e 28. Cfr. Pomponio Mela. Tito Livio. 403) Adoreus mons est Phrygiae, ex quo Sangarius erumpens fluvius per Phrygiam labitur in Bithiniam. — Livio, XXXVIII, 18. 407) Balbus mons est Aphricae, insignis latebra Massinissae regis a Syphace superati, est enim fontibus abundans et pa- scuis, agroque Carthaginensi propinquus. — Livio, XXIX, 31. 408) Calicandrum Asiae minoris promontorium est terminus navigationis a Romanis positus Anthiocho Magno ab eis su- (p- — 393 — perato. — Livio, XXXVIII, 38. — Avverti che parecchî codici di Livio recano Calicandrum in luogo di Calycadnum che è la vera lezione. 412) Hemus mons .... huius celsitudinis adeo grandis phama fuit, ut crederetur ex huus vertice Adriaticum simul et Euxi- num mare posse discerni, quod experturus Philippus Demetrii fihus Macedoniae rex, illum conscendit, nec absque labore plu- rimo, nam circa medium, adeo ramorum innezione densum invenit, ut praeter impeditum iter nonnunquam coelum via cer- nere posset. Et cum post diem tertiam ab incoepto a radicibus itinere, devenisset în culmen, contecta nebulis ommia compertt, et vulgatae opinionis omnia falsa, et sic spe frustratus, duabus aris Jovi Solique in vertice consecratis descendit. —- Il Boc- caccio, che manifestamente si vale del capitolo 22 del libro XL di Livio, non seguì però fedelmente il suo autore, il quale dice: Nihil vulgatae opinioni, degressi inde, detraxe- runt“, sebbene aggiunga: ,magis, credo, ne vanitas itineris ludibrio esset, quam quod diversa inter se maria, montesque, , et amnes ab uno loco conspici potuerint“. Esattamente invece Tp (p. nel suo volgarizzamento della quarta Deca di Livio: ,... tornati indietro niuna cosa scemarono di quello che era la opinione divulgata, credo piuttosto acciò che ischernita non fosse la vanità del loro viaggio, che perch’ essi li mari intra se di- versi, e li monti e li fiumi potessero d’ uno luogo ragguardare“ (Ed. del Pizzorno, Vol. VI, pag. 483). Il Boccaccio, volgarizzando 1’ opera altrui, volle essere fedele alla parola del suo autore; componendo di suo poteva darsi maggior libertà. Del resto 1’ interpetrazione del Boccaccio in questo passo non si dilunga per avventura troppo dall’ in- tendimento di Livio. Cfr. Plinio. 428) Arsia Hetruscorum sylua ....-— Tutto il passo è derivato da Livio, II, 7; ma secondo il Boccaccio il Dio Silvano profetizza: Uno plus Hetrusci cadent, laddove in Livio il Dio parla come di cosa avvenuta: ,,uno plus Hetrusci cecidisse“. 428) Cimina (sic) sylva Etruriae est . ..*. — Livio, IX, 36. — Avverti che alcuni codici di Livio portano la variante: Cimina, in luogo di Ciminia; ma in nessun codice citato dal Drakenborch leggo il nome del console Marcius Rutilus sfor- (p. 200: sali LL * (p. (p. — 304 — mato in Marius Rutilianus, come si legge nella edizione basileese del Boccaccio. 475) Sangarius fluvius est... — Da Livio, XXXVIII, 18, il Boccaccio tolse la notizia che il fiume ha la sua sorgente nel monte Adoreo, e con Livio egli erra dicendo che il fiume sbocca nella Propontide. Cfr. Quinto Curzio. Vitruvio. 435) Salmacis fons. — Tutto l'articolo del Boccaccio deriva da Vitruvio, II, 8. — Cfr. Boccaccio, de Gen. Deor., III, 21. Nell’ ed. basil. correggi: Nydas in Melas, Renamias in Arevanias etc. 473) Potercus fluvius.— Vitruvio, I, 4. — Leggi: Pothereus. Cfr. le note di Simone Stratico a pag. 62 del Vol. I, parte II della ediz. udinese (1826). Pomponio Mela. 402) Abila mons — Mela, Chorographia, I, 5. — Avverti che Carlo Enrico Tzschucke (Vol. III, parte I, p. 131) nei suoi ricchi e diligenti commentarî a Pomponio Mela (Pom- ponti Melae de Situ Orbis Libri Tres . . .. cum motis criticis et exegeticis. Lipsia), annota a questo passo : ,, Ceterum Boccatius, de montibus sub v. Abila nostrum locum sic auctum exhibet: ut nulli hominum aevo Neronis principis usui esse potwisset,,. Queste parole non si leggono nel libro del Boccaccio alla voce Abila, ma bensì alla voce Ampelusia. Dal passo citato appare che il Boccaccio credeva Pomponio Mela contemporaneo di Nerone imperatore. 404) Ampelusia Oceani . .. promontorium — Mela, I, 9. Tzschucke (III, p. 1, pag. 124): ,Boccatius . . . totum hunc locum mutatis subinde verbis repetit“. — Cfr. il Boccaccio, de Genealog. Deorum. I, 13. Di questo passo delle Genealogie avverte lo Tzschucke (II. p. I, pag. 203): ,Boccatius ... totum hunc Melae locum repetit, etsi prava accessione facta exhibet Tingen“. Dal passo di Mela, riportato dal Boccaccio nelle Genealogie, lo Tzschucke (II, p. I, pag. 209) volle dedurre che ne’ codici di Mela usati dal Boccaccio dovesse mancare * (p. (p. * (p. SED. * (p. * (p. * (p. * (p. (p. * (p. (p. * (p. Cp: tp. Cp. (p. (p. — 3559 — il vocabolo usuro; però a me sembra che il vocabolo usuro trovi un eco nella parola usui adoperata dal Boccaccio alla voce Ampelusia. Cfr. Plinio. 408) Canastreum Macedoniae promontorium. — Mela, II, 2. 411) Coricus Ciliciae mons est. — Mela, I, 13. — Nella edizione basileese correggi eraminat in eranimat, come già nota il Salvini. L’articolo è copiato quasi alla lettera da Pomponio Mela. — Cfr. Quinto Curzio. 412) Emodus mons. — Mela, I, 15. 415) Ida mons. — Mela, I, 18. — Tzschucke (III, p. I, pag. 541): ,Totum hune locum paucis mutatis vel additis reddidit Boccatius“. 416) Latmus mons. — Mela, I, 17. 420) Pallene mons. — Mela, II 2. 423) Sardemisos mons. — Mela, I, 14. 423) Sarpedon promontorium. — Mela, I, 13. 423) Septem fratres, septem sunt Mauritaniae montes. — Mela, I, 8. — Tzschucke (II, p. I, pag. 215): ,Bocca- tius... hunc Melae locum paene integrum dedit . .. At suo hic arbitrio versatur*. Cfr. Marziano Capella. 425) Tamus promontorium. — Mela, II, 7. 428) Hercinia multis syluis. ... — Da Mela, III, 3, le parole: sed maior atque notior ea est. 435) Sarsula fons. — Mela, II 5. — Avverti che alla voce Gallicum mare l ediz. basileese porta invece: Salsula, che è miglior lezione. Cfr. Pomponii Melae de Chorographia Libri tres, edidit Gustavus Parthey (Berlino 1867), pag. 51, linea 25. 435) Solis fonss — Mela, I, 8. — Tzschucke (III, p. I, pag. 205): ,Ex nostro sua duxit Boccatius*. Errò il Micillo, citando come fonte Plinio, II, 103. 440) Flevo lacus est. — Mela, III 2. 442) Venetus lacus est. — Mela, II 2. 446) Amis Germomiae fluvius est — Mela, III, 3. — Leggi Amissis, sebbene un codice citato dal Parthey (p. 197) rechi Amis come la ediz. basileese. 447) Arazes . .. fluvius. — Dalla parola Araxwes — cadit in Caspium, tolto da Mela, III, 5. Tzschucke (III, p. 3, pag. 155): ,totum hunc locum, commutatis subinde verbis, reddidit Boccatius“. Fa: * (p. SU: * (p. * (p. t(p: (ps * (p. * (p. * (p. (p. lp: * (p. * (p. * (p. * (p. (p. sp. DI (pi (p. (p. + (p. È (p. *1(p: *o(p. — 396 — 447) Arusaces fluvius. — Mela, II, 17. 449) Atax fluvius. — Mela, II, 5. 449) Avo Hispaniae fluvius est. — Mela, III, 1. 450) Bethis fluvius. — Mela, III, 1. 450) Borysthenes fluvius. — Mela, IL 1. 451) Buthes fluvius. — Mela, II, 1. 451) Cambyses fluvius. — Mela, III, 5. 451) Cataractes fluvius. -—- Da Mela, I, 14, non da Plinio, V, 27, come vorrebbe il Micillo. 452) Cestros fluvius. — Mela, I, 14. 453) Cyrus fluvius. — Mela, II, 5. 458) Phasis Colchorum fluvius. — Da Mela, I, 19, le parole Penes cum Phrixi — celebratus. Cfr. Aristotile, Plinio e Vibio. 458) Eurymedon . . . fluviuss — Mela, II 2. 459) Galbis fluvius. — Mela, I, 15. — Il Micillo osserva giustamente : ,,Galbin Mela non fluvium, sed Caunum oppidum infame fuisse dicit, in descriptione Cariae“. 460) Garumna fluvius. — Mela, II, 2. 460) Gerros fluvius. — Mela, II 1. 461) Hypacyris fluvius. — Mela, II, 1, come notò già il Micillo. 461) Hypamnis . . . fluvius. — Da Mela, II, 1, derivano le parole sino a dulcissimus. Cfr. Plinio. 461) Hypatos . . . fluvius. — Mela, I, 12. 462) Iberus fluvius. — Mela, II, 6. — Tzschucke (II, p. 2, pag. 436). ,Vestigia priscae lectionis servavit . . . Boccatius s. v. Iberus, ubi hunc locum ante oculos positum, sed suo ingenio effictum reddidit sic: Tulam opulentissimam eius regionis civitatem ex inferiori parte radit, demum sub Tortosa civitate balearicum ingreditur mare“. Mela invece (secondo l'edizione del Parthey, pag. 53, lin. 23 e 24); ,Tarraco urbs est . ... Tulcis eam modicus amnis, super ingens Iberus Dertosam adtingit“. 463) Jaxatus, Laxares (sic), Jaxartes credo quod idem sit flu- vius. — Mela, III, 5. 463) Ledum fluvius. — Mela, II 5. 464) Lymira fluvius. — Mela, I, 15. 464) Lycos fluvius. — Mela, I, 12. 465) Lirus fluvius. — Mela, II, 10. 465) Magrada Cantabrorum fluvius est una cum Suesa Trino- BD: he(P: (p. * (p (p. * (p. MUD: (p. * (p. * (p. * (p. "op. * (p. *.(p. * (p. * (p. (p. * (p — 357 — bellontem cingens et Decium. — Mela, III, 1: ,et Devales Tritino Bellunte cingit, et Decium Aturia Sonans Sausa et Magrada“. Cfr. 1° ediz. del Parthey, pag. 192. 467) Nabar fluvius. — Mela, I, 6. 467) Namnasa fluvius. — Mela, III, 1. 468) Nous . .. fluvius. — Da Mela, I, 9, dalle parole partim asper — ‘incipit esse triplex, ad eccezione dell’inciso: qui Catadupa (sic) vocatur. Cfr. Seneca e Plinio. 469) Oaxis sive Oxus fluvius. — Mela, III, 5. 471) Padus fluvius. — Mela, II, 4. — Tzschucke (III, È, 24) pag. 386): ,Ceterum Melam quem et adlegat, mutatis qui- busdam reddidit Boccatius de fluminibus sub v. Padus®. 472) Parthenius fluvius. — Mela, I, 19. 473) Pira fluvius. — Mela, I, 13. 473) Pyramus fluvius. — Mela, I, 13. — Tzschucke (II p. I, pag. 433): ,Boccatius de fluminibus sub. v. Pyramus dicit hunc effluere in Cilicium mare apud Ammodem promontorium. Quod unde ductum sit, ignoro, forte ex nostro, quem reddere solet, excitatum“. 474) Ehyndacus fluvius. — Mela, I, 19. 474) Eubriacus fluvius. — Mela, II; 6. 475) Sardabale Numidiae fluvius. — Mela, I, 6. 476) Saunius fluvius. — Mela, III, 1. 476) Zethis Persarum est fluvius per Carmanios fluens. — Mela, III, 8: ,,Saetis per Carmanios, supra Sandis et Choros effluunt“, nell’ ediz. Parthey, pag. 80, lin. 3 e 4. Bene avverte lo Tzschucke (II, 3, 267): ,,Boccatius . . . mira confusione, si ad veterum Melaeque rationem exigas“. 477) Sorobin Hispaniae fluvius est, in Hebrum seu in Sucro- nem, seu alterum ex alveis eius mergitur. — Mela, II, 6: »prior (sinus) Sucronensis dicitur . .. . Sorobin et Turiam et Sucronem non magna excipit flumina“. 478) Sucro fluvius. — Mela, II, 6.— Correggi Supranensis in Sucronensis, avvertendo che un codice citato dal Parthey (p. 172) legge come Il’ ediz. basileese. 479) Telis fluvius. — Mela, III, 5. 479) Thermodoon fluvius. — Da Mela, I, 19, le parole Ther- modoon fluvius — ab aliquibus vocatus est. Cfr. Vibio Sequestro. 480) Thicis fluvius est ex Pyrrheneo monte ad Clodianum Rho- dam Hispamorum oppidum. — Mela, II, 6: (ed. Parthey, p. (p. * {(p Fc Up P (p. * (p. Pip: (p. "ap. * (p. * (p. (p. (p (p. — 358 — 53, 1. 13 e 14): ydein Ticis fumen ad Rhodam, Clodianum ad Emporias“. > 481) Timavus Venetorum fluvius. — Da Mela, II, 4, le pa- role Concordiae — alveo. 481) Torius, alias Torin fluvius: — Mela, II, 6: Turiam. Già l’Oberlino (nel suo commento a Vibio Sequestro, pag. 241-242) dopo aver riferito per intero l'articolo del Boccaccio, serive: ,His verbis Boccacius secutus est Melam ete.“. 483) Tamnada fluvius. — Mela, I, 5 (ed. Parthey, pag. 10. lin. 22 e 23): Tumuada. — In alcune edizioni (ed. Parisius, 1511, foglio CLVI) del Boccaccio si legge Vada flumen in luogo di Tamnada. Infatti vedi nelle note critiche del Parthey (p. 100) quanti codici di Mela leggano anch’ essi tum wada. 486) Melsiagum palus. — Mela, II, 3. 486) Mesia . . . palus. — Mela, III, 38. — Correggi Mesta in Metia; però alcuni codici citati dal Parthey hanno anch’ essi Mesia. 488) Amazonium mare. — Mela, I 19. 489) Ambracius sinus. — Mela, II, 3. 489) Arabicum mare. — Da Mela, III, 8, dalle parole Arabia nuncupetur — alveo manufacto. 490) Basilicus sinus. — Mela, I, 16. 490) Bosporum (sic) Cimericum. — Mela, II, 1. 490) Bubessus sinus est maris Icarti, Scoeno sinui Ceramicoque conterminus. — Mela, II, 16 (ed. Parthey, pag. 23-27): ge + + tum tres ex ordine sinus, Thymnias Schoenus Bubae- sius; . . + . Cnidus in cornu paene insulae, interque eam et Tetraticum sinum in recessu posita Eutiana . . .“. La lezione del Parthey s’ appoggia sull’ autorità di molti codici riputati. L’ edizione parigina del Boccaccio reca essa pure tetratico (fol. CLVIII), e tetraticum leggesi nella stessa edizione pari- gina alla voce Scareum mare (foglio CLIX); laddove l’ edizione basileese legge nuovamente ceramicum. Cambiò egli forse il Micillo tetratico in ceramico, credendola miglior lezione, come credettero altresì l Ermolao Barbaro e lo Tzschucke? Vedi quest’ ultimo, Vol. II, p. I. pag. 509-10. 490) Carcinites sinus. — Mela, IL 1. 490) Caspium mare. — Mela, III, 5. Dalle parole: Dictum enim — în eos effundi sinus. 492) Aethiopicus oceanus. — Mela, III, 9. Dalle parole: cuius — 3599 — oram sino alla fine. L'osservazione seguente: Has ultra mons altissimus est, et adeo iam a mostris cognitus ut Peon nomi- netur, è del Boccaccio, come già avvertì lo Tzschucke, III, p. 3, pag. 397. (p. 493 e 494) Euxinum mare. — Mela, I, 19 e II, 2. — Il Micillo nota: ,Secutus Melam scilicet. Nam quomodo huc Trapeta ac Cera irrepserint, non video“. Le varie lezioni dànno la chiave de’ mutamenti. Probabilmente il Boccaccio s’ imbattè in un codice che recava Cera diviso da sumpta stnde Boccatius (come avverte lo Tzschucke II, p. 1, p. 614) adrepta priori parte Cera scribit; nempe dividunt etiam codices“. Ed altri codici recano Trapetos in luogo di Trapezus. (p. 494) Gallicum mare. — Mela, III, 5. * (p. 494) Germanicus oceanus. — Mela, III, 3. * (p. 495) Jasus sinus. — Mela, I, 16. * (p. 495) Icareum mare Asiatici maris pars est. — Mela, I, 16. (p. 495) Indicum mare. — Per la massima parte da Mela, III, 7. * (p. 495) Ionium mare. — Mela, I, 17. — Cfr. De Gen. Deor. lib. VII, 21, pag. 191 e 192 dove Pomponio Mela è citato: ,Sane Pomponius in cosmographia“ ecc. (p. 496) Hyperboraeus oceanus. — Mela, III, 5. Dal principio sino a mortales faciant. (p. 496) Hispanum mare. — Mela, II 6 e III, 1 — Ben vi avverte il Micillo: ,, Mela non Tulcim urbem, sed Tarraconem vocat, Tulcim autem fluvium iuxta Tarraconem. Unde videas vel hic librariorum vitio omissa quaedam esse, vel ab ipso Boccatio non recte animadversa“. Nota che il Boccaccio si valse in questo passo oltrechè di Pomponio Mela anche di Plinio, il quale scrive: , colonia Tarraco, Scipionum opus“. (Lib. ITT, c. 3, ediz. del Sillig, vol. I, pag. 217.) * (p. 496) Laturus sinus. — Mela, I, 5. — Avverti che l’ edi- zione basileese reca malamente: inter Ampsa castellum ; laddove l’ edizione parigina (fol. CLIX®) reca: avisa castellum; ch° è la lezione adottata anche dal Parthey (pag. 11, 1. 7; cfr. pag. 101 dove si cita però un codice che ha ampsa). (p. 497) Macedonicum mare. — Mela, II, 3. * (p. 498) Mysium mare. — Mela, I, 18. * (p. 498) Mastusianus sinus. — Mela, II, 2. * (p. 498) Numidicum mare. — Mela, I, 6. 14 —@ Mela (ediz. del Parthey, pag. 10). .... yMulucha ille quem dixi- mus amnis est nune gentium olim regnorum quoque terminus, Boc- chi Jugurthaeque. Ab eo Numidia ad ripas ex- posita fluminis Ampsaci spatio quidem quam Mauretania angu- stior est, verum et culta magis et ditior. urbium quas habet ma- ximae sunt Cirtha procul a mari, nune Sittianorum colonia, quon- dam regum domus, et cum Sy- phacis foret opulentissima, Jola ad mare aliquando ignobilis, nunc quia Jubae regia fuit et quod Caesarea vocitatur inlustris. citra hanc, nam in medio ferme litore sita est, Cartinna et Arsinna sunt oppida et Avisa castellum et Laturus sinus et Sardabale flu- vius. ultra monumentum com- mune regiae gentis, deinde Ico- sium Ruthisia urbes, effluentes inter eas Aucus et Nabar aliaque quae taceri nullum rerum famaeve dispendium est. interius et longe satis a litore, si fidem res capit, mirum ad modum spinae piscium muricum ostrearumque fragmenta saxa adtrita, uti solent, fluctibus et non differentia marinis infixae cautibus anchorae et alia eiusmodi signa atque vestigia effusi olim usque ad ea loca pelagi in cam- pis nihil alentibus esse inveniri- que narrantur. 360 | Boccaccio (ed. basil.). »Numidicum mare inter Mau- ritanum seu Atlanticum est, et Africum a Numidia regione cui adiacet nuncupatum. Incipit au- tem a Mulacha flumine, et in orientem tendens habet in littore Ampsacae (ste) fluminis hostium et Caesaream,olimJolam, Jubaeregis regiam. Inde Cortennam (stc) et Arsenariam (sic) oppida, et Latu- rum sinum, et Sardabalis fluminis fauces, quem ultra commune re- giae gentis monimentum est, et post emensum aliquandiu littus Metagonium promontorium, quod huic mari finem faciens Africo praestat initium. Sane et si in littore non sit, quia aliquando ad mare pertinuisse videtur, mirabile quoddam non erit incongruum recitasse. Est ergo ad intrinseca Numidiae locus, in quo spinae piscium muricum, ostrearumque fragmenta, saxa attrita, uti fieri solet assiduo maris motu, infixae praeterea cautibus anchorae, et alia plura testantia ibidem iam mare et portuosum etiam fuisse, nil fidei minuente solo, quum nil herbidum alat“. * (p. 499) Orcadus occanus. — Mela, III, 6. * (p. 499) Pamphylicum mare. — Mela, I, 14. — 361 — Mela (ed. del Parthey, pag. 22). | »In Pamphgylia est Melas na- vigabilis fluvius, oppidum Sida et alter fluvius Eurymedon. ma- gna apud eum Cimonis Athenien- sium ducis adversus Phoenicas et Persas navalis pugna atque victoria fuit. mare quo pugnatum est ex edito admodum colle prospectat Aspendos, quam Ar- givi condiderant, possedere fini- | timi. deinde alii duo validissimi fluvii Cestros et Cataractes: Ce- stros navigari facilis, hic quia se praecipitat ita dictus. inter eos Perga est oppidum, et Dianae quam ab oppido Pergaeam vocant templum. trans eosdem mons Sar- demisos et Phaselis a Mopso con- dita finis Pamphyliae“. Boccaccio (ed. basil.). »Pamphylicum mare Asiatici maris est pars, inter Cilicum (sîc) et Lycium positum. Nam ab Ane- murio promontorio, quod eum Cilico. separat incipiens, habet ante alia Melam fluvium, Aspen- don civitatem ab Argivis olim conditam in monte. Deinde Oe- strum et Cataracten fluvios, et inter eos Pergamum oppidum. Ultra vero Sardemisum montem et Phaselidam civitatem a Mopso quondam conditam, et finem Pam- phyliae facientem®. (p. 499) Persicus sinus. — Mela, III, 8. (p. 500) Propontis mare. — Da Mela, II, 2. Mela (ed. del Parthey, pag. 38). «... yin Propontide Selymbria, Perinthos, Bytinis: amnesque qui interfiuunt Erginos et Atyras. tum Rheso regnata quondam pars “Thraciae, et Bisaltae Samiorum, et ingens aliquando Gypsela. post locus quem Grai Macron tichos adpellant, et in radicem magnae paene insulae sedens Lysimachia“. Boccaccio (ed. basil.). ..«. phabebunt a dextris Se- Iymbriam, Perinthum, Bathynim, et. hostia Ergini et Atyrae flu- viorum, et inde eam partem Thraciae, quam iamdudum Rbhe- sus tenuit rex, et Bisanthem Samiorum, et Gypsellam, et eum locum quem Macrontichos dixere Graeci. Et inde Lysimachiam, in radice Magnae peninsulae, quam penes in fretum Hellespontiacum cogi incipit mare, et ideo Pro- pontis ibidem terminatur“. * * (p. * (p. (p. * (p. "Ip: (p. * (p. " (p. * (p. Pps * (p. — 362 — 901) Scoenus sinus. — Mela, I, 16. 901) Syrtium geminus sinus. — Mela, I, 7. Seneca. 467, 468 e 469) Nilus. — Seneca, de Quaestionibus Na- turalibus, VI, $. Dalle parole: Dicunt quosdam a Nerone — vis ingens fluminis emamabat. Cfr. il Boccaccio de Gen. Deor. VII, 30. Plinio il vecchio. 402) Acantium promontorium. — Plinio, Naturalis Historia, IV, 9. 403) Acanthon mons. — Plinio, IV, 2. 403) Acontius mons. — Da Plinio, IV, 7, le parole: wf aluis placet Boeotiae. 403) Album promontorium. — Plinio, V, 19. 403) Alcion mons. — Plinio, IV, 10; leggi Halcyon. 404) , Alimpus mons est in insula Matilene seu Lesbos (sic) @ continenti distans non amplius VII M. passuum*. — Plinio, V, 31. — Alimpus è errore in luogo di Olympus. Il Salvini, che corregge il passo, avverte assai bene riguardo alla distanza: quod de insula tota non de monte intelligo contra Boc- catium“. 404) , Amanus mons est, in quo oppidum Bomite et in ora oppidi Miriandros incipiens separat Syriam Celem a Cilicia, a parte altera eius plura effluunt flumina, ut Androchus, Pinarus, Lycus, et Sinus qui ab aliquibus Thaurus nuncupatur*. Passo erratissimo. La grafia de’ nomi è corrotta; il simus Issicus di Plinio, omesso 1’ Zssicus, è convertito in un fiume; l’ ultima parte del periodo appartiene (come osserva già il Salvini) alla voce susseguente, dove convien leggere , Amazomius mons, qui ab aliquibus Taurus nuncupatur“, secondo Plinio, V, cap. 22 e 27. 404) Ancoranus mons. — Plinio, XIII, c. 95. Plinio scrive: pAncorarius mons . . . qui laudatissimam dedit citrum*. Il Boccaccio invece: , Ancoranus mons . . . cupressis laudatissimis abundans*. Nota che alcuni codici di Plinio (cfr. 1° ediz. del Sillig, in nota alla pag. 392, Vol. II) recano cedrum in luogo di citrum. * (p- * (p. * (p. vp: * (p. * (p. * (p. * (p. * (p: * (p. (p. * (p. * (p. "AD. * (p- * (p. * (p. * (p. * (p. — d63 — 404) Antirium promontorium. — Plinio, IV, e. 2. 404) Aothe (sic; leggi Saoce) mons. — Plinio, IV, c. 12. 405) Aprodisias promontorium. — Plinio, V, 29. — Cor- reggi: Aphrodisias. 405) Ararum promontorium. — Plinio, IV, cap. 9 e 12. 406) Arcabrum seu Artabrum promontorium. — Plinio, IV, 21. 406) Artagus mons . .. — Plinio, VI, 3. — Il Boccaccio aggiunge: credo idem cum Argeo; in fatti alcuni codici di Plinio portano in luogo di Argeo: Archago, Arthago, Arcago, Artago. Cfr. le note del Sillig alla pag. 402, Vol. I. 406) Artemisius mons. — Plinio, IV, 6. 406) Artemius mons. — Plinio, IV, 5. 406) Asterion mons. — Plinio, IV, 5. 406) Ater mons. — Plinio, V, 5. — L'edizione basileese del Boccaccio reca: ,nec distat multum a Matelge oppido Garamantum*“. Alcuni codici di Plinio recano Matelgae e Moxthelgae in luogo di ,mox Talgae oppidum Garamantum“. Cfr. 1’ ediz. del Sillig in nota alla pag. 347, Vol. L 406) Athlas . «+ . mons. — Plinio, V, 1. — Correggi nel- l’ ediz. basileese clarus aditis corrotto da Daralitas (che in alcuni codici si legge Clarath in), Barnibaro in Bambotum, Thenotema (così anche in un codice citato dal Sillig, in nota alla pag. 339, Vol. 1) in Theon ochema. 407) Atritas .. . promontorium. — Plinio, IV, d. 407) Bargilus mons. — Plinio, V, 20. 407) Binon promontorium. — Plinio, V, 4. Male reca l’ediz. basileese Bimon, in luogo di Borion; alcuni codici di Plinio (cfr. Sillig in nota alla pag. 343, Vol. I) Byron, Byrion, Hyrrion, Bryon. 408) Bracae montes. — Plinio, V, 1. — L’ediz. basileese reca: Acthiopas perustos. Osservazione ingegnosa che troverebbe un appoggio ne’ calentes aethiopes del Proemio del Boccaccio al libro de Montibus etc. Se non che i codici di Plinio non confermano la lezione. Il Sillig adottò la forma: Perorsos. 408) Caema mons. — Plinio, III, 4. 408) Caldone promontorium. — Plinio, VI, 28. 408) Cambalidus . . . mons. — Plinio, VI, 27. — Correggi nell’ ediz. basileese Messalene in Messabatene. 408) Candavia mons. — Plinio, II, 23. — Ma Plinio ha Camdaviae montes, come già avvertì il Micillo. Se- (p. * (p. . 408-409) Carina mons. — Plinio, XXI, 14. — La lezione — 3604 — condo la ediz. basileese la distanza del monte da Durazzo sarebbe di 88 mila passi, secondo i codici di Plinio di 78 o di 79, o di 89 mila. Cfr. Sillig, in nota alla pag. 267, Vol. I. 408) Capontes vel Catopen secundum alios mons. — Plinio, V, 24. — Qui il Boccaccio allude a differenti lezioni de’ codici Pliniani, o alle varianti de’ codici di Marziano Capella (6, 631) e di Solino (37, 1). Se non che la forma Capontes non trovo accennata nè nelle edizioni critiche di Plinio (Sillig) nè in quelle di Solino (Mommsen). 408) Caralitanum promontorium. — Plinio, II, 7. adottata dal Sillig è Carma; egli cita (Vol. III, pag. 384) alcuni codici che portano Carina. * (p. 409) Carmeniae promontorium. — Plinio, VI, 29. LU ediz. del Sillig ha Carmamis. * (p. 409) Casyrus mons. — Plinio, VI, 27. — In luogo di Susinare leggi Socrate; però due codici hanno Sosicrate che più s’ avvicina alla cattiva lezione dell’ ediz. basileese. * (p. 409) Casius Syriae mons. — Plinio, V, 21 e 22. — In luogo di silentia libera, Pieria appellata leggi Seleucia libera Pieria appellata. * (p. 409) Casius mons alter a superiori, hic enim in Arabia est. — Plinio, V, 12. — Nell’ ediz. basileese correggi Astracine in Ostracine. * (p. 410) Caeneum promontorium. — Plinio, IV, 12. (p. 410) Chrysoceras promontorium. — Plinio, IV, 11. (p. 410) Chimaera. — Da Plinio, V, 106 le parole: Huius quidem summitates — extinguuntur. Cfr. Servio. (p. 410) Citorus. — Boccaccio: în spacium LXIII M. passuum (p. porrectus; Plinio, VI, 2: mons Cytorus a Tio LXIII M. p. Cfr. Servio. 412) Hemus mons. — A questa voce leggesi nella edizione basileese : » Volunt alii quod Ennius ea in parte quam aratores celebrant, Scythae ostendant tumulum Polydori“. Cotale assurdo il Boccaccio non disse. Sarebbe strano, ma non impos- sibile, che questo passo derivasse da una storpiatura delle parole di Plinio (Lib. IV, 11): ,Portus Stentoris oppidum Aenos liberum cum Polydori tumulo“. Della storpiatura sono assai probabilmente colpevoli i copisti, essendochè alla v. TAP. (p. Fi.(p: * (p. * * Sepe * * (p. (p. (p. sei ie (p. — 369 — Hebrus (pag. 456) si legge anche in Boccaccio: ,,portum Stentoris, et Polydori tumulum*. 413) Phalacrum promontorium. — Plinio, IV, 12. 414) Pholoè mons. — Da Plinio, IV, 6 le parole abi Archadiae montem dicunt. Cfr. Vibio Sequestro e Lattanzio Placido. 414) Frasus Aetholiae mons. — Plinio, IV, 2. — ,Ta- phiassus (osserva il Micillo) legitur apud Plinium*. Se non che alcuni codici pliniani citati dal Sillig (in nota alla pag. 273, Vol. I) recano lezioni simili a quella dell’ edizione basi- leese p. e. Fyhassus, Prasus, Praesus. 414) Gage mons est minoris Asiae, in quo Coridava et Rho- diopolis sitae sunt. — Plinio, V, 27. — Il Micillo nota: »Videtur autem Plinius non montis, sed oppidi nomen facere lib. 5, 27“. Il Boccaccio fraintese il passo di Plinio che suona così (ediz. Sillig, pag. 375, Vol. I): ,oppidum Olympus ibi fuit, nunc sunt montana, Gagae, Corydalla, Rbhodiopolis®. 415) Imaus orientale promontorium est ab Emodis montibus, in oceanum se tollens. — Plinio, VI, 17. — Nell’ ediz. basileese si legge: ,Sonat quidem Imabus Jarica lingua niveus£. La corrotta lezione deriva certamente da’ codici che in luogo di ,incolarum lingua nivosum significante“ fanno dire a Plinio: % quo iaricum lingua etc. Cfr. Sillig in nota alla pag. 426, Vol. I 416) Hyrmine promontorium Achaiae. — Plinio, IV, 5. Bene avverte il Micillo: ,Apud Plin. lib. 4, cap. 0, legitur, ultra Patres oppidum Olenum, colonia Dyme, loca Euprasum Hyrmine, promontorium Araxum, unde puto Boccatium con- structione deceptum, cum sequentibus Hyrmine coniunxisse“. 416) Leucalonium promontorium est Pamphiliae. — Plinio, V, 27, scrive Leucolla come avverte il Micillo. 417) Macroceni montes sunt ab Istro flumine non longinqui. — Plinio, IV, 12, ha Macrocremni. 418) Mossylicos promontorium est Aethiopiae. — Plinio, VI, 29 418) Mulelacha Africae promontorium est propinquum flunuini Asusabae. -- Plinio, V, c. 1. — Il Micillo osserva giusta- mente: ,Plinius non promontorium sed oppidum in promon- torio vocat hoc nomine. Lib. 5, cap. I*. Correggi poi Asusabae dell’ ediz. basileese in Subur et Salat, poichè così vogliono i * (p. (p. (p. * (p. (p. puff 5: * (p. *.(P. — 366 — migliori testi di Plinio. Un codice monacense citato dal Sillig in nota alla pag. 334, Vol. I, ha una variante (lumen asabubam) che s’ avvicina a quella dell’ ediz. basileese. 420) Opitus Macedoniae mons est. — Plinio, IV, 10. — Bene avverte il Micillo che Plinio scrive Epitus non Opitus. 420) Ossa mons est cum portu in sinu Persico. -- Plinio, VI, 28 scrive: Orsa. Cfr. Vibio Sequestro. 421) Othrys Thessaliae mons. — Da Plinio, IV, 8 tolse il Boccaccio la notizia che quel monte fu la sede de’ Lapiti. 420) Pachiri montes . . . . e quibus funditur Absarus fluvius. — Plinio, VI, 9. , Verba Plinii sunt. Ab ea transversis Jugis inclusa, latitudinem in laeva pendit ad Cyrum amnem transversa in Araxem, et Parredris montibus (qui fundunt Absarum) discreta, etc. Vides igitur hine non Pachiros sed Pariedros legendum, qui Pachiros alios et alios. Pariedros fecit“. Così il Micillo (pag. 422) accennando agli articoli »Pachiri* e »Pariedrae montes“ dell’ opera del Boccaccio. Anche il Micillo non ebbe dinanzi un troppo buon testo di Plinio. Nell’ ediz. del Sillig (Vol. I, pag. 410) il passo pli- niano suona così: ,Ab ea transversis iugis inclusa latitudinem in laeva pandit ad Cyrum amnem transversa Araxen, longi- tudinem vero ad minorem usque Armeniam, Absaro amne in Pontum defluente et Paryadris montibus, qui fundunt Absarum, discreta ab illa“. 421) Pindus mons est Thessaliae. — Plinio, IV, $ 1, e cap. 8. — Da questi differenti passi di Plinio il Boccaccio compilò il suo articoletto, errando in ciò ch’ e’ fa il monte Pindo confine tra l’ Acarnania e l’ Etolia, laddove Plinio dinota come confine tra’ due paesi il fiume Acheloo. 421) Prion mons est in Nimphea insula. — Plinio, V, 31. 421) Pion mons est minoris Asiae. — Plinio, V, 29, dice nPtelea. Attolitur monte Pione adluitur Caystro“. Il Boccaccio scrive: »Pion mons... .. supereminens Pteleae et. Caystro flumini“. Questo passo porge un chiaro esempio del come. il Boccaccio adoperi gli originali che gli stavano dinanzi, para- frasandoli. 421) Possideum promontorium Ioniae est haud longe ab ora- culo Apollinis Branchidase dictum, postea Didymi, ab urbe Mileto. — Plinio, V, 29, invece: ,Posideum promontorium et oppidum, oraculum Branchidarum appellatum, nune Didy- * (p. È (p. * (p. pl (1 FP (p. * (p + (p. — 367 — maei Apollinis, a litore stadiis XX, Et inde CLXXX Miletus Toniae caput“. 422) Pindasus mons Asiae. — Plinio, V, 30. 423) Seneus promontorium est Hispaniae propinquum promon- torio sacro. — Plinio, IV, 22 — Bene osserva il Micillo (pag. 424): ,a Boccatio Seneris (sic; manifesto errore tipo- grafico in luogo di Seneus) lectum esse, pro eo quod nostra exempla habent Cuneus, ita enim Plinium libro quarto, cap. vigesimosecundo legimus: Urbs imperatoria Merobrica, pro- montorium sacrum et alterum Cuneus, etc... Se non che vuolsi avvertire che il passo di Plinio riportato dal Micillo va scritto: Salacia cognominata urbs inperatoria, Merobrica, promontorium sacrum et alterum Cuneus, ete. Cfr. 1° ed. del Sillig, Vol. I, pag. 327, dove trovi accennata in. nota la variante Ceneus. 423) Seriphion promontorium est Thraciae, Ebro flumimi pro- pinquum. — Plinio, IV, 11, scrive: mons Serrium. — Onde il Micillo nota: ,Videtur hoc pro Serrio posuisse, tametsi illud quoque assignavit“, cioè il Boccaccio nell’ articolo suc- cessivo che suona: Serrium mons est Thraciae. 493) Signia mons est minoris Asiae. — Plinio, V, 29. 425) Tager mons est in Hispania, Olisipo propinquus in quo equae sunt statuto anni tempore ex vento concipientes Favonio. — Plinio, IV, 22. — , Verba Plinii sic habent: Oppida memo- rabilia a Tago in ore (sic) Olysippo, equarum e Favonio vento conceptu nobile, etc. Quo loco videtur Boccatius Tager pro Tago legisse. Est autem Tagus /luvius Hispaniae“. Così giu- stamente il Micillo (p. 426). 425) Taurus mons. — Plinio, V, 27. — Avverti che l’ ediz. basileese del Boccaccio scrive Edigis in luogo di Emodus, Orates in luogo di Orandes. Alcuni codici pliniani portano appunto Edigis e Oroates. Cfr. l ed. del Sillig, Vol. I, p. 374. 430) Apollinis fons est in Licia Turius appellatus. — Plinio, XXXII, 2. — Leggi Surius non Turius. Il Micillo seguendo altri codici annota in margine Dinus. Cfr. led. pliniana del Sillig, Vol. V. pag. 7. 431) Callirhoè fons est Atticae regionis, et medicae salubritatis fert gloriam, haud longe scaturiens a Hierosolyma, sic ab ipso aquarum praeconio nominatus est. — Il Micillo osserva assai bene (p. 432): ,Plinius, lib. 4, cap. 7 in descriptione Br (p. SIND: Sp: trp: * (p. (p. " (p. sf(1:° Sp E (Ds pico * (p. * (p. DE IO = 9 = Atticae: In Attica fontes, inquit, Caphisia, Larine, Callirhoé, Ennea, Crunos. Infra autem lib. 5, circa descriptionem Judaeae cap. 16. Eodem latere, inquit, calidus fons medicae salubritatis Callirhoé, aquarum gloriam ipso nomine praeferens. Ex quibus verbis quantum hic erratum sit, sive hoc a Boccatio, sive a librario factum dicas, intelligere potes“. 432) Ciceronis fons haud longe a Puteolis est. — Plinio, XXXI, c. 2. 432) Cyzice fons apud Cizium (sic). — Plinio, XXXI, 2. 432) Debris fons est apud Mateglae oppidum. — Plinius, V, 9. — Mateglae, correggi in Talgae. Cfr. in questo indice Plinio, alla voce Ater mons. 433) Geron Haestiacotide fons est. — Plinio, XXXI, 2. — Leggi Ceron. 433) Jovis fons in Dodone. -—— Plinio, II, 103. 454) Leucogei fontes inter Puteolos et Neapolim. — Plinio, XXXI, 2. 434) Libetra Magnesiae fons. — Indicazione tolta da Piinio, IV, 9. Cfr. Servio e Vibio Sequestro. 434) Linus Archadiae fons. — Plinio, XXXI, 2. 456) Tadnos fons Arabum est haud longe a monte Eo. — Plinio, V, 29. -— Correggi Tadnos in Tatnos, Eo in Aeas; notando però che alcuni codici pliniani leggono come l’ediz. basileese. Cfr. Sillig. Vol. I, pag. 461. 436) Thespiarum fons. — Plinio, XXXI, 2. 436) Turius fons est in promontorio Aethiopiae. — Plinio, VI, 29. — Osserva il Micillo doversi leggere Cucios; alcuni codici pliniani hanno Curius. Cfr. Sillig, Vol. I, pag. 462. 437) Alce lacus est per Porcidamum, quem apud Indos puto. — Plinio, XXXI, 2: ,Contra in Africae lacu Apuscidamo*®. 437) Alotrine lacus est in minori Asia, in monte Alotrine, ex quo Menander oritur fluvius. — Plinio V, 29: ,Amnis Macander ortus e lacu in monte Aulocrene“. 437) Arethusa Armeniae matoris lacus est. — Plinio, VI, 27. 437) Amaricus lacus est Troiae propinquus. -- Plinio, V, 30. — Osserva il Micillo (p. 438): , Nescio an sit Amaxitus legendum, quod si est, loci, non lacus nomen erit. Sic enim Plin: Troadis primus locus Amaxitus, dein Cebrenia . . . . quamquam nihil pronuntiare, tam corruptis exempl. volo“. * (p. * * (p. * (p. (p. io * (p. (p. — 369 — Alcuni codici leggono Amaritus, che è luogo, non lago. Cfr. Sillig, Vol. I, p. 384, che adottò la forma: Hamaxitus. 440) Loryma lacus est in minori Asia în aspectu fere insulae Rhodiorum. — Osserva il Micillo: ,Plinii verba lib. 5, cap. 28, haec sunt. Deinde Pyrnos, portus Cressa, a quo Rhodus insula 20, M. pass. locus Loryma, etc. ex quo apparet lacum pro locum legisse Boccatium“. Sta bene ma un codice pliniano reca anch'esso lacus in luogo di locus. Cfr. Sillig, Vol. I, p. 376. 441) Maleficus lacus in Troglodytis est, quem etiam imsanum vocant. — Plinio, XXXI, 2. — Il Boccaccio fraintese il passo di Plinio, il quale scrive: ,Iuba in Trogodytis lacum insanum malefica vi appellatum*. . 441) Mareotis lacus est, qui olim Crapotes dicebatur. — Plinio, V, 10. — Il passo di Plinio suona così: ,iuxta Mareotim lacum, qui Zocus antea Rhacotes nominabatur“. Il Boccaccio fu tratto in errore da’ codici pliniani, alcuni de’ quali (cfr. Sillig, I, 358) recano lacus invece di locus, e Erapotes invece di Rhacotes. 441) Pandosus lacus Arcaniae (sic), quae vocari consueverat Curetis. — Plinio, IV, 1. — Il Micillo osserva: , Verba Plinii sic habent, Civitas, Anactoria, Locus, Pandosia, Acarnia, quae ante Curetis vocabatur. Vides igitur duplicem mendam“. Ma nemmeno il Micillo riporta bene il passo di Plinio, che secondo l’ ediz. del Sillig (Vol. I. pag. 272) suona così: civitas Anac- toria, locus Pandosia Acarnaniae quae antea Curetis vocabatur oppida Heraclia, Echinus etc.£. Del resto anche alcuni codici pliniani recano lacus Pandosia in luogo di locus. Cfr. il Sillig in nota alla pag. citata. 441) Rubresus lacus est Narbonensis provinciae. — Plinio, III, 4. — ,Rubrensis a Plinio vocatur“, osserva il Micillo. Alcuni codici pliniani (cfr. ediz. Sillig, Vol. I, pag. 221, in nota) hanno: Rubrosum. 444) Aesepus fluvius est Asiae. — Plinio, V, 32. 444) Acesines fluvius est Persia. — Plinio, VI, 20, e XVI, 36. 445) Amphrysus fluvius in Pyrrha est, reddens steriles mulieres. -- Plinio, XXXI, 2: ,in Pyrraea flumen quod Aphrodisium vocatur sterilis facit*. Alcuni codici pliniani (cfr. Sillig, Vol. * (p. " (p. . 449) Azius Macedonum fluvius est. — Plinio, XXXI, 2. . 449) Balchus fluvius est Colchorum, in ora Eniochorum atque * (P, Cb: (p. ad *.(P, — 370 — IV, pag. 428) recano Amplrysus in luogo di Aphrodisium, appunto come l’ ediz. basileese. 445) Alba Blandae flumen est n Vasconia. — Plinio, III, 3: ,,Blandae fiumen Alba, . . . .4. 448) Arosapes fluvius in India. — Plinio, VI, 23. Prenstelorum. — Plinio, VI, 4. — Il Micillo osserva: , Prew- stelorum, alias Ampreutarum. Vide ex Plin. sit ne legendum Bathis pro Balchus*. Così è; cfr. lediz. del Sillig, Vol. I, p. 404. . 450) Belus fluvius Phoenicis — Plinio, V, 19. — Correggi Candea seu Candebia in Cendebia, Aeron in Ace; però alcuni codici pliniani leggono Acon. 451) Cabrius Persarum fluvius, hostio portuosus. — Plinio, VI, 23: »Apirus Suarorum ostio portuosum#. Alcuni codici pliniani: Cabirus, Cabyrus, Caberon. 451) Cayster fluvius est, labens praeter Asiam paludem Astae, ex Albanis jugis cadens, et civitatem abluit Ptelae sub Pione monte. — Plinio, V, 29: ,.. .-. Ptelea. Attolitur monte Pione, adluitur Caystro, in Cilbiamis jugis orto . . .€. 451) Camicos Siciliae fluvius monte Adusto simili, Africano sunctus. — Bene osserva il Micillo a pag. 454. ,,Videtur hic omissum nonnihil, nam apud Vibium sic legitur: Camicos Siciliae (scilicet fluvius est) ex quo urbs Camiceos, dividit Agrigentinos. Apud Plinium vero lib. 6, cap. 23: A flumine Canis, ut Iuba tradit, mons adusto similis. Ex quibus vides, id quod Plin. circa Canem fluvium scribit a Boccatio. Camico Siciliae attributum esse. Est autem et Camicha Indiae fluvius, quod propterea hic addo, quia in veteri exemplari non Camicos, sed Canucos legebatur“. Cfr. Vibio Sequestro. 451) Cainas Brachmanarum fiuvius. — Plinio, VI, 18. 452) Cephesus navigabilis fluvius. — Plinio, VI, 23. — Correggi Cephesus in Cophes. (pag. 452) Cephalcidis (sic) Siciliae fluvius est, Himere oppido proximus. — Il Micillo a pag. 454: ,Male animadvertit Plinium (III, 8) Boccatius, nam cum ibi legisset: Oppida Panhormum, Solus, Himera cum fluvio, Cephaledis, Aleuntium etc. Cephaledis, quod oppidi nomen est, cum superioribus construxit, et pro fluvio accepit, cum Himera et fluvii et oppidi nomen sit“. * (p. * (p. #1(Pe — 371 — 453) Glaucus fluvius Asiae minoris. — Plinio, V, 29. 453) Zonderon fluvius est Arianae regionis. — Plinio, VI, 23. — Correggi: Tonberon; quantunque parecchî codici pliniani abbiano Tonderon. Cfr. Sillig, Vol. I, pag. 436. 453) Cophata seu Cophinus fluvius est Indiae. — Plinio, VI, 23. — È il fiume Cophes di Plinio. (p. 454) Crianos fluvius. — È passo erratissimo. — Plinio, V, (p. * (p. (p. ( (p. (p. (p. ® (pi (p. 80. Il Micillo vorrebbe scrivere Eryannos, ma Crianos è miglior lezione. Cfr. Sillig, Vol. I, p. 384. 455) Danubius fluvius. — Plinio, IV, 12. — Tutto 1’ articolo è copiato da Plinio, sino alla parola Spereostoma. 455) Cluder sive Cludrus minoris fluvius Asiae. — Plinio, V, 29. 455) Aeas fluvius a qubusdam Aous vocatus. — Plinio, III, 23. 455) Hebrus inter Thraciae fluvios celeberrimus est. — Il Micillo pag. 458: , Vide lib. 4, cap. II, Plinii ex quo quae hic de Hebro Boccatius refert, omnia, sed confusissime atque corrup- tissime consarcinata sunt, adeo ut vix summa difficultate qualiacunque haec restituere potuerimus”. 456) Aegos fluvius est Propontidi vicinus, in ripis Tentusa ap- posîita est. — Plinio, IV, 11, scrive: Cissa, non Tentusa, città che non trovo rammentata da nessuno. 456) Elles fluvius est minoris Asiae, cingens Smyrnam civitatem suis undis. — Il Micillo serive: ,HyWMlus fortasse. Vide Pli- nium, lib. 5, cap. 29“. Hylus non crederei, ma piuttosto l’altro fiume menzionato da Plinio nello stesso capitolo con le parole; ,in ora Zmyrna, amne Melete gaudens non procul orto“. 457) Hermes . . . fluvius. — Da Plinio, V, 29 le parole: Ali dicunt — dividere. Correggi ex Doricilio in iuata Do- rylacum. 458) Erasinus fluvius ‘est Argivorum. — Plinio, II, 103. 458) Phasis Colchorum fluvius. — Plinio, VI, 4. Plinio (ed. Sillig, pag. 404 e | Boccaccio (ed. basil.). so sis. 405, Vol. I) .. clarissimusque Ponti Pha- »Phasis Colchorum fluvius est Oritur in Moschis, naviga- | ingens, maxima deferens diu na- — 372 — tur quamlibet magnis navigiis XXXVII _M D p., inde mino- ribus longo spatio, pontibus CXX pervius. Oppida in ripis habuit complura, celeberrima Tynda- rida, Circaeum, Cygnum et in faucibus Phasim Maxume autem inelaruit Aea XV M p. a mari, ubi Hippos et Cyaneos vasti amnes e diverso in eum con- fluunt. Nunc habet Surium tan- tum, et ipsum ab amne influen- te ibi cognominatum, quo magnarum navium capacem esse diximus. Et alios accipit flu- vios. magnitudine numeroque mirabilis, inter quos Glaucum. ; In ore eius insulae sine nomine ab Absaro LXX M. Inde aliud flumen Charien, gens Salae anti- quis Phthirophagi dicti et alias Suani. Flumen Chobum e Caucaso per Suanos fluens. Dein Rhoas, regio Ecrectice, amnes Singames, Tarsuras,Astelephus, Chrysorroas. Gens Absilae, castellum Seba- stopolis a Phaside C M p. Gens Sannigarum, oppidum Cygnus, flumen et oppidum Penius. Deinde multis nominibus Heniochorum | gentes. vigia, quem in Moschis ortum aliqui dicunt, alii in Morcorum montibus, ‘et quidam a Gara- mante monte effusum, cuius in marginibus, oppida fuere plura et celeberrima. Sed inter alia Tiritaceum, et Phasis et Cygnus. Maxime autem inclaruit Aea, ubi Hippos, et Cianos permaximi flu- vii scentur (sic) eidem. Post habuit Surium, apud quod et Surius : fluvius influit. Recipit praeterea usque | Glaucum, et Absarum, et Cobum e Caucaso descendentes. Tandem post longissimum cursum ultra hostia Tanais in Pontum effluit, clarus quidem et aliis, praeter iam dicta, insignibus fluviis est. * (p. 459) Forinos fluvius Aquaileiae propinquus est. — Plinio, III, 18. — Correggi Forinus in Formio. * (p. 459) Gallus Lycaoniae fluvius. — Cfr. Plinio, V, 32, e XXXI 0 (p. 459) Ganges fluvius Indiae. — Da Plinio, VI, 18 deriva il passo del Boccaccio dalle parole: Nam ali ex incertis fontibus — navigabilibus fluminibus augetur. * (p. 460) Glaucus Colchorum fluvius est. — Plinio, VI, 4. tp; (p. (p. (p. (p — 373 — . 461) Hypasis fluvius est Indiae. — Plinio, II, 73. . 462) Vior fluvius Mauritaniae. — Plinio, V, 1. . 464) Libeus fluvius minoris Asiae est. -—- Plinio, V,32. — Alcuni codici pliniani leggono Lybeus in luogo di Lilaeus. Cfr. Sillig, Vol. I p. 396. . 464) Lynceus, seu Lyncestis fluvius. — Plinio, II, 103. . 464) Lycus Asiae fluvius est. — Plinio, V, 28 e 29 (Boc- caccio: cui Laodicea celeberrima civitas apposita est), V, 24 (Boccaccio: secundum quosdam in Euphratem decurrit) VI, 3 (Boccaccio: secundum vero alios disterminata Armenia minori ruit in Irim). Cfr. Quinto Curzio. 464) Lycus fluvius est Asiae, qui terras subit, et demum red- ditur terris. — Plinio, II, 103. 464) Liris fluvius. — Da Plinio, III, 5 le parole: Min- turnam — appellatus est. Correggi Glamicus in Clanis, avver- tendo che alcuni codici pliniani (cit. dal Sillig, Vol. I, pag. 232) recano Glanicus. 465) Marsya fluvius. — La massima parte da Plinio, .V, 29. Cfr. Quinto Curzio. 465) Maeander fluvius in monte Aulocrene. — Plinio, V, 29. — Il Boccaccio toglie da Plinio le parole da , Maeander fluvius — Piene et altis“. I nomi delle città sono assai sformati nell’ ediz. basileese. . 467) Nar, seu Naria fluvius. — Plinio, III, 12. * (pag. 467) Navia fluvius est apud Cantabros. — Plinio, IV, 20: * (p. Navilubio; però alcuni codici pliniani hanno Navia Albione. Cfr. Sillig, Vol. I, p. 324. 469) Nonimbarus fluvius est propinquus Seleucie. — Plinio, V, 27. Il Micillo osserva: , Verba Plinii sic habent: Seleucia supra amnem Calicadnum Trachiotis cognomine, a mari relata, ubi vocabatur Olmia, praeterea intus flumina Liparis, Bombos, Paradisus, mons Imbarus. Ex quibus colligo pro Nonmimbarus, Bombum aut Liparim reponendum esse“. Io supporrei piuttosto che nel codice pliniano del Boccaccio stesse Nomimbarus in luogo di mons Imbarus. * (pag. 470) Ocazane fluvius est conterminus Albanis. — Plinio, VI. 10.— Correggi Ocazane in Alazone; avvertendo che alcuni codici pliniani hanno Ocazane come l’ ed. bas. del Boccaccio. * (p. 470) Odessus fluvius est Macedoniae apud Milesios. — Plinio, IV, 11. — Bene osserva il Micillo: ,,Pli. non flu. sed urbis it, (p. * (p (p. ubi - 974 — nomen facit, ut nostri habent codices“. Il Boccaccio lesse erroneamente Odessus Milesiorum flumen, in luogo di unire la parola /lumen alla parola successiva Panysus. 470) Origeus fluvius est Carmaniae. — Plinio, VI, 23. — Il Micillo osserva (p. 471): , Verba Plinii haec sunt: insula quae Solis appellatur, et eadem cupile nympharum, rubens, in qua nullum animal non absumitur, incertis causis. Orè gens, fumen Carmaniae, Hytanis portuosum, et auro fertile. Ex quibus vides Boccatium pro eo quo hic diversis dictionibus legitur Ori gens, Origeum legissse et construxisse cum sequentibus non ani- madverso, qui sequitur Hytane“. Un codice citato dal Sillig (Vol. I, pag. 438) reca Ortens. 470) Orontes fluvius est Syriae, ex Libano profluens iuxta Eliopolim oppidum. — Da Plinio, V, 22. Cfr. Vibio Sequestro. . 471) Padus fluvius est Galliae Cisalpinae. — In margine al- l'edizione basileese il Micillo osserva: ,,Haec omnia apud Plinium lib. 3, cap. 16, rectius et plenius*. — Cfr. Pom- ponio Mela. . 492) Padusa fluvius. — Plinio, III, 17. . 472) Paneus fluvius est Colchorum, cui oppidum imminet sui nominis. — Plinio, VI, 4. — Il Micillo annota in margine »Credo esse qui a Plinio vocatur Pithyus lib. 6, cap. 44. Però la lezione: Penius adottata dal Sillig (Vol. I, pag. 405) cor- risponde meglio a quella del Boccaccio. . 472) Pantagias fluvius. — Da Plinio, III, 8 le parole: Pontagius (sic) — Syracusanis. Cfr. Vibio Sequestro. 472) Parapamisus seu Propanisus fluvius est Scytharum. — Plinio; PV; 13: . 474) Rasaste fluvius est in Ponto haud longe ab Anthio oppido, quod postea Apollonia dictum ‘est. — Il Micillo osserva: » Verba Plinii sunt ex lib. 4, cap. 11: Astice regio habuit oppidum Anthium nune est Apollonia, flumina Panissa, Rira, Tearus, Orosines. Fortasse igitur, ira hic restituendum, quam- quam lectori iudicium relinquo“. ras si legge nell’ed del Sillig, pag. 291, Vol. I. 474) Rutuba fluvius. — Da Plinio, III 5 le parole: AWi videntur — in fimbus Ligurum. 475) Sabaris Calabriae fluvius. — Plinio, XXXI, 2. — Bene osserva il Micillo che i codici pliniani hanno Sybaris non Sabaris. Cataris è errore tipografico in luogo di Crathis. 40); (p. * (p. dp. * (p. * (p- * (p. (p. Sp: * (p * (p. — 375 — 476) Semiris minoris Asiae fluvius est. — Plinio, V, 32. — Il Micillo osserva: ,Crynis fortasse ut apud Plinium“. I co- dici pliniani del Micillo leggevano Crymis; ma la lezione adottata dal Sillig (cioè: Serwmis) s’avvicina assai più alla lezione del Boccaccio. 477) Siler Venetorum est fluvius. — Plinio, III, 18. — Correggi Sedler in Silis. 477) Sinnus Syriae fluvius. — Plinio, V, 27. — Il Micillo osserva (pag. 478): , Verba Plinii sunt. Flumina, Andricus, Pinarus, Lycus, sinus Issicus. Oppidum Issos, inde Alexandria, flumen Chlorus, oppidum Aegae, lib. 5, c. 27. Mirus ni hic Sinus Issicus pro proprio accipit Boccat.*. Cfr. quest’ indice in Plinio alla v. Amanus mons. 479) Temedius fluvius est Ioniae. — Plinio, V, 27. — Il Micillo vorrebbe scrivere Telmessus; il Sillig (Vol. I, pag. 376, $ 103) adottò la lezione Telmedium sull’autorità de’ migliori codici pliniani. 430) Cetius fluvius est fusus a monte Pindaso. — Plinio, V, 30. 480) Titus fluvius. — Plinio, III, 19 e 21. — Leggi Tetum sebbene alcuni codici pliniani rechino Z'tium. 480) Tichis fluvius est Hispaniae. — Plinio, III, 4. — Alcuni codici pliniani hanno Telan e Tichim. Il Sillig (Vol. I, pag. 221) adottò: Tecum. 481) Cobum fluvius e Caucaso monte ruit et per. Suavos. de- fluit. — Plinio, VI, 4 — I codici pliniani recano Suamnos. 481) Tormenium fluvius est navigabilis, circa quem Parirae et Ichtyophagi deinde sunt. — Plinio, VI, 23. — Questo è il Tonberon di Plinio, che in alcuni codici pliniani si legge anche Tormerium. E Parirae leggesi pure in alcuni codici pliniani in luogo di Pasirae. Cfr. Sillig. Vol. 1, 437. 482) Verraga fluvius, cuius Babyloniù margines incolunt, cadens in Varrogam. — Cfr. Varroga. 482) Varroga et hic Babyloniorum fluvius. — Il Micillo os- serva: » Plinius Narrogam vocat lib. 6, cap. 26, uniusque tantum, non duorum (ut hic) mentionem facit“. Credo che il Micillo si sia ingannato, poichè Plinio parla anch’ egli di due fiumi: » Babylon, juxta fuvium Narragam, qui cadit in Narrogam, unde civitati nomen“. Il Sillig (Vol. 1, p. 446) avverte in nota a 15 * * (p. * (p. (p. * (p. (p. (p. — 376 — questo passo: ,Verum quidem est nomen Narrogam perquam suspectum esse, non dubitavi tamen illam lectionem ab omnibus cod. commendatam recipere, cum ipsa verba interpolationis specie non prae se ferant. Nomen fluvii et urbis cognominis nune Narrogae dictae vix unquam detegetur“. 482) Vestigia fluvius est in extremis Italiae versus Siciliam. — Il Micillo osserva: ,Verba Plinii lib. 3, cap. 10 haec sunt: In ea ora flumina innumera, sed memoratu digna, Locanus, Sagra et vestigia oppidi Caulonis ete. Tu igitur vide utrum pro proprio, an pro appellativo vestigia malis accipere”. . 483) Zarotis fluvius est Persarum. — Plinio, VI, 23. — Il Micillo lesse ne’ suoi testi di Plinio: Oroatis; ma Zarotis sta bene. Vedi Sillig, I, pag. 438. . 483) Zelia fluvius est. propinquus. Lampsaco oppido. — Il Micillo osserva: , Vide Plinium lib. 5, cap. ult. Nam ibi non pro fluvio sed pro regionis cognomine accipitur€. 485) Laterna stagnum est provinciae Narbonensis. — Plinio, IX, 8. — Avverti che alcuni codici pliniani recano Laterna in luogo di Latera, Nemusiensi in luogo di Nemausiensi; appunto come l’ediz. hasileese del Boccaccio. 486) Nympharum stagnum est apud Lydiam. — Ptinio, XXXI, 2. 487) Salpina palus. — Da Plinio, II, 11 le parole: a Salpi civitate amoris Hanmibalis Poeni indice (sic; correggi: inclita) dicta. est. 487) Siden sunt qui dicant apud Indos stagnum esse, in quo mil penitus innatet, sed immissa omnia sorbeantur. Siden apud Indos stagnum est, cuius in aquis quantum- cunque leve sit ml natat sed mergitur omne. — Il Micillo osserva: »Idem est cum superiore quem Fidem Boccatius vocarat, nos Siden restituimus ex Plinio lib. 31, cap. 2°. La prima descrizione dello stagno Siden deriva da Isidoro (cfr. quest’ indice in Isidoro); la seconda da Plinio. 487) Triton palus, ab co denominata est ...“. — Plinio, V, 4. — Il Micillo erra citando in margine di questo passo Vibio Sequestro. Vibio parla della palude Tritonia Iperborea, il Boccaccio e Plinio accennano all’ Africana. * (p. (p. * * * — 377 — Gioseffo Flavio. (p. 438) Asphaltis lacus. — Da G. Flavio, De bello judaico, V, (p- (p. (p. (p. (p. = @ AIA * (p. (p. 5, le parole Nihil enim — impulsi sunt; da Est tamen lava- tombus — morbis aliquibus; da Quidam vero eum mare — testari iudicium. 462) Iordanus fluvius. — Da G. Flavio, De bello judaico, II, 18, le parole da Nonnulli asserunt -— per subterraneos meatus apud Paneadem redditis. Quinto Curzio. 417) Meros mons. — Curzio, VII, 10. 452 e 453) Cydnus fluvius. — Da Curzio, III, 4, le parole: Tharsum miscetur undis. 455) Diardeus fluvius.. — Curzio, VII, 9. — Correggi: Dyardenes. 457) Hermandus fluvius. — Curzio, VIII, 9. — Correggi: Erymanthus. 461) Hiarotis fluvius. — Curzio, IX, 1. 464) Lycus Asiae fluvius. — Da Curzio, III, I, le parole dal principio sino a Lycus denominatus ab incolis. 473) Politimetum flumen. — Da Curzio, VII, 10, come av- verte già il Micillo. Solino. 405) Apollims promontorium. — Solino, Collectanea Rerum Memorabilium, 27, 1. 406) Argaeus Capadociae mons. — Solino, 49,4. — Nella edizione di Solino, curata da ‘Teodoro Mommsen (Berlino 1864) trovi annotato in margine (p. 192, linea 12) che è ignota la fonte donde Solino attinse le notizie attinenti a questo monte. 406 e 407) Athos Macedoniae mons. —- Solino, 11, 33. — Quando il Boccaccio scrive dell’isola di Lemno che ,asunt. alùi LXX millium passuum, aliù vero LX XXVI, ab Atho distare, egli potè avere dinanzi a se o due codici di Solino con varia lezione (cfr. led. di Solino del Mommsen, pag. 86, nota alla » * (p. 2 (©: * (p. sal 10 (p. (p. . * (p. * p * (p. * p. *(p. (p. — 378 — linea 14), o ciò che è più probabile, un testo d’ Isidoro che recava il numero LXX. L’ edizione d’ Isidoro uscita a Venezia co’ tipi di Ottaviano Scoto (1493) che ho sott’ occhio, reca (alla pag. 54): 86. 407) Borion promontorium. — Solino, 27, 7. 412) Emochi montes sunt Indiae. E subito dopo: Emodus mons pars Caucasi creditur, quem cum superioribus, quos Emo- chos vocamt idem credo. — Il nome Emochorum deriva probabil- mente da alcuni codici guasti di Solino (15, 17) che portano la variante Emochorum in luogo di Heniochorum. Cfr. led. del Mommsen, pag. 96, nota alla linea 5. 453) Choaspes fluvius.: — Solino, 38, 4. 455) Diana fluvius. — Solino, 5, 16. 461) Himera . . . fluvius. — Da Solino, 5, 17, le parole: qui in meridiem pergit dulcis fit, et amarus vergens Aquilonem. Cfr. Vibio Sequestro. 464) Lethe fluvius. — Dalle parole: Sane, ut aliquibus placet, — Berenice civitate. Da Solino, 27, 54. 480) Tigris Armeniae maioris fluvius. — Dalle parole: At quum Moedorum (sic) fines — demersa ferens. — Da Solino,37,5 e 6. 486) Petrensium arvunt esse stagnum. — Solino, 5, 22. Eusebio, amplificato da San Girolamo. 402) Aalac mons. — Eusebii Pamphili, Episcopî Caesa- riensis Onomasticon urbium et Locorum Sacrae Scripturae graece cum latina Hieronymi interpretatione ediderunt F. Larsow et G. Parthey (Berlino 1862), pag. 35, alla voce Ahalae. 402) Abarim mons. — Eusebio, p. 7 alla voce Abarim. Le parole dividens terram Amon et Euphratis, sono aggiunte dal Boccaccio. 403) Agrispecula. — Busebio, p. 13, alla v. Agri specula. — Il Salvini nota che ne’ manoscritti dell’opera del Boccaccio leggesi Arnone in luogo di Aenone e Balac filius Sephor in luogo di filius Beor, come reca erroneamente il testo basileese. 404) Amaleth mons. — Eusebio, p. 363, alla v. Fraaton. 404) Antelibanus. — Eusebio, p. 45, alla v. Antilibanus. Dalle parole: circa regionem urbis — Manasse. (407) Baal mons Ermon. — Busebio, p. 89, alla v. Baal Aermon. * (p. " (p. * (D- * * (p. * (p. * . * (p. * (p- (p. * (P. * (p- + (p. * (p. * (p. — 379 — 407) Befegor e Fegor montes. — Eusebio, p. 363, alla v. Fogor et Bethfogor. 407) Beris super Miniandam in Armenia mons. — Eusebio, p. 53, alla v. Ararat. — Correggi Miniandam in Myniadem. 408) Caas mons. — Eusebio, p. 129, alla v. Gaas. — Il Vicantanam dell’ ediz. basileese correggi in vicum Thamna. 408) Cardenni montes. — Eusebio, p. 01, alla v. Ararat. — Leggi Carduenorum montes. 409) Catacrisea montess — Eusebio, p. 259, alla v. Catata chrysea. 413) Hermon mons Amorreorum. — Eusebio, p. 17 e 19, alla v. Aermon. 414) Gad mons est minoris Asiae:. — Eusebio, p. 133, alla v. Gadgad. 414) Galaad mons est ad tergum Phoemicis (sic) et Arabiae. — Eusebio, p. 141, alla v. Galaad. 414) Gebal mons est Iudacae. — Eusebio, p. 147, alla v. Gebal. 414) Gelboè Syriae mons. — Eusebio, p. 153, alla v. Gelboe. 422) Remna mons. — Eusebio, p. 313 e 315 alla v. Remna. 423) Seir mons est Idumacae. — Eusebio, p. 337, alla v. Sear. 423) Semeir, seu Semer mons est in Iudaea. Vedi Semeron. 423) Semeron mons Iudaeae. — Eusebio, p. 343, 345 alla v. Semeron. — S. Girolamo traduce Eusebio così: Quod Amrs rex Israel emerit montem Semeron a quodam Semer. L'aggiunta hune — superiori è del Boccaccio. 424) Sophim mons est Ephraim. — Eusebio, p. 351, alla v. Sophim. * (424) Siophora mons est Indiae orientalis. — Eusebio, p. 39], alla v. Sophera. (p. 425) Tabor mons est in medio Galllaeae. — Da Eusebio, p. 209, alla v. Thabor dal principio sino sublimis. * (427) Ziph mons. — Eusebio, p. 199, alla v. Ziph. — Puto in Syria est è aggiunta del Boccaccio. (p. 430) Areth fons est Syriae. — Eusebio, p. 57, alla v. Areth. * (p. 433) Ena fons. — Eusebio, p. 27.629, alla v. Aenan. — Correggi Taimae Nicograndi in Thamnae vico grandi. (p. 435) Zogel fons est in Tribu Bemamin. — Eusebio, p. 319, alla v. Rogel. (p. (p. (p. (p. | (p. (p. * (p. — 380 — - 444) Abana fluvius est Damasci. — Queste parole sono prese da Eusebio, p. 9, alla v. Abana. . 499) Phison fluvius qui et Ganges.— Eusebio, p.361, alla v. Fison. . 460) Geon fluvius. — Da Eusebio, p. 141, alla v. Geon, da Geon — irrigare. -. 460) Gozam fluvius est Moedorum (sic). — Eusebio, p. 35, alla v. AWeabar. . 461) Jaboot fluvius. — Eusebio, p. 223 e 225, alla v. Jaboc. Servio Onorato. . 403) Agragas mons. — Da Servio, ad Vergilii Aen. II, v. 703 e 704 le parole: haud longe a Gela — transmittere. . 405) Aracinthus mons. -- Da Servio, ad Verg. Eclog. II, v. 24, le parole: dicunt . . . quidam eum esse Thebanum. . 406) Arius mons. — Da Servio, ad Verg. Eclog. V, v. 75, le parole: esto sint qui dicant eum promontorium et Arvisium vocatum. 407) Berecynthus mons est Phrygiae. — Servio, ad Verg. Aen. IX, 82. — Se il Boccaccio seguì Servio, il suo autografo dovrebbe recare Berecyntus senza %, che fu probabilmente aggiunto o da’ copisti o dagli editori. 410) Chimaera. — Servio, ad Verg. Aen. VI, v. 288. — Dalle parole: Alt praeterea mons — adinventus est. 410) Cibelus Phrygiae mons. — Da Servio, ad Verg. Aen. III, v. 111, le parole: denominata Cybele ab codem. 410) Citorus mons est Paphlagoniae. — Servio, ad Verg. Georg. II, v. 437, lo dice Macedoniae. — Avverti che Vibio Sequestro ha: potens dbuxo ; il Boccaccio scrisse con Servio : abundans. Cfr. Plinio e Vibio Sequestro. 412) Dicteus Cretae insulae mons a Dicte nympha. — Servio, ad Verg. Aen, III, 171: ,mons dietus est a Dicte Nympha quae illic colitur“. 413) Phaneus promontorium Chi insulae .. . a Phaneo rege denominatus. — Servio, ad Verg. Georg. II, 97. 414) Gargara Phrygiae mons. — Servio, ad Verg. Aen., IX, 86. — 5381 — (p. 416) Ismarus Thraciae mons. —Da Servio, ad Verg. Eclog, VII, 30,le parole: Lr hoc nonnunquam Orpheus cythara consuevit canere. (p. 417) Menalus Archadiae mons. — Servio, ad Verg. Georg. (p vp. I, 17. Se non che in Servio si legge: Menala. . 419) Olympus mons est altissimus Macedoniae. — Da Servio, ad Verg. Aen. IV, 268, le parole: Videtur quidem Olympus qui Ololampus, id est coelum, quod et Olympus etiam nominatur. 419) Parthenius mons Archadiae. — Servio, ad Verg. Eclog, TT. . 422) Rhiphei montes. — Da Servio, ad Verg. Georg. III, 382, le parole: /latw ventorum nuncupantur. . 424) Soracte mons est Hirpinorum. — Servio, ad Verg. Aen., XI, 785. Le parole: secundum alios Faliscorum, sono da Vibio. . 426) Tetricus mons Sabinorum. — Servio, ad Verg. Aen., VII, 713. . 428) Dodona. — Servio, ad Verg. Georg., I, 149, e Aen., III, 466. . 429) Molorchos nemus. — Servio, ad Verg. Georg., III 19. . 430) Cltumnus ut quidam asserunt Mevaniae fons. Ali vero Mevaniae flumen asserunt. — Servio, ad Verg. Georg. II, 146, lo dice /luvius. Cfr. Vibio Sequestro. . 434) Libetra Magnesiae fons. — Da Servio, ad Verg. Ecl., VII, 21, le parole: musis sucer a quo Musae dicuntur Libetrides. Ma Servio pone il fonte Beozia, e in Beozia io pone anche Vibio Sequestro. Perchè il Boccaccio l’ abbia detto Magnesiae spiega l’ Oberlino : , Apud Boccacium ita: Libethros Magnesiae fons est, Musis sacer; a quo Musae dicuntur Libethrides.. Qualis ea sit Magnesia, docet Plinius L. IV. c. 9. Thessaliae adnexa Magnesia est, cujus fons Libethra. Pomponius Mela haud procul Tempis locat. Ita L. II. c. 3. Hinc mon longe est Olympus, Pelion, Ossa . . . hic Musarum parens domusque Pieria . . hic sacro nemore mobilia Tempe: he Libethra, car- minum fontes. Haec testimonia de Libethris Thessalicis con- firmare videtur Pausanias L. IX. c. 30. ubi urbem Libethra in Olympo celebrem fuisse testatur, qua mons in Macedoniam se immittit ; verum idem ce. 34. Libethrii montis & fontis Musarumque inde cognominatarum in Boeotia. meminit. Kopwwslag dì cadlovs be Teocapdnovta. dpos Arteéyer to AtBybprov- dd)pata dì ev dute Movodiyte xaî Nupgaiv eTimAmotv écr AtBnbpiwy sat Tyyat (tav puev Autnbprtda dvopdbovam, i dì ETEpa mÉtpa) yuvamòe (p. (p. (p. * (p. (p. (p. (p. — 382 — pacoîg Etotv Eimacpaévat, nat Guotov yiXanti Uùwp dr dutdv dvetow. Itaque error videri posset, quicquid de carminum fontibus in Thessalia Plinius & Mela referunt, inde ortus, quod ad Libethra Thessalica transtulerint, quae rectius ad Libethrium Boeotium pertinebant“ (pag. 232 del Commento dell’ Oberlino a Vibio Sequestro). Cfr. Plinio e Vibio. 439) Caminius lacus. — Servio, ad Verg. Aen., VII, 697. — Correggi: Ciminius. . 444) Achelous fluvius. — Da Servio, ad Verg. Georg., I, 8, le parole: ali vero dicunt eum primum vinum cum poculis immiscuisse. Il Boccaccio intende certamente Servio con quel alii; poichè nel libro de Genealogis Deorum (lib. XVII, c. 19), egli scrive: , Primumque praeterea Lactantius et Servius dicunt hunc fuisse qui vinum poculis miscuerit, quod etiam testatur Virgilius: Poculaque inventis Acheloia miscuit. uvis“. Ma il passo di Servio fu dal Boccaccio male interpetrato. Servio dice che ,,circa hunc“, cioè intorno al fiume Acheloo, il pa- store di Oineo vide l’uva, e portolla al suo padrone, yqui cum liquorem expressisset, a suo nomine vocavit Oenon“. 454) Crinisus fluvius. — Da Servio, ad Verg. Aen., V, 30, le parole: quem aiunt Acestis fuisse patrem. Sulle tracce di Servio racconta il Boccaccio la favola di Criniso nel libro de Genea- logiis Deorum, lib. VII, cap. 48; come già avverte il Micillo in margine alla p. 191 dell’ediz. basileese. 458) Fabaris hic et Farfarus dicitur. — Farfarus sì legge in Servio, ad Verg. Aen., VII, 715. 470) Oazxes, ut placet aliquibus, fluvius alter a superiori est, et per insulam Cretae fertur, et ab co civitas Oazia nuncupatur. Verum timeo ne decipiantur tales Virgili carmine, ubi dicît, Pars Scythiam et rapidum cretae veniemus Qaxem, cum ibî cretae nomen non ponat pro insula, sed pro limo, quem semper secum trahit Qaxes. — Servio, ad Verg. Eclog., I, 66. 477) Simetos fluvius est Siciliae. — Servio, ad Verg. Aen. IX, 584. Cfr. Vibio Sequestro. 484) Camerina palus est Siciliae. — Fuorchè le parole: Ca- merina — dicta est (che sono prese da Vibio), tutto il rima- nente è tolto da Servio, ad Verg. Aen. III, 700. 486) Satura palus est Italiae. — Da Servio, ad Verg. Aen. VII, 301, derivano le seguenti parole del Boccaccio: Satura . . . quam alii transmutatis primis duabus literis Asturam vocant. — 383 — Vibio Sequestro. ‘ * (p. 403) Aganippe mons. — Vibio Sequestro, p. 14, linea 16 della edizione Vibi Sequestris de Fluminibus etc. Libellus a Conrado Bursian recognitus, Turici, Typis Zircheri et Furreri 1867. A questa ediz. si riferiscono le citazioni seguenti. — L’Oberlino (Vibius Sequester De fluminibus .... lectionis varietatem et integras doctorun commentationes adjecit et suas Jer. Jac. Oberlinus, Argentorati MDCCLXXVIIT) osserva (a pag. 300): ,Inter montes post nostrum retulit et Boccatius; contra veterum nemo, quantum novi“. E il Bursian (p. 14) in nota: ,Montem Aganippen in Verg. ecl. X, 12 invenire sibi visus est Vibius*. Musis sacer è aggiunta del Boccaccio. (p. 403) Agragas mons. — Vibio, 14, L 10. — Cfr. Servio. (p. 403) Albanus mons. — Vibio, p. 14, 1 13. (p. 403) Alburnus mons. — Vibio, p. 14, 1. 8. (p. 404) Alpes montes. — Vibio, p. 14, L 8. (p. 404) Amanus mons. — Vibio, p. 14, 1 19. — Cfr. Plinio. ' È noto che Francesco Hesselio alla sua edizione di Vibio Sequestro, pubblicata nel 1711 in Rotterdam co’ tipi di Arnoldo Willis, appose: Excerpta ex Joannis Bocchaccii de Certaldo libro de montibus, sylvis, fontibus, lacubus, fluminibus, stagnis, seu paludibus, impresso Rhegii, anno MCCCCLXXXI, ad illustrationem Vibii Sequestris. In questi Excerpta, che vanno dalla pag. 213 alla pag. 232 della edizione citata, 1’ Hessel trascrive le notizie aggiunte dal Boccaccio agli articoli di Vibio. Il mio indice parte da un altro principio: dagli articoli segnati con l'asterisco appare quando il Boccaccio deriva le sue notizie da Vibio solo; gli articoli senza asterisco mostrano soltanto che gli stessi nomi trovansi in Vibio e nel Boccaccio, il quale poi vi aggiunse altre notizie ricavandole da altri autori. — Non credo inutile di ricordare che l’ edi- zione di Vibio pubblicata a Roma dal Mazocchi, tanto rara che della sua esistenza si mostra dubitare, è posseduta dall’ illustre prof. Cav. Abate Pietro Canal di Padova. Nella mia biblioteca privata tengo l’edizione di Vibio pubblicata a Pesaro nel 1512 da Girolamo Soncino, della quale il Graesse (7résor des livres rares etc. alla v. Vibius Sequester) afferma ch’ ella rappresenta il ,testo della edizione Mazocchi. — La edizione più accurata di Vibio è quella del dotto filologo e geografo Corrado Bursian, che la condusse sull’ autorità del codice vaticano segnato col numero 4929. Per la storia di questo codice preziosissimo (del secolo X), del quale il Bursian afferma che ,ex hoc codice reliquos omnes (s. Vibi codices) . . . descriptos esse apparet“, diede nuove, importanti notizie il benemerito prefetto della Biblioteca Nazionale parigina, l'illustre accademico Leopoldo Delisle, alle pag. 17-21 della sua Notice sur vingt Manuscrits du Vatican (Paris, Extrait de la Bibliothéque de l’Ecole de Chartes, année 1876, pag. 450-527). (p (p. * (p. (p. gf (p- (p. (p. * (p. (p. (p. (p. "Di (p. (p. (p. — 384 — . 404) Apenmnus mons. — Vibio; p..14, 1. 1. 405) Aracinthus mons. — Vibio, p. 14, 1. 2. — L’Oberlino osserva a p. 289 della sua ediz. di Vibio: »Male Boccatius: Alii dicunt eum Atticae regionis montem; quidam eum esse Thebanum, nonnulli Ambracium et alii Arcadum“. Ben merita scusa Il Boccaccio, che avrà avuto dinanzi a sè un codice di Vibio che recava Arcadia in luogo di Acarnania. Vedi. Bur- sian, l. c. in nota. — Cfr. Servio. 405) Arentinus mons. — Vibio, p. 14, 1. 14. — L’Oberlino (p. 299) fraintende Vibio e il Boccaccio per aver adottato la lezione Aventinus. 406) Arius mons. — Vibio, pag. 14, 1. 3. — Cfr. Servio. 406) Ascraeus mons. — Vibio, p. 14, 1.5. — L’Oberlino (p- 291) scrive: ,Is Ascraeus mons; nemini, quantum novi, praeter Vibium memoratus, quem secutus Boccatius*. 406) Athlas... mons. — Vibio, p. 14, 1. 4. — Cfr. Plinio. 407) Athos Macedoniae mons est seu ut quidam perhibent Thraciae. — Vibio, p. 14, 1 11. — Tra’ ,quidam* è ap- punto Vibio. — Cfr. Solino. 407) Aventinus ex septem urbis Romae montibus. — Vibio, p. 14, L 6. — Cfr. M. T. Varrone. 408) Bebius Campaniae mons, iguem ad instar Actnae Syculae vaporans. — Vibio, p. 14, 1 18.— Il Bursian legge Besbius. Cfr. l’Oberlino (p. 302) che mal s’appoggia sull’ autorità del Boccaccio. 408) Berecynthus mons est Phrygiae. — Vibio, p. 14, 1. 19. — Cfr. Servio. i 408) Boreas mons est Epiri. — Vibio, 14, 1 19. 408) Calpe Hispaniae mons. — Vibio, 15, 1. 13. 409) Castalius mons in Delphis. —. Vibio, 15, 1 15. — L’Oberlino osserva (p. 314): Ex Vibio accepit Boccatius. . + + Antiquior Vibio, scriptor, sive Romanus, sive Graecus, qui Castalium montem diserte commemoret, nemo succurrit*. 409) Catillus mons est prope Tyburim. — Vibio, 15,1. 8. — L’ Oberlino (p. 309) osserva: ,montem nemo tangit praeter Servium, ex quo transcripsit noster, ut ex nostro Boccatius“. 409) Caucasus orientalis mons. — Vibio, p. 15; LL — Cfr. P. Orosio. 410) Chimaera, ut videant logici quia aliquid sit, mons est Ci- liciae. — Vibio, p. 15, 1, 10. — Cfr. Plinio e Servio. (p. (p. (p. (p. * (p- — 385 — . 410) Cillenius mons est Archadiac. — Vibio, p. 15, L 6. . 410) Ciminus Hetruriae mons: — Vibio, p. 15, 1. 12. — Cfr. Vibio, p. 12, 1 4. . 410) Cinthus mons est Insulae Deli. — Vibio, p. 14, L 21. . 410) Citheron Beotiae mons. — Vibio, p. 14, 1. 20. . 410) Citorus mons est Paphlagoniae. — Vibio, p. 15. 1. 2. — Cfr. Plinio e Servio. . 411) Clarius est mons Colophoniae. — Vibio, p. 19, 1. 5. . 411) Corax mons est non longe Tybure. — Vibio, p. 19, L 8..— ,Deceptus hic mihi videtur Vibius. Quum vidisset Ca- tillum et nomen conditoris esse Tiburis et montis ibidem, de Cora fratre Catilli idem praedicandum arbitratus est. Ast Servius post verba mox citata tantum adjicit: Coras @ cuius nomine est civitas în Italia. Aliunde quoque praesidium quoddam Sequestri frustra quaesiveris.. Auxit errorem Boccatius, qui sic: Corax mons est non longe Tiburi, a Corace fratre Tburti conditoris Tiburis dictus. Neque hic mendum subesse credide- rim; siquidem Corax apud ipsum praecedit, mons Aetoliae“. Così l Oberlino a p. 309. 411) Coricus Ciliciae mons. — Vibio, p. 15, L 14. — Cfr. Pomponio Mela. 412) Dicteus Cretae insulae mons. — Vibio, p. 19,1. 16. — Cfr. Servio. 412) Dindimus mons est Phrygiae. — Vibio, p. 15, 1. 18. — Cfr. Lattanzio Placido. 412) Dodona Chaoniae mons. — Vibio, p. 19, 1 17. — Cfr. Servio. 412) Emimodimus mons est Hyberiae Ponticae. — ,Vulgata lectio stare nequit. (Osserva il Relando citato dall’ Oberlino, p. 327). Illi emendandae Boccatius facem mihi praeferet. Legit enim in Vibio Emimodimnus Iberiae. Ego ita censeo: quum. praecedat Haemus Thraciae, illud Emimodimnus Iberiae natum ex Emimo. d. imaus Iberiae, ut Emimo. pertineat ad titulum praecedentem . ... Nosti plura in Vibio seripturae compendia inveniri: nosti quoque Haemimontem dici et Hae- mimontanos accolas. Nec videtur Imai montis clarissimi men- tionem nullam fecisse Vibius. Nullam autem fecit, nisi hoc loco fecisse eredatur“. * (p. 412) Eridanus mons est Dyrrhachi. — Il Bursian osserva (p. 15, nota 22): »,scilicet eum peninsulae in qua sita erat (p. (p. (p. p. (p. (p. (p. (p. (p. (p. (p. — 386 — urbs Epidamnus Dyrrachii nomen fuisse tradatur (cfr. Steph. Byz. p. 244, 10 s.; p. 273, 3; Philo apud Constant. Porphy- rog. de themat. II, p. 56 ed. Bekk.; schol. Lucan. VI, 14), haec duo nomina inter se commiscuit Vibius*. E il Boccaccio seguì Vibio nell’ errore. 412) Erimanthus mons finibus constitutus est Archadiae. — Vibio, p. 15, 1. 20. — Cfr. Lattanzio Placido. 413) Eryx Siciliae mons. — Vibio, p. 14, 1.9. 413) Etna mons. — Vibio, p. 14, 1. 9. 413) Phaneus promontorium Chi insulae. — Vibio, p. 17, 1. 6. — Cfr. Servio. 414) Pholoè mons est Thessaliae. — Vibio, p. 17, 1. 10. — L’Oberlino che si valse di altra edizione del Boccaccio che non fu la basileese scrisse (p. 360): ,Boccatius Pholoén pror- sus ignorat“. — Cfr. Plinio e Lattanzio Placido. 414) Gargara Phrigiae mons. — Vibio, p. 15, L 23. — Cfr. Servio. 414) Gaurus Campaniae mons. — Vibio, p. 15, 1. 24. 415) Ida mons est Phrygiae. — Vibio, p. 16, 1 6. — Cfr. Pomponio Mela. 415) Hyperborei montes sunt Scythiae. — Vibio, p. 16, 1. 2. — Cfr. Isidoro. 416) Ismarus Thraciae mons. — Vibio, p. 16,1. 5. — Cfr. Servio. 416) Libetras mons est Aetoliae. — L’Oberlino osserva a p. 332-333. ,Heic restat inquirendum in illud, cur Aetoliae Li- bethridem montem adscribat Vibius, quem sequitur quoque Boccatius. Thessalica vel Thracica Libethra itemque Boeotica ostendimus suo loco; in Aetolia nemo ponit. Forsan librarii error totus est, Bocotiae Aetoliam substituentis. Fitque id eo magis verosimile, quod supra Libethron fontem Boeotiae re- censeat noster“. Il Bursian non accolse la voce Libethris nel suo Vibio; e prima ancora l'aveva ommessa led. Soncinate. Cfr. Servio. . 416) Lycaeus mons est Archadiae. — Vibio, p. 16, L 7. . 417) Marpesus mons est Paros insulae. — Vibio, p. 16, 1. 10. . 417) Massicus mons est Campaniae. — Vibio, p. 16, L 9. . 417) Maatoria mons est Hispaniae. — Vibio, p. 16, 1 12. — Il Bursian legge il passo di Vibio: Maateria inata oppidum Auronae Hispamiae. Cfr. la sua nota al passo citato. 07, * (p. * (p. * (p. . 418) Neritus mons est Ithacae. — Vibio, p. 16, 1. 15. . 419) Nysa mons est Indiae. — Vibio, p. 16, 1. 16. . 419) Oeniphile Dyrrachiù mons est. — Vibio, p. 17, 1 2. . 419) Oeta mons inter Thessaliam et Thraciam. — Vibio, * (p. . 421) Pindus mons est Thessaliae. — Vibio, p..17,L 4 — gn 417) Menalus Archadiae mons. — Vibio, p. 16, 1 8. — Cfr. Servio. 418) Monoétes mons est IMiriae. — Vibio, p. 16, L 11. L’ Oberlino osserva a pag. 337: ,... Sufficere haec credo, ut intelligamus, Monoecum suum ex istis poétis desumsisse Vi- bium, et in describendo dein ex Liguriae ortum IMlyriae, ex mera oscitantia. Si cui tamen aliquis mente haereat scrupu- lus, is dubitandi causam ex eo desumere poterit, quod varia, minus trita aliis, fluviorum. et montium Ilyridis nomina servet Sequester, quae non prorsus vana esse vidimus, in his Eridani, Boreae. Tum provocabit ad Boccatium, penes quem sic legitur: Monoetes mons est Illyriae*. Il Bursian adottò la correzione del Gronovio, leggendo: Monoecus Liguriae. 418) Nemaeus Cleonensium mons est. — Vibio, pag. 16, 1. 17. — ,Loco corruptissimo medelam ex Boccatio attulimus, qui solus sanam lectionem servarat. Così l’ Oberlino a pag. 343. 418) Niphates Armeniae mons. — Vibio, p. 16, 1. 14. p. 17, 1 1. — L'aggiunta, che il monte sta tra la Tessaglia e la Tracia, è derivata dal Boccaccio da altre fonti. .- 419) Olympus mons est altissimus Macedoniae. — Vibio, p. 17, 1. 18 e 19. — Cfr. Servio. .420) Ossa Thessaliae mons. — Vibio, p. 16, 1. 21. — Cfr. Plinio. . 420) Othrys Thessaliae monsì — Vibio, p. 16,1. 21. — Cfr. Plinio. . 420) Palatinus urbis Romae mons. — Vibio, p. 17, LT. . 420) Pangaeus Thraciae mons. — Vibio, p. 17, 1.9. . 421) Parnassus . .. Phocidis mons biceps. — Vibio, p. 17, ls . 421) Parthenius mons Archadiae. — Vibio, p. 17,1 5. — Cfr. Servio. . 421) Petra Dyrrachi mons. — Vibio, p. 17, 1. 13. — Cfr. Giulio Cesare. 421) Pilartes Dyrrachii mons est. — Vibio, pi 17,1 12. Cfr. Plinio. (p. (p. " (p. (p. (p. (p. (p. (p. Sp. Api (p. (p. * (p. — 388 — 421) Pyreneus mons est ingens, dividens Hispamiam a Gallis. 1 — Vibio, p. 17, 1 11. — Cfr. Isidoro. 422) Quirinus vel Quirinalis mons est Romae. — Vibio, p. 17, 1. 14. — Cfr. Varrone. 422) Ramnusium Scodrensium mons est. — Vibio, p. 17, RAV RZ. 422) Ehiphei montes sunt Scythiae. — Vibio, p. 17, 1. 16. — Cfr. Servio. 422) Ehodope mons Thraciae. — Vibio, p. 17, 1. 15. 423) Sarnus est medius inter Pompeianum agrum et Salerni- tanum. — Vibio, p. 17, 1. 20. — Vibio ha soltanto: ,,Sarnus Nuceriae“. 424) Stpylus mons est maximus inter Lydiam et Phrygiam. — Vibio, p. 17, 1 21. — Vedi Boccaccio, De Gen. Deor. Lib. XII, cap. 2. 424) Soracte mons est Hirpinorum. — Vibio, p. 17, L 19: ,Secundum alios Faliscorum“. Tra gli alos è inteso Vibio. — Cfr. Servio. 424) Stesianus mons est Molossorum. — Vibio, p. 17,1. 21. — L’Oberlino osserva a pag. 369: ,... Non video, quo Boc- catii exemplo usus sit Ortelius, qui apud istum Stestanus legi scribit. Equidem in antiquissimo, Rhegiensi scilicet, a. 1481, excuso, haec deprehendo: Stessiarus mons est. Molos- sorum. Quid de conjectura Hesselii dicam, non sat scio. Apud Boccatium sequitur verba mox laudata articulus iste: Stym- phalon mons est Arcadiae - - - ut sie facile praecedere potuerit: Stympha mons est Molossorum. Verum nec tale quid in seriptis libris reperit Boccatius, nec ullo modo, quos novimus, in hoc nomine variant. Stympha, hodieque Stympha, inter alios memoratur Straboni L. VII, p. 325“. Il Bursian ha: Tmarus Molossiae. Il lettore s’accorge da solo quanto pecchi in questo passo la glossa dell’ Oberlino. 425) Taburnus mons est în Samnio olivetis conspicuus. — Vibio;!ip.018,/L 1. 425) Taygeta mons Laconum. — Vibio, p. 18, 1. 2. 425) Taenarus Laconiae promontorium est. — Vibio, p. 17, 1. 24. 425) Tenitrus Macedoniae mons est prorimus Apolloniae.: — Vibio, p. 18, 1. 4. — I Bursian osserva pag. 18. In verbo aperte corrupto quod est Temtrus (Tenitrus edd.) latere (p. (p. — 389 — videtur nomen montis orientem versus ab Apollonia siti quem nescio quo iure Tomarum appellaverit Kiepertus in tabul. geogr. Graeciae n. XV. De montium Cerauniorum nomine verbo latino quod est Zomtrus reddito quominus cogitemus impedit accurata locorum descriptio”. 426) Tetricus mons Sabinorum. — Vibio, p. 18, 1 3. 426) Tinolus (sic), quem alii Tmolus. — Vibio, p. 17, 1. 25. — Riguardo alla variante Timolus, vedi 1° Oberlino pag. 373. (p. 426) Vesevus, seu Vesulus, mons est Liguriae. — Vibio (?) (p. (p. p. 18, L 6. — Avverti che lo Hessel e l’ Oberlino proposero di leggere in Vibio Liguriae in luogo di Apuliae. L’ edizione Soncinate (ignota ad entrambi) reca: ,,Vesulus in Lombardia contra terras Salutiarum“; che è del resto interpolazione manifesta. Il Bursian mantenne Vesulus Apuliae, notando : »Sed fort. scrib. Alpium vel Alpibus“; con che accenna di piegare alla opinione di coloro che pur vorrebbero intendere, per il Vesulus di Vibio, il monte. Viso e non il Vesuvio. 427) Angitia nemus Marsys inclytum. — Vibio, p. 12, 1. 19, — ll Bursian legge Vibio così: ,Angitiae vel Anguitiae Lucaniae“; però egli osserva in nota: , Scribere videtur Fucini vel Fucentiae“. — Cfr. 1° Oberlino a pag. 264. . 428) Clarium nemus est Colophoniae. — Vibio, p. 12, 1. 20. . 428) Idalium nemus in insula Cipri. — Vibio, p. 13, L 1. . 429) Molorchos nemus. — Vibio, p. 13, 1. 2. — Cfr. Servio. . 429) Tempe nemus est Haemoniae. — Vibio, p. 13, lL 6: Tempe Thessaliae. . 429) Tymbra sylva est Troiae propinqua. — Vibio, p. 13, RG . 430) Acidalius fons est in Orchomeno. . .. acida quidem graece, latine cura sonat, qua plurimum ‘infestantur amantes. — Vibio, p. 10, 1. 20. — L’Oberlino (p. 219) osserva: pAcidalius erat seribendum, non. Acidalia, nec Acidalis, ut apud Boccatium extat, qui praeterea in exponenda vocis origine plus satis ineptit“. Acidalivs appunto recano le edizioni del de Montibus ete.: 1494, 1497, 1511 (Ven.), 1511 (Par.) e 1539, le quali ho sott’ occhio. Il Bursian adottò : Acidalia. 430) Aganippe fons est Boeotiae. — Vibio, p. 10, 1. 19. — Nota l Oberlino (pag. 219): ,Aganippides quoque Musae nonnunquam vocantur; non Aganippae ut refert Boccatius“. (p si (p. * (p. * (p. (p. (p. SD. * p. (p. * (p. — 390 — 430) Arethusa fons est Sicilia. — .,Desunt in cod. Med. et Parisinis“; così l' Oberlino in nota alla pag. 21. Il Bursian non l’ accolse. L’ ediz. Soncinate 1’ ha. 432) Camoenarum fons Romae fuit. — Vibio, p. 11, I 5. 432) Castalius fons. — Vibio, p. 11, 1.3. 432) Clanius in Campania fons est apud Acerras, quem aiunt incolae, dum ‘creverit, circumadiacentium agrorum praesagire pestem. — Vibio, p. 11, 1. 2. 432) Clitor Archadiae fons. — Vibio, p. 11, 1. 4. 432) Clitumnus, ut quidam dicunt Mevaniae fons est. — Vibio, p. 11, 1 1. — Cfr. Servio. 432) Dirce fons est Boeotiae. — Vibio, p. 11, 1. 6. — Cfr. Boccaccio, De Gen. Deor. Lib. IV, cap. 6. 433) Esus fons Ehodi. — Vibio, p. 11, 1. 7. 433) Arga fons est Euboeae. — Vibio, p. 11, 1 7. — Alcuni codici di Vibio leggono: Garga Euboeae. Fu corretto in Gar- gaphiae Boeotiae. Il Boccaccio ch’ ebbe probabilmente dinanzi a sè i codici con la variante Euboeae, e in altri autori trovò menzionata la fonte Gargaphia di Beozia, le accolse nel suo codice come due fonti differenti; aggiungendo però: ,,Gar- gaphiae fons est Boeotiae Dianae quondam seu Hecatae sacer, quem eundem cum superiori [Arga] quidam putant, nec obstat locorum diversitas, cum facile unus pro altero sumi potuerit. Non enim Euboea alio medio quam Euripo a Boeotia sepa- ratur“. -. 433) Gargaphiae fons. — Vedi Arga fons. . 433) Inessa fons est apud Rhodios a quo et Siciliae fons nuncupatur. — Vibio, p. 11, 1. 10. — Il Boccaccio tra- scrisse inesattamente Vibio che dice: ,Inessae Rhodi a quo Siciliae civitas Inessa”. . 433) Happocrene fons est Boeotiae. — Vibio, p. 11, 1. 9. . 434) Langia fons est in Nemea sylua. — Vibio, (ed. del- l’Oberlino pag. 22). — Manca a parecchî codici di Vibio; il Bursian non l’ accolse. L’ edizione Soncinate 1’ ha. 434) Libetra Magnesiae fonss — Vibio, p. 11, L 11 — Cfr. Plinio e Servio. 434) Lynope (sic) fons. — Vibio, p. 11, lL. 12. — Quan- tunque le ediz. 1494, 1497, 1511 (Ven. e Par.) e 1539 abbiano tutte Zinope, non è improbabile che Zinope sia errore dei tipografi in luogo di Lirzope. (p. * (p. * (p. (p. * (p. . 487) Aecitus Appoloniae (sic) lacus est. — Vibio, p. 11, L — 391 — 435) Salmacis fons est in Caria. — Vibio, p. 11, 1. 15. — Cfr. Vitruvio. 436) Spandeus fons. — Vibio, p. 11, L 14. 436) Virvinus apud Laconas fons est. — Vibio, p. 11,1. 17. 439) Benacus lacus Galliae Cisalpinae. — Vibio, p. 12, 1. 17. — Vibio ha: Venacus. 437) Acheros vel Acheron volunt quidam lacum esse. — Vibio, Pi711,1L,21 23. — Leggi Aecicus. +. 437) Ansametus lacus est apud Lucanos.— Vibio, p. 12,1 1 — Leggi Ampsanctus. . 438) Avernus Campamiae lacus. — Vibio, p. 11, L 19. - 439) Cocytus. — Vibio, p. 12, 1. 3. (p. 439) Cuminius lacus est apud Hetruscos. — Vibio, p. 12, l. 4. — Cfr. Servio. * (p. 440) Feronia Terracinae lacus fuit: — Vibio, p. 12, 1 5. (p. 440) Fucinus lacus est apud Marsos. — Vibio, p. 12, L 6. | (. 440) Larius lacus est Galliae Cisalpinae. — Vibio, p.12, 1.11. (p. 440) Lemannus (sic) Galliae Transalpinae lacus. — Vibio, pi ‘19, 11/13. © (p. 440) Lucrinus lacus est Campamiae. — Vibio, p, 12, 1. 12. * (p. 441) Lumnae lacus est Athamamiae. — Vibio, p. 12, 1.9. (p: . 441) Mareotis lacus est qui olim Crapotes dicebatur. — Vibio, p. 12, 1. 14. — Correggi Crapotes in Rhacotes. Cfr. Plinio. . 442) Velinus lacus. — Vibio, p. 12, 1. 16. . 444) Absyrtus fluvius Colchorum. — Vibio (ediz. dell’ O- berlino, pag. 6). -- Manca in parecchî codici di Vibio; il Bursian non lo accolse. L’ ed. Soncinate 1’ ha. - 444) Achelous fluvius est Graeciae. — Vibio, p.3, 1.4 e 5. — Cfr. Servio. . 445) Acis fluvius est Siciliae. — Vibio, p. 2, L 11 e 12. . 445) Alachin fluvius est Megarensium. — Vibio, p. 2, 1 9 e 10. — Il Bursian legge: Alabis; alcuni codici di Vibio recano Alachin, come 1’ ediz. basileese del Boccaccio. . 445) Albis Germaniae fluvius est, et Suevos a Cervetiis divi- dens mergitur in Oceanum. — Vibio, p. 2, 1. 16. — Cervettis hanno anche alcuni codici Vibiani; il Bursian legge Oheruscis. 446) Alpheus fluvius est Elidis. — Vibio, p. 1, 1 16 e 17. 16 (p. Ep: * (p. (p. — 392 — 446) Allia fluvius non amplius XI m. passuum via Salaria ab urbe distans. — Così il Boccaccio (probabilmente secondo Livio V. 27) corregge Vibio, p. 1, 1. 23, che mette l’Allia a XIV. mila passi da Roma. 446) Alyntos Lucanorum fluvius. — Vibio, p. 2, 1. 5. — Il Bursian legge: Alentus. 446) Almon parvus est fluvius Romae. — Vibio, p. 2, 1. 15. 446) Alto fluvius est Dyrrachii. -—- Vibio, p. 3, 1. 1. 446) Amasenus Volscorum fluvius est. — Vibio, 2, 1. 3. 446) Amphrysus fluvius est Thessaliae. — Vibio, p. 1,1. 15. 447) Anaurus Thessaliae fluvius. — Vibio, p. 3, 1. 6 e 7. — Cfr. Lattanzio Placido. . 447) Anecus Stciliae. — Vibio, p. 2, L 7 e 8, alla voce Anapos. — Un codice citato dal Bursian reca Ancus. . 447) Aniger seu Antiger, vel Anager fluvius est Thessaliae. — Vibio, p. 3, 1. 12 e 13. — Thessaliae è aggiunta del Boc- caccio. ,Thessaliae cur tribuat Boccatius“ (così 1° Oberlino, pag. 77 e 78), accipe. Orchomenus Thessaliae fluvius et ipse Minyei nomine venit, Plinio teste L. IV, c. 8, ad quem locum Harduinus Homeri verba superius relata (Il. XII, 721) invita trahit. Istum tamen Minyeum Boeotiae vindicant alii. Quicquid sit, appellatio eadem duobus fluviis, quorum alter rigabat Triphyliam alter Thessaliam, communis forsan in caussa fuit, ut secum confunderentur invicem. Ni arbitrari malis, apud Boccatium pro 7riphylia librariorum culpa Thessaliam legi. Haec si minus arrideant, mea pace a Lapitha monte, ex quo profluit Aniger, Boccatium in Thessaliam, Zapithis inhabita- tam, deductum credes*. 447) Aus fluvius Apollonine inter Meropum et. Assuavum montes decurrit in Moeniam. — Vibio, p.2, 1. 17. — H Micillo nota in margine dell’ edizione basileese del Boccaccio : sAus a Sequestro Apolloniae fluvius dicitur. Aous autem @ Plinio Macedoniae adcensetur lib. 3, cap. 23€. L’ Oberlino che aveva dinanzi a sè l’ esemplare reggiano del de: Montibus ete. osserva (p. 70 e 71): ,Boccatius recte Aowm dicit, male in Maeoniam decurrere, vitiato nostri exemplo usus“. Il Bursian legge il passo di Vibio a questo modo: ,Aous Apolloniae in Jonium decurrens“, e in nota osserva che ne’ codici si trova: Aus, e in Meoniam decurrens, appunto come nell’ edizione * (p: — 393 — basileese del Boccaccio. Avverti che il Boccaccio (ed. has. pag. 445) ha pure: Aous Epiri flumen. 447) Apidanus Thessaliae fluvius. — Vibio, p. 3, 1 8 e 9. — L’Oberlino (p. 75) osserva : , Nondum, puto, interpolatus erat hic locus quum eum exscriberet Boccatius, unde ex hoc recte isti medelam affert Relandus, cuius voluntati obsecun- davimus”. .- 447) Arar Germaniae fluvius. — Vibio, p. 1, 1. 13 e 14. . 447) Arazxes ingens Armeniae fluvius est. — Vibio, p. 2,1. 1. — Cfr. Pomponio Mela. . 448) Arimaspus fluvius. — Vibio, p. 3, 1. 2. . 448) Ascanius fluvius est Misiae. — Vibio, p. 1, 1 18. . 448) Asines fluvius est în Sicilia. — Vibio, p. 2, 1. 6. . 448) Asopus Boeotiae fluvius. — Vibio, p. 8, 1. 10. — Cfr. Boccaccio, De Gen. Deor., Lib. VII, cap. 55. - 445) Atax fluvius est ex Pyrrheno monte effusus. — Vibio, p. 2, 1. 13. — Cfr. Pomponio Mela. . 449) Aternus fluvius est Italiae. — Vibio, p. 3, 1. 16. . 449) Athesis fluvius Galliae Cisalpinae. — Vibio, p. 2,1. 2. . 449) Atir fluvius est Tambardiae. — Vibio, p. 2, 1.14. — Correggi Tambardiae in Tarbellae, sebbene alcuni codici vibiani rechino (,inepte“ come dice 1’ Oberlino pag. 4, nota p) Tar- bade, Tarbadae e Trabede, avvicinandosi alla lezione della ediz, basileese del Boccaccio. Il Bursian lesse: Atur Tarbellae. + 449) Barbena fluvius est in IMyrium currens. — Vibio, p. 4, 1. 1. — Leggi Barbanna. . 449) Bactrus fluvius est circa fines Scythiae — Vibio, p. 4, di 2 . 450) Bethis fluvius est Terraconensi provincia demissus. — Vibio, p. 3, 1. 18. — Cfr. Pomponio Mela. - 450) Borysthenes fluvius est Scytharum. — Vibio (ed. Ober- lino p. 7). Il Bursian non l’ accolse; e non trovasi nemmeno nella ediz. Soncinate. — Cfr. Pomponio Mela. . 490) Bragada (sic) fluvius est Africae. — Vibio, p. 3, L 19 e 20. — Leggi: Bagrada. . 450) Brictates fluvius est ex Timaro monte progrediens, mi- sceturque Arimo. — Vibio, p. 4, 1 3. — Il Bursian legge in Vibio: ,Brictates ex Thymaro monte Arino miscetur£; notandovi: In his verbis graviter corruptis quae ple- rique edd. ad Timavum fluvium (cf. Verg. ecl. VIII, 6; * (p. (p. "I (p. al (15 (p. (p. (p. (p. (p. * (p. (p. — 394 — Aen. I, 244) rettulerunt, fortasse latet nomen rivuli alicuius e Thymbro (sive Thymbride) Syracusarum monte (cf. Theocr. id. I, 118 et Schubring Bullettino 1864, p. 169 s.) in Ana- pum decurrentis, 7ymavo monte cod. Mediol.; Timano fonte cod. Paris. II. Boactes. ..... Macrae miscetur, coniecit Oberlinus“. 451) Caicus Mysiae fluvius est. — Vibio, p. 6, 1 19. 451) Cayster fluvius est. — Vibio, p. 4,1. 4. — Cfr. Plinio. 451) Calor fluvius est in Sammio Benevento iunetus. — Vibio, Dei k09. 451) Calos Mesiae fluvius est. — Vibio, p. 4, 1. 6: 451) Camicos Siciliae fluvius. — Vibio, p. 4, 1.5. — Cfr. Plinio. 452) Casilinus Campaniae fluvius. — Vibio, p. 4; 1 15, 452) Cephisus Boeotiae fluvius est. — Vibio, p. 4, 1 15. 452) Cydnus fluvius Ciliciae est. — Vibio, p. 4, 1 11. — Cfr. Quinto Curzio. 453) Cymips fluvius est im Lybia. —- Vibio, p. 4, 1. 16. — Leggi Cinybs. 453) Cirta Masiliensium fluvius est. — Vibio, p, 4, L 12. 453) Clitumnus Umbriae fluvius. — Vibio, p. 4, 1 19. — — Cfr. Servio. (p. (p. (p. i (D * (p. (p. | (p. (p. 453) Cocytus infernalis est fluvius. — Vibio, p. 4, LT. 454) Crathis fluvius est Calabriae. — Vibio, p. 4, 1 18. 454) Crinisus fluvius est Siciliae. — Vibio, p.4.L 8. — Cfr. Servio. 454) Orysas Syracusarum fluvius est ex monte veniens Aetneo. — Vibio, p. 4, 1 10. — Aetneo, in luogo di Heraeo, forse è viziatura de’ copisti del Boccaccio; o la parola trovavasi già sformata nel suo codice vibiano. Vedi I’ Oberlino (pag. 95-96) che rimprovera Vibio di aver posto il Crisa presso a Siracusa. 454) Crustumium flumen. — Vibio, p. 4, 1. 14. 455) Danubius fluvius Europae. — Vibio, p..4, 1 20. — Cfr. Plinio. 455) Dirmus fluvius. — Vibio, p. 4,1. 21. — Correggi nel- V.ediz. Dirmus in Drinus, Hilliorum in IUMyriorum, Ligisti in Lychniti, avvertendo che in qualche codice di Vibio leggesi lygmisti. 455) Hebrus inter Thraciae fluvios celeberrimus. — Vibio, p. 5, 1 17. — Cfr. Plinio. (p. * (p. (p. (p. (p. (p. * (p. (p. Fi * (p. — 399 — 456) Elorus Siciliae fluvius est. — Vibio, p. 6, 1. 2. 456) Emipeus Thessaliae fluvius est. — Vibio, p. 5, L 1. Nell’ ediz. hbasil. correggi Epidaurum in Apidanum come vuole Vibio, pag. 3, 1 7 e 8. 456) Epidanus fluvius est Thessaliae. — Vibio, pi 3, 1. 7 e 8. — Leggi Apidanus. 456) Erasinus fluvius est Nemeae . .. Ali autem Litiae fluvium dicunt. — Con questo alti è inteso Vibio, p. 5, 1. 7. — Il Bursian osserva : yin promptu erat scribere Lyrczae, sed haec regio ad Inachum fluvium, non ad Erasinum per- tinet; itaque scrib. videtur Arcadiae: ef. Lactant. narr. fab. XV, 6“. 557) Eridanus fluvius est Italiae celeberrimus. — Vibio, pid; D. 457) Hermes secundum quosdam fluvius est Lydiae. — Vibio, p. 5, 1 18. — Hermus non Hermes. Cfr. Plinio. 457) Esia Galliae fluvius. — Vibio, p. 5, L 8. 457) Esper fluvius. — Vedi alla voce seguente. 457) Evenos fluvus est, qui et Licorum (sic). — Correggi Licorum in Lycormas. ySi me consulis (osserva acutamente il Relando citato dall’ Oberlino, pag. 107), nomen nibhili est Esper, natum ex eo quod scriptum fuerit Lycormas, per quem Nessus etc. Male conjunetum as et per peperit Esperum, qui in Boccatio legitur, novum articulum inchoans*. L’ Oberlino aggiunge : , Boccatius istud erroris ex Vibio hauserat. Quae enim is habet: £sper fluvius, apud quem secundum quosdam etc. Evenos fluvius est, qui et Licorim, eadem fere sunt, quae ex MS. Codicibus Vibii post Hesselium notavimus. Recte de restituendo hoc loco sentientes doctos viros secuti sumus“. E così è: da Zycorum Esper (vedi Bursian, nota 2), lezione viziata di qualche codice, il Boccaccio fu tratto in errore; e attribuì a un imaginario fiume Esper la storia del fiume Eveno detto altrimenti Licorma. . 457) Euphrates. — Vibio, p. 5, 1. 6. 458) Eurotas fluvius Laconum. — Vibio, p. 5, 1. 6. . 458) Fabaris hic et Farfarus dicitur fluvius Sabinorum est. — Vibio, p. 5, L 10. — Il Bursian osserva: ,Scrib. videtur Farfarus Sabinorum, is Fabaris corrupte dicitur*. — Cfr. Servio. 458) Faecelinus Siciliae fluvius est. — Vibio, p. 8, 1 14. *° (ps — 396 — 458) Fanes Samnitum est fluvius, qui et Syris dicitur, Bene- vento vicinus. — Vibio, p. 9, 19. — Il Bursian legge Metaponti, citando in nota alcuni codici di Vibio che recano come l’ ediz. bas.: beneventi. . 458) Phasis Colchorum fluvius est. — Vibio, p. 6, 1 8. — Cfr. Aristotile, Pomponio Mela e Plinio. . 459) Phoenix Thessaliae fluvius est. — Vibio, p. 8, l. Lf . 459) Galesus Calabriae fluvius. — Vibio, p. 5, 1. 13. . 459) Gallus Lycaoniae fluvius. — Vallio; p. 5, 1 14. — Cfr. Plinio. (p. 459) Ganges fluvius Indiae. — Vibio, p. 5, 1. 11. — Cfr. Plinio e P. Orosio. (p. 460) Gela Siciliae fluvius. — Vibio, p. 5, 1. 15. * (p. 460) Genesus Epiri fluvius. — Vibio, p. 9, 1. 16. — Leggi Genusus. | (p. 460) Genusus Palestinae provinciae fluvius est. — Vibio, (ediz. Oberlino, p. 10). — Il Bursian non 1’ accolse. L’ ediz. Soncinate 1’ ha. (p. 461) Hydaspes insignis fluvius. — Vibio, p. 5, 1. 20. (p. 461) Himera memorabilis Siciliae fluviusi — Vibio, p. 6, 1. 6. — Cfr. Solino. (p. 461) Hypanis Seythiae fluvius est. — Vibio, p. 9,1. 21 e 22. — Cfr. Pomponio Mela. * (p. 461) Hipsa Hispaniae fluvius apud urbem Vecon currit, quem (sic) Herculi fuisse gratum (sic) ferunt. — Vibio, p. 6, 1.9. — Correggi: Hypsa secundum Inycon urbem Sicaniae decurrit gratam Herculi; avvertendo che alcuni codici di Vibio recano : irecon urbem Hispaniae. Cfr. Bursian in nota. (p. 461) Jader fluvius est apud Salonas. — Vibio (ediz. Ober- lino, pag. 13). — Se non che l’ Oberlino ti avverte che ,,abest a codicibus omnibus“. (p. 462) Iberus famosissimus Hispaniae fluvwus. — Vibio, p. 6, 1. 17. — Cfr. Pomponio Mela. * (p. 462) Ilerda Hispaniae fluvius. — Vibio, p. 6, 1. 17. * (p. 462) Imala Sabinorum est fluvius prope Casperiem civitatem, qui et Imelle dicitur. — Vibio, p. 6, 1. 3. Alcuni codici di Vibio recano Himella, altri Himala. (p. 462) Indus fluvius. — Vibio, p. 6, 1 13 e 14. * (p. 463) Isanus Dyrrachi fluvius est. — Vibio, p. 6, L 16. — Leggi Isamnus Dyrrachi ab Idano castello dictus. * (p. — 397 — 463) Isara Galliae fluvius est. — Vibio, p. 6, L 15. — Apud Quintianum è aggiunta del Boccaccio. Alcune edizioni del Boccaccio recano Gaklacae in luogo di Galliae, facendogli dire uno sproposito ch’ e’ certo non volle. . 464) Lethe fluvius. — Vibio, p. 7, 1. 1. — Cfr. Solino. . 464) Lethecus fluvius est insulae Cretae. — Vibio, p. 7, 1. 7 e 8. — Leggi Lethaeus, notando che alcuni codici di Vibio hanno Lethecus come 1’ ediz. bas. del Boccaccio. . 464) Licastris Coè fluvius est a quo et Lica civitas nominata. — Vibio, p. 7, 1 6. — Leggi Lycastus Cretae a quo Lycastus civitas. . 464) Licesius Thraciae fluvwus. — Vibio, p. 6, L 20. — Leggi Lyncestius, avvertendo che alcuni codici hanno come l’ ediz. bas. del Boccaccio. Lynceus seu Lyncestis leggesi nella ed. basileese menzionato poche righe dopo come fiume differente dal Lyncestius. . 464) Liger fluvius. — Vibio, p. 7. L 5. . 464) Loris fluvius. — Vibio, p. 7, 1. 2 e 3. — Cfr. Plinio. . 464) Lycus fluvius est Asiae. — Vibio, p. 7, 1. 4. . 469) Macra fluvius est in initio Apenmini. — Vibio, p. 7, 1. 14. — Il Bursian nota che in qualche codice leggesi Me- gera in luogo di Macra e che il Boccaccio corresse il passo in Macra. Cfr. lOberlino pag. 14, nota x. . 465) Marsya fluvius. — Vibio, p. 7, L 16. — Cfr. Plinio. . 465) Mathis Dyrrhachîii fluvius, non longe a Lysso. — Vibio, Dog; lgedD: 465) Macamder fluvius in monte Aulocrene. — Vibio, p. 7, 1. 10. — Cfr. Aristotile e Plinio. . 466) Melas, seu Methas Thessaliae fluvius in Epydanum fluens. — Vibio, p. 7, 1. 17. — Correggi Epydanum in Api- danum. Alcuni codici vibiani recano Melas, altri Mecas e Methas, e anche Epidamnum in luogo di Apidanum. +. 466) Metaurus fluvius est Umbriae. — Vibio, p. 7, 1. 13. - 466) Mintius Venetiarum fluvius est. — Vibio, p..7, 1.11. . 466) Mossella (sic) fluvius est Belgicae. — Vibio, p. 7, BOL .- 467) Nar seu Naria fluvius. — Vibio, p. 7, 1 19. — Cfr. Plinio. . 467) Nuius. — Vibio, p. 7,1. 18. — Cfr. Pomponio Mela e Seneca. — 398 — . 467) Niphates, ut quidam dicunt fluvius est Moedorum. — Vibio, p. 7,121. . 470) Oazes. — Vibio, p. 8, 1 1. — Cfr. Servio. . 470) Orontes fluvius est Syriae. Alt vero dicunt, quod ex Casio monte ei supereminente nascatur. — Con questo ale s'intende Vibio, p. 8, 1 4. — Cfr. Plinio. . 471) Pactolus fluvius est Lydiae. — Vibio, p. 8, 1. 13. . 471) Pachisos fluvius est Sicilia. — Vibio, p. 8, 1 17. — Correggi in Pachinos, notando che qualche codice vibiano reca Pachysos. (p. 471) Padus fluvius. — Vibio, p. 8, L 9. — Cfr. Pomponio Mela e Plinio. (p. 472) Pantagias fluvius est Siciliae. — Vibio, p. 8, 1. 9-10. — Cfr. Plinio. (p. 473) Permessus fluvius est Boeotiae. — Vibio, p. 8, 1. 6. * (p. 473) Pisaurus fluvius est Cisalpinae Galliae. — Vibio, p. 8, ‘pa * (p. 473) Pitornius Marsorum fluvius est. — Vibio, p. 8, 1.11. — Correggi in Pitomus, avvertendo che alcuni codici hanno Pitornius, come l’ ediz. bas. del Boccaccio. (p. 474) Fhenus fluvius ea Lepontùs ... — Vibio, p. 8, 1. 18. (p. 474) Rhodanus fluvius est Galliae. — Vibio, p. 8, L 21. (p. 474) Rubico fluvius. — Vibio, p. 8, L. 19. (p. 474) Rutuba fluvius. — Vibio, p. 8, 1. 20. — Cfr. Plinio. (p. 475) Sangarius fluvius. — Vibio, p. 8, 1 7. — Vibio: Sa- garis. — Il Bursian espressamente: ,Ne corrigas Sangarus sive Sangarius“. — Cfr. Livio. (p. 475) Sarnus fluvius est Campaniae. — Vibio, p. 9, 1.9. Vedi 1° Oberlino, pag. 190-191. * (p. 476) Sepetus ut quidam dicunt Campaniae fluvius. — Vibio, perda * (p. 476) Selinus Messalorum est fluvius . . . Credo ubì Messa- lorum scripsi, dici velit Messaniorum, quum per quosdam claros viros hunc esse. fluvium mamifestum sit*. — Vibio, p..9, 1. 5 e 6. — La congettura del Boccaccio ribattono 1° Oberlino (pag. 136) e il Bursian, l. c. in nota. (p. 476) Sequana fluvius est Gallia. — Vibio, p. 9, 1.2. — Il tutto da Vibio; se non che il Boccaccio vi aggiunse: A Belgicis Celtas separans. —® (p. — 399 — . 477) Sycoris fluvius Hispamiae. — Vibio, p. 8, 1. 13. . 477) Silarus fluvius Lucaniae. — Vibio, p. 9, L 12. . 477) Simetos'fluvius est Siciliae. — Vibio, p. 9, L 10. — Cfr. Servio. . 477) Sirapus Lucaniae fluvius est. — Vibio, p.9,1L 4. — Correggi Sîrapus in Sybaris, avvertendo che i codici vibiani leggono come l’ ediz. bas. del Boccaccio. . 477) Sperchius Thessaliae fluvius est: — Vibio, p.19, 1. 3. . 478) Strymon Thraciae fluvius. — Vibio, p.9, L 1. . 478) Taigeta secundum quosdam Laconiae fluvius est. — Vibio, p. 10, Li 7. . 478) Tanager fluvius est Lucaniae. — Vibio, p. 9, 1. 18. . 479) Tapsus flumen est Aphricae marta Rusicadem. — Vibio, p. 10, 1 4. . 479) Taurominius fluvius est Siciliae. — Vibio, p. 9, L 15. — L’ Euseboneora dell’ ediz, has. correggi in Eusebon chora. Vedi Bursian in nota al l. c. - 479) Thermodoon fluvius apud Chalibes. — Vibio, p. 10, 1. 2. — Cfr. Pomponio Mela. . 479) Tyberis fluvius est Italiae. — Vibio, p.9, 1. 19 e 20. — Cfr. M. Terenzio Varrone. . 480) Tigris Armeniae maioris fluviusi —. Vibio, p. 9, 1. 14. — Cfr. Solino. . 481) Titaresus fluvius est in Peneum fluvium effluens. — Vibio, p. 10, 1. 8. . 481) Tarsimenus Lydiae fluvius est. — Vibio, p. 10, L. 8. — Il Bursian legge: Thrasymenos, e osserva che in luogo di Lydiae, ) Oberlino propose Tusciae, ;,sed (aggiunge il Bursian) subest ipsius Vibi error natus e Sil. Ital. Pun. IV, 740; V, Stss.f, 481) Triopola, qui et Assolus fluvius est mata Albomagaren- sium. — Vibio, p. 10, 1. 5. — Il Bursian corregge il passo di Vibio nel modo seguente: ,riocala qui et Isburos iuata Albam Smacarensium®. Nota che la lezione dell’ediz. has. del Boccaccio corrisponde a’ codici. 482) Durias (sic) fluvius est Hispamae. — Vibio, p. 9, 1. 17. — Il luogo che la voce Durias occupa nella serie alfabetica dimostra che Durias non è se non un errore tipo- grafico in luogo di Turias 0 meglio Turia. . 482) Varus fluviusi — Vibio, p. 10, 1. 14. (p. * (p. (p. — 400 — 482) Ufens alter a superiori (cioè dal fiume Ufens della Gallia Cisalpina) est Volscorum. — Vibio, p. 10, 1. 13. 482) Virbius fluvius est Laconum. — Vibio, p. 10, 1. 11. . 482) Vluleus Dyrrachù fluvius est. — Vibio, p. 10, 1. 15. (p. >; . 483) Vulturnus fluvius est in Samnio oriens. — Vibio, p. 10, 1. 10. . 483) Xantus, quem scribunt Xamthus auctores, fluvius est ex Ida monte... defluens. — Vibio, p. 10, 1. 16. . 483) Kandbus alter a superiori fluvius, et per Ata fluens. — Vibio, p. 10, 1. 17. . 484) Camerina palus est Siciliae. — Vibio, p. 13, L 10. — Cfr. Servio. . 485) Lerna Archadiae fuit palus. — Vibio, p. 13, L 11 . 486) Maeotis palus. — Vibio, 13, 1. 12. . 485) Padusa cisalpinae Galliae palus est. — Vibio, p. 13, 1. + 486) Pontina palus est apud Volscos. — Vibio, p. 13, L. 13. . 486) Salpina palus. — Vibio, p. 13, 1 18. — Cfr. Plinio. . 486) Satura palus est Italiae. — Vibio, p. 13, L 16. — Cfr. Servio. . 486) Styx palus est apud inferos. =- Vibio, p. 13, 1 15. . 486) Zyraca Siciliane palus est. — Vibio, p. 13, 1. 20. — Sebbene alcuni codici vibiani rechino 7yraca, correggi la voce in Z'yraco. . 488) Zriton palus est altera a superiori — Vibio, p. 13, 1. 19. — Errò il Micillo citando Vibio in margine a tutte e due le paludi Tritonie, poichè Vibio non è la fonte del Boccaccio se non per la palude Tritonia Tracia non già per l Africana. Paolo Orosio. 409 e 410) Caucasus orientalis mons. — Da Orosio, Hi storiarum lib. I, c. 2, le parole eumque Taurum — ubi portas habet incipit Caucasus, e poi da A portis autem Caspis — et sic Imavus extremus est Caucasus. 459 e 460) Ganges fluvius. — Da Orosio, IL 6, le parole adversus quem Cyrus — integro operi dato. — 401 — Marziano Capella. (p. 406) Athlas . . . mons. — Da M. Capella, VI, cap. de (p. (p. (p. (p. (p- (p. (p. * (p. (p. (p. . (p. * (p. * (p. RD: Lp: MU + (p. Ip: * (p. Africa, le parole frondesque cupresso similes — ex bombice vestes fieri. 423) Septem fratres . . . montes. — M. Capella, de Geo- metria Lib. VI, cap. de Africa. Da ghi quidem — elephantibus fuere®. 457) Euphrates. — Da M. Capella, Lib. VI, cap. de Eufrate magno fluvio, le parole: cui Capoten dicunt incolae. Isidoro Ispalense. 403) Acroceraunîi montes. — Isidoro, Ethimologiarum, XIV, 8. — Dal principio sino a dicitur fulmen. 404) Apenninus mons. — Isidoro, XIV, 8. — Dal principio sino a factum putant. 415) Hyperborei montes. — Da Isidoro, XIV, 8, le parole: Hyperborei dicti co quod ultra eos flat Boreas. 416) Libanus mons Phoenicum altissimus, a thure dictus. — Isidoro, XIV, 8. 417) Malea, seu Maleum promontorium.— Isidoro, IV, 7. — Dal principio sino a nautas persequi videatur. 420) Pachnum (sic, in luogo di Pachinum) promontorium. — Isidoro, XIV, 7. 421) Pelorum Siciliae promontorium. —- Isidoro, XIV, 7. — Dal principio sino a sepulto denominatum est. 421) Pyreneus mons. — Isidoro, XIV, 7, da fulmmibus — dicitur ignis. 424) Solurius mons. — Isidoro, XIV, 4. 430) Aon fons. — Isidoro, XIV, 4. 432) Cha fons. — Isidoro, XIII, 13. 434) Iob fons. — Isidoro, XIII, 13. 454) Lerneus fons. — Isidoro, XIII, 13. — Al foglio 49 dell’ ediz. veneta d’Isidoro, uscita da’ torchî di Ottaviano Scoto 1493, leggesi Lechnus. 439) Stala fons. — Isidoro, XIII, 13. — Leggi Stoa. 436) Zame fons. — Isidoro, XIII, 13. 437) Alce lacus. — Isidoro, XIII, 13. 439) Clitorius lacus. — Isidoro, XIII, 13. * (p. * (p. (p. * (p. (p. (p. (p. (p. (p. sà, i 439) Clitumnus lacus. — Isidoro, XIII, 13. 4492) Tragoditis lacus. — Isidoro, XIII, 13. — Leggi: in Troglodytis. 467) Nolus fluvius — Da Isidoro, XII, 21, le parole : Inculae Nilum vocant propter limum quem trahit. 484) Celaunium, quod Celonium quidam vocant, stagnum est Siciliae. — Isidoro, XIII, 13. 487) Siden sunt qui dicant apud Indos stagnum. — Il Micillo corresse in Stiden il vocabolo Fiden che si leggeva nelle edi- dizioni del Boccaccio; ciò non pertanto è probabile che il Boccaccio scrivesse veramente Fiden, come si legge appunto nella edizione d’ Isidoro Ispalense (Lib. XIII, cap. 13) del 1493, e come il Boccaccio avrà trovato nel suo codice d’ Isi- doro che in questo articolo fu da lui copiato. Lattanzio Placido commentatore di Stazio. 412) Dindimus mons — Lattanzio, ad Stati Thebaid. XII, 224. 412) Erimanthus mons. — Lattanzio, ad Stat. Theb., IV, 298 e V, 6609. — Dal principio sino alle parole: constitutus Archadiae. 414) Pholoé mons est Thessaliae. — Lattanzio, ad Stat. Achilt., I, 298. — Dal principio sino a nati sunt. 447) Anaurus Thessaliae fluvius. — Lattanzio, ad Stat. Theb., V, 345. — Dalle parole: In hoc calciamentum — in Colchos misit. Cfr. il commento del Muncker alla favola XII d’ Igino. — 403 — DI ALCUNI CODICI DEL LIBRO DE MONTIBUS ETC. I codici del libro de Montibus etc. del Boccaccio sono piut- tosto rari. Nelle varie biblioteche d’ Europa, da me visitate per rintracciare codici del Boccaccio, non m’imbattei sinora che in diciassette manoscritti di quest’ opera. Descriverli tutti singolar- mente confrontandoli tra loro sarebbe opera utile, ma di maggior lena che ora non mi sia concessa. Qui intendo accennarne soltanto alcuni che recano qualche notevole particolarità. 1.° Codice Harleiano n. 5387, conservato nella biblioteca del Museo Britannico di Londra, cartaceo in 4.9, di fogli 34, scritto probabilmente alla fine del secolo XIV o al principio del XV. Al verso del f. 84 si legge di mano del secolo XVII: 1623 Questo libro è stato donato a me Pietro Di ..tî Arciu. di fermo dal Pré Albano Bi .. sini de Pr di S. Spirito di fermo: E si tiene, che questo sia il medesimo carattere del Petrarca che sì con- serua, Mm Vaticano di mano del Boccaccio. Reso attento da questa nota esaminai il codice diligentemente per vedere se potesse essere autografo del Boccaccio; ma. subito al primo foglio mi ferirono queste parole: Johis buccaccij (sic) — 404 — de certalto (sic) de Montibus...."padulibus (sic) et Mare. * E quindi : scipionem affricanum et lelium insignes romanceo (sic) duces — ut puta de (sic, in luogo diedum) montis nomen pro flumine — arbitrantur sub orrigente (sic) sole consistere — quasi montes ignitas habentes a fulmi- mibus fulmitates (sic) e simili. Dopo questo è inutile aggiungere che il Boccaccio non può aver deturpato un suo libro con tali svarioni. 2.° Assai notevole è il codice della Laurenziana di Firenze, segnato 176 Aedilium (Vedi Bandini, Bibliotheca Leopoldina Laurentiana, T. I, col. 448-490). AI recto del f. 123, col. 1, leggesi: Johannes Aldigerii nota- rius scripsit, MOCCCXVIILI. 3.° Codice della Laurenziana di Firenze, 29 del Pluteo LII (Vedi Bandini, Catalogus codicum Latinorum Bibliothecae Me- diceae Laurentianae, T. II, col. 568). È codice incompleto, perchè manca della descrizione degli stagni e paduli, e de’ mari. Questo difetto è comune a parecchî codici, da’ quali derivarono probabilmente le stampe di Vindelino (Venezia 1473), de’ Bottoni (Reggio 1481) e di Simon de’ Gabî (Vicenza 1487), che chiudono anche esse con la descrizione del fiume Zonus. In altri codici (p. e. nello Strozziano, n. 94; cfr. Bandini, Bibl. Leop. II, col. 433) manca invece dopo la descri- zione de’ mari 1’ Epilogus, come lo chiama l’ediz. basileese del Micillo, o l’Apologeticus com’ è detto nel codice di Giovanni Aldighieri. 4.° Codice dell’ Ambrosiana di Milano, segnato D. 41. Inf. Fu vergato da uomo studioso. In fine trovi varie tabelle che risguardano lo zodiaco, tavole di posizioni geografiche, una rosa dei venti e al recto dell’ ultimo foglio vi leggi : Hic inferius colliguntur summatim montes Silue Nemora Luci Fontes, lacus, flumina, Paludes, Stagna et Maria per Dominum Johannem de Boccacijs in hoc inserta volumine videlicet Montes Silue nemora luci fontes lacus DLXVIJ XLIIJ CXXI LXXXXVIIJ Flumina Paludes Maria DCCCCXV Stagna OXIII LXVI Summa summarum predictorum omnium MDCCCCXXITI. ' A pag. 264 del Vol. III del Catalogo de’ codici Harleiani (1808) la cattiva grafia del codice è corretta in Boccaccti, Certaldo, paludibus. Il codice non mi sembra aver meritato che lo si dicesse ,summa cura scriptus*. — 405 — 5.° Codice della Biblioteca Mazarina di Parigi, segnato H 1290, in foglio piccolo, membranaceo. Contiene la Cosmografia di Pomponio Mela, il PolyRistor di Solino, e il libro de Montibus etc. del Boccaccio, che incomincia al f. LXXV. Alla fine leggesi: Exphet Liber de montibus. sil | wis. fon- tibus. lacubus. flumini | bus. stagmis seu paludibus. et | ultimo de nominibus marium | Johannis Boccacij de Certaldo fe | liciter. quem inceptum 11 Maij. 30 Ju | mij perfecit d. p. inueni preclaro Johanni Cornario, 1401. Avverti che in fine del Pollistore di Solino si legge la data 1406, sebbene il libro di Solino preceda a quello del Boccaccio. Al recto del f. LXXV ’° iniziale reca l’ effigie del Boccaccio che tiene sulle ginocchia un libro. — 406 — DI UNA VERSIONE LATINA DEL LIBRO IHEPI ©AYMASZION AKOYEXMATON ATTRIBUITA GIOVANNI BOCCACCI Lorenzo Astemio nel suo Libellus de compluribus uerbis communibus, quae nunc male appellantur deponentia, ad Sigismundum secretarium Apostolicum, opuscolo stampato in fine del libro: Aesopi Phrygis Fabulae: CCVILII. e graeco in latinum conversae . . . Laurentii Abstemi Maceratensis Hecatomythium primum ... secun- dum ... Ewusdem Labellus de verbis Communibus. (Impressum Venetiis per Ioannem de Tridino alias Tacuinum. Anno Domini M. V. XII. etc.), per rincalzare le sue argomentazioni si vale dell’ autorità del Boccaccio con le seguenti parole: sSed dicet quispiam persuasisti quidem mihi supradicta verba ,esse significationis reciprocae, sed de prosequor unde lis erat sexorta nullam fecisti mentionem. Si satis, ut arbitror, probavi ,Consequor, et consector, et assector in utramque partem dici, cur »lon prosequor in eodem ordine ponendum censere debemus, prae- sSertim quom Joannes Boccatius vir aetatis suae doctissimus sequor ,elus simplex in patiendi significatione posuerit in libello Aristotelis sde admirandis auditionibus, quem e graeco in latinum convertit. »Sic enim dicit. Ursarum genus in Mysia est ut dicunt colore salbum, quae dum sequuntur a canibus, illos afflant anbelitu, et eo — 407 — »Carnes eorum corrumpunt. Si Agellius (ste) largior verbum commune yesse censuit, quia Sallustius dixerat, dilargitis proscriptorum bonis, »Cur non prosequor verbum commune erit, quum eius simplex »Sequor, eb consequor et consector et assector ab eodem fonte nata »communia esse probatum sit“. A questo passo dell’ Astemio mi fece attento 1’ annotatore della Bowblioteca Latina mediae: et infimae Latinitatis di G. A. Fabricio, scrivendo (all'art. Boccaccius) : »Inter veteres Graecorum librorum interpretes accensendum esse Boccaccium nunquam legi. Deberi tamen illi versionem ex Graeco libelli Aristotelis nomen praeferentis inscripti de admirandis narrationibus docuit me Laurentius Abstemius Maceratensis in libello etc. . . . Haec forte versio non altera est ab ea quae legitur in vulgatis Latinis codicibus ab ignoto auctore data“. Sulla scorta di queste testimonianze ho fatto ricerca nelle biblioteche, se per avventura potessi imbattermi nella versione attribuita al Boccaccio; ma nessun codice di versioni di opere aristoteliche da me esaminato porta il passo come si legge nel- l’Astemio. Io crederei che 1’ Astemio fosse tratto in errore, essen- dochè il Boccaccio, citando il libro di Aristotile, si vale di una traduzione latina simile a quell’antica pubblicata dal Beckmann e da altri, che però nel passo citato dal dotto maceratese bibliotecario del duca Guidobaldo differisce dalla versione attribuita al Boc- caccio. Se il Boccaccio si fosse adoperato intorno a una versione del IIEPI O©AYMAZION AKOYEZMATON, egli avrebbe riportato la sua versione di Aristotile, non quella di un altro; e nel decimo- quinto libro delle Genealogie degli Dei, vantandosi. de’ meriti acquistatisi per lo studio della lingua greca in Italia, non avrebbe probabilmente ommesso questa che per allora non sarebbe stata piccola gloria. 17 — 408 — Note intorno ad una fanciulla della tribù degli Acca. (Discorso tenuto alla radunanza del 23 Aprile). Non è guari il Dottor Matteucci recavasi a Trieste per incarico del Ministero italiano, affine di vedere una ragazza della tribù degli Acca, che vi venne portata dal Capitano Gessi, uno degli arditi compagni del Colonnello Gordon nella spedizione alle sorgenti del Nilo. E se l’egregio Matteucci imprende un viaggio da Roma a Trieste, unicamente per istudiare le particolarità morfologiche di questa ragazza, dovrà Trieste, che pur possede una società scienti- fica, ignorare del tutto, ch’ entro alle sue mura vive la prima femmina di questa razza interessante, che finora toccasse suolo europeo? Approfittando della gentile compiacenza della Sig.*® Gessi, io sono lieto di presentarvela questa sera e di darvi alcuni cenni |. intorno alla tribù cui essa appartiene. La ragazza, che ho l’onore di presentarvi, è interessante sì dal lato istorico, che dal lato puramente etnografico. Molte cose asserirono gli antichi intorno a popoli ed a paesi lontani, che nei secoli posteriori vennero tenute in conto di favole. Si rise spesso della dabbenaggine e della credulità di quegli scrittori, che spac- ciarono tante fole; pure, dobbiamo convenirne, essi conosceano certe località forse meglio, di quello che noi stessi alcuni decenni fa. Naturalmente in quelle vecchie relazioni c’ entrava sempre qualche cosa di meraviglioso, di sopranaturale: ma potremmo noi farne loro un carico, se ancora alla metà di questo secolo parlavasi di uomini caudati e di trogloditi, che costruiscono capanne e vivono in società, come di cosa certa? — 409 — Fra i popoli, che fin a poco fa trovavansi relegati nel regno dei miti, occupano un posto distinto i Pigmeî. La descrizione, che ne fornisce Erodoto (Her. II, 32) della regione del Nilo superiore, occupata da vastissime paludi ed abitata da un popolo molto al dissotto della mezzana statura“, venne riconosciuta per vera appena tredici secoli più tardi. Si fantasticò in mille guise su quello che fossero stati in realtà i Pigmei dell’ Africa, e gli si pose in fascio con quelli della Tracia, della Scizia e dell’ India, dichiarando del tutto bugiardi gli autori che ne parlarono. Nè la quantità di cose strane, ond’ erano abbelliti quei racconti, potevano. certamente contribuire a render più credibile la loro esistenza. Erano, secondo Ecateo, sì piccoli e sì deboli, che per tagliar il frumento dei campi adoperavano istrumenti in forma di accette e vi metteano tale forza, come se si trattasse di recidere un albero. E quantunque sì deboli, doveano essi combattere ogni anno contro. le grù, che ve- niano ad infestare il loro paese. (Iliade, III, 9; Arist. Hist. Anim., III; Strab., XV, 8, I, 26; Plin. Hist. Nat., VII, 2; Aelian., Hist. Nat., XV, 29). Alcuni dissero che gusci d’ uova loro serviano di casa, altri che i loro carri veniano tirati da pernici, altri che le loro armi aveano la grossezza d’ aghi, ecc. Narra pure Filostrato, che Ercole dopo aver vinto il gigante Anteo, venisse al paese dei Pigmei ed addormentatosi ne fosse assalito dai loro poderosi eser- citi. I quali non pria osarono assaltarlo, che non ebbero prese tutte le precauzioni d’ un perfetto ordine di battaglia, piombando su di lui divisi in due schiere ed assegnando a ciascuna di loro il territorio del corpo d’Ercole, sul quale doveano manovrare. L’ eroe addormentato sentì una specie di formicolio lungo le membra, e svegliatosi, mirò ridendo le falangi de’ Pigmei, che davano la scalata al suo corpo, e distesa la pelle del leone Nemeo, tutti ve gli avvolse in uno alla loro regina e portolli al fratello Euristeo. Si spacciarono insomma tali e tante cose meravigliose intorno ai medesimi, che perfino gli autori greci e latini ne cominciarono @ dubitare della verità. Così già Aristotele (Hist. Anim., VIII, 14), dichiarò favole tutte le relazioni, che si aveano sul loro conto, consentendo semplicemente che essi fossero una popolazione del- alto Egitto, intorno alle sorgenti del Nilo. Chi più vivamente combattè contro le dicerie, che si spacciavano sui Pigmei, si è Strabone, il quale sostiene recisamente, che tutto ciò che se ne raccontava, non era che pura finzione dei poeti, (I, 30) e che tutti coloro che parlarono di uomini della grandezza di tre spanne, con * — 410 — un occhio solo, senza naso, colle dita volte all’ indietro, ece. non erano altro che mentitori (II, 2). Le recenti scoperte vennero a dissotterrare le notizie traman- dateci dagli antichi, le quali, svestite naturalmente dalle aggiunte e dagli abbellimenti della favola e del portentoso, ci appresero che le relazioni degli antichi non erano del tutto prive di fondamento, avendo probabilmente avuto contezza di popolazioni, i cui membri possedeano una statura molto al dissotto della nostra. Però fino ai tempi modernissimi, si dubitò sempre della ve- racità delle asserzioni dei viaggiatori, tanto più che per quell’ innato prurito di coloro, che descrivono lontane regioni, a metterci sempre un po’ di poesia, le relazioni apparivano alquanto fantastiche e perciò veniano accettate con certa diffidenza. E come già gli antichi descriveano Pigmei dell’ Africa, dell’ India, della Tracia, dell’ Arabia, dell’ ultimo Tule, così i moderni ritrovarono in parecchi paesi delle razze molto piccole, alle quali si potrebbe a buon conto donare l’ epiteto di Pigmei. L’ Africa oltre alle tante cose strane e meravigliose che rac- chiude, è quella che possede un numero considerevole di popolazioni pigmee. Il Capitano T. Boteler (Narr. of a voyage of disc. to Africa etc. 1821-26, II, p. 212) accenna un popolo di Pigmei, detti Dolo o Wa Berikimo, sul quale il missionario Leon des Avanchers pub- blicò più tardi alcune brevi notizie. (Bull. de la Soc. de geogr. de Paris 4.° ser., VII, p. 163.) Secondo queste, esso vivrebbe alle falde del Monte Anko, presso al lago Boo, da cui esce un grande con- fiuente del Nilo, e si troverebbe a 27 giornate di cammino dal paese dei Berry, limitrofi dei Bari al Nilo Bianco. Il loro nome Wa Berikimo significherebbe gente di due piedi d’altezza. ') Essi avrebbero un colorito olivastro, e vivrebbero in uno stato perfet- tamente selvaggio, senza riconoscer capi od autorità, senza avere alcuna traccia d’un culto qualsiasi ed ignorando perfino l’ uso dell’ armi e del fuoco. Però nessun europeo ebbe ancor la ventura di vederli e tutte le notizie si basano semplicemente su narrazioni dei Galla o di altre popolazioni limitrofe. !) Sulla carta che accompagna la relazione del viaggio del Barone van der Decken (Reisen in Ost-Africa Bd. II, Tav. 8) è segnato il popolo dei Wa Berikimo tra ìl 1-2° lat. bor. ed il 35-37 long. a., mentre nella carta del Harris (Gesandsch. Reise nach Schoa 1841-43) appare il nome dei Doko tra il 2-4 lat. bor. ed il 36-38 long. a. — 4ll — Il De Chaillu (A journey to Ashango Land ete. 1867, p. 269), le cui relazioni vennero tanto contestate, parla di altri. nani del- l Africa occidentale, detti Obongo. Le donne, ch’ egli dice d’aver misurate, aveano l’ altezza di 133-152 cent. Però la maggior parte di queste relazioni erano basate sem- plicemente sulle dicerie degli indigeni, i quali, come è noto, estimano gli europei molto creduli e loro raccontano una quantità di fole. Così il Petherik (Egypt, the Sudan and Central Africa) riferisce le notizie favolose, che gli erano state porte intorno alle tribù adjacenti. Secondo queste vi erano alcune, i cui membri aveano quattro occhi, altre portavano la testa sotto l’ ascella, altre aveano faccia di scimmia e code lunghe parecchi metri, finalmente v’ era una razza di Pigmei, le orecchie dei quali arrivavano fino a terra, cosicchè quando coricavansi, se ne serviano dell’ una come mate- rasso, dell’ altra come coperta! Stando a questi termini la veracità delle relazioni, not era possibile definire la questione, prima che uno scienziato, al quale più del meraviglioso stesse a cuore la-verità, non si fosse accer- tato coi proprî occhi della loro esistenza reale. E fu appena nel 1870 che Schweinfurth essendo pervenuto fino alla residenza di Munza, re dei Mombuttù, ebbe occasione di vedere parecchi membri di un popolo, abitante alquanto più al mezzogiorno ed appellato degli Acca, i cui membri non oltrepassavano la statura di 150 centimetri. Nessun viaggiatore prima dello Schweinfurth fa men- zione degli Acca, se si eccettuino forse alcune dubbie relazioni portoghesi del secolo decimosettimo e le indicazioni molto vaghe di Speeke e Grant, secondo le quali ad occidente dei Monti Az- zurri si troverebbero delle tribù pigmee, che vivono sugli alberi più alti, dai quali non scendono che di notte, per compiere i loro incantesimi, essendo generalmente cereduti stregoni. Finalmente nel 1874 arrivarono in Europa i due primi Acca. ultimo retaggio che il nostro Miani legava alla patria lontana, i quali accolti dal conte Miniscalchi, vivono tuttora a Verona. Tuttociò che sappiamo intorno al popolo degli Acca, si com- pendia in quello che ci racconta lo Schweinfurth ed agli studî fatti intorno ai due individui del Miani e pubblicati per la maggior parte nei Bollettini della Società Geografica Italiana, Secondo quello che ne dice lo Schweinfurth, il distretto degli Acca si stenderebbe a quattro giornate più a mezzogiorno della reggia di Munza e sarebbe abitato da parecchie tribù, rette da — 412 — altrettanti capi o re. Sventuratamente all’ intrepido viaggiatore tedesco non fu possibile di penetrare nel loro paese e le note pre- ziose, ch’ egli avea fatto sugli individui, che potè osservare presso il re Munza, rimasero preda delle fiamme che si appiccarono’ alla sua capanna, Partendo dal territorio dei Mombuttù, lo Schwein- furth avea seco preso un giovane Acca; ma non fu sì fortunato di condurlo seco in Europa, essendogli esso perito di dissenteria a Berber. £ Noi siamo quindi astretti a raccogliere alla spicciolata le notizie intorno agli Acca ed a non negligere qualsiasi occasione per accrescere le cognizioni in proposito. Non credo perciò far cosa del tutto inutile nel darvi questa sera brevemente ragguaglio di quel poco che mi fu possibile di raccogliere intorno alla ragazza che diede argomento al presente discorso. Il governo egiziano, sotto pretesto di abolire la tratta dei neri, ha intrapreso da alcuni anni a questa parte, una guerra di esterminio contro le popolazioni che abitano intorno ‘alle sorgenti del Nilo. In questa guerra, intrapresa in nome de’ diritti più sacri dell'umanità e che invece dovrebbe chiamarsi carneficina di popoli, non possono certamente esser dubbie le sorti dell’ armi. Poche centinaja di soldati, condotti da Backer Pascià, bastarono a sog- giogare quel vastissimo territorio, e se anche il crudele Pascià inglese ne rimase trucidato, ciò déssi unicamente alla defezione de’ suoi proprî soldati. Nella presente campagna, sotto il comando del Colonnello Gordon, alcune orde egiziane si spinsero fino al paese dei Mombuttù, ove s’ impossessarono di due ragazze Acca, che si trovavano presso il re Munza e le portarono al Capitano Gessi, che in allora facea parte della spedizione. L’ una di queste trovasi ora a Chartum, l’altra vi sta innanzi nella persona di Saida. Se noi la interroghiamo circa alla sua età, essa. ci risponde di aver sedici anni; però a questa indicazione non è da darsì gran peso, conoscendo come i popoli selvaggi non abbiano in proposito idee precise. Dallo sviluppo generale del corpo e dall’ ispezione dei denti, ') noi saremmo tuttavia proclivi ad assegnarle tutt’ al più 13-14 anni. Un altro criterio per crederla d’ un’ età minore di quella indicata, potrebbe forse sembrare la mancanza dei menstrui: però riflettendo a quante modificazioni va soggetto questo segno di pubertà presso differenti popoli, non possiamo concedergli che !) I denti presentano la serie seguente: c. */,, c. *, m. %, m. % — 413 — un valore subordinato. Presso le razze meridionali lo sviluppo è generalmente molto precoce, attalchè dalla presenza dei menstrui noi potremmo tutt’ al più stabilire che la ragazza abbia oltrepas- sato i nove o dieci anni. Io credo piuttosto che 1’ amenorrea della nostra Saida dipenda da altre cause, fra le quali probabilmente non ultima la mutazione di clima e di metodo di vita. La sua statura è di 123 centimetri, ossia della medesima altezza del minore dei due Acca del Miani, chiamato Chairallah, e di 14 cent. più piccola del maggiore, Tibaut, secondo la misurazione fatta dallo Schweinfurth nello scorso Settembre. Mancandoci misurazioni anteriori della nostra Saida, non possiamo indicare un coefficiente dell’ accrescimento an- nuale, nè stabilire tampoco approssimativamente la statura cui essa potrà arrivare. Molto certamente non potrà crescere, se si riflette che in questi popoli i 14 o 15 anni segnano generalmente il limite dello sviluppo. Il colorito della cute è d’ un caffè chiaro, con una lieve sfumatura rossastra e somiglia in molti riguardi a quello degli Indù delle caste migliori. Il colore appare. più oscuro nelle parti coperte da peli, mentre meno carieo si. mostra alle guancie ed alle palme delle mani. I capelli neri, molto densi e sottilissimi, sono arricciati ed agglomerati, come in parecchie razze negroidi, e si estendono lateralmente innanzi all’ orecchio ‘fin quasi all’ angolo della mascella inferiore. Gli occhi sono grandi e vivacissimi, spe- cialmente allorchè la ragazza trovasi sotto l'influsso di qualche passione. Anche in essa, come nei due Acca del Miani, quantunque non molto appariscente, incontrasi una piccola lunetta opaca al mar- gine superiore della cornea. In corrispondenza al colorito dei capelli, anche l’ iride è d’un bruno scuro. La pupilla è piuttosto larga, reagisce però prontamente alla luce. La temperatura del suo corpo è di 37:2° C., la media del polso 88 pulsazioni al minuto. Biso- gnerebbe però poter disporre d’ un numero maggiore d’ individui, per dare un valore a questa indicazione, inquantochè, come già lo dimostrò Pruner Bey per gli egiziani e pei negri, che rare volte oltrepassano le 60, le razze scure hanno solitamente un polso molto lento. (Die Krankheiten d. Orientes, Erlangen 1847, p. 64). Non si‘ misurò col dinamometro la sua forza, tuttavia possiamo dire che per la sua costituzione essa possede una forza muscolare consi- derevole, come noi stessi avemmo ad esperimentare un giorno che istizzitasi, non volea a nessun patto lasciarsi misurare. Quello che maggiormente risalta negli occhi; si è la forma e grossezza della testa. Difficilmente vi esiste un altro popolo: che — 4li — posseda un capo relativamente così voluminoso, come gli Acca. Tutti gl’individui finora veduti offrivano la medesima particolarità, per cui sembra che questa grossezza sia caratteristica alla. loro razza. La sua circonferenza di 520 millimetri, ci apporta una no- vella conferma, che popoli di piccola statura, hanno generalmente teste più grandi. Weisbach, in base alle misurazioni prese durante la spedizione della Novara, dà la circonferenza del capo, (in rapporto alla statura — 1000) dei seguenti popoli: Chinesi 339 pei maschi, 360 per le femmine, Nicobari 348, Giovanesi 323 pei maschi, 396 per le femmine, Sondanesi 335 pei maschi, 397 per le femmine, Maduresi 334, Amboinesi 341, Bugis 332, Abitanti delle isole Stewert 327, Neozelandesi 341, Donne di Taiti. 339, Australiani 348 per i maschi, 359 per le femmine, per cui la nostra Saida colla circonferenza relativa di 423 mill. superò di molto tutte le razze or ora accennate. Anche la forma del capo è rimarchevole, avendo un aspetto quasi sferico.. La sua lunghezza sta alla lar- ghezza come 173: 131, il che ci dà un indice cefalico di 75°. Poco pronunciato 1’ occipite, sporge maggiormente la fronte, fortemente conversa, la quale s’infossa alla radice nasale presentando un’ in- cavatura. profonda. Il naso estremamente schiacciato, si allarga inferiormente, presentando un aspetto quasi trilobo. La sua lar- ghezza all’ inserzione labiale, equipara la lunghezza, nel che si riscontrerebbe una somiglianza colle razze papuasiche. Anzi la nostra Saida, avuto riflesso alla sua statura, supererebbe per la larghezza del naso (36 mill.) perfino gli stessi Australiani, che secondo il Dr. Weisbach l’ hanno di soli 32. In questa spropositata larghezza delle ali del naso, sarebbe forse da ricercarsi una affinità coi qua- drumani, dappoichè, secondo le indicazioni di Sommé, lorango da lui misurato presentava una larghezza del naso di 30 mill., ossia ridotta alla statura di 1000, una larghezza di 37, quindi più di qualunque razza umana. Un’ altra particolarità, che potrebbe forse ravvicinare gli Acca agli antropomorfi, si è la forma delle labbra, tagliate a spigolo risentito, così che l’orlo roseo viene ad esser brevissimo e. per nulla arrovesciato, come nei negri. Il capo considerato nel suo totale, ci si addimostra. decisa- mente prognato, tanto più che il mento appare arrotondato e pel poco sviluppo del corpo della mascella inferiore, quasi sfuggente. Sebbene la nostra Saida non arrivi all’ estremo grado di progna- tismo; che lo Schweinfurth constatò nei due individui da lui misurati, tuttavia anch’ essa non possiede che un angolo facciale di 70° 36%. — 415 — Non potemmo riscontrare nel nostro individuo l'enorme gran- dezza delle orecchie, fatta risaltare dallo Schweinfurth; 1’ unica cosa degna forse di cenno si è che l’urecchio non giace in un piano, ma appare circa alla metà piegato obliquamente. Anche del- leminenza appendicolare, fatta notare sulle orecchie degli Acca di Verona non potemmo trovar traccia. Se la larghezza delle spalle forma una delle affinità colle scimmie, alla nostra Saida sarebbe da concedere un posto. ben lontano, avendo quelle, (rispett. 1 orango, secondo Brooke) una larghezza di 357 mill. relativamente alla statura di 1000, mentre in questa non misura che 220 mm. Il petto della nostra ragazza nulla offre di particolare, salvo che inferiormente va mano mano allargandosi, cosicchè nel suo insieme presenta la forma di campana. L’addome è rimarchevole per la sua tumidezza, per cui tutta la persona acquista un aspetto particolare. Il centro di gravità, che per questa prominenza del ventre sarebbe spostato all’innanzi, viene ristabilito in grazia di una forte curvatura all’ indietro della porzione toracica e cervicale della spina dorsale, dal che ne nasce un’ andatura dondolante ed inceppata. Che la tumidezza del ventre, — che del resto accennerebbe ad uno stadio embrionale, — debba riferirsi ad un carattere speciale degli Acca e di altre razze negrite e non si abbia a riguardare come il risultato ‘d’ un metodo dietetico vegetale, emerge dal fatto, che questa particolarità ritrovasi pure presso popoli carnivori, mentre non riscontrasi affatto presso altri esclusivamente vegetariani, come lo sono per eccellenza le caste elevate degli Indù. Se noi ci facciamo a riguardare la lunghezza delle estremità in rapporto alla statura, troviamo che la nostra Saida supera gli stessi Cinesi per la brevità degli arti superiori, quantunque l’istesso non possa dirsi degli inferiori. Anche in questo riguardo gli amici delle somiglianze scimmiesche, non troveranno gran fatto da rallegrarsi, se considerano che il rapporto tra la lunghezza delle braccia e la statura è pell’orango di 824: 1000, mentre per gli Acca di soli 460. E per far più chiaro apparire questa loro brevità, noterò che la lunghezza relativa del braccio degli Europei (media di Romani, Germanici e Slavi) è di 464, dei Cinesi di 466, degli Indù di 469, dei Giavanesi di 476, dei negri di 480, degli abi- tanti delle isole Fidgi di 504 e di quelli delle isole Stewart di 511. Parrà strano che gli Ottentotti con una lunghezza di 469 — 416 — secondo Wyman, vengano a locarsi immediatamente presso agli Europei! Fu del pari constatato che 1’ avambraccio dell’ orango è enor- memente lungo (290 in confronto alla statura di 1000) e che la maggiore lunghezza del medesimo forma un’ altra affinità scim- miesca, come la riscontriamo nei negri e negli australiani. Però la nostra Saida col rapporto di 158: 1000 viene a stare immedia- tamente dopo gli europei ed i cinesi. Schweinfurth dice che nulla eccitava maggiormente la sua ammirazione quanto le belle manine del suo Acca; noi non possiamo dire altrettanto della nostra Saida, avendo essa una mano tutto altro che delicata. La proporzione tra la lunghezza e la larghezza non risponde affatto alla tornita eleganza che si richiederebbe da un’ eroina da romanzo! In quanto alla lunghezza però, la mano di Saida appartiene alle mani corte, come in generale i popoli Africani, i negri, gli ottentotti, i boschimanni ed i caffri possono vantare mani molto corte (Quetelet, Burmeister, Humphrey, Wyman, ecc.) allontanandosi nuovamente dal tipo scimmiesco. Venne stabilito per la maggior parte dei popoli, che quanto più brevi sono le estremità superiori, tanto più lunghe ne sono le inferiori. Ad eccezione dei Cinesi che vanno forniti di braccia e gambe corte, e degli Australiani che ambedue le possedono molto lunghe, questa proporzione può riguardarsi qual legge generale. Anche l’ orango segue questa legge, superando esso per la lunghezza delle braccia e per la brevità delle gambe qualsiasi razza umana, offrendo per gli arti superiori, come già detto, il rapporto di 824: 1000 e per gl’ inferiori di 411: 1000. Nè la nostra Saida vi fa eccezione, possedendo in opposizione all’ orango, braccia molto corte . e gambe piuttosto lunghe. La lunghezza relativa delle medesime di 493, la ravvicina oltremodo agli europei, i quali in media presen- tano una lunghezza di 495. Circa alla proporzione tra la lunghezza del femore e del crure, noteremo che Saida segue il tipo del negro, dappoichè possede un femore che supera in lunghezza il crure. Lo sviluppo dei polpacci, che viene riguardato come uno dei principali distintivi della specie umana, non è molto pronunciato in Saida, (207: 1000) quantunque essa superi di alcunchè i Gia- vanesi e gli Australiani. Se Saida concordava per brevità della mano cogli Ottentotti e coi Boschimanni, essa se ne scosta di molto per la lunghezza — 41° — del piede, che la porrebbe in immediata vicinanza dei Papuas. La lunghezza del suo piede eguaglia quella dell’avambraccio, partico- larità, che si riscontra negli abitanti delle isole Nicobari e nei Cinesi. Le unghie del piede e della mano, sono corte e larghe. E qui non crediamo superfluo di riunire in un prospetto le misurazioni principali che prendemmo di Saida, riducendole in pari tempo alla statura di 1000 onde facilitarne il confronto con altre Tazze. (os) Ove non c’è indicazione, le misure | 3 ui son prese col centimetro; il segno < = indica che furono prese col compasso. Ca di spessore. Le misure sono in millimetri. . = (Cp) Altezza totale dal Yertueo alle piante. 1230 1000 Testa. < Diametro anter.-posteriore del cranio . 3a 173 140 <. Diametro trasversale del cranio . 131 106 < Altezza del capo (dal vertice al bg 200 162 < Altezza della faccia (dalla radice nasale al mento) ; i 80 65 < Larghezza superiore della it alpini mar- gine ant. inf. d’ un zigoma all’ opposto) 101 82 < Larghezza infer. della faccia (fra i due angoli della mascella inferiore) . 90 13 < Larghezza zigomatica (fra i due punti più sporgenti de’ zigomi avanti le orecchie) 124 100 Circonferenza orizzontale della testa . 520 423 Arco cefalico (fra i due forami auric. pel vertice) 340 276 < Distanza fra i due Sr Gut ra 108 83 < Distanza fra i due angoli orbitali interni 37 30 <= Dalla radice nasale all’ angolo della ma- scella infer. i 108 88 < Distanza biauricolare . . . 123 100 < Diagonale del capo (dal mento dia ne 0ccipono! de fasrita ina lratiot)onravidi Job sha 208 165 — 418 — S sì 5 50 (=) ri lc (Cp) ta d H idoli UI < Dalla radice nasale all’ inserzione del setto 32 26 Dall’inserzione del setto alla die 1 del naso ; 39 28 < Larghezza inf. dl naso (alli inserzione delle ali del naso) 36 29 Larghezza della bocca . 44 36 < Dal forame auriculare alla cola ade occipitale 102 83: < È È al vertice 135 109 < » A al punto promi- nente della fronte 106 86 < ” E, alla radice nasale 97 19 Gi A bi) all’ inserzione del setto nasale 109 88 << 7 cà al margine del lab- bro super. (senza premere) 116 94 < n S al mento . 116 94 = ; 5 all’ angolo della mascella infer. 50 41 < Dal punto prominente della fronte all’ in- serzione del setto nasale : 62 50 < Dal punto promin. della fronte al conio 112 89 < Dal mento all’ angolo della mascella infer. 72 59 Circonferenza del collo FELINO, 260 211 Lunghezza del collo (dall incis. tireoidea al manubrio) | 81 66 | Tronco. Larghezza delle spalle (misurata sul dorso) ZI 220 Circonferenza del torace (sotto le mamme) 632 514 — 419 — 1a Ss © #8 È = = (5) 53 (CO) Lunghezza del tronco (dall’incisura giu- |{. 440| 395 gulare al margine super. del pube). . {|< 370 |<301 Circonferenza addominale all’ ombilico . 662 | 538 < Distanza tra le due spine anter. super. dell’ileo. i +} .0if ha Rea 190 154 < Distanza tra i due lreglateni igh- Castro 244 176 Estremità. Lunghezza! del''braécio! 000 atisrzeni 566 | 460 Lunghezza dell’omero . . . LRD LL 211 171 Circonferenza massima dell’omero . . 210 171 Lunghezza dell’ avambraccio . . . ; 195 uo:158 Circonferenza massima (Ac 205 166 Lunghezza del dorso della mano . . . TI 62 Circonferenza della mano all’ articolazione mietacarpo Fatangea): 051 cgil 168 | 136 Lunghezza: del dito medio . . . . . 87 71 Lunghezza dell'indice... .. .. 15 61 Lunghezza dell’annulare . . . 83 67 Lunghezza della gamba (dal rgoantona al malleolo esterno) . . /. . . .. 607 | 493 Lunghezza del femore . . . . . ... 329 264 Lunghezza: del erure e su ph 282 | 229 Circonferenza ai polpacci . . . . . - 25001, 207 Circonferenza ai malleoli . . . . . . 183 | 149 Lunghezza del piede... . . . . | 194] 158 Circonferenza all’ arco del piede . . . 201 163 Circonferenza all’ articolazione metatarsofa langentis «Siair. | ere 182 148 Lunghezza dell’ aiar PRFINAIT GERE 52 42 Altezza del malleolo interno «P cala ; 39 32 — 420 — Statura ridotta TETTE, I Dal malleolo interno al a ce del'‘caleagno. .U.. MT 65 59 Da un malleolo all’altro, per Ja massima periferia del calcagno . . . 156 127 Distanza della punta del dito ER, È braccio pendente) dal ginocchio . . .. 92 159 L’ espressione del suo volto è dolce, come in generale il suo comportamento è abbastanza docile. Però istizzitasi una volta è difficile a rabbonirsi ed a famigliarizzarsi di nuovo. Nel primo tempo che trovavasi a Trieste, esprimeva spesso il desiderio di tornarsene in Africa, però presentemente s° affligge quando le si minaccia di ricondurla in patria. Ritiene facilmente a memoria quanto le viene insegnato, cosicchè comprende e parla abbastanza correntemente l’ arabo e l'italiano. Pur troppo sembra aver dimen- ticato la maggior parte del suo linguaggio natio, non comprendendo che poche parole e frasi del vocabolario degli Acca, testè pubbli- cato dall’ abate Beltrami. Del pari poche nozioni sa dare sul suo paese: riconobbe però subito il ritratto del re Munza e ne anelò ardentemente il possesso. Però dopo aver parlato degli Acca e particolarmente di Saida, potrebbe forse nascere in qualcuno il dubbio, se gli Acca dello Schweinfurth, quelli del Miani e la nostra Saida appartengano poi tutti ad un’ unica, alla medesima razza. Confessiamo che questo dubbio è inserto a noi pure, vedendo come le descrizioni dello Schweinfurth non concordano in tutto con quello che se ne scrisse degli Acca di Verona, nè con quanto potemmo noi stessi osservare in Saida. In questa non abbiamo nè le lunghe braccia, nè la pic- colezza delle mani, nè la curvatura delle tibie all’ indietro degli Acca dello Schweinfurth, nè tampoco la estrema larghezza delle spalle di quelli del Miani. Però lo Schweinfurth in una lettera al — 421 — Com. Negri, dichiara che d’ora impo non può avere il menomo dubbio sulla identità di razza degla Acca di Verona con quelli da lui veduti (Boll. Soc. Geogr. It. 1876, p. 262) ed il Burton ed il Matteucci, che si recarono giorni fa a Verona per vedervi i due Acca, mi assicurano ch’ essi e la Saida devono riguardarsi come appartenenti al medesimo popolo. Noi dobbiamo però riflettere, che nessun europeo è finora penetrato nel paese degli Acca, e che tanto lo Schweinfurth che il Miani ed il Gessi, ebbero da fare solamente con individui presi dai Mombuttù ove viveano quali prigionieri. Lo Schweinfurth ora ci dice, che il popolo degli Acca trovasi diviso in parecchie tribù, le une distinte dalle altre, — ed in ciò concorda con quello che ci racconta Saida, — per cui è probabile che quantunque apparte- nenti alla medesima razza, i membri delle differenti tribù differi- scano tra di loro per parecchi caratteri sì fisici che morali. Può darsi anche che vivendo in un paese straniero, gli Acca che finora vennero veduti dagli Europei, non sieno di razza pura, ma abbiano nelle vene qualche goccia di sangue mombuttù: questione che naturalmente non può venir risolta, prima di aver maggiori cogni- zioni intorno a questo popolo interessante. Ma che cosa sono, che cosa rappresentano gli Acca nella grande famiglia umana? Nulla di strano se gli Esquimesi, i Lap- poni, gli abitanti della Terra del Fuoco ed altre popolazioni delle zone artiche, sono d’una statura inferiore a quella degli abitatori delle zone temperate: i freddi intensi che devono sostenere, le lunghe notti, il metodo di vita pieno di privazioni e di disagi, possono bene spiegare questo inceppamento nel loro sviluppo; ma per gli Acca che trovansi quasi sotto l’ equatore, in un paese fertilis- simo, che loro offre ogni specie di nutrimento, ove vivono e pro- sperano tanti altri popoli di statura considerevole, potremo forse aspettarci una spiegazione plausibile dalla ipotesi or tanto accarezzata della mutabilità delle specie in grazia delle influenze esterne ? Ed oltre agli Acca, non abbiamo noi altre popolazioni nane, per le quali difficilmente si potrebbe implorare il verdetto dell’ipotesi precipitata? Non sono ancora estinti sugli altipiani del Deccan i nani, citati da Plinio e da Solino, e nelle mie peregrinazioni mi imbattei non rare volte in torme di questi infelici, chiamati Cu- rumbas, che vivono nel più denso delle boscaglie, senza alcuna traccia di civiltà. Il cavo d’una roccia o alcuni rami d’ albero af- fastellati senz’ ordine, servono loro di ricovero. Il loro vestito è un — 422 — cencio avvolto intorno alle reni, le loro armi degli archi di bambù con cui lanciano pietre. Timidi e sospettosi fuggono l avvicinarsi d’ altre persone, per cui non mi fu possibile di misurare che la statura di due individui, — non de’ più piccoli, — che mi diedero 148, rispettivamente 152 centimetri. Di colorito molto più scuro delle altre razze dell’ India, (1’ opposto che nelle razze pigmee del- l’ Africa, che emergono appunto dai popoli circostanti per una tinta più chiara), il loro tipo ha un che di mongolico, per la sporgenza dei zigomi e per la conseguente larghezza della facce. La loro fronte è bassa, il loro naso schiacciato, la faccia fortemente prognata. — Ed appresso ai medesimi boschi, alle medesime balze, vivono i Curghi, vivono i Todas, belli ed aitanti della persona, con membra muscolose da far invidia a qualunque europeo. Qual è adunque la causa di questa disparità? AI Sud dell’Africa troviamo nuovamente due popoli, che abitano la medesima regione, i Caffri e gli Ottentotti, pur tanto diversi nella loro costituzione sì fisica che morale! Ma troppo crederei abusare della vostra pazienza, ove volessi cercar altri esempî per dimostrare che in riguardo a questi popoli, cui la natura fu matrigna, anzichè trattarsi di degenerazioni 0 peggioramenti, si abbia da pensare a razze autoctone, che oppresse e sbaragliate da popolazioni straniere, ci rappresentano al giorno d’oggi, direi quasi, le rovine degli antichi popoli di aborigeni. In nessun luogo queste razze, condannate all’ estinzione, formano un popolo compatto. Gli Aeta delle Filippine, i Mincopi delle isole Andamani, i Curumbas del Deccan, i Quimos dell’isola di Mada- gascar, i Boschimanni ed i loro affini dell’ Africa meridionale, che cosa sono essi mai se non tribè erratiche, travolte nella corrente delle migrazioni dei popoli? Dappertutto son essi i paria, disprez- zati e perseguitati come esseri inferiori. Ma se ci restringiamo a considerare gli Acca in rapporto alle altre popolazioni nane dell’ Africa, ci avvedremo, che per quanto scarse sieno ancora le nostre cognizioni in proposito, non si pos- sono tuttavia disconoscere certi punti di contatto tra di loro. Troppo poco note ci sono le razze dei Doko, degli Obongo, dei Mala Gi- lalè, per poter istituire un qualsiasi confronto; però al sud del- l’Equatore abbiamo una razza conosciuta già da secoli, i Saan o come vennero battezzati dai coloni olandesi, i Boschimanni, appar- tenenti alla famiglia degli Ottentotti. Questa razza, sminuzzata in = 423 — una quantità di tribù, offre parecchie affinità cogli Acca, sia’ pella statura bassa, che pel colorito di caffè tosto della cute, per la formazione delle labbra angolose, per il capo quasi sferico; per il naso schiacciato, per l’addome prominente, per la brevità degli arti superiori, ecc. Non si può tuttavia negare, che per’ parecchi altri caratteri sembrano scostarsene, però le differenze morfologiche, che ci presentano tra di loro i pochi individui Acca, che finora conosciamo, ci dimostrano che questa razza non può dirsi molto uniforme. Bisogna inoltre considerare, che le immigrazioni in Africa rimontano ad epoche lontanissime, e che se anche la mancanza di accidentalità delle coste, la scarsità dei fiumi, la vastità dei deserti e de’ paduli, fortemente si opposero alla fusione delle differenti razze ed idiomi, tuttavia nello sparpagliarsi di quei popoli, che per forza di propulsione riceveano 1’ urto dell’ onda irruente, non è possibile che sieno rimasti inalterati i caratteri originarî e non si siano alquanto modificati nel corso dei secoli. Che però alcuna memoria delle antiche dimore sia rimasta ancora viva, lo dimo- strano le tradizioni dei Boschimanni e degli altri popoli dell’ Africa meridionale, che si dicono venuti dal settentrione, ove pur locano le sedi delle loro divinità. Maggiori prove di queste affinità si ritrarrannno senza dubbio dallo studio comparato delle loro lingue, studio cui l'illustre Beltrami appianò diggià la via colla pubblica- zione della grammatica e d’un piccolo vocabolario sulla lingua degli Acca, e più ancora dai risultati del viaggio, che quanto prima il Gessi intraprenderà per quelle regioni, non per anco calcate da piede europeo. Così depurando la verità di tutte le aggiunte del maravi- glioso, è finalmente constatato, che nel centro dell’ Africa esistono uomini di statura molto bassa, ai quali si può a buon dritto ap- plicare l’ epiteto di Pigmei, purchè si riduca questo termine al suo vero valore e non se ne esageri il significato. E quantunque non sì siano trovati uomini da due o tre spanne e cogli attributi loro apposti dagli antichi, resta tuttavia interessante l’ esistenza di tali razze. Pritchard è vero nella sua opera classica History of Mankind (II, p. 419) non dà gran peso alla differenza di statura, osservando a ragione che talora tra un popolo di giganti si trovano delle persone e perfino delle intere famiglie piccine. Fa però me- stieri distinguere il patologico dal normale. Fra ogni gente, anche la più grande, ritrovansi quelle deformità rachitiche, che in altri tempi fornivano le corti di buffoni, uso che vige tuttora nel centro 18 — 424 — dell’ Africa. ') Ma qui non abbiamo da fare con individui isolati, ma con interi popoli, che emergono dagli altri per la loro bassa statura, popoli che evidentemente erano già conosciuti dagli antichi, se sì spesso gli si incontrano nei loro seritti e sui loro monumenti. L'uomo tende al maraviglioso e se nell’ evo di mezzo, allorchè vennero scoperti gli Esquimesi si sparsero per l’ Europa settentrio- nale le favole dei Zwerge, degli Skrallings, degli. Springs, ecc. potremo noi stupirci, se dall’ imperfetta conoscenza delle tribù alle sorgenti del Nilo e dell’ Africa centrale, emerse il mito dei Pigmei, presso popoli di sì calda fantasia, quali erano i Greci e Romani? C. Dr. Marchesetti. ') Alcune settimane fa passò per Trieste Sefer Pascià, con un nano che veniva spacciato per Acca. La cosa però sembra basata sur una mistificazione, dappoichè il ragazzo differisce di molto dal tipo degli Acca, ed appare piuttosto una mostruosità rachitica. Riceviamo inoltre maggiori dettagli dal Cap. Gessi. In una scorreria fatta dagli Egiziani nel paese del Sobat, un certo Marco Svietanovich da Lussinpiccolo, allora in servizio del Gordon, s’ impossessò di un ragazzo degli Schilluk, (gente, in opposizione agli Acca, di statura molto alta) e lo portò seco al Cairo, donde Sefer Pascià lo prese seco a Vienna per farne un presente all’imperatrice Elisabetta, che, a quanto si dicé, avea ester- nato il desiderio di vedere un Acca. — 425 — CONTRIBUZIONI allo studio dei funghi del Litorale CON SPECIALE RIGUARDO A QUELLI CHE VEGETANO SULLE PIANTE UTILI di GIOVANNI BOLLE Dirigente l'i. r. Istituto bacologico sperimentale di Gorizia - e FELICE de THÙMEN Aggiunto all’i. r. Stazione chimico-fisiologica sperimentale per l’Enologia e la Pomicoltura di Klosterneuburg presso Vienna. La configurazione topografica, il clima ed il suolo, i tre fattori principali da cui dipende la flora di una regione, sono nel Litorale di caratteri così disparati, che devono influire potentemente sulla natura della vegetazione. Ed infatti avuto riguardo all’ esten- sione, pochi paesi possono annoverare una flora così ricca e così svariata come il Litorale. Illustri botanici esplorarono la medesima e ne riportarono larga messe di piante nuove, nonchè interessanti molto dal lato della distribuzione geografica: alle Alpi Giulie non mancarono le specie scandinave ‘ed artiche; al mare, piante di paesi subtropicali attestavano l ampia zona vegetale che abbraccia il nostro piccolo paese. L’ attenzione degli scienziati era però finora rivolta quasi unicamente alle piante fanerogame, e le crittogame erano oggetto di studî a pochissimi; dei funghi poi ed in ispecialità di quelli microscopici, possiamo dire, che nessuno se ne occupò in questa regione seriamente. — 426 — L’ eguali circostanze che fanno tanto ricca la flora delle fane- rogame nel Litorale, devono influire non meno sulla ricchezza della flora delle crittogame. Fra quest’ ultime sono i funghi decisamente di maggiore importanza, sia per riguardo scientifico che eco- nomico. L’ esplorare un campo scientifico finora trascurato, deve rie- scire d’incremento alla scienza, non solo, ma, nel nostro caso speciale, benanche di profitto alla pratica. L’ agricoltore vedeva finora nelle malattie delle piante gli effetti prodotti da una stagione, per soverchia umidità o troppo seccore, poco favorevole alla vegetazione, o da una cattiva coltura, o da suolo poco confacente ad una data pianta o già esausto, 0 da tante altre consimili cause, che influiscono di certo sulla vegetazione, le quali però non sono mai cause prime o efficienti di una malattia parasitaria. È merito della scienza se oggigiorno conosciamo la vera origine di moltissime malattie attribuite falsamente alle suaccen- nate cause; il vero nemico si lascia scoprire col mezzo del micro- scopio: esso è un animale quasi invisibile ad occhio nudo, oppure, nella maggioranza dei casi, un fungo parasito che vegeta, e si nutre a spese della pianta su cui ha preso stanza, poi si diffonde e danneggia e persino distrugge coltivazioni intere. Il conoscere la vita, il modo di propagazione e le circostanze che favoriscono lo sviluppo del parasito è assolutamente necessario, poichè altrimenti è impossibile di combatterlo efficacemente. È per quest’ ultima circostanza che noi ci abbiamo prefisso come scopo precipuo del nostro lavoro: lo studio dei funghi che danneggiano le piante sative, nonchè gli alberi fruttiferi e forestali del Litorale. Però i progressi delle odierne cognizioni sui funghi datano dal punto in cui lo studio non si è limitato sulla singola specie, ma col confronto e con quella potente leva della storia naturale moderna che è la comparazione, si è esteso anche sulle specie più o meno affini che hanno dimora su altre piante. I risultati che apportarono questi studî si compendiano nella esatta conoscenza del fenomeno più importante di ogni organismo, cioè dell’ atto della generazione e moltiplicazione della specie. Per questa ragione non abbiamo potuto escludere dallo studio i funghi che vegetano sulle piante silvestri e meno utili, e non abbiamo trascurato neppure le piante da giardino 0 d’ ornamento — 427 — e da serra, la generale diffusione delle quali esige inoltre e a buon diritto d’ occuparsi anche delle loro malattie. Per questa prima contribuzione venne raccolto il materiale da uno di noi ed elaborato dall’ altro, il lavoro è quindi un frutto di forze unite, tuttavia le medesime non sono in caso da arrivare in breve lasso di tempo ad un esaurimento di una così difficile e vasta materia. Della ricchezza ed importanza di questa, offrono esempio le presenti contribuzioni, in cui sono enumerati ben 227 funghi, fra cui 34 specie nuove, il tutto raccolto dall’ Ottobre 1876 all’ Aprile 1877. Alla presente contribuzione faranno seguito delle altre, in cui verranno compresi anche i funghi dell’Istria e del Territorio di Trieste. Per la prossima contribuzione il materiale è già raccolto e non manca che elaborarlo, ciò che avverrà possibilmente entro il corrente anno. Il lavoro è ordinato scientificamente e si ha preso per base il sistema di classificazione più accreditato, cioè quello del de Bary. Al nome scientifico di ogni specie seguono le citazioni letterarie, coi mezzo delle quali lo studioso potrà trovare 1’ estesa descrizione del fungo. Le specie nuove sono descritte ed illustrate accuratamente. La dimora è precisata tanto in latino che in italiano e viene completata dall'indicazione della località e della stagione in cui si ha trovato il fungo, infine, alcuni brevi cenni intorno la diffusione del fungo ed il danno da esso prodotto chiudono spesso la leggenda. Questi ultimi cenni sono più concisi che noi stessi desideravamo, il breve tempo però, che ci era concesso per racco- gliere ed elaborare il materiale, non ci permise di estendere i nostri studî quanto avrebbe richiesto l’importanza dell’ argomento. Abbiamo tralasciato di compilare una descrizione popolare di ogni singola specie, perchè tale lavoro, in apparenza non senza opportunità, visto l'indirizzo del presente studio, avrebbe richiesto una prefazione popolare sulla micologia, il che ci avrebbe allon- tanato dall’indole che volevamo dare al nostro studio, e sarebbe stata inoltre una fatica improba, perchè la difficoltà della materia esige un trattamento prettamente scientifico, senza il quale un lavoro di questa natura avrebbe dato occasione a facili malintesi e frequenti confusioni e quindi offerto pochissima o nessuna utilità. Intorno alla diffusione del fungo ed il danno da esso arrecato alla pianta ci abbiamo esternato soltanto nei casi, in cui avevamo occasione di persuaderci coi nostri proprî occhi; stando sulle ge- nerali però, la diffusione della specie è strettamente collegata, in — 428 — primo luogo, alla diffusione della pianta su cui dimora il fungo, e poi alle circostanze che favoriscono la vegetazione e multiplicazione del medesimo, e può quindi, per quest’ ultimo riguardo andar sog- getta a variazioni quasi ogni anno. Dannosi poi sono tutti i funghi che vivono sulle parti vive, cioè da veri parasiti, sulla pianta; e il danno sarà maggiore, quando le diverse circostanze, che solle- citano lo sviluppo e multiplicazione del parasito, si faranno più sentite, sia che le medesime agiscano singole o di conserva, sia che sieno limitate a una sola pianta od estese a coltivazione intera. Lo studio delle malattie prodotte sulle piante per causa di funghi, non è ancora così progredito da poter offrire in tutti i casi mezzi efficaci e di facile applicazione contro i danni del parasito. In questo riguardo si fecero bensì alcuni notevoli progressi, ma rimane ancora un campo vastissimo da studiare; intanto si prenda la vera e unica via che ha da condurre a salvamento e da veri esploratori impariamo a conoscere dapprima il nemico coi sussidî che ci offre la scienza. Con tale proposito noi abbiamo intrapreso il presente lavoro e nutriamo fiducia che le nostre comuni fatiche troveranno quell’ apprezzamento che si merita 1° importanza del- l’ argomento. = MW = PARTE PRIMA. - Peronosporei. 1. Peronospora ‘infestans Casp. in Klotzsch, Herb. mycolog. no. 1879. — De Bary, Annales des sciences naturelles 1863. Tom. XX. Tb. 5, 6. f. Lycopersici esculenti. Ad folia viva languidave Lycopersici esculenti Mill. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi e secche del Pomodoro. Autunno. — (no, 109.)* 2. Peronospora parasitica Fr. Systema veg. Scand. p. 493. — De Bary, Ann. d. sc. nat. 1863. Tom. XX. f. Botrytis. Ad folia viva Brassicae Botrytis Mill. Vere. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Cavolo fiore. Primavera. — (no. 510.) Danneggia spesso fortemente le piantagioni del Cavolofiore, producendo l’ essic- camento delle foglie. 3. Cystopus candidus Lév. in Orbigny, Dictionaire Tom. XII, p. 787. f. Rapae. In Brassicae Rapae Lin. foliis vivis sublanguidisve. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Rapa. Autunno. — (no. 114.) Riesce talvolta egualmente dannoso come il precedente. Mucorini. 4. Mucor Mucedo Lin. Spec. plant. II, p. 1655. In apicibus aridis foliorum adhuc. virentium Chamaedoreae fra- grantis Mart. Aut. — In caldariis, Strazig pr. Gorizia. * Questi numeri si riferiscono alla nostra collezione micologica. =" 0 Sulle foglie verdi della Chamaedorea, pianta da serra. Autunno. — (no. 78.) d. Rhizopus migricans Ehrbg. in Act. acad. Berol. X, p. 198, Th. 11. — Mucor stolonifer Ehrbg. Ad folia languida aridave Seaforthiae elegantis R. Br. Aut. — In caldariis, Strazig pr. Gorizia. Sulle foglie appassite della Seafforthia, pianta da serra. Autunno. — (no. 94.) Sporidesmiei. 6. Sporidesmium atrum Lk. Obs. myc. I, p. 39. f. Quercus pedunculatae. Ad folia viva Quercus pedunculatae Willd. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Quercia. Autunno. — (no. 3831.) 7. Sporidesmum Amygdalearum Pass. in Thiimen, Mycotheca universalis no. 474. f. Amygdali. Ad folia viva Amygdali communis Lin. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Mandorlo. Autunno. — (no. 115.) 8. Sporidesmium Amygdalearum Pass. f. Persicae. Ad Persicae vulgaris Mill. folia viva. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Pesco. Estate ed Autunno. — (no. 10-162.) Si svi- luppa spesso epidemicamente, e allora le foglie cadono precocemente dall’ albero. 9. Sporidesmium Cladosporii Cda. Icon. fung. I, p. 7, Tab. 2, 118. Ad legumina arida Phaseolì vulgaris Lin., socia Cladosporii herba- rum Lk. Aut. — Gorizia. Su frutti secchi del Fagiuolo. Autunno — (no. 97 .) 10. Gymnosporium Arundinis Cda. Icon. fung. II, p. 1, Th. 8, ZO Ad culmos emortuos vaginaque Donacis arundinacei Beauv. Vere. — Gorizia. Su culmi secchi della Canna comune. Primavera. — (no. 501.) 11. Gymnosporium Bambusae Thiim, nov. spec. — Tab. nostra I}fg. 12. G. soris gregariis, irregularibus, saepe confluentibus, aterrimis, eximie inquinantibus; sporis globosis vel ellipticis, griseo-fuscis — 481 — vel castaneo-fuscis, margine subdepresso, nucleo medio obscu- riore, minore, 4-5 mm. diam vel 6-9 mm. long., 4-5 mm. crass., subpellucidis. G. arundinaceo Cda (N.° 10 hujus operis) proxi- mum sed ob dispositione sorarum et magnitudine coloreque sporarum satis diversum. Ad culmos emortuos Bambusae arundinaceae Retz. Aut. — Gorizia. Sopra culmi secchi del Bambù. Autunno. — (no. 58.) 12. Gyrocerus Celtis Mntg. Sylloge pl. cryptog. p. 308. Ad foliorum vivarum pagina inferiore Celtidis australis Lin. Aut. — Gorizia. — Fungus epidemicus! Sulle foglie verdi del Bagolaro. Autunno. — (no. 70.) Questo fungo produce sulla pagina inferiore delle foglie del B. delle macchie in forma di pulviscolo bruno olivaceo, le quali non risparmiano, si può dire neppur una foglia. In tutto il Litorale non trovammo una pianta del B. che non fosse in autunno affetta da questo parassito. 13. Bispora monilioides Cda. Icon. fung. I, p. 9, Th. 2, fg. 143. nov. var. fusca Thim. B. pulvinulis badio-fuscis; sporis spadiceo-fuscis, uni-vel binu- cleatis. In ramulis emortuis Ligustri vulgaris Lin. Aut. — Flitsch. Sopra rami secchi del Ligustro. Inverno. — Plezzo, vallata dell’ alto Isonzo. Dematiei. 14. Fusicladium dendriticum Fuck. Symb. myc. p. 397. Ad Pyri Mali Lin. folia viva. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Melo. Autunno..— (no. 13.) Comunissimo in tutto il Litorale. 15. Macrosporium tenvissimum Fr. Syst. mycol. II, p. 374. Ad pagina inferiore foliorum emortuarum Fraxini americanae Lin. Aut. — Gorizia. Sulle foglie secche del Frassino americano, pianta d’ ornamento. Autunno. — (no. 126.) 16. Macrosporium Coluteae Thim. nov. spec. — Tah. nostra I, fo. 32. M. caespitibus tenuibus, dense gregariis, minutis, maculas irregulares, magnas, delicatulas, atras formans; hyphis tenuibus, multiarticu- latis, ad septas minime constrictis, simplicibus, suberectis, fuscis ; sporis clavatis, pedicellatis, pedicello brevi, vertice rotundato, — 4392 — quinque-duodecimseptatis, ad septas non constrictis, griseo- fuscis, pedicellis pallidioribus, 30-45 mm.long., 12-18 mm. crass. Ad legumina arida, sed adhuc pendula (oluteae arborescentis Lin. socia Cladosporii herbari Lk. Aut. — Gorizia. Sul frutto maturo della Colutea, pianta d’ ornamento. Autunno. — (no. 143.) 17. Macrosporium Cheirauthi Fr. Syst. mycol. III, p. 374. nov. var. Asparagi Thiim. M. sporidiis pedicellatis, pedicellis longissimis, usque ad 20 mm. long., sporis ad septas minime constrictis. Ad bacca emortua, exsicca Asparagi officinalis Lin. Aut. — Villa- nova pr. Gradisca. Sul frutto secco dell’ Asparago. Autunno. — (no. 275.) 18. Macrosporium rutaecolum Thim. nov. spec. — Tab. nostra I, fg. 28. M. caespitibus gregariis, elevatis, prominulis, conicis, nigris, mediis in macula nigra; hyphis erectis, raro ramosis, brevibus, septatis, tenuibus, fuscis; sporis late clavatis, vertice subacutato, basi angustato, pedicellato, multiseptatis, pedicello brevissimo, ob- secure griseo-fuscis, 39-40 mm. long., 20 mm. crass. In fructibus maturis Autae graveolentis Lin. Vere. — Gorizia. Sull'involucro secco dei frutti della Ruta. Primavera. — (no. 497.) 19. Cladosporium fasciculare Fr. Syst. mycol. III, p. 370. Ad caules ramosque aridos Asparagi officinalis Lin. Aut. — Gorizia. Sopra ramicelli secchi dell’ Asparago. Autunno. — (no. 214.) 20. Cladosporium herbarum Lk. Obs. mycol. II, p. 37. Ad folia viva Dracaenae brasiliensis Hort., Lauri nobilis Lin. (in pa- gina inferiore), Phaseolî nani Lin., Phaseoli vulgaris Lin.; Apt graveolentis Lin.; ad folia languida Mori albae Lin., Ligustri ja- ponici Thnbg., Dianthi Caryophylli Lin, Cerasi vulgaris Mill, Quercus pedunculatae Willd.; ad folia arida Aristolochiae Siphonis Lin., Lycopersici esculenti Mnch., Seafforthiae elegantis R. Br., Raphidis flabelliformis Lin. fil, Ficus caricae Lin., Phragmitis communis Lin., Salviae officinalis Lin., ad ramulos emortuos Pyri Mali Lin., Sambuci nigrae Lin., Ficus caricae Lin., in fru- tibus maturis, plerumque adhuc pendulis Liriodendri tulipiferae Lin., Colutae arborescentis Lin., Phaseoli vulgaris Lin., Zeae Maydis Lin., Ficus caricae Lin.; in apicibus maridis foliorum adhuc vivarum Chamedoreae fragrantis Mart., Sophorae japonicae — 433 — Lin., ad caules emortuos Foeniculi officinalis All. quum in se- palis calycinis Helianthi annui Lin., — Per annum. Ubique. Sulle foglie verdi del Drago del Brasile, pianta d’ornamento. (no. 494), del Lauro (no. 466), del Fagiuolo (no. 29, 105, 282), del Sedano (no. 224) — sulle foglie secche del Gelso (no. 459), del Ligustro del Giappone, pianta d’ornamento (no. 492), del Garofano (no. 348), del Ciliegio (no. 11), della Quercia (no. 286), della Aristolochia, pianta d’ ornamento (no. 299), del Pomodoro (no. 110), della Seafforthia, pianta da serra (no. 94), della Rhaphiis, pianta da serra (no. 480), del Fico (no. 417), della Canna comune (no. 462), della Salvia (no. 461); — su rami secchi del Melo (no. 403), del Sambuco (no. 416), del Fico (no. 257); — sopra frutti secchi del Tulipifero, pianta d’ ornamento (no. 282), della Colutea, pianta d’ornamento (no. 143), del Fagiuolo (no. 97), del Formentone (no. 390), del Fico (no. 254, 411, 414); — sull’apice secco di foglie verdi della Caamaedorea, pianta da serra (no. 78), della Sophora del Giappone, pianta d’ornamento (no. 131), — sugli steli secchi del Finocchio (no. 167); sui calici del Girasole (no. 233). Durante tutto l’anno, Il più comune dei funghi. 12. Cladosporium herbarum Lk. var. Brassicae Desm. Ad folia viva Brassicae Rapae Lin. et oleraceae Lin. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Rapa e del Cavolo (no. 114 e 124). Autunno. 22. Cladosporium Paeoniae Pass. in Thiimen, Mycotheca uni- versalis no. 670. In Paeoniae edulis Retz. foliis vivis. — Autunno. Gorizia. Sulle foglie verdi della Peonia, pianta d’ ornamento. Autunno. (no. 328). 23. Cladosporium pestis Thim.in Mycotheca universalis no. 671. Ad folia viva, in pagina inferiore Vitis viniferae Lin. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Vite. Estate ed Autunno. — (no 25). Riesce spesso alla vite altrettanto dannosa quanto l’ Oidium. É comune in tutto il Litorale e si sviluppa con intensità sulle viti male coltivate. 24. Cladosporium ampelinum Pass. in Erbario crittog. ital. Ser. II. p. 595. Ad folia viva, in pagina inferiore Vitis viniferae Lin. et Vitis A bruscae Lin. Autunno. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Vite comune e della Vite Isabella. — Autunno. (no. 120, 81). 29. Cladosporium Fumago Lk. Obs. mycol. II. p. 37. Ad folia viva Hoyae carnosae R. Br., Rupalae cochinchinensis R. Br., Ardisiae crenulatae Vent., Urticae macrophyUae Thnbg., Ca- mellia japonicae Lin., Gardeniae radicantis Thnbg. Aut. — Vere. Gorizia, — 434 — Sulle foglie verdi della Hoya (no. 76), della Rupala (no. 77), della Ardisia (no. 89, 478), della Urtica macrofilla (no. 95), della Camelia (no. 488, 489), della Gardenia (no. 479), piante d’ ornamento e da serra. Autunno, Inverno, Primavera. Si sviluppa spesso epidemicamente nelle serre male arieggiate ed è un vero tormento per l’ orticoltore. 26. Helminthosporium gracile Wallr. Flora cryptog. germ. II. p. 164. f. Iridis germanicae. In Iridis germanicae Lin. foliis languidis emortuisve. Hieme. — Gorizia. Sulle foglie secche dell’Iride germanica, Inverno. =- (no. 312). 27. Helminthosporium gracile Wallr. f. Gladioli gandavensis. In Gladioli gandavensis Hort. foliis vivis languidisve. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi e secche del Gladiolo, pianta d’ornamento. Autunno. — (no. 66). 28. Helminthosporium tomenticolum Thim. nov. spec. — Tab. nostra I. f. 8. H. acervulis hypophyllis, tomentum obducens et sub tomento di- vergens; hyphis elongatis, elevatis, multiarticulatis, tenuibus, simplicibus vel raro subramosis, dilute griseo-fuscis; sporis longo-ellipticis vel orculaeformibus, basi obtusato, vertice minime acutato, triseptatis, hyalinis vel pallidissime fuscescentibus, 10 mm. long., 3:9-4 mm. crass. In foliorum vivarum Cydoniae vulgaris Pers. pagina inferiore. Aut. — — Gorizia. Sulla pagina inferiore di foglie verdi del Melo cotogno. Autunno, inverno. Comune in tutto il Litorale. — (no. 335). 29. Helminthosporium folliculatum Cda. Icon., fung. I. p. 13, Tb. 3, fo. 180. Ad. Brassicae botrytis Mill folia languida. Vere. — Gorizia. Sulle foglie secche del Cavolo fiore. Primavera. — (no. 511). 30. Stemphylium polymorphum Bon. Handh. d. Mycologie p. 83. In leguminibus aridis Phaseoli vulgaris Lin. Aut. — Gorizia. Su frutti secchi del Fagiuolo. Autunno. — (no. 97). 31. Septosporium Bolleanum Thim. nov. spec. in ,Oesterr. bot. Zeitschr.£ 1877, p. 12. — Tab. nostra I, fg. 22. S. foliorum pagina inferiore plus minusve obducens, maculas con- fusas, olivaceas demum fuscas formans; hyphis brevibus, sim- plicibus, tenuibus, dilute griseo-fuscis; sporis longe cylindrico- — 435 — clavatis, obscure 3-5 septatis, ad septas non constrictis, nu- cleatis, utrinque subacutatis, 26-27 mm. long., 6-8 mm. crass., dilute fuscis, nucleis pallidioribus. Ad folia viva, languidave Ficus caricae Lin. Aut. -- Gorizia. Sulle foglie verdi o appassite del Fico. Autunno. — (no. 3). Produce sulla pagina inferiore delle foglie del Fico un pulviscolo bruno olivaceo. È comunissimo in tutto il Goriziano e cagiona la caduta precoce delle foglie. 92. Septosporium nitens Fres. Beitràge zur Mykologie, p. 24, Tb. III, fg. 30-35. In foliis subputridis Mori albae Lin. Hieme. — Gorizia. Sulle foglie putride del Gelso. Inverno. — (no. 458). 39. Cercospora Violae Sacc. Mycotheca veneta no. 279. Ad Violae odoratae Lin. folia subviva. — Flitsch. Sulle foglie verdi e secche della Viola mammola. Inverno —- Plezzo; vallata dell'alto Isonzo. (no. 410). 94. Cercospora depazeoides Sace. Mycotheca veneta no. 280. Ad folia viva Sambuci nigrae Lin. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Sambuco. Autunno. — ‘no. 178). 39. Cercospora Api Fres. Beitrige zur Mykologie p. 91, Tb. XI, fo. 46-54. In Apù graveolentis Lin. foliis vivis languidisve. Aut. —. Gorizia. Sulle foglie verdi del Sedano. Autunno. — (no. 224). Spesso epidemico e comune in tutto il Litorale. Sporotrichei. 96. Sporotrichum Bolleanum Thiim., nov. spec. — Tab. nostra I, fo. 14. 5. caespitibus hypophyllis, tenwibus, densis, parvis, laxibus, inde- terminatis, e griseo-nigris in foliorum partibus exaridis, flavidis; hyphis erectis, simplicibus, multiseptatis, rectis, griseo-fuscis; sporis globosis, minutis, dilute griseo-fuscis, saepe in catinulis coacervatis, 3-3:5 mm. in diam. Ad folia languida Aspidistrae elatioris Morr. et Decaisne. Aut. — Gorizia in caldariis. Sulle foglie e verdi e secche dell’Aspidistra, pianta da serra. Autunno. — (no. 245). 37. Sporotrichum arthrinioides Thiim. nov. spec. — Tab. nostra I, fg. 34. — 436 — S. caespitibus velutinis, olivaceis, magnis, confluentibus, erassis, « molle-tomentosis, ramos obducens; hyphis erectis, continuis, simplicibus, non septatis, tenuibus, fuscis; sporis late fusoideo- ellipticis, utrinque acutatis, medio tumidis, simplicibus, cinereis 12-14 mm. long. 8 mm. crass. Ad ramulos subputridos Gleditschiae triacanthis Lin. Aut. — Gorizia. Su rami secchi della Gleditschia. Autunno. — (no. 506). 38. Sporotrichum fuscoalbum Lk. Jahrb. d. Bot., 1, p. 177. Ad Salicis albae Lin. folia arida, in pagina superiore. Hieme. — Gorizia. Sulle foglie secche del Salcio bianco. Inverno. — (no. 443). 39. Coniothecium rameale Cda. Icon. fung. I, p. 2, Tb. 1, fo. 27. Ad ramulos emortuos Cydoniae vulgaris Pers. Aut. — Gorizia. Sopra rami secchi del Melo cotogno. Autunno ed Inverno. — (no. 258). Mucedinei. 40. Oidium Berberidis Thiim. nov. spec. — Tab. nostra I, fo. 23. O. mycelio effuso, arachnoideo, tenui; caespitibus laxis, gregariis, candidis, amphigenis; hyphis abbreviatis, simplicibus, superne sensim incrassatis, dein obtusis, rectis, continuis; sporis cylin- draceis, utrinque sobrotundatis vel rotundo-obtusatis, unicellu- laribus, 7-8 mm. long., 3-3.5 mm. crass., hyalinis. Ad folia viva, in utraque pagina, Berderidis vulgaris Lin. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Berbero. Autunno. — (no. 223). Comune in tutto il Litorale. 41. Oidium Colutae Thim. nov. spec. — Tab. nostra I, fg. 31. O. acervulis amphigenis, laxis, sparsis, tenuissimis, evanescentibus, arachnoideis, albidis; hyphis mediis, tenuibus, continuis, simpli- cibus, non septatis, suberectis vel etiam decumbentibus, hyalinis; sporis ellipsoideis vel tandum subcurvatis, utrinque rotundatis, simplicibus, 3-9 mm. long., 2.5-3 mm. crass., hyalinis. In Coluteae arborescentis Lin. foliis vivis. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Colutea, pianta d’ornamento. Autunno. — (no. 142). 42. Oidium fructigenum Knz. et Schm. Mykol. Hefte I, p. 80, Th. 2, fg. 23. — 437 — In Pyri Mali Lin. fructibus maturis. Aut. — Gorizia. Sopra frutti secchi del Melo. Autunno. — (no. 192). 43. Oidium Tuckeri Berk. in Moniteur belge, 1850, IX, p. 2383. In acinis submaturis Vitis viniferae Lin. Aut. — Gorizia. Sul frutto della Vite. Primavera fino Autunno. — (no, 14). Pur troppo comune in tutto il Litorale ed attacca di preferenza le viti indigene 44. Oidium erysiphoides Fr. Syst. mycol. III, p. 432. In foliis vivis Cucumis sativae Lin. et Cucurbitae Peponis Lin. Aestat. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Citriuolo e della Zucca. Estate e Autunno. — (no. 176, 21, 22). 45. Oidium leucoconium Desm. Annales d. sc. natur. 1829. XIII, p..102,.Tb. 6, a, fg. 1, 2. Ad Rosae hybridae Dietr. folia viva. Aut. — (Gorizia. Sulle foglie verdi della Rosa. Autunno. — (no. 80). 46. Polyactis vulgaris Lk. Obs. mycol. I, p. 14, fg. 22. In seminibus maturis, subputridis Helianthi annui Lin. Aut. — Gorizia. Sopra frutti secchi del Girasole. Autunno. — (no. 234). 47. Polyactis vulgaris Lk. f. Lycopersici. In Lycopersici esculenti Mill. fructibus maturis. Aut. — Gorizia. Sopra frutti del Pomodoro. Autunno. — (no. 24). 48. Polyactis vulgaris Lk. f. ramealis. Ad ramulos emortuos Citri Limoni Risso. Vere. — Gorizia. Su ramicelli secchi del Limone. Inverno. — (no. 283, 490). 49. Aspergil'us glaucus Lk. in Linne, Spec. plant. cura Will- denow, VI, pars. I, p. 67. Ad folia exarida Pruni domesticae Lin. var. Regelianae Hort.; in petalis languidis adhuc pendulis osae centifoliae Lin.; ad Mori albae Lin. folia subputrida; in fructibus maturis, subputridis Vitis viniferae Lin. Aut. — Gorizia. Sulle foglie secche del Pruno verdacchio (no. 121); sul fiore appassito della Rosa centifoglia (no. 44); sulle foglie putride del Gelso (no. 457); sopra i frutti putridi della Vite (no. 413). Autunno. 50. Penicillium roseum Lk. Obs. mycol., II, p. 37. In Buai sempervirentis Lin. et B. balearicae Lam. foliis emortuis adhuc pendulis. Aut. — Gorizia. — 438 — Sulle foglie secche del Bosso comune e del Bosso delle Baleari, piante d’ ornamento. Autunno. — (no. 128). Dl. Penicillium glaucum Lk. Obs. mycol., I, p. 15. In Zeae Maydis Lin. seminibus maturis; in floribus plerumque adhuc vivis Zinniae elegantis Jacq. Aut. — Gorizia, Flitsch. Sulla pannocchia del Formentone (no. 388); sopra fiori della Zinnia, pianta d’ornamento. (no. 67). Autunno. —. Gorizia, Plezzo, vallata dell'alto Isonzo. 52. Pemicillium candidum Lk. Obs. mycol., I, p. 15. Ad folia emortua Citrì Limoni Risso. Vere. — Gorizia. Sulle foglie secche del Limone. Inverno. 53. Trichothecium roseum Lk. Obs. mycol., I, p. 16, fg. 27. Ad ramulos emortuos Populi albae Lin., Robiniae Pseudacaciae Lin. et Rosae centifoliae Lin. Vere. — Aut. — Gorizia. Su rami secchi del Pioppo bianco (no. 454), della Pseudacacia (no. 453), e della Rosa centifoglia (no. 463). Autunno ed Inverno. 54. Ramularia Violae Fuck. Symb. mycol., p. 361, Th. 1,0 fe. 26. In Violae odoratae Lin. foliis vivis languidisve. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Viola mammola. Autunno. — (no. 344). 55. Ramularia Armoraciae Fuck. Symb. mycol., p. 361, Th. 1, fo. 24. Ad folia languida emortuave Armoraciae rusticanae FI. Witt. Aut. — Gorizia. Sulle foglie secche del Rafano vulgare. Aut. — (no. 249). Hymenulacei. 56. Tubercularia Pruni Schum. FI. Saell., II, p. 183, no. 1373. In ramulis emortuis Pruni domesticae Lin. Aut. — Flitsch. Su rami secchi del Pruno. Autunno. — Plezzo, vallata dell’ alto Isonzo. — (no. 393). 57. Tubercularia granulata Pers. Syn. fung. p. 113. Ad Itosae centifoliae Lin. ramulos aridos. Hieme. — Gorizia. Sui rami secchi della Rosa centifoglia. Inverno. — (no ‘469). 58. Tubercularia confluens Pers: Syn. fung., p. 113. In ramis aridis Adlanthi glandulosae Desf. et Robiniae Pseudacaciae Lin. Hieme. — (Gorizia. — 439 — Sulla corteccia dell’ Ailanto (no. 471), e sui rami secchi della Pseudacacia (no. 445). Inverno. _ 59. Tubercularia sarmentorum Fr. Obs. mycol., I, p. 1208. Ad sarmentos aridos Vitis viniferae Lin. Hieme. — Gorizia. Su rami secchi della Vite. Inverno. — (no. 451). 60. Tubercularia nigricans Fr. Syst. mycol., III, p. 466. In ramis emortuis Mori albae Lin. Hieme. — Flitsch. Su rami secchi del Gelso. Inverno. — Plezzo, vallata dell’ alto Isonzo. — (no. 440). 61. Tubercularia vulgaris Tode, Fungi Mecklenb., I, p. 18, Th. 4, fo. 30. Ad Ribis rubri Lin. ramulis aridis. Hieme. — Flitsch. Sopra rami secchi del Ribes, Inverno. — Plezzo, vallata dell’ alto Isonzo. (no. 425). 62. Glocosporium acerinum Westd. Cryptog. belg. no. 979. Ad folia viva Aceris platanoidis Lin. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi dell’ Acero platanoide o Acero piano. Autunno. — (no. 203). 63. Gloeosporium Ribis Cast. Ann. sc. nat. 1849, XII, p. 296. Ad Ribis rubri Lin. folia viva. Aut.'— Villanova pr. Gradisca. Sulle foglie verdi del Ribes. Autunno. — (no. 265). 64. Gloeosporium Cydoniae Mntg. in Cast. Cat. plant. Marss. Suppl., p. 59. Ad folia viva, languida aridave Cydoniae vulgaris Pers. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi e secche del Melo Cotogno. Autunno. — (no. 20). 65. Glocosporium easiccans Thiim. nov. spec. in Oester. hot. Zeitschrift 1877, p. 271. — Tab. nostra I, fg. 17. G. peritheciis hypophyllis, numerosis, gregariis, vel saepe amphigenis in foliorum partibus. exaridis, brunneatis, indeterminatis; im- mersis, orbiculatis, disciformibus, fuscis; sporis longe ellipticis vel elongato-ovatis, utrinque angustatis, apicibus rotundatis, binucleatis, hyalinis, 12-15 mm. long., 5-6 mm. crass. — A Gloeosporio Fagi Fuck. Symb. mycol. Nachtrag I, p. 92 magni- tudine sporarum et dipositione in partibus exaridis differt. In Fagi sylvaticae Lin. f. atropurpureae foliis vivis sublanguidisve Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Faggio sanguigno. Autunno. — (no. 53). Essicca le foglie e le fa cadere precocemente. 66. Periola tomentosa Fr. Syst. mycol. II, p. 921. — 440 — 4 In tuberis subputridis Solani tuberosi Lin. Hieme — Flitsch. Sopra tuberi putridi della Patata. Inverno. — Plezzo vallata dell’ alto Isonzo. — (no. 571). 67. Fusarium lateritium. N. a. E. System d. Pilze p. 31, fg. 26. var Mori Desm. Ann. sc. nat., 1837, VIII, Th: 2, fg. 7. Ad ramulos emortuos Mori albae Lin. Hieme. — Flitsch Sui rami secchi del Gelso. Inverno. — Plezzo, vallata dell’ alto Isonzo. — (no. 438). 68. Fusarium lateritium N. a. E. var. Broussonetiae Thiim. in sched. In Broussonetiae papyriferae Vent. ramis aridis. Hieme. — Gorizia. Sui rami secchi del Gelso papirifero, pianta d’ornamento. Inverno. — (no. 468): 69. Fusarium oxysporum Sehlchtd. FI. berol., I, p. 139. Ad Mori albae Lin. ramulos emortuos. Hieme. — (Gorizia. Su ramicelli secchi del Gelso. Inverno. — (no. 447). 70. Fusarium Platani Mntg. in Ann. sc. nat. 1849, XI, p. 55. In maculis exaridis paginae inferioris folioruam. adhue vivarum Platani occidentalis. Lin Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Platano occidentale. Autunno. — (no. 33) 71. Fusarium nerviseguum Fuck. Symb. mycol. p. 369. var. Platani Fuck. id. Tab. 1, fg. 37. Ad Platani occidentalis Lin. folia viva. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Platano occidentale. Autunno. — (no. 33). 12. Fusidium Betae Rabh. Fungi europaei. In Betae vulgaris Lin. foliorum vivarum pag. inferiore. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Bietola rossa. Autunno. — (no. 6). 73. Fusisporium Elasticae Thim. nov. spec. — Tab. nostra I, fo. 13. F. soris tenuibus, gregariis vel sparsis, hypophyllis, minutis, roseis, detergibilibus; hyphis erectis, tenuibus, brevibus, simplicibus, continuis, hyalinis, evanescentibus; sporis longo-cylindraceo-el- lipticis, subcurvatis, utrinque rotundatis, non vel obsolete sep- tatis, bi-pleonuncleatis, pellucidis, hyalinis, 14-18 mm. long., 4-5 mm. crass. Ad folia languida Ficus elasticae Roxb. Aut. — Gorizia in caldariis. Sulle foglie verdi dell’ Albero della Gomma, pianta da serra Autunno. — (no. 91). — 44l — 74. Ectostroma Lauri Fr. Syst. mycol. II, p. 602. In Lauri nobilis Lin. foliis subvivis languidisve. Aut. — (Gorizia. Sulle foglie verdi del Lauro. Autunno. — (no. 61). 79. Ectostroma Liriodendri Fr. Syst. myeol., II, p. 602. Ad folia viva, languida, aridave Liriodendri tulipiferae Lin., Aut. Gorizia. Sulle foglie verdi e secche del Tulipifero, pianta d’ornamento. Autunno. — (no. 31). 16. Exosporium Lilacis Desm. PI. cryptog. de France no. 1550. In foliis subvivis Syringae vulgaris Lin. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Lillaco, pianta d’ ornamento. Autunno. — (no. 139). 77. Excipula decipiens De Not. in Acta Acad. Taurin. Ser. II, 10, p. 170. In ramulis emortuis, decorticatis Robiniae Pseudacaciae Lin. Hieme. — Gorizia. Su rami secchi della Pseudacacia. Inverno. — (no. 441). 18. Epicoccum Duricuanum. Mntg. in Ann. sc. nat. 1849, XI, p. 38. _Ad folia emortua Mori albae Lin. Aut: — hieme. — Gorizia. Sopra foglie secche del Gelso. Autunno ed Inverno. — (no. 459). Uredinei. 19. Roestelia cancellata Reb. Fl. neom. p. 330. Ad Pyri communis Lin. folia viva. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Pero. Autunno. — (no. 9) Comune in tutto il Jutorale. 80. Coleosporium Campanulacearum Fr. S. veg. Scand. p. 512. f. Tracheli. Ad Campanulae Tracheltùi Lin. folia viva. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Campanula grande. Autunno. — (no. 338). 81. Melampsora populina Tul. in Ann. sc. nat. Ser. IV, II, Phi oo, f. Populi nigrae. In foliis languidis aridisve Populi migrae Lin, Aut. — Flitsch. Sulle foglie secche del Pioppo. Autunno. — Plezzo, vallata. dell’alto Isonzo. — (no. 435). 82. Melampsora salicina Lév. in. Ann. se. nat: 1846., VIII, pi 375. — 442 — f. Salicis albae. In foliis aridis Salicis albae Lin. Hieme. — Flitsch. Sulle foglie secche del Salcio bianco. Inverno. — Plezzo, vallata dell'alto Isonzo. — (n0. 409). 83. Phragmidium Rosarum kbh. Deutsch. Krypt. Flora no. 314. Status uredosporus = Uredo Rosae Pers. Ad folia viva Zosae centifoliae Lin. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Rosa centifoglia. Autunno. — (no. 119). 84. Phragmidium Rosarum Rbh. Status teleutosporiferus. In Aosae centifoliae Lin. foliis vivis. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Rosa centifoglia. Autunno. — (no. 100). 89. Phragmidium effusum Awd. in sched. In foliis vivis Awubi Idaei Lin. Aut. — Flitsch. Sulle foglie verdi del Lampone. Autunno. — Plezzo, vallata dell’ alto Isonzo. — (no. 392). 86. Puccinia Polygonorum Schlehtd. Fl. berol. p. 132. f. Polygoni Convolvuli. In Polygoni Convolvuli Lin. foliis (Uredo) caulibusque (Puccinia propria) vivis. Aut. — Gorizia. — Sulle foglie e rami verdi del Poligono. Autunno. — (no. 118). 87. Puccinia Prunorum Lk. in Linne, Spec. plant. cura Will- denow, VI, II, p. 82. f. Persicae. Ad folia viva Persicae vulgaris Mill. Aest. et aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Pesco. Estate ed Autunno. — (no. 278). Comune in tutto il Litorale e spesso epidemico. 88. Puccinia Prunorum Lk. f. Pruni domesticae. In Pruni domesticae Lin. foliis vivis. Aest. et aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Pruno. Estate ed Autunno. — (no, 2). Comune in tutto il Litorale e spesso epidemico. 89. Puccinia Prunorum Lk. f. Armeniacae. In foliis vivis languidisve Armeniacae vulgaris Lam. Aest. et aut. — Gorizia. Su foglie verdi e secche dell’Albicocco. Estate ed Autunno. — (no. 108, 160). Comune in tutto il Litorale e spesso epidemico. 90. Puccinia Cerasi Cda. in Klotzsch. Herh. mycol. no. 1592. Ad Cerasi vulgaris Mill. folia viva. Aest. et aut. Gorizia. Sulle foglie verdi del Ciliegio. Estate ed Autunno. — (no. 12, 35). Comune in tutto il Litorale e spesso epidemico. 91. Puccinia Maydis Potsch. in Rabh. Fungi europ. no. 183. Ad folia viva languidave Zeae Maydis Lin. Aut. — Villanova pr. Gradisca. Sulle foglie verdi del Formentone. Autunno. — (no. 285). Comune in tutto il Litorale e spesso epidemico. 92. Uromyces Phaseolorum De By. Ann. sc. nat., Ser. IV, fico Ad folia viva Phaseoli vulgaris Lin. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Fagiuolo. Autunno, — (no. 251). Comune in tutto il Litorale e spesso epidemico. Tremellini. 93. Hirneola auricula-judae Berk. Outl. of fung. p. 289, Tb. SEO. In cortice arborum adhuc vivarum Sambucî nigrae Lin. Hieme. — Flitsch. Sui rami del Sambuco. Inverno. — Plezzo, vallata dell’alto Isonzo. — (no. 412). Hymenomyceti. 94. Polyporus versicolor Fr. Syst. mycol. I, p. 368. var. Iris Secret. In Pyri communis Lin. ramulis vivis. Hieme. — Flitsch. Sopra rami del Pero. Inverno. — Plezzo, vallata dell’alto Isonzo. — (no. 407). 95. Corticium incarnatum Fr. Epicr. p. 964. Ad ramulos emortuos Spiracae salicifoliae Lin. et Juglandis regiae Lin. Hieme. — Gorizia. Flitsch. Sopra rami secchi della Spirea, piante d’ornamento e del Noce. Inverno. — Gorizia. — Plezzo, vallata dell'alto Isonzo. — (no. 465, 420). 96. Corticium cinereum Fr. Epicr. p. 563. Ad Liriodendri tulipiferae Lin. ramulis aridis. Hieme. — (Gorizia. Sopra rami secchi del Tulipifero, pianta d’ornamento. Inverno. — (no. 261), 97. Pistillaria pusilla Fr. Syst. mycol. I, p. 498. Rat te Ad folia arida subputrida Populi nigrae Lin. Hieme. — Flitsch. Sulle foglie secche del Pioppo bianco. Inverno. — Plezzo, vallata del- l'alto Isonzo. — (no. 484). Helvellacei. 98. Hyalopeziza ciliaris Fuck. Symb. mycol. p. 298. In Quercus pedunculatae Lin. foliis aridis putridisve. Hieme. — Gorizia. Sulle foglie secche della Quercia. Inverno. — (no. 364). Phacidiacei. 99. Lophodernium juniperinum De Not. Mem. p. 40. In foliis emortuis sed adhuc pendulis Juniperi communis Lin. Hieme — Gorizia. Sulle foglie secche del Ginepro. Inverno. — (no. 357). 100. Colpoma quercinum Wallr. Flora crypt. germ. II, p. 423. Ad ramos emortuos Quercus pedunculatae Lin. Hieme. — Gorizia. Sopra rami secchi della Quercia. Inverno. — (no. 360). Pyrenomyceeti. 101. Uncinula bicornis Lév. Ann. sc. nat. 1851, XV, p:. 153, Di, 1. In Aceris campestris Lin. foliis vivis languidisve. Aut. -- Villanova pr. Gradisca. Sulle foglie verdi dell’ Acero. Autunno. — (no. 271). 102. Phyllactinia guttata Lèv. Ann. se. nat. 1851, XV, p. 144, Th. 688. dl: Ad Frawini eacelsioris Lin. et Coryli Avellanae Lin. folia viva, languidave. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Frassino (no. 319, 320) e del Nocciuolo (no. 332). Autunno. 103. Microsphaeria Friesiù Lév. Ann. se. nat. 1851, XV, p. 156, Th. 8, fe. 20. Ad folia viva languidave Betulae verrucosae Ebrh. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Betula. Autunno. — (no. 146). — d45 — 104. Apiosporium foedum Sace. Fungi veneti novi II, p. 299 in Nuovo Giorn. bot. ital. VII. Ad Neri Oleandri Lin. folia viva. Aut — Gorizia. Sulle foglie verdi dell’ Oleandro. Autunno. — (no. 171). (Sec. cl. Saccardo l. ce. Capnodii Nerii Rbh. status conidiophorus). 105. Sphaerella Rusci Cooke, Handbook of British Fungi p 918, no. 2762. Ad folia arida adhuc pendula Rusci aculeati Lin. Vere. — Gorizia. Sulle foglie secche del Ruschio. Primavera. — (no. 618). 106. Sphaerella maculaeformis Fuck. Symb. mycol. p. 107. f. Castaneae sativae. Ad Castaneae sativae Mill. folia languida aridave. Aut. Gorizia. Sulle foglie secche del Castagno. Autunno. — (no. 367). 107. Sphacerella maculaeformis. Fuck. f. Carpini. In foliis aridis Carpini Betuli Lin. Aut. — Gorizia: Sulle foglie secche del Carpino comune. Autunno — (no. 366). 108. Sphaerella maculaeformis Fuck. f. Quercus. Ad Quercus pedunculatae Lin. folia arida, adhuc pendula. Aut. — Gorizia. Sulle foglie secche della Quercia. Inverno. — (no. 365). 109. Sphaerella anarittma Cooke in Seemann, Journal of Botany Th. 50, fo. 29 et in Handbook of British Fungi p. 920, no. 2771. Ad folia emortua Sorghi vulgaris Pers. Aut. — Gorizia. Obs. Interdum forma stylosporea, sporis parvulis, oblongis, conti- nuis, fuscis. Perithecia majora, gregaria, sterilia tandum vidi. — Passerini in litt. ad me. Sulle foglie secche del Sorgo. Autunno. — (no. 122). 110. Sphaerella aquilina Awd. in sched. In Pteridis aquilinae Lin. frondibus emortuis. Aut. — Gorizia Sulle foglie secche della Felce maggiore o imperiale. Autunno. — (no. 356). 111. Sphaerella Berberidis Fuck. Symb. mycol. p. 105. Ad Berberidis vulgaris Lin. folia arida prostrata. Aut. — Flitsch. Sulle foglie secche del Berbero. Autunno. — Plezzo, vallata dell’ alto Isonzo (no. 437). 112. Sphaerella Populi Awd. et Fleischh. in Rabh. Mycol. europ. Ad folia arida Populi nigrae Lin. Hieme. — Flisch — 446 — Sulle foglie verdi del Pioppo tiberino. Inverno. — Plezzo, vallata dell’alto Isonzo. — (no. 432), 115. Melanomma Bolleanum Pass. et Thiim. nov. spec. — Tab. nostra I, fo. 16. Asci oblongo-clavati, membrana tenuissima, aegre perspicua, sex- octispori; sporae ellipticae, plus minus longae, medio septatae, rectae vel curvulae, hyalinae (an semper?); paraphyses breves, articulatae. — Adsunt perithecia minora stylosporea, sporis oh- longis triseptatis, fuscis. An haec Hendersonia® — Pro studio completo specimen non sufficit! Ad ramulos emortuos Rosmarini officinalis Lin. Hieme. — Gorizia. Sopra rami secchi del Rosmarino. Inverno. — (no. 370). 114. Otthia Spiracae Fuck. Symb. p. 170. f. Spiracae salicifoliae. In ramulis emortuis adhuc pendulis Spiraecae salicifoliae Lin. Hieme. — Gorizia. Sui rami secchi della Spirea, pianta d’ornamento. Iuverno. — (no. 455). 115. Cucurbitaria Berberidis Tul. Selecta fung. Carpol. III, p.0 219. Ad ramos emortuos Berberidis vulgaris Lin. Hieme. — Flitsch. Su rami secchi del Berbero. Inverno. — Plezzo, vallata dell’ alto Isonzo. (no. 375). 116. Botryosphaeria moricola Ces. et De Not. in Comment. d. soc. crittog. ital. p. 212. Ad ramulos emortuos Mori nigrae Lin. Aut. — Gorizia. Su rami secchi del Gelso nero. Autunno. — (no. 230). 117. Dothidea cristallophora Berk. et Curt. ined, — Thiimen, Mycotheca universalis no. 365. Ad ramulos emortuos Maclurae aurantiacae Nutt. Hieme. — Gorizia. Su ramicelli secchi della Maclura, pianta d’ ornamento. Inverno. — (n. 470). 118. Dothidea ribesia Fr. Syst. mycol. II, p. 550. In Ribis rubri Lin. ramis aridis. Hieme. — Flitsch. Sopra rami secchi del Ribes. Inverno. — Plezzo, vallata dell’ alto Isonzo. (no 415, 426). 119. Valsa ceratophora Tul. Sel. Fung. Carp. II, p. 191. In Castaneae sativae Mill. ramis emortuis. Aut. — Gorizia. Sopra rami secchi del Castagno. Autunno. — (no. 359). 120. Hypoaylon fuscum Fr. Sum. veg. Scand. p. 384. In Coryli Avellanae Lin. ramulis aridis. Hieme. — Flitsch. — 447 — Sopra rami secchi del Nocciuolo. Inverno. — Plezzo, vallata dell’ alto Isonzo. — (no. 383). 121. Lophiostoma compressum Ces. et De Not. in Comment. d. soc. crittog. ital. p. 215). In Corni sanguineae Lin. ramulis aridis adhuc pendulis. Hieme. — Flitsch. Sopra rami secchi del Corgnolo sanguineo. Inverno. — Plezzo, vallata dell’ alto Isonzo. — (no, 379). Cytisporei. 122. Micropera Drupacearum Lèv. in Ann. se. nat. III 9, p. 283. f. Cerasi vulgaris. Ad ramos aridos Cerasi vulgaris Mill. Aut. — Gorizia. Sopra rami secchi del Ciliegio. Autunno. — (no. 225). 123 Ceuthospora phacidioides Grev. Crypt. Scot. Th. 253. Ad folia subviva, languida aridave Ilicis aquifoliù Lin. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi e secche dell’ Agrifoglio. Autunno. — (no. 240). 124. Ceuthospora Lauri Westd. sec. Fr. Summa veg. Scand. p. 414. In Lauri nobilis Lin foliis aridis prostratis. Aut. — Gorizia. Sulle foglie secche del Lauro. Autunno. — (no, 256). 125. Cytispora Salicis Rabh. Deutschl. Kryptog. Flora p. 147, no. 1340. In Salicis albae Lin. et rubrae Huds. ramulis emortuis. Hieme. — Gorizia. Sopra rami secchi del Salcio bianco. Inverno. — (no. 368, 385). 126. Cytispora populina Pers. Syn. fung. p. 109. Ad ramos aridos l’opuli albae Lin. et Populi nigrae Lin. Hieme. -— Flitsch. Sopra la corteccia e sui rami secchi del Pioppo bianco (no. 376), e del Pioppo tiberino (no. 481). — Inverno. — Plezzo, vallata dell'alto Isonzo. 127. Cytispora ceratophora Thiim. In ramis aridis Castaneae sativae Mill. Aut. — Gorizia. Obs. Valsae ceratophorae Tul. Sel. fung. carp. II, p. 191, fungus conidiophorus; conf. Fuckel, Symbol. mycol. p. 201, — 448 — Sopra rami secchi del Castagno. Autunno. —- (no. 858) 128. Cytispora chrysosperma Fr. Syst. mycol. II, p. 542. In ramulis emortuis Populi a/bac Lin. Aut. — Gorizia. Su rami secchi del Pioppo. Autunno. — (no. 446). 129. Cytispora leucosperma Fr. Syst. mycol. II, p. 543. Ad ramos aridos Pruni domesticae Lin. Hieme. — Flitsch. Su rami secchi del Pruno. Inverno. — Plezzo, vallata dell’ alto Isonzo. — (no. 433). 130. Cytispora Laurocerasi Fuck. Enum. fung. Nassov. no. 437. Ad folia emortua Pruni Laurocerasi Lin. Vere. — Gorizia. Sulle foglie secche del Lauroceraso, pianta d’ornamento. Primavera. — (no. 493). Sphaeropsidei. 131. Pestalozzia Guepini Desm. in Ann. d. se. natur. 18340. XIII, p. 182. Ad folia viva Camelliae japonicae Lin. Aut. — Gorizia in caldariis. Sulle foglie verdi della Camelia, pianta da serra. Autunno. — (no. 175). 132. Pestalozzia funerea Desm. in Ann. d. sc. natur. 1843, XIX, p. 335. Ad ramulos emortuos Thujae orientalis Lin, Cupressi horizontalis Mill. Hieme. — Gorizia. Sopra ramicelli secchi della Tuja e del Cipresso orizzontale, piante d' or- namento. Inverno. — (no. 158, 318). 139. Pestalozzia funerea Desm. var. heterospora Ces. Ad folia emortua adhuc pendula Cryptomeriae japonicae Lin. fil. Hieme. Gorizia. Sulle foglie secche della Cryptomeria, pianta d’ornamento. Inverno. — (no, 324). 154. Hendersonia macrospora Berk. et Br. Ann. Nat. hist. no. 413. In Philadelphi coronariù Lin. ramulis emortuis adhue pendulis- Aut. — Gorizia. Sopra rami secchi del Gelsomino. Autunno. — (no. 247). 135. Hendersonia Robiniae Westd. Les cryptog. d. 1 station nat. p. 375. Ad ramulos emortuos Robiniae Pseudacaciae Lin. Hieme, — Gorizia. — 449 — Sopra rami secchi della Pseudacacia. Inverno .— (no. 460). 136. Hendersonia Syringae Fr. Sum. veg. Scand. p. 416. In Syringae vulgaris Lin. ramulis emortuis. Hieme. — Flitsch. Sopra rami secchi del Lillaco. Inverno. — Plezzo;, vallata dell’ alto Isonzo. — (no. 102, 429). 137. Hendersonia Araucariae Thim. in Mycoth. univ. no. 682. In foliorum subviventium apicibus aridis Araucariae Bidwelli Hort. Aut. —- Gorizia. Sulle foglie verdi dell’ Aruacaria, pianta d’ ornamento. Autunno. — (n. 49). 138. Hendersonia Mali. Thim. nov. spec. — Tab. nostra I, fo. 27. H. peritheciis disciformibus, epiphyllis, magnis, sparsis, planis, ni- gris in maculis exaridis, cinereis, orbiculatis, violaceo-cinctis; sporis clavatis, vertice rotundato, basi minime angustato-acu- tato, bi-triseptatis, ad septas non constrictis, pellucidis, dilute cinereis, 12-15 mm. long., 4-5 mm. crass. Ad folia viva Pyrî Mali Lin. Aut. Gorizia. Sulle foglie verdi del Melo. Autunno. — (no. 159). 139. Sphaerospora Oleae Desm. Crypt. de France, no. 1488. Ad Oleae sativae Lam. folia languida aridave. Aut. — Gorizia. Sulle foglie secche dell’ Olivo. Autunno. — (no. 148). 140. Diplodia macrostoma Lèv. in Ann. sc. nat. 1846, V, p. 291. In ramis aridis Gleditschiae triacanthis Lin. Aut. — Gorizia. Sopra rami secchi della Gleditschia. Autunno. — (no. 231). 141. Diplodia rutaecola Thim. nov. spec. — Tab. nostra I, fo. 11. D. peritheciis minutis, dense gregariis, pulvis-pyriformibus, promi- nulis, globosis, interdum confluentibus, nigris; sporis cylindrico- ovatis, utrinque rotundatis, septatis, ad septas non vel minime constrictis, parte inferiore interdum pauci latiore, impellucidis, fuscis, 20 mm. long., 8-10 mm. crass. Ad ramulos emortuos Autae graveolentis Lin. Hieme. — Gorizia. Sopra rami secchi della Ruta. Inverno. — (no. 467). 142. Diplodia melaena Lèv. in Ann. sc. nat. 1846, V, p. 292. In ramis emortuis Lauri nobilis Lin. Hieme. — Gorizia. Obs. Certe a Dipl. laurina Sacc. Mycoth. veneta no. 908. diversa! Su ramicelli secchi del Lauro. Inverno. — (no. 464). — 450 — 143. Diplodia Spiracae Thiim. nov. spec. — Tab. nostra I, fgu9) o D. peritheciis majusculis, saepe confluentibus, erumpentibus, gre- gariis, subdisciformibus, applanatis, atris; sporis. ovoideo-cla- vatis, impellucidis, obscure castaneis, 14-20 mm. long. 8 mm. Crass. Ad ramulos aridos Spiracae salicifoliae Lin. Hieme. — Gorizia. Su rami secchi della Spirea, pianta d’ornamento. Inverno. — (no. 465). 144. Diplodia Pseudo-Diplodia Fuck. Symb. mycol. p. 393. In ramis subvivis vel emortuis Pyri Mali Lin. Hieme. — Flitsch. Su rami secchi del Melo. Inverno. — Plezzo, vallata dell'alto Isonzo. — (no. 405). 145. Diplodia Juniperi Westd. Les cryptog. d. l. stat. nat. p. 391. nov. var. Deodarae Thiim. Sporis minoribus subovatis, loculo inferiore latiore, 11 mm. long., 7 mm. crass. In ramis emortuis tenuissimis Cedri Deodarae Roxb. Hieme. — Gorizia. Sopra ramicelli secchi del Cedrus Deodara, pianta d’ornamento. Inverno. (no. 330). 146. Diplodia Mori Berk. in Jour. of Bot. 1847, p. 325. In Mori albae Lin. ramis aridis. Aut. — Gorizia. Sulla corteccia di rami secchi del Gelso. Autunno. — (no. 103). 147. Diplodia sicyna Mntg. in Cast. Cat. plant. Mars p. 64. var. carpophila Thim. Peritheciis solitariis, cum Cladosporio herbarum Lk. mixtis; sporis castaneo-fuscis, non vel brevissime pedicellatis, pedicellis caducis. In fructibus languidis adhuc pendulis Ficus caricae Lin. Hieme. — Flitsch. Sopra frutti secchi del Fico. Inverno. — Plezzo, vallata dell’ alto Isonzo. (no. 254, 411, 414), Comune in quasi tutto il Litorale e quasi costante sui frutti attaccati all'albero durante l’ inverno. 148. Macroplodia Mali Westd., Les eryptog. d. 1. stat. natur. p. 369. Ad ramos emortuos Pyri Mali Lin. Aut. — Gorizia. Sui rami secchi del Melo. Autunno. — (no. 191). 149. Sacidium Pini Fr. S. veg. Scand. p. 410. In pagina inferiore foliorum aridarum Abietis pectinatae Gilib. Aut. — Gorizia. — 451 — Sulle foglie secche dell’ Abete bianco. Autunno. — (no. 187). 150. Selerococcum sphaerale Fr. Syst. mycol. III p. 257. Supra thallo vivo Imbricariae stellaris Kòrb. in ramulis Juglandis regiae Lin. Hieme. — Flitsch. Sul tallo della Imbricaria stellare vegetante sui rami del Noce. Inverno. — Plezzo, vallata dell'alto Isonzo. — (no. 427). 151. Sphaeropsis cylindrospora Desm. in Ann: sc. nat. 1849, XI, p.i(2i0 7. Ad folia arida decidua Evonymi japonici Lin. fil. Vere. — Gorizia. Sulle foglie secche dell’ Evonimo del Giappone, pianta d' ornamento. Pri- vera. — (no. 477). 152. Sphaeropsis Taxi Berk. Outl. of fung. p. 316. Ad folia arida, adhuc pendula Taziì baccatae Lin. Aut. — Gorizia. Sulle foglie secche del Tasso mortifero, pianta d’ ornamento. Autunno. — (no. 308). 153. Sphaeropsis Evonymi Desm. Cryptog. de France, Ser. III, no. 677. f. Evonymi japonici. Ad folia arida Evonymi japonici Lin. fil. Aut. — Gorizia. Sulle foglie secche dell’ Evonimo del Giappone, pianta d’ ornamento. — Autunno. — (no. 179). 154. Melasmia acerina Lév. in Ann. sc. nat. 1846, V, p. 276. In foliis vivis Aceris campestris Lin. et Aceris platanoidis Lin. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi dell’ Acero (no. 270, 352), e dell’ Acero platanoide. — (no. 179). Autunno: 155. Vermicularia Siphonis Thiim. nov. spec. — Tab. nostra I, fg. 2. V. peritheciis epiphyllis, punctiformibus, gregariis, prominulis, mi- nutis, atris; sporis plus minusve cylindraceis, quinque — sex- nucleatis, utrinque rotundatis, simplicibus, hyalinis, 16 mm. long. 4 mm. crass. Ad folia arida Aristolochiae Siphonis Lin. Aut. — Gorizia. Sulle foglie secche della Aristolochia, piante d'ornamento. Autunno. — (no. 299). 156. Phoma Ilicis Desm. Crypt. de France, no. 790. In Evonymi japonici Lin. fil. foliis aridis subputridis. Aut. — Gorizia. Sulle foglie secche dell’ Evonimo del Giappone, pianta d’ornamento. Au- tunno. — (no. 193, 195). — 452 — 157. Phoma phyllostictoides Desm. Crypt. de France, Ser. III, no. 694. In leguminibus aridis, sed adhuc pendulis Coluteae arborescentis Lin. socia Macrosporii Coluteae Thiùm. Aut — Gorizia. Sul frutto maturo della Colutea, pianta d’ornamento. Autunno. — (no. 143) 158. Phoma Sophorae Sacc. in Nuovo Giorn. bot. ital. VIII, pi 202. In Sophorae japonicae Lin. ramulis emortuis. Aut. — Gorizia. Sopra ramicelli secchi della Sophora, pianta d’ornamento. Autunno. — (no. 132). 159. Phoma Syringae Fuck. Symb. mycol. p. 133. Ad folia semiputrida Syringae vulgaris Lin. Vere. — Gorizia. Sulle foglie putride del Lillaco. Primavera. — (no. 516). 160. Phoma Pinastri Lév. in Ann. sc. nat. 1846, V, p. 282. In foliis emortuis, subputridis Piné sylvestris Lin. Vere. — Gorizia. Sulle foglie secche del Pino: Primavera. — (no. 515). 161. Phoma Mahoniae Thiim. nov. spec. — Tab. nostra I, fg. 10. - Ph. peritheciis dense gregariis, epiphyllis, raro amphigenis, medilis, globosis, nigris in maculis irregularibus, griseo-fuscis, postremo albis, exsiccatis; sporis minutissimis, cylindrico-ellipsoideis, utrinque obtuso-rotundatis, hyalinis, 3-4 mm. long., 1-1.5 mm. Crass. Ad folia viva Mahoniae aquifolii Nutt. Autumno. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Mahonia, pianta d’ ornamento. Autunno. — (no. 45). 162. Phoma ramealis Desm. in Ann. sc. nat. 1850, XIV, piatto. In Evonymi europaei Lin. ramis emortuis. Hieme. — Flitsch. Sopra rami secchi dell’ Evonimo o Fusano. Inverno. —- Plezzo, vallata dell'alto Isonzo. — (no. 587). 7 163. Phoma sticticum Berk. et Br. in Ann. Nat. hist. no. 400. In Buai sempervirentis Lin. ramulis aridis. Aut. — Gorizia. Su rami secchi del Bosso. Autunno. — (no. 315). 164. Phoma laurina Thim. nov. spec. — Tab. nostra I, fo. 10. Ph. peritheciis gregariis, magnis, prominulis, primo tectis. demum liberis, orbiculatis, depresso-globosis, atris; sporis longe-ellipticis, utrinque acutato-rotundatis, non vel binucleatis, simplicibus, 4-6 mm. long., 1:5-2 mm. crass., hyalinis. Ad ramulos emortuos Lauri nobilis Lin. Vere. — Gorizia. Su ramicelli secchi del Lauro. Primavera. — (no. 496). —. AD — 165. Phoma Vitis Bon. Abh. a. d. Geb. d. Mycologie p. 141. In sarmentis subvivis vel emortuis Vitis viniferae Lin. Hieme. — Gorizia. Su rami secchi della Vite. Inverno. — (no. 423, 428). 166. /Roma Mori Mntg. in Ann. sc. nat. 1849. XII, p. 306. Ad ramos aridos Mori albae Lin. Hieme. — Gorizia. Sopra rami secchi del Gelso. Inverno. — (439, 447). 167. Phoma Ficus Cast. in Klotsch, Herb. mycol. no. 1870. Ad Ficus caricae Lin. ramulos aridos. Aut. — Gorizia. Su rami secchi del Fico. Autunno. — (no. 257). 168. Phoma Bolleanum Thim. nov. spec. — Tab. nostra I, fo. 18. Ph. peritheciis dense gregariis, prominulis, mediis, globosis, atris, ostiolatis, epiphyllis, postremo etiam hypophillis in maculis magnis, exaridis, irregularibus, demum dilaceratis, candidis, dilute fusco- marginatis; sporis minutissimis, ovoideo-globosis, 1:5-2 mm. long., 1-16 mm. crass., hyalinis. Ad folia viva Hoyae carnosae R. Br.; epidemice. Aut. — Gorizia in caldariis. Sulle foglie verdi della Hoya, pianta da serra. Autunno. —- (no. 207). 169. Phoma Limoni Thiim. nov. spec. — Tab. nostra I, fg. 29. Ph. peritheciis dense gregariis, patellaeformibus, planis, immersis, minutis, nigris, sporis minutissimis, cylindraceis, anucleatis, utrinque obtusatis vix subrotundatis, bhyalinis, 3 mm. long., 1 mm. crass. In ramulis aridis Citri Limoni Risso. Aut. — Villanova pr. Gradisca. Ob. A. Ph. Citri Sace. Mycoth. veneta no. 332, toto coelo diversum. Sopra ramicelli secchi del Limone. Autunno. — (no: 272). 170. Phoma Liriodendri Westd. Cryptog. Belg. no. 967. Ad ramulos emortuos Liriodendri tulipiferae Lin. Aut. — Gorizia. Su rami secchi del Tulipifero, pianta d’ ornamento Autunno. — (no. 262) 171. Phoma Paulowniae Thim. nov. spec. — Tab. nostra I, fo. 33. Ph. peritheciis sparsis, primo epidermide tectis, demum rimoso- perforantibus in rimis longissimis, globosis, atris; sporis minutis, anucleatis, cylindricis vel cylindrico-ovatis, utrinque rotundato- acutatis, hyalinis, 3:5-5 mm. long., 1°5 mm. crass. In Paulowniae tomentosae Sieb. et Zucc. ramulis aridis. Aut. — Gorizia. — 454 — Soprà rami secchi della Paulownia, pianta d’ornamento. Autunno. — (no. 260). 172. Phoma Wistariae Thim. nov. spec. — Tab. nostra I, fg. 3. Ph. peritheciis epiphyllis, prominulis, subinnatis, mediis, gregariis, subglobosis, ‘ostiolatis, nigris; sporis subclavatis vel ellipsoideis, utrinque rotundatis, binucleatis, hyalinis vel achrois in macula exarida, flavescentia, irregularia, fusco-purpureo marginata, 6-8 mm. long., 3 mm. crass. Ad folia viva Wistariae chinensis De C. (Glycine chinensis Sims.) Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Glicine, pianta d’ ornamento. Autunno. — (no. 296). Phyllostictei. 173. Actinonema Rosae Fr. Syst. mycol. II, p. 151. f. Rosae centifoliae. Ad folia viva Rosae centifoliae Lin. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Rosa centifoglia. Autunno. — (no. 72). 174. Asteroma Mespili Rob. in Desm. Ann. sc. nat. 1851, XVI, p. 301. f. Eriobotryae. Ad folia languida vel subviva Eriobotryae japonicae Lindl. Aut. — Gorizia. Sulle foglie ingiallite del Nespolo del Giappone, . pianta d’ornamento. Autunno. — (no. 314). 175. Asteroma circinans Desm. Cryptog. de France no. 1688 var. Phillyreae Desm. In Phillyreae angustifoliae Lin. foliis vivis. Vere. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Lillatro a foglia stretta. Primavera. — (no. 486). 176. Asteroma Salicis Desm. in Ann. sc. nat. 1843. XIX, p. 350. Ad Sacilis albae Lin. folia arida in pagina superiore Hieme. — Gorizia. Sulle foglie secche del Salcio bianco. Inverno. — (no. 444). 177. Asteroma vagans Desm. in Ann. se. nat. 1848, X, p. 348. var. Tiliae Desm. In foliis vivis languidisve Tiliae europacae Hayne Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi e secche del Tiglio. Autunno. — (no. 289), Comune in tutto il Litorale. — 459 — 178. Depazea crepidophora Mntg. in Bot. Zeitung 1304, p. 99. Ad Viburni Tini Lin. folia viva. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Laurotino. Autunno. — (no. 138, 211, 485). 179. Depazea crepidophora Mntg. f. Viburni japonici. In foliis vivis Viburni japonici Spr. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Viburno giapponico, pianta d’ ornamento. Autunno. — (no. 48). 180. Depazea quercicola Rabh. Deutsch. Kryptog. Flora no. 1238: In foliis vivis Quercus pedunculatae Lin. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Quercia. Autunno. —- (no. 101). Comune in tutto il Litorale. 181. Depazea polygonicola Lasch. in KI. Herb. viv. mycol. no. 566. f. Fagopyri. Ad folia viva Fagopyri esculenti Mnch. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Saraceno. Autunno. — (no. 28). Comune in tutto il Litorale. 182. Depazea Phillyreae Thiim. nov. spec. — Tab. nostra I, fo. 21. D. peritheciis amphigenis, sparsis, prominulis, medio emmersis, glo- bosis, sparsis, nigris in macula exarida, dilacerata, plus minusve orbiculata, fusco marginata; sporis numerosissimis, cylindraceis, rectis, utrinque rotundato-obtusatis, simplicibus, byalinis, 3-4 mm. long., 1-15 mm. crass. Ad folia viva Phillyreae angustifoliae Lin. Vere. — Gorizia. Obs. Meae sententiae a D. phillyreaecola Rabh. in Klotsch, Herb. mycol. no. 1646 diversa. Sulle foglie verdi del Lillatro. Primavera. — (no. 486). 183. Depazea juglandina Fr. Syst. mycol. II, p. 621. Ad folia viva, languida aridave Juglandis regiae Lin. Aut. Hieme. — Gorizia. Sulle foglie verdi e secche del Noce. Autunno ed Inverno. — (no. 163, 406). 184. Depazea pyrina Riess in KI. Herb. mycol. no. 1755. In Pyri communis Lin. foliis languidis aridisque. — Gorizia, Flitsch. Sulle foglie verdi e secche del Pero. Autunno. — Plezzo, vallata dell’alto Isonzo. — (no. 156, 157, 402). Comune in tutto il Litorale. 185. Depazea frondicola Fr. Obs. mycol. II, p. 365, Tb. 5, fo. 6-7. 20 — 456 — f. Populi nigrae. In foliis aridis Populi nigrae Lin. Hieme. — Flitsch. Sulle foglie secche del Pioppo nero. Inverno. — Plezzo, vallata dell’alto Isonzo. — (no. 486). 186. Depazea areolata Fuck. Symb. mycol. p. 381. Ad Rubi Idaei Lin. folia languida. Aut. — Villanova pr. Gorizia. Sulle foglie verdi del Lampone. Autunno. — (no. 268). 187. Depazea buaicola Fr. Syst. mycol. II, p. 528. In foliis vivis languidisve Buxi arborescentis Lam. Aut. — Gorizia Sulle foglie verdi del Bosso arboreo, pianta d’ornamento. Autunno. — (no. 201). 188. Septoria Aceris Berk. et Br. Ann. Nat. hist. no. 432. f. Aceris platanoidis. In Aceris platanoidis Lin. foliis vivis. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi dell’ Acero platanoide. Autunno. — (no. 181). Comune in tutto il Litorale. 189. Septoria Aesculi Westd. in Bull. de l’acad. de Bruxelles 1851, p. 394. Ad Aesculi Hippocastani Lin. folia sublanguida adhuc pendula. Aestate et aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi dell’Ipocastano. Estate ed Autunno. — (no. 19, 135). Comune in tutto il Litorale. 190. Septoria Cydoniae Fekl. Symb. mycol. p. 104. In foliis vivis languidisve Cydoniae vulgaris Pers. Aestate et aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi e secche del Melo cotogno. Estate ed Autunno. — (no. 18). Comune in tutto il Litorale. 191. Septoria pyricola Desm. Ann. sc. nat. 1850, XIV, p. 114. In Pyri communis Lin. foliis vivis. Aut. — (Gorizia. Sulle foglie verdi e secche del Pero. Autunno. — (no. 8). Comune in tutto il Litorale. 192. Septoria ef'usa Desm. in Ann. se. nat. 1847, VIII, p. 25. Ad Cerasi vulgaris Mill. folia sublanguida, in pagina inferiore. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Ciliegio. Autunno. (no. 11). Comune in tutto il Litorale. 193. Septoria Bolleana Thim. nov. spec. — Tab. nostra I, fo. 25. S. peritheciis globosis, epiphyllis, sparsis, emersis, parvis, atris in macula exarida, griseo-pallida, irregularia, vix vel non obscure — 457 — marginata; sporis plus minusve cylindraceis, minime curvulatis, utrinque obtuso-truncatis, bi-triseptatis, hyalinis, 10-14 mm. long., 3 mm. crass. Ad folia viva Cydoniae vulgaris Pers. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Melo Cotogno. Autunno. — (18). 194. Septoria Paulowniae Thiim. nov. spec. — Tab. nostra I, fe 15. S. peritheciis dense gregariis, epiphyllis, conicis, prominulis, ostio- latis, parvis, nigris in macula plus minusve orbiculata, exarida, griseo-fusca, zonata, dein lacerata; sporis cylindraceis, rectis, utrinque obtuso-rotundatis, uni-vel raro biseptatis, numerosis, hyalinis, 7-10 mm. long., 2-2°5 mm. crass. In Paulowniae tomentosae Sieb. et Zucc. foliis vivis languidisve. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Paulownia, pianta d’ ornamento. Autunno. (no. 17, 40, 98, 199). 195. Septoria Siliquastri Pass. in Thimen, Herb. mycol. oeconom. no. 480. Ad folia viva Cercidis Siliquastri Lin. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi dell’ Albero di Giuda o Siliquastro. Aut. — (no. 74). 196. Septoria incondita Desm. in Ann. sc. natur. 1893, XX, D+;:95; In Aceris campestris Lin. foliis vivis. Aut. — Villanova pr. Gradisca. Sulle foglie verdi dell’ Acero. Autunno. — (no. 351). 197. Septoria Castaneae Lèv. in Ann. sc. natur. 1846, V, p. 278. Ad folia viva languidave Castaneae sativae Mill., in pagina inferiore. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi e secche del Castagno. Autunno. — (no. 369). Comune in tutto il Litorale. 198. .Septoria Avellanae Berk. et Br. in Rabh. Fungi europaei no. 1998. A Coryli Avellanae Lin. folia viva in maculis aridis. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Nocciuolo. Autunno. — (no. 332). Comune in tutto il Litorale. 199. Septoria Nerùù Awd. in sched. In foliis vivis Nerà Oleandri Lin. Hieme. — Gorizia. Sulle foglie verdi dell’ Oleandro. Inverno. — (no. 348). 200. Septoria Yuccae Thiim. nov. spec. Tab nostra I, fg. 6. — 458 — S. peritheciis amphigenis, sparsis, conicis, prominulis, minutis, vel etiam subgregariis, nigris; sporis cylindraceis, utrinque acutatis, anucleatis, uniseptatis, hyalinis, 10 mm. long., 2-3 mm. crass. Ad folia emortua Yuccae gloriosae Lin. Hieme. — Gorizia. Sulle foglie secche della Yucca, pianta d’ornamento. Inverno. — (no. 316). 201. Septoria Oaxyacanthae Knz. et Sch. Mykol. Hefte II, p. 108. In Crataegi Oxyacanthae Lin. foliis vivis, in pagina inferiore. Aut. — Villanova pr. Gradisca. Sulle foglie verdi del Biancospino. Autunno. — (no. 280). 202. Septoria Citri Pass. in Thiùmen, Mycoth. univ. no. 495. Ad folia viva languidave Citrî Limoni Risso. Aut. — Villanova pr. Gradisca. Sulle foglie verdi del Limone. Autunno. — (no. 276). 203. Septoria Mori Lév. in Ann. sce. natur. 1846, V, p. 279. Ad Mori albae Lin. folia viva et languida, nec non arida. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Gelso, in Estate ed Autunno in tutto il Litorale. — Questo parasito è causa della malattia chiamata generalmente la ,rug- gine del Gelso“. — (no. 1, 5, 259). 204. Septoria Grossulariae Westd. Crytog. belg. no. 944. In foliis vivis Abis Grossulariae Lin. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Uva spina. Autunno. — (no. 264). 209. Septoria quercina Desm. in Ann. sc. nat. 1847. VIII, p. 25. Ad Quercus pedunculatae Lin. folia viva. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Quercia. Autunno — (no. 15, 288, 363). Comune in tutto il Litorale. 206. Phylosticta Wigandiae Thiim. nov. spec. — Tab. nostra bosfor-1 Ph. peritheciis mediis, epiphyllis, semiimmersis, hemisphaericis, sparsis, nigris in macula grisea, exarida, corrosa, parva; spori- diis generis, minutis, 8-10 mm. long., 4 mm. crass., achrois. Ad folia viva Wigandiae imperialis Hort. Aut. — Gorizia in caldariis. Sulle foglie verdi della Wigandia imperiale, pianta da serra. Autunno. — (no. 297). 207. Phyllosticta fragariaecola Awd. in sched. Ad Fragariae virginianae Ehrh. folia viva. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Fragola. Autunno. — (no. 169). 208. Phylosticta ilicina Sace. Mycoth. veneta no. 512. — 459 — In Quercus Ilcis Lin. foliis vivis. maculas amphigenas formans. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Leccio. Autunno — (130, 182, 184). 209. Phyllostieta Cytisi Desm. in Ann. sc. nat., 1847, VIII, p. 37. Ad folia viva Laburni vulgaris Grieseh. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Citiso, pianta d’ ornamento. Autunno. — (no. 144). 210. Phyllosticta destruens Desm. in Ann. se. nat. 1847. VIII, pi Si nov. var. Celtis Thùm. Peritheciis minutis, semiimmersis in macula dilute roseo-albida, irregularia, exarida. In Celtis australis Lin. foliis vivis: Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Bagolaro. Autunno. — (no. 70). 211. Phyllosticta Rhododendri Westd. in Bull. d. 1° acad. d. Brux. ‘1851, p.' 399. f. Rhododendri arborei. In foliis vivis Rhododendri arborei Sm. Aut. — Gorizia in caldariis. Sulle foglie verdi del Rododendro arboreo, pianta da serra. Autunno. — (no. 69). 212. Phyllosticta sycophila Thiim. nov. spec. in Oesterr. bot. Zeitschr. 1877, p. 272. — Tab. nostra I, fg. 26. Ph. peritheciis epiphyllis, raro amphigenis, sparsis, errumpentibus, globoso-conicis, ostiolatis, plus minusve parvulis, atris in ma- culis maximis, irregularibus, exaridis, albicantibus; sporis minu- tis, ovatis vel cylindrico-ovatis, utrinque rotundatis, simplicibus, binucleatis, hyalinis, 3-4 mm. long., 2 mm. crass.. — Thimen, Herb. mycol. ocecon. no. 468. Ad folia viva languidave Ficus caricae Lin. Aest. et aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Fico. Estate e Autunno. — (no. 4). Comune in tutto il Litorale e produce l’essiccamento delle foglie. 215. PhyUosticta Liriodendri Thiim. nov. spec. — Tab. nostra I, fg. 30. | Ph. peritheciis epiphyllis, minutis, gregariis, semiimmersis, globosis, nigris in maculis parvis, orbiculatis, exaridis, griseis; sporis minutis, ellipsoideis, utrinque rotundatis, simplicibus, anucleatis, numerosis, 9-6 mm. long. 3 mm. crass., achrois. In foliis vivis Liriodendri tulipiferae Lin. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Tulipifero. Autunno. — (no. 31). l — 460 — 214. Phyllostieta Lonicerae. Westd. in Bull. de l’acad. d. Brux. 1351, p. 399. f. Xylostei. Ad Lonicerae Xylostei Lin. folia subviva. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Lonicera, pianta d’ ornamento. Aut. — (no. 42). 215. Phyllosticta Eriobotryae Thiim. nov. spec. — Tab. nostra I ofgu 7. Ph. peritheciis epiphyllis, mediis, globosis, prominulis, gregariis, atris in maculis aridis, plus minusve orbiculatis, fusco-griseis, nigro annulatis, demum corrosis; sporis ellipsoideis, anucleatis, dilute fusco-griseis, 4-6 mm. long., 3 mm. crass: — Ph. Pho- tiniae Thim. proxima sed diversa. In foliis vivis Eriobotryae japonicae Lindl. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Nespolo del Giappone, pianta d’ ornamento, Aut. — (no. 341). 216. Phyllosticta chaenomelina Thiim. nov. spec. — Tab. nostra I, fg. 4. Ph. peritheciis mediis, epiphyllis vel raro etiam amphigenis, sparsis, subprominulis, conicis, ostiolatis, atris in macula irregularia, albescentia, subtus fusca, exarida; sporis ovatis, simplicibus, utrinque subrotundatis, pallidissime cinereis, diaphanis, 9 mm. long., 2 mm. crass. Ad Chaenomeles japonicae Lindl. (Pyrus japonica Lin. fil.) folia viva. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Pero del Giappone, pianta d’ ornamento. Aut. — (no. 303). 217. Phyllosticta destructiva Desm. in Ann. sc. nat. 1847, VIII, p. 29. In foliis vivis Hederae Helicis Lin. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi dell’ Edera. Autunno. — (no. 305.) 218. PhyMosticta Photiniae Thiim. nov. spec. — Tab. nostra I, fo. 5. Ph. peritheciis minutis, epiphyllis, semiprominulis, sparsis, globosis, nigris in maculis orbiculatis, albo-griseis, exaridis, determinatis ; sporis minimis, cylindrico-ovatis, utrinque rotundatis, hyalinis, simplicibus, 5 mm. long., 2-3 mm. crass. Ad folia viva Photiniae serrulatae Lindl. (Crataegus glabra Thnbg.) Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Cratego a foglie glabre, pianta d’ ornamento. Autunno. — (no. 202, 306, 502.) — 461 — 219. Phylostieta cornicola Rabh. in KI. Herb. mycol. Ser. II, no. 454. In Corni sanguineae Lin. foliis vivis. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Corgnolo sanguigno. Autunno. —. (no. 307.) 220. PhyMosticta Evonymi Thiim. nov. spec: — Tab. nostra I, fo. 20. Ph. peritheciis sparsis, mediis, epiphyllis, semiimmersis, globosis, nigris in macula exarida, irregularia, albo-grisea, anguste fusco marginata; sporis parvis, ellipsoideis, utrinque rotundatis, palli- dissime griseis, 4-5 mm. long., 2-25 mm. crass. Ad folia viva Evonymi japonici Lin. fil. Vere. — Gorizia. Sulle foglie verdi dell’Evonimo del Giappone, pianta d’ ernamento. Primavera. — (no. 472.) 221. Phyllosticta Azedarachis Thiim. nov. spec. — Tab. nostra I, fo. 24. Ph. peritheciis gregariis, minutis, prominulis, globosis, atris in macula exarida, irregularia, albo-lutescentia, fusco-marginata, epiphylla; sporis ellipsoideis, utrinque rotundatis, sine nucleis, numerosissimis, hyalinis, 9 mm. long., 3 mm. crass. In Meliae Azedarachis Lin. foliis vivis. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Sicomoro falso, pianta d’ornamento. Autunno. — (no. 208.) 222. PhyMosticta Symphoricarpi Westd. Les ceryptog. d’après l. stat. natur. p. 347. Ad Symphoricarpi racemosi Mcehx. folia viva. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Sinforicarpo. Autunno. — (no. 205.) 223. Ascochyta Robiniae Lasch. in K1. Herb. mycol. no. 1299. In Robiniae Pseudacaciae Lin. foliis vivis: Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi della Pseudacacia. Autunno. — (no. 116, 117.) 224. Ascochyta Polygoni Rabh. in KI. Herb. mycol. no. 990. Ad Fagopyri esculenti Mnch. folia viva. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi del Saraceno. Autunno. — (no. 123.) Obs. A. Depaz. polygonicola Lasch. certe diversa. 225. Ascochyta Aquifolii Lib. Cryptog. Ard. no. 351. f. Mahoniae. Ad folia viva Mahoniae Aquifoliù Nutt. Vere. — Gorizia. Sulle foglie verdi e secche della Mahonia, pianta d’ ornamento, Primavera, — (no, 504.) — 462 — 226. Ascochyta Aquifolii Lib. T. Zlvers Ad Ilicis Aquifoliù Lin. folia viva, aridave. Aut. — Gorizia. Sulle foglie verdi e secche dell’ Agrifoglio, pianta d’ ornamento. Autunno. — (no. 248.) Mycelia. 227. Ozonium candidum Mart. Flora Erlang. p. 358. In Populi nigrae Lin. foliis putridis. Hieme. — Flitsch. Sulle foglie putride del Pioppo tiberino. Inverno. — Plezzo, vallata dell’ alto Isonzo. — (no. 428.) 33

— 477 — Mannelli in prossimità della provincia di Cosenza, verso il Tirreno sulle sponde del Lamato, ma ancora a Borgia, a Girifalco, a Fila- delfia, a S. Vito, nei mandamenti di Tavenia, di Soveria; di Cro- pani, ecc. In generale noi rinveniamo queste reliquie nella maggior parte delle borgate, le quali stanno sulle formazioni plioceniche, che come larghissimo e potentissimo nastro, cingono la zona cri- stallina della Sila ed accompagnano la catena di Aspromonte, la quale termina coll’ unirsi alle Alpi Peloritane di Sicilia, attraverso lo stretto di Messina Non rinvenni nessuna stazione, nè vestigia dei primi uomini nelle caverne di Tiriolo, il cui magnifico monte, torreggiante sulla strada di Cosenza, è formato da una massa isolata di calcare sovrapposta a roccie eruttive analoghe a quelle di Catanzaro. Questo calcare giallo-rossastro, contrariamente a quanto asserisce l’ illustre prof. Gerhard vom Rath '), è ricchissimo di fossili, come coralli ed ppuriti °), caratteristici delle crete, analoghi a quelli che si trovano nella Svizzera Sassone, ove queste formano montagne colla superficie superiore piana, con numerose spaccature, specialmente verticali e colle pareti di queste spaccature a strati orizzontali ;. analoghi ancora, per quanto mi comunica gentilmente 1’ egregio mio amico Dr. Torquato Taramelli, a quelli del Turoniano, da lui studiato sul Monte Cavallo in Friuli. Il bravo prof. vom Rath non ebbe forse a sua disposizione tutto il tempo che ebbi io per fare una ricchissima messe di fossili, fra i quali non mancano gli echinidi. Geologicamente non istudiai ancora quali relazioni di ') Ein Ausfiug nach Calabrien“, Bonn, 1871, pag. 103. 2?) Fra le conchiglie del cretaceo van ricordate le ippuriti, animali assai singolari per le loro due valve, molto differenti l’una dall'altra. Una di queste valve era fatta in guisa da somigliare quasi, per la sua forma generale, ad un dito di guanto gigantesco, avea nel suo interno due lamine per l'attacco dei muscoli dell’ animale, ed aveva la superficie esterna liscia, ma con solchi sottili e paralleli, così che un suo pezzo staccato e veduto esternamente, somiglia ad un’ unghia di cavallo; e da ciò venne il nome generico dato dai naturalisti a tali conchiglie. L'altra valva chiudeva la prima a guisa di coperchio, era at- traversata da canaletti ramificati, ed aveva due lamine, a cui si attaccavano i muscoli dell’ animale. I molluschi con queste conchiglie singolari non vissero che nell’epoca cretacea, e non ne vissero d’ eguali od analoghi in nessun’ altra epoca; così che la scoperta d’ una loro conchiglia in nno strato basta a far conoscere che qnello strato appartiene al terreno cretaceo. (Vedi Omboni, ,, Come s'è fatta l'Italia“, pag. 139). — 4738 — contatto abbia quel calcare colle roccie eruttive sottostanti, nè potei vedere, se fra le due formazioni, specialmente al piede settentrionale del monte, si trovino forse delle arenarie variegate. Riservo ad altra occasione anche questo studio. Entrai in una delle caverne di quel monte in compagnia del mio ottimo amico, il prof. Giuseppe Ricca-Rosellini, ma dopo averla percorsa per 14 metri circa, un grosso masso che sbarra il pas- saggio, ci impedì di proseguire. È larga 2 m., alta 2-75 e sulla superficie della volta e sulle pareti vi sono deposte stallattiti. Forte corrente d’aria pei pertugi del masso, che sbarra il pas- saggio, indica comunicazione con altra apertnra, che probabilmente sarà quella d’ entrata, essendo d’ opinione che quella sul monte sia d’ uscita. In alcune altre di queste caverne l’entrata è un po’ difficile e pericoloso il tentarne 1’ esplorazione, specialmente sforniti di mezzi e con poco tempo a propria disposizione. Secondo me l’ampio avvallamento di Sovarico sotto il monte di Tiriolo, dalla parte N. e N.E. deve essere stata una stazione dell’ uomo preistorico delle Calabrie. Quella zona abbastanza vasta, ma depressa, rispetto alle regioni circostanti, prima che luomo procedesse alla lavorazione, e che il torrentello, che s’ avvia al Corace, s° aprisse l attuale piccola valle d’ erosione, dovea essere acquitrinosa, una specie di stagno, che si prosciugò in un’ epoca relativamente recente, ricevendo i sedimenti delle alture circostanti e formando così eccellente terriccio alle eriche, che piene di vita . ricoprono i colli dei Comuni. Rimestando quel terreno nella parte coltivata si rinvennero molte armi e preziose, e se non si trovarono altre vestigia o traccie di una vera stazione, lo dobbiamo attribuire al grossi strati di terriccio che ricoprono quella regione. Si pensi che poco distante da quell’avvallamento nel lavorare il terreno, si scoprono continuamente tombe ed avanzi romani; ‘e solo da pochi giorni non lungi dalle ultime case di Tiriolo, ma ad un metro e mezzo di profondità circa, si trovarono tutti gli stru- menti dell’arte dello stuccaio. Se ora gli avanzi dei Romani dei tempi storici sono a tanta profondità, è certo che quelli preistorici saranno a maggiore. Sebbene nella visita, che feci nella località sunnominata, non rinvenni in tutta quella estensione neppur un pezzo di selce piro- niaca, nè avanzi che potessero reclamare con sicurezza 1’ attenzione del paleoetnologo, con tutto questo mi par d’aver argomento a — 479 — concludere, che procedendo agli scavi s° avrà il compenso di pre- ziose reliquie. È vero che vi esistono regioni speciali, contenenti le traccie dell’ uomo preistorico, ma non trovai finora un terreno di compo- sizione particolare che le contenga. La maggior parte delle armi e degli strumenti dell’ uomo dell’età della pietra si trovarono in tutti i terreni, purchè recenti, ossia di sedimento moderno. Alcuni og- getti furono rinvenuti a fior di terra, altri nel suolo coltivabile od in quello di trasporto a differenti profondità dalla superficie, di preferenza però sui monti e sugli altipiani che nelle valli, special- mente nei terreni a bosco, che anche qui la mano dell’ uomo di- strugge per mettere a coltura. Un nucleo d’ ossidiana di color nero, proveniente quindi con molta probabilità dall’ isola Lipari, 1) fu trovato dal sig. Annibale Scerbo, farmacista di Gimigliano, sul versante settentrionale dello spartiacque, che separa quest’ ultima località da Tiriolo. Debbo alla squisita gentilezza di quel signore il possederne qualche frammento. Per incidenza ed in relazione con avanzi di scheletri, faccio notare come il Brocchi nella sua conchiologia, parlando dell’ ab- bondanza di fossili in Sicilia e della difficoltà d’ indovinare a quali animali appartenessero certe ossa scoperte a Palermo, a Trapani, a Messina, a Melilli, a Carini ecc. sotterra, in caverne, in celle sot- terranee costruite a volta, in sepoleri formati di pietre quadrate, insomma in sepolcri artificiali, dice: ,,Sembra ch’ esse non fossero d’ elefante come non lo erano le altre, che nel 1665, giusta una relazione inserita nel giornale del Nazzari (an. 1664, pag. 24), furono rinvenute a Tiriolo, nella Calabria superiore, entro una grotta coperta dalle rovine di un’ antica fabbrica, che avea l’ aspetto di un tempio o di un teatro. Il relatore dice che sembravano umane, e che componevano uno scheletro lungo diciotto piedi romani. La testa era lunga due piedi e mezzo, i denti molari più grossi pesavano un’oncia e un terzo, e ciascheduno dei denti ordi- nari più di tre quarti di oncia. Il suolo era lastricato di una ma- teria bituminosa, di cui .se ne raccolse più di trecento libbre“. ° Del resto pochi sono gli scavi che si fanno intorno a Tiriolo, nei quali non si rinvenga qualche scheletro od altro avanzo del- l'epoca romana. ') Spallanzoni, ,Viaggio alle Due Sicilie“, Pavia, 1792, T. II, p. 207-295. °) G. B. Brocchi, ,Conchiologia fossile sabappennina“, Vol. I, pag. 359. — 480 — Una quantità di scheggie e micelei di selce piromaca trovai in due punti molto vicini fra loro, sulla sponda meridionale del mare terziario, che univa il golfo di S. Eufemia a quello di Squillace. Chi va a quest’ ultima borgata, nella trincea aperta in un’argilla ciot- tolosa per la nuova strada a 10 m. circa sopra il livello del mare sulla sua destra potrà osservare, ricoperto da un sedimento molto recente e di un metro forse di potenza, un deposito d’ indole fluvio- marina, in cui la selce piromaca vi figura come uno degli elementi più abbondanti, assieme a qualche pezzo di diaspro e molti cocci di vasi cotti, alcuni di argilla purissima, altri di argilla grossolana, mescolata con granuli di quarzo che davano al vaso maggior con- sistenza. Mi fecero l’ impressione di selci di rifiuto, e tanto più che nel grande numero mi sembrò vedere in qualcuno la mano dell’uomo. Altre, quasi nelle medesime condizioni delle prime, però non miste a cocci furono da me trovate nella trincea della strada, che sul ciglio dello sperone gneis-granitico di Stalletti, congiungerà questa borgata collo scoglio di Copanello. I coccì si presentano per la massima parte poco angolosi ; convien ammettere che le selci con cui sono uniti abbiano prove- nienza poco lontana. Ora esse sembrano giuresi e tali me le dichiarò 1’ illustre prof. Fischer, che potè fare il confronto con analoghe della Germania: infatti quelle della formazione eretacea sogliono essere più diafane e più grigie delle nostre, che si pre- sentano biancastre e di poca o nessuna trasparenza. Ma non ebbi finora la fortuna di trovare il calcare giurese in quei dintorni. L’egregio prof. Omboni, sulla fede forse di qualche osservatore poco fortunato, segna erroneamente nella sua carta geologica d’Italia la formazione giurese poco lontano da Catanzaro. Abbiamo la formazione cretacea del monte di Tiriolo, che si spinge ancora più ad Est e Sud, ma il giurese non mi consta si trovi in queste vicinanze. Allora abbiamo altro appoggio per supporre quelle selci di rifiuto di qualche stazione poco lontana da Squillace. È vero ché nelle contrade meridionali le silici si fendono da sè per il grande calore e talora presentano fratture concoidali nei loro frammenti, che possono essere presi per pezzi lavorati. Ma perchè là si trovano ammassate e più oltre non se ne trovano più? E perchè in tanta quantità? E perchè miste a cocci di superbi vasi e di vasi gros- solani e questi poco angolosi? Nel mentre lascio la questione sospesa, mi sarà permesso dire che propendo a crederle proprio selci di rifiuto e di non lontana provenienza. — 481 — Non visitai la provincia di Cosenza, ma un egregio signore dî lassù mi assicurò che un piccolo corso d’acqua, il quale con- fluisce nel Savuto, porti molti nuclei di silice piromaca. Qualche pezzo di color rosso potrebbe derivare da un mine- rale di ferro, una specie di ruggine granulosa, dai tedeschi chiamata Bohnerz '), che riempie le numerose spaccature dei calcari giuresi della catena del Giura, nonchè del Giurese superiore o bianco dei contorni della città di Friburgo nel granducato di Baden, e che copre anche la superficie degli stessi calcari per grandi estensioni e che fu deposta da sorgenti calde e minerali, simili a certe sor- genti ferruginose e termali dell’ epoca attuale. È dunque un diaspro proveniente dal Bohnerz, nel quale esso si trova talvolta anche giallognolo, perchè quello del Giurese superiore presentasi per lo più bianco o grigio. Gli arnioni di silice piromaca si presentano come concen- trazioni della stessa silice, che sta diffusa nei calcari siliciferi delle epoche sopradette, occasionate queste concentrazioni quasi sempre da qualche corpo organico, che agì come centro di attra- zione, e talvolta del peso di parecchie libbre. Noccioli di selce piromaca trovansi pure in qualche calcare nummolitico dell’eocene apenninico ed ancora in qualche arenaria. °) Nel monte Pisano, nelle Alpi Apuane, nella catena Apenninica ecc., le roccie ora nominate contengono pure la piromaca in letti ed in straterelli, paralleli alla stratificazione loro, di vario spessore e talvolta assai fittamente ripetuti. In nessun luogo la selce piromaca forma roccie proprie. i Per mancanza di un ottimo microscopio non potei fare 08- servazioni, se quelle selci contengono foraminiferi, particolarmente diatomee, madrepore e spicole di spongiari. È già noto come i gusci di questi organismi infinitamente piccoli, che non si sa bene, se sieno animali o vegetali, e che compariscono a miriadi nelle acque sia dolci che di mare, e particolarmente di quelle, nelle quali sostanze organiche si scompongono e si putrefanno, 5) formano roccie, che sono calcaree, quando formate da gusci di natura cal- carea, 0 selciose, quando da gusci di pura silice. I gusci dell’ultima ) Omboni, ,Come s'è fatta l’Italia“, pag. 156. 3 Bombicci, ,Corso di Mineralogia“, Vol. II, pag. 653. 3) Ehrenberg dice che nello spazio di soli 4 giorni una sola diatomea può dare origine a 140 bilioni di individui nelle favorevoli condizioni di sviluppo. — 482 — specie sono talvolta debolmente uniti insieme in modo da formare quella materia terrosa, che è la farina fossile, o quella più consi- stente, detta tripoli, che si trova abbondante, sebbene allo stato alquanto impuro, sotto il cosiddetto tufo calcare di Catanzaro. I grani del tripoli sono così duri, che si adopera questa formazione per pulire i metalli. Con un microscopio discreto, appartenente alla scuola di agricoltura, diretta tanto bene dal. distinto e bravo prof. Kicca- Rosellini, ho potuto osservare il tripoli di Catanzaro, che dopo aver fatta poca effervescenza cogli acidi, mi mostrò un mondo di diatomee, di policistine e di spicole di spongiari. Se questi grani sono cementati insieme in guisa da formare delle masse solide, costituiscono i moduli di pietra focara. Per le nostre selci piromache sarebbbe interessante formare delle piastre polite ed osservarle ad un buon microscopio. Ma veniamo all’ uomo preistorico in Calabria e dalle reliquie, che ha lasciato, seguiamolo nelle sue età, nelle sue fasi. Si domanderà: e quando comparve luomo, sulla superficie della terra? Facile domanda che non può ottenere così facile risposta! Non vorremo certamente affermare, che, durante il dominio degli antichi ghiacciai alpini, mentre andava colmandosi il gran golfo fra le Alpi e gli Apennini ed andava sempre più elevandosi quello che congiungeva il mare di S. Eufemia con l’altro di Squil- lace, e si formavano in tal modo le pianure del. Piemonte, della Lombardia, della Venezia, dell’ Emilia, delle Romagne e si conso- lidavano i monti di sabbia, su cui stanno Caraffa, Vena, Borgia, 5. Floro ed altre ridenti borgate, su queste pianure, su queste colline e su queste montagne del nostro paese, insieme agli ani- mali ed alle piante, venuti dal settentrione, vivessero uomini selvaggi. D’ accordo coi precetti della geologia e cogli insegnamenti della storia e delle tradizioni, che non sieno però incerte, confuse ed indeterminate, ricercheremo coll’ illustre prof. Stoppani l’ uomo post-glaciale, del quale abbiamo indizi sicuri. s Nessuna traccia nè d’ uomo nè d’ umana industria fu sco- perta fino ad oggi in un terreno che sia certamente dell’ epoca glaciale: nessuna, in quei vasti e profondi depositi fluvio-glaciali, che colmarono, p. e., i grandi bacini della valle Adrara, di Leffe, della valle Borlezza e di tante altre valli nella regione prealpina, — 483 — conservandosi così intatte e così abbondanti le reliquie della flora e della fauna glaciale. Così è dovunque. Mentre il terreno glaciale ha così vasta estensione in Europa ed altrove, ed è ovunque profonda- mente eroso dalle correnti, e scavato come deposito di ciottoli, di ghiaia e di argille; nè alcun indizio d'uomo vi si scoperse, nè fu visto mai sovrapporsi ad alcun deposito caratterizzato dalle umane vestigia. L’ universalità di questo fatto negativo ha valore di un argomento positivo, che induce la più ragionevole certezza. Del resto ove appena si presentano reliquie umane in rapporto col terreno glaciale, la loro posteriorità appare anche indubbiamente* così si esprime in proposito il sullodato professore in quelle splendide pagine dell’epoca preistorica, che da loro stesse. formerebbero un’ opera da illustrare qualunque individualità. Vediamo ora come doveva essere l’ uomo nei primordi della sua vita. Probabilmente elevavasi di poco sopra la scimia. Ridotto in una, contrada, dove trovavasi la selce piromaca, incassata in tenere roccie della creta, ovvero il diaspro in roccie calcaree poco dure od in ferro globuliforme, ben facilmente avrà potuto accor- gersi delle proprietà di quei minerali, cioè di possedere nel rom- persi. una frattura concoidale, vale a dire la proprietà di mostrare superficie di rottura concave, separate le une dalle altre per mezzo di spigoli acuti alquanto elevati e di offrire quindi alla loro spon- tanea rottura, senza ulteriore lavoro dell’ uomo, scheggie in forma di coltelli con spigoli. acutissimi.. E ben facilmente sarà venuto l’uomo nell’ idea di potersene servire per gli scopi più immediati della vita, afferrando quelle scheggie o direttamente colle mani — talvolta abbastanza penosamente — o incastrandole in anse di Jegno, di corno, di osso con materia agglutinante (esempi nelle palafitte). Da quelle scheggie della forma di coltelli con un po’ di abilità egli avrà potuto in seguito passare alle punte di freccia e di lancia. L’ aver osservato poi come per l’uso continuo, gli spigoli acuti degli strumenti sì smussavano e d’altro lato per il moltipli- carsi di questi primi popoli andando il materiale nuovo a consu- marsi, avrà certamente e ragionevolmente spinto l’ uomo, che conosceva già le proprietà della selce, all’idea della pulitura. Noi troviamo, come minerali semplici, per i primi strumenti di pietra scheggiata, l’ ossidiana per il Messico, 1’ Italia, la Grecia, "lIslanda e per qualche. altro paese d° Europa: in altri paesi la selce piromaca ed il diaspro. ì 23 — 484 — Però l’uomo potea benissimo trovarsi nel suo stato più barbaro in contrade, dove le selci piromache o roccie affini mancavano asso- lutamente, ma dove verano solo roccie come gneis, granito, diorite, sienite ecc., ovvero schisti, arenarie, calcare: i bisogni immediati della vita gli avran suggerita anche là 1’ idea di servirsi di queste sostanze. Usando questi differenti corpi, avrà esperimentata la dif- ferenza della durezza delle roccie, rimpetto alle ossa, alle corna, al legno, e questa esperienza avrà certamente svegliata in lui l’idea di apprezzare in prima linea la durezza delle roccie pei suoi scopi. Supponiamo ora che quest’ uomo selvaggio avesse la sua abi- tazione presso un fiume od un torrente. Qui si offrivano a lui sulle sponde e nell’ acqua stessa pezzi di roccia, caduti dai monti, come ciottoli di diversa forma e grandezza, i quali quanto più vicini alla sorgente, tanto erano più angolosi e quanto da quella se ne discostavano, tanto erano più arrotondati. Anzi vedendo come col rotolare nella corrente e col confricarsi 1’ un sasso contro l’altro, tanto maggiormente perdevano quelle angolosità, luomo si sarà portato all'idea della pulitura artificiale. Così fu spinto quindi l’uomo pei rapporti esterni alla pulitura di certe pietre a profitto dei bisogni della sua vita; ebbe però a sostenere fatica maggiore, che nella preparazione delle armi di selce piromaca. Infatti non otteneva il suo scopo nelle roccie colla semplice rottura come av- veniva nelle selci piromache, perchè quelle non presentavano nella frattura spigoli così acuti, come dai bisogni suoi erano richiesti. Si costrussero così azze, scuri, pugnali, coltelli, raschiatoi, mar- telli, scalpelli, oltre alle freccie ed alle lancie. I nostri primi padri, somiglianti per costumi ai più selvaggi popoli dell’ Oceania e pei loro caratteri fisici ai Samojedi, erano cacciatori, come le popolazîoni che vivono oggigiorno nello stato più lontano da quello dei popoli inciviliti. Con quelle armi i primi uomini, venuti forse d’ Asia, facevano la guerra ai numerosi mam- ‘miferi che infestavano le loro contrade, ‘arrostivano malamente le carni, che mangiavano affumicate, spaccavano le ossa per il midollo, foggiando, con quelle stesse ossa e colle corna dei cervi in parti- colare, varie specie di armi, che lavoravano coi coltelli e coi ra- schiatoi di pietra. Componevano i loro abiti» colle pelli di quei ‘quadrupedi, tagliandole ed cucendole insieme colle budella degli stessi animali o con fili vegetali. Per difendersi poi dalle ingiurie degli agenti esterni, in par- ticolare dal freddo e per riposare dopo le loro caccie e specialmente — 489 — di notte, si ritiravano nelle caverne, che frequenti si trovano anche nella nostra Italia settentrionale. Oppure cominciarono a fabbricare capanne informi con legni, ossa di quadrupedì, vimini, pelli e fango, ed in queste ammassa- vano i loro cibi e più tardi i prodotti delle loro industrie, come vasi, destinati per raccogliere l’acqua, per fondere il grasso dei quadrupedi. Erano vasi, per la massima parte irregolari, mal cotti, di argilla unita con sabbia e grani di quarzo o addirittura ciotto- letti. Più tardi si perfezionarono e troviamo fra quegli avanzi cocci della più fina argilla figulina. Da certi strumenti, atti a produrre suoni, da alcune sculture informi e da alcuni pezzi di pietre con disegni malfatti, ma sui quali pure si ravvisavano l’ elefante peloso, che vivea allora, i renni che viveano ancora nell’ Italia centrale, qualche grande bue e per- fino uomini e donne, dobbiamo dedurre che furono un tantino artisti. , Non è impossibile poi che sieno stati anche antropofaghi, se ebbero gli stessi costumi di certi uomini del Belgio, che lascia- rono nelle caverne, insieme coi loro oggetti d’uso comune e colle ossa di buoi e d’orso, anche molte ossa umane, ‘abbrustolite e spaccate pel lungo, come quelle dei quadrupedi, per cuocere. le carni attaccate ad esse ed estrarne il midollo“. !) In seguito conservando sempre le armi di pietra, di corno; e di osso, cominciarono gli uomini a fabbricare armi di bronzo, alle quali seguirono quelle di ferro. Da qui le diverse epoche dell’uomo preistorico: quella della pietra, quella del bronzo e quella del ferro. La maggior parte dei paleoetnologi ammette una quarta età: la archeologica 0 della pietra rude, dell’uomo archeolitico. Opinano cioè che presso ogni popolo alla sua origine all’ età della pietra la- vorata abbia dovuto precedere quella della pietra grezza. Ma per decidere la questione dobbiamo esaminare la costituzione delle roccie che si presentavano ai primi popoli nelle loro dimore 0 nelle loro immigrazioni. La costituzione delle roccie deve aver condotto l’uomo, in modo affatto naturale alla maniera colla quale egli le avea a lavorare, e lo stesso popolo rispetto alle selci, avrà. acquistato, ‘ viaggiando, i suoi strumenti per mezzo delle sgrossamento, e per quanto risguarda le roccie cristalline, avrà dovuto ridurle per con- fricazione, per sfregamento. Non gli rimanea altra scelta. Se si ') Omboni, ,Come s'è fatta l’Italia“, pag. 250. — 486 — considererà che l’ opinione e I’ ammissione di un’ epoca archeolitica sono fondate intieramente sulla contemplazione degli strumenti preparati, senza alcuna considerazione alla loro riduzione, relativa- mente alla natura del materiale costituente, salteranno tosto al- l’ occhio dell’ archeologo e del paleoetnologo le conclusioni delle nuove vedute, che escludono quell’ epoca. Ora in una regione, nella quale come in Scandinavia non si presentano per nulla minerali con frattura concoidale, quindi nessun’ arma grezza, non si dovrà aver bisogno di far ricerche, per dedurre conseguenze sull’esistenza del primo uomo, poichè questo dovette tosto incominciare col pu- lire, nè alcuno si piegherà a credere o semplicemente supporre, che ivi sieno trasmigrati popoli, che già in qualche altro luogo ab- biano passata una vita allo stato più basso, cioè quello della pie- tra rude. Coloro che ammettono questa prima età, ammettono pure che alle genti archeolitiche tennero dietro in breve giro di secoli le immigrazioni neolitiche. Si ammette l’ esistenza dell’ uomo archeolitico, dell'uomo an- tichissimo, dell’uomo della prima età, ‘dell’epoca paleolitica od ar- cheolitica solo per quelle zone, nelle quali si sono trovate armi di pietra rozzamente scheggiate, non mai liscie, ma grossolane, pe- santi, senza forma, oppure rami di corna aguzzati od ossa varia- mente lavorate. j Si ammette invece che là, ove si presentano punte di freccie e di lancie, coltellini e raschiatoi di selce piromaca, scheggiati con molta abilità, abbia vissuto il secondo uomo, l’uomo neolitico, l’uomo della seconda epoca della pietra, della pietra polita, del- l'epoca neolitica. Certo che dobbiamo ammettere un gradino di perfezione nella confezione delle armi, un progresso, ma per noi lo stesso popolo in alcune regioni adoperava nella prima età armi semplicemente scheggiate, perchè avea la fortuna di trovare roccie con frattura concoidale, ed in altre per servirsene delle roccie era costretto di portarle a pulitura. | Troviamo un progresso continuo e dall’ uomo allo stato sel- vaggio, ,testimonio e vittima di fenomeni esogeni e endogeni, che dopo d’allora non si riprodussero appunto, perchè furono siccome » l’ultima nota di un’armonia tellurica dell’ epoca precedente“; !) 1) Taramelli, ,Di alcuni oggetti dell’epoca neolitica rinvenuti in Friuli“, Udine, 1874, — 487 — passiamo all'uomo rallegrato dal divino raggio dell’arte, che ci regala coltelli, ascie, martelli e scuri parimenti di pietra, di una mirabile levigatezza, lavorate talvolta con tanta eleganza da destare la meraviglia dell’uomo attuale, colle forme più belle, con fendenti finissimi, colle scannellature più perfette ed i martelli traforati talora con un’ ammirabile pazienza. In seguito vediamo 1’ uomo raccolto in società nelle palafitte piantate nelle depressioni del suolo: sn queste troviamo costrutte capanne simili a quelle che i popoli barbari costruiscono ancora, e molte volte intorno a queste palafitte portata l’ acqua artificial- mente col deviare ruscelli e torrenti per difendersi dagli animali feroci e dagli attacchi dei loro nemici. 1) Fuori di queste specie di valli venivano gettate le armi guaste, quelle fuori d’ uso, gli avanzi dei pasti di questi popoli frugalissimi, che allora forse incominciarono a coltivare i campi ed a raccogliere le biade. Troviamo presso questi popoli, coltelli, aghi, pugnali, punteruoli fatti con pezzi di corna di cervo o d’ossa di buoi, dj pecore e di altri quadrupedi: inoltre cocci di vasi fatti al torno e con grafiti per abbellimento. L'uomo della pietra cessa quando comincia. a lavorare. il bronzo ovvero il ferro. E se noi ci imbatteremo in oggetti di quelle sostanze, diremo d’aver trovato le traccie dell’uomo dell’ epoca del bronzo nel primo caso e dell’uomo dell’epoca del ferro nel secondo. In queste due epoche 1’ archeologia potrà portare un po’ di luce e con sufficiente approssimazione ci potrà dire 1’ epoca nella quale viveano gli uomini artefici e possessori di quegli oggetti, nonchè parlarci dei rapporti colle immigrazioni d’ oltre monte 0 dal mare o delle relazioni commerciali coi popoli fortunosi, di cui le vele solcavano già in quell'epoca il Mediterraneo, le coste Atlantiche ed i mari del Nord“. °) Già nell’ epoca del bronzo cominciarono que’ popoli ad abitare in piccoli villaggi, costrutti direttamente sul suolo, mentre prima s’aveano bensì le tribù raccolte in piccoli villaggi, ma pensili e di pochi tuguri. Troviamo i villaggi però sempre in luoghi di facile difesa per gli animali, troviamo formate le così dette stazioni. L’illustre prof. Gastaldi ed il chiarissimo prof. Stoppani *) ') Erodoto. *) Taramelli, ,Di alcuni oggetti ecc.“. 3) Stoppani, ,Corso di geologia“, Vol. II, da pag. 731 a pag. 852. — 488 — ci hanno regalato le più belle pagine su questo argomento. Alle originali e mirabili memorie, colle quali il primo diffondeva la co- noscenza ed il eulto di tali studi in ogni parte d’Italia, ‘ed alla preziosa trattazione del secondo, mandiamo il lettore e 1° appas- sionato cultore di questi studi, sembrandoci vera profanazione il voler ridurre ad una miniatura opere originali ed argomentazioni ed idee nuove, che sono senza fallo la più bella pagina dell’ uomo preistorico. Mi permetto solo di qui riportare il seguente brano; che esprime i caratteri, cui il distinto professore assegna periodi po- steriori al supposto archeolitico. Una serie infinita di scoperte, ') verificatesi principalmente nell’ ultimo ventennio, ci permette di ripartire in tre periodi ab- bastanza ben distinti la storia dell’uomo, a partire dall’ epoca ar- cheolitica.. Ci sta innanzi un numero infinito di parziali depositi, rigurgitanti di reliquie umane e di umana industria, in tali con- dizioni, da doversi indubbiamente ritenere come più recenti del- l’ epoca archeolitica. i La posteriorità dell’umane razze che ci si presentano, si appoggia principalmente ai seguenti dati: 1.° Assenza di reliquie di animal, appartenenti alle specie estinte, caratteristiche dei terreni post-terziari. Non più ossami di mammuth, di rinoceronte lanuto, di orso delle caverne ecc.; *) non più nemmeno reliquie delle più classiche fra le specie migrate, del renna, della jena, ecc. 3) ') Stoppani, , Corso di geologia“, Vol. II, pag. 739. ?) Le principali specie esistenti sono: Ursus spelaeus Rosenm. (Orso delle caverne) Felis spelaca Godf. (Tigre delle caverne). Bos primigenius Boj. (1 Uro degli antichi). Cervus megaceros Cuv. (Cervo dalle corna gigantesche). Elephas primigenius Blumb. (Mammuth). Rhinoceros tichorhinus Cuv. *) Le principali sono: Castor Europaeus (Castoro). Hyaena crocuta Limn. (Jena del Capo). Ovibos moschatus (Bue muschiato). Bison priscus Boj. (Bisonte, Bos priscus). Cervus Alces L. (Alce). Cervus Tarandus L. (Renna). — 4389 — 2.° Presenza, anzi decisa abbondanza di reliquie riferibili alle specie più comuni degli animali domestici dl’ Europa. 3.9 Notevole progresso industriale. Armi e attrezzi, che. si approssimano sempre più per la forma e per la materia, alle armi e agli attrezzi d'epoca storica: introduzione delle stoviglie, regolari abitazioni, pastorizia, agricoltura, commercio“. Dando ora uno sguardo generale alle sostanze che formavano le armi di pietra lavorata, troviamo fra esse abbondare i silicati, e fra questi le roccie verdognole hanno assoluto predominio sopra tutte le altre, perciò troveremo quelle. comprendenti amfibola ed augite, quindi schisti amfibolici, diorite, gneis amfibolico, eclogite ecc. Tutte queste e le analoghe vanno distinte per la loro tenacità. Questa proprietà aumentava il lavoro di preparazione e di confe- zione, ma compensava ad usura la fatica per la maggiore stabilità e durabilità anche degli spigoli, una volta affilati, ed ogni giorno di più dobbiamo ammirare 1’ abilità dei popoli più antichi di sco- prire per la confezione delle loro armi, dei loro strumenti, dei loro amuleti, delle loro sculture, ecc. in tutte le montagne e primie- ramente lungo i ruscelli, le materie più tenaci ed insieme più dure. In proporzione con fondamento sufficiente, possiamo osservare in generale, che fra le azze e scuri raramente ci incontriamo nei colori bianchicci o rossastri, ovvero di un aspetto puntecchiato di bianco e nero, in altre parole, non. frequentemente c’ imbattiamo in graniti, porfidi, gneis. ecc. che sono pur le roccie che formano le maggiori masse montuose. La Calabria in questo fa eccezione: nelle sue armi di pietra predominano le roccie cristalline, specialmente certe dioriti, molte volte porfiriche, che si trovano nelle due grandi masse cristalline delle. Alpi Calabresi, in quella cioè. della Sila e nell’ altra di Aspromonte. Fatto rimarchevole poi è questo che mentre le armi formate di roccie calabresi si trovano in abbondanza sulla parte settentrio- nale della provincia di Catanzaro, come Tiriolo superiore, Cicala, Carlopoli, Soveria. Mannelli, predominano nei piani di Filadelfia nel circondario di Monteleone, nella valle del Lamato, a Nicastro, a Zangarone, a Borgia, a Girifalco, a .S. Vito ecc. le armi di roccie esotiche, le più rare, come la sillimanite, la eclogite, la. cloro- melanite, la giadeite, la mefrite, la violana di S. Marcello ecc., roccie cho non sono conosciute non solo in queste contrade, ma moltissime neppure in Italia e molte neppur in Europa. La qual — 490 — cosa dinota un commercio od una remota immigrazione di questi primi nostri calabresi, e più specialmente fra il calabrese della pietra e genti d’ oltre monte e d’oltre mare. Se la sostanza dell’ azza N. 6 (fig. 5 e 6) è veramente la violana di S. Marcello, abbiamo certamente il fatto delle comuni- cazioni o del commercio dei nostri primi padri di questo estremo lembo d’ Italia continentale con quelli che abitavano la Val d’Aosta a piedi delle Alpi settentrionali: preludio di quella miracolosa unione, che con altre armi e dopo tanti secoli affratellò i discendenti di quelle prime popolazioni barbare! Lo schisto siliceo (pietra lidia), che si trova nello schisto argilloso e nelle masse di trabocco, s’ incontra spesso come mate- riale per le azze ed il serpentino come quello per martelli di pietra. Qui in Calabria, dove abbondano i serpentini e le roccie ser- pentinose, mi sorprese non poco di non rinvenire armi di queste sostanze. Auguro che altri sieno più fortunati di me ed in ogni caso studino per accrescere i fatti che dimostrano specialmente le comunicazioni dei nostri primi padri colle popolazioni più lontane, per poter stabilire i confronti, che soli possono portar luce sulle età preistoriche. © La contrada di Gimigliano va ricca di queste roccie, che passano sotto il falso nome di marmo nero di Gimigliano. TI Corace tanto sotto quella borgata, quanto più oltre corre in letto di queste formazioni, le quali facendo poi potente sinclinale, fanno capolino nuovamente nel vallone Ventrieri sotto la ridente posizione di Cicala. Se si denudasse il potente dorso su cui sta quella borgata, avremmo sotto le formazioni serpentinose in tutta la loro magnificenza. Non possiamo sottacere poi il fatto che la determinazione delle sostanze, che compongono la maggior parte delle armi di- pietra, è assai difficile, sia perchè per la massima parte sono male conservate, sia anche per quella superficie liscia che presen- tano e sulla quale i secoli, che passarono, vi impressero qualche cosa di venerando. Intanto osserveremo che la maggior parte delle armi di pietra di tutto il mondo presentano nelle loro superficie l’ aspetto del ciottolo di fiume o di torrente. Di somma importanza e di grande aiuto sarà la determina- zione del peso specifico degli strumenti dell’ epoca della pietra. In Italia difettiamo di un libro che ci regali la densità delle roccie finora conosciute. — 491 — Il sig. prof. Websky, ora direttore del regio museo di Berlino, stampò nel 1868 a Breslavia un interessantissimo lavoro che porta per titolo: Mineralogische Studien, nella cui prima parte troviamo tutti i minerali fino allora conosciuti, ordinati secondo la densità e per rispetto ai silicati, che mostrano molte modificazioni nel peso specifico secondo la loro varietà, si trova la medesima specie più volte, colle rispettive frazioni decimali. In tal modo lo studioso potrà fare l’ esclusione di un grande numero di specie, le cui densità si trovano sopra o sotto quella da lui trovata per un’ azza speciale. Se i minerali componenti i nostri strumenti sono semplici — il che verrà immediatamente determinato con una semplice ana- lisi — il libro del sig. Websky riescirà utilissimo e non si può a meno di raccomandarlo caldamente. Per le roccie non esiste un tal libro, che certamente avrebbe maggior valore del primo e con quello si darebbe qualche cosa di completo. L’ illustre prof. Fischer avrebbe ‘preparato un lavoro di questo genere, che mi scrive non voler consegnare alla stampa per il solo motivo, che le diagnosi delle roccie prima. d’ ora non erano appoggiate dallo studio microscopico e convien quindi aspettare delle fluttuazioni rilevanti presso la medesima roccia, secondo la quantità dei componenti particolari. Con un registro ,di tal genere trovò il dottissimo professore che 1’ eclogite ha la densità di 3,48, proprietà cne potrebbe far confondere questa roccia verde oscura colla cloromelanite, e tanto più in quanto che anche questa. con- tiene sovente, secondo la relazione dello stesso signor Damour di Parigi, grani di granato. Perciò il colore oscuro, la densità ed 1 granati potrebbero indurre a questa confusione, che può essere scongiurata però colla frattura fresca della roccia. Non si deve perciò .negligere di esaminare con scrupolo il piano polito delle azze sotto la lente, e se sia possibile farne il confronto con una piastra polita, nella quale specialmente si potrà distinguere la cloromelanite dalla eclogite. Sulle relazioni microscopiche della nefrite, della giadeite ‘e della cloromelanite abbiamo un prezioso lavoro dello stesso egregio prof. Fischer. 1) I dettagli e le relazioni sono così minutamente esposti e con tanta cura e diligenza, che non so come ancora non | sia stato tradotto negli altri paesi. Il libro, di pag. 412 in 8., ') ,Nephrit und Jadeit etc., nach ihren mineralogischen Eigenschaften sowie nach ihrer urgeschichtlichen Bedeutung*, Stuttgart, 1875, O contiene 181 incisione e due tavole tromolitogratiche, che mostrano le diverse varietà di nefrite, di giadeite e di cloromelanite secondo le loro differenze di colore con un’ esattezza ammirabile. Rilevansi da quello le densità di queste principali roccie esotiche: Nefrite... da 2,957 a 3,18 Saussurite s0Bililivia 8338, Giadeite Rif 1 98 Cloromelanite , 3,410, 3,413 La nefrite!) si distingue per il suo colore verde oliva, verde- porro o grigio verdognolo, per la sua frattura distintamente. e grossolanamente scheggiosa. È un minerale che si trova in Oriente e nella Nuova Zelanda, abbondantissimo nelle nostre collezioni, ma sotto la forma di anelli, di amuleti, di azze, di manichi di pu- gnale, ecc. e che vengono tuttodì tenuti in uso presso le tribù sel- vaggie della Nuova Zelanda, assieme ad altri oggetti di giadeite di bellissime qualità, omogenee, translucide e di tenacità considerevoli. Sulla tenacità della nefrite mi piace qui enunciare il fatto accaduto al prof. Fischer e che egli racconta in una sua memoria.?) Egli dice che allorchè ebbe l’ ultima visita del Dr. Krantz da Bonn, purtroppo ora defunto, intrattenendosi con lui sulla nefrite, questi gli raccontò un fatto che altamente dobbiamo apprezzare per i confronti che si possono fare con altre roccie, e perchè forse ac- cenna al modo col quale s’ aiutarono e s° aiutano ancora oggigiorno le nazioni che preparano strumenti con questo minerale eminente- mente tenace. Krantz avea comperato un grosso blocco di nefrite, ma non potea romperlo coi suoi eccellenti martelli. per ottenerne campioni da gabinetto. Un suo parente, possessore di un martello a vapore, dietro suo invito, s'era messo a sua disposizione per rompere quel grosso blocco, che resisteva ai colpi dei migliori martelli da mineralista e da geologo. Si fece la prova, ma quale non fu lo stupore degli astanti, vedendo andare in pezzi l’ incudine (del valore di circa 2000 Lire) e rimaner intatta la nefrite! Com- parve allora un lavoratore, che si esibì a Krantz per rompere la !) Il Bealstein dei Tedeschi = la néphrit o pierre è hache dei Francesi. Beilstein è nome composto da das Beil, l'accetta, la scure e der Stein, la pie- tra; quindi: pietra da azze. °) ,Notizen, Gewàltigung eines grossen Nephrit-Blockes,“ — 493 — nefrite. L’ arroventò e poscia gettatala in acqua fredda, si ruppe in mille pezzi, che diedero i campioni desiderati. Non sarà male neppure di bagnare le azze con un po’ di vernice acquerella, che seccandosi dopo pochi minuti, fa pellucida ogni superficie e rimpiazza per così dire la parte che fa l’acqua nei ruscelli e. nei fiumi. Infatti nell’ acqua assai più facilmente impariamo a conoscere i ciottoli, di quello che essi sieno intelli- gibili, quando li prendiamo fuori e li Jasciamo asciugare. Passiamo ora alla descrizione di alcuni oggetti trovati nella provincia di Catanzaro. 1. Piccolo scalpello (Fig. 1 e 2) di Sillimanite, lungo milli- metri 35, della larghezza massima di 14 e dello spessore di 8, rinvenuto nel terreno detritico di Sovarico, proprietà dei, Marchesi Le Piane, a N.E. del Monte di Tiriolo, immediatamente sotto le case di quella magnifica tenuta. Alla gentilezza dell’ egregio Ingegnere Francesco debbo questo prezioso oggettino. La durezza è — 7; la densità 3,179, da non confondersi con quella dei graniti, pei quali va da 2,993 a 2,652 circa. Sotto la pulitura si vedono le fibre ondulate, e le macchie nerognole, che attraversano la massa, potrebbero essere mica. Il sig. Damour a Parigi osservò già parecchie volte la Silli- manite come sostanza di strumenti dell’ epoca preistorica. L’ illustre prof. Bombicci ben a ragione distingue la Sillima- nite, che riguarda come una andalusite, dalla Bucholzite !), dando per quella la durezza fra 6 e 7, la lucentezza vitrea, il colore grigio, biondo o bruno, diafana o translucida; per questa invece la durezza da 7 a 7,5, la lucentezza sericea ed il colore grigio cenerino e pellucida: a tutte due le specie spetta la proprietà della biri- frangenza, godendola la prima in maggior grado della seconda. Più oltre però °) dice come la bucholzite viene considerata as- sieme ad altre specie come varietà da riferirsi alla Sillimanite. Per le ragioni suesposte, ma più pel peso specifico del mio piccolo strumento sono stato indotto a crederlo più una Sillimanite, che una Bucholzite: infatti questa 1’ avrebbe eguale a 3,239, men- tre la Sillimanite raramente arriva a 3,2. dii ti ') Bombicci, ,Corso di mineralogia“; vol. II, parte II, pag. 688. 2) Ibidem, pag. 700, — 494 — Finora la Sillimanite fu trovata in un filone di Quarzo com- patto, nel Gneis di Chester (Connecticut) -e presso Norwich (Id.) con Zircone e Monazite. A Jorktown (Newyork) si associa al ferro ossidolato con Monazite e Tremolite. ') La Bucholzite pure si trove- rebbe fibrosa ‘0 compatta nel Quarzo frapposto al Gneis a Selrein (Tirolo), ad Eger (Boemia), nella Moravia, nella Pensilvania ed in altri luoghi. Ammesso ora che la sostanza del mio scalpello sia una Sil- limanite, per le nozioni che finora ci dà la mineralogia, il superbo strumentino sì deve risguardare come esotico, -a meno che non riesca di trovare quella sostanza anche in Calabria fra gli abbondanti graniti e gneis. Finora però non la rinvenni nei graniti a grana grossolana e fina di Tiriolo e dei ditorni, dove la preziosa reliquia fu trovata. Invano la cercai in quelli bianchicci e carnicini dei dintorni di Catanzaro, in quelli delle due sponde dell’ Alli e del Simeri e nel gneis-granitico dello sperone di Stallettì e di Squillace. 2 e 3. Della medesima sostanza sarebbero due azze conser- vatissime, una regalatami dal sig. Gregorio Quaresima, vice-segre- tario a Girifalco, l’altra avuta a Borgia. La prima lunga mill. 139, della larghezza massima di 60 e dello spessore di 81, ha il peso specifico = 3,177; l’altra non arriva a 3,149, essendo lunga mill. 78, larga 49 e grossa 12. Dalla giacitura loro poco 0 nulla puossi comprendere. Lo scalpello dovea essere uno strumentino di lusso 0 servire come amuleto: l’azza di Borgia, attesa la sua durezza e le dimen- sioni non troppo forti dovea servire come utensile per tagliare 0 meglio incidere alberi; l’altra invece di Girifalco dovea essere adoperata ancora per aguzzare pali per palafitte, come arma po- tente di difesa e per ogni genere di lavoro. Tutte due hanno il taglio così acuto e consistente che percotendone il. legno, questo rimane profondamente e nettamente intaccato. 4. Piccola Azza verosimilmente di Eclogite, lunga mill. 70, della larghezza massima di 34 e dello spessore di 21. Mi fu gentilmente offerta dal sig. Antonio Fimiani da Zan- garone, nel circondario di Nicastro, nel quale fu rinvenuta. La durezza è = 6,5; la densità 3,45. Essa è d’ un verde cupo con macchie minute rossigne, che alla lente presentano contorni angolosi, come fossero granati ') Bombicci, «Corso di mineralogia“, vol. II, parte II, pag. 700. — 495 — minutissimi, i quali si osservano meglio dopo aver bagnato 1’ azza con un po’ di quella vernice acquerella, di cui anteriormente ah- biamo fatto menzione. A prima giunta sembra che la sostanza di questa azza possa essere Amfibolite, ma la densità trovata è un po’ troppo forte per questa roccia, a meno che i granati in un’ Amfibolite non fossero capaci di darle la densità dell’ Eclogite, materia che bene spesso s'incontra nelle armi preistoriche. Colla lente osservai pure qualche piccola parte di pirite, che può trovarsi tanto nella Elogite che nella Amfibolite. Questa roccia non può confondersi colla Eclogite (Omfacite) alla quale il Bombicci come a bella pietra ornamentale e come varietà di Eufotide !) accenna, a struttura granulare con prevalenza di diallagio, commisto con granato rosso, epidoto verde e feldispato, e che si trova in ammassi assai limitati e rari. Vien citata nella Valle Anzasca (Monte Rosa), nel Biellese, nei contorni d’ Ivrea, in Val d’Aosta e forma la ganga del Granato ottaedrico nell’ isola. d’ Elba. Anche in Calabria trovasi tal roccia e magnifiche lastre di Omfacite si possono vedere nel lastricato della città dalla parte del castello, tratte da grossi massi che for- mano la base delle sabbie gialle terziarie, che stanno sotto il cosiddetto tufo calcare di Catanzaro. Con questa roccia non si può paragonare la sostanza, della nostra azza, perchè la pasta è molto uniforme, nè in essa distin- guonsi i minerali sopra esposti, specialmente il feldispato. Tale roccia, per quanto mi consta, è straniera non solo per l'Italia, ma anche per 1 Europa; quindi questo strumento va rite- nuto come esotico assieme agli altri già descritti. 5. Anche quest’ azza (Fig. 3 e 4) mi sembra di eclogite, quan- tunque la durezza sia — 5 e la densità 3,46. L’ebbi dal mio bravo discepolo Fimiani, al quale fu spedita da suo zio, il sig. Valentino Amendola da Nicastro: ha quindi la stessa provenienza della precedente, della valle del Lamato, versante dal Mar Tirreno, ha però di quella dimensioni maggiori. IDi lunga mill. 125, larga 46 e grossa 25. Il tagliente è ben conservato, quantunque sia alquanto inclinato, forse per consumo anteriore. Sopra i tre quinti della parte. superiore è piuttosto scabra, !) Bombicci, ,Corso di Mineralogia“, vol. I, pag. 483, — 496 — per adattarsi più facilmente al suo manico, nella inferiore invece è levigatissima ed è in questa che fa risaltare la tinta verde oscura con macchie rosso ruggine. 6. Quest’azza fu trovata nel fiume Corace dal sig. Ciro De Mauro, ufficiale telegrafico, che gentilmente me la regalò. Ha forme molto eleganti e la pulitura accuratissima fa vedere la massa che la compone, che in modo migliore ci è appalesata dalla frattura sulla parte destra. (Fig. 5 e 6). Essa è lunga mill. 102, della massima larghezza di 49 e dello spessore di 28. Correndo il Corace sotto Tiriolo e precisamente separando i così detti colli dei Comuni dal monte che porta Gimigliano, deriva probabilmente dalla prima borgata, che finora ha fornito il maggior numero di queste armi e di questi strumenti. Intacca debolmente il feldispato, ma è intaccata dal quarzo, quindi durezza = 6..... 6,9 e la densità 3,17. Questa roccia sotto la lente ha qualche rassomiglianza colla Cloromelanite, ma la densità 3,17 è molto al di sotto di quella della Cloromelanite. Dà deboli scintille all’ acciarino, proprietà che osserviamo appunto nei minerali, la cui durezza sta fra il feldis- pato ed il quarzo. Staccato un piccolo pezzo là ove presentavasi già una frattura e, preparato come piastra polita, mostra un’ effigie affatto ina- spettata. La pasta, che appartiene al sistema clinorombico, è violacea nella parte più grossa, più spessa della piastra, ma il colore spa- risce nei margini più sottili. Ciò dimostra come sia necessario, per istudiare le roccie, di non portare all’ estrema sottigliezza le piastre polite. La parte violacea è fibrosa, in parte asbestiforme, talvolta anche lamellosa. Per questa pasta corrono vene fibrose verdiccie, che mostrano polarizzazione, come la pasta, ma non presentano come questa dicroismo: potrebbero quindi essere piuttosto pirossene che amfi- bolite. Oltre di che si vedono punti minuti opachi neri (forse ma- gnetite ?) e macchie più grandi opache grigie, che corrispondono ai punti biancastri della superficie levigatissima. — La pasta vio- lacea presenta il medesimo modo di dicroismo fra il violaceo ed il vermiglio (di rosa) rapiscente dalla Violana di S. Marcello (Valle d’ Aosta in Piemonte); la paragenesi però è differente paragonata con questa. — 497 — È vero che la densità e la durezza non sarebbero molto dif- ferenti, offrendo quella di S. Marcello 3,21 ..... 9,29, propria- mente 3,23 secondo Bombicci !) per la prima e 6 per la seconda. Essa trovasi in masse lamellari o fibrose, rarissimamente in cristalli; si riconosce per il colore violetto cupo; suol essere com- mista alla Tremolite nei filoncelli di Quarzo con Greenowite, Epidoto, Braunite ecc. a S. Marcello (Valle d’ Aosta). Secondo le informazioni che gentilmente da ultimo mi vennero favorite da un illustre professore di Germania, il quale fece Ila diagnosi di un frammento di questa azza, la roccia sarebbe molto affine al Glaucofano dell’ isola Syra in Grecia, avvicinandosi anche alla Crocidolite, specialmente per la parte violacea. Non è porò questa l’ultima parola su questa roccia, che potrebbe essere soggetto di studi continuati. 7. Azza di diorite con macchie rosse, che, piuttosto di granati, potrebbero essere il risultato della dissoluzione di un minerale ferrifero (forse l’amfibolite?). Le particelle biancastre sembrano essere di natura diversa, forse oligoclasio e quarzo. I cristalli neri presentano lucentezza submetallica. Questo strumento, molto male conservato, perchè consumato ed in molti luoghi spezzato, ha la lunghezza di 116 mill., la lar- ghezza massima di 44 e lo spessore di 35. La durezza probabile è 6, e la densità 3,04 toglie il dubbio, che si potrebbe avere a principio, che l’azza fosse di granito, perchè troppo forte per questa sostanza. Ha la stessa provenienza dei N.ri 4 e 5, perchè regalo del sig. Fimiani da Zangarone. Di forme e dimensioni diverse, ma verosimilmente della stessa ‘sostanza sono altre 4 azze, delle quali due, conservatissime, (8 e 9) mi furono favorite dalla gentilissima signorina Teresina Mancusi di Cicala, una (10) dall’ egregio Avv. Gabriele Cimino di Soveria Mannelli e 1’ altra (11) dal sig. Dom. Zangari di Sorbo S. Basile. Quella del sig. Cimino è spezzata, molto male conservata e contiene le macchie rosse in maggior numero, per la più grande dissoluzione avvenuta. 12. Questo pezzo fu da me accettato, col beneficio dell’ in- ventario; ma confortato dall’ autorità dell’ illustre prof. Fischer, passo a questo cenno descrittivo. *) Bombicci, sCorso di mineralogia“, vol. II, parte II, pag. 722 e 741. — 498 — Sembra uno strumento del medesimo periodo, come gli altri descritti, giacchè tanto le faccie larghe che le strette sono lavorate nel medesimo modo. Mancano gli spigoli acuti che più o meno bene si vedono negli altri pezzi e le superficie passano luna nell’ altra senza formarne nè d’ acuti, nè d’ ottusi. Presenta la durezza da 4 a 4,5, perchè l’ apatite scalfisce leggermente questa sostanza che sarebbe una calce con magnesia ; le anidridi solforica ed azotica fanno un po’ di effervescenza in certe venuzze bianche che si trovano alla superficie: si scioglie però in tutti gli acidi e presenta le due reazioni incirca a parti eguali. La forma di questo strumento, che probabilmente sarà stato un pugnale, il suo colorito che è cinereo-giallognolo e la qualità della roccia mi autorizzavano a dubitarne. Mi fu regalato dall’ egregio sig. Maurizio Corea, che l’ ebbe dal Marchesato, la fertile regione posta fra i fiumi Tacina e Neto, sul versante del Jonio alle pendici sudest della Sila. 13. Ciottolo trovato a Tiriolo, ove serviva per pestare il sale. Esso (Fig. 7) presenta tre spigoli, che in origine doveano essere più acuti cogli angoli diedri di 60 gradi, presentando la sezione un triangolo equilatero col lato di 58 mill., essendo la lunghezza totale del ciottolo mill. 120. È rotto nella parte inferiore e consumato nella parte supe- riore, nella quale finiva forse in calotta sferica. È interessante assai questo ciottolo pel confronto che si può istituire coi ciottoli di fiume per la pulitura che presenta, analoga alla artificiale delle azze: e nel nostro caso osservando le superficie colla lente, si può vedere e constatare la politura artificiale. mani- festandosi strie, che solo la mano dell’ uomo può aver, prodotto, non mai la reciproca confricazione dei ciottoli nei torrenti e. nei fiumi. Non posso ancora dire quale sia la sostanza, di cui è formato questo ciottolo e che mi sembra non comune: Non posseggo un pezzo brutto di quella sostanza per poterne fare la diagnosi. La prometto appena m°’ avvenga di trovare questa roccia nelle Alpi Calabresi e particolarmente nella zona cristallina della Sila, che ora devo visitare. Abbiamo già notato come la de- terminazione delle sostanze, di cui son fatti gli strumenti dell’ epoca — 499 — della pietra è una delle più difficili, e talvolta, se non si abbia sotto gli occhi un pezzo brutto colla frattura fresca, essa è impos- sibile. D’ altra parte preferisco lasciare nune lis sub judice, cioè in questione la diagnosi di una roccia, che non solo non ho trovato ancora in posto, ma neppure descritta in alcun libro di mineralo- gia, anzichè darne una che domani o dopo dovrei ritirare per aver conosciuto l’ errore in pezzi più grandi di quella stessa roccia non lavorata. | La durezza è = 4, la densità = 2,66. A bella prima 1’ avea preso per un granito a minutissimi elementi, ma la densità è troppo forte. La pasta è oscura, con lamine microscopiche di mica: levi- gata presenta la superficie quasi nera con piccole chiazze color castagno-0scuro. i 14. Della stessa sostanza mi sembra una mezza azza, col taglio magnificamente conservato, che mi fu regalata dai signori Singli- tico di Tiriolo, nonchè un martello (15) con base quasi rettangolare, alquanto rovinata, ed un fedente molto acuto, con una scannella- tura profonda 12 mill. formante un quadrante di un cerchio di. 160 mill. di periferia. Professo la mia riconoscenza per quest’ arma all’ egregio Don Giuseppe Asturino, attuale maestro della ospitalissima borgata di Cicala. 16. Altra azza, trovata a Tiriolo, mi sembrerebbe della me- desima materia, se la densità non fosse alquanto superiore, arri- vando a 2,91. Le particelle della pasta, che contiene altri minerali, non possono conoscersi bene per la loro estrema piccolezza. La roc- cia assomiglia a qualche cosa di gneis o gneis granitico decomposto. 17. Altro ciottolo levigatissimo (Fig. 8), con fratture su am- bedue le superficie, di sostanza ancora non determinata. La puli- tura di questo è maggiore di quella del precedente. Presenta una lunghezza di mill. 35, una larghezza di 54 ed uno spessore mas- simo di 22. La sua durezza è da 5 a 6; la densità 2,76. Il colore predo- minante è il verde oscuro con vene azzurrognole, con macchie nere, che si devono forse ai grani di magnetite che comprende questo ciottolo, regalatomi dall’ esimio farmacista, sig. Luigi Villelli. Posseggo altri ciottoli degni di studio e sui quali prometto parlare in avvenire. In generale essi presentano la forma ellittica, 24 — 500 — caratteristica delle alluvioni; alcuni però presentano anche la forma discoidale, regolarissima, ‘che caratterizza con tanta sicurezza il littorale del mare o dei grandi laghi. 18. Azza probabilmente di Saussurite 0 di Giadeite 0 di tutte due le sostanze unite. Il colore bianco sporco, tendente al verdo- gnolo, con strie e vene del più bel verde oliva, rende quest’ azza, levigatissima veramente superba. Basta la pulitura per poterla dichiarare esotica, anche se fosse di Saussurite, perchè quest’ ultimo minerale è stato trovato insieme alla Nefrite nel Turkestan dal sig. Hermann de Schlagintweit. Una piccola scheggia segata e ridotta a piastra polita dal- l'illustre prof. Fischer, gli mostrò una tessitura che non è mani- festamente fibrosa, come nella Giadeite. Aggiungasi che la pellu- cidità pure è minore di quella della Giadeite, quindi in complesso si potrebbe definire la nostra azza come una Saussurite. La sua durezza è da 6 a 6,5; la densità = 3,3368; la Ilun- ghezza mill. 78, la larghezza massima 41 e lo spessore 19. Rendo mille grazie per questo prezioso pezzo al distinto sig. ingegnere Francesco dei Marchesi Le Piane, che m’ assicurò fu trovato nel versante superiore di Tiriolo verso il Cosentino. 19. Azza di diorite porfirica comperata a Tiriolo, dove fu trovata. La durezza è 5..... 5,9; la densità 2,80; la enna mill. 92, la larghezza massima 40, opa spessore 23. 20. Della medesima sostanza è il martello (Fig. 9) a base e fendente, della lunghezza massima di mill. 142, dell’ altezza mas- sima di 110 e dello spessore di 70. Ha base ellittica schiacciata, un fendente acuto e le superficie magnificamente scanalate. La pasta è aligoclasica verdastra con cristalli neri-verdognoli di amfibola a lucentezza submetallica. La sua durezza è da 5 a 6 ed il peso specifico 2,714. Fu trovato nelle vicinanze di Cicala e vado riconoscente alla distinta signorina Mancusi per questo prezioso avanzo e per altri che riserbo descrivere altra volta. 21. Della stessa forma e pure di diorite porfirica è altro martello che ebbi dalla Sila, con dimensioni però molto più piccole. La diorite porfirica abbonda in Calabria: forma la base del- l’altipiano su cui sta Catanzaro, s° estende a Nord ed Ovest come si può vedere nelle due Fiumarelle e ricomparisce a Tiriolo ed oltre. 22. Azza e scalpello di un granito amfibolico o di una diorite — 501 — con mica più verosimilmente, perchè la sua densità 3,02 è troppo grande per un granito. La durezza va da 5 a 6. La parte inferiore (Fig. 10 e 11) è levigatissima a sezione ellittica, col taglio alquanto consumato; la parte superiore è scabra ed a sezione circolare. La lunghezza è di 114 mill, la larghezza 40 e lo spessore nella parte levigata 35. 23. Della stessa sostanza è il martello (Fig. 12 e 13) a punta e fendente della lunghezza di mill. 103, dell’ altezza di 98, dello spessore di 65, che fu trovato a Soveria Mannelli e che mi venne gentilmente regalato dal sig. Cav. Cimino. La sezione superiormente all’ anello rilevato è una vera ellisse. Ritengo tanto l’ azza che il martello di roccia calabrese. 24. Scalpello-azza, meglio che di un granito amfibolico, di una diorite differente però dalla antecedente. Lo comperai a Tiriolo e fu trovato sotto quella borgata verso occidente, nella valle del Lamato, sul versante del Tirreno. La durezza va solo da 4 a 5; la densità 3,042 è troppo forte per un granito. Le parti costituenti questa roccia. sarebbero: poco quarzo, feldispato bianco abbondante ed un minerale fissile che si presenta grigio chiaro, più chiaro di quello che ordinariamente manifestasi l’amfibolo, che quindi potrebbe essere amfibolo tremolite o diallagio; presenta inoltre numerosi punti neri opachi di magnetite. 25. Ben conservata e verosimilmente della medesima sostanza sarebbe altra azza di dimensioni quasi eguali, ma non così bene levigata, regalatami dal sig. Giuseppe Marini, sindaco di Pentone, al quale vado obbligato per altre. armi, che il tempo ed i mezzi ristretti non mi permisero ancora di esaminare. 26. Piccola azza di roccia certamente esotica (Fig. 14 e 15). Si fonde facilissimamente, bollendo in uno smalto opaco gialliccio. Piastrina polita mostra una sostanza omogenea, se si vogliono eccettuare alcuni punti di pirrotina ! di tessitura fibrosa ondulosa e di colore brunazzo senza dieroismo. Sembra una sostanza pirossenica, ma in grazia dei grani rossicci si potrebbe pensare al granato in una Eclogite che tanto sovente troviamo come materia delle azze preistoriche. ) Bombicci, , Corso di mineralogia“, vol. II, parte I, pag. 202, 240, 266. — 502 — La densità però che è solo di 3,043 è troppo bassa per l Eclogite ed i granelli non sono duri e sembrano per la prova chimica, che il chiarissimo prof. Fischer fece per me sulla piastrina, essere ferro ossidato pulverulento. È forse una sostanza prodotta dalla decomposizione di un altro minerale. La durezza di quest’ azza, magnificamente conservata e rega- latami dal sig. Michele La Gala, che l’ ebbe da Filadelfia, è 5,9; la lunghezza mill. 55, la larghezza 39 e lo spessore 14. 27. Azza di Cloromelanite, rinvenuta nei dintorni di Borgia e favoritami dal sig. Cesare Opipari. È di una levigatezza superba, col fendente taglientissimo ; le estremità conservatissime; ad eccezione delle superiori, della lun- ghezza di mill. 79, della larghezza massima di 48 e dello spessore di 20. i La durezza è da 6 a 7, la densità 3,457 ben rilevante per un’ azza di questa roccia rarissima, di provenienza incognita dap- pertutto. Essa non può corrispondere al Cloromelano o Cronstedite del prof. Bombicci, ') nè per la durezza, nè pel peso specifico, che nel nostro caso sono molto più forti. E poi la Cloromelanite non si è potuto finora trovare in posto, mentre il cloromelano si trovò in masse reniformi a struttura bacillare, o acicolare, sulla Limonite bruna, con Pirite nelle ganghe quarzose e calcaree del filone ar- gentifero di. Przibram (Boemia); citasi ancora a Wheal-Mandlin (Cornovaglia), in gruppetti di piccoli prismi triangolari divergenti sul Siderose mescolato alla pirite decomposta. Anche la nostra azza contiene un po’ di pirite, che benissimo sì può osservare nella frattura superiore. Nè la provincia di Catanzaro è priva di traccie dell’ uomo dell’ epoca del bronzo e dell’uomo di quella del ferro, giacchè trovansi vestigia dell’ una e dell’ altra. Se queste non furono ah- bondanti, come quelle per 1’ uomo della pietra, non occorre affati- care il cervello per conoscerne le ragioni. Il contadino piuttosto ignorante e privo di pregiudizi, come vedremo in appresso, per le armi di pietra non ha saputo finora trarne denari; ma per quelle di rame e di ferro non ha esitato un momento a convertirle in monete spicciole sonanti, vendendole per rame e ferro vecchio. Informi il ramajo che mi vendette un’ascia per pochi soldi! É accertata dunque in Calabria 1 esistenza e la lunga dimora ) Bombieci, «Corso di mineralogia“, vol. II, parte II, pag. 789. — 503 — dell’ uomo della pietra con indizi sicuri di fusione di questa anti- chissima epoca colle seguenti del bronzo e del ferro. Alla benevolenza cortese dei signori Don Antonino Greco di Vincolise, Don Antonino Rizzo di Gagliano e del mio carissimo discepolo Benedetto Mancusi debbo, se sono possessore di alcune armi di bronzo e di ferro. Riserbo far cenno delle due ultime età e di parlare più este- samente sulla prima a quando avrò raccolto vestigia maggiori ed indizî più sicuri. Non posso qui sottacere che come tutte le provincie napole- tane, così anche le Calabresi vanno debitrici all’ egregio Signore Giustiniano Nicolueci di una prima pubblicazione su questo argo- mento. Infatti nella dotta relazione, da lui fatta, al congresso in- ternazionale d’ Antropologia e di Archeologia, tenuto a Bologna nel 1871, vediamo accennato a 383 pezzi che il distinto cultore di questi studî tiene nelle sue mani, per la maggior parte della pro- vincia di Catanzaro. Fra questi vedo abbondante in prima linea la sienite, poi il granito amfibolico, indi la diorite, la quarzite, l’ afanite, un pezzo di serpentino, altro di eufotide, ed uno di fibrolite. Il sig. Nicolucci fu certamente più fortunato di me, avendo trovato ben 17 pezzi di sienite sopra 38, mentre io in un numero assai più grande non ne rinvenni alcuna. Non so se l’ egregio Signore abbia tenuto conto del peso specifico, che assai spesso cancella il primo giudizio. Invidio del pari a lui le afaniti, non avendo io finora trovato nulla di ana- logo. Rinvenni invece, come abbiamo già veduto, moltissimi stru- menti ed armi di roccie esotiche, che non sì trovano cioè non solo nelle provincie napoletane, ma neppure nell Italia e nell’ Europa stessa. A me sembra — mi perdoni il sig. Nicolucci l’ osservazione — che non dobbiamo confondere fra loro la nefrite e la giadelte, che se l’ occhio le dice perfettamente eguali, il peso specifico ben le distingue, essendo quello della nefrite da 2,957 a 3,18 e quello della giadeite da 3,32 a 3,38. Credo poi dover aggiungere quasi appendice alcune notizie sul pregiudizi, che il popolo calabrese ha sulle armi e sugli stru- menti di pietra. Dovunque sono credute punte di fulmini, cadute in terra ed i nomi che portano le vestigia del primo uomo in Calabria lo — 504 — esprimono eloquentemente. Infatti in ogni luogo sono conosciute come truoni 0 fulmini oppure sotto l’ appellativo di petre del ful- mine 0 di cugni de truono, e diedero luogo alle più strane credenze, passando dall’ una all’ altra località. Dappertutto si ritiene che sieno vere produzioni o concentra- zioni dei fulmini, che si caccino 7 palmi sotto terra, che ogni anno s’ alzino d’ un palmo e quindi ricompariscano alla superficie ogni sette anni. Si pensa da alcuni che un’ azza salvi la famiglia, che la possiede, da ogni genere di sventure compresa la casa abitata: da qui la difficoltà di indurre talvolta qualche possessore a pri- varsene. Altrove invece il contadino superstizioso, nello zappare sco- prendo un’ azza, non ha il coraggio di toccarla temendo sventura. In altri luoghi ancora si ritiene che il contatto suo salvi un ammalato dai dolori di ventre. Vi si affibbiano insomma le più strane credenze. E non è il volgo soltanto che creda ciò, ma persone tenute per colte, che m’avevano promesso qualche pezzo, pregate da me di aggiungere delle indicazioni ove furono trovate le preziose reli- quie, con un’ingenuità più unica che rara, mi richiesero, se doveano distinguere, quelle cadute sugli alberi dalle altre, cadute sulle case. Si vede che ad ogni patto gli abitanti superstiziosi sentirono il bisogno di rendersene una ragione. A persuadere poi coloro che non credono essere quelle azze, quei martelli, quegli amuleti, produzioni di fulmini, avvolgono attorno l’azza un filo od uno spago, la gettano così nel fuoco e, vedete, dicono, è un vero fulmine, qualche cosa di diabolico insomma, perchè il filo non abbrucia! Ed è naturale che non abbruci per una semplicissima ragione fisica. Le sostanze, che formano la maggior parte delle azze sono cattive conduttrici del calorico. Il fuoco riscalda il filo, ma il calore si comunica alla roccia, che forma l’ azza, e vi passa mano mano che al filo viene impartito dal fuoco. E siccome il filo ha bisogno di un altissimo grado di temperatura, perchè avvenga la combu- stione, e comunicando continuamente al corpo, a cui è avvolto, il calore che riceve, è naturale che non potrà abbruciare che dopo un certo tempo, che dipenderà da altre circostanze ancora e spe- cialmente dall’ umidità dell’ azza. — 505 — Perchè però ciò avvenga, sarà necessario che la superficie del- Pazza sia così liscia che il filo vi aderisca in tutti i punti: giacchè se accadrà che in qualche punto il filo non tocchi l’azza, in quel punto esso abbrucierà subito, come abbiamo potuto verificare in alcune esperienze fatte col valentissimo prof. di Fisica, Dr. Gio- vanni Luino, provveditore agli studi in questa provincia. Pel legno, quando presenti una superficie liscia, avviene lo stesso, solo che la combustione avrà luogo più presto e col filo abbrucierà anche il legno. Lo stesso vale per un cilindro di ferro, nel quale la combu- stione del filo avverrà assai più tardi di quello che avvenga pel filo avvolto ad un’ azza ed assai più tardi ancora che per quello avvolto ad un cilindro di legno. E ciò è naturale, perchè il ferro essendo buon conduttore del calorico, il filo trasmetterà immediatamente ad esso il calore ricevuto e questo facilmente si propagherà in tutta la sua massa, mentre il legno e l’azza non fanno altro che ricevere il calore dal filo ma soltanto in quella zona, intorno alla quale esso è avvolto. Talvolta 1’ azza è umida ed allora doventando mediocre con- duttrice del calore, il moto termico assai più facilmente si trasmette e per tutta la massa, avvicinandoci noi in questo caso al cilindro di ferro, la combustione viene ritardata. i Per distruggere i pregiudizi in proposito, ad alcuni contadini, che mi fecero vedere per la prima volta 1° esperienza del filo, or- dinai di prendere dei ciottoli lisci e ben arrotondatî di fiume, di avvolgere il filo e di gettarli nel fuoco. Il filo non abbruciò come per l’ azza; ma quella benedetta gente non si diede per vinta, disse fulmini anche que’ ciottoli, presi a caso nelle correnti! L’av- venire forse provvederà! Chiudo la presente breve memoria colla speranza di avere almeno additato agli altri la strada di fare qualche cosa su questo importantissimo argomento in queste regioni. Escursione botanica sul monte Risniak in Croazia per Michele Stossich. Un’ escursione botanica fatta da me in sullo scorcio del pas- sato luglio in Croazia, in compagnia dell’ illustre scienziato comm. de Tommasini, che ebbe la bontà d’associarmi a questa partita, mi porse il destro di visitare il monte Risniak e di raccogliere brevi dati delle sue condizioni fisiche. Già altra volta avevamo salutate quelle montuose regioni, ma assaliti da pioggie continue si dovette cedere agli elementi, e ri- tornare col dolore di aver potuto approfittare ben poco di quel viaggio, fatta proposta peraltro di tornarvi sotto migliori auspici. Partimmo il dì 14 luglio da Trieste lusingati da un tempo il più bello con firmamento purissimo, ed atmosfera tranquilla. Senonchè arrivati a Fiume il monte Maggiore celavasi in densis- sime nubi, e 1 orizzonte da Scilocco cominciava a rivestirsi di colore piumbeo, indizi questi quasi infallibili di cattivo tempo. Ed infatti nella notte del 14 al 15 infuriò un tremendo temporale, che minacciava di mandare a vuoto i nostri progetti. La mattina susseguente fummo bensì desti all’ alba per porci in viaggio, ma stante l’ insistente cattivo tempo, fu. d’ uopo differire la nostra partenza. Frattanto occupai il tempo coll’ ag- girarmi nei contorni della città, raccogliendo alcuni molluschi, che per l'umidità erano usciti dai loro nascondigli; le specie raccolte sono: Helix Lefeburiana, H. carthusiana, H. cincta, H. aspersa, H. Olivieri forma tipica, Zonites compressus, Cyclostoma elegans e Pomatas patulus. Più tardi cessata essendo la pioggia, si fece una gita verso Volosca sull’amena costa istriana. Lungo la strada vi avevano — 907 — boschetti di Quercus pubescens e di Fraxinus Ornus, con qualche ar- busto di Pistacia Terebinthus, Paliurus aculeatus e Eubus discolor, tra i quali poi s' innalzavano numerosi arbusti di Clematis Flammula L. in densi cespiti coperti di nivei fragrantissimi fiori. Negli spazi un po’ liberi ed erbosi si raccolsero molte interessanti piante, fra le quali notiamo il raro Acanthus longifolius Host, la Digitalis laevi- gata W. K. in magnifici esemplari, la Cephalaria leucantha Schr., V Helichrysum angustifoliwum D. C., Teucrium Polium L. e flavum lo Scolymus hispanicus L. il Dictamnus Framella, Asphodelus libur- micus Scop. e la Centaurea cristata Bartl. Ritornati poco dopo il mezzodì ed il tempo essendosi rimesso al bello, si decise di partire. Ed infatti poco dopo le due pomeridiane saliti in comoda vettura ci ponemmo in viaggio verso la Croazia. La gita che da Fiume sulla strada Ludovicea si fa a Mersla- Vodiéa è assai piacevole; e chi ama ricreare lo sguardo nelle hel- lezze della natura non si trova pentito d’ averla intrapresa. Qui il mare standoti a destra ora ti sembra un lago, ora ti sfugge dietro i colli, che ne vietano la vista. A sinistra, superate le prime al- ture, bello è a vedersi i paeselli posti a mezzo i monti, e le varie vallate che si succedono. Alle 3 ore si arrivò a Sving; lungo la strada si videro grandi quantità di Salvia officinalis L., Centaurea rupestris L., Allium sphaerocephalum L., Scrofularia laciniata W. K e Clematis Vitalba L. Il prossimo villaggio è Csaule (arr. 3.50) sito in amena posi- zione; è composto di molte case sparse lungo la strada; magnifico panorama godesi da questo punto; da qui 1’ occhio s’ allarga sopra tutta la catena di colli, che circondano la pianura di Grobnik ed il Kameniak; qui si osservarono le ultime piantagioni di viti e di fico. Dopo le quattro si discese nella pianura di Grobnik, celebre per la disfatta toccata ai Tartari nel 1246; essa presenta in quasi tutta la sua estensione un suolo arido e sabbioso, inquantochè tre secoli avanti formava un lago di grandi dimensioni, che si vuotò, verosimilmente in conseguenza di qualche veemente moto sotter- raneo; le piante qui raccolte sono poche ma interessanti: Parony- chia serpyllifolia D. C., Edrajanthus tenuifolius A. D. C., Teucrium montanum L., Alsine lmiflora L. fil., Sedum sexangulare, Centaurea rupestris L. (in piccolissimi esemplari, 2—3” alti) Allium sphae- roccphalum L. e Verbascum orientale Bied. Rimarchevole era pure la grande quantità di Helix obvia, la quale copriva quasi per intero il terreno. — 508 — Alle quattro e mezzo abbandonammo questi luoghi desolati, seguendo la via verso Kameniak; la strada descrive qui una lun- ghissima serpentina ed alla voltata dell’ ultimo giro, che distante due miglia alemanne da Fiume, segna l altezza di 1581‘ sopra il livello del mare. Alle 5.25 si arrivò finalmente all’ altezza di Ka- meniak stazione di riposo posta nella valle che divide il monte Kameniak dal gruppo del Risniak. Qui si, fece sosta mezz’ ora per far riposare i cavalli; noi continuammo frattanto la strada a piedi onde esaminare le condizioni botaniche di questi luoghi. Sorpren- dente fu il trovare ancora a questa altezza boscaglie di Frazimus Ornus. Le piante vedute lungo la strada furono: 1° Asphodelus albus Mill. di già sfiorito, Hyssopus officinalis non ancora in fiore, Sa- tureja montana, il Teucrimm Chamaedrys L. e montanum L., V Hype- ricum perforatum, Laserpitium Siler L., Smyrnium Dioscoridis Spreng. in frutti, la Ferulago galbanifera Koch, il Carduus collinus W. K., l’Achillea nobilis L., la Centaurea rupestris L., Cent. Scabiosa L. e la Cent. sordida Willa, della quale si appalesa 1’ origine ibrida fra le due prenominate. Alle sette ore si superò l’ altezza di 2561‘ (3 miglia da Fiume). Qui i boschi erano formati dal Fagus sylva- tica L. tra i quali si vedevano gli arbusti di Sambucus migra ap- pena in fiore. Poco dopo si giunse a Jellenie, punto d'incontro della strada Ludovicea che viene da Fiume, con quella che viene da Buccari attraversando la catena dal Trebestin. A .Jellenie dopo breve discesa, ricomincia l’ ascesa, la quale dura per circa venti minuti, fino al punto culminante della strada, cioè di 29369/,4 Finalmente dopo aver attraversati ancora alcuni boschi di faggi ed abeti, alle 8.10 arrivammo a Mersla-Vodica, stazione dalla quale dovevano aver iuogo le nostre escursioni. Si prese stanza nell’ osteria di Giuseppe Zenkovié, il quale fece il suo possibile per accontentarci; naturalmente che non si potevano pretendere i co- modi, che si trovano negli alberghi di città, però tanto le stanze quanto il vitto furono soddisfacenti. Il giorno susseguente fu de- stinato all’ ascesa del Risniak e perciò nella sera stessa si fecero tutti i preparativi e si accaparrarono due guide, Michele e Marco Battié. La notte si riposò assai poco; in primo luogo perchè es- sendo giorno di festa tutta la popolazione maschia del villaggio trovavasi radunata all’ osteria, schiamazzando fino ad ora tarda, aggiungerei. a ciò il continuo rumoreggiar del suolo sotto le pe- santi ruote dei carri di carbone e 1’ abbajar continuo dei cani. Alzatomi il lunedì di buon mattino, ultimai i miei preparativi — 509 — ed alle 6 ore si partì alla volta del Risniak; nuvoloni gravidi di pioggia venivano spinti da una forte corrente da scilocco; il ter- mometro segnava 15° R. La via presa ci condusse attraverso un’ampia vallata, deno- minata “Suha rieéina,, la quale presentava già una flora montana; le piante qui notate sono: 1’ Arnica montana, Gentiana germamica, Asphodelus albus, Veratrum album, la Spiraea Aruncus, e Phyteuma orbicularis. Continuando a salire dopo tre quarti d’ ora di cammino si giunge ad una magnifica foresta di faggi ed abeti; la via fati- cosa, erta, non era che il letto ciottoloso e sdrucciolevole di un torrente asciutto; per la copia di muschi e di foglie secche che coprivano il suolo, la flora aveva aspetto poverissimo; vi notai l’Euphorbia amygdaloides, la Stellaria nemorum, la Calamintha grandi- flora, che non manca in nessun bosco montano della costa australe adriatica fino al Montenegro; foglie di HeMleborus viridis, la Fra- garia vesca, Rubus Idaeus e varie felci. Alle otto e mezzo si giunse alla cosidetta porta dell'orso, “Medvedja vrata,, formata da alte roccie con pareti perpendicolari ad ambo i lati della strada; sopra queste roccie che sono in parte coperte da varie specie di critto- game rinvenni grande quantità di Sazifraga lasiofilla Sternb., la Clematis recta, il Galium sywestre e la Digitalis grandiflora. L’ atmosfera era oltremodo opprimente e pregna di vapori; il continuo vento cacciava densissime nebbie, che c’' impedivano di godere la vista, che secondo le guide si avrebbe avuto da questo punto: dopo breve riposo si continuò |’ ascesa. La strada percorsa sino a qnesto punto, se non buona, era almeno praticabile, ma da Medvedja vrata, in poi ogni indizio di via spariva ed erasi costretti ad aprirsi da sè un sentiero at- traverso le fitte boscaglie e fra la congerie di enormi e dirupate roccie. Dopo faticoso salire per le rupi accatastate con incredibile disordine fuori d'ogni apparenza d’ equilibrio, si arrivò appena alle nove ed un quarto alla base del cono supremo del Risniak; ma su quell’ammasso di rupi avevano trovato modo di abbarbicarsi gli abeti ed i faggi, che uscivano dagl’ interstizi tra rupe e rupe, e più fitti dapprima, si facevano radi per dar luogo al Pinus. Mughus ; la raccolta di piante fatta lungo questo tratto fu poverissima; oltre le summenzionate specie boschive, rinvenni il Lilium Martagon, I Aconitun Lycoctonum, V Homogyne sylestris, il Cirsium Erisi- thales. Molti però furono i molluschi raccolti in quest’ occasione e sono: Helix personata, H. pomatia, H. incarnata, H. intermedia, — 510 — Bulimus montanus, Pomatias patulus, Clausilia fimbriata Miihlf., Cl, melanostoma F. T. Schm. ed un’ altra specie di Clausilia, che il Dr. O. Boettger, cui le inviai, descrisse come nuova, denominandola : Clausilia pirostoma. I suoi caratteri sono: Testa peraffinis CI. succineatae Z., sed multo major, obsolete costulato-striato, costulis rarioribus; anfrac- tibus 11; ultimo antice late costulato, periomphalo albo. Apertura satis obliqua, piriformis, superne acuta, simulo pe- rangusto, margine columellari substricto, marginibus externis valde incrassato-labiatis Lamella supera recta, subcolumellaris non per- spicua; plicae palatales superae tres postice aequa longitudine, quarum superiores suturales satis longae infera principalis minor, sed triplo aut quadruplo principalem Cl. succineatae superans. Alt. 164: ato 3/05 alb. Aperti Arta rlatevapelt, 199} Hssal® drela specie la più grande di questo sottogenere, inquantochè la Cl. suc- cineata var. croatica Zigl. non arriva che a 14" di lunghezza. La vetta del Risniak presenta un esteso altipiano, circondato tutto all’intorno da altissime roccie tagliate a picco. Sopra questa specie di pianoro, il quale non è che un ammasso di roccie, s° in- nalzano cinque cime delle quali una è la più alta e forma il vero Risniak. La flora è del tutto rupestre, inquantochè mancano quei tratti erbosi, che si trovano sopra la maggior parte delle altre alpi. Fra le specie principali, che rinvenni sul cono maggiore, sa- rebbe d’ annoverarsi in primo luogo 1’ Achillea Clavennae ed il Leontopodium alpinum. Secondo il sig. Vucotinovié il Risniak, benchè notato nella carta dello Stato maggiore soltanto a 4800 sarebbe 1’ alpe la più meridionale della Croazia, sopra la quale si troverebbe il Leontopodium. Comune vi è pure il Ahododendron hirsutum, la Gentiana lutea della quale le guide fecero buona pro- visione di radici, per prepararsi la stomatica acquavite. Dalle fessure delle roccie poi sortivano bellissimi esemplari di Sazifraga Aizoon, di una varietà della Centaurea axlaris a foglie assai anguste, un Dianthus pur simile al D. petraeus W. K. ed altre interessanti pianticelle. | Il tempo già nebbioso, continuava a peggiorare; il termometro discese a 10° R.; il vento levatosi era talmente violento, che più volte dovetti chinarmi, per non essere gettato contro qualche rupe. Verso le dieci e mezzo riversò un vero diluvio di pioggia — dll — accompagnato da grandine fitta e grossa e siccome non eravi sul monte alcun ricovero, dovemmo ricoverarei a marcia forzata nel fitto del bosco onde trovare riparo. Che fare? fu forza discendere difilati per la stessa via seguendo il ripidissimo pendio. Ma se il salire era stato malagevole, il discendere fu molto più tormentoso e non scevro da pericolo. Ora un largo masso ci si frapponeva e bisognava sdrucciolare giù, abbandonandosi sul dorso; ora uno spigolo acuto minacciava di forarci un piede o di lacerarci la tibia. Il freddo crebbe all’ improvviso; la mano irrigidita a mala pena stringeva il bastone; le nostre vesti erano talmente inzuppate d’acqua che c' impedivano il movimento. Guadagnato ffnalmente il fondo della valle arrivammo all'albergo alle ore 24° pom. Il Risniak è una delle ultime diramazioni delle alpi Giulie, dette anche Giulie meridionali. Esso si trova ai confini del cosidetto carso croato, il quale ha in media un’ altezza di 2800 a 3000 piedi e si estende dai contorni di Castua sino a Povilje, cioè sino ai confini militari. Tutto questo tratto è attraversato da varie catene di monti, tra le quali il Snjsnik, poi più ad oriente la catena del Sljeme e Mlecni, poi il gruppo di monti al Nord di Jellenie, cioè il Risniak, i gruppi di monti che attorniano il territorio di Fuscine, finalmente il Bitoraj e la Wissewitza, che appartengono gia alla grande Cappella. La costituzione geologica di questo plateau è in generale cal- carea; la roccia ne è in parte bituminosa ed in parte silicica, at- traversata da potenti strati d’arenaria, la quale nelle vicinanze di Loque e Mersla-Vodiéa acquista un colorito rosso molto vivo, so- migliando di molto al “bunter Sandstein, del trias. Nelle vicinanze di Loque poi la calcare è attraversata da strati di terra. ocracea rossa, la quale forma alla superficie del suolo un terreno molto fertile. Il Risniak è uno dei monti meno conosciuti della monarchia austro-ungarica. Per la prima volta esso fu asceso dal botanico Gius. Sadler nel 1825, il quale non pubblicò il suo viaggio, ma lasciò un giornale manoscritto, che si trova ora custodito nella regia accademia di Pest. Egli prese la via del villaggio di Sernor- lugo ove pernottò, e passò pure per la Medvedja wrata. Nell’ anno 1869 lo ascese partendo da Jellenie sulla strada Ludovicea il rac- coglitore tirolese Tommaso Pichler, il quale oltre altre piante vi trovò. la Primula longiflora, colla quale probabilmente coincide la Primula farinosa indicata dal Sadler. Finalmente in quest’ anno ebbe — 512 — luogo 1’ ascensione per parte dell’ esimio botanico sig. Cav. Lodovico de Vukotinovié, quattro giorni prima della mia. A Mersla-Vodiéa si fece nel dopopranzo una piccola escur- sione verso la pianura di Loque, trovando però pochissime piante, inquantochè era già stata falciata l’erba; vi si vede copiosa la Telekia speciosa in pieno fiore, l’ Epilobium angustifolium, la Li- naria vulgaris, la Viola arvensis, il Chaerophy0lum aureum. Il giorno seguente si partì alle 8 di mattina alla volta di Fuscine, con un sole che versava a torrenti i suoi raggi mattutini. Nella contemplazione di questa magnifica giornata, confesso di avere dovuto rimpiangere l’ascesa praticata con quel terribile tempo sul Risniak. Quante scene sublimi inutilmente distese al mio sguardo ac- cecato dal bagliore dei lampi e dalle nebbie! E come avrei desi- derato di ritornare indietro per deliziarmi di quelle bellezze alpine. Elenco delle piante da me trovate ai 16 luglio 1877 sul monte Risniak. Clematis recta L. Rubus Idaeus L. Ranunculus aconitifolius L. Fragaria vesca L. Helleborus viridis L. Rosa reversa W. K. Aquilegia viscosa Trevir. Saxifraga Aizoon L. Aconitum Lycoctonum L. var. Saxifraga lasiophylla Sternbg. Vulparia Peucedanum austriacum Koch Helianthemum grandiflorum Ligusticum Seguieri Koch Polygala vulgaris L. Athamanta Libanotis L. Dianthus petraeus W. K.? Heracleum asperum M.B. Silene petraea W. K. Laserpitium Siler L. Moehringia muscosa L. Sambucus racemosa L. Stellaria nemorum L. Sambucus Ebulus L. Hypericum dubium Leers. Knautia arvensis Coult. Geranium sylvaticum L. Scabiosa agrestis W. K. Genista germanica var. inermis Galium sylvestre Poll var. Anthyllis Vulneraria L. var. austriacum alpestris Adenostyles alpina St. Cass. Spiraea Aruneus L. Homogyne sylvestris Cass. Aster alpinus L. Bellidiastrum Michelii Cass. Solidago alpestris W. K. Leontopodium alpinum Cass. Achillea Clavennae L. Arnica montana L. Cirsium Erisithales Scop. Carduus arctioides Willd. — 513 — Aristolochia Clematitis L. Fagus sylvatica L. Euphorbia amygdaloides Urtica dioica L. Pinus Mughus Scop. Abies pectinata Vel. Juniperus nana Willd. Gymnadenia conopsea R. Br. Centaurea axillaris var. alpestris Lilium carniolicum Bernh. Willd. ?? Leontodon hastilis var. alpestris Hieracium villosum L. Phyteuma orbicularis L. Rhododendron hirsutum L. Gentiana lutea L. Gentiana germanica Willd. Digitalis grandiflora Lam. Veronica urticifolia L. fil. Calamintha grandiflora Konch. Lamium Orvala L. Cyclamen europaeum L. Lilium Martagon L. Asphodelus albus Miller Veratrum Lobelianum Bernh. Asplenium Ruta muraria L. Aspidium Filix max Cystopteris fragilis Bernh. Aspidium aculeatun Aspidium Oreopteris Aspidium rigidum Aspidiun Fili faemina L. Scolopendriun officinarum. Alcune mostruosità della Flora Illirica. The difficulty of determining synonymy is now the greatest obstacle to the progress of systematic botany; and this incubus unfortunately increases from day to day, threatening at no very distant period so to encumber the science, that. a violent effort will be necessary on the part of those who have its interests at heart, to relieve it of a load which materially retards its advancement. Hooker. and Thomson: Intr. Es. to the Flora Indica, p. 11. La manìa ormai invalsa di. moltiplicare le specie all’ infinito e di andar formalmente alla caccia di forme, che presentino un qualche carattere, per quanto minimo esso sia, che lo differenzi dalla forma tipica, unicamente per la vanità di servire da padrino all’imposizione d'un nome novello, non rispetta neppure le mo- struosità accidentali. E questo rimprovero va rivolto specialmente ai naturalisti viaggiatori, che riguardando tutto quello che incontrano con occhio sempre proclive a trovarci delle novità ed accontentan- dosi dello studio superficiale d° una regione, si lasciano facilmente sedurre dall’ abito un po’ diverso d’una pianta a riguardarla come specie novella. Chiunque consideri i vasti limiti entro cui ha campo di ma- nifestarsi il polimorfismo di moltissime specie, in rapporto alle differenti influenze, che possono agire come modificatrici del tipo originale, non si meraviglierà di certo, se. una pianta offre una peluria maggiore o minore, se le sue foglie presentano anomalie di contorni, se essa appare un po’ più un po” meno ramosa ecc. ecc. Il voler fondare su questi caratteri sì incostanti, sì vaghi una specie nuova, apporta alla scienza null'altro che confusione nella pur troppo già tanto confusa sinonimia. Non obbliamo le immense modificazioni cui le piante vanno soggette in grazia della coltura e teniamoci è E iS ù > Rì È è iS | RI S S ita della «Mostruos — 519 — presente che simili agenti possono del pari agire in natura, senza che a noi sia dato sempre di constatarne la presenza. Queste considerazioni mì furono suggerite dalle recenti pub- blicazioni di alcuni naturalisti ungheresi, che trattano della nostra flora. Nella Flora di Fiume del Dr. Staub,!) troviamo annunziata una nuova Campanula, denominata dal sig. Uechtritz di Breslavia C. Staubi in onore dello scopritore. Dalla lunga descrizione datane e dalla quantità di comparazioni con ispecie del tutto estranee alla nostra flora, si sarebbe tentati d’ aspettarsi dio sa quale inte- ressante novità. Ma ahimè! qui sarebbe il caso di dire che il mi- racolo distrugge il santo; perchè un semplice sguardo alla figura che l’accompagna, ci apprende che non abbiamo innanzi a noi che una semplice mostruosità della’ Campamda pyramidalis, tanto co- mune sulle pendici del nostro Carso. Confessiamo che un forastiere, avvezzo ad ammirare la Campanula pyramidalis, degna del suo nome, alta, slanciata, nella superba venustà del suo caule d’ un metro e più d’altezza, fornito d’un centinaio di vaghissimi fiori, al vedersela capitare dinanzi così storpiata, così mingherlina, così pigmea, senza fusto e nella povertà di un paio di fiori solitari, che paiono sbucare a stento dalla radice, lo confessiamo noi pure, che egli ne deve a bella prima restare incerto su quello che veramente essa si sia. Però niuno deve avere maggiori cautele del viaggiatore nello stabilire specie novelle, dappoichè a lui per lo più difetta il tempo necessario ad investigare più davvicino le cause, che possono aver alterato l’ aspetto d’ una specie. Non è già ch'io voglia cendannare l’ attenzione, che si rivolge a queste forme atipiche, che anzi io lo credo uno studio importantissimo, come quello che ci ha da diradare le nebbie che coprono i misteriosi principî dell’ origine delle specie e dimostrare quanto incerti, quanto vaghi sono i criteri sui quali noi fabbrichiamo le differenti specie. Io condanno la falsa interpretazione che loro si ') Fiume és legkòzelebbi kòrnyékenek floristikus viszonyai. Budapest 1877. — Nella compilazione di questa flora, l’autore non si mostrò molto critico nell’ accogliere le specie. Oltre al riprodurre una quantità di citazioni notoria- mente erronee, come l’ Imperata. cylindrica, il HymenophyUum Tumbridgense, la Gaudinia fragilis, la Cortusa Mattioli, la Pistacia vera, ecc. vi mette alcune specie che ripugnano affatto al senso comune d’ogni botanico, come la Globularia nudicaulis, il Blechnum spicant, la Bartsia alpina, la Veronica aphylla, piante alpine che appena appena nel clima della Norvegia potrebbero allignare alle sponde del mare, ma non mai a Fiume all'ombra degli allori e — delle filliree! Lao) («ba | — 516 — dona elevandole a dignità di specie ed inducendo altrui nell’ errore di considerarle come specie particolari. Già 1’ avere il sig. Staub ritrovato un unico esemplare di questa Campanula rimarchevole, dovea metterlo in guardia, poichè tal modo di presentarsi è proprio per lo più delle mostruosità accidentali. Essa però è tutt’ altro che rara, ed io ricordo d’averla trovata in moltissime località de’ nostri monti, specialmente lungo le vie, ove più di sovente trovasi esposta alle influenze, che deter- minano la sua forma pigmea. Come di tutte le mostruosità, egli è difficile di trovare due esemplari identici, però di simili a quello figurato dal Dr. Staub se ne trovano dovunque e pochi giorni fa ne raccolsi a Prosecco ed al Monte Spaccato in tutte le possibili gradazioni. È probabile che il Dr. Staub debba la sua scoperta unicamente al dente di qualche animale od alla falce del mandriano, che recidendo una Campanula pyramidalis alla sua base, diede l’impulso allo sviluppo di getti serotini. 1) Ma tant'è: i forestieri d’ oltremonte venendo da noi credono di arrivare in un paese semi- selvaggio e credonsi in dovere di scoprire questa terra incognita e di farne parte al mondo civilizzato! Un altro botanico ungherese, il Dr. Borbas, quantunque dili- gente ed accurato osservatore, si lasciò pure egli sedurre dall’ abito particolare d’ una nostra pianta. Nella relazione del suo viaggio per le isole del Quarnero, °) egli ci dà una nuova specie di !') A dimostrare quali enormi variazioni possa subire la Campanula pyramidalis non crediamo inopportuno l’aggiungervi il disegno di alcuni esemplari più marcati, conservando per chi ne avesse voglia, un’intera serie di abnormità. Il tirso può apparire più o meno denso ed accorciarsi siffattamente da simulare quasi un capitolo. In altri casi i peduncoli fiorali possono allun- garsi per modo da dare alla pianta un aspetto ramoso non dissimile dallo Spartium Scoparium. In altri casi vi manca del tutto il caule ed i fiorellini escono immediatamente dalla radice, raggiungendo l'altezza di un paio di centi- metri appena. Le foglie variano pure moltissimo: dalla solita forma ovoidale, alla lanceolata, all’astata, cuoriforme, ecc. ecc. a contorno dentato od integer- rimo. Nè meno possono variare le lacinie perigonali che filiformi in un caso, divengono lanceolate o seghettate nell’ altro, o s'allargano alla base per restrin- gersi improvvisamente verso 1’ apice. Come l’estremo della mostruosità abbiamo figurato una forma fasciata, raccolta dal Comm. Tommasini a Cherso nel 1843, in cui gli organi caulini appaiono enormemente sviluppati in danno delle altre parti della pianta, specialmente dei fiori e delle foglie, che se ne giacciono sparsi qua e là senz’ordine e per lo più abortiti. ?) Adatok Arbe és Veglia szigetek nyari fiéràja koòzelebbi ismeretéhez. Budapest 1877. — 517 — Crisantemo, da lui trovato a Veglia e ch’ egli nomina Chrysantemum platylepis. Eppure io sono d’avviso che non si tratta d’ altro che del Chr. Leuchantemum, dovunque copioso. Confrontando il C’r. Leucanthemum colla figura del Chr. platylepis del Borbas, si sarebbe tentati a riguardarli come due specie diverse ed abbastanza bene distinte. Però anche quì è il caso che il miglior giudice si è quello che ha occasione di seguire tutto il ciclo di vegetazione d’ una pianta e di studiarne le cause che ne modificano l’ aspetto. Già da molti anni io aveva osservato nell'estate avanzata ed in autunno sui prati umidi di Zaule e di Muggia, in prossimità al mare, una forma strana di Crisantemo a rizoma repente, fornito di molte fibre, dal quale esciano parecchi stoloni radicanti a foglie lungamente picciuolate, varie nella forma e nei contorni, quali obovate, quali crenate o dentate, quali più o meno profondamente incise, da simular quasi una foglia pinnati- fida, e decrescenti lungo il caule. Dal rizoma esciano parecchi cauli monocefali, forniti superiormente di foglioline quasi lineari o del tutto nudo. L’involucro biseriale era formato da foglioline oblunghe più o meno arrotondate all’apice. 1) La pianta era d’a- spetto ben differente dal Chr. Leucanthemum, per una statura più umile, per i capitoli la metà più piccoli, per la forma e disposizione delle foglie. Un mese prima però su quei campi me- desimi biancheggiavano migliaia di fiori del Chr. Leucanthemum recisi dalla falce del mietitore, essi emisero una quantita di stoloni e presero quella forma, che sedusse il Dr. Borbas a riguardarli come specie novella. C. Dr. Marchesetti. !) In una recente comunicazione epistolare il Dr. Borbas mi facea notare quest’ultimo carattere come distintivo tra il Ch. Leucanthemum ed il platylepis. A ciò devo rispondere che questo carattere è tutt'altro che costante, trovandosi spessississimo esemplari del Chr. Leucanthemum genuino colle foglioline invo- lucrali perfettamente arrotondate, mentre la forma che nell’abito corrisponde al suo platylepis non rare volte appare con foglioline acute. * Studî sulla cartografia dell’ Africa. Se noi gettiamo uno sguardo su due carte generali del con- tinente africano, compilate da due differenti istituti, osserviamo tosto una rilevante differenza tanto nella delineazione idrografica, quanto nella topografica. La posizione delle più notevoli località differisce spesso per lungo tratto; i fiumi in una carta scorrono @ sinistra, mentre nell’ altra, allo stesso-sito, si. presenta una cosa tutto differente. I terreni che dividono due fiumi sono appena rico- noscibili in riguardo altimetrico. Si vede insomma che malgrado il progredimento della scienza geografica ai giorni nostri la carto- grafia dell’ Africa si trova ancora in embrione. Figuriamoci ora in qual modo vengano compilate simili carte. Solitamente esse sono elaborate con diligenza e secondo le fatte esperienze; ma là ove queste difettano, supplisce 1’ immaginazione dell’ artista e con ciò abbiamo una prima sorgente d’ errori: la delineazione di cose supposte in luogo di cose realmente esistenti. E ad allontanare tutti i dubbi che possono sorgere sul valore di tali immaginate combinazioni, gli istituti geografici dovrebbero riportare nelle loro ‘carte, soltanto quanto loro vien indicato dagli esploratori, abbandonando affatto il terreno delle supposizioni; certa- mente la carta andrà a perdere in estetica od eleganza, ma gua- dagnerà cento cotanti in valore per l’esattezza e fedeltà, ciò che più preme ed è necessario a chiunque si faccia a studiare una carta geografica. Il cartografo è la guida del negoziante, dell’ esplo- ratore ecc., e come tale deve comprendere suo primo dovere essere la più scrupolosa esattezza. Però al disegnatore soltanto non va attribuita la colpa di tale difetto; un nemico ben peggiore delle verità geografiche è — 519 — l'esploratore stesso, che non bastandogli di riportare quanto real- mente ha veduto, crea ed immagina, come il disegnatore nella sua stanza, cose non Viste. Le supposizioni di quest’ ultimo peraltro sono molto più dannose, perchè basate su relazioni dei selvaggi indigeni, che non hanno la minima idea d’una posizione geografica. In tal modo poi ha vita una carta speciale, ch’ è accolta come pregievolissima ed è adoperata dagli stabilimenti cartografici con tutto il suo contenuto di vero e di falso. Giunge nello stesso luogo un secondo indagatore, che però lavora con maggiore co- scienza ed i suoi rilievi risultano differenti da quelli del primo. A quale delle due relazioni dovrà prestar fede il disegnatore? Solitamente esso ammette l’imperfezione di tutt'e due e si attiene ad una via di mezzo procurando di avvicinarsi alla realtà. Oltre alle false indicazioni dei disegnatori e di alcuni esplo- ratori, si manifesta ancora un’altra cagione di errori. nell’ igno- ranza di gran numero di questi ultimi, i quali privi d'ogni idea scientifica colle loro false indicazioni cooperano a fuorviare; il cartografo. Se pure questi viaggiatori possiedono degl’ istrumenti,o per; 1 “più non sanno adoperarli; cionnonostante si fanno, delle sannota- zioni ipotetiche, colle quali provano dei dati. miracolosi, e privi d’ogni criterio. Malgrado ciò questi dati, vengono nuovamente utilizzati calcolandoli come positivi; anzi gli autori di questi ;diven- gono spesso celebri eroi nazionali e considerati come autorità, fino a che qualche esplorazione scientifica, mon metta in chiaro; sil loro inganno. Un'altra causa d*errori che si riscontrano nelle ;osservazioni astronomiche per la longitudine e la latitudine! /e nelle determina- zioni delle altezze sono ‘gl’istrumienti imperfetti, che soffersero-per L.influenza: della temperatura; e del trasporto; i. più,;di questi istru- ‘ménti inonfurono comparativa, compasso. con. istrumenti normali, di maniera che non se ne conoscono meanche! gli.errori costanti, risultanti dalla loro costruzione. Quale responsabilità assuma. sopra, di. sè il disegnatore di una carta, lo dimostra una, lettera dello, Stanley, che.levò tanto rumore alla sua recente comparsa In essa fra altro egli si esprime intorno ‘alle carte, che gli sono venute fra mani, nel modo seguente: sDa ultimo ho da osservare che le! carte dell’ Africa sono piene ‘d’errori che. cagionarono perdite irreparabili alla nostra spedizione. Le loro false. indicazioni costarono la vita alimio hravo — 520 — compagno di viaggio Francesco Pocock ed a 15 altri della mia gente, ed avrebbero per giunta distrutto quasi del tutto il successo della spedizione. Questi errori hanno irritato talmente il mio sistema nervoso, che a 39 anni ho tutta l’ apparenza d’ un vecchio“. Però non solo le regioni occidentali dell’ Africa centrale toc- cate da Stanley sono tanto inesatte, ma più ancora quelle del bacino del Nilo, che si ritiene come già conosciuto. Non è neppure esattamente determinata, per esempio, la posizione geografica di Chartum, la capitale ed il punto centrale del commercio del Sudan egizio. Nella carta del Nilo superiore pubblicata da Petermann, secondo i rilievi degl’ ingegneri Whatson, luogotenente inglese, ed Chippendal, ingaggiati al servizio del vice-re per lavori cartografici, trovasi situata questa città a 32° 55‘ all’ Est di Greenwich. Il luogo- tenente francese Bizemont, conosciuto pei suoi lavori eccellenti, invece, in corrispondenza con Kinzelbach, la calcola a 32° 374; dunque v'ha una differenza di 18 minuti, ovvero quasi il terzo d’un grado. Lo stesso fatto troviamo nei rilievi della latitudine: Linart Bey, cartografo egiziano, dà la cifra di 15° 27‘ 33%; invece l'inglese John Petherick trovò 15° 37/284 ovvero una: differenza di circa 10 minuti. La posizione geografica della più ragguardevole città nel bacino superiore del Nilo non è dunque esattamente precisata da potersene servire come un punto fisso per rilievi d’ esattezza. Poniamo a confronto le diverse osservazioni astronomiche fatte a Gondokoro e troveremo anche qui le più rimarchevoli differenze. Questo punto è situato secondo John Petherick . . . . a 32°28/42% all’Est di Greenwich Chippendal e Whatson . , 31° 43/464, 7 si Spekgsiea 9119 Lotto gii Dgoreri ‘De Eccoci dunque innanzi a differenze, di cui non possiamo ren- derci conto, non conoscendo il metodo delle osservazioni, nè il grado d’ esattezza degl’istrumenti adoperati. Se troviamo già grandi differenze nelle osservazioni astrono- miche, la bisogna è ancor peggiore riguardo all’ elevazione sul mare. Chartum è situata ad una elevazione di p. par. 328 secondo le osservazioni di Dovyak IWan034 4 Pency, differ. da Dovyak di + 203 p. par. > A E060 Ò Heuglin, uo 43 è SIP 2825 Ni 1202 » © Russegger, }AMOyg80:, s IOtIOTA gfal (£ 1252 è, Knzelbachi, +; Tai, ehy o» 14240 ”» — 521 — Tutte queste osservazioni si basano su livellazioni barometriche fatte coll’aneroide, col barometro a mercurio, colla temperatura dell’acqua bollente. Una livellazione coll’istrumento di precisione, operata da Sauakin a Schendy diede per Chartum approssimativa- mente 385 metri. Gondokoro è elevato sul livello del mare secondo Buchan metri 429 Kreil » © 487 differenza da Buchan + 58 m. Baker st. 2009 i DI RR pl CA Percy gr 610 n È PRES Si è convenuto di adottare l'altezza di Gondokoro a 580 metri, corrispondente alla media delle osservazioni fatte. Queste diffe- renze succedono dalla diversa maniera di osservare. Il missionario Dovyak a Chartum, per esempio, ha fatto le sue osservazioni senza prendere in considerazione, che devonsi eseguire ogni giorno alla stessa ora. Ecco una causa d’ errore, che si sarà ripetuta anche presso altri. Dippiù era ben raro che i barometri ed ane- roidi fossero stati osservati prima in un osservatorio. Oltracciò un livellamento barometrico nell’ Africa ha pochis- simo valore, atteso che si può avanzarsi sul Nilo da Chartum @ Gondokoro, in una distanza di quasi 11 gradi di latitudine, senza accorgersi d’ una grande differenza riguardo all’ elevazione sul mare pel barometro, essendo lo stato medio del mercurio a Chartum @ 7246 millimetri e a Gondokoro a 7218 mill, che risponde ad una differenza d’ elevazione di 40% metri. E naturalmente tutti questi rapporti della pressione atmo- sferica variano in pari modo su tutto il continente, cosicchè, in relazione all’ elevazione sul livello del mare, tutti i disegni topo- grafici delle nostre carte africane dànno un’idea falsa e di Fal lunga diversa dalla realtà. Le regioni dei grandi laghi equatoriali offrono trasformazioni singolari: la più recente carta del continente africano dell’ Istituto cartografico di Weimar ci mostra ancora sotto il trentaduesimo grado di longitudine orientale il bizzarro lago Baringo, secondo l'indicazione di Krapf, e addita 1’ Alberto Nyanza fino al 1. grado al sud dell'equatore. La prima indicazione, dopo più recenti inda- gini, è ora totalmente respinta. In seguito a ciò sparisce del tutto l’enigmatico lago Baringo, che si manifesta invece come un golfo del potente Victoria Nyanza. In verità però le indicazioni intorno all’ Alberto Nyanza si contraddicono a vicenda. Romolo Gessi, il quale pretende di aver fatto il giro completo di.questo lago per incarico di Gordon Pascha determina tutta la sua lunghezza con 141 e la larghezza da 50 a 60 miglia. Secondo le sue indicazioni la parte meridionale del lago racchiude un folto bosco di Ambatsch, nel quale è impossibile di penetrare. Al contrario Stanley nella sua carta originale pone l’Alberto Nyanza come la suddetta carta di Weimar ad 1° al sud dell'equatore, trova dunque il lago di 1° e 48‘ più lungo (vedi ann. schizzi). 30° 31° Grande lirasnizeone ” x è ‘ t «Signora se riesca al Valie 0 dl Bakr Grazal | (Tsdbi: Bia a i (A00 212808 | | | Alberto Nyanza di Gessi (si confronti 1’ Alberto Nyanza nella Carta di Stanley). ‘Aouers opuo99s 0STO) [PP 0s10g ne La $ È 9 enel dala ANS i; £ Ù Gif R2° ® LI ca DO Se in) ES to) BUI dd SR VALONA [lei i RATIO ST i DO N, LIA. da n è fi 1 dj (i Ù -——-4 0 pe 00€ , oCE 008 obl — 924 — Stanley qualche settimana prima del Gessi arrivava !/, grado al Sud delle supposte foreste di Ambatsch al Golfo Beatrice e constatò il lago navigabile. Intanto una nuova circumnavigazione dell’ Alberto-Nyanza ha avuto luogo sotto il comando del colonnello Maron, il quale con- ferma l’indicazione di Stanley, di maniera che tutti i risultati ottenuti dal Gessi si dimostrano come supposizioni nebbiose, delle quali meglio è non parlare. Certo è, che il Capitano Gessi, mal- grado alcuni suoi meriti distinti, non possiede personalmente sotto nessun rapporto le cognizioni necessarie per poter, senza l’aiuto di terzi, fare de’ lavori geodetici quali essi si siano. Il memorabile viaggio di Stanley segna un gran passo nel campo delle esplorazioni africane. La sua carta ci mostra il Congo come un fiume navigabile fin nel cuore dell’ Africa. La navigazione è solo interrotta in due punti da rapide cateratte. Così il commercio africano, giusta il calcolo di Stanley, ha guadagnato almeno 3000 miglia inglesi di strade naturali. Le idee che s’avevano finora sul corso del Congo sono dimo- strate affatto false. Su questo soggetto serve mirabilmente pel confronto l'annesso schizzo, che fu compilato secondo la carta originale di Stanley. Giusta le carte finora fatte il Congo scorreva al Nord del Lago di Landschi, poi al NO. e dopo essere entrate nel Lago di Sankorra, ‘prendendo una direzione occidentale, shoccava nel mare. Secondo Stanley invece il Congo è congiunto al San- korra soltanto per mezzo di un affluente, ma scorre dal quinto grado al Sud dell'equatore, verso Nord fino ad 1° al Nord dell’ equatore, e si rivolge poi gradatamente ad occidente per sboccare da ultimo in Direzione Sud-Ovest. Inoltre questo schizzo serve a confermare quanto si è detto in rapporto alle supposizioni dei cartografi. Nel 1816 una spe- dizione inglese, diretta dal capitano Tuckey, penetrò nelle regioni del Congo ed in seguito alle osservazioni fatte sul regolare e leg- giero gonfiarsi del fiume Tuckey, trasse rettamente la conseguenza che il suo corso divide i territori tanto sopra quanto sotto del- l’equatore. Quantunque le osservazioni di Tuckey non dessero luogo a dubbî, pure non soddisfecero uno scienziato inglese. Alcuni semplici affluenti vengono da lui designati come fiumi principali; le deduzioni di Tuckey furono affatto rifiutate, e così questo geo- grafo ex cathedra potè vantarsi d’aver sviato la scienza per ben — 525 — trent’ anni in rapporto al Congo, onde procacciarsi la riconoscenza ed il compenso dei suoi concittadini. Petermann nelle sue ,Mittheilungen“ crede di potere asse- gnare al territorio di Congo il problematico fiume Uelle trovato da Schweinfurth nel Monbuttù. Lo stesso corrisponde probabilmente all’ Arruwini del nostro schizzo. Il Dr. Schweinfurth credeva certo che l’ Uelle si riunisse allo Schari, il quale mette la sua foce nel Lago Tsad. Nemmeno 1’ esplorazione del Congo è frattanto così poco de- finita come quella del Nilo. Le nostre carte relative a tutti due questi fiumi africani possono essere verificate a misura che si avanzano i rilievi topografici. Sulla regione del Congo manchiamo ancora di tutto il materiale, intanto che in quella del Nilo proce- dono attive le investigazioni da parte degli egiziani. Se gli scien- ziati otterranno da ciò risultati importanti, è assai difficile il giu- dicare dalle antecedenze egiziane. Dei problemi che ci offre il bacino del Nilo, troviamo che il più > importante è quello «del Sobat. Navigabile durante la stagione delle piogge, dal Maggio all’ Ottobre, i bastimenti possono arrivare a 7° di lat. al Nord dell’ Equatore. Il signor Menges ha visitato in questo tempo il Sobat sopra un vaporetto egiziano e me ne ha fatto la seguente descrizione: ,All’imboccatura il fiume ha una larghezza di 120 metri ed una profondità di 9. Le acque sono d’ un color verde e si distinguono a qualche chilometro dall’ imboccatura delle acque del Nilo bianco. In tempi di pioggia quest’ ultimo fiume apporta dalle paludi un ammasso di erba e di terra, coperta di vegetazione, talchè il fiume ha l'aspetto d’una grande pianura ondeggiante. Il Sobat non ne trasporta che poca e da tale circo- stanza si può inferire, ch’esso traversi regioni montuose e non paludi di grande estensione“. È probabilmente all’imboccatura del Sobat nel Nilo bianco che bisogna trovare i limiti del viaggio d’esplorazione alla ricerca delle sorgenti del Nilo, per opera di due spedizioni romane nel primo secolo della nostra èra, per ordine dell’ imperatore Nerone. Le sorgenti del Sobat non sono finora scoperte e le nostre carte ci presentano un vero caos di supposizioni. Il Dr. Junker ha levato una carta di questa parte del fiume che si trova in pos- sesso egiziano. Tutte le altre indicazioni basano sulle supposizioni degli esploratori e dei cartografi. Le carte di Petermann dimo- strano tre affluenti principali, dei quali 1’ uno deve nascere. al — 526 — Sud-Est di Gondokoro, nelle montagne. Il ramo più notevole viene dalla direzione del Lago Samburu, che non è ancora conosciuto e corre al Nord nel Lago Bhair. Dopo la sua uscita esso riceve un terzo affluente dalla direzione del Nilo azzurro. La carta dell’isti- tuto cartografico di Weimar vorrebbe far nascere il Sobat nel paese di Kaffa e lo conduce per gran semicerchio al Lago Bhair. Secondo questa carta il paese di Kaffa sarebbe ancora nel bacino del Nilo, mentre Petermann vi fa nascere le sorgenti del Webb e del Juba, fiumi che sboccano direttamente nell’ oceano. indiano. In congiunzione col problema del Sobat troviamo altri che meritano tutti gli sforzi per risolverli, tanto più che per il nostro commercio hanno una grande importanza. — Non conosciamo finora che pochissimo della penisola dei Somali e dei Gallas. Diversi esploratori hanno fatto il progetto di aprire questi paesi alle scienze, al commercio ed alla civilizzazione, ma nessuno vi è riuscito. Troviamo scritto col sangue tutti i progressi passo per passo. — Il Barone van der Decken voleva profittare della strada navigabile del fiume Juba che conduce nel cuore della penisola; ma egli soggiacque sciaguratamente ad un attaccco di briganti Somali a Barderah senz’aver raggiunto la realizzazione del suo progetto. Sorte eguale toccò pel progetto del Webb a Kinzelbach, che fu ucciso a Jelledly. Burton e Heuglin non tentarono di penetrare nell’ interno della penisola, limitandosi ad esaminare le coste del mare su tutta la loro estensione. Haggenmacher aveva ingaggiata una trentina di compagni con sufficienti provvigioni, per andare alla ricerca delle sorgenti del Webb, o trovar la strada delle cara- vane per Kaffa. Ma essi lo abbandonarono appena giunti a Berbera scoraggiati dagli abitanti di questa città. Nondimeno Haggenmacher non lasciandosi punto intimidire, si affidò ad una scorta di Somali che lo guidavano avanti. Ma dopo 40 giorni di viaggio fu svali- giato di tutto; i Somali poi che gli ebbero tutto rubato, si rifiu- tarono di seguirlo, malgrado le più larghe promesse. Senza provvi- gioni ed isolato, dovette far ritorno a Berbera. — Nel 1874 egli tentava, in unione a Munzinger, l’ esplorazione di questo paese; ma tutti e due ci lasciarono la vita assaliti a tradimento: Certamente un’ esplorazione nella terra de’ Somali. e; dei Gallas sarà sempre un’ impresa arrischiata e piena di difficoltà. Questo popolo selvaggio fa di tutto per annientare gli sforzi:di. chi. vuol penetrare in quel paese. Il Somali è brigante per eccellenza. iL’ as- sassinio è per esso una prova di coraggio umano; nè; acquista Coco Sa = la stima de’ suoi concittadini chi non abbia. commesso qualche assassinio. Le carovane che viaggiano in que’ paesi contano sempre 500-2000 camelli e formano un esercito organizzato a difesa. -— Il Somali detesta qualsiasi occupazione; la caccia e la guerra sembrano sol degne di lui; ogni comodità gli è sconosciuta e sopporta egualmente il caldo ed il freddo, la fame e la sete, I dolori e la morte stessa non ispaventano questi indigeni, che si fan guerra fra loro. Ma il Somali vuol esser adulato e tiene molto alla sua nazionalità, la quale secondo lui è la prima del mondo. Gli uomini ch’esercitino un mestiere sono da lui detestati; i mestieri formano l’ occupazione di una specie di paria, dispersi dovunque nel paese, come fabbri, medici, ecc. La religione dei Somali è una specie d’Islàmismo, sebbene non vi sieno moschee in tutto il paese. — Il Somali non è perseverante se non quando trattasi del proprio interesse, ch’ei sa curare benissimo. I com- pagni di Haggenmacher, per esempio, gli dissero con una squisita ingenuità: ,,Vedi, tu sei nelle nostre mani; quanto più t’avvicini nell'interno, quanto minori si fanno le tue provvigioni, tanto peggio è per te. E per ciò è meglio che ti derubiamo oggi che domani!“ E gli esploratori devono far molto calcolo di questa cir- costanza. Essi possono dall’interno arrivare alla costa, promettendo generose ricompense all’arrivo; ma dalla costa all’ interno sarà sempre difficile, perchè il selvaggio pensa che nell'interno l’esplo- ratore non gli potrà dare tanto quanto alla costa. Quanto a me sono persuaso che nella esplorazione di questi paesi, si debba procedere su tutt'altra base; penetrando, per esem- pio, nell'interno dalla parte dell’Abissinia e procurandosi l’ appoggio del re di quel paese, che è abbastanza potente per proteggere una spedizione. Essendo organizzata l’intrapresa in simil guisa, il successo è più sicuro e si riuscirà facilmente a porre in relazione il nostro paese coll’ Abissinia. Ed ora a chi spetterà di risolvere tale problema? Noi vediamo i progressi degl’ inglesi al Sud, al centro ed all’ Ovest dell’Africa. Noi li vediamo crearsi un nuovo impero nell’ Africa quasi senza che altri se ne accorga. I francesi si sono -insignoriti di diversi punti importanti sul terreno africano, per allargare i loro commerci. La stessa Germania, pur tanto lontana dai paesi africani, ha saputo acquistarsi dell’influenza, che alimenta molto le relazioni commer- ciali, in guisa che, per esempio, la città di Amburgo, è importante pel commercio africano al pari della nostra Trieste! — 528 — E con quali mezzi si sono potuti ottenere tali risultati? Non con la forza delle armi, ma con l'iniziativa e lo spirito intrapren- dente di uomini delle scienze e del commercio, che equipaggiarono delle spedizioni di esploratori e che seppero trar profitto dai risultati ottenuti. E noi a Trieste, che abbiamo riposto tante e sì grandi spe- ranze pel nostro commercio nell'apertura del Canale di Suez; noi nella nostra felicissima posizione che forma la porta naturale di sortita pel commercio dell’ Europa centrale con l’ Africa; non tro- veremo in noi l’ energia necessaria per affermare il nostro valore? Certamente; ma bisogna fare degli sforzi ben ponderati sulla loro portata. E in questo senso un’azione di Trieste per le esplorazioni in Africa, avrebbe una importanza di primo ordine così per la scienza, come per il commercio della nostra città. J. 0. Mérch. Analisi della Pelagosite. Il minerale dolomitico compatto e di struttura mierocristal- lina si dinota per una strana incrostazione di apparenza fusa e di colore nero. Siccome il Dr. Marchesetti si riserbò la illustrazione mineralogica e geologica dello stesso minerale, mi permetto pre- sentarvi ora i risultati dell’ analisi chimica. 1 gr. dell’incrostazione nera diede: 0-0395 di 0:008 ‘, 0:012 , 0011 , 0-042 , 0:023 , 0:865 , 0:065, acqua (a 180°) carbonio (o sostanza organica) silice insolubile silicati solubili ossido ferrico allumina carbonato di calce pirofosfato di magnesio, corrispondenti a 0.04914 gr..di carbonato di magnesio traccie di alcali. Gr. 0-84 della pietra diedero poi gr. 0-:325 di anidride car- bonica. Da questi dati si calcola la composizione del minerale come segue per 100 parti: acqua ADOS AIR carbone (o materia organica) . . . 0-764 Silice: inisolubule:. 1.3 sos rono rapita 1146 Nilicce solalileta no < 6; ap. ccle ami n1:000 ossidorfertrosoreltuicio da oo! uno ufo 11 — 530 — eliminava abeti ar 200 carbonato di calcetto eee a de SZ carbonato di magnesia . . . . . 4700 alaglit ode det o io e ET anidride carbonica calcolata =. . . 38:815 anidride carbonica trovata . . . . 38690 Gr. 1:657 della pietra madre diede: ACGUB. i de i I e OI silice 9512051001 BIT90 Fe iI SmMo016 carboni aa . traccie ossido ferrico ed allumina . . . . 0:028 carbonato, .di calce... . . us ii. 0998 pirofosfato. di. maguesia.-= 6 ia 000 Gr. 3:041 del minerale diedero gr. 1:37 di acido carbonico. Quindi risulta per 100 parti del minerale un contenuto di: ACRI RAI CHIOS o. Lo 0-966 ossido ferrico ed allumina . . . +. 1.690 carbonato di calce... (208f-£) sspoa 600222 carbonato di magnesia . +... . 34:339 sostanza organica e perdita... . 0502 anidride carbonica calcolata . . . 4448 anidride carbonica trovata . . . . 45:05 Aug. Vierthaler. Rivista Zoologica. Trieste, 12 Gennaio 1878. L’embriologo Dr. 0. Biitschli, docente al politecnico di Carlsruhe, fece una serie d’interessantissime osservazioni, le quali tendono a determinare l’importanza del Blastoporus nella gastrula (Zeitschr. f. wissensch. Zool, B. XXIX, 1877). La prima parte di questo lavoro comprende il processo embrionale della Paludina vivi- para. La gastrula si forma per invaginazione, e tanto l’ entoderma quanto l’exoderma si possono distinguere diggià nello stadio della morula. Alla fine dell’invaginazione si sviluppa alla parte esterna dell’ exoderma il velo, organo tanto caratteristico per le larve dei molluschi. All’autore non riuscì d’osservare la formazione del meso- derma, però crede che si sviluppi dall’ endoderma. Le cellule meso- dermiali aumentano e ben presto formano due strati ben distinti; questi più tardi si dividono, formando così una cavità, la quale non è altro che il primo sviluppo della futura cavità del corpo. Sotto il velo alla parte ventrale della larva si forma una debole cavità, la quale rappresenta il primo sviluppo della bocca e dell'esofago. Tra endo- ed exoderma si formano due corpi ovali, solidi, i quali, secondo l’autore, non sarebbero altro che le reni primitive. La valva viene trasudata da una glandula apposita (Schalendriise), la quale si forma nella larva ancora prima della bocca alla parte dorsale, ed appena dopo questa formazione si sviluppa il mantello dall’ exo- derma nelle vicinanze dell’ apertura anale. La seconda parte di questo lavoro tratta lo sviluppo embrio- nale della Neritina fluviatilis. Le uova sono riunite in bozzoli, ed in ogni bozzolo non si sviluppa che un solo embrione; il tuorlo possiede tre vescichette direttrici, le quali sono riunite per mezzo 26 — 532 — di un sottilissimo filo; trattandole prima con carmino di Beale e poi con acido cloridrico, l’ autore fece 1’ importante scoperta, che queste veschichette contengono 2-3 corpetti; con ciò le veschichette di direzione sarebbero vere cellule con protoplasma e nucleo e l’autore dice, che esse per conseguenza non possono svilupparsi che in causa di un processo di divisione o gemmificazione. L’ ultima parte poi contiene il processo di segmentazione e la formazione delle pagine germinative in Nephelis vulgaris. Un bellissimo lavoro sopra la formazione dell’ uovo, venne pubblicato dal dottore Ihering (Zur Kenntniss der Ewbildung bei den Muscheln. Zeitschr. fiir wissensch. Zool., B. XXIX, 1877). Le osservazioni vennero fatte sopra Scrobicularia biperata; l ovario è coperto da un epitelio formato da un solo strato di cellule, le quali poi ingrandendosi formano l’ uovo; cioè il nucleo della cellula si trasforma in vescica germinativa, il protoplasma invece in tuorlo. Lo strato albuminoso e la sua membrana non sono altro che pro- dotti dell’ uovo medesimo e non di glandole accessorie. Del professore Dr. Gustavo Joseph abbiamo due interessanti lavori d’osteologia. Nel primo (Ueber die Gestaltung der knò- chernen Augenhòhle nach Scluvund oder Verlust des. Augapfels. Virchows Archiv B. 70, 1877) descrive la depressione dell’ orbita in causa della perdita degli occhi. Nel secondo (Ueber die Schléfen- linien und den Scheitelkamm an den Schideln der Affen. Morpho- logisches Jahrbuch, B. II, 1877) invece tratta sopra le linee tem- porali nelle scimmie e nell’ uomo e viene alla conclusione, che tutte le scimmie sino una certa età posseggono da ogni parte due linee temporali; che l’inferiore di queste due linee in causa dello sviluppo dell’ apparato masticatorio, s’ avvicina sempre di più alla superiore e termina col fondersi completamente in questa; che il cranio maschile di alcune specie americane mostra una cristo sagittalis abbastanza sviluppata, la quale si estende dalla gladella sino alla crista occipitalis. Sopra l anatomia delle actinie troviamo un bellissimo lavoro nelle Stfzgsber. der Wiener Akademie, B. 75, 1877, del dottore — 533 — A. v. Heider di Graz. Gli studi vennero fatti sopra Sagartia troglo- dytes Gosse, forma abbastanza comune nell’ Adriatico. L'autore si trattiene molto diffusamente sopra i singoli organi, trattandone la parte anatomica ed istologica. Interessante sarebbe 1’ annoverare che anche Heider non trovò traccie di un sistema nervoso nelle actinie e perciò conchiude che nei polipi non esiste ancora una differenziazione tra muscoli e nervi, ma che questi due elementi sono uniti e formano le cosiddette cellule neuro-musculari. Sotto il primo strato cellulare dell’ ectoderma, Heider potè constatare uno strato, formato da una sostanza finamente granulosa, la quale non mostrava struttura alcuna, nè cellule, nè fibrille; egli chiama questa sostanza, in riguardo alla sua posizione, sostanza interbasale. L’esimio professore Eilhard Schulze, che si rese già tanto benemerito alla scienza per i suoi studî e scoperte nell’ embriologia ed anatomia delle spugne, potè ultimamente confermare il parasi- tismo negli idrozoi (Spongicula fistularis, ein in Spongien wohnendes Hydrozoon, Arch. f. microsc. Anat. B. XIII). Questo nuovo idrozoo parasita (Spongicula fistularîs), che vive sopra diverse spugne del- l’Adria (Reniera, Esperia, Suberites), forma colonie, le quali si compongono di tubi chitinosi (Perisark), che trapassano la sostanza della spugna e racchiudono il corpo molle e gelatinoso (Coenosark); dalle aperture dei tubetti sortono poi gl’ idranti, che si trovano liberi sopra la superficie della spugna. Il cenosarco di questo pa- rasita presenta la medesima struttura di quello degli altri polipi, però differisce da questi ultimi nell’avere nella parete interna quattro lamelle longitudinali, formate dalle cellule endodermiali. L’autore crede che questo idrozoo non sia altro che una forma di Scyphistoma, vale a dire lo stadio agamico di metagenesi di una medusa acraspedota, avendo egli trovato una grande analogia ana- tomica ed istologica tra la Spongicola e la Scyphistoma. Un lavoro molto interessante del dottore Fr. Vejdovsky venne pubblicato nelle Sttzgsber. d. %. bohmischen Gesellsch. d. Wissensch. 1877. Esso ha per iscopo la famiglia degli Enchytraeidi, piccoli annelidi, i quali vivono in luoghi umidi, nella terra e nel legno fracido. L’ autore tratta in esteso tutta la parte bibliografica e si — basa in principal modo sopra le pubblicazioni di Ratzel. Come * — 934 — aggiunta alla formazione del sistema vascolare, annovera dei rigon- fiamenti pulsatili del vaso dorsale nel 6°, 7° ed 8° segmento, rare volte nel 5° e 6° come in Achaeta Eiseni. Alla fine del lavoro l’autore dà uno schizzo sistematico sopra questa interessante fa- miglia formandone tre generi con dodici specie, tra le quali diverse del tutto nuove. Come forma marina l’autore descrive 1’ Enchytraeus adriati- cus n. sp. trovato sotto i sassi e nella sabbia di S. Saba presso Trieste. Michele Stossich. NOTIZIE INTERNE, Seduta Direzionale del 30 Settembre 1877, ore 11 a. m. PRESENTI: Pres. Comm, Muzio de Tommasini, Vice-Pres. sig. Cav. Aless. Dr. de Goracucchi, Segr. sig. Prof. Augusto Vaierthaler, Cassiere sig. Cav. Giorgio de Eckel ed i Direttori sig.: Dr. B. Biasoletto, Prof. Fr. Dr. Friedrich, Prof. E. Dr. Graeffe, Dr. C. de Marchesetti, Prof. M. Dr. Stenta, Cav. Illuminato Dr. de Zadro. Il Segretario annuncia che le radunanze sì riprenderanno la sera 8 Otto- bre, e viene stabilito il programma delle letture da tenersi sino a tutto il Di- cembre p. v. Lo stesso prelegge la lettera di ringraziamento pervenuta alla Presidenza sociale, dalla Deputazione Comunale di Capodistria per la partecipazione della Società Adriatica ai funerali del compianto Dr. Cristoforo de Belli. Comunica quindi che, in seguito a deliberato della Presidenza, fu inca- ricato il sig. Ceccon a voler rappresentare la Società al Congresso Agrario testè tenutosi in Rovigno. Sl sig. Mérch chiede d’ essere ammesso quale socio effettivo, e contempo- raneamente presenta un suo progetto di viaggio di esplorazione in Africa, chie- dendo all’ uopo l'appoggio morale della, Società e presso la locale Camera di Commercio, mentre vien pure suffragato dalla Società geografica di Vienna. Il Prof. Stenta dà lettura del progetto Mérch. Sorge disputa fra chi opinerebbe che oltre la Camera di Commercio, s'interpellassero pure i principali negozianti, perchè volessero accedere al pro- getto e coadiuvare materialmente il proponente, fra chi sarebbe del parere che a tali interpellanze il signor Mérch facesse precedere analoga lettura, — 536 — corredata di carte e di quanto facesse d’uopo per vieppiù chiarire le proprie intenzioni. Quest’ ultima proposta viene accolta unanimamente. Il Segretario comunica che in seguito alla somma di f. 500 largita dal Municipio per le esplorazioni da farsi nella grotta di Trebich, la Presidenza si è rivolta alla Direzione delle miniere d’Istria. Non si ebbe risposta; ma in Idria il sig. Presidente tenne in proposito parola con quel sig. Direttore, il quale lo assicurò che tali ricerche non condurrebbero al desiderato fine. Stando così le cose, meglio sarebbe ottenere dall’inclito Municipio che la somma assegnata venisse devoluta all’ acquisto di locali sociali. Adottato. Sopra proposta del Segretario viene stabilito che i Membri che tenessero prelezioni, abbiano a consegnare entro un mese il relativo manoscritto alla Presidenza per evitare ritardi nel corso di stampa del Bollettino. Di più viene proposto ed accettato d’introdurre questo paragrafo nello Statuto riformato che verrà presentato per la discussione nella p. v. Adunanza generale. Seduta sociale dell’8 Ottobre 1877, ore 7 pom. Presidente: Comm. Muzio de Tommasini. Il Segretario sig. Prof. A. Vierthaler partecipa la nomina a Socio effettivo del sig. Andrea Giaconi. Il Segretario dà ragguagli sull'attività sociale durante le scorse vacanze, cioè sulle escursioni fatte dai sig.i Presidente de Tommasini, Dr. Carlo de Marchesetti e Prof. Adolfo Stossich, le cui relazioni verranno pubblicate nel Bollettino sociale, come pure si pubblicheranno: una serie di analisi istituite dal Segretario stesso, nonchè una memoria del socio sig. Dr. Domenico Lovisato: Di alcune azze, scalpelli, martelli e ciottoli dell’epoca della pietra, trovati nella provincia di Catanzaro. Indi vien data lettura di una monografia del socio sig. Michele Stossich : Escursione botanica sul monte Risniak in Croazia. — 537 — Seduta sociale del 15 Ottobre 1877, ore 7 pom. Presidente: Comm. Muzio de Tommasini. Il Segretario notifica l'aggregazione dei nuovi soci sig.: Pietro Machlig, farmacista J. O. Mérch. Indi il socio sig. G. C. Bottura prelegge una memoria: Cenni di clima- tologia. Seduta sociale del 22 Ottobre 1877, ore 7 pom. Presidente: Comm. Muzio de Tommasini. Il Segretario presenta ai convenuti il nuovo socio sig.: Prof. Giovanni Peresini. Il socio sig. J. O. Mérch dà ragguaglio: Sulle esplorazioni nell’ Africa Seduta Direzionale del 28 Ottobre 1877, ore 12 merid. PRESENTI: Presidente: sig. Comm. Muzio de Tommasini, Vice-Pres.: sig. Alessandro Dr. de Goracuchi, Segretario: sig. Prof. A. Vierthaler, Cassiere: sig. Cav. Giorgio de Eckel ed i Direttori sig.i: Prof. Fr. Friedrich, Prof. Ed. Dr. Graeffe, C. Dr. Mar- chesetti, Dir. Fr. Dr. Paugger, Prof. M. Dr. Stenta e Prof. A. Stossich. G. C. Bottura, Attuario. Il Segretario prelegge il programma per l’ erezione del monumento dedi- cato al fu Dr. Bart. Biasoletto senior; programma. comunicatogli dal Dr. de Marchesetti e col quale si fa appello alla Società, perchè voglia concorrere alla relativa spesa. Fra il Presidente ed i convenuti si viene all’ accordo che la sola Dire- zione concorra coi propri mezzi allo scopo. — 538 — Indi il Segretario dà lettura del progetto con cui il socio sig. J. O. Mòrch vorrebbe che qui si istituisse un Comitato, il quale avesse a mettersi in corri- spondenza con quelle Società ch'egli credesse meglio opportune, affine di per- trattare sui modi d’ intraprendere una spedizione nell’ Africa. Ne è demandato lo studio ad una Commissione che risulta formata dai sig.i Prof. Dr. Graeffe, Prof. Dr. Stenta, Prof. A. Vierthaler, Dr. de Marchesetti e Cav. de Eckel. Il sig. Presidente propone che sull'argomento sarebbe da rivolgersi anche alla Spettabile Camera di Commercio. Approvato. — La seduta è levata. Seduta sociale del 21 Novembre 1877, ore 7 pom. Presidente: Comm. Muzio de Tommasini. Il Segretario presenta i nuovi soci sig.i: Prof. G. Peressini e Paolo Kugy. Il socio Dr. Bart Biasoletto espone: alcune reazioni mediante la Tin- tura di Campeggio. Indi il socio Prof. Stossich dà lettura di una particolareggiata sua me- moria sopra una escursione per la catena montana del Velebit in Dalmazia a scopo di studi scientifico-naturali. Seduta sociale del 3 Dicembre 1877, ore 7 pom. Presidente: Comm. Muzio de Tommasini. Il Segretario presenta il nuovo socio sig.: Dr. Perco Guglielmo senior. Il socio sig. Prof. Graeffe parla Sul? anatomia di alcuni Echinodermi, presentando vari saggi di Oloturie. — 539 — Seduta sociale del 17 Dicembre 1877, ore 7 pom. Presidente: Comm. Muzio de Tommasini. Il sig. Dr. C. de Marchesetti parla: Su alcune mostruosità della Flora del Litorale e tiene poscia un discorso: Sulla situazione det Pucinum (già de- stinata per la pubblicazione nell’, Archeografo Triestino“). Seduta Direzionale del 23 Dicembre 1877, ore 11'/, a. m. Presidente: Comm. Muzio de Tommasini. Dichiarata aperta la seduta, l’on. sig. Presidente ringrazia il corpo della Direzione pel contributo all’ erezione del monumento da erigersi alla memoria del benemerito Dr. Bartolomeo Biasoletto padre del nostro egregio Direttore. Oltre il sig. Presidente contribuirono colla somma complessiva di f. 43, Bar. C. de Pascotini, Dr. Aless. Cav. de Goracuchi, Dr. A. Menzel, Dr. E. Gnad, Dr. C. de Marchesetti, Dr. E. Prof. Graeffe, Prof. A. Vierthaler, Prof. Fr. Dr. Friedrich, Prof. M. Stenta, Cav. G. de Eckel, Prof. V. Dr. Farolfi, Dr. F. Paugger Dirett. dell’i. r. Accademia, Cav. Illuminato Dr. Zadro, G. C. Bottura. Il Segretario giustifica l'eccedenza della spesa dell’ ultimo Bollettino. Il sig. Bar. de Pascotini, appoggiando una osservazione del Segretario, opina che i manoscritti da stamparsi nel Bollettino, debbano essere consegnati in ogni loro parte compiuti al Segretario, il quale solo è incaricato di passarli alla tipografia. Approvato unanimamente. Il Segretario propone che venga redatto un Regolamento Interno, del quale finora la Società era mancante. Approvato. Si stabilisce l’ordine del giorno per la seduta generale da tenersi il giorno 7 Gennaio p. v. alle ore 11 a. m. L’ ordine del giorno riesce stabilito come segue: 1. Resoconto sull’operato della Direzione cessante. 2. Approvazione di un regolamento interno. 3. Consuntivo dell’anno 1877. 4. Preventivo pel 1878. 5. Elezione della nuova Direzione. Infine il Segretario presenta la seguente lettera, pervenutagli dal Socio sig. Mòrch: — 540 — Wohlgeboren Herrn Prof. Vierthaler. In Betreff der Afrikaexpedition habe ich mich zum Zwecke weiterer Son- dirungen des Feldes in Wien an Herrn Lechner, einen ganz zuverlàssigen Mann, gewandt und es hat mir derselbe die Freundschaft erwiesen, an massgebender Stelle sich zu erkundigen, ob weitergehende Unterstitzung wohl zu erwarten sei. Die Antwort lautet wenig tròstlich fiir mein Project. Es wiirden, fiùhrt Herr Lechner aus, alle Anstrengungen zur nachhaltigen Unterstitzung Marno’s. gemacht, welcher, von Zanzibar aus, dem Herzen Afrika’s zudringt, und alle Kràfte werden zu diesem Zwecke benòthigt. Einmalige kleine finanzielle Unterstitzung. sei Alles, was erhiiltlich wàre im gegenwàrtigen Moment, indem man den Oester- reicher, gegeniber dem Landesfremden, nicht benachtheiligen kéònne; indem ferner alle Cassen leer seien. Sollte ein Gesuch an die afrikanische Gesellschaft und an das orientalische Museum gelangen, so sei ein abschlaàgiger Bescheid unter sissen Worten sicher. — Mich bringt das nun allerdings nicht ins Ver- zagtsein; nichtsdestoweniger glaube ich vorliufig mein Project zuriickziehen zu sollen und auf spiter gelegene Zeit zu vertagen. Erringt Marno einen durch- schlagenden Erfolg, so dirfte die Stimmung im Allgemeinen der ganzen For- schung nur eine giinstigere werden; sind seine Resultate nur mittelmàssig, so wird damit fir mich nichts verloren sein und man wird mir nicht vorwerfen, ich hàtte die Erfolge Jenes verhindert, indem ich die Krifte zersplitterte und ihm daher die Mittel nicht zugesandt werden konnten. Ich bitte demgemtss, mein Programm zuriickzuziehen; ich werde damit auch Gelegenheit gewinnen, allgemach hei den Herren Directoren nàher bekannt zu werden und nicht versàumen, das Erforderliche zu leisten, um meine Befahi- gung zu documentiren. Ich werde Ew. Wohlgeboren den Brief personlich unterbreiten, hoffe auch Nachrichten ans Prag und Pest dann zu produciren. In ausgezeichneter Hochachtung Ew. Wohlgeboren ergebenster TRIEST, 28. November. J. 0. Mérch. Con ciò viene naturalmente sciolto il Comitato costituitosi nella seduta del 28 Ottobre, che aveva l’incarico di presentare alla seduta generale il pro- getto di un viaggio nell’ Africa centrale. Seduta Direzionale del 4 gennaio 1878, ore 6 pom. Presidente: Comm. Muzio de Tommasini. Il Segretario comunica la lettera di ringraziamento del Comitato promotore dell’ erezione del monumento Biasoletto ; — 941 — TRIESTE, 22 Dicembre 1877. Spettabile Direzione! Il Comitato sottoscritto rende le più sentite grazie alla spett. Direzione della Società Adriatica per il generoso contributo con cui volle concorrere al- l'erezione del monumento al defunto Dr. Biasoletto. Coi sensi della più alta stima e riconoscenza Pel Comitato Promotore C. Dr. Marchesetti — Vittorio de Rin. Quindi. prelegge il progetto di Regolamento interno da proporsi alla Seduta generale, il quale, salvo qualche temperamento, venne accettato. Si stabilisce il preventivo da presentarsi per l’anno 1878. SEDUTA. GENERALE ANNUA tenutasi il giorno 6 Gennaio 1878, alle ore 11. a. m. Presenti: La Direzione cessante e 30 soci. Presidente: Comm. Muzio de Tommasini. Il Presidente apre la seduta col seguente discorso: sAggradite, egregi Signori ed onorevoli Colleghi, un affettuoso saluto dall'uomo, cui per atto di vostra deferenza anzichè per i di lui scarsi meriti, fu concesso l’onore di presiedere alla gestione sociale, egregiamente sostenuta dalla vostra Direzione nell’anno testè decorso. Scorgerete in fatto, spero, dall’ esposizione che ora vi sarà presentata, il regolare andamento della Società, e come essa progredisca a quella meta che forma oggetto dei comuni nostri desiderî. Ci è in questo riguardo di particolare compiacenza l’avvertire che, aumentasi annualmente la schiera di giovani nostri concittadini, questi seguendo le orme di illustri antecessori, ed animati da fervoroso zelo, procedono nel vasto campo delle scienze naturali, e già vengono annoverati fra i distinti cultori dei vari rami di esse. Ed a me in particolare, cui si presenta prossimo l’estremo termine se- gnato dalla legge di natura alla vita dell’uomo, è dolce conforto lo scorgere che stante il genio progrediente per le scienze fisiche, viene oramai assicurata la stabilità dell'istituzione sociale fra noi fondata pochi anni addietro. Questa certamente non farà difetto, ove sia favorita dal vostro costante e solido ap- poggio, onde quella, che a noi è patria reale od adottiva, possa avvantaggiarsi e gloriarsi di possedere nel suo seno una istituzione propria e libera, dedicata = ‘por allo studio delle scienze naturali: istituzione della quale, per lo spirito dei tempi moderni, la nostra Trieste ad altre pari, non deve nè può rimanere priva“ Dopo sì nobili parole, scoppiò salva d’ applausi generale. Il Segretario dopo avere riepilogato l’attività scientifica sociale e quella speciale della Direzione durante l’or decorso anno sociale, comunica che la Società si compone di: Soci onoraripuissconozit’a safiettetia diqghp(18 » effettivi residenti a Trieste .. . . 254 P 5 5 fuori di Trieste . 49 3514 Corftisporidenttit ro. [11920 TIRI IK 0 Totale. . -. . 924 quindi in confronto dell’anno precedente un aumento di 35 soci effettivi. Siccome secondo il $ 9 del vigente Statuto nell'adunanza generale ha luogo la nomina dei soci corrispondenti, il segretario propone quella del sig. Barone F. de Thiimmen, reputatissimo micrologo e già collaboratore insigne del Bollettino sociale. Lo stesso presenta quindi il seguente Elenco delle 120 Società scientifiche con le quali si ha lo scambio degli stampati. Austria. Baden (presso Vienna) — Afrikanische Gesellschaft. Bistritz (Transilvania) — Gewerbeschule. Brinn — Naturforschender Verein. Budapest — Musée national de Hongrie. Gorizia — I. R. Società Agraria. Graz — Naturwissenschaftlicher Verein. Herrmannstadt — Siebenbirgischer Verein firr Naturwissenschaften. Innsbruck — Ferdinandeum fur Tirol und Vorarlberg. Klausenburg — Gazzetta botanica ungherese. Linz — Verein fir Naturkunde in Oesterreich ob der Enns. Praga — Kémgl. bohmische Gesellschaft der Wissenschaften. Rovigno — Giornale della ,Società Agraria Istriana“. Trieste — Società Agraria. Vienna — K. k. Akademie der Wissenschaften - K. k. Geologische Reichs-Anstalt. i Wissenschaftlicher Club. 5 K. k. Zoologische botanische Gesellschaft. È Verein zur Verbreitung naturwissenschaftlicher Kenntnisse. Germania. Altona — Naturwissenschaftlicher Verein. Bamberg — Naturforschende Gesellschaft. Berlino — Kénigl. Preussische Akademie der Wissenschaften. b Botanischer Verein der Provinz Brandenburg. — 543 — Bonn — Naturhistorischer Verein der Preuss. Rheinlande und Westphalens. Chemnitz — Naturwissenschaftliche Gesellschaft. Darmstadt — Verein fur Erdkunde. Dresda — Kais. Leopold. Carol. Deutsche Akademie. % Naturwissenschaftliche Gesellschaft , Isis“. Erlangen — Physikal-medicinische Societàt. Francoforte s. M — Senckenbergische Naturforscher-Gesellschaft. Friburgo (in Brisgovia) — Gesellschaft fiir Beforderung der Naturwissenschaften. Fulda — Verein fiùr Naturkunde. Giessen — Oberhessische Gesellschaft fùr Natur- und Heilkunde. Gorlitz — Oberlausitzische Gesellschaft der Wissenschaften. È Naturforschende Gesellschaft. Greifswald — Naturwissenschaftlicher Verein von Neu-Vorpommern und Riigen. Halle — Naturwissenschaftlicher Verein fùr die Provinzen Sachsen u. Thuùringen. Hanau — Wetterhausche Gesellschaft fir gesammte Naturkunde. Hannover — Naturhistorische Gesellschaft. Heidelberg — Naturhistorisch-medicinischer Verein. Jena — Medicinische naturwissenschaftl. Gesellschaft. Karlsruhe. — Naturwissenschaftl. Verein. Kiel — Naturwissenschaftl. Verein fir Schleswig-Holstein. Konigsberg — Physikalisch-6konomische Gesellschaft. Magdeburgo — Naturhistorischer Verein. Metz — Société d’ Histoire naturelle de la Moselle. Monaco — Kénigl. Bair. Akademie d. Wissenschaften. Miinster — Westphàalischer Provinzial-Verein fiir Wissenschaften. Offenbach a. M. — Verein fur Naturkunde. Passau — Naturhistorischer Verein. Ratisbona — Zoolog.-mineralogischer Verein. Stuttgart — Verein fir vaterlind. Naturkunde in Wiirttemberg. Wirzburg — Sitzungsberichte der Physikalisch-medicinischen Gesellschaft. Zwickau — Verein fùr Naturkunde. Italia. Catania — Accademia Gioenia di Scienze Naturali. Firenze — Società entomologica italiana, E R. Museo di Firenze. Genova — Società di lettere e conversazioni scientifiche. p Museo Civico di Storia Naturale. Lucca — Academia Reale di Scienze, Lettere ed Arti. Milano — R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Modena — Società dei Naturalisti. Napoli — Accademia di Scienze Fisiche e Matematiche. È Reale Istituto d’incoraggiamento alle Scienze Naturali, Economiche e Tecnologiche. Padova — Società Veneto-Trentina di Scienze Naturali. Palermo — R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti. Pesaro — Osservatorio meteorico e magnetico. Pisa — Società Malacologica. — 544 — Pisa — Società Toscana di Scienze Naturali. Roma — R. Accademia de’ Lincei. Li R. Comitato Geologico d'Italia. Svizzera. Aigle — Société Murithienne du Valois. Basilea — Naturforschende Gesellschaft. Berna -- Schweizerische Gesellschaft fiur die gesammten Wissenschaften. Hi Allgemeine Schweizerische Gesellschaft fiir Naturwissenschaften. Graubindten-Chur — Naturforschende Gesellschaft. Neufchàtel — Société des Sciences Naturelles. S. Gallo — Naturwissenschaftliche Gesellschaft. Schiaffusa — Société entomologique Suisse. Francia. Amiens — Société Linnéenne du Nord de la France. Lione — Société d’ Études scientifiques Nancy — Académie de ,Stanislas“. Parigi — Société de Géographie. Rouen — Société des Amis des Sciences Naturelles. Belgio. Bruxelles — Académie Royale des Sciences, Lettres et Arts de Belgique. $ Société Malacologique de Belgique: » Société Entomologique de Belgique. ci Société Belge de Microscopie. Liegi — Société Géologique de Belgique. Paesi Bassi. Amsterdam — Accademia Reale di Scienze. Haarlem — Société Hollandaise de Sciences. Leida — Société Neerlandaise de Zoologie. Danimarca. Copenhagen — Académie Royale. Lussemburgo. Lussemburgo — Institut Grand Ducal. Inghilterra. Edimburgo — Royal Physical Society. Londra -- Royal Society of Sciences. Russia. Dorpat — Naturforschende Gesellschaft. Helsingfors — Finska Vetenkaps Societeten. Mosca — Kaiserl. Gesellschaft der Naturforscher. Pietroburgo — Académie Impériale des Sciences. — 545 — Svezia e Norvegia. Cristiania — Kondelige Norske Universitet. Portogallo. Lisbona — Central Permanente de Geographia. Egitto. Cairo — Société khédiviale de Géographie. Indie Inglesi. Calcutta — Asiatic Society of Bengal. Indie Olandesi. Batavia — Koninghke Naturkundige Vereeninigung in Nededuntsch-Indie. Giappone. Yokohama — Deutsche Gesellschaft fir Asiatische Forschung. Stati Uniti. Boston — Society of Natural History. Chicago — Academy of Sciences. Filadelfia — Academie of Natural Sciences. Francisco (San) — California Academie of Sciences. New-Orleans — Academy of Sciences State of Luisiana. Washington — U. S. Coast-Survey Office. Pi Smitsonian Institution. Australia. Sydney — Royal Society of New South-Walles. yaney Esposto così il quadro dell'attività sociale, lo stato presente della Società, il numero cospicuo delle Associazioni scientifiche sì nazionali che estere, con cui si ha lo scambio degli stampati, la diffusione ognor crescente che ha il Bollettino sociale, dalle quali circostanze tutte ridonda lustro e decoro alla città nostra, ma nel tempo stesso spese di stampa di giorno in giorno sempre maggiori, a sopperire alle quali non basta il mite canone vigente sin qui, il Segretario propone che quelli fra i soci cui maggiormente interessano le pub- blicazioni volessero spontaneamente concorrere a far fronte alla eccedenza di spesa. Conchiude poi il suo rapporto notificando come la Direzione cessante abbia già incamminato trattative con la Spettabile Camera di Commercio, affine di ottenere da essa, possibilmente ancora nell’anno incipiente, un locale adatto per i convegni sociali. Il resoconto del Segretario fu accolto con segni di approvazione da parte dei Presenti. & Il socio sig. Dr. Lorenzo Lorenzutti propone che il canone annuo sia portato da 5 a 6 fiorini. x — 546 — Il socio sig. Eugenio Pavani scorge un pericolo per l’esistenza della Società nell’aumento del canone, e sarebbe d’avviso perciò che l’oblazione spontanea, oltre il canone, ingiustamente graviterebbe soltanto sui soci collabo- ratori, equità quindi vorrebbe che venisse estesa anche a tutti gli altri soci. Il socio sig. Dr. Antonio Vidacovich, rispondendo ai preopinanti, dice essersi recentemente verificato il caso che una Società triestina versante in istrettezze finanziarie, elevò alquanto l’annuo contributo dei soci, e non per tanto, non che scemare, il numero di questi s’ accrebbe. Il Segretario osserva che il momento non sarebbe ora opportuno di sta- bilire l'aumento, essendo questo da stabilirsi in generale seduta, previo avviso nel relativo ordine del giorno; si associa però alle proposte dell’on. sig. Pavani. Il Presidente mette a voti: 1. Se la entrante Direzione abbia da proporre per la prossima radunanza generale l'aumento del canone; 2. Se in ogni caso si abbia da fare un appello aì singoli sig. ni es una spontanea obblazione. L’uno e l’altro punto vengono unanimamente accettati. Il Cassiere presenta il Resoconto della gestione per il 1877 ed il Pre- ventivo per l’anno in corso come segue. — 547 ‘94908SVO TOUNT OP OISIO1N) *8L8T OTRUUY) 9g ‘oqsorIz, STRO «+ * {our 9 o1S1019) vawmgasae vg lag 0° 3 |: Sine ed « “. OAONI 07U09-E-0pjoers TUO SR "®© 4 2020947 DULSIAVI “P ‘QI889990 ] MOT ‘8181 ‘8L8I ‘90 | #22 J ‘90 | 9#LG 9 Taloe «| * > * | * * 0AONU 07U00 è 0ppvs dog ire ° °° * pi «°° * 0poUf 9) d0d duo -150dstp maonUu D IS4MW0SOI OT co CF “ . ° O . . . ° 6 "N L181I YOLZIMAO 1208 80| IG 19 e “ SEO « eqposseo —“ OF I «|: - pong ® ouorzipads , “ zL| gg “ |° * ‘ @5tdrp cuswoua; “ OT| I « | - uo equpos e] 19d osadg — | o00c £ | REA fe È UIgSI 03 I «Je... pds vIasIgI] Ip 199018 eIop egmiquorgerd —|9 3 |: * * ouue.p odto eI0ueN ©] 1od 07043820077 001929 ICE ‘amwpsionigs asadg | —| ocx “ |: sa *. *, *.* 0319S0Idì Ip: 0109} # — pot a | e Peo E “ —94UNIbOrNT PH PAOrO) OLSI01) ep oss0IuT T9. 9881 “| e + quoo sedde ‘g0diumas lee 83... | "n fd aggio? — | 5ge “ =. pg greloa c Ra RE Ie BERE TIVA VIKOG 2552422UT 251 geo ae È L; La - OAI9G ]e pi ilo e ala “ ee € Turegsg —_| 073 3 |ZL8T Oreuu85) 1 [ep oLIENIFV.ITE —i09gI e n se ATI ZE TuxZU] -LUOVZOAFUNURT pit epcsstuela coiro6 > È «4281 f Gzilep “<= stre, * [2 tuoueo ossepur.ped'* € — | OT 3 |" 190S & EP OL8I IBp IMEIPRITY ui ezi £ . ne serrande sbro # BI|GISOd292d48 :2UOUDI ISSDIUT Ur IL deli * ®© | FIOM ‘9@S9] @ etrortoouo ip asadg || gc| 957 3 | atti "DEBT TOP VSSVI POS "LAST 'LL8I *VLI1OS “epeapug ‘IIeuNn peu OZUoros IP eorqerIpy 2301008 EITop VSSVO 0UAIT 1YO OLLVUILSI 27 PREVENTIVO PELL’ ANNO 1878. Entrata. Sortita. Incasso supp. da 290 Soci interni del 1878 .| f 1450 |—| Per Riporto saldo dal 1877 . . . . . . .| f. 9979 » ” 33, {esterni n co cagionati , Spese postali ed incassi canoni . . . .| , 150 |— i » 9 , interni ed esterni } 61 n aielrati del-d007 * dh, de | Sil An Incasso straprdimario. = > >. cu gang, È » 200 all'abtmario mens. fi 205% .° . Lo s 240| al servo RIC a RE - s 60] 0 "do z > portinaio! =, > , ib. «aisore faflab: [MG Rie Spese Cancelleria e legatura libri . . . .{ > 100 |/— Stampati appar conti >. de . ..., e al 1000 Litografie , 1 GIR I » 200|— Spese straordinarie: —. d . .i. +... .| ». 61/21 f. 19395 |— f. 1935 | — Incassati p. l'accessibilità d. caverna Trebich | f. 500 | —|| Per l'accessibilità della caverna di Trebich . f. 500 | — Trieste, 6 Gennaio 1878. Giorgio de Eckhel Cassiere. — 549 — Approvati. La radunanza approva poscia interamente il seguente Regolamento interno, preletto, in forma di progetto, dal Segretario. 1. Non si spediscono gli stampati ai soci, fino.a tanto che questi non abbiano versato l’annuo canone. 2. Quei soci che non avessero pagato il canone alla fine dell’anno, verranno avvertiti mediante lettera speciale del debito che loro incombe. Se non pagano entro il 1 trimestre dell’anno susseguente, si riterranno come usciti dalla Società. La Società poi si riserba il diritto della riscossione dei canoni arretrati. d. La Presidenza fa dono degli stampati sociali ad altre Società ed Acca- demie scientifiche, collo scopo principale di ottenere in cambio le loro pubbli- cazioni. Essa può mettere in vendita gli stampati stessi, al prezzo che crederà più opportuno per ogni volume o fascicolo od estratti. Per i soci i volumi ar- retrati alla data della loro nomina verranno ceduti per la metà del prezzo. 4. Incombe al Segretario, o a chi ne facesse le veci, la manutenzione della Biblioteca. O. I soci che volessero asportare dalla biblioteca qualche libro, dovranno rilasciare ricevuta in iscritto al Segretario o a chi ne fa le veci, e non potranno trattenerlo oltre un mese, a meno che, scorso questo, non chiedano una con- cessione ulteriore. 6. Ad evitare ritardi nella pubblicazione degli stampati, i manoscritti a ciò destinati, devonsi consegnare al Segretario non più tardi di otto giorni dopo tenutane la lettura. Devono inoltre essere scritti in carattere chiaro ed in modo che in corso di stampa non si rendano necessarie copiose correzioni od aggiunte nelle rispettive bozze. In ogni caso la prima correzione spetta all'Autore, le successive al redattore responsabile. To Di ogni Memoria scientifica si stampano 50 esemplari a parte per pre- sentarne l’autore, al quale spetta poi il diritto di farne tirare ulteriormente a proprie spese, previo accordo su ciò col Segretario. 8. Affine di non sorpassare la somma preliminata per le spese di stampa, le Memorie destinate alla pubblicazione devono possibilmente rispondere al programma sociale ed allo scopo contemplato nello statuto. Dovendovisi fare delle modificazioni, queste dovranno seguire di concerto coll’autore. — 550 — 9. Alle elezioni dei Membri componenti la Presidenza, hanno diritto di parte- cipare anche soci che non potessero intervenire alla relativa seduta. In tal caso però dovranno spedire i loro voti in una scheda firmata e chiusa, la quale non potrà essere aperta che al momento della votazione. Il Socio sig. Antonio Dr. Vidacovich propone azione di grazie vivissime alla benemerita cessante Direzione, cui per generale alzata unanimi i presenti rispondono. Si passa quindi allo squittinio dei voti, ìî quali pressochè tutti si con- centrano sui seguenti signori, cioè: a Presidente: Comm. Muzio de Tommasini, i. r. Consigliere Aulico ecc. ecc. a Vice-Presidente: Cav. Alessandro Dr. de Goracuchi. a Segretario: Augusto Vierthaler, Professore di Chimica all’i. r. Accademia. a Cassiere: Cav. Giorgio de Eckhel. a Direttori: Bartolomeo Dr. Biasoletto. Prof. Francesco Dr. Friedrich. Prof. Edoardo Dr. Graeffe. Dr. Lorenzo Lorenzutti. Dr. Carlo de Marchesetti, Direttore del Civico Museo zoologico. Dr. Arturo Menzel. Bar. Carlo de Pascotini. Dr. Francesco Paugger, Direttore dell’i. r. Accademia. Prof. Michele Dr. Stenta. Prof. Adolfo Stossich. Cav. Weyprecht Carlo, Tenente di Vascello nell’i. r. Marina di Guerra. Cav. IMuminato Dr. de Zadro, i. r. Consigliere Medicinale. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Stampati pervenuti in dono alla Società. Jacopo Cavalli. La Storia di Trieste, dall’ inelito Magistrato Civico. Atti dell’ Accademia di scienze e lettere di Palermo. Vol. II. 1853, dal Duca Federico Lancia di Brolo. J. Gerson da Cunha. The english and their monuments at Goa, dall’autore (socio corrispondente). Eugenio M. Vusio. L’ olinzio, dall’ autore. Fortunato Pasquale. Sopra alcune mostruosità della Viola odorata L. e V. sylvestris Lam., dall’ autore. Brettauer Dr. G. Resoconto sanitario dell’ ospitale civico di Trieste per l’anno 1879, dal Collegio medico del civico ospitale. Schatemayer Dr. Emilio. La Dalmazia. Descrizione geografico- storica e statistica. Trieste, 1877, dall’ autore. Virchow. Die Freiheit der Wissenschaft, dal socio Nic. Nicolich. Prof. Cami Heller. Die Tunicaten des Adriatischen und Mittel- lindischen Meeres. III, dall’ autore. Hoek Dr. P. De Zvetwater-Copepoden der Nederlandsche Fauna dall’ autore. Man B. G. Onderzoekingen oder drij in de Starde levende Ne- matoden, dall’ autore. Ricevuti in cambio. Wien. — Verhandlungen der k. k. geologischen Reichsanstalt: Nr. 10. v. Hauer. Krystallogenetische Beobachtungen. — HiMWler. Die Miocanschichten von Gamlitz. — Nr. 11. Neumayr. Die Zone der Terebratula Aspasia. — Hoerner. Zur Kenntniss — 552 — der Sidalpen. — £Fademski. Geolog. Bau der Insel Pago. — Feistmantel. Mittheilungen aus Ostindien. — Al. Die Gegend .von Nigniow. Reiseberichte. — Nr. 12. Toula. Petrefacten- kunde im Wechsel-Semmering. — ZMHoernes. Zur Geologie von Steiermark. — Kock. Geolog. Aufnahmen im Rbhatikon. — Nr. 13. Fuchs. Ueber die Kriifte, durch welche die Meeres- sedimente von der Kiiste gegen die Tiefe bewegt werden. — Nr. 14. Stur. Ueber die Araucariten des nòrdl. Bihmen. — Toula. Die Grauwackenzone der nòrdlichen Alpen. — N. 15. Jentesch. Ueber Baron v. Richthofens Lòss-Theorie. — Rochata. Die alten Bergbaue auf Edelmetalle in Karnten — Wolf. Die geologischen Aufschliisse lings der Salzkammergut-Bahn. — Stacke. Geol. Karte des ésterr. Kiistenlandes. — Tietze. Ueber Lòssbildung und iber Bildung von Salzsteppen. Wien. — Anzeiger der k. k. Akademie der Wissenschaften. XVII- XXVI. Wien — K. k. Akademie der Wissenschaften. Aus dem LXXIV. G. und LXXV. Bande der Sitzungsberichte. — Jahrgang 1877: Haberlandt. Ueber die Entwicklungsgeschichte und den Bau der Samenschale bei der Gattung Phaseolus. — Kerner. Parthenogenesis einer angiospermen Pflanze. — Velten. Ueber die Folgen der Einwirkung der Temperatur auf die Keim- fahigkeit und Keimkraft der Samen von Pinus Picea du Roi. — Idem. Ueber das magnetische Verhalten von Pflanzen- zellen. — Waldner. Die Entwicklung des Antheridiums von Anthoceros. — Wiesner. VIII. Untersuchungen iber den Einfluss des Lichtes und der strahlenden Wirme auf die Transspiration der Pflanze. — Tomaschek. Zur Entwicklungs- geschichte (Palingenesie) von Equisetum. — Frisch. Einfluss niederer Temperatur auf Bacterien. — Mikosch. IX. Beitrige zur Anatomie und Morphologie der Knospendecken dicotyler Holzgewachse. — Leitgeb. Die Keimung der Lebermoosspiren in ihrer Beziehung zum Lichte. — Frisch. Die Milzbrand- bacterien und ihre Vegetationen in der lebenden Hornhaut. — Stricker. Gefissnerven-Wurzeln des Zschiadicus. — Idem. Ueber die Contractilitàt der Capillaren. — Schenk. Die Entwicklungs- geschichte der Ganglien und des Lobus electricus, mit 2 Taf. — Hein. Tast- und Gehérswahrnehmungen. — Frevd. Ueher — 593 — den Ursprung der hinteern Nervenwurzeln im Riickenmark von Ammocoetes (Petromizon Planeri), mit 1 Tafel. — Paneth. Ueber das Epithel der Harnblase, mit 1 Tafel. — Cand. med. Biedermann. Zur Lehre vom Bau der quergestreiften Muskel- faser, mit 1 Tafel. — Frilwald. Ueber die Verbindung des Nervus petrosus superficialis major mit dem Genu Nervi facialis, mit 1 Tafell — Feuer. Untersuchungen iber die Ursache der Keratitis nach Trigeminusdurchschneidung, mit 1 Tafel. — ZHoernes. Ein Beitrag zur Kenntniss fossiler Bin- nenfaunen, mit 1 Tafel. — icker. Zur Kenntniss der Ent- wicklung von Estheria ticinensis Bals. Criv., mit 2 Tafeln. — Winiwarter. Die Chylusgefisse des Kaninchens, mit 2 Tafeln. — Berger. Ueber das Vorkommen von Ganglienzellen im Herzen vom Flusskrebs, mit 1 Tafel. — v. Schaub. Ueher Chondracanthus angustatus (Heller), mit 1 Tafel. — Grobben. Die Geschlechtsorgane von Squilla mantis, Rond., mit 1 Taf. — Hatschek. Beitrìge zur Entwicklungsgeschichte und Mor- phologie der Anneliden, mit 1 Tafel. — Claus. Die Schalen- drise der Copepoden, mit 1 Tafel. — dem. Beitriàge zur vergleichenden Osteologie der Vertebraten, mit 3 Tafeln — Stecker. Zur Kenntniss des Carpus und Tarsus beim Chameleon, mit 2 Tafeln. — Kuwrz. Eunicicola Clausii, ein neuer Anne- lidenparasit, mit 2 Tafeln. — Schrauf. Mineralogische Beob- achtungen, mit 1 Tafell — Steindachner. Ichthyologische Beitrige, mit 15 Tafeln. — Ettingshausen. Die fossile Flora von Sagur in Krain. — Toula. Geologische Untersuchung im westlichen Theile des Balkan und in den angrenzenden Ge- bieten. — ZTeller. Ueber neue Rudisten aus der bòhmischen Kreideformation, mit 3 Tafeln und einer Skizze im Text. — Deschmann. Ueber Pfahlbauten im Laibacher Moor. — Naessel. Beitràge zur kosmischen Theorie der Meteoriten. — Fuchs. Ueber die Natur des Flysches. — Idem. Die Pliocinbildungen von Zante und Corfù, mit 1 Tafell — Idem. Ueber die Natur der sarmatischen Stufe und deren Analogie in der Jetztzeit und in friiheren geologischen Epochen. — Gold- schmied. Verhalten der Brallidinsàure gegen Kalihydrat. — Weidel. Ueber den Isolyt. Ueber das Cubebin. — Kisielinski. Einwirkung von Brom auf Succinimid. — Donath. Hydroxy- lamin gegen alkalische Kupferlòsung. — Lieben. Ueber norma- len Hexylalkohol und normale Oenanthylsiure. — Liebermann. — 594 — Einwirkung der Thierkohle auf Salze. — Briicke. Das Ab- sorptions - Spectrum des ibermangausauren Kali. — Et. Ueber Catechino — Lippmann und Hawliczek. Ueber das Nitrobenzoyl. Ueber die Einwirkung von Benzylidenchlorid auf Zinkstaub. Ueber kùnstliches Bittermandelòl. — Niederist. Ueber die Einwirkung von Wasser auf Haloydverbindungen der Alkoholradicale. — Spocz. Ueber die Bestimmung des Wassers in Silicaten. — Weidel und Schmidt. Ueber eine Modification der Sauer’schen Schwefelbestimmungsmethode. — Hercz. Ueber das Verhalten einiger Ketone zu Oxydations- mitteln. — Cech. Das Trichloralcyanid, ein neues Cyanid des Chlorals. — Beitrige zur Kenntniss des Chloralhydrates. — Liebermann. Ueber Metanitrobenzacetylsàure. — Hess und Schwab. Ueber die Einwirkung alkoholischer Aetzkalilòsung auf fatherartige Nitrokòrper. — Skraup. Zur Kenntniss der Eisencyanverbindungen. — Bricke. Beitrige zur chemischen Statik. — Hofmeister. Zur Kenntniss der Amidosàuren. — Maly. Ueber Sulphydantoinsiure. — Plank. Ueber das Warme- leitungsvermògen von Stickstoff, Stickoxyd, Ammoniak und Leuchtgas. — v. Lang. Ueber die Drehung der Polarisations- ebenen durch Quarz. — Stefan. Ueber Warmeleitungsvermògen von Hartgummi. — Loschmidt. Wirmegleichgewicht mit Riick- sicht auf die Schwerkraft. — Waltenhofen. Ueber den Pel- tier'schen Versuch. — Laumgartner. Ueber Verdampfung. — Exner. Ueber Diffusion der Dimpfe durch Flissigkeitslamellen. — v. Fleischlt. Methode zur Bestimmung des inneren Wider- standes galvanischer Elemente. — Goldschmiedt u. Ciamician. Modification der Dampfdichten-Bestimmung. — Lippich. Zur Theorie der Elektrodynamik. —. Ener. Uehber galvanische Ausdehnung. — Laumgartner. Zur Verdampfungsgeschwin- digkeit von Flissigkeiten. — Domalp. Zur Bestimmung der Widerstinde schlechter Elektricitàtsleiter. — Schell. Distanz- messer. mit der Basis an dem Instrumente. —. Boltemann. Bemerkungen iber einige Probleme der mechanischen Wirme- theorie. — J. Habermann. Ueber eine Modification der Dumas’schen Methode der Dampfdichten - Bestimmung. — Velten. Einwirkung stròmender Elektricitàt auf die Bewegung des Protoplasma, auf den lebendigen und todten Zelleninhalt, sowie auf materielle Theilchen iberhaupt. —. Puluj. Ueber Diffusion der Dimpfe durch Thonzellen. — 559 — Berlin. — Monatsbericht der k. preussischen Akademie der Waissen- schaften 1877 : Januar-Mai. Bol. Zur Physiologie des Sehens und der Farben- empfindung. — Hofmann. Zur Kenntniss der Xylidine. —- Oxydation aromatischer Acetamine mittelst Kaliumperman- ganat. — Zur Kenntniss des Krysoidins. — Peters. Ueber Rhinoceros inermis, Lesson. — Roth. Ueber die Ginge des M. Somma. — Beyrich. Ueber jurassische Ammoniten von Mombassa. — Vogel. Spectralphotometrische Untersuchungen. — Kirchhoff. Zur Theorie des Condensators. — Reichert. Ueber das Ende von Chorda dorsalis bei Haifisch-Embryonen. — Helmholtz. Ueber Herleitung bei Bewegungsgleichungen fiir elektrisirte Kéòrper in dielektrisch-polarisirbaren Fliissigkeiten. — Peters. Ueber Amorphochilus aus Peru u. Crocidura aus Liberia. — Ewald. Ueber die neueren Fortschritte in der systematischen Behandlung der Kreidebildungen. — Vogel. Ueher das Spectrum des neuen Sterns im Schwan. — Strehlke. Messungen der Tone kreisformiger Klangscheiben. — v. Mar- tens. Gesammlte Sisswassermollusken (Reise der Gazelle). — v. Fath. Ueber Bunsenin. — Juni. Curtius. Ueber neu ge- wonnene Resultate der athenischen Topographie und insbeson- dere iber das Pythion. — Siemens. Ueber die Abhingigkeit der elektrischen Leitungsfàhigheit des Selens von Warme und Licht. — Dove. Ueber die intensive Warme am 5. Juni 1877. — Virchow. Der Hospitaliter-Orden vom heiligen Geist, zu- mal in Deutschland. — Lorchardt. Ueber die Darstellung der Kummer’schen Fliche 4. Ordnung mit 16 Knotenpuncten durch die Gobel’sche biquadratische Relation zwischen 4 0-Func- tionen mit 2 Variabeln. — . Sybel. Ueber Graf Lehrbach. — Hofmann. Versuche ùber die Einwirkung des Chlor-, Brom- und Jodmethyls auf Anilin. — Ueber die Einwirkung des Schwefelwasserstoffs auf die Isonitrile. — Ueber das Poly- sulfhydrat des Strychnins. — Ueber Tetraphenylmelamin. — Juli. Buschmann. Ueber die Ordinal-Zahlen der mexicanischen Sprache, dritter Theil. — du Boîs-Reymond. Mittheilung ber die Riickkehr des Hrn. Dr. Sachs aus Venezuela. — Awwers. Ueber Resultate aus den Durchgangs-Beobachtungen von. Bradley s Quadranten. — Peters. Ueber die von Hrn. Prof. Dr. K. Mobius 1874 auf den Maskarenen und Seychellen, sowie iber die von Hrn. Dr. Sachs im vorigen Jahre in — 506 — Venezuela gesammelten Amphibien. — Websky. Ueber Horn- quecksilber von el Doctor in Mexico. — August. Vahlen. Ueber das Proemium des Lucretius. -—- Gross. Ueber elektro- lytische Strome durch feste Salze. — Atepert. Ueber die geographische Lage des Schlachtfeldes am Granikus. — Peters. Ueber die Ohrenrobben, Otariae, als Nachtrag zu seiner im vorigen Jahre iber diese Thiere gelesenen Abhandlung. — Grube. Anneliden-Aushbeute S. M.S. Gazelle. — Peters. Neue merkwiirdige Art von fliegenden Fischen, Exocoetus curriger, aus China und eines neuen Muraeniden, OpRichthys bitaeniatus, aus Mombas. Miinchen. — Sitcungsberichte d. mathem. phys. Classe der k. B. Akademie d. Wisssenschaften, 1877, Heft II: Zittel. Ueber den Fund eines Skeletes von Archaeopteryx im lithographischen Schiefer von Solenhofen. — Seidel. Ueber eine einfache Entstehungsweise der Bernoulli’schen Zahlen und einiger verwandten Reihen. — v. Bezold. Die Theorie der stationiren Strimung unter ganz allgemeinen Gesichtspuncten betrachtet. — v. Kobell. Versuche iber das Verhalten des Wassers in engen Riumen bei Glihhitze. Von Dr. Fr. Pfaff. — ®. Bezold u. G. Engelhardt. Ueber die Fluorescenz der lebenden Netzhaut. — . Jolly. Ueber den Einfluss des Loòsungsmittels auf die Absorptionsspectra gelòster absorbi- render Medien. Von Aug. Kundt. — ». Pettenkofer. Vorlàufige Mittheilung iber das Verhalten der Milch auf Thonplatten und ùber eine neue Methode der Casein- und Fettbestimmung in der Milch. Von Prof. Dr. Julius Lehmann. — Erlenmeyer. 1. Ueber Paramethoxyphenylglycolsàure und Parametoxyphenyl- glycocoll. — 2. Ueber palymerisirten Zimmtsauredtherthylester. Berlin. — Verhandl. des botan. Vereins der Provinz Brandenburg. Jahrgang XVIII, 1876. Heidelberg. — Verhandlungen des naturhist. med. Vereins. II. Bd., Heft l: W. Kihne. Ueber die Verbreitung einiger Enzyme im Thier- kòrper. — Leopold Weiss. Zur Flissigkeitsstromung im Auge- — Fichard Bornstein. Der Einfluss des Lichtes auf elektrische Spannung in Metallen. — E. Pfitzer. Beobachtungen ber — 557 — Bau und Entwicklung der Orchideen. — A. Horstmann. Ueber Verbrennungserscheinungen hei Gasen. II. — och. Ueher die Entwicklung des Samens von Monotropa Hypopytis L. Jena. — Zeîtschrift fiir Naturwissenschaft. Bd. XI, Heft 3: Hertwig. Ueber Leptodiscus medusoides, eine neue den Noctilucen verwandte Flagellate, mit 2 Tafeln. — Studien îber Rbhizo- poden, mit 2 Tafeln. — adi. Bemerkungen iber den Bau der Najadenkieme, mit 1 Tafel. — Oscar u. Richard Hertwig. Ueber das Nervensystem und die Sinnesorgane der Medusen. — G. v. Koch. Mittheilungen iber Colenteraten, mit 1 Tafel. — Dalmer. Die ost-thuùringischen Encriniten, mit 1 Tafel. — Schuffner. Beschreibung einiger neuer Kalkschwiàmme, mit 9 Tafeln. Frankfurt a. M. — Bericht der Senkenbergischen naturforschenden Gesellschaft. 1876-1877: Scharff. Ueber die Glittung der grauen Steine bei Naurod. — Koch. Zur Uferkenntniss des Tertiàrmeeres von Mainz. — Stricker. Ueber Haarmenschen (Hypertrichosis universalis). — Rein. Die Stromungen im nérdl. Theil des Stillen Oceans. Kiel. — Mittheilungen des Vereins nòrdlich der Elbe. 1857, 1861-62, 1863, 1866, 1868. Kiel. — Schriften des naturwissensch. Vereins fi Schleswig-Holstein. 1873, 1775, 1877. Dresden. — Sitzungsberichte der naturwissensch. Gesellschaft y1sìs“. 1377. Januar-Juni. Breslau. — Jahresber. d. schlesischen Gesellschaft f. vaterl. Cultur 1876. Erlangen. — Sitzungsberichte der physi.-medic. Societit. 9. Heft. Nov. 1879 his August 1877: Lommel. Ueber die Intensitàt des Fluorescenzlichtes. — Ueber die Kleinste Ablenkung im Prisma. — Thering. Die Gehòr- werkzeuge d. Molusken in ihrer Bedeutung fiir deren natiirl System. — Gorup Besanez. Unters. aus d. Universit.-Laborat. — 558 — — Brock. Ueber den Eierstock der Knochenfische. — Gorup Besanez. Glutaminsiure aus Wickenkeimlingen. — Jhering. Ueber die syst. Stellung von Peronia. —. Filehne. Vorgànge bei Lungenbrand. — Leube. Ueber Vorkommen von Eiweiss im Harn von Gesunden. — Reess. Ueber den Loorpilz. — Lommel. — Ueber Fluorescenz. Gorlite. — Abhandl. der naturforschenden Gesellschaft. Bd. XV: Koch. Neue Spinnenarten. — tckert. Synonim. Verzeichn. des europ. Genus Epeira. — Peck. Flora von Schweidnitz. — Moehl. Basalte der preuss. Ober-Lausitz. Gòrlita. — Neues Lausitzisches Magazin. Herausgeg. von Prof. Dr. Schonwilder. Bd. 53, 2. Heft. Giessen. — XVI. Bericht der Oberhessischen Gesellschaft fir Natur- und Heilkunde. 1876: Hoffmann. Untersuchungen uber Variation. — Sesbert. Das ste- reoskopische Mikroskop. — LiAn. Zur Kenntniss der Samen von Ackerunkriutern. — Streng. Ueber den Chabasit. Regensburg. — Correspondenz-Blatt des zool.-mineralog. Verens. 1876: v. Ammon. Bericht iber die geologische Abtheilung der inter- nationalen Ausstellung von wissenschaftlichen Apparaten in London 1876. — Besnard. Die Mineralogie in ihren neuesten Entdeckungen und Fortschritten im Jahre 1875. — Clessim. Die Thalbildung in den Alpen. — Gùmbel. Ueber die Natur des Eozoon. — Kittel. Systematische Uebersicht der Kîifer, welche in Bayern und der nàchsten Umgebung vorkommen. — Kriechbaumer. Ueber die Nematusgallen an Weidenblàttern und ihre Erzeuger. Leopoldina, Organ der kais. Leop. Carol. deutschen Akademie n Dresden. Juli 1877, Nr. 13, 14. August 15, 16: Geinitez. Zur Kenntniss der Meteoriten. — Hilgendorf. Pterath- nissus, eine neue Chapeiden-Gattung. 17-22. Freiburg 1. B. — Verhandlungen. 1877 ; Thomae. Ueber Kartographie. — Gruber u. Weismann. Ueber neue Daphniden, — 559 — Stuttgart. — Wiirttembergische naturwissenschaftliche Jahreshefte. 1877. 1. und 2. Heft: Fraas. Aeltere Steinzeit in Schwaben. — Hoffmann. Ueber unsere schàdlichen Insecten. — Leube. Ueber Kreotozoon als Mittel zur Erhaltung thierischer Substanzen. — Hahn. Ueber die Anwendung der Gesetze des mechanischen Aequivalent der Wirme auf die Nationalòkonomie. — Kobler. Ueber eine Muschelkalkhéhle bei Nagold. — raas. Ueber die ,,Carta géologique de la terre par Jules Marcon. — Zech. Ueber zwei von Pfarrer Engel in Etslenschuss beobachtete Naturerschei- nungen. — Zoller. Ueber Meer- und Sisswasser-Algen. — Konig Warthausen. Ueber das ornitologische Centralblatt. Stuttgart. — Festschrift zur Feier des vierhundertjàhrigen Jubiliums der Universitàt Tribingen : Fraas. Die gepanzerte Vogellehre aus dem Stubensandstein bei Stuttgart: Zwickau. — Jahresber. des Vereines fiv Naturkunde. 1876: Schlechtendal. Ueber Pflanzen-Abnormititen. — Wichmann. Mol- luskenfauna v. Zwickau. — Schlechtendal. Eine neue Gall- Wespe. Budapest. — Ungarisches Nationalmuseum. Revue des Inhaltes der Természetrajzi fizetek. Trieste. — Civico Museo Ferdinando Massimiliano. Statuto e cenni storici. 1850, 1853, 1863 e 1874. Trieste. — L'amico dei campi, period. della Società Agraria. XIII Ni 81910 dd 12. Rovigno. — Giornale della Società Agraria Istriana. II. N. 7, 8, 9, 10, 11. Gorizia. — Atti e memorie dell’i. r. Società Agraria. Anno XVI N. 8,96 10. Klausenburg. — Magyar. Norenytani Lapok. 1877. Augustus- December. — 560 — Innsbruck. — Zeitschrift des Ferdinandeum fiir Tirol u. Vorarlberg. 1877: Cathrein. Die geognost. Verhiltnisse der Wildschinau. — Della Torre. Die Apiden Tirols. Bern. — Mittheilungen der naturforschenden Gesellschaft aus dem Jahre 1876. Basel. — Verhandl. d. schweizerischen naturforschenden Gesellschaft. Jahreshbericht 1875-76. St. Gallen. — Bericht der naturwiss. Gesellschaft. 1875-76. Schaffhausen. — Mittheilungen der schweizerischen entomologischen Gesellschaft. V. Heft 3, 4. Neuchatel. — Bulletin de la Société des sciences naturelles. T. XI. 1. Bollettino del r. Comitato geologico d’ Italia. Fasc. 5 e 6, Maggio e Giugno 1877: Stefani. Descrizione degli strati pliocenici dei dintorni di Siena. — Rath. I monti di Campiglia nella Maremma toscana. — Hoernes. Fossili giuresi dei dintorni di Belluno, Feltre ed Agordo. — N. 7 e 8, Luglio e Agosto 1877. De Giorgi. Da Bari al mare Jonio. — Stefani. Gli strati Pliocenici di Siena. — Rath. I monti di Campiglia nella Maremma Toscana. — Cossa. Molibdenite del Biellese. — N. 9 e 10. Settembre e Ottobre 1877. Lotti. Geologia di Chiusdino. — Hebert. Sui terreni terziarii dell’ Ungheria e del Vicentino. — MHoernes. Gli strati di Schio. — Il primo piano mediterraneo nella Valsugana e nei monti Euganei. Firenze. — Bullettino della Società entomologica italiana. IX. Tri- mestre III. Pesaro. — Osservatorio meteorologico. Marzo fino Agosto 1877. Genova. — Giornale della Società di letture : Camevari. Fognatura della città. — Parodi. Il vulcanismo. — Della Cella. Rivista chimica. — Fasc. VII. Lebert. La terapia del tetano. — Gian Luca de Katt. L’ industria mineraria in — 561 — Italia. — Giulio Balbi. Il lago dei quattro cantoni. — Fasc. VIII, Sapeto. Arti liberali e manuali degli Abissini. — Federici. Sulla - progressività delle specie. — Fasc. IX. Katt. L'industria mineraria. — Fasc. X. contin. Della Cella. Iniettore d’ anidride fosforosa per la disinfezione delle cloache. Firenze. — Bullettino della Società entomologica italiana. Trim. II, 1877: Bandi. Coleotteri tenebrioniti. — Curò. Lepidotteri d’Italia. — Rondani. Vesparia parasita. — Piccioli. Nuovo coleottero degli Antribidi. — Vismara. Sopra il genere Tettigometra. — Verdiani. Sopra due coleotteri mostruosi. — Ulivi. La manna. — Targioni. Sulla filossera del Leccio e della Querce. Roma. — Atti della r. Accademia dei Lincei. 1876-77. Serie III. transunti. Vol. I, fasc. 7. Giugno 1877. Cossa. Sulla Molibdenide del Biellese. — Zerigi. Considerazioni geologiche nel Quirinale. —. Cadet. Ricerche per determinare quali sieno i nervi vasomotori che fanno affluire largamente il sangue nei gangli vasali e nelle ghiandole. — Marchiafava. Sulla genesi della melanemia. — Camizzaro. Intorno ai deri- vati delle aldeidi alogenate. — Mosso. Sopra un metodo per misurare la temperatura dell’ orina. — Briori. Intorno alla malattia denominata marciume dell’uva. — Todaro. Sopra la struttura intima della pelle dei rettili. — Paterno e Spira- Sulla propil-isopropil-benzina e sugli acidi propilbenzoico ed omoterastico prodotti dalla sua ossidazione. Napoli. — Rendiconto della r. Accademia della scienze fisiche e matematiche. Anno XVI, fasc. 6: Tursini. Assorbimento intestinale degli astropodi. — Boccardi e Arena. Istiologia e fisiologia dello stelo dei peli umani. — Chirone. Azione biologica della Ciclamina. — Pedicino. Varietà verde del Limodorum abortivum Swartz. — Scarvini. Applica- zione dei toraco-spirografi. — Giordano. Sulla fusione di punte di parafulmini. — Fasc. 7. Boccardi. Fisiologia dei peli umani. — Albini. Sul colore del fondo dell’ occhio. — Fasc. 8. Nicolucci. Ricerche preistoriche. — Semmola. Nuovo metodo per determinare i nodi nelle canne sonore. — Fasc. 9. de Luca. Frode nelle costruzioni di parafulmini in platino. — — 562 — Fasc. 10. Palmieri. Il tallio nelle presenti sublimazioni vesu- viane. — Fasc. 11. Coppola. Ricerche elettrolitiche sopra glucosidi. Napoli. — Atti del r. Istituto d’ incoraggiamento alle scienze natu- rali. XIV. Parte I: Del Giudice. Sugli apparecchi elettrici avvisatori degli incendi. — Giuliani. Aero-elettrografo. — Valentini. Sulla malattia del- l’antrace. Milano. — Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. X, fasc. XIV: Pollacci. Sulla ricerca quali-quantitativa dell’ anidride carbonica. — Frisiani. Osservazioni meteorologiche. — Fasc. XVI. Fri- siani. Sulla dipendenza dell’ evaporazione e dall’ area dalla figura della superficie liquida evaporante. — De Giovanni. Sulla gotta. — Genocchi. — Intorno all’equazione differenziale del moltiplicatore. — Zommasi. Riduzione del clorato di potassa. — Bertoni. Trasformazione dell’ idrossilamina in acido nitrico mediante permanganato potassico — Fase. XVII. Hajech. Rendiconto della classe di scienze naturali. — Fasc. XVIII. Hagech. Sperienze intorno all’ azione del calore sul radiometro. — Casorati. Ricerche sulle equazione diffe- renziali. — Verri. Sui movimenti sismici nella Val di Chiana e loro influenza nell’ assetto idrografico pel bacino del Tevere. — Sangalli. Sopra una singolare produzione cornea. Genova. — Annali del Museo civico di storia naturale, pubblicati d € per cura di Doria e Gestro. Vol. VIII: Chaudoir. Monographie des Chléniens. — Baud. Catalogo dei Tenebrioniti della Fauna europea e circummediterranea ap- partenenti alle collezioni del Museo Civico di Genova. Parte terza. — Taffaroni Canefri. Contribuzioni per una fauna ma- lacologica delle isole Papuane. — Meyer. Lettere al M.° G. Doria. — Peters e Doria. Diagnosi di tre nuove specie di mammiferi della Nuova Guinea e Salawatti. — Issel e Tap- parone Canefri. Studio monografico sopra gli Strombidi del Mar Rosso. — Salvadori. Catalogo di una collezione d’uccelli dell’isola di Buru, inviata al Museo Civico di Genova dal sig. A. A. Bruijoa. — (Gestro e d’Albertis. — Descrizione di — 563 — una nuova specie di Eupholus. — Krefft. Notes on Australian animals in New Guinea with description of a new species of fresh water Tortoise belonging to the genus Euchelmys (Gray). — IT. Salvadori. Catalogo degli Uccelli raccolti dai sigg. A. A. Bruijn ed O. Beccari durante il viaggio del trasporto da guerra olandese ,,Surabaia£ dal Novembre 1875 al Gen- naio 1876. — Pavesi. Le prime crociere del ,, Violante“ comandato dal Capitano-Armatore Enrico D’ Albertis. Risul- tati aracnologici. — Thorell. Sopra alcuni Opilioni (Phalan- gidea) d’ Europa e dell’ Asia occidentale, con un quadro dei generi europei di quest’ Ordine. — Salvadori. Intorno alla supposta femmina del Dicaeum retrocinetum, Gould. — Gestro. Diagnosi di alcune specie di Coleotteri raccolte nella regione Austro-Malese dai signori Dott. 0. Beccari, L. M. d’Albertis e A. A. Bruijn. Pisa. — Atti della Società Toscana di Scienze naturali. Vol. III, Fasc. I: Baraldi. — Omologia fra gli organi accessori della respirazione dei pesci e gli organi accessori dell’udito degli altri verte- brati. — Lawley. Monografia dei resti del genere Notidanus rinvenuti nel pliocene toscano. — Bassani. Nuovi Squalidi fossili. — Major. Vertebrati italiani nuovi e poco noti. — D'Achiardi. Miniere di Mercurio in Toscana. — Levi. Alcuni cenni di studi preistorici sulla Savoia. — D’Achiardi. Mine- rali toscani. — Aichiardi. Descrizione di cinque specie nuove del genere Philichtys, ecc. — Dei Filictidi: osservazioni cri- tiche e descrizione di sei specie nuove. — Descrizione di due specie nuove di Lerneenicus Les. con osservazioni intorno a questo ed ai generi Leneocera BI., e Lernenema L. Edw. Paris. — Bulletin de la Société de Géographie. Juin. 1877: Pasquier. Pamir et Kachgarie. — Girard. Les explorations ré- centes dans la nouvelle Guinée. — Lanen. Sur la république du Transwaal. — Wyse. Exploration du canal du Darien. — Ujfaluy. Voyage du capitaine Konrapatkine en Kachgarie. — Juillet 1877. Dupwis. Voyage au Jùn nàn. — “Savorgnan de Brazza. De 1° expédition de 1° Ogdoné. — Ujfalvy. Excursion dans le Kohistan. — Khamikof. Cartes du Turkestan russe. — Aoùt. 1877. Malte- Brun. L° expédition polaire anglaise en 28 — 564 — 1875-1876. — Penel. Nivellement géométrique du Puy de Dome. — J. Dupuis. Vojage au Yùn-nîn (suite). — Dupon- chel. 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Ueber Mesites Pusirefsku Hoffm., eine merkwirdige Cystideen-Art, (mit 1 Tafel). — A. Fischer v. Waldheim. Zur Kenntniss der Entyloma-Arten. — Revue des plantes nourricières des Ustilagindes. — Trausch- hold (mit 2 Taf.). — Aus Esthland und vom Wolchov. — Regel. heisebriefe. (Fortsetzung v. Bullett. 1877. N. 1). Fijdschrift der Nederlandsche Dierkundige Vereenigung. I. Deel 1874, II. Deel 1875, II_. Deel 1876. (Aflevering 1, 2 et 3). Christiania. — Programmi della r. Università. Sexe. On Giants Caldrons. — Sars. Carcinologiske Bidrag til Norges Fauna. — Miller. Transfusion und Plethora. — Sars. Que some the great deeps of the Norvegian coast I, II. — Nyue Bidrag til kundskaben om Middelhavets Invertebratfauna. VELOCITÀ MEDIA © ds; DIREZIONE E FORZA DE DEL VENTO DEL VENTO .. = calma = 0 in kilometri all’ora per gli Di: SÉ uragano = 10 intervalli di irc ediof D — | or- | 3" T» gh gh iero] ©" 10| oo] x ù a bee, Si " A VA x da = - na ; ù ) ni Osservazioni meteorologiche delli. R. Accademia di Commercio e Na (Elevazione dell’ Osservatorio sopra il livello del Ù ne utica in Trieste Mese di Gennaio 1878. mare =26 metrì) BAROMETRO | PRESSIONE ANNUVOLAMENTO __ BAROMETR ; DEE TOT 2_| DIREZIONE E FORZA | veLOCITÀ MEDIA | - ta Sire CENA RACURA |MEDED VAPORE | DELL'ARIA ost 00) LE DEL VENTO © — DEL VENTO — 5 del mare 700 + Co in milimetri in p. % del massimo annuyolato = 10 Ca (0) in kilometrì all'ora per gli 5 li 0a uragano = 10 intervalli di tempo gior- Mini] 70 | gh| gh TERI | 9 | gi TENTI Tu | 9h 7» gi cela nalierc] ma |“ | Loitterd | Mce ftatiaro 7 ci er T-22n91 EA), in. ore | 84| 5.8] 5.s' 5.6) 50 5.5| 74) 69] 71) 71] 10] 10) 10) 10) 00|ESE.2 | ENE.3 |ENE.S] 61| 230) 219) 37471 60) 42 35| 607} io 10|/0 7| —|ENE4|ENE.3 |ENE3| 162 291/ s84| 6600. 5.0) 24 68 4 | 10 0 dò — | ENR.2 E. 2 | ENE.3 | 20.8] 19.0) 52.1 105.7 | 4.8) 1,8 59] 0| 0| O Of —[ENE3|ENE3| E1 | 248) 311) 57 5063 {0° TA| 11 DI O | 10 (0) SI —| El E. 1 E. 1 117] 1.3] 24) 1427) 8.0) 11 68 L| 0 0 O —| El SW. 1 0 34 0.0) 0.0) 344 | 8.0) 1.1 87 10] 10] 10| 10 |j11.0j —0 —.0 —.0 0.0) 0.0} 0.0) 00 11.0) 5.8 83 | 10 9 10] 10.|426 —0 —0 | SE.1 0.0) 0.1] 1.2) 89 8.3) 5.2 89 | 10| 10. 10.) 10) —|ESEI 0 —0. 5.6] 5.6] 8.0| 1518 40) 00) 68} 10 | 10 (0) 7 — || SE. 1 | ENE.3 |ENE. 3 | 11.0) 30.5) 26.2) 506,8 Sini ii ona ENE. 2 | ENE.3 | 447) 37.1) 77.0| 12085 1.3] AU 82 (0) (0) (0) (0) _ ENE.3 | ENE. 3 | 35.4) 47.0) 45.4) 10000 1.2|/—2:9 30 5 o 0 2 — ENE. 2 | ENE.2 | 29.2 17.4) 11.5) 495,0 3.6/—0,8) 67] 0) 0|-<0| O —|ENE3|ENE2| E1 | 368) 174) 17) 5016! 5.0/—0.8| 6 {>} (0) 0 2 — | ESE. 1 N. 1 E. 1 6.4 2.5) 1.8) 943 5.8] 04 SL 2] 10 | d0 TI --| —0 —.0 —,0 1.7) 1.4] 0.5) 299 T.5| 30 90 | 10 | 10 0 î — | —.0 |NNE, L| ENE.1 0.4| 1.7) 2.2) 312 6.2) 0.8) 56] ol 1|2| 1] —| E1 |ENE2|ENE4] 23) 304 11 2439 4.7) 0,2 TIVI CLIO ORIMINON (ATOM ESS DERST W.i | E.1 1.3) 19.2) 33) 1004) 5.0/—0.5) 68 (0) 0) 0 (0) — | ENE.2 | NW.I1 E. l 9.2) 6.6] O.4| 1682 2,8|—1.8 84] 9 10) io] 10] | Esc1|NW.1|NE.1 4.9) 3.3) 21) ST. 5.4, 0,8 90] 10}. 10]. 10.| 10. 0.0 E. 1 .|WSW.1| —0 2.2 3.6 0.7] 521) 5.7 80 97 | 10| 10.| 10| 10192] —0 —_.0 —.0 0.6) 2.5] 2.2) 39.9) 72) 42 91] ao] #| 0] olz6l —o | ssw.1| sE1 04 64 65) 946 94) 35) 76] 10) 10| 10) 10| 00f SE.1 E. L |ENE.4 | 40) 57) 4671 4077 50) 21 46] 10] 8} 10 9] —|ENE4|PENE4|ENE.3| 34 18.6] 7349 6.0) 24 39] o) 5 o| 2| —|ENE2|ENE 2 |ENE.1] 225) 1509) 183) 4646 5.0 8 AT 3| 0 (0) 1] —{ENE.2|WNW.I| E.l 16.7] 12.9) 3.9) 285.6 49/140] yi 4 D (0) DR} fr VI NW.1 Ei | 5.9) 3.1 isa 20 3.8] 19) 61.| 10.| 10| 10 10] —|ENE.4| ENE.3 | ENE.2 | 8.2) 28.3] 40.2) 561.9 3.8) 21 db | 8 ti 7] 5| —|ENE.4| ENE.4 |ENE. 4 | 441) 446| 35.1) 9990 E | IPotale | S| 637) 638] 643] 63.9] 25] 50) 2.9) 25] D.6| Lo 40) 45) 41| 42) 718 68,6 713) 706] 5.6) 5 41 5.1] s0. = | Massimo della pressione barom. 775.7" li 21. Massima velocità diurna del vento 1203.5 Chilometri li 31. Minimo dell'umidità 34%, li 26 Miniwo , È no TAL" li 26. Media n 22 Ln n 30.7 , Massimo di pioggia caduta 42.6 li 8. Massimo della temperatura 11.0° C li 8. Massima velocità oraria del vento 77.0 - li i Minimo si È —4.0% € li 12. Media hi ALZO n Ul 7° pioggia e nebbia. L'8° nusolo e nella susseguente notte al tt af A Ci i Annotazioni. J) 1° totalmente coperto, e nella notte poca pioggia. ll 2° in | parte aonuvolato. Il 3° in parte sereno. Il 4° sereno. Il:5° in parte sereno. IL 6° sereno, în gran parte aonuyolato. L 11°, 12°. 13% 14° sereno, Il 15° iu gran parte sereno, Il 16° us ; ù Totale Chilometri percorsi” dal vento 9960,3, pioggia. Il 9° nebbia. IL 10 FMIESTI STAN ART MIS fi CAMRIN e 17% in parte annuvolato è nebbia. Il 18° in gran parte sereno Il 19° a 20° sereno. Il | 51° nehbia, 22° nebbia e nella notte scorsa poca pioggia. Il 23° densissima nebbia e pioggia Il 24° pioggia. IL 25° poche goccie di pioggia e nuvolo, Il 26° iu parte aunuvolato. Il 279 | in parte sereno. Il 28° sereno. IL 29° in parte sereno. Il 30° nuyolo. Il 31° in parte sereno, Osservazioni meteorologiche dell’I. R. Accademia di Commercio e Nautica in Trieste Mese di Febbrajo 1878. (Llevazione dell' Osservatorio sopra il livello del mare= 26 metri) —_ BAROMETRO PRESSIONE nni annuvoramento |e_ | DIREZIONE È FORZA | veLOCITÀ MEDIA î în milimetri ridotto TERMOMETRO DEL VAPORE DELL'ARIA SRNUTONI ENTO DEL VENTO DEL VENTO ; alla temp. 0° ed al livello] centigrado su imilimetti in p. % del massimo | annuvolato = 10 calma = 0 in kilometri all'ora per gli " del mare 700 + 5 vragano — 10 intervalli di tempo | 73 | 90 | ga fatato Medio | itassi-| tini naliero] nalierof M9 | MA Madio Medio s dl ci | ar | gli gior qui al gh lhi qu DI gi [ga 71|7r gigi gr) via paliero nalîero] Ù ENE.3 | ENE. E. 1 E. 1 È ENE. 4 | ENE. 4 | ENL.: PNE. 4 | ENE.2 | ENE. 2 b.1 SW. 1 ua a o oro OMAGGI © ccccoccororrta O) o) hi) 0) E.1 0 —-.0 0 0 00 0 10 È —.0 BUIELAL ICQAJ0, dvi io [ene tene]. sDE 0; 0 END. 4 | NW.1 {NW.1 6 0) 10 W.llj W.l| —0 Ù 1| 4 —0 | Wil |_-0 g 5| 10 0. | SW.1| —0 90, 74| 87| S4| 10) 10.) 10 0 | —0 | —0 sT| #1] 90| s84 1of 2 0 —.0. |WSW.1| —0 È i d 96| 86 g0| S7/ 100 0! 1 —0 O |ENE.1 70.001 20] 71.5 ì 65| 45| 60] 57 .2| 0| 0 ENE.2 | ENE. 3 | ENE. 3 5372] 74.3 } 3.2 63 | 68| 76| 69 0 (0) (o) ca ESONLA NW —.0 | | 6 .6} 6.7 66 S| 353| 79 2 1 (o) — | ENE.2 | NSW.1| —0 3. 4.9] 9.8] 7.2) 7.3 67. 74] 72 71] 0| 0| 0 e i 0 0S.i Lg) | 24] 69.1} 48) 9.8] 84 77 65. 60 78) 68f o ol 3 oof Si | w.1 | —0 25) 64.9] 8.8] 9.4) 8.0) 88 84 | 91| 94| 90] 10| 10| 10| 1 86 —0 —.0 —.0 64.3) G4| 84) Til 73 83 | 920 es sif 1| 10) o] 4&| —|ENE1|NW.1 | SE.1 27] 68.51 4.6] 8.8] 6.0] 6.5) s7| 91) sa] of 9| 10] 10 iof —|SE1}| w.1 |wW.1 ) ®, 2g 69.1 4.6) 80) 5.6) 6.1 94 | 94| 97) 95] 10) 10] 10) 10f —| —O | NW.1|NW.1 53,2 | LI © f î l ] Potale b;: Z| 694) 09. 59.4] 3.9) 7.9) 5.1) 5.6] 86) 27 45) 5.8] 07) 51 729 0) 74.1] 46) 27) 34) 36] 86 | LS | Massimo della pressione barom. 777,0" li 17. Massima velocità diurna del vento 758.4 Chilometri li 3. Minimo dell'umidità 329%, li 13 Ì Minimo , : ” 768.2" li 12. Media n sn n 1961 5 Massimo di pioggia caduta 8.69" li 25. Massimo della temperatura 12.8° © li 20, Massima velocità oraria del vento 50.9 P, lid. Minimo , E —15° C li 5. Media ; 5 A ù 8,2 È Totale Chilometri percorsì dal vento 5490,2, Amnotazioni. Il 1° e 2° semisereno. Il 3° in gran parte sereno. Il 4° sereno, volato, Il 15, 16, 17, 18° nebbia, Il 19° nebbia assai densa nella mattina e nel rimanente i Il 5° e 6° in parte sereno, Il 7° sereno. 1'8° sereno e poc nebbia. Il 9° sereno e nebbia quasi sereno, Dal 20 al 28 sereno. Il 24 la mattina sereno la sera pioggia. Il 25 pioggia. verso sera. Il 10 sereno e nebbia alla superficie. L'11° nebbia o specialmente assai densa Il 26 nebbia, nella sera nssai fitta. Il 27 è 28 nebbie. nella sera. Il 12° la snattina nuvolo, la sera sereno. Il 13° sereno. 1l 14° in parte annu- 4 TRILATE STAB, AMT, TIP, @ CAPRI L'sfe : Sete BAROMETRO in milimetri ridotto . alla temp. 0° ed al livello i del mare 700 + Medio gior- naliero TERMOMETRO centigrado Osservazioni meteorologiche dell’I. R. Accademia di Commercio e Nautica BAROMETRO in milimetri ridotto lla temp. 0° ed al livello] del mare 700 + Minimo ” in Trieste Mese di Marzo 1878. (Elevazione dell’ Osservatorio sopra il livello del mare=26 metri) TERMOMETRO PRESSIONE UMIDITÀ ANNUVOLAMENTO DIREZIONE L FORZA VELOCIRÀ MEDIA i o DEL VAPORI DELL'ARIA sereno = DEL VENTO DEL VENLO ì ceutigrado în milimetrì în p. %, del massimo | annuvolato = 10 calma = 0 in kilometri all'ora per gli) i _ td È , DU MISRRD = 10 intervalli di tempo j More [ott {Atini:| (za [gn | gu [toe | | 2 | 9% [giore 2» | gi [gie |£ To | ah | gr lorgi(ziaigi gici | inaltero] inaliero naliero] paliero] © hi E ù, Men i 7.8] 7.5) 7.3] 99) 88| 89] 92 10] 10| 1010} —| —o NI 2S ti) 0.9 11 03) 190 S.SÌ 7.8) 8.1) 9£| 95| 88| 92] 10 10] 10.) 10| —| —o 220 = 0 O TA OI i RION BS RIANMSORIA ZBNNBB.: SolILORI MIRANO I -— | — 0.0 Will —0 0.5f 3.2] 1.1| 361 nl 8.1] 70) 74100) 66] 76) 80] 10 1 UL 4| —|w.il — 0a 1.3) 43) 46} 758 1 Ti 6.8) 6.7) 66| 78) S0| 76] 1 LEI GORI ESE. LI S.1 |SW.1|. 32) 3.1 14/0 635 \ Ti To) 69) 79) 72] 797 oo —| —0 |NW.L| —0 1.0 3b| 03) 262! il Bidl 7.3) 7.8) 83| S4&| 92| 86 8 1| 10 6 | E.l |WSW.i1|WSW.1} 43} 79) 5410/9564 80) 5.8) Gol Sb| s4| 60) 78] 8| O|d0| 6 3 Una 2.6| 11.0) 1319) 199.6 | 193.2) 2.0) 28 | 21) 43] 81} 3] 00 0/1) — E. 2 | 15.8] 33.7) 27.7)| 0874 ( 4.6 46) 39) 36) 58) 65 sL| o) solai — 0 | ist gol esi a6g.0ì 6.4) .64| 6.00 B1| SI| 9L| 840 10] 1| 0| 4 s2 W.l 3.1) 82 7.0) 6.4 6.2] 84} 84| 91| 86 7 1 1 3|i — E. 1 2,01 6.2) 4.1| 49] 73 | 67| 57] 66 (0) 210 4} 0.0 el ENE.3 | 2.3 9 2,4) (2.3) 25| 22 a1/ ar | 37] 2] aldo] —| ea END. 2 | 81 i 44} (40) 8330 63 68) 760 60 1] 6/40] 6| —| E1 |WNW.1| S1 | 142 1.8) 2.7] 2.21 43] 26] 49 40 0 0 2 L| --|PNE.4|ENE.3 |ENE.2 | 240 \ 1.9) (2.8) 2.44 61! 20/47] 461 O| 1| 24 1| —|ENE.3|ENE.2|ENE.2 | 276 3.4| 3.3] 30] 49 | 51) 61 54 1 b) al Sl —|[PNE3 | I. 1 100 19.2 45) 42) 41] 66| 59| 68| 64] 10 1 3 Ol —| —0 |NW.1 |NW.1 2.5 G.4| 5.3) 5.8 64 T4| 66| 68 (0) 2 3 2 —|NW.L | NW.1 |WSW.1 10 5.6] 5.3] 50] 63 62| cs 64f 101 1| \0| 4| _—| E 1 |WSW.1|WSW.1| 84 6.3] 6.8) 6.1] 76| 65| 79) 74 (0) 0] 10 3!| D.8j —0 W.1l 0 2,9 7.8) 7.2) #0} 68] 83| 74] 73] 10) 10| 10) 10)/10.2|USE.1 | SE1 | SE 2 4.7 5.3) 48| 5.4j 68| S1| 77) 70 3.| 10 10 81134] S.1 ENI. 2 | ENE.2 | 10.6 6.3) 4.5| 5.34 89| 83) s1| 8£f 10} 104 10.) 101 35] E. 1 NE. 1 | ENE.2 | 10.7) 47) 48) 46 70) 55| 77) 67] 10] 10) 04 | —{ND1 |NNE LI —0 | 153 5.1) DA 48) 56 62) 72) 63 0 (0) 3 1/ —| —0 |[WSW.1{ —0 1.9 66 65) 6.9) 65 | 88| g6| so] 10/10] 104 10/23,8|SW.1| E.1 |ESE 1] 73 A 8.9) 9.6) 8.5) sb | 90] 91] 89] 10] 10} 10. 10/360 SE.2 S.l |ESE. 2 14 8.0} 10.0) 9.3] 9.1] 80] 75.| 87| SI 8) 10} 10 9 |198| EL |WSW.1|WSW.2| 10.1 8.0| 6.0) 7.1 74| 79) 7) 76 4 3 | 10 6 {10.8f SE. 1 MED E. 1 8.1 x —fLotale, asag | 5.1 sio] ; | n ‘ : O 774.802 li i Ni i ilometri li 17. Minimo dell'umidità 21°), li 9 ì I panini Ae PRADA Vr TINO i annie ser pur ha 1 HR Chi ) MISEIO al'oioggli cn "00 SE Ord oo: «Si Massimo della temperatura 16.49 € li 20, Massima velocità oraria del vento 38.7 n lg Il DI ri —1.2° 0 li 18. Media PI MS PA ” Totale Chilometri percorsi dal vento 6510.6. | 4 pioviggina a brevi intorvalli. IL 26 tempo nuvoloso. Il 27 bol tempo. Il 23 e 29 pioggia ditoita a tratti di tempo assai spessi, A ore 11.50 a. m. del 30 grandine mista a gran — pioggin cho durò ciren un quarto d'ora; verso sora lampi. 1L 31 pioggia. Note particolari: Dagli istrumenti scismografici me malato delle agitazioni mioros no; il 30 nuvolo con pioviggina verso sera. se di Marzo sonvi da farsi le seguenti correzioni: re 2 pom. si metta 11.9 invece di 4.9; ai 13 il al 24 era 9.9° C. Nel mese di Febbraio gli 5 il MEZ BAROMETRO ìn milimetri ridotto Ila temp. 0° ed al livello del mare 700+ TERMOMETRO ceutigrado 7 | 9” | gh VE Ù inaliero p) 80) 77 971 60) 7.6 11.9) 80) 58 13.0} 10.6) 10.7 12.9) 11.8 115 14.9) 11.8| 12. 12.9) 10.4} 11.1 13.2 39) 98 14.2| 10.4] 11,2 16.2) 12,0] 129) 72, veri 6.6 8.6) 11.0! 114 10.0] 8.01 9.0) 50.3] 10.4 2871 60.6 534] 497 63.7 60.6] e4e 645) 634) 63,5 63. 13 —_.0 3,0 W.1 1.2 W.1 | 18 NW.1 3.9] NW.1 6.2; ENER. 3 ENE. 3 S. 1 È ,6} 10,0! N. l 6.1 8.5) 10.3) ENE.1| 2.0 [I E. 1 L6| } 12.9) E. 1 1.9 34. T a 11.9 W. 1 8.9 60.9] 60.8] 61.2) 145) 15.2! 11.8 11.8 —.0 16,5 | 59.2) 59.8) 59.3 29 15.4] 12.2] 13.4} 16.5) 10.4 Î Massimo della pressione barom. 767.5" li 15. Massima velocità diurna del vento 849.0 Chilometri li 23, Minimo dell'umidità 27%, li 10 Minimo, n T4T0n" 12. \Media no 2O2O Massimo di pioggia caduta 55.6%" li 24. Massimo della temperatura di 5°C 22 |i Massima velocità oraria del vento 138.4 Vi'123. > Minimo , È 4.3° C li 3. i) Me dia. 10. Ù Ammnotazioni. 1° 0 2° pioggia, il 3° in par poche goccie di pioggia; il 5° pioggia; il 6° caddero. oche 5) in gran parte sereno; il 9° lungo tutta la giornata cirri. spar a e sereno: il 13 cielo in parle nuvoloso e verso sera nusoli. 1 sparsi; il 15 sereno; il 16 in parte sereno @ nella | BUSSEgue di pioggia; il 17 pioviggina; il 18 pioggia; il 19 e 20 i il zi in parte sereno; il 23 quasi sereno; il Wp BL VAPORE Ko sa I »RESSIONE milimetri in p . Accademia di Commercio e Nautica in Trieste Mese di Aprile 1878 razione dell’ Osservatorio sopra il livello del mare=26 metri) UMIDIPÀ DELL ARIA %, del massimo DIREZIONE E FORZA ANNUVOLAMENTO VELOCILÀ MEDIA | serono = 0 DEL VENTO DEL VENTO annuvolato = 10 calma = .0 in kilometri all'ora per gli uragano = 10 intervalli di tempo 70). 67 TA| 547 di pioggia; il 7° ed 8° 0 al 12 tempo bello ti pioggia; il 14 cirri ‘enddero pocho goccie oloso; il 21 pioggia; ghi intervalli; il 25 tra le 4 0 lo 5 ore Na Vilh: Posate ‘Chilometri percorsi dal vanto 7: 586,8. TRURATE ATAL ART, TIP, O. CAPRI! | Medio N is amet | ta a VE = 79 10 ENE.2| W.1 | sw. 82 1610 9 2601 85 10 | 10 E. 1 | ENE.1|ENE. 2] 34) 93) 81 sui 86 1 (0) E.1 W.1 |WSW.1 5.6] 5.3] 3.1) 1147 87 10] 10 SW. 1|NW.1| —o | ©) 08 19) 8731] È —.0 |NNW. il —o 2.9) 28] 1.6| 495 N. I W.1 | ENE.2 1.8 3.8] 11.9) 1281] -2 | ENE.2 | ENE.2| 110) 25,51 286 3.| ESR.A LI 21 16.8) 172] me: 25.51 317 1.7 ENER, 1 Il 28 cielo în massima parte Sereno, solo nelle ore pomeridiane caddero poche goccie di pioggia; il 29 giorno iu gran parte sereno; il 30 nuvolo con pioviggina verso sera, N. Nello osservazioni dul mese di Marzo sonvi da farsi le seguenti correzioni: al 3 nella finca della temperatura alle ore 2 pom, si metta 11.9 invece di 49; ai 13 il massimo della temperatura era 1R.0 ed al 24 era 9.9° €. Nel mese di Febbraio gli 5 il massimo della temperatura era 5.4, Note particolari: Glj istrumenti scismografici diedero segno di una agita- zione sismica ai 22 di mattina, e precisamente ad ore 6 e 35 miuuti, * vg DINA i Mii DARE" cd ta u x . VELOCITA MEDIA PL VUNTO. DEL VENTO. calma = 0 in kilometri all'ora per gli | uragano = 10 intervalli di tempo. STO Sr [Lando h h bh 7hb7h 9lh9h gqhi totali per- 9 7 gi {gr7imi. n _gn| totali ner «in 24 ore. SV). N. bl 440.38) 3.4 —. Haga Doical W.1 | ENE.2,j 5.2) 3.9] 12.3 E.1 E. 1 | 12.8] 182) 6.6 NW.1*|WNW.1} 6.5 48 20 Mobo] 2/0! 4.7, 23 NW.1| NW.1f 3.7) 5.8) 26) 74 PIO LOVE dia rieste Mese Ng a 7 7 d ANNUVOLAMENTO | = sereno = annuyolato = 10 DIREZIONE E FORZA DEL VENTO calma = 0 uvagano = 10 BAROMETRO în milimetri ridotto alla temp. 0° ed al livello del mare 700 + Medio VELOCINÀ MEDIA DEL VENTO i in kilometri all'ora per gli! intervalli di tempo | UMIDITÀ DELL'ARIA in p. % del massimo PRESSIONE DEL VAPORE in milimetri TERMOMETRO centigrado Fei Massi-| Mini 9 h ti gh Me naliero; I Inaliero! Medio gior. | = Imaltaro) — Rolometri totali vere con în 24 ore 90.9 | 53.61] 165.9 301,5 113.0 69.7 96.1 80.1 157.8 180.2. |f 1134 83.) 95.6 | 151.0 1044 90.7 339.8 169.2 49.5 1845 499,2 | | 2 | CI | guu7i|7b9Lioh gli 16.6, 15.3 214 23.0 19.59) 21.0, 19.8 19.4; 194 20.4 20.0 16.2 20.4 21.4 22.21 22.8 264 25.6 26.0] 2 24.61 24,8 17.2 22.9) 19.2 21.8 19.4 20.8 182 23.0 19.2! 22,9 ENE. 2, D. 1 WNW.1 S.1 NW.1 F. 1 î ESRI ENI. 2 fa SARI —0 El | SW. L. 1 NE. 1 DI —A0 W.l —0 IND. 2 eo ESE. 1 S.A ENE. 3 Si W.1 —.Q NP. 1 E. 1 ui) PSE. 1 = OUm a So 5 UO ORLO OLO o Wa CONE Cono = “wweo WNW.1 NW.1 PENE. 2 VOGEL NW. 1 NW.1 WSW. 1 END. 3 SW.1 SW.1 PSE. 1 P. 1 W.1 NE. 1 SW. 3 S.1 NW.1 DB. 1 Vili (WIdgL n - - _ dDbocLtoz:-.-.wvo co 000 LOrcogaanL oo ru = = 88N CSSr: Hu Ha Ga ROSEO ea io YI ui edio E bd] 5.2) 48 VI 210 Massima volocità diurna del vento 641,9 Chilometri li 22. Minimo dell'umidità 26%, li 4 Media n is, À 73.0 È Massimo di pioggia caduta 63.3" Massima velocità oraria del vento 55.6 » li 21 tra le 2 6e 9 ore pom. Media Pi Ò o) Fi 1.2 ì Totale Chilometri percorsi dal vento 5379.8. Massimo della pressione barom. 68.5" li 18. Minimo _, » pica 18) Massimo della temperatura 29.0° C. li 18. Mioimo , ” 10.49 C li 22. tà che durò Jongo tutta Ja Vr gel Amnotazioni. Il 1° cielo nuyoloso 6 pioviggina; il 2° pioggia a lunghi inter- valli; il 2° tempo sario; verso ore 4 pom. caddero pogchissime goccie di pioggia; il 4° e 5° tempo bello; il 6° nnvolo; il 7° in parte sereno, verso sera cirro-strati all'intorno; \'8? nella mattina dalle ore 8 alle 12 pioggia dirotta poi Ja sera 6 lungo la notto piorig, fioa = brevi intervalli; il 9° în parte sereno; il 10 sereno; 1'11° in parte sereno; il 12° fa mattina nurolo e verso le ore pom. e nella notte pioggia; il 13° in parte, sereno; verso il primo quadrante nubi temporalesche; il 14, 15, 16 quasi sereno; nella mattina del 17 iera caligine poi cielo sereno; gel 18 6 19 quasi sereno; il 25 lungo tutto il giorno nubi sparse; li 21 nella mattina dalle ore 9, alle 11 caddero poche goccie di pioggia e lungo tutto il giorno erano dei nembi y ottentrione. Ad ore 7°, di sera Si sciolse verso tramoutana un violento temporale accompaguato da sbuffi di forte bora do a piuttosto brevi intervalli cessò ne del 122; te parte sereno; il 24 nuvolo e di tratto în tratto caddero poche goccie di pioggia mentre dulle 7 ore in poi favvi uno sero- scio che continuò a lunghi intervalli per tutta la notte sino alla mattina del 26 e nel cessaro della pioggia sî osservò anche un piccolo temporale; lungo il 26 ii cielo rassere- nossi; il 27 cielo in parte annuvolato; il 28 pioviggiva; il 29 in parte sereno; il 30 sereno; il 81 verso sora pioggia. Note particolari: Li 9 ad ora 7.50 pom. sì osservò un bolide verso il IV quadrante con un moto apparente da tramontana ad ostro: esso risplendette per due secondi. come un forte fulmine lasciando distro a sd nna striscia a zig zAg con luce bianca, che perdendo vieppiù d'intensità cessò dopo otto minuti. Lo zig-zag audava gradatamente restrin= gondosi sino a che sparì, La luugliezza totale della striscia importava cirea 20% N mi crosismogiato segnò li 2 ad ore 12,36 ant, una agitazione sismica ondulatoria. I peudoli oscillurono per 11 minuti. | Lat: Aid 4 ‘9R}° : PACS de N) STADI ANT, TI, 0 CAPRI v BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ ADRIATICA DI DbMIENZE NATURALI IN TRIESTE REDATTO DAL SEGRETARIO AUGUSTO VIERTHALER. VOLUME QUARTO. TRIESTE, IA DEL LLOYD AUSTRO-UNG 1879. INDICEK. Dr. B. Biasoletto — Reazioni mediante la tintura del legno CREINERTIO see i ne a e Mea fessnssichi dive e inn ala nine C. Weyprecht — Ueber die durch Gefrieren erreichbare Maximal- dieKo des: SalZWaSFErCises +; ex siste oi n «è Prof. A. Vierthaler. — Sulla natura chimica dei terreni arabili delipircondario div IELESte. 0. La e ie la Dr. Bern. Schiavuzzi — Elenco degli uccelli viventi nell’ Istria ed in ispecialità nell’agro piranese . . ....... Dr. C. Marchesetti — Di alcune piante usate medicalmente nelle indie onentali e eil dele M. Stossich. — La teoria della vescica germinativa . . . . . . ui Ant. Valle — Sopra due specie di crostacei parassiti dell’ Oxyrrhina CAGATE ROSEE Dr. €. Marchesetti. — Sugli oggetti preistorici scoperti recente- mente a S. Daniele del Carso. . .......... Prof. Dr. M. Stenta — Il Fiume Livingstone . . . ...... MMI EEA I e, nn a gi Pedictamo hi blio=rafi tot i n e ee e ear B. Dr. Biasoletto — Sulla provenienza della Pelargosite ” Nuova reazione del tessuto legnoso . . . ” Osservazioni sopra un modo di produrre Riduzioni ottenute colla paraffina . . . . . Prof. Dr. M. Stenta — Delle spedizioni artiche di Nordenskidld. pag. ”» 26 34 113 119 153 137 139 141 143 Prof. Aug. Vierthaler — Corrosione dei metalli nell'acqua marina pag. 154 a Bronzo antico di S. Daniele (Carniola). , 157 C. Dr. Marchesetti — Particolarità della Flora d'Isola. .... %, 162 a Una passeggiata alle Alpi Carniche . . . , 168 Antonio Valle — Corolana hirpites, M. Edw. nella Thalassochelys torticata, Bondel +... lita e dCI A Legno sicilizzato dell'Istria . ........ RNA (Ly Notizie: IDEerhe: +: Mi LI E a a OR MI n 207 Elenco generale dei Membri della Società Adriatica di Scienze Naturali‘ ‘in. Trieste .-...52 ala Si ti gi di 222 Bollettino bibliografico... ..0. 0. li. de a n» 234 Reazioni mediante la tintura del legno campeggio pel Dr. B. Biasoletto. L’ infuso acquoso del legno campeggio figurava nelle vecchie cassette dei reagenti; Erdmann nel giornale centrale di chimica parla di esso infuso come di un reagente sensibilissimo onde riscon- trare 1 carbonati degli alcali e terre alcaline; Wildenstein nel gior- nale di Fresenius, lo indica come un reagente il più accurato per l’ammoniaca e lo consiglia anco nell’ alcalimetria, denotando in pari tempo il suo grado di sensibilità per i metalli. In oggi si fa uso nei laboratorî chimici di cartine preparate colla tintura alcoolica del campeggio; la preparazione di queste cartine richiede qualche precauzione, per la sensibilità che gode precipuamente questo rea- gente in presenza del. ferro e dell’ammoniaca. La tintura si ese- guisce coll’alcoole che è il migliore solvente dell’ ematossilina (la benzina non la discioglie, l alcool amilico appena traccia) e con campeggio in ischeggie staccate dal cuore del legno, poichè la parte esterna legnosa va soggetta a parziale fermentazione col concorso dell’ umidità e non darebbe buon risultato. Codesta tintura si compie in poche ore ed offre un liquido di color cannella, nel quale s° imbevono striscie di carta asciugante di Berzelun. Avendo notato che il ferro come anco altri metalli esercitano una influenza sul cangiamento di tinta della tintura, conviene far sottoppore la carta da filtro svedese, prima di venir immersa nella tintura, a un bagno di acido cloridrico allungato e poscia di la- varla coll’ acqua stillata. La carta così preparata ed asciutta acquista colla tintura una tinta nanking, che conserva qualora l’ atmosfera è priva d’am- moniaca. La squisitezza per questa base la rende molto preferita alle cartine di iaccamuffa e di curcuma. Agitata che venga in un’ atmosfera che contenga traccie leggerissime d’ ammoniaca, tosto * i RE diventa rosea; se trova più quantità, assume una tinta porporina (gas illuminante, fumo del sigaro). Cogli acidi la tintura volge al rosso ciliegia, se questi sono concentrati; se sono diluiti diventa gialla. L'acido carbonico stesso reagisce ingiallendo, se è in gran copia la decolora, così pure viene decolorata prontamente dal gas solfidico. Le basi e le terre alcaline la arrossano a seconda della loro concentrazione e presto la decolorano. Le soluzioni metalliche, quando non sono molto concentrate nè molto acide, mutano la tintura di campeggio in un colore bluastro al violetto. La sensibilità anche qui è estrema, basta umettare un filo di ferro coll’ acqua stillata e poggiarlo sopra una cartina di campeg- gio che tosto vi lascia una traccia azzurra, specialmente se l’acqua è stata prima agitata coll’aria o se il ferro presenta principio di ossidazione. Il medesimo risultato presentano anco i metalli meno ossidabili come il mercurio, l’ argento ed il platino. Una soluzione di ferro che contiene il 500,000 di questo metallo, reagita colla tintura accenna una tinta leggera violetta, sensibilità non rag- giunta dal salicilato di potassa, nè dai solfocianuri. Wildestein riuscì, in grandi masse di liquido, a riscontrare il ferro ossidato nella diluizione di 10,000,000. I sali di ferro, di rame, di piombo e di stagno, possono dare sulla cartina macchie caratteristiche, che possono far distinguere un metallo dall’ altro, così il percloruro ferrico vi segna una macchia azzurro-violetta, il piombo una mac- chia lilla, lo stagno viola porporino. Le soluzioni alquanto diluite dei predetti metalli reagite colla tintura di campeggio ed esposte alla luce si decolorano, abbandonando lentamente un precipitato fioccoso che indica il colore ottenuto sulle cartine. Ho voluto esperimentare la tintura di campeggio estendendo il suo potere reattivo in qualche alcaloide ed ottenni i seguenti risultati: Brucina, coloramento della soluzione, ciliegio, posatura istantanea lilla chiaro. Chinidina, soluzione ciliegio, posatara dopo qualche ora di colore violaceo. Morfina, liquido ciliegio, senza ab- bandonare alcun deposito neppure dopo 12 ore, dopo il qual tempo il liquido assume il colore del reagente. Veratrina, liquido tinto in rosso violaceo. dopo 12 ore assume una tinta bruna e diede una posatura bruno-rossastra. Il Velebit per Adolfo Stossich. Spinto da vaghezza di esplorare le diramazioni austro orien- tali delle nostre Alpi, segnatamente la catena dei monti del Velebit, ‘e ricercarvi quanto d’interessante in rarità naturali queste mi avrebbero offerto, approfittai dei mesi di respiro concedutimi dalle vacanze di quest’ anno onde intraprendere un viaggio in quelle re- gioni. Il Dr. Karl del Museo nazionale di Pest che per fortunata combinazione da qualche giorno trovavasi a Trieste, per la simpatia al comuni studi, volle essermi compagno. La mattina del 7 agosto il convoglio della ferrovia ci portò a Fiume e da qui attraversando il carso Liburnico a Ogulin, ove ci fermammo due giorni. Giace questa città 1083‘ sul livello marino in amenissima postura sul fiume Dobra. Da qui a poca distanza si vede svilupparsi all’ ovest l anfiteatro delle montagne Kapella, la cui rocciosa vetta del Klek (3740) spicca oltremodo pittoresca. Un improvviso acquazzone e’ im- pedì di visitarlo per esaminarvi l’ interessantissima sua Flora. Il breve soggiorno a Ogulin fu da noi utilmente impiegato. Sulle mura dell’antico castello che in parte cingono il luogo, si raccolse in copia la Clausilia ornata Z., e nel fiumicello Do- bra la Melania Hollandri var. legitima £Kossm., Neri- tina carinata Kok., Ancylus fluviatile M%ll., Litho- glyphus prasinus Zokdil. Partimmo da Ogulin all’ alba dell’ 11 in una capace vettura a due cavalli alla volta di Gospic nella Lika, che ci doveva ser- vire come stazione ove discutere e organizzare le diverse escursioni progettate. La strada costrutta sotto Giuseppe II era piacevolissima e si attraversarono paesaggi oltremodo deliziosi. Ora pianure co- perte di biondi messe, ora vallecole verdeggianti. Ineguali colline sorgevano d’ambo i lati della via, ripide e biancheggianti di maci- gni o coperte di folti e selvatici virgulti, o vaghe di aceri, di olmi, di frassini, di quercetti. Qua e là casolari; a destra su una vetta il vetusto castello Modrus dei Frangipani, piu in là assiso sopra un ripiano qualche paesello, poi a manca nel fondo le mon- tagne Hum. Proseguendo per tal guisa ed ammirando i bellissimi panorami, in poche ore si giunse .al piede dei monti Kapella. Questi sviluppandosi dal monte Bistoraj al S.0. di Fucine (4381), ai laghi di Plitviéa, scorrono paralleli all’ Oriente del Velebit, ma distinti, anzi divisi da esso, per mezzo di una grande de- pressione formata da pianure, di cui la principale è quella di Iezerane. La strada si fece ora più erta e costeggiando i selvosi fianchi del monte, che in codesto suo versante è tutto coperto di abeti, con dolcissima salita si giunse a valicarne la catena. Per le frequenti gallerie aperte nel monte, anche qui le scene s’ inter- rompevano e mutavano con rapidità, sì che pareva di penetrare ad intervalli in nuovi paesi, e l’ occhio e la mente si ricreavano in quel pronto succedersi di varî aspetti ed orizzonti. La strada Giuseppina che ora venne del tutto. ricostruita, elevasi qui sino all’ altezza di 2778‘ e precisamente ove il monte forma un’ insenatura che divide la catena nella grande e piccola Kapella; la prima in direzione Nord-ovest è lunga 5 miglia ed ascende nella BjelolaZica a 4850‘; 1° altra per 6 miglia proseguendo verso Sud-est non ha che un’ altezza di 4094/ Giunti alla sommità del monte presso un rustico casolare si fece una fermata di circa un’ ora per riposare i cavalli e prendere una modesta refezione consistente in uova, pane e vino; era tutto ciò che poteva offrirci quell’ alpestre ospizio. Le roccie che sì er- gevano lì presso vennero da noi diligentemente esplorate trovan- dovi interessantissimi molluschi, quali: Clausilia ornata Z., Cl. inaequalis Z., CL biplicata Mnmntg. CL vetusta Z. I molluschi del Kapella presentano tutto il tipo di quelli della Carniola. Nella discesa del versante ‘opposto godemmo di una vista oltremodo deliziosa, la bella vallata di Iezerane colle sue amene campagne, i prati verdeggianti intersecati da un fiumicello e chiusa dal suo lato meridionale dai contraforti della catena del Velebit, spiegavasi al nostro sguardo. A notte tarda si giunse a Ottocac, ed il giorno appresso nel pomeriggio a Gospic ove prendemmo stanza nell'albergo ingiusta- mente decorato dal nome pemposo, di «Hotel d’Europe,. La vallata della Lika, nel cui bel mezzo giace questa. città, è un altipiano di 1842‘ d’ altezza che si estende per circa 8 miglia dal Nord al Sud e sopra la cui arenosa superficie .sorgono numerose roccie calcari varie nella forma e nella grandezza, che imprimono un carattere speciale al paese. La catena dei monti Ljubovo, Vrbatka Staza e Ploéa la di- vidono verso Nord-est dalla vallata di Korbavia ad essa parallela. A. Sud-ovest.. elevasi una maestosa e lunga catena montuosa, la cui media altezza è fissata a 5000‘, e precludendo da quel. lato la Lika, le dà aspetto di grandioso ‘anfiteatro; quest’ è la catena del Velebit. che lungo la costa orientale dell’ Adriatico sopra Segna, Carlopago si estende, sino nella Dalmazia; ripida, calva e spopolata verso la marina, sparsa talvolta di nevi anche nel cuor dell’estate; gaja, selvosa ed oltremodo pittoresca verso la Lika, insomma. tiene quell’ impronta alpina, che il geologo; meglio ancora del paesista, trova espressa nella natura delle rocce, ;e nell’ epoca a cui esse appartengono. Una lettera di raccomandazione del Commendatore de Tom- masini ci procurò qui nel maestro Ratkovich una cara e simpatica conoscenza, che ci fu compagno in tutte le perlustrazioni dei din- torni. Ricorderò qui pure la cordiale ospitalità del farmacista sig. Vouk, nel cui giardino si raccolsero la Helix croatica, ne- moralis, vindobonensis, fruticum e secernenda. Sui massi rocciosi trovammo la Clausilia Gospici. Eravamo però impazienti di salire il Velebit onde esaminarvi la sua flora che occupa posto distintissimo. fra le più ricche della Croazia e della Dalmazia. Nè ciò può recar meraviglia, se si consideri come questa ca- tena, sopra uno spazio relativamente ristretto, riunisca gran nu- mero di stazioni botaniche appartenenti, alla litorale, alla collina, alla montana. ed. all’ alpina. Alschinger, Pichler, Schlosser, Maly; Kitaibel,, Vukotinovié ed. altri. botanici raccolsero e studiarono le piante di queste regioni. Il Visiani illustrò poi molte specie. che appartengono al versante meridionale. Dal punto di vista zoologico non: so che altri, prima 0 dopo di Erjavec e Zelebor, parli di questa catena. La prima impresa progettata era 1’ esplorazione occidentale della catena. L'amico Ratkoviè ci procurò una buona vettura che l'indomani ci condusse verso il monte. Attraversando una bella OO fi pianura c’inoltrammo fra amene colline che poco a poco assera- gliavano più la strada e costeggiando un torrentello in breve ar- rivammo a Brusane. Qui smontammo dalla vettura per visitarvi lì poco discosto verso Nord-ovest un deposito di piriti, di cui ci fu fatta parola. Ai lati della strada crescevano Digitalis laevigata W. K., Campanula pyramidalis ZL, Aconitum variegatum L., Cirsium acaule AU, Satureja pygmaea Sieb., Cera- stiun grandiflorum W. K., Le rupi offrirono Clausilia ven- tricosa Drp. e plicatula Mnég., Zonites ceroaticus Partsch, vindobonensis C. Pfr. Soddisfatti delle fatte raccolte proseguimmo la via che in- cominciava lentamente a salire. La profonda vallata che distendesi a sinistra intersecata da un torrente si restringe poi fra le rupi ed i pendii boschivi, nè manca di una certa severa amenità che mi ricordava le vallate svizzere. L'occhio errava qua e là per i seni, le svolte, i meandri della bella catena che sorgeva a manca; spingevasi per le gole a cercar nuove prospettive, seguiva le ardite spirali della magnifica strada. Guardavamo tutto quello spettacolo gaio ed insieme solenne che ci destava le più belle emozioni. Noi continuammo a piedi la salita sino al villaggio di Ostaria (3033‘) punto culminante della strada del Velebit verso Ponente. Sulle rupi fioriva in copia il Dianthus monspessulanus L., fra le fessure dei macigni si raccoglieva poi la bella Clausilia agnata Partsch. Il Dr. Karl si era fatto ardito cacciatore di insetti che erano qui rappresentati dalle seguenti specie : Coleoptera: Pterostichus melas Crenty., Silpha atrata Fabr., Silpha obscura L., Otiorrhynchus pruinosus Germ., Otiorrhynchus alutaceus Germ., Otiorrhynchus infernalis Germ., Purpuricenus koehleri L., Strangalia maculata Poda., Chrysomela caerulea Germ., Coccinella septempune- tata L., Hatyria conglobata L., Subcoccionella 24 punc- tata L. Hymenoptera: Lasius umbratus Nyland., Formica san- guinea Latr., Formica pratensis Deg., Apis mellifica L., Halictus maculatus Sm. Orthoptera: Odontura modesta Fich., Decticus veruci- vorus L., Stenobothrus lineatus Pnz. e Glu Hemiptera: Carpocoris nigricornis Fabr., Carpocoris Verbasci De Geer.,, Nepa cinerea L., Philaenus minor Kirschh., Pachymerus phoeniceus Posse. E così piacevolmente giungemmo alla sommità del monte; oltrepassato un varco ci appare un’ amenissima valle, nel bel mezzo una chiesuola e poche case sparse che formano il villaggio di Ostaria. Questa valle si protende verso occidente allargandosi in vasto altipiano di forma pressochè ovale. A mezzogiorno è soverchiata dalle creste della catena montuosa, a settentrione chiusa da una muraglia di nudi colossi calcari, che biancheggiano bizzarrissimi sull’ azzurro sfondo del cielo; ed a occidente limitata da lieve de- pressione ove per un varco gira la strada che da qui discende giù a precipizio alla costa marina. Un ruscelletto che scorreva lassù ci procurò Planorbis glaber Zeffr., Pisidium fontinale C. Pf., Limnaea peregra Mwll. Venivano poi raccolte le se- guenti piante: Equisetum Telmateja E%rh., Parnassia palustris L., Inula squarrosa L., Inula hirta L. Era l’ ora del meriggio. Il cielo oscillava ai raggi cocenti del sole di Agosto, benchè un blando vento soffiasse, ed agitando le fronde e l'ombra degli alberi che crescevano in macchie sparse qua e là sul pianoro, dava un poco di moto e di varietà in quel- 1’ atmosfera. All'ombra di un faggio ci si preparò il desinare, terminato il quale ci avviammo per la strada maestra verso il limitare della vallata, ove sopra una spianata spiccava un monumento in forma di cubo, sul quale erano segnati i dati della costruzione della strada, Da qui dovevamo vedere il mare. Inoltrandoci, ed alla voltata della via, dietro alcuni solleva- menti di suolo, esso ci apparve lontan lontano, sull’ ultimo oriz- zonte, come una bella striscia di azzurro, viva, lucente. Saliti per una bella gradinata sulla piattaforma del monumento, maravigliati contemplammo il magnifico spettacolo che al nostro sguardo si dipingeva. Pago con tutte le sue insenature ci stava più dappresso, seguivano le isole liburniche di Arbe, Cherso e Veglia, i cui contorni sfumavano in indefinibili colori col cielo. Per lungo tempo godemmo di quel sublime spettacolo. La raccolta delle piante sarebbe stata qui assai più copiosa, se la stagione fosse stata meno avanzata e meno arida. <.. cei = Tuttavia si trovarono molti esemplari di Dianthus silve- stris Wwf. e qualche hel ceppo di Carlina simplex WA. che qui vegetava copiosissima. Sulla vetta del. monte trovammo la Clausilia pulchella fr. associata alla Helix coerulans Mill. var. depressa Zel. Helis carthusiana Mwl., Chon- drula tridens M%u., Torquilla frumentum Drap., ave- nacea bBrug., Pomatias cinerascens hoss. Contenti appieno della ricca messe di questa escursione, ri- tornammo a ora tarda a Gospic. Il giorno appresso la mattina era dedicata a. preparare le piante e conservare gli animali raccolti. Alle ore 4 pomeridiane con una buona vettura pigliammo la via maestra, che si diparte da Gospic verso Sud-est e attraversato il Velebit, discende in Dalmazia. Noi non la seguimmo però che fino a Raduè, ove arrivammo in 2 buone ore. È da qui che si doveva salire la vetta dello Sveto Berdo o monte Santo, il punto più saliente di tutta la catena del Velebit alto 5568‘ Un solitario caseggiato che con pochi altri trovavasi allineato sulla via doveva servirci di alloggio per quella notte. Il villaggio stesso sito ai piedi del monte dista alquanto dalla strada maestra e ci convenne andarvi per rintracciare la guida che dovea accompagnarci l’indomani. Per giungervi attraversammo dei prati . che offrirono delle interessanti specie entomologiche all’ amico Karl. L’ occhio spesso ristava a contemplare le pittoresche balze ed i monti più bassi che si appoggiavano alle falde del Velebit e saliva quindi alle vette maggiori, che nel loro cupo mantello di foreste si ergono sopra il ‘profilo maestoso della sua cresta. Il parroco del luogo occupato nei lavori campestri, vedutoci e’ invitava a sostare in casa sua, dove lietamente ci vennero imbanditi i prodotti ricavati del suo intelligente studio in quelle terre. L’obbligo del dover levarsi per tempo, ci ridusse presto al casolare, e tosto ‘(dopo fatte le debite provviste per l’indomani, al riposo. La mattina seguente, alle 5. ore, eravamo ‘alzati e lesti e giunta la guida ci ponemmo in viaggio. Percorsa la pianura e. se- guendo per una via ciottolosa incominciossi pian piano a. salire. In breve riuscimmo ai piedi del monte che a guisa di alta. mu- raglia ci stava di fronte. Qui incominciava la vera salita per una gola di forte pendenza, simile a quelle traccie lasciate da qualche rovinosa valanga. RESO | ID Era questa un compendio di minacciose e quasi cadenti frane, di massi d’ogni forma e d’ogni dimensione, angolosi, acuti, mal fermi pei quali inerpicavasi un sentiero impercettibile. Poggiando il piede su quei massi sgretolati che trovavansi su quel ripido pendio nella condizione del più mobile equilibrio, franavano al basso, con pericolo del salitore, e peggio dei sottostanti. . Doveva- mo ricalcare l orme l'uno dell’ altro per precauzione, salire a sghembo per diminuire la salita ed evitare qualche malanno. In quest’ incontro non potevamo a meno di apostrofare ener- gicamente certi pastori che ci precedevano condottieri di audacis- sime capre, che saltellando su quel movibile declivio lasciavano andare una grandine di sassi. Lentamente procedendo e spesso soffermandoci a pigliar fiato si continuò per tal guisa circa buona mezz’ ora. Le sporgenti masse rupestri erano abbellite dai fiori cerulei della Campanula Waldsteiniana Rom.; più rara era la Campa- nula Scheuchzeri Vl. Le pareti e le fessure dei macigni ci offrirono fra i molluschi la Pomatias croatica Zel. e la Clausilia Marcki Zel. A grande nostra soddisfazione si giunse al termine della fa- ticosa salita. Erano le ore nove. Un sentiero praticato dai boscajuoli ci con- dusse attraverso una magnifica foresta di faggi in poco tempo ad una sorgente di freschissime acque, che furono per noi un vero ristoro, travagliati come eravamo da ardentissima sete. Nei brevi momenti ch’ ivi sostammo, ci ponemmo ad esaminare i muschi che ricoprivano le pietre della sorgente ; fra questi albergava in copia la nuova specie Bythinella Velebitana Clessin. Nelle macchie dei cespugli cogliemmo Zonites compressus Ziegl., croati- cus Partsch, Clausilia biplicata Mntg., vetusta Z. e pli- catula Mntg., Limax maximus ZL. Alcuni pastori che segui- vano la stessa via ci furono in questo incontro di grande ajuto, inquantochè allettati da qualche moneta, in breve ci raccolsero co- piosi esemplari dei suddetti molluschi e di rari insetti, i quali unitamente a quelli raccolti da noi furono i seguenti: Coleoptera: Carabus violaceus L., Carabus Scheid- leri F, Nebria Dahlii Duft., Leistus piceus Proe., Sca- rites planus Bon., Sphodrus elongatus De), Taphria nivalis Panz., Platynus sexpunctatus L., Platynus austriacus F, Platynus viduus Pane., Platynus anten- MI: pe narius Duft, Abax ovalis Dufr., Harpalus oblitus De. Agabus bipustulatus L., Silpha obscura L.,, Otior- rhynchus cardinigei Host., Otiorrhynchus bisulcatus F., Otiorrhynchus pinastri Herbst, Bolitophagus reti- culatus L., Phyllobius argentatus LZ, Sitones hume- ralis Steph, Hypera tessellata Herbst, Myorrhinus albolineatus F., Chrysomela haemoptera L., Chryso- mela Cacaliae Schr., Galeruca fusca Geoffr., Longitarsus luridus Scop. Hymenoptera: Mutilla europaea F, Formicagagates L., Formica pratensis Dej., Campanotus ligniperdus T.,.Tetramorium caespitum L. Orthoptera: Decticus verucivorus Z., Sphorodesma Pantigii Brun., Ephippigera vitium $Sers., Oedipoda fasciata Steb., Stenobothrus lineatus Panz. Chryso- chraon brachypterus Ocsk. Hemiptera: Philaenus spumarius L., Acocephalus bifasciatus L., Enacanhtus interruptus L. Crescevano nel bosco numerose le felci e fra queste gigan- teschi esemplari di Pteris aquilina L. di oltre 2 metri d’altezza, di Aspidium Filix mas Sw., Aspidium Lonchitis Sw, aculeatum Doll., rigidum Sw. Fra le fessure delle roccie sor- gevano Grammitis Ceterach Sw., Polypodium vulgare L., Dryopteris L., Cystoptreris fragilis Doll, montana Link., Asplenium Trichomanes Huds., viride Huds., Sc o- lopendrium vulgare Symons, cui si aggiunge la Silene pu- silla WX. Stellaria nemorum L. Continuando nel bosco ci apparvero la Circaea luteiana L., Epipactis rubiginosa Gaud., Ranunculus lanuginosus L., Prenanthes purpu- rea LZ. Salvia glutinosa L. E così piacevolmente erborizzando si arrivò ad un pratello racchiuso tutt’ all’ intorno da annosissimi faggi, ove si decise di far colazione ed alla qual bisogna si diede tosto e frugalmente disbrigo. Dopo un’ ora di riposo ci rimettemmo in viaggio, la via era più erta, ma sempre amena ed ombreggiata dal bosco che investe tutto il pendio. Le raccolte fatte in questa latitudine furono: Gentiana germanica Wild, Scorzonera rosea WK, Scabiosa ere- nata, silenifolia WX, Succisa vulgaris, Geranium phaeum L., Malva moschata L., Digitalis ambigua pae BRR Murr., Phyteuma ‘nigrum Schm., Scutellaria Columnae, Rumex Acetosa LZ, Aconitum Lycoctonum var. vul- paria /teichb., Aconitum Anthora L., Carduus alpestris WK.., Milium effusum L., Viola biflora L, Myosotis sylvestris, Arenaria gracilis WK., Rbamnus alpina L., Ostrya carpini folia Scop. Scavalcate alcune roccie entrammo in una bellissima vallata, ove vi avevano parecchie sorgenti d’acqua. Era questo l’ ultimo ripiano sul quale spiccavano le vette dello Sveto Berdo, del Sagestan, del Malovan, belle per la folta foresta che le copriva e per la nudità delle loro creste frastagliate, oltremodo pittoresche. Le sorgenti of- frirono una specie nuova di Ammnicola dal Clessia denominata Amnicola elevata poi Aneylus fluviatilis Mill. Sotto le pietre vivevano associate la Helix secernenda Fssm., ed una specie che si avvicina molto alla Helix tran- sylvanica Lielz., però più striata; trovammo inoltre la Clausilia inaequalis Z., CL agnata Partsch. In questa località ci sor- prese una bellissima Cochlicopa lubrica Miller, e specie nuova di una Clausilia la di cui diagnosi è la seguente : Clausilia raricorsta Bòottgen. Affinis CI. Marcki Zel., sed multo major, ventrioso-fusiformis, apice peracuto, rufo-cerasina, satis diaphana; anfractus 10'/ citius crescentes, sutura crenulata albofilosa disjuncti, costulati, costulis distantibus acutis, superne albidis; ultimus satis altus, costis pe- racutis, filiformibus, albidis, prope aperturam haud callosis ornatus. Apertura magna, recta, regulariter ovata; peristoma patulum, expansum acutum, reflexiusculum, labio lato albo munitum ; lamella supera majore, marginali; subcolumellari subemersa. Plicae satu- rales duae, aequales, perspicuae; principalis mediocris. Alt. 17-19" lat. 33/,-44,°® Alt. apert. 41/,-5*®, lat. apert. 3-3 mm Questa specie ci diede ancora la varietà seguente: var. emarginata Bottger. Peristoma superne valde solutum, margine columellari sinuato aut emarginato, valde protracto. Alt. 17!/,-18®®- lat. 31/,-33/ fm Alt. apert. 4-4," lat. aper. 28/,-3mm- Differisce questa nuova specie dalla Clausilia peristoma Bòttger, ritrovata da mio figlio sul monte Risniak della quale non è mi- nore, per la costellatura più pronunciata, per l’ accrescimento più AMA rapido dei giri, e l’aspetto più panciuto della medesima, per la plica principale più corta, e pel margine acuto del peristoma non scanellato-arrotondato. Differisce oltreciò dalla Clausilia Marcki Zel. pel suo maggior sviluppo, forma più snella e posizione marginale della lamella su- periore, per la maggior ovale ‘apertura. La Cl. Marcki tiene poi una spira di meno e la Cl. pirostoma un giro di più. In quest’ amena valle alcuni pastori dalmati associati a certi cani somiglianti @ jene erano a. custodia di numerose greggie di capre e pecore. Passai qui un momento critico. Avendo smarrito in una svolta i compagni venni d’un tratto furiosamente assalito da quelle belve, ed aveva un bel da fare per tenermele a' rispettosa distanza a mezzo di un robusto ramo di faggio, che mi faceva le veci di bastone alpigiano. Incontrammo tratto tratto Bosniaci fuggiaschi, scarni e ma- cilenti, che traevano silenziosi, curvi sotto un fardello di fieno per venderlo a Gospie e campare col ricavo di qualche moneta la gra- ma loro esistenza. Era fortuna se in queste condizioni potemmo trovare qualche residuo rimasto alla falce od al dente delle capre. Per mala sorte anche la scure dei legnaiuoli, che si assunsero il compito di spo- gliare il Velebit delle sue secolari foreste, lavorano alacremente sul versante del monte, e da qui a qualche anno le pendici che prospettano la Croazia resteranno spogliate e sterili, come oggi lo sono i declivi meridionali. Trovammo però sempre alcunchè da spigolare, come Viola biflora L., Allium carinatum ZL, Gentiana lutea ZL K. Sambucus racemosa L., Cirsium eriophorum $Scop., Colchicum autumnale Z., Iuniperus nana Wwld. Dall imo di questo luogo, non restava altro per arrivare alla vetta, che un’ erta ascesa. Il sentiero rimontava verso Sud-est per un’ insenatura ricca di ciottoli e di macigni; i boschi incomincia- vano a divenir più rari; gli alberi, sempre meno compatti e meno folti sino a che degeneravano in arbusti e davano luogo a qualche rara macchia di Pinus mughus Scop. Ormai eravamo presso lo Sveto Berdo. Volgendo lo sguardo verso Nord-ovest vedemmo venire su un gran buio e in mezzo ad un fitto lampeggio si sentiva lontano il brontolare del tuono. In breve si oscurò 1 aria di modo che appena potevansi scorgere gli orizzonti sfumati. Soltanto verso Nord-est qualche lieve squarciarsi di nubi ci permetteva di spingere — a la pupilla a traverso ad ùn dedalo di montagne rischiarate mo- mentaneamente dai raggi del sole. La tema di essere sorpresi dal temporale ci fece ben presto malvolentieri volgere il passo e ritornare per la stessa via dovendo abbandonare il piano progettato dapprima di scendere per San Rocco. Seguimmo in ciò il consiglio della guida che ci descriveva più malagevole e più lunga l’ altra discesa, tanto più che il giorno era presso al limitare e temeva che la notte non ci avesse sor- preso fra i boschi, mal riuscendo allora e pericoloso l’ avanzarsi. Onde non avventurarci di bel nuovo su quel ripidissimo pendio del mattino, si fece una diversione tenendoci più verso Ponente, la qual cosa però allungò il ritorno di una buona ora, ma ci tro- vammo per compenso sempre sopra una buona strada ora fra mezzo fitte boscaglie, ora fra graziosi pratelli, cogliendo ancora qualche pianticella e furono : Bupleurum salicifolium, Leontodon hastilis Kock,, var. hyperifolium, Hieracium murorum L., H. Tomma- sini, Astrantia major L., Centaurea amara ZL. Cirsium Erisithales Scop., Senecio nebrodensis LL. ceroaticus W.K. Il bosco di tratto in tratto si faceva più rado e ci per- metteva di scorgere dei magnifici quadri colorati dal sole già presso al tramonto, essendosi dileguato come per incanto il tetro velo che poc’ anzi aveva coperto tutto il paesaggio. Panorami quantunque sempre gli stessi, il punto di vista aveva cambiato d’ aspetto coi cambiamenti sopraggiunti nella posizione del sole. Le parti della catena montana che alla mattina si trovavano lu- minose, erano ora nell'ombra, ed altre, che allora giacevano nelle tenebre, erano illuminate. Tale è il prestigio e la varietà delle grandi vedute di montagne, che si modificano ad ogni istante del giorno, e che da un’ora all altra gli stessi oggetti cambiano d’ apparenza, a seconda degli accidenti dell’ atmosfera e della luce. Lo spettacolo era meno radiante, ma era più dolce, più velato; i colori del paesaggio meno vivi e meno offensivi agli occhi, si fon- devano armoniosamente colle tinte scolorate del cielo. Ben presto ci copersero le ombre del crepuscolo. I monti e le pianure tutto si scolorò, affrettammo la marcia ed all’ apparire delle prime stelle si giunse a Radu, e da lì poco dopo la mezzanotte eravamo nel nostro albergo. La mattina del 19 agosto partimmo da Gospic. Dopo breve fermata a Ostaria giungemmò al monumento del RANE E Cubo ove il Velebit, notabilmente depresso, lascia un varco alla strada che discende giù pel suo versante meridionale. Qui la regione cangia improvvisamente. d’ aspetto. Da qualunque parte ci volgessimo strati rocciosi calvi; a grandi intervalli qualche quercia rattrappita, come povere superstiti di una grande ruina, come testimoni al passeggiero di una vegeta- zione rigogliosa nel passato. Si ha dalle storie, che il versante dalmato del Velebit nei passati secoli era largamente coperto dalle foreste, le quali giungevano fino alle più alte vette. Somministra- vano queste alla popolazione marina il legname occorrente alla co- struzione de’ navigli, e ne somministravano anche ai cantieri delle estere nazioni. Nel 1608. concessero i Veneti al Sultano di poter cavare dai boschi di queste montagne tutto il legname occorrente alla costruzione di ben dodici navi da linea. Il catrame veniva pure estratto in quei tempi dai pini che adornavano le ora squal- lenti e nude sommità dei monti. Qual contrasto tra la frondosa Dalmazia di Claudiano e quella del giorno d’ oggi con quello ster- minio di nude creste che ovunque la difformano! Percorrendo l’ultimo giro. della strada fino a Carlopago, si resta grandemente sorpresi dalle ognor varianti prospettive dei ri- pidi e scoscesi monti e degli elevatissimi massi rocciosi che le fanno barriera da ambo i lati, dagli enormi squarciamenti e dai profondi burroni che vi cagionarono le ultime rivoluzioni geologiche. Il Velebit veduto in distanza dal mare rassembra ad una massa compatta e. ben estesa, che si solleva a perpendicolo sopra il mare colla base corrosa ed incavata dal flagellar delle onde. Lo stesso mare vicino a tali coste anche colla bonaccia presenta aspetto severo e minaccioso. Nell'intervallo fra Segna e Zara, il Velebit mostra nel suo litorale i più significanti e bizzarri rivolgimenti, e quindi le più marcate e profonde insenature dell’ Adriatico. Fronteggiato da un gran numero d’isole d’ ogni dimensione, le quali danno origine a stretti, a canali, a correnti a controcorrenti. Costituito di roccie di varia composizione e struttura e su cui la degradazione meteorica e la corrosione esercitavano ed esercitano in diverso grado la loro potenza, il Velebit offre svariatissimi aspetti che difficilmente ri- scontransi in altre catene montuose. Ora le calcari pure o legger- mente dolomitiche resistendo fortemente all’ azione degli agenti atmosferici, o non lasciando che se ne stacchino che dei massi di grandezza più o meno considerevole, si adergono ad altezze — = molto grandi con fianchi dirupatissimi e nudi; ora le dolomie più facilmente attaccabili danno origine a poderose frane; mentre le roccie arenacee con cemento marnoso, gli scisti calcari permet- tendo il distacco graduato di particelle minutissime, fanno assu- mere alle montagne di codesta catena forme del tutto differenti, con cime tondeggianti separate da selle basse e facili, con pendii più dolcemente. inclinati e coperti da una vegetazione lussureg- giante e svariata. | In generale il lato che si estende lungo l Adriatico presenta un’ estrema aridità in un suolo ineguale, aspro e roccioso, coperto estesamente da crete ed argille, e che, ripercuotendo con forza i raggi solari, prontamente disperde l’ umidità che 1° aria e le pioggie gli impartiscono; la ventilazione è rapida e variata, quindi defi- cienza d’acqua, vegetazione rara e poco appariscente. Il paesaggio che si estende invece lungo il versante settentrionale, arriva spesso fino alla sommità delle sue vette con una bella gradazione di mon- ticelli, di poggi e vallate intermedie ricoperte di magnifica verdura; l umidità vi è trattenuta da un suolo argillaceo-arenoso, profondo ed assai diffuso: sì che la forza d’insolazione, moderata dalle bo- scaglie e dalle piante che l’ adombrano, non può sì facilmente disper- derla, quindi abbondanza di sorgive, folta e rigogliosa vegetazione. Il Velebit non offre è vero le titaniche vette delle Alpi oc- cidentali e centrali: gli mancano gli eterni ghiacciai ed i vasti campi di neve; ma gli restano i panorami stupendi prospettanti la vista del mare. Molti geografi ritengono che le montagne del Velebit abbiano il loro nodo al monte Nevoso. La catena del Velebit sorge dal Vratnik alto 3618‘ sopra Segna, estendendosi per un corso di 18 miglia sino alle foci della Zermagna, congiungendosi alle Giulie per mezzo di quell’altipiano che si protende da Fiume a Segna, denominato il Carso liburnico. L’insellatura di Ostaria divide il Velebit in due rami, di cui l’ uno scorre verso Nord-ovest, e l’ altro in direzione Sud-est. Dal primo spiccano le alpi Plisiviza del Velebit (5230‘), Rainaz (5377%) e Sato- rino (95136‘); dal secondo ramo presso Carlopago lo Sladovaz (4826); tra Gospic ed il contine dalmato le Alpi Mala e Velika Urla], Samar, Silog, Mala e Velika Visogica (5118) colla valle prealpina Iadrina Poljana; lungo il confine dalmato le Alpi Kuk (4020°), Badanj (5186) colla valle prealpina Stirovacka Poljana, Viseruna (9160) Smergevca, Debelo Brdo, Vife Vagana, Segestan, Malovan, LIME Sveto Berdo o Monte Santo (5568), la cima più alta di tutta la catena ed il Crnopac (4440°). Sotto 1° aspetto geologico il Velebit ci offre due formazioni distinte 1’ una del trias e l'altra della creta. La serie triasica è molto più complessa e sviluppata ed occupa un’area grandissima della catena. Esso consta di formazioni dolomitiche, di calcari di Hallstadt e strati di Raibl, formando la zona superiore del Velebit. Tutti questi terreni si trovano regolarmente sviluppati avendo nel sollevamento acquistato una posizione per così dire uniforme. Alla base dei calcari del trias superiore incontransi dei gruppi inferiori del trias, cioè degli strati di carbone e di arenaria variegata (il Bunter Sandstein dei geologi tedeschi). Tale deposito è costi- tuito da arenarie di colore ora rosso vivo, ora rosso di fegato. Queste arenarie in qualche località passano a marne o meglio ad argille scistose; presso Brusane sono queste coperte da depositi di gesso bianco grigio, accompagnato da marne argillose e da piriti di ferro i cui cristalli trovansi incassati nel gesso. Nella stessa ‘località osservasi un conglomerato quarzoso a cemento arenoso- micaceo, il quale è coperto da argilloscisti poco tenaci. Sulla strada che conduce a Ostaria vedesi un potente strato di calcare scistosa nera che lasciasi facilmente dividere in sotti- lissime lamelle. I terreni cretacei si estendono lungo il litorale marino ove si sprofondano per ricomparirvi nelle isole che gli stanno di fronte. La serie cretacea incomincia inferiormente con alcuni strati di calcare contenente traccie di Radioliti. Verso il mare offre un calcare bianco-cinereo, qua e là-a conglomerato, che negli strati superiori prende tinta cenerognola. Sulle isole di Pago e Veglia troviamo la stessa roccia ricoperta da formazioni numolitiche cal- cari ed arenarie. La direzione degli strati tiene da Nord ovest al Sud-est. Lungo il versante settentrionale del Velebit giacciono dei monti che presentano un andamento vagamente onduloso divisi da profonde vallate; sono questi formati da arenarie che vanno alternando con quelle a grana più grossa, argillose e scistose, frammezzate in più siti da scisti arenosi grigi più compatti, contenenti scisti argillosi e carboni. Il colorito, la tenacità e la struttura varia nelle arenarie. Predomina il quarzo nelle grigie scistose a grana più grossa, com- ponendosi una varietà verso la sommità del Velebit, di frammenti di pietra cornea e di felspatti argillosi. Il color rosso predomina negli scisti argillosi; la mica che vi abbonda, rende la roccia più divisibile e decomponibile. Questi superficiali cenni geognostici sul Velebit non sono che lo spoglio delle note da me fatte in questa mia escursione, o leg- gendo quel poco che a mia cognizione ne è stato scritto. Per vero poco o male può dire il naturalista viaggiatore in poche escursioni sulla geologia d’ un paese; poichè egli non può raccogliere i fossili con scrupolosa esattezza, nè seguire tutti gli accidenti stratigrafici, le quali cose in complesso costituiscono il criterio certo per fissare la geologia d’ una regione. Le valli del Velebit dovettero essere occupate anticamente dai ghiacciai. Delle morene costituite con materiali trasportati alla pianura formano ora quella serie di colline che si estendono alla base settentrionale del Velebit. Oltreciò tutta la pianura della Lika è sparsa come si disse più sopra da una quantità di cumuli di sassi più o meno grossolani, da non pochi massi rocciosi di sensibile gran- dezza, e di colline isolate; la quale è ora ricoperta da uno strato di alluvione derivante in gran parte dallo sfacelo delle morene. Dopo tre ore di corsa giù per una strada che per lunghe spire si rattorcigliava, sì distendeva, s’ insinuava per la montagna, arriviamo alle ore 9 pomeridiane a Carlopago sul litorale dell’ an- tica Giapidia. È questa città con circa 500 abitanti dediti in gran parte al traffico di transito colla vicina Croazia, per la miseranda copia di rovine e di sfasciumi che presenta, d’ aspetto oltremodo melanconico. Il sito è fiagellato dal vento borea, la vegetazione quindi vi è assai stentata e meschina, e poco aggradevole il sog- giorno. Trovato alloggio nel modesto albergo del luogo ci avviammo alla spiaggia del mare desiderosi di esaminarvi eziandio la fauna litorale del Velebit e raccogliere ciò che avremmo potuto trovare: Ben presto fummo coadjuvati in codesta faccenda da uno stuolo di monelli che ivi si dilettavano al nuoto. Ci sorprendeva :l’ agilità cella quale si tuffavano costoro per portarci or l'uno or l’altro animale dal fondo marino. In breve si raccolsero le seguenti specie : Actinia cereus E. et Sol., A equina L., A. Zonata Rathke, Asteracauthion glacialis Z., Asteriscus palmipes M. et Fr., A. verruculatus Retz., Ophiotrix fragilix 0. F Miller, Psammechinus mierotuberculatus 2Blbm., Toxop- neustes lividus Lam, Holothuria tubulosa Z., Sipunculus * Mo (IC sp., Aphrodite aculeata Z., Cerebratulus sp., Sphaeroma serratum Leach, Ligia Brandtii Rathke, Gebia litoralis Hetler, Porcellana platycheles LZm., Cancer masmoratus Fabr., Stenorrhynchus longirostris M. Edw., Mytilus mi- nimus Poli, Cardium edule L., C. tuberculatum L., Venus verrucosa L., V. chione L., Tapes decussatus L., Doris limbata Cuv., Chiton fascicularis L., Ch. olivaceus Spen- gler, Patella coerulea L., Haliotis tuberculata L., Tro- chus divaricatus L., T. t'urbinatus Born, T. articulatus Lam., T. Adansonii Payr., T. varius L., Turbo rugosus L., Scalaria communis Lam., Chenopus pes-pelecani L., Ceri- thiopsis tubercularis Mont., Triforis perversa L., Ceri- thium minutum $erres., C. lima Brug., Conus mediterra- neus brug., Pollia d Orbigny Payr., Pisania maculosa Lam., Fasciolaria lignaria L., Murex trunculus L., M. bran- daris Z., M. cristatus Brocchi, Columbella rustica L., Mitra cornea Lam., M. ebenus Lam. Proseguimmo il dì seguente a dare uno sguardo sulle poche piante che qua e là abbarbicavano fra le fessure di quelle roccie oppure crescevano sui tratti arenosi del litorale; erano queste: Inula candida Cass,, Pienomon Acarna Cass., Centaurea axillaris Wwld., Arthemisia coerulescens Z., campho- rata WWl., austriaca Jacg., Picris laciniata Schk., Helian- thus peploides, Ononis viscosa L., Drypis spinosa L, Rhamnus rupestris Scop., Paliurus acuieatus Zam., Vi- burnum Tinus L., Euphorbia Wulfenii Hoppe., Paralias L., Myrsinites L. Gli insetti raccolti furono: Coleoptera: Calosoma 'sycophanta L., Oythyrea funesta Pod., Cetonia floricola L., Purpuricenus budensis 7., Hy- lotrupes baiulus Z., Clytus speciosus Schn. Orthoptera: Pachytilus nigrofasciatus 7., Caloptenus italicus F., Oedipoda fasciata Sick. In causa della grande siccità che perdurava già da tre mesi non ci fu possibile di raccogliere che ben pochi molluschi terrestri, ma questi interessantissimi cioè: Helix coerulans MWull, Zo- nites croaticus Partsch, compressus Ziegl., Helix secer- nenda Fossm.; in copia però Helix homoleuca Sabljar.; raro qualche esemplare di Clausilia agnata Partsch e binodata Z. Ebbi qui la fortuna di scoprire nuovamente una specie nuova cioè la Clausilia cognata Boettger. Eccone la diagnosi: Peraffinis TELI CI. agnatae Partsch, sed gracillima, cylindracea, haud ventricosa, albida vel corneo-albida; anfractibus in multo altioribus, ultimo magis cylindraceo, dorso applanato, juxta rimam distinctius ceri- stato; apertura manore, lamellis intus magis conniventibus, spiralis superae valde approximata, lunella sigmoidea, palatalis infera maxima, arcuatim cum callo palatali obsoleta connexa. Alt. 151!/,-16!,=® lat. 31/3, (nell’agnata mai meno di 4") Alt. apert. 31/,-35/,®®, lat. apert. 28/,®” — Questa specie tra quelle della sezione Medora non può paragonarsi ad un’altra che all’ agnata Partsch e con questa da considerarsi anello di congiunzione colla Sezione Aga- thylla. Da quanto ebbi ad esporre vediamo che la fauna malacolo- gica del Velebit è ricchissima. Ma ciò che caratterizza la fauna si è il ragguardevole numero di specie del genere Clausilia. Riassumendo quindi avremo le seguenti Clausilie proprie del Velebit, cioè : Sect.. Marpessa. . laminata Mntg. . melanostoma var. inaequalis Z. . ungulata A. Schm. Sect. Delima. . ornata Z. Gospiciensis Zel. decipiens £ssm. . binodata Z. vibex £ssm. Sect. Medora. . agnata Partsch. . cognata Boettger. Sect. Dilataria. . succineata Z. var. tenuis Brusina. . raricosta Boettger. . raricosta var. emarginata Boettger. . Marcki Zel. . pulchella Pfr. Sect. Alinda. . biplicata Mntg. Sect. Strigllaria. . vetusta Z. > DIVI I ESE VUUVO ESE (70) Ma i Sect. Pirostoma. P. ventricosa Drp. P. plicatula Mnstg. Desta particolar interesse per la loro distribuzione geografica la comparsa in queste regioni meridionali delle specie biplicata, pli- catula e ventricosa. Che il suolo dovesse esercitare un’ influenza sulla fauna ma- lacologica è generalmente riconosciuto ed ammesso; ma havvi di- sparere nell’ assegnarne la causa, nello stabilire cioè, se la medesima risiede nelle qualità chimiche dei terreni, oppure nelle fisiche o meccaniche, ovvero nelle geologiche. Secondo Strohbel*) tale influenza può essere tanto diretta quanto indiretta. Nel primo caso, il terreno agisce, sia sommini- strando ai molluschi 1 acqua e le sostanze minerali occorrenti per la formazione della conchiglia, sia apprestando loro la necessaria dimora, oppure accordando rifugio durante le epoche o nelle cir- costanze poco favorevoli al loro organismo. Nel secondo caso, l'influenza si esercita dal terreno, o per mezzo dell’ ambiente nel quale respirano i molluschi, ch’ esso può modificare, o per mezzo della vegetazione, la quale dipende natu- ralmente dal terreno ed è l’ officina immediata o mediata del nu- trimento dei molluschi, siccome è pure 1’ officina della sostanza organica del guscio, la conchiolina. Dobbiamo ancora convenire che poco sappiamo circa le con- dizioni fisiologiche delle Clausilie, nè uno studio comparativo sul loro genere di vita è stato sino ad oggi ancora tentato. Sembra in generale che per lo sviluppo ed il prosperamento di questo genere, due fattori abbiano molto maggior importanza che per gli altri molluschi terrestri, cioè l’ umidità dell’ aria e la roccia calcarea necessaria per la costruzione del loro involucro. Che una certa quantità d’acqua nell'aria sia condizione es- senziale per la vitalità di tutti i molluschi terrestri, riesce evidente primo dalla presenza del clausilio, il quale deve opporsi all’ azione dell’ aria asciutta e riscaldata, secondo, dalla presenza di Clausilie sulle roccie litorali del mare e nelle isole, e terzo dalle numerose specie che trovansi in valli ombreggiate ed in umidi burroni. *) Saggio sui rapporti esistenti fra la natura del suolo e la distribuzione dei molluschi terrestri e d’ acqua dolce del Prof. Pellegrino Strobel. Atti della Società Italiana di scienze naturali. Vol. XIX, fasc. I. SN = cpl Infatti, vediamo che nelle giornate calde e serene riesce dif- ficile .il ritrovarli, mentre di preferenza nei giorni piovosi 0 dopo una pioggia temporalesca (escono dai loro nascondigli. La natura chimica del terreno, sta poi in diretta relazione col numero delle specie che vi allignano, inquantochè esso esercita un’ influenza sulla secrezione della loro conchiglia. A tale uopo esse hanno bisogno di una quantità maggiore 0 minore di carbonato di calce. Le rocce che lo contengono, e quindi sopratutto il calcare, favoriscono quella secrezione. Che tale qualità del suolo eserciti un’ influenza sulle Clausilie, viene provato che nei monti nei quali la calcare difetta totalmente, le Clausilie non si trovano che colà ove delle costruzioni di mano degli uomini offrano a queste sotto forma di pietra ‘0 :di cemento il minerale indispensabile per la formazione del loro involucro. Soltanto poche specie — e le riconosciamo dal guscio jalino — come le Marpesse, le Phaeduse, alcune Serruline e Dilatarie non dipendono ‘assolutamente dalla natura del terreno su cui vivono, esse ‘sì trovano di preferenza sotto le ‘corteccie 0 sui muschi che rivestono gli alberi. Ne segue che la natura chimica del suolo ha un’ azione decisa sulla distribuzione geografica delle Clausilie, e che il terreno calcareo è il più favorevole alla medesima. Le rocce più sfavorevoli ‘sarebbero le granitiche, le scistose e le arenose. I gusci delle specie che sono più esposte ai raggi solari sogliono prendere coloriti chiari, grigio azzurro, bianco ‘azzurro e persino bianco niveo, come i gruppi Medora, Cristataria e Albinaria e quelle che sono esposte all’azione di calore intenso, offrono una conchiglia calcarea di straordinario spessore, qualità tutte opportune per di- fendere l’ animale dal calore esterno e renderne minore la traspi- razione e la perdita dei propri umori, ossia 1’ essiccazione, come il gruppo Nenia dell’ America meridionale e molte Phiduse dell'Asia australe. Non può disconoscersi una certa analogia fra il colore del guscio e quello del terreno, però delle osservazioni dirette im proposito non sono state. peranco pubblicate. Le suesposte deduzioni sono pienamente confermate dalle 0s- servazioni ch’ ebbi di fare sulle Alpi del Velebit, e da quelle du- rante le mie frequenti escursioni in Dalmazia. Per ciò che riguarda i mezzi di diffusione delle Clausilie è chiaro che vi sono pochi gruppi fra i molluschi terrestri che pos- sano sopportare più facilmente eventuali trasporti. In virtù della ermetica chiusura operata in molte specie dal Clausilio, sono esse MAE pAGO superiori a tutti gli altri molluschi, ad eccezione forse delle Cy- clostomacee. Emigrazioni attive di maggior importanza non sono ammissibili in questo gruppo, bensì però passive. Le inondazioni possono difficilmente spiegare la diffusione geografica di una specie su di un intero territorio idrografico. L’ emigrazione attraverso stretti canali marini è facile a dimostrare per una quantità di specie ed è pure sommamente probabile anche per vasti seni di mare. In proposito basta accennare alla comparsa della Clausilia (Delima) paestana Phil. sulla costa italiana, e della Clausilia (De- lima) Neumeyeri K. sulla costa dalmatica dell’ Adriatico; inoltre alla presenza della Cl. (Delima) gibbula Z. var. pelagosana Brettg. a Pelagosa nel mezzo dell’ Adriatico, mentre che la forma tipica è largamente diffusa ‘su tutti i due continenti opposti. Lo stesso dicasi della Cl. Biasoletti, specie del nostro Carso che fu rinvenuta anche nell’ isola di Cherso. Ma ancora altre circostanze devono avere influito sulla diffusione geografica delle Clausilie. La ricchezza straordinaria di forme in alcuni paesi e la limitata diffusione di molte specie indigene, potrebbero secondo Boettger*) trovare la loro spiegazione nella teoria di emigrazione di Wagner. Agli emi- granti minacciati di concorrenza da molluschi meglio organizzati si offrirono nuove condizioni di vita ed essi adattandosi a queste modificarono per quanto poterono il loro involucro. Una tendenza alla variabilità si mostra in questo genere, già uella sua prima comparsa nell’ epoca terziaria. Chi non potè adattarsi alle nuove condizioni soccombette, ed un’ altra generazione dei superstiti dello stesso o d’altro cielo di forme ebbe forse in epoca posteriore mi- glior sorte. Così sorsero nuove specie, che finalmente si resero tipiche e per lunghi periodi sostennero la speciale loro forma ereditata. Altre forme mantennero un grado maggiore di variabilità e suscettibi- lità d’adattamento e queste furono gli stipiti di nuove serie emi- gratrici. Altre diminuirono nel corso di migliaia d’ anni o perdet- tero la loro facoltà di variare, o s’ indebolirono e perirono in forza di mutate condizioni climatiche ed orografiche. Li 18 agosto, noleggiato un battello, partimmo per Pago, isola che per parecchie miglia si protende parallela al litorale. Trascorrendo il canale, che la divide dalla costa opposta, essa *) Palaeontographica. Suppl. III. O. Boettger, Clausilien-Studien. Cassel 1877. I Ta si affaccia alla vista di una nudità spaventosa, non potendovi scor- gere segno di vegetazione. Mano a mano che si progrediva fra le insenature dell’isola, scorgevasi quasi per incanto mutata quella scena desolante nella più amena prospettiva. La vita veniva ralle- grata da collinette gentili vestite ovunque di vigneti, d’ ulivi e d’ alberi fruttiferi. La città dello stesso nome dell’isola giace in fondo di un vallone. È rinomata per la gran copia di sale che somministra l’ intera sua valle salifera. Un’ escursione lungo la marina ci fece osservare il tamarisco che qui forma fitte siepi ovunque, poi Salicornia herbacea L. Suaeda fruticosa Forsk., Statice incana L., oleaefolia Host, Centaurea alba L. e cristata Bart, Artemisia camphorata Wi. coerulescens Z., Samolus Valerandi L., Euphorbia epithymoides Jacgq., Ononis arvensis Lighitf., Medicago prostrata Jacq.,, Echinops Neumagyeri Vis., Achillea adorata L., Cakile maritima Scop., ed i seguenti Ortotteri : Oedipoda fasciata Stich. Tryxalis nasuta 7. Calopte- nus italicus L., Chrysochraon brachypterus Ocsk. Da Pago il piroscafo ci condusse a Zara, ove mi separai dal Dr. Karl, e da qui partii direttamente a Trieste. Trieste, nel Settembre 1878. Veber die durch Gefrieren erreichbare Maximaldicke des Salzwassereises von Carl Weyprecht. Nach der Rickkehr der letzten englischen Polarexpedition wurde von Eisfeldern, d. h. aus Salzwasser gefrorenem Eise, he- richtet, deren durchschnittliche Dicke 25 Meter betrug. Da das Fis wegen seiner unvollkommenen Wirmeleitungsfahigkeit. um so langsamer anwichst, je dicker es wird, und (da in jedem Sommer eine der mittleren Temperatur entsprechende ‘Quantitàt von der Oberflàche abschmilzt, so ‘muss es endlich ein Maximum der Dieke erreichen, iiber welches hinaus das weitere Anwachsen unmòglich ist. Dieses Maximum tritt ein, sobald die Zunahme von'unten im Winter durch Neubildung ebenso gross ist, wie die Abnahme im Sommer an der Oberfliche durch Thauen. Meine Erfahrungen haben mich zur Ueberzeugung gebracht, dass diese Grenze sehr weit unterhalb der von den Englindern beobachteten Dicke liegt, und ich habe in Folgendem versucht, aus dem bis jetzt bekannten Beobachtungsmateriale die Maximal- grenze zu hbestimmen. Leider sind die Beobachtungen iber das allmàlige Wachsen des Eises sehr ungenigend und durch einen unglicklichen Zufall reichen auch die unsrigen nicht aus. Im ersten Winter war die regelmissige Beobachtung nicht mòglich, weil das ganze Feld, in welchem wir trieben, aus einem zusammengefrorenen Triimmer- haufen bestand, der immer von Neuem zerlegt wurde. Im zweiten Winter wurde zu Beginn jedes Monats die Eisdicke gemessen, allein die letzte Seite meiner Manuscripte, welche die Monate Februar, Màrz, April und Mai enthiilt, ist entweder an Bord zurick geblieben, oder nach der Riickkehr abhanden gekommen. E e Ausser den eigenen Beobachtungen sind mir nur zwei waàhrend eines ganzen Winters fortgesetzte Beobachtungsreihen bekannt, u. z. von Port Bowen auf 73° 14‘ N. bei 89° 0‘ E. Gr. und von Disaster Bai auf 75° 31‘ N. hei 92° 0‘ E. Gr. Alle drei Reihen zeigen eine grosse Unsicherheit und Un- regelmissigkeit in der Zunahme des Eises. Erwigt man aber, wie viele Factoren bei derselben mitwirken, so wird man die in den Beobachtungsreihen vorkommenden Springe nur ganz natùrlich finden. Ausser yon der Temperatur der Luft und des Wassers ist die Zunahme des Eises von seiner Wirmeleitungsfàhigkeit abhangig und diese muss mit seiner Porositàt und mit seiner allgemeinen Structur variiren. In noch bòherem Grade wirkt die Schneebedeckung auf sie ein. Der Schnee ist im Gegensatze zum Eise ein sehr schlech- ter Warmeleiter und seine Leitungsfaàhigkeit ist sehr verschieden, je nach seiner Festigkeit. Im Laufe des Winters hàuft er sich immer mehr ‘und mehr an, und schiitzt das Eis vor der der Lufttemperatur entsprechenden Abkùhlung. Mit dem Zunehmen der Schneedicke ver- langsamt sich der Gefrierprocess, und da der Niederschlag in den verschiedenen Monaten sehr verschieden ist, so entstehen hieraus grosse Unsegelmîissigkeiten in der Zunahme des Eises. Ausserdem wirkt aber auch dessen locale Vertheilung mit, und diese ist niemals gleichmàssig. Werden die Messungen unter oder nahe bei Schneewehen ausgefiihrt, so miissen sie ganz andere Re- sultate ergeben, als dort, wo der Wind den Schnee fortgefiihrt hat. Die Beobachtungen an den drei erwàhnten Puncten haben zu folgenden Resultaten gefiùhrt, denen die entsprechenden Summen von Temperaturen nach Réaumur beigesetzt sind. Diese Summen sind durch einfache Addition der Tagesmittel firr die verflossene Zeit erhalten: ult ga, C. Wilezek Zeitraum 3. December 1872 1. Sept. — 31. Sept. » » » — 81. Oct. — 30. Nov. — 31. Mai Temp. Eisdicke 19 Cm. 33 , or È 98, 1. Oct. $ $ Port Bowen Zeitraum — 22. Nov. — 13. Dec. Temp. 628° 1006 1458 2330 3068 3900 4420 Eisdicke 77.5 Cm. 97.8 115.1 142.0 189.4 209.5 219.7 » I Zeitraum Disaster Bai 10. Oct. — 5. Nov > Pat s — D. Dec. t = d658, » — 20. >» s — 4 Jan * ue pi ads pi » — 8. Febr. E 2, È 2° 608.9, »s — D. Màrz Po Temp. — 322° — 796 — 1045 — 1329 — 1599 — 1817 — 2124 — 2462 — 2815 — 3161 — 3460 — 3748 — 4044 — 4318 Eisdicke 45.7Cm. 172. » La > pan Bei den eigenen Beobachtungen ist die Eisdicke am Ende des Winters etwas niedriger angenommen, als die Beobachtungen aus geschlossenen Hifen, in welchen der Wasserwechsel erschwert ist, ergeben. Die durchschnittliche Dicke des Eises nach einem Winter ist iberall so ziemlich gleich 2 Meter gefunden worden, so z. B. auch an der Ostkiiste von Groònland im Bereiche der kalteren po- laren Stròmung. Im offenen Meere, wo der Wasserwechsel rascher stattfindet, kann man die sich bildende Eisdecke etwas geringer annehmen. In den Beobachtungen von Port Bowen zeigt sich eine Ei- genthiimlichkeit, welche auf eine Stérung im Gange der Beobach- tungen schliessen lisst. Das Wachsen des Eises geht im Anfange sehr rasch vor sich und nimmt dann regelmàssig ab bis zur Dicke von 142 Cm., hierauf beginnt abermals eine sehr rasche Zunahme, die sich wiederum noch rascher als frithber verlangsamt. Verbindet man die den Summen der Temperaturen entsprechend aufgetragenen Eisdicken mit einander, so erhàlt man zwei ganz àhnliche Curven, und zwar eine von 0 bis — 2330°, die andere von — 2330 bis — 4420°, deren regelmissiger Verlauf zwar die Genauigkeit der Be- obachtungen bestàtigt, aber auch andeutet, dass eine Unterbrechung stattgefunden hat. Nach diesen Curven zu urtheilen, sieht es aus, als sei bis zum 1. Februar an einer Stelle und von da an einer anderen, die mit jungem Eise bedeckt war, beobachtet worden. Die Beobachtungen von Disaster Bai gehen sehr unregelmàssig, indem zwei Falle vorkommen, wo die spitere Dicke des Eises ge- ringer gefunden wurde, als die frihere, obwohl die Messungen, bis zum 22. Februar wenigstens, an der gleichen Stelle vorgenom- men wurden. Construirt man nun, ohne eine Genauigkeit erzielen zu wollen, welche mit der Genauigkeit der Beobachtungen in keinem Verbàlt- nisse steht, auf die friher angegebene Weise die wahrscheinlichsten Curven, welche aus den drei Beobachtungsreihen hervorgehen, so erhîlt man folgende Resultate : BRR pn Eisdicke in Centimetern. fida] | C. Wilezek | Port Bowen | Disaster Bai Mittel 63 Die letzte Reihe erhilt man, wenn man durch die Mittel. der drei anderen die wahrscheinlichste Curve legt. Allerdings muss man im Auge behalten, dass die Fortestzung von Reihen hòheren Grades iber die Grenzen der Beobachtung stest mehr oder weniger unsicher bleibt. So lange wir jedoch keine grindlicheren und voll- stàndigeren Beobachtungen besitzen, muss man die letzte Reihe als wenigstens annàhernd das Wachsen des Eises darstellend betrachten, abgesehen natirlich von der Verschiedenheit der Wassertemperatur., der Schneebedeckung, des Wasserwechsels ete., welche locale Ab- weichungen veranlassen. Entspricht diese gefundene Reihe den wirklichen Verhàltnissen, so geht daraus hervor, dass — wie tief auch die mittlere Winter- temperatur sinken mòge — das Eis eine ungefàhre Dicke von 6 bis 7 Meter niemals iberschreiten kann, wenn auch im Sommer gar kein Eis mehr von der Obertlàche abthaute. Hierbei wird jedoch MI pr vorausgesetzt, dass die Wassertemperaturen im Inneren der polaren Becken nicht sehr verschieden von jenen sind, welche in den bis jetzt untersuchten Gegenden beobachtet wurden. Dass dies in Wirklichkeit nicht der Fall ist, làsst sich fast mit Bestimmtheit aus den Beobachtungen an Puncten schliessen, die im Bereiche der Strimungen liegen, welche das kalte Wasser des inneren, uns unbekannten Gebietes zum allgemeinen Austausche gegen Siden fùhren. Trotz der Mangelhaftigkeit unserer Kenntnisse kònnen wir aber jetzt schon mit aller Sicherheit hehaupten, dass. es solche Meere, wo im Sommer kein Verlust des Eises mehr eintritt, nicht gibt, sondern, das in den Monaten Juni, Juli und August auch in den allerkiltesten Gegenden eine gewisse Quantitàt Fis verzebrt oder vielmehr in Wasser verwandelt wird. Nimmt man die mittlere Summe der Wintertemperatur gleich — 5000 R. an, so ergibt sich aus obiger Reihe die Maximaldicke der Eisdecke: m. m. bei einem sommerlichen Verluste von 1.5 — 2.2 t) » ” 2) » 1.0 —_ 2.6 Sgt a È À DCO ITS Alles weitere Anwachsen, wenigstens um nennenswerthe Be- trige, hòrt auf nach 9, 10, 22 Jahren. Dass diese Werthe nicht zu niedrig gegriffen sind, erhellt aus einer Beobachtung von Kane 78° 37‘ N. îber die Temperatur des Eises in verschiedenen Tiefen. Bei einer Temperatur an der Ober- flàche gleich — 34.4° C. fand er in 2 Fuss — 22.3°, in 4 Fuss — 16.7° und in 8 Fuss — 3.3° C. Die Temperatur des Gefrierpunctes von Meerwasser wiirde hiernach schon hei héchstens 3 Meter erreicht und von da an kénnte keine weitere Eisbildung stattfinden. Allerdings ist bei dieser Beobachtung die Art der Schneebedeckung nicht angefiùhrt. In der Umgebung des Schiffes ,Tegetthoff“ massen wir die Abnahme des Eises an der Oberfliche im Sommer 1873 gleich 1.5 Meter. Hiervon muss jedoch ein gewisses Quantum abgezogen werden, well rund um das Schiff in Folge von angehéuftem Sehmutz und. dadurch. dunklerer Firbung der Eisoberfliche eine grossere Insolation stattfand. Wie aus Beobachtungen in gròsserer Entfernung vom Schiffe hervorgeht, war aber der allgemeine Verlust in den drei Sommermonaten keinesfalls geringer als 1 Meter. A Vergleicht man nun die meteorologischen Beobachtungen an- derer Expeditionen, se- ergibt sich, dass die von uns beobachtete mittlere Temperatur der drei Monate Juni, Juli und August die niedrigste, jemals im arktischen Gebiete beobachtete ist. Man wird also sicherlich nicht fehl gehen, wenn man unser Sommermittel eher fiir niedriger als fiir hòher wie dasjenige des ganzen arkti- ‘schen Gebietes annimmt, und dem annàhernd entsprechend muss auch der mittlere sommerliche Verlust sein. Das Mittel der 3 Som- mermonate war + 0.3° R. Unter den vielen Beobachtungen, welche wir bis jetzt besitzen, kommt nur ein einziges Sommermittel vor, welches unter + 1° bleibt. Dieses stammt von Renselaer Harbour, 78° 37‘, in der Nahe des 60 Meilen langen Humboldgletschers und ergibt 4 0.40 R. Bei der friher ausgefibrten Berechnung der Maximaldicke des Eises wurde eine Wintertemperatur von — 5000° R. als Summe der Tagesmittel angenommen. Untersucht man, wie weit diese Summe der mittleren Wintertemperatur des ganzen arktischen Ge- bietes entspricht, so kommt man zu folgenden Resultaten. Im Mittel aus neun Beobachtungsstationen aus dem nord- amerikanischen arktischen Archipel, deren mittlere Breite 76°, erhàlt man fir die neun Wintermonate die Summe — 5251° R. Alle diese Stationen liegen aber nahe dem amerikanischen Festlande, sie be- sitzen continentalen Charakter, d. h. kiltere Winter und warmere Sommer. Das Mittel aus drei Stationen, die in der Nahe ausgedehnter, wenn auch mit Fis bedeckter Meere gelegen sind, betràgt —3550° R. bei 78° Breite im Mittel. Als Resultat erhàlt man aus diesen beiden — 4400° R. bei 78° Breite. Diese Breite ware die mittlere des arktischen Gebietes, und wenn man den terrestrischen Pol als Kaltecentrum betrachtet, so wiirde also diese Summe die annihernde mittlere Wintertempe- ratur des ganzen arktischen Gebietes darstellen. Die Annahme des terrestrischen Poles als Kaltepol ist zwar nicht richtig, allein Jedenfalls wird sich die mittlere Wintertemperatur des ganzen fraglichen Gebietes unter dieser Annahme eher tiefer als hoher wie in Wirklichkeit stellen. Man sieht also, dass die obige Voraus- setzung von — 5000° R., als mittlere Wintertemperatur eher zu tief als zu hoch gegriffen ist, dass also die damit gefundenen Re- sultate ihre volle Berechtigung haben. Digi > RA In Folge der Zufuhr von warmem Wasser aus den Oceanen des Sidens auf uns bekannten Wegen, von Schmelzwasser aus den . Fliissen, von den Inseln und vom schwimmenden Eise und von Insolation an den offenen Stellen im Sommer wird den Polargebieten eine Wirmequantitit mitgetheilt, welche das Wasser ihrer Meere stets ùber dem Gefrierpuncte erhàlt, u. z. um etwa 0.4% R. Die ungefàhre mittlere Temperatur des Meerwassers jener Gegenden ist — 2° C., wahrend sein Gefrierpuncet bei — 2.5° C. liegt. Innerhalb der Eisdicke muss sich das Gleichgewicht zwischen der unter dem Gefrierpuncte erkalteten Luft und dem iber denselben erwàrmten Wasser herstellen, und hiedurch ist die im Vorgehenden gefundene Maximaldicke des Eises bedingt. Dieses Resultat hat nur Bezug auf die Vermehrung des Eises durch Gefrieren. Alles Eis, welches diese Maximalgrenze iber- schreitet, besteht aus Sticken, welche durch die Eispressungen unter die durch das Gefrieren enstandene obere, solide Dicke hinabge- driieckt worden sind und welche die Regelation zusammengefroren hat. Die Grenzen, welche das Fis hiedurch erreichen kann, sind schwer zu bestimmen, da sie von ganz unberechenbaren Factoren abhingen. Das Eis, welches in Gegenden liegt, in denen in Folge von heftigen Winden und Stromungen und complicirten Landver- hiltnissen die Eispressungen sehr heftig auftreten, wird zu gròsserer Dicke anwachsen, als unter den entgegengesetzten Bedin- gungen. Die tiefer liegenden Schichten sind aber nicht mehr com- pactes, massives Eis, sondern sie bestehen aus mehr oder weniger zusammenhangenden, losen, nur durch Regelation zusammengebun- denen Stiicken, welche die durch den Gefrierprocess entstandene solide obere Decke emporheben. Aber auch die Wirkung der Eispressungen hat ihre Grenzen, auf die nàher einzugehen zu weit fihren wirde. Meine Erfahrungen haben mich zur Ueberzeugung gebracht, dass festes Eis eine Dicke von hòchstens 10 Meter niemals und nirgends iberschreiten kann. Darunter kann noch eine Masse von Brocken und Blòcken liegen, die aber nicht mehr zur massiven Eisdecke gehòrén, oder wenig- stens nur lose damit verbunden sind. Sulla natura chimica dei terreni arabili del circondario di Trieste per il Prof. Aug. Vierthaler. In seguito ad un invito della locale Società Agraria, accettai l’incarico di sottoporre ad uno studio chimico i terreni arabili del nostro territorio; ed è per cura della sullodata Società che mi furono offerti i campioni di terra, tolti genuinamente dai luoghi re- lativi, cioè: dove si pratica una coltivazione agraria. Trattandosi in questo esame di stabilire principalmente il valore anorganico di queste terre, riputai inutile cosa fare indagini sull’ even- tuale contenuto di azoto, essendo questo troppo dipendente dalle cure accordate al terreno da parte del coltivatore, quindi variabile se- condo le concimazioni. Quindi mi limitai nei dosamenti a deter- minare, oltre i composti minerali, solamente la complessiva somma dei corpi organici e principalmente delle sostanze uminiche. L’ analisi venne divisa in un saggio meccanico, determinando nelle singole terre, prese in istato perfettamente disseccate all’ aria estiva, il contenuto di pietruccie terra grezza e terra in polvere finissima. Per l’analisi chimica gr. 50 delle singole terre furono dige- riti per 48 ore con acido cloridrico (40°). Dal residuo insolubile venne trattata una frazione coll’ acido solforico. concentrato, per mettere in soluzione l’ allumina eventualmente contenuta. La solu- zione cloridrica, portata al volume di 1 litro, venne frazionata per eseguire le singole ricerche. 50 C. C. servirono per la determina- zione dell'acido silicico solubile, dell’ allumina e del ferro, del car- bonato di calce e del fosfato di magnesio. Altri 50 C. C. vennero te ani ridotti collo zinco del tutto puro, quindi titolati mediante una so- luzione di permanganato di potassio (1. C. C. = 0-0276 Fe). In frazioni separate della soluzione cloridrica venne dosato il contenuto degli alcali, dell’ acido solforico e dell’ acido fosforico. Per la determinazione del cloro, dei componenti umici e umi- nici, dell’acqua, delle sostanze organiche e dell’ acido carbonico, servirono prove speciali della terra in polvere. Finalmente facendo bollire una parte della terra con una soluzione concentrata di potassa caustica entro la bacinella di argento, poteasi verificare anche il contenuto di allumina idrata, non combinata a silicato, nella terra soggetta all’ esame. Essendomi attenuto strettamente ad un analogo trattamento delle terre analizzate, così risulterà più facile il confronto dei datj che seguono. Terra di S. Croce (strato superiore). 100 parti di terra contengono: 6-89 pietruccie calcari 60-20 terra grezza 22:91 terra fina. 50 grammi della terra fina diedero un residuo insolubile di gr. 24115, di cui gr. 3:315; trattati coll’ acido solforico permisero la separazione di gr. 0:41 di allumina, donde si calcola per 100 pt. di terra un contenuto di: 9*964 Allumina 42:266 Silice e silicato insolubili, 90 C. C. della soluzione cloridrica diedero : acido silicico gr. 0-009 ossido ferrico ed allumina gr. 0462. carbonato di calce gr. 0515 pirofosfato di magnesia — traccie. Per altri 50 C. C. si consumarono 8 C. C. del titolato ca- maleonte, corrispondenti a gr. 0:3326 di ossido ferrico. Da 100 C. C. della soluzione si ebbero: gr. 0-019 di cloruri alcalini e gr. 0.038 di cloruro potassico platinico. Da altri 200 C. C. della soluzione gr. 0021 di solfato di bario e 0:006 gr. di pirofosfato di magnesio, corrispondente al contenuto di acido fosforico. * Con gr. d’ argento, Ero AR 3:575 di terra si ottennero gr. 0:025 di cloruro con gr. 5:302 di terra gr. 0:0183 di acido umico, con gr. 5:452 di terra gr. 0-052 di umina ed ac. nmico. Gr. 14396 di terra diedero una perdita di gr. 0999 di acqua e gr. 0805 di sostanze organiche. Gr. 10 di terra svilupparono gr. 1‘031 di anidride carbonica. Gr. 6-55 di terra, bollita colla potassa caustica, diedero infine gr. 024 di ossido d’ alluminio. Risulta quindi per 100 parti della terra fina il contenuto di: parti 48:23 di "0-30 di sostanze insolubili, cioè 5964 di allumina 42:266 di silice e di silicati anidride silicica (Si 0) » 13:81 di ossido ferrico (Fe, 0,) » 2.69 di allumina (AI, 0) » 11:54 di calce (C a 0) traccie di magnesio » 0:05 di sodio » 013 di potassio » 0*07 di anidride solforica (SO,) » 004 di 5 fosforica (Po 0,) n OIdeeloro » 0-24 di ac. umico n 072 dl uma » 687 di acqua » 467 di sostanze organiche (detratti i componenti uminici) » 10:31 di 99:40 anidride carbonica (C0,) Cento parti della terra fina contengono 3*67 di allumina (Al, 0,) solubile nella potassa caustica. Calcolando la terra perfettamente asciutta, risultano per 100 parti: Silicati insolubili... . . . . . 45385 Allumina insolubile . . .. . . 6404 Silice solubile." an rarabt 00 0:BST PR e Allumina . 2:899 Ossido ferrico . 147300 Calce ,12:391 Magnesia . . traccie Sodio 0:054 Potassio : 0:140 Anidride solforica . 0:075 iL fosforica . «1 0:043 s carbonica . 11-082 Cloro 0:183 Sostanze eten ani 1-:030 Altre sostanze organiche . . . . 5014 Terra di Opcina (strato superiore). 100 parti di terra contengono: parti 25 di pietrucce » 61°4 di terra grezza PF) 561 di terra fina. 90 gr. di terra asciutta all’ aria diedero; silice insolubile allumina insolubile Silice solubile . ossido ferrico allumina ed ossido torrido 7 carbonato di calce pirofosfato di magnesia . cloruro potassico e sodico . cloruro potassico platinico . solfato di bario pes gr. 17016) nell’ ac. cloridrico 5 11°784 288 gr. 0:03 no DICE » 10:84 o» 048 gi 3 (0:26 ue 10:17 p (0*66 0:02 pirofostato di magnesio Di la bisi del P, 0;) gr. 0.065 gr. 11.208 di terra diedero gr. 0:056 di cloruro d’argento 3 11095 - » b)) »” 11:000:S$ 5 » » 10 » » ” ”» 12-768 ” ”» umina ed acido umico gr. 0-23 acido. umicoittat abia:0 , 018 acido carbonico . . , 0°05 (separatane l’acqua) una perdita per Delo rentizione corrispondente ad un totale con tenuto di gr. 2:31 di sostanze organiche ii dio US gr. 6-980 di terra disseccata a 120° diede una perdita di acqua di gr. 0-*601. Il contenuto di acido carbonico si limitò a traccie soltanto. Grammi 5 di terra, fatti bollire colla potassa caustica, per- misero la separazione di gr. 0:398 di allumina, corrispondenti a vio, Risulta quindi per 100 parti di terra un contenuto di: l va ... 8403 silice | parti 57-598 di sostanze insolubili nell’ac. Cb nieu o 568 alluminaf » 0060 di ac. silicico solubile 11:480 di ossido ferrico » 110-200 di allumina » 0504 di calce » 0104 di magnesia » 0-JO1 di potassio » 0056 di sodio » 0*010 di anidride solforica ns 0073 di carbonica 0:089 — eloro 4:200 — sostanze umiche 6:160 — altre sostanze organiche 4140 — acqua 99-549 Quindi si calcolano per 100 parti di terra senz’ acqua : Silicati-inselubili;: bi - alsdttosti a abd:803 ‘Allumina insolubile . .... .. . 11:944 Acido silicico solubile . . . . . 0-063 Alimini ont abit 88 Ossido = fernica >. 0. ten 06 (lE a a a e a) Masmesia”t o. > gisosrtzar ih alata gita Seen asini die Poggio pi O pe ee e ee Anidride’ solforica <<... + str 230193 ” fosfanica siammvalaria aa > Garponica cougi Ye | «sen 0a late statale sh Mie 0 0098 Sostanze uminiche. .... . . . . 4380 Altre sostanze organiche . . . . 6415 Kojano (strato superiore). 600 parti di terra contengono: pietrifeGiesteui, SEUGNIL —- UbaTg tela Srezzanizie opios — 74510 terra: ifina» La SEIMILA. —- 20.1 Gr. 30-845 della terra fina lasciarono, dopo la digestione col- l’ acido cloridrico, un residuo insolubile di gr. 19-168 (gr. 1:453 allumina e gr. 17715 di silice e silicati). La soluzione cloridrica diluita al volume di un litro diede in 90; (0.0: acido silicico solubile gr. 0003 sui DD ossido ferrico ed allumina gr. 0:183 carbonato! di calce . .. .. .. , 0278 pirofosfato di magnesio . . , 0:049 ossido Weeriko .. ;... .. 0. +» 07096 200 C. C. diedero gr. 0:009 di K C1 + N a CI » 0032 di P+ CL +2 K CI s 0-004 di pirofosfato di magnesio (P, 0,) » 0002 di solfato di bario gr. 4:584 di terra diedero gr. 0025 di sostanze uminiche "= 0:99805 4 È » 0*152 di un totale contenuto di sostanze organiche (per- dita di arroventazione) x La PRE e ta » 00395 di acqua Selo. La : n 0101 di C 0, STO S » 0-6 di cloruro d’ argento. Si ha quindi per 100 parti di terra un contenuto di: { 57300 — silice insolubile 620 | 4700 — allumina insolubile 0:190 — silice solubile 8:-230 — allumina 3'570 — ossido ferrico 10:220 — calce 0:959 — magnesia 0:055 — sodio 0:051 — potassio 0:011 — anidride solforica 0-041 — » © fosforica 0:148 — cloro 0:540 — sostanze umiche 2960 — altre sostanze organiche 8:707 — acido carbonico 2-:600 — acqua 99-882 kRisultano infine per 100 parti di terra disseccata : Silicermmsolubile n... °°. 9929 OE I A e POZE Acido silicico solubile. 7... 0-195 ATA Te e gen 8°4D0 Opsido “ferrico».: +3 159 (R00L88-665 Calce iti! 210.70. anioriie “Dé 101900 Magnesigio .2T90./tp0,. torio». sofa. DOBd Sodio ‘10 L40000... siasi 110-056 Potassio i DEDO dai RR 1, OA? Anidride 'solforicali . 01000 10. 000îe/0:012 bs fogforica*P'ib £E00N0, 0, 0:042 & cirbonica:r ib 800. 0 1.00168-940 Cloreted.ib;0ifitàà Sb 00:08... 0152 Sostanze uminiche |. . . . . .° 0:554 Altre sostanze organiche . . . . 2628 Rojano (strato inferiore). Analisi meccanica : Bieimacgie. ‘Lin al sap 20 WRETa: rezza ci seo ae 0a benna fina ba ee Analisi chimica: 50 grammi di terra fina diedero un residuo insolubile di 0-29 allumina gr. 271 (96-51 silice gr. 0-*010 — silice solubile » 4315 — allumina 1:285 — ossido ferrico » 11105 — carbonato di calce traccie — pirosfofato di magnesia » — Solfati » 0122 — cloruro d’argento » 0075 — eloruro potassico sodico °/ da 0009 » 0210 — di cloruro platinico potassico % K 0-066 10 gr. di terra diedero gr. 0-040 di sostanze uminiche 0:59 di altre sostanze organiche %” ” ” ba) ” ” PORNO SI E ” » 0:98 di acido carbonico ®' Seti ”» » 0584 di acqua. Risultano qinndi per 100 parti di terra: 53-020 — silice insolubile 1180 — allumina insolubile 54:200 ole 54:200 0:020 — acido silicico solubile 8:630 — allumina 2570 — ossido ferrico 12440 — calce traccie magnesia s fosfati » Solfati 0:060 — cloro 0:066 — potassio 0:009 — sodio 0400 — sostanze uminiche 5-900 — altre sostanze organiche 9:800 — acido carbonico 9:840 — acqua 99-935 Si calcolano da ciò per 100 parti di terra anidra: Silicati insolubili +. . . . .. + 56:096 Alluminà”itisolubile?..-..- . . . i 11258 Acido silicico solubile . . . . . 0021 Alluminaf9Hs Sortorioz pDISs TD SI99s1199608 Ossido ferrico". . ‘. PUFTOTE0 Sprite 2729 Galee i i lia VOTO, ODI RRI dZI9 Magnesia . UU. . .0. . . SEIMLrCc Fosfati È Solfati inestabile “+. 90 5 Gleroféi allatta inediti BIaoageat 0962 Potassio i -afine aolabilà +. ORBB8IOg 0071 Sodio a allora 027 DIRO 03009 Anidride carbonica . . .. . + 10407 Sostanze uminiche . . 0.0.0. ‘0425 Altre sostanze organiche . . . . ‘65053 Terra di Cattinara. (Strato superiore). 100 parti di terra contengono: parti 24:63 pietruccie » 90*70 terra grezza 24:13 terra fina — 44 — . 50 grammi della terra disseccata a 120° diedero; silice insolubile 30:5 gr. allumina insolubile nell’ acido cloridrico 2-68 solfato di bario 0.01 ossido ferrico 0.1305 allumina ed ossido ferrico 3‘99 carbonato di calce . . . 10:25 pirofosfato di magnesio . 0-17 cloruro potassico e sodico 0-11 cloruro platinico potassico 0-207 cloruro d’argento . . . 0:15 Grammi 8:26 di terra diedero una perdita di gr. 0-20 carbonico ; gr. 9:82 di terra contenevano sostanze organiche gr. PARE sc) AN OI G acido umico.... , 0060, ta si umina di acido 0.612 0-052 0-304 Risulta quindi per 100 parti di terra il contenuto di: 61 silice 66:36 sostanze insolubili 15.86 allumina 8:08 traccie di acido solforico anidro anidride fosforica 5:22 ossido ferrico 2:76 allumina 0-30 silice solubile 11:25 calce ì 0-14 magnesia 0:065 potassio 0:037 sodio 0060 cloro 6:78 acido carbonico 1:06 acido umico 1:13 umina 4:04 altre sostanze organiche 99-382 de ga Basovizza (terreno coltivato). Analisi meccanica: O/gtt alefupiebmeeità; ano 1:20 terra grezza. . 62:50 terra final i -10396:23 Analisi chimica : 50 gr. di terra diedero un residuo insolubile di gr. 31-88 (silicati 21‘355 allumina 10:529 gr. 0:14 di silice solubile 5-11 di allumina 4:27 di ossido ferrico 0-:595 di carbonato di calce 0:350 di pirofosfato di magnesia traccie di fosfati Ra di solfati » 0-101 di cloruro d’ argento 0:076 di cloruro potassico sodico 0-190 di cloruro potassico platinico 5 gr. di terra diedero 0‘0430 di sostanze umiche Dir, 5 0-3720 di altre sostanze organiche eee A 0:076 di acido carbonico LL ove VERRA 2 0:669 di acqua $$ ss _ $ Risulta quindi per 100 parti di terra un contenuto di: 42:710 — silice insolubile 63:76 } 21-050 — allumina insolubile 0-280 — silice solubile 10-220 — allumina 8-540 — ossido ferrico 0:667 — calce 0-252 — magnesia 0:014 — sodio 0:061 — potassio traccie — anidride solforica »s — anidride fosforica 0:058 — cloro 0:860 — sostanze umiche 74702 = Ra 74702 7440 — altre sostanze organiche 0:790 — acido carbonico 6:690 — acqua 99:574 Da ciò si calcolano per terra anidra : I Silicefimsolubileovbicer as -st9b9ib a116451772h Allunnpavinsolubile». . #13... 22:559 Sitiefasolubile bei... DR... 0300 AHumina: ©. . .. sliinlostagdilia. ib. M10:992 Ossido ferrico:. ..-... saune. [E+9:192 Calce... . |. catriatoedizzoibi VP 15 Magnesia - .00Lan.ib. ciagodiso ih CR60:270 Sodio > siasirogur Db vietano db UGE0:0L5 Potassio . . + . . © .ifteoì 1h sing 065 Anidride solforica . ‘“«istio8 ib . traccie ” fosfotieag1s.D «mio ib i s) À carbonica . lo. Lia n Clororcinzia avisiatog «orrolo.i6. 0010-8466 Sostanze uminiche . . . 0.0. 0 0922 Altre sostanze organiche . . . . 7973 Basovizza (terra non coltivata). Analisi meccanica: pietruceie % «tieuiza salito Die terka grezza. .irniie 02:98 bettaaiina (+ uz chie 0898 Analisi chimica : 50 gr. di terra diedero un residuo insolubile di gr. 30:645 silicati 22:83 allumina 7815 gr. 0-105 di silice solubile 2:360 di allumina 3:680 di ossido ferrico 2:870 di carbonato di calce 1:759 di pirofosfato di magnesia N rie Se MOR. ROS gr. 0:008 di solfato di bario ‘» 0-009 di pirofosfato di magnesio (Ps 0;) » 0:081 di cloruro d’ argento n 0°074 di cloruro potassico sodico » 0*160 di cloruro potassico 9 gr. di terra diedero gr. 0:027 di sostanze umiche lin RIGO } » 0:314 di altre sostanze organiche dii AMROI x » 0189 di acido carbonico CAMME, ” ”» » ” 0:528 di acqua Segue quindi per 100 parti di terra un contenuto di: 45:660 — silice insolubile 15:630 — allumina insolubile 0-:210 — silice solubile 4720 — allumina 7360 — ossido ferrico 3:210 — calce 1:230 — magnesia 0:014 — sodio 0:058 — potassio 0:005 — anidride solforosa 0-006 — anidride fosforica 0:040 — cloro 0:540 — sostanze umiche 6:230 — altre sostanze organiche 3:980 — acido carbonico 10560 — acqua 99-503 Si calcolano dai risultati ottenuti per 100 parti di terra anidra : Silice insolubile 8MOoggi 90Ha, — £51-0951 Allumina insolubile. 0. . — ‘17-587 Acido silicico solubile . . . . . 0234 Allamina: «8 088 020 SIMIBUR => SARSNIT * Ossido ferrico . ; ©pimis! obiezo — Bag Caleeltie: e t SRAB et AI089 Magnesia: «on SIROARR0 e 075 Sodio e DINO ee LADA Polis EE a AO deo, Potassio . : 0:064 Anidride solforosa sotoria ib CU0G06 PR fosforicananta Il, osmiolo ih FANCO06 o carbonicmisaciog #urolo ib 1748450 Cloro. 0. ositatott atiprola ih 000044 Sostanze uminiche . . . ..... 0604 Altre sostanze organiche . . . . 7021 Terra di Servola (strato superiore). 50 gr. di terra diedero: gr. 35:53 di residuo insolubile (di cui gr. 5‘3 contenenti vd SL 5:19 di silice e gr. 0-11 allumina) 0026 di silice solubile 1640 di allumina ed ossido ferrico 1404 di ossido ferrico 7:240 di carbonato di calce 0-198 di pirofosfato di magnesio 0:190 di cloruro potassico sodico 0:160 di cloruro potassico platinico 0:095 di solfato di bario 0-:032 di pirofosfato di magnesio (per la determina- zione dell'acido fosforico) 10 gr. di terra diedero poi: S gr. » ” n» » i h 71-06 0-07 cloruro d’ argento 0-165 sostanze uminiche 0731 acqua 0308 totale contenuto di sostanze organiche 0-:652 acido carbonico a quindi per 100 parti di terra il contenuto di: 68-:994 — silice insolubile 2:066 — allumina insolubile 0:052 — acido silicico solubile 0:472 — allumina 2808 — ossido ferrico 8:109 — calce 0143 — magnesia 0111 — sodio 72:735 Ar. pen 12755 0-052 — potassio 0-065 — anidride solforica 0:040 — A fosforica 6-520 — z carbonica 0:173 — cloro 1:650 — sostanze umiche 1480 — altre sostanze organiche 7310 — acqua 99-995 Per la terra anitra risultano i seguenti componenti : Dilteotmeolubile—. i. a tdi L44394 Allumma insolubile LL è ss. uv 3228 Acido silicico solubile . . . . . 0056 ASINI MOTI 0 © mic VI0O Osstdo: ferie === — fto 95028 Catce-. 1]. asteolia id cin IAS Marnestal ton La USL SONO n E Lonnie OLO Porassio i enie. o die © e e UO Anidride 'solforica “9° =. .5, € 0070 5 fosforiea "i = .c eco, 0049 : carbonica |. 8 "10.0. È 034 Gierpa. deine Ladro 2 208 Spstazzze.luminiche. i 2, in = 1380 Altre sostanze organiche ... . . 1542 RIASSUNTO. Analisi meccanica Analis chimica -—ea—_—i-l=-ro] co E IE iii sa Si i na im 100 parti di terra Lns10 O EDI Ii merda (ille Ar e a A ED dogs e è e a, e lcd. ul insolubile nel- 3 Bi; spet li ac Selendrind i solubile nell’acido cloridrico S È È È ci s S © ® e S ® È A A : 5 fo) 5 A s =] 7 = rs è TRS SA SE So E o | E |S8 Sis o SE BE | 8 53 | 8 [asi D D Las] TA £ = 2 5.9 Si .2 Sì ‘ao $ bp s = Sk | dk | De = SE SES È 9 © |3F| 3 = = 29 | "s S ° S d'o | Sé | Es | SS Ss | Bo = è ca ‘Ra E Fi Tei (SIR Ò =| of a) a n du do Si ns |amo S. Croce (sup.) || 6-89|60-20|32-81|45-385| 6-404| 0-387| 2-899|14-300|12-391|traccie| 0*140 0*054| 0:075| 0-043|11-082! 0-183|] 1-030| 5°014 Opcina (sup.) 2-90/61-40)36 10|37-341|25-777| 0-066|11°160|12-560| 0-551| 0-113| O-L10| 0-061| 0-011| 0-090| 0-546| 0-134 2*188| 8*862 Prosecco (sup.) E 5 » |93-802]11-944| 0-063| 9-538|10-365| 1-450|] 0-213| 0-131| 0-049| 0*193| 0-067| 0-‘781| 0+098 4:380| 6-415 Rojano (sup ) 5°73 64*10/30-17|58.829 4*824| 0-195| 8°450| 3-665|10-500) 0-984) 0*052| 0-056| 0-012| 0-042| 8-940| 0:152| 0-554| 2-628 so (inf.) 6*40/54*69/38*91|56-096| 1-253| 0021] 9-163| 2-729|13-212|traccie| 0°:071| 0-009|traccie|traccie |10-407| 0-062 0:425) 60583 Cattinara (sup.)|24:63/50-70/24:13/61-000| 5-360| 0*300| 2760] 5-220|11-250| 0-140| 0-065| 0-037|traccie| 0-080| 6-78 | 0-060 2:190| 4040 Basovizza (colt.)| 1‘27/62-50/36-23|45-772|22-559| 0-300|10*952| ‘9-152| 0-715| 0270) 0-065| 0015 traccie |traccie| 0‘846| 0-053| 0-922| 7-973 » (noncol.)| 3-12/62-90/33-98|51-051|17-587| 0-234| 5:277| 8-229| 3-589| 0-175| 0-064|] 0‘016| 0-006 0-006| 4-450| 0-044| 0 604| 7:021 Servola (sup.) 5 5 n |74:434| 2-228| 0-056] 0*509| 3-028| 8°748| 0-154| 0*056| 0-119| 0-070| 0-042| 7:034| 0-200| 1+780) 1-542 BERIO gn” Secondo la classificazione dei terreni proposta da Gaspari (Wurtz-Dict. de Chimie. Vol. 3. 337) i medesimi si dividono dal lato fisicale in cinque gruppi: 1.° più di 70 ° di sabbia — terreno discontinuo 0 i 0 3 car si È O di sabbia terreno friabile, immobile, an) continuo più di 70 ° di carbonato di calce 3.° meno di 70 % | i ; più di 30 9, | di sabbia | terreno tenace, im- - meno di 70 % ) i | mobile, continuo più di 30 %, di carbonato di calce 4.° meno di 70 %, À i » più di 30%, di sabbia terreno tenace, mobile, meno di 30 % di carbonato di calce continuo 5.° meno di 30 %, di sabbia — creta, marna ed argilla. La sabbia qui accennata corrisponde alla terra grezza del- l’ analisi meccanica, e può esser tanto silicea quanto calcarea. Siccome la quinta suddivisione di terre d’ ordinario rimane incolta per un contenuto troppo grande di pietruccie (70%), rimangono per la classificazione ordinaria quattro categorie di terreni: 1°. Terreni sabbionosi; terre leggiere. 2°. Terre calcari. 3°. Terreni argillosi calcari; terre marnose e fortemente calcari. 4*. Terre silicee; terreni argillosi silicei. Secondo questa classificazione spetterebbero tutte le terre del circondario alla quarta categoria, cioè al gruppo dei terreni tenaci, mobili e continui. Le terre di Optina e Basovizza sono argillose e poco calcari. Le terre di S. Croce, Rojano, Cattinara e Servola sono silicee e calcari. La terra di Prosecco si presenta argillosa-silicea. Tutte le terre del circondario sono ferruginose, le più scarse di ferro sono quelle di Rojano, Servola e Cattinara. Le terre relativamente più ricche di sali potassici sono quelle di S. Croce, Prosecco, Opéina e Rojano. * Si DR — Onde potersi formare un criterio sul valore approssimativo delle nostre terre, ritengo opportuno di citare l’ esempio di alcune terre affatto sterili per cagione di uno o l’altro componente che vi si attrova in quantità esuberante. (Voeleker — some causes of unprodutioness of soils), in the Journ. of the Roy. Agricult. Society of England. 2. I. 1865. (Dehèrain Cours de Chimie Agri- cole. 1873. pag. 347). terreno terreno | terreno terreno calcare dia ; argilloso torboso ARCA e e i 4 2:65 i Materie organiche . . . . . ° 456 7:94 49*07 Ossido di ferro ed allumina . 0780 | (5*93 10-95 10 88 Carbonato di calce. . . . . 73 807 0-39 0-86 229) Masnosia ge cia dn O 335 : 0°26 0:75 Potassio e Sodio . . . . . traccie 0:28 0-39 0:90 Acido fosforico . . . . . . 0*242 , 0-10 0-06 Acido solforicorii dif Lib. 404, 1-546 } 0:30 1°04 SABOT I CIA ERRO DE LITI, 16»710 | 86-19 Apia fina St a uan 6090 ; 79-20 35-01 100 | 100 100 ! 100 Confrontando le cifre qui infrascritte, vedesi 1’ enorme aumento nelle proporzioni del contenuto di calce, sabbia, argilla e di mate- rie uminiche ; quindi si potrà apprezzare la natura indubbiamente fertile delle terre tolte dal nostro circondario. Elenco degli Uccelli viventi nell’Istria ed in ispecialità neli’ agro piranese per Bernardo Dr. Schiavuzzi. Or saran circa quattro mesi che l'illustre naturalista prof, Tschudy interessava il sig. Emmanuele Nicolich i, r. professore in queste scuole reali superiori, onde gli procurasse un catalogo degli uccelli viventi nell’ Istria e nell’ agro piranese in ispecialità. Il prof. Nicolich affidava a me l’ onorevole incarico. Nella compila- zione però di questo elenco io tengo molta riconoscenza all’ illustre direttore del Museo civico di storia naturale di Trieste Dr. Carlo de Marchesetti, che da me pregato volle gentilmente cooperare, in modo che, molte specie da me non conosciute e molte dimen- ticate, senza il di lui ajuto non avrei qui registrate, Nella classificazione degli uccelli seguii l’ ordine tenuto dal Brehm nell’ opera “Vita degli animali,, come pure ne adottai quasi tutte le denominazioni. ! Nella persuasione di non aver qui notate tutte le specie di uccelli che vivono nell’Istria e forse d’esser incorso in qualche errore nelle singole particolarità, io accetterò di buon grado le correzioni che mi verran suggerite. Sarà per me sufficiente rimu- nerazione la speranza d’aver forse destato con tal lavoro fra la gioventù istriana un po’ d’amore al bello studio della natura, cui sì largo campo offre la nostra provincia. A questo scopo io lo rendo di pubblica ragione. Pirano li 5 Maggio 1878, pedi. [AI Schiera I. Enucleatores. Ordine II. Passeres. 1°. famiglia. Loxtiae. 1. Loxìa curvirostra L. Becc' in croce. Uccello raro presso di noi, che si fa vedere nell’ autunno quale uccello di passo. Non nidifica. 2°. famiglia. Pyrrhulae. 2. Pyrrhula vulgaris (rubicilla) Pall. Ciuffolotto. Volg. Sub- biotto, Kimpel. Uccello non molto raro che costà arriva nel, tardo autunno come uccello di passaggio. Non nidifica. 3. Serinus hortulanus Kchst. Verzellino. Il Dr. Marchesetti lo ritiene specie nostrana. Quest’ uccello però non fu mai veduto da me nell’ agro piranese; non nego però che egli possa trovarsi forse anco frequentemente, nell’ Istria meridionale, ove abbonda la col- tivazione dei cereali ed ove trovansi boschi quercini, che nel nostro territorio quasi completamente mancano. 4. Dryospiza canaria. Canarino. Nidifica in ischiavitù. Se ne ottengono ibridi col Carduelis elegans e col Chloris hortensis. I na- scenti ibridi hanno meravigliosamente la proprietà di fecondare le femmine di puro sangue come anco quelle provenienti da tale ibridismo. 3°. famiglia. FringiUlae. 5. Fringilla coelebs L. Fringuello. Volg. Montano. È uccello di passaggio che viene in queste parti in Settembre ed Ottobre. Si osserva però che è una specie che tende a farsi nostrana, ni- dificando da parecchi anni in questi paesi in numero abbastanza frequente. Di quest’ uccello, di cui in autunno si fa esteso com- mercio, gli uccellatori distinguono diverse varietà, marcate dalle fascie bianche alle ali (terzaruoli, quartaruoli ecc. ecc.) 6. Fringilla montifringilla L. Peppola. Volg. Moneghella. Uccello di passo. Viene nell’ autunno. Non nidifica ed è abbastanza frequente. 7. Cannabina linota. Fanello. Volg. Faganello. Uccello di passo abbastanza frequente. Si fa vedere nel tardo autunno, 8. Spinus viridis (Chrysomytris spinus Boi). Lucherine. Uc- cello di passo. Frequentissimo nell’ Ottobre, — e = 9. Carduelis elegans Steph. Cardellino. Uccello che nidifica. Alcune varietà e queste sono le più grandi non nidificano, essendo di passo nell’Ottobre e Novembre. Specie frequentissima. 10. Montifringilla nivalis Brehm. Fringuello alpino. Questo uccello dovrebbe essere, tenendosi alla descrizione che ne dà il Brehm, quello che da noi nomasi volgarmente Pacagnoso, uccello che preferisce gli altipiani. Specie di passo, abbastanza frequente. 4°. famiglia. Passeres. 11. Passer domesticus Briss. Passero domestico. Volg. Cele- gato, Celega, Panegarol. Uccello a tutti noto, che nidifica in quan- tità straordinaria. Questa specie era or non son molti anni frequen- tissima nella città di Pirano, mentre ora pochi esemplari se ne scorgono sulle spiagge del mare, ove cercano fra gli avanzi ed i rifiuti della mensa degli abitanti del paese, di che cibarsi. 12. Passer montanus Briss. Passera mattuggia. Nidifica in quantità straordinaria nei vecchi caseggiati sparsi nella campagna ove vive esclusivamente. 5". famiglia. Coccothraustes. 13. Chloris hortensis (Ligurnius chloris Kch.) Verdone. Volg. Ceranto. Questa specie nidifica in ispecialità sui cipressi. È abba- stanza frequente. 14. Coccothraustes vulgaris Viel. Frosone. Beccofrosone. Volg. Sfrison. Uccello di passo che si fa vedere in Ottobre ed in No- vembre con mediocre frequenza. Talvolta però si trattiene fino nella. primavera ed allora nidifica. 12°. famiglia. Emberizae. 15. Miliaria europaea Sws. Strillozzo. In primavera frequente; non tanto nell’ autunno. 16. Emberiza-Glyci yspina-hortulana L. Ortolano. Volg. Zippo. Uccello che nidifica presso di noi. È mediocremente frequente. 17. 18. Emberiza citrinella L. Zigolo giallo. — Emberiza glycyspina cia L. Zigolo muciatto. Queste specie non molto fre- quenti si fan vedere in autunno quali uccelli di passo. 19. Euspiza melanocephala (Passerina melanocephala Scp.) Zigolo capinero. Volg. Cento ziroli. Nidifica abbondantemente. 20. Cynchramus schoeniclus. Migliarino di padule. Trovasi nelle valli, specialmente ove crescono le cannelle di palude ed oye SR gi trovansi campi coperti di culmi di cereali. Non posso precisare se nidifichi o se sia uccello solamente di passaggio. Io però l’ osser- vai solamente nell’ autunno. 13°. famiglia. Alavdae. 21. Melanocorypha calandra Boi. Calandra. Nidifica e vive da noi in quantità sterminate. 22. Chloris arborea. Tottavilla. Mattolina. Volg. Lodolina. Ni- difica. Viene però anche quale uccello di passo nell’ autunno. Vive nelle praterie in branchi non molto numerosi, non superando il numero di 20 individui per branco. 23. Calandritis (calandrella) brachydactila Kaup. Calandrella. Non è sì frequente come la precedente. Non mi risulta con cer- tezza se questa specie nidifichi nel nostro agro, il che io dubito, essendo quest’uccello più frequente nell’ autunno che nell’ estate. 24. Galerita cristata Boi. Cappellaccia. Volg. Cappellua. Nidi- fica presso di noi, Questo uccello vive quasi sempre solo ed al più accompagnato ad un solo individuo di sesso differente. 20. Alauda arvensis L. Panterana. Volg. Lodola. Uccello che nidifica abbondantemente presso di noi. Ordine III. Coracirostres. 2°. famiglia. Sturni. 26. Sturnus vulgaris L. Stornello. In Istria questa specie non vedesi che nel tardo autunno e nell'inverno quando comparisce in istormi enormi. Non nidifica. 27. Pastor roseus Tem. Storno roseo, Storno marino. Volg. Merlo color di rosa. Viene in queste regioni nell’ estate, autunno ed inverno quale uccello di passo. È però molto raro. 4°. famiglia. Orioli. 28. Oriolus galbula L. Rigogolo. Volg. Beccafico giallo. Questo uccello non vedesi costì che nella primavera e nell’ estate, nell’ e- poca cioè della nidificazione. In queste stagioni è abbastanza tre- quente, mentre nell’ autunno e nell’ inverno, trasmigrando egli altrove, diviene rarissimo. 6°. famiglia. Coraces. 29. Corax nobilis (corvus corax L.) Corvo imperiale. Nidifica a 194" se sugli alti alberi e trovasi in tutte le stagioni con mediecre fre- quenza. 30. 31. 32. Corvus corone L. Cornacchia nera. — Corvus cornix L. Mulacchia, Cornacchia. Frugilegus — segetum. Corvo frugilego. Queste specie che talvolta nidificano in questi paesi, trovansi costà specialmente nell’ autunno avanzato in istormi composti di numerosi individui. Cagionano danni rilevanti nelle messi e specialmente negli oliveti cibandosi con predilezione delle olive. La caccia che loro si da è allo scopo di liberarsi d’ un nemico dannoso. 7°. famiglia. Garruli. 33. Pica caudata L. Gazza. Volg. Checca. Nidifica special- mente nei boschi di Salvore. È specie in tutte le stagioni abbon- dante. 34. Garrulus glandarius Viel. Ghiandaja d’ Europa. Volg. Loja. Quest’ uccello nidifica nei boschi del Carso di Castelvenere e di Salvore. Trovasi però quale uccello stazionario in tutte le sta- gioni, vivendo sugli alberi quercini, assordando colle sue disgustose grida. Schiera II, Captantes. Ordine IV. Raptatores. 1 famiglia. Falcones. 39. Falco communis Gm. (Falco peregrinus). Falcone. Non consta a me se questa specie nidifichi nelle parti interne del- l’ Istria. Nel piranese ciò non avviene di sicuro, non comparendo questo uccello che in rari esemplari e ciò nel solo inverno. 36. Hypotriorchis subbuteo. Lodolajo. Non l’osservai mai; però ritengo che nell'inverno questa specie in rari esemplari deve tro- varsi costà di passaggio. 37. Tinnuneulus alandarius (Falco tinnuneulus L. Gheppio. Falco delle torri. — Nidifica costà. Ne ricevetti pochi anni or sono due individui giovani tolti da un nido scoperto sulle cosiddette “Belle grotte, nella valle di Sicciole. Talvolta nidifica nelle torri, come avvenne d’ uno che preparai or saran 12 anni, nato sul cam- panile di Capodistria, e come avviene in ogni primavera sulle mura venete che torreggiano sul colle di Pirano e negli archi che e ee sostengono la spianata del Duomo verso il mare. Ad onta di ciò quest’ uccello non è molto frequente. 98. T'innuneulus Cenchris.. Grillajo. Questa specie io non la conosco, non avendone mai avuto in mano un individuo. Credo però che di questo animale si trattasse, quando or saran $ anni in autunno avanzato io dava la caccia ad uno stormo di circa 15 falchetti che ferivano l'occhio pel color rosso mattone del dorso e del petto. Questa specie sarebbe rarissima, nè mai nidificherebhe costà. 39. Falco aesalon Gm. È specie ch'io non conosco. La pongo fra le nostrane in base all’ opinione dell’egregio Dr. de Marche- setti, che tale la ritiene. 2°, famiglia. Acciprites. 40. Nisus communis (Accipiter nisus Pall.) Sparviero. Ad onta ch'io non abbia mai veduto nidi di quest’ uccello, ritengo però che nidifichi. È specie frequente specialmente nell’ autunno. 41. Astur palumbarius Bchst. Astore. Sulla testimonianza del Dr. de Marchesetti, che asserisce trovarsene un esemplare nel ci- vico museo zoologico di Trieste, come proveniente da queste pro- vincie, pongo questo uccello fra i nostrani. Io però non ebbi mai l’ occasione d’ osservarne uno. 3° famiglia. Aquilae. 42. 43. Aquila fulva L. Aquila fulva. — Aquila chrysattos Brehm. Aquila dorata. — Di queste due aquile in qualche inverno nevigoso ne vennero uccisi rari esemplari, ch’ io vidi. Questa specie non nidifica mai. 4°. famiglia. Move. 44, Strigipes pallidus. Albanella pallida. Uccello rarissimo di cui ebbi campo d’osservarne e di prepararne uno solo nell'inverno di 5 anni or sono. Quell’ esemplare venne ucciso nella valle di Sicciole. 45. Circus cineraceus Nanm. (Circus rufus). Falco di padule. È uccello raro in queste parti, che si fa vedere come uccello di passo nell’ inverno. 9°. famiglia. Buteones. 46. Buteo vulgaris Bchst. Pojana. Uccello di passo di mediocre frequenza, In queste regioni comparisce nell’ autunno precoce. Peso 5 (0 Ip gadei 9°. famiglia. Vultures. 47. Gyps fulvus Gray. Grifone, L’ egregio Dr. de Marchesetti mi comunica gentilmente, trovarsi un esemplare di questa specie nel Museo civico zoologico di Trieste, come proveniente da questi luoghi. A quanto a me consta, quest’ uccello non si fece mai ve- dere nell’ agro piranese, ma bensì mi venne narrato che in rari esemplari vive sul Monte Maggiore ove puranco nidifica. Questa notizia però, io do con tutta la possibile riserva, in attesa che gentile persona me ne dia più preciso conto. 11°, famiglia. Surniae. 48. Athene mnoctua. Civetta. Quest’ uccello nidifica in copia nell’ agro piranese e serve nell’ uccellagione quale spauracchio per far gridare i tordi di richiamo. Frequente in primavera, questa specie si rende rara nell’ autunno. 49. Microptyna passerina, Strix passerina Savi. Civetta pas- serina. È uccello poco frequente, che nidifica, e che diviene raro nell’ autunno. 12% famiglia. Bubones. 50. Bubo maximus Flem. Gufo reale. Specie di passo, alquanto rara e che si fa vedere nel tardo autunno e nell’ inverno. 51. Otus sylvestris. Allocco. Senza ch'io lo possa affermare ritengo che quest’ uccello nidifichi presso di noi, essendo frequente in tutte le stagioni. 92. EpMaltes scops K. e BI. Scops carniolica. Assiolo. Specie che ancor non mi fu dato di studiare, e ch'io pongo fra le no- strane in base all’ opinione del Dr. Marchesetti. 13°. famiglia. Striges. 93. Syrnium aluco Brehm. Gufo selvatico. Specie non molto frequente e che ritengo nidifichi costà, trovandosi in queste cam- pagne in tutte le stagioni. - 54. Strix flammea. L. Barbagianni. Sebbene io non possa de- cisivamente negarlo, ritengo che questa 3pecie non nidifichi nel territorio piranese, essendo uccello di passo, che talvolta e preci- samente in Salvore viene in branchi numerosi e solamente nel- l'autunno o nell’ inverno. == 190 => Ordine V. Hiantes. 1°. famiglia. Hirundines. 55. Cecropis rustica, Hyrundo rustica L. Rondine rustica. Questa rondine non è molto frequente nella città di Pirano, ri- tengo che sia più frequeute nelle campagne. Diffatto nelle cave della valle di Sicciole queste uccello fa i nidi fino entro le stanze. 56. Chelidon urbica. Balestruccio. È frequentissima nella città di Pirano. È inutile l’aggiungere che nidifica, 2°. famiglia. Cypseh. 57. Cypselus apus IU. Rondone. Frequentissimo quest’ uccello nidifica sulle torri delle venete muraglie e sul campanile di Pirano, 58. Cypselus melba IU. Rondone alpino. To non conosco questa specie che vive in paesi alpini. L’annovero fra le nostrane in base all’ autorità dell’ egregio Dr. de Marchesetti che tale la ritiene. 3° famiglia. Caprimulgi. 59. Caprimulgus punctatus. — O. europaeus L. Succiacapre. Volg. Bocca in cao, Quest’ uccello nidifica in questi paesi e non è molto raro. Ordine VI. Oscines. l°. famiglia. Lante. 60. Lanius excubitor L. Averla maggiore. È specie di pas- saggio alquanto rara. Talvolta però nidifica. Trovasi in tutti i mesi dell’ anno. 61. Lanius minor L. Averla cinerina. Quest’ uccello nidifica e trovasi frequentissimo in primavera. 62. Enneoctonus collurio. Lanius collurio L. Averla piccola. Quest’ animale molto più frequente del precedente trovasi costà nei mesì di Aprile e di Maggio quando nidifica. Nell’ autunno non ne rimane in questi paesi nemmeno un esemplare. 10". famiglia. Bombycillae. 64. Bombycilla garrula. Beccofrusone d’ Europa. E uccello raro presso di noi, che si fa vedere talora come uccello di passo nei freddi inverni PERI Ue 13%. famiglia Humicolae. 64. 65. Luscinia philomela L. Usignuolo comune. — Luscinia major. Usignuolo maggiore. Questi uccelli nidificano nel piranese e nell’ Istria abbondantemente e si trovano in tutte le stagioni. 66. Rubecula syWwestris Erythacus rubecula Macq. Pettirosso. È uccello di passaggio frequente in autunno e primavera. Io non osservai mai nidi di questa specie. 67. Cyanecula suecica Brehm. Pettazzurro. Mi mancano osser- vazioni intorno a quest’uccello presso di noi rarissimo. Se com- parisce fra le specie nostrane, ciò avviene in base all’ opinione del Dr. de Marchesetti. 14°. famiglia. Monticolae. 68. Ruticilla atra (tithys) Brehm. Codirosso spazzacamino. Uccello di passo, non molto frequente. Si fa vedere nell’ autunno e nell’ inverno. 69. Ruticilla phoenicura Bp. Codirosso. Specie pure di pas- saggio poco frequente. Arriva nei mesi di Ottobre e Novembre. 70. 71. Pratincola rubicolla. — Pr. rubetra Kch. Stiaccino. Uccello di passaggio. In numero mediocre arriva nell’ autunno. 72. Saricola oenanthe Bchst. Culbianco. Questa specie è una delle più frequenti che di passaggio arrivino nell’ autunno. Difatto non si fa passo sulle costiere di Castelvenere o di Salvore nella seconda metà di Settembre o nella prima di Ottobre senza imbat- tersi in questi graziosi uccelletti, che piaciono per l’ eleganza del- l’abito e per la delicatezza delle carni. 713. 74. Sazicola aurita. Monachella. — Saxicola stapazina. Culbianco dalla gola nera. Uccelli di passo che vengono in questo agro in mediocre quantità uniti alla Saxicola oenanthe, nel Set- tembre ed Ottobre. 15. Petrocincla saxatilis (Monticola saxatilis Boi.) Codirossone. Volg. Codirosso di montagna. Uccello di passo. Arriva nell’ inverno. Rarissimo. 16. Petrocincla cyana. (Monticola cyana Cab.) Passero solita- rio. Uccello pure di passo. Meno raro del precedente, questo uccello quasi ogni anno nell’ inverno si fa vedere in questa città, abitando a preferenza gli spaldi dei veneti torrioni o la torre delle campane. 15°. famiglia. Turdi. 77. Turdus viscivorus L. Tordella. Gineprone. Uccello di passo Ba: -: ASS di mediocre frequenza che si fa vedere nei mesi di Novembre e Dicembre. 718. Turdus musicus L. Tordo, tordo bottaccio. Uccello di passo. Comunissimo in autunno ed inverno. Ad onta che quest’ uccello sia qui solamente di passaggio, pel soffermarsi di alcuni individui fino al Maggio, ne nasce che tale uccello talvolta depone le uova e ne alleva i nascenti. Questa cosa comune anche al fringuello è prova come col cangiarsi dei climi s’ acclimatizzino a questi paesi uccelli che prima erano solamente migratori. 19. Turdus pilaris L. Cesena, Torna gazzina. Uccello di passo, che arriva costà nell’ Ottobre e Novembre, meno frequentemente però del precedente. 80. Turdus iliacus L. Tordo sassello. Più frequente del T. pilaris, quest’ uccello viene assieme al T. musicus nell'autunno e nell’ inverno e con esso si trattiene talvolta fino nella primavera, nel qual caso depone le uova. 81. Turdus torquatus L. Merlo del petto bianco. Uccello di passo. Arriva nell’ autunno. Rarissimo. 82. Merla vulgaris. — Turdus merula L. Merlo. Questa spe- cie nidifica nelle nostre campagne ed è frequentissima in tutto l’anno. 18°. famiglia. Cineli. 83. Cinclus aquaticus Bechst. Merlo aquatico. È uccello ra- rissimo presso di noi. Lo pongo fra i nostrani in base alla pre- giata opinione dell’ egregio Direttore Dr. de Marchesetti. 22°. famiglia. Sylviae. 84. Curruca hortensis. Bigione o beccafico. È uccello comu- nissimo specialmente nel territorio d'Isola, ove viene preso col vischio e poi venduto sul mercato di Trieste. Arriva costà di passo. Se, ne trovano però rari individui nella primavera. 85. Curruca atricapilla Sep. Capinero. È uccello a preferenza di passaggio. Trovasi però anche nella primavera in rari individui. L’ epoca del suo arrivo è, come pella specie superiore, l’ autunno, ed allora è mediocremente frequente. Oltre alle due menzionate Curruche meno frequentemente in- contriamo le seguenti specie, che arrivano come uccelli di passo nell’ autunno. 86. ‘87. 88. 89. Curruca cinerea (Sylvia cinerea Lath.) Sterpazzola. — Curruca nisoria. Celega padovana. Curruca orphea, Bigiagrossa. — Curruca garrula. Bigiarella. 23°. famiglia. Phylloscopi. 90. Hyppolais hortensis. Beccafico canepino. Volg.. Fabbro. Specie che costà rinviensi nell’autunno avanzato e nell’ inverno con mediocre frequenza. Non nidifica. 24°. famiglia. Calamodytae. 91. 92. Acrocephalus turdoides Cab. — Acrocephalus palustris Cab. Canareccioni. Questi uccelli sono abbastanza frequenti nei canneti della valle di Sicciole. Non nidificano costà e come uccelli di passo sono frequenti nell’ autunno. 93. Calamodyta phragmitis M. V. Forapaglie. Quest’ uccello è meno frequente del precedente e come quello viene da noi nel tardo estate e nell’ autunno, passando la sua vita fra i canneti ed i giunchi. Non nidifica. 25*. famiglia. Drymoicae. 94. Cisticola schaenicola Bp. Beccamoschino. Questa specie ch'io non conosco, è secondo il Dr. Marchesetti nostrana. 26°. famiglia. TYoglodytae. 95. Troglodytes parvulus Kch. Reattino. Comunissimo in tutte le stagioni. 27°. famiglia. Anthi. 96. Anthus pratensis L. Pispola. Volg. Zivo, Fisto. È uccello di passaggio che arriva costà in autunno in branchi numerosissi- mi, e che si trattiene sino nella primavera. Altri Anthus, meno frequenti di questo sopramenzionato, e che pure arrivano come uccelli di passo nell’ autunno, sono i se- guenti : 97. 98. 99. Anthus arboreus Bchst. Prispolone. — . Anthus Bechst. Calandro. — Anthus spinoletta Bp. Spioncello. 28°, famiglia. Motacillac. 100. Motacilla alba L. Ballerina. Uccello di passo che si fa vedere nell’ autunno e che è frequentissimo specialmente ove trovansi terreni di recente lavorati. REANO 101. Calobates sulphurea. Cutrettole. Volg. Scassacoda. Uc- cello comune in ogni stagione. Non posso precisare se nidifichi costà. 29°. famiglia. Accentores. 102. 103. Accentor alpinus Bchst. Sordone. -- Accentor (Thar- rhaleus) modularis Bchst. Passera scopajola. Queste due specie figurano in questo elenco fra le nostrane in base all’ opinione del- l’ egregio Direttore Dr. de Marchesetti. Io ritengo però queste specie come rare nell’ Istria, il che dipender faccio dal nidificar esse sugli alti monti e principalmente sulle giogaje alpine, da cui scendono al piano solamente nel tardo autunno. Questi uccelli sono frequen- tissimi invece nelle vicine provincie italiane. 30°. famiglia. Pari. 104. Regulus cristatus K. e Ch. Regolo. Uccello frequentissi- mo, che vive in questi paesi in ogni stagione. Nidifica. 105. Regulus ignicapillus. Fiorancino. Volg. Pri. Meno fre- quente del R. cristatus, trovasi quest’ uccellino in tutte le stagioni. Nidifica. 106. 107. Aegithalus pendulinus Boi. Pendolino o fiaschettone. — Panurus biarmicus. Bassettino. Questi due uccelli trovansi presso di noi, ma in iscarso numero. Non nidificano, ma vengono d’ol- tralpe all’ epoca dell’ immigrazione. 108. Orites caudatus. Cincia codona. Nel Piranese. Volg. Moneghela. Viene talvolta in branchi sterminati all’ epoca dell’ im- migrazione autunnale, formando la disperazione degli uccellatori di cincie e di fringuelli pella facilità colla quale si getta sulle panie, imbrattandole di piume, e non recando alcun utile. 109. Parus major L. Cincia maggiore. Volg. Parussola, pa- russoloto. È uccello migratore a preferenza, che però nidifica spe- cialmente nella valle di Siciole nei salici vecchi corrosi dal Me- lolonta. Forma nell’autunno uno dei maggiori divertimenti dei nostri ragazzi, che si danno all’ uccellagione di questo animale con vera passione. Arriva talvolta in branchi di 200-300 individui. 110. Parus cyanistes coeruleus L. Cinciarella. Volg. Parusso- lina. Questa specie nidifica pure, ma è però decisivamente uccello immigratore, arrivando in branchi di molti individui nell’ autunno. Oltre ai Parus notati qui sopra, arrivano talvolta all’ epoca dell’immigrazione autunnale altre specie, ch’ or non mi è dato di decifrare, ma che a tempo opportuno non mancherò di fare, — 60° — Schiera III. Investigatores. Ordine VII. Scansores. 5°. famiglia. Upupae. 111. Upupa epops L. Upupa. Bubbola. Volg. Galletto di mon- tagna. È uccello frequente nell’ estate. Non consta a me se nidifichi. 8°. famiglia. Stttae. 112. Sitta curopaca L. Picchio muratore. È uccello raro in questo territorio che si fa vedere come uccello di passo nell’ au- tunno. 10°. famiglia Scandentes. 113. Certha familiaris. Rampichino. Quest’ uccello non nidi- fica costà. Trovasi di passo nell’ autunno in rari esemplari nella valle di Sicciole sulle cosiddette “Bellegrotte,. 13.°. famiglia. Pict. 114. Picus major L. Picchio rosso maggiore. Volg. Beccazocco. Trovasi nel nostro territorio non molto frequentemente. Come uc- cello di passo si fa vedere nell’ autunno. 115. Picus medius L. Picchio rosso mezzano. Come il prece- dente è uccello di passo alquanto raro e che costà rinviensi nel- l'autunno. 14.*. famiglia. Gecini. 116. Gecinus viridis (Picus viridis L.) Picchio verde. Questa specie è molto rara. Io non ne,vidi che un solo individuo nel- l'autunno del 1868, quale uccello di passo. 17°. famiglia. Iynges. 117. Iynx torquilla L. Torcicollo. Volg. Formichiere. Questo uccello trovasi nell’agro piranese in tutte le stagioni. Nidifica in copia. Nell’ autunno è ricercatissimo attesa la squisitezza della carni. Ordine IX. Levirostres. 1°. famiglia. Meropes 118. Merops apiaster L. Gruccione. Volg. Taraforno. Nidifica nell’ agro piranese forando allo scopo le sponde del fiume Dragogna 5 — 66 — nella valle di Siciole fino alla profondità di oltre 61 centimetri in direzione orizzontale. Arriva in primavera contemporaneamente alle rondini in istormi formati da moltissimi individui. Fatto il nido ed allevati i nascenti se ne parte, non restandone alla fine del- l’ estate uno solo. 2°. famiglia. Coracu. 119. Coracias garrulus L. Ghiandaja o Gazza marina. Volg. Corvo verde. È uccello alquanto raro che visita a preferenza i boschi quercini di Salvore. Sebbene a me non consti direttamente, però pel rinvenirsi quest’ uccello dall’ autunno sino a tarda primavera devo ritenere che nidifichi nel nostro territorio. 6°. famiglia. Alcedines. 120. Alcedo ispida L. Uccello Santa Maria, Re pescatore, Martin pescatore, Volg. Piombin. È comune specialmente nei fiumi della valle salifera di Siciole. Si trova in tutte le stagioni. Non mi fu dato però di vederne i nidi. 12°. famiglia. Cuculi. 121. Cuculus camorus L. Cuculo comune. Volg. Cuco, Cucù. Uccello di mediocre frequenza. Trovasi nella primavera e nell’ estate, nidificando a modo suo nel territorio. Schiera IV. Cursores. Ordine X. Gyratores. 2°. famiglia. Columbae. 122. Palumbus torquatus. Colombaccio. Volg. Colombo giandér. Uccello di passo che costà arriva nel tardo autunno e che sparisce nell’ iniziarsi nella primavera. Non nidifica. È frequente all’epoca della sua dimora nel nostro Carso, abitando a preferenza i boschi di quercie coi frutti delle quali si nutre. 123. Columba cenas. Columbella. È uccello di passo poco fre- quente che da noi viene nel tardo autunno e nell’inverno. 124. Columba livia Bris. Piccione torrajolo. Volg. Colombo selvatico. È uccello di passaggio ma anche stazionario. Nidifica copiosamente negli antri del Carso di Salvore e di Castelvenere. RON "> RANA 4°. famiglia. Turtures. 135. Zurtur auritus Gray. Tortora. È uccello che nidifica presso di noi e che trovasi frequentemente in tutte le stagioni. 126. Streptopeleja risoria. Tortora. dal collare. Quest’ uccello esotico è allevato in ischiavitù e nidifica con facilità. E comune in Pirano. Ordine XI. Rasores. 2°. famiglia. Tetraones. 127. Bonasia sylvestris. Francolino di monte. E uccello raris- simo presso di noi. L'ultimo individuo che si fece vedere in questo territorio fu ucciso da mio padre or saran circa 20 anni. 3°. famiglia. Perdices. 128. Caccabis saxatilis (Perdix saxatilis Mey.) Coturnice. Co- torno. Nell’agro piranese quest’ uccello comparisce di rado e sempre all’ epoca dell’ immigrazione autunnale. 129. Caccabis rubra. Pernice comune. È uccello comunissimo nell’ agro piranese, che nidifica e che trovasi in tutte le stagioni. Talvolta però ne giungono branchi di passaggio, formati da un numero immenso d’ individui. 130. Perdix cinerea. Starna Perdix Bp. Starna cinerea. Starna. Come la specie precedente quest’ uccello nidifica in questo terri- torio e talvolta viene di passaggio nella stagione autunnale. 5°. famiglia. Coturnices. 131. Coturnix communis Bon. Quaglia. Questa specie nidifica ed è nello stesso tempo uccello di passaggio frequentissimo nel- l'autunno e nell’ estate avanzata. 8°. famiglia. Galli. 132. Gallus domesticus. Gallo. Il nostro gallo non forma un tipo veramente caratteristico a questa provincia, che sì possa porre in confronto alle specie di galli che ci offrono le provincie vicine d’Italia. Infatti noi abbiamo galli di tutte le dimensioni, di tutte le tinte, di tutte le forme, con penne alle zampe o senza. Questa mancanza d’ un vero tipo istriano di galli dipende dall’ aversi in diverse epoche incrociato l’ esile razza istriana originaria, carat- terizzata da piccoli galli e galline di tutti i colori, senza penne * — 68 — alle zampe, con gresse razze provenienti dalla Cocincina oppure dalla provincia di Padova. 10°. famiglia. Pavones. 133. Pavo cristatus. Pavone comune. Di rado scorgesi questo uccello domestico nelle nostre fattorie. 11°. famiglia. Numidae. 134. Numida meleagris. Gallina di Faraone. Come i pavoni questi uccelli domestici non garbano ai fattori istriani pel razzo- _ lare che fanno sui tetti dei caseggiati, ove smuovono gli embrici per cercarvi sotto i piccoli animali di cui si nutrono. , 12°. famiglia. Meleagrides. 135. Meleagris gallopavo. Tacchino. Volg. Dindio. Quest’ uc- cello proveniente dall’ America settentrionale, ove specialmente nelle foreste vergini del Canadà ancor presentemente trovasi allo stato d’indipendenza, vive domestico presso di noi, ed è frequente do- vunque. Ordine XIII. Grallatores. 5°. famiglia. Tracheliae. 136. Glareola pratincola Leach. Pernice di mare. Quest’ uc- cello frequente sulle sponde del Mar nero, non venne da me mai veduto in queste regioni. Io lo pongo però fra i nostrani in base a gentile riferta del Direttore Dr. Carlo de Marchesetti, che mi comunica trovarsene un esemplare nel civico Museo zoologico di Trieste, quale proveniente da queste parti. Dovrebbe essere uccello di passo. 4%. famiglia Charadrii. 137. Caradrius pluvialis L. Piviere. Uccello di passo che alquanto raramente arriva da noi nell'autunno, vivendo a quella epoca negli estuarii delle saline. 138. Aegralithes minor Boi. Corriere piccolo. È uccello comu- nissimo, che vive in branchi composti da numerosi individui sulle paludi dinanzi alle Saline di Sicciole. È più frequente nell’ autunno ed inverno, ma trovandosi in tutte le stagioni devo ritenere che nidifichi, sebbene a me per proprie osservazioni finora non consti. a I 5°. famiglia. Oedicnemi. 139. Oedicnemus crepitans. Occhione, Corridore. E uccello di passo. Si fa vedere nell’ autunno c nell'inverno, però raramente. 6°. famiglia. Vanelli. 140. Vanellus cristatus. Tifa. Volg. Pavoncella. Viene nell’au- tunno avanzato come uccello di passaggio in branchi composti di 50 a 100 individui. 9°. famiglia. Limicolae. 14]. Scolopax rusticola L. Beccaccia. Volg. Gallinazza. Questo uccello si fa vedere in tutta l’ Istria quale uccello immigratore nell’ Ottobre e nel Novembre, come pure in Aprile all’ epoca del ritorno. In altri tempi frequentissimo in quelle stagioni, or è di- venuto in qualche anno una vera rarità. 142. Gallinago scolapacinus Bp. Beccaccia. Volg. Beccanotto. Specie immigrante che presso di noi rinviensi nell’ autunno e nel- l'inverno. Poco frequente. 143. Philolimnos gallinula Bp. Beccaccino minore. Uccello di passo che come il precedente arriva costà in autunno. È più rara di quello. 10°. famiglia. 77mngae. 144. Calidris arenaria. Calidra arenaria. Uccello di passo, che nell’ autunno ed inverno vive in grandi frotte sulle paludi di- nanzi le saline di Sicciole. 145. Philomachus pugnax Cuv. Specie rara, che quale uccello immigrante si fa vedere nel tardo autunno. 12°. famiglia. Totami. Questa famiglia è rappresentata da diverse specie di differenti dimensioni e tinte, che vivono tutte sì nelle saline che sulle paludi "dinanzi queste. Tutti sono uccelli di passo e costà vengono nel- l'autunno e nell’ inverno. Le principali sarebbero: 146. Totanus ochropus Tem. Piro-piro cul bianco, 147. Totanus glareola Tem. Piro-piro boscareccio, 148. Totanus fuscus Bechst. Chiò-chiò, 149. Totanus stagnatilis Bechst. Piro-piro gambe lunghe. 150. Limosa aegocephala Leach. Pitima. In base all’ opinione del Dr. de Marchesetti pongo pure questa specie, ch’ io ancora non = = ebbi campo di osservare, fra le nostrane. È uccello di passo au- tunnale. 151. Hypsobates himantopus (Himantopus candidus Bon.) Ca valier d’Italia. Specie immigrante alquanto rara. Arriva nell’ au- tunno. 14°. famiglia. Numeni. 152. Numenius arquatus Lath. Chiurlo maggiore. Arcase. Uc- cello di passaggio. Viene nell’autunno non molto di raro e vive sulle paludi dinanzi alle saline di Sicciole. 15°. famiglia. Ibides. 159. Falcinellus igneus. Falcinello comune. Questa specie al- quanto rara, si fa vedere come uccello immigratore nell’ inverno, specialmente sulle spiagge di Salvore. 16°. famiglia. Platalcae. 154. Platalea leucorodia L. Spatola. Uccello di passo che tal- volta, però molto di rado si fa vedere in queste parti nell’ inverno avanzato. 19°. famiglia. Crconiae. 155. Ciconia alba Will. Cicogna bianca. È rarissima in Istria. Nelle paludi di Lemme molti. anni or sono ne comparì una che venne uccisa, come pure avvenne d’un’altra 4 anni fa, che un cacciatore bujese scorse nella valle del. Quieto. Ambedue questi individui vennero uccisi nel verno avanzato. 20°. famiglia. Ardeae. 156. Ardea cinerea L. Airone comune. Si fa vedere abbastanza di frequente nella valle di Sicciole e nei prati di Salvore nell’ au- tunno tardo e nell’ epoca del ripasso, cioè in Aprile. Non nidifica. 157. Ardea purpurea L. Airone purpureo. Più rado del pre- cedente, quest’ uccello si fa vedere nelle stesse epoche a preferenza in Salvore. Sebbene qui si trovi anche come il comune in prima- vera, come quello però non nidifica. 158. Herodias alba (Egretta alba Bp.) Airone maggio o Sgarza bianca maggiore. Come i precedenti quest’ uccello non molto raro sì fa vedere in autunno ed in primavera, sì nella valle di Sicciole, che in Salvore. Non nidifica. MEI... pen 159. Herodias garzetta (Egretta garzetta Bp.) Airone minore, Garzetta. È alquanto più frequente dei precedenti ed ha le stesse epoche di sua comparsa. 160. Ardeola minuta (Ardetta minuta Gray.) Nonnotto. Uc- cello frequente nell’ autunno lungo le sponde del Dragogna, però viene da noi puranco in primavera. Non nidifica. 161. Botaurus stellaris Steph. Cappon di paludi. Volg. Tara- buso. Specie poco frequente che pure arriva in autunno ed in pri- mavera. Mi venne fatto credere che talvolta nidifichi sulle paludi di Grado e di Aquileja. Diffatti il Museo di Storia naturale dell’i. r. Ginnasio superiore di Capodistria possedeva e forse tuttora pos- siede un uovo di quest’ uccello raccolto sulle paludi Portobuso. 162. Nicticorax grisea L. Sgarza nitticosa. Uccello molto raro. Viene a preferenza in primavera. Non nidifica. 22°. famiglia. Gyues. 163. Grus cmerea. L. Gru comune. Questi uccelli passano in istormi numerosi ad altezze enormi sopra le nostre campagne © sol di rado forse per riposare o per acquistare le forze necessarie all’ ulteriore viaggio calano sul terreno. È in Salvore che talora riesce d’ ucciderne qualcheduna, come avvenne di quella ch’ io dieci anni or sono donai al Ginnasio di Capodistria. 26°. famiglia. Ralli. 164. Rallus aquaticus. Rallo acquatico. Volg. Ralletto, Sfar- zana. Questa specie è comunissima nell’ autunno e nell’ inverno e talvolta nell’ estate. Non nidifica. Abita a preferenza i fossi della valle di Sicciole. 165. Oryctometro parzana L. Volg. Sfarzanella, Quirino. Uc- cello frequente nell'autunno come immigratore e nella primavera all’ epoca del ripasso. Non nidifica. 166. Crex pratensis Bchst. Re di quaglie. Volg. Requajo. Specie in qualche anno frequente ed in qualche anno rara. È uc- cello di passo che costà arriva in Settembre e che coll’ iniziarsi dei giorni freddi emigra per climi più caldi. 28°. famiglia. Gallimulae. 167. Fulica atra L. Folaga. Uccello alquanto raro, che com- parisce nell’ autunno avanzato. Sn 168. Stagnicola chloropus (Gallinula chloropus Lath.) Sciabica. Specie immigrante rarissima nell’agro piranese. Arriva nell'autunno. schiera V. Natatores,. Ordine XIV. Lamellirostres. 2°. famiglia. Cygmna. 169. Cygnus musicus. Cigno selvatico. Quest’ uccello si fa vedere talvolta come uccello di passo nell’ inverno avanzato. Però è poco comune. Or son venti anni decorsi dall’ epoca che sul mare dinanzi Pirano ne arrivò un branco di 16 individui circa. Da quell’ anno si fecero di rado vedere e solo già 10 anni mio padre ne scorse 6 nella valle di Sicciole. Nello stesso inverno nella valle Sermin presso Capodistria ne comparve un branco e ne venne ucciso uno, ch'io preparai pel Museo del Ginnasio di quella città. In questo frattempo questi uccelli divennero per noi una rarità, quando in questo anno 1878 e se non erro in Gennaio, ne arrivò un branco nel mare dinanzi Albona, restandone uccisi due, che mi fu dato di vedere ed esaminare. 3°. famiglia. Anseres. 170. Anser cinereus. Oca paglietana od oca selvatica. Questi uccelli che passano in autunno ad enormi altezze sopra di noi, negli inverni nevicosi, e perciò freddissimi, calano talvolta nella valle di Sicciole ed ‘in Salvore. Ciò avviene però molto di raro. 4°. famiglia. Amates. 171. Anas boschas L. Germano reale. Anitra selvatica. Volg. Mazzurin. Quest’ uccello che nidifica sulle paludi di Grado e di Venezia, non viene presso di noi che nell’ inverno in branchi d’un numero sterminato d’individui. Durante il giorno riposa sulle onde dinanzi alle spiaggie del porto “La Madonna delle Rose,, mentre a notte fatta prende il volo per recarsi sulle vicine saline ove trova ottimo pascolo. I branchi sono formati di migliaja d’ indivi- dui, sicchè quando spaventati si sollevano volando dal mare, sembra che una procella si scateni nell’ aere, sì forte è lo strepito che il loro sbattere d’ ali produce. Una varietà di questa specie, ch’ io però ritengo appartenente a questa, è quella che i nostri cacciatori distinguono col nome di Mi, Cena Capirossi, che dalla comune Anas boschas si distingue per minor mole e per il capo che porta una tinta color mattone. 172. Anas creca (Querquedula creca. Steph.) Alzavola. Volg. Sarzegna (forse dal francese Sarcelle). Uccello molto frequente che talvolta arriva in inverno e che allora rinviensi nella valle di Sic- ciole lungo le sponde del Dragogna e nei laghetti del Carso. Non nidifica. 173. Durante l’ inverno è abbastanza comune la piccola Al- zavola ed anche in quest’ anno ne osservai un branco. Non conosco il loro nome latino. 5°. famiglia. Fuligolae. 174. 177. Fuligola cristata Gr. Fuligola cristata. Bucephala clangula Gr. Queste due specie che mai mi fu dato d’ osservare. pongo fra le due nostrane sovra testimonianza del Dr. de Marche- setti, che gentilmente mi comunica trovarsi nel Museo civico trie- stino di Storia naturale due esemplari provenienti da questi paesi. 6°. famiglia. Mergi. 176. Mergus serrator L. Smergo. Volg. Farfisetto. È uccello abbastanza frequente nell'inverno, che vive sulle paludi coperte dal mare dinanzi alle saline di Sicciole. Non nidifica. 177. Mergus albellus. Pesciajola. È alquanto raro sul nostro mare. L° ultimo esemplare venne ucciso or saranno 12 anni. Arriva nell’ inverno e vive pure sulle paludi del porto “La Madonna delle Rose,. Ordine XV. Longipennes. 1°. famiglia. Sternae. 178. Sylochelidon caspia. Sterna maggiore. Volg. Cricchetto. È frequente nell’ autunno ed inverno. Coll’ avvicinarsi della prima- vera sli reca altrove. | 179. Sterna hyrundo. \Sterna. Non è si frequente come la precedente e come quella si fa vedere a preferenza nell’ autunno avanzato e nell’ inverno. 180. Sternula minuta. Fraticello. Specie molto rara. Arriva essa pure nell’ autunno avanzato e nell’ inverno. 181. Hydrochelidon nigra. Mignattino. Quest’ uccello arriva da noi nella primavera avanzata e nell’ estate. Io devo perciò ri- = tenere che esso deponga le uova sulle nostre spiagge, ad onta ch'io ancor non ne abbia osservato alcun nido. E specie poco fre- quente. Sparisce nell’ autunno e nell’ inverno. 3* famiglia. Larè. 182. Larus marinus. Mugnajaccio. Specie che da noi arriva nell’ autunno e nell’ inverno. Non è molto frequente. Non nidifica. 183. Larus argentatus. Gabbiano reale. Volg. Coccal. È la specie più frequente di gabbiani che vive sul nostro mare. Questi uccelli comunissimi nell’ autunno e nell’ inverno, ma rari nelle altre parti dell’ anno, non nidificano presso di noi, e neppure all’ epoca della loro dimora costà, passano la notte sulle nostre spiagge, essendo che all'imbrunire si radunano a branchi e pigliano il volo per le paludi di Grado e di Aquileja ove pigliano il sonno, per poi nel mattino veniente ritornare nella nostra rada a formare la disperazione degli allevatori di pesce. 184. Cronocephalus ridibundus Egt. Gabbiano comune. Questa specie non viene nell'inverno, ma invece arriva qui in Marzo ed Aprile, per poi del tutto sparire. 185. 186. Altra specie di Larus sarebbero il Larus canus, il Larus leucocephalus Lichst, e molte altre ch’ io per ora non sono al caso di notare col loro nome scientifico, ma che fra di loro si distinguono pel colore del becco ora giallo ed ora rosso, come pure pei piedi ora gialli ed ora rossi e per le tinte del piumaggio, ove osservansi o il fondo azzurro gabbiano punteggiato da mac- chiette color caffè, oppure attraversato da linee e macchie nere o caffè, del qual ultimo colore sono tinte a preferenza le cuopritrici delle ali in molti gabbiani, di cui, per quanto feci, mai mi fu dato di scuoprire il nome scientifico. Ritengo perciò che forse questi individui in cui prevalgono le macchie a caffè sulle nere, appar- tengono al sesso femminile. Desidero che mi si offra l’ occasione di accertarmene. 4". famiglia. Lestres. 187. Lestris catarractes. Skua. Questa specie è rara, e non viene su questi mari che eccezionalmente e nell'inverno. Or saran 6 anni che ne venne ucciso uno, che ebbi 1’ occasione di vedere. 188. Lestris. Stercorarius parasitica. Labbo o Stercorario. Uc- cello raro che talvolta si fa vedere nell’inverno. Io ne possiedo = der un esemplare, ucciso or ora 3 anni sul mare dinanzi le rovine di Sipar. 8°. famiglia Puffimi. 189. Puffinus anglorum. Berta minore o Putfino inglese. Volg. Artena. È frequente quest’ uccello nell’ estate ed è si poco timido che va fin entro le barche peschereccie frammezzo ai pescatori quando staccanò le sardelle dalle reti. Non nidifica. Ordine XVI. Steganopodes. 3°. famiglia. Hahes. 190. Phalacrocorax Carbo. Cormorano, Marangone. Specie rarissima. Ne venne ucciso uno nel 1876 nella rada di Pirano ed ora è posseduto dalle i. r. Scuole Reali di questa città cui venne donato. Arrivò nell’ inverno. Ordine XVII. Urniatores. 1°. famiglia. Podicipaites. 191. Podiceps cristatus Lath. Svasso comune. Rarissimo. Ar- riva costa nell’ inverno. Non nidifica. 192. Podiceps auritus. Svasso piccolo. Frequentissimo nell’in- verno, quest’ uccello nel piranese porta il nome di Magnabalini Schifo. Non nidifica, non restandone nella primavera avanzata nep- pur un esemplare. 193. Podiceps minor Lath. Tuffetto piccolo. Più raro del pre- cedente, quest’ uccello pure costà arriva nell’ autunno avanzato e nell’ Aprile se ne parte. Oltre a questi tuffetti altri costà arrivano, ch’ io sinora non potei specificare esattamente. 2°. famiglia. Colymbi. Erroneamente vengono dal nostro popolo. questi uccelli di- stinti col nome di Folaghe, mentre il loro nome italiano suona Strolaghe e lo scientifico Colimbi. Nella rada di Pirano ne arri- vano 3 specie. 194. Colymbus glacialis. Strolaga maggiore. È frequentissima durante l’ inverno. Lr 195. Colymbus arcticus.. Strolaga mezzana. Specie alquanto rara, che pure arriva nell’ inverno per scomparire affatto nella primavera. 196. Colymbus septentrionalis. Strolaga piccola. Frequente du- rante i mesi invernali quest’ uccello vive sul mare dinanzi alle spiaggie istriane, ove gli si fa guerra accanita per approfittare della poco saporite carni. Arrivata la primavera quest’ uccello emigra. Di alcune piante usate medicalmente alle Indie orientali pel Dr. €. Marchesetti. Quantunque lo studio delle proprietà chimiche delle differenti piante e la conoscenza dei loro principî. attivi, vadano a poco @ poco eliminando dalle farmacopee quella farraggine di rimedi, coi quali i nostri vecchi tormentavano la misera umanità, e vi sosti- tuiscano le sostanze chimiche in loro contenute, essi vi restano tuttavia e vi resteranno per molto tempo ancora nella medicina popolare, valutandosi non rare volte il valore del rimedio in pro- porzione alla sua quantità. Ogni paese ha le sue panacee particolari, e ‘se da noi quasi giornalmente fanno capolino nuovi decotti e nuove tinture, e tro- vano credenti, avremo diritto a stupirci se nel lontano oriente, ove la scienza medica se ne giace ancora bambina, essi sieno in grandissimo pregio ? L’arte medica presso gl’indiani era una delle più stimate già negli antichissimi tempi, dappoichè secondo i libri sacri sola- mente ai bramini concedasi l’ esercizio della medesima. Più tardi però anche le altre caste si arrogarono tale diritto, per cui nacque un intero ordine sociale reclutato dalle differenti classi, i cui membri presero il nome musulmano di Hakim. Essi presentemente sono molto scaduti dalla loro antica influenza, sebbene quasi ogni villaggio vanti un qualche Galeno più o meno celebre. Allorchè giunsi a Carwar, mi fu parlato di uno, la cui fama volava per tutte le terre circostanti, come uno de’ più insigni Esculapii. Cer- cai naturalmente di far conoscenza col mio onorevole collega, e mi comparve innanzi un individuo quasi nudo, la cui scienza con- POSTO, | - eee: sisteva nel conoscere una cinquantina di piante. Però siamo giusti : se la scienza non era molta, anche ’ onorario, che percepiva il povero dottore, vi era corrispondente, arrivando al massimo ad un anna, (6 soldi) compresi anche i medicamenti! Io non vi tedierò colla lunga enumerazione di piante, che nei differenti distretti godono maggiore o minor fama, e mi limi- terò unicamente nel darvi un brevissimo cenno su quelle, che sono più in uso e rinvengonsi più frequentemente nei bazar delle pro- vincie occidentali. Siccome le malattie più comuni dell’ India sono le differenti forme di febbri, dalla semplice intermittente alle più letali per- niciose, la serie degli antifebbrili è necessariamente la più grande, la più svariata. Quantunque da parecchi anni vi sia introdotta la coltura della Cinchona, ed oramai estesi tratti dei Monti Nilagiri, sieno ricoperti da intere foreste di china, il prezzo considerevole della salutare corteccia, non la rende accessibile che ai più facol- tosi, e la gran massa di popolo, che dal sudor della sua fronte ritrae due o tre annas al giorno, deve rivolgersi altrove, alle piante meno costose, affine di riacquistare la salute. E qui nell’ India non fanno difetto dei surrogati della china più o meno efficaci. Prima e maggiormente usata ci si presenta la Melia Azadirachta L, conosciuta generalmente sotto il nome di Nim, dal nome indosta- nico Nimb o Ninb. (Sui M. Curg appellasi in canarese Bevini Marà), Usasi la corteccia di quest’ albero, che è molto amara, in polvere o più spesso in decozioni di 60 grammi. Appresso alla corteccia del Nim, viene tenuta in gran conto una Genzianea, 1’ Ophelia Chirata D. C., detta volgarmente Chiretta (Charayatah nell’ indostano). Però quantunque questa sia la specie officinale, tuttavia ad esempio di noi, che non ci accontentiamo della sola Gentiana lutea o pannonica della farmacopea, anche gli indiani usano altre specie di questa famiglia numerosa, non spre- giando neppure le piccole specie di Exacum o di Coscroe, che con- tengono del pari un principio tonico-antifebbrile. Anche gli europei ne fanno uso, infondendola nello sherry, affine di renderlo tonico*). Un’ altra sostanza, che non raramente viene adoperata, è il Gulan- cha ossia la radice ed il caule della Tinospora cordifolia Miers, che è oltremodo amara. Dalla medesima pianta si ricava un estratto *) Si usa l’intera pianta asciutta in decozioni di 30-40 grammi. O — detto nel Concan Satté-gilo, che serve al medesimo scopo. Anche i frutti della Guilandina Bonducella L. detti Bonduec Nut (Kat- karangi in Indost.) godono di molta fama e gli si trova in qua- lunque bazar dell’ India. Solitamente si mescolano con eguali parti di pepe, che pur cresce copioso nelle regioni meridionali dell’ India e forma uno dei principali prodotti del Malabar*). L’ Acoro Cala- mo, che cresce tanto nei nostri fossati, che alle sponde dei rivi indiani è del pari una pianta altamente stimata contro le febbri, e sebbene per vero non gli si possano ascrivere grandi proprietà antifebbrili, sarebbe molto difficile torre all’ indiano un rimedio tanto pregiato, come si è il suo Vach o la radice dell’ Acoro. Nè io vi parlerò delle tante sostanze, che forniscono all’ Hakim degli indiani le sue preziose panacee contro le dispepsie e le diar- ree. Ve ne citerò le principali, tanto per darvi un'idea di quelle, che maggiormente vengono usate. Oltre ai mezzi più sopra indicati nella cura delle febbri, che del pari servono a ridonare la tonicità al sistema digestivo, abbiamo da notare le sostanze, che apparten- gono al gruppo degli astringenti, di cui la natura fu molto larga all’ India. Mentre nelle parti più settentrionali della penisola, ove i dorsi de’ monti sono rivestiti da immense boscaglie di querce, gl’indigeni richiedono ajuto all’ acido tannico contenuto nelle dif- ferenti specie di galla, quelli che abitano i vasti pianori del Gu- zerat e della parte superiore del Concan, ricorrono alla corteccia delle tante specie di acacie, che compongono la maggior parte della vegetazione arborea di quelle regioni **). È specialmente la corteccia dell’ Acacia Arabica W., (detta Babul-Kka-chal***) che gode di molta fama e che viene venduta in tutti i bazar in grossi pezzi di color oscuro. Nelle foreste di Ceylon e dei distretti meridionali dell’ Indie, cresce un’ altra pianta, il Pterocarpus Marsupiun D. C., che fornisce la Gomma Kino del commercio, cui spetta una azione eminentemente astringente. Nei bazar però è raro ritrovare la vera Gomma Kino, venendo sostituita dal succo ispessito, che si ottiene da un altro albero, molto comune nelle foreste, la Butea *) Di questa miscela vengono amministrati 4-8 gram. al giorno. **) Però anche nelle altre regioni non mancano galle, e specialmente la Terminalia Chebula Retz. dà un’ ottima specie, usata sui M. Curg a far in- chiostro ***) La polvere di questa corteccia viene venduta nei bazar di Bombay sotto i nomi di Neb-Neb e di Akakia. = frondosa Roxb. Questa gomma, (Bengal Kino; Palaskigond in In- dost.) che compare in piccoli pezzi d’ un bel colore rosso, contiene molto acido tannico e viene impiegata con molto vantaggio in tutti i casì in cui si rende opportuna l’amministrazione di un astrin- gente. La Butea frondosa, che in una all’ Erythrina indica Lam. forma per la magnificenza de’ suoi fiori uno de’ più vaghi orna- menti delle selve di quella contrada, porge nei suoi semi un rime- dio altamente pregiato contro gli Ascari, rimedio che venne adot- tato con grande vantaggio anche dai medici europei nell’ India. Nei Bazar del Concan portano il nome di Palas-ke-bini. Simile nell’ effetto alla gomma Kino, si è il Catechù (Kat im Indost., Kachu in Canarese), l estratto dell’ Acacia Catechà, il cui uso è pure estesissimo. Altre sostanze che qua e là vengono adoperate sono la de- cozione dei semi di Ispagul (Plantago Ispagula Roab.) che ceorri- sponde presso a poco al nostro decotto di Salep, la mucillagine dell’ Aegle Marmelos Corr. (Bel, Si-phal) o della Feronia Elephan- thum Corr. (Wood Aple), la corteccia del pomo granato, che spesso coltivasi ne’ giardini, ecc. ecc. Siccome però nei climi tropicali le affezioni enteriche pren- dono spesso un carattere disenterico o coleroso, con grave prostra- zione di forze. così il Hakim unisce spesso il suo astringente con sostanze toniche ed eccitanti. Se i mezzi lo consentono ricorre al Brandy, in caso diverso s’ accontenta dell’ Arak e vi infonde varie droghe come pepe, (Piper nigrum) cannella, (Cinnamonum. zeyla- nicum Ind: Dar-chini) Lar-mirch (Capsicum fastigiatum) Zenzero (Zingiber officinalis — Ind: Sonth) Noce moscata, (Myristica offici- nalis — Ind : Iae-phal) ecc. Nè molto avrà da andare in cerca di sostanze purgative. L’ arbusto del Ricino (Arandi-ka-tel) cresce copioso quasi dovunque ed in molti distretti trovasi copiosa I’ Aloe. L’ Aloe indica Royle, che abita le regioni sabbionose a N.W. del Tapti, e 1° A. litoralis Koen., che ricopre vasti tratti della costa orientale dell’ India, for- niscono un ottimo succo. (Musabbar o Ilvà). Sta pure a sua dispo- sizione la Senna, (San, dalla Cassia lanceolata Fersk e da specie at- fini) sia indigena che importata. E se ciò non gli è sufficiente, ha i semi del Gepal, (Croton Tiglium L.) che possono render pago anche il più incontentabile. Appresso a questi quattro principi della potenza aperiente si accalca la numerosa ciurma plebea, re- clutata tra le più svariate famiglie vegetali. Citeremo come i più (Ri — usitati i kala-dana (semi della Pharbitis Na Chois.) ed i Harrà o Miriobalani (dalla Terminalia Chebula Retz.). E se all’ India fu negata la salutifera corteccia della Cephaelis Ipecacuanha, i suoi piani arenosi albergano tuttavia due emule formidabili, la 7ylophora asthmatica W. et A. (Anta-mul o Giangli- pikvan) e la Calotropis gigantea R. Br. (Madar o Ak,) Ambedue che in piccola dose al pari della Ipecacuana servono quali tonici, hanno in maggiore quantità un’ azione potentemente emetica. Il gruppo dogli antelmintici è pur bene rappresentato, che oltre ai semi della Butea ed alla Punica, già accennati, comunis- sima dovunque cresce la Vernonia anthelmintica W., (Somragi), i cui semi amministrati in forma di elettuario, sono un importante surrogato del Santonico. Eguale effetto possede il Papayah, (Carica Papaya L.) a cui però si dà la taccia di produrre troppo spesso coliche. Mentre questi rimedi usansi contro gli Ascari, per la Tenia si dà la preferenza al Kamala ossia alla polvere delle cas- sule del Mallotus phillipensis MU. (10—12 grm.) Come mezzo meccanico usansi pure i legumi del Dolichos pruriens. Che se il Hakim s'imbatte in un caso in cui fa duopo ec- citare la secrezione renale, non ha che da recarsi al prossimo cespuglio, ove s’ arrampica qualche Sassaparilla (Hemidesmus in- dicus KR. Br. — varie specie di Smilax) od al primo luogo umido, ove cresce una Goksura (Barleria longifolia Nees.) AI Balsamo Copaive egli sostituisce le Cubebe, (Kabab-chini dalla Cubdeba o}f- cinalis Mig.) che può spiccare fresche fresche dalla pianta, 1° olio di Sandalo Sandal-ka-aitr dal Santalum album L.) e l olio di Gurgium (Gargiam-ka-tel dal Dipterocarpus laevis Ham.) Per ognuna delle tante malattie cutanee, cui vanno soggetti gl’indiani egli ha un mezzo più o meno efficace: si tratta di al- lontanare degli ospiti poco graditi, egli ricorre al suo Kakmari-ke- bingi (Anamirta Cocculus W. et A.); è molestato da un’ erpete, s’ affida alla virtù del Dadkapat (foglie della Cassia alata L.); è dannato a quella lenta agonia con cui va congiunta la lepra, egli si volge fiducioso al Chaulmugra (semi della Gynocardia odorata R. Br.) o trangugia il bruno olio di Gurgium. Rare volte egli ha d’ uopo d’ ordinare narcotici, quantunque varie specie di Datura sieno le solite vicine de’ villaggi, dappoi- chè quasi ogni indiano possede già una buona dose d° oppio, che egli riguarda come cibo quotidiano e di cui consuma enormi quantità. 6 — 99 Così l Indù rare volte è costretto di ricorrere alle medicine europee: se le droghe da lui usate mancano d’ effetto, egli consi- glia al paziente di rivolgersi al prossimo dev? o santuario, e di offrirgli un qualche dono, per lo più una bottiglia di Cognac, la quale naturalmente per arrivare fino alla divinità prende la via più corta per la gola del Hakim. La teoria della vescica germinativa per Michele Stossich. Il conservatore del museo zoologico dell’ Accademia delle scienze di Pietroburgo, Dr. Alessandro Brandt, pubblicò al prin- cipio di questo anno un’ opera di contenuto embriologico, dedicata al chiarissimo Professore Dr. C. Th. E. v. Siebold. L’opera*) non è altro che la traduzione alquanto alterata di altra pubblicazione in lingua russa del medesimo autore **), stampata a Mosca nel 1876. Questa osservazione viene fatta dall’ autore nell’introduzione della sua opera, onde avvertire i lettori, che le teorie da esso svi- luppate nella pubblicazione del 1878 non sono i frutti delle sue ultime osservazioni, ma bensì i risultati di osservazioni fatte un anno prima della pubblicazione russa, vale a dire del 1875. Questa introduzione è di molto valore per l’autore, inquanto- chè essa gli dovrebbe attestare la priorità delle sue scoperte. Però nel 1875 incominciai ancor io ad occuparmi collo svi- luppo della vescica germinativa e nel 1876 pubblicai nel bollettino di questa società un lavoretto***), dimostrando in breve le osser- vazioni da me fatte sopra uova di serpule. Un anno più tardi, cioè nel 1877, nel lavoro “sopra la tras- formazione della vescica germinativa ecc., sviluppai poi più este- *) A. Brandt. Ueber das Ei und seine Bildungsstàtte. Leipzig 1878. **) A. Brandt. Osservazioni comparate sopra gli ovidotti e l’ uovo degli insetti (in lingua russa). Iswòstija Imp Obschtschestwa Ljubitelei Eslestwosna- nija. B. XXIII. Mosca, 1876. **#*) Sopra lo sviluppo delle serpule. Questo bollettino. Anno II. 1876. — Trasformazione della vescica germinativa e sua importanza nella segmentazione del tuorlo. Ibid. Anno III. 1877. * Siae Vigne samente le mie teorie, basandomi oltre nuove osservazioni fatte sopra uova di serpule, anche sopra quelle di Echinus. Io menzionai queste circostanze, per la ragione che desidero fare prevalere la priorità delle mie osservazioni, inquantochè anche il Brandt venne alla conclusione, di riguardare la vescica germi- nativa, come la cellula primaria dell’ uovo, ed il tuorlo invece come forma o prodotto involucrale; è ben vero che il Brandt pubblicò questi suoi risultati ancor nel 1876, ma questa pubblicazione è scritta in lingua russa, ed in secondo luogo non trovai in nessuna gazzetta scientifica menzionato il contenuto del suo lavoro. Brandt basandosi sulle osservazioni fatte sopra uova d’in- setti, formò una nuova teoria per la formazione dell’ uovo chia- mandola “teoria della vescica germinativa, (Keimblischentheorie), la quale è del seguente tenore : La vescica germinativa per sè (1. c. pag. 167) è la cellula primaria dell'uovo, ogni tuorlo una deposizione secondaria. La vescica germinativa dà, moltiplicandosi per divisione, V origine alle cellule primarie embrionali; il tuorlo non abbisogna di partecipare assolutamente a questa divisione (Trematodi, insetti ed alcuni cro- stacei), ma se lo fa, allora abbiamo una segmentazione dell’ uovo. Nel 1877 invece (alcuni mesi prima della pubblicazione di questa teoria) nel mio lavoro sopra la trasformazione della vescica germinativa, conclusi che: La vescica germinativa (1. c. pag. 14) è la cellula primitiva dell’ uovo, la quale poi per deposizione 0 trasu- dazione sviluppa il tuorlo, le membrane e le altre forme involucrali. Da ciò si vede benissimo, che tanto le osservazioni di Brandt quanto le mie diedero in questo riguardo risultati del tutto con- cordanti, classificando la vescica germinativa, come la vera cellula primaria dell’ uovo, concordando in ciò coll’ ipotesi sviluppate 30 anni fa da Bischoff ed altri scienziati. Secondo la teoria di Brandt la vescica germinativa dovrebbe trasformarsi più tardi per divisione nelle cellule primarie embrio- nali, vale a dire il tuorlo dovrebbe poco a poco sparire ed il nucleo di ogni cellula di segmentazione trasformarsi in cellula embrionale ; è ben vero che questa ipotesi sarebbe di molto ajuto alla teoria della vescica germinativa, ma non può venir ammessa essendo contraria a tutte le osservazioni fatte sino ad ora. La vescica ger- minativa, come lo dimostrai nei miei due lavori, dopo la fruttifi- cazione sorte dal tuorlo formando i cosiddetti globuli polari, i quali più tardi si sciolgono e spariscono; il tuorlo diviene del tutto ERA 4 pa omogeneo e nel centro non si osserva più il disco bianco, traspa- rente, formato prima dalla vescica germinativa. Dopo alcuni minuti si osserva nel centro del tuorlo (mai eccentricamente) una piccola macchia rotonda, la quale accompagnata dalle figure cariolitiche, va sempre più ingrossandosi sino ad acquistare una certa grandezza, di poi s’ allunga, si divide e forma i due cosiddetti nuclei di seg- mentazione. Ora il secondo corpo, sviluppatosi nell’ interno del tuorlo, al posto che occupava prima la vescica germinativa, non lo si potrà riguardare come nna cellula, inquantochè manca delle parti essen- ziali alla formazione di una cellula; questo corpo non è altro che una porzione di protoplasma più denso, e forma il nucleo della prima cellula embrionale, il quale, come in tutte le altre cellule (anche nei protozoi), dividendosi forma i nuclei delle cellule che ne risultano. Con ciò nello sviluppo dell’ uovo si avrebbero le se- guenti fasi: 1. la vescica germinativa, che formerebbe la cellula primaria dell’ uovo; 2: attorno di questa, formazione di altri strati per deposi- zione e trasudazione, costituenti il tuorlo, l’ albumina ecc.; 3. distruzione della cellula primaria *) e sviluppo della prima cellula embrionale, colla comparsa del nucleo embrionale. Dunque da ciò si vede chiaramente, che la vescica germinativa non serve alla formazione delle cellule embrionali, come lo vorrebbe il Brandt, ma viene distrutta, vale a dire cangiata nei globuli polari, e che le cellule embrionali vengono formate soltanto dal tuorlo, il quale naturalmente col progredire dello sviluppo acquista aspetto diverso, diversa essendo la funzione delle cellule che ne risultano. La vescica germinativa al principio del suo sviluppo ha naturalmente il valore di una cellula primaria, inquantochè possiede un nucleo (macchia germinativa) ed una membrana (?) racchiudente il contenuto protoplasmatico; ma dopo la fecondazione la vescica germinativa sparisce dal tuorlo senza lasciarne traccia alcuna, ed in questo momento ha luogo la distruzione della cellula primaria; il tuorlo che dapprima non era altro che un prodotto involucrale, *) Sotto distruzione della cellula primaria io intendo l'espulsione della vescica germinativa, per la ragione che riguardando questa come la vera cellula primaria dell’ uovo, con l’espulsione essa perde poco a poco i suoi elementi, trasformandosi infine in due o tre gocciétte protoplasmatiche, che vengono a stare tra il corio e la membrana vitellina (serpula, echino). poi pe forma ora il protoplasma di una nuova cellula, cioè della prima cellula embrionale. Tutte le cellule o palle di segmentazione le riguardo quali cellule semplici e non come cellule composte (Brandt), per la sem- plice ragione che esse si compongono delle solite parti dovute ad una cellula; il loro nucleo è un discendente del primo nucleo embrionale e mai della vescica germinativa (Brandt). Parlando dei fenomeni di contrazione che si osservano nel tuorlo, Brandt dimostrò non avere questi altro scopo, che quello di far prendere al tuorlo la forma la più concentrata, cioè la sferica. Questa ipotesi a mio credere non è ammissibile per diverse ragioni; in primo luogo sarebbe molto difficile l’ idearsi l’arroton- damento di un tuorlo che è già rotondo (serpule, ascidie, echino- dermi ecc.), ed in secondo luogo gli spazi che si formano tra il tuorlo ed il corio non si sviluppano soltanto in causa di una con- trazione del tuorlo, ma bensì anche per un dilatamento della mem- brana esterna, ed il tuorlo allora non presenta più una forma rotonda, ma al punto della contrazione è alquanto appianato. Da ciò si può argomentare, che la forza di contrazione non è uniformemente diffusa, ma che essa si sviluppi maggiormente in una porzione soltanto del tuorlo; per conseguenza questa porzione di tuorlo dovrebbe essere fisiologicamente e morfologicamente di- versa dal resto del tuorlo, le sue molecole dovrebbero avere una posizione o distribuzione differente alle molecole dell’ altra parte, vale a dire si potrebbe di già determinare in uova di tuorlo omo- geneo, per mezzo della contrazione, la posizione del futuro embrione, e ciò per le seguenti osservazioni fatte: 1. che la contrazione del tuorlo è un processo normale, il quale però causa mancante nutrimento o troppa abbondanza di acido carbonico, può trasformarsi in contrazione anomala; 2. che la vescica germinativa sale sempre verso lo spazio formatosi in causa della contrazione, e 3. le vescichette direttrici per la medesima ragione dovranno sortire sempre in questo spazio (Sopra lo sviluppo delle serpule. 1876, pag. 9). Continuando lo sviluppo sino alla formazione della blastula, si osserverà, che quando comincia 1’ appianamento di una parte del blastoderma, nello spazio, formatosi si troveranno nuovamente i globuli polari, e che finalmente dopo formatasi la gastrula, questi globuli staranno dirimpetto al prostoma. La gastrula segna ora EDI. pene esattamente la posizione dell’ embrione, perchè dalle osservazioni di moltissimi embriologi si sa che dal prostoma si sviluppa l’ a- pertura anale e per conseguenza questo polo dell’ uovo si potrebbe chiamarlo polo anale o polo posteriore; riportando ora questa denominazione nell’ uovo prima della segmentazione, chiameremmo polo posteriore quello, nel quale si mostrerà la formazione dello. spazio e l’ espulsione dei globuli polari. Parlando della vescica germinativa, Brandt sostiene che essa non venga espulsa, ma si trasformi direttamente nel nucleo em- brionale; io non voglio mettere in dubbio le osservazioni di Brandt, ma basato sopra le mie, non posso accettare una simile asserzione, avendo ripetutamente dimostrata la trasformazione della vescica germinativa nei globuli polari, i quali poi col progredire dello svi- luppo embrionale spariscono in causa di uno scioglimento o di un assorbimento; il primo nucleo embrionale è una neoformazione, facilmente una trasudazione del tuorlo, e da questo poi per divi- sione si formano tutti gli altri nuclei embrionali. Le osservazioni fatte da Brandt sopra la macchia germinativa divergono eziandio molto dalle mie; egli osservò che la macchia germinativa possiede movimenti ameboidali simili a quelli della ve- scica germinativa; anzi questi movimenti sarebbero tanto forti da dividere la macchia germinativa in diverse particelle o granellini, i quali avrebbero parimenti un forte movimento ameboidale. Dalle mie osservazioni invece risulta, che la macchia germinativa non cambia mai di posto, che essa si trova sempre eccentricamente al medesimo punto, che i suoi movimenti sono tanto deboli che con difficoltà sono appena visibili ed infine che essa non si divide mai in particelle, ma bensì sparisce per non ritornare mai più; tutti i movimenti e divisioni osservati da Brandt nella macchia germina- tiva non possono essere altro che fenomeni anomali oppure feno- meni causati da un riscaldamento troppo forte del preparato. In un uovo di serpula riscontrai una sola volta una vescica germina- tiva, la quale possedeva due macchie germinative unite*); credo però che questo non sia che. un caso straordinario, inquantochè nelle migliaja d’uova esaminate, non potei osservare il fenomeno che una volta sola, anzi sarei, del medesimo parere di Butschl**), *) Trasformazione della vescica germinativa ecc. ecc. Tav. I. Fig. 2. **) Studien iber die ersten Entwicklungsvorginge der Eizelle, die Zelltheilung und die Conjugation der Infusorien. Abhandl. der Senckenbergischen naturf. Gesellsch. B. X. 1876. i VR di riguardare la divisione della macchia germinativa come un foriere della vicina morte dell’ uovo. In contraposto delle teorie sviluppate da Brandt, mi permet- terò di svolgere le seguenti ipotesi basate tutte sulle osservazioni fatte sopra uova di echinus, ascidia e serpula: La cellula primaria dell’ uovo è la vescica germinativa, attorno la quale poi per deposizione o trasudazione si sviluppano il tuorlo e le altre forme involucrali, acquistando con ciò l’ uovo il valore di una cellula composta. La cellula primaria, causa la sua trasformazione in globuli polari, viene distrutta; per neoformazione di un nucleo, il tuorlo diviene il protoplasma della prima cellula embrionale. Il nucleo embrionale non è un analogo della vescica germina- tiva, non è una cellula primaria, ma una semplice massa protopla- smatica, la quale per divisione forma i nuclei delle altre cellule embrionali. Per questa ragione le palle di segmentazione non saranno cellule composte, ma cellule semplici. La contrazione del tuorlo, la sì può riguardare quale fenomeno costante, per mezzo del quale si potrebbe determinare la posizione futura dell’ embrione. Trieste 31 Maggio 1878. n Ù, #7 pai" (1 vel Pm nl A. Valle del Lit. Enr. Guttmann Sopra due specie di crostacei parassiti dell’ Oxyrrhina Spallanzani Raf. i per Antonio Valle. (con 1 tavola litografata). Trattandosi di due crostacei parassiti, ambedue nuovi pel mare Adriatico, credo non inopportuno di darne un breve cenno in proposito. Il primo di questi crostacei mi venne dato di rinvenire innicchiato tra i denti di un’ Oxyrrhina Spallanzani presa a Giup- pana in Dalmazia e spedita per determinazione dall’ i. r. Governo marittimo al nostro Museo di Storia Naturale. Somigliando affatto all’ Anthosoma Smithii Leach, che finora non venne trovata che sulla Lamna cornubica, mi limiterò a darne una breve descrizione. Genere Anthosoma, Leach. Specie Anthosoma Smith, Leach *). Cefalotorace allungato, conico, troncato alla parte anteriore; ed alla posteriore arrotondato. Esso porta un paio d’ antenne fili- formi composte da sei articoli; aila loro base s’ innalzano due ap- *) Anthosoma Smithii, Leach., Encycl. Brit, Suppl. I, p. 406, t. 20, f. 1-6; Edinh. Encyclopaed. t. 181; Dict. Sc. Nat. XIV. p. 533. —_ Desmarest., Consid. géner. sur la clas. de Crust. p. 334, t. 50, f. 3. —_ Baird., British Entomostr. p. 296, t. 33, f, 10. _ Burmeister., Mém. de Bonn. XVII. p. 328. a M. Edwaras., Hist. Nat. Crust. III p.483, t. 39, f. 5; Cuv. Règne Anim. p. 264, t. 79, f. 3. Caligus Smithii, Lamarck., Hist. des anim. sans vert. V. p. 210. Caligus imbricatus, Risso., Hist. Nat. Crust. Nice. p. 162, t. 3, f. 13. Otrophesa imbricata, Risso., Hist. Nat. Eur. mérid. V. p. 136. MAS |) O pendici grosse, cilindriche, che terminano in un’ unghia adunca; queste ultime rappresenterebbero il primo paio dei piedi mascellari. Fanno seguito altre due paia, il primo termina in un’unghia compressa, incavata e dentellata al margine; l’ altro invece presenta l’ultimo articolo bene sviluppato, dentato anteriormente e termi- nato da un forte artiglio. L'organo boccale trasformato in una specie di proboscide è inserito dietro i piedi anteriori, ed armato alla sua estremità di due mandibole diritte e cornee, foggiate a guisa di stiletto. L’addome, più stretto del cefalotorace, è composto da quattro segmenti e munito di due laminette fogliacee sul dorso a mo’ di elitre, e di altre sei sul ventre, le quali sostituiscono le tre ultime paia di piedi natatori. Tanto il cefalotorace quanto le laminette sono ai margini finamente dentellate; sopra quest’ ultime trovansi pure sparsi dei punti semitrasparenti. L’ ultimo segmento addomi- nale è seguito dalla parte caudale, che termina con due appendici pinniformi, sulla quale la femmina porta due tubi oviferi, cilindrici, molto lunghi.. Questo interessante parassita fu scoperto per la prima volta da T. Smith, sulla costa meridionale del Devonshire in Inghilterra, fissato alla Lamna cornubica. Risso lo trovò anche sopra una Lamna alle coste di Nizza e lo descrisse sotto il nome di Caligus imbricatus. Dei tre esemplari trovati, due sono maschi; essi differiscono dalla femmina per lo sviluppo maggiore del corpo. La lunghezza totale del corpo dei maschi è di 16-17 mm. di cui il cefalotorace ne occupa 9-10mm. La lunghezza della femmina è di 12mm. dei quali 7mm. vengono occupati dal cefa- lotorace. I tubi oviferi misurano 32 mm. Il colore del corpo è un bianco ferrugigno. Non molto tempo dopo ci pervenne un altro esemplare di Oxyrrhina Spallanzani, presa alla costa istriana; ed anche questa mi riescì interessante, avendo rinvenuto fisso sulle branchie un altro parassita, appartenente al genere Nemesis, Roux; ma per le differenze che presenta dalla Nemesis mediterranea Hell.*) mi sono permesso di nominarla : *) Heller, Crustaceen der Novara-Expedition, p. 220. t. XXI. f. 2. Lo; gg Nemesis mediterranea var. sinuata. Corpus elongatum, cephalothorace gibboso, oblongo marginibus rotundatis, abdomine quadriarticulato, articulis latioribus quam longioribus, sulcis profundis divisis ; antennae anteriores quindecim articulis, posteriores tribus tantum unguiculatis praeditae; rostrum biarticulatum apicem versus acuminatum; duo pedum maxillarium paria, ungquiculata, quatuor pedum paria abdominalia unguibus ar- mata, par primum parvulum; cauda brevis quadriarticulata appen- dicibus duobus ovalibus brevissimis, lateralibus articulatis longioribus. Differisce dalla Nemesis mediterranea Hell. per avere il cefa- lotorace non allungato e quasi quadrangolare come in questa, ma bensì ovale, e per i segmenti addominali divisi tra loro da una profonda insenatura, che s’ estende d’ambo i lati per un terzo della loro larghezza. La larghezza di questi segmenti supera la lunghezza, per cui i tre primi assumono la forma d’ un trapezio ad angoli bene arrotondati; mentre il quarto alla parte posteriore è quasi rotondo. Gli altri caratteri, che hanno in comune sono: le antenne anteriori filiformi e composte da 15 articoli, i primi dei quali muniti di setole. Riguardo al primo articolo è da osservarsi, che questo è alquanto lungo, i successivi più larghi che lunghi, e man mano che s’avvicinano all’ apice, vanno assottigliandosi ed aumen- tando in lunghezza. Il secondo paio di antenne è piuttosto robusto, formato da tre articoli, ’ ultimo dei quali finisce in un uncino. Seguono i piedi mascellari che sporgono verso i lati; il primo paio dei quali termina con un artiglio, vicino alla quale trovasi una palletta ovale e cigliata al margine. Il secondo paio di piedi è molto robusto, ben sviluppato ed ha la parte basillare molto grossa, termina poi con un forte artiglio. Tra queste due paia di piedi, trovasi la proboscide conica, biarticolata, con ai lati un’ ap- pendice bifida pel tatto. Il primo paio di piedi addominali è situato all’ origine del primo segmento, presenta un articolo basillare lungo diviso in due rami, dei quali l’ esterno è più lungo e l'interno in parte nascosto. La prima parte del ramo superiore è allungata, incurvata all’ in- terno, ed al margine esterno dentellata; la seconda più corta, ar- rotondata e munita di tre setole. Il primo segmento del ramo in- terno appare molto accorciato all’ innanzi; il secondo conico-appuntito, con alcuni brevi aculei all’ estremità. Le altre tre paia sono simili Lange tra loro e sporgono all’ingiù dai loro segmenti originari e sembrano riunite mercè un segmento basillare arrotondato. I due rami sono molto corti, il loro primo segmento è provveduto ordinariamente all’ estremità anteriore esterna di un’ apofisi piccola acuta, l’ultimo di forma conica alquanto acuminata è provveduto di alcune piccole setole. L’ anello genitale è allungato, stretto come il segmento ad- dominale, più largo nel mezzo. Finalmente la parte caudale, non chiaramente bipartita, termina con due corte appendici ovoidali, portanti alla cima quattro piccole setole. I due tubi oviferi hanno origine alla parte superiore dell’ anello genitale. Il colore del corpo è un bruno verdastro. La lunghezza totale del corpo è di 9 mm., la larghezza 2:5mm. Spiegazione delle Figure. Fig. 1. Nemesis mediterranea var. sinuata, parte dorsale. In- grandita. Fig. 2. La medesima, parte ventrale. Fig. 3. Secondo paio di piedi addominali. Fig. 4. Antenna. Fig. 5. Cefalotorace. DB nali. Sugli oggetti preistorici scoperti recentemente a S. Daniele del Carso per C. Dr. Marchesetti. Giorno per giorno si scoprono nuove reliquie dei nostri antichi progenitori e vanno diradandosi le fitte nebbie, che ravvolgono il lontano passato della nostria patria. Fino a pochi anni fa, i nostri storici si arrestavano all’epoca romana, e se più in là spingevano lo sguardo, era loro giocoforza avanzarsi titubanti ed incerti, dap- poichè la favola ed il mito accompagnavano perennemente i loro passi. Compresi da questa dubbiezza, essi non osavano gran fatto avventurarsi in quell’epoche nebulose, ed arrestandosi a tempi in cui l’aquile romane, stesero il volo fino alle nostre piaggie, ascris- sero a quest’ ultimi conquistatori tutta quella serie di monumenti, che trovansi seminati sulle vette de’ nostri monti, nel grembo delle nostre valli. Appena più tardi, allorchè nelle provincie contermini era emersa dalla profondità de’ laghi, dal seno delle caverne una storia nuova, eloquente dei popoli, che vissero e travagliarono secoli e secoli prima, che al Tebro sorgessero le mura di Roma, appena allora si richiese se le genti, che abitarono il nostro paese, sieno passate, nomadi pellegrine, senza lasciar traccia alcuna di sè. Si richiese quali fossero queste genti, quali le loro dimore, quali l opere loro, quale la loro civiltà. E si cominciò a frugare nel seno della terra, nei dorsi delle colline, ed anche per noi, sebbene bambina, incompleta, apparve la storia primitiva del nostro paese e noi vi potemmo leggere alcune pagine finora ignote, o solo va- gamente accennate del nostro lontanissimo passato. Quegli ammassi circolari di pietre, che talora circondano le cime dei nostri monti, OI RE si tramutarono in cinte di castellieri preistorici, e nel mezzo riap- parvero le rozze costruzioni de’ nostri aborigeni e si rinvennero armi di pietra ed utensili diversi, e vi si lesse un’ intera rivela- zione dei loro usi, dei loro costumi, dei loro commerci con altri popoli. La natura del suolo della nostra provincia non permise lo sviluppo di un popolo dalle palafitte, sicchè per noi quest’ epoca è rappresentata non dalle costruzioni lacustri, come nella vi- cina palude di Nauporto, ma da quella serie di castellieri, che incoronano i nostri monti e di cui nelle vicinanze di Trieste esistono ancora parecchi sufficientemente conservati, per darcene un’ idea, come quello di Elleri presso Muggia, e di Sipar presso Salvore!). Però se le vette dei monti offrivano ai nostri antichi un asilo sicuro contro le aggressioni nemiche, esse non poteano di certo bastare alla popolazione ognor crescente, e facea quindi me- stieri ricorrere ad altre dimore, che potessero porgere loro ricovero e difesa. E in questo riguardo il nostro paese deve considerarsi come uno dei più propizi, poichè ad ogni piè sospinto, s° apre nel grembo della terra una qualche caverna, un qualche antro spa- zioso. Quale asilo più opportuno d’ una di quest’ ampie grotte, scintillante di stalattiti, divisa in vari appartamenti, con un la- ) Il Castelliere indubbiamente meglio conservato in Istria, si è quello di Cunzi presso Albona, già illustrato dal nostro infaticabile Burton. (Notes on the prehistoric ruins of the Istrian Peninsula 1874 p. 19 et seq.) Le mura di cinta, tuttora esistenti, ci forniscono un chiaro esempio di queste costruzioni ciclopiche. Già questi soli resti meriterebbero una gita ad. Albona, anche se il territorio circostante non fosse sì ricco di antichi avanzi. Vi esiste inoltre un museo ben fornito di oggetti importantissimi per la storia patria, iniziato da quel distinto patriotta, che si è il Cav. Tomaso Luciani ed ampliato continua- mente mercè le cure dell'egregio Dr. A. Scampicchio. — le prime abitazioni dell’uomo, allorchè dallo stato nomade, passò all’amore del patrio focolajo, furono dovunque le eminenze montuose, come quelle che offriano maggiori mezzi di difesa. Nè invano lodarono i greci colui, che per primo ebbe l’ ardire di discendere nella pianura e piantarvi la sua casa. Noi vediamo la maggior parte delle antiche città italiane costrutte dapprima intorno ai cocuzzoli de’ monti, costume generalmente seguito anche in Istria. Così moltissime delle nostre città marittime constano di due parti, la città antica sul monte, la moderna in pros- simità del porto. Questa predilezione degli abitanti del nostro paese di stabi- lire le loro dimore sulle vette de’ monti, ha naturalmente distrutto un gran numero di antichi castellieri, per sovrapporvi i nuovi fabbricati. Così la base di non pochi dei nostri cosiddetti Tabor ci si presenta evidentemente come i ruderi di costruzioni remotissime. = Yo birinto di vie e di corridoi, in cui nascondersi in caso di perse- cuzione ? !) Che moltissime delle nostre grotte abbiano servito d’ abita- zione, non è punto da mettersi in dubbio, e se finora tanto poche sono le nozioni, che si hanno in proposito, ciò déssi ascrivere unicamente al non averci pensato mai d’ investigare ciò che trovasi celato sotto la crosta stalagmitica delle nostre caverne, nei depositi d’ argilla, che ne occupano il fondo. Se maggiore attenzione si avesse rivolto a tale studio, noi pure avremmo ora la storia delle popolazioni sepolte nel seno de’ nostri monti, e non avremmo nulla da invidiare alle regioni più decantate per avanzi preistorici di Francia e di Svizzera. Quello che per parecchie delle contermini ') Nel suo recentissimo lavoro, (More Castellieri. — I. The Seabord of Istria, in corso di pubblicazione nel Journ. of the Anthrop. Instit. of Great Britain and Ireland p. 363) il Burton contro l'opinione del Luciani, mette in dubbio l’esistenza di razze trogloditiche nel nostro paese, sostenendo che esse si trovano “in climi che sono o estremamente caldi e privi di pioggia, come presso il Mar Rosso, o freddi come nella Francia settentrionale,. Con tutto il rispetto dovuto all'autorità dell’ illustre viaggiatore, io non posso per altro associarmi a questa sua opinione, dappoichè come bene osserva il Barone de Andrian (Ueb. d. Einfluss der vertic. Gliederung d. Erdoberflàche auf d. menschl. Ansiedlungen. — Mittheil. d. anthrop. Ges. in Wien 1876, p. 17) “la propensione di ricercare le caverne, che giaciono in prossimità delle vette dei monti è una particolarità caratteristica dell’ epoca paleolitica di tutti è paesi e notoriamente non estinta neppure ai nostri giorni,. Non solamente in Belgio, in Francia, in Germania, nella Svizzera, in Egitto, in Algeri, in India, a piedi dell’ Atlante, come paesi o freddi o estremamente caldi, ma anche in Italia, in Spagna, nel- l'Asia Minore, in Armenia e perfino in Cina, noi troviamo numerose caverne abitate dall’ uomo in tempi preistorici. Il nostro paese possede condizioni cli- matologiche presso a poco eguali a quelle della Liguria, ed in quest’ ultimo paese l’uomo trogloditico è benissimo rappresentato, dappoichè fino al 1874 vi si aveano trovato, secondo Issel, (Cenni intorno al modo di esplorare le caverne ossif. della Liguria) ben undici caverne, contenenti resti umani o della sua industria. Negli immediati dintorni di Trieste mi venne dato di scoprire già parecchie grotte, in altri tempi abitate dall’ uomo, e non sono che pochi giorni ch’ ebbi la fortuna di trovar nella Grotta di S. Servolo associati ad un gran numero di ossa umane e di altri animali, oggetti di bronzo, dei quali quanto prima darò una breve descrizione. Nè lo stillicidio è per me un argomento atto a combattere la possibilità dello stabilimento di abitazioni nelle caverne, in- quantochè in moltissime questo fenomeno si riduce a minime proporzioni ed è limitato semplicemente ad alcuni tratti delle medesime, come ce lo dimostra la mancanza di stalattiti e stalagmiti. Infine dalla caverna di S. Daniele, appren- diamo che l’ uomo sapea ajutarsi anche altrimenti, cercando cioè ricovero sotto le concavità esistenti presso qualche gruppo stalagmitico. regioni venne già fatto, resta ancora da imprendersi presso di noi, ed un campo tuttora vergine, non meno bello ed interessante, promette larga messe di scoperte importanti, a chi voglia rivolgervi i suoi studi. È un lavoro arduo, penoso, un lavoro, che richiede costanza nel travaglio, fermezza nel superare gli ostacoli. Il lungo tempo tra- scorso ha mutato faccia ai nostri monti, ha colmato le valli, ha otturato gl’ ingressi delle grotte, ha ricoperto il loro interno di stalattiti e d’ argille. Fa mestieri quindi di aprirsi nuovi varchi, di frugare in ogni canto, di rovistare tra il fango ed i vasti frana- menti, di spezzare le roccie create dal trapelare dell’ acqne. Talora in luoghi ove meno si crederebbe trovar vestigia umane, ove par- rebbe quasi pazzia il supporne traccia, ci si presentano indubbie testimonianze di sua dimora e dell’ opere sue. Esiste nei pressi di S. Daniele del Carso, a Cobillaglava, uno di quegli sprofondamenti verticali, che foiba con voce di latino ricordo appellasi dal mandriano. Innumeri sul pianoro del Carso, apronsi tali buchi, profondi talora centinaja di metri, per lo più in comunicazione con qualche grotta. Quale ne fosse la loro origine è tuttora mistero, e chi gli ascrive a squarciature violenti per opera di terremoti, chi alla corrosione d’acque, chi infine gli ri- guarda quali camini vulcanici, per cui ad analogia delle salse, rovesciaronsi le masse di terra rossa, che presentemente ricoprono i piani rocciosi del Carso. Qualunque siasi la loro origine, egli è un senso di orrore, che ispirano a chi osa avvicinarsi al loro mar- gine e misurarne la profondità gettandovi un sasso, nè ad alcuno certamente cadrebbe in pensiero di cercarvi resti di esseri umani, non fossero per caso le ossa sfracellate di qualche infelice, ch’entro vi cadde. Ove queste voragini giaciono vicino ai villaggi, servono per il solito da cimitero per le carogne, ed appunto a tale scopo venia adoperata quella di S. Daniele. Come in molte cose, anche quivi fu il caso, o per meglio dire l’ avidità di guadagno, che condusse alla sua investigazione. Sullo scorcio dell’anno decorso, a quattro individui d’un villaggio propinquo, venne l’idea di utilizzare le ossa, che da anni ed anni doveano aversi ammonticchiate al fondo della voragine, per cui un bel giorno ebbero l’ audacia di farvisi calare. Giunti al fondo, trovarono che da un lato apriasi un’ ampia caverna e che oltre alle ossa degli animali precipitati poteasi espor- tare una quantità di guano, prodotto dalle miriadi di colombi, che da secoli e secoli aveano preso abitazione nelle nicchie della vora- —-. $L — gine. Però non lungamente poterono usofruttare questa piccola fonte di lucro, conquistata a rischio della loro vita; chè ben presto il comune di Cobillaglava reclamò il diritto di proprietà degli og- getti rinvenuti. Allora si fu che l’egregio sig. Gius. Fabiani di S. Daniele, ebbe il coraggio di discendervi lui pure, facendovi pra- ticar alcuni scavi, ed in pari tempo invitandoci ad andarla a visi- tare. Le due escursioni intraprese addì 16 Marzo e 14 Aprile p. p. ci diedero risultati abbastanza soddisfacenti, per lusingarci che una descrizione dei medesimi possa riescire d’interesse a chi di- lettasi di tali studi. A circa dieci minuti dal villaggio di Cobillaglava, trovasi, come già accennammo sul pendio d’ un colle un piccolo sprofonda- mento imbutiforme, non chiuso al fondo come parecchi altri, che vi stanno appresso, ma in comunicazione con un camino circolare, che scende perpendicolarmente per hen 38 metri in profondità. (Tavo I.£ 1): Affidatici alla solidità d’ una corda, cominciamo lentamente l’aerea discesa. Stormi di colombi, che impauriti scappano dai loro nascondigli, ci svolazzano continuamente dintorno, producendo un orribile fracasso. Circa a due terzi della via, il camino si allarga improvvisamente e noi ci troviamo sospesi nel vano d’ un baratro tenebroso, cui una fioca luce piove dall’ apertura superiore. Giunti al fondo, si apre verso S.E. un’ ampia caverna che prolungasi per circa 160 metri nel cavo del monte. La grandiosità di tal antro ci fa tosto dimenticare tutte le difficoltà superate. Mentre si discende per un lieve pendio per altri 21 metri, le pa- reti si allargano sempre più, presentandoci l’ aspetto dell’ interno d’un tempio colossale, sostenuto da wna lunga fuga di colonne dalle forme le più vaghe, le più capricciose. Bellissime stalattiti e stalagmiti si aggruppano in varie foggie graziosissime di fontane zampillanti, di cascate, di tempietti, di piramidi. Di effetto vera- mente magico si è l’ aspetto del fondo della grotta, ove immensi coltrinaggi candidissimi scendono giù dalle pareti in un’ incantevole ricchezza di pieghe, mentre dalla vòlta, che improvvisamente si fece men ampia, pendono migliaia di luccicanti stalattiti. Insomma se anche questa grotta non può competere in grandiosità con quella, che rammenta il dolore della deserta Ondina’), può tuttavia pre- ) La Grotta d’Adelsberg, descritta poeticamente dal uostro Gazzoletti nel suo carme L'ondina d' Adelberga, vl — QR— tendere ad un posto non indegno tra il grande numero di grotte, che formano una delle particolarità più interessanti del nostro Carso. Però non è già per la sua bellezza e vastità, che la grotta di S. Daniele merita una menzione speciale: l'interesse precipuo è destato da ciò, che in essa ritrovaronsi traccie non dubbie del- l’ esistenza dell’ uomo. Sur un piccolo rialzo a sinistra del foro d’ ingresso, immediatamente a ridosso della parete, si rinvennero tra l’argilla, alla profondità di pochi centimetri, dei pezzi di car- bone unitamente ad una massa di color hbigio, che si rivela per cenere mista a terra. Appresso vi giacea una grande quantità di cocci, che per la loro pasta grossolana e per la loro cottura su- perficiale, lasciano riconoscere i primordi dell’ arte ceramica, e ras- somigliano perfettamente a quelli, che non rari rinvengonsi tra le macerie de’ nostri castellieri. Sono specialmente rimarchevoli alcuni frammenti d’ una pasta nera con numerosi granuli di spato calcare. Quest’ uso di mescolare all’ argilla del carbone, era molto esteso all’epoca della pietra e si conservò lungo tempo anche nell’ epoche successive !). Un rozzo ornamento in forma di una riga in rilievo vedesi su parecchi di questi frammenti. Talora anche le labbra de’ vasi aveano un margine ondulato. A giudicare dalle curve de’ frammenti, i vasi doveano avere dimensioni considerevoli ed erano muniti di ficcoli manichi laterali. (Tav. II. f. 1). Però non alle sole traccie dell’attività umana si restringono gl’indizi, che vi potemmo raccogliere intorno alla sua presenza, dappoichè procedendo più oltre ci venne fatto di raccogliere anche un omero umano ricoperto da una crosta stalagmitica, ed impre- gnato totalmente da carbonato di calce. La grossezza dell’ osso, nonchè le pretuberanze corrispondenti all’ inserzione de’ muscoli, enormemente sviluppate, da porgere all'osso un aspetto angoloso, ce lo dimostrano appartenente ad un individuo molto forte, sebbene di mediocre statura. Che questi oggetti siano caduti fortuitamente nella caverna, non è punto ammissibile, dappoichè essi ritrovansi ad una distanza notevole dal foro del camino, ed in posizione ove non è da pensarsi neppure ad un trasporto posteriore per opera di correnti. Che poi gli uomini vi tenessero stabile dimora, viene ?) Giorni fa il Dr. Cossutta mi favorì alcuni frammenti di stoviglia di una pasta consimile, comunicandomi che in un villaggio presso Portole gli abi- tanti usano tuttogiorno mescolare all’argilla della polvere di carbone. co 4 eo comprovato da un muricciuolo, che trovavasi innalzato intorno ad un gruppo massiccio di stalagmiti, del quale si avevano spezzate le punte ed i coltrinaggi pendenti inferiormente, affine di trovare sotto la vòlta conseguita in tal modo, un ricovero sicuro contro lo stillicidio dell’ acqua. Pur troppo l'avidità dei contadini, che frugò e manomesse ogni canto della caverna, in cerca di dio sa quali tesori, rovesciò anche questo muricciuolo, per cui al presente non trovansi che i sassi sparpagliati e le superfici di frattura delle sta- lattiti, nuovamente ricoperte da inerostazioni, che dimostrano d’esser state spezzate in un’ epoca lontana. Però tutti questi oggetti non ci autorizzano ancora a fissar loro alcuna epoca precisa. Senonchè la fortuna ci arrise, nel farci rinvenire in prossimità del luogo, ove si aveano raccolti i cocci, una bellissima ascia (Tav. II. fig. 2) di diaspro rosso, perfettamente levigata. In lunghezza essa misura 79 mm. mentre la sua larghezza è di 34mm. e la sua grossezza di 22mm.*). Ed appresso alla medesima si raccolsero pure due graziosi aghi d’ osso, (punteruoli) maestrevolmente lavorati (Tav. IL. f. 3). È probabile che ulteriori ricerche, tra la enorme quantità di argilla e di pietruzze, che in- gombra il terreno, potranno fornirci degli altri oggetti interessanti; però crediamo che quelli diggià raccolti, ci autorizzino a fissare il tempo, in cui la grotta era abitata, all’ epoca neolitica. Notiamo inoltre che essendo essa sufficientemente asciutta, e possedendo una temperatura uniforme di dolce tepore, (18-20° C.) dovea allet- tare gli abitanti a prendervi dimora. Ma qui ci si presenta un’altra questione: È egli possibile che l'uomo abbia scelto per sua abitazione una caverna, per giun- gere alla quale è mestieri farsi calare ad una profondità di 38 metri? E egli possibile che in un epoca, in cui l’ industria umana accontentavasi di alcune rozze pietre o di alcuni pochi utensili di osso, luomo abbia potuto discendere ad una tale profondità? La risposta assolutamente negativa deve farci ricercare alcun’ altra via, per la quale più facilmente fosse possibile 1’ accesso alla caverna. In un canto, dal lato opposto del sito ove trovossi l’ ascia, il terreno è totalmente ricoperto di stalagmiti, e quivi rinvengonsi ossa del Cer- vus elephas di dimensioni molto grandi. Oltre a molti altri pezzi * La sua durezza è di 6-70. Va pure notato che tal specie di minerale manca a tutta la nostra provincia, per cui la sua presenza presuppone già dei commerci con genti di altre regioni. * — 100 — d’ossa, si estrassero due teste con bellissime corna, quasi total- mente intatte. La presenza di questi cervi è pure un argomento in favore di un’altra apertura, perchè sarebbe strano ch’essi vi fos- sero caduti dall’ alto, — ed a ciò si oppone anche la loro posizione distante dal foro, — senza aversi sfracellate le ossa Mercè i rilievi presi dall’ egregio ingegnere sig. R. Haenisch, che mi fu compagno nella seconda esplorazione, è quasi accertato che in fianco della grotta, ove apresi un lungo corridoio mezzo otturato dalle stalattiti, vi esistesse una comunicazione coll’ esterno, tanto più che nella medesima direzione si apre al fondo di una vallecola un piccolo foro, nel quale a detta dei cacciatori si rifuggiano le volpi. (Tav. IL fig. 2 e 3). Forse tuttogiorno esiste qualche piccolo pertugio tra la massa di stalattiti, che occlusero il varco, dappoichè nell’ interno della grotta, presso al sito della supposta comunicazione, trovammo un colombo ancor sanguinante, rosicchiato da qualche animale. Se ci arrestammo sì a lungo su questa grotta, si è per di- mostrare come talora trovansi traccie dell’ esistenza umana, ove meno lo si crederebbe. Specialmente 1 epoca della pietra è da noi sì poco conosciuta, che ogni nuovo oggetto, che sì rinviene, puossi riguardare come un nuovo monumento della nostra storia primitiva. Istrumenti di pietra, che si raccolsero nella nostra provincia son tanto rari, che la loro enumerazione non costa grande fatica. Un pajo di punte di freccia trovate a Vermo presso Pisino, un’ ascia di diorite raccolta ad Albona e conservata al Museo Scampicchio di quella città, un’ altra di selce da una cava al piede del Monte Santo di Gorizia, altra simile ma di arenaria, trovata secondo il Czéòrnig, a Tomai in una dolina, ambedue conservate al Museo di Gorizia, infine un’altra di diorite da Cormons e conservata ora al Museo archeologico di Trieste e la nostra recente di diaspro, ed ecco completata la breve enumerazione ') Però se l’ epoca della pietra è sì parcamente rappresentata appresso di noi, l’ età che vi succedette ci fornì già maggiore quan- tità d’oggetti. Non passa quasi anno, che non si ritrovi qua là alcuna arma od alcun utensile di bronzo. Noteremo però in tale riguardo, che quest’ epoca non è si ben definita, come la precedente, dappoichè essa durò lungamente anche dopo che l’ uomo era in possesso degli altri metalli, e la sua coltura avea raggiunto un *) Simile a quelle di Albona, si ritrovò un’ altra di grandissime dimen- sioni, a Cividale. — 101 — grado molto avanzato. Io opinerei anzi che da noi l’ epoca del bronzo venisse molto presto sostituita da quella del ferro, trovan- dosi questo metallo nel nostro paese in grandissima quantità ed anche in istato nativo. Tacendo delle scoperte, che si. fanno sporadicamente e di quella fatta nel 1867 a S. Pietro di Gorizia d’ un’ intera fonderia di oggetti di bronzo, già illustrata dal Coronini !), dal Kandler °), dal Czérnig *), ed ultimamente dal Pigorini4), ci limiteremo a dare un breve cenno di alcuni oggetti di bronzo, non ancora cono- sciuti, che vennero ritrovati in un campo presso S. Daniele di pro- prietà del prefato sig. Fabiani, non lungi dalla grotta, di cui testè facemmo parola. Scavando alcune buche per piantarvi delle viti, comparve alla profondità di circa mezzo metro un vaso di argilla contenente resti di ossa bruciate. Il vaso venne levato infranto e si presentò d’ una pasta molto grossolana e di colorito nero, simile a quella dei cocci trovati nella grotta. Appresso a questo giaceva un altro vaso di terra, però senza contenuto e di dimensioni minori. (Tav. II. f. 13) Procedendo collo scavo, si estrasse un vaso di bronzo, che sebbene alquanto guasto dall’ età, lascia chiaramente riconoscere una cosiìd- detta cista a cordoni (Tav: II. fig. 4). Questo vaso, del diametro di 20 cent. egregiamente lavorato, ed accennante una coltura già molto progredita, trovavasi come quelli provenienti da altre parti d’ Italia, ricoperto da una pietra, che deve averlo chiuso assai »bene, se non vi penetrò traccia di terra. La cista è formata da una lastra di metallo, che si ripiega a cilindro, sormontandosi le due estremità per 14mm. ribadite per mezzo di chiodi a bul- loni. Sette sono i cordoni tuttora esistenti, però essendosi sfasciate le pareti della cista in parecchi pezzi corrosi dall’ os- sido, non è possibile di determinarne il numero con precisione. Ogni singolo cordone ha un’ altezza di 11mm. e le zone interposte misurano 6mm. L'ultimo cordone superiore portava le maniglie, (di cui non esiste che una), lunghe 24mm., formate da due anse oblunghe ed assicurate con tre chiodi a bulloni. Sulla cista non si potè riscontrare alcuna traccia di ornamenti. Il fondo porta due ') Atti e mem. d. Soc. Agr. di Gorizia 1867 V Sup. p. 22-24. * Idem 1858 I App. p. 1-3. * D. Land Gorz und Gradisca. C. 8. p. 141-144. ‘) Bull. di Paletnel. Ital. 1877. N. 6. p. 116-127. — 102 — zone piane, ed al centro quattro piccoli circoli concentrici incavati. Il margine superiore è sporgente per 8 mm. ed è formato dalla ri- piegatura della lastra. Ne nacque così un canale circolare del dia- metro di 9 mm. il quale venne riempiuto di piombo ') Il suo con- tenuto consisteva in ceneri e resti di ossa umane carbonizzate, ma non siffattamente da non concedere la determinazione di alcuni frammenti. Così sono ancora riconoscibili minuzzoli dell’ osso fron- tale, delle ossa parietali, dell’ osso petroso destro col meato acustico interno, delle costole, ecc. Cercando tra i carboni, ci venne fatto di trovarvi i seguenti oggetti di bronzo: 1. Una grande fibula a bottoni (Tav. II. f. 5) fornita d’ una spirale. 2. Altra fibula di dimensioni minori, rotta in quattro pezzi e mancante di spirale, nella quale il bottone prossimo all’ inser- zione dell'ago è sostituito da un disco. (Tav. II. f. 6 ristaurata). 5. Un anello del diametro di 21 millim. (Tav. II. f. 7). 4. Un altro anello del diametro di solo 15 mill. formato da una sottile spranga di metallo, fornita alla superficie di una serie di righe trasversali parallele (Tav. II. f. 8). 5. Frammenti di altro anello simile. 6. Un pezzo di braccialetto senza alcun ornamento (Tav. II. fig. 9). Dalle prominenze dendritiche dei margini di sutura di alcune ossa craniali, e dalla strettezza degli anelli N. 4 e 5, si sarebbe tentati ad ascrivere questi resti ad un individuo giovane, tanto più che in alcuni frammenti la sostanza spugnosa appare molto pro- nunciata. Pur troppo non ci fu possibile di trovare alcun dente. Appresso a questa cista trovaronsi degli altri oggetti di bronzo, probabilmente caduti fuori della medesima. Questi oggetti sono i seguenti: 1. Un braccialetto del diametro di 68 mill. rotto in due pezzi, di gentilissimo lavoro, rimarchevole per esser fornito di sette punte ottuse, inserite a distanze differenti tra di loro. Il suo peso è di 106 grammi (Tav. II. f. 10). 2. Frammento di braccialetto liscio, compresso, ornato pure di una serie di punte acute, non equidi-. stanti (Tav. II. f. 11). 53. Metà di un altro braccialetto di forma diversa, consistendo in una lamina allargata al mezzo (Tav. II. f. 13). 4. Un orecchino (?) ornato da un largo disco (Tav. II. f. 12). o. Un anello della forma del più grande trovato nella cista. G. Frammento di altro eguale. ') Il prof. Vierthaler darà quanto prima l'analisi chimica dei bronzi rinvenuti. — 103 — Troppo pochi sono gli oggetti finora rinvenuti, per poter az- zardare un’ opinione definitiva sull’ antichità dei medesimi, e dal non possedere artefatti, che presentino maggiore finitezza e varietà di lavoro, non possiamo asserire o negare ch’essi vi sieno stati sconosciuti, Anche la mancanza di altri metalli, non può servirci di guida, dappoichè il nostro trovato non rappresenta che una unica urna funeraria col suo contenuto, ed ulteriori ricerche devono insegnarci, se abbiamo innanzi a noi una tomba isolata, o se per caso essa faccia parte di una necropoli tuttora incognita. Tuttavia se un apprezzamento preciso dell’ epoca di questi bronzi non ci è concesso, possiamo dall’ analogia de’ nostri oggetti con quelli di altre regioni, determinare almeno approssimativamente 1° età loro. La prima e più marcata somiglianza ci si appalesa nella cista a cordoni. Questa gentilissima forma di vaso, cui fanno riscontro quelle scavate nelle necropoli dell’ Umbria e specialmente alla Cer- tosa ed a Marzabotto, ci rivela tosto 1’ affinità dell’ arte, che plas- mava i vasi etruschi dell’Italia centrale, con quella che formava la cista di S. Daniele. Sebbene anche fuori d’Italia venissero tro- vate simili ciste, come a Granholz presso Berna ed a Hallstatt 1), non è punto da dubitarsi, ch’ esse sieno un prodotto prettamente etrusco, “escito ‘dalla mano ben esercitata d’ un artefice italiano, , come giustamente viene osservato dal Barone de Sacken °). Lo stile elegante di tali opere, non risale certamente più in là del sesto secolo avanti Cristo, nè sembra aver perdurato molto oltre al terzo. Anche nelle fibule abbiamo un criterio per rimontare ad un’ epoca anteriore alla venuta de’ Romani. La forma a spirale venne dopo la conquista ben presto sostituita dalla cerniera tras- versale, come vediamo nell’ enorme quantità di fibule, forniteci dagli scavi di Aquileja, tra le quali trovansi molto rare quelle a spirale. Di più abbiamo nella maggiore delle due fibule rinvenute la particolarità de’ bottoni, ornamento ignoto negli avanzi romani, mentre compare frequente negli artefatti etruschi. Circa alla provenienza di tali oggetti, nulla di certo puossi dire, però io amerei crederli il prodotto di qualche fabbrica. indi- !) Il Museo archeologico di Trieste conserva una cista simile, comperata insieme agli oggetti aquilejesi della raccolta Zandonati, però d' ignota prove- nienza. ?) Das Grabfeld' von Hallstatt. p. 143. Li gena, inquantochè nella forma de’ braccialetti a punte mi sembra scorgere un tipo particolare, di cui non ricordo d’ aver veduto altro esempio. Forse essi sono esciti dalla fonderia di S. Pietro presso Gorizia, che, secondo il Czòrnig, avrebbe fiorito al tempo della “fusione degli antichi elementi indigeni cogli etruschi, , in cui nel centro della nostra provincia esisteva una razza celtica, che cono- sceva maestrevolmente l’arte di lavorare il bronzo. Secondo il Pi- gorini la fonderia di S. Pietro porta l'impronta della prima epoca del ferro e precisamente della fase di transizione fra i due periodi, rappresentati dalla necropoli di Villanova e di Marzabotto, ed anteriore ai resti della Certosa. I nostri oggetti di S. Daniele hanno un tipo più nettamente etrusco di quelli di S. Pietro, per cui ove gli si volesse derivare da questa officina, farebbe mestieri consi- derarli come i primi oggetti esciti dalla medesima, che a giudicare dalla grande quantità di bronzo ‘e di rifiuti in essa trovati, deve essere restata in attività per lungo tempo. Tenuto conto delle epoche fissate per la necropoli della Certosa (quarto secolo di Roma secondo il Zannoni) ') e di quella di Marzabotto (cominciate forse nel primo secolo di Roma e compita secondo il Gozzadini °) ed il Conestabile 3) nel quarto), i nostri resti risalirebbero almeno al terzo secolo avanti Cristo, e ci dimostrerebbero che a quel tempo l’arte etrusca fioriva presso di noi non meno che nell’ Umbria. E qui mi cade in pensiero una strana coincidenza. Fu una cista simile alla nostra che nel 1869 fece balenare alla mente del Zannoni l’ esistenza di una Felsina sepolta, che destò “una scin- tilla che dovea secondare vivissima fiamma, ; fu quest’ unico vaso di bronzo che fece richiedere al Zannoni: “Che cosa significa co- desta cista? Solo sette 4) di consimili sono quelle tuttora venute all’ aprico nella nostra Etruria circumpadana.... Ora la nostra, che ottava si schiera colle sette sorelle, è dessa sola o fa parte di uno più o meno vasto sepolcreto, ?)? E la risposta fu una stupenda ri- velazione intorno all'arte ed ai costumi di quel popolo misterioso, che fu antesignano alla romana civiltà. La potenza etrusca non !) Gli scavi della Certosa 1871. ?) Di un’ antica Necropoli a Marzabotto 1865 I 3) Congrès intern. d’Antrop. a Bologna 1875. ‘) Ne furono poscia travate parecchie altre. Quattordici nella sola Certosa (Burton. Etruscan Bologna, London 1876, p. 28). ?) Zannoni. Gli scavi della Certosa di Bologna, 1876, p. 17. — 105 — era limitata alla sola Etruria circumpadana, ma il suo dominio estendevasi fino all’ alpi, nè sempre queste ponevano confine all’in- traprendente attività di questo popolo *). Non potrebbe forse la nostra cista segnare il primo albore d’ una scoperta importante, chiamata a rischiarare il nebuloso orizzonte della nostra prima storia? Questi brevi cenni sulle ultime scoperte paletnologiche, ci dimostrano quanto rimanga ancora da travagliare, prima di poter ricostruire la storia delle nostre popolazioni defunte ed obbliate, Una terra, che come la nostra provincia servì di ponte tra l’ oriente e l’ occidente, tra il settentrione ed il mezzogiorno, per cui passò la maggior parte de’ popoli, che andarono ad abitare 1’ Italia, per cui si avvicendarono come onde sul mare, celti, umbri, etruschi, veneti, pelasgi, giapidi, carni, greci, ecc. lungo tempo prima che le romane coorti venissero ad annunziare l’ alba di una civiltà no- vella, non può aver perduto ogni traccia delle genti diverse, che vi impressero le loro orme e vi stanziarono per tempo più o meno qungo. La loro storia è lì ancor viva nel cavo delle grotte, sul- l’ arduo de’ monti, nelle viscere della terra, ed invita il paletno- logo a venirla a decifrare. Chiediamo aduque al nostro paese le reliquie, ch’ esso gelosamente custodisce, dissotterriamole noi, che è compito nostro, e teniamole tutte unite con santa venerazione, perchè esse sono i preziosi ricordi de’ nostri padri, che ci appren- dono le vicende della patria diletta, nè permettiamo che vadano disperse per straniere regioni a danno irrimediabile e vergogna nostra, ed a testimonio perenne della nostra noncuranza! *) Tito Livio L. V. 33. Tuscorum ante Romanum imperium late terra marique opes patuere. Mari supero inferoqua, quibus Italia insulae: modo cin- gitur, quantum potuerint, nomina sunt argumento, quod alterum Tuscum, com- muni vocabulo gentis, alterum Adriaticum mare ab Adria Tuscorum colonia vocavere Italicae gentes; Graeci eadem Tyrrhenum atque Adriaticum vocant. Et in utrumque mare vergentes incoluere urbibus duodenis terras, prius cis Apenninum ad inferum mare, postea trans Apenninum totidem, quot capita originis erant, coloniis missis, quae trans Padum omnia loca, excepto Veneto- rum angulo, qui sinum circumcolunt maris, usque ad Alpes tenuere. Alpinis quoque ex gentibus haud dubie origo est, maxime Raetis, quos loca ipsa effera- runt, ne quid ex antiquo praeter sonum linguae, nec eum incorruptum, reti- nerent. Il fiume Livingstone pel Prof. Dr. M. Stenta. L’ Africa intertropicale diviene giornalmente argomento più grato all’ arte cartografica, la quale, valendosi dei risultati ottenuti dagli intrepidi esploratori va restringendo sempre più quei tratti bian- chi, raffiguranti regioni incognite e più vaste di un grande stato di Europa. Di questo fatto è facile di convincersi, se si confronti la recentissima carta dell’ Africa del Dr. Chavanne con quella che nel 1873 pubblicava il Dr. Kiepert. Tratti di montagne, sistemi di laghi e fiumi, che prima non apparivano ancora oppure erano disegnati approssimativamente secondo le più accredidate supposi- zioni di quattro anni fa, figurano oramai nella parte essenziale atti abbastanza ad un sicuro studio geografico. E se noi abbiamo conosciuto nel decorso biennio meglio interno in quella parte, che è veramente il cuore dell’ Africa, ciò dobbiamo alle fatiche di Enrico Stamley. Questi nel 1876 non era più novello nella storia delle scoperte africane, bensì già rinomato per avere negli anni 1871-72 trovato Livingstone, e pel suo ardito e difficile viaggio negli anni 1874-76, nel quale esplorò coscienziosamente i grandi laghi, che alimentano il Nilo, vale a dire il lago di Vittoria e d’ Alberto, e trovò eziandio quello d° Alessandra, nel cui emissario egli scopriva il principio del perenne fecondatore dell’ Egitto. Vogliate ora, onorevoli signori, seguirmi nell’ esposizione che io intendo fare brevemente dei risultati importantissimi per la geografia, che Stanley, guidato dalla sua buona stella, ha il merito d’ avere conseguiti nella sua ultima spedizione (1876-77). Essi riguardano il problema del Congo. Come lentamente, a intervalli non di decenni bensì di — 107 — secoli, venne aprendosi alla nostra conoscenza quella massima arteria fluviale della metà australe dell’ Africa, si vedrà dai cenni seguenti. Diego Cam scopre la foce del Congo nel 1485. Ma i Porto- ghesi, mantenutisi sino dalla fine del secolo XV signori nella Guinea inferiore, pochissimo contribuiscono alla ricognizione dei paesi adiacenti al fiume. Appena dopo trascorsi buoni tre secoli, cioè nel 1816 il cap. Tuckey esplora il corso inferiore del Congo a una distanza diretta di circa 40 m. g. dalla costa. — La Società germanica dell’ Africa nel 1873 si propone il nobile scopo d’ esplorare possibilmente in ogni riguardo il bacino del Congo, pigliando le mosse dal litorale atlantico; ma nell'intento suo fallisce a cagione di difficoltà im- prevedute ed in parte per allora insuperabili.*) Più fortunate nella suddetta impresa furono le spedizioni, che partite dalle coste orientali d’ Africa riuscirono per varie vie pa- recchi gradi di longitudine verso Ponente. Livingstone schiude alla geografia i numerosi laghi tributarî del Congo, ma ogni suo tentativo di penetrare più in là di Niangvè (4° 15° 45” lat. aust. e 26° 5‘ Lev. Gr. secondo Stanley) viene frustrato dalla superstizione e dalla paura degl’ indigeni, che per ciò si rifiutano di somministrare la scorta e le barche necessarie all’ uopo. Lo stesso deve sperimentare Cameron, il quale nell’ anno 1873 s'era fermamente proposto di seguire lo sviluppo del fiume da Niangvè. Cedendo a molte avversità, egli devia ed attraversa l’ Africa fino all’ Atlantico, durante il quale viaggio raccoglie alcuni inte- ressanti particolari riguardo gl’influenti meridionali del Congo e lo spartiacque tra uno d’essi ed il Zambesi. Enrico Stanley, reduce dalla sua spedizione del Nilo superiore, pigliata l’orma di Livingstone e di Cameron, parte in novembre da Niangvè, ed imprende risoluto la soluzione del gran problema. Per ora è impossibile di ritrarre tutti i particolari di cotesto avventuroso viaggio; fra non molto però essi vedranno la luce, e così sarà appagato il desiderio scientifico e la curiosità degli in- teressati. Io però credo opportuno, di riprodurre qualche importante notizia dell’ ultima spedizione di Stanley, attingendo al suo tele- *) Vedi il Bollettino della Società Adriatica di sc, n. vol. III, pag. 85. — 108 — gramma spedito al “Daily Telegraph, da Emboma, luogo vicino alla foce del Congo, e da quel giornale pubblicato il 17 settem- bre 1877. Mi serve di guida anche la carta di Stanley, ridotta da Petermann, che trovasi pure ridotta dal socio sig. Mérch nel vol. III del nostro Bollettino a pag. 523. Stanley parte dalla suddetta stazione di Niangvè il 5 novem- bre 1876, avendo portata la sua scorta a 210 uomini, di cui 140 armati di fucile e 70 di asta, e procede dapprima sulla destra, poscia, astrettovi da dense foreste, sulla sinistra del Lualaba. Il suo piccolo esercito sostiene terribili combattimenti contro i feroci selvaggi non una, ma bensì 32 volte. Cito a proposito le parole del valoroso condottiero : “Gl’ indigeni ci facevano resistenza, ci tormentavano giorno e notte e ferivano i nostri con frecce avvelenate. Combattendo in quelle regioni di cannibali noi quasi perdemmo le speranze. Ten- tavamo di placare i selvaggi con doni e mitezza; ma essi rigetta- vano i doni, e la nostra pazienza consideravano viltà. A rendere ancora più miseranda la condizione in cui versavamo, anche la scorta di 140 uomini, presi a Niangvè si rifiutava di proseguire. E fu allora, che gl’indigeni fecero uno sforzo immane per rovi- narci. Noi ci difendevamo; ma con tutto ciò non restava che una sola via di salvezza — se altrimenti non si voleva ritornare ed abbandonare l'impresa — l’uso cioè dei nostri battelli,, Del penultimo dei 32 combattimenti egli dice: “Trascorsi tre giorni toccàmmo una tribù potente, ove tutti gli uomini erano armati di moschetti. I quali, avvedutisi di noi, allestirono tosto 54 grossi battelli e procederono all’ attacco. Io non tralasciava di rassicurarli ad alta voce, che eravamo amici, e di offrire loro delle pezze, finchè non ebbero uccisi tre dei nostri. Dopo di che s’impegnò il più accanito combattimento lungo il tratto di 12 miglia ingl. di quel terribile fiume. Fu questo il pe- nultimo dei 32 combattimenti, che sostenemmo sul Lualaba....., A siffatti impegni ingrati s’ aggiungono i grandi e ripetuti impedimenti causa le dense foreste, per cui Stanley fu costretto una volta di aprirsi coll’ascia una via per un tratto di 13 miglia ingl, cessando però la fatica d’ Ercole per respingere il nemico ogniqualvolta esso faceva una sorpresa. Vi fu mestieri di traspor- tare per terra a quella distanza 18 battelli ed il battello esplora- tore. Una volta la spedizione, che per sfuggire alle ire dei selvaggi è costretta di tenersi in mezzo al fiume, trovasi nella terribile — 109 — alternativa di soccombere alla fame o d’ arrischiare 1’ approdo sulla riva sinistra; essa sceglie questo secondo partito e per sua buona ventura vi incontra una tribù più arrendevole. Un’altra volta vo- gliono superare le cateratte avventurandovisi colle barche; in questo incontro Stanley rischia la propria vita e quella dei compagni d’im- barco; ma il 3 giugno egli ha perduto iu simile ardimento il suo ultimo compagno bianco Francis Pocock. Superate le più strane difficoltà il nostro esploratore arriva finalmente 1’ 8 agosto 1877 a Emboma con 115 compagni e, come egli stesso osserva, in uno stato deplorabile. La spedizione, trovandosi oramai in luogo sicuro, può dimen- ticare le patite angoscie e riedere per altra via ognuno alla propria terra. Il valoroso duce fa ritorno in Europa, che attonita 1’ incontra con severo omaggio tanto a Roma che a Londra. Egli sta ora scrivendo la più bella pagina della sua vita, che è pure pagina grandiosa della storia della Geografia. Intanto mi sia lecito di stringere in poche linee le nozioni, che oggi abbiamo del Congo dopo le spedizioni di Stanley e dei due che lo precedettero, Livingstone e Cameron. | Un’ area di circa 50.000 m. g. LI contribuisce colle sue me- teore acquee alla formazione del sistema del Congo; la quale area è quindi 3!j, volte quella del Danubio e 33 volte l area del Po. Così spieghiamo facilmente, come dalle riunioni di tanti e tanti fiumi risulti già nel corso medio un poderoso fiume ed ingombro d’ isole, largo fino a 2'/, m. g., ossia quanto da Trieste a Pirano. Il Congo ed i suoi tributarî percorrono regioni elevate più di 300 metri, di 1000 metri e nella parte superiore anche più di 2000 metri sul livello del mare. Se si voglia riflettere al maggior volume d’acqua e ad un più lungo sviluppo fluviale, il fiume reale principia tra il 12. e 10. grado lat. austr. quale emissario del lago di Bangveolo (e. 1125 mt.), che viene alimentato da moltissimi fiumicelli e fiumi discendenti dalle montagne di Muxinga e d’' Urunga. Conservando quasi dap- pertutto direzione boreale, esso scorre per il lago Moero (914 mt.) e di ZLancì, dopo di che, perduti i nomi di Zuapula e Luva, viene detto Lualaba. Il quale più in su di Niangvè s’è ingrossato degli emissari di parecchi laghi, fra cui noto a Lev. il grande lago Tanganitca (826 mt.) Tutto questo bacino superiore è costituito da un’ alta regione traversata da montagne oltre i 2000 metri. Da Niangvè il Lualaba non si volge a Ponente come opinò — 110 — Camoron, ma continua il corso verso Tramontana tra il 25° e 26° Lev. Gr., e con ciò si conferma l'avviso di Livingstone. Tagliata la linea equinoziale esso devia a circa 2° lat. bor. verso M., P. e Lb. per intersecare di nuovo l’ Equatore a 20° Lev. Gr.; continua poi in quell’ ultima direzione fino al suo breve corso inferiore, ossia al bassopiano, che s° apre verso Ponente. In questo lungo tratto il fiume muta il suo nome secondo le diverse regioni che percorre. Come gli altri fiumi degli altipiani dell’ Africa così pure il Congo s1 devolve sovente e per lungo tratto da roccie molto incli- nate, e forma cateratte formidabili. La prima serie delle medesime trovasi più in giù di Niangvè; la seconda ad ambe le parti del- l Equatore a 26° Lev. Gr. incirca presenta 5 cateratte; 1° ultima appartiene alla larga cinta delle montagne litorali tra il 14° e 17° Lev. Gr., e qui la carta di Stanley segna non meno di 62 cateratte. Numerosi e talvolta grandissimi sono i tributarî del Congo ; il confluente ne fu segnato dal nostro viaggiatore. Il loro vero svi- luppo, il luogo delle sorgenti, nonchè gli altri interessanti parti- colari del loro bacino costituiscono ancora oggi interessanti problemi nella geografia. Noto intanto a sinistra 1’ Ikelemba ovvero Urichi, che Stanley crede identico al Cassabi di Cameron; esso pareg- gia il flume reale nel punto in cui vi sbocca presso l Equatore, dopo aver percorso lunghissimo tratto tra il 20° e 21° Lev. Gr. Pure a sinistra nomino il Sancurru, emissario del lago omo- nimo (c. 23° Lev.), il Rumami (ce. 25° Lev.), il Comolondo che passa per tre laghi principali, e finalmente il Ncutu, che tra i grandi è il più occidentale. Dei tributarî a destra il maggiore, l Aruvimi, viene dalle montagne che danno le acque anche al Nilo bianco; è probabile» che esso corrisponda all’ Uelle di Schweinfurt. A Ponente di questo notansi ancora tre affiuenti provenienti dal Sudan. Spetta alla esplorazione avvenire di determinare lo spartiacque tra i predetti varî fiumi, come eziandio tra il sistema del Congo e quello de Nilo, del Zambesi, dell’ Ogove, del Cuenza. Trattandosi di linee fluviali potenti come sono il Congo ed i suoi tributarî, viene spontanea la domanda, quanto potranno esse contribuire alla navigazione mediterranea dell’ Africa centrale. — La risposta, come già s’ intende, non può essere peranco esauriente 2 cagione di molti siti ancora incogniti; ma riesce decisamente fa- forevole come lo provano le cifre seguenti. Il Congo è navigabile dalla foce fino alle cateratte d’ Yellala — 111 — almeno 25 m. g.; poì senza interruzione dal 17° Lev. fino alla serie delle cateratte \equatoriali per un tratto di circa 210 m. g.; e forse altre 200 m. g. fino al Bangueolo, il che equivale a 400 fino 430 m. g. Se si prende per gl’ influenti un tratto navigabile di almeno 300 m. g., l’ utilità del sistema del Congo per le comu- nicazioni grandi equivarrebbe a circa 730 m. g. Si deve ancora considerare, che il fiume principale ed i suoi infiuenti sono distri- buiti favorevolmente sopra la nota area di 50.000 m. g. LI. Dei varî popoli negri, che possiedono le terre del Congo, dei loro costumi, delle istituzioni sociali e politiche è per ora impos- sibile di dare un giudizio sicuro, sebbene si possano stabilire ana- logie abbastanza soddisfacenti per l’ etnografia di quei paesi. Però è di somma importanza la verità pronunziata da Stanley, quella cioè, che feroci e di mala fede sono quelle tribù di selvaggi, le quali da molto tempo in qua vennero in contatto coi Portoghesi e cogli Arabi, e che all’ incontro le. tribù segregate dagli stranieri si manifestano più franche e più trattabili. Antropofaghi furono rinvenuti passato l’ Aruvimi, e. Stanley procurò di schivarli col guadagnare il mezzo del fiume. In tutto l’ altipiano del Congo la popolazione è molto densa, ed i centri abitati somigliano per estensione e numero d° abitanti più a città che a villaggi; si tengono dovunque mercati regolari. Ciò prova che vi abbondano pure i prodotti del suolo. Le notizie raccolte autorizzano a tener per fermo, che il si- stema del Congo costituisce una delle più feraci regioni dell’ Africa. Vaste quanto mai sono le foreste vergini, e chiudono come tante isole i fertili terreni degli innumerevoli agricoltori. Vi abbondano tutte le specie dei comuni prodotti tropicali, come il cotone, il . sesamo, il copale, I olio di palma, il caotciuk ecc. Tra i prodotti animali predomina finora l’ avorio, abbondante e ricercatissimo ar- ticolo commerciale. Di minerali nominerò 1’ oro ed il rame, di cui sono ricchi i depositi in Catonga, a Pon. del Bangveolo. Se si rifletta, che il commercio terrestre dell’ Africa inter- tropicale finora veniva animato precipuamente dall’ oro e dall’ avo- rio, e che ne dipesero i guadagni di migliaia di trafficanti; che questi all’ uopo percorrevano in un mese tali distanze, che noi superiamo in un giorno solo; che ancora altri prodotti del suolo possono stimolare al lavoro e al lucro: si concluderà; che sorti liete arridono a un saggio commercio avvenire delle prefate regioni E lontano dal sognare 1’ impossibile osservo ancora, — 112 — che diverse specie di animali forestieri e di utili piante esotiche potrebbero venirvi importate e acclimatizzate, e in conferma di ciò ricordo quanto s’è fatto nell’ America. Per il trasporto i grandi fiumi daranno le vie, e diverranno teatro d’ insolito movi- mento commerciale; e dove innanzi lo stroscio delle cateratte l’uomo deve arrestarsi per evocarne un senso di terrore e d’ am- mirazione, là egli affiderà 1’ oggetto delle sue cure alla strada ferrata. Come, se già si pensa di congiungere con un binario Tri- poli col fertile bacino del lago Tsad, non deve riuscire più facile di collocare due o tre tronchi di ferrovia lungo i siti più ripidi del Congo? Siffatte considerazioni non mi sembrano fuori di proposito, giacchè non c’ entra 1’ aspettativa, che tutto avvenga dall’ oggi al domani, e la Conferenza tenuta a Bruxelles nel settembre 1876 ha già concertato un utile e leale disegno per esplorare ed incivilire l Africa anche in quella parte, che riguarda il Congo A mia giu- stificazione poi adduco ancora il fatto, che molti di coloro i quali prendono sul serio l’ avvenire di tante belle contrade dei selvaggi, agitano nella mente, di affidare a una Commissione internazionale il sindacato commerciale nei distretti del gran fiume, affine d’ im- pedire il monopolio di qualche potenza d’ Europa, che potesse van- tare la priorità di possesso o di scoperta, e di deludere l’a- vidità di certi speculatori, i quali non hanno pensato mai, che nei paesi nuovi il miglior veicolo dell’ avanzamento morale è il traffico onesto. È cosa ormai provata, che la crudeltà degli stra- nieri, e non meno l'importazione della polvere e dell’ acquavite hanno reso feroci i negri figli dell’ Africa e contribuito molto alla trista opinione, che essi godono comunemente presso di noi. Ancora una cosa mi rimane a dire. Quel maestoro fiume dell’ Africa meridionale viene secondo le contrade che esso bagna denominato diversamente; Luapula, Luva, Lualaba, Ruarova, Ikutu Ya Congo, Zaire, Congo, sono i nomi corrispondenti a una sola arteria fluviale. Enrico Stanley volendvu porre un monumento più perenne del bronzo all’ autore di tante spedizioni, di tante indagini geografiche sul suolo d’ Africa, ha sostituito a tutti quanti i nomi quell’unico di Livingstone. E i geografi 1’ hanno già adottato di cuore in omag- gio ai due celebri scopritori. NOTIZIE INTERNE. Seduta Direzionale del 20 Gennaio 1878, ore 12 merid. Presiede: il Comm. Muzio de Tommasini. Presenti: i sigg. Segretario, Cassiere ed i Direttori Prof. F. Pridrich : Cav. Al. Dr. de Goracucchi, Prof. Dr. Gràffe, Dr. L. Lorenzutti, Dr. C. de Marchesetti, Dr. A. Menzel, Dr. F. Paugger, Prof. Dr. Mich. Stenta, Prof. A. Stossich. Il sig. Presidente presenta i neoeletti Direttori sigg. Dr. Lorenzo Lo- renzutti e Cav. Carlo Weyprecht. Si stabilisce l’ ordine delle tornate scientifiche fino a tutto il p. v. Aprile. Si passa quindi a pertrattare il quesito della sala per tenervi le sociali radunanze. Il sig. Direttore Dr. Lorenzutti, propone che la Società entrasse in trat- tative col gabinetto di Minerva per valersi di quei locali; ma il sig. Segretario gli obbietta che essendo tuttora pendenti le trattative in proposito colla Spett. Camera di Commercio, non si può addivenire a decisione qualsiasi, prima che non si conosca l’ esito delle medesime. In pari tempo lo stesso comunica l’ of- ferta di una sala che sarebbe disponibile dall’ Agosto p. v. in poi. Si conchiude che qualora tanto le trattative colla Spett. Camera di Commercio, quanto l’ of- ferta dell’ accennata sala, andassero a vuoto, sia demandato l’ oggetto ad una commissione speciale per avvisare al da farsi. La commissione viene composta dai sigg. Segretario: Prof. Vierthaler; Cassiere: Cav. de Eckhel; Direttori: Dr. Lorenzutti, Dr. de Marchesetti e Prof. Dr. Stenta. Seduta direzionale del 23 Aprile 1878, ore 12 merid. Presiede: il Comm. Muzio de Tommasini. Presenti: i Direttori sigg. Dr. B. Biasoletto. Dr. F. Fridrich, Prof. Dr. E. Gràffe, Dr. L. Lorenzutti, Dr. C. de Marchesetti, Prof. Dr. M. Stenta, Prof. A. Stossich, Prof. A. Vierthaler, Cav. Dr. I. de Zadro: 8 — 114 — Viene preletta la seguente Nota dell’ Inclito Magistrato: Magistrato Civico di Trieste N. 1580 I Alla Spettabile Direzione della Società Adriatica di Scienza Naturali Qui. In esito alla domanda di codesta Spettabile Direzione del 14 Gennaio N.° 5, il Magistrato civico va lieto di poterle annunziare che il Consiglio della città, sopra proposta della Delegazione municipale, trovava nella sua tornata del 3 corr. di rinvenire dall’ anteriore deliberato del 30 novembre a. d. lasciando a disposizione di codesta Spettabile Direzione l’importo di f. 500. accordato nella seduta del 23 Febbraio anno decorso. Esprimeva in pari tempo il desiderio che quell’importo venisse di preferenza destinato a studi idrografici del nostro altipiano, ì quali oltrechè corrispondere al lodevole intendimento che fece sor- gere e prosperare codesta Spett. Società, potrebbero in un non lontano avvenire porgere prezioso aiuto agli altri studi che il Comune di Trieste riprende per una conduttura d’acqua in città. Trieste, 0 Aprile 1878. Il Podestà (firm.) Dr. d’ Angeli m. p. Presa a ben grata notizia, viene stabilito risnondere alla surriferita Nota con atto di ringraziamento del seguente tenore : Società Adriatica di Scienze Naturali. N. 18. All Inclito Mumicipio di Trieste. La scrivente, a nome anche dello intero corpo sociale porge le maggiori grazie per l'importo di f 500 che Esso Inclito Municipio munificentemente . concesse affinchè questa Società abbia ad occuparsi di studi sul nostro altipiano. Apposita commissione venne tosto eletta a tale scopo, con ispeciale riguardo al desiderio espresso dalla Inclita Delegazione e si può assicurare fin d’ora che tali studi saranno quanto prima promossi e proseguiti con alacrità. Hanno l’ onore di rassegnarsi ecc. Trieste 25 Aprile 1378. — 115 — Quindi viene preletta la seguente comunicazione pervenuta dalla Spetta- bile Camera di Commercio e d’ Industria, N. 1015. Spettabile Presidenza ! La gentile domanda 4 Marzo p. p. porretta da codesta Spettabile Presi- denza della prestantissima Società Adriatica di scienze naturali per l’ uso di un locale nell’ edifizio di Borsa, s' ebbe tutta 1’ attenzione non solo della scrivente proclive oltremodo ad assecondarla, dappoichè la sede di una Società sì bene- merita in questo edificio, non potrebbe che aggiungere lustro e splendore, ma pur anco impegnò le assidue cure della Deputazione di Borsa, dispostissima anch'essa a fare altrettanto, talchè per trovar modo di ottemperare a tale ri- cerca, venne nominata apposita commissione dal seno della Deputazione stessa, coll’incarico di attentamente esaminare se e quale locale sarebbe all’ uopo di- sponibile. Senonchè detta commissione dopo le più diligenti pratiche ebbe a di- chiarare non aver potuto nell’edificio di Borsa rinvenire alcun locale a ciò adattato, essendo anzi i propri uffici già soverchiamente ristretti, dietro la quale dichiarazione, la Deputazione dovette recedere dal vagheggiato divisa- mento, ed il sottoscritto trovasi nella spiacevole situazione di dover evadere negativamente la prefata domanda, non senza però cogliere questa, quantunque non lieta occasione, per reiterare a codesta Onorevole Presidenza le espressioni della più distinta stima e considerazione. Trieste 13 Aprile 1878. Il Presidente della Camera di Commercio e d’ Industria (firm.) Briill m. p. Alla Spettabile Presidenza della Società Adriatica di Scienze Naturali in Trieste. Si passa alla lettura della seguente lettera pervenuta dalla Direzione della “Società Schiller, Schiller-Verein. Triest, am 5. April 1878. An den loblichen Vorstand der Adriatischen naturwissenschaftlichen Gesellschaft Tvriest. Da der beriihmte Naturforscher, Herr Professor Ernst Haeckel, unserem Ersuchen freundlichst Folge gebend, am Dienstag 9. 1. M. 71, Uhr Abends in un- serem Vereine einen Vortrag iber Entwicklung der Thierseelen halten wird, : * 2 6a so beehren wir uns die Mitglieder Ihrer Gesellschaft hiezu hoflichst und mit dem Beifiigen einzuladen, dass zur Legitimation der Erscheinenden die Mit- gliedskarte Ihrer Gesellschaft geniigen wird. Mit ausgezeichneter Hochachtung. Die Direction des Schiller-Vereins. (fir.) Dr. Rabl m. p. (fir.) Gust, Graber m. p. Il Segretario comunica come in quella occasione da parte dei soci fossero richieste, e quindi concesse, 107 delle summenzionate carte di ammissione ; locchè si prende a ben grata notizia; tale partecipazione ben dimostrando 1’ alto interesse ch’ essi presero al discorso dell’illustre scienziato. Il Segretario dà ragguaglio del risultato fin qui ottenuto, in seguito al deliberato nella seduta generale, riguardo all’ appello diretto ai Soci per obla- zione spontanea in aggiunta al canone annuale. Vi risposero finora i seguenti: Sigg. Comm. M. de Tommasini . AS Age AN ienbhplori i. e, ie Adriano Merlato G. C. Bottura . Ed. Dr. Gràffe Prof . ecc Cav. G. de Eckhel DR, Eonlataperi. =. cin, C. Kunz î AR C. Dr. de Marchesetti PP O aeree C. Bar. de Pascotini ; Dr A Meri >... DU Cav. A. Dr. de Cra mx, Alessandro Covacevich . PARLI Giova diach iS Naaiet ea a Prot. Vallonia cca. Serao, AID RANGO LIONS OR Gius: Sartorio i... PAMARIO Dc, LI L. de Gutmannsthal- Bene iui 7 Rin. Bousquet . And. A. Polacco Cav. G. Miniussi Eug. Pavani . . AN G. Dr. Nicolich senior Vi DESOMIbDS sn n tte E. Lorenzutti Cav. G. de Preschern Lo RPNNE n? AI De DIA BD avi dat Ari Caval de-Zadtossiii ie ati sro Somma f. 104 (©) (©) D * ss Se Fallo elfi Ji) $$ _ % è s % Ni s$ € $$ * *% ss *% SER ES RTS SI ‘SOS e iii Je. -— fine e > I DE > VS: let DT) Se e 6) 6) 1 6) 6) 5) hi) 2 6) h) 3 0) 5) 2 2 6) di) 3 h) 2 3 2 9 2 2 Ò 6) 2 ec PE i Me pie) gt RR: Ts Pet i Cal; è $ $% — 117 — Riporto f. 102 SispoHanischiit olagggnybr: ib és sa000h sar 1 «ind Lasi a Dr: Giasone a gati nella adi td sila priKLespornMautonetpt è ost astitel aliab «ossol- Wi cadidale ali SALTO IO RI INTIAZA RO N e NL rl » CarkopibDaxdfaus Gut spiate alla i had È x. Pasquale Andermald: assioni sb) cali dini e » Antonio (Brabteli s.| il. Si rattà 2 Sete hot Coin 2 I at E i ee» ep gno e ll Ape > x 1Drser ‘(ogelerinizzos flebo ciale Lacie: ella doo 2 $ Giianiizi) ctf. lonielab afsaliaso GIlueti alegin lx an2 DI SehiriizoNt soci qbissat2 dar ele «it dia [Atolfomile irgatamene dh deicrtistazo allo nietaiz2 BIRRA NO RT ne cir pio 2 Nonderonitio;oge, È ctaltas ala Adi fiducie Atteso ira 2 2 2 1 1 1 3 2 2 2 5) 2 2 % a "Cavi FP. Pettini Lab Matino DO 4 19 ape eb * pit-Azitionio, Vallo stnfive «of «ine stilo: IBS pio ico i Da Gius. Rotarose polis sdgsssiueni belga »- arnie sarà è RE FSE EEE II RT e o AGRO CCA a SEE EEA I egg e pla dedotti ci PASO GELO NOE a R nl PRE Gi Bornclieh io et ae RA ER DR E CIOTOLA sa De Bride hinotae e n olo “paia DECIO DE: IO DINAIA SENSO 04, ERI O II RI ri OrMonti; Capital i alien TIA »* DIBGEI ciotola CL RIPIDO toi MERLI 0 Ii AI RR a lar RI CI AA, li » Benv. Dr. Banelli ile E RAPE A av Erofhagionelter bersani. Ta] ae soli Cav. Fel. Machligr ot et + dba gsa Let * 2 1 1 2 2 1 2 nti < Pg: 5) ni Rceardo: Mazzarini seni, ceceno dial + lenta sia E PRETE DE O NR MP i ante Si pio a a THrancd Iallrovo.. OMegdideg dog saponi gia SL oligA 813 3 ROBA TO, GOOTUBe A nerigro, 0) ca isin arroili dano; tas f- Lor. Di. Tuorenzabta i e, AIDA. Adora ui Za i FA è n ia i > ProrLutschanmi eri cei Pe ea 1 sesCavbicdeSelnadeo 0 IRR RN ni AUD EIRCRIEIS E ve, ALI nn NT VP lp }iiMoistoiibunzzatto: Ri surituoti albhafant Date Lia 2 Totale f. 204 *) L' asterisco è posto in luogo delle firme che non si poterono leggere. N. d. R. — 118 — Il Segretario chiede l'autorizzazione di far legare gli stampati pervenuti alla società durante l’ anno decorso e di provvedere un armadio per l’ amplia- mento della biblioteca sociale. Accordato. Viene stabilito il corso delle letture fino a tutto il mese di Giugno p. v. coll’ ordine seguente: 30 Aprile i sigg. Dr. B. Biasoletto e Prof. A. Vierthaler. 14 e 28 Maggio Dr. C. de Marchesetti. 11 Giugno Prof. Dr. E. Groffe. 25 Giugno Prof. Dr. IM Stenta. Si passa alla elezione dei membri della commissione per gli studi del- l’altipiano, la quale risulta composta dai sigg. Dr. B. Biasoletto, Dr. C. de Marchesetti, Prof. Dr. M. Stenta, Prof. Stossich. Prof. Vierthaler e Haenisch, ‘restando libero alla nominata. commissione di aggregarsi altri soci, qualora ciò tornasse opportuno. In pari tempo viene stabilito che soltanto le spese di carrozza e di mano d’ opera vadano a carico dei f. 500 concessi dal Municipio. Il sig. Segretario partecipa che essendosi portato, insieme ai sigg. Cas- siere e tre Direttori, nella sala offerta per le sedute, la medesima fu da tutti riconosciuta troppo esigua e quindi insufficiente allo scopo. Sedute sociali. Ai 22 Gennaio. Il Dr. de Marchesetti presenta un campionario di far- maci popolari delle Indie. Ai 5 Febbraio. Il socio sig. Valle presenta un legno silicizzato dell’ Istria. Ai 19 detto. Il sig. Prof. Dr. Stenta prelegge una monografia: “Il fiume Livingstone, Ai 12 Marzo. Il Prof. Dr. Friedrich. presentò il telefono, lo descrisse e ne fece replicati esperimenti. Ai 26 Marzo. Il sig. de Marchesetti prelegge una monografia sulla grotta di S. Daniele e presenta oggetti preistorici ivi trovati. Ai 9 Aprile. Il sig. Haeckel nel gabinetto Schiller parlò sulla Psiche animale, al qual discorso dietro suo espresso desiderio furono invitati i Membri della Società Adriatica. Ai 16 Aprile. Il sig. Cav. Weyprecht prelegge una monografia sulla massima grossezza dei ghiacci polari. Ai 30 Aprile Il Prof. Vierthaler presenta le analisi chimiche istituite sulle terre del circondario triestino. Il sig. Dr. Biasoletto parla della reazione floroglucinica sopra il legno e presenta una monografia circa alcune esperienze chimiche istituite sulla Pelagosite. , BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Stampati pervenuti in dono alla Società. Prof. Luigi Stallio. Catalogo metodico dei Crostacei podottalmi ed edriottalmi dell’ Adriatico, dall’ autore. Dr. Lowis Bouvier. Flore de la Suisse et de la Savoie, del sig. Teodoro Bois de Chésne. Dr. Marchesetti. Del sito dell’antico castello Pucino e del vino che ,vi cresceva, dall’ autore. Dr. Marchesetti. Una escursione alle Alpi Giulie, dall’ autore. Dr. Marchesetti. Botanische Wanderungen in Italien, dall’ autore. Dr. Marchesetti. On a Pre-historie Monument of the Western Coasts of Indes, dall’ autore. S. Brunner. Fragmenta Vindobonensia, dall’ autore. G. E. Kirchmann. Dell’ importanza della filosofia, del sig. Nicolò Nicolich. Dr. E. Lambert. Morphologie du Système Dentaire des Races Humaines, dall’ autore. Prof. A. Stossich e P. A. Kesselmeyer. Bilder aus Montenegro, dal Prof. A. Stossich. Ricevuti in cambio. Basel. Verhandl. ‘d. naturforsch. Gesellsch. 1878. VI. Theil. 3. Heft. — Dr. H. Christ. Uebersicht der um Basel gefundenen Tag- — 120 — falter und Sphinges L. I. Rhopalocera. II. Sphinges L. — F. Miller. Mittheilungen aus der herpetologischen Sammlung des Basler Museums. I. Ueber einige seltene und neue Rep- tilien aus Guatemala. II. Verzeichniss der in der Umgegend von Basel gefundenen Reptilien und Amphibien. -- Prof. L. Ritimeyer. Binige weitere Beitràge iber das zahme Schwein und das Hausrind. I. Sus vittatus Temmink eine Quelle vom Hausschwein. II. Ueber Prof. M. Wilkens’ Brachycephalus- Race des Hausrindes. Berlin. Monatsberichte der k. preuss. Akademie d., Wissenschaften. November — December 1877. — Studer. Uebersicht der Stein- korallen aus der Familie der Madreporaria aporosa, Eupsam- mina und Turbinarina, welche auf der Reise S. M. S. Ga- zelle um die Erde gesammelt wurden. — Rammelsberg. Ueber die Zusammensetzung des Aeschynits und Samarskits. — Moser. Galvanische Stròome zwischen verschieden concentrir- ten Lòsungen desselben Kòrpers und deren Spannungsreihen. — Wuaitz. Ueber die verschiedenen Texte des Liber pontifi- calis. — Peters. Ueber zwei fossile Wirbelthiere, Probatrachus vicetinus und Hemitrichas schisticola, aus den Tertiarbildungen von Ponte bei Laverdà im Vicentinischen —, Corrigendum. — Buschmann. Ueber die sid-indischen Sprachen: den I. Theil. — Bauer. Ueber das Krystallsystem und die Haupt- brechungs-Coéfficienten des Kaliglimmers. — Helmholtz. Ueber galvanische Stròme, verursacht durch Concentrations-Unter- schiede; Folgerungen aus der mechanischen Warmetheorie. — Langerhans. Ueber Acicularia Virchowi, eine neue Anneli- denform. — Exner. In welcher Weise tritt die negative Schwankung durch das Spinalganglion? — du Bois-Reymond. Vermuthungen iber eine denkbare Function der Spinalgan- glien. — Peters. Uebersicht ùber die wàahrend der sibirischen . Expedition von 1876 von Hrn. Dr. O. Finsch gesammelten Saugethiere, Amphibien und Fische. — Mommsen. Ueber den der Akademie ibergebenen neuesten Band der Monumenta Germaniae historica. — Idem. Ueber die Familie des Ger- manicus. — Oppert. Die Maasse von Senkereh und Khorsahad. — Lepsius. Weitere Eròrterungen uber das babylonisch-assy- rische Lingenmasssystem. — Kyronecker, Hugo. Ueber die Genesis des Tetanus. — Olshausen. Beitrige zur Erklàrung — RI — und Berichtigung der Pahlavi-Glossare. — Beyrech. Ueber einen heteromorphen Ammoniten von Mosambique. — Bert- hold. Friedrich iier Grosse und das Secretions-Gleichniss. — Virchow. Zur Craniologie Illyriens. — Weierstrass. Zur Theorie der eindeutigen analytischen Functionen (2. Abth.). — Rtess, Buff, Siemens. Zur Blitzleitung. — ÉEwald. Ueber die Kreide- formation in Mittel- und Unter-Italien. — Lose. Ueber Schmidt’s neuen Stern im Schwan. Bonn. Verhandl. d. naturhist. Vereines d. preuss. Rheinlande und Westfalens. 1877. — Bertkau. Spermatozoen d. Spinnen. — Guret. Geolog. Untersuch. v. Spanien. — Andrae. Ueber Aspidites Sileriacus. — Arthur Wichmann. Mikroskopische Untersuchungen iber die Sericit-Gesteine des rechtsrheini- schen Taunus. — H. Laspeyres. Beitrag zur Kenntniss der Nickelerze. Hierzu 6 Holzschnitte. — G. Becker. Die Ge- fàssecryptogamen der Rheinlande. — G. Angelbis. Petrogra- phische Beitrige. — (G. vom Eath. Mineralogische Beitrige. Hierzu Tafel I. — FX. Winter. Beitràge zur Flora des Saar- gebietes. — J. Lehmann. Die pyrogenen Quarze in den Laven des Niederrheines. — vom Rath. Ueber die Krystallisation des Goldes. — Idem. Ueber eine eigenthiimliche Zwillingsbildung des Speiskobalts. — Idem. Ueber eine Pseudomorphose des Rutils nach Eisenglanz. — S. Stein. Ueber die Entfernung von Schwefel und Phosphor aus Eisen und Stahl. — Gtieseler erlàutert einen Patent-Rechenknecht. — Zuntz. Ueber die Ernàhrung des Saàugethier-Foetus. — éoster. Ueber Plethora universalis. — Mohnicke. Ueber geschwinzte Menschen. — Mohr. Ueber einige Oxydations- und Reductionserscheinungen des Indigs. — S. Stein. Versuche zur Entfernung von Phos- phor aus Eisen. — Gteseler. Ueber Zeichnung durch ein Spiegelbild einer Glasplatte. — Gurlt. Ueber das sog. Hart- glas und seine Verwendung. — Andrae. Ueber Pecopteris plumosa Brong. und damit synonyme Arten. + Derselbe legt eine Alge und einen Insectenfliigel aus der Steinkohlenforma- tion Belgiens vor. Brimn. Verbhandl. d. naturforschenden Vereines. 1876. — Schur. Ueber Pflanzenformen des ésterr. Kaiserstaates. — Reîtter, Saulcy, Weise. Coleopterolog. Ergebnisse einer Reise nach — 122 — Sid-Ungarn. — Schubert. Ueber einen biturn. Schiefer von Klein Lhotta. — ZMabermann. Das Trinkwasser Briinns. — Reiter, Hapalis. Neue Gattung der Rhizophagidae. Bruxelles. Bulletin de la Soc. belge de microscopie — Procès Verbaux. 1877, Gennaio 1878. Bruxelles. Soc. entomologique — Compte rendu — N.° 45, 46, 47, 48 e 49. Bruxelles. Procès-Verbaux de la Soc. Malacologique. Tome VI. Buda-Pest. Kòn. naturwissenschaftl. Gesellschaft. — XAyrenner. Die Eishòhle v. Dobschau. — Samu. Rotatoria Hungariae. — Otto. Ungarns Spinnenfauna I. u. II. — Stallberger. Die Ebbe u. Fluth v. Fiume. — Geza. Monographia Lygaeidarum Hunga- riae. — Kerpely Antal. Magyarorszag Vaskòvei és Vaster- ményei. — Dr. Kosutany Tamdas. Magyarorssag Jellemzobl Dohanyainak. Buda-Pest. Természetrajzi Fizetek. 1878. 1. Calcutta. Procedings of the Asiatic Society of Bengal. N.° VI. Chur. Jahresber. der naturf. Gesellsch. Graubiindtens. 1875-76. — Heyden. Zur Kenntniss d. Hymenopteren u. Kafer Engadin’s. — Husemann. Analyse des Caumaseewassers. — rey. D. Le- pidopteren des Alberter-Passes. Dresden. — Sitzungsberichte der naturwissensch. Gesellschaft Zses. 1877. Juli bis December. Dresden. — Leopoldina. Organ d. kaiserl. Leopold. Carol. Deutschen Akademie d. Naturforscher. 1878. N. 1, 2, 3, 4. Firenze. — Bollettino della Società entomologica italiana. Trime- stre IV. 1377. Genova. — Giornale della Società di letture. Anno I, fasc. XI, XII. Anno II, fasc. I, II, III — 1293 — Gorizia. — Atti e memorie dell’ i. r. Società Agraria. 1878. N. 1, 2, 3. Graz. — Mittheilungen des naturwiss. Vereines f. Steiermark. 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Sur le nombre des chocs et la di- stance de choc moyenne dans les mélanges gazeux. — P. van Geer. Sur l’emploi des déterminants dans la méthode des moindres carrés. — D. J. Korteweg. Sur le calcul de la di- stance moyenne de choc des molécules gazeuses, dans le cas où l’on tient compte de toutes leurs dimensions. -—- D. J. Korteweg. Calcul de l’accroissement de tension qu’un gaz éprouve par suite du choc de molécules. — H. J. Rink. Sur la propagation du son. — A. W. M. van Hasselt. Contribu- tion è l’histoire naturelle des salamandres aquatiques. — N. W. P. Rauwenhoff. Sur les causes des formes anormales des plantes qui croissent dans l’obscurité. — FJ. van den Berg. Sur les écarts de la ligne géodésique et des sections planes normales entre deux points rapprochés d’une surface courbe. — d. W. Moll. Recherches sur l'origine du carbone des plantes. — È. A. Mees. Recherches sur la théorie des flam- mes. — 7%. H. Mac Gillavry. L’influence du spasme bron- chique sur la respiration — J. D. van der Wuaals. L’influence de la pression sur la température du maximum de densité de l'eau. — Jules Huguemn. Notice sur un système de co- loriage des cartes géologiques. — Zeitschrift f. Naturwissenschaft. Bd. XII. Erstes Heft. — Ernst Haeckel. Ueber die Individualitàt des Thierkòrpers. — Dr. Harl Bardeleben. Ueber Venen-Elasticitàt. — È. Bohm. Helgolander Leptomedusen. Kolozsvars. — Noveytani Lapok. 1878. 14, 15, 16. Leida. — Tigdschrift der Nederlandsche Dierstundige Vereenigung DE 1000; Leipzig. — Sitzungsberichte der naturforschenden Gesellschaft. IV. Jahrg. 1877. Liège. — Mémoires de la Société Royale des Sciences 1877. — Gloessener. Études sur l’électro-dynamique. — De Kominek : Fossiles paléozoiques de la Nouvelle Galles (Australie). — 125 — Lisboa. — Boletim da Sociedade de Geographia. N. 2. 1877. London. — Proceedings of the Royal. N. 175-183. Society. — Experimental Contributions to the Theory of the Radiometer. — Preliminary Notice. By Wwlkam Crookes, F.R.S. &c. — On Electrical Conductivity and Electrolysis in Chemical Com- pounds. By Dr. L. Bleekrode. — On the Influence of Geolo- gical Changes ‘on the Earth’s Axis of Rotation. By George H. Darwin. M. A. Fellow of Trinity College. Cambridge. — On the Structure and Development of the Skull in the Uro- delous. Amphibia. — Part I. By W. XK. Parker, F.R.S. — On a new Form of the “Sprengel,, Air-pump and Vacuum-tap. By Charles H. Ginvingham. (Plate 9.) — The Diurnal Varia- tions of the Wind and Barometric Pressure. By Fred. Cham- bers, Meteorological Reporter for the Bombay Presideney, and Acting Superintendent of the Colàba Observatory, Bombay. ‘— On the Mechanical Effects and on the Electrical Distur- bance consequent on Excitation of the Leaf of Dionea mu- scipula. By J. Burdon-Sanderson, M.D., F.R.S., Professor of Physiology in University College, and F. J. M. Page. — Note on the Electromotive Properties of Muscle. By J. Bur- don-Sanderson. — Note on the Photographic Spectra of Stars. By William Huggins. — Preliminary Notice of Investigations on the Action of the Vaso-motor Nervès of Striated Muscle. By W. H. Gaskell M.A., Trinity College, Cambridge. — On the Rotation of the Plane of Polarization of Light by Reflection from the Pole of a Magnet. By George Francis Fitzgerald, M.A. — On the Increase in Resistance to the Passage of an Electric Current produced on Wires by Stret- ching. By Herbert Tomlinson, B.A., Demonstrator of Natural Philosophy. King's College, London. — Note on the Influence of Liquor Potasse and an Elevated Temperature on the Origin and Growth of Microphytes. By Wwm. Roberts, M.D. — Note on the Deportment of Alizalized Urine. By Professor Tyndall, F.k.S. — Further Observations on the Locomotor System of Meduse. By George J. Romanes, M.A., F.L.S., &e. — Pre- liminary Note on the Development of Organisms in Organic Infusions. By John Tyndall, F.R.S. — On some Phenomena connected with Vision. By Bb. Thompson Lowne, F.R.C.S., Arris and Gale Lecturer on Anatomy and Physiology at the — 126 — Royal College of Surgeons, Lecturer on Physiology at the Middlesex Hospital Medical School. — Note on the Changes of the fixed Corpuscles of the Cornea in the Process of In- flammation. By G. F. Dowdeswell, B.A. (Plate 10.) — Re- sidual Charge of the Leyden Jar.-IT. Dielectrie Properties of various Glasses. By J. Hopkinson, M.A., D.Sc. — A Second Paper on the Forms assumed by Drops of Liquids falling vertically on a Horizontal Plate. By A. M. Worthington. — On the Transport of Solid and Liquid Particles in Sewer Gases. By £. Frankland, F.R.S. — Researches in Spectrum- Analysis in connexion with the Spectrum of the Sun.-No. V. By J. Norman Lockyer, F.R.S. — Note on the Electrolytic Conduction of some Organic Bodies. By J. H. Gladstone, Ph.D., F.RS., Fullerian Professor of Chemistry in the Royal Institution, and Alfred Tribe. — On the Magnifying-power of the Half-prism as a means of obtaining great Dispersion, and on the General Theory of the “Half-prism Spectroscope,,. By W. H. M. Christie, M.A., Fellow of Trinity College, Cambridge. — On Magneto-eleetric Induction in Liquids and Gases.-Part I. Production of Induced Carrents in Electrolytes. By J. A. Fleming, B.Sc. (Lond.) — Studies in the Chinoline Series.-I. Trasformation of Leucoline into Aniline. By Prof. James Dewar, M.A. — On the Density of Solid Mercury. By Prof. J. W. Mallet, University of Virginia. — On the Rapidity of Growth and Variability of some Madreporaria on an Atlantic Cable, with remarks upon the rate of accu- mulation of Foraminiferal Deposits. By Prof. P. Martin Duncan. — On Attraction and Repulsion of Bubbles by Heat. By Walter Noel Hartley, F.R.S.E., E.C.S., King's College, London. — On the Normal Parèffins.=Part II. eByloC. S. Schorlemmer, Professor of Organic Chemistry in Owens Col- lege, Manchester. — Notes on Physical Geology.-No. III. On the probable Age of the Continent of Asia and Europe; and on the Absolute Measure of Geological Time. By Rev. S. Haughton, M.D., D.C.L., F.R.8., Professor of Geology in the University of Dublin. Magdeburg. — VII. Jahresher. des naturwissensch. Vereines. 1877. Milano. — Reale istituto lombardo di scienze e lettere, vol. XI — 127 —- fasc. I, II, III. — Beltrami. Intorno ad alcune proposizioni di Clausius nella teoria del potenziale. — Musso e Menozzi. Sulla composizione degli stracchini e sulla emanazione di grasso dai loro corpi albuminoidi durante la maturanza. — Menozzi. Sulla determinazione dell’ azoto nel latte e ne’ suoi prodotti. — Ferrini. Sulla resistenza delle eliche degli elettro- magneti telegrafici. — Cantoni Giovanni e Maggi. Sulla ete- rogenesi. (Terza comunicazione). — Cantoni Gaetano. T conci chimici, l’ industria agraria e la proprietà fondiaria. — Pol- lacci. Sopra un reattivo delle sostanze riducenti in generale, ed in particolare del glucosio. — Taramelli. Del granito nella formazione serpentinosa dell’ Apennino. — Tommasi. Sull’ a- zione della così detta forma catalitica spiegata secondo la teoria termodinamica. — ‘rarovaglio e Cattaneo. Studi sulle dominanti malattie della vite. I. Della rogna o scabbia. — Verri. Sulla cronologia dei vulcani tirreni e sulla idrografia della Val di Chiana anteriormente al periodo pliocenico. — Poloni. Sul magnetismo permanente dell’ acciaio a diverse temperature. — Cattaneo Giacomo. Della produzione del lep- tothrix e del leptomitus. Cantoni Paolo. Ancora sul raffredda- mento dei solidi metallici pulverulenti. Modena. — Annuario della Società dei naturalisti. XI. Serie IL Moscou. — Bulletin de la Société impériale des Naturalistes. Année 1877. N. 8. — Beitrige zu den Lepidopteren Patagoniens. Von C. Berg. — Ueber einige sidrussische Silpha-Arten von J. Faust. — Aeltere und einige neue Kéàfer der russischen Fauna von J. Faust. — Beitriàge zur Kenntniss der Farben- bildung bei den Eidechsen. Von Dr. Jacques von Bedriaca. — Fortgesetzte Untersuchungen tber die At.-Volume und spec. Gewichte organischer Verbindungen. Von Y. Hermann. Napoli. — Rendiconto dell’ Accademia delle scienze fisiche e ma- tematiche. 1877, fasc. 12 e 1878, fasc. 1, 2. Napoli. — Atti del reale Istituto d’ incoraggiamento, tomo XIV II. New South Wales. — Climetn of. By H. C. Russel. — Annual re- port of the departement of mine. 1876. — Journal and pro- ceedings of the royal Society. 1878. — 128-— Nimes. — Bulletin de la Soc. d’étude des sciences naturelles. Niirnberg. — Abhandl. d. naturhist. Gesellsch. 1877. — Knapp. Aus d. cubanischen Thier- u. Pfianzenwelt. — relm. Kuhmilch als Sauglingsnahrung. — och. Arachniden von Niirnberg. Parigi. — Bulletin de la Société de Géographie. Décembre. 1877. — Lucien N.-B. Wyse. L’exploration de l’isthme du Darien en 1876-1877. — J.-B. Paquier. Pamir et Kachgarie. — Rocher. Itinéraire de Ch’ung-Ch'ing a Yun-nan-fu. — Janvier 1878. — C. Favre et B. Mandrot. Voyage en Cilicie 1874. — Dr. H. Rey. Notes sur la Géographie médicale de la cote occidentale d’Afrique. — A. F. Nogueira. Le Rio Cunéne, traduit par M. Ch. Rouvre. Pesaro. — Bollettino dell’ osservatorio meteorico-magnetico, dal Settembre 1877 fino al Febbraio 1878. Riga. — Correspondenzblatt d. Naturf. Vereines 1877. Roma. — Atti della r. Accademia dei Lincei transunti. Vol. II. Fases:1;2, a Roma. — Bollettino del r. Comitato Geologico d’ Italia 1877, N. 11 e 12. — De Giorgi. Appunti geologici da Pescara ad Aquila. — Stefani. Sui terreni pliocenici e miocenici della Toscana. — Capellini. Sulle marne glauconifere di Bologna. — Mayer. Studii geologici sulla Liguria centrale. — LBettner. Le forma- zioni terziarie di Bassano. — Vacek. I sette Comuni. — Roth. Studi sul monte Somma. Rovigno. — Giornale della Soc. Agraria Istriana. 1878. N. 1, 2. 3. Schaffhausen. — Mittheilungen d. schweizerischen entomologischen Gesellschaft. Vol. 5. N. 5. Trieste. — L'amico dei Campi, periodico della Società Agraria. N. 1;.2,.8,/ 4. Wien. — Kais. Akademie d. Wissenschaften. Anzeiger I-VIII. —_ 129 — Wien. — K. k. Akademie der Wissenschaften Separatkahdriicice 1877. — Ueber die Beziehung zwischen dem zweiten Hauptsatze der mechanischen Wirmetheorie und der Wahrscheinlichkeits- rechnung,, respective den Stitzen uber das Warmegleich- gewicht. Von Dr. Ludwig Boltemamn in Graz. — Ueber den Einfiuss der Temperatur auf das galvanische Leitungsvermigen der Flissigkeiten. (Ausgefiihrt im physikalischen Cabinete der Wiener Universitàt.) Von Dr. Franz Exner und Dr. Guido Goldschmiedt. — Ueber Binnenzellen in der grossen Zelle (Antheridiumzelle) des Pollenkorns einiger Coniferen. Von Anton Tomaschek, — Beitrige zur genaneren Kenntniss der Cystolithen und einiger verwandteu Bildungen im Pflan- zenreiche. (Mit 2 Tafeln). Von Karl Richter. — Kleine Bei- tràge zur Kenntniss der Anneliden. I. Die Lumbricidenhypo- dermis. Von Dr. Med. August v. Mojsisovicz. — Ueber Phy- matocarcinus speciosus Reuss. Von Alexander Bittner. — Die Glimmergruppe. I. Theil. Von G. Tschermak. — Die gehòften Tiipfel des Xylems der Laub- und Nadelhòlzer. Von Dr. 4. Kreuz. — Die Entwieklung des Embryo von Asplenium Shepherdi Spr. Von F. Vouk. — Zur Genesis der Salzab- lagerungen, besonders jener im nordamerikanischen Westen. Von EF. Posepny. — Ueber Diffusion der Daimpfe durch Thonzellen. Von Dr. J. Puluj. — Ueber die stationire Stro- mung der Elektricitàt in einer Platte bei Verwendung gerad- ‘ liniger Elektroden. Von Max Margules. — Ein Beitrag zur Kenntniss der zihflissigen Korper. Von A. v. Obermayer. — Ueber den inneren Zustand und die latente Warme der Dimpfe. Von C. Puschl. — Die Baumtemperatur in ihrer Abhéingigkeit von susseren Einfliissen. Von Josef Bohm und Jacob Brei- tentohner: — Ueber das. Vorkommen zweierlei verschiedener Gefisskninel in der Niere. Von Dr. Otto Drasch. —- Zur Be- stimmung des Ammoniaks mit unterbromigsaurem Natron- Von M. Hòonig. — Ueber ‘den Einfluss der Erdrotation auf die parallel zur spharoidalen Erdoberfliche in beliebigen Bahnen vor sich gehenden Bewegungen, insbesondere auf die Strimungen der Flisse und Winde. Von Dr. Josef Finger. — Die Siisswasserfische des sidostlichen Brasilien. (IV.) Von Dr. Franz Steindachner. — Ein Radiometer. Von Dr. J. Puluj. — Ein geologisches Profil von Osmanieh am Arder, iber den Sveti-Nikola-Balkan, nach Ak-Palanka an der Ni$ava. 9 — 130 — Von Franz Toula. — Orthopteren vom Senegal. Gesammelt von Dr. Franz Steindachner. =- Fuchs. — Die Salze v. Sassuola. — Ohodin. Die chemische Reaction der Sehner- ven. — Zetdler. Kampher. Chloralhydrat. — Reichardt. Kryptogamen v. Hawai. — Linnemann. Unvermigen des Propylen, sich mit Wasser zu verbinden. — Heidel. Brom auf Triamidophenos. — Bauer. Lynthese der Pimelinsàure. — Maly. Ueber Blutserum. — Habermann. Derivate des Dime- tyshydrochinous. — K0migstein. Ueber die Nerven der Cornea. — Fuchs. Ueber Aptychenkalke. — Kachler. Ueber Verbind. a. d. Kamphergruppe. — Zeidler. Substanzen der Rothhaut- racen. — Sommaruga. Ammoniak auf Isatin. — Goldschmiedt. Idryl. Wien. — Verhandl. der kais. geolog. Reichs-Anstalt. N. 1-6. — Hauer. — Jahresber. — C. J.. Wagner. Geologische Skizze des Hausruckgebirges. — Babinek. Ueber den feuerfesten Lehm von Drahlin. — Seeland. Der Bergbau auf Rotleisen- stein und Braunstein bei Uggowitz. — S. Stw. Vorlage seiner Culm-Flora der Ostrauer und Waldenburger Schichten. Foula. Ueber Devon-Fossilien aus dem Einsenburger Comitate. — 0. Lenz. Gabbro von der Westkiiste Afrikas. — PR. Fleischacker. Das Vorkommen mariner Fossilien bei Gleichen- berg. — Dr. V. Hilber. Die zweite Meditterenstufe ‘bei Hart- berg. — Dr. G. Thessins. Untersuchung der Braunkohle und des feuerfesten Thones von Wildshut. — Do. Notizen ùber Pseudomorphosen. — Dr. E. Mojsisovics. Ueber die Sùd-Tiroler Quarzporphyrtafel. — Littner. Vorlage der Karte der Tredici comuni. — -. Teher. Geologische Mittheilung aus der Detzthaler Gruppe. — Dr. J. Tietze. Zur Frage iber das Alter der Liaskohlen von Bersaska. — 0. Lenz. Die Bezie- hungen zwischen Nyirok, Laterit und Berglehm. — H. Hofer. Erdbeben am 12. und 13. December 1877. — Dr. F. E. Wick. Die geologischen Verhaltnisse Finnlands. — J. von Sc hrocckin- ger. Ueber die Erbohrung einer neuen Therme hei Brix. — Dr. M. Neumayr. Ueber isolirte Aphalopodenlypen im Jura Mitteleuropas. — X. Paul. Aufnahme in Ost-Galizien. — Dr. E. Maislsovies. Ueher die Dronche des Wiirzburger Haupt- muschelkalkes. — . Mornes. Beitrag zur Kenntniss der Varmatischen Ablagerungen von Wiesen. — Dr. V. Hiwber. — 131 — Hernalser Tegel bei St. Georgen. — O. Lenz. Ueber polirte Felsen in den Betten einiger Afrikanischer Stròome. — 2. Potier des Echelles. Karten auf Hanfpapiet und Baumwollstoff. — G. Stache. Zur Fauna der Petrophorenkalke Siid-Tirols. — O. Lenz. Vorlage der geologischen Karten des Stanislauer Kreises. — Dr. E. Tietze. Die Funde Nehring's im Diluvium bei Wolfenbiittel und deren Bedeutung fiir die Theorien iber Lanbildung. — 0. Lenz. Zur Geologie der Goldkiiste. — £. John. — Chemische Untersuchung einer Kohle und verschie- dener Silberhaltiger Bleiglanze aus Persien. — Dr. C. Clar. Mittheilungen aus Gleichenberg. — C. von Hauer. Die Mi- neralquellen von Ischl. — A. .Bittt. Das Tertiàr von Marostica. Wiesbaden. — Jahrbiicher des Nassauischen Vereines f. Naturkunde. 1876 u. 1877. — Fuckel. Symbolae mycologicae. — Pagen- stecher. Ueber den natirl. Fang. v. Schmetterlingen. — Fre- semus. Analyse der warmen Quelle zu Assmannshausen. Zeitschrift f. d. gesammten Naturwissenschaften. Redigirt v. Dr. Giebel. Berlin. 1877. XLIX. AA dl w LR AI i Ù SS % Ae Lottiviter dodo o ssogiorio rr a 6 | Rotehionmast uigad co ST DICCI osta Tae store ii litio Renon msi bi ng nai a nia . se “todi Jill esatti 111 gig Holy Dop sosti î ‘i dns dg presi ma sis sir - 108 RISI cd io mara \tsie Hi 5 Asics De ee smoiieotae soy tditit9 1 ball » Muti e = ‘alinanfitabe 3 sogiotsV noroaiusazaVi sob, 1ssoididst = acini + sagolodtr depnitaii e Ina TF8F. SUE i aio a ia (88 Si o fifitaneaob tiodatiti Mi olleg dirabrinata tb e'L iam ali : livido fi secret. rodstttza»g: Sit pes SELLE 8 Lattratbr £ Fe culti f AE 7 ; Ly “in pis und Bb po ara Lo dia pi punaigi | atrre. di pria Me tar Lc tai oo Ms Na ea Mad boosti. - Ual pc Si eius. a pag. 155 e seg. Pelargosite LR) ” Sulla provenienza della Pelargosite Si prega a voler correggere in Pelagosite 183 rig.24 Silene in Potentilla i rig.81 verdi in nudi largosa in archesetti, andomi di resumibile sta forma- ‘mi fin da mio padre i di roccia perficie di ‘liante alla )rre questo alche pro- onde per- + tveealiva WAVUZIEIUY ULI pPwi vi PIU QUUILLLIAVO uerla roccia 0 nei forami delle stesse, ove per l'influenza del calore e dell’ umi- dità subì lentamente la summentovata trasformazione. In questo mentre sorsero varie supposizioni e teorie e fra queste 1’ ingegno- sissima del nostro amico de Marchesetti, riportata nel nostro Bol- lettino, la quale trovò il suffragio di vari dotti italiani, che questo fosse un prodotto vulcanico dovuto alla parziale fusione della roccia. Animato dallo stesso sig. Marchesetti a ritornare sull’ argo- mento, col tentare ulteriori indagini, sollecitai l’ egregio sig. Dr. Cossutta a fornirmi dei preparati microscopici della Pelargosite e queste sezioni abbastanza bene riuscite per la difficoltà del materiale, 10 i Po ‘4 caput "19 stat ced DO 8 FP) a taribito? Prodori di dita! gico nsida0is. ib |) i Ttotiltovanioibaff io svga is Tur sistisdi 2sbistane pri cafoni ua sto qw die Ap abilontà | 1osabige cobegstin I sredbaigolosg bose prot purgpe - ansie iii ‘gare dei sinti e a Mz G 5 ne % Dgr. È " Reel bro ‘d Gi ts sedi Ava tI piro rinstatienoTat Bern ravana imita AR ” codeli 4bl op ‘obi siavlosp-1 ci fund 0 cab lara dia” pd i vl 4 Dee, + x tei De e Rae MR < ago "i ri nd nia o Dite ce (puri A let "e Fo) ts ia rai - Uebme sa Panca Ni fp al ti ino À è sh Po ue è fusti ipa n o =) 74 DI Sulla provenienza della Pelargosite di B. Dr. Biasoletto. Il sig. Michele Stossich che perlustrò l'isola di Pelargosa in unione all’ egregio nostro collega il sig. Dr. Carlo de Marchesetti, mi fece vedere i primi esemplari della Pelargosite pregandomi di esternare la mia opinione, previa qualche analisi, sulla presumibile origine di questo prodotto naturale. A prima vista questa forma- zione non mi sembrò nuova del tutto e credo ricordarmi fin da giovanetto, di aver osservato fra le raccolte che faceva mio padre nelle sue escursioni sulle coste dalmatiche, dei frammenti di roccia marina grigia sforacchiata dalle foladi, sparsa sulla superficie di un che di protuberante nerastro e lucido molto somigliante alla presentatami Pelargosite. Non potei fare a meno di supporre questo deposito provenire da una lenta bituminizzazione di qualche pro- dotto organico marino, slanciato dalla impetuosità delle onde per- sino a rilevanti altezze, sulle parti più acuminate della roccia 0 nei forami delle stesse, ove per l'influenza del calore e dell’ umi- dità subì lentamente la summentovata trasformazione. In questo mentre sorsero varie supposizioni e teorie e fra queste 1 ingegno- sissima del nostro amico de Marchesetti, riportata nel nostro Bol- lettino, la quale trovò il suffragio di vari dotti italiani, che questo fosse un prodotto vulcanico dovuto alla parziale fusione della roccia. Animato dallo stesso sig. Marchesetti a ritornare sull’ argo- mento, col tentare ulteriori indagini, sollecitaài l’ egregio sig. Dr. Cossutta a fornirmi dei preparati microscopici della Pelargosite e queste sezioni abbastanza bene riuscite per la difficoltà del materiale, 10 — 134 — sparsero qualche nuova luce sulle questioni predominanti. Esaminato il preparato in sezione verticale della Pelargosite unita alla roccia sottostante, si veggono chiaramente distinte due parti, 1’ inferiore rappresentata dal carbonato di calce magnesifero, di color bian- castro, quasi semicristallino, e la superiore di color brunastro, dis- posta a strati spessi qua e là, intersecate da linee più oscure rappresentanti le ondulazioni della roccia sottoposta, quasichè la massa molle fosse stata depositata tranquillamente sul masso. Una striscia marcatissima separa nettamente i due strati della Pelar- gosite da quello della roccia che la sopporta, ciò che toglie, a mio credere, con abbastanza sicurezza il dubbio che la Pelargosite si sia formata per fusione degli elementi della roccia, poichè in allora non si riscontrerebbe la divisione così chiara, e la massa fusa si sarebbe internata irregolarmente nella parte non alterata della roccia. Rassicurato da queste osservazioni, volli constatare più precisamente il fatto coll’ estendere le mie indagini sulla natura chimica di questo deposito. Per quanto mi fu possibile staccai pazientemente la Pelargosite, a colpi di martello, dalla roccia e ne raccolsi i frantumi entro un tubo chiuso ad una delle estremità. Dopo averlo alquanto stirato nel mezzo alla lampada in un diametro molto ristretto, lo ripiegai, a guisa di U, lasciando il capo dell’ ul- timo braccio verticale più lungo e più largo aperto e sottoposi così la Pelargosite al gagliardo calore di un becco di Bunsen. Tosto dalla Pelargosite si svolsero degli umori acquei, i quali si condensarono nella. ripiegatura ristretta del. tubo a U, mentre i vapori gassosi avevano adito. per elevarsi nel braccio verticale, al cui orificio aperto sovrapposi una cartina, già imbevuta di soluzione di acetato piombico. Condensata 1’ acqua, m’avvidi che alle pareti del mio piccolo distillatore s° era appresa notevole quantità di bi- tume, mentre la cartina di acetato di piombo s’ anneriva forte- mente e il distillato emanava un odore di sostanza organica azotata, abbruciata. La Pelargosite colla distillazione subita avea perduto il suo aspetto vitreo ed era ridotta a un corpo nero opaco, friabile, somigliante alla polvere di carbone. Spezzato l’ apparato, raccoltone il distillato liquido; e trattato quest’ ultimo con alcune gocce del reattivo di Nessler, ebbi un abbondantissimo cipitato giallo indi- cante 1’ abbondevole presenza ammoniacale, mentre altra porzione dello stesso distillato, versato goccia a goccia sopra una cartina preparata recentemente colla tintura di guajaco e col solfato ra- meico, assumeva tosto una bella macchia di color celeste caratte — 135 — ristica provante la presenza del cianogene. A togliere il dubbio che la roccia stessa presentasse gli stessi caratteri chimici della Pelargosite, venne ripetuto l’ esperimento della distillazione secca, in un apparato identico a quello della Pelargosite, introdussi invece frantumi della roccia sottostante e in questo caso non ottenni che un liquido, indicante appena traccia ammoniacale e parziale anne- rimento della cartina, mentre la roccia perdette il suo colore grigio diventando bianchiccia senza separare bitume di sorta. È ammis- sibile quindi, col corredo di questi fatti, il ritenere che la Pelar- gosite non abbia avuto origine da una fusione della roccia, e nemmeno che sia provenuta da una influenza elettrica dell'atmosfera (folgorite) come venne imaginato, ma che invece derivi da un prodotto organico bituminizzato, poichè il bitume separato dalla di- stillazione: secca, l’acqua condensata, la quantità ragguardevole d’ammoniaca che si svolse dalla piccola quantità di materiale im- piegato, la comparsa del cianogene e il carbone residuo, anco trasandando i solfuri che si manifestarono, non possono a meno di stabilire che la Pelargosite appartenga a quelle formazioni car- bonifere che trovansi tuttora in gran copia al Nord della Scozia e dell’ America, e che provengono dai giganteschi Sargassi svelti dalle correnti degli oceani. Rimarrebbe ancora a provarsi se la Pelargosite considerata quale strato carbonioso, conservi nella sua compage elementi di cellule o rudimenti di alghe o piante litorali. Osservando at- tentamente la Pelargosite ai lati del sasso sul quale s° adagia, ad occhio nudo sì scorge alcunchè di verdeggiante che spicca dal fondo grigio della pietra, il quale raschiato e portato al microscopio s’ appalesa indubbiamente per alghe marine. Staccati con cura alcuni pezzettini di Pelargosite e immersi nell’ acido idroclorico molto diluito, o meglio nell’ acetico egualmente allungato, la massa carboniosa si solleva leggiera e viene a galla del liquido; raccolta accuratamente e portata al microscopio si addimostrò constare di resti di alghe, nelle quali il tessuto e le cellule stesse potevano chiaramente ravvisarsi. Ripetuta più volte questa esperienza, si eb- bero forme istologiche svariatissime, tra le quali anche tessuti provveduti di stomi e rimasugli che si potevano supporre derivati da piante fanerogame, talchè un provetto algologo potrebbe trovarvi argomento a studi interessantissimi e troverebbe il nudo campo di determinare le specie alle quali quei resti hanno appartenuto. Sot- toposto nn pezzo di roccia ricoperta di Pelargosite all’ influenza i * — 136 — corroditrice doll’ acido idroclorico allungato, venne sciolta unifor- memente al sasso, e strato a strato la Pelargosite veniva a galla del liquido ; sostituito il liquido saturato di cloruro di calcio con altro acido a più riprese, rimase finalmente il sasso quasi nudo e più imbianchito, ma nelle parti rientranti si scorgevano ancora esilissimi strati di Pelargosite che in sì tenue quantità non appa- rivano più neri ma di un colore olivastro, nei quali ultimi strati si poterono ritrovare ancora dei tessuti di cellule. Dalla ‘analisi immediata della Pelargosite e dalle successive suesposte indagini si deve concludere, che la Pelargosite non sia prodotto minerale, ma bensì provenire da ammassi di alghe e di frammenti vegetali che l’onda accumulò sulla roccia, i quali de- positi col tempo subirono poi quella metamorfosi che ora si pre- senta; metamorfosi che può ancora continuare a prepararci della Pelargosite, la quale, come è ben naturale, potrà esser rinvenuta del pari su altri scogli della Dalmazia e della vicina Italia. Nuova reazione del tessuto legnoso di B. Dr. Biasoletto. Tutti i giornali scientifici si occuparono di questo interes- santissimo argomento, per la prima volta annunziato dal Dr. Hiihnel. Un tessuto legnoso posto in contatto con una tintura acquosa 0 alcolica fatta col legno di ceraso e poscia bagnato coll’ acide idro- clorico assume una tinta rosso-porporina, mentre i tessuti di cel- lulosio non si tingono affatto. Secondo Hiihnel questa reazione era devoluta ad un principio molto diffuso nel regno vegetale, cui de- nominò Xslophilina senza offrire particolari sulla natura chimica della medesima. In seguito a reiterate indagini, si venne a stabilire che questa reazione è devoluta a un glicoside molto diffuso nelle amygdalee : la Phloroglucina che produce coll’ acido idroclorico sul legno d’ abete la stessa reazione. La reazione è sensibilissima e può svelare persino 0-001 per cento di Phloroglocina. Nel rea- gente preparato coll’ estratto del legno di ceraso vi comparisce la Phloroglacina unita a un po’ di paracatechina che fa volgere il colore rosso a tinta oscura. Per la preparazione di' questo reagente ho dato la preferenza al seguente metodo. Sottoposi ad ebullizione, molto protratta, nell’ acqna delle corteccie levate da rami giovani del Prunus cerasus; evaporai la decozione a bagno maria fino a consistenza di estratto, sciolsi questa nell’ acool e filtrai la tintura. La tintura preparata in questa guisa si conserva senza subire al- terazione. Tra i Prunus ho preferito il cerasus e il Lauro cerasus. Il mahaleb pare contenga poca floroglucina, giacchè la reazione della sua tintura è debolissima. Le reazioni sulle materie legnose hanno un valore inestimabile per le osservazioni microscopiche e — 138 — possono servire ed essere di guida nel valutare la bontà di una carta qualsiasi; giacchè una carta di puro cellulosio non subirà alterazione alcuna sotto l’ influenza di questo reagente. Essendo le carte in oggi più o meno preparate con un’ aggiunta di pasta di legno, stabilendo una scala colorimetrica, dall’intensità della rea- zione si potrà calcolare con abbastanza esattezza la quantità della parte legnosa che si contenesse in una data qualità di carta. Così pure questo reagente potrà trovare applicazione pratica per di- stinguere le fibbre tessili (lino, canapa), nella loro purezza, cioè qualora sieno state bene liberate dall’ involucro legnoso. Osservazioni sopra un modo di produrre | ozono di B. Dr. Biasoletto. Qualora s’ irrori la parete interna di un pallone di vetro con dell’ etere sgocciolando 1° eccesso, e che poscia si avvicini all’ ori- ficio dello stesso un corpo acceso, l’ etere arde dalla bocca del pallone tranquillamente, senza generare esplosione e un leggero cittio soltanto accompagna placidamente la combustione. Se spenta la fiamma si chiude il pallone dopo avervi introdotto della carta joduro-amidata, tosto si rende palese una reazione pronunciata sulla cartina di joduro d’ amido. Tentata coi vari reagenti l’ aria rimasta nel pallone dà incontestabilmente 1’ assicurazione che si è formato dell'ozono. Sostituendo all’etere l'alcool assoluto, non si ottiene sulla cartina reazione di sorta. Questo fatto avvisato dal Bottger lo ho ripetuto diversamente e colsi da questo occasione per poter chiarire come si formasse l’ozono in una combustione limitata di etere nell’ aria. Ho irrorato egualmente le pareti interne di un palloncino con alcune gocce di etere, ma questa volta senza accendere il gas infiammabile e vi sospesi entro una cartina reagente, coprendo leg- germente l’ orificio, dopo brevi istanti la cartina s’ abbruniva di- venendo poscia violetta. Riscaldando .il palloncino con le mani la formazione dell'ozono si accelerava, così pure esponendolo alla luce. Onde persuadermi sull’ effetto del calore, presi delle boccet- tine di eguale grandezza, stillai in esse egual numero di gocce di etere, munendo ogni boccetta di apposita cartina jodo-amidata e le esposi alla luce solare, coprendo ogni boccetta di un vetro di colore diverso. I vetri erano di color verde, azzurro, viola e rosso. — 140 — La formazione dell’ ozono sotto queste influenze procedette in ma- niera affatto differente, così il vetro verde nel medesimo corso di esposizione alla luce, non manifesta traccia alcuna di coloramento sulla cartina, l’ azzurro appena traccia, il violetto diede una rea- zione leggera, mentre il rosso tinse sollecitamente la cartina in bleu marcato che andava sempre più aumentando di intensità. Presi quindi un altro palloncino trattato coll’ etere, come antece- dentemente lo copersi con un vetro rosso e lo esposi alla luce per un tempo più lungo, cambiando però la cartina e sustituendo alla jodo-amidata una striscia di carta-suga inbevuta di acqua stillata sulla quale aveva disteso una listerella d’argento finissimamente battuto. L’argento nella esposizione si cominciò ad ossidare e ter- minò col coprirsi di una patina nera. L’ ozono viene distrutto dal calore; è un fatto constatato da numerose osservazioni, qui invece apparisce sotto l'influsso del raggio rosso che è il più calorifico de’ raggi dello spettro. Considerando però che l’ ozono non è che ossigene sotto altra disposizione molecolare e che un mezzo mec- canico o chimico lo può trasformare in un altro aggruppamento sotto forma di ozono, sembra che nel nostro esperimento, la. presenza dell’ etere che più rapidamente si evapora col calore, disponga le molecole d’ossigene in ozono. L’effluvio elettrico, lo spruzzo del- l'acqua, il vento freddo e violento possono produrre. una disposi- zione anormale dell’ ossigene atmosferico ed essere le cause gene- ratrici dell’ ozono. Volendo comprovare il fatto che anche nelle suaccennate esperienze la causa presumibile dell’ ozono, non sia che una causa meccanica eccitata. da una rapida evaporazione, composi un tubo di vetro a zig-zag, ponendo al capo d’ uscita un fascio di tubi ca- pillari e aggiustando all’ altro un soffietto a corrente continua. Dopo aver introdotto nell’ apparato e quasi in prossimità al mantice un po’ di bambagia con qualche goccia di etere feci agire con qualche violenza il soffietto raccogliendo l’aria all’ altro capo sopra una cartina jodo-amidata. Trascorso qualche breve istante la cartina si tinse tosto in violetto intenso; la carta di guajaco, quella preparata coll’ idrato. di piombo, la tintura d’indaco e l’acqua leggermente alcalina provarono ad evidenza la presenza dell’ ozono. Riduzioni ottenute colla paraffina di B. Dr. Biasoletto. Tutti i carburi idrogenati al massimo dànno ragione di esser buoni riduttori qualora le loro combinazioni possano venir poste nella condizione atta a scomporsi. Certe lo sono più, certe meno, la paraffina derivando dalla metana (gas delle paludi) ed essendo l’ ultimo membro della serie degli etani, famiglia dell’ olio di schisto, petrolio, olio di pietra ecc., si dovrebbe ritenere per la sua massima ricchezza di idrogene un ottimo corpo ridu- cente. Diffatti fusa che viene e mantenuta così al contatto dell’aria atmosferica, diventa giallognola, poichè assorbe 1 ossigene, sicchè il nome di parum affinis datole dal suo inventore poco le calza o non le rimarrà che per additare le proprietà che furono in essa riscontrate quand’ era fanciulla. Galletli s° accorse per il primo che appena fusa in unione allo zolfo emanava gas idrogene solforato, e oggi raccomanda Slikum. codesto miscuglio per valersene quale apparato portatile nel vademecum del chimico. Partendo da que- sto fatto volli esperimentare la sua facoltà riducente sui solfuri e presi di mira il naturale o il bisulfuro di ferro, triturai la pirite finissimamente e la mescolai a della paraffina di commercio in- troducendo il miscuglio in un tubetto di vetro ristretto, chiuso ad un capo il qual tubo riscaldato sulla fiamma di una semplice lampada ad alcool, diede subitaneo indizio alle nari della presenza del gas idrogene solforato. L’ affinità dell’ idrogene della paraffina per lo zolfo a temperatura elevata dover ritenersi quindi grandis- sima, mentre qui la vediamo già esercitarsi sullo zolfo combinato, di ciò non andai errato poichè esperimentando il solfuro d’anti- monio ed altri solfuri in questo modo appalesarono egualmente la — 142 — emanazione di gas solfidrico. Non solo lo zolfo combinato nella materia inorganica si rende palese colla paraffina, ma bensì quello della materia organizzata, così introducendo in un tubetto simile al già descritto un capello, nel quale può ritenersi la ben che mi- nima quantità di zolfo, coll’ aggiunta di un bricciolo di paraffina al debole calore di carbonizzazione annerisce prontamente una cartina imbevuta di un sale di piombo apposta all’ orificio del tubo. Con tal mezzo si può scoprire nelle sostanze proteiche, la presenza dello zolfo nelle sementi e negli olii solforati, e certo in tutte le altre sostanze organiche che sono accompagnate dallo zolfo. Fusa cogli ossidi metallici combina l’ ossigene in vapori acquei ed il metallo resta ridotto così dall’ ossido di rame si ottiene uno spec- chio brillante di rame, dall’ ossido d’argento si. riceve l’ argento metallico ; è naturale che a seconda delle affinità del metallo per l’ossigene bisogna innalzare la temperatura. Dai cloruri si ottengono vapori di acido cloridrico, così il cloruro d’ argento resta metallo iridescente dai colori di coda di pavone. Cimentando il solfato di ossido di rame colla paraffina si ha emanazione di gas solforoso ed il rame resta metallo. Coi nitrati la decomposizione è molto lenta, ponendo del nitrato d’ossido d’argento nel tubetto e fuso colla paraffina si hanno ripetuti scoppi nel tubo e l’ argento resta spruz- zato e disperso a piccoli globicini. Ripetendo 1’ esperimento col nitrato potassico, la detonazione è ancor più violenta. Egli è certo che da queste proprietà si potranno trarre delle utili applica- zioni che al momento non potrei indicare, se non che fermando I’ attenzione su alcune, cioè quella di servire come utile reagente per iscoprire la minima presenza dello zolfo nelle sostanze organi- che e inorganiche, come riduttrice di certi metalli e purificatrice di altri, la paraffina ne andrà maggiormente apprezzata. Delle spedizioni artiche di Nordenskiòld, Relazione del Prof. Dr. M. Stenta. Ci riesce sicuro di conforto, quando affaticati dal meditare le molteplici ed intricate vicissitudini dell’ odierna società umana possiamo riposare colla. mente in regioni lontane a noi, finora sco- nosciute. ai più, e seguire i fatti di quegl’intrepidi, che là si studiano, sebbene esposti a ogni sorta di privazioni, a giornalieri pericoli, di raccogliere preziosi tributi per la scienza. Ci rallegra il cuore di vedere come in mezzo a tante distrazioni le incammi- nate scoperte trovino il valido appoggio dei governi, delle società scientifiche, nonchè di persone private, tra le quali col principe mecenate gareggia in munificenza il laborioso negoziante di Go- temburgo e l’accorto proprietario del giornale di Londra e di Nuova York. Se io accenni al vero lo dicano le premure degli Americani e quelle di molti stati dell’ Europa, che da qualche anno in qua continuano in favore di spedizioni geografiche, riguar- dino esse i paesi equatoriali dell’ Africa oppure le plaghe artiche. Ed è appunto perchè all’attitudine delle persone sono state ai giorni nostri favorevoli le circostanze, che noi siamo lieti di vedere risolti i grandi problemi geografici del Nilo e del Congo per opera di Enrico Stanley, e mentre io parlo, pure già risolto per opera del Prof. Nordenskibld quel problema che comunemente dicesi il passaggio Nord-Est. Quest’ ultimo problema riguarda la non interrotta naviga- zione dall’ Europa boreale attraverso l’ oceano polare fino allo stretto di Bering nella stagione propizia, vale a dire durante l’ e- state fino al principiare dell’ autunno. — 144 — I primi tentativi fatti per arrivare a questa meta risalgono già a quei tempi della storia d’ Inghilterra in cui, quetandosi i bollori della riforma e stabilito il trono dell’ ultimo rampollo dei Tudor, le rinomate imprese dei Portoghesi e Spagnuoli risveglia- vano le forze britanniche a provarsi sebbene per altra via nella gara di scoperte. Da allora impoi il nostro mare artico venne sol- cato assai volte da legni inglesi, danesi, olandesi e russi, ma a nessuno riusciva il passaggio intorno l’ Asia dall’ Atlantico al Pa- cifico. La memorabile spedizione austro-ungarica partiva nel 1872 col medesimo intento, e sebbene da uomini competenti si fossero studiati prima i particolari del disegno ed apparecchiati i mezzi opportuni, il naviglio divenne inaspettatamente prigioniero del gelo, e fu da questo trasportato ad altri destini. La storia delle scoperte ci insegna però che il cattivo esito d’ un’ impresa non iscoraggia punto dal ritentarla. Così fu di quella pel passaggio Nord-Est. Il prof. Nordenskiold di Stoccolma, pratico oramai dei viaggi polari, in una lettera diretta a quello strenuo promotore delle più grandi spedizioni geografiche, che fu il compianto Dr. pi rr scriveva in novembre del 1876: “Io spero di partire nel 1878 alla testa d’una nuova spedi- szione collo scopo d’ esplorare il mare di Siberia dalla foce del- »l Ienissei allo stretto di Bering, e sono persuaso, che anche qui sdevono cadere molti pregiudizi,,. A proposito di pregiudizi, Nordenskiòld ha in mente quel- l’inveterata opinione, che ora più non regge, secondo la quale il mar di Kara non era altro che una impraticabile porzione del- l’oceano polare, un orrido ammasso di ghiaccio. Le sperienze dei balenieri norvegiani. nonchè quelle fatte dallo stesso Nordenskiòid nei viaggi del 1875 e 1876 hanno rivelato, trattarsi qui di fan- tasmi, se anche più verosimili, ma pure analoghi a quelli che nel secolo XV ritardarono tanto il passaggio oltre la linea equinoziale. In questo punto conviene avvertire, che la risoluzione presa da Nordenskiòld di un nuovo viaggio riguarda soltanto quel tratto d’ oceano, che per circa 108 gradi bagna l Asia settentrionale dalla foce dell’ Ienissei allo stretto di Bering. La parte dello stesso oceano, che comprende il mar di Kara e quello dirimpetto la foce dell’ Obi, egli aveva già esplorata nei suoi viaggi precedenti. Ne segue dunque, che il recente progetto s’ appoggia sopra la base — 145 — sicura, della propria esperienza e sopra altri non meno autorevoli argomenti, che io citerò in appresso. Dopo gl’ infruttuosi tentativi di tre secoli Nordenskiòld è il primo che abbia direttamente raggiunta la foce dell’ Ienissei, e notisi bene, imbarcato sopra un piccolo veliero, sul quale al prin- cipiare del giugno 1875 percorse in soli 6 giorni il tratto dal Capo Nord fino a Nova Semlia, e traversò il mar di Kara senza avervi trovati notevoli impedimenti pei ghiacci, sicchè potè arrivare al luogo prefisso il 15 agosto. Nel ritorno tutto procedette bene e fino ad Hammerfest non s° impiegarono che 10 giorni. Oltre il merito d’avere aperta una via. continuata per le comunicazioni e i commerci avvenire, Nordenskiòld s’ è acquistato pure quello d’ aver fissate alcune importanti posizioni . geografiche nell’ isola di Nova Semlia, rilevate profondità marine, e contri- buito essenzialmente a correggere le carte delle foci dell’ Obi e Ienissei, intorno alle quali esistevano da lungo controversie e quindi non lievi errori di parecchi gradi. La nuova carta normale trovasi nel 22. volume delle pubblicazioni di Petermann.' L’ altra spedizione all’ Ienissei intrapresa da Nordenskiéld nell’ estate del 1376 e che durò dal 25 luglio ‘al 18 settembre fruttò nuove prove contro quella siffatta opinione riguardo il mar di Kara, come pure alcuni risultati meteorologici, che senza dubbio hanno militato in favore della spedizione svedese del 1878. Mi basta di notare qui, che passarono lo stretto di Matoschin, tra- versarono il mar di Kara e giunsero senza impedimenti di qual- che rilievo all’Ienissei, dove si fecero regolarmente osservazioni della temperatura dal 16 agosto al 1. settembre. Gli estremi in terra furono: il 16 agosto: minimo + 136° C. massimo + 20-4° C. il 351 agosto: minimo + 1‘3° C. massimo + 5-5° C. Nel predetto intervallo il fiume alla superficie offriva quasi costantemente da + 12° a + 13°, ed in nove passi d’ acqua + 11° C. Il suolo non appariva coperto di neve. Non bisogna dimenticare, che dalla bassa temperatura degli ultimi d’ agosto osservata in terra non è lecito di trarre p. e. la conseguenza, che verso la metà di settembre essa in mare sarà forse tale da rendere vano qual- siasi passaggio; perocchè è un fatto, che i massimi edi minimi an- nuali in terraferma non coincidono con quelli dell’ acqua marina, — 146 — ma bensì li precedono talvolta anche di molte settimane. Riflettas i ancora, che le osservazioni di Nordenskiòld sono fatte in due set- timane di un anno solo, ed hanno valore soltanto per quelle date posizioni. Tutto ciò credetti opportuno d’ osservare, affinchè non sembri assurdo quanto dice Nordenskiéla della navigabilità del mare di Siberia al principiare d’ autunno. Durante il viaggio del 1876 risultò per la storia naturale una verità inaspettata. Una vecchia opinione voleva assai meschina la fauna del mar di Kara e traeva argomento in suo favore dal- l'enorme quantità d’acqua dolce, che 1’ Obi e 1’ Tenissei versano annualmente nell’ oceano polare. Il Dr. Stuxberg, zoologo speciali- sta e compagno di Nordenskiòld, asserisce invece con fondamento, che il mare di Kara per ricchezza e varietà d’ animali può con- correre liberamente coi mari di Spitzbergen, di Groenlandia, d’ 1s- landa e dell’ America artica. Le prove relative saranno ostensibili nel reale Museo svedese, che per le raccolte d’ animali marini po- lari è sulla via di primeggiare. . Per la geografia nautica mi sembra sommamente importante il consiglio di Nordenskiéld riguardo il passaggio nel mar di Kara. Essendo il mare all’ estremità boreale di Nova Semlia libero da ghiacci ordinariamente soltanto verso il principiare di settembre, dunque a stagione già troppo avanzata per proseguire verso l’ Asia, raccomandasi per ciò piuttosto lo stretto di Matoschin, che divide quell’isola in due parti a circa ,731/,°—73!/,° N. È meno molestato dal ghiaccio galleggiante, se anche libero appena colla seconda metà di luglio. All’ imboccatura orientale esso offre buoni porti e per quasi 100 chilometri, che è la sua lunghezza, è profondo; qualche banco, che v'occorre, è oggimai notato con precisione. Altri due canali conducono nel mar di Kara: lo stretto di Jugor (fretum nassavicum), e quello di Kara. Questo s° insinua tra Nova Semlia e l’ isola di Vaigatz, quello separa l’ isola di Vaigatz dal continente. Tanto l’ uno che l’altro si raccomandano meno per il passaggio, perocchè sebbene sieno già per tempo liberi, vengono più frequentemente visitati da ghiacci galleggianti, i quali progredi- scono e si ritirano alternando a cagione della marea e delle locali correnti marine. Se Nordenskiéòld nell'ultima spedizione preferì lo stretto di Jugor, ciò dipende probabilmente dalle condizioni favorevoli della stagione. | — 147 — La migliore epoca per giungere a Porto Dickson (ec. 73%/,° N. 81° Lev. Gr.) direttamente e senza arrestazione sarebbe quella tra il 10 e 15 agosto. Incoraggiato dall’ esito di due viaggi, il prof. Nordenskiòld maturava nella mente una nuova e grande spedizione che, come già sappiamo, doveva intraprendersi quest’ anno. A me sembra degno dell’ opera di mostrare come il celebre esploratore fosse accorto nel calcolare ogni eventualità onde assicurarsi il buon successo anche questa volta, ed è perciò che io lo seguirò in alcune argo- mentazioni, che egli stesso ha trovato opportuno d’ esporre*). La questione del passaggio Nord-Est sino a quest’ anno ridu- cevasi ai seguenti termini. Dai viaggi svedesi era oramai provata la certezza di poter arrivare nell’ estate inoltrata direttamente per mare dal Capo Nord d’ Europa alla foce dell’ Tenissei. Trattavasi ora di ten- tare il diretto passaggio con un bastimento da Porto Dickson fino all’estremo capo orientale d'Asia. E anche qui conviene osservare, che la parte più ardua del problema era ridotta a toccare direttamente il Capo Celiuskin e superarlo, beninteso per mare, perocchè se qualcuno aveva già raggiunto quell’ estremo punto horeale del continente, ciò fu per terra, e precisamente nel viaggio di Celiuskin fatto nel 1742 in islitta, dal luogo di partenza 75° 40‘ N. sulla baia di Taimyr, mentre il mare intorno era interamente gelato. Meno dif- ficile doveva all’ incontro riuscire nei mesi propizi un viaggio at- traverso il mare di Siberia dalla parte orientale della penisola, la quale porta il Capo Celiuskin fino allo stretto di Bering, dunque per circa 85 gradi di longitudine. Ciò viene provato dalle spedi- zioni del 1735 e del 1739 mandate dalla Russia allo scopo di fissare i contorni boreali dell’ Asia; partendo dalle foci del Lena esse s’erano avvicinate di molto al Capo Celiuskin, ma non avevano potuto toccarlo per mare. Dal fiume Lena allo stretto di Behring il tragitto era già riuscito, se non in una volta sola ed allo stesso individuo, ma pure a riprese secondo ci consta dalla navigazione di avventurieri russi nel sec. XVI, di Deschney nel 1648, di Bering nel 1729, e nel 1778 di Cook, il quale venendo dal lato d’ America s’ inoltrò verso Ponente fino a 180° long. Il baleniere Long, il quale era. partito con altro proposito che quello di fare delle scoperte, nell’ agosto 1867 s’ avanzò fino a *) Vedi Patermann 1878, pag. 67--70 e 141- 150. — 148 — 170° Lev. Gr. lungo il litorale siberiano; egli assicura, che riteneva eseguibile un viaggio diretto dallo stretto di Bering intorno l Asia settentrionale fino all’ Atlantico. | Stando a questi fatti, si viene rassicurati nella probabile riuscita d’ un passaggio NE. vie più, avendo oggidì a propria dis- posizione il vapore: per cui non s'è costretti, come facevano i velieri, di consumare forse il miglior tempo pell’ impresa in cercare un sito opportuno a svernare, mentre tra il finire dell’ estate ed il principiare dell’ autunno il mare in quella parte è libero dai ghiacci. Si consideri ancora una cosa di gran momento, quella cioè che gli odierni viaggiatori artici dispongono di vaporiere costruite ed armate appositamente per i mari glaciali, mentrechè per lo pas- sato i navigli erano piccoli battelli a vela ed affatto inetti a su- perare le difficoltà dei mari polari. V'è un altro fattore ancora nel calcolo di Nordenskiòld, che certamente accresce la probabilità d’ arrivare al Capo Celiuskin nella seconda metà d’ agosto senza incontrare un qualche ostacolo considerevole a cagione del ghiaccio. Intendo i due grandi fiumi della Siberia occidentale, che nella stagione estiva versano in mare una enorme quantità d’acqua calda”), la quale a guisa di pode- rosa corrente a cagione della rotazione della Terra devia poscia più verso Est, dunque si mantiene favorevole alla rotta verso quel promontorio, e contribuisce al liquefarsi di non piccola quantità di gelo. La stessa osservazione facciasi del Lena, il più gran fiume della Siberia di là del Capo Celiuskin. Contro le prefate correnti, generate dai fiumi, reagisce una corrente marina meno calda, che a cagione pure della rotazione della Terra devia verso Ovest e stipa i pezzi di ghiaccio galleggiante lungo la spiaggia orientale di Nova Semlia, dove verso il finire dell’ estate essi vengono sciolti, come ce lo attestano le prove avute da Nordenskiéòld e dai balenieri norvegiani. Da tutte queste premesse, che invero sono molto bene pon- derate e prive di qualsiasi esagerazione, vedesi che il passaggio Nord-Est potrebbe effettuarsi senza quei gravi inconvenienti che vengono principalmente dai ghiacci polari. La rotta preliminata da Nordenskiòld parte dalla Norvegia settentrionale direttamente per lo stretto di Matoschin fino a Porte *) Vedi le temperature indicate sopra. — 149 — Dickson, dove la spedizione arriverà nella prima metà d’ agosto . da Porto Dickson prosegue direttamente al Capo Celiuskin, poscia verso lo stretto di Bering, al quale sperasi d’ arrivare prima della fine di settembre; oppure, se dall’ inclemenza della stagione polare si fosse costretti di svernare in Siberia, durante la prossima estate. Nell’ eventuale interstizio di tempo si farebbero in gran copia variati studi sull’ interessantissima natura artica. Nel progetto è pure contemplato di deviare alle volte dalla rotta diretta verso N.E. al fine d’ esaminare, se il mare di Siberia venga separato o meno dal rimanente oceano per mezzo di una serie d’isole, di cui potrebbero essere parte la Nuova Siberia e la Terra di Wrangel. Passando ora alla storia dell’ ultima spedizione svedese io mi limiterò ad accennarne i monumenti principali, e notare il suc- cesso finora conosciuto. Allestito un battello apposito, la “Vega,, per la maggior parte a spese del benemerito commerciante ed armatore di Go- temburgo sig. Dickson, la piccola nobile compagnia con Norden- skiéld a capo lascia Gotemburgo il 4 luglio. Arrivati a Tromsò, alla Vega s’ associa il 18 dello stesso mese la “Lena,, bastimento armato dal mercatante sig. Sibiriakoff. allo. scopo di accompa- gnare gli Svedesi e di cercare contemporaneamente profitto com- merciale. Le due vaporiere unitamente ad altri due piccoli legni di Sibiriakoff salpano indi il 25 luglio e dirigono verso Est. Come era da prevedere, il viaggio fino. a Porto Dickson at- traverso lo stretto di Jugor s’ effettuò .senza inconvenienti e con ciò venne provata con un nuovo fatto la primiera asserzione di Nordenskiòld, essere cioè aperta nella stagione propizia una via ma- rittima diretta tra l’ Europa e la foce dell’ Ienissei. Gl’ interessanti particolari su questa parte della spedizione trovansi in una lettera, che il prof. Nordenskiòld il 7 agosto da Porto Dickson scrisse al suo fautore di Gotemburgo*), e nell’altra scritta lo stesso giorno dal sottotenente di vascello sig. G. Bove a S. E il Ministro della marina italiana**). E come riuscirà poi la seconda parte del viaggio ? supereranno essi l’arduo passo del Capo Celiuskin? o forse ve li attende il *) V. Petermann 4878, pag. 430—434. **) V. Rivista marittima, Roma 1878, fasc. XI pag. 243—254. Jo: — 150 — terribile nemico, il ghiaccio polare, che arresterà i prodi, nonchè la grande aspettazione del mondo geografico ? Tali potevano essere le domande, che andava ripetendo a sè stesso chi con attenzione segue la storia delle scoperte. A troncare la nostra perplessità, ecco divulgato rapidissima- mente da Gotemburgo, dove comparve per la prima volta nei gior- nali, il seguente dispaccio: «“JTakutsk, 16 ottobre: Felicemente arrivammo il 27 agosto »davanti la foce del Lena, dopo. aver superato il 19 Capo Ce- »liuskin. Il mare era quasi senza ghiaccio. Proseguirò immediata- »mente verso lo stretto di Bering ed il Giappone. Colà potremo sricevere le vostre lettere, che dirigerete senza indugio a Jokoha- »ina. — Nordenskiòld,,. Per ordine del ministro della marina svedese veniva pubbli- cato quest’ altro dispaccio : «Takutsk, 16 ottobre: Siamo arrivati alla foce del Lena il 27 sagosto. Proseguiremo subito verso Est. Sperasi d’ arrivare ancora sin questa stagione allo stretto di Bering; il mare è quasi senza »ghiaccio. Tutto bene. — Cap. Palander,,., Così noi siamo lieti di trovarci innanzi un grande avveni- mento geografico, che fu compiuto nel breve spazio di due setti- mane e giorni, e che superò certamente le speranze dello stesso Nordenskiòld: è sciolto dunque il vecchio problema del passaggio Nord-Est, e la spedizione ha raggiunto l imboccatura del maggior fiume, che abbia la Siberia orientale. Acconsentendo noi a ciò, che Nordenskiòld s’ attende ancora quest'anno, a ragione supponiamo, che fra non molto ci sorprenda l’altra buona nurva, che cioè la spedi- zione svedese ha percorso in una stagione l immenso tratto del mar Artico, che s’interpone tra la Scandinavia e lo stretto di Bering. M°è debito d’osservare ancora che quei dispacci dalla foce del Lena furono recati a Jakutsk, capitale delle regioni di là del Baikal, a bordo della vaporiera Lena, che aveva accompagnata la Vega e rimontato l’ omonimo fiume, fino a quella città. C° è da aspettarsi anche «qualche notizia. scritta, qualche carta, qualche piccola collezione, che uno o l’ altro degli esploratori avranno pro- babilmente spedito per la via della Siberia in Europa. Se il passaggio Nord-Est effettuato in quest’ anno nella storia dei viaggi rappresenta un fatto tanto importante da doversi come tale coordinare a quanto di nuovo e d’ ardito seppero compiere gli esploratori. dell’ età passata, esso promette pure. per |’ avvenire —- 151 — d’ essere foriero di nuovo progresso. È cosa certa, che altri o tosto o tardi ritorneranno sulla traccia degli Svedesi e tenteranno la soluzione di quesiti scientifici, cui in gran copia offre la mirabile netura polare. L’ illustre nostro consocio Weyprecht in una sua memoria ha già indicata il disegno fondamentale dell’ indagine artica; Norden- skiòld alla sua volta prospetta i vantaggi, che ne verranno alle varie discipline scientifiche. Prescindendo da quella parte del mar di Kara già esplorata dal Dr. Stuxberg nei viaggi del 1875 e 1876, il mare polare dirim- petto la Siberia offre al zoologo ed al botanico un campo inten- tato. — Geologia e paleontologia troveranno nei terreni siberici qualche pagina memorabile della storia della Terra. La geografia, a cui per le regioni artiche è destinato un posto meno eminente che alle discipline consorelle, avrà più volte occasione di correggere quei contorni dell’ Asia ed il corso dei fiumi, di determinare la distribuzione di terra ed acqua entro i limiti dell'oceano polare, e d’abbracciare ancora nella sua sfera gli scandagli, 1 fenomeni delle maree e le correnti. — La fisica s’ attende soltanto in quelle remote latitudini una spiegazione sicura dell’ aurora boreale e delle incessanti perturbazioni magnetiche. A disposizione della meteorologia non solo che restano le migliaia di miglia quadrate finora incognite, ma è indispensabile di fare una lunga serie d’ osservazioni regolarmente anche nei siti, che furono in parte esaminati; chè altrimenti sarebbe prematuro il voler stabilire leggi riguardo i tempi nell’ Europa boreale senza conoscere prima l’ andamento della temperatura e della pressione atmosferica, l umidità e i venti nelle regioni polari; e mancandoci una base sicura pei fenomeni meteorologici della parte boreale europea, ne segue, che non potremo sufficientemente renderci ragione di quelli, che accadono nei paesi di minore latitudine. E qui mi piace di ripetere le stesse parole autorevoli di Weyprecht: “.. tutto »ll movimento atmosferico del nostro globo si fonda nello scambio »dell’ aria calda e della fredda, dell’umida e dell’ asciutta tra i spoli e l’equatore. Seguendo i luoghi della minima pressione del- »l aria s’ è trovato, che nelle lontane regioni artiche debba cer- »arsi l’ origine della maggior parte di quei tremendi uragani, che »funestano d’inverno l Enropa. Ma ci manca del tutto il mate- yriale per la sezione terrestre sita di là del limite glaciale; per »cui fino a tanto che non abbiamo anche quello, imperfette restano dai — 152 — yle nostre teorie dei. venti e degli uragani,. — “Si sa, che gli sàmmassi di ghiaccio vicini ai poli devono influire sulla distribu- pzione del calore di tutta la superficie terrestre ed eccoci la. base »della meteorologia. I ghiacci delle regioni polari potrebbero anzi sessere regolatori delle nostre condizioni climatiche,. Questi quesiti ed altri simili riguardano più la scienza... Ma c’ è un altro interesse che Nordenskiòld mette in vista e connette colla buona riuscita della sua spedizione, vale a dire un regolato commercio marittimo avvenire per. 1 esportazione di prodotti dalla Siberia. Io credo che per giudicare favorevolmente di tale proba- bilità, basti premettere utili siffatte speculazioni, tener. conto delle difficili vie per terra e del tempo che. ci va consumato, e d’ esa- minare le vie acquee della Siberia nonchè i prodotti atti a mante- nere rapporti commerciali di rilievo coll’ estero. Dalla Scandinavia ai porti dell’ Ienissei, come sappiamo, è aperta una via diretta per mare. È probabile che di qualche gio- vamento si mantenga anche l’ altra da Porto Dickson alle foci del Lena, da dove condurrebbe allo stretto di Bering, dunque ai paesi del mare di Bering, un’ altra via diretta, se i risultati della spe- dizione svedese si mostrassero conformi all’ aspettazione. Dalle spiagge dell’oceano glaciale poi s° aprono verso l’ interno della Si- beria tre poderose arterie fluviali, navigabili fino ai suoi confini me- ridionali, dunque fino alle porte dell'impero chinese. L’ Obi, 1° Ie- nissei, il Lena coi loro grandi affluenti presentano una magnifica rete di fiumi, che per mille e mille miglia geografiche. offre la miglior e più economica via di comunicazione attraverso quelle sterminate contrade tra i centri produttivi dell’ interno, come pure tra questi e la costa settentrionale. Essendochè queste acque si liberano dai ghiacci nella stagione in cui il mare è ancora im- praticabile pei navigli, durante la prima parte dell’ estate resterebbe il tempo necessario a trasportare le merci nei depositi litorali, da dove verrebbero levate nella stagione propizia e trasportate pei lontani luoghi di destinazione. Riguardo poi al prodotti è noto, che la Siberia alberga più d’ogni altra regione del mondo antico animali da pelliccia, dei quali ancora oggidì si sostentano tribù intere di cacciatori. ‘1 mari della Siberia danno grande quantità di pesci, cetacei e foche e nei bacini fluviali. trovasi 1’ avorio fossile. Alle regioni tempe- rate, che producono cereali, succedono le subartiche colle loro foreste di betulle, larici, pini ed ‘abeti. Vi rappresentano la ricchezza — 153 — minerale 1° oro principalmente, il ferro ed il rame, 1’ argento ed il platino, le pietre preziose ed il grafite, che già da molto tempo sono divenuti oggetto di traffico. Nessuno vorrà pretendere, che la via trovata da Nordenskiold, sia essa pure limitata sino alla foce dell’ Ienissei od accompagni tutto quanto il litorale della Siberia, costituisca nella storia del commercio un fatto tanto importante come l'apertura del canale di Suez; ma. se si consideri p. e. che per il trasporto dei massi di grafite dalle montagne del Baikal fino nella rinomata fabbrica di Faber a Norimberga, per un tratto non minore di 1000 miglia geografiche, ci vogliono da 6 a 7 mesi, che all’ uopo bisogna sce- gliere la stagione cruda, che le spese relative sono grandissime : sì converrà che la via marittima ha il suo avvenire. Trieste il 7 dicembre 1878. Da notizie arrivate posteriormente, come era d’ aspettarsi, rileviamo alcuni particolari interessanti sul viaggio di Norden- skiold dalla foce dell’ Ienissei a quella del Lena. Vi fu raccolto un ricco materiale per la zoologia e. botanica, che verrà reso di pubblica ragione ritornata che sarà la spedizione in Europa. Quanto più innanzi si procedeva verso l’ estrema punta boreale dell’ Asia, tanto più aumentava la salsedine del mare e tanto più ricca diveniva la vita organica nel fondo, mentre invece la terra vicina risaltava nella sua povertà d’ animali e di piante. In seguito sapremo anche le cose particolari che spettano alla geografia di quel lembo d’oceano e di continente, che fu esa- minato per quanto le circostanze lo permisero. Basti intanto d’ac- cennare, che furono trovate per la prima volta numerose isole, le quali accompagnano quel litorale siberiano, e corrette varie posi- zioni geografiche. Così la punta settentrionale dell’ isola Taimyr non si spinge tanto a Nord come sulle carte; non esiste in realtà quella grande pancia onde raffituravasi finora il lato orientale della terra di Taimyr; tanto esso che l’isola di Preobrascenie sono da spostarsi di circa 4° verso Ponente. Il Capo Celluskin è una lingna di terra, che insensibilmente s° abbassa al mare ed è biforcata, sicchè la punta occidentale fu trovata, a 77° 36‘ 37% N., 103° 25‘ 30‘ Lev. Gr., e l’ orientale‘ a T790:41” N; 104911" Lev.'Gr. Corrosione dei metalli nell'acqua marina del Prof. Aug. Vierthaler. Per rilevare quantitativamente la corrosione dei metalli nel- l’acqua marina feci durare la reazione reciproca per 3 mesi man- tenendo costante il volume dell’acqua, ‘ripristinando con acqua distillata il volume perduto per cagione di evaporazione. 1. Gm. 179:2 di piombo (laminato) vennero riposti entro 500 © €. @ 2.» 100°0 ,, rame (laminato) a a sti bs 3. » 405 , zinco (laminato) S e iu RO x 4. , 1289 , acciajo(vergaquadratica1C0.C.), SA I 5.» 115:2 , stagno (verga prismatica2C.C.), an UE & 6. » 126:5 » cadmio ” » » ” » ” ” (f ” 86:0 » bismuto ” » » ” » ” ” dop 0991.» ADUMONDIO: ;, È seta Agpirra da DI PA 3:75, alluminio (laminato) N PR 1 (1) per 10..;3°7 .78:9°),:ottone 2 > Sandbllo: e bi i ASI ILVA ns ro page gi La corrosione progredì rapidamente nelle prime due settimane precipitandosi sopra il metallo e .sul fondo del recipiente |’ idros- sido metallico in forma voluminosa, il piombo rivestendosi con uno strato di solfato e di cloruro. Dopo l’ estrazione del pezzo metallico, e dopo avere diligen- temente levata la superficie metallica con acqua distillata bollente, = bb — si determinò nel liquido salso il contenuto metallico passatovi per effetto di corrosione. Gm. 0-163 solfuro di piombo (PbS) corrispondente a Pb 0-141 1 2. , 04 ossido di rame (Cuo) » Cu 0320 L02900 » zinco (Zno) » Zn 0206 deal 080 » ferrico (Fe 0) » Fe 0:560 5.» 0055 biossido di stagno (Sn 05) » Sn 0:043 6. , 0:022 ossido di cadmio (Cd O) >» Cad 0.020 W0l0t (0:0055 VV bist (Bigol »s Bi 0049 8. , 0:024° .,. antimonico (Shy 0,) » Sb 0-018 Sele 0:178 00, dialtumimio (Ak0.) » Al 04084 0035... di rame-(Cu 0) » Cu 0:028 10.» |jo10 , di zinco (Zn 0) > Zn 0-080 (0:027 , di rame (Cu 0) >» Cu 0:022 EI 104 , di zinco (Zn 0) , Zn 0:037 Risulta quindi per 100 parti del metallo (lega) una perdita di Grammi 0:08 piombo 0-32 rame 0-50 zinco 0:43 ferro 0:03 stagno 0:02 cadmio 0:06 bismnto | | in 500 C. C. acqua marina 0:02 antimonio in 2 2:50 alluminio 00 C. C. acqua marina 0:03 rame 0-10 zinco Ouone in 500 C. C. acqua 0:04 rame | marina 0:08 zinco | unta Supponendo la corrosione progredita in proporzioni uguali in una quantità maggiore di acqua marina, risulterebbe per 1 litro un consumo. di metallo : Grammi 0:16 piombo 0:64 rame 1:00. zinco f Grammi 0:86 I 0:06 0:04 0:12 0:04 12:50 0-06 0:20 0:08 0:16 — 156 — ferro stagno cadmio bismuto antimonio alluminio rame zinco rame zinco | | ottone muntz. Bronzo antico di S. Daniele (Carniola) del Prof. Aug. Vierthaler. La fibula descritta dal collega Dr. Marchesetti (vol. IV pag. 938) è nell’ interno di colore rossiccio e somigliante a rame puro. l gr. del bronzo diede nell’ analisi chimica : gr. 0:031 di biossido di stagno » 0017 , solfato di piombo » 0091 ,, ossido ferrico » 1381 , rame metallico, del resto traccie soltanto di nichelio ; ossla : gr. 0:0244 di stagno » 0-*0115 , piombo 1)-.0:0637 |; Terro » 13810 , rame traccie di nichelio. Quindi risulta la composizione centesimale della lega come segue: stagno... bor èro P64 Ale, agio lano are piombollmo"rt.t., Apo 080 Sento. dg Me ZO nichelio traccie 99-79 Secondo il contenuto scarsissimo di stagno ed elevato di rame e di ferro si avvicina questa lega alla composizione di alcuni bronzi dell’ antico Egitto, come si potrà rilevare dalla seguente enumera- zione delle analisi fatte sui bronzi antichi i più importanti. — 158 — Analisi di bronzi antichi. ° "rel 32 3 | S Nome i = in! b) =©| £ 2 ° dell =’ ari (cb) (Par) SE 4 | © | analizzatore o fd (os) si N A. Bronzi della Svizzera (epoca lacustre). Mazza di Morsee (lago di Ginevra) . 88:25] 9:26] . s È 1:85 Lama di coltello ‘ lago di Fellenberg Neuenburg) . , +|8838| 9:50]. 2 NR ik) a Mazza (lago di Biel) . .|88:48|10-58| 0:27) . pd Ra I; ,, sE Spada di Egg in Zurigo .|88:89| 9:35) 0-16). . | 0-46 ,, DI Braccialetto di Sitten in 25 Wallis. . - 6 1|B9:98| 7:26] 1:99 0, alza n 88 Catena di Kirchthurnen .|83:15| 8:20| 5-88| . . | 068 SRETDA Spranga di Morsee . . .|81‘65|12:42| 5:06 0:65 Sa pe Caldaja di un tumalo sà (Grauholz) . . . . .|84:63/15:09| . £ p 0:13 EE Vaso di Russicon. . . .||85:43|13:48| . i o i ; la Urna di Rances . . .||88:67| 9-80| 1:23) . ‘ 0‘18| . 3 ; pi E Vaso gettato di Russicon .|76:40/21:29| 1-18). | 1508 a” B. Bronzi di Hallstatt. Mazza (Palstab) . . . .|89:07| 9:60] 0-50] 0'26| . | 0:57] . 7 5 Fellenberg Bottoncino . . . .|85-19|13-22| 0-70] 0*19| 0*16| 0-54]. . ì » Ago con testa rotonda . .|87:97| 9-56| 1-66| 0-13] 0‘22| 0/46 3 , con più testoline . .|68-:29/11:95|) 072) 0*31| 0:32) 0:41| . : { È Braccialetto massiccio . .|87 26|11-61| 0-49] 0*15| 0*10| 0:39). 3 s ti a simile . . .|88:86] 8:85| 0:93] O°21| 046] 0:69 si cisellato, vuoto |89:14| 9-90) 0*38| 0:18] 0*10| 0:34 O Fibula spirale :.< . >: “.|89*82/10:28] .. | O:d4 004 0:22)! . ; i "i > s‘mile. . . . .|89:92| 9-02|trac.| 0°06| 0:14] 0-74| 0:04| 0*13/0:007| Schròtter 3 con bott>ncini . .|88-20|10-09| 1-16] 0*08| 0*06| . | 0:41|.. E Fellenberg Lamina di cinto . . . .|87:98/11-05|] 0-61| 0:19) . 0:63) 0-18 ie Pi af a]B102] 6518 , sti | MO:66}0t 7 ; ; Schròtter Anello i0.. \20t 7, 00 O : i ; è È, 9 se |P1:-73| 6-91 ler-ge | RI ; 6 Lamirig 4! 15 Q1bVar9, 00922 7007-29]) 0 i 1 : È . . || Sommaruga Bottoncinont iaiata: 1h ei994t1|6:89l0 è ‘ i i a x ? $ Ago —* PER RISOLTI 4 Li VAL ZA E . £ n Anello grigio 3 GILDA 90482073 1 984?) a ; È È C. Bronzi dell’ Egitto. Moneta di Tolomeo IX. (70 a. Cr.) ks Se - Pugnale . Punta di tomba. . Chiodo (antico Egitto) . Scalpello di Teba. . . Bronzo di Ninive freccia da una D. Brouzo della Carniola. S. Daniele — Fibula . Piombo tolto dal- l’anello d’un Cesto » E. Bronzi celtici e germanici. _ {l Punta di freccia celtica {| Spada celtica (Giessen) ” (Riigen) . | Bi Pugnale celtico (Riigen) È 3 | Anello c Statuetta celtica (O1den- | burgo | | Statuetta. celtica” (Olden ; | burgo) ì Arma celtica (Brema) Punta di lancia celtica | (Brema) bia i È Arma celtica || Mazza celtica (Boemia). | Mannaja |, | Mazza di Landshut (colore $ rossiccio). . | Mazza di Landshut (colore | giallognolo) . | Bronzo inglese antico JI Mavris) LEO È Pe È | Punta di lancia antica (Dayrig) 84 . |... |, I — 159 — 84.2| 156 85 14 | I 76:6| 22-2 5 100 : 5 trac, 94 Deb ee 0°1 88-03) O*11| 3:28) 4:06 | . ||93-06| 1:64| 0-80) 4:29 100 | trace 70:3|24*53| 5:20 Ol:9l 26% 0708 88 12 ; 84:8| 15:2 92 8 92-6| 6:3 1:0 85-:4| 122] 1:09j 0-6 91:9) 6-8] . 0:3 90-6| 8-2 0:3 88 112 È 94:6| 43 0.4 92°4| 52 0-4| 83°3| 16-7 75 25 | | | 85:2) 13-1 L'1 | 90:9| 9-6 argento 1.7 cobalto tr ° eri ° 3 ©) 22; MAE Sk E © Ss S SIE $ = s n 8°92/. 0*60 al. 03l°, ù : 3 1:4 | zolfo 0:3, Î | | il Ì Î Nome dell’ analizzatore Philipps (Ann.d.Chem. u. Pharm. 81. 206) Vauquelin Fellenberg Olivier Fresenines Hihnefeld e Picht » » Kiiuzel Clarke Stolba Hawranek Wimmer » Danovan — 160 — (°) LI | BEPeBE E | Nome Lil is| #85 8) lei del E s | SIE SA S| £ | "< | analizzatore Bronzi celtici e germanici. | Urna d’una tomba. di | Tschudi (Altai) .|80'27|19-66] . 3 ; : Lele i ; Gohbel d'una tomba , .| 73:39/26:74| . E 7 ; 3 È ; 3 Statuetta ù 2 » <-|67:97| 9-83] 2.50 ; È ainsi 04:50] 675) 175) |. 1 ANNE SE* i * Spillo dell’ autica Inghilterra 84:27] 2:36| . de Ul DATA : : Church Braccialetto 86:49] 6 76| 4-41 1:44) . s A Anello di Gallia (Alsazia) 89-71] 7:78] 1:29| 0:52) 0:41 | E. Kopp 5) È 5 5 84:76/13:31 i 80) trac.| 440 » | Nome ° 2 8 Ù | 2 | "i S 5 n dell i 3 | IS 2 = DR analizzatore = 2 2 Se & F. Bronzi di Grecia. [ Moneta dell’ Attica antica 87:9 11‘6 i 018 : Ullich | A n Lo ci 88-5 10 15 ; È Mitscherlich I È a È 88:8 9-6 i deo, Ò Heldt s di Macedonia . . . 88 11:4 i x : Monse » di Alessandro il grande 96 3:2 0:8 4 : Schmid seg 2a È 86-8 10:3 15) ) i Wagner i 86-8 13 | ) : Phillips | ì; > Siracusa (4782. Or) 942 5°5 L 0:3 . » di fi 7 Atene 0 88:38 100 0-6 0:3 È » | ; neh _GEMIBNLORO 10:9 55 Y 5 Wagner » — dell’ epoca romana . | 764 dei 165 3 s Mitscherlich |} | » di Filippo III (Maced.) || 90:3 94 ; | Phillips go, Mito i, 851| 111 28 04 |. - [ia Rlmosdi Corte 81:5 181 È : : Davy È Fibula siciliana . . . . | 889 11 ; 3 : Klapproth È G. Bronzi romani. Ri Ass romano (colore ferro) di 500 a. Cr. . 69*7 72 21:2 0:5 ‘ Phillips | : a LE II 5:98 24:37 x î Commaille | Quadrans (500 a. Cr.) . . |9#1 bo) 04 A Phillips iI Media di sei monete del- ; i l’epoca imperiale . . 85:99 | 11:5--8)) 08-46 4 Girardin @ Monete di Domitianus (81 Ù a è E 98:92 1:08 i é è Commaille | Bronzo antico dell l epoca | imperiale . . 876 6-1 6*1 A : Anello elastico (Rhenania). 9i 9 . ; : | Klapprolh Mazza gallio-romana. . . ||77:77| 19-61 3 | : 3 Girardin — 161 — Letteratura : Klapproth — Chem. Beitr. 6. Erdmann’s Journ. 40. 371, Phillipps (Annal. d. Chem. u. Pharm. 87. 206). Mitpherlich, Ullich, Marchand, Wagner, Monse, Schmidt (Erdmann’s Journ. 40. 374. Girardin ibid. 60.49 Hawranek d 69. 444. Moessard pà DALTODD: d’ Arcet e Girardin (Annal. de Chim. Phys. 54. 331). Schrotter — Sitzungsber. d. k. Akad. d. Wissensch. XXXVII. (1861) 174. Gobel — Ueber den Einfluss d. Chemie aut die Ermittlung der Véòlker der Vorzeit. Erlangen 1842. 27. 28. Fellenberg — Mitth. d. natuf. Gesellsch. zu Bonn 1860. 1861. Kiinzel in Erdmann’s Journ. 72. 213. Commaile — (Chem. Centralbl. 1364. 559). Stolba (Erdmann’s Journ. 207. 139). Olivier (Wagner’s Jahresher. [1865. 158] 1866 80). Kopp (Erdmanns Journ, 207. 139). F. Wibel — Die Cultur der. Bronzezeit. Nord- und Mittel- Europas — Kiel 1865. V. Sacken — Das Grabfeld von Hallstadt — Wien — Brau- miiller 1868. Particolarità della Flora d’Isola di C. Dr. Marchesetti. Chi segue la costa portuosa dell’ Istria, che s’ estende fra Trieste e Pirano, si abbatte improvvisamente, frammezzo ad un rigoglioso verdeggiar di pendici, ad uno spesso succedersi di campi ubertosi, di prati variopinti, di saline, di piccoli paduli, in un’ esigua collinetta, che a guisa di promontorio protendesi in mare, e per l’ aspetto differente dalle circostanti campagne, attrae tosto lo sguardo del viaggiatore. La sua hase, su cui a. volte affaticasi l’onda crucciosa del mare, ci si presenta bianca e denudata, men- tre a suoi fianchi privi d’ alberi e d’ arbusti, va tristamente ser- pendo sul poco terriccio rimasto tra sasso e sasso, una vegetazione quasi esclusivamente erbacea. In altri tempi questo promontorio pare fosse staccato dalla terraferma, però colmato le stretto brac- cio di mare, che vi si interponeva, trovasi al presente ridotto a penisola. Al suo lato volto a mezzogiorno sorge il paesello d’Isola, mentre la parte opposta giacesi del tutto incolta. Però ad onta della sua esiguità questa breve lingua di terra è uno dei punti più interessanti della flora di Trieste, per cui forse non del tutto superflua potrà riescire una succinta descrizione delle sue parti- colarità. Volgendo uno sguardo alla carta geologica dell’ Istria, si vede che tra Duino e la Punta di Salvore, formati ambedue da calcari eretacei, si interpone un vasto triangolo di terreni eocenici, la cui hase è rappresentata dal tratto di costa, che unisce i due punti precitati, ed il cui vertice verrebbe a trovarsi nei pressi di Pin- guente. Il lato settentrionale di questo triangolo, che è il maggiore, — 163 — misurando circa 50. chilometri, s° erge ritto e dirupato, come una muraglia rocciosa e continua, ad un’ altezza di 300 a 400 metri, lacerata solamente nei pressi di Bagnoli da una lunga spaccatura. Il lato meridionale, molto più breve (c. 38 chil.) non ha che una altezza mediocre, e segna il principio della regione collinesca, ond’è increspata la superficie dell’ Istria australe. Ambidue questi lati vengono bordati da una striscia più o meno larga di calcare num- mulitico: tutto il resto del tratto intercluso, è occupato da una serie di colline e di monti, formati esclusivamente da arenarie e da marne. Tra questa estesa regione di terreni arenari, è il promontorio d’Isola l’unico punto ove affiori un suolo calcare, ed i numerosi num- muliti, onde sono disseminate le sue roccie, ce lo dicono dell’epoca me- desima, cui appartiene quella striscia, che s’appoggia, come dicemmo, ai due lati di calcare cretaceo. Questo piccolo affioramento di calcare nummulitico, che oltre al promontorio testè citato, non emerge che per un brevissimo tratto delle campagne circostanti, trovasi racchiuso da colline marnose, che gli si addossano intorno a semi- cerchio. Compajono quivi, se anche in miniatura, le roccie ed i burroni del Carso, nè vi manca la caratteristica terra rossa. Però man mano che ci allontaniamo dal promontorio, sempre meno ap- pariscenti divengono questi. caratteri, dappoichè il terriccio tras- portato giù dalle circostanti colline marnose, ha ricoperto buona parte del suolo calcare, per cui a primo aspetto si crederebbe che il solo promontorio sia costrutto di questa roccia. Abbiamo dun- que innanzi a noi una piccola oasi calcare, circondata tutt’ all’ in- torno da terreni arenosi, per un raggio di 9 a 15 chilometri. Vediamo ora come vi si comporti la vegetazione. Si discusse calorosamente negli ultimi tempi, se più o meno la qualità del suolo influisca sulla distribuzione geografica delle piante, e non pochi corifei delle botaniche discipline scesero in lizza a sostenere con vari argomenti l’importanza del medesimo, od a negargli ogni e qualsiasi influenza. Quantunque il verdetto di una delle primarie autorità botaniche, di A. De Candelle (Geogr. bot. I p. 422), suonasse in isfavore, tuttavia vi furono accurati osservatori della natura, (tra i quali mi piace ricordare lo Stuhr, (Ueb. d. Einfluss d. Bodens etc. Sitzh. d. k. k. Akad. Bd. XX p. 70 und Bd. XXV p. 349) che ne’ suoi rilievi geologici avea avuto campo, forse più che altri d’ osservare le leggi che regolano la distribuzione delle piante), che vagliando coscienziosamente tutti. — 164 — i fatti, che militano pro e contro, e ponderando le cause acciden- tali e le apparenti eccezioni, riconobbero che non era possibile di negare alla natura del suolo un’ influenza decisa nella diffusione de’ vegetali. Il presente breve lavoro non ha per iscopo che di richiamare V attenzione sulle particolarità più notevoli della flora d’ Isola, per quanto esse stanno in relazione colla natura del terreno. Lo studio di piccoli distretti, i quali appunto per la loro esiguità permettono un apprezzamento più preciso di tutti i fattori, ci porge in tale questione i dati più importanti per giudicarne in proposito. Il solo promontorio può venir preso in considerazione, anzi solamente una parte del medesimo, perchè un buon tratto venne messo a coltura, o trovasi ricoperto dalle case .d’ Isola. (Il paese circostante, pel quale le roccie calcari, che qua e là sorgono dai campi o lungo i vari torrentelli, che discendono dalle colline, ci fanno testimonianza della sua natura geognostica, non ci presenta condizioni nette, per poter venir preso in considerazione, allorchè trattasi di studiare l’ influenza del suolo sulla sua vegetazione. La tura della roccia del sottosuolo non ha per questa che un’ impor- natanza secondaria, essendo in primo luogo la qualità del terriccio sul quale essa alligna, che ne determina l’ aspetto. Siccome però la maggior parte de’ dintorni d’ Isola, come già accennammo, ven- ne ricoperta da un poderoso strato di terriccio, risultante dal dilavamento de’ fianchi delle colline arenarie, misto più o meno alla preesistente terra rossa, così avremo un suolo, che dalla pre- valenza dell’uno o dell’ altro de’ suoi componenti, offrirà maggiore o minore opportunità al prosperamento delle specie proprie all’uno od all’ altro de’ due terreni. Osservando l’ elenco delle piante, che crescono in questo pic- colo distretto, ci colpisce tosto la quantità relativamente conside- revole di specie che trovansi unicamente sul tratto calcare e di cui manca ogni traccia in tutta la circostante regione arenaria. Esse sono le seguenti: Anemone hortensis L. Trifolium stellatum L. Ranunculus Chius DC. T. incarnatum L. v. Molinieri. Alsine verna Brtl. T. Cherleri L. Tribulus terrestris L. T. subterraneum L. Ononis reclinata L. T. resupinatum L. Anthyllis Dillenii Scehlt. Astragalus hamosus L. Medicago tribuloides Lam. Scorpiurus subvillosa L. — 165 — Hippocrepis unisiliquosa L. Plantago Coronopus L. Seseli Gouani Kch. Ornithogalum collinum Guss. Zacyntha verrucosa Grtn. Scilla autumnalis L, Teuerium Polium L. Poa loliacea Hds. Se ci facciamo a considerare i punti più prossimi ad Isola, ove crescono queste piante, troviamo a 9 chilometri sulle pendici che prospettano la Valle della Dragogna, 1 Alsine verna, 1 Anthyllis Dillenii, il Trifolium incarnatum v. Molinieri, il T. subterraneum, il Seseli Gouani, la Zacyntha verrucosa, l’Ornithogalum collinum; a 13 chilometri sulle collinette di Salvore, 1° Anemone hortensis, la Medicago tribuloides, il Trifolium stellatum, il Teucrium Polium e la Scilla autumnalis ; a 15 chil. nei dintorni di Umago, lo Scor- piurus subvillosa e la Poa loliacea; a 18 chil. sui campi di Fiin- fenberg presso Bagnoli, il Tribulus terrestris; a 25 chil. sui clivi di Duino, il Ranunculus Chius; a 33 chil. nei pressi di Parenzo, l’Ononis reclinata, il Trifolium Cherleri, l' Astragalus hamosus; a 42 chil. ad Orsera, l’ Hippocrepis unisiliquosa e la Plantago Co- ronopus, ed a 66 chil. a Pola il Trifolium resupinatum. Appresso a queste, che trovansi ristrette unicamente al tratto calcare, evvi un’altra serie più numerosa, le cui specie quantun- que compajano sporadicamente qua e là nella regione arenaria d’ Isola, mostrano tuttavia una decisa predilezione pel terreno cal- care. Qui appartengono il Papaver Argemone, l Alyssum calyci- num, il Dianthus prolifer e sylvestris, 1° Helianthemum Fumana, l Althaea hirsuta, 1 Hibiscus Trionium, la Genista sylvestris, il Trifolium lappaceum, striatum, nigrescens, la Coronilla scorpioides e cretica, la Securigera Coronilla, la Vicia dasycarpa, bithynica, Intea, cordata e peregrina, il Lathyrus Nissolia, sphaericus, Cicera ed annuus, la Rubia peregrina, la Bellis sylvestris, la Pallenis spinosa, 1! Apargia tergestina, il Rhagadiolus stellatus, il Cyno- glossum pietum, il Verbascum phoeniceum, la Saturoja montana, la Stachys recta, la Plantago serpentina, il Thesium divaricatum, il Muscari comosum, la Festuca ciliata, il Brachypodium dysta- chyon, l’ Hordeum maritimum, il Lepturus filiformis. A persuadersi che dal terreno e non da altre cause dipende questa diversità nella flora, basterà la considerazione, che per l' e- siguità del tratto calcare, non vi può essere alcuna diversità nelle condizioni climatologiche. Tutt’ al più prendendo a confronto il ter- ritorio immediatamente: circostante, si potrebbe cercare una causa nella minore umidità del suolo calcare. Però ad infirmare anche 12 — 166 — questo argomento, basta rivolgere lo sguardo ad alcune prossime pendici marnose, troppo note per la loro squallida sterilità, e si resterà convinti che in questo caso l umidità del suolo non ci ha certo grande influenza. Resterebbe ora a dimostrare, se il terreno d’Isola influisca sulla vegetazione, unicamente per la sua composizione chimica, 0 se non vi abbiano parte altre cause, che se ne stanno in nesso colla natura del medesimo. Se consideriamo le condizioni fenologiche delle piante, che vivono sui due differenti terreni del nostro distretto, possiamo osservare che a parità di elevazione e d’ insolazione, l’ epoca di fioritura delle piante, che crescono sul suolo calcare precede di parecchi giorni lo sviluppo di quelle, che allignauo sull’ arenaria. Questa precocità in piante identiche, che trovansi sotto le identi- che condizioni climatologiche, non può esser causata che da un maggior potere assorbente di calorico, che possede il suolo calcare in confronto dell’ arenaceo. Nè difficile riesce il persuadersi della verità di questo fatto. Se noi esponiamo ai raggi diretti del sole un pezzo di roccia calcare ed un pezzo d’ arenaria, troviamo dopo un certo tempo, che la pietra calcare si è maggiormente riscal- data che non questa. Esperimentando sul suolo, non occorre che introdurre un lungo termometro nel terreno ad un’ eguale profon- fondità e si vede che quello, che trovasi nel terreno arenario segna una temperatura di almeno un pajo di gradi inferiore dell’ altro. L’ elenco delle piante or ora citate, ci presenta un numero re- lativamente considerevole di specie proprie alle regioni più calde dell’ Istria, di cui parecchie trovano ad Isola il loro limite setten- trionale. Così non trovasi più traccia al di sopra d’ Isola nè della Anemone stellata, nè dell’ Ononis reclinata, nè della Medicago tri- buloides, nè del Trifolium stellatum, nè del Trif. Cherleri, nè del Trif. resupinatum*), nè del Trif. subterraneum, nè dell’ Astragalus hamosus, nè del Scorpiurus subvillosa, nè della Hippocrepis unisi- liquosa, nè della Zacyntha verrucosa, nè del Teucrium Polium, nè della Plantago Coronopus. Le altre specie ricompajono a Trieste 0 sulle pendici soleggiate di Duino. Tenendosi presente il fatto testè riferito, noi abbiamo una spiegazione naturale della presenza di questa flora speciale nelle #) Si mantenne per brevg tempo al Campo Marzio di Trieste, d’ onde è però scomparso. — 167 — qualità non solamente chimiche, ma pur anco fisiche del suolo sul quale essa alligna. Resta però sempre fermo, che la qualità del suolo è quella, che in primo luogo influisce sull’ aspetto della vegetazione, dappoichè i caratteri fisici, sì igroscopici che termici dipendono dallo stesso. Una lieve differenza nella composizione chimica del terreno, basta non di rado a far apparire una flora del tutto dif- ferente, e per restare nel territorio d’Isola, basterà rivolgere lo sguardo ai prossimi prati di Strugnano, ai quali la presenza del cloruro di sodio, porge quell’ abito particolare, che si designa col nome di /lora delle saline, e che consta delle specie seguenti: Lepigonum medium e marginatum, Tetragonolobus siliquosus, Bu- pleurum tenuissimum, Crithmum maritimum, Aster Tripolium, Inula crithmoides, Pulicaria viscosa, Sonchus ‘maritimus, Chlora perfo- liata e serotina, Erythraea ramosissima e spicata, Samolus Valerandi, Statice Limonium, Plantago Cornuti ed altissima, Salsola Kali e Soda, Salicornia herbacea, fruticosa e macrostachya, Halymus portulacoides, Atriplex rosea, Aristolochia rotunda, Triglochin maritimum, Juncus maritimus, acutus e glaucus, Scirpus mucronatus e maritimus, Carex Oederi, Crypsis aculeata, Glyceria Borreri, Molinia coerulea, Agropyrum elongatum e littorale, Hordeum maritimum, Lepturus fi- liformis, ete. Questa flora particolare, che appare più o meno com- pleta, ovunque trovansi terreni salsi, manca totalmente al tratto calcare, come pure alla regione circostante puramente arenaria. Così questo esiguo angolo di terra, finora obliato dai fitologi, ci offre alcune particolarità interessanti per istudiare quell’ intimo nesso, che passa tra la natura del suolo e la vegetazione che lo ricopre. Una passeggiata alle Alpi Carniche. di €. Dr. Marchesetti. Quando il sole infuocato d’ Agosto arde sulle pianure, e giorno per giorno riversando inalterato nuovi torrenti di luce e di calore, ha disseccato fin gli ultimi fili d’erba, e rapito alle selve la fre- sca verzura delle chiome, ed ogni essere animato sente il peso d’ un incubo, che lo grava, lo fiacca, l’intorpidisce; chi è allora che non provi il bisogno d’un’ aura più mite, più spirabile, d’ un cielo meno limpido, d’ una terra, che non porti le tracce d’ uno sterile squallore? Chi non vagheggia allora quelle linee vaporose delle Alpi, che si disegnano sul lontano orizzonte? Chi non prova un senso arcano di voluttà al pensiero, che tra quelle vaghe sfumature si cela un Eden di frescura, un mondo ignorato di monti e di valli, di boschi, di fiumi, di laghi? E chi non vorrebbe sfug- gire le lande isterilite, per slanciarsi tramezzo a quella natura vergine, a quel riso di fiori, e quell’ esuberanza di vita, allora al- lora sbucata fuor dalle lunghe nevi invernali ? E per vero nessuna parte della natura destò un fascino maggiore sulla mente dell’ uo- mo, di que’ colossi lanciati tra il cielo e la terra, di quei dorsi, che si accavallano |’ uno sull’ altro, di quelle cime nebulose, che giganteggiano con una legione di punte dentellate, di aguglie inaccessibili, di creste corrose dal lungo turbinio di selvaggie bufere. Chi una volta stampò l’orma sur una di quelle vette sovrane, chi respirò quell’ aria leggiera, vivificante, chi visse un’ ora di quella vita libera, incompresa, in quell’ immensità di cieli, al cospetto di quella. magnificenza, che balza fuori d’ ogni intorno, eternamente bella, eternamente nuova, oh! non potrà giammai dimenticare la — 169 — grandiosa maestà delle Alpi, e vi ritornerà inebbriato col pensiero, e la vagheggierà ne’ sogni, dolcissima visione d’ inenarrabili voluttà. Il Romano volgeva lo sguardo all’ Alpi con un senso di terrore e di venerazione: per lui quell’ammasso di roccie non era altro, che una barriera insormontabile, che gli dei aveano innalzata tra le selvaggie foreste germaniche e la lieta curva dell’itale pendici. Egli non comprese qual fonte d’ ebbrezze racchiudeasi tra quella cerchia di sassi e di ghiaccio, quale campo di studi, qual tesoro di scoperte attendevano colui che avesse ardito cimentarsi con quelle balze vertiginose, con quelle nebbie ingannatrici, e gridare ad ogni più eccelsa vetta: anche tu sentisti l'impronta del mio piede! Trent’ anni fa, chi parlava dell’ Alpi? Qualche poeta le so- gnava forse in un’ aspirazione patriottica, qualche figlio d° Albione le ricercava quale farmaco contro la noja, qualche solingo natura- lista vi spingea i suoi passi per contemplare dappresso quel mondo d’ incanti. Ed oggi invece l’ amore per le Alpi divenne una passione irresistibile: più n’ è faticosa l’ ascesa, e più forte diviene 1’ ar- dore, più difficoltà, più pericoli ci attendono, e di più audacia si accende il cuore. Migliaia e migliaia sono gli arditi soldati, che seguirono la nuova insegna dell’ Alpinismo, e ben presto non vi sarà più angolo, per quanto remoto, che non sia stato esplorato, non vi sarà picco, per quanto scosceso, che scoraggi l’ animo dal tentar di superarlo. Nel presente lavoro, io mi studierò di deserivervi quel breve tratto delle Alpi Carniche, che visitai quest’ estate, e tenterò di presentarvi un debole riflesso almeno di quelle bellezze, che ad ogni pie’ sospinto si presentano allo sguardo affascinato del viag- giatore; conscio pur troppo, che la parola ben spesso trascinerassi fiacca e disadorna, ove l’ immensità delle scene avrebbe richiesto l ardito slancio della fantasia e la robustezza de’ concetti. Fra pochi mesi la grandiosa via della Pontebba sarà com- pita, e quelle gole risponderanno ai fischi del vapore prigioniero. Per noi questa via è la più comoda per penetrare nel cuore delle Alpi, dacchè una sterile politica di parolai furò a Trieste la spe- ranza di veder solcate le sue Alpi da una strada ferrata! Circa due terzi dell’ intero percorso sono già aperti all’ esercizio, e l’opera procede celeremente all’ armonia di migliaia di zappe e di martelli. Partendo da Udine si traversa dapprima un breve tratto di pianura, fino a Tricesimo, ove il suolo comincia ad incresparsi ad una serie di vaghissime collinette, che segnano la zona morenica — 170 — degli antichi ghiacciai della Carnia. Ben presto tra quell’ oceano verdeggiante, traluce a sinistra l’ onda cristallina del Tagliamento nel suo. .ampio letto di ghiaje, mentre a destra i monti si fan sempre più vicini, fino ad occluderci talvolta il varco ed a costrin- gerci a perforare il lor seno. i Dopo un’ ora di viaggio ci appare a cavaliere d° un colle, che s’ innalza di circa 100 metri sulla pianura appoggiandosi ai fianchi del Monte Quargnano, la gentil borgata di Gemona cogli avanzi dell’antico suo forte. Pel botanico questo punto è oltremodo in- teressante, per la comparsa di alcune piante rarissime, quali sono I Alyssum, designato appunto col nome di questa località (A. gemo- nense Wulf) e che vi cresce sulle mura, e la Medicago Pironae Vis. (M. rupestris Pir.), che trovasi in copia sulle rupi, fiancheggianti il torrentello, che scende dal prefato monte Quargnano. Questa bellis- sima specie non ha che una ristretta zona di diffusione, non tro- vandosi altronde che sul versante italiano del M. Matajuro sopra Stupizza, e sulla parete di Modrea prosso Tolmino. A Gemona il suo limite inferiore giace a 586 m. sul livello del mare. Nè poche altre graziose pianticelle abbelliscono i clivi roc- ciosì 0 s’innicchiano tra le ghiaje de frequenti ruscelli. Qui dalle lor vette eminenti discendono quasi fin nella regione della vite, la Dryas octopetala, la Campanula caespitosa e carnica, la Gypsophyla repens, la Kernera saxatilis, la Potentilla caulescens, la Saxifraga crustata, la Salix grandifolia. Qui sono del pari comuni la Clematis recta e Vitalba, Thalictrum minus, Arabis Turrita, Erysimum odo- ratum, Biscutella lacvigata, Aethionema saxatile, Dianthus sylvestris, Silene Saxifraga, Geranium phaeum, Rhamnus saxatilis, Ruta divaricata, Cytisus migricans e purpureus, Spiraea Aruncus e de- cumbens, Sedum glaucum, Trinia vulgaris, Athamanta Matthiok, Galium purpureum, Valeriana Tripteris, Scabiosa graminifoha, Aster Amellus, Artemisia camphorata, Senecio saracenicus, Inula ensifolia, ‘Centaurea sordida, Leontodon incanus, Campanula pyramidalis, Euphrasia tricuspidalis, Satureja montana e rupestris, Galeobdolon luteum, Galeopsis Tetrahit, Prunella grandiflora, Plan- tago serpentina, Daphne Mezereum, Euphorbia amygdaloides, Allium fallax, Lasiagrostis Calamagrostis, ecc. Di faccia a Gemona sorge sur una collina isolata, lambita dal Tagliamento, il Forte d’ Osoppo, che in altri tempi avrà potuto avere qualche importanza, ma che per la larghezza della valle, non so se al presente riescirebbe di qualche utilità nella difesa del varco.. iii aa Tra Gemona e Venzone l’unica cosa degna di rimarco, sono i così detti Rivi Bianchi, ossia un enorme deposito di detrito ghiajoso, che dai fianchi del Monte del Sole estendesi fino all’alveo del Tagliamento. Queste ghiaje hanno una profondità considerevole di molti metri, e per l’azione dell’ acqua, che vi si infiltra e scorre al fondo, nonchè del gelo invernale, possedono un moto progressivo di discesa, che richiede una continua regolazione della via, che sopra vi passa. E fu appunto quivi che s’ incontrarono gravissime difficoltà nella costruzione della strada ferrata, le quali necessita- rono opere grandiose per approfondire sufficientemente i pilastri, che dovevano sostenere il lunghissimo viadotto. Questa vasta estensione nuda e bianca come un campo di neve, fa uno strano contrasto col paese circostante, ravvolto in un monte di lieta verzura. Le poche piante, che qua e là escono tra i sassi, ci appajono siffattamente stentate, da riescire talora affatto irreconoscibili. Quest’ influenza della estrema sterilità del suolo, si manifesta principalmente sulle piante, che sono proprie alla valle, mentre quelle che vi discesero dalle regioni alpine, non mostrano punto di soffrirne. Così mentre la Centaurea cristata trovasi me- tamorfizzata ad una grama pianticella di pochi centimetri, ed il Seseli glaucum, V Epilobium Dodonaei ed il Dianthus monspessu- lanus, giaccionsi rannicchiati al suolo,, da apparire quasi acauli, prosperano egregiamente l Aquilegia pyrenaica, Matthiola varia, Stilene alpestris e quadrifida, Moehringia polygonoides, Cerastium ovatum, Cytisus radiatus, Potentilla alpestris, Dryas octopetala, Saxifraga caesia ed aizoides, Adenostyles alpina, Phyteuma orbi- culare, Linaria alpina, Tofieldia calyculata. Va specialmente notata una Polygala particolare, fatta già conoscere dal Kerner, sotto il nome di P. forojulensis (Oest. Bot. Zeit. XXIV pag. 102). Il suo caule densamente coperto di foglioline lineari, e specialmente la forma dell’ infiorescenza, che in causa dei peduncoli oltremodo rac- corciati, ci presenta un racemo compattissimo, la fanno tosto di- stinguere dalla P. vulgaris, che vi cresce a poca distanza. I suoi fiori d’ un bel colore roseo, possedono ali molto grandi, smarginate, quasi orbiculari, che ricordano la P. nicaeensis. Che questa sia una forma costante, non è punto a dubitarsi, trovandosi nell’ erbario del Tommasini un gran numero di esemplari, raccolti già negli anni 1841, 1842 e seguenti. Non rari sono gli esemplari nei quali il racemo è siffattamente addensato, da simulare quasi un capitolo. Alle sponde del Tagliamento trovansi fitti saliceti, ne’ quali sono — 1722 — frequenti la. Myr:caria germamca, lu Chondrilla prenanthoides, Leontodon Berimi, V Hieracium parvifolium, © Hippophéie rhamnoides. Troppo note sono le così dette Mummie di Venzone, per non te- mere d’annojarvi, rifacendovene la descrizione. Ad esse deve la sua fama il paesello di Venzone, dappoichè se anche se ne trova- rono alcune nella chiesetta, che sorge sul vicino Monte di S. Ca- terina, spetta a quello precipuamente la produzione di tale specia- lità. In un fabbricato di forma rotonda, in prossimità della chiesa, ve ne sono conservate trentaquattro, disposte all’ ingiro lungo il muro in tutti gli atteggiamenti possibili. Fuori di una pezzuola, avvolta intorno ai fianchi, non possedono altro vestimento:.ai soli preti è concesso il lusso di un berretto. In poco più d’ un anno un cadavere è perfettamente mummificato, però riesce meglio, se vi resta sepolto più a lungo. La produzione di mummie potrebbe essere molto più grande, se nel paese non dominasse un santo orrore di venir esposti dopo morti agli sguardi de’ curiosi ed ai palpamenti poco gentili del santese, che ne fa le spiegazioni, o d’ andar a fregiare le sale di qualche museo*). Ignoro se recente- mente venne data una spiegazione plausibile del come si produ- cano, dappoichè egli è oltremodo strano, che solamente i cadaveri che vengono sepolti nella chiesa, anzi in un sito determinato della medesima (in dodici avelli), subiscono questo processo di mummi- ficazione, mentre quelli che si depongono in altri luoghi o nel cimitero circostante, imputridiscono come dovunque. La circostanza che è principalmente il sistema epidermoidale, che trovasi si bene conservato, somigliando perfettamente ad una pelle conciata, men- tre tutti i visceri, i muscoli, e persino talora le ossa sono decom- posti e scomparsi, mi farebbe supporre, che in quel luogo si trovi un deposito circoscritto (forse artificiale) di allume o di sostanze consimili. Pur troppo non mi fu possibile di procacciarmi un cam- pione di quella terra, la cui analisi spiegherebbe probabilmente il fenomeno. Valicato il torrente Venzonazza, si va costeggiando ancora per un breve tratto il fiume Tagliamento, il quale in prossimità #) Quantunque i venzonesi custodiscano con molta cura le loro mummie, tuttavia due di queste trovarono modo di eludere la loro vigilanza e di andar a prendere loro dimora nei musei di Padova e di Londra Giorni fa alcuni venzonesi ci offrirono due de’ loro compaesani mummificati, che verso una buona ricompensa si proponevano di far scomparire dal loro Panteon. Avviso a cui spetta di starsene in guardia! — 173 — di Amaro viene ad unirsi col Fella, mutando la sua direzione verso oriente in quella di mezzogîorno. Quivi la via si biforca, seguendo l’un ramo il corso del Tagliamento, l’altro quello del Fella. Il primo, che a Tolmezzo si divide nuovamente, mette dall’un lato in comunicazione la valle del Tagliamento con quella del Piave, dall’ altro seguendo la tortuosità del fiume But, sale per Giulio Carnico e Paluzza al famoso varco del M. Croce, che dopo quasi duemila anni, ci racconta ancora colle sue scritte, il passaggio delle legioni, che il grande dittatore romano lanciava a debellare la ferocia delle noriche vallee. L’ altro ramo s’ insinua nell’ angusta valle del Ferro, ove spesso deve contendere il terreno all’ onde impetuose del Fella. Non più le ubertose campagne del Friuli, nè i clivi ridenti della valle inferiore del Tagliamento, ma dovunque dossi melanconici, ravvolti nell’ ombre de’ faggi e degli abeti, do- vunque frane ruinose e roccie sospese e bricche aeree e pareti tagliate a picco, e al dissopra quella strana congerie di vette ca- pricciose, che arditamente si slanciano al cielo, e nel loro. aspetto corroso e squarciato, ci attestano la rabbia delle innumeri bufere, che infuriarono lassuso. Qua e là tra quelle rupi va saltellando la spuma d’un ruscello o si precipita mugghiante 1’ acqua poderosa d’una cascata. Ed a compire il magico effetto della scena, l’ onda erucciosa del Fella sbalza e si dibatte ruggendo tra gl’irti maci- gni, ond’è seminato il suo alveo. I villaggi son molto diradati e ristretti a qualche piccolo allargamento della valle, i casolari iso- lati lungo la via son pur essi scomparsi, e solo su per.i fianchi de’ monti, lungo qualche pendice erbosa si vede sorgere 1’ umile tetto d’ una cascina. Il paese ha preso quell’aspetto particolare, che noi esprimiamo con due vocaboli, che apparentemente parreb- bero escludersi: il bello orrido. Ovunque l’occhio si volga maestosi colossi, che ci contendono la libera vastità dell’ orizzonte, e qui il M. Mariano colle sue falde boscose, e lì la Creta Granzaria colle sue punte aguzze, e più in là le bianche piramidi del Zucco di Boor e del Crostis, e dall'altro lato gli ampi fianchi del Planris, i gioghi del Cimone, i vaporosi pinacoli del Canin. Da ogni parte scendono impetuosi torrenti e torrentelli a mescolare le loro acque a quella del Fella, per cui quel silenzio arcano della valle è rotto dal continuo frastuono delle correnti. Lunghe e profonde valli si aprono d’ ambo i lati del fiume, ed a destra ci si protende la ro- mantica, valle di Moggio, solcata dal torrente Aupa;, mentre a si- nistra mette capo a Resiutta il vasto canale della Resia, percorso — 174 — dal torrente d’ egual nome, che trae il suo alimento dalle nevi eterne del Canin e del Baba. L'ampia squarciatura tra i monti Jarte, Indrinizza e Peloso dall’ un lato, Cerquedul, Montasio e Ci- mone dall’ altro, limitata a ponente dal Cerniala e dal Prevala, è occupata dal torrente Raccolana, che sbocca presso 1° omonimo villaggio nel Fella. Parallela a questa scorre un altra valle, il Ca- nale di Dogna, minore delle due precitate, innicchiata tra i fianchi settentrionali del Cimone e dell’Usez, e la catena, che segna il confine tra la Carinzia ed il Veneto. Per descrivere ad una ad una le mirabili scene, che ad ogni curva della via ci si presentano allo sguardo, e’ farebbe mestieri la fantasia più fervida, più ardente, perocchè quel continuo mutar d’ aspetto, quell’ infinita varietà degli oggetti, che ci circondano, quegli effetti portentosi di luce e di riflessi, inebbriano e contondono in uno la mente, e non ci lasciano infine che un ricordo vago, indefinito d’ un quadro meraviglioso sì, ma troppo vasto, troppo grande, per esser riprodotto ne’ suoi mi- nuti particolari! Resiutta è l’ ultima stazione della ferrovia, aperta fino al dì d’ oggi. Però al primo di Maggio dell’anno prossimo, l’ intera linea della Pontebba, dev’ essere compita, sicchè in poco più di cinque ore dalle sponde dell’ Adria noi potremo salutare i gioghi della Carinzia. Quali sieno state le difficoltà da superarsi, a me non sarebbe facile di dire : però chiunque riflette al numero ed alla grandiosità delle gallerie, alla quantità de’ viadotti e de’ terrapieni, alle molteplici curve, alla lunghezza e frequenza de’ ponti, di cui non meno di quattro sopra il largo letto del Fella, compren- derà di leggeri, che quest’ era impresa ben degna di colui, che osò forare il seno granitico del Cenisio. Al di là di Resiutta la valle si restringe ancora maggiormente, per modo che a Chiusa le due sponde del fiume si addossano sif- fattamente, che non ci resta proprio un palmo di terreno, per trac- ciarvi il più angusto sentiero, e perfino per la strada rotabile do- vette venir scavata una galleria attraverso il monte. Anche la flora prende un aspetto più severo, ed all’ ombra di maestosi faggi, che intrecciano le loro braccia ai melanconici rami d’abeti secolari, ci pre- senta varie specie interessanti, quali il Trolls evropaeus, Aconi- tum variegatum, Epimedium alpinum, Dentaria bulbifera, Polygala Ohamaebuxus, Hypericum montanum, Geranium syluaticum, Oxalis Acetosella, Evonymus europaea, Rhamnus pumila, Cytisus sagit- talis, Geum rivale, Astrantia major, Bupleurum canalense, Chaero- — 175 — phylum aureum, Myrrhis odorata, Vuleriana saxatilis, Carduus personata, Cirsium Erisithales, Aposocris foetida, Prenanthes pur- purea, Campanula carnica, Adenophora suaveolens, Scrophularia Hoppt, Melampyrum syluaticum, Lamium album, Betonica Alope- curus, Pinguicula alpina, Epipactis rubiginosa, Majanthemum bifo- lium, Aira caespitosa, ecc. Ma più interessanti ancora divengono le condizioni geologi- che. Le ghiaje del fiume ci aveano rivelato già al principio della valle, che più sopra dovea trovarsi una ricca serie di formazioni. Nella nostra breve escursione, noi abbiamo attraversato i vasti terreni alluvionali del Friuli, che s° estendono fino a Tricesimo e Collalto, ove abbiamo salutato quella vasta zona di colline, formate da ammassi di sfasciume ghiajoso, che stanno lì ad eterno testi- monio de’ ghiacci algenti, che copriano un giorno i fianchi delle Alpi. Abbiamo poi ritrovato poderosi strati di macigno, che si ap- poggiano ai calcari, ricchi di nuclei di selce dei dintorni di Ge- mona. Abbiamo poi avuto occasione di percorrere il lungo tratto rupestre di quel calcare del Dachstein, per lo più dolomitico, sì povero di vita, eppur tanto sviluppato nelle nostre Alpi Giulie. Ed ora eccoci qui a Dogna, ai lembi di un nuovo orizzonte, che più bello, più svariato ci si apre dinanzi. Bruni strati, che si dividono in sottilissime lamelle, tra i quali si interpongono marne ed are- narie, ci presentano una delle pagine più eloquenti della vita agi- tata e convulsa, che brulicava nel vasto mare triassico. Gli studi accurati del Suess, dello Stuhr, del Posepny e d° altri intorno a kaibl, non meno di quelli del Fotterle, dell’ Hauer, del Pirona e del Taramelli sulle Alpi venete, ci hanno dischiuso i misteri di quelle epoche lontanissime, facendo risorgere le meraviglie di quel mondo sepolto. Questo complesso di strati, conosciuto sotto il nome di formazione di Gorno e di Dossena, o perchè meglio studiata, di formazione di Raibl, si può-seguire dalle sponde della Slitza per tutte le Alpi venete, fino sugli altipiani lombardi, e ricetta dappertutto quella ricchezza di fossili, per cui 1’ umile villaggio di Raibl si ebbe a ragione cotanta celebrità. Non di rado però questi strati riescono fatali al paese, e ciò in causa della loro facile ero- sione, producendo così dei vasti franamenti. Ancor oggi si ricorda con raccapriccio 1’ orribile scoscendimento, che avvenne nel 1851 durante un nubifragio, in cui precipitò nella vallata di Dogna una enorme massa di sfasciume, seppellendo un numero considerevole di case in una ai loro abitanti. n= A Pontebba la valle del Fella, che più 0 menò avea sempre mantenuto una direzione verso nord, piega direttamente a levante ed entra nella Carinzia. Il passaggio dalla Carnia nella Carinzia è del tutto impercettibile; non è il brusco interporsi d’un giogo roccioso come al Predil, nè quello sbalzo improvviso dalla sterile nudità della valle della Coritenza nelle severe ombre de’ boschi di Raibl. La natura non ha posto qui alcun confine : gl’ istessi pini, gl’ istessi abeti formano il vanto delle maestose curve de' monti, gl’ istessi fiori rallegrano le anguste zolle de’ prati. Eppure in pochi luoghi di confine spicca più decisa la differenza di due popoli. È un semplice torrentello, il Pontebbano, quello che scende colle sue scarse acque a tenerli divisi; e l’uomo, che abbraccia continenti, tra cui si stendono l’ire d’ immensurati oceani, che tragitta le perforate viscere della terra, s’arrestò alla sponda d’ un breve solco, guatando il fratello dell’ altro lido come uno straniero. E diverso d’indole e di favella, non volle comunanza d’usi e di costumi, e diede alle sue case una forma differente, e represse nel cuore perfino quell’ onnipotente passione, che avea trovato mezzo di eludere i flutti dell’ Ellesponto, ond’ ebbero fama eterna le splag- ge d’ Abido. Tra Pontebba e Pontafel giace 1’ abisso, che separa i figli di Teuto dai nipoti di Ausonio! A poco a poco la valle si fa più larga, le dne catene roc- ciose, che si erano ravvicinate intorno a Pontebba, s’ allontanano sempre maggiormente e tra di loro si interpone una serie di monti e di colline. Il Fella continua a muggire lungo la via, più scarso d’ acque ma non meno impetuoso. A Poca distanza da Luschnitz esce una poderosa sorgente sulfurea, fredda (12° C.) presso alla quale esiste lo stabilimento balneario sotto l umili spoglie d’ una casuccia da contadini. La ricchezza della sorgente, nonchè la quantità di zolfo contenutavi, che incrosta le roccie e le piante circostanti, in aggiunta all’ ame- nità del luogo, meriterebbero bene la spesa di un edifizio decente, nè i frequentatori vi mancherebbero di certo, se ad onta dello stato primitivo di questa fonte, non pochi sono quelli, che ricor- rono ogni anno alla sua forza medicatrice. In un paese alpestre, quale si è buona parte della Carinzia, che non a torto appellasi la Svizzera Austriaca, sono innumeri i luoghi, che si prestano egregiamente quali centri per gite alpine, per cui sarebbe vana fatica il perorare per l'uno in confronto degli altri. Io mi stabilîi questa volta a Malborghetto, gentil Lao — paesello alla destra riva del. Fella, ove oltre. ai. magnifici din- torni ed alle alpi, che s’ innalzano maestose a poca distanza, trovansi alberghi politissimi, che. nulla lasciano a desiderare”) Non ultimo forse dei motivi, che mi. trattennero per più tempo a Malborghetto, si fu la squisita gentilezza del Dr. Ressmann, solerte scrutatore delle hellezze di Flora di questa regione, come pure la presenza di due amici da Trieste, dei Prof. A. e M. Stos- sich, in compagnia dei quali intrapresi la maggior parte delle ul- teriori escursioni. Siecome di tutta Europa Malborghetto è il luogo ove cade la maggior copia d’ acqua, così non è da stupirsi se il paese conserva una freschezza, che stranamente contrasta colle regioni, che si di- stendono al di là del Predil. Quivi non sterili dorsi rocciosi, non brulle pendici dannate ad eterno squallore, ma dappertutto una ga- Jezza e rigogliosità di vegetazione che incantano, dappertutto in- terminabili boscaglie di pini e di faggi, che s’inerpicano su per le più inaccesse giogaje, e campi ubertosi e prati verdeggianti. Dovunque un mormorio di ruscelli, uno strepito di cascate, un frastuono di torrenti impetuosi, dovunque la vita che s’agita bella e multiforme al bacio fecondatore dell’ acque. Il clima troppo rigido non permette la coltura della vite e. della maggior parte delle frutta, per cui i campi sono riserbati quasi esclusivamente alla coltivazione dell’ orzo, della segala, de’ fagiuoli, delle patate, ecc. Degno di cenno mi sembra un ceppo colossale di vite, quasi cen- tenaria, la cui circonferenza misura non meno di 58 centimetri. In anni eccezionalmente caldi in cui l’uva arriva a maturare, si raccoglie da quest’ unico ceppo più d’ un’ orna di vino. Fin a pochi anni fa, Malborghetto possedea una quantità di opifici, tra i quali in primo luogo grandiose ferriere. Al presente però trovansi tutti in ruina, e l’unica industria, che si sostiene sono le seghe, nutrite dalla quantità grandissima di legno fornito dalle estese foreste. Non lungi dal villaggio sorge un colle fortificato, che domina per buon tratto la via, e la, cui importanza sarebbe ben maggiore, ove per l’interporsi del monticello di Nebria, non fosse porta facilità al nemico di girarvi attorno, sottraendosi così al raggio, de’ can- noni. #) Non posso far a meno di raccomandare caldamente la locanda del sig: Hollaky, sia per l’ eccellente servizio, che per la modicità de’ prezzi. — 178 — Vaghi oltre ogni dire sono i dintorni di Malborghetto, e la sua flora, quantunque la stagione fosse già di molto avanzata, ci fornì varie piante interessanti. Così se anche sulle rupi non facea più pompa il vaghissimo azzurro del Phyteuma comosum, e le frane sassose non veniano rallegrate dai rosei mazzetti della Daphne striata, e lungo gli erbosi clivi erasi impallidita 1 accesa porpora dei Rododendri, e le Pinguicule chinavano lo stelo appassito, e la Primula longiflora giaceasi inavvertita senza il vanto delle splen- dide corolle, sorgeano tuttavia qua e là tra il verde de’ Mirtilli i bellissimi fiori dell’ Aquilegia pyrenaica, cui faceano gentil corona la Campanula caespitosa, 1 Hieracium staticaefolium, il Bupleurum canalense, la Parnassia palustris, il Dianthus syWestris, la. Poten- tilla caulescens, la Saxifraga rotundifolia, aizoides e stellata, il Geranium phaeum, ai quali non rare volte, e specialmente al mar- gine de numerosi ruscelli, s° associavano il Papaver alpinum, la Stlene alpestris e quadrifida, la Moehringia polygonoides, il Cera- stum strictum, Vl Epilobium parviflorum, la Campanula Zoysii, ed altre molte. Ma se bello era il paese e tutto invitava a vagare per que’ boschi e per que’ monti, non egualmente gentile mostravasi il tempo, che erasi ostinato a versarci giornalmente un diluvio di pioggia. Ciò rendeva naturalmente difficile l’ ascesa de’ monti più alti e ci condannava a frequenti bagni involontari. Stanchi dall’at- tendere il bel tempo, decidemmo finalmente di sfidare la pioggia e la nebbia e di salire il cocuzzolo roccioso del Mittagskogel, che s’ eleva di faccia a Malborghetto ad un’ aitezza di 2100 metri. Che importa se sdrucciolevole è il cammino, se ogni sentiero si è tra- mutato in un torrentello, se la densa nebbia ci contende la vista pur degli oggetti più vicini, se di contro ci flagella un turbine di acqua e di gelo! Dobbiamo toccare la cima, e su per boschi e per frane, su tra i ronchiosi cespugli di pino mugo, su per dirupi e per creste squarciate . .... ed eccoci alla vetta, ove la recente folgore avea scavato un lungo o profondo solco. Ma il vento raddoppia di furore, le nebbie sbalzate di qua e di là, s° innalzano, s’ abbassa no, cozzano tra di loro, fuggono, s’ inseguono, ci rotano d’ intorno, ci ravvolgono nel loro umido manto. Impossibile tenersi in piedi: all’ orribili sfuriate è giocoforza cedere e rannicchiarsi dietro un masso, attendendo un momento di tregua per riguadagnare il piano. Il Mittagskogel con tempo sereno non offre per vero alcuna difficoltà, non possedendo rupi perpendicolari che in prossimità del — 179 — vertice e solo dal lato settentrionale. Per la sua vetta, passa il confine tra l’ Austria e l’Italia, appartenendo a questa il versante meridionale, che è dolcemente inclinato ed erboso fin quasi alla cima. Da questo lato giace pure la cascina di Somdogna, ove tro- vammo il ristoro d’ un ottimo latte. La preda botanica, considerate le condizioni del tempo, fu se non ricca, tuttavia abbastanza soddisfacente. Nulla però ci venne dato di rinvenire, che pochi giorni appresso non avessimo opportu- nità di raccogliere sul Vishberg; laonde per non incorrere in troppe ripetizioni, tralasciamo di farne l' enumerazione. La pioggia però che venia a sturbare le nostre gite, avea fatto sbucare una quantità d’interessanti molluschi, di cui venne fatto. copioso bottino *). *) Il Prof. A. Stossich, che aveasi assunta l’ esplorazione malacologica, mi favorì il seguente catalogo delle specie raccolte durante le nostre gite. Helix rupestris Drp. ovunque comune sulle roccie » rotundata Mill. Predil. » Obvoluta Miller Predil. » personata Lmk. Melfabachi » Strigella Drp- c s incarnata Miller Ras0l, » leucozona Zgl. > s umbrosa Partsch. Malborghetto. , unidentata Drp. Mittagskogel e Vishberg. s phalerata Zgl. » chamaeleon Parr. Mittagskogel. , intermedia Fèr. Malborghetto. » Preslii Schm. “ s umbilicaris Brum ì s arbustorum L. ” » pomatia L. 6; Pupa frumentum Drp. comune dovunque. , avenacea Brug. Rail, » pagodula Des. Malborghetto. » truncatella Pfr. > s Rossmaessleri Schmidt. Wolsbach. >» Kokeili Rssm. Wolfsbach. » Obtusa Drp. Sect. ga v. Moellendff. Clausilia fimbriata Rssm. Rail. & ungulata A. Schm. Vishberg. 1a commutata Rssm. KaiDI. i 3 var. fusca De Betta. Rail. var. ventrio sior Boett. Malborghetto » » — 180 — Finalmente il cielo ci si dimostrò più benigno, concedendoci un giorno di sereno, del quale naturalmente approfittammo per dare la scalata ad una delle più eccelse vette de’ dintorni, al Vishberg, che raggiunge un’ altezza di 2680 m. Fin a pochi anni fa questo monte era riguardato come uno de’ più difficili della catena car- nica, ed il giudizio emesso in proposito dal fu presidente del Club alpino di Vienna (G. Jiger) avrà di certo distolto parecchi dal tentarne 1’ ascesa. Per iniziativa di questo benemerito propugnatore dell’ alpinismo, furono eseguiti nel 1874 vari lavori ne’ luoghi più aspri, per cui al presente non si può più parlare di gravi difficoltà o di pericoli, ed il Vishberg ha perduto quell’ antica aureola, che circonda ancora il capo di non pochi de’ suoi vicini fratelli d’ al- tezza, e specialmente del Montasio, che gli torreggia da fianco. Ciò per altro nulla toglie alla sua maestosa bellezza, nè io vorrei consigliarne la salita a chi per poco conosca dove stan di casa le vertigini. Specialmente la scalata dal lato settentrionale, ove nes- suno ancora pensò di tracciare un sentiero, è impresa piuttosto difficile e non del tutto scevra di pericoli. Questa fu la via da noi seguita nell’ascesa, cui mi permetterò di descrivere breve- monte. Partiti al mezzogiorno da Malborghetto arrivammo in un'ora al villaggio di Wolfsbach, la cui posizione oltremodo romantica ci avrebbe sedotti a farvi più lunga dimora, ove la brevità del tempo non ci avesse costretti ad affrettare il passo per arrivare prima di notte alla cascina di Grat Agar, che ci dovea porgere ricovero. Sect. Delima ex rec. Bttg. Clausilia ornata Rssm. ARaidl. È Rossmissleri Pfr. Wolfsbach. i Stentzi Rssm. forma Rossmàissleri P. typ. Raddl. ; cineta Brum. Pontebba, Tarvis. Sect. Fusulus v. Vest. Clausilia interrupta Rssm. Wolfsbach. Sect. Pirostoma v. MUdff. Clausilia Schmidti P. var. rablensis Gall. Raid. * dubia Drap. var. speciosa A. Schim. Wolfsbach. 4 plicatula Drp. Wolfsbach, Rabl. ; mucida Rss. Vishberg. » asphaltina Gredler, Malborghetto. Pomatias septemspiralis Razoumovsky. Predil. > patulus Drp. Pontebba. — 181 — La valle di Wolfsbach si protende per parecchi chilometri tra i due larghi dorsi boscosi del M. Nero e del M. Santo, solcata nel mezzo dal grosso torrente Seisera. Il fondo ne è chiuso dalle pa- reti perpendicolari del Vishberg e del Montasio e da un esercito di picchi, che orribilmente selvaggi, quasi macerie di antichi monti ruinati, circondano con una serie di contraforti la base dei due precitati colossi. Per oltre ad un’ ora si procede all’ ombra di ma- gnifici abeti, che donano alla valle un aspetto di severa grandio- sità. Di tratto in tratto si traversa il borro asciutto di qualche torrente, ove invece dell’onde furiose, che trascinarono giù dalle materne balze 1° enormi roccie, che ne popolano 1° alveo, crescono ora quetamente varie pianticelle, discese pur esse dalle giogaje alpine. Valicato un ponte di legno, che accavalcia un romoroso torrentello, cominciammo la salita per una falda rupestre, su per la quale svolgevasi serpeggiando un angusto sentiero. Nel suo in- sieme la vegetazione offriva pochissimo interesse, dappoichè le numerose mandre delle prossime cascine aveano troppo bene curato di risparmiare al botanico la fatica di farne raccolta. Magnifici muschi è vero fregiavano i vani delle roccie, dalle quali penzola- vano gli azzurri ciuffi della Campanula carnica, e brillavano ile candide stellette della Silene quadrifila. AI’ ombra de’ faggi ron- chiosi e degli abeti sbucava stentatamente qualche Sarifraga ro- tundifolia e stellata, qualche Cerastium ovatum, qualche Veronica officinalis, qualche Viola biflora, qualche Chrysosplenium alterni- folium, ecc. Però a poco a poco gli alberi van facendosi più rari e sce- mando d'altezza cedono il posto al Pino delle Alpi. La vegeta- zione è divenuta più povera ancora e consta quasi unicamente di aconiti (A. Napellus e Lycoctonum) di cinanchi, e d’ortiche. Già innanzi ci stanno i primi campi di neve coi loro abbaglianti ri- flessi, già le rupi assumono quell’ aspetto fantastico, che è proprio delle Alpi dolomitiche, già spesseggiano le spaccature ed i burroni, già il piede non trova più che mobili sassi, che gli sfuggono di sotto, e minacciano ad ogni istante di trascinarlo seco nell’abisso. Siamo sur un’ immensa frana ripidissima di quasi 300 metri, ove ogni passo sferra una valanga, che con orribile frastuono va giù rotolando per la china, e sempre più ingrossando balestra nella valle sottostante una pioggia di sassi e di ruine. A stento il ba- stone ferrato trova un appoggio in quella fiumana di ghiaje e la salita diviene sempre più difficile. Una rupe sporgente ci permette 13 — 182 — di riposarci un momento e riprendere le forze pel tratto più dif- ficile, che ci attende, il passaggio cioè della Forcella, che è for- mato da una specie di camino tra le pareti perpendicolari di due vette, che pajono in procinto di cadersi addosso. Sarà possibile il varco? A Malborghetto ci si avea sconsigliato dal farne neppur la. prova, .a Wolfsbach fummo lusingati che il passo sarà forse libero di neve e. di ghiaccio, nel qual caso solamente è possibile di superarlo. Erano già le 6 della sera e bisognava quindi affret- tarsi, per non esser colti dalle tenebre in quella terribile posizione. Il camino dapprima larghissimo, si restringe ben presto a pochi metri, e noi ci troviamo rinchiusi in una lunga e stretta spaccatura. Fa duopo ajutarsi con mani e con piedi, dappoichè la salita è di- venuta sì ripida, che non è più possibile tenersi ritti.. Noi stiamo lì quasi appiccicati al terreno, e sospesi sopra un baratro spaven- tevole. Ad accrescere le difficoltà, la roccia che compone le pareti ed il suolo, corrosa dall’ acque e dal gelo, si sgretola continua- mente e. non ci, concede alcun punto d’ appoggio. Fu un istante che dubitammo di riescire nell’ impresa, però il pensiero di dover rinunciare alla salita del Vishberg ci infuse nuovo vigore e. ci fece guadagnare la tanto sospirata forcella. Un’ ora intera avea durato la lotta con le difficoltà di quel varco, ma finalmente era- vamo vincitori, ed il nostro grido di trionfo echeggiò per quelle balze alpine. Vaghe zolle erbose ci s’ allargavano dintorno e colla pompa de’ loro fiori c’ invitavano a soffermarci. Qui la Valeriana elongata, V Arabis coerulea e pumila, la Veronica aphylla e belli- dioides, qui Anthyllis alpestris, la Sesleria microcephala, V Aroni- cum glaciale, V Homogyne discolor, e molt’ altre ancora. Ma le tenebre già ci aveano ravvolto nel lor bruno mantello, ed era mestieri d’ abbandonare quel luogo, ed a gran passo ricer- care la cascina, che giacea 620 m. più bassa. Nuovi campi di neve, nuovi pendii rocciosi, ma non sì ripidi, non sì affaticanti come dal lato settentrionale. Ben presto riapparve il pino mugo, riapparvero i rododendri, e gli arbusti cominciarono a sollevarsi; a metter tronco, a raddrizzarsi, a mutarsi in alberi, e formare un fitto padiglione di verzura. Alle 8 la Casera di Grat Agar, tenuta da pastori del gemonese, ci accoglieva nella sua fumosa, atmo- sfera. L’alba che cominciava a rischiarare le vette più eccelse, ci trovò già pronti alla partenza. Dovemmo rifare buon tratto del cammino della sera precedente, per riguadagnare le altezze alpine. — 183 — Per più d’ un'ora nulla d’interessante attrasse il nostro sguardo, poichè le numerose mandre aveano divorato fin gli ultimi fili d’erba. Però man mano che ci approssimavamo alle rupi, che ritte ci si ergevano di faccia, la flora prendeva un aspetto meno triste, e sul verde delle zolle apparia qualche fiorellino ad interrompere l'uniformità del colore. Superata la prima cinta rocciosa, che quasi immensa muraglia, eretta da qualche gigante attorno alla sua aerea magione, circonda i bianchi pinacoli del Vishberg, entrammo in quel regno misterioso dell’ eterno silenzio, che riempie l'animo di un senso misto di terrore, di entusiasmo, di ebbrezza. Dai vasti campi di neve si rizzava una legione di selvaggi macigni, dalle forme le più strane, le più fantastiche, tra i quali si ergevano im- mani cumuli di sfasciume, turbinato giù dalle tormente. Eppure tra questi greppi ferrigni, non isturbata dal dente degli armenti, ci apparve la vegetazione più bella, più rigogliosa che altrove. In una vaga confusione si mescolavano i fiori di cento forme, di cento colori, ej fecondati dall’ eterno. gemitio . dell’acque, che stillavano dagli orli corrosi della neve, ci si schiudevano in una profusione indescrivibile di tinte e di riflessi... Nel breve spazio di pochi metri brillava un intero mondo di quei graziosi pigmei, che rappresentano sull’ alpi la maestà del regno vegetale. Qui le ampie corolle del Papaver Burserì, qui i dischi immacolati del Leontopodio, qui le vaghe stellette di precoci Genziane, qui gl’ in- carnati petali della Siene mitida, qui i grappoli azzurri della Cam- panula Zoysi, qui le fauci purpuree delle Pedicularidi, qui le vaghe sfumature d’una legione di vaghissime Sassifraghe, qui | Alyssum Wulfenianum, V Arenaria ciliata, V Oxytropis montana, V Alsine aretiodes, V Alchemilla alpina, la Saussarea discolor, l Hieracium Jacquinii, il Plyteuma Sieberi, la Veronica saxatilis, la Nigritella angustifolia, ed altre moltissime. Così procedendo tra la mestizia de’ verdi. massi e l'allegria de’ fiori, tra gli emblemi della morte e della vita, ci avvicinavamo sempre più alla meta senza incontrare gravi difficoltà. E per vero il punto più difficile dell'ascesa, si fu alla Forcella, (che del resto si può schivare, salendo il monte dalla parte di Raibl anzichè da Malborghetto), dappoichè nel solo luogo ove fa duopo arrampicarsi su per una parete quasi perpendicolare, furono scolpiti dei scalini ed assicurati degli anelli di ferro. Un enorme masso, precipitato dall’alto e rimasto lì bilicato sulla balza d’un pendio, forma una angusta galleria, cui bisogna traversare. Superato questo passaggio, * — 184 — s'incontra un dolce clivo ghiajoso, a larghe zolle erbose, che si estende fin quasi sotto alla cima. Finalmente eccoci alla vetta, lacerata e corrosa in mille guise, e l’ occhio può vagare libero .d’ogni intorno, ed abbracciàre d’ uno sguardo l’ immenso panorama, che ci si stende innanzi. Chi non ha mai salito un’ alpe non può figurarsi quel sentimento d’ ineffa- bile voluttà, che ‘prova l’animo commosso alla vista di quelle fughe di monti, di quelle creste dentellate, di quelle lunghe cortine di rocie inaccessibili, di que’ burroni tenebrosi, di quelle lontane smi- surate pianure, che si perdono in una vaporosa sfumatura. Di sotto ai nostri piedi ondeggia un oceano di picchi bianchi e rilu- centi, e più in giù s° allarga una vasta zona verdeggiante, dalla quale sorgono altre mille punte capricciosamente foggiate. Dall’ un lato torreggia il Canin col suo immane capo denudato, dall’ altro il Montasio spinge arditamente tra le nubi le sue alte piramidi aguzze. E più in là una falange di colossi si addensa, si pigia, si soverchia in una bizzarra confusione di forme e di contorni. Poi lunghi piani ondulati e fiumi e laghi e. città e villaggi ed infine nelle aeree lontananze il profilo delle nevi eterne del Glockner. E se a tutto ciò si aggiunge un’atmosfera pura, leggerissima, una solitudine immensa, paurosa, un. silenzio arcano, profondo, rotto solo di tratto in tratto dall’assordante frastuono d’ una valanga, sì comprenderà di leggeri, che la scena ha in sè qualche cosa di grandioso, di bello, di sovranamente poetico, ma d’ una bellezza selvaggia, d’una poesia vergine, robusta, incomprensibile al molle e snervato fabbricatore di versi! Si comprenderà che le gite alpine non sono solamente una ginnastica del corpo, ma che potentemente contribuiscono a donar vigore allo spirito, e ad educar I’ animo al sentimento del bello e del vero! Ma intanto su per i fianchi del monte andavano salendo dense nebbie, avvertendoci d’ abbandonare quelle altezze vertiginose. La discesa nulla .offrì di particolare, ed in tre ore fummo di ri- torno alla cascina. Seguendo il corso d'un ruscelletto scendemmo nella valle, ed in due ore e mezzo arrivammo a Raibl, ove le no- stre collezioni si accrebbero dell’ Arabis ovirensis, della Carda- mine trifolia, della Viola arvensis, dell’ Astrantia carniolica, del- l’Avena argentea, della Ferula rablensis e d’ altre poche, che la stagione avanzata ci avea ancora riserbato. A mezzanotte stanchi ed affranti rientrammo a Malborghetto. Quantunque la flora del Vishberg non posseda alcuna pianta — 185 — speciale, cho la caratterizzi, come parecchie delle Alpi circostanti, (p. è. la Facchinia lanceolala, la Phaca astragalina, la Saxifraga atropurpurea sul Slieme Verch, il Triticum biflorum, la Medicago Pironae sul Matajur, 1’ Artemisia tanacetifolia sul Moresh, ecc.) la quantità notevole di piante rare ch’ esso alberga, lo rendono tut- tavia uno de’ monti più interessanti di tutta la catena. L’ unifor- mità del terreno dolomitico, onde son costruiti i suoi picchi, de- termina pure un aspetto uniforme più o meno spiccato nella ve- getazione che rallegra le varie pendici e le numerose creste, che rizzansi sull’ ampio suo dorso. Nella regione subalpina un poderoso strato di terriccio favorisce grandemente la formazione de’ boschi, che ne’ monti vicini della catena Giulia o. mancano del tutto o sono ristretti semplicemente ai margini degli scarsi ruscelli. Così pure le praterie unite, quantunque la grande inclimazione vi metta non poco ostacolo, si estendono fin oltre ai 2000 metri, spingen- dosi qua e là con larghe falde fin quasi sotto alla vetta culminante. Ciò facilita naturalmente lo sviluppo di piante gregarie amanti d’ un terreno soffice, senza però escludere quelle che prediliggono l’aspro delle roccie, alle quali questo monte, quant’ altri mai ru- pestre, si presta per eccellenza. Già parecchi botanici hanno esplorato questo monte, e più accuratamente il Rev. R. Huter, (1875 e 76), il quale vi scoprì alcuni interessanti bastardi *). Più tardi (1877 e 783) lo visitò il Capitano annoverese sig. Schambach, e finalmente nel Luglio 1877 lo salirono i sigg. Kugy e Schunk, l ultimo dei quali pubblicò pure un breve elenco delle specie osservate **). Nel seguente cata- logo delle piante, che raccolsi io stesso al 18-19 Agosto 1878, o che notai ‘in seguito: a gentile comunicazione dei precitati visita- tori, non mi fu possibile di dividere le specie per regioni, dap- poichè la maggior parte scende non di rado fin nelle valli. *) Queste sono, secondo gli. essiccati esistenti nell’erbario Tommasini: Saxifraga Reyeri, (sedoides X tenella) S. raiblensis (sub sedoides x tenella) S. Engleri, (crustata Xx Hostii) Puedorota Churchillii, (P. Bonarota X Ageria) Ni- gritella Heuffleri, (Gymnadenia odoratissima X Nigritella angustifolia) ed una forma della Saxi/raga moscata WIf. ch’ egli nominò carniolica. Il sig. Huter si propone di pubblicarne quanto prima la descrizione. (in litt.) **) Oest Bet. Zeit. XXVII p. 379 in cui incorsero alcuni errori nelle diagnosi, p. e. Ranunculus parviflorus(!) Dianthus alpinus, Linum perenne ed austriacum, Achillea Millef. setacea, che evidentemente riferisconsi ad altre specie. — 186 — Elenco delle piante del Wishberg, Atragene alpina L. Anemone alpina L. Ranunculus Traunfellneri Hopp. R. hybridus Bir. k. carinthiacus Hopp. R. nemorosus DO. Trollius enropaeus L. Helleborus niger L. Aquilegia pyrenaica DC. Aconitum Napellus L. A. Lycoctonum L. Actaea spicata L. Berberis vulgaris L. Papaver alpinum L. Nasturtium sylvestre R. Br. Arabis alpina L. A. ciliata R. Br. A. pumila Jcq. A. coerulea Haenk. Alyssum Wulfenianum Brubh. Lunaria rediviva Mnch. Petrocallis pyrenaica Brown. Draba aizoides L. D. tomentosa Whlb. Kernera saxatilis Rehb. Thlaspi cepeaefolium Kch. Biscutella alpestris Hutchinsia alpina R. Br. Aethionema saxatile R. Br. Helianthemum vulgare Gr. v. grandiflorum H. alpestre Rchb. Viola biflora L. Parnassia palustris L. Polygala amara L. v. alpestris P. speciosa Kern. Gypsophila repens L. Tunica saxifraga Scp. Dianthus sylvestris WIf. v. alpestris D. monspessulanus L. D. Sternbergii Sieb. Silene nutans L. S. inflata Sm. v. alpina S. saxifraga L. S. quadrifida L. S. alpestris Jeq. S. acaulis L. Lychnis vespertina Sibt. L. diurna Sibt. Alsine aretioides M. K. A. verna Brt. v. alpina Cherleria sedoides L. Moehringia muscosa L. M. polygonoides M. K. M. trinervia Clair. Arenaria ciliata L. v. frigida Stellaria media Vill. S. nemorum L. S. Holostea L. Cerastium alpinum L. C. ovatum Hpp. C. strictum Haenk. Linum alpinum Jeq. L. catharticum L. Hypericum perforatum L. H. montanum L. H. tetrapterum Fries. Geranium macrorrbizum L. (Schunk). G. phaeum L. G. sylvaticum L. G. sanguineum L. — 187 — Erodium cicutarium 1’ Her. Oxalis Acetosella L. Rhamnus alpina L. R. saxatilis L. Cytisus capitatus Jcq. C. radiatus Kch. Anthyllis alpestris Heget. Trifolium alpestre L. T. noricum WiIf. T. montanum L. T. pallescens Schrb. T. agrarium L. Lotus corniculatus L. Oxytropis montana DO. Hedysarum obscurum L. Caronilla vaginalis Lam. Spiraea -Aruncus L. S. decumbens Kch. Dryas octopetala L. Geum urbanum L. G. rivale L. Rubus Idaeus L. R. caesius L. R. saxatilis L. Fragaria vesca L. Potentilla caulescens L. P. Tormentilla Sibt. © P. minima HII. P. nitida L. Agrimonia Eupatoria L. Rosa alpina L. Alchemilla pubescens M. B. A. fissa Schm. A. alpina L. Sorbus Chamaemespilus Crntz. Epilobium angustifolium L. . trigonum Schrnk. . origanifolium Lam. . roseum Schrnk. . montanum L. [c> io is Sedum hispanicum L. S. atratum L. Saxifraga Aizoon Jcq. . elatior M. K. . Engleri Schtt. (Huter). . Burseriana L. . squarrosa Sieh. . caesia L. . oppositifolia L. . tenella WI. . aizoides L. . stellaris L. . cuneifolia L. . muscoides WIf. . sedoides L. . androsacea L. . rotundifolia L. Chrysosplenium alternifolium L. Astrantia major L. Aegopodium Podagraria L. Pimpinella magna L. v. rosea Bupleurum canalense WIÉ. Athamanta cretensis L. A. mutellinoides Lam. Heracleum palmatum Bmgt. Laserpitium peucedanoides L. Chaerophyllum cicutaria Will. Myrrhis odorata Scp. Conium maculatum L. Sambucus Ebulus L. Viburnum Lantana L. DPDDAORBRRDMDNDRRDMDAPKNWL N Lonicera Xylosteum L. L. alpigena L, Asperula longifolia W. K. Galium vernum Scp. G. rotundifolium L. (Schambach) G. sylvestre Poll. Valeriana officinalis L. V. montana L. V. saxatilis L. — 188 — Valeriana elongata L. Knautia sylvatica Dub. Scabiosa lucida. Vill. Adenostyles alpina BL Fing. Homogyne sylvestris Cass. H. alpina Cass, H. discolor Cass. Aster alpinus L. Bellidiastrum Micheli Cass. Erigenon alpinus L. E. glabratus Hpp. Solidago alpestris Rchb. Buphthalmum ‘salicifolium L. Gnaphalium sylvaticum L. G. carpaticum Whlb. G. Leontopodium Scp. G. dioicum L. Achillea Clavennae L. A atrata L. A. Clusiana Tsch. Chrysanthemum montanum L. C.Leucanthemum L.v, maximum Doronicum austriacum Jcq. Aronicum Clusii Kch. A. glaciale Rchb. Cineraria alpestris Hpp. Senecio nemorensis L,. Cirsium.eriophorum Scp. C. spinosissimum. Scp. C. Erisithales Scp. Carduus defloratus L. Saussurea. discolor DC, S. pygmaea Sprg. Serratula tinctoria L. v. Vulpii. Centaurea axillaris Willd. Aposoeris foetida D.C, Leotodon Taraxaci Lois. L. pyrenaicus Gouan, L. hastilis L. v. alpinus Scorzonera aristata Ram.(Huter). Taraxacum officinale Wig. v. alpinum. Crepis aurea Cass. Hieracium rablense Huter (1875) . staticaefolium. Vill. . glabratum Hpp. . nudum Gr. Gdr. (Huter!) . villosum, L: . Gisleri Lagg. (Huter!) . Jacquinii Vill. . alpinum L. . umbellatum L. Phyteuma Sieberi Spr. P. orbiculare L. P. comosum L. Campanula Zoysii, WIf. C. caespitosa Scp. pusilla Haenk. rotundifolia L, carnica Schied. thyrsoidea L. Trachelium L. C. glomerata L. Vaccinium Myrtillus L. V. Vitis idaea L, Arctostaphylos officinalisWimm. Calluna vulgaris Sal. Erica carnea L. Azalea procumbens L. Rhododendron hirsutum L. R. Chamaecistus L. Pyrola rotundifolia L. Cynanchum Vincetoxicum R. Br. Gentiana cruciata L. . asclepiadea L. . acaulis L. . excisa Presl. . verna L. . imbricata Fròl. . pumila Jcq. BREREERTO ol C. C. C. C. QLQRAI — 189 — Genriana utriculosa L. G. nivalis;L. G. obtusifolia Willd. Myosotis alpestris Schm. Eritrichium nanum Schrd. Serophularia canina L. Digitalis grandifiora Lam. Linaria alpina Mill, Veronica urticifolia- L. V. officinalis L. V. aphylla L. V. bellidioides L. V. saxatilis Jcq. V. alpina L. Paederota Bonarota, L. P. Ageria L. Pedicularis Jacquinii Kch. P. tuberosa L. P. elongata Kern. P. verticillata L. Rhinanthus alpinus Baum, v. angustifolium. Bartsia alpina L. Euphrasia officinalis L. E. minima Schl. Salvia glutinosa L. Thymus Serpyllum L. v. num- mulariaefolius et v. angu- stifolius. Calamintha Acinos Clair. C. alpina L. Lamium maculatum L. Galeobdolon luteum Hds. Galeopsis versicolor. Stachys recta L. Betonica officinalis L. B. Alopecurus L. Prunella vulgaris L. P. grandiflora Jcq. Ajuga reptans L. Teucrium montanum. L. Pinguicula alpina L. Lysimachia vulgaris L. Primula longiflora All. P. elatior Jeq. P. Auricula L. Soldanella montana Willd. S. alpina L. S. minima Hpp. Globularia cordifolia. L. Statice. alpina, Hpp.. (Kugy, Schunk.) Plantago montana Lam. Rumex;scutatus L. R. arifolius. All R. Acetosella L. Polygonum viviparum L. Daphne Mezereum L. Thesium montanum Ehr. T. pratense Ebr. Euphorbia carniolica Jeg: E. falcata L. Urtica urens L. Parietaria erecta M. K. Fagus sylvatica L. Corylus Avellana L. Salix grandifolia Sering. . glabra Scp. . arbuscula; L. .. Jacquiniana, Willd. . reticulata L. . retusa. L. . serpyllifolia Scp. Alnus viridis. DC. Juniperus nana Willd. Pinus sylvestris L. P. Mughus Scp. P. Abies L. P. PieealL P. Lanx.L, DNRIRRNTDVD N = 400 — OrchissambucinaL.(Schambach) Anthoxanthum odoratum L: Gymnadenia conopsea R. Br. Phleum Michelii All. G. odoratissima Rich. P. alpinum L. Peristylus albidus Lindl. Agrostis alpina Scp. Nigritella angustifolia Rich. A. rupestris All. Chamaeorchis alpina Rich. Calamagrostis sylvatica DO. Epipactis rubiginosa Gd. Sesleria coerulea Ard. Neottia Nidus avis Rich: S. microcephala DO. Corallorrhiza innata R. Br. Koeleria ‘carniolica Kern. (Schambach). Aira caespitosa L. Majanthemum bifolium DC. Avena pubescens L. Allium ursinum L. Poa minor Gaud. Veratrum Lobelianam Brnb. P. alpina L Tofieldia calyculata Whlb. Dactylis glomerata L. T. borealis Whlb. Festuca ovina L. v. alpina. Juncus Jacquini L. F. varia Haenk. I. triglumis L. Brachypodium sylvaticum R. S. I. Hostii Tsch. Nardus stricta L. Luzula nivea DO. Lycopodium annotinum L. L. Sieberi Tsch. L. Selago L. Carex muricata L. Selaginella helvetica Sprg: C. ornithopoda Willd. Polypodium Phegopteris L. C. fuliginosa Schrk. Polystichum Oreopteris DC. C. frigida All. P. Filix mas Rth. C. firma Hst. Cystopteris fragilis- Brnh. C. tenuis Hst. C. regia Prsl. C. sylvatica Hds. Il resto della nostra gita venne continuamente contrariato delle pioggie, per cui dopo di aver volto uno sguardo all’ onde della Drava, ed aver percorso col Suess alla mano la vallata della Slitza, volgemmo un addio ai verdi clivi della Carinzia, e lasciam- mo con un sospiro quel mondo alpestre, per ritornare alle sponde dell’ Adria, già rinfrescate dalle prime pioggie autunnali. Cirolana hirtipes, M. Edw. nella Thalassochelys corticata, Rondel. Comunicazione di Antonio Valle. Mi permetto di riferire brevemente intorno ad un caso in- teressante di parassitismo osservato in una testuggine di mare (Thalassochelys corticata, Rondel.) della lunghezza di circa 51 cm., pescata viva nel nostro golfo. Tra le papille dell’ esofago, che come è noto ad ognuno, rag- giungono nelle testuggini marine dimensioni straordinarie, stava innicchiata un’ enorme quantità di crostacei parassiti. Pare che c9- desti parassiti avessero scelto già da lungo tempo questa testug- gine per loro pasto, dappoichè buona parte dei muscoli della testa erano stati rosi molto profondamente. Esaminandoli più davvicino si riconobbe ch’ essi appartene- vano all’ ordine degli Zsopodi e {firetistimente alla specie . Cirolana hirtipes, M. Edw.") La lunghezza del loro corpo era dai 4 ai 19 mm. Nel nostro Museo di Storia Naturale esistono alcuni esem- plari di questo parassita trovati in una Centrina Salviani, Kiss. pescata nella valle di Zaule presso Trieste. Per quanto a me consta, questo parassita non venne finora ritrovato su altri animali, per cui nuova riesce la sua presenza sulla T'halassochelys corticata, Rondel. Trieste, Decembre 1878. *) Milne Edwards. Hist. Nat. des Crust., t. III p. 236, pl. 31, fig. 25. _ Atlas du Règne anim. de Cuvier, Crust. pl. 67, fig. 6. Legno silicizzato dall’ Istria per Antonio Valle. (con due tavole litografate). Nell’ Agosto del 1874 venne ritrovato nella cava di Simonet- tia, non lungi da Buie, un tronco d’ albero pietrificato, di cui due pezzi vennero regalati al nostro Museo di Storia Naturale dai Sig. Bonetti e Huszak. Siccome, per quanto a me consti, di legno siliciz- zato non si rinvenne finora traccia nella nostra provincia, dappoichè nessuno dei naturalisti che scrissero. sull’ Istria ne fecero cenno, credo prezzo dell’opra di tenerne qui brevemente parola. La cava di Simonettia, proprietà della Banca triestina di Co- struzioni, venne negli ultimi anni sfruttata attivamente, da esau- rire quasi completamente gli strati di pietra servibile ‘a fabbriche, cosicchè presentemente trovasi abbandonata. Però mercè la quan- tità di pietra esportata essa ci presenta un hel spaccato geognostico di questo distretto. La profondità di questa cava misura circa 12 metri e ci presenta un complesso di strati di differente aspetto, però tutti appartenenti al calcare rudistico, come si rileva dai pochi frammenti di fossili che vi si riscontrano. Coperto da un abba- stanza poderoso strato di terra rossa e di conglomerato intima- mente cementato a questa, ci si presenta un calcare grigiastro, compatto quasi cristallino, che però va man mano diminuendo di spessore facendosi sempre più ricco di magnesia, finchè nel giaci- mento inferiore diviene lamellare, di color. hianco, e molto più tenero. Questo calcare: lamelloso trovasi non di rado solcato da linee SRIALNRIE ) 4 dr ‘0.470 D 0]DUIN I 07PIXILIS 940I7A ) IÌÙÈ \ p = eil Gase i Dprpuofos, 1) Ubi QUDIZI] DIIIOL UI-0NDISI ]} La £ dol TL EDVNWW RB N\C NS x N i 35 No tal YoX 18 ci Ve EN SUOI “IT APT “AMDUZVI TT dI lol = eZ. Cesc > GI TREE RE \S deli SIAE N 7TTSNIPILLRI eZ E LA LR DZ; D77557 IA I} SL : = (e== Sez er LILLR — 193 — oscure, che allo strofinamento ci rivelano la presenza di sostanze bituminose. Riseppi che nel medesimo vennero pur trovate traccie di carbon fossile. i Il tronco silicizzato, rinvenuto in questa cava, trovavasi in- nicchiato in un grosso strato di calcare. e. misurava un metro. ed 80 cent. in lunghezza e. possedea. un diametro di. 66 cent. circa. Esso presentava una curva notevole, causata probabilmente. da una diversa pressione cui andò soggetto. Il colorito del. medesimo era d’un grigio chiaro ed alla sua superficie scintillava una quantità con- siderevole di graziosi cristalli, benissimo sviluppati di quarzo, quali sotto forma, della combinazione del prisma esagonale col romboedro negativo, col diromboedro o colla piramide esagonale, e quali pre- sentanti una serie interessante di geminazioni. La sua densità è di. 2: 43, la sua durezza è tra quella del- l’Ortoclasio e. dell’ Apatite, cioè = 5° 5. La sua massa è molto porosa, prova ne sia, che dopo un’ immersione nell’ acqua, aumentò di ‘zo del suo peso. All’ esame microscopico, cui sottoposi vari pezzi ridotti a lamine sottilissime, si riconobbe il tessuto benissimo conservato, per cui non ne riescì difficile la. determinazione. Un taglio trasversale del legno ci presenta gli anelli annuali poco distinti, le cellule legnose ordinate regolarmente quasi eguali tra di loro (Tav. II, fig. 1). Un taglio longitudinale parallelo agli anelli degli strati più esterni ci offre un inviluppo di cellule esa- gonali sovrapposte le une alle altre, che variano nella figura e di- mensione (Tav. II, fig. 2), mentre un altro praticato più verso l'interno ci mostra. la sezione de’ raggi midollari, solitari 0 so- vrapposti gli uni agli altri in numero fino ad otto (Tav. II, fig. 3). Al. taglio longitudinale parallelo al raggio, noi scorgiamo che le . cellule legnose. fusiformi, le quali sono spesso punteggiate, ed a doppio contorno, vengono attraversate dalle cellule midollari a pa- reti alquanto più sottili. (Tav. II, fig. 4). Da questi caratteri si può riconoscere che il nostro tronco appartiene alla classe delle Conifere ed essere il Thuioxylon ambi- guum, Ung.,*) di cui vennero trovati vari esemplari a Gleichenberg, nei dintorni di Vienna ed a Thy nel Jutland. *) Unger, Cnlor. protog. pag. 32. — Gen. et spec. plant. foss. pag. 354. — Foss. Flora von Gleichenberg. p. 16, tab. I, fig. 4—6. Cupressinoxyglon ambiguum, Goppert., Monogr. d. foss. Conif. p. 198. — 194 — Interessante si è ad ogni modo la matrice in cui' esso giacea, dappoichè è rimarchevole che questo pezzo di legno silicizzato, nel quale non riscontrasi quasi traccia di calce, trovisi tutt’ all’intorno circondato da strati calcari. Ne viene quindi la domanda: subì il legno il processo di silicizzazione nel luogo ove venne trovato, oppure esso vi giunse posteriormente, trascinato dalla forza del- l’acqua? Noi sappiamo che il legno silicizzato, che andò soggetto ad un trasporto meccanico, ne porta le traccie evidenti ne’ suoi spigoli arrotondati, come a tacere d'altri, chiarissimo ci appare ne’ pezzi provenienti dal famoso deposito del Cairo*). Nulla però di questo puossi riscontrare nel nostro tronco, la cui superficie liscia o ricoperta dai prefati cristallini di quarzo, parla anzi in favore di una silicizzazione subita in loco. L’ analisi ‘chimica dei vari strati di calcare di questa località, cui gentilmente volle sob- barcarsi il distinto Prof. A. Vierthaler **#), ci dimostra che se anche in piccola quantità, essi pur contengono della silice, la quale len- tamente infiltrandosi nei tessuti vegetali, e sostituendo atomo per atomo nel lungo corso de’ secoli le sostanze organiche, ci conservò quest’ interessante reliquia delle antiche selve di conifere che una volta ombreggiavano i clivi della nostra penisola. *) Unger. Der versteinerte Wald bei Cairo und einige andere Lager verkieselten Holzes in Aegypten. Sitzb. d. k. Akad. der Wissensch. Bd. XXXIII: pag. 299. ##) Analisi chimiche sopra il legno silicizzato e sui calcari della cava Simonettia presso Buie. CALCARE Legno I II. i Ir. |Presonella silicizzato| Strati Strati Strati disesanol So Po 3 PIP seno di superiori | medii | inferiori Pago Contenuto in 100 parti Silieo seoluroti). 0.64 0.77 0.81 0.31 Ossido ferrico . . 0.60 traccie traccie traccie traccie Carbonato di calce. traccie 96.52 89.60 81.59 95.11 Carbonato di magnesia| 0.25 2.80 9.55 17.53 4.57 CO end "e — 195 — Spiegazione delle figure. Tavola I. Fig. 1, 2 e 3. Tronco silicizzato. Fig. 4. Profilo della cava. Tavola II. Fig. 1. Parte di un taglio trasversale del Thuioxylon ambiguum, Ung. a. Cellule legnose. b. Raggi midollari. Fig. 2. Taglio longitudinale parallelo agli anelli. Anello esterno. Fig. 3. Taglio longitudinale parallelo agli anelli. Anelli interni, a. Cellule. legnose. b. Raggi midollari. Fig. 4. Taglio longitudinale parallelo al raggio. a. Cellule legnose con delle punteggiature (*). b. Raggi midollari. Gl' ingrandimenti microscopici sono tutti col Zeiss O. 2. SD: Un’ escursione in Bosnia per Bernardo Dr. Schiavuzzi. È dolce cosa dopo sofferti disagi e fatiche, trascorsi pericoli, cercar un quarto d’ ora fra le pacifiche occupazioni d’ una città di provincia, onde dipingere con rapida penna gli scorsi paesi e trac- ciarvi le emozioni provatevi. Addì 18 luglio, a. c. noi arrivammo in Sissek e da questa città ci porlammo in 5 marcie ad. Alt-Gradisca. Ricchissimo è il paese da noi attraversato. È facile il persuadersi delle risorse che offre ai suoi abitanti, specialmente in quanto riguarda i prodotti dell’ agricoltura. Magnifici boschi di querce, che raggiungono una grande altezza, boschi tenuti privi di spine; campi coperti di hbiade, prati estensissimi e rigogliosi, mandre enormi di buoi e di porci, stuoli immensi di oche domestiche, sono perenne argomento atto a destare sensi di ammirazione in chi mai non vide che le sterili rocce del Carso, oppure raccolse l’ incerto prodotto dei nostri monti. Questi paesi sì ricchi albergano però un popolo pigro, forse tale perchè poco numeroso e per conseguenza pieno delle ricchezze, che il suolo con poca fatica gli offre. La scarsezza della popolazione è la causa principale che i grandi proprietari debbano preferire la coltura boschiva e nello stesso tempo favorire l’immigrazione di gente straniera. A Kutina diffatto, alquanti anni or sono, si stabi- lirono molti boemi e con ottimo esito. La nostra marcia attraverso questa parte della Slavonia, se fu faticosa, ci offerse però anche il lato interessante e dilettevole. In Novska i contadini danzarono dinanzi a noi, andando continuamente in giro e cantando contem- poraneamente una canzone guerresca. Il loro buon cuore si palesò a 897 tale in molte occasioni. ‘(Al nostro passaggio pei villaggi ci offri- vano acqua e frutta fresche e c’ incoraggiavano, se vedevano che una nube fosca attraversava la nostra mente. Sono povera gente; il loro vestito, le misere loro abitazioni lo palesano, come pure i loro stessi costumi ed il loro vitto. La ristrettezza del tempo concessoci non mi permise d’ osser- vare più da vicino le bellezze naturali di questo paese. I magnifici boschi. di querce che vicino a Sissek sono sì rigogliosi, nelle vi- cinanze di Okutane e di Alt-Gradisca s’ estendono pure per ampio tratto di terreno. Ciottoli di granito scorgonsi sulla. strada che congiunge questi due luoghi, mentre nei boschi abitano molte specie di corvi e continuamente passa per 1’ aere a lento volo la Cicogna bianca e talvolta la nera. Li 24 luglio arrivammo in Alt-Gradisca ed ai 30 dello stesso mese noi toccammo per la prima volta il suolo della Bosnia. Io tenterò di dare una succinta descrizione di quel tratto di terreno che venne occupato dalla VII Divisione d’ Infanteria, at- tenendomi in ispecialità allo scopo cui tende questa spettabile Società, tracciandone cioè a larghi tratti le particolarità naturali del suolo ed i costumi degli abitanti. Passata la Sava dinanzi Lerbir, un’ estesa vallata di molte miglia di circonferenza s’ affaccia alla vista. La coprono immensi prati, campi di mais e di cereali con alberi fruttiferi. Ad un mi- glio forse di distanza da Berbir la scena cangia d’ aspetto. Al mais ed ai cereali sottentrano le felci e tutta quella landa, altra volta rigogliosa, coperta di. fertili campi, ora è mutata in una steppa, ove solo le crittogame allignano, divenendo cotanto alte da nascondere la metà del corpo dei passanti. In tutta questa steppa non una casa, non una fontana, ma tutto arido, tutto. sel- vaggio. I corvi gracidano e questa famiglia d’ uccelli è la sola che vivifica questo paese. Avvanzandosi verso Banjaluca il terreno si ‘fa montuoso e si marcia attraverso colline, contraforti del Kosaras. Il cuore si riapre all’ avvicinarsi della città. Qualche casupola sparsa qua e là, indica che c’ è chi popola questo paese, qualche campetto, chi, lo coltivi, mentre dall’ altro lato i magnifici boschi di conifere che ad ambo i lati della strada rigogliosi coprono i fianchi delle colline, servono ad abbellirlo. Ad un tratto in grande distanza si scorge la cima d’ un. minareto e chi cavalca si drizza sulle staffe. gridando giu- bilante: È. Banjaluca! Si marcia allora in vicinanza del Verbas, 14 so 198 — attraversando ridenti posizioni, che la prossimità d'uno dei. primi centri, della Bosnia rende più coltivati e più soggetti alla mano dell’ uomo. “Banjaluca!, Chi non pensa con orrore ai 14 agosto pronun- ciando questo nome ? Questa città giace nel punto ove la. valle del Verbas. si restringe e quasi si chiude fra due montagne. Essa non offre nulla di particolare. Abitata da gente di varie religioni, pre- senta sì l’aspetto orientale, che quello europeo. Gli edifici, eccet- tuata una bella moschea, una chiesa cristiana, alquante case ben costruite, sono miserabili. Usciti da Banjaluca, la strada si stacca dalla valle del. Verbas prolungandosi a destra per ascendere sul- l’altipiano del Kragulievaé e del Kukavié. Dall’ alto di essa si gode per un buon tratto della vista dell’ angustissima valle ove scorre il fiume, mentre incanta la vista il pittoresco panorama offerto da Novoselje, ridente villaggio posto a cavalcioni del Verbas. Boschi di quercioli, di avellane, di carpini coprono da tutti i lati i fianchi della strada e solo qua e là fanno capolino macchie di conifere, fra cui predominano gli abeti. Trascorse 5 buone ore di marcia si arriva a ola, posizione abitata, sita sull’ altipiano in un bosco di quercioli e dopo 3 ore di marcia a Dobrinje, attraversando passi angusti in boschi di olmi giganteschi, di abeti e di larici. Questo villaggio (se tale si può chiamare) giace in una vallata coltivata a mais ed. a cereali. Consta di 3 o 4 casette di paglia, segno sicuro della povertà di quel popolo. 30 chilometri di strada dividono Dobrinje da Han Cadjavica. Quanto helle sono queste regioni! Pittoreschi paesaggi; abbelliscono il passaggio. Boschi d’ olmi giganteschi, di querce, di abeti, con entro a tratto a tratto collinette nude d’ alberi, ma co- perte d’ un magnifico verde tappeto e di quando in quando il nudo carso attraggono la vista dell’ osservatore, sicchè sì crede di sognare e non di trovarsi in un’ espedizione guerresca, in un paese semi- selvaggio. Sitnica! Si crederebbe di scorgere una città al vedere in distanza questo villaggio forticato. Posto sopra una ridente collina, corredato di un forte medioevale a forma di rocca feudale, sembra una pittura di paesaggio. Si dimenticano gli strapazzi, si spera sollievo, riposo fra quelle mura; e poi a che cosa si riduce il tutto? Ad una rocca in rovina, a poche case di legno, ad una moschea, ad un villaggio abbandonato, ove difficilmente trovi una persona che servire ti possa d’ un bicchiere d’ acqua per dissetarti. Le cornacchie, i corvi sono come di solito i soli abitanti di quelle — 199 regioni. La mancanza d’acqua ci impedì di fermarci a Sitnita e dovemmo prolungare la nostra marcia fino a Han Cadjavica, punto strategico, che indi nella presa di Kljué acquistò importanza. Han Cadjavica chiamasi il sito ove alla via da noi percorsa si unisce la strada che mena a Kljué. Giace in una valle formata da un affluente della Ssanna, valle coperta da boschetti di quercioli, car- pini, olmi ed avellane. I fianchi sono coperti pure dalle stesse piante a cui s’ aggiungono di tratto in tratto boschi di conifere. Il terreno della valle è quello d’ alluvione, mentre lo scheletro dell’ altipiano sino a qui è completamente calcare cretaceo, non punto differente da quello che forma il nostro Carso. Da Han Cadjavica eravamo diretti per Vacar-Vakuf, quando in fogelje al fianco sinistro del Kraguljevaé fummo assaliti per la prima volta dagli insorti. La spedizione ai 5 d’agosto ricevette il battesimo di sangue! -- Vacar- Vakuf! Quest’ antipatica città, posta in un’ angusta valle, senza prospettiva, non fu a noi che momentaneo riposo dopo le sofferte fatiche. Noi l abbandonammo in linea di battaglia addì 7 agosto, sicuri essendo di venir di bel nuovo assaliti nella nostra marcia verso Jaice. Lo scontro diffatti sì cangiò in vera battaglia, che dal mattino durò fino alla sera, essendosi estesa ad ambo i lati del lago di Jezero. Le bellezze di questo lago, la magnificenza della posizione vennero offuscate dalle somme occupazioni, nonchè dalla nebbia, che solamente vicino Jaice si dissipò. Jaice giace sopra una collinetta isolata, a cavalcioni della valle del Verbas. Nei tempi antichi residenza dei re bosniaci, pos- sede da quell’ epoca un castello che domina tutto il territorio ed è ora abitata in somma parte da maomettani che quasi tutti ave- vano abbandonate le loro dimore, fuggendo dinanzi a noi. A Sud- Ovest di Jaice il Carso forma una roccia perpendicolare, alla base della quale è lo sbocco del lago di Jezero nel Verbas. Le nebbie non mi permisero di godere lo spettacolo della magnifica cascata delle acque del lago in quella del fiume, che al dire dei miei com- pagni che la videro, è sommamente interessante. Da Jaice si parte per Travnik attraversando un defilè della durata di 7 ore di marcia, da fare spavento. Il defilè comincia tosto che passato il ponte di legno sul Verbas e nuovamente quello di pietra che sta sopra un affluente dello stesso fiume, si presentano i fianchi quasi a per- pendicolo di una linea di colli, che da colà si estendono sino al Karaula-Gora. Un ruscelletto di nessuna importanza sta al Sud * OO della strada, conducente un’ acqua fresca, deliziosa. I colli che fiancheggiano la via sono coperti di conifere accompagnate da be- tule e da avellane. A piccola distanza da Jaice, su questa mede- sima via venne scoperta (a quanto mi venne detto), in questi ul- timi giorni una miniera d’ Antracite, che a riferta di chi la scoperse (soldati del genio) sarebbe molto ricca. Dopo 5 buone ore di cammino chiude la via il Karaula-Gora e per giungere a Travnik conviene attraversarlo.. Questo monte abbastanza elevato (oltre a 1000 metri sopra il livello del mare) è formato da ardesie giallicce che offrono un cattivo e pericoloso passaggio pei cavalli, disaggradevole oltre a ciò per la ripidezza della strada. Fa spavento talvolta 1’ osservare come i cavalli si avanzino sull’ orlo d’ un precipizio, ove un piede posto in fallo get- terebbe il cavaliere a 100 metri di profondità. Rigogliosa è la ve- getazione; non un angolo di terreno senza il verde tappeto oppure senza che magnifiche conifere non ne coprano il suolo. Di tratto in tratto attraggono l’ attenzione olmi giganteschi con boschi, che a stento 3 persone potrebbero abbracciare ed ai piedi di questi fra mille muschi ed il timo, le saporite fragole. Ai lati se si getta lo sguardo, quali rocche feudali, annerite dal tempo, torreggiano rocce calcari, che solitarie sorgono fra gli enormi strati di ardesia e dagli angoli di esse ti pare ad ogni momento di scorgere la carabina d’un insorto. Sul vertice di Karaula-Gora fa bella figura un casi- netto turco e vicino ad esso un fortino (Karaula-Blockhaus). La discesa è ripida e sempre ai fianchi di un ruscello coperto e na- scosto da piante acquatiche, ruscello che poi nel sottoposto villag- gio muove un molino. Quando, passato il vertice del Karaula-Gora si presenta alla vista la bella vallata di Travnik, il cuore si riapre al soldato, che stanco per le marcie, affranto dalle fatiche sofferte, sa che in quella valle alfine troverà asilo e riposo. La valle di Travnik è magnifica! Unica o rara nel suo genere, dessa è come un bacile lungo e stretto e chiuso da tutti i lati. Montagne talfiata coperte di conifere e talora affatto nude ne formano i limiti, e. su di esse qua e là sorgon le ville dei Begs. Il fiumicello Lasva, affluente della Bosna, corre per questa valle e passa puranco per Travnik ove dà acqua a molti molini. Di tratto in tratto affiorano alla base della vallata roccie solitarie, formate da un conglomerato di piccolissimi ciottoli cementati fra di loro con argilla. Si crederebbe di vedere avanzi d’una morena, che tali forse sono. I monti circostanti sono total- — 201 — mente calcari cretacei, mentre terreno d’alluvione forma il fondo della valle Limnei stagnali vivono nel fiume e nei boschi vicini le gazze fanno schiamazzo. Quest’ uccello grazioso (Pica caudata) vive tutto l’anno nei dintorni di Travnik ed assieme al Corvus monedula visita di continuo la città, gracchiando, schiamazzando e posandosi persino sui davanzali delle finestre. Non sì frequente ma comuni però sono le altre cornacchie e specialmente il Corvus COTNIX. Travmk! Nojosa città, vivente sepoltura! Non una casa costruita decentemente, non una contrada bene selciata, non un fanale che la illumini durante la notte, non una locanda, ma invece tutto primitivo, tutto sucido. Le sole moschee e se vo- gliamo Ja Residenza (Konak) col suo giardino e la scuola serba, ti ricordano che ti trovi in una città importante, la seconda nella Bosnia. Solo apprezzabile è la quantità di fontane, di lavato] che vedi ad ogni passo nella città. I turchi si lavano il viso e le mani e formicolano di parassiti nelle abitazioni ed hanno il fango alto sulle vie! Io passai un mese e dieci giorni in Travnik. Era il Ra- mazzan! Il cannone salutava la luna al suo comparire ed al suo tramontare. Alla sera i minareti s’ illuminavano. Il popolo turco passava le sere nelle moschee, assorto nelle pratiche religiose, mentre fino alle più tarde ore della notte nelle botteghe aperte dai turchi, si beveva il caffè, accompagnandolo alle delizie narcotizzanti del cibùk Palloncini di carta illuminati rischiaravano la via ai passanti, dopo che nelle 24 ore della giornata 3 volte il Muezzin dall’ alto del minareto cantando con una certa melodia, aveva in- vitato il popolo dei credenti alla preghiera. — La vita da noi con- dotta in quella città non offerse giammai alcunchè d’ invidiabile. Non convegni se non dinanzi alla capanna ove si riceveva un caffè alla turca; costretti a vivere la vita di quasi eremiti, privi di tutto quello che abbellisce 1° esistenza. Il nostro cibo sempre sufficiente, anzi per quanto lo permettevano le condizioni anormali in cui ci trovavamo, abbastanza generoso, ci cominciava dopo 20 giorni a venir in nausea e non eravamo in caso se non imperfettamente di modificarlo, stantechè nulla ci offrivano le botteghe di Travnik, tranne poche cipolle, alquante patate ed un po’ di grasso di majale, il tutto enormemente caro. I soli frutti. erano a buon prezzo, spe- cialmente, le prugne e le pere, di cui abbonda la Bosnia. L’ uva era d’ alto prezzo, in quanto che nei dintorni di Travnik non ne nasce. — Era nostro divertimento di visitare il villaggio cristiano — 202 — di Dolaz, il quale sta a Sud-est di Travnik. Posto in magnifica posizione, da cui si domina tutta la ridente vallata che conduce a Vites, questo paesetto offre un altro aspetto, ben differente da quello della vicina città. Le case ne sono meglio custruite, più nette le con- trade, più fino il tratto dei suoi abitanti. Noi venivamo accolti da questi come vecchi amici e godevano vedendoci visitare la loro scuola e la graziosa chiesuola, soli monumenti che essi possiedano e che rammemoravano al povero soldato la patria lasciata. Addì 21 settembre lasciammo Travnik onde marciare su Livno. La nostra marcia ci condnsse nel primo giorno in Dolni-Vakuf o Skopie nella valle del Verbas. Attraversammo, come di solito gole di montagne non punto dissimili da quelle fino ad ora passate, su cui v è differenza solamente nella vegetazione, la quale cangia d’ aspetto più al Sud che i nostri passi si dirigono. Preval- gono cioè le conifere sulle altre piante d’ alto fusto, mentre la struttura del terreno si mostra argillosa ed ancor più al Sud pret- tamente calcare. La via conduce da principio in un’ angusta valle per ascendere sul Cardas, sul cui punto culminante viene ora eretto un Blockhaus (fortino); discende indi al piano e raggiunge Dolni-Vakuf. Prima d’ arrivarci però, a manca si vede sul fianco della montagna che da quel lato limita la strada, il foro d’ un antro, che per la sua posizione e forma ha tutti i dati che lo carat- terizzerebbero quale abitazione preistorica. —- Dolni-Vakuf è un paesetto di forse 2000 abitanti, abbastanza animato, sito in una bella valle alla sponda destra del Verbas. Si transitò su questo fiume per mezzo di un ponte ad archi, in parte di pietra ed in parte di legno, il quale si spezzò al nostro passaggio. Da Dolni- Vakuf ci recammo in Bugojno, misero villaggio, posto pure nella stretta valle del Verbas. Quello che spicca in favore di questi paesi è di vederli col- tivati. Diffatti campi di cereali, di mais, di verdure presentansi all’ occhio del passeggiero e vicino a questi la capanna del solerte colono. Strano spettacolo per noi, avvezzi sino a Vacar-Vakuf al passare attraverso lande del tutto disabitate. Ai 23 del mattino ci ponemmo in marcia per Kupres. Un’amena valle di corta esten- sione conduce al famoso defilè di Kupres, lungo circa 20 chilome- tri. Sopra un ruscello a destra della strada svolazzava il Cinclus acquaticus, unica volta ch'io abbia avuto occasione d’ osservare quest’ uccello e. di ammirarno le graziose movenze. Un’ impres- sione d’ ambascia ci fu compagna durante tutto il passaggio del — 203 — defilò! Chiusa la via come di solito fra. due serie di colli, coperti del tutto da conifere e da arbusti, essa si restringe in alcuni siti a pochi metri d’ ampiezza. Un ruscello la segue e su questo .qua e là scorgonsi seghe mosse dall’ acqua, unica industria oltre ai mo- lini pel grano da me osservata in questo infelice paese. Ad un tratto il defilè ci abbandona e la strada si dirige sulla StoZér, at- traversandolo ad un’ altezza di 1430 metri pari a 4300 piedi. Fa- ticoso e nello stesso tempo non privo di pericoli è questo tragitto, mentre dà compenso al passante coll’ offrire magnifici paesaggi, specialmente quando dall’ alto della sella della montagna lo sguardo si protende sino alla sommità dei monti allo Stozir vicini e più alti di esso. Finalmente dopo passato il vertice, vicino ad un caseg- giato la strada s’ apre uno sbocco fra le rocce, ove arrivati scor- gemmo la valle di Kupres ed il nostro accampamento. Il villaggio consta di poche case ed è sito in una valle di mediocre estensione, irrigata da un fiumicello senza sbocco, la Bistrizza. Noi 1’ attra- versammo onde dirigerci su Swica, ‘ultima stagione dinanzi Livno. Nella valle di Kupres trovammo distrutto il filo telegrafico, rotte le campane di majolica e qua e là atterrati i pali. Erano avverti- menti degli insorti! Con tempo piovoso arrivammo in Suica senza che il nostro viaggio nulla di particolare ci avesse offerto. Sempre lo stesso spettacolo. Rocce calcari, ora nude, ora coperte d’ arbu- sti; solo qua e là qualche boschetto di conifere. Branchi di pecore e di buoi pascolavansi, mentre i pastori incantati seguivano col- l’occhio la nostra marcia. Alle3 pomerid. del giorno 25 giungemmo in Suica, pernottando nella chiesuola cattolica del luogo. Swuica è pure un villaggio grosso se vogliamo, posto al lato. simistro della via, non avente nulla di notevole. Nel seguente mattino di buon’ ora ce’ inecamminammo su Livno. La mostra marcia ci condusse attraverso ad una squallida landa, coperta di puri sassi, fra cui atto di grazia era lo scoprire un arbusto, un albero di media altezza. Fino a Borova-glava ci avvanzammo sulla strada maestra e da colà dovemmo seguire la seconda Brigata che per viottoli da pedone si diresse al Nord-Est di Livno. Appena arrivati, verso le 4 pomeridiane del 20 settembre cominciò il fuoco. — Non è mio scopo di qui tracciare il lato militare di questa spedizione, solamente dirò ch'io provai delle grandi emozioni durante questo assedio, prodotte forse e dal modo energico usato in questa presa e fors’ anco dalla posizione indi- pendente ch’ io occupai in quelle tre giornate. — Nel mattino — 204 — del 28 settembre la settima divisione entrava in Livno ed il suo tema era compiuto. Livno ‘è posta sul pendio occidentale dell’ altipiano calcare che da quel lato s’ abbassa per dar luogo alla vallata paludosa, che s’ estende fra questo altipiano e la catena del Prolog, che sul suo versante occidentale segna il confine austriaco. La città, se da lungi la si osserva, presenta un aspetto pittoresco, mentre nell’ in- terno essa non è che un ammasso di case mal costruite, se forse non se ne vogliano eccettuare alcune poche. Le contrade ne sono mal selciate, tenute. sporche e specialmente nella città bassa co- perte perennemente da mota. Al lato orientale è difesa da 5 o 6 fortini (Blockhaus-Karaule), posti in posizioni strategiche, ove i turchi si trattennero fino alla resa. In uno di questi vennero tro- vati tre. enormi cannoni di bronzo molto eleganti, lavorati con perfezione veramente artistica, che stando alle seguenti iscrizioni che portano in rilievo, appartennero una volta al sacro romano impero : Sul I° Cannone: Ferdinandus Dei Gracia. Romanorum Hungariae ac Bohemiae Rex Semper Augustus ZC Archidua Au- striae ZC Comes Tirolis. — Sul II° Cannone: Ferdinandus. Dei Gracia Romanorum Hungariae ac Bohemiae Rex Semper Augustus ZC Archidux Austriae ZC. Anni MDL. — Sul 1II.® Cannone : Auf Baumes Spite in Grunen Walt — Sing ich vor Mir die. Mauer Falt. — Sotto v'è in rilievo disegnato un uccello con più sotto la seguente ‘iscrizione: Carolus von Gottes. Gnaden Ertzhezog zu Osterreich, Herzog zu Burgundi, Steyr, Kérnte, Crt ZC Grave zu Tirol und Gore ZC FI MDLXXIX..— Al fianco. settentrionale della, città la roccia con cui termina 1’ altipiano cala perpendico- larmente sulla valle e nel punto più basso di essa, precisamente dinanzi alla fortezza Velka Tabia, da un foro enorme con rapidità immensa esce il fiume Bistrizza. L'acqua spumeggia all’ uscire dall’antro e percuotendo sì nei sassi che si frappongono al suo corso, che nelle ruote orizzontali d’ un molino, in parte si cangia in mille goccie a forma. di pioggia cadendo sul capo dell’ assorto spettatore. Questa massa. d’acqua indi ‘si trasforma in fiume, il quale conosciuto sotto il nome di Bistrizza va ad irrigare tutta la vallata di Livno, ove termina senza sbocco visibile. La, valle stessa in tempi di siccità è un gran prato, mentre al gonfiarsi della. Bi- strizza si cangia in un enorme lago popolato da uccelli palustri d’ogni genere. — Identici del tutto agli abitanti del rimanente paese da me trascorso, sono quelli di Livno, tranne se vuolsi il — 205 — più fino ‘tratto e fra i più ricchi, la miglior coltura. Troviamo diffatti fra gli abitanti cristiani moltissimi che sanno scrivere e che oltre alla propria lingua parlano .l’ italiana e qualche raro la tedesca. Come in tutta la Bosnia, la lingua del paese è la serba, parlata da tutti, dai turchi stessi; lingua però in parte corrotta contenendo non poche parole turche. I modi di vestire sono quelli del popolo serbo, cioè fra i maschi i calzoni larghissimi sino al ginocchio e colà terminati oppure prolungantisi a forma di calza. Portano corsetti di. panno talora con pelliccia e secondo i mezzi una fina camicia oppure una grossolana. Il capo coprono col fez intorno cui con una fascia formano il turbante. I turchi vestono quasi tutti il loro costume tradizionale. Le donne cristiane portano larghissime brache che si stringono ai malleoli fino alla grossezza del piede. Il busto coprono pure con eleganti corsetti ornati tutti di gingilli e di bordature d‘oro, mentre sul capo tengono il fez decorato tutto con monete d’oro e d’argento e se povero con marche da giuoco. Un elegante fazzoletto che assicurano sopra il fez compie la loro toilette. Le contadine bosniache vanno vestite altrimenti. Vestiti bianchi coprono il loro corpo, non hanno brache, mentre il loro capo viene coperto o da un fazzoletto bianco o dal fez. Nella stagione fredda portano un gran mantello di lana scura. Sì gli uomini che le donne proteggono i loro piedi sì con sandali; che con stivali. Le turche traggono il solito vestito, parto della gelosia del mariti, i quali non contenti di nascondere il volto delle loro mogli fra pezzuole bianche, loro impongono di togliere con ampie vesti la forma elegante del corpo e con enormi stivaloni l'eleganza d’ un piccolo piede. Quivi avrebbe termine il mio tema, se quanto durante il viaggio di ritorno in patria ebbi campo d’osservare, non avesse puranco destato in me sensi d’ ammirazione. — Lasciato Livno si presenta al viaggiatore l'immensa catena del Prolog. Due. ore di marcia la dividono dalla città. Formata da roccie calcari cretacee, questa montagna s’ innalza gigantesca e si frappone quale naturale muraglia fra la Bosnia e la Dalmazia. Quattro ore ne dura il pas- saggio per una strada ben piantata ma mal tenuta, mentre l’occhio nulla trova d’ attraente in quanto che scarsa ne è la vegetazione, avendovi la mano dell’ uomo recise tutte le piante i di cui tronchi qua e la sporgon dal suolo, mentre soltanto miseri arbusti prove- nienti da carpini nascono fra i sassi. Fu la gioja del ritorno che rese hello questo faticoso viaggio, specialmente quando dal punto — 206 — più elevato della strada l’ occhio scorse la catena del Mossor ed oltre il valico di Clissa ‘in grande distanza un piano ceruleo. È il mare, è it mare! proruppe allora un grido da ogni petto, e tutti allora lo salutammo questo caro mare, da cui 4 mesi e mezzo di fatiche ci divisero. Comincia allora la discesa, arrivando in tre quarti d’ ora al confine austriaco ed in altra mezz ora a Bilibreg. È un altro paese che noi attraversammo; non più lande incolte, gente semiselvaggia; ma la bella valle di Cettigna, il bello e robusto po- polo dalmato; passiamo per Sign, graziosa cittadella; attraversiamo la catena del Mossor; vediamo Clissa, formidabile fortezza ed indi la romana Salona, ammasso d’ eloquenti rovine, col suo bel porto romano ; a sinistra l’ antico acquedotto ora in ristauro e finalmente Spalato. Gli avanzi superbi del palazzo di Diocleziano son troppo noti ond’ io con deboli cognizioni li possa descrivere; dirò sola- mente ch'io rimasi come incantato dinanzi a quei vetusti monu- menti dell’epoca romana. Quelle colonne di granito rosso e bianco, quel tempio, quei sottoportici, la facciata verso il. mare, monu- menti per me del tutto nuovi, produssero in me un’ impressione vi- vissima, ch'io mai dalla mente potrò cancellare. Dal cassero del piroscafo che ci condusse ai patri lari io godetti nell’ammirare le belle città che adornano la costa dalmata. Vidi Sebenico ed il suo porto, indi la simpatica Zara. La gentile Lussino mi risovvenne ch'io era finalmente nella mia cara Istria ed allora spieto da maggior interesse tutti gli scogli passai coll’ occhio. Vidi a sini- stra la sabbiosa Sansego, a destra il monte Ossero (alto 583 metri) sull’isola dei Lussini ed indi il Quarnero. La romana Pola ci fu ultima stazione, da cui partimmo per Trieste. Nella stessa sera del giorno in cui arrivavo in Trieste, li 23 novembre io rivedeva | Pirano, la mia cara patria ed il mio viaggio era compiuto. Pirano 8 dicembre 1878. Seduta Direzionale del 15 Settembre 1878, ore 11 ant. Presiede: il Comm. Muzio de Tommasini. Presenti: i Direttori sigg. Dr. B. Biasoletto. Cav. G. de Eckhel, Cav. Al. Dr. de Goracucchi, Dr. L. Loreneutti, Dr. C. de Marchesetti, Prof. Dr. Mich. Stenta, Prof. M. Stossich. Cav. de Weiprecht I. R. Cap. — Bottura Attuario. Il Segr. Prof. Vierthaler espone i particolari del contratto d’affittanza conchiuso colla locale Società degli Ingegneri circa 1° uso dei locali della Società. Viene discusso 1’ orario per l’ apertura della sala alla frequentazione dei lettori, e sulle modalità circa la concessione dei libri della biblioteca sociale sia in semplice lettura in sala, sia a domicilio, e si tratta della rimunerazione da darsi al custode. Di tuttociò vengono pregati î sigg. Segretario Prof. Vierthaler e Cas- siere Cav. de Eckhel a volere elaborare un piano esauriente e presentarlo nella prossima seduta direzionale che viene fissata per la domenica p. v. alle ore 11. Circa l'aumento del canone proposto dal Dr. Lorenzutti viene — dietro opinione del Segretario — differita la pertrattazione al p. v. Novembre. Accettato. Viene poi stabilito l’ordine delle tornate scientifiche, le quali avranno luogo alle 7 di sera, ai 7 e 21 Ottobre, 4 e 18 Novembre, 2 e 16 Dicembre. La Radunanza generale sarà tenuta il giorno 6 Gennaio 1879. La seduta è levata alle ore 12'/. Seduta del 29 Settembre. Presidente: il Comm. Muzio de Tommasini. Presenti; 8 Direttori. Il Segretario riferisce che il custode sarebbe pronto di prestarsi per la sorveglianza dell’ accesso nel locale sociale e per effettuare gli incassi verso un emolumento di f. 6 al mese. — 208 — La Direzione accorda l’ interinale spesa sino alla fine dell’anno rimet- tendo la continuazione al preventivo da approvarsi dal congresso generale. Viene poi stabilito che nei giorni feriali, eccettuata la sera del giovedì e di quel lunedì in cui si tengono adunanze sociali il locale di lettura sia aperto ai soci dalle ore pomerid. 4—8; nonchè tutte le mattine dei giorni festivi. Il Dr. Biasoletto propone che oltre le tornate scientifiche si tengano ogni 15 giorni delle conferenze di carattere più intimo. — Approvato. Nelle sedute del 13 di Ottobre e 17 di Novembre venne disposto l’ ordine delle radunanze e delle conferenze sino alla fine dell’ anno. Seduta direzionale del 15 Dicembre 1878, ore 11 ant. Presiede il sig. Comm. Muzio de Tommasini. Dichiarata aperta la seduta, il sig. Segretario espone lo stato pre- sente della Società, dal quale risulta che questa si compone di soci 248 colla sede in città e 48 residenti all’estero, e che fra questi e quelli sì trovano vari in arretrato col pagamento del canone. I) sig. Cassiere propone che il Bollettino sociale si stampi in un solo volume annuo e che all'atto della consegna del medesimo i socì sieno tenuti a versare il canone annuale; alla qual propasta il sig. Segretario , oppone che per tal modo la cassa rimarrebbe per troppo lungo tempo mancante di fonti. Di più il sig. Dr. de Marchesetti osserva che gli autori delle rispettive memo- rie dovrebbero attendere troppo, prima di avere le copie separate delle quali avessero a valersi, onde sulla questione sì passa all’ ordine del giorno. Riconosciuta la poca utilità della sala di lettura e delle tornate scienti- fiche di cui la Società gode presentemente, ed in riflesso che coll’ andare del tempo la biblioteca sociale si andrà aumentando in guisa che sarà insufficiente a contenerla tanto la sala presentemente occupata, quanto una qualunque che si avesse ad assumere in processo di tempo, si accampa l'idea se non sarebbe consulto di depositarle presso la Biblioteca civica, collocandola in apposito riparto separata, ove i soci potrebbero valersene approfittando della sala di lettura della Biblioteca stessa, restando così a provvedersi soltanto un locale da tenervi le prelezioni. Il diret. prof. sig. Stossich osserva la Biblioteca essere. proprietà dei soci e che prima di disporne converrebbe demandare a speciale Commissione lo studio di tale oggetto. Inoltre il sig. Dr. de Marchesetti è dell’ opinione che siccome la Biblio- teca costituisce un capitale, questo potrebbe valere al coprimento di deficit che eventualmente si avesse a,verificare coll’andar del tempo; ma il sig. Segretario gli fa osservare trattarsi qui di depositarla semplicemente nella Biblioteca ci- vica e non già di cederla definitivamente. Il Presidente propone che al prossimo congresso generale si metta a vo- tazione se o meno si abbia da rivolgersi all’ Inclito Municipio per ottenere in un modo o nell’ altro Y uso gratuito dei locali sociali. Accettato, e si leva la seduta. } — 209 — Seduta Direzionale del 22 Dicembre 1878. Presiede il sig. Comm. Muzio de Tommasini. Il Segretario prelegge una lettera dell’ attuario G. C. Bottura. Spettabile Presidenza! Il sottoscritto si trova in dovere di notificare a codesta Spett. Presidenza c5e col 1. Gennaio p. v. cesserà dalle funzioni di Attuario di questa Società. Con la più alta considerazione ha l'onore di rassegnarsi Trieste 18 Dicembre 1878. Devotissimamente Giuseppe Bottura. Alla Spettabile Presidenza della “Società Adriatica di Scienze Naturali,. — Qui. Il Presidente deplora la perdita di un colloboratore valentissimo della direzione e propone che gli sia rilasciato un atto di ringraziamento cordiale da | parte della Presidenza. Considerando però le ristrettezze economiche della Società propone che non venga ricoperto il suo posto, potendo con ciò risparmiare la somma che circa corrisponde all’ attuale affitto del locale. Approvato unanimemente. Si stabilisce l’ ordine del giorno per la seduta generale da tenersi il 6 Gennaio p. v. L’ordine del giorno riesce stabilito come segue : 1. Discorso del Presidente. 2. Resoconto sull'operato sociale. 8. Provvedimento di un opportuno locale sociale. 4. Elezione della nuova Direzione. La Presidenza emanò in seguito al deliberato della conferenza la lettera seguente diretta al sig. G. C. Bottura: IUust. Signore! La Direzione della Società Adriatica di scienze naturali apprese con vero rammarico la rinuncia data da V. S. Ill. al posto di Attuario presso detta So- cietà, e deplora altamente di perdere una persona che pel corso di parecchi anni sì prestò con tanto amore e con tanto zelo al prosperamento della mede- sima. Essa però nutre la piena fiducia che la S. V. Ill. vorrà anche per l’ av- venire conservare a questa patria istituzione il suo valido appoggio, e prestarle quella cooperazione di cui finora le fu sì largo. Nel mentre esprime a V. S. la riconoscenza della Società, il sottoscritto sì pregia in pari tempo assicurarla dei sensi della più alta stima e conside- razione. Tommasini. — 210 — Seduta generale del 6 Gennaio 1879 alle ore 11 ant. Presiede il sig. Comm. Muzio de Tommasini. Presenti 39 soci. Il Presidente apre la seduta : Mi onoro, pregiatissimi Signori, di porgervi un distinto saluto, nell’ atto d’invitarvi alla pertrattazione degli oggetti portati dal programma dell’ odierna seduta, colla quale viene a chiudersi il primo quinquennio di esistenza della Società adriatica di scienze naturali. Dal Resoconto che vi sarà offerto a nome della Direzione sociale, vi compiacerete di desumere ogni dettaglio relativo all'andamento della Società nell’ anno testè decorso, ed ai provvedimenti da prendersi per l'avvenire. Rife- rendomi a quanto nell’esauriente relazione del chiarissimo sig. Segretario prof. Vierthaler viene esposto, e su di che sarete a pronunciarvi, mi è duopo richia- mare la vostra attenzione particolarmente sopra la questione che nel momento attuale ha per noi la massima importanza, ed è quella del conseguimento di lo- calità che siano pienamente adatte al ritrovo dei Soci per letture e conferenze ordinarie, non meno che per le radunanze più numerose, dappoichè è forza ri- conoscere che l’ esperimento più recente fatto in tale merito non è riuscito @ combinare le convenienze desiderate. -—- Ebbimo già tempo a fruire il favore di località concessaci dall’ Inclito Municipio, ma fu questo favore di breve durata, mentre all’ insorgenza di altre inchieste dovemmo rinunziarvi. Non sapremmo però abbandonare la speranza, che nuove istanze da noi avanzate all’ identico scopo possano condurre a migliore effetto, e che il patrio Senato, provvido in ogni cosa tendente al decoro e vantaggio della nostra città, vorrà e potrà pure estendere sulla Società di Scienze naturali la sua mano protettrice con durevole efficacia. Ci afferma in questo pensiero la considerazione di quanto viene prati- cato in altre città ove ha sede la civiltà moderna, ed ove le istituzioni dedicate a simili studi, trovano quasi generalmente ricetto negli edifizi di pubblica ra- gione, malgrado che siano anco sorrette da generose private largizioni E ci sia permesso il riflettere, che non sarebbe decoroso per Trieste, città eminentemente colta, che l’ istituto scientifico, creato e sostenuto da cittadini privati con con- tributi, e prestazioni gratuite, sia ridotto alla necessità di andare periodica- mente in cerca di località che pure non riesce a trovare adatte, ancor che debba impiegarsi dispendio gravoso per le modiche sue risorse, ritraendole agli scopi strettamente scientifici. — D'altra parte non havvi dubbio che la Società nel suo complesso ed i singoli suoi membri, sono, e saranno sempre pronti a pre- stare 1° opera loro conscienziosa ed utile ogni qualvolta l'autorità pubblica trovi opportuno di fare appello ad essa per oggetti compresi nella sfera di loro azione, che per tanti ed importanti rapporti si collegano al pubblico interesse. Se per ogni nascente istituzione inevitabile si è l’ incontrare nei primordi del suo sviluppo degli ostacoli più o meno rilevanti, verd è altresì, che le dif- ficoltà possono al fine essere superate, ed appartate del tutto coll’ opera di perseverante coraggio. Perseveriamo adunque, o Signori, ed operiamo! il campo delle scienze naturali quanto è vasto ed attraente altrettanto è ferace di ricca li messe per il coltivatore industre ed assiduo. ‘È questo il nostro compito, è lo raggiungeremo, ove non ci venga meno il sussidio dei nostri Concittadini, e ci sia particolarmente assicurato, Onorevoli Signori, il vostro attivo e valido appoggio, il vostro indiminuito favore. Il Segretario, Prof. Vierthaler comunica poi il seguente rapporto : Oggi si compie il quinquennio dacchè ebbe vita la nostra Società, fon- data a decoro di questa città e destinata se non a far progredire le scienze naturali, almeno a tenerne vivo il culto da moi per quanto lo comportano i mezzi di cui noi disponiamo materialmente e scientificamente. Mi è un grato dovere il potervi riferire sulla gestione dell’anno decorso e sull'attività dimo- strata nello stesso periodo. Anzitutto debbo rammentarvi i deliberati dell’ ultimo congresso generale tenutosi l’ anno decorso: 1. Provvedere il necessario per l'acquisto d’ nn locale adatto ai convegni sociali. 2. Che la Direzione entrante abbia da proporre per la prossima radu- nanza, cioè la presente, un aumento del canone. 8. Che si abbia da fare un appello ai singoli sigg. Socii per una spon- tanea oblazione, onde poter cuoprire un deficit emerso nella gestione passata La speranza di ottenere dalla spettabile Camera di commercio un locale adatto per i convegni sociali andò delusa, ed a pag. 115 del IV vol. del nostro Bollettino trovasi inserita la compitissima ma negativa comunicazione pervenu- taci dalla spettabile Camera di commercio. Onde provvedere un locale opportuno per deporvi la sociale Biblioteca e per rendere possibile uno spesso convegno sociale, la Direzione ora cessante si diede cura a cercare presso vari locatari un locale decente e facilmente accessibile, Furono però i prezzi richiesti sempre esorbitanti, nonchè si persuasero le com- missioni direzionali della ristrettezza o di. altro difetto osservato nei locali offerti. In quel frattempo andavasi costituendo la Società degli Ingegneri, e questa avendo preso in affitto un proprio locale, per cui essa Società aveva stabilito un apposito custode, ci venne gentilmente incontro coll’ offerta di un uso promiscuo dei locali siti in via Carintia N. 26. — La Direzione accertatasi dell’ opportunità momentanea e piegandosi all’assoluta necessità di dover prov- vedere un locale di lettura per il convegno degli onorevoli nostri Soci, si mise in rapporto coll’associazione degli Ingegneri onde stipulare un contratto per la durata di un anno, cioè fino al 24 Agosto 1879. Naturale conseguenza del contratto fu una spesa maggiore di f. 200 di affitto, l’ acquisto di alcune mobiglie indispensabili, nonchè una piccola gratifi- cazione al custode, per le quali somme accresciute si dovette restringere quanto x . fosse possibile le spese dovolute ad altro scopo, ed è perciò che vennero ri- strette al più possibile le dissertazioni destinate per la stampa. Siamo lieti però di potervi presentare quest’ anno un resoconto non aggravato da verun deficit. Le ristrettezze economiche della Società e spese necessariamente emergenti maggiori da anno in anno fecero ponderare seriamente la Direzione cessante sul deliberato 2.° dell’anno decorso, cioè di proporre un lieve aumento del canone. BB) Siccome privatamente molti dei nostri Soci ci avvertirono che non sarebbero più disposti a far parte della Società, e siccome vari Soci appunto per l'aumento supposto già diedero la loro dimissione, si avrebbe da prevedere una perdita di circa un quarto dei Soci partecipanti, quindi aumentando il canone da f. 5 a f. 6, risulterebbe calcolando soli 240 Soci una somma di . . . . . f, 1440 mentre attualmente calcolando circa 300 Soci paganti f. 5 ne risulta TOSO 0 BI SIIT, SUS SIIOgD OIDISl pittmy i Alquio. Ia ISU. 1500 Siffatte ragioni persuasero la cessante Direzione di abbandonare affatto l’idea d’un canone aumentato. Dobbiamo alla generosità spontanea dei sig. Soci una somma di f. 204, colla quale fummo in grado di potere scancellare il deficit rimasto con fior. 150 dell’anno 1877..— È gratissimo dovere della cessante Direzione nel porgere i più sentiti ringraziamenti agli onorevoli colleghi che per amore della nostra associazione hanno contribuito alla somma già specificata. a pag. 116 vol. IV del Bollettino. — La Direzione cessante osa sperare che oblazioni spontanee da parte di singoli benefattori non manchino neppure nell’ avvenire. La nostra Società conta sin oggi 10 Soci onorari 7, corrispondenti 262 , interni 50 , esteri 329 e cambia le pubblicazioni con 138 associazioni scientifiche e precisamente: 22 Società dell’ Austria SIUNTO dell’ Italia 43, della Germania dona 4 » Svizzera E; » Franeia Po del Belgio ” dei Paesi Bassi È dell’ Inghilterra 5 della Russia ” » Danimarca del Lussemburgo È, della Norvegia 7 del Portogallo % dell’ Egitto Pi delle Indie 3 del Giappone 5 degli Stati Uniti È dell’ Anstralia fe CO fe NI e e n CI CI © 0 Di bn (26) (co) come si potrà rilevare dall’ unito elenco. — 213 — Elenco delle Società scientifiche con le quali si ha lo scambio degli stampati. Austria. Baden (presso Vienna) — Afrikanische Gesellschaft. Bistritz (Transilvania) — Gewerbeschule. Briinn — Naturforschender Verein. Budapest — Musée national de Hongrie. > Magyar tudomanios Akademia. 5 K, ung. wissensch. Gesellschaft. Gorizia — I. R. Società Agraria. Graz — Naturwissenschaftlicher Verein. Herrmannstadt — Siebenbirgischer Verein fiur Naturwissenschaften. Innsbruck — Ferdinandeum fiir Tirol und Vorarlberg. Klausenburg — Gazzetta botanica ungherese. Linz — Verein fir Naturkunde in Oesterreich ob der Enns. Praga — Konigl. bohmische Gesellschaft der Wissenschaften. Rovigno — Giornale della Società Agraria Istriana“. Trieste — Società Agraria. 3 Museo massimiliano. Vienna — K. k. Akademie der Wissenschaften. ” K. k. Geologische Reichs-Anstalt. Ù K. k. Geograph. Gesellschaft. S Wissenschaftlicher Club. î K. k. Zoologische botanische Gesellschaft. n Verein zur Verbreitung naturwissenschafélicher Kenntnisse. Germania. Altona — Naturwissenschaftlicher Verein. Bamberg — Naturforschende Gesellschaft. Berlino — Kénigl. Preussische Akademie der ‘Wissenschaften. " Botanischer Verein der Provinz Brandenburg. Brema — Naturwissenschaftlicher Verein. Bonn — Naturhistorischer Verein der Preuss. Rheinlande und Westphalens. Cassel — Verein fiir Naturkunde, Chemnitz — Naturwissenschaftliche Gesellschaft. Colmar — Societé d’histoire naturelle. Darmstadt — Verein fiir Erdkunde. Dresda — Kais. Leopold. Carol. Deutsche Akademie. » Naturwissenschaftliche Gesellschaft Isis. Erlangen — Physikal.-medicinische Societàit. Francoforte s. M. — Senckenbergische Naturforseher-Gesellschaft. 15 — 214 — Friburgo (in Brisgovia) — Gesellschaft fir Beforderung der Naturwissenschaften. Fulda — Verein fir Naturkunde. Giessen — Oberhessische Gesellschaft fùr Natur- und Heilkunde. Gorlitz — Oberlausitzische Gesellschaft der Wissenschaften. $ Naturforschende Gesellschaft. Greifswald — Naturwissenschaftlicher Verein von Neu-Vorpommern und Rigen. Halle — Naturwissenschaftlicher Verein fir die Provinzen Sachsen u. Thiùringen. di Verein fiur Erdkunde. Hanau — Wetterausche Gesellschaft fir gesammte Naturkunde. Hannover — Naturhistorische Gesellschaft. Heidelberg — Naturhistorisch-medicinischer Verein. Jena — Medicinische naturwissenschaftl. Gesellschaft. Karlsruhe — Naturwissenschaftl. Verein. Kiel — Naturwissenschaftl. Verein fir Schleswig-Holstein. Kénigsberg — Physikalisch-6konomische Gesellschaft. Lipsia — Naturforschender Verein. Magdeburgo — Naturhistorischer Verein. Metz — Societé d’histoire naturelle de la Moselle. Monaco — Kénigl. Bair. Akademie der Wissenschaften. Miinster — Westphàlischer Provinzial-Verein fir Wissenschaften. Norimberga — Naturhistorische Gesellschaft. Offenbach a. M. — Verein fur Naturkunde. Passau — Naturhistorischer Verein. Ratisbona — Zoolog.-mineralogischer Verein. Riga — Naturforscher-Verein. Stuttgart — Verein fir vaterlìnd. Naturkunde in Wiirtemberg. Wiesbaden — Nassauischer Verein fi Naturkunde. Wirzburg — Sitzungsberichte der Physikalisch-medicinischen Gesellschaft. Zwickau — Verein fiir Naturkunde. Italia. Catania — Accademia Gioenia di Scienze Naturali. Firenze — Società entomologica italiana. 3 R. Museo di Firenze. Genova — Società di lettere e conversazioni scientifiche. pi Museo Civico di Storia Naturale. Lucca — Accademia Reale di Scienze, Lettere ed Arti. Milano — R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. È Il propagatore delle Invenzioni. Modena — Società dei Naturalisti. A R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti. Napoli — Accademia di Scienze Fisiche e Matematiche. Reale Istituto d’incoraggiamento alle Scienze Naturali, Economiche e Tecnologiche. Padova — Società Veneto-Trentina di Scienze Naturali. Palermo — R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti. Pesaro — Osservatorio meteorico e magnetico. » — 21959 — Pisa — Società Malacologica. 5 Società Toscana di Scienze Naturali. Portici — L'agricoltura meridionale. Reggio (Emilia) — Museo paleontologico. Roma — R. Accademia de’ Lincei. î R. Comitato Geologico d’ Italia. Svizzera. Aigle — Société Murithienne du Valais. Basilea — Naturforschende Gesellschaft. Berna — Schweizerische Gesellschaft fiir die gesammten Wissenschaften. % Allgemeine Schweizerische Gesellschaft fiir Naturwissenschaften. Chur — Naturforschende Gesellschaft. Lausanne — Société vaudoise. ai Soc. helvétique des Sciences naturelles. Neufchàtel — Société des Sciences naturelles. S. Gallo — Naturwissenschaftliche Gesellschaft. Schiaffusa — Société entomologique Suisse. Francia. Amiens — Société Linnéenne du Nord de la France, Caen — Académie nationale des Sciences, Arts et Belles lettres. Lione — Société d’Études scientifiques. 5 Société des Sciences, Belles lettres et Arts. Nancy — Académie de , Stanislas“. i Nimes — Soc. d'Étude des Sciences naturelles. Parigi — Societe de Géographie. Rouen — Société des Amis des Sciences naturelles. Belgio. Bruxelles — Académie Royale des Sciences, Lettres et Arts de Belgique. 5 Société Malacologique de Belgique. d Société Entomologique de Belgique. Société Belge de Microscopie. lisci — Société Géologique de Belgique. 5 Société royale des Sciences. Paesi Bassi. Amsterdam — Accademia Reale di Scienze. Haarlem — Société Hollandaise de Sciences. Leida — Société Neerlandaise de Zoologie. Danimarca. Copenhagen — Académie Royale. Lussemburgo. Lussemburgo — Institut Grand Ducal. 216 — Inghilterra. Edimburgo — Royal Physical Society. Glasgow — Natural History Society. Londra — Royal Society of Sciences. Russia. Dorpat — Naturforschende Gesellschaft. Helsingfors — Finska Vetenkaps Societeten. Mosca — Kaiserl. Gesellschaft der Naturforscher. Pietroburgo — Académie Impériale de Sciences. Svezia e Norvegia. Cristiania — Kongelige Universitet. Portogallo. Lisbona — Commissao Central Permanente de Geographia. Egitto. Cairo — Société khédiviale de Géographie. Indie Inglesi. Calcutta — Asiatic Society of Bengal. Indie Olandesi. Batavia — Koningklike Naturkundige Vereenigung in Nederlandsch-Indie. Giappone. Yokohama — Deutsche Gesellschaft fi Asiatische Forschung. Stati Uniti. Boston — Society of Natural History. Cambridge — Museum of comparative Zoology. Chicago — Academy of Sciences. Filadelfia — Academy of Natural Sciences. Francisco (San) — Californian Academy of Sciences. St. Louis (Missouri) — Academy of Sciences. New-Orleans — Academy of Sciences (State of Luisiana). Washington — U. S. Coast-Survey Office. ai Smithsonian Institution. Australia. Sydney — Royal Society of New South-Wales. In nome della Direzione cessante dobbiamo. ringraziare la stampa pub- blica, la quale in apposite colonne mantenne vivi i rapporti della. Società Adriatica di scienze naturali col pubblico maggiore. In quanto alla propria attività posso riassumere che vennero tenute 15 sedute scientifiche ed una straordinaria, verso. pagamento, nella quale il sig. Nigra presentò gli esperimenti fonografici allora ancora nuovi per Trieste. Nel Novembre decorso furono istituite le conferenze sociali, ognì lunedì alternante, in modo che le nostre radunanze divennero settimanali. —- Queste conferenze portano il carattere d’intimità ed il tuono di conversazioni sopra argomenti più o meno nuovi dal campo delle scienze naturali; e noi nutriamo la ferma speranza che l’ interesse generale per queste radunanze si manterrà non minore che quello per le serate del tutto dedicate a dissertazioni scientifi- che riprodotte nel Bollettino, di cui fra breve sarà pubblicata la parte finale. Di più sono lieto di potervi comunicare che alcuni nostri Soci, sì dichia- rarono pronti a tenere delle lezioni popolari sopra argomenti di scienze natu- rali, allorquando si potesse ottenere l’uso di adatto locale, come eventualmente la sala nell'edificio della Borsa. —- La serie delle lezioni verrebbe incominciata già nella prossima quaresima. Come vi è noto, fruisce la nostra Società di un importo di fiorini 500 devoluto dall’ Inclito Municipio a studio sul nostro altipiano e di preferenza a rilievi idrografici. — Venne in conseguenza eletta a tale scopo una commissione apposita che si compone dei sigg. G. Eckhel, R. Haenisch, Dr. Marchesetti ed i professori Dr. Stenta e Stossich unitamente al Segretario. — Siccome la com- missione potevasi istituire appena verso la fine di Maggio, quindi in epoca non lontana dalle ferie sociali, fu dato solamente ad esplorare la grotta di Baso- vizza, attesochè le pioggie straordinarie di quest'anno resero affatto inaccessi- bili le grotte di Ospo e di S. Servolo, ove a priori si diresse l’attenzione negli studi idrografici. La commissione si riserba riprendere gli studi appena che la stagione lo permetterebbe, e di pubblicare a suo tempo l’esteso resoconto dei rilievi ottenuti. Finalmente mi sento compreso da vivo dolore nel ricordarvi la morte di cospicui nostri Soci, i sig. Arturo Dr. Menzel cons. Felice Pavesch Armando Dr. Thielens Cav. Ernesto de Tommasini Prof. Roberto Dr. Visiani perdite oltre di esserne fonte di amaro lutto, furono di reale danno per la Società. Ed ora che vi presenteremo il conto consuntivo e quello preventivo per l’ annata nuova, permettetemi ancora la preghiera di non lasciar raffreddare il vostro amore per le scienze naturali, affinchè non isterilisca un’ associazione — 218 — nobilissima nei suoi principii e scevra affatto di qualunque tendenza, fuorchè di quella verso il vero della natura. Spetta a voi, onorevoli Signori, di mantenere vivo questo interesse, di spingere ad emulazione sublime la nostra gioventù e di dare a questa patria Società tutto quell’ appoggio morale che occorre per mantenerla viva e per renderla vieppiù utile. Il Cassiere sig. Cav. Giorgio de Eckhel presenta il resoconto economico sociale che viene approvato unanimemente, come pure il preventivo per l’anno 1879. ‘21908809 TOUNIT 0144019 '828T 2Q1QuIeoI(T Ig 9ISLI], POL oUeIdTI[y.IT9P 999015) A[[op auorzeIo]dsH è] J0d 0AONU 07009 8 0p)Vg IT È S20S 3 ° > © OAONH 07UO9 8 0p)vgs' I OIgUTAL) È '618T | 88 |e886| 86 (88€6 4 GLILIP 2° |FONLep sl * Se oundey MP 273040) DIP guor20.40)dSA7 dA «9d 0pos — [ogr., “|culos. ‘3 ‘“ * @JeI0os cAONU 0709 e 0p]vg FO r 1, pronti) Sutri — 21099 E 100S g EP LL8I IEp_220499447 eGo es) “aio e E quod Iedde 0unIdNF 1 -19P 9904) 909P 92U0ZDANASH 1 AT GLI "| 3 oc jet “| IS0u gd 00180]010090]{ 0u19RATTOg Tod > * * -ouue p odeo Ip eImuLIa ourpper[og 1edde sowepuods morze[qo — log“ IS0UI OT ‘d ‘peso y [ep oteurgIog Te ue ul 2 ni = 0g =“ > * * © Ise ZI Xod o4I9g Te OST Lg 0g — [ofz ‘]| 18001 g7 d0d O1IENIFV ITE © 2000201IUNWNT — [ougr S| © * ron 0 TUTOqUT T00sÌeg ep — [oot “| - |} * <| *e1gsewos omtid 202908 20007 0NYL7 La dlena) E % é epico * = — (0% "3j' © 1909 8 Ep ZZ8I Top IpeTzotte SIP E pds eLIoIqu eTme QUOUVI 18S09UT ; — {16 ‘3 > > * egomogo 100g è ‘702504 asadgs |ozioc “ TE ‘ LL8T TEP DSSWI Ops 07 |96 “ “a oz, =“ I0UEI9SO pe Que è BITA][PDUed IP [909 3 i RUI — deg gf + | [PUO OISIONO AIPISSEO) | 2U0%2N902S9Y “17.119 273045) 27)9p 2uorzoLodSH] Q MOT \ | '8L8I '8L8I | *VLILIOS ‘eqeIz ug ‘IMeInqeu eZUoIos TIP eo0IFeLIPpy 391008 erTlop PREVENTIVO PELL'ANNO 1879. Entrata. Saldocdell’Rano 1878!. . Muidiso8 sitoidil. allo .| f. 50 | 75 Incasso supposto da 320 soci... ..., uri) fra 1600,4— ni a » 30., arretrati del 1878 .{, 150 {1 f. 1800 | 75 Saldo a conto nuovo per l’Esplorazione delle Grotte; dell'Attipramo ai. . Sul. Lofinàn seen sflo s ER 0 Trioste 6 Gennaio 1878. Spese postali Rimumerazioni è al servo a f. 5 mensili custode per incassi e per prestazioni a f. 6 mensili Spese di cancelleria (con eventuali diurni) Stampati Litografie Affitto . Spese straordinarie . Per studii d’ Esplorazione tipiano . nelle Grotte ». . - °°. . . . dell’Al- Sortita. .| f. 100 | » 1000 | — (ep) (e-) JI sr ne ind (0.5) (©) (©) x 4 (<>) Gi bt 43 Giorgio Eckhel Cassiere. Il socio Dr. Buzzi prende la parola per disapprovare i soci in arretra- mento dei canoni dovuti, dacchè si assume un obbligo morale della personale prestazione chi aderisce ad entrare come socio. — Propone quindi che la Dire- zione nuova faccia i passi occorrenti, affinchè la morosità di alcuni pochi soci non venga a danno dell’ associazione intera. Il Presidente apre poi la discussione: sulla necessità di provvedere un locale adatto per i convegni sociali. Il socio sig. Schivitz interpella perchè alla Società non possa convenire l’uso promiscuo dei locali tenuti dalla Società degli Ingegneri, ammeno che non si possa ottenere il godimento gratuito d'un locale. Il Segretario risponde che per la natura eminentemente patriotica della Società la Direzione non cessava mai di sperare, che le Autorità patrie accon- discendano a tale beneficio. Dopo una discussione animata si decide, che la nuova Direzione sì ri- volga al Consiglio municipale colla preghiera diretta onde godere sua protezione in un locale concesso gratuitamente ai convegni della Società Adriatica delle scienze naturali. Il socio Dr. Vidacovich propone atto di. ringraziamento alla Direzione cessante, cui unanimi rispondono i presenti. Prima di passare allo scrutinio dei voti per l'elezione della nuova Di-- rezione propone il Segretario che si nomini Presidente a vita l’ amatissimo vegliardo, il dotto Commendatore Muzio de Tommasini, e fu callamente ap- poggiato nella proposta dal socio Dr. Vidacovich. Annuirono con plauso generale i presenti, e con parole commosse rin- graziò ai voti unanimi il presidente perpetuo Muzio de Tomnasini. Dallo scrutinio seguente dei voti risultarono eletti come membri della nuova Direzione i Signori : Cav. Alessandro Goracucchi — Vice-presidente. Augusto prof. Vierthaler — Segretario. Giorgio Cav. de Eckhel -- Cassiere. Direttori: Bartolomeo Dr. Biasoletto. Prof. F. Dr. Fridrich. Prof. Edoardo Dr. Graetfe. Dr. Lorenzo Lorenzautti. Dr. Carlo de Marchesetti. Barone Carlo de Pascotini. Dr. Francesco Paugger. Alberto Perugia. Prof. Michele Dr. Stenta. Prof. Adolfo Stossich. Cav. Carlo Weyprecht, i. r. Cap. Cav. Illuminato Dr. de Zadro. ELENCO GENERALE dei Membri della Società Adriatica di Scienze Naturali in Trieste. a. Soci onorari. Sig. Canizzaro Stan., Prof. d° Università a Koma Claus, Prof. d° Università a Vienna. » Deshmann Carlo, a Lubiana. » Grube, Prof. d’ Università a Breslavia. » Haeckel, Prof. d’ Università a Jena. » Heller Camillo, Prof. d’ Università a Innsbruck. Hoffmann Augusto, Prof. d’ Università a LBerlno. Schmidt Oscarre, Prof. d’ Università a Strasburgo. Schulze Franc., Prof. d’ Università a Graz. Wiirtz Ad., Membro dell’Istituto (Accademia di scienze) a Parigi. b. Soci effettivi colla sede in Trieste. A. Sig. Alber Cav. Augusto de Glanstàtten, Pres. dell’i. r. Governo Marittimo. Alberti Conte de Polia. Accurti Gius., i. r. Professore ecc. Allodi Rodolfo. Angeli (d’) Dr. Guido. Anderwald Pasquale, Meccanico. Auerbach Dr. Roberto, Professore ecc. Awakian Dr. Deodato. $ di nn DL — 223 — Sig. Banelli Dr. Benvenuto. » Baudisch Carlo. ‘» Becher Cav. Dr. Ernesto, Segret. all’ i. r. Governo. Marittimo. » Benussi Dr. Bernardo, Professore ecc. » Benporath Dr. Giacomo. s. Benvenuti Silvestro, Professore ecc. » Berlam Giovanni, Ingegnere. » Bernetich Giuseppe. » Besso Vitale. » Biasoletto Dr. Bartolomeo. » Binder Dr. Adolfo. » Bisiak Dr., Avvocato. »s Boara Dr. Francesco, Dirigente del Civ. Uffizio edile. » Bohata Dr. Adalberto. » Bonetti Giacomo, Civ. veterinario. » Boriani Francesco, Ingegnere. » Bottura Giuseppe Carlo. » Bratich Antonio, Assessore Magistr. » Breisach Francesco. » Brettauer Dr. Giuseppe. » Brisker Enrico. » Buffolini Giov., i. r, Ufficiale. » Burgstaller G. » Bousquet Riccardo. » Buzzi Dr. Luigi, Ingegnere. Cc. » Cambon Dr. Alfredo. » Carcassonne Cav. Achille. » Cattaneo G. M., Professore ecc. » Cavazzani Dr. Angelo, Avvocato. - Chinchella Matteo. » Cicuta Girolamo, Farmacista. » Cischini (Cav. de) Enrico, i. r. Segret. di Marina. s Coduri Dr. Francesco. » Comelli Dr. Antonio, Professore. » Conti (Cav. de) Alberto, i. r. Concepista all’Ecc. Luogotenenza. MRSOAE, | IRIO Sig. Costa Dr. Alfonso, Professore ecc. » Costantini Dr. Maurizio. » Cosulich Teofilo, Armatore. » Covacevich Gabriele. » Covacevich Giorgio. » Covacevich Giovanni. s Cuscoleca Minosse. » Czéòrnig C. Bar. de Czòrnhausen, i. r. Cons. Sup. di Finanza. D. » Dase Julius, Libraio. La Spettabile Deputazione di Borsa. Sig. Dessenibus Vincenzo, Dr. Ingegnere. » Devetak Rev. Michele. » Dolnitscher Cav. Dr. Gius., i. r. Cons. Medicin. » Dorn Dr. Alessandro. » Duschiak Giovanni. E. » Ebner Natalis Cav. de Ebenthal. » Eckhel (Cav. de) Enrico. » Eckhel (Cav. de) Giorgio. » Eichelter Professore ecc. F. » Farolfi Dr. Vincenzo, Professore ece. » Fayenz Enrico, i. r. Cap. di vascello. » Feriancich Dr. Enrico. » Ferluga Francesco. » Foggia Nicolò. » Fonzari Nicolò. Sig.a Francovich Giovanna, Maestra. Sig. Fridrich Dr. Francesco, Professore. G. , Galatti Giorgio. » Gallo Carlo, Farmacista. RI - gori Sig. Gallo Dr. Vincenzo, Professore. » Ganzoni Carlo. » Garbich Francesco, i. r. Consigliere. » Gattorno Dr. Francesco. » Gentilomo Oscar. » Giaconi Andrea. » Gialussi Pietro. » Glazer Luigi, Farmacista. » Gnad Dr. Ernesto, i. r. Ispettore scolast. Province. » Goracuchi (Cav. de) Alessandro. » Goracuchi (Cav. de) Vellimir. » Gossleth (Cav. de) Emilio. » Graberg Gustavo. » Gravisi (Marchese de) Dr. Pio. » Graeffe Dr. Ed., Prof. Ispettore della Stazione zoologica. » Grablovitz Giulio. » Gregorutti Dr. Carlo, Avvocato. » Guastalla Dr. Eugenio. » Gutmann Enrico, Litografo. » Gutmannsthal-Benvenuti (Cav. de) Luigi. H. » Hauck Ferdinando, i. r. Impiegato. » Haenisch Riccardo, i. r. Tag. di I classe. » Hannapel A. » Hausenbichler Dr. Aug. » Heiland Giust., Dir. e Prof. del Banco-modello. » Hortis Dr. Attilio, Bibliotecario Civico. Hochkofler (de) Dr. Augusto. Sica Hochkofler (de) Mary. » Hochkofler (de) Emma. » Hochkofler (de) Carolina. Sig. Huber Enrico. I » Janni Giuseppe, Console austriaco. » Idone (Comm.) Candido, Console del Chilì. » «Jeroniti Norberto, Farmacista. » «Jerchich Giuseppe. — 226 — K. Sig. Kagnus Raimondo, i. r. Cap. di Marina. » Kammerer Pietro, Professore. » Klodich Antonio, i. r. Ispett. scolast. provinciale. »s Kofler Dr. Attilio. » Krauss Dr. Carlo. » Kugy Giulio. » Kugy Paolo. » Kibnel Rodolfo, Dir. dell’ Usina com. del gas. » Kunz Carlo, Conservatore del Civ. Museo archeologico. L. » Landauer Edoardo. » Laudi Dr. Vitale, Professore. » Lauro Francesco. »s Lazzarini Giovanni, Professore. » Lazzarini Riccardo. » Leban Giuseppe, Maestro. » Levi Michele. » Lezuo Giuseppe, Professore ecc. » Liebmann Dr. Carlo. »s Liprandi Giuseppe. » Lombardini Velimir G. s Lorenzutti Dr. Ettore. » Lorenzutti Dr. Lorenzo. s Lunardelli Dr. Clemente, Avvocato. » Lutschaunig Vittorio, Professore. » Luzzatti Dr. Giuseppe. » Luzzatto Dr. Attilio. » Luzzatto Augusto. s Luzzatto Dr. Moisè. » Luzzatto Moisè. M. » Machlig. Cav. Felice. » Machlig Pietro, Farmacista. » Machorsich Giov. N. Mi fa Sig. Manussi (Cav. de) Dr. Alessandro. » Marchesetti (de) Dr. Carlo, Dir. del Civ. Museo Ferdinandeo. » Mauroner Leopoldo. » Maron Antonio, antotrofo. » Menegazzi Eugenio. » Merlato Adriano, Professore. » Merli Dr. Antonio. » Miciè Giovanni. » Miklaucich Giuseppe. » Minas G. » Miniussi Cav. Giacomo, i. r. Farmacista di Corte. sy Mirsky Casimiro, Chimico. » Mitterdorfer Guglielmo. » Mitrovich Bartolomeo, Professore. » Monti Ovidio, Capit. del Lloyd A.-U. » Musner Giuseppe. N. » Nagy Dr. Maurizio, i. r. Medico Sup. » Nicolich Cav. Dr. Giorgio, Protofisico della Città. » Nicolich Nicolò. » Nusterer Giacomo. » Pardo Dr. Leone. » Pardo Giacomo. » Pascoletto Nicolò Damaso. » Pascotini (Bar. de) Carlo, i. r. Cons. Aulico. » Paugger Dr. Francesco, Dir. dell’ I. R. Accademia di Com. e Nautica. » Pavani Eugenio, Civico economo. » Pellegrini Cav. Luca. » Perko Dr. Guglielmo (senior). » Perko Dr. Guglielmo (junior). » Pertot Dr. Simeone, Prosettore al Civ. Nosocomio. » Peressini Giov., Professore. » Perugia Alberto. » Pervanoglù Dr. Pietro. » Petke Cav. Federico, Direttore tecnico del Lloyd A.-U. — #08 — Sig. Pettener Giovanni, Maestro. » Pichler (Cav. de) Carlo, i. r. Consigliere Aulico, Dir. di Polizia. » Pigatti Andrea. » Pimser Dr. Francesco. » Pino (S. E. Bar.) Felice de Friedenthal i. r. Luogotenente, » Pitteri Dr. Riccardo. » Plenker (Bar. de) Giorgio, i. r. Dir. delle Finanze. » Pollak John. » Polacco Andrea Augusto. » Polli Giorgio. » Pollovich Ernesto. » Porenta Dr. Ugo. » Pozzi Dr. Vittorio, i. r. Cons. Aulico. » Preschern Cav. G. B. de Heldenfeld. » Pulgher Dr. Francesco. » Quarantotto Dr. Paolo. R. » Radonetz Cav. E., Direttore del Lloyd A.-U. . Rauscher Dr. » Reina Antonio, Assessore Magistr. » Reinelt Carlo, Presidente della Camera di Comm. » Renner d’ Oesterreicher Enrico. » Ricci Bar. Ricci. . Ricchetti Edmondo. » Ricchetti Dr. Ettore. >» Righetti Cav. Dr. Giov., Ingegnere. » Rigo Roberto. » Rosenzweig Ferdinando. » Rota Gius., Maestro di musica. S. » Sandrinelli Dr. Pio, Professore. » Sartorio (de) Alberto. Sartorio (de) Giuseppe. — 229 — Sig. Sauer Carlo Marquard, Dir. dell’ Istituto sup. di Commercio Revoltella. » Saunig Edoardo, Curato al Civ. Nosocomio. » Schatzmeyer Emilio, Professore. » Schnabl Federico, Ingegnere. » Scheller Dr. » Schivitz M. V., Ingegnere. » Schròder (de) A. Riccardo. » Sencig Giov. Batt., Maestro Civico. » Simoni Dr. Giorgio. » Skerle Giuseppe. » Slataper Luigi. Stenta Dr. Michele, Professore. » Stolfa Pietro. » Stossich Adolfo, Professore. » Stransky Enrico. » Strudtoff Edoardo. Strudtoff Dr. Giorgio. » Susa Dr. Giuseppe. » Suschnig Gustavo. Suttina Antonio, Farmacista: » Suvich Pietro, Ingegnere. P: » Tedeschi Vittorio. Timeus Francesco, Dir. dell’ Istit. Civ. Magistrale. s Tischbein Augusto. » Tommasini Cav. Dr. Ant., Avvocato. Tommasini Comm. de Muzio, i. r. Cons. Aulico ecc. » Tonicelli Dr. Giacomo. » Turco Giusto, Maestro. Turk Dr. Andrea, Medico com. a S. Giacomo U. » Urbanis Silvio. » Urbanis Ugo. » © Usiglio Giacomo. 16 — 230 — Sig. Valle Antonio. » Verbas Michele: » Vicentini Dr. Raffaele. » Vidacovich Dr. Antonio. » Vierthaler Augusto, Professore. Vlach Benedetto, Farmacista. dica Vlach Montelli Baronessa Leopoldina. Sig. Vortmann Giorgio. W. » Weedon William. » Weiss Edoardo, Dir. della Scuola popol. in Corsia Stadion. » Wendlmeyer Giusto. » Weyprecht (Cav.) Carlo, i. r. Tenente di vascello. » Wranitzky Gustavo. Z. » Zadro (Cav. de) Illuminato, I. Cons. Medicinale. » Zalateo Giovanni. » Zampari Dr. Edoardo. » Zanetti Carlo, Farmacista. » Zay Carlo. » Zay Giuseppe. » Zenker Antonio Cav., Segretario alla Camera Commercio. e. Soci effettivi colla sede fuori di Trieste. A. » Ausserer Dr. Antonio, Professore Ginnasiale. Graz. B. » Berthold Enrico. Parenzo. » Bolle Giovanni, Dirigente l’ i. r. Istituto bacologico di Gorizia. » Borcich Lorenzo, Direttore dell’ i. r. Scuola Reale di Spalato. — 231 — €. Sig. Campitelli Dr. Matteo, Podestà di Aovigno. » Catinelli Ettore, Cons. Minister. di Sezione. Fiume. » Cecon Antonio. Rovigno. » Comelli Nob. de Stuckenfeld, Ingegnere. Gorizia. D. » Danilo Dr. Francesco, i. r. Consigliere. Zara. » Dudan Matteo. Zara. G. » Giseke C., Direttore ecc. Fiume. Giunta (Inclita) Provinciale Dalmata. Zara. Giunta (Inclita) Provinciale dell’ Istria. Parenzo. Sig. Gossleth (Cav. de). Hrastnig. Gremio (Spettabile) farmaceutico di. Gorizia. Sig. Grosser (Cav. de) Leopoldo, i. r., Cons. Ministeriale all’ Ecc. I. R. Ministero dell’ Interno. Vienna. | K. » Katurich Michele, Prof. Zara. » Klezak Biagio, i. r. Commis. Distrettuale. Metcovich. Sig. Kovacevich Carlo, i. r. Capitano di Porto. Pola. » Kuzmich, farmacista. Ragusa. L. Lantana (Nob. de) Giac. Zara. Levi Dr. Gorizia. Luciani (Cav.), R. Ispettore degli scavi. Venezia. Lugnani Dr. Giovanni. Pirano. » Luxardo Nicolò. Zara. SIR Sb M. » Mantica (Conte) Nicolò. Konchi. » Marchesini Dr. Domenico. Grado. » Matcovich Emilio, Prof. Fiume. » Moerch I. Bucarest. Mohovich Emidio, Redattore della “Bilancia,,. Fiume. pio (Inelito). Pola. 3 — 232 — N. Sig. Niederkorn Vittorio, Maestro di scuola e di musica. Pola. 0. » Ofenheimer Antonio. Naziè (Slavonia). P. » Polesini (Bar. de) Giov. Paolo. Rovigno. Q. » Quadri Giovanni. Pola. R. » Rizzi Nicolò. Pola. S. s Salvetti Antonio, Farmacista. Pirano: s Scampicchio Dr. Antonio. Albona. » Scarpa Giov. Paolo. Lussingrande. » Schaub Roberto. Vienna. » Schiavuzzi Dr. Bernardo. Pirano. Schunek S. Graz. » Schwarzhuber Bar. Otto. Vienna. Sprocani Dr. Lodovico. Pola. È. Tamai Vincenzo, Professore. Pordenone. Tartaglia Conte Pietro, Spalato. Tocigl Giov., Chimico-farmac. Spalato. Tromba, Farmacista. Rovigno. e MIS SE at V. » Vranyezany (Bar. de) Gius., Possidente. Fiume. W. » Wiirttemberg S. A. R. Duca i. r. Feld-Maresciallo. Sarajevo. Z. » Zavagna Enrico, Prof. Pirano. — 99 — d. Soci corrispondenti. Sig. Bizio Dr. Giovanni, Prof. all’ Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Venezia. Brusina Spiridione. Zagabria. Gerson Jose da Cunha. Calcutta. Sennoner (Cav. de) Dr. Vienna. Siebold Prof. Carlo. Monaco (Baviera). Stalio Prof. Luigi, Socio corrispondente del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Venezia. Thiimen (Bar. de) Dr. Franc. Prof., K/osterneuburg. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Stampati pervenuti in dono alla Società. Dal socio sig. N. Nicolich. — Kirchmann G. E. Della importanza della Filosofia. Discorso tenuto in Berlino l’anno 1876. — Nuova traduzione dal tedesco. Dal Traduttore. — Sur certains relations entre les Plantes et les Insectes par Sir John Lubloek Bart. Vice-Chancelier de lUni- versité de Londres, traduit avec l’autorisation de l’ Auteur par Félix Chassamieua, Président de la Société d’études scientifi- ques de Lyon. Dall’ Autore. — Federico II considerato come Principe protettore da Bartolomeo Mitrovich, Prof. di lingua e letteratura italiana ecc. in Trieste. Dall’ Autore. — Beitrige zur Entwicklungsgeschichte der Chaeto- poden von Michael Stossich. Dall’ Autore. — Molluscorum fossilium species nova et emendatae in tellure tertiaria Dalmatie, Croatie et Slavonia invente, Ant. Sp. Brusina. Dal socio sig. N. Nicolich: Spiller. — lrrwege d. Naturphilosophie. Dal socio Autore Dr. Brettauer. — Resoconto sanitario per l’anno 1876. Dall’Autore: Regalia. — Su nove crani metopici di razza Papua. A n — Chirotteri italiani. Dal socio Autore Buzzi. -— Sulla posizione dell’ ingegnere-archi- tetto in Trieste. — 239 — Dall’Autore: Ninni. — Fauna veneta: t. Chiroptera. Dal socio Autore Dr. Lorenzutti. — Parole sul feretro del Dr. A. Menzel. 5 n » — Fonti termali della nostra ‘provincia. Dall’Autore: Ardissone. — La vie des cellules. s % — Le florideae italiche N. 1. Dall’Autore: Comes. — Sulla traspirazione delle piante. Dall'Autore: Ulivi. — La nuova teoria di riproduzione. Dal Civico ufficio statistico anagrafico. — Resoconti del censimento generale della popolazione di Trieste. Ricevuti in cambio. Berlino. — Monatshericht der. kònigl., preussischen. Akademie. der Wissenschaften zu Berlin 1878. — Verhandlungen d. botan. Vereines d. Provinz Brandenburg. 1877. Bremen. — aa d. naturwissensch. Vereins 1876. Breslau. — LV. Jahresher: d. :schlesischen Gesellschaft f. vater- lind. Cultur. 1877. Vienna. — K. k. Akademie der Wissenschaften in Wien. Separat- abdriicke von 1878. — Anzeiger 12, 25, 26, 27, 28. — Jahresher. d. wissenschaftl. Clubs. 1877-78. — Mittheilungen der k. k. geographischen Gesellschaft in Wien. Bd. XIX-XX, 1376-1377. — Verhandl. d. k. k. geologischen. Reichsanstalt 1-16. Budapest.. — Termésyetrajzi fuzetek. 1878. (April, September; October.) Bistritz. — IV. Jahresber. d. Gewerbeschule. Innsbruck. — Zeitschrift des ,Ferdinandeums* fir Tirol u. Vo- rarlberg. 3. Folge, 22. Heft. — 236 — Hermannstadt. — Verhandlungen u. Mittheilungen des Siebenbit- gischen Vereins. XXVII. Jahrg. Klausenburg. — Magyar. Nòvénytani-lapok. Augustus, September, October, November, December 1878 u. Januar 1879. Prag. — Sitz.-Ber. d. k. bòhm. Gesellschaft. d. Wissenschaften. 1877. Linz. — Jahreshber. d. Vereins f. Naturkunde. 1878. Gorizia. — Atti e Memorie dell’i. r. Società Agraria. 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Irieste mese di Agosto 1878 IREZIONE E FORZA DEL VENTO calma = 0 uragano = 10 VELOCITÀ pia | DEL VENTO in kilometri all'ora per gli intervalli di tempo | PLUVIOMETRO in milimetri CORAL e | Kilometri gl gem -2° gui 9 tea | in 24 ore 0) | 6.0 95 49 6.7 1362 Bal SEZEN IRIRII 102o 1108 90|_40 i BAROMETRO "WArDri in milimetri ridotto TERMOMEDRO Îa temp. 0° ed al livello] centigrado del mare 700 + ci (li | gior- Massimo della dono i: (E Qu dira) Minimo — Minimo» Annotazioni. Li 1° gioruo nuvoloso; in gran parto annuvolato; Ji 3 a lunghi intervalli pp) sereno a nella sera caddero unche goccia di Medio N Inalierot UMIDITÀ ANNUVOLAMENDO $ VELOCITÀ MEDIA % Qu Media | DELL'ARIA serelio ) È 0 DEL VENTO in kilometri all'ora per gli| del massimo aunuvolato = È ie intervalli di tempo RIN E'ITITO) NENINNNI MEER MINER TTT na Fs Don 9h gior] 7% ioni 7” p gl_73|7d_9dlgh gu) rata inaliero) î Ir (SS Sim a, - [©] a = © wo Hi 00 00 00 n n Ci Di to NE DI I to O oh o rotture inv: ni co + io Lai to © wo P'iiccNnorcruwWuocss = vis cos nisisacalm e reca da 20 Kam ooo TA SI cor era 090 RNA {col da usi 33rtio NW. 1 [22.8 DN. 21248 ENE.2 | 0.0 —_A0l a 0 SE. 1 [SI] SE È (== Z BE HH ro do de O PS Oc acc oliuoliwtrr matt Si pei E i E i fi _ okKS5r Soa i (2°) 90.8 ci i Massimo di pioggia caduta 48.9!" li 3. DE velocità diurna del vento 578.1 Ohilometri li 18, — Minimo dell'umidità 35%, li 1 Massima velocità oraria del vento 38.8 li 18 3.8 tale Chilometri percorsi” dal vento 28160, porale con pioggia; li 2 tao. nolla sera; li 4 în li 7 nuvolo 0 ) Verso sera temporale ( nolla sera tempo- si i nella mattina, li 19 nel dì sereno e nella notte susseguono temporale e pioggia; li 20 nel dì nurolo e nella notte forte temporale con spossissime scariche alettriche, bora & pioggia; lì 21 nella mattina poca pioggia e verso seri sei lì 22 bel tempo; li 23 in gran parte annuvolato; lì 24 in massima parte annuvolato; nel sera, atnpi. ‘a Sud; li 26 iu parte sereno; li 27 L gielo in patto nuvoloso; li 28 i A "pt “i li. DI: cielo ET lì 30 Logi sOrenO;. PLUVIOMETRO in milimetri 2 (©, VELOCITÀ MEDIA DEL VENTO in kilometri all'ora per gli intervalli di temno (eh 25 2 13.9 97% 12 22.1 32.7 39.8 27.8 25.5 13.9 6.6 48 Kilometri 2° gl 194 52.9 j26.5 38.4 26.3 20.7 38.0 3.4 OR 26.9 45.2 25.8 12:4 20.9] 18.7 18 totali per- GOrSÌ > in 24 ore 310.8 893.6 100.5 984.1 642.8 487.1 501.9 255.9 A20 | pe AROREERRE Der 7 OP VETTE PI = co. RISE © USSO: agi0Ni meteorologiche dell’. Ri. Accademia di Commercio 6 mautita in Trieste mese di Settembre 1878 |» (elevazione dell' Osservatorio sopra il livello del mare= 26 metrì) DIREZIONE E FORZA DEL VENTO calma = 0 Uragano = 10 BAROMETRO in milimetri ridotto Ila temp. 0° ed al livello] del mare 700 + PRESSIONE DL VAPORE lin milimetri UMIDITÀ DELL'ARIA in p. % del massimo ANNUVOLAMENTO sereno = 0 annuyolato = 10 VELOCITÀ MEDIA __, DEL VENTO in kilometri all'ora per gli | Medio ; i intervalli di temno TE OLE I1A gior- Ra QU | gior-J 7h | 9A i gi gl PI dI tei LIA h totali per | naliero| 9-7 d- conì TERMOMETRO centigrado 28.4| 23.61 21.4) 19.2 24.7) 20.6) 23,0] 22.7 27.0) 22.6 29.0] 25.4 29.8) 20.4| 30.0| 25.2 26.4] 24.3) 23.8) 23,6] 26.0) 22.2 26.8] 22.2! 20.7] 22.4 24.5] 20.4 19.2] 19.6 22.6] 22.8) 22.4| 20.9 22.7) 20.0, 23.6] 22.7 25.4] 22.0) 19.4) 18.0 17.3] 15.8 21.5) 16.3 21.2] 18.9) 17.5] 16.7 16.4] 18.2 20.0] 18.9) K 20.6) 17.6 9.9) 20.9) 16.4) 9.61 20.2] 18.2 11.3 ENE. 2 | ENE. ENE. 3 | ENE.3 ENE. 3 | ENE. ENE. 3 | ENE. INE; 2 | EN no E cr WS sen OKLkOooHlooc Sa mm n oo SLeON 0.04 22.1 CRCR CMS (ei END. 2 2 | END. 4 CAI) ;S nu cool 0OMNO BIZIONOAÌI W.1 WSW.1 WSW. 1 162.8) 0.9 | ENE. 1 | ENE.4 45.7] 80 270.0 BENE: 2 | END. 3 | — | 38.3) 30. 209,0.1 (51 0 47 | 11.5 2] 1217 Et trai 04/006: Ol 76.3. | ESD. 1|482] 47) 20.8! 205.0. NNE. 2 [13.1] LB 220) 2.0] NE. 1 6A) W.1 0.6) —.0) 0.0, WE vNoocoaìddor noe o 0 So = MZ pag 1 0OHn go 0 0 Ora _ (=) POOHMMNH A na (ON) (PSI n Jo Sw Motule 440.2 60.5| 60,9) 60.7] 24.5] 15.4] 19.7) 23.2 20.7 11.8ì 13.7| 12,6) 12.7] 69 52) 47 49 49 ra Hi 4 È Minimo dell'umidità 35%, li 8 Massimo di pioggia caduta 162.89" li 20, | Massima velocità diurna del vento 984.1 Chilometri li 4. Media ”» pn 290.2 hi Massima velocità oraria del vento 52.9 È li 2 Media n Pi Ji È 12/1 , Totale Chilometri percorsi dal vento 8706.5. Mussimo della pressione barom. 766.4" li 5 Mimmo, È mo TADINPA 10120 Massimo della temperatura 30.4 °C li 8. Minimo — » n 12,8 ‘O li 23. Ammotazioni. Il 1° cielo în parte nuvoloso 8 fiesta bora, li 2 cielo nuvoloso, è forte bora è caddero poche goccie di pioggia, li 36 4 sereno è forte bora, dai 5 agli 8 sereno; li 9 in gran parte sereno nel dì, nella notte pioggia; li 10, nella mattina nuvolo e poca pioggia, verso sera in parte serena; li 11 in parte annuvolato ; li 12 è 13 tempo sereno; li 14 nolla mattina nuvolo 6 nella sera e notte guecessive pioggia ad intervalli brevi; Ji 15 nella mattina forte scroscio di pioggia e temporale, nuvelo per tutto îl giorno; li 16 in parte annuvolato e pioggia nella notte; li 17, 18 e 1 19 quasi sereno; li 20 in parte annuvolato e nella notte successiva tra le ora 1 @ le 6 forte seroscio di pioggia e temporale; li 21 nuvolo nella mattina, pioggia è temporale nella sera; lî 22 nuvolo; li 23 giorno in parto annuvolato e cadde poca pioggia uella notte successiva: li 24 dì piovigginoso, nella notte forte temporale con spessi pioggit; li. pioggia: li 26 pioggia nella mattina, nu- volo nella sera; li 27 in parto sereno; li e parte annuvolato. piovoso; li 22 tempo piovigginoso; li 23 tempo in parte coperto; li 26 in parte sereno; li 27 nella VarD8: pioggia; li 29 pioggia e nella susseguente e nella mattina cadde anche poca grandine; li 31 Lo BAROMETRO | PRESSIONE Ce 65.7 69.0 67,9 69.1 69.0 68.8 68.0) 66.4 62,9 GL 64.9) 59.7 68.6) 63.6 67.8 66.7 64.0 60.6, 20.6 18.1 17.9) 18.3 18.9 20.2! 20,9 21.6) MoNnrorockkaw 16.8 17.0] 16.9 20] 134 12.0) 99 È 18.9 20) 12.9) 98 | 94| o1| 94 19.7 90.| 88) 94) 91 18.1 19.01 20.0] 17.2 17.5 21.2 214: 18.1 14.0) 13.7 10,2 96 [S| 61,81 618) 62.8] 620| 18.9) 127 È Massimo della pressione barom. 77! i elocità diurna del vento 812.6 Chilometri li 14. Minimo _, 6 È 103.4" li 28 ni Rein 146.2 E I Massimo della temperatura 23.4 "0 li 1. a velocità oraria del vento 41.6 z li 14 Minimo » fi 4.7 00 li 8L di ori È ilometri percorsi dal vento 4532.2. olo coperto, la T parzialmente î 10 in mas- sima parte co- ereno; li 17 la bioso e piovoso; ATA Annotazioni. 1% in massima parte coperto; sera sereno; li 3 e 4 sereno; li 5 in massima parta seroni coperto; lì 8 in massima parte coperto ® pioggia; li f.co sima parte coperto © pioggia; li 11 cielo coperto » pioggia porto; li 13, 14 e 15 cielo coperto 9 pioggit li 16.iny mattina sereno, ln sera coperto; li 18 tempo piovigginosi pioviggina. lì 20 parzialmente sereno; lî 21 tempo piovoso; li coperto; li 24 coperto e pioggia; li 125 in parte coperto; li 26 iu parte sereno; lî 27 nella mattina in parte sereno, la sera pio, gin; li 28 pioggia; li 29 pioggia e nella sussegnente notte temporale; li 30 giorno nr nella mattina cadde ESE. 1] 0 0 ESD. 1 în milimetri ridotto | TEMPE= | PERMOMETRO UMIDITÀ ANNUVOLAMENTO | DIREZIONE E FORZA VELOCITÀ MEDIA sy lalla temp. 0° ed nl livello] RATURA contigrado Co DEL VAPORE | DDLL'ARIA sereno = 0 DIL VENTO DEL VENTO I si i del mare 700.+ (i i in milimetri in p. % del massimo | annuvolato = 10 calma = 0 in kilometri all'ora per gli fr Medio lara È uragano — 10 intervalli di tempo ha DL 9 |'gior- Massi-| Mini- Si 3a dr Medio I Medio 7 7 ae naliero] MA | MA L 2 9° | gior: 2 Bio Vi | Da | Gli Vara VERE PIC) A La naliero] = la ” 59.5) 692 GO n 99 « 62.5) 62,8 62.5) 234 10 a Minimo dell'umidità 459/, lì 3 Massimo di pioggia caduta 57.5"" Ji 14 1a 29 tempo piovigginoso; ancho poca grandine; lì 31 x li 23 tempo VELOCITÀ MEDIA ‘DEL VENTO .—‘... in kilometri all'ora per gli alici di EL Kilometri 9.7 n|7r_ dt QU. gl totali per- corsì in 24 ore. 40] 2.8 58.4| 50.1 2.1j 0.1 1.91 10 ta 3.3] 14.3 2.5) 4.1 04) 0.3 imetri in mili PLUVIOMETRO il DELL' ARIA Ao GG gori ) ‘in p. % del massimo annuvolato = 9 7 Kioniare siUora no chi «intervallî di tempo i TERMOMETRO centigrado NERNESDEOESN ì n naliero] nnliero] -6/ 10.7 id | LSP. 1 È i 82 80 | 91) 84 10| 10| 10] 10|.Sk 1 | ESD. 1 2.0. | 29.8) 84 7.9 0.0 94 | g0| s5| s6l 10 1 10 gi —0 |.SW. 1 —0 |i10.0] 7.7 0.3). 35 87 70 se] sol io/iol 4| 8 0.20. Ei |o0| 16 04 139 p 4 x ' Totale 59] 59A| 117] (6. (83.1 80.|\79 81 74-89 zio) 370.1 : PARATI È til 75 ‘ Ce | Massimo ella pressione barom. 69 025 li 24 ma velocità diurna del vento 1013.3 Obilometri li 20. | Minimo dell'umidità 58%, li 3 a i Minimo P) ci n 42,=-m li 14 fi fe di i 140.0 À i Massimo ‘di pioggia caduta 88.05" li 14 | Massimo della temperatura 16.8 °0 Ji 28. Massima velocità oraria del vento 53.4 5 li 2 | Minimo ” È, 1.000 1il8, Y Nel ; si 5 x 6.2 ei | ‘ To le Chilometri percorsi dal vento 4470.9, | A ds 2) Re ‘ | Annotazioni. Li 1° bel tempo; li 2 tem forte bora, pioggia piovigginoso è temporale; li 16 tempo pioyigginoso è nella notte successiva temporale; li 17 | —__& neva; li 3 cielo nusoloso; li 4 quasi sereno nel dì a; li B e 6 giorno tempo vario e pioggia; li 18 tempo in parte sereno nel dì ed'a tarda sera pioggia; li 19 | piovigginoso; lì 7 tempo in parte annuvolato; li 8 nel È poca pioggia; Ji 9 in parte annuyolato ; li 10 tempo b Ji 18 nella mattina cielo nuroloso, e verso sera e nella di pioggia, temporale 6 leggiera scossa*sismica, straoi ore 4 pom. il sole attraversò le nubi produsse un singé apparisa di una tiuta giallognola riflettentosi anche su vi #lla notte nuvolo con tempo in parte annuvolnto. li 20 nel'dNicielo anmuvolato e verso sera e nella rotte pioggia; tempo piovigginoso; li 21 în parte annuvolato; li 22 tempo ‘nuvoloso © pioggia nella sera; IL 28 in gran parte li 14 forte scroscio annuvolato; li 24 cielo coperto, nebbi& leggiera e nella notte poca pioggia; il 25, 26, 27 ‘marea, oltre ciò dopo pioggia a nebbia; li 28 pioggia, nebbia e temporale nella notte successiva; li 29 e nella Mutti luminoso in cnì il cielo mattina del 30 pioggia. oggetti torrestri; li 15 tempo TUBO STAN ANT ME, A CAFIUN no% li 19 la mattina in parte annuvolato la bbia densa; li 21 pioggia e nebbìa nel dì eda arzialmente sereno; li 24 e 25 quasi sereno; notte; li 27 e 28 densa nebbia, pioviggina e lla notte pioggia; li 30 e 31 pioviggina e nebbia. ! dell’I. R. Accademia di Commercio e Nautica in Trieste mese di Dicembre 1878. i (Blenio ilell' Osservatorio, sopra il livello del mure=26 metri) BAROMETRO pre mea — ——— în milimetri ridotto | PMPE- TERMOMETRO PRESSIONE î UMIDIRÀ lalla temp, 0° ed nl livello] RATURA calitigraio DEL VAPORE | DELL'ARIA. del mare 700 + in milimetri in p. % del massimo DIREZIONE E FORZA R) ANNUVOLAMENTO sereno = 0 aunuvolato = 10 VEL OCINÀ. MEDIA DEL VENTO iu kilometri all'ora per gli Interyalli di tempo DEL VENDO calva = 0 uragano — 10 Medio | _ gior ti unliero, Medio gior 25 valiero| Medio Î gior- -) 2 9 naliaro] sl Tirlomenn, Ù tao gl Massimo della pressione barom Minimo . + 774.80 Ii 25 748/79 | 9 Massimo della temperatura 12.0 °C li 2. Minimo Annotazioni. Il 1 e 2 tempo in parte sereno; li in parte sereno e nella notte pioggia; li 6 in parte annuvolato; li annurolato e neve nella notte successiva; li 9, 10, 11, 12 cielo in massima parte coperto e neve ad intervalli; li 18 cielo parzialmente coperto ; li 14 quasi sereno. li 15 pioggia nel aì, e nella notte successiva cielo parzialmente sereno; li 16 cielo parzialmente coperto ; n —10 °%0 li 17. Massima yelocità diurna del vento Media Massima velocità oraria del vento Media EE SHE (©) EE - cocpfornor (ee. (2 : SAI iii (CR-NR=R=X3] 10 7.6 vi T.0| 74 698.5 Chilometri li 8. 265,2 44.3 È IL i li 8 Totale Chilometri percorsi dal vento 8222.0, ” * 4 nuvolo; li 5 nel dì 7 nuyolo; li 8 in parte calma ; PNE. 3 | PNE. 2 ENE. 6 PNE. 6 W. 1 0 CENE. 6 ENEL. QI E. 1 LODI (PNE, 4 ‘PSE. Ì | PENE. 2 | Di 1 20 ESE —.0 PSE 1 | -0 AU 0 ENB. 4 | E 1 3ORINI B.1 —.0 —.0 —.0 —.0 —.d —.0 —.0 Minimo dell'umidità 41%, Massimo di PNE. 2 | ENE. 3 END. 2 PENE. 4 ENE. 2 10) .Q PNE. 7 D. 1 REA Ì fsi, È 1 1002) E. 1 E. 1 E. 1 0 —0 li2 pioggia caduta 80.1 et cho (O) li T. li 17 tempo, piovoso; li 18 tempo semisereno* li 19 la mattina in parte aunuvolato la sera caligine e pioggia; li 20 pioggia e nebbia densa; lì 21 pioggia e nebbìa nel dì eda sera tarda neve; li 22 bel tempo; lì 23 parzialmente sereno; li 24 e 25 quasi sereno; li 26 nuvolo e pioggia nella “sera e nella notte; li 27 e 28 densa nebbia, pioviggina e li 29 nel dì nuvolo e nebbia a paglia notte pioggia; li 30 e 31 pioviggina e nebbia. Tua Di I U "6 NI il MEI Pao Rina d: u , #4 la i NO: n ’ rude Y ii No T (PN e A ST: i JA Hi Da) DL Ù AS Nadal # MALA es PEVSILA Tartari ti) fi TH sN DI aaa artt PRIMAL: PANZA DI IRUPCOII Tegutet Ù È da p5) FUTITIAI 1,10) 294)